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Che novità,
ormai era più di un mese che andava avanti.
Gennaio era
alle porte e tutto il paese era ricoperto di un candido manto bianco, che
soffocava il trambusto della piccola ma caotica cittadina di West Newbury.
Nella
caffetteria della vecchia signoraCallawayc’era quel bel tepore e un buon
profumo di caffè tostato che la facevano sentire a casa.
Quel posticino
davvero accogliente la ospitava spesso in queste grigie giornate; una bellatazzonadi caffè caldo americano era quello
che serviva a Violet per concentrarsi nella stesura della sua tesina.
La signoraCallawayamava ancora servire i clienti, come
se quei 30 anni di lavoro non fossero mai passati. Metteva sempre passione in
quello che faceva e dopo mille sforzi era riuscita ad aprire il suoCafé,
sempre affollato di gente silenziosa e pochi giovani.
Violet era un
tipo difficile. Chiusa in se stessa, con una muraglia che la proteggeva dal
mondo esterno, per questo appariva inavvicinabile; e tutti infatti la
lasciavano nel suo brodo, nel quale lei sembrava adorasse sguazzare.
A scuola non
aveva molti amici, passava le giornate tra i libri di testo e i libri che lei
amava leggere nel tempo libero. Era gentile, ma solo con chi voleva lei, e non
erano molti i fortunati che ricevevano questa premura.
Le amiche che
aveva, si potevano contare sulle dita di una mano, e glielo dicevano sempre “Oh
Violet, lo sai che o ti si ama o ti si odia, e spesso le persone decidono di
odiarti perché di comporti da stronza e non permetti loro di conoscerti” la
risposta di Violet era sempre la solita: “Sinceramente? Non me ne può fregare
di meno, che mi odino pure se gli fa comodo, a me di certo non cambia la vita.”
Testarda, di
certo non sarebbe tornata sui suoi passi.
Non praticava
sport di gruppo, adorava andare a cavallo nel parco vicino al paese, ma anche
questo sempre in solitudine.
Violet aveva
una indole pigra, che cercava di combattere costantemente e se aveva la luna
storta era persino scorbutica.
Insomma ce le
aveva tutte questa ragazza!
Erano le sette
di sera passate e Violet era ancora seduta scomposta e con le cuffie nelle
orecchie concentrata sui suoi fogli.
Isolata da
tutto e da tutti non sentì il richiamo del nuovo cameriere.“Stiamo per chiudere, ti conviene iniziare a
raccogliere le tue cose.” Con un sorriso smagliante, il ragazzo sulla ventina,
capelli neri corvini e occhi forse ancora più scuri, aveva cercato con
gentilezza di farsi sentire da lei.
Nessuna
risposta, solo un grande silenzio interrotto dalle note che uscivano dalle
cuffiette dell’iPod.
Non sapendo
come farsi sentire il ragazzo aveva pensato di darle un colpetto sulla spalla,
sempre con gentilezza, e solo a quel punto lei, alquanto scocciata, aveva
deciso di dargli retta.
Senza emettere
fiato aveva appoggiato la penna e si era sfilata una cuffietta per sentire che
cosa aveva da dirle quel ragazzo, che nella sua mente era già stato catalogato
come la scocciatura del giorno.
“Oh finalmente
ti degni di darmi ascolto. ”aveva scherzato il ragazzo.
Non lo avesse
mai fatto.
Violet, già
evidentemente alterata per l’interruzione, lo stava guardando ora con fare
molto scettico. “Senti..Nathan..” Ecco cosa riportava la targhetta sulla divisa
“..Seriamente?? Pensi di essere per caso il centro del mondo e che io non abbia
niente di meglio da fare che dar retta a te?” Sibilò indicando il tavolino
pieno di fogli e libri.
Nathan,
ovviamente si era sorpreso di una reazione del genere considerando che lui
stava scherzando, ma lo scontro verbale non gli faceva per niente paura, anzi.
Se c’era una cosa che aveva imparato facendo il cameriere era come relazionarsi
e, se il caso, tenere testa a i diversi clienti. Così si era schiarito la voce
e “Si direi che in questo momento io debba essere il centro del tuo mondo, e
che tu mi debba dare retta. Ho detto che stiamo per chiudere per cui, se non ti
dispiace, potresti sgomberare le tue cose per poi uscire.” Aveva usato un tono
per niente sardonico, ne tanto meno irriverente.
La presa di
posizione del ragazzo alterò non poco Violet, la quale si era alzata in piedi e
in fretta, senza distogliere lo sguardo da Nathan, raccoglieva i fogli e li
cacciava nella sua cartella. “Contento?”
“Si.” “E ora
sei anche pregata di lasciarmi finire il mio lavoro.” con il braccio le indicò
l’uscita.
Con passo
deciso e pesante (pesante era una parola relativa visto che di pesante Violet
non aveva niente) si era diretta verso la porta e di scatto si era voltata come
per ribattere, ma non le venne in mente niente di abbastanza acido ed
intelligente da dire.
Nathan non si
era fatto sfuggire quella preziosa occasione e l’aveva congedata dicendo
“Grazie per essersi fermata da noi e torni presto.”la solita frase di
circostanza che per lavoro serviva a tutti i clienti che se ne andavano dopo le
loro consumazioni.
Il
suono della sveglia risuonava forte nella sua testa e, dallo stato di
coma profondo dovuto alla comodità del divano del suo monolocale,
era saltata sull’attenti pronta a iniziare un’altra giornata.
Vogliamo
aggiungere un’altra “qualità”
a Violet? Era molto critica con se stessa.
E
da buona torturatrice dell’animo si stava punendo nei
più svariati modi possibili
immaginabili, tanto per esempio si stava sottoponendo ad una doccia
fredda e si
era negata la colazione.
Pensava
che se non riusciva a gestire la sua vita e a controllare le sue
cattive
abitudini non sarebbe mai riuscita a gestire nient’altro
nella vita, per questo
era così severa con se stessa.
Sempre
per la stessa qualità si negava le feste che duravano fino a
tardi, e come
Cenerentola rientrava a casa prima della mezzanotte.
Questo, insieme al suo lavoro part-time, contribuiva ben poco alla sua
popolarità
e simpatia degli altri nei suoi confronti.
Ma a Violet non importava di ciò che
pensavano gli altri.
Pronta
in poco tempo per uscire aveva preso il suo amato iPod e cartella e si
era
diretta alla fermata dell’autobus; la aspettavano la bellezza
di trenta minuti di
viaggio per raggiungere la scuola, questo non la rendeva di certo felice,
ma in
quel tempo poteva leggere e isolarsi nel suo mondo fatto di fantasia e
se
necessario poteva anche ripassare le lezioni.
La
musica e la lettura era i suoi veri interessi; da quando si era
emancipata dai genitori
e si era trasferita nel monolocale, aveva speso la maggior parte dei suoi risparmi in CD e
libri. Erano
l’unico svago che si concedeva davvero.
La
musica creava l’atmosfera e stimolava i pensieri, mentre la
lettura ampliava
gli orizzonti e concedeva una visione alternativa della vita.
I
romanzi che leggeva erano per lo più romantici, ma lei
sapeva benissimo che si
discostavano dalla realtà e che le storie raccontate erano
inventate e che
relazioni del genere si vedevano solo nei film del grande schermo.
Passavano
le ore a scuola e lei prendeva appunti per poter fare meno fatica a
studiare a
casa; era un metodo collaudato e questo le permetteva di avere
più tempo per
coltivare i suoi interessi.
Dopo
la mattinata di scuola faceva il turno pomeridiano alla cassa del
negozio
alimentari e questo le garantiva i soldi necessari per le sue varie
spese.
Grazie allo sconto da lavoratore dipendente aveva un bel risparmio
sugli
alimentari di prima necessità, più i vari sconti
sulla merce che era sugli
scaffali da qualche giorno. Questo era davvero una pacchia, risparmiava
davvero
tanto e in più era avvantaggiata dal fatto che non mangiasse
molto.
Il
suo esile corpicino riusciva a incamerare quantità di cibo
assai limitate. Non
guadagnava molto, per sole tre ore al giorno, ma l’affitto non
era un problema,
grazie alla sua eccellente media scolastica la scuola le pagava quel
misero
appartamento. Ma si accontentava. A caval donato non si guarda in
bocca.
La
neve scendeva fitta e nonostante a casa avesse il
riscaldamento a Violetpiaceva passare il tardo
pomeriggio post-lavoro a leggere nel Café della signora Callaway, la quale a causa della
neve e dell’età era temporaneamente impossibilitata a servire ai tavoli. La poverina era
caduta un paio di giorni prima, scivolando su della neve compattata
che stava
diventando ghiaccio.
Con l’avvento dell’inverno sembrava che andasse in
letargo non solo la natura, ma anche il settore servizi. Potevano passare giorni senza che nessuno pulisse le strade e solo dopo le numerose proteste che interrompevano la quiete del municipio il servizio veniva ripristinato.
Ecco perché quel Nathan lavorava lì, la signora Callaway aveva bisogno di una mano visto che era segregata alla cassa con tanto di gesso decorato dai suoi
nipoti.
Nathan si avvicinava al tavolo di Violet con
andatura sciolta, accolto da uno sguardo di sfida che non lasciava molto
all’immaginazione i pensieri della ragazza. Per niente scomposto da questo le
aveva mostrato uno dei suoi migliori sorrisi da compiacimento acuto. “Buon
pomeriggio signorina, cosa posso portarle?”
“Il
solito grazie.” Ovviamente, essendo nuovo il ragazzo non sapeva cosa ordinasse
sempre lei.
Questa era la
piccola vendetta di Violet.
“Il solito?”
“Si.”
“Va bene, allora torno tra poco con il suo solito.” Violet
un poco sorpresa tornò a guardare fuori, il maestoso bosco, dove tutto taceva.
Nathan non avrebbe mai supplicato quella ragazza di
fargli sapere quale fosse la sua solita ordinazione. Non le avrebbe mai dato
quella soddisfazione.
“Signora Callaway, vede
quella ragazza là, all’angolo della vetrina?”
“Si, Violet.” La signora annuì con un cenno della
testa.
“Ecco lei mi ha ordinato il solito, ma.. ecco.. come
dire.. io non so cosa sia..” aveva ammesso timidamente Nathan.
“Caro ragazzo, l’hai per caso fatta arrabbiare?”
Rise il mio capo.
“No signora, non credo di aver fatto nulla di male.
” Con quella risposta negativa, ometteva l’episodio della sera precedente.
“Oh sicuramente hai fatto qualcosa che l’ha
innervosita. Di certo ha notato che sei nuovo e la sua ordinazione era fatta
apposta. Le hai per caso chiesto cosa fosse il solito??”
“No. Ho pensato di chiedere a lei, signora Callaway.”
“Questo l’avrà sorpresa. Voleva farti fare la figura
dello sciocco, convinta che ci saresti cascato, ma visto che non lo hai fatto
sarà sinceramente sorpresa. Ah comunque lei prende sempre un caffè lungo
macchiato caldo, con due bustine di zucchero.”
“Caffè lungo macchiato caldo con due bustine di
zucchero. Ricevuto!”
“Grazie Nathan, sei proprio un caro ragazzo.”
Dopo qualche minuto Nathan era di ritorno al tavolo
con il caffè fumante.
“Ecco il solito.”
Violet aveva
colto della compiacenza nel tono della sua voce ed anche nello sguardo, per cui
le pareva logico che il ragazzo avesse saputo quello che ordinava lei di solito.
Elementare Watson: HildaCallaway.
Per
niente stupita da ciò, Violet aveva ringraziato il cameriere e poi si era
concessa un sorso del suo amato caffè e aveva tirato fuori il romanzo del
giorno.
Il locale si
era quasi svuotato; si avvicinava l’ora di chiusura, ma lei comportandosi da
stronza professionista quale poteva facilmente diventare. Non aveva fretta,
aveva tutto il tempo del mondo e di certo non avrebbe dato a Nathan la
soddisfazione di uscire senza essere ripresa, doveva capire chi comandava, ed era
come se Violet si fosse data il diritto di fare quello che voleva solo perché
frequentava quel Café da parecchio tempo.
Questa
volta però, invece di scacciarla, Nathan l’aveva quasi del tutto ignorata e
solo una volta pulito tutto il resto del locale si era seduto al tavolo con lei.
Violet
non alzava la testa dal libro quasi non si fosse accorta.
Ma
non siamo ingenui.Di certo lo aveva notato, se non già
immaginato.
Aveva questa
mania di cercare di ponderare le cose, vagliare le diverse possibilità, per
eliminare il margine di sorpresa. Una delle cose più sgradevoli per lei infatti
erano le sorprese. Ne aveva avute parecchie e non del tutto piacevoli e ora
diciamo che non erano più così affini.
Intento ad osservarla in silenzio, cercava di
capire se il detto ‘Più si è belli, più si è stronzi’ fosse applicabile anche
alle ragazze ed apparentemente lo era, visto che si trovava di fronte ad una
bella ragazza, dai lineamenti sottili e dalla figura esile; i capelli lisci e
scuri che le poggiavano sulle spalle per poi ricadere lungo la schiena e
nascondere la loro reale lunghezza; e gli occhi color ghiaccio, colore che
sembrava riflettere il cuore della ragazza. Freddo e distante.
Ma
Nathan voleva capire perché quella ragazza fosse così tranquilla con se stessa
nonostante sapesse di comportarsi da stronza.
Non
andava matto per le persone cattive, altezzose e convinte di essere migliori
degli altri, e pensava che fosse davvero un peccato che una ragazza si comportasse
così, quasi divertendosi a mettere in risalto più che le sue qualità i suoi
difetti.
Le due migliori qualità di Nathan erano la
fiducia e la speranza. Il ragazzo confidava nel fatto che nessuno fosse nato
cattivo e che quindi del buono ci fosse in tutti, ma ovviamente in base alle
esperienze di vita e come uno reagiva a queste, quel buono veniva più o meno a
galla. Sperava che tutti mostrassero bontà d’animo, ma purtroppo sapeva che era
una visione un po’ utopistica della realtà; sperare però, come diceva lui, non
faceva del male a nessuno e quindi a lui non avrebbe di certo potuto nuocere.
Quello che lui non sapeva era che Violet non
era cattiva. Era solo una ragazza particolare, sensibile, che aveva smesso di
credere nella bontà degli altri, che cercava un modo di scappare da quella sua
condizione che la faceva sentire debole, e lei per niente adorava quella
sensazione. La sua volontà e la sua natura erano in perenne contrasto e questo
creava in lei incertezze e dubbi che non sempre era convinta di poter risolvere
e tutto questo non faceva altro che incrementare il rigetto nei confronti del
suo mondo.
“Hai intenzione di fissarmi ancora per
molto?!” Violet aveva interrotto il silenzio, ma qualcuno troppo distratto non
le stava dando ascolto. Stava guardando fisso avanti a lui, sguardo perso,
ancora preso dai suoi pensieri.
Era
la seconda volta che quel ragazzo la stupiva nel giro di poche ore e questo la
rendeva nervosa, come se sentisse che le cose con lui attorno potessero
sfuggirle di mano.
Disagio,
ecco cosa provava ad averlo vicino, ed ecco in parte spiegati i suoi
comportamenti.
Sentendosi
troppo gli occhi addosso, Violet aveva sbattuto il libro sul tavolo, facendo
sobbalzare il cameriere pensieroso.
“Che caratteraccio!”
“Io? Non tu che ti siedi ai tavoli altrui senza
nemmeno chiedere il permesso e sempre tu che fissi le persone??”
“Non ti stavo fissando!” Nathan negava l’evidenza,
con nonchalance.
“No, hai ragione bello addormentato nel bosco. Stavi
guardando intensamente alle mie spalle quella bellissima parete color lavanda.”
“Esattamente!”
“Peccato che la parete sia color albicocca.. e questo
mi riporta alla mia tesi: Tu-mi-stavi-fissando.”
“Eh va beh, quante storie! Io se una ragazza mi
fissasse mi sentirei lusingato!”
“Si da il caso che io non sia te e che a me non
piaccia essere fissata. Credo che sia da maleducati e credo che sia il caso che
io vada. Non ho intenzione di rovinarmi l’umore per te, anche se sono già sulla
buona strada..”
“Lasciatelo dire Violet: ti comporti un po’ come una
bambina, non mi sembrava di aver fatto niente di male. Mi ero seduto qui
solamente per chiacchierare un po’, ma ora mi rendo conto che non è valsa la
pena.”
Quelle
parole avevano ferito brutalmente l’orgoglio di Violet. Tanto che si era alzata
di scatto e aveva schiaffeggiato il ragazzo, e poi era corsa via, lasciando
tutto sul tavolo e il ragazzo interdetto.
La
sincerità di quel ragazzo era disarmante. Non aveva mai sentito le parole di
una persona uscire così dalla bocca senza prima essere filtrate dal cervello.
Correva verso
casa, senza fermarsi. Si sentiva avvampare, e non era solo lo sforzo della
corsa. Il nervoso. Le lacrime che venivano trattenute per orgoglio e per l’odio
per i piagnistei.
Però era lì per
strada, ferita dalle parole di quell’estraneo. Nella sua vita lui non contava
niente, e sulla base di ciò le sue parole avrebbero dovuto contare anche meno.
Ma non era così.
Accaldata
saliva le scale del suo palazzo e davanti alla porta del suo appartamento si
rese conto che non aveva le chiavi. E non solo. Non aveva nemmeno la borsa.
Aveva lasciato tutto al TabardInn.
L’ultima cosa
che voleva era tornare indietro.
Fortunatamente
poteva evitarlo. Aveva dato una copia della chiave dell’appartamento alla sua
vicina per dar da mangiare al suo leoncino
quando era via o per casi di emergenza, e questo rientrava in quella categoria.
Povera signora
McKyle disturbata all’ora di cena.
“Buona sera signora McKyle, mi spiace disturbarla, ma mi
servirebbe la copia delle mie chiavi. Purtroppo sono rimasta chiusa fuori.”
“Ma non ti preoccupare pulcino, io e Richard non siamo ancora a
tavola. Accomodati pure mentre io vado a prendere le chiavi.”
La signora
McKyle era una signora sulla sessantina che viveva nell’appartamento accanto al
suo. Un trilocale un po’ fuori mano, ma reso accogliente dall’amore che la
coppia dopo quarant'anni di matrimonio ancora provava.
Purtroppo non
avevano avuto figli; lei non poteva concepire, ma il marito non glie ne faceva
una colpa, le stava accanto ogni giorno, amandola e venerandola, come solo un
dolce innamorato sa fare.
Violet da
quando si era trasferita era stata accolta con calore e in poco tempo era
diventata la figlia che non avevano mai avuto.
Seduta sulla poltrona Violet aspettava, e dopo qualche minuto
passato a osservare lo scoppiettare del camino, la signora McKyle era di
ritorno con le sue chiavi scintillanti.
“Molte grazie davvero. Senza, avrei dormito sul pianerottolo.”
“Di certo non ti avremmo lasciata dormire sul pavimento freddo,
cara. Ti avremmo ospitato sul divano.”
“Sempre gentilissima, signora McKyle.”
“Non è niente bambina. Piuttosto stai bene? Hai gli occhi
arrossati.”
“Oh si non è niente, deve essere per il vento e il freddo.”
“Stai attenta a non ammalarti, altrimenti salti la scuola.”
“Certo. Adesso corro a farmi un tè caldo.”
“Brava bambina. Riguardati mi raccomando.” e con queste dolci
parole riaccompagnava la ragazza alla porta.
Violet,
dal canto suo, non poteva non essere riconoscente nei confronti di quella
donna; pensava persino di provare affetto per lei, come se si trattasse di una
nonna però, non una mamma.
I suoi genitori
li aveva. Dopo la sua emancipazione si erano trasferiti a Boston e ogni tanto
durante le vacanze li andava a trovare. La loro separazione non era stata
tragica o forzata, o dovuta a violenze e soprusi. Un giorno, forse per
capriccio, Violet aveva deciso di voler essere responsabile per se stessa,
perché pensava che fosse giusto così. Se a sedici anni era abbastanza
responsabile per guidare, perché non poteva esserlo anche per gestire la sua
vita?
Testarda come
un mulo era riuscita a convincere anche i suoi genitori, che l'avevano persino
aiutata in quel lungo iter burocratico e nella ricerca di un posto dove stare.
Leo, il suo gattone rosso a pelo lungo, la
stava aspettando acciambellato sul letto. Una volta chiusa la porta se lo era
trovato ai piedi, pronto per ricevere la sua dose di coccole quotidiana.
“Bello il mio pulcione.” disse
mentre lo stringeva a sé con affetto, e lui iniziava un lungo concerto di fusa.
“Hai fame? Vuoi la pappa?” alla parola ‘pappa’ qualcosa scattava nel suo micione, che aumentava il ritmo della sua manifestazione
d’affetto e iniziava a sfregare la testolina contro il suo mento.
Il gattone
sembrava avesse capito che la sua padroncina aveva qualcosa che non andava,
perché quando lo aveva appoggiato sul tavolo e riempito la ciotola, lui invece
di mangiare continuava a fissarla.
Stanca e per
niente affamata si era buttata sul letto e Leo l’aveva subito seguita e si era
acciambellato accanto a lei. Non aveva toccato cibo.
Violet
era in adorazione per quell’animale. Non si capacitava di come un essere così
diverso fosse capace d’amore come lui, un amore incondizionato, forse l’amore
più puro esistente al mondo. Un amore che lei di certo ricambiava.
“Pulcione, vai a mangiare la
pappa.” gli aveva sussurrato con affetto e riconoscenza per quel gesto, del
tutto inaspettato per un animale. Il gatto non accennava a muoversi e continuava
ad osservarla. Grata di quelle attenzioni, Violet lo aveva preso in braccio e
si era sdraiata a pancia in sù con il suo leoncino
sulla pancia. E così tra coccole e fusa si era addormentata.
Al risveglio si sentiva un po’ indolenzita e affamata.
Si era
addormentata senza ripensare a niente di quello che era successo prima.
Erano le cinque
del mattino. La sveglia sarebbe suonata un’ora e mezza dopo. Aveva ancora molto
tempo davanti a lei.
Leo le dormiva
ancora accanto. Silenziosamente era sgattaiolata in bagno per concedersi un
lungo bagno caldo, sicura che quello l’avrebbe rigenerata e così avrebbe potuto
elaborare con razionalità e calma gli avvenimenti della sera precedente; era
l’unico modo per darsi una spiegazione logica.
Tra bolle e
schiuma pensava, e quando Violet pensava era pericolosa per se stessa.
Elaborando e
digerendo gli avvenimenti aveva il presentimento che quell’interazione con
Nathan avrebbe rovinato la sua giornata. Era davvero ferita nell’orgoglio.
Sapeva che non
le si poteva dire niente senza che lei non la prendesse sul personale, ma
questo riguardava i suoi pochi amici, non gli sconosciuti, non gliene era mai
fregato niente degli estranei. Le sfuggiva quindi il motivo per cui con Nathan
dovesse essere diverso.
Intanto però
sorrideva ripensando al suo schiaffo e all’uscita di corsa dal locale. Le
sembrava tutto così teatrale.
La
sveglia aveva interrotto i suoi pensieri e così uscita dalla vasca sgocciolando
ovunque, e frizionandosi i capelli con l’asciugamano, aveva aperto la finestra
lasciando entrare l’aria pulita del mattino.
Faceva freddo,
ma era una sensazione piacevole. Il risveglio dei sensi. La neve la faceva
sentire viva; era d’estate che lei soffriva, per quel motivo una vacanza in
Florida per lei era impensabile. Fortunatamente viveva al nord. Dove c’erano
anche il fiume e il bosco a mitigare le temperature.
Cambiata l’aria e dopo una colazione lampo
aveva lasciato l’appartamento diretta verso un’altra giornata ordinaria.
Uscendo dal lavoro, immersa nella sua pace interiore, stava per entrare al
Tabard Inn. Si era fermata sulla soglia, bloccata con
la mano sulla maniglia.
La sua volontà
di non entrare era talmente forte che dopo poco tempo era già lontana, lungo la
strada di casa.
Ora era di
cattivo umore e detestava Nathan per questo, era tutta colpa sua. Aveva interrotto la sua adorata
routine e questo non le piaceva proprio.
Rientrando
nell’appartamento aveva un diavolo per capello, e senza accorgersi aveva anche
sbattuto la porta turbando il sonno del suo micione.
Nemmeno alla signora McKyle era sfuggito quel
brusco ingresso che aveva destato anche il suo di sonnellino pomeridiano. In
pensiero per la ragazza era andata a bussare alla sua porta.
“Violet tesoro, va tutto bene?” Chiese bussando.
Aprendo la porta Violet si era trovata davanti un’espressione
preoccupata. Non voleva farla angosciare per niente, dopotutto il suo non era
un problema di importanza mondiale per cui far preoccupare la povera donna.
“Non è niente signora McKyle, sono solo un po’ nervosa.”
“Come mai pulcino? Hai bisogno di qualcosa?”
“No davvero. Penso che mi farò un tè e così mi passerà tutto.”
“Perché non mi fai compagnia per il tè? Sono a casa da sola,
Richard è al circolo degli scacchi e un po’ di compagnia non mi dispiacerebbe.
Porta anche Leo se vuoi.”
Non riusciva a dire di no alla sua vicina che era sempre stata gentile
con lei. “Ma sì, perché no? Leo forza pigrone vieni qui!” e in poco tempo erano
tutti sul divano della signora McKyle.
“Eccoci qua. Un bel tè caldo.”
“Grazie, con una giornata fredda come oggi ci vuole proprio.”
“Si è vero, ci vuole proprio.”
La conversazione stava sul vago, ma si intuiva che erano parole
neutre, non rilevanti. Violet aspettava in silenzio, sapeva a cosa stava per
andare incontro; lo sapeva già quando aveva accettato l’invito.
“Bambina lo sappiamo entrambe che non va tutto bene. Ieri sera eri
accaldata, con gli occhi rossi, senza cappotto, senza chiavi, né niente e oggi
entri in casa facendo un gran baccano. Problemi di cuore?”
“No, per carità. Quelli sono proprio gli ultimi dei miei problemi.
È solo che..”
In silenzio l’anziana signora sorseggiava il suo tè in attesa che
Violet continuasse. Conoscendola sapeva che forzandola non avrebbe parlato. Non
le rimaneva che aspettare che lei si sentisse pronta a confidarsi con lei.
“È solo che.. sono.. c’è.. uffaaaa..” e
dopo alcuni balbettii senza senso aveva preso in braccio il suo gatto e aveva
iniziato ad accarezzarlo come per farsi trasmettere calma e così iniziò a
raccontare tutto quello che era successo, sotto lo sguardo attento di Mrs.
McKyle.
“Per la miseria Violet! Addirittura uno
schiaffo, povero caro. Non per farti arrabbiare, ma secondo me hai ingigantito
un po’ la cosa..”
Lo sguardo di Violet si stava spegnendo, forse pensava di trovare
approvazione nelle sue parole, ma quello non era il compito dell’anziana vicina.
Per aiutare la ragazza doveva farla riflettere, solo così avrebbe potuto
crescere.
“È giusto che tu ti senta offesa dalle sue parole, non sono state
delle più gentili, ma c’è anche da dire che nemmeno tu sei stata molto
comprensiva e aperta con lui. Con questo non voglio giustificarlo, ma non
giustifico nemmeno il tuo di comportamento.”
“Ma io..”
“Niente ma io, pulcino. Sei sempre così chiusa in te testa che a
volte ti dimentichi che ci sono anche gli altri là fuori. Non ti vedo mai
uscire con le amiche, non hai il ragazzo e le uniche persone con cui parli
volentieri siamo Hilda, io e Richard, non che la cosa
ci dispiaccia, sia chiaro. E poi comunichi più col gatto che con le persone.
Secondo me relazionarti e confrontarti con qualcun altro non ti farà male.”
Era quello che pensavano tutti, che lei fosse troppo chiusa e poco
comunicativa, ma nessuno capiva che lei non sentisse la necessità di
raccontare; troppe parole a gente alla quale non interessava niente di niente,
era come buttare parole al vento. E niente era più inutile.
“Violet..” aveva ripreso la conversazione con un tono più serio di
prima “..perchè non provi seriamente a farti quattro
chiacchiere con quel ragazzo? Non ti sto chiedendo di uscire con lui come una
coppia, solo quattro chiacchiere.”
“No. Non ne vale la pena.”
“A-A-A-A-A. Stai facendo lo stesso
errore di tutti gli altri. Stai giudicando dalle apparenze. Non lo conosci, e
non gli hai nemmeno concesso la possibilità di farsi conoscere.”
“Ok. D’accordo mamma, ma
pensavo che il bello dell’essere emancipata fosse il fatto di non avere
genitori a cui dover rispondere.”
“Da me non si sfugge, ci riusciresti solo se andassi oltreoceano.
Anzi forse neanche così; dovresti provare direttamente con un altro pianeta.”
“Allora la prossima volta che vado in agenzia viaggi chiederò il
catalogo per Saturno!” sghignazzò.
“Tesoro, lo sai che non dico queste cose per scocciarti, le dico
per il tuo bene.”
“Sì, lo so.” E Violet era effettivamente consapevole del fatto che
la signora McKyle le voleva bene.
“Adesso però devo tornare a casa a studiare, anche se il periodo
di esami è ancora lontano, mi stanno già stressando con i compiti e lo studio.
E come se non bastasse tra una settimana devo presentare la tesina.”
“Certo, certo. Concentrati su questo adesso e rifletterai poi con
calma sulla questione Nathan.”
“Agli ordini!”
e con un sorriso aveva lasciato l’appartamento diretta ai suoi libri. O meglio,
così aveva detto alla sua povera e inconsapevole vicina.
Non aveva la
minima intenzione di studiare. La sua era una bugia, detta a fin di bene
secondo lei. Un bene piuttosto relativo considerando che si trattava del suo.
Per la sua sanità mentale aveva pensato di tagliare corto quell’ormai
soffocante conversazione, buttandola sulla scusa dello studio così da non
offendere la sua adorabile vicina.
Ogni tanto la
signora McKyle si prendeva un po’ troppe libertà, ma la cosa a Violet non
pesava particolarmente. Era consapevole del fatto che non era obbligata a
seguire i consigli che lei le dava. Preso atto di questa realtà, faceva solo
quello che le andava, senza doversi sentire minimamente in colpa.
Distesa sul divano con un nuovo romanzo in mano, continuava
a perdere il filo, ci stava mettendo mezz’ora per leggere una pagina; procedeva
lenta e continuamente interrotta dalle parole di Mrs. McKyle che le
rimbombavano nella testa: “Prova a fare quattro chiacchiere con Nathan..”
Questa frase in
particolare faceva ricorrentemente capolino nella sua mente.
Aveva così
rinunciato alla lettura e si era dedicata alla TV via cavo, ma il risultato era
stato pressoché lo stesso.
La cosa
migliore era quindi dormire. Avrebbe messo in ordine i suoi pensieri l’indomani.
Dopo una lunga
riflessione durata un paio di giorni, aveva capito che quelle parole, come una
maledizione, l’avrebbero tormentata finché non vi avrebbe posto rimedio.
Si era decisa.
Tanto prima o
poi avrebbe dovuto recuperare le sue cose; non avrebbe vissuto ancora a lungo
senza portafoglio e documenti.
Così, convinta
aveva varcato la soglia del TabardInn. Il locale era particolarmente affollato e si guardava
intorno, evidentemente alla ricerca di qualcosa, e la signora Callaway aveva anche capito cosa, o meglio chi. Con un
cenno del capo aveva indicato il bancone della colazione e proprio lì Nathan
serviva i clienti con il sorriso sulle labbra.
Violet
osservando quella scena aveva iniziato a sorridere.
Con calma si
era seduta e aveva aspettato che la coda al bancone si smaltisse.
Ora
mancavano solo due persone e fattasi coraggio si era accodata in attesa del suo
turno.
“Arrivederla signora Keagan. La aspetto lunedì per le sue
ciambelle.” “Un attimo e sono subito da lei.” Nathan era ora di spalle mentre
parlava e così non aveva la benché minima idea di chi fosse la prossima cliente.
“Buongiorno. Come posso servirla?” Voltandosi aveva avuto la
sorpresa. Violet era tornata dopo qualche giorno di assenza. “Ah.. tu.”
“Buongiorno Nathan..” Aveva detto in tono del tutto serio “..
vorrei un muffin ai mirtilli e il mio caffè lungo..”
“Macchiato caldo con due bustine di zucchero.” Nathan aveva
continuato per lei l’ordinazione e sul volto di lei era comparsa un’espressione
da pesce lesso.
“Sì, esattamente. E le due bustine di zucchero di canna non
bianco.”
“Come siamo sofistiche..”
Violet pensava di essere partita con il piede giusto, ma lui
l’aveva smontata così. Forse allora non aveva tutti i torti. Anche lui era come
gli altri che la odiavano.
Altra qualità di Violet? Saltare alle conclusioni sbagliate.
“Li aspetto al
tavolo.” Rabbuiata in viso era tornata a sedersi.
“Vengo in pace.” aveva osservato Nathan sedendosi di nuovo con
familiarità al tavolo della ragazza.
“Bel modo di iniziare la pace. È comodo far così dopo avermi preso
in giro.”
“Dice la ragazza che mi ha preso a schiaffi.” Il tono di sentenza
di quel ragazzo era perentorio; non le lasciava via di scampo.
“Sì, e per un buon motivo aggiungerei.”
“Ah si?! E come mai questo buon motivo mi sfugge??”
“Non lo so, ma io non ho problemi a rinfrescarti la memoria..”
“Ma prego!”
“Mi hai dato della bambina senza nemmeno conoscermi, hai giudicato
subito senza sapere niente di me.”
“Questo è vero. My bad.
Chiedo scusa, ma tu eri così irritante.”
“Tu no invece..”
“Non direi proprio. Non ero io che mi comportavo come se fossi
bello solo io e tutto gnègnè..” Lo
stava facendo ancora. Stava dicendo quello che pensava senza pensarci due volte.
“Senti pozzo delle verità nascoste, non sono qui a farmi insultare
di nuovo, a meno che tu non voglia un altro schiaffo. Sono qui per riavere la
mia borsa, il mio cappotto e il mio romanzo.”
“Uh quante richieste.. non sono mica il genio della lampada. Mi
spiace, ma non hai i tre desideri da esprimere.”
“Davvero simpatico. Mi sto sbellicando”
Nathan stava
per ribattere, ma Violet lo aveva zittito in un istante e aveva preteso che la
smettesse con le ‘stronzate’ e che le ridesse ciò che era suo.
Ma il ragazzo
non poteva accontentarla. Aveva portato le sue cose a casa quella sera e le
stava custodendo gelosamente in attesa di quel momento.
Naturalmente
sui documenti aveva letto l’indirizzo, ma non era stato così stupido da
riportarle tutto a casa. Non ancora.
Richiamato al
servizio dalla vigile signora Callaway aveva lasciato
Violet a bocca asciutta, ma con la promessa che glieli avrebbe riportati il
giorno dopo. All’ora di chiusura le avrebbe riconsegnato il tutto.
Nonostante
il nervosismo e il disprezzo nei confronti di Nathan, Violet si era resa conto
che aveva parlato più con lui in quella mezz’ora che con le sue amiche in un
pomeriggio.
Era normale
però. Provocata da lui, lei semplicemente rispondeva a tono.
Di una cosa
rimaneva sempre più sorpresa: la lingua lunga di quel ragazzo era davvero
impressionante. Era persino riuscito a convincerla a tornare da lui il giorno
successivo e aspettarlo fino alla fine del turno per poter riavere indietro le
sue cose.
Come faceva quel ragazzo a far crollare il suo apparente
equilibrio?? Non ne aveva la più pallida idea.
***
Nathan
percorreva le strade di West Newbury alla ricerca del numero 274 di Newton
Street, con una cartina improvvisata fra le mani.
Il palazzo era
interamente di mattoni e di almeno cinque piani, e avrebbe scommesso che non
c’era la minima traccia di un ascensore.
Era rincasato
dopo il lavoro, aveva raccattato le cose di Violet e aveva deciso di
portargliele a casa la sera stessa. Voleva sorprenderla, era come se in lei
vedesse del potenziale. Un potenziale che veniva sprecato, perché non fatto venire
a galla nel modo giusto.
Tra le caselle della posta aveva visto anche la sua: Violet
Peterson.
La fortuna lo aveva assistito: l’indirizzo era quello giusto e
così, addentratosi nell’atrio, aveva anche scoperto l’esistenza di un
ascensore. La fortuna era definitivamente dalla sua in quel momento.
Ma si sa: la
ruota gira.
L’ascensore era
guasto e lui non aveva la minima idea a che piano lei vivesse.
Non poteva
suonare al citofono, lei non gli avrebbe mai aperto.
Doveva
sfruttare al massimo l’elemento sorpresa.
Così
rassegnato, piano per piano, controllava i nominativi accanto alle porte.
Era ora al terzo piano e una targhetta lo
insospettiva. Nella sua testa frullava l’idea che fosse proprio da una come
Violet non mettere il nome sul campanello, sospettosa come le era sembrata.
Aveva capito un paio di cosette su di lei: era diffidente nei confronti degli
altri e amava passare inosservata. E cosa meglio di una targhetta senza nome
poteva eclissarla dal resto del mondo?!
O la andava o la spaccava. Avrebbe bussato e se avesse
sbagliato, avrebbe chiesto cordialmente scusa e magari avrebbe anche cercato di
scoprire dove lei abitasse.
Una voce
femminile dall’altra parte della porta aveva risposto.
Le probabilità
che fosse lei aumentavano ogni secondo di più.
Ed eccola
di fronte a lui, sulla porta. Stupita, con lo sguardo smarrito se ne stava a
fissarlo impalata ed incredula.
“Hai intenzione di farmi entrare?”
Nella mente di Violet suonava un campanello
d’allarme. Quel suono assordante copriva ogni ragionamento logico e la lasciava
inebetita a fissarlo.
“Hey! Rivuoi le tue cose? Oppure me le tengo?”
“Ma che domande sono? Certo che le rivoglio! Altrimenti non te le
avrei chieste in primis.”
“Allora fammi entrare.” L’invadenza sfacciata di quel ragazzo la
disturbava e non poco. Non amava sentire violata la sua privacy e lui non aveva
avuto nemmeno un approccio leggero. Si era fiondato nel suo spazio personale
senza il minimo ritegno.
“Ma non ci penso minimamente! Ridammi le mie cose e tornatene da
dove sei venuto!”
“Se la metti
così credo che le terrò con me ancora per un po’..” La stava
stuzzicando, sicuro di se, convinto che pur di evitare che i vicini lo
sentissero fare ulteriore baccano nel corridoio lo avrebbe lasciato entrare.
E aveva fatto
centro.
Senza fiatare
si era spostata di lato, lasciandogli lo spazio necessario per entrare ed avere
così una visione integrale del suo mondo.
Da fuori si
scorgevano solo un grande armadio marrone e un divano color panna.
Ora si trovava
nel centro di quel piccolo monolocale e si guardava in giro.
A Violet
sembrava stesse analizzando con rigore ogni angolo della sua casa. Si sentiva
come nuda davanti a lui, spogliata della sua apparente sicurezza che ostentava
anche quando in realtà era l’opposto.
“Hai intenzione di usare anche la supervista per vedere se ho
qualche scheletro nell’armadio o nelle pareti?”
“Non ci avevo pensato! Lo faccio subito!” Socchiudendo gli occhi
inscenò un controllo accurato della stanza.
“Ma ti comporti mai da persona seria?! Adesso che sei entrato puoi
anche restituirmi cappotto, borsa e libro e poi sei pregato di lasciarmi
tornare al mio studio.”
Era evidente che si fosse legata al dito il loro primo incontro.
Come darle torto.
“Sei l’ospitalità fatta persona! Povero me, in che mondo sono
finito!” osservò mettendosi comodo sul divano.La metteva giù
spessa senza un apparente motivo logico; come se scherzare fosse il suo unico
scopo.
“Ma certo! Perché non ti servi anche da solo? Tanto
ormai sei di casa.” Quella scocciatura iniziava a rendere Violet impertinente,
ma ne aveva tutto il diritto: era a casa sua e poteva permettersi il lusso di
fare quello che voleva.
Con un semplice
“Okay” lui aveva fatto l’opposto di quello che lei voleva.
Si era
spaparanzato sul divano con nonchalance.
La cosa la
urtava, ma quello che la irritava di più era che Leo aveva iniziato a giocare
con Nathan per poi lasciarsi coccolare come se fosse uno di famiglia.
Il suo gatto si
fidava di lui e, Leo che si lasciava coccolare da un estraneo, era un caso più
unico che raro. Quel gatto era un po’ come la sua padroncina. Concedeva fiducia
a pochi e questi pochi erano sempre buoni. Era come se avesse fiuto. Questo
avrebbe dovuto rassicurarla su Nathan?!
Forse sì, ma
non era comunque facile.
Quella scenetta
era strana agli occhi della giovane. Un ragazzo, disteso sul divano che giocava
con il suo gatto.
L’ironia della
sorte aveva voluto che quel ragazzo fosse quel detestabile di Nathan. Non era
il suo ragazzo e non lo sarebbe diventato di certo.
“Violet mi offriresti qualcosa da bere?”
“Pure!? Qualcosa da mangiare no?!”
“Molto volentieri, grazie. Un panino sarebbe il massimo.”
Ogni volta che
apriva bocca diventava sempre più irritante, tanto che Violet aveva voglia di
prenderlo a calci.
Era quasi ora
di cena e anche il suo stomaco brontolava; così, ormai rassegnata all’idea di
ospitare Nathan per cena si era messa ai fornelli e stava preparando il suo
piatto preferito: linguine al pesto.
Quel piatto
italiano le ricordava uno dei momenti più belli della sua vita: la vacanza a
Capri, tre anni prima. Quell’estate aveva provato tantissime varianti di pasta
e quella era la sua preferita. Un poco amara, ma gustosa. Semplice e veloce da
fare, non avrebbe comportato troppo fastidio preparare anche per Nathan.
L’unico punto
interrogativo era la quantità; lei mangiava poco. Ma lui?
Per evitare
figure e altre insinuazioni del ragazzo aveva fatto una bella porzione
abbondante. Se fosse avanzata? Pace e amen. Se la sarebbe riscaldata l’indomani
per pranzo.
Intenta a
preparare non si aspettava la presenza del ragazzo alle spalle.
L’improvvisa
domanda posta dal ragazzo l’aveva fatta spaventare e lei aveva rovesciato il
tutto sul pavimento.
Disastro.
Perché figuriamoci
se la pentola cadeva dritta e salvava il contenuto. Nemmeno per idea.
Era successo
l’esatto contrario ed ecco che la cena era da buttare nel cesso.
I nervi di Violet erano più tesi delle corde di un violino e stava
per sbottare. Un’altra frase fuori posto e lo avrebbe cacciato ricorrendo alla
violenza.
Inaspettatamente
però, questa volta lui taceva osservando il disastro combinato. Nathan non era
cresciuto navigando dell’oro. Odiava gli sprechi e ora si sentiva in colpa.
Doveva rimediare.
Aveva perciò
iniziato a raccogliere quella pasta dall’aspetto e dal profumo deliziosi.
Doppio spreco.
“Mi dispiace Violet.. lascia che ti prepari qualcosa per farmi
perdonare.”
Violet non
rispondeva. Stava rigorosamente in silenzio mentre raccoglieva a mani nude la
pasta.
Si alzò e si
diresse al lavandino per lavarsi le mani.
Il suo silenzio
creava tensione; più di quanto desiderasse.
“Dai ti preparo la mia ricetta speciale: bistecca al burro
alla Nathan!” Cercava di mostrare entusiasmo per stemperare l’atmosfera.
“No. Vattene. Lasciami in pace.”
“Dai non è giusto che tu rinunci a mangiare. Mi spiace davvero.
Non volevo rovinarti la cena.”
Nathan si
era avvicinato pericolosamente a Violet e le aveva poggiato una mano sulla
spalla per cercare di convincerla, come se quel contatto dovesse generare
empatia nei confronti della ragazza.
Una scossa
aveva colpito entrambi, ma i due avevano avuto due percezioni ben differenti di
quella sensazione.
Nathan ne era
incuriosito; non era una cosa comune.
Lei ne era
spaventata; non riusciva ad adattarsi a quella situazione. Sentiva il cuore
battere più velocemente del solito e non ne capiva il motivo. Già era nervosa,
stanca ed ora anche in imbarazzo.
Era convinta
che quel ragazzo non le piacesse: non le trasmetteva altro che disprezzo.
Soprattutto quella sera.
Tutto quello che voleva era mandarlo via.
“Lo avevi già fatto venendo qua. Adesso per favore vattene.”
Il ragazzo era combattuto tra l’insistere per farsi
perdonare o l’uscire con la coda fra le gambe.
Osservando
la faccia spaventata e triste della ragazza aveva deciso di andarsene, proprio
come voleva lei.
Ed eccolo che
stava uscendo dalla porta, voleva salutarla ma lei non lo guardava neanche più
in faccia.
“Ciao Violet” aveva sussurrato una volta chiusa la porta
alle spalle.
”Ciao Nathan” aveva sussurrato anche lei da dietro quella
porta che li separava.
Il
giovane stava rientrando a casa con andatura svogliata. Tirava calci al nulla
ripensando a quella serata. Non era stato molto in quella casa, forse un’ora, e
in quel poco tempo era riuscito a incrinare ancora di più il loro rapporto.
Ma si
poteva definire rapporto quello che avevano, o meglio non avevano?
Per la testa di
Nathan passavano un’infinità di pensieri. Tutti riguardanti Violet.
L’immagine del
suo volto spaurito attanagliava la sua memoria.
Perché
quell’espressione?
Non riusciva davvero
a capire a cosa era dovuta. Non pensava di intimorire la gente, eppure Violet
era spaventata in quel momento, ne era certo.
Non era
riuscito nel suo intento; aveva allontanato di più la ragazza. Aveva sbagliato
tutto.
Violet si era
buttata sul letto una volta che la sagoma di Nathan era scomparsa dietro alla
porta.
Il cuore
manteneva il suo ritmo accelerato e non accennava a rallentare. Ora anche la
sua mente correva. Ma verso cosa?
Sembrava una
corsa senza fine, senza uno scopo ben preciso.
Faticava a
capirne il significato.
Molte di quelle
sensazioni che stava provando non rientravano nello scibile della ragazza.
Questo la spaventava, perché in quel momento tutto sfuggiva al suo controllo.
Nathan e Violet
passarono una notte insonne. Ognuno all’insaputa dell’altro.
Distesi nei
loro letti pensavano e ripensavano a tutte le possibili alternative sulla fine
della serata.
La razionalità
aveva portato Violet alla conclusione che non si poteva ragionare sul passato,
era inutile. Quello che era successo era successo.
Nathan invece
la pensava diversamente, continuava ad auto-colpevolizzarsi per l’accaduto, ne
faceva quasi un affare di stato. Non poteva evitarlo. I suoi propositi erano
tutt’altri e per colpa della sua idiozia e della voglia perenne di scherzare
aveva fallito.
Non voleva
quello. Si era trovato addirittura a immaginare un dolce bacio sull’uscio di
casa.
Ma scherziamo?
Con lei? Lei che lo aveva schiaffeggiato non solo fisicamente, ma ora anche a
parole?
Ebbene sì,
proprio lei. Dietro quell’ostentata freddezza lui era convinto che ci fosse ben
altro. Allo stesso tempo lo sperava con tutto se stesso.
Violet era
l’unica ragazza che lo aveva incuriosito nonostante fosse lì da mesi.
Da quando si
era trasferito.
Aveva lasciato
la grande mela per quella cittadina sconosciuta. Aveva mollato tutto: amici,
famiglia, tutto.
Lui era voluto
scappare dalla vita che faceva. Non ne poteva più di tutto quello schifo in cui
viveva.
Aveva lavorato
anni per questo. Nelle bettole di China Town, nei bagni pubblici. Tutto pur di
andarsene.
Ma perché
lasciare New York?
Perché non è
oro tutto quello che luccica e perché la vita non è sempre rose e fiori.
Lui questo lo
sapeva bene.
Veniva dai
quartieri poveri del Bronx; vedeva da lontano le luci di TimeSquare, consapevole che non gli sarebbero mai
appartenute veramente.
Doveva vivere
alla giornata, perché non sapeva se la gang del quartiere avrebbe lottato con
la concorrenza facendo delle vittime innocenti.
L’America, la
tanto considerata terra promessa, non era del tutto ospitale quanto sembrava.
Era la pacchia
per i ricchi, ma lo strazio per i poveri. Soprattutto a New York.
Suo fratello
aveva ceduto al sistema. Era entrato nella gang dei Road riders
e sperava nella scalata al potere per avere i “Cash”, come li chiamava lui.
I soldi.
Il grande
problema della vita.
Che egoista era
stato Ryan. Così facendo aveva messo in pericolo tutta la famiglia. Nathan non
lo aveva mai perdonato per questo.
Questo tuffo
nel passato feriva il giovane. Soprattutto perché gli mancava la sua adorata
Jackie, la sua sorellina. Le aveva chiesto di essere forte con la promessa che
sarebbe tornato a prenderla. Lui l’avrebbe salvata da quello schifo.
Nathan si era
trovato così a pensare a tutt’altro. Nella sua testa non c’era più Violet e si
era addormentato con quei cattivi pensieri. Erano le quattro del mattino.
Neanche due ore dopo avrebbe iniziato il suo turno.
***
La giornata
seguente era iniziata più turbolenta di quanto fosse finita quella precedente.
Anche il meteo
sembrava avverso a Nathan. Era uscito di casa già infreddolito per la
stanchezza, e la tormenta di neve gli stava ghiacciando le orecchie e sentiva
freddo persino nelle ossa.
La signora Callaway lo aspettava fuori dal Café come ogni
mattina.
“Buongiorno signora Callaway.” La stanchezza del giovane era
percepibile dal tono di voce, e quel mattino sembrava avere anche lo sguardo
stanco.
“Buongiorno figliolo.” La donna aveva intuito qualcosa, come
quando si ha la percezione che qualcosa non vada. Ma, rispettosa della privacy
altrui, non aveva intenzione di indagare.
Il cielo era
ancora buio, non accennava a schiarirsi, come se la notte dovesse continuare
all’infinito.
In quell’atmosfera
anche Violet si destava stiracchiandosi nel suo caldo e accogliente letto da
una piazza e mezza.
La ragazza si
stropicciava gli occhi perfettamente rilassata. A lei piaceva proprio
quell’atmosfera.
Si avvicinò
alla portafinestra che dava sul suo balconcino per annusare l’aria pulita e
fresca del mattino.
Un buon inizio
di settimana insomma.
Pronta ad
affrontare la giornata a testa alta, era uscita dal portone con calma assoluta.
Era volutamente
in anticipo, si voleva concedere una bella passeggiata nella quiete mattutina.
Aveva
completamente rimosso dalle sue preoccupazioni la serata precedente.
Il passato era
passato. Valeva quasi la pena di dimenticarlo, oppure, nel suo caso, di
lasciarlo nel cantone “Chissenefrega”
del suo cervello.
Tenerlo in un
cassetto ben chiuso in un angolo remoto della sua mente non le dava fastidio.
Non che se lo
fosse legato al dito, ma poco ci mancava.
Si ricordava di
tutto, ma non rinfacciava mai, o quasi. Solo se strettamente necessario.
Trovava che rinfacciare fosse crudele e che soprattutto non portasse a niente
di costruttivo. Solo discussioni inutili che maggiormente alteravano il suo
umore.
Sentiva che quello sarebbe stato un bel giorno. Ma la sua
sensazione era delle più sbagliate possibili.
A scuola
sentiva in continuazione il suo nome: Nathan. Quel giorno aveva scoperto di
aver ben due compagni di classe che si chiamavano così; uno addirittura era il
suo vicino di banco.
Ma se non ne
era stata a conoscenza fino a quel giorno, che cosa era cambiato?
Il suo cervello
non riusciva a spiegarglielo. La razionalità non era la chiave.
Non comprendere
il significato di quei particolari aumentava il disagio in lei.
Decisamente
quella non sarebbe stata una bella giornata come aveva pensato. Quella
sensazione non l’avrebbe abbandonata tanto facilmente.
***
Nella
caffetteria tutto filava liscio come l’olio, nonostante qualche distrazione qua
e là, Nathan se la cavava egregiamente come al solito.
Si districava
tra i tavoli con agilità; come una gazzella nella savana. Ma occhio che il
leone è sempre in agguato. Il suo leone quel mattino era la stanchezza. Detta
così appare come un paradosso, ma era la sua triste situazione.
La
signora Callaway osservava, ma come suo solito taceva.
Aveva imparato
a far così negli anni.
Accumulare ed
elaborare.Questo era il
suo motto.
Osservando si
notavano i dettagli che a una visione veloce e generale sfuggivano.
L’importanza di questi non era nota a molte persone. Ma è il dettaglio che
rende diversa una cosa da un’altra; e lo stesso valeva con le persone.
L’elaborazione
stava poi nell’assorbire quello che si aveva accumulato e trarne delle
conclusioni o degli insegnamenti.
Nel caso
specifico, Hilda aveva notato in Nathan qualcosa di diverso dal solito. Sin dal
momento in cui lo aveva visto arrivare in lontananza. L’incedere era differente,
più lento del solito, più svogliato e quasi stanco. Poi sul lavoro aveva bevuto
tre caffè e rovesciato uno, in più aveva portato ad un tavolo l’ordinazione
sbagliata e ora, in attesa di qualche nuovo cliente, se ne stava seduto,
appoggiato con i gomiti al bancone con lo sguardo perso nel vuoto.
Quegli occhi
neri che erano lo specchio dell’animo del ragazzo, erano pensierosi, non
avevano le solita luce. Non erano vispi come le altre mattine: erano stanchi e
spenti.
Dopo la pausa pranzo, passata a sonnecchiare accasciato
sulla poltrona sul retro, aveva ripreso a il turno; ma niente era cambiato. Non
era il solito Nathan. Ad un certo punto era diventato ancora più distratto ed
aveva iniziato a guardare con insistenza l’orologio.
Erano le cinque meno un quarto.
Di lì a poco
sarebbe arrivata Violet.
La connessione
alla ragazza era venuta automatica. Nathan era diverso da quando l’aveva
conosciuta. Il termine adatto era incontrato, o meglio ancora scontrato:
conoscere però, era una parola grossa. Davvero in pochi conoscevano la vera
Violet.
Violet tardava
ad arrivare. Non di poco. Erano passati almeno venti minuti.
Ma eccola,
scura in viso, che procedeva con andatura spedita.
Stava
succedendo una cosa strana: Violet si stava avvicinando alla cassa, e non al
bancone o al tavolo come suo solito.
“Buon pomeriggio Hilda.” Aveva accennato anche ad un sorriso: uno
molto stirato e alquanto discutibile.
“Buon pomeriggio anche a te cara. Dimmi tutto”
Quell’ultima
affermazione era sembrata un po’ ambigua alle orecchie di Violet. Le era preso
un colpo. Sembrava le stesse chiedendo di sputare il rospo. Una confessione
sulla serata precedente. Come se lei in realtà sapesse già e voleva coglierla
con le mani nel sacco. Come se Nathan le avesse raccontato tutto.
Paranoia, ecco
cosa aveva colpito Violet. Cercava di auto convincersi che fosse impossibile.
Non poteva essere vero.
Perché in
quella maledetta giornata tutto riconduceva a Nathan?!
Le sue
macchinazioni mentali dovevano esser durate più del dovuto, perché la signora
Callaway le interruppe con una semplice e chiara domanda.
“Prendi il solito?” le preoccupazioni di Violet vennero così
interrotte.
“No. Oggi prendo un cappuccino e un muffin al cioccolato.”
“Perfetto. Tu accomodati pure, te lo faccio portare al tavolo da
Nathan.”
“No!” Violet si era irrigidita sentendo quel nome. “Cioè.. no,
grazie. Li prendo da portare via. Sono un po’ di fretta oggi.”
“Va bene, adesso chiamo Nathan così glieli ordiniamo subito.”
“Fai pure. Io intanto vado in bagno, almeno guadagno tempo.
Fatteli anche già mettere in un sacchetto così lo prendo al volo ed esco. Ok?”
e senza aspettare una risposta era corsa in bagno.
Nathan, sentendo il suo nome, si stava avvicinando alla
cassa contando i soldi di un tavolo appena sparecchiato.
L’ ordinazione diversa dal solito, la sua strana fretta e la
fuga al bagno non erano sfuggite all’occhio vigile della signora Callaway; poi
notando la presenza di Nathan accanto a lei, aveva fatto due più due.
Violet guardava lo scorrere delle lancette al sicuro tra le
mura del bagno.
Un minuto..
Due minuti..
Tre minuti
sarebbero bastati? Sperava con tutta se stessa di trovare la sua ordinazione
pronta accanto alla cassa. Aveva i soldi contati in tasca, così non avrebbe
trascorso più tempo del necessario accanto a quel bancone, nel raggio d’azione
di Nathan.
Il suo piano
ben congegnato stava per essere messo in atto, ma qualcosa l’aveva frenata di
colpo. Nathan era ancora lì, accanto alla povera infortunata costretta alla
cassa.
Per paura di
essere vista si era appoggiata alla porta facendola cigolare.
“Nathan per favore vai nel magazzino sul retro a prendere un
rotolino per gli scontrini? Questo è quasi finito.”
“Certo signora Callaway. Vado subito” e così era scomparso pochi
secondi.
“Violet vieni
fuori. Nathan se ne è andato.” Il tono calmo di Hilda le aveva fatto gelare il
sangue nelle vene, ma non poteva starsene lì impalata; doveva cogliere al volo
quell’opportunità.
Così aveva
sfilato i soldi dalla tasca velocemente e si era diretta con passo spedito alla
cassa.
“Non hai molto tempo. Prendi la tua ordinazione e vai, sarà di
ritorno a momenti.” Più chiara e coincisa di così non poteva essere. La donna
sapeva. Sapeva tutto. E se non era così, sarebbe presto venuta a conoscenza di
tutto.
Nathan tornando
dal magazzino l’aveva vista. Era pronto a giurare che fosse lei. Non c’erano
molte ragazze con gli stessi capelli lunghi, neri e lucenti. Ma come aveva
fatto a non accorgersi della sua presenza?
Con la
consegna per la signora Callaway tra le mani si era diretto alla cassa.
“Era Violet quella che è appena uscita?”
“Sì.” La donna aveva confermato i suoi sospetti.
“Niente ‘solito’ oggi?”
“No. Ha fatto un’ordinazione diversa.” Allora lei era davvero
rimasta lì e lui non si era accorto di niente.
“Mi faccia indovinare: Caffè macchiato e muffin al cioccolato.”
“Esattamente. E giurerei che non volesse farti sapere della sua
presenza. Come ben sai è l’unica che ordina caffè lungo macchiato caldo con due
bustine di zucchero di canna; se l’avesse fatto ti saresti sicuramente accorto
che era qui.”
“Si. diciamo che come ordinazione non è usuale.”
“Nathan caro, sai benissimo che non mi piace intromettermi negli
affari altrui, ma qui si tratta anche di Violet. Non mi piace vederla entrare e
sgusciare fuori dal mio Café come una ladra. Credo che tu capisca la mia
preoccupazione ragazzo. Per questo ti chiederò solo una volta se non c’è niente
che dovrei sapere.”
Era evidente che l’anziana signora tenesse alla moretta. Non aveva
niente da temere però: tra la sua cara Violet e lui non era successo niente, e
non era nemmeno sicuro che ce ne sarebbe mai stata la possibilità in futuro. Ma
Nathan da buon sognatore sperava.
“No signora Callaway, non c’è niente di cui debba preoccuparsi.
Fosse un’altra persona le direi che questi non sono affari suoi, ma sento che
di lei mi posso fidare. Perciò ora le racconterò quello che è successo, o
meglio che non è successo, ieri.”Così dicendo aveva iniziato il
suo racconto.
Non era abile nei riassunti per cui era finito col rivelare ogni minimo
dettaglio della sera precedente.
L’anziana signora era un’ottima ascoltatrice: aveva
taciuto per tutta la durata del suo monologo.
“E ora la prego signora Callaway, dica qualcosa.” Nathan aveva
concluso con quella richiesta il momento delle confessioni.
“Beh non c’è
molto da dire. Hai scombussolato l’equilibrio già precario di quella poveretta.
Credo che anche tu abbia notato che si comporta da dura, ma che quella non è
nient’altro che una maschera. Lo scoprirai come è fatta, non devi forzare
troppo la mano e lei te lo permetterà. Forse.
Con Violet bisogna avvicinarsi con i piedi di piombo. Non è come tutte le altre
ragazze. È sempre stata particolare: anche da bambina, mentre gli altri della
sua età erano fuori a giocare al parco d’estate, lei si rintanava qui nel mio
locale a leggere. E d’inverno quando tutti i suoi compagni erano qui a bere una
cioccolata calda, lei se ne stava fuori, seduta sui gradini d’ingresso ad
osservare i fiocchi di neve che con calma scendevano e si posavano sulle sue
manine.
Mi faceva tenerezza vederla da sola, ma non avevo mai considerato che a lei non
dispiacesse. Non ha mai amato le folle chiassose. A parte quelle dell’Italia.
Chissà come, forse per il clima o le persone, era riuscita ad aprirsi un po’..
ma poco dopo il suo rientro era tornato tutto come se non fosse mai partita.
Ma adesso
basta, non devo raccontarti tutta la sua vita, lo farà lei se vorrà.”
“Signora Callaway io credo che lei mi piaccia.” Nathan aveva
finalmente dato libero sfogo ai suoi pensieri. Aveva rivelato la ragione per
cui era rimasto così male per quello che era successo.
“Lo credo anch’io caro. Ma ricordati delle mie parole Nathan: solo
lei deciderà se fidarsi di te. E le imboscate con lei non funzionano. E non va
nemmeno matta per le sorprese.”
“Grazie. Ma questo l’avevo capito anche da solo. A quanto pare ho
sbagliato completamente approccio con lei..”
Con tutto
quel parlare era giunta ormai l’ora della chiusura.
Nathan stava
pulendo il bancone quando un’idea gli balenò in mente.
“Posso prendere un muffin ai mirtilli da portare a casa?”
“Certamente caro, ma attento a ciò che fai.”
“Sì, non si preoccupi. E vedrà che se il cielo mi assiste nei miei
intenti, Violet tornerà a mangiare qui domani.”
“Lo spero per te giovanotto, anche perché altrimenti sarei
costretta a licenziarti.”
Nathan era rimasto ammutolito da quel poco velato avvertimento di
Hilda.
“Dovresti vedere la tua faccia figliolo. Sembra che tu abbia
appena avuto un incontro ravvicinato con un fantasma. Stai tranquillo; per ora
sei troppo bravo per essere licenziato, però sappi che non ti conviene farla
soffrire.” Rise la proprietaria del locale.
***
Violet era
seduta, con la faccia adagiata alle braccia incrociate che si appoggiavano sul
tavolo. Fissava davanti a sé quel muffin gigante ricoperto di pesanti gocce di
cioccolato. Perché lo aveva comprato? Neanche le piaceva il cioccolato. Lei
voleva il suo muffin ai mirtilli.
Presa da uno
scatto nervoso aveva buttato quella delizia paradisiaca nella pattumiera e
armata di cappuccino e piumone si era diretta al balconcino per far compagnia
al suo adorato gatto che era appollaiato sulla ringhiera.
Si era avvolta
nel tepore della sua coperta e seduta comoda sulla poltroncina di paglia che
l’ospitava nelle sue sedute dallo psicologo solitarie.
Anche quella
sera ne avrebbe iniziata una, consultandosi con quel bellissimo cielo che fedele
l’aiutava a liberare la sua mente.
***
Nathan se
l’avesse vista non avrebbe creduto ai suoi occhi; va bene che lui non era un
amante del freddo, ma lei era esagerata.
Erano
totalmente diversi.
Come il sole e
la luna. Questo però significava anche distanti. Una distanza che non poteva
essere colmata; le forza dell’infinito erano contro di loro.
Quel paragone
non confortava l’animo del ragazzo. Non c’era niente di più distruttivo del
cercare di giungere ad una conclusione velocemente a quel dilemma.
Avrebbe cercato
un altro paragone più adatto un’altra volta.
Ora quello che
contava era la sua missione.
Aveva tra le
mani un sacchetto di carta e all’interno quel muffin che aveva preso al TabardInn.
Al sacchetto
aveva attaccato un post-it con un messaggio ben studiato. Nessuna parola era
stata lasciata al caso, nemmeno la punteggiatura.
Aveva
ripercorso la strada della sera precedente e ora si ritrovava davanti a quel
portone consumato dal tempo. Ancora tre piani e avrebbe portato a termine la
sua “consegna”.
Eccolo davanti alla porta di Violet, fermo come un
ebete. Non si decideva: aveva paura di sbagliare anche questa volta; ma doveva
farsi coraggio. Aveva affrontato situazioni ben peggiori.
O ora o mai più.
L’alternativa migliore? Ora.
Appoggiato il sacchetto davanti alla porta aveva bussato con forza
e poi era scappato a gambe levate. Non voleva farsi trovare lì: se lei se lo
fosse trovato davanti, avrebbe perso in partenza. Non avrebbe considerato il
suo gesto come un tentativo di scusarsi, ma sarebbe saltata subito alla
conclusione che era un’altra imboscata, un’altra violazione del suo spazio
personale.
Immersa
nei suoi pensieri, un rumore forte aveva riportato Violet alla realtà.
Ma chi era a
quell’ora che bussava alla sua porta??
Svogliata si
era alzata per andare ad aprire e alla sua domanda “Chi è?” nessuno rispondeva.
Davanti alla
sua porta non c’era nessuno.
“Saaaaaam! Davvero uno scherzo divertente! Ormai hai 10
anni, non hai niente di meglio da fare che continuare con queste bambinate??” Ma
urlare al vento non serviva a niente, tanto meno in questo caso. Lei non sapeva
che quel ragazzino del secondo piano, per quanto pestifero fosse, non centrava
niente in quella storia.
Stava chiudendo
la porta al rallentatore, ma Leo fece una cosa inaspettata: scappò fuori come
attirato da qualcosa che agli occhi di Violet era invisibile.
Seguendolo con
lo sguardo e pronta a richiamarlo in casa aveva notato un sacchetto marrone
poggiato sullo zerbino.
Raccolto quel
misterioso pacchetto insieme al suo tigrotto, si era richiusa la porta alle
spalle.
Un misterioso
post-it era attaccato al pacchetto e lei per leggerlo si era portata sotto la
luce della cucina.
-Non sarà buono come la tua pasta di ieri sera,
ma spero che ti piaccia comunque. -
Nessuna firma, ma il mittente era più che chiaro. Nathan.
Era però un
gesto inaspettato. Violet avrebbe giurato che lui avrebbe fatto un’altra delle
sue comparsate teatrali che a lei non piacevano tanto.
Quel gesto
l’aveva stupita; era sicura di aver inquadrato il tipo: stupido, presuntuoso,
incurante della volontà altrui ed eterno scocciatore e chi più ne ha più ne
metta.
Invece quello non
rientrava in nessuna delle ‘qualità’ che lei gli aveva attribuito.
Chissà
cosa conteneva quel pacchetto. Era leggero, non ne intuiva il contenuto. Per
questo curiosa lo stava scartando. Il profumo che usciva dalla busta era dolce
e familiare e si diffondeva per l’aria.
Sul viso di
Violet era comparso un sorriso che descriveva tutto quello che le passava per
la testa e per il cuore.
Se solo
lui l’avesse visto. Ne sarebbe rimasto estasiato: la sorpresa, la luce nel suo
sguardo e il rossore spuntato sulle sue guance lo avrebbero fatto innamorare
completamente di lei.
Ma lui era
scappato di corsa e ora si ritrovava con il cuore che batteva all’impazzata e i
crampi ai muscoli delle gambe.
Violet aveva
tra le mani un dolce e morbido muffin. Il suo preferito: ai mirtilli.
Nathan aveva
colto nel segno. L’aveva colpita dove era più debole.
Aveva attentato
alla sua gola.
Desiderava
mangiare il suo amato muffin; soprattutto perché quel giorno non aveva
mantenuto la tradizione, ma questo avrebbe significato cedere a Nathan, il
diavolo tentatore. E lei aveva paura.
Era davvero
tentata di addentare quel morbidissimo e squisito dolcetto e la sua mente
iniziava a giocargli brutti scherzi.
Era una
battaglia persa in partenza. Il suo cervello l’aveva sempre vinta! Il dannato
aveva persino tirato in ballo citazioni di grandi autori per piegarla alla sua
volontà. L’ostinazione in questo caso non serviva a niente.
Secondo le
teorie del tanto osannato Oscar Wilde avrebbe dovuto cedere; se in quel momento
si fosse trovata davanti quell’eccentrico dandy inglese le avrebbe detto: “L’unico
modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.”
E lei questo
fece: cadde in tentazione.
La
muraglia che Violet si era costruita con perizia negli anni iniziava a mostrare
dei buchi. La paura di essere esposta al mondo, agli altri, la paura di essere
debole non l’avrebbero abbandonata d’ora in poi.
Questo la
preoccupava, ma ora a consolarla c’era il suo muffin.
Quella
giornata, per quanto amara fosse per Violet, era terminata: conclusa nella
dolcezza della pasta frolla.
Nathan pensava
al suo gesto ed era speranzoso: non aveva sbagliato, non questa volta. Ne era
certo. Questo pensiero aumentava in lui l’adrenalina e lo faceva sentire quasi
al settimo cielo.
Non era
ragionevole tutto quello che stava provando, ne era consapevole. Sapeva bene
che cuore e cervello non viaggiavano mai in coppia.
Non erano
razionalmente concepibili tutte quelle sensazioni che la ragazza
inconsapevolmente gli donava.
Non era nemmeno
sicuro che lei provasse lo stesso, ma avrebbe lottato per saperlo, per farla
rendere conto che non c’era niente di sbagliato ad aprirsi al prossimo; che
solo così avrebbe potuto completarsi davvero.
E con quella
speranza si concludeva anche la giornata di Nathan.
***
Si dice che i
sogni siano desideri, e addirittura Cenerentola li definisce di felicità, e lo
erano anche quelli di Violet.
Rannicchiata al
calduccio sotto il suo piumone, nel mondo dei sogni, stava vivendo la giornata
perfetta.
Era seduta alla scrivania del suo ufficio al ventunesimo piano
della più famosa casa editrice di Seattle. Aveva terminato la correzione di una
bozza di un romanzo di una giovane promessa della letteratura contemporanea e
dopo quella giornata di gratificante lavoro, stava tornando a casa con il
sorriso sulle labbra, come se fosse ansiosa di rientrare.
Sul suo
maggiolone nero laccato canticchiava di gusto le melodie che passavano alla
radio, e in poco tempo era entrata nel parcheggio del suo palazzo. Un
lussuosissimo edificio in stile moderno nel quale aveva un elegantissimo
appartamento sull’attico che condivideva con il suo amato Leo.
Lui di certo
nei suoi piani di felicità non poteva mancare.
I piani
percorsi dall’ascensore scorrevano veloci:
1.. 2.. 3.. 9.. 15.. 18.
Eccola
arrivata. Era il suo piano. Nel tragitto fino alla porta di casa cercava nella
sua borsa di Prada le chiavi di casa. Uno scintillante mazzo di chiavi con un
cuore di dimensioni spropositate come portachiavi.
Ad attenderla
alla porta c’era il suo leoncino che aveva sentito il rumore delle chiavi nella
toppa. Lei lo aveva preso in braccio abbandonando la sua costosissima borsa
sulla moquette; adorava strapazzarlo di coccole mentre richiamava l’attenzione
del suo compagno.
“Tesoro, sono rientrata!” Accompagnata da un coro di fusa, si
dirigeva alla camera da letto per sbarazzarsi di tailleur e tacchi, così da
potersi concedere un po’ di comodità nel suo adorato abbigliamento da casa:
maglia lunga e larga e leggins.
“Amore dove sei?” aveva richiamato, infilandosi in corridoio.
“Sono in
cucina, scricciolo.” E lei seguiva il richiamo di quella voce profonda e
rilassante, che la faceva sentire al sicuro.
Ai fornelli,
ad aspettarla con un sorriso bianchissimo, che sembrava ancora più luminoso in
contrasto con la sua carnagione scura, c’era la sua dolce metà e lei gli si era
buttata fra le braccia rischiando di rovesciare le leccornie che erano sul
fuoco e che l’aspettavano per cena.
“Buona sera cioccolatino.” Aveva sussurrato lei ad una
pericolosa distanza dal viso del ragazzo.
“Buona sera palla di neve.”
Ed ecco, il bacio del rientro da lei tanto bramato.
Violet si era
svegliata di soprassalto, con la fronte sudata, neanche avesse sognato di
correre la maratona.
La sua
razionalità le diceva che quel sogno era ancora peggio, quel sogno implicava
Nathan! Lui che faceva la parte della sua dolce metà? Lei che lo chiamava
tesoro? Cioccolatino?? Ma era forse impazzita?!?
Quell’infame
del suo cervello si stava divertendo a giocare con lei. Da sveglia le faceva
quasi detestare quel ragazzo e da addormentata lo rendeva l’amore della sua
vita.
Da un estremo
all’altro. Ma in fondo stava parlando di se stessa, quindi non c’erano mezze
misure: lei o odiava o amava, c’era poco sui cui discutere, e di certo quel
sogno non trasmetteva odio, anzi tutto il contrario.
Questo non
aiutava la più che destabilizzata Violet. Aveva bisogno di una passeggiata per
riprendersi da quel sogno a dir poco allucinante.
Che le avesse
drogato il muffin con una pozione d’amore??
Ma Violet che
cosa vai dicendo?? Quelle cose esistono solo in “Sabrina vita da strega”, e la
tua di vita non ha proprio niente di magico e divertente!
Ormai più che sveglia e sempre meno intenzionata a
tornare a letto era uscita di casa e passeggiava per le silenziose strade di
West Newbury; alle quattro di notte era più che certa di non trovare in giro
nessuno se non il panettiere che apriva la sua attività.
Con la sua sciarpona di lana nera che la
copriva ben bene, si era incamminata verso il bosco. Quel posto pieno di pace e
calma che l’aiutavano a rilassarsi.
Come si dice? Ah ecco si: Dio li fa e poi li accoppia!
Anche Nathan si
era svegliato molto prima del solito, sempre per un motivo correlato ad un
sogno, ma di natura molto più fisica.
Deciso a non
passare il resto della giornata in quello stato si era concesso una doccia
fredda e si sforzava di non ripensare a quello che la sua mente malsana aveva
prodotto. Non si era mai illuso di essere un santo, ma non pensava di poter
immaginare certe cose. Ma era pur sempre un ragazzo, e come tale aveva i suoi
bisogni, che per pura educazione cercava di tenere a bada durante il giorno.
Non sapeva cosa
fare per quelle due ore che mancavano prima del lavoro, l’unica cosa che sapeva
in quel momento era che: miseriaccia se gli piaceva quella ragazza.
Per placare
ulteriormente i suoi bollenti spiriti aveva optato per l’andare a zonzo per le
gelide strade del paese. Il clima glaciale gli avrebbe rinfrescato le idee.
Lei da nord,
lui da sud, come due magneti erano destinati ad incontrarsi.
Si ritrovarono
uno di fronte all’altra.
Tutti e due
alquanto imbarazzati, ma con due maniere opposte di celarlo.
Violet aveva
cercato di fare finta di niente, e di andare oltre, ma non era proprio da
Nathan lasciar correre. “Hey!”
Continuando a
camminare, sperando che lui non la richiamasse procedeva fingendo fare
tranquillo e indifferente.
“Come puoi far finta di niente quando siamo solo io e te, come due
ebeti a camminare per strada alle quattro di notte?”
“Ebete sarai tu!” Voltandosi se lo era trovato vicino; la neve
aveva smorzato il rumore dei suoi passi e lui aveva accorciato la distanza.
“Non resisti proprio senza insultarmi.. qualche parolina dolce
no?” A quella domanda Violet era arrossita, consapevole di come lo aveva
chiamato durante la notte.
“Non c’è motivo per cui arrossire. Non ti ho mica fatto una
dichiarazione.”
La luce del lampione non l’aveva aiutata, e lui non l’aveva
risparmiata; era come un critico, seduto in prima fila a godersi lo spettacolo,
la disfatta dell’attrice protagonista, posta sotto i riflettori del palco
scenico.
“Io non sto arrossendo! È il freddo che mi colora le guance.” Violet
cercava di negare l’evidenza, ma non aveva via di scampo.
“Hai ragione, come una bambola di porcellana; sei delicata, non
dovresti stare fuori da sola al freddo alle quattro di notte. Potresti
incontrare brutta gente.” Nathan sapeva che se l’avesse presa in giro non
sarebbe riuscito ad avvicinarla.
“Infatti ho incontrato te.” Violet lo aveva freddato.
“Sei davvero molto espressivo sai? Dalla tua faccia sembrava avessi visto un
fantasma.” Sorrise la mora.
Stava ridendo di lui. Ma almeno rideva, si diceva cercando
disperatamente il lato positivo della cosa.
“Questa l’ho già sentita.”
“Eh?”
“No niente, non ti preoccupare. Adesso il cattivo ragazzo se ne
torna a nanna. A quanto pare la principessa non ha bisogno di essere salvata.”
Saluto alla militare e Nathan era pronto a fare retro front
e lasciarla per i fatti suoi. Ormai aveva rinunciato a insistere con quella
ragazza. Non aveva senso farlo. Se quella ragazza si impuntava era
incorruttibile e nonostante andasse a suo svantaggio, adorava quella
testardaggine.
“Ma dai io
stavo scherzando. Non credo che i cattivi ragazzi portino i muffin a casa delle
principesse.. ecco a proposito era buonissimo, ma mai come la mia pasta.
Grazie.” Quelle parole erano costate una fatica immensa a Violet, e le aveva
pronunciate ad occhi chiusi per darsi forza.
Ormai era
andata. Aveva gettato il sasso e ora non poteva tirare indietro la mano.
Avrebbe voluto giocare un po’ con lei, ma quella frase lo
aveva fatto tornare verso di lei, “Non c’è di che, ma per la cronaca, non ho
avuto il piacere di assaggiare la tua pasta, quindi non saprai mai che cosa ne
penso io, e se la tua è solo un’illusione.”
“Oh davvero? Bè allora dobbiamo
rimediare!”
“Mi pare cosa buona e giusta.”
“Bene allora domani ti aspetto per cena.”
“Uh! Davvero?”
“NO. Certo che no! Ti parlo a malapena, credi che ti inviti a casa
mia così tranquillamente??”
“Ah ecco mi sembrava strano.”
“Ti sembrava
strano? Lo dici come se mi conoscessi.. ma non è così.. non sai niente di me.”
E il sorriso che animava l’espressione di Violet incominciava a spegnersi.
Si era offesa?
Per la miseria se era lunatica quella ragazza: prima lo prendeva in giro
tranquillamente e lui, alla minima frase fuori posto, era condannato.
“Non volevo dire questo. Lo so che non ti conosco. Però
osservandoti credo di aver capito qualcosa di te: non ti piace essere sorpresa,
per esempio. Questo lo so per certo ora; di conseguenza vuoi avere le cose
sotto controllo e vivere nella regolarità, e so che ti piacciono i gatti. Altro
non so, ma vorrei tanto conoscerti meglio. Mi concederai questo? Lascerai che
io entri nel tuo mondo?”
Nessuna risposta.
Un silenzio lungo come l’eternità era calato fra i due, la neve
aveva ripreso a scendere e i suoi lunghi capelli neri iniziavano a riempirsi di
piccoli fiocchi. Sarebbe tornata a casa zuppa di quel passo. Istintivamente
Nathan si era tolto il suo cappello e glielo aveva messo mentre lei non
opponeva resistenza. “Se non quello, almeno lascia che ti riaccompagni a casa..
è tardi, o meglio prestissimo, e non mi piace saperti in giro da sola.. Così
sarò tranquillo.”
Violet aveva
iniziato a camminare nella direzione opposta rispetto a dove si stava
dirigendo. Sembrava avesse perso di colpo la parola, non emetteva un fiato.
Però quella
marcia indietro significava che aveva capito quello che le aveva detto, e lui,
che in quel momento era diventato seguace della teoria del ‘Chi tace,
acconsente’, aveva iniziato a camminarle accanto con fare tranquillo.
Il passo
non era per niente spedito, e nessuno dei due parlava. Erano ormai giunti sotto
il portone di quel palazzo un po’ vecchiotto che aveva visto più in quei tre
giorni che in tutta la sua permanenza nella cittadina.
Nathan aveva
pensato di non andare oltre, si era fermato sul marciapiede; Violet aveva
proseguito e oltrepassata la porta la teneva aperta come a invitarlo ad entrare.
Pensato e
fatto, in un balzo aveva fatto i quattro scalini che li separavano e ora la
seguiva per la rampa delle scale.
Tre piani e
sarebbero arrivati davanti alla sua porta.
Dicono che la
notte porti consiglio, ma Violet non era dello stesso avviso; durante la notte
non faceva altro che torturarsi con altre possibili congetture; a volte pensava
persino che alcuni le tramassero alle spalle talmente si faceva prendere la
mano dai pensieri molesti e dalla paranoia.
Salendo le
scale ragionava su cosa avesse spinto Nathan a darle il suo cappello, che tra
l’altro le piaceva parecchio: aveva i paraorecchi e il finto pelo che la
riparavano e le tenevano quella matta testolina al caldo.
Non era una
sciocca, se un ragazzo faceva quello che Nathan stava facendo con lei non era
per pura bontà d’animo, di sicuro c’era dell’interesse. Anche non avendo mai
avuto un ragazzo prima, ed essendo scettica nell’amore da favola nella realtà,
questo lo capiva e v’erano prove a supportare la sua tesi:
1.osservazione
prolungata al bar;
2.violazione di
domicilio;
3.consegna di
muffin a casa;
4.cappello;
5.scorta fino a
casa nel bel mezzo della notte.
Queste premure che le riservava per un comune mortale
potevano apparire carine, ma quello che si domandava Violet, da buona
diffidente, era cosa ci fosse dietro a tutte quelle attenzioni.
Le scale
erano ormai finite, e così anche il tempo di ragionare e di progettare
qualcosa. D’un tratto, fissando la porta della sua vicina, aveva ripensato a
quanto le aveva detto: “Prova a fare quattro chiacchiere con quel ragazzo..”e l’immagine di Leo che giocava
con Nathan l’avevano ‘convinta’ a fare qualcosa; qualcosa per se stessa, per
non rimanere più in quella situazione molto ipotetica e surreale.
Soprattutto
perché anche se l’interesse di Nathan fosse stato onesto, non l’avrebbe
aspettata per sempre.
Osservando il
comportamento dei ragazzi con le sue amiche, aveva rafforzato la sua idea
dell’inesistenza del principe azzurro disposto ad attendere la sua dolce
pulzella all’infinito.
Ferma davanti
alla sua porta con le chiavi strette tra le dita si era voltata verso di lui e
si sforzava di guardarlo negli occhi e di parlare senza risultare imbarazzata o
a disagio.
Aveva sputato
tutto d’un fiato un principio di conversazione che dopo due battute già voleva
rimangiarsi.
“Sai
cos’ho imparato in Italia?” La domanda non aveva senso alle orecchie di Nathan,
che poverino non capiva cosa c’entrasse in quel momento.
A domanda senza
senso, risponde un’altra domanda senza senso: “Il dialetto napoletano?”
“Jamm’ ja!”
Rise Violet “Ma a parte quello.. ho imparato che.. che..”
“Che?!”
“Che si fanno spaghettate a tutte le ore.. Ti va di farne una
adesso?”
Nathan
aveva la battuta pronta, ma comprendeva lo sforzo di Violet; gli era bastato
buttare un occhio su come si stesse torturando la mano con le chiavi: le
stringeva con talmente tanta forza che sembrava stesse cercando di spezzarle.
Nonostante non
avesse fame, era intenzionato ad accettare. Non poteva farsi scappare
un’occasione del genere. “Molto volentieri.” Aveva risposto in tutta calma.
Varcata la
soglia di casa, il gatto era corso incontro alla sua padroncina e al suo
ospite, e ora lei lo stava coccolando per bene. Era palpabile l’amore che
Violet provava per quel micio dal pelo fulvo e quello che questi provava per
lei.
Violet
era sempre silenziosa; non era una ragazza di molte parole: tutto il contrario
di lui.
Lui la
osservava mentre lei si muoveva con fare insicuro per la piccola cucina.
“Violet..”
“Sì?” Non si era girata a rispondere; gli dava le spalle,
riempiendo la pentola dell’acqua.
“Sei sicura di volere che io rimanga?” Aveva paura per la risposta
che lei poteva dargli, ma era giusto chiederglielo; le stava dando la
possibilità di tirarsi indietro, forse l’avrebbe anche capita; l’ultima cosa
che voleva era che lei si sentisse forzata nei suoi confronti.
Violet,
sempre di spalle, aveva messo l’acqua sul gas e poi si era poggiata al
lavandino.
Ora stringeva
nervosamente i pugni e si stava voltando lentamente.
“Sì.”
Wow. Una risposta sicura e lo sguardo fisso in quello del ragazzo.
“Bene. Allora posso darti una mano?”
“No. Mettiti comodo e gioca pure con Leo, a lui stranamente piace
la tua compagnia.”
“Stranamente?!”
“Sì, nel senso che di solito non si lascia coccolare dagli
sconosciuti. Sono pochissimi quelli di cui lui si fida: me, i vicini e Hilda,
ma a quanto pare devo aggiungere anche te all’elenco.”
“Mi ritengo onorato allora. Grazie bel micione.”
Aveva detto rivolgendosi al gatto; lei nel frattempo aveva ripreso con le sue
faccende in cucina e lui aveva cercato di rompere il ghiaccio parlando un po’
di sé. “Sai, non ho mai avuto animali, nonostante li adori.”
“Come mai?”
Stava funzionando. “Perché non ho mai avuto la possibilità di
averne. Anche quando abitavo nel New York. Non avevamo i soldi per mantenerli.
Però facevo il dog sitter per guadagnare.”
“Ah.. e così non sei di qui?”
“No, sono nato e cresciuto nel Bronx; mi sono trasferito qui da
poco.”
“Ah, non lo sapevo.”
“Ora lo sai.. Ma adesso basta parlare di me. Raccontami qualcosa
di te.”
“Beh, di me non è che ci sia molto da dire: come vedi vivo da
sola, ho un gatto, e sono un habitué del Café della signora Callaway; vado
ancora a scuola e poi.. e poi basta.”
“Basta?! Niente amici? Ragazzo? Hobby? Sport?”
“Miseria, quante domande! Io non ti ho messo sotto torchio.”
“Allora facciamo una a testa. Ad esempio io per la domanda amici
ti rispondo subito: non conosco quasi nessuno della mia età, qui non ho amici,
ma ne avevo nella grande mela. È vero parlo volentieri con i clienti del
locale, ma non esco con loro. E quindi anche niente ragazza.”
“Io ho poche amiche, non esco spesso con loro: non sono proprio
una di quelle persone che si definiscono loquaci. Come hobby ho la lettura,
ascoltare musica, passeggiare e andare a cavallo nel bosco. Niente sport.”
“E stai sviando la domanda più interessante… Ragazzo??”Ovviamente se
ne era accorto, il suo scopo primario era farla rispondere a quella domanda; e
così il malandato tentativo di Violet di sorvolare sull’argomento non era
passato inosservato.
“La risposta mi sembra ovvia: Ovvio che non ho il
ragazzo. Strano che tu non ci sia arrivato da quello che ti ho appena detto e
da quello sai di me.”
“Non mi sembra poi così tanto ovvio; altrimenti non te lo avrei
chiesto. Insomma potresti benissimo averlo come non averlo il ragazzo, potresti
persino averlo a distanza.”
La concentrazione di Nathan su quella domanda andava ad
aggiungersi alla sua lista. Era interesse. Ma di che tipo? Per una scappatella
o sveltina o per una cosa seria? Quel dubbio riempiva la mente di Violet mentre
preparava le porzioni di pasta. Ormai tanto valeva porgli la domanda che le
ronzava insistente per la testa e attendere una risposta, senza sapere bene
cosa sperare.
“Ma tu, esattamente, da me cosa vuoi?”
Una cosa era
certa, Nathan non si aspettava una domanda del genere, ma ora che gliel’aveva
posta era tempo di mettere le carte in tavola.“Violet io
credo che tu mi piaccia, non so dirti bene perché però.. cioè non ti conosco,
ma mi intrighi; mi ritrovo a pensare a te senza saperne il motivo, ed ad aspettare
di vederti entrare al TabardInn.
Eppure non è che sei stata particolarmente gentile con me fino a
poco fa, anzi, potrei benissimo dire il contrario. Però mi incuriosisci; voglio
conoscerti meglio, vorrei conoscerti meglio, spero che tu me ne dia la
possibilità, perché sono davvero interessato.”
Nathan aveva svuotato il sacco; aveva detto tutto
quello che gli passava per la testa, senza pensare alle conseguenze, senza
pensare a quello che Violet avrebbe potuto dire o anche solo pensare.
Quella confessione aveva scombussolato del tutto Violet,
sentiva contorcersi le budella, una stretta allo stomaco. Addio fame. Fissava
la pasta davanti a lei, mentre lui aveva iniziato a mangiare il suo piatto.
“Non so cosa dire. ”
“Beh se non altro non è un no secco o un vattene fuori da casa
mia..”
“Sì, ma.. ”
“Ma?!”
“Ma io non so cosa voglio da te Nathan. Non ho mai avuto interesse
ad approfondire le amicizie maschili in quel senso; anche perché oltre a Ricky
non ho mai avuto nessuno e poi davvero non so..”
“Conoscermi non credo ti possa fare male; se poi vedi che proprio
mi odi, prometto di lasciar perdere, non sono così masochista.”
Masochista. Si
era definito così, come se fosse consapevole che si stava facendo del male,
come se sapesse che la sua era una partita persa in partenza, perché lei non
gli avrebbe permesso di andare oltre quella cena.
Lei non voleva
sentire il peso della sua sofferenza sulle spalle, sapeva che non era gentile
precludere a una persona la possibilità di farsi conoscere.
Ma era quello
che lei faceva da tutta la vita. Non dava la possibilità agli altri di superare
la sua muraglia. Quella stessa muraglia che, quando stava conoscendo Nathan,
cadeva a pezzi.
“D’accordo. Ma io non ti prometto niente. E non farti troppe
illusioni.”
Nathan non rispose a parole, ma il sorriso che fece valse più di
mille parole. Si stava già illudendo, il caro ragazzo.
Violet aveva ripreso appetito e la cena era
continuata tra chiacchiere innocenti, niente di troppo personale, solo
argomenti leggeri e discorsivi. Variavano dalla musica al cibo, dal cinema ai
libri e dagli animali ai posti che avrebbero voluto visitare almeno una volta
nella vita.
I ragazzi
parlando scoprirono così di avere molte più cose in comune di quante avessero
mai pensato e lentamente si stavano avvicinando.
Per Violet
questo bastava, ma per Nathan?
Non dava segni
di impazienza, ma con la sua mente era già volato, proiettato in un futuro del
quale stava costruendo, mattone per mattone, le fondamenta della loro storia; ma
doveva andarci piano, ne era consapevole.
Ad averlo
distratto erano state quelle labbra, morbide e lucide, che si muovevano quasi
in una danza sinuosa mentre parlavano. Violet possedeva più sex appeal di
quanto avesse mai potuto immaginare e lui ne era sempre più coinvolto.
Lavati i
piatti e rimesso ogni cosa al proprio posto si erano fatte quasi le sei, e lui
doveva andare per iniziare il turno di lavoro.
Violet lo aveva
accompagnato alla porta e lui stava per uscire.
“Sai cos’ho imparato io a New York?”
“No.. cosa?”
“Questo..” L’aveva
attirata a sé e baciata con delicatezza, cingendole la schiena con un braccio e
con la mano libera le aveva scostato i capelli dal volto per farsi spazio. Nel
giro di pochi secondi era tutto concluso, ma a Violet sembrava fosse passata
un’eternità. Come se il tempo si fosse fermato. Un dolce bacio l’avvolgeva e
non le faceva più percepire la realtà che le stava intorno. Molto meglio del
bacio nei suoi sogni.
Pendeva
letteralmente da quelle labbra, e non solo per l’altezza spropositata di Nathan
rispetto a lei, ma anche perché quello era stato il suo primo bacio.
Era ancora
rincitrullita da quel trambusto proveniente dal suo petto; il suo cuore pompava
sangue ad una velocità assurda, come se di lì a poco sarebbe dovuto scoppiare.
Guardava fissa
nei suoi occhi senza dire niente e rimasero così per un po’. La stretta delle
braccia di Nathan era salda e Violet era sicura che avrebbe potuto spezzarla in
due se avesse aumentato la morsa di punto in bianco, ma lui non lo fece; anzi,
allentò la presa e lei si sentì barcollare, come se quell’appiglio sicuro,
mancando, le facesse perdere la stabilità e la tranquillità che da una vita
desiderava di provare.
Nonostante
avesse allentato la presa, Nathan aveva mantenuto un dolce abbraccio, la sua
mano ancora poggiata sul volto e lo sguardo fisso nei suoi occhi.
E così era uscito
di scena piantandola lì, in preda ad uno stato comatoso, che se non fosse stato
per le unghie di Leo nei pollicioni sarebbe durato
all’infinito.
“Ahia!” aveva
urlato Violet, riprendendosi di colpo da quel suo stato di trance, nel quale
era sprofondata per dei lunghissimi minuti.
“Pulcione, perché mi mordi? Sei forse geloso che la mamma
abbia fatto conquiste?” Se il gatto avesse potuto, le avrebbe alzato un
sopracciglio scettico e a quell’idea Violet scoppiò a ridere di gusto. E si
rese conto che non rideva così da tanto. Davvero tanto tempo.
Da quando Ricky
si era trasferito.
Lei e Ricky non
si sentivano da parecchio tempo.
Lui era il suo
amichetto d’infanzia, il bambino con il quale giocava e passava i pomeriggi al
parco sotto l’occhio vigile dei genitori di lui.
Avevano sempre
paura che lui si potesse fare male, perché nato con le ossa più fragili del
normale.
Ma non per
questo non gli permettevano di andare a giocare al parco con gli altri bambini,
solo pretendevano di essere lì, vicini, ma non troppo; così nell’eventualità
che si fosse fatto male sarebbero potuti intervenire con tempestività ed
aiutarlo.
Si vedevano
tutti i giorni a scuola e anche dopo; giocavano e facevano i compiti insieme,
condividendo la stessa passione per i libri e si ritrovavano anche solo per
leggere in silenzio sul divano di casa.
Erano
praticamente inseparabili. Ma un giorno lui le diede una brutta notizia:
dovevano trasferirsi. La madre aveva assunto un ruolo di rilievo in una società
di Import-Export la cui sede era a St. Louis; quel posto di lavoro le offriva
un maggior guadagno e anche maggiori privilegi: insomma era un’occasione da non
perdere!
Così all’età di
quattordici anni dovettero separarsi e questo incrinò, e non poco, la loro
amicizia nonostante per un bel po’ si erano sentiti regolarmente anche con la
distanza.
Era passato
parecchio tempo dall’ultima volta che l’aveva sentito.
Un anno?.. o
due forse?!Non se lo ricordava
nemmeno.
In quel momento
Violet fece una cosa del tutto istintiva: prese il cellulare e compose il suo
numero.
Col fiato
sospeso sperava in una risposta ascoltando quel sordo suono che le ricordava di
essere in attesa.
“Pronto?”
“Ciao Ricky
sono Violet.. ti ricordi di me?”
“Qual buon
vento! Certo che mi ricordo di te! Come potrei dimenticare lamia piccola e burbera Vì?!
Anche se devo ammettere che era una vita che non ti facevi sentire.”
“Hai ragione
Rick; non so nemmeno io come abbia potuto far passare così tanto tempo.”
“Lo so io,
piccina. Non ti è mai andato giù che mi fossi trasferito e letelefonate e le videochiamate a distanza non erano
abbastanza per te.. Un po’ èstata anche
colpa mia.”
“Non ti
colpevolizzare Ricky. Non hai avuto scelta. Non posso darti la colpa.”
“Ma lo hai
fatto, anche se non lo ammetti.”
“Sì, forse è
così.” Lui la conosceva davvero quella testolina matta, perché in effetti era
davvero come diceva lui. Violet gli dava la colpa per essersene andato, per
averla abbandonata in balia degli altri; lasciandola da sola senza la sua
spalla a cui appoggiarsi.
“Comunque. A
cosa devo quest’improvvisa e alquanto mattinieratelefonata?”
“Hai ragione!
Scusa mi ero dimenticata che lì a St. Louis siete un paio di orette indietro… Sorry!”
“Non ti
preoccupare Vì. Dimmi però che cosa ti turba.”
“Nathan.”
“Il tuo
ragazzo?”
“No no!”
“Ti piace?”
“Non lo so..”
“Eccoci dunque
al punto.”
“Uffa Ricky,
come vorrei che tu fossi qui ad aiutarmi come facevi una volta.”
“Bambi, non so
cosa posso fare per questo. Però ti posso sempre consigliare per telefono.”
Dal tono
preoccupato con il quale aveva iniziato la chiamata, Violet era passata ad uno
più rilassato e distesa sul suo letto venne disturbata solo dalla sua sveglia
che, senza remore, aveva spento e si era abbandonata ai racconti di tutto il
tempo perso con il suo migliore amico.
Avrebbe saltato
la scuola quel giorno, ma poco le importava. Aveva davvero bisogno di parlare
con il suo Rick.
Così fino a che
lui non fu costretto ad interrompere la telefonata per recarsi al lavoro dal
padre, continuarono a raccontarsi quello che si erano persi l’uno dell’altra.
Erano le nove
ormai e Violet a casa non aveva niente di meglio da fare che poltrire sul
divano; così si alzò e uscì, diretta verso il TabardInn.
Sentiva
la stretta alle budella aumentare ad ogni passo che accorciava la distanza con
il locale, ma testarda come al solito era impuntata con le sue idee e per
questo aveva preso posto al suo solito tavolo all’angolo, sorridendo allo
sguardo dolce della signora Callaway.
“Avevo
detto a presto, ma non intendevo così presto!” Ecco il suo sorriso smagliante
accanto al suo tavolo.
“Non sei ancora
il centro dei miei pensieri caro mio. Sono qui per la colazione.”
“Allora
provvediamo subito!” Con un gesto teatrale aveva tirato fuori il taccuino per
le ordinazioni e aveva assunto un’aria molto seria e professionale. “Mi dica
signorina, cosa le servo?”
“Il solito.”
Penna alla mano
era pronto a scrivere l’ordinazione, ma ad un tratto si era bloccato. “Ancora
il solito? Non sei un po’ stufa di prendere la stessa cosa tutti i giorni?”
“No, proprio
no. Il mio muffin è buono a tutte le ore!”
“Non ti va di
variare?”
“Nah.. sono a
posto così.”
“Ti fidi di
me?” Non aveva intenzione di demordere: era più cocciuto di un mulo e quella
testardaggine a Violet ricordava tanto la sua.
“Sì e no.”
“Lo prendo come
un sì. Non te ne pentirai, vedrai.” E così, come era apparso, se ne era andato.
Quell’insolita
mattina aveva raggiunto il culmine con l’arrivo del piatto a sorpresa.
“Eccoci
qua! Preparato con le mie mani!” Con questa introduzione e lo sguardo soddisfatto, le aveva
presentato un piatto dall’aspetto e dal profumo spettacolare: Pancakes con
sciroppo abbondante e zucchero a velo.
E nell’altra
mano reggeva un cappuccino con del cacao a forma di cuore spruzzato sopra.
I pancakes
ancora fumanti emanavano un profumino davvero invitante. Non era mai valsa così
tanto la pena fidarsi di qualcuno.
Violet era
affascinata e sinceramente sorpresa in positivo, per la prima volta dopo tanto
tempo.
Con voracità
nello sguardo osservava quelle leccornie, quasi dimenticandosi di mangiarle.
“Che aspetti?
Guarda che si freddano.”
“Osservavo. Non
ho fretta.” E intanto si ritagliava un abbondante boccone.
Doppia
sorpresa: lo sciroppo era ai mirtilli.
Con sguardo
adorante Violet si rivolse a Nathan. Non sapeva nemmeno cosa dire e lui la
anticipò. “Lo sapevo che avresti apprezzato!” e con un gran sorriso si era
seduto di fronte a lei.
“Tu sei il
diavolo. Maledetto tentatore che mi fa peccare di gola.” Gli aveva riferito,
additandolo con la forchetta.
“Sempre
dispensatrice di complimenti, huh?” Sorrise
“Non più del
necessario. Solo se sono più che leciti.”
“Adesso fai
anche la spessa?”
“Mmmm..” non riusciva a emettere altro, evidentemente in
brodo di giuggiole mentre masticava con soddisfazione quella colazione squisita.
“Mmm.. interessante. È la prima volta che qualcuno
preferisce i miei pancakes ai miei baci.”
A quella frase
Violet si era quasi strozzata. Aveva sentito bene?
“C-come scusa?”
“Hai capito
benissimo. Non eri così soddisfatta dopo avermi baciato, sembra che tu provi
più piacere con i miei pancakes.”
“Beh si vede
che loro sono più dolci e teneri di te.”
“Ah sì?!” Con
uno scatto felino si era sporto dalla sedia accanto a quella della ragazza;
alla quale, ora, aveva rubato un altro bacio.
Questa volta
quel bacio non sembrava volesse essere interrotto dai due giovani, ma un colpo
di tosse palesemente forzato ricordò a Nathan che doveva tornare al lavoro.
Sogghignando il giovane si era alzato e aveva sussurrato all’orecchio di Violet
“Allora chi è più dolce? Io o loro?” a quella domanda provocatrice Violet non
aveva risposto.
Soltanto una
volta finita la colazione si era alzata e fatta coraggio per dirigersi al
bancone e sussurrare a sua volta. “Decisamente i pancakes.” E così cercando di
assumere il fare più spigliato possibile si era avviata verso la biblioteca.
***
Maledetta
febbre.
Dopo giorni
senza vedere Nathan, Violet era un po’ in astinenza di quel suo luminoso
sorriso, che si presentava ad ogni occasione. Il sorriso era una caratteristica
che, secondo lei, lo contraddistingueva: era così spontaneo e luminoso e da
qualche giorno, ogni volta che realizzava che quello spettacolo era rivolto a
lei, sentiva aumentare la temperatura corporea e le guance tingersi di rosso.
Pensava e
ripensava a quel ragazzo che, le doleva ammetterlo ma, si stava ritagliando un
posticino nel suo cuore. Sentiva che non avrebbe avuto molto scampo ancora, alle
volte si distraeva persino dallo studio pensando a lui e così non essendo
concentrata ci impiegava il doppio del tempo.
Pensava che non
vedendolo avrebbe dato pace al suo animo tormentato, invece otteneva l’effetto
contrario: aumentava in lei solo il senso di solitudine.
Il tavolo di
colpo aveva incominciato a vibrare e lei venne risvegliata dai suoi pensieri.
Incoming call: Ricky
“Pronto?”
“Hey Vì!Ciao, come stai?!”
“Ciao Rick! Io
sto e tu?”
“Anche io sto…
ma sto benissimo!!!”
“Mi fa piacere.
Almeno uno dei due è in forma.”
“Sìsì. Sono molto in forma! Non mi chiedi perché?!”
“Tanto me lo
diresti lo stesso..”
“Hai ragione! Here it comes Baby: Torno acasaaaaaaaaaaaaaaaa!”
“Sììììììì! Ne stavo parlando ieri con i miei e mi hanno
detto che possoprendermi
qualche giorno di vacanza e venire a trovarti. Non sei contenta?!?”
“Scherzi?! Sono
contentissima! È una vita che non ti vedo in carne ed ossa, chissà come sarai
cambiato!”
“Già, in
effetti sono cresciuto un po’! Eheh, vedessi adesso
quanto sono alto..e non sono più
tanto gracilino come una volta.”
“E così ti sei
fatto uomo! E bravo bel biondino, farai strage di ragazze immagino.”
“Abbastanza, e
ho scoperto che essere un topo di biblioteca ha anche i suoi vantaggi: vedo
tanti visini carini tra gli scaffali dei libri.”
“Attento che
divento gelosa! Tu sei il Mio Rick!”
“Vale lo stesso
per te! Con quei tuoi begli occhioni da cerbiatta, ammalierai sicuramente
quegli ormoni ambulanti, che più comunemente vengono chiamati ragazzi! E in più
devo ancora approvare questo Nathan! Dai dai, com’è?
Descrivimelo un po’..”
“No dai, mi
imbarazza.. e poi credo di essere un po’ di parte e quindi potrei enfatizzare
qualche descrizione. Preferisco che lo veda tu dal vivo.”
“E va bene.
Allora aspetterò un po’ ancora prima di vederlo. Non molto però;ho trovato un volo a buon prezzo che parte alle
sette da qui domani, per cuiarriverò a
Cleveland per le tue otto. Riesci a venire a prendermi?”
“Ehm.. non
credo. Non ho la macchina..”
“Non servi a
nulla, mia cara.”
“Grazie Rick.
Molto gentile.”
“Ma non ti
preoccupare, Bambi. Ho trovato anche un pullmanche parte dalla stazione e arriva in piazza a West
Newbury. Ci vorranno un paio d’ore in più, ma secondo i miei calcoli dovrei
essere lì per le dieci e venti massimo.”
“Ottimo! Mi
sembra proprio che tu abbia pianificato tutto per bene. Sarò lì ad aspettarti.”
“Non vedo l’oraaaaaa!” urlarono all’unisono e scoppiarono, di
conseguenza, in una fragorosa risata. E così tra le risa era terminata quella
telefonata che aveva riempito d’allegria l’animo di Violet.
In serata aveva
terminato di portarsi avanti con lo studio; non poteva rimanere indietro
ancora: era l’ultimo anno e doveva rimanere a pari e preparata in previsione
degli esami, e in quel periodo si stava già concedendo troppe distrazioni.
Prima Nathan, che le ingombrava ormai buona parte del suo cervello, e ora anche
Ricky che tornava a trovarla.
Violet era lì,
in attesa di quel pullman. L’arrivo di Ricky era imminente e, come se fosse
necessario ricordarglielo, lui le aveva mandato un sms dicendole che sarebbe
arrivato di lì a poco.
Un pullman
grigio scuro entrò in quel momento nella piazza del paese.
Con un sonoro
sbuffo si aprirono le porte. Poche persone ne uscirono: coppiette di anziani
che si incamminavano lentamente a braccetto e per ultimo quello che doveva
essere lui: un ragazzo alto e biondo che teneva in mano un borsone verde scuro.
Dalla panchina
dove era seduta, era partita correndo per buttarsi tra le braccia aperte di
quel biondo che le rivolgeva un solare sorriso.
“Ciao Vì! Cavoli, fatti guardare!” Con una mano le aveva fatto
fare un giro su se stessa. “Non ti ricordavo così bella!”
“Senti chi
parla, il futuro bagnino di Baywatch!”
“Mamma mia,
quanto mi sei mancata!” sorrise e con un abbraccio tanto forte da stritolarla,
l’aveva stretta a sé, ricordando con piacere quel profumo che non era cambiato
da quando se ne era andato.
Violet sapeva
di fresco, di primavera, un profumo che stuzzicava il palato e che faceva
sentire leggeri, come se tutte le preoccupazioni fossero passate.
Tutte quelle
altrui però, perché Violet in quell’esile corpicino racchiudeva tutte le
preoccupazioni del mondo.
“Mi stai
stritolando Rick!” cercava di farsi spazio in quella morsa creata dalle
muscolose braccia del ragazzo. “Mi sei mancato anche tu! Dai, vieni andiamo a
casa mia che posi tue cose, e poi usciamo che ti offro la colazione.”
“A casa tua?!”
“Sì, non te
l’avevo detto? Beh sono una giovane emancipata. Ora lo sai.”
“Sei
incorreggibile Vì! Fai sempre di testa tua!”
“E come fai a
mantenerti andando ancora a scuola?”
“Facile. Ho
trovato un lavoro al supermercato in paese e l’affitto del monolocale me lo
paga la scuola, visto che mi definiscono una sorta di genio.”
“Ah però. Noto
con piacere che hai ancora il tuo istinto calcolatore. Spero solo che tu lo
metta da parte ogni tanto..”
“Work in
progress.. non con tutti però.. solo con Nathan.. con lui i miei calcoli non
funzionano. Mi spiazza sempre.”
“Anche se è
passato tanto tempo dall’ultima volta che ti sono stato davvero vicino, non sei
cambiata. Eri una streghetta già da piccola e ora sei
soltanto cresciuta.”
“I casi della
vita. Io mi ricordavo di averti lasciato brutto anatroccolo e ora mi ritrovo a
braccetto di un bel figone!”
“C’è chi cresce
e cambia, Vì.” Ironizzò il biondino, facendo
sorridere la sua amica.
Arrivati al
monolocale, Ricky aveva buttato la sua borsa ai piedi del letto e aveva stretto
amicizia con Leo. Dopo un momento di diffidenza, il micione
si era lasciato coccolare e non si staccava più da Rick. Violet aveva dovuto
tirarglielo via di dosso per permettergli di uscire.
“Dove mi porti
per colazione?”
“Da Hilda”
“Sì, che bello!
Chissà se mi riconoscerà.”
“Lo vedremo
subito.”
E così entrati
al locale, Violet si era subito diretta al suo tavolo dove si stava dirigendo
una ragazzina emo-punk con delle cuffie enormi, che
la isolavano completamente dal mondo.
“Scusa, è
occupato.” Aveva detto superandola e piazzandosi sulla sua sedia. E con un
sorriso stirato aveva cercato di apparire meno odiosa. La ragazzina le aveva
rivolto uno sguardo di disprezzo e si era diretta al bancone.
“Vì, sei davvero perfida! Non si ruba il posto alle
ragazzine!”
“Era lei che lo
stava rubando a me.” Gli fece una linguaccia.
“Ripeto: sei
incorreggibile. Allora quando mi fai vedere questo Nathan?! Sono davvero
curioso.”
“Ssshh! Abbassa la voce. Lo vedrai presto.. più presto di
quanto immagini.” Aveva risposto Violet irrigidendosi, vedendo la figura di un
ragazzo nero, alto, muscoloso e con aria dubbiosa stampata in faccia.
“È lui?” Sussurrò
furtivo Rick.
Violet, ormai
una statua di marmo, aveva solamente annuito.
“Bene benebene. Ci penso io.”
Ghignò l’amico.
“Buongiorno
ragazzi. Che vi porto?” Nonostante l’aria sospettosa, Nate aveva mantenuto una
certa disinvoltura. Doveva rimanere professionale, anche se nel suo cervello si
ripeteva come un disco inceppato la domanda-
Chi cazzo è questo qua!? -
Non poteva
certo mettersi a fare scenate in mezzo al locale, durante il suo turno di
lavoro: avrebbe perso il posto e non solo, avrebbe perso anche Violet. E questo
non poteva proprio permetterselo.
“Buongiorno. Io
prendo un espresso e un croissant alla crema e per lei latte caldo e un muffin
ai mirtilli.”
“Benissimo. Tra
poco sarò di ritorno con le vostre ordinazioni.” Serrando la mascella era
tornato da dove era venuto.
La signora
Callaway li osservava dall’alto della sua postazione, ovviamente senza farsi
notare. Tutto il contrario di Nathan, che si era incantato a guardare quella
che ormai lui considerava la sua Violet, seduta al tavolo con un altro ragazzo.
Un bel ragazzo per giunta.
Numerosi dubbi
iniziavano ad insinuarsi nella mente del ragazzo, mentre lui si disperava
cercando di mettervi fine preparando le ordinazioni.
“Signora
Callaway, chi è quel ragazzo seduto con Violet?”
“Allora non
sono l’unica a chiederselo.. Davvero non lo so caro, però ha un non so che di
famigliare.”
“Ehm.. quello
lì non me la racconta giusta.”
“Suvvia Nathan,
non sarai già geloso? Non è da Violet uscire con due ragazzi
contemporaneamente.”
“Il fatto è che
non so se noi stiamo uscendo.”
“Ma direi
proprio di sì, visto il bacio appassionato dell’altro giorno. A proposito: per
quanto io sia un’inguaribile romantica ancora alla mia età, preferirei che non
vi lasciaste andare così durante il tuo turno di lavoro. A me fa piacere
vedervi felici, ma alle vecchie bisbetiche di paese un po’ meno. Eh ragazzo
mio, l’invidia è una brutta bestia.”
“D’accordo
signora Callaway. Farò in modo che non accada più.”
“Bravo ragazzo.
Comunque chiamami Hilda. Sentirmi ripetere signora ogni due per tre mi fa
sentire vecchia. E ora vai a finire le ordinazioni, prima che il latte si
cagli.”
“D’accordo,
Hilda.”
“Un osso duro
il tuo ragazzo.”
“Non è il mio
ragazzo.”
“Quello che è.
Non ha dato segno di gelosia. A parte la mascella tirata, non si è scomposto di
un minimo.”
“Si vede che
non gli interesso poi così tanto.” Cercò di camuffare il suo
turbamento.
“Non credo sai,
da come sta confabulando con Hilda e da come mi fissa direi che sta morendo di
gelosia.”
“Ci manca solo
che faccia una scenata in pubblico e poi non gli rivolgerò più la parola.”
“Credo che lo
sappia. Altrimenti, qualsiasi ragazzo dotato di un sistema ormonale come si
deve, avrebbe come minimo fatto qualche frecciatina. Credo che non voglia
imbarazzarti.”
“Ma come fai a
dire tutte queste cose?”
“Elementare
Watson. Sono un maschio anche io!”
“Ma non sono
tutti come te, bello mio.”
“Su questo non
posso darti torto, ma vedrai che ho ragione io, TESORO.”Ricky aveva
calcato apposta sull’ultima parola per far sì che Nathan sentisse.
Sperava in una
reazione del ragazzo, ma anche questa volta lui non diede alcun segno di
cedimento. Aveva portato al tavolo le ordinazioni, senza dire niente oltre al
“Buon Appetito” di rito.
Terminata la
colazione e lasciato i soldi sul tavolo, Violet e Ricky si erano diretti verso
il bosco per una passeggiata, ma poi avevano ripiegato verso l’appartamento
della ragazza. Ricky soffriva il freddo e la stanchezza del viaggio e voleva
riposare al caldo. Per pranzo un panino del chiosco vicino a casa, e sul divano
avevano trascorso il resto della giornata.
Violet aveva
raccontato della sua emancipazione, espresso i suoi dubbi su Nathan e aveva
totalmente abbassato le barriere che solitamente la circondavano. Con Ricky non
servivano, lui la conosceva per come era davvero e così non aveva il timore di
mostrarsi a lui.
Ricky aveva
raccontato dei suoi trattamenti e delle sue cure per rinforzare le ossa che,
fortunatamente, già dopo lo sviluppo avevano iniziato a irrobustirsi.
Totalmente
presi dai loro racconti si erano dimenticati della cena e stanchi per la
giornata si erano preparati per dormire.
“Ehi Vì, solo una domanda: ma io dove dormo?”
“Con me; come
quando eravamo piccoli.”
“Come?”
“Come quando
eravamo piccoli. Andiamo Rick, non fare lo scemo: non è cambiato niente tra
noi. Siamo sempre i due teneri bambini che dormivano nel lettino della tua
cameretta.”
“D’accordo, ma
niente gatto attaccato addosso. Mi fa venire caldo.”
“E va bene, ma
solo perché sei tu. Leo dormirà sulla poltrona.”Aveva risposto
infilandosi sotto le coperte e facendo spazio per il suo migliore amico.
Lui senza
ulteriori indugi si era sdraiato accanto a lei e la guardava negli occhi. “C’è
qualcosa di diverso nel tuo
sguardo.”
“Cosa intendi
dire?” aveva sussurrato in risposta
la ragazza.
“Voglio dire
che è come se tutta la tua stranezza, fosse ancora più strana. Non prendermi
per idiota, ma eri davvero una bambina particolare. Ma ora più guardo i tuoi
occhi e più mi sembra di vedere la fiamma che prima animava il tuo sguardo
affievolita. Che cos’è successo Vì?”
“Sono
cresciuta. Non sono più una bambina e sono un po’ cambiata..”
“Non è solo
quello. Non può essere solo quello. È come se fossi distante, nonostante tu sia
qua vicino. Come se ti fossi isolata.”
“È così.. Non
ho veri amici Rick, non ne ho mai avuti molti. Da quando te ne sei andato ho
deciso di non affezionarmi più a nessuno, e mi sono un po’ rinchiusa in me
stessa.” Aveva confessato Violet.
Ricky non
pensava di averle causato tutta quella sofferenza con la sua partenza. Era
proprio vero che quando si è dei ragazzini non si da il giusto peso alle
conseguenze delle proprie azioni.
Istintivamente
l’aveva stretta e sé e sussurrandole un “Mi dispiace, Bambi. Ora sono qui.
Dormiamo che siamo stanchi..” con un bacio sulla fronte per buona notte, nel
giro di pochi minuti, così abbracciati si erano addormentati.
In
quell’abbraccio caldo e silenzioso i due avevano annullato quegli anni che li
avevano separati. Era come se fossero stati insieme tutto il tempo.
Il risveglio
quel mattino era stato dei più dolci per Violet. Non si era mai sentita così
bene e al sicuro. Avvolta in quell’abbraccio, respirava con possesso il profumo
del biondo che giaceva accanto a lei.
Rick era
cambiato tantissimo: era diventato alto e molto più robusto dello scricciolo
che era quando era partito. Aveva le braccia muscolose che davano un forte
senso di sicurezza, e i tratti del volto non erano più così fini come una
volta. Era davvero un bel ragazzo. Nonostante questo Violet, ora come ora,
aveva occhi solo per Nathan; Ricky era solo il suo Rick: il suo fratellone che
gli era mancato come mai nessuno prima d’ora.
“Buongiorno
Bambi.”
“Buongiorno.”
“Ma che ore
sono?”
“Sono le cinque
del mattino.”
“Cavoli se
siamo mattinieri!”
“Eh già.”
“Ho bisogno di
una doccia. Vado subito e poi ti lascio libero il bagno, ok?”
“Certo, ma
datti una lavata anche ai denti che non un alito molto fresco.” Aveva
ironizzato Violet.
“Ha parlato
bocca di rosa!”E così era iniziato uno dei loro scherzosi botta e
risposta.
“Dai vatti a
lavare che poi facciamo colazione a casa e dopo ti porto a salutare i vecchi
compagni.”
“Si, bella
idea!”
Ricky aveva
fatto la doccia e, mettendo in bella mostra i suoi pettorali ancora con solo
l’asciugamano in vita, stava preparando la colazione.
Violet era
appena uscita dalla doccia e avevano bussato alla porta quando lei era ancora
in accappatoio.
“Sicuramente è
lui.” Sorrise sardonico Ricky.
“Allora,
nasconditi! Non mi sembra il caso che ti.. CI veda
così.”
“Non ti
preoccupare. Sarò invisibile.” Le aveva assicurato l’amico prima che lei
aprisse la porta.
“Hey Violet!”
“Ciao Nathan!”
“Sono passato a
trovarti solo per sapere come stavi. Stamattina mi sono svegliato pensandoti.”
In realtà, Nate aveva rimuginato tutta la sera su chi potesse essere quel
ragazzo che si era presentato al Café con lei quella mattina.L’intesa di sguardi tra
di lui e Violet era palese e ne era fortemente ingelosito: avrebbe mai avuto la
stessa confidenza?
Poi aveva sentito abbastanza quella mattina con quei nomignoli: bello mio..
Tesoro.. ma che legame c’era tra quei due?!
Non sopportando di passare un altro giorno nel dubbio, aveva deciso di passare
da lei prima del lavoro, nella speranza di trovarla sveglia.
“Molto carino
da parte tua. Credo.”
“Per scusarmi
del disturbo ti ho anche portato questi..” con la mano che teneva dietro alla
schiena, le stava porgendo dei fiori di bianco spino. “E per dirla tutta non è
solo per nobiltà d’animo che sono passato.. volevo..”
“Vì, sono quasi pronte le uova!” aveva urlato Ricky,
sporgendosi volutamente, alle spalle di un’ignara Violet. Aveva fatto in modo
che Nathan lo vedesse, così da farlo reagire.
Le mani della
ragazza stavano raggiungendo quei fiori, ma il gesto di Nathan venne interrotto
da quell’esclamazione che proveniva dalle sue spalle. Lui si era fermato. E di
scatto aveva buttato per terra i fiori che le aveva portato.
Lei li aveva
fissati mentre, ai suoi occhi, cadevano al rallentatore e istintivamente si era
chinata a raccoglierli.
In quelli che
sembravano lunghissimi istanti, Nathan se ne era andato e lei era rimasta come
un’idiota sulla soglia di casa, fissando i fiori che con quell’impatto si erano
rovinati. Una mano si era poggiata sulla sua spalla e riconoscendo di chi
fosse, era montato in lei un forte senso di rabbia.
“L’hai fatto
apposta.”
“Sì. Volevo
essere sicuro di quello che pensavo.” Rick non vedeva ragione per cui
nascondere le motivazioni del suo agire.
“E dimmi: che
cosa stavi pensando esattamente?”
“Pensavo che
non avrei mai saputo se il suo interesse era sincero se non lo avessi fatto
reagire.”
“E direi che
ora ha reagito. E ce l’ha con me. Chissà che cosa starà pensando..”
“Sta pensando
che sei una stronza e che lo hai messo da parte per un bambolotto biondo”
“Beh grazie per
la sincerità non richiesta.”Violet si era alzata di scatto ed era
corsa all’armadio. Aveva tirato fuori le prime cose che le erano capitate in
mano: un maglioncino e un paio di jeans. Con l’armamentario in mano era corsa
in bagno, senza dare spiegazioni e si stava vestendo in fretta e furia per
uscire e rincorrere Nathan.
Era pronta in
due minuti e fuori di casa in ancora meno tempo.
Doveva correre, solamente correre dal suo Nathan per sistemare quel casino che
quello stupido di Rick aveva creato.
Vedendo quei fiori cadere aveva sentito qualcosa incrinarsi in lei. Come se
iniziasse ad essere consapevole che poteva perderlo.
Ormai non aveva
più via di scampo. Aveva ammesso che Nathan era parte del suo cuore. Non aveva
più senso negare.
Se non sistemava al più presto quel malinteso rischiava veramente di perderlo.
E lui era la cosa migliore che le fosse mai capitata da anni. Non valeva la
pena rinchiudersi in se stessi sapendo che cosa c’era in gioco.
Se si fosse
rintanata ancora nelle sue stupide convinzioni, non avrebbe mai avuto la
possibilità di sentire Nathan vicino, accanto a lei, di nuovo.
Già dopo
qualche metro di corsa sentiva la gola bruciare e pungere per il freddo.
Mentre
correva, senza diminuire il passo nonostante il freddo la facesse sentire un
ghiacciolo, stava finalmente ammettendo i suoi sentimenti nei confronti di
Nathan.
Lui occupava ormai un’importante parte del suo
cuore. Non aveva più senso nasconderlo.Lo
avrebbe perso se non avesse fatto qualcosa.
Quella
riflessione l’aveva portata a fare quello che stava facendo.
Quando
ripensava ai fiori a pezzi sul pavimento sentiva incrinarsi qualcosa in lei. Come
se quei fiori delicati rappresentassero il loro legame e lei sentisse che
Nathan stesse facendo mille passi indietro, abbandonando quel ponte che li
univa. Era suo compito attraversarlo e riportarlo a bordo.
Lo vide davanti
a lei camminando con fare svogliato e prendendo a calci gli ultimi blocchetti
di neve che si stavano sciogliendo.
“Nathan!” Aveva
urlato nella speranza che lui si fermasse. Niente, non accennava nemmeno a
ridurre il passo.
Ci aveva provato,
ma niente. Le restava solo una cosa da fare: accelerare e superarlo,
frapponendosi fra lui e la sua destinazione.
Raccogliendo le
ultime energie, gli si era parata davanti ansimando. “Cavoli Nathan, sei duro
di orecchi! Ho urlato il tuo nome, ma hai fatto come se niente fosse.”
Lui la fissava,
ma rimaneva in silenzio. Tratteneva tutte le parole poco fini che gli passavano
per la mente. Abbassando lo sguardo si era deciso a scansarla, ma Violet aveva
annullato le distanze appoggiandogli una mano sul petto per fermarlo e per
sentirlo ancora vicino.
“Nathan non era
ciò che sembrava.”
“Non è come
sembra? Che cazzo stai blaterando Violet?!” stava alzando la voce dando sfogo
alla sua gelosia. “Mi sembra chiaro ciò che ho visto: dopo che ve la siete
spassata tutta la notte, lui ti prepara anche la colazione. Beh almeno posso
dire che mi hai messo da parte per un gentiluomo.”
“Nathan non
dire cavolate e smettila di urlare!” Asserì lei risoluta.
“Allora che
cos’era?” La interrogò con tono scettico. Era convinto che lei avrebbe accampato
qualche scusa; lei stava per ribattere quando lui prese nuovamente la parola
“Violet, non voglio essere preso in giro. Piuttosto non dire niente e torna a
casa da lui.”
Una sottile
sofferenza poteva essere scorta negli occhi di ghiaccio della ragazza. “Nathan,
davvero, credimi. Io non sono così. Non voglio che tu pensi una cosa del
genere.”
“Così come?”
“Così.. facile.
Quel ragazzo è Ricky, quello stupido del mio migliore amico. Non siamo niente
di più. Ti prego di credermi.” Non ci poteva credere: lei, Violet Peterson,
stava pregando un ragazzo di darle retta. Dove era finita la donna dal cuore di
ghiaccio?
Semplicemente
non lo era mai stata. In silenzio, negli anni, aveva incassato il colpo
dell’essere abbandonata e ne aveva sofferto fino a far diventare quella
sofferenza il suo pane quotidiano.
La solitudine si era impossessata quasi completamente di lei, ma Nathan era la
sua ancora di salvezza: giunto a farle da appiglio per aiutarla a risalire da
quell’abisso.
Come per
aggrapparsi più forte a quell’ancora aveva poggiato anche l’altra mano sul
petto di Nathan.
Nel profondo
Nathan stava godendo di quell’accenno di contatto che si era venuto a creare.
Non poteva cedere così in fretta, nonostante la tentazione di stringerla tra le
sue braccia fosse forte.
“Devo fidarmi?
Non facile credere a quello che mi stai dicendo. Eravate mezzi nudi e tu avevi
lo sguardo felice.. quindi facendo due più due..”
“No! Non devi
fare due più due! Te l’ho detto che non c’è niente fra me e lui. Stava facendo
il cretino per vedere come reagivi.”
“Perché?”
“Perché non era
sicuro che tu tenessi veramente a me..”
“E chi è lui
per sapere cosa provo o penso io?!? Per me non è nessuno. E poi scusa come fa a
dirlo se non mi conosce nemmeno e mi ha visto solo una volta?!”
“Non lo so..
gliel’ho detto che era stato uno stupido e che quello che aveva fatto non aveva
senso.”
“Quindi voi due
non..??”
“NO.”
“Bene.”
“Non potrei mai
farti questo adesso.”
“Adesso?”
“Sì. Prima
quando hai buttato i fiori per terra, ho sentito che ti stavi allontanando, e
forse per sempre..”
Lo
aveva detto davvero o stava sognando?! Con gli occhi sgranati Nathan la fissava
e lei aveva sfoderato un sorriso un sorriso imbarazzato.
Non riusciva a
tenerle il muso. Non era abbastanza orgoglioso. Ma c’era lei a compensare
quella sua mancanza: aveva orgoglio per entrambi e bastava anche per qualcun
altro.
Ormai ferma da
qualche minuto, Violet aveva iniziato a tremare.
“Ma guardati!
Tu sei tutta matta! Stai tremando come una foglia!” Nathan si slacciò la giacca
e inglobò dolcemente quel piccolo scricciolo tremolante. “Vieni qui sciocchina
o ti prendi un accidente.” Senza giacca, né sciarpa né niente, a metà gennaio,
quando ancora si congelava, quella matta lo aveva rincorso. Rischiava di
ammalarsi, ma al momento quello non era importante per Violet.
Violet era ben
contenta di farsi circondare da quelle braccia forti. Con la faccia appoggiata
al petto del ragazzo ne assaporava il particolare profumo. Sapeva di spezie: di
cannella e di pinoli tostati. Odori che le trasmettevano un senso di protezione
e di casa. Tra i suoi mille pensieri passava anche quello che si sarebbe potuta
abituare facilmente a quelle sensazioni.
“Allora mi
credi?” chiese Violet alzando lo sguardo per fissarlo in quegli occhi colore
dell’ebano.
Sinceramente
curiosa, sperava in una risposta positiva che non tardò ad arrivare, ma con
l’aggiunta di una piccola clausola.
“Sì, ma voglio
che tu mi dimostri davvero quello che dici, voglio che tu sia convinta di
quello che stai facendo. Io sono sinceramente interessato, ma non so se tu lo
sei altrettanto. E io non voglio illudermi” – anche se l’ho già fatto - aveva aggiunto mentalmente.
- Perché sarei
qui secondo te?? Credi che sia così matta da mettermi a correre al gelo dietro
a uno che non mi interessa?? – non poteva però dirgli una cosa del
genere. Il tono irriverente non era dei migliori in quel caso. Non se lo
meritava; era lei quella nel “torto”.
Ora toccava a
lei prendere l’iniziativa. Lui gliel’aveva detto chiaramente.
Così con un
salto si avvinghiò a lui come una scimmia, e fortunatamente Nathan aveva i
riflessi pronti, altrimenti sarebbe finita col sedere per terra.
Per non farla
cadere aveva incrociato le mani sotto al suo sedere e lei era visibilmente
arrossita.
Era così bella
con quel rossore sulle guance che le faceva risaltare gli zigomi poco marcati.
Violet, essendo
alle sue prime esperienze, doveva pur partire da qualcosa e, aveva deciso di
ispirarsi alle protagonista dei romanzi d’amore che mandavano in tempesta
ormonale le adolescenti. Doveva suggellare la pace fatta con il suo bello e
qual era il modo migliore per farlo??
Un
bacio.
Un vero bacio.
Dapprima dolce
e innocente, dovuto all’inesperienza di lei, si era approfondito grazie a
Nathan. Con un briciolo d’invadenza, si era fatto spazio fra quelle labbra,
ancora morbide nonostante il freddo, e lei incerta gli aveva lasciato carta
bianca. Le loro lingue si intrecciavano a ritmo lento, come il loro
avvicinamento; si stavano concedendo con calma l’uno all’altra abbattendo
tutte, o quasi, le barriere che li dividevano.
Quel loro
dolce bacio si prolungava nel tempo, che per Violet si era fermato appena
iniziato il contatto delle loro labbra.
Ancora
aggrappata a lui si fissavano, guardandosi dritti negli occhi, come se stessero
giocando a chi ride prima. In quel caso la prima a cedere sarebbe stata lei, ma
Violet era scoppiata a ridere, non per gioco, ma per imbarazzo misto a gioia:
aveva realizzato quello che aveva fatto e pensando ai suoi soliti
atteggiamenti, quello era decisamente fuori dagli schemi. Non lo avrebbe mai fatto
qualche tempo prima, ma ora felicissima di averlo fatto.
Sentiva un
leggero sfarfallino nello stomaco e una totale leggerezza d’animo.Era felice. In quel
momento lo era davvero e non le importava nient’altro.
Era successo
davvero. Era tutto vero!
Nathan non se
lo aspettava di certo, ma non si era fatto cogliere impreparato. Aveva risposto
subito al contatto di Violet. Quella ragazza lo sorprendeva sempre: sia in
positivo che in negativo, ma quello era decisamente il primo caso.
Quel bacio era stato del tutto inaspettato e anche del tutto gradito. Gli aveva
trasmesso con una scarica che aumentava la sua attrazione la moretta.
Quel bacio gli aveva dato la consapevolezza della fiamma di Violet: quella
ragazza nonostante la sua freddezza bruciava di passione.
Ora immerso in
quegli occhi di ghiaccio, godeva di tutte quelle sensazioni e della sua risata.
“Non pensavo di
essere così scarso da farti ridere.” Sogghignava, ma lei ora gli sorrideva
solamente.
“Allora faccio
davvero così ridere??”
“Stavo pensando
ai tuoi pancakes.. Quasi quasi, in questo, momento
preferisco loro..”
“Ma sei
incredibile! Prova a convincermi e stamattina potrei prepararteli.” Le aveva
proposto facendole l’occhiolino.
“Sei proprio il
diavolo tentatore!”
“E tu saresti
l’acqua santa?!” e senza darle il tempo di ribattere le aveva stampato un bacio
a fior di labbra.
“Sono proprio
una debole peccatrice..” aveva sentenziato lei dando segno di volersi
divincolare dalla presa di Nathan.
“Dove credi di
andare? Adesso che ti ho preso non ti lascio scappare molto facilmente!” e con
un’andatura un po’ goffa aveva ripreso a
camminare.
“Mi stai
portando nella tana del lupo?”Violet aveva una strana luce negli
occhi mentre glielo chiedeva. Aveva paura di spingersi oltre quanto aveva già
fatto e Nathan intuendolo l’aveva rassicurata senza perdere il suo spirito.
“Hey! Frena
mangiatrice di uomini. Non sono ancora pronto per questo! Non ho nemmeno il tuo
numero di telefono e devo ancora portarti a cena fuori. Non posso concedermi
così presto!”
Alle sue parole,
sembrava che Violet avesse tirato un sospiro di sollievo e anche se nel suo
cervello si stesse insinuando il dubbio che lui si stesse prendendo gioco di
lei, in quel momento, per gratitudine gli aveva solamente sorriso.
Aprendo il
locale, la signora Callaway che li aveva visti arrivare così non poteva far
altro che sorridere. Era una visione talmente surreale: Violet vista di
schiena, avvinghiata a Nathan che avanzava col sorriso sulle labbra. Sorridendo
aveva fissato la porta così da permettergli il passaggio.
“Forza scimmia
scendi dalla pianta!”
“Solo se Tarzan
mi promette una colazione coi fiocchi.”
“Tarzan? Io
sarei l’uomo rude della giungla? No, ma grazie! Allora tu sarai la mia Cita.”
“Perché non
Jane?”
“Perché
preferisco le scimmiette che mi saltano in braccio senza preavviso.”
“E ti piace
baciare le scimmie?”
“Solo se si
chiamano Violet Peterson.” E con quella frase si era guadagnato un altro bacio
che lo lasciò sorpreso. Non pensava che Violet fosse capace di lasciarsi
trasportare così dalle emozioni. In più ora riusciva anche a scherzare con lei.
Non se l’era ancora presa, nonostante il suo comportamento che di solito la
irritava.
“Scimpanzé,
siediti che tra poco arrivo con tutto pronto.”
Con sguardo
supplicante aveva cercato quello di Hilda per avere il suo assenso, che lei gli
aveva cordialmente dato con un cenno del capo.
Dopo essersi
gustata quella colazione con i fiocchi Violet era tornata a casa, dove c’era
Ricky, con i bagagli pronti ad aspettarla.
“Ma dove credi
di andare?”
Ricky la
fissava attonito: avrebbe giurato che lei lo avrebbe scacciato arrabbiata
all’ennesima potenza.
“Credevo mi
buttassi fuori a calci per quello che ho fatto..”
“No.. oggi mi
sento particolarmente magnanima. Sebbene non ti abbia ancora perdonato per
l’imboscata, non voglio che te ne vada. Non sei rimasto nemmeno due giorni e
non voglio lasciarti andare senza fare pace. Per cui ho deciso che rimarrai
qualche giorno in più."
“Immagino di
non aver diritto di oppormi, vero?”
“Esattamente. E
adesso muoviti che abbiamo un pullman da prendere.. oggi ti porto a scuola!”
Con un
braccio a cingerle le spalle e lei affettuosamente accoccolata a lui,
trascorsero in silenzio il viaggio, facendo così pace a modo loro.
A
scuola, i loro vecchi amici erano tutti meravigliati di vedere Ricky e
altrettanto nel vedere una Violet sorridente e quasi spensierata.
Era molto
diversa dalla ragazza fredda, distante e per niente interessata alle relazioni
interpersonali. Era palesemente evidente che la presenza del suo migliore amico
le facesse bene.
Alcuni avevano
persino ipotizzato che tra i due ci fosse una tresca, ma Ricky aveva smentito
qualsiasi voce dicendo che purtroppo era arrivato troppo tardi. Lasciando così
un alone di mistero intorno alla vita sentimentale di Violet. Nessuno però
aveva il coraggio di chiedere chi fosse il fortunato o malcapitato – a seconda
dei punti di vista – e Violet era felice di questo: non voleva che le venissero
fatte domande in generale, figuriamoci così personali.
In quel
frangente doveva proprio ringraziare il suo caratterino per niente facile da
avvicinare.
Al rientro da
quell’alternativa giornata di scuola era sollevata per aver fatto pace con
Ricky e perché pensava che finalmente la vita aveva cominciato a sorriderle.
Sarebbe stata pronta lei a ricambiare?
Avevano
passato quattro giorni insieme ormai, e per Ricky era giunta
l’ora di tornare a
casa.
Con
Violet aveva chiarito tutto mentre con Nathan non aveva ancora parlato
e non
voleva far sapere a Violet che era intenzionato a farlo. Quello che si
sarebbero detti doveva rimanere tra loro due.
Con
una scusa aveva convinto l’ignara moretta ad andare a scuola
tranquilla e lui
avrebbe preso il pullman delle undici e venti e uscendo avrebbe
lasciato le
chiavi di casa alla signora McKyle con la quale era già
d’accordo. L’anziana
signora avrebbe fatto questo ed altro per la sua adorata Violet.
Alle
sette lei era vestita, lavata e pronta e stava per uscire scambiando
gli ultimi
saluti con il suo migliore amico.
“Fai
buon viaggio e non metterti nei guai Rick!”
“Certo
Vi! Non ti preoccupare sono un bravo ragazzo, io. Sono talmente bravo
che ho
deciso di chiamarti quando arrivo a casa.”
“Mi
sembra il minimo!”
“Eheh..
Passa una buona giornata Bambi!” e con questo ultimo saluto
l’aveva stretta a
se per poi spedirla fuori dalla porta neanche fosse lui il padrone di
casa.
Chiusa
fuori non poteva far altro che andare a prendere il suo pullman.
Verso
le nove Ricky era uscito di casa e si era diretto al Tabard Inn.
Come
in un film western con tanto della tipica musichetta, Nathan e il baldo
biondo
avevano iniziato a fissarsi ed erano pronti a fare fuoco.
Scacciata
quella visione Ricky si era avvicinato al bancone, dove ad attenderlo
c’era un
più che indaffarato Nathan.
“Nate?..”
“Nathan.
Non siamo amici.” Quella faccia da schiaffi lo chiamava anche
per nomignoli??
Ecco uno dei tanti pensieri irreverenti di Nathan, ma era meglio
mantenere le
distanze e i ribadire i giusti limiti. Non voleva di certo fare a
botte, come
avrebbe risolto suo fratello. No, non era da lui.
“Come
ti pare, NATHAN.”
“Tu
devi essere il migliore amico di Violet..”
“In
carne ed ossa. Ho un paio di cose da dirti.. hai un momento?”
Meglio
essere diplomatici. Era pur sempre amico di Violet e visto che lei le
aveva
spiegato che non doveva preoccuparsi, tanto valeva apparire ragionevoli
e
dargli il beneficio del dubbio. La sua scimmietta doveva averci pur
visto
qualcosa se lo reputava il suo migliore amico.
“D’accordo. Intanto cosa ti
preparo? Un espresso?”
“Si,
grazie. Che buona memoria! Ti aspetto al tavolo di Violet.”
“Va
bene.. Fammi finire dei tavoli e poi sono libero.”
Osservava
di sottecchi il biondino allontanarsi e nonostante la diffidenza che
provava
nei suoi confronti era sinceramente incuriosito da quella
“particolare” richiesta.
“Ho
dieci minuti di pausa. Dimmi.” Nathan aveva cercato di non
essere freddo, ma
più lo guardava e più gli tornava in mente
l’immagine di lui con solo un
asciugamano addosso e gli veniva il nervoso. Ma forse doveva anche
ringraziarlo; se non fosse stato per quello scontro, Violet non lo
avrebbe mai
rincorso e lui si sarebbe perso quella confidenza che era nata.
“Stai
attento con lei. Lei è un fiore delicato e l’ho
già fatta soffrire io
abbastanza. Guai a te se le fai del male.” Era molto serio, e
si poteva
scorgere una nota di risentimento nel suo sguardo.
“Si.
Non ho alcuna intenzione di ferirla.”
“Ecco.
Ti conviene, perché sappi che se la sento piangere per te,
io vengo qui e ti
spacco la faccia.”
“Ehi,
vacci piano tigre! Già non dovresti importi così
tra di noi.. è vero che sei il
suo migliore amico, ma sei una presenza alquanto ingombrante.”
“Io
ho tutto il diritto di impormi così, come dici tu. Devo
rimediare alla mia
assenza. Ci tengo troppo a lei per sentirla soffrire ancora. Adesso io
devo
andarmene di nuovo e lei ci starà male, penso, anzi ne sono
certo. Voglio
essere sicuro di lasciarla in buone mani.”
“Capisco
il tuo punto di vista, ma non giustifico le tue parole. Come hai detto
tu: Sei
tu quello che se ne va, non io. Io rimarrò qui. Non ho
intenzione di
andarmene.” Ecco l’occasione buona per marcare il
suo territorio. Non era una
caccia, ma Violet era sua.
“Stalle
vicino. Stasera va da lei e portale dei biscotti o del gelato. Le
tireranno su
il morale.”
“Ok.”
“Bene.”
“Sai
non mi aspettavo che fossi così. Credevo che fossi il solito
stronzo con manie
di possesso sulle ragazze, ma tu.. mi costa dirlo ma.. ci tieni
davvero e
vedo che hai anche una certa influenza su di lei. L’ho vista
sorridere sincera
quando era con te.”
“Beh,
anche io credevo la stessa cosa di te. Per quello ho fatto apposta a
farmi
vedere a casa sua. Se avessi avuto ragione, l’avrei messa in
pericolo, alla tua
mercé. Sono stato un po’ avventato e meno male che
mi ero sbagliato. I
pregiudizi mi fregano qualche volta.”
“Non
le avrei mai torto un capello.” Nathan aveva sorvolato sulla
storia dei
pregiudizi, non era il caso di infierire, tanto più che lui
aveva ammesso il
suo errore. Arrabbiarsi non avrebbe fatto altro che far crescere dei
dubbi tra
quei capelli biondi.
“Ci
vedremo presto, spero. Alla prossima Nate. Ah comunque io sono
Ricky.”
“Ti
direi che il piacere è stato mio, ma non è stato
molto bello vederti in quelle
circostanze. Rick.”
“Ahahahah!
Mi piace la tua sincerità. Avevo fatto quello che mi
sembrava necessario.”
“Si,
lo so. Violet me lo ha detto. Abbiamo chiarito come sono andate le cose
e
voglio fidarmi di lei.”
“Ehi
ti devo pagare il caffè.”
“Lascia
perdere. Te lo offre la casa.”
“A
quanto pare sei un bravo ragazzo Nate, te lo devo
riconoscere.” Senza
lasciargli il tempo di ribattere, Ricky stava già aprendo la
porta del locale.
Il tipico scampanellio della porta accompagnava così la sua
uscita in grande
stile.
Entrambi
tenevano a Violet, però ora solo Nathan sarebbe rimasto per
lei, e aveva la “benedizione”
di Ricky. Non che ne avesse realmente bisogno, ma avere
l’appoggio di una
persona che conosceva bene Violet non era un’idea
così ripugnante.
Ricky
se ne era andato e a Violet la sua casa, per quanto fosse piccola, le
appariva
desolata, vuota.
A scuola aveva riiniziato a salutare gli amici di un tempo, ma niente
più delle
solita quattro chiacchiere di cortesia.
La
primavera era ormai alle porte e i piccoli bucaneve facevano capolino
fra i
prati ancora innevati.
Soffiava
una leggera brezza che faceva oscillare dolcemente i lunghi capelli di
Violet,
mentre sovrappensiero aspettava l’autobus.
Ancora
quattro ore e mezza e avrebbe visto Nathan.
Quel
bel ragazzone dai capelli corvini e corti, le labbra carnose sempre
distese in
un gioviale sorriso; con le mani nelle tasche dei quei jeans larghi
evidentemente consumati dal tempo e quel giaccone nero che lo faceva
sembrare
ancora più grande e grosso.
Ma…
lo vedeva davanti a lei, oltre la strada, sul marciapiede, oppure aveva
solo
una fervida e molto realistica immaginazione?!
No
no, era del tutto vero e ora stava attraversando e procedendo verso di
lei.
“Ciao
Violet!” e si era chinato per darle un bacio, ma lei si era
scostata
all’ultimo, concedendogli soltanto la guancia.
Ora
si che era stranito. Che la sua non fosse stata una buona idea?
“Ciao
Nathan.” Gli aveva risposto con un tono imbarazzato.
“Che ci fai qui?” aveva
velocemente aggiunto a bassa voce, sentendosi circondata da mille occhi
indagatori.
“Ok,
forse non è stata una buona idea.. Se vuoi posso far finta
che ti ho incontrato
per caso e me ne vado..” Nathan aveva notato di essere il
centro
dell’attenzione insieme a Violet e che lei era tesa.
“No!
Non è quello.. è che non sono
abituata.” Non le piaceva essere sotto i
riflettori, ma non voleva rinunciare alla compagnia di Nathan per colpa
di una
delle sue paturnie. Era passata solo una settimana
dall’ultima volta che lo
aveva visto.
“Sicura?
Non voglio renderti il gossip del momento.”
Violet
si era presa una pausa per rispondere e poi mandando al diavolo tutto e
tutti aveva
intrecciato le sue dita con quelle del suo cavaliere.
“Sicura” e gli aveva
sorriso.
“D’accordo,
dai andiamo che è arrivato il nostro pullman.” E
mano nella mano erano saliti
su quel vecchio e malconcio autobus quasi pieno.
Non
c’era nemmeno un posto a due dove sedersi. Non volendo
separarsi aveva stretto
la mano a quella di Nathan e lui aveva ricambiato, ma si guardarono con
la
consapevolezza che dovevano sedere lontani.
Nathan
le aveva lasciato uno dei primi posti accanto ad una cara signora che
si era
addormentata, così non l’avrebbe sicuramente
importunata e lei avrebbe potuto
continuare il viaggio tranquilla. Era andato così avanti a
cercarsi un posto.
“Ehi
bel fusto!” aveva urlato un’appariscente bionda,
truccata e vestita come se
dovesse andare a ballare, invece che a farsi una cultura a scuola.
Era
abituato a quel tipo di spettacolo. Nel Bronx era quasi la
quotidianità.
Si
era seduto accanto al classico nerd snobbato da tutti e aveva ignorato
quella
ragazza nella vana speranza che lei lo lasciasse perdere.
“Dico
a te bel cioccolatino!” la tinta persisteva, alzandosi e
piazzandosi di fianco
a lui stando in piedi, sicura sui suoi tacchi, nel corridoio tra i
sedili.
“Sei
muto per caso?! Madre Natura ti ha dotato un così bel
faccino e non di una
voce.. davvero un peccato.”
Nathan
non voleva ribattere a quella ragazza; non aveva niente da dirle e
stare al suo
gioco sarebbe stato controproducente.
Violet
ascoltava e osservava a distanza quella scena riflessa nello specchio
dell’autista. Vedere quella gallina avvicinarsi a Nathan con
decisione le
faceva montare la rabbia. Stava maledicendo quella ragazza nota in
tutta la
scuola per i suoi facili costumi. Non poteva importunare e buttarsi sul
nuovo
arrivato. Il suo Nathan era off-limits. E come si permetteva di
chiamarlo bel cioccolatino?!
“Sei
nuovo di queste parti?”
“No.”
Solo ora Nathan si era degnato di una risposta.
“Strano.
Non ti ho mai visto prima. E io conosco tutti da queste parti. Non mi
sarei di
certo persa un bocconcino come te. Sicuro di non aver bisogno di una
guida?
Sono esperta dei dintorni. E non solo..” ammiccava in modo
davvero sfacciato.
“Non
sono interessato, grazie.”
“Non
sei interessato?”
“No,
non lo è, Megan.” Violet era intervenuta non
riuscendo più a trattenersi
ascoltando con quale sfacciataggine stava flirtando con lui.
“Violet...
Cara non mi sembra di aver chiesto a te.”
“E
a me non sembra che lui sia interessato. Nathan andiamo, vieni a
sederti
avanti, la signora accanto a me è appena scesa.”
“Arrivo
subito piccola.” Non era il caso di chiamarla scimmietta in
quel momento.
“E
così la nostra scorbutica Violet si è trovata un
ragazzo. Non sapevo avesse
smesso con il suo credo da verginella frigida. Prima Ricky e ora lui..
impara
in fretta la piccola.” Megan stava dando spettacolo
rivolgendosi a tutto il
pullman e facendo ridere quelle oche della sua combriccola.
Violet
non ribatteva, si era irrigidita nelle spalle e aveva stretto i pugni.
“Se
hai bisogno di qualche consiglio pratico sai dove trovarmi. Sai che
sono una
buona samaritana in fondo.” Megan continuava così
la sua arringa.
“Non
rivolgerti più a lei così. Mettiti al tuo posto e
lasciaci in pace.” Nathan era
intervenuto come un prode cavaliere a salvare la sua bella.
Senza
dire altro aveva accompagnato Violet al posto e le aveva lasciato il
sedile
vicino al finestrino, dove lei si era rintanata senza proferire parola.
Era
visibilmente irrigidita e non accennava a parlare almeno per il resto
del
viaggio. Evidentemente le parole di quella Megan l’avevano
disturbata anche se
non voleva darlo a vedere. La sua scorza non era impermeabile, non le
scivolava
tutto addosso. Aveva abbassato la guardia.
“Ehi..”
l’approccio di Nathan era delicato: con due dita le aveva
preso il mento e
l’aveva voltata verso di se.
Lo
spettacolo era davvero triste: gli occhi erano lucidi e leggermente
arrossati.
Sarebbe scoppiata prima o poi.
Non
c’erano parole che potevano farle cambiare il suo stato
d’animo.
L’aveva
abbracciata e stretta a se e lei appoggiata alla sua forte spalla si
era
lasciata andare.
Lacrime
silenziose scorrevano sul suo viso, lei le aveva prontamente asciugate
cercando
di nascondere l’evidenza e lui le aveva depositato un dolce
bacio fra i
capelli.
Scesi
dal pullman avevano camminato in silenzio e lei si era tranquillizzata.
E aveva
smesso di piangere.
Sulla
porta di casa Violet lo aveva invitato ad entrare, ma lui aveva
gentilmente
declinato l’offerta, strappandole un invito a cena e il
numero di telefono.
“Violet,
non permettere mai che le parole degli altri spengano la luce che
c’è in te. Tu
sei una piccola leonessa e devi lottare con le unghie e con i denti per
rimanere ciò che sei. Non devi farti influenzare. Sei
bellissima così come sei,
e quella Megan mi fa solo pietà. Non ha rispetto per se
stessa e non sarei mai
andato con una come lei. A me interessi solo tu.”
Con
un leggero bacio l’aveva lasciata alla sua serata divisa tra
gelato e coccole
con il suo Leo.
Neanche
il tempo di arrivare a casa e Nathan sentiva già la mancanza
di Violet.
Non
voleva starle troppo addosso ma la tentazione era troppo forte: ora che
aveva
il suo numero poteva chiamarla quando voleva.
Ma
si sa la fretta è cattiva consigliera. Così come compromesso
aveva deciso di aspettare di essere
pronto per andare a letto per chiamarla.
“Pronto?”
“Ehi
scimmietta. Sono Nathan.”
“Ciao Nate.” La sentiva sorridere
dall’altra
parte della cornetta.
“Wow.
Ora sono Nate! Facciamo progressi.”
“Si.. Decisamente non sei
il rude uomo della giungla. Ne ho la conferma ognimomento
di più.”
“Mmmm..
ed è positiva come cosa, spero.”
“Si lo
è.”
“Bene..
però tu rimani la mia scimmietta.”
“Pff.. devo essere per
forza un animale peloso, puzzolente e con le pulci?”
“Ahahahahaahahahahah!”
“Tu ridi, intanto io sono
la
pulciona!”
anche lei rideva sotto i baffi. Quella scenetta era troppo comica.
“Ahahahahha!
Ma dai che scimmietta è così carino! E poi
ragiona con me: gattina o micia sono
troppo scontati, tigrotta non va bene perché sei piccolina
in confronto a me e
non mi piace molto e pulcino non ti si addice perché sai
essere dispettosa e ti
arrampichi in braccio alla gente.. quindi come vedi niente ti calza
più a
pennello di scimmietta. Tu sei la mia scimmietta.”
“Essia. Solo che se tu
non
sei Tarzan io adesso non so come chiamarti.. ci dovrò
pensare.”
“D’accordo.
Pensaci con calma però, perché io voglio un bel
soprannome..”
“Ahahahah! Lo avrai, lo
avrai.”
“Bene.
Per ora Nate mi basta.”
“Nate..”
“Dimmi
scimmietta.”
“Quanti anni
hai?”
“Sono
io quello che dovrebbe preoccuparsi per l’età, non
tu. Sono io che rischio di
passare per maniaco se esco con una ragazza troppo piccola.”
“Tranquillo. Non corri
quel
rischio con me. A meno che tu non abbia in programma di uscire con
qualcun’altra.”
“Qualcuno
ha bisogno di un po’ di amor proprio?”
“Mmh.. può
darsi..”
“Bene
allora vediamo di dire le cose chiaramente: non voglio uscire con
nessun’altra
all’infuori di te. Chiaro il concetto?”
“Chiarissimo.” E Nathan la sentiva
sogghignare dall’altra parte della cornetta.
“Perfida.
Lo hai fatto apposta.”
“Comunque
tornando alla tua domanda.. Ho 21 anni.”
“Sembri
più vecchio.”
“Grazie,
spiritosona!”
“Ahahahahah! Scusa, ma
morivo dalla voglia di dirlo.”
“Va
bè dai solo perché sei tu ti perdono.”
“Grazie.. Dai raccontami
di
te.”
“Eh..
scimmietta non c’è molto da dire di me.. sono
così come mi vedi. Non ho molto
da fare qui: lavoro da Hilda e poi aiuto con i traslochi o gli scarichi
di
merci pesanti per recuperare qualche soldo in più. voglio
prendere una
macchina, anche di quarta mano, basta che si muova.”
“E della tua vita a New
York? Come mai te ne sei andato?”
Violet
aveva toccato un tasto dolente; la pausa di Nathan prima di rispondere
ne era
un segno evidente. Voleva dirgli di non rispondere, ma non ce la
faceva. Aveva
paura di quello che poteva dirle, ma voleva sapere. La sua solita voglia
di
avere tutto sotto controllo stava prevalendo.
“Della
mia vita a New York… io non la definirei vita
quella..” solo a pensare al suo
passato gli si stringeva lo stomaco.
“Nate non sei obbligato a
parlarmene..”
davvero non voleva obbligarlo, ma lei voleva anche sapere. Rimanere
all’oscuro
di tutto era anche comodo, ma era da vigliacchi e spesso portata a
sconvenienti
conseguenze. Ma anche sapere spesso non era bello.
Un’altra
lunga pausa occupava lo scorrere dei minuti.
Nathan
ripensava a quello che aveva abbandonato. I ricordi lo schiacciavano e
iniziava
a sentire come un peso sul petto.
Violet
ascoltava il rumore del respiro di Nathan e sentiva come
l’impulso di cambiare
argomento, ma Nathan l’anticipò.
“Ho
abbandonato tutto perché non ce la facevo più.
Non era vita quella. Odiavo
tutto quello che mi stava attorno e non mi piace provare rabbia nei
confronti
di quello che mi circonda. Non riuscivo più ad alzarmi la
mattina con il
sorriso. Non riuscivo più a guardare mio fratello Ryan negli
occhi senza
provare disprezzo. Ormai l’unica cosa che condividevamo era
lo stesso tetto. La signora del piano terra mi ha insegnato
a leggere e scrivere e a scuola non imparavo granché.
E
poi c’era la gang del quartiere e non volevo farne parte; mi
hanno picchiato
parecchie volte per farmici entrare, ma non ho ceduto. Un giorno sono
persino tornato
a casa con un paio di costole incrinate e visto che mi ero fatto male, le ho prese anche da mia
madre. Ryan
è entrato a far parte della gang alla prima
opportunità, gli interessava solo
fare soldi per giocare a fare il ricco in un quartiere pieno di
miseria. .
Poi un giorno ho trovato la mia sorellina Jackie che
giocava
con la pistola di mio fratello. Non ci ho visto più e
già in quell’occasione
avevo giurato a me stesso che me ne sarei andato e che
l’avrei portata via con
me. Non ho ancora mantenuto la promessa..
Ma
la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la rapina
che mio fratello ha
fatto. È tornato a casa con un buco nella pancia. Per pagare
le cure dell’ospedale
sono dovuto uscire a pagamento con delle donne di alto borgo. Mi faceva
a dir
poco schifo e ho promesso che non sarei mai più uscito con
una donna se non
fosse stato per amore. Lavoravo e nascondevo i soldi in una buca al
parco per
non tenerli a casa. E ora sono qui.. ho trovato casa, un piccolo
trilocale e un
lavoro..”
Violet
era ammutolita. Non sapeva cosa dire di fronte a quella sconfortante
realtà,
che era stata la vita di Nathan. Quel ragazzo ne aveva passate di cotte
e di
crude e ancora aveva fiducia nel prossimo.
Non
voleva infilare il coltello nella piaga più di quanto non
avesse già fatto e
forse cambiare argomento era la cosa migliore.. sicuramente era anche
l’unica
cosa che le passava per la testa.
“Nate… grazie
per oggi. Non
era necessario che tu rispondessi a Megan. Ora ce
l’avrà a morte con te oltre
che con me.”
In
silenzio Nathan la ringraziò di quella delicatezza e le
rispose seriamente “Può
avercela con me quanto le pare. A me non interessa. Quelle parole non
te le
meritavi e non potevo stare zitto. Solo a sentirle, mi è
montata dentro la
rabbia per te.”
“Non volevo che tu mi
vedessi piangere.”
“Non
ti preoccupare. Capita a tutti di piangere ed io non sono qui certo a
giudicarti per quello. Piangere serve a sfogarsi e tu ne avevi bisogno.
Quindi
stai tranquilla.”
“Nate.. Perché
sei così
buono?” Violet
non capiva tutta quella fiducia nel prossimo che aveva Nathan, non la
capiva
prima, figuriamoci adesso che conosceva il suo passato.
“Mmh.
Bella domanda. Credo di essere sempre stato così.”
“Non so cosa ti spinge ad
esserlo ma.. bè.. non
cambiare.”
“Non
lo farò.”
Era
davvero un ragazzo particolare, forse più unico che raro. Se
ne rendeva conto
ogni giorno di più. aveva tutto quello che mancava a lei; la
completava in sostanza.
Stava
diventando pian piano parte integrante della sua vita. le faceva
piacere e quel
sentimento tanto desiderato da Nathan stava crescendo in lei.
Come
la primavera, stava sbocciando il loro amore.
Buongiorno scimmietta. Ti
auguro una buona giornata. Non riesco
a passare a salutarti perché sono in ritardo massimo. Devo
aprire io il locale
che Hilda oggi va a togliersi il gesso. =)
Un bacio. Nate.
Buongiorno anche a te
Nate. =)
Ci vediamo presto, non ti
preoccupare. Passo io dopo il lavoro,
come al solito. Così poi ci organizziamo per la cena. Sono
curiosa di scoprire
cosa hai in mente.
Quel
messaggio l’aveva accompagnata per tutta la giornata. Ogni
volta che lo rileggeva,
le spuntava il sorriso sulle labbra e a scuola, evitando Megan tutto
era andato
per il meglio.
Durante
la pausa pranzo aveva letto la risposta di Nathan.
Hehe. Di certo non ti
confesso niente ora. Altrimenti ti rovino
la sorpresa. ;)
Stasera ci mettiamo solo
d’accordo per il quando e non ti dirò
altro.
Violet
passò il pomeriggio a pensare che cosa stesse macchinando
Nathan e le venivano
in mente le idee più svariate. Se una cosa era certa era che
non le mancava la
fantasia. Ma tutte quelle idee e le conseguenti aspettative che si
venivano a
creare potevano risultare pericolose, anche solo per il semplice fatto
che
solitamente il mondo dei sogni è migliore della
realtà.
Mi stanno venendo in mente
troppe cose.. non vorrei che mi si
creassero troppe aspettative. Dimmi almeno il posto così
almeno limiterò la mia
fantasia.
Neanche per sogno.
Correrò il rischio. Andrò contro le tue
aspettative e sarò io a vincere. E ora concentrati che tra
poco devi lavorare.
Non pensarci troppo e vedrai che tutto sarà perfetto.=)
Pff.. d’accordo.
Mi fido di te. A dopo. =)
Quel
pomeriggio al locale Nathan, Violet e Hilda ridevano insieme. Non era
un
pomeriggio pieno di lavoro; si poteva benissimo dire il contrario: in
tutto nel
locale si contavano sette persone, loro tre compresi, e una volta
serviti i
clienti rimaneva il tempo di parlare ridere e scherzare.
E
poi c’era un piano di cui Violet era all’oscuro.
Nathan
aveva convinto la signora Callaway ad aiutarlo per
l’appuntamento e da buona
romanticona quale era non era riuscita a negargli niente.
In
più c’era il fatto che da quando Violet
frequentava Nathan era rinata. Era
più solare, e meno arrabbiata col mondo. Quando arrivava al
locale, si
sedeva
sempre al suo tavolo, quello non lo avrebbe mai ceduto, ma non
indossava più
quelle cuffiette che le servivano da isolante nei confronti degli
altri. Ora
ascoltava e sorrideva alle battute che il giovane cameriere faceva ai
clienti e
quando lo guardava aveva gli occhi che brillavano.
“Non
resisteresti nemmeno un giorno..”
“Scommettiamo?”
“Ahahahah!
Ma dai Nathan non fare lo sciocchino: lo sappiamo che non resisteresti
una
settimana intera senza nemmeno dare un bacio a Violet. Non ce la fai
è inutile
che vuoi scommettere. Tanto vinco io” Hilda aveva iniziato a
prendere in giro
amorevolmente il caro Nathan.
“No,
ma prego fate come se io non ci fossi.” Scherzosamente Violet
era intervenuta
rendendosi così il centro dell’attenzione. Sia la
signora Callaway che Nathan la
guardarono e scoppiarono a ridere e il giovane si perse negli occhi
chiari
della ragazza.
“Hai
ragione Hilda, non resisto nemmeno mezz’ora.” E
sorrideva come un pesce lesso.
Si stava avvicinando lentamente al volto di Violet, aveva
già le labbra in posa
quando lei lo fermò con un dito sulla bocca.
“A-A-A..
hai detto che resisti una settimana. Non puoi cedere adesso.”
Lui
era rimasto impalato a guardarla poco convinto.
Notando
la sua espressione scettica Violet era scoppiata a ridere e con lei la
proprietaria del locale.
“Ahahahah!
Parole tue caro Nathan.. devi stare attento a ciò che
dici..”
“Esattamen-te”
aveva asserito Violet e prima di che potesse finire di parlare si
trovò
sollevata dallo sgabello e sorretta dalle braccia di Nate.
“Ora
come la mettiamo?” il ragazzo la punzecchiava mentre lei
cercava di
divincolarsi dalla sua morsa. Aveva liberato un braccio per poterla
accarezzare
lungo la schiena. Seguendo il solco della sua spina dorsale
dall’alto verso il
basso. A separare la pelle da quel contatto c’era solo un
maglioncino leggero
beige.
Violet
aveva inarcato la schiena e aveva emesso un gemito sordo a labbra
serrate che a
Nathan non sfuggì. Aveva trovato un suo punto debole.
Quella
decisa discesa che toccava vertebra per vertebra l’aveva
fatta sussultare. Il
cuore aveva saltato un battito e aveva sentito come un attimo di vuoto
e di
sollievo. Stupita anche lei dalla sua reazione aveva sbarrato gli occhi
e aveva
guardato Nathan con fare interrogativo.
In
risposta lui le aveva solo sorriso. Aveva visto bene? Era un sorriso
malizioso?
“È
meglio che vi separiate ragazzi. E per sicurezza, stasera Violet tu
vieni a
casa con me. Rimani a cena.. Mi piace che ci sia passione tra i
giovani, ma
mi piace
un po’ meno messa in pratica sotto il mio naso.”
Hilda li aveva riportati alla
realtà.
Una
Violet a dir poco imbarazza si era liberata dalla presa di Nathan e si
era riseduta
sullo sgabello in silenzio e con lo sguardo basso.
Nathan
era andato a pulire i tavoli che rimanevano da fare prima della
chiusura e nel
frattempo cercava di scacciare la voglia che era cresciuta in lui.
La
signora Callaway aveva interrotto l’attimo, ma lui ne
accusava
ancora le
conseguenze.
“Ok
ora vi concedo un bacetto e poi Nathan te ne vai diretto a
casa.” Lo aveva
guardato severa Hilda e a quell’occhiata lui non poteva di
certo disobbedire.
Dopo un bacetto fugace il ragazzo aveva preso la via di casa e a loro
volta le
due donne.
Arrivata
a casa la signora Callaway era stata assaltata da quei birbanti dei
suoi nipoti
nonostante venissero ripresi dalla loro mamma.
Violet
osservava placida la scena e il sorriso le comparì
automaticamente
sulle
labbra quando il più piccolo dei nipotini che le aveva
circondato le gambe
in un abbraccio sebbene non la conoscesse.
“Jack,
birbante come te lo devo dire che non devi abbracciare tutti?? Nulla
contro di te
cara, ma devo insegnargli a non attaccarsi agli estranei. A proposito
mamma
potevi dirmelo che avevamo ospiti a cena; meno male che ho
l’abitudine di
preparare per un reggimento.. Comunque non ci siamo ancora presentate:
io sono
Linda.”
“Piacere,
Violet.”
“E
così tu sei la famosa Violet? Era ora che la portassi a cena
mamma..” aveva
detto Linda prendendo in braccio il piccolo Jack e dirigendosi
verso la
cucina.
Violet
aveva lanciato un’occhiata interrogativa a Hilda che si era
giustificata
dicendo:
“Diciamo
che posso aver parlato qualche volta di
te.”
A
tavola era riunita tutta la famiglia con il nonno capotavola e alla sua
destra
la dolce metà con Violet accanto e dall’altro
capo del tavolo c’era l’altro
uomo di casa con alla sua sinistra Linda, e i due gemelli Paul e
Cristine. Alla
destra del marito di Linda sedeva il piccolo Jack.
Violet
era al centro della tavolata e poteva osservare quella famiglia felice.
Lei era
l’intrusa a quella cena, ma nessuno dei presenti glielo
faceva
notare, anzi
ognuno, in qualche modo, la coinvolgeva nella conversazione.
Era
una bella sensazione: quell’atmosfera così
gioviale e il chiacchiericcio
facevano pensare di essere in uno di quei telefilm della famiglia
perfetta. Ed
era così. Più osservava la gente seduta al
tavolo, più voleva far parte di
quella famiglia così felice e omogenea.
La
cena era trascorsa velocemente e alla fine sentiva quasi la pancia
scoppiare. L’avevano rimpinzata con la scusa che fosse
l’ospite. Ma come poteva
rifiutare davanti a tanta gentilezza??
Dopo
la gran mangiata tutta la famiglia si era spostata nel salone, davanti
al
caminetto acceso. I bambini giocavano sul tappeto e i genitori li
guardavano
accoccolati sul divano; il nonno si era addormentato sulla poltrona e
Hilda e
Violet erano sedute al tavolo a sfogliare un album fotografico.
“Che
bella famiglia che hai Hilda. Sono davvero contenta di essere venuta a
cena qui
stasera.”
“Grazie
mille cara. Un giorno vedrai che avrai una famiglia così
bella anche tu.”
“Non
lo so sai. Tutta quest’armonia e tutta questa pace.. io non
so se riuscirei a
mantenerla così come fai tu.”
“Bisogna
stringere un po’ i pugni, ma soprattutto ci vuole
l’amore, piccina.”
“Eh..
l’amore.. Hilda che cos’è
l’amore?”
“L'amore?
L'amore mia cara non lo puoi semplicemente descrivere a parole..
L’amore è un
insieme di tante cose: di parole, di gesti, di stati d’animo
e sensazioni. Ti
prende all’improvviso; la maggior parte delle volte non ti
accorgi nemmeno
subito, ti rendi solo conto che ti senti una persona diversa,
migliore.
L’amore è quando
osservi il tuo compagno e sorridi anche se non sta facendo nulla di
eclatante,
come il mio caro Roger che adesso dorme in poltrona.
L’amore
è quando ti senti
completa con la persona che hai accanto e non puoi fare a meno di
stargli
vicino, anche se sono passati ben 47 anni di matrimonio.. mia figlia mi
prende
in giro dicendo che io e mio marito siamo ancora dei ragazzini,
perché ci
teniamo a braccetto sul divano guardando la tele.
L’amore
è quando con un bacio
il tuo cuore accelera il suo regolare andamento e senti lo sfarfallio
nello
stomaco che assieme al calore e a un senso di pace ti pervade il corpo.
L’amore
è quando sei felice anche se ci sono mille problemi.
L’amore lo senti quando lo
provi gioia, come vedi non è una cosa definita."
“E
tu provi tutte queste cose per tuo marito?”
“Io
sono ancora follemente innamorata di mio marito. Come fosse il primo
giorno di
matrimonio nonostante ora non siamo più l’aitante
coppia di un tempo e le rughe
abbiano solcato indelebili i nostri volti e le delusioni ci abbiano
indurito il
cuore. Sono innamorata di lui perché ha visto in me quello
che tutti gli altri
non vedevano e amo lui perché è quello che
cercavo io. È l’uomo giusto per me.
L’uomo della mia vita.” La domanda di Violet era
ingenua e la risposta di Hilda
era, al contrario, matura e segno di un amore vissuto nel tempo accanto
al
marito che era sette anni più vecchio di lei.
La
signora Callaway vedeva una Violet sempre più pensierosa;
sapeva perché. Violet era
innamorata di Nathan, glielo si leggeva in faccia, ma lei stava ancora
cercando
di capire che cosa la scombussolasse così tanto.
“Mamma
vado a mettere a letto il piccolo Jack. Poi devo riaccompagnare a casa
Violet?”
“Non
ti preoccupare Linda. La porto io adesso.” E con un
sorriso si era
rivolta alla giovane “Andiamo Violet, ti accompagno a
casa.” E così uscirono
dalla quella casa che trasudava amore e gioia persino dal giardinetto,
per il
trattamento che gli era stato riservato, la cura con cui le piante
erano state
fatte crescere e piantate nel terreno.
Dopo
neanche dieci minuti in macchina Violet era davanti al suo palazzo e
dopo i
cordiali saluti alla signora Callaway era salita in casa e si era
buttata sul
letto a riflettere.
***
Era
tutto pronto. Finalmente quella sarebbe stata la loro serata.
Faceva
ancora troppo freddo per cenare all’aperto e anche se aveva
trovato l’idea della
piscina riscaldata molto allettante, non era ancora abbastanza in
confidenza
con Violet per portarla a cena e poi direttamente in costume tutta la
serata.
Si sarebbe sentita troppo in imbarazzo.
Mentre
organizzava la loro cena, Nathan si era ritrovato a pensare che non
aveva mai
avuto così tanti riguardi per una ragazza; l’idea
lo fece sorridere: era
evidente che non era più il ragazzino di una volta e che
Violet non era come le ragazze disinibite della grande
mela; lei
era ancora pura. Non era stata contaminata da tutti i vizi di New York.
E
poi, molto semplicemente, per Nathan non occupava lo stesso spazio
delle altre
nel suo cuore. Era molto più importante.
Ogni
volta che la guardava i suoi occhi si incatenavano a quelle iridi di
ghiaccio e
veniva percorso da un leggero brivido.
Aveva
mandato un messaggio a Violet:
Stasera ore 20:45. Dove
tutto è iniziato. Avremo la nostra
serata. ;)
Violet
lo aveva letto e riletto almeno un centinaio di volte.
Dove
tutto era iniziato..
Il
Tabard Inn.
Lì
era cominciato tutto. Con una scenata che aveva fatto quando
lui le aveva
toccato
la spalla.. mamma mia era diventata così acida? Aveva forse
bisogno di sesso
come dicevano le sue compagne classe?! Nah.. che idea stupida; lei non
era da
sesso senza amore.. ma se l’amore c’era?
Un’idea
era balenata per la mente di Violet. Forse per la prima volta in vita
sua aveva
desiderato fare l’amore con un ragazzo.
Hilda
le aveva descritto cos’era l’amore, o meglio le
sensazioni che da esso nascevano,
e lei ne accusava tutti i sintomi.
Arrossì
solo all’idea di concedersi a Nathan e scacciò
quel piccolo pensiero impuro e
cercò di concentrarsi sui vestiti.
Crisi.
Panico
da primo appuntamento; non sapeva cosa mettere.. e adesso a chi poteva
chiedere?!?
In
agitazione prese il cellulare e compose il numero.
“Non
so cosa mettermi. Aiutami!”
“Bambi!
Potresti metterti
qualsiasi cosa per quanto ne so. Che ne dici di dirmi dove devi
andare?!..
Aspetta non dirmi che è la serata!?”
“Che
serata?” chiese Violet un po’ stranita.
“La
serata, Vi. Hai deciso
di concederti al caro Nate?!”
A
sentire quelle parole Violet era avvampata e quel suo pensiero le era
tornato
in mente. Imbarazzata aveva cercato di deviare il centro del discorso
sul suo
amico. “Ma sei in astinenza per caso? Come ti vengono certe
idee?”
“Si,
forse. In effetti sono
quasi..“
“NO!
Fermo! Non continuare che non lo voglio sapere!”
“Ahahahah!
Non pensavo di
sconvolgere quel tuo tenero animo innocente, dicendoti che è
da una settimana e
quattro giorni che non scopo.”
“Ti
odio!”
“No
Bambi, tu mi adori!
Altrimenti non saresti qui a chiedermi cosa devi metterti. Comunque non
vedo
dove sia il problema se non è la grande serata..”
“È
peggio Rick!! È il primo vero appuntamento!”
“Aaaaaaaah…
Ahahahah! E
allora dove è il problema? Tanto ormai ti ha visto anche
struccata di prima
mattina e non è scappato. Che problemi ti fai?”
“Sto
per attaccare..”
“Nonono..
frena un
secondo.. Come sei suscettibile! Non si può nemmeno
più scherzare..”
“1..”
“D’accordo,
d’accordo! Sono
serio. Dimmi dove ti porta.”
“Da
Hilda, penso. Sai che qui a West Newbury non ci sono molti
posti..”
“Si
si, dalla a bere a chi
vuoi.. diciamo che voleva fare il romanticone e quello è il
vostro posto
speciale.. comunque ora passiamo al tuo armadio. Descrizione
dettagliata,
please…guarda te cosa mi tocca
fare..”
Dopo
una lunga descrizione effettuata con grande perizia di tutto il suo
vestiario,
il suo migliore amico sentenziò:
“Capelli
legati in una coda
alta, matita leggera.. e non dire che non ce l’hai
perché tua mamma ha iniziato
a regalarti trucchi da quando hai dieci anni.. poi, vestito grigio,
collant
neri spessi visto che fa freddo e gli stivaletti che hai segregato
nella
cassa
panca in fondo al letto solo perché hanno i tacchi. Sopra
cappotto nero con
cappellino in tinta… Et voilà, mademoiselle
è pronta per l’appuntamento di
stasera.Ok. Dopo
questa scelta così
accurata potrei essere convocato da Dolce e Gabbana in persona! Cosa
non faccio
per te Bambi?!”
“Ti
adoro!”
“Mi
devi come minimo una
foto per vedere il mio capolavoro finito.”
“Ahahah!
Simpatico. Diciamo che così siamo pari dopo la genialata che
hai combinato.”
“Pff..
così non vale però!
Ti ricordo che se non fosse stato per me, non saresti corsa da lui e
magari non avresti nemmeno un appuntamento stasera.. E
poi devi
ancora dirmi perché avevi quel sorrisino quando sei entrata
in casa..”
“Ciao
Ricky. Devo prepararmi.”
“Ok
ok, ho capito.. prego
comunque..”
“Ahahah!
Grazie mille Rick! Un bacione e fai il bravo!”
“No,
tu stai attenta che
sarai così bella che ti salterà addosso! Altro
che uomo mansueto, gli farai
perdere la testa!”
Pronta.
Aveva
seguito i consigli del suo migliore amico e in più aveva
aggiunto un tocco di
profumo che di certo non poteva guastare.
Una
volta uscita di casa aveva le labbra stirate in un sorriso sottile e
per niente
sguaiato.
Con
andatura lenta e apparentemente tranquilla si avvicinava al Tabard Inn.
Una
luce era ancora accesa nonostante l’orario di chiusura fosse
passato da un
pezzo.
Osservava
dalla vetrata Nathan che andava e tornava dal tavolo al bancone come
per
controllare che fosse tutto in ordine.
Non
indossava i soliti pantaloni e maglioni larghi. Quella sera jeans neri
aderenti
e un maglioncino colore del cielo estivo erano il perfetto involucro
per il suo
corpo.
Il
maglioncino fasciava i bicipiti e spiccava sulla sua pelle scura.
Anche
solo rimanere lì, in piedi, al freddo a guardare Nathan,
sarebbe stata una
bella serata.
Lui
era la sua favola. Stentava ancora a credere che fosse vero.
Soprattutto quando
vedeva quel sorriso.
“Hey
scimmietta! Che ne dici di entrare invece di stare fuori al freddo e al
gelo?”
Nathan aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri e delle sue
fantasie
uscendo dal locale.
“S-si.
Arrivo.” E con un leggero sorriso lo osservava
dall’alto in basso.
“Prego
Mademoiselle.” Gentilmente le aveva tenuto aperta la porta
per farla passare.
“Grazie.”
E passandogli accanto si era sporta alla ricerca di un dolce bacio di
benvenuto, che non tardò ad arrivare.
Violet
era uno spettacolo. Già con quel cappottino e il cappellino,
era bellissima
agli occhi dell’aitante giovane, figuriamoci quando se lo era
lasciato
scivolare lungo le braccia per poi appoggiarlo sullo schienale della
sedia. Mostrando
un bellissimo vestito grigio che l’avvolgeva e ne risaltava
le forme, si
muoveva ingenua, avvicinandosi al bancone. L’andatura dovuta
ai tacchi era
sinuosa e lenta, o forse era dato dalla sua insicurezza per
quegli
stivaletti
che non era solita portare. Era tremendamente sexy e nemmeno se ne
rendeva
conto. In più quel suo profumo dolce con un retrogusto
frizzante la rendeva un
bocconcino davvero prelibato.
“Lavori
anche stasera?” chiese lei raggiungendo Nathan curiosa.
“Si,
purtroppo un bel giovane ha organizzato una cena per la sua bella, qui
stasera, e
io sono costretto a fare gli straordinari.”
“Ma
che crudeltà. Spero per te che almeno la paga sia
buona.” ribettè Violet, stando al gioco.
“Eh..
non poi così tanto.”
“Puoi
trattare su quella.”
“Mmmm..
Si? e dipende da cosa ha da offrirmi.”
“Che
ne dici di questo?” e mettendosi in punta di piedi lo aveva
baciato di nuovo.
Stava facendo la smorfiosetta e le veniva pure naturale…
questo grazie alla
consapevolezza che Nathan la guardava desideroso delle sue labbra. Con
quel
briciolo di sicurezza riusciva a spingersi a quello.
“Mmmm..
questo mi sembra un buon affare, ma che ne dici di questo?
Un
bacio passionale li travolse, lasciando Violet senza fiato. Senza
nemmeno
rendersene conto era seduta sul bancone con le mani intorno al collo di
Nathan
e le gambe che gli abbracciavano i fianchi.
Le
mani di Nathan scivolavano sul tessuto liscio del vestito e si
muovevano lente
lungo i suoi fianchi e la schiena.
Un
rumore molesto interruppe il loro incrocio di sguardi. Lo stomaco di
Violet
brontolava per l’assenza di cibo. Imbarazzatissima era diventata
bordeaux e, quel
rossore improvviso, aveva provocato un sorriso divertito nel ragazzo,
che le
aveva baciato la punta del naso.
“Scimmietta
affamata, adesso vado a preparare.”
“Grazie.”
Aveva sussurrato Violet sciogliendo il loro abbraccio.
Insieme
si erano avviati verso la cucina, quando Nathan l’aveva
fermata. “Dove pensi di
andare scimmietta??”
“A
preparare la cena con te.”
“Nein.
La cena arriva pronta al tavolo per lei, signorina. Non può
sporcarsi in
cucina.”
“Ma
nooo.. io volevo preparare la cena con te.”
“Ma
non se ne parla nemmeno! È come se fossimo al ristorante, ma
ci siamo solo io e
te.”
Solo
io e te..
Quelle
parole rimbombavano nella mente di una silenziosa Violet che si era
diretta al
tavolo apparecchiato senza obiettare ulteriormente.
Erano
solo loro due. Quella consapevolezza che prima era stata la sua forza,
ora era
fonte di insicurezza.
Lei
non era mai stata da sola con un ragazzo. E se lui avesse preteso tanto
da lei?
Qualcosa che lei non era disposta ad offrire? Certo che ammiccare non
aiutava.
E poi prima, in preda ai bollenti spiriti, si era ritrovata avvinghiata
come un
polipo a Nathan. Chissà se lui avesse forzato un
po’ la mano fino a dove si
sarebbe spinta..
Nathan
aveva davvero un effetto destabilizzante nei suoi confronti.
Anche
se aveva dimostrato in diverse occasioni di essere buono con lei,
Violet aveva
quell’istinto, o propensione che dir si voglia, a non fidarsi
degli altri; era
una cosa radicata in lei ormai e difficile da mettere da parte. A
favore di
Nathan giocava il fatto che lei si era resa conto che quel ragazzo le
interessava davvero, ma quando si trovava in situazioni di insicurezza,
come
ora, batteva in ritirata e iniziava a rifugiarsi dietro il suo muro.
Stare
da soli era molto diverso, rispetto a quando erano nel mondo. Stando da
soli, si
lasciavano trasportare dalle emozioni e poteva succedere di tutto e
aveva paura
a lasciarsi andare.
L’aveva
lasciata da sola per un quarto d’ora al massimo, giusto il
tempo di cuocere a
puntino le lasagne. Conoscendo il suo appetito aveva preparato due
porzioni
abbondanti; al massimo Violet avrebbe avanzato quel piatto che aveva
preparato
con dedizione, seguendo passo dopo passo la ricetta che si era fatto
dare da
Hilda.
Quando
era tornato al tavolo, l’aveva vista scura in volto e con lo
sguardo basso. Ma
che diavolo era successo?? Dove era finita quella luce che brillava nei
suoi
occhi??
Cercò
di fare finta di niente e, mettendo i mostra le sue doti di cameriere,
aveva
posato sul tavolo i piatti fumanti.
“Ho
preparato le lasagne, perché un uccellino mi ha detto che
sei stata in Italia
e, visto che gli spaghetti erano troppo banali, mi sono buttato su
questo.”
Lei
in tutta risposta aveva abbozzato un sorriso, che però era
scomparso nel giro
di pochi secondi e poi aveva iniziato a spiluccare dal piatto, quasi
non avesse
fame.
Cordialmente
le aveva chiesto della sua giornata e lei aveva risposto con tono
piatto.
“Scimmietta,
non ti piacciono?” Nathan era un po’ scoraggiato
dalla sua faccia, e non
capiva. Lui si era già spazzolato mezza porzione e lei quasi
niente e non
sembrava molto entusiasta.
“No,
sono buone. Ma non ho molta fame.”
“Ma
come? Prima mi era sembrato di sentire il tuo stomaco tuonare
per la fame.”
“Che
succede scimmietta?”Ci
voleva davvero molta pazienza con
quella
ragazza, ma era convinto che ne valesse la pena.
“È
diverso..”
“…”
“È
diverso stare con te da
sola. Non è come quando siamo in
mezzo alla gente.”
“È
normale che sia diverso. È giusto che sia
così.”
“Non
sono a mio agio..”
“Mmmm..
magari sono i tacchi.. Prova a togliere i trampoli, così con
i piedi ben saldi
a terra non ti sembrerà di stare sulle nuvole..”
Con quella battutina cercava
di smorzare l’atmosfera.
“O
magari sono io il problema..”
Nathan
si spostò con la sedia accanto a lei e strinse le mani fra
le sue.
“Perché
pensi questo?”
“Perché
è così.. non sono quella che pensi..”
“Non
sai nemmeno quello che penso.. non credi che il mio parere conti
qualcosa?”
“Si,
conta..”
“Ecco
allora fidati di me. Tu sei quella che cerco.”
“Ma
non lo sai..”
“Mmmm..
come posso dirtelo.. Io penso che tu sia una ragazza fantastica, anche se hai
un po’
poca fiducia in te stessa, e a volte non credi di essere abbastanza,
come
adesso. Sei testarda, non conosci quella che è la fiducia
nel prossimo e io
voglio insegnartela, voglio provare a farti capire che dando fiducia si
ha
tanto da guadagnare, nonostante ci possano essere comunque dei risvolti
negativi; non sei una donna di mondo e dalle mille esperienze, ma non
importa.
Quello che voglio dirti io è che non cerco altro. Voglio una
ragazza da
convincere delle sue potenzialità, una ragazza che cerchi
sicurezza, che abbia
carattere, che sappia quello che vuole nonostante le sue insicurezze e
che sia
disposta ad accettarmi per quello che sono. E tu per me sei tutto
questo.”
Violet
era senza parole. Davanti a quella confessione non sapeva cosa dire.
Gli occhi
le luccicavano. Si stava sforzando di trattenere le lacrime, che con
forza
cercavano di uscire allo scoperto. Erano lacrime di gioia, ma erano pur
sempre
lacrime, e non era il massimo mostrarle per lei.
“Non
voglio farti piangere, scimmietta. Io voglio farti sorridere. Voglio
vedere il
tuo bellissimo sorriso ogni giorno.”
A
quelle parole, un sorriso a mille denti le si parò sul viso,
e Nathan godeva di
quello spettacolo.
“Ho
deciso il tuo soprannome.”
“Mmmm..
non sarà bello quanto il mio però..”
“Tsk..
come fai a dirlo se non l’hai ancora sentito??”
“Hai
ragione. Vai, spara.”
“Orso.”
“Orso?”
“Si,
orso. Perché mi fai provare tutte le sensazioni possibili
con un solo sguardo.
Paura, ma anche protezione. Dolcezza. Tenerezza. E voglia di coccole
immensa.”
“Ma
potrai mai provare amore per un orso?”
“Solo
se si chiama Nathan.. Nathan come??”
“Campbell.”
“Ok, rewind.. Solo
se si chiama Nathan Campbell.”
Nathan
non ce la fece a trattenersi e la baciò.
All’inizio lei era titubante, ma poi gli
concesse spazio e le loro lingue si intrecciarono di nuovo, con
passione,
necessità di sentirsi vicini e di fidarsi l’uno
dell’altro.
“Ora
che ne dici di finire le lasagne? Mi sono impegnato tanto per
farle!”
“Le
hai fatte tu??”
“Si,
è tutto il giorno che lavoro per questa cenetta.”
“Ah
si?? e cosa mi aspetta dopo?”
“Bistecca
alla Nathan, e dolce a sorpresa.”
“Le
famose bistecche alla Nathan. Non vedo l’ora di
assaggiarle.”
“Ci
credo, sono le più buone del mondo!”
“Mr.
Modestia, lascia il giudizio alla critica culinaria..”
“D’accordo,
d'accordo.”
“Allora,
uomo vorace, aiutami a finire le lasagne che così passiamo
al secondo.”
Dopo
ancora un paio di chiacchiere e qualche boccone anche il piatto di
Violet si
era svuotato e dopo aver insegnato a Nate la famosa scarpetta, la
moretta
attendeva il ritorno del ragazzo con il secondo.
La
ricetta segreta.
Quella
carne era davvero squisita. Curiosa aveva chiesto al ragazzo di
svelarle la
ricetta, ma lui le aveva risposto che solo i Campbell la sapevano,
che era
una tradizione di famiglia e che rimaneva tale; forse un giorno Violet
avrebbe
avuto l’occasione per conoscerla, ma non ora.
Era
davvero gustosa e anche il sughetto, che lasciava in balia del pane che
lo
assorbiva, era buonissimo. Quel ragazzo aveva del talento, se gli si
dava
un’oliva e della misera passata di pomodoro era capace di
realizzare il miglior
sugo per la pasta alla puttanesca mai esistito.
La
cena scorreva tra chiacchiere e battutine ed era arrivato il momento
del dolce.
“Et
voilà! Crostata allo yoghurt e mirtilli. Il tutto preparato
con amore per una
maniaca di quel frutto di bosco, col quale condivide il nome del
colore.”
“Ehi!
Io non sono una maniaca di mirtilli!”
Per
tutta risposta Nathan aveva alzato un sopracciglio e la guardava
alquanto
scettico.
“Pff..
Ok, forse un pochino.”
Nathan
rimaneva impassibile enon
accennava a
cambiare espressione.
“E
va bene, lo ammetto. Sono una drogata di mirtilli.. che male
c’è?”
“E
chi ha detto che sia un male?? Io no.”
“Eheh..
mi era sembrato..”
“Tsk..
col tempo tutta questa diffidenza ti passerà scimmietta; ti
aiuterò io.”
Violet
scuotendo la testa, si era rassegnata alla testardaggine di Nathan; lui
era
davvero convinto, nonostante lei avesse ancora qualche dubbio, e la sua
determinazione la attraeva. Era come un richiamo al quale non poteva
sfuggire.
Quando
era vicino a Nate, smetteva di ragionare col senno di poi e si faceva
trasportare dalle emozioni e viveva il momento.
Finita
la cena e richiuso il locale, Nathan aveva riaccompagnato a casa
Violet.
Camminavano mano nella mano e ad un certo punto, dal nulla lei gli
propose di
fermarsi a guardare un film da lei, visto che era ancora presto.
Aveva
tanti DVD nell’armadio, li adorava tutti e per questo
lasciò la scelta a
Nathan. Ce n’erano di tutti i generi: da Gran Torino ad Alvin
Super Star, dalla
Bella e la Bestia alla Ricerca della Felicità.
“Sicura
di lasciare a me la scelta?? Almeno dammi un indizio..”
“No.
Io adoro ogni singolo film che c’è in
quest’armadio, per cui a te l’oneroso
compito di scegliere cosa guardare. Io preparo i pop-corn
intanto.” Aveva detto
allontanandosi dall’armadio alla volta della cucina,
lasciando il povero Nathan
in balia di quella mera scelta.
“D’accordo.
Allora io mi butterei su Ricatto d’amore. Adoro la
nonnina e
i suoi inni alla
natura.”
“E
non dimenticarti di Ramon, lui si che è davvero
sexy!”
“Oh
si.. talmente sexy che hai rischiato che chiedessi a lui di uscire
stasera
invece che a te.” Sogghignava nascosto tra le ante aperte
dell’armadio.
“Mmm..
in quel caso non mi sarebbe stato più molto
simpatico.”
“Ahahahaha!
Gelosona.”
“Si,
molto. Comunque hai scelto il mio film preferito, lo sai?”
“Bè,
oggettivamente è un bel film. Mescola un pizzico di ironia,
al romanticismo e
poi in questa serata ci sta.. Sono io che ricatto te e ti corrompo con
i
mirtilli..”
“Ahahahah!
Orso, quanti pop-corn hai intenzione di mangiare??”
“Mi
accontento di una misera porzione.”
“Ahahah,
sicuro?”
“No.
Ahahah!”
“Scemo,
dillo subito.”
“Ho
un nuovo soprannome! Ahahah! Però preferivo
orso..” Replicò Nathan fingendosi offeso.
“Ne
hai più di uno..”
“Ah
si?” Aveva chiesto mentre trafficava col lettore DVD.
“Certo:
ora sei a quota due. Orso, e prima che Megan lo usasse a sproposito tu
eri già
il mio Cioccolatino. Poi va bè, c’è
scemo per le occasioni in cui dimostri di esserlo.”
“E
poi sono io il tipo diretto e impertinente.. Ma, scusa una
cosa..” Disse
avvicinandosi a lei. “Da quando sono il tuo
Cioccolatino?” ora tra le sue forti
braccia non aveva via di scampo.
“Da
quando.. non me lo ricordo..” Aveva farfugliato, perdendosi
nell’ebano dei suoi
occhi e arrossendo visibilmente.
“Bugia.”
“N-non
è vero.”
“Altra
bugia.”
“Pff…
e va bene da quando ho sognato di chiamarti così..
contento?”
“Si.
Sono felice di fare parte dei tuoi sogni.. Sai, anche tu fai parte dei
miei.”
Se
avesse potuto, Violet sarebbe diventata ancora più rossa a
sentire quelle
parole.
“Dipende
da che tipo di sogni fai con me..” “No, non
dirmelo.
Non lo voglio sapere.”
“Sicura?
Non vuoi sapere che nei miei sogni faccio così..”
e si era chinato sulle sue morbide
labbra per poi staccarsi dolcemente. “O
così..” e le aveva soffiato in un
orecchio e le aveva depositato un caldo bacio sul collo. “O
così..” e con il
minimo sforzo l’aveva sollevata e seduta sul bancone della
cucina, si era poi
avvicinato alle sue di labbra e aveva aspettato che fosse lei ad
unirle.
“Ancora
sicura di non volerlo sapere?!”
Tutto
quello che era uscito dalla sua bocca era un mugolio e
nient’altro.
“Ahaha!
Dai faccio io con i pop-corn, altrimenti ti sporchi il
vestito.”
“No.
Neanche per sogno. Prima hai voluto fare tutto tu?
Adesso tocca a me.”
“Ahahahah!
Sei proprio cocciuta, scimmietta.”
“Ahahah!
Si! Fai come se fossi a casa tua, mentre io mi metto più
comoda.”
“Agli
ordini capo! Allora gioco un po’ con Leo mentre ti
aspetto.”
Violet
era entrata in bagno
con il cambio
e davanti al lavandino fissava lo
specchio e
osservando la matita leggermente colata, si dava del mostro.
Velocemente
l’aveva tolta e aveva indossato i pantaloni della tuta e una
maglietta a maniche
corte. Semplice, niente di elaborato e soprattutto comodo.
Era
bellissima anche in tuta, struccata e con i capelli slegati che le
ricadevano
morbidi sulla schiena. La magliettina azzurra le lasciava scoperta un
filo di
pancia, nivea, così differente dalla sua. Ciotola gigante di
pop-corn alla
mano, si era avvicinata sotto il suo sguardo vigile e poi si era seduta
comodamente sul divano, accanto a lui. Il gatto le era saltato in
grembo
come se
fosse la cosa più naturale del mondo.
“Pulcione,
allora? Hai mangiato la pappa?” gli chiedeva mentre lo
strapocchiava di coccole
e lui faceva le fusa.
Nate osservava la scena un pochino geloso,
pensava di
avere le sue attenzioni, ma in quel momento lei era distratta dal gatto.
Sembrava
gli avesse letto nel pensiero.
In
pochi secondi aveva fatto scendere il gatto di dosso e lo aveva spinto
verso la
poltrona e gli aveva sussurrato di non essere geloso, se doveva
condividere le
sue attenzioni con lui.
Accompagnato
da un miagolio leggermente scocciato, il micione si era diretto alla
sua cuccia
e vi si era acciambellato in direzione della televisione osservando il
paesaggio della scena iniziale che scorreva.
Dopo
alcune scene si ritrovarono accucciolati sul divano. Era
così
esile tra le sue
braccia; ascoltava il suo respiro, lento, regolare e socchiudendo gli
occhi,
sicuro di non essere visto, si inebriava del suo profumo.
Non
era mai stato così convinto per quello che provava. In
quell’istante il suo
battito era accelerato e Violet appoggiata a lui, si era voltata a
guardarlo;
aveva sicuramente notato la differenza.
“A
che pensi?” oh si, che aveva sentito la differenza. Non
c’era ragione di
nascondergli i suoi pensieri. Non si era vergognato di dirglielo due
settimane
prima, che senso aveva farlo ora?
“Sto
pensando che tu mi piaci davvero.”
Violet
si era voltata completamente verso di lui. Voleva dirgli le stesse
parole, ma
aveva paura a pronunciarle. “Anche tu, orso.” Si
era limitata a quella misera
frase, sentita certo, ma molto timorosa. In cuor suo, Nathan sapeva che
era la
verità, ma sentiva la difficoltà che provava
ancora Violet ad ammettere i suoi
sentimenti. Era un grande passo avanti per la sua scimmietta, lo
sapeva,
ed era
deciso ad accontentarsi, ma niente lo tratteneva dal baciarla per
quella mezza
confessione. E addio film.
Prima
leggeri, a fior di labbra, e poi sempre più decisi e
più passionali; lei ora
sedeva in braccio a lui e con le dita giocava con i suoi capelli, che
crescendo
accennavano piccoli riccioli. Le loro lingue si incontravano; ogni
bacio che si
scambiavano era come se fosse il primo. La lenta danza aumentava il
ritmo fino
a che non ebbero bisogno di respirare. Ripresero questa volta da dove
avevano
abbandonato, niente più avvicinamento lento, o fase di
esplorazione, c’era ora
solo passione.
Quella
sensazione risvegliò qualcosa in Nathan, eccome se aveva
risvegliato qualcosa.
Nel tentativo di nascondere quella sua esigenza per non forzarla, o
spaventarla, aveva cambiato posizione: l’aveva accompagnata
dolcemente a
stendersi a pancia in su sul divano. Posizionandosi sopra di lei,
sostenendosi
con un gomito e con le ginocchia, mentre cercava di tenere abbastanza
lontani
i loro
bacini.
Violet
non demordeva, non si staccava da quei baci peccaminosi, anche se
iniziava a
sentire una stretta al ventre che la disturbava. Era una sensazione
strana,
sapeva cos’era, ne avevano parlato le sue compagne e poi lei
lo aveva letto un
milione di volte nei suoi adorati romanzi d’amore. Era
eccitazione.
Sdraiandosi,
aveva sentito la mano di Nathan sulla sua schiena che
l’aiutava nella discesa
non rendendola avventata. Con la stessa mano Nathan aveva a preso a
giocare con
quel poco di pelle che fuoriusciva dalla maglietta, tracciando lingue
di calore
sulla sua pancia che sentiva ribollire a quel contatto.
La
mano di Nathan si era ora intrufolata, sotto la sua maglietta.
Piano
piano saliva lungo il fianco, e la stretta al ventre di Violet
aumentava. Non
si era mai spinta così "oltre" con un ragazzo.
Quella
scalata era terminata all’altezza del reggiseno, e ora
però si prolungava in un
estenuante percorso che tracciava il contorno del seno di Violet,
seguendo il
contorno rigido del ferretto. Nathan sentiva la sua passione premere
contro i
pantaloni e, a quel contatto Violet aveva inarcato la schiena
avvicinando pericolosamente
al bacino di Nathan. Lui di riflesso aveva cercato di allontanarsi da
lei, ma
la sua scimmietta gli aveva improvvisamente stretto con forza le gambe
intorno
alla vita facendo cozzare i loro bacini.
Violet
ebbe un sussulto, non si aspettava quell’incontro, con quella
presenza abbastanza
ingombrante. Nathan mugolò al contatto. Violet
allentò la presa e riappoggiò il
bacino al divano e dividendo anche le loro bocche, lo aveva fissato
sgranando
gli occhi.
Paura
mista a eccitazione. Questo si leggeva in quelle pupille più dilatate
rispetto al
solito.
Non
dissero nulla. Nessuno dei due.
Violet
rifletteva a tempo di record. Due pensieri costanti, lottavano per
avere la
supremazia. L’aveva sentito. L’aveva sentito contro
il suo bacino e aveva quasi
urgenza di tornare a quel contatto. Però era spaventata da
quello che poteva venire
dopo. Non sapeva come fare.
Nathan
si stava allontanando da lei, richiedendo alla sua buona
volontà uno sforzo
incredibile. Era quasi seduto.
Lei
ribaltò le posizioni. Inaspettatamente.
Si ritrovò
sdraiato con lei sopra che lo guardava con occhi liquidi. Si stava
togliendo la
maglietta. Mettendo così in bella vista la sua carnagione
chiara.
Tremando
leggermente aveva preso i bordi del suo maglioncino e lo aveva
sollevato.
Nathan
posando le mani sulle sue le sussurrò scrutando il suo
sguardo. “Sei sicura?”
Non
rispose. Riprese le redini della situazione e continuò
l’azione da lui
interrotta. Nathan l’aveva aiutata sollevando le braccia e
una volta che anche
il suo maglioncino finì a terra, Violet aveva iniziato a
percorrere con le dita
le sue braccia. Osservando la massiccia muscolatura e ogni singolo
segno, ogni
singolo tatuaggio, era risalita al viso e prendendolo tra le mani aveva
ripreso
a baciarlo.
Le
mani
di Nathan scorrevano lente tracciando percorsi invisibili sulla sua
pelle nuda.
Le sue dita che percorrevano ora la spina dorsale resero quella
sensazione
ancora più pungente, quasi fastidiosa, bisognosa di
sollievo. Istintivamente Violet
si mosse sopra il bacino di un Nathan che si stava trattenendo al
massimo. L’attesa
era frustrante e rasentava il limite.
La sollevò
e tenendola stretta la portò sul letto.
Non
aveva però il coraggio di slacciarsi i jeans. Se li avesse
tolti
sarebbe stata la
fine, non si sarebbe più fermato e non sapeva nemmeno fino a
dove poteva spingersi
con lei, quella sera.
Una
cosa era certa. Non era il momento giusto. Lei aveva ancora paura,
nonostante i
notevoli progressi. Non poteva andare a fondo, ma almeno un
po’ di piacere
poteva darglielo e lui avrebbe goduto del piacere di lei, almeno per
quella
notte.
Sempre
con attenzione e delicatezza infilò le dita sotto
all’elastico dei pantaloni della
tuta e glieli tolse senza titubare.
Violet
si irrigidì visibilmente, ma per sviarlo, cercò
di raggiungere il
bottone dei jeans.
“No,
non adesso..” Un bacio. “Non, ancora. Non
è il momento.”
Il
bacio
che sopraggiunse era un ringraziamento velato da parte della ragazza,
che
leggermente sollevata si era distesa sul letto.
Nathan
sopra di lei, baciandole il collo, le aveva sussurrato “Non
avere paura. Lascia
fare a me.” Con delicatezza raggiunse le sue mutandine e,
cauto andò oltre. Si avvicinò alla sua
femminilità; era umida. Ci giocò
un po’ prima di affondare in
lei il primo dito. Gemeva grazie ai suoi movimenti che alternavano
d’intensità. Violet non si stava tirando indietro
e stava prendendo tutto il piacere che
lui in
quel momento poteva darle.
A
quell’intimo
contatto aggiunse un secondo dito e i gemiti di Violet si fecero
più acuti e
ravvicinati e prese a baciarla per attutire la sua voce. Nathan
continuò finché
lei non raggiunse il culmine e poi con delicatezza interruppe quel
contatto, ma
senza interrompere i baci.
Nathan
si era trattenuto con grande, immenso sforzo, ma ora non ce la faceva
più;
cercò di alzarsi, ma Violet non sembrava intenzionata a
lasciarlo andare.
“Ti
prego scimmietta. Abbi pietà di me. Ho bisogno un attimo del
bagno.”
Imbarazzata
aveva sciolto l’abbraccio e osservava le sue spalle larghe
che scomparivano
dietro la porta del bagno.
Si
era lasciata andare e le era piaciuto. Sapientemente Nathan non aveva
preteso
tutto da lei, solo un po’ di fiducia e le aveva dimostrato
che fidandosi si
poteva stare bene.
Era
stata bene. Stava bene.
Si
rimise
i pantaloni della tuta e andò a spegnere la tele sulla quale
scorrevano ormai i
titoli di coda.
“Cavoli,
ci siamo persi la nonnina e il suo balletto!” sbucava
così un Nathan sorridente
dal bagno.
“Già.
Sarà per la prossima volta ormai.”
“Certo.
Tanto il film l’ho già visto e, lo spettacolo che
ho davanti a me è molto più
bello.” Disse scostandole i capelli dal viso per prenderlo
tra le mani.
“Anche
i tuoi addominali non sono niente male.” Sentenziò
Violet tracciando i contorni
di quest’ultimi.
“Ahahah!
Scimmietta mia, mi farai impazzire.” Con una
linguaccia si era dileguata alla volta del bagno.
“Ma
che ora si è fatta?”
“Sono
quasi le due.”
“Ma
è tardissimo! Meglio che vada a casa. Domani devo
lavorare.”
“No..
Dai resta.”
“Credevo
non me lo chiedessi.”
Un
bacio
veloce e poi Nathan, la prese di peso e la lanciò sul
morbido materasso che prima
li aveva accolti come nido; dopo neanche due secondi lui era al suo
fianco ed
erano abbracciati “pronti” per dormire. Lui nei sui
jeans che ora erano molto
meno stretti di prima e lei in tuta.
Quelli
erano solo dettagli; l’importante era stare vicini.
Le
sembrava che svegliarsi tra le braccia di qualcuno fosse diventata
un’abitudine:
prima con Ricky, ora con lui. Nate.
Dopo
quella bellissima serata che era iniziata con il loro appuntamento
romantico.
Come aveva detto il suo migliore amico, nel loro posto speciale.
Era
tutto perfetto e squisito, ma la parte migliore della serata era
arrivata dopo.
Era
iniziato tutto con l’accelerare del suo battito, che Violet
ascoltava ormai da
diverso tempo, facendosi cullare dal suo andamento calmo e regolare.
Quel ritmo
la rilassava, e lei appoggiata al suo petto caldo si sentiva protetta,
nonostante tutti i dubbi che le attanagliavano la mente.
Lo
aveva invitato a rimanere perché voleva passare ancora del
tempo con lui. Non
le bastavano quelle ore passate uno di fronte all’altro; non
le bastavano quei
baci che li avevano uniti. Sebbene tutto quello le provocava dei dubbi,
delle
incertezze, sentiva una sensazione piacevole alla bocca dello stomaco.
Erano
quelle le famose
farfalle??
Se
erano davvero loro, erano sintomo d’amore. Ma lei era pronta
per quello? Era
pronta ad amare e lasciarsi andare completamente con Nate?
Mah..
non ne era certa. Era tutto nuovo per lei. Sarebbe stata una sorpresa.
Una
sorpresa.. e come al solito doveva combattere la sua paranoia. Questa
volta,
sebbene non sapesse a cosa stava andando incontro, era convinta.
Questa
volta valeva la pena fidarsi.
Quel
battito accelerato e le sue parole “Penso
che tu mi piaci davvero” ne erano la riprova.
Un
bacio tirava l’altro e poi erano arrivati sul letto, dopo un
attimo di coraggio
da parte di Violet, dettato dall’assurda voglia di
approfondire il rapporto tra
di loro.
Sapeva
che quello avrebbe significato passare al rapporto fisico e voleva
buttarsi
anche se aveva paura.
Paura
di non essere all’altezza delle esperienze del ragazzo. Ma
Nathan rispondeva ad
ogni loro contatto e quello poteva voler dire solo una cosa: anche lui
sentiva
quella voglia che provava lei.
Conosceva
quella sensazione e la sapeva gestire meglio, e le aveva dimostrato di
non
avere fretta: era disposto ad aspettare che fosse pronta; forse era
più consapevole
lui delle sue paure che lei.
Le
aveva dato piacere senza pretendere troppo, le aveva dimostrato che
l’importante era lei. La sua necessità poteva
aspettare ancora un po’.
Si
era sfogato da solo, in bagno.
Non
era giusto, voleva che anche lui potesse godere di quelle sensazioni
che
l’avevano percorsa insieme a scosse e brividi.
Voleva
che lui ne godesse per mano sua, ma lei era inesperta in quel campo.
Nathan lo
sapeva e per lui non era un problema: avrebbero percorso quei passi
insieme.
Era
giunta alla conclusione che tutti quei mille pensieri non
l’avrebbero portata
da nessuna parte. Poteva solo vivere il momento, con
l’incognita sempre presente,
perché l’amore non è
un’equazione con una soluzione certa. Era un lento
percorso che andava fatto in due, e quindi pensare ancora non sarebbe
servito a
niente se non a produrle altre preoccupazioni. Si ritrovò
così a sbuffare
sonoramente.
“Ti
arrovelli il cervello già di prima mattina?”
Ancora con la voce rocae
impastata dal sonno Nathan aveva esposto la
sua impressione che, tra l’altro, non andava tanto lontano
dalla realtà.
“Già.
È un’abitudine e poi, tu stimoli i miei
pensieri.”
“A
Ah! E così sono il soggetto dei tuoi pensieri…
Mmm.. e posso sapere che
pensavi?”
“No.
Alcuni pensieri sono personali; non si possono condividere, specie col
diretto
interessato.”
“Si,
ma tu sei perfida, perché scagli la pietra e poi nascondi la
mano! Non vale!”
“Si
forse hai ragione.”
“Va
bè, mi basta sapere che erano solo bei pensieri.. non
è così?”
“Si
si è così. Solo che vorrei tenerli ancora per me,
per ora.”
“D’accordo.”
Nathan iniziò a passare una mano lenta sulla pancia di
Violet, dopo averla
avvicinata a se. Lei voltandosi aveva strofinato il naso contro il suo
e lui
aveva colto l’attimo e stava per baciarla.
Di
colpo lei si ritrasse. “No dai.. non posso baciarti appena
sveglia.. non sono
nelle condizioni adatte..”
“Ti
stai davvero preoccupando per l’alito?”
“Ehm..
si, dai non posso baciarti senza nemmeno lavarmi i denti..”
“Ahahahah!
Non sono così fiscale. E poi anche io sono nelle tue stesse
condizioni.. se non
peggiori..” rispose Nate, coprendosi la bocca con una mano.
“Ahahahaha!
Il mio orso con l’alitosi. Ahaha!” quel gesto
l’aveva fatta ridere e non era
riuscita a trattenersi.
“Molto
divertente scimmietta pulciona.”aumentando la presa, Nathan
aveva accorciato le
distanze ed era riuscito a rubarle un bacio nonostante lei fosse
contraria.
“Non
vale così! Sei sleale, tu usi la forza bruta!”
“Ammettilo
che ha un certo fascino però” ammiccava Nate.
“Ok,
lo ammetto, forse un poco. Però non vale lo stesso; io non
mi posso ribellare.”
“Ma
è proprio questo il bello!”
Quella
frase risuonava contorta e morbosa alle orecchie di Violet.
Avete
presente quella sensazione di dire le parole sbagliate al momento
sbagliato?
Ecco, Nathan la provava proprio ora.
Con
quella frase, che nella sua testa si limitava a quell’attimo,
aveva spaventato
Violet; lo capiva dalla sua espressione in quel momento, ma lui non
intendeva
spaventarla, come non intendeva nemmeno usare la forza contro di lei.
Non lo
avrebbe mai fatto e doveva metterlo in chiaro.
“Scimmietta,
non fraintendere le mie parole.”
“No..”
“Lo
hai già fatto, vero?”
“Si..”
“Con
quella frase non volevo dire che userò la forza con te, per
farti fare quello
che non vuoi. È vero che adesso ho forzato un po’
la mano, ma se tu avessi
opposto resistenza davvero, io avrei rispettato la tua decisione e non
ti avrei
baciato. Io non voglio forzarti, non lo farei mai.”
Violet
sapeva che lui non intendeva usare la violenza con lei, non lo stesso
ragazzo
che la sera prima era stato così delicato con lei; solo che
quelle parole
l’avevano spaventata.
“Non
ti preoccupare. Sono io; purtroppo vado sempre oltre le semplici parole
e mi
faccio troppi film.”
“NO.
Voglio che sia chiaro che io NON voglio
e mai ricorrerò alla violenza con te. Non
potrei più guardarmi allo specchio.”
“Lo
so, Nate. Non ti preoccupare.” Gli aveva accarezzato il viso
con il dorso della
mano, come per tranquillizzarlo.
Il
concetto era chiaro, ma Nathan era ancora teso; non era convinto che
Violet
avesse digerito la cosa.
“Allora
che facciamo stamattina?” Violet aveva cambiato velocemente
argomento.
“Tu
andrai a scuola e io al lavoro.”
“Nooooo…
Non ho voglia…” Violet che non aveva voglia di
andare a scuola? Ma che le era
preso?
“No
no mia cara, non voglio che tu perda di vista gli obbiettivi importanti
per
stare con me!” Nathan su questo punto era irremovibile.
“Ma
non li sto perdendo di vista..”
“Niente
storie scimmietta, dovessi accompagnarti a prendere l’autobus
per essere
sicuro. La scuola è il tuo lavoro adesso; quando ci saranno
le vacanze
passeremo tutte le mattine insieme, promesso; ma adesso alza il tuo bel
sederino dal letto e preparati per andare a scuola.”
“Pff..
Da quando sei così noioso e petulante?”
“Da
quando ci tengo a te, testona. Violet io mi sto innamorando di te per
come sei,
per le abitudini che hai, e non voglio che stare con me ti cambi
troppo.”
“Grazie
Nate. Era un po’ che nessuno si prendeva cura di
me.” Sedendosi sul letto si
era sporta su di lui e gli aveva dato un dolce bacio a fior di labbra e
poi si
era diretta al bagno.
L’aveva
lasciata alla fermata e poi si era diretto al lavoro. Era in ritardo,
ma aveva
avvisato Hilda stando sul vago.
“E
così Violet ti ha fatto fare tardi??”
“È
così evidente?”
“No,
ma me lo hai appena confermato.”
“Mi
hai fregato.”
“Sarò
pure vecchia, ma ho ancora qualche asso nella manica.”
“Fear
Enough.”
“Sai
la mia filosofia, ma.. dimmi un po’: come è andata
ieri sera? Erano buone le
lasagne?”
“Si
erano davvero buone! Le ho mangiate quasi tutte io.”
“Bene
bene. Dai, ora torna al lavoro; per questa volta sei
giustificato.” La signora
Callaway non aveva indagato oltre; era evidente che la serata era
andata bene e
anche il dopo.
“Agli
ordini Boss!” disse Nathan dirigendosi verso il retro per
armarsi di grembiule,
blocchetto e penna per partire alla carica anche quel giorno.
Bambolina
non pensare di tornare indietro e saltare la scuola.
Entra, fatti una cultura e poi al rientro ci sarò io ad
aspettarti =)
E
va bene, Orso. Farò la brava bambina. Ci vediamo dopo il
lavoro. A dopo, un bacio.
I
giorni insieme passavano
veloci. Era passato quasi un mese dal loro primo vero appuntamento.
Trascorrevano il tempo che potevano insieme: al Café o a
casa di Violet.
Lei studiava, sotto lo sguardo
vigile di Nathan che si perdeva anche solo a guardarla sfogliare le
pagine dei
libri di scuola. La osservava mentre era assorta tra le citazioni dei
grandi
classici, le diverse funzioni matematiche e le immagini delle diverse
opere
d’arte sparse per il mondo.
Lo affascinava tutto di quella
piccola moretta che in poco tempo era diventata il suo primo pensiero
del
mattino e l’ultimo della sera. Magari era fuori di testa, ma
ormai non riusciva
a immaginare una vita senza di lei.
Hilda aveva ragione: era
innamorato perso, senza speranza. Le sue parole erano state
esattamente: “Arrivasse anche
l’apocalisse tu non te ne
accorgeresti, perché saresti occupato a seguire i suoi
movimenti, che ti
appaiono più sconvolgenti della fine del mondo.”
Oltre ai momenti di cultura e
di divertimento, condividevano anche momenti più intimi;
momenti nei quali
Violet iniziava a prendere confidenza col corpo di Nathan.
***
Era
un giorno come un altro.
Violet era a scuola; Nathan al
lavoro.
Il ragazzo aveva preso da un
po’ l’abitudine di tenere il cellulare acceso per
tenersi in contatto con la
sua scimmietta.
Era nel magazzino quando iniziò
a squillare: numero sconosciuto.
Lo lasciò squillare finché la
melodia registrata non si interruppe; dopo poco sempre quello stesso
numero riprese
ad animare il cellulare. Doveva essere urgente se lo richiamava con
così
repentina insistenza e così si prese una piccola pausa per
rispondere.
Una voce tremante lo aveva
chiamato per nome e gli aveva chiesto aiuto.
Panico.
Non poteva rimanere lì mentre
quella voce spaventata implorava aiuto.
“Hilda
mi serve la macchina. Se
non fosse davvero importante non te lo chiederei. È davvero
urgente. Ora non
posso dirti di più; ti chiedo solo di fidarti di
me.” Nathan aveva il fiato
corto e la signora Callaway lo fissava attonita. Dopo un secondo in
quello
sguardo nero spaurito, gli aveva posto le chiavi in mano e le aveva
strette.
“Fai attenzione, caro.”
“Si,
e mi servirà qualche
giorno libero.”
“L’immaginavo.
Non
preoccuparti, me la cavo. Stai solo attento Nathan.”
Senza
altre parole Nathan era
uscito dal locale e, acceso di fretta il motore, si era messo in
viaggio.
Preparati Orso che sto
arrivando! Ma se ti bacio in pubblico
faranno ancora storie? :P
Era
passata almeno un’ora e Nathan
non ho ancora risposto.
Doveva preoccuparsi? Nah… Il
suo Nate era al lavoro e probabilmente era una giornata piena.
Finito
il turno, Violet si era
diretta al Tabard Inn col sorriso sulle labbra; era ansiosa di vedere
il suo
Nathan.
“Buongiorno!”
Aveva salutato
tutti al locale, come se fosse stato il primo vero saluto al mondo,
alla vita.
Accanto a Nathan stava rinascendo.
“Buongiorno
cara.” le aveva
risposto Hilda, tutt'altro che sorridente.
“Tutto
bene Hilda?” Violet
aveva assunto uno sguardo preoccupato.
“Nathan
è partito..”
“È
partito!? E per dove!?” E
non le aveva detto niente?! Perché?!
“Non
lo so, cara.”
“Come
non lo sai?” Violet era
incredula; doveva essere uno scherzo, non poteva essere altrimenti.
“Non
lo so, cara.”
“Mi
stai prendendo in giro?”
“No
Violet, non è uno scherzo.
Prima Nathan mi ha chiesto le chiavi della macchina ed è
uscito chiedendo di
fidarsi di lui.”
Una
lacrima solcò il volto di Violet;
era una lacrima nervosa, dovuta alla mancanza di un reale motivo per la
sua
assenza.
Asciugò in fretta quell’infame
che lasciava trasparire i suoi sentimenti.
“Grazie
Hilda, adesso provo
chiamarlo.”
“Stai
tranquilla cara, tornerà”
le aveva detto passandole una mano sul braccio per rassicurarla
“Sì,
hai ragione.”
Il
telefono di Nathan squillava
a vuoto. Lo aveva lasciato in magazzino; la signora Callaway
l’aveva trovato e
l‘aveva dato a Violet, che sconsolata, osservava sul piccolo
schermo la
scritta: 6 chiamate perse.
Lui era uscito talmente di
corsa che aveva dimenticato il cellulare al lavoro. Che cosa poteva
essere
successo di tanto grave da farlo andare via così?
Nate
era in viaggio ormai da diverse
ore. Stava guidando veloce, spingendo al limite la povera berlina. Per
calmarsi
aveva acceso la radio, che stava trasmettendo la hit di gruppo in voga:
The
Script.
La canzone in riproduzione si
intitolava “Love is this”
e solo a
quel punto, ascoltandola, aveva pensato a Violet.
Non le aveva detto niente. Era
partito senza nemmeno avvisarla; doveva assolutamente rimediare.
L'avrebbe
chiamata subito.
Ehm.. Piccolo problema: aveva
lasciato il cellulare al lavoro.. Dannazione! Così non
avrebbe potuto sentirla.
Chissà cosa avrebbe pensato
quella testolina matta..
Violet
si stava arrovellando il
cervello pensando dove potesse essere andato adesso il suo Nathan.
Presa da un attimo di sconforto
estremo misto a gelosia, aveva sbirciato nel suo cellulare; tra i
messaggi e
poi tra le chiamate, alla ricerca di una traccia che giustificasse la
sua
partenza. Trovò così una chiamata persa e una
ricevuta da un numero
sconosciuto; non era salvato tra i contatti della rubrica, che tra
l'altro, era
proprio poco interessante, visto che conteneva al massimo una decina di
numeri:
il suo, due di Hilda e il resto di gente del paese per i suoi
lavoretti. La
gelosia di Violet era quindi infondata, tuttavia non le quadrava ancora
niente.
Richiamò quel numero che, senza
nemmeno squillare, le lasciava il solito messaggio registrato: il numero da lei chiamato non è al
momento
raggiungibile.
Sconsolata per la mancanza di
quei pozzi neri e della sua pelle profumata, era andata a letto insieme
alla
sua perenne fonte di felicità e conforto: il suo caro
leoncino era sempre al
suo fianco.
Erano
passati sei giorni dalla
sua partenza e Nathan stava rivivendo tutti brutti momenti del suo
passato;
stava lasciando New York senza aver raggiunto nessuna conclusione.
Quella chiamata che lo aveva
fatto partire di corsa era da parte della sorellina Jackie che,
spaventata per
quello che stava succedendo a casa, lo aveva chiamato.
Ormai
a casa, Nate era andato
alla ricerca di un avvocato da potersi permettere viste le sue modeste
finanze;
stava rinunciando ai suoi progetti per amore della sorellina, ma ne era
felice.
Grazie a Hilda era riuscito a entrare
in contatto con un avvocato con una parcella onesta e che aveva preso a
cuore
il suo caso. Gli aveva promesso vittoria, ma doveva essere disposto ad
accusare
sua madre come non idonea all'affidamento dei minori.
Nathan era certo che quella
dichiarazione l'avrebbe ferita, ma doveva farlo per il bene di Jackie.
Una
settimana e un giorno.
Erano passati esattamente una
settimana e un giorno dall'ultima volta che aveva visto Nate. Le
mancava
davvero tanto: le mancavano i suoi abbracci dolci, le sue intime
carezze e i
loro baci traboccanti di passione.
Era preoccupata, non aveva sue notizie
e non sapeva nemmeno quando sarebbe tornato.
Aveva intuito che quella
ricevuta doveva essere una chiamata dal passato; avrebbe spiegato la
sua
improvvisa partenza. Le era ormai chiaro che l'unica cosa che lo
destabilizzava
ancora era la sua famiglia.
Ma
eccolo: statuario che si districava
fra i tavoli velocemente per tenere la mente occupata. Violet gli
leggeva in
faccia una nota preoccupata, che lui cercava di isolare dal lavoro.
“Nate!”
“Ciao
piccola!” si era fermato
per abbracciarla; non aveva avuto il tempo di realizzare quanto le
fosse
mancata.
“Tieni,
ti ho riportato il tuo
telefono, l'avevi dimenticato qui.”
“Oh
grazie… Violet scusa se
sono sparito per un po'. Sono tornato a casa da un paio di giorni e
sono stato
un po' incasinato.”
Era
tornato a casa da un paio
di giorni? E non l'aveva cercata?! Violet si sentiva offesa per quella
sua
mancanza di attenzioni. Perché lei sentiva la
necessità di averlo accanto e lui
no? Quella cosa la innervosiva e si era inacidita.
“Ah
ok. Potevi però farmi
sapere qualcosa.”
“Si,
hai ragione. Per questo ti
sto chiedendo scusa.”
“La
ragione si dà agli stupidi,
quindi non usare quel tono accondiscendente con me.”
“Scusa,
non volevo sparire così
tanto tempo. È stato tutto complicato e talmente veloce che
non ho avuto
nemmeno un attimo per pensare.”
“Nemmeno
un minuto per
chiamarmi e dirmi: scusa Violet, sono dovuto partire all'improvviso.
Non ti
preoccupare. Torno presto; ora non ti posso spiegare. Ciao.”
Violet aveva
assunto un tono di rimprovero che a Nathan non piaceva per niente.
“Non
mi piace il tono che stai
usando. Ti ho detto che mi dispiace; ora scusa, ma devo
lavorare.”
“Sei
come tutti gli altri… E io
da stupida, mi sto alludendo.”
“Violet
smettila; ora non posso
e non voglio parlarne. Ci sentiamo stasera, ok?”
“Non
ti scomodare Nathan. Non
so se avrò tempo per te stasera.”
“Non
fare la bambina; non ho
tempo per giocare.”
“Vaffanculo.”
Era uscita dai gangheri
e anche dal locale.
Nate
era al centro di molti
sguardi che indiscreti l'osservavano.
“Ma
che avete da guardare? Lo
spettacolo è finito.” Ed era tornato al lavoro
sotto lo sguardo della signora
Callaway che, in maniera assai evidente, mostrava disapprovazione.
“Hilda
non guardarmi così, per
favore.”
“Non
posso farne a meno; hai
sbagliato e non riesco a nasconderti quello che penso.”
“Lo
so che ho sbagliato, ma non
potevo spiegarle problemi della mia vita, qui, davanti a tutti. E poi
lo sai
quanto io debba lavorare in questo periodo.”
“Posso
solo cercare di
immaginare quello che stai passando, e vedo quanto tu ti stia dando da
fare per
risolvere la situazione. Ok, magari Violet ha sbagliato il tono e il
modo, ma quello
che stava dicendo era giusto. Sei sparito e lei è stata in
pensiero tutta la
settimana, perché non ha avuto tue notizie..”
Nate
non rispose, tornò al
lavoro cercando di non pensare a quel problema incombente. Ma
più si cerca di
scacciare un pensiero, più quello bussa insistente alla tua
porta.
Alla fine del turno sarebbe
passato da Violet e avrebbe cercato di chiarire con lei;
così per una sera
avrebbe lasciato da parte il resto.
“Avanti
Violet, aprimi! Lo so
che sei in casa, ho visto la luce accesa dalla strada.”
“Non
ho tempo, Nate.”
“Non
fare la bambina Violet,
ormai è abbastanza cresciuta, che dici?”
Aveva
aperto la porta di colpo
e si era affacciata con prepotenza: “No! Tu non fare il
bambino; Parti, non mi
dici niente e poi in più quando torni non mi viene neanche
cercare?”
Aveva
ragione su tutti i fronti
e lui infatti era passato per scusarsi, ma la parola scusa usata ancora
una
volta non avrebbe cambiato molto la situazione.
“Perdonami
scimmietta. Sono
venuto qui per scusarmi con te, per farmi perdonare da te per la mia
assenza,
la mia mancanza di giustificazioni e di riguardi. Sono qui anche per
spiegarti
il perché di tutto questo. Ti chiedo di ascoltarmi e
lasciarmi parlare senza
interrompermi; non è facile per me, ma non voglio
nasconderti niente, voglio
renderti partecipe della mia vita, anche se non è facile.
Questa settimana non
ho davvero avuto un attimo di respiro. Sono distrutto e incasinato. Ho
bisogno
di saperti vicino in tutto questo, anche se sono stato assente e se
sarò
lontano.”
Violet
si era ammutolita
ascoltando le parole che Nate le aveva detto e, osservandolo, poteva
leggergli
sul volto i segni del suo tormento. Lo sguardo era più cupo,
meno brillante e
anche la postura non era la stessa possente ed armoniosa: aveva le
spalle
cadenti, sembrava un fiore che stava appassendo per la mancanza d'acqua.
“Parla:
sono tutt'orecchi.”
“Preferirei
entrare e non far
sapere a tutto il piano quello che già faccio fatica a dire
solo a te.”
“D'accordo,
entra.” Disse Violet
scostandosi per farlo passare.
Nathan
si era diretto verso il
divano e si era seduto sporgendosi in avanti, appoggiandosi con i
gomiti sulle
ginocchia e con le mani intrecciate davanti alla bocca.
Appariva preoccupato e teso.
Violet gli si sedette accanto, istintivamente, per cercare di
rassicurarlo.
“Violet..
sono partito
dimenticandomi di tutto, perché mia sorella mi ha telefonato
chiedendomi, o
dovrei dire implorandomi, di aiutarla perché era spaventata
e in pericolo. Non
ho capito più niente. Sono partito con la macchina di Hilda
e l'ho raggiunta
solo dopo estenuanti ore di viaggio. Quando ho bussato alla porta di
quella che
era casa mia, ha aperto mia madre, René. Non si aspettava
certo di trovarmi a
bussare insistentemente alla sua porta. Mi ha tirato un ceffone e poi
voleva
che sparissi dalla sua vista. Non aveva tutti i torti. L'ho abbandonata
e sto
per portarle via anche Jackie.
Lo faccio per il suo bene,
finché sono in tempo, lei non può vivere
lì. Non è un posto dove far crescere
dei bambini. Ho chiesto anche a mia madre di venire via con noi, ma non
riesce
ad allontanarsi dal giro.
Violet, mia mamma è una drogata
e Jackie non può crescere con lei.” Nate si
tormentava le mani, e non la guardava
in faccia nemmeno quando si rivolgeva direttamente a lei.
Violet non gli rispose;
solamente si avvicinò e gli posò una mano sulla
gamba.
Nathan
riprese: “Sono stato
ospitato dalla signora del piano di sotto pur di rimanere vicino mia
sorella.
Adesso poverina, ha un polso rotto, perché dei componenti
della gang erano
entrati in casa e stavano accusando mio fratello di essersi intascato
dei
soldi, ricavi dello spaccio. Ci sono andati giù pesanti e
lei ha visto tutto
chiusa nell'armadio.
Quel nascondiglio però non
l'aveva protetta, perché in cerca dei soldi, avevano
rovistato ovunque compreso
quell'armadio e, strattonandola, l'avevano tirata fuori. Lei piangeva
spaventata; per farla stare zitta l'avevano strattonata ancora
più forte fino a
romperle il piccolo e delicato polso, e questo l'aveva fatta piangere
ancora di
più. Solo allora mia madre, forse fatta, è
intervenuta minacciando di chiamare
la polizia.
La mia famiglia non può
permettersi la copertura sanitaria e adesso Jackie va in giro con una
fasciatura di fortuna.
Ho praticamente pregato di
lasciarla partire con me, e di affidarmela, senza far intervenire le
istituzioni. René, invece di ragionare, ferita nell'orgoglio
di madre, ha
inveito contro di me e mi ha cacciato di casa.
Non volevo ricorrere alle vie
legali, ma non ho potuto fare altrimenti. Ho ferito mia madre, ma
almeno salvo
Jackie da questa pena..” Nathan fece un’altra
piccola pausa: tirò un sospiro di
sollievo, dovuto al fatto che si era liberato di gran parte di quel
fardello
che prima era costretto a portare da solo. Ora invece, quel peso era
sostenuto
da altre due spalle, che apparentemente erano esili, ma che riuscivano
a
portare un immenso carico.
“È
da quando sono tornato che lavoro ad ogni ora del giorno e della notte
per pagare le spese dell'avvocato e mettere da parte i soldi per la
scuola di Jackie. Voglio che si istruisca, che abbia un futuro e delle
buone possibilità di essere felice.”
Era
un vero casino! Nathan
stava per assumersi la responsabilità di un processo contro
la propria madre
per prendersi pieno carico della sorellina.
Violet si chiedeva dove
trovasse la forza per affrontare tutta quella pressione. Come poteva
pretendere
che lui lavorasse, si prendesse cura della sorella e avesse tempo anche
per
pensare a lei?
“Nate,
cavoli è davvero una
grande responsabilità! Di sicuro avrai il mio pieno supporto
e io spero di
essere all’altezza della situazione. Cioè non sono
mai stata una bambina
spensierata e non so che rapporto potrei instaurare con tua
sorella..”
“Dai
già per scontato che ne
avrai la possibilità? Come se me l’avessero
già affidata..”
“Per
forza! Nessun giudice
dotato di senno la lascerebbe dove è adesso.. con tutto il
rispetto, però non
hai propriamente una famiglia modello e sinceramente ringrazio il cielo
che tu
sia cresciuto così, con questo animo puro e altruista. Sono
certa che ti
daranno la custodia di Jackie. Sei la persona adatta per
crescerla.”
“Grazie
del supporto
scimmietta.”
“È
doveroso dopo la scenata di
prima. Scusami, non sapevo niente di tutto questo e io mi sono sentita
un po’
trascurata, messa da parte.”
“Ho
sbagliato Violet. Ti ho
trascurata davvero e mi dispiace, però come hai capito ho
avuto un po’ di
problemi e mi sono pure dimenticato il telefono da Hilda..”
“Certo!
È più che comprensibile
che tu avessi altro per la testa.” disse Violet avvicinandosi
a lui ancora di
più e stendendosi a pancia in su con la testa sulle sue
gambe per costringerlo
a guardarla negli occhi.
“Quanti
anni ha Jackie?” aveva
ripreso, mentre lui le accarezzava i lunghi capelli neri.
“Cinque.”
“È
più grande di quanto
pensassi! Spero davvero di esserne all’altezza; e se hai
bisogno di ripartire
per il processo lo capisco: è una cosa importante. Io
sarò qui ad aspettarti.”
Dopotutto Violet glielo doveva; lui era così paziente con
lei, e aveva bisogno
di tutto il suo supporto.
“Violet
sei un amore di
ragazza; sotto la tua scorza dura, c’è un cuore
d’oro e secondo me non ti devi
preoccupare: sono sicuro che con Jackie andrai d’accordo.
Magari all’inizio
sarà un po’ gelosa, ma è normale: sono
il suo fratellone; però poi
conoscendoti, sono sicuro che come me si affezionerà a te e
diventerete una
coppia inseparabile.”
“Farò
del mio meglio per farle
capire che non deve essere gelosa di me. L’amore che provo
per te è qualcosa di
estremamente nuovo per me, ma lei non avrà nulla di cui
essere gelosa; avrà
sempre spazio nella tua vita, non cercherei mai di portarti via da
lei!”
“Oh
scimmietta..” la baciò improvvisamente
e quel contatto trasmetteva necessità di supporto, di amore
e gratitudine. “Io
sono sempre più convinto di amarti! Mi chiedo come abbia
fatto vent’anni senza
di te! Mi hai rubato il cuore piccola scimmietta.”
“Ti
amo anch’io caro il mio
Cioccolatino.” E si incontrarono in un bacio passionale.
Quel
magico momento venne
interrotto dal cellulare di Nathan che iniziò a squillare.
“Scusami
piccola, ma devo
proprio rispondere: è l’avvocato.”
“Certo
certo! Rispondi, che
aspetti?” Violet aveva capito l’importanza della
situazione e non aveva esitato
a supportare il compagno che ormai aveva anche ammesso di amare. Quella
reazione aveva fatto crescere un sorriso sincero sul volto di Nathan.
Rispose condividendo il
telefono con la ragazza. La sua piccola era al corrente di tutto ora;
lo stava
supportando e non aveva senso nasconderle quella telefonata. Tanto
sapeva che
prima o poi gliel’avrebbe raccontata.
“Nathan?
Buonasera sono Josh,
l’avvocato.”
“Si,
ciao Josh! Allora che
novità mi porti?”
“Ci
sono degli ottimi sviluppi!
Il mio collega di New York, incaricato del sopralluogo a casa tua, ha
firmato
per farvi andare al tribunale al più presto. In
più, con l’aiuto della polizia,
ha portato Jackie all’ospedale, così ora ha un
ingessatura come si deve. Hanno
detto il polso tornerà come nuovo; che non le
rimarrà altro che un brutto
ricordo.”
“Ma
sono davvero delle belle
notizie!”
“Già!
Secondo quanto mi è stato
riferito dal dipartimento incaricato del vostro caso, il giudice
dovrebbe
essere la Signora Maddox; non l’ho mai incontrata in
tribunale, ma ho fatto
delle indagini: è una donna sulla quarantina, dedita al
lavoro e innamorata di
suo figlio di dieci anni, Martin..”
“Scusa
Josh, ma questo come
dovrebbe aiutarmi?”
“Semplice
Nathan, avrà un
occhio di riguardo per la nostra cara Jackie, e penserà
soprattutto al suo
bene, le mamme hanno questo innato senso per la protezione dei
bambini.” Quella
frase aveva incupito il povero Nathan, che si era ritrovato una madre
che non
rientrava in quella categoria probabilmente.
“Peccato
che anche la mia non
sia così..”
“Ops..
scusa Nathan. Non volevo
infierire, ma ero contento che avessimo questa fortuna. Appena so
qualcosa
riguardo la data del processo ti faccio sapere. A presto signor
Campbell!”
“Ahahahah!
Signor Campbell,
ahahahahah!”
“Facci
l’abitudine Nathan! In
tribunale non posso certo chiamarti fratello! Ahahahah!
T’immagini la scena?
Ahahah! Hey fratello, come definiresti la condizione della tua sister
Jackie?
Ahahaahah! Sarebbe il peggior processo della mia carriera!”
“Ahahahaha!
Grazie Josh!”
“Figurati
Nathan. A presto!”
Quella
telefonata aveva
rasserenato Nate e Violet gli leggeva un’espressione
più rilassata sul viso.
“Sono davvero delle ottime notizie caro il mio Cioccolatino!
Vedrai che in poco
tempo questa brutta storia sarà finita e tutto
andrà per il meglio.”
“Grazie
pulce, avere te accanto
mi aiuta molto.” Disse, per poi posarle un bacio sulla fronte.
“Adesso
devo proprio scappare.
Devo per forza andare a letto presto perché domani ho la
sveglia alle quattro:
vado ad aiutare il panettiere ad aprire e preparare tutto. È
una faticaccia, ma
mi paga abbastanza bene.”
“Rimani
qui a riposare, lascia
che mi prenda un po’ io cura di te.”
“Ti
amo Violet Peterson.” A
quelle parole la piccola moretta arrossì. “Sei
ancora più bella quando
arrossisci.”
“Ahaha!
Tu sei più bello quando
sorridi Nathan Campbell. Il bianco dei tuoi denti risalta contro la tua
pelle
scura.”
“Ma
come siamo romantiche! Mi
conviene partire più spesso, se ti fa questo
effetto!”
“Non
è divertente. Non sai
quanto sia stata in pensiero in questi giorni!”
“Perdonami.”
La loro
conversazione terminò così con le scuse di Nate e
un abbraccio che valeva molto
più di altre parole.
Nathan
si era addormentato
indossando solamente i boxer e una delle magliette più
grandi di Violet. Inutile
dire che a lui stava un pochino stretta, fasciandolo e mettendo in
evidenza il
suo fisico prestante.
Erano passati al livello
successivo ormai, - non era la famosa terza base, ma era decisamente la
seconda. – Si conoscevano e non c’era
più vergogna e la necessità di dormire
stracoperti. Anche lei infatti indossava solo una maglia enorme delle
sue e
aveva le gambe filiformi scoperte e agganciate a quelle di Nathan. Il
giovane
si era addormentato mentre Violet gli accarezzava il viso e lo
osservava come
se fosse lo spettacolo più bello del mondo.
Alle
tre e mezza suonò la
sveglia di Nathan e per poco non svegliò anche la sua
scimmietta che riposava
tranquilla accoccolata a lui.
Doveva proprio alzarsi, non
poteva rimanere lì con lei all’infinito come
avrebbe desiderato. Doveva andare
a lavorare, ma non prima di averle lasciato un ricordino per renderle
più dolce
il risveglio.
Violet
si svegliò qualche ora
più tardi, e stiracchiandosi nel letto, lo sentì
vuoto: Nathan era andato al
lavoro.
Si mise a sedere sul letto,
guardò l’ora e realizzando di essere in ampio
anticipo per la scuola decise di
concedersi un bagno caldo.
Raggiunse il tavolo per la
colazione e trovò una busta improvvisata con un foglio del
suo quaderno e una
scritta sopra:
Per la mia
piccola pulciona
La
aprì e vi trovò dentro un
biglietto che Nate gli aveva lasciato.
Scimmietta,
sarei rimasto a
guardarti dormire per ore, ma il lavoro mi chiama. Buon risveglio
piccola.
Prometto che presto io e te ci rifaremo e organizzeremo una giornata
tutta per
noi. Preparati che il prossimo week-end sarai presa in ostaggio
e… non ti svelo
il resto altrimenti non sarebbe una sorpresa.
Un bacio.
Il tuo
Nate.
Quella
settimana Nathan partì
di nuovo per il processo. Quel giorno Violet era tesa, voleva andare
con lui,
ma lui aveva insistito perché non saltasse la scuola e che
l’avrebbe
aggiornata, visto che questa volta non si sarebbe dimenticato il
telefono.
Tornò
dopo tre giorni. Era
contento. Secondo il suo avvocato, Josh -untrentenne ancora entusiasta del lavoro che faceva- il
processo era andato
bene, e tra non molto avrebbe ricevuto la sentenza.
La sentenza arrivò il 16 marzo.
Quello fu uno dei giorni più importanti nella vita di Nathan
e della sorellina:
gli era stata affidata a pieno carico. La madre avrebbe potuto
incontrare la
bambina solo se lui era d’accordo, e avrebbe potuto portarla
presto a casa,
giusto il tempo di terminare con le scartoffie.
Per festeggiare Nathan aveva
organizzato la tanto promessa giornata romantica. Era però
all’oscuro del fatto
che anche Violet gli stava preparando una sorpresa.
Il
tempo era perfetto.
Il sole scaldava l’aria
primaverile e le nuvole passavano veloci nel cielo limpido. Sembrava
quasi una
giornata d’estate, nonostante le previsioni avessero dato
brutto tempo.
Nathan decise di carpe diem, e
con il cestino da pic-nic alla mano, era passato a prendere la sua
bella.
“Pulce
muoviti! A meno che tu
non voglia passare il pomeriggio in casa; a me non dispiacerebbe,
troverei
sicuramente il modo di intrattenerti, però a te la
scelta.”
“Naaaateee! Non
per fare la preziosa, ma
vorrei davvero uscire oggi, io e te ci meritiamo del tempo da soli che
non sia
solo a casa.”
“Va
bene cucciola. Allora
vestiti comoda che dobbiamo camminare un po’..”
“Dove
mi porti?”
“Ma
ci tenti ancora?”
“Pff..
sempre con queste
sorprese! Lo sai che ho un rapporto complicato con
quest’ultime.”
“Lo
so piccola: infatti se ci
fai caso, ti lascio sempre qualche indizio che ti porti a capire cosa
riguarda.
O sbaglio? E anche adesso, se ti muovessi, capiresti cosa facciamo
oggi..”
“Adesso
arrivo! Dammi ancora
due minutini..”
“Sisi,
ormai mi sono anche
disteso sul letto per fare un pisolino. Svegliami poi quando sei
pronta!”
“Ma
io non sono mai in ritardo!
Sei tu che arrivi in anticipo!”
E
in effetti era vero, ma
Nathan adorava punzecchiare Violet, così come lei adorava la
sua puntualità.
Aveva sempre detestato i ritardatari.
“Ahahaha!
Sei davvero adorabile
quando accampi queste scuse!”
“Ma
non sono scuse è la verità.
Scusa dimmi che ore sono?”
“Sono
le due meno sette.”
“Appunto!
Dovevamo vederci alle
due in punto! Sei in anticipo di ben sette minuti e per una ragazza
anche un
misero minuto è di vitale importanza.” Il suo tono
sembrava perentorio, mentre
in realtà se la ghignava sotto i baffi seduta sul bordo
della vasca. Conosceva
le abitudini di Nathan ormai ed era già pronta; voleva solo
prendersi un po’
gioco di lui.
“Non
è colpa mia se mi hai reso
dipendente e non posso fare a meno di stare con te anche un misero
minuto in
più!”
Violet
gongolava a sentire
quelle dolci parole e facendo piano aprì la porta del bagno.
Nathan era sdraiato
davvero sul letto e lei gli si fiondò addosso. Lui la
accolse tra le braccia e,
fissandola negli occhi, le accarezzava i lunghi capelli.
“Sono
pronta, Cioccolatino.
Andiamo?”
“Certo!”
e con un scatto felino
si alzò dal letto e con lei tra le braccia uscì
dalla porta.
“Immagino
tu sia comoda tra
quelle braccia forti e muscolose.”
“Buongiorno
signora McKyle.”
L’avevano salutata.
“Buongiorno
anche a voi.
Facciamo un pic-nic oggi?” chiese lei osservando il cestino
che aveva la
ragazza fra le mani.
“Si,
Nathan mi ha fatto una
sorpresa. Ci regaliamo un po’ di tempo insieme.”
“Fate
bene ragazzi; l’amore è
così bello! Vi auguro una buona giornata.”
“Altrettanto!”
i due ragazzi
sorridenti si avviarono giù per le scale.
“Ma
quando arriviamo?? Stiamo camminando
da almeno un’ora!”
“Abbiamo
la lamentite acuta
oggi??”
“Ahahaha
no. Sono davvero
entusiasta per questa sorpresa, davvero. Solo che con la storia delle
materie
d’esame che sono uscite, sto impazzendo! Sono uscite le
materie della
commissione e i professori esterni sono talmente rinomati per la loro
cattiveria che farebbero impallidire Lucifero in persona!”
“Ma
di che ti preoccupi? Tanto
tu sei bravissima, piccola mia.”
“Appunto
per quello devo
preoccuparmi! Visto che sono brava, mi chiederanno il pelo
nell’uovo. Sono
davvero degli stronzi!”
“Ma
non ti preoccupare amore,
ci sarò io a supportarti quel giorno se mi vorrai. Si
può assistere al
colloquio giusto?”
“Sì,
certo che puoi venire ad
ascoltarmi; anzi devi! Avrò bisogno del tuo supporto e
così mi sentirò
protetta.”
Nathan
le avvolse il braccio
intorno alle spalle e la strinse a se, e continuarono così a
camminare.
“Eccoci
qua. Siamo arrivati.”
Violet
era rimasta a bocca
aperta. L’aveva fatta camminare così tanto per
condurla in quel piccolo angolo
di paradiso. L’aveva portata al confine della foresta, dove
veniva interrotta
dal fiume. Il silenzio era interrotto solo dal cinguettare degli
uccellini, che
estasiati dalla primavera davano corda alle loro voci e dallo
scrosciare
dell’acqua, che veloce si infrangeva contro le rocce.
“È
davvero bello qui, Nate.”
“Sono
davvero contento che ti
piaccia.” Rispose lui stendendo la coperta sul prato mentre
Violet osservava il
paesaggio circostante con gli occhi di una bambina sorpresa per la
bellezza
della natura.
“Allora
mi fai compagnia? O
preferisci rimanere ad ammirare la foresta?”
“Sono
tentata di scegliere la
seconda opzione..”
“Ahahah!
Se l’avessi saputo
prima, non avrei scelto una location così bella,
così almeno avrei avuto i tuoi
occhi tutti per me.”
“Ahahah
che stupido che sei!
Però hai scelto un posto davvero bello, grazie
amore.”
“Dai
siediti e rifocillati
donzella!” disse Nathan tirando fuori i manicaretti che aveva
preparato:
sandwich al tonno e pomodoro e insalata di riso.
“Dovresti
pensare a fare un
corso per diventare chef.” Violet interruppe il silenzio
parlando con la bocca
piena.
“Addirittura?
Questa non è
cucina, piccola. Sono solo le basi elementari per la
sopravvivenza.”
“Ma
non dire fesserie! Questa
sarà pure la base della sopravvivenza come la chiami tu, ma
per me è davvero
buona. Secondo me tu hai del talento ai fornelli, per questo te lo
dico. È
tutto davvero buono nella sua semplicità.” Disse
addentando un panino.
“Grazie
pulce. Magari ci
penserò più avanti, adesso non posso. Tra non
molto ci sarà anche Jackie con
me.”
Il
loro pranzetto passò
tranquillo e soddisfatti e con la pancia piena si distesero sul prato e
Violet
si appoggiò a Nathan che la accolse in un tenero abbraccio.
I due piccioncini in quella
posizione condividevano i loro sogni e i loro progetti per il futuro.
Nathan
aveva sempre voluto viaggiare, curioso di scoprire tutto del mondo, e
voleva
provare almeno una volta nella vita a fare surf, solcando le onde
australiane.
Violet invece sognava di aprire una casa editrice per dar voce a i
giovani
scrittori americani.
“Siamo
talmente vicini al fiume
che arrivano addosso le gocce d’acqua.”
“No
piccola, è la pioggia.”
“Porca
miseria!” le gocce
avevano iniziato a farsi più fitte e i due ragazzi
velocemente avevano raccolto
tutto e si erano dati alla fuga.
Altro
che acquazzone estivo:
quella pioggia incessante che scrosciava sembrava il principio
dell’apocalisse.
“Violet
andiamo a casa mia che
è più vicina, d’accordo? Altrimenti ci
prendiamo un accidente sicuro!”
“Buona
idea.” Rispose lei
continuando a correre a passo deciso accanto a lui.
“Per
di qua.” E Nathan la
superò di poco iniziando a farle strada.
Dopo
venti minuti buoni di
corsa giunsero a una piccola casa alla periferia del paese. Sembrava
una
piccola baita costruita secondo lo stile semplice ed essenziale di
parecchi
anni prima.
Le pareti bianche, l’ingresso
di legno e la scala per accedervi avevano un aspetto famigliare, come
se fosse
una di quelle case che tutti si immaginano.
Nemmeno la casa del mulino
bianco poteva competere con la stabilità e
tranquillità che quella casa
emanava. Ma forse quel senso di sicurezza che l’aveva colta
mentre impalata,
sotto la pioggia, osservava quel piccolo edificio era dovuto al fatto
che
Nathan per incitarla a entrare l’avesse presa per mano e la
stesse tirando
sotto il portichetto.
Veloce estrasse le chiavi dalla
tasca dei jeans e aprì il portoncino.
Il calore che uscì dalla casa
era piacevole e ristoratore, dopotutto erano zuppi, per la pioggia e
stanchi
per la corsa.
Violet
per lo sbalzo di
temperatura starnutì.
“Accidenti
mi dispiace piccola,
non volevo proprio che andasse a finire così il nostro
momento romantico.”
“Non
ti preoccupare. Se
non altro finalmente vedo casa tua. Mi sono sempre chiesta come
fosse.” E
intanto si guardava intorno analizzando i piccoli dettagli.
L’arredamento era piuttosto
scarno, e contrastava con le pareti di legno chiaro della sala. Il
divano ad
angolo color blu notte si affacciava sulla finestra e permetteva di
godere
dello spettacolo della foresta che aveva davanti.
“E
che ne pensi? È molto
modesta, ma mi piace così.”
“Mi
piace. Io ci avrei messo
qualche accessorio in più, ma non posso mica prendere che tu
abbia del talento
anche nell’arredare..” lo canzonò
punzecchiandolo.
“Non
si può avere tutto dalla
vita.. di sicuro ho altri talenti..” ammiccò.
“Sei
sempre modesto..”
“Un
altro dei miei tanti
talenti..”
Etchiù!
Un
altro starnuto ruppe
l’atmosfera giocosa e gli ricordo che forse era il caso di
andare a cambiarsi.
“Tieni
pulce. Ti andranno un
po’ grandi ma almeno sono asciutti.” Le porse dei
pantaloni della tuta e una
maglietta di quando giocava a basket. Violet la osservò per
un attimo stendendo
le braccia e sentenziò “Ci navigherò
dentro, altro che!”
“Ti
lamenti sempre… se
preferisci puoi non metterti niente. A me non dispiace.”
Disse lui ammiccando e
dandole una pacca sul sedere passandole accanto.
“Ti
piacerebbe..”
“Si
e anche molto.” Rispose
assolutamente serio, girandosi a stringerla tra le braccia e
scostandole i
capelli bagnati dal collo per iniziare a lambirlo con le sue labbra
calde.
Un’idea molto provocante passò
per la testa di Nathan: una doccia calda insieme per togliersi di dosso
il
freddo dell’acqua piovana e per distendere i nervi della sua
piccola maturanda.
Sia mai che dopo facessero
anche il passo successivo.
Nathan la desiderava, non
riusciva a non ammetterlo; ogni volta che l’aveva vista
sfilarsi la maglietta o
sbottonarsi la camicetta il suo animo sussultava e voleva stringerla a
lei e
farla sua con tutta la passione e l’amore che era in grado di
donare.
Ma si era imposto di rispettare
i suoi tempi. Nei loro momenti di intimità – un
po’ latenti nell’ultimo periodo
– lei gli aveva ammesso che lui sarebbe stato il suo primo
ragazzo e aveva un
po’ di paura. Gli aveva confessato che si sentiva sbagliata
perché non riusciva
a soddisfarlo a dovere, ma quello che lei non sapeva è che
le sue piccole mani,
anche solo sfiorandolo era in grado di dargli piacere. Certo non era
quel
piacere che si poteva provare stando completamente con la donna che si
ama, ma
sapeva che presto il loro momento sarebbe arrivato e magari quello
poteva
essere il giorno.
Un po’ timoroso per la sua
reazione l’aveva accompagnata in bagno facendo strada mentre
continuava a
cingerle la vita da dietro.
Con
calma, arrivati a
destinazione, avevano iniziato a baciarsi e lentamente a spogliarsi a
vicenda.
Indubbiamente Violet gli stava concedendo molto in quel momento e lui
gliene
era grato.
Erano rimasti solo in intimo ed
erano entrati insieme nella doccia. Bagnati dal getto
dell’acqua calda non
separavano neanche per un istante le loro bocche, che fameliche
chiedevano
ancora di più.
Con calma tolsero anche quegli
ultimi lembi di stoffa che li coprivano e iniziarono ad insaponarsi con
estenuante perizia.
Le mani di Nathan accarezzavano
il corpo di Violet che veniva percorso da mille brividi di piacere;
quelle
lente carezze fatte di schiuma stavano facendo crescere il desiderio di
sentirsi vicini di entrambi.
Il desiderio del giovane era
palesemente visibile e la piccola moretta non poteva fare a meno di
sentirlo.
I loro corpi a contatto ribollivano
e si chiamavano, attratti come due calamite.
L’incessante
getto dell’acqua
venne interrotto da Nathan che spense la doccia e uscì
recuperando degli
asciugamani per coprirsi.
Violet però non sembrava molto
contenta, si sentiva lusingata dalle continue attenzioni e premure del
suo Cioccolatino e l’interruzione di quel contatto la
lasciò con l’amaro in bocca,
come se non le bastasse.
Con uno slancio di coraggio si
aggrappò al collo di Nathan e lo attirò a se
unendo le loro labbra in bacio
tutt’altro che casto.
Abbracciati e coperti di soli
asciugamani continuavano a baciarsi mentre Nathan
l’accompagnava in direzione
della camera.
Nella fretta di saziare quella
loro piccola fame presero dentro qualche spigolo e inciamparono persino
su un
gradino e ridendo continuavano la ricerca di quello che sarebbe
diventato il
loro nido, dove potevano coccolarsi ed amarsi senza che nessuno li
avrebbe
interrotti o disturbati.
Distesi
sul letto avevano
continuato a giocare l’uno con l’altro in una serie
di preliminari che
portarono inequivocabilmente al punto dove erano adesso.
La mole di Nathan sovrastava il
corpicino di Violet e i loro sguardi liquidi e vogliosi si erano
incontrati e
non sembravano volersi separare.
Quella di Nathan era una
silenziosa richiesta per andare oltre e la moretta per tutta risposta
gli
sorrise mordendosi il labbro.
Il ragazzo si sporse verso il
comodino, frugò nel cassetto ed afferrò una
piccola bustina argentata che
rifletteva la luce che filtrava dalla finestra.
“Li
tieni li sempre pronti per
l’uso?” Nathan non si aspettava certo quella
domanda dalla sua piccola e
allibito si voltò a guardarla. Lei scoppiò a
ridere e gli diede un bacio a fior
di labbra.
“Che
sciocca. Mi sono premunito
nell’attesa che questo momento arrivasse.”
“Ti
ho fatto aspettare tanto?”
chiese riprendendo posizione tra le sue braccia forti.
“Giusto
il tempo di cuocermi a
puntino.”
Quella
che si dice la frase
giusta al momento giusto. Con quelle parole aveva trasmesso alla sua
compagna
senso di potere, rendendola ancora una volta consapevole dei suoi
sentimenti e
dell’influenza che lei nonostante tutto esercitava su di lui.
Si unirono in un altro bacio
passionale e con calma Nathan si faceva spazio tra le sue gambe.
Il suo membro avvolto in quella
scomoda fasciatura di lattice iniziò a sfiorarla causandole
gemiti di piacere
che morivano sulle loro labbra unite.
Niente più indugi: Nathan affondò
in lei con delicatezza, però era inevitabile che le facesse
male. Le lacrime sgorgarono
dai suoi occhi senza che lei potesse ricacciarle indietro. Non voleva
piangere,
soprattutto non in quel momento in cui finalmente era riuscita a
concedersi al
suo Nathan.
Ma quel dolore penetrante
l’aveva trapassata
e quelle infami scorrevano silenziose mentre lei ansimava tra le
braccia di lui.
Lui iniziò ad asciugargliele con piccoli baci mentre
continuava, piano a
muoversi in lei.
Quel
piccolo gesto significò tanto per la piccola Violet che
inesperta cercava di
sentirsi a suo agio in quella situazione che le provocava sia dolore
che
piacere.
Nathan
non voleva solo fare l’amore con lei, voleva che lei stesse
bene con lui, in
quei movimenti che denotavano amore e passione.
Violet
stava provando tutte concentrate un misto di emozioni che la stavano
stancando
più di quella corsa che aveva fatto poco prima per
raggiungere la casa. La
stretta al ventre aumentava e lo sentiva sempre più dentro
di lei che con amore
e pazienza godeva del loro rapporto.
Per
lui quella non era la prima volta quella, ma era l’unica in
cui fosse veramente
coinvolto seriamente con una ragazza. Lo sentiva, il piacere che
provava era
diverso, era più coinvolgente e non era solo fisico, era
mentale e soprattutto
ogni suo gesto era dettato dal cuore.
Il
dolore era passato in secondo piano e Violet aveva iniziato a
partecipare più
attivamente a quella danza che univa i loro corpi. Aveva invertito le
posizioni
e ora lei seduta sopra di lui lo stava facendo impazzire. Aveva
iniziato ad
oscillare seguendo il ritmo delle sue spinte e aveva iniziato a
baciargli il
collo avida.
Sentiva
come una scarica percorrerle l’intero corpo, una scarica che
le dava quella
spinta giusta per mettere da parte la paura e tutti i brutti pensieri
che
potevano passarle per la testa. Ora non esisteva altro
all’infuori di loro e
del loro amore. Il cervello e i sensi erano come inebriati e sbronzi
del loro
amore e Violet non riusciva a pensare a niente che non fosse il suo
ragazzo.
Non erano una coppia
dichiarata, ma avevano un tacito accordo: essere l’uno
dell’altra, senza
riserve o remore di alcun tipo. Condividendo le piccole cose si erano
tuffati
in una relazione più impegnativa di quello che potevano
immaginare.
Le
mani di Nathan scorrevano lente e possessive lungo la sua schiena e poi
presero
a stuzzicare i seni della ragazza con evidente lussuria.
Ancora
uniti, dopo lunghissimi attimi di passione, gemevano entrambi e arrivati
al culmine e suggellarono quel loro piccolo traguardo sospirando un
leggero ti amo e con un bacio a
fior di labbra che
copriva le loro voci.
Stanchi
e appagati si sdraiarono uno accanto all’altro, senza mai
perdere di vista i
loro sguardi che sembravano scambiarsi infinite dichiarazioni
d’amore.
“Come
stai? Ti ho fatto tanto male?” fu la timorosa domanda di
Nathan. Aveva avuto
paura di farle male, e anche tanto. Lei era la sua piccola e pura
cucciolotta
che per la prima volta aveva fatto l’amore con un ragazzo e
quel ragazzo era
lui. Si riteneva fortunato ed orgoglioso di essere il primo e
l’unico ad avere
posato le mani sul quel corpo delicato che era stato parte di lui fino
a poco
prima.
“Sto
benissimo amore. All’inizio si, ma poi è stato
bellissimo.” Non poteva ricevere
risposta migliore; alla fine era normale che lei avesse provato un
po’ di
dolore, era così che funzionava, però lei le
aveva detto che era stato
bellissimo.
“È
stato bellissimo anche per me piccola. Che ne dici se andiamo a fare
una bella
doccia? Prima non è stato niente male.”
“Potrei
farci l’abitudine. Non ho mai adorato così tanto
fare la doccia in vita mia.”
Da principe quale era Nathan prese in braccio la sua donzella e la
condusse
ancora una volta nel vano doccia dove tra le mille carezze la loro
passione si
stava riaccendendo. Per i loro corpi che avevano assaggiato cosa voleva
dire
unirsi, sembrava che risultasse difficile stare lontani ora.
Alla
fine della doccia Violet si sentiva un po’ indolenzita, ma
trionfante si
rivolse al suo bello: “Devo assolutamente rivalutare la
doccia. Non è così male
come pensavo. Dovrei farne più spesso.”
“Ahahahah!
Solo se sarai con me. Non ammetto le mani di nessun altro sul tuo corpo
bambolina.”
“E
io che pensavo di chiamare il mio amante e proporgli una
doccia..”
“Non
scherzare col fuoco, bambolina. Tu sei
mia!” la canzonò avvolgendola poi in
abbraccio caldo e protettivo, come a
fungere da isolante da qualsiasi altro essere umano che poteva
avvicinarsi.
Doveva
ammetterlo. Era geloso; e ora che era sua, lo era più che
mai.
“Come
è possessivo il mio Orso. Però mi piace essere
solo tua.” E lo baciò. “Ti
amo.”
“Ti
amo anche io scimmietta.”
Nell’attesa
che i suoi vestiti si asciugassero stesi vicino alla stufetta, Violet
si era
decisa ad indossare la maglietta di Nathan e davvero ci navigava dentro.
“Questa
maglietta dona più a te che a me. Te la regalo.”
“Avevo
già intenzione di rubartela lo stesso.”
“Ti
stai facendo furba.. e brava la mia scimmietta.”
Non
potevano fare a meno di sorridere per quell’assurdo scambio
di battute.
Nathan
iniziò a preparare la cena aiutato da Violet che osservava
ogni suo piccolo
movimento nella speranza di apprendere qualche trucchetto per essere in
grado
di cucinare qualcosa di buono per lui in futuro.
Cenarono
sul divano guardando la TV e poi si buttarono a letto.
Era
la prima notte che Violet dormiva a casa di un ragazzo che non fosse
Ricky.
Chiuse così gli occhi elettrizzata all’idea di
poter dormire accoccolata a
Nathan, nel letto dove qualche ora prima avevano dato libero sfogo al
loro
amore.
Come
dice il grande Shakespeare: l’amore ristora come il calore
del sole dopo la
pioggia. Mai frase era più azzeccata per descrivere la
situazione dei due
piccioncini che accoccolati si erano addormentati dopo una giornata
dedicata al
loro amore.
Nathan
si svegliò per primo e voltatosi di lato si mise ad
osservare Violet che
dormiva a pancia in giù e con i capelli sparsi sul cuscino,
che cadevano
ricoprendole il volto.
Li
scostò con delicatezza, ma lei sembrò
accorgersene e si mosse avvicinandosi a
lui, alla ricerca di calore e forse protezione verso quel contatto che
risultava estraneo al suo mondo dei sogni.
Violet
stava sognando, o meglio rivivendo, la sua prima volta. Era stata
davvero
fortunata ad avere con se Nathan. Era stato premuroso con lei, e aveva
cercato
di farle meno male possibile, nonostante un minimo fosse inevitabile.
L’amore
che stava sognando non era solo fisico: era amore vero, quello con la A
maiuscola. Amore che cresceva lentamente, che partiva dal cuore e che
poi
convinceva anche il cervello a seguirlo in un’improvvisata
marcia nella quale
andavano di pari passo. Corpo e mente, uno con l’altro,
d’accordo sul da farsi.
Era l’accoppiata migliore che potesse esserci. La formula
magica. La ricetta
della felicità. E forse quello era davvero
l’inizio per qualcosa di limpido,
onesto e soprattutto felice.
Il
contatto con la pelle calda di Nathan e il movimento dei suoi respiri
cullavano
Violet nel suo risveglio.
Si
sentiva leggermente indolenzita, ma era felice. Era luminosa, raggiante
e di
buon umore.
“Buongiorno
amore.”
“Buongiorno
anche a te raggio di sole.”
Un
casto bacio li unì e poi in silenzio rimasero abbracciati ad
osservare il nulla
e a coltivare i loro pensieri, che prepotenti affollavano le loro menti
già dal
primo mattino.
“Voglio
che tu venga con me.”
“Ok,
dove mi porti? Quando?” chiese Violet eccitata
all’idea di trascorrere ancora
tempo insieme al suo compagno.
“Voglio
che tu sia con me quando andrò a prendere Jackie. Potremmo
fare in modo di
partire sabato prossimo, al mattino presto, così mal che
vada salteresti solo
quel giorno di scuola, ma almeno mi starai accanto. Ne ho
bisogno.” Violet non
poteva non acconsentire a quella richiesta d’aiuto.
“Certo
che verrò con te! Ma non è necessario che tu
faccia aspettare ancora così tanto
tua sorella; possiamo partire anche oggi e salto domani scuola. Tanto
un giorno
vale l’altro, no? È di certo più
importante tua sorella di cinque noiose ore di
lezione. Chiederò a qualche mia compagna di prendere appunti
per me: ce ne sono
un paio che mi devono ancora qualche favore.. che ne dici
amore?”
“Che
bello sentirti pronunciare quella parolina: amore.
Potrei abituarmi a sentirla associata al mio nome.” Disse
baciandole la fronte.
“Comunque per la tua proposta di partire adesso.. non
possiamo. Non posso
andare a casa di Hilda la domenica all’ora di pranzo e
chiederle di prestarmi
la macchina.. non è educato.”
“E
chi dice che devi andare a chiedere la macchina a Hilda?”
“Io,
a meno che tu non ne abbia una..”
“Beh
tecnicamente non è mia.. è tua..”
“Mia?
Ma stai scherzando vero? Io non ho una macchina..”
“No,
infatti. Io e Hilda abbiamo pensato di farti un regalo in previsione
dell’arrivo di Jackie.”
“E
mi avete preso una macchina? Ma voi siete pazze! Non è un
semplice regalo. È
troppo! Non posso davvero accettare!”
“No!
Tu accetti, visto che l’abbiamo scelta insieme pensando a te!
E poi non è
nuova, quindi non è un gran regalo. È il giusto
regalo! Non pensare che sia
troppo per te, perché te la meritavi e poi non accetto un no
come risposta!”
“Sei
proprio una testona! E matta per di più!”
“Ti
ho mai dato l’impressione di essere una ragazza
normale?”
“No,
in effetti no..” rispose Nathan ridendo e avvolgendola
stretta stretta a sé.
“Allora andiamo amore? Non sto più nella pelle!
Non vedo l’ora di riabbracciare
la mia piccola Jackie!”
“Gambe
in spalla mio prode cavaliere!” esordì Violet
ridendo e correndo a recuperare i
vestiti che si erano asciugati dalla sera prima.
Con
passo spedito raggiunsero casa sua e lì iniziò
per Nate la ricerca della
macchina.
Ecco
che la individuò: una Chevrolet. Era perfetta nella sua
vecchia veste bordeaux
leggermente scolorito dal tempo.
Violet
gli lanciò in mano le chiavi. “Sali sul tuo
destriero, cavaliere!”
“Dopo
di lei, principessa.”
Iniziarono
così il viaggio.
Violet
si addormentò a metà strada col sorriso sulle
labbra e Nathan ogni tanto le
buttava un’occhiata per osservarla sempre più
innamorato e sorridere.
Quello
scricciolo era un amore di ragazza; una piccola donna capace di forti
sentimenti e passione che gli regalava senza riserve. Era riuscito ad
avvicinarla, a rompere quella barriera che la separava da tutto e da
tutti e
aveva scoperto che dietro la sua scorza grezza si nascondeva una
ragazza dolce
e fresca. Una ragazza che una volta a suo agio dava fiducia e
permetteva di
avvicinarsi senza remore e riusciva anche ad essere spiritosa e
maliziosa al
punto giusto.
Era
davvero felice di essere stato lui a scoprirla e ad averla conquistata.
Con lei
accanto il mondo gli sembrava migliore, come se fosse valsa la pena di
provare
tutte quelle sofferenze in passato se quella era la ricompensa. La
sua piccola porzione di
felicità.
“Violet,
svegliati piccola, siamo arrivati.” La scuoteva gentilmente
per destarla dal
suo sonno. Aveva mugugnato qualcosa e si svegliò leggermente
intorpidita.
Aprendo
gli occhi aveva visto una schiera di palazzi marrone scuro, il vicolo
stretto,
i cassonetti e il vociare sconosciuto facevano sembrare quel posto
ancora più
tetro di quello che era in realtà.
“Siamo
arrivati?” chiese Violet ancora leggermente addormentata.
“Si
piccola; qui è dove vivevo io..” Nathan
l’aiutò a scendere dalla macchina e
aveva una luce strana negli occhi: sembrava triste e malinconico, ma i
toni e
le movenze facevano trasparire una certa rabbia.
Nathan
era deluso; deluso da tutto ciò che quel posto
rappresentava. Era la sua casa,
il posto dove era cresciuto; il posto che avrebbe dovuto proteggerlo,
ma che
alla fine dei fatti gli aveva fatto affrontare le peggiori esperienze
che la
sua mente di bambino poteva immaginare.
Portare
via Jackie da quella topaia e crescerla con Violet era e sarebbe stata
la sua
più grande vittoria.
Violet
osservava Nathan che, pensieroso avanzava a passo lento e la teneva per
mano.
Dei
ragazzi si avvicinarono con andatura sciolta e quasi provocatoria e a
Violet
venne istintivo stringersi a Nate.
“Non
ti preoccupare piccola. Loro sono innocui.”
“Ehi
fratello! chi è la piccola Biancaneve?”
“Ehi
John! Lei è Violet: la mia fidanzata.” Rispose
stringendola a sé con fare
protettivo.
“Uuuuuuuh!
La fidanzata… allora è roba seria!”
disse John atteggiandosi.
“Bella,
sono John.” Si presentò porgendo il pugno a Violet
perché lo battesse.
“Sono
Violet.” Rispose battendolo titubante.
“Yo
sorella! Che nome delicato che hai..” le girò
intorno “E non solo quello..”
“Ehi
fratello, non hai sentito Nate? È proprietà
privata.” S’introdusse Kyle nella
conversazione. Un giovane alto almeno quanto Nathan, ma dal corpo
più esile.
Aveva una cicatrice di fianco all’occhio destro.
Osservandolo, Violet riusciva
solo a pensare a cosa poteva aver passato anche lui. Lei era stata una
bambina
fortunata da quel punto di vista, aveva avuto un’infanzia
tutto sommato felice
e facile.
“Kyle,
amico. Come stai?” Chiese Nathan avvicinandosi e
abbracciandolo.
“Sopravvivo
fratello. Però da quando te ne sei andato, qui nel ghetto è tutto diverso.. non
c’è più nessuno con le spalle larghe
come le tue.”
“Lo
so fratello. Mi spiace, ma io qui non riesco più a vivere..
dovreste andarvene
anche voi.”
“Naaaaah..
io me la sguazzo qui.”
“Se
lo dici tu.” Rispose sorridendo.
Violet
li osservava incuriosita, tutta quella familiarità era
qualcosa a cui non era
abituata: quei ragazzi non erano consanguinei di Nathan, ma lo
chiamavano
fratello e lui faceva lo stesso; ma non solo quello. Quel gergo
così sboccato
la faceva sorridere. Non era abituata ad essere circondata da gente con
così
pochi filtri. Era come essere circondati da tanti Nathan. Ora capiva da
dove
aveva preso tutta la sua sincerità.
“Hey
Nate, sicuro che portare
qui la bambolina sia stata una buona idea?”
“Perché?”
“No
sai.. Ryan…” John riportò
alla mente di Nathan quel problemino
che non aveva considerato.
“Mio
fratello non le farà
niente! Ci deve solo provare..” rispose Nathan irrigidendosi.
Non ci aveva
pensato. Non aveva pensato che portandola l’avrebbe potuta
mettere in pericolo.
Era stato talmente egoista da escludere dai suoi pensieri la presenza
di Ryan.
“Si,
Nate non ti preoccupare
che terremo un occhio sulla tua Biancaneve. Se sta con te è
della famiglia.”
Violet si ritrovò nuovamente a sorridere e adesso non era
più così a disagio
davanti a quei ragazzi.
“Grazie
ragazzi.” Rispose il
moro abbracciandoli.
“Vieni
piccola. Andiamo a
prendere Jackie.” Porgendole la mano,
l’accompagnò dentro l’edificio.
A
Violet sembrava di essere in
uno di quei film dell’orrore dove solo il protagonista
è così coraggioso da
andare avanti invece di scappare a gambe levate.
Le luci d’ingresso tremolavano
e, insieme al buio della sera che era calato e lo sporco che
c’era in giro,
contribuivano a far sembrare quella visione sempre più
veritiera.
Dopo ben quattro rampe di scale
percorse appiccicata a Nathan, arrivarono davanti ad una porta grigia
scolorita
indicante l’appartamento 15B.
“Siamo
arrivati Violet. Questa
è la porta di casa mia. Se vuoi aspettarmi fuori con i miei
amici ti capisco,
sai… fa un po’ paura qui e immagino che tu non sia
per niente tranquilla…”
“Sono
qui con te. È questo
quello che conta. So che ci sarai tu a proteggermi.” E con
questo gli depositò
un bacio rassicuratore sulla guancia. “Avanti, bussa. Jackie
ci aspetta.” Gli
sorrise.
Dopo
un paio di colpi, si
affacciò un ragazzo. Avrà avuto qualche anno in
più di Nathan. Doveva essere il
maggiore di casa Campbell.
“Ehi
fratello. Come butta?” poi
accortosi della presenza di Violet aggiunse: “E questo
bocconcino è per me?”
“Non
credo proprio Ryan.. E
tieni le mani a posto.” Aggiunse vedendo il fratello
avvicinarsi alla sua
ragazza.
“Ehi
fratello: Relax. Se non è
per me, non vedo il motivo per cui sia qui..” continuava a
squadrarla.
“Siamo
qui per portare Jackie
con noi. A casa.”
“Questa
è casa sua!” sbraitò
una voce femminile alle sue spalle. Sicuramente era Renée,
la madre di Nathan,
ma da come lo accolse sembrava fosse il suo più acerrimo
nemico. Non disse
altro. Semplicemente squadrò la ragazza dall’alto
in basso e fece scostare il
figlio dall’entrata per osservare i due ragazzi che
avanzavano diritti su sua
figlia.
“Mamma..”
“Non
chiamarmi mamma!” e gli
tirò uno schiaffo. “Tu non sei mio figlio! Mio
figlio è morto il giorno che è
uscito da quella porta.”
Violet
si era ritrovata nel bel
mezzo di quella tempesta di insulti che pioveva sul povero Nathan e
scattò
automaticamente. “Forse vorrà dire che suo figlio
è rinato, uscendo da quella
porta.”
“E
tu come ti permetti
sgualdrinella da strapazzo!” urlò alzando una
mano, pronta per colpirla. Nathan
l’afferrò per un polso e con inaspettata
tranquillità disse: “Non rendere le
cose più difficili, Renée.”
A quel
punto Ryan intervenne
spostando di peso la madre e facendo entrare
nell’appartamento i due giovani.
Quel locale strabordava di
cose. Era molto piccolo e dovevano viverci in tre: Renée,
Ryan e Jackie.
Il divano era stato trasformato
in un letto e la TV accesa trasmetteva le immagini in bianco e nero.
La cucinetta sembrava una landa
desolata. Non c’era l’ombra ne di un piatto, pulito
o sporco che fosse, ne di
una padella.Sembrava
che nessuno
mangiasse in quella casa.
Violet era spaesata. Se prima
poteva solo immaginare cosa fosse la vita di Nathan a New York, ora lo
stava
assaggiando sulla sua pelle e non aveva certo un sapore piacevole.
“Ha
fegato la moretta. Mi
piace.” La stuzzicò ancora Ryan questa volta
passandole due dita sul profilo
del viso. Nathan non era stato abbastanza attento e lui aveva
accorciato le
distanze. Violet a quel contatto sentì un brivido
percorrerla. Non era uno di
quelli piacevoli che gli trasmetteva Nathan, era un brivido di paura e
di
disgusto.
“Non
la toccare, ti ho detto.”
“Ehi
fratello non ti scaldare.
Non ho fatto niente, non ancora.”
“E
ti assicuro che non ci sarà
altra occasione. Perché se anche solo alzi un dito su di
lei..”
“Se
la tocco tu cosa? Avanti
sentiamo! Che cosa farai?”
“Ryan
non mi provocare. Ho
smesso di stare seduto in un angolo e lasciarti fare i tuoi porci
comodi. Lei
sta con me, per cui tu non ti devi azzardare mai più a
toccarla.”
Il
maggiore alzò le mani in
segno di resa, ma era evidente che non era finita lì.
Tutta la grinta che Violet
aveva messo nel rispondere alla mamma di Nathan, era svanita. Si
sentiva più
indifesa di un gattino spaventato e non vedeva l’ora di
andarsene da lì.
“Dov’è
Jackie?” chiese Nate
guardandosi intorno.
“È
da Lisa.”
“Uno
di voi può andarla a
chiamare?”
“Perché
non ci vai tu insieme
alla tua puttanella?” la risposta della madre era
più velenosa di un serpente.
“Adesso
BASTA!” Nathan stava
perdendo la pazienza. Era la prima volta che lo sentiva alzare la voce
così. Le
metteva quasi paura. “Lei è Violet. È
la mia ragazza e come tale merita
rispetto. Se pensate che cambi qualcosa insultarla così,
bè allora sbagliate di
grosso! Finitela. E che uno di voi vada a chiamare Jackie.”
Quelle parole dovevano
aver fatto effetto su Renée perché, dopo un
attimo in cui sembrava
esterrefatta, era uscita di casa sbattendo la porta.
Gli occhi di Nathan sembravano
infuocati. Era scattato solo per difenderla, ed eccome se era scattato.
L’aveva
persino spaventata, ed era certa che tutto il piano avesse sentito le
sue urla.
Riacquistata
la calma in poco
tempo, Nathan accompagnò la ragazza in quella che doveva
essere la sua vecchia
camera da letto.
Vi erano tre materassi per
terra e un armadio con un’anta rotta.
“Devo
preparare la borsa per
Jackie. Non ha molte cose, ma sono certo che ci sarà
qualcosa che vuole portare
con se. Questo ad esempio.” Indicò un piccolo
orsacchiotto logoro e malconcio.
Gli mancava persino un orecchio, maevidentemente alla bambina non importava.
“Lo
teneva stretto a sé la
notte, per addormentarsi.”
Istintivamente
Violet si
avvicinò a Nathan e lo abbracciò alle spalle.
“Amore, vedrai che starà bene a
casa con te e giuro che cercherò di darti una mano anche io!
Posso aiutarla con
i compiti se vuoi.” Gli sorrise appoggiando affettuosamente
il viso alla sua
spalla.
Ryan, alle loro spalle,
osservava la scena e aveva un ghigno malvagio sul volto.
“Mamma
ho fame, quando
mangiamo?!” la bambina era ignara della presenza del fratello
in casa. Solo a
sentir quella vocina, Nathan scattò in piedi e facendo segno
a Violet di non
fare rumore, si incamminò verso la sala in punta di piedi.
“Mangiamo
quando saranno pronte
le pizze.” Annunciò il giovane sorprendendo la
sorellina.
“Nateeeeeeeeeeeeeee”
Urlò la
piccola Jackie saltando in braccio al fratello.
Era
tenerissima nel suo
vestitino azzurro, le braccine avvolte intorno al collo di Nathan e il
viso
nascosto nel suo incavo.
Aveva ancora il gesso al polso,
decorato con fiori dai colori improbabili e un po’ usurato
dal tempo. Ancora
poco e avrebbe potuto toglierlo.
La visione d’insieme era tanto
tenera quanto buffa. Sembrava di avere un piccolo koala abbracciato ad
un
gigante d’ebano.
Osservare quella scena rendeva
Violet serena, riusciva a palpare l’amore che quei due
fratelli provavano l’uno
per l’altra.
“Ehi
Koala. Ho portato con me
una persona che voglio farti conoscere.” Nathan sciolse
l’abbraccio che li
univa. La piccola cercava con lo sguardo nella stanza il nuovo
arrivato;
sembrava curiosa, finché non posò lo sguardo su
Violet.
Quell’aria furbetta e curiosa
si trasformò in uno sguardo di sfida e possessivamente,
aveva stretto forte a
se il fratello, come ad indicare che gli appartenesse.
Avvicinò lo sguardo al suo e,
abbassando un po’ il tono di voce, gli comunicò:
“Non la voglio conoscere.”
“Perché
no?” chiese Nathan che
già aveva capito tutto.
“Perché
è cattiva.”
“Fidati
piccola che Violet è
tutto tranne che cattiva.”
La
sorellina sembrava poco
convinta, e lo guardava ancora con fare scettico.
“Perché ha il nome di un
fiore?”
Il
fratello sorrise. “Perché è
delicata e bella come un fiore.”
“Ma
ti porterà via da me..”
ecco che aveva rivelato la sua paura. Una grande paura per
quell’esile corpo di
cinque anni. La paura di ogni sorella più piccola: che gli
si porti via il
fratello.
Nathan sorrise ancora una volta
di fronte a quella piccola confessione e risoluto le disse:
“Non fare la
sciocchina. Lo sai benissimo che nessuno mi porterà via da
te. Tanto meno lei.
Anzi! Siamo venuti qui per portarti con noi.”
Jackie
spalancò gli occhi e
mostrò un sorriso bellissimo nonostante qualche finestrella
dovuta ai denti da
latte che stava cambiando. “Davvero??? Allora voglio
conoscerla.” Fece cenno al
fratello di lasciarla scendere e corse ad abbracciare la ragazza
stringendola
alla vita.
Violet era rimasta paralizzata da
quel gesto e solo dopo qualche secondo ricambiò
l’abbraccio.
Era piccola e gracile persino
fra le sue braccia; stringendola sentiva le ossa delle spalle sotto la
pressione delle sue dita, che insieme al contatto col gesso, le
ricordavano
quanto brutta potesse essere la vita in quella casa.
“Non
ti preoccupare Jackie..
non te lo voglio portare via. Saremo tutti insieme.”
Il
loro abbraccio, pur essendo
due sconosciute, era intenso. Non aveva nulla di freddo ed estraneo;
Violet
sentiva quasi che la conoscesse da una vita e che sapesse come
comportarsi e
cosa fare con lei.
Fu lei a sciogliere l’abbraccio
e consapevole del fatto che la piccola aveva fame le
comunicò che sarebbe andata
lei con Nathan a prendere le pizze.
La
cena passò tranquilla,
nonostante le continue frecciatine e allusioni di Ryan. La piccola
Jackie aveva
chiesto a Violet della scuola e come aveva conosciuto il fratello.
Erano
domande dettate dalla curiosità e forse da un briciolo di
consapevolezza del
fatto che di lì a poco si sarebbero viste tutti i giorni.
Dopo l’ammonizione di
Nathan e vedendo che la ragazza era genuina, la madre aveva iniziato a
trattare
con più rispetto Violet e, mentre mangiavano, aveva iniziato
a porle qualche
domanda per conoscerla almeno un poco.
Renée non era una donna
cattiva, ero solo arrabbiata e nei momenti in cui non era fatta
riusciva anche
a risultare una presenza piacevole.
Quegli sforzi realizzati dalla
madre erano molto apprezzati da Nate. Sapeva che non le costava poco,
sapendo
che lei gli avrebbe portato via la figlia insieme a lui.
Presa coscienza di ciò Nathan
guardava con malinconia quella tavolata improvvisata, sperando
ardentemente che
quello potesse essere un ritratto di famiglia. Ma la realtà
era ben differente
e non poteva lascarsi illudere da quello sprazzo di
felicità.
Finita
la cena, Nathan era
uscito solo un momento per buttare i cartoni delle pizze, per evitare
di farli
portare fuori a sua mamma. Già appena chiusa la porta
dell’appartamento, Ryan
si era avvicinato a Violet spavaldo e aveva iniziato a punzecchiarla.
“Hey
moretta.”
“Ryan..”
Violet aveva risposto
più per educazione che per altro. Voleva mantenere le
distanze da quel ragazzo
che non le piaceva per niente. In quel momento si rese conto di essere
da sola
nella stanza con lui. Jackie e la madre erano andate a fare il bagno e
lei era
rimasta in sala con il maggiore dei Campbell.
“Bambolina
cos’è questo
atteggiamento, eh?” chiese sprezzante.
“Non
è nessun atteggiamento: mi
hai chiamato e io ti ho risposto.” Non voleva farlo
innervosire. Aveva paura di
una sua possibile reazione.
“Bè
mi sembra che tu non mi
voglia attorno. Sbaglio vero?” aveva chiesto sedendosi
accanto a lei sul divano
e sfiorandole la tempia con il dorso della mano.
Violet si irrigidì di colpo e
cercò di allontanarsi. Fece per alzarsi, ma Ryan la prese
per un polso e la
calcò sul divano.
“Non
puoi scappare da me,
bambolina.”
“Nathan
sarà di ritorno a
minuti.” Aveva tentato con quella carta, nella speranza di
liberarsi della sua
pressante presenza al suo fianco.
“Non
che mi interessi
particolarmente. Anzi. È davvero irritante che lui abbia una
ragazza come te..”
si era avvicinato maggiormente e Violet indietreggiava quanto poteva
finché non
si trovò addosso al bracciolo del divano.
“Non
mi toccare.” Disse con
voce tremante. Aggiunse un per favore nella speranza che lui desistesse
nei
suoi intenti.
“Non
posso farne a meno..” e
continuava con il dorso della mano ad accarezzarla. A quel contatto
Violet si
era pietrificata e mancava poco che iniziasse a tremare.
“Lascia-mi
an-dare, per
fa-vore.” Quello che le uscì era un sussurro
spezzato dalla paura. Non riusciva
ad urlare. La voce non voleva uscire dalle corde vocali.
“Vedrai
che ti piacerà..”
Violet era spaventata e voleva scappare, ma non vedeva via di uscita.
L’unica
cosa che le venne in mente fu di prendere la lampada da tavolo che era
accanto
al divano e di scaraventarla, con tutta la forza che avesse, addosso al
fratello di Nate.
E lo fece. Con un fortunato
scatto riuscì ad afferrarla e lanciarla sul volto di un Ryan
che arrabbiato
aveva iniziato ad imprecare. In quell’attimo Violet era
riuscita ad
allontanarsi dal divano e si era avvicinata alla cucina.
“Proprio
non dovevi farlo bambolina.”
Le
gambe le tremavano e il
cervello le diceva di andare alla porta per scappare da quella
situazione, da
quella casa e poter tornare finalmente con Nathan a casa.
Velocemente frappose il tavolo
tra lei e il maggiore facendo una specie di macabro girotondo che la
porto ad
essere in direzione della sua via d’uscita. Con uno scatto
quasi felino si
lanciò verso la porta. Ryan purtroppo la raggiunse in pochi
secondi, prima che
le sue mani tremanti riuscissero ad aprire la porta. La prese di peso e
la
portò in camera, chiudendo la porta a chiave mentre la
poveretta urlava,
attirando l’attenzione di Renée e della piccola
Jackie.
La piccola ancora nella vasca
voleva uscire per andare a vedere cosa stava succedendo, ma la madre
glielo
impedì dicendole di rimanere al sicuro e in silenzio in
bagno.
“Ryan
apri la porta!” nel giro
di pochi secondi Renée bussava alla porta chiusa a chiave e
pregava mentalmente
che non stesse facendo del male alla ragazza dell’altro suo
figlio. Se fosse
stato così avrebbe perso Nathan per sempre. Sarebbe stato
l’ennesimo passo
lungo la strada del non ritorno che il figlio avrebbe percorso.
Le urla di Violet avevano
attirato l’attenzione dei vicini di casa.
Fortunatamente
nell’appartamento accanto al loro abitava Kyle,
l’amico di Nathan.
Si aspettava qualche cazzata da
parte di Ryan per cui con le orecchie tese era rimasto in attesa che
lui
compiesse qualche danno. Nel giro di un paio di minuti era fuori dal
suo
appartamento e in quello di Nathan. Gli aveva aperto la signora
Campbell spaventata.
“Renée,
vai a chiamare Nate di
sotto. A Ryan ci penso io.”
Senza
dire altro si era diretto
alla porta e aveva iniziato a bussare con violenza, tirandole ripetuti
pugni.
“Ryan!
Cazzo apri questa
maledetta porta!” lui però non rispondeva, era
preso da altro.
Nella
stanza la povera Violet
piangeva e disperata si dimenava nella presa del ragazzo. Ryan le aveva
strappato la parte alta della maglietta, scoprendole così
una spalla e parte
del reggiseno blu che le copriva il petto. La paura la assaliva e
continuava a
piangere, non aveva nemmeno la forza di tentare di scappare. Quel
sentimento
ridondante l’aveva sopraffatta e le impediva ogni movimento
oltre al frenetico
dimenarsi che serviva solo a far innervosire Ryan e a guadagnare tempo
nella
speranza che qualcuno la salvasse.
Sentì Renée bussare alla porta
e preoccupata chiedere al figlio di non fare cavolate. Poi avevano
iniziato a
bussare con più violenza e la voce era maschile. Sperava
tanto che fosse la
voce di Nathan, ma non era così. Era quella di uno dei
ragazzi che aveva
conosciuto quel pomeriggio, quando era arrivata in quel quartiere dal
quale
sperava di uscire al più presto.
“Ryan!
Cazzo apri questa
maledetta porta!” il messaggio era chiaro; peccato che il
ragazzo non era
intenzionato ad assecondare quella richiesta.
“Aiutooooooo!”
fu l’unica
parola che riuscì ad urlare Violet prima che si prendesse un
forte schiaffo in
pieno viso.
Kyle
aveva aumentato
l’intensità dei pugni e sembrava avesse iniziato
anche a prendere la porta a
spallate. Purtroppo però quella non dava segno di cedere.
“Nathan!
Violet.. Ryan..” Renée
non era riuscita nemmeno a formulare una frase di senso compiuto,
quando si era
rivolta al figlio che si era fermato per un minuto a parlare con dei
suoi vecchi
amici del quartiere.
L’espressione sul viso di
Nathan era di terrore puro; quella però si
trasformò subito in rabbia appena
elaborò quelle tre parole che sua madre gli aveva rivolto.
Correva.
Correva come un forsennato e
facendo i gradini a tre a tre in men che non si dica era arrivato al
suo
appartamento dove aveva trovato la porta socchiusa.
Era entrato velocemente e si
era sorpreso alla vista di Kyle nel suo appartamento che bussava come
un
forsennato alla porta della sua stanza.
“Sono
lì dentro.” E lui aveva
capito tutto senza che il suo amico dicesse altro.
Con
uno slancio deciso si era
avventato contro la porta, ma con scarsi risultati. “Ryan! Fermati prima che decida di
ammazzarti con le mie
stesse mani!” Nathan era davvero arrabbiato e il suo tono non
lasciava molto
spazio all’immaginazione.
Per tutta risposta si udì
solamente un ghigno, che risaltava tra i lamenti della povera Violet
che
cercava di sfuggire alla presa di Ryan che si faceva sempre
più stretta e
morbosa.
“Nat-“
aveva cercato di
chiamarlo, ma si era presa un altro schiaffo.
Un
altro colpo che le fece
sentire la testa pesante, come se quel rumore secco facesse eco nel suo
cranio.
Kyle osservava il suo amico,
determinato a salvare la ragazza dalle grinfie del fratello.
“Nate,
al mio tre.”
“Vai!”
“Uno…
due… TRE!” una spallata
di coppia e la porta aveva ceduto sotto il loro peso, e con essa erano
caduti
anche loro.
Non era propriamente un
intervento da film visto che a Kyle era costato una lussazione alla
spalla.
Nathan si era rialzato
velocemente e si era avventato sul fratello; all’inizio solo
per allontanarlo
da Violet e successivamente per tirargli un pugno in faccia tanto forte
da
rompergli il naso.
Fortunatamente per Ryan o
Nathan, a seconda dei punti di vista, Kyle era intervenuto cercando di
placare
l’ira dell’amico.
“Hey
fratello, fermati. Non
vale la pena che tu ti metta nei casini per lui.”
Nathan
aveva nuovamente alzato
il braccio per sferrare un secondo pugno al fratello, ma a quelle
parole si
fermò. Pensò a ciò che aveva detto il
suo amico e a quanto quelle parole erano
vere.
Picchiarlo non avrebbe cambiato
quello che aveva già fatto, però era
così difficile smettere di sfogare la sua
rabbia. Sommando il fatto che ogni volta che buttava uno sguardo veloce
verso
il materasso dove c’era Violet rannicchiata, il nervoso
prendeva il sopravvento
e alimentava la sua ira funesta.
Osservava Ryan per terra mentre
si puliva il volto dal sangue che gli colava copioso dal naso.
“Bastardo.
Non ne vali davvero
la pena.”
Quella
rabbia si stava
trasformando in sdegno e ribrezzo per quell’essere che era
suo fratello. Non
era mai stato un pezzo di pane, ma non pensava potesse arrivare a
tanto.
Dopo
poco concentrò la sua
attenzione sulla piccola Violet che, accovacciata stretta nelle sue
esili
braccia, cercava di proteggersi dal resto del mondo.
Con lo sguardo perso nel vuoto la
ragazza rifiutava l’aiuto di Kyle e impassibile continuava a
stringere le gambe
al petto.
Con un cenno del capo Nathan indicò
all’amico di uscire dalla stanza e di portarsi dietro Ryan.
Le lacrime scendevano tra i
singulti lungo le guance arrossate e gonfie di Violet; Nathan osservava
quel
triste spettacolo sentendosi colpevole per aver creato quella
situazione e impotente
perché consapevole di non poter fare molto per aiutarla a
riprendersi da quel
trauma.
La
testa le pulsava,
probabilmente per lo spavento e per le continue lacrime che scorrevano
senza
riuscire ad essere fermate, ma sicuramente anche per gli schiaffi che
le
avevano infiammato le guance.
Violet era in uno stato di
trans, durante il quale riviveva in ripetizione quei momenti di paura.
Sentiva
i suoni passati come se avesse acceso un lettore musicale con
l’opzione
riproduzione continua attiva.
Lo strappo della maglia; la zip
dei jeans, dei quali fortunatamente non era riuscito a togliersi; il
bussare
insistente, la voce di Kyle.. quella di Nathan; il tonfo sordo della
porta ed
infine il frantumarsi delle ossa del naso di Ryan.
Tutta quella situazione era
colpa sua. In quel momento desiderava non essere mai arrivata a New
York. Le
era balenato anche il pensiero di non voler essere mai uscita con
Nathan; se
non lo avesse conosciuto tutto quello non sarebbe successo.
Forse era anche colpa sua. Sua
e della sua famiglia.
Era stato un errore farsi
trascinare in quel turbinio di emozioni che l’avevano portata
dove era ora.
Non riusciva a pensare ad
altro. Il suo corpo non rispondeva ai comandi che le dava: rimaneva in
posizione fetale.
L’attacco
di Ryan si era svolto
in pochi minuti.
Pochi minuti infernali; istanti
che Violet aveva vissuto intensamente suo malgrado.
Nathan era seduto spalle al
muro che la osservava mortificato. In silenzio. Nessuno parlava;
nemmeno la
madre che da poco rientrata osservava la porta completamente
scardinata, e l’interno
della stanza dove stavano i due ragazzi.
Si era diretta poi da Jackie,
che infreddolita l’attendeva ancora nella vasca con le
orecchie tappate per non
sentire le grida e gli insulti di suo fratello.
Asciugata e vestita, sempre
dello stesso vestitino azzurro, entrò silenziosamente nella
camera e si sdraiò
accanto a Violet assumendo la stessa posizione e rimanendo con i suoi
occhioni
neri e grandi ad osservarla piangere.
Erano passate due ore da quanto
era accaduto e la situazione non sembrava smuoversi.
Nathan continuava a sentirsi in
colpa per quello che era accaduto a Violet e il senso di colpa non
l’avrebbe
abbandonato facilmente. Portarla l’ era stato uno sbaglio;
non avrebbe dovuto
farlo, maledetto lui e il suo egoismo.
La piccola Jackie era ancora
accanto a Violet in silenzio e stringeva gelosamente a sé
l’orsacchiotto.
Violet
vedeva, ma non guardava
quello che le succedeva attorno. Si era accorta della presenza di
qualcuno sul
materasso per l’abbassamento dovuto al peso. Però
non era una presenza
ingombrante o fastidiosa, anzi era in qualche modo rassicurante: la
faceva
sentire meno sola nella sua desolazione.
Si voltò verso quella presenza
silenziosa e aveva scoperto che era Jackie.
La bambina la osservava con
quella che avrebbe detto empatia; in quegli occhioni neri rivedeva
quelli di
Nathan avevano la stessa forma e la stessa luce. Ispiravano calma e
tenerezza,
tanto che inaspettatamente Violet le sorrise. Jackie
ricambiò e le porse
gentilmente il suo orsacchiotto; pensava che potesse darle conforto
come aveva
fatto con lei nelle notti in cui aveva paura e voleva qualcuno accanto
per
aiutarla ad addormentarsi.
Era un gesto importante che
Violet accolse di buon grado e avvicinò la bambina a
sé e stingendola, le aveva
sussurrato: “Andiamo a casa piccola.”
Armata
di non si sa quale forza
la giovane si era alzata dal suo nido improvvisato e si era diretta
verso
Nathan; strinse una mano tra le sue “Portaci a casa, ti
prego.”
“Tutto
quello che vuoi amore
mio.” in pochi secondi si era alzato e aveva recuperato la
borsa che aveva
riempito con le cose della sorellina.
Si era poi diretto in sala e
aveva annunciato la loro partenza immediata alla madre, la
abbracciò
evidentemente toccato dagli avvenimenti da quella
giornata. .
“Mi prenderò
cura di lei.
Vedrai che avrà una vita migliore.” Aveva
rassicurato la madre e aveva
accompagnato Violet all’uscita tenendo sia lei che Jackie per
mano.
Non ebbe nemmeno il tempo di ringraziare il suo amico, che per aiutarlo
si era persino fatto male. Non poteva chiedere alla sua ragazza di
rimanere ancora in quel posto orribile. Kyle avrebbe sicuramente
capito.
Era
notte fonda quando i
ragazzi ripartirono.
Nathan mise in moto e dallo
specchietto retrovisore osservava la bambina e la sua ragazza sdraiate
abbracciate. Violet aveva gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso sulle
cuciture
dei sedili in pelle della Chevrolet. Non lo aveva guardato negli occhi
nemmeno
una volta da quando era successo tutto. Anche quando gli aveva chiesto
di
partire, si fissava le mani che stringevano la sua, ma non lo aveva
guardato.
Vederla così era una sofferenza che non sapeva per quanto
avrebbe potuto
sostenere; voleva parlarle, chiederle scusa, o almeno dire qualcosa, ma
osservandola così distrutta e spogliata di tutta la sua
vitalità, gli stringeva
il cuore e le parole venivano a mancare.
Il
traffico scorreva veloce e
dopo solo due ore di viaggio erano a metà strada. Violet si
era addormentata
finalmente, ma non aveva smesso di stringere a se Jackie.
Quell’immagine,
ritratto della tenerezza, sarebbe rimasta impressa nella memoria di
Nathan a
lungo, magari per sempre.
“Fratellone?”
“Dimmi
Jackie.”
“Cosa
è successo a Violet?”
“Una
cosa brutta piccola, una
cosa che non dovrebbe succedere a nessuno.”
“Che
cosa?”
“Ryan
l’ha fatta piangere.” Non
voleva entrare nello specifico; non sapeva bene cos’era
successo, ma
soprattutto non era giusto dare quel fardello da sopportare ad una
bambina di
cinque anni.
“Perché
Ryan è cattivo?”
“Fa
il cattivo perché ha paura
di non essere forte abbastanza.”
“Ma
tu non fai il cattivo.”
“Io
e Ryan siamo diversi.”
Disse semplicemente sorridendo per rassicurare la sorella.
“Tu
sei il mio eroe!” Abbracciò
il collo del fratello da dietro, in piedi sul sedile.
“E
tu sei la mia principessa lo
sai?” la bambina ridacchiava per quell’affermazione.
Violet
origliava quella
conversazione, aveva finto di dormire per non vedere gli occhi tristi
del suo
ragazzo; vedere che anche lui soffriva in qualche modo le faceva male,
nonostante lei ad avesse subito la frustrazione di Ryan, Nathan si
sentiva
colpevole. Riflettendo la giovane era giunta alla conclusione che non
era colpa
sua se si ritrovava un fratello del genere, non si era scelto lui la
famiglia.
Violet cullata da quei pensieri
si addormentò per davvero questa volta.
Venne svegliata dalle dolci
parole di Nate che le facevano capire che era il momento di scendere
dall’auto.
Erano davanti a casa del
ragazzo, la piccola Jackie dormiva sul sedile davanti e aveva il
sorriso sulle
labbra.
“Violet,
amore siamo arrivati a
West Newbury.. Siamo a casa mia perché ho pensato di mettere
a letto Jackie
prima di portare te a casa. Volevo parlare un po’ con
te.”
“No,
Nate per favore. Portami a
casa. Non voglio parlare.”
“D’accordo.”
Senza protestare
Nathan mise in moto e si diresse a casa di Violet.
“Eccoci
arrivati.” Il ragazzo
cercava di essere gentile, ma Violet non glielo permetteva. Lo lasciava
con
l’amaro in bocca, ogni volta che diceva qualcosa.
“Già.”
“Mi
dispiace.”
“Non
è colpa tua Nathan. Solo non
voglio parlarne. Voglio solo andare a dormire e dimenticarmi di tutto
questo.”
“Va
bene.”
Violet
scese dalla macchina
velocemente, non lo salutò nemmeno. Corse al portone e dopo
pochi secondi
sparì.
Fece le scale di corsa e si
precipitò alla sua porta, che si chiuse alle spalle in un
batter d’occhio.
Ad accoglierla c’era il suo
micione che sbadigliando le si era avvicinato.
Non lo prese nemmeno in
braccio, si fiondò sul letto e ricominciò a
piangere.
Dopo mezz’ora di pianto
liberatorio si era diretta in bagno per sciacquarsi di dosso il senso
di
sporcizia chesentiva pesare su di lei.
Davanti allo specchio fissava
la sua immagine riflessa.
Una lei che quasi non
riconosceva. Aveva tutta la faccia gonfia e gli occhi arrossati e a
palla. La
maglietta rotta le scopriva la spalla e sulla sua pelle delicata poteva
vedere
i segni della presa violenta di Ryan sul suo corpo.
A quel ricordo chiuse gli occhi
e cercò di trattenere le lacrime.
Questa volta ce la fece, e una
volta piena la vasca ci entrò, ma solo dopo aver buttato
nella pattumiera i
vestiti di quella giornata.
Le bolle di sapone erano la sua
unica compagnia in quella nottata che stava per finire, tra meno di due
ore
sarebbe suonata la sua sveglia e un altro giorno sarebbe iniziato.
Non avrebbe sicuramente
dormito, aveva paura di addormentarsi e sognare di rivivere di nuovo
quell’orrenda situazione.
Al suono della sveglia era già
pronta per uscire di casa. Si era persino truccata per sembrare meno un
palloncino, ma una volta giunto il momento di uscire non ce la fece. Le
sue
gambe erano piantate per terra e non le permettevano di alzarsi dal
divano.
Alla fine quel giorno rimase a
casa, anche per il lavoro si diede malata e una volta lavata la faccia
e
infilato il suo pigiama preferito, si era buttata a letto nella
speranza che
quello fosse tutto un terribile incubo e di svegliarsi il giorno dopo
più
riposata che mai.
Il sonno ristoratore che tanto
desiderava, venne sostituito dal suo incubo peggiore.
Era da sola, in un vicolo cieco.
Aveva il fiatone;
stava scappando da qualcuno, ma ora non aveva via d’uscita.
Sentiva dei passi
alle sue spalle, e di lì a poco sopraggiunse una figura
maschile che ghignava.
Era un ghigno familiare e la terrorizzava tantissimo: era
Ryan.
L’aveva rincorsa e ora l’avrebbe anche presa,
perché
era da sola, senza via d’uscita e nessuno a soccorrerla.
Si era messa ad urlare nella speranza che qualcuno la
sentisse, ma nessuno accorreva, e le sue gambe cedettero e si
ritrovò accasciata con le braccia che coprivano la faccia e
le lacrime.
Ryan si avvicinava sempre di più e lei impotente non
poteva fare nulla.
Si
svegliò di soprassalto e
sudata fradicia.
Ansimava e si chiedeva dove
fosse.
Fortunatamente toccando in giro
si accorse che era nel suo letto e facendo mente locale si rese conto
che
quello era stato tutto un sogno.
La sveglia segnava le 19 e 42
di martedì, aveva dormito tutto quel tempo e non se ne era
nemmeno resa
conto.
Svogliata si era diretta verso
il tavolo dove aveva abbandonato il telefono che ora lampeggiava. Un
messaggio
da leggere e sapeva benissimo chi fosse il mittente: altri non poteva
essere
che Nathan.
Ehi
piccola! Capisco che vuoi stare da sola e che hai bisogno di
tempo per riflettere, però mi manchi. Mi manca sentire anche
solo il suono della
tua voce e vorrei averti accanto adesso. Sono due giorni che non vieni
nemmeno
da Hilda… so che non ne vuoi parlare, ma mi dispiace
scimmietta, non volevo che
tu soffrissi. È anche colpa mia, non avrei dovuto chiederti
di accompagnarmi.
Scusa, un bacio.
Era un messaggio molto dolce
che la fece sorridere. Mancava anche a lei.
Sicuramente non sarebbe
riuscita a dormire quella notte per paura di fare ancora quel terribile
incubo
così sui due piedi decise di chiamare Nate; magari avrebbe
trovato un po’ di
conforto nella sua voce e nelle sue parole. Aveva sempre una parola
dolce per
lei e non si stancava mai di dirle quanto fosse bella e perfetta per
lui. Tutte
quelle lusinghe facevano bene alla sua autostima e in quel momento ne
aveva
bisogno più che mai.
Il telefono squillava a vuoto;
non aveva pensato che potesse lavorare a quell’ora.
“Pronto?” una vocina squillante rispose alla fine.
“Ciao
Jackie, sono Violet, tuo
fratello è lì con te?”
“Ciao
Violet! Il mio fratellone
sta preparando la cena.”
“Allora
non disturbarlo. Gli
puoi solo dire che ho chiamato?”
“Si..”
rispose ma non sembrava
avesse terminato. Violet aveva quella sensazione e così
interruppe quel
silenzio.
“Jackie,
c’è qualcosa che vuoi
dirmi?”
“Sei
arrabbiata con mio
fratello?”
“Se
sono arrabbiata con
Nathan?”
“Si,
ha detto che non gli
parli.”
“No,
non sono arrabbiata con
lui. Ho solo avuto una brutta giornata.”
“Anche
ieri era una brutta
giornata?”
“Si
piccola, anche ieri era una
brutta giornata.”
“Ma
anche domani lo sarà?”
“Non
lo so Jackie.” Era vero.
Non aveva la più pallida idea di come si sarebbe sentita il
giorno dopo.
“Lui
è triste.”
“Chi
è che è triste?” una voce
in lontananza aveva sentito l’ultima frase della piccola e
quella domanda aveva
fatto sussultare l’animo di Violet.
“Tu
sei triste.” Aveva risposto
Jackie senza peli sulla lingua con la sua beata innocenza e
sincerità.
“Io
sono triste? Ma no Koala!
Sono contento che tu sia qui con me!.. Ma con chi stai
parlando?”
“Con
Violet.” La ragazza
ascoltando quello scambiarsi di battute era rimasta come un ebete a
immaginarsi
la scena; tanto che quando fu Nathan a prendere la parola ci mise un
po’ a
realizzarlo.
“Violet
ci sei?”
“Si
si sono qui.”
“Che
bello sentirti di nuovo.
Avevo paura che non mi volessi più vedere.”
“Ma
io ho chiamato per Jackie,
che credi?” era riuscita a scherzare in quel momento. Forse
per stemperare
l’atmosfera, o per paura delle domande che lui avrebbe potuto
farle.
“Ah..”
“Hey
guarda che scherzavo!”
sembrava esserci rimasto male, forse non aveva colto lo scherzo, oppure
stava
facendo finta.
“Si
ok..”
“Ci
sei rimasto male?”
“Non
per quella singola frase
Vì; per tutto il resto.”
“Che
cosa stai dicendo Nate?”
“Sto
dicendo che per due giorni
non ti sei fatta sentire e ora, e capisco dopo quello che è
successo, ma adesso
mi chiami e scherzi così semplicemente? Io sono stato male
per te e senza di
te, e ora tu hai voglia di scherzare? Scusa ma a me non va di stare a
questo
gioco.”
“E
secondo te che cosa dovrei
fare? Piangere? Disperare? Tagliarmi le vene? No grazie, ho
già dato!”
“Non
sto dicendo che tu debba
disperare ancora, sto dicendo che vorrei che parlassi con me di come
stai, di
quello che senti, che provi, che pensi. Questo per me vuol dire essere
una
coppia! Nel bene e nel male; io vorrei che fossimo una coppia in tutto
questo,
non solo quando le cose vanno bene.”
“Nate
non mi va di litigare..
non sono dell’umore adatto e proprio questa discussione non
mi sembra
necessaria.”
“Per
me invece lo è.. ora ho
delle responsabilità: devo prendermi cura, oltre che di me
stesso, anche di
Jackie. Voglio che tu sia al mio fianco in questo grande passo, ma
dobbiamo
essere complici, altrimenti non funziona e ci stiamo male entrambi.
Già sto
male adesso a farti questo discorso, ma è necessario
Vì; mi dispiace ma devo
comportarmi da adulto responsabile, non posso permettermi di
sbagliare.”
Violet
era rimasta in silenzio
dopo quel suo discorso. Non aveva tutti i torti; la sua
priorità era la
sorellina e lei doveva capirlo e accettarlo.
“Con
questo non sto dicendo che
quello che provo per te passa in secondo piano, ma che le cose devono
coesistere. Tu mi piaci davvero tanto e lo sai, anzi sai benissimo
quello che
provo per te: ti amo come non ho amato mai nessuna, però ora
c’è anche Jackie
che ha bisogno d’amore e di cure e io devo e voglio che lei
si senta
completamente a casa con me e magari anche con te.” Nathan
era un ragazzo cresciuto
troppo presto, a soli ventuno anni aveva una sua famiglia un
po’ strana. Erano
lui, sua sorella e lei. Lui voleva che Violet facesse parte della sua
vita con
il ruolo di compagna fissa. Aveva bisogno di stabilità e di
sentirsi amato,
visto che tutto quel sentimento gli era stato negato per tutta la sua
crescita.
Ma lei cosa voleva? Violet era
davvero pronta per entrare a pieno titolo a far parte di quella
famiglia? Era
pronta a prendersi la responsabilità di una bambina?
Prima della sua disavventura a
New York non sentiva ancora la cosa come un dovere impellente ma, in
quel
momento, le parole di Nathan l’avevano fatta pensare.
Non poteva entrare nelle loro
vite e sconvolgerle se era solo di passaggio; doveva essere sicura,
convinta,
di quello che stava per affrontare.
Se prima pensava che la scelta
del college fosse la decisione più importante della sua
vita, ora si stava
ricredendo. La vita non era fatta di soli libri e crescita culturale,
c’era
tutto un mondo fuori da quello della scuola e non era così
semplice e tanto
meno protettivo e tutelante.
Perché alla fine è vero. La
scuola da molta pena ai giovani studenti che l’affrontano, ma
li tutela da
quella che è la realtà esterna e difficile della
vita di tutti i giorni. Cerca
di prepararli ad un futuro nel mondo del lavoro, ma nella vita non
c’è solo
quello.
“Nate..”
il tono che adottò non
era per niente rassicurante. Doveva aspettarsi il peggio, le aveva
chiesto
molto e ne era consapevole. Aveva solo diciotto anni e tutta la vita
davanti. “Io…
io avevo chiamato solamente per provare conforto sentendo le tue
parole, ora
invece mi ritrovo a pensare al mio futuro. E non un futuro lontano per
il quale
ho ancora molto tempo per pensare, ma un futuro prossimo, che potrebbe
addirittura iniziare domattina.. Nate io ho bisogno di tempo per
pensare.”
“Lo
capisco e lo accetto.
Pensaci, promettimi che lo farai e che se sceglierai di restare con me
lo farai
con sentimento. Io ti aspetterò.” Faceva male
anche solo a pronunciare quelle
parole, figuriamoci a metterle in pratica, ma non poteva pretendere
altro.
Spingerla a decidere sarebbe stata un’altra sorta di violenza
su di lei e non
se lo meritava.
“Ciao
Nathan.”
“Ciao
Violet.” Quel saluto
pesava come un addio, ma entrambi, nei loro cuori, non potevano
accettare che
fosse tale.
Avrebbero lottato per il loro
amore e per il loro futuro insieme.
Riattaccò
con una forte stretta
allo stomaco. Era una sensazione spiacevole: non era
quell’accartocciarsi di
budella per l’esitazione; era quello dovuto alla
preoccupazione di non essere
pronti, quello che si prova prima di un test importante, solo che non
era un
test per cui Violet avrebbe potuto prepararsi sui libri; era un test
che doveva
affrontare impreparata, dotata solo della migliore forza di
volontà e voglia.
Dopo neanche due minuti
d’attesa passati a fissare il vuoto e ad arrovellarsi il
cervello alla velocità
della luce Violet aveva richiamato Nathan che aveva risposto al primo
squillo.
“Hey”
“Passeresti
a prendermi?”
“Quando?
Adesso?”
“Sì.”
“Certo!”
“Porta
anche Jackie che non
puoi lasciare da sola una bambina affamata.”
“Giusto!
Allora dacci un quarto
d’ora e siamo da te.”
Violet
era corsa in bagno
appena terminata la chiamata.
Si era fatta una doccia veloce
e truccata per coprire i segni sul suo volto, che ora tendevano al
giallognolo.
Mentre si lavava la faccia si
continuava a porre quella semplice domanda che si era fatta prima di
richiamare
Nathan: Voglio davvero uscire dalle loro
vite?
La risposta era no, un no
deciso e quanto di più spontaneo potesse nascere da quel suo
cervello
iperattivo.
Lei voleva essere parte di
quella famiglia e avrebbe fatto di tutto per far tornare le cose come
prima.
Avrebbe accolto Jackie come la sorellina che non aveva mai avuto e
avrebbe
cercato di darle tutte le attenzioni che meritava.
Come Nathan, anche lei voleva
che quella bambina crescesse felice.
Dopotutto era solo una puffetta
di cinque anni che si affacciava alla vita come una farfalla esce dal
suo bozzolo.
I bambini devono poter essere felici, devono poter vivere la loro
infanzia tra
coccole, affetto e giocattoli senza troppe suggestioni
dall’esterno e devono
poter chiedere tutto quello che vogliono per capire, per imparare; per
iniziare
a volare.
Dopo quella veloce riflessione
si diresse alla cassapanca in fondo al letto ricordandosi di avere
ancora
qualcuno dei suoi vecchi peluches.
Si ricordava di uno in
particolare: uno che le era piaciuto subito, appena avvistato esposto
nella
vetrina di un negozio. Era una foca bianca con gli occhi grandi e
azzurri.
Quello sguardo vitreo e buffo l’avevano accompagnata nei suoi
pisolini
all’asilo e nei suoi pianti di crisi quando Ricky se ne era
andato. Era un
ricordo importante per lei e voleva che fosse di Jackie.
Si vestì velocemente e allo
scadere dei quindici minuti era pronta e in attesa fuori dal portone
del suo
palazzo.
Ecco che la vecchia Chevrolet
girava l’angolo, Jackie in piedi sul sedile davanti si
sbracciava per salutarla
e Nathan sorrideva vedendo sua sorella così contenta.
Si sedette sul sedile anteriore
e prese la bambina in braccio.
“Jackie
ho un regalino per te!”
si fece trascinare dall’entusiasmo della bambina che
l’aveva salutata calorosamente.
Le porse il peluche e la piccola s’illumino di un sorriso
tenerissimo che
evidenziava le fossette su quel suo faccino tondo.
La bambina le si attaccò al
collo, stringendola con tenerezza. “Grazie Violet! Mi piace
tanto! È più pulita
del mio orso!” sistemata sulle sue gambe rigirava e studiava
la piccola foca.
“Sono contenta che ti piaccia! Anche io me ne sono innamorata
subito! Ho
pregato mia mamma una settimana perché me la
comprasse!” sorrideva, rievocando
quelle immagini nella sua memoria.
“È
bella bella; no è
strabellissima! Grazie Violet!”
“Non
c’è di che, piccola.”
“Fratellone
hai visto che
bella?”
“No
Jackie, la guardo dopo a
casa; adesso sto guidando.”
“E
va bene..”
Nathan
sorrideva buttando
l’occhio ogni tanto alle due donne della sua vita.
Jackie
era corsa alla porta
lasciando involontariamente i due ragazzi da soli.
Nathan sentiva la necessità di
un contatto con Violet, ma dopo quello che aveva passato dubitava che
lo
volesse anche lei.
Scese lentamente dalla macchina
convinto di passare una serata fin troppo tranquilla, ma la ragazza lo
sorprese: gli si piazzò davanti alla portiera e
iniziò ad avvicinarsi finché
lui non poté più indietreggiare.
“Non
ti ho nemmeno salutato
prima.” Violet aveva pensato durante il tragitto; come al
solito pensava
troppo, non riusciva a farne a meno; non credeva nemmeno che si potesse
vivere
senza pensare. Questa volta però non erano macchinazioni
laboriose e complicate
era solo un’idea tesa al riavvicinamento con il ragazzo.
Secondo lei, infatti,
decidere di rientrare a tutti gli effetti nella vita del suo compagno
significava che tutto doveva tornare alla normalità e lei
doveva comportarsi
come una semplice ragazza innamorata. Perché quella era la
verità.
Pensò che salutare Nathan come
si doveva fosse un modo carino per dirgli che lei era
“tornata” per lui.
Agganciò le tasche dei jeans
con le dita per ridurre la distanza tra i loro corpi e gli
posò un intenso
bacio sulle labbra.
Nathan
non se l’aspettava, ma
era rimasto piacevolmente colpito dall’agire di Violet.
“Ciao” la voce di lui
era languida e calda.
“Ciao
amore.” Lo prese per mano
e lo condusse alla porta dove Jackie li aspettava.
Dal
nulla, seria, la bambina
esclamò “Perché vi nascondete per un
bacio? Se vi volete bene è una cosa bella.
Me l’ha detto la mamma.”
I due
ragazzi imbarazzati
scoppiarono a ridere.
“Ahahahah!
Davvero la mamma ti
ha detto questo?” chiese Nate aprendo la porta.
“Si,
anche alla tele lo fanno.
Però adesso mangiamo, per favore. Sono
affamatissimissima!” chiese attaccandosi
alla maglietta del fratello.
“Certo
mostriciattolo! Aiuta
Violet ad apparecchiare la tavola che io mi metto ai
fornelli.” “Mangi anche tu
piccola?” chiese rivolgendosi alla sua compagna.
“Certo!
Mi mancavano i tuoi
manicaretti!”
“Cosa
sono i manirachetti? Si
mangiano?” chiese Jackie curiosa, e la risata nacque
spontanea dalle labbra dei
due giovani.
“I
manicaretti sono delle cose
davvero buone da mangiare. Tuo fratello è davvero bravo in
cucina.”
“Nate,
allora mangiamo i tuoi
manirachetti stasera?” la piccola era soddisfatta di questa
nuova scoperta e
sorrideva; non si aspettava però che i due ragazzi
scoppiassero a riderle di
nuovo in faccia e si imbronciò. “Perché
mi prendete in giro?” chiese con le
braccia forzatamente incrociate al petto.
“Mostriciattolo
si dice
ma-ni-ca-retti, ma non ti stiamo prendendo in giro.” La prese
di peso e se la
caricò sulle spalle come piaceva a lei.
“Ma
ridevate..”
“Hai
ragione. È solo che la tua
è una parola buffa!” osservò facendola
scivolare sulla schiena per farla
scendere.
Era
divertente per la bambina
fare quel giochino strano che era seguito sempre da altre scherzose
coccole.
Dopo
aver apparecchiato Violet
si sedette al tavolo e si mise ad osservare la bambina appollaiata sul
piano
della cucina che seguiva attenta i movimenti sicuri del fratello.
Nathan si era accorto del suo
silenzio e capì che aspettava il momento giusto per dirgli
qualcosa.
“Jackie,
perché non vai a
prendere il tuo quaderno dei disegni e lo fai vedere a
Vì?”
“Corro!”
la bambina non
sospettando niente era corsa tutta pimpante alla ricerca del suo
quaderno.
“Che
c’è scimmietta?”
“Niente,
perché?” ometteva il
fatto che prima volesse parlargli.
“Non
vuoi dirmi niente?”
“Cosa
te lo fa pensare?”
“Sei
molto silenziosa.. osservi
e non dici niente.” Le parlava dandole le spalle e
continuando a mescolare con
calma il purè.
“No..
non è niente di
particolare.. stavo solo osservando quanto siete belli tu e tua sorella
insieme..”
“Bugia..”
Violet
sorrise, “Non ti posso
nascondere niente, eh?”
“No
scimmietta. Non riesci
perché non sei convinta che nascondermi le cose sia giusto e
quindi il tuo
volto diventa la maschera del dubbio e beh ho imparato a riconoscere
quell’espressione.”
“Ah..”
“Qualunque
cosa sia me la dirai
più tardi, ora sta tornando Jackie..”
Durante
la cena Jackie raccontò
a Violet tutto quello che aveva fatto con il fratello da quando era
arrivata a West
Newbury; era meravigliata da tutta la tranquillità che
c’era in quel posto e
soprattutto era curiosa di andare a fare una gita nella foresta accanto
al
paese. La bambina le mostrò inoltre un mazzolino margherite
che aveva raccolto,
descrivendole come i fiori più belli del mondo. Stando nel
Bronx non ne aveva
viste molte perché non si era mai mossa da quel quartiere
tutto strade e negozi
cinesi agli angoli delle vie.
Dopo cena si misero a guardare
tutti insieme un cartone animato alla tele per far contenta la piccola
Jackie.
Quella sera era molto allegra e per niente stanca.
“Ne
guardiamo un altro?”
“No
mostriciattolo, adesso devi
andare a fare la nanna.”
“Daiiiiii…
per favore
fratellone.”
“Jackie,
fai la brava. Vai a
fare la nanna, altrimenti non faccio venire più Violet a
trovarti.”
“Ma
io voglio vedere Ariel.”
Fece quell’espressione da cucciola, alla quale Nathan
faticava a dire di no.
Violet
vide che era in
difficoltà, perché non voleva fare il ruolo del
fratello cattivo, ma era già
tardi e la piccola doveva dormire. Erano già le dieci e
mezza.
“Jackie
e se andiamo a letto e
ti racconto la mia fiaba preferita?”
La
bambina sembrò perdere tutto
l’interesse per la sirenetta e acquistarne per la misteriosa
storia. “Di cosa parla?”
“Te
la racconto se adesso corri
a lavarti i denti e torni qui in pigiama.”
Senza
fiatare la bambina corse
al bagno e tornò mostrando i dentini perfettamente bianchi e
dall’alito fresco. “Sono un
fulmine.”
“Brava
mostriciattolo, adesso
accompagna Vì in camera tua che io ripulisco la
cucina.”
“Vado.”
“Ehi,
non dimentichi niente?”
chiese Nate alzando un sopracciglio.
La
bambina gli si buttò in
braccio, e gli stampò un bacio sulla guancia. Rise per il
solletico che le fece
il fratello che poi, con una leggera pacca sul sedere, la
cacciò a letto
scortata dalla sua dolce metà.
“Notte
mostriciattolo.”
“Notte
fratellone.”
Nella stanzetta che Nathan non
le aveva mai mostrato, c’era un letto in legno chiaro con
delle coperte
arancioni a scaldare l’atmosfera e che si intonavano con il
color pesca delle
pareti. Accanto al letto c’era una poltrona, evidentemente
usata per i racconti
della buona notte dove erano riposti l’orsacchiotto e la sua
piccola foca.
Violet si era soffermata con lo
sguardo sui peluches, “Buttali per terra, puoi.”
“No
poverini, lasciamoli
riposare sulla poltroncina, io mi stendo sul letto con te.”
La
piccola con un salto salì
sul letto e già sotto le coperte aspettava che Violet si
unisse a lei.
“Mi
racconti la storia?”
“Certo.
Allora inizia così:
c’era una volta un coniglietto di nome Balzo che si divertiva
a saltellare nel prato
la mattina. Un giorno saltellando distratto si scontrò con
un coniglietta..”
“Come
si chiama la
coniglietta?!?”
La
domanda non la sorprese,
perché la curiosità dirompente di Jackie le
ricordava la sua quando sua madre
le raccontava quella storia. Ogni notte, ogni racconto, si divertivano
ad aggiungere
dettagli insieme. “Lilla.”
“Che
nome buffo.” Sorrise
Jackie.
“Già..
ma dove eravamo… ah si
Balzo si scontra con Lilla, e le fa male ad una zampina, allora per
farle
passare il dolore le da così tanti piccoli bacetti dove le
faceva male che la
coniglietta inizia a ridere per il solletico e smette di pensare al
dolore.
Saltellano insieme fino a sera
e poi Balzo da gentilconiglietto la riaccompagna alla tana e torna a
casa anche
lui.
La notte la sogna e la mattina
dopo si risveglia pensando ancora a lei.”
“Si
è innamorato?”
“Si,
il piccolo coniglio si è innamorato
di Lilla e vuole rivederla; così torna a saltellare nello
stesso prato sperando
di rincontrarla.”
“E
la trova?”
“No.”
“Perché
no?” lo sguardo della
piccola si fa dubbioso.
“Perché
Lilla è andata bere
alla fonte della bontà.”
“La
fonte della bontà? Cos’è?”
“È
una sorgente dove l’acqua
che scorre, in bocca si trasforma nella tua bevanda
preferita.”
“Si
trasforma in thè alla
pesca?!?” domandò sorpresa Jackie.
“Se
ti piace tanto sì.”
“Si,
tantissimo! Ma come va
avanti la storia?”
“Lilla
è alla sorgente, mentre
Balzo è nel prato che sconsolato non la trova nella sua
ricerca. Allora
incontra un grillo di nome Cri e gli chiede se ha visto la sua
coniglietta. Cri
gli dice che l’ha vista e gli spiega come raggiungerla.
Allora Balzo tutto contento
corre a cercarla, e la trova. Bevono insieme il thè alla
pesca e tornano a casa
insieme saltellando contenti per i prati.”
“E
poi?” chiese smaniosa del
continuo di quella storia bizzarra.
“Il
resto lo devi sognare. Così
domani aggiungiamo il tuo pezzo alla storia e il giorno dopo ancora ne
attacchiamo un pezzo mio.”
“Davvero?
Allora faccio la
nanna subito!”
“Brava
Jackie.” E intanto le
rimboccò le coperte; le augurò la buona notte con
un bacio sulla fronte e poi
se ne tornò in cucina dove Nathan era alle prese con le
stoviglie.
Violet si avvicina con passo
leggero e gli cinge la vita con le braccia appoggiando il viso alla sua
schiena.
“Dorme
già?”
“Non
ancora, ma ha promesso di
dormire subito per sognare il continuo della storia di
Balzo.”
“Balzo?”
“Ahahah..
si era una storia che
mi raccontava mia mamma quando ero piccola; con me funzionava
sempre.”
“Bene.”
Nathan si era
sciacquato le mani insaponate e si era voltato invertendo le posizioni.
Ora era
lui ad abbracciare Violet ed a guardarla in quegli occhi, nei quali gli
era
mancato perdersi.
“Mi
sei mancata.”
“Anche
tu Cioccolatino.”
Rispose baciandogli il petto coperto dal maglioncino. Rimase appoggiata
a lui,
inspirando quel buon profumo che la faceva sentire a casa. si
scostò solo per
fissare il suo sguardo in quelle iridi colore dell’ebano. Lo
scambio di sguardi
era per loro un momento essenziale: permetteva ai pensieri di
incontrarsi e fondersi
per seguire un solo sentiero che portava ad un dolce arrivo, che
inevitabilmente finiva per essere l’unione delle loro labbra.
“Come
stai?”
“Uso
lo switch e cambio la
domanda..” scherzò consapevole di andare in contro
ad un muro che non gli
permetteva via di fuga.
“Ehm
ehm..”
“Meglio;
diciamo che sento
ancora su di me le mani troppo forti di tuo fratello.”
Nathan
osservava il volto di
Violet che si era leggermente sgonfiato ma che ora mostrava delle
macchie
giallognole malamente coperte dal fondo tinta. Istintivamente prese la
spugna
della cucina, la sciacquò e la passo con delicatezza sulle
sue guance scoprendo
i segni di quell’orrore.
Le pulì via la terra e lei si
sentì nuda davanti a lui.
Piano, lentamente e con
un’intensità fin troppo coinvolgente
iniziò a porre un bacio su ogni piccolo
segno che ancora portava addosso.
Violet rimase così, a occhi
chiusi, lasciandosi trasportare dai piccoli fremiti che il contatto
delle
labbra di Nathan sulla sua pelle creava.
Quasi non se ne rese neanche
conto che lui delicatamente l’aveva sollevata e fatta sedere
sul tavolo.
Delicatamente aveva seguito la
linea del collo e incontrato l’ostacolo della maglietta
l’aveva tolto,
sfilandoglielo con calma ed una lentezza quasi estenuante, mentre lei
sollevava
le braccia priva di volontà.
Accondiscendeva ai suoi movimenti
senza protestare e cercava di lasciarsi cullare dal calore che le dita
di quel
ragazzo lasciavano al passaggio e dal suo profumo dolce di cannella.
Man mano che la maglietta
saliva Nathan perlustrava con lo sguardo ogni centimetro del ventre
della
ragazza alla ricerca di ogni piccola impronta di dolore da guarire col
suo
amore.
Le aveva baciato ogni singolo
livido e poi si era dedicato alle sue labbra.
“Mi
sei mancata” un bacio
“Davvero” ancora “tanto.”
Sotto
quei leggeri baci che si
costringevano di essere innocenti, i due piccioncini si stavano
riavvicinando.
“Nate..”
il suo fu un sussurro,
sembrava quasi a disagio, anche se non era così, o almeno in
parte.
“Scusa
scusa scusa. Non ce l’ho
fatta a resistere..”
Violet rimase col
fiato sospeso
per qualche secondo e poi con la voce leggermente roca e quasi si fosse
liberata di un peso disse tutto d’un fiato “Non ti
fermare..” gli strinse la
testa al petto e cinse con le sue gambe la vita del ragazzo. Continuarono a
baciarsi con
passione sul divano per più di venti minuti e i loro cuori
battevano all’impazzata. Violet
stava riscoprendo il
piacere di sentire le mani di un ragazzo sul suo corpo cercando di
buttarsi
alle spalle il passato. Nathan la faceva sentire protetta e coinvolta
nel
rapporto. Non faceva nulla che lei non volesse e spesso le lasciava
spazio per
prendere l’iniziativa.
Dopo quel loro piccolo momento
di passione si accoccolarono a letto e stretti l’uno
all’altra, respirando i
loro profumi, si addormentarono.
“Buongiorno!!!”
Jackie si
lanciò letteralmente sul letto e atterrò vicino
ai due ragazzi, non
aspettandosi di trovarli ancora abbracciati che dormivano.
“Ma
allora vi volete bene
davvero!” esordì scoprendo i loro volti dal
lenzuolo.
“Mmmmm..
Buongiorno
mostriciattolo!”
“Sveglia
sveglia
svegliaaaaaaaa! Ho fame! Fratellone mi fai i pancakes?”
“Sì, ci
fai i pancakes?” chiese Violet
girandosi, faccia a faccia con il suo ragazzo.
“E
va bene donne! Jackie vai a
vestirti che poi facciamo colazione.”
“Ma
sono già vestita!!”
“Brava
la mia pulce!”
“Io
preparo la tavola e tu i
pancakes!”
“Agli
ordini piccolo despota!”
Violet
si stiracchiò per bene,
sentendosi rilassata e di buon umore, e rimase per un attimo ad
osservare la
schiena nuda del suo ragazzo, che si allontanava dal letto alla volta
della
cassettiera.
“Ma
che ore sono?”
“Sono
le sette e dieci.” Il
ragazzo buttò un’occhiata alla radiosveglia sul
comò, mentre si vestiva.
“Cavoli!
Sono in ritardo per il
pullman!! Non posso fermarmi a fare colazione!” si
alzò dal letto con uno
scatto e si gettò alla ricerca dei suoi vestiti. Si muoveva
a scatti nervosi
per tutta la stanza; Nate la fermò per le spalle e
fissandola negli occhi la
rassicurò “Ehi frena! Rilassati, ti porto io a
scuola, adesso abbiamo la
macchina.” Sorrise anche solo all’idea di essersi
svegliato con quelle che
erano le persone più importanti della sua vita accanto.
“Grazie
amore.” Lo prese per il
colletto della polo e lo avvicinò per baciarlo; lui non si
fece di certo
pregare e si augurarono così il buongiorno.
“Mi
spiace interrompere questo
magnifico buongiorno, ma se non corro a preparare fai tardi sul
serio.”
Violet
si lagnò un po’ ma poi
si decise ad andare a lavarsi. Era la prima volta che entrava in quella
doccia
da sola; prese il bagnoschiuma del ragazzo e passò come
minimo un paio di
minuti ad annusarlo, figurandosi l’immagine di lui nella sua
mente. Senza ulteriori
indugi se ne versò una quantità sufficiente sulla
mano e iniziò ad insaponarsi
tutta, col pensiero che con quel profumo addosso avrebbe avuto Nate con
se.
***
Violet
si stiracchio con calma; era l’inizio di una bellissima
domenica di inizio
maggio, una delle tante che seguivano il sabato passato insieme. Si
rigirò in
quello che ormai era il loro letto. Prese il cuscino accanto al suo e
ne annusò
il profumo; anche quella volta come se fosse la prima, ne rimase
inebriata.
Era
un periodo particolare per Violet: era come in uno stato di
transizione;
dormiva spesso a casa di Nathan e con lui e Jackie si sentiva a casa.
Le volte
che tornava all’appartamento invece si sentiva vuota e la sua
unica compagnia
era il suo micione rosso. Ogni volta che lo stringeva tra le braccia,
si
sentiva compresa, capita e amata senza che dovesse dare nulla indietro.
Quelle
sensazioni gliele donava solo lui. Era un amore diverso rispetto a
quello che
provava per il suo ragazzo; quello per Nathan era coinvolgente sia al
livello
cerebrale che fisico e ogni volta che lui la sfiorava il suo battito
accelerava. L’amore per Leo era qualcosa di più
simile all’adorazione.
Guardandolo,
si sentiva un po’ in colpa a lasciarlo spesso a casa da solo,
per passare il
tempo con il suo Cioccolatino.
Violet
decise che quella sera sarebbe stata lei ad ospitare i Campbell per
cena; gli
avrebbe preparato un piatto italiano, sicura che la piccola avrebbe
apprezzato
la cucina più buona del mondo.
“Violeeeet!?!”
quella vocina che ormai le era familiare la chiamava oltre la porta.
Leo si
mise sull’attenti, e tese le orecchie in ascolto di quella
nuova voce che
richiamava la sua padroncina.
“Arrivooo!”
Aprì
la porta, si diresse di corsa alla cucina dove le polpette friggevano e
la
pasta bolliva. Stava preparando gli spaghetti alla Lilly e il vagabondo
e
sperava che quel riferimento alla storia che aveva raccontato a Jackie
la sera
prima avrebbe riscosso successo.
La
piccola fissava curiosa la palla di pelo rosso che era sulla sua
poltrona e con Nate che l’accompagnava passo passo, si
avvicinava all’animale.
Dopo
i primi tentennamenti i due si scoprirono ottimi compagni di gioco, per
la
vivacità della bambina e di coccole perché
entrambi adoravano sentire il calore
sul proprio corpo.
***
Giugno
era ormai alle porte e le pressioni a scuola per Violet aumentavano
rendendola
spesso nervosa ed irritabile, ma le bastava uno sguardo a quegli occhi
neri e
profondi per iniziare a rilassarsi.
Ormai
era totalmente coinvolta, non poteva negarlo. La cosa bella era che
Nathan
ricambiava quel sentimento e non riusciva ad immaginare la sua vita
senza la
ragazza ed era un paio di notti che sognava persino di sposarla. Era un
sogno
bellissimo, colorato e che la mattina lo faceva sorridere.
Lui,
nel classico completo elegante, grigio chiaro con cravatta in tinta,
aspettava
all’altare e lei, bellissima nel suo abito lungo e bianco,
avanzava lentamente
con espressione felice.
La
mattina quando si svegliava e l’aveva accanto si girava ad
osservarla e si
perdeva tra quei pensieri felici.
Quell’idea
strana era nata da una conversazione avuta con Jackie qualche giorno
prima.
“Fratellone, ma tu vuoi
sposare
Violet?”
“Sposarmi?? Non ci avevo
ancora pensato.. come mai questa domanda?” adesso si che era
curioso.
“Se vi sposate diventa
mia
sorella, io voglio una avere una sorella!”
“Ahahahaha! No
piccola..Non
funziona proprio così: solo la mamma può darti
una sorellina, ma non Violet. Se
Violet si sposasse con me, diventerebbe mia moglie e anche tua cognata,
e se
noi avessimo dei bambini tu saresti zia” forse era un
concetto complicato per
una bambina di cinque anni, ma lei aveva colto Nate impreparato e lui
per
l’imbarazzo aveva iniziato a straparlare.
“Voglio diventare zia!!
Voglio diventare zia!” intonò la bambina saltando
sul letto, impossibilitando
il fratello a vestirla.
“Ahahaha! È un
po’ presto
mostriciattolo! Io e Violet siamo insieme da troppo poco per pensare ad
avere
un bambino, siamo ancora molto giovani e poi.. e poi ci sei
già tu come
nanerottola adesso. E basti e avanzi!” iniziò a
farle il solletico.
Dopo
aver riso insieme l’aveva portata a casa di Hilda, dove aveva
trovato dei
simpatici compagni di gioco per Jackie: Paul e Christine, i due
gemellini
aspettavano con ansia l’arrivo della loro nuova amichetta per
giocare.
Si
divertivano semplicemente a rincorrersi, a saltare la corda e a fare la
guerra
con i soldatini di Paul. Ogni tanto, per gentile concessione, il
bambino
acconsentiva a giocare con le bambole con Jackie e Cristine, solo
perché la
bambina le stava molto simpatica.
A
controllare la situazione c’era Linda; a casa, incinta di un
nuovo figlio.
“Hilda
scusa il ritardo, mi sono trattenuto a fare due chiacchiere con tua
figlia.”
“Devo
preoccuparmi che il prossimo nipote nasca color cioccolato?!”
“Hilda!!”
Nate scosse la testa fingendosi oltraggiato.
“Cos’è
raggiunta una certa età è vietato fare
dell’umorismo?”
“Ahahah!
No, non è quello, è che mi ha spiazzato; sei
sempre così romantica e bonaria di
solito...”
“Succede
anche nelle migliori famiglie!”
“Ahaha!
Eh già.” Nathan indossò il grembiule e
iniziò a spadellare.
“Hilda..”
il ragazzo intavolò così l’argomento
durante la pausa pranzo, mentre erano
soli.
“Si..”
la donna sovrappensiero continuava a mangiare e non aveva osservato
l’espressione seria del ragazzo.
“E
se io chiedessi a Violet di sposarmi?”
Lentamente
e silenziosamente la donna finì di masticare e senza batter
ciglio alzò lo
sguardo verso il ragazzo. “Da quando quest’idea ti
ronza per la testa?”
“Da
qualche giorno.. è nato tutto da una chiacchierata con
Jackie..”
“Capisco..
e lei ti ha chiesto di sposarla?”
“Si
e no.. lei mi ha chiesto una sorellina, e io è un paio di
notti che continuo a
sognare la scena dell’altare con Violet sorridente in un
bellissimo vestito che
mi si avvicina.” Descriveva quei ricordi con gli occhi che
brillavano di una
luce particolare, che Hilda coglieva solo in rare occasioni e
così sorrise.
“Ragazzo
mio, tu sei cotto, davvero.. ma sei sicuro di questa tua folle idea??
Siete
molto giovani e avete ancora molto tempo prima di legarvi
definitivamente.
Senza contare che Violet deve ancora finire la scuola e sicuramente
vorrà
andare al college.”
“Hai
ragione, sarebbe davvero egoista ed avventato chiederle ora di
sposarmi.” Nate
era sceso con i piedi per terra, aveva sbattuto il naso contro quella
che era
in effetti la realtà.
Sposare
Violet ora sarebbe stato egoistico e avrebbe privato lei di molte
possibilità,
la vita da sposati era diversa da quella di semplici fidanzati:
c’erano molte
più responsabilità, la condivisione dello stesso
tetto e tutte le spese della
casa da amministrare. Era difficile ammetterlo, però in cuor
suo sperava che quella
proposta sarebbe potuta avvenire in tempi brevi.
Doveva
munirsi di un anello per farle una proposta del genere e quindi aveva
ancora
tempo prima di dichiararsi in ginocchio.
Mentre
il caro Nate esponeva i suoi pensieri alla sua confidente e da
aggiungere
consulente gratuita, a scuola Violet riceveva una particolare
convocazione.
Durante
l’intervallo, immersa nei libri come al solito, la ragazza
non si era mossa dal
suo banco in seconda fila nemmeno per un secondo durante
l’intervallo.
Per
i corridoi c’era una ragazza dalla figura slanciata e sinuosa
che si muoveva
leggiadra nei suoi mocassini alla ricerca di lei.
“Ragazzi
scusate, cerco Violet Peterson.. per caso potete aiutarmi?” La
cricca del corridoio ci mise meno di un secondo ad additarla ed in quel
momento, come sentendosi richiamata, la moretta sollevò lo
sguardo dalle
pagine.
“Ciao,
sono Rose Lathaway, frequento il secondo anno a Berkeley e sono qui in
rappresentanza del college.”
“E..”
“Mi
avevano avvisato che tu eri una tipina difficile, tuttavia non desisto
alle tue
maniere rudi..”
“Ok..
mi vuoi dire perché sei qui?” Violet cercava di
non mostrare interesse per
quello che la ragazza aveva da dire, anche se nel suo cervello, solo al
sentire
il nome Berkeley, le si era accesa una lampadina.
Sapeva
benissimo che quella era una famosissima università e che
dava una preparazione
ottimale, ma sapeva anche dove si trovava. E ora distava a troppe
miglia dalla
sua vita che pian piano stava costruendo, mattone su mattone, con Nate
e
Jackie.
Esattamente;
quello fu il suo primo pensiero. Aveva passato troppi anni a sognare di
essere
presa in quell’università, nonostante pensasse che
fosse al di fuori delle sue
possibilità. Ora stava rinunciando al suo sogno, per
costruirne un altro.
Sarebbe
andata ad un’università locale, avrebbe ottenuto
la sua bella laurea e si
sarebbe accontentata di fare la gavetta per anni in un giornale locale
per
anni. Aveva altro a cui ambire ora e non era certo la fama da
letterata.
“Hai
ragione, mi sto dilungando. Sono qui perché la nostra scuola
è interessata ad
averti tra gli studenti del suo ateneo l’anno prossimo. Il
mio professore di
letteratura ha letto il tuo tema di fine semestre e l’ha
personalmente
apprezzato e vorrebbe avere un colloquio con te.” La ragazza
sperava
ardentemente che Violet non le rendesse ancora più difficile
il suo compito di
messaggera per conto dello stimato professore. Dopotutto lo sanno tutti
che
ambasciator non porta pena.
“No.”
Violet era di gran lunga consapevole che
stava rinunciando un’opportunità importante e
più unica che rara. Non si
sarebbe ripresentata, perché ogni lasciata è
persa e perché ogni treno che
passa non si ferma due volte nella stessa stazione; in qualsiasi modo
la
rigirasse sapeva che rinunciandovi sarebbe rimasta per il resto della
vita
nella sua cittadina.
Non
era quello che lei aveva sempre sognato, ma era a posto
così, al momento.
“Come
scusa?” La povera Rose, si passò una mano tra i
capelli cercando di riflettere:
perché mai una ragazza avrebbe dovuto rifiutare con
così tanta decisione un’opportunità
del genere?
Non
capitava tutti i giorni che l’università andasse a
chiedere a qualche studente
di entrare in facoltà.
“Ho
detto di no.” Abbassò lo sguardo e riprese la sua
lettura.
Rose
era spiazzata, aveva appena promesso di non demordere, ma il suo modo
di fare
irritava il suo animo tranquillo.
“Ma
fai sul serio?” chiese poi cercando uno spiraglio di
umanità in Violet.
“Certamente.
Non ho tempo da perdere, Io”
“E
ti sembra che avere un colloquio per essere ammessa alla Berkeley sia
una
perdita di tempo?!” si stava scocciando, e non poco,
ripensando a quanto lei
avesse faticato per entrarvi.
Violet
sapeva che Rose aveva ragione ma lei non poteva andare in California,
quando la
sua vita era a West Newbury. “Non è una perdita di
tempo, ma il tuo rimanere
qui ad insistere lo è. ti ho detto di no, un motivo ci
sarà..”
“E
ti spiacerebbe mettermi al corrente di questo importante motivo per il
quale tu
non possa andare in una delle più importanti
università d’America?!?”
Violet
non si aspettava che la ragazza potesse obiettare ancora e ora non
sapeva che
ribattere. Disse semplicemente un Non
posso, mascherato di suoi capelli che le coprivano il volto
contratto.
Rose
non ci poteva credere; sentiva che c’era qualcosa che Violet
le nascondeva, ma
insistere in quel momento non avrebbe portato a niente se non ad un
altro no. L’università
le aveva pagato il soggiorno in quella cittadina per una settimana,
sapendo che
per prendere delle decisioni importanti ci voleva del tempo; quindi ci
avrebbe
ritentato dopo qualche giorno.
Uscendo
dalla classe si era imbattuta in una ragazza bassina e paffutella, che
trasmetteva tenerezza solo a guardarla. Con uno slancio di coraggio,
quest’ultima
prese la parola e fermò Rose.
“Scusami..”
“Si?”
sorrise girandosi velocemente.
“Scusa
se ti disturbo, ma non ho potuto fare a meno di sentire quello che hai
detto a
Violet.” Continuò timidamente “Mi
sorprende che lei abbia rifiutato; io la “conosco”
da un po’ di anni e so che Berkeley è il suo
sogno. Non so perché abbia
rifiutato, ma se c’è una cosa che so è
che se ne pentirà e l’unica persona che
possa fargli cambiare idea è lui..” prese una
penna dalla cartella e le scrisse
un numero di telefono sulla mano. “Contattalo se davvero vuoi
portare a termine
la tua missione.”
La
salutò
cordialmente e poi si dileguò.
Non
si era nemmeno presentato e aveva intavolato quel discorso per fare un
favore
alla sua presunta amica.
Compose
il numero marcato con l’inchiostro nero sulla sua pelle;
rispose una voce
maschile profonda alla quale espose il suo problema. Alla fine di
quella
particolare conversazione, Rose si sentiva soddisfatta
perché quel ragazzo le
aveva promesso che avrebbe fatto una bella chiacchierata con Violet.
La piccola Novaline aveva fatto la
scelta migliore per Violet; nonostante non si fossero mai parlate
molto, lei si sentiva legata in modo particolare alla moretta. Era una
persona cha si affezionava facilmente e difficilmente se ne allontanava.
Novaline
era venuta a conoscenza dei desideri di Violet in uno dei pomeriggi che
si era
trovata a casa di Ricky, il suo ex vicino di casa, il quale decantava
le
qualità e i sogni della sua piccola amica.
Solo
Ricky avrebbe potuto far cambiare idea a Violet, ma anche per lui
sarebbe stato
una gatta da pelare.
***
Due giorni dopo. Tarda sera.
“Violet!!!
Dobbiamo parlare! Aprimi!” bussava con foga alla sua porta.
“Oh
cielo, ma che cos’è tutto questo
baccano!?” chiese la signora McKenzie, mostrandosi
sull’uscio. “Oh caro.. io mi ricordo di
te!” si rivolse al ragazzo
riconoscendolo.
“Si
signora sono Ricky, l’amico di Violet”
“Si,
mi ricordo. Eri qui a stare da lei..”
“Esattamente!”
“E
dimmi come mai sei qui fuori a quest’ora?”
“Ho
bisogno di parlare con l’inquilina
dell’appartamento accanto, sa dove posso
trovarla?”
“Credo
sia dal suo ragazzo, Nathan. Ultimamente non torna a casa spesso la
sera… Si
amano.. Aaah i giovani..” sospirò
l’anziana signora.
“Grazie
mille signora McKenzie, credo che l’aspetterò qui
ancora un po’.. ”
Quel
po’ che aveva detto di aspettare si prolungò per
tutta la notte, che passò in
trepidazione e attimi di rabbia per quella sciocchezza che stava
facendo
Violet.
Poi
gli venne l’idea di raggiungere il Café della
signora Callaway per vedere di
rintracciarla all’apertura.
“Porca
puttana Violet! Ma cosa ti
passa per la testa?! Dire di no alla Berkeley?!”
“Ricky
stai zitto e smettila; non
ti riguarda!” Violet voleva che abbassasse la voce
perché erano sul posto di
lavoro di Nathan e non voleva che lui sentisse.
“Non
mi riguarda?!
Ma che cazzo, ti senti? Certo che mi riguarda! Devo proteggerti dalle
cazzate
che vuoi fare! Non è che perché vivo lontano sono
escluso dalla tua vita!”
“Non
sei escluso, però non hai
nemmeno il diritto di fiondarti qui per niente! Ormai la mia decisione
l'ho
presa ed è tardi adesso per cambiare idea. Va bene
così, e non mi pesa.”
“Non
essere idiota Violet! Devi
andare alla Berkeley! È sempre stato il tuo sogno! Non
è che per un ragazzo
devi buttare via tutto, soprattutto
quest'opportunità!”
“Non
sono idiota! Sono sicura di
quello che sto facendo! E tu non c'entri niente in questa
decisione… Per cui
non ti riguarda! Stanne fuori, tornatene a St Louis, torna dalle tue
sciacquette e lasciami vivere la mia vita!” Violet iniziava a
sputare parole
velenose pur di farlo tacere per non sentirsi dire anche da lui che
stava
sbagliando.
Nate, nel magazzino, sentiva delle urla confuse provenire dal locale;
riconosceva la voce di Violet molto alterata.. Per sentirla da
lì era molto
alta e questo significava che era davvero molto arrabbiata.
Smise
di sistemare le provviste e andò nel locale per cercare di
capire
per quale motivo la sua ragazza urlasse così.
“Ricky
ti ho detto
di smetterla! Non ti deve interessare.. Ripeto: ormai ho
deciso!!”
“Come
te lo devo dire?!? È per il
tuo bene!!”
Nathan
non capiva il motivo di quella
discussione, ma Violet era livida di rabbia e i toni non erano per
niente
amichevoli.
“Vì
che succede qui?!” alla sua
domanda rispose un Ricky furente e per niente amichevole.
“Tu
stanne fuori! È una questione
tra me e Lei!”
“No
scusa.. Quello che riguarda
lei, riguarda anche me; specialmente se i toni sono questi!”
“Lo
sapevo che era colpa tua
allora!”
Nate
continuava a non capire di
che stessero parlando e ora si trovava persino addossare la colpa.
“Ma di cosa
stai parlando?!”
“Non
fare anche il finto tonto!!
Scommetto che è colpa tua se lei ha rinunciato all'offerta
di Berkeley!!”
“...”
Nathan aveva aperto
bocca per ribattere, ma le parole non si scomodavano ad uscire dalle
sue
labbra, per questo si sentì molto stupido in quel momento; a
quella sensazione
contribuiva il fatto che la sua ragazza non gli aveva detto niente!
Finalmente
riuscì a esprimere
parte del suo pensiero a Ricky “Non gliel'avrei mai permesso!
E lei lo sa bene,
per questo non mi ha detto niente.” con quella frase insieme
ad un altro
sguardo deluso e al contempo sorpreso lasciò Violet in balia
delle sue
responsabilità e delle urla del ragazzo. Aveva consegnato
Violet indifesa nella fossa dei leoni così, ma era
necessario che prendesse la strigliata di Ricky: lui non ce l'avrebbe
mai fatta as urlare contro iln quel modo e le sue parole non avrebbero
avuto lo stesso effetto su di lei.
Su di una cosa era convinto però: Violet sarebbe
andata a quella maledetta università, che distava miglia e
miglia da lui.
Ricky
aveva ripreso ad inveire,
mentre lui si era rifugiato di nuovo in magazzino.
“Lui
non ne sa
niente?! Violet allora spiegami che cazzo ti passa per la
testa!”
“Smettila
di urlare! Non ho
intenzione di cambiare idea!”
“E
io che pensavo che il cretino
fosse lui… Forse, mi devo ricredere.”
“Piantala
di insultarlo, e di
insultarmi. Non aiuta! Sai benissimo che se voglio posso essere
più zuccona di
te!”
“E
allora cosa dovrei fare?
Rimanere zitto e buono mentre tu ti rovini la vita?!”
“Sì,
lasciami vivere come voglio!”
“La
Violet che conosco io non
l'avrebbe mai fatto!”
“Io
non sono più quella Violet.
Vattene Ricky, adesso mi hai messo nei casini con lui e devo risolvere
la
situazione.”Stava per andarsene quando la fermò
stringendola per un polso. “Dove
credi di andare?! Non abbiamo finito qui. Tu mi devi spiegare
perché hai deciso
di rifiutare. Io non me ne vado da qui finché non ottengo
una chiara e lineare
spiegazione per la quale tu abbia deciso di abbandonare i tuoi
sogni.”
Ricky
aveva smesso di urlare,
sembrava stremato da quello scambio di battute che avevano avuto.“Per
favore, fammi capire per quale motivo stai
rinunciando al futuro che volevi; perché io davvero non lo
concepisco.”
Anche
Violet sembrava non avere più la forza di
urlare. “Parliamone fuori. Facciamo una
passeggiata.”Lo prese per mano e lo
condusse fuori dal locale. Mantenendo quel contatto, si incamminarono
verso il
loro vecchio nascondiglio. Dove
Ricky prima abitava, c’era una
piccola casa sull'albero. Lì si andarono a rifugiare,
all'ombra delle fronde di
quella grande quercia. A
gambe incrociate, l'uno di fronte all'altra,
si fissavano. Ora era il turno di Violet di parlare e con quel silenzio
teso
Ricky glielo faceva capire.
“Promettimi
di non interrompere,
di lasciarmi parlare; solo quando te lo dirò io, potrai dire
la tua.”
Stava
per ribattere ma si
interruppe, stroncando il suo pensiero sul nascere.“Promesso”
“Bene..”“Lo
sai che ho sempre sognato Berkeley e la sogno tutt'ora, ma nelle
circostanze in
cui mi trovo preferisco rinunciarci.”
“Ma..”
“Zitto!
L'hai promesso!”
Ricky
non protestò e appoggiò la
testa ad una mano in ascolto.
“Dicevo:
ci
rinuncio perché non riesco a pensare ad una vita lontana da
Nathan e Jackie.
Ora loro sono la mia famiglia e mi sento parte di qualcosa di bello,
qualcosa
in cui anche io ho un ruolo importante.” fece una piccola
pausa, come se stesse
raccogliendo nella sua mente tutti i pensieri, concentrandoli per
sputarli fuori
da un momento all'altro. “Ricky, davvero, io non riesco a
immaginare una vita
senza Nate, io lo amo. Non concepisco neanche lontanamente l'idea di
stare
lontana da lui. Le giornate senza la sua presenza mi sembrano vuote e
senza
senso; ormai mi sono trasferita da lui, quasi. Lo so che è
irrazionale, ma
nell'amore cosa non lo è? Sai
anche tu che io sono sempre stata d'accordo
con le idee illuministe, ma ora non riesco a vivere senza considerare e
integrare i sentimenti per questo fantastico ragazzo che mi ha rubato
il cuore.
Forse ho finalmente capito che la ragione non è sempre la
soluzione. Tu
forse non riesci a capire, a condividere la
mia decisione, ma ti chiedo di rispettarla.”
“Ok,
ti ho detto tutto, ora puoi
parlare.. Solo non urlare ancora ti prego.”
“D'accordo,
non
urlerò più.. Però cavoli Vì
stai facendo una cavolata enorme secondo me. Ok, lo
ami e siete Mimì e Cocò adesso, ma stiamo
parlando di Berkeley! L'università,
il tuo futuro!”
“Ma
il mio futuro è con Nate.”
“Ok,
davvero ho capito che lo ami,
ma per favore non buttare al vento questa opportunità! Non
credo ce ne saranno
molte altre.. Sono treni che vanno presi appena arrivano alla stazione,
perché
non hanno un’altra fermata in previsione.” fece una
pausa che Violet non tentò
neanche di colmare. “E poi che cavoli, stare con Nate non
dovrebbe precluderti
la possibilità di continuare a studiare! Sai quanti stanno
insieme anche
distanti chilometri e chilometri?!?”
“Si
lo so che in
tanti lo fanno, ma io non ce la farei: sentirei troppo la mancanza del
suo
profumo, della sua pelle a contatto con le mie mani; se io partissi
lascerei
qui il mio cuore e non credo che riuscirei a studiare
granché poi.”
“Dove
è finita la mia strega di
ghiaccio? La ragazzina che con la sua razionalità e
severità nei propri
confronti non permetteva nemmeno al margine d'errore di annullare i
suoi piani?”
“Quella
ragazzina si è
innamorata, ha rivisto le sue priorità e ha capito che la
vita non è fatta solo
di libri e belle parole. Nella vita c'è molto altro e molto
più schifo di
quello che tu possa minimamente immaginare e ha realizzato che le cose
buone
che ha attorno vanno valorizzate al massimo e bisogna sempre
ringraziare il
cielo per la fortuna che si ha avuto e non sfidare troppo la sorte
dandole per
scontate.”
“Wow,
adesso sei diventata anche
filosofa? Che ne dici del Carpe Diem, invece? A me sembrerebbe davvero
il
caso..”
“Rick,
non fare dell'ironia amara
che non ti viene neanche tanto bene..” Violet cercava di
sviare l'argomento da
se stessa, ma il suo tentativo venne smascherato e messa alle strette
raccontò
tutto, ma proprio tutto, della sua esperienza a New York e di come lei
e Nate
avevano salvato la piccola puffetta da un futuro alquanto misero in
quel
quartiere.
“Io
giuro che gli
spacco la faccia!! Pezzo di merda! Lo sapevo che a stare con uno come
lui
saresti finita in guai seri!!”
“Uno
come lui? Ricky se cerchi
anche solo minimamente di intavolare un discorso anche solo vagamente
razzista
giuro che sarai tu quello a subire violenza. Da me, qui, seduta stante!
Sai
benissimo che queste idee sono stupide e ancora non capisco come ti
possano
passare per il cervello!” un poco velato insulto alla sua
intelligenza guarnì
il suo discorso che riprese in un batter d'occhio con un esempio
emblema di
quanto lui fosse nel torto.
“Che
poi, se rifletti, quello che
dici è davvero sbagliato! Tu hai detto, testuali parole: a stare con uno come lui.. Io sto con
Nate che fino a prova
contraria ha dato tutto quello poteva per me, adesso vivo anche
praticamente da
lui e si prende cura di me. Mi coccola, mi stringe a sé
quando anche solo
guardandomi capisce che c'è qualcosa che mi rende nervosa.
Lui fa di tutto per
farmi stare bene e io non potrei chiedere niente di più!
Altro che il bello
bastardo per cui dovrei soffrire; viva l'amore puro e semplice che fa
stare
bene e che mette l'anima in pace.”
“Dovresti
farne uno slogan per la
campagna: Salviamo il principe azzurro!”
“Stupido,
non è quello il punto!
Il punto è che se lui non fosse entrato da quella porta in
quel momento, magari
adesso non sarei nemmeno qui a raccontarti queste cose! E poi se
proprio
vogliamo dirla tutta, magari io e te non avremmo nemmeno ripreso a
parlare..”
“Che
palle! Tu hai sempre
ragione!!” “No, mi correggo:
quasi sempre. La storia di
Berkeley non mi convince ancora!”
“Pfff..
Proprio non la vuoi
capire! Io non voglio stare lontana da lui..”
“Allora
è per questo che gli hai
nascosto tutta questa storia..”
“Esattamente!
Proprio perché non
voglio stare lontana da lui.”
“E
non pensi che lui avesse il
diritto di saperne qualcosa?”
Violet
meditò un momento prima di
rispondere, Ricky aveva fatto centro e lei doveva ponderare bene le
parole. “Si,
lo aveva, ma conoscendolo si sarebbe opposto alla mia decisione e mi
avrebbe
convinto a partire per il mio bene, per lasciarlo alle spalle; per
puntare a
qualcosa di meglio che una vita con una famiglia
sconquassata.”
Ricky
stava per dire qualcosa, ma
lasciò morire quelle parole sulle sue labbra e riprese
semplicemente a fissare
la ragazza che di fronte a lui si torturava piccole ciocche di capelli
arrotolandole con le dita.
“Comunque!
In tutta
questa storia mi sfugge un dettaglio: come fai a sapere di Berkeley?
Chi te
l'ha detto?”
“Mi
ha telefonato una certa Rose,
dicendo di aver parlato con una nostra amica, che le aveva fatto capire
che tu
non avresti mai accettato un colloquio con il professore se non avesse
parlato
con me.. Mi ha descritto la ragazzina ma non mi è venuta in
mente nessuna di
bassettina e paffutella.. Boh, comunque sia ha fatto davvero bene a
dirle di
chiamarmi, perché almeno posso cercare di farti cambiare
idea. E adesso per
quello che so, sento che anche il caro Nate sarà dalla mia
parte!” le fece un
occhiolino e, felice per aver azzeccato ancora una volta,
uscì velocemente dal
loro rifugio lasciando Violet interdetta.
“E
così tu sei venuto fino a qui solo per impedirmi
di fare una cavolata?”sulla via di casa Violet
interrogò il suo migliore amico.
“Solo?
Bambi è del
tuo futuro che stiamo parlando non è una cavolata! E poi
sono sicuro che tu
avresti fatto lo stesso per me!”
Violet
lo abbracciò cogliendolo di sorpresa e
lui sorridendo assecondò quel piccolo gesto d'affetto. A
Violet mancava
immensamente il suo migliore amico, ogni volta che lo risentiva dopo
tanto
tempo, sentiva un piccolo vuoto alla bocca dello stomaco e
più volte avendone
parlato con Nate lui le aveva consigliato di andarlo a trovare che
tanto si
fidava. Il
sentimento di Violet nei confronti del biondo
era pura amicizia, non aveva mai avuto nemmeno la curiosità
di baciarlo, non
c'era attrazione fisica, nonostante riconoscesse che fosse diventato
davvero un
bel ragazzo. Da lui voleva solo abbracci e nient'altro.
“Nathan?”
la voce di Ricky lo richiamò dal
lavoro che stava facendo. “Scusa per la sfuriata di prima,
ero davvero convinto
che la decisione di Violet di non andare all'università
fosse colpa tua.. Poi
mi ha detto che non ne sapevi niente, per cui.. Bé ecco..
scusa.”
“Scuse
accettate, anche se non
sono le tue di scuse che mi preme avere; so che tendi a diventare
iperprotettivo, questo l'ho capito e finché le cose tra voi
rimangono in questi
termini per me va bene.”
Ricky
si scansò di lato
accorgendosi che lo sguardo deluso del ragazzo puntava a Violet che in
silenzio
si torturava le mani.
“Non
hai niente da dirmi?” Nathan si era rivolto direttamente
a lei questa volta, ma non ottenne risposta. Violet continuava a
fissare il
pavimento, incapace di sostenere il peso di quello sguardo.
“Non
fare la
bambina, guardami in faccia quando ti parlo.” non stava
urlando, ma le sue
parole riecheggiavano forti nella testa della ragazza.
Sollevò
con grande sforzo la
testa incontrando gli occhi di Nathan “Ne parliamo a casa,
stasera, mi sono già
messa in ridicolo a sufficienza.”
“Tu?
Non io, che non ne sapevo
niente? Comunque va bene, ne parliamo quando ho finito di lavorare.. Mi
aspetto
che tu sia a casa per le sei.. Dovrai dirmi tante cose.”
“Ah, Jackie rimane a
cena da Hilda stasera, non voglio che la spaventiamo
litigando.”
Con
quell'affermazione Nate aveva
già ipotizzato un litigio tra loro due. Era normale, Violet
gli aveva nascosto
i fatti e questo non gli andava proprio giù.
La ragazza fece solo un cenno di
assenso con il capo e uscì dal locale con Ricky che guardava
con stupore Nathan
per la sua decisione.
Ricky
rimase a casa di Violet con
Leo, mentre lei sopportava il silenzio che era sceso a cena da Nate.
Aveva
cucinato nella speranza di smorzare l'atmosfera, ma non aveva ottenuto
grandi
risultati: lui era entrato in casa senza salutarla, si era messo in
tenuta da
casa, aveva consumato la cena e non aveva detto nulla in assoluto.
“Non
mi parlerai ancora per
molto?”
“Sei
tu che non parli con me..”
“Ecco
che cominciamo.. Stiamo già
litigando?”
“Non
ancora, magari non sarà
nemmeno necessario.. Dipende da te.. Inizia a raccontarmi tutto di
Berkeley e
poi vediamo..”
“Non
c'è molto da dire, mi hanno
chiesto di andare e io ho detto di no e mi sta bene
così.”
“Dimmi
tutto, non come una
favoletta per Jackie.. Io non ho cinque anni, non ho bisogno di essere
protetto.”
Il tono era perentorio, tanto che convinse Violet a riassumere a Nate
quello
che era successo a scuola. “..E io ho semplicemente detto di
no.”
“Perché?”
“Perché
ho rifiutato!? Ho rifiutato
perché non voglio andare via da qui.”
“E
non hai pensato al tuo futuro?”Nate
era seriamente sorpreso da quella presa di posizione della sua ragazza.
“Certo
che ci ho pensato! E io
non ho futuro lontano da te.” erano le parole che
più amava sentire, ma anche
quelle che più temeva. Non avrebbe mai voluto che lei
rinunciasse a delle
opportunità d'oro per lui; non voleva assolutamente che lei
annullasse i suoi
interessi per stare con lui.
“Amore..”
le prese una mano e la
condusse al divano “Sai bene che avresti dovuto parlarmene
prima di prendere
una decisione; non mi piace quando prendi decisioni per noi da
sola.”
“Non
è una nostra decisione, è
mia. Io non andrò a Berkeley”
“Violet..
Così mi fai arrabbiare
però.. La decisione riguarda entrambi! Il tuo futuro,
comprende il nostro e io
non voglio rimanere all'oscuro dei tuoi piani.”Stava provando
la via diplomatica,
non voleva davvero litigare con Violet. Ma in quel momento sentiva che
le
risposte così decise dovevano essere ribaltate.
“Bé
adesso lo sai: non andrò alla
Berkeley.”
Violet
era convinta delle sue
parole, non sembrava avere tentennamenti nel dirle. Nate si
strofinò il viso
con la mano; non voleva alzare la voce, odiava arrabbiarsi soprattutto
con lei.
“Stai
scherzando, vero? Dimmi che
hai organizzato una candid con quel pazzo scatenato del tuo migliore
amico e
questa è tutta una stronzata!”
Violet
rimase stizzita per
quell'affermazione, non le andava a genio che le sue decisioni
venissero messe
in discussione o addirittura in ridicolo.
“No
Nate, sono serissima. Andrò
avanti a studiare all'università della contea.. È
a quaranta minuti di pullman
da qui e così posso rincasare ogni giorno.”
“Come
fai a parlare seriamente di
questo?”
“È
quello che voglio.”
“No!
Non è quello che vuoi. È
quello che pensi di volere perché non vuoi allontanarti da
me.”
“Ed
è peccato non volersi allontanare
dal ragazzo che si ama?”
“Si,
lo è se tu rinunci ai tuoi
sogni. E poi cazzo stiamo parlando di una delle università
più prestigiose
d'America! E sono certo che avresti ottenuto persino la borsa di
studio! Così
non dovevi nemmeno preoccuparti delle spese universitarie!”
“Fa
niente, non mi interessa la
borsa di studio. Io voglio rimanere qui.”
“Violet
Peterson, adesso mi stai
facendo arrabbiare! Tu devi andare a quella maledetta
università! Devi
assolutamente chiamare quella ragazza e dire che le hai risposto male
solo
perché era una brutta giornata e che hai riconsiderato la
sua offerta.”
“No,
col cazzo che la richiamo.
Non mi interessa.”
“Ok.
Adesso stiamo decisamente
litigando. Non voglio che tu dica di no alla Berkeley per me! Non lo
devi fare!”
“Ormai..”
“Ormai
cosa?! Ma sei impazzita? È
l'occasione della tua vita e io non sono nessuno per frappormi tra te e
questa!”
“Ho
detto di no. Non parto,
punto.”
“Cazzo,
cazzo e cazzo!” lo stava
facendo uscire di senno con quella sua insulsa testardaggine.
“Ascoltami bene. Anche
a costo di sembrarti un bambino in questo momento, io giuro che non ti
parlerò
più e non ti guarderò più come prima
se non accetti il posto in quel college.
Non ammetto che tu ti rovini la vita per uno stupido ragazzo che non ha
nemmeno
finito la scuola. Tu devi istruirti, trovare un buon lavoro e poi
pensare a me.”
“No
amore, tu vieni prima di una
semplice istituzione, un attestato o un qualsiasi diploma. Non
è importante che
tu abbia finito la scuola o meno. Io ti amo comunque… E poi
è per questo motivo
che non ti ho detto niente. Sapevo che tu non saresti stato d'accordo
con la
mia decisione e non volevo litigare.”
“Violet
te ne pentirai se non
cambi idea, me lo rinfaccerai a vita anche inconsciamente e quando te
ne
accorgerai, la nostra storia sarà finita. È
questo che vuoi?!”
“No
che non è questo che voglio!”
“Allora
l'unica che ti rimane da
fare è andare alla Berkeley! Io non ammetto che tu non ci
vada.. Cosa devo fare
per farti andare a quell'università?”
“Niente,
non puoi.. Finché
staremo insieme, io vorrò sempre stare al tuo
fianco.”
“Allora
forse è qui che sbaglio.”
Violet
si spaventò per quella
frase e si alzò di scatto dal divano. “No, non
dirlo neanche per scherzo.”
“Forse
è il caso che ci
prendiamo una pausa.” quelle parole caddero come dei massi,
schiacciando la
piccola Violet. Le gambe le cedettero; si ritrovò a terra,
con i lacrimoni a
fissare lo sguardo vuoto di Nate. Lui
non voleva questo, ma era necessario. Era
davvero necessario? Si
lo era; Violet era stata chiara: finché
sarebbero stati insieme lei non sarebbe andata a studiare in California. Non
ce la fece a reggere il suo sguardo, e la
lasciò lì, nel salone. Sul pavimento, mentre
sentendo i singhiozzi, si avviava
verso l'uscio. Strinse i pugni per farsi forza, per auto convincersi
che era la
cosa giusta; per contrastare il suo cuore che gli urlava di tornare
indietro e
rimangiarsi tutto quello che aveva detto stringendo la ragazza fra le
braccia. Prese
il giacchetto e uscì. La lasciò sola,
miserabile a disperarsi sul pavimento di quella casa che per poco tempo
era
stata anche la sua. Quello
di Nate, per quanto potesse risultare
senza cuore e imperdonabile era un gesto di grande amore. Doveva
lasciare
andare la persona che amava più della sua stessa vita;
doveva concederle il
futuro che meritava; non doveva permettere nemmeno a sé
stesso di intralciare
il suo cammino. Una
grossa lacrima scivolò lungo la guancia di
quel gigante buono; una fitta al cuore lo stava facendo soffrire
irrimediabilmente. In
quel momento gli rimaneva da fare solo una
cosa.
“Ricky
so che sei
ancora sveglio, aprimi.” Sentiva i suoni della televisione
oltre la porta.
Quando poi cadde il silenzio, la porta si spalancò
lasciandogli libero accesso
all'appartamento. Vi
si fiondò dentro e incurante dell'aria
assonnata del ragazzo iniziò il suo discorso.
“Premetto
che quello che sto per
dirti non ti piacerà, però credimi: non l'avrei
mai fatto se non fosse stato
necessario.”
“Che
cosa hai combinato?” chiese
stropicciandosi il viso.
“Forse
è meglio se
ne parliamo con un tavolo di mezzo.”
“Non
ho capito, però va bene
entra.” Sbadigliò ancora vista l'ora.
Si
sedettero come Nate aveva proposto, al tavolo
uno di fronte all'altro. Ricky
sembrava molto assonnato, ma comunque
curioso di sapere per quale motivo fosse lì.
“Ho
lasciato Violet.” Quella
piccola frase ebbe il potere di risvegliare il biondo da quello stato
comatoso
di sonno.
“Come
scusa?” Sorpreso
si sistemò sulla sedia come se avesse attivato le antenne
per carpire meglio il
significato delle parole di Nathan.
“Ho
lasciato
Violet.”
“Si
ok, quello l'ho capito. La
domanda giusta è perché?”
“Perché
era disposta a rinunciare
ai suoi sogni per me.”
“E
questa ti sembra una motivazione
sensata per lasciarla?!” Ricky sembrava non condividere il
gesto di Nate.
“Credevo
ne saresti
stato contento..”
“Io
voglio solo la felicità di
Violet.”
“Anche
io. Per questo ho dovuto
lasciarla; aveva detto chiaramente che finché saremmo
rimasti insieme lei non
sarebbe andata a Berkeley..” “..Non
ho
avuto scelta. Ho dovuto.”
“Mi
scopro sempre più sorpreso da
te caro Nate.. Non pensavo potessi arrivare a tanto per il futuro di
Violet.”
“Ricky,
io la amo. Che tu pensi
il contrario purtroppo io non posso farci molto.”
“Io
non l'ho mai detto.” Cercò di
paracularsi un pochino.
“Ma
l'hai pensato. Comunque sono venuto qui per chiederti di
starle vicino. E convincila che ormai senza di me non ha senso non
andare a
Berkeley.”
“Farò
del mio meglio.”
“Non
posso chiedere di più.” Commentò
alzandosi da tavola per terminare la conversazione.
“Adesso
che intenzione di fare?!”
Non pensava che a Ricky importasse qualcosa, ma magari lo sta facendo
solo per
Violet.
“Ancora
non so
bene. Penso di sparire un po'… Avevo in programma un lavoro
a Manchester* per
questa estate; lo anticiperò un po'.”
“Capisco…
Ma adesso Violet dove?”
“È
a casa mia. Portala qui e
tienile compagnia. Io devo andare a prendere Jackie. Non mi troverete
qui al
vostro ritorno.”
Dopo
avergli spiegato la strada
Nathan andò per la sua strada.
Suonò
il campanello nonostante
l'ora e ad aprirgli arrivò la padrona di casa in vestaglia.
“Nathan, ti
aspettavo più di due ore fa! Ma che è
successo?!”
Non
riuscì a rispondere che le
lacrime precedettero le parole. Hilda rimase pietrificata: c'erano
ancora poche
cose che la sorprendevano e vedere quel ragazzo piangere era una di
quelle. La
accompagnò dentro casa e davanti ad un tè si
fece raccontare cosa turbava il suo animo. La
vicenda colpì molto la signora Callaway; non si
sarebbe mai aspettata una loro rottura, non dopo pochi giorni dalla
discussione
sul possibile matrimonio e soprattutto non da parte di Nathan.
“Dai
Nate, vedrai
che sistemerete tutto.”
“No,
non credo: l'ho ferita e lei
adesso mi odierà sicuramente. Spero solo che almeno si
decida ad andare a
Berkeley.”
“Secondo
me non ti odierà
figliolo; non può odiarti per davvero se vi siete amati fino
a pochi minuti fa.
E secondo me, adesso che ha scoperto che persona stupenda sei, non
rinuncerà a
te facilmente.”
“Allora
non posso rimanere nei
paraggi. Non deve tentare di tornare con me se prima non accetta quella
maledetta proposta. Io non posso sopportare il peso del rimpianto che
proverà
sicuramente tra qualche anno. È troppo presto per lei per
buttare al vento una
possibilità come questa per amore. Non può
negarsi la possibilità di avere un
futuro lavorativo affermato. Non voglio che faccia la cameriera un
domani, è
troppo intelligente e dotata per farlo. Lei si merita di
più. Senza offesa.”
“Non
mi offendi caro, ho capito
cosa intendi e nemmeno io vorrei che Violet avesse quel futuro. Lei
deve
diventare una giornalista, proprio come ha sempre sognato. Comunque
ragazzo
ricorda che ci sono altre soluzioni.. Non devi per forza lasciarla e
partire.”
“No,
non posso fare altrimenti:
lei è stata molto chiara. Domani parto.
Anticiperò il lavoro per il signor
Edonard." rispose accecato dalla foga del momento e dalla disperazione.
Perché quando si ha la sensazione di essere sull'orlo del
precipizio, si
perdono di vista le diverse prospettive e si rimane dell'idea che la
decisione
presa sia l'unica possibile.
“Si
Nathan, ti
concedo un periodo di ferie. Grazie per avermelo chiesto.”
“Hai
ragione Hilda; scusami, ma
questa storia mi manda fuori di testa. E se non parto adesso non parto
mai più.
Grazie mille. Davvero non so come farei senza di te.”
“Si
si, bando alle ciance. Hai
intenzione di portare con te Jackie?”
“Si,
penso che qualche giorno al
mare le potrà far bene; e così non
noterà questo casino..”“..E
poi non riesco a stare troppo lontano da lei.” Sorrise a
quella constatazione.
“Bene,
allora buon
viaggio. A Violet ci penserò io.”
“Grazie
davvero.” Con un
abbraccio la salutò. Poi con Jackie sulle spalle si
incamminò verso casa, nella
speranza di non incontrare lì ancora Violet e Ricky.
*Manchester
è una cittadina sulla East Coast a
circa 2 ore di viaggio da West Newbury. È davvero molto
carina, e lì, il ricco
signor Edonard –un personaggio quasi del tutto irrilevante-
ha una casa che
Nate deve sistemare: deve provvedere al trasloco dei mobili e alle
piccole
faccende relative agli impianti.
La casa in questione sarebbe questa.
Ricky
aveva abbandonato quella casa da un po',
portando la sua migliore amica ancora in lacrime in braccio. Dopo
aver ripetuto la stessa
manovra difficoltosa per aprire il portone e la porta
dell'appartamento, aveva
adagiato la ragazza sul letto. Piangeva,
ancora. Non accennava a smettere,
nonostante odiasse quella manifestazione di debolezza. Lui lo sapeva
bene;
allora se lei persisteva, forse lo amava davvero molto come diceva.
Infatti era
così; lui era l'unico che non l'aveva ancora metabolizzato. Solo
di fronte a quella triste realtà
si scoprì conscio di ciò e vederla ridotta in
quello stato, dove i singulti
quasi non la facevano respirare, era una sofferenza.
“Ti
sta bene.” disse
solo quelle poche parole che l'avrebbero portata ad infuriarsi; lo
sapeva bene,
ma era la sua ultima spiaggia.
“Che
cosa hai
detto?!”
“Ho
detto che ti sta bene; che
questa situazione è nata solo per colpa tua e per la tua
testardaggine.”
La
risposta si fece attendere, ma
non lo schiaffo che svelto era partito dalla mano della ragazza.
“Ti
sembra il caso
di dirmi una cosa del genere?”
“È
la verità.”
“Vuoi
un altro schiaffo?”
“Dammelo
pure se ti fa sentire
meglio, ma sai anche tu che è la verità; se
avessi parlato con Nathan del
college, lui non ti avrebbe lasciato e magari, anzi molto
probabilmente,
avreste trovato una soluzione insieme.”
Stava
partendo anche il secondo
schiaffo, ma si bloccò a mezz'aria. Proprio a causa di
quelle parole che lo
avevano fatto nascere.
“Hai
ragione. Sono
stata una stupida.” e le lacrime scesero inesorabili,
seguendo il percorso
delle precedenti. “..e ora ho perso entrambi.”
“No
Bambi, hai
ancora la possibilità di avere entrambi: devi solo accettare
la proposta
dell'università e poi con Nate vedrai che tutto si
aggiusta.” la abbracciò per
trasmetterle sicurezza. Ma anche lei presa dalla disperazione non
vedeva molta
via d'uscita. “Ma come faccio?! Ormai ho rovinato
tutto.”
“Domani
sistemiamo le cose; la
ragazza dell'università ti incontrerà a scuola
all'intervallo. Ho avuto la
presunzione di pensare di riuscire a farti cambiare idea. E poi Nate lo
andremo
a trovare a Manchester.”
“A
Manchester?!”
“Si,
ha pensato bene di partire
per farti soffrire meno non vedendolo attorno, e poi pensava che
avendolo in
giro tu avresti tentato di rimanere qui a sistemare le cose e non
saresti
andata alla Berkeley.”
“Ma
se anche io partissi, dovrei
rinunciare a lui..”
“Non
necessariamente. Dai adesso
non ci pensare e dormiamo che domani abbiamo tutto il tempo del mondo
per trovare
una soluzione.”con un rapido occhiolino e un sorriso
smagliante strinse a sé la
ragazza e le baciò i capelli profumati.
Jackie
saltellava lungo la strada di casa e lui, guardandola, non sapeva come
dirle
che il giorno dopo la cena a casa di Violet sarebbe saltata
perché loro avevano
rotto.
Forse
non era il caso di dirglielo. Forse poteva dirgli solo che dovevano
partire per
un lavoretto e che Violet sarebbe rimasta a casa a studiare.
La
piccola non faceva domande, ma ogni tanto si fermava ad osservarlo,
avvertendo
che c’era qualcosa di diverso. Non disse niente,
pensò che era solo stanco.
Ma
una cosa le fece cambiare idea. Nella sua stanza Nathan stava
preparando una
borsa con dentro dei vestiti e ora anche il suo peluche preferito stava
per
finirci dentro.
Glielo
prese dalle mani e con aria seria gli chiese: “Fratellone
perché fai la borsa?”
“Andiamo
al mare. Non sei contenta?” disse fingendo entusiasmo.
“Si!!!!
Andiamo al mareeeee!!”“Violet viene
con noi??” chiese al settimo cielo per la vacanza improvvisa.
Non aveva mai
visto il mare.
“No.”
Abbassò lo sguardo e riprese a sistemare dei vestiti nella
borsa.
“Allora
non voglio andare.” Tutto l’entusiasmo che aveva
dimostrato prima era scomparso
di colpo; lasciando spazio ad un tenerissimo broncio.
“Mostriciattolo
ma che dici? Ci facciamo una bella vacanza!”
“Non
voglio andare al mare. Voglio stare a casa con Violet.”
Jackie si era
affezionata molto alla ragazza, e l’idea di allontanarsi da
lei le faceva paura.
“Ma
Violet va dall’altra parte d’America a
studiare.”Certo
ci sarebbe andata dopo gli esami
dell’ultimo semestre, ma l’antifona era la stessa:
Violet presto se ne sarebbe
andata e tanto valeva che Jackie si abituasse quanto presto
all’idea.
“No
voglio stare con lei.”
“Te
l’ho appena detto che non possiamo. Violet non rimane a
casa.”
“Andiamo
anche noi con lei!” la soluzione per la bambina sembrava
semplice, ma non era
così.
Non
era così..
Non
era così, ma forse poteva esserlo.
Aveva
messo da parte un po’ di soldi lavorando tutto il giorno e
poi, da quando era
arrivata Jackie, Hilda gli aveva alzato il salario nonostante la
riduzione
d’orario. In più era convinto che avesse
“consigliato” a qualche cliente di
lasciargli più mance.
Non
stava benissimo, ma neanche tanto male. Poteva andare lui con lei in
California
e così lei avrebbe potuto studiare e loro stare insieme.
E
poi avrebbe potuto trovare un lavoro anche là.
Si,
poteva andare! Come
aveva fatto a non pensarci prima?!?
“Sei
un genio mostriciattolo!” Jackie sorrise solamente e lo
abbracciò.
Nate
era troppo euforico per aver trovato una soluzione che non contemplasse
la
rottura con Violet; quel vicolo cieco che aveva imboccato aveva invece
una
stradina laterale, giusta per riportarli in carreggiata.
“Jackie,
non andiamo più al mare. Adesso andiamo da Violet.”
“Non
la vediamo domani?”
“Hai
ragione è tardi, ma ho bisogno di parlarle adesso.”
“Ma
io ho sonno.”
“Mi
prometti di rimanere buona buona a casa a dormire?”
“Va
bene papà!”
“Ti
lascio l’acqua sul tavolo, con anche i biscotti; nel caso ti
dovesse venire
fame.”
“Posso
bere il latte?” chiese sorridente, sperando che il suo
fratellone gliel’avrebbe
concesso.
“D’accordo,
ma non ti avvicinare ai fornelli! E dopo SOLO una tazza di latte con i
biscotti,
lavi i denti e poi corri a letto. Non esagerare, altrimenti domani ti
viene il
mal di pancia e io ti scopro!” le lasciò un bacio
sulla fronte e si diresse al
piano di sotto per preparare lo spuntino a Jackie e chiudere tutte le
finestre
per poi uscire di casa.
Prese
le chiavi della macchina si mise alla guida e pochi minuti dopo era
sotto il
portone del palazzo di Violet. Alle tre di notte il traffico era
praticamente
nullo a West Newbury.
Fece
gli scalini a tre a tre e arrivò alla porta
dell’appartamento col fiatone.
Bussò
con forza, sapeva che era tardissimo e che quindi molto probabilmente
dormivano
da un po’ i due ragazzi.
Si
sbagliava però. Violet singhiozzava ancora e Ricky la teneva
abbracciata a sé,
mentre gli sussurrava che tutto sarebbe andato bene e che le cose si
sarebbero
sistemate.
Sentirono
bussare alla porta, ma nessuno dei due si mosse. L’insistenza
di quel rumore
sordo sulla porta fece cambiare idea a Ricky che si alzò,
consapevole che le
sue condizioni erano migliori di quelle della padrona di casa. Aprì
la porta e, trovandosi
davanti Nate, se la richiuse alle spalle.
Con
voce molto bassa avanzò la
sua domanda.“E
tu che ci fai
qui? Non eri mica partito?”
Ancora
col
fiatone,
cercando di mantenere il tono della voce regolare, Nathan rispose:
“No..
sono..” sospirò “mi sono reso conto
che.. che stavo facendo una cazzata.” “Una
delle più grandi della mia vita.”
“Meglio
tardi che mai. Comunque
ti avremmo raggiunto anche a Manchester fosse stato il caso.”
Nate
era riconoscente a Ricky per
quello che aveva appena detto, ma nel suo cervello non c'era altro che
la
voglia di stringere Violet tra le sue braccia. “Posso
vederla?”
“Non
è nelle condizioni migliori
dopo la tua bravata.. non so come possa prendere il fatto che tu ora
sia qui.”
“Ho
fatto una cazzata, lo sapevo.
Ma giuro io l’ho fatto per lei... Cazzo è che
quando si impunta su una cosa
diventa più testarda di un mulo!” Lo sguardo di
Nate si stava intristendo; lo
capiva persino il biondo anche se non lo conosceva.
“Ahahahah!
Lo so bene, credimi!” l'affermazione
del moro fece ridere davvero Ricky; tanto che le risate insospettirono
Violet.
“Ricky
chi è?” una voce strozzata alle sue
spalle.
Nate
la vide; con quegli occhi rossi
che gli ricordavano tanto il ritorno da New York. Non si riusciva a
perdonare
che fosse nuovamente lui la causa del suo dolore. Doveva sistemare le
cose,
doveva assolutamente aggiustare tutto.
“Amore..”
La chiamò
con tutta la necessità di cui una parola poteva caricarsi. Lei
sbattè la porta e non gli diede modo di dire
altro. Tutte le parole che durante il tragitto aveva messo insieme non
avevano
più un senso e lui si sentiva sempre più cretino.
“Nate,
tu aspetta
qui.” Ricky si era rivolto a lui per un secondo e poi si era
fiondato
nell'appartamento per parlare con Violet che lo accolse con un lancio
di
ciabatta.
“Come
puoi essere fuori a ridere
con quello stronzo, mentre io sono qui a piangere come una
deficiente!?”
Era
davvero arrabbiata e
quell'espressione tanto seria fece ridere ancora il biondo. La cosa
fece
innervosire Violet, che prese l'altra ciabatta e gliela
lanciò contro. Ricky la
schivò agilmente e di scatto prese la ragazza tra le braccia.Violet
cercava di dimenarsi dalla presa di
Ricky, ma lui non era più il ragazzo gracile di una volta e
quindi le riusciva
impossibile.
“Ricky
mollami!”
“Tu
la finisci di fare la matta?”
“Pff..
E va bene.” insistere non
avrebbe portato a niente.
Allentò
la morsa e Violet
effettivamente smise di divincolarsi. “Brava
Bambi.” le carezzò dolcemente i
capelli.
“Perché
ridevi con Nathan?” chiese stizzita.
“Perché
mi stava ricordando
quanto fossi testarda.”
“Testarda?
Io?!”
“Certo
Bambi. E non dire il
contrario.”
Sbuffò
“Però tu non devi ridere
con lui. Mi ha lasciata.”
“Te
l'ho detto prima: te la sei
cercata. Cosa pensavi che lui davanti alla scelta di assicurarti un
futuro
felice avrebbe preferito continuare a farti portare il suo
fardello??”
“Ma
lui non è un fardello per me!
Non lo è nemmeno Jackie. E io non volevo rompere con lui.
È stata una sua
scelta.”
“Non
che tu gli abbia dato molta
alternativa!”
“Io
NON gli ho detto di
lasciarmi, per questo non capisco perché era qui
adesso.”
“Secondo
te?” chiese l'altro ironico.
“E
che ne so io!”
“Perché
non glielo chiedi tu
stessa?!” accennò col capo alla porta.
Lei
vi si avvicinò, ma si bloccò. “Non
posso
farmi vedere così!”
“Ma
se sei scema! Smettila di
dire cazzate e corri a parlare con lui.”
Violet
sorrise solamente e
varcando la soglia di casa si trovò davanti il suo
Cioccolatino. Cercò
di fare la dura, la ragazza
offesa per esser stata lasciata, ma la messa in scena non
durò molto; perché
dopo nemmeno dieci minuti passati a dire la loro erano già
una abbracciata all'altro.
Le
braccia di Nate circondavano
con possessività la vita della ragazza e lei gli cingeva le
braccia al collo.
“Non
farmi mai più
uno scherzo del genere!!”
“No
scimmietta.”
“Promettimelo.”
“Lo
giuro.”
Si
scambiarono un bacio che
divorò tutta la rabbia che la ragazza aveva ostentato per
essere stata
piantata. Non riusciva a non perdonarlo; riconosceva il suo errore
anche se
sapeva di non essere la sola ad avere sbagliato. Anche Nathan ci aveva
messo
del suo e nella sua testa continuava a chiederle perdono. Perdono
che avvenne senza altre
tante parole, ma solo con le loro labbra che si incontravano. Quel
bacio
intenso e per un certo verso drammatico aveva suggellato la loro
rappacificazione.
Staccandosi
Violet sentiva che
però doveva sfogarsi ancora un attimo.
“Questo
però te lo
meriti proprio..”e accompagnato da quella frase, Violet gli
regalò un sonoro
schiaffo.
Nate
non disse niente e la
ribaciò con foga. Quello era il prezzo minimo da pagare e
già solo che lei non
lo aveva fatto penare per riprenderselo era qualcosa di cui esserle
eternamente
grato.
“Ringrazia
Ricky se sono stata
così ragionevole con te.” gli sussurrò
a pochi centimetri dalla bocca
fissandolo negli occhi.
“Oh
beh, sarà fatto.”
“Bene,
e ora entriamo in casa.”
Nate
non chiedeva altro che
rimanere lì, sul divano, abbracciato alla sua dolce
metà; ma la piccola Jackie
era a casa e non voleva lasciarla da sola per troppo tempo.
“Scimmietta,
non posso rimanere..”
l’espressione di Violet si fece contrariata, per questo
aggiunse subito “Jackie
è da sola.. non posso lasciarla troppo tempo per conto suo.
Mi fido di lei,
però è pur sempre una bambina.”
“Hai
ragione. Vengo io con te.
Dammi il tempo prendere le cose per dormire e andiamo.” Disse
alzandosi.
“Tranquilla,
non ne avrai bisogno.”
Ammiccò il ragazzo e Violet arrossì.
“Non
pensavo ti facesse ancora un
certo effetto.. e pensare che ultimamente anche tu eri piuttosto.. come
dire.. ‘propositiva’.”
Una
fragorosa risata scoppiò
nell’aria. Ricky, che divideva la poltrona col gatto, aveva
sentito tutto,
ovviamente.“Eh
brava Bambi! Sei persino
propositiva!”
“Grazie
per parlare liberamente
della nostra vita sessuale!” Esclamò Violet ancora
imbarazzata.
“Non
c’è nulla da vergognarsi
amore!”
“Sei
proprio un orso quando fai
così.” Gli fece una linguaccia e iniziò
a prendere qualcosa dall’armadio.
“Ma
se mi ami per questo.” Le
sorrise cingendole la vita alle spalle.
“Non
ne sarei così sicuro.” Gli
accarezzò il viso, che rilassato e sorridente, si sporgeva
da sopra la sua spalla.
Nonostante
avessero rotto da
poco, tutto sembrava tornato alla normalità; i due
piccioncini scherzavano e
questa volta includevano persino Ricky, che di certo non si tirava
indietro dal
fare battute a doppio senso.
“Voi
due è meglio che vi
separiate, altrimenti formate una piccola associazione a
delinquere!” Violet
tirò Nate per una mano per accompagnarlo fuori
dall’appartamento. “Andiamo da
Jackie.. e a prenderci cura di noi.” Ammiccò poi,
palpeggiando il sedere al suo
Cioccolatino.I due
ragazzi la fissarono
sbalorditi. Nessuno di loro si aspettava una battutina del genere.
“Bè?!
Voi potete parlare
liberamente di rotolarsi tra le lenzuola e io mi devo perdere tutto il
divertimento?!”
“Birichina!”
Ricky la prese in
giro e scoppiò nuovamente a ridere, coinvolgendo anche gli
altri due.
Usciti
dall’appartamento, Nate
non diede il tempo materiale a Violet di dire A o B che
l’aveva stretta tra lui
e la parete. Le carezzò il profilo del volto, strofinando il
naso sulla sua
pelle nivea e vellutata. Il suo respiro le solleticava il collo e la
faceva
fremere. Ogni piccolo contatto sulla sua pelle era un grazie silenzioso
per
averlo perdonato così in fretta. Non avrebbe potuto sperare
di meglio e adesso,
felice, poteva portarla di nuovo a casa con sé.
Quella
notte, arrivati a casa, si
dedicarono al loro amore. Non c’era bisogno di altre parole.
I semplici sguardi
che si scambiavano, dicevano tutto. Lei l’aveva perdonato per
la semplice
ragione che per lei, nulla aveva senso senza di lui. Lui era la sua
metà
perfetta. Era irruente, dolce, istintivo e agiva sempre pensando prima
agli
altri che a se stesso. Aveva bisogno di lui accanto, perché
l’amore li aveva
portati a non resistere per la troppa distanza.
Non c’era bisogno del famoso
cliché del sesso rappacificatore quella notte,
perché nella loro testa, ormai,
era come se non si fossero mai separati.
Le lacrime versate non contavano
più. Ora c’erano solo loro: amanti inseparabili.
Abbracciati l’un l’altra si
fissarono per ore, persi in chissà quali pensieri e in
chissà quali messaggi
che gli occhi erano capaci di trasmettere.
“Amore,
ho pensato molto in
queste poche ore lontani.” Fu lui a iniziare a parlare,
stuzzicando la
curiosità della sua compagna.
“Stavo
pensando che tu andrai a
studiare alla Berkeley..” e Violet si scurì in
volto e si spinse via dal suo
petto con le mani. La paura di tornare a litigare
sull’argomento era molta in
quel momento; non potevano fare ancora passi indietro. “Fammi
finire. Stavo
pensando che tu andrai in California.. E noi verremo con te.”
“Come??
Davvero? Davvero stai
facendo tutto questo per me?” gli occhi di Violet divennero
umidi per le
lacrime che premevano per uscire.
“Certo
amore, ma non solo per te.
Lo faccio per noi.”
Sentendo
quelle parole, la diga
si ruppe e le lacrime sgorgarono, scorrendo veloci e copiose lungo le
guance
della ragazza. Piangeva e rideva. Era felice e non pensava che lei
avrebbe mai
potuto piangere di gioia. Gioia che trasmise a Nathan stringendolo a
sé e
dandogli mille e più baci veloci, che lui ricevette e
assecondò.
La dolcezza di ogni tocco fece
accendere la passione tra i due e la felicità raggiunse il
culmine con l’unione
dei loro corpi.
Successe tutto molto velocemente
prima che loro, stanchi ed appagati, si concedessero alle braccia di
Morfeo.
La fine del percorso
scolastico di Violet era giunta, e lei, studentessa con la media migliore della
scuola aveva l’incarico di preparare il ValidDictorian da recitare davanti a quelle centinaia di persone
presenti quel giorno.
La preparazione aveva
causato non poche crisi di nervi per la piccola genietta,
ma col supporto del suo bello era riuscita ad ottenere un risultato
soddisfacente.
Quello lo poteva capire
mentre osservava i suoi genitori, insieme a quelli di tutti i suoi compagni,
che l’ascoltavano mentre li intratteneva. Le parole del suo discorso ne avevano
commosso molti, e soprattutto i suoi.
Ma anche Hilda non era da meno. Aveva chiuso persino il locale quel
giorno per partecipare alla cerimonia del diploma; e ovviamente anche Ricky non
poteva mancare.
Luke e Catherine si
abbracciavano e piangevano orgogliosi della loro bambina. Nathan, con Jackie
sulle spalle, applaudiva soddisfatto. Era davvero gratificante vederla serena e
felice per aver raggiunto i risultati prefissati.
Erano tutti lì riuniti a
celebrare la fine delle scuole superiori e l’inizio di qualcosa di nuovo.
Il suo Dictorian
terminò con uno scrosciare di applausi che si protrasse fino all’entrata in
scena del preside che segnava il termine della cerimonia.
“Io, Kenneth Ross, preside
della Oliverton Junior High, faccio i miei
complimenti e i migliori auguri ai diplomati di quest’anno! Un grande applauso
a tutti gli studenti dell’anno 1993, che hanno così terminato la loro carriera scolastica
in questa scuola.”
A quell’annuncio tutti i
cappelli dei giovani sorridenti volavano nel cielo estivo azzurro.
Violet sorrideva, felice
per aver raggiunto quel traguardo importante e tanto agognato.
Dopo i saluti ai compagni,
Violet si diresse veloce – per quanto lo permettesse la tonaca – verso Nathan.
Lo abbracciò di slancio e si scambiarono un veloce bacio a fior di labbra.
Lo prese poi per mano e lo
condusse dai suoi genitori. Era giunto il momento delle presentazioni; erano
ormai sei mesi che stavano insieme e lei aveva accennato solamente qualcosa a
sua mamma in una delle loro conversazioni telefoniche.
Mano nella mano e con
Jackie al seguito, si avvicinarono a Catherine e Luke.
“Mamma, papà. Voglio
presentarvi Nathan, il mio ragazzo.”
Negli istanti che
precedettero quelle parole, il ragazzo scorreva veloce i suoi ricordi di quando
Violet gli aveva detto che il giorno della cerimonia li avrebbe fatti
conoscere.
Era nervoso, e proprio lui che si preoccupava veramente solo di poche cose,
non sapeva che cosa fare e che cosa dire.
Non era mai stato presentato come fidanzato prima di allora e
quell’evento un poco lo spaventava. Aveva paura che ai genitori di Violet non
sarebbe piaciuto.
Si era rifugiato nelle scene dei film romantici per vedere, cercare di
capire quelle che erano le “manovre base” per piacere ai genitori della propria
fidanzata.
Violet però lo aveva rassicurato la sera precedente. A letto,
abbracciati, stavano parlando e lui aveva messo a nudo la sua paura di non
piacere a Luke e Catherine per il suo passato, per la sua famiglia e per il
fatto che da solo accudisse la sorellina. Violet lo aveva stretto a se come se
fosse un cucciolo smarrito al quale donare fiducia, amore e in quel momento
rassicurazione. “Sii te stesso e vedrai che ti adoreranno. Se hai conquistato
me, farai altrettanto con i miei genitori. Sono io la complicata della
famiglia; loro sono meno problematici di me.” Disse sorridendo “E poi sanno che
io difficilmente lascio entrare ragazzi nella mia vita e tu ci sei entrato.. e
anche fino in fondo direi.” Cercava di alleggerire la tensione di Nate, sicura
che ce l’avrebbe fatta. “ E anche per il fatto che tu sei qui con me, dopo
tutti i miei scleri; te ne verrà riconosciuto il
merito e vedrai che gli starai simpatico… vedrai amore, ti adoreranno. Non può
andare diversamente.”
In quel momento quei
ricordi gli trasmisero la fiducia in se stesso necessaria per essere tranquillo
e presentarsi a Luke e Catherine.
Il padre di Violet, un uomo
semplice con l’aria un po’ burbera, gli aveva stretto la mano vigorosamente, e
lo osservava con sguardo serio e indagatore.
Catherine, invece sorrideva
sinceramente e lo aveva già accolto come uno della famiglia. Subito dopo averlo
stretto in un abbraccio, dedicò le sue attenzioni a Jackie, che ridacchiava per
le facce buffe che le faceva.
Era una donna solare ed
esteticamente assomigliava molto alla figlia; aveva però gli occhi nocciola,
che trasmettevano calore e fiducia. Violet aveva gli occhi di suo padre,
grandi, azzurri come il cielo ed espressivi.
Era soprattutto quella
particolarità che aveva colpito Nathan. Gli occhi possono essere anche con
colori particolari e belli finché vogliamo, ma se sono vuoti e non trasmettono nulla,
perdono della loro bellezza. Questo era il suo pensiero.
Consumarono il pranzo in un
ristorante elegante, affollato e dove il chiacchiericcio permetteva di avere
una certa privacy: nessuno stava ad ascoltare oltre il proprio tavolo.
Durante il pranzo Catherine
era totalmente presa da Jackie, tanto che scherzando aveva chiesto quando
avevano intenzione di farla diventare nonna.
Quella domanda fece
sorridere i due giovani, che prendendosi per mano le avevano comunicato che ne
doveva passare ancora di acqua sotto ai ponti prima che arrivasse il loro turno
da genitori.
Una reazione diversa ebbe
Luke, che, irrigiditosi, lanciò uno sguardo esasperato alla moglie per poi
fissarsi su Nathan come per avere un ulteriore conferma delle sue parole.
Luke prese la parola:
“Allora Nathan, che cosa fai nella vita?”
Ed ecco la fatidica
domanda. Il momento dell’interrogatorio era arrivato per Nate, e Violet per
supportarlo gli stringeva la mano sul tavolo.
“Lavoro al Café di Hilda: cucino e faccio il
cameriere, e poi aiuto il proprietario del market dove lavora Violet con lo
scarico della merce” e sorridendo aggiunse “Devo provvedere a me e a Jackie in
qualche modo.”
“Jackie.. e i tuoi genitori?”
Violet aveva aumentato la
stretta sulla sua mano.
“Eh.. bella domanda… i miei genitori.. mio padre non so nemmeno dove sia
e se si ricordi ancora di me, mia mamma invece è una cameriera drogata di una
bettola del Bronx.” Quella era la risposta che gli passò per la mente, ma
che ebbe l’accortezza di non pronunciare.
“Non vivono con me.. Io mi
sono trasferito da New York a West Newbury da meno di un anno e Jackie vive con
me da poco.” Cercò così di sviare l’argomento.
“Papà, basta con
l’interrogatorio: ho una notizia fresca fresca!” Fu
molto grato a Violet quando lei intavolò l’argomento di Berkeley per evitare che
il padre approfondisse.
Luke intuì il tentativo di
sua figlia di cambiare argomento, ma ovviamente non disse niente in quel
momento; avrebbe chiesto a lei in privato in seguito.
“Ah sì? Dimmi tutto.”
“Andrò alla Berkeley!! Mi
hanno accettata!”
Catherine gridò dalla gioia
e si alzò per correre ad abbracciare la figlia. Il padre non si scompose molto;
fece solo un gran sorriso e le disse: “Sono orgoglioso di te, bambina mia!”
Violet non era abituata a
sentire il padre pronunciare certe parole e si commosse.
Nathan dal canto suo era
davvero felice per la sua ragazza; ma nascondeva una sottile vena di gelosia
per quello sguardo soddisfatto e orgoglioso del padre e per quelle parole che
lui non aveva mai avuto il piacere di ricevere.
“Violet ma raccontagli bene
la storia.” Propose scacciando quei pensieri, e per mostrare quanto fosse in
gamba Violet – non che i suoi genitori non lo sapessero. –
“No, dai.. ma se vuoi
digliela tu.” Non voleva essere al centro dell’attenzione e voleva che Nathan
avesse la possibilità di aprirsi almeno un po’ con i suoi genitori.
Il ragazzo ebbe così tutta
l’attenzione del tavolo e iniziò: “D’accordo. La vera storia è che la Berkeley
l’ha cercata, non solo accettata come ha detto lei. Ha scritto un saggio
davvero bello che il professore di lettere ha apprezzato molto e dopo un
colloquio le ha chiesto di entrare a far parte dell’università. Le ha offerto anche
una borsa di studio, talmente era convinto del potenziale di Violet.”
Naturalmente omise la parte del litigio e delle lacrime versate; non era il
caso di parlarne al primo incontro con i genitori di Violet.
“Sono davvero fiero di
lei!” aggiunse guardandola negli occhi e posandole un bacio sui capelli.
Alla fine del pranzo,
arrivò il regalo del diploma della famiglia.
“Violet, figlia mia. Ecco
per te, un regalo. Penso che ti possa tornare più utile di una macchina della
quale non avrei mai azzeccato né modello né colore.” La mamma le porse una
sottile busta, che Violet prese con mani tremolanti.
La aprì lentamente. Poteva
contenere solo una cosa.
E infatti era proprio come
pensava: un assegno.
Quello di cui non si
capacitava però, era la cifra che vi era riportata.
65 mila dollari.
Non ci poteva credere, non
aveva mai visto così tanti soldi in vita sua; e nonostante sapesse che era
tradizione per le famiglie, mettere da parte soldi per il college da quando i
figli erano piccoli non pensava che le spettasse così tanto.
Durante la sua infanzia non
le avevano fatto mancare niente, e non pensava che fossero riusciti a mettere
via tutti quei soldi; dopotutto sua mamma era una semplice consulente e il
padre un impiegato delle poste. Erano due persone semplici, con una vita
raggiante e che quando erano insieme sembrava non avessero bisogno d’altro,
nonostante fossero così diversi.
Forse non si rendeva conto
che anche lei e Nate non erano poi così diversi da loro.
“Violetta – sua mamma la
chiamava sempre così, dopo il viaggio in Italia – sono i soldi per il college,
non essere così meravigliata! E poi per noi in questi due anni è stato molto
più facile metterli da parte, visto che non dovevamo rifocillare la tua
libreria.” Ironizzò Catherine.
“Grazie mamma, grazie
papà.. io non so che dire.” Rispose mostrando l’assegno al suo compagno, che le
sorrise solamente in risposta. Non doveva esprimersi, perché in quel capitolo
lui non aveva voce.
“Non dire nient’altro e
abbracciaci.” Detto, fatto. Violet si alzò e li strinse in un abbraccio così
pieno d’amore, come non faceva da tempo.
Il resto della giornata,
nonostante l’invito a casa dei genitori fosse esteso a tutti e tre, lo
passarono separati.
Era giusto così: era la
giornata di Violet con la sua famiglia; non si vedevano da parecchio e
sicuramente avrebbero avuto tanto da raccontarsi.
Infatti a casa, Violet
raccontò loro della sua vita da mangusta solitaria, come l’aveva soprannominata
sua mamma quando non aveva Nate a farle compagnia. Poi raccontò anche del
passato del suo ragazzo, ma senza entrare nei dettagli; sapeva che doveva una
spiegazione al padre, ma non voleva neanche mettere troppo a nudo il suo
ragazzo.
Catherine se già adorava
quel ragazzo per lo sguardo innamorato che rivolgeva a sua figlia, ora lo
ammirava. Quel ragazzo aveva dimostrato una forza incredibile, oltre ad
un’inaspettata fiducia nel mondo. Nella sua carriera da consulente ne aveva
sentite di storie, ma quella di Nathan l’aveva particolarmente colpita.
Luke, come al solito, non
espresse molto i suoi pensieri. Fece solo qualche domanda:
“Ha intenzioni serie?”
Violet ebbe nemmeno il
tempo di rispondere, che sua mamma era già intervenuta al suo posto “Caro
marito, ma che domande fai? Credi che un ragazzo che cresce da solo la sorella
e che la guarda in quel modo non abbia intenzioni serie?!”
“Io non lo so.. è sempre
meglio chiedere.”
“Sei proprio incorreggibile
Luke. Dopo tanti anni di matrimonio e amore, ancora non riesci a mettere da
parte quella tua parte razionale. E poi penso che ci possiamo fidare del suo
istinto.”
“È di nostra figlia che
stiamo parlando. Voglio essere sicuro che sia in buone mani. Lo sai che mi fido
di lei, altrimenti non vivrebbe da sola da due anni. Però è sempre bene
chiedere.. ”
Quel siparietto famigliare
le mancava. Le discussioni a casa sua erano sempre state così, da che ne avesse
memoria.
Suo papà era la testa della
famiglia e sua mamma il cuore. La razionalità che aveva trovato la sua metà
della mela nel sentimento travolgente della passione e del romanticismo. Era un
caso più unico che raro, per questo non si stupiva più di essere uscita così
complicata. Dovevano pure esserci delle conseguenze per quell’unione..
ovviamente non si rendeva conto di quanto fosse stata fortunata per le sue
doti. Non si apprezzava abbastanza, era sempre dura con se stessa.
Nathan, ormai giunto a casa
con la sorellina, pensava con malinconia alla famiglia che non aveva avuto, e a
quella che aveva. A quel pensiero gli venne in mente sua madre. Così di punto
in bianco compose il numero e attese risposta, che però non arrivò.
Preoccupazione. Ecco cosa
provò.
Ricompose velocemente il
numero e questa volta sua mamma alzò la cornetta e in modo atono rispose.
“Ciao mamma.”
“Nathan!?” era evidente che
non si aspettasse di avere notizie da lui.
“Sì, e chi se no?”
“Non pensavo di sentirti
più.”
“Come stai?”
“Sto bene.. Diciamo così”
“Diciamo così?”
“Si Nathan, come vuoi che
stia? Sono qui da sola con tuo fratello. Ti ricordo che mi hai portato via mia
figlia.”
“Dobbiamo discutere ancora
per questo?! Sai perché l’ho fatto.”
Dalla cornetta arrivò un
sonoro sbuffo. “Si lo so; da una parte sono felice perché l’hai portata via da
tutto questo, ma dall’altra.. mi manca.”
“Immagino. Anche a me era
mancata tanto i primi mesi che ero qui.” “..Come mai prima non hai risposto? Mi
hai fatto preoccupare.”
“Ero.. ero occupata.” Una
semplice risposta vaga per coprire una grande colpa e un senso di vergogna che
la affogava ogni volta che i figli la sorprendevano in quello stato.
“A far che?” “..No. Non me
lo dire.” Nate non colse al volo il reale significato di quella risposta, ma lo
fece prima che sua mamma potesse inventarsi qualche scusa imbarazzante.
In quel modo ottenne solo
silenzio dall’altra parte. Aveva colto nel segno. In quel silenzio pesante,
avveniva la sua confessione, così il ragazzo sfregandosi la fronte le disse:
“Devi smetterla con quella roba, mamma.”
“Lo so, ma non ce la
faccio.” Le lacrime iniziarono a sgorgare e Nathan si sentiva colpevole per la
sofferenza della madre.
“Troveremo una soluzione.”
“Mamma, ti ho chiamato per dirti che tra due mesi parto, vado a vivere in
California con Jackie e Violet. È entrata alla Berkeley, mamma. Sai, è davvero
brava.. e io non riesco a stare senza di lei.”
“Sono felice per te, figlio
mio. Sei fortunato che ti stia ancora accanto dopo quello che è successo qui.”
“Si.. sono davvero
fortunato.” Sorrise osservando Jackie che presa dall’entusiasmo rideva, saltava
e girava in tondo sul tappeto, al ritmo della musica dei cartoni animati.
“Vuoi parlare con Jackie?”
“Posso??” chiese stupita.
“Certo che puoi, poi però
devo parlarti ancora di un paio di cose.”
“Certo Nathan, tutto quello
che vuoi.”
Jackie era rimasta al
telefono per quasi mezz’ora con Renée e le aveva
raccontato tutte le novità della sua vita a West Nuwbury.
Le aveva parlato di Paul e Christine, i suoi due nuovi amichetti e di tutte le
volte che osservava suo fratello cucinare e anche dare qualche bacio a Violet e
delle sue reazioni. “Durante quelli faccio i versacci.”Questo fu quello che le disse esattamente,
provocando una sonora risata dall’altra parte della cornetta.
“Nathan, grazie per quello
che stai facendo. E pensare che dovrei essere io a prendermi cura dei miei
bambini.”
Durante la conversazione,
iniziò un veloce e ripetitivo tirare su col naso. La coca la stava devastando e
sicuramente il sangue di lì a poco avrebbe iniziato a scorrere. L’aveva visto
succedere tante volte, e sapeva anche quali sarebbero stati i passaggi
successivi.
Sua madre, con lui che le reggeva la testa, chiusa in bagno, a fissare
il soffitto per almeno un’ora perché il sangue smettesse di scorrere.
Questa volta però sarebbe
stata da sola.
“Mamma, riattacca e corri
in bagno. Poi troveremo una soluzione. Se vuoi venire qui da noi prima che
partiamo, devi darti una ripulita. Non voglio che Jackie ti veda così. Fallo
per noi, fallo per te stessa.”
“Grazie Nate. Ti voglio
bene. Scusami.” Riagganciò così: dicendogli che gli voleva bene e chiedendogli
scusa per la sua tremenda debolezza.
Nathan avrebbe aiutato
anche lei. Non sapeva ancora come, ma in qualche modo avrebbe fatto.
Lasciare quella che per loro era diventata la casa del loro
amore non fu facile. Violet osservava ogni singola stanza di quella villetta,
ricollegandovi un pensiero felice ciascuna.
La cucina era stata luogo di dolcissime colazioni preparate dal
suo Cioccolatino; la camera da letto era il luogo dove per la prima volta si
erano uniti dando sfogo al loro amore. Ricordava ancora l’impaccio della prima
volta, ma ricordava anche le altre volte che quel letto era stato ospite delle
loro unioni e del senso di pienezza e felicità che poi provava; la camera da
letto di Jackie l’aveva collegata alla favola della buona notte che le aveva
raccontato la sera che si era rappacificata con Nate, ma ricordava anche i
momenti in cui aiutava la piccola a prepararsi per andare a dormire e ogni
volta lei le ripeteva che il suo fratellone era fortunato ad averla, perché lo
rendeva felice; il bagno o meglio la doccia e tutte quelle bollenti, ma anche
rilassanti che aveva fatto con la sua dolce metà; ed in fine il salotto:
l’ultima stanza che avrebbe visto di quella casa, ma anche la prima ad averla
accolta. Ricordava ancora quando vi era entrata di corsa il primo giorno che
aveva messo piede in quella casa. Era bagnata fradicia per colpa di
quell’improvviso acquazzone e gocciolava per tutto il parquet.
Ne erano cambiate di cose: ora stava partendo; stava lasciando
West Newbury alla volta della California. Stava per andare all’università e
iniziare davvero la sua vita, mettendosi in gioco in un ambiente che non le era
famigliare. Era spaventata all’idea di abbandonare quel suo porto sicuro e
dolce che l’aveva cullata innumerevoli notti; proprio come iniziarono a fare le
braccia di Nate in quel momento.
“Scimmietta, dobbiamo andare. Se non ci mettiamo in marcia
adesso non arriveremo mai.”
“Lo so.” Il suo tono era triste. Stava lasciando tutto per
l’ignoto; ma questa volta non era da sola come quando si era trasferita nel suo
monolocale a sedici anni. Ora aveva Nathan, lui era la sua sicurezza, e sentiva
che quell’abbraccio l’avrebbe fatta sentire a casa ovunque.
Si voltò tra le braccia del ragazzo e gli scoccò un leggero
bacio a fior di labbra. “Andiamo. Diamo il via alla nostra nuova vita.”
“Abbiamo mangiato pane e melodramma stamattina a colazione?” Le
sussurrò Nate fra i capelli.
“Lo sapevi dal primo giorno che ci siamo incontrati.”
“Oh sì. Me lo ricordo bene! Ricordo il tuo viso scocciato per
la mia interruzione. Sembrava proprio fossi andato a risvegliare il can che
dorme.”
Violet sorrise a quel ricordo: l’irritazione che aveva provato
quel giorno era di livelli epocali. “Eri proprio un gran rompi scatole.
Distraevi una studentessa modello dai suoi libri.”
“Si, ma devi ammettere che poi certe distrazioni hanno iniziato
a piacerti.” Ammiccò il giovane.
“Ok lo ammetto. Hai proprio un brutto ascendente su di me.” Gli
cinse le braccia al collo e gli diede un altro bacio.
“A me questo sembra un ottimo ascendente!” rispose al bacio
prendendola in braccio. “Dobbiamo andare, Jackie ci aspetta in macchina.” La
rimise a terra e prese una mano tra le sue.
Insieme chiusero la porta di quella casa che per loro era tanto
importante. Aveva rappresentato un punto di svolta per entrambi: la fuga dalla
grande mela di Nate e Jackie e la conseguente liberazione dei problemi che li
stavano facendo colare a picco; il riemergere di Violet dalla sua ombra che per
anni l’aveva circondata.
Chiusa una porta si apre un
portone. Questo era il proverbio, ma anche la realtà che si parava ora davanti
agli occhi di quella particolare famigliola.
Il portone d’ingresso della
Berkeley – seppur ancora in lontananza - era enorme, per non parlare del
cancello e del cortile che li aveva appena accolti.
Avevano fatto quattro
giorni di viaggio con diverse tappe prima di arrivare a destinazione: avevano
portato Jackie a vedere le cascate del Niagara, dirottando un po’ la loro via,
ma ne era assolutamente valsa la pena. La piccola era felice e mentre indossava
quel piccolo impermeabile giallo correva lungo le ringhiere e si godeva le
piccole gocce d’acqua che le inumidivano il viso.
Dopo quella giornata ad
osservare quella meraviglia naturale si erano fermati anche al Disneyland Park,
ad Anaheim, in California. Volevano regalare a Jackie
un po’ di serenità visto che aveva dovuto abbandonare i suoi amichetti e alla
partenza era un po’ contrariata.
Anche quella tappa aveva
riportato il sorriso sulle labbra color cioccolato della bambina.
La loro vecchia Chevy procedeva lentamente lungo il viale alberato, mentre
Jackie osservava quei grandi prati dove già immaginava di poter scorrazzare;
Violet era incantata dall’enormità dell’edificio che si era abituata a vedere
sulle piccole brochure e Nate si sentiva un po’ diverso, come se non
appartenesse a quell’ambiente. Lo nascondeva bene però; non voleva far
preoccupare Violet con la sua inadeguatezza. Quello era il posto della sua
ragazza: non la immaginava altrove e lo poteva leggere nei suoi occhi color
ghiaccio che era quello che lei voleva. Il suo sogno stava diventando realtà e
lui era davvero felice per lei.
Seguì le indicazioni che
dirigevano agli alloggi, e fortunatamente non trovò molta gente ad intasare
l’ingresso. Avevano scelto il periodo ideale per partire: mancavano due
settimane dal rientro accademico, per cui poche matricole si erano già
accaparrate gli alloggi a loro riservati. Tutti pensavano a godersi la vacanza
in libertà, ma loro, avendo qualche preoccupazione in più da gestire avevano
deciso di anticipare un po’ i tempi.
Una volta arrivata a
Berkeley dovevano trovare un appartamento dove stare, perché Nate e Jackie non
potevano soggiornare negli alloggi studenteschi.
Nate non voleva che Violet
fosse già stressata i primi giorni dell’università, perché aveva sempre pensato
che quella dovesse essere un’esperienza bellissima e che se lui non poteva
viverla, la sua compagna doveva farlo appieno; così partire con un po’ di
anticipo gli avrebbe permesso di fare le cose con più calma.
Trovarono un parcheggio –
con molta fortuna, aggiunse Violet – non molto lontano dall’ingresso del
dormitorio.
Grazie ai voti esemplari
della ragazza e anche al suo colloquio che aveva colpito molto il rettore, le
avevano assegnato una stanza in uno dei migliori appartamenti per studenti sul
campus.
Al 2535 di Channing Way, le spettava un appartamento da dividere con
altri studenti che sarebbero arrivati per l’inizio dell’anno universitario.
Sapeva solo che le camere
erano doppie, e alcune dotate di letti a due piazze. Un lusso che non pensava
potesse esserle riservato.
Scesero dalla macchina
tutti insieme, quasi in sincrono, e tutti con lo stesso sguardo meravigliato.
“Benvenuti a Berkeley.” Una
voce alle spalle li accolse. Quella voce roca e profonda apparteneva ad un
certo Garth – così diceva la targhetta – un signore di mezza età dalle guance
leggermente scavate e un sorriso simpatico.
Violet sorrise e lui
continuò.
“Sono Garth, l’addetto
all’accoglienza per i nuovi arrivati, nonché il custode del dormitorio. E voi
siete?”
“Io sono Violet Peterson.”
“Ben arrivata, Miss
Peterson; come d’accordo le abbiamo riservato un alloggio che al primo piano. È
un alloggio per quattro persone, ma per ora i suoi coinquilini saranno due:
Miss Davemport e Mr Les Jardins. Prego, seguitemi. ”
Nate non poté fare a meno
di trovarsi in disaccordo con quella sistemazione: la sua Violet doveva
dividere l’appartamento con un ragazzo?! No non se ne parlava. Non finché c’era
lui a Berkeley.
“Chi è questo Mr Les
Jardins? Già dal nome mi sa di damerino.” Sussurrò alla sua fidanzata, per non
farsi sentire dal custode.
“E che ne so io, sono
appena arrivata; non sapevo con chi dovessi dividere l’appartamento.”
“Ma dove sono finiti i
dormitori separati? Maschi da una parte e ragazze dall’altra?”
“Non lo so, ma fa niente.
Tanto non mi interessa il francesino.”
“Come fai a dire che è
francese? Senti già la puzza?”
“No stupido, è per il
cognome.” Sghignazzò cercando di non farsi scoprire.
“Può venire anche dalla
Cina, per quanto mi riguarda, ma non sono d’accordo che sia nel tuo stesso
appartamento.”
“Sei geloso, Nate?”
“No.”
“No?” Domandò la mora,
impuntandosi sui due piedi e pugni ai fianchi.
“Ok, d’accordo sono geloso.
Ma mi sembra normale visto che anche Mr. Accoglienza si è ringalluzzito
vedendoti.”
“Ma non dire sciocchezze:
sai che per me ci sei solo tu.”
Entrarono nell’edificio
bisbigliando, mentre Jackie alle loro spalle ridacchiava vedendo l’espressione
corrucciata del suo fratellone.
Presero le scale di pietra
e seguendo Garth entrarono poi nell’appartamento 2. Il custode gli fece fare un
mini tour indicandogli dove erano le stanze, e i bagni e poi chiese loro se
avevano domande, altrimenti Violet poteva sistemarsi nell’appartamento.
“Oh finalmente un letto
comodo! Quello dell’ultimo motel non era il massimo.” Nate si accasciò sul
letto che aveva scelto la sua compagna. Non per egoismo, ma aveva scelto la
parte dell’appartamento più grande:aveva bisogno di spazio per tenere anche le cose di Nate e Jackie.
Avevano portato tutti i loro averi in quel viaggio, l’unico a mancare era il micione rosso di Violet. L’aveva lasciato alla sua vicina,
perché all’università le avevano esplicitamente detto che gli animali non erano
ammessi negli alloggi multipli finché non c’erano tutti gli inquilini a dare il
loro consenso. Se anche solo uno avesse negato il permesso, allora l’animale
non poteva entrare nel territorio dell’università.
Violet sperava di poterlo
riavere con se per Natale. Era pragmatica, sapeva che non poteva viaggiare da una
parte all’altra dell’America per recuperare il suo gatto. Così, avendo
accettato l’invito per le feste da parte della sua famiglia, sperava di poterlo
riportare con sé in California alla fine di quel viaggio.
“Sono davvero lussuosi
questi appartamenti. Meno male che ho la borsa di studio che copre le spese,
altrimenti non potrei mai permettermelo.”
Nate la trascinò accanto a
sé sul letto e prese ad accarezzarle la guancia seguendo con lo sguardo i
riflessi della luce negli occhi di ghiaccio della sua compagna. “Non ti
crucciare, amore mio. Tutto quello che hai è ciò che ti meriti; per cui ora
portiamo dentro le valigie e poi usciamo alla ricerca di un posto per me e
Jackie.”
Se fosse stato per Violet,
i suoi due componenti della famiglia sarebbero rimasti con lei, ma la politica
del college era rigida anche su quello.
Negli alloggi non erano
ammessi in maniera permanente i non studenti, e non importava che loro fossero
un caso particolare.
Con tutta la buona volontà
possibile iniziarono la ricerca partendo dagli appartamenti più vicini al
campus.
Trovarono un paio di
soluzioni carine, che tuttavia non erano abbordabili per il loro budget, a meno
che non volessero prosciugarlo in poco tempo.
Violet aveva con sé i soldi
che avevano messo da parte i suoi genitori e Nate aveva i suoi risparmi di una
vita, ma non volevano sperperarli per una questione di pochi chilometri di
distanza.
Vagarono per ore per la
città, Jackie si addormentò tra le forti braccia del fratello, ma quel giorno
non trovarono niente che facesse al caso loro.
Avevano tentato anche con
appartamenti condivisi tra studenti, ma all’idea di avere una bambina per casa
gli affittuari si tiravano indietro. Insomma chi lo faceva fare a dei ventenni
di tenersi una marmocchia tra i piedi quando potevano spaccarsi e divertirsi
tutte le sere, lontani e protetti da occhi indiscreti?
Da un certo punto di vista
Violet capiva quei giovani, avevano finalmente la loro indipendenza e libertà
che lei aveva già ottenuto da ben due anni: l’ebbrezza di vivere da soli,
nessun controllo da parte dei genitori che probabilmente vivevano dall’altra
parte del paese e la possibilità di divertirsi senza dover rendere conto a
nessuno.
Ovvio, lei non aveva
utilizzato la sua libertà allo stesso modo, ma quante volte si era concessa di
andare a letto all’alba per poter finire un libro? Oppure per fare la maratona
del suo telefilm preferito?
Eppure non capiva come alle
volte la gente potesse essere così ottusa. Non capivano che, se un ragazzo e
una bambina cercavano un appartamento, non era per divertimento?
Non potevano mettere da
parte almeno per un momento l’idea di divertirsi?
Tornarono all’alloggio con
i piedi che chiedevano pietà per quanto avevano camminato. Stanchi decisero di
concedersi una pizza prima coricarsi.
Violet era leggermente
turbata; la sua paura era che da lì a un paio di settimane non sarebbe cambiato
niente e che allora sarebbero cominciati i problemi. Cosa poteva fare per far
rimanere il suo ragazzo con lei al college? Onestamente sapeva di non poter
sopportare di averlo lontano; era proprio per quello che non voleva accettare
l’offerta dell’università in principio.
Non sapeva come fare, ma
non poteva parlarne e turbare ulteriormente Nate. Almeno non dal primo giorno.
Si alzò dal letto senza fare
rumore, attenta a non svegliare il suo compagno, prese il cellulare dalla borsa
e uscì sul balcone.
“Bambi, tu davvero non sai cosa voglia dire chiamare ad un’ora
decente!” borbottò
il suo migliore amico dall’altra parte della cornetta.
“Hai ragione, scusami. Ma
non sapevo chi altro chiamare.” Le venne automatico di abbracciarsi da sola con
il braccio libero; voleva proteggersi dalle sue stesse parole.
“Problemi in paradiso?”
“Non proprio.”
“Non posso credere che Nate ne abbia combinata un’altra delle sue.” Violet sorrise; per quanto
Ricky stesse cercando di andare d’accordo con il suo ragazzo, era sempre
all’erta. Aveva paura che la facesse soffrire ancora.
“No no,
non è colpa sua questa volta. È che non so come fare per farlo rimanere a
Berkeley con me. Se non trova un alloggio al di fuori del campus, dovrà tornare
a West Newbury con Jackie.” Si sedette sulla sedia di paglia e si rannicchiò
abbracciandosi le gambe.
“Vì, che giorno è oggi?”
“Il 21 del mese, perché?”
“Perché sei lì da nemmeno 24 ore e hai già l’ansia. Prendi fiato e vivi
quest’esperienza giorno per giorno. Non puoi pensare di passare le giornate con
tutti questi problemi per la testa, altrimenti vivrai malissimo l’esperienza
del college.”
Sbuffò, possibile che
nemmeno il suo migliore amico la capisse?
“E non pensare che non ti capisca. So che hai paura di ritrovarti di
nuovo da sola, ma avete ancora tempo e sono sicuro che qualcosa troverete. Nate
ti ama e scommetto che si farà in quattro per trovare una soluzione.”
Sentire quelle parole
pronunciate ad alta voce tranquillizzò la giovane matricola e la spinsero a
salutare Ricky e lasciarlo al sonno che lei stessa aveva interrotto.
Rientrò silenziosamente,
prese un bicchier d’acqua e poi tornò in stanza.
Si addormentò presto, a
causa della stanchezza, ma il sonno non fu per niente ristoratore.
**
Si svegliarono di
soprassalto, disturbati dal forte bussare di qualcuno alla porta.
Violet si lagnò per un
momento, per poi iniziare a stiracchiarsi come una gatta. “Ma non hanno le
chiavi?”
“No piccola, le abbiamo noi
nell’appartamento. Ce le ha lasciate Garth, così da non essere disturbati.”
Ammiccò il suo ragazzo abbracciandola.
Il rumore si fece sempre
più intenso tant’è che Nate si convinse ad alzarsi e ad andare ad aprire.
“Era ora! Mi stavano
venendo i calli per quanto ho bussato.. Per la miseria!” fu il commento di una
bionda tutto pepe che aveva iniziato ad imprecare prima ancora di vedere
Nathan. Era rimasta a bocca aperta e senza parole; si era trovata in difficoltà
davanti alla bellezza del ragazzo ed era sicura di essere risultata poco fine
ai suoi occhi. Non che la finezza fosse una delle sue migliori qualità.
“Scusaci stavamo ancora
dormendo.” Aprì del tutto la porta per far entrare la ragazza.
“Fino a quest’ora? Ma solo
già le nove.” La sua tenuta da notte – canottiera e boxer – di certo non
aiutava gli ormoni ballerini della bionda.
“Sono ancora le nove vorrai dire.” Sorrise Nate andando a chiamare
Violet.
“Scimmietta, sembra che sia
arrivata la coinquilina.”
“Hai un animale? Non
pensavo si potesse portare animali negli alloggi.” Il moro scoppiò a ridere
capendo il malinteso, lasciando la nuova arrivata interdetta.
Violet uscì dalla stanza da
letto e, solo allora, la bionda capì di aver fatto l’ennesima figuraccia.
“Oh scusami, i-io.. non
volevo darti dell’animale.” Era arrossita.
“Non ti preoccupare. È
colpa di questo cafone che non si è nemmeno presentato.” Tirò una gomitata al
suo ragazzo. “Io sono Violet.” “E lui è Nathan, il mio ragazzo.” Aggiunse,
notando come gli occhi della nuova arrivata analizzavano il suo ragazzo.
Se possibile la biondina
arrossì ancora e poi si presentò: “Io sono Sarah.”
“Beh, ben arrivata Sarah.”
Si sforzò di sorridere, non voleva instaurare un cattivo rapporto con la sua
coinquilina a causa dell’effetto che Nathan faceva sulle ragazze. Era bello, e
lei ne era consapevole, lo aveva notato anche quando erano andati alla ricerca
dell’appartamento la settimana prima.
“Dove posso sistemarmi?”
“Scegli tu, ci sono ancora
tre stanze a disposizione.” Le disse indicandole le porte alle sue spalle.
Sarah si fiondò subito su quella più vicina, giusto per dare un’occhiata.
“Tu vatti a vestire!”
ordinò Violet sottovoce al suo ragazzo.
“Ritira gli artigli, micetta. Non mi piacciono le bionde.” Sogghignò sparendo
oltre la porta della loro stanza.
Leggermente compiaciuta si
affacciò alla porta dove era entrata Sarah.
“Ti piace qui?”
“Cazzo, mi hai spaventato.”
Urlò sorpresa dall’ingresso della mora.
Wow, quella ragazza non
aveva peli sulla lingua, diceva esattamente quello che le passava per la testa.
Era un po’ come Violet, ma decisamente più volgare.
“Scusa, non volevo. Avevo
solo bisogno di parlarti di una cosa.”
“Sono tutta orecchi.”
Trillò Sarah incuriosita.
“Vedi.. ecco… Volevo solo
dirti che presto Nate e Jackie se ne andranno da questo appartamento, visto che
non sono studenti.”
“Wow, una relazione a tre? Figo, non pensavo potessero funzionare.”
Violet scoppiò a ridere,
l’ingenuità mista alla malizia di quella ragazza erano proprio divertenti.
“Ho detto un’altra cazzata,
non è così?”
“Sì, beh per quanto possa
essere una situazione allettante non è il nostro caso. Jackie è la sorellina di
Nate. È una storia complicata e che ora non mi sento di raccontarti nel
dettaglio. Volevo solo avvisarti di non spaventarti nel caso vedessi una
bambina gironzolare per l’appartamento.”
“Posso vederla?” si fece
avanti incuriosita.
“Veramente adesso sta
dormendo; magari dopo, okay?”
“Certo, non c’è problema.”
Le due ragazze si sorrisero a vicenda.
“Credo che mi sistemerò in
questa stanza; mi piace la vista sul parco.”
“D’accordo. Io vado a
preparare la colazione, tu vuoi qualcosa?”
“Cazzo sì, ti prego. Sto
morendo di fame.”
“Pancakes?”
“Io ti adoro.”
“È Nate il cuoco, però non
adorarlo troppo.”
“Oh, sì sì,
okay. Anche prima non intendevo mancarti di rispetto, non avevo capito che
fosse fidanzato...”
“Tranquilla. Sono
consapevole dell’effetto che faccia. Sono io che tendo a marcare il
territorio.”
“E fai bene, cazzo. Se fosse
il mio ragazzo lo farei anche io.” Violet non era abituata a sentire tutte
quelle parolacce, però non le davano fastidio. Nel complesso le trovava
simpatiche, come la ragazza che le pronunciava. Sarah era una bionda alta quasi
un metro e ottanta, formosa in certi punti e sprizzava gioia anche stando in
silenzio. Da quando era entrata nell’appartamento, figuracce comprese, aveva
sempre avuto il sorriso.
L’unico problema era che
doveva contenere la sua prorompente simpatia con Jackie, non voleva che crescesse
scaricatrice di porto, per colpa/merito della sua coinquilina. Per ora decise
di non dirle nulla, magari ci sarebbe arrivata da sola.
“Ci dispiace signorina
Peterson, conosce la nostra politica riguardo agli ospiti degli alloggi.”
Quella era l’ennesima volta che tentava di dare una chance a Nate di rimanere
nel suo appartamento. Per vie lecite non c’era nulla da fare, e la sua
coinquilina le aveva suggerito di percorrerne altre; dopotutto se non avevano
ancora un posto dove stare, lui e Jackie non potevano di certo dormire sotto un
ponte.
Iniziarono così i primi due
giorni di orientamento delle matricole e Violet si trovò immersa in un ambiente
freneticamente affollato e che lasciava poco spazio alle insicurezze. Non aveva
immaginato che potesse essere così, ma nell’ambiente universitario si era
lasciati a sé stessi. Non c’era nessun professore che si affezionava
particolarmente al tuo caso perché ne conosceva la storia, nessuno sapeva
niente della vita personale degli altri a meno che non fossimo noi i primi a
raccontarla. Era un ambiente dove ognuno poteva sviluppare la propria
individualità e a Violet piaceva molto.
Nessuno faceva troppe
domande, totalmente assorto nei propri pensieri, altri prendevano costantemente
appunti e altri ancora – proprio come lei – memorizzavano tutto quello che
vedevano e sentivano. Era completamente affascinata dalle strutture
architettoniche imponenti, dall’enorme biblioteca e la loro giovane guida, a
suo parere, doveva essere completamente innamorata di quel posto perché lo
descriveva come il paradiso.
La prima giornata
d’orientamento volò via in un baleno e Violet e Sarah tornarono
nell’appartamento con un bel po’ di brochure illustrative di tutti i corsi
possibili e immaginabili.
Violet era orientata verso
letteratura e giornalismo mentre Sarah cercava qualcosa di più esotico.
Continuava a ripeterle che non era venuta fin lì dal Mariland
per studiare qualcosa di così comune.
Il secondo giorno fu
organizzato in modo differente. Una parte dell’ateneo era dedicata solo ai
nuovi arrivati e ad ogni aula corrispondeva una facoltà, e per ognuna era
possibile parlare con un professore e con un paio di alunni già laureati in
quel corso.
Mentre le due coinquiline
si separavano e seguivano ognuna la propria cartina, Nathan e Jackie si
diressero in città. Le scuole elementari sarebbero iniziate in nemmeno un mese
e loro dovevano darsi da fare e vedere quale scuola della zona accettasse
ancora iscrizioni.
“Fratellone, io non voglio
andare a scuola.”
“Jackie, che capricci sono
questi?”
“Non ci voglio andare!” si
impuntò sui piedi, interrompendo così la loro passeggiata.
“Da quando hai cambiato
idea? Hai passato tutta l’estate a dire di volerci andare.” Nathan si chinò
davanti a lei, non lasciandole la manina.
“Ma io non posso andare a
scuola.” Asserì contrita e con lo sguardo fisso verso il basso.
“E perché non potresti?” Le
chiese il fratello alzandole il mento, per fissare i loro occhi scuri gli uni
negli altri.
“Perché non ho le cose per
andare a scuola.” Faceva di tutto per evitare di incontrare gli occhi di
Nathan.
“Le possiamo comprare.” Non
capiva bene cosa turbasse la sorellina, eppure dove essere qualcosa di
profondo, tanto da renderle gli occhi lucidi.
“No, la mamma dice sempre
che se compriamo le mie cose per la scuola poi non possiamo mangiare la cena.”
Ecco qual’era il problema:
la vita a New York le aveva lasciato cicatrici più profonde di quelle che
sarebbero mai potute rimanere sulla sua pelle.
Era evidente che non aveva
vissuto come una comune bambina; ed ecco svelato anche il motivo per il quale
non aveva mai chiesto dei giocattoli nuovi e si ostinava ad abbracciare quel
logoro orsacchiotto e la foca di Violet.
“Jackie, piccola, non ti
preoccupare: possiamo comprare tutti i pastelli colorati che vuoi. Adesso fammi
un sorriso che alle maestre non piacciono i bambini tristi.”
“Davvero mi compri i pasteli?” gli
occhi le brillavano.
“Certo! Adesso andiamo a
scuola e poi andiamo al centro commerciale a comprarli.” Jackie lo abbracciò di
slancio e lui ne approfittò per prenderla in spalletta come piaceva a lei e
riprese a camminare tranquillo e sorridente per le vie di Berkeley.
Jackie venne accettata
dalla Walden Center School,
poco fuori dal campus dell’università, e come le aveva promesso suo fratello,
quella sera rientrarono a casa con tanti pastelli colorati, dei blocchi da
disegno e un diario con tante fate colorate. Jackie era sorridente e rilassata,
mentre invece Violet era tutta un fascio di nervi.
Non era la prima volta che
la trovava così quando rientrava a casa. Evidentemente era l’ennesimo tentativo
di trovare una soluzione andato male. Seduta al tavolo, con le mani nei
capelli, quasi rantolava esasperata.
“Piccola non ti
preoccupare. Ce la caveremo. Per ora possiamo ancora rimanere qui, no? Domani
penseremo ad una soluzione.” Le baciò il capo e poi si sedette accanto a lei.
“Nate, ho paura. Ho
chiamato adesso il municipio per sapere se avevano degli annunci sotto mano, ma
la risposta è stata ancora negativa.”Intrecciò le dita alle sue e continuò nel suo discorso. “Ho paura perché
non abbiamo trovato niente prima che iniziassero i corsi, dubito che troveremo
qualcosa ora.”
“Io non sarei così
scettica.” Intervenne Sarah. “Non volevo origliare, ma non ho potuto farne a meno;
comunque vedrai che nel giro di un mese si libererà qualcosa. Ne sono certa. Ci
sono ancora le ultime lauree e gli studenti che se ne andranno lasceranno
liberi i loro alloggi.” Si diresse al frigo e prese un po’ di succo di frutta
per poi sparire nuovamente nella sua stanza.
“Ecco, hai sentito Sarah?
Ci possiamo pensare domani. Adesso hai bisogno di rilassarti.”
“Nemmeno un soggiorno
termale di un weekend intero potrebbe rilassarmi.”
“Io avrei un’altra idea.”
Ammiccò indicando la camera da letto.
“E Jackie?”
“È impegnata con i pastelli
e l’album per disegnare.” Nate si alzò e tenendola per mano la avvicinò a sé e
inizio a posarle leggeri baci sul collo per poi passare alle sue labbra.
Dopo un bacio che di casto
aveva ben poco, con gli ormoni più ballerini che mai si rinchiusero nel loro
nido e si presero l’uno cura dell’altro, stando attenti a mantenere un certo
livello di discrezione.
***
“Nate, cazzo la sveglia.”
Violet si alzò di soprassalto convinta di aver dormito troppo. Il suo compagno
dormiva ancora beatamente; dopotutto erano ancora le cinque di mattina.
Si perse per un po’ ad
osservarlo e poi senza far rumore si alzò dal letto.
Il silenzio regnava
nell’appartamento e, guardandosi in giro, decise di sistemare un po’ i pastelli
di Jackie e raccogliere il disordine che aveva lasciato sul tavolino del
salottino.
Nel sistemare si soffermò
sul disegno lasciato incompiuto dalla bambina: vi era un bel giardino grande
con qualche albero tremolante e poi c’erano tre persone nel mezzo. Due scure e
una magra ragazza dalla pelle chiara e con lunghi capelli neri.
C’era un tetto che
galleggiava nell’aria sopra le loro teste, ma quello era un dettaglio
insignificante in quel momento. Violet era commossa da quel disegno. Non si
aspettava che Jackie la considerasse davvero parte della sua famiglia;
dopotutto una mamma lei ce l’aveva, eppure di Renée
non c’era traccia in quel disegno.
“Ti vuole davvero bene. Lo
vedo come osserva i tuoi movimenti e poi li ripeta come un’ombra.” Sarah era
appoggiata allo stipite della porta e la osservava.
“Eh?” rispose interdetta.
“Un esempio? In bagno la
mattina: vi spazzolate allo stesso modo. Lei ti osserva seduta sul bidè e poi
appena tu esci ripete minuziosamente i tuoi gesti.”
Gli occhi di ghiaccio della
mora diventarono lucidi. “Non ci avevo mai fatto caso.”
“È da tanto che Jackie vive
con voi?”
“No. Da marzo.” Rispose
tirando su col naso.
“Beh, non sarà tanto, ma si
è sicuramente affezionata molto.” Si sedette anche la bionda sul divano.
“Sì, come avrai capito
siamo una famiglia un po’ particolare.” Ammise timidamente Violet.
“Non devi raccontarmi nulla
se non vuoi.”
Ci fu un momento di
silenzio, e quando Sarah si stava per alzare la mora riprese a parlare.
“Nate ha ottenuto
l’affidamento di Jackie a marzo. Prima viveva nel Bronx con la madre e il
fratello Ryan.” Pronunciare quel nome scatenò un brivido in lei. “Nathan non ha
un bel passato. Sta ancora cercando di lasciarsi tutto alle spalle. È proprio
così che l’ho conosciuto.” Sorvolò abilmente sui dettagli della vita di Nate
prima di West Newbury.
“Lui si è trasferito nella
mia cittadina e il giorno che ci siamo conosciuti abbiamo discusso.” Sorrise.
“Insomma, prima io non ero così.. così aperta caratterialmente diciamo. Mi
comportavo davvero da stronza se vogliamo dirla tutta. Mi nascondevo dietro il
mio muro e non davo retta a nessuno, ma Nate è entrato nella mia vita prima
schiantandosi contro quella mia barriera, ma poi è riuscito ad abbatterla
mattone dopo mattone. Mi ha fatta innamorare dei suoi modi gentili e del suo
umorismo alle volte fuori luogo e dei suoi occhi profondi.”
“Wow. Sembra quasi la
storia di un romanzo.”
“Ma non lo è: è vita vera.”
Concluse quella breve sessione di confessioni sorridendo ed alzandosi dal
divano. “Vuoi qualcosa da mangiare? Io sto morendo di fame.” Cercò di portare
l’attenzione della sua coinquilina lontana dalle sue ultime affermazioni, ma
non ci riuscì.
“Grazie per avermelo
raccontato. Poi ti racconterò anche io la mia storia. Adesso però, diamoci
sotto col cibo che il mio stomaco mi sta implorando di essere riempito.”
Sorrise la bionda e prese a collaborare in cucina con Violet.
♥♥♥Buon San
Valentino donzelle!♥♥♥
Scusatemi per l’infinita attesa, ma la mia ispirazione era partita
per Boston invece che per Berkeley con Violet e Nate.
Spero che questo aggiornamento vi faccia piacere! ^^
Non dimenticatevi di Mr Les Jardins! Presto arriverà a portare
un po’ di scompiglio! :D
Se volete lasciarmi un parere, sarò ben felice di leggerlo!
Un bacione e un cioccolatino virtuale per ognuna di voi.
dopo aver scelto la scuola possiamo andare a comprare i quaderni e le
matite colorate
Capitolo 24
“Vì, seriamente dovresti
provare a venire ad una lezione con me!” Non erano coinquiline da nemmeno un
mese, ma sembrava che fossero già diventate amiche. Ma era così per tutto,
Violet l’aveva capito; quella scapestrata della sua compagna di stanza era
così: si buttava a capofitto in ogni cosa che faceva, e la loro amicizia era un
esempio.
“Nah, non credo che studiare celtico faccia per
me.” Camminavano chiacchierando per i corridoi dell’ateneo.
“Ma io dico sul serio! A parte che il professore è
terribilmente figo con quei capelli rossi e il suo
accento orgasmico.” Asserì marcando sull’ultima parola.
“Se lo dici tu.” Violet non era certa che quella
fosse la motivazione adatta per frequentare un corso di studi.
“Dai cazzo, Vì. Almeno
una lezione, ti prego. Fammi contenta.” Accelerò il passo piazzandosi di fronte
all’amica e mimando un gesto di preghiera.
“D’accordo, però non deve interferire con il mio
piano di studi.” Non volendo attirare troppo l’attenzione degli altri studenti,
Violet accettò, quasi sicura di pentirsene più prima che dopo.
“Non te ne pentirai, vedrai!” Sarah, al contrario,
era entusiasta, quasi avesse condiviso la migliore delle scoperte. “Adesso devo
scappare, mi ritrovo con delle ragazze del corso per studiare le prime
traduzioni.”
“Okay, ma torni a casa per cena?”
“Certamente! Non mi perderei i manicaretti del tuo
bello nemmeno per un appuntamento con il prof. Figo!”
Violet scosse la testa sorridendo e dirigendosi
verso l’aula di giornalismo.
Il suo professore, intento ad illustrare agli
studenti una composizione efficace della prima pagina di un giornale, presentò
diverse slide, tra le quali ve n’era anche una del quotidiano francese “Le
Monde” con le sue vignette sempre presenti in prima pagina e che rientravano
negli annali della storia del giornalismo.
Quel quotidiano le fece venire in mente del suo non ancora coinquilino Mr Les Jardins.
Erano passate due settimane dalla prima lezione e di lui non c’era neanche
l’ombra.
Doveva chiedere a Garth se aveva notizie del suo
arrivo, in caso contrario poteva coprire la presenza di Nate ancora per un po’.
In quel momento sperò che il suo coinquilino non
arrivasse mai.
“Bene ragazzi la lezione è finita. Per la
settimana prossima voglio un saggio di almeno quattro pagine su un quotidiano di
fama mondiale a vostra scelta. Dovete analizzarne tutti gli aspetti trattati
oggi a lezione.” Il professor Delore, un uomo sulla
quarantina e con i primi accenni di stempiatura, concluse così la lezione. Ecco
la prima consegna che avrebbe impegnato per la prima volta Violet. Raccolse le
sue cose e si precipitò all’uscita dell’aula, pronta a correre in biblioteca
alla ricerca del materiale che sarebbe stato utile per la sua ricerca.
Trovò poco, visto che non aveva ancora ben chiaro
cosa dovesse cercare, ma era convinta che un volume sulla storia del Times l’avrebbe aiutata nella sua ricerca.
Erano le otto passate e la cena di Sarah si era
freddata da un pezzo e Violet era leggermente
indispettita dall’atteggiamento apparentemente irresponsabile della sua
coinquilina. Nate, tenendole la mano, l’aveva rassicurata dicendo che avrebbero
potuto scaldarla un’altra volta, ma la ragazza non era convinta dal suo
discorso tranquillo; era una questione di principio.
Sarah entrò di corsa nell’appartamento poco dopo che
gli altri avevano sparecchiato la tavola. “Scusatemi ragazzi, mi sono dovuta
fermare in biblioteca..”
“Potevi almeno mandare un messaggio per avvisare.”
La interruppe Violet piccata.
“.. Hai ragione, però se mi lasciassi finire,
volevo dire che mi sono fermata perché ho trovato un annuncio che potrebbe
interessare a Nate.”
Il giovane sentendosi chiamato in causa,
intervenne cercando di smorzare l’atmosfera con un sorriso. “Sono
tutt’orecchi.”
“C’era questo rappresentante che era venuto a
chiedere se qualcuna di noi ragazze era interessata ad un corso avanzato di
cucina. Al momento lo abbiamo mandato via, ma poi mi sei venuto in mente tu e
ho detto ‘Cazzo, devo fermarlo.’ Così
gli sono corsa dietro, mi sono finta interessata e davanti ad un caffè mi ha
lasciato la brochure, il suo numero e mi ha spiegato le modalità, i costi e il
programma del suo corso. Ecco perché sono arrivata in ritardo. Non la smetteva
più di parlarmi e io ho segnato tutto quello che mi ha detto sul mio blocco.”
Concluse iniziando a frugare nella sua borsa e porgendo il tutto all’attenzione
della coppia.
Nate osservò il materiale che gli aveva passato
Sarah e sentì qualcosa smuoversi dentro di lui. Non aveva mai pensato di essere
all’altezza di un vero corso di cucina. Certo seguiva tutti i programmi
culinari nel tempo libero e con Jackie si metteva a preparare le varie
pietanze, però non gli era mai balenata per la mente l’idea di frequentare un
corso tenuto da un capo cuoco di uno dei ristoranti più famosi della
California.
“Io.. Grazie Sarah.” Farfugliò dopo un po’,
accortosi del silenzio imbarazzante che si era creato.
“Figurati. Te lo dico da quando sono qui che
cucini persino meglio di mia madre. Non è un complimento che riservo al primo
che passa!” sorrise.
Nate si voltò verso Violet cercando il suo
supporto, che però non trovò, almeno non subito. Era evidente che qualcosa la
turbava, ma non gli sembrava il caso di parlarne davanti a Sarah.
Un forte brontolio di stomaco proruppe nell’aria
facendo scoppiare a ridere Jackie. “Hai fame, Sarah?”
“Ca..spita! Sto morendo
di fame!” si corresse la bionda. Non poteva di certo esibire il suo linguaggio
colorito davanti ad una bambina di sei anni.
Nate si offrì di riscaldarle la cena, mentre la
sua compagna si alzava silenziosamente e si chiudeva in camera.
“È in quel periodo del mese, per caso?” Chiese
furtiva Sarah.
Nate sogghignò “No, non so cosa sia, ma c’è
qualcosa che la turba. Credo riguardi il costo del corso.”
“Già.. forse la mia non è stata una brillante
idea. Pensavo di farti un favore; insomma so quanto ti annoi qui a casa, quando
non sei alla ricerca di un lavoro.”
“Non ti preoccupare. Tu hai fatto benissimo.”
“Valle a parlare. Io credo di riuscire a scaldare
questa lasagna senza rovinarla.”
Nate le scompigliò i capelli e si diresse nella
sua stanza.
“Hey.” Un saluto neutro era il migliore approccio;
ormai lo aveva imparato in mesi di convivenza con la sua ragazza. Se c’era
qualcosa che la turbava e non era sicura di poterne parlare non bisognava
aggredirla di domande, altrimenti si sarebbe chiusa a riccio.
“Hey.”
“Sembra la scena del telefilm che abbiamo visto
ieri sera. Sembriamo Dawson e Joy, quando lei lo va a trovare dopo che hanno
discusso..” Continuò il suo approccio alla larga.
Violet sorrise solamente.
“Ne vuoi parlare?” le chiese sedendosi sul letto
anche lui e legando i loro sguardi.
Lei per tutta risposta sbuffò, si raccolse i
capelli – segno che si preparava ad un lungo discorso – e alla fine accettò.
“Tu ci vuoi andare. Si vede lontano un miglio. Non c’è molto da dire in
realtà.”
“Invece sì. Dovremmo organizzarci per un sacco di
cose e soprattutto discutere di numeri. Lo sai bene.”
“Lo so, ma non voglio che siano quelli a
condizionare il tuo futuro; lo stanno già facendo abbastanza.”
“Se è per quello lo hanno sempre fatto, non
cambierebbe molto. Valutiamo prima il resto e poi pensiamo al corso. Abbiamo
ancora due settimane per presentare la domanda d’iscrizione.” Si avvicinò a lei
e la strinse in un dolce abbraccio.
Passarono unbuon quarto d’ora in silenzio, abbracciati e ognuno assorto nei propri
pensieri. Violet si era concentrata sul battito del cuore del suo ragazzo per
placare la tormenta di pensieri che le attraversava la testa. Quel ritmo
tranquillo e regolare l’aiutava a dare un flusso pressoché sopportabile alle
sue idee. Nathan, dal canto suo, si immaginava in tenuta da cucina che
collaborava con altri giovani talenti dell’arte culinaria. Era il sogno che da
ragazzino aveva accantonato dopo aver realizzato che a New York non poteva
succedere niente del genere per lui. Gli unici momenti in cui si trovava a far
da mangiare era quando aiutava la sua vicina con la cena.
Però doveva tornare alla vita reale. Non poteva di
certo rispolverare così un sogno, senza andare ad intaccare il loro sistema di
organizzazione.
Violet poco dopo si addormentò; se ne accorse dal
suo respiro che era diventato più pesante. Decise così di alzarsi e di
adoperarsi per trovare una soluzione.
Rimboccò le coperte alla sorellina nell’altra
stanza e poi si mise al tavolo della cucina con il portatile, i fogli che gli
aveva portato Sarah, gli orari delle lezioni di Jackie e di Violet, e un blocco
dove poter segnare i suoi calcoli.
Quella notte, anche spremendo ben bene le meningi,
non riuscì a trovare una soluzione. Il problema era sempre uno: trovare un
lavoro per poter mettere da parte il necessario per il corso e le spese
riguardanti la sua famiglia. I soldi che aveva da parte potevano coprire un
semestre di corso e qualche mese di spese per la famiglia, contando che Violet
ne pagava una parte. Ma poi cosa avrebbe fatto senza un’entrata mensile? Non
poteva di certo vivere sulle spalle di Violet, anche se era certo che lei non
glielo avrebbe rinfacciato.
Scorreva gli annunci di lavoro, sia quelli sul giornale
che quelli delle agenzie su internet, persino quelli per lavori notturni.
Faceva telefonate su telefonate e le risposte erano sempre le stesse: “Ci spiace, quella posizione è stata appena
occupata.” “Purtroppo non siamo interessati ad un impiegato part-time.”
Insomma, non sapeva più da che parte
raccapezzarsi. Una, una cosa che fosse una; non chiedeva molto: voleva, per una
volta nella vita, non doversi accontentare, non dover sopravvivere. Possibile
che ai piani alti ce l’avessero così tanto con lui?
Che in una vita passata fosse stato così
tremendamente stronzo da non
meritarsi una possibilità di uscire vittorioso, almeno una volta?!
Iniziava a delirare, con gli occhi stanchi ed il
morale sotto ai piedi; era difficile adattarsi alla svolta positiva nella vita
della sua ragazza senza sentirsi come l’unico peso che la trascinava verso il
fondo. Ma quei pensieri non poteva condividerli con Violet, non adesso che i
corsi erano iniziati e che lei doveva impegnarsi al massimo per tenere ben
salda la borsa di studio che le permetteva di stare in quella prestigiosa
università. Avrebbe tenuto tutto dentro, si sarebbe arrangiato; proprio come
era abituato a fare.
Così, scoraggiato si concesse un paio d’ore di
sonno prima di doversi alzare per preparare la colazione.
“Buongiorno bell’addormentato.” Tanti piccoli baci
leggeri gli solleticavano la guancia.
“Mmmmm… che ore sono?”
mugugnò Nate stanco, sentendo la compagna alzarsi dal letto.
“Sono le sette e mezza.” Violet aveva un sorriso
che le andava da un orecchio all’altro e il vassoio della colazione tra le
mani.
“Oh merda! Non mi sono svegliato. Scusami.” Si
alzò a sedere di scatto, per poi sfregarsi il viso con le mani.
“Non ti preoccupare, orso delle caverne. Ho
provveduto io a saziare Jackie e Sarah. Quella ragazza ha uno stomaco che fa
invidia ad un leone.” Sorrise appoggiando la colazione tra loro due.
Nate notò il cambio di atteggiamento rispetto la
sera precedente e si informò: “A cosa devo tutto questo buon umore?” Si sporse
per baciarla.
“Ho parlato con Garth, stamattina.” Rispose tra un
bacio e l’altro.
“Ah sì?! E il buon vecchietto ti rende così
allegra? Devo iniziare a essere geloso?”
“No, dovresti ringraziarlo invece.” Sorrise.
Nate era piuttosto sorpreso. “Provvederò, ma per
cosa?” chiese sempre più curioso.
“Ti ha trovato un lavoro.”
Ci mise un po’ a metabolizzare la risposta della
sua compagna. “Un lavoro? E dove?” Allora forse non lassù non lo odiavano così
tanto.
“Qui a Berkeley. Stamattina, mentre prendevo il
giornale ho scambiato quattro chiacchiere con lui e, quando mi ha chiesto come
andava con la ricerca di un alloggio, gli ho detto che eravamo in alto mare
anche perché ora sarebbero subentrate anche le spese del tuo corso di cucina e
che tu non avevi ancora un lavoro. Così lui mi ha detto di dirti testuali
parole: ‘Dì al tuo ragazzo di alzare le
chiappe che lo aspetto al capanno degli attrezzi del condominio.’
Praticamente mi ha spiegato che stanno cercando un ‘tutto fare’ per il mantenimento dell’ateneo, degli alloggi e dei
giardini. Se vuoi il posto è tuo.”
Violet si stranì per l’evidente mancanza di una
reazione nel suo compagno, mentre l’osservava alzarsi, prendere il vassoio
della colazione e posarlo sul mobile sotto la finestra.
“Nate, ma hai capito che ho detto?”
“Certo che ho capito.” Le sorrise semplicemente,
come se lei gli avesse chiesto cosa voleva mangiare per cena. Invece no! Si
trattava di una questione importante, perché lui non reagiva? Perché se ne
stava fermo a fissare il bordo del letto da lontano?
“Allora? Come mai togli il vassoio dal letto e non
mi rispondi?”
“Perché altrimenti non avrei potuto fare..
questo!” prese la rincorsa, salì sul letto e prese a saltare come un bambino.
A quella vista, la ragazza scoppiò a ridere e poco
dopo si unì a lui.
***
“È ammirevole quanto Garth si sia preso a cuore la
tua situazione.” Asserì pimpante Sarah mentre preparava il caffè per studiare.
“Hai ragione. Ha detto che lo fa perché gli
ricordo quella testona di sua figlia.
Mi ha fatto vedere una foto e in effetti abbiamo qualche somiglianza.”
“Adesso lei dov’è?”
“Ha sposato un canadese e si è trasferita ad
Ottawa ed ora il buon vecchio si lamenta che non la vede spesso.”
“E così è andata a cercare qualche bel manzo
all’estero! C’ha visto lungo la ragazza! È quello che voglio fare anch’io:
voglio trasferirmi in Irlanda e trovare un brillante e bel ragazzo dai capelli
rosso fuoco.” Constatò Sarah con aria trasognata.
“Tu sei tutta matta. E anche un po’ troppo fissata
con gli irlandesi. Ma ne hai mai conosciuto almeno uno?”
“No.”
“E che ne sai che poi appena ti trovi là non vuoi
scappare e tornare dai nostri bei patriottici americani?”
“Nah. Credo che amerei stare a Dublino o in una
città del genere. Vorrei cambiare nazione, perché qui è tutto così in vasta scala…
anche il più piccolo paese qui è come le grandi città Europee. Specialmente se
pensi all’Irlanda. Un’isola così piccola e con una storia così particolare.”
“L’importante è che tu sia convinta.. e che mentre
sogni ad occhi aperti tu non faccia bruciare il caffè!” Rimarcò Violet, notando
che la moka gorgogliava da un po’ e che la bionda non se ne era nemmeno
accorta.
Sarah fece un salto sulla sedia e dopo un paio di
imprecazioni corse ai fornelli prima che fosse troppo tardi.
***
Violet era in ansia; chi
la conosceva bene, poteva leggerglielo in faccia e nel modo in cui scriveva gli
appunti: troppo accuratamente ordinati per essere rilassata e serena come di
solito si sentiva ad una lezione di giornalismo.
Quella mattina Garth
l'aveva fermata per dirle che dalla segreteria erano arrivate notizie del
famigerato Mr Les Jardins. Il giovane scansafatiche sarebbe arrivato quel
pomeriggio alle tre e lei doveva accoglierlo visto che Sarah aveva un compito a
quell'ora.
Nate aveva in programma
di accompagnare Jackie ad un incontro genitori e figli e lei si ritrovava da
sola a dover fare gli onori di casa ad un ospite alquanto indesiderato.
Come avrebbe fatto a
dirgli di Nathan e Jackie? Come avrebbe spiegato ad uno sconosciuto la sua
situazione?
Per indole non avrebbe
mai desiderato pregare quell'estraneo di lasciar passare quell'infrazione del
regolamento, ma se fosse stato necessario lo avrebbe fatto.
La lezione finì dopo
poco, così si diresse a casa ed iniziò a preparare il pranzo per tutti. Da
quando stava con Nate aveva scoperto che cucinare aveva un potere rilassante su
di lei; forse era perché riusciva a crearsi attorno un ambiente controllato,
nel quale era lei che decideva cosa doveva succedere.
Dopo pranzo prese il libro
di Storia Americana e si mise sul divano ad ingannare l'attesa.
Le tre erano passate da
un pezzo e del nuovo coinquilino nemmeno l'ombra.. Che iniziassero a prenderla
in giro?
Arrabbiata e frustrata
da quella scomoda situazione si alzò, lanciando il libro sulla poltrona e
dirigendosi alla porta con passo spedito.
La aprì di scatto e fece
per uscire ma, come nei migliori film americani, quel che si dice ‘un tempismo perfetto’ la fece scontrare
con un moro dagli occhi chiari che mostrava un avambraccio tatuato.
“Caspita che udito!
Dimmelo ti prego, erano le ruote della valigia o il mio passo a tradirmi?”
Violet era un po'
stupita, non si aspettava di certo un elemento del genere come coinquilino,
specialmente perché di francese non aveva niente, nemmeno
l'accento. “Veramente era il tuo ritardo che mi ha convinto ad uscire..
Sei Les Jardins, giusto?”
“Tutta questa
confidenza? Chiamami Jar, per favore. E tu saresti?”
Violet si rese conto che
essere scontrosa non l'avrebbe portata da nessuna parte, visti il personaggio e
l'entità del favore che doveva chiedergli.
Trattenne il respiro per
un momento, fissando il francesino negli occhi e poi
insieme all’aria, soffiò fuori anche il suo nome. “Violet.”
Con una calma alquanto
forzata si scostò dall’ingresso e lasciò entrare il ragazzo che, appena
appoggiata la valigia, esordì sfregandosi le mani: “Ma cosa abbiamo qui!” Si
guardava attorno come un tredicenne in una sala giochi. “Mi avevano detto che
l’appartamento era bello, ma non mi sarei aspettato una reggia.. e tanto meno
una modella a farmi da concierge!”
“Non sono una modella,
sono una delle tue coinquiline.”
“Beh meglio ancora,
questo vuol dire che ti avrò attorno per tutto l’anno allora!” sorrideva
sincero, convinto di conquistare Violet con quel suo essere così aperto e
sprezzante.
“Sei arrivato tardi
allora, sono già impegnata.”
“Così mi spezzi il
cuore, chérie.” Si vestì di un
sorriso elegante e poi riprese a guardarsi in giro. Fissava la cucina, i
vestiti di Sarah appoggiati alla sedia e i fogli di Nate sul tavolo. Sembrava
quasi che cercasse di capire che tipo di persone vivessero in quel
appartamento, chi erano i suoi coinquilini.
“Dove mi sistemo io, chérie?”
“Le due stanze oltre il
bagno sono libere; scegli tu.”
“La camera più vicina
alla tua?”
“Fuori dalla finestra.”
Rispose acidamente.
“La gattina ha gli
artigli!” Affermò visibilmente divertito.
Questa volta si
trattenne, non rispose alle provocazioni del ragazzo e cambiò argomento. “Dopo
aver scelto dove sistemarti, dovresti lasciare a disposizione il tuo orario
così possiamo organizzarci per le faccende di casa: pulire, fare la spesa,
insomma tutto il necessario, ok?”
“Agli ordini, capo.”
Sogghignò. “Ho come l’impressione che se non dovessi collaborare, avrò vita
difficile qua dentro.”
“Sei un ragazzo
perspicace.” Violet sorrise sorniona per poi dirigersi al divano, dove comoda
riprese in mano il libro di storia americana. Jar la osserva divertito, non si
aspetta di trovare una coinquilina del genere: facile da punzecchiare e da far
innervosire, si sarebbe divertito sicuramente.
Ma altre sorprese lo
aspettavano ignaro. Doveva ancora conoscere quell’uragano di Sarah e il resto
della famigliola felice.
***
“Fratellone, da dove
viene un francesino?”
chiese Jackie di punto in bianco, mentre camminavano mano nella mano verso il
parco. Era chiaro che stesse parlando del coinquilino in arrivo; lo avevano
apostrofato così parecchie volte in casa, magari anche quando lei disegnava al
tavolo e non sembrava ascoltare.
Sorrise comunque di quella
domanda. Era l’ennesima conferma che la sorellina era più sveglia di quel che
dava a vedere e sembrava avere un occhio piuttosto vigile ed attento a cogliere
ogni suo cambiamento di stato d’animo.
“Dalla Francia, uno
stato dell’Europa.”
“È lontano?”
“Sì, c’è tutto l’oceano
di mezzo.”
“L’oceano? E perché
vuole vivere così lontano da casa?”
“Per studiare. Come
abbiamo fatto noi: Violet va a scuola qui. È una delle migliori d’America.
Tutti vogliono andarci.”
“Ci posso andare anche
io?”
“Quando sarai più
grande.” Sorrise guardandola negli occhi.
Arrivati al parco,
Nathan lasciò la sorellina alle attenzioni della maestra; pronto, per così
dire, a presentarsi agli altri genitori della classe.
‘Un’occasione
perfetta per far conoscere meglio figli e genitori.’
Sull’invito era stata espressa chiaramente la volontà della maestra di creare
un gruppo uniforme anche al di fuori della classe. E questo era possibile
solamente se i genitori si fossero fidati a lasciare i propri figli a giocare da
altri. Con i tempi che correvano, quella era davvero una bella idea.
Prima che potesse
dirigersi verso il gruppo di mamme e di chiacchiere da adulti, venne fermato da
uno strattone ai suoi jeans.
“Fratellone, ma dopo la
festa possiamo tornare a casa?”
Si inginocchiò davanti a
lei, “Certo che possiamo. Ma che domande sono?” Era inutile cercare di sviare
il discorso; se la piccola si metteva in testa qualcosa, la soluzione migliore
era parlarne apertamente.
“Oggi arriva il francesino. Noi dobbiamo andare via.” Sussurrò preoccupata.
“No, monkey. Non ti preoccupare. Dopo
la festa possiamo tornare a casa.” Si sforzò di sorriderle, nonostante sentisse
il senso di colpa farsi spazio nello stomaco.
Aveva solo sei anni, per
l’amor del cielo, non doveva preoccuparsi di certe cose. Doveva solo pensare a
colorare e giocare con gli altri bambini.
“Non è vero. Lo ha detto
Vì. Ho sentito.”
Non aveva senso dirle
bugie. Tanto poi l’avrebbe capito. “Possiamo stare lì ancora per un po’, ma tra
qualche tempo dovremo cambiare casa.”
“Ma a me piace stare
lì.”
“Lo so, ma dobbiamo
rispettare le regole. Adesso non ci pensare. Vai a giocare con le tue
amichette. Ne parliamo quando torniamo a casa.”
“Promesso?” Gli allungò
il mignolo per farselo stringere.
“Te lo prometto.”
Rispose alla stretta, che la piccola sciolse poco dopo con un sorriso; corse
dagli altri bambini e lui si abbandonò pesante su una panchina lì vicino.
Tanti pensieri
annebbiavano la sua mente, tant’è che non si accorse di un giovane che prese
posto accanto a lui, finché che questo non iniziò a parlare. “Ragazzo padre
anche tu, eh?”
“Più o meno.” Sospirò
guardando in direzione della sorellina.
“Io sono Will, il papà
di Lucas.”
“Nate, fratello di
Jackie.” Strinse la mano che il giovane biondo gli porgeva.
“Non sei uno di molte
parole, eh?” Will non sembrava intenzionato ad andarsene da quella panchina.
Era chiaro che cercasse una via di fuga da quelle chiacchiere da genitori
vissuti che non facevano per lui.
“No, anzi! Di solito
sono un gran chiacchierone. Sono solo un po’.. pensieroso.” Non se la sentiva
di raccontare gli affari suoi ad uno sconosciuto, per quanto potesse avere la
faccia simpatica.
“Ne so qualcosa, amico.
Ma tu almeno poi limitarti al ruolo di fratello, tornare a casa ed avere la mammina
che vi prepara da mangiare. Io sto ancora imparando il libro delle ricette, per
riuscire a far da mangiare qualcosa di buono a quel teppista di mio figlio.
Ringrazio i nonni che si occupano di lui quando sono via per lavoro.”
Nathan sorrise, quasi
rincuorato di sapere che non era l’unico al mondo ad avere problemi.
“Non è proprio così:
siamo solo io e lei. E la mia ragazza.”
“Che testa di cazzo.
Scusami. Avrei dovuto capire che il muso lungo non era solo per essere stato
strappato alla playstation. Perdonami.”
“Non ti preoccupare. Ad
ognuno il suo, giusto? Almeno io con i fornelli me la cavo.” La battuta gli
uscì naturale, solo dopo si rese conto che magari Will potesse prendersela. Di
tutta risposta, invece, il ragazzo rise, e tra un “Puoi dirlo forte!” e un
“Parole sante!” si ritrovarono a raccontarsi a grandi linee la propria vita.
Will aveva ventisette
anni, nato e cresciuto a Berkeley, dove aveva poi studiato ingegneria edile. Si
era fidanzato a diciotto anni con Mary, madre di suo figlio, che purtroppo a
causa della depressione post-partum era ‘uscita
di testa’ come aveva detto lui. Fortunatamente poteva lavorare a casa
spesso, potendo badare così al figlio e, nei giorni in cui era impossibilitato,
aveva i nonni di Lucas su cui contare.
“Fratellone! Posso
mangiare una pizza a casa di Lucas?” Jackie arrivò di corsa e con un po’ di
fiatone, con alle spalle un bambino dai capelli biondi e un cappellino da
baseball.
“Sì, papà. Jackie può
venire da noi?”
“Quantevolte devo dirtelo di chiedermi il permesso
prima di invitare gente a casa? Comunque, certo. Non c’è nessun problema.”
Terminò la frase rivolgendosi direttamente a Nate. “Se per te va bene.”
Ci pensò un attimo e poi
decise che era giusto lasciarla divertire in quel periodo di pressione che
rendeva nervosi tutti. “Se la signorina qui presente promette di non bere
troppa Coca-Cola e di fare la brava, allora va bene.” Sorrise guardando la
sorellina negli occhi, che elettrizzata iniziò a saltellare sul posto,
promettendo di comportarsi bene.
“Alle nove e mezza però
si torna a casa. Capito?”
“Sì.” Annuì con la
testa.
Nathan non era molto
felice di lasciarla da sola, però la piccola aveva bisogno di distrazioni e non
poteva negarle la possibilità di fare nuove amicizie, dopo averla portata via
da West Newbury. Will gli sembrava un bravo ragazzo e aveva deciso di fidarsi.
Si fece lasciare tutti i contatti necessari e poi osservò la bambina, che già
si stava lasciando convincere a giocare ancora a nascondino prima di tornare a
casa.
“Son felice che ti stia
fidando.” Esordì Will guardando i due bambini giocare.
“E tu non farmene
pentire.” Gli rispose sogghignando, e poi aggiunse: “È quanto di più caro ho al
mondo, stai attento.”
Poco dopo i due bambini
esausti chiesero di far merenda; Nate insistette per offrire loro un gelato e
poi li salutò, pronto a rientrare a casa. Pronto – più o meno – a conoscere Mr.
Les Jardins.
Buona sera avventurose! Eh sì,
perché se siete arrivate fin qui lo siete davvero!! Il capitolo era bello
lungo!
Mi scuso per la lunghissima assenza
e l’imbarazzante ritardo nel rispondere alle vostre recensioni e messaggi,
purtroppo la vita universitaria è parecchio ingombrante, se poi ci aggiungo gli
altri impegni, addio tempo libero!!!T.T
Se avete qualche opinione sul
capitolo e la vorrete condividere con me, sarò ben felice di leggerla e di
rispondervi J in tempo breve questa volta! :D
Un bacione a tutte e tanti auguri di
Buon Anno, che vi porti gioia e tanta ispirazione!
“Ma.. Non avevi per caso
detto che potevo scegliere la mia stanza? Lì deve dormirci sicuramente un
fumettista, ci sono matite ovunque!” Jar uscì dalla stanza occupata da Jackie
per infilarsi subito nell’ultima rimasta.
“Ecco.. a proposito di
quello..” Violet non sapeva come spiegargli la sua situazione, così decise di
chiudere gli occhi e snocciolare il tutto velocemente: “La stanza è occupata
dalla sorellina del mio ragazzo. Si sono trasferiti con me dal Massachusetts e
non hanno ancora trovato un posto dove stare e così sono qui senza permesso. So
che è sbagliato, che va contro le regole del campus, ma non sapevano dove stare
e così visto che l’altra coinquilina era d’accordo, le abbiamo lasciato una
stanza tutta per lei.” Tenne gli occhi chiusi ancora per qualche secondo e poi
si decise a respirare. Lo aveva rimpinzato di informazioni talmente velocemente
che si era dimenticata di respirare tra una frase e l’altra.
“Hey Scheggia, rallenta un secondo. La mia non era una vera polemica.
Era solo per punzecchiarti. Le stanze sono tutte uguali qui. Una vale l’altra.”
Le sorrise mettendo le mani avanti.
“Son tornata! Vì, ma è arrivato quello str.. straniero del nostro
coinquilino?” Sarah entrò come un uragano nell’appartamento, con un principio
di brutta figura come suo solito, che deviò all’ultimo notando il nuovo
arrivato.
“Straniero, eh?” rispose
il diretto interessato.
“L’idea originale era
stronzo, a dire il vero, pensi che si addica alla tua persona?” ironizzò irrigidita
la bionda, rivolgendogli un sorriso fin troppo smagliante. “Io sono Sarah
comunque.” Si avvicinò allungando la mano.
“Il piacere è solo mio a
quanto pare. Chiamami pure Jar.” Rispose alla stretta e sogghignò.
“Jar..ed?”
“No, è il diminutivo del
cognome Les Jardins, il mio nome è François. Ma non mi piace: fa troppo
damerino francese.”
“E non è quello che sei?”
chiese sempre più provocatoria la bionda.
“Blondie, sei in vena di complimenti, per caso?”
“Sei tu che mi ispiri.”
Violet assisteva al battibecco
dei due senza riuscire ad intervenire vista la velocità della battute. Ma che
avevano quei due?
Jar le si avvicinò, e
all’orecchio le soffiò: “Non immagini nemmeno quello che mi ispiri tu, Blondie.”
Sarah, se possibile, si
irrigidì ulteriormente, divenendo paonazza in viso, e il nuovo coinquilino con
un ghigno si diresse verso il bagno.
Per tutto il resto del
pomeriggio Jar e Sarah non si rivolsero parola; l’amica di Violet era tesa; non
ne capiva il motivo, ma molto probabilmente era per lo studio.
Jar, invece, era seduto
tranquillo al lato opposto del divano e cercava di instaurare un dialogo con
lei.
“Scheggia, che cosa studi?” quello ormai era il soprannome designato
a Violet.
“Storia americana.”
Rispose senza prestargli troppa attenzione, mentre sottolineava lunghe frasi
sul suo libro.
“Non in questo momento,
intendevo a che facoltà sei iscritta?”
“Giornalismo.”
“Anche io! Quindi saremo
anche compagni di corso!” il moro sembrava entusiasta.
“Yeah!”
esclamò fingendo malamente entusiasmo, che fur
ricambiato da un broncio coi fiocchi ed uno sguardo buffo.
“Scherzavo, eh! Se non
farai il rompiscatole, andremo d’accordo.” Gli sorrise sincera. Era strano come
le venisse voglia di prendere in giro François; era così espressivo che
scatenare reazioni ilari od opposte era quasi un piacere. Si poteva leggere
chiaramente in viso quel che gli passava per la testa, e questa chiarezza
d’espressione era confortante per la ragazza.
La porta dell’appartamento
si aprì, mostrando un colosso nero e pensieroso, che si rilassò solo quando il
suo sguardo incontrò quello di Violet. La ragazza si alzò di scatto e gli si
fiondò tra le braccia, che la circondarono prontamente.
Si scambiarono un casto bacio
e poi Violet proseguì alle presentazioni.
“Jar, lui è Nathan: il
mio ragazzo.”
Lo sguardo del francese
passò velocemente dal corpo esile di Violet a quello di Nathan che superava il
metro e novanta. “Scheggia, ma come..
ma dove lo metti?” Il suo era un chiaro riferimento al rapporto intimo tra i
due, ma la mora non colse al volo, cosa che invece il suo ragazzo fece.
“Dove tu non devi nemmeno
pensare di avvicinarti.” A Nathan dava fastidio quella confidenza che il nuovo
arrivato si era preso con la sua fidanzata, dopo nemmeno un giorno che era lì.
Così pensò che metterlo al suo posto fin da subito fosse la cosa migliore.
Violet aprì la bocca
scandalizzata, diede uno scappellotto a Nate, che incassò il colpo, sapendo di
averla messa un po’ in imbarazzo, e poi lei proseguì insultando l’altro, sotto
lo sguardo comunque soddisfatto del suo ragazzo. “François, sei un cretino!”
“È sempre stata una mia
dote naturale.” Sorrise sornione, alzandosi e avvicinandosi a Nate. “Hey
fratello, non voglio creare tensioni. La mia era pura curiosità, insomma da
uomo a uomo, io non potrei nemmeno competere!” ironizzò allungando una mano
verso Nathan “Comunque, chiamami pure Jar.” L’ironia del ragazzo era abbastanza
pungente e tendente allo spudorato, non era di quelle che Violet apprezzava, ma
Nate la conosceva bene: a New York un sacco di suoi amici erano così spudorati.
“E tu puoi chiamarmi
Nate.” Sorridendo, gli strinse la mano, calcando un po’ la presa, come per
fargli capire chi comandava. Il ragazzo deglutì vistosamente, rendendo Nathan
particolarmente soddisfatto, tanto da sciogliere la stretta subito dopo.
“Non ti preoccupare,
fratello, il mio cuore lo ha già rubato Blondie.”
Accennò a Sarah con la testa e un punto interrogativo si dipinse sul volto
dell’altro. François era in quell’appartamento da nemmeno tre ore e stava già
scombussolando l’ordine delle cose che loro erano riusciti a stabilire.
La bionda, dal canto suo,
si irrigidì sentendosi chiamata in causa, e Violet riportò la sua attenzione su
di sé informandosi su dove fosse Jackie. “È a casa di un suo compagno a
mangiare la pizza.” Rispose il suo ragazzo attirandola poi a sé per chiederle
all’orecchio di spiegargli cosa si era perso.
Tra sorrisi, pizzicotti e
sussurri i due si diressero nella loro camera, sotto gli occhi attenti del
nuovo arrivato.
***
“Blondie, tu invece cosa studi?” Chiese tranquillo François
dirigendosi verso il tavolo, osservando ogni minimo movimento di Sarah.
Sussultò trovandoselo a
poca distanza, anzi praticamente attaccato, mentre lui curioso leggeva i suoi
appunti di gaelico.
Non si aspettava quella
vicinanza, e divenne nervosa praticamente subito, scattando sulla difensiva.
“Cad isainmduit?” Se
ne uscì lui sorpreso avendo letto quella lingua che gli ricordava tanto sua
nonna.
“Sarah. Hey, ma come fai
a saper parlare questa cosa?”
“Primo: non è una cosa, ma è una lingua molto importante
per i cittadini del luogo. Lo sapresti se avessi origini irlandesi.”
“Ma tu non eri un
damerino francese?” chiese lei imbarazzata, con le gote leggermente arrossate.
“Anche. Il fatto che mi
chiami Les Jardins, non vuol dire che sia solo francese, ho anche una madre.
Madre che si da il caso che sia nativa di Cork, e i suoi genitori – nonché miei
nonni – erano cresciuti lì e in nome dei bei vecchi tempi, mi hanno insegnato
qualcosa.” Alzò le spalle, quasi avesse appena detto una cosa ovvia.
“Ah.” Fu l’unica cosa che
riuscì ad esalare la bionda in risposta.
“Mai giudicare il
cittadino dal cognome. Non puoi mai sapere cosa ci sta dall’altra parte dell’albero
genealogico.” Le soffio questa sentenza a pochi centimetri dal viso e poi come
si era avvicinato, se ne andò.
Era la seconda volta che
la lasciava a bocca aperta e ne era felice. Se all’inizio pensava che far
arrabbiare Violet era semplice, stuzzicare la bionda era ancora più facile.
Anche se ora non se ne rendeva pienamente conto, aveva già sviluppato uno
strano senso di ammirazione per quella ragazza, così interessata alle sue
origini, alle quali lui invece aveva voltato le spalle.
***
“Urca, mi sono perso lo
scattare della scintilla?” Sogghignò coperto dalle note dello stereo, che
Violet aveva sapientemente acceso per non farsi sentire.
“Ma mi stai ascoltando?
Ti sto dicendo che hanno passato tutto il tempo a discutere, dal primo istante
in cui si sono visti!” Violet si indispettì e portò le braccia ai fianchi in
tono di rimprovero.
Per tutta risposta il
ragazzo la trascinò di nuovo tra le sue braccia e prese a parlarle
amorevolmente. “Non ti sembra una scena già vissuta? Tipo, dai qui presenti?”
Le strofinò il naso tra i capelli, inspirando il suo profumo fresco.
Violet parve pensarci un
momento e poi esclamò: “Ma perché sono così cieca? Ecco perché Sarah era così
tesa prima!”
“Ecco, vedi. Lo dicevo
io.” Continuò lui, scostandole i capelli, e deviando le attenzioni al suo
collo.
La mora sospirò, quel
caldo contatto sulla sua pelle sempre fresca, la faceva rabbrividire ogni volta
come la prima, se non addirittura più intensamente.
Erano passati diversi
giorni dall’ultima volta in cui si erano dedicati a pieno al loro amore, e ora
la tensione sessuale veniva a galla facilmente.
Bastava un attimo e la
fiamma della passione si accendeva. I loro corpi erano fatti per stare uniti, e
resistere così a lungo distanti era uno strazio.
Tutte le settimane
passate a pensare, ogni ora del giorno e della notte, a come risolvere la loro
situazione precaria non aveva fatto altro che rendere la voglia l’uno
dell’altra ancora più impellente.
D’istinto Violet, si
rigirò tra le braccia di Nate, e raggiunse quelle labbra morbide e calde che
tanto la facevano sentire desiderata ed amata; non solo per le parole che le
rivolgevano, ma anche per i brividi che le davano a contatto col suo corpo.
Poco dopo la maglietta di
Nate finì dall’altro capo del letto, insieme a quella della ragazza; Violet
adorava sentire la pelle calda del suo ragazzo a contatto con la sua, mentre
con attenzione osservava i tatuaggi di Nate che in qualche modo raccontavano la
sua vita. Ogni volta era emozionante immergersi nel suo passato, la faceva
sentire ancora più vicina e unita al ragazzo e i brividi che la percorrevano
aumentavano.
“Meno male che abbiamo
portato lo stereo.” Sogghignò Nate, sporgendosi verso il comodino ad alzare il
volume. Violet rise, ma non si ritrasse, desiderava il suo compagno, e non
sarebbero stati certo i coinquilini a fermarli.
Passarono il pomeriggio
ad amarsi, per poi rimanere a parlare tra una coccola e l’altra.
Dopo una doccia
rinvigorente, la coppietta si mise a preparare la cena con l’aiuto di Jar,
mentre stranamente Sarah se ne stava chiusa in camera.
Violet notò la sua
assenza, ma non disse nulla. Continuò a meditare sulle parole di Nate: era
scattata la scintilla? Era questo che la rendeva strana o era successo
qualcos’altro? Doveva preoccuparsi?
Diverse domande le
frullavano per la mente, ma nessuno avrebbe potuto darle le risposte che
cercava, se non la diretta interessata.
In nome del loro legame,
lasciò proseguire i due uomini ai fornelli, allontanandosi senza dire nulla, se
non un cenno del capo a Nate, indicando la stanza della bionda. Lui colse al
volo e si impegnò a tenere il nuovo arrivato occupato.
Violet si affacciò alla
porta della sua amica e le chiese con garbo se poteva entrare.
“Certo.” Rispose con
sguardo vacuo la bionda.
“Va tutto bene Sarah?”
Dritta al punto. Era l’unico modo in cui riusciva a dialogare con la sua amica,
dopo più di due mesi questo lo aveva ben chiaro.
“Non lo so. Mi sento
strana.” Asserì con tono grave, dubbioso. Quasi potesse mostrare il suo stato
emotivo solo attraverso la voce.
“Vuoi parlarne?” si
sedette accanto a lei sul letto.
“Non ho un motivo
preciso: so solo che è il francese a provocarmi queste reazioni strane.” Sbuffò
portandosi le ginocchia al petto.
“Ti piace?”
“No!” rispose troppo in
fretta, facendo scappare a Violet una leggera risata.
“Anche io, non ero molto
ben disposta nei confronti di Nathan all’inizio, sai?”
Quell’affermazione
dovette risultare così strana da farle sgranare gli occhi: Sarah era allibita.
“Sul serio?”
“Sì, dovevi vedermi. Ero
praticamente una vipera nei suoi confronti all’inizio. Non perché fosse
cattivo, ma era un mio meccanismo di difesa. Lui andava a intaccare la mia
placida routine di paese; sballava ogni mio equilibrio e io non sono mai stata
troppo incline ai cambiamenti, non da quando il mio migliore amico se ne era
andato.”
“Ricky?” Chiese Sarah
cercando di sviare l’argomento che la rendeva protagonista della conversazione.
“Sì, proprio lui. Ma tornando
al punto, quello che volevo dire io è che è normale sentirsi strane quando ci
sono di mezzo i sentimenti.”
“Quindi mi stai dicendo
che Jar mi piace?”
“Questo io non lo so; lo
devi scoprire tu.” Le sorrise sincera. “È per metà irlandese, lo sapevi?”
aggiunse Sarah con una strana luce nello sguardo.
“È stato segnalato dal
tuo radar Caccia-isolani?”
Rise, contagiando l’amica.
“No, scema. È stato lui a
dirmelo, mentre tu facevi puccipucci
con Nate in camera.” Le fece una linguaccia. Violet arrossì e lanciò un cuscino
all’amica, colpendola in pieno viso.
Scoppiarono a ridere
entrambe, e tra una risata e l’altra iniziarono una battaglia a cuscinate, che
venne interrotta poco dopo, dal richiamo dei cuochi che annunciavano che la
cena era servita.
A braccetto e col sorriso
sulle labbra, si diressero a tavola, pronte a cenare per la prima volta tutti
insieme, con l’intento da parte di tutti di passare una bella serata e di
conoscersi.