Tutto quel che conoscete sta per cambiare.

di ErisElly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Oltre il passaggio ***
Capitolo 3: *** Una strana Conoscenza. ***
Capitolo 4: *** Dolcezza e Odio. ***
Capitolo 5: *** L'Incanto del buio. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il cielo era appena sorto e tutte le cose, gli alberi, le roccie, lo stesso mare sembravano non avere contorni che li distinguevano da tutto ciò che gli era intorno.
Il mare era silenzioso. Non s'udiva il familiare rumore delle onde che si infrangevano sulla riva e che sbattevano dolcemente sulla dura scogliera; i gabbiani che cantavano gioiosi sulle onde; i delfini di solito giocondi sin dall'alba erano immobili, o meglio spariti.
Anche nel limpido cielo del nord dove le stelle e la luna se ne stavano andando per lasciare il posto al sole, tutto era immobile. Le nuvole strisciavano nel cielo come se fossero trasoportate da un vento inesistente, di uccelli non c'era traccia.
L'erba e le spighe erano immobili, ferme. La terra era dura, arida come se non piovesse da tanto tempo, non sebrava la gioconda terra di Ilinea. Non sembrava niente in effetti: tutto era sospeso in quel limbo che precede l'alba, dove tutto è esistente ma niente concreto. Sapevi che quell'albero c'era ma non ci credevi se prima non toccavi la sua dura corteccia marrone.
Solo un grifone si azzardava a volare in quel paesaggio. Le sue ali erano tese ma fendevano l'aria con colpi precisi fatti e rifatti; solo lo sguardo di solito fiero e orgoglioso, ora preoccupato e velato, tradiva l'ansia. Scrutava il cielo e la terra in cerca di segni, di qualcosa. Perchè sapeva che trampò il sole sarebbe sorto definitivamente e allora quella terra si sarebbe risvegliata, dando origine alla più grande battaglia mai vista. Anche quelle pigre spighe si sarebbero svegliate e avrebbero combattuto a fianco degli alberi.
Il grifone si diresse verso la più vicina città. Se non fosse per la moltitudine di persone e altre creature radunate in una vallata poco distante, si sarebbe detto che era una giornata normale che aspettava il sole per iniziare la routine quotidiana.
Ma quel giorno le donne non sarebbero uscite a fare la spesa, gli uomini non sarebbero andati a lavorare, gli anziani non si sarebbero riuniti in piazza per parlare del più e del meno, i bambini non avrebbero giocato per le vie schiamazzando ilari e i ragazzi più grandi non sarebbero andati a scuola.
Il grifone si diresse verso la vallata dove era riunita quella folla, ignorando tutti entrò in una fortezza di pietra, si infilò in un corridoio buio ed entrò in una sala dove si diresse verso l'uomo biondo.
L'uomo già infilato nella sua lucente armatura si stava allenando colpendo con la spada il vuoto. I suoi colpi prima casuali e discordinati diventarono presto precisi e razionali, come se l'uomo stesse davvero combattendo con un invisibile avversario. Al suo fianco un uomo dai lunghi capelli neri come le ali di un corvo, larghe spalle e uno sguardo profondo e preoccupato era sdraiato su una roccia; accarezzando i capelli di una giovane donna che sembrava dormire sul suo petto. Ma il respiro della giovane era irregolare, le palpebre chiuse con forza e la fronte sormontata da rughe di concentrazione, erano in netta contrapposizione con il suo bel viso.
Poco lontano una ragazza dai lunghi capelli castani raccolti in una coda laterale si stava rigirando tra le mani, una boccetta di cristallo contenente un liquido rosso fuoco.
Davanti a lei un ragazzo dai corti capelli neri disordinati, stava affilando la sua spada e lo stridere della lama suonava macabro nella stanza di roccia. 
Infine una giovane donna dai capelli nero cenere e occhi color ghiaccio, stava seduta su una sedia a occhi chiusi mormorando sotto voce delle parole, che a sentirle erano senza senso, almeno per quelli che non erano come lei.
Il grifone planò verso il biondo, l'uomo abbassò la spada e si voltò.
Il suo sguardo era preoccupato: il zaffiro dei suoi occhi era profondo e grave, le labbra erano tese per non lasciarsi scappare neanche una smorfia. Appena il grifone raggiunse terra tutti i presenti smisero di fare quello che stavano facendo e si diressero verso quest'ultimo.
<< Vostra Maestà tutto è normale, la battaglia dovrebbe iniziare a momenti, avrà inizio con il suono di un corno. >>
<< Grazie Allistar >> rispose il Re cercando un tono tranquillo, ma la sua voce era tesa come la corda di un violino.
<< Intanto raduna gli arcieri e sistemali sulla scogliera, dove abbiamo deciso. Prendi i centauri e inizia a dirigerti verso la Valle della Quercia. Infine sistema la fanteria, noi verremo più tardi. Sperando che si faccia vivo. >>
<< Agli ordini Maestà. >>
 
 
 
 
...
Silenzio.
Poi un suono. 
Il suono di un corno risuonò Dalla Valle della Quercia fino alla Rocca Ghiacciata.
La guerra era iniziata.

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Capitolo 2
*** Oltre il passaggio ***


Erano ormai le undici passate, quando decisi di buttare dall'altra parte della stanza il libro di latino. Avevo rimandato più e più volte l'inizio dei compiti, quindi era normale che alle undici di sera ancora non avevo finito la moltitudine di compiti assegnati a scuola. Pazienza, avrei fatto come facevo sempre: avrei studiato domani sul treno per andare a scuola, cercando non so come di ricordarmi tutte le particolarità della seconda declinazione. Latino era una delle materie più noiose mai conosciute, piena di regole seguite dalle loro rispettive eccezioni, tutte le desinenze, i casi etc etc... 
Mi strofinai gli occhi arrossati per la stanchezza e vidi le lancette della sveglia sul comodino: le undici e mezza. Un lamento mi uscii pensando che il giorno dopo mi sarei dovuto svegliare alle 6:00 per andare in stazione e iniziare un altro traumatico giorno di scuola, tra cui la tanto temuta versione di latino. Ma di dormire non ne avevo proprio voglia, così mi alzai e andai alla finestra. Da dove mi trovavo potevo vedere la strada trafficata anche di notte, il Grand Hotel, Central Park  e un pezzo di New York. I turisti, o almeno quei pochi che in quei tempi avevano il tempo da andare in vacanza, stavano seduti sulle sedie posizionate in mezzo al viale dell'hotel. Le macchine passavano grigie e noiose una dopo l'altra. Il cielo era coperto e si sentiva uno sgradevole odore di smog.
All'inizio la prospettiva di trasferirci per un breve periodo tutti a New York, mi era sembrata fantastica, pensavo che cambiare aria mi avrebbe fatto bene, visitare nuove città, entrare in contatto con quel fantastico e immenso paese... Peccato che non avevo calcolato la guerra. Ormai la guerra andava avanti da due anni, senza fermate o miglioramenti, solo peggioramenti casomai. Fu così che quattro mesi fa mia madre decise di spedirmi insieme ai miei fratelli a New York, dai miei zii, dove l'aria era più calma e noi avremmo potuto tranquillamente seguire i nostri studi. 
Molto tempo prima, quando ero ancora un ragazzino volevo finire gli studi a Londra, fare il collegge ad Oxford e poi arruolarmi nell'esercito come mio padre. Da piccolo mi raccontava spesso storie di comuni soldati, che partivano lasciando tutto, per andare a servire la loro patria diventando eroi. Ne conosceva tantissime e ogni sera me ne raccontava una diversa; la mia preferta era quella del suo amico James. Era giovane, quando andando alla sua prima battaglia reale, conobbe James. Stavano pattugliando la zona, quando James mise un piede su una mina, saltando in aria. Mio padre gli aveva fatto compagnia dall'arrivo dei dottori, fino all'ultima parola del discorso funebre. Mi diceva sempre che non erano amici stretti, ma in quelle ore si era creato un forte legame.
Resprai profondamente l'aria fredda della notte, dalla finestra della mia stanza.
L'odore di polvere e vecchie cose mi riempì il naso. La mia stanza non era proprio una camera da letto, ma era in origine una specie di soffitta. Decisi di trasferirmi lassù per vari motivi: La stanza dove dovevamo stare io e Ed era già abbastanza stretta per un solo letto, figuriamoci per due; secondo mi piaceva stare in santa pace. Non che Ed era uno che rompesse, solo che avevo bisogno di spazio.
Dopotutto però non era male come stanza: un letto singolo, un armadio, un comodino e una scrivania con una vecchia sedia. Aveva un solo difetto, dalla finestra entravano tutti i rumori della strada, passanti, musica, clacson, ruggiti...
Cosa? Ruggiti? Non era possibile, ma ero sicuro che quello che avevo appena udito fosse un ruggito. Ok, stavo impazzendo; non ci sono leoni a New York, soprattutto nel mezzo della notte. No, ero sicuro che era solo la stanchezza che mi giocava brutti scherzi, dopotutto era da qualche tempo che non riuscivo a dormire tanto bene, e poi lo stress della scuola... Sì doveva per forza essere così, non c'erano alternative.
Fu così che mi misi il pigiama e andai a dormire.
Quella notte feci dei sogni molto strani: Una bellissima bambina dalla pelle candida, occhi di ghiaccio e lunghi capelli biondi, che con una bacchetta di legno stava spingendo un leone dentro una gabbia. Il leone si dimenava e cercava di uscire, ma era troppo debole; chiamava qualcuno, lo pregava di venire in suo aiuto. Dopo di che la scena scomparve e mi ritrovai su una spiaggia con un castello di vetro. Decisi di entrare e sentii una musica soave venire da una delle torri, così decisi di scoprire quale strumento potesse fare un suono tanto bello. Ma quando raggiunsi la porta che portava all'interno della stanza, da dove veniva la melodia, essa si trasformò in un clangore metallico; aprii la porta e vidi una spada e uno scettro che combattevano come se fossero tenuti da persone invisibili. Ogni volta che lo scettro colpiva la spada il leone si lamentava e vicerversa.
Mi risvegliai in un bagno di sudore. La sveglia accanto a me segnava le 5:30, così decisi di alzarmi e iniziare a prepararmi. Presi la divisa, lo zaino e scesi piano le scale; dormivano ancora tutti così in punta di piedi mi diressi verso il bagno e con cautela aprii l'acqua calda della doccia. Una volta sotto il getto dell'acqua mi sentii meglio, come se l'acqua avesse la capacià di portare via con sè anche tutti i problemi.
Finita la doccia e una volta vestito, mi diressi verso la cucina dove mia zia stava preparando la colazione e mio zio in pigiama stava leggendo il quotidiano.
<<Buongiorno.>> Dissi, in risposta mi arrivò solo un borbottare da zio. Con loro dopo un pò ti abituavi. C'erano o non c'erano era la stessa indentica cosa, parlare con loro era come parlare con un muro, stesse soddisfazioni. Mia zia Alberta, sorella di mia madre aveva accettato con il marito, che no venissimo da loro, solo perchè mia madre le aveva ricordato che aveva una specie di debito in sospeso con lei. Ma nonostante tutto loro cercavano di ignorarci, per quanto gli era possibile e di continuare la loro normalissima vita, senza marmocchi che potessero disturbare il delicato equilibrio della casa.
Mi sedetti al tavolo e mi versai una tazza di caffè bollente per aiutarmi a combattere l'insonnia. Dopo un pò arrivarono anche Susan, Edmund e Lucy; anche loro augurarono un buongiorno, ma solo io gli risposi.
Due ore dopo, verso le 7:00 stavamo in stazione aspettando il treno che faceva il suo solito ritardo. 
<< Ho sonno, ho fatto un sogno strano stanotte. >> Disse Lucy pensierosa.
Ah, sapessi il mio! pensai.
<< Che hai sognato tu? >> Le chiese Ed corrucciato.
<< Ho sognato che stavo passeggiando in mezzo ad un bosco e che i fiori mi parlavano e mi chiedevano di salvarli, perchè qualcuno li voleva strappare tutti. Non è strano? 
>>Disse Lucy.
<< Anche io! Cioè non  lo stesso ma anche io ho fatto un sogno simile! Wow che figata, pensavo di essere l'unico ad aver fatto nottata. >> Gli rispose Ed un pò più tranquillo di com'era prima.
<< Tranquillo Ed, non sei l'unico e nemmeno te Lu. >>
<< Oh ti prego Peter! Non dirmi che hai fatto anche te un sogno simile! >> Esclamò la piccola Lucy.
<< Secondo me, erano i peperoni che abbiamo mangiato ieri sera. Sono certa che c'è una soluzione logica a questi sogni e poi sono solo sogni no? Ho letto da qualche parte che di solito può capitare che dei fratelli facciano dei sogni simili; è del tutto normale. >> Disse Susan con un tono scocciato.
<< Oh sì infatti, sono sicuro che sono stati di sicuro i peperoni, insomma lo sanno tutti delle magiche proprietà della verdura mangiata di sera. Che vuoi che sia! >> Le rispose a tono Ed con voce sarcastica, Io e Lucy non potemmo fare a meno di ridacchiare, così ci beccammo un occhiataccia da parte di Susan.
<< Voi fate come vi pare, io vi dico che ho ragione. >> Rispose lei orgogliosa e testarda.
<< Su forza è arrvato il treno. >> Disse Lu, evitando una lite di prima mattina tra Susan ed Edmund, il quale si stava già preparando a risponderle.
Una volta sul treno ci sedemmo e non parlammo più, se non per salutarci, quando una volta arrvati dovevamo scendere per andare a scuola.
La mattinata passò abbastanza velocemente, tranne che per la verifica di latino, ero sicuro di aver preso quattro.
Quando uscii da scuola delle grandi nuvole grigie scuro, minacciavano pioggia, così accorgendomi di non avere un ombrello dietro m incamminai di buon passo verso casa. A quell'ora le strade era deserte: chi stava mangiando nel suo bell'ufficio, chi era rimasto a casa, chi per paura dell'imminente temporale si stava riparando nei bar. Mi strinsi il giacchetto e lanciai un rapido sguardo al cielo; dovevo sbrigarmi o mi sare inzuppato tutto. Pensai a Susan, Edmund e Lucy che ormai stavano gà al sicuro dentro casa, che fortuna dover uscire un'ora prima di me!  Il lato positivo della situazione è che anche se mi fossi bagnato, una volta giunto a casa, non dovevo sentire gli strilli di mia zia, che mi urlava contro di avergli insudiciato la casa.
Mia zia Christie, era casalinga, ma quel giorno era stata invitata a pranzo da Agatha, una sua vecchia amica con cui adorava scambiare pettegolezzi. Mia zia con il suo lungo collo, la mascella cavallina e due piccoli occhi marroni liquidi era una tra le persone più pettegole di tutta New York. Lei amava raccontare episodi di altre persone al primo che gli si presentava davanti, per poi la sera disprezzare con mio zio, davanti la tv, la vita scandalosa dei vicini. Amava la pulizia e ogni cosa dentro casa sua doveva essere brillante e lucida. Mai un granello di polvere aveva osato posarsi sulla ssua argenteria, che custodiva gelosamente, ma in bella vista, dentro la vetrina del salotto. Mio zio Arold, a differenza di sua moglie, assomigliava molto di più ad un vecchio tricheco grasso. Il collo era inesistente, i capelli biondi erano incollati sulla testa da uno strato generoso di gelatina, gli occhi neri erano enormi e i sopraccigli erano costantemente corrucciati. Lavorava presso una ditta di televisori e ed amava, la sera discutere del suo lavoro con mia zia.
Ecco perchè io e i miei fratelli cercavamo sempre di allontanarci da loro.
Intanto ero arrivato davanti l'entrata di Central Park, dove una bambina vestita da regina, con un lungo vestito bianco e una corona in testa, stava giocando con il suo cane. Lei prendeva lo scettro e glielo puntava contro, in risposta il cane abbaiava ma indiettreggiava. Sorrisi tra me e me, che strano... Possibile che una bambina piccola, era stata lasciata da sola a giocare a Central Park? Mi avvicinai per chederle dove stavano i suoi genitori, ma appena varcai l'entrata, la bambina scomparve. Cioè, non si era dileguata nel nulla, ma era come se appena entrato dentro al parco, mi chiesi se quella bambina era davvero esistita. Mi venne il dubbio, che magari me l'ero solo sognata, per questo non mi meravigliai quando non trovai nessuno.
Appena tornato a casa, mi levai il giacchetto e lo appesi all'attaccapanni. La casa era stranamente slenziosa... Andai in cucina e presi un panino che era stato lasciato da qualcuno sul tavolo. Mentre lo mangiavo mi chiesi dove stavano tutti gli altri.
Improvvisamente sentii dei passi frettoloso drigersi verso di me, non feci in tempo a girarmi per vedere chi era che mi senti tirato dalla camicia, mentre una voce squillante urlava << Preso! >> Mi girai e vidi Lucy che ancora mi teneva la camcia, appena vide che ero io la sua vittima mi lasciò e disse: << Oh, sei te, scusa >>
<< Ma ti pare? Ma che è successo dove sono gli altri? >> Le domandai curioso, lei alzò le spalle e mi rispose: << E' questo il bello! Che li devo trovare! >> 
<< Credo di non capire >> le dissi. << Allora, stiamo giocando a nascondino! >> mi rispose.
<< Lu, non per fare il guastafeste, ma lo sai che se spostiamo anchge di un solo grado un oggetto, zia se ne accorgerà e ci farà stare senza mangiare per una settimana? >>
<< Sta tranquillo, lo sappiamo bene e per questo che stiamo attenti a dove
passiamo. >> Mi rispose con una semplicità unica.
<< Allora che fai?  Mi aiuti? >> Mi domandò.
<< Certo! >> 
Ci dirigemmo entrambi verso il piano superiore, io presi i scalini che portavano alla soffitta, lei iniziò a vagare per la camere. Salii i scalini che portavano alla soffitta vera  e propia. Quella era l'unica parte sporca della casa, per il semplice fatto, che non ci veniva mai nessuno e mia zia aveva paura degli insetti. Ma la maniglia della porta era pulita, in netto contrasto con la porta impolverata, sorrisi qualcuno stava là dentro. Aprii cautamente la porta ed entrai per la prima volta là dentro.
L'ambiente era ampio, buio e con il soffitto basso da cui pendaveno ragnatele. Il parquet impolverato, lascava intravedere delle piccole macchie pulite. Mi guardai intorno: C'era un vecchio letto a baldacchino rosicchiato dalle tarme, tende e tessuti vecchi erano accasciati quà e là; gli scatoli, che ricoprivano la maggior parte dello spazio, traboccavano di oggetti. Il vecchio armadio della nonna Orchidea, stava n fondo alla parete ed era socchiuso. Edmund sapeva che mai, per nessuna ragione al mondo, bisognava chiudere un armadio, quando ci stavi dentro. Aprii le ante ma non c'era nessuno. Mi guardai meglio intorno, cercando di abituare la vista a quell'ombra  e scorsi una vecchia cassapanca, la spalancai e ci trovai Edmund.
<< Meno male! Ma come mi è venuto in mente di nascondermi quì? >> Disse mentre tossiva. << Ah, io non lo so, ma ero scuro che eri te, perchè qui Susan non ci sarebbe entrata manco morta. >> Gli risposi. Mentre lui continuava a tossire lo sguardo mi si posò su un quadro appeso.
Aveva la cornice in oro, lo presi e con la manica gli levai la polvere che si era depositata sulla tela. Anche se i colori erano un pò sbiaditi si poteva scorgere una spiaggia, con un castello in cima ad una costiera. Il castello aveva l'aria familiare ma non riuscivo a ricordare dove l'avessi visto. Intanto ci avevano raggiunto anche Susan e Luci.
<< Blhea! Che orrore questo posto! >> Si lamentò Susan.
<< Io credo sia misterioso, ma che cos'è quello che hai in mano Peter? >> Disse Lucy. << E' un quadro non lo vedi? >> Fece con una vocina sarcastica Ed.
<< Ma và! >> Le fece eco la piccola. << Ragazzi smettetela, non trovate anche voi che questo quadro ha un' aria famigliare? >> Dissi, ripristinando l'ordine.
<< Sì! Sembra il castello di Cair Pravel! >> 
<< Su Lucy non dire sciocchezze, non ci assomiglia per niente! Mettilo via Peter e scendiamo immediatamente! >> Ordinò Susan.
Ma all'improvviso le onde del mare, presero vita. Iniziarono a sbattere dolcemente sulla spiaggia, si poteva udire il verso dei gabbiani e l'odore della salsedine.
<< Ma che cavo...>> Susan non riuscì a finire la frase perchè un onda più grossa delle altre fuoriscì dal quadro e ci bagnò. Come incorraggiate da quella, anche le altre onde uscirono e in poco tempo la stanza fu quasi immera completamente.
<< Teniamoci la mano! Ora! >> Strillò Edmund, con l'acqua quasi arrivata alla bocca. Ci tenemmo per mano e ci sentimmo risucchiati da un vortice.
 
Ad un certo punto sentii una botta sulla schiena e una gran luce. Perfetto ecco mamma che mi sveglia. Visto era un sogno, solo uno strano sogno.
Qualcuno mi prese un braccio e me lo tirò. Uffa ecco adesso mi alzo. Chissà che tempo fa?
Una botta, anzi uno schiaffo in faccia. Ok adesso mi alzo.
<<Peter sveglia! Apri gli occhi! Svegliati!>>
Ma perchè zia doveva gridare di prima mattina? Ma la voce non era come quella della zia era più giovanile, euforica, familiare.
Lucy. Non era un sogno o forse si.
Aprii gli occhi ma venni accecato da una luce abbagliante. Ma che diavolo era?
Mi tirai su coprendomi gli occhi con un braccio e sentii che non stavo nel mio letto. Ma al mare. Non erano lenzuola era sabbia. Levai il braccio e misi a fuoco il panorama. Una ragazza e un ragazzo erano sdraiati vicino a me mentre Lucy stava gridando anche a loro.
Fu così che realizzai che non era stato un sogno, il quadro ci aveva davvero portati a Narnia! Mi toccai i vestiti ma erano asciutti.
Quando la mia vista si sistemò riuscii a constatare che stavo effettivamente al mare e che vicino a me c'erano Lucy, Susan e Edmund che mi guardavano sbalorditi e dall'altra parte un giovane a cavallo.
<< Peter tutto bene? Serve una mano? >> disse Caspian.
Caspian? Ma stavo sognando allora che ci facevamo io e Susan a Narnia?
Mi alzai e vidi che Susan guardava incredula Caspian, mentre Ed e Lucy lo stavano salutando.
<< Caspian? >> chiesi.
<< Sì proprio io... Peter tutto bene? >> chiese preoccuapato.
<< Sì almeno credo >> chiesi. Ormai ero vigile e soprattutto sveglio.
Non era un sogno allora! Io stavo a Narnia. Non importava perchè nè come, anche se più tardi realizzai che se stavo lì un motivo c'era.
<< Benvenuti sulla spiaggia che da sul mare, sotto la scogliera di Cair Parvel. >> Annunciò giocondo, come se ritrovare delle persone che erano praticamente sbucate dal nulla, con un' aria sconvolta e tutti sconvolti era del tutto normale.
<< Fantastico! Ma che ci facciamo noi a Narnia? >> chiesi. 
Aslan l'ultima volta era stato chiaro: Nè io nè Susan saremo tornati, per questo ci aveva fatto scegliere che fare, ed io con Susan avevamo deciso di tornare a Londra per poterci occupare di Edmund e di Lucy. 
Aslan non è uno che si rimangia le sue parole, quindi tutto questo non aveva un senso.
<< Forse non sono la persona migliore a dirvelo >> rispose Il govane Re diventando improvvisamente serio.
<< E allora chi? >> Per la prima volta da quando eravamo stati scaraventati su quella spiaggia Susan apriva bocca. La guardai e notai che anche se era stata lei a formulare la domanda, non stava guardando Caspian, ma era girata verso il mare, come a scrutarne con lo sguardo le sue profondità. Per Susan doveva essere dura essere lì. A New York, per un anno non aveva fatto altro che cercare di dimenticare il giovane, ed ora il suo muro era crollato. Fu così che decisi di tenere d'occhio d'ora in poi Caspian. Non ne seguiva mai niente di buono quando mia sorella perde il controllo della situazione, e si lascia trasportare dai sentimenti. Aveva già sofferto abbastanza a New York, non poteva soffrire anche qui. Lei ormai lo aveva, adesso stava a Caspian non fare mosse troppo azzardate, perchè se così accadesse Thelmar si sarebbe ritrovata a eleggere un nuovo re.
<< Andiamo a Thelmar e Aslan vi dirà tutto >> rispose il giovane. Notai che anche lui non la stava guardando ma per rispondere si era voltato verso Lucy, come se avesse capito che a formulare la domanda era stata lei e non Susan. Ovviamente sapeva che non era stata lei, ma voleva stare al gioco di Susan. Bene, molto bene. Continua così Caspian e noi due non dovremmo avere problemi.
<< Ma un momento l'ultima volta che ce ne siamo andati e siamo ritornati, a Narnia erano passati secoli! Quanto tempo è passato questa volta? Non mi sembri invecchiato di molto... >> disse Edmund.
Vero. L'ultima volta che eravamo tornati avevamo scoperto che a Narnia erano passati 1300 anni, come mai questa volta anche se siamo sempre stati lontani per un anno erano passati solo qualche mese o al massimo solo pochi anni?
Caspian sorrise: << Sono passati solamente 2 anni, da quando ci avete dovuto lasciare. >>
Perfetto aveva detto "dovuto lasciare" e non "avete lasciato". Non incolpava noi di averlo abbandonato, o meglio non accusava Susan di averlo lasciato. Caspian non mi era mai stato simpatico, ma se continuava così avrei potuto anche cambiare idea e ricredermi, ma doveva stare attento a non fare un singolo passo falso.
<< Ok, ma ora portaci da Aslan, starà aspettando >> disse Susan sempre fissando il mare.
<< Giusto se volete seguirmi a piedi non ci sono problemi, altrimenti posso far mandare a prendere una carrozza. >> Rispose  Caspian elegante e gentle, tipica risposta da manuale.
<< No tranquillo, ce la facciamo anche a piedi. >> Risposi, non mi andava di continuare ad aspettare su quella spiaggia, e poi volevo delle risposte e subito. E Aslan era l'unico che poteva darmele.
<< Allora è meglio incamminarci subito. >> Convenne il giovane Re.
Così partimmo Caspian ed io in prima fila, seguiva Edmund e infine Susan e Lucy che camminavano per mano.
Mentre camminavamo Caspian fece una cosa che non avrei mai immagginato che un perfetto gentiluomo come lui potesse fare. Stava lì lì per scoppiare a ridere. Contrariato stavo già per ribattere che non era la situazione ideale per ridere ma lui mi anticipò.
<< Scusate non volevo essere fuori luogo o maleducato, ma non ho potuto fare a meno di notare il modo in cui vestiti. >> Rispose mortificato ma sincero.
<< E' la nostra divisa scolastica, è così che nel nostro mondo bisogna vestirsi. >> Dissi notando le mie scarpe di cuoio marrone, i miei pantaloni azzurri polvere, la camicia ormai rovinata dalla caduta e il mio maglioncino blu.
<< Già scusate ancora. >> 
Dopo quel breve dialogo silenzio. Camminavamo in perfetto silenzio. Era uno di quei silenzi che mettono ansia e alla fine ti fanno perdere la pazienza. Così cercai velocemente un'idea non troppo ridicola per iniziare un discorso decente.
<< Cos'è cambiato a Narnia? >> Domandai a Caspian, infatti era una domanda che mi stava a cuore.
<< Bhè dopo che siete partiti per un pò è ragnata la pace, poi però i giganti delle montagne si sono ribbellati così li abbiamo dovuto respingere su per le montagne. Abbiamo aperto una via di commercio con le Isole Solitarie e avevamo in proggetto di riportare all'antico splendore Cair Paravel. >>
<< Wow avete avuto da fare! >> Continuò Edmund.
<< In effetti sì. Ma nulla di grave fino a... >> Caspian lasciò la frase incompleta.
<< Fino a... >> Cercai di mandarlo avanti.
Fece un lungo sospiro e iniziò a raccontantare:
<< Fino a tre mesi fà, quando un contadino è arrivato di corsa a Thelmar, sostenendo di aver visto un orso polare. Naturalente è da molto che non ci sono orsi polari a Narnia, così insieme a tre soldati sono andato in cerca di questo animale. E effettivamente l'orso c'era. Da quel momento in poi sono successe strane cose: marinai che si perdono in mare, di cui ritroviamo solo pezzi delle navi con cui erano partiti; gli alberi non danzano più, il clima si sta facendo sempre più freddo anche se stiamo solamente a settembre, le donne hanno paura ad avventurarsi nei boschi, i bambini non giocano più per le vie. Di notte regna il più totale silenzio. 
Fu così che poco più di due settimane fà si presentò a Thelmar Aslan, dicendo che questa situazione non era niente di buono e di contattare anche altri paesi, per sapere se stava succedendo anche a loro. 
Solo un paese ha risposto al mio messaggio: La terra di Ilinea. Una terra lontana che si trova oltre le isole Solitarie, una terra dove a lungo è vissuta l'armonia tra magia e uomini. Così una settimana fà è venuta a Thelmar la regina Elizabeth. Nella sua terra, come a Narnia qualcosa non va. I bambini vengono rapiti, i ghiacciai non si sciolgono e ormai inizia a nevicare ogni giorno, attacchi di orsi polari e altre cose terribili. 
Fu così che Aslan ci espose i suoi dubbi e decise di riconvocarvi. A tutti. >> Disse Caspian grave; notai che il suo tono era nostalgico, a anche serioso di chi deve raccontare una stiria terribile. E quella lo era.
Anzi peggio: Non era una storia, era la realtà.
Cos' era successo? Chi c'era dietro a quelle aggressioni? Perchè Aslan in prima persona si era scomodato a venire subito e a radunarci tutti? Perchè non solo a Narnia ma anche in altri Paesi? 
Le domande che mi ribollivano in testa erano tante, troppe. Potevo solo aspettare di arrivare a Thelmar per poter parlare con Aslan a quattro occhi.
 
 

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Capitolo 3
*** Una strana Conoscenza. ***


 
<< Chi pensi chi sia? >> Chiese Edmund a Caspian. Anche lui come me aveva il tono preoccupato e lo sgurdo serio. E' strano come appena varchiamo il confine tra il nostro mondo e Narnia, cambiamo non solo mondo ma anche noi. Edmund infatti non era più il giovane ragazzo di città, ma Re Edmund il Giusto, colui che sà sempre che mossa fare, che tattica usare, lui che è il cervello di noi quattro, lui che è razionale e reciso, lui che è re.
<< Non importa chi penso chi sia, ma importa chi veramente è. >> Rispose con grande filosofia e saggezza Caspian. Era anche lui molto cambiato da quando un anno prima l'avevo conosciuto. Non era più insicuro, giovane, inesperto, la perfetta copia di ogni singola parola scritta sui libri imparati a memoria. Adesso era cresciuto era diventato un buon re; un re che si preoccupa per il suo regno e disposto a chiedere aiuto se necessario per salvarlo. Perfino anche migliore di me, sotto questo aspetto. Io ero troppo orgoglioso, testardo, sempre convinto di avere la situazione sotto controllo. Sotto quell'aspetto ammiravo Caspian. Dovevo imparare anche io a essere meno impulsivo e più ragionevole, ma proprio per questo non ero solo io re, ma anche i miei fratelli, perchè noi ci completiamo a vicenda: ognuno ha qualità che l'altro non ha. Ed è insieme infatti che siamo in equilibrio.
<<  E' davvero così brutta la risposta? >> chiese Lucy con la sua vocina timida e preoccupata.
<< Peggio di ogni vostro incubo. >> Rispose cupo Caspian.
<< Oh avanti chi può essere peggio di Jadis? >> Chiese Susan col tono di chi pensa che se ha sconfitto Jadis, allora non c'è nient'altro da temere.
Ma in fin dei conti chi può essere peggio di Jadis? La strega bianca che ha tenuto a bada Aslan per quasi un secolo? Colei che trasformava in statue coloro che le si opponevano, lei che amava il freddo e la neve, lei che il suo cuore era di gelido ghiaccio. Chi poteva eguagliare o peggio superarla?
Caspian in risposta fece solo un verso. Nessuna risposta.
Dopo qualche altra ora inziammo ad intravedere Thelmar. 
Thelmar era così diversa da Narnia, sì perchè anche se si trovava a Narnia, Thelmar, città piena di uomini e non di creature mitologiche, ancora era distante e diffidente verso i gnomi, centauri e minotauri. Preferiva rimanere una città a parte, umana. In fin dei conti due anni erano pochi per poter cancellare ogni rancore degli uomini verso le creature e viceversa. Le creature di Narnia erano ancora convinti che Narnia non appartenesse agli uomini, che erano solo invasori che non meritavano di abitare in quella terra, nella loro terra. Ma col tempo si sarebbe sistemato tutto; ne ero certo.
Intanto il sole inziava a calare e il cielo iniziava a screziarsi di rosso e arancione, le prime stelle iniziarono a spuntare timide nel cielo che da azzurro stava diventando sempre più di un blu scuro. L'orizzonte era rosso fuoco, come stesse andando in fiamme poi proseguendo verso l'alto c'era un celeste chiaro, sfuso; seguiva un indaco fino a diventare di un chiaro blu mescolato a venature rosa. Anche giù a terra stava cambiando qualcosa: La superfie del lago era blu cobalto con delle piccole onde nere che sbattevano sulla riva sassosa; le felci e le piante con il loro verde smeraldo, ora erano verde scuro. Gli abeti e i cipressi sembravano alzarsi verso il cielo, proiettando a terra le loro lunghe ombre. Iniziarono a spuntare  i primi pipistrelli, 
s'udiva il suono della civetta, l'ululare dei lupi e lo sbattere delle ali dei gufi.
<< Dobbiamo accellerare il passo, non voglio trovarmi nel bosco di notte. E poi manca poco. >> Disse sbrigativo Caspian. E aveva ragione: Non era mai prudente girovagare per i boschi di notte; che fosse periodo di pace o periodo di guerra. Specialmente nella nostra situazione:
In cinque, tra cui solo uno armato di spada. Non era certo la situazione più favorevole per sostenere un attacco.
<< Vero, ci conviene muoverci, un ultimo sforzo ci siamo quasi. >> Disse Ed.
<< Quanto manca ancora? >> Si lamentò Lucy.
<< Ancora poco, te lo prometto e poi guarda si possono vedere le luci del castello.  >> La rassicurò Susan.
Tutti eravamo stanchi, avevamo camminato initerrottamente dalle due fino a... che ora era?Comunque fino a tardi, visto che il sole stava tramontando. Non ci eravamo fermati un attimo, per paura di arrivare tardi, e poi tutti volevamo delle risposte, nonchè un posto riparato con un bel piatto fumante davanti. Il mio stomaco iniziò a lamentarsi, come a ricordarmi che avevo mangiato solo un panino, per giocare con Lu. Ma in fin dei conti chi poteva prevedere qualcosa del genere?
Accidenti! Caspian aveva ragione, per essere solo settembre faceva freddo. E non lo dicevo perchè avevo solo una camicia leggera con uno smanicato sopra, ma perchè in effetti la temperatura si stava abbassando un pò troppo, anche secondo il clima di Narnia.
Dopo un' altra buona mezz'ora di marcia, finalmente ci trovammo davanti al cancello principale del castello di Thelmar.
<<  Era ora! Non lo ricordavo così lungo il tragitto. >> Si espresse Edmund. Anche per lui che era uno sportivo era stata una bella camminata. Senza includere tutta la mattinata precedente che ora sembrava così lontana e remota, come se fosse un sogno. Ma la più stremata era Lucy, molte volte io e Caspian avevamo insistito a farla salire in groppa al cavallo, ma lei niente. Non lo faceva per orgoglio o per dimostrare che anche se, era la più piccola ce la poteva fare da sola. No lei non voleva salire in groppa, solo per farci compagnia. Non voleva che noi la vedessimo bella e comoda su un cavallo e noi a camminare per un pomeriggio intero. Lucy era speciale proprio perchè era Lucy. Sfido qualunque ragazza a farsi a piedi almeno dodici kilometri in un bosco, per di più in salita e con le ballerine.
<< Era ora Maestà iniziavamo a preoccuparci nel vedere che non rincasavate. >> Disse un cavaliere nel venirci incontro.
<< Tranquillo tutto bene, i Re e le Regine desiderano solamente di farsi una doccia e  cambiarsi d'abito, dopo di che preparategli qualcosa da mangiare e conduceteli da Aslan. Io vado direttamente da Elizabeth, dobbiamo finire di discutere su un paio di argomenti. Non ho fame e se mi verrà me ne occuppererò da solo. Grazie Leandro. >>
Rispose con tono regale e imperioso Caspian, allontanandosi.
Anche io volevo andare con lui, ma riconoscevo l'urgenza di una bella doccia calda e di cambiarmi. E poi sì, avevo una fame tremenda. Guardai con attenzione Susan, Lucy e Ed, anche loro erano in uno stato pietoso.
<< Se volete seguirmi vi conduco nelle vostre stanze, Maestà. >> Disse Leandro, e così dicendo iniziò ad incamminarsi di buon passo verso la prima rampa di scale.
Non ero mai stato in quel castello, o meglio, non ci ero mai stato per abitarci, ma solo per cercare di spodestare Miraz. Non volevo ricordare quella atroce sconfitta. Mai durante il mio regno avevo subito sconfitta più bruciante, e solo grazie a Caspian.
Che idiota che era. Per cercare di salvare il suo maestro e vendicare suo padre ne aveva uccisi altri mille. Non poteva aspettare di conquistare il castello per poi uccidere Miraz? Non era quello il piano? No, certo che no. Si è fatto assalire dai sentimenti causando più danni che altro. Il bello era che questa storia la sapevamo solo io, i miei fratelli, Miraz, il maestro e Aslan. Per tutti gli altri la versione ufficiale era quella di Re Peter che per cercare di salvare il suo popolo, lo aiuta a morire prima. Wow! Che gran bel re.
Quei ricordi non facevano altro che male, così mi costrinsi a non pensare ma a concentrarmi sulla strada che stavamo facendo. Il castello di Thelmar era molto diverso da Cair Paravel. Non aveva niente di magico, era come uno di quei vecchi castelli di pietra che si possono vedere anche nel nostro mondo. Le pareti erano di pietra, senza alcun particolare decorativo. I corridoi non erano larghi, ma abbastanza stretti e alti. Le porte di legno erano una uguale all'altra, ci si poteva orientare solo con gli archi di pietra presenti ogni cinque porte. L'arredamento era abbastanza superficiale e semplice. Per terra un tappeto che una volta doveva essere di un bel rosso acceso ora era diventato bordò. 
I quadri appesi alle pareti rappresentavano soprattutto l'esercito di Thelmar con vecchi generali e vecchi re. Solo alcuni rappresentavano Narnia con le sue creature, ed erano i più recenti infatti. 
Al muro erano attaccate tante fiaccole accese, che proiettavano sul lungo tappeto ombre sinistre.
Le finestre però erano ampie, con vetrate che raffiguravano la battaglia contro Miraz. Pensai che Caspian avesse voluto animare un pò di più quel castello, renderlo un pò più accogliente e meno una fortezza. Le tende erano dello stesso colore spento del tappeto e ricadevano tristi sul pavimento. A lati delle finestre c'erano due grandi vasi di porcellana con dentro dei fiori dal lungo stelo.
Le porte erano tutte dello stesso marrone scuro, con le maniglie in ferro lavorato.
Dopo una serie di corridoi tutti uguali, sbucammo in una piccola sala. 
La stanza era circolare con delle poltrone verdi scuro tutte intorno ad un piccolo tavolo di quercia rotondo. Anche lì il tappeto circolare era della stessa tonalità delle tende.
Una libreria stava attaccata alla parete di fondo, mentre ai lati c'erano dei piccoli sgabbelli e piccoli tavoli.
Dal basso soffitto cadevano piante rampicanti che rendevano più calda l'atmosfera e per ultimo, vicino alla libreria stava un vecchio caminetto di pietra; il fuoco nonostante non fosse neanche autunno già scoppiettava allegro.
Ci dirigemmo verso una porticina dall'altra parete della sala che sbucava in un altro corridoio.
Ma questo era diverso: 
Era abbastanza corto e le pietre delle pareti non erano scure come quelle del resto del castello, ma almeno due tonalità piu chiare. Anche le porte erano di legno più chiaro decorate con dei motivi floreali. Le finestre erano molte e ampie con delle leggere tende di tessuto celeste. Le maniglie delle porte non erano in ferro, ma di ottone. Molti erano i vasi di fiori che erano posati lungo delle mensole di pietra.
<< Siamo arrivati queste sono le vostre stanze Maestà. La sua Re Edmund e l'ultima a sinistra, quella della Regina Lucy la stessa a destra, e per Re Peter è la penultima a sinistra e per la Regina Susan la stessa a destra. Spero che le camere siano di vostro gradimento. Appena avete finito di rinfrescarvi Re Caspian e il Grande Aslan vi attendono in biblioteca. >> Detto questo Leandro fece un breve inchino e sparì.
Senza esitare mi diressi verso la camera indicatami. Appena varcai la soglia una luce mi abbagliò. La camera era interamente bianca fatta eccezione per le tende, il letto a baldacchino e l'armadio che erano azzurro. Un'ampia finestra di marmo si affacciava sul giardino principale. Le tende di un azzurro ben deciso con sfumature bianche ricordavano le nuvole, ed infatti sull'armadio di legno in stile veneziano, a caratteri eleganti, c'era scritto; In nome del limpido cielo del nord: Re Peter il Magnifico. 
La scritta era circondata da nuvole dipinte.
Era identica alla stanza che avevo a Cair Paravel, mi chiesi come facesse Caspian a sapere come erano arredate, io non gliene avevo mai parlato. Forse la discrzione era riportata su qualche vecchio libro, mi ripromisi di cercare quel libro per sapere quale autore, avesse potuto riportare una descrizione così minuziosa.
Sul letto erano posati dei vestiti. Anch'essi miei, con accanto lo scudo e la spada donatami tanto tempo fa.
Vicino all'armadio stava uno specchio e appena mi guardai realizzai che tutto poteva aspettare tranne che un bel bagno risanatore.
Appena finii di lavarmi indossai i vestiti e mi meravigliai di come mi stessero ancora bene. Il mio sguardo si posò automaticamente sullo specchio.
Un giovane ragazzo alto mi stava guardando. I suoi capelli biondi erano ancora umidi per il bagno fatto, gli occhi azzurri si erano riaccesi dopo tanto tempo. Il ragazzo indossava una camicia bianca ricamata, con un farsetto celeste polvere sopra. I pantaloni anch'essi del medesimo colore erano lunghi fino alle cavglie inflati dentro un paio di stivali banchi.
Facevo fatica a riconoscermi così. Non ero più Peter Pevensie ma Re Peter, una differenza sottile certo, ma evidente.
Mi sistemai al meglio e uscii, davanti alla porta stava Susan. Indossava un lungo vestito giallo ocra con dei ricami oro all'altezza dei polsi di merletto bianco. Il vestito aveva uno spacco sottile dietro la gamba sinistra. La scollatura era quadrata, in modo da lasciar intravedere un ciondolo a forma di sole. Quel vestito glielo avevo donato tanti anni fa e rivederglielo adosso mi fece uno strano effetto. I capelli erano raccolti in una treccia legata da un nastro color oro. Ma il tocco finale era il suo meraviglioso sorriso che li si era dipinto sul suo viso.
<< Oh Peter non è magnifico? >> Esclamò gioiosa appena mi vide, buttandosimi addosso. Le feci fare una giravolta in aria e la posai a terra.
<< Ma le stanze le hai viste? Anche la tua... >>
<< Sì sono identiche a quelle a Cair Paravel. >> Continuò sempre con un sorriso a trentadue denti.
<< Ma come...? >> Cercai di nuvo di finire la frase ma mi interrompè ancora:
<< Sono stata io. Io, l'anno scorso durante un attacco di nostalgia gli raccontai di come era bello Cair Paravel e delle nostre stanze! Lui mi disse che avrebbe provato a riprodurle qui, a Thelmar una volta finita la guerra! Ci è riuscito! Non se l'è scordato! >> Disse euforica Susan. 
Ok calma un momento, Susan aveva  raccontato tutto quello a Caspian e lui lo aveva rifatto, mantenendo la sua parola.
<< Sì Susan è fantastico. >> Gli risposi pensieroso.
<< Peter tu pensi che ancora mi voglia bene? >> Chiese diventando subito seria.
Caspian. E chi lo capiva a quello? Non io di certo, ma era ovvio che sin dal primo momento non aveva più tolto gli occhi su mia sorella. Così decisi di dirle quel che pensavo sinceramente.
<< Susy, lui ti ha sempre voluto bene, anzi dire che ti vuole bene è restrittivo. Ma è passato un anno, quel che sto cercando di dirti è che sì, ti vuole ancora bene, ma prima magari vi dovete riavvicinare, un anno è tanto tempo. >>
<< Già lo immagginavo... Che farei senza di te, Peter? >> 
<< Oh bhè ti rimangono ancora due fratelli o no? Approposito dove sono? >> Domandai insospettito dall'assenza dei più piccoli.
<< Eccoci! >> Risposero due voci in coro.
Loro erano vestiti, Ed di verde e Lu di blu. All'improvviso un' idea mi si accese in testa. Io ero vestito di azzurro in nome del cielo, Susan di giallo in nome del Sole, e Ed e Lucy in nome della foresta e del mare. Wow! Caspian non aveva lasciato niente al caso!
<< Io ho fame ragazzi ma prima sto morendo di curiosità! >> Disse Lucy.
<< Perchè prima non sentiamo cosa sta succedendo e poi casomai mangiamo? >> Chiese Edmund << E poi dobbiamo ancora conoscere la regina Elizabeth, no? >>
<< Oh Ed, a te importa solo della regina non è vero? >> Chiese Lucy con la sua vocina. Lucy era la bocca della verità. Tutti ridemmo alla sua affermazione, perfino Ed.
<< Ed non per fare la guastafeste, ma penso che la regina abbia qualche anno in più di te. >> Disse Susan con le lacrime agli occhi dal troppo ridere.
<< Quindi è molto più adatta a Peter! >> Continuò Lucy, un altro scoppio di risate.
<< Perchè allora non ci muoviamo e vediamo com'è questa regina prima di saltare a conclusioni affrettate? >> Proposi ridendo.
<< Oh dai su muoviamoci. >> Disse Susan.
Così ci avviammo per la biblioteca, facemmo la starda a ritroso, fino a quando ci ritrovammo di nuovo all'entrata principale. L'anno scorso sulla cartina del castello di Thelmar che avevamo usato per entrare nel castello, la biblioteca era evidenziata, così mi ricordai la strada e ci avviammo senza bisogno di carte o di guide; senza tgliere che Edmund ha un eccezionale senso dell'orientamento.
Infatti dopo un quarto d'ora ci trovammo di fronte a una porta di legno massiccio: L'entrata della biblioteca. Bussammo e quando una voce ci disse di entrare, aprimmo la porte ed entrammo.
La Biblioteca era una stanza molto ampia e luminosa: Di giorno le ampie finestre irradiavano di luce tutto quanto, mentre ora le molteplici candele illuminavano la stanza dandole un'aria importante. Il contrasto delle ombre e delle luci era molto accentuato. Lungo la stanza vi erano molti scaffali ripieni di libri, ma la cosa più maestosa erano le alte librerie di mogano, una dietro alla'altra, che ospitavano migliaia di libri e di manoscritti.
In fondo alla stanza rettangolare c'erano due divani e un tavolo pieno di scartoffie e mappe. Seduti sui divani c'erano due figure: Una maschile e l'altra feemminile, in piedi stava Aslan con tutta la sua statura.
Mentre ci avvicinavamo la luce si faceva più forte, come se provvenisse da Aslan in persona, il cui era molto probabile.
Osservai la scena: I divani erano posizionati ai lati del tavolo e da uno ci guardava Caspian, con un sorriso preoccupato. Aslan gli era accanto e ci guardava serioso. Improvvisamente mi sentii in soggezione e mi senti anche trapassato da uno sguardo ma non osai voltarmi.
<< Benvenuti a Narnia piccoli Pevensie, di certo vi starete chiedendo, o almeno Peter e Susan si staranno chiedendo perchè loro sono qui. Quindi se stavate pensando in un mio errore scordatevelo, perchè nonostante io vi abbia detto che voi non sareste più potuti venire qui, le cose sono cambiate e l'intero mondo ha ora bisogno di voi quattro al completo. Ma prima di scendere nei particolari vi voglio presentare una persona: La regina di Ilinea, Elizabeth. >>
Per guardarla mi dovetti girare e rimasi sbalordito.
La ragazza aveva un qualcosa di strano. 
La sua statura nonostante era seduta era alta e slanciata, snella. La sua pelle diafana, leggermente più colorata di roseo sugli zigomi, metteva in spicco il suo viso ovale. Sul suo viso si potevano distnguere dei lineamenti dolci, sfumati quasi, ma decisi; la  fronte metteva in risalto dei grandi occhi gelidi. Facevano impressione solo a guardarli; erano di un celeste talmente chiaro e limpido che sembravano di ghiaccio, in netto contrasto con l'iride nera.
Il suo sguardo era attento, intelligente, magnetico, quasi incantatore.
Tutto ciò sormontato da lunghe ciglia nere e da delle sopracciglie ben delineate. Aveva un piccolo naso legermente all'insù, che gli conferiva un'aria da bambina.
La sua bocca era sottile quasi a cuore e rosa. Aveva dei capelli mossi, nero cenere, che gli arrivavano all'altezza delle spalle.
Nel complesso era una ragazza altera, fiera, che incuteva rispetto e timore.
Si alzò si diresse verso di me e mi gurdò. Quello sguardo lo avevo già visto, ma dove?
<< Piacere sono la regina Elizabeth. E voi dovreste essere Re Peter? Le vostra gesta sono famose fin oltre oceano. >> Poi rivolgendosi ai miei fratelli disse: << E certo voi siete l'incantevole regina Susan, la piccola Lucy e il coraggioso Edmund. E' un onore potervi conoscere di persona. >>
 

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Capitolo 4
*** Dolcezza e Odio. ***


Allora rieccomi qui dopo molto tempo, con un nuovo capitolo. Siamo giunti al 4° capitolo di quella che sarà una lunga storia, e il minimo mi pare presentarmi. Sono Martina una ragazza di Roma, che ha l'amore per la musica e i libri. M piace molto anche scrivere ma non ne ho mai tempo tra compiti del liceo classico, e compiti di chitarra. Non sono una fan sfegatata di Narnia, lo ammetto ma mi questa saga mi ha particolarmente rapita e affascnata, ma nonostante tutto non mi sono accontantata del finale. Spero che questa storia vi appassioni e che la leggiate tutta, non so come preferite i capitoli, se lunghi o corti ma io scrivo abbastanza, e se questi capitoli vi sembrano corti, avete ragione. Sono solo all'inizio ma ho in mente una storia ben precisa ma per far sì che tutti i fatti siano collegati, devo inventarmi qualcosa. Ma tranquilli appena la storia sarà iniziata sul serio i capitoli diventeranno più lunghi e le vicende più intriganti. Vi chiedo solo 2 favori:
1) Non trucidatemi per orrori di scrittura o di ortografia, cerco di essere più scorrevole possibile, ma mi risulta abbastanza complicato. Non la posso far leggere a nessuno per farla correggere, e in questo mi dovete aiutare voi. Intendo solo errori gravi non quelli di battitura!
2) Vi chiedo di recensire perchè sono alle prime armi e non so cosa si aspettono i lettori o se la storia ha qualche problema. Detto questo: ENJOY.
 
 
 
 
 
 
 
 
Nel suo tono c'era un che di imperioso e autoritario, un tono da vera regina.
E in effetti, nel complesso, aveva tutta l'aria di non poter essere una persona qualunque, credo che la si potrebbe distinguere anche nella folla della domenica mattina; era una di quelle persone che non potevano passare inosservate: Con quel viso magnetico e gli occhi tempesta che sembravano scrutarti da cima a fondo, la statura altera e fiera da vera combattente e quel tono di voce che non ammette discussioni. Era la regalità fatta persona.
<< Bhè, ora che abbiamo fatto le presentazioni, sarà meglio andare a dormire, domani sarà una lunga e faticosa giornata, miei cari. >> Ci disse Aslan, ponendo fine a quell'attimo di stasi che si era creato. Improvvisamente mi ripresi, e mi ritornò la parola: << Aslan! >> Urlai mentre il felino già se ne stava andando via.
<< Ti prego, abbiamo fatto un lungo viaggio e siamo tutti molto stanchi! Almeno dacci delle risposte! Io e Susan vogliamo capire! >> Dissi, ricordandomi solo allora del vero motivo per cui ci era stata presentata la Regina: Lei era qua come noi per un qualcosa che non sapevamo ancora cosa fosse, il minimo dopo quella giornata, pensai, era avere delle risposte. Stanco o non stanco, non sarei riuscito a dormire bene quella notte senza delle risposte soddisfacenti; avevamo fatto un lungo viaggio e meritavamo la verità e poi eravamo già  tutti là, che senso aveva aspettare ulteriormente?
<< O mio caro ragazzo, tu vuoi delle risposte e delle risposte ti saranno date; ma la storia è lunga e complessa, aspetta l'alba e poi io per primo ti cercherò per sfamare la tua curiosità. >> Mi rispose con grande saggezza il Leone, ma per quanta filosofia contenessero quelle parole, non mi bastavano, volevo sapere di più, volevo essere al corrente di tutto.
<< Sì ma... >> Provò ad insistere Edmund, anche lui non sazio della scarsa spiegazione.
<< Come ho già detto è tardi. >> Replicò Aslan, lasciando la stanza. Sconsolato guardai i miei fratelli per vedere le loro reazioni:
Edmund era imbronciato, per niente contento; Susan aveva le braccia conserte e le labbra strette e guardava un punto lontano, con sguardo severo; Lucy era l'unica tra i presenti con il sorriso.
<< Bhè allora buonanotte, Caspian, regina Elizabeth, io vado a riposare sono tanto stanca e ho bisogno di dormire. >> Disse Lucy salutandoci con la mano.
Ormai sconfitto e rassegnato dissi: << Aspetta Lu, veniamo con te. >> Mi voltai verso Caspian e la regina: << Caspian è stato bello rivederti, Regina Elizabeth è stato un piacere conoscerla, se permettete adesso anche noi andiamo a dormire, a domattina. >>
<< Buonanotte >>  ci risposero all'unisono. Così, facendo un cenno con la testa invitai i miei fratelli ad uscire. Iniziammo ad avviarci verso le camere a passo pesante, con doppia delusione: Ninte risposte e niente cena. Quasi strisciando i piedi andammo sconsolati a letto; ormai era tardi, i riflessi lunari entravano dalle finestre dipinte, il cielo era di un nero profondo, tanto da non distinguere la volta celeste dalla terra ferma; il cielo era piombo, pesante e sembrava incombere sulla città come un angelo nel cuore della notte. La luce tremola delle candele proiettava sulla dura pietra dei muri, lunghe e sinistre ombre che rendevano inquietanti il castello addormentato; infatti non s'udiva suono al di fuori dei nostri passi e quello dello strusciare sul tappeto dei vestiti delle ragazze: Il castello sembrava addormentato come i suoi abitanti.
Arrivati dopo una decina di minuti alle nostre camere, ci dammo la buonanotte e andammo a dormire.
La stanza era totalmente immersa nell'oscurità più totale, così con la mano cercai al muro, vicino la porta l'interruttore della luce, solo dopo qualche secondo come 
un' idiota mi ricordai che non stavo a New York, così imprecando a voce bassa mi avviacinai pian piano verso la scrivania, dove con la mano sentii una cosa lunga e liscia e vicino come dei stuzzicadenti ruvidi; presi un fiammifero e ci accesi la candela. La luce era ancora povera per illuminare tutta la stanza, ma sufficiente per vedere dove stavo mettendo i piedi; mi spogliai e mi misi un paio di pantaloni larghi e una vecchia camicia, spensi la candela e posandola sul comodino insieme alla scatola di fiammiferi, mi misi a letto. Appena chiusi gli occhi, gli avvenimenti della giornata appena trascorsa incombero su me: l'incubo della notte precedente, la colazione, la verifica di latino, la pioggia e il quadro, mi sembravano episodi accaduti almeno un anno fa. Così decisi di concentrare i miei pensieri verso la spiaggia e l'incontro con Caspian, ma mi tornava in mente solo la sua espressione grave, con cui ci aveva raccontato quelli avvenimenti, e il suo sguardo vigile di quando stava facendo sera e ci trovavamo ancora nella foresta. Avevo molti dubbi su quell'essere tremendo che stava colpendo Narnia: Che cosa era? Da quale terra lontana veniva? O se forse era sempre stato qua. Perchè all'improvviso aveva deciso di attaccare la mia terra? Che male potevano avergli fatto? Ma su una cosa ero certo: Doveva essere una creatura terribile, altrimenti Elizabeth non si sarebbe scomodata a venire da Ilinea fino a qua, Caspian avrebbe già risolto la situazione con Aslan... Già proprio Aslan, lui che un anno fa aveva detto esplicitamente a me e a Susan che non saremmo più tornati, e quindi che non dovevamo neanche provare a venirci; lo stesso Aslan che infrangendo la sua parola ci aveva richiamati senza troppe spiegazioni. Quale mostro poteva essere  più tremendo della Strega Bianca, per indurre Aslan ad infrangere le sue stesse parole? Perchè non bastavano solo Lucy ed Edmund? Quale aiuto potevamo dare ulteriormente io e Susan a quella terra?
Non che mi dispiacesse trovarmi a Narnia, ma sapevo che se stavo lì un motivo c'era e come era successo tutte le altre volte, finito il mio compito sarei tornato a casa. O forse quella volta ci avrebbe fatto scegliere se tornare o rimanere qui.
Sarebbe stato bello poter rimanere sempre lì, finire di crescere, prendermi cura del  popolo, magari, persino trovare una ragazza con cui sposarmi e costruire una famiglia con cui sarei invecchiato fino alla fine dei mie giorni.
Ormai stavo farneticando, avevo sonno e per non pensare a brutte cose, stavo farneticando. Perchè sapevo nel profondo del mio cuore, che finito il lavoro sarei tornato in America o al massimo in Inghilterra da mia madre. 
Solo qualche ora fa pensavo al mio futuro; cosa avrei voluto fare dopo aver finito la scuola, di sicuro mi sarei arruolato nell'esercito a combattere per qualcosa di giusto, per difendere i deboli e punire i criminali. Quel futuro era il futuro che mi ero sempre immagginato da un anno a quella mattina, l'unico futuro plausibile per me. Per me che da re di una grande terra, che rischia tutto per protteggerla, avrebbe continuato anche là a battersi per difendere la propria patria. Pensavo che come a Narnia avrei continuato a combattere per dimostrare chi ero, per il mio valore, per sapere che nel mio piccolo stavo facendo qualcosa di grande; anche solo per sapere che ogni minuto che rischiavo la vita, la stavo rischiando per un giusto ideale, per il bene. Magari crescendo sarei diventato un importante generale.
Ma nessun sano di mente avrebbe mai scelto la vita del soldato e della guerra, quando aveva ancora la speranza di rimanere in quel luogo magico e continuare a fare il re. Ed io non ero uno stupido, sapevo quale alternativa decidere, se mi fosse stata offerta la facoltà di scegliere da solo; e avrei anche saputo che non avrei sprecato neanche un solo secondo per pensarci su.
Alla fine il sonno mi vinse e come trascinato da un fantasma, sprofondai nel mondo dei sogni. Sognai ancora quella spiaggia con il castello di vetro e come la notte precedente mi ci avvicinai: ma nonostante nessuna melodia usciva soave da quelle pareti, il portone principale era aperto. Non so perchè entrai, ma quando lo feci le porte si chiusero all'istante dietro di me. La notte scorsa ero troppo preso dalla melodia per accorgermi dell'interno del castello: Anche se fatto di vetro non si vedeva l'esterno e non s'udiva lo scrosciare delle onde sulla spiaggia. Guardandomi intorno notai che l'ingresso principale era costernato da eleganti soprammobili. 
Appena entrato potevo vedere subito l'enorme tappeto blu mare, che ricopriva gran parte del pavimento, la scalinata marmorea che portava ai piani superiori, una lunga mensola che percorreva tutto il perimetro della stanza, e su cui erano posati dei raffinati oggetti. Uno specchio era attaccato alla parete di sinistra, ma invece di riflettere la stanza, rifletteva oltre la parete: Il mare. Mi voltai stupito verso la parete opposta, ma io su quella parete non vedevo che una lastra di vetro, che rispecchiava però, la stanza e non il mare. Perchè come avevo già notato il vetro usato per costruire i muri, non lasciava intravedere l'esterno del castello. Ma quello specchio invece ci riusciva. Qualsiasi persona sana di mente accorgendosi di quello strano fatto, sarebbe uscita, ma io no. 
Continuai ad osservare la stanza, era tutta molto sfarzosa ma nel complesso elegante e semplice. Il sole faceva brillare come diamanti, piccoli brillantini incastonati nel vetro. La scale erano interamente di marmo bianco tranne che per il corrimano che sembrava fatto di madreperla pura. Il soffitto era altissimo e per quel poco che si riusciva a vedere era interamente bianco perla. Notai che tutta la stanza era arredata con eleganti e preziosi elementi, ma nonostante tutto risultava semplice, quasi essenziale. Ogni particolare era curato con molta cura e precisione, ed ogni cosa in apparenza messa lì casualmente, risultava far parte di un ordine ben preciso.
Il tappeto era finemente ricamato con fili d'argento, bianchi perlacei e blu scuri, intrecciati tra loro per intrappolare qualche minuscola pietra che brillava lucente. I Il tappeto sembrava ricordare le onde del mare, che leggere ma possenti dominavano il mare in tempesta, facendo assomigliare quel pezzo di tessuto ad un piccolo pezzo di oceano. Il grande specchio attaccato alla parete di sinistra, aveva una cornice d'argento, con piccole foglie d'oro messe qua e là. 
Non il tappeto, nè le pareti, nè tantomeno lo specchio erano però la parte più sorpendente di quella sala, invece lo era un grande arazzo che scendeva dal piano superiore. L'arazzo era di un bel celeste ghiaccio, che richiamava nella mente i ghiacciai del Polo Nord o la neve che scende soave in inverno. Anche se non rientrava nel tema del mare, che invece riportava gni mobile, non era fuoriposto, ma anzi conferiva alla sala quel tocco di eleganza in più. I suoi contorni era tutti passati con fili d'argento, mentre la base era di un celeste molto chiaro. Al centro erano raffigurati una rosa bianca e uno scettro di vetro intrecciati. La rosa era delicata, elegante, sensibile, era la parte più delicata di quell'arazzo e ti attraeva con tutta la sua semplicità e la sua effimera bellezza; d'altra parte lo scettro incuteva timore, paura, odio. Era in netto contrasto con la bella rosa, non ricordava la dolcezza ma il potere, la sovranità, i comandi, la crudeltà. Lo scettro aveva la parte superiore, quella con cui lo si impugna, lunga più meno come un bastone e sottile; attaccato a quel manico, c'era un rigonfiamento e infine quella che sembrava la parte finale di una freccia; e per finire il particolare più raffinato: lo scettro era interamente di ghiaccio.
Attratto da quell'arazzo mi avvicinai per toccarlo, ma appena lo feci, un vento gelido entrò dalle finestre, spegnendo tutte le candele e la bambina che avevo già visto, ricomparve sulle scale. Ma non era come la ricordavo, non aveva più quell'aria innocente che i bambini hanno, ma nei suoi occhi gelidi aveva una scintilla di cattiveria di follia e i suoi capelli biondi, smossi dal vento, le incorniciavano il viso come una corona. Nel complesso era la bambina più spaventosa che avessi mai visto.
Ormai spaventato dalla situazione urlai di smetterla, il vento si fermò e tutto tornò normale, anche la bambina in un certo senso. Con il respiro affannoso mi presentai dicendo di essere Re Peter il Magnifico, la bambina improvvisamente mi sorrise dolcemente e mi porse una mano, la stavo quasi per andare ad afferrarla quando mi svegliai.
 
Ero tutto sudato e spaventato. Con il respiro mozzo cercai a tentoni sul comodino la candela con i fiammiferi, appena li trovai li presi, ma solo dopo molti tentatvi riuscii ad accendere la candela. Illuminando la stanza con la luce, un poco mi calmai.
Avevo sognato di nuovo quel castello, ma non nel sogno dell'altra volta. Chiusi gli occhi e feci respiri profondi, e ad ogni respiro mi calmavo sempre di più. Quando  mi sentii abbastanza rilassato mi alzai e misi la candela nel candelabro. Andai verso lo specchio e mi osservai. Ero totalmente sudato e dei brividi freddi mi percorrevano lungo tutta la schiena. Avevo gli occhi terrorizzati, mai avevo fatto un sogno così spaventoso e strano. Non ancora del tutto calmo e parecchio agitato, andai ad aprire la finestra per godermi l'aria fresca e sperando che riuscisse a calmarmi. In effetti dopo un pò mi calmai, chiusi la finestra e decisi di farmi un bel bagno rilassante. Solo dopo il bagno mi sentii totalmente calmo e riposato. Ma fuori era ancora buio ed era presto per scendere a fare colazione. Il castello era tutto silenzioso, così decisi di rimettermi a letto. L'incubo mi aveva stancato molto ed avevo sonno, ma avevo paura che se mi fossi riaddormentato il sogno sarebbe ricomparso. Dopo un pò decisi che la soluzione migliore era bere un lungo sorso d'acqua e dormire con la luce della candela accesa. Non ero un fifone, anzi, ma quell'incubo mi aveva terrorizzato e non volevo ripeterlo mai più. 
 
 
 
 
 
 
 
Allora che ve ne pare, mmmm forse troppo complicato, è stato difficile scriverlo non sapevo bene cosa far capitare di preciso. Ma spero che siate riusciti a leggerlo, bene ora vi lascio. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** L'Incanto del buio. ***


Alloooora rieccomi qua! Sì lo so, sono una persona orrenda, non aggiorno niente da un sacco di tempo... ma ho le miei buon scusanti: prima ci staccano la corrente per una settimana, poi vengono le vacanze e con loro mio cugino di 6 anni... è un terremoto, non mi fa respirare sei secondi, figuriamoci scrivere! Ma ora dopo tante insidie ho finito il nuovo capitolo. Ahhh era ora, mi seccava lasciare la storia tagliata per così tanto tempo... (approposito di storie tagliate, qualcuno di voi ha letto Inhertance? Se sì, il finale non vi è sembrato tagliato (?) ) Vabbè sto divulgando troppo... gia già :) Allora senza andare oltre vi mando un salutone e ENJOY!
 
 
 
"Finalmente" pensai appena vidi la porta di quercia della mia camera. Era stata una giornata lunga e noiosa quella al palazzo di Thelmar, come d'altronde lo erano da un pò. Era passata una settimana da quando arrivai a Narnia per incontrare il Re Caspian, e non era successo niente di minimamente emozionante per cui valeva la pena scomodarsi. Pensai che trasferirmi momentaneamente lì non era stata una grande idea dopotutto, a casa mia, a Ilinea, c'erano sicuramente molte altre questioni urgenti che richiedevano la mia presenza. Non che avessi abbandonato il mio popolo alla mercè di quelle orrende bestie che da un pò popolavano la mia terra, no; non l'avrei mai abbandonato per nessuna ragione al mondo. Era stato lui il Granduca Valier ad insistere che dovessi partire verso Narnia per incontrare il Grande Aslan.
Ormai giunta davanti alla mia porta, afferrai la maniglia e tirai: la stanza era immersa nel buio sussurai "Glael" ed una piccola sfera luminosa apparve davanti a me, rischiarendo la stanza con la sua fievole luce. Sorrisi tra me e me, un'altro svantaggio di stare lì era che non potevo usare  miei poteri davanti ai comuni uomini; che io sapessi c'era stata solo una strega in quelle terre e gli abitanti non ne avevano proprio un bel ricordo, la chiamavano la Strega Bianca. Era una qualità (se così vogliamo chiamarla) degli abitanti di questa terra ricordare senza logica. Il loro ricordo più vivido della straga era quello di una regina delle nevi, assetata di potere e di morte, ed io ne ero sicura, che se mi fossi mostrata per quel che ero veramente, le chacchiere della gente mi avrebbero subito nominata "strega" al dispreggiativo. Non potevo certo permettermi di perdere tempo prezioso per sfasare quei pettegolezzi. Stavo cercando di sembrare più normale possibile, ma non ci stavo riuscendo al massimo...
Già correvano voci sul mio conto e sulla mia bellezza fuori dal comune, figuriamoci se si fosse scoperto che sapevo usare la magia. In quanto alla bellezza però ci avevano azzeccato: Era una delle caratteristiche del mio popolo, una bellezza fuori dal comune. In fin dei conti ogni popolo aveva le proprie caratteristiche che lo distinguevano da un'altro: I gnomi erano bassi e tozzi, gli umani abbastanza stupidi, i centauri erano ibridi, le sirene anche... insomma potrei continuare all'infnito. Il mio popolo non era esattamente umano, sì avevamo la forma fisica degli umani, ma non eravamo come loro, i nostri orrizzonti erano più ampi, come daltronde la nostra sapienza.
Invece di girovagare per la stanza come una sonnambula, decisi di sfoggiare alcune delle mie capacità almeno per un pò. Iniziai a mormorare parole sottovoce e subito quello che volevo creare, iniziò a formarsi nei palmi delle mie mani e quando riaprii gli occhi la proiezione che avevo pensato nella mia mente, giaceva reale nelle mie mani: Una sfera d'acqua. Mormorai altre parole e la sfera iniziò a fluttuare nell'aria seguendo il movimento del mio dito, perfino quella, che era una magia da principianti e del tutto innocente, agli occhi degli umani poteva sembrare pericolosa. Non capivano che non era niente di temibile, l'acqua della sfera non l'avevo creata dal nulla, l'avevo solo presa dal bicchiere sul tavolo e l'avevo plasmata, con l'aiuto dell'energia e dell'antica lingua, nell'immagine che volevo prendesse. Come detto, niente di nocivo, ma gli umani non capivano, non capivano mai.
Ero stanca e decisi di fermare l'incantesimo, mi spogliai e mi infilai la vestaglia, andai sul letto e mi sdraiai. Dovevo dormire se volevo essere in forma domattina, ma  i mie occhi di chiudersi non ne volevano proprio sapere, così feci quello che facevo quando mi annoiavo e non riuscivo a prendere sonno: Chiusi gli occhi e una ninnananna uscì fievole dalle mie labbra. Quella canzone me l'aveva imparata mia madre molto tempo fa, quando ero ancora una bambina in fasce. Raccontava del giorno che calava e faceva posto alla sera, della luna che si sentiva sola e creava intorno a se le stelle, sue sorelle; raccontava dell'Incanto del buio che cela tutto col suo manto scuro e copre ogni cosa, ogni dove; racconta di come l'Incanto rapisce ogni suono e insidia nelle menti delle creature il sonno. 
Sin da piccola quella ninnananna mi affascinava sempre, non era un vero incantesimo era solo una storia, che richiamava con l'aiuto delle parole e della musica un fatto reale: quello della notte. Così ormai stanca e assonnata chiusi gli occhi, e con la ninnananna ancora nelle orecchie a farmi da balia, mi addormentai.
Mi svegliai grazie ad un raggio di sole che era entrato dalla finestra, al contrario di molti io odiavo essere svegliata dalla luce, mi accecava e non riuscivo a riprendermi immediatamente dal sonno, così mi toccava starmene lì sdraiata, aspettando che i miei occhi si abituassero alla luce abbagliante del giorno. Dopo un pò mi alzai ormai conscia e andai verso l'armadio, lo aprii e presi un abito semplice color ametista. Il taglio era semplice lungo fino alle caviglie, le maniche a tre quarti, arrivavano al gomito dove c'era un piccolo pizzo viola; lo scollo era quadrato ornato con dei ricami argento e porpora; il corpetto era a motivi floreali, anch'essi di filo di porpora. Decisi per delle ballerine color ametista con un piccolo tacchetto e legai i capelli in una crocchia laterale, lasciando qualche ricciolo ribelle a sfiorarmi la pelle; presi una collana con una piccola ametista per ciondolo e mi guardai allo specchio. Ero vestita molto semplice, ma l'effetto era lo stesso esilerante; al contrario di molte ragazze non avevo problemi con il mio corpo, ma ultimamente litigavo spesso con la mia pelle diafana. Dalle mie parti era normale avercela, ma lì mi sentivo in soggezione, era evidente il fatto che non appartenevo a quella razza. Decisi di non mettere la corona, non volevo essere ancora di più riconoscibile, ma sapevo che non era la corona il problema. 
Andai alla finestra e guardai che tempo faceva: Il sole era alto nel cielo, ma l'aria era bella frizzante, il cielo era azzurro intenso, neanche una nuvola. Adai alla porta, decidendo di andare a fare colazione, ma appena la aprii mi resi conto che il castello era ancora silenzioso, in effetti non doveva essere tardi ma neanche presto! Quegli umani si svegliavano sempre a mattina inoltrata. Ma invece di tornarmene in camera, decisi di sfruttare quel silenzio e quella quiete, per andare in biblioteca per leggere un buon libro in santa pace. Così mi diressi di buon passo verso la biblioteca, mentre camminavo pensavo e ringraziai gli déi per il mio ottimo senso dell'orientamento. Per questo mi concessi di far vagare la mente lontano dal mio corpo, la lasciai libera, libera di viaggiare dove voleva... fu così che i miei pensieri mi portarono a mia sorella Liz a casa, lontana miglia da me. 
Lei era l'unico membro della mia famiglia verso cui provavo un forte sentimento di protezione nei suoi confronti, non era piccola e indifesa, tutt'altro! Per i suoi dodici anni era sveglia e con la mente vigile e arguta che pochi adulti potevano vantarsi di avere. Non mi assomigliava molto, anche se la gente ci diceva che potevamo essere benissimo gemelle: Lei aveva i capelli neri come i miei, ma lunghi e lisci fino alle spalle con la frangetta messa dal lato sinistro, e al contrario di me li teneva sempre sciolti. Gli occhi erano verdi e non celesti ghiaccio come i miei, ma lo sguardo era lo stesso; il naso lo aveva più piccino con una dolce piega all'insù, le guance erano sempre rosee e non come le mie, pallide; la bocca a forma di cuore era sottile e rossa sangue. Per la sua età era abbastanza alta e snella, era agile, svelta e silenziosa nei movimenti. Nel complesso una bambina graziosa.
Ed in effetti nel fisico un pò ci somigliavamo, ma lei caratteralmente era il mio opposto: Calma, tranquilla, ubbidiente, rispettosa delle regole, amabile, dolce, generosa, solare e regalava larghi sorrisi a trentadue denti a tutti. Io ero troppo irrascibile, lunatica, scontrosa, impaziente, ribelle e non sorridevo quasi mai. Nonostante tutto eravamo entrambe dotate di poteri e di una bella dose di determinazione e intelligenza, ed era questo che ci faceva andare tanto d'accordo.
Come avevo previsto anche se la mia mente e i miei pensieri erano rivolti a Liz, mi trovai davanti alla porta della biblioteca, ma la porta era socchiusa, strano; ieri sera mi ricordavo perfettamente di averla chiusa... Afferrai la maniglia e aprii la porta, seduto su una poltrona di pelle verde c'era il maschio minore dei Pevensie.
Se non erro doveva chiamarsi Edmund o qualcosa del genere, ma non ne ero sicura.
Lui si accorse che lo stavo fissando e accennando ad un sorriso disse: << Buongiorno, Elizabeth. >> Lo salutai anche io timidamente e senza altri scambi di parole o altro, presi il primo libro che avevo sottomano e sedendomi sul divano iniziai a leggere.
Il libro che avevo scelto si intitolava "I roghi delle streghe", disgustata lo posai immediatamente e ne scelsi un altro, i titoli erano tutti abbastanza allettanti ma ne cercavo uno in particolare, lo avevo visto qualche giorno fa, così scorrevo con il dito per trovare quello che volevo. Oltrepassai libri con titoli tipo"L'età d'oro, Parole e lettere, Un nuovo inizio, La mente, Vecchi incubi ecc..." Finalmente trovai quello giusto, era un tomo molto antico e delicato, lo presi e con un soffio levai la polvere che si era depositata sulla copertina, adesso si poteva intravedere una rilegatura in cuoio rosso, e un titolo scritto a caratteri eleganti dorati che diceva: "L'origine dei mondi, tra realtà e leggenda". 
Quel libro mi rapì subito, fin dalle prime pagine e leggevo con talmente tanta avidità e curiosità che non mi accorgevo dello scorrere del tempo; mi resi conto dell'effettiva ora, quando la porta si aprì ed entrò il Re Peter. Ad essere sincera non mi accorsi di lui se non quando arrivò davanti a noi (a me e a Edmund) con un vassoio di biscotti e thè. Guardai allarmata la finestra il sole era alto nel cielo, e si sentiva il vociare del castello ormai sveglio. Fantastico! Avevo perso la cognizione del tempo e avevo saltato la colazione, solo ora infatti sentii la morsa del mio stomaco che si lamentava per la fame. Guardai con avidità il vassoio pieno di leccornie, il Re Peter lo aveva posato al centro del tavolo e disse: << Vi ho portato la colazione, sapete non vi avevamo visto a tavola e allora pensavamo che stavate qua dentro, bhè se avete fame la colazione è servita. >> Rimasi a bocca aperta, non aveva pensato solo al fratello ma anche a me, wow è proprio vero che non passavo inosservata... neanche mi conosceva che aveva portato la colazione sia a suo fratello che a me. Solo allora infatt mi accorsi che c'erano due tazze di thè, presi coraggio e gli chiesi: << Se posso permettermi, come avete fatto a sapere che eravamo quà? >> Lui sorrise, mostrando i suoi denti bianchi e alzando le spalle mi rispose: << Infatti non lo sapevo, ma conoscendo Ed sapevo che era qua, è stato un colpo di fortuna trovarvi entrambi nello stesso posto. Mi avete evitato di fare il giro del palazzo con il vassoio pieno. >> Sorrisi alle sue parole, era simpatico, davvero. << Quindi Elizabeth avete fatto conoscenza con mio fratello Edmund. >>
Posai la tazza di thè e risposi: << In verità no, sono entrata che già leggeva e non volevo disturbarlo. >>
<< Scusate Elizabeth se non mi sono presentato, ma ero troppo preso dal libro, perdonatemi. >> Si scusò il ragazzo, sì mi ricordavo bene si chiamava Edmund.
<< Ma figuratevi, eravamo in due allora ad essere presi dalla lettura. >> Risposi.
<< Bhè adesso ci siamo conosciuti meglio, che di ieri sera, non trovate? >> Mi disse Peter sempre raggiante, non so perchè ma stranamente mi stava già simpatico.
<< Già, è una fortuna. >> Risposi. Peter si sedette accanto al fratello e ci lasciò fare colazione. Era uno strano ragazzo, di solito la gente mi aggirava e preferiva non rivolgermi parola, quasi mi teneva a distanza, come fossi un estraneo.
Con la coda dell'occhi vidi che più di una volta Peter aprì la bocca come per dire qualcosa ma poi la richiudeva subito. Solo quando avemmo finito la colazione entrambi che ci disse in tono autoritario: << Prima è venuto Aslan e ci ha detto che vuole vederci a tutti, dopo pranzo allo scoccare delle tre nella Sala del trono, è stato molto chiaro sul fatto che non giustificava eventuali ritardi o assenze, ha detto che era questione di vita o di morte. >> Poi addolcendo il tono si rivolse a me e mi chiese: << Io con i miei fratelli e sorelle volevamo fare una galoppata lungo il fiume, prima di pranzo, volete venire? >> Anche se mi stava simpatico decisi di prendere le distanze da quel giovane, era troppo sicuro di sè, così risposi: << Grazie, ma no. Ho altri impegni che non posso rimandare. >> Era una bugia bella e buona, non avevo nulla da fare ma non volevo andare e mi serviva una scusa, lui smise di sorridere e mi rispose: 
<< Come volete, è stato un onore conoscervi meglio, spero di vederci a pranzo. >>
<< Ma certamente. >> Risposi.
I due fratelli si alzarono e salutandomi uscirono dalla porta.
Rimasta sola, posai il libro e mi venne un'idea: presi carta e calamaio e appoggiandomi al tavolo scrissi una lettera alla persona che mi importava n questo momento.
 
" Cara Liz,
come stai? E' passata solo una settimana e già sento la nostalgia di casa.
 Là come va? Valier si comporta bene? Lo so che sei troppo piccola per prendere il mio posto di regina, ma stà attenta che mamma non si stanchi troppo; non le fanno bene le preoccupazioni in questo periodo, confido in te e nel tuo buon senso.
Ti sto scrivendo per dirti che va tutto bene qua e che la vita procede monotona, là gli attacchi sono dminuiti? I maghi hanno rafforzato i confini magici? 
Scusa se ti faccio queste domande gravose, ma ho paura. Lo sai che ogni volta che mi allontano succede sempre qualche spiacevole imprevvisto.
Te però continua a studiare, soprattutto magia, lo sai che è la cosa più fondamentale per te, come per chiunque.
Non scorraggiarti se ti dico che Aslan non ci ha detto ancora niente, ma ieri sono venuti i Pevensie, sono come ce li immagginavamo... 
Sono una sciocca sto rassicurando te, quando quella nervosa sono io. 
Detesto non sapere niente e soprattutto non sapere a cosa stiamo andando in contro. Non so se ti rivedrò prima che succeda quel che succeda, ma sappi che hai la mia benedizione e il mio affetto qualunque cosa accada. 
Sappi che se ti mancherò saprai dove trovarmi e se avrai bisogno di aiuto saprai a chi chiedere (approposito se vuoi sapere a chi rivolgere la tua fiducia io opterei per Angelica, sarà anche strana e misteriosa ma di lei ci si può fidare) e ora ciao, mia adorata sorella.
Mi manchi già tanto, 
ogni secondo che passa, abbi cura di te e della mamma, ci conto principessa.
Atra esternì ono thelduin, Liz. 
(Che la fortuna ti assista, Liz)
Tua sorella Elzabeth. "
 
 
 
 
 
SPAZIO ALL'AUTRICE.
Allora come vi è sembrato?? Corto? Lungo? Giusto? Susususu fatevi sentire!!! sinceramnet questo capitolo lo volevo fare un pò più lungo, ma prima ci tenevo ad introdurre lei il nuovo personaggio-----> Elizabeth!
Questo capitolo è solo l'inizio della storia di questa ragazza, se qualcosa l'ho lasciata incompleta è perchè verrà spiegata in seguito statene certi :)
Forse non tutti si saranno accorti che alla fine della lettera ho usato la frase "Atra esternì ono thelduin" che è palesemete copiata da Eragon, il fatto è che mi serve un'antica lingua da usare e non sapendone inventare nessuna userò quella.
Ora vi lascio, voglio sentre le vostre opinioni ci conto!
 

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