As Light and Shadow, they belong to each other

di Dreamer_on_earth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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As Light and Shadow,

 




Prologo:

 

Una fredda giornata d’inverno.

Che novità, ormai era più di un mese che andava avanti.

Gennaio era alle porte e tutto il paese era ricoperto di un candido manto bianco, che soffocava il trambusto della piccola ma caotica cittadina di West Newbury.

 

Nella caffetteria della vecchia signora Callaway c’era quel bel tepore e un buon profumo di caffè tostato che la facevano sentire a casa.

Quel posticino davvero accogliente la ospitava spesso in queste grigie giornate; una bella tazzona di caffè caldo americano era quello che serviva a Violet per concentrarsi nella stesura della sua tesina.

 

La signora Callaway amava ancora servire i clienti, come se quei 30 anni di lavoro non fossero mai passati. Metteva sempre passione in quello che faceva e dopo mille sforzi era riuscita ad aprire il suo Café, sempre affollato di gente silenziosa e pochi giovani.

 

Violet era un tipo difficile. Chiusa in se stessa, con una muraglia che la proteggeva dal mondo esterno, per questo appariva inavvicinabile; e tutti infatti la lasciavano nel suo brodo, nel quale lei sembrava adorasse sguazzare.

A scuola non aveva molti amici, passava le giornate tra i libri di testo e i libri che lei amava leggere nel tempo libero. Era gentile, ma solo con chi voleva lei, e non erano molti i fortunati che ricevevano questa premura.

Le amiche che aveva, si potevano contare sulle dita di una mano, e glielo dicevano sempre “Oh Violet, lo sai che o ti si ama o ti si odia, e spesso le persone decidono di odiarti perché di comporti da stronza e non permetti loro di conoscerti” la risposta di Violet era sempre la solita: “Sinceramente? Non me ne può fregare di meno, che mi odino pure se gli fa comodo, a me di certo non cambia la vita.”

Testarda, di certo non sarebbe tornata sui suoi passi.

Non praticava sport di gruppo, adorava andare a cavallo nel parco vicino al paese, ma anche questo sempre in solitudine.

Violet aveva una indole pigra, che cercava di combattere costantemente e se aveva la luna storta era persino scorbutica.

Insomma ce le aveva tutte questa ragazza!

 

Erano le sette di sera passate e Violet era ancora seduta scomposta e con le cuffie nelle orecchie concentrata sui suoi fogli.

Isolata da tutto e da tutti non sentì il richiamo del nuovo cameriere. “Stiamo per chiudere, ti conviene iniziare a raccogliere le tue cose.” Con un sorriso smagliante, il ragazzo sulla ventina, capelli neri corvini e occhi forse ancora più scuri, aveva cercato con gentilezza di farsi sentire da lei.

Nessuna risposta, solo un grande silenzio interrotto dalle note che uscivano dalle cuffiette dell’iPod.

Non sapendo come farsi sentire il ragazzo aveva pensato di darle un colpetto sulla spalla, sempre con gentilezza, e solo a quel punto lei, alquanto scocciata, aveva deciso di dargli retta.

Senza emettere fiato aveva appoggiato la penna e si era sfilata una cuffietta per sentire che cosa aveva da dirle quel ragazzo, che nella sua mente era già stato catalogato come la scocciatura del giorno.

 

“Oh finalmente ti degni di darmi ascolto. ”aveva scherzato il ragazzo.

Non lo avesse mai fatto.

Violet, già evidentemente alterata per l’interruzione, lo stava guardando ora con fare molto scettico. “Senti..Nathan..” Ecco cosa riportava la targhetta sulla divisa “..Seriamente?? Pensi di essere per caso il centro del mondo e che io non abbia niente di meglio da fare che dar retta a te?” Sibilò indicando il tavolino pieno di fogli e libri.

Nathan, ovviamente si era sorpreso di una reazione del genere considerando che lui stava scherzando, ma lo scontro verbale non gli faceva per niente paura, anzi. Se c’era una cosa che aveva imparato facendo il cameriere era come relazionarsi e, se il caso, tenere testa a i diversi clienti. Così si era schiarito la voce e “Si direi che in questo momento io debba essere il centro del tuo mondo, e che tu mi debba dare retta. Ho detto che stiamo per chiudere per cui, se non ti dispiace, potresti sgomberare le tue cose per poi uscire.” Aveva usato un tono per niente sardonico, ne tanto meno irriverente.

La presa di posizione del ragazzo alterò non poco Violet, la quale si era alzata in piedi e in fretta, senza distogliere lo sguardo da Nathan, raccoglieva i fogli e li cacciava nella sua cartella. “Contento?”

“Si.” “E ora sei anche pregata di lasciarmi finire il mio lavoro.” con il braccio le indicò l’uscita.

Con passo deciso e pesante (pesante era una parola relativa visto che di pesante Violet non aveva niente) si era diretta verso la porta e di scatto si era voltata come per ribattere, ma non le venne in mente niente di abbastanza acido ed intelligente da dire.

Nathan non si era fatto sfuggire quella preziosa occasione e l’aveva congedata dicendo “Grazie per essersi fermata da noi e torni presto.”la solita frase di circostanza che per lavoro serviva a tutti i clienti che se ne andavano dopo le loro consumazioni.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Cap. 1

 

Il suono della sveglia risuonava forte nella sua testa e, dallo stato di coma profondo dovuto alla comodità del divano del suo monolocale, era saltata sull’attenti pronta a iniziare un’altra giornata.

 

Vogliamo aggiungere un’altra “qualità” a Violet? Era molto critica con se stessa.

 

E da buona torturatrice dell’animo si stava punendo nei più svariati modi possibili immaginabili, tanto per esempio si stava sottoponendo ad una doccia fredda e si era negata la colazione.

Pensava che se non riusciva a gestire la sua vita e a controllare le sue cattive abitudini non sarebbe mai riuscita a gestire nient’altro nella vita, per questo era così severa con se stessa.

Sempre per la stessa qualità si negava le feste che duravano fino a tardi, e come Cenerentola rientrava a casa prima della mezzanotte. Questo, insieme al suo lavoro part-time, contribuiva ben poco alla sua popolarità e simpatia degli altri nei suoi confronti.

 

Ma a Violet non importava di ciò che pensavano gli altri.

 

Pronta in poco tempo per uscire aveva preso il suo amato iPod e cartella e si era diretta alla fermata dell’autobus; la aspettavano la bellezza di trenta minuti di viaggio per raggiungere la scuola, questo non la rendeva di certo felice, ma in quel tempo poteva leggere e isolarsi nel suo mondo fatto di fantasia e se necessario poteva anche ripassare le lezioni.

 

La musica e la lettura era i suoi veri interessi; da quando si era emancipata dai genitori e si era trasferita nel  monolocale, aveva speso la maggior parte dei suoi risparmi in CD e libri. Erano l’unico svago che si concedeva davvero.

La musica creava l’atmosfera e stimolava i pensieri, mentre la lettura ampliava gli orizzonti e concedeva una visione alternativa della vita.

I romanzi che leggeva erano per lo più romantici, ma lei sapeva benissimo che si discostavano dalla realtà e che le storie raccontate erano inventate e che relazioni del genere si vedevano solo nei film del grande schermo.

 

 

Passavano le ore a scuola e lei prendeva appunti per poter fare meno fatica a studiare a casa; era un metodo collaudato e questo le permetteva di avere più tempo per coltivare i suoi interessi.

 

Dopo la mattinata di scuola faceva il turno pomeridiano alla cassa del negozio alimentari e questo le garantiva i soldi necessari per le sue varie spese. Grazie allo sconto da lavoratore dipendente aveva un bel risparmio sugli alimentari di prima necessità, più i vari sconti sulla merce che era sugli scaffali da qualche giorno. Questo era davvero una pacchia, risparmiava davvero tanto e in più era avvantaggiata dal fatto che non mangiasse molto.

Il suo esile corpicino riusciva a incamerare quantità di cibo assai limitate. Non guadagnava molto, per sole tre ore al giorno, ma l’affitto non era un problema, grazie alla sua eccellente media scolastica la scuola le pagava quel misero appartamento. Ma si accontentava. A caval donato non si guarda in bocca.

 

 

La neve scendeva fitta e nonostante a casa avesse il riscaldamento a Violet piaceva passare il tardo pomeriggio post-lavoro a leggere nel Café della signora Callaway, la quale a causa della neve e dell’età era temporaneamente impossibilitata a servire ai tavoli. La poverina era caduta un paio di giorni prima, scivolando su della neve compattata che stava diventando ghiaccio.


Con l’avvento dell’inverno sembrava che andasse in letargo non solo la natura, ma anche il settore servizi. Potevano passare giorni senza che nessuno pulisse le strade e solo dopo le numerose proteste che interrompevano la quiete del municipio il servizio veniva ripristinato.

 

Ecco perché quel Nathan lavorava lì, la signora Callaway aveva bisogno di una mano visto che era segregata alla cassa con tanto di gesso decorato dai suoi nipoti.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


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Capitolo 2

Capitolo 2

 

Nathan si avvicinava al tavolo di Violet con andatura sciolta, accolto da uno sguardo di sfida che non lasciava molto all’immaginazione i pensieri della ragazza. Per niente scomposto da questo le aveva mostrato uno dei suoi migliori sorrisi da compiacimento acuto. “Buon pomeriggio signorina, cosa posso portarle?”

“Il solito grazie.” Ovviamente, essendo nuovo il ragazzo non sapeva cosa ordinasse sempre lei.

Questa era la piccola vendetta di Violet.

“Il solito?”

“Si.”

“Va bene, allora torno tra poco con il suo solito.” Violet un poco sorpresa tornò a guardare fuori, il maestoso bosco, dove tutto taceva.

Nathan non avrebbe mai supplicato quella ragazza di fargli sapere quale fosse la sua solita ordinazione. Non le avrebbe mai dato quella soddisfazione.

“Signora Callaway, vede quella ragazza là, all’angolo della vetrina?”

“Si, Violet.” La signora annuì con un cenno della testa.

“Ecco lei mi ha ordinato il solito, ma.. ecco.. come dire.. io non so cosa sia..” aveva ammesso timidamente Nathan.

“Caro ragazzo, l’hai per caso fatta arrabbiare?” Rise il mio capo.

“No signora, non credo di aver fatto nulla di male. ” Con quella risposta negativa, ometteva l’episodio della sera precedente.

“Oh sicuramente hai fatto qualcosa che l’ha innervosita. Di certo ha notato che sei nuovo e la sua ordinazione era fatta apposta. Le hai per caso chiesto cosa fosse il solito??”

“No. Ho pensato di chiedere a lei, signora Callaway.”

“Questo l’avrà sorpresa. Voleva farti fare la figura dello sciocco, convinta che ci saresti cascato, ma visto che non lo hai fatto sarà sinceramente sorpresa. Ah comunque lei prende sempre un caffè lungo macchiato caldo, con due bustine di zucchero.”

“Caffè lungo macchiato caldo con due bustine di zucchero. Ricevuto!”

“Grazie Nathan, sei proprio un caro ragazzo.”

 

Dopo qualche minuto Nathan era di ritorno al tavolo con il caffè fumante. “Ecco il solito.”

Violet aveva colto della compiacenza nel tono della sua voce ed anche nello sguardo, per cui le pareva logico che il ragazzo avesse saputo quello che ordinava lei di solito.

Elementare Watson: Hilda Callaway.

Per niente stupita da ciò, Violet aveva ringraziato il cameriere e poi si era concessa un sorso del suo amato caffè e aveva tirato fuori il romanzo del giorno.

 

Il locale si era quasi svuotato; si avvicinava l’ora di chiusura, ma lei comportandosi da stronza professionista quale poteva facilmente diventare. Non aveva fretta, aveva tutto il tempo del mondo e di certo non avrebbe dato a Nathan la soddisfazione di uscire senza essere ripresa, doveva capire chi comandava, ed era come se Violet si fosse data il diritto di fare quello che voleva solo perché frequentava quel Café da parecchio tempo.

Questa volta però, invece di scacciarla, Nathan l’aveva quasi del tutto ignorata e solo una volta pulito tutto il resto del locale si era seduto al tavolo con lei.

Violet non alzava la testa dal libro quasi non si fosse accorta.

Ma non siamo ingenui. Di certo lo aveva notato, se non già immaginato.

Aveva questa mania di cercare di ponderare le cose, vagliare le diverse possibilità, per eliminare il margine di sorpresa. Una delle cose più sgradevoli per lei infatti erano le sorprese. Ne aveva avute parecchie e non del tutto piacevoli e ora diciamo che non erano più così affini.

Intento ad osservarla in silenzio, cercava di capire se il detto ‘Più si è belli, più si è stronzi’ fosse applicabile anche alle ragazze ed apparentemente lo era, visto che si trovava di fronte ad una bella ragazza, dai lineamenti sottili e dalla figura esile; i capelli lisci e scuri che le poggiavano sulle spalle per poi ricadere lungo la schiena e nascondere la loro reale lunghezza; e gli occhi color ghiaccio, colore che sembrava riflettere il cuore della ragazza. Freddo e distante. 

Ma Nathan voleva capire perché quella ragazza fosse così tranquilla con se stessa nonostante sapesse di comportarsi da stronza.

Non andava matto per le persone cattive, altezzose e convinte di essere migliori degli altri, e pensava che fosse davvero un peccato che una ragazza si comportasse così, quasi divertendosi a mettere in risalto più che le sue qualità i suoi difetti.

Le due migliori qualità di Nathan erano la fiducia e la speranza. Il ragazzo confidava nel fatto che nessuno fosse nato cattivo e che quindi del buono ci fosse in tutti, ma ovviamente in base alle esperienze di vita e come uno reagiva a queste, quel buono veniva più o meno a galla. Sperava che tutti mostrassero bontà d’animo, ma purtroppo sapeva che era una visione un po’ utopistica della realtà; sperare però, come diceva lui, non faceva del male a nessuno e quindi a lui non avrebbe di certo potuto nuocere.

Quello che lui non sapeva era che Violet non era cattiva. Era solo una ragazza particolare, sensibile, che aveva smesso di credere nella bontà degli altri, che cercava un modo di scappare da quella sua condizione che la faceva sentire debole, e lei per niente adorava quella sensazione. La sua volontà e la sua natura erano in perenne contrasto e questo creava in lei incertezze e dubbi che non sempre era convinta di poter risolvere e tutto questo non faceva altro che incrementare il rigetto nei confronti del suo mondo.

 “Hai intenzione di fissarmi ancora per molto?!” Violet aveva interrotto il silenzio, ma qualcuno troppo distratto non le stava dando ascolto. Stava guardando fisso avanti a lui, sguardo perso, ancora preso dai suoi pensieri.

Era la seconda volta che quel ragazzo la stupiva nel giro di poche ore e questo la rendeva nervosa, come se sentisse che le cose con lui attorno potessero sfuggirle di mano.

Disagio, ecco cosa provava ad averlo vicino, ed ecco in parte spiegati i suoi comportamenti.

Sentendosi troppo gli occhi addosso, Violet aveva sbattuto il libro sul tavolo, facendo sobbalzare il cameriere pensieroso.

“Che caratteraccio!”

“Io? Non tu che ti siedi ai tavoli altrui senza nemmeno chiedere il permesso e sempre tu che fissi le persone??”

“Non ti stavo fissando!” Nathan negava l’evidenza, con nonchalance.

“No, hai ragione bello addormentato nel bosco. Stavi guardando intensamente alle mie spalle quella bellissima parete color lavanda.”

“Esattamente!”

“Peccato che la parete sia color albicocca.. e questo mi riporta alla mia tesi: Tu-mi-stavi-fissando.”

“Eh va beh, quante storie! Io se una ragazza mi fissasse mi sentirei lusingato!”

“Si da il caso che io non sia te e che a me non piaccia essere fissata. Credo che sia da maleducati e credo che sia il caso che io vada. Non ho intenzione di rovinarmi l’umore per te, anche se sono già sulla buona strada..”

“Lasciatelo dire Violet: ti comporti un po’ come una bambina, non mi sembrava di aver fatto niente di male. Mi ero seduto qui solamente per chiacchierare un po’, ma ora mi rendo conto che non è valsa la pena.”

Quelle parole avevano ferito brutalmente l’orgoglio di Violet. Tanto che si era alzata di scatto e aveva schiaffeggiato il ragazzo, e poi era corsa via, lasciando tutto sul tavolo e il ragazzo interdetto.

La sincerità di quel ragazzo era disarmante. Non aveva mai sentito le parole di una persona uscire così dalla bocca senza prima essere filtrate dal cervello.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


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Capitolo 3

Capitolo 3

 

Correva verso casa, senza fermarsi. Si sentiva avvampare, e non era solo lo sforzo della corsa. Il nervoso. Le lacrime che venivano trattenute per orgoglio e per l’odio per i piagnistei.

Però era lì per strada, ferita dalle parole di quell’estraneo. Nella sua vita lui non contava niente, e sulla base di ciò le sue parole avrebbero dovuto contare anche meno. Ma non era così.

Accaldata saliva le scale del suo palazzo e davanti alla porta del suo appartamento si rese conto che non aveva le chiavi. E non solo. Non aveva nemmeno la borsa. Aveva lasciato tutto al Tabard Inn.

L’ultima cosa che voleva era tornare indietro.

Fortunatamente poteva evitarlo. Aveva dato una copia della chiave dell’appartamento alla sua vicina per dar da mangiare al suo leoncino quando era via o per casi di emergenza, e questo rientrava in quella categoria.

Povera signora McKyle disturbata all’ora di cena.

“Buona sera signora McKyle, mi spiace disturbarla, ma mi servirebbe la copia delle mie chiavi. Purtroppo sono rimasta chiusa fuori.”

“Ma non ti preoccupare pulcino, io e Richard non siamo ancora a tavola. Accomodati pure mentre io vado a prendere le chiavi.”

La signora McKyle era una signora sulla sessantina che viveva nell’appartamento accanto al suo. Un trilocale un po’ fuori mano, ma reso accogliente dall’amore che la coppia dopo quarant'anni di matrimonio ancora provava.

Purtroppo non avevano avuto figli; lei non poteva concepire, ma il marito non glie ne faceva una colpa, le stava accanto ogni giorno, amandola e venerandola, come solo un dolce innamorato sa fare. 

Violet da quando si era trasferita era stata accolta con calore e in poco tempo era diventata la figlia che non avevano mai avuto.

Seduta sulla poltrona Violet aspettava, e dopo qualche minuto passato a osservare lo scoppiettare del camino, la signora McKyle era di ritorno con le sue chiavi scintillanti.

“Molte grazie davvero. Senza, avrei dormito sul pianerottolo.”

“Di certo non ti avremmo lasciata dormire sul pavimento freddo, cara. Ti avremmo ospitato sul divano.”

“Sempre gentilissima, signora McKyle.”

“Non è niente bambina. Piuttosto stai bene? Hai gli occhi arrossati.”

“Oh si non è niente, deve essere per il vento e il freddo.”

“Stai attenta a non ammalarti, altrimenti salti la scuola.”

“Certo. Adesso corro a farmi un tè caldo.”

“Brava bambina. Riguardati mi raccomando.” e con queste dolci parole riaccompagnava la ragazza alla porta.

 Violet, dal canto suo, non poteva non essere riconoscente nei confronti di quella donna; pensava persino di provare affetto per lei, come se si trattasse di una nonna però, non una mamma.

I suoi genitori li aveva. Dopo la sua emancipazione si erano trasferiti a Boston e ogni tanto durante le vacanze li andava a trovare. La loro separazione non era stata tragica o forzata, o dovuta a violenze e soprusi. Un giorno, forse per capriccio, Violet aveva deciso di voler essere responsabile per se stessa, perché pensava che fosse giusto così. Se a sedici anni era abbastanza responsabile per guidare, perché non poteva esserlo anche per gestire la sua vita?

Testarda come un mulo era riuscita a convincere anche i suoi genitori, che l'avevano persino aiutata in quel lungo iter burocratico e nella ricerca di un posto dove stare.

 Leo, il suo gattone rosso a pelo lungo, la stava aspettando acciambellato sul letto. Una volta chiusa la porta se lo era trovato ai piedi, pronto per ricevere la sua dose di coccole quotidiana.

 “Bello il mio pulcione.” disse mentre lo stringeva a sé con affetto, e lui iniziava un lungo concerto di fusa. “Hai fame? Vuoi la pappa?” alla parola ‘pappa’ qualcosa scattava nel suo micione, che aumentava il ritmo della sua manifestazione d’affetto e iniziava a sfregare la testolina contro il suo mento.

Il gattone sembrava avesse capito che la sua padroncina aveva qualcosa che non andava, perché quando lo aveva appoggiato sul tavolo e riempito la ciotola, lui invece di mangiare continuava a fissarla.

Stanca e per niente affamata si era buttata sul letto e Leo l’aveva subito seguita e si era acciambellato accanto a lei. Non aveva toccato cibo.

 Violet era in adorazione per quell’animale. Non si capacitava di come un essere così diverso fosse capace d’amore come lui, un amore incondizionato, forse l’amore più puro esistente al mondo. Un amore che lei di certo ricambiava.

 “Pulcione, vai a mangiare la pappa.” gli aveva sussurrato con affetto e riconoscenza per quel gesto, del tutto inaspettato per un animale. Il gatto non accennava a muoversi e continuava ad osservarla. Grata di quelle attenzioni, Violet lo aveva preso in braccio e si era sdraiata a pancia in con il suo leoncino sulla pancia. E così tra coccole e fusa si era addormentata.

 

Al risveglio si sentiva un po’ indolenzita e affamata.

Si era addormentata senza ripensare a niente di quello che era successo prima.

Erano le cinque del mattino. La sveglia sarebbe suonata un’ora e mezza dopo. Aveva ancora molto tempo davanti a lei.

Leo le dormiva ancora accanto. Silenziosamente era sgattaiolata in bagno per concedersi un lungo bagno caldo, sicura che quello l’avrebbe rigenerata e così avrebbe potuto elaborare con razionalità e calma gli avvenimenti della sera precedente; era l’unico modo per darsi una spiegazione logica.

Tra bolle e schiuma pensava, e quando Violet pensava era pericolosa per se stessa.

Elaborando e digerendo gli avvenimenti aveva il presentimento che quell’interazione con Nathan avrebbe rovinato la sua giornata. Era davvero ferita nell’orgoglio.

Sapeva che non le si poteva dire niente senza che lei non la prendesse sul personale, ma questo riguardava i suoi pochi amici, non gli sconosciuti, non gliene era mai fregato niente degli estranei. Le sfuggiva quindi il motivo per cui con Nathan dovesse essere diverso.

Intanto però sorrideva ripensando al suo schiaffo e all’uscita di corsa dal locale. Le sembrava tutto così teatrale.

La sveglia aveva interrotto i suoi pensieri e così uscita dalla vasca sgocciolando ovunque, e frizionandosi i capelli con l’asciugamano, aveva aperto la finestra lasciando entrare l’aria pulita del mattino.

Faceva freddo, ma era una sensazione piacevole. Il risveglio dei sensi. La neve la faceva sentire viva; era d’estate che lei soffriva, per quel motivo una vacanza in Florida per lei era impensabile. Fortunatamente viveva al nord. Dove c’erano anche il fiume e il bosco a mitigare le temperature.

 Cambiata l’aria e dopo una colazione lampo aveva lasciato l’appartamento diretta verso un’altra giornata ordinaria.

 

Uscendo dal lavoro, immersa nella sua pace interiore, stava per entrare al Tabard Inn. Si era fermata sulla soglia, bloccata con la mano sulla maniglia.

La sua volontà di non entrare era talmente forte che dopo poco tempo era già lontana, lungo la strada di casa.

Ora era di cattivo umore e detestava Nathan per questo, era tutta colpa sua.  Aveva interrotto la sua adorata routine e questo non le piaceva proprio. 

Rientrando nell’appartamento aveva un diavolo per capello, e senza accorgersi aveva anche sbattuto la porta turbando il sonno del suo micione.

 Nemmeno alla signora McKyle era sfuggito quel brusco ingresso che aveva destato anche il suo di sonnellino pomeridiano. In pensiero per la ragazza era andata a bussare alla sua porta.

“Violet tesoro, va tutto bene?” Chiese bussando.

Aprendo la porta Violet si era trovata davanti un’espressione preoccupata. Non voleva farla angosciare per niente, dopotutto il suo non era un problema di importanza mondiale per cui far preoccupare la povera donna.

“Non è niente signora McKyle, sono solo un po’ nervosa.”

“Come mai pulcino? Hai bisogno di qualcosa?”

“No davvero. Penso che mi farò un tè e così mi passerà tutto.”

“Perché non mi fai compagnia per il tè? Sono a casa da sola, Richard è al circolo degli scacchi e un po’ di compagnia non mi dispiacerebbe. Porta anche Leo se vuoi.”

Non riusciva a dire di no alla sua vicina che era sempre stata gentile con lei. “Ma sì, perché no? Leo forza pigrone vieni qui!” e in poco tempo erano tutti sul divano della signora McKyle.

“Eccoci qua. Un bel tè caldo.”

“Grazie, con una giornata fredda come oggi ci vuole proprio.”

“Si è vero, ci vuole proprio.”

La conversazione stava sul vago, ma si intuiva che erano parole neutre, non rilevanti. Violet aspettava in silenzio, sapeva a cosa stava per andare incontro; lo sapeva già quando aveva accettato l’invito.

“Bambina lo sappiamo entrambe che non va tutto bene. Ieri sera eri accaldata, con gli occhi rossi, senza cappotto, senza chiavi, né niente e oggi entri in casa facendo un gran baccano. Problemi di cuore?”

“No, per carità. Quelli sono proprio gli ultimi dei miei problemi. È solo che..”

In silenzio l’anziana signora sorseggiava il suo tè in attesa che Violet continuasse. Conoscendola sapeva che forzandola non avrebbe parlato. Non le rimaneva che aspettare che lei si sentisse pronta a confidarsi con lei.

“È solo che.. sono.. c’è.. uffaaaa..” e dopo alcuni balbettii senza senso aveva preso in braccio il suo gatto e aveva iniziato ad accarezzarlo come per farsi trasmettere calma e così iniziò a raccontare tutto quello che era successo, sotto lo sguardo attento di Mrs. McKyle.

 “Per la miseria Violet! Addirittura uno schiaffo, povero caro. Non per farti arrabbiare, ma secondo me hai ingigantito un po’ la cosa..”

Lo sguardo di Violet si stava spegnendo, forse pensava di trovare approvazione nelle sue parole, ma quello non era il compito dell’anziana vicina. Per aiutare la ragazza doveva farla riflettere, solo così avrebbe potuto crescere.

“È giusto che tu ti senta offesa dalle sue parole, non sono state delle più gentili, ma c’è anche da dire che nemmeno tu sei stata molto comprensiva e aperta con lui. Con questo non voglio giustificarlo, ma non giustifico nemmeno il tuo di comportamento.”

“Ma io..”

“Niente ma io, pulcino. Sei sempre così chiusa in te testa che a volte ti dimentichi che ci sono anche gli altri là fuori. Non ti vedo mai uscire con le amiche, non hai il ragazzo e le uniche persone con cui parli volentieri siamo Hilda, io e Richard, non che la cosa ci dispiaccia, sia chiaro. E poi comunichi più col gatto che con le persone. Secondo me relazionarti e confrontarti con qualcun altro non ti farà male.”

Era quello che pensavano tutti, che lei fosse troppo chiusa e poco comunicativa, ma nessuno capiva che lei non sentisse la necessità di raccontare; troppe parole a gente alla quale non interessava niente di niente, era come buttare parole al vento. E niente era più inutile.

“Violet..” aveva ripreso la conversazione con un tono più serio di prima “..perchè non provi seriamente a farti quattro chiacchiere con quel ragazzo? Non ti sto chiedendo di uscire con lui come una coppia, solo quattro chiacchiere.”

“No. Non ne vale la pena.”

A-A-A-A-A. Stai facendo lo stesso errore di tutti gli altri. Stai giudicando dalle apparenze. Non lo conosci, e non gli hai nemmeno concesso la possibilità di farsi conoscere.”

“Ok. D’accordo mamma, ma pensavo che il bello dell’essere emancipata fosse il fatto di non avere genitori a cui dover rispondere.”

“Da me non si sfugge, ci riusciresti solo se andassi oltreoceano. Anzi forse neanche così; dovresti provare direttamente con un altro pianeta.”

“Allora la prossima volta che vado in agenzia viaggi chiederò il catalogo per Saturno!” sghignazzò.

“Tesoro, lo sai che non dico queste cose per scocciarti, le dico per il tuo bene.”

“Sì, lo so.” E Violet era effettivamente consapevole del fatto che la signora McKyle le voleva bene.

“Adesso però devo tornare a casa a studiare, anche se il periodo di esami è ancora lontano, mi stanno già stressando con i compiti e lo studio. E come se non bastasse tra una settimana devo presentare la tesina.”

“Certo, certo. Concentrati su questo adesso e rifletterai poi con calma sulla questione Nathan.”

“Agli ordini!” e con un sorriso aveva lasciato l’appartamento diretta ai suoi libri. O meglio, così aveva detto alla sua povera e inconsapevole vicina.

Non aveva la minima intenzione di studiare. La sua era una bugia, detta a fin di bene secondo lei. Un bene piuttosto relativo considerando che si trattava del suo. Per la sua sanità mentale aveva pensato di tagliare corto quell’ormai soffocante conversazione, buttandola sulla scusa dello studio così da non offendere la sua adorabile vicina.

Ogni tanto la signora McKyle si prendeva un po’ troppe libertà, ma la cosa a Violet non pesava particolarmente. Era consapevole del fatto che non era obbligata a seguire i consigli che lei le dava. Preso atto di questa realtà, faceva solo quello che le andava, senza doversi sentire minimamente in colpa.

Distesa sul divano con un nuovo romanzo in mano, continuava a perdere il filo, ci stava mettendo mezz’ora per leggere una pagina; procedeva lenta e continuamente interrotta dalle parole di Mrs. McKyle che le rimbombavano nella testa: “Prova a fare quattro chiacchiere con Nathan..

Questa frase in particolare faceva ricorrentemente capolino nella sua mente.

Aveva così rinunciato alla lettura e si era dedicata alla TV via cavo, ma il risultato era stato pressoché lo stesso.

La cosa migliore era quindi dormire. Avrebbe messo in ordine i suoi pensieri l’indomani.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


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Capitolo 4

 

Capitolo 4

 

Dopo una lunga riflessione durata un paio di giorni, aveva capito che quelle parole, come una maledizione, l’avrebbero tormentata finché non vi avrebbe posto rimedio.

Si era decisa.

Tanto prima o poi avrebbe dovuto recuperare le sue cose; non avrebbe vissuto ancora a lungo senza portafoglio e documenti.

Così, convinta aveva varcato la soglia del Tabard Inn. Il locale era particolarmente affollato e si guardava intorno, evidentemente alla ricerca di qualcosa, e la signora Callaway aveva anche capito cosa, o meglio chi. Con un cenno del capo aveva indicato il bancone della colazione e proprio lì Nathan serviva i clienti con il sorriso sulle labbra.

Violet osservando quella scena aveva iniziato a sorridere.

Con calma si era seduta e aveva aspettato che la coda al bancone si smaltisse.

Ora mancavano solo due persone e fattasi coraggio si era accodata in attesa del suo turno.

“Arrivederla signora Keagan. La aspetto lunedì per le sue ciambelle.” “Un attimo e sono subito da lei.” Nathan era ora di spalle mentre parlava e così non aveva la benché minima idea di chi fosse la prossima cliente.

“Buongiorno. Come posso servirla?” Voltandosi aveva avuto la sorpresa. Violet era tornata dopo qualche giorno di assenza. “Ah.. tu.”

“Buongiorno Nathan..” Aveva detto in tono del tutto serio “.. vorrei un muffin ai mirtilli e il mio caffè lungo..”

“Macchiato caldo con due bustine di zucchero.” Nathan aveva continuato per lei l’ordinazione e sul volto di lei era comparsa un’espressione da pesce lesso.

“Sì, esattamente. E le due bustine di zucchero di canna non bianco.”

“Come siamo sofistiche..”

Violet pensava di essere partita con il piede giusto, ma lui l’aveva smontata così. Forse allora non aveva tutti i torti. Anche lui era come gli altri che la odiavano.

Altra qualità di Violet? Saltare alle conclusioni sbagliate.

“Li aspetto al tavolo.” Rabbuiata in viso era tornata a sedersi.

 

“Vengo in pace.” aveva osservato Nathan sedendosi di nuovo con familiarità al tavolo della ragazza.

“Bel modo di iniziare la pace. È comodo far così dopo avermi preso in giro.”

“Dice la ragazza che mi ha preso a schiaffi.” Il tono di sentenza di quel ragazzo era perentorio; non le lasciava via di scampo.

“Sì, e per un buon motivo aggiungerei.”

“Ah si?! E come mai questo buon motivo mi sfugge??”

“Non lo so, ma io non ho problemi a rinfrescarti la memoria..”

“Ma prego!”

“Mi hai dato della bambina senza nemmeno conoscermi, hai giudicato subito senza sapere niente di me.”

“Questo è vero. My bad. Chiedo scusa, ma tu eri così irritante.”

“Tu no invece..”

“Non direi proprio. Non ero io che mi comportavo come se fossi bello solo io e tutto gnè gnè..” Lo stava facendo ancora. Stava dicendo quello che pensava senza pensarci due volte.

“Senti pozzo delle verità nascoste, non sono qui a farmi insultare di nuovo, a meno che tu non voglia un altro schiaffo. Sono qui per riavere la mia borsa, il mio cappotto e il mio romanzo.”

“Uh quante richieste.. non sono mica il genio della lampada. Mi spiace, ma non hai i tre desideri da esprimere.”

“Davvero simpatico. Mi sto sbellicando”

Nathan stava per ribattere, ma Violet lo aveva zittito in un istante e aveva preteso che la smettesse con le ‘stronzate’ e che le ridesse ciò che era suo.

Ma il ragazzo non poteva accontentarla. Aveva portato le sue cose a casa quella sera e le stava custodendo gelosamente in attesa di quel momento.

Naturalmente sui documenti aveva letto l’indirizzo, ma non era stato così stupido da riportarle tutto a casa. Non ancora.

Richiamato al servizio dalla vigile signora Callaway aveva lasciato Violet a bocca asciutta, ma con la promessa che glieli avrebbe riportati il giorno dopo. All’ora di chiusura le avrebbe riconsegnato il tutto.

Nonostante il nervosismo e il disprezzo nei confronti di Nathan, Violet si era resa conto che aveva parlato più con lui in quella mezz’ora che con le sue amiche in un pomeriggio.

Era normale però. Provocata da lui, lei semplicemente rispondeva a tono.

Di una cosa rimaneva sempre più sorpresa: la lingua lunga di quel ragazzo era davvero impressionante. Era persino riuscito a convincerla a tornare da lui il giorno successivo e aspettarlo fino alla fine del turno per poter riavere indietro le sue cose.

Come faceva quel ragazzo a far crollare il suo apparente equilibrio?? Non ne aveva la più pallida idea.

 

***

 

Nathan percorreva le strade di West Newbury alla ricerca del numero 274 di Newton Street, con una cartina improvvisata fra le mani.

Il palazzo era interamente di mattoni e di almeno cinque piani, e avrebbe scommesso che non c’era la minima traccia di un ascensore.

Era rincasato dopo il lavoro, aveva raccattato le cose di Violet e aveva deciso di portargliele a casa la sera stessa. Voleva sorprenderla, era come se in lei vedesse del potenziale. Un potenziale che veniva sprecato, perché non fatto venire a galla nel modo giusto.

Tra le caselle della posta aveva visto anche la sua: Violet Peterson.

La fortuna lo aveva assistito: l’indirizzo era quello giusto e così, addentratosi nell’atrio, aveva anche scoperto l’esistenza di un ascensore. La fortuna era definitivamente dalla sua in quel momento.

Ma si sa: la ruota gira.

L’ascensore era guasto e lui non aveva la minima idea a che piano lei vivesse.

Non poteva suonare al citofono, lei non gli avrebbe mai aperto.

Doveva sfruttare al massimo l’elemento sorpresa.

Così rassegnato, piano per piano, controllava i nominativi accanto alle porte.

Era ora al terzo piano e una targhetta lo insospettiva. Nella sua testa frullava l’idea che fosse proprio da una come Violet non mettere il nome sul campanello, sospettosa come le era sembrata. Aveva capito un paio di cosette su di lei: era diffidente nei confronti degli altri e amava passare inosservata. E cosa meglio di una targhetta senza nome poteva eclissarla dal resto del mondo?!

O la andava o la spaccava. Avrebbe bussato e se avesse sbagliato, avrebbe chiesto cordialmente scusa e magari avrebbe anche cercato di scoprire dove lei abitasse.

 

Toc toc.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


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Capitolo 5

 

Capitolo 5

 

Una voce femminile dall’altra parte della porta aveva risposto.

Le probabilità che fosse lei aumentavano ogni secondo di più.

Ed eccola di fronte a lui, sulla porta. Stupita, con lo sguardo smarrito se ne stava a fissarlo impalata ed incredula.

“Hai intenzione di farmi entrare?” 

Nella mente di Violet suonava un campanello d’allarme. Quel suono assordante copriva ogni ragionamento logico e la lasciava inebetita a fissarlo.

“Hey! Rivuoi le tue cose? Oppure me le tengo?”

“Ma che domande sono? Certo che le rivoglio! Altrimenti non te le avrei chieste in primis.”

“Allora fammi entrare.” L’invadenza sfacciata di quel ragazzo la disturbava e non poco. Non amava sentire violata la sua privacy e lui non aveva avuto nemmeno un approccio leggero. Si era fiondato nel suo spazio personale senza il minimo ritegno.

“Ma non ci penso minimamente! Ridammi le mie cose e tornatene da dove sei venuto!”

“Se la metti così credo che le terrò con me ancora per un po’..” La stava stuzzicando, sicuro di se, convinto che pur di evitare che i vicini lo sentissero fare ulteriore baccano nel corridoio lo avrebbe lasciato entrare.

E aveva fatto centro.

Senza fiatare si era spostata di lato, lasciandogli lo spazio necessario per entrare ed avere così una visione integrale del suo mondo.

Da fuori si scorgevano solo un grande armadio marrone e un divano color panna.

Ora si trovava nel centro di quel piccolo monolocale e si guardava in giro.

A Violet sembrava stesse analizzando con rigore ogni angolo della sua casa. Si sentiva come nuda davanti a lui, spogliata della sua apparente sicurezza che ostentava anche quando in realtà era l’opposto.

“Hai intenzione di usare anche la supervista per vedere se ho qualche scheletro nell’armadio o nelle pareti?”

“Non ci avevo pensato! Lo faccio subito!” Socchiudendo gli occhi inscenò un controllo accurato della stanza.

“Ma ti comporti mai da persona seria?! Adesso che sei entrato puoi anche restituirmi cappotto, borsa e libro e poi sei pregato di lasciarmi tornare al mio studio.”

Era evidente che si fosse legata al dito il loro primo incontro. Come darle torto.

“Sei l’ospitalità fatta persona! Povero me, in che mondo sono finito!” osservò mettendosi comodo sul divano. La metteva giù spessa senza un apparente motivo logico; come se scherzare fosse il suo unico scopo.

“Ma certo! Perché non ti servi anche da solo? Tanto ormai sei di casa.” Quella scocciatura iniziava a rendere Violet impertinente, ma ne aveva tutto il diritto: era a casa sua e poteva permettersi il lusso di fare quello che voleva.

Con un semplice “Okay” lui aveva fatto l’opposto di quello che lei voleva.

Si era spaparanzato sul divano con nonchalance.

La cosa la urtava, ma quello che la irritava di più era che Leo aveva iniziato a giocare con Nathan per poi lasciarsi coccolare come se fosse uno di famiglia.

Il suo gatto si fidava di lui e, Leo che si lasciava coccolare da un estraneo, era un caso più unico che raro. Quel gatto era un po’ come la sua padroncina. Concedeva fiducia a pochi e questi pochi erano sempre buoni. Era come se avesse fiuto. Questo avrebbe dovuto rassicurarla su Nathan?!

Forse sì, ma non era comunque facile.

Quella scenetta era strana agli occhi della giovane. Un ragazzo, disteso sul divano che giocava con il suo gatto.

L’ironia della sorte aveva voluto che quel ragazzo fosse quel detestabile di Nathan. Non era il suo ragazzo e non lo sarebbe diventato di certo.

“Violet mi offriresti qualcosa da bere?”

“Pure!? Qualcosa da mangiare no?!”

“Molto volentieri, grazie. Un panino sarebbe il massimo.”

Ogni volta che apriva bocca diventava sempre più irritante, tanto che Violet aveva voglia di prenderlo a calci.

Era quasi ora di cena e anche il suo stomaco brontolava; così, ormai rassegnata all’idea di ospitare Nathan per cena si era messa ai fornelli e stava preparando il suo piatto preferito: linguine al pesto. 

Quel piatto italiano le ricordava uno dei momenti più belli della sua vita: la vacanza a Capri, tre anni prima. Quell’estate aveva provato tantissime varianti di pasta e quella era la sua preferita. Un poco amara, ma gustosa. Semplice e veloce da fare, non avrebbe comportato troppo fastidio preparare anche per Nathan.

L’unico punto interrogativo era la quantità; lei mangiava poco. Ma lui?

Per evitare figure e altre insinuazioni del ragazzo aveva fatto una bella porzione abbondante. Se fosse avanzata? Pace e amen. Se la sarebbe riscaldata l’indomani per pranzo.

Intenta a preparare non si aspettava la presenza del ragazzo alle spalle.

L’improvvisa domanda posta dal ragazzo l’aveva fatta spaventare e lei aveva rovesciato il tutto sul pavimento.

Disastro.

Perché figuriamoci se la pentola cadeva dritta e salvava il contenuto. Nemmeno per idea.

Era successo l’esatto contrario ed ecco che la cena era da buttare nel cesso.

I nervi di Violet erano più tesi delle corde di un violino e stava per sbottare. Un’altra frase fuori posto e lo avrebbe cacciato ricorrendo alla violenza.

Inaspettatamente però, questa volta lui taceva osservando il disastro combinato. Nathan non era cresciuto navigando dell’oro. Odiava gli sprechi e ora si sentiva in colpa. Doveva rimediare.

Aveva perciò iniziato a raccogliere quella pasta dall’aspetto e dal profumo deliziosi. Doppio spreco.

“Mi dispiace Violet.. lascia che ti prepari qualcosa per farmi perdonare.” 

Violet non rispondeva. Stava rigorosamente in silenzio mentre raccoglieva a mani nude la pasta.

Si alzò e si diresse al lavandino per lavarsi le mani.

Il suo silenzio creava tensione; più di quanto desiderasse.

“Dai ti preparo la mia ricetta speciale: bistecca al burro alla Nathan!” Cercava di mostrare entusiasmo per stemperare l’atmosfera.

“No. Vattene. Lasciami in pace.”

“Dai non è giusto che tu rinunci a mangiare. Mi spiace davvero. Non volevo rovinarti la cena.”

Nathan si era avvicinato pericolosamente a Violet e le aveva poggiato una mano sulla spalla per cercare di convincerla, come se quel contatto dovesse generare empatia nei confronti della ragazza.

Una scossa aveva colpito entrambi, ma i due avevano avuto due percezioni ben differenti di quella sensazione.

Nathan ne era incuriosito; non era una cosa comune.

Lei ne era spaventata; non riusciva ad adattarsi a quella situazione. Sentiva il cuore battere più velocemente del solito e non ne capiva il motivo. Già era nervosa, stanca ed ora anche in imbarazzo.

Era convinta che quel ragazzo non le piacesse: non le trasmetteva altro che disprezzo. Soprattutto quella sera.

Tutto quello che voleva era mandarlo via.

“Lo avevi già fatto venendo qua. Adesso per favore vattene.”

Il ragazzo era combattuto tra l’insistere per farsi perdonare o l’uscire con la coda fra le gambe.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


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Capitolo 6

 

Capitolo 6

 

Aveva optato per la seconda.

Osservando la faccia spaventata e triste della ragazza aveva deciso di andarsene, proprio come voleva lei.

Ed eccolo che stava uscendo dalla porta, voleva salutarla ma lei non lo guardava neanche più in faccia.

“Ciao Violet” aveva sussurrato una volta chiusa la porta alle spalle.

”Ciao Nathan” aveva sussurrato anche lei da dietro quella porta che li separava.

 

Il giovane stava rientrando a casa con andatura svogliata. Tirava calci al nulla ripensando a quella serata. Non era stato molto in quella casa, forse un’ora, e in quel poco tempo era riuscito a incrinare ancora di più il loro rapporto.

Ma si poteva definire rapporto quello che avevano, o meglio non avevano? 

Per la testa di Nathan passavano un’infinità di pensieri. Tutti riguardanti Violet.

L’immagine del suo volto spaurito attanagliava la sua memoria.

Perché quell’espressione?

Non riusciva davvero a capire a cosa era dovuta. Non pensava di intimorire la gente, eppure Violet era spaventata in quel momento, ne era certo.

Non era riuscito nel suo intento; aveva allontanato di più la ragazza. Aveva sbagliato tutto.

 

 

Violet si era buttata sul letto una volta che la sagoma di Nathan era scomparsa dietro alla porta.

Il cuore manteneva il suo ritmo accelerato e non accennava a rallentare. Ora anche la sua mente correva. Ma verso cosa?

Sembrava una corsa senza fine, senza uno scopo ben preciso.

Faticava a capirne il significato.

Molte di quelle sensazioni che stava provando non rientravano nello scibile della ragazza. Questo la spaventava, perché in quel momento tutto sfuggiva al suo controllo.

  

Nathan e Violet passarono una notte insonne. Ognuno all’insaputa dell’altro.

Distesi nei loro letti pensavano e ripensavano a tutte le possibili alternative sulla fine della serata.

La razionalità aveva portato Violet alla conclusione che non si poteva ragionare sul passato, era inutile. Quello che era successo era successo.

Nathan invece la pensava diversamente, continuava ad auto-colpevolizzarsi per l’accaduto, ne faceva quasi un affare di stato. Non poteva evitarlo. I suoi propositi erano tutt’altri e per colpa della sua idiozia e della voglia perenne di scherzare aveva fallito.

Nessun avvicinamento. Nessuna conversazione reale.

Non voleva quello. Si era trovato addirittura a immaginare un dolce bacio sull’uscio di casa.

Ma scherziamo? Con lei? Lei che lo aveva schiaffeggiato non solo fisicamente, ma ora anche a parole?

Ebbene sì, proprio lei. Dietro quell’ostentata freddezza lui era convinto che ci fosse ben altro. Allo stesso tempo lo sperava con tutto se stesso.

Violet era l’unica ragazza che lo aveva incuriosito nonostante fosse lì da mesi.

Da quando si era trasferito.

 

Aveva lasciato la grande mela per quella cittadina sconosciuta. Aveva mollato tutto: amici, famiglia, tutto.

Lui era voluto scappare dalla vita che faceva. Non ne poteva più di tutto quello schifo in cui viveva.

Aveva lavorato anni per questo. Nelle bettole di China Town, nei bagni pubblici. Tutto pur di andarsene.

Ma perché lasciare New York?

Perché non è oro tutto quello che luccica e perché la vita non è sempre rose e fiori.

Lui questo lo sapeva bene.

Veniva dai quartieri poveri del Bronx; vedeva da lontano le luci di Time Square, consapevole che non gli sarebbero mai appartenute veramente.

Doveva vivere alla giornata, perché non sapeva se la gang del quartiere avrebbe lottato con la concorrenza facendo delle vittime innocenti.

L’America, la tanto considerata terra promessa, non era del tutto ospitale quanto sembrava.

Era la pacchia per i ricchi, ma lo strazio per i poveri. Soprattutto a New York.

Suo fratello aveva ceduto al sistema. Era entrato nella gang dei Road riders e sperava nella scalata al potere per avere i “Cash”, come li chiamava lui.

I soldi.

Il grande problema della vita.

Che egoista era stato Ryan. Così facendo aveva messo in pericolo tutta la famiglia. Nathan non lo aveva mai perdonato per questo.

 

Questo tuffo nel passato feriva il giovane. Soprattutto perché gli mancava la sua adorata Jackie, la sua sorellina. Le aveva chiesto di essere forte con la promessa che sarebbe tornato a prenderla. Lui l’avrebbe salvata da quello schifo.

 

Nathan si era trovato così a pensare a tutt’altro. Nella sua testa non c’era più Violet e si era addormentato con quei cattivi pensieri. Erano le quattro del mattino. Neanche due ore dopo avrebbe iniziato il suo turno.

 

***

  

La giornata seguente era iniziata più turbolenta di quanto fosse finita quella precedente.

Anche il meteo sembrava avverso a Nathan. Era uscito di casa già infreddolito per la stanchezza, e la tormenta di neve gli stava ghiacciando le orecchie e sentiva freddo persino nelle ossa.

La signora Callaway lo aspettava fuori dal Café come ogni mattina.

“Buongiorno signora Callaway.” La stanchezza del giovane era percepibile dal tono di voce, e quel mattino sembrava avere anche lo sguardo stanco.

“Buongiorno figliolo.” La donna aveva intuito qualcosa, come quando si ha la percezione che qualcosa non vada. Ma, rispettosa della privacy altrui, non aveva intenzione di indagare.

Il cielo era ancora buio, non accennava a schiarirsi, come se la notte dovesse continuare all’infinito.

In quell’atmosfera anche Violet si destava stiracchiandosi nel suo caldo e accogliente letto da una piazza e mezza.

La ragazza si stropicciava gli occhi perfettamente rilassata. A lei piaceva proprio quell’atmosfera.

Si avvicinò alla portafinestra che dava sul suo balconcino per annusare l’aria pulita e fresca del mattino.

Un buon inizio di settimana insomma.

Pronta ad affrontare la giornata a testa alta, era uscita dal portone con calma assoluta.

Era volutamente in anticipo, si voleva concedere una bella passeggiata nella quiete mattutina.

Aveva completamente rimosso dalle sue preoccupazioni la serata precedente.

Il passato era passato. Valeva quasi la pena di dimenticarlo, oppure, nel suo caso, di lasciarlo nel cantone “Chissenefrega” del suo cervello.

Tenerlo in un cassetto ben chiuso in un angolo remoto della sua mente non le dava fastidio.

Non che se lo fosse legato al dito, ma poco ci mancava.

Si ricordava di tutto, ma non rinfacciava mai, o quasi. Solo se strettamente necessario. Trovava che rinfacciare fosse crudele e che soprattutto non portasse a niente di costruttivo. Solo discussioni inutili che maggiormente alteravano il suo umore.

Sentiva che quello sarebbe stato un bel giorno. Ma la sua sensazione era delle più sbagliate possibili. 

A scuola sentiva in continuazione il suo nome: Nathan. Quel giorno aveva scoperto di aver ben due compagni di classe che si chiamavano così; uno addirittura era il suo vicino di banco.

Ma se non ne era stata a conoscenza fino a quel giorno, che cosa era cambiato?

Il suo cervello non riusciva a spiegarglielo. La razionalità non era la chiave.

Non comprendere il significato di quei particolari aumentava il disagio in lei.

Decisamente quella non sarebbe stata una bella giornata come aveva pensato. Quella sensazione non l’avrebbe abbandonata tanto facilmente.

 

***

 

Nella caffetteria tutto filava liscio come l’olio, nonostante qualche distrazione qua e là, Nathan se la cavava egregiamente come al solito.

Si districava tra i tavoli con agilità; come una gazzella nella savana. Ma occhio che il leone è sempre in agguato. Il suo leone quel mattino era la stanchezza. Detta così appare come un paradosso, ma era la sua triste situazione.

 

La signora Callaway osservava, ma come suo solito taceva.

Aveva imparato a far così negli anni.

Accumulare ed elaborare. Questo era il suo motto.

Osservando si notavano i dettagli che a una visione veloce e generale sfuggivano. L’importanza di questi non era nota a molte persone. Ma è il dettaglio che rende diversa una cosa da un’altra; e lo stesso valeva con le persone.

L’elaborazione stava poi nell’assorbire quello che si aveva accumulato e trarne delle conclusioni o degli insegnamenti.

Nel caso specifico, Hilda aveva notato in Nathan qualcosa di diverso dal solito. Sin dal momento in cui lo aveva visto arrivare in lontananza. L’incedere era differente, più lento del solito, più svogliato e quasi stanco. Poi sul lavoro aveva bevuto tre caffè e rovesciato uno, in più aveva portato ad un tavolo l’ordinazione sbagliata e ora, in attesa di qualche nuovo cliente, se ne stava seduto, appoggiato con i gomiti al bancone con lo sguardo perso nel vuoto.

Quegli occhi neri che erano lo specchio dell’animo del ragazzo, erano pensierosi, non avevano le solita luce. Non erano vispi come le altre mattine: erano stanchi e spenti.

Dopo la pausa pranzo, passata a sonnecchiare accasciato sulla poltrona sul retro, aveva ripreso a il turno; ma niente era cambiato. Non era il solito Nathan. Ad un certo punto era diventato ancora più distratto ed aveva iniziato a guardare con insistenza l’orologio.

Erano le cinque meno un quarto.

Di lì a poco sarebbe arrivata Violet.

La connessione alla ragazza era venuta automatica. Nathan era diverso da quando l’aveva conosciuta. Il termine adatto era incontrato, o meglio ancora scontrato: conoscere però, era una parola grossa. Davvero in pochi conoscevano la vera Violet.

 

Violet tardava ad arrivare. Non di poco. Erano passati almeno venti minuti.

Ma eccola, scura in viso, che procedeva con andatura spedita.

Stava succedendo una cosa strana: Violet si stava avvicinando alla cassa, e non al bancone o al tavolo come suo solito.

“Buon pomeriggio Hilda.” Aveva accennato anche ad un sorriso: uno molto stirato e alquanto discutibile.

“Buon pomeriggio anche a te cara. Dimmi tutto”

Quell’ultima affermazione era sembrata un po’ ambigua alle orecchie di Violet. Le era preso un colpo. Sembrava le stesse chiedendo di sputare il rospo. Una confessione sulla serata precedente. Come se lei in realtà sapesse già e voleva coglierla con le mani nel sacco. Come se Nathan le avesse raccontato tutto.

Paranoia, ecco cosa aveva colpito Violet. Cercava di auto convincersi che fosse impossibile. Non poteva essere vero.

Perché in quella maledetta giornata tutto riconduceva a Nathan?!

Le sue macchinazioni mentali dovevano esser durate più del dovuto, perché la signora Callaway le interruppe con una semplice e chiara domanda.  

“Prendi il solito?” le preoccupazioni di Violet vennero così interrotte.

“No. Oggi prendo un cappuccino e un muffin al cioccolato.”

“Perfetto. Tu accomodati pure, te lo faccio portare al tavolo da Nathan.”

“No!” Violet si era irrigidita sentendo quel nome. “Cioè.. no, grazie. Li prendo da portare via. Sono un po’ di fretta oggi.”

“Va bene, adesso chiamo Nathan così glieli ordiniamo subito.”

“Fai pure. Io intanto vado in bagno, almeno guadagno tempo. Fatteli anche già mettere in un sacchetto così lo prendo al volo ed esco. Ok?” e senza aspettare una risposta era corsa in bagno.

Nathan, sentendo il suo nome, si stava avvicinando alla cassa contando i soldi di un tavolo appena sparecchiato.

L’ ordinazione diversa dal solito, la sua strana fretta e la fuga al bagno non erano sfuggite all’occhio vigile della signora Callaway; poi notando la presenza di Nathan accanto a lei, aveva fatto due più due.

Violet guardava lo scorrere delle lancette al sicuro tra le mura del bagno.

Un minuto..

Due minuti..

Tre minuti sarebbero bastati? Sperava con tutta se stessa di trovare la sua ordinazione pronta accanto alla cassa. Aveva i soldi contati in tasca, così non avrebbe trascorso più tempo del necessario accanto a quel bancone, nel raggio d’azione di Nathan.

Il suo piano ben congegnato stava per essere messo in atto, ma qualcosa l’aveva frenata di colpo. Nathan era ancora lì, accanto alla povera infortunata costretta alla cassa.

Per paura di essere vista si era appoggiata alla porta facendola cigolare.

“Nathan per favore vai nel magazzino sul retro a prendere un rotolino per gli scontrini? Questo è quasi finito.”

“Certo signora Callaway. Vado subito” e così era scomparso pochi secondi.

 

“Violet vieni fuori. Nathan se ne è andato.” Il tono calmo di Hilda le aveva fatto gelare il sangue nelle vene, ma non poteva starsene lì impalata; doveva cogliere al volo quell’opportunità.

Così aveva sfilato i soldi dalla tasca velocemente e si era diretta con passo spedito alla cassa.

“Non hai molto tempo. Prendi la tua ordinazione e vai, sarà di ritorno a momenti.” Più chiara e coincisa di così non poteva essere. La donna sapeva. Sapeva tutto. E se non era così, sarebbe presto venuta a conoscenza di tutto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


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Capitolo 7

 

Capitolo 7

 

Nathan tornando dal magazzino l’aveva vista. Era pronto a giurare che fosse lei. Non c’erano molte ragazze con gli stessi capelli lunghi, neri e lucenti. Ma come aveva fatto a non accorgersi della sua presenza?

Con la consegna per la signora Callaway tra le mani si era diretto alla cassa.

“Era Violet quella che è appena uscita?”

“Sì.” La donna aveva confermato i suoi sospetti.

“Niente ‘solito’ oggi?”

“No. Ha fatto un’ordinazione diversa.” Allora lei era davvero rimasta lì e lui non si era accorto di niente.

“Mi faccia indovinare: Caffè macchiato e muffin al cioccolato.”

“Esattamente. E giurerei che non volesse farti sapere della sua presenza. Come ben sai è l’unica che ordina caffè lungo macchiato caldo con due bustine di zucchero di canna; se l’avesse fatto ti saresti sicuramente accorto che era qui.”

“Si. diciamo che come ordinazione non è usuale.”

“Nathan caro, sai benissimo che non mi piace intromettermi negli affari altrui, ma qui si tratta anche di Violet. Non mi piace vederla entrare e sgusciare fuori dal mio Café come una ladra. Credo che tu capisca la mia preoccupazione ragazzo. Per questo ti chiederò solo una volta se non c’è niente che dovrei sapere.”

Era evidente che l’anziana signora tenesse alla moretta. Non aveva niente da temere però: tra la sua cara Violet e lui non era successo niente, e non era nemmeno sicuro che ce ne sarebbe mai stata la possibilità in futuro. Ma Nathan da buon sognatore sperava.

“No signora Callaway, non c’è niente di cui debba preoccuparsi. Fosse un’altra persona le direi che questi non sono affari suoi, ma sento che di lei mi posso fidare. Perciò ora le racconterò quello che è successo, o meglio che non è successo, ieri.” Così dicendo aveva iniziato il suo racconto. 
Non era abile nei riassunti per cui era finito col rivelare ogni minimo dettaglio della sera precedente.

L’anziana signora era un’ottima ascoltatrice: aveva taciuto per tutta la durata del suo monologo.

“E ora la prego signora Callaway, dica qualcosa.” Nathan aveva concluso con quella richiesta il momento delle confessioni.

“Beh non c’è molto da dire. Hai scombussolato l’equilibrio già precario di quella poveretta. Credo che anche tu abbia notato che si comporta da dura, ma che quella non è nient’altro che una maschera. Lo scoprirai come è fatta, non devi forzare troppo la mano e lei te lo permetterà. Forse. 
Con Violet bisogna avvicinarsi con i piedi di piombo. Non è come tutte le altre ragazze. È sempre stata particolare: anche da bambina, mentre gli altri della sua età erano fuori a giocare al parco d’estate, lei si rintanava qui nel mio locale a leggere. E d’inverno quando tutti i suoi compagni erano qui a bere una cioccolata calda, lei se ne stava fuori, seduta sui gradini d’ingresso ad osservare i fiocchi di neve che con calma scendevano e si posavano sulle sue manine. 
Mi faceva tenerezza vederla da sola, ma non avevo mai considerato che a lei non dispiacesse. Non ha mai amato le folle chiassose. A parte quelle dell’Italia. Chissà come, forse per il clima o le persone, era riuscita ad aprirsi un po’.. ma poco dopo il suo rientro era tornato tutto come se non fosse mai partita. 

Ma adesso basta, non devo raccontarti tutta la sua vita, lo farà lei se vorrà.”

“Signora Callaway io credo che lei mi piaccia.” Nathan aveva finalmente dato libero sfogo ai suoi pensieri. Aveva rivelato la ragione per cui era rimasto così male per quello che era successo.

“Lo credo anch’io caro. Ma ricordati delle mie parole Nathan: solo lei deciderà se fidarsi di te. E le imboscate con lei non funzionano. E non va nemmeno matta per le sorprese.”

“Grazie. Ma questo l’avevo capito anche da solo. A quanto pare ho sbagliato completamente approccio con lei..”

Con tutto quel parlare era giunta ormai l’ora della chiusura.

Nathan stava pulendo il bancone quando un’idea gli balenò in mente.

“Posso prendere un muffin ai mirtilli da portare a casa?”

“Certamente caro, ma attento a ciò che fai.”

“Sì, non si preoccupi. E vedrà che se il cielo mi assiste nei miei intenti, Violet tornerà a mangiare qui domani.”

“Lo spero per te giovanotto, anche perché altrimenti sarei costretta a licenziarti.”

Nathan era rimasto ammutolito da quel poco velato avvertimento di Hilda.

“Dovresti vedere la tua faccia figliolo. Sembra che tu abbia appena avuto un incontro ravvicinato con un fantasma. Stai tranquillo; per ora sei troppo bravo per essere licenziato, però sappi che non ti conviene farla soffrire.” Rise la proprietaria del locale.

 

***

 

Violet era seduta, con la faccia adagiata alle braccia incrociate che si appoggiavano sul tavolo. Fissava davanti a sé quel muffin gigante ricoperto di pesanti gocce di cioccolato. Perché lo aveva comprato? Neanche le piaceva il cioccolato. Lei voleva il suo muffin ai mirtilli.

Presa da uno scatto nervoso aveva buttato quella delizia paradisiaca nella pattumiera e armata di cappuccino e piumone si era diretta al balconcino per far compagnia al suo adorato gatto che era appollaiato sulla ringhiera.

Si era avvolta nel tepore della sua coperta e seduta comoda sulla poltroncina di paglia che l’ospitava nelle sue sedute dallo psicologo solitarie.

Anche quella sera ne avrebbe iniziata una, consultandosi con quel bellissimo cielo che fedele l’aiutava a liberare la sua mente.

 

***

 

Nathan se l’avesse vista non avrebbe creduto ai suoi occhi; va bene che lui non era un amante del freddo, ma lei era esagerata.

Erano totalmente diversi.

Come il sole e la luna. Questo però significava anche distanti. Una distanza che non poteva essere colmata; le forza dell’infinito erano contro di loro.

Quel paragone non confortava l’animo del ragazzo. Non c’era niente di più distruttivo del cercare di giungere ad una conclusione velocemente a quel dilemma.

Avrebbe cercato un altro paragone più adatto un’altra volta.

Ora quello che contava era la sua missione.

Aveva tra le mani un sacchetto di carta e all’interno quel muffin che aveva preso al Tabard Inn.

Al sacchetto aveva attaccato un post-it con un messaggio ben studiato. Nessuna parola era stata lasciata al caso, nemmeno la punteggiatura.


Aveva ripercorso la strada della sera precedente e ora si ritrovava davanti a quel portone consumato dal tempo. Ancora tre piani e avrebbe portato a termine la sua “consegna”.

Eccolo davanti alla porta di Violet, fermo come un ebete. Non si decideva: aveva paura di sbagliare anche questa volta; ma doveva farsi coraggio. Aveva affrontato situazioni ben peggiori.

O ora o mai più.

L’alternativa migliore? Ora.

Appoggiato il sacchetto davanti alla porta aveva bussato con forza e poi era scappato a gambe levate. Non voleva farsi trovare lì: se lei se lo fosse trovato davanti, avrebbe perso in partenza. Non avrebbe considerato il suo gesto come un tentativo di scusarsi, ma sarebbe saltata subito alla conclusione che era un’altra imboscata, un’altra violazione del suo spazio personale.

Immersa nei suoi pensieri, un rumore forte aveva riportato Violet alla realtà.

Ma chi era a quell’ora che bussava alla sua porta??

Svogliata si era alzata per andare ad aprire e alla sua domanda “Chi è?” nessuno rispondeva.

Davanti alla sua porta non c’era nessuno.

Saaaaaam! Davvero uno scherzo divertente! Ormai hai 10 anni, non hai niente di meglio da fare che continuare con queste bambinate??” Ma urlare al vento non serviva a niente, tanto meno in questo caso. Lei non sapeva che quel ragazzino del secondo piano, per quanto pestifero fosse, non centrava niente in quella storia.

Stava chiudendo la porta al rallentatore, ma Leo fece una cosa inaspettata: scappò fuori come attirato da qualcosa che agli occhi di Violet era invisibile.

Seguendolo con lo sguardo e pronta a richiamarlo in casa aveva notato un sacchetto marrone poggiato sullo zerbino.

Raccolto quel misterioso pacchetto insieme al suo tigrotto, si era richiusa la porta alle spalle.

Un misterioso post-it era attaccato al pacchetto e lei per leggerlo si era portata sotto la luce della cucina.

 

-      Non sarà buono come la tua pasta di ieri sera,

ma spero che ti piaccia comunque. -

 

Nessuna firma, ma il mittente era più che chiaro. Nathan.

Era però un gesto inaspettato. Violet avrebbe giurato che lui avrebbe fatto un’altra delle sue comparsate teatrali che a lei non piacevano tanto.

Quel gesto l’aveva stupita; era sicura di aver inquadrato il tipo: stupido, presuntuoso, incurante della volontà altrui ed eterno scocciatore e chi più ne ha più ne metta.

Invece quello non rientrava in nessuna delle ‘qualità’ che lei gli aveva attribuito.

Chissà cosa conteneva quel pacchetto. Era leggero, non ne intuiva il contenuto. Per questo curiosa lo stava scartando. Il profumo che usciva dalla busta era dolce e familiare e si diffondeva per l’aria.

Sul viso di Violet era comparso un sorriso che descriveva tutto quello che le passava per la testa e per il cuore.

Se solo lui l’avesse visto. Ne sarebbe rimasto estasiato: la sorpresa, la luce nel suo sguardo e il rossore spuntato sulle sue guance lo avrebbero fatto innamorare completamente di lei.

Ma lui era scappato di corsa e ora si ritrovava con il cuore che batteva all’impazzata e i crampi ai muscoli delle gambe.

 

 

Violet aveva tra le mani un dolce e morbido muffin. Il suo preferito: ai mirtilli.

Nathan aveva colto nel segno. L’aveva colpita dove era più debole.

Aveva attentato alla sua gola.

Desiderava mangiare il suo amato muffin; soprattutto perché quel giorno non aveva mantenuto la tradizione, ma questo avrebbe significato cedere a Nathan, il diavolo tentatore. E lei aveva paura.

Era davvero tentata di addentare quel morbidissimo e squisito dolcetto e la sua mente iniziava a giocargli brutti scherzi.

Era una battaglia persa in partenza. Il suo cervello l’aveva sempre vinta! Il dannato aveva persino tirato in ballo citazioni di grandi autori per piegarla alla sua volontà. L’ostinazione in questo caso non serviva a niente.

Secondo le teorie del tanto osannato Oscar Wilde avrebbe dovuto cedere; se in quel momento si fosse trovata davanti quell’eccentrico dandy inglese le avrebbe detto: “L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.”

E lei questo fece: cadde in tentazione.

La muraglia che Violet si era costruita con perizia negli anni iniziava a mostrare dei buchi. La paura di essere esposta al mondo, agli altri, la paura di essere debole non l’avrebbero abbandonata d’ora in poi.

Questo la preoccupava, ma ora a consolarla c’era il suo muffin.

 

Quella giornata, per quanto amara fosse per Violet, era terminata: conclusa nella dolcezza della pasta frolla.

 

Nathan pensava al suo gesto ed era speranzoso: non aveva sbagliato, non questa volta. Ne era certo. Questo pensiero aumentava in lui l’adrenalina e lo faceva sentire quasi al settimo cielo.

Non era ragionevole tutto quello che stava provando, ne era consapevole. Sapeva bene che cuore e cervello non viaggiavano mai in coppia.

Non erano razionalmente concepibili tutte quelle sensazioni che la ragazza inconsapevolmente gli donava.

Non era nemmeno sicuro che lei provasse lo stesso, ma avrebbe lottato per saperlo, per farla rendere conto che non c’era niente di sbagliato ad aprirsi al prossimo; che solo così avrebbe potuto completarsi davvero.

E con quella speranza si concludeva anche la giornata di Nathan.

 

***

 

Si dice che i sogni siano desideri, e addirittura Cenerentola li definisce di felicità, e lo erano anche quelli di Violet.

Rannicchiata al calduccio sotto il suo piumone, nel mondo dei sogni, stava vivendo la giornata perfetta.

Era seduta alla scrivania del suo ufficio al ventunesimo piano della più famosa casa editrice di Seattle. Aveva terminato la correzione di una bozza di un romanzo di una giovane promessa della letteratura contemporanea e dopo quella giornata di gratificante lavoro, stava tornando a casa con il sorriso sulle labbra, come se fosse ansiosa di rientrare.

Sul suo maggiolone nero laccato canticchiava di gusto le melodie che passavano alla radio, e in poco tempo era entrata nel parcheggio del suo palazzo. Un lussuosissimo edificio in stile moderno nel quale aveva un elegantissimo appartamento sull’attico che condivideva con il suo amato Leo.

Lui di certo nei suoi piani di felicità non poteva mancare.

 

I piani percorsi dall’ascensore scorrevano veloci:

1..  2..  3..  9..  15..  18.

Eccola arrivata. Era il suo piano. Nel tragitto fino alla porta di casa cercava nella sua borsa di Prada le chiavi di casa. Uno scintillante mazzo di chiavi con un cuore di dimensioni spropositate come portachiavi.

Ad attenderla alla porta c’era il suo leoncino che aveva sentito il rumore delle chiavi nella toppa. Lei lo aveva preso in braccio abbandonando la sua costosissima borsa sulla moquette; adorava strapazzarlo di coccole mentre richiamava l’attenzione del suo compagno.

“Tesoro, sono rientrata!” Accompagnata da un coro di fusa, si dirigeva alla camera da letto per sbarazzarsi di tailleur e tacchi, così da potersi concedere un po’ di comodità nel suo adorato abbigliamento da casa: maglia lunga e larga e leggins.

“Amore dove sei?” aveva richiamato, infilandosi in corridoio.

“Sono in cucina, scricciolo.” E lei seguiva il richiamo di quella voce profonda e rilassante, che la faceva sentire al sicuro.

Ai fornelli, ad aspettarla con un sorriso bianchissimo, che sembrava ancora più luminoso in contrasto con la sua carnagione scura, c’era la sua dolce metà e lei gli si era buttata fra le braccia rischiando di rovesciare le leccornie che erano sul fuoco e che l’aspettavano per cena.

“Buona sera cioccolatino.” Aveva sussurrato lei ad una pericolosa distanza dal viso del ragazzo.

“Buona sera palla di neve.”

Ed ecco, il bacio del rientro da lei tanto bramato.

 

Violet si era svegliata di soprassalto, con la fronte sudata, neanche avesse sognato di correre la maratona.

La sua razionalità le diceva che quel sogno era ancora peggio, quel sogno implicava Nathan! Lui che faceva la parte della sua dolce metà? Lei che lo chiamava tesoro? Cioccolatino?? Ma era forse impazzita?!?

Quell’infame del suo cervello si stava divertendo a giocare con lei. Da sveglia le faceva quasi detestare quel ragazzo e da addormentata lo rendeva l’amore della sua vita.

Da un estremo all’altro. Ma in fondo stava parlando di se stessa, quindi non c’erano mezze misure: lei o odiava o amava, c’era poco sui cui discutere, e di certo quel sogno non trasmetteva odio, anzi tutto il contrario.

Questo non aiutava la più che destabilizzata Violet. Aveva bisogno di una passeggiata per riprendersi da quel sogno a dir poco allucinante.

Che le avesse drogato il muffin con una pozione d’amore??

Ma Violet che cosa vai dicendo?? Quelle cose esistono solo in “Sabrina vita da strega”, e la tua di vita non ha proprio niente di magico e divertente!

Ormai più che sveglia e sempre meno intenzionata a tornare a letto era uscita di casa e passeggiava per le silenziose strade di West Newbury; alle quattro di notte era più che certa di non trovare in giro nessuno se non il panettiere che apriva la sua attività.

Con la sua sciarpona di lana nera che la copriva ben bene, si era incamminata verso il bosco. Quel posto pieno di pace e calma che l’aiutavano a rilassarsi.

 

Come si dice? Ah ecco si: Dio li fa e poi li accoppia!

Anche Nathan si era svegliato molto prima del solito, sempre per un motivo correlato ad un sogno, ma di natura molto più fisica.

Deciso a non passare il resto della giornata in quello stato si era concesso una doccia fredda e si sforzava di non ripensare a quello che la sua mente malsana aveva prodotto. Non si era mai illuso di essere un santo, ma non pensava di poter immaginare certe cose. Ma era pur sempre un ragazzo, e come tale aveva i suoi bisogni, che per pura educazione cercava di tenere a bada durante il giorno.

Non sapeva cosa fare per quelle due ore che mancavano prima del lavoro, l’unica cosa che sapeva in quel momento era che: miseriaccia se gli piaceva quella ragazza.

Per placare ulteriormente i suoi bollenti spiriti aveva optato per l’andare a zonzo per le gelide strade del paese. Il clima glaciale gli avrebbe rinfrescato le idee.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


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Capitolo 8

 

Capitolo 8

 

Lei da nord, lui da sud, come due magneti erano destinati ad incontrarsi.

Si ritrovarono uno di fronte all’altra.

Tutti e due alquanto imbarazzati, ma con due maniere opposte di celarlo.

Violet aveva cercato di fare finta di niente, e di andare oltre, ma non era proprio da Nathan lasciar correre. “Hey!”

Continuando a camminare, sperando che lui non la richiamasse procedeva fingendo fare tranquillo e indifferente.

“Come puoi far finta di niente quando siamo solo io e te, come due ebeti a camminare per strada alle quattro di notte?”

“Ebete sarai tu!” Voltandosi se lo era trovato vicino; la neve aveva smorzato il rumore dei suoi passi e lui aveva accorciato la distanza.

“Non resisti proprio senza insultarmi.. qualche parolina dolce no?” A quella domanda Violet era arrossita, consapevole di come lo aveva chiamato durante la notte.

“Non c’è motivo per cui arrossire. Non ti ho mica fatto una dichiarazione.”

La luce del lampione non l’aveva aiutata, e lui non l’aveva risparmiata; era come un critico, seduto in prima fila a godersi lo spettacolo, la disfatta dell’attrice protagonista, posta sotto i riflettori del palco scenico.

“Io non sto arrossendo! È il freddo che mi colora le guance.” Violet cercava di negare l’evidenza, ma non aveva via di scampo.

“Hai ragione, come una bambola di porcellana; sei delicata, non dovresti stare fuori da sola al freddo alle quattro di notte. Potresti incontrare brutta gente.” Nathan sapeva che se l’avesse presa in giro non sarebbe riuscito ad avvicinarla.

“Infatti ho incontrato te.” Violet lo aveva freddato. 
“Sei davvero molto espressivo sai? Dalla tua faccia sembrava avessi visto un fantasma.” Sorrise la mora.

Stava ridendo di lui. Ma almeno rideva, si diceva cercando disperatamente il lato positivo della cosa.

“Questa l’ho già sentita.”

“Eh?”

“No niente, non ti preoccupare. Adesso il cattivo ragazzo se ne torna a nanna. A quanto pare la principessa non ha bisogno di essere salvata.” Saluto alla militare e Nathan era pronto a fare retro front e lasciarla per i fatti suoi. Ormai aveva rinunciato a insistere con quella ragazza. Non aveva senso farlo. Se quella ragazza si impuntava era incorruttibile e nonostante andasse a suo svantaggio, adorava quella testardaggine.

“Ma dai io stavo scherzando. Non credo che i cattivi ragazzi portino i muffin a casa delle principesse.. ecco a proposito era buonissimo, ma mai come la mia pasta. Grazie.” Quelle parole erano costate una fatica immensa a Violet, e le aveva pronunciate ad occhi chiusi per darsi forza.

Ormai era andata. Aveva gettato il sasso e ora non poteva tirare indietro la mano.

Avrebbe voluto giocare un po’ con lei, ma quella frase lo aveva fatto tornare verso di lei, “Non c’è di che, ma per la cronaca, non ho avuto il piacere di assaggiare la tua pasta, quindi non saprai mai che cosa ne penso io, e se la tua è solo un’illusione.”

“Oh davvero? allora dobbiamo rimediare!”

“Mi pare cosa buona e giusta.”

“Bene allora domani ti aspetto per cena.”

“Uh! Davvero?”

“NO. Certo che no! Ti parlo a malapena, credi che ti inviti a casa mia così tranquillamente??”

“Ah ecco mi sembrava strano.”

“Ti sembrava strano? Lo dici come se mi conoscessi.. ma non è così.. non sai niente di me.” E il sorriso che animava l’espressione di Violet incominciava a spegnersi.

Si era offesa? Per la miseria se era lunatica quella ragazza: prima lo prendeva in giro tranquillamente e lui, alla minima frase fuori posto, era condannato.

“Non volevo dire questo. Lo so che non ti conosco. Però osservandoti credo di aver capito qualcosa di te: non ti piace essere sorpresa, per esempio. Questo lo so per certo ora; di conseguenza vuoi avere le cose sotto controllo e vivere nella regolarità, e so che ti piacciono i gatti. Altro non so, ma vorrei tanto conoscerti meglio. Mi concederai questo? Lascerai che io entri nel tuo mondo?”

Nessuna risposta.

Un silenzio lungo come l’eternità era calato fra i due, la neve aveva ripreso a scendere e i suoi lunghi capelli neri iniziavano a riempirsi di piccoli fiocchi. Sarebbe tornata a casa zuppa di quel passo. Istintivamente Nathan si era tolto il suo cappello e glielo aveva messo mentre lei non opponeva resistenza. “Se non quello, almeno lascia che ti riaccompagni a casa.. è tardi, o meglio prestissimo, e non mi piace saperti in giro da sola.. Così sarò tranquillo.”

Violet aveva iniziato a camminare nella direzione opposta rispetto a dove si stava dirigendo. Sembrava avesse perso di colpo la parola, non emetteva un fiato.

Però quella marcia indietro significava che aveva capito quello che le aveva detto, e lui, che in quel momento era diventato seguace della teoria del ‘Chi tace, acconsente’, aveva iniziato a camminarle accanto con fare tranquillo.

Il passo non era per niente spedito, e nessuno dei due parlava. Erano ormai giunti sotto il portone di quel palazzo un po’ vecchiotto che aveva visto più in quei tre giorni che in tutta la sua permanenza nella cittadina.

Nathan aveva pensato di non andare oltre, si era fermato sul marciapiede; Violet aveva proseguito e oltrepassata la porta la teneva aperta come a invitarlo ad entrare.

Pensato e fatto, in un balzo aveva fatto i quattro scalini che li separavano e ora la seguiva per la rampa delle scale.

Tre piani e sarebbero arrivati davanti alla sua porta.

 

Dicono che la notte porti consiglio, ma Violet non era dello stesso avviso; durante la notte non faceva altro che torturarsi con altre possibili congetture; a volte pensava persino che alcuni le tramassero alle spalle talmente si faceva prendere la mano dai pensieri molesti e dalla paranoia.

Salendo le scale ragionava su cosa avesse spinto Nathan a darle il suo cappello, che tra l’altro le piaceva parecchio: aveva i paraorecchi e il finto pelo che la riparavano e le tenevano quella matta testolina al caldo.

Non era una sciocca, se un ragazzo faceva quello che Nathan stava facendo con lei non era per pura bontà d’animo, di sicuro c’era dell’interesse. Anche non avendo mai avuto un ragazzo prima, ed essendo scettica nell’amore da favola nella realtà, questo lo capiva e v’erano prove a supportare la sua tesi:

1.     osservazione prolungata al bar;

2.     violazione di domicilio;

3.     consegna di muffin a casa;

4.     cappello;

5.     scorta fino a casa nel bel mezzo della notte.

Queste premure che le riservava per un comune mortale potevano apparire carine, ma quello che si domandava Violet, da buona diffidente, era cosa ci fosse dietro a tutte quelle attenzioni.  

Le scale erano ormai finite, e così anche il tempo di ragionare e di progettare qualcosa. D’un tratto, fissando la porta della sua vicina, aveva ripensato a quanto le aveva detto: “Prova a fare quattro chiacchiere con quel ragazzo..” e l’immagine di Leo che giocava con Nathan l’avevano ‘convinta’ a fare qualcosa; qualcosa per se stessa, per non rimanere più in quella situazione molto ipotetica e surreale.

Soprattutto perché anche se l’interesse di Nathan fosse stato onesto, non l’avrebbe aspettata per sempre.

Osservando il comportamento dei ragazzi con le sue amiche, aveva rafforzato la sua idea dell’inesistenza del principe azzurro disposto ad attendere la sua dolce pulzella all’infinito.

 

Ferma davanti alla sua porta con le chiavi strette tra le dita si era voltata verso di lui e si sforzava di guardarlo negli occhi e di parlare senza risultare imbarazzata o a disagio.

Aveva sputato tutto d’un fiato un principio di conversazione che dopo due battute già voleva rimangiarsi.

“Sai cos’ho imparato in Italia?” La domanda non aveva senso alle orecchie di Nathan, che poverino non capiva cosa c’entrasse in quel momento.

A domanda senza senso, risponde un’altra domanda senza senso: “Il dialetto napoletano?”

Jammja!” Rise Violet “Ma a parte quello.. ho imparato che.. che..”

“Che?!”

“Che si fanno spaghettate a tutte le ore.. Ti va di farne una adesso?”

Nathan aveva la battuta pronta, ma comprendeva lo sforzo di Violet; gli era bastato buttare un occhio su come si stesse torturando la mano con le chiavi: le stringeva con talmente tanta forza che sembrava stesse cercando di spezzarle.

Nonostante non avesse fame, era intenzionato ad accettare. Non poteva farsi scappare un’occasione del genere. “Molto volentieri.” Aveva risposto in tutta calma.

Varcata la soglia di casa, il gatto era corso incontro alla sua padroncina e al suo ospite, e ora lei lo stava coccolando per bene. Era palpabile l’amore che Violet provava per quel micio dal pelo fulvo e quello che questi provava per lei.

Violet era sempre silenziosa; non era una ragazza di molte parole: tutto il contrario di lui.

Lui la osservava mentre lei si muoveva con fare insicuro per la piccola cucina.

“Violet..”

“Sì?” Non si era girata a rispondere; gli dava le spalle, riempiendo la pentola dell’acqua.

“Sei sicura di volere che io rimanga?” Aveva paura per la risposta che lei poteva dargli, ma era giusto chiederglielo; le stava dando la possibilità di tirarsi indietro, forse l’avrebbe anche capita; l’ultima cosa che voleva era che lei si sentisse forzata nei suoi confronti.

Violet, sempre di spalle, aveva messo l’acqua sul gas e poi si era poggiata al lavandino.

Ora stringeva nervosamente i pugni e si stava voltando lentamente.

“Sì.”

Wow. Una risposta sicura e lo sguardo fisso in quello del ragazzo.

“Bene. Allora posso darti una mano?”

“No. Mettiti comodo e gioca pure con Leo, a lui stranamente piace la tua compagnia.”

“Stranamente?!”

“Sì, nel senso che di solito non si lascia coccolare dagli sconosciuti. Sono pochissimi quelli di cui lui si fida: me, i vicini e Hilda, ma a quanto pare devo aggiungere anche te all’elenco.”

“Mi ritengo onorato allora. Grazie bel micione.” Aveva detto rivolgendosi al gatto; lei nel frattempo aveva ripreso con le sue faccende in cucina e lui aveva cercato di rompere il ghiaccio parlando un po’ di sé. “Sai, non ho mai avuto animali, nonostante li adori.”

“Come mai?”

Stava funzionando. “Perché non ho mai avuto la possibilità di averne. Anche quando abitavo nel New York. Non avevamo i soldi per mantenerli. Però facevo il dog sitter per guadagnare.”

“Ah.. e così non sei di qui?”

“No, sono nato e cresciuto nel Bronx; mi sono trasferito qui da poco.”

“Ah, non lo sapevo.”

“Ora lo sai.. Ma adesso basta parlare di me. Raccontami qualcosa di te.”

“Beh, di me non è che ci sia molto da dire: come vedi vivo da sola, ho un gatto, e sono un habitué del Café della signora Callaway; vado ancora a scuola e poi.. e poi basta.”

“Basta?! Niente amici? Ragazzo? Hobby? Sport?”

“Miseria, quante domande! Io non ti ho messo sotto torchio.”

“Allora facciamo una a testa. Ad esempio io per la domanda amici ti rispondo subito: non conosco quasi nessuno della mia età, qui non ho amici, ma ne avevo nella grande mela. È vero parlo volentieri con i clienti del locale, ma non esco con loro. E quindi anche niente ragazza.

“Io ho poche amiche, non esco spesso con loro: non sono proprio una di quelle persone che si definiscono loquaci. Come hobby ho la lettura, ascoltare musica, passeggiare e andare a cavallo nel bosco. Niente sport.”

“E stai sviando la domanda più interessante… Ragazzo??” Ovviamente se ne era accorto, il suo scopo primario era farla rispondere a quella domanda; e così il malandato tentativo di Violet di sorvolare sull’argomento non era passato inosservato.

“La risposta mi sembra ovvia: Ovvio che non ho il ragazzo. Strano che tu non ci sia arrivato da quello che ti ho appena detto e da quello sai di me.”

“Non mi sembra poi così tanto ovvio; altrimenti non te lo avrei chiesto. Insomma potresti benissimo averlo come non averlo il ragazzo, potresti persino averlo a distanza.”

La concentrazione di Nathan su quella domanda andava ad aggiungersi alla sua lista. Era interesse. Ma di che tipo? Per una scappatella o sveltina o per una cosa seria? Quel dubbio riempiva la mente di Violet mentre preparava le porzioni di pasta. Ormai tanto valeva porgli la domanda che le ronzava insistente per la testa e attendere una risposta, senza sapere bene cosa sperare.

“Ma tu, esattamente, da me cosa vuoi?”

Una cosa era certa, Nathan non si aspettava una domanda del genere, ma ora che gliel’aveva posta era tempo di mettere le carte in tavola. “Violet io credo che tu mi piaccia, non so dirti bene perché però.. cioè non ti conosco, ma mi intrighi; mi ritrovo a pensare a te senza saperne il motivo, ed ad aspettare di vederti entrare al Tabard Inn.

Eppure non è che sei stata particolarmente gentile con me fino a poco fa, anzi, potrei benissimo dire il contrario. Però mi incuriosisci; voglio conoscerti meglio, vorrei conoscerti meglio, spero che tu me ne dia la possibilità, perché sono davvero interessato.”

Nathan aveva svuotato il sacco; aveva detto tutto quello che gli passava per la testa, senza pensare alle conseguenze, senza pensare a quello che Violet avrebbe potuto dire o anche solo pensare.

Quella confessione aveva scombussolato del tutto Violet, sentiva contorcersi le budella, una stretta allo stomaco. Addio fame. Fissava la pasta davanti a lei, mentre lui aveva iniziato a mangiare il suo piatto.

“Non so cosa dire. ”

“Beh se non altro non è un no secco o un vattene fuori da casa mia..”

“Sì, ma.. ”

“Ma?!”

“Ma io non so cosa voglio da te Nathan. Non ho mai avuto interesse ad approfondire le amicizie maschili in quel senso; anche perché oltre a Ricky non ho mai avuto nessuno e poi davvero non so..”

“Conoscermi non credo ti possa fare male; se poi vedi che proprio mi odi, prometto di lasciar perdere, non sono così masochista.”

Masochista. Si era definito così, come se fosse consapevole che si stava facendo del male, come se sapesse che la sua era una partita persa in partenza, perché lei non gli avrebbe permesso di andare oltre quella cena.

Lei non voleva sentire il peso della sua sofferenza sulle spalle, sapeva che non era gentile precludere a una persona la possibilità di farsi conoscere.

Ma era quello che lei faceva da tutta la vita. Non dava la possibilità agli altri di superare la sua muraglia. Quella stessa muraglia che, quando stava conoscendo Nathan, cadeva a pezzi.

“D’accordo. Ma io non ti prometto niente. E non farti troppe illusioni.”

Nathan non rispose a parole, ma il sorriso che fece valse più di mille parole. Si stava già illudendo, il caro ragazzo.

Violet aveva ripreso appetito e la cena era continuata tra chiacchiere innocenti, niente di troppo personale, solo argomenti leggeri e discorsivi. Variavano dalla musica al cibo, dal cinema ai libri e dagli animali ai posti che avrebbero voluto visitare almeno una volta nella vita.

I ragazzi parlando scoprirono così di avere molte più cose in comune di quante avessero mai pensato e lentamente si stavano avvicinando.

Per Violet questo bastava, ma per Nathan?

Non dava segni di impazienza, ma con la sua mente era già volato, proiettato in un futuro del quale stava costruendo, mattone per mattone, le fondamenta della loro storia; ma doveva andarci piano, ne era consapevole.

Ad averlo distratto erano state quelle labbra, morbide e lucide, che si muovevano quasi in una danza sinuosa mentre parlavano. Violet possedeva più sex appeal di quanto avesse mai potuto immaginare e lui ne era sempre più coinvolto. 

Lavati i piatti e rimesso ogni cosa al proprio posto si erano fatte quasi le sei, e lui doveva andare per iniziare il turno di lavoro.

Violet lo aveva accompagnato alla porta e lui stava per uscire.

“Sai cos’ho imparato io a New York?”

“No.. cosa?”

“Questo..” L’aveva attirata a sé e baciata con delicatezza, cingendole la schiena con un braccio e con la mano libera le aveva scostato i capelli dal volto per farsi spazio. Nel giro di pochi secondi era tutto concluso, ma a Violet sembrava fosse passata un’eternità. Come se il tempo si fosse fermato. Un dolce bacio l’avvolgeva e non le faceva più percepire la realtà che le stava intorno. Molto meglio del bacio nei suoi sogni.

Pendeva letteralmente da quelle labbra, e non solo per l’altezza spropositata di Nathan rispetto a lei, ma anche perché quello era stato il suo primo bacio. 

Era ancora rincitrullita da quel trambusto proveniente dal suo petto; il suo cuore pompava sangue ad una velocità assurda, come se di lì a poco sarebbe dovuto scoppiare.

Guardava fissa nei suoi occhi senza dire niente e rimasero così per un po’. La stretta delle braccia di Nathan era salda e Violet era sicura che avrebbe potuto spezzarla in due se avesse aumentato la morsa di punto in bianco, ma lui non lo fece; anzi, allentò la presa e lei si sentì barcollare, come se quell’appiglio sicuro, mancando, le facesse perdere la stabilità e la tranquillità che da una vita desiderava di provare.

Nonostante avesse allentato la presa, Nathan aveva mantenuto un dolce abbraccio, la sua mano ancora poggiata sul volto e lo sguardo fisso nei suoi occhi.

“Ora devo andare. A presto Violet Peterson.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


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Capitolo 9

 

Capitolo 9

 

 

“Ora devo andare. A presto Violet Peterson.”

 

 

E così era uscito di scena piantandola lì, in preda ad uno stato comatoso, che se non fosse stato per le unghie di Leo nei pollicioni sarebbe durato all’infinito.

“Ahia!” aveva urlato Violet, riprendendosi di colpo da quel suo stato di trance, nel quale era sprofondata per dei lunghissimi minuti.

Pulcione, perché mi mordi? Sei forse geloso che la mamma abbia fatto conquiste?” Se il gatto avesse potuto, le avrebbe alzato un sopracciglio scettico e a quell’idea Violet scoppiò a ridere di gusto. E si rese conto che non rideva così da tanto. Davvero tanto tempo.

Da quando Ricky si era trasferito.

 

Lei e Ricky non si sentivano da parecchio tempo.

Lui era il suo amichetto d’infanzia, il bambino con il quale giocava e passava i pomeriggi al parco sotto l’occhio vigile dei genitori di lui.

Avevano sempre paura che lui si potesse fare male, perché nato con le ossa più fragili del normale.

Ma non per questo non gli permettevano di andare a giocare al parco con gli altri bambini, solo pretendevano di essere lì, vicini, ma non troppo; così nell’eventualità che si fosse fatto male sarebbero potuti intervenire con tempestività ed aiutarlo.

Si vedevano tutti i giorni a scuola e anche dopo; giocavano e facevano i compiti insieme, condividendo la stessa passione per i libri e si ritrovavano anche solo per leggere in silenzio sul divano di casa.

Erano praticamente inseparabili. Ma un giorno lui le diede una brutta notizia: dovevano trasferirsi. La madre aveva assunto un ruolo di rilievo in una società di Import-Export la cui sede era a St. Louis; quel posto di lavoro le offriva un maggior guadagno e anche maggiori privilegi: insomma era un’occasione da non perdere!  

Così all’età di quattordici anni dovettero separarsi e questo incrinò, e non poco, la loro amicizia nonostante per un bel po’ si erano sentiti regolarmente anche con la distanza.

Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che l’aveva sentito.

Un anno?.. o due forse?! Non se lo ricordava nemmeno.

In quel momento Violet fece una cosa del tutto istintiva: prese il cellulare e compose il suo numero.

Col fiato sospeso sperava in una risposta ascoltando quel sordo suono che le ricordava di essere in attesa.

 

“Pronto?”

“Ciao Ricky sono Violet.. ti ricordi di me?”

“Qual buon vento! Certo che mi ricordo di te! Come potrei dimenticare la mia piccola e burbera ?! Anche se devo ammettere che era una vita che non ti facevi sentire.”

“Hai ragione Rick; non so nemmeno io come abbia potuto far passare così tanto tempo.”

“Lo so io, piccina. Non ti è mai andato giù che mi fossi trasferito e le telefonate e le videochiamate a distanza non erano abbastanza per te.. Un po’ è stata anche colpa mia.”

“Non ti colpevolizzare Ricky. Non hai avuto scelta. Non posso darti la colpa.”

“Ma lo hai fatto, anche se non lo ammetti.”

“Sì, forse è così.” Lui la conosceva davvero quella testolina matta, perché in effetti era davvero come diceva lui. Violet gli dava la colpa per essersene andato, per averla abbandonata in balia degli altri; lasciandola da sola senza la sua spalla a cui appoggiarsi.

“Comunque. A cosa devo quest’improvvisa e alquanto mattiniera telefonata?”

“Hai ragione! Scusa mi ero dimenticata che lì a St. Louis siete un paio di orette indietro… Sorry!”

“Non ti preoccupare . Dimmi però che cosa ti turba.”

“Nathan.”

“Il tuo ragazzo?”

“No no!”

“Ti piace?”

“Non lo so..”

“Eccoci dunque al punto.”

“Uffa Ricky, come vorrei che tu fossi qui ad aiutarmi come facevi una volta.”

“Bambi, non so cosa posso fare per questo. Però ti posso sempre consigliare per telefono.”

 

Dal tono preoccupato con il quale aveva iniziato la chiamata, Violet era passata ad uno più rilassato e distesa sul suo letto venne disturbata solo dalla sua sveglia che, senza remore, aveva spento e si era abbandonata ai racconti di tutto il tempo perso con il suo migliore amico.

Avrebbe saltato la scuola quel giorno, ma poco le importava. Aveva davvero bisogno di parlare con il suo Rick.

Così fino a che lui non fu costretto ad interrompere la telefonata per recarsi al lavoro dal padre, continuarono a raccontarsi quello che si erano persi l’uno dell’altra.

 

Erano le nove ormai e Violet a casa non aveva niente di meglio da fare che poltrire sul divano; così si alzò e uscì, diretta verso il Tabard Inn.

Sentiva la stretta alle budella aumentare ad ogni passo che accorciava la distanza con il locale, ma testarda come al solito era impuntata con le sue idee e per questo aveva preso posto al suo solito tavolo all’angolo, sorridendo allo sguardo dolce della signora Callaway.

 

“Avevo detto a presto, ma non intendevo così presto!” Ecco il suo sorriso smagliante accanto al suo tavolo.

“Non sei ancora il centro dei miei pensieri caro mio. Sono qui per la colazione.”

“Allora provvediamo subito!” Con un gesto teatrale aveva tirato fuori il taccuino per le ordinazioni e aveva assunto un’aria molto seria e professionale. “Mi dica signorina, cosa le servo?”

“Il solito.”

Penna alla mano era pronto a scrivere l’ordinazione, ma ad un tratto si era bloccato. “Ancora il solito? Non sei un po’ stufa di prendere la stessa cosa tutti i giorni?”

“No, proprio no. Il mio muffin è buono a tutte le ore!”

“Non ti va di variare?”

“Nah.. sono a posto così.”

“Ti fidi di me?” Non aveva intenzione di demordere: era più cocciuto di un mulo e quella testardaggine a Violet ricordava tanto la sua.

“Sì e no.”

“Lo prendo come un sì. Non te ne pentirai, vedrai.” E così, come era apparso, se ne era andato.

 

Quell’insolita mattina aveva raggiunto il culmine con l’arrivo del piatto a sorpresa.

“Eccoci qua! Preparato con le mie mani!” Con questa introduzione e  lo sguardo soddisfatto, le aveva presentato un piatto dall’aspetto e dal profumo spettacolare: Pancakes con sciroppo abbondante e zucchero a velo.

E nell’altra mano reggeva un cappuccino con del cacao a forma di cuore spruzzato sopra.

I pancakes ancora fumanti emanavano un profumino davvero invitante. Non era mai valsa così tanto la pena fidarsi di qualcuno.

Violet era affascinata e sinceramente sorpresa in positivo, per la prima volta dopo tanto tempo.

Con voracità nello sguardo osservava quelle leccornie, quasi dimenticandosi di mangiarle.

 

“Che aspetti? Guarda che si freddano.”

“Osservavo. Non ho fretta.” E intanto si ritagliava un abbondante boccone.

 

Doppia sorpresa: lo sciroppo era ai mirtilli.

 

Con sguardo adorante Violet si rivolse a Nathan. Non sapeva nemmeno cosa dire e lui la anticipò. “Lo sapevo che avresti apprezzato!” e con un gran sorriso si era seduto di fronte a lei.

“Tu sei il diavolo. Maledetto tentatore che mi fa peccare di gola.” Gli aveva riferito, additandolo con la forchetta.

“Sempre dispensatrice di complimenti, huh?” Sorrise

“Non più del necessario. Solo se sono più che leciti.”

“Adesso fai anche la spessa?”

Mmmm..” non riusciva a emettere altro, evidentemente in brodo di giuggiole mentre masticava con soddisfazione quella colazione squisita.

Mmm.. interessante. È la prima volta che qualcuno preferisce i miei pancakes ai miei baci.”

A quella frase Violet si era quasi strozzata. Aveva sentito bene?

C-come scusa?”

“Hai capito benissimo. Non eri così soddisfatta dopo avermi baciato, sembra che tu provi più piacere con i miei pancakes.”

“Beh si vede che loro sono più dolci e teneri di te.”

“Ah sì?!” Con uno scatto felino si era sporto dalla sedia accanto a quella della ragazza; alla quale, ora, aveva rubato un altro bacio.

Questa volta quel bacio non sembrava volesse essere interrotto dai due giovani, ma un colpo di tosse palesemente forzato ricordò a Nathan che doveva tornare al lavoro. Sogghignando il giovane si era alzato e aveva sussurrato all’orecchio di Violet “Allora chi è più dolce? Io o loro?” a quella domanda provocatrice Violet non aveva risposto.

Soltanto una volta finita la colazione si era alzata e fatta coraggio per dirigersi al bancone e sussurrare a sua volta. “Decisamente i pancakes.” E così cercando di assumere il fare più spigliato possibile si era avviata verso la biblioteca.

 

***

 

Maledetta febbre.

Dopo giorni senza vedere Nathan, Violet era un po’ in astinenza di quel suo luminoso sorriso, che si presentava ad ogni occasione. Il sorriso era una caratteristica che, secondo lei, lo contraddistingueva: era così spontaneo e luminoso e da qualche giorno, ogni volta che realizzava che quello spettacolo era rivolto a lei, sentiva aumentare la temperatura corporea e le guance tingersi di rosso.

Pensava e ripensava a quel ragazzo che, le doleva ammetterlo ma, si stava ritagliando un posticino nel suo cuore. Sentiva che non avrebbe avuto molto scampo ancora, alle volte si distraeva persino dallo studio pensando a lui e così non essendo concentrata ci impiegava il doppio del tempo.

Pensava che non vedendolo avrebbe dato pace al suo animo tormentato, invece otteneva l’effetto contrario: aumentava in lei solo il senso di solitudine.

 

Il tavolo di colpo aveva incominciato a vibrare e lei venne risvegliata dai suoi pensieri.

 

Incoming call: Ricky

 

“Pronto?”

“Hey ! Ciao, come stai?!”

“Ciao Rick! Io sto e tu?”

“Anche io sto… ma sto benissimo!!!”

“Mi fa piacere. Almeno uno dei due è in forma.”

Sìsì. Sono molto in forma! Non mi chiedi perché?!”

“Tanto me lo diresti lo stesso..”

“Hai ragione! Here it comes Baby: Torno a casaaaaaaaaaaaaaaaa!”

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah! Davvero?!? Quando!?!”

Sììììììì! Ne stavo parlando ieri con i miei e mi hanno detto che posso prendermi qualche giorno di vacanza e venire a trovarti. Non sei contenta?!?”

“Scherzi?! Sono contentissima! È una vita che non ti vedo in carne ed ossa, chissà come sarai cambiato!”

“Già, in effetti sono cresciuto un po’! Eheh, vedessi adesso quanto sono alto.. e non sono più tanto gracilino come una volta.”

“E così ti sei fatto uomo! E bravo bel biondino, farai strage di ragazze immagino.”

“Abbastanza, e ho scoperto che essere un topo di biblioteca ha anche i suoi vantaggi: vedo tanti visini carini tra gli scaffali dei libri.”

“Attento che divento gelosa! Tu sei il Mio Rick!”

“Vale lo stesso per te! Con quei tuoi begli occhioni da cerbiatta, ammalierai sicuramente quegli ormoni ambulanti, che più comunemente vengono chiamati ragazzi! E in più devo ancora approvare questo Nathan! Dai dai, com’è? Descrivimelo un po’..”

“No dai, mi imbarazza.. e poi credo di essere un po’ di parte e quindi potrei enfatizzare qualche descrizione. Preferisco che lo veda tu dal vivo.”

“E va bene. Allora aspetterò un po’ ancora prima di vederlo. Non molto però; ho trovato un volo a buon prezzo che parte alle sette da qui domani, per cui arriverò a Cleveland per le tue otto. Riesci a venire a prendermi?”

“Ehm.. non credo. Non ho la macchina..”

“Non servi a nulla, mia cara.”

“Grazie Rick. Molto gentile.”

“Ma non ti preoccupare, Bambi. Ho trovato anche un pullman che parte dalla stazione e arriva in piazza a West Newbury. Ci vorranno un paio d’ore in più, ma secondo i miei calcoli dovrei essere lì per le dieci e venti massimo.”

“Ottimo! Mi sembra proprio che tu abbia pianificato tutto per bene. Sarò lì ad aspettarti.”

“Non vedo l’oraaaaaa!” urlarono all’unisono e scoppiarono, di conseguenza, in una fragorosa risata. E così tra le risa era terminata quella telefonata che aveva riempito d’allegria l’animo di Violet.

 

In serata aveva terminato di portarsi avanti con lo studio; non poteva rimanere indietro ancora: era l’ultimo anno e doveva rimanere a pari e preparata in previsione degli esami, e in quel periodo si stava già concedendo troppe distrazioni. Prima Nathan, che le ingombrava ormai buona parte del suo cervello, e ora anche Ricky che tornava a trovarla.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


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Capitolo 10

 

Capitolo 10

 

 

Dieci e quindici.

Violet era lì, in attesa di quel pullman. L’arrivo di Ricky era imminente e, come se fosse necessario ricordarglielo, lui le aveva mandato un sms dicendole che sarebbe arrivato di lì a poco.

 

Un pullman grigio scuro entrò in quel momento nella piazza del paese.

Con un sonoro sbuffo si aprirono le porte. Poche persone ne uscirono: coppiette di anziani che si incamminavano lentamente a braccetto e per ultimo quello che doveva essere lui: un ragazzo alto e biondo che teneva in mano un borsone verde scuro.

 

Dalla panchina dove era seduta, era partita correndo per buttarsi tra le braccia aperte di quel biondo che le rivolgeva un solare sorriso.

“Ciao ! Cavoli, fatti guardare!” Con una mano le aveva fatto fare un giro su se stessa. “Non ti ricordavo così bella!”

“Senti chi parla, il futuro bagnino di Baywatch!”

“Mamma mia, quanto mi sei mancata!” sorrise e con un abbraccio tanto forte da stritolarla, l’aveva stretta a sé, ricordando con piacere quel profumo che non era cambiato da quando se ne era andato.

Violet sapeva di fresco, di primavera, un profumo che stuzzicava il palato e che faceva sentire leggeri, come se tutte le preoccupazioni fossero passate.

Tutte quelle altrui però, perché Violet in quell’esile corpicino racchiudeva tutte le preoccupazioni del mondo.

“Mi stai stritolando Rick!” cercava di farsi spazio in quella morsa creata dalle muscolose braccia del ragazzo. “Mi sei mancato anche tu! Dai, vieni andiamo a casa mia che posi tue cose, e poi usciamo che ti offro la colazione.”

“A casa tua?!”

“Sì, non te l’avevo detto? Beh sono una giovane emancipata. Ora lo sai.”

“Sei incorreggibile ! Fai sempre di testa tua!”

“E come fai a mantenerti andando ancora a scuola?”

“Facile. Ho trovato un lavoro al supermercato in paese e l’affitto del monolocale me lo paga la scuola, visto che mi definiscono una sorta di genio.”

“Ah però. Noto con piacere che hai ancora il tuo istinto calcolatore. Spero solo che tu lo metta da parte ogni tanto..”

“Work in progress.. non con tutti però.. solo con Nathan.. con lui i miei calcoli non funzionano. Mi spiazza sempre.”

“Anche se è passato tanto tempo dall’ultima volta che ti sono stato davvero vicino, non sei cambiata. Eri una streghetta già da piccola e ora sei soltanto cresciuta.”

“I casi della vita. Io mi ricordavo di averti lasciato brutto anatroccolo e ora mi ritrovo a braccetto di un bel figone!”

“C’è chi cresce e cambia, .” Ironizzò il biondino, facendo sorridere la sua amica.

 

Arrivati al monolocale, Ricky aveva buttato la sua borsa ai piedi del letto e aveva stretto amicizia con Leo. Dopo un momento di diffidenza, il micione si era lasciato coccolare e non si staccava più da Rick. Violet aveva dovuto tirarglielo via di dosso per permettergli di uscire.

 

“Dove mi porti per colazione?”

“Da Hilda”

“Sì, che bello! Chissà se mi riconoscerà.”

“Lo vedremo subito.”

 

E così entrati al locale, Violet si era subito diretta al suo tavolo dove si stava dirigendo una ragazzina emo-punk con delle cuffie enormi, che la isolavano completamente dal mondo.

“Scusa, è occupato.” Aveva detto superandola e piazzandosi sulla sua sedia. E con un sorriso stirato aveva cercato di apparire meno odiosa. La ragazzina le aveva rivolto uno sguardo di disprezzo e si era diretta al bancone.

, sei davvero perfida! Non si ruba il posto alle ragazzine!”

“Era lei che lo stava rubando a me.” Gli fece una linguaccia.

“Ripeto: sei incorreggibile. Allora quando mi fai vedere questo Nathan?! Sono davvero curioso.”

Ssshh! Abbassa la voce. Lo vedrai presto.. più presto di quanto immagini.” Aveva risposto Violet irrigidendosi, vedendo la figura di un ragazzo nero, alto, muscoloso e con aria dubbiosa stampata in faccia.

“È lui?” Sussurrò furtivo Rick.

Violet, ormai una statua di marmo, aveva solamente annuito.

“Bene bene bene. Ci penso io.” Ghignò l’amico.

 

“Buongiorno ragazzi. Che vi porto?” Nonostante l’aria sospettosa, Nate aveva mantenuto una certa disinvoltura. Doveva rimanere professionale, anche se nel suo cervello si ripeteva come un disco inceppato la domanda - Chi cazzo è questo qua!? -

Non poteva certo mettersi a fare scenate in mezzo al locale, durante il suo turno di lavoro: avrebbe perso il posto e non solo, avrebbe perso anche Violet. E questo non poteva proprio permetterselo.

“Buongiorno. Io prendo un espresso e un croissant alla crema e per lei latte caldo e un muffin ai mirtilli.”

“Benissimo. Tra poco sarò di ritorno con le vostre ordinazioni.” Serrando la mascella era tornato da dove era venuto.

 

La signora Callaway li osservava dall’alto della sua postazione, ovviamente senza farsi notare. Tutto il contrario di Nathan, che si era incantato a guardare quella che ormai lui considerava la sua Violet, seduta al tavolo con un altro ragazzo. Un bel ragazzo per giunta.

Numerosi dubbi iniziavano ad insinuarsi nella mente del ragazzo, mentre lui si disperava cercando di mettervi fine preparando le ordinazioni.

“Signora Callaway, chi è quel ragazzo seduto con Violet?”

“Allora non sono l’unica a chiederselo.. Davvero non lo so caro, però ha un non so che di famigliare.”

“Ehm.. quello lì non me la racconta giusta.”

“Suvvia Nathan, non sarai già geloso? Non è da Violet uscire con due ragazzi contemporaneamente.”

“Il fatto è che non so se noi stiamo uscendo.”

“Ma direi proprio di sì, visto il bacio appassionato dell’altro giorno. A proposito: per quanto io sia un’inguaribile romantica ancora alla mia età, preferirei che non vi lasciaste andare così durante il tuo turno di lavoro. A me fa piacere vedervi felici, ma alle vecchie bisbetiche di paese un po’ meno. Eh ragazzo mio, l’invidia è una brutta bestia.”

“D’accordo signora Callaway. Farò in modo che non accada più.”

“Bravo ragazzo. Comunque chiamami Hilda. Sentirmi ripetere signora ogni due per tre mi fa sentire vecchia. E ora vai a finire le ordinazioni, prima che il latte si cagli.”

“D’accordo, Hilda.”

 

“Un osso duro il tuo ragazzo.”

“Non è il mio ragazzo.”

“Quello che è. Non ha dato segno di gelosia. A parte la mascella tirata, non si è scomposto di un minimo.”

“Si vede che non gli interesso poi così tanto.” Cercò di camuffare il suo turbamento.

“Non credo sai, da come sta confabulando con Hilda e da come mi fissa direi che sta morendo di gelosia.”

“Ci manca solo che faccia una scenata in pubblico e poi non gli rivolgerò più la parola.”

“Credo che lo sappia. Altrimenti, qualsiasi ragazzo dotato di un sistema ormonale come si deve, avrebbe come minimo fatto qualche frecciatina. Credo che non voglia imbarazzarti.”

“Ma come fai a dire tutte queste cose?”

“Elementare Watson. Sono un maschio anche io!”

“Ma non sono tutti come te, bello mio.”

“Su questo non posso darti torto, ma vedrai che ho ragione io, TESORO.” Ricky aveva calcato apposta sull’ultima parola per far sì che Nathan sentisse.

Sperava in una reazione del ragazzo, ma anche questa volta lui non diede alcun segno di cedimento. Aveva portato al tavolo le ordinazioni, senza dire niente oltre al “Buon Appetito” di rito.

 

Terminata la colazione e lasciato i soldi sul tavolo, Violet e Ricky si erano diretti verso il bosco per una passeggiata, ma poi avevano ripiegato verso l’appartamento della ragazza. Ricky soffriva il freddo e la stanchezza del viaggio e voleva riposare al caldo. Per pranzo un panino del chiosco vicino a casa, e sul divano avevano trascorso il resto della giornata.

Violet aveva raccontato della sua emancipazione, espresso i suoi dubbi su Nathan e aveva totalmente abbassato le barriere che solitamente la circondavano. Con Ricky non servivano, lui la conosceva per come era davvero e così non aveva il timore di mostrarsi a lui.

Ricky aveva raccontato dei suoi trattamenti e delle sue cure per rinforzare le ossa che, fortunatamente, già dopo lo sviluppo avevano iniziato a irrobustirsi.

Totalmente presi dai loro racconti si erano dimenticati della cena e stanchi per la giornata si erano preparati per dormire.

 

“Ehi , solo una domanda: ma io dove dormo?”

“Con me; come quando eravamo piccoli.”

“Come?”

“Come quando eravamo piccoli. Andiamo Rick, non fare lo scemo: non è cambiato niente tra noi. Siamo sempre i due teneri bambini che dormivano nel lettino della tua cameretta.”

“D’accordo, ma niente gatto attaccato addosso. Mi fa venire caldo.”

“E va bene, ma solo perché sei tu. Leo dormirà sulla poltrona.” Aveva risposto infilandosi sotto le coperte e facendo spazio per il suo migliore amico.

Lui senza ulteriori indugi si era sdraiato accanto a lei e la guardava negli occhi. “C’è qualcosa di diverso nel  tuo sguardo.”

“Cosa intendi dire?” aveva sussurrato in  risposta la ragazza.

“Voglio dire che è come se tutta la tua stranezza, fosse ancora più strana. Non prendermi per idiota, ma eri davvero una bambina particolare. Ma ora più guardo i tuoi occhi e più mi sembra di vedere la fiamma che prima animava il tuo sguardo affievolita. Che cos’è successo ?”

“Sono cresciuta. Non sono più una bambina e sono un po’ cambiata..”

“Non è solo quello. Non può essere solo quello. È come se fossi distante, nonostante tu sia qua vicino. Come se ti fossi isolata.”

“È così.. Non ho veri amici Rick, non ne ho mai avuti molti. Da quando te ne sei andato ho deciso di non affezionarmi più a nessuno, e mi sono un po’ rinchiusa in me stessa.” Aveva confessato Violet.

 

Ricky non pensava di averle causato tutta quella sofferenza con la sua partenza. Era proprio vero che quando si è dei ragazzini non si da il giusto peso alle conseguenze delle proprie azioni.

Istintivamente l’aveva stretta e sé e sussurrandole un “Mi dispiace, Bambi. Ora sono qui. Dormiamo che siamo stanchi..” con un bacio sulla fronte per buona notte, nel giro di pochi minuti, così abbracciati si erano addormentati.

In quell’abbraccio caldo e silenzioso i due avevano annullato quegli anni che li avevano separati. Era come se fossero stati insieme tutto il tempo.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


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Capitolo 11

 

Capitolo 11

 

Il risveglio quel mattino era stato dei più dolci per Violet. Non si era mai sentita così bene e al sicuro. Avvolta in quell’abbraccio, respirava con possesso il profumo del biondo che giaceva accanto a lei.

Rick era cambiato tantissimo: era diventato alto e molto più robusto dello scricciolo che era quando era partito. Aveva le braccia muscolose che davano un forte senso di sicurezza, e i tratti del volto non erano più così fini come una volta. Era davvero un bel ragazzo. Nonostante questo Violet, ora come ora, aveva occhi solo per Nathan; Ricky era solo il suo Rick: il suo fratellone che gli era mancato come mai nessuno prima d’ora.

 

“Buongiorno Bambi.”

“Buongiorno.”

“Ma che ore sono?”

“Sono le cinque del mattino.”

“Cavoli se siamo mattinieri!”

“Eh già.”

“Ho bisogno di una doccia. Vado subito e poi ti lascio libero il bagno, ok?”

“Certo, ma datti una lavata anche ai denti che non un alito molto fresco.” Aveva ironizzato Violet.

“Ha parlato bocca di rosa!” E così era iniziato uno dei loro scherzosi botta e risposta.

 

“Dai vatti a lavare che poi facciamo colazione a casa e dopo ti porto a salutare i vecchi compagni.”

“Si, bella idea!”

 

Ricky aveva fatto la doccia e, mettendo in bella mostra i suoi pettorali ancora con solo l’asciugamano in vita, stava preparando la colazione.

Violet era appena uscita dalla doccia e avevano bussato alla porta quando lei era ancora in accappatoio.

 

“Sicuramente è lui.” Sorrise sardonico Ricky.

“Allora, nasconditi! Non mi sembra il caso che ti.. CI veda così.”

“Non ti preoccupare. Sarò invisibile.” Le aveva assicurato l’amico prima che lei aprisse la porta.

 

“Hey Violet!”

“Ciao Nathan!”

“Sono passato a trovarti solo per sapere come stavi. Stamattina mi sono svegliato pensandoti.” In realtà, Nate aveva rimuginato tutta la sera su chi potesse essere quel ragazzo che si era presentato al Café con lei quella mattina. L’intesa di sguardi tra di lui e Violet era palese e ne era fortemente ingelosito: avrebbe mai avuto la stessa confidenza?
Poi aveva sentito abbastanza quella mattina con quei nomignoli: bello mio.. Tesoro.. ma che legame c’era tra quei due?!
Non sopportando di passare un altro giorno nel dubbio, aveva deciso di passare da lei prima del lavoro, nella speranza di trovarla sveglia.

“Molto carino da parte tua. Credo.”

“Per scusarmi del disturbo ti ho anche portato questi..” con la mano che teneva dietro alla schiena, le stava porgendo dei fiori di bianco spino. “E per dirla tutta non è solo per nobiltà d’animo che sono passato.. volevo..”

 

, sono quasi pronte le uova!” aveva urlato Ricky, sporgendosi volutamente, alle spalle di un’ignara Violet. Aveva fatto in modo che Nathan lo vedesse, così da farlo reagire.

 

Le mani della ragazza stavano raggiungendo quei fiori, ma il gesto di Nathan venne interrotto da quell’esclamazione che proveniva dalle sue spalle. Lui si era fermato. E di scatto aveva buttato per terra i fiori che le aveva portato.

Lei li aveva fissati mentre, ai suoi occhi, cadevano al rallentatore e istintivamente si era chinata a raccoglierli.

In quelli che sembravano lunghissimi istanti, Nathan se ne era andato e lei era rimasta come un’idiota sulla soglia di casa, fissando i fiori che con quell’impatto si erano rovinati. Una mano si era poggiata sulla sua spalla e riconoscendo di chi fosse, era montato in lei un forte senso di rabbia.

 

“L’hai fatto apposta.”

“Sì. Volevo essere sicuro di quello che pensavo.” Rick non vedeva ragione per cui nascondere le motivazioni del suo agire.

“E dimmi: che cosa stavi pensando esattamente?”

“Pensavo che non avrei mai saputo se il suo interesse era sincero se non lo avessi fatto reagire.”

“E direi che ora ha reagito. E ce l’ha con me. Chissà che cosa starà pensando..”

“Sta pensando che sei una stronza e che lo hai messo da parte per un bambolotto biondo”

“Beh grazie per la sincerità non richiesta.” Violet si era alzata di scatto ed era corsa all’armadio. Aveva tirato fuori le prime cose che le erano capitate in mano: un maglioncino e un paio di jeans. Con l’armamentario in mano era corsa in bagno, senza dare spiegazioni e si stava vestendo in fretta e furia per uscire e rincorrere Nathan.

Era pronta in due minuti e fuori di casa in ancora meno tempo. 
Doveva correre, solamente correre dal suo Nathan per sistemare quel casino che quello stupido di Rick aveva creato. 
Vedendo quei fiori cadere aveva sentito qualcosa incrinarsi in lei. Come se iniziasse ad essere consapevole che poteva perderlo.

Ormai non aveva più via di scampo. Aveva ammesso che Nathan era parte del suo cuore. Non aveva più senso negare. 
Se non sistemava al più presto quel malinteso rischiava veramente di perderlo. E lui era la cosa migliore che le fosse mai capitata da anni. Non valeva la pena rinchiudersi in se stessi sapendo che cosa c’era in gioco. 

Se si fosse rintanata ancora nelle sue stupide convinzioni, non avrebbe mai avuto la possibilità di sentire Nathan vicino, accanto a lei, di nuovo.

Già dopo qualche metro di corsa sentiva la gola bruciare e pungere per il freddo.  


Mentre correva, senza diminuire il passo nonostante il freddo la facesse sentire un ghiacciolo, stava finalmente ammettendo i suoi sentimenti nei confronti di Nathan.

Lui occupava ormai un’importante parte del suo cuore. Non aveva più senso nasconderlo. Lo avrebbe perso se non avesse fatto qualcosa.

Quella riflessione l’aveva portata a fare quello che stava facendo.

Quando ripensava ai fiori a pezzi sul pavimento sentiva incrinarsi qualcosa in lei. Come se quei fiori delicati rappresentassero il loro legame e lei sentisse che Nathan stesse facendo mille passi indietro, abbandonando quel ponte che li univa. Era suo compito attraversarlo e riportarlo a bordo.

 

Lo vide davanti a lei camminando con fare svogliato e prendendo a calci gli ultimi blocchetti di neve che si stavano sciogliendo.

 

“Nathan!” Aveva urlato nella speranza che lui si fermasse. Niente, non accennava nemmeno a ridurre il passo.

Ci aveva provato, ma niente. Le restava solo una cosa da fare: accelerare e superarlo, frapponendosi fra lui e la sua destinazione. 

Raccogliendo le ultime energie, gli si era parata davanti ansimando. “Cavoli Nathan, sei duro di orecchi! Ho urlato il tuo nome, ma hai fatto come se niente fosse.” 

Lui la fissava, ma rimaneva in silenzio. Tratteneva tutte le parole poco fini che gli passavano per la mente. Abbassando lo sguardo si era deciso a scansarla, ma Violet aveva annullato le distanze appoggiandogli una mano sul petto per fermarlo e per sentirlo ancora vicino.

“Nathan non era ciò che sembrava.”

“Non è come sembra? Che cazzo stai blaterando Violet?!” stava alzando la voce dando sfogo alla sua gelosia. “Mi sembra chiaro ciò che ho visto: dopo che ve la siete spassata tutta la notte, lui ti prepara anche la colazione. Beh almeno posso dire che mi hai messo da parte per un gentiluomo.”

“Nathan non dire cavolate e smettila di urlare!” Asserì lei risoluta.

“Allora che cos’era?” La interrogò con tono scettico. Era convinto che lei avrebbe accampato qualche scusa; lei stava per ribattere quando lui prese nuovamente la parola “Violet, non voglio essere preso in giro. Piuttosto non dire niente e torna a casa da lui.”

Una sottile sofferenza poteva essere scorta negli occhi di ghiaccio della ragazza. “Nathan, davvero, credimi. Io non sono così. Non voglio che tu pensi una cosa del genere.”

“Così come?”

“Così.. facile. Quel ragazzo è Ricky, quello stupido del mio migliore amico. Non siamo niente di più. Ti prego di credermi.” Non ci poteva credere: lei, Violet Peterson, stava pregando un ragazzo di darle retta. Dove era finita la donna dal cuore di ghiaccio?

Semplicemente non lo era mai stata. In silenzio, negli anni, aveva incassato il colpo dell’essere abbandonata e ne aveva sofferto fino a far diventare quella sofferenza il suo pane quotidiano. 
La solitudine si era impossessata quasi completamente di lei, ma Nathan era la sua ancora di salvezza: giunto a farle da appiglio per aiutarla a risalire da quell’abisso.  

Come per aggrapparsi più forte a quell’ancora aveva poggiato anche l’altra mano sul petto di Nathan.



Nel profondo Nathan stava godendo di quell’accenno di contatto che si era venuto a creare. Non poteva cedere così in fretta, nonostante la tentazione di stringerla tra le sue braccia fosse forte.

“Devo fidarmi? Non facile credere a quello che mi stai dicendo. Eravate mezzi nudi e tu avevi lo sguardo felice.. quindi facendo due più due..”

“No! Non devi fare due più due! Te l’ho detto che non c’è niente fra me e lui. Stava facendo il cretino per vedere come reagivi.”

“Perché?”

“Perché non era sicuro che tu tenessi veramente a me..”

“E chi è lui per sapere cosa provo o penso io?!? Per me non è nessuno. E poi scusa come fa a dirlo se non mi conosce nemmeno e mi ha visto solo una volta?!”

“Non lo so.. gliel’ho detto che era stato uno stupido e che quello che aveva fatto non aveva senso.”

“Quindi voi due non..??”

“NO.”

“Bene.”

“Non potrei mai farti questo adesso.”

“Adesso?”

“Sì. Prima quando hai buttato i fiori per terra, ho sentito che ti stavi allontanando, e forse per sempre..”

 
Lo aveva detto davvero o stava sognando?! Con gli occhi sgranati Nathan la fissava e lei aveva sfoderato un sorriso un sorriso imbarazzato. 

Non riusciva a tenerle il muso. Non era abbastanza orgoglioso. Ma c’era lei a compensare quella sua mancanza: aveva orgoglio per entrambi e bastava anche per qualcun altro.

 

Ormai ferma da qualche minuto, Violet aveva iniziato a tremare.

“Ma guardati! Tu sei tutta matta! Stai tremando come una foglia!” Nathan si slacciò la giacca e inglobò dolcemente quel piccolo scricciolo tremolante. “Vieni qui sciocchina o ti prendi un accidente.” Senza giacca, né sciarpa né niente, a metà gennaio, quando ancora si congelava, quella matta lo aveva rincorso. Rischiava di ammalarsi, ma al momento quello non era importante per Violet.

 

Violet era ben contenta di farsi circondare da quelle braccia forti. Con la faccia appoggiata al petto del ragazzo ne assaporava il particolare profumo. Sapeva di spezie: di cannella e di pinoli tostati. Odori che le trasmettevano un senso di protezione e di casa. Tra i suoi mille pensieri passava anche quello che si sarebbe potuta abituare facilmente a quelle sensazioni.

 

“Allora mi credi?” chiese Violet alzando lo sguardo per fissarlo in quegli occhi colore dell’ebano.

Sinceramente curiosa, sperava in una risposta positiva che non tardò ad arrivare, ma con l’aggiunta di una piccola clausola.

“Sì, ma voglio che tu mi dimostri davvero quello che dici, voglio che tu sia convinta di quello che stai facendo. Io sono sinceramente interessato, ma non so se tu lo sei altrettanto. E io non voglio illudermi” – anche se l’ho già fatto - aveva aggiunto mentalmente.

- Perché  sarei qui secondo te?? Credi che sia così matta da mettermi a correre al gelo dietro a uno che non mi interessa?? – non poteva però dirgli una cosa del genere. Il tono irriverente non era dei migliori in quel caso. Non se lo meritava; era lei quella nel “torto”. 

Ora toccava a lei prendere l’iniziativa. Lui gliel’aveva detto chiaramente. 

Così con un salto si avvinghiò a lui come una scimmia, e fortunatamente Nathan aveva i riflessi pronti, altrimenti sarebbe finita col sedere per terra. 

Per non farla cadere aveva incrociato le mani sotto al suo sedere e lei era visibilmente arrossita.

Era così bella con quel rossore sulle guance che le faceva risaltare gli zigomi poco marcati.

 

Violet, essendo alle sue prime esperienze, doveva pur partire da qualcosa e, aveva deciso di ispirarsi alle protagonista dei romanzi d’amore che mandavano in tempesta ormonale le adolescenti. Doveva suggellare la pace fatta con il suo bello e qual era il modo migliore per farlo??


Un bacio.

Un vero bacio.

Dapprima dolce e innocente, dovuto all’inesperienza di lei, si era approfondito grazie a Nathan. Con un briciolo d’invadenza, si era fatto spazio fra quelle labbra, ancora morbide nonostante il freddo, e lei incerta gli aveva lasciato carta bianca. Le loro lingue si intrecciavano a ritmo lento, come il loro avvicinamento; si stavano concedendo con calma l’uno all’altra abbattendo tutte, o quasi, le barriere che li dividevano.

Quel loro dolce bacio si prolungava nel tempo, che per Violet si era fermato appena iniziato il contatto delle loro labbra.

 

Ancora aggrappata a lui si fissavano, guardandosi dritti negli occhi, come se stessero giocando a chi ride prima. In quel caso la prima a cedere sarebbe stata lei, ma Violet era scoppiata a ridere, non per gioco, ma per imbarazzo misto a gioia: aveva realizzato quello che aveva fatto e pensando ai suoi soliti atteggiamenti, quello era decisamente fuori dagli schemi. Non lo avrebbe mai fatto qualche tempo prima, ma ora felicissima di averlo fatto. 

Sentiva un leggero sfarfallino nello stomaco e una totale leggerezza d’animo. Era felice. In quel momento lo era davvero e non le importava nient’altro.

 

Era successo davvero. Era tutto vero! 

Nathan non se lo aspettava di certo, ma non si era fatto cogliere impreparato. Aveva risposto subito al contatto di Violet. Quella ragazza lo sorprendeva sempre: sia in positivo che in negativo, ma quello era decisamente il primo caso.
Quel bacio era stato del tutto inaspettato e anche del tutto gradito. Gli aveva trasmesso con una scarica che aumentava la sua attrazione la moretta. Quel bacio gli aveva dato la consapevolezza della fiamma di Violet: quella ragazza nonostante la sua freddezza bruciava di passione. 

Ora immerso in quegli occhi di ghiaccio, godeva di tutte quelle sensazioni e della sua risata.

“Non pensavo di essere così scarso da farti ridere.” Sogghignava, ma lei ora gli sorrideva solamente.

“Allora faccio davvero così ridere??”

“Stavo pensando ai tuoi pancakes.. Quasi quasi, in questo, momento preferisco loro..”

“Ma sei incredibile! Prova a convincermi e stamattina potrei prepararteli.” Le aveva proposto facendole l’occhiolino.

“Sei proprio il diavolo tentatore!”

“E tu saresti l’acqua santa?!” e senza darle il tempo di ribattere le aveva stampato un bacio a fior di labbra.

“Sono proprio una debole peccatrice..” aveva sentenziato lei dando segno di volersi divincolare dalla presa di Nathan.

“Dove credi di andare? Adesso che ti ho preso non ti lascio scappare molto facilmente!” e con un’andatura un po’ goffa aveva ripreso  a camminare.

 

“Mi stai portando nella tana del lupo?” Violet aveva una strana luce negli occhi mentre glielo chiedeva. Aveva paura di spingersi oltre quanto aveva già fatto e Nathan intuendolo l’aveva rassicurata senza perdere il suo spirito.

“Hey! Frena mangiatrice di uomini. Non sono ancora pronto per questo! Non ho nemmeno il tuo numero di telefono e devo ancora portarti a cena fuori. Non posso concedermi così presto!”

Alle sue parole, sembrava che Violet avesse tirato un sospiro di sollievo e anche se nel suo cervello si stesse insinuando il dubbio che lui si stesse prendendo gioco di lei, in quel momento, per gratitudine gli aveva solamente sorriso.

 

Aprendo il locale, la signora Callaway che li aveva visti arrivare così non poteva far altro che sorridere. Era una visione talmente surreale: Violet vista di schiena, avvinghiata a Nathan che avanzava col sorriso sulle labbra. Sorridendo aveva fissato la porta così da permettergli il passaggio.

 

“Forza scimmia scendi dalla pianta!”

“Solo se Tarzan mi promette una colazione coi fiocchi.”

“Tarzan? Io sarei l’uomo rude della giungla? No, ma grazie! Allora tu sarai la mia Cita.”

“Perché non Jane?”

“Perché preferisco le scimmiette che mi saltano in braccio senza preavviso.”

“E ti piace baciare le scimmie?”

“Solo se si chiamano Violet Peterson.” E con quella frase si era guadagnato un altro bacio che lo lasciò sorpreso. Non pensava che Violet fosse capace di lasciarsi trasportare così dalle emozioni. In più ora riusciva anche a scherzare con lei. Non se l’era ancora presa, nonostante il suo comportamento che di solito la irritava.

“Scimpanzé, siediti che tra poco arrivo con tutto pronto.”

Con sguardo supplicante aveva cercato quello di Hilda per avere il suo assenso, che lei gli aveva cordialmente dato con un cenno del capo.

 

Dopo essersi gustata quella colazione con i fiocchi Violet era tornata a casa, dove c’era Ricky, con i bagagli pronti ad aspettarla.

“Ma dove credi di andare?”

Ricky la fissava attonito: avrebbe giurato che lei lo avrebbe scacciato arrabbiata all’ennesima potenza.

“Credevo mi buttassi fuori a calci per quello che ho fatto..”

“No.. oggi mi sento particolarmente magnanima. Sebbene non ti abbia ancora perdonato per l’imboscata, non voglio che te ne vada. Non sei rimasto nemmeno due giorni e non voglio lasciarti andare senza fare pace. Per cui ho deciso che rimarrai qualche giorno in più." 

“Immagino di non aver diritto di oppormi, vero?”

“Esattamente. E adesso muoviti che abbiamo un pullman da prendere.. oggi ti porto a scuola!”

Con un braccio a cingerle le spalle e lei affettuosamente accoccolata a lui, trascorsero in silenzio il viaggio, facendo così pace a modo loro.


A scuola, i loro vecchi amici erano tutti meravigliati di vedere Ricky e altrettanto nel vedere una Violet sorridente e quasi spensierata. 

Era molto diversa dalla ragazza fredda, distante e per niente interessata alle relazioni interpersonali. Era palesemente evidente che la presenza del suo migliore amico le facesse bene.

Alcuni avevano persino ipotizzato che tra i due ci fosse una tresca, ma Ricky aveva smentito qualsiasi voce dicendo che purtroppo era arrivato troppo tardi. Lasciando così un alone di mistero intorno alla vita sentimentale di Violet. Nessuno però aveva il coraggio di chiedere chi fosse il fortunato o malcapitato – a seconda dei punti di vista – e Violet era felice di questo: non voleva che le venissero fatte domande in generale, figuriamoci così personali. 

In quel frangente doveva proprio ringraziare il suo caratterino per niente facile da avvicinare.

 

Al rientro da quell’alternativa giornata di scuola era sollevata per aver fatto pace con Ricky e perché pensava che finalmente la vita aveva cominciato a sorriderle. Sarebbe stata pronta lei a ricambiare?

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Cap.13

Cap. 12

 

Avevano passato quattro giorni insieme ormai, e per Ricky era giunta l’ora di tornare a casa.
Con Violet aveva chiarito tutto mentre con Nathan non aveva ancora parlato e non voleva far sapere a Violet che era intenzionato a farlo. Quello che si sarebbero detti doveva rimanere tra loro due.
Con una scusa aveva convinto l’ignara moretta ad andare a scuola tranquilla e lui avrebbe preso il pullman delle undici e venti e uscendo avrebbe lasciato le chiavi di casa alla signora McKyle con la quale era già d’accordo. L’anziana signora avrebbe fatto questo ed altro per la sua adorata Violet.
Alle sette lei era vestita, lavata e pronta e stava per uscire scambiando gli ultimi saluti con il suo migliore amico.

“Fai buon viaggio e non metterti nei guai Rick!”

“Certo Vi! Non ti preoccupare sono un bravo ragazzo, io. Sono talmente bravo che ho deciso di chiamarti quando arrivo a casa.”

“Mi sembra il minimo!”

“Eheh.. Passa una buona giornata Bambi!” e con questo ultimo saluto l’aveva stretta a se per poi spedirla fuori dalla porta neanche fosse lui il padrone di casa.
Chiusa fuori non poteva far altro che andare a prendere il suo pullman.

 
 

Verso le nove Ricky era uscito di casa e si era diretto al Tabard Inn.

 

Come in un film western con tanto della tipica musichetta, Nathan e il baldo biondo avevano iniziato a fissarsi ed erano pronti a fare fuoco.
Scacciata quella visione Ricky si era avvicinato al bancone, dove ad attenderlo c’era un più che indaffarato Nathan.

 

“Nate?..”

“Nathan. Non siamo amici.” Quella faccia da schiaffi lo chiamava anche per nomignoli?? Ecco uno dei tanti pensieri irreverenti di Nathan, ma era meglio mantenere le distanze e i ribadire i giusti limiti. Non voleva di certo fare a botte, come avrebbe risolto suo fratello. No, non era da lui.

“Come ti pare, NATHAN.”

“Tu devi essere il migliore amico di Violet..”

“In carne ed ossa. Ho un paio di cose da dirti.. hai un momento?”

Meglio essere diplomatici. Era pur sempre amico di Violet e visto che lei le aveva spiegato che non doveva preoccuparsi, tanto valeva apparire ragionevoli e dargli il beneficio del dubbio. La sua scimmietta doveva averci pur visto qualcosa se lo reputava il suo migliore amico. “D’accordo. Intanto cosa ti preparo? Un espresso?”

“Si, grazie. Che buona memoria! Ti aspetto al tavolo di Violet.”

“Va bene.. Fammi finire dei tavoli e poi sono libero.”

Osservava di sottecchi il biondino allontanarsi e nonostante la diffidenza che provava nei suoi confronti era sinceramente incuriosito da quella “particolare” richiesta.

 

“Ho dieci minuti di pausa. Dimmi.” Nathan aveva cercato di non essere freddo, ma più lo guardava e più gli tornava in mente l’immagine di lui con solo un asciugamano addosso e gli veniva il nervoso. Ma forse doveva anche ringraziarlo; se non fosse stato per quello scontro, Violet non lo avrebbe mai rincorso e lui si sarebbe perso quella confidenza che era nata.

“Stai attento con lei. Lei è un fiore delicato e l’ho già fatta soffrire io abbastanza. Guai a te se le fai del male.” Era molto serio, e si poteva scorgere una nota di risentimento nel suo sguardo.

“Si. Non ho alcuna intenzione di ferirla.”

“Ecco. Ti conviene, perché sappi che se la sento piangere per te, io vengo qui e ti spacco la faccia.”

“Ehi, vacci piano tigre! Già non dovresti importi così tra di noi.. è vero che sei il suo migliore amico, ma sei una presenza alquanto ingombrante.”

“Io ho tutto il diritto di impormi così, come dici tu. Devo rimediare alla mia assenza. Ci tengo troppo a lei per sentirla soffrire ancora. Adesso io devo andarmene di nuovo e lei ci starà male, penso, anzi ne sono certo. Voglio essere sicuro di lasciarla in buone mani.”

“Capisco il tuo punto di vista, ma non giustifico le tue parole. Come hai detto tu: Sei tu quello che se ne va, non io. Io rimarrò qui. Non ho intenzione di andarmene.” Ecco l’occasione buona per marcare il suo territorio. Non era una caccia, ma Violet era sua. 

“Stalle vicino. Stasera va da lei e portale dei biscotti o del gelato. Le tireranno su il morale.”

“Ok.”

“Bene.”

“Sai non mi aspettavo che fossi così. Credevo che fossi il solito stronzo con manie di possesso sulle ragazze, ma tu.. mi costa dirlo ma.. ci tieni davvero e vedo che hai anche una certa influenza su di lei. L’ho vista sorridere sincera quando era con te.”

“Beh, anche io credevo la stessa cosa di te. Per quello ho fatto apposta a farmi vedere a casa sua. Se avessi avuto ragione, l’avrei messa in pericolo, alla tua mercé. Sono stato un po’ avventato e meno male che mi ero sbagliato. I pregiudizi mi fregano qualche volta.”

“Non le avrei mai torto un capello.” Nathan aveva sorvolato sulla storia dei pregiudizi, non era il caso di infierire, tanto più che lui aveva ammesso il suo errore. Arrabbiarsi non avrebbe fatto altro che far crescere dei dubbi tra quei capelli biondi.

“Ci vedremo presto, spero. Alla prossima Nate. Ah comunque io sono Ricky.”

“Ti direi che il piacere è stato mio, ma non è stato molto bello vederti in quelle circostanze. Rick.”

“Ahahahah! Mi piace la tua sincerità. Avevo fatto quello che mi sembrava necessario.”

“Si, lo so. Violet me lo ha detto. Abbiamo chiarito come sono andate le cose e voglio fidarmi di lei.”

“Ehi ti devo pagare il caffè.”

“Lascia perdere. Te lo offre la casa.”

“A quanto pare sei un bravo ragazzo Nate, te lo devo riconoscere.” Senza lasciargli il tempo di ribattere, Ricky stava già aprendo la porta del locale. Il tipico scampanellio della porta accompagnava così la sua uscita in grande stile.

Entrambi tenevano a Violet, però ora solo Nathan sarebbe rimasto per lei, e aveva la “benedizione” di Ricky. Non che ne avesse realmente bisogno, ma avere l’appoggio di una persona che conosceva bene Violet non era un’idea così ripugnante.

 

 

 

Ricky se ne era andato e a Violet la sua casa, per quanto fosse piccola, le appariva desolata, vuota.
A scuola aveva riiniziato a salutare gli amici di un tempo, ma niente più delle solita quattro chiacchiere di cortesia.

 

La primavera era ormai alle porte e i piccoli bucaneve facevano capolino fra i prati ancora innevati.
Soffiava una leggera brezza che faceva oscillare dolcemente i lunghi capelli di Violet, mentre sovrappensiero aspettava l’autobus.
Ancora quattro ore e mezza e avrebbe visto Nathan.
Quel bel ragazzone dai capelli corvini e corti, le labbra carnose sempre distese in un gioviale sorriso; con le mani nelle tasche dei quei jeans larghi evidentemente consumati dal tempo e quel giaccone nero che lo faceva sembrare ancora più grande e grosso.
Ma… lo vedeva davanti a lei, oltre la strada, sul marciapiede, oppure aveva solo una fervida e molto realistica immaginazione?!
No no, era del tutto vero e ora stava attraversando e procedendo verso di lei.

 

“Ciao Violet!” e si era chinato per darle un bacio, ma lei si era scostata all’ultimo, concedendogli soltanto la guancia.

Ora si che era stranito. Che la sua non fosse stata una buona idea?

“Ciao Nathan.” Gli aveva risposto con un tono imbarazzato. “Che ci fai qui?” aveva velocemente aggiunto a bassa voce, sentendosi circondata da mille occhi indagatori.

“Ok, forse non è stata una buona idea.. Se vuoi posso far finta che ti ho incontrato per caso e me ne vado..” Nathan aveva notato di essere il centro dell’attenzione insieme a Violet e che lei era tesa.

“No! Non è quello.. è che non sono abituata.” Non le piaceva essere sotto i riflettori, ma non voleva rinunciare alla compagnia di Nathan per colpa di una delle sue paturnie. Era passata solo una settimana dall’ultima volta che lo aveva visto.

“Sicura? Non voglio renderti il gossip del momento.”

Violet si era presa una pausa per rispondere e poi mandando al diavolo tutto e tutti aveva intrecciato le sue dita con quelle del suo cavaliere. “Sicura” e gli aveva sorriso.

“D’accordo, dai andiamo che è arrivato il nostro pullman.” E mano nella mano erano saliti su quel vecchio e malconcio autobus quasi pieno.

Non c’era nemmeno un posto a due dove sedersi. Non volendo separarsi aveva stretto la mano a quella di Nathan e lui aveva ricambiato, ma si guardarono con la consapevolezza che dovevano sedere lontani.

Nathan le aveva lasciato uno dei primi posti accanto ad una cara signora che si era addormentata, così non l’avrebbe sicuramente importunata e lei avrebbe potuto continuare il viaggio tranquilla. Era andato così avanti a cercarsi un posto.

 

“Ehi bel fusto!” aveva urlato un’appariscente bionda, truccata e vestita come se dovesse andare a ballare, invece che a farsi una cultura a scuola.

Era abituato a quel tipo di spettacolo. Nel Bronx era quasi la quotidianità.
Si era seduto accanto al classico nerd snobbato da tutti e aveva ignorato quella ragazza nella vana speranza che lei lo lasciasse perdere.

“Dico a te bel cioccolatino!” la tinta persisteva, alzandosi e piazzandosi di fianco a lui stando in piedi, sicura sui suoi tacchi, nel corridoio tra i sedili.

“Sei muto per caso?! Madre Natura ti ha dotato un così bel faccino e non di una voce.. davvero un peccato.”

Nathan non voleva ribattere a quella ragazza; non aveva niente da dirle e stare al suo gioco sarebbe stato controproducente.

 

 

Violet ascoltava e osservava a distanza quella scena riflessa nello specchio dell’autista. Vedere quella gallina avvicinarsi a Nathan con decisione le faceva montare la rabbia. Stava maledicendo quella ragazza nota in tutta la scuola per i suoi facili costumi. Non poteva importunare e buttarsi sul nuovo arrivato. Il suo Nathan era off-limits. E come si permetteva di chiamarlo bel cioccolatino?!

 
 

“Sei nuovo di queste parti?”

“No.” Solo ora Nathan si era degnato di una risposta.

“Strano. Non ti ho mai visto prima. E io conosco tutti da queste parti. Non mi sarei di certo persa un bocconcino come te. Sicuro di non aver bisogno di una guida? Sono esperta dei dintorni. E non solo..” ammiccava in modo davvero sfacciato.

“Non sono interessato, grazie.”

“Non sei interessato?”

 

“No, non lo è, Megan.” Violet era intervenuta non riuscendo più a trattenersi ascoltando con quale sfacciataggine stava flirtando con lui.

“Violet... Cara non mi sembra di aver chiesto a te.”

“E a me non sembra che lui sia interessato. Nathan andiamo, vieni a sederti avanti, la signora accanto a me è appena scesa.”

 

“Arrivo subito piccola.” Non era il caso di chiamarla scimmietta in quel momento.

 

“E così la nostra scorbutica Violet si è trovata un ragazzo. Non sapevo avesse smesso con il suo credo da verginella frigida. Prima Ricky e ora lui.. impara in fretta la piccola.” Megan stava dando spettacolo rivolgendosi a tutto il pullman e facendo ridere quelle oche della sua combriccola.
Violet non ribatteva, si era irrigidita nelle spalle e aveva stretto i pugni.

“Se hai bisogno di qualche consiglio pratico sai dove trovarmi. Sai che sono una buona samaritana in fondo.” Megan continuava così la sua arringa.

 

“Non rivolgerti più a lei così. Mettiti al tuo posto e lasciaci in pace.” Nathan era intervenuto come un prode cavaliere a salvare la sua bella.
Senza dire altro aveva accompagnato Violet al posto e le aveva lasciato il sedile vicino al finestrino, dove lei si era rintanata senza proferire parola. Era visibilmente irrigidita e non accennava a parlare almeno per il resto del viaggio. Evidentemente le parole di quella Megan l’avevano disturbata anche se non voleva darlo a vedere. La sua scorza non era impermeabile, non le scivolava tutto addosso. Aveva abbassato la guardia.

“Ehi..” l’approccio di Nathan era delicato: con due dita le aveva preso il mento e l’aveva voltata verso di se.

Lo spettacolo era davvero triste: gli occhi erano lucidi e leggermente arrossati. Sarebbe scoppiata prima o poi.
Non c’erano parole che potevano farle cambiare il suo stato d’animo.
L’aveva abbracciata e stretta a se e lei appoggiata alla sua forte spalla si era lasciata andare.
Lacrime silenziose scorrevano sul suo viso, lei le aveva prontamente asciugate cercando di nascondere l’evidenza e lui le aveva depositato un dolce bacio fra i capelli.

 
 

Scesi dal pullman avevano camminato in silenzio e lei si era tranquillizzata. E aveva smesso di piangere.
Sulla porta di casa Violet lo aveva invitato ad entrare, ma lui aveva gentilmente declinato l’offerta, strappandole un invito a cena e il numero di telefono.

“Violet, non permettere mai che le parole degli altri spengano la luce che c’è in te. Tu sei una piccola leonessa e devi lottare con le unghie e con i denti per rimanere ciò che sei. Non devi farti influenzare. Sei bellissima così come sei, e quella Megan mi fa solo pietà. Non ha rispetto per se stessa e non sarei mai andato con una come lei. A me interessi solo tu.”

Con un leggero bacio l’aveva lasciata alla sua serata divisa tra gelato e coccole con il suo Leo.

 

Neanche il tempo di arrivare a casa e Nathan sentiva già la mancanza di Violet.
Non voleva starle troppo addosso ma la tentazione era troppo forte: ora che aveva il suo numero poteva chiamarla quando voleva.
Ma si sa la fretta è cattiva consigliera. Così come compromesso aveva deciso di aspettare di essere pronto per andare a letto per chiamarla.
 

“Pronto?”

“Ehi scimmietta. Sono Nathan.”

“Ciao Nate.” La sentiva sorridere dall’altra parte della cornetta.

“Wow. Ora sono Nate! Facciamo progressi.”

“Si.. Decisamente non sei il rude uomo della giungla. Ne ho la conferma ogni momento di più.”

“Mmmm.. ed è positiva come cosa, spero.”

“Si lo è.”

“Bene.. però tu rimani la mia scimmietta.”

“Pff.. devo essere per forza un animale peloso, puzzolente e con le pulci?”

“Ahahahahaahahahahah!”

“Tu ridi, intanto io sono la pulciona!” anche lei rideva sotto i baffi. Quella scenetta era troppo comica.

“Ahahahahha! Ma dai che scimmietta è così carino! E poi ragiona con me: gattina o micia sono troppo scontati, tigrotta non va bene perché sei piccolina in confronto a me e non mi piace molto e pulcino non ti si addice perché sai essere dispettosa e ti arrampichi in braccio alla gente.. quindi come vedi niente ti calza più a pennello di scimmietta. Tu sei la mia scimmietta.”

“Essia. Solo che se tu non sei Tarzan io adesso non so come chiamarti.. ci dovrò pensare.”

“D’accordo. Pensaci con calma però, perché io voglio un bel soprannome..”

“Ahahahah! Lo avrai, lo avrai.”

“Bene. Per ora Nate mi basta.”

 “Nate..”

“Dimmi scimmietta.”

“Quanti anni hai?”

“Sono io quello che dovrebbe preoccuparsi per l’età, non tu. Sono io che rischio di passare per maniaco se esco con una ragazza troppo piccola.”

“Tranquillo. Non corri quel rischio con me. A meno che tu non abbia in programma di uscire con qualcun’altra.”

“Qualcuno ha bisogno di un po’ di amor proprio?”

“Mmh.. può darsi..”

“Bene allora vediamo di dire le cose chiaramente: non voglio uscire con nessun’altra all’infuori di te. Chiaro il concetto?”

“Chiarissimo.” E Nathan la sentiva sogghignare dall’altra parte della cornetta.

“Perfida. Lo hai fatto apposta.”

“Comunque tornando alla tua domanda.. Ho 21 anni.”

“Sembri più vecchio.”

“Grazie, spiritosona!”

“Ahahahahah! Scusa, ma morivo dalla voglia di dirlo.”

“Va bè dai solo perché sei tu ti perdono.”

“Grazie.. Dai raccontami di te.”

“Eh.. scimmietta non c’è molto da dire di me.. sono così come mi vedi. Non ho molto da fare qui: lavoro da Hilda e poi aiuto con i traslochi o gli scarichi di merci pesanti per recuperare qualche soldo in più. voglio prendere una macchina, anche di quarta mano, basta che si muova.”

“E della tua vita a New York? Come mai te ne sei andato?”

Violet aveva toccato un tasto dolente; la pausa di Nathan prima di rispondere ne era un segno evidente. Voleva dirgli di non rispondere, ma non ce la faceva. Aveva paura di quello che poteva dirle, ma voleva sapere. La sua solita voglia di avere tutto sotto controllo stava prevalendo.

“Della mia vita a New York… io non la definirei vita quella..” solo a pensare al suo passato gli si stringeva lo stomaco.

“Nate non sei obbligato a parlarmene..” davvero non voleva obbligarlo, ma lei voleva anche sapere. Rimanere all’oscuro di tutto era anche comodo, ma era da vigliacchi e spesso portata a sconvenienti conseguenze. Ma anche sapere spesso non era bello.

 
Un’altra lunga pausa occupava lo scorrere dei minuti.

Nathan ripensava a quello che aveva abbandonato. I ricordi lo schiacciavano e iniziava a sentire come un peso sul petto.
Violet ascoltava il rumore del respiro di Nathan e sentiva come l’impulso di cambiare argomento, ma Nathan l’anticipò.

“Ho abbandonato tutto perché non ce la facevo più. Non era vita quella. Odiavo tutto quello che mi stava attorno e non mi piace provare rabbia nei confronti di quello che mi circonda. Non riuscivo più ad alzarmi la mattina con il sorriso. Non riuscivo più a guardare mio fratello Ryan negli occhi senza provare disprezzo. Ormai l’unica cosa che condividevamo era lo stesso tetto. La signora del piano terra mi ha insegnato a leggere e scrivere e a scuola non imparavo granché.
E poi c’era la gang del quartiere e non volevo farne parte; mi hanno picchiato parecchie volte per farmici entrare, ma non ho ceduto. Un giorno sono persino tornato a casa con un paio di costole incrinate e visto che mi ero fatto male, le ho prese anche da mia madre. Ryan è entrato a far parte della gang alla prima opportunità, gli interessava solo fare soldi per giocare a fare il ricco in un quartiere pieno di miseria. .
Poi un giorno ho trovato la mia sorellina Jackie che giocava con la pistola di mio fratello. Non ci ho visto più e già in quell’occasione avevo giurato a me stesso che me ne sarei andato e che l’avrei portata via con me. Non ho ancora mantenuto la promessa..
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la rapina che mio fratello ha fatto. È tornato a casa con un buco nella pancia. Per pagare le cure dell’ospedale sono dovuto uscire a pagamento con delle donne di alto borgo. Mi faceva a dir poco schifo e ho promesso che non sarei mai più uscito con una donna se non fosse stato per amore. Lavoravo e nascondevo i soldi in una buca al parco per non tenerli a casa. E ora sono qui.. ho trovato casa, un piccolo trilocale e un lavoro..”

Violet era ammutolita. Non sapeva cosa dire di fronte a quella sconfortante realtà, che era stata la vita di Nathan. Quel ragazzo ne aveva passate di cotte e di crude e ancora aveva fiducia nel prossimo.
Non voleva infilare il coltello nella piaga più di quanto non avesse già fatto e forse cambiare argomento era la cosa migliore.. sicuramente era anche l’unica cosa che le passava per la testa.

“Nate… grazie per oggi. Non era necessario che tu rispondessi a Megan. Ora ce l’avrà a morte con te oltre che con me.”

In silenzio Nathan la ringraziò di quella delicatezza e le rispose seriamente “Può avercela con me quanto le pare. A me non interessa. Quelle parole non te le meritavi e non potevo stare zitto. Solo a sentirle, mi è montata dentro la rabbia per te.”

“Non volevo che tu mi vedessi piangere.”

“Non ti preoccupare. Capita a tutti di piangere ed io non sono qui certo a giudicarti per quello. Piangere serve a sfogarsi e tu ne avevi bisogno. Quindi stai tranquilla.”

“Nate.. Perché sei così buono?” Violet non capiva tutta quella fiducia nel prossimo che aveva Nathan, non la capiva prima, figuriamoci adesso che conosceva il suo passato.

“Mmh. Bella domanda. Credo di essere sempre stato così.”

“Non so cosa ti spinge ad esserlo ma.. bè.. non cambiare.”

“Non lo farò.”

Era davvero un ragazzo particolare, forse più unico che raro. Se ne rendeva conto ogni giorno di più. aveva tutto quello che mancava a lei; la completava in sostanza.
Stava diventando pian piano parte integrante della sua vita. le faceva piacere e quel sentimento tanto desiderato da Nathan stava crescendo in lei.

Come la primavera, stava sbocciando il loro amore.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


cap. 14

Cap. 13

 

Buongiorno scimmietta. Ti auguro una buona giornata. Non riesco a passare a salutarti perché sono in ritardo massimo. Devo aprire io il locale che Hilda oggi va a togliersi il gesso. =)
Un bacio. Nate.

 

Buongiorno anche a te Nate. =)
Ci vediamo presto, non ti preoccupare. Passo io dopo il lavoro, come al solito. Così poi ci organizziamo per la cena. Sono curiosa di scoprire cosa hai in mente.

 

Quel messaggio l’aveva accompagnata per tutta la giornata. Ogni volta che lo rileggeva, le spuntava il sorriso sulle labbra e a scuola, evitando Megan tutto era andato per il meglio.
Durante la pausa pranzo aveva letto la risposta di Nathan.
 

Hehe. Di certo non ti confesso niente ora. Altrimenti ti rovino la sorpresa. ;)
Stasera ci mettiamo solo d’accordo per il quando e non ti dirò altro.

 

Violet passò il pomeriggio a pensare che cosa stesse macchinando Nathan e le venivano in mente le idee più svariate. Se una cosa era certa era che non le mancava la fantasia. Ma tutte quelle idee e le conseguenti aspettative che si venivano a creare potevano risultare pericolose, anche solo per il semplice fatto che solitamente il mondo dei sogni è migliore della realtà.

 

Mi stanno venendo in mente troppe cose.. non vorrei che mi si creassero troppe aspettative. Dimmi almeno il posto così almeno limiterò la mia fantasia.

 

Neanche per sogno. Correrò il rischio. Andrò contro le tue aspettative e sarò io a vincere. E ora concentrati che tra poco devi lavorare. Non pensarci troppo e vedrai che tutto sarà perfetto. =)

 

Pff.. d’accordo. Mi fido di te. A dopo. =)

 

 
 

Quel pomeriggio al locale Nathan, Violet e Hilda ridevano insieme. Non era un pomeriggio pieno di lavoro; si poteva benissimo dire il contrario: in tutto nel locale si contavano sette persone, loro tre compresi, e una volta serviti i clienti rimaneva il tempo di parlare ridere e scherzare.
 

E poi c’era un piano di cui Violet era all’oscuro.
Nathan aveva convinto la signora Callaway ad aiutarlo per l’appuntamento e da buona romanticona quale era non era riuscita a negargli niente.
In più c’era il fatto che da quando Violet frequentava Nathan era rinata. Era più solare, e meno arrabbiata col mondo. Quando arrivava al locale, si sedeva sempre al suo tavolo, quello non lo avrebbe mai ceduto, ma non indossava più quelle cuffiette che le servivano da isolante nei confronti degli altri. Ora ascoltava e sorrideva alle battute che il giovane cameriere faceva ai clienti e quando lo guardava aveva gli occhi che brillavano.

 

“Non resisteresti nemmeno un giorno..”

“Scommettiamo?”

“Ahahahah! Ma dai Nathan non fare lo sciocchino: lo sappiamo che non resisteresti una settimana intera senza nemmeno dare un bacio a Violet. Non ce la fai è inutile che vuoi scommettere. Tanto vinco io” Hilda aveva iniziato a prendere in giro amorevolmente il caro Nathan.

 

“No, ma prego fate come se io non ci fossi.” Scherzosamente Violet era intervenuta rendendosi così il centro dell’attenzione. Sia la signora Callaway che Nathan la guardarono e scoppiarono a ridere e il giovane si perse negli occhi chiari della ragazza.

 

“Hai ragione Hilda, non resisto nemmeno mezz’ora.” E sorrideva come un pesce lesso. Si stava avvicinando lentamente al volto di Violet, aveva già le labbra in posa quando lei lo fermò con un dito sulla bocca.

“A-A-A.. hai detto che resisti una settimana. Non puoi cedere adesso.”

Lui era rimasto impalato a guardarla poco convinto.
Notando la sua espressione scettica Violet era scoppiata a ridere e con lei la proprietaria del locale.

“Ahahahah! Parole tue caro Nathan.. devi stare attento a ciò che dici..”

“Esattamen-te” aveva asserito Violet e prima di che potesse finire di parlare si trovò sollevata dallo sgabello e sorretta dalle braccia di Nate.

“Ora come la mettiamo?” il ragazzo la punzecchiava mentre lei cercava di divincolarsi dalla sua morsa. Aveva liberato un braccio per poterla accarezzare lungo la schiena. Seguendo il solco della sua spina dorsale dall’alto verso il basso. A separare la pelle da quel contatto c’era solo un maglioncino leggero beige.
Violet aveva inarcato la schiena e aveva emesso un gemito sordo a labbra serrate che a Nathan non sfuggì. Aveva trovato un suo punto debole.
 

Quella decisa discesa che toccava vertebra per vertebra l’aveva fatta sussultare. Il cuore aveva saltato un battito e aveva sentito come un attimo di vuoto e di sollievo. Stupita anche lei dalla sua reazione aveva sbarrato gli occhi e aveva guardato Nathan con fare interrogativo.
In risposta lui le aveva solo sorriso. Aveva visto bene? Era un sorriso malizioso?

 

“È meglio che vi separiate ragazzi. E per sicurezza, stasera Violet tu vieni a casa con me. Rimani a cena.. Mi piace che ci sia passione tra i giovani, ma mi piace un po’ meno messa in pratica sotto il mio naso.” Hilda li aveva riportati alla realtà.

Una Violet a dir poco imbarazza si era liberata dalla presa di Nathan e si era riseduta sullo sgabello in silenzio e con lo sguardo basso.
Nathan era andato a pulire i tavoli che rimanevano da fare prima della chiusura e nel frattempo cercava di scacciare la voglia che era cresciuta in lui.
La signora Callaway aveva interrotto l’attimo, ma lui ne accusava ancora le conseguenze.
 

 

“Ok ora vi concedo un bacetto e poi Nathan te ne vai diretto a casa.” Lo aveva guardato severa Hilda e a quell’occhiata lui non poteva di certo disobbedire. Dopo un bacetto fugace il ragazzo aveva preso la via di casa e a loro volta le due donne.
Arrivata a casa la signora Callaway era stata assaltata da quei birbanti dei suoi nipoti nonostante venissero ripresi dalla loro mamma.
Violet osservava placida la scena e il sorriso le comparì automaticamente sulle labbra quando il più piccolo dei nipotini che le aveva circondato le gambe in un abbraccio sebbene non la conoscesse.

“Jack, birbante come te lo devo dire che non devi abbracciare tutti?? Nulla contro di te cara, ma devo insegnargli a non attaccarsi agli estranei. A proposito mamma potevi dirmelo che avevamo ospiti a cena; meno male che ho l’abitudine di preparare per un reggimento.. Comunque non ci siamo ancora presentate: io sono Linda.”

“Piacere, Violet.”

“E così tu sei la famosa Violet? Era ora che la portassi a cena mamma..” aveva detto Linda prendendo in braccio il piccolo Jack e dirigendosi verso la cucina.
Violet aveva lanciato un’occhiata interrogativa a Hilda che si era giustificata dicendo: 

“Diciamo che posso aver parlato qualche volta di te.”

 

A tavola era riunita tutta la famiglia con il nonno capotavola e alla sua destra la dolce metà con Violet accanto e dall’altro capo del tavolo c’era l’altro uomo di casa con alla sua sinistra Linda, e i due gemelli Paul e Cristine. Alla destra del marito di Linda sedeva il piccolo Jack.
Violet era al centro della tavolata e poteva osservare quella famiglia felice. Lei era l’intrusa a quella cena, ma nessuno dei presenti glielo faceva notare, anzi ognuno, in qualche modo, la coinvolgeva nella conversazione.
Era una bella sensazione: quell’atmosfera così gioviale e il chiacchiericcio facevano pensare di essere in uno di quei telefilm della famiglia perfetta. Ed era così. Più osservava la gente seduta al tavolo, più voleva far parte di quella famiglia così felice e omogenea. 

La cena era trascorsa velocemente e alla fine sentiva quasi la pancia scoppiare. L’avevano rimpinzata con la scusa che fosse l’ospite. Ma come poteva rifiutare davanti a tanta gentilezza??

 

Dopo la gran mangiata tutta la famiglia si era spostata nel salone, davanti al caminetto acceso. I bambini giocavano sul tappeto e i genitori li guardavano accoccolati sul divano; il nonno si era addormentato sulla poltrona e Hilda e Violet erano sedute al tavolo a sfogliare un album fotografico.

“Che bella famiglia che hai Hilda. Sono davvero contenta di essere venuta a cena qui stasera.”

“Grazie mille cara. Un giorno vedrai che avrai una famiglia così bella anche tu.”

“Non lo so sai. Tutta quest’armonia e tutta questa pace.. io non so se riuscirei a mantenerla così come fai tu.”

“Bisogna stringere un po’ i pugni, ma soprattutto ci vuole l’amore, piccina.”

“Eh.. l’amore.. Hilda che cos’è l’amore?”

“L'amore? L'amore mia cara non lo puoi semplicemente descrivere a parole.. L’amore è un insieme di tante cose: di parole, di gesti, di stati d’animo e sensazioni. Ti prende all’improvviso; la maggior parte delle volte non ti accorgi nemmeno subito, ti rendi solo conto che ti senti una persona diversa, migliore. 
L’amore è quando osservi il tuo compagno e sorridi anche se non sta facendo nulla di eclatante, come il mio caro Roger che adesso dorme in poltrona.
L’amore è quando ti senti completa con la persona che hai accanto e non puoi fare a meno di stargli vicino, anche se sono passati ben 47 anni di matrimonio.. mia figlia mi prende in giro dicendo che io e mio marito siamo ancora dei ragazzini, perché ci teniamo a braccetto sul divano guardando la tele. 
L’amore è quando con un bacio il tuo cuore accelera il suo regolare andamento e senti lo sfarfallio nello stomaco che assieme al calore e a un senso di pace ti pervade il corpo. L’amore è quando sei felice anche se ci sono mille problemi. L’amore lo senti quando lo provi gioia, come vedi non è una cosa definita."

“E tu provi tutte queste cose per tuo marito?”

“Io sono ancora follemente innamorata di mio marito. Come fosse il primo giorno di matrimonio nonostante ora non siamo più l’aitante coppia di un tempo e le rughe abbiano solcato indelebili i nostri volti e le delusioni ci abbiano indurito il cuore. Sono innamorata di lui perché ha visto in me quello che tutti gli altri non vedevano e amo lui perché è quello che cercavo io. È l’uomo giusto per me. L’uomo della mia vita.” La domanda di Violet era ingenua e la risposta di Hilda era, al contrario, matura e segno di un amore vissuto nel tempo accanto al marito che era sette anni più vecchio di lei.
La signora Callaway vedeva una Violet sempre più pensierosa; sapeva perché. Violet era innamorata di Nathan, glielo si leggeva in faccia, ma lei stava ancora cercando di capire che cosa la scombussolasse così tanto.

 

“Mamma vado a mettere a letto il piccolo Jack. Poi devo riaccompagnare a casa Violet?”

“Non ti preoccupare Linda. La porto io adesso.” E con un sorriso si era rivolta alla giovane “Andiamo Violet, ti accompagno a casa.” E così uscirono dalla quella casa che trasudava amore e gioia persino dal giardinetto, per il trattamento che gli era stato riservato, la cura con cui le piante erano state fatte crescere e piantate nel terreno.
 

Dopo neanche dieci minuti in macchina Violet era davanti al suo palazzo e dopo i cordiali saluti alla signora Callaway era salita in casa e si era buttata sul letto a riflettere.

 

***

 

Era tutto pronto. Finalmente quella sarebbe stata la loro serata.
Faceva ancora troppo freddo per cenare all’aperto e anche se aveva trovato l’idea della piscina riscaldata molto allettante, non era ancora abbastanza in confidenza con Violet per portarla a cena e poi direttamente in costume tutta la serata. Si sarebbe sentita troppo in imbarazzo.
Mentre organizzava la loro cena, Nathan si era ritrovato a pensare che non aveva mai avuto così tanti riguardi per una ragazza; l’idea lo fece sorridere: era evidente che non era più il ragazzino di una volta e che Violet non era come le ragazze disinibite della grande mela; lei era ancora pura. Non era stata contaminata da tutti i vizi di New York.
E poi, molto semplicemente, per Nathan non occupava lo stesso spazio delle altre nel suo cuore. Era molto più importante.
Ogni volta che la guardava i suoi occhi si incatenavano a quelle iridi di ghiaccio e veniva percorso da un leggero brivido. 


Aveva mandato un messaggio a Violet:

 

Stasera ore 20:45. Dove tutto è iniziato. Avremo la nostra serata. ;)

 

Violet lo aveva letto e riletto almeno un centinaio di volte.
Dove tutto era iniziato..
Il Tabard Inn.
Lì era cominciato tutto. Con una scenata che aveva fatto quando lui le aveva toccato la spalla.. mamma mia era diventata così acida? Aveva forse bisogno di sesso come dicevano le sue compagne classe?! Nah.. che idea stupida; lei non era da sesso senza amore.. ma se l’amore c’era?
Un’idea era balenata per la mente di Violet. Forse per la prima volta in vita sua aveva desiderato fare l’amore con un ragazzo.
Hilda le aveva descritto cos’era l’amore, o meglio le sensazioni che da esso nascevano, e lei ne accusava tutti i sintomi.
Arrossì solo all’idea di concedersi a Nathan e scacciò quel piccolo pensiero impuro e cercò di concentrarsi sui vestiti.
Crisi.
Panico da primo appuntamento; non sapeva cosa mettere.. e adesso a chi poteva chiedere?!?
In agitazione prese il cellulare e compose il numero.

 

“Non so cosa mettermi. Aiutami!”

“Bambi! Potresti metterti qualsiasi cosa per quanto ne so. Che ne dici di dirmi dove devi andare?!.. Aspetta non dirmi che è la serata!?”

“Che serata?” chiese Violet un po’ stranita.

“La serata, Vi. Hai deciso di concederti al caro Nate?!”

A sentire quelle parole Violet era avvampata e quel suo pensiero le era tornato in mente. Imbarazzata aveva cercato di deviare il centro del discorso sul suo amico. “Ma sei in astinenza per caso? Come ti vengono certe idee?”

“Si, forse. In effetti sono quasi..“

“NO! Fermo! Non continuare che non lo voglio sapere!”

“Ahahahah! Non pensavo di sconvolgere quel tuo tenero animo innocente, dicendoti che è da una settimana e quattro giorni che non scopo.”

“Ti odio!”

“No Bambi, tu mi adori! Altrimenti non saresti qui a chiedermi cosa devi metterti. Comunque non vedo dove sia il problema se non è la grande serata..”

“È peggio Rick!! È il primo vero appuntamento!”

“Aaaaaaaah… Ahahahah! E allora dove è il problema? Tanto ormai ti ha visto anche struccata di prima mattina e non è scappato. Che problemi ti fai?”

“Sto per attaccare..”

“Nonono.. frena un secondo.. Come sei suscettibile! Non si può nemmeno più scherzare..”

“1..”

“D’accordo, d’accordo! Sono serio. Dimmi dove ti porta.”

“Da Hilda, penso. Sai che qui a West Newbury non ci sono molti posti..”

“Si si, dalla a bere a chi vuoi.. diciamo che voleva fare il romanticone e quello è il vostro posto speciale.. comunque ora passiamo al tuo armadio. Descrizione dettagliata, please…   guarda te cosa mi tocca fare..”

 

Dopo una lunga descrizione effettuata con grande perizia di tutto il suo vestiario, il suo migliore amico sentenziò:
 

“Capelli legati in una coda alta, matita leggera.. e non dire che non ce l’hai perché tua mamma ha iniziato a regalarti trucchi da quando hai dieci anni.. poi, vestito grigio, collant neri spessi visto che fa freddo e gli stivaletti che hai segregato nella cassa panca in fondo al letto solo perché hanno i tacchi. Sopra cappotto nero con cappellino in tinta… Et voilà, mademoiselle è pronta per l’appuntamento di stasera.  Ok. Dopo questa scelta così accurata potrei essere convocato da Dolce e Gabbana in persona! Cosa non faccio per te Bambi?!”

“Ti adoro!”

“Mi devi come minimo una foto per vedere il mio capolavoro finito.”

“Ahahah! Simpatico. Diciamo che così siamo pari dopo la genialata che hai combinato.”

“Pff.. così non vale però! Ti ricordo che se non fosse stato per me, non saresti corsa da lui e magari non avresti nemmeno un appuntamento stasera.. E poi devi ancora dirmi perché avevi quel sorrisino quando sei entrata in casa..”

“Ciao Ricky. Devo prepararmi.”

“Ok ok, ho capito.. prego comunque..”

“Ahahah! Grazie mille Rick! Un bacione e fai il bravo!”

“No, tu stai attenta che sarai così bella che ti salterà addosso! Altro che uomo mansueto, gli farai perdere la testa!”

“Ahahah! Ciao Rick!”

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Cap. 15

Cap. 14

 

Pronta.
Aveva seguito i consigli del suo migliore amico e in più aveva aggiunto un tocco di profumo che di certo non poteva guastare.
Una volta uscita di casa aveva le labbra stirate in un sorriso sottile e per niente sguaiato.
Con andatura lenta e apparentemente tranquilla si avvicinava al Tabard Inn.
Una luce era ancora accesa nonostante l’orario di chiusura fosse passato da un pezzo.
Osservava dalla vetrata Nathan che andava e tornava dal tavolo al bancone come per controllare che fosse tutto in ordine.
Non indossava i soliti pantaloni e maglioni larghi. Quella sera jeans neri aderenti e un maglioncino colore del cielo estivo erano il perfetto involucro per il suo corpo.
Il maglioncino fasciava i bicipiti e spiccava sulla sua pelle scura.
Anche solo rimanere lì, in piedi, al freddo a guardare Nathan, sarebbe stata una bella serata.
Lui era la sua favola. Stentava ancora a credere che fosse vero. Soprattutto quando vedeva quel sorriso.
 

“Hey scimmietta! Che ne dici di entrare invece di stare fuori al freddo e al gelo?” Nathan aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri e delle sue fantasie uscendo dal locale.

“S-si. Arrivo.” E con un leggero sorriso lo osservava dall’alto in basso.

“Prego Mademoiselle.” Gentilmente le aveva tenuto aperta la porta per farla passare.

“Grazie.” E passandogli accanto si era sporta alla ricerca di un dolce bacio di benvenuto, che non tardò ad arrivare.

 

Violet era uno spettacolo. Già con quel cappottino e il cappellino, era bellissima agli occhi dell’aitante giovane, figuriamoci quando se lo era lasciato scivolare lungo le braccia per poi appoggiarlo sullo schienale della sedia. Mostrando un bellissimo vestito grigio che l’avvolgeva e ne risaltava le forme, si muoveva ingenua, avvicinandosi al bancone. L’andatura dovuta ai tacchi era sinuosa e lenta, o forse era dato dalla sua insicurezza per quegli stivaletti che non era solita portare. Era tremendamente sexy e nemmeno se ne rendeva conto. In più quel suo profumo dolce con un retrogusto frizzante la rendeva un bocconcino davvero prelibato.

“Lavori anche stasera?” chiese lei raggiungendo Nathan curiosa.

“Si, purtroppo un bel giovane ha organizzato una cena per la sua bella, qui stasera, e io sono costretto a fare gli straordinari.”

“Ma che crudeltà. Spero per te che almeno la paga sia buona.” ribettè Violet, stando al gioco.

“Eh.. non poi così tanto.”

“Puoi trattare su quella.”

“Mmmm.. Si? e dipende da cosa ha da offrirmi.”

“Che ne dici di questo?” e mettendosi in punta di piedi lo aveva baciato di nuovo. Stava facendo la smorfiosetta e le veniva pure naturale… questo grazie alla consapevolezza che Nathan la guardava desideroso delle sue labbra. Con quel briciolo di sicurezza riusciva a spingersi a quello.

“Mmmm.. questo mi sembra un buon affare, ma che ne dici di questo?”

Un bacio passionale li travolse, lasciando Violet senza fiato. Senza nemmeno rendersene conto era seduta sul bancone con le mani intorno al collo di Nathan e le gambe che gli abbracciavano i fianchi.
Le mani di Nathan scivolavano sul tessuto liscio del vestito e si muovevano lente lungo i suoi fianchi e la schiena.
 

Un rumore molesto interruppe il loro incrocio di sguardi. Lo stomaco di Violet brontolava per l’assenza di cibo. Imbarazzatissima era diventata bordeaux e, quel rossore improvviso, aveva provocato un sorriso divertito nel ragazzo, che le aveva baciato la punta del naso. 

“Scimmietta affamata, adesso vado a preparare.”

“Grazie.” Aveva sussurrato Violet sciogliendo il loro abbraccio.
 

Insieme si erano avviati verso la cucina, quando Nathan l’aveva fermata. “Dove pensi di andare scimmietta??”

“A preparare la cena con te.”

“Nein. La cena arriva pronta al tavolo per lei, signorina. Non può sporcarsi in cucina.”

“Ma nooo.. io volevo preparare la cena con te.”

“Ma non se ne parla nemmeno! È come se fossimo al ristorante, ma ci siamo solo io e te.”

 

Solo io e te..

Quelle parole rimbombavano nella mente di una silenziosa Violet che si era diretta al tavolo apparecchiato senza obiettare ulteriormente.
Erano solo loro due. Quella consapevolezza che prima era stata la sua forza, ora era fonte di insicurezza.
Lei non era mai stata da sola con un ragazzo. E se lui avesse preteso tanto da lei? Qualcosa che lei non era disposta ad offrire? Certo che ammiccare non aiutava. E poi prima, in preda ai bollenti spiriti, si era ritrovata avvinghiata come un polipo a Nathan. Chissà se lui avesse forzato un po’ la mano fino a dove si sarebbe spinta..
Nathan aveva davvero un effetto destabilizzante nei suoi confronti.
Anche se aveva dimostrato in diverse occasioni di essere buono con lei, Violet aveva quell’istinto, o propensione che dir si voglia, a non fidarsi degli altri; era una cosa radicata in lei ormai e difficile da mettere da parte. A favore di Nathan giocava il fatto che lei si era resa conto che quel ragazzo le interessava davvero, ma quando si trovava in situazioni di insicurezza, come ora, batteva in ritirata e iniziava a rifugiarsi dietro il suo muro.
Stare da soli era molto diverso, rispetto a quando erano nel mondo. Stando da soli, si lasciavano trasportare dalle emozioni e poteva succedere di tutto e aveva paura a lasciarsi andare.
 

L’aveva lasciata da sola per un quarto d’ora al massimo, giusto il tempo di cuocere a puntino le lasagne. Conoscendo il suo appetito aveva preparato due porzioni abbondanti; al massimo Violet avrebbe avanzato quel piatto che aveva preparato con dedizione, seguendo passo dopo passo la ricetta che si era fatto dare da Hilda.

Quando era tornato al tavolo, l’aveva vista scura in volto e con lo sguardo basso. Ma che diavolo era successo?? Dove era finita quella luce che brillava nei suoi occhi??
Cercò di fare finta di niente e, mettendo i mostra le sue doti di cameriere, aveva posato sul tavolo i piatti fumanti.

“Ho preparato le lasagne, perché un uccellino mi ha detto che sei stata in Italia e, visto che gli spaghetti erano troppo banali, mi sono buttato su questo.”

Lei in tutta risposta aveva abbozzato un sorriso, che però era scomparso nel giro di pochi secondi e poi aveva iniziato a spiluccare dal piatto, quasi non avesse fame.
Cordialmente le aveva chiesto della sua giornata e lei aveva risposto con tono piatto.
 

“Scimmietta, non ti piacciono?” Nathan era un po’ scoraggiato dalla sua faccia, e non capiva. Lui si era già spazzolato mezza porzione e lei quasi niente e non sembrava molto entusiasta.

“No, sono buone. Ma non ho molta fame.”

“Ma come? Prima mi era sembrato di sentire il tuo stomaco tuonare per la fame.”   

“Che succede scimmietta?”Ci voleva davvero molta pazienza con quella ragazza, ma era convinto che ne valesse la pena.

“È diverso..”

“…”

“È diverso stare con te da sola. Non è come quando siamo in mezzo alla gente.”

“È normale che sia diverso. È giusto che sia così.”

“Non sono a mio agio..”

“Mmmm.. magari sono i tacchi.. Prova a togliere i trampoli, così con i piedi ben saldi a terra non ti sembrerà di stare sulle nuvole..” Con quella battutina cercava di smorzare l’atmosfera.

“O magari sono io il problema..”

Nathan si spostò con la sedia accanto a lei e strinse le mani fra le sue.

“Perché pensi questo?”

“Perché è così.. non sono quella che pensi..”

“Non sai nemmeno quello che penso.. non credi che il mio parere conti qualcosa?”

“Si, conta..”

“Ecco allora fidati di me. Tu sei quella che cerco.”

“Ma non lo sai..”

“Mmmm.. come posso dirtelo.. Io penso che tu sia una ragazza fantastica, anche se hai un po’ poca fiducia in te stessa, e a volte non credi di essere abbastanza, come adesso. Sei testarda, non conosci quella che è la fiducia nel prossimo e io voglio insegnartela, voglio provare a farti capire che dando fiducia si ha tanto da guadagnare, nonostante ci possano essere comunque dei risvolti negativi; non sei una donna di mondo e dalle mille esperienze, ma non importa. Quello che voglio dirti io è che non cerco altro. Voglio una ragazza da convincere delle sue potenzialità, una ragazza che cerchi sicurezza, che abbia carattere, che sappia quello che vuole nonostante le sue insicurezze e che sia disposta ad accettarmi per quello che sono. E tu per me sei tutto questo.”

Violet era senza parole. Davanti a quella confessione non sapeva cosa dire. Gli occhi le luccicavano. Si stava sforzando di trattenere le lacrime, che con forza cercavano di uscire allo scoperto. Erano lacrime di gioia, ma erano pur sempre lacrime, e non era il massimo mostrarle per lei.

“Non voglio farti piangere, scimmietta. Io voglio farti sorridere. Voglio vedere il tuo bellissimo sorriso ogni giorno.”

A quelle parole, un sorriso a mille denti le si parò sul viso, e Nathan godeva di quello spettacolo.
 

“Ho deciso il tuo soprannome.”

“Mmmm.. non sarà bello quanto il mio però..”

“Tsk.. come fai a dirlo se non l’hai ancora sentito??”

“Hai ragione. Vai, spara.”

“Orso.”

Orso?

“Si, orso. Perché mi fai provare tutte le sensazioni possibili con un solo sguardo. Paura, ma anche protezione. Dolcezza. Tenerezza. E voglia di coccole immensa.”

“Ma potrai mai provare amore per un orso?”

“Solo se si chiama Nathan.. Nathan come??”

“Campbell.”

“Ok, rewind.. Solo se si chiama Nathan Campbell.”

Nathan non ce la fece a trattenersi e la baciò. All’inizio lei era titubante, ma poi gli concesse spazio e le loro lingue si intrecciarono di nuovo, con passione, necessità di sentirsi vicini e di fidarsi l’uno dell’altro.
 

“Ora che ne dici di finire le lasagne? Mi sono impegnato tanto per farle!”

“Le hai fatte tu??”

“Si, è tutto il giorno che lavoro per questa cenetta.”

“Ah si?? e cosa mi aspetta dopo?”

“Bistecca alla Nathan, e dolce a sorpresa.”

“Le famose bistecche alla Nathan. Non vedo l’ora di assaggiarle.”

“Ci credo, sono le più buone del mondo!”

“Mr. Modestia, lascia il giudizio alla critica culinaria..”

“D’accordo, d'accordo.”

“Allora, uomo vorace, aiutami a finire le lasagne che così passiamo al secondo.”

Dopo ancora un paio di chiacchiere e qualche boccone anche il piatto di Violet si era svuotato e dopo aver insegnato a Nate la famosa scarpetta, la moretta attendeva il ritorno del ragazzo con il secondo.
La ricetta segreta.  

Quella carne era davvero squisita. Curiosa aveva chiesto al ragazzo di svelarle la ricetta, ma lui le aveva risposto che solo i Campbell la sapevano, che era una tradizione di famiglia e che rimaneva tale; forse un giorno Violet avrebbe avuto l’occasione per conoscerla, ma non ora.
Era davvero gustosa e anche il sughetto, che lasciava in balia del pane che lo assorbiva, era buonissimo. Quel ragazzo aveva del talento, se gli si dava un’oliva e della misera passata di pomodoro era capace di realizzare il miglior sugo per la pasta alla puttanesca mai esistito.
La cena scorreva tra chiacchiere e battutine ed era arrivato il momento del dolce.

“Et voilà! Crostata allo yoghurt e mirtilli. Il tutto preparato con amore per una maniaca di quel frutto di bosco, col quale condivide il nome del colore.”

“Ehi! Io non sono una maniaca di mirtilli!”

Per tutta risposta Nathan aveva alzato un sopracciglio e la guardava alquanto scettico.

“Pff.. Ok, forse un pochino.”

Nathan rimaneva impassibile e  non accennava a cambiare espressione.

“E va bene, lo ammetto. Sono una drogata di mirtilli.. che male c’è?”   

“E chi ha detto che sia un male?? Io no.”

“Eheh.. mi era sembrato..”

“Tsk.. col tempo tutta questa diffidenza ti passerà scimmietta; ti aiuterò io.”

Violet scuotendo la testa, si era rassegnata alla testardaggine di Nathan; lui era davvero convinto, nonostante lei avesse ancora qualche dubbio, e la sua determinazione la attraeva. Era come un richiamo al quale non poteva sfuggire.
Quando era vicino a Nate, smetteva di ragionare col senno di poi e si faceva trasportare dalle emozioni e viveva il momento.
Finita la cena e richiuso il locale, Nathan aveva riaccompagnato a casa Violet. Camminavano mano nella mano e ad un certo punto, dal nulla lei gli propose di fermarsi a guardare un film da lei, visto che era ancora presto.
 

Aveva tanti DVD nell’armadio, li adorava tutti e per questo lasciò la scelta a Nathan. Ce n’erano di tutti i generi: da Gran Torino ad Alvin Super Star, dalla Bella e la Bestia alla Ricerca della Felicità.

“Sicura di lasciare a me la scelta?? Almeno dammi un indizio..”

“No. Io adoro ogni singolo film che c’è in quest’armadio, per cui a te l’oneroso compito di scegliere cosa guardare. Io preparo i pop-corn intanto.” Aveva detto allontanandosi dall’armadio alla volta della cucina, lasciando il povero Nathan in balia di quella mera scelta. 

“D’accordo. Allora io mi butterei su Ricatto d’amore. Adoro la nonnina e i suoi inni alla natura.”

“E non dimenticarti di Ramon, lui si che è davvero sexy!”

“Oh si.. talmente sexy che hai rischiato che chiedessi a lui di uscire stasera invece che a te.” Sogghignava nascosto tra le ante aperte dell’armadio.

“Mmm.. in quel caso non mi sarebbe stato più molto simpatico.”

“Ahahahaha! Gelosona.”

“Si, molto. Comunque hai scelto il mio film preferito, lo sai?”

“Bè, oggettivamente è un bel film. Mescola un pizzico di ironia, al romanticismo e poi in questa serata ci sta.. Sono io che ricatto te e ti corrompo con i mirtilli..”

“Ahahahah! Orso, quanti pop-corn hai intenzione di mangiare??”

“Mi accontento di una misera porzione.”

“Ahahah, sicuro?”

“No. Ahahah!”

“Scemo, dillo subito.”

“Ho un nuovo soprannome! Ahahah! Però preferivo orso..” Replicò Nathan fingendosi offeso.

“Ne hai più di uno..”

“Ah si?” Aveva chiesto mentre trafficava col lettore DVD.

“Certo: ora sei a quota due. Orso, e prima che Megan lo usasse a sproposito tu eri già il mio Cioccolatino. Poi va bè, c’è scemo per le occasioni in cui dimostri di esserlo.”

“E poi sono io il tipo diretto e impertinente.. Ma, scusa una cosa..” Disse avvicinandosi a lei. “Da quando sono il tuo Cioccolatino?” ora tra le sue forti braccia non aveva via di scampo.

“Da quando.. non me lo ricordo..” Aveva farfugliato, perdendosi nell’ebano dei suoi occhi e arrossendo visibilmente.

“Bugia.”

“N-non è vero.”

“Altra bugia.”

“Pff… e va bene da quando ho sognato di chiamarti così.. contento?”

“Si. Sono felice di fare parte dei tuoi sogni.. Sai, anche tu fai parte dei miei.”

Se avesse potuto, Violet sarebbe diventata ancora più rossa a sentire quelle parole.

“Dipende da che tipo di sogni fai con me..” “No, non dirmelo. Non lo voglio sapere.”

“Sicura? Non vuoi sapere che nei miei sogni faccio così..” e si era chinato sulle sue morbide labbra per poi staccarsi dolcemente. “O così..” e le aveva soffiato in un orecchio e le aveva depositato un caldo bacio sul collo. “O così..” e con il minimo sforzo l’aveva sollevata e seduta sul bancone della cucina, si era poi avvicinato alle sue di labbra e aveva aspettato che fosse lei ad unirle.

“Ancora sicura di non volerlo sapere?!”

Tutto quello che era uscito dalla sua bocca era un mugolio e nient’altro.

“Ahaha! Dai faccio io con i pop-corn, altrimenti ti sporchi il vestito.”

“No. Neanche per sogno. Prima hai voluto fare tutto tu? Adesso tocca a me.”

“Ahahahah! Sei proprio cocciuta, scimmietta.”  

“Ahahah! Si! Fai come se fossi a casa tua, mentre io mi metto più comoda.”

“Agli ordini capo! Allora gioco un po’ con Leo mentre ti aspetto.”

Violet era entrata in bagno con il cambio e davanti al lavandino fissava lo specchio e osservando la matita leggermente colata, si dava del mostro.
Velocemente l’aveva tolta e aveva indossato i pantaloni della tuta e una maglietta a maniche corte. Semplice, niente di elaborato e soprattutto comodo.
 

Era bellissima anche in tuta, struccata e con i capelli slegati che le ricadevano morbidi sulla schiena. La magliettina azzurra le lasciava scoperta un filo di pancia, nivea, così differente dalla sua. Ciotola gigante di pop-corn alla mano, si era avvicinata sotto il suo sguardo vigile e poi si era seduta comodamente sul divano, accanto a lui. Il gatto le era saltato in grembo come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Pulcione, allora? Hai mangiato la pappa?” gli chiedeva mentre lo strapocchiava di coccole e lui faceva le fusa. 
Nate osservava la scena un pochino geloso, pensava di avere le sue attenzioni, ma in quel momento lei era distratta dal gatto.
Sembrava gli avesse letto nel pensiero.
In pochi secondi aveva fatto scendere il gatto di dosso e lo aveva spinto verso la poltrona e gli aveva sussurrato di non essere geloso, se doveva condividere le sue attenzioni con lui.
Accompagnato da un miagolio leggermente scocciato, il micione si era diretto alla sua cuccia e vi si era acciambellato in direzione della televisione osservando il paesaggio della scena iniziale che scorreva.  
Dopo alcune scene si ritrovarono accucciolati sul divano. Era così esile tra le sue braccia; ascoltava il suo respiro, lento, regolare e socchiudendo gli occhi, sicuro di non essere visto, si inebriava del suo profumo.
Non era mai stato così convinto per quello che provava. In quell’istante il suo battito era accelerato e Violet appoggiata a lui, si era voltata a guardarlo; aveva sicuramente notato la differenza.

“A che pensi?” oh si, che aveva sentito la differenza. Non c’era ragione di nascondergli i suoi pensieri. Non si era vergognato di dirglielo due settimane prima, che senso aveva farlo ora?

“Sto pensando che tu mi piaci davvero.”

Violet si era voltata completamente verso di lui. Voleva dirgli le stesse parole, ma aveva paura a pronunciarle. “Anche tu, orso.” Si era limitata a quella misera frase, sentita certo, ma molto timorosa. In cuor suo, Nathan sapeva che era la verità, ma sentiva la difficoltà che provava ancora Violet ad ammettere i suoi sentimenti. Era un grande passo avanti per la sua scimmietta, lo sapeva, ed era deciso ad accontentarsi, ma niente lo tratteneva dal baciarla per quella mezza confessione. E addio film.

Prima leggeri, a fior di labbra, e poi sempre più decisi e più passionali; lei ora sedeva in braccio a lui e con le dita giocava con i suoi capelli, che crescendo accennavano piccoli riccioli. Le loro lingue si incontravano; ogni bacio che si scambiavano era come se fosse il primo. La lenta danza aumentava il ritmo fino a che non ebbero bisogno di respirare. Ripresero questa volta da dove avevano abbandonato, niente più avvicinamento lento, o fase di esplorazione, c’era ora solo passione.

Quella sensazione risvegliò qualcosa in Nathan, eccome se aveva risvegliato qualcosa. Nel tentativo di nascondere quella sua esigenza per non forzarla, o spaventarla, aveva cambiato posizione: l’aveva accompagnata dolcemente a stendersi a pancia in su sul divano. Posizionandosi sopra di lei, sostenendosi con un gomito e con le ginocchia, mentre cercava di tenere abbastanza lontani i loro bacini.

Violet non demordeva, non si staccava da quei baci peccaminosi, anche se iniziava a sentire una stretta al ventre che la disturbava. Era una sensazione strana, sapeva cos’era, ne avevano parlato le sue compagne e poi lei lo aveva letto un milione di volte nei suoi adorati romanzi d’amore. Era eccitazione.
Sdraiandosi, aveva sentito la mano di Nathan sulla sua schiena che l’aiutava nella discesa non rendendola avventata. Con la stessa mano Nathan aveva a preso a giocare con quel poco di pelle che fuoriusciva dalla maglietta, tracciando lingue di calore sulla sua pancia che sentiva ribollire a quel contatto.

La mano di Nathan si era ora intrufolata, sotto la sua maglietta. Piano piano saliva lungo il fianco, e la stretta al ventre di Violet aumentava. Non si era mai spinta così "oltre" con un ragazzo.
Quella scalata era terminata all’altezza del reggiseno, e ora però si prolungava in un estenuante percorso che tracciava il contorno del seno di Violet, seguendo il contorno rigido del ferretto. Nathan sentiva la sua passione premere contro i pantaloni e, a quel contatto Violet aveva inarcato la schiena avvicinando pericolosamente al bacino di Nathan. Lui di riflesso aveva cercato di allontanarsi da lei, ma la sua scimmietta gli aveva improvvisamente stretto con forza le gambe intorno alla vita facendo cozzare i loro bacini.

Violet ebbe un sussulto, non si aspettava quell’incontro, con quella presenza abbastanza ingombrante. Nathan mugolò al contatto. Violet allentò la presa e riappoggiò il bacino al divano e dividendo anche le loro bocche, lo aveva fissato sgranando gli occhi.
Paura mista a eccitazione. Questo si leggeva in quelle pupille più dilatate rispetto al solito.

Non dissero nulla. Nessuno dei due.
Violet rifletteva a tempo di record. Due pensieri costanti, lottavano per avere la supremazia. L’aveva sentito. L’aveva sentito contro il suo bacino e aveva quasi urgenza di tornare a quel contatto. Però era spaventata da quello che poteva venire dopo. Non sapeva come fare.
Nathan si stava allontanando da lei, richiedendo alla sua buona volontà uno sforzo incredibile. Era quasi seduto.

Lei ribaltò le posizioni. Inaspettatamente.
Si ritrovò sdraiato con lei sopra che lo guardava con occhi liquidi. Si stava togliendo la maglietta. Mettendo così in bella vista la sua carnagione chiara.
Tremando leggermente aveva preso i bordi del suo maglioncino e lo aveva sollevato.

Nathan posando le mani sulle sue le sussurrò scrutando il suo sguardo. “Sei sicura?”

Non rispose. Riprese le redini della situazione e continuò l’azione da lui interrotta. Nathan l’aveva aiutata sollevando le braccia e una volta che anche il suo maglioncino finì a terra, Violet aveva iniziato a percorrere con le dita le sue braccia. Osservando la massiccia muscolatura e ogni singolo segno, ogni singolo tatuaggio, era risalita al viso e prendendolo tra le mani aveva ripreso a baciarlo.

Le mani di Nathan scorrevano lente tracciando percorsi invisibili sulla sua pelle nuda. Le sue dita che percorrevano ora la spina dorsale resero quella sensazione ancora più pungente, quasi fastidiosa, bisognosa di sollievo. Istintivamente Violet si mosse sopra il bacino di un Nathan che si stava trattenendo al massimo. L’attesa era frustrante e rasentava il limite.
La sollevò e tenendola stretta la portò sul letto.
Non aveva però il coraggio di slacciarsi i jeans. Se li avesse tolti sarebbe stata la fine, non si sarebbe più fermato e non sapeva nemmeno fino a dove poteva spingersi con lei, quella sera.
Una cosa era certa. Non era il momento giusto. Lei aveva ancora paura, nonostante i notevoli progressi. Non poteva andare a fondo, ma almeno un po’ di piacere poteva darglielo e lui avrebbe goduto del piacere di lei, almeno per quella notte.
Sempre con attenzione e delicatezza infilò le dita sotto all’elastico dei pantaloni della tuta e glieli tolse senza titubare.
Violet si irrigidì visibilmente, ma per sviarlo, cercò di raggiungere il bottone dei jeans.

“No, non adesso..” Un bacio. “Non, ancora. Non è il momento.”

Il bacio che sopraggiunse era un ringraziamento velato da parte della ragazza, che leggermente sollevata si era distesa sul letto.
Nathan sopra di lei, baciandole il collo, le aveva sussurrato “Non avere paura. Lascia fare a me.” Con delicatezza raggiunse le sue mutandine e, cauto andò oltre. Si avvicinò alla sua femminilità; era umida. Ci giocò un po’ prima di affondare in lei il primo dito. Gemeva grazie ai suoi movimenti che alternavano d’intensità. Violet non si stava tirando indietro e stava prendendo tutto il piacere che lui in quel momento poteva darle.

A quell’intimo contatto aggiunse un secondo dito e i gemiti di Violet si fecero più acuti e ravvicinati e prese a baciarla per attutire la sua voce. Nathan continuò finché lei non raggiunse il culmine e poi con delicatezza interruppe quel contatto, ma senza interrompere i baci.
Nathan si era trattenuto con grande, immenso sforzo, ma ora non ce la faceva più; cercò di alzarsi, ma Violet non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.

“Ti prego scimmietta. Abbi pietà di me. Ho bisogno un attimo del bagno.”

Imbarazzata aveva sciolto l’abbraccio e osservava le sue spalle larghe che scomparivano dietro la porta del bagno.

 

Si era lasciata andare e le era piaciuto. Sapientemente Nathan non aveva preteso tutto da lei, solo un po’ di fiducia e le aveva dimostrato che fidandosi si poteva stare bene.
Era stata bene. Stava bene.

Si rimise i pantaloni della tuta e andò a spegnere la tele sulla quale scorrevano ormai i titoli di coda.

 

“Cavoli, ci siamo persi la nonnina e il suo balletto!” sbucava così un Nathan sorridente dal bagno.

“Già. Sarà per la prossima volta ormai.”

“Certo. Tanto il film l’ho già visto e, lo spettacolo che ho davanti a me è molto più bello.” Disse scostandole i capelli dal viso per prenderlo tra le mani.

“Anche i tuoi addominali non sono niente male.” Sentenziò Violet tracciando i contorni di quest’ultimi.

“Ahahah! Scimmietta mia, mi farai impazzire.”  Con una linguaccia si era dileguata alla volta del bagno. 

 

“Ma che ora si è fatta?”

“Sono quasi le due.”

“Ma è tardissimo! Meglio che vada a casa. Domani devo lavorare.”

“No.. Dai resta.”

“Credevo non me lo chiedessi.”

Un bacio veloce e poi Nathan, la prese di peso e la lanciò sul morbido materasso che prima li aveva accolti come nido; dopo neanche due secondi lui era al suo fianco ed erano abbracciati “pronti” per dormire. Lui nei sui jeans che ora erano molto meno stretti di prima e lei in tuta.

Quelli erano solo dettagli; l’importante era stare vicini.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


cap. 16

Cap. 15

 

Le sembrava che svegliarsi tra le braccia di qualcuno fosse diventata un’abitudine: prima con Ricky, ora con lui. Nate.
Dopo quella bellissima serata che era iniziata con il loro appuntamento romantico. Come aveva detto il suo migliore amico, nel loro posto speciale.
Era tutto perfetto e squisito, ma la parte migliore della serata era arrivata dopo.
Era iniziato tutto con l’accelerare del suo battito, che Violet ascoltava ormai da diverso tempo, facendosi cullare dal suo andamento calmo e regolare. Quel ritmo la rilassava, e lei appoggiata al suo petto caldo si sentiva protetta, nonostante tutti i dubbi che le attanagliavano la mente.
Lo aveva invitato a rimanere perché voleva passare ancora del tempo con lui. Non le bastavano quelle ore passate uno di fronte all’altro; non le bastavano quei baci che li avevano uniti. Sebbene tutto quello le provocava dei dubbi, delle incertezze, sentiva una sensazione piacevole alla bocca dello stomaco.

Erano quelle le famose farfalle??

Se erano davvero loro, erano sintomo d’amore. Ma lei era pronta per quello? Era pronta ad amare e lasciarsi andare completamente con Nate?
Mah.. non ne era certa. Era tutto nuovo per lei. Sarebbe stata una sorpresa.
Una sorpresa.. e come al solito doveva combattere la sua paranoia. Questa volta, sebbene non sapesse a cosa stava andando incontro, era convinta.
Questa volta valeva la pena fidarsi.

Quel battito accelerato e le sue parole “Penso che tu mi piaci davvero” ne erano la riprova.
Un bacio tirava l’altro e poi erano arrivati sul letto, dopo un attimo di coraggio da parte di Violet, dettato dall’assurda voglia di approfondire il rapporto tra di loro.
Sapeva che quello avrebbe significato passare al rapporto fisico e voleva buttarsi anche se aveva paura.
Paura di non essere all’altezza delle esperienze del ragazzo. Ma Nathan rispondeva ad ogni loro contatto e quello poteva voler dire solo una cosa: anche lui sentiva quella voglia che provava lei.
Conosceva quella sensazione e la sapeva gestire meglio, e le aveva dimostrato di non avere fretta: era disposto ad aspettare che fosse pronta; forse era più consapevole lui delle sue paure che lei.
Le aveva dato piacere senza pretendere troppo, le aveva dimostrato che l’importante era lei. La sua necessità poteva aspettare ancora un po’.

Si era sfogato da solo, in bagno.
Non era giusto, voleva che anche lui potesse godere di quelle sensazioni che l’avevano percorsa insieme a scosse e brividi.
Voleva che lui ne godesse per mano sua, ma lei era inesperta in quel campo. Nathan lo sapeva e per lui non era un problema: avrebbero percorso quei passi insieme.

 

Era giunta alla conclusione che tutti quei mille pensieri non l’avrebbero portata da nessuna parte. Poteva solo vivere il momento, con l’incognita sempre presente, perché l’amore non è un’equazione con una soluzione certa. Era un lento percorso che andava fatto in due, e quindi pensare ancora non sarebbe servito a niente se non a produrle altre preoccupazioni. Si ritrovò così a sbuffare sonoramente.

 

 

“Ti arrovelli il cervello già di prima mattina?” Ancora con la voce roca  e impastata dal sonno Nathan aveva esposto la sua impressione che, tra l’altro, non andava tanto lontano dalla realtà.

“Già. È un’abitudine e poi, tu stimoli i miei pensieri.”

“A Ah! E così sono il soggetto dei tuoi pensieri… Mmm.. e posso sapere che pensavi?”

“No. Alcuni pensieri sono personali; non si possono condividere, specie col diretto interessato.”

“Si, ma tu sei perfida, perché scagli la pietra e poi nascondi la mano! Non vale!”

“Si forse hai ragione.”

“Va bè, mi basta sapere che erano solo bei pensieri.. non è così?”

“Si si è così. Solo che vorrei tenerli ancora per me, per ora.”

“D’accordo.” Nathan iniziò a passare una mano lenta sulla pancia di Violet, dopo averla avvicinata a se. Lei voltandosi aveva strofinato il naso contro il suo e lui aveva colto l’attimo e stava per baciarla.

Di colpo lei si ritrasse. “No dai.. non posso baciarti appena sveglia.. non sono nelle condizioni adatte..”

“Ti stai davvero preoccupando per l’alito?”

“Ehm.. si, dai non posso baciarti senza nemmeno lavarmi i denti..”

“Ahahahah! Non sono così fiscale. E poi anche io sono nelle tue stesse condizioni.. se non peggiori..” rispose Nate, coprendosi la bocca con una mano.

“Ahahahaha! Il mio orso con l’alitosi. Ahaha!” quel gesto l’aveva fatta ridere e non era riuscita a trattenersi.

“Molto divertente scimmietta pulciona.”aumentando la presa, Nathan aveva accorciato le distanze ed era riuscito a rubarle un bacio nonostante lei fosse contraria.

“Non vale così! Sei sleale, tu usi la forza bruta!”

“Ammettilo che ha un certo fascino però” ammiccava Nate.

“Ok, lo ammetto, forse un poco. Però non vale lo stesso; io non mi posso ribellare.”

“Ma è proprio questo il bello!”

 

Quella frase risuonava contorta e morbosa alle orecchie di Violet.  

Avete presente quella sensazione di dire le parole sbagliate al momento sbagliato? Ecco, Nathan la provava proprio ora.

Con quella frase, che nella sua testa si limitava a quell’attimo, aveva spaventato Violet; lo capiva dalla sua espressione in quel momento, ma lui non intendeva spaventarla, come non intendeva nemmeno usare la forza contro di lei. Non lo avrebbe mai fatto e doveva metterlo in chiaro.

 

“Scimmietta, non fraintendere le mie parole.”

“No..”

“Lo hai già fatto, vero?”

“Si..”

“Con quella frase non volevo dire che userò la forza con te, per farti fare quello che non vuoi. È vero che adesso ho forzato un po’ la mano, ma se tu avessi opposto resistenza davvero, io avrei rispettato la tua decisione e non ti avrei baciato. Io non voglio forzarti, non lo farei mai.”

Violet sapeva che lui non intendeva usare la violenza con lei, non lo stesso ragazzo che la sera prima era stato così delicato con lei; solo che quelle parole l’avevano spaventata.

“Non ti preoccupare. Sono io; purtroppo vado sempre oltre le semplici parole e mi faccio troppi film.”

“NO. Voglio che sia chiaro che io NON voglio e mai ricorrerò alla violenza con te. Non potrei più guardarmi allo specchio.”

“Lo so, Nate. Non ti preoccupare.” Gli aveva accarezzato il viso con il dorso della mano, come per tranquillizzarlo.

Il concetto era chiaro, ma Nathan era ancora teso; non era convinto che Violet avesse digerito la cosa.

 

“Allora che facciamo stamattina?” Violet aveva cambiato velocemente argomento.

“Tu andrai a scuola e io al lavoro.”

“Nooooo… Non ho voglia…” Violet che non aveva voglia di andare a scuola? Ma che le era preso?

“No no mia cara, non voglio che tu perda di vista gli obbiettivi importanti per stare con me!” Nathan su questo punto era irremovibile.

“Ma non li sto perdendo di vista..”

“Niente storie scimmietta, dovessi accompagnarti a prendere l’autobus per essere sicuro. La scuola è il tuo lavoro adesso; quando ci saranno le vacanze passeremo tutte le mattine insieme, promesso; ma adesso alza il tuo bel sederino dal letto e preparati per andare a scuola.”

“Pff.. Da quando sei così noioso e petulante?”

“Da quando ci tengo a te, testona. Violet io mi sto innamorando di te per come sei, per le abitudini che hai, e non voglio che stare con me ti cambi troppo.”

“Grazie Nate. Era un po’ che nessuno si prendeva cura di me.” Sedendosi sul letto si era sporta su di lui e gli aveva dato un dolce bacio a fior di labbra e poi si era diretta al bagno.

 

 

 

L’aveva lasciata alla fermata e poi si era diretto al lavoro. Era in ritardo, ma aveva avvisato Hilda stando sul vago.

 

“E così Violet ti ha fatto fare tardi??”

“È così evidente?”

“No, ma me lo hai appena confermato.”

“Mi hai fregato.”

“Sarò pure vecchia, ma ho ancora qualche asso nella manica.”

“Fear Enough.”

“Sai la mia filosofia, ma.. dimmi un po’: come è andata ieri sera? Erano buone le lasagne?”

“Si erano davvero buone! Le ho mangiate quasi tutte io.”

“Bene bene. Dai, ora torna al lavoro; per questa volta sei giustificato.” La signora Callaway non aveva indagato oltre; era evidente che la serata era andata bene e anche il dopo.

“Agli ordini Boss!” disse Nathan dirigendosi verso il retro per armarsi di grembiule, blocchetto e penna per partire alla carica anche quel giorno.

 

Bambolina non pensare di tornare indietro e saltare la scuola. Entra, fatti una cultura e poi al rientro ci sarò io ad aspettarti =)

E va bene, Orso. Farò la brava bambina. Ci vediamo dopo il lavoro. A dopo, un bacio.

 

I giorni insieme passavano veloci. Era passato quasi un mese dal loro primo vero appuntamento. Trascorrevano il tempo che potevano insieme: al Café o a casa di Violet.
Lei studiava, sotto lo sguardo vigile di Nathan che si perdeva anche solo a guardarla sfogliare le pagine dei libri di scuola. La osservava mentre era assorta tra le citazioni dei grandi classici, le diverse funzioni matematiche e le immagini delle diverse opere d’arte sparse per il mondo.
Lo affascinava tutto di quella piccola moretta che in poco tempo era diventata il suo primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera. Magari era fuori di testa, ma ormai non riusciva a immaginare una vita senza di lei.
Hilda aveva ragione: era innamorato perso, senza speranza. Le sue parole erano state esattamente: “Arrivasse anche l’apocalisse tu non te ne accorgeresti, perché saresti occupato a seguire i suoi movimenti, che ti appaiono più sconvolgenti della fine del mondo.
Oltre ai momenti di cultura e di divertimento, condividevano anche momenti più intimi; momenti nei quali Violet iniziava a prendere confidenza col corpo di Nathan.
 

***
 

Era un giorno come un altro.
Violet era a scuola; Nathan al lavoro.
Il ragazzo aveva preso da un po’ l’abitudine di tenere il cellulare acceso per tenersi in contatto con la sua scimmietta.
Era nel magazzino quando iniziò a squillare: numero sconosciuto.
Lo lasciò squillare finché la melodia registrata non si interruppe; dopo poco sempre quello stesso numero riprese ad animare il cellulare. Doveva essere urgente se lo richiamava con così repentina insistenza e così si prese una piccola pausa per rispondere.
Una voce tremante lo aveva chiamato per nome e gli aveva chiesto aiuto.
Panico.
Non poteva rimanere lì mentre quella voce spaventata implorava aiuto.
 

“Hilda mi serve la macchina. Se non fosse davvero importante non te lo chiederei. È davvero urgente. Ora non posso dirti di più; ti chiedo solo di fidarti di me.” Nathan aveva il fiato corto e la signora Callaway lo fissava attonita. Dopo un secondo in quello sguardo nero spaurito, gli aveva posto le chiavi in mano e le aveva strette. “Fai attenzione, caro.”

“Si, e mi servirà qualche giorno libero.”

“L’immaginavo. Non preoccuparti, me la cavo. Stai solo attento Nathan.”

Senza altre parole Nathan era uscito dal locale e, acceso di fretta il motore, si era messo in viaggio.
 

 

 

Preparati Orso che sto arrivando! Ma se ti bacio in pubblico faranno ancora storie? :P

 

Era passata almeno un’ora e Nathan non ho ancora risposto.
Doveva preoccuparsi? Nah… Il suo Nate era al lavoro e probabilmente era una giornata piena.
 

Finito il turno, Violet si era diretta al Tabard Inn col sorriso sulle labbra; era ansiosa di vedere il suo Nathan.
 

“Buongiorno!” Aveva salutato tutti al locale, come se fosse stato il primo vero saluto al mondo, alla vita. Accanto a Nathan stava rinascendo.

“Buongiorno cara.” le aveva risposto Hilda, tutt'altro che sorridente.

“Tutto bene Hilda?” Violet aveva assunto uno sguardo preoccupato.

“Nathan è partito..”

“È partito!? E per dove!?” E non le aveva detto niente?! Perché?!

“Non lo so, cara.”

“Come non lo sai?” Violet era incredula; doveva essere uno scherzo, non poteva essere altrimenti.

“Non lo so, cara.”

“Mi stai prendendo in giro?”

“No Violet, non è uno scherzo. Prima Nathan mi ha chiesto le chiavi della macchina ed è uscito chiedendo di fidarsi di lui.”

Una lacrima solcò il volto di Violet; era una lacrima nervosa, dovuta alla mancanza di un reale motivo per la sua assenza.
Asciugò in fretta quell’infame che lasciava trasparire i suoi sentimenti.
 

“Grazie Hilda, adesso provo chiamarlo.”

“Stai tranquilla cara, tornerà” le aveva detto passandole una mano sul braccio per rassicurarla

“Sì, hai ragione.”

 

Il telefono di Nathan squillava a vuoto. Lo aveva lasciato in magazzino; la signora Callaway l’aveva trovato e l‘aveva dato a Violet, che sconsolata, osservava sul piccolo schermo la scritta: 6 chiamate perse.
Lui era uscito talmente di corsa che aveva dimenticato il cellulare al lavoro. Che cosa poteva essere successo di tanto grave da farlo andare via così?

 
 

 

Nate era in viaggio ormai da diverse ore. Stava guidando veloce, spingendo al limite la povera berlina. Per calmarsi aveva acceso la radio, che stava trasmettendo la hit di gruppo in voga: The Script.
La canzone in riproduzione si intitolava “Love is this” e solo a quel punto, ascoltandola, aveva pensato a Violet.
Non le aveva detto niente. Era partito senza nemmeno avvisarla; doveva assolutamente rimediare. L'avrebbe chiamata subito.
Ehm.. Piccolo problema: aveva lasciato il cellulare al lavoro.. Dannazione! Così non avrebbe potuto sentirla.
Chissà cosa avrebbe pensato quella testolina matta..

 
 

Violet si stava arrovellando il cervello pensando dove potesse essere andato adesso il suo Nathan.
Presa da un attimo di sconforto estremo misto a gelosia, aveva sbirciato nel suo cellulare; tra i messaggi e poi tra le chiamate, alla ricerca di una traccia che giustificasse la sua partenza. Trovò così una chiamata persa e una ricevuta da un numero sconosciuto; non era salvato tra i contatti della rubrica, che tra l'altro, era proprio poco interessante, visto che conteneva al massimo una decina di numeri: il suo, due di Hilda e il resto di gente del paese per i suoi lavoretti. La gelosia di Violet era quindi infondata, tuttavia non le quadrava ancora niente.
Richiamò quel numero che, senza nemmeno squillare, le lasciava il solito messaggio registrato: il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile.
Sconsolata per la mancanza di quei pozzi neri e della sua pelle profumata, era andata a letto insieme alla sua perenne fonte di felicità e conforto: il suo caro leoncino era sempre al suo fianco.

 
 

Erano passati sei giorni dalla sua partenza e Nathan stava rivivendo tutti brutti momenti del suo passato; stava lasciando New York senza aver raggiunto nessuna conclusione.
Quella chiamata che lo aveva fatto partire di corsa era da parte della sorellina Jackie che, spaventata per quello che stava succedendo a casa, lo aveva chiamato.
 

Ormai a casa, Nate era andato alla ricerca di un avvocato da potersi permettere viste le sue modeste finanze; stava rinunciando ai suoi progetti per amore della sorellina, ma ne era felice.
Grazie a Hilda era riuscito a entrare in contatto con un avvocato con una parcella onesta e che aveva preso a cuore il suo caso. Gli aveva promesso vittoria, ma doveva essere disposto ad accusare sua madre come non idonea all'affidamento dei minori.
Nathan era certo che quella dichiarazione l'avrebbe ferita, ma doveva farlo per il bene di Jackie.

 
 

 

Una settimana e un giorno.
Erano passati esattamente una settimana e un giorno dall'ultima volta che aveva visto Nate. Le mancava davvero tanto: le mancavano i suoi abbracci dolci, le sue intime carezze e i loro baci traboccanti di passione.
Era preoccupata, non aveva sue notizie e non sapeva nemmeno quando sarebbe tornato.
Aveva intuito che quella ricevuta doveva essere una chiamata dal passato; avrebbe spiegato la sua improvvisa partenza. Le era ormai chiaro che l'unica cosa che lo destabilizzava ancora era la sua famiglia.
 

Ma eccolo: statuario che si districava fra i tavoli velocemente per tenere la mente occupata. Violet gli leggeva in faccia una nota preoccupata, che lui cercava di isolare dal lavoro.
 

“Nate!”

“Ciao piccola!” si era fermato per abbracciarla; non aveva avuto il tempo di realizzare quanto le fosse mancata.

“Tieni, ti ho riportato il tuo telefono, l'avevi dimenticato qui.”

“Oh grazie… Violet scusa se sono sparito per un po'. Sono tornato a casa da un paio di giorni e sono stato un po' incasinato.”
 

Era tornato a casa da un paio di giorni? E non l'aveva cercata?! Violet si sentiva offesa per quella sua mancanza di attenzioni. Perché lei sentiva la necessità di averlo accanto e lui no? Quella cosa la innervosiva e si era inacidita.

“Ah ok. Potevi però farmi sapere qualcosa.”

“Si, hai ragione. Per questo ti sto chiedendo scusa.”

“La ragione si dà agli stupidi, quindi non usare quel tono accondiscendente con me.”

“Scusa, non volevo sparire così tanto tempo. È stato tutto complicato e talmente veloce che non ho avuto nemmeno un attimo per pensare.”

“Nemmeno un minuto per chiamarmi e dirmi: scusa Violet, sono dovuto partire all'improvviso. Non ti preoccupare. Torno presto; ora non ti posso spiegare. Ciao.” Violet aveva assunto un tono di rimprovero che a Nathan non piaceva per niente.

“Non mi piace il tono che stai usando. Ti ho detto che mi dispiace; ora scusa, ma devo lavorare.”

“Sei come tutti gli altri… E io da stupida, mi sto alludendo.”

“Violet smettila; ora non posso e non voglio parlarne. Ci sentiamo stasera, ok?”

“Non ti scomodare Nathan. Non so se avrò tempo per te stasera.”

“Non fare la bambina; non ho tempo per giocare.”

“Vaffanculo.” Era uscita dai gangheri e anche dal locale.
 

Nate era al centro di molti sguardi che indiscreti l'osservavano.

“Ma che avete da guardare? Lo spettacolo è finito.” Ed era tornato al lavoro sotto lo sguardo della signora Callaway che, in maniera assai evidente, mostrava disapprovazione.

“Hilda non guardarmi così, per favore.”

“Non posso farne a meno; hai sbagliato e non riesco a nasconderti quello che penso.”

“Lo so che ho sbagliato, ma non potevo spiegarle problemi della mia vita, qui, davanti a tutti. E poi lo sai quanto io debba lavorare in questo periodo.”

“Posso solo cercare di immaginare quello che stai passando, e vedo quanto tu ti stia dando da fare per risolvere la situazione. Ok, magari Violet ha sbagliato il tono e il modo, ma quello che stava dicendo era giusto. Sei sparito e lei è stata in pensiero tutta la settimana, perché non ha avuto tue notizie..”

Nate non rispose, tornò al lavoro cercando di non pensare a quel problema incombente. Ma più si cerca di scacciare un pensiero, più quello bussa insistente alla tua porta.
Alla fine del turno sarebbe passato da Violet e avrebbe cercato di chiarire con lei; così per una sera avrebbe lasciato da parte il resto.

 

“Avanti Violet, aprimi! Lo so che sei in casa, ho visto la luce accesa dalla strada.”

“Non ho tempo, Nate.”

“Non fare la bambina Violet, ormai è abbastanza cresciuta, che dici?”

Aveva aperto la porta di colpo e si era affacciata con prepotenza: “No! Tu non fare il bambino; Parti, non mi dici niente e poi in più quando torni non mi viene neanche cercare?”

Aveva ragione su tutti i fronti e lui infatti era passato per scusarsi, ma la parola scusa usata ancora una volta non avrebbe cambiato molto la situazione.

“Perdonami scimmietta. Sono venuto qui per scusarmi con te, per farmi perdonare da te per la mia assenza, la mia mancanza di giustificazioni e di riguardi. Sono qui anche per spiegarti il perché di tutto questo. Ti chiedo di ascoltarmi e lasciarmi parlare senza interrompermi; non è facile per me, ma non voglio nasconderti niente, voglio renderti partecipe della mia vita, anche se non è facile. Questa settimana non ho davvero avuto un attimo di respiro. Sono distrutto e incasinato. Ho bisogno di saperti vicino in tutto questo, anche se sono stato assente e se sarò lontano.”

Violet si era ammutolita ascoltando le parole che Nate le aveva detto e, osservandolo, poteva leggergli sul volto i segni del suo tormento. Lo sguardo era più cupo, meno brillante e anche la postura non era la stessa possente ed armoniosa: aveva le spalle cadenti, sembrava un fiore che stava appassendo per la mancanza d'acqua.

“Parla: sono tutt'orecchi.”

“Preferirei entrare e non far sapere a tutto il piano quello che già faccio fatica a dire solo a te.”

“D'accordo, entra.” Disse Violet scostandosi per farlo passare.

 

Nathan si era diretto verso il divano e si era seduto sporgendosi in avanti, appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia e con le mani intrecciate davanti alla bocca.
Appariva preoccupato e teso. Violet gli si sedette accanto, istintivamente, per cercare di rassicurarlo.

“Violet.. sono partito dimenticandomi di tutto, perché mia sorella mi ha telefonato chiedendomi, o dovrei dire implorandomi, di aiutarla perché era spaventata e in pericolo. Non ho capito più niente. Sono partito con la macchina di Hilda e l'ho raggiunta solo dopo estenuanti ore di viaggio. Quando ho bussato alla porta di quella che era casa mia, ha aperto mia madre, René. Non si aspettava certo di trovarmi a bussare insistentemente alla sua porta. Mi ha tirato un ceffone e poi voleva che sparissi dalla sua vista. Non aveva tutti i torti. L'ho abbandonata e sto per portarle via anche Jackie.
Lo faccio per il suo bene, finché sono in tempo, lei non può vivere lì. Non è un posto dove far crescere dei bambini. Ho chiesto anche a mia madre di venire via con noi, ma non riesce ad allontanarsi dal giro.
Violet, mia mamma è una drogata e Jackie non può crescere con lei.” Nate si tormentava le mani, e non la guardava in faccia nemmeno quando si rivolgeva direttamente a lei.
Violet non gli rispose; solamente si avvicinò e gli posò una mano sulla gamba.

Nathan riprese: “Sono stato ospitato dalla signora del piano di sotto pur di rimanere vicino mia sorella. Adesso poverina, ha un polso rotto, perché dei componenti della gang erano entrati in casa e stavano accusando mio fratello di essersi intascato dei soldi, ricavi dello spaccio. Ci sono andati giù pesanti e lei ha visto tutto chiusa nell'armadio.
Quel nascondiglio però non l'aveva protetta, perché in cerca dei soldi, avevano rovistato ovunque compreso quell'armadio e, strattonandola, l'avevano tirata fuori. Lei piangeva spaventata; per farla stare zitta l'avevano strattonata ancora più forte fino a romperle il piccolo e delicato polso, e questo l'aveva fatta piangere ancora di più. Solo allora mia madre, forse fatta, è intervenuta minacciando di chiamare la polizia.
La mia famiglia non può permettersi la copertura sanitaria e adesso Jackie va in giro con una fasciatura di fortuna.
Ho praticamente pregato di lasciarla partire con me, e di affidarmela, senza far intervenire le istituzioni. René, invece di ragionare, ferita nell'orgoglio di madre, ha inveito contro di me e mi ha cacciato di casa.
Non volevo ricorrere alle vie legali, ma non ho potuto fare altrimenti. Ho ferito mia madre, ma almeno salvo Jackie da questa pena..
Nathan fece un’altra piccola pausa: tirò un sospiro di sollievo, dovuto al fatto che si era liberato di gran parte di quel fardello che prima era costretto a portare da solo. Ora invece, quel peso era sostenuto da altre due spalle, che apparentemente erano esili, ma che riuscivano a portare un immenso carico.

È da quando sono tornato che lavoro ad ogni ora del giorno e della notte per pagare le spese dell'avvocato e mettere da parte i soldi per la scuola di Jackie. Voglio che si istruisca, che abbia un futuro e delle buone possibilità di essere felice.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Cap. 16
 

Era un vero casino! Nathan stava per assumersi la responsabilità di un processo contro la propria madre per prendersi pieno carico della sorellina.
Violet si chiedeva dove trovasse la forza per affrontare tutta quella pressione. Come poteva pretendere che lui lavorasse, si prendesse cura della sorella e avesse tempo anche per pensare a lei?

“Nate, cavoli è davvero una grande responsabilità! Di sicuro avrai il mio pieno supporto e io spero di essere all’altezza della situazione. Cioè non sono mai stata una bambina spensierata e non so che rapporto potrei instaurare con tua sorella..”

“Dai già per scontato che ne avrai la possibilità? Come se me l’avessero già affidata..”

“Per forza! Nessun giudice dotato di senno la lascerebbe dove è adesso.. con tutto il rispetto, però non hai propriamente una famiglia modello e sinceramente ringrazio il cielo che tu sia cresciuto così, con questo animo puro e altruista. Sono certa che ti daranno la custodia di Jackie. Sei la persona adatta per crescerla.”

“Grazie del supporto scimmietta.”

“È doveroso dopo la scenata di prima. Scusami, non sapevo niente di tutto questo e io mi sono sentita un po’ trascurata, messa da parte.”

“Ho sbagliato Violet. Ti ho trascurata davvero e mi dispiace, però come hai capito ho avuto un po’ di problemi e mi sono pure dimenticato il telefono da Hilda..”

“Certo! È più che comprensibile che tu avessi altro per la testa.” disse Violet avvicinandosi a lui ancora di più e stendendosi a pancia in su con la testa sulle sue gambe per costringerlo a guardarla negli occhi.

“Quanti anni ha Jackie?” aveva ripreso, mentre lui le accarezzava i lunghi capelli neri.

“Cinque.”

“È più grande di quanto pensassi! Spero davvero di esserne all’altezza; e se hai bisogno di ripartire per il processo lo capisco: è una cosa importante. Io sarò qui ad aspettarti.” Dopotutto Violet glielo doveva; lui era così paziente con lei, e aveva bisogno di tutto il suo supporto.

“Violet sei un amore di ragazza; sotto la tua scorza dura, c’è un cuore d’oro e secondo me non ti devi preoccupare: sono sicuro che con Jackie andrai d’accordo. Magari all’inizio sarà un po’ gelosa, ma è normale: sono il suo fratellone; però poi conoscendoti, sono sicuro che come me si affezionerà a te e diventerete una coppia inseparabile.”

“Farò del mio meglio per farle capire che non deve essere gelosa di me. L’amore che provo per te è qualcosa di estremamente nuovo per me, ma lei non avrà nulla di cui essere gelosa; avrà sempre spazio nella tua vita, non cercherei mai di portarti via da lei!”

“Oh scimmietta..” la baciò improvvisamente e quel contatto trasmetteva necessità di supporto, di amore e gratitudine. “Io sono sempre più convinto di amarti! Mi chiedo come abbia fatto vent’anni senza di te! Mi hai rubato il cuore piccola scimmietta.”

“Ti amo anch’io caro il mio Cioccolatino.” E si incontrarono in un bacio passionale.
 

Quel magico momento venne interrotto dal cellulare di Nathan che iniziò a squillare.
 

“Scusami piccola, ma devo proprio rispondere: è l’avvocato.”

“Certo certo! Rispondi, che aspetti?” Violet aveva capito l’importanza della situazione e non aveva esitato a supportare il compagno che ormai aveva anche ammesso di amare. Quella reazione aveva fatto crescere un sorriso sincero sul volto di Nathan.
Rispose condividendo il telefono con la ragazza. La sua piccola era al corrente di tutto ora; lo stava supportando e non aveva senso nasconderle quella telefonata. Tanto sapeva che prima o poi gliel’avrebbe raccontata.

“Nathan? Buonasera sono Josh, l’avvocato.”

“Si, ciao Josh! Allora che novità mi porti?”

“Ci sono degli ottimi sviluppi! Il mio collega di New York, incaricato del sopralluogo a casa tua, ha firmato per farvi andare al tribunale al più presto. In più, con l’aiuto della polizia, ha portato Jackie all’ospedale, così ora ha un ingessatura come si deve. Hanno detto il polso tornerà come nuovo; che non le rimarrà altro che un brutto ricordo.”

“Ma sono davvero delle belle notizie!”

“Già! Secondo quanto mi è stato riferito dal dipartimento incaricato del vostro caso, il giudice dovrebbe essere la Signora Maddox; non l’ho mai incontrata in tribunale, ma ho fatto delle indagini: è una donna sulla quarantina, dedita al lavoro e innamorata di suo figlio di dieci anni, Martin..”

“Scusa Josh, ma questo come dovrebbe aiutarmi?”

“Semplice Nathan, avrà un occhio di riguardo per la nostra cara Jackie, e penserà soprattutto al suo bene, le mamme hanno questo innato senso per la protezione dei bambini.” Quella frase aveva incupito il povero Nathan, che si era ritrovato una madre che non rientrava in quella categoria probabilmente.

“Peccato che anche la mia non sia così..”

“Ops.. scusa Nathan. Non volevo infierire, ma ero contento che avessimo questa fortuna. Appena so qualcosa riguardo la data del processo ti faccio sapere. A presto signor Campbell!”

“Ahahahah! Signor Campbell, ahahahahah!”

“Facci l’abitudine Nathan! In tribunale non posso certo chiamarti fratello! Ahahahah! T’immagini la scena? Ahahah! Hey fratello, come definiresti la condizione della tua sister Jackie? Ahahaahah! Sarebbe il peggior processo della mia carriera!”

“Ahahahaha! Grazie Josh!”

“Figurati Nathan. A presto!”


Quella telefonata aveva rasserenato Nate e Violet gli leggeva un’espressione più rilassata sul viso. “Sono davvero delle ottime notizie caro il mio Cioccolatino! Vedrai che in poco tempo questa brutta storia sarà finita e tutto andrà per il meglio.”

“Grazie pulce, avere te accanto mi aiuta molto.” Disse, per poi posarle un bacio sulla fronte.

“Adesso devo proprio scappare. Devo per forza andare a letto presto perché domani ho la sveglia alle quattro: vado ad aiutare il panettiere ad aprire e preparare tutto. È una faticaccia, ma mi paga abbastanza bene.”

“Rimani qui a riposare, lascia che mi prenda un po’ io cura di te.”

“Ti amo Violet Peterson.” A quelle parole la piccola moretta arrossì. “Sei ancora più bella quando arrossisci.”

“Ahaha! Tu sei più bello quando sorridi Nathan Campbell. Il bianco dei tuoi denti risalta contro la tua pelle scura.”

“Ma come siamo romantiche! Mi conviene partire più spesso, se ti fa questo effetto!”

“Non è divertente. Non sai quanto sia stata in pensiero in questi giorni!”

“Perdonami.” La loro conversazione terminò così con le scuse di Nate e un abbraccio che valeva molto più di altre parole.

 

Nathan si era addormentato indossando solamente i boxer e una delle magliette più grandi di Violet. Inutile dire che a lui stava un pochino stretta, fasciandolo e mettendo in evidenza il suo fisico prestante.
Erano passati al livello successivo ormai, - non era la famosa terza base, ma era decisamente la seconda. – Si conoscevano e non c’era più vergogna e la necessità di dormire stracoperti. Anche lei infatti indossava solo una maglia enorme delle sue e aveva le gambe filiformi scoperte e agganciate a quelle di Nathan. Il giovane si era addormentato mentre Violet gli accarezzava il viso e lo osservava come se fosse lo spettacolo più bello del mondo.

 
 

Alle tre e mezza suonò la sveglia di Nathan e per poco non svegliò anche la sua scimmietta che riposava tranquilla accoccolata a lui.
Doveva proprio alzarsi, non poteva rimanere lì con lei all’infinito come avrebbe desiderato. Doveva andare a lavorare, ma non prima di averle lasciato un ricordino per renderle più dolce il risveglio.

 

Violet si svegliò qualche ora più tardi, e stiracchiandosi nel letto, lo sentì vuoto: Nathan era andato al lavoro.
Si mise a sedere sul letto, guardò l’ora e realizzando di essere in ampio anticipo per la scuola decise di concedersi un bagno caldo.
Raggiunse il tavolo per la colazione e trovò una busta improvvisata con un foglio del suo quaderno e una scritta sopra:
 

Per la mia piccola pulciona
 

La aprì e vi trovò dentro un biglietto che Nate gli aveva lasciato.
 

Scimmietta, sarei rimasto a guardarti dormire per ore, ma il lavoro mi chiama. Buon risveglio piccola. Prometto che presto io e te ci rifaremo e organizzeremo una giornata tutta per noi. Preparati che il prossimo week-end sarai presa in ostaggio e… non ti svelo il resto altrimenti non sarebbe una sorpresa.
Un bacio.

Il tuo Nate.
 

Quella settimana Nathan partì di nuovo per il processo. Quel giorno Violet era tesa, voleva andare con lui, ma lui aveva insistito perché non saltasse la scuola e che l’avrebbe aggiornata, visto che questa volta non si sarebbe dimenticato il telefono.
 

Tornò dopo tre giorni. Era contento. Secondo il suo avvocato, Josh -un  trentenne ancora entusiasta del lavoro che faceva- il processo era andato bene, e tra non molto avrebbe ricevuto la sentenza.
La sentenza arrivò il 16 marzo. Quello fu uno dei giorni più importanti nella vita di Nathan e della sorellina: gli era stata affidata a pieno carico. La madre avrebbe potuto incontrare la bambina solo se lui era d’accordo, e avrebbe potuto portarla presto a casa, giusto il tempo di terminare con le scartoffie.
Per festeggiare Nathan aveva organizzato la tanto promessa giornata romantica. Era però all’oscuro del fatto che anche Violet gli stava preparando una sorpresa.

 
 

Il tempo era perfetto.
Il sole scaldava l’aria primaverile e le nuvole passavano veloci nel cielo limpido. Sembrava quasi una giornata d’estate, nonostante le previsioni avessero dato brutto tempo.
Nathan decise di carpe diem, e con il cestino da pic-nic alla mano, era passato a prendere la sua bella.

“Pulce muoviti! A meno che tu non voglia passare il pomeriggio in casa; a me non dispiacerebbe, troverei sicuramente il modo di intrattenerti, però a te la scelta.”

 “Naaaateee! Non per fare la preziosa, ma vorrei davvero uscire oggi, io e te ci meritiamo del tempo da soli che non sia solo a casa.”

“Va bene cucciola. Allora vestiti comoda che dobbiamo camminare un po’..”

“Dove mi porti?”

“Ma ci tenti ancora?”

“Pff.. sempre con queste sorprese! Lo sai che ho un rapporto complicato con quest’ultime.”

“Lo so piccola: infatti se ci fai caso, ti lascio sempre qualche indizio che ti porti a capire cosa riguarda. O sbaglio? E anche adesso, se ti muovessi, capiresti cosa facciamo oggi..”

“Adesso arrivo! Dammi ancora due minutini..”

“Sisi, ormai mi sono anche disteso sul letto per fare un pisolino. Svegliami poi quando sei pronta!”

“Ma io non sono mai in ritardo! Sei tu che arrivi in anticipo!”

E in effetti era vero, ma Nathan adorava punzecchiare Violet, così come lei adorava la sua puntualità. Aveva sempre detestato i ritardatari.

“Ahahaha! Sei davvero adorabile quando accampi queste scuse!”

“Ma non sono scuse è la verità. Scusa dimmi che ore sono?”

“Sono le due meno sette.”

“Appunto! Dovevamo vederci alle due in punto! Sei in anticipo di ben sette minuti e per una ragazza anche un misero minuto è di vitale importanza.” Il suo tono sembrava perentorio, mentre in realtà se la ghignava sotto i baffi seduta sul bordo della vasca. Conosceva le abitudini di Nathan ormai ed era già pronta; voleva solo prendersi un po’ gioco di lui.

“Non è colpa mia se mi hai reso dipendente e non posso fare a meno di stare con te anche un misero minuto in più!”

Violet gongolava a sentire quelle dolci parole e facendo piano aprì la porta del bagno. Nathan era sdraiato davvero sul letto e lei gli si fiondò addosso. Lui la accolse tra le braccia e, fissandola negli occhi, le accarezzava i lunghi capelli.

“Sono pronta, Cioccolatino. Andiamo?”

“Certo!” e con un scatto felino si alzò dal letto e con lei tra le braccia uscì dalla porta.

 

“Immagino tu sia comoda tra quelle braccia forti e muscolose.”

“Buongiorno signora McKyle.” L’avevano salutata.

“Buongiorno anche a voi. Facciamo un pic-nic oggi?” chiese lei osservando il cestino che aveva la ragazza fra le mani.

“Si, Nathan mi ha fatto una sorpresa. Ci regaliamo un po’ di tempo insieme.”

“Fate bene ragazzi; l’amore è così bello! Vi auguro una buona giornata.”

“Altrettanto!” i due ragazzi sorridenti si avviarono giù per le scale.  

  

“Ma quando arriviamo?? Stiamo camminando da almeno un’ora!”

“Abbiamo la lamentite acuta oggi??”

“Ahahaha no. Sono davvero entusiasta per questa sorpresa, davvero. Solo che con la storia delle materie d’esame che sono uscite, sto impazzendo! Sono uscite le materie della commissione e i professori esterni sono talmente rinomati per la loro cattiveria che farebbero impallidire Lucifero in persona!”

“Ma di che ti preoccupi? Tanto tu sei bravissima, piccola mia.”

“Appunto per quello devo preoccuparmi! Visto che sono brava, mi chiederanno il pelo nell’uovo. Sono davvero degli stronzi!”

“Ma non ti preoccupare amore, ci sarò io a supportarti quel giorno se mi vorrai. Si può assistere al colloquio giusto?”

“Sì, certo che puoi venire ad ascoltarmi; anzi devi! Avrò bisogno del tuo supporto e così mi sentirò protetta.”

Nathan le avvolse il braccio intorno alle spalle e la strinse a se, e continuarono così a camminare.

“Eccoci qua. Siamo arrivati.”

Violet era rimasta a bocca aperta. L’aveva fatta camminare così tanto per condurla in quel piccolo angolo di paradiso. L’aveva portata al confine della foresta, dove veniva interrotta dal fiume. Il silenzio era interrotto solo dal cinguettare degli uccellini, che estasiati dalla primavera davano corda alle loro voci e dallo scrosciare dell’acqua, che veloce si infrangeva contro le rocce.

“È davvero bello qui, Nate.”

“Sono davvero contento che ti piaccia.” Rispose lui stendendo la coperta sul prato mentre Violet osservava il paesaggio circostante con gli occhi di una bambina sorpresa per la bellezza della natura.

“Allora mi fai compagnia? O preferisci rimanere ad ammirare la foresta?”

“Sono tentata di scegliere la seconda opzione..”

“Ahahah! Se l’avessi saputo prima, non avrei scelto una location così bella, così almeno avrei avuto i tuoi occhi tutti per me.”

“Ahahah che stupido che sei! Però hai scelto un posto davvero bello, grazie amore.”

“Dai siediti e rifocillati donzella!” disse Nathan tirando fuori i manicaretti che aveva preparato: sandwich al tonno e pomodoro e insalata di riso.
 

“Dovresti pensare a fare un corso per diventare chef.” Violet interruppe il silenzio parlando con la bocca piena.

“Addirittura? Questa non è cucina, piccola. Sono solo le basi elementari per la sopravvivenza.”

“Ma non dire fesserie! Questa sarà pure la base della sopravvivenza come la chiami tu, ma per me è davvero buona. Secondo me tu hai del talento ai fornelli, per questo te lo dico. È tutto davvero buono nella sua semplicità.” Disse addentando un panino.

“Grazie pulce. Magari ci penserò più avanti, adesso non posso. Tra non molto ci sarà anche Jackie con me.”
 

Il loro pranzetto passò tranquillo e soddisfatti e con la pancia piena si distesero sul prato e Violet si appoggiò a Nathan che la accolse in un tenero abbraccio.
I due piccioncini in quella posizione condividevano i loro sogni e i loro progetti per il futuro. Nathan aveva sempre voluto viaggiare, curioso di scoprire tutto del mondo, e voleva provare almeno una volta nella vita a fare surf, solcando le onde australiane. Violet invece sognava di aprire una casa editrice per dar voce a i giovani scrittori americani.
 

“Siamo talmente vicini al fiume che arrivano addosso le gocce d’acqua.”

“No piccola, è la pioggia.”

“Porca miseria!” le gocce avevano iniziato a farsi più fitte e i due ragazzi velocemente avevano raccolto tutto e si erano dati alla fuga.

Altro che acquazzone estivo: quella pioggia incessante che scrosciava sembrava il principio dell’apocalisse.

“Violet andiamo a casa mia che è più vicina, d’accordo? Altrimenti ci prendiamo un accidente sicuro!”

“Buona idea.” Rispose lei continuando a correre a passo deciso accanto a lui.

“Per di qua.” E Nathan la superò di poco iniziando a farle strada.

Dopo venti minuti buoni di corsa giunsero a una piccola casa alla periferia del paese. Sembrava una piccola baita costruita secondo lo stile semplice ed essenziale di parecchi anni prima.
Le pareti bianche, l’ingresso di legno e la scala per accedervi avevano un aspetto famigliare, come se fosse una di quelle case che tutti si immaginano.
Nemmeno la casa del mulino bianco poteva competere con la stabilità e tranquillità che quella casa emanava. Ma forse quel senso di sicurezza che l’aveva colta mentre impalata, sotto la pioggia, osservava quel piccolo edificio era dovuto al fatto che Nathan per incitarla a entrare l’avesse presa per mano e la stesse tirando sotto il portichetto.
Veloce estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans e aprì il portoncino.
Il calore che uscì dalla casa era piacevole e ristoratore, dopotutto erano zuppi, per la pioggia e stanchi per la corsa.  

Violet per lo sbalzo di temperatura starnutì.

“Accidenti mi dispiace piccola, non volevo proprio che andasse a finire così il nostro momento romantico.”

“Non ti preoccupare. Se non altro finalmente vedo casa tua. Mi sono sempre chiesta come fosse.” E intanto si guardava intorno analizzando i piccoli dettagli.
L’arredamento era piuttosto scarno, e contrastava con le pareti di legno chiaro della sala. Il divano ad angolo color blu notte si affacciava sulla finestra e permetteva di godere dello spettacolo della foresta che aveva davanti.

“E che ne pensi? È molto modesta, ma mi piace così.”

“Mi piace. Io ci avrei messo qualche accessorio in più, ma non posso mica prendere che tu abbia del talento anche nell’arredare..” lo canzonò punzecchiandolo.

“Non si può avere tutto dalla vita.. di sicuro ho altri talenti..” ammiccò.

“Sei sempre modesto..”

“Un altro dei miei tanti talenti..”

Etchiù! 

Un altro starnuto ruppe l’atmosfera giocosa e gli ricordo che forse era il caso di andare a cambiarsi.
 

“Tieni pulce. Ti andranno un po’ grandi ma almeno sono asciutti.” Le porse dei pantaloni della tuta e una maglietta di quando giocava a basket. Violet la osservò per un attimo stendendo le braccia e sentenziò “Ci navigherò dentro, altro che!”

“Ti lamenti sempre… se preferisci puoi non metterti niente. A me non dispiace.” Disse lui ammiccando e dandole una pacca sul sedere passandole accanto.

“Ti piacerebbe..”

“Si e anche molto.” Rispose assolutamente serio, girandosi a stringerla tra le braccia e scostandole i capelli bagnati dal collo per iniziare a lambirlo con le sue labbra calde.
Un’idea molto provocante passò per la testa di Nathan: una doccia calda insieme per togliersi di dosso il freddo dell’acqua piovana e per distendere i nervi della sua piccola maturanda.
Sia mai che dopo facessero anche il passo successivo.
Nathan la desiderava, non riusciva a non ammetterlo; ogni volta che l’aveva vista sfilarsi la maglietta o sbottonarsi la camicetta il suo animo sussultava e voleva stringerla a lei e farla sua con tutta la passione e l’amore che era in grado di donare.
Ma si era imposto di rispettare i suoi tempi. Nei loro momenti di intimità – un po’ latenti nell’ultimo periodo – lei gli aveva ammesso che lui sarebbe stato il suo primo ragazzo e aveva un po’ di paura. Gli aveva confessato che si sentiva sbagliata perché non riusciva a soddisfarlo a dovere, ma quello che lei non sapeva è che le sue piccole mani, anche solo sfiorandolo era in grado di dargli piacere. Certo non era quel piacere che si poteva provare stando completamente con la donna che si ama, ma sapeva che presto il loro momento sarebbe arrivato e magari quello poteva essere il giorno.
Un po’ timoroso per la sua reazione l’aveva accompagnata in bagno facendo strada mentre continuava a cingerle la vita da dietro.
 

Con calma, arrivati a destinazione, avevano iniziato a baciarsi e lentamente a spogliarsi a vicenda. Indubbiamente Violet gli stava concedendo molto in quel momento e lui gliene era grato.
Erano rimasti solo in intimo ed erano entrati insieme nella doccia. Bagnati dal getto dell’acqua calda non separavano neanche per un istante le loro bocche, che fameliche chiedevano ancora di più.
Con calma tolsero anche quegli ultimi lembi di stoffa che li coprivano e iniziarono ad insaponarsi con estenuante perizia.
Le mani di Nathan accarezzavano il corpo di Violet che veniva percorso da mille brividi di piacere; quelle lente carezze fatte di schiuma stavano facendo crescere il desiderio di sentirsi vicini di entrambi.
Il desiderio del giovane era palesemente visibile e la piccola moretta non poteva fare a meno di sentirlo.
I loro corpi a contatto ribollivano e si chiamavano, attratti come due calamite.
 

L’incessante getto dell’acqua venne interrotto da Nathan che spense la doccia e uscì recuperando degli asciugamani per coprirsi.
Violet però non sembrava molto contenta, si sentiva lusingata dalle continue attenzioni e premure del suo Cioccolatino e l’interruzione di quel contatto la lasciò con l’amaro in bocca, come se non le bastasse.
Con uno slancio di coraggio si aggrappò al collo di Nathan e lo attirò a se unendo le loro labbra in bacio tutt’altro che casto.
Abbracciati e coperti di soli asciugamani continuavano a baciarsi mentre Nathan l’accompagnava in direzione della camera.
Nella fretta di saziare quella loro piccola fame presero dentro qualche spigolo e inciamparono persino su un gradino e ridendo continuavano la ricerca di quello che sarebbe diventato il loro nido, dove potevano coccolarsi ed amarsi senza che nessuno li avrebbe interrotti o disturbati.
 

Distesi sul letto avevano continuato a giocare l’uno con l’altro in una serie di preliminari che portarono inequivocabilmente al punto dove erano adesso.
La mole di Nathan sovrastava il corpicino di Violet e i loro sguardi liquidi e vogliosi si erano incontrati e non sembravano volersi separare.
Quella di Nathan era una silenziosa richiesta per andare oltre e la moretta per tutta risposta gli sorrise mordendosi il labbro.
Il ragazzo si sporse verso il comodino, frugò nel cassetto ed afferrò una piccola bustina argentata che rifletteva la luce che filtrava dalla finestra.

“Li tieni li sempre pronti per l’uso?” Nathan non si aspettava certo quella domanda dalla sua piccola e allibito si voltò a guardarla. Lei scoppiò a ridere e gli diede un bacio a fior di labbra.

“Che sciocca. Mi sono premunito nell’attesa che questo momento arrivasse.”

“Ti ho fatto aspettare tanto?” chiese riprendendo posizione tra le sue braccia forti.

“Giusto il tempo di cuocermi a puntino.”

Quella che si dice la frase giusta al momento giusto. Con quelle parole aveva trasmesso alla sua compagna senso di potere, rendendola ancora una volta consapevole dei suoi sentimenti e dell’influenza che lei nonostante tutto esercitava su di lui.
Si unirono in un altro bacio passionale e con calma Nathan si faceva spazio tra le sue gambe.
Il suo membro avvolto in quella scomoda fasciatura di lattice iniziò a sfiorarla causandole gemiti di piacere che morivano sulle loro labbra unite.
Niente più indugi: Nathan affondò in lei con delicatezza, però era inevitabile che le facesse male. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi senza che lei potesse ricacciarle indietro. Non voleva piangere, soprattutto non in quel momento in cui finalmente era riuscita a concedersi al suo Nathan.
Ma quel dolore pen
etrante l’aveva trapassata e quelle infami scorrevano silenziose mentre lei ansimava tra le braccia di lui. Lui iniziò ad asciugargliele con piccoli baci mentre continuava, piano a muoversi in lei.
Quel piccolo gesto significò tanto per la piccola Violet che inesperta cercava di sentirsi a suo agio in quella situazione che le provocava sia dolore che piacere.
Nathan non voleva solo fare l’amore con lei, voleva che lei stesse bene con lui, in quei movimenti che denotavano amore e passione.
Violet stava provando tutte concentrate un misto di emozioni che la stavano stancando più di quella corsa che aveva fatto poco prima per raggiungere la casa. La stretta al ventre aumentava e lo sentiva sempre più dentro di lei che con amore e pazienza godeva del loro rapporto.
Per lui quella non era la prima volta quella, ma era l’unica in cui fosse veramente coinvolto seriamente con una ragazza. Lo sentiva, il piacere che provava era diverso, era più coinvolgente e non era solo fisico, era mentale e soprattutto ogni suo gesto era dettato dal cuore.

Il dolore era passato in secondo piano e Violet aveva iniziato a partecipare più attivamente a quella danza che univa i loro corpi. Aveva invertito le posizioni e ora lei seduta sopra di lui lo stava facendo impazzire. Aveva iniziato ad oscillare seguendo il ritmo delle sue spinte e aveva iniziato a baciargli il collo avida.
Sentiva come una scarica percorrerle l’intero corpo, una scarica che le dava quella spinta giusta per mettere da parte la paura e tutti i brutti pensieri che potevano passarle per la testa. Ora non esisteva altro all’infuori di loro e del loro amore. Il cervello e i sensi erano come inebriati e sbronzi del loro amore e Violet non riusciva a pensare a niente che non fosse il suo ragazzo.
Non erano una coppia dichiarata, ma avevano un tacito accordo: essere l’uno dell’altra, senza riserve o remore di alcun tipo. Condividendo le piccole cose si erano tuffati in una relazione più impegnativa di quello che potevano immaginare.
Le mani di Nathan scorrevano lente e possessive lungo la sua schiena e poi presero a stuzzicare i seni della ragazza con evidente lussuria.
Ancora uniti, dopo lunghissimi attimi di passione, gemevano entrambi e arrivati al culmine e suggellarono quel loro piccolo traguardo sospirando un leggero ti amo e con un bacio a fior di labbra che copriva le loro voci.

Stanchi e appagati si sdraiarono uno accanto all’altro, senza mai perdere di vista i loro sguardi che sembravano scambiarsi infinite dichiarazioni d’amore.  

“Come stai? Ti ho fatto tanto male?” fu la timorosa domanda di Nathan. Aveva avuto paura di farle male, e anche tanto. Lei era la sua piccola e pura cucciolotta che per la prima volta aveva fatto l’amore con un ragazzo e quel ragazzo era lui. Si riteneva fortunato ed orgoglioso di essere il primo e l’unico ad avere posato le mani sul quel corpo delicato che era stato parte di lui fino a poco prima.

“Sto benissimo amore. All’inizio si, ma poi è stato bellissimo.” Non poteva ricevere risposta migliore; alla fine era normale che lei avesse provato un po’ di dolore, era così che funzionava, però lei le aveva detto che era stato bellissimo.

“È stato bellissimo anche per me piccola. Che ne dici se andiamo a fare una bella doccia? Prima non è stato niente male.”

“Potrei farci l’abitudine. Non ho mai adorato così tanto fare la doccia in vita mia.” Da principe quale era Nathan prese in braccio la sua donzella e la condusse ancora una volta nel vano doccia dove tra le mille carezze la loro passione si stava riaccendendo. Per i loro corpi che avevano assaggiato cosa voleva dire unirsi, sembrava che risultasse difficile stare lontani ora.

Alla fine della doccia Violet si sentiva un po’ indolenzita, ma trionfante si rivolse al suo bello: “Devo assolutamente rivalutare la doccia. Non è così male come pensavo. Dovrei farne più spesso.”

“Ahahahah! Solo se sarai con me. Non ammetto le mani di nessun altro sul tuo corpo bambolina.”

“E io che pensavo di chiamare il mio amante e proporgli una doccia..”

“Non scherzare col fuoco, bambolina. Tu sei mia!” la canzonò avvolgendola poi in abbraccio caldo e protettivo, come a fungere da isolante da qualsiasi altro essere umano che poteva avvicinarsi.
Doveva ammetterlo. Era geloso; e ora che era sua, lo era più che mai.

“Come è possessivo il mio Orso. Però mi piace essere solo tua.” E lo baciò. “Ti amo.”

“Ti amo anche io scimmietta.”
 

Nell’attesa che i suoi vestiti si asciugassero stesi vicino alla stufetta, Violet si era decisa ad indossare la maglietta di Nathan e davvero ci navigava dentro. 

“Questa maglietta dona più a te che a me. Te la regalo.”

“Avevo già intenzione di rubartela lo stesso.”

“Ti stai facendo furba.. e brava la mia scimmietta.”

Non potevano fare a meno di sorridere per quell’assurdo scambio di battute.

 
Nathan iniziò a preparare la cena aiutato da Violet che osservava ogni suo piccolo movimento nella speranza di apprendere qualche trucchetto per essere in grado di cucinare qualcosa di buono per lui in futuro.
Cenarono sul divano guardando la TV e poi si buttarono a letto.
Era la prima notte che Violet dormiva a casa di un ragazzo che non fosse Ricky. Chiuse così gli occhi elettrizzata all’idea di poter dormire accoccolata a Nathan, nel letto dove qualche ora prima avevano dato libero sfogo al loro amore.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Cap. 17

Come dice il grande Shakespeare: l’amore ristora come il calore del sole dopo la pioggia. Mai frase era più azzeccata per descrivere la situazione dei due piccioncini che accoccolati si erano addormentati dopo una giornata dedicata al loro amore.
Nathan si svegliò per primo e voltatosi di lato si mise ad osservare Violet che dormiva a pancia in giù e con i capelli sparsi sul cuscino, che cadevano ricoprendole il volto.
Li scostò con delicatezza, ma lei sembrò accorgersene e si mosse avvicinandosi a lui, alla ricerca di calore e forse protezione verso quel contatto che risultava estraneo al suo mondo dei sogni.
Violet stava sognando, o meglio rivivendo, la sua prima volta. Era stata davvero fortunata ad avere con se Nathan. Era stato premuroso con lei, e aveva cercato di farle meno male possibile, nonostante un minimo fosse inevitabile.
L’amore che stava sognando non era solo fisico: era amore vero, quello con la A maiuscola. Amore che cresceva lentamente, che partiva dal cuore e che poi convinceva anche il cervello a seguirlo in un’improvvisata marcia nella quale andavano di pari passo. Corpo e mente, uno con l’altro, d’accordo sul da farsi. Era l’accoppiata migliore che potesse esserci. La formula magica. La ricetta della felicità. E forse quello era davvero l’inizio per qualcosa di limpido, onesto e soprattutto felice.
Il contatto con la pelle calda di Nathan e il movimento dei suoi respiri cullavano Violet nel suo risveglio.
Si sentiva leggermente indolenzita, ma era felice. Era luminosa, raggiante e di buon umore.

“Buongiorno amore.”

“Buongiorno anche a te raggio di sole.”

Un casto bacio li unì e poi in silenzio rimasero abbracciati ad osservare il nulla e a coltivare i loro pensieri, che prepotenti affollavano le loro menti già dal primo mattino.
 

“Voglio che tu venga con me.”

“Ok, dove mi porti? Quando?” chiese Violet eccitata all’idea di trascorrere ancora tempo insieme al suo compagno.

“Voglio che tu sia con me quando andrò a prendere Jackie. Potremmo fare in modo di partire sabato prossimo, al mattino presto, così mal che vada salteresti solo quel giorno di scuola, ma almeno mi starai accanto. Ne ho bisogno.” Violet non poteva non acconsentire a quella richiesta d’aiuto.

“Certo che verrò con te! Ma non è necessario che tu faccia aspettare ancora così tanto tua sorella; possiamo partire anche oggi e salto domani scuola. Tanto un giorno vale l’altro, no? È di certo più importante tua sorella di cinque noiose ore di lezione. Chiederò a qualche mia compagna di prendere appunti per me: ce ne sono un paio che mi devono ancora qualche favore.. che ne dici amore?”

“Che bello sentirti pronunciare quella parolina: amore. Potrei abituarmi a sentirla associata al mio nome.” Disse baciandole la fronte. “Comunque per la tua proposta di partire adesso.. non possiamo. Non posso andare a casa di Hilda la domenica all’ora di pranzo e chiederle di prestarmi la macchina.. non è educato.”

“E chi dice che devi andare a chiedere la macchina a Hilda?”

“Io, a meno che tu non ne abbia una..”

“Beh tecnicamente non è mia.. è tua..”

“Mia? Ma stai scherzando vero? Io non ho una macchina..”

“No, infatti. Io e Hilda abbiamo pensato di farti un regalo in previsione dell’arrivo di Jackie.”

“E mi avete preso una macchina? Ma voi siete pazze! Non è un semplice regalo. È troppo! Non posso davvero accettare!”

“No! Tu accetti, visto che l’abbiamo scelta insieme pensando a te! E poi non è nuova, quindi non è un gran regalo. È il giusto regalo! Non pensare che sia troppo per te, perché te la meritavi e poi non accetto un no come risposta!”

“Sei proprio una testona! E matta per di più!”

“Ti ho mai dato l’impressione di essere una ragazza normale?”

“No, in effetti no..” rispose Nathan ridendo e avvolgendola stretta stretta a sé. “Allora andiamo amore? Non sto più nella pelle! Non vedo l’ora di riabbracciare la mia piccola Jackie!”

“Gambe in spalla mio prode cavaliere!” esordì Violet ridendo e correndo a recuperare i vestiti che si erano asciugati dalla sera prima.
 

Con passo spedito raggiunsero casa sua e lì iniziò per Nate la ricerca della macchina.
Ecco che la individuò: una Chevrolet. Era perfetta nella sua vecchia veste bordeaux leggermente scolorito dal tempo.
Violet gli lanciò in mano le chiavi. “Sali sul tuo destriero, cavaliere!”

“Dopo di lei, principessa.”
 

Iniziarono così il viaggio.
Violet si addormentò a metà strada col sorriso sulle labbra e Nathan ogni tanto le buttava un’occhiata per osservarla sempre più innamorato e sorridere.
Quello scricciolo era un amore di ragazza; una piccola donna capace di forti sentimenti e passione che gli regalava senza riserve. Era riuscito ad avvicinarla, a rompere quella barriera che la separava da tutto e da tutti e aveva scoperto che dietro la sua scorza grezza si nascondeva una ragazza dolce e fresca. Una ragazza che una volta a suo agio dava fiducia e permetteva di avvicinarsi senza remore e riusciva anche ad essere spiritosa e maliziosa al punto giusto.
Era davvero felice di essere stato lui a scoprirla e ad averla conquistata. Con lei accanto il mondo gli sembrava migliore, come se fosse valsa la pena di provare tutte quelle sofferenze in passato se quella era la ricompensa.

La sua piccola porzione di felicità.

 
 

“Violet, svegliati piccola, siamo arrivati.” La scuoteva gentilmente per destarla dal suo sonno. Aveva mugugnato qualcosa e si svegliò leggermente intorpidita.
Aprendo gli occhi aveva visto una schiera di palazzi marrone scuro, il vicolo stretto, i cassonetti e il vociare sconosciuto facevano sembrare quel posto ancora più tetro di quello che era in realtà.

“Siamo arrivati?” chiese Violet ancora leggermente addormentata.

“Si piccola; qui è dove vivevo io..” Nathan l’aiutò a scendere dalla macchina e aveva una luce strana negli occhi: sembrava triste e malinconico, ma i toni e le movenze facevano trasparire una certa rabbia.
 

Nathan era deluso; deluso da tutto ciò che quel posto rappresentava. Era la sua casa, il posto dove era cresciuto; il posto che avrebbe dovuto proteggerlo, ma che alla fine dei fatti gli aveva fatto affrontare le peggiori esperienze che la sua mente di bambino poteva immaginare.
Portare via Jackie da quella topaia e crescerla con Violet era e sarebbe stata la sua più grande vittoria.
 

Violet osservava Nathan che, pensieroso avanzava a passo lento e la teneva per mano.
Dei ragazzi si avvicinarono con andatura sciolta e quasi provocatoria e a Violet venne istintivo stringersi a Nate.

“Non ti preoccupare piccola. Loro sono innocui.”
 

“Ehi fratello! chi è la piccola Biancaneve?”

“Ehi John! Lei è Violet: la mia fidanzata.” Rispose stringendola a sé con fare protettivo.

“Uuuuuuuh! La fidanzata… allora è roba seria!” disse John atteggiandosi.

“Bella, sono John.” Si presentò porgendo il pugno a Violet perché lo battesse.

“Sono Violet.” Rispose battendolo titubante.

“Yo sorella! Che nome delicato che hai..” le girò intorno “E non solo quello..”
 

“Ehi fratello, non hai sentito Nate? È proprietà privata.” S’introdusse Kyle nella conversazione. Un giovane alto almeno quanto Nathan, ma dal corpo più esile. Aveva una cicatrice di fianco all’occhio destro. Osservandolo, Violet riusciva solo a pensare a cosa poteva aver passato anche lui. Lei era stata una bambina fortunata da quel punto di vista, aveva avuto un’infanzia tutto sommato felice e facile.
 

“Kyle, amico. Come stai?” Chiese Nathan avvicinandosi e abbracciandolo.

“Sopravvivo fratello. Però da quando te ne sei andato, qui nel ghetto è tutto diverso.. non c’è più nessuno con le spalle larghe come le tue.”

“Lo so fratello. Mi spiace, ma io qui non riesco più a vivere.. dovreste andarvene anche voi.”

“Naaaaah.. io me la sguazzo qui.”

“Se lo dici tu.” Rispose sorridendo.

Violet li osservava incuriosita, tutta quella familiarità era qualcosa a cui non era abituata: quei ragazzi non erano consanguinei di Nathan, ma lo chiamavano fratello e lui faceva lo stesso; ma non solo quello. Quel gergo così sboccato la faceva sorridere. Non era abituata ad essere circondata da gente con così pochi filtri. Era come essere circondati da tanti Nathan. Ora capiva da dove aveva preso tutta la sua sincerità.
 

“Hey Nate, sicuro che portare qui la bambolina sia stata una buona idea?”

“Perché?”

“No sai.. Ryan…” John riportò alla mente di Nathan quel problemino che non aveva considerato.

“Mio fratello non le farà niente! Ci deve solo provare..” rispose Nathan irrigidendosi. Non ci aveva pensato. Non aveva pensato che portandola l’avrebbe potuta mettere in pericolo. Era stato talmente egoista da escludere dai suoi pensieri la presenza di Ryan.

“Si, Nate non ti preoccupare che terremo un occhio sulla tua Biancaneve. Se sta con te è della famiglia.” Violet si ritrovò nuovamente a sorridere e adesso non era più così a disagio davanti a quei ragazzi.

“Grazie ragazzi.” Rispose il moro abbracciandoli.

 
 

“Vieni piccola. Andiamo a prendere Jackie.” Porgendole la mano, l’accompagnò dentro l’edificio.

A Violet sembrava di essere in uno di quei film dell’orrore dove solo il protagonista è così coraggioso da andare avanti invece di scappare a gambe levate.
Le luci d’ingresso tremolavano e, insieme al buio della sera che era calato e lo sporco che c’era in giro, contribuivano a far sembrare quella visione sempre più veritiera.
Dopo ben quattro rampe di scale percorse appiccicata a Nathan, arrivarono davanti ad una porta grigia scolorita indicante l’appartamento 15B.

“Siamo arrivati Violet. Questa è la porta di casa mia. Se vuoi aspettarmi fuori con i miei amici ti capisco, sai… fa un po’ paura qui e immagino che tu non sia per niente tranquilla…”

“Sono qui con te. È questo quello che conta. So che ci sarai tu a proteggermi.” E con questo gli depositò un bacio rassicuratore sulla guancia. “Avanti, bussa. Jackie ci aspetta.” Gli sorrise.

Dopo un paio di colpi, si affacciò un ragazzo. Avrà avuto qualche anno in più di Nathan. Doveva essere il maggiore di casa Campbell.

“Ehi fratello. Come butta?” poi accortosi della presenza di Violet aggiunse: “E questo bocconcino è per me?”

“Non credo proprio Ryan.. E tieni le mani a posto.” Aggiunse vedendo il fratello avvicinarsi alla sua ragazza.

“Ehi fratello: Relax. Se non è per me, non vedo il motivo per cui sia qui..” continuava a squadrarla.

“Siamo qui per portare Jackie con noi. A casa.”
 

“Questa è casa sua!” sbraitò una voce femminile alle sue spalle. Sicuramente era Renée, la madre di Nathan, ma da come lo accolse sembrava fosse il suo più acerrimo nemico. Non disse altro. Semplicemente squadrò la ragazza dall’alto in basso e fece scostare il figlio dall’entrata per osservare i due ragazzi che avanzavano diritti su sua figlia.

“Mamma..”

“Non chiamarmi mamma!” e gli tirò uno schiaffo. “Tu non sei mio figlio! Mio figlio è morto il giorno che è uscito da quella porta.”

Violet si era ritrovata nel bel mezzo di quella tempesta di insulti che pioveva sul povero Nathan e scattò automaticamente. “Forse vorrà dire che suo figlio è rinato, uscendo da quella porta.”

“E tu come ti permetti sgualdrinella da strapazzo!” urlò alzando una mano, pronta per colpirla. Nathan l’afferrò per un polso e con inaspettata tranquillità disse: “Non rendere le cose più difficili, Renée.”

A quel punto Ryan intervenne spostando di peso la madre e facendo entrare nell’appartamento i due giovani.
Quel locale strabordava di cose. Era molto piccolo e dovevano viverci in tre: Renée, Ryan e Jackie.
Il divano era stato trasformato in un letto e la TV accesa trasmetteva le immagini in bianco e nero.
La cucinetta sembrava una landa desolata. Non c’era l’ombra ne di un piatto, pulito o sporco che fosse, ne di una padella.  Sembrava che nessuno mangiasse in quella casa.
Violet era spaesata. Se prima poteva solo immaginare cosa fosse la vita di Nathan a New York, ora lo stava assaggiando sulla sua pelle e non aveva certo un sapore piacevole.

“Ha fegato la moretta. Mi piace.” La stuzzicò ancora Ryan questa volta passandole due dita sul profilo del viso. Nathan non era stato abbastanza attento e lui aveva accorciato le distanze. Violet a quel contatto sentì un brivido percorrerla. Non era uno di quelli piacevoli che gli trasmetteva Nathan, era un brivido di paura e di disgusto.

“Non la toccare, ti ho detto.”

“Ehi fratello non ti scaldare. Non ho fatto niente, non ancora.”

“E ti assicuro che non ci sarà altra occasione. Perché se anche solo alzi un dito su di lei..”

“Se la tocco tu cosa? Avanti sentiamo! Che cosa farai?”

“Ryan non mi provocare. Ho smesso di stare seduto in un angolo e lasciarti fare i tuoi porci comodi. Lei sta con me, per cui tu non ti devi azzardare mai più a toccarla.”

Il maggiore alzò le mani in segno di resa, ma era evidente che non era finita lì.
Tutta la grinta che Violet aveva messo nel rispondere alla mamma di Nathan, era svanita. Si sentiva più indifesa di un gattino spaventato e non vedeva l’ora di andarsene da lì.
 

“Dov’è Jackie?” chiese Nate guardandosi intorno.

“È da Lisa.”

“Uno di voi può andarla a chiamare?”

“Perché non ci vai tu insieme alla tua puttanella?” la risposta della madre era più velenosa di un serpente.

“Adesso BASTA!” Nathan stava perdendo la pazienza. Era la prima volta che lo sentiva alzare la voce così. Le metteva quasi paura. “Lei è Violet. È la mia ragazza e come tale merita rispetto. Se pensate che cambi qualcosa insultarla così, bè allora sbagliate di grosso! Finitela. E che uno di voi vada a chiamare Jackie.” Quelle parole dovevano aver fatto effetto su Renée perché, dopo un attimo in cui sembrava esterrefatta, era uscita di casa sbattendo la porta.
Gli occhi di Nathan sembravano infuocati. Era scattato solo per difenderla, ed eccome se era scattato. L’aveva persino spaventata, ed era certa che tutto il piano avesse sentito le sue urla.
 

Riacquistata la calma in poco tempo, Nathan accompagnò la ragazza in quella che doveva essere la sua vecchia camera da letto.
Vi erano tre materassi per terra e un armadio con un’anta rotta.

“Devo preparare la borsa per Jackie. Non ha molte cose, ma sono certo che ci sarà qualcosa che vuole portare con se. Questo ad esempio.” Indicò un piccolo orsacchiotto logoro e malconcio. Gli mancava persino un orecchio, ma  evidentemente alla bambina non importava.

“Lo teneva stretto a sé la notte, per addormentarsi.”

Istintivamente Violet si avvicinò a Nathan e lo abbracciò alle spalle. “Amore, vedrai che starà bene a casa con te e giuro che cercherò di darti una mano anche io! Posso aiutarla con i compiti se vuoi.” Gli sorrise appoggiando affettuosamente il viso alla sua spalla.
Ryan, alle loro spalle, osservava la scena e aveva un ghigno malvagio sul volto.

 
 

“Mamma ho fame, quando mangiamo?!” la bambina era ignara della presenza del fratello in casa. Solo a sentir quella vocina, Nathan scattò in piedi e facendo segno a Violet di non fare rumore, si incamminò verso la sala in punta di piedi.

“Mangiamo quando saranno pronte le pizze.” Annunciò il giovane sorprendendo la sorellina.

“Nateeeeeeeeeeeeeee” Urlò la piccola Jackie saltando in braccio al fratello.

Era tenerissima nel suo vestitino azzurro, le braccine avvolte intorno al collo di Nathan e il viso nascosto nel suo incavo.
Aveva ancora il gesso al polso, decorato con fiori dai colori improbabili e un po’ usurato dal tempo. Ancora poco e avrebbe potuto toglierlo.
La visione d’insieme era tanto tenera quanto buffa. Sembrava di avere un piccolo koala abbracciato ad un gigante d’ebano.
Osservare quella scena rendeva Violet serena, riusciva a palpare l’amore che quei due fratelli provavano l’uno per l’altra.
 

“Ehi Koala. Ho portato con me una persona che voglio farti conoscere.” Nathan sciolse l’abbraccio che li univa. La piccola cercava con lo sguardo nella stanza il nuovo arrivato; sembrava curiosa, finché non posò lo sguardo su Violet.
Quell’aria furbetta e curiosa si trasformò in uno sguardo di sfida e possessivamente, aveva stretto forte a se il fratello, come ad indicare che gli appartenesse.
Avvicinò lo sguardo al suo e, abbassando un po’ il tono di voce, gli comunicò: “Non la voglio conoscere.”

“Perché no?” chiese Nathan che già aveva capito tutto.

“Perché è cattiva.”

“Fidati piccola che Violet è tutto tranne che cattiva.”

La sorellina sembrava poco convinta, e lo guardava ancora con fare scettico. “Perché ha il nome di un fiore?”

Il fratello sorrise. “Perché è delicata e bella come un fiore.”

“Ma ti porterà via da me..” ecco che aveva rivelato la sua paura. Una grande paura per quell’esile corpo di cinque anni. La paura di ogni sorella più piccola: che gli si porti via il fratello.
Nathan sorrise ancora una volta di fronte a quella piccola confessione e risoluto le disse: “Non fare la sciocchina. Lo sai benissimo che nessuno mi porterà via da te. Tanto meno lei. Anzi! Siamo venuti qui per portarti con noi.”

Jackie spalancò gli occhi e mostrò un sorriso bellissimo nonostante qualche finestrella dovuta ai denti da latte che stava cambiando. “Davvero??? Allora voglio conoscerla.” Fece cenno al fratello di lasciarla scendere e corse ad abbracciare la ragazza stringendola alla vita.
Violet era rimasta paralizzata da quel gesto e solo dopo qualche secondo ricambiò l’abbraccio.
Era piccola e gracile persino fra le sue braccia; stringendola sentiva le ossa delle spalle sotto la pressione delle sue dita, che insieme al contatto col gesso, le ricordavano quanto brutta potesse essere la vita in quella casa.

“Non ti preoccupare Jackie.. non te lo voglio portare via. Saremo tutti insieme.”

Il loro abbraccio, pur essendo due sconosciute, era intenso. Non aveva nulla di freddo ed estraneo; Violet sentiva quasi che la conoscesse da una vita e che sapesse come comportarsi e cosa fare con lei.
Fu lei a sciogliere l’abbraccio e consapevole del fatto che la piccola aveva fame le comunicò che sarebbe andata lei con Nathan a prendere le pizze.

La cena passò tranquilla, nonostante le continue frecciatine e allusioni di Ryan. La piccola Jackie aveva chiesto a Violet della scuola e come aveva conosciuto il fratello. Erano domande dettate dalla curiosità e forse da un briciolo di consapevolezza del fatto che di lì a poco si sarebbero viste tutti i giorni. Dopo l’ammonizione di Nathan e vedendo che la ragazza era genuina, la madre aveva iniziato a trattare con più rispetto Violet e, mentre mangiavano, aveva iniziato a porle qualche domanda per conoscerla almeno un poco.
Renée non era una donna cattiva, ero solo arrabbiata e nei momenti in cui non era fatta riusciva anche a risultare una presenza piacevole.
Quegli sforzi realizzati dalla madre erano molto apprezzati da Nate. Sapeva che non le costava poco, sapendo che lei gli avrebbe portato via la figlia insieme a lui.
Presa coscienza di ciò Nathan guardava con malinconia quella tavolata improvvisata, sperando ardentemente che quello potesse essere un ritratto di famiglia. Ma la realtà era ben differente e non poteva lascarsi illudere da quello sprazzo di felicità.
 

Finita la cena, Nathan era uscito solo un momento per buttare i cartoni delle pizze, per evitare di farli portare fuori a sua mamma. Già appena chiusa la porta dell’appartamento, Ryan si era avvicinato a Violet spavaldo e aveva iniziato a punzecchiarla.
 

“Hey moretta.”

“Ryan..” Violet aveva risposto più per educazione che per altro. Voleva mantenere le distanze da quel ragazzo che non le piaceva per niente. In quel momento si rese conto di essere da sola nella stanza con lui. Jackie e la madre erano andate a fare il bagno e lei era rimasta in sala con il maggiore dei Campbell.

“Bambolina cos’è questo atteggiamento, eh?” chiese sprezzante.

“Non è nessun atteggiamento: mi hai chiamato e io ti ho risposto.” Non voleva farlo innervosire. Aveva paura di una sua possibile reazione.

“Bè mi sembra che tu non mi voglia attorno. Sbaglio vero?” aveva chiesto sedendosi accanto a lei sul divano e sfiorandole la tempia con il dorso della mano.
Violet si irrigidì di colpo e cercò di allontanarsi. Fece per alzarsi, ma Ryan la prese per un polso e la calcò sul divano.

“Non puoi scappare da me, bambolina.”

“Nathan sarà di ritorno a minuti.” Aveva tentato con quella carta, nella speranza di liberarsi della sua pressante presenza al suo fianco.

“Non che mi interessi particolarmente. Anzi. È davvero irritante che lui abbia una ragazza come te..” si era avvicinato maggiormente e Violet indietreggiava quanto poteva finché non si trovò addosso al bracciolo del divano.

“Non mi toccare.” Disse con voce tremante. Aggiunse un per favore nella speranza che lui desistesse nei suoi intenti.

“Non posso farne a meno..” e continuava con il dorso della mano ad accarezzarla. A quel contatto Violet si era pietrificata e mancava poco che iniziasse a tremare.

“Lascia-mi an-dare, per fa-vore.” Quello che le uscì era un sussurro spezzato dalla paura. Non riusciva ad urlare. La voce non voleva uscire dalle corde vocali.

“Vedrai che ti piacerà..” Violet era spaventata e voleva scappare, ma non vedeva via di uscita. L’unica cosa che le venne in mente fu di prendere la lampada da tavolo che era accanto al divano e di scaraventarla, con tutta la forza che avesse, addosso al fratello di Nate.
E lo fece. Con un fortunato scatto riuscì ad afferrarla e lanciarla sul volto di un Ryan che arrabbiato aveva iniziato ad imprecare. In quell’attimo Violet era riuscita ad allontanarsi dal divano e si era avvicinata alla cucina.

“Proprio non dovevi farlo bambolina.”

Le gambe le tremavano e il cervello le diceva di andare alla porta per scappare da quella situazione, da quella casa e poter tornare finalmente con Nathan a casa.
Velocemente frappose il tavolo tra lei e il maggiore facendo una specie di macabro girotondo che la porto ad essere in direzione della sua via d’uscita. Con uno scatto quasi felino si lanciò verso la porta. Ryan purtroppo la raggiunse in pochi secondi, prima che le sue mani tremanti riuscissero ad aprire la porta. La prese di peso e la portò in camera, chiudendo la porta a chiave mentre la poveretta urlava, attirando l’attenzione di Renée e della piccola Jackie.
La piccola ancora nella vasca voleva uscire per andare a vedere cosa stava succedendo, ma la madre glielo impedì dicendole di rimanere al sicuro e in silenzio in bagno.

“Ryan apri la porta!” nel giro di pochi secondi Renée bussava alla porta chiusa a chiave e pregava mentalmente che non stesse facendo del male alla ragazza dell’altro suo figlio. Se fosse stato così avrebbe perso Nathan per sempre. Sarebbe stato l’ennesimo passo lungo la strada del non ritorno che il figlio avrebbe percorso.
Le urla di Violet avevano attirato l’attenzione dei vicini di casa.  

Fortunatamente nell’appartamento accanto al loro abitava Kyle, l’amico di Nathan.  
Si aspettava qualche cazzata da parte di Ryan per cui con le orecchie tese era rimasto in attesa che lui compiesse qualche danno. Nel giro di un paio di minuti era fuori dal suo appartamento e in quello di Nathan. Gli aveva aperto la signora Campbell spaventata.

“Renée, vai a chiamare Nate di sotto. A Ryan ci penso io.”

Senza dire altro si era diretto alla porta e aveva iniziato a bussare con violenza, tirandole ripetuti pugni.

“Ryan! Cazzo apri questa maledetta porta!” lui però non rispondeva, era preso da altro.

 

Nella stanza la povera Violet piangeva e disperata si dimenava nella presa del ragazzo. Ryan le aveva strappato la parte alta della maglietta, scoprendole così una spalla e parte del reggiseno blu che le copriva il petto. La paura la assaliva e continuava a piangere, non aveva nemmeno la forza di tentare di scappare. Quel sentimento ridondante l’aveva sopraffatta e le impediva ogni movimento oltre al frenetico dimenarsi che serviva solo a far innervosire Ryan e a guadagnare tempo nella speranza che qualcuno la salvasse.
Sentì Renée bussare alla porta e preoccupata chiedere al figlio di non fare cavolate. Poi avevano iniziato a bussare con più violenza e la voce era maschile. Sperava tanto che fosse la voce di Nathan, ma non era così. Era quella di uno dei ragazzi che aveva conosciuto quel pomeriggio, quando era arrivata in quel quartiere dal quale sperava di uscire al più presto.  

“Ryan! Cazzo apri questa maledetta porta!” il messaggio era chiaro; peccato che il ragazzo non era intenzionato ad assecondare quella richiesta.

“Aiutooooooo!” fu l’unica parola che riuscì ad urlare Violet prima che si prendesse un forte schiaffo in pieno viso.

Kyle aveva aumentato l’intensità dei pugni e sembrava avesse iniziato anche a prendere la porta a spallate. Purtroppo però quella non dava segno di cedere.

 

“Nathan! Violet.. Ryan..” Renée non era riuscita nemmeno a formulare una frase di senso compiuto, quando si era rivolta al figlio che si era fermato per un minuto a parlare con dei suoi vecchi amici del quartiere.
L’espressione sul viso di Nathan era di terrore puro; quella però si trasformò subito in rabbia appena elaborò quelle tre parole che sua madre gli aveva rivolto.
Correva.
Correva come un forsennato e facendo i gradini a tre a tre in men che non si dica era arrivato al suo appartamento dove aveva trovato la porta socchiusa.
Era entrato velocemente e si era sorpreso alla vista di Kyle nel suo appartamento che bussava come un forsennato alla porta della sua stanza.

“Sono lì dentro.” E lui aveva capito tutto senza che il suo amico dicesse altro.

Con uno slancio deciso si era avventato contro la porta, ma con scarsi risultati. “Ryan! Fermati prima che decida di ammazzarti con le mie stesse mani!” Nathan era davvero arrabbiato e il suo tono non lasciava molto spazio all’immaginazione.
Per tutta risposta si udì solamente un ghigno, che risaltava tra i lamenti della povera Violet che cercava di sfuggire alla presa di Ryan che si faceva sempre più stretta e morbosa.

“Nat-“ aveva cercato di chiamarlo, ma si era presa un altro schiaffo.

Un altro colpo che le fece sentire la testa pesante, come se quel rumore secco facesse eco nel suo cranio.
Kyle osservava il suo amico, determinato a salvare la ragazza dalle grinfie del fratello.

“Nate, al mio tre.”

“Vai!”

“Uno… due… TRE!” una spallata di coppia e la porta aveva ceduto sotto il loro peso, e con essa erano caduti anche loro.
Non era propriamente un intervento da film visto che a Kyle era costato una lussazione alla spalla.
Nathan si era rialzato velocemente e si era avventato sul fratello; all’inizio solo per allontanarlo da Violet e successivamente per tirargli un pugno in faccia tanto forte da rompergli il naso.
Fortunatamente per Ryan o Nathan, a seconda dei punti di vista, Kyle era intervenuto cercando di placare l’ira dell’amico.

“Hey fratello, fermati. Non vale la pena che tu ti metta nei casini per lui.”

Nathan aveva nuovamente alzato il braccio per sferrare un secondo pugno al fratello, ma a quelle parole si fermò. Pensò a ciò che aveva detto il suo amico e a quanto quelle parole erano vere.
Picchiarlo non avrebbe cambiato quello che aveva già fatto, però era così difficile smettere di sfogare la sua rabbia. Sommando il fatto che ogni volta che buttava uno sguardo veloce verso il materasso dove c’era Violet rannicchiata, il nervoso prendeva il sopravvento e alimentava la sua ira funesta.
Osservava Ryan per terra mentre si puliva il volto dal sangue che gli colava copioso dal naso.

“Bastardo. Non ne vali davvero la pena.”

Quella rabbia si stava trasformando in sdegno e ribrezzo per quell’essere che era suo fratello. Non era mai stato un pezzo di pane, ma non pensava potesse arrivare a tanto.  

Dopo poco concentrò la sua attenzione sulla piccola Violet che, accovacciata stretta nelle sue esili braccia, cercava di proteggersi dal resto del mondo.
Con lo sguardo perso nel vuoto la ragazza rifiutava l’aiuto di Kyle e impassibile continuava a stringere le gambe al petto.
Con un cenno del capo Nathan indicò all’amico di uscire dalla stanza e di portarsi dietro Ryan.
Le lacrime scendevano tra i singulti lungo le guance arrossate e gonfie di Violet; Nathan osservava quel triste spettacolo sentendosi colpevole per aver creato quella situazione e impotente perché consapevole di non poter fare molto per aiutarla a riprendersi da quel trauma.

 

La testa le pulsava, probabilmente per lo spavento e per le continue lacrime che scorrevano senza riuscire ad essere fermate, ma sicuramente anche per gli schiaffi che le avevano infiammato le guance.
Violet era in uno stato di trans, durante il quale riviveva in ripetizione quei momenti di paura. Sentiva i suoni passati come se avesse acceso un lettore musicale con l’opzione riproduzione continua attiva.
Lo strappo della maglia; la zip dei jeans, dei quali fortunatamente non era riuscito a togliersi; il bussare insistente, la voce di Kyle.. quella di Nathan; il tonfo sordo della porta ed infine il frantumarsi delle ossa del naso di Ryan.
Tutta quella situazione era colpa sua. In quel momento desiderava non essere mai arrivata a New York. Le era balenato anche il pensiero di non voler essere mai uscita con Nathan; se non lo avesse conosciuto tutto quello non sarebbe successo.
Forse era anche colpa sua. Sua e della sua famiglia.
Era stato un errore farsi trascinare in quel turbinio di emozioni che l’avevano portata dove era ora.
Non riusciva a pensare ad altro. Il suo corpo non rispondeva ai comandi che le dava: rimaneva in posizione fetale.

 

L’attacco di Ryan si era svolto in pochi minuti.
Pochi minuti infernali; istanti che Violet aveva vissuto intensamente suo malgrado.
Nathan era seduto spalle al muro che la osservava mortificato. In silenzio. Nessuno parlava; nemmeno la madre che da poco rientrata osservava la porta completamente scardinata, e l’interno della stanza dove stavano i due ragazzi.
Si era diretta poi da Jackie, che infreddolita l’attendeva ancora nella vasca con le orecchie tappate per non sentire le grida e gli insulti di suo fratello.  
Asciugata e vestita, sempre dello stesso vestitino azzurro, entrò silenziosamente nella camera e si sdraiò accanto a Violet assumendo la stessa posizione e rimanendo con i suoi occhioni neri e grandi ad osservarla piangere.
Erano passate due ore da quanto era accaduto e la situazione non sembrava smuoversi.
Nathan continuava a sentirsi in colpa per quello che era accaduto a Violet e il senso di colpa non l’avrebbe abbandonato facilmente. Portarla l’ era stato uno sbaglio; non avrebbe dovuto farlo, maledetto lui e il suo egoismo.
La piccola Jackie era ancora accanto a Violet in silenzio e stringeva gelosamente a sé l’orsacchiotto.

 

Violet vedeva, ma non guardava quello che le succedeva attorno. Si era accorta della presenza di qualcuno sul materasso per l’abbassamento dovuto al peso. Però non era una presenza ingombrante o fastidiosa, anzi era in qualche modo rassicurante: la faceva sentire meno sola nella sua desolazione.
Si voltò verso quella presenza silenziosa e aveva scoperto che era Jackie.
La bambina la osservava con quella che avrebbe detto empatia; in quegli occhioni neri rivedeva quelli di Nathan avevano la stessa forma e la stessa luce. Ispiravano calma e tenerezza, tanto che inaspettatamente Violet le sorrise. Jackie ricambiò e le porse gentilmente il suo orsacchiotto; pensava che potesse darle conforto come aveva fatto con lei nelle notti in cui aveva paura e voleva qualcuno accanto per aiutarla ad addormentarsi.
Era un gesto importante che Violet accolse di buon grado e avvicinò la bambina a sé e stingendola, le aveva sussurrato: “Andiamo a casa piccola.”

Armata di non si sa quale forza la giovane si era alzata dal suo nido improvvisato e si era diretta verso Nathan; strinse una mano tra le sue “Portaci a casa, ti prego.”

“Tutto quello che vuoi amore mio.” in pochi secondi si era alzato e aveva recuperato la borsa che aveva riempito con le cose della sorellina.
Si era poi diretto in sala e aveva annunciato la loro partenza immediata alla madre, la abbracciò evidentemente toccato dagli avvenimenti da quella giornata. . 

“Mi prenderò cura di lei. Vedrai che avrà una vita migliore.” Aveva rassicurato la madre e aveva accompagnato Violet all’uscita tenendo sia lei che Jackie per mano. 
Non ebbe nemmeno il tempo di ringraziare il suo amico, che per aiutarlo si era persino fatto male. Non poteva chiedere alla sua ragazza di rimanere ancora in quel posto orribile. Kyle avrebbe sicuramente capito.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Cap. 18

 

Era notte fonda quando i ragazzi ripartirono.
Nathan mise in moto e dallo specchietto retrovisore osservava la bambina e la sua ragazza sdraiate abbracciate. Violet aveva gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso sulle cuciture dei sedili in pelle della Chevrolet. Non lo aveva guardato negli occhi nemmeno una volta da quando era successo tutto. Anche quando gli aveva chiesto di partire, si fissava le mani che stringevano la sua, ma non lo aveva guardato. Vederla così era una sofferenza che non sapeva per quanto avrebbe potuto sostenere; voleva parlarle, chiederle scusa, o almeno dire qualcosa, ma osservandola così distrutta e spogliata di tutta la sua vitalità, gli stringeva il cuore e le parole venivano a mancare.

Il traffico scorreva veloce e dopo solo due ore di viaggio erano a metà strada. Violet si era addormentata finalmente, ma non aveva smesso di stringere a se Jackie. Quell’immagine, ritratto della tenerezza, sarebbe rimasta impressa nella memoria di Nathan a lungo, magari per sempre.

 
 

“Fratellone?”

“Dimmi Jackie.”

“Cosa è successo a Violet?”

“Una cosa brutta piccola, una cosa che non dovrebbe succedere a nessuno.”

“Che cosa?”

“Ryan l’ha fatta piangere.” Non voleva entrare nello specifico; non sapeva bene cos’era successo, ma soprattutto non era giusto dare quel fardello da sopportare ad una bambina di cinque anni.

“Perché Ryan è cattivo?”

“Fa il cattivo perché ha paura di non essere forte abbastanza.”

“Ma tu non fai il cattivo.”

“Io e Ryan siamo diversi.” Disse semplicemente sorridendo per rassicurare la sorella.

“Tu sei il mio eroe!” Abbracciò il collo del fratello da dietro, in piedi sul sedile.

“E tu sei la mia principessa lo sai?” la bambina ridacchiava per quell’affermazione.

Violet origliava quella conversazione, aveva finto di dormire per non vedere gli occhi tristi del suo ragazzo; vedere che anche lui soffriva in qualche modo le faceva male, nonostante lei ad avesse subito la frustrazione di Ryan, Nathan si sentiva colpevole. Riflettendo la giovane era giunta alla conclusione che non era colpa sua se si ritrovava un fratello del genere, non si era scelto lui la famiglia.
Violet cullata da quei pensieri si addormentò per davvero questa volta.
Venne svegliata dalle dolci parole di Nate che le facevano capire che era il momento di scendere dall’auto.
Erano davanti a casa del ragazzo, la piccola Jackie dormiva sul sedile davanti e aveva il sorriso sulle labbra.

“Violet, amore siamo arrivati a West Newbury.. Siamo a casa mia perché ho pensato di mettere a letto Jackie prima di portare te a casa. Volevo parlare un po’ con te.”

“No, Nate per favore. Portami a casa. Non voglio parlare.”

“D’accordo.” Senza protestare Nathan mise in moto e si diresse a casa di Violet.

“Eccoci arrivati.” Il ragazzo cercava di essere gentile, ma Violet non glielo permetteva. Lo lasciava con l’amaro in bocca, ogni volta che diceva qualcosa.

“Già.”

“Mi dispiace.”

“Non è colpa tua Nathan. Solo non voglio parlarne. Voglio solo andare a dormire e dimenticarmi di tutto questo.”

“Va bene.”

Violet scese dalla macchina velocemente, non lo salutò nemmeno. Corse al portone e dopo pochi secondi sparì.
Fece le scale di corsa e si precipitò alla sua porta, che si chiuse alle spalle in un batter d’occhio.
Ad accoglierla c’era il suo micione che sbadigliando le si era avvicinato.
Non lo prese nemmeno in braccio, si fiondò sul letto e ricominciò a piangere.
Dopo mezz’ora di pianto liberatorio si era diretta in bagno per sciacquarsi di dosso il senso di sporcizia chesentiva pesare su di lei.
Davanti allo specchio fissava la sua immagine riflessa.
Una lei che quasi non riconosceva. Aveva tutta la faccia gonfia e gli occhi arrossati e a palla. La maglietta rotta le scopriva la spalla e sulla sua pelle delicata poteva vedere i segni della presa violenta di Ryan sul suo corpo.
A quel ricordo chiuse gli occhi e cercò di trattenere le lacrime.
Questa volta ce la fece, e una volta piena la vasca ci entrò, ma solo dopo aver buttato nella pattumiera i vestiti di quella giornata.
Le bolle di sapone erano la sua unica compagnia in quella nottata che stava per finire, tra meno di due ore sarebbe suonata la sua sveglia e un altro giorno sarebbe iniziato.
Non avrebbe sicuramente dormito, aveva paura di addormentarsi e sognare di rivivere di nuovo quell’orrenda situazione.
Al suono della sveglia era già pronta per uscire di casa. Si era persino truccata per sembrare meno un palloncino, ma una volta giunto il momento di uscire non ce la fece. Le sue gambe erano piantate per terra e non le permettevano di alzarsi dal divano.
Alla fine quel giorno rimase a casa, anche per il lavoro si diede malata e una volta lavata la faccia e infilato il suo pigiama preferito, si era buttata a letto nella speranza che quello fosse tutto un terribile incubo e di svegliarsi il giorno dopo più riposata che mai.
Il sonno ristoratore che tanto desiderava, venne sostituito dal suo incubo peggiore. 

Era da sola, in un vicolo cieco. Aveva il fiatone; stava scappando da qualcuno, ma ora non aveva via d’uscita. Sentiva dei passi alle sue spalle, e di lì a poco sopraggiunse una figura maschile che ghignava.
Era un ghigno familiare e la terrorizzava tantissimo: era Ryan.
L’aveva rincorsa e ora l’avrebbe anche presa, perché era da sola, senza via d’uscita e nessuno a soccorrerla.
Si era messa ad urlare nella speranza che qualcuno la sentisse, ma nessuno accorreva, e le sue gambe cedettero e si ritrovò accasciata con le braccia che coprivano la faccia e le lacrime.
Ryan si avvicinava sempre di più e lei impotente non poteva fare nulla.
 

Si svegliò di soprassalto e sudata fradicia.
Ansimava e si chiedeva dove fosse.
Fortunatamente toccando in giro si accorse che era nel suo letto e facendo mente locale si rese conto che quello era stato tutto un sogno.
La sveglia segnava le 19 e 42 di martedì, aveva dormito tutto quel tempo e non se ne era nemmeno resa conto. 
Svogliata si era diretta verso il tavolo dove aveva abbandonato il telefono che ora lampeggiava. Un messaggio da leggere e sapeva benissimo chi fosse il mittente: altri non poteva essere che Nathan.
 

Ehi piccola! Capisco che vuoi stare da sola e che hai bisogno di tempo per riflettere, però mi manchi. Mi manca sentire anche solo il suono della tua voce e vorrei averti accanto adesso. Sono due giorni che non vieni nemmeno da Hilda… so che non ne vuoi parlare, ma mi dispiace scimmietta, non volevo che tu soffrissi. È anche colpa mia, non avrei dovuto chiederti di accompagnarmi. Scusa, un bacio.

 
Era un messaggio molto dolce che la fece sorridere. Mancava anche a lei.
Sicuramente non sarebbe riuscita a dormire quella notte per paura di fare ancora quel terribile incubo così sui due piedi decise di chiamare Nate; magari avrebbe trovato un po’ di conforto nella sua voce e nelle sue parole. Aveva sempre una parola dolce per lei e non si stancava mai di dirle quanto fosse bella e perfetta per lui. Tutte quelle lusinghe facevano bene alla sua autostima e in quel momento ne aveva bisogno più che mai.
Il telefono squillava a vuoto; non aveva pensato che potesse lavorare a quell’ora.

“Pronto?” una vocina squillante rispose alla fine.

“Ciao Jackie, sono Violet, tuo fratello è lì con te?”

“Ciao Violet! Il mio fratellone sta preparando la cena.”

“Allora non disturbarlo. Gli puoi solo dire che ho chiamato?”

“Si..” rispose ma non sembrava avesse terminato. Violet aveva quella sensazione e così interruppe quel silenzio.

“Jackie, c’è qualcosa che vuoi dirmi?”

“Sei arrabbiata con mio fratello?”

“Se sono arrabbiata con Nathan?”

“Si, ha detto che non gli parli.”

“No, non sono arrabbiata con lui. Ho solo avuto una brutta giornata.”

“Anche ieri era una brutta giornata?”

“Si piccola, anche ieri era una brutta giornata.”

“Ma anche domani lo sarà?”

“Non lo so Jackie.” Era vero. Non aveva la più pallida idea di come si sarebbe sentita il giorno dopo.

“Lui è triste.”

“Chi è che è triste?” una voce in lontananza aveva sentito l’ultima frase della piccola e quella domanda aveva fatto sussultare l’animo di Violet.

“Tu sei triste.” Aveva risposto Jackie senza peli sulla lingua con la sua beata innocenza e sincerità.

“Io sono triste? Ma no Koala! Sono contento che tu sia qui con me!.. Ma con chi stai parlando?”

“Con Violet.” La ragazza ascoltando quello scambiarsi di battute era rimasta come un ebete a immaginarsi la scena; tanto che quando fu Nathan a prendere la parola ci mise un po’ a realizzarlo.
 

“Violet ci sei?”

“Si si sono qui.”

“Che bello sentirti di nuovo. Avevo paura che non mi volessi più vedere.”

“Ma io ho chiamato per Jackie, che credi?” era riuscita a scherzare in quel momento. Forse per stemperare l’atmosfera, o per paura delle domande che lui avrebbe potuto farle.

“Ah..”

“Hey guarda che scherzavo!” sembrava esserci rimasto male, forse non aveva colto lo scherzo, oppure stava facendo finta.

“Si ok..”

“Ci sei rimasto male?”

“Non per quella singola frase Vì; per tutto il resto.”

“Che cosa stai dicendo Nate?”

“Sto dicendo che per due giorni non ti sei fatta sentire e ora, e capisco dopo quello che è successo, ma adesso mi chiami e scherzi così semplicemente? Io sono stato male per te e senza di te, e ora tu hai voglia di scherzare? Scusa ma a me non va di stare a questo gioco.”

“E secondo te che cosa dovrei fare? Piangere? Disperare? Tagliarmi le vene? No grazie, ho già dato!”

“Non sto dicendo che tu debba disperare ancora, sto dicendo che vorrei che parlassi con me di come stai, di quello che senti, che provi, che pensi. Questo per me vuol dire essere una coppia! Nel bene e nel male; io vorrei che fossimo una coppia in tutto questo, non solo quando le cose vanno bene.”

“Nate non mi va di litigare.. non sono dell’umore adatto e proprio questa discussione non mi sembra necessaria.”

“Per me invece lo è.. ora ho delle responsabilità: devo prendermi cura, oltre che di me stesso, anche di Jackie. Voglio che tu sia al mio fianco in questo grande passo, ma dobbiamo essere complici, altrimenti non funziona e ci stiamo male entrambi. Già sto male adesso a farti questo discorso, ma è necessario Vì; mi dispiace ma devo comportarmi da adulto responsabile, non posso permettermi di sbagliare.”

Violet era rimasta in silenzio dopo quel suo discorso. Non aveva tutti i torti; la sua priorità era la sorellina e lei doveva capirlo e accettarlo. 

“Con questo non sto dicendo che quello che provo per te passa in secondo piano, ma che le cose devono coesistere. Tu mi piaci davvero tanto e lo sai, anzi sai benissimo quello che provo per te: ti amo come non ho amato mai nessuna, però ora c’è anche Jackie che ha bisogno d’amore e di cure e io devo e voglio che lei si senta completamente a casa con me e magari anche con te.” Nathan era un ragazzo cresciuto troppo presto, a soli ventuno anni aveva una sua famiglia un po’ strana. Erano lui, sua sorella e lei. Lui voleva che Violet facesse parte della sua vita con il ruolo di compagna fissa. Aveva bisogno di stabilità e di sentirsi amato, visto che tutto quel sentimento gli era stato negato per tutta la sua crescita.
Ma lei cosa voleva? Violet era davvero pronta per entrare a pieno titolo a far parte di quella famiglia? Era pronta a prendersi la responsabilità di una bambina?
Prima della sua disavventura a New York non sentiva ancora la cosa come un dovere impellente ma, in quel momento, le parole di Nathan l’avevano fatta pensare.
Non poteva entrare nelle loro vite e sconvolgerle se era solo di passaggio; doveva essere sicura, convinta, di quello che stava per affrontare.
Se prima pensava che la scelta del college fosse la decisione più importante della sua vita, ora si stava ricredendo. La vita non era fatta di soli libri e crescita culturale, c’era tutto un mondo fuori da quello della scuola e non era così semplice e tanto meno protettivo e tutelante.
Perché alla fine è vero. La scuola da molta pena ai giovani studenti che l’affrontano, ma li tutela da quella che è la realtà esterna e difficile della vita di tutti i giorni. Cerca di prepararli ad un futuro nel mondo del lavoro, ma nella vita non c’è solo quello.

“Nate..” il tono che adottò non era per niente rassicurante. Doveva aspettarsi il peggio, le aveva chiesto molto e ne era consapevole. Aveva solo diciotto anni e tutta la vita davanti. “Io… io avevo chiamato solamente per provare conforto sentendo le tue parole, ora invece mi ritrovo a pensare al mio futuro. E non un futuro lontano per il quale ho ancora molto tempo per pensare, ma un futuro prossimo, che potrebbe addirittura iniziare domattina.. Nate io ho bisogno di tempo per pensare.”

“Lo capisco e lo accetto. Pensaci, promettimi che lo farai e che se sceglierai di restare con me lo farai con sentimento. Io ti aspetterò.” Faceva male anche solo a pronunciare quelle parole, figuriamoci a metterle in pratica, ma non poteva pretendere altro. Spingerla a decidere sarebbe stata un’altra sorta di violenza su di lei e non se lo meritava.

“Ciao Nathan.”

“Ciao Violet.” Quel saluto pesava come un addio, ma entrambi, nei loro cuori, non potevano accettare che fosse tale.
Avrebbero lottato per il loro amore e per il loro futuro insieme.
 

Riattaccò con una forte stretta allo stomaco. Era una sensazione spiacevole: non era quell’accartocciarsi di budella per l’esitazione; era quello dovuto alla preoccupazione di non essere pronti, quello che si prova prima di un test importante, solo che non era un test per cui Violet avrebbe potuto prepararsi sui libri; era un test che doveva affrontare impreparata, dotata solo della migliore forza di volontà e voglia.
Dopo neanche due minuti d’attesa passati a fissare il vuoto e ad arrovellarsi il cervello alla velocità della luce Violet aveva richiamato Nathan che aveva risposto al primo squillo.

“Hey”

“Passeresti a prendermi?”

“Quando? Adesso?”

“Sì.”

“Certo!”

“Porta anche Jackie che non puoi lasciare da sola una bambina affamata.”

“Giusto! Allora dacci un quarto d’ora e siamo da te.”

 

Violet era corsa in bagno appena terminata la chiamata.
Si era fatta una doccia veloce e truccata per coprire i segni sul suo volto, che ora tendevano al giallognolo.
Mentre si lavava la faccia si continuava a porre quella semplice domanda che si era fatta prima di richiamare Nathan: Voglio davvero uscire dalle loro vite?
La risposta era no, un no deciso e quanto di più spontaneo potesse nascere da quel suo cervello iperattivo.
Lei voleva essere parte di quella famiglia e avrebbe fatto di tutto per far tornare le cose come prima. Avrebbe accolto Jackie come la sorellina che non aveva mai avuto e avrebbe cercato di darle tutte le attenzioni che meritava.
Come Nathan, anche lei voleva che quella bambina crescesse felice.
Dopotutto era solo una puffetta di cinque anni che si affacciava alla vita come una farfalla esce dal suo bozzolo. I bambini devono poter essere felici, devono poter vivere la loro infanzia tra coccole, affetto e giocattoli senza troppe suggestioni dall’esterno e devono poter chiedere tutto quello che vogliono per capire, per imparare; per iniziare a volare.
Dopo quella veloce riflessione si diresse alla cassapanca in fondo al letto ricordandosi di avere ancora qualcuno dei suoi vecchi peluches.
Si ricordava di uno in particolare: uno che le era piaciuto subito, appena avvistato esposto nella vetrina di un negozio. Era una foca bianca con gli occhi grandi e azzurri. Quello sguardo vitreo e buffo l’avevano accompagnata nei suoi pisolini all’asilo e nei suoi pianti di crisi quando Ricky se ne era andato. Era un ricordo importante per lei e voleva che fosse di Jackie.
Si vestì velocemente e allo scadere dei quindici minuti era pronta e in attesa fuori dal portone del suo palazzo.
 

Ecco che la vecchia Chevrolet girava l’angolo, Jackie in piedi sul sedile davanti si sbracciava per salutarla e Nathan sorrideva vedendo sua sorella così contenta.
Si sedette sul sedile anteriore e prese la bambina in braccio.

“Jackie ho un regalino per te!” si fece trascinare dall’entusiasmo della bambina che l’aveva salutata calorosamente. Le porse il peluche e la piccola s’illumino di un sorriso tenerissimo che evidenziava le fossette su quel suo faccino tondo.
La bambina le si attaccò al collo, stringendola con tenerezza. “Grazie Violet! Mi piace tanto! È più pulita del mio orso!” sistemata sulle sue gambe rigirava e studiava la piccola foca. “Sono contenta che ti piaccia! Anche io me ne sono innamorata subito! Ho pregato mia mamma una settimana perché me la comprasse!” sorrideva, rievocando quelle immagini nella sua memoria.

“È bella bella; no è strabellissima! Grazie Violet!”

“Non c’è di che, piccola.”

“Fratellone hai visto che bella?”

“No Jackie, la guardo dopo a casa; adesso sto guidando.”

“E va bene..”

Nathan sorrideva buttando l’occhio ogni tanto alle due donne della sua vita.
 

Jackie era corsa alla porta lasciando involontariamente i due ragazzi da soli.
Nathan sentiva la necessità di un contatto con Violet, ma dopo quello che aveva passato dubitava che lo volesse anche lei.
Scese lentamente dalla macchina convinto di passare una serata fin troppo tranquilla, ma la ragazza lo sorprese: gli si piazzò davanti alla portiera e iniziò ad avvicinarsi finché lui non poté più indietreggiare.

“Non ti ho nemmeno salutato prima.” Violet aveva pensato durante il tragitto; come al solito pensava troppo, non riusciva a farne a meno; non credeva nemmeno che si potesse vivere senza pensare. Questa volta però non erano macchinazioni laboriose e complicate era solo un’idea tesa al riavvicinamento con il ragazzo. Secondo lei, infatti, decidere di rientrare a tutti gli effetti nella vita del suo compagno significava che tutto doveva tornare alla normalità e lei doveva comportarsi come una semplice ragazza innamorata. Perché quella era la verità.
Pensò che salutare Nathan come si doveva fosse un modo carino per dirgli che lei era “tornata” per lui.
Agganciò le tasche dei jeans con le dita per ridurre la distanza tra i loro corpi e gli posò un intenso bacio sulle labbra.

Nathan non se l’aspettava, ma era rimasto piacevolmente colpito dall’agire di Violet. “Ciao” la voce di lui era languida e calda.

“Ciao amore.” Lo prese per mano e lo condusse alla porta dove Jackie li aspettava.

Dal nulla, seria, la bambina esclamò “Perché vi nascondete per un bacio? Se vi volete bene è una cosa bella. Me l’ha detto la mamma.”

I due ragazzi imbarazzati scoppiarono a ridere.

“Ahahahah! Davvero la mamma ti ha detto questo?” chiese Nate aprendo la porta.

“Si, anche alla tele lo fanno. Però adesso mangiamo, per favore. Sono affamatissimissima!” chiese attaccandosi alla maglietta del fratello.

“Certo mostriciattolo! Aiuta Violet ad apparecchiare la tavola che io mi metto ai fornelli.” “Mangi anche tu piccola?” chiese rivolgendosi alla sua compagna.

“Certo! Mi mancavano i tuoi manicaretti!”
 

“Cosa sono i manirachetti? Si mangiano?” chiese Jackie curiosa, e la risata nacque spontanea dalle labbra dei due giovani.

“I manicaretti sono delle cose davvero buone da mangiare. Tuo fratello è davvero bravo in cucina.”

“Nate, allora mangiamo i tuoi manirachetti stasera?” la piccola era soddisfatta di questa nuova scoperta e sorrideva; non si aspettava però che i due ragazzi scoppiassero a riderle di nuovo in faccia e si imbronciò. “Perché mi prendete in giro?” chiese con le braccia forzatamente incrociate al petto.

“Mostriciattolo si dice ma-ni-ca-retti, ma non ti stiamo prendendo in giro.” La prese di peso e se la caricò sulle spalle come piaceva a lei.

“Ma ridevate..”

“Hai ragione. È solo che la tua è una parola buffa!” osservò facendola scivolare sulla schiena per farla scendere.

Era divertente per la bambina fare quel giochino strano che era seguito sempre da altre scherzose coccole.
 

Dopo aver apparecchiato Violet si sedette al tavolo e si mise ad osservare la bambina appollaiata sul piano della cucina che seguiva attenta i movimenti sicuri del fratello.
Nathan si era accorto del suo silenzio e capì che aspettava il momento giusto per dirgli qualcosa.

“Jackie, perché non vai a prendere il tuo quaderno dei disegni e lo fai vedere a Vì?”

“Corro!” la bambina non sospettando niente era corsa tutta pimpante alla ricerca del suo quaderno.
 

“Che c’è scimmietta?”

“Niente, perché?” ometteva il fatto che prima volesse parlargli.

“Non vuoi dirmi niente?”

“Cosa te lo fa pensare?”

“Sei molto silenziosa.. osservi e non dici niente.” Le parlava dandole le spalle e continuando a mescolare con calma il purè.

“No.. non è niente di particolare.. stavo solo osservando quanto siete belli tu e tua sorella insieme..”

“Bugia..”

Violet sorrise, “Non ti posso nascondere niente, eh?”

“No scimmietta. Non riesci perché non sei convinta che nascondermi le cose sia giusto e quindi il tuo volto diventa la maschera del dubbio e beh ho imparato a riconoscere quell’espressione.”

“Ah..”

“Qualunque cosa sia me la dirai più tardi, ora sta tornando Jackie..”
 

Durante la cena Jackie raccontò a Violet tutto quello che aveva fatto con il fratello da quando era arrivata a West Newbury; era meravigliata da tutta la tranquillità che c’era in quel posto e soprattutto era curiosa di andare a fare una gita nella foresta accanto al paese. La bambina le mostrò inoltre un mazzolino margherite che aveva raccolto, descrivendole come i fiori più belli del mondo. Stando nel Bronx non ne aveva viste molte perché non si era mai mossa da quel quartiere tutto strade e negozi cinesi agli angoli delle vie.

 
Dopo cena si misero a guardare tutti insieme un cartone animato alla tele per far contenta la piccola Jackie. Quella sera era molto allegra e per niente stanca.

“Ne guardiamo un altro?”

“No mostriciattolo, adesso devi andare a fare la nanna.”

“Daiiiiii… per favore fratellone.”

“Jackie, fai la brava. Vai a fare la nanna, altrimenti non faccio venire più Violet a trovarti.”

“Ma io voglio vedere Ariel.” Fece quell’espressione da cucciola, alla quale Nathan faticava a dire di no.

Violet vide che era in difficoltà, perché non voleva fare il ruolo del fratello cattivo, ma era già tardi e la piccola doveva dormire. Erano già le dieci e mezza.

“Jackie e se andiamo a letto e ti racconto la mia fiaba preferita?”

La bambina sembrò perdere tutto l’interesse per la sirenetta e acquistarne per la misteriosa storia. “Di cosa parla?”

“Te la racconto se adesso corri a lavarti i denti e torni qui in pigiama.”

Senza fiatare la bambina corse al bagno e tornò mostrando i dentini perfettamente bianchi e dall’alito fresco. “Sono un fulmine.”

“Brava mostriciattolo, adesso accompagna Vì in camera tua che io ripulisco la cucina.”

“Vado.”

“Ehi, non dimentichi niente?” chiese Nate alzando un sopracciglio.

La bambina gli si buttò in braccio, e gli stampò un bacio sulla guancia. Rise per il solletico che le fece il fratello che poi, con una leggera pacca sul sedere, la cacciò a letto scortata dalla sua dolce metà.

“Notte mostriciattolo.”

“Notte fratellone.”

 
Nella stanzetta che Nathan non le aveva mai mostrato, c’era un letto in legno chiaro con delle coperte arancioni a scaldare l’atmosfera e che si intonavano con il color pesca delle pareti. Accanto al letto c’era una poltrona, evidentemente usata per i racconti della buona notte dove erano riposti l’orsacchiotto e la sua piccola foca.
Violet si era soffermata con lo sguardo sui peluches, “Buttali per terra, puoi.”

“No poverini, lasciamoli riposare sulla poltroncina, io mi stendo sul letto con te.”

La piccola con un salto salì sul letto e già sotto le coperte aspettava che Violet si unisse a lei.

“Mi racconti la storia?”

“Certo. Allora inizia così: c’era una volta un coniglietto di nome Balzo che si divertiva a saltellare nel prato la mattina. Un giorno saltellando distratto si scontrò con un coniglietta..”

“Come si chiama la coniglietta?!?”

La domanda non la sorprese, perché la curiosità dirompente di Jackie le ricordava la sua quando sua madre le raccontava quella storia. Ogni notte, ogni racconto, si divertivano ad aggiungere dettagli insieme. “Lilla.”

“Che nome buffo.” Sorrise Jackie.

“Già.. ma dove eravamo… ah si Balzo si scontra con Lilla, e le fa male ad una zampina, allora per farle passare il dolore le da così tanti piccoli bacetti dove le faceva male che la coniglietta inizia a ridere per il solletico e smette di pensare al dolore.
Saltellano insieme fino a sera e poi Balzo da gentilconiglietto la riaccompagna alla tana e torna a casa anche lui.
La notte la sogna e la mattina dopo si risveglia pensando ancora a lei.”

“Si è innamorato?”

“Si, il piccolo coniglio si è innamorato di Lilla e vuole rivederla; così torna a saltellare nello stesso prato sperando di rincontrarla.”

“E la trova?”

“No.”

“Perché no?” lo sguardo della piccola si fa dubbioso.

“Perché Lilla è andata bere alla fonte della bontà.”

“La fonte della bontà? Cos’è?”

“È una sorgente dove l’acqua che scorre, in bocca si trasforma nella tua bevanda preferita.”

“Si trasforma in thè alla pesca?!?” domandò sorpresa Jackie.

“Se ti piace tanto sì.”

“Si, tantissimo! Ma come va avanti la storia?”

“Lilla è alla sorgente, mentre Balzo è nel prato che sconsolato non la trova nella sua ricerca. Allora incontra un grillo di nome Cri e gli chiede se ha visto la sua coniglietta. Cri gli dice che l’ha vista e gli spiega come raggiungerla.
Allora Balzo tutto contento corre a cercarla, e la trova. Bevono insieme il thè alla pesca e tornano a casa insieme saltellando contenti per i prati.”

“E poi?” chiese smaniosa del continuo di quella storia bizzarra.

“Il resto lo devi sognare. Così domani aggiungiamo il tuo pezzo alla storia e il giorno dopo ancora ne attacchiamo un pezzo mio.”

“Davvero? Allora faccio la nanna subito!”

“Brava Jackie.” E intanto le rimboccò le coperte; le augurò la buona notte con un bacio sulla fronte e poi se ne tornò in cucina dove Nathan era alle prese con le stoviglie.
Violet si avvicina con passo leggero e gli cinge la vita con le braccia appoggiando il viso alla sua schiena.

“Dorme già?”

“Non ancora, ma ha promesso di dormire subito per sognare il continuo della storia di Balzo.”

“Balzo?”

“Ahahah.. si era una storia che mi raccontava mia mamma quando ero piccola; con me funzionava sempre.”

“Bene.” Nathan si era sciacquato le mani insaponate e si era voltato invertendo le posizioni. Ora era lui ad abbracciare Violet ed a guardarla in quegli occhi, nei quali gli era mancato perdersi.

“Mi sei mancata.”

“Anche tu Cioccolatino.” Rispose baciandogli il petto coperto dal maglioncino. Rimase appoggiata a lui, inspirando quel buon profumo che la faceva sentire a casa. si scostò solo per fissare il suo sguardo in quelle iridi colore dell’ebano. Lo scambio di sguardi era per loro un momento essenziale: permetteva ai pensieri di incontrarsi e fondersi per seguire un solo sentiero che portava ad un dolce arrivo, che inevitabilmente finiva per essere l’unione delle loro labbra. 

“Come stai?”

“Uso lo switch e cambio la domanda..” scherzò consapevole di andare in contro ad un muro che non gli permetteva via di fuga.

“Ehm ehm..”

“Meglio; diciamo che sento ancora su di me le mani troppo forti di tuo fratello.”

Nathan osservava il volto di Violet che si era leggermente sgonfiato ma che ora mostrava delle macchie giallognole malamente coperte dal fondo tinta. Istintivamente prese la spugna della cucina, la sciacquò e la passo con delicatezza sulle sue guance scoprendo i segni di quell’orrore.
Le pulì via la terra e lei si sentì nuda davanti a lui.
Piano, lentamente e con un’intensità fin troppo coinvolgente iniziò a porre un bacio su ogni piccolo segno che ancora portava addosso.
Violet rimase così, a occhi chiusi, lasciandosi trasportare dai piccoli fremiti che il contatto delle labbra di Nathan sulla sua pelle creava.
Quasi non se ne rese neanche conto che lui delicatamente l’aveva sollevata e fatta sedere sul tavolo.
Delicatamente aveva seguito la linea del collo e incontrato l’ostacolo della maglietta l’aveva tolto, sfilandoglielo con calma ed una lentezza quasi estenuante, mentre lei sollevava le braccia priva di volontà.
Accondiscendeva ai suoi movimenti senza protestare e cercava di lasciarsi cullare dal calore che le dita di quel ragazzo lasciavano al passaggio e dal suo profumo dolce di cannella.
Man mano che la maglietta saliva Nathan perlustrava con lo sguardo ogni centimetro del ventre della ragazza alla ricerca di ogni piccola impronta di dolore da guarire col suo amore.
Le aveva baciato ogni singolo livido e poi si era dedicato alle sue labbra.

“Mi sei mancata” un bacio “Davvero” ancora “tanto.”

Sotto quei leggeri baci che si costringevano di essere innocenti, i due piccioncini si stavano riavvicinando.

“Nate..” il suo fu un sussurro, sembrava quasi a disagio, anche se non era così, o almeno in parte.

“Scusa scusa scusa. Non ce l’ho fatta a resistere..”

 
Violet rimase col fiato sospeso per qualche secondo e poi con la voce leggermente roca e quasi si fosse liberata di un peso disse tutto d’un fiato “Non ti fermare..” gli strinse la testa al petto e cinse con le sue gambe la vita del ragazzo.
Continuarono a baciarsi con passione sul divano per più di venti minuti e i loro cuori battevano all’impazzata.

Violet stava riscoprendo il piacere di sentire le mani di un ragazzo sul suo corpo cercando di buttarsi alle spalle il passato. Nathan la faceva sentire protetta e coinvolta nel rapporto. Non faceva nulla che lei non volesse e spesso le lasciava spazio per prendere l’iniziativa.
Dopo quel loro piccolo momento di passione si accoccolarono a letto e stretti l’uno all’altra, respirando i loro profumi, si addormentarono.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Cap. 19

 

“Buongiorno!!!” Jackie si lanciò letteralmente sul letto e atterrò vicino ai due ragazzi, non aspettandosi di trovarli ancora abbracciati che dormivano.

“Ma allora vi volete bene davvero!” esordì scoprendo i loro volti dal lenzuolo.

“Mmmmm.. Buongiorno mostriciattolo!”

“Sveglia sveglia svegliaaaaaaaa! Ho fame! Fratellone mi fai i pancakes?”


 “Sì, ci fai i pancakes?” chiese Violet girandosi, faccia a faccia con il suo ragazzo.

“E va bene donne! Jackie vai a vestirti che poi facciamo colazione.”

“Ma sono già vestita!!”

“Brava la mia pulce!”

“Io preparo la tavola e tu i pancakes!”

“Agli ordini piccolo despota!”

 

Violet si stiracchiò per bene, sentendosi rilassata e di buon umore, e rimase per un attimo ad osservare la schiena nuda del suo ragazzo, che si allontanava dal letto alla volta della cassettiera.

“Ma che ore sono?”

“Sono le sette e dieci.” Il ragazzo buttò un’occhiata alla radiosveglia sul comò, mentre si vestiva.

“Cavoli! Sono in ritardo per il pullman!! Non posso fermarmi a fare colazione!” si alzò dal letto con uno scatto e si gettò alla ricerca dei suoi vestiti. Si muoveva a scatti nervosi per tutta la stanza; Nate la fermò per le spalle e fissandola negli occhi la rassicurò “Ehi frena! Rilassati, ti porto io a scuola, adesso abbiamo la macchina.” Sorrise anche solo all’idea di essersi svegliato con quelle che erano le persone più importanti della sua vita accanto.

“Grazie amore.” Lo prese per il colletto della polo e lo avvicinò per baciarlo; lui non si fece di certo pregare e si augurarono così il buongiorno.

“Mi spiace interrompere questo magnifico buongiorno, ma se non corro a preparare fai tardi sul serio.”

Violet si lagnò un po’ ma poi si decise ad andare a lavarsi. Era la prima volta che entrava in quella doccia da sola; prese il bagnoschiuma del ragazzo e passò come minimo un paio di minuti ad annusarlo, figurandosi l’immagine di lui nella sua mente. Senza ulteriori indugi se ne versò una quantità sufficiente sulla mano e iniziò ad insaponarsi tutta, col pensiero che con quel profumo addosso avrebbe avuto Nate con se.

 
 

***

 

Violet si stiracchio con calma; era l’inizio di una bellissima domenica di inizio maggio, una delle tante che seguivano il sabato passato insieme. Si rigirò in quello che ormai era il loro letto. Prese il cuscino accanto al suo e ne annusò il profumo; anche quella volta come se fosse la prima, ne rimase inebriata.
Era un periodo particolare per Violet: era come in uno stato di transizione; dormiva spesso a casa di Nathan e con lui e Jackie si sentiva a casa. Le volte che tornava all’appartamento invece si sentiva vuota e la sua unica compagnia era il suo micione rosso. Ogni volta che lo stringeva tra le braccia, si sentiva compresa, capita e amata senza che dovesse dare nulla indietro. Quelle sensazioni gliele donava solo lui. Era un amore diverso rispetto a quello che provava per il suo ragazzo; quello per Nathan era coinvolgente sia al livello cerebrale che fisico e ogni volta che lui la sfiorava il suo battito accelerava. L’amore per Leo era qualcosa di più simile all’adorazione.
Guardandolo, si sentiva un po’ in colpa a lasciarlo spesso a casa da solo, per passare il tempo con il suo Cioccolatino.  

Violet decise che quella sera sarebbe stata lei ad ospitare i Campbell per cena; gli avrebbe preparato un piatto italiano, sicura che la piccola avrebbe apprezzato la cucina più buona del mondo.
 

“Violeeeet!?!” quella vocina che ormai le era familiare la chiamava oltre la porta. Leo si mise sull’attenti, e tese le orecchie in ascolto di quella nuova voce che richiamava la sua padroncina.

“Arrivooo!” Aprì la porta, si diresse di corsa alla cucina dove le polpette friggevano e la pasta bolliva. Stava preparando gli spaghetti alla Lilly e il vagabondo e sperava che quel riferimento alla storia che aveva raccontato a Jackie la sera prima avrebbe riscosso successo.   
La piccola fissava curiosa la palla di pelo rosso che era sulla sua poltrona e con Nate che l’accompagnava passo passo, si avvicinava all’animale.
Dopo i primi tentennamenti i due si scoprirono ottimi compagni di gioco, per la vivacità della bambina e di coccole perché entrambi adoravano sentire il calore sul proprio corpo.

 
 

***

 

Giugno era ormai alle porte e le pressioni a scuola per Violet aumentavano rendendola spesso nervosa ed irritabile, ma le bastava uno sguardo a quegli occhi neri e profondi per iniziare a rilassarsi.
Ormai era totalmente coinvolta, non poteva negarlo. La cosa bella era che Nathan ricambiava quel sentimento e non riusciva ad immaginare la sua vita senza la ragazza ed era un paio di notti che sognava persino di sposarla. Era un sogno bellissimo, colorato e che la mattina lo faceva sorridere.
Lui, nel classico completo elegante, grigio chiaro con cravatta in tinta, aspettava all’altare e lei, bellissima nel suo abito lungo e bianco, avanzava lentamente con espressione felice.
La mattina quando si svegliava e l’aveva accanto si girava ad osservarla e si perdeva tra quei pensieri felici.
Quell’idea strana era nata da una conversazione avuta con Jackie qualche giorno prima.
 

“Fratellone, ma tu vuoi sposare Violet?”

“Sposarmi?? Non ci avevo ancora pensato.. come mai questa domanda?” adesso si che era curioso.

“Se vi sposate diventa mia sorella, io voglio una avere una sorella!”

“Ahahahaha! No piccola..Non funziona proprio così: solo la mamma può darti una sorellina, ma non Violet. Se Violet si sposasse con me, diventerebbe mia moglie e anche tua cognata, e se noi avessimo dei bambini tu saresti zia” forse era un concetto complicato per una bambina di cinque anni, ma lei aveva colto Nate impreparato e lui per l’imbarazzo aveva iniziato a straparlare.

“Voglio diventare zia!! Voglio diventare zia!” intonò la bambina saltando sul letto, impossibilitando il fratello a vestirla.

“Ahahaha! È un po’ presto mostriciattolo! Io e Violet siamo insieme da troppo poco per pensare ad avere un bambino, siamo ancora molto giovani e poi.. e poi ci sei già tu come nanerottola adesso. E basti e avanzi!” iniziò a farle il solletico.

 

Dopo aver riso insieme l’aveva portata a casa di Hilda, dove aveva trovato dei simpatici compagni di gioco per Jackie: Paul e Christine, i due gemellini aspettavano con ansia l’arrivo della loro nuova amichetta per giocare.
Si divertivano semplicemente a rincorrersi, a saltare la corda e a fare la guerra con i soldatini di Paul. Ogni tanto, per gentile concessione, il bambino acconsentiva a giocare con le bambole con Jackie e Cristine, solo perché la bambina le stava molto simpatica.
A controllare la situazione c’era Linda; a casa, incinta di un nuovo figlio.

 
 

“Hilda scusa il ritardo, mi sono trattenuto a fare due chiacchiere con tua figlia.”

“Devo preoccuparmi che il prossimo nipote nasca color cioccolato?!”

“Hilda!!” Nate scosse la testa fingendosi oltraggiato.

“Cos’è raggiunta una certa età è vietato fare dell’umorismo?”

“Ahahah! No, non è quello, è che mi ha spiazzato; sei sempre così romantica e bonaria di solito...”

“Succede anche nelle migliori famiglie!”

“Ahaha! Eh già.” Nathan indossò il grembiule e iniziò a spadellare.

 

 

“Hilda..” il ragazzo intavolò così l’argomento durante la pausa pranzo, mentre erano soli.

“Si..” la donna sovrappensiero continuava a mangiare e non aveva osservato l’espressione seria del ragazzo.

“E se io chiedessi a Violet di sposarmi?”

Lentamente e silenziosamente la donna finì di masticare e senza batter ciglio alzò lo sguardo verso il ragazzo. “Da quando quest’idea ti ronza per la testa?”

“Da qualche giorno.. è nato tutto da una chiacchierata con Jackie..”

“Capisco.. e lei ti ha chiesto di sposarla?”

“Si e no.. lei mi ha chiesto una sorellina, e io è un paio di notti che continuo a sognare la scena dell’altare con Violet sorridente in un bellissimo vestito che mi si avvicina.” Descriveva quei ricordi con gli occhi che brillavano di una luce particolare, che Hilda coglieva solo in rare occasioni e così sorrise.

“Ragazzo mio, tu sei cotto, davvero.. ma sei sicuro di questa tua folle idea?? Siete molto giovani e avete ancora molto tempo prima di legarvi definitivamente. Senza contare che Violet deve ancora finire la scuola e sicuramente vorrà andare al college.”

“Hai ragione, sarebbe davvero egoista ed avventato chiederle ora di sposarmi.” Nate era sceso con i piedi per terra, aveva sbattuto il naso contro quella che era in effetti la realtà. 
Sposare Violet ora sarebbe stato egoistico e avrebbe privato lei di molte possibilità, la vita da sposati era diversa da quella di semplici fidanzati: c’erano molte più responsabilità, la condivisione dello stesso tetto e tutte le spese della casa da amministrare. Era difficile ammetterlo, però in cuor suo sperava che quella proposta sarebbe potuta avvenire in tempi brevi.
Doveva munirsi di un anello per farle una proposta del genere e quindi aveva ancora tempo prima di dichiararsi in ginocchio.
Mentre il caro Nate esponeva i suoi pensieri alla sua confidente e da aggiungere consulente gratuita, a scuola Violet riceveva una particolare convocazione.

 
Durante l’intervallo, immersa nei libri come al solito, la ragazza non si era mossa dal suo banco in seconda fila nemmeno per un secondo durante l’intervallo.
Per i corridoi c’era una ragazza dalla figura slanciata e sinuosa che si muoveva leggiadra nei suoi mocassini alla ricerca di lei.

“Ragazzi scusate, cerco Violet Peterson.. per caso potete aiutarmi?” La cricca del corridoio ci mise meno di un secondo ad additarla ed in quel momento, come sentendosi richiamata, la moretta sollevò lo sguardo dalle pagine.

 

“Ciao, sono Rose Lathaway, frequento il secondo anno a Berkeley e sono qui in rappresentanza del college.”

“E..”

“Mi avevano avvisato che tu eri una tipina difficile, tuttavia non desisto alle tue maniere rudi..”

“Ok.. mi vuoi dire perché sei qui?” Violet cercava di non mostrare interesse per quello che la ragazza aveva da dire, anche se nel suo cervello, solo al sentire il nome Berkeley, le si era accesa una lampadina.
Sapeva benissimo che quella era una famosissima università e che dava una preparazione ottimale, ma sapeva anche dove si trovava. E ora distava a troppe miglia dalla sua vita che pian piano stava costruendo, mattone su mattone, con Nate e Jackie.
Esattamente; quello fu il suo primo pensiero. Aveva passato troppi anni a sognare di essere presa in quell’università, nonostante pensasse che fosse al di fuori delle sue possibilità. Ora stava rinunciando al suo sogno, per costruirne un altro.
Sarebbe andata ad un’università locale, avrebbe ottenuto la sua bella laurea e si sarebbe accontentata di fare la gavetta per anni in un giornale locale per anni. Aveva altro a cui ambire ora e non era certo la fama da letterata.

“Hai ragione, mi sto dilungando. Sono qui perché la nostra scuola è interessata ad averti tra gli studenti del suo ateneo l’anno prossimo. Il mio professore di letteratura ha letto il tuo tema di fine semestre e l’ha personalmente apprezzato e vorrebbe avere un colloquio con te.” La ragazza sperava ardentemente che Violet non le rendesse ancora più difficile il suo compito di messaggera per conto dello stimato professore. Dopotutto lo sanno tutti che ambasciator non porta pena.

 “No.” Violet era di gran lunga consapevole che stava rinunciando un’opportunità importante e più unica che rara. Non si sarebbe ripresentata, perché ogni lasciata è persa e perché ogni treno che passa non si ferma due volte nella stessa stazione; in qualsiasi modo la rigirasse sapeva che rinunciandovi sarebbe rimasta per il resto della vita nella sua cittadina.
Non era quello che lei aveva sempre sognato, ma era a posto così, al momento.

“Come scusa?” La povera Rose, si passò una mano tra i capelli cercando di riflettere: perché mai una ragazza avrebbe dovuto rifiutare con così tanta decisione un’opportunità del genere?
Non capitava tutti i giorni che l’università andasse a chiedere a qualche studente di entrare in facoltà.

“Ho detto di no.” Abbassò lo sguardo e riprese la sua lettura.

Rose era spiazzata, aveva appena promesso di non demordere, ma il suo modo di fare irritava il suo animo tranquillo.

“Ma fai sul serio?” chiese poi cercando uno spiraglio di umanità in Violet.

“Certamente. Non ho tempo da perdere, Io”

“E ti sembra che avere un colloquio per essere ammessa alla Berkeley sia una perdita di tempo?!” si stava scocciando, e non poco, ripensando a quanto lei avesse faticato per entrarvi.
Violet sapeva che Rose aveva ragione ma lei non poteva andare in California, quando la sua vita era a West Newbury. “Non è una perdita di tempo, ma il tuo rimanere qui ad insistere lo è. ti ho detto di no, un motivo ci sarà..”

“E ti spiacerebbe mettermi al corrente di questo importante motivo per il quale tu non possa andare in una delle più importanti università d’America?!?”

Violet non si aspettava che la ragazza potesse obiettare ancora e ora non sapeva che ribattere. Disse semplicemente un Non posso, mascherato di suoi capelli che le coprivano il volto contratto.
Rose non ci poteva credere; sentiva che c’era qualcosa che Violet le nascondeva, ma insistere in quel momento non avrebbe portato a niente se non ad un altro no. L’università le aveva pagato il soggiorno in quella cittadina per una settimana, sapendo che per prendere delle decisioni importanti ci voleva del tempo; quindi ci avrebbe ritentato dopo qualche giorno.
Uscendo dalla classe si era imbattuta in una ragazza bassina e paffutella, che trasmetteva tenerezza solo a guardarla. Con uno slancio di coraggio, quest’ultima prese la parola e fermò Rose.

“Scusami..”

“Si?” sorrise girandosi velocemente.

“Scusa se ti disturbo, ma non ho potuto fare a meno di sentire quello che hai detto a Violet.” Continuò timidamente “Mi sorprende che lei abbia rifiutato; io la “conosco” da un po’ di anni e so che Berkeley è il suo sogno. Non so perché abbia rifiutato, ma se c’è una cosa che so è che se ne pentirà e l’unica persona che possa fargli cambiare idea è lui..” prese una penna dalla cartella e le scrisse un numero di telefono sulla mano. “Contattalo se davvero vuoi portare a termine la tua missione.”

La salutò cordialmente e poi si dileguò.
Non si era nemmeno presentato e aveva intavolato quel discorso per fare un favore alla sua presunta amica.
 

Compose il numero marcato con l’inchiostro nero sulla sua pelle; rispose una voce maschile profonda alla quale espose il suo problema. Alla fine di quella particolare conversazione, Rose si sentiva soddisfatta perché quel ragazzo le aveva promesso che avrebbe fatto una bella chiacchierata con Violet.

La piccola Novaline aveva fatto la scelta migliore per Violet; nonostante non si fossero mai parlate molto, lei si sentiva legata in modo particolare alla moretta. Era una persona cha si affezionava facilmente e difficilmente se ne allontanava.
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


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Cap. 20

 
 

Novaline era venuta a conoscenza dei desideri di Violet in uno dei pomeriggi che si era trovata a casa di Ricky, il suo ex vicino di casa, il quale decantava le qualità e i sogni della sua piccola amica.
Solo Ricky avrebbe potuto far cambiare idea a Violet, ma anche per lui sarebbe stato una gatta da pelare.

 

*** Due giorni dopo. Tarda sera.

 

“Violet!!! Dobbiamo parlare! Aprimi!” bussava con foga alla sua porta.
 

“Oh cielo, ma che cos’è tutto questo baccano!?” chiese la signora McKenzie, mostrandosi sull’uscio. “Oh caro.. io mi ricordo di te!” si rivolse al ragazzo riconoscendolo.

“Si signora sono Ricky, l’amico di Violet”

“Si, mi ricordo. Eri qui a stare da lei..”

“Esattamente!”

“E dimmi come mai sei qui fuori a quest’ora?”

“Ho bisogno di parlare con l’inquilina dell’appartamento accanto, sa dove posso trovarla?”

“Credo sia dal suo ragazzo, Nathan. Ultimamente non torna a casa spesso la sera… Si amano.. Aaah i giovani..” sospirò l’anziana signora.

“Grazie mille signora McKenzie, credo che l’aspetterò qui ancora un po’.. ”

 

Quel po’ che aveva detto di aspettare si prolungò per tutta la notte, che passò in trepidazione e attimi di rabbia per quella sciocchezza che stava facendo Violet.
Poi gli venne l’idea di raggiungere il Café della signora Callaway per vedere di rintracciarla all’apertura. 

 

 

 

“Porca puttana Violet! Ma cosa ti passa per la testa?! Dire di no alla Berkeley?!”

“Ricky stai zitto e smettila; non ti riguarda!” Violet voleva che abbassasse la voce perché erano sul posto di lavoro di Nathan e non voleva che lui sentisse.

Non mi riguarda?! Ma che cazzo, ti senti? Certo che mi riguarda! Devo proteggerti dalle cazzate che vuoi fare! Non è che perché vivo lontano sono escluso dalla tua vita!”

“Non sei escluso, però non hai nemmeno il diritto di fiondarti qui per niente! Ormai la mia decisione l'ho presa ed è tardi adesso per cambiare idea. Va bene così, e non mi pesa.”

“Non essere idiota Violet! Devi andare alla Berkeley! È sempre stato il tuo sogno! Non è che per un ragazzo devi buttare via tutto, soprattutto quest'opportunità!”

“Non sono idiota! Sono sicura di quello che sto facendo! E tu non c'entri niente in questa decisione… Per cui non ti riguarda! Stanne fuori, tornatene a St Louis, torna dalle tue sciacquette e lasciami vivere la mia vita!” Violet iniziava a sputare parole velenose pur di farlo tacere per non sentirsi dire anche da lui che stava sbagliando. 

Nate, nel magazzino, sentiva delle urla confuse provenire dal locale; riconosceva la voce di Violet molto alterata.. Per sentirla da lì era molto alta e questo significava che era davvero molto arrabbiata.

Smise di sistemare le provviste e andò nel locale per cercare di capire per quale motivo la sua ragazza urlasse così.

Ricky ti ho detto di smetterla! Non ti deve interessare.. Ripeto: ormai ho deciso!!”

“Come te lo devo dire?!? È per il tuo bene!!”


Nathan non capiva il motivo di quella discussione, ma Violet era livida di rabbia e i toni non erano per niente amichevoli.

“Vì che succede qui?!” alla sua domanda rispose un Ricky furente e per niente amichevole.

“Tu stanne fuori! È una questione tra me e Lei!”

“No scusa.. Quello che riguarda lei, riguarda anche me; specialmente se i toni sono questi!”

“Lo sapevo che era colpa tua allora!”

Nate continuava a non capire di che stessero parlando e ora si trovava persino addossare la colpa. “Ma di cosa stai parlando?!”

“Non fare anche il finto tonto!! Scommetto che è colpa tua se lei ha rinunciato all'offerta di Berkeley!!”

“...” Nathan aveva aperto bocca per ribattere, ma le parole non si scomodavano ad uscire dalle sue labbra, per questo si sentì molto stupido in quel momento; a quella sensazione contribuiva il fatto che la sua ragazza non gli aveva detto niente! 
Finalmente riuscì a esprimere parte del suo pensiero a Ricky “Non gliel'avrei mai permesso! E lei lo sa bene, per questo non mi ha detto niente.” con quella frase insieme ad un altro sguardo deluso e al contempo sorpreso lasciò Violet in balia delle sue responsabilità e delle urla del ragazzo. Aveva consegnato Violet indifesa nella fossa dei leoni così, ma era necessario che prendesse la strigliata di Ricky: lui non ce l'avrebbe mai fatta as urlare contro iln quel modo e le sue parole non avrebbero avuto lo stesso effetto su di lei.

Su di una cosa era convinto però: Violet sarebbe andata a quella maledetta università, che distava miglia e miglia da lui.

Ricky aveva ripreso ad inveire, mentre lui si era rifugiato di nuovo in magazzino.

Lui non ne sa niente?! Violet allora spiegami che cazzo ti passa per la testa!”

“Smettila di urlare! Non ho intenzione di cambiare idea!”

“E io che pensavo che il cretino fosse lui… Forse, mi devo ricredere.”

“Piantala di insultarlo, e di insultarmi. Non aiuta! Sai benissimo che se voglio posso essere più zuccona di te!”

“E allora cosa dovrei fare? Rimanere zitto e buono mentre tu ti rovini la vita?!”

“Sì, lasciami vivere come voglio!”

“La Violet che conosco io non l'avrebbe mai fatto!”

“Io non sono più quella Violet. Vattene Ricky, adesso mi hai messo nei casini con lui e devo risolvere la situazione.”Stava per andarsene quando la fermò stringendola per un polso. “Dove credi di andare?! Non abbiamo finito qui. Tu mi devi spiegare perché hai deciso di rifiutare. Io non me ne vado da qui finché non ottengo una chiara e lineare spiegazione per la quale tu abbia deciso di abbandonare i tuoi sogni.” 

Ricky aveva smesso di urlare, sembrava stremato da quello scambio di battute che avevano avuto. “Per favore, fammi capire per quale motivo stai rinunciando al futuro che volevi; perché io davvero non lo concepisco.”

Anche Violet sembrava non avere più la forza di urlare. “Parliamone fuori. Facciamo una passeggiata.”Lo prese per mano e lo condusse fuori dal locale. Mantenendo quel contatto, si incamminarono verso il loro vecchio nascondiglio.
Dove Ricky prima abitava, c’era una piccola casa sull'albero. Lì si andarono a rifugiare, all'ombra delle fronde di quella grande quercia.
A gambe incrociate, l'uno di fronte all'altra, si fissavano. Ora era il turno di Violet di parlare e con quel silenzio teso Ricky glielo faceva capire.

“Promettimi di non interrompere, di lasciarmi parlare; solo quando te lo dirò io, potrai dire la tua.” 

Stava per ribattere ma si interruppe, stroncando il suo pensiero sul nascere. Promesso”

“Bene..”   “Lo sai che ho sempre sognato Berkeley e la sogno tutt'ora, ma nelle circostanze in cui mi trovo preferisco rinunciarci.”

“Ma..”

“Zitto! L'hai promesso!”

Ricky non protestò e appoggiò la testa ad una mano in ascolto. 

Dicevo: ci rinuncio perché non riesco a pensare ad una vita lontana da Nathan e Jackie. Ora loro sono la mia famiglia e mi sento parte di qualcosa di bello, qualcosa in cui anche io ho un ruolo importante.” fece una piccola pausa, come se stesse raccogliendo nella sua mente tutti i pensieri, concentrandoli per sputarli fuori da un momento all'altro. “Ricky, davvero, io non riesco a immaginare una vita senza Nate, io lo amo. Non concepisco neanche lontanamente l'idea di stare lontana da lui. Le giornate senza la sua presenza mi sembrano vuote e senza senso; ormai mi sono trasferita da lui, quasi. Lo so che è irrazionale, ma nell'amore cosa non lo è? 
Sai anche tu che io sono sempre stata d'accordo con le idee illuministe, ma ora non riesco a vivere senza considerare e integrare i sentimenti per questo fantastico ragazzo che mi ha rubato il cuore. Forse ho finalmente capito che la ragione non è sempre la soluzione. 
Tu forse non riesci a capire, a condividere la mia decisione, ma ti chiedo di rispettarla.”

“Ok, ti ho detto tutto, ora puoi parlare.. Solo non urlare ancora ti prego.”

 

D'accordo, non urlerò più.. Però cavoli Vì stai facendo una cavolata enorme secondo me. Ok, lo ami e siete Mimì e Cocò adesso, ma stiamo parlando di Berkeley! L'università, il tuo futuro!”

“Ma il mio futuro è con Nate.”

“Ok, davvero ho capito che lo ami, ma per favore non buttare al vento questa opportunità! Non credo ce ne saranno molte altre.. Sono treni che vanno presi appena arrivano alla stazione, perché non hanno un’altra fermata in previsione.” fece una pausa che Violet non tentò neanche di colmare. “E poi che cavoli, stare con Nate non dovrebbe precluderti la possibilità di continuare a studiare! Sai quanti stanno insieme anche distanti chilometri e chilometri?!?”

Si lo so che in tanti lo fanno, ma io non ce la farei: sentirei troppo la mancanza del suo profumo, della sua pelle a contatto con le mie mani; se io partissi lascerei qui il mio cuore e non credo che riuscirei a studiare granché poi.”

“Dove è finita la mia strega di ghiaccio? La ragazzina che con la sua razionalità e severità nei propri confronti non permetteva nemmeno al margine d'errore di annullare i suoi piani?”

“Quella ragazzina si è innamorata, ha rivisto le sue priorità e ha capito che la vita non è fatta solo di libri e belle parole. Nella vita c'è molto altro e molto più schifo di quello che tu possa minimamente immaginare e ha realizzato che le cose buone che ha attorno vanno valorizzate al massimo e bisogna sempre ringraziare il cielo per la fortuna che si ha avuto e non sfidare troppo la sorte dandole per scontate.”

“Wow, adesso sei diventata anche filosofa? Che ne dici del Carpe Diem, invece? A me sembrerebbe davvero il caso..”

“Rick, non fare dell'ironia amara che non ti viene neanche tanto bene..” Violet cercava di sviare l'argomento da se stessa, ma il suo tentativo venne smascherato e messa alle strette raccontò tutto, ma proprio tutto, della sua esperienza a New York e di come lei e Nate avevano salvato la piccola puffetta da un futuro alquanto misero in quel quartiere. 

Io giuro che gli spacco la faccia!! Pezzo di merda! Lo sapevo che a stare con uno come lui saresti finita in guai seri!!”

“Uno come lui? Ricky se cerchi anche solo minimamente di intavolare un discorso anche solo vagamente razzista giuro che sarai tu quello a subire violenza. Da me, qui, seduta stante! Sai benissimo che queste idee sono stupide e ancora non capisco come ti possano passare per il cervello!” un poco velato insulto alla sua intelligenza guarnì il suo discorso che riprese in un batter d'occhio con un esempio emblema di quanto lui fosse nel torto.

“Che poi, se rifletti, quello che dici è davvero sbagliato! Tu hai detto, testuali parole: a stare con uno come lui.. Io sto con Nate che fino a prova contraria ha dato tutto quello poteva per me, adesso vivo anche praticamente da lui e si prende cura di me. Mi coccola, mi stringe a sé quando anche solo guardandomi capisce che c'è qualcosa che mi rende nervosa. Lui fa di tutto per farmi stare bene e io non potrei chiedere niente di più! Altro che il bello bastardo per cui dovrei soffrire; viva l'amore puro e semplice che fa stare bene e che mette l'anima in pace.”

“Dovresti farne uno slogan per la campagna: Salviamo il principe azzurro!”

“Stupido, non è quello il punto! Il punto è che se lui non fosse entrato da quella porta in quel momento, magari adesso non sarei nemmeno qui a raccontarti queste cose! E poi se proprio vogliamo dirla tutta, magari io e te non avremmo nemmeno ripreso a parlare..”

“Che palle! Tu hai sempre ragione!!”   “No, mi correggo: quasi sempre. La storia di Berkeley non mi convince ancora!”

“Pfff.. Proprio non la vuoi capire! Io non voglio stare lontana da lui..”

“Allora è per questo che gli hai nascosto tutta questa storia..”

“Esattamente! Proprio perché non voglio stare lontana da lui.”

“E non pensi che lui avesse il diritto di saperne qualcosa?”

Violet meditò un momento prima di rispondere, Ricky aveva fatto centro e lei doveva ponderare bene le parole. “Si, lo aveva, ma conoscendolo si sarebbe opposto alla mia decisione e mi avrebbe convinto a partire per il mio bene, per lasciarlo alle spalle; per puntare a qualcosa di meglio che una vita con una famiglia sconquassata.”

Ricky stava per dire qualcosa, ma lasciò morire quelle parole sulle sue labbra e riprese semplicemente a fissare la ragazza che di fronte a lui si torturava piccole ciocche di capelli arrotolandole con le dita. 

Comunque! In tutta questa storia mi sfugge un dettaglio: come fai a sapere di Berkeley? Chi te l'ha detto?”

“Mi ha telefonato una certa Rose, dicendo di aver parlato con una nostra amica, che le aveva fatto capire che tu non avresti mai accettato un colloquio con il professore se non avesse parlato con me.. Mi ha descritto la ragazzina ma non mi è venuta in mente nessuna di bassettina e paffutella.. Boh, comunque sia ha fatto davvero bene a dirle di chiamarmi, perché almeno posso cercare di farti cambiare idea. E adesso per quello che so, sento che anche il caro Nate sarà dalla mia parte!” le fece un occhiolino e, felice per aver azzeccato ancora una volta, uscì velocemente dal loro rifugio lasciando Violet interdetta. 


“E così tu sei venuto fino a qui solo per impedirmi di fare una cavolata?”sulla via di casa Violet interrogò il suo migliore amico. 

Solo? Bambi è del tuo futuro che stiamo parlando non è una cavolata! E poi sono sicuro che tu avresti fatto lo stesso per me!”

Violet lo abbracciò cogliendolo di sorpresa e lui sorridendo assecondò quel piccolo gesto d'affetto. A Violet mancava immensamente il suo migliore amico, ogni volta che lo risentiva dopo tanto tempo, sentiva un piccolo vuoto alla bocca dello stomaco e più volte avendone parlato con Nate lui le aveva consigliato di andarlo a trovare che tanto si fidava.
Il sentimento di Violet nei confronti del biondo era pura amicizia, non aveva mai avuto nemmeno la curiosità di baciarlo, non c'era attrazione fisica, nonostante riconoscesse che fosse diventato davvero un bel ragazzo. Da lui voleva solo abbracci e nient'altro. 

“Nathan?” la voce di Ricky lo richiamò dal lavoro che stava facendo. “Scusa per la sfuriata di prima, ero davvero convinto che la decisione di Violet di non andare all'università fosse colpa tua.. Poi mi ha detto che non ne sapevi niente, per cui.. Bé ecco.. scusa.”

“Scuse accettate, anche se non sono le tue di scuse che mi preme avere; so che tendi a diventare iperprotettivo, questo l'ho capito e finché le cose tra voi rimangono in questi termini per me va bene.”

Ricky si scansò di lato accorgendosi che lo sguardo deluso del ragazzo puntava a Violet che in silenzio si torturava le mani.

Non hai niente da dirmi?” Nathan si era rivolto direttamente a lei questa volta, ma non ottenne risposta. Violet continuava a fissare il pavimento, incapace di sostenere il peso di quello sguardo. 

Non fare la bambina, guardami in faccia quando ti parlo.” non stava urlando, ma le sue parole riecheggiavano forti nella testa della ragazza.

Sollevò con grande sforzo la testa incontrando gli occhi di Nathan “Ne parliamo a casa, stasera, mi sono già messa in ridicolo a sufficienza.”

“Tu? Non io, che non ne sapevo niente? Comunque va bene, ne parliamo quando ho finito di lavorare.. Mi aspetto che tu sia a casa per le sei.. Dovrai dirmi tante cose.” “Ah, Jackie rimane a cena da Hilda stasera, non voglio che la spaventiamo litigando.”

Con quell'affermazione Nate aveva già ipotizzato un litigio tra loro due. Era normale, Violet gli aveva nascosto i fatti e questo non gli andava proprio giù.
La ragazza fece solo un cenno di assenso con il capo e uscì dal locale con Ricky che guardava con stupore Nathan per la sua decisione.

 

Ricky rimase a casa di Violet con Leo, mentre lei sopportava il silenzio che era sceso a cena da Nate. Aveva cucinato nella speranza di smorzare l'atmosfera, ma non aveva ottenuto grandi risultati: lui era entrato in casa senza salutarla, si era messo in tenuta da casa, aveva consumato la cena e non aveva detto nulla in assoluto.
 

“Non mi parlerai ancora per molto?”

“Sei tu che non parli con me..”

“Ecco che cominciamo.. Stiamo già litigando?”

“Non ancora, magari non sarà nemmeno necessario.. Dipende da te.. Inizia a raccontarmi tutto di Berkeley e poi vediamo..”

“Non c'è molto da dire, mi hanno chiesto di andare e io ho detto di no e mi sta bene così.”

“Dimmi tutto, non come una favoletta per Jackie.. Io non ho cinque anni, non ho bisogno di essere protetto.” Il tono era perentorio, tanto che convinse Violet a riassumere a Nate quello che era successo a scuola. “..E io ho semplicemente detto di no.”

“Perché?”

“Perché ho rifiutato!? Ho rifiutato perché non voglio andare via da qui.”

“E non hai pensato al tuo futuro?”Nate era seriamente sorpreso da quella presa di posizione della sua ragazza.

“Certo che ci ho pensato! E io non ho futuro lontano da te.” erano le parole che più amava sentire, ma anche quelle che più temeva. Non avrebbe mai voluto che lei rinunciasse a delle opportunità d'oro per lui; non voleva assolutamente che lei annullasse i suoi interessi per stare con lui.

“Amore..” le prese una mano e la condusse al divano “Sai bene che avresti dovuto parlarmene prima di prendere una decisione; non mi piace quando prendi decisioni per noi da sola.”

“Non è una nostra decisione, è mia. Io non andrò a Berkeley”

“Violet.. Così mi fai arrabbiare però.. La decisione riguarda entrambi! Il tuo futuro, comprende il nostro e io non voglio rimanere all'oscuro dei tuoi piani.”Stava provando la via diplomatica, non voleva davvero litigare con Violet. Ma in quel momento sentiva che le risposte così decise dovevano essere ribaltate.  

“Bé adesso lo sai: non andrò alla Berkeley.”

Violet era convinta delle sue parole, non sembrava avere tentennamenti nel dirle. Nate si strofinò il viso con la mano; non voleva alzare la voce, odiava arrabbiarsi soprattutto con lei.

“Stai scherzando, vero? Dimmi che hai organizzato una candid con quel pazzo scatenato del tuo migliore amico e questa è tutta una stronzata!”

Violet rimase stizzita per quell'affermazione, non le andava a genio che le sue decisioni venissero messe in discussione o addirittura in ridicolo.

“No Nate, sono serissima. Andrò avanti a studiare all'università della contea.. È a quaranta minuti di pullman da qui e così posso rincasare ogni giorno.”

“Come fai a parlare seriamente di questo?”

“È quello che voglio.”

“No! Non è quello che vuoi. È quello che pensi di volere perché non vuoi allontanarti da me.”

“Ed è peccato non volersi allontanare dal ragazzo che si ama?”

“Si, lo è se tu rinunci ai tuoi sogni. E poi cazzo stiamo parlando di una delle università più prestigiose d'America! E sono certo che avresti ottenuto persino la borsa di studio! Così non dovevi nemmeno preoccuparti delle spese universitarie!”

“Fa niente, non mi interessa la borsa di studio. Io voglio rimanere qui.”

“Violet Peterson, adesso mi stai facendo arrabbiare! Tu devi andare a quella maledetta università! Devi assolutamente chiamare quella ragazza e dire che le hai risposto male solo perché era una brutta giornata e che hai riconsiderato la sua offerta.”

“No, col cazzo che la richiamo. Non mi interessa.”

“Ok. Adesso stiamo decisamente litigando. Non voglio che tu dica di no alla Berkeley per me! Non lo devi fare!”

“Ormai..”

“Ormai cosa?! Ma sei impazzita? È l'occasione della tua vita e io non sono nessuno per frappormi tra te e questa!”

“Ho detto di no. Non parto, punto.”

“Cazzo, cazzo e cazzo!” lo stava facendo uscire di senno con quella sua insulsa testardaggine. “Ascoltami bene. Anche a costo di sembrarti un bambino in questo momento, io giuro che non ti parlerò più e non ti guarderò più come prima se non accetti il posto in quel college. Non ammetto che tu ti rovini la vita per uno stupido ragazzo che non ha nemmeno finito la scuola. Tu devi istruirti, trovare un buon lavoro e poi pensare a me.”

“No amore, tu vieni prima di una semplice istituzione, un attestato o un qualsiasi diploma. Non è importante che tu abbia finito la scuola o meno. Io ti amo comunque… E poi è per questo motivo che non ti ho detto niente. Sapevo che tu non saresti stato d'accordo con la mia decisione e non volevo litigare.”

“Violet te ne pentirai se non cambi idea, me lo rinfaccerai a vita anche inconsciamente e quando te ne accorgerai, la nostra storia sarà finita. È questo che vuoi?!”

“No che non è questo che voglio!”

“Allora l'unica che ti rimane da fare è andare alla Berkeley! Io non ammetto che tu non ci vada.. Cosa devo fare per farti andare a quell'università?”

“Niente, non puoi.. Finché staremo insieme, io vorrò sempre stare al tuo fianco.”

“Allora forse è qui che sbaglio.”

Violet si spaventò per quella frase e si alzò di scatto dal divano. “No, non dirlo neanche per scherzo.”

“Forse è il caso che ci prendiamo una pausa.” quelle parole caddero come dei massi, schiacciando la piccola Violet. Le gambe le cedettero; si ritrovò a terra, con i lacrimoni a fissare lo sguardo vuoto di Nate. 
Lui non voleva questo, ma era necessario. 
Era davvero necessario? 
Si lo era; Violet era stata chiara: finché sarebbero stati insieme lei non sarebbe andata a studiare in California. 
Non ce la fece a reggere il suo sguardo, e la lasciò lì, nel salone. Sul pavimento, mentre sentendo i singhiozzi, si avviava verso l'uscio. Strinse i pugni per farsi forza, per auto convincersi che era la cosa giusta; per contrastare il suo cuore che gli urlava di tornare indietro e rimangiarsi tutto quello che aveva detto stringendo la ragazza fra le braccia. 
Prese il giacchetto e uscì. La lasciò sola, miserabile a disperarsi sul pavimento di quella casa che per poco tempo era stata anche la sua. 
Quello di Nate, per quanto potesse risultare senza cuore e imperdonabile era un gesto di grande amore. Doveva lasciare andare la persona che amava più della sua stessa vita; doveva concederle il futuro che meritava; non doveva permettere nemmeno a sé stesso di intralciare il suo cammino. 
Una grossa lacrima scivolò lungo la guancia di quel gigante buono; una fitta al cuore lo stava facendo soffrire irrimediabilmente. 
In quel momento gli rimaneva da fare solo una cosa.

Ricky so che sei ancora sveglio, aprimi.” Sentiva i suoni della televisione oltre la porta. Quando poi cadde il silenzio, la porta si spalancò lasciandogli libero accesso all'appartamento. 
Vi si fiondò dentro e incurante dell'aria assonnata del ragazzo iniziò il suo discorso. 
 

“Premetto che quello che sto per dirti non ti piacerà, però credimi: non l'avrei mai fatto se non fosse stato necessario.”

“Che cosa hai combinato?” chiese stropicciandosi il viso.

Forse è meglio se ne parliamo con un tavolo di mezzo.”

“Non ho capito, però va bene entra.” Sbadigliò ancora vista l'ora.

Si sedettero come Nate aveva proposto, al tavolo uno di fronte all'altro.
Ricky sembrava molto assonnato, ma comunque curioso di sapere per quale motivo fosse lì.

“Ho lasciato Violet.” Quella piccola frase ebbe il potere di risvegliare il biondo da quello stato comatoso di sonno.

Come scusa?” Sorpreso si sistemò sulla sedia come se avesse attivato le antenne per carpire meglio il significato delle parole di Nathan.

Ho lasciato Violet.”

“Si ok, quello l'ho capito. La domanda giusta è perché?”

“Perché era disposta a rinunciare ai suoi sogni per me.”

“E questa ti sembra una motivazione sensata per lasciarla?!” Ricky sembrava non condividere il gesto di Nate.

Credevo ne saresti stato contento..”

“Io voglio solo la felicità di Violet.”

“Anche io. Per questo ho dovuto lasciarla; aveva detto chiaramente che finché saremmo rimasti insieme lei non sarebbe andata a Berkeley..”   “..Non ho avuto scelta. Ho dovuto.”

“Mi scopro sempre più sorpreso da te caro Nate.. Non pensavo potessi arrivare a tanto per il futuro di Violet.”

“Ricky, io la amo. Che tu pensi il contrario purtroppo io non posso farci molto.”

“Io non l'ho mai detto.” Cercò di paracularsi un pochino.

Ma l'hai pensato. Comunque sono venuto qui per chiederti di starle vicino. E convincila che ormai senza di me non ha senso non andare a Berkeley.”

“Farò del mio meglio.”

“Non posso chiedere di più.” Commentò alzandosi da tavola per terminare la conversazione.

“Adesso che intenzione di fare?!” Non pensava che a Ricky importasse qualcosa, ma magari lo sta facendo solo per Violet.

Ancora non so bene. Penso di sparire un po'… Avevo in programma un lavoro a Manchester* per questa estate; lo anticiperò un po'.”

“Capisco… Ma adesso Violet dove?”

“È a casa mia. Portala qui e tienile compagnia. Io devo andare a prendere Jackie. Non mi troverete qui al vostro ritorno.”

Dopo avergli spiegato la strada Nathan andò per la sua strada.

Suonò il campanello nonostante l'ora e ad aprirgli arrivò la padrona di casa in vestaglia. “Nathan, ti aspettavo più di due ore fa! Ma che è successo?!”

Non riuscì a rispondere che le lacrime precedettero le parole. Hilda rimase pietrificata: c'erano ancora poche cose che la sorprendevano e vedere quel ragazzo piangere era una di quelle.
La accompagnò dentro casa e davanti ad un tè si fece raccontare cosa turbava il suo animo.
La vicenda colpì molto la signora Callaway; non si sarebbe mai aspettata una loro rottura, non dopo pochi giorni dalla discussione sul possibile matrimonio e soprattutto non da parte di Nathan.

Dai Nate, vedrai che sistemerete tutto.”

“No, non credo: l'ho ferita e lei adesso mi odierà sicuramente. Spero solo che almeno si decida ad andare a Berkeley.”

“Secondo me non ti odierà figliolo; non può odiarti per davvero se vi siete amati fino a pochi minuti fa. E secondo me, adesso che ha scoperto che persona stupenda sei, non rinuncerà a te facilmente.”

“Allora non posso rimanere nei paraggi. Non deve tentare di tornare con me se prima non accetta quella maledetta proposta. Io non posso sopportare il peso del rimpianto che proverà sicuramente tra qualche anno. È troppo presto per lei per buttare al vento una possibilità come questa per amore. Non può negarsi la possibilità di avere un futuro lavorativo affermato. Non voglio che faccia la cameriera un domani, è troppo intelligente e dotata per farlo. Lei si merita di più. Senza offesa.”

“Non mi offendi caro, ho capito cosa intendi e nemmeno io vorrei che Violet avesse quel futuro. Lei deve diventare una giornalista, proprio come ha sempre sognato. Comunque ragazzo ricorda che ci sono altre soluzioni.. Non devi per forza lasciarla e partire.”

“No, non posso fare altrimenti: lei è stata molto chiara. Domani parto. Anticiperò il lavoro per il signor Edonard." rispose accecato dalla foga del momento e dalla disperazione. Perché quando si ha la sensazione di essere sull'orlo del precipizio, si perdono di vista le diverse prospettive e si rimane dell'idea che la decisione presa sia l'unica possibile. 

Si Nathan, ti concedo un periodo di ferie. Grazie per avermelo chiesto.”

“Hai ragione Hilda; scusami, ma questa storia mi manda fuori di testa. E se non parto adesso non parto mai più. Grazie mille. Davvero non so come farei senza di te.”

“Si si, bando alle ciance. Hai intenzione di portare con te Jackie?”

“Si, penso che qualche giorno al mare le potrà far bene; e così non noterà questo casino..”   “..E poi non riesco a stare troppo lontano da lei.” Sorrise a quella constatazione.

Bene, allora buon viaggio. A Violet ci penserò io.”

“Grazie davvero.” Con un abbraccio la salutò. Poi con Jackie sulle spalle si incamminò verso casa, nella speranza di non incontrare lì ancora Violet e Ricky. 

*Manchester è una cittadina sulla East Coast a circa 2 ore di viaggio da West Newbury. È davvero molto carina, e lì, il ricco signor Edonard –un personaggio quasi del tutto irrilevante- ha una casa che Nate deve sistemare: deve provvedere al trasloco dei mobili e alle piccole faccende relative agli impianti.
La casa in questione sarebbe questa.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


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Cap. 21

 

Ricky aveva abbandonato quella casa da un po', portando la sua migliore amica ancora in lacrime in braccio. 
Dopo aver ripetuto la stessa manovra difficoltosa per aprire il portone e la porta dell'appartamento, aveva adagiato la ragazza sul letto. 
Piangeva, ancora. Non accennava a smettere, nonostante odiasse quella manifestazione di debolezza. Lui lo sapeva bene; allora se lei persisteva, forse lo amava davvero molto come diceva. Infatti era così; lui era l'unico che non l'aveva ancora metabolizzato. 

Solo di fronte a quella triste realtà si scoprì conscio di ciò e vederla ridotta in quello stato, dove i singulti quasi non la facevano respirare, era una sofferenza. 

Ti sta bene.” disse solo quelle poche parole che l'avrebbero portata ad infuriarsi; lo sapeva bene, ma era la sua ultima spiaggia. 

Che cosa hai detto?!”

“Ho detto che ti sta bene; che questa situazione è nata solo per colpa tua e per la tua testardaggine.

La risposta si fece attendere, ma non lo schiaffo che svelto era partito dalla mano della ragazza. 

Ti sembra il caso di dirmi una cosa del genere?”

“È la verità.”

“Vuoi un altro schiaffo?”

“Dammelo pure se ti fa sentire meglio, ma sai anche tu che è la verità; se avessi parlato con Nathan del college, lui non ti avrebbe lasciato e magari, anzi molto probabilmente, avreste trovato una soluzione insieme.”

Stava partendo anche il secondo schiaffo, ma si bloccò a mezz'aria. Proprio a causa di quelle parole che lo avevano fatto nascere. 

Hai ragione. Sono stata una stupida.” e le lacrime scesero inesorabili, seguendo il percorso delle precedenti. “..e ora ho perso entrambi.”

No Bambi, hai ancora la possibilità di avere entrambi: devi solo accettare la proposta dell'università e poi con Nate vedrai che tutto si aggiusta.” la abbracciò per trasmetterle sicurezza. Ma anche lei presa dalla disperazione non vedeva molta via d'uscita. “Ma come faccio?! Ormai ho rovinato tutto.”

“Domani sistemiamo le cose; la ragazza dell'università ti incontrerà a scuola all'intervallo. Ho avuto la presunzione di pensare di riuscire a farti cambiare idea. E poi Nate lo andremo a trovare a Manchester.”

“A Manchester?!”

“Si, ha pensato bene di partire per farti soffrire meno non vedendolo attorno, e poi pensava che avendolo in giro tu avresti tentato di rimanere qui a sistemare le cose e non saresti andata alla Berkeley.”

“Ma se anche io partissi, dovrei rinunciare a lui..”

“Non necessariamente. Dai adesso non ci pensare e dormiamo che domani abbiamo tutto il tempo del mondo per trovare una soluzione.”con un rapido occhiolino e un sorriso smagliante strinse a sé la ragazza e le baciò i capelli profumati.

 

 

Jackie saltellava lungo la strada di casa e lui, guardandola, non sapeva come dirle che il giorno dopo la cena a casa di Violet sarebbe saltata perché loro avevano rotto.
Forse non era il caso di dirglielo. Forse poteva dirgli solo che dovevano partire per un lavoretto e che Violet sarebbe rimasta a casa a studiare.
La piccola non faceva domande, ma ogni tanto si fermava ad osservarlo, avvertendo che c’era qualcosa di diverso. Non disse niente, pensò che era solo stanco.
Ma una cosa le fece cambiare idea. Nella sua stanza Nathan stava preparando una borsa con dentro dei vestiti e ora anche il suo peluche preferito stava per finirci dentro.
Glielo prese dalle mani e con aria seria gli chiese: “Fratellone perché fai la borsa?”

“Andiamo al mare. Non sei contenta?” disse fingendo entusiasmo.

“Si!!!! Andiamo al mareeeee!!”   “Violet viene con noi??” chiese al settimo cielo per la vacanza improvvisa. Non aveva mai visto il mare.

“No.” Abbassò lo sguardo e riprese a sistemare dei vestiti nella borsa.

“Allora non voglio andare.” Tutto l’entusiasmo che aveva dimostrato prima era scomparso di colpo; lasciando spazio ad un tenerissimo broncio.

“Mostriciattolo ma che dici? Ci facciamo una bella vacanza!”

“Non voglio andare al mare. Voglio stare a casa con Violet.” Jackie si era affezionata molto alla ragazza, e l’idea di allontanarsi da lei le faceva paura.

“Ma Violet va dall’altra parte d’America a studiare.”  Certo ci sarebbe andata dopo gli esami dell’ultimo semestre, ma l’antifona era la stessa: Violet presto se ne sarebbe andata e tanto valeva che Jackie si abituasse quanto presto all’idea.

“No voglio stare con lei.”

“Te l’ho appena detto che non possiamo. Violet non rimane a casa.”

“Andiamo anche noi con lei!” la soluzione per la bambina sembrava semplice, ma non era così.

Non era così..
Non era così, ma forse poteva esserlo.
Aveva messo da parte un po’ di soldi lavorando tutto il giorno e poi, da quando era arrivata Jackie, Hilda gli aveva alzato il salario nonostante la riduzione d’orario. In più era convinto che avesse “consigliato” a qualche cliente di lasciargli più mance.
Non stava benissimo, ma neanche tanto male. Poteva andare lui con lei in California e così lei avrebbe potuto studiare e loro stare insieme.
E poi avrebbe potuto trovare un lavoro anche là.
Si, poteva andare! Come aveva fatto a non pensarci prima?!?

“Sei un genio mostriciattolo!” Jackie sorrise solamente e lo abbracciò.

Nate era troppo euforico per aver trovato una soluzione che non contemplasse la rottura con Violet; quel vicolo cieco che aveva imboccato aveva invece una stradina laterale, giusta per riportarli in carreggiata.

“Jackie, non andiamo più al mare. Adesso andiamo da Violet.”

“Non la vediamo domani?”

“Hai ragione è tardi, ma ho bisogno di parlarle adesso.”

“Ma io ho sonno.”

“Mi prometti di rimanere buona buona a casa a dormire?”

“Va bene papà!”

“Ti lascio l’acqua sul tavolo, con anche i biscotti; nel caso ti dovesse venire fame.”

“Posso bere il latte?” chiese sorridente, sperando che il suo fratellone gliel’avrebbe concesso.

“D’accordo, ma non ti avvicinare ai fornelli! E dopo SOLO una tazza di latte con i biscotti, lavi i denti e poi corri a letto. Non esagerare, altrimenti domani ti viene il mal di pancia e io ti scopro!” le lasciò un bacio sulla fronte e si diresse al piano di sotto per preparare lo spuntino a Jackie e chiudere tutte le finestre per poi uscire di casa.
Prese le chiavi della macchina si mise alla guida e pochi minuti dopo era sotto il portone del palazzo di Violet. Alle tre di notte il traffico era praticamente nullo a West Newbury.
Fece gli scalini a tre a tre e arrivò alla porta dell’appartamento col fiatone.
Bussò con forza, sapeva che era tardissimo e che quindi molto probabilmente dormivano da un po’ i due ragazzi.
Si sbagliava però. Violet singhiozzava ancora e Ricky la teneva abbracciata a sé, mentre gli sussurrava che tutto sarebbe andato bene e che le cose si sarebbero sistemate.

Sentirono bussare alla porta, ma nessuno dei due si mosse. L’insistenza di quel rumore sordo sulla porta fece cambiare idea a Ricky che si alzò, consapevole che le sue condizioni erano migliori di quelle della padrona di casa.
Aprì la porta e, trovandosi davanti Nate, se la richiuse alle spalle.

Con voce molto bassa avanzò la sua domanda. “E tu che ci fai qui? Non eri mica partito?”

Ancora col fiatone, cercando di mantenere il tono della voce regolare, Nathan rispose: “No.. sono..” sospirò “mi sono reso conto che.. che stavo facendo una cazzata.” “Una delle più grandi della mia vita.”

“Meglio tardi che mai. Comunque ti avremmo raggiunto anche a Manchester fosse stato il caso.”

Nate era riconoscente a Ricky per quello che aveva appena detto, ma nel suo cervello non c'era altro che la voglia di stringere Violet tra le sue braccia. “Posso vederla?”

“Non è nelle condizioni migliori dopo la tua bravata.. non so come possa prendere il fatto che tu ora sia qui.”

“Ho fatto una cazzata, lo sapevo. Ma giuro io l’ho fatto per lei... Cazzo è che quando si impunta su una cosa diventa più testarda di un mulo!” Lo sguardo di Nate si stava intristendo; lo capiva persino il biondo anche se non lo conosceva.

“Ahahahah! Lo so bene, credimi!” l'affermazione del moro fece ridere davvero Ricky; tanto che le risate insospettirono Violet.

“Ricky chi è?” una voce strozzata alle sue spalle.

Nate la vide; con quegli occhi rossi che gli ricordavano tanto il ritorno da New York. Non si riusciva a perdonare che fosse nuovamente lui la causa del suo dolore. Doveva sistemare le cose, doveva assolutamente aggiustare tutto.

Amore..” La chiamò con tutta la necessità di cui una parola poteva caricarsi.
Lei sbattè la porta e non gli diede modo di dire altro. Tutte le parole che durante il tragitto aveva messo insieme non avevano più un senso e lui si sentiva sempre più cretino.

Nate, tu aspetta qui.” Ricky si era rivolto a lui per un secondo e poi si era fiondato nell'appartamento per parlare con Violet che lo accolse con un lancio di ciabatta.

“Come puoi essere fuori a ridere con quello stronzo, mentre io sono qui a piangere come una deficiente!?”

Era davvero arrabbiata e quell'espressione tanto seria fece ridere ancora il biondo. La cosa fece innervosire Violet, che prese l'altra ciabatta e gliela lanciò contro. Ricky la schivò agilmente e di scatto prese la ragazza tra le braccia. Violet cercava di dimenarsi dalla presa di Ricky, ma lui non era più il ragazzo gracile di una volta e quindi le riusciva impossibile.

Ricky mollami!”

“Tu la finisci di fare la matta?”

“Pff.. E va bene.” insistere non avrebbe portato a niente.

Allentò la morsa e Violet effettivamente smise di divincolarsi. “Brava Bambi.” le carezzò dolcemente i capelli.

“Perché ridevi con Nathan?” chiese stizzita.

“Perché mi stava ricordando quanto fossi testarda.”

“Testarda? Io?!”

“Certo Bambi. E non dire il contrario.”

Sbuffò “Però tu non devi ridere con lui. Mi ha lasciata.”

“Te l'ho detto prima: te la sei cercata. Cosa pensavi che lui davanti alla scelta di assicurarti un futuro felice avrebbe preferito continuare a farti portare il suo fardello??”

“Ma lui non è un fardello per me! Non lo è nemmeno Jackie. E io non volevo rompere con lui. È stata una sua scelta.”

“Non che tu gli abbia dato molta alternativa!”

“Io NON gli ho detto di lasciarmi, per questo non capisco perché era qui adesso.”

“Secondo te?” chiese l'altro ironico.

“E che ne so io!”

“Perché non glielo chiedi tu stessa?!” accennò col capo alla porta.

Lei vi si avvicinò, ma si bloccò. “Non posso farmi vedere così!”

“Ma se sei scema! Smettila di dire cazzate e corri a parlare con lui.”

Violet sorrise solamente e varcando la soglia di casa si trovò davanti il suo Cioccolatino.
Cercò di fare la dura, la ragazza offesa per esser stata lasciata, ma la messa in scena non durò molto; perché dopo nemmeno dieci minuti passati a dire la loro erano già una abbracciata all'altro.
Le braccia di Nate circondavano con possessività la vita della ragazza e lei gli cingeva le braccia al collo.

Non farmi mai più uno scherzo del genere!!”

“No scimmietta.”

“Promettimelo.”

“Lo giuro.”

Si scambiarono un bacio che divorò tutta la rabbia che la ragazza aveva ostentato per essere stata piantata. Non riusciva a non perdonarlo; riconosceva il suo errore anche se sapeva di non essere la sola ad avere sbagliato. Anche Nathan ci aveva messo del suo e nella sua testa continuava a chiederle perdono.
Perdono che avvenne senza altre tante parole, ma solo con le loro labbra che si incontravano. Quel bacio intenso e per un certo verso drammatico aveva suggellato la loro rappacificazione.

Staccandosi Violet sentiva che però doveva sfogarsi ancora un attimo.

Questo però te lo meriti proprio..”e accompagnato da quella frase, Violet gli regalò un sonoro schiaffo.

Nate non disse niente e la ribaciò con foga. Quello era il prezzo minimo da pagare e già solo che lei non lo aveva fatto penare per riprenderselo era qualcosa di cui esserle eternamente grato.

“Ringrazia Ricky se sono stata così ragionevole con te.” gli sussurrò a pochi centimetri dalla bocca fissandolo negli occhi.

“Oh beh, sarà fatto.”

“Bene, e ora entriamo in casa.”

 

Nate non chiedeva altro che rimanere lì, sul divano, abbracciato alla sua dolce metà; ma la piccola Jackie era a casa e non voleva lasciarla da sola per troppo tempo.

“Scimmietta, non posso rimanere..” l’espressione di Violet si fece contrariata, per questo aggiunse subito “Jackie è da sola.. non posso lasciarla troppo tempo per conto suo. Mi fido di lei, però è pur sempre una bambina.”

“Hai ragione. Vengo io con te. Dammi il tempo prendere le cose per dormire e andiamo.” Disse alzandosi.

“Tranquilla, non ne avrai bisogno.” Ammiccò il ragazzo e Violet arrossì.

“Non pensavo ti facesse ancora un certo effetto.. e pensare che ultimamente anche tu eri piuttosto.. come dire.. ‘propositiva’.”

Una fragorosa risata scoppiò nell’aria. Ricky, che divideva la poltrona col gatto, aveva sentito tutto, ovviamente.  “Eh brava Bambi! Sei persino propositiva!”

“Grazie per parlare liberamente della nostra vita sessuale!” Esclamò Violet ancora imbarazzata.

“Non c’è nulla da vergognarsi amore!”

“Sei proprio un orso quando fai così.” Gli fece una linguaccia e iniziò a prendere qualcosa dall’armadio.

“Ma se mi ami per questo.” Le sorrise cingendole la vita alle spalle.

“Non ne sarei così sicuro.” Gli accarezzò il viso, che rilassato e sorridente, si sporgeva da sopra la sua spalla.

Nonostante avessero rotto da poco, tutto sembrava tornato alla normalità; i due piccioncini scherzavano e questa volta includevano persino Ricky, che di certo non si tirava indietro dal fare battute a doppio senso.
 

“Voi due è meglio che vi separiate, altrimenti formate una piccola associazione a delinquere!” Violet tirò Nate per una mano per accompagnarlo fuori dall’appartamento. “Andiamo da Jackie.. e a prenderci cura di noi.” Ammiccò poi, palpeggiando il sedere al suo Cioccolatino.  I due ragazzi la fissarono sbalorditi. Nessuno di loro si aspettava una battutina del genere.

“Bè?! Voi potete parlare liberamente di rotolarsi tra le lenzuola e io mi devo perdere tutto il divertimento?!”

“Birichina!” Ricky la prese in giro e scoppiò nuovamente a ridere, coinvolgendo anche gli altri due.
 

Usciti dall’appartamento, Nate non diede il tempo materiale a Violet di dire A o B che l’aveva stretta tra lui e la parete. Le carezzò il profilo del volto, strofinando il naso sulla sua pelle nivea e vellutata. Il suo respiro le solleticava il collo e la faceva fremere. Ogni piccolo contatto sulla sua pelle era un grazie silenzioso per averlo perdonato così in fretta. Non avrebbe potuto sperare di meglio e adesso, felice, poteva portarla di nuovo a casa con sé.
 

Quella notte, arrivati a casa, si dedicarono al loro amore. Non c’era bisogno di altre parole. I semplici sguardi che si scambiavano, dicevano tutto. Lei l’aveva perdonato per la semplice ragione che per lei, nulla aveva senso senza di lui. Lui era la sua metà perfetta. Era irruente, dolce, istintivo e agiva sempre pensando prima agli altri che a se stesso. Aveva bisogno di lui accanto, perché l’amore li aveva portati a non resistere per la troppa distanza.
Non c’era bisogno del famoso cliché del sesso rappacificatore quella notte, perché nella loro testa, ormai, era come se non si fossero mai separati.
Le lacrime versate non contavano più. Ora c’erano solo loro: amanti inseparabili. Abbracciati l’un l’altra si fissarono per ore, persi in chissà quali pensieri e in chissà quali messaggi che gli occhi erano capaci di trasmettere.

 
 

“Amore, ho pensato molto in queste poche ore lontani.” Fu lui a iniziare a parlare, stuzzicando la curiosità della sua compagna.

“Stavo pensando che tu andrai a studiare alla Berkeley..” e Violet si scurì in volto e si spinse via dal suo petto con le mani. La paura di tornare a litigare sull’argomento era molta in quel momento; non potevano fare ancora passi indietro. “Fammi finire. Stavo pensando che tu andrai in California.. E noi verremo con te.”

“Come?? Davvero? Davvero stai facendo tutto questo per me?” gli occhi di Violet divennero umidi per le lacrime che premevano per uscire.

“Certo amore, ma non solo per te. Lo faccio per noi.”

Sentendo quelle parole, la diga si ruppe e le lacrime sgorgarono, scorrendo veloci e copiose lungo le guance della ragazza. Piangeva e rideva. Era felice e non pensava che lei avrebbe mai potuto piangere di gioia. Gioia che trasmise a Nathan stringendolo a sé e dandogli mille e più baci veloci, che lui ricevette e assecondò.
La dolcezza di ogni tocco fece accendere la passione tra i due e la felicità raggiunse il culmine con l’unione dei loro corpi.
Successe tutto molto velocemente prima che loro, stanchi ed appagati, si concedessero alle braccia di Morfeo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Cap

Cap. 22

 

 

Era arrivato il grande giorno.

La fine del percorso scolastico di Violet era giunta, e lei, studentessa con la media migliore della scuola aveva l’incarico di preparare il Valid Dictorian da recitare davanti a quelle centinaia di persone presenti quel giorno.

La preparazione aveva causato non poche crisi di nervi per la piccola genietta, ma col supporto del suo bello era riuscita ad ottenere un risultato soddisfacente.

Quello lo poteva capire mentre osservava i suoi genitori, insieme a quelli di tutti i suoi compagni, che l’ascoltavano mentre li intratteneva. Le parole del suo discorso ne avevano commosso molti, e soprattutto i suoi.

Ma anche Hilda non era da meno. Aveva chiuso persino il locale quel giorno per partecipare alla cerimonia del diploma; e ovviamente anche Ricky non poteva mancare.

Luke e Catherine si abbracciavano e piangevano orgogliosi della loro bambina. Nathan, con Jackie sulle spalle, applaudiva soddisfatto. Era davvero gratificante vederla serena e felice per aver raggiunto i risultati prefissati.

Erano tutti lì riuniti a celebrare la fine delle scuole superiori e l’inizio di qualcosa di nuovo.

 

Il suo Dictorian terminò con uno scrosciare di applausi che si protrasse fino all’entrata in scena del preside che segnava il termine della cerimonia.

 

“Io, Kenneth Ross, preside della Oliverton Junior High, faccio i miei complimenti e i migliori auguri ai diplomati di quest’anno! Un grande applauso a tutti gli studenti dell’anno 1993, che hanno così terminato la loro carriera scolastica in questa scuola.”

A quell’annuncio tutti i cappelli dei giovani sorridenti volavano nel cielo estivo azzurro.

Violet sorrideva, felice per aver raggiunto quel traguardo importante e tanto agognato.

 

 

Dopo i saluti ai compagni, Violet si diresse veloce – per quanto lo permettesse la tonaca – verso Nathan. Lo abbracciò di slancio e si scambiarono un veloce bacio a fior di labbra.

Lo prese poi per mano e lo condusse dai suoi genitori. Era giunto il momento delle presentazioni; erano ormai sei mesi che stavano insieme e lei aveva accennato solamente qualcosa a sua mamma in una delle loro conversazioni telefoniche.

Mano nella mano e con Jackie al seguito, si avvicinarono a Catherine e Luke.

“Mamma, papà. Voglio presentarvi Nathan, il mio ragazzo.”

Negli istanti che precedettero quelle parole, il ragazzo scorreva veloce i suoi ricordi di quando Violet gli aveva detto che il giorno della cerimonia li avrebbe fatti conoscere.

 

Era nervoso, e proprio lui che si preoccupava veramente solo di poche cose, non sapeva che cosa fare e che cosa dire.

Non era mai stato presentato come fidanzato prima di allora e quell’evento un poco lo spaventava. Aveva paura che ai genitori di Violet non sarebbe piaciuto.

Si era rifugiato nelle scene dei film romantici per vedere, cercare di capire quelle che erano le “manovre base” per piacere ai genitori della propria fidanzata.

Violet però lo aveva rassicurato la sera precedente. A letto, abbracciati, stavano parlando e lui aveva messo a nudo la sua paura di non piacere a Luke e Catherine per il suo passato, per la sua famiglia e per il fatto che da solo accudisse la sorellina. Violet lo aveva stretto a se come se fosse un cucciolo smarrito al quale donare fiducia, amore e in quel momento rassicurazione. “Sii te stesso e vedrai che ti adoreranno. Se hai conquistato me, farai altrettanto con i miei genitori. Sono io la complicata della famiglia; loro sono meno problematici di me.” Disse sorridendo “E poi sanno che io difficilmente lascio entrare ragazzi nella mia vita e tu ci sei entrato.. e anche fino in fondo direi.” Cercava di alleggerire la tensione di Nate, sicura che ce l’avrebbe fatta. “ E anche per il fatto che tu sei qui con me, dopo tutti i miei scleri; te ne verrà riconosciuto il merito e vedrai che gli starai simpatico… vedrai amore, ti adoreranno. Non può andare diversamente.”

 

In quel momento quei ricordi gli trasmisero la fiducia in se stesso necessaria per essere tranquillo e presentarsi a Luke e Catherine.

Il padre di Violet, un uomo semplice con l’aria un po’ burbera, gli aveva stretto la mano vigorosamente, e lo osservava con sguardo serio e indagatore.

Catherine, invece sorrideva sinceramente e lo aveva già accolto come uno della famiglia. Subito dopo averlo stretto in un abbraccio, dedicò le sue attenzioni a Jackie, che ridacchiava per le facce buffe che le faceva.

Era una donna solare ed esteticamente assomigliava molto alla figlia; aveva però gli occhi nocciola, che trasmettevano calore e fiducia. Violet aveva gli occhi di suo padre, grandi, azzurri come il cielo ed espressivi.

Era soprattutto quella particolarità che aveva colpito Nathan. Gli occhi possono essere anche con colori particolari e belli finché vogliamo, ma se sono vuoti e non trasmettono nulla, perdono della loro bellezza. Questo era il suo pensiero.

 

Consumarono il pranzo in un ristorante elegante, affollato e dove il chiacchiericcio permetteva di avere una certa privacy: nessuno stava ad ascoltare oltre il proprio tavolo.

Durante il pranzo Catherine era totalmente presa da Jackie, tanto che scherzando aveva chiesto quando avevano intenzione di farla diventare nonna.

Quella domanda fece sorridere i due giovani, che prendendosi per mano le avevano comunicato che ne doveva passare ancora di acqua sotto ai ponti prima che arrivasse il loro turno da genitori.

Una reazione diversa ebbe Luke, che, irrigiditosi, lanciò uno sguardo esasperato alla moglie per poi fissarsi su Nathan come per avere un ulteriore conferma delle sue parole.

 

Luke prese la parola: “Allora Nathan, che cosa fai nella vita?”

Ed ecco la fatidica domanda. Il momento dell’interrogatorio era arrivato per Nate, e Violet per supportarlo gli stringeva la mano sul tavolo.

“Lavoro al Café di Hilda: cucino e faccio il cameriere, e poi aiuto il proprietario del market dove lavora Violet con lo scarico della merce” e sorridendo aggiunse “Devo provvedere a me e a Jackie in qualche modo.”

 “Jackie.. e i tuoi genitori?”

Violet aveva aumentato la stretta sulla sua mano.  

Eh.. bella domanda… i miei genitori.. mio padre non so nemmeno dove sia e se si ricordi ancora di me, mia mamma invece è una cameriera drogata di una bettola del Bronx.” Quella era la risposta che gli passò per la mente, ma che ebbe l’accortezza di non pronunciare.

“Non vivono con me.. Io mi sono trasferito da New York a West Newbury da meno di un anno e Jackie vive con me da poco.” Cercò così di sviare l’argomento.

“Papà, basta con l’interrogatorio: ho una notizia fresca fresca!” Fu molto grato a Violet quando lei intavolò l’argomento di Berkeley per evitare che il padre approfondisse.

Luke intuì il tentativo di sua figlia di cambiare argomento, ma ovviamente non disse niente in quel momento; avrebbe chiesto a lei in privato in seguito.

“Ah sì? Dimmi tutto.”

“Andrò alla Berkeley!! Mi hanno accettata!”

Catherine gridò dalla gioia e si alzò per correre ad abbracciare la figlia. Il padre non si scompose molto; fece solo un gran sorriso e le disse: “Sono orgoglioso di te, bambina mia!”

Violet non era abituata a sentire il padre pronunciare certe parole e si commosse.

Nathan dal canto suo era davvero felice per la sua ragazza; ma nascondeva una sottile vena di gelosia per quello sguardo soddisfatto e orgoglioso del padre e per quelle parole che lui non aveva mai avuto il piacere di ricevere.

“Violet ma raccontagli bene la storia.” Propose scacciando quei pensieri, e per mostrare quanto fosse in gamba Violet – non che i suoi genitori non lo sapessero. –

“No, dai.. ma se vuoi digliela tu.” Non voleva essere al centro dell’attenzione e voleva che Nathan avesse la possibilità di aprirsi almeno un po’ con i suoi genitori.

Il ragazzo ebbe così tutta l’attenzione del tavolo e iniziò: “D’accordo. La vera storia è che la Berkeley l’ha cercata, non solo accettata come ha detto lei. Ha scritto un saggio davvero bello che il professore di lettere ha apprezzato molto e dopo un colloquio le ha chiesto di entrare a far parte dell’università. Le ha offerto anche una borsa di studio, talmente era convinto del potenziale di Violet.” Naturalmente omise la parte del litigio e delle lacrime versate; non era il caso di parlarne al primo incontro con i genitori di Violet.

“Sono davvero fiero di lei!” aggiunse guardandola negli occhi e posandole un bacio sui capelli.

 

Alla fine del pranzo, arrivò il regalo del diploma della famiglia.

“Violet, figlia mia. Ecco per te, un regalo. Penso che ti possa tornare più utile di una macchina della quale non avrei mai azzeccato né modello né colore.” La mamma le porse una sottile busta, che Violet prese con mani tremolanti.

La aprì lentamente. Poteva contenere solo una cosa.

E infatti era proprio come pensava: un assegno.

Quello di cui non si capacitava però, era la cifra che vi era riportata.

65 mila dollari.

Non ci poteva credere, non aveva mai visto così tanti soldi in vita sua; e nonostante sapesse che era tradizione per le famiglie, mettere da parte soldi per il college da quando i figli erano piccoli non pensava che le spettasse così tanto.

Durante la sua infanzia non le avevano fatto mancare niente, e non pensava che fossero riusciti a mettere via tutti quei soldi; dopotutto sua mamma era una semplice consulente e il padre un impiegato delle poste. Erano due persone semplici, con una vita raggiante e che quando erano insieme sembrava non avessero bisogno d’altro, nonostante fossero così diversi.

Forse non si rendeva conto che anche lei e Nate non erano poi così diversi da loro.

“Violetta – sua mamma la chiamava sempre così, dopo il viaggio in Italia – sono i soldi per il college, non essere così meravigliata! E poi per noi in questi due anni è stato molto più facile metterli da parte, visto che non dovevamo rifocillare la tua libreria.” Ironizzò Catherine.

“Grazie mamma, grazie papà.. io non so che dire.” Rispose mostrando l’assegno al suo compagno, che le sorrise solamente in risposta. Non doveva esprimersi, perché in quel capitolo lui non aveva voce.

“Non dire nient’altro e abbracciaci.” Detto, fatto. Violet si alzò e li strinse in un abbraccio così pieno d’amore, come non faceva da tempo.

 

Il resto della giornata, nonostante l’invito a casa dei genitori fosse esteso a tutti e tre, lo passarono separati.

Era giusto così: era la giornata di Violet con la sua famiglia; non si vedevano da parecchio e sicuramente avrebbero avuto tanto da raccontarsi.

 

Infatti a casa, Violet raccontò loro della sua vita da mangusta solitaria, come l’aveva soprannominata sua mamma quando non aveva Nate a farle compagnia. Poi raccontò anche del passato del suo ragazzo, ma senza entrare nei dettagli; sapeva che doveva una spiegazione al padre, ma non voleva neanche mettere troppo a nudo il suo ragazzo.

Catherine se già adorava quel ragazzo per lo sguardo innamorato che rivolgeva a sua figlia, ora lo ammirava. Quel ragazzo aveva dimostrato una forza incredibile, oltre ad un’inaspettata fiducia nel mondo. Nella sua carriera da consulente ne aveva sentite di storie, ma quella di Nathan l’aveva particolarmente colpita.

Luke, come al solito, non espresse molto i suoi pensieri. Fece solo qualche domanda:

“Ha intenzioni serie?”

Violet ebbe nemmeno il tempo di rispondere, che sua mamma era già intervenuta al suo posto “Caro marito, ma che domande fai? Credi che un ragazzo che cresce da solo la sorella e che la guarda in quel modo non abbia intenzioni serie?!”

“Io non lo so.. è sempre meglio chiedere.”

“Sei proprio incorreggibile Luke. Dopo tanti anni di matrimonio e amore, ancora non riesci a mettere da parte quella tua parte razionale. E poi penso che ci possiamo fidare del suo istinto.”

“È di nostra figlia che stiamo parlando. Voglio essere sicuro che sia in buone mani. Lo sai che mi fido di lei, altrimenti non vivrebbe da sola da due anni. Però è sempre bene chiedere.. ”

Quel siparietto famigliare le mancava. Le discussioni a casa sua erano sempre state così, da che ne avesse memoria.

Suo papà era la testa della famiglia e sua mamma il cuore. La razionalità che aveva trovato la sua metà della mela nel sentimento travolgente della passione e del romanticismo. Era un caso più unico che raro, per questo non si stupiva più di essere uscita così complicata. Dovevano pure esserci delle conseguenze per quell’unione.. ovviamente non si rendeva conto di quanto fosse stata fortunata per le sue doti. Non si apprezzava abbastanza, era sempre dura con se stessa.

 

 

Nathan, ormai giunto a casa con la sorellina, pensava con malinconia alla famiglia che non aveva avuto, e a quella che aveva. A quel pensiero gli venne in mente sua madre. Così di punto in bianco compose il numero e attese risposta, che però non arrivò.

Preoccupazione. Ecco cosa provò.

Ricompose velocemente il numero e questa volta sua mamma alzò la cornetta e in modo atono rispose.

 

“Ciao mamma.”

“Nathan!?” era evidente che non si aspettasse di avere notizie da lui.

“Sì, e chi se no?”

“Non pensavo di sentirti più.”

“Come stai?”

“Sto bene.. Diciamo così”

“Diciamo così?”

“Si Nathan, come vuoi che stia? Sono qui da sola con tuo fratello. Ti ricordo che mi hai portato via mia figlia.”

“Dobbiamo discutere ancora per questo?! Sai perché l’ho fatto.”

Dalla cornetta arrivò un sonoro sbuffo. “Si lo so; da una parte sono felice perché l’hai portata via da tutto questo, ma dall’altra.. mi manca.”

“Immagino. Anche a me era mancata tanto i primi mesi che ero qui.” “..Come mai prima non hai risposto? Mi hai fatto preoccupare.”

“Ero.. ero occupata.” Una semplice risposta vaga per coprire una grande colpa e un senso di vergogna che la affogava ogni volta che i figli la sorprendevano in quello stato.

“A far che?” “..No. Non me lo dire.” Nate non colse al volo il reale significato di quella risposta, ma lo fece prima che sua mamma potesse inventarsi qualche scusa imbarazzante.

In quel modo ottenne solo silenzio dall’altra parte. Aveva colto nel segno. In quel silenzio pesante, avveniva la sua confessione, così il ragazzo sfregandosi la fronte le disse: “Devi smetterla con quella roba, mamma.”

“Lo so, ma non ce la faccio.” Le lacrime iniziarono a sgorgare e Nathan si sentiva colpevole per la sofferenza della madre.

“Troveremo una soluzione.” “Mamma, ti ho chiamato per dirti che tra due mesi parto, vado a vivere in California con Jackie e Violet. È entrata alla Berkeley, mamma. Sai, è davvero brava.. e io non riesco a stare senza di lei.”

“Sono felice per te, figlio mio. Sei fortunato che ti stia ancora accanto dopo quello che è successo qui.”

“Si.. sono davvero fortunato.” Sorrise osservando Jackie che presa dall’entusiasmo rideva, saltava e girava in tondo sul tappeto, al ritmo della musica dei cartoni animati.

“Vuoi parlare con Jackie?”

“Posso??” chiese stupita.

“Certo che puoi, poi però devo parlarti ancora di un paio di cose.”

“Certo Nathan, tutto quello che vuoi.”

 

Jackie era rimasta al telefono per quasi mezz’ora con Renée e le aveva raccontato tutte le novità della sua vita a West Nuwbury. Le aveva parlato di Paul e Christine, i suoi due nuovi amichetti e di tutte le volte che osservava suo fratello cucinare e anche dare qualche bacio a Violet e delle sue reazioni. “Durante quelli faccio i versacci.”  Questo fu quello che le disse esattamente, provocando una sonora risata dall’altra parte della cornetta.

 

“Nathan, grazie per quello che stai facendo. E pensare che dovrei essere io a prendermi cura dei miei bambini.”

Durante la conversazione, iniziò un veloce e ripetitivo tirare su col naso. La coca la stava devastando e sicuramente il sangue di lì a poco avrebbe iniziato a scorrere. L’aveva visto succedere tante volte, e sapeva anche quali sarebbero stati i passaggi successivi.

Sua madre, con lui che le reggeva la testa, chiusa in bagno, a fissare il soffitto per almeno un’ora perché il sangue smettesse di scorrere.

Questa volta però sarebbe stata da sola.

“Mamma, riattacca e corri in bagno. Poi troveremo una soluzione. Se vuoi venire qui da noi prima che partiamo, devi darti una ripulita. Non voglio che Jackie ti veda così. Fallo per noi, fallo per te stessa.”

“Grazie Nate. Ti voglio bene. Scusami.” Riagganciò così: dicendogli che gli voleva bene e chiedendogli scusa per la sua tremenda debolezza.

Nathan avrebbe aiutato anche lei. Non sapeva ancora come, ma in qualche modo avrebbe fatto.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Cap

 

Capitolo 23

 

Lasciare quella che per loro era diventata la casa del loro amore non fu facile. Violet osservava ogni singola stanza di quella villetta, ricollegandovi un pensiero felice ciascuna.

La cucina era stata luogo di dolcissime colazioni preparate dal suo Cioccolatino; la camera da letto era il luogo dove per la prima volta si erano uniti dando sfogo al loro amore. Ricordava ancora l’impaccio della prima volta, ma ricordava anche le altre volte che quel letto era stato ospite delle loro unioni e del senso di pienezza e felicità che poi provava; la camera da letto di Jackie l’aveva collegata alla favola della buona notte che le aveva raccontato la sera che si era rappacificata con Nate, ma ricordava anche i momenti in cui aiutava la piccola a prepararsi per andare a dormire e ogni volta lei le ripeteva che il suo fratellone era fortunato ad averla, perché lo rendeva felice; il bagno o meglio la doccia e tutte quelle bollenti, ma anche rilassanti che aveva fatto con la sua dolce metà; ed in fine il salotto: l’ultima stanza che avrebbe visto di quella casa, ma anche la prima ad averla accolta. Ricordava ancora quando vi era entrata di corsa il primo giorno che aveva messo piede in quella casa. Era bagnata fradicia per colpa di quell’improvviso acquazzone e gocciolava per tutto il parquet.

Ne erano cambiate di cose: ora stava partendo; stava lasciando West Newbury alla volta della California. Stava per andare all’università e iniziare davvero la sua vita, mettendosi in gioco in un ambiente che non le era famigliare. Era spaventata all’idea di abbandonare quel suo porto sicuro e dolce che l’aveva cullata innumerevoli notti; proprio come iniziarono a fare le braccia di Nate in quel momento.

“Scimmietta, dobbiamo andare. Se non ci mettiamo in marcia adesso non arriveremo mai.”

“Lo so.” Il suo tono era triste. Stava lasciando tutto per l’ignoto; ma questa volta non era da sola come quando si era trasferita nel suo monolocale a sedici anni. Ora aveva Nathan, lui era la sua sicurezza, e sentiva che quell’abbraccio l’avrebbe fatta sentire a casa ovunque.

Si voltò tra le braccia del ragazzo e gli scoccò un leggero bacio a fior di labbra. “Andiamo. Diamo il via alla nostra nuova vita.”

“Abbiamo mangiato pane e melodramma stamattina a colazione?” Le sussurrò Nate fra i capelli.

“Lo sapevi dal primo giorno che ci siamo incontrati.”

“Oh sì. Me lo ricordo bene! Ricordo il tuo viso scocciato per la mia interruzione. Sembrava proprio fossi andato a risvegliare il can che dorme.”

Violet sorrise a quel ricordo: l’irritazione che aveva provato quel giorno era di livelli epocali. “Eri proprio un gran rompi scatole. Distraevi una studentessa modello dai suoi libri.”

“Si, ma devi ammettere che poi certe distrazioni hanno iniziato a piacerti.” Ammiccò il giovane.

“Ok lo ammetto. Hai proprio un brutto ascendente su di me.” Gli cinse le braccia al collo e gli diede un altro bacio.

“A me questo sembra un ottimo ascendente!” rispose al bacio prendendola in braccio. “Dobbiamo andare, Jackie ci aspetta in macchina.” La rimise a terra e prese una mano tra le sue.

Insieme chiusero la porta di quella casa che per loro era tanto importante. Aveva rappresentato un punto di svolta per entrambi: la fuga dalla grande mela di Nate e Jackie e la conseguente liberazione dei problemi che li stavano facendo colare a picco; il riemergere di Violet dalla sua ombra che per anni l’aveva circondata.

 

Chiusa una porta si apre un portone. Questo era il proverbio, ma anche la realtà che si parava ora davanti agli occhi di quella particolare famigliola.

Il portone d’ingresso della Berkeley – seppur ancora in lontananza - era enorme, per non parlare del cancello e del cortile che li aveva appena accolti.

Avevano fatto quattro giorni di viaggio con diverse tappe prima di arrivare a destinazione: avevano portato Jackie a vedere le cascate del Niagara, dirottando un po’ la loro via, ma ne era assolutamente valsa la pena. La piccola era felice e mentre indossava quel piccolo impermeabile giallo correva lungo le ringhiere e si godeva le piccole gocce d’acqua che le inumidivano il viso.

Dopo quella giornata ad osservare quella meraviglia naturale si erano fermati anche al Disneyland Park, ad Anaheim, in California. Volevano regalare a Jackie un po’ di serenità visto che aveva dovuto abbandonare i suoi amichetti e alla partenza era un po’ contrariata.

Anche quella tappa aveva riportato il sorriso sulle labbra color cioccolato della bambina.

 

La loro vecchia Chevy procedeva lentamente lungo il viale alberato, mentre Jackie osservava quei grandi prati dove già immaginava di poter scorrazzare; Violet era incantata dall’enormità dell’edificio che si era abituata a vedere sulle piccole brochure e Nate si sentiva un po’ diverso, come se non appartenesse a quell’ambiente. Lo nascondeva bene però; non voleva far preoccupare Violet con la sua inadeguatezza. Quello era il posto della sua ragazza: non la immaginava altrove e lo poteva leggere nei suoi occhi color ghiaccio che era quello che lei voleva. Il suo sogno stava diventando realtà e lui era davvero felice per lei.

Seguì le indicazioni che dirigevano agli alloggi, e fortunatamente non trovò molta gente ad intasare l’ingresso. Avevano scelto il periodo ideale per partire: mancavano due settimane dal rientro accademico, per cui poche matricole si erano già accaparrate gli alloggi a loro riservati. Tutti pensavano a godersi la vacanza in libertà, ma loro, avendo qualche preoccupazione in più da gestire avevano deciso di anticipare un po’ i tempi.

Una volta arrivata a Berkeley dovevano trovare un appartamento dove stare, perché Nate e Jackie non potevano soggiornare negli alloggi studenteschi.

Nate non voleva che Violet fosse già stressata i primi giorni dell’università, perché aveva sempre pensato che quella dovesse essere un’esperienza bellissima e che se lui non poteva viverla, la sua compagna doveva farlo appieno; così partire con un po’ di anticipo gli avrebbe permesso di fare le cose con più calma. 

Trovarono un parcheggio – con molta fortuna, aggiunse Violet – non molto lontano dall’ingresso del dormitorio.

Grazie ai voti esemplari della ragazza e anche al suo colloquio che aveva colpito molto il rettore, le avevano assegnato una stanza in uno dei migliori appartamenti per studenti sul campus.

Al 2535 di Channing Way, le spettava un appartamento da dividere con altri studenti che sarebbero arrivati per l’inizio dell’anno universitario.

Sapeva solo che le camere erano doppie, e alcune dotate di letti a due piazze. Un lusso che non pensava potesse esserle riservato.

Scesero dalla macchina tutti insieme, quasi in sincrono, e tutti con lo stesso sguardo meravigliato.

“Benvenuti a Berkeley.” Una voce alle spalle li accolse. Quella voce roca e profonda apparteneva ad un certo Garth – così diceva la targhetta – un signore di mezza età dalle guance leggermente scavate e un sorriso simpatico.

Violet sorrise e lui continuò.

“Sono Garth, l’addetto all’accoglienza per i nuovi arrivati, nonché il custode del dormitorio. E voi siete?”

“Io sono Violet Peterson.”

“Ben arrivata, Miss Peterson; come d’accordo le abbiamo riservato un alloggio che al primo piano. È un alloggio per quattro persone, ma per ora i suoi coinquilini saranno due: Miss Davemport e Mr Les Jardins. Prego, seguitemi. ”

Nate non poté fare a meno di trovarsi in disaccordo con quella sistemazione: la sua Violet doveva dividere l’appartamento con un ragazzo?! No non se ne parlava. Non finché c’era lui a Berkeley.

“Chi è questo Mr Les Jardins? Già dal nome mi sa di damerino.” Sussurrò alla sua fidanzata, per non farsi sentire dal custode.

“E che ne so io, sono appena arrivata; non sapevo con chi dovessi dividere l’appartamento.”

“Ma dove sono finiti i dormitori separati? Maschi da una parte e ragazze dall’altra?”

“Non lo so, ma fa niente. Tanto non mi interessa il francesino.”

“Come fai a dire che è francese? Senti già la puzza?”

“No stupido, è per il cognome.” Sghignazzò cercando di non farsi scoprire.

“Può venire anche dalla Cina, per quanto mi riguarda, ma non sono d’accordo che sia nel tuo stesso appartamento.”

“Sei geloso, Nate?”

“No.”

“No?” Domandò la mora, impuntandosi sui due piedi e pugni ai fianchi.

“Ok, d’accordo sono geloso. Ma mi sembra normale visto che anche Mr. Accoglienza si è ringalluzzito vedendoti.”

“Ma non dire sciocchezze: sai che per me ci sei solo tu.”

Entrarono nell’edificio bisbigliando, mentre Jackie alle loro spalle ridacchiava vedendo l’espressione corrucciata del suo fratellone.

Presero le scale di pietra e seguendo Garth entrarono poi nell’appartamento 2. Il custode gli fece fare un mini tour indicandogli dove erano le stanze, e i bagni e poi chiese loro se avevano domande, altrimenti Violet poteva sistemarsi nell’appartamento.

 

“Oh finalmente un letto comodo! Quello dell’ultimo motel non era il massimo.” Nate si accasciò sul letto che aveva scelto la sua compagna. Non per egoismo, ma aveva scelto la parte dell’appartamento più grande:  aveva bisogno di spazio per tenere anche le cose di Nate e Jackie. Avevano portato tutti i loro averi in quel viaggio, l’unico a mancare era il micione rosso di Violet. L’aveva lasciato alla sua vicina, perché all’università le avevano esplicitamente detto che gli animali non erano ammessi negli alloggi multipli finché non c’erano tutti gli inquilini a dare il loro consenso. Se anche solo uno avesse negato il permesso, allora l’animale non poteva entrare nel territorio dell’università.

Violet sperava di poterlo riavere con se per Natale. Era pragmatica, sapeva che non poteva viaggiare da una parte all’altra dell’America per recuperare il suo gatto. Così, avendo accettato l’invito per le feste da parte della sua famiglia, sperava di poterlo riportare con sé in California alla fine di quel viaggio.

“Sono davvero lussuosi questi appartamenti. Meno male che ho la borsa di studio che copre le spese, altrimenti non potrei mai permettermelo.”

Nate la trascinò accanto a sé sul letto e prese ad accarezzarle la guancia seguendo con lo sguardo i riflessi della luce negli occhi di ghiaccio della sua compagna. “Non ti crucciare, amore mio. Tutto quello che hai è ciò che ti meriti; per cui ora portiamo dentro le valigie e poi usciamo alla ricerca di un posto per me e Jackie.”

Se fosse stato per Violet, i suoi due componenti della famiglia sarebbero rimasti con lei, ma la politica del college era rigida anche su quello.

Negli alloggi non erano ammessi in maniera permanente i non studenti, e non importava che loro fossero un caso particolare.

Con tutta la buona volontà possibile iniziarono la ricerca partendo dagli appartamenti più vicini al campus.

Trovarono un paio di soluzioni carine, che tuttavia non erano abbordabili per il loro budget, a meno che non volessero prosciugarlo in poco tempo.

Violet aveva con sé i soldi che avevano messo da parte i suoi genitori e Nate aveva i suoi risparmi di una vita, ma non volevano sperperarli per una questione di pochi chilometri di distanza. 

Vagarono per ore per la città, Jackie si addormentò tra le forti braccia del fratello, ma quel giorno non trovarono niente che facesse al caso loro.

Avevano tentato anche con appartamenti condivisi tra studenti, ma all’idea di avere una bambina per casa gli affittuari si tiravano indietro. Insomma chi lo faceva fare a dei ventenni di tenersi una marmocchia tra i piedi quando potevano spaccarsi e divertirsi tutte le sere, lontani e protetti da occhi indiscreti?

Da un certo punto di vista Violet capiva quei giovani, avevano finalmente la loro indipendenza e libertà che lei aveva già ottenuto da ben due anni: l’ebbrezza di vivere da soli, nessun controllo da parte dei genitori che probabilmente vivevano dall’altra parte del paese e la possibilità di divertirsi senza dover rendere conto a nessuno.

Ovvio, lei non aveva utilizzato la sua libertà allo stesso modo, ma quante volte si era concessa di andare a letto all’alba per poter finire un libro? Oppure per fare la maratona del suo telefilm preferito?

Eppure non capiva come alle volte la gente potesse essere così ottusa. Non capivano che, se un ragazzo e una bambina cercavano un appartamento, non era per divertimento?

Non potevano mettere da parte almeno per un momento l’idea di divertirsi?

 

Tornarono all’alloggio con i piedi che chiedevano pietà per quanto avevano camminato. Stanchi decisero di concedersi una pizza prima coricarsi.

Violet era leggermente turbata; la sua paura era che da lì a un paio di settimane non sarebbe cambiato niente e che allora sarebbero cominciati i problemi. Cosa poteva fare per far rimanere il suo ragazzo con lei al college? Onestamente sapeva di non poter sopportare di averlo lontano; era proprio per quello che non voleva accettare l’offerta dell’università in principio.

Non sapeva come fare, ma non poteva parlarne e turbare ulteriormente Nate. Almeno non dal primo giorno.

Si alzò dal letto senza fare rumore, attenta a non svegliare il suo compagno, prese il cellulare dalla borsa e uscì sul balcone.

 

“Bambi, tu davvero non sai cosa voglia dire chiamare ad un’ora decente!” borbottò il suo migliore amico dall’altra parte della cornetta.

“Hai ragione, scusami. Ma non sapevo chi altro chiamare.” Le venne automatico di abbracciarsi da sola con il braccio libero; voleva proteggersi dalle sue stesse parole.

“Problemi in paradiso?”

“Non proprio.”

“Non posso credere che Nate ne abbia combinata un’altra delle sue.” Violet sorrise; per quanto Ricky stesse cercando di andare d’accordo con il suo ragazzo, era sempre all’erta. Aveva paura che la facesse soffrire ancora.

“No no, non è colpa sua questa volta. È che non so come fare per farlo rimanere a Berkeley con me. Se non trova un alloggio al di fuori del campus, dovrà tornare a West Newbury con Jackie.” Si sedette sulla sedia di paglia e si rannicchiò abbracciandosi le gambe.

, che giorno è oggi?”

“Il 21 del mese, perché?”

“Perché sei lì da nemmeno 24 ore e hai già l’ansia. Prendi fiato e vivi quest’esperienza giorno per giorno. Non puoi pensare di passare le giornate con tutti questi problemi per la testa, altrimenti vivrai malissimo l’esperienza del college.”

Sbuffò, possibile che nemmeno il suo migliore amico la capisse?

“E non pensare che non ti capisca. So che hai paura di ritrovarti di nuovo da sola, ma avete ancora tempo e sono sicuro che qualcosa troverete. Nate ti ama e scommetto che si farà in quattro per trovare una soluzione.”

Sentire quelle parole pronunciate ad alta voce tranquillizzò la giovane matricola e la spinsero a salutare Ricky e lasciarlo al sonno che lei stessa aveva interrotto.

Rientrò silenziosamente, prese un bicchier d’acqua e poi tornò in stanza.

Si addormentò presto, a causa della stanchezza, ma il sonno non fu per niente ristoratore.

 

**

 

Si svegliarono di soprassalto, disturbati dal forte bussare di qualcuno alla porta.

Violet si lagnò per un momento, per poi iniziare a stiracchiarsi come una gatta. “Ma non hanno le chiavi?”

“No piccola, le abbiamo noi nell’appartamento. Ce le ha lasciate Garth, così da non essere disturbati.” Ammiccò il suo ragazzo abbracciandola.

Il rumore si fece sempre più intenso tant’è che Nate si convinse ad alzarsi e ad andare ad aprire.

“Era ora! Mi stavano venendo i calli per quanto ho bussato.. Per la miseria!” fu il commento di una bionda tutto pepe che aveva iniziato ad imprecare prima ancora di vedere Nathan. Era rimasta a bocca aperta e senza parole; si era trovata in difficoltà davanti alla bellezza del ragazzo ed era sicura di essere risultata poco fine ai suoi occhi. Non che la finezza fosse una delle sue migliori qualità.

“Scusaci stavamo ancora dormendo.” Aprì del tutto la porta per far entrare la ragazza.

“Fino a quest’ora? Ma solo già le nove.” La sua tenuta da notte – canottiera e boxer – di certo non aiutava gli ormoni ballerini della bionda.

“Sono ancora le nove vorrai dire.” Sorrise Nate andando a chiamare Violet.

“Scimmietta, sembra che sia arrivata la coinquilina.”

“Hai un animale? Non pensavo si potesse portare animali negli alloggi.” Il moro scoppiò a ridere capendo il malinteso, lasciando la nuova arrivata interdetta.

Violet uscì dalla stanza da letto e, solo allora, la bionda capì di aver fatto l’ennesima figuraccia.

“Oh scusami, i-io.. non volevo darti dell’animale.” Era arrossita.

“Non ti preoccupare. È colpa di questo cafone che non si è nemmeno presentato.” Tirò una gomitata al suo ragazzo. “Io sono Violet.” “E lui è Nathan, il mio ragazzo.” Aggiunse, notando come gli occhi della nuova arrivata analizzavano il suo ragazzo.

Se possibile la biondina arrossì ancora e poi si presentò: “Io sono Sarah.”

“Beh, ben arrivata Sarah.” Si sforzò di sorridere, non voleva instaurare un cattivo rapporto con la sua coinquilina a causa dell’effetto che Nathan faceva sulle ragazze. Era bello, e lei ne era consapevole, lo aveva notato anche quando erano andati alla ricerca dell’appartamento la settimana prima.

“Dove posso sistemarmi?”

“Scegli tu, ci sono ancora tre stanze a disposizione.” Le disse indicandole le porte alle sue spalle. Sarah si fiondò subito su quella più vicina, giusto per dare un’occhiata.

“Tu vatti a vestire!” ordinò Violet sottovoce al suo ragazzo.

“Ritira gli artigli, micetta. Non mi piacciono le bionde.” Sogghignò sparendo oltre la porta della loro stanza.

Leggermente compiaciuta si affacciò alla porta dove era entrata Sarah.

“Ti piace qui?”

“Cazzo, mi hai spaventato.” Urlò sorpresa dall’ingresso della mora.

Wow, quella ragazza non aveva peli sulla lingua, diceva esattamente quello che le passava per la testa. Era un po’ come Violet, ma decisamente più volgare.

“Scusa, non volevo. Avevo solo bisogno di parlarti di una cosa.”

“Sono tutta orecchi.” Trillò Sarah incuriosita.

“Vedi.. ecco… Volevo solo dirti che presto Nate e Jackie se ne andranno da questo appartamento, visto che non sono studenti.”

“Wow, una relazione a tre? Figo, non pensavo potessero funzionare.”

Violet scoppiò a ridere, l’ingenuità mista alla malizia di quella ragazza erano proprio divertenti.

“Ho detto un’altra cazzata, non è così?”

“Sì, beh per quanto possa essere una situazione allettante non è il nostro caso. Jackie è la sorellina di Nate. È una storia complicata e che ora non mi sento di raccontarti nel dettaglio. Volevo solo avvisarti di non spaventarti nel caso vedessi una bambina gironzolare per l’appartamento.”

“Posso vederla?” si fece avanti incuriosita.

“Veramente adesso sta dormendo; magari dopo, okay?”

“Certo, non c’è problema.” Le due ragazze si sorrisero a vicenda.

“Credo che mi sistemerò in questa stanza; mi piace la vista sul parco.”

“D’accordo. Io vado a preparare la colazione, tu vuoi qualcosa?”

“Cazzo sì, ti prego. Sto morendo di fame.”

Pancakes?”

“Io ti adoro.”

“È Nate il cuoco, però non adorarlo troppo.”

“Oh, sì , okay. Anche prima non intendevo mancarti di rispetto, non avevo capito che fosse fidanzato...”

“Tranquilla. Sono consapevole dell’effetto che faccia. Sono io che tendo a marcare il territorio.”

“E fai bene, cazzo. Se fosse il mio ragazzo lo farei anche io.” Violet non era abituata a sentire tutte quelle parolacce, però non le davano fastidio. Nel complesso le trovava simpatiche, come la ragazza che le pronunciava. Sarah era una bionda alta quasi un metro e ottanta, formosa in certi punti e sprizzava gioia anche stando in silenzio. Da quando era entrata nell’appartamento, figuracce comprese, aveva sempre avuto il sorriso.

L’unico problema era che doveva contenere la sua prorompente simpatia con Jackie, non voleva che crescesse scaricatrice di porto, per colpa/merito della sua coinquilina. Per ora decise di non dirle nulla, magari ci sarebbe arrivata da sola.

 

 

“Ci dispiace signorina Peterson, conosce la nostra politica riguardo agli ospiti degli alloggi.” Quella era l’ennesima volta che tentava di dare una chance a Nate di rimanere nel suo appartamento. Per vie lecite non c’era nulla da fare, e la sua coinquilina le aveva suggerito di percorrerne altre; dopotutto se non avevano ancora un posto dove stare, lui e Jackie non potevano di certo dormire sotto un ponte.

Iniziarono così i primi due giorni di orientamento delle matricole e Violet si trovò immersa in un ambiente freneticamente affollato e che lasciava poco spazio alle insicurezze. Non aveva immaginato che potesse essere così, ma nell’ambiente universitario si era lasciati a sé stessi. Non c’era nessun professore che si affezionava particolarmente al tuo caso perché ne conosceva la storia, nessuno sapeva niente della vita personale degli altri a meno che non fossimo noi i primi a raccontarla. Era un ambiente dove ognuno poteva sviluppare la propria individualità e a Violet piaceva molto.

Nessuno faceva troppe domande, totalmente assorto nei propri pensieri, altri prendevano costantemente appunti e altri ancora – proprio come lei – memorizzavano tutto quello che vedevano e sentivano. Era completamente affascinata dalle strutture architettoniche imponenti, dall’enorme biblioteca e la loro giovane guida, a suo parere, doveva essere completamente innamorata di quel posto perché lo descriveva come il paradiso.

La prima giornata d’orientamento volò via in un baleno e Violet e Sarah tornarono nell’appartamento con un bel po’ di brochure illustrative di tutti i corsi possibili e immaginabili.

Violet era orientata verso letteratura e giornalismo mentre Sarah cercava qualcosa di più esotico. Continuava a ripeterle che non era venuta fin lì dal Mariland per studiare qualcosa di così comune.

 

Il secondo giorno fu organizzato in modo differente. Una parte dell’ateneo era dedicata solo ai nuovi arrivati e ad ogni aula corrispondeva una facoltà, e per ognuna era possibile parlare con un professore e con un paio di alunni già laureati in quel corso.

Mentre le due coinquiline si separavano e seguivano ognuna la propria cartina, Nathan e Jackie si diressero in città. Le scuole elementari sarebbero iniziate in nemmeno un mese e loro dovevano darsi da fare e vedere quale scuola della zona accettasse ancora iscrizioni.

“Fratellone, io non voglio andare a scuola.”

“Jackie, che capricci sono questi?”

“Non ci voglio andare!” si impuntò sui piedi, interrompendo così la loro passeggiata.

“Da quando hai cambiato idea? Hai passato tutta l’estate a dire di volerci andare.” Nathan si chinò davanti a lei, non lasciandole la manina.

“Ma io non posso andare a scuola.” Asserì contrita e con lo sguardo fisso verso il basso.

“E perché non potresti?” Le chiese il fratello alzandole il mento, per fissare i loro occhi scuri gli uni negli altri.

“Perché non ho le cose per andare a scuola.” Faceva di tutto per evitare di incontrare gli occhi di Nathan.

“Le possiamo comprare.” Non capiva bene cosa turbasse la sorellina, eppure dove essere qualcosa di profondo, tanto da renderle gli occhi lucidi.

“No, la mamma dice sempre che se compriamo le mie cose per la scuola poi non possiamo mangiare la cena.”

Ecco qual’era il problema: la vita a New York le aveva lasciato cicatrici più profonde di quelle che sarebbero mai potute rimanere sulla sua pelle.

Era evidente che non aveva vissuto come una comune bambina; ed ecco svelato anche il motivo per il quale non aveva mai chiesto dei giocattoli nuovi e si ostinava ad abbracciare quel logoro orsacchiotto e la foca di Violet.

“Jackie, piccola, non ti preoccupare: possiamo comprare tutti i pastelli colorati che vuoi. Adesso fammi un sorriso che alle maestre non piacciono i bambini tristi.”

“Davvero mi compri i pasteli?” gli occhi le brillavano.

“Certo! Adesso andiamo a scuola e poi andiamo al centro commerciale a comprarli.” Jackie lo abbracciò di slancio e lui ne approfittò per prenderla in spalletta come piaceva a lei e riprese a camminare tranquillo e sorridente per le vie di Berkeley.

 

Jackie venne accettata dalla Walden Center School, poco fuori dal campus dell’università, e come le aveva promesso suo fratello, quella sera rientrarono a casa con tanti pastelli colorati, dei blocchi da disegno e un diario con tante fate colorate. Jackie era sorridente e rilassata, mentre invece Violet era tutta un fascio di nervi.

Non era la prima volta che la trovava così quando rientrava a casa. Evidentemente era l’ennesimo tentativo di trovare una soluzione andato male. Seduta al tavolo, con le mani nei capelli, quasi rantolava esasperata.

“Piccola non ti preoccupare. Ce la caveremo. Per ora possiamo ancora rimanere qui, no? Domani penseremo ad una soluzione.” Le baciò il capo e poi si sedette accanto a lei.

“Nate, ho paura. Ho chiamato adesso il municipio per sapere se avevano degli annunci sotto mano, ma la risposta è stata ancora negativa.”  Intrecciò le dita alle sue e continuò nel suo discorso. “Ho paura perché non abbiamo trovato niente prima che iniziassero i corsi, dubito che troveremo qualcosa ora.”

“Io non sarei così scettica.” Intervenne Sarah. “Non volevo origliare, ma non ho potuto farne a meno; comunque vedrai che nel giro di un mese si libererà qualcosa. Ne sono certa. Ci sono ancora le ultime lauree e gli studenti che se ne andranno lasceranno liberi i loro alloggi.” Si diresse al frigo e prese un po’ di succo di frutta per poi sparire nuovamente nella sua stanza.

“Ecco, hai sentito Sarah? Ci possiamo pensare domani. Adesso hai bisogno di rilassarti.”

“Nemmeno un soggiorno termale di un weekend intero potrebbe rilassarmi.”

“Io avrei un’altra idea.” Ammiccò indicando la camera da letto.

“E Jackie?”

“È impegnata con i pastelli e l’album per disegnare.” Nate si alzò e tenendola per mano la avvicinò a sé e inizio a posarle leggeri baci sul collo per poi passare alle sue labbra.

Dopo un bacio che di casto aveva ben poco, con gli ormoni più ballerini che mai si rinchiusero nel loro nido e si presero l’uno cura dell’altro, stando attenti a mantenere un certo livello di discrezione.

 

***

 

“Nate, cazzo la sveglia.” Violet si alzò di soprassalto convinta di aver dormito troppo. Il suo compagno dormiva ancora beatamente; dopotutto erano ancora le cinque di mattina.

Si perse per un po’ ad osservarlo e poi senza far rumore si alzò dal letto.

Il silenzio regnava nell’appartamento e, guardandosi in giro, decise di sistemare un po’ i pastelli di Jackie e raccogliere il disordine che aveva lasciato sul tavolino del salottino.

Nel sistemare si soffermò sul disegno lasciato incompiuto dalla bambina: vi era un bel giardino grande con qualche albero tremolante e poi c’erano tre persone nel mezzo. Due scure e una magra ragazza dalla pelle chiara e con lunghi capelli neri.

C’era un tetto che galleggiava nell’aria sopra le loro teste, ma quello era un dettaglio insignificante in quel momento. Violet era commossa da quel disegno. Non si aspettava che Jackie la considerasse davvero parte della sua famiglia; dopotutto una mamma lei ce l’aveva, eppure di Renée non c’era traccia in quel disegno.

“Ti vuole davvero bene. Lo vedo come osserva i tuoi movimenti e poi li ripeta come un’ombra.” Sarah era appoggiata allo stipite della porta e la osservava.

“Eh?” rispose interdetta.

“Un esempio? In bagno la mattina: vi spazzolate allo stesso modo. Lei ti osserva seduta sul bidè e poi appena tu esci ripete minuziosamente i tuoi gesti.”

Gli occhi di ghiaccio della mora diventarono lucidi. “Non ci avevo mai fatto caso.”

“È da tanto che Jackie vive con voi?”

“No. Da marzo.” Rispose tirando su col naso.

“Beh, non sarà tanto, ma si è sicuramente affezionata molto.” Si sedette anche la bionda sul divano.

“Sì, come avrai capito siamo una famiglia un po’ particolare.” Ammise timidamente Violet.

“Non devi raccontarmi nulla se non vuoi.”

Ci fu un momento di silenzio, e quando Sarah si stava per alzare la mora riprese a parlare.

“Nate ha ottenuto l’affidamento di Jackie a marzo. Prima viveva nel Bronx con la madre e il fratello Ryan.” Pronunciare quel nome scatenò un brivido in lei. “Nathan non ha un bel passato. Sta ancora cercando di lasciarsi tutto alle spalle. È proprio così che l’ho conosciuto.” Sorvolò abilmente sui dettagli della vita di Nate prima di West Newbury.

“Lui si è trasferito nella mia cittadina e il giorno che ci siamo conosciuti abbiamo discusso.” Sorrise. “Insomma, prima io non ero così.. così aperta caratterialmente diciamo. Mi comportavo davvero da stronza se vogliamo dirla tutta. Mi nascondevo dietro il mio muro e non davo retta a nessuno, ma Nate è entrato nella mia vita prima schiantandosi contro quella mia barriera, ma poi è riuscito ad abbatterla mattone dopo mattone. Mi ha fatta innamorare dei suoi modi gentili e del suo umorismo alle volte fuori luogo e dei suoi occhi profondi.”

“Wow. Sembra quasi la storia di un romanzo.”

“Ma non lo è: è vita vera.” Concluse quella breve sessione di confessioni sorridendo ed alzandosi dal divano. “Vuoi qualcosa da mangiare? Io sto morendo di fame.” Cercò di portare l’attenzione della sua coinquilina lontana dalle sue ultime affermazioni, ma non ci riuscì.

“Grazie per avermelo raccontato. Poi ti racconterò anche io la mia storia. Adesso però, diamoci sotto col cibo che il mio stomaco mi sta implorando di essere riempito.” Sorrise la bionda e prese a collaborare in cucina con Violet.

 

 

 

 

 

♥♥ Buon San Valentino donzelle!  ♥♥

Scusatemi per l’infinita attesa, ma la mia ispirazione era partita per Boston invece che per Berkeley con Violet e Nate.

Spero che questo aggiornamento vi faccia piacere! ^^

Non dimenticatevi di Mr Les Jardins! Presto arriverà a portare un po’ di scompiglio! :D

Se volete lasciarmi un parere, sarò ben felice di leggerlo!

 

Un bacione e un cioccolatino virtuale per ognuna di voi.

 

Giuliet.

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


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dopo aver scelto la scuola possiamo andare a comprare i quaderni e le matite colorate

Capitolo 24

 

 

, seriamente dovresti provare a venire ad una lezione con me!” Non erano coinquiline da nemmeno un mese, ma sembrava che fossero già diventate amiche. Ma era così per tutto, Violet l’aveva capito; quella scapestrata della sua compagna di stanza era così: si buttava a capofitto in ogni cosa che faceva, e la loro amicizia era un esempio.

“Nah, non credo che studiare celtico faccia per me.” Camminavano chiacchierando per i corridoi dell’ateneo.

“Ma io dico sul serio! A parte che il professore è terribilmente figo con quei capelli rossi e il suo accento orgasmico.” Asserì marcando sull’ultima parola.

“Se lo dici tu.” Violet non era certa che quella fosse la motivazione adatta per frequentare un corso di studi.

“Dai cazzo, . Almeno una lezione, ti prego. Fammi contenta.” Accelerò il passo piazzandosi di fronte all’amica e mimando un gesto di preghiera.

“D’accordo, però non deve interferire con il mio piano di studi.” Non volendo attirare troppo l’attenzione degli altri studenti, Violet accettò, quasi sicura di pentirsene più prima che dopo.

“Non te ne pentirai, vedrai!” Sarah, al contrario, era entusiasta, quasi avesse condiviso la migliore delle scoperte. “Adesso devo scappare, mi ritrovo con delle ragazze del corso per studiare le prime traduzioni.”

“Okay, ma torni a casa per cena?”

“Certamente! Non mi perderei i manicaretti del tuo bello nemmeno per un appuntamento con il prof. Figo!”

Violet scosse la testa sorridendo e dirigendosi verso l’aula di giornalismo.

Il suo professore, intento ad illustrare agli studenti una composizione efficace della prima pagina di un giornale, presentò diverse slide, tra le quali ve n’era anche una del quotidiano francese “Le Monde” con le sue vignette sempre presenti in prima pagina e che rientravano negli annali della storia del giornalismo.

Quel quotidiano le fece venire in mente del suo non ancora coinquilino Mr Les Jardins. Erano passate due settimane dalla prima lezione e di lui non c’era neanche l’ombra.

Doveva chiedere a Garth se aveva notizie del suo arrivo, in caso contrario poteva coprire la presenza di Nate ancora per un po’.

In quel momento sperò che il suo coinquilino non arrivasse mai.

“Bene ragazzi la lezione è finita. Per la settimana prossima voglio un saggio di almeno quattro pagine su un quotidiano di fama mondiale a vostra scelta. Dovete analizzarne tutti gli aspetti trattati oggi a lezione.” Il professor Delore, un uomo sulla quarantina e con i primi accenni di stempiatura, concluse così la lezione. Ecco la prima consegna che avrebbe impegnato per la prima volta Violet. Raccolse le sue cose e si precipitò all’uscita dell’aula, pronta a correre in biblioteca alla ricerca del materiale che sarebbe stato utile per la sua ricerca.

Trovò poco, visto che non aveva ancora ben chiaro cosa dovesse cercare, ma era convinta che un volume sulla storia del Times l’avrebbe aiutata nella sua ricerca.

 

Erano le otto passate e la cena di Sarah si era freddata da un pezzo e Violet era leggermente indispettita dall’atteggiamento apparentemente irresponsabile della sua coinquilina. Nate, tenendole la mano, l’aveva rassicurata dicendo che avrebbero potuto scaldarla un’altra volta, ma la ragazza non era convinta dal suo discorso tranquillo; era una questione di principio.

Sarah entrò di corsa nell’appartamento poco dopo che gli altri avevano sparecchiato la tavola. “Scusatemi ragazzi, mi sono dovuta fermare in biblioteca..”

“Potevi almeno mandare un messaggio per avvisare.” La interruppe Violet piccata.

“.. Hai ragione, però se mi lasciassi finire, volevo dire che mi sono fermata perché ho trovato un annuncio che potrebbe interessare a Nate.”

Il giovane sentendosi chiamato in causa, intervenne cercando di smorzare l’atmosfera con un sorriso. “Sono tutt’orecchi.”

“C’era questo rappresentante che era venuto a chiedere se qualcuna di noi ragazze era interessata ad un corso avanzato di cucina. Al momento lo abbiamo mandato via, ma poi mi sei venuto in mente tu e ho detto ‘Cazzo, devo fermarlo.’ Così gli sono corsa dietro, mi sono finta interessata e davanti ad un caffè mi ha lasciato la brochure, il suo numero e mi ha spiegato le modalità, i costi e il programma del suo corso. Ecco perché sono arrivata in ritardo. Non la smetteva più di parlarmi e io ho segnato tutto quello che mi ha detto sul mio blocco.” Concluse iniziando a frugare nella sua borsa e porgendo il tutto all’attenzione della coppia.

Nate osservò il materiale che gli aveva passato Sarah e sentì qualcosa smuoversi dentro di lui. Non aveva mai pensato di essere all’altezza di un vero corso di cucina. Certo seguiva tutti i programmi culinari nel tempo libero e con Jackie si metteva a preparare le varie pietanze, però non gli era mai balenata per la mente l’idea di frequentare un corso tenuto da un capo cuoco di uno dei ristoranti più famosi della California.

“Io.. Grazie Sarah.” Farfugliò dopo un po’, accortosi del silenzio imbarazzante che si era creato.

“Figurati. Te lo dico da quando sono qui che cucini persino meglio di mia madre. Non è un complimento che riservo al primo che passa!” sorrise.

Nate si voltò verso Violet cercando il suo supporto, che però non trovò, almeno non subito. Era evidente che qualcosa la turbava, ma non gli sembrava il caso di parlarne davanti a Sarah.

Un forte brontolio di stomaco proruppe nell’aria facendo scoppiare a ridere Jackie. “Hai fame, Sarah?”

“Ca..spita! Sto morendo di fame!” si corresse la bionda. Non poteva di certo esibire il suo linguaggio colorito davanti ad una bambina di sei anni.

Nate si offrì di riscaldarle la cena, mentre la sua compagna si alzava silenziosamente e si chiudeva in camera.

“È in quel periodo del mese, per caso?” Chiese furtiva Sarah.

Nate sogghignò “No, non so cosa sia, ma c’è qualcosa che la turba. Credo riguardi il costo del corso.”

“Già.. forse la mia non è stata una brillante idea. Pensavo di farti un favore; insomma so quanto ti annoi qui a casa, quando non sei alla ricerca di un lavoro.”

“Non ti preoccupare. Tu hai fatto benissimo.”

“Valle a parlare. Io credo di riuscire a scaldare questa lasagna senza rovinarla.”

Nate le scompigliò i capelli e si diresse nella sua stanza.

“Hey.” Un saluto neutro era il migliore approccio; ormai lo aveva imparato in mesi di convivenza con la sua ragazza. Se c’era qualcosa che la turbava e non era sicura di poterne parlare non bisognava aggredirla di domande, altrimenti si sarebbe chiusa a riccio.

“Hey.”

“Sembra la scena del telefilm che abbiamo visto ieri sera. Sembriamo Dawson e Joy, quando lei lo va a trovare dopo che hanno discusso..” Continuò il suo approccio alla larga.

Violet sorrise solamente.

“Ne vuoi parlare?” le chiese sedendosi sul letto anche lui e legando i loro sguardi.

Lei per tutta risposta sbuffò, si raccolse i capelli – segno che si preparava ad un lungo discorso – e alla fine accettò. “Tu ci vuoi andare. Si vede lontano un miglio. Non c’è molto da dire in realtà.”

“Invece sì. Dovremmo organizzarci per un sacco di cose e soprattutto discutere di numeri. Lo sai bene.”

“Lo so, ma non voglio che siano quelli a condizionare il tuo futuro; lo stanno già facendo abbastanza.”

“Se è per quello lo hanno sempre fatto, non cambierebbe molto. Valutiamo prima il resto e poi pensiamo al corso. Abbiamo ancora due settimane per presentare la domanda d’iscrizione.” Si avvicinò a lei e la strinse in un dolce abbraccio.

Passarono un  buon quarto d’ora in silenzio, abbracciati e ognuno assorto nei propri pensieri. Violet si era concentrata sul battito del cuore del suo ragazzo per placare la tormenta di pensieri che le attraversava la testa. Quel ritmo tranquillo e regolare l’aiutava a dare un flusso pressoché sopportabile alle sue idee. Nathan, dal canto suo, si immaginava in tenuta da cucina che collaborava con altri giovani talenti dell’arte culinaria. Era il sogno che da ragazzino aveva accantonato dopo aver realizzato che a New York non poteva succedere niente del genere per lui. Gli unici momenti in cui si trovava a far da mangiare era quando aiutava la sua vicina con la cena.

Però doveva tornare alla vita reale. Non poteva di certo rispolverare così un sogno, senza andare ad intaccare il loro sistema di organizzazione.

Violet poco dopo si addormentò; se ne accorse dal suo respiro che era diventato più pesante. Decise così di alzarsi e di adoperarsi per trovare una soluzione.

Rimboccò le coperte alla sorellina nell’altra stanza e poi si mise al tavolo della cucina con il portatile, i fogli che gli aveva portato Sarah, gli orari delle lezioni di Jackie e di Violet, e un blocco dove poter segnare i suoi calcoli.

Quella notte, anche spremendo ben bene le meningi, non riuscì a trovare una soluzione. Il problema era sempre uno: trovare un lavoro per poter mettere da parte il necessario per il corso e le spese riguardanti la sua famiglia. I soldi che aveva da parte potevano coprire un semestre di corso e qualche mese di spese per la famiglia, contando che Violet ne pagava una parte. Ma poi cosa avrebbe fatto senza un’entrata mensile? Non poteva di certo vivere sulle spalle di Violet, anche se era certo che lei non glielo avrebbe rinfacciato.

Scorreva gli annunci di lavoro, sia quelli sul giornale che quelli delle agenzie su internet, persino quelli per lavori notturni. Faceva telefonate su telefonate e le risposte erano sempre le stesse: “Ci spiace, quella posizione è stata appena occupata.” “Purtroppo non siamo interessati ad un impiegato part-time.”

Insomma, non sapeva più da che parte raccapezzarsi. Una, una cosa che fosse una; non chiedeva molto: voleva, per una volta nella vita, non doversi accontentare, non dover sopravvivere. Possibile che ai piani alti ce l’avessero così tanto con lui?

Che in una vita passata fosse stato così tremendamente stronzo da non meritarsi una possibilità di uscire vittorioso, almeno una volta?!

Iniziava a delirare, con gli occhi stanchi ed il morale sotto ai piedi; era difficile adattarsi alla svolta positiva nella vita della sua ragazza senza sentirsi come l’unico peso che la trascinava verso il fondo. Ma quei pensieri non poteva condividerli con Violet, non adesso che i corsi erano iniziati e che lei doveva impegnarsi al massimo per tenere ben salda la borsa di studio che le permetteva di stare in quella prestigiosa università. Avrebbe tenuto tutto dentro, si sarebbe arrangiato; proprio come era abituato a fare.

Così, scoraggiato si concesse un paio d’ore di sonno prima di doversi alzare per preparare la colazione.

 

“Buongiorno bell’addormentato.” Tanti piccoli baci leggeri gli solleticavano la guancia.

Mmmmm… che ore sono?” mugugnò Nate stanco, sentendo la compagna alzarsi dal letto.

“Sono le sette e mezza.” Violet aveva un sorriso che le andava da un orecchio all’altro e il vassoio della colazione tra le mani.

“Oh merda! Non mi sono svegliato. Scusami.” Si alzò a sedere di scatto, per poi sfregarsi il viso con le mani.

“Non ti preoccupare, orso delle caverne. Ho provveduto io a saziare Jackie e Sarah. Quella ragazza ha uno stomaco che fa invidia ad un leone.” Sorrise appoggiando la colazione tra loro due.

Nate notò il cambio di atteggiamento rispetto la sera precedente e si informò: “A cosa devo tutto questo buon umore?” Si sporse per baciarla.

“Ho parlato con Garth, stamattina.” Rispose tra un bacio e l’altro.

“Ah sì?! E il buon vecchietto ti rende così allegra? Devo iniziare a essere geloso?”

“No, dovresti ringraziarlo invece.” Sorrise.

Nate era piuttosto sorpreso. “Provvederò, ma per cosa?” chiese sempre più curioso.

“Ti ha trovato un lavoro.”

Ci mise un po’ a metabolizzare la risposta della sua compagna. “Un lavoro? E dove?” Allora forse non lassù non lo odiavano così tanto.

“Qui a Berkeley. Stamattina, mentre prendevo il giornale ho scambiato quattro chiacchiere con lui e, quando mi ha chiesto come andava con la ricerca di un alloggio, gli ho detto che eravamo in alto mare anche perché ora sarebbero subentrate anche le spese del tuo corso di cucina e che tu non avevi ancora un lavoro. Così lui mi ha detto di dirti testuali parole: ‘Dì al tuo ragazzo di alzare le chiappe che lo aspetto al capanno degli attrezzi del condominio.’ Praticamente mi ha spiegato che stanno cercando un ‘tutto fare’ per il mantenimento dell’ateneo, degli alloggi e dei giardini. Se vuoi il posto è tuo.” 

Violet si stranì per l’evidente mancanza di una reazione nel suo compagno, mentre l’osservava alzarsi, prendere il vassoio della colazione e posarlo sul mobile sotto la finestra.

“Nate, ma hai capito che ho detto?”

“Certo che ho capito.” Le sorrise semplicemente, come se lei gli avesse chiesto cosa voleva mangiare per cena. Invece no! Si trattava di una questione importante, perché lui non reagiva? Perché se ne stava fermo a fissare il bordo del letto da lontano?

“Allora? Come mai togli il vassoio dal letto e non mi rispondi?”

“Perché altrimenti non avrei potuto fare.. questo!” prese la rincorsa, salì sul letto e prese a saltare come un bambino.

A quella vista, la ragazza scoppiò a ridere e poco dopo si unì a lui.

 

***

 

“È ammirevole quanto Garth si sia preso a cuore la tua situazione.” Asserì pimpante Sarah mentre preparava il caffè per studiare.

“Hai ragione. Ha detto che lo fa perché gli ricordo quella testona di sua figlia. Mi ha fatto vedere una foto e in effetti abbiamo qualche somiglianza.”

“Adesso lei dov’è?”

“Ha sposato un canadese e si è trasferita ad Ottawa ed ora il buon vecchio si lamenta che non la vede spesso.”

“E così è andata a cercare qualche bel manzo all’estero! C’ha visto lungo la ragazza! È quello che voglio fare anch’io: voglio trasferirmi in Irlanda e trovare un brillante e bel ragazzo dai capelli rosso fuoco.” Constatò Sarah con aria trasognata.

“Tu sei tutta matta. E anche un po’ troppo fissata con gli irlandesi. Ma ne hai mai conosciuto almeno uno?”

“No.”

“E che ne sai che poi appena ti trovi là non vuoi scappare e tornare dai nostri bei patriottici americani?”

“Nah. Credo che amerei stare a Dublino o in una città del genere. Vorrei cambiare nazione, perché qui è tutto così in vasta scala… anche il più piccolo paese qui è come le grandi città Europee. Specialmente se pensi all’Irlanda. Un’isola così piccola e con una storia così particolare.”

“L’importante è che tu sia convinta.. e che mentre sogni ad occhi aperti tu non faccia bruciare il caffè!” Rimarcò Violet, notando che la moka gorgogliava da un po’ e che la bionda non se ne era nemmeno accorta.

Sarah fece un salto sulla sedia e dopo un paio di imprecazioni corse ai fornelli prima che fosse troppo tardi.

 

***

 

Violet era in ansia; chi la conosceva bene, poteva leggerglielo in faccia e nel modo in cui scriveva gli appunti: troppo accuratamente ordinati per essere rilassata e serena come di solito si sentiva ad una lezione di giornalismo. 

Quella mattina Garth l'aveva fermata per dirle che dalla segreteria erano arrivate notizie del famigerato Mr Les Jardins. Il giovane scansafatiche sarebbe arrivato quel pomeriggio alle tre e lei doveva accoglierlo visto che Sarah aveva un compito a quell'ora. 

Nate aveva in programma di accompagnare Jackie ad un incontro genitori e figli e lei si ritrovava da sola a dover fare gli onori di casa ad un ospite alquanto indesiderato. 

Come avrebbe fatto a dirgli di Nathan e Jackie? Come avrebbe spiegato ad uno sconosciuto la sua situazione? 

Per indole non avrebbe mai desiderato pregare quell'estraneo di lasciar passare quell'infrazione del regolamento, ma se fosse stato necessario lo avrebbe fatto.

La lezione finì dopo poco, così si diresse a casa ed iniziò a preparare il pranzo per tutti. Da quando stava con Nate aveva scoperto che cucinare aveva un potere rilassante su di lei; forse era perché riusciva a crearsi attorno un ambiente controllato, nel quale era lei che decideva cosa doveva succedere.

 

Dopo pranzo prese il libro di Storia Americana e si mise sul divano ad ingannare l'attesa. 

Le tre erano passate da un pezzo e del nuovo coinquilino nemmeno l'ombra.. Che iniziassero a prenderla in giro? 

Arrabbiata e frustrata da quella scomoda situazione si alzò, lanciando il libro sulla poltrona e dirigendosi alla porta con passo spedito. 

La aprì di scatto e fece per uscire ma, come nei migliori film americani, quel che si dice ‘un tempismo perfetto’ la fece scontrare con un moro dagli occhi chiari che mostrava un avambraccio tatuato. 

“Caspita che udito! Dimmelo ti prego, erano le ruote della valigia o il mio passo a tradirmi?”

Violet era un po' stupita, non si aspettava di certo un elemento del genere come coinquilino, specialmente perché di francese non aveva niente, nemmeno l'accento. “Veramente era il tuo ritardo che mi ha convinto ad uscire.. Sei Les Jardins, giusto?” 

“Tutta questa confidenza? Chiamami Jar, per favore. E tu saresti?”

Violet si rese conto che essere scontrosa non l'avrebbe portata da nessuna parte, visti il personaggio e l'entità del favore che doveva chiedergli. 

Trattenne il respiro per un momento, fissando il francesino negli occhi e poi insieme all’aria, soffiò fuori anche il suo nome. “Violet.”

Con una calma alquanto forzata si scostò dall’ingresso e lasciò entrare il ragazzo che, appena appoggiata la valigia, esordì sfregandosi le mani: “Ma cosa abbiamo qui!” Si guardava attorno come un tredicenne in una sala giochi. “Mi avevano detto che l’appartamento era bello, ma non mi sarei aspettato una reggia.. e tanto meno una modella a farmi da concierge!”

“Non sono una modella, sono una delle tue coinquiline.”

“Beh meglio ancora, questo vuol dire che ti avrò attorno per tutto l’anno allora!” sorrideva sincero, convinto di conquistare Violet con quel suo essere così aperto e sprezzante.

“Sei arrivato tardi allora, sono già impegnata.”

“Così mi spezzi il cuore, chérie.” Si vestì di un sorriso elegante e poi riprese a guardarsi in giro. Fissava la cucina, i vestiti di Sarah appoggiati alla sedia e i fogli di Nate sul tavolo. Sembrava quasi che cercasse di capire che tipo di persone vivessero in quel appartamento, chi erano i suoi coinquilini.

“Dove mi sistemo io, chérie?”

“Le due stanze oltre il bagno sono libere; scegli tu.”

“La camera più vicina alla tua?”

“Fuori dalla finestra.” Rispose acidamente.

“La gattina ha gli artigli!” Affermò visibilmente divertito.

Questa volta si trattenne, non rispose alle provocazioni del ragazzo e cambiò argomento. “Dopo aver scelto dove sistemarti, dovresti lasciare a disposizione il tuo orario così possiamo organizzarci per le faccende di casa: pulire, fare la spesa, insomma tutto il necessario, ok?”

“Agli ordini, capo.” Sogghignò. “Ho come l’impressione che se non dovessi collaborare, avrò vita difficile qua dentro.”

“Sei un ragazzo perspicace.” Violet sorrise sorniona per poi dirigersi al divano, dove comoda riprese in mano il libro di storia americana. Jar la osserva divertito, non si aspetta di trovare una coinquilina del genere: facile da punzecchiare e da far innervosire, si sarebbe divertito sicuramente.

Ma altre sorprese lo aspettavano ignaro. Doveva ancora conoscere quell’uragano di Sarah e il resto della famigliola felice.

 

 

***

 

“Fratellone, da dove viene un francesino?” chiese Jackie di punto in bianco, mentre camminavano mano nella mano verso il parco. Era chiaro che stesse parlando del coinquilino in arrivo; lo avevano apostrofato così parecchie volte in casa, magari anche quando lei disegnava al tavolo e non sembrava ascoltare.

Sorrise comunque di quella domanda. Era l’ennesima conferma che la sorellina era più sveglia di quel che dava a vedere e sembrava avere un occhio piuttosto vigile ed attento a cogliere ogni suo cambiamento di stato d’animo.

“Dalla Francia, uno stato dell’Europa.”

“È lontano?”

“Sì, c’è tutto l’oceano di mezzo.”

“L’oceano? E perché vuole vivere così lontano da casa?”

“Per studiare. Come abbiamo fatto noi: Violet va a scuola qui. È una delle migliori d’America. Tutti vogliono andarci.”

“Ci posso andare anche io?”

“Quando sarai più grande.” Sorrise guardandola negli occhi.

Arrivati al parco, Nathan lasciò la sorellina alle attenzioni della maestra; pronto, per così dire, a presentarsi agli altri genitori della classe.

Un’occasione perfetta per far conoscere meglio figli e genitori. Sull’invito era stata espressa chiaramente la volontà della maestra di creare un gruppo uniforme anche al di fuori della classe. E questo era possibile solamente se i genitori si fossero fidati a lasciare i propri figli a giocare da altri. Con i tempi che correvano, quella era davvero una bella idea.

Prima che potesse dirigersi verso il gruppo di mamme e di chiacchiere da adulti, venne fermato da uno strattone ai suoi jeans.

“Fratellone, ma dopo la festa possiamo tornare a casa?”

Si inginocchiò davanti a lei, “Certo che possiamo. Ma che domande sono?” Era inutile cercare di sviare il discorso; se la piccola si metteva in testa qualcosa, la soluzione migliore era parlarne apertamente.

“Oggi arriva il francesino. Noi dobbiamo andare via.” Sussurrò preoccupata.

“No, monkey. Non ti preoccupare. Dopo la festa possiamo tornare a casa.” Si sforzò di sorriderle, nonostante sentisse il senso di colpa farsi spazio nello stomaco.

Aveva solo sei anni, per l’amor del cielo, non doveva preoccuparsi di certe cose. Doveva solo pensare a colorare e giocare con gli altri bambini.

“Non è vero. Lo ha detto . Ho sentito.”

Non aveva senso dirle bugie. Tanto poi l’avrebbe capito. “Possiamo stare lì ancora per un po’, ma tra qualche tempo dovremo cambiare casa.”

“Ma a me piace stare lì.”

“Lo so, ma dobbiamo rispettare le regole. Adesso non ci pensare. Vai a giocare con le tue amichette. Ne parliamo quando torniamo a casa.”

“Promesso?” Gli allungò il mignolo per farselo stringere.

“Te lo prometto.” Rispose alla stretta, che la piccola sciolse poco dopo con un sorriso; corse dagli altri bambini e lui si abbandonò pesante su una panchina lì vicino.

Tanti pensieri annebbiavano la sua mente, tant’è che non si accorse di un giovane che prese posto accanto a lui, finché che questo non iniziò a parlare. “Ragazzo padre anche tu, eh?”

“Più o meno.” Sospirò guardando in direzione della sorellina.

“Io sono Will, il papà di Lucas.”

“Nate, fratello di Jackie.” Strinse la mano che il giovane biondo gli porgeva.

 

“Non sei uno di molte parole, eh?” Will non sembrava intenzionato ad andarsene da quella panchina. Era chiaro che cercasse una via di fuga da quelle chiacchiere da genitori vissuti che non facevano per lui.

“No, anzi! Di solito sono un gran chiacchierone. Sono solo un po’.. pensieroso.” Non se la sentiva di raccontare gli affari suoi ad uno sconosciuto, per quanto potesse avere la faccia simpatica.

“Ne so qualcosa, amico. Ma tu almeno poi limitarti al ruolo di fratello, tornare a casa ed avere la mammina che vi prepara da mangiare. Io sto ancora imparando il libro delle ricette, per riuscire a far da mangiare qualcosa di buono a quel teppista di mio figlio. Ringrazio i nonni che si occupano di lui quando sono via per lavoro.”

Nathan sorrise, quasi rincuorato di sapere che non era l’unico al mondo ad avere problemi.

“Non è proprio così: siamo solo io e lei. E la mia ragazza.”

“Che testa di cazzo. Scusami. Avrei dovuto capire che il muso lungo non era solo per essere stato strappato alla playstation. Perdonami.”

“Non ti preoccupare. Ad ognuno il suo, giusto? Almeno io con i fornelli me la cavo.” La battuta gli uscì naturale, solo dopo si rese conto che magari Will potesse prendersela. Di tutta risposta, invece, il ragazzo rise, e tra un “Puoi dirlo forte!” e un “Parole sante!” si ritrovarono a raccontarsi a grandi linee la propria vita.

Will aveva ventisette anni, nato e cresciuto a Berkeley, dove aveva poi studiato ingegneria edile. Si era fidanzato a diciotto anni con Mary, madre di suo figlio, che purtroppo a causa della depressione post-partum era ‘uscita di testa’ come aveva detto lui. Fortunatamente poteva lavorare a casa spesso, potendo badare così al figlio e, nei giorni in cui era impossibilitato, aveva i nonni di Lucas su cui contare.

 

“Fratellone! Posso mangiare una pizza a casa di Lucas?” Jackie arrivò di corsa e con un po’ di fiatone, con alle spalle un bambino dai capelli biondi e un cappellino da baseball.

“Sì, papà. Jackie può venire da noi?”

“Quante  volte devo dirtelo di chiedermi il permesso prima di invitare gente a casa? Comunque, certo. Non c’è nessun problema.” Terminò la frase rivolgendosi direttamente a Nate. “Se per te va bene.”

Ci pensò un attimo e poi decise che era giusto lasciarla divertire in quel periodo di pressione che rendeva nervosi tutti. “Se la signorina qui presente promette di non bere troppa Coca-Cola e di fare la brava, allora va bene.” Sorrise guardando la sorellina negli occhi, che elettrizzata iniziò a saltellare sul posto, promettendo di comportarsi bene.

“Alle nove e mezza però si torna a casa. Capito?”

“Sì.” Annuì con la testa.

Nathan non era molto felice di lasciarla da sola, però la piccola aveva bisogno di distrazioni e non poteva negarle la possibilità di fare nuove amicizie, dopo averla portata via da West Newbury. Will gli sembrava un bravo ragazzo e aveva deciso di fidarsi. Si fece lasciare tutti i contatti necessari e poi osservò la bambina, che già si stava lasciando convincere a giocare ancora a nascondino prima di tornare a casa.

“Son felice che ti stia fidando.” Esordì Will guardando i due bambini giocare.

“E tu non farmene pentire.” Gli rispose sogghignando, e poi aggiunse: “È quanto di più caro ho al mondo, stai attento.”

Poco dopo i due bambini esausti chiesero di far merenda; Nate insistette per offrire loro un gelato e poi li salutò, pronto a rientrare a casa. Pronto – più o meno – a conoscere Mr. Les Jardins.

 

 

 

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Buona sera avventurose! Eh sì, perché se siete arrivate fin qui lo siete davvero!! Il capitolo era bello lungo!

Mi scuso per la lunghissima assenza e l’imbarazzante ritardo nel rispondere alle vostre recensioni e messaggi, purtroppo la vita universitaria è parecchio ingombrante, se poi ci aggiungo gli altri impegni, addio tempo libero!!!    T.T

Se avete qualche opinione sul capitolo e la vorrete condividere con me, sarò ben felice di leggerla e di rispondervi J in tempo breve questa volta! :D

Un bacione a tutte e tanti auguri di Buon Anno, che vi porti gioia e tanta ispirazione!

 

Giuliet.

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


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Capitolo 25

Capitolo 25

 

“Ma.. Non avevi per caso detto che potevo scegliere la mia stanza? Lì deve dormirci sicuramente un fumettista, ci sono matite ovunque!” Jar uscì dalla stanza occupata da Jackie per infilarsi subito nell’ultima rimasta.

“Ecco.. a proposito di quello..” Violet non sapeva come spiegargli la sua situazione, così decise di chiudere gli occhi e snocciolare il tutto velocemente: “La stanza è occupata dalla sorellina del mio ragazzo. Si sono trasferiti con me dal Massachusetts e non hanno ancora trovato un posto dove stare e così sono qui senza permesso. So che è sbagliato, che va contro le regole del campus, ma non sapevano dove stare e così visto che l’altra coinquilina era d’accordo, le abbiamo lasciato una stanza tutta per lei.” Tenne gli occhi chiusi ancora per qualche secondo e poi si decise a respirare. Lo aveva rimpinzato di informazioni talmente velocemente che si era dimenticata di respirare tra una frase e l’altra.

“Hey Scheggia, rallenta un secondo. La mia non era una vera polemica. Era solo per punzecchiarti. Le stanze sono tutte uguali qui. Una vale l’altra.” Le sorrise mettendo le mani avanti. 

 

“Son tornata! , ma è arrivato quello str.. straniero del nostro coinquilino?” Sarah entrò come un uragano nell’appartamento, con un principio di brutta figura come suo solito, che deviò all’ultimo notando il nuovo arrivato.

“Straniero, eh?” rispose il diretto interessato.

“L’idea originale era stronzo, a dire il vero, pensi che si addica alla tua persona?” ironizzò irrigidita la bionda, rivolgendogli un sorriso fin troppo smagliante. “Io sono Sarah comunque.” Si avvicinò allungando la mano.

“Il piacere è solo mio a quanto pare. Chiamami pure Jar.” Rispose alla stretta e sogghignò.

“Jar..ed?”

“No, è il diminutivo del cognome Les Jardins, il mio nome è François. Ma non mi piace: fa troppo damerino francese.”

“E non è quello che sei?” chiese sempre più provocatoria la bionda.

Blondie, sei in vena di complimenti, per caso?”

“Sei tu che mi ispiri.”

Violet assisteva al battibecco dei due senza riuscire ad intervenire vista la velocità della battute. Ma che avevano quei due?

Jar le si avvicinò, e all’orecchio le soffiò: “Non immagini nemmeno quello che mi ispiri tu, Blondie.”

Sarah, se possibile, si irrigidì ulteriormente, divenendo paonazza in viso, e il nuovo coinquilino con un ghigno si diresse verso il bagno.

 

Per tutto il resto del pomeriggio Jar e Sarah non si rivolsero parola; l’amica di Violet era tesa; non ne capiva il motivo, ma molto probabilmente era per lo studio.

Jar, invece, era seduto tranquillo al lato opposto del divano e cercava di instaurare un dialogo con lei.

Scheggia, che cosa studi?” quello ormai era il soprannome designato a Violet.

“Storia americana.” Rispose senza prestargli troppa attenzione, mentre sottolineava lunghe frasi sul suo libro.

“Non in questo momento, intendevo a che facoltà sei iscritta?”

“Giornalismo.”

“Anche io! Quindi saremo anche compagni di corso!” il moro sembrava entusiasta.

Yeah!” esclamò fingendo malamente entusiasmo, che fur ricambiato da un broncio coi fiocchi ed uno sguardo buffo.

“Scherzavo, eh! Se non farai il rompiscatole, andremo d’accordo.” Gli sorrise sincera. Era strano come le venisse voglia di prendere in giro François; era così espressivo che scatenare reazioni ilari od opposte era quasi un piacere. Si poteva leggere chiaramente in viso quel che gli passava per la testa, e questa chiarezza d’espressione era confortante per la ragazza.

 

La porta dell’appartamento si aprì, mostrando un colosso nero e pensieroso, che si rilassò solo quando il suo sguardo incontrò quello di Violet. La ragazza si alzò di scatto e gli si fiondò tra le braccia, che la circondarono prontamente.

Si scambiarono un casto bacio e poi Violet proseguì alle presentazioni.

“Jar, lui è Nathan: il mio ragazzo.”

Lo sguardo del francese passò velocemente dal corpo esile di Violet a quello di Nathan che superava il metro e novanta. “Scheggia, ma come.. ma dove lo metti?” Il suo era un chiaro riferimento al rapporto intimo tra i due, ma la mora non colse al volo, cosa che invece il suo ragazzo fece.

“Dove tu non devi nemmeno pensare di avvicinarti.” A Nathan dava fastidio quella confidenza che il nuovo arrivato si era preso con la sua fidanzata, dopo nemmeno un giorno che era lì. Così pensò che metterlo al suo posto fin da subito fosse la cosa migliore.

Violet aprì la bocca scandalizzata, diede uno scappellotto a Nate, che incassò il colpo, sapendo di averla messa un po’ in imbarazzo, e poi lei proseguì insultando l’altro, sotto lo sguardo comunque soddisfatto del suo ragazzo. “François, sei un cretino!”

“È sempre stata una mia dote naturale.” Sorrise sornione, alzandosi e avvicinandosi a Nate. “Hey fratello, non voglio creare tensioni. La mia era pura curiosità, insomma da uomo a uomo, io non potrei nemmeno competere!” ironizzò allungando una mano verso Nathan “Comunque, chiamami pure Jar.” L’ironia del ragazzo era abbastanza pungente e tendente allo spudorato, non era di quelle che Violet apprezzava, ma Nate la conosceva bene: a New York un sacco di suoi amici erano così spudorati.

“E tu puoi chiamarmi Nate.” Sorridendo, gli strinse la mano, calcando un po’ la presa, come per fargli capire chi comandava. Il ragazzo deglutì vistosamente, rendendo Nathan particolarmente soddisfatto, tanto da sciogliere la stretta subito dopo.

“Non ti preoccupare, fratello, il mio cuore lo ha già rubato Blondie.” Accennò a Sarah con la testa e un punto interrogativo si dipinse sul volto dell’altro. François era in quell’appartamento da nemmeno tre ore e stava già scombussolando l’ordine delle cose che loro erano riusciti a stabilire.

La bionda, dal canto suo, si irrigidì sentendosi chiamata in causa, e Violet riportò la sua attenzione su di sé informandosi su dove fosse Jackie. “È a casa di un suo compagno a mangiare la pizza.” Rispose il suo ragazzo attirandola poi a sé per chiederle all’orecchio di spiegargli cosa si era perso.

Tra sorrisi, pizzicotti e sussurri i due si diressero nella loro camera, sotto gli occhi attenti del nuovo arrivato.

 

***

 

Blondie, tu invece cosa studi?” Chiese tranquillo François dirigendosi verso il tavolo, osservando ogni minimo movimento di Sarah.

Sussultò trovandoselo a poca distanza, anzi praticamente attaccato, mentre lui curioso leggeva i suoi appunti di gaelico.

Non si aspettava quella vicinanza, e divenne nervosa praticamente subito, scattando sulla difensiva.

“Cad is ainm duit?” Se ne uscì lui sorpreso avendo letto quella lingua che gli ricordava tanto sua nonna.

“Sarah. Hey, ma come fai a saper parlare questa cosa?”

“Primo: non è una cosa, ma è una lingua molto importante per i cittadini del luogo. Lo sapresti se avessi origini irlandesi.”

“Ma tu non eri un damerino francese?” chiese lei imbarazzata, con le gote leggermente arrossate.

“Anche. Il fatto che mi chiami Les Jardins, non vuol dire che sia solo francese, ho anche una madre. Madre che si da il caso che sia nativa di Cork, e i suoi genitori – nonché miei nonni – erano cresciuti lì e in nome dei bei vecchi tempi, mi hanno insegnato qualcosa.” Alzò le spalle, quasi avesse appena detto una cosa ovvia.

“Ah.” Fu l’unica cosa che riuscì ad esalare la bionda in risposta.

“Mai giudicare il cittadino dal cognome. Non puoi mai sapere cosa ci sta dall’altra parte dell’albero genealogico.” Le soffio questa sentenza a pochi centimetri dal viso e poi come si era avvicinato, se ne andò.

Era la seconda volta che la lasciava a bocca aperta e ne era felice. Se all’inizio pensava che far arrabbiare Violet era semplice, stuzzicare la bionda era ancora più facile. Anche se ora non se ne rendeva pienamente conto, aveva già sviluppato uno strano senso di ammirazione per quella ragazza, così interessata alle sue origini, alle quali lui invece aveva voltato le spalle.

 

***

 

“Urca, mi sono perso lo scattare della scintilla?” Sogghignò coperto dalle note dello stereo, che Violet aveva sapientemente acceso per non farsi sentire.

“Ma mi stai ascoltando? Ti sto dicendo che hanno passato tutto il tempo a discutere, dal primo istante in cui si sono visti!” Violet si indispettì e portò le braccia ai fianchi in tono di rimprovero.

Per tutta risposta il ragazzo la trascinò di nuovo tra le sue braccia e prese a parlarle amorevolmente. “Non ti sembra una scena già vissuta? Tipo, dai qui presenti?” Le strofinò il naso tra i capelli, inspirando il suo profumo fresco.

Violet parve pensarci un momento e poi esclamò: “Ma perché sono così cieca? Ecco perché Sarah era così tesa prima!”

“Ecco, vedi. Lo dicevo io.” Continuò lui, scostandole i capelli, e deviando le attenzioni al suo collo.

La mora sospirò, quel caldo contatto sulla sua pelle sempre fresca, la faceva rabbrividire ogni volta come la prima, se non addirittura più intensamente.

Erano passati diversi giorni dall’ultima volta in cui si erano dedicati a pieno al loro amore, e ora la tensione sessuale veniva a galla facilmente.

Bastava un attimo e la fiamma della passione si accendeva. I loro corpi erano fatti per stare uniti, e resistere così a lungo distanti era uno strazio.

Tutte le settimane passate a pensare, ogni ora del giorno e della notte, a come risolvere la loro situazione precaria non aveva fatto altro che rendere la voglia l’uno dell’altra ancora più impellente.

D’istinto Violet, si rigirò tra le braccia di Nate, e raggiunse quelle labbra morbide e calde che tanto la facevano sentire desiderata ed amata; non solo per le parole che le rivolgevano, ma anche per i brividi che le davano a contatto col suo corpo.

Poco dopo la maglietta di Nate finì dall’altro capo del letto, insieme a quella della ragazza; Violet adorava sentire la pelle calda del suo ragazzo a contatto con la sua, mentre con attenzione osservava i tatuaggi di Nate che in qualche modo raccontavano la sua vita. Ogni volta era emozionante immergersi nel suo passato, la faceva sentire ancora più vicina e unita al ragazzo e i brividi che la percorrevano aumentavano.

“Meno male che abbiamo portato lo stereo.” Sogghignò Nate, sporgendosi verso il comodino ad alzare il volume. Violet rise, ma non si ritrasse, desiderava il suo compagno, e non sarebbero stati certo i coinquilini a fermarli.

Passarono il pomeriggio ad amarsi, per poi rimanere a parlare tra una coccola e l’altra.

 

Dopo una doccia rinvigorente, la coppietta si mise a preparare la cena con l’aiuto di Jar, mentre stranamente Sarah se ne stava chiusa in camera.

Violet notò la sua assenza, ma non disse nulla. Continuò a meditare sulle parole di Nate: era scattata la scintilla? Era questo che la rendeva strana o era successo qualcos’altro? Doveva preoccuparsi?

Diverse domande le frullavano per la mente, ma nessuno avrebbe potuto darle le risposte che cercava, se non la diretta interessata.

In nome del loro legame, lasciò proseguire i due uomini ai fornelli, allontanandosi senza dire nulla, se non un cenno del capo a Nate, indicando la stanza della bionda. Lui colse al volo e si impegnò a tenere il nuovo arrivato occupato.

Violet si affacciò alla porta della sua amica e le chiese con garbo se poteva entrare.

“Certo.” Rispose con sguardo vacuo la bionda.

“Va tutto bene Sarah?” Dritta al punto. Era l’unico modo in cui riusciva a dialogare con la sua amica, dopo più di due mesi questo lo aveva ben chiaro.

“Non lo so. Mi sento strana.” Asserì con tono grave, dubbioso. Quasi potesse mostrare il suo stato emotivo solo attraverso la voce.

“Vuoi parlarne?” si sedette accanto a lei sul letto.

“Non ho un motivo preciso: so solo che è il francese a provocarmi queste reazioni strane.” Sbuffò portandosi le ginocchia al petto.

“Ti piace?”

“No!” rispose troppo in fretta, facendo scappare a Violet una leggera risata.

“Anche io, non ero molto ben disposta nei confronti di Nathan all’inizio, sai?”

Quell’affermazione dovette risultare così strana da farle sgranare gli occhi: Sarah era allibita. “Sul serio?”

“Sì, dovevi vedermi. Ero praticamente una vipera nei suoi confronti all’inizio. Non perché fosse cattivo, ma era un mio meccanismo di difesa. Lui andava a intaccare la mia placida routine di paese; sballava ogni mio equilibrio e io non sono mai stata troppo incline ai cambiamenti, non da quando il mio migliore amico se ne era andato.”

“Ricky?” Chiese Sarah cercando di sviare l’argomento che la rendeva protagonista della conversazione.

“Sì, proprio lui. Ma tornando al punto, quello che volevo dire io è che è normale sentirsi strane quando ci sono di mezzo i sentimenti.”

“Quindi mi stai dicendo che Jar mi piace?”

“Questo io non lo so; lo devi scoprire tu.” Le sorrise sincera. “È per metà irlandese, lo sapevi?” aggiunse Sarah con una strana luce nello sguardo.

“È stato segnalato dal tuo radar Caccia-isolani?” Rise, contagiando l’amica.

“No, scema. È stato lui a dirmelo, mentre tu facevi pucci pucci con Nate in camera.” Le fece una linguaccia. Violet arrossì e lanciò un cuscino all’amica, colpendola in pieno viso.

Scoppiarono a ridere entrambe, e tra una risata e l’altra iniziarono una battaglia a cuscinate, che venne interrotta poco dopo, dal richiamo dei cuochi che annunciavano che la cena era servita.

A braccetto e col sorriso sulle labbra, si diressero a tavola, pronte a cenare per la prima volta tutti insieme, con l’intento da parte di tutti di passare una bella serata e di conoscersi.

 

 

 

 

 

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