Sunshine

di Claire Piece
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Distrazione ***
Capitolo 2: *** Minaccia ***
Capitolo 3: *** Turbamento ***
Capitolo 4: *** Il suo gioco ***
Capitolo 5: *** Compagnia ***
Capitolo 6: *** Riflesso ***
Capitolo 7: *** Contatto ***
Capitolo 8: *** Lei dimenticherà ***
Capitolo 9: *** L'addio ***
Capitolo 10: *** Gabbia dorata ***
Capitolo 11: *** Intermittenze ***
Capitolo 12: *** Tentazione ***
Capitolo 13: *** Imbranato ***
Capitolo 14: *** Evoluzione ***
Capitolo 15: *** Incapace ***
Capitolo 16: *** La Prova ***
Capitolo 17: *** Assaggi ***
Capitolo 18: *** Il suo Mondo ***
Capitolo 19: *** Vicino ***
Capitolo 20: *** La parte peggiore di me ***
Capitolo 21: *** Ama e basta ***
Capitolo 22: *** Follia, Giuramenti e Giustizia ***
Capitolo 23: *** Pesante tra le tue braccia ***
Capitolo 24: *** Talento ***
Capitolo 25: *** Scudo ***
Capitolo 26: *** Occhi di bragia ***
Capitolo 27: *** Sogni ***
Capitolo 28: *** Rischio ***
Capitolo 29: *** Tu sei la risoluzione ***
Capitolo 30: *** Devi vedere ***
Capitolo 31: *** Tasselli ***
Capitolo 32: *** Legami ***
Capitolo 33: *** Fallimento ***
Capitolo 34: *** Prometto che non diventerò mai freddo ***
Capitolo 35: *** Il vero Giuda ***
Capitolo 36: *** La testa del serpente ***
Capitolo 37: *** Nessuna campana ***



Capitolo 1
*** Distrazione ***


                                                     

     

 

La seguente Fan Fiction contiene Spoiler.

Tutti i diritti sui personaggi e tutto quello che è riguardante Death Note è di proprietà degli autori Takeshi ObataeTsugumi Ohba

 

 

Grazie per essere qui e buona lettura.

Sunshine soundtrack playlist https://open.spotify.com/playlist/5oOmrvehLJBn160GJzYEJm

 

 

                                                  Distrazione

 

 

 

Avete mai avuto quella sensazione che paralizza e immobilizza, che preannuncia qualcosa a volte orrendo o più semplicemente di bello e inaspettato? Sorprende comunque, questo è certo.

In una fase della mia vita così fosca e tediosa, dove tutto stava diventando un lento scorrere e sembrava che nulla potesse più scuotermi, è comparso Lui. Sento ancora il suo penetrante sguardo addosso. Se dovessimo dare un'unità di misura agli sguardi, credo che il suo sia inqualificabile, immisurabile.

Ad ogni modo, andiamo per piccoli passi.

Adesso, dopo tre lunghi anni che ho passato con Lui, mi ritrovo in questa suite vuota.

Sola a raccontare di ciò che mi terrorizza di più: il dolore.

Ho paura che se non gli darò sfogo,  morirò come è morto Lui. Con un dolore che squarcia il petto e che non lascia il tempo nemmeno per un’ultima parola. Ho conosciuto molti tipi di pena, ma mai così straziante, mai un concentrato di sofferenza pura.

Mio Dio non riesco a trattenere le lacrime...

 

Credo di essere pronta adesso, chiedo perdono.

 

 

Era il primo Gennaio 2001.

Tre anni prima ero rimasta orfana di mia madre. Avevo solo quindici anni.

Prima di allora non pensavo che la morte potesse fare scelte e discriminazioni semplicemente attraverso l'atto di scrivere un nome su un foglio di carta. Allora non ero cosciente del fatto che la morte potesse prenderti in qualsiasi momento, senza preavviso. Come ha fatto anche con Lui. Anzi con lui era stata ancora più crudele, perché Lui sapeva, la conosceva molto bene.

Prima di incontrarlo passarono anni.

Anni in cui il mio trascorso familiare non fu dei più sereni e allegri, come ci si aspetta che accada quando hai dai quindici ai diciannove anni. Mio padre decise di risposarsi ed io non ce la facevo. Anche se lo adoravo, mal sopportavo di dover stare con lui. Un nuovo modo di vivere, un nuovo posto in cui vivere. E poi quell’estranea al suo fianco, era troppo per me.

Così decisi che se proprio dovevo cambiare radicalmente la mia vita, avrei preferito vivere da sola e lo feci. M’imbarcai sul primo aereo per l’Inghilterra, trovai un posto in cui vivere in un piccolo e grazioso quartiere nei dintorni di Winchester e la fortuna, almeno per una volta, mi sorrise. Forse sarà stato per quel maledetto diploma magistrale che riuscii a prendere con le unghie e con i denti, ma trovai un piccolo lavoro come educatrice di bambini dai tre ai cinque anni presso l’orfanotrofio Wammy’s House.

Era un posto grazioso. C’era tutto quello che un bambino o un ragazzo potesse desiderare, sotto ogni punto di vista, nonostante le tristi e travagliate situazioni che avevano vissuto e in cui si erano trovate quelle piccole creature. In minima parte li potevo capire, perché anch’io non avevo più una parte d’amore che pretendevo di avere e che mi era stata tolta prematuramente.

Adoravo le particolarità di quelle creature così perfette che non conoscevano errori.

Geni.

Io ero una semplice educatrice con nessun talento in particolare, diciamo l’essere meno adatto a vivere in quel posto. Eppure il signor Wammy, quando mi vide passeggiare davanti al cancello del suo orfanotrofio, mi pregò, quasi supplicò, di entrare a parlare.

Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Come sempre rimanevo a stazionare meravigliata dallo scorcio di giardino che intravedevo tra le aste di ferro del grigio cancello e alcuni bimbi incuriositi mi si avvicinarono accompagnati da un anziano signore.

Era un uomo molto distinto con i capelli totalmente imbianchiti, come anche i folti baffi. I tratti del suo viso erano gentili sebbene resi un po’ duri dalla mascolinità. Indossava una bianca camicia con sopra un golfino sul giallino. Era la fine di Marzo e si stava abbastanza bene. I marroni pantaloni, morbidi ed eleganti, gli cadevano su delle scarpe

brune e lucidissime. Il ritratto di un perfetto uomo inglese.

Wammy ispirerebbe fiducia anche alla persona più diffidente del mondo e  fu così anche per me.

Aprii pacatamente un’imposta del cancello ed entrai, lui esordì dicendo “Credo che lei, Miss...”

Quel signore, con quell’eccelsa pronuncia inglese e che non conoscevo, voleva sapere il mio nome, così gliene dissi uno falso. Non so perché, forse perché non amo molto il mio vero nome. Il suo suono non mi ha mai esaltato e non sono mai stata molto patriottica, date le origini del mio nome, e così farfugliai il nome della protagonista di una fiaba che mi piaceva molto “Belle, signore.”

“Oh! Miss Belle, è un paio di settimane che la vedo passare qui davanti al mio orfanotrofio, mentre guarda i bambini, e vorrei proporle un contratto di lavoro come educatrice. Trovo che lei abbia un innato senso materno e in più è incantevole quanto una Madonna rinascimentale, la figura perfetta per questo tipo di mansione. Immagino che possa essere un’ottima proposta, dato che sarà sicuramente in cerca di lavoro. Sa, non l’ho mai vista prima da queste parti ed ho subito pensato che debba essersi trasferita da poco, Miss Belle.” Mentre il signor Wammy mi mostrava un radioso sorriso, io arrossii vistosamente e replicai sorridendo a mia volta, pensando di non essere poi una così bella ragazza e soprattutto mi lasciò stupita per via del fatto che avesse capito che non ero di quel posto e che ero in cerca di un’occupazione.

Dei bambini ci girarono intorno ridendo, poi scapparono via. Non so se fu per quelle grida felici in quel incantevole giardino dove passeggiavamo io e il signor Wammy, o per il fatto che alzai lo sguardo su una finestra del palazzo che si ergeva di fronte a noi e al giardino.

Lì, lo intravidi per la prima volta. Lui intento ad osservare fuori dalla finestra.

Nel modo in cui era fermo a guardarci, avrei giurato, e lo penso tutt’ora, che  avesse architettato lui quel modo di attirarmi lì e la conseguente proposta del signor Wammy.

Per un attimo rimasi quasi ipnotizzata a scrutarlo, la figura non era nitida ma mi incuriosiva molto e mi aveva deconcentrato dalla risposta che dovevo dare al signor Wammy. Le parole sul momento sembrarono non uscirmi di bocca, ma fui ridestata dalla mia distrazione grazie al signor Wammy “Miss Belle, cosa ne pensa allora?”

Mi voltai come se avessi appena preso una vetrata in pieno viso e risposi, finalmente “Oh! Sì...certo, certamente! Per me va benissimo. Grazie!”

Quando mi voltai ancora verso la finestra, Lui non c’era più. Credetti di aver avuto un’allucinazione e maledissi me stessa per essere stata così distratta. Accidenti a me e alla mia capacità di perdere il contatto col mondo! Effettivamente sono stata così fin da bambina, sempre con la testa tra le nuvole.

Passarono splendide giornate all’orfanotrofio e il ritmo di vita mi andava perfettamente a genio. Sebbene il mio compito fosse pressoché lavorativo, trovavo appagante passare le mie giornate in quel posto. Non avevo mai adorato svegliarmi presto la mattina, ma la Wammy’s House era riuscita a farmi venire la voglia di farlo. Divenni molto più positiva, mi andò giù perfino il guardarmi allo specchio con un aspetto quantomeno orribile: con i miei capelli color cioccolato fondente, lunghi e scompigliati, nonostante li spazzoli finiscono in dei ricci finali sulle punte; la frangetta che adora prendere le forme quanto meno picassiane, gli occhi castani contornati da delle lievi occhiaie, il mio colorito bianco, che correggo con del rosso sulle guance. Riuscivo ad essere comunque contenta e felice, perché andavo alla Wammy’s House.

 

Un altro giorno passò come gli altri, tra i giochi mirati alla stimolazione mentale dei bambini e lo svago in giardino in un qualsiasi giorno d’Aprile.

In un batter d’occhio arrivarono le sei del pomeriggio ed i bambini, come al solito, andarono in mensa per la cena. Decisi di non tornare subito a casa, così approfittai di quel momento di pausa per girare un po' l’edificio. Il signor Wammy non mi guidò molto al suo interno, era molto occupato col suo lavoro di direttore. Ma c’era qualcosa che non mi convinceva in questo suo atteggiamento. Non ho mai ricordato che la mansione del direttore di un orfanotrofio fosse così, che avesse, come dire, quei ritmi serrati. Lo trovavo abbastanza strano.

E come sempre, mentre macinavo questi pensieri, mi ritrovai in una zona dell’edificio che non conoscevo molto. Se non sbaglio il signor Wammy mi aveva anche ammonito di non avvicinarmi, per via di non so quali motivi. La mia distrazione, ricordate? Be', aveva preso il sopravvento anche quella volta. Inoltre la mia curiosità a volte è così morbosa che mi fa cacciare nei guai. Sì, posso dire che sono esperta anche in questo campo.

Camminando per il lungo corridoio, intravidi una luce, non una luce di una lampada accesa. Una luce azzurrina più somigliante a quella che emana il monitor di un computer.

Non resistivo e mi avvicinavo piano, finché, arrivata alla porta, la aprii provando a non far rumore.

E vidi Lui, di spalle… colta dalla sorpresa, istintivamente trattenni il respiro.

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Capitolo 2
*** Minaccia ***


               




                           Minaccia

Mi prese un'inspiegabile sensazione…Panico, soggezione. Il tutto annullò la mia morbosa curiosità e non riuscii ad entrare.
Mentre mi dileguavo, avrei giurato che Lui si stesse per voltare e che si fosse addirittura affacciato sulla soglia della porta, ma credo che in quegli ultimi mesi di strane allucinazioni ne avevo avute abbastanza. Scendendo le scale mi meravigliai del fatto che ero sconvolta. Un senso di chiusura alla stomaco mi prese e l’asma, dovuta a quelle strane emozioni, mi mozzava il fiato.
Per puro caso incontrai il signor Wammy… Fortunatamente ero uscita dalla “zona vietata” di cui mi aveva parlato tempo prima… L’anziano signore mi prese e mi fece sedere sul sofà nel suo studio, porgendomi poi un bicchiere d’acqua.
“Che cosa le è successo Miss Belle?” domandò.
Il mio cervello riuscì a fare delle connessioni sensate e a fornire una risposta logica alla domanda.
“Soffro molto spesso di attacchi di panico....me ne scuso io...non...” avevo ancora l’agitazione giusta che riuscì a convincerlo della mia menzogna.
La verità è che soffro davvero di attacchi di panico, dovuti alla morte di mia madre. Questo dicevano i luminari che mi avevano psicoanalizzato ai tempi della mia perdita. Non prendetemi per pazza, ma per passare sopra a certi distacchi emotivi non basta un bel “andiamo avanti”… Rimane un marchio a fuoco.
Quando mi ripresi, riacquistai perfino qualcosa che somigliava al colore in viso. Quindi mi girai verso il signor Wammy “Lei ha dei figli per caso?” A quanto pare la mia ficcanasagine non aveva conosciuto i sui limiti con l’episodio di poco prima…
Lui lentamente si sedette su una poltroncina di fronte a me e ribattè “Ho molti figli qui, come può vedere” e gli si aprì un sorriso spontaneo, ma che comunque mi nascondeva qualcosa.
Risposi a mia volta solo sorridendo con una leggera punta di vergogna. Mi guardai intorno. Notai ogni particolare della stanza. Le tende perfettamente dritte a cadenti a terra, con lo sfondo della finestra dai cui spuntavano in bella mostra i rami fioriti di un albero, le pareti scure, i mobili in perfetto stile inglese, l’orologio a pendolo vicino alla finestra che scandiva quei leggeri ticchettii…
Ad un tratto sbarrai gli occhi.
Si erano fatte le nove di sera e nemmeno me ne ero accorta! Balzai dal sofà esclamando “Oh mio Dio!!E’ tardissimo, dovrei già essere a casa....”
Raccattai il golfino, di cui mi ero privata per via dell’attacco di “stupidità”…lo definirei così… e poi mi rivolsi di nuovo al signor Wammy “Ho sentito strane voci. Nel mio quartiere, negli ultimi tempi succedono, cose strane... Qualcuno entra negli appartamenti, rovista. Ma non ruba nulla. Queste cose mi spaventano molto e quindi, se non le dispiace signor Wammy, devo salutarla, così ho anche il tempo di chiudere bene porte e finestre… Non mi esalta l’idea di qualcuno che si fa i fatti miei in casa mia”.
Il signor Wammy era preoccupato in volto ed avvicinandoci alla porta tentennò un po’. Poi disse “Posso accompagnarla se vuole. Stia tranquilla, c’è sempre Roger a sostituirmi in questi momenti di assenza” .
Roger era una sorta di vice direttore e collaboratore del signor Wammy. Era un tipo molto calmo e con un animo buono. Alcuni ragazzi a volte si approfittavano di quest’ultima caratteristica e si prendevano gioco di lui.
L’offerta del signor Wammy mi allettò non poco e decisi di accettare.
Non ci mettemmo molto ad arrivare a casa mia, anche perché saranno stati seicento metri a piedi dall’orfanotrofio.
Appena arrivati notai qualcosa di strano… La luce del mio appartamento era accesa…
Ecco di nuovo l’ondata di panico che veniva su…
Il signor Wammy se ne accorse e mi prese per un braccio. Non me ne ero resa conto, ma stavo tremando. Lui mi aiutò con mia grande fatica a salire le scale. Avevo una tremenda paura di inserire le chiavi nella serratura.
Sì… stavo ancora tremando!
-Oh mio dio!- pensai. Il signor Wammy mi prese la mano e finalmente aprimmo la porta. Sbarrai gli occhi.
Non capii nulla.
Davanti a me dominava una scritta fatta completamente di sangue…: VATTENE TU SEI SOLO UN OSTACOLO.
Corsi immediatamente in camera mia, lì c’era il cofanetto porta gioie di mia madre, l’unica cosa che avevo portato con me quando avevo deciso di partire. Dentro non c’erano gioielli o particolari valori. Era di mia madre, era semplicemente qualcosa di suo, punto.
Con grande sorpresa potei constatare che la mia camera fosse intatta, con un ordine che strideva in confronto alla caotica situazione che c’era nel soggiorno....
Ma la sensazione di sollievo durò poco…
I miei occhi finirono sul comodino.
Ricordo solo le lacrime.
Ricordo di essere caduta a terra con in mano il porta gioie in frantumi.
Era completamente rosso… era stato immerso nel sangue…
I piccoli tesori erano sparsi ovunque e i danni procurati al cofanetto erano irreparabili.
Sentendo il silenzio, alternato ai singhiozzi, il signor Wammy varcò la soglia della mia stanza. Aveva un’espressione indecifrabile, sembrava quasi sapere cosa potesse essere successo… Che quello non era un semplice furto, era una minaccia, un avvertimento.
Sentii il signor Wammy che cercava di sollevarmi e mi girai di scatto gli occhi sgranati, dai quali sgorgavano copiose le lacrime. Quasi avevo scordato che anche lui era lì con me. Mi alzò da terra e carezzandomi i capelli mi disse “Belle, è il caso che tu ti stabilisca all’orfanotrofio per la tua sicurezza. Non preoccuparti, mi occuperò di tutto io. Ora andiamo, oggi non hai avuto una bella giornata”
In quella situazione irreale riuscii ad accorgermi che mi stava dando del tu e mi parlava come ad una figlia, con pacatezza e infondendomi una calma assurda, che mi faceva provare un forte senso di colpa per la contraddittorietà della situazione. Mi sentivo estenuata e divenni quasi apatica. Ed il mio sguardo cadde su uno dei tanti oggetti brillanti a terra. Era lui, uno degli anelli che preferivo tra le gioie di mia madre. Aveva la forma di una coroncina, con una pietra rossa incastonata al centro. Mi accucciai a terra, lo raccolsi e lo misi all’indice sinistro, perchè la piccola misura non mi sarebbe entrato in nessun altro dito, credo. Allontanandomi da quella che in quel nuovo posto chiamavo “casa”, mi prese una sensazione mista tra la liberazione e la paura di aver perso qualcosa di prezioso.
Ora ritengo che quella non fosse la paura dell’estraneo che aveva tentato di rubare in casa o quella del porta gioie distrutto in mille pezzi...
No. Quella sensazione era un orrore tangibile e vero: adesso non avevo più qualcosa di materiale e concreto che mi legasse a Lei... a mia madre...
Mi chiesi -può esserci qualcosa di peggio di tutto questo? Potrei soffrire più di adesso?-

Giunti alla Wammy’s House, ho vaghe tracce dei momenti precedenti il sentirmi rimboccare le coperte dal signor Wammy e chiudere gli occhi.
Ma sono sicura di averlo rivisto, Lui. Alle spalle del signor Wammy. Alto, magro, bianco quanto me, ma così sfocato...
Caddi in un profondo sonno con sogni quanto meno deliranti.

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Capitolo 3
*** Turbamento ***


                                                                
                                                                Illustrazione di Alissa Duke. http://www.alissaduke.com







   

                                              Turbamento

 

 

 

Molto probabilmente mi abbandonai a quel sonno per un giorno intero. Perché notai che al mio risveglio c'era ancora la notte e a me parve di aver dormito un'eternità. Una cosa così improbabile può succedere solo in un sogno. Già, quella notte i miei sogni erano stati molto tormentati, forse sarebbe meglio dire turbolenti. Un misto tra i ricordi e la mia nuova realtà, ma grazie al cielo, non spaventosi quanto quello che avevo vissuto la sera precedente. Potevo capire il mio stato di shock, ma quello che mi lasciò perplessa fu il fatto che avessi dormito quasi per ventiquattrore di fila. Forse non avrei dovuto badarci più di tanto, dopo tutto i ritmi di ripresa umani non sono gli stessi per tutti. Distogliendo i miei pensieri e lo sguardo, la mia attenzione fu catturata dal vassoio con un panino e un bicchiere di latte, posato sul comodino vicino al letto. Il signor Wammy doveva aver pensato che se mi fossi svegliata avrei avuto fame, ma in quel momento di torpore post traumatico non ne avevo molta. Il mio stomaco era chiuso. Decisi di raccogliere le forze ed alzarmi dal letto, dirigendomi poi verso la finestra.

Le sere cominciavano ad essere più chiare, meno nebbiose e si potevano iniziare a sentire i primi grilli cantare in lontananza. D’altronde, eravamo quasi vicini a Maggio ed era normalissimo.

L'unica cosa che era anormale era quello che mi era accaduto!

Ancora il pensiero negativo dello spavento preso catturò tempestivo la mia già sensibile attenzione del momento.

Esasperata dalla mia solitudine, che mi portava al troppo pensare, decisi di andare a cercare il signor Wammy. Così presi ed uscii dal mio nuovo alloggio.

Il solo fatto che stessi raggiungendo il Signor Wammy nel suo comodo ufficio mi fece sentire al sicuro. Finalmente quelle sgradevoli sensazioni cominciavano pian, piano a  svanire, ero sollevata per questo. 

Scesi le scale con passo svelto e in punta di piedi, l'intero orfanotrofio era sepolto sotto una coltre silenziosamente notturna. Quando giunsi a destinazione, uno spiraglio di luce che s'intravedeva dalla porta socchiusa dello studio del Signor Wammy, mi fece rallentare il passo. Con premura mi avvicinai  alla porta, ma decisi di non entrare. L’udire di due persone che stavano parlando placidamente mi incuriosii. Rimasi in ascolto.

Watari, sai perfettamente che si tratta di lui. Lo avrai capito che ha fatto quel che ha fatto perché pensa che lei sia d’intralcio.” Una voce pacata, atona e ipnotica. Protesi l'orecchio e mi poggiai con cautela sullo stipite della porta cercando di rimanere sempre ben nascosta.

“Sì, lo so, ma hai deciso tu. ” Ribatté la voce stanca ed assonnata del Signor Wammy, poi proruppe un lungo silenzio e non sentendo più parlare, rinunciai del tutto all'idea di entrare. Avevo sentito abbastanza. Me ne andai. Molto probabilmente avrebbero ripreso a discorrere, ma decisi comunque di non ascoltare. Sapevo che il soggetto della conversazione ero io e non mi importava più di tanto. Dopo l'accaduto del fattaccio, era normale che fossi oggetto di discussione, ma cominciai a sentirmi fuori luogo in quel posto e quella sensazione non l'avevo mai provata alla  Wammy's House e non  mi piaceva avvertirla.

Risalta in camera accesi un computer che era sulla mia scrivania, un portatile, perché avevo di nuovo un disperato bisogno di distrarmi. Optai così per lo scrivere un’email a mio padre. Era parecchio che non aveva più mie notizie, a parte qualche mia telefonata. Nel mio appartamento non avevo la connessione internet ed approfittai del laptop per far sapere che ero viva e che stavo bene. Ovviamente omettendo i fatti terrificanti che mi erano successi il giorno prima.

Alle volte mi stupisco molto della mia capacità di ripresa da certe situazioni.

Non so se sia solo l’apparenza o sia una forma di stupidità mista a superficialità, ma più che impaurita mi sentivo una molla. Avevo l’adrenalina a mille, neanche mi avessero messo una bomba sotto la sedia. Ho questa capacità di balzare dall'ipersensibilità all'irruenza del reagire tempestivamente che mi inquieta e rafforza allo stesso tempo.

Possibile che gli orrendi accadimenti e sensazioni di panico della sera prima fossero sfumate in incoscienza? Oppure in una straordinaria forza d’animo?

Finalmente iniziandomi a sentire esausta, perfino a stare davanti al computer, capii che era il caso di fare un bagno e di tornare a letto.

Esplorando il mio spazio privato, scoprii di avere il bagno in camera.

Lo adorai immediatamente perché era tutto mio, nessuno ti può disturbare e si crea un’atmosfera rilassante che fa tanto stendere i nervi.

Feci scorrere l’acqua calda nella vasca e in pochi istanti il bagno si riempì di terapeutico vapore.

Immergendomi la pelle si riscaldò e cominciai a sentir sciogliersi tutta la tensione nervosa accumulata tra il collo ed i muscoli delle spalle. La sensazione di benessere nel mettere il pigiama con ancora i capelli bagnati mi fece esplodere di appagamento e serenità, tanto che mi spuntò un timido sorriso.

Poggiai la testa sul cuscino e dormii di nuovo.

Tutto sembrò perfetto e al proprio posto.

 

Il risveglio fu altrettanto calmo, ero rilassata e mentre mi preparavo per la giornata, cominciai a domandarmi come mai il signor Wammy ancora non fosse venuto a farmi visita o a dirmi quando ricominciare con i bambini. Spensieratamente tranquillizzata mi vestii con una maglia, jeans e delle scarpe da ginnastica. Adoro vestire in modo pratico, non sono una tipa che si mette in ghingheri anche solo per lavorare, anche se cerco non apparire comunque un maschiaccio e non lo do a vedere, ma tengo al mio aspetto e possiedo quel poco che basta di vanità per non apparire sciatta e scialba.

Poi, mentre riflessa nello specchio, controllavo se avessi qualcosa fuori posto, la strana conversazione che avevo sentito tra il signor Wammy e il misterioso individuo, che ero sicurissima non fosse Roger, ma qualcun altro, saltò fuori all’improvviso nella mia testa e cominciò a tormentarmi.

Chi era la persona con cui parlava il signor Wammy?

Di che e di chi diavolo parlavano, escludendo il fatto che parlassero anche di me?

Eccola, la mia curiosità.

Dato che la sera prima non avevo potuto parlargli, finita la mia preparazione mi diressi verso l’ufficio del Signor Wammy. Bussai ed entrai. Lui mi fece cenno di sedermi, mentre era la telefono, ed io mi accomodai su una delle due poltrone di fronte alla scrivania e attesi che finisse.

Chiusa la conversazione telefonica dedicò la sua attenzione a me “ Miss Belle. Ti senti meglio?” Ormai, dopo la sera dalla minaccia mi dava del tu e la cosa non mi dispiaceva, dato che ho sempre mal sopportato le formalità.

“Sì, sto molto meglio, grazie. Volevo venire a parlarti, ieri sera, ma eri occupato... così ho pensato che fosse il caso di tornare a riposarmi un po'.” Con fare calmo snocciolai lo svolgersi dei fatti e lui non si scompose, non pensò minimamente che io potessi aver sentito quella conversazione. In realtà semplicemente sapeva che l’avevo sentita e questo è molto diverso.

Lo intesi dal fatto che tirò avanti il discorso, dicendo che potevo stare tranquilla, che avrei potuto fare come se fossi a casa mia, che anzi quella potevo ormai considerarla casa mia e non ammise repliche a riguardo. Lui avrebbe pensato a tutto ciò di cui avessi avuto bisogno. Avanzò anche la proposta di poter lasciare il lavoro con i bambini, se desideravo fare qualsiasi altra attività lavorativa. A  quest’ultima offerta dovetti rifiutare, mi piaceva stare con i bambini, mi liberava la mente e mi distendeva molto, non potevo rinunciarvi.

Giunti alla fine della nostra chiacchierata, salutai il Signor Wammy e andai nell’aula dove mi attendevano le mie creaturine. La giornata passò placidamente, il sole sembrava essere di buon umore e decise di splendere tutto il giorno, anche facendo molto caldo.

Wammy ed io ci riversammo in giardino con i bambini.

Il tutto era davvero piacevole e stare con lui a chiacchierare mi dilettava moltissimo.

Parlammo di cultura generale, poesia, letteratura, dei miei libri preferiti, di musica, fino ad arrivare al cibo. Gli confessai la mia sconfinata passione per i dolci e questo lo fece cominciare a ridere. Rimasi al quanto stupita, non capivo il perché fosse tanto esilarante una questione di gusti così banale. Wammy con la sua fresca risata riuscì comunque a contagiarmi, iniziando a far ridere anche me con una inspiegabile complicità.

Wammy, posso cucinare dei biscotti? È da tanto che vorrei fare dei cookie, con pezzi di cioccolato grandi come pepite, oppure dei Muffin?!!” Ancora galvanizzata dai rimasugli delle nostre risate, esordii esponendo il mio desiderio culinario.

“Certo Belle che puoi usare la cucina! Ti ho già detto di fare come a casa tua.” Il Signor Wammy mi riprese pacatamente come se fossi stata sua figlia.

Più tardi, in cucina, mi ero messa a lavoro con  il mio anziano amico come aiutante  e stranamente notai che mi fece raddoppiare la dose degli ingredienti per i biscotti. Molto probabilmente perché voleva farne provare un po’ anche... ai bambini? Il dosaggio, anche se incrementato, sembrava però non sarebbe bastato per i ragazzini. Quel giorno stavo rimuginando anche troppo, lasciai stare e continuai il rilassante procedimento di preparazione dei nostri biscotti.

Dopo venti, trenta minuti, dal forno iniziò ad uscire l’odore di dolce insieme a quello del cioccolato e piano, piano, oltrepassò anche l'area della cucina per infiltrarsi nel corridoio. Ero inebriata e ubriaca da quell’essenza, finii per ricordare di mia madre e di quanto amassi vederla cucinare i dolci e le torte per i nostri compleanni.

Il mio flashback fu interrotto da Wammy “Assaggia Belle...”

Presi un biscotto dalla teglia, soffiai per freddarlo un po’ e lo assaggiai, mi riaccesi d'entusiasmo per la bontà e fui contenta del nostro ottimo lavoro. Dopo un lungo periodo disgraziato, di totale disorientamento, ero davvero felice e mi sentivo tanto coccolata. A casa.

Misi i miei biscotti in una bustina di carta e decisi di dirigermi verso la mia camera, un po’ ne avrei sgranocchiati lungo il percorso e un po’ ne avrei tenuti in stanza per casi di improvvisa voglia di dolce.

D’un tratto venni di nuovo colta dai miei pensieri repentini e ripensai alla “zona vietata”. Mangiucchiando i miei biscotti salii le scale fino a ritrovarmi di nuovo in quel corridoio. Protendendomi osservai con attenzione e notai che c’era!

Quella luce azzurrina del monitor. Con circospezione arrivai sulla porta, non bussai, forse ebbi un momento di eccessiva informalità ed entrai.

Non c’era. Lui non c’era e a dir la verità ci rimasi un po' male.

In compenso trovai il computer a terra, sistemato al centro della stanza con l'accecante sfondo bianco dello schermo su cui albergava una nera semplice, gotica 'L'.

I miei passi verso l’oggetto risuonavano nella stanza semi buia, vuota, senza nessun componente d’arredo. Udii poi la porta chiudersi alla mie spalle, il cuore sobbalzò dalla paura, la busta dei miei biscotti per poco non mi cadde di mano.

In reazione allo spavento mi voltai di scatto.

Lui! Ora potevo vederlo bene. Non era un’allucinazione, uno scherzo della mia mente facilmente suggestionabile. Era vero e in carne ed ossa.

Un ragazzo dalla carnagione pallida, capelli spettinati che gli arrivavano fino al collo e del colore della pece, alto, un fisico longilineo. Vestito con una semplice maglia bianca che lasciava intravedere le leggere forme muscolari delle braccia e delle spalle. Lievemente incurvato. Pantaloni jeans chiari e scoloriti. Eleganti piedi scalzi e mani altrettanto affusolate.

Cercai di focalizzare al meglio cosa stessi guardando, ma il suo viso non mi era visibile con quella semi oscurità.

“Non sai che maleducazione entrare nelle stanze degli altri senza bussare o prima annunciarsi?” La sua voce! Era lui la persona con cui parlava Wammy la sera prima.

“Ce ne hai messo di tempo...” Sì! Quella voce era... era senza inflessioni particolari, ma mi seduceva, incantava, avrei potuto starlo a sentire per ore.

“Parli come se mi stessi aspettando.” Titubante camminai pochi centimetri indietro.

“Sì, in un certo senso, ti stavo aspettando.” Adagio Lui si avvicinava a me, non credo fosse solo per guardarmi bene in faccia o per capire come fossi, ma più perché intenzionato a voler prendere un biscotto dalla busta che avevo tra le mani. Si espose alla fioca luce proiettata dal computer e non so spiegare cosa provai esattamente quando lo vidi in volto.

Allungato, magro, con labbra rosa pallido, non troppo piene, un naso elegante e pungente, zigomi ben evidenti e gli occhi... Oh, gli occhi… Erano la parte più attraente, allettante e misteriosa di Lui, di un nero impenetrabile che sembrava diventare liquido come petrolio, indecifrabili assunsero, guardandomi, un guizzo d’interesse mescolato a non so cosa.

Statici, rimanemmo fermi ad osservarci. Ed io credo di aver avuto un’espressione in viso simile allo sbigottimento, una sottospecie stordimento. Arrossii violentemente, non ero in grado di sostenere il suo sguardo, quello sguardo fin troppo intenso.

Avrei dovuto badare a quante volte potessi guardarlo in quella maniera o quasi sicuramente avrei potuto rischiare di perdere me stessa.

Mi allontanai ulteriormente, cominciai ad avere timore di lui. Poggiandomi una mano al petto percepii che stavo quasi annaspando. Non mi capacitavo che le mie emozioni, dopo il mio cambio di vita, si fossero ampliate e sensibilizzate in un modo così vigoroso, impetuoso, tanto da non riuscire a tenerle a bada.

“Ti ho spaventata? Ti dispiace che abbia preso uno dei tuoi biscotti?” Che domande mi aveva fatto e con una variazione di tono che divenne infantile. Era così assurdo, ma mi attraeva come una calamita a Lui.

No… no... non mi hai spaventata. Mi hai solo... turbato.”

 

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Capitolo 4
*** Il suo gioco ***


                                                          
                                                               Illustrazione di Alissa Duke http://www.alissaduke.com




 

                         Il suo gioco

 

Penso tu sia divertente, penso tu sia brillante

Penso che mi spaccherai il cuore

Penso tu sia divertente, penso tu sia brillante

Puoi anche essere bello da guardare ma non sei un opera d’arte [...]

Potere e controllo

Io ti farò cadere

Potere e controllo

Io ti farò cadere[...]

Ma l’amore sarà sempre un gioco

Una debolezza umana non significa che io sono fragile… che io sono fragile, io sono fragile

 

Io sono fragile, io sono fragile.

               

                            (traduzione di "Power and Control" di  Marina and the Diamonds)

 

 

 

Non mi ero accorta, mentre indietreggiavo, che lui accorciava sempre di più la distanza tra noi, tanto che io finii intrappolata in un angolo della stanza.

Guardandomi intorno notai che c’era una finestra. All’inizio avevo pensato che fosse una specie di camera bunker, ma ricollegai che molto probabilmente quella era la finestra da dove lo avevo visto affacciarsi sul giardino tre mesi prima.

“Non pensavo fossi così.” Sembrò più dirlo a sé stesso che a me.

Voltandomi riagganciai il suo sguardo, i suoi occhi “Così come?” Mi tremava la voce.

“Be’ sebbene tu possa sembrare una ragazza qualunque, hai un non so che... che mi... come dire... è curioso, ti definire, invitante”. Un accenno di un lievissimo sorriso apparve e si dissolse rapidamente delle sue labbra.

Sbarrai per un attimo impercettibilmente gli occhi. Io! Io invitante!

Sì, in effetti era singolare come modo di definirmi, poi riflettei per un istante su come lui potesse vedermi.

Gli altri hanno una visione totalmente diversa della nostra persona, in rapporto a noi stessi che vediamo i nostri difetti ingigantiti. Comunque non riuscivo a credergli e, sebbene mi sentissi leggermente lusingata, abbassai lo sguardo, forse quasi imbronciata.

“Spero di non averti offeso. Non sono molto esperto con le persone.”  

“E chi lo è a questo mondo? Ci sforziamo costantemente di capire e compiacere, ma questo è differente dal riuscire a cogliere perfettamente l’essenza dell’individuo che abbiamo di fronte.” Seria e di poco addolcita rialzai gli occhi sul pallido ragazzo.

Lui fece un’espressione incuriosita e assottigliò lo sguardo “Non mi sbagliavo, sei davvero interessante.”

Sentii dell’elettricità, per un attimo mi sembrò volesse mangiare con lo sguardo, balzarmi letteralmente nella mente per berla e assimilarla solo con quell’occhiata.

D’un tratto il computer a terra emise un suono. Con tutta probabilità era arrivata una mail o qualcosa del genere. Notai vicino al pc un piatto da portata elegantissimo, con sopra i biscotti che avevo fatto quel pomeriggio.

Provai profondo imbarazzo. Aveva i miei cookie in quel vassoio e ciò nonostante era venuto a prenderne uno dalla busta che avevo tra le mani. Voleva avvicinarmi, vedermi da vicino e c’era riuscito giocando.

“Ti dispiacerebbe andare? Adesso devo proprio lavorare.” Sorrise di nuovo, ma non era un sorriso, più un’imitazione di un sorriso, molto diverso da quello stimolo spontaneo di celato interesse di pochi istanti prima. Apprezzai comunque il suo sforzo nell’averlo fatto.

Sentii di essere di troppo, forse lo avevo disturbato con la mia invadenza, ma la  cosa comunque mi innervosii un po’.

Ci stavo rimanendo un po’ male.

Conducendomi alla porta, la aprì, ma puntò un braccio sullo stipite. Trasalii, ero bloccata tra Lui e la soglia.

“Puoi tornare quando vuoi e i biscotti erano buonissimi. Mi farebbe piacere vederti più spesso.” Fu un bisbiglio quasi a non voler farsi sentire da qualcun’altro.

Avvampai, deglutii e uscendo, senza farmi sentire, sospirai.

Camminavo con le gambe molli. Mi fermai a osservare la luna, una perfetta sfera luminosa, simile al computer al centro della sua stanza, l’unica luce nelle tenebre.

 

Nei giorni seguenti non ebbi il coraggio di tornare nella ‘zona vietata’.

Non so cosa mi prese, volevo rivederlo, stare lì con Lui, ma allo stesso tempo ne avevo timore.  Ero spaventata dal fatto che qualunque cosa io avessi potuto fare o dire sarebbe stata noiosa, sebbene Lui pensasse fossi ‘interessante’.

Vagavo per il giardino sotto la sua finestra con la paura che, se fosse comparso, sarei scappata a gambe levate.

Timidezza! Mio Dio, ero in preda alla timidezza. Che sciocca!

Il solo vederlo mi sconvolgeva e perdevo ogni capacità di ragionamento, cosa che invece non sembrava succedere a Lui. Diamine, ci eravamo visti in così poche, sfuggevoli situazioni?!

Lo avevo capito che non era un individuo qualunque. Era fin sopra l’alto livello di personalità, sprigionava carisma e trasmetteva la potenza una mente elevata, geniale. Bastava guardarlo per capirlo. Il fatto che fosse così estroso, la sua intera persona ne era la conferma di quel che stavo pensando.

Provai un enorme dispiacere perché io non sarei mai stata in grado di essere al suo livello. Che razza di intesa mentale avrei potuto avere con uno come Lui?

Qualunque cosa io avessi fatto sarebbe stata scontata, superficiale, normale.

Qualunque cosa avrebbe fatto Lui, invece, sarebbe stata impareggiabile e fuori dall’ordinario.

Quanta amarezza provai, tanto che sentii le lacrime salire.

Che mi prendeva?! Mi asciugai in fretta gli occhi quando avvertii la presenza di qualcuno. Era Wammy. “Belle!”

“Si!” risposi stridula mentre asciugavo frettolosamente il rimasuglio di lacrime dalle guance.

“E’andato bene oggi il lavoro? Potresti raggiungermi nella serra? Domani vorrei fare una lezione per i bambini su piante e fiori. Mi interesserebbe la tua opinione in merito e magari potresti proporre qualche idea. Che ne dici Belle?” Poggiandomi una mano sulla spalla, Wammy, con incoraggiante spirito propositivo, mi scosse per incitarmi a seguirlo.

Accennai un sorriso “Certo.”

Andando verso la serra domandai “Abbiamo una serra qui? Non ne avevo idea. E’ davvero enorme questo posto.”

Wammy aprì il lucchetto del vetrato vivaio “Sì e abbiamo anche un piccolo parco con un boschetto per fare piccole uscite extra per le lezioni di disegno, scienze e biologia. Dovresti farci un giro uno di questi giorni. Almeno finché questo sole inglese deciderà di splendere ancora.” Aveva gli occhi che ridevano e che mostrarono le piccole rughe d’espressione intorno ad essi.

Era formidabile come Wammy potesse farmi tornare il buon umore. Per quel che mi riguardava, dopo ormai tre mesi dal mio arrivo in quel posto, lo sentivo come il mio padre adottivo. Quasi certamente era qualcosa che riusciva a suscitare a chiunque toccasse il pavimento della Wammy’ House.

Wammy, posso farti una domanda sfacciata?” Esordii mentre eravamo intenti ad armeggiare con le varie piante.

“Sì, dimmi pure Belle.”

“Quand’è il tuo compleanno? Sai, io sono una che tiene molto ai compleanni.” Mentre abbassavo lo sguardo sulle foglie di un geranio sorrisi timidamente.

Rise di cuore “E questa sarebbe una domanda sfacciata?”

Com’era possibile che avevo la capacità di far esilarare Wammy dalle risate e con Lui riuscivo a strappare solo leggeri segni di un sorriso?!

“Comunque, piccola Belle, sarà domani.”

“Il primo di maggio! Davvero?! Posso fare una torta?” Ero davvero contenta neanche fosse il mio, di compleanno.

“Belle, ti ho detto un milione di volte che non devi chiedere il permesso per usare la cucina! E comunque grazie, accetterò ben volentieri la tua torta. Hai talento con i dolci.”

Il resto della giornata lo passai nella cucina a impastare, cuocere e decorare.

Non sapendo i gusti esatti di Wammy decisi di fare una torta con fragole e panna.

Maggio era la stagione delle fragole e quella torta era perfetta per quel periodo dell’anno. Anche se io l’avrei mangiata tutto l’anno. Tra tutte le torte è la mia preferita.

Finito tutto il mio trafficare in cucina, ebbi finalmente il tempo di salire in camera, crollare sul letto e cadere in un profondo sonno.

 

…“Mamma!!! E’ buonissima la torta!”

La mamma sorrideva “Grazie, amore della mamma.“

“Da grande voglio fare le torte, le torte come le tue e.....” Non finii la frase che lei mi abbracciò…

 

Non ricordavo di avere ancora un ricordo così nella mia mente.

Ma era un ricordo? O avevo creato io quel piacevole sogno?

Il mio cervello… il mio cervello aveva qualcosa che non andava ormai da qualche tempo.

 

Mi svegliai in lacrime e mi alzai lentamente dal letto. Il sole filtrava dai vetri della finestra. Sorrisi amaramente.

Diciotto giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno, il compleanno di mia madre, ma lasciai stare, quel giorno c’era altro da festeggiare e non volevo rovinarlo frignando per i miei ricordi e problemi.

Wammy mi chiese di non fare festeggiamenti. Decisione rispettabilissima, d’altronde non era un diciottenne e comunque molte persone non adorano celebrare platealmente il proprio compleanno. Così, finita la mattinata di lavoro con Wammy, noi due nella piccola cucina dell’orfanotrofio, tirammo fuori dal frigo la torta, la tagliammo e ce la mangiammo osservando la splendida giornata primaverile del primo maggio.

“Belle” Wammy mi chiamò placidamente.

Mmmh...” Distratta dal guardare altrove mi girai con sguardo sognante. Pensavo a Lui, il suo viso mi era rimasto in memoria.

“Vorrei farti un regalo.” Con la spatola Wammy cominciò a tagliare un’altra fetta di dolce.

“Un regalo? A me? Caso mai dovrei farlo io a te! Stai facendo così tante cose per me che nemmeno mio padre farebbe. Mi hai già regalato tantissimo, Wammy.”

“Vorrei che tu portassi questo pezzo di torta al ragazzo.” Disse quella cosa tra capo e collo porgendomi il piattino con la torta appena tagliata.

Wammy allora sapeva che lo avevo visto.

Rimasi stupita.

Lui rise sotto i baffi. Riusciva ad essere una specie di mago a volte. Come lo aveva capito?

“Allora tu sai chi è, vero?” gli chiesi quasi balbettando.

“Diciamo che lui è uno dei miei figli prediletti. Gli sono totalmente devoto ed ho estrema fiducia in quel che fa.” Wammy alzando il piattino mi porse ancora una volta la dolce fetta di torta, gialla e bianca, dove in cima spiccava una rossa fragola.

Segno che voleva esortarmi a muovermi ed essere meno restia.

“Capisco. Credo comunque di non piacergli…” Impensierita presi finalmente il dolce e continuai “Per me è difficile confrontarmi con dei bambini geniali, figurati con tipo come Lui.” Guardai Wammy in faccia con un’espressione incerta.

“Cara Miss Belle, tu sai che non tutto quello che pensiamo e vediamo è quel che sembra.” Rispose il mio patrigno con fare canzonatorio e dolce.

Aveva ragione, ero una stupida ed insicura.

Lui era un essere umano come me. Al di fuori del fatto che fosse straordinario, avrà pur avuto un cuore, no?

Un po’ più sicura strinsi il piattino con il dolce e mi diressi verso la sua stanza.

Avevo il cuore in gola davanti a quella porta, respiravo lentamente per calmarmi.

Poi si aprì violentemente e venni trascinata dentro per un braccio. Poco non ci mancò che rovesciassi la torta a terra.

“Diavolo!! Mi sarebbe potuta cadere la torta! Con la fatica che ci ho messo a farla.” Facendo quello sfogo mi ero improvvisamente sciolta.

“Perché non sei più venuta?” C’era una leggera punta di nervosismo nella sua voce.

“Io... io non lo so... tu…” Ero di nuovo in panne, lo scioglimento di un attimo prima era stata una mera illusione “…tu mi metti soggezione.”

Ecco, l’avevo detto.

Purtroppo non sono un talento della menzogna, ma con la sincerità sono un portento!

Eccolo. Sorrideva e adesso non era falso. Era vero. I suoi occhi brillarono.

Risposi con un timido sorriso.

Mi sfilò letteralmente dalle miei mani la torta e la poggiò a terra vicino al computer.

Pensai che quel sorriso fosse stato un diversivo per togliermela di mano.

Ovviamente ci rimasi male anche quella volta.

Si accovacciò in una posizione assurda da tenere, per me. Le mie caviglie non sono molto elastiche  e rischierei di cadere all’indietro.

Sedetti vicino a Lui guardandolo mangiare la mia torta. La consumava in maniera meticolosa, gustandola pezzo per pezzo. Era letteralmente sedotto dal dolce.

Capii, da totale amante del dolce, che Lui aveva un vero e proprio amore viscerale per quel tipo di cibo. Mentre si cibava ero affascinata e invogliata dal suo modo di mangiare, che era al limite del sensuale. Se si può definire così.

Stavo di nuovo arrossendo e mentre mi succedeva Lui si voltò.

Persi un battito cardiaco.

Prese un pezzo di torta e me lo portò alla bocca. Addentai, serrando le labbra, imbarazzatissima. Ma non finì lì, mi fece di nuovo trasalire togliendomi un po’ della panna finita agli angoli della mia bocca con la forchetta, portandosela poi alla sua.

Per me equivaleva, equivale tutt’ora, a specie di strano bacio.

“Sai, a me piacciono davvero molto le fragole.” Era un messaggio per dirmi che gli piacevo anch'io come le fragole? Non avevo mai sentito parlare nessuno in quei termini assurdi.

“Credo che tu mi stia facendo impazzire.” Avevo la voce pervasa dall’impaccio.

“Lo so ed è divertente.” Voltandosi verso lo schermo tornò a mangiare la torta apparendo quasi indifferente alla mia presenza.

Come? Divertente?! Non sapevo che espressione del viso avere o prendere! Mi aveva preso per un passa tempo?!

Irritata, assunsi un’espressione crucciata alzandomi di scatto.

Ero furiosa e me ne andai sbattendo la porta.

- Quel... quel... ma chi ti credi di essere! E io sono pure un’idiota perché... perché… -

Mi bloccai, avevo lo stomaco sottosopra. Vuoto, ma allo stesso tempo leggero.

Che diavolo! Possibile che mi piacesse anche solo il fatto che mi punzecchiasse e si prendesse gioco di me? Per quanto tempo sarei stata disposta a sottopormi ai suoi giochetti?

Sì, perché a Lui, da quel che avevo capito, piaceva giocare.

L’idea che con me potesse solo giocare mi fece arrivare una violenta fitta al cuore.

Eccole le lacrime... di nuovo...

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Capitolo 5
*** Compagnia ***


                                                                 
                                                                  Illustrazione di Alissa Duke http://www.alissaduke.com



 

                                            Compagnia

 

 

Non ebbi il coraggio di tornare indietro.

Forse ero stata troppo impulsiva, ma quel suo modo di fare mi aveva un po’ ferito.

La sera seguente ero nella mia camera con l’autostima sotto i piedi, a rimuginare sulla piccata reazione che avevo avuto con Lui, quando improvvisamente sentii bussare alla porta.

Chi poteva essere? Wammy lo avevo salutato un minuto prima di ritirarmi. Che si fosse scordato di dirmi qualcosa riguardo al programma didattico del giorno seguente?

Trascinandomi pigramente mi alzai dal letto e aprendo la porta rimasi di stucco.

Lui.

“Posso entrare?” Chiese portandosi la mano dietro la nuca con fare leggermente goffo.

“S...sì.” Tartagliai imbarazzata.

Si chiuse la porta dietro, prese leggermente fiato, sembrava titubante su come iniziare la conversazione. “Io volevo chiederti scusa.” Imbarazzo. Credo che fosse proprio imbarazzo quello che percepii dalla sua voce. Nonostante sembrasse costargli sforzo si scusò in modo sincero e realmente dispiaciuto.

“Non ti preoccupare. Va tutto bene, sto bene. Sono io che ti chiedo di scusarmi. Mi sono comportata in modo impulsivo, da vera isterica. Ma vedi, io non sopporto di essere trattata come qualcosa di bizzarro e inanimato, da prendere come un giocattolo. Mi manda in bestia. Tengo molto al fatto di essere considerata un essere pensante e con un’anima. Tutto qui.”

“Tu sei terrorizzata dalla mia persona vero?” Mi domandò con fare serio e diretto.

“Sì.” Aveva fatto centro. Spostai il mio sguardo dal suo viso al suo petto, i miei occhi vennero catturati dal bianco della sua maglia.

“Ti sei mai chiesta com’è essere quello che sono? Io non sono molto capace nell’avere contatti con altri individui.” Con leggera frustrazione mise le mani nelle tasche dei suoi jeans e fece due passi distanziandosi di poco da me.

“Il modo stesso in cui ne parli ne è l’esempio.” Asserii comprensiva.

Si voltò a guardarmi e i suoi occhi da prima inespressivi si accesero.

“Il problema...” il problema era che non sapevo il suo nome. In tutti quegli incontri con lui mai una volta avevo chiesto il suo nome e lui non si era mai presentato.

Ma capì al volo. “L. Mi chiamo L.”

“L...” pronunciai il suo nome e Lui sussultò o almeno a me sembrò sussultare ed io rimasi, sì, incuriosita dalla brevità del nome, ma non mi posi nemmeno una domanda sul fatto che fosse composto da una singola lettera dell'alfabeto.

“L, il problema non è come ti poni solo con gli estranei, ma come ti poni con chi provi simpatia o a cui sei affezionato o per cui provi rispetto. Questa è la differenza.”

“Capisco benissimo cosa intendi,  Belle.”  L abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi, poi tornò a scrutarmi.

Il mio nome! Io non glielo avevo mai detto!

“Come sai come mi chiamo?” Quel particolare mi aveva appena inquietata.

“Sei diffidente?” Disse muovendo le labbra in una specie di sorriso sbieco e provocatorio.

“No, è che....”

“Tranquilla. L’ho sentito costantemente urlare dai bambini e ragazzini nel giardino.”

Smorzato il mio dubbio mi concentrai su come aveva pronunciato il mio nome ed ebbi i brividi.

“L.” Mi ero addolcita nel pronunciare il suo nome.

“Sì.” Quel suo rispondermi uscì dalla bocca di L in maniera fluida e vellutata.

“Sono contenta che tu sia qui.” Non aggiunsi altro, avevo paura che mi scivolassero dalla bocca altre parole e che i nostri dialoghi potessero divenire sterili.

Fu L a spezzare il silenzio “Non esco molto ultimamente. Domani vorresti venire con me a fare due passi al parco qui dietro?” Propose pigramente mentre distoglieva lo sguardo su ogni particolare della mia stanza.

“Sì! Perché no. Wammy me ne ha parlato proprio ieri…” Proruppi sorridendo, lasciandomi prendere da un eccessivo entusiasmo.

Si voltò, lo vidi rimanere fermo a fissarmi e ci facemmo improvvisamente seri.

Incredibile come quel qualcosa aleggiasse tra me e lui.

All’ora non sapevo ben definirlo.

Il Magnetismo.

“Possiamo sederci a fare quello che vuoi tu?” Chiese L.

“Beh, io adesso stavo per mettermi al computer. Scrivo una mail a mio padre. Puoi farmi compagnia... mi piace... che tu rimanga. Puoi rimanere… quanto vuoi L.” Sul finale fui estremamente balbettante e impacciata.

Sorriso! Fece uno di quei sorrisi raramente veri.

Voltandomi da tutt’altra parte mi nascosi al suo sguardo. “Ok...” E non riuscii a dire altro.

 

Il resto del tempo lo passammo seduti vicini davanti la mia scrivania, come due compagni di banco, a leggere e rispondere alle mie mail. Di tanto in tanto notavo le sue dita allungarsi sullo schermo e sulla tastiera, indicandomi qualcosa che lo incuriosiva o digitandomi soluzioni ai miei intoppi telematici. Erano mani mascoline e allo stesso tempo avevano un’eleganza insolita, tutta loro.

Quando finii di fare le mie commissioni da computer, gli proposi di vedere un film.

“Ti va di vedere *‘Prova a prendermi’?” Mi è sempre piaciuto quel film.

Frank, un truffatore gentiluomo e poi Carl, il detective che lo insegue con intuito e costanza. Una coppia fantastica!

Portando il dito indice sul labbro inferiore, sembrò interessarsi “Va bene Belle”.

Guardammo il film totalmente presi. Io di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, guardavo il suo volto ancor più schiarito dalla luce del monitor e totalmente concentrato nella visione. Non so perché ma lo trovai adorabile e bello.

Ad un certo punto L interruppe la quiete della visione del film e la mia “Però questo Carl Hanratty è un osso duro. Non se la fa fare sotto i baffi da quel Frank. Mi piace.”

“Però Frank posso capirlo un po’. Si è trovato in un gran casino e forse, anche se in modo sbagliato, ha tentato di uscirne fuori.”

“Sei proprio compassionevole.” Il suo tono era inerte ma divertito.

Poi lentamente divenne seriamente atono come al solito “Vedi, anche se il crimine che commette Frank non sembra poi così orrendo, è comunque prendersi beffa delle persone oneste. Diventa perfino un bugiardo. E per che cosa poi? Per finire prima in carcere a poi alle dipendenze dell’FBI. Diciamo che la giustizia ha prevalso parzialmente. Inoltre non puoi immaginare, su supposizioni e giustificazioni semplicemente umane, quanto sia realmente  malevolo un mal intenzionato come quello.” L, espose la situazione di Frank  in modo analitico e cristallino. Quel suo modo di parlare mi insinuò, non so perché, qualcosa nella testa.

Nell’affrontare quell’argomento era critico in una maniera così vicina e personale, come se ogni giorno avesse a che fare con certe cose. Poi vidi qualcosa sotto i suoi occhi. Aveva delle vistose occhiaie, non le avevo notate prima di quel momento.

Anch’io ne avevo, ma non di simili a quelle. Molto probabilmente nell’oscurità della sua stanza erano state l’unico particolare oscurato della sua persona. E così fece capolino la mia curiosità “L... tu dormi abbastanza?”

“Beh, a dire la verità non molto.” Constatò facendo guizzare lo sguardo verso il soffitto della mia stanza.

“Soffri d’insonnia?” Preoccupata m’interessai.

“No, diciamo che faccio un lavoro insolito e molto sfibrante.”

“Ah, allora devi essere una persona... che ha molto bisogno d’aiuto... e... ” Mi fermai temevo di dire troppo, di apparire invadente e uno sbadiglio tempestivamente mi bloccò in tempo.

“Forse è il caso che io vada. Avrai sonno, devi riposare.” Dicendo così L, scese dalla sedia sciogliendo la sua postura richiusa e alzandosi in piedi. Scrutandolo constatai che era abbastanza alto, ma che il suo rimanere costantemente ricurvo, non permetteva alla sua statura di mostrarsi nella sua reale forma.

Continuai ad osservarlo ancora seduta sulla sedia della mia scrivania, mentre Lui rimaneva di poco rivolto di spalle. Non volevo se ne andasse, ma temevo di sembrare una bambina sciocca e che richiede attenzioni. Così decisi, con mia grande difficoltà, di alzarmi a mia volta e di dirigermi verso la soglia dalla mia stanza con Lui.

“Grazie L.” Sporgendomi di poco gli presi la mano mentre stava per andarsene.

La sua mano.

Temevo fosse fredda come il ghiaccio per via del suo colore latteo, invece era calda, sembrava infuocata. Per un istante L si bloccò, la sua mano rimase da prima rigida e poi, adagio, strinse delicatamente la mia.

Lasciai la presa a malincuore e serenamente dissi “A domani. Buona notte L e buon lavoro.”

“Sì. A domani.” All’apparenza quel suo congedarsi poteva apparire annoiato, ma appena alzai lo sguardo dalle mie mani, vidi i suoi occhi che mi trafissero. Togliendomi il respiro, mi punsero il fortemente petto.

 

 

 

 

 

*Prova a prendermi è un film del 2002 ambientato negli anni sessanta e interpretato da Leonardo Di Caprio e Tom Hanks. Il film tratto dal romanzo di Frank Abagnale Jr. e Stan Redding. Qui nella mia storia siamo nel 2001 e il film è uscito un anno dopo, ma ho voluto inserirlo per far spiccare, la deformazione professionale di L.

 

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Capitolo 6
*** Riflesso ***


                                                                 






 

                                                   Riflesso

 

 

Incredibile come le azioni e i pensieri di una persona riescano a influenzare qualsiasi cosa tu faccia. Si diventa qualcosa che è te e che allo stesso tempo non lo è.

La realtà appare diversamente, la persona che hai conosciuto è diversa dal resto, è quasi scontato, non occorre nemmeno che lo dica; ma io credo fermamente che questo non sia solo il frutto dell’innamoramento. C'è qualcosa nel procedimento di conoscenza di un altro individuo, che ti dà quella certezza palpabile che di lui potrai fidarti, che ha qualcosa di inestimabile che solo lui possiede.

L era questo, era prezioso più di qualunque altro essere. L’individuo più raro a questo mondo da amare ed era capitato a me. Questa non era fortuna. Quello che io ho avuto da lui, era qualcosa d’importante e che io dovevo avere, altrimenti mi sarei persa in me stessa, proprio come mi stava accadendo prima di decidere di partire per l'Inghilterra.

Lui per me era una vera e propria necessità che mi consentiva di vivere a pieno.

Era la mia simbiosi essenziale.

 

Il giorno seguente appena sveglia e davanti allo specchio, ero di una solarità che fuoriusciva dai miei normalissimi standard. Riuscivano a piacermi perfino i miei difetti.

Anche il fatto che fossi un po’ dimagrita non mi dispiaceva.

Il mio seno non prosperoso, le mie gambe che a volte trovo più pienotte rispetto al restante del mio corpo... riuscivo a giudicarmi graziosa!

Legai i capelli in una coda da un lato, misi addirittura un vestitino estivo dato che la temperatura era leggermente salita ed era notevolmente caldo per essere agli inizi di Maggio. Indossai un golfino a mezze maniche di un pallido rosa e che faceva spiccare il bianco del mio abitino. Infilai delle ballerine nere e guardai il risultato. Ero una perfetta maestrina, in un’altra situazione avrei voluto mandare in frantumi lo specchio per la mia svenevole apparenza, ma quel giorno sorvolai e mi feci trasportare da quella mattiniera euforia e non lo feci.

Scesi di sotto per cercare Wammy nel suo ufficio, ma quando vi entrai trovai Roger e ne rimasi leggermente meravigliata.

“Buongiorno Roger. Dov’è Wammy?” La mia voce squillante risuonò perfino alle mie stesse orecchie.

“Buon giorno Belle.” Col capo chino Roger rispose prontamente sebbene fosse concentrato nello sfogliare con attenzione alcuni documenti. Con molta probabilità nei giorni a venire sarebbe potuto arrivare qualche nuovo animo sperduto. “Wammy sarà assente per un po’, non so dirti altro. Mi ha comunque detto che puoi stare tranquilla. Sarà presto di ritorno e mi ha lasciato delle mansioni da farti fare.”

Sorpresa pensai - Che strano. Così all’improvviso -. La sera prima non mi aveva detto che si sarebbe assentato. Che diamine era successo per sparire così repentinamente? Dileguarsi poi nel giro di una nottata.

Non mi sentii offesa, ma ferita dal fatto che qualcuno a cui mi stavo affezionando così tanto, non mi avesse messo al corrente della sua assenza. Era sparito così, senza preavviso, senza una chiamata o un messaggio.

Ad un tratto ripensai al fatto che di delusioni ne avevo avute molte nella mia vita.

Ricordo che quando mio padre si presentò con colei che sarebbe diventata la sua nuova moglie, rimasi malissimo e non perché pretendessi che lui non si rifacesse una vita, ma perché mia madre era mancata da poco meno di un anno e per me fu come un vero e proprio tradimento. Un'amarezza, mi si spezzò il cuore e mi ripromisi di non volermi più sentire così. Forse quello che pretendo è che gli altri siano altrettanto sinceri quanto lo sono io con loro, a prescindere dal fatto che siano il mio datore di lavoro o un mio affetto stretto.

“Ah...va bene, grazie Roger. A dopo allora.”

L'attempato vicedirettore sollevò la testa dalle carte che stava esaminando e mi fece un cenno di saluto sorridendo; segno che aveva percepito un po' della mia perplessa afflizione. Chiudendomi la porta dietro lasciai fluire pigramente l'aria nei polmoni ed avviandomi a lavoro mi sentivo un macigno sulle spalle. Ed eccolo di nuovo, il vuoto, il tedio. Cominciava a ripresentarsi la pesantezza emotiva, la stessa che avevo prima che arrivassi alla Wammy’s House.

 

Non bastarono il cielo sereno, il sole che scaldava, il verde vivido dell’erba e i ragazzini a stendermi da quella pessima sensazione. Ridevo e nel frattempo mascheravo la piccola angoscia che nutrivo. Poi pensai ad L   Sì, più tardi andrò da Lui. – e in un attimo mi sentii più positiva.

Improvvisamente qualcosa si smosse, mi si aprì il cuore, sembrai meno cupa solo all’idea di Lui. Un tesoro nascosto all'interno della Wammy's House a cui potevo accedere in gran segretezza.

“Tutto bene Belle?” Affannosamente Roger si fermò davanti a me, piegato in avanti mentre teneva poggiate le mani sulle ginocchia. Aveva rincorso quel ragazzino con i capelli a caschetto biondi. Mello. Definirei quel ragazzo traumatizzante. Non c’è una volta che io non abbia avuto a che fare con lui e ne sia uscita indenne senza un livido. L’ultimo che mi aveva fatto sul braccio, era giallognolo e ancora non voleva sparire.

“Sì, tutto ok. Solo un po’ di cattivo umore.” Accennai un sorriso di circostanza per non impensierirlo troppo.

“So che tieni molto a Wammy, Belle. Ti garantisco che non è nelle sue intenzioni sparire così. È il suo lavoro, tutto qui.” Roger stremato si sedette sulla radice sporgente di una quercia.

“Già. Vero.” Involontariamente mi voltai verso la sua finestra. Credo che nessuno sapesse della sua esistenza, solo Wammy, io e, quasi sicuramente, anche Roger.

Cos’era tutto quel riserbo? Più mi focalizzavo su questo punto e più avevo l'impulso di salire dritta nella sua stanza con l'intento di frastornarlo di domande.

Finita la giornata di lavoro mi ritrovai finalmente davanti quella rampa di scale. A quei gradini che conducevano alla zona vietata ed avevo il cuore in gola. Iniziai a salirle piano per non farmi sentire, non volevo farmi tradire dal ligneo scricchiolio degli scalini. Attraversai a grandi passi il corridoio  ed eccomi alla porta. La spalancai lentamente. C'era il vuoto.

Percorsi tutti i lati della stanza con il volto neutro e che pian piano iniziava a contrarsi in una leggera espressione rattristata.

C’era il computer a terra, ma Lui, L... non c’era.

Disorientata mi guardai attorno come se mi fossi persa in un luogo sconosciuto. Ebbi lo sgradevole dubbio di essermi immaginata tutto quello che avevo fatto in quei mesi, come se non fossi mai esistita in quel posto.

Mancavo di coraggio per uscire da quella stanza, come se potesse essere possibile che Lui comparisse magicamente soltanto se fossi rimasta lì, immobile.

Mossi i miei piedi con un movimento meccanico ed indesiderato. Ma lo feci comunque per non sentirmi ridicola. Lentamente, e con una strana cura, chiusi la porta; con le mani che muovendosi impacciate mostravano la mia ennesima delusione in quel giorno; in silenzio, come se facendo rumore nel chiuderla avrei potuto rischiare di svelare il segreto della sua presenza in tutto l’orfanotrofio.

Camminai per molto fuori, prima nel giardino, poi oltre, fino a superare la serra ed arrivai all’ingresso di un grazioso boschetto.

Era quel parco di cui mi parlò Wammy e...

Addentrandomi nella piccola selva mi lasciai scappare prima dei profondi respiri, che poi tramutarono in singhiozzi. Sperai, e così fu, che nessuno sentisse il pianto che incombeva.

Aveva mentito. Lui mi aveva mentito.

Quando presi coscienza della bugia che mi era stata detta, il pianto divenne irrefrenabile, intenso e qualcos’altro ebbe il sopravvento. Questo qualcosa mi stava abbattendo, mi si scagliava contro, e sebbene qualunque ragazza l’avrebbe vissuto con gioia, prendendo quell’ondata con esultanza in pieno sterno, io invece me ne sentii sopraffatta e tradita. Perché ero arrivata a comprenderlo grazie ad una menzogna e mi fece vergognare. Era amore. Ero puramente innamorata di Lui. Non distinguevo il confine del sentimento che mi teneva legata al pensiero di L. E fui così  felice di essere in quel bosco, nascosta; nessuno poteva vedermi chiudere in me stessa mentre sprofondavo nella passione e nella disillusione. Mio Dio, quello che iniziava a divamparmi dal petto alla gola era un incendio che non si sarebbe mai consumato. Percepivo che sarebbe bruciato all’infinito tutti i giorni e tutte le notti.

Mi piaceva, L mi piaceva da morire.

Poi mi sentii persa come pochi minuti prima nella sua stanza. Dolore, molto dolore mi avvinse. Quel che provavo era solo mio, le mie emozioni e non sapevo neppure se Lui fosse in grado di provarne altrettanto forti e aggressive quanto le mie. Lui che era così enigmatico, freddo, inconsueto nelle sue reazioni ed emozioni.

Quanto mi sentii stupida, infantile dinanzi alla sua personalità che sprigionava una forza invisibile e che quando ero con Lui mi rendeva piccola e indifesa, ma mi faceva sentire così al sicuro; una fortezza che L espandeva oltre il suo confine.

Ad un tratto ebbi l’assoluta certezza che mi avrebbe scacciato se avesse solamente capito come mi sentivo nei suoi confronti. Ero convintissima che non mi volesse come io volevo lui. Stringendo convulsamente le mani congiunte, decisi che avrei fatto bene a starmene zitta e buona. Facendo così Lui non si sarebbe allontanato ed io non volevo che sparisse come quel giorno, magari in modo definitivo. Non volevo sentirmi di nuovo abbandonata da Lui.

Un suo abbandono per me equivaleva ad una agonia certa.

 

Per molto persi la cognizione del tempo.

Da quel giorno in cui mi lasciai andare a quello sfogo, non consideravo il tempo, ma lo percepivo comunque lento. Cercavo distrazioni che non mi davano alcun sollievo. Le giornate erano diventate pesanti.

I giorni iniziarono a  passare ad una cadenza distorta.

 

16 maggio

19 maggio, mia madre avrebbe compiuto quarantatre anni e mi mancava moltissimo.

30 maggio

  

Giugno.

 

3 giugno

 

Come un gatto ero ferma, ipnotizzata davanti alla finestra e il tempo fuori era grigio, plumbeo, minacciava pioggia ed infatti non tardò a battere contro i vetri.

Persi anche la consolazione di poter uscire in giardino, cosa che ormai era diventato il mio più grande diversivo.

Come era possibile che piovesse a Giugno!? Era una cosa che non concepivo. Un clima del genere in una stagione che avrebbe dovuto iniziare ad arroventarsi.

Tutto divenne disturbante, perfino le corse nei corridoi dei ragazzini. E pensare che alla fin fine erano loro il mio calmante più forte e benefico.

Mello era arguto come non potevo immaginare. Un giorno venne da me rivolgendomi un’espressione imbronciata e dicendomi “Belle smettila! Quando fai così sei pure brutta!” Poi scorbutico come sempre scappò via. Aveva capito che qualcosa in me non andava, ma in fin dei conti quando mai è andato qualcosa in me.

Venni distratta da quel ricordo su Mello, da qualcosa che d’un tratto comparve in lontananza e distorta dai vetri colanti d’acqua. C’era un qualche movimento all’entrata, in direzione del cancello. Provai a pulire con le mani il vetro che si era di poco appannato col mio respiro. Intravidi un’auto nera elegantissima e dalle forme ipotizzai fosse una Rolls-Royce.

Chi poteva essere con una macchina così in un orfanotrofio? Possibile fosse qualcuno in cerca di un’adozione? Già in quel mese due nostri bambini erano stati presi in affidamento, ma non ero stata informata da Roger che fosse in atto un’altra pratica d’adozione.

Con leggerezza stavo per distogliere lo sguardo dalla finestra, quando improvvisamente intravidi una figura familiare. Wammy! Coperto da uno spolverino nero sotto la pioggia battente.

Fu una strana immagine per me che lo avevo sempre visto indossare abiti, sì eleganti, ma molto informali.

Wammy aprì il cancello e rientrò in macchina guidando verso una zona della struttura che ignoravo. Singolare come anche l’orfanotrofio mi nascondesse qualcosa come una rimessa per le auto. Ancora segreti.

Che cosa aveva L di così prezioso da doverlo tenere nascosto? Tempo prima dedussi subito che anche Lui fosse con Wammy. L’associazione era stata lampante: sparito Wammy, sparì anche L.

Emozionata per il loro rientro, ma ancora un po’ ferita per il loro allontanamento, decisi di non andare ad accoglierli, non subito. Anche perché qualcosa mi fece pensare che non sarebbero rincasati dall’ingresso principale. Percepii una vena di dispiacere addosso; mi sentivo estromessa da qualcosa di ben poco chiaro.

Smisi di rimanere in camera a rimuginare e mi diressi velocemente alla stanza di L.

Non era ancora rientrato, ma alla fin fine, se riflettevo bene, Wammy poteva anche essere tornato da solo e questo mi fece stare ancora più male.

Udii lo scattare della serratura, il cigolio dell’aprirsi della porta, mi voltai. L’oscurità della stanza venne spezzata dal raggio luminoso proiettato dalla luce esterna del corridoio.

Eccoli insieme, L e Wammy sulla soglia.

Watari puoi andare.” Wammy eseguì la richiesta quasi come un ordine. Per me fu insolito vederlo comportarsi in quel modo. Nei gesti di Wammy c’era il più totale ossequio per L.

Io e L rimanemmo a guardarci per molto, ed eccolo il magnetismo, ma dovetti interromperlo per non rimanerne vittima e cominciai a parlare.

“Sei un bugiardo. Prima che io possa andare avanti nel mio autolesionismo con te, voglio sapere chi sei. Veramente. Perché promettermi di vederci e poi sparire il giorno seguente, come se fossi il frutto della mia immaginazione? Cosa vuoi da me? Perché mi hai guidato in questo posto? Perché nutri le mie speranze?” Sfogai tutto avanzando verso di Lui ed ebbi finalmente la sfacciataggine di affrontare il mio timore. Fermandomi a pochi centimetri da Lui, respiravo in maniera affannosa, dovevo trattenermi dallo scoppiare in lacrime per la pena che mi aveva provocato.

“Sì è vero, sono un gran bugiardo e spero che nulla possa mai farti del male. Me compreso. Io sono L. Non credo tu sappia chi io sia, perché agisco nel più totale anonimato. Sono un detective, mi definirei così. Seguo i casi più importanti e complessi al mondo. Diciamo che questo è tutto su ciò che sono e faccio. E perdonami se non ho rispettato il nostro appuntamento. Il mio lavoro come puoi ben vedere ha ritmi discontinui e mi può succedere di assentarmi per mesi. Ad ogni modo, da te non voglio nulla in particolare...” fu come ricevere un pugno nello stomaco. Una fitta m’inondò, allargandosi come una macchia, tutto il petto. Non respiravo dal malessere e continuai comunque a prestargli ascolto “… a parte quello che tutti desiderano e definiscono affetto. D’altronde, anche se non sembra, sono un essere umano anch’io. Che male c’è in questo?” Mi scrutò per un istante molto serio e con un’espressione che sprigionava una leggera amarezza, forse infelicità? “Ti ho portato qui proprio perché mi hai attirato quando passasti di fronte alla cancellata della Wammy’s House e nutro le tue speranze, sperando che tu nutra le mie." Rispose alle mie domande nell'ordine con cui gliele avevo poste. Io non sarei stata in grado, non ho molta memoria per farlo.

I suoi occhi scorrevano su ogni angolo del mio viso, erano intrisi di una passionalità difficile da cogliere in Lui e che prima di quel giorno non gli avevo mai visto.

Nelle mie orecchie risuonava la sua voce. Non mi ci sarei mai abituata, il cuore sembrava scuotermi la testa. Sospirai e colsi i miei occhi a bagnarsi di lacrime, abbassai lo sguardo provando pudore, timidezza e infine sentendomi fragile.

La sua mano mi prese la guancia e crollai sotto quella presa che voleva esprimere calore, ma che attuata da L era sì, sicura, ma al contempo la percepivo titubante. Come se non avesse toccato mai nessuno a quel modo.

Appoggiai la fronte sul suo petto, aggrappai le mie mani alla sua candida maglietta e Lui ebbe un leggero fremito. Piansi e mi sentii rassicurata da quei minimi contatti, perché in qualche modo Lui mi voleva, perché non ero impazzita, perché non avevo immaginato nulla.

Era vero, tutto.

 

 

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Capitolo 7
*** Contatto ***


                                                            
                                                                 Illustrazione di Sarah Melling       http://www.sarahmelling.com




 

                           Contatto

 

Il contatto fisico.

Diamo sempre molto peso ai gesti della persona che amiamo e che ci attrae. Quando ci abbraccia, quando ci invia concentrati del suo amore solo accarezzandoci, quando tocca le nostre labbra con le sue.

Il singolo, insulso, contatto della sua mano genera, letteralmente, una scossa elettrica. Invade ogni terminazione nervosa, ogni muscolo, accende le nostre percezioni e pulsioni.

A seconda dell'intensità del sentimento, ci si spinge sempre più oltre. Le istigazioni emotive a cui veniamo sottoposti, fanno muovere il nostro corpo, per percepire quello dell'altro e non avrei mai creduto che Lui potesse divenire audace, nel momento in cui lo divenni anch’io. Che elettrizzante necessità quella che porta a volersi unire, a rifiutare la separazione fisica.

È consuetudine aspettarsi che sia l’uomo ad avere quella disinvolta e capacità nell’affrettare la vicinanza fisica, rischiando di risultare sempre molto, troppo, istintivo più che innamorato, tralasciando e creando quel distacco che tanto distingue l'uomo dalla donna; rischiando di non rendere amore quello che lo ha guidato verso la persona che lo ha, appunto, soltanto attratto passionalmente.

Nel mio caso, e per mia fortuna, è stato frutto di una sincronia naturale, bella, e questo per me, che non avevo mai amato nessuno in quella nuova maniera, fu motivo di sollievo. È il modo migliore per sentirsi amata, senza percepire pressioni di alcun tipo. Forse per me è stato così perché stiamo parlando dello scostante L, ma credo che il suo modo di agire nei miei confronti, non dipendesse solo dal suo essere restio nei confronti del contatto fisico. Lui mi rispettava, capiva che doveva aspettarsi un mio segnale, voleva che lo volessi io, sempre; altrimenti non sarebbe stato giusto avermi in altra maniera. L si muoveva, io mi muovevo. Io mi muovevo, L si muoveva. Perfetto e mi sentivo in una palpitante pace.

 

La sera prima L mi aveva rassicurata, ma nonostante tutto qualcosa non mi era ancora ben chiara. Decisi comunque di non dargli un peso eccessivo, altrimenti sarei potuta risultare non solo indiscreta, ma fastidiosa e pedante.

In seguito quando rividi Wammy nei serali e silenziosi corridoi dell’orfanotrofio, lo abbracciai più forte che potei, mi era mancato molto e lui ricambiò altrettanto saldamente con una stretta affettuosamente vigorosa. Sentendomi la sua bambina, la sua preferita e con calorosa gioia dissi il suo nome borbottandolo timidamente “Wammy!”

“Belle, mi sei mancata moltissimo. So che ti sei molto preoccupata, ma stai tranquilla. Finché sarai con me ed L non dovrai mai, e dico mai, dubitare. Di nulla, mai.”

Allontanandomi di poco dall'abbraccio abbassai lo sguardo scoraggiata e commentai “Immagino che sarà molto difficile. Ed io... io non credo di poter far nulla. Non mi sento molto inutile.”

Prendendomi il mento, Wammy mi portò a guardalo sul suo saggio e attempato viso. Era così serio e un poco imbronciato per l'affermazione addolorata che avevo appena fatto “Non sei inutile Belle. Tu sei una consolazione e una benedizione. Sopratutto per lui.”

Sentendomi in imbarazzo, sopratutto per la sua ultima asserzione, guardai altrove e risposi esitante  “E voi due siete ciò di cui mi importa di più in questo mondo. Sopratutto ora che sono sola, qui, in Inghilterra.”

 

 

In tarda serata raggomitolata sul mio letto e con vicino il computer, mi rilassai un po’ i nervi mangiucchiando alcuni dolciumi rubati dalla dispensa in cucina, navigando e scrivendo. In quel lungo mese ero riuscita a buttarmi talmente giù, da  mandare solo qualche sporadica e-mail a mio padre. Avevo la stramaledettissima convinzione che se gli avessi scritto più del dovuto avrebbe capito il mio stato depressivo e magari mi avrebbe implorata di tornare a casa. Ed io non avrei voluto lasciare quel posto per nulla al mondo. In più c'erano quei piccoli misteri, L stesso, che mi tenevano radicata e incuriosita.

Il bussare alla porta della mia stanza mi interruppe mentre digitavo speditamente i tasti del computer. Intuitivamente capii che era Lui. Non so, forse il tipo di tamburellata sul legno, un sesto senso; sapevo che era Lui.

Adesso ero arrivata al punto di riuscire a riconoscere il modo in cui bussava ed a breve credo avrei imparato anche a sentire gli ultrasuoni. La cosa strana è che quell'episodio mi fece tornare alla mente un sogno fatto settimane prima; forse fu una specie di déjà vu, ma mi sembrò così identico da combaciare perfettamente con la circostanza che avevo sognato. Lasciai perdere quel mio elucubrare su fantasticherie poco credibili e andai ad aprire.

“Li hai rubati tu, vero?” L assottigliando lo sguardo, pose con fare minatorio, la mano tra la porta e lo stipite, tanto che stentai a capire se stesse scherzando o no. La sua faccia rimaneva impassibile e gli occhi erano pigramente affilati; un sorriso accennato spezzò l’insolita ilarità che voleva rimandare, ma in me ne produsse più del dovuto, dato che lo trovai incredibilmente irresistibile nel fallimentare tentativo di minacciarmi per dei dolci.

“Ora capisco perché sei il detective più ricercato del mondo.” Iniziai a ridere tra me e me e poi rimasi spiazzata. Intravidi, ancora, sulla sua bocca una via di mezzo tra un sorriso e il mostrare i denti. Era sempre un vero evento, trattandosi di Lui. Nel poco tempo in cui ci eravamo conosciuti, mi era nota solo la sua espressione fredda. Quell'episodio mi fece avvampare e tentai di essere un po' più loquace. Non appena si creavano situazioni di silenzio o ugualmente serie, compariva sempre quella sensazione, quel magnetismo. Avevo paura di cedergli, ma comunque desideravo così tanto affrontarlo.

Nervosamente guardai L che rimaneva fermo ad osservarmi. Forse lui non era guidato dai miei stessi impulsi, rimaneva così rigido, distante. Anche se in alcuni momenti notavo qualcosa di strano e in movimento nei suoi occhi che sembravano falsamente inespressivi. Bisognava osservarlo bene per capirne i più piccoli cambiamenti e non comprendevo come io riuscissi a coglierli.

E… ero qui sul letto a armeggiare con il mio portatile. Se ti va…” M'interruppi sentendomi, come ogni volta, in imbarazzo; Lui mi ascoltava con singolare attenzione e mi tolse dall’impaccio parlando a sua volta.

“Come vuoi. Per me va bene. Spero di non darti noia.” Suadente e in maniera sicura si sedette richiuso sul mio letto.

“Temo che sarò io a farti annoiare.”

“Questo non è detto. Non si possono mai sapere quali saranno i risvolti di una qualsiasi situazione. La tecnica giusta è rimanere attenti e aspettarsi di tutto.” Con particolare cura mi spiegò quel suo strano approccio, mentre nel frattempo ficcanasava con apparente distrazione sullo schermo del mio laptop.

“Diamine! Si vede che hai esperienza nel tuo campo.” Sorridendo mi avvicinai al materasso per accomodarmi anch’io, ma Lui non colse il tono scherzoso della mia affermazione, o forse lo aveva capito e lo sorvolò di netto, perché la sua risposta fu invece sostenuta e mi colpì moltissimo.

“Si può dire che sono il migliore. Forse un giorno lo vedrai con i tuoi occhi.” Rimasi impietrita dalla sua mancanza di modestia e dall’ostentazione che mi aveva avanzato con tanta sfacciataggine. Non riuscivo a distogliere il mio sguardo dai suoi penetranti occhi neri, poi interruppe Lui quel contatto visivo e rimanemmo per molto muti. Solo la busta di dolciumi faceva rumore ogni qual volta infilavamo la mano a turno al suo interno. Ad un tratto, mentre credevo che fosse la mia volta per pescare nella confezione, anche Lui fece lo stesso e ritrovammo le nostre mani intrecciate, intente a prendere il contenuto del sacchetto di plastica.

Avvertii ogni singola parte del mio corpo accesa, il cuore iniziò a prendere il ritmo che avrei potuto avere in una corsa sfrenata. Esitante osservai le nostre mani che si erano legate. Alzando il capo mi voltai ed era così vicino, vicinissimo.

“Sai, mi sei mancata molto Belle. Dovevo sforzarmi per non pensarti.” Piano e intrigante mi parlò ad un soffio dalla mia bocca.

“Dipende da come mi pensi.” Sentivo tremarmi la voce per l’agitazione, ma ero così curiosa e volevo sentirlo parlarmi ancora in quel modo.

“Credo in tutti i modi possibili e senza alcun contegno.”

Strinsi la mascella per il colpo verbale che avevo ricevuto e qualcosa nel mio stomaco si mosse. Le farfalle. Sì, ma non descrive a pieno la sensazione esatta ed esaltante che provai.

“Ho il tuo stesso problema.” Dissi in un filo di voce.

“Quest’ultima tua affermazione li rende ancora più intensi, direi.” Sebbene la distanza fosse divenuta millimetrica continuavamo a studiarci e Lui lo faceva in un modo ancora più puntiglioso e accurato del mio. Il tempo che trascorse tra le sue ultime parole e l’ulteriore avvicinamento furono un tutt’uno e poi avvertii le labbra morbide sulle mie. Il sapore dello zucchero. Il chiudersi degli occhi. Il suono del bacio. Il contatto.

Goffa, riuscii appena a staccarmi per prendere un leggero respiro, Lui mi riprese lentamente mi riportò verso di sé; con la mano toccò la mia guancia, l’orecchio, il collo. Non pensavo le sue mani fossero così avvolgenti e grandi, spigolose mi prendevano la testa. Non potei fare a meno di seguirlo.

I suoi occhi si riaprirono di poco e mi guardavano, vedevano che arrossivo e questo li fece incendiare; iniziò un nuovo bacio e fu differente dal primo. Le sue  labbra si mossero diversamente, sinuose assaporavano, prendevano e lasciavano le mie. Ricordava il modo in cui mangiò la torta tempo addietro. Lui mi stava provando. Non si fece intimidire da nulla, combatteva la sua reticenza al contatto fisico e continuò. Io risposi con altrettanta coordinazione e fu come impazzire, sentirlo respirare con quell’insolito trasporto e  affanno mi sconvolgeva.

La cosa che mi ammaliava di più, è che io stessa ero la causa del suo sconcerto.

Dividerci fu la cosa più complicata da fare.

Ecco cosa succedeva a cedere al magnetismo. Facevo bene ad averne un po’ timore, ma faceva parte di quel sottile gioco di forza d’attrazione. La verità era che incoraggiarlo fu la cosa migliore e più naturale che potessimo fare.

L, ancora incantato dalla novità che aveva appena vissuto, mormorò, più a sé stesso che a me “Cos’era? Mai provata una frenesia simile…

Si voltò a guardarmi con sorpresa, pensavo che volesse farlo di nuovo, ma non lo fece. Rimase a pensare, a rimuginare mordicchiandosi il pollice ed io chiudendomi in me stessa mi rannicchiai come Lui. Non sapevo che fare. Avevo le tempie che battevano “Ti è dispiaciuto?” Domandai insicura.

“No, al contrario. Lo farei ancora e ancora.” Replicò lesto e certo matematicamente di aver capito quel che gli era successo e di quel che voleva. Avrei voluto scappare, avrei voluto nascondermi da qualche parte, se non fosse stato per il fatto che ero già nel posto in cui potevo rifugiarmi e sentirmi riparata, ovvero la mia stanza.

Mentre dentro sentivo smuovermi come in una burrasca e il mio viso prendeva l’aspetto di un tizzone ardente, la voce di L penetrò il mio isolamento “Meglio che vada. Non posso rimanere.”

“No!” Mentre si alzava dal letto, sentendomi afflitta e desolata dalla sua decisione, mi scappò di bocca quell’esclamazione supplichevole. “Ti prego, non te ne andare. Sei qui da pochi minuti e... mi dispiace...” Non volevo si allontanasse, non in quel preciso istante, lo volevo con me, ancora per un po’.

“E di cosa dovresti dispiacerti. Non hai fatto nulla di male, anzi. Ok, rimango ancora se ti fa così piacere.” Ed eccolo che ancora in piedi, si curvò ancora di più della sua abituale postura e si piegò su di me. Questa volta fui io a baciarlo, delicatamente, quasi a non sentire le sue labbra. Lo feci con premura, avevo paura di poterlo spaventare baciandolo con troppo trasporto; poi di nuovo le sue labbra più sicure, poi di nuovo io...

“Potrebbe diventare assuefazione la mia. E come avrai notato, sono davvero maniacale per certi versi.” Il soffio delle sue parole sul mio profilo mi fece piacevolmente rabbrividire.

Affrontai comunque i suoi occhi, infine avvicinando la mia guancia alla sua e cingendo il suo collo, sussurrai “Allora lascia che lo diventi, L”.

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Capitolo 8
*** Lei dimenticherà ***


                                                                 




 

                       Lei dimenticherà



Dopo aver assaggiato qualcosa di buono, aver inalato il profumo più eccellente, voi riuscireste a scordarlo?
Ne dubito.
Con Lui fu così. Centuplicò le mie sensazioni. 
E’ in questi istanti che ci si accorge che non si ha che fare con qualcosa di semplice e rimovibile dalla propria memoria con i semplici meccanismi di difesa consci e inconsci.  


Wammy dove va questo libro?” Esibendo il tomo che avevo in mano, mi rivolsi al mio anziano amico mentre ero poggiata ad un piolo della scala di una delle librerie della biblioteca.

Incredibile quanto gigantesco fosse quel posto, non lo era solo Wammy’s House in sé, la biblioteca era un vero e proprio database di qualunque argomento. Pensare che a vederla dalla prospettiva della cancellata mi sembrò piccolissima. Quando ricordai di aver intravisto degli scaffali pieni di libri dall’esterno delle finestre, avrei giurato che non fosse più grande di una stanza. In verità conteneva ulteriori piani, tre per l’esattezza, divisi ognuno da robuste pavimentazioni in massiccio legno e parchè, con adagiati sopra divani e rispettivi tavolini.
Quel giorno Roger e Wammy mi chiesero di aiutarli a riordinare alcuni libri che erano stati lasciati in giro da alcuni ragazzi e che si erano accumulati nel tempo.
Mentre ero intenta a catalogare i volumi per argomentazione e numerazione, mi trovai per le mani Jane Eyre.
“Charlotte Brontë…” parlottai tra me e me, portando l’attenzione di Wammy sulla mia persona “Trovo molto bello Jane Eyre. Mi sembra di somigliare un po’ alla protagonista ultimamente.” Ad occhi bassi sulla copertina del libro sorrisi imbarazzata.
“Se ti piace, Belle, puoi prenderlo e poi metterlo a posto quando hai finito di leggerlo. Inoltre saresti d’esempio a questi piccoli mascalzoncelli che non rimettono a posto dopo aver fatto la loro lettura.” Con un sorriso sotto i baffi l’anziano uomo tornò a rimettere in ordine in attesa della mia risposta, che non tardò ad arrivare.

“Oh... grazie Wammy, ultimamente sono proprio dell’umore per leggerlo. Ne ho davvero bisogno.” e sperai fortemente che non mi facesse diventare svenevole più di quel che già ero.

Quella sera fui galvanizzata dalla lettura che mi attendeva. Feci velocemente cena e mi chiusi in camera entusiasmata. Non importava quanto fossi stanca, presi Jane Eyre, accesi la bajour sul comodino e mi misi bocconi sul letto a leggere.


“Qualche volta ho nei suoi confronti una sensazione curiosa, specialmente quando mi è vicina, come ora. Mi sembra di avere una corda nella parte sinistra nel mio petto strettamente legata a una corda analoga nella parte corrispondente della sua personcina. E se mare e terra si frapporranno tra noi, temo che quella congiunzione andrà spezzata, e ho la convinzione che comincerò a sanguinare dentro… quanto a lei… mi dimenticherà!" Mr.Rochester - Jane Eyre 


Adoravo i sentimenti del Mr. Rochester per Jane.

Da prima non sembra darli a vedere ed è qualcosa che cresce lento. Questo lo trovo perfetto. In seguito essi esplodono con una passione e determinazione, tanto da fargli proferire quel genere di frasi che qualunque anima innamorata vorrebbe sentirsi dire. 
Lui somigliava molto a Mr. Rochester agli inizi del romanzo… così misterioso, orso, e il solo pensarlo mi scosse turbandomi un bel po’.
In effetti la cosa che amavo di più in L, nel suo modo di essere chiuso e diffidente, era proprio il fatto che non fosse scontato in quello che faceva, perché, molto probabilmente, non aveva mai vissuto o sperimentato certi tipi di sensazioni. Non dimostrava quello che sentiva in maniera ovvia, come ci si aspetterebbe da qualunque persona. Forse sarà stato per la sua intelligenza o magari la sua stessa inesperienza che lo portava a trovare strategie di comportamento sempre differenti, ma aveva la capacità di confondermi meglio di chiunque altro e non potevo fare a meno di avvicinarmi sempre di più alla sua persona non appena scorgevo in Lui questo atteggiamento.
Era avvenente il suo essere impenetrabile con me e la incredibile consapevolezza che lo sarebbe sempre stato. Mi avrebbe sempre fatto sentire costantemente sul filo del rasoio.

Altre giornate passarono e ci alternavamo facendoci visita nelle nostre rispettive stanze e quel “magnetismo” c’era sempre. Tangibilissimo, ma goffamente non vi cedevamo. 
Diciamo che, oltre ad attrarci reciprocamente, parlavamo, e con Lui era così bello, divertente e stimolante conversare. Sapeva sostenere le chiacchierate banali e che, anche conoscendolo appena,  sapevo forse lo annoiavano a morte. Ma la nostra ultima conversazione sfociò in qualcosa di differente, che elettrizzò non proprio come avrei voluto il nostro dialogo e che mi terrorizzò. 
“L, eri tu dietro le spalle di Wammy, la sera che qualcuno si introdusse a casa mia, vero?”
“Sì, volevo vedere come stavi e cosa ti avesse fatto.” Rilassato L mise in bocca un cioccolatino alla gianduia che aveva preso tra i tanti selvaggiamente riversati sul pavimento della sua stanza segreta dopo averli rovesciati dalla scatola.
La sua ingenua calma mi fece allarmare - Come cosa mi avesse fatto?- Riflettei e pensai che probabilmente non aveva detto quella cosa tanto per buttarla lì. Voleva parlare di quella sera, era chiaro.
Incuriosita replicai la mia domanda ad alta voce “Che significa cosa mi avesse fatto?”
“Bene, ti dirò tutto. Ma prometti di restare calma e, altra cosa, sappi che da quello che ti dirò dipenderà ciò che vorrai fare della tua vita: con me, con Watari e la Wammy’s House.”
Feci cenno di sì con la testa, anche se l’ansia mi stringeva lo stomaco, volevo comunque sapere.
“Qualche anno fa, in questo orfanotrofio, c’era un soggetto molto promettente. Si chiamava B ed era molto amico di un altro soggetto, anch’esso davvero valido, A.  Ora tu saprai che qui in questo istituto tutto è mirato ad allenare, coltivare, far progredire al meglio le intelligenze perfette, ovvero geni. C’è molta competitività e A, l’amico e compagno di B, non resse, si suicidò…” Ebbi i brividi al suono delle parola ‘suicidò’, ma continuai lo stesso l’ascolto “B, preso dal risentimento e l’impeto d’odio se ne andò. Da allora il suo obiettivo è superarmi e tutto quello che si frappone tra me e lui, è un ostacolo.”
Nel pieno della mia angoscia ricordai la scritta di sangue che albergava sul muro del mio soggiorno e la parola 
OSTACOLO.
“Adesso non farti prendere dal timore e non tirare conclusioni. Io...” L esitò con leggero disagio per un istante e poi proseguì “…noi non ti abbandoneremo. Se è questo che ti spaventa, e nemmeno ci tengo a lasciarti andare col rischio che fuori ci sia lui che per vendicarsi potrebbe ucciderti. E’anche vero che non posso nemmeno costringerti a stare qui con me. Per questo ti chiedo cosa vorresti fare: rimanere con me? E bada, questo comporterebbe l’abbandonare tutto. La tua normale vita di sempre, la tua identità, che tra l’altro già tieni ben celata, e rimanere per sempre nascosta con me e i miei segreti, il mio lavoro e le sue conseguenze, oppure decidere di continuare a vivere così, tenuta sempre sotto controllo anche quando non vivrai più nell’orfanotrofio o anche solo passeggiando per la strada senza rinunciare a tuo padre e all’affetto di tutti i tuoi cari.”  L espose tutto seccamente, asettico, ma con un minimo accenno di premura solo nella parte finale del discorso.
Quello non fu prendermi contropiede con una scelta, non era bianco o nero, bene o male. Si percepiva benissimo che quella era una chiara proposta per farmi rimanere con Lui, non solo per proteggermi, ma per non cedermi egoisticamente a nessun altro.
L’incognita non era la scelta, che non c’era. Era chiaro fin dall’inizio, appena lo conobbi, appena mi concesse la possibilità di avvicinarlo che non sarei potuta più tornare indietro. Era la bellissima trappola che mi ero costruita da sola, per me stessa. Ma l’evidenza dei fatti era che se veramente fossi tornata alla mia normale esistenza, che comunque mal sopportavo, tutti sarebbero potuti essere in pericolo, tutti, senza esclusioni. Ed io detesto le perdite.
Se quel pazzo avesse deciso di fare del male a mio padre? O ai miei più cari amici?

No! Avrei preferito che mi credessero morta piuttosto che vedere le loro, di morti.
Fu tremendo contrapporre questi sentimenti d’ansia e preoccupazione per chi amo, al qualcosa che mi lacerò il petto all’idea, solo l’idea, che se mi fossi allontanata da Lui mi sarei disfatta.
Sedetti lentamente sul letto che L aveva fatto sistemare nella sua camera perché io, cedendo al sonno, potessi dormire senza dover abbandonare la sua compagnia mentre Lui passava le sue lavorative, consuete, notti insonni.
Respirai profondamente e sospirai. Combattevo con me stessa, ma sapevo già quale sarebbe stata la risposta che avrei dovuto dare e che Lui sapeva gli avrei dato.

Aprii gli occhi “Accetto... starò con te, scorderò tutto, il mio nome, quello vero, e che tu sicuramente sai, perché quello che pronunci non è il mio nome. L’avrai certamente scoperto e indagato a riguardo…” Lo osservai attenta per scorgere una sua reazione, ma rimase di spalle, rannicchiato a fissare lo schermo in maniera disinteressata. Arrendevole proseguii “Scorderò la mia famiglia e tutti i miei cari. Non voglio discolparmi ai tuoi occhi, ma non lo faccio solo per mio egoismo... io... ti... ma non voglio che nessuno paghi per me. Nessuno.”
Le mie ultime parole mi si strozzarono in gola. Piansi ed infine mi rannicchiai sul letto mentre mi inzuppavo di lacrime.

Lui sentendomi singhiozzare, ancora rivolto verso il computer si smosse appena, sembrò avere un sussulto, molto probabile che un pensiero lo avesse colto alla sprovvista ed era difficile decifrare cosa potesse essere. Finalmente si voltò e mi guardò, poi alzandosi dalla sua posizione venne da me e mi si sdraiò vicino parlandomi piano “ Sono il perfetto esempio di egoismo. Ora sei mia e non avrai nessun altro legame a questo mondo se non con me. Eppure non riesco a dispiacermene.”
Che strana liberazione che provai. Che modo ridicolo e vergognoso di trovare sollievo. Forse nemmeno io riuscivo totalmente a dispiacermene. Il fatto che anche Lui condividesse il suo egoismo col mio, mi faceva stare meglio.
D’un tratto mi sorpresi guardandolo, mi meravigliai che fosse lì, sdraiato con me, l’uno di fronte all’altra. Chiuse gli occhi e sembrò dormire. Avvicinai premendo piano la mia fronte prima tra la sua bocca e il mento, per poi richiudermi nell’infossatura del suo collo e respirai il suo odore zuccherino. Lo sentii avvicinarmi ancora di più e chiudermi a sé con le braccia.
Con voce roca parlò attento “So che… non sono capace nel fare questo tipo di cose… ma visto che ho dato abbastanza sfogo al mio egoismo, vorrei riuscire a dirlo…

“Ti amo” lo interruppi perché sapevo che non sarebbe riuscito a dire nulla, così lo anticipai e parlai per Lui.
Ci fu una pausa di pochi secondi che a me sembrarono eterni ed infine venni colta di nuovo di sorpresa.

“Dormi C*****” Sentire il mio vero nome pronunciato delicatamente da L, equivalse ad una vera esternazione d’amore, un’intima confidenza. La sua dichiarazione per me.

Colsi che non sarei più stata quel nome, che mi apparteneva, sì, ma non ero più io. L lo aveva preso con sé, lo sigillò nel suo scrigno interiore d’informazioni, sentimenti e vite, e della sua vita. Quando lo proferì seppi che la mia vera me se l’era presa Lui, se l’era rinchiusa dentro.

In seguito la confusione della mia dolorosa e piacevole elaborazione, si dissolse, finì e  poi più niente.

Adesso ero Belle.

 

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Capitolo 9
*** L'addio ***


                                                  
                                                 Illustrazione di The Drunken Artist  http://the-drunken-artist.deviantart.com




 

                            L'addio

 

 

Quando mi destai ero ancora nella sua stanza e dalle strette fessure luminose delle persiane, capii che ormai si era fatta mattina inoltrata. Lui non c’era.

Mi girai nel letto e poggiandomi la mano sulla fronte, credetti di aver sognato tutto.

No, quello non era stato un sogno. Il realizzarlo fu un miscuglio tra la gioia e l’amaro.

Non riuscivo a capacitarmi che stava per attuarsi un cambiamento nella mia vita così radicale da farmi sentire la terra sgretolarsi sotto i piedi. A momenti alterni quel solo pensiero mi toglieva il fiato. Sebbene mi sentissi disorientata, in verità non mi ero sentita mai così al posto giusto come in quegli istanti.

Avrei dovuto scrivere un’ultima mail a mio padre e la cosa non poté produrre altro che il farmi salire le lacrime, perché avrei dovuto apparire il più normale possibile. Avrei dovuto essere spensierata nel mio modo di congedarmi definitivamente dalla sua vita.

Il mio addio avrebbe dovuto essere sottointeso, silenzioso, da intendere tra le righe.

Nel bel mezzo della mia angoscia scattò la serratura della porta ed entrò Wammy seguito da L. L’anziano uomo senza preamboli iniziò a parlarmi “Buon giorno Belle. Devo parlarti di come si svolgerà la tua scomparsa...” il respiro quasi mi si bloccò e Wammy cominciò leggendo un foglio che aveva portato con sé.  

“Dunque Belle, ho già provveduto a preparare i tuoi nuovi documenti anagrafici. Da oggi in poi sarai Marie Belle Edwards.” Che strano effetto ebbe il sentir pronunciare quella nuova identità in maniera completa.  Con quel nuovo, ufficiale, nome qualcuno avrebbe potuto scambiarmi per l’eroina di un qualche libro, una via di mezzo tra la protagonista di una fiaba e una lontana, forse inesistente, nobiliare dinastia inglese. Con indolenza riportai la mia attenzione su Wammy, che vedendomi assorta nei miei pensieri, si era fermato nella lettura e prontamente proseguì “ Sei la figlia di mia figlia, ovvero mia nipote...”

“Oh, non sapevo avessi una figlia, Wammy.” Lo interruppi incuriosita.                                                                                             

“Infatti non ne ho, Belle, ma dobbiamo fare in modo che il tutto sembri il più reale e inattaccabile possibile…” Poi schiarendosi la voce continuò “Sei nata a Londra il 4 Luglio del 1984, i tuoi genitori sono Niegel John Edwards e Rosemary Wammy. Li hai persi entrambi. Il primo per un incidente sul lavoro e la seconda per malattia…” sì, l’ultima bugia era proprio veritiera “...da allora sei stata affidata a me e questo è tutto. Prima di lasciarti per scrivere la tua ultima e-mail a tuo padre, ti comunico che la tua dipartita avverrà per uno strano malore e comunicheremo la notizia dopo domani. E questo è davvero tutto.”  Wammy fu così risoluto e professionale nel proferire quel testo che quasi non lo riconobbi.  

Avevo freddo. Quelle parole suonavano così fredde.

Mentre il mio sguardo rimaneva vacuo e spento nella direzione di Wammy feci cenno affermativo, potei notare che il suo sguardo cominciava a riscaldarsi di nuovo d’umanità, per darmi forza rassicurandomi. Sospirando profondamente mi alzai dal mio giaciglio. Uscendo mi fermai a dare un placido sguardo ad L, che da quando era entrato, non aveva fatto altro che stare rannicchiato davanti al suo computer, senza degnare di uno sguardo né me, né tanto meno Wammy. Chissà se era stato Lui a creare quella mia nuova identità? Vedendolo lì a terra, mi sembrò essere più ferito di me, ma non badai a quella strana impressione ed arrendevole finalmente mi diressi nella mia stanza.

 

Davanti al mio laptop ero realmente scossa da una forte angoscia.

Dovevo risultare serena e tranquilla, come in un qualsiasi giorno estivo dopo aver finito col lavoro, rilassata davanti a quello schermo.

Presi coraggio e allungai le mani sulla tastiera, poi notai che stavano tremando.

Sentivo le labbra contrarsi con il pianto che poteva diventare imminente da un momento all’altro. Deglutii, respirai profondamente e di getto cominciai a pigiare i tasti.                                                               

 

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Da: ******

A: *******

Data: 10 luglio 2001, ore 11:30

Oggetto: Tutto ok

 

Ciao papà, tutto bene?

Oggi qui si muore di caldo. Non riesco a credere come anche in Inghilterra riesca, alle volte, ad essere così caldo!

Il lavoro va come al solito, i bambini sono chiassosi, ma mi fanno stare davvero bene.

 

...ed ora la parte più difficile...  

 

Sai, ultimamente non mi sento un granché bene. Non so, ho giramenti di testa, mi sembra quasi di cadere da un momento all’altro. Niente panico! Mangio abbastanza, se è questo ciò che starai già borbottando e prometto che domani andrò a farmi vedere. Promesso!

Adesso devo andare, esco un po’ fuori, magari l’aria aperta mi farà bene.

Mi manchi anche se non do a vedere, ma sai, qui la vita è molto diversa e non sempre riesco a mettermi qui per scrivere qualcosa di sensato, se non della solita routine.

Stammi bene e non preoccuparti, sto bene, papà.

 

 

                       Ti voglio davvero, tanto, bene.                                                                                                                                  

_______________________________________________________________________

 

 

Non riuscii a scrivere altro.

La mia fantasia sullo scrivere normalmente era definitivamente esaurita.

La maniera giusta per concludere quella e-mail sarebbe dovuta essere ‘Addio’, ma il copione da seguire non me lo permetteva.

Premetti -Invio- osservando l’icona di una bianca bustina sparire ad intermittenza.

Lasciai cadere lentamente la testa sulla superficie fresca della scrivania e scoppiai a piangere.

Non so quantificare quanto io odi gli addii.                         

Percepii qualcuno entrare in camera, era L.

Sollevandomi adagio lo guardai atterrita, mi alzai dalla sedia con un gesto veloce e lo abbracciai singhiozzando. Da prima lo sentii irrigidirsi, quella reazione improvvisa lo spiazzò, quasi spaventò, con esitazione provò a rispondere all’abbraccio. Sembrava apprendere come stringere pian piano, sembrava non l’avesse mai fatto. Poi finalmente lo  sentii aumentare la forza della sua stretta alla stessa cadenza di come crescevano i miei lamenti. Più piangevo, più mi teneva a sé per accelerare la fine del mio pianto. Ne sembrava stranamente toccato, coinvolto. Sembrava indifeso quanto me, proprio come quando lo vidi poc’anzi nella sua stanza.                                                            

“Scendiamo fuori in giardino, vuoi?” Repentinamente L parlò controllato ritornando sé stesso, riuscì a calmarmi e colsi della sensibilità in quella sua proposta sebbene il tono non lo desse a vedere.

S-sì… sì.” risposi, alternando singulti a respiri agitati e convulsi.                                       

 

L’aria calda m’investì quando superai la soglia della porta che dava sul giardino vuoto.

Roger doveva aver portato i bambini al boschetto quel giorno, molto probabilmente, era il giorno del disegno.

I miei occhi arrossati soffrirono fortemente la luce solare, mugolando dal fastidio mi avvicinai ad L prendendo un lembo della manica della sua t-shirt. Neutro osservò di sfuggita quel mio gesto tornando poi a guardare avanti al nostro percorso.

“L, tu ricordi i tuoi genitori? Li hai conosciuti?” Ancora ammaccata dal pianto lo guardai in attesa della sua risposta.

“Sì.” laconicamente rispose. Capii che non mi avrebbe detto altro e non chiesi altro, non serviva, avevo colto un qualcosa di mesto. Tutto in quell’unica risposta affermativa.

Così fui io a parlare dei miei. Volevo condividere la mia famiglia, i miei ricordi su di essa, con qualcuno che stava per diventarlo per me.

“Sai, mio padre e mia madre si amavano davvero molto e dovettero sposarsi perché lei aspettava me. Nel posto in cui vivevo sarebbe stato disdicevole per una ragazza non sposarsi in quelle condizioni. Malgrado questo, stavano bene. Mio padre ha dei difetti rilevanti, è egoista e ha privato per molto tempo me e mia madre delle gite e degli svaghi.  È un tipo ansioso e qualche volta la depressione lo rabbuia, ma a dispetto di questo io e la mamma gli volevamo bene. Io gli voglio bene…” mi interruppi, la voce mi tremava. Ripresi fiato. “Tra alti e bassi, come in ogni famiglia, abbiamo avuto gioie, momenti difficili, ma mai come quando la mamma si ammalò. Facemmo tutto quello che potevamo  fare. Le auspicarono un anno, massimo due anni di vita. Quando la mamma se n’è andata, è calato il sole, è diventato tutto buio anche per me. E forse iniziai a capire un po’ di più della sofferenza di mio padre. Nonostante questo a casa non riuscivo nemmeno a sopportare la sua presenza. Addirittura credevo di odiarlo, ma non è mai stato così. Dipendeva dalla mia rabbia, dal mio egoistico dolore per non avere più con me mia madre. Credevo di soffrire di più e solo io, quando invece è lui che ha sempre sofferto in silenzio e adesso sono io ad abbandonarlo. Adesso anche io gli sto dando la stessa pena e mi chiedo se la sua neomoglie, con cui a deciso di stare, sarà in grado di dargli la consolazione necessaria. Oh, sono orribile! Il mio egoismo e la pericolosità della situazione in cui mi trovo lo distruggeranno...” non ce la feci, il pianto fu di nuovo irrefrenabilmente copioso. 

L rimase silenzioso vicino a me, mi sembrò di vedere un’ombra sul suo viso. Capiva, capiva perfettamente ciò che mi stava consumando. Ancora una volta lo percepii solidale. Ma come poteva essere possibile? Lui era orfano, doveva aver sofferto il doppio di me, doveva aver conosciuto la vera essenza dalla solitudine a questo mondo, avrebbe dovuto prendermi a schiaffi, farmi sentire una sciocca, viziata persona che almeno ha avuto il privilegio di avere ancora un unico genitore e che ora lo stava  abbandonando.

Si voltò con espressione determinatamente seria “Tu non sei orribile. Non occorre che te lo dica. Tu non hai colpe, non ne hai nessuna. Sono io che ti chiedo perdono se ti sto dirigendo dove io voglio che tu vada. Tutto questo non è solo per tenerti in salvo. A modo mio sono meschino. Il mio, come ti ho detto ieri, è egoismo. Ti voglio per me e per di più a te va bene, lo hai accettato. Inoltre, io non so cosa fare in queste situazioni. Sono capace di fare molte cose, ma questo, questa cosa che sta accadendo con te, per me non è solo una novità, mi mette davanti alla mia incapacità nel non saper fare qualcosa che vorrei saper fare.”

“Allora non fare nulla L. Stammi solo vicino e non mi abbandonare, non abbandoniamoci. A me basta questo. Perché se dovesse accadere ho l’assoluta certezza che cesserei di esistere. Inoltre, puoi sempre imparare. Puoi diventare capace di esprimerti, anche solo, soltanto, con me. Tu puoi farlo, perché hai qualcosa dentro che ti rende la creatura più dolce di questo mondo. Se vuoi tenere tutto questo celato al resto del pianeta o agli altri, fallo. In cambio io ti chiedo solo di darmi questo pezzo di te, L. Solo a me. E a dirti la verità, mi piace il fatto che tu sia così impacciato, mi piace che tu sia così.”

Seduta sotto l’ombra dell’enorme quercia poggiai la testa sulla sua spalla, mentre lui si era accomodato vicino a me nel suo solito modo. Mi strinsi al suo braccio cingendolo con entrambe le braccia e fissai la mia nuova casa, pensando alla mia nuova vita. Sentendomi protetta, consolata pregai perché mio padre continuasse a stare bene e in salvo nonostante la mia assenza.

L mi guardava senza dire nulla e mentre i suoi occhi mi percorrevano ebbi un’esplosione nel mio cuore. 

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Capitolo 10
*** Gabbia dorata ***


                                                                       
                                                                       Illustrazione di Alexandra Nea




 

                                       Gabbia dorata

 

 

In fin dei conti la mia vita non cambiò molto, sembrava la stessa che conducevo da quasi cinque mesi alla Wammy’s House. Beh, in realtà c’erano degli aspetti che cambiarono,  sia nel modo in cui vivevo, sia nei comportamenti di L e Wammy.

Da quando c’era stata la transizione di vita ed identità, non potei più uscire liberamente dall’orfanotrofio, nemmeno per fare un giro in città a prendere qualcosa da acquistare, da bere, da mangiare, andare al cinema... tutto questo mi fu drasticamente precluso. Mi era concesso uscire solo accompagnata da Watari. Adesso avrei dovuto chiamarlo così.

Per me fu un obbligo che non riuscivo a mandare giù, un alter ego di Wammy che lo faceva apparire meno lui, mentre io sarei stata nascosta dietro i vetri oscurati e blindati della Roll Royce.

Il portatile che avevo in camera mi venne tolto. Dovevo risultare irrintracciabile, morta per tutto il mondo.

Avrei tanto voluto leggere la mail di risposta di mio padre a quella che gli avevo mandato l’ultima volta, ma nemmeno quello mi venne concesso.

Adesso ero in una splendida gabbia dorata con Lui e ci avrei vissuto per più di tre anni.

 

Cominciai a conoscere L, cominciai ad immergermi nella sua vita. Notai il suo modo molto eccentrico di essere ed era sfacciato, più di quanto immaginassi e, mio Dio, anche quell’aspetto mi affascinava al di là di ogni immaginazione.

Incredibile come riuscisse a dirmi cose così dure da pronunciare e rimproveri velati, il tutto con una facilità assurda anche nelle cose più comuni, come il solo farmi constatare di non aver capito qualcosa, oppure il non volermi svelare particolari che non avrei dovuto sapere, punto e basta.

Tutto questo sempre con la sua proverbiale educazione e compostezza che mi facevano apparire, sentire come una bambina ingenua e ignara, troppo immatura per essere in grado d’immischiarsi di quello che Lui stava facendo.

Mi proteggeva, non voleva che fossi al corrente degli aspetti di quei suoi casi. Ero già abbastanza in pericolo e questo era più che sufficiente.

Passavo molto più tempo insieme a Lui mentre era seduto a lavorare, con i suoi dolci davanti che mi tentavano, nel frattempo io sedevo su un divanetto in stile impero che aveva fatto sistemare sempre nella sua camera per me. Lì potevo leggere e dedicarmi a qualunque altro svago. Diceva che voleva avermi il più possibile sott’occhio e che quel periodo sarebbe stato così perché era necessario.

B sarebbe potuto essere sempre in agguato ed io non conoscevo l’imprevedibilità del soggetto, mentre molto probabilmente L, sì. Quindi non poteva permettermi di agire in modo totalmente libero, perfino in giardino dovevo essere sempre seguita da qualcuno. Non sapevo se essere esasperata o lusingata da tanto senso di protezione, ma tutto sommato, l’idea che ora i miei affetti fossero al sicuro mi faceva stare più tranquilla ed io con L non avevo niente da temere.

A volte quando rimanevo sola con Wammy, facendo qualche mansione nell’orfanotrofio, sentivo un po’ meno l’alone di quella strana, nuova situazione che stavo vivendo. Le conversazioni erano sempre più confidenziali sia da parte di Wammy che da parte mia e riuscivo a percepire di nuovo ‘mio nonno’, lo splendido uomo inventore e non Watari, il finto maggiordomo.

Mi parlò di L, di come si fosse mostrato strambo sin da bambino, raccontandomi un episodio al suo arrivo lì in cui reagì in modo brusco con un gruppo di bambini che in realtà volevano solo accoglierlo. Fui meravigliata quando mi disse che era diventato addirittura il campione juniores di tennis, mi raccontò che Lui mostrò le sue doti spaventose pian piano che il ragazzo si muoveva e cresceva nella Wammy’s House. Alcune di quelle doti le avevo notate, ma solo una piccola percentuale. La sua capacità di deduzione era incredibile. La sua mente era acuta niente poteva passare inosservato, riusciva a catturarti ancora prima di aver parlato, bastava fare attenzione a come posava lo sguardo su qualcuno o qualcosa per capire che già ti aveva osservato, analizzato, escluso eventuali incongruenze di ragionamento e inchiodato. Osservarlo mentre era all’opera era uno spettacolo elettrizzante.

La sua voce mascherata dal sintetizzatore, sebbene distorta, riusciva a incutere un senso di minaccia, ma anche  fascino, rassicurazione, fermezza, apatia e disinteresse.

Lo divertiva moltissimo fare quel che faceva e iniziai a capire che più che un senso del dovere il suo era giocare. Non accettava casi scontati e facilmente risolvibili. I casi  dovevano per lui avere proprietà amletiche e sovrumane.

Quel suo prendere i fogli delle documentazioni che gli forniva Watari, tra l’indice e il pollice, quasi come se fossero stati degli oggetti delicatissimi;  il tenere il cucchiaino con il budino, che traballando lasciava colare la cream caramel sul piattino; il prendere il cellulare ed il portarlo al suo orecchio; questi erano tutti gesti che lo rendevano bizzarro e infantile. Oh, era incredibile. Faceva scatenare in me una sensazione incontrollata d’attrazione e tenerezza.

Oh…” Inspirai quella leggera esclamazione.

“Che succede Belle?” L voltandosi di scatto sbarrò appena gli occhi.

“N... n… niente L...”sorrisi e abbassai lo sguardo, rossa.

La mia risposta non lo convinse affatto. Si alzò lentamente da terra e mettendo le mani in tasca, venne da me che ero seduta sul divanetto.

“Cosa c’è? Dubito che quello strano sospiro fosse riguardante ciò che stavo facendo. Anche perché non ne sai nulla a riguardo, per cui, ripeto, che cosa c’è?” ammetto che riconobbi che il suo tono gentile era intriso di qualcos’altro, oltre la semplice gentilezza.

“Niente davvero…”sfoggiavo un sorriso imbarazzatissimo, mentre ci guardavamo, e il cuore mi finiva dal petto alla testa.

Come faceva? Come era possibile che Lui apparisse così controllato ed io no.

”Allora, vuoi dirmelo?” stavolta c’era una leggerissima punta di nervosismo ed era così bello mentre le lunghe ciocche della frangia gli finivano davanti agli occhi.

Lui stava lavorando e io lo avevo distratto. Forse si era innervosito per quel motivo?

Presi coraggio strinsi le mani, chinai e alzai la testa. “Tro... trovo che tu sia bello ed insieme eccentrico.” avrei voluto sprofondare e volsi lo sguardo ovunque ma non verso di Lui.

“Ah, davvero trovi che io sia così?” rimuginò qualche istante con il pollice sulle labbra.  “Beh, io credo che anche tu sia molto, molto, graziosa. A volte mi fai lo stesso effetto che mi fanno i dolci. Sai l’aspetto perfettamente misurato dei colori e delle forme, una dolcezza che è anche nell’estetica. Sì, diciamo che è la similitudine più giusta per farti capire che sei attraente. Qualcosa del genere te lo avevo accennato tempo fa, ricordi?”

Non potevo credere a quello che avevo appena udito. Mi aveva definita bella ed attraente, due cose che non sentivo assolutamente di essere. Non sapevo che fare, cosa avrei dovuto rispondere, mi sollevai piano dalla paolina. Vagai per la stanza, sentendo il suo sguardo addosso e la mia agitazione mista all’euforia non miglioravano.

Qualche istante più tardi sentii prendermi le spalle.

Il suo modo d’agire mi frastornava ogni volta.

Il suo respiro. Lo percepivo perfettamente sul mio collo scoperto dai capelli raccolti.

Poi fu sempre più vicino e caldo alla mia nuca, scivolava alla spalla. Respiravo ansiosa.

Stava giocando con me e capii che desiderava quel momento da molto, perché mentre mi girava verso di Lui e baciava esitante il mio collo, le sue mani mi scivolavano lentamente sui fianchi, poi sulla schiena e la presa divenne gradualmente ferma mentre mi stringeva a sé. Non credevo davvero che fosse Lui a tenermi in quel modo premuroso ed insieme forte.

Pensando alla sua incapacità nel fare certe cose amplificò ulteriormente il mio stordimento.

Non riuscivo a resistergli, quasi sicuramente non ci sarei mai riuscita, esercitava su di me un effetto unico. Questo era il suo modo di farmi capire che stava iniziando ad imparare, che aveva carpito quel che gli dissi sotto la quercia giorni prima. E mentre mi lambiva disarmata, nella mia testa riecheggiavano due sole parole - soltanto Sua-.

D’un tratto si staccò e, come se niente fosse, si risedette davanti allo schermo.

Avevo il petto a soqquadro, lo fissai per molto e poi schiarii la voce farfugliando “È… è il caso che vada. B… buona notte L.”

“Ah, prima che tu vada. Domani vieni con me, intesi. Quindi fila subito a dormire.” Arrogantemente, ancora di spalle e alzando il braccio con dito indice al cielo, mi intimò quella sua disposizione.

La sua altezzosità. Accidenti, anche questo riuscivo a farmi piacere.

 

Più tardi, mentre ero immersa nella vasca da bagno e la schiuma colava giù sul pavimento, ero pervasa come dall’effetto di una strana droga che poteva essere eliminata dalle mie vene solo grazie alla sua persona. Il rimedio era Lui.

L nella sua interezza mentale e fisica. Lui era l’unico essere che avrei voluto in quella maniera così prepotente.

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Capitolo 11
*** Intermittenze ***


                                                                         



 

                                       Intermittenze

 

 

Mi stavo totalmente perdendo, ero immersa in un circolo vizioso dove Lui era l’essere meno comprensibile del mondo e che io dovevo leggere e interpretare, costantemente.

Avevo la incessante impressione che, qualunque progresso stessi facendo, tornavo comunque al punto di partenza e non importava quanti contatti fisici e parole ci fossimo scambiati. Era esattamente come essere in un continuo labirinto senza uscita.

Lo sconforto era molto e grande quando gli attraenti silenzi ci sovrastavano, perché io avrei voluto facesse qualcosa che a volte non arrivava. Lui solo decideva il come e il quando.

Avrei voluto tanto ribellarmi, ma non ce la facevo. Anche la rabbia che mi prendeva svaniva ad una sua perfetta parola ad un suo gesto o tocco.

Lui sapeva come tirare i miei fili, non importava quanto io fossi furente e mi opponessi.

Mi voleva.

Questo troncò qualunque cosa la mia mente elaborasse per liberarsi dalla sua stretta.

Lui mi rese palese che non mi avrebbe mai liberata. Mai. La verità è che mi piaceva essere catturata da Lui, sotto ogni punto di vista.

 

La mattina seguente partimmo molto presto, alle prime luci dell’alba.

Alzandomi pensai che avrei dormito in viaggio in macchina o magari in aereo.

Sì, in aereo, perché L decise che lo avrei seguito nei suoi spostamenti di lavoro ovunque Lui fosse andato.

Quel giorno partivamo alla volta della Germania, il resto non mi era dato sapere.

Watari aprì lo sportello posteriore dell’oscura Roll Royce. Lasciò salire prima me, rispettando un assurdo galateo, poi salì L sedendo sempre ricurvo, chiuso in se stesso.

Sentendo armeggiare Wammy col portabagagli per sistemare le valige, mi soffermai poi a guardare fuori dal finestrino. Sono sempre rimasta affascinata da come i vetri oscurati permettessero di vedere l’esterno a chi era nell'abitacolo e non il contrario.

Quell’aspetto somigliava dannatamente a Lui: poteva osservarti, studiarti ma non ti permetteva di vedergli attraverso, quelle poche volte che me lo lasciava fare, era un privilegio che non concedeva a molti.

Aveva capito il mio bisogno di avere quel pezzo di L che gli chiesi sotto la quercia?

Perché aveva scelto me? Perché proprio io? Cosa potevo entrarci io con la persona che mi sedeva accanto? Lui mi abbandonava nelle continue domande, rompicapi sul suo essere e il tutto risultava frustrante e per fino divertente per alcuni tratti.

Non era difficile capire che non si fidava ciecamente di me, cosa comprensibile dato che non era da molto che ci conoscevamo.

Per Lui la questione fiducia non era banale, come poteva esserlo in un rapporto di due normali individui. Era preziosa al di sopra di ogni altra cosa, ma comunque aveva potuto notare che io nutrivo la più totale fiducia e un attaccamento incondizionato nei suoi confronti. Molto probabilmente eravamo ancora come due animali che si studiavano per capirsi.

Perché io? Perché mi ha fatto fermare su quel cancello? Perché mi aveva portata lì?

Lo sbattere violento del portellone del portabagagli mi ridestò, facendomi sobbalzare dall’annegamento nei miei pensieri, la mia capacità innata.

Voltandomi notai che L era rimasto a fissarmi tutto il tempo con lo sguardo serio e terribilmente sensuale, soprattutto indagatore. Non potei fare a meno di ridere sommessamente e domandare "Cosa c’è?”

"Sembri nascondermi qualcosa.” fu un istante m’innervosii repentinamente perché il suo tono era intriso di una curiosa presunzione che non faceva pensare al preoccuparsi davvero a cosa sentissi, ma a scoprire solo cosa sentissi.

"Tu a me non dici molte cose di quel che pensi, quindi non vedo perché devo essere solo io a scoprire le carte in questo nostro gioco.” ero davvero nervosa.

"Sì, forse hai ragione, ma ho i miei motivi. Dovrai arrivare almeno al livello di Watari.” mi  mostrò apertamente un'espressione sostenuta.

I miei occhi si sbarrarono per poi chiudersi in una fessura, seguì l’incredulità e il dare sfogo alla mia rabbia “ Hai mai pensato alle conseguenze delle tue parole sulle persone? Ti sei comportato così anche la prima volta che abbiamo parlato. Io non sono qui per svagarmi giocando con te, L!” Lo vidi soppesare lo sguardo su di me mentre ed io proseguii “Io adoro il tuo essere diretto, davvero mi piace molto, ma... ma a volte sei... sei detestabile L!”

Dio, sentivo le lacrime salirmi su, quando vengo presa dalla collera inizio a piangere.

Di scatto mi voltai  verso il finestrino e finii dicendo "Avresti dovuto lasciarmi morire là fuori, per mano di quel serial killer. Ti saresti risparmiato il divertimento di prenderti beffa di me.”

Non sentii nessuna reazione da parte sua, si limitò a girarsi verso il suo  finestrino, mentre io mascheravo le mie lacrime.

Watari entrò in macchina sistemandosi al posto di guida.

"Possiamo andare Watari.” il tono di L risuonò più apatico del solito, mi sentii in colpa, non so perché. Probabilmente ero stata io quella scioccamente diretta. Asciugai le ultime gocce salate dalle guance e inspirai, poi lo guardai e abbassai la testa.

 

Tutto il viaggio fu silenzioso, nemmeno il motore della macchina faceva rumore.

Mi persi nei paesaggi della campagna inglese prima, poi in quelli dell’autostrada fino a quando arrivammo a destinazione. L’aereoporto.

Iniziai a percepire un po' di panico, soffrendo di vertigini avevo paura di volare.

Nel viaggio in aereo che mi portò lì dovetti imbottirmi di sedativi e dormire, altrimenti avrei ceduto alle palpitazioni e all’ansia.

Ricacciai quelle sensazioni e scesi dall’auto, attraversammo l’aereoporto per vie traverse per non passare, come disse Wammy, nella folla caotica dei civili in attesa dei voli.

Arrivati all’imbarco notai che il velivolo era privato, con annesso pilota privato.

Rimasi stupita. Com’era possibile?

L’orfanotrofio dalle apparenze discrete, ma dalle dimensioni e organizzazione tutto fuorché modeste, una macchina da milioni di dollari e un aereo privato. Come diavolo era possibile avere tutto questo se non si era miliardari?

Per un attimo scordai il litigio in macchina e l’orgoglio che mi aveva fatto assumere quell’atteggiamento di completo mutismo per tutto il tragitto dalla Wammy all’aereoporto. Accomodandomi  sul divanetto bianco avorio, come tutto l’abitacolo, evitai di affacciami sugli oblò.

Rimasi dispiaciuta dal fatto che Lui si sedette davanti a me e non vicino a me, continuava a ferirmi.

Preoccupata dagli accenni di agitazione, chiesi a Watari qualcosa per dormire. Notò che non stavo propriamente bene, mi tastò la fronte e andò a procurasi un calmante.

Ingoiai la pastiglia con voracità come se fosse stata la mia sola ancora di salvezza.

Watari mi sedette vicino e mi prese la mano, allacciò la mia cintura. Stava iniziando il decollo e prima che me ne accorgessi caddi nel sonno appoggiata alla sua spalla.

Di fronte a me c’era Lui, con un espressione che lasciava trasparire qualcosa di molto simile alla gelosia.

 

 

Il volo non durò molto, un’ora per la precisione, o forse mi parve così breve solo perché ero caduta nelle braccia di Morfeo.

Watari non era più vicino a me al mio risveglio e L era intento a leggere delle carte mentre atterravamo. Scesi un po’ intontita. Il caldo a Berlino era quasi più insopportabile che a Winchester, in fondo era il primo agosto.

L’arrivo in macchina fu molto lento e calmo, mentre aspettavamo di arrivare all’albergo che ci avrebbe ospitato per non so quanto, tolsi le scarpe anch’io e mi rannicchiai sul sedile. Era comodo effettivamente mettersi in quella posizione, ma poco dopo dovetti riallungare le gambe sul cuscino di pelle e accidentalmente toccai i sui piedi con i miei. Quasi mi spaventai "Scu... scusa.”

"No, tranquilla.” rispose flemme ed atono.

I dialoghi erano ermetici, mi facevano soffrire, non so quanto avrei retto ancora quella situazione tra noi.

Stavo per allungare la mia mano alla sua poggiata sul proprio ginocchio, quando la macchina si fermò. Eravamo arrivati a destinazione. Ritrassi la mano.

 

‘THE RITZ-CARLTON’, era l’enorme scritta che albergava sulla facciata dell’altrettanto gigantesco palazzo che io non avrei osato definire albergo.

Ero bocca aperta mentre percorrevo il tappeto rosso che c’era all’entrata, rischiando più volte di rimanere indietro mentre venivo richiamata garbatamente da Watari.

La cosa che mi sbalordì fu la ‘suite’, se si può definire così. Era un vero e proprio appartamento. Qualsiasi cosa era elegante e di un gusto classico, mi ricordava molto gli appartamenti reali di un qualche re o regina. Studiai tutti i particolari sconfinati, c’era una porta comunicante, una stanza con un letto molto alto e con degli enormi cuscini.

Andai alla finestra e guardai fuori. Eravamo altissimi sopra quell’urbana giungla là fuori, eppure lì sembrava di essere in una bolla protettiva fuori dal mondo ed in un’altra epoca.

Per un attimo percepii il singolare punto di vista che aveva L nel sentirsi al sicuro in quella maniera.

"Ecco il tuo bagaglio Belle.” Watari entrò nella stanza catturando immediatamente la mia attenzione. Che sciocca! Presa dalla meraviglia non avevo pensato almeno a trascinare il mio di bagaglio trolley.

"Oh Dio, Watari, scusami... avrei dovuto pensarci. Perdonami!” mi staccai dalla finestra, andando a grandi passi verso di lui.

"Non ti preoccupare, è il mio lavoro…

Lo interruppi "No Watari, non è il tuo lavoro, per lo meno non con me. Voglio che almeno le piccole cose me le possa fare io e poi non sei più un giovanotto e io non sono una così importante personalità.” sorrisi e gli tolsi il mio bagaglio di mano, lui sorrise di rimando facendo alzare i lati dei sui candidi baffi con la bocca.

Quando finii di sistemare tutte le mie cose nell’armadio e nel mio, definirlo favoloso era limitativo, bagno, mi sedetti sul letto e mi tolsi l’anello di mia madre, l’unico superstite dell’intrusione in casa mia molto tempo prima.

- Mio Dio, mamma, come ci sono finita qui!? - Esclamai solo pensandolo.

Vidi affacciarsi alla soglia della mia camera la figura familiare di L. Rimase lì per un po' fino a quando "Forse ti dovrei delle scuse.”

"No, L. Non forse, tu mi devi delle scuse, ma lo sai che non è quello che m’interessa. Io ti ho già perdonato, altrimenti non sarei qui a sentire ciò che hai da dirmi. Forse sono troppo buona o forse ti sono troppo affezionata... ma non è nemmeno questo. Forse io pretendo che tu sia più, diciamo, discreto con me, che magari mi riservi una premura particolare...” m’interruppi alzandomi e soffermandomi a guardare la notte e le luci di Berlino. “Vorrei che non ti nasconda dietro le tue assurde giustificazioni da detective con me, perché qualsiasi siano i tuoi timori posso assicurarti che non ti farei mai del male e se te ne ho fatto ti chiedo di perdonami.”

Non riuscii a dire altro, temevo che aggiungendo altre parole sarei risultata smielata e fastidiosa.

"Sì, me ne hai fatto.”disse con durezza.

"Quando?”

"Quando hai detto che avrei dovuto lasciarti morire là fuori per sua mano e che mi prendo beffa di te.” Sentii stringersi il cuore e il senso di colpa che avevo provato in macchina dopo la discussione ritornò a galla, ero riuscita a renderlo vulnerabile.

"Non dirmi più una cosa del genere, perché il fatto che io ti sembri freddo e incapace di esprimere bene ciò che sento e penso, non vuol dire che io non ti voglia quanto tu voglia me.” Voltandomi verso di Lui mi sentii colpita."E poi trovo che tu sia negata a nascondere la tua paura di volare." Ironicamente spezzò per poco l’atmosfera affliggente ed aggiunse "Vorrei essere anch’io capace di prendermi cura della tua persona come fa Watari" com’era infantile e sconsolato.

Camminai verso di Lui lo afferrai per la maglia delicatamente, lo studiai con timore, avevo paura che si sgretolasse al mio solo sguardo. C'era afflizione nei suoi occhi cerchiati dal nero delle sue borse.

Affrontai quello sguardo e gli parlai più dolce che potei "A me va bene tutto di te L, tutto. Non c’è una cosa che non ami della tua persona, anche i tuoi difetti assumono uno splendido aspetto. Solo ti prego, io ti imploro, non escludermi da quello che sei. Questo mi spezza di più di ogni altra cosa il cuore. E poi ci sono molti altri modi per prenderti cura di me e anch'io vorrei tanto prendermi cura di te.”

Non disse una parola, si lasciò abbracciare e toccare senza paura da me e rimanemmo così per molto.

Ricordo di come battesse il suo cuore, non era calmo come il suo atteggiamento.

Era in confusione, sembrava aumentare a ogni movimento delle mie mani sulla sua schiena.

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Capitolo 12
*** Tentazione ***


                                                               


 

                         Tentazione

 

 

Riflettendoci bene, più si è distanti dalla persona che si ama, più la si vuole. Questa non è né una novità e nemmeno una grande scoperta scientifica.

Per me non era una questione di distanze chilometriche. A me non occorreva essere dall’altra parte del globo. A me bastava saperlo dall’altra parte del muro per sentire già la sua mancanza. Il non poterlo vedere. Il non sentirlo lì con me come avrei voluto.

 

La notte nel mio morbido ed elegante letto d’albergo era strascorsa squisitamente e la mattina mi distrassi accendendo la tv che avevo in camera. Immagino fosse l’ultimo modello e onestamente non saprei neanche se si potesse definire semplicemente televisore, viste tutte le funzioni che sembrava avere e di cui io non ero in grado di usufruire.

La prima cosa che cercai furono i canali musicali, io adoro ogni genere di musica e soprattutto adoro Mtv. Scorrendo i programmi mi imbattei nel video di *LeAnn Rimes con ‘I need you.  Ero letteralmente innamorata di quella canzone, ancora adesso quando l’ascolto riaffiorano tutte le sensazioni che provavo e che forse non ho mai smesso di provare. C’è una parte del testo che diceva: ‘non posso voltarmi indietro ora perché mi hai portato troppo lontano...’

Ecco, mi sentivo completamente identificata e immersa in quelle parole.

Mentre ero lì seduta con il telecomando in mano, le coperte ancora sulle mie gambe e i raggi solari facevano brillare il rame dei miei capelli castani e scompigliati, sentii bussare. Non mi preoccupai del mio stato informale ed entrò Watari con un carrello.

Watari!” Esordii con rimprovero e sorpresa. “Ti ho chiesto di non farlo. Non… non farmi sentire... diversa...” mi vergognavo.

Fino a pochi mesi prima era il mio datore di lavoro, amico, nonno, era divenuto tutto, e adesso faceva il mio maggiordomo. È qualcosa che non mi andava e non mi è andato mai giù.

Alla svelta mi alzai dal letto e lo spogliai della sua compostezza abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia, in perfetta tenuta da notte, ovvero con canottiera e i larghi pantaloni del pigiama.

Lo feci sorridere sonoramente ed era una soddisfazione sentirlo. “Belle, sei proprio pazza! Ahah…” iniziai a ridere anch’io, poi mi allontanai dalla stretta, presi un pezzetto di croissant al cioccolato e mi avvicinai alla tv guardandola distrattamente, mentre nel frattempo aprivo l’armadio, masticando il morbido dolce con la cioccolata che mi invadeva il palato.

 Watari, oggi L ha molto da fare come al solito, vero?” domandai scrutando bene gli abiti per orientarmi su cosa mettere, ma conoscevo già la risposta che mi avrebbe dato.

“Sì, piccola Belle. Vuoi che gli riferisca qualcosa da parte tua?”

Watari... ti prego. No, no, maggiordomo/assistente, non con me. Se devo dirgli qualcosa posso farlo io, non ti preoccupare.” Ancora concentrata sul guardaroba ricordai a Wammy che non ero L, poi continuai  “C’è una qualche attrattiva in questa fanta-fantastica reggia chiamata ‘albergo’?”

Lui sorridendo rispose “Sì, dovrebbero esserci una piscina, zone per il relax e…

Lo interruppi “Credo che la piscina vada più che bene. Non sono il tipo da atteggiamento snob, asciugamano nei capelli e che sfoglia riviste d’èlite.” ero davvero di buon umore. Incredibile, era tutto così quieto e ottimistico. Che splendido aspetto era quello di vivere quella vita con L e Wammy. In un certo senso la segretezza, il mimetizzarci come clienti d’albergo aveva un che di magico ed entusiasmante e mi piaceva viverlo, condividerlo con L.

Quando Watari si congedò, mi preparai per andare a quella famosa piscina.

Uscii dalla mia stanza e attraversai, come se nulla fosse, l’enorme luminoso soggiorno. Camminai davanti ad L e Watari che erano intenti a lavorare, ma notai con la coda dell’occhio che non passai inosservata. Indossavo un vestitino non molto attillato e neanche corto, arrivava fino al ginocchio, sul blu-notte, ma non so perché mi feci notare comunque.

Eppure non avevo nulla di così vistoso, men che meno mi sembrò di essere così appariscente nel mio essere.

Sorrisi divertita e mi diressi verso l’ingresso. Ciò che mi colpì chiudendo la porta fu che L mi guardava in maniera impercettibilmente intrigata. Lasciai stare e andai per i fatti miei, ma ero un vortice d’agitazione dopo quell’occhiata.

 

La sala della piscina era stupenda, sofisticata, con vetri che separavano la zona piscina  da una piccola postazione bar. C’erano micro luci che illuminavano il soffitto e l’ampia sala, l’odore del cloro produsse in me una strana sensazione di benessere. Ma un particolare mi colse, scoprii che fondamentalmente ero da sola lì nell’acqua a nuotare ed ero anche sola quando mi accomodai sui divanetti sistemati ai bordi della vasca. Ci trascorsi sì e no un’oretta, poi, stufa, mi rivestii e risalii in camera.

Era ormai giunta l’ora di pranzo, trovai un tavolo imbandito nella mia stanza, ma non gli prestai molta attenzione. Prima mi sarei tolta il costume, cambiata e quasi sicuramente quando mi sarebbe presa fame avrei mangiato qualcosa.

Girovagando per la camera pensai che il mio problema era uno solo e si chiamava noia.

Dovevo trovare qualcosa da fare ed iniziai a fare una cernita di quello che potevo fare:

- Uscire. Negativo.

- Aiutare nel caso anche come finta segretaria fingendo di capire cosa dicesse e intendesse dire L parlando delle indagini. Negativo.

Quindi alla fine tirando le somme potevo passare il mio tempo:

- davanti alla tv.

- a leggere

- attrattive dell’albergo.

Magari, con un po’ di fortuna, forse avrei avuto in qualche occasione la compagnia di Watari. Alla prossima occasione di trasferta, mi sarei dovuta ricordare di portare con me qualche altro svago oppure qualcosa che mi portasse avanti con il lavoro alla Wammy’s House.

Esasperata pranzai e mi riaccomodai sul letto davanti al televisore e nel bel mezzo dello zapping mi addormentai proprio quando avevo trovato qualcosa d’interessante da guardare.

Sognavo molto spesso negli ultimi mesi, ma la sensazione che percepii in quel sonno era così reale. Già, sognai di sentirmi toccare la guancia, ma era una percezione fin troppo vera per essere un frutto onirico, tant’è che aprii gli occhi e intravidi il viso allungato, il capo spettinato e corvino.

“L...” la mia voce era appesantita dal sonno “Perché sei qui? Non eri molto occupato con il caso?”

“Ogni tanto devo staccare anch’io.” Con ironia assottiglio lo sguardo.

Sorrisi “Scusami, a volte scordo che anche tu sei umano. Quello che mi abbaglia ogni volta, è il fatto che sei un genio…” continuai a sorridere quando le sue labbra si appoggiarono leggere sulle mie.

Il contatto mi risvegliò completamente e riportò alla mente, come se le avessi tenute nascoste da qualche parte, le sensazioni che provavo quando lo sentivo.

Si staccò e studiando il mio viso disse “Sì, sono umano.”

Scostandomi mi sollevai sulla testiera del letto. Adoravo quando quella sua freddezza spariva quando meno me lo aspettassi, lasciando posto ad un bruciante calore improvviso.

Osservandolo non potei nascondere il fatto che il rosso avesse preso posto sulle mie guance.

“Sai L, mi manchi...” dissi quasi sottovoce.

“Ma siamo vicini. Io sono qui accanto.” Constatò razionalmente quel dato di fatto.

“Non è una sola questione di misure, di lontananza. So che tu sei di là, davanti al portatile. So che ci sei, ma allo stesso tempo non ti sento qui. Mi manca questo, tu davanti a me e io davanti a te. I silenzi... quelle rare volte che riesco a capi.”

“Mi piace molto parlare con te, perché mi dai delle risposte che non mi aspetterei. Io ti pongo domande con estrema razionalità e tu ribatti con impulsività e passionalità. Tu non puoi immaginare come questo mi attiri. Inoltre ti sbagli sul fatto che riesci a capirmi raramente.”

“Detto da te credo che sia il più alto degli elogi.” ridevo mentre lo dicevo.

“Poi fai questo.”

“Cosa?” mi sentivo come se avessi rubato delle caramelle, a Lui però.

“È incredibile con quanta leggerezza riesci a farlo.”

“Cosa? Sorridere? Trovi che io sia una persona leggera o superficiale per questo?” credevo di essere apparsa come una sciocca.

“No, no, trovo che il modo in cui tu lo faccia sia perfetto, senza l’influenza di nessuna superficialità.  È autentico e incredibilmente strano, perché sembra che tu lo faccia solo con me, per me.”

Mentre lui era in piedi davanti a me, mi sollevai sulle ginocchia sul letto e gli circondai il collo in un abbraccio. Lui rispose stringendomi e si confessò al mio orecchio. “Belle, a volte riesci a farmi distrarre. Come questa mattina, quando mi sei passata davanti, avrei voluto prenderti e farti cose che non riesco nemmeno ad esprimere. Mi rimangono dentro creando non poco scompiglio. Sento muoverti in questa stanza e rimarrei ore a osservarti mentre fai le cose più insulse per capire come sei.”

Lentamente mi staccai cercando di evitare il suo sguardo. Se lo avessi guardato in faccia si sarebbero rotti gli argini di qualcosa. Fu Lui a sollevarmi la faccia, mi baciò. Ma non era un bacio come i primi che ci eravamo scambiati, questo possedeva una passionalità diversa ed io non capii nulla, mi strinse e lentamente mi sentii poggiare sul letto.

Le sole parole che mi disse non riuscirono a farmi capire quanto le sue labbra, ad ogni distacco avevano paura di perdermi e mi riprendevano, poi di nuovo l’abbraccio e il lento rialzarsi. Dovevo essergli mancata molto anch’io.

“L.” si voltò, non disse nulla, sorrise quasi amaramente, poi si sollevò in piedi.

“Finisco questo caso e poi ti prometto che ti terrò compagnia.”

“Fa con comodo, tanto lo so che non ce la farai prima di una settimana.” divertita, stuzzicai la sua smania di gioco e competitività.

“Vedremo, ma se tra una settimana avrò risolto il caso tu rimarrai una notte intera con me.” La voce roca e sprezzante mi fece venire i brividi. La sua bellissima, fantastica, intrigante sfacciataggine.

Arrossii violentemente e non sapevo come affrontare quell’ondata di sensuale saccenteria.

Si allontanava sorridendo beffardo, perché sapeva benissimo che avrebbe vinto Lui e in maniera schiacciante, direi.

 

 

 

*I Need you canzone di LeAnn Rimes uscita nel 2000 l'adoravo all'ora e l'adoro tutt'oggi....e mi ha fatto molto pensare ad L e al rapporto con cui ho deciso di legarlo col mio personaggio.

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Capitolo 13
*** Imbranato ***


                                                             


 

                          Imbranato

 

 

La settimana in cui fummo lontani, nonostante fossimo nello stesso raggio d’azione, passò senza che ci scambiassimo una parola. Se uscivo dalla mia stanza era solo per andare con Wammy ed era già tanto se ci davamo degli sguardi fugaci.

Lui era totalmente immerso nel suo lavoro. Alzava la testa solo per addentare i bignè alla crema di fragole che aveva accanto, spostandosi poi velocemente sulla tastiera e, armeggiando con essa, faceva risuonare il rumore dei tasti per tutto il soggiorno.

In quei giorni ebbi molto tempo per riflettere su quello strano atteggiamento.

La sua non sembrava essere la solita abnegazione, con conseguente completa immersione in quello che faceva. Lui era motivato da qualcos’altro che girava nella sua testa, collegato a quella scommessa che aveva fatto con me sei giorni prima.                         

Il giorno seguente sarebbe scaduto il tempo ed ero un po' in soggezione, perché sapevo che sul piatto del premio c’ero finita volutamente io.

Mentre ero intenta a passarmi l’arriccia-capelli sulle punte, mi sentii chiamare da Watari, fortunatamente finii proprio in quel momento. Corsi velocemente verso l’ingresso della suite dove mi stava aspettando in perfetta tenuta da maggiordomo e prestai molta attenzione a non posare gli occhi su L.         

Percorrendo il lungo corridoio del nostro piano accanto a Watari non riuscii a tacere."Watari, è davvero così complicato questo caso?”                                                                                                                

"Non saprei, ho curato pochi dettagli di questa questione. Giusto qualche documento qua e là, il resto lo sta completando Lui”.

Me l’aspettavo! Nemmeno Watari avrebbe scucito mezza parola, avrei dovuto saperlo.

Notai, mentre ci apprestavamo a raggiungere gli ascensori, che si era riferito ad L con Lui, sintomo che nessuno doveva sentir nominare il suo nome. Nemmeno per sbaglio!

Sebbene non fossero stati loro ad avermelo fatto notare, anche io stavo molto attenta a questo particolare.

 

Passai l’intero pomeriggio girovagando per negozi con Watari, fu così divertente e piacevole. Confesso che ogni negozio per me era un invito all’acquisto, ma  m’innamorai in particolar modo della vetrina dove spiccava la scritta *Phard. In quel periodo era una marca molto in voga per una ragazza di appena vent’anni.

I miei occhi finirono su una felpa azzurra, tendente al ghiaccio, aveva delle cuciture quasi invisibili e con una tasca zip sul davanti. Bellissima!

"Watari posso entrare a guardarla?” entusiasta mi voltai verso di lui.

"Perché non acquistarla?” Disse muovendosi in direzione dell'entrata del negozio.

Prontamente lo fermai prendendogli uno lembo della sua giacca.

"No. Escluso! Non farti venire in mente quello che sto pensando. Non sono la classica tipa che si fa comprare gli abiti dagli altri! Quindi io adesso entrerò e me la comprerò da sola, con i soldi che ho da parte. Almeno questo posso farlo da me.”

"Va bene.” Gli occhi di Watari sorridevano.

Nel frattempo che ero intenta a prendere il capo di cui mi ero invaghita,vidi all’esterno il mio anziano amico molto guardingo e attento a qualsiasi cosa gli passasse davanti.

Sentivo un leggero senso di colpa nel modo in cui lo costringevo a starmi dietro.

Sospirando, acquistai la felpa ed uscii. Sdrammatizzai la nostra situazione, uscendo con una finta aria presuntuosa, ma allo stesso tempo scherzosa. Naturalmente sentii le leggere risate di Watari dietro di me e come sempre mi contagiarono. Povero il mio Wammy, gli donavo un po’ di respiro dato che seguiva costantemente L nel suo lavoro.

Questo pensiero mi fece sentire indispensabile e attiva in quella condizione a dir poco isolante.

Il nostro momento d’ilarità venne interrotto dallo squillare del cellulare di Watari e lui prontamente rispose.

"Sì, dimmi pure. Capisco. Sto arrivando.” Altrettanto velocemente ripose il telefono in tasca. “Belle dobbiamo rientrare, c’è un’emergenza. Devo anche fermarmi lungo la strada per prendere dei dolci in particolare che non hanno nel nostro albergo. Dobbiamo sbrigarci.” Lestamente Wammy mi prese la busta di mano, contenente il mio acquisto, e iniziò a dirigersi verso la nostra auto.

"D'accordo.” Dissi cercando di non far trasparire mia la perdita d'allegria. Non potevo fare sciocchi capricci. Capii e mi limitai a ubbidire seguendolo.

 

Quando rincasammo in hotel, L era preso da una strana agitazione tendente all'irritazione.

Watari gli porse la confezione di dolciumi, Lui la prese avido e contemporaneamente si sedette sulla poltroncina a righe bianche e verdi che ormai da una settimana era diventata la sua postazione di controllo. Scartò l'involucro che conteneva il suo carburante e si rivolse a Watari autoritario. "Watari, ho bisogno dei tabulati delle telefonate effettuate dal signor Schmidt."

"Bene." Wammy si attivò all'istante.

L invece sembrava in preda a una crisi d’astinenza che stonava con la serietà dell’indagine e dalle parole appena rivolte a Watari. La cosa più strana, e che mi mise un po’ a disagio,  fu che io iniziai a ridere. Cercavo di non farmi sentire, ma non riuscivo a smettere. Il vederlo così scatenò in me un’ilarità assurda.

Scu... scusatemi vi lascio... ah…” Tentando di zittire la risata mi rintanai nella mia stanza.                                                                 

L era così bizzarro e non mi ci abituavo. Lentamente la mia risata si trasformò in un sorriso, la conferma che provavo l’amore più incondizionato per Lui. L aveva una miriade di sfaccettature che ogni giorno cambiavano. Riusciva ad essere sicuro, sfacciato, infantile, buffo, mascolino, audace, misterioso, bugiardo.

Non importava quanto lo conoscessi, più il tempo passava e più Lui mi mostrava una nuova sfaccettatura di sé. Era un diamante da miriadi d’intagli.

Dopo cena, sfiancata dal giro-shopping con Watari, mi appisolai di nuovo, ma per poco, perché fui risvegliata da della musica.

Decisi di dirigermi nel soggiorno, non c’era nessuno. Avvertii una leggera ed estiva corrente provenire da una delle tante finestre che avevamo nella suite. Queste davano sulle imponenti balconate dell’hotel.

Il nostro terrazzo era vicino ad un’altra abitazione dove quella sera si stava dando non so quale festa o celebrazione. Attraversai le tende ondeggianti all’incitazione del vento che, silenzioso, si infiltrava nelle nostre stanze.

L era lì affacciato sul balcone a fare lo spettatore, guardando di sotto e ascoltando il vociare coperto dalla musica della festa.

"Tutto bene L? Oggi sono stata una sciocca iniziando a ridere a quel modo. Tu lavori seriamente ed io ti prendo in giro. Scusami.” Nel mio tono ero davvero desolata.

"Tranquilla, è tutto a posto e poi ho risolto ogni cosa a mezzanotte in punto. Esattamente al settimo giorno.” Roteò gli occhi verso di me aprendo un leggero sorriso sghembo.

Sorrisi  anch'io perplessa, dentro di me infervorai e pensai - Lo sapevo! -

Con spontanea  tranquillità lo vidi sporgersi appena sulla barra del balcone e sebbene fosse robusta e in muratura, mi spaventai!

La mia paura dell’altezza esce fuori anche quando vedo altre persone sporgersi troppo per i miei gusti. La mia reazione immediata è di rannicchiarmi dalla parte opposta della ringhiera, la mia voce diventa stridula e piena di panico ed inizio a pregare l'altro di non affacciarsi oltre.

Quella sera accadde proprio questo.

"L!” lamentai.

Si voltò stupito e turbato quanto me, non capiva cosa mi fosse preso così all'improvviso, ma riprese subito la sua espressione calma chiedendomi "Che succede?”

"Ti prego, ti prego non ti sporgere così. Mi… mi fa paura… fermati!” Lo scongiurai attaccata e richiusa su me stessa, incollata tra la parete e la terra ansimando. Allontanandosi dalla ringhiera venne da me raccogliendomi. Mi aggrappai a Lui come se da un momento all’altro si potesse buttare.

"Tranquilla. Sono qui, non mi sporgerò più in tua presenza.” La sua voce assunse il solito tono ipnotico. Ci alzammo insieme ancora abbracciati, non riuscivo a lasciarlo. Parlò cercando di distrarmi "Ti  ricordo che per tutta questa notte starai con me.” Era un maledetto tentatore.

"Lo so.”Avevo il tono e la faccia di una bambina capricciosa che aveva perso palesemente il suo gioco preferito.

"Che vorresti fare?" Chiese curioso.

"Non lo so, per me va bene anche restare così.”

Nel frattempo, a quella festa di sotto, iniziò una canzone  molto lenta, malinconica e straordinariamente bella, tenera.

Rimanemmo stretti nel silenzio più totale ad ascoltarla.

“Vuoi ballare?" Con una strana enfasi mi fece quella proposta.

Mi lasciai sfuggire una leggerissima risata. "Tu sai ballare?” Continuavo a sorridere intenerita poggiata sulla sua spalla.

"No.” Lo disse candidamente e senza vergogna. Un normale ragazzo della sua età avrebbe provato imbarazzo. Lui, no.

"Tra le tue caratteristiche credo che aggiungerò ‘a tratti imbranato’.” Risi di nuovo mentre gli stringevo le spalle.

"Possiamo dondolare. D'altronde un lento non somiglia molto a un movimento oscillante? Quello credo di saperlo fare.” Era riuscito a trasformare una cosa banale come un lento in una teoria sul ballo.

"Ok.” Chiusi gli occhi e dondolammo sotto le note che ci mandavano.

Provai un forte senso di calma.

La sua testa poggiò sulla mia spalla, il suo calore, il  suo gesto così puerile.

Non mi sarei mai mossa di lì per nulla al mondo.

 

 

* La Phard è una nota marca d'abbigliamento che ebbe il suo apice alla fine degli anni 90 quando ero ancora un'adolescente e l'adoro tutt'ora.

 

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Capitolo 14
*** Evoluzione ***


                                                                           
                                                                            Illustrazione di Kelly McDonald 


 

                         Evoluzione

 

 

C’è quel momento, quel punto, in cui si mette un moto un’evoluzione.

Può essere della storia, delle emozioni, dei gesti. Soprattutto non tutti gli sviluppi portano a un risultato perfetto o come ce lo aspettiamo.

Quello che per qualcuno è positivo, per un altro potrebbe essere negativo o viceversa. Nella mia evoluzione non ho trovato nessun ostacolo e negatività, solo qualcosa di facile e naturale come quando si compie una qualsiasi azione involontaria.

La vera unicità.

 

Decidemmo di sedere sul mio letto dopo quello strano dondolare sul balcone della nostra suite. Lui accanto a me sedeva a modo suo ed io avevo le gambe rilassate come una bambola. Quando mi parlò di voler passare una notte con me, la prospettiva mi aveva un po’  spaventata, perché non sapevo cosa aspettarmi da Lui.

Non avrei mai potuto prevedere cosa pensasse, specialmente in quei frangenti.

In qualche modo però, forse avrei dovuto almeno dedurlo, L non avrebbe approfittato della situazione come una persona qualsiasi, sono convinta che qualunque cosa, se fosse accaduta, non sarebbe successa in maniera ordinaria.

Guardavamo la tv ed era in programmazione, sul mio solito canale musicale, un video dei BackStreet Boys, Everybody*, di cinque anni prima e scorrevano le immagini dei cantanti, che interpretavano ognuno i personaggi più famosi dell’horror.

Alla vista di Kevin, uno dei componenti del gruppo, vestito da Dottor Jekyll e Mister Hyde, mi fece balenare nella testa la lettera B. La cosa mi intimorii non poco e buttai via quel pensiero all’istante. Allo stesso tempo combattevo con la mia curiosità, tanto da sfiorare l’assurdo e l’autolesionismo.

“L.” chiamai.

“Sì.” Non si girò, sembrava interessargli ciò che guardava.

“Quel, quel B... tu sai qualcosa? Nel senso, ha fatto qualcos’altro per cui ti fa pensare che io sia ancora in pericolo?” Titubante l’osservavo per controllare i cambiamenti delle sue espressioni in viso.

“Perché vorresti saperlo?” Si voltò interessato dalla mia curiosità, ma comunque seccato, non voleva che io affrontassi l’argomento.

“Non so, credo di essere molto sadica con me stessa. Penso anche che tu sappia, ma non mi dica nulla a riguardo.” Lo guardavo negli occhi senza reggere con fermezza il confronto.

“Inizi a leggere in me. E cosa ti fa pensare che io ti stia nascondendo dei particolari di questa situazione?” Mormorò sorridendo.

“Basta solo vedere come diventi distante e pensieroso, molto più di quel che sei in un qualsiasi altro caso. Lo diventi ancora di più quando sei con me. Sono lì con te, ma allo stesso tempo mi tieni lontana dal quel qualcosa su cui stai rimuginando. Poi sparisci davanti al computer e ricompari come se avessi riattaccato i cocci di un vaso rotto, a cui però ti manca un pezzo per definirlo intero.”

Mmmh, capisco, sei davvero brillante a volte.” Adesso mi osservava con gli occhi sgranati e con il dito indice sul labbro superiore.

“Detto da te, lo prendo per un complimento.” Il mio sguardo e sorriso erano sarcastici.

Lo notò e con gli occhi ancora leggermente sbarrati prese un’espressione lievemente desolata e mi disse “Non intendevo offenderti. Lo penso davvero, perché so che non sono affatto una persona semplice. Volevo solo esporti quello che ho pensato di te. Realmente.”

“Non mi ero offesa, lo so cosa intendevi, sono comunque io che mi sento meno brillante.” Sorrisi e poi cadde un silenzio profondo che ci immerse in un’atmosfera conosciuta, ma che ogni qual volta faceva il suo ingresso, sembrava sempre nuova.                                                                                                                                                            

Ero attratta da Lui e avrei voluto continuare a guardarlo, mi limitai a sorridere sospirando svogliatamente “Ok, vado a prendere delle caramelle. Immagino ne avrai bisogno, altrimenti ti si spegne il cervello.”

Ridendo tra me e me, feci per alzarmi, quando mi sentii prendere il polso.

Con lo sguardo interrogativo mi girai in sua direzione. Avevo ormai già rinunciato ad avere una qualsiasi risposta veritiera da Lui.

“Io non voglio che tu ti senta inferiore o limitata rispetto a me. È qualcosa che mi ferisce perché tu sei tutto al di fuori di qualcosa di comprensibile e razionale per me. Alle volte sfiori l’indecifrabile e mi confondi.” Parlò con voce profonda mentre alzava i suoi occhi verso di me.

L…io non…” M’interruppe.

“Voglio che tu sia quel che sei. Non voglio percentuali con te o ragionamenti calcolati, altrimenti non ti avrei voluto con me, non mi sarei fatto coinvolgere. Mi fai comportare in una maniera che non mi appartiene affatto. Io non toccherei mai nessuno, non bacerei mai nessuno, non penserei a nessuno come penso di te. Sei l’unico essere insieme a Watari che può fare quello che vuole sulla mia persona.”

Stavo avvampando e con un gesto incondizionato poggiai la mia mano sul suo braccio. “L, mi prendi sempre in contro piede quando mi dici certe cose. Come diavolo fai a dirle con tanta naturalezza e senza sfiorare il mellifluo?”

“Non lo so, è questa la cosa che mi dà il tormento. L’unica incognita che non risolvo e a cui non riesco a dare una spiegazione più che razionale. Mi affascina e allo stesso tempo la sua incomprensibilità mi porta a volermene allontanare.” Colpita al cuore mi sentii lievemente atterrire.

“Se ti allontano rischio di mettere a repentaglio la mia stessa razionalità e capacità di ragionamento. Nel periodo in cui sono stato lontano...” al solo evocare quel ricordo mi faceva star male. “Ho rischiato più volte di compiere errori nelle indagini. Se provo a respingerti, metto in pericolo le mie stesse capacità e questo mi fa infuriare.” Si strinse ancora di più nella sua posizione fetale, puntando gli occhi alle mani appoggiate sulle ginocchia.

“Quindi mi tieni con te per non perdere te stesso?” ero un po’ amareggiata, mi tremava la voce. Forse ero davvero il suo giocattolo, forse ero davvero il suo svago dalle indagini, oppure ero la chiave per non smarrirsi.

“Non pensarlo nemmeno. So che stai pensando che mi approfitti di te.” Come non mai il suo tono mi parve vero, straordinariamente cupo e serio.

Sbarrai gli occhi ancora, mi meravigliai. Dannazione! Quanto mi piaceva.

“La realtà è che ti voglio con me. Mi sei indispensabile, punto. Puoi interpretarlo come più ti aggrada, perché credo che tu abbia la sensibilità per capirmi e non immagini quanta tu ne abbia e non voglio che lui ti prenda e ti faccia del male.” Era corrucciato, minimamente, ora era Lui che si dispiaceva perché avevo così poca fiducia.

Lusingata sorrisi “Grazie L...” e continuai “Lui vuole arrivare a me, vero?”

“Sì. Ma se rimarremo in questa situazione non devi avere nulla da temere. Non ti toccherà.”

Feci un cenno positivo con la testa, mentre mi sistemavo delle ciocche fastidiose che mi finivano costantemente davanti agli occhi. “Vado a prendere le caramelle. Torno subito.” Sospirai alzandomi dal letto. Adesso ero invogliata anch’io a volere quelle maledette caramelle.

Attraversai il soggiorno, mi guardai attorno. Watari si era precedentemente addormentato su un enorme sofà. Andai verso di lui e gli sistemai senza infastidirlo, e con molta premura, il cuscino e la leggera coperta con cui si era ammantato. Finalmente tutti e due potevano riposare dopo settimane di lavoro serrato.

Due giorni dopo saremmo dovuti tornare alla Wammy’s House.

Presi il vassoio di dolcetti e tornando in camera notai che fuori stava albeggiando.

Ho sempre amato guardare il sorgere del sole, ma in quell'occasione avevo qualcosa di meglio del farsi giorno e molto probabilmente, in compagnia di L, avrei avuto molte altre occasioni, molte altre albe. Continuai il mio percorso ritornando al letto, mi risedetti e misi il vassoio fra noi.

Lui se lo portò sulle gambe e mi avvicinò a sé cingendomi con un braccio al collo, scartandomi poi una le caramelle sotto il naso.                                                                                                       La prima, ovviamente, la scartò per sé, con i dolci non rispettava galatei o gerarchie, poi aprì la seconda caramella e me la portò alla bocca. Ridendo la presi delicatamente con gli incisivi.

La mia risata gli fece stringere di più il braccio, fu un gesto estremamente caldo e affettuoso.

Resistetti più che potevo per non addormentarmi, ma dopo qualche istante dovetti arrendermi al sonno. Ero lì appoggiata a Lui, tra il suo collo, petto e spalla. Mi sentivo al sicuro, perfetta, inattaccabile. Le sue parole erano state grande una forza per me.

Ebbi la sensazione di sentire una strana evoluzione, connessione. La formazione di un vero, intimo, legame tra me e L.

 

 

*I BackStreet Booys erano una nota boy band di cui ero e sono fan dai loro esordi nel 95-96. La canzone/video che ho citato Everybodyfu un grande successo dell’estate 1997. Ho voluto inserire questo particolare per infilare il paragone tra Dottor Jekyll/Mister Hyde e Beyond Birthday.

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Capitolo 15
*** Incapace ***


                                                             
                                                             Illustrazione di Ann Hughes https://www.behance.net/gallery/10410385/Flying-Robin



 

                           Incapace

 

 

Perfino l’orrore di un incubo può essere minimizzato dall’agghiacciante immagine della realtà.

 

Era il 26 Agosto 2001 e quel giorno ebbi un’altra occasione per tastare di nuovo il pericolo che mi aleggiava attorno.

Quella mattina ci dedicammo esclusivamente alla preparazione dei bagagli per rincasare alla Wammy’s House. Con tutta probabilità saremmo partiti quel pomeriggio o, se le cose fossero andate con molta più calma, il giorno seguente. In parte dipendeva molto da quanto tempo avrebbe impiegato Watari nel riordinare tutta l’attrezzatura che era servita per quelle indagini. Così decisi di offrirmi d’aiutare dato che i miei bagagli erano già  pronti. Almeno in quell’occasione mi venne concesso di essere utile, visto che non era qualcosa di inerente a nessun caso, per lo più si trattava solo di arrotolare cavi e sistemare oggetti elettronici nelle proprie custodie.

Mentre eravamo intenti nel nostro meticoloso lavoro, mi distrassi sentendo bussare alla porta della suite.

Watari, vado io. Certamente saranno i facchini che hai fatto chiamare e che sono venuti per prendere i bagagli.” Dissi soddisfatta e distogliendo lo sguardo dal computer portatile che avevo appena riposto nella valigetta imbottita.

“Aspetta, vengo con te.” Rispose Watari che non era proprio convinto e sospettoso mi seguì. Eppure lo avevo visto io avvertire il segretario in reception per farci mandare qualcuno a prendere le valige.

L si affacciò guardingo dalla soglia della mia stanza ed io aprii la porta dell’ingresso ritrovandomi davanti un ragazzo in elegantissima tenuta da lavoro e con in mano un piattino d’argento su cui era adagiata una piccola busta per pacchi.

Stavo per prenderla, quando venni bloccata tempestivamente da Watari ed ebbi un sussulto.

“Ferma. Ci penso io.” Watari prese direttamente il piattino con i sui bianchi guanti. Fino ad un momento prima non li indossava, li aveva messi apposta per prendere quella consegna, finendo poi rivolgendosi al ragazzo in tedesco “Vielen Dank.”

Chiuse con gesto controllato la porta a chiave appena congedato il giovane.

Preoccupata lo seguii mentre faceva ingresso nel soggiorno. Come mai tutta quella circospezione? Quindi Watari, L si aspettavano quel servizio. Qualcosa non era nei piani di quella giornata.

L ci raggiunse, la sua faccia era inespressiva e minacciosa, mi incuteva paura.

“Molto strano, di solito la chiamata in reception e l’arrivo non sono così celeri. Almeno non al sedicesimo piano. Quel tizio stava già salendo mentre abbiamo contattato il segretario.” L, quasi disinteressato, prese un cioccolatino dell’albergo e scartandolo se lo portò alla bocca, poi risolutamente “Aprila Watari. Ma sta attento, non sappiamo di chi sia e neppure cosa contenga.” Ancora più fermo e determinato.

Watari fece segno con la testa di aver capito cosa intendesse, poi prese un taglia carte poggiato su un lussuoso scrittoio e tagliò la busta.

Rimanendo dietro Wammy ed L osservavo intimorita, ricordo ancora la sensazione di nausea che provai sentendo l’odore del sangue con cui era stata firmata la lettera e vedendone il contenuto. C’era un pezzo di carne, ma guardandolo più attentamente era un cuore, di non so quale piccolo animale. Sembrava appartenere ad un minuto uccello.

Watari serissimo in viso iniziò la lettura di quella missiva:

 

__________________________________________________________________

 

Carissimo Detective L,

 

Non credevo tenessi così tanto al tuo pettirosso*.Sembra cinguettarti così bene attorno. Con quel piccolo, tenero cuore si sforza così tanto di vive. Ma quel suo petto si riempirà del tuo e del suo sangue, esattamente come fece lo stesso pettirosso che tolse le spine dalla corona di Cristo.

 

Ti rende deplorevolmente più inutile di quel che già sei.

           B

 

 

Se dovessi descrivere la sensazione del sentirsi morire, direi che quella era la più simile.

Smisi quasi di respirare, la mia mente era sbiancata e poi mi sentii spegnere.

Caddi come un oggetto a cui era stata tolta la sua fonte di energia.

L mi riprese prima che potessi toccare terra.

“Belle!” Sentii le loro voci chiamarmi lontane.

Avvertii dei leggeri colpi sulla guancia, mi riaccesi riaprendo gli occhi lentamente e li sentivo tanto  pesanti, ripresi il respiro e coscienza di me. Svenni non accorgendomene nemmeno. Vidi le loro facce. Quella preoccupata di Watari e quella oscura ed indecifrabile di L.

Facendomi aiutare da Watari mi sollevai, iniziai a tremare e lo guardai persa. “Dio mio,  mi ha trovata!... mi....” Piangevo come credo di non aver mai pianto, come quando si è consapevoli che è arrivata la fine e sei cosciente che l’unica strada è quella della morte.

“No, no, non pensare questo, piccola Belle. Era solo uno dei sui macabri giochi, come quello di cinque mesi fa. È comunque tutto sotto controllo Belle.” disse Watari con voce rassicurante, come se stesse cercando di ipnotizzarmi.

Sedetti sul sofà sempre guidata da Wammy e continuai nello sfogo della mia paura. “Non... non può essere sotto controllo Watari! Mi ha trovata! È... è arrivata quella maledetta ed ennesima minaccia... che… che dovrei fare?!” Ero tutta un fremito mentre parlavo e singhiozzavo.

“Smettila Belle!” Giunse la voce di L adirata, direi come non l’avevo mai sentita.

Quando poi volsi lo sguardo verso di Lui vidi molto, molto, peggio. Non credo esista nessun vocabolo o parola che possa descrivere come fosse in quel momento. Adirato, adombrato.

Collera concentrata. “Mi sta sfidando!”

Rimasi a bocca aperta.

Nonostante sapessi che Lui mi stava proteggendo, continuava a vedere il tutto come una sfida, una prova dove doveva uscirne vincitore e il tutto mi veniva lasciato intendere come se nulla fosse. Ancora  quella sua innata mancanza di tatto.

Alzandomi tremante e di scatto, esplosi “Tu! Tu... sei… sei senza cuore!COME FAI A FARMI QUESTO?! Lui mi ha fatto esplicitamente capire che appena ti distrarrai mi ucciderà, TI UCCIDERA', nella maniera più orribile, e tu ti stai preoccupando della tua maledetta sfida aperta con lui!!! L! VA AL DIAVOLO!!!”  La mia voce si ruppe in un pianto straziante e Watari mi sorresse con una faccia di totale dispiacere. Mi abbracciò mentre gemevo e poi quando il pianto si esaurì, lasciò posto alla catalessi, al mio silenzio.

Avevo il cuore in pezzi.

“L, sei stato  fin troppo incurante nei confronti di Belle.” Disse il mio anziano amico con tono pacato ma di forte rimprovero verso L e dissolvendo la quiete scesa nella stanza.

“No, non incurante, è impreciso. Io direi bastardo.” Sentenziò L neutralmente immobile con lo sguardo perso a fingere di guardare fuori dalla finestra.

Rimasi seduta, statica, con gli occhi emaciati dal pianto e guardare fisso davanti a me. Vedevo a momenti Watari muoversi per riporre gli ultimi strumenti d’investigazione. Poi ripresi un po’ di forza e con lentezza mi riunii a lui in quella mansione. Tutto il resto del tempo trascorse con l’ultimare i preparativi per la partenza.

Dovevamo andarcene subito, così Lui aveva deciso, mentre scostante si allontanò dalla finestra per andare ad isolarsi in quella che era stata la mia stanza lì.

 

Quando scendemmo nell’atrio della reception, Watari andò opportunamente a chiedere informazioni al segretario di ricevimento dell’albergo su quella strana missiva che ci era arrivata in mattinata. Senza però grandi risultati. L’uomo non aveva assegnato a nessuno il compito di farci recapitare della posta o messaggi. Quel maledetto di B era stato molto prudente, era chiaro che l’avesse fatta arrivare tramite qualcun altro o avesse delegato questo qualcun altro per farci arrivare la ‘posta’.

L riferì a Watari che avrebbe indagato in modo più preciso e approfondito quando fossimo tornati alla Wammy's, inoltre era importante conservare la lettera in una busta ben sigillata per poi esaminarla in seguito.

Tutto il viaggio avvenne in un silenzio di tomba, quella circostanza riuscì ad annientare la mia paura del volo. Ero apaticamente annullata, non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, non volevo guardarlo, ma sentivo provenire dal posto accanto a me un’aura di pura afflizione che avrebbe voluto tirarmi a sé, dissolvendo quell’atmosfera gravosa.

Rientrammo all’orfanotrofio a notte inoltrata, avemmo l’intoppo di trovare, sulla strada del ritorno, del traffico e di conseguenza facemmo molto ritardo.

 

Il mio morale era in frammenti.

Presi la mia valigia che Wammy mi passò con cura, lanciandomi uno sguardo dolcemente desolato e prima che potessi cedere al pianto, mi diressi a passo svelto in camera.

Chiusi la porta alle spalle e con estremo dolorose e angoscia mi sciolsi in lacrime copiose. Sentii diventare profondo quel qualcosa che mi aveva ferito, quanto una faglia nel terreno ed io ce l’avevo nel petto. Lo amavo più di quanto potessi immaginare e il fatto che non posasse più i suoi occhi su di me e che non sapessi se il senso di colpa ora lo divorasse, era per me ragione di maggiore prostrazione.

Quella fu l’unica e l’ultima volta dove L mi fece provare realmente chi lui fosse in grado di essere senza l’influenza delle sue emozioni e dei suoi sentimenti.

 

* Nella lettera B mensiona la leggenda del pettirosso e Gesù Cristo, che narra di un uccellino che vedendo Gesù sofferente sulla croce, mosso a compassione tentò di alleviare la sua sofferenza togliendogli delle spine dalla fronte e nel farlo si macchiò il petto di rosso con il sangue di Gesù. L'uccellino conservò, come prova d’amore, quelle gocce di sangue sul suo cuoricino e venne chiamato pettirosso.

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Capitolo 16
*** La Prova ***


                                                                  


 

                                                 La prova

 

 

Perfino il troppo amore dà vita alla discordia.

 

I giorni seguenti mi chiusi nel dolore e malessere interiore più completo.                                           

Rimanevo a letto e mi alzavo a momenti, guardavo fuori dalla finestra e, appena si riaccendeva la sofferenza, mi abbandonavo alle lacrime, di seguito mi rintanavo di nuovo nel letto cadendo in un sonno calmo e addolorato.

Wammy mi lasciò fare, capì la mia grande delusione. Capì che Lui non era una persona comprensibile e che quella lettera minatoria aveva fatto vacillare i miei nervi. L’anziano uomo veniva di tanto in tanto a farmi visita nella mia stanza, portandomi biscotti, torte e anche delle normalissime cibarie, ma avevo il rifiuto per il cibo. Persi del tutto l’appetito.

Non parlavo, non lavoravo, avevo smesso di fare qualsiasi cosa. Il mio massimo era rimanere con lo sguardo vacuo ad osservare fuori dalla finestra, dove sui rami degli alberi le foglie iniziavano a corrodersi e a prendere un colore ramato.                         

L’autunno stava arrivando e stava facendo il suo ingresso anche nel mio animo.

Con molta probabilità se non ci fosse stato Watari, Wammy Quillsh, mi sarei disciolta senza neanche accorgermene. Qualsiasi nome per invocarlo andava bene, perché conteneva l’essenza concentrata del sostegno, della fiducia, della calma.

Era la roccia su cui ci si poteva aggrappare sempre ed essa non avrebbe ceduto mai.

Nemmeno se sottoposta al peso più gravoso.

Watari sedeva vicino al mio scrittoio con un'espressione molto preoccupata “Belle ti prego, sforzati di mangiare.”

Mentre sedevo davanti alla luce grigia della finestra, avvolta in una coperta, non risposi e mi concentrai sulla caduta di una leggera e fitta pioggia. Percepii il rumore della sedia che veniva scansata. Watari si alzò e mi si mise davanti prendendomi per le spalle delicatamente, come se avesse avuto paura che al contatto della sua presa mi sarei contorta dai dolori.

“Ti scongiuro, Belle. Non puoi andare avanti così. Sono più di tre settimane che sei ridotta in questo stato. Sei dimagrita notevolmente, devi mangiare, devi vivere, non lasciare che questo stato emotivo ti consumi.” Mosse le sue folte sopraciglia in un’espressione corrucciata nel tentativo di dissuadermi da quella condizione.

Si smosse qualcosa dentro di me ed iniziai a piangere, le lacrime bagnarono le mie mani che poggiavo sul ventre. “Watari... è L...”

Parve di essermi svegliata da un lungo coma, nel momento stesso in cui pronunciai il suo nome si riaprì un taglio che sembrava momentaneamente rimarginato.

“Piccola Belle, credi di essere la sola a sentirsi così? Ora sei tu ad essere un po’egoista. Il fatto che Lui non sia capace di dimostrarti la sua costernazione, non vuol dire che non la provi. Lui non parla, ma sono convinto che si senta desolato.” Mentre mi parlava asciugava le lacrime carezzandole via con le sue mani.

Watari, so che mi stai dicendo questo perché vuole che sia io a riavvicinarmi, come è successo all’inizio di questa storia. Non ce la faccio, non voglio vederlo... io.... ” Mi interruppi e me ne infischiai del fatto che perdesse la sua capacità di raziocinio se io non gli ero vicino. Se mi voleva avrebbe dovuto venirmi a prendere o almeno fare qualcosa che mi stimolasse ad andare da Lui.

Watari fece un’espressione molto dispiaciuta. “Mi dispiace Belle.” Sembrava si stesse scusando lui al suo posto, come un padre per suo figlio.

Provai molta tenerezza e lo abbracciai “Watari grazie mille. Non basta mai, per quante volte io te lo dica, non mi sembrano abbastanza.”

“Ti supplico Belle, almeno torna a vivere, a mangiare. Andrà bene anche se non vuoi stare con i bambini e i ragazzi, almeno però facci visita ogni tanto. Cerca uno svago, una ragione per non pensare al negativo. Promettimelo. Mmh?” Quanta tenerezza e apprensione c’era nella voce di Quillsh.

Sentivo contrarsi il mento e lo scorrere di nuove lacrime e risposi “Ok, te lo prometto... te lo prometto...” Adoravo essere una bambina dei suoi preferiti e che era stata appena consolata. “Quillsh, ti voglio, davvero, un immenso, bene.” Lo dissi sotto voce come se qualcuno potesse sentirlo, con la faccia affondata nel golfino di Wammy.Tirai su col naso e lo sentii sorridere.                                                                                           

Il giorno seguente mantenni la mia promessa, mangiai qualche boccone della colazione che Watari mi aveva portato. Non ci misi molto a sentirmi sazia, eppure avevo appena toccato qualche biscotto e un sorso di caffè.

Distrattamente, mentre ero intenta a vestirmi, passai di fronte allo specchio sul quale non avevo messo occhio in quelle settimane di depressione.

La mia espressione fu di sbalordimento e non in bene! Ero inorridita e capii perché Wammy si fosse preoccupato così tanto.

Il mio viso stava iniziando a scavarsi, metteva in evidenza i miei zigomi in una maniera orrenda. Avevo delle occhiaie tenui, ma esteticamente non rimandavano a qualcuno in buona salute. Scoprii la pancia dalla canotta, si iniziavano a intravedere le ossa del bacino. Ricoprii alla svelta con disgusto e poggiai una mano sulla bocca.

Cosa mi ero fatta?!

Subito mi spogliai dal pigiama e ricominciai velocemente a vestirmi, soprattutto senza guardarmi. Giurai che avrei mangiato e lo avrei fatto! Dovevo reagire, dovevo riprendere un po’ d’amore per me stessa, se Lui aveva deciso di non darmi il suo.

Presi un libro ed uscii, ma non andai nelle classi o nella sala ricreativa, come avevo premeditato prima di vedere il mio terrificante aspetto, non volevo farmi vedere da nessuno in quello stato. Me ne vergognai moltissimo. Così mi diressi verso il giardino dato che tutti a quell’ora del mattino erano occupati con le lezioni.

La giornata era limpida per via della pioggia del giorno prima che aveva pulito l’aria e lasciato delle gocce sull’erba e sugli arbusti ormai ocra.                                                                                   

Sedetti sotto la quercia. La quercia del giorno in cui dissi addio a tutto quello che ero per rimanere con Lui. La cosa irritante è che quel maledetto arbusto era in direzione esatta della sua finestra e questo mi fece stringere un nodo in gola.                                                                                                                

Sbuffando aprii il libro e tentai di leggere, ma tutto mi distraeva, i miei occhi finivano costantemente su quella finestra.

Proprio mentre tentavo di non guardarvi Lui si presentò lì davanti.                                                     

Respirai profondamente e chiusi gli occhi.

Sapevo che il suo sguardo arrivava a me, nonostante ci fossero metri di distanza a separarci.           

Riaprii gli occhi e non c’era più, ero sollevata, ma la tristezza prese piede.

Ebbi conferma che il mio stato fisico era debilitato dal fatto che ero già stanca dopo aver fatto molto poco, ovvero il solo camminare e leggere. Arrendendomi, mi lasciai andare alla rilassatezza che mi rimandava la natura del giardino autunnale e facendo così mi appisolai sotto l’albero con ancora il libro tra le mani.

Avvertii un po’ di freddo e non ne capivo il motivo. Pensavo fosse ancora mattina, poi sentii coprirmi e il benessere dovuto alla sensazione di calore, sollevai le palpebre e vidi Wammy. Con premura mi aveva avvolta in una soffice coperta.

“Scusami, ti ho svegliata.” Fece per chinarsi e guardarmi in viso.

“No, no. Sto bene, va bene. Ma che ore sono?” Ero molto intontita.

“Sono le sei e mezza di pomeriggio.” Scandì l'orario nella maniera più inglese possibile.

Di scatto mi alzai e poco non mancò che cadessi nel farlo “Oh!Diamine! Non ho fatto pranzo!”

“Tranquilla, è quasi ora di cena, tra poco mangerai.” Disse sorridendo.

Wammy...”

“Sì, Belle.” Disponibile tese il suo orecchio per ascoltarmi.

“L’ho visto.” sospirai arrendevole.

Lui abbassò il capo “Lo so. Ora andiamo.”

 

                                        

                                                           ****                   

 

 

Tutto il mese di Settembre passò molto tranquillamente e per quanto la tentazione mi portasse a voler salire quelle scale, facendomi allettare dall'idea di andare da Lui, non lo feci.

Ricominciai ad alimentarmi come si deve e ripresi le mie mansioni all’interno dell’orfanotrofio. Come se non lo avessi mai incontrato, come se non avessi mai avuto a che fare con Lui.

Poi lentamente trascorse anche il mese d’ottobre e la mia mente spingeva a momenti alterni sempre quel tasto dolente, solo che ora era meno visibile a chi mi aveva attorno.

A volte avrei voluto svuotarmi il petto, togliermi quel peso che mi affliggeva facendomi anche mancare il sonno la notte. Ero convintissima che fosse una pena che mi aveva inflitto Lui. Lui non dormiva, ebbene non avrei dormito neanche io.

Una sorta di maleficio che mi aveva lanciato.

Il tutto aggravato dal fatto che più la faglia dei miei sentimenti diventava abissale e più il grado di dolore saliva. Sapevo che non avrei retto per molto, ma il mio orgoglio riusciva a rendermi salda e a non farmi vacillare con facilità.

 

Arrivò la sera di Halloween e si compirono i festeggiamenti.

Decisi di svagarmi un po’ vestendo i bambini, giocando con loro e passai dei momenti vivaci ed allegri, ma il tutto finì presto, perché per loro arrivò l’ora di andare a dormire e quindi anche per me la festa ebbe fine.

Spensi la luce dalla sala ricreativa ora mai svuotata, ma prima di uscire, presi dei dolcetti per poi andarmene a spasso per l’orfanotrofio come i vecchi tempi. Mi spuntò un sorriso ricordandolo.

Ebbi una gran voglia di addentrarmi ancora di più nell’edificio ed arrivai fino agli ultimi piani, dove scovai una vecchia soffitta. Aprii la porta e fui sommersa da vecchi oggetti, giochi e mobili coperti da dei lenzuoli impolverati. Il rimanere incantata da tutta quella quantità di roba non bastò a distogliermi da ciò che mi sorprese realmente, come se avessi visto qualcosa che non avrei dovuto vedere.

Lui! In quella soffitta a osservare la luna che irradiava una luce fredda e candida.

Come era possibile che fosse lì?

Non poteva sapere che quella sera sarei salita lì. Possibile che fosse una casualità o destino? Esclusi quell’ipotesi. Lui più volte mi aveva detto di non credere a niente del genere. Ma io in minima parte ci credevo, credevo anche al destino e a quelle cose che non possono succedere solo per via del puro caso o in base a delle statistiche. Ho sempre pensato, e pensavo, che il nostro stesso incontro non fosse una casualità.

“Che ci fai tu qui?” Il mio tono era intriso di esitazione, fu come se non lo avessi mai visto prima dall’ora.

“Potrei farti la stessa domanda.”Aggiunse pigro.

Ero… ero curiosa di vedere delle zone che ancora non conoscevo di questo posto.” Mio Dio! Dove era finito tutto il mio proverbiale risentimento? Sparì nel momento stesso in cui mi rivolse la parola. Ma se mesi prima era Lui il diffidente nei miei confronti, ora ero io a non fidarmi di Lui.

“Capisco.” rispose sembrando deluso.

“Credevi che io sapessi che tu fossi qui e di conseguenza fossi venuta per questo?”

“Sì, diciamo che l’ho sperato.” Distolse lo sguardo dai vetri per spostarlo sui suoi piedi nudi. Era davvero bellissimo e malinconico.

Lo istigai “Forse è stato solo il frutto delle casualità o del destino”.

“Il destino, dici? Forse dovrei iniziare a dubitare un po’ di più delle mie certezze. D'altronde, un giorno, mi potrebbe accadere di trovarmi faccia a faccia con un qualsiasi fenomeno assurdo. Sì. Potrei non escluderlo, anche se non ci crederò mai del tutto e trovo che a tutto ci sia una logica spiegazione. Ci vogliono prove concrete per dimostrare qualcosa. Non trovi?” Lanciò uno sguardo di sfida. Quando mi guardava così le sue occhiaie prendevano un aspetto tetro.

“Anche San Tommaso dovette ricredersi L, anzi credo che tu, finché non toccherai la piaga, non ci crederai, né a me né a quello che io sono per te. Come sempre finiamo al problema ‘fiducia’.” Affilai lo sguardo verso di Lui come risposta al Suo.

“E chi ti dice che io non abbia di te già un’elevata opinione? Inoltre, da quel che posso intuire, dal tuo tono e da come ti difendi, anche tu hai un problema di ‘fiducia’ con me.” Con voce roca iniziò ad avanzare verso di me.

“Dopo l’episodio della lettera, pensavi che l’avrei presa bene? Non ho avuto le prove L. Lo hai detto anche tu, no? Che ci vogliono prove concrete per dimostrare qualcosa.”

La conversazione assunse un aspetto afrodisiaco e provocatorio, mai avvertita una cosa simile prima.

Era buio in quel solaio, riuscivo a intravederlo grazie al riflesso lunare che penetrava attraverso i vetri del rosone. Lo vidi continuare ad avanzare, sempre più vicino.

“Vuoi una prova, eh…” Sentivo i suoi occhi addosso, ne ero risucchiata.

Persi tutta la mia sfacciataggine e assunsi un’espressione rapita. “Non... occorre L.” Mi mancò l'aria.

Non mi accorsi di nulla, mi sentii afferrare all’improvviso, colta totalmente alla sprovvista dalle sue azioni.                                                                                             

Feci riemergere una punta del mio orgoglio provando a divincolarmi, ma non mi aspettavo che fosse così forte, a vederlo non lo sarebbe sembrato a nessuno. “Lasciami L! Lasciami!” la mia voce era indebolita dal preludio del pianto, ma mi trattenni più che potevo.

“Guardami e sta zitta!” Ordinò intenso e mormorandomelo.

Mi fermai assumendo un’espressione torva e lo osservai.

Freddo come il ghiaccio, ma i suoi occhi. Loro erano la parte di lui che mi permetteva di cogliere quello che desiderava. Non occorreva parlasse, il nero delle sue pupille mi stava parlando ed era così caldo, diretto, era la verità dall’esterno bugiardo.

Disfandomi di tutto, del dolore, della delusione e della dignità, lo perdonai. Mi abbandonai a Lui. Finalmente risentii quel minimo contatto fisico che Lui mi aveva concesso.                                                   

Lo stringermi prima e il bacio poi, le sue labbra, il congiungersi più sublime che avessi mai riprovato. Sentivo lo zucchero che rimaneva costantemente sulla sua bocca e che mi aveva sempre attirata.

Persi il mio controllo e Lui perse il suo, mi fu chiaro che anche Lui poteva essere dominato dall’istinto.

Il suo respiro affannato era ipnotico. Le sue mani s’insinuarono sulla mia pelle, superando l’ostacolo del tessuto che mi copriva. Non ero in grado di fare nulla, mi lasciai alla sua mercé. Quando toccavo la sua pelle sembrava avere la febbre.

Lentamente mi portò a terra, si liberò della sua candida maglia. Come faceva a nascondere così bene quel suo strano fascino?

Sbottonava la camicia e io rimanevo inerme a guardarlo e volevo che continuasse. Progressivamente, in modo quasi scientifico, con le sue dita affusolate mi scoprì di ogni cosa avessi addosso. La vergogna prese possesso di me, ma solo a momenti, perché il mio essere era interessato soltanto a Lui. Aderiva a me, lo sentivo toccarmi ovunque. Dire eccitazione non basterebbe per esprimere come mi faceva percepire il sentirlo su di me. Un tormento, fu un tormento incessante, si muoveva come non avrei mai pensato potesse fare.

La sua persona era un inganno che nascondeva una passionalità sconosciuta, al solo sentirmi gemere o sospirare sembrava accendersi e mi riprendeva, mi mordeva, baciava.

Ero ricolma di ciò che cercavo da Lui da tempo, la conferma, la prova reale che mi voleva quanto lo volevo io. La prova che adesso potevo davvero lasciargli nutrire le mie speranze .

La spaccatura nel mio cuore la sentii richiudersi.

 

Il 31 Ottobre del 2001 sentii di appartenere solo ad L.

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Capitolo 17
*** Assaggi ***


                                                               


 

Sono venuto per incontrarti, dirti che mi dispiace. Non sai quanto sei bella... dovevo trovarti per dirti quanto ho bisogno di te, per dirti che ti ho trascurata.

Dimmi i tuoi segreti e fammi le tue domande.

Ricominciamo tutto da capo. Correndo in cerchio, si vedono le code

le teste sono in una scienza a parte [...]

Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile. È così un peccato dividerci.

Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile. Nessuno ha mai detto che sarebbe stata così dura. Portami indietro all'inizio. Stavo solo calcolando cifre e numeri mettendo i tuoi problemi da parte. Problemi di scienza, scienza e progresso non parlano forte come il mio cuore. Dimmi che mi ami, torna e assillami.                     

                                                      

                                                                 ( traduzione di "The Scientist" dei Coldplay)

 

                                                   Assaggi

 

La verità è che mi ero illusa che in quella soffitta fosse accaduto realmente qualcosa.

Lui non mi aveva mai sfiorata e non si era spinto oltre l’abbraccio. Non era da Lui, almeno non in quel momento, in quel dato periodo.

La Sua mente e il Suo corpo avevano delle barriere che non riusciva ancora a sgretolare, quando io invece realizzavo fantasie su di noi, come un’adolescente perdutamente innamorata e sognante. Meditai che, se non mi fossi addentrata di più nel suo mondo, non l’avrei mai avuto realmente, totalmente come desideravo. Ripromisi a me stessa che avrei infranto e frantumato quella parete fisica tra noi, perché aspiravo ardentemente che quel sogno divenisse realtà. Lo amavo così tanto ed allo stesso tempo non riuscivo fisicamente ad esprimere bene quanto lo volevo. Con molta probabilità anch’io ero intimorita dai suoi limiti corporei.

 

Dimenando la testa sul cuscino mi destai di scatto come se avessi avuto un incubo. Ero nel mio letto. Come ci ero finita?

Ricollegandomi ai miei ricordi, pensai che avrei dovuto risvegliarmi in quel polveroso attico, invece ero lì, in camera mia senza alcuna ragionevole spiegazione.

Un sogno. Era stato tutto un sogno.

Ma la domanda che mi attanagliava maggiormente fu: dove era iniziata la mia illusione e dov’era la realtà in quello che ci eravamo detti?

Fui interrotta nel mio ripercorrere ciò che avevo fatto dal notare la presenza di L. Non mi ero neanche accorta che era seduto sul mio letto di fianco a me,vicino al mio cuscino.

Dopo mesi in cui lo avevo visto sempre sveglio o fingere di dormire, mi accorsi che stava riposando accanto a me come un guardiano. Venni investita dalla gioia nell’averlo lì. L era con me, la rottura che c’era stata era davvero risanata!

Vederlo dormire era qualcosa d’incantevole. I suoi occhi erano bellissimi ed espressivi anche da chiusi, somigliavano a quelli di un bambino, così puliti ed ingenui. La sua bocca era perfetta, le labbra sporgevano carnose con una smorfia anch’essa infantile. Guardando il suo volto nel complesso si poteva notare tutta la sua sensualità innata e maschile.

Presi coraggio e facendo piano con delicatezza sfiorai la sua guancia e lentamente la baciai. Poggiai la mia testa sulla sua spalla.

Bisbigliai “L, non puoi immaginare quanto ti ami. Perdonami per non averti voluto vedere in questi lunghissimi mesi. È stata la peggiore pena che potessi infliggere ad entrambi. L. Mi dispiace così tanto.” Mossi la testa facendo perno con la fronte poggiata sulla Sua spalla, un cenno di compassione ripensando al mio puerile tentativo di stargli lontana per non soffrire.

“Perché non riesci a dirmi certe cose quando sono sveglio.” Disse la sua voce atona, facendomi alzare la testa di scatto e avvampando.

“Credo anche io di non essere capace quanto te a dirti certe cose. Me ne sono accorta solo adesso.” Ancora rossa in viso risposi rivolgendo il mio sguardo a Lui.

Sorrise impercettibilmente e prese un tono quasi preoccupato “Sono un farabutto se mi ci metto, lo so. Ho preferito sacrificare te e il risultato è stato quanto meno disastroso. Tu ti sei allontanata e lui è ancora in giro.”

“Già, io sono il riflesso della tua capacità mentale, l’ancora.” Sorridevo senza accorgermene ed ero felice per questo, ora ne comprendevo il significato più profondo.

Ci guardammo, poi dissi “Non gli permetterò più di farmi questo e di fare questo a te. Tu sei il migliore L e in questa sfida sei tu che devi uscirne vincitore. Ora sono anche io che non voglio che tu faccia tutto questo solo per me. Voglio incoraggiarti, perché questa è la tua natura. Se questo rende te, te stesso, allora fallo per il tuo orgoglio, fallo per il tuo modo infantile di accogliere certe provocazioni, perché ho capito che amo anche questo di te. Sono stata io la stupida a credere all’idea romantica della tua sola protezione, io ti voglio per come sei. Sono io una vigliacca che ha preferito chiudersi nel suo egoistico dolore, non pensando a come tu potessi stare dopo le mie rabbiose parole. Te le ho scagliate contro come una cannonata.” Sorrisi per la bizzarria dell’esempio e proseguii dicendo “Come puoi vedere so essere anch’io infantile e la mia mente è lenta. Ragiona in malo modo.”

“Belle...” Come suonò dolce il mio nome in quell'istante quando uscì dalle sue labbra.

Voltandomi, lo sentii accarezzarmi i capelli “L...” Dissi in risposta al suo chiamarmi, notando che lo sconvolse un po’, ma per poco.

“Non sei una sciocca e neanche superficiale. Smettila, ti prego. Te lo ribadisco, voglio che tu sia l’unica persona che non mi faccia sentire il peso di ciò che sono e ti garantisco che è un fardello fatto di tutto il piombo di questo mondo. Anche se per me è un piacere e sono io ad aver scelto di volerlo fare. Ti ringrazio di avermi capito così bene e di non essere fuggita. Sono cosciente di essere un mostro in alcuni miei modi di comportarmi...” Lo bloccai abbracciandolo.

“Non dire altro L, ho capito.” Strinsi gli occhi e affondai il viso nei suoi capelli.

 Riesumai il ricordo del sogno e sobbalzai.

“Che succede Belle?”

“Niente... stavo ripensando a quando ero in soffitta e...” non riuscivo a dire altro, ero immersa nell’imbarazzo.

“Ah, mi sei letteralmente svenuta addosso.”

Quindi c’era davvero Lui in soffitta!

Quella fu la prova che ancora le miei condizioni fisiche non erano propriamente delle migliori. “Forse ancora non mi sono ripresa dal mio periodo nero, intendo fisicamente.” Proprio mentre mi allontanavo dall’abbraccio la sua mano sfiorò un lembo della mia pelle scoperta dalla camicia.

Mmmh!” Tremai e trasalii.

“Sei strana. Non ti senti ancora bene?” Era indagatore come sempre, mi inchiodò gli occhi, non credo ci sarebbe stata mai una volta in cui non volesse sapere.

Titubante dissi “L. Tu… tu hai mai pensato a me in un modo, come dire… diverso?” Non sapevo come guardarlo.

Mmmh... con diverso cosa intendi? Può significare molte cose.” Guardò in alto portando l'indice sul labbro inferiore.

Mi stavo addentrando in un campo minato, io non aprii bocca che Lui mi anticipò “Intendi dire me come uomo e tu come donna?” Guizzò di nuovo con occhi su di me.

Avrei voluto scavarmi una fossa e infilarmici dentro, il mutismo prese possesso di me.

 “Beh, riprendendo il discorso che abbiamo fatto in soffitta sui santi, posso dirti che non sono un santo. Quindi puoi ben dedurre che potrei anch’io non avere freni inibitori. Magari, se messo in una data condizione o situazione, non nego che potrei, mangiarti come una torta sacher.” Divertito accennò una faccia buffa e mi osservò malizioso.

“Oh Dio L! Ma che diamine di paragone!” Iniziai a ridere perdendo tutta la mia insicurezza.“Comunque, piace anche a me la Sacher. Quel buon contrasto di cioccolato e confettura di albicocche.”

I suoi occhi si illuminarono di una strana luce, non capirò mai se per me o per i dolci.

“Con questo vuoi dirmi che mi mangeresti Belle?” Adesso era provocatorio, mi piaceva quel sottile insinuare doppi sensi con Lui.

“Sì... sì, immagino di sì.” Ricaddi nell’impaccio più profondo.

“Mi piace molto la tua timidezza, la trovo anche lei molto attraente.” Si poggiò il pollice sulle labbra scrutandomi, mi sembrò di essere osservata da un lupo. Pensai volesse davvero divorarmi.

Ruppi quell’atmosfera fin troppo  eccitante esclamando “Ok! Stop!”

Mi alzai dal letto per prendere dei biscotti alla mandorla. Li tenevo nascosti in uno dei cassetti della mia scrivania, nel caso ci fossero state le irruzioni di L in camera. Tornai poi a risedermi vicino a Lui e gli porsi la confezione appena scartata dove spiccavano i biscotti ricoperti di una coltre di zucchero a velo.

Ne prese uno con la sua solita premura, io feci lo stesso imitandolo scherzosamente e Lui si voltò diciamo vergognoso, ma non credo fosse vergogna. Direi più una strana e divertente dimostrazione del fare il ‘finto offeso’.                 

Mentre ancora masticavo dissi “Credo che per adesso questo sia l’apice dell’intimità e del carnale tra me e te.” Sorrisi impacciata come al solito.

“Vedrò di accontentarmi. Non aspettarti però che io rimanga a guardare.” Sfacciato come sempre aveva buttato lì l’input per un’altra scommessa.

“Allora vedremo chi cederà per primo. Pronta per un’altra sfida.” Ormai lo assecondavo per mio puro piacere e divertimento, sapendo che questo piaceva anche a Lui.

“Ricorda, hai già perso una volta.” Disse intento a mangiare il sesto biscotto.

“E chi ti dice che a me non piaccia perdere L.” Stavolta ero io a guardarlo provocante.

Si girò quasi scandalizzato, come se avessi appena detto un qualche sproloquio. La verità era che per Lui era difficile credere che ci fosse qualcuno capace di apprezzare la sconfitta. I suoi occhi sbarrati sembravano chiedermi come facessi a sopportare una cosa fastidiosa come il perdere.

“Sai L, si può sempre tirare fuori qualcosa di buono dalla sconfitta.”

Esterrefatto continuò a mangiare e disse “Ora capisco perché ti ho sempre trovata così interessante.” Sembrò essere convinto di qualcosa mentre lo affermava.

Non c’erano dichiarazioni aperte, il suo semplice modo di essere mi faceva capire che gli piacevo e che  cominciava ad amarmi.

Cambiai discorso, altrimenti avrei rischiato di procurarmi indebolimenti fisici e mentali.

Divenni seria.“Senti L. Sei riuscito a capire come diavolo B ci abbia trovato a Berlino?”

Poggiò con dispiaciuta esitazione il biscotto che stava per addentare ed iniziò ad espormi quello che sapeva.

“Dunque, Watari ha fatto analizzare la busta e gli altri elementi...” nel frattempo leccava lo zucchero rimastogli sulle dita “...e come mi aspettavo non ha lasciato tracce di alcun tipo, tanto meno impronte digitali o DNA. La lettera è stata scritta con una comunissima macchina da scrivere e il sangue con cui ha firmato, come pure il cuore, era davvero di un pettirosso. Ha intinto di sangue una penna del volatile, tagliata ed affilata appositamente per creare un tratto comprensibile, ma non omogeneo, come si è potuto vedere. L’unico DNA che è stato trovato è quello del ragazzo di servizio che ce l’ha fatta recapitare. Ho indagato su quest’ultimo, ma non è risultato avere contatti con B. È stato semplicemente delegato alla consegna e basta. Non sapeva nulla, ha svolto solo il suo compito.” L affilò lo sguardo guardando davanti a sé e proseguì “ D’altronde non dovrei meravigliarmi. B era candidato a diventare un mio successore, non mi stupisco nemmeno che sia stato così arguto su particolari così banali.”

“Come? Che significa il tuo successore?” Ero perplessa, mi aveva snocciolato quell’informazione mai venuta a galla tra capo e collo.

“Vedi Belle, qui alla Wammy’s House non ci occupiamo solo di ragazzi e bambini disagiati e abbandonati. Ci occupiamo anche di reclutare dei possibili geniali cervelli che possano sostituirmi nel caso venissi meno al mio compito.”

Quell’argomento mi mise improvviso ribrezzo. Non riuscivo minimamente a pensare che potesse  capitargli qualcosa ed essere sostituito. Avevo lo sguardo immobile sui biscotti, ma non erano loro ciò che m’interessavano.

“Belle, cos’hai?” Avvicinò il suo viso per vedere che faccia avessi in quel momento.

“Non... riesco a capacitarmi che...” Balbettavo, non riuscivo a dirlo.

Divenne di una strana premura “Non ci pensare, è solo una precauzione. Dovresti sapere che figura sono. Anche se nessuno sa chi io sia, sono comunque conosciuto nel mondo. Anche se sono protetto da molte identità, magari potrà esserci qualcuno che mi inimicherò, magari sarà una malattia. Bisogna sempre essere pronti all’evenienza che...” Lo fermai prima che potesse dire quella parola.

“Ti prego basta L, non dire altro, non voglio sentirlo. Cerca il tuo successore, ma non dirlo!” Sentivo l'amaro in bocca nonostante stessi mangiando quei biscotti dolcissimi.

Dirottai di nuovo la conversazione “Quindi non sei riuscito a trovare nulla che riconduca a lui?”

Divenne inespressivo. Capì che l’idea della sua non esistenza mi faceva male e si limitò a rispondere “No, niente e credo che non si farà vedere per un po’.”

“E cosa te lo fa pensare?”

“Perché ha definitivamente fatto perdere le sue tracce. Sembra essersi dileguato e prevedo che stia elaborando un modo più articolato per mettermi alla prova. Diciamo che quelle minacce mandate a te siano piccole istigazioni, nulla di più, vuole vedere quanto io tenga a te. Ad ogni modo questo non glielo mostrerò mai, altrimenti si accanirebbe di più. Dovrò e dovremo limitarci a tenerti al sicuro. Per catturarlo dovrò trovare un qualche collegamento esterno fidato che non sia Watari, altrimenti sarà inutile. Qualcuno dell’FBI o comunque nel campo dell’investigazione, questo è certo.”

Detto questo rimase per molto con lo sguardo fisso davanti a sé.

“Bene.” Dissi ermetica e con convinzione.

“Non è la risposta e la reazione che mi aspettavo da te.” Disse con lo sguardo interrogativo.

“Un attimo fa ti ho detto che mi sarebbe andato bene tutto di te e che non gli avrei permesso di rovinare né te, né me. Quindi ecco perché reagisco in questo modo, almeno così posso essere la tua forza e il tuo aiuto.” Ero di una fermezza che nemmeno io mi sarei aspettata. Risoluta presi un biscotto e lo mangiai, senza guardarlo per vedere che faccia avesse fatto.

Vidi solo che mi prendeva la mano e poi il mio dito indice, che era intriso di zucchero a velo e lo portò alla sua bocca. Lo succhiò delicatamente e con lentezza.

Il contatto delle sue labbra mi mise in subbuglio il petto e lo stomaco, m’incendiò.

Era aperta una seconda, nuova scommessa.

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Capitolo 18
*** Il suo Mondo ***


                                                                             
                                                                                        Hot chocolate - Kendyll Hillegas





 

                                         Il suo mondo

 

 

Sebbene tutto fosse limpido e cristallino, senza alcuna incrinatura, c’era comunque un retro gusto amaro, un qualcosa che pesava. Anche se Wammy era l’essere più buono, generoso e geniale di questo mondo, anche lui nascondeva delle sfumature d’ombra. Come tutti gli individui d’altronde e con altrettanta evidenza anche L ne possedeva.

Tutto quello che riuscivo a sapere mi arrivava centellinato e sotto forma di una morbida somiglianza a quello che in realtà era. Alla fin fine erano bugie e verità mescolate per tenermi buona da ciò che in realtà fosse la Wammy’s House e per proteggermi da ‘coinvolgimenti inutili’, usando le parole di L.

Non era affar mio e questo in parte per me era una liberazione.

L mi accennò quella storia su B. Il suicidio di A e la questione della ricerca di un suo Successore tra i ragazzi dell’orfanotrofio. Un sostituto, un duplicato di L.

Quest’idea mi dava il volta stomaco in ogni occasione che mi veniva menzionata e al solo sentirla venir fuori nelle discussioni di Watari, L o Roger, tendevo tempestivamente a sgattaiolare via per poi essere costantemente ritrovata da L o Wammy.

Non so se loro potessero capire come mi sentissi. Il fatto è che non sopportavo, e non sopporto, l’idea che gli individui possano essere considerati dei corpi da poter utilizzare, come se non avessero un’anima, come se non scorresse del sangue nelle loro vene ma soltanto materia grigia. Tutto per rincorrere L.

La mia condizione era quasi inverosimile, mi trovavo sul picco di un dirupo dove potevo cadere oppure rimanere con Lui e accettarne tutte le conseguenze, che avevo comunque già accolto.

Sapere di quei lati oscuri della Wammy’s House cambiò in parte la visione della mia vita lì. Di conseguenza accade anche con Wammy, con L e via di seguito, ma non in maniera assolutamente negativa, solo un po’ di durezza nei loro confronti. Riuscivo perfino a vedere diversamente quei bambini domandandomi quale sarebbe stato il loro futuro.

Chi avrebbe potuto eguagliare L?

Chi avrebbe sopportato così di buon grado una carica del genere?

Chi poteva sopportare l’oppressione della lettera L?

Mi sentivo confortata nel pensare che a volte non tutto girasse come un perfetto meccanismo in quel posto. Usciva comunque fuori l’umanità che avevo sempre percepito ed ero grata che fosse così.

Come L, l’imprevisto, lo sconvolgimento quotidiano, la sorpresa, erano le mie provvidenziali certezze che continuavano a rendere stabile la mia idea incantata della Wammy’s House.

Domandando ad L di B, sapevo mi che avrebbe risposto di aver perso le sue tracce soltanto per sortire su di me un effetto tranquillizzante e non farmi pensare a quella questione. Ed io mi limitai a fingere di aver accettato quella menzogna volentieri, perché non volevo essere un ostacolo a qualcosa che mi sembrava stesse prendendo delle proporzioni bibliche e dove io sarei rimasta probabilmente schiacciata.

Volevo vivere L e quella mia nuova dimensione per come era. Non volevo sapere altro, non mi serviva altro.

Molto probabilmente andare in profondità nella cruda realtà mi avrebbe ferita, proprio come successe nei mesi in cui scelsi di separarmi da Lui volontariamente.

Non volevo accadesse di nuovo. L mi era indispensabile per sopravvivere a quel mondo.

Così divenni sorda e perdevo intenzionalmente la memoria su quegli argomenti pungenti.

 

                                                                                                      

                                                         *******

 

L’Inghilterra era il posto più incantevole nei mesi invernali, in cui, con una prevedibilità quasi magica, cadeva la neve.

Il mese di Novembre era trascorso lestamente e la dolce Wammy’s House venne sommersa dalla tipica atmosfera pre-natalizia. Quella fantastica sensazione mistica e allo stesso tempo di immersione totale in una fiaba. Come se in quel breve periodo potesse accadere qualcosa d’inspiegabile, al di fuori di ogni logica.

Watari mi lasciò andare alle mie tradizioni natalizie con rispettosa curiosità, dandomi carta bianca su decorazioni, dolci e quant’altro. In cambio lui mi illustrò i tipi di dessert e usanze natalize che c’erano lì in quella che fu terra celtica.

In quel giorno nel mio paese ricorreva l’Immacolata. Era l’otto Dicembre e non resistetti, feci un albero di Natale nella sala ricreativa dove di solito ci si dedicava allo svago e alle ludiche evasioni. C’era un enorme camino acceso e mi sentii colmare il cuore di tenerezza quando una piccola testolina bianca mi chiese “Posso aiutarti?”

Il piccolo Near, così apatico da non riuscire a sentire la sua presenza, mi si mise davanti. A lui piacevano questo genere di cose. Il trafficare con i pupazzetti degli addobbi, il giocherellare con le sfere cristalline ricoperte di brillantina luccicante.

I suoi occhi si riempivano di vita.

“Certo Near. Sei perfetto per aiutarmi direi.” gli sorrisi presa dall’entusiasmo “Ma gli altri non ci sono? Mello? Matt?”

“A loro non credo interessi poi molto...”

“Immagino Near.” sospirai.

Sentivo che a breve sarebbe iniziata a svilupparsi una di quelle ambiziose esperienze competitive. Sorvolai per non farmi prendere dall’inquietudine. “Ok, iniziamo.”

Ci mettemmo un paio d’orette per completare l’opera, ma il risultato soddisfò sia me che il mio piccolo aiutante, il quale per un attimo abbozzò un sorriso. Pensai - Mio Dio, quanto gli somigli Near.- spezzai la sua riservatezza abbracciandolo e lui preso dall’imbarazzo torturò nervosamente una ciocca dei suoi capelli.

“Esco fuori sulla neve. Vuoi venire con me Near?”

Ancora impacciato rispose “No... grazie Belle… penso che resterò qui a osservare.”

“Va bene, come voi.” Voltandomi col sorriso in faccia mi avviai fuori.

Con calma indossai un cappottino rosso a bottoni larghi, dei para-orecchie neri con abbinati dei guanti che mi arrivavano fino al gomito del medesimo colore e degli scarponcini in pelliccia che mi isolavano perfettamente della coltre bianchissima che mi apprestavo a percorrere rumorosamente.

Il giardino aveva l’aspetto di un posto incantato.

I ragazzi erano già lì a giocare, lanciandosi le classiche palle di neve o a costruire pupazzi. Se questi ultimi si possono definire così. Perché notai Mello con Matt che stavano facendo qualcosa di più simile ad una scultura greco-romana. Risi sommessamente alla scena che avevo davanti, ma la cosa non passò inosservata agli occhi di Mello, che mi tirò a tradimento una palla di neve in piena schiena mentre mi giravo per avviarmi al boschetto.

Mello!!!” Sbraitai cercando di contenere la risata.

“Così impari a ridere della mia arte!” sghignazzò rumorosamente.

“Mi hai fatto male, come sempre! mmmh!” conclusi il tutto con una linguaccia finale.

La differenza tra me e loro non si notò più. Ero euforica, realmente felice.

Tra una passeggiata e il giocare iniziò a farsi notte, alle quattro e mezza c’erano i primi segni di oscurità. Così tutti rientrammo al caldo dell’istituto.

Corsi le scale, il corridoio e poi arrivai in camera mia.

Ero invasa da piacevoli sensazioni e spalancai la porta ridendo tra me e me.

L era davanti alla mia finestra ricurvo a osservare fuori. Probabilmente ci aveva guardati tutti, me compresa, mentre ce la spassavamo sulla neve.

“L?!” ero sorpresa, mi scoppiava il cuore, non potevo immaginare che una situazione così abitudinaria mi rendesse ancora più felice di quel che ero. Mi spogliai del cappotto, dei guanti e lanciai gli scarponcini vicino il radiatore accanto alla porta.

Persi i cinque centimetri d’altezza guadagnati con quelle calde calzature. Liberai la testa dal para-orecchie, mi sentivo libera come se avessi appena tolto un’armatura con la rete in ferro medioevale.

“Sembrava essere divertente. Lo era?” Sembrò volersi girare per guardarmi ma il violaceo imbrunire innevato lo distraeva dall’azione di volersi voltare.

“Sì, molto L. Potevi unirti a noi, ma a dire il vero non ti ci vedo molto.” dissi ironica mentre pian piano perdevo l’affanno della corsa.

“Non potevo. Ero occupato e poi mi sono messo qui solo verso la fine dei vostri giochi.”

Mmmh, capisco…” Sembrava un po’ giù di corda, lo notai dal leggero tono abbattuto e stanco della sua voce.

“Vuoi una cioccolata calda?” sapevo come prenderlo ormai. Cose dolci uguale a occhi che brillano.

Finalmente riuscì a voltarsi con un leggero riso “Volentieri.”

“Vado e torno.” uscii sorridendo intenerita.

 

Mentre ero in cucina, preparando le tazze e la ciotolina di panna annessa, entrò Watari che prese subito a preparasi una teiera per un tè. “Siamo di buon umore oggi?”

Scoppiai a ridere “Sì, molto. E a te com’è andata oggi Wammy? Non ti ho visto in giro stamane nei corridoi.”

“Ero occupato con delle ricerche per chi sai tu.”

“Capito...”

Avevo appena finito di versare la cioccolata nelle tazze quando le parole di Wammy mi colsero insolitamente di sorpresa.

“Devo apparire come un mostro ai tuoi occhi Belle.” Sorrise amareggiato mentre staccò lo sguardo dalla teiera in ebollizione sui fornelli.

Ero in preda al dispiacere più grande sentendolo dire una frase del genere. Avvicinandomi a lui strinsi con dolcezza il suo braccio. “No! No. Come ti passa per la testa una cosa del genere? Io non ti odio, non ti disprezzo e tanto meno non penso che tu sia un mostro. Ti voglio davvero tanto bene, non ci riuscirei neanche volendo a odiarti. Adesso tu sei mio padre... solo...” tentennai “ …penso che sia cinico il modo in cui viene affrontato l’argomento Successore, ecco tutto. Per me L non è solo una lettera gotica su uno schermo, racchiude molto di più. E pensare che qualcuno o qualcosa possa distruggerlo… o addirittura sostituirlo, mi crea un’afflizione infinita... tutto qui.” lo sentii sollevato e rincuorata dalla sua reazione finii dicendo “Tu per me, Quillish Wammy, sei l’uomo più grande al mondo, niente abbatterà questa mia convinzione. Niente e nessuno.”

Qualcosa di miracoloso accadde. Non avevo mai visto sul suo volto il ritratto della gioia più completa come quando gli dissi quelle parole.

“Ora capisco perché ti ha voluto così tanto, Belle.”

Sorrisi lusingata “Adesso vado, altrimenti si raffredderà tutto.”

 

Quando rientrai nella mia stanza L era richiuso sul mio letto come sempre.

“Ti piace molto sederti lì? È come avere un gatto.”

“Per me è diventato un gesto familiare... mi piace…” fingendo timidezza nascose naso e bocca sotto le braccia incrociate e poggiate sulle ginocchia.

“Mi correggo, non è come avere un gatto, tu sei un gatto.” Gli porsi la sua tazza di cioccolato e accesi la lampada da tavolo che avevo vicino al letto. L’adoravo perché aveva una luce calda e mi rilassava molto.

Mi accomodai anch’io vicino a Lui sorseggiando “C’è la panna, la vuoi?”

Sì…

Feci per alzami quando mi sentii inaspettatamente bloccare.

“La prendo io.”

Ero sbalordita, di solito era di una fierezza dove non si sbilanciava mai, nemmeno per prendere un cucchiaino. Nel bel mezzo del mio stupore sorvolai.

Dalla ciotola che mi offrì presi anch’io della panna e poi dissi “Mmmh… non mi capaciterò mai del fatto che la panna e la cioccolata stiano così bene insieme.”

“Beh, alla fine sono le diversità che rendono il tutto più appassionate, no?”

“Direi di sì...” mi stupii in quel momento. Che fosse si di poche parole lo sapevo, ma non mi convinceva. Le nostre discussioni non erano mai eccessivamente impacciate. Che diavolo gli prendeva?

“L, qualcosa non va?” Chiesi premurosa.

“No, va tutto bene… anzi... vorrei…” Era in blocco. L era in blocco!

“Dai, puoi dirmelo. Così mi fai preoccupare.” Feci per avvicinarmi ulteriormente e Lui.

Ok…” Lo vidi prendere qualcosa dalla tasca dei suoi jeans. Ne tirò fuori uno oggetto molto piccolo e me lo allungò con lenta attenzione.

Aprì la mano e lo vidi. Era un anello con una finissima decorazione che  somigliava ad una piccola cupcake rosa ed una minuscola pietra scarlatta al centro. Lo adorai all’istante.

“Oh... L è... adorabile! Grazie, ma perché?”

“Siamo nel periodo di Natale e volevo regalarti qualcosa. E dato che per Natale quasi sicuramente non saremo qui, ma fuori per qualche mio lavoro, ho voluto dartelo adesso con calma.”

Il cuore sembrò uscirmi dal petto “L, ma io ancora non ti ho regalato niente… come...”

“Non devi regalarmi nulla, mi hai già dato qualcosa. Il giorno del mio compleanno.”

“Il tuo compleanno? E quando è stato?”

“Il 31 Ottobre”

Io… io non lo sapevo e poi non ti ho dato bel niente!”

“ Invece sì. Sei tornata da me, Belle. Io posso avere qualunque cosa, ma non posso averti se non lo vuoi tu. Ad ogni modo io voglio che tu abbia qualcosa che ti ricordi me quando non ci sono e non possiamo vederci per molto tempo.”

“Grazie L...” sorrisi “per un attimo ho pensato fosse un anello per una proposta di matrimonio, come in un assurdo film dal romanticismo smielato ed io non ho mai sopportato le cose scontate, ma questo lo avrai capito altrimenti non sarei qui con te.”

“Sì, ne sono cosciente Belle.” sorseggiò la sua cioccolata che gli rimase sulle labbra, colsi al volo l’occasione per ricambiare lo scherzetto dei biscotti alla mandorla e provocarlo, magari fargli perdere la scommessa. Povera illusa.

Accostandomi s’irrigidì ancora imbarazzato per la conversazione che avevamo avuto. Gli baciai le labbra portandogli via il cioccolato. Non si trattenne e rispose al bacio in modo molto coinvolto, come se gli avessi fatto un affronto a cui Lui non seppe resistere dal ribattere.

Sorrisi mentre mi baciava, aprii gli occhi scostandomi e lo vidi.

Aveva un’espressione intensa come non mai, mi guardava con trasporto come se fossi stata l’unica cosa che volesse in quel momento.

Mi allontanai piano parlando flebile “Che fai tenti di perdere?”

“No, la verità è che stavo rispondendo al tuo attacco...” Mi zittì baciandomi nella medesima maniera di pochi istanti prima.

Come diavolo faceva a baciare così bene? O io ero un’ottima cavia o Lui aveva altre doti innate oltre all’intelletto.

Mentre mi soffermavo su questo non considerevole dettaglio, Lui mi spinse sulla testiera del letto come un felino a gattoni, senza abbandonare il nostro contatto. Non voleva lasciarmi. Prese il mio collo e scivolò fino al petto precisamente sul cuore, poi si fermò rimanendo vicino al mio viso. “Come immaginavo ti faccio un gran bell’effetto.”

“Sei il solito provocatore…” stordita e concentrata sui suoi occhi, sorrisi.

“E tu sei la solita ingenua... credo che vincerò facilmente anche stavolta.” Voleva baciarmi di nuovo, ma lo interruppi.

“Non cantare vittoria. Ho detto che non mi dispiacerebbe perdere, non che avrei perso...”

Si accese.

I suoi occhi si sbarrarono e sorrise in modo invisibile, il viso intero si animò.

“Attenta...” Si allontanò rimettendosi le ginocchia al petto. Io ero ancora ubriaca e con la tazza di cioccolato in mano, Lui la sua l’aveva fatta sparire sul comodino nel momento in cui mi aveva messa alle strette. Poi disse “Mi stai davvero provocando.”

Ingoiai ansiosa pensando cosa sarebbe successo se lo avessi provocato una volta per tutte in maniera irreversibile.

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Capitolo 19
*** Vicino ***


                                                         
                                                           Illustrazione di Alexandra Nea.


 

                           Vicino

 

Dicembre era al culmine del suo incanto e io ero avvolta dalle sensazioni quasi narcotizzanti di quel momento. Ogni qual volta che volgevo il mio sguardo verso di Lui ero più sognante che mai, ma il mio orgoglio mi imponeva di non cedere alla sensazione di euforico soffocamento che mi chiudeva la gola, mentre silenziosamente tenevo per me quell’esplosione d’eccitazione emotiva.

Avrei fatto penare Lui, come Lui faceva penare me nello stare ferma ad attendere quella svolta relazionale tra noi. Non so se dipendesse da quello sciocco giochino che ci eravamo imposti, ma la mia testa girava come se stessi giocando al Blind man’s buff* e la parte dell’individuo bendato la facevo io, con la differenza che nella mia cecità, a volte tastavo l’aria senza riuscire mai ad agguantare l’abbraccio che desideravo.

 

Quel 23 Dicembre ci trasferimmo nell’ennesimo hotel per seguire il lavoro di L.

Questa volta a Parigi.

Inutile e superfluo descrivere la meraviglia che era la città in quel dato periodo. Qualunque parola sarebbe inappropriata. Tutto era scintillante, i monumenti e statue lustri sotto le luci dorate dei lampioni, le strade lastricate d’umido e ghiaccio colante di vecchia neve sui bordi dei marciapiedi. Il nero della nostra Roll Royce assorbiva il risplendere dei bagliori ed io osservai estasiata questo spettacolo, come se non lo avessi mai visto in vita mia.

Accanto a me L, anch’esso sbirciava dai vetri scuri. Il suo profilo, visto dalla mia prospettiva, somigliava a quello di un bambino curioso, che attendeva scendesse qualcosa dal cielo e tutto intorno divenne scontornato, evanescente.

Non sarà necessario dire che la nostra suite era sfacciatamente regale e che tutto venne tempestivamente predisposto e sistemato per agevolare la fertile occupazione di L. Io come sempre occupavo la mia gabbia dorata e quel che addolciva il mio soggiornare erano i confort di cui ero circondata ed i tentativi di viziarmi da parte di Watari insieme dell’intero personale dell’hotel. Il mio nome in quel contesto suonava in un modo così giusto, dato che lo avevo rubato ad una fiaba francese La belle et la Bête*. Pensando spesso a quella piacevole e fiabesca coincidenza, meditai di leggerne il libro, dato che di tempo ne avrei avuto a bizzeffe per fare qualsiasi cosa. Già dalla mia partenza dall’Inghilterra pronosticavo ore ed ore di noia, così chiesi a Watari di poter andare in una libreria a comprarlo.

Il giorno dopo fu  la Vigilia di Natale e Parigi era nel subbuglio più completo. Alzandomi di buon ora quella mattina mi sentii già soddisfatta per la giornata che mi si stava prospettando. Pronta, col mio cappottino in panno di lana grigio, sciarpa nera, con i capelli cioccolato che vi cadevano sopra, jeans e stivali neri lucidissimi. Chiusi la porta della mia stanza per ritrovarmi nel salottino-sala computer, quando… “Cambio di programma, Belle.” esordì Watari prendendomi di sorpresa e facendomi fiutare l’odore di un impedimento a quell’uscita.

“Perché? Cos’è successo? Non si va più in libreria?”

“No, ci andremo. Semplicemente, da quel che mi è stato riferito da L pochi istanti fa, anche lui si unirà a noi.”

“Ah! Meno male, pensavo non andassimo più e che l’entusiasmo della mia giornata si stesse smorzando drasticamente, Watari.” dissi con tono sollevato.

“Ok! Ma dov’è ades...” non finii di formulare la mia domanda che lo vidi sbucare fuori da un’altra stanza; in quella suite ne avevamo ben tre, più il salottino. Ignoravo cosa ci fosse in quella camera, per me era territorio off limits.

“Bene, andiamo.” L lo disse nel suo tono apatico.

Sbalorditivo come ogni volta che mi appariva davanti, non riuscivo a controllare il mio battito cardiaco, era come se mi comparisse di fronte qualcosa dal contorno perfetto, netto, che risaltava. La verità è che per me Lui era del tutto perfetto.

Pochi minuti più tardi fummo in macchina e ci incamminammo verso la nostra - mia - destinazione. Qualcosa continuava a non convincermi. Mi interrogai sul perché L fosse voluto venire con me, credevo che il caso a cui stesse lavorando avesse la priorità ed invece era lì in mia compagnia per andare in una libreria. Non resistetti e chiesi.

“L, come mai hai deciso di venire con me? In fondo sto solo andando a comprare un libro.”

“Di che libro si tratta?” parlando pigro, ma sinceramente incuriosito, eluse la mia domanda con la sua.

“La Belle et la Bête.” lo dissi in francese sorridendogli.

“Oh, una fiaba.” iniziò a mordicchiarsi il pollice, era adorabile e quando mi vide arrossire al pensiero che avevo appena formulato su di Lui, sorrise beffardo. Mi istigava e Lui si divertiva come non mai.

Il traffico che incontrammo non accennava a smuoversi e questo mi faceva agitare, inoltre sentivo L col fiato sul collo, non mi mollava con gli occhi, mi metteva sotto pressione. Mio Dio, lo adoravo.

D’un tratto sentii sbattere qualcosa sul mio finestrino. Un passante stava camminando vicino la nostra auto ferma e nel perdere l’equilibrio si era poggiato violentemente con la sua mano sul vetro dal mio lato. Spaventandomi emisi una via di mezzo tra un fremito e un’inspirazione violenta, il tutto scattando in direzione di L e aggrappandomi al suo braccio. Dopo tutti i fatti che avevano segnato brutalmente la mia psiche avevo iniziato ad avere reazioni fin troppo forti.

Voltandomi notai che Lui aveva lo sguardo proteso in direzione del finestrino. Controllava se tutto fosse a posto e Watari fece lo stesso. Appurato che non fosse nulla di grave, continuammo la nostra lenta processione nel flusso stradale.

Sentivo il suo mento sulla mia fronte, percepii la sua rassicurazione, sapeva che per me non era facile vivere in quel modo. Perché stavo diventando in parte come Lui. Il mio mondo si stava restringendo in un piccolo spazio, perfino il relazionarmi con qualcosa di esterno a noi mi faceva porre in modo diverso nell’interagire con altre persone sconosciute e sapevo perfettamente che tutto dipendeva anche da B. Aveva impiantato la paura in me e L la combatteva per non farmela sentire.

“Tutto bene Belle?” era suadente e lo guardai languida. Abbassai la testa sul suo braccio scuotendolo e poggiando le mie labbra sulla sua maglietta.

“Sì... adesso credo di sì...”

In quel momento pregai con tutta me stessa che L trovasse B e lo rinchiudesse nella prigione più desolata di questo mondo. Divenni sostenitrice accanita di quella silente caccia.

Finalmente arrivammo a destinazione ed ancora lievissimamente scossa accusavo con fastidio la confusione natalizia che mi circondava. Non riuscivo a farmi scivolare via l’episodio avvenuto in macchina poc’anzi. Notai che L mi seguiva osservandomi in tutte le azioni che compivo. Incrociavo i suoi sguardi che erano... preoccupati? protettivi?

Non saprei spiegarlo letteralmente. Quando arrivai alla sezione della libreria che mi interessava, mi sembrò di aver trovato il Sacro Graal. Sotto la cauta osservazione di L, cercai di sbrigarmi a trovare e a prendere il testo che cercavo.

“Belle.” mi voltai “Tranquilla. Ci sono io, c’è Watari.” la sua voce era molto, molto calma, ferma e mordendomi il labbro cercai non lasciare spazio al mio timore.

“Ok, ehm… andiamo. L’ho trovato...” ingoiai il nodo d’angoscia che avevo in gola.

 

La cerimonia del mio controllo durò fino al ritorno in albergo, dove tempestivamente accelerai il passo e infine corsi in camera a sfogare il pianto.

Mio Dio! Cosa mi aveva fatto quel fantasma di cui nemmeno conoscevo il volto?

Invocai il nome di L sottovoce, non volevo sentisse, non volevo disturbarlo, non volevo affossarlo con me. Ed L per mia fortuna non mi seguì. Non entrò.

Quando mi sentii più tranquilla presi il libro che avevo acquistato e adagiandomi sul letto iniziai a leggere. La lettura di quella storia mi cullò come se fosse stata una nenia e caddi in quella sensazione che paragonerei a come quando ero bambina, sulle gambe della mia anziana nonna che mi raccontava sempre le solite favole o fiabe, ma a sentirle raccontare dalla sua bocca suonavano sempre nuove ed inedite alle mie orecchie. Era un involucro di pura serenità.

Scivolai nel sonno, le tensioni come sempre mi mettevano a dura prova, ma la maggior parte delle volte il riposo risultava sempre corposo e risanate.

Quando mi fui risvegliata L entrò in camera e con molta calma si chiuse dietro la porta. Io ero ancora mezza assonnata e intrappolata nella mia posa scomodissima in cui mi ero messa a leggere e in seguito assopita. Appoggiata sul cuscino che a sua volta era poggiato alla parete. Quel letto non aveva testiere avendo un design essenziale e il mio collo era dolorante per la troppa esposizione a quella posa.

Non riuscii a trattenere il sorriso ed esordii sarcastica “Questo caso o è di una facilità spaventosa, e ti ha fatto perdere interesse per esso, oppure è bello complicato.”

“Nessuno dei due. Diciamo che è in una fase di stallo, tutto qui. Ne approfitto per stare con te, ti dispiace?” Con le mani in tasca avanzava verso di me.

“No, sono felice che questa investigazione sia bloccata, almeno sei tutto per me, almeno per un po’.” Sollevandomi leggermente dalla mia posizione proseguii “Mi hai osservata molto oggi. Che cosa ne hai dedotto Detective L?” ancora sarcastica. Sembrava che, per controsenso a quello che avevo espresso dolcemente in quell’istante, gliela volessi far scontare inconsciamente per qualcosa, ma in realtà desideravo da morire che mi abbracciasse e basta.

“Se vuoi la mia analisi…” sarcasmo atono da parte sua “Ho dedotto che mai come in questo momento hai bisogno di una vicinanza umana fortissima e io mi sento di un’impotenza disumana.”

“L, tu non sei impotente. Anzi tu puoi molto, puoi tutto su di me e puoi perfino intervenire sul mondo intero con la tua sola ragione.”

Mi guardò intenso “Anche tu puoi tutto su di me Belle. Belle… “ si soffermò ad ascoltare il suono del mio nome appena pronunciato “Questo nome lo hai scelto per via di quella fiaba che ti piace molto. Vero? Suona in una maniera così...” lo interruppi.

“Ti prego, non parliamo del mio nome. Lo so, sono una disonesta. Io so il tuo, ma tu non sai il mio.”

“E chi ti dice che io non lo sappia il tuo nome.” mi disse mentre si avvicinava al mio letto e mi si appollaiava di fianco, tutto suonava come se mi stesse consolando e cercando la nostra stretta intimità.“Ma nemmeno tu sai il mio nome completo quindi siamo pari.” fu calmo e quasi seducente .

Non ressi più, avvicinandomi piano mi attaccai a Lui con un abbraccio “L, io sono una belva, perché nella mia stupidità noto quanto io ti faccia mettere in ansia e non riesca a far niente per rassicurarti. E’ che ho così tanta paura L!” poggiai le labbra sul suo collo in un gesto disperato e lo sentii fremere.

“Belle...” era strano.

“L.” sentendomi proferire il suo nome si rilassò ma si sentiva comunque in difficoltà.

“Belle, se proprio dobbiamo metterla nel giusto senso, sono io la bestia. Sono io che ti ho trascinato in quest...” non lo feci finire, gli misi una mano sulla bocca.

“No. Tu non hai fatto niente di cui rimproverarti. Io mi fido di te e di ciò che fai. Sono io che ho deciso e se le mie paure prendono il sopravvento so che dovrò cominciare ad affrontarle. Non potrò scappare per sempre.”

Belle…” Accostò la bocca e il suo profilo sul mio capo “Forse io non mi trasformerò mai in un principe. Ed ammetto che ne sono geloso.” Sì, era gelosia.

Gelosia per quella figura che non sarebbe mai stato e mi piacque, come mi piacque il fatto che parlavamo con i termini e i nomi della fiaba che stavo leggendo.

“Io non voglio un principe e non voglio che tu lo sia o che lo diventi. Io voglio L e basta! Trovo che sia molto meglio che avere un principe che continua a dirmi di amarmi o che si consumi in smancerie cavalleresche. Io voglio che nulla mi sia detto sempre in modo esplicito. Voglio i fraintendimenti, perché poi dovremo incontrarci per chiarire e avvicinarci fisicamente. Amo proprio la tua incapacità nel non sapermi sempre prendere, l’incostanza dell’ a volte sì e a volte no. Voglio l’impulsività, la stranezza, la tentazione celata e costante. Ecco cosa voglio. Questo sei tu. E’ te che desidero.”

Eravamo ancora così vicini e il suo sguardo si affilò, il nero degli occhi si sciolse ed io ne divenni preda. Un bacio intriso di eccitazione e mi piaceva sentirla. Non mi lasciava andare, mi fece quasi paura, perché era Lui che me la provocava e io la volevo da Lui.

Quando mi lasciò con voce quasi immorale disse “La prossima volta non mi accontenterò di un assaggio. Questa è la tua ultima provocazione.”

Spacciata.

Ero spacciata e sapevo già che avrei perso. Alla sua prossima mossa Lui avrebbe fatto scacco matto.

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Capitolo 20
*** La parte peggiore di me ***


                                                       
                                                            Illustrazione di Alexandra Nea


 

 

Joe: Come sai che ti ama?

Bill: Perché conosce la parte peggiore di me e le sta bene.

 

                                                           (cit.Vi presento Joe Black )

 

 

                           La parte peggiore di me

 

 

Dopo quel suadente e sfrontato annuncio della sera prima, non ebbi il coraggio di incrociarlo sul mio cammino. Lo evitavo come la peste, guizzavo via. Mi rendevo imprendibile in quei cento metri quadrati di suite. Il termine più esatto per definire quello che stavo facendo è ‘scappare’.

Non gli riuscivo nemmeno a parlare e Lui non faceva niente per cambiare la situazione, si limitava a svolgere il suo lavoro che riprese più frenetico di prima. Prevedevo qualcosa in quegli atteggiamenti. Un anticipo di quello che mi rendeva euforica e terrorizzata al tempo stesso. Colsi quegli istanti di distacco per studiare in modo più preciso e profondo la sua persona.

E così feci da spettatrice.

Watari, ho comparato i video della sorveglianza nella villa di Monsieur Chevalier e a quanto pare non sospettava affatto di trovarsi quella specie di terroristi in casa. Quindi escluderei che abbia organizzato lui di proposito quell’irruzione anomala, dato che è scomparso in maniera misteriosa due giorni dopo. Non ne avrebbe ricavato nulla, nessun vantaggio, se non un magro scredito agli occhi di tutti. Come personaggio di spicco e per il ruolo che ricopriva era stimato ed i suoi nemici si sono sempre guardati bene dal nuocerlo, dato la benevolenza che gli viene portata dall’opinione pubblica. Inoltre anche se figura politica, è uno dei pochi con un profilo d’affari pubblici quasi pulita, forse è per questo che non era ben visto dalle sue controparti. Ad ogni modo,  chi poteva trarne vantaggio e favore è una delle sue tre ex mogli...” L aveva messo perfettamente in moto la sua macchina da ragionamento.

I suoi sguardi sembravano apparentemente distratti sullo schermo dove erano aperte le immagini del caso. La realtà era che Lui nascosto dietro una maschera di non curanza, smontava, montava e collegava tesi e conclusioni. L compiva tutto questo in un modo facile, semplice, senza ostacoli e frustrazioni mentalmente comuni.

“E di quale moglie potrebbe trattarsi delle tre candidate?” chiese Watari preso dai ragionamenti di L.

“Posso affermare con assoluta certezza che si tratti dell’ultima moglie, Madame Philippe. Lei è l’unica che riuscì a far firmare un contratto pre-matrimoniale in gran segreto a Monsieur Chevalier, facendogli intendere che fosse un documento di poco conto, una formalità ben camuffata, e lui c’è cascato stupidamente. Diciamo che si è mascherata da agnello, quando poi lei stessa era la belva affamata. Ha creato questo apparente articolato piano, compreso di messa in scena dell’attacco terroristico in casa di un noto ministro francese, in cui ha pensato che alla fine di tutto ne sarebbe uscita pulita. Allo stesso tempo ha destato quella giusta dose di sospetti che comunque potevano essere dissipati con piccole, banali e scontate prove. ‘Lei era la moglie di Mounseir Chevalier, non avrebbe potuto’. Ricordi Watari, così disse la governante nelle registrazioni dell’interrogatorio alla polizia.”

L riuscì ad assorbirmi totalmente nei suoi labirinti e collegamenti, me ne sentii rapita e sembravano darmi alla testa. Vidi poi spuntargli un sorriso elettrizzato, aveva già un nuovo concetto nella testa e iniziò a mordicchiarsi il dito indice.

“Ebbene, posso affermare con altrettanta sicurezza che la governante sia implicata con la propria padrona in questo caso politico-familiare. Non ho potuto fare a meno di notare la sua espressione facciale mentre discuteva con la polizia, era di totale dedizione a Madame Philippe; solo che nonostante i suoi tentativi di nasconderla sotto quell’espressione afflitta e impaurita, è venuta comunque fuori.  Inoltre c’erano cenni di leggeri sorrisi e soddisfazione, molto probabile che non sopportasse il suo padrone e che la sua disavventura l’ha resa appagata. La  governante doveva avere qualcosa contro Monsieur Chevalier, ma non è lei che ha ordito tutto questo. Ha solo dato un bel sostegno e copertura. Ed è la classica donna dedita al suo dovere, con quella semplicità maliziosamente pettegola, diciamo che è ben relegata nel suo ruolo di governante.” L si voltò verso lo schermo del portatile dove scorrevano le immagini dell'interrogatorio alla governante.

“Hai già tracciato il profilo dei possibili intrusi? Non essendo un comune caso di violazione di domicilio e neanche un classico piccolo furto, direi che sono individui di un certo calibro. Sono entrati in una casa inespugnabile, con sistemi di sicurezza all’avanguardia.” Watari mi lasciò ancor più stupita di L, parlava con Lui come se avesse una connessione perfetta nella comunicazione di certe cose e in quei frangenti.

L rispose diretto e conciso “Sì, l’ho già fatto.” e tirò fuori da una pila di fogli una pagina con su scritto un elenco e foto annesse di quattro individui. All’apparenza non avevano le classiche facce da brutti ceffi che ci si aspetterebbe di vedere in un qualche film. Erano professionisti con facce normalissime, ingannevoli ed esistevano davvero.

“Se le forze dell’ordine riescono a catturarli avranno anche conferma e confessione di dove possa trovarsi ora il cadavere di Monsieur Chevalier.” Ora L era tornato e guardare Watari serissimo.

“Come fai a essere certo che sia stato ucciso?” disse Watari con una punta di speranza.

Forse sperava davvero che Monsieur Chevalier fosse vivo.

“Perché nel documento-inganno di Madame Philippe c’era uno dei tanti punti in cui si diceva che se Monsieur Chevalier fosse venuto a mancare, tutto il suo patrimonio sarebbe stato trasferito alla coniuge. Molto semplice come piano direi, ma Madame nel complicarlo col rapimento di lui mi ha reso la cosa ancora più facile da risolvere...”

Non  riuscivo a staccagli gli occhi di dosso e ero pronta a sentire ogni risvolto di quello che aveva elaborato, poi notai che non si era voltato mai una sola volta in mia direzione.

Ero affascinata dal fatto che il suo lavoro lo coinvolgesse a tal punto da mettermi in stand by. Quando sarebbe riemerso dal mare di lavoro, informazioni, divertimento e stimolante attività mentale, sarebbe poi stato tutto mio.

Abbassò gli occhi e continuò “...aggiungerei che sono stato scomodato solo per poter dire che in realtà è stata un’insulsissima rapina a mano armata in casa di un ministro poi rapito e assassinato da dei ribelli. Punto. La verità la terranno per loro, immagino. Come sicuramente l’arresto di Madame avverrà nella più totale discrezione. Uno scandalo politico è l’ultima cosa che vorrebbe un governo per il proprio paese. Sono proprio curioso di sapere come metteranno tutto a tacere. Anzi, molto probabile che chiederanno a me di inventare una storiella attendibile per coprire tutto questo problema.”

Prese un macarons rosa ripieno di cioccolato bianco con la sua presa delicata dal vassoio da portata e lo buttò in bocca pigramente seguitando saccente “Pazienza, meglio così. Per me è stata una vittoria facile.”

Dopo molto tempo guardò nella mia direzione con uno sguardo a dir poco famelico e tagliente. Voltandomi impacciata finsi di accasciarmi sul sofà e di mettermi dormire.

Si rivolse poi con risolutezza a Wammy. “Watari, puoi procedere con la trasmissione delle informazioni che ti ho dato alla polizia, così potranno procedere con le dovute operazioni del caso. Trovato il corpo potremo andarcene direi. Le prove sono saltate fuori come non mi sarei mai aspettato, e pensare che all’inizio me le hanno nascoste così bene da farmi perfino fermare nelle indagini.” E poi via, udii che masticava un altro macarons.

Ancora rivolta dal lato dello schienale del sofà, rimasi in ascolto.

“Bene L, tornerò appena finita la comunicazione con le autorità.”

Sentii Watari parlare al telefono e pian piano mi lasciai andare chiudendo gli occhi. Il mio riposo durò poco però, perché il riconoscere la Sua voce fu come un segnale; mi avrebbe risvegliato anche dal sonno più profondo.

Watari era tornato dalla sua solenne conversazione telefonica. “L, desideri altro?”

Rimase muto, non dava risposta. Percepivo che era esitante, poi iniziò a parlare.

Watari?” Avvertii Wammy protendersi in suo ascolto.

“Credi che io sarò in grado di gestire... gestirla? Perché a me non sembra possibile che lei possa essere attratta da me. Personalmente riesce a mettermi in seria difficoltà, come nient’altro al mondo riuscirebbe.”

“Sai, io credo che Lei veda ben oltre la tua figura. Vede in te quello che potrebbe essere...” Watari indugiò, sembrava stesse per pronunciare un nome. “Semplicemente L. Il ragazzo. Riesce a darti quell’umanità che non ti si vede spesso addosso e trovo questa una cosa mirabile. È il suo più grande talento.”

Watari, per la prima volta in vita mia sono preso costantemente dalla paura di sbagliare. Io non sbaglio mai...” era orgoglio quello che sentivo, per ciò che Lui sapeva di essere “...ma al tempo stesso mi piace inciampare nei suoi intrecci emotivi, mi basta guardarla per capire come mi avverte.”

“E secondo te come ti percepisce?” disse Wammy con un tono che potevo intuire sorridente.

“Sono il suo pianeta e lei è il satellite che mi ruota intorno. Anche se dovessi minacciare la sua estinzione trascinandola con me, Lei mi seguirebbe e si lascerebbe attrarre senza esitazione. Watari, Lei mi vuole per come sono. Io sono impossibile. È di questo che non mi capacito.”

“Non è razionale, eh?” Watari era così divertito, come se fosse di fronte al suo bambino e quest’ultimo gli stesse chiedendo perché il cielo è di quel dato colore o del perché è così difficile prendere una farfalla.

“No. Non lo è, ma questo l’ho afferrato da parecchio...” C’era una singolare, atipica tenerezza concentrata nella sua voce. “Immagino questo sia quello che si definisce Amore, ma non immaginavo fosse così. Va al di là di tutte le mie aspettative e di quel che sapevo semplicemente avendone raccolto informazioni o documentandomi. Non si può imbrigliare e ne sono caduto vittima da quando me la trovai davanti agli occhi. La voglio Watari.” Era bramoso nelle sue ultime parole, ma equivaleva a una dichiarazione disperata d’aiuto nella ricerca di qualcosa. Sentendolo mi sembrò di essere immersa in una serie di sensazioni non comparabili alla felicità. Il respiro mi si bloccò, non lo avevo mai sentito parlare così, non pensavo avesse questi pensieri su di me.

E lo amavo, lo amavo soltanto ascoltandolo.

Perché con me non parlava, ma agiva? Era sempre il Suo corpo che mi comunicava cosa sentisse.

Rimasi ancora immobile. Chiusi di nuovo gli occhi e ascoltai il battere frenetico del cuore.

“Avvicinati L, osa. Lei è qui e ti ha sempre promesso di rimanerti accanto. Porta come me la responsabilità di starti a fianco e lo fa di buon grado. Solo per te.” dette queste parole Wammy si allontanò in un’altra stanza.

Potevo sentire L muoversi sulla sua sedia e girarsi in mia direzione. Forse aveva davvero pensato che stessi dormendo, perché non fece nulla per destarmi. Si limitò ad alzarsi e dirigersi verso l’enorme vetrata della suite. Di soppiatto girai pian piano la testa sul cuscino per guardare in sua direzione.

Il suo volto era composto e sicuro. Sui suoi occhi intensi le occhiaie erano un attraente abbellimento. Rimase lì fermo ed era di una bellezza fluida, spontanea, con la schiena piegata dal peso della sua vita e del suo ruolo.

Spiandolo, notai il suo sguardo che seguiva una linea retta. Quello fu l’indizio che Lui aveva deciso come agire. Vedeva l’oggetto a cui aspirava.

Focalizzato.

 

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Capitolo 21
*** Ama e basta ***


                                                            



                        Ama e basta





Cominciai a giocare e non nego che fosse davvero divertente, io fuggivo e Lui mi inseguiva. Notavo che il mio atteggiamento a tratti lo lasciava demoralizzato, lo spazientiva e lo deliziava insieme. Volevo che le cose dette a Watari giorni prima me le facesse sentire, le mettesse in atto. Decisi di rendergli le cose più difficili, sapevo che anche Lui lo desiderava.

Era la mattina di Capodanno.
 

Il 2002 sarebbe stato l’anno della svolta di quella mia tragica situazione e la svolta per me ed L, la vera metamorfosi in qualcosa di assolutamente istintivo, lacerante e cocente. Ancora il corpo di Monsieur Chevalier non era stato ritrovato, quindi la nostra permanenza fu leggermente prolungata. Ci dedicammo agli svaghi e alle frivolezze, dato che il vero lavoro era in parte finito. Quel giorno L decise di fare una partita a scacchi con Watari, io feci da spettatrice, non sarei mai stata in grado di confrontarmi con L in quel sottile gioco, lasciai questo privilegio a Watari. Sedevo pigramente su una poltroncina rossa in stile moderno, ma che in alcuni particolari poteva richiamare a qualcosa di antico. Osservavo cercando di capirne qualcosa, ma quello che mi attirava non era il gioco ovviamente. 
L completamente immerso nelle supposizioni su quale mossa sarebbe stato meglio fare, assumeva espressioni fantastiche. La meraviglia, con gli occhi sbarrati che sollevava in direzione di Watari ogni qual volta la mossa lo istigava e col suo pollice perennemente a torturare il labbro superiore, con una serietà seducente. I capelli spettinati, ma con una bellezza e stile tutto loro, cadevano sul suo collo venato e con una muscolatura appena percettibile. Le sue spalle ben fatte, messe in risalto dal bianco della sua maglia. Percorsi tutta la lunghezza delle sue braccia, i polsi decisi, temprati dal suo passato di giocatore di tennis e molto mascolini, uscivano fuori dalle maniche. Il suo modo di sedere rannicchiato e i pantaloni jeans color blu, che ridavano ad una leggera sfumatura di verde e facevano spiccare i bianchi piedi.
Ho sempre apprezzato il suo odio recondito per le scarpe e i calzini, in quei momenti in cui si trovava a indossarli, gli toglievano quel fascino innato e selvaggio che aveva la sua fisicità. Watari si girò in mia direzione, dovevo avere un’espressione totalmente trasognante, me ne accorsi e lo guardai come se avessi appena rubato della marmellata in cucina, arrossii e abbassai lo sguardo per poi tornare su L.
“Credo che andrò preparare del tè?” esordì Watari.
Sorrisi in maniera imbarazzata, poi riflettei e contemplai un’idea malsana.
Volevo fomentarlo. Iniziai a mettere il primo pezzo da bruciare.
Quel giorno ero vestita in maniera abbastanza leggera per essere il primo di Gennaio ma l’albergo era munito di climatizzatori e mi permetteva di abbigliarmi come più mi aggradava. Avevo i capelli acconciati in maniera trascurata, ma che nel complesso, ricordavano una pettinatura ricercata d’altri tempi. Indossavo un abito grigio scollato, che non mi faceva apparire provocante, sebbene avesse una scolatura che arrivava appena al seno. Le maniche arrivavano a tre quarti con un leggero sbuffo e dal busto il tessuto finiva in una gonna a palloncino al di sopra delle ginocchia. I miei piedi erano nudi, iniziavo anch’io ad apprezzare quella liberazione.

Watari si allontanò e rimanemmo soli dopo molto tempo.
La tensione si poteva tagliare con un coltello, Lui chiuse la testa sulle ginocchia, lo sentivo più impacciato che mai, non sapeva che fare. Fui io a muovermi, da una posizione composta mi poggiai da un lato e tirai su le gambe scoprendo leggermente uno spicchio di coscia, lo feci in modo distratto.
La reazione che vidi fu lusinghiera e voluttuosa.
Mi guardava e nel farlo quasi si scompose dalla sua posizione, sembrò voler balzare dalla sua poltrona, ed infatti non si trattenne, con un gesto veloce me lo ritrovai davanti, anzi sopra che si poggiava con le braccia sullo schienale del divanetto, mi sovrastava in maniera totale, mi stava eclissando.
Non sapevo che fare, sebbene fossi stata io a scatenare quella improvvisa e voluta reazione.
Mi limitai a respirare agitata. “Ti avevo avvertita che queste sarebbero state le tue ultime provocazioni.” Un tono che incuteva timore e sensualità.
“S..sì...ma io non ti sto provocando..” Mentii tremante.
“Bugiarda. Lo so che lo fai intenzionalmente.” Maledetta mente perfetta! Sorrisi quasi a sfidarlo. “No...io non...” Un bacio forte, potente, non dovevo più parlare.
Mi scansai sgusciando via da un lato della mia poltroncina e mi allontanai.
La sua passione furiosa. Ecco cosa sentivo. Ma ne ebbi paura e d’un tratto non mi sentii più molto spavalda.
Non lo avevo mai visto così... così... predatore.
Dopo la conversazione con Watari, i suoi sentimenti dovevano aver preso una consistenza e una sicurezza incomprensibile, aveva deciso di dargli sfogo, di liberare tutto quello che fino a poco tempo prima aveva trattenuto. Adesso riteneva di avere una confidenza con me, sia fisica che mentale, abbastanza forte da poter varcare la soglia di qualcos’altro, acquisendo una padronanza e disinvoltura di sé, che lo facevano apparire dominante e padrone davanti ai miei occhi.
Sorrisi spaventata, mi piaceva vederlo così corroso dalle sue passioni, la sua razionalità spariva dinanzi a me.
Incosciente e impaurita presi e uscii dalla suite, non avrei retto ancora al suo sguardo, corsi via. Non so cosa mi prese, dimenticai B, la restrizione-protezione nella mia camera e nella suite. Uscii fuori, non mi accorsi nemmeno che pioveva a dirotto, camminai e camminai.
Mi sembrava di sentire la pioggia che mi cadeva addosso evaporare via, forse ero febbricitante, con tutta probabilità avevo davvero la febbre, ma tutto era confuso dal mio stato emotivo, era un miscuglio di sensazioni passionali e concrete.
Mi ritrovai in un lungo viale con degli alberi, ormai spogli, decorati da delle luci di un blu pallido, io iniziai ad avere freddo, la pioggia aveva smesso di cadere e tremando mi accasciai su una scomoda panchina di ferro.
Nel vaneggiante e febbrile delirio, vidi accostare un auto nera in un movimento elegante. Scese qualcuno e cercando di focalizzare bene, riconobbi la figura di Watari.
Come aveva fatto a trovarmi? Non potevo pormi una domanda più stupida, lui mi avrebbe trovata ovunque, anche fossi finita all’altro capo del mondo.
Mi sentii prendere per le spalle e gambe, mi stava sollevando e prendendo in braccio, poi il leggero rumore della Roll Royce e di seguito il nulla.
I rumori della città fuori dall’auto mi svegliarono prima che arrivassimo al nostro hotel, realizzai l’irresponsabilità di quello che avevo appena fatto. Ero un incosciente!
Mentre l’ascensore ci riportava nel nostro caldo rifugio dissi. “Mi dispiace Watari, non so cosa mi sia preso... io... n…” lo sentii prendermi con rassicurazione le spalle. “Belle non è a me che devi chiedere scusa. E lo sai.” Gli occhi azzurri di Watari erano sinceri e tranquillizzanti ed io mi limitai ad annuire con la testa, mentre tiravo su col naso tra il rimasuglio di un leggero pianto e la raffreddatura appena presa.
Quando rientrammo Lui non era nel salottino-soggiorno, avvilita mi diressi in camera mia.
Ebbi un tuffo al cuore che mi ripartì all’impazzata, L era lì ad osservare fuori dalla mia finestra. “Chiudi la porta.” Era di una freddezza spiazzante.
Obbedii, feci quello che mia aveva ordinato.“L..io...mi...” Bruscamente mi zittì.
“No! Non dire che ti dispiace. Hai capito!” il tono della sua voce era leggermente più alto del solito. “Vorrei capire che diavolo ti è preso? Tu sei cosciente che là fuori c’è un pazzo che rischia di ucciderti vero?! Che rischia di mettere in pericolo anche me. Come hai fatto ad essere così stupida!”
Mi limitai a rispondere “S…sì…” Ero umiliata e la gola mi si strinse, le lacrime prepotenti mi sgorgarono dagli occhi. Stupida, con quella parola sembrò innalzarsi un muro tra me e Lui.
“E allora perchè? Perchè??!!” l’ultimo suo perchè, era intriso di qualcos’altro, poco legato alla storia di B.
Poi mi prese per un polso in maniera violenta e mi portò nel bagno della mia camera, accese la luce e aprì il rubinetto dell’acqua calda della vasca, io in tutto questo venivo strattonata a destra e sinistra seguendo le sue azioni e piangevo e piangevo.
Che cosa gli era preso? Non aveva mai ceduto così a se stesso. Glielo avevo procurato io tutto questo.

“L...” lo chiamavo mentre Lui continuava ad armeggiare tirando fuori degli asciugamani da uno sportello del mobile sotto allo specchio. Disperata iniziai a mormorare “L... L... ti prego...” io imploravo mentre Lui stava iniziando a togliermi l’abito e nemmeno se ne era accorto, pervaso della rabbia. Si bloccò con lo sguardo basso, mortificato, come se avesse capito che stava facendo qualcosa di rabbioso e incontrollato.
Lui era abituato a controllare, a controllarsi e adesso io facevo prendere piede alla sua impulsività. “Dimmi perchè sei scappata...” aveva un tono della voce basso come il suo volto “Dimmelo, perchè seriamente, non lo capisco e non lo concepisco. Sei stufa di me? Del mio modo di trattarti? Di quello che sono? Sarò anche geniale ma con te non ci capisco niente Belle.” Tornò a guardarmi come se solo io potessi dargli le risposte che cercava.
Attorno a noi c’era solo silenzio e vapore.
“Ti voglio troppo...” dissi tremando “Sono scappata nella maniera più irrazionale, sfidando la tua pazienza. Perchè prima più che mai, mi sono accorta che mi fai paura, che mi fa paura il modo in cui voglio sentirti vicino. La paura che se ti sentirò vicino, poi non riuscirò più a volerti stare lontana.” Lo guardavo come se non lo riconoscessi, eppure sapevo chi fosse. Il suo viso si rilassò e mi guardò perso, le sue violacee occhiaie si attenuarono, non rispose ma avrebbe risposto.
Prese a togliermi il mio vestito dalle spalle e glielo lasciai fare, rimasi svestita e con indosso solo indumenti intimi, davanti a Lui, la vergogna mi prese mentre coprivo con le braccia il petto e i fianchi. Lui mi guardò senza dare segno di alcuna timidezza, probabilmente non era così sprovveduto o ingenuo da non sapere come fosse il corpo di una donna.
“Ho freddo...”dissi “Vado in vasca ” Presi ad allontanarmi.
“Aspetta.” afferrò di nuovo il mio polso, come se avesse paura che potessi scappare di nuovo mentre mi avvicinavo all’acqua.
“Devo togliermi....” Chiusi gli occhi in un gesto imbarazzato e nervoso “...per immergermi L.”

Non sapevo dove andare a sbattere la testa.
“Immergiti per toglierteli...” La voce era roca.
“Ok...” Non lo guardai, ero porpora in viso.
Scivolai nell’acqua e mi sentii subito riscaldata dal freddo che mi era entrato nelle ossa, ma non aveva raggiunto il cuore, che stava cercando di uscirmi dal petto, obbedii anche al suo secondo suggerimento e mi tolsi il resto di quello che indossavo, poi Lui intrise una spugna d’acqua e iniziò e bagnarmi i capelli, accarezzarmi le spalle, io mi limitavo a guardare l’acqua, sulla quale ricadevano le gocce e le cole di quella che mi veniva versata addosso.
Non una parola, solo gesti e azioni.
Mi baciava il collo dopo ogni carezza fatta con la spugna, poi le spalle, le braccia, le mani e sentivo che avrebbe voluto cedere a qualcosa.
La sua t-shirt si era completamente zuppata, bagnata.
Mi sentivo sotto effetto di quella droga, che tempo prima mi aveva invaso allo stesso modo e non volevo che smettesse, lo guardai disperata. Girandomi di spalle mi alzai e Lui mi avvolse con un enorme accappatoio rosa pallido, stringendomi.
Tesa dissi “So tutto. Non dirmelo L. So come ti senti. Tu non sei in grado di dirlo. Ma io lo so.”
-So che mi ami- Poggiai la mia testa sulla sua guancia, che spuntava dietro le mie spalle.
“Lo sapevo che stavi origliando. Sei disonesta e ingiusta, io ci avrei provato a…” Potevo sentire il suo respiro mentre parlava basso nel mio orecchio.
“E tu sei infantile e in queste situazioni, impulsivo, come vedi non ne sei capace.”
Non feci in tempo a ridere di questa mia affermazione che mi sentii baciare, risposi con trasporto senza avere chissà quale paura. Baciandomi senza mai staccarsi da me, mi guidò verso il letto, mi sedetti e tirai leggermente la sua maglia dicendo “Ti sei bagnato la maglia L.”
“Ora vado a cambiarla e poi magari vuoi riposarti. Hai la febbre, non molto alta ma ce l'hai.” Scuro in viso fece per andarsene ma lo fermai stringendogli la mano.
“Ti prego rimani. Sei ancora arrabbiato?” Ero implorante, lo stomaco mi si chiuse.

Lui non rispose, si limitò a sdraiarsi vicino a me, insolita posizione per Lui, che cominciò ad accarezzarmi i capelli ancora umidi. Sentivo le mie palpebre chiudersi lente, poi si avvicinò baciandomi piano, i suoi movimenti divennero sempre più possessivi e passionali.
Le sue mani scostarono il roseo telo che mi copriva, mentre io gli accarezzai l’addome sotto la bianca maglia e Lui sussultò, ero in balia delle mie sensazioni che prendevano fuoco. Lo vidi liberarsi di ciò che lo vestiva, con calma alternando sguardi incendiari e oscuri ogni volta che tornava su di me, abbandonandosi senza freni, sentii il suo petto toccare il mio, le sue mani percorrevano il mio corpo, mi sembrava di morire.
I miei e i suoi respiri divennero più corti e ansimanti, le nostre pelli che scorrevano e si accarezzavano, le labbra che si aprivano alla ricerca dell’unione. Le sue labbra baciavano ovunque, non pensavo che fosse così corrodersi, che fosse così l’estasi, il cuore poteva implodere da un momento all’altro al solo suo tocco.

Frenesia.
 

Passione. 

Un lento ardere, stavo morendo nel suo abbraccio e Lui nel mio, capii che non avrebbe donato a nessun’altro quelle passioni, quelle sensazioni, quei gesti. 
Quel L era solo una mia esclusiva, nessuno lo avrebbe mai conosciuto, era solo mio.
Non c’era bisogno di paure e timori che mi davano costantemente la caccia, li buttai via.
Tutto raggiunse un perfetto equilibrio.

Addormentata con le mie dita aggrovigliate nei suoi capelli carbone, Lui si lasciò andare ad un riposo insolito. In quel momento compresi che c’era qualcosa di diverso in Lui, c’era un inestricabile e inestinguibile congiunzione che lo legava a me, e lo vedevo ogni qual volta il suo sguardo di ghiaccio e assonnato, diveniva fuoco tagliente incrociando la mia figura.

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Capitolo 22
*** Follia, Giuramenti e Giustizia ***


                                                                           
                                                                            Illustrazione di Kendyll Hillegas



     Follia, Giuramenti e Giustizia





Succedeva che in determinati e salienti momenti della sua vita Lui sentisse le campane.
Nel momento in cui L riaprì gli occhi e mosse il suo viso verso di me, mi mostrò uno sguardo apatico e addolcito allo stesso tempo e nell’istante stesso in cui mi aprii in un sorriso raggiante Lui sbarrò gli occhi e mi disse. “Le campane! Le senti?”
Non so se fu l’estrema gioia che provavo, ma forse potei sentirle davvero e risposi con dolcezza infantile “Sì, le sento. Credo di averle sempre sentite da quando ti ho conosciuto.” Mentre pronunciavo queste parole, una consapevolezza prese piede.
Quel micro mondo, che si era creato tra me e Lui, che era sempre esistito, adesso era sigillato, chiuso, nessuno avrebbe mai potuto accedervi.
Lo vidi muoversi per alzarsi e mi stupii del fatto che, nonostante la nostra intimità di ore prima, riuscivo ancora a essere intimorita e vergognosa nel vederlo. Si voltò verso di me, adesso più che mai adorava mettermi in difficoltà. Mi fece scontare, in un unico sguardo, quello che gli avevo fatto il giorno prima provocandolo. Mi voltai e poi abbassai gli occhi.
I suoi sguardi mi mandavano in blocco, come una cavia sotto l’incanto del serpente prima di essere divorata.
Questo aspetto non sarebbe mai cambiato.
E’ una consuetudine per una normalissima coppia abbandonarsi e abituarsi all’altro, a noi non successe mai. Forse perchè non ne avemmo il tempo, ma anche allora ero certa, con assoluta fermezza e convinzione, che non saremmo mai stati scontati.
Eravamo due soggetti così particolari da non rientrare nella normalità.
Lui così estroso e criptico, stravagante e di un’attrattiva quasi inumana, un genio di risorsa mondiale. Ed io, l’essere più irrazionale delle radicate paure, nelle quali mi buttavo in modo incosciente, io, in contrasto con l’aspetto solare e sognante che ritraevo, io ero la vittima perfetta.
Io che, nonostante tutto, rispecchiavo aspetti di pura avventatezza all’occorrenza, perfettamente compatibile alla sua.
Perfezione e Follia.

Queste sono fortune che arrivano con assoluta irruenza e che spesso possono avere il loro epilogo con altrettanta furia e sono ricordate per tutta la vita, se vi si sopravvive.
Nessun’altra persona potrà dare le stesse sensazioni ed emozioni, anche se qualcuno dicesse che non è così, che chiunque può colmare la sofferenza e l’amore donati da qualcun altro. Lasciatemelo dire, questo qualcuno è un gran bugiardo oppure non ha mai amato nel senso più struggente di questa parola. Nessuno si può sostituire, la persona amata rimane sempre l’unica, e dopo rimane sempre il vuoto, rimangano sempre la scottatura e l’ustione.
Il resto è un palliativo per non continuare a sanguinare.
Nessuno può sostituire L, nemmeno i suoi successori.
Potranno superare la barriera intellettuale e logica ma non saranno mai Lui.
Quell’involucro enigmatico che era.
Quel ragazzo.
Il mio L.
Non si troverà mai nessuno come Lui.

Lo osservai indossare la sua candida maglia, era l’indumento indicativo della sua persona, ai miei occhi spiccava quel contrasto, il nero dei suoi capelli con il bianco del tessuto.
Presi e mi avvicinai a Lui lentamente e in maniera felina, lo abbracciai, era di schiena, abbassò la testa quasi non fosse stato abituato e non ci fossimo mai toccati. Fu colto dall’esitazione.
Perfino io mi ero avvolta il lenzuolo intorno come una tunica, per pudore.
“Tu mi crederesti, se ti dicessi che non sono mai stato così motivato in vita mia?” disse con una strana enfasi nella sua voce bassa.
“Anche ad occhi chiusi.” quasi bisbigliai al suo orecchio “Io ti credo sempre. Anche quando so che non mi dici la verità, anche se mentendo mi dicessi di amarmi.”
Si voltò serio e determinato “ Ma quest’ultima è la verità, non ti ho mai mentito su questo e non so se ne sarei capace con te.”
“Mio Dio. Tengo sotto scacco L, il detective più grande di tutti i tempi, devo gioirne perchè sarò l’unica a poterlo fare.” risi piano.
“Beh! Non riderei tanto.” Ruotò gli occhi verso di me sarcastico e intenso “Se scoprissero cosa sei per me e che ruolo hai nella mia esistenza farebbero tutti a gara per annichilirmi.”
Il mio sorriso si spense immediato, che sciocca scherzare su un argomento tanto importante.
“L, io non voglio che ti succeda niente.” Mi aveva gettato nella disperazione, il mio volto divenne il ritratto della tristezza al solo pensarlo in pericolo.
Mi strinse a sè “Non succederà mai, te lo giuro Belle...” 
Lo fermai “Non giurarlo! Ti prego, è qualcosa che mi terrorizza. Non giurarlo se sai che potresti non rispettare il tuo giuramento.” I miei occhi finirono nei suoi, pietre nere e grezze.
“Allora vuol dire che correrò il rischio di giurare.” Ammaliante, attraente e determinato, quasi sotto voce disse. “Io, L Lawliet, giuro di non mettere a rischio la mia vita...” mentre mi prestava il suo giuramento, rimasi scioccata sbarrando gli occhi. Mi aveva detto il suo nome completo! “...e nemmeno la tua.” Si alzò per uscire e dirigersi verso il salone a mangiare dolci, quando le mie parole sull’uscio della porta lo paralizzarono.
“Io, Belle Edwards, giuro di essere fino alla fine dei miei giorni, il tuo sostegno e forza. Con questo nome voglio giurartelo. Perchè mi appartiene più di qualunque altro, perchè me lo hai dato tu. Sono tua e so che è questo che vuoi sentirti dire. Avrai sempre il più totale potere su di me, nonostante tu sia cosciente che sfuggirò sempre e comunque alla tua comprensione.”
Si mise di spalle sulla porta ad osservarmi con le mani nelle tasche dei jeans e sorrise impercettibilmente. “Giuramenti. Tutto questo sembra uscito fuori da un dramma di William Sheakespeare.”Adesso sorrideva, sembrava una smorfia sadica più che un sorriso.
Ed io sottile e ironica risposi “Sì, ma credo che Giulietta e Romeo non raggiungeranno mai il nostro livello. Siamo fin troppo fuori dall’ordinario per considerarci un binomio nella norma.”
“Per fortuna, non sopporterei di commettere l’errore di cadere nelle apparenze e di trarre considerazioni frettolose come ha fatto Romeo.” Era divertito da quel dialogo fatto di paragoni. “Sì, non ne commetterai. Perchè Romeo è un ingenuo ragazzo innamorato, mentre tu sei un calcolatore e un dogma vivente e non potrei volere nient’altro di diverso, credo che preferirò Amleto.” dissi ridendo presa da una strana tenerezza.
Sembrò sospirare, forse ciò che avevo detto lo aveva un po’ immalinconito, Lui alle volte mi dava l’idea che pensasse di non meritarsi nulla di quello che gli davo e dimostravo, questo mi fomentava a dargli sempre di più, per dissipare quel suo stato d’animo.
Rimanemmo a guardarci senza una parola, poi Lui aprì la porta ed uscì.
Il magnetismo era diventato qualcosa di esponenziale, ma molto più concreto, tangibile.

8 Gennaio 2002

Finalmente dopo una settimana di attesa, Monsieur Chevalier fu ritrovato, non mi soffermerò sui particolari del suo ritrovamento in parte raccapriccianti. Potemmo lasciare Parigi e tornare alla sicura Wammy’s House.
Nel pomeriggio, terminata la solita routine di preparazione al rientro, uscimmo dalla suite, passammo i lunghi corridoi dell’albergo, per arrivare all’enorme hall. Ebbi uno strano sentore mentre varcavamo le porte scorrevoli dell'uscita per raggiungere la nostra auto.
Vidi un flash sul volto di un uomo.
Poi i miei occhi furono catturati da un particolare rosso!
L'uomo abbassò lo sguardo, coperto da un cappello con visiera, sistemato sulla testa dai capelli scuri. Vestito con una felpa nera e jeans scoloriti, lui voleva che mi accorgessi della sua presenza, passandomi vicino estrasse dalla tasca della felpa un qualcosa di luccicante.
Era una lama! Sbarrai gli occhi e prima che potessi aprire bocca mi tagliò velocemente.
Un taglio sulla mano.
Mi lamentai emettendo un lamento. Lo sconosciuto fuggì veloce dileguandosi nella folla in strada, si dissolse come uno spettro.
Rimasi ferma immobile con la mano sanguinante, spaurita.
L e Watari, vicino a me in una posizione di difesa quasi a farmi scudo, il personale di sicurezza dell’albergo situato nella hall ci raggiunse. Mi sentii sballottare e spingere in macchina senza troppe cure per la mia mano, ancora fissavo nella direzione in cui era scappato il mio aggressore, la mia ferita gocciava il liquido cremisi copiosamente, ma a quanto pare sia L che Watari decisero che non fosse di rilevante gravità in quella situazione di per sè rischiosa.
Liquidarono la sicurezza con veloci repliche alle loro premure.
Dovevamo sparire e in fretta! Watari si infilò al posto di guida e partì veloce. Io dietro con L, ansimavo cercando di calmarmi, mi ero sporcata totalmente di sangue anche l'anello che Lui mi aveva regalato, era completamente rosso. 
“Watari!” disse ordinando autoritario L.  Wammy quasi telepaticamente capì e tirò fuori lesto un fazzoletto. Ogni gentleman inglese ne è sempre munito e in quel momento aveva solo quello per tamponarmi la ferita. L brusco lo tirò via dalle mani di Watari, senza scomporsi mi prese la mano e ci girò, stringendo in torno, il piccolo riquadro di stoffa.
I miei occhi furono catturati dal rosso vivo del mio sangue rimasto sulla sua maglia bianca di L, doveva essersi sporcato mentre mi spingeva a salire in macchina. Spostai lo sguardo sul suo volto, era scuro. Nella fretta aveva anche trascurato il suo particolare modo di mettersi a sedere. 
“L, era lui vero? Di nuovo!” ero rabbiosa, stringevo i denti, la mia paura si era tramutata in un odio profondo, ora sapevo chi era colui che mi minacciava e distruggeva la mia serenità, non versai nemmeno una lacrima, ero progredita.
Mormorai “Hai notato L, fa sempre qualcosa contro di me o contro di te, ogni qual volta ci spostiamo dall’hotel e torniamo alla Wammy.” Poteva essere una coincidenza, ma molto strana.
“L’ho notato.” Era ritornato calmo, pacato e col suo consueto tono addormentato. “Però è strano non si è esposto in prima persona.”
Rimasi colpita, ero convinta fosse B! Ma non lo era! “Ma... ma non era B?” Lo guardai rapita.
“No. Suppongo che abbia mandato qualcuno, lui non mi attaccherebbe mai faccia a faccia. Creerà qualcos’altro di una portata maggiore. Queste sono piccolezze per colpirmi.”
Poi si accomodò le ginocchia al petto, togliendo le sue scarpe consumate, quell’azione mi tranquillizzò e sedò. Appoggiai la testa sul sedile, pigramente ciondolando ad ogni movimento dell’auto e lo guardai.
“Sai, giorni fa ho pensato e sperato con tutto il cuore che tu riuscissi a prenderlo e farlo marcire nella cella più buia.” Il mio tono era aspro e intriso di sensazioni vendicative.
Lui colse perfettamente ciò che provavo, perchè in parte assaporava le medesime mie rancorose sensazioni.
Ci fu un perfetto parallelismo... In quel momento sembrò che le nostre menti si fossero legate.
Un nuovo secondo giuramento “Lo farò, questo è sicuro al 100%.”
E lo avrebbe fatto, perché Lui era la giustizia.

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Capitolo 23
*** Pesante tra le tue braccia ***


                                                                              
                                                                       Illustrazione di KendyllHillegas





 

             Pesante tra le tue braccia

 

 

Nel tempo passato dopo l’incidente di fronte l’albergo a Parigi, sentivo incalzante il presentimento che il mio amore stava diventando un peso. Sì, perché l'amore ha il suo peso, nel bene e nel male. Grava sul tuo cuore e a volte molto di più sul cuore di chi abbiamo accanto. Il suo carico è direttamente proporzionale all’intensità e potenza che viene provata.

Guardandomi la mano fasciata dalla garza, ad occhi bassi e fissi, pensai a quanto potessi sovraccaricare le spalle e il cuore di L. Tutto quello che aveva fatto per me fino ad allora non era solo nel suo interesse logico o etico, era qualcosa che faceva nella maniera più intensa e trascinante; più di quanto già non facesse per la sua adorata Giustizia.

Ed io mi sentivo il cuore così pesante, nella mia testa riecheggiò la frase: “Tu mi crederesti se ti dicessi che non sono mai stato così motivato in vita mia?”

Venni colta da una sensazione simile al compiacimento, avevo dato ancora più senso a ciò che faceva e questo mi rendeva immensamente utile e felice.

Alle volte avevo l’impressione di essere un oggetto in bilico su un piedistallo, lì fermo e superfluo, ma ora tutto ad un tratto aveva acquistato una forma perfettamente calibrata. Eppure la sgradevole sensazione di sentirmi un fardello per Lui aleggiava sempre su di me.

Il giorno che ero stata ferita, vedendolo davanti alla mia figura a tentare di proteggermi, mi era sembrato davvero impossibile che avesse potuto farlo. Ancora non riuscivo a capire i limiti della sua personalità, continuavo a inseguirla in attesa di trovare la linea dell’orizzonte, della sua fine, ma in realtà non esisteva.

“Che cosa hai fatto alla mano?” sentii la voce squillante di Mello risuonare nell’aula ormai vuota.

“Beh, lo sai, sono la solita sbadata. Mi sono tagliata.” Gli sorrisi quasi vergognosa mentre continuavo a starmene seduta su uno dei tanti banchi. Mello riusciva a mettermi una leggera soggezione, singolare per un ragazzino della sua età. Possedeva un’innata dote e propensione al ruolo del leader ed un carisma assurdo. Era facilmente irascibile, bastava un non nulla per farlo scattare con conseguenze catastrofiche. Alle volte però manifestava improvvisi gesti gentili che lasciavano di stucco spiazzandoti completamente.

Gli accarezzai il dorato caschetto “Sai Mello...” lo vidi sgranare gli occhi con un espressione di chi aspetta ansioso di ascoltare. Con lui da molto tempo avevo perso l’abitudine di parlare come si parla ad un bambino, le sue capacità mentali mi permettevano di parlargli come ad un mio pari. “...sei così angelico, il tuo aspetto tradisce davvero molto. Alle volte hai la capacità di esprimere ciò che senti senza filtri. Qual é la tua aspirazione più grande?”

“Voglio diventare L!” Senza incertezze sbottò la risposta.

Rimasi incantata da tanta decisione “Sai che non è facile vero?” parlai non pensando a quanto fosse ambizioso il suo progetto, ma sapendo cosa fosse essere L. Non mi preoccupai minimamente del fatto che lui potesse sapere che legame stretto avessi con Lui.

“Sì che lo so! E ci riuscirò, questo è sicuro!” Continuavo ad entusiasmarmi sentendo le sue determinate repliche.

“Spero che tu riesca a realizzare questo tuo desiderio.” gli sorrisi toccandogli le guance diventate rosse e calde al mio gesto.

Poi abbassò lo sguardo, mi proferì parole che non mi sarei mai aspettata da lui e parlò di argomenti che pensavo non conoscesse.“Sai Belle, io non capisco perché lui ti abbia presa di mira.” Il suo tono era affranto ed io ero turbata da quella sua affermazione.

Con voce tremante dissi “Tu... tu come sai che…?” non mi lasciò finire.

“Come so che B tenta di farti del male?” Io annuii con gli occhi di poco sbarrati.

“Vedi Belle, qui, a volte, ad alcuni di noi vengono affidati dei compiti che sono veri e propri casi, di un calibro minore, ma sono pur sempre casi o parte di essi. Questa volta diciamo che noi tiriamo fuori deduzioni, indizi per L. Per aiutarlo. Lui ci osserva, ci esamina.” Quello che mi disse Mello riprodusse perfettamente la realtà. Era tutto vero.

“E non è stato arduo capire che L sta cercando B. Fino a qualche anno fa Beyond Birthday era uno di noi. Ed è difficile eluderci, per quanto lui sia scaltro e intelligente. D’altronde, anche se ti chiami Beyond Birthday, non puoi sfuggire per sempre ad L o al patrimonio intellettivo della Wammy’s House…” Il suo sguardo si era fatto sottile.“Un giorno incontrerò L e mi farò raccontare tutto.” Lo guardai arrendevole. “E adesso smettila di fare quella faccia. Dovresti essere grata del fatto che L ti sta proteggendo!”

Mello! Come diavolo fai?” Rassicurata, sorrisi divertita.

“A fare cosa?” domandò incuriosito.

“A non farmi sentire una zavorra in tutta questa storia.” Scoprii le mie carte, ormai non c’era più niente da nascondere .

E Mello non rispose altrettanto seriamente “Perché non voglio che tu diventi un peso anche per me e magari diventerai pure brutta prima che io gli succeda.”

Gli piacevo, lo avevo capito da quella nostra conversazione.

“Ma io non vorrò sopravvivere. Perdonami Mello se parlo così, ti sembrerò sicuramente  una codarda.” Tornando seria abbassai lo sguardo.

Ci fu quiete, si sentivano solo i rumori esterni e poi disse con tono austero “No Belle, non sei una codarda. Sei fedele e il gravame che porti, lo porti di buon grado.” Poi mi abbracciò quasi stritolandomi le ossa del collo e scappò via coprendosi gli occhi con la bionda frangia.

 

 

 

Passarono mesi nella più totale normalità. L immerso nel suo lavoro ed io, che ora mai ero una tutto fare nell’orfanotrofio, svolgevo ogni tipo di mansione. Tutto scorreva in maniera serena e quasi monotona.

B sembrava essersi dileguato, sparito! Fino a quando non arrivò quel maledetto 31 Luglio 2002.

Non ci muovemmo molto, come avevamo fatto nei mesi precedenti. Restammo alla Wammy’s House, immaginai che forse L, per la sua e mia sicurezza, avesse deciso di gestire i casi da lì, spostandoci il meno possibile.

Quel giorno ricevetti una visita di L nella mia stanza, ormai io non andavo più a disturbarlo nella sua, lo lasciavo tranquillamente lavorare ai suoi importanti compiti.

Si era fatta sera e, sebbene fosse stato caldo, quel giorno aprendo le finestre si poteva apprezzare un leggero e fresco venticello estivo. Impegnata a osservare il giardino in veste notturna e il cielo stellato che lo sovrastava, non lo avvertii entrare, tanto meno il chiudersi della porta dietro di me. Poi sentii prendermi ai fianchi ed esordii con un semplice sussulto accompagnato da una violenta inspirazione. Girandomi lo vidi divertito, sorrisi di rimando e seguì poi un suo bacio sul mio collo, per poco non mi uscì il cuore dal petto.“L, quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima.” bisbigliai e risi ancora preda delle sue mani.

“Mal fidata come sempre.” Si scostò mostrando un’apparente espressione imbronciata e mettendo il pollice sulle labbra. In quei mesi di normalità assaporai quanto nella vita quotidiana fosse viziato, puerile, non solo dal punto di vista del suo carattere, ma anche nei sui personali o più comini gesti. Ostinato a volte si chiudeva in un mutismo chimerico, ritrovandomelo poi tra le braccia oppure rannicchiato vicino al mio cuscino per le sue confessioni che avvenivano nel bel mezzo della notte, data la sua forzata insonnia. L era come un gatto, a volte non percepisci la sua presenza, ma riesce comunque a fartela sentire all’improvviso senza scatenarti una reazione di reale sorpresa.

Riprendendomi mi cinse a sé, ma io mi opposi giocando, poggiando le mie mani sulle sue braccia. Stringerle mi dava la reale percezione di quel momento.

“Perché devi pensare sempre che se mi avvicino ho un secondo fine?” La voce era bassa, irresistibile, mentre il suo profilo si allungò sul mio in cerca del contatto di un bacio.

“Perché ho imparato che con te niente è dato al caso.” Bisbigliando a mia volta, lo vidi guardarmi quasi orgoglioso per via di quella mia affermazione. Gli permisi di baciarmi. Un bacio, poi un altro, mi staccai a fatica “L, cosa c’è? Non sei mai così espansivo. Mi stai nascondendo qualcosa, vero?”

Si allontanò. Avevo fatto centro.

“Oggi posso dormire.” disse in maniera vaga ed io assunsi un’espressione di rimprovero mescolata al sarcasmo.

“L, so che non è questo. Ci posso arrivare anche da sola e sai che per me va bene se vuoi rimanere. Quindi per l’amor di Dio dimmi cosa c’è davvero. Perché altrimenti ti caccio fuori e ti scordi anche i muffin che ho nascosto nell’armadio!”

“Sei davvero sadica quando ti ci metti. Arrivare al ricatto perfino. E poi che cavolo di posto insensato l’armadio.” Si rannicchiò sulla sedia della scrivania e sembrò mettere il broncio, ma con Lui qualsiasi espressione facciale era una puntata in una qualche assurda scommessa.

“Non sono sadica.” Sorrisi dirigendomi all’armadio e prendendo i muffin chiusi nella confezione plastificata, sventolai la busta provocandolo, ma divenne immediatamente riflessivo. Sembrò che la mia immagine spensierata lo avesse riportato sulla strada del vero motivo per cui era venuto.

Il più importante.

“Ha ucciso.” Disse con lo sguardo apatico e appuntito, il mio braccio cadde penzoloni insieme alla confezione di muffin.

“Cosa?” Ero incredula ed ingoiai a vuoto.

“Oggi ha compiuto il suo primo omicidio a Los Angeles e la vittima è Believe Bridesmaid.” Ermetico, come se stesse parlando con Watari e non con me, ma forse quello era il modo migliore di dirmi una cosa così cruda. Non gli chiesi nemmeno come facesse a essere sicuro che fosse lui, limitandomi soltanto a dare sfogo alla mia rabbia.

“E... tutto questo era per addolcirmi la medicina amara?!” Feci un gesto con le braccia di totale esasperazione. “Non potevi dirmelo e basta! Accidenti L!” sentivo le lacrime scendere. Maledetta la mia inclinazione nel piangere come reazione ai dispiaceri e alle situazioni rabbiose! “Sarebbe stata meno spiacevole, te lo assicuro. Riesci sempre a girare attorno alle cose importanti quando si tratta di me.”

Si alzò, mi prese la mano e mi mise a sedere sul letto guardandomi dritto negli occhi. Non riuscii a sostenere la sua guardata decisa, limitandomi ad alzare la testa e lo sguardo al soffitto. “Belle, io vedo l’effetto che fa su di te tutto questo. Non voglio vederti…” Lo interruppi.

“Cosa?! Impaurita, stravolta, sofferente...” lo dissi con un filo di voce.“Lo sono già, L. E ti prego, ti prego L, dimmi tutte le bugie che vuoi, ma non mentire su questa determinata questione. Non mentire su qualcosa che coinvolge te e me. Non lo ammetto. Ho deciso io di seguirti in questo inferno e intendo continuare.”

“Va bene.” chiuse gli occhi come se gli avessi chiesto di fare la cosa più difficile a questo mondo e divenne accondiscendente.

“L, sono un peso, vero?” Interruppi quell’attimo di silenzio che si era venuto a creare tra noi ed i suoi occhi piombarono su di me come se lo avessi appena insultato.

“Questa come è saltata fuori dalla tua normo-intelligenza?” ironico. “E comunque se fossi stata un peso, non credo sarei stato così disposto a tenerti con me. Non ti avrei voluto.” Duro. Era stato di una durezza spaventosa, il tutto per farmi smettere di fare quei giochini paranoici col mio cervello.

“Già, è vero… dimenticavo il tuo talento nel mettere le distanze.” il mio tono era terribilmente amaro.

“Credi davvero che io sarei stato meglio senza la tua presenza? Credi davvero che io sia sempre soddisfatto della mia vita? Essere L non vuol dire essere e avere tutto. Anch’io ho dei bisogni umani, quante volte devo ripetertelo.”

Sembrava trapelare nervosismo nella sua voce, mi stava dicendo che gli ero indispensabile, che aveva bisogno di me e che dovevo smetterla. Forse ero io quella egoista, lo stavo facendo star male inutilmente.

Soffocò istantaneamente quella discussione per Lui inutile. Era conclusa, non c’era altro da dire. Prese i muffin, ne aprì la busta e ne pinzò uno tra il pollice e l’indice, poi porgendomi la confezione ne presi uno anch’io. Intento a masticare mi scostò una ciocca di capelli che mi era finita davanti agli occhi e me la infilò dietro l’orecchio. Riuscì a farmi rispuntare  il sorriso mentre lo fissavo nel fare quei suoi gesti rassicuranti. “Certo, se avessi saputo che ti piacevano i ragazzi geniali e sregolati...” lasciò la frase in sospeso, stava iniziando a prendermi in giro.

“Avresti cercato una ragazza comune, mentalmente facile, costantemente attaccata all’armadio per i vestiti, e non per i muffin, senza particolari doti? Che avrebbe pianto il doppio, giorno e notte, perché non ti facevi vivo? No, ti saresti annoiato a morte.” cominciai a ridere.

“Vedi, questo mi piace di te. Cogli sempre il punto, l’essenza. Inoltre, conoscendomi, non credo che avrei cercato qualcuno. Quindi dovresti considerarti fortunata, perfino lusingata. E comunque, il punto in cui dici del piangere giorno e notte, è assolutamente vero e ci rientri perfettamente .” La sua voce risuonava stanca, ma profonda e continuava a prendersi gioco di me.

“Sì, è vero, sono una piagnucolona, ma solo perché sento le mie emozioni in modo fin troppo intenso...” Poi venni colta dalla sorpresa della la sua testa che poggiò improvvisamente lenta sulla mia spalla “L, hai sonno?”

Non aprì bocca tranne che per finire il suo muffin, per poi ritrovarlo a scivolare addormentato sulle mie gambe. Gli carezzai i capelli d’inchiostro.

“Beh, se avessi saputo che ti piacevano le ragazze con acuti problemi d’iperemotività e con un disperato bisogno d’essere amate da qualcuno che esula dai normali canoni della consuetudine, ti sarei venuta a cercare prima.”

- Ma non sarebbe stata la stessa cosa. Sei tu L, sei tu che dovevi catturarmi.-

 

Fu quando Lui finalmente poté abbandonare la sua forzata imposizione al non dormire, che mi ritrovai a riflettere su come B stesse per predisporre il gioco a cui L avrebbe dovuto partecipare e per il quale delle vite quasi sicuramente sarebbero state spese.

Un gioco dove L non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo ed io dal quel momento in poi sarei stata una semplice astante.

 

 

 

 

Il titolo del capitolo è la traduzione del titolo della canzone "Heavy in your Amrs" di  Florence+The Machine

 

Non l'ho mai fatto fin’ora perché sono abbastanza timida, ma voglio ringraziarvi tutti, chiunque stia leggendo e in particolare la Ryuzaki Eru che mi recensisce…  grazie, grazie mille davvero.

Spero di non tradire le vostre aspettative.

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Capitolo 24
*** Talento ***


                                                               



 

                           Talento

 

 

Le mie giornate iniziarono a diventare fin troppo spensierate e la mia vita quotidiana era diventata monotona. Alle volte sentivo la necessità di evadere un po’, vivere e risentire com’era intraprendere la vita più comune come si svolgeva all’esterno della Wammy’s House.

Tutto questo bisogno di libertà quotidiana veniva placato sempre da quella costante paura per L e la questione B, che si era rinfiammata inaspettatamente per quanto riguardava me, ma L si aspettava da molto una mossa da parte di Beyond Birthday. Sembrò si stesse ergendo un muro invalicabile. Quando guardavo la cicatrice che avevo sulla mano, questa riportava in superficie tutte le emozioni violente e orride che riuscivano a sterminare del tutto la mia voglia di calcare l’uscio del mondo fuori dal cancello di casa.

 

4 Agosto 2002

 

Wammy era seduto sotto l’ombra dell’enorme arbusto situato vicino all’ingresso in giardino. Mentre varcavo la soglia lo osservai, sembrava essere provato dal caldo, nonostante fossimo nel tardo e inoltrato pomeriggio. Il viso era invecchiato, ma comunque rilassato, le sue sopraciglia folte si alzarono avvertendo l’arrivo di una leggera folata di fresca aria accompagnata dal mio lento avanzare e fu il suono del mio calpestare l’erba che mi tradì.

Wammy mi guardò come se avesse visto la cosa più preziosa dopo molto, moltissimo tempo. I suoi semplici occhiali si mossero all’unisono con le guance e i bianchi foltissimi baffi lasciarono spazio ad un sorriso smagliante, mentre dispettosamente il vento gli aveva leggermente smosso un’ondulata ciocca di capelli.

“Piccola Belle!” disse con tono sereno e prendendomi delicatamente il polso. Ai miei occhi quel gesto apparve così familiarmente confidenziale come quello di mio nonno, forse aveva notato la mia leggera espressione frustrata mentre camminavo verso di lui e mi guardavo la mano.

Wammy… quanto mi mancava chiamarti così.” Addolcita sorrisi leggera.

“Puoi anche chiamarmi Quillsh qui sotto. Non ti sentirà nessuno.” Rispose sorridente. “E adesso dimmi che ti succede. Ti ha detto o fatto qualcosa di brusco come al solito? Ha pensato fin troppo prima di parlare comunque sconsideratamente ostinato?” Nel tono della sua voce c’era intrisa tutta la passione e amorevolezza che avrebbe potuto avere per suo  figlio e sua figlia.

Spalancai un sorriso come solo lui riusciva a farmi fare.

“No. Lui è sempre unico anche con i suoi difetti ed ineguagliabile come al solito. Non lo vorrei diverso.” abbassai gli occhi vergognosa poi “Guarda Quillsh...” Con sguardo preoccupato gli mostrai la mia cicatrice.

“Beh, direi che si è rimarginata più che bene.” Prese la mano e osservò in maniera scientifica. Più come un medico che come una normale persona.

“No. Quillsh, non è rimarginata. Lo è solo fisicamente, all’apparenza, ma quando la guardo mi sento atterrire.”

Si voltò verso di me senza perdere il suo atteggiamento ed espressione ottimistica. “Belle, tu sei più forte di tutto questo e non te ne accorgi. Com’è possibile? Sai quanta forza ci vuole ad affrontare ciò che stai vivendo e fronteggiando? Una ragazza qualunque non ci riuscirebbe, scapperebbe a gambe levate. Belle tu sei con L! Te ne rendi conto? Non è come stare con un qualunque essere umano.” L'azzurro degli occhi di Wammy spiccava risaltato dal celeste del cielo mentre mi guardava.

“Almeno una dote per stare in questo posto ce l’ho.” Dissi ironicamente.

“Vedi Belle, è questa la tua forza, riesci a trasmutare tutto. Il negativo lo rendi positivo, il cattivo lo rendi buono.” Mi stringeva la mano e rimanemmo lì a sorridere entrambi, poi sfogai la mia piccola frustrazione.

Quillsh, credo che se non troverò qualcosa da fare, oltre allo stare qui, impazzirò. Sai, quando andiamo in giro per il lavoro di L, tutto è uno svago, anche il solo percorso in macchina dall’aereoporto al nostro alloggio. Ma qui… qui siamo così indaffarati, che spesso è impossibile uscire e in più io non posso più farlo. Per lo meno non da sola.”

Sembrò pensieroso poi avanzò una proposta. “Belle, tempo fa nelle nostre chiacchierate mi confessasti che ti piaceva molto la danza classica...”

“Sì, perché? Cosa c’entra?” ero stupita.

“Questa sera c’è uno spettacolo al teatro Royal Opera House. Il lago dei cigni. Ti va di andare?” l’invito aveva un suono consolatorio.

“Stai parlando sul serio?!” Ero entusiasta e i miei occhi cominciarono a brillare.

“Certo, sono serissimo. Lui è occupato con le indagini del caso e assentarci per tre ore non sarà un problema. Allora che fai? Vogliamo andare? ” era divertito e contento quanto me.

“Oh!Sì! Wammy!” Gli saltai al collo felice, lui proruppe in una risata dolce e con una cadenza goffa. Adesso ripensando a quel momento sento una stretta al cuore.

La solarità che si contrapponeva alla serietà dei suoi ruoli, era per me una risorsa continua di positività. Sono più che convinta che fosse così anche per L, Wammy era nostro padre. Il mio amore per lui era incondizionato, gli ero devota perché era parte della mia salvezza e della mia rinascita in quel posto.

 

Quella sera mi preparai nella maniera più accurata ed elegante possibile. Era fondamentale, perché stavo per calpestare il pavimento del teatro più importante di Londra. Avrei dovuto essere perfetta, la migliore e alta società avrebbe preso parte a quella cerimoniosa routine serale. Wammy mi fece trovare nella mia stanza, poggiato sul letto, un vestito rosa pesco con uno scollo incrociato sul petto, questo finiva in una gonna svolazzante, accompagnato da delle graziose scarpe intrecciate finemente sul davanti con degli strass, anch’esse rosa pesco. Sul comodino luccicavano degli orecchini pendenti, abbinati ad una collana finissima ed altrettanto brillate.

Diciamo che Wammy non badò a spese e avrebbe fatto lo stesso in seguito anche in altre situazioni.

Indossai il tutto e cercai di truccarmi nella maniera più consona a ciò che vestivo, i miei capelli erano raccolti in una coda piena di boccoli, che finivano da una parte su una spalla. Il contrasto scuro del mio castano con l’abito color pesca accentuava la tonalità bianca della mia pelle. Quando il risultato mi sembrò discreto e presentabile mi diressi verso lo specchio. Sentii bussare e distrattamente risposi “Avanti!”.

Pensai di trovarmi davanti Wammy, ma vidi affacciarsi L e ne rimasi sorpresa. Quello che però mi sorprese non fu il solo vederlo lì in quel dato momento, ma quel microscopico istante in cui L fu spiazzato.

Un millisecondo, i suoi occhi sembrarono non capire nulla di cosa avessero davanti, poi rapidamente tornarono assonnati e sensuali.

Wammy interruppe quel momento di strana tensione entrando.“Sei pronta Belle?”

Anche lui era abbigliato elegantemente con il suo completo da maggiordomo e rimase molto colpito vedendomi, sorrise e disse in modo molto inglese “Sapevo che non avrei sbagliato. Stai benissimo Belle.” Prendendomi per mano, alzò il braccio, e mi fece girare, facendo roteare la leggerissima gonna dell’abito. Venni presa da un’immensa timidezza, perché L era lì e mi vedeva volteggiare elegantemente nel mio aspetto molto femminile, finendo poi per rispondere un incespicato “…Grazie… Watari…” impacciata e rossa in viso sorrisi lievemente.

“Bene, possiamo andare.” disse Wammy mentre uscì dalla stanza seguito da me.

Fui distratta da L che mi osserva in una maniera quanto meno insistente, indecifrabile, senza dire una parola e così ci lasciò andare.

 

Lo spettacolo fu qualcosa di quantomeno favoloso e di un incanto disumano, tutto mi abbagliava: le luci, l’oro degli stucchi barocchi che contrastava col rosso acceso e vivo delle imbottiture delle sedie, dei divanetti e del pesante sipario.

Perfino gli eleganti lampadari sbiadivano a confronto agli splendidi gioielli che adornavano i colli dolci delle donne di ogni età, soffocati dagli scuri copri-spalle portati per puro sfarzo nel pieno dell’Agosto londinese. Circondata da tutta questa giostra luccicante e concentrata a seguire attentamente l’Atto IV, proprio nelle sue fasi finali, venni colta da una strana ed improvvisa angoscia.

Odette e il principe che era accorso a salvarla, la tempesta in cui venivano inghiottiti nelle oscure acque del lago. Tutto questo mi rese inquieta e iniziai a sentire una stretta allo stomaco. Panico! Le drammatiche immagini rappresentate nel ballo, mi si trasformavano davanti in un qualcosa di tangibile e materializzavano altri personaggi al posto dei protagonisti che si muovevano sul palco.

Vedevo cose che non esistevano! Ed erano orribili! Non ne capivo il senso! Non sapevo dove fuggire! Potei solo distogliere il mio sguardo dal palcoscenico e puntarlo su Wammy che era seduto accanto a me. Tirai tremante un lembo della sua giacca scura. “Watari... mmh...ti prego andiamo...” Ero in apnea.

“Belle, siamo quasi alla fine dello spettacolo.” Il suo sguardo era preoccupato mentre bisbigliava.

 “Non... non ce la faccio... davvero… Wammy…” La mia voce non era udibile, un sibilo, ma lui capì.

“Va bene Belle. Ora respira lentamente. Usciamo, ok?”

Feci un cenno convulso affermativo con la testa, mi strinse le spalle, mentre uscivamo dal nostro balconcino e mi rimase vicino fino all’auto.

Chiuse il mio sportello e partimmo. “Watari, perdonami... non so cosa...” Chiusi gli occhi avvilita e inspiegabilmente esausta.

“Non ti preoccupare Belle. Va tutto bene, adesso torniamo a casa.”Aveva una propensione innata a calmarmi, ma non totalmente, d’improvviso sentii di nuovo le negatività che mi avevano assalito a teatro.

L’oscurità, con cui il mago Rothbart avvolge Odette e Siegfried, li divide, li inganna, li tormenta e le immagini che diventavano realisticamente vive, che non erano più lo spettacolo tersi coreo. Cos’era stata quella cosa? Un ricordo? Sì, probabilmente qualcosa che mi ricordava la frenetica situazione che stavo vivendo e pregavo perché L non finisse con me in quell’oblio. Decisamente il mio positivo talento non usciva fuori nei momenti inutili, tanto meno quando ne avevo bisogno e pensai che la mia fragilità psico-fisica stesse iniziando a darmi sui nervi.

Quando io e Wammy rincasammo, era ancora molto presto rispetto all’orario che avevamo previsto. Salendo pigramente le scale pensai unicamente che volevo affondare la testa nel cuscino trovando e cercando uno pseudo pacifico annullamento.

Alzai la testa appena arrivata al piano della mia stanza, vidi la porta socchiusa e con la luce calda che filtrava sul pavimento di legno del corridoio. Entrai titubante e sporgendomi vidi L rannicchiato sul letto.

Possibile mi stesse aspettando?! Da quando ero andata via mi aveva aspettato tutto il tempo nella mia camera.

Chiusi la porta che fece un leggero scatto. “Com’è stato al teatro?” L sembrava annoiato e più apatico del solito. Lessi il suo sguardo di ghiaccio, ma che stava imprigionando una strana fiamma.

“È stato favoloso.” Nascosi la parte del mio piccolo momento di panico. Abbassai lo sguardo e poggiai la mano sulla scrivania.“Perché sei rimasto qui? Non sarebbe stato male se fossi venuto anche tu, dato che poi sei rimasto qui ad aspettare .” Divenni tagliente perché il suo comportamento era quanto meno puerile, non capivo perché si fosse comportato a quel modo e soprattutto non era da Lui.

“Prova ad immaginare la scena di te, come sei sta sera, e me in un teatro prestigioso?” Era strano, possibile fosse preso da... una singolare forma di gelosia? Inoltre non era tipo dedito a preoccuparsi di un’apparenza basata puramente sull’estetica.

“Cosa? L, stai scherzando vero? Ti stai preoccupando per qualcosa di così superfluo?” Iniziavo ad avere paura di quel qualcosa di negativamente poco definito che stava piombando su di noi in quell’istante. Si alzò di scatto, un’azione assurda conoscendolo, mi afferrò il braccio, sentii dolore e lo guardai attonita.“L... ma…” Mi poggiò la punta delle sue dita sulle labbra.

“Guardati...” Disse con voce bassa, incantatrice. Si ammorbidì vedendomi vicina e allentò la presa della sua mano, poi lo rividi stupito. “Questa sera vorrei lasciarti qui, senza di me, per dispetto, per fartela pagare. Non so nemmeno io cosa mi stia prendendo. E non ce la faccio, è più forte di me ora.”

Le sue iridi nere si spostavano ad ogni movimento delle mie. Il violaceo delle occhiaie sembrava più accentuato del solito quando in Lui trasparivano la rabbia o l’insofferenza.

Ora capivo, la sua possessività la sentivo penetrarmi tramite la mano con cui mi aveva stretto. Non voleva che altri potessero vedermi così, come quella sera. Io ero sua e nessuno doveva essermi vicino, il solo idealizzare me sola in un posto pieno di estranei, di altre persone. Se qualcun’altro mi avesse avvicinato? E se io avessi risposto? Lui non ci sarebbe stato, non avrebbe potuto far scudo per impedire che altri occhi si posassero su di me. Solo Watari aveva una concessione, un permesso, era un padre.

“Io detesto sentirmi così Belle.” La voce era roca, sensuale e sprigionava tutta la sua voglia e il bisogno di non lasciarmi. Tormentata assecondai la sua follia ansiosa e poggiai la testa sul suo petto. “L, io non andrò da nessuna parte, quindi non fare così. Altrimenti non ti riconosco e questo mi fa paura. A Parigi ti è successa la stessa cosa. Ti prego. Tu sei il controllo, tu sei il mio freno. Non cedere almeno tu, perché questo lo faccio già io.”

Respirava calmo e il suo viso divenne spigoloso, sollevai la testa, la accostai tra la sua mascella e al collo bianco, liscio. Potevo vedere le vene battere con il suo cuore e il pomo d’Adamo muoversi mentre deglutiva, baciai quella pelle calda e lo sentii sospirare.

Iniziò a scorrere la mano lungo lo scollo dell’abito sulla mia schiena... avevo i brividi.

“Dondoliamo?” Domandai piano, accennando un sorriso. Non rispose, si limitò ad abbracciarmi con forza. Forse quel mio talento di cui mi parlava Wammy ebbe un buon tempismo quella volta.

Qualcosa però era sfuggito al suo controllo, più di quanto già non facessi io, c’era dell’altro, aveva saputo dell'altro.

 

Il 4 Agosto 2002 Quarter Queen divenne la seconda vittima di Beyond Birthday.

Un’altra pedina era stata abbattuta.

 

 

Ciao, ciao a tutti!

Ribadisco i miei più sentiti ringraziamenti a chi sta seguendo e leggendo la mia storia o magari l’ha aggiunta nelle cartelle preferiti, etc...

Grazie, grazie, grazie. Spero vi sia piaciuto  il capitolo e che continuiate a seguire la storia.

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Capitolo 25
*** Scudo ***


                                                                 
                                                           llustrazione di Adam Larkum http://www.illustrationweb.com/artists/AdamLarkum/view





 

                            Scudo

 

Che strano periodo passai, confuse di molto la mia realtà, persi il senso delle cose, mi parve di non aver fatto nulla fino ad allora. Tutto sembrò perfino rivoltarmisi contro.

Curiose ambiguità! Cose taciute, in una maniera esponenziale, più del solito.

Lui mi aveva fatto singolarmente mostra della sua ‘gelosia’ ed io l’avevo ben percepita, aleggiò come del fumo nei nostri occhi, ma io non mi ero mai accorta della mia possessività: subdola, nascosta, ben velata. Come era possibile che, sebbene fossimo chiusi nel nostro micro cosmo, percepissimo quel sentimento fuorviante? Il nostro nemico era nel mondo esterno, era di lui che temevamo ed era lui che ci rendeva così. Ci ridusse a stringerci nel cerchio, portando L a dipendere da me e io da Lui. Inoltre quel qualcosa che ci restringeva nel nostro spazio, aveva il potere anche di frapporsi tra noi ed era una battente sofferenza.

La mia gelosia ebbe luce quando comparve un’altra donna, molto arguta, dinamica e  intraprendete. Con tutta probabilità la vidi come una minaccia solo perché pensavo lei avesse  quelle caratteristiche che per L intuivo fossero interessanti in altre persone e che io pensai di non avere. Lei entrò in scena nel momento cruciale del caso di Beyond Birthday: -The Los Angeles BB Murder Case-

 

13 Agosto 2002

 

C’era stata una terza vittima ed L ovviamente tentò ancora di tenermi nascosto anche quest’ultima uccisione. Quando si trattava di parlare di quella maledetta questione, in cui ero coinvolta anch’io, era irremovibile nel suo comportamento. Nemmeno le mie continue suppliche lo smuovevano a dirmi tutta la verità. Era la sua protettività non ce n’era dubbio, ma in parte voleva farmela scontare per quella sera a teatro, per averlo lasciato con quella sua leggera pena e con un nuovo omicidio ad attestare che BB lo stava sfidando ancora senza ritegno alcuno, esattamente come si aspettava. Una rabbia crescente mi prese, perché se Lui poteva essere possessivo con me, dimostrarsi frustrato per i suoi patimenti interiori e sfogandomeli contro, allora anche io avrei fatto la medesima cosa. Anche io sentivo ribollirmi il sangue perché lo amavo, lo volevo e non bastava, aveva tutto da me. Tutto.

Il tutto cominciò a divenire una sotto specie d’attrazione ossessiva, dispettosa ma  bellissima. Infine quando arrivò quell’ultimo omicidio si sviluppò una reazione a catena di sentimenti egoistici.

 

Eravamo nella sua stanza, io ero immobile a guardarlo, gli avevo appena tirato fuori con le tenaglie quella spiacevole notizia. Tremavo per i nervi e Lui in quel momento non si scompose per consolarmi, mi stava facendo soffrire di proposito e, anche se moriva dalla voglia di abbracciarmi, non lo faceva. Seduto a terra davanti quello stramaledetto schermo, celava i suoi occhi e pensieri sotto i capelli scompigliati. Udii aprirsi la porta ed entrò Watari, mi voltai e lo vidi consegnargli un foglio. Venni invasa da una insopportabile curiosità e la cosa che mi bruciò di più fu che, mentre in una situazione rilassata mi avrebbe fatto partecipe di ciò che stava facendo, ora non lo faceva.

Ecco un’altra ripercussione del suo risentimento che mi scagliava dritto al cuore, per tenermi sulle spine.

Faceva così male.

Watari uscì immediatamente dopo la sua consegna, probabilmente aveva percepito l’aria elettrica che c’era in quella stanza.

Rimanemmo di nuovo soli nel silenzio, ma io seccata lo interruppi. “Posso chiederti di farmi partecipe di quello che stai facendo?”

Esitò, poi mi rispose diretto.“Sto cercando chi inserire nelle indagini, ovviamente non potendomi esporre ho bisogno di uno Scudo *. E Watari mi ha appena portato la scheda dati dell’agente dell’FBI che ho scelto. Questo è tutto. Vuoi sapere altro?” Sollevò lo sguardo su di me affamato ma orgoglioso, senza sbilanciarsi in tenerezze.

Con quegli occhi mi chiuse in un lato della stanza, rimasi impietrita. Perché? Perché mi trattava a quel modo? Io... lo amavo... dannazione! Perché mi toglieva la cosa più importante? LUI!

“Sì...” ero il ritratto della sofferenza in volto ma lo sfidai. “…e vorrei sapere che sta succedendo! Vuoi che sparisca? Vuoi che io sconti qualcosa? Ti prego dimmelo, perché...” esitai turbata, gli occhi mi stavano diventando umidi “Perché io non...” Non ce la facevo a finire e Lui mi anticipò.

“Stai tranquilla, non c’è nulla che debba preoccuparti o turbarti.” Serafico e apatico, portandosi il pollice sul labbro, si stava facendo nervoso. I suoi occhi trasudavano una velata minacciosità, tutto in disaccordo con la sua postura richiusa e di difesa.

Scattai come una molla. “Niente! Dici niente!” Le lacrime fluirono senza ritegno. “A me non sembra che non sia niente L!” Dire il suo nome era come una pinzata al cuore.“Sono giorni che non mi parli, non mi...” chiusi gli occhi al ricordo del solo suo sfiorarmi e mi sentii mancare il respiro, perché non lo faceva da molto ed avevo paura che non mi volesse più. “Dimmi cosa dovrei pensare... ti prego, dimmelo tu perché io… non lo so più.” abbassai lo sguardo mordendomi il labbro.

Sentivo il freddo del pavimento in legno che veniva assorbito dai miei piedi nudi, mentre le gocce delle mie lacrime ci cadevano, procurando alle mie orecchie la percezione di un rumore quasi assordante in quella stanza vuota e silenziosa.

“Voglio che tu rimanga fuori da questa storia. Voglio che tu mi lasci fare quel che faccio. Con questo non voglio dirti che sei un’intrusa o d’intralcio. Devi capire che sei fin troppo presa emotivamente per starci dentro. Ho provato a fartelo capire nelle maniere meno rudi e brusche possibili, ma col tuo ultimo, insistente, cercare di estrarmi informazioni... diciamo, mi hai innervosito non poco. Questo caso è importante, Belle. Sotto tutta questa indagine c’è depositato parte di un conflitto vero e proprio nei miei confronti e verso la Wammy’s House e se io non mi difendo, se non vi difendo, rischio e rischieremo tutti la vita, lo capisci questo? Quindi cerca di startene buona.” Diretto come sempre senza filtri, cupo.

Sentivo sanguinare dall’interno, ma per L era necessario, per salvarci dovevo sacrificarmi anch'io. “Come faccio a starne fuori se ne sono stata coinvolta dall’inizio? B dal principio ha usato me come un mezzo per ferirti, indebolirti. Credi che il mio preoccuparmi per te sia emotività eccessiva? Sì, ti amo e ti voglio vivo… E allora?” Quella dichiarazione fu sincera e disperata. “Ti ho solo chiesto di dirmi tutto su questo caso. Sei tu che non tieni fede alle promesse che mi hai fatto e adesso metti questo muro davanti ai miei occhi con noncuranza ed io mi sto logorando dentro.” Improvvisamente alzò la testa, una ciocca di capelli gli finì davanti ad un occhio rendendolo affascinante.

“C’è un’altra verità L e so che è così.” gli puntai il dito contro. “Tu non sei solo preoccupato per me o per te. TU vuoi risolvere questo caso, a te questa sfida piace. Bene, per me va bene, gioca questo gioco. Se mi vorrai e quando saprai cosa fare, saprai dove trovarmi.”

Risoluta con gli occhi congestionati e asciugandomi le guance, mi diressi verso la porta. Alla fine Lui aveva fatto come voleva, fin dall’inizio aveva voluto tenermi fuori. Nel passargli vicino mi accorsi che aveva nuovamente lo sguardo basso, osservava vuoto le sue mani poggiate sulle ginocchia, non tradirono nessun gesto di rabbia, ma più una rassegnazione al fatto che mi stava lasciando andare e al fatto che non sapeva quando mi avrebbe rivisto e mi ferì anche questo.

La sua Giustizia, quanto l’amava. Adesso dovevo iniziare essere gelosa anche di Lei.

Nell’andar via, i miei occhi finirono sul foglio che gli aveva portato Watari e mi infastidii ulteriormente. Sulla carta lessi il nome Naomi Misora, con tutti i suoi dati ed una sua foto. Una incantevole ragazza di origini giapponesi, capelli lunghi, scuri e lisci con una frangia a coprirle i vispissimi occhi a mandorla. Mi chiesi come fosse possibile che una ragazza così potesse essere un’agente dell’FBI, ma non mi soffermai molto su quel particolare, quanto al fatto che lei era una donna. Un’altra donna con cui Lui aveva a che fare. Crebbe nel mio petto un astio che invase tutto il mio essere e me ne andai nella mia stanza a rimuginare, pensando stupidità di ogni genere.

Quanto fui infantile e sciocca. Metterlo con le spalle al muro mentre Lui faceva ciò che più amava, mentre faceva del suo meglio per tutti, mentre faceva del suo meglio anche per me, avrebbe dovuto schiaffeggiarmi. Aveva ragione Lui, ne ha sempre avuta.

 

Ovviamente non rispettai le astiose parole che gli dissi, non riuscivo a stargli lontana, e dal momento in cui vidi quella donna su quel documento, rimase una fissazione nella testa. Presenziai silenziosa alle indagini giorno dopo giorno, a volte leggendo, altre riordinando carte innocue per Lui, tanto che riuscii a sapere molto da ciò a cui assistevo.

Questa Naomi Misora era stata sospesa dal suo incarico nell’FBI, L la contattò in gran segreto chiedendole di indagare su quei misteriosi omicidi avvenuti a Los Angeles.

Naomi conobbe questo Ryuzaki sulla scena di uno dei crimini, cosa che non convinse affatto L, credo abbia sospettato subito di lui, anzi, sono più che sicura che L sapesse da subito che fosse B. Fece esporre in prima persona Naomi.

Si susseguirono le chiamate di L a lei e di Naomi a Lui.

Misora divenne il suo difensore, quell'agente era L fuori, sui luoghi degli omicidi, L che interagiva con B. Divenne le mura di cinta della fortezza tra L e B, lei poteva fare qualcosa di concreto per Lui mentre io invece rimanevo lì a crogiolarmi nel sospetto.

“Tutto bene Belle?” Fece con sguardo ingenuo L, in piedi ricurvo e sporgendosi verso di me con un biscotto in bocca, mentre io ero seduta a terra intenta a fissare il tramonto fuori.

“Sì, tutto bene, perché?” Molto probabilmente guardandomi nel complesso avevo un’aria abbastanza triste, ma non volevo dargli soddisfazione e fargli capire che mi stavo logorando.

“Avrei giurato che dopo la chiamata ti fossi rabbuiata.” Mi prendeva in giro ovviamente c’era arrivato! Era chiaro per una cosa così scontata!

Stavo per sorridere, ma mi trattenni dal farlo, non gli volevo dare compiacimento. “No, tutto bene. Io me ne starò qui buona, buonina, mentre tu contatterai la bella agente dell'FBI.” Dissi sarcasticamente e sfoggiando un falso sorrisetto. Non solo non mi faceva partecipe, ma si prendeva gioco della mia gelosia.

“Abbi pazienza, durerà ancora per poco. Credo che questa Naomi Misora stia facendo un buon lavoro. Potrebbe risolversi questo confronto e così potrai essere libera.” Quell’affermazione non mi sollevò affatto, al contrario mi spaventò! Credeva che io volessi abbandonarlo? O forse era Lui a volermi abbandonare?

Ma… io non voglio essere libera!” esplosi. “Non voglio lasciarti!” ero terribilmente agitata. L si voltò, venne ad accucciarsi vicino a me e mi accarezzò la testa, mi prese le guance ed io lo cercavo con lo sguardo. “Davvero ci tieni così tanto a stare con me?” Dopo tutto quello che avevamo passato ancora ricorrevano quelle domande, non era possibile che cercassimo costantemente rassicurazione.

“Certo! E se vuoi saperlo sono gelosa, sto morendo dalla gelosia. Ti voglio solo per me, L.” bisbigliai ansiosa.

“Beh, per certi versi lo sono anch’io.” Ammise Lui quasi con vergogna e con gli occhi inchiodati ai miei, anche Lui sussurrando.

“Lo so…” Presi il colletto della sua maglia, ero inconsolabile, mi baciò e risposi con trasporto che si trasformò anche nel suo, sembravamo indivisibili. Lui non riusciva a lasciarmi e tanto meno io. Quando ci riuscimmo mi abbandonai al suo abbraccio, sentivo le sue spalle larghe, calde e potevo sentire il suo petto aderire al mio.

“Quindi adesso hai deciso di imparare la Capoeira?” Avevo sentito che parlava di quella lotta al telefono con Naomi.

Sembrò sorridere, un sorriso invisibile. “Sì, l’ho trovata interessante. Credo che me la farò insegnare.” alzò gli occhi al cielo mettendo in evidenza il nero delle occhiaie e andò con l’indice sul labbro inferiore.

Iniziai a sentirmi in pace e a calmarmi “Potrò guardare? Potrò esserci anch’io?”

Fece finta di rifletterci su, poi mi guardò e disse. “Credo che ci siano il 5 % di possibilità che tu possa assistere.” Era un sì, un 100% traducendo il suo parametro delle percentuali ed io proruppi in una risata leggiadra.

“L, io voglio rimanere con te l'ho promesso un anno fa. Non voglio essere libera da te. Voglio custodire il tuo segreto... sempre.” Il suo abbraccio divenne forte, era riconoscenza vera e propria, perché lo sostenevo, lo seguivo, perché mi fidavo di quel che faceva, perché in tutta la sua vita si sentiva davvero amato per quello che era e non per l’idea di quello che poteva essere.

La sua risposta fu muta, io amavo quando mi rispondeva così. Trovo che sia il modo migliore per esprimere sé stessi.

 

Quella notte dormii, feci un sonno senza sogni e fu la realtà simile ad una visione a svegliarmi. Fu Lui a dirmelo, mi disse tutto quella notte, non era una menzogna. Venne da me, sfiorandomi la guancia mi destò come per dirmi una cosa importante, un qualcosa da celebrare.

“Belle, Beyond Bitrhday è stato catturato. Domani partiamo per Los Angeles.” La luce della luna fuori lo illuminava, era bellissimo, oscuro e al tempo stesso raggiante. Non lo avevo mai visto così, nemmeno nelle risoluzioni di altri casi.

“Cosa? Davvero?” Ancora assonnata sorrisi di rimando e sbarrando gli occhi dalla contentezza. Non sono capace di descrivere cosa provai: liberazione, gioia, la sparizione del terrore che B mi aveva infuso. Riversai tutta mia la riconoscenza in Lui, gliel’avrei dimostrata in tutti i modi possibili, sempre. Nella mia testa riecheggiò il pensiero che avevo fatto sognando tempo prima - Solo Sua - .

In quell’istante più che mai la mia vita era sua.

 

Era il 22 Agosto 2002.

 

 

*Scudo è il termine che usa Mello nel romanzo ‘The Another Note: The Los Angeles BB Murder Case’ per definire Naomi Misora scudo di L.

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Capitolo 26
*** Occhi di bragia ***


                                                   





 

                     Occhi di bragia

 

 

Forse siamo noi i fautori del nostro declino o forse è semplicemente il destino a volerci mettere davanti a una stravagante e sadica concretezza dei fatti.

Dal principio tutto incominciò  imboccandomi con molta calma, con avvisaglie oniriche.

Cominciavo ad essere spinta verso la direzione che non avevo idea di stare già percorrendo da più di un anno. Il termine più giusto per definire cosa mi accadeva era che vedevo. Era come avere occhi e non avere un corpo per agire degnamente a quello che avevo davanti. So solo che vedevo e prendevo consistenza solo all’occorrenza, solo quando diventava troppo tardi per agire. Vedevo disorientata, non avevo una chiara visione per capire come poter intervenire, come muovermi.

Era essenzialmente iniziato un demoniaco divertimento con me.

Io avevo un filo conduttore con quel qualcosa.

 

Semi cecità.

Cercavo di addentrarmi  in quel posto, se così potevo definirlo, dato che la mia vista era oscurata. D’un tratto realizzai con orrore! Il buio! Era tutto buio!!!

Capii che non importava quanto mi girassi e rigirassi, ero completamente circondata.

Avvolta dall’oscurità, non avevo speranza alcuna. Poi intravidi qualcosa nelle tenebre, il rosso vivido, luminoso di due punti.

Avanzavano in mia direzione. Più si avvicinavano più provavo ripugnanza, che raggiunse il suo apice quando mi resi conto che erano degli occhi e si incollarono ai miei.

Avrei voluto urlare, ma non usciva nessun suono dalla mia gola.

Sentivo prendermi per il collo e stringere energicamente.

Soffocare!

 

Pregai per svegliarmi e così fu.

Traumatizzata da quel sogno urlai.

Sollevandomi sul letto, mi misi a sedere e alla ricerca del bicchiere d’acqua che avevo preso l’abitudine di portare con me in camera la sera prima di coricarmi. Bevvi convulsamente, tant'è che per poco non mi versai il contenuto del bicchiere addosso.

Era ancora notte e  nonostante l’incubo, riuscivo a sentire ancora il torpore del sonno che mi richiamava a sé. Lentamente ripresi a respirare regolarmente.

Appena mi calmai, al contrario del mio sogno, sapevo dove mi trovavo, ma per averne la certezza mi guardai comunque attorno.

La mia stanza, solo la mia stanza alla Wammy’s House.

 

Nemmeno una settimana prima, eravamo rincasati dalla lunga permanenza a Los Angeles. Lì avevo visto L apprendere quella lotta mascherata da danza incantatrice. Quella lotta in cui gli avversari si esibivano ai tempi delle schiavitù brasiliane. La Capoeira.

Osservai tutti i suoi allenamenti e rimasi incantata dalla spaventosa versatilità di L.

Era incredibile come riuscisse a risvegliare il suo fisico, all’apparenza anchilosato. Dalle sue posizioni basse si snodava in mosse acrobatiche e calci, questo aspetto mi esaltava. Lo rendeva mascolino e più attraente del solito.

Con ancora nella mente i ricordi di Lui in azione, vagavo con gli occhi sui particolari della mia scrivania. Notai che c’era un oggetto familiare, sottile e grigio che non vedevo da più di un anno su quel ripiano. Sgusciai dal letto e mi diressi verso lo scrittoio.

Il mio computer portatile! Quello che mi fu tolto quando io ‘morii’.

Istantaneamente la mia mente finì al pensiero di mio padre, non potei fare a meno di sospirare e sentirmi commossa.

Finalmente avrei potuto leggere la risposta a quella mia mail d’addio.

Lo sfiorai e lo aprì con cura, come fosse stata una reliquia contenente un messaggio di vitale importanza. La luce del monitor mi abbagliò tanto da farmi chiudere appena gli occhi, una reazione normalissima al fatto che erano stati immersi nella penombra della mia stanza fino a un momento prima.

Presi quello stesso coraggio di quando scrissi quella triste missiva e entrai nella mia casella di posta.

Le mie fantasticherie sul messaggio che mio padre avrebbe potuto lasciarmi tempo prima non eguagliarono quello che potei realmente leggere voracemente in seguito.

Andai alla ricerca di una qualche sua speranza.

Speravo che non credesse che fossi scomparsa, speravo che credesse fossi viva, che avesse scoperto quella enorme menzogna.

A mio malincuore non fu così e mi lasciai scendere fluide le lacrime.

C’erano soltanto suoi messaggi nell’elenco delle mail, scritti in momenti sconnessi e di grande sofferenza. Supposi perfino che forse B potesse essere entrato nella mia posta, per trovarmi, scovarmi. Cosa che non gli sarebbe riuscita difficile, dato che era arrivato comunque a minacciami e ferirmi.

La lettera peggiore e dolorosa, quella che mi fece più male in assoluto, non fu dove diceva di essere straziato per la mia morte, ma l'ultimo. Quello che mi scrisse il giorno del mio ventesimo compleanno.

Poi più nulla, non scrisse più niente.

 

 

08-08-2002

 

**********,

ti scrivo questa mail, perché ormai non posso più vederti, abbracciarti o baciarti la fronte per un’ultima volta, non mi è stato concesso. Non mi basta più sfogare le mie parole su della carta inesistente, sperando di fartele arrivare.

Non mi basta più dirti che mi manchi, **********.

Non mi basta più piangere.

Voglio chiederti scusa se a volte ti sono sembrato scostante e disinteressato, ma tu lo sai, i miei umori sono strani e lunatici. Questo però non contamina il mio innato volerti bene. Avrei solo voluto andarmene prima io... perché non so come descriverti quanto dolore ho provato e sto provando, piccola mia. Ti prometto che starò bene.

 

Spero che ovunque tu sia tu stia bene, **********.

 

Ti voglio bene davvero tanto.

 

 

Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, sentivo le stesse infelici sensazioni.

Le lacrime erano le medesime, strinsi i pugni sulla fronte arruffando la frangia e mi lasciai andare ai singulti, sollevando di tanto in tanto la testa al soffitto in cerca dell’aria da respirare.

Con flemma e arrendevolezza andai a letto rannicchiandomi tra le coperte.

Avevo il forte desiderio di rispondergli: “Papà, io sto davvero bene. Solo che non potrò mai più rivederti. Sento anch’io il tuo stesso dolore.”

Era così forte il mio volergli replicare, ma inapplicabile alla realtà.

Affondai la faccia nel cuscino.

La porta scattò e sentii entrare la mia presenza notturna venirmi a far visita.

L.

Sapeva che avrei letto e sapeva anche come avrei reagito. Venne a controllare.

Aveva le mani in tasca, leggermente ricurvo, si voltò in direzione del portatile aperto che illuminava l’ambiente. Impassibile, L emanava qualcosa di simile alla pena, poi si voltò verso di me e camminò in mia direzione.

Si rannicchiò come Sua consuetudine vicino al mio cuscino, ma questa volta mi sollevò portandomi la testa al suo collo.

Mi abbracciava senza una parola di conforto, mi consolava.

Percepivo il senso di colpa che lo corrodeva, perché in parte era Lui che mi aveva fatto quella cosa.

Il sentirlo vicino, il prendermi in quel modo, mi fece singhiozzare ancora più fragorosamente.

Quella era la deflagrazione del mio amore per Lui, miscelata al dolore.

Rimanemmo così accoccolati per non so quanto, poi ripresi un po’ di contegno.

Il mio viso era rosso e colante di lacrime, ma avevo smesso di piangere.

Lui mi passava la mano sul collo accarezzandomi e io mi aggrappavo, stringendolo più che potevo, come se fosse stato la mia unica fonte di sopravvivenza.

“Forse non avrei dovuto restituirti il computer?” La Sua voce risuonò nella camera, pungente e bassa, sembrava avercela con sé stesso e sebbene l’avesse bisbigliato, al solo udirla le mie orecchie si svegliarono.

“No, L… va bene così. Forse ora posso vivere più serenamente e forse lo sta già facendo anche lui.” Emisi gli ultimi singhiozzi quasi sospirati, senza pianto, e rimansi con gli occhi puntati sullo schermo.

Gli accarezzai la guancia, apprezzavo quel suo modo di capirmi, gliene ero riconoscente. Lui rimase di una serietà spiazzante, dai suoi occhi fuoriusciva qualcosa di indefinibile: comprensione, affinità? Non bastano delle comuni parole per comunicare cosa fosse quella sensazione, quello sguardo che scatenava i brividi.

Mi avvicinai al suo viso e Lui fece lo stesso senza esitazioni. Lo vidi anticiparmi baciandomi, socchiuse le sue labbra piano con le mie. Si sentirono soltanto i baci nel silenzio ed io in maniera facile, spontanea, affondai le mani nei suoi capelli, ormai mi permetteva di fare ciò che volevo sulla Sua persona.

Come un anno prima Lui era lì con me a scontare ciò che mi aveva fatto, capendone perfettamente la gravità.

Ad eccezione di un’unica differenza, ora era molto più coinvolto.

Eravamo immersi completamente nelle stesse mutabili acque.

 

 

Il giorno seguente decisi di buttarmi a capofitto nel lavoro, sperando di pensare il meno possibile. A quanto pare però quella giornata per me doveva per forza prendere un brutale verso che ovviamente non mancò di assumere.

Ci fu un inconveniente, l’insegnante della classe dei ragazzi dai quindici ai diciassette anni si assentò per motivi familiari. Così delle classi vennero mescolate e quel giorno capitò a me. Nel giro di poco mi ritrovai assediata da un gruppo di ragazzi e da chiassosi bambini, che tentavo di tenere a bada con scarso successo. Quando si dice che non è proprio giornata.

Roger decise di proporsi per la sostituzione della professoressa e così presenziammo a quella stramba lezione. L’argomento del giorno fu la Divina Commedia.

Roger fece una prefazione a riguardo, parlando del primo viaggio di Dante. L'inferno.

Così, improvvisandosi professore, Roger iniziò a leggere alcuni versi dell’Inferno. Tutto risultava rilassante e molto coinvolgente, nonostante si stesse parlando degli inferi.

Ad un tratto mi sentii mozzare il fiato all’udire di un particolare verso...

 

 

Caron dimonio, con occhi di bragia

loro accennando, tutte le raccoglie;

batte col remo qualunque s’adagia”

 

                                          (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno III, vv. 109-111)

 

 

Il sangue smise di fluirmi al viso, avevo le bocca semi aperta.

Tornarono prepotenti le orride immagini dell’incubo, gli occhi rossi luminosi.

Sentii il mio cuore rompersi, spaccarsi.

In seguito udii in lontananza il mio nome “B... e… l...”

“Be... l... Belle!” Sentii scuotermi violentemente da qualcuno, guardai verso chi mi chiamava.

Roger! Aveva gli occhi sgranati e un’espressione corrucciatamente allarmata in viso.

Ro…ger?” Ero in uno stato di trance, come se mi avessero appena narcotizzato.

“Belle, forse è il caso che tu vada in infermeria.” Disse secco, con un tono che non avrebbe accettato un rifiuto ed io ancora molto intontita annuii.

Uscii dall’aula con gli sguardi ansiosi e sbalorditi di tutti i presenti. Dovevo averli proprio spaventati. Sorrisi amaramente, cercando tranquillità guardando fuori dalle finestre aperte, gli alberi già ingiallivano e l'aria si era fatta frizzante. Tirai dritto verso l'ambulatorio. L’infermiera mi rivoltò come un calzino e mi trovò in perfetta forma, soltanto quel leggero stato confusionale, nulla di più.

Allora cosa diavolo era stato?

Meditai addirittura sul fatto di iniziare a soffrire di un qualche disturbo psichico.

Ma tutto si risolse con il diagnosticarmi un accumulo di stress e questo potevo garantire di averne avuto in abbondanza nell’ultimo anno.

Troppo imbarazzata e fiacca per tornare in classe, decisi di prendere una boccata d’aria o di andare a fare compagnia a L nella sua sterile stanza.

Improvvisamente nella mia mente balzarono delle nuove immagini, delle reminiscenze di quando eravamo stati a Los Angeles.

Le foto dove mi fecero vedere chi fosse Beyond Birthday. Per la prima volta mi pentii di essermi impuntata e incuriosita così tanto nel volerlo vedere. L me lo aveva impedito in ogni modo, con tutti i suoi mezzi, ma non mi aveva dissuaso. Ricordo che il mio stomaco per poco non finì a soqquadro.

Deturpato dalle ustioni, sul viso di B, spiccavano due pupille cremisi come il sangue.

In maniera del tutto irrazionale feci un’associazione tra quelle iridi e quelle che avevo visto nel mio sogno. Erano indistinguibili!

Spaurita cercai di correre da L per parlargli di quello che mi stava accadendo. Quasi arrivata alla Sua porta, inciampai e sentii di nuovo l’avvisaglia di quel terrificante collasso avuto poco prima. Mi appoggiai violentemente al muro provocando un suono sordo nel corridoio e facilmente udibile data la desolazione che c’era.

Prima che potessi accasciarmi a terra vidi uscire L dalla sua stanza e venire velocemente verso di me con Watari a seguirlo.

Il nulla mi aveva risucchiato di nuovo.

Quelli erano segni.

 

 

 

Eccomi e grazie come sempre a chi mi legge.

Spero abbiate passato un bel Natale con tanti regali e che la mia storia vi allieti le prossime giornate vacanziere.

E sopratutto un Buon Anno a tutti.

 

Grazie mille e baci a tutti

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Capitolo 27
*** Sogni ***


                                                                      




 

                                                      Sogni

 

Rinvenni lentamente, i miei occhi si aprirono e li ritrovai puntati al soffitto bianco della stanza di L. Molto probabilmente ero dello stesso colore, lo capii  dal  vociare di Wammy ed L che stavano proprio parlando del mio aspetto. Erano poco distanti da me, davanti allo schermo a terra. Con debolezza mi alzai cercando di mettermi a sedere, avvertii il caldo raggiungere le mie guance in maniera lenta, poi L e Wammy si accorsero della mia azione, ma solo Wammy mi raggiunse al letto.

“Belle, tutto bene? Diamine, cosa ti è successo?” Wammy mi aiutò a sollevarmi per bene e mi fece accomodare in una posizione seduta ben eretta.

Venni colta dall’incertezza, non sapevo che fare, avrei voluto raccontare quei sogni... ma la motivazione che mi aveva mossa fin lì poc’anzi, era sparita. Turbata pensai che L non avrebbe mai dato ascolto ad una storia basata su dei sogni o incubi che potessero essere collegati ad un qualcosa nella realtà. Lui non credeva a certe cose, riteneva che non potessero contare molto.

“Non lo so Wammy… È da questa mattina che non sto propriamente bene. Da quando ho avuto uno strano collasso durante la lezione con Roger. Ad ogni modo l’infermiera mi ha visitato, stai tranquillo. Mi ha detto che sto bene e che forse dipende da un po’ di stress, tutto qui.” Mentii e feci uno di quei sorrisi che servono a tranquillizzare.

Wammy si fece convincere ma L, Lui no.

Mi osservava richiuso su se stesso a terra, con lo sguardo di quando capiva che non era stata detta la verità. Risposi a quel suo osservare fingendo di non averlo notato e continuai a tenere la mia attenzione su Wammy.

L insistette comunque “Non sembri molto convinta? Sei sicura, Belle?”

Lo fulminai con lo sguardo, non lo avevo mai fatto prima di quel momento, ma in quella situazione, in cui avrei preferito lasciasse passare, non lo fece. Aveva la fermissima intenzione di calcare la mano.

“Sì, L, sono sicurissima. Perché in un momento del genere mi fai il terzo grado?” Rimasi a fissarlo interrogativa.

Watari, puoi lasciarci soli per favore?” Chiese girandosi di spalle verso il computer.

Wammy mi diede una fugace occhiata, quasi a chiedermi se riuscissi a tenermi in piedi ed io risposi semplicemente annuendo, facendogli capire che stavo bene.

Quando rimanemmo da soli non mi bombardò immediatamente di domande, rimase in attesa.

Sì, aspettava il momento giusto per cogliermi in contro piede, che mi rilassassi pensando che l’avrei scampata. Era fenomenale quanto Lui diventasse indagatore, più di quello che già era, quando si trattava di me. Voleva dire che Lui ci teneva più di ogni cosa.

Nell’attesa di una sua mossa, presi una ciambella ripiena alla crema tra le tante che c’erano di tutti i gusti e conservate in una confezione in cartone molto colorata. Sentivo un po’ di fame, non so se per la tensione nervosa che Lui mi stava mettendo o perché era scaturito del malessere avuto qualche istante prima. Ad ogni modo la mia gola cedette tentata da quelle ciambelle.

“Quindi mi dici cosa hai visto?” Finalmente parlò facendomi voltare sconcertata.

“Come cosa ho visto? Cosa ti fa pensare che io abbia visto qualcosa?”

“Me lo fa pensare il fatto che, mentre raccontavi la tua bugia, i tuoi occhi fossero fissi e quasi sicuramente stavi ripercorrendo un qualche ricordo.” Alzò il suo sguardo su di me che ero in piedi davanti a Lui.

Sbuffai “ Pens...” esitavo, avevo paura mi credesse un’idiota “Pensavo a uno strano sogno... che ho fatto ieri notte. Mi ha molto spaventata, tutto qui.” Vuotai il sacco, ma non del tutto.

“Un sogno, eh?” chiuse le braccia sulle ginocchia  incrociandole “Allora è possibile che il tuo inconscio ti stia mandando dei segnali. Sì, probabilmente è solo stress, come ti ha detto l’infermiera.” Sembrò essere sollevato mentre mi esponeva la sua diagnosi psicologica su di me.

“Bene dottore, ha finito con la sua psicoanalisi?” dissi spiritosamente abbozzando un sorriso che vidi poi spuntare appena anche sulle sue labbra. Non ce la feci a seguitare, a raccontargli i particolari di quel sogno… gli occhi rossi come quelli di Beyond Birthday… l’oscurità che mi inghiottiva... era troppo per i miei nervi.

Cessai di ricordare tornando su di Lui che ora era intento a mangiare una ciambella glassata al cioccolato. Stava leccando la glassa e io mi sentii le gambe fiacche, la bocca dello stomaco sobbalzare, ma non per gli svenimenti avuti prima. Era quel suo modo di fare inconsapevolmente sensuale che mi fece sommuovere. Fortunatamente Lui si alzò velocemente e venne a prendermi prima che lentamente, la sensazione di precedente spossatezza mista a quella emotiva, mi facessero cadere di nuovo a terra. Cingendomi  saldo i fianchi e la schiena, io mi aggrappai a Lui prendendo la sua maglia bianca.

“Belle, non credo proprio che tu ti sia ripresa per bene. Ti succede sempre così, anche quella volta in soffitta. Finisci sempre con lo svenirmi addosso.” Piano puntò i suoi occhi sul mio volto per vedere le mie reazioni.

“Questa volta è colpa tua. Dovresti smetterla di fare certe azioni, così... così sfrontate davanti a me.” Lo rimproverai divertita e lo vidi  diventare serio, si stava trasformando nel tentatore. Sporgendosi verso di me fece per baciarmi, scostandomi apposta finì per baciare un punto tra la mia guancia e il mio orecchio. Risi e mi strinsi al suo collo ansiosa. Traboccavano a fasi alterne i ricordi di quei sogni che non mi davano pace.

“L...” lo dissi con la pena nella voce e Lui accostò la sua testa sulla mia, in un gesto calmante e terribilmente dolce.“L, tu non mi abbandonerai mai, vero?”

Non parlò. Lo sentii chiudersi più forte nell’abbraccio.

“I miei incubi L… ho paura che mi tirino via da te. Io voglio stare con te, con te L.”

Il nostro chiuderci divenne più deciso. Eravamo entrambi uniti,  non solo in quell’azione di reciproco affetto, ma da qualcosa che solo io e Lui potevamo percepire. Mai come in quel momento mi sembrò che il mondo intorno a noi fosse diventato terra bruciata e solo noi fossimo gli unici esseri sopravvissuti. Questo pensiero lenì le mie insicurezze fomentate da quegli onirici occhi scarlatti. Rassicurata cercai il suo viso allungato, le sue labbra, la serenità nel gesto d’amore.

 

A rilento passarono i mesi e per molto i miei sogni furono placidi, comunque nulla di spaventoso.

Finché non ritornarono prepotenti e con particolari sempre più definiti.

 

Gennaio

 

Febbraio

 

Di nuovo vedevo il buio, ma iniziava a dissolversi come una nebbia fatta di fumo nero. Schiarendomi la vista noto che mi trovo su una strada asfaltata e con  i piedi sono su un  marciapiede. Davanti a me, forse a una decina di metri, c’è un albero e sotto di esso qualcuno. Non riesco a distinguerlo bene. Si volta e mi mostra quello che potrebbe essere il suo viso, contratto in una smorfia di costante, orrido sorriso.

Alzo il mio sguardo sui suoi occhi e rabbrividisco.

Sono Rosso sangue!

 

 Svegliarmi fu la mia ancora di salvezza. Venni colta da un inspiegabile tremore, perché quello che avevo visto nell’incubo era qualcosa di molto inumano. Non potevo spiegarlo. Come avrei potuto dirlo ad L? Tenni di nuovo tutto per me.

Scordai quel sogno, dovevo sfuggirgli.

 

Marzo

 

Sono in una stanza d’hotel.

L mi tiene abbracciata  a Lui, tengo la fronte appoggiata al suo collo, vedo la sua mandibola, il suo pomo d’adamo sporge sensualmente ed io rimango ad osservarlo rapita pur conoscendo ognuno di quei sui particolari fisici. Vedo L scostarsi da me per parlarmi, ma io... io non lo sento! Non posso sentire nemmeno una singola parola di quel che dice e questa cosa mi spaventa da morire.

D’un tratto la luce della finestra dietro di Lui diventa sempre più forte e intensa.

L sparisce dalla mia vista abbagliata.

Sento un forte senso di preoccupazione.

 

Fatto quest’incubo a passo lesto mi diressi verso la sua stanza, senza preoccuparmi in quali condizioni fossi. Nonostante l’angoscia entrai con discrezione, piano, avevo il timore che se non avessi agito così, l’incubo sarebbe potuto diventare realtà. Era ancora notte e questo mi tranquillizzò. Dopo quel sogno la luce del sole mi rese inquieta per qualche giorno.

L era in piedi davanti alla sua finestra e guardava fuori, ero agitata, i miei capelli erano scompigliati e finendo sulle labbra venivano incitati dal mio respirare ansioso. Andai dritta da Lui appena lo vidi voltarsi. Non mi domandò nulla, ormai aveva smesso di insistere, sapeva che non avrei proferito parola. Era comunque cosciente che qualcosa mi turbava.

 

Aprile

 

Maggio

 

Giugno

 

Non sognavo da molto ed iniziai a pensare che ero io a preoccuparmi fin troppo, ma continuai a non dire nulla ad L dei sogni precedentemente fatti, trovavo che in quel momento fosse una cosa inutile.

 

Luglio

 

Agosto

 

Mi ritrovo ancora su quella strada, lo stesso marciapiede, lo stesso albero... ora oltre al mostro c’è qualcun’altro con lui. Incuriosita guardo.

È un ragazzo, ha i capelli neri e spettinati, indossa una maglia bianca e dei jeans scoloriti. Notando la sua familiarità faccio per avvicinarmi, ma il mio momentaneo sollievo è bruscamente interrotto. Il ragazzo si volta.

Non è L... è qualcun altro, è immerso nel sangue, la sua maglia è imbrattata in maniera nauseante di sangue! E i suoi occhi sono rossi, come quelli del mostro che ha accanto e che è rimasto di spalle! Ancora rosso! Tutto rosso! Ed io non posso parlare o gridare aiuto!

 

Iniziai a preoccuparmi seriamente.

Quei sogni mi stavano facendo perdere la serenità, L aveva ricominciato a diventare pressante e voleva capire che cosa avessi. Vedeva che ero costantemente con la testa altrove e io non riuscivo a dargli delle spiegazioni plausibili. Arrivai ad immaginare che B mi avesse segnato nel profondo dell’anima e avevo paura che nemmeno L riuscisse a liberarmi dal suo spettro.

 

Settembre

 

 Ottobre

 

 Novembre

 

Sono ancora su quella strada che non conosco, sebbene l’abbia sognata più volte.

 Stavolta sotto quell’albero c’era solo il mostro, che si gira verso di me ma non si avvicina, rimane lì fermo. Non lo guardo negli occhi, sapendo già cosa avrei visto.

La mia attenzione viene catturata da qualcosa che ha tra le mani... sforzando la vista per capire cosa sia, intuisco che è un libro. Logoro e di colore nero. Poi la creatura mostruosa inizia a ridere. Una risata sinistra e gracchiante. Inorridisco e sposto il mio sguardo sulla mano che B mi fece ferire... la cicatrice si era aperta e sanguinava copiosamente.

 

Quest’ultimo sogno fu la spinta che servì a convincermi che era arrivato il momento di parlare. Dovevo parlare ad L. Non riuscivo più a tenere per me tanto terrore e dolore, era come un’affliggente buco nero e non riuscivo a tirarmi fuori da esso, ci stavo finendo dentro.

Dovevo chiedere aiuto ad L!

 

Appena sveglia quella mattina Lui era con me nella mia stanza.

L mi guardava mentre risistemavo vari oggetti sparsi per la camera e mettevo via le cartacce dei dolci che Lui aveva mangiato la sera prima, tra il chiacchierare e il cullarmi verso il sonno. Mentre ero intenta a rifare il letto e rimuginavo su come raccontargli della pena che mi affliggeva da più di un anno, Lui in un atto inconsueto iniziò ad aiutarmi prendendo l’altra estremità delle coperte che stavo tirando su.

Meravigliata esordii “Da quando in qua fai cose che non hai mai fatto? Devo iniziarmi a preoccupare?” sorridevo e lo guardavo negli occhi, poi Lui lasciò scivolare di mano il suo lembo di lenzuolo e parlò. “Credo ormai di non poter nascondere più niente né a te né a Watari.” sembrò compiaciuto per la cosa appena detta.

Io dalla mia parte mi sentii una grandissima disonesta. Chiedevo e intuivo sempre qualcosa in Lui che non andava e L, quando voleva, mi diceva sempre tutto sinceramente ed io mi rifiutavo categoricamente di dirgli cosa avevo da molto tempo. Aveva sopportato di buon grado quel mio modo di fare. Mi sentii pessima.

“L... io…

Mi bloccò, incalzandomi “Belle, ho trovato un nuovo caso.” Era freddo ma infervorato, quasi entusiasta. Quel caso doveva essere qualcosa di davvero assurdo per averlo reso così vivo.

“Ah... bene.” Non mi spinsi a chiedere altri particolari, mi sentivo già abbastanza crudele per come mi comportavo, ma Lui continuò. Forse sperava che aprendosi, anch’io avrei fatto lo stesso.

“Belle, avrai sicuramente letto i giornali e saprai di quelle strane morti.” Volse il suo sguardo alla finestra distrattamente, ma credo che lo fece per non guardami di proposito. Lui odiava parlarmi come se fossi stata un suo sottoposto in una qualche indagine.

“Sì, l’ho letto. Perché? Stai sospettando qualcosa, vero?” Il mio tono era indagatore e curioso.

“Sì. Sto sospettando qualcosa, perché so che quei crimini non sono casi o improvvisi malesseri. C’è qualcosa di strano sotto.” Eccola! Di nuovo quella fiamma d’entusiasmo puro, gli si era riaccesa e  riusciva a contagiarmi, ma venne smorzata da qualcos’altro. Una pessima sensazione.

Tornò con lo sguardo verso di me, deciso e le sue occhiaie risaltarono “Domani parlerò con tutti i rappresentanti del mondo dell’ICPO e voglio che tu sia presente mentre esporrò quello che penso di questa faccenda. Voglio che tu in questa storia diventi il mio sostegno, diverso da quello di Watari.” Sorrisi nervosamente e leggermente intimidita. Aveva bisogno di me. Mai come in quel momento me lo fece capire e io riuscii ad annientare i miei incubi solo sentendolo parlare in quel modo. Affrontai i suoi occhi senza dire una parola, annuii continuando a sorridendogli.

Ma la sgradevole sensazione che avevo provato qualche momento prima cominciava a ripresentarsi, continuavo a sentirla leggera su di me. In quel momento ricordai di aver perso l’occasione giusta di dirgli cosa mi avesse turbato tempo prima e mi sentii ancora più in colpa con Lui.

 

L’indomani eravamo io ed L nella sua stanza. Nascosti dietro a quel computer e dall’altra parte l’intero globo ascoltava ciò che aveva da dire L sul quell’indagine.

Quel caso che venne battezzato con il semplice nome ‘Killer’.

Il caso Kira.

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Capitolo 28
*** Rischio ***


                                                               




                  Rischio





Quella fu la prima indagine dove mi sentii totalmente coinvolta. Non so se fosse stato il modo in cui L mi chiese di esserne partecipe né se la mia partecipazione sia stata più un appoggio che un aiuto concreto, però mi fece sentire importante in qualche modo. Forse in una maniera ancora più alta rispetto agli altri che agivano per Lui e obbedivano agli ordini che impartiva.
Io ero qualcos’altro, ero la colonna portante che incentivava la sua causa.
A volte mi chiedevo se sarebbe bastata la sua sola Giustizia, mi chiedevo se solo lei sarebbe bastata come sua motivazione.
Io credo tutt’ora che non ci sia causa migliore dell’amore per spronare l’uomo.
D’altronde la Giustizia non è una diramazione dell’amore?
La Giustizia in potenza vuole proteggere ed eliminare tutto quello che potrebbe danneggiare e distruggere un sistema pacifico, cioè un sistema dominato dal costante desiderio dell’amore e del bene comune. Ditemi. Non è forse questo costante desiderio dell’amore e del bene comune che ha fatto nascere la Giustizia?
Io sono dominata dal sentimento che l’ha fatta nascere e Lui era dominato dal frutto del mio sentimento.

12 Dicembre 2003

Eravamo solo io e L in quella suite del Teito hotel, eravamo arrivati lì un paio di giorni prima e io non mi ero ancora ripresa dal jet lag. Quando eravamo atterrati in Giappone, ero stata colta dalla stanchezza e dalla confusione, per cui avevo dormito una giornata intera. L non era parso invece minimamente sofferente per alcuna mancanza di sonno o affaticamento e si era concentrato tempestivamente sulle indagini. Watari era all’incontro con gli agenti giapponesi del quartier generale creato appositamente per la ricerca e cattura del killer dei criminali, Kira.
Quando mi svegliai, trovai L seduto a terra davanti al suo computer, intento a stabilire un collegamento. Voltandomi mi accorsi che era sera e il tutto mi fece sentire immersa in un qualche altro mondo, dove il giorno si era trasformato nella notte e la notte era diventata il giorno. Questo fece prendere una luce fiabesca al mio risveglio e, tornando poi con gli occhi a L, lo fece apparire ancora più meraviglioso di quanto già non fosse. Camminai verso la finestra e osservai la metropoli nipponica, completamente illuminata e caotica. Poi spostai lo sguardo sul mio riflesso proiettato sul vetro contornato da tende in stile molto occidentale. Ero ancora abbigliata con il mio pigiama e sulle guance albergava il rossore, per via del tepore delle coperte. I miei capelli erano raccolti in una treccia, scompigliata a causa del sonno, e delle ciocche castane erano guizzate via leggermente arruffate. Mi risistemai con poca cura i capelli, dato che mi sarei riordinata meglio in seguito e magari avrei anche fatto una doccia.
Dato che avevo recuperato lucidità dopo il lungo riposo che avevo fatto, decisi che quella sera sarei stata con Lui mentre era intento a lavorare su quel caso.
Mi spostai pigramente vicino a L, verso il tavolo, che era imbandito e fornito di ogni cosa dolce esistente in questo mondo, e mi versai del tè in una tazza, aggiunsi del latte e, mentre mi apprestavo ad aggiungere anche le due zollette di zucchero, ascoltai la conversazione di L.

Giorni prima L aveva parlato a tutti i rappresentanti mondiali dell’ICPO, annunciando che già da tempo stava indagando su quelle strane morti criminali, e richiedendo a tutti gli illustri membri dell’interpool il consenso alla loro collaborazione per la ricerca e arresto del killer dei criminali. Tutto il mondo avrebbe dovuto unirsi per la sua cattura. Aveva chiesto un aiuto particolare ai rappresentanti giapponesi, perchè L aveva la certezza che il killer fosse in Giappone e lo avrebbe dimostrato.
Questo mi aveva fatto prendere consapevolezza che quel caso non era qualcosa di assolutamente normale e alla portata di tutti, se aveva spinto perfino L a chiedere una collaborazione così globale.

Ad un tratto mi distrassi dalle mie riflessioni sentendo che trasmettendo la voce di un uomo. Incuriosita mi avvicinai al monitor del computer di L.
L’uomo nel video era seduto ad una scrivania e sullo sfondo dietro di lui c’era lo stemma dell’ICPO. Poi notai qualcosa che mi risvegliò dalla mia tranquillità. Davanti a quest’individuo c’era una targa con su scritto il suo nome: Lind. L. Taylor.
La mia attenzione si fece sempre più acuta.
Con la coda dell’occhio notai L che mi osservava mentre ero concentrata a capire cosa stesse succedendo. Questo Lind si spacciò per L e iniziò ad istigare, minacciare e poi rimproverare colui, ovunque esso fosse, sarebbe dovuto essere Kira. Lo invitò a uscire fuori e a smetterla con quello che stava facendo, perchè era malvagio.
La mia testa si fece leggera e la sentii quasi girare.
Fu questione di secondi e Lind si portò le mani al petto e si lamentò, facendosi cadere poi sul ripiano della scrivania esanime.
Rimasi allibita. Non potevo credere a ciò che avevo visto e, a quanto pareva, nemmeno L, che nel frattempo prese il microfono e schiacciò il pulsante per distorcere la sua sensualissima voce.
Quell’oggetto era un insulto al suo timbro vocale.

La mia attenzione sparì del tutto, venni assorbita da me stessa. Le immagini viste poco prima mi passavano davanti e non riuscivo a cancellarle. Quell’uomo aveva sfidato quel qualcuno che uccideva nella maniera più misteriosa e sconosciuta al mondo, con un metodo pericoloso, spaventoso; all’apparenza era una maniera di uccidere invisibile, pulita e poco immorale, ma nella realtà era molto peggio, era infernale ed agghiacciante. Mentre realizzavo nella mia mente l’orrore di quello che avevo visto e stavo vivendo, il mio interesse venne improvvisamente colpito, come quando si viene presi in pieno da un pugno, dalle parole di L… “Avanti, prova a uccidermi! Che aspetti! uccidimi!!? Cos’è?! Non ce la fai?! Allora, prova ad ammazzarmi?!” La voce di L era intrisa e pervasa dal tono di sfida e sfrontatezza, io non riuscivo a fare nulla, ero vicina a Lui, di pietra, mi sembrò di ingoiare del veleno.
Incominciai impercettibilmente a tremare e indietreggiare, mentre L continuava ad esporre se stesso e quello che pensava e aveva avuto modo di provare su quell’assassino. Entravo ed uscivo da uno stato di incoscienza ogni qual volta le parole di L colpivano in pieno il mio cuore e non solo quello di Kira. Pensai che tutto stesse per finire, quando lo sentii affermare sicuro e senza esitazioni. “Stai certo che ti scoverò e ti ucciderò. Io sono la Giustizia!” C’era una fermezza e convinzione che mi spiazzò ed elettrizzò in quelle parole, ma il senso di amaro in bocca continuava a farsi sentire.

Io ero amareggiata!
Non mi accorsi nemmeno che indietreggiando ero finita con le spalle al muro, avevo ancora la tazza di tè in mano e la facevo risuonare col mio tremare. La guardai e la lasciai cadere, come se mi potesse sciogliere la mano da un momento all’altro. Sentendola cadere L si voltò verso di me. Quella assurda comunicazione era ormai finita da pochi istanti e io ero ansimante e non riuscivo a riprendere il controllo di me. L si girò di nuovo verso il computer e disse “ Non ti devi spaventare così, dovevo per forza fare in questo modo per capire di più su come uccide e avvalere le mie teorie.” Il suo tono era piatto senza inflessioni, non percepii nemmeno la rassicurazione.
Abbassai lo sguardo attonita “Ah...” Non riuscivo a parlare e per un attimo riaffiorò il ricordo di quegli incubi, dove non potevo nè parlare nè gridare. Tutto divenne così reale ed iniziai a tremare più forte. L, sentendo troppo silenzio, si voltò di nuovo verso di me, sembrò davvero spaventarsi e mi venne incontro. Adesso ero tra la parete e Lui. Mi prese delicatamente per le braccia con le sue mani affusolate e si abbassò per guardarmi bene il viso che tenevo basso. “Belle, va tutto bene. Non mi ha ucciso, non mi ucciderà, tranquilla. Belle.” Ora era vera rassicurazione quella che sprigionava la sua voce suadente.
Alzai gli occhi verso di Lui ancora confusa e disorientata “Po... poteva ucciderti... tu l’hai… ? Hai visto cosa ha fatto a quell’uomo... tu… tu... l’hai sfidato!?” Adesso le lacrime mi sgorgarono dagli occhi, come se fossero state un automatismo, non riuscivo a fermarle.
Richiusi il viso verso terra e chiusi gli occhi, facendo cadere le gocce come fossero una cascata.
L mi prese e strinse a sè, poi mi fece scivolare a terra con Lui, dove ci rannicchiammo. Io diedi libero sfogo alla paura che mi aveva messo. Rimanemmo lì fino al rientro di Watari dal quartier generale giapponese.
Continuarono le riunioni telematiche tra L e il quartier generale anti-Kira, con un susseguirsi di nuove vittime e nuovi indizi.
A quanto pareva quel bastardo lo stava sfidando.
Incredibile come chi si stesse mettendo contro L fosse altrettanto avventato e calcolatore quanto Lui.
Era successa la stessa cosa anche con B.
Per quanto riguardava me, dopo quello che era accaduto, mi limitai ad osservare ma senza prestare attenzione, ero terrorizzata. Evitai perfino di rimanere a lungo vicino ad L mentre era intento a parlare con gli agenti di polizia e la cosa più crudele era che Watari non era lì con me, perchè stava facendo da tramite tra L e il quartier generale.
Mi chiusi in me stessa nella mia camera d’albergo, ma la cosa non andò giù ad L che appena ebbe un ritaglio di tempo da quella storia venne da me.

Sedevo su una poltroncina e guardavo la televisione, ma non la seguivo affatto, quando L entrò senza troppi convenevoli e si chiuse la porta dietro, sbattendola quasi.
“Ah... Qualcosa è andato storto L?” dissi ironicamente mentre pigra appoggiavo il braccio sul bracciolo del divanetto e dove a mia volta poggiavo il viso sulla mano stretta a pugno.
“Perchè diavolo non ti avvicini? Pensare che sono io quello che mette le distanze e non il contrario. ” L era atono come sempre, ma innervosito e con lo sguardo sembrava volermi immobilizzare.
“Io... L… ” sbuffai impacciata, come se non sapessi che spiegazione fornirgli. “Giuro che non uscirò da questa stanza finchè non mi dirai che cos’hai e sopratutto finchè non mi sarai vicina, e sai anche che, se mi impunto, sarò capace di rimanere qui tutta la notte ed oltre.” Il suo sguardo era scuro e nel suo viso potevo leggere il capriccio.
Si avvicinò alla poltrona dove ero seduta, mise le mani suoi braccioli e mentre si avvicinava abbassando il suo profilo al mio, mi scomposi dalla disordinata posizione che avevo assunto.
L continuò “Avanti sto aspettando.” Insistente come sempre, ma adoravo quando mi metteva sotto pressione a quel modo, dimostrava di voler sapere davvero cosa avessi e per me era una soddisfazione sapere che Lui non mi capiva al punto da dovermelo chiedere.
“L.” Puntai i miei occhi nei suoi e presi coraggio. “Io non ho mai avuto così tanta paura da quella volta in cui B ci prese di mira. Anzi, credo che questa situazione superi di gran lunga quella del caso di Beyond Birthday. Quando…” mi bloccai ricordando l’uccisione di Lind L.Taylor, ma ricominciai “…Quando ho visto quell’uomo morire in quella maniera misteriosa, ero sconvolta, ma sentire te provocare quell’assassino chiedendogli di ucciderti... è stato troppo! Cosa sarebbe successo se ti avesse potuto uccidere? Ti saresti accasciato anche tu a terra... saresti...” mi fermai di nuovo agitata, chiusi gli occhi e li riaprii. “Io non voglio vederti in quel modo. Io non voglio! Non voglio che tu sparisca, non voglio che la tua pelle diventi più bianca di quella che hai, non voglio che le tue occhiaie diventino più scure e profonde, non voglio che tu perda il tuo calore. E non voglio che la tua anima si dissolva e ti abbandoni.” Un nodo alla gola m’interruppe.

“Belle, io ti ho promesso che sarei rimasto vivo e intendo rimanere vivo, ma devo trovare anche il modo di fermare questo pazzo. Tu lo capisci vero?” Si avvicinò ancora di più al mio viso, ma poggiò la sua fronte alla mia ed io annuii muovendo la testa.
“L, non pensare che la mia sia mancanza di fiducia in quello che fai, io voglio solo stare con te. Se ti perdo sono finita, non serve che te lo dica, tu lo sai e lo capisci perfettamente. Ho intenzione di sostenerti sempre, perdonami se in questi giorni ti ho tradito con questo mio modo di fare.”
Portai le mie mani sulle sue guance e cominciai ad accarezzarle.
“Finalmente...” sembrò uscirgli un sospiro “....era da molto che volevo sentirti Belle.” La sua voce era roca e appagata dal mio gesto, prese a baciarmi lentamente, come se fossi stata qualcosa da assaporare piano con la paura che se non lo si gusta lentamente finirà presto.
“Ti prego stiamo insieme questa notte, Belle.” il suo tono assunse un aspetto supplichevole, come se fosse stato Lui quello che si doveva far perdonare qualcosa e non io. “Ti prometto che non diventerò mai freddo, Belle.” Lo ascoltavo in silenzio, mentre diceva cose che non sembravano appartenergli.

In quel momento capii che anche Lui sapeva quanto stava rischiando, capii che uno spiraglio di paura può attraversare anche il cuore del detective L.

Un grazie enorme a tutti quelli che stanno leggendo la FanFic e recensiscono......apprezzo moltissimo quello che mi scrivete,fatelo quanto volete a me fà un piacere enorme.
E un grazie gigante alla mia RyuzakiEru che mi abbozza tutti giorni.
Grazie Grazie e Grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!

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Capitolo 29
*** Tu sei la risoluzione ***


                                                    

Vuoi una rivelazione, una sorta di risoluzione
Tu sei la rivelazione
Nessuna luce, nessuna luce nei tuoi occhi blu brillante
Non avresti mai pensato che la luce del giorno potesse essere così violenta
Una rivelazione alla luce del giorno.

                                             
                                               *(traduzione cit. No light, no light di Florence + The Machine)









                 Tu sei la risoluzione





La mia vecchia prigionia, che era finita neanche un anno prima, tornò a prendere possesso della mia vita. Ma, mentre nell’altra situazione sia L che Watari riuscivano ad avere attimi di riposo e libertà, concedendosi la possibilità di dedicarsi anche a me, con quel singolare caso sparirono dalla mia vista. Per lo meno Wammy che era sempre fuori a intercedere per L, camuffato in volto, con un cappello in testa e con indosso un tetro impermeabile nero. Potevo riconoscerlo solo tramite la sua voce, mentre lo vedevo proiettato sullo schermo del computer di L. Iniziai a pensare che non avrei rivisto Wammy per molto, dato che al suo rientro io ero sempre già immersa nel sonno oppure era lui che non poteva concedermi tempo perchè quell’indagine era davvero senza sosta.
Ero completamente isolata e quella situazione mise ancora alla prova la mia capacità di adattamento. Divenne di una complessità assurda trovare qualcosa da fare. Ovviamente non potevo uscire e credo non sarei potuta uscire comunque neanche se ci fosse stato Watari con me. Perchè quel caso stava diventando molto più rischioso di quanto L potesse pensare ed io non potevo permettermi di togliergli l’importante e vitale collaborazione di Watari.
Questo era uno dei miei doveri che dovevo compiere per aiutarlo e sostenerlo.
Di conseguenza potevo limitarmi ad ascoltare e guardare cosa facesse L o svagarmi con quel poco che avevo in quella suite d’albergo,che poco aveva a che fare con lo svago,dato che la maggior parte dei programmi televisivi erano completamente monopolizzati da Kira.


I giorni di Natale passarono immersi in un atmosfera ambigua, perfino per L, che passava da momenti di trionfo e vantaggio su Kira a momenti di accanimento e cocciutaggine, appena gli indizi che gli venivano forniti prendevano una forma contorta e all’apparenza incomprensibile che lo lasciavano tormentato nonostante Lui riuscisse a decifrarli e decodificarli senza problemi. Perchè Lui avrebbe voluto capire in maniera profonda cosa stesse realmente pianificando quel Kira.

Kira passò dallo sfidare a giocare con L, quasi a volergli far intendere che lui fosse onnipotente e che poteva non solo uccidere le sue vittime come e quando voleva, ma anche manovrarle a suo piacimento. Facendo di loro delle marionette, per il suo assurdo messaggio cifrato da mandare ad L, gli faceva pensare e capire che non solo non lo avrebbe mai scovato, ma che lui poteva tutto su tutti, anche su di Lui.

Dal suo canto L si servì non solo del quartier generale giapponese, ma insospettito da delle strane fughe di informazioni molto riservate sui criminali, cominciò a sospettare dello stesso quartier generale, di conseguenza chiese all’FBI di collaborare indagando segretamente sulla stessa polizia giapponese.

E mentre si consumava questo strano duello, che aveva la stessa consistenza dell’aria, ma coinvolgeva tutto il mondo in una maniera comunque concreta ed abnorme, io rimanevo come sempre la solita spettatrice.

Fino a quando avrei potuto rimanere così in disparte a guardare?
Quanto ancora avrei dovuto rimanere inutile in tutta quella labirintica situazione?
Quando sarebbe arrivato il mio momento per poter sbloccare quella condizione?

Le domande mi giravano nella testa, ma il ricordo della Wammy’s House mi distrasse. Pensai a quanto fosse appagante vivere in quel posto, lì potevo fare ciò che volevo, e mi mancavano i bambini che ogni giorno rendevano completo e sereno il mio quotidiano vivere.
Lì L rendeva tutto il mio vivere perfetto.
Lì Wammy rendeva la mia vita positiva e solare.


Sentivo la testa immersa in un miscuglio di ricordi e riflessioni, quando L aprì le tende chiuse della mia stanza, facendo entrare prepotente la luce del sole. Io ero seduta sulla sponda del letto, ricurva e con le mani penzoloni tra le gambe. Quando i raggi solari investirono i miei occhi, mi coprii in viso, come se avessero potuto polverizzarmi all’istante.
“ Ricordavo che il sole ti fosse sempre piaciuto?” L era in piedi davanti alla finestra, contro luce, e mi parlò in modo pigro. Qualcosa ancora non doveva quadragli in tutta quella storia.

“Sì. Il sole mi piace...” abbozzai un sorriso e mentre parlavo Lui si avvicinò a me ancora di spalle alla luce del sole. E in quel momento riaffiorò l’immagine di uno dei sogni che avevo fatto un anno prima.Quella dove vedevo sparire L inghiottito dal bagliore crescente. Ebbi un sussulto e scansai subito quel pensiero e, prima che L si accorgesse che qualcosa non andava, inventai una mezza scusa. “Ho... solo un po’ di mal di testa, tutto qui, la luce mi dava fastidio.” Sorrisi di nuovo, fingendo una leggera sofferenza e massaggiandomi le tempie.
Lui sgranò gli occhi e mi si rannicchiò vicino “Vuoi che ti faccia portare qualcosa per farti passare il dolore?” Mi guardava negli occhi quasi premuroso.
Mi fece una dolcezza spaventosa e gli accarezzai i capelli, che spiccarono neri in contrasto alla mia mano bianca. “No.Tranquillo L, ora mi passa. Davvero.” lo guardai convinta.
“Forse stavi pensando troppo Belle. Sai, a me non è mai successo di avere un mal di testa per il troppo pensare, i dolci mi aiutano molto. Ne vuoi? Te li prendo io se non ce la fai?” Di nuovo quel suo strano modo di essere premuroso e sono convinta si sarebbe approfittato della situazione, perchè era Lui che aveva voglia di mangiare dolci in quel momento.
Sorrisi di nuovo “No. Sto bene così e poi qualcosa di dolce ce l’ho, già mi sento meglio.” Continuando a sorridere imbarazzata da ciò che avevo appena detto, lo spinsi leggermente con la spalla con fare scherzoso.
Lui abbassò lo sguardo sulle mani poggiate sulle ginocchia e poi guardò verso la finestra. Dovevo averlo messo in difficoltà. Non ci si sarebbe mai abituato a sentirsi dire certe cose. Mentre consumavamo di vergogna entrambi, sentii rientrare Wammy. Presa dall’entusiasmo corsi verso il soggiorno. Erano ormai giorni che non lo vedevo e gli balzai letteralmente al collo, lo sentii bofonchiare una risata sotto i baffi e poi mi disse continuando a ridere “Oh! Belle, anche tu mi sei mancata!”.
Ci staccamo e concessi a Wammy il permesso di potersi svestire del suo cappotto e poggiarlo sul divano, lo osservai come se non volessi farlo sfuggire dal mio campo visivo. Sorridente gli dissi “Com’è il Giappone? Io ancora non ci sono stata.” ed esplosi in una risata.
Wammy sorrise divertito alla mia battuta.
Nel frattempo L ci aveva raggiunto nel soggiorno, nell’angolo-salottino creato dal divano e due poltroncine ed al centro un finissimo e modernissimo tavolino.

“Già Watari. Com’è il Giappone?” L mi scimmiottò apatico, prendendomi in giro. Lui sapeva benissimo che odiavo rimanere rinchiusa in quel modo, poi mi lanciò uno sguardo affilato e sensuale.
Sbarrai gli occhi e li abbassai impacciata, ma Wammy mi salvò da quella situazione “Belle, ho qualcosa da darti.”
Immediatamente catturò la mia attenzione e mi incuriosii “ Per me? Davvero?!” sembravo una bambina.
“Sì, per te. Sai, Natale è passato e ho pensato di farti un regalo.” Wammy si diresse verso l’ingresso e ne tornò con in mano una scatola incartata di bianco e avvolta da un fiocco rosso.
Me lo porse ed io mi sentii così felice. Guardai prima lui in piedi davanti a me e poi L, che mi sedeva accanto col suo solito modo richiuso, e capii dal suo sguardo interessato e con il pollice sul labbro superiore, che non era solo un’idea di Wammy quel regalo, ma c’era anche il suo zampino. Rimasi ferma ad osservare il pacco ancora sorridente, poi L “Allora, non lo apri?” Dal suo tono capii che voleva vedere anche Lui cosa ci fosse dentro, ma credo che gli premesse di più vedere se quello che aveva commissionato di regalarmi fosse esattamente ciò che aveva richiesto.
“Sì.” iniziai ad aprire strappando la carta bianca, soddisfatta come una bambina il giorno di Natale, anche se ormai era passato da due giorni. Aprii la scatola di un colore anonimo e dentro vi trovai un piccolo computer portatile, con un lettore mp3, ultima tendenza tecnologica che aveva rimpiazzato il classico lettore cd. Sgranai gli occhi e li guardai di nuovo su di giri “Ma... davvero… per me!” sorridevo contentissima.
L guardò Wammy come per affermare con lo sguardo che aveva fatto un ottimo lavoro e un’ottima scelta, poi tornò a guardare la mia entusiastica reazione “Adesso avrai qualcosa da fare, mentre io e Watari saremo occupati con il caso. Lo so che non è la stessa cosa che averci fisicamente, ma nemmeno mi andava di lasciarti completamente sola ed annoiata.”
Mi si strinse il cuore.
Allora se ne era accorto che mi sentivo più isolata e che la noia mi prendeva più che mai in quella situazione…
Come avevo fatto a pensare che Lui non se ne potesse accorgere?
Come avevo potuto dare per scontato che non mi pensasse nonostante quel caso?
Riuscii solo ad abbassare gli occhi e arrossii “Grazie L. Grazie Watari.” risollevai la testa sorridendo. Presi subito ad armeggiare con il piccolo portatile e vicino a me L mi aiutava, dicendomi come fare ad usarlo al meglio.
Poi vidi Wammy allontanarsi.
L lo guardò serio, qualcosa mi fece capire che Wammy stava di nuovo tornando a lavoro, mi sentii giù ma dovetti sorvolare. “Bene io vado L.” Disse Wammy, reinfilandosi il cappotto. “Belle, appena tornerò prenderemo il tè insieme. Ok? Quindi via quel muso lungo.” Mi risollevò in un attimo con quelle parole.
“Va bene.” Ma sorrisi ancora un po’ abbattuta.

Rimasi intenta a esplorare quel mio nuovo oggetto tecnologico, per un’ora buona, L nel frattempo si era scivolato svelto dal divano, come suo solito, al suono di una chiamata in arrivo dal suo computer. Doveva essere Wammy. Lo osservai mentre si apprestava a rispondere, venni colta dalla sensazione di scoraggiamento avuta prima, quando Wammy era dovuto di nuovo andare via. Ma mi feci forza sospirando. Con calma e flemma mi alzai pensando di andarmi a ritirare in camera mia, lasciando L al suo lavoro.
Proprio mentre mi stavo incamminando L mi chiamò “ Belle.” Mi fermai subito e mi girai verso di Lui, il cuore mi rimbombava nelle tempie, la sua voce calda mi stordì, mi sembrò impossibile che mi avesse chiamato Lui.

“Aspetta, puoi rimanere se vuoi.” Si voltò aspettando una mia reazione, poi si alzò, venne verso di me, che stringevo tra le braccia il suo prezioso regalo. Allungò la sua mano verso la mia e la sfiorò appena con l’indice, io osservai il suo gesto e iniziai ad agitarmi un po’, quel suo bellissimo effetto su di me non conosceva esaurimento.
Cercai di calmarmi, altrimenti avrei perso il controllo distraendolo “ L... la tua chiamata.” abbassai gli occhi, stavo impazzendo, perchè continuava a tentarmi disegnando qualcosa sul dorso della mia mano.
Mi si avvicinò, sollevai lo sguardo e Lui mi osservava cercando di soggiogarmi con suoi occhi, comprendeva benissimo che effetto mi facessero, giocava con me come il gatto col topo. Sorrisi nervosa e Lui dalla mia mano scivolò, salendo alla mia nuca, scansando i capelli, e la prese con l’ intero palmo della sua mano, sentivo le sue dita cingermi il collo. Tentai di allontanarmi, ma mi bloccò con quella presa. “L...” Stavo annaspando “che ti prende...vai a rispondere.”
“Non ti preoccupare della chiamata. Non preferiresti che io non risponda?” Si stava divertendo mentre me lo bisbigliava.
Mi stava mettendo alla prova, voleva vedere quanto io comprendessi davvero ciò che Lui stava facendo, probabilmente si aspettava una reazione infantile, dove io avrei iniziato a piagnucolare e mi sarei lasciata andare, ma così non fu. Dissi decisa “Smettila L! Non voglio che accada una cosa del genere! Non saresti più tu! E ora rispondi!” Gli si aprì un sorriso strano e soddisfatto per quello che avevo appena detto e mi liberò dalla sua morsa provocatrice, sfilando via la mano e facendola attraversare appena la scollatura del mio seno. Per poco non mi sentii mancare, sorrisi di nuovo nervosamente.
Finalmente si decise a rispondere, dall’altra parte Wammy disse che lo avrebbe messo in contatto con il capo dell’FBI.
Poggiai il mio portatile su un tavolino e rimasi in ascolto anch’io.
La chiamata fu qualcosa di quanto meno demoralizzante e avvilente. Il capo dell’FBI comunicò ad L che i dodici agenti mandati in Giappone erano stati uccisi da Kira. L cercò di calmarlo e cercò anche di capire come diavolo fosse successo e come potevano essere stati mandati tutti i dati riguardanti gli agenti. Che nesso ci fosse e come li avesse trovati Kira. Purtroppo il capo dell’FBI confessò che aveva stupidamente mandato tutti i dati a tutti i suoi agenti che partecipavano all’investigazione lì in Giappone. Il tutto si concluse con l’annuncio del ritiro dell’FBI dal caso Kira. L’aria divenne irrespirabile per la tensione.
Subito dopo arrivò l’ultima parte di uno di quegli strani messaggi con cui Kira provocava L. Sembrava una presa in giro, la frase completa era: L lo sai che gli dei della morte mangiano solo mele.

Quella frase mi spiazzò. Dei della morte?! Era un’assurdità. Ma mi provocò la stessa sensazione negativa che ebbi quando L mi disse di aver accettato quel caso.
La reazione di L fu calma ma celava la rabbia, era lì in piedi davanti al suo computer a pensare a una nuova strategia e sicuramente aveva già capito come Kira avesse agito per ottenere quello che voleva e uccidere chi lo stesse intralciando. La cosa che mi sconvolse fu che ora Kira non si limitava più ad uccidere i criminali, ma avrebbe eliminato chiunque avesse tentato di fermarlo e che non lo riconoscesse come la Giustizia stessa. Avrebbe ucciso anche degli innocenti per questo. L si era già esposto a quel pericolo, e più ci si sarebbe addentrato e più ne sarebbe stato inghiottito. La mia paura si soffermò sul fatto che forse davvero quest’assassino potesse avere delle strane abilità, che potevano essere un anormale vantaggio che L non aveva.

Cos’era quel qualcosa che poteva essere il potere di Kira?
Come agiva per fargli fare ciò che faceva?

Non finii di farmi queste domande che di nuovo un’immagine dei mie sogni riemerse… Quel mostro con il ghigno tetramente sorridente… La sua risata mi riecheggiò nella testa.
Caddi a terra e sentii scoppiarmi, questa volta, una vera emicrania.
L si girò sentendomi cadere “Che succede Belle?” il suo tono di voce mi accentuò il dolore, nonostante fosse pacato come al solito.

“Tu… tto… bene... solo l’emicrania.” L mi prese per un braccio e mi aiutò a sollevarmi, mi accompagnò in camera e mi adagiò sul letto. Si sedette con le ginocchia al petto,vicino a me, aspettando che mi sentissi meglio prima di parlarmi. Aveva notato che prima la sua voce mia aveva ferito le orecchie.
Riaprii i miei occhi e L parlò “Come ti senti Belle?” girai lo sguardo verso di Lui.
“Mmh... Ora va meglio. Non so come mi sia preso, ho pensato a un mio vecchio ricordo e sono crollata. Perdonami L, non volevo distrarti così.” m’interruppe poggiandomi la mano sulle labbra.
“Non chiedermi scusa, forse ti chiedo troppo a volte.” lo fermai, cercando di alzarmi, ma ero debole.
“No!Tu non mi hai chiesto nulla e non dipende da te L. Adesso vai. Devi risolvere questa cosa della fuga di dati e tutto questo caso. Io prometto che me ne starò buona qui.” lo supplicai per non farlo sentire in colpa per qualcosa che non dipendeva da Lui, dovevo incoraggiarlo a continuare, non mi sarei mai perdonata, non avrei avuto il diritto di stargli accanto se non lo avessi fatto.

Ma solo adesso capisco che non avrei dovuto farlo.

Rimanemmo a guardarci per molto, ci scambiammo parole che passavano attraverso i nostri occhi, poi L si allontanò e uscendo si chiuse la porta dietro.
Osservai la superfice laccata della porta a lungo, dopo che Lui sparì nel soggiorno. Mi rimase impressa la sua figura, leggermente piegata, le sue spalle larghe e ricurve sembravano sentire un peso più grande di quello che sostenevano solitamente.

Un peso che Lui non avrebbe voluto mai sentire.

Il peso di una sconfitta che doveva essere eliminata costantemente, non solo per l’orgoglio di non perdere quel gioco, ma perchè perdendo avrebbe anche perso la sua di vita.

 

*No Light,no light è una canzone della cantante Florence + The Machine tratta dall'album Cerimonials.
Mi ha inspirato moltissimo per questa FanFiction e spero continui a farlo.

Ringrazio tutti ancora per le recensioni e i consigli, li apprezzo moltissimo.
Grazie grazie grazie

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Capitolo 30
*** Devi vedere ***


                    Devi vedere





 Quei sogni che mi avevano assalito fino a quasi due mesi prima, ricominciarono a presentarsi, in maniera casuale e apparentemente senza nessuna variazione. La stessa strada, lo stesso marciapiede, lo stesso albero, la stessa mostruosa creatura.                                                                                       
Forse l’unico particolare che cambiava e si alternava al libro nero di sogno in sogno, era una mela rossa, che quel mostro teneva stretta nelle sue mani ossute e artigliate. Ormai non mi spaventavano nemmeno più quelle immagini, stavano diventando quasi parte del mio vissuto quotidiano.             
Non mi stupivo più di nulla.                                                                                                                 
Fu la loro comparsa mentre ero sveglia, vigile e cosciente, che mi turbò non poco, perchè un sogno,  anche se fatto ad occhi aperti, non procura subito dopo una spaventosa emicrania che non permette nemmeno di tenere gli occhi aperti, costringendo a vedere forzatamente le immagini degli incubi.
Le visioni oniriche mi colpivano senza alcun preavviso, erano violente, seguite da altrettanto violenti mal di testa, ed era difficile nascondere quelle emicranie agli occhi di L e Wammy.
La reazione istintiva che mi davano infatti era di farmi chiudere la testa tra le mani, stringendo gli occhi in una smorfia di dolore. Seguivano leggeri lamenti che tendevo a zittire per non far preoccupare ulteriormente. Ma non servì a nulla, L e Wammy esasperati cercarono di convincermi a farmi vedere da un dottore, ma io mi opposi per non so quali ragioni, il mio intuito mi diceva che quei miei disturbi non necessitavano di cure mediche, ma di ben altro. Una cura ignota e inconsistente, difficile da concepire per menti razionali come le loro. Nel frattempo alleviavo le miei emicranie improvvise con antidolorifici o aspirine.

“Belle, è il secondo antidolorifico che mandi giù oggi. Chiamiamo un dottore per favore.” L non mi guardava nemmeno mentre mi parlava flemme, intento ad osservare lo schermo del suo portatile.
“No. L, ti ho già detto che è tutto a posto, sarà un momento di stress come mio solito. Quindi stai tranquillo e concentrati su ciò che stai facendo.” Risposi con un tono agrodolce, perchè sebbene la sua preoccupazione fosse motivo di contentezza per me, da una parte non sopportavo che insistesse. Quando Lui era impegnato in un caso doveva concentrarsi solo su quello, io sarei arrivata dopo, ed era cosciente del fatto che io la pensassi in quel modo.
Distolse la sua attenzione dal monitor, portandola su di me con un espressione indecifrabile. Mi osservava immobile, somigliava a un gufo reale, rannicchiato e con gli occhi fissi su un punto. Era seccato e io stavo per cominciare a ridere a causa della similitudine che avevo appena fatto tra Lui e l’animale. D’un tratto sentii entrare qualcuno nella suite ed entrambi distogliemmo la nostra attenzione l’uno dall’altra. Watari varcò la soglia del salottino-soggiorno e notai che era visibilmente stanco, ma questo non gli impedì di notare le facce crucciate che avevamo in seguito al nostro scambio di battute.
Feci finta di niente, presi le cuffie del mio lettore mp3 e me le infilai nelle orecchie dirigendomi nella mia stanza. Sapevo che Wammy e L avrebbero iniziato a parlare del caso Kira e dei suoi ulteriori sviluppi. Era impossibile non parlarne. Ma io per autodifesa in quegli ultimi giorni mi defilavo da tutto quel vortice di omicidi e ingiustizia. Inoltre vedere L diviso tra l’accanimento per catturare il killer Kira e l’ansia per me che avevo quegli inspiegabili malori, mi accendeva un senso di rabbia tale che preferivo non guardare. Piuttosto sarei rimasta chiusa in una cella d’isolamento.                                
Mentre la musica penetrava nelle mie orecchie calmandomi un po’, contemplai l’idea di addormentarmici, magari dormire mi avrebbe fatto stare meglio e sperai che potesse far sparire quegli assurdi disturbi che mi stavano colpendo. Diedi un veloce sguardo al mio portatile rosa dai bordi arrotondati, poggiato sul tavolo della mia stanza, di fronte alla finestra, poi ebbi un illuminazione. Mi sedetti e aprii alla svelta  il pc come se quello che mi era venuto in mente potesse sfuggirmi da un momento all’altro. Iniziai a fare delle ricerche, il tutto dettato da non so quale malsana intuizione.
Digitai sul motore di ricerca sogni premonitori.
Avevo sentito di persone che ne avevano avuti, e il fatto che io fossi tormentata da tempo da quegli strani incubi, mi portò a voler capire perchè mi stavano perseguitando a quel modo.
Lessi una delle tante discussioni a riguardo e rimasi sorpresa.

Si dicono sogni premonitori, quei sogni che permettono la predizione di determinati avvenimenti prima che accadano. Possono riguardare il sognatore oppure le persone con cui quest'ultimo ha un forte legame affettivo. Altri di questi sogni possono riguardare anche individui sconosciuti al sognatore. Quest'ultima tipologia differisce dalle altre altre, per via del fatto che chi sogna prova l'esigenza fisica di dover interpretare questi messaggi onirici. Possono manifestarsi in un particolare momento della vita del sognatore oppure sono frutto di un'innata capacità preveggente, che porta a farne quasi tutte le notti. Come accadeva al profeta Nostradamus.           
Si pensa perfino che questo tipo di sogni possano essere "la voce di Dio", che permette la previsione di determinati avvenimenti della nostra vita, tuttavia questi sogni non riguardano prettamente il sognatore, ma sono una richiesta inconscia d'aiuto al sognatore per un'altra persona.   I sogni premonitori sono riconoscibili grazie al fatto che nel sogno l'individuo non interagisce con gli oggetti che vede, e porta il soggetto sognante a svegliarsi stanco e fisicamente provato.

Leggendo quelle parole, la mia testa entrò in confusione, non sapevo cosa pensare. Ma una parte di me era sicura e certa che le informazioni appena lette fossero una verità assoluta e una prova schiacciante che quello che mi stava accadendo in quei mesi e giorni non era un caso e che avrei dovuto capire molto altro per poter prendere coscienza e affrontare qualcosa che solamente io potevo disincastrare. Istantaneamente mi rimisi a leggere cercando l’autore della discussione letta ed ai miei occhi balzò immediato il nome di chi lo aveva scritto: Miranda Gai.
Presa sempre più da un’agitazione inspiegabile, mi precipitai a prendere il cellulare, che avevo buttato sul letto e che mi aveva fornito Wammy, nel caso avessi avuto bisogno di lui o di un’emergenza in sua assenza. Composi il numero di telefono che trovai vicino al nome dell’inserzionista.  
Non m’importava che fosse nell’altro capo del mondo, precisamente questa Miranda si trovava a Torino in Italia e si rendeva disponibile a prestare aiuto a chi non riuscisse a interpretare le previsioni o a concepire e a prendere coscienza della propria preveggenza.
Volevo sapere che cosa dovevo fare
Io volevo apprendere come riuscissi ad avere certe visioni e che cosa avessero a che fare con me.
Dall’altra parte del telefono sentii squillare, mi sentivo il cuore in gola, poi percepii il suono della risposta.
“Sì, pronto?” La voce di una donna adulta e matura, squillante ma non fastidiosa, mi rispose in italiano.
Ed io in inglese dissi “Sal…salve...” mi presentai con un altro falso nome suggeritomi da Wammy, nei casi in cui mi fossi potuta trovare in contatto con degli estranei: Clare, perchè lui mi definiva chiara, schietta e solare. “ Mi chiamo Clare, ho letto il suo articolo riguardante la preveggenza... e...” mi bloccai pensando di risultare un’idiota. Per quanto mi poteva riguardare, quella Miranda poteva essere una millantatrice da quattro soldi, che avrebbe potuto ingannarmi facendomi credere a certe storielle sopranaturali.
Ma subito mi incalzò capendo cosa mi bloccava e parlò anche lei in inglese.
“Oh, Clare. Non preoccuparti. Faccio questo da una vita e non ho mai preso in giro nessuno. Dimmi dove ti trovi e verrò ad aiutarti, non mi interessano i soldi, se questo può convincerti a fidarti di me.” Disse in maniera molto dolce ma alla stesso tempo sulla difensiva.
“Oh!” esclamai “Ok. Ma il problema è che io mi trovo in Giappone... e non so se lei può... pensavo di parlarne al telefono.” Ero impacciata e mi vergognavo da morire… chi avrebbe potuto dare credito a qualcuno che faceva una telefonata per capire se era pazza o una specie di veggente?
“Bene! Non avere paura Clare, entro domani sarò da te. Dimmi solo dove incontrarci.” La sua voce era di nuovo melodiosa e rassicurante, come se sentisse dalla mia una velata e disperata richiesta d’aiuto.
Per un attimo esitai, ma poi cedetti e dissi “Incontriamoci alla sala hobby and food del Teito Hotel di Tokyo. Un’altra cosa che ci terrei a dirle, è che il tutto rimanga nella più totale segretezza, se non le dispiace. E dovremmo incontrarci senza dover usare recapiti telefonici per contattarci. Io sono una ragazza inglese, mi riconoscerà perchè indosserò una camicia con una fantasia a quadri .” Chiusi gli occhi sentendomi un verme, perchè L non sapeva nulla di tutta la storia dei miei sogni e visioni, e per di più ora facevo telefonate in gran segreto ad estranei dall’altra parte dell’emisfero. Sapevo che prima o poi Lui comunque ne sarebbe venuto a conoscenza, chiedendomi delle spiegazioni per quella chiamata, ma impegnato com’era col caso Kira credo che in quel momento sapere cosa stavo combinando sarebbe stato l’ultimo dei sui problemi.
“Cara Clare, non preoccuparti, sarò lì da te il prima possibile, credo che riuscirò a riconoscerti facilmente dato il tuo nome e il tuo modo di parlare che è tutto fuorché con inflessioni nipponiche. Prenderò il primo volo che partirà in serata, e sarò lì appena toccherò terra. Credo che l’ora di cena sia perfetto per incontrarci, poi alloggerò in un altro albergo. Non rimarrò per molto lì in Giappone, posso assicurartelo. Arrivederci e a domani allora.” Chiuse la chiamata in modo netto, e la sua sicurezza e risolutezza mi spiazzò. Come faceva a prendere così alla leggera un viaggio di tredici ore solo per fare una chiacchierata su strani fenomeni onirici che mi tormentavano?
Rimasi a osservare il cellulare tra le mie mani mentre richiudevo lo sportelletto, poi sobbalzai sulla sedia sentendo aprire la porta della mia stanza. Wammy entrò con un vassoio d’argento con sopra due tazzine, una zuccheriera, una teiera per il tè e una più piccola per il latte, tutto in finissima porcellana. Sorrisi nervosa “Watari! Mi hai spaventato, ero qui incantata a guardare il cellulare che mi hai lasciato. Mi piace molto.” Feci ripiombare poi i miei occhi sul telefono per evitare il suo sguardo.
“Sono contento che ti piaccia, almeno tu rispetto a Lui, apprezzi molto di più i cellulari .” Rideva beffardo facendo raggrinzire le rughe intorno agli occhi.
“Però se ci pensi, ha ragione. Lo squillare del cellulare mentre si fa qualcosa o si parla è disturbante, rovina tutto. Non trovi?” Risollevai gli occhi prendendo la tazzina nella quale Wammy aveva già versato del tè.
“Belle, io credo che tu prenderesti le sue difese anche se Lui compisse le azioni più insensate di questo mondo.” Wammy proruppe in una leggera risata e aggiunse “ E lo faccio anch’io.”
Rimanemmo silenziosi facendo le nostre cerimoniose azioni per il tè, a volte quei silenzi si infilavano tra me e Wammy, pacati e familiari. Io sorrisi timidamente osservando il colore rosso del tè ai frutti di bosco, che lui sapeva piacermi molto, il vapore profumato mi finiva in faccia tranquillizzandomi. Poi Wammy mi porse la zuccheriera e io buttai nel mio tè le mie consuete due zollette, nel frattempo lui mi sedette di fronte sorseggiando il suo di tè. Mi osservava mentre versavo il latte nella mia tazzina. “Cosa c’è Watari? Perchè mi guardi così?” ero incuriosita dal suo modo di fare.
“Sei sicura di non essere inglese? Non è da tutti prendere in maniera spontanea e innata il latte nel tè come lo fai tu.” sollevò leggermente gli occhi sotto i sui occhiali, che si erano appannati col vapore.
“Credo proprio di non esserlo...” dissi sconsolata “...ma sono comunque stata adottata da un inglese e quindi per me equivale ad esserlo.” sorrisi bevendo e sentendo il caldo del tè attraversarmi il petto, mi sentii riscaldata e al sicuro, guardai fuori dalla finestra l’imbrunire del cielo e scordai le miei allucinazioni, i mal di testa, la telefonata segreta e Kira.
Poi Wammy mi riportò alla realtà “Belle.” Mi voltai lentamente avvolgendomi nel frattempo con una coperta poggiata sulla sedia su cui sedevo.“Sai che puoi dirmi tutto. Vero?” Wammy aggrottò le sue sopracciglia in un espressione preoccupata, sentiva che stavo nascondendo qualcosa, era la prima volta dopo quegli anni passati insieme che non davo sfogo a quello che mi turbava.                

Sorrisi e risposi con convinzione “Sì, lo so. Ma voglio anche imparare a non gravare sempre sulle vostre spalle, voglio somigliarvi almeno un po’ di più. Watari, io sarò sempre con voi, ma ho bisogno di farcela da sola qualche volta. Giusto?”
“Sì, forse hai ragione. Ma se dovessi avere bisogno d’aiuto, ricorda che anche io sono con te Belle.” Wammy era calmo e rilassato, per un attimo mi passò nella mente il ricordo del giorno che lo incontrai. Il sole di Marzo... il suo golfino color crema.
“Non ne avevo dubbi.” Lo guardai intenerita, poi lo vidi alzarsi e riporre le tazzine sul vassoio, le sue mani anziane e rugose erano prive dei suoi soliti guanti bianchi.
Stava per rimettersi al lavoro con L, ponendo fine al nostro momento di pace.
Aveva mantenuto la sua promessa, aveva preso il tè con me nonostante i suoi complicati impegni.
“Watari.” lo chiamai, dovevo almeno avvisare che il giorno seguente avrei fatto cena nella sala hobby and food dell’albergo, altrimenti una mia sparizione improvvisa avrebbe indotto a dei sospetti o a controllarmi. “Domani sera credo che mi divertirò un po’ qui in albergo, cenerò qui sotto. Ho proprio bisogno di uscire almeno fuori dalla mia stanza. Spero non sia un problema per te o per L.” Finii con un tono speranzoso.
“No. Non credo creerà problemi, basta che tu rimanga nel totale anonimato e non riveli nulla, come al solito.” Io annuii e detto questo Wammy si voltò sereno in direzione della porta ed uscì dalla mia stanza.
Stringendomi le spalle con la coperta, sospirai sollevata e pensai al da farsi del giorno seguente.
 

31 Dicembre 2003

Era l’ultimo giorno dell’anno e passai il mio tempo guardando la televisione, che trasmetteva programmi molto allegri, quel tipo di programmi spensierati che si possono trovare solo nella tv giapponese, con i presentatori perfetti e professionali. Credo che non esistesse nulla di impreciso e non armonico in quel paese, però a volte mi faceva pensare che ci fosse molto altro dietro, che questa perfezione a volte fosse imposta.
Mi dilettai poi con il mio computer e la musica, lentamente arrivarono le sei del pomeriggio. Pensando che Miranda fosse già arrivata all’aereoporto da un bel pezzo, cominciai a prepararmi per scendere al piano di sotto e cenare, come se non ci fosse un altro fine al di fuori della cena. Indossai la camicetta a quadri menzionata nella chiamata, dei jeans e delle scarpe da ginnastica per non dare nell’occhio. Il vedermi uscire con un abito leggermente più elegante avrebbe destato sospetti in L, perchè sapeva benissimo che io in una giornata qualunque, anche se era la fine dell’anno, mi sarei abbigliata in maniera molto informale, sapendo che sarei rimasta comunque in albergo.
Quando ebbi finito raggiunsi il soggiorno e, mentre mi apprestavo ad uscire dalla suite, L mi fermò dicendomi “Non è giusto che tu mi lasci qui solo. Sicura che non c’è nulla che tu debba dirmi?” Camminò lento verso di me ma si fermò, ponendo una sorta di distanza di sicurezza e io non capii perchè lo stesse facendo.
“Che c’è? Vuoi farmi sentire in colpa perchè vado a cercare un po’ di svago?” dissi spiritosa guardandolo maliziosa, pensando anche che stesse sospettando qualcosa o forse mi aveva già   scoperta.
Ma lasciò correre. “No, anzi, sono io a sentirmi in colpa con te.”
Mi sentii ancora più marcia dentro, Lui abbassò lo sguardo per poi rialzarlo e proseguì cambiando discoro “Questa sera a mezzanotte verranno qui degli agenti del quartier generale giapponese, gli unici che rimarranno e parteciperanno attivamente con me al caso Kira. Vorrei che tu non ti mostrassi mai a loro, per una forma di sicurezza.” disse autoritario, eppure nella mia testa qualcosa mi diceva che Lui non era solo preso con trasporto per questo caso, ma c‘era qualcosa di più che lo turbava e non riuscivo a leggerlo.
“Come vuoi L, per me non c’è alcun problema, meno ho a che fare con queste persone e più sento e penso che ne trarrò beneficio. Piuttosto, mi secca il fatto che tu debba mostrarti a loro, mettendoti ulteriormente a rischio.” lo guardai intristita.
“Ma è un rischio che devo correre, se voglio chiudere quest’indagine definitivamente, Belle.”
Mi guardò come se quelle parole non le avesse pronunciate solo per se stesso, ma anche per me. Per darmi la garanzia che ce l’avrebbe fatta a risolverlo, che non mi stava mettendo da parte, che non si avvicinava per non perdere il contatto con quel caso, che era a sé stante rispetto agli altri casi risolti da Lui.
“Ok, adesso vado.” Non dissi altro, sentii una morsa stringermi lo stomaco e il fatto che Lui non si fosse avvicinato cercando il mio contatto fisico, mi fece paura più di ogni altra cosa.

Raggiunsi il piano della sala d’albergo che mi interessava, un enorme spazio arredato in maniera sofisticata ed elegante, le lampade a parete creavano un ambiente rilassato. Sedetti al primo tavolo libero che trovai, mi misi in attesa.
Ero nervosa e iniziai a giocare picchiettando con la punta del dito il manico del coltello. Guardai l’ora, si erano fatte le otto di sera e mentre distoglievo lo sguardo dall’orologio appeso sulla parete dell’angolo bar, intravidi la figura di una donna magra, abbigliata in maniera molto sobria, con un cappotto nero con un contenuto collo in corta pelliccia nera. I suoi capelli erano grigi e acconciati in un ondeggiante caschetto, il viso era gentile, i suoi occhi verde chiaro spiccavano sulla sua carnagione perlacea e senza molte rughe, sebbene si notasse che la sua età si aggirasse sui cinquant’anni.
Venne verso di me senza incertezze, senza guardarsi intorno alla ricerca di dove fossi, sembrava sapere benissimo che ero io la persona che doveva incontrare.
Presa dall’agitazione, mi guardai la camicia. Capii che nessuno avrebbe potuto sbagliare guardandomi.
“Salve! Tu devi essere Clare.”
Quasi mi sembrò di essere abbagliata dal suo sorriso, fresco e che mostrava la sua personalità decisa.
La invidiai.
Tolse i guanti in pelle e mi porse la sua mano per stringermela, io feci lo stesso. Quasi me la stritolò.
“Piccola cara, se non stringi la mano con decisione farai sempre capire all’altra persona che sei molto insicura.” affermò quasi a volermi impartire una lezione.
Io mi limitai a rispondere “Piacere mio. E tu devi essere Miranda.”
Si sedette e iniziò “ Bene! Dimmi cos’è che ti affligge, Clare. Se mi hai chiamata vuol dire che o mi hai presa in giro e mi hai fatta venire fin qui per un tuo puro divertimento oppure sei davvero in difficoltà con la tua particolare dote.”
Sgranai gli occhi. “Ah! Cosa le fa pensare con assoluta certezza che ho questa dote?!”
“Perchè nessuno chiede aiuto, se sa gestire la propria preveggenza, Clare. Sai, io vengo da una famiglia in Italia molto rinomata per via del contributo e soccorso che ha dato grazie a questo dono, non a caso il mio cognome Gai ha origine gotica e significa aiuto. Ora dimmi da quanto tempo sogni. Che tipo di sogni sono? Sono frequenti? Raccontami ed io ti dirò come comportarti.”disse pacata e con fermezza.
Presi un bel respiro ed iniziai, gli raccontai tutto quello che mi era accaduto nei mesi precedenti e la ricomparsa nell’ultima settimana di quei sogni. Gli incubi ricorrenti con dettagli che cambiavano o si aggiungevano, la creatura mostruosa e i particolari sogni che non erano negativi, che riguardavano me e L. Ovviamente non parlai mai di Lui come L. Passai poi a quelle ultime varianti, sprazzi di quelle illusioni che emergevano da sveglia e che mi lasciavano come strascichi quelle tremende emicranie.
Vidi riflettere molto Miranda mentre esponevo ciò che stavo vivendo.
Aspettò che finissi per poi mostrarmi ciò che pensava lei di tutto quello che mi aveva sentito dire.
“Bene Clare. Credo di non avere dubbi, tu sei una preveggente e credo anche che questi tuoi sogni, se hai letto bene e attentamente ciò che ho scritto in quel mio articolo, siano quel genere di sogni che cercano di guidarti in una direzione ben precisa. Probabilmente tu devi aiutare qualcuno. Non so bene chi ma devi fare qualcosa.”

“Cosa dovrei fare? Io non capisco molto i messaggi che vogliono lasciarmi questi sogni.” ero incuriosita e disperata nel mio tono.
“Vedi, tu hai fatto due tipi di sogni, uno lo definirei oscuro, l’altro è chiaro e puro. Diciamo che puoi associare il nero al sogno con la creatura mostruosa e il bianco al sogno con la persona a cui sei molto legata. Il fatto che quest’ultima sparisca all’improvviso avvolta da una luce fortissima nei tuoi sogni, ora non vorrei spaventarti, può significare che qualcuno o qualcosa, forse anche quella orrida creatura del sogno nero, potrebbe portartela via. Non temere, questi sogni ti avvertono, capito?” mi guardò dritta negli occhi, mentre assumevo un’aria cupa e Miranda proseguì “Loro ti mandano un messaggio, ti aiutano a intuire che cosa potrebbe accadere senza il tuo intervento. D’ora in avanti presta molta attenzione a ciò che sogni, ogni piccola variante potrebbe essere la chiave per intercedere e aiutare quella persona che ha bisogno di te.” Concluse poi prendendo il calice con del vino rosso appena ordinato.
“E...” esitai e Miranda mandò giù il vino riconcedendomi la sua attenzione. “E per quelle visioni seguite dai mal di testa? Come dovrei interpretarle?”
Miranda poggiò il calice sulla candida tovaglia, che faceva spiccare all’anulare della sua mano sinistra, un anello di fattura molto antica. “Vedi Clare, io credo che queste tue visioni ad occhi aperti siano una specie di avvisaglia, un avvicinamento a quel qualcosa che a ha che fare con le tue premonizioni. Probabilmente sei molto vicina a ciò che influenza le tue oniriche rivelazioni, ma tu non te ne sei mai accorta e di conseguenza, forse, esplodono con queste manifestazioni a occhi aperti. La mia esperienza mi ha insegnato che non tutti siamo identici nell’avere queste visioni. Io, ad esempio, rimango immobilizzata nel bel mezzo della mia percezione.” Rise tra sè e sè e prima che potesse trarre la sua conclusione su quell’ultima risposta fornitami la incalzai. 
“Quindi mi stai dicendo che il mio modo di prevedere certe cose e il mio avvicinarmi a loro, porta il mio stato fisico ad avere quelle fastidiose cefalee e ad indebolirmi.” Dissi con fermezza.
“Sì, Clare. Esatto.” Disse guardandomi orgogliosa come il maestro al proprio discepolo e continuò “Clare, questo è un dono, un dono divino e una grazia ricevuta che ti permetterà di salvare delle vite, non averne paura, affrontalo, rendilo parte di te. Non pensare mai che tu non sia la persona adatta a gestire questa dote, tu sei perfetta per questo e te ne accorgerai. Io, dal mio canto, spero di esserti stata d’aiuto.” Prese la mia mano poggiata sul tavolo e l’accarezzò amorevolmente.
“Sì, lo sei stata e molto, Miranda, e ti ringrazio di cuore. Solo che non so come ripagarti.”
“Oh! Non avere timore, io agisco nel più totale disinteresse materiale, fa parte dell’etica della mia famiglia da secoli. Mi ripagherai il giorno in cui mi dirai che hai salvato qualcuno. Del resto anche io sono qui per lo stesso motivo… In quest’ultimo periodo avevo visto spesso la tua figura nei miei sogni… E sapevo che questo voleva significare qualcosa. Avevo capito però che si trattava di qualcosa di grosso su cui non potevo interventire indirettamente. E quando ho ricevuto la tua telefonata ho subito saputo che fossi tu quella ragazza che appariva nei miei sogni. E questo è il motivo per cui mi sono precipitata qui in modo apparentemente poco sensato ed incosciente. Anche se essere presa per incosciente è una cosa a cui sono abituata.” Sorrise e prese ad armeggiare con il menù, ordinammo e cenammo, il tutto nella più totale serenità.
Mi sentivo più determinata e fiduciosa grazie a lei, ora potevo fare realmente qualcosa di concreto, non mi sentivo più un qualcosa di messo in disparte e inutilizzato.
Lentamente si fecero le undici di sera e per me era giunta l’ora di salire in camera, altrimenti avrei potuto incontrare qualcuno degli agenti del quartier generale al mio rientro.
Accompagnai Miranda all’uscita dell’hotel. “Clare, per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, ok?” disse in maniera quasi materna, poi mi accarezzò una guancia e tenne la sua mano guantata su di essa e disse “Piccola mia, sarebbe davvero peccato se questo viso, questi occhi e queste guance rosse, si rigassero di lacrime. Combatti Clare, diventa forte.” poi si incamminò verso il taxì, si voltò e fece cenno di saluto con la mano “A presto e buon anno.”
“Sì, a presto e buon anno anche a te.” Risposi sorridendo, poi la vidi montare nell’auto che si dileguò svoltando un angolo della strada.

Risalii nella suite e vidi L intento a scrivere qualcosa al computer, non ci feci molto caso e stanca mi diressi nella mia stanza.
Mentre  mi preparavo per andare a letto, spazzolandomi i capelli, L si affacciò sulla soglia della mia camera. “Belle, stanno per arrivare, dovresti chiudere la porta e non farti vedere in nessun modo.” Teneva le mani in tasca e appariva sconsolato, eppure avrebbe dovuto sentirsi forte del fatto che aveva degli alleati superstiti per quella caccia all‘assassino.
“Va bene, non ti preoccupare, tanto sto andando a dormire. Bizzaro per essere l’ultimo dell’anno, no?”
Lo guardai e mi avvicinai alla porta, rubandogli un bacio. Sapevo che Lui aveva paura di toccarmi perché poi avrebbe sofferto la mia mancanza, ma io ignorai questo suo timore e a Lui non dispiacque affatto. Se non avesse dovuto incontrare quelle persone probabilmente sarebbe rimasto con me.
“A domani mattina.” Dissi piano e sorrisi.
“Bene.” disse L con tono vellutato, accarezzando deciso i miei capelli. Quella situazione lo infastidiva perchè non poteva stare con me come avrebbe voluto e come avevamo sempre fatto.
Chiusi la porta e Lui si mise in attesa nel soggiorno.
Io mi buttai sul letto tirandomi su le coperte e dopo pochi minuti sentii il vociare di L con gli agenti, mentre lentamente affondavo nel sonno, la sua voce arrivò al mio orecchio come se quel messaggio dovesse pervenire anche a me, insieme alla sua determinatezza.
Sono assolutamente sicura di averlo sentito dire. “Dimostreremo che la Giustizia trionfa sempre.” 

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Capitolo 31
*** Tasselli ***


                                                               




                        Tasselli





Ho sempre evitato e rifiutato mentalmente quel modo di dire: Non c’è mai limite al peggio.
Perché volevo ribellarmi al destino che riusciva ad essermi così ingrato, nonostante io provassi a reagire e intervenire su quel qualcosa che era divino, al di fuori delle mie e anche della sue possibilità.

Dovevo fare qualcosa.

Ancora lui, il mio sogno ricorrente in quella notte del primo Gennaio.
Ero lì ferma, sul marciapiede, sotto al lampione ora illuminato e davanti a me, come di consueto, la creatura, ma ora era affiancata da qualcuno. Un ragazzo di spalle, con i capelli corti e ramati, con indosso una camicia bianca e pantaloni eleganti beige, scarpe lucide sul marrone. Lo vedo voltarsi verso di me come se avesse sentito la mia presenza. In volto era molto bello, ma la sua bellezza lasciava trasparire una perfezione fin troppo ostentata. I suoi occhi tagliati a mandorla, affilati e color oro, mi guardavano freddi. Poi notai che non puntavano la loro attenzione su di me, ma su qualcosa alle mie spalle. Incuriosita mi voltai e vedi che dietro di me c’era L, serio e disgustato da ciò che aveva davanti, che non ero io, ma quel ragazzo. Girandomi di scatto verso di lui notai che prendeva dalle mani del mostro quel libro nero e si aprì un sorriso maligno sul suo viso perfetto.
Poi udii una voce, ma il ragazzo non aprì bocca “ Tu sai che morirà?”
Ansimando mormorai “Ma di che parli? Chi sei?” Poi mi indicò la luce del lampione ed alzando gli occhi, tutto finì in una atmosfera abbagliante.

Il risveglio fu spossante come al solito e impiegai molto a orientare i miei pensieri.
Ero immersa nell’oscurità della mia stanza e dall’altra parte della parete, L ancora stava parlando con gli agenti. Presi il mio cellulare e guardai l’ora, erano le quattro e mezza di notte, poi ripensai alle parole di Miranda: “D’ora in avanti presta molta attenzione a ciò che sogni.”
Così iniziai a elaborare ciò che avevo sognato, tutto era identico agli altri sogni ma ora c’era quel ragazzo, che sembrava essere molto unito a quella creatura nera, quasi in simbiosi, come un’anima posseduta.
Il libro iniziò ad essere un tarlo, era un collegamento, c’era sempre stato e adesso era evidente più che mai, era sempre stato qualcosa di molto importante, non avrei dovuto sottovalutarlo. Ma solo ora che era comparso quel ragazzo, aveva preso un aspetto indispensabile da ricordare, non doveva sparire dalla mia attenzione.
L.
L nel sogno era diverso, la sua calma era sparita davanti al ragazzo, avrebbe voluto farlo sparire con lo sguardo, strana reazione. Perché mai L avrebbe dovuto odiarlo così? Perché se ne sentiva quasi minacciato? Chi era?
Sospirai, sentivo che le miei deduzioni erano inconsistenti, presi e mi alzai avvicinandomi alla porta. Misi l’orecchio sulla superficie legnosa e fredda, chiusi gli occhi e ascoltai la voce di L mentre parlava, non mi importava di quale argomento parlasse, sentirla mi calmava, eccitava, scombussolava. Avevo così bisogno di Lui in quel momento, ma come potevo dirgli che ero una specie di sensitiva, che addirittura avrebbe dovuto fare qualcosa per aiutarlo a salvarsi da non so quale sciagura sconosciuta anche a me? Decisi di tornare a letto e che avrei continuato a studiarmi nei giorni seguenti. Stanca ricaddi nel sonno.

Passarono ben tre settimane, dove mi ritrovai a cambiare anticipatamente albergo prima di L, tutto sempre in base alla regola per cui la mia presenza doveva rimanere segreta e invisibile agli uomini del nuovo quartier generale. L arrivò a farmi alloggiare in una suite solo mia, comunicante alla sua. Dio solo sa quanto mi sentissi sola. Wammy fortunatamente era stato alleggerito minimamente dai suoi compiti di assistente ad L grazie alla presenza degli agenti rimasti e poteva venirmi a fare visita. All’inizio era restio dal volermi raccontare cosa stesse accadendo e dei progressi che compiva L in quell’indagine, ma un giorno non resistette, Wammy parlò, era preoccupato perché sapeva che il suo L non avrebbe mai potuto sbagliare e con aria preoccupata raccontò tutto ciò che in quelle settimane mi era stato nascosto.
Ero sul mio immenso letto, rannicchiata a guardare la tv, quando Wammy entrò, lui poteva accedere alla mia suite tramite una copia delle chiavi. Mi sollevai a sedere per scendere dal letto, ma non lo feci e spensi la televisione, il suo vociare mentre parlavamo mi avrebbe sicuramente infastidito.
“Belle tutto bene? Hai bisogno di qualcosa?” disse Wammy con tono tranquillo ma impaziente.
“No Watari, quello di cui ho bisogno è nell’altra suite comunicante alla mia.” Risposi sarcastica.
“Lo so, Belle, ma questo caso sta prendendo una piega molto diversa rispetto agli altri e nemmeno io so dirti come riuscire a prenderlo. Ti confesso che mi sto iniziando leggermente a impensierire.” Abbassò lo sguardo verso l’azzurro e morbido pavimento in moquette.
“Sì, sto notando anch’io la singolarità di questo caso, anzi l’ho notata subito sin dall’inizio. Sai, nelle altre situazioni, questa cosa sarebbe durata non più di un mese o due, ma ora inizio a pensare che sarà più lungo. E non perché dubiti delle capacità di L, ma perché questa investigazione e tutta questa situazione hanno qualcosa di anomalo e quasi non umano. Lo stesso modo in cui muoiono quelle persone è misterioso quanto trascendente, per di più adesso questo Kira ha ucciso anche chi innocentemente aveva provato ad ostacolarlo.” Parlai guardando fuori dalla finestra, c’era ancora la neve che cadeva un giorno sì e uno no, infatti in quel momento qualche timido fiocco ricominciò a scendere. Mi concentrai su uno di quei bianchi batuffoli, che spinto da un leggero vento ondeggiava diversamente dagli altri. Ma distolsi i miei occhi dal vetro quando Wammy disse “Belle, ha ucciso anche Naomi Misora.”
Era costernato e il suo tono era apprensivo, io mi voltai veloce come se avesse appena toccato il tasto giusto per destare la mia attenzione, quanto bastava per renderla ancora più elevata di quanto già non lo fosse, rendendomi ancora più partecipe delle sue afflizioni.
“Cosa?!” sgranai leggermente gli occhi e i miei pensieri accelerarono, arrivando ad un’unica e spaventosa conclusione. Kira era vicino più di quanto potessimo aspettarci se era riuscito ad avere un contatto con Naomi, probabilmente lei sapeva qualcosa e Kira l’aveva eliminata dal suo ambizioso percorso di morte. “Watari, che diavolo sta succedendo? Che vuol dire? Come ha fatto Kira a incontrare Naomi? ” ero sconvolta e la rabbia mi ribolliva nelle vene.
“Kira aveva ucciso il suo fidanzato Ray Penber e supponiamo che lei abbia provato ad indagare, ma la sua indagine ha avuto un esito quanto meno tragico direi. Questo ha portato L a voler investigare sulle persone seguite da Penber. La famiglia Yagami, quella del sovraintendente Souchiro Yagami, che tra l’altro collabora con noi alle indagini, e quella del direttore generale Kitamura. Abbiamo piazzato per quasi una settimana microfoni e telecamere in casa loro e L è parso essere molto sospettoso di un ragazzo, il figlio di Yagami, Light Yagami, in una maniera abbastanza singolare. Belle…” Si interruppe e sapevo perché.
Perché L non aveva mai sbagliato e il fatto che qualcosa di strano, pericoloso gli si stesse avvicinando lo turbò, ma mai quanto turbò me, che al solo sentire la parola ragazzo ebbi un fremito d’orrore puro, il ragazzo del sogno era Light Yagami!
Deglutii disgustata, credo che la mia espressione fosse simile a quella che aveva L nella mia visione onirica. Wammy continuò e mi provocò panico allo stato puro, perché dopo aver fatto le mie deduzioni, io sapevo molto prima rispetto a loro cosa rappresentasse quel ragazzo, ma senza nessuna prova razionale e materiale.
“L lo ha seguito frequentando la sua stessa università e gli si è rivelato. Si è spinto oltre ogni limite o forse non ancora.” Wammy si sedette e poggiò entrambe le mani sui braccioli della poltroncina, esausto e arrendevole.
Io mi inginocchiai davanti a lui e presi la sua mano, ero impaurita ma provai a non darlo a vedere “Non…non abbattiamoci Watari, ti prego, non farlo. Troveremo un modo, Lui troverà un modo, lo trova sempre.” Sentivo di mentire a me stessa, sapevo benissimo e percepivo che Light era il pericolo, che personificava la morte stessa, ma non potevo dirlo, non ancora.
“Belle…” Wammy accarezzò la mia guancia “Grazie, non so cosa mi abbia preso.”
“Solo un po’ di sconforto e paura, io ne ho spesso.” Dissi ridendo e trattenendo la mia commozione nel vederlo in quel modo.

Il giorno seguente L in un attimo di pausa e solitudine mi diede la notizia che Beyond Birthday era morto anche lui per mano di Kira. Rimase molto ad osservarmi, mentre io lo guardavo abbattuta con le lacrime in volto, forse avrei dovuto essere felice perché Kira aveva annientato ciò che mi aveva messo in una gabbia di paura anni prima, ma non ci riuscii, non fu il sentimento che provai. Piansi perché Kira aveva sgretolato ciò che L aveva fatto per me, per salvarmi, aveva intaccato ciò che aveva legato me e L, questo mi fece soffrire moltissimo. Ricordo che abbracciai L come se potesse scivolarmi tra le mani.
Kira mi stava portando via tutto di Lui.

Quel turbinio di morte sembrava non finire e lentamente giunse anche Aprile.
Pensai a quanto la Wammy’s House fosse bellissima in quel periodo, il verde del giardino stava certamente splendendo al sole e la brezza primaverile stava di sicuro smuovendo i rami fioriti del mandorlo davanti alla finestra della stanza di L. I bambini stavano sicuramente scorrazzando urlanti di gioia… pianti, risate… Mello intento a fare dispetti per farsi notare, Near davanti alla finestra a fare i suoi puzzle e di tanto in tanto ad osservare cosa succedesse nel mondo esterno, Linda immersa nel suo universo a disegnare al riflesso della tiepida luce solare e Matt innervosito davanti al suo video gioco, che non riesce a capacitarsi del perché non riesca a superare quel livello così difficile.
Mi svegliai dalla mia immaginazione, guardandomi a torno e mi ritrovai di nuovo in un altro posto sconosciuto, una nuova stanza, una nuova solitudine.
Ora, come se non bastasse, la situazione era diventata ulteriormente complicata. C’era un altro Kira, il Secondo Kira, come lo chiamò Wammy, che forse addirittura aveva unito le sue forse con il primo Kira. La cosa frustrante era che in quel momento nei miei sogni apparve anche una ragazza al fianco di Light Yagami, la sua fisionomia era giapponese, ma i suoi capelli erano biondi. Era vestita di nero, apparentemente indifesa e ingenua. Loro sotto l’ombra dell’albero e come sempre io e L dal lato opposto alla luce del lampione. Sentivo che quelle due figure si contrapponevano alle nostre, erano il male che si era unito in sole due persone. Ancora più frustrante era il fatto che io facessi tutte queste connessioni e non potessi comunque essere d’aiuto, l’ottimismo che Miranda mi aveva infuso si era affievolito.

19 Maggio 2004
Quel giorno non potei evitare di pensare a mia madre e al suo compleanno.
Vagavo solitaria per la mia suite, pensai che nel tardo pomeriggio, mi sarei concessa un po' di relax nella vasca con le zampe di leone che avevo in bagno.
Decisi perfino di viziarmi prendendo anche io dei dolci e mentre lentamente mangiucchiavo una torta alla frutta ripiena di crema chantilly, mi misi a guardare fuori dall’ampia finestra del mio salottino.
Mandai giù il boccone dolcissimo che avevo appena messo in bocca, ma insieme vi sentii come se avessi ingoiato della cicuta. Vidi il ragazzo del mio sogno, era Light Yagami che stava uscendo dall’ingresso del nostro hotel dirigendosi dall’altra parte della strada e quello che mi scombussolò di più, fu che vedi la creatura mostruosa che lo seguiva, vicina a lui con le ali spiegate… questa fece per alzare lo sguardo, ma io istantaneamente mi voltai nascondendomi dietro le maestose tende della finestra.
Esisteva davvero! E io la vedevo anche nella realtà! Come era possibile?
E mentre ero lì ferma a connettere ben bene cosa avevo visto, cosa fosse reale e cosa non lo fosse, mi apparve davanti L facendomi sussultare, nemmeno mi ero accorta che fosse entrato. Non gli diedi il tempo di parlare, sapevo che mi avrebbe preso in giro per la mia reazione eccessiva, ma lui non aveva visto un mostro aleggiare sopra le spalle dell’esecutore dei criminali.
“Che ci faceva Light Yagami qui?” lo dissi con odio e con un tono inquisitore, per me lui era già il nemico.
L parve meravigliarsene, non poteva sapere che io sapessi molto più di quanto Lui potesse immaginare. “Era qui perché gli ho chiesto di unirsi alle indagini sul caso Kira.”
Bene! Ci mancava solo questa! Portarsi a casa il maligno, l’assassino in casa propria, ero contrariata, mi innervosii non poco. “Come scusa? Tu hai chiesto al tuo maggior sospettato di unirsi alle indagini che lo riguardano? L, stai per caso perdendo il lume della ragione?!” Sentii la mia voce alzarsi lentamente pian piano che formulavo le domande.
Si voltò cupo “Credimi, non ne sono felice nemmeno io, ma ho bisogno di studiarlo a fondo, devo capire, Belle.” Ostinato!
Camminò verso il tavolo dove erano poggiati altri due piattini di torta alla frutta che avevo ordinato e ne prese uno, ma iniziò stranamente a mangiarlo in piedi.
Quella sua azione insolita mi fece scoppiare.
“Bene! Adesso ti metti a mangiare in piedi! Tu non sei L! Dov’è finito L, che quando riteneva opportuno, preferiva agire nell’anonimato? Dov’è finito L prudente? Sai, credo che dovrei essere gelosa di Kira o Light, perché è riuscito a farti uscire fuori e allo scoperto meglio di quanto abbia saputo fare io. Ricordo ancora quando mi dicesti, senza nessuna remora, che io avrei dovuto raggiungere il livello di Watari prima di riuscirti a fidare di me e ora esce fuori il serial killer misterioso e gli spiattelli davanti tutto!” Ero furente ma cercavo di controllare il mio tono altrimenti avrebbero potuto sentirmi anche nell’altra suite. Chiusi gli occhi in cerca della calma e del contegno, Lui mi osservava mangiando lento con un espressione crucciata ed io finii, parlando quasi addolcita dalla paura di ciò che stavo per dire “L, tu lo sai che lui è Kira. Ne sono sicura, perché tu non commetti sbagli in quello che fai.” Lo guardai nella speranza di una risposta, che non tardò ad arrivare.
“Sì, è l’unica certezza che ho in questo trambusto di indizi e avvenimenti fuori dall’ordinario, ma…” Si fermò addentando l’ultimo pezzo di torta e poggiando il piattino vuoto, su un ripiano dove spiccava un vaso di fiori e riportò l’attenzione a me “Ma credimi se ti dico che sono tormentato da come lui possa agire o uccidere. Devo avere delle prove materiali che sia lui, devo coglierlo sul fatto. Altrimenti non avrebbe senso andare fino in fondo a questa storia. Ti giuro che mai come in questo caso, mi sento costantemente colto alla sprovvista. Ho come la continua sensazione che lui abbia un’innata capacità nel prevedere certi miei ragionamenti o nel raggirarmi. Quando penso di averlo colto di sorpresa, ecco che lui trova sempre il modo di uscirne pulito e apparentemente innocente. Eppure tutto riporta sempre comunque a lui.” Si voltò verso la finestra e la luce lo illuminò in volto, facendo quasi sparire le sue occhiaie, che ultimamente si erano appesantite ancora di più. “Non escludo di aver pensato che ci sia un potere quasi divino dietro tutto questo, ma ho respint…” L si bloccò vedendo la mia faccia, era come se le sue ultime parole avessero colto nel segno, ma Lui non sapesse che quella poteva essere la verità. “Belle, va tutto bene? Sei pallida.”
“S…sì, va tutto bene. Tu non puoi immaginare come le tue parole mi abbiano fatto capire con che cosa abbiamo a che fare.” Nella mia testa rimbombò la frase: L lo sai che gli dei della morte mangiano solo mele?
Dei della morte….
Ecco cos’era quella creatura, un dio della morte, ecco come Light Yagami aveva il potere di uccidere. Ad un tratto capii le parole di L, quando mi disse qualche istante prima che se non si fosse trovato quel qualcosa con cui Kira uccideva, non ci sarebbe stata nessuna prova. E dubitai del fatto che L potesse vedere quella cosa mostruosa, capii che solo io potevo vederla a causa della mia dote.
Ora sapevo come agire, se il mio avere quelle visioni mi avesse permesso qualche altro indizio nel tempo, avrei sicuramente trovato il modo di aiutarlo, perché allora mi fu palese che L non avrebbe potuto mai farcela contro un dio della morte. Io sarei stata un tramite, il mezzo per arrivare prima di Kira.
Perché era chiaro che se gli si fosse presentata l’occasione perfetta per uccidere L, lo avrebbe fatto e senza esitazione.
Miranda aveva ragione, una volta presa coscienza del proprio dono diventava molto semplice unire i segni, ma prima avrei dovuto appropriarmi d’altro, nuovi indizi, nuove immagini e sapevo che sarebbero arrivati. Ripromisi a me stessa che avrei dovuto dire ad L la verità su di me e su quello che mi accadeva, facendo però combaciare il tutto con prove esistenti, concrete e far prendere coscienza a L che aveva davvero a che fare con qualcosa di divino, anzi era da definire demoniaco.

 

Ma un timore prese piede in me… E se Lui non mi avesse mai creduto?

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Capitolo 32
*** Legami ***


                                                             




                        Legami





Maggio si stava avviando alla fine, alloggiavamo al Kappa Hotel.
Come ogni mattina mi dedicavo al lento e pigro spazzolare i miei capelli davanti allo specchio, la frangia ormai mi stava crescendo, perché per pigrizia non la tagliavo più, e nonostante fosse ingestibile tentavo di darle un verso. Quando ad un tratto mi sentii bloccata e la superficie liscia dello specchio iniziò a sciogliersi, creando delle cole, mostrandomi qualcosa di celato sotto il fondo argenteo, che si stava disfacendo, come in uno strano effetto dovuto alla magia. Comparvero davanti ai miei occhi delle immagini…

Light Yagami e la ragazza dai capelli biondi nel solito luogo delle mie visioni, la ragazza stringeva tra le mani il libro nero e vi iniziò a scrivere. Mi sentivo incuriosita da quella azione così scontata ed ebbi il coraggio di avvicinarmi e sfidare il mio timore-odio per Light Yagami.
Strappai letteralmente di mano il libro alla ragazza, guardai cosa avesse scritto.
Sbarrai gli occhi, era il nome di L! Non capii perché iniziai a sentire un’ondata di panico, mi voltai nella direzione del lampione, qualcosa mi fece pensare che potesse esserci anche Lui, come nelle precedenti visioni… Ed infatti era lì, fermo, immobile come una statua in granito e più bianco che mai, le occhiaie erano violacee ma in maniera esasperata, mentre lentamente chiudeva gli occhi spenti, privi di luce.


Ritornai alla realtà sussultando e come da prassi dopo ogni preveggenza ad occhi aperti, ebbi il mio solito mal di testa.
Il libro nero! Riuscii a pensare solo a quello appena ripresa. Riflettei tempestivamente.
Libro nero.
Su un libro nero viene scritto il nome di chi ti è nemico, qualcuno da eliminare, da mettere in una lista di persone da far sparire. Il libro venne donato a Light dal dio della morte nel mio sogno precedente, ma allora perché era quella ragazza a scrivere il nome? Che anche lei avesse questo dono tenebroso?
L sembrava aver perso la luce negli occhi, come…come quando si…muore!
Tornò a prendermi l’angoscia.
Possibile che se il nome di una persona veniva scritto sul libro, questa potesse morire? D’altronde anche L più volte aveva affermato che Kira per uccidere doveva conoscere il volto e il nome di una persona. Quindi forse era quello il modo in cui uccidevano, sia Light che la ragazza, perché ormai mi era chiaro che lei fosse il secondo Kira.
Mi fissai allo specchio, ecco avevo di nuovo fatto un altro passo avanti rispetto ad L.
Sapevo, ma senza nessuna prova reale. La paura di quella visione mi portò a volergli dire cosa io fossi in grado di fare grazie alle mie percezioni. In un certo senso mi sentii quasi una complice di Kira, perché non dicevo nulla ad L di ciò che iniziavo a sapere e questo mi corrose il petto. Il mio riflesso alla specchiera mi sembrò quello di un essere deforme. Muta, ero muta e conoscevo molto.
Stavo costantemente rimandando qualcosa che non poteva più aspettare.
Dovevo infischiarmene del mio timore e parlare. Sentii bussare alla porta della mia stanza e risposi rauca “Sì.”
Vidi entrare L, dal volto capii che aveva qualcosa in mente. “Sto andando all’università e volevo salutarti.” Disse con tono flemme mentre abbassava lo sguardo e si guardava i piedi.
“Ma non avevi smesso di pedinare Light? C’è dell’altro vero? Hai in mente qualcosa.” Dissi sorridendo, riprendendo a spazzolare i capelli e fissando la mia immagine specchiata. Sapevo che era venuto per farmi capire che non ci saremmo visti per un po’, che quello che stava per attuare avrebbe portato via quella miseria di tempo che trascorreva con me.
Dovevo parlare o chissà quando avrei potuto dirgli di me e delle mie visioni, Kira avrebbe potuto anticiparmi e sarebbe stato troppo pericoloso.
Presi coraggio e iniziai “L, io…” inspirai ed espirai “Devo parlati, di…” Alzò la mano e con l’altra estrasse dalla tasca dei jeans, nel suo modo asettico tra pollice e l’incide, il cellulare che stava squillando. Rispose e non mi fece continuare, aveva fretta, mi liquidò velocemente, sembrava che qualunque parola io avessi pronunciato, sarebbe stata un peso che gli avrebbe fatto sentire ancora di più la mia mancanza. Concluse in modo ermetico la sua chiamata come sempre per poi finire con me “Me lo dirai appena mi sarò liberato, ora devo proprio andare Belle.”
Non riuscii nemmeno a proseguire che si affacciò sulla soglia della mia porta Wammy, che vedendo non ancora arrivare L era venuto a sollecitarlo. “E’ tutto pronto Ryuzaki, se per te va bene possiamo andare.” Disse Wammy pacato e educatamente come se non conoscesse L.
Quel nome Ryuzaki, a me non era mai andato a genio perché lo aveva utilizzato B quando aveva attuato la sua copertura nel caso di Los Angeles. Per L quel nome era un modo come un altro per camuffare la sua identità, per me era un suono che feriva le mie orecchie al solo sentirlo pronunciare.
Uscirono e mi lasciarono lì, in balia delle mie verità mescolate alla paura. Stava succedendo qualcosa di insolito, nell’aria percepivo un’atmosfera opprimente, mi sembrò di essere stata abbandonata, sebbene sapessi che non era così.
L in qualcosa era cambiato, il suo distacco non dipendeva solo dal suo lavoro, ma da qualcos’altro. Lui stava iniziando ad avvertire qualcosa. Che anche Lui avesse iniziato a prendere coscienza di un pericolo ancora più grande di quello a cui finora era stato esposto?

1 Giugno 2004

Tutto è terribilmente nebbioso, simile alla foschia che c’è all’alba, molto grigio, intorno a me si ergono degli alberi. Un bosco, sono in un bosco. “Vieni qui.”
Sento quella voce che ho sentito nel mio primo sogno con Light Yagami, cammino in sua direzione e mi ritrovo in un piccolo spiazzo con altrettanti alberi e vedo a terra qualcuno che sta scavando. Mi avvicino ulteriormente e noto che la persona che sta smuovendo la terra è la ragazza bionda, che nonostante gli sia andata così vicino, non riesce a vedermi. Poi estrae dal terreno una cassetta e la ripulisce dal terriccio, la apre e mi mostra il contenuto, si rivolge a me, ora riesce a percepirmi. Sorride ingenuamente, ma con un retrogusto perfido e i suoi occhi diventano rossi, poi di nuovo la voce con tono minaccioso “Smettila!! Essere benedetto!”
Abbasso lo sguardo e vedo nella cassetta metallica il libro nero.
Tutto ha fine di colpo.


Ormai vagavo senza meta per gli alberghi, in cerca di qualcosa di interessante da fare o vedere, ma il sogno che feci quella notte mi lasciò molto disorientata perché, rispetto agli altri, era in un posto nuovo, mai visto, senza strane creature divine e solo con quella ragazza, il libro nero ed ora anche la comparsa di quella voce spettrale e agghiacciante. Stufa dei miei ragionamenti e di gironzolare senza destinazione, risalii nella mia suite.
Mentre mi dirigevo verso la porta, incrociai due poliziotti del quartier generale uscire dalla suite di L, feci finta di niente, abbassai lo sguardo e mi coprii il volto con i capelli.
Ma quel micro-secondo mi permise di studiare alcuni particolari della loro persona.
Il primo di un’altezza media, con i capelli scuri che cadevano come una specie di caschetto, l’espressione del suo volto era pulita e spensierata, doveva essere il classico tipo sempre molto positivo.
Il secondo era leggermente più alto, dai capelli lievemente più scuri e con ricci foltissimi, il suo viso era deciso e molto serio. Quest’ultimo fece per guardarmi, io allungai il passo e mi sbrigai a rientrare nel mio sicuro ed elegantissimo rifugio.
Chiusi la porta e mi poggiai su di essa, cercando di riprendermi dalla scarica di adrenalina dovuta alla paura di essere scoperta dagli agenti, intuii poi che L era rimasto solo e che solamente in quel momento potevo vederlo, almeno per poco, ma potevo vederlo.
Mi precipitai alla nostra porta confinante e entrai di soppiatto, cercando di non farmi sentire ma non servì a niente.
“Guarda che riesco a sentire lo scatto della serratura.” Disse L mentre, seduto rannicchiato, era intento ad osservare lo schermo di uno sterile televisore, che non stava trasmettendo nessun notiziario o qualcosa attinente al caso Kira. Guardando bene vidi qualcuno legato con delle cinghie ad uno strana piattaforma d’acciaio, coperto sugli occhi da degli strani ed enormi occhiali neri.
Poi focalizzai meglio e vidi che era lei! La ragazza delle mie visioni!
Inspirai violentemente emettendo un gemito di spavento per ciò che avevo visto. “Chi…chi è lei?” Ero inerme davanti a quell’immagine.
“E’ Misa Amane ed è sospettata di essere il secondo Kira. Watari ancora non te ne aveva parlato? Strano, fino ad ora ti aveva spifferato sempre tutto.” Disse sarcastico e quasi divertito ma comunque provocatore. “No, non me ne ha ancora parlato, perché oggi fino ad ora non l’ho visto. Ma non è questa la cosa che mi sconvolge L.” dissi derisoria.
“E cosa ti avrebbe sconvolto?” Si voltò verso di me col pollice a smuovere il suo labbro superiore.
“Beh! Non immaginavo che tu e Watari arrivaste a questi metodi poco ortodossi!” dissi indicando lo schermo e mettendomi a sedere vicino a Lui, su un’altra poltrona, rannicchiata con una gamba penzoloni. Feci il tutto in modo molto impacciato.
“Lei è una minaccia. Prendere delle precauzioni è il minimo che potessi fare.” Mi guardò serio e deciso. Io non ebbi nulla da obbiettare alla sua risposta, perché sapevo veramente che minaccia fosse Misa Amane.
D'altronde anche un felino, sebbene sia un bellissimo animale, è pericoloso, una bestia feroce, famelica, e va tenuta a debita distanza, per non rischiare di essere divorati. E così valeva anche per Misa.
Lei poteva uccidere in qualsiasi momento, non importava che lei fosse una ragazza. Nel momento stesso in cui si diventa qualcosa di letale e nocivo, si perdono in automatico l’attenuante e la facoltà di poter essere difesi come un qualsiasi altro essere umano.
“Alcuni giorni fa, se non sbaglio, avevi qualcosa da dirmi. Di cosa si tratta?” mi domandò L tornando al televisore e senza mai staccare gli occhi da quest’ultimo.
Io iniziai a esporre senza però parlarne in prima persona, facendo passare il tutto per una curiosità, qualcosa di simile ad un banale discorso per trascorrere del tempo. “ Tu ci credi a quegli strani fenomeni di preveggenza? Non saprei del tipo… uhm... Visioni o sogni premonitori?” Non riuscivo a prendere di petto l’argomento.
“Non saprei, se devo risponderti in maniera scientifica e logica ti direi che non ci credo affatto…” la sua prima parte di risposta mi scoraggiò non poco “…ma se devo dirti la verità è qualcosa che comunque mi affascina, è una capacità mentale molto potente. Ma senza alcun fondamento direi, forse è per questo che mi potrebbe intrigare.” Ma l’ultima parte della sua replica mi tranquillizzò, sebbene pensai che forse mi avrebbe preso per una cavia o un qualche nuovo giocattolo da scoprire.
Ma poco importava, io dovevo aiutarlo. In un gesto spontaneo e familiare, poggiai la mia testa sulla sua spalla ricurva.
Eravamo lì davanti allo spettacolo raccapricciante di una tortura, come se fossimo stati due comuni esseri umani innamorati che guardavano un comunissimo film.
“L, se ti dicessi che io ho questa assurda capacità?”
Sembrò scendere un grave silenzio, poi lo sentii voltarsi e respirare sui miei capelli. Io alzai la testa e lo sguardo osservandolo. I suoi occhi erano appena sbarrati, sembrava essere incredulo. Per un attimo pensai mi stesse credendo, ma approfittò della situazione per avvicinarsi di più al mio viso “Non dire sciocchezze Belle.” Bisbigliò caldo prima di far combaciare le sue labbra alle mie.
“ L, per favore, non giocare, io…” il suono dell’avviso di una comunicazione troncò quello che stavo per dire, di nuovo!
Era Watari “Ryuzaki, il Sovrintendente Yagami sta salendo.”
L si allungò verso il microfono “Bene, lo stavo aspettando.” Poi si girò verso di me “Ora devi andare Belle. Non è il caso che lui ti trovi qui.”
Abbattuta mi alzai dalla poltrona e la rimisi da dove l’avevo presa e obbediente mi diressi nella mia suite. “Comunque, vorrei approfondire questo discorso. Da un po’ mi dai l’idea che tu mi stia nascondendo qualcosa.” Si sollevò dalla sua poltrona e andò a prendere un vassoio di pasticcini secchi, per poi riaccomodarsi. Ma nel compiere quei gesti, che sembrarono intrisi di una prepotente risolutezza, mi fece capire che voleva sapere davvero.
Io sorridendo aprii la porta e sparii come un fantasma, l’ultima cosa che avrei voluto era di incontrare Souichiro Yagami che, per quanto Wammy mi aveva descritto come un uomo giusto e integro, parlandomi molto di lui come un sostenitore a spada tratta dell’innocenza di suo figlio, era pur sempre il padre di quel pluriomicida. Sono convinta che avrebbe difeso Light anche se fosse diventato l’essere più abominevole sulla faccia della terra, ed era proprio questo che mi procurava profondo astio nei suoi confronti. E questo non perché amasse così tanto il suo ragazzo o perché lo preservasse dalle accuse, dato che qualsiasi genitore difenderebbe il proprio figlio e nessuno metterebbe in dubbio questo, ma perché Light Yagami era il suo orgoglio, il suo rampollo e non poteva essere quel qualcosa senz’anima che mieteva vite.
Suo figlio era perfetto.
Talmente prefetto che, alcuni giorni più tardi, venne da L dichiarandosi Kira.
Ancora ricordo quando L entrò. In quel momento non mi chiesi nemmeno come si fosse liberato dell’impiccio degli agenti, mi limitai a metterla sullo scherzo. “L, se spalanchi così la porta direi che sarà difficile nascondermi.”
“Non sono molto in vena di scherzare Belle.” Chiuse piano la porta e si mise le mani in tasca camminando ricurvo verso la finestra.
“Scusami L. Cosa è successo?” Dissi premurosa avvicinandomi e poggiandogli una mano sulla schiena, carezzandogliela in un gesto consolatorio.
“Li ho rinchiusi entrambi e fino ad ora gli omicidi si erano fermati…” quando affermò queste parole non ebbi dubbi, Light e Misa erano i Kira. “Ma oggi sono ripresi, come se niente fosse, e per di più sia Light che Misa sembrano non sapere nulla su Kira e il suo assurdo potere omicida. Proclamano la loro innocenza e sembrano essere quasi diventati delle comuni persone, senza più alcun legame con questa storia. E questo mi irrita da morire, inoltre è accaduto un fatto insolito, ma ovviamente l’ho visto solo io. Osservando Misa Amane ho notato un particolare stranissimo, una ciocca della sua frangia si è mossa di propria vita, eppure nella stanza dove l’ho fatta rinchiudere non può passare un filo d’aria. Com’è possibile?” Si voltò a guardarmi nell’attesa di una mia risposta, mentre con il pollice nervosamente muoveva il labbro.

Legame.

Quella parola riecheggiò nella testa, il loro legame con quel potere omicida era sparito.
Possibile che il Dio della morte li avesse…
“Abbandonati…” Dissi formulando il mio pensiero ad alta voce. L a quella mia flebile parola si interessò. Non ebbi il tempo di provare sollievo, all'idea che il male si era allontanato da L, che Lui mi incalzò.
“ Belle, cosa hai detto?” Ma aveva capito benissimo “Credo che tu debba dirmi qualcosa.” Il suo sguardo nero si accese d’attrattiva, il suo tono di voce divenne tentatore e affamato di risposte.
Ed io provai un’enorme pena per me, perché ora avrei davvero dovuto parlare e dirgli tutto.
Ora nessuno mi avrebbe impedito di confessare.

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Capitolo 33
*** Fallimento ***


                                                        

La cose non vanno mai come credi
il cuore è pieno di lacrime rotte
il tempo è ladro di cose mai dette
e so che indietro mai più si ritorna
eppure ancora ti resto vicino
stanotte resta su questo cuscino
                                                             

                                            (cit. “Marzo” di Giorgia )




                        Fallimento





Non saprei definire per quanto tempo lo guardai negli occhi, sentendomi in trappola.
Era da molto che non mi faceva sentire così, forse perché era da un’eternità che non ci vedevamo in quella maniera.
Solo io ed L senza che niente si frapponesse tra me e Lui. Mi ero quasi scordata di come era finire vittima dei suoi sguardi penetranti, erano un branco di lupi famelici che mi attorniavano ed io dovevo sfuggire loro per non rischiare di essere trangugiata. La sorte era così divertente, perché insieme a questa sensazione di insicurezza che mi incuteva, riusciva a suscitarmi anche incanto. Sarei rimasta per ore in quel modo a guardarlo, per non privarmi di un solo movimento dei suoi occhi, perdendo l’uso della parola e dandogli la possibilità di farmi soccombere.
Cercai comunque di rinsavire, ma fu la sua voce a destarmi definitivamente dal mio stato catatonico. “Allora? Sto aspettando la tua risposta.” Disse voluttuoso di proposito, cercando di convincermi a parlare in maniera pacata e gentile.
Sospirai incerta e sollevai convulsamente le ciocche di capelli che mi finivano davanti agli occhi, portandole indietro con la mano, fu più un gesto nervoso dettato dalla confusione e dal fatto che non sapessi da che parte iniziare.
Decisi quindi di partire spontaneamente senza starci a pensare ulteriormente.
Proferii quella frase che avrei voluto dire in tutte le occasioni precedenti e perse “L, io ho la facoltà di prevedere i fatti prima che accadano.” M’interruppi voltandomi e muovendomi verso il canapè vicino la finestra, per poi sedermi e cercare di continuare. “Si manifestano come sogni oppure come visioni ad occhi aperti. Ricordi quando ho avuto quelle emicranie?” Iniziai a sentirmi più sicura nell’espormi.
“Sì, me lo ricordo. Perché?” Lui iniziò a diventare sempre più curioso e venne a sedersi vicino a me, in un movimento fluido che si trasformò nella sua consueta posizione raccolta.
“Vedi L, erano le mie visioni. Miranda, mi disse che dipendevano dal fatto che mi stavo avvicinando sempre di più a quel qualcosa che sta minacciando qualcuno di molto vicino a me.” Mi voltai a guardarlo e Lui mi osservava paziente, in attesa di sapere, le sue orecchie erano pronte a recepire qualsiasi mia parola senza tralasciare nessun dettaglio. Portai i miei occhi sulle mie mani incrociate e poggiate sulle gambe, mani congiunte come se stessero pregando, come se io stessi pregando inconsciamente che mi capisse e che mi credesse. Pensai poi che Lui non fosse al corrente di chi diavolo fosse Miranda, ma avevo già sospettato tempo addietro, che forse avrebbe controllato le chiamate del mio cellulare anche solo per sapere se io fossi al sicuro. “Immagino che tu già sappia chi sia Miranda.”
L annuì mordicchiandosi il pollice, poi parlò diretto “ Sì, tu sai che per sicurezza mia e tua faccio controllare a Watari ogni cosa. E ho visto quella chiamata che facesti il trenta di Dicembre, ma non potevo approfondire, avevo altro da fare come tu ben sai.” Iniziò a diventare torvo in viso e quasi corrucciato, stava cominciando a smuovere qualche suo ragionamento.
“L, avevo bisogno d’aiuto e non capivo cosa mi stesse succedendo, se stavo impazzendo o cosa. E non potevo trascinarti in modo capriccioso in una faccenda a cui forse nemmeno avresti creduto. Dovevo essere prima sicura che non fosse una mia stupida fisima o fantasia.”
Lui continuava a rimanere scuro e riflessivo, ma non si arrese e domandò ancora “ Da quanto tempo hai queste visioni?” disse l’ultima parola con insofferenza e pensai non riuscisse a credermi, come se io gli avessi presentato qualcosa di ancora meno comprensibile dei misteriosi elementi che erigevano il caso Kira.
“Da quasi un anno, all’inizio erano solo dei sogni. Nel sonno vedevo figure agghiaccianti e poco chiare e quindi non pensavo potessero essere qualcosa di collegato alla realtà, ma più al fatto che il mio inconscio era stato messo a dura prova da Beyond Birthday. Quello che mi ha convinto a spingermi oltre e a comprendere cosa avessi, sono state le percezioni da cosciente, unite poi alla pessima sensazione di negatività che mi lasciavano addosso.” Iniziai a sentire di nuovo quell’opprimente senso di colpa, che mi aveva dato il tormento per tutto quel tempo in cui avevo deciso di starmene zitta nell’attesa di capirci qualcosa.
Ed L non si fece scrupolo a far ingigantire il mio rimorso. “Perché non me ne hai mai parlato? Avevi paura che non ti credessi, vero? E forse in minima parte avevi ragione, non ti avrei creduto…” Lo guardai sentendomi umiliata e le lacrime iniziarono a farsi sentire bruciandomi gli occhi.
“Ma se solo avessi tentato di dirmelo, avrei comunque apprezzato il tuo sfogo e il fatto che tu avessi chiesto aiuto a me e non ad un’estranea.” Mi scrutò duro e pungente, poggiando le mani tremanti sulle ginocchia e stringendole.
“Lo so…” dissi tra le lacrime e addolorata, tornando poi ad affrontare il suo viso “Perdonami L...io non volevo esserti di peso, non volevo darti altri fastidi, io ho paura di questo caso, L. Ho paura di Kira." continuai a parlare con la voce trasformata e rotta dal pianto divenendo un sussurro.
Lo vidi voltarsi e sbarrare gli occhi, trasformando la sua precedente espressione dura in una di totale comprensione. Mi si avvicinò abbracciandomi, scomponendo la sua rigida posa, ed io lo strinsi di rimando.
“Belle, anche tu hai capito benissimo che questa situazione non ha nulla di normale. Vero? Te lo leggo solo guardandoti in faccia.” Io annuii nell’abbraccio sentendo i suoi capelli accarezzarmi le guance, i suoi capelli che si bagnavano con le mie lacrime. “Belle, dimmi cosa hai visto.”
Strinsi gli occhi e mi scostai piano per guardarlo in viso, volevo che percepisse ogni singola parola, che l’assimilasse anche solo respirando. “L, io ho visto sia Light Yagami che Misa Amane, ancora prima che tu li imprigionassi, ancora prima che tu sospettassi di entrambi. Ho percepito chiaramente attorno a loro qualcosa di non umano, un’entità che nessuno può vedere, forse anche diabolica. E prima quando mi hai detto che non sono più gli stessi che hai fatto rinchiudere, mi hai fatto intendere perfettamente che quel qualcosa ha troncato ogni legame con loro.”
Si voltò, guardò quasi a vuoto, lasciandomi e buttando le mani sopra il morbido cuscino del sofà
“Shinigami…e se quella parola allora non fosse solo un codice… ma no, non è possibile! Probabilmente i tuoi sogni identificano quel qualcosa, come lo chiami tu, come il loro potere omicida. Sì, quasi sicuramente è solo il loro potere.” Era intrappolato nel suo ragionare e nel cercare una logicità in tutto quello che gli avevo detto, dovevo continuare e dirgli che esistevano davvero quelle creature, che io avevo battezzato qualcosa per rendergli tutto il più comprensibile possibile, ma d’un tratto si fece improvvisamente buio.
“L! è…è buio…è buio veramente o è frutto della mia mente? L!” Dissi spaventata muovendomi cieca nell’oscurità. Lo sentii afferrami la mano e avvicinarmi.
“ E’ un blackout, maledizione!” Non finì di imprecare che il suo cellulare squillò e rispondendo riportò una flebile, ma provvisoria luce.
“Sì, Pronto. Sono con Belle in questo momento. Avevi predisposto i generatori d’elettricità? Bene, vuol dire che attenderò qui fino a che non ritornerà la luce. A più tardi.” Chiuse lo sportelletto del cellulare togliendoci l’unica forma luminosa in quella tenebra, poi si mise a riflettere a voce alta “Facendo in questo modo non verranno persi di vista e potranno continuare a controllarli, avevo fatto bene a disporre di mettere dei generatori di corrente, ultimamente avevo sentito che c’erano stati dei blackout anche nelle prefetture vicine, per via del caldo. Non posso permettermi di avere intoppi, soprattutto ora che tu mi hai dato conferma di alcune mie ipotesi. Mi è venuta una mezza idea di cosa dovrò fare appena riprenderò a controllarli.”
Ora i miei occhi si erano abituati all’oscurità, la notte fuori emanava un’aura simile ad un riverbero. Riuscivo a vedere L, il suo viso era vicino, potevo sentire il suo respiro caldo sul mio orecchio, guardai nel complesso la posizione che avevo preso quando mi aveva tirata a sè, ero rannicchiata anch’io e potevo sentire la sua mano destra intorno al collo, che mi sfiorava ogni qual volta Lui si muovesse. Avanzò uno strano silenzio, non impacciato e neanche dovuto al fatto che non avessimo nulla da dirci, era un silenzio parlato. Quella quiete che agli occhi esterni sembra muta, senza suoni, ma che per i due individui che la vivono è un frastuono continuo di chiacchiere e scambi verbali. Poggiai la mia fronte alla sua mascella e quel gesto mi riportò alla mente il mio sogno con L nella stanza d’albergo, tutto era identico, l’unica differenza era che eravamo circondati dall’oscurità e questo aspetto mi diede consolazione, perché il mio sogno con quel particolare dettaglio non combaciò con la realtà.
Chiusi gli occhi sentendo il suo odore, non ha mai avuto un profumo. Lui emanava l’aroma della vaniglia e dello zucchero, che assorbiva dal suo banchettare costante con i dolci, le sue mani a volte mi ricoprivano il viso di una fragranza persistente alla fragola.
Su di me tutto questo aveva un effetto afrodisiaco.
L spezzò quella pace dove mi stavo facendo incantare come in un’ipnosi. “ Belle, che cosa hai trovato in me di così interessante?” Lo disse piano, scandendo le parole e poggiando la sua testa sulla mia.
Sorrisi e risposi “ Io in te ho trovato qualcosa costantemente da scoprire. Ma non solo in te, anche in me. Io forse per nessuno al mondo avrei fatto quello che ho fatto con te. Per te. Tutto questo perché tu mi ispiri autorità, fiducia, sensibilità, amore, arroganza e timore allo stesso tempo. Mi sono avvicinata a te pur sapendo che avresti potuto ferirmi in qualsiasi momento. Tu, L. Sei di un’attrattiva persistente. Cerchi l’attrazione pur sapendo di essere tu pura attrazione. Ecco cosa mi ha portato, mi porta e mi porterà a te, sempre.” Accostai il mio volto al suo collo stringendomi di più a Lui, poi tornò quel silenzio ricco e pieno. Immaginavo già la sua espressione ed il suo volto guardare altrove in cerca di qualcosa con gli occhi, forse in cerca della calma per provare a ribattere a quella cosa così irragionevole che avevo appena detto.
Allora domandai io per toglierlo dall’impaccio “ Tu, L. Cosa hai trovato in me?” Sembrò non voler rispondere, ma la verità è che stava meditando su cosa dire “Sai, ti vedevo passare sempre davanti alla cancellata della Wammy’s House, niente mi aveva mai spinto o incuriosito a guardare fuori. Si alternavano il sole, le nubi, le stagioni, gli anni, ma non so quale impulso mi guidò a mettermi davanti quella finestra, ogni santo giorno alla stessa ora dopo averti intravista la prima volta. Non avevo la risposta fino a un minuto fa, ora ce l’ho.” Si interruppe e riprese“ Quando tu eri dietro quel cancello, ho visto una parte di me che era rimasta là fuori per diciassette anni. Ora l’ho riavuta indietro.”
Mi attaccai ancora più forte a Lui e osservai l’oscurità che avevo davanti “L, che succederà adesso?” il mio tono era impensierito.
“Ora, credo che giocherò una carta per costringere quei due a parlare, se non lo faranno sarà palese che il loro potere si è spostato e che è in mano a qualcun’altro. Ed io dovrò catturare questo altro nuovo Kira.” A quelle parole ebbi i brividi.
“ Cosa? Hai intenzione di avvicinarti anche all’individuo che ha ereditato questo assurdo potere assassino?” Ero incredula, credevo che, raccontandogli delle mie visioni, avesse minimamente percepito la pericolosità della situazione, invece era più irremovibile che mai e aveva interpretato il mio racconto e i miei sogni come banali segni o coincidenze.
“Belle, non che io non ti creda, ma ti ripeto per l’ennesima volta che ho bisogno di prove, vere, concrete e non posso basarmi sul tuo talento nell’avere visioni per dare fondamento alla mia indagine.” Il suo tono suonava come una presa i giro, ma non era quello che stava facendo, la verità era che avrebbe fatto comunque di testa sua basandosi sulle sue di certezze tenendo comunque conto, lì accantonate in un angolo, anche delle nozioni che gli avevo fornito io. Per di più si era ostinato a voler continuare ad andare a fondo in quella storia, essendo cosciente della pericolosa capacità omicida che lo avrebbe potuto travolgere, da un momento all’altro, quando meno se lo sarebbe aspettato.
Lui non poteva prevedere le mosse di un Dio.
Con un fare rabbioso mi scrollai di dosso il suo abbraccio e mi alzai di scatto dal divano dirigendomi, senza pensare al buio, nella mia camera.
Respiravo violentemente, poi percepii arrivare anche Lui, mi scatenò una reazione ancora più forte. Mi voltai e quasi urlando dissi “ Io li vedo! Li ho visti!! Tu non sai cosa sia sentire l’orrore! Sentirlo entrare nelle vene e mescolarsi alla propria persona. Sentire ombre deformi che mi intimano la morte, la mia e di chi ho attorno. L, questo non è qualcosa che può essere alla tua portata!”
Lo vidi passare dall’apatia a qualcosa di somigliante all’alterigia, avevo colpito un punto dolente, gli avevo detto che Lui non sarebbe stato capace di risolvere qualcosa.
“ E sentiamo! Tu ne saresti in grado? Cosa vorresti fare? Farmi desistere. Lasciar perdere! Mi vuoi far intendere che è qualcosa di ultraterreno a fare tutto questo. Belle!” Era sadico e senza freni, avrebbe continuato se non mi avesse guardato bene in faccia, ero logorata dal dolore e cosciente che quello che sapevo e volevo era la cosa giusta per Lui.
Io lo volevo vivo, sano e salvo, lontano da quella storia.
Lontano da Kira.
“Sì…io desidero che tu rinunci per questo…” Dissi tremante e singhiozzando, dando sfogo al pianto disperato. Lui mi si avvicinò, sembrava avere timore che toccandomi lo avrei scacciato, ma non lo feci, non avrei mai potuto farlo.
“Belle, tu lo sai che non posso.” Ricurvo mi avvolse di nuovo prendendomi tra le sue braccia.“ Belle, ti prego non costringermi a lasciarti così in malo modo…” asserì calmo e sensuale, ma io delle sue parole udii solo lasciarti.
“La…lasciarmi?!” Iniziò a mettermi paura più di quanta non ne avessi già. “Che…intendi dire…mi…” stavo annaspando.
“No, non ti sto lasciando, Belle. Tranquilla.” Mi prese la testa tra le mani per costringermi a guardarlo negli occhi” …un’altra parte del mio piano consiste nello stare giorno e notte con Light Yagami, non potremo vederci per molto. Capisci. Forse anche meno di adesso, anzi per niente.”
La sua voce era una melodia tentatrice bassa e addolcita, ma che scaricava bossoli di puro dolore sulla parte fragile del mio petto, che ora pulsava facendomi sentire un peso mescolato alla leggerezza dell’avere L ancora lì con me.
Non potevo più oppormi, avrei dovuto fare come diceva Lui.
E a L non importò nulla, mi prese, ogni suo bacio suonava come un saluto sottointeso, ogni tocco era uno stampo che serviva a ricordargli come io fossi, ogni avvicinamento serviva a ricordargli come era stato stare vicino a me tutti i giorni.

Quel blackout durò tutta la notte e il giorno seguente io ed L ci congedammo con un semplice e lancinante sguardo ed uno dei più amari baci che la sua bocca di zucchero potesse lasciarmi.
Distinsi chiaramente che la luce era andata via anche dal mio cuore e nella mia testa un unico pensiero mi assalì, facendomi sentire quasi in lutto.
Le cose non vanno mai come credi.




Rigraziamenti dell'autrice (matta) :D


Grazie a chi mi segue di tutto cuore.... e spero di non avervi annoiato ulteriormente con i miei continui ringraziamenti.
Ma ho sempre paura di non rendere benissimo l'idea di quanto io vi sia grata. 
Grazie a chi mi ha messo nelle preferite.
Grazie chi mi ha messo nelle ricordate.
Grazie a chi mi ha messo nelle seguite.
Ma ancora un enorme e gigantesco grazie a chi mi recensisce, siete la mia più grande gioia.
 
Baci baci Amaterasu82 

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Capitolo 34
*** Prometto che non diventerò mai freddo ***


                                                             




   Prometto che non diventerò mai freddo





                                 Quindi dimmi quando senti il mio cuore fermarsi
                                 Tu sei l’unico che lo sa
                                 Dimmi quando senti il mio silenzio
                                 C’è una possibilità che io non lo sappia
                                 Quindi dimmi quando il mio silenzio sarà finito
                                 Tu sei la ragione per cui io sono chiusa
                                 Dimmi quando mi senti crollare
                                 C’è una possibilità che non si veda
                                                   
                                                            (Traduzione cit. “Possibility” di Lykke Li)





Passò una lunghissima settimana.
Wammy venne nella mia suite e mi comunicò che il giorno seguente ci saremmo trasferiti, mentre ero intenta a cambiare le batterie del mio mp3, negli ultimi giorni aveva deciso di non funzionare abbandonandomi.
Anche lui.
“Belle….” Wammy fece una lunga pausa e sospirò “Ryuzaki, ha deciso di mettere subito in atto uno dei suoi piani. Quindi da domani non alloggeremo più negli alberghi, dovrai fare le valige da subito, senza prendertela con calma.” Poi si allontanò con fare indaffarato e dandomi leggere occhiate preoccupate di sfuggita.
Mi sentii stranita, ma annuii quasi per abitudine e alzando lo sguardo su di lui, vidi che ogni cosa stava perdendo il suo senso.
Tutto iniziò a distorcersi.

Il posto in cui ci trasferimmo era un gigantesco palazzo di sola nostra proprietà, con un’architettura ultramoderna, una costruzione corazzata da vetri scuri e lucidissimi, con un design molto gradito alla cultura nipponica, lì si sarebbero svolte le nuove e approfondite indagini sul caso Kira.
L non badò a spese, inserì ogni forma di tecnologia, esistente e avanzata al mondo, piani e piani di appartamenti e sale di controllo.
A me, come anche per Misa Amane, venne assegnato un alloggio tutto mio ovviamente in una zona molto alta e distante di tutto il complesso. L se ne infischiò della mia paura dell’altezza, aveva adottato con me un comportamento più rigido e insieme premuroso, non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarmi soprattutto in quel momento.
L’unica differenza tra me e Misa, era che ora potevo uscire e fare come più mi aggradava, senza più restrizioni e impedimenti, infatti io, a differenza di quell’assassina costantemente braccata da telecamere e da finta scorta, avevo un mio personale accesso nella struttura che mi impediva di avere qualsiasi contatto con quelle persone e sopratutto con Light.
Il mio appartamento non venne munito di dispositivi di controllo e microspie, nessuno sarebbe venuto lì, qualsiasi intruso sarebbe stato bloccato molto prima da degli allarmi, di cui solo io e Wammy conoscevamo i codici per la loro attivazione e disattivazione.
Ero come un fantasma che infestava un castello, mi sarei potuta manifestare in qualsiasi momento, apparendo come un miraggio, come fumo bianco che si dissolve, ma nessun individuo se mi avesse visto, avrebbe potuto asserire con certezza che io esistessi veramente all’interno di quella struttura.
Ero un’anima che vagava in preda al risentimento.
Il risentimento per qualcosa di non risolto, il risentimento per non essere stata in grado di fare nulla di buono, il risentimento per la mia impotenza in quella situazione.
Risentimento nei confronti di L che non aveva cercato di capirmi a fondo.
Kira era quello che lo stava portando sul fondo di acque oscure e ignote.
L, non fu così ossessivo con B, forse perché Beyond Birthday, lo conosceva da prima o perchè aveva il controllo di quella situazione, che non sfiorava minimamente l’alone di mistero che invece aveva questo caso. Il caso di Los Angeles, portò L ad essere rilassato, spavaldo e allo stesso tempo impegnato nella maniera giusta con quella indagine.
Il caso Kira gli stava facendo perdere quella linearità e consueta prudenza, che contraddistingueva L, in una maniera appunto ossessiva.
Iniziai ad abbandonare anch’io qualcosa, ero stufa, stanca, ero giunta al limite della tortura che mi infliggevo, facendomi avvertire un’apprensione costante, mi lasciai andare al flusso delle cose.
Smisi di fidami del mio istinto, delle mie deduzioni, mi rifiutai di leggere i significati dei sogni che continuavo a fare, fino a che, forse per via della mia negazione nel voler interpretare, iniziai pian piano a non averne più, stavo diventando normale.
L, per permettermi di vederlo costantemente e per concedermi la possibilità di capire cosa stesse facendo, mise un televisore nella mia stanza dove venivano trasmesse le immagini della sala di controllo principale. Fece questo anche per non farmi sentire la sua mancanza, almeno quella visiva e uditiva.
Il giorno che venne installato nel mio salone lo schermo, lo accesi immediatamente e notai, proiettato su quella schermata piatta, L che si era fatto letteralmente ammanettare a Light Yagami, con una lunga catena che consentiva almeno i movimenti essenziali.
Subito capii cosa intendesse L quando mi disse che non ci saremmo potuti vedere per molto. Quel legame metallico tra loro, ai miei occhi, era diventato la spada di Damocle sulla testa di L, era il cavo conduttore che lo portava nelle braccia del carnefice.
Io non seppi come affrontare questo aspetto, mi limitai a fingere di non vedere quelle catene, che lo tenevamo unito ad un precario filo del destino.
Fu un’arrendevolezza la mia, in quella situazione, simile a quando si ha qualcuno di molto caro e molto malato, sappiamo che la malattia lo logorerà e che ce lo porterà via alla fine del suo calvario, ma comunque fino alla fine ci illudiamo e crogioliamo nel pensiero che il momento della sua dipartita sia lontano anni luce.
Ma la verità è che non è così.

Con quella particolare visione, conobbi alcuni aspetti di Light Yagami, che non avevo mai scoperto per via del fatto, che io fossi venuta a conoscenza della sua esistenza solo tramite i miei sogni. Potei notare e appurare, come già avevo sospettato, che c’era un cambiamento in lui, nei suoi occhi.
Ora non più malefici, cattivi e taglienti, ma mansueti, puri e puliti.
Non c’era più traccia di quel male che gli aveva carpito il buono che era in lui. I suoi modi erano comunque impeccabili, educato, non si sbilanciava mai in atteggiamenti frivoli, come ci si aspetterebbe da un ragazzo della sua età. Le fondamenta del suo carattere erano di un’integrità solida e comunque insolita, che lo rendeva molto attraente agli sguardi esterni. Light doveva avere un senso della giustizia molto spiccato, per riuscire a condividere così bene con L, quella ostinata investigazione al nuovo Kira, ma sebbene Light fosse così determinato e alla ricerca del giusto, c’era sempre qualcosa in lui che non mi piaceva, come se quello Shinigami che lo aveva posseduto fino a qualche tempo prima gli avesse lasciato addosso una scia oscura.
Light aveva sempre e in ogni caso una luce opaca poco chiara intorno. Vederlo vicino ad L faceva spiccare la loro diversità che non era solo fisica, ma velatamente nascosta.
Sì.
Era sempre in atto un invisibile e costante contrapposizione tra loro.

Light, Misa e quegli agenti, presero consistenza per me, divennero qualcosa di concreto, come se tempo addietro loro fossero stati frutto delle mie fantasie, ora li potevo conoscere, studiare.
Il poco sveglio Matsuda, il serissimo Aizawa, il determinato Souchiro Yagami e il silenzioso orso Mogi. Da quello schermo potevo seguire tutto non essendo lì fisicamente, questo mi divertiva e metteva a disagio allo stesso tempo.
Poi vidi L alzare lo sguardo sulla videocamera che sapeva lo stesse inquadrando, sapeva che io lo stavo guardando, i suoi occhi erano neri, seri e catturati da ciò che fissava, mi sembrò di vedere un’ombra sul suo viso poi riabbassò lo sguardo e tornò a parlare con i suoi collaboratori, portandosi poi alla bocca una tazza di caffè .
Freddo.
Io ero congelata, sentivo tutto un’intero universo di emozioni per Lui, ma ero in un’ibernazione emotiva. In un’altra situazione sarei esplosa in un pianto silenzioso e sofferente, in quel caso, smisi di provare qualcosa che non riuscivo più a sentire e definire, se ne era andato con i sogni e le mie visioni, gli avevo dato una degna sepoltura in non so quale angolo della mia persona.
Non sarebbe riemerso.
Stufa di sentirmi presa da quelle sensazioni simili alla sofferenza, anzi le definirei l’anticamera della sofferenza, optavo sempre per la fuga da quella osservazione e da quella indagine.
Volevo stargli lontana e ci sarei riuscita o per lo meno ci avrei provato.
Dovevo smettere di ascoltare e dovevo solo vedere L.
Questo bastava, punto.


5 ottobre 2004

In quei mesi, avevo preso l’abitudine di andare a passare del tempo in un parco vicino al nostro quartier generale, lo Yoyogi Park.
Adoravo passeggiare in quel posto che mi ricordava a momenti il giardino della Wammy’s House, uscendo da quel piccolo mio microcosmo, mi ritrovavo poi davanti a strutture e monumenti prettamente giapponesi.
Bastava un solo passo per poter varcare il confine tra il mio mondo, che mi aspettava dall’altra parte dell’emisfero alla fine di quella assurda indagine, e quella dimensione a me sconosciuta, estranea e che non volevo accettare.
Se solo fosse bastato quel piccolo passo per tornare dov’ero, lo avrei compiuto senza esitazione. Immersa in questi miei pensieri, la maggior parte delle volte, finivo per perdermi nel verde, uscendo dalle piccole vie e stradine che delineavano un percorso ben definito in quel parco.
Mi ritrovai in un minuscolo bosco, passeggiai rilassata senza avvertire il timore di essermi persa, sapevo che comunque non avrei trovato difficoltà ad orientarmi per ritrovare la strada giusta.
Strinsi con le mani, il collo del mio cappottino in tela e ceruleo, iniziai a sentire una leggera brezza fredda e pungente tipica di quel periodo.
Potevo sentire i miei stivali marroni e bassi, affondare nella terra inumidita e morbida, ricoperta da uno strato ocra dovuto alle foglie morte e ora a terra.
Camminavo curiosa guardandomi intorno, come se qualsiasi cosa attorno a me avesse non so quale misteriosa attrattiva, in un gesto infantile alzai la testa mentre continuavo ad avanzare. Il cielo grigio faceva da fondale, ai rami secchi ed esili come ossa spogliate dalla loro carne che si incrociavano sopra la mia testa.
Poi davanti ai miei occhi, passò velocemente qualcosa di nero, abbassai lo sguardo e sentii uno strano rumore, simile allo sbattere delle ali di un qualche uccello.
Una risata!
Potei distinguere poi una risata, volevo domandare a chiunque fosse, chi fosse?!
Ma le parole mi rimasero in gola, formando un nodo, cercai di non farmi prendere dal panico come mio solito.
Quando distolsi la mia attenzione dall’analisi delle mie reazioni, percepii che quella cosa era sparita e tornai a scrutare in ogni parte, girai su me stessa cercando di capire dove fossi finita. La cosa che mi stupii fu, che quel posto, uno spiazzo di cui conoscevo l’ordine di disposizione precisa degli alberi…. Quell’angolo di bosco lo conoscevo! C’ero già stata!
Ma non in una delle mie tante scampagnate nel parco, ma in un qualche altro momento.
Sì. Ma quando?
Incapace di ricordare o non volendo ricordare, data la mia condizione in quel periodo, lasciai stare e cercai di ritrovare la strada per il percorso pulito, giusto e tornare a casa.
Mentre mi allontanavo, mi voltavo di tanto in tanto guardandomi alle spalle e potei constatare che il tragitto che avevo fatto, era molto lontano dal sentiero regolare che si estendeva per il parco.

Rincasata nel mio appartamento, tolsi gli stivali abbandonandoli in un angolo appena mi chiusi la porta dietro. Lanciai il mio cappotto su un puff disposto al centro del salone, nel farlo per poco non feci cadere un orrendo soprammobile poggiato sul tavolino in cristallo.
Accesi lo schermo per vedere L e andai poi ad armeggiare con la teiera in cucina, per riempirla d’acqua e farmi un tè.
Sentivo freddo avevo bisogno di scaldarmi e riprendere possesso della mia tranquillità dopo lo strano episodio del parco Yoyogi, chiedendomi come era possibile che io fossi una calamità naturale per certi strani fenomeni.
Ero intenta nel fare quelle azioni monotone, ma che allo stesso tempo hanno quella proprietà calmante e familiare che mette di buon umore, quando al mio orecchio arrivò il suono di alcune parole che mi infastidirono.
“ Ti è tornata la voglia di lavorare?” sentii Light riferendosi a L.
Ignorai e continuai con ciò che stavo facendo, ma la mia testa a quanto pare non volle collaborare e portò comunque a galla, tutte le nozioni e informazioni che mi ero sorbita, forzatamente, durante le trasmissioni delle videocamere nella sala di controllo centrale in cui si trovava costantemente L.
Negli ultimi tempi L, fu preso da una strana e improvvisa mancanza a voler lavorare al caso Kira, non c’era più niente di molto interessante, che portasse a una risoluzione logica di quel caso e di questo ne fui felice sperai che quella situazione rimanesse così, che ce ne saremmo andati il prima possibile da quel posto maledetto.
Ma L sembrava non essere soddisfatto per via del fatto che non ci fossero prove per dimostrare, che Light fosse Kira e che Misa fosse il suo complice.
Gli omicidi continuarono ma in una maniera diversa, probabilmente il nuovo Kira giustiziava con parametri leggermente diversi dal primo, questo nuovo modo di agire venne segnalato dal Sovrintendente Yagami e poi approfondita dal resto del gruppo investigativo.
Ma quel giorno fu Light Yagami, a risvegliare lo spirito del detective di L, che si era smorzato a causa dell’irragionevole innocenza di Light e Misa, perché L sapeva con certezza che erano loro i due Kira. Odiai profondamente Light, mentre lo osservavo assunsi un’espressione torva e stavo per irritarmi non poco, strinsi tra le mani la tazza di tè che aveva conservato una temperatura lavica, ma non sentii il dolore e la bruciatura per quanto ero adirata.
Poi attuai il mio meccanismo di difesa, che in quei mesi mi aveva aiutato molto a non farmi sentire qualsiasi tipo di sentimento triste, negativo, di sofferenza ed ora anche di rabbia. Staccai la spina del mio cervello, del mio udito e distolsi la mia attenzione da tutto quello che nelle immagini era un disturbante dettaglio e non fosse L.
Vedevo solo Lui.


25 Ottobre 2004

Quelle indagini sulla società Yotsuba, per L furono quasi uno scherzetto da ragazzi.
Nel giro di qualche settimana si arrivò a capire che Kira era al suo interno e che compiva omicidi a proprio vantaggio e per l’azienda, uccidendo individui che gli facevano concorrenza e di tanto in tanto per camuffare il tutto, ci scappava la morte di un criminale.
Come se potesse bastare questo giochetto per fregare L.
Ancora più divertente fu scoprire che tentarono di indagare sul suo conto per eliminarlo, ingaggiando un altro detective, Eraldo Coil, che altri non era L sotto altre mentite spoglie.
Vennero addirittura spiati nelle loro riunioni segrete, tramite le telecamere messe da una vecchia collaboratrice di L, Wedy (una ladra) e furono perfino ingannati da Aiber un’altro collaboratore di L ( un truffatore) e non si accorsero di nulla.
Credo che questa fu la parte più esilarante e rilassata di quella indagine, che passò da una serietà e misticità fuori da ogni limite umano ad una scontatezza e semplicità, al pari di un piano architettato da un gruppo di ragazzini alle prime armi, questi individui della Yotsuba ogni giorno fornivano prove schiaccianti della loro colpevolezza.
Questo Shinigami aveva dato il suo potere ad un completo idiota.
E pensando questo, sentii che comunque qualcosa non tornava, sono convinta che anche L fosse dello stesso parere.
La diversità del primo e del nuovo Kira erano abissali, tutto questo confermò quello che le miei visioni mi avevano suggerito e che io insinuai nella testa di L.
Ora avevamo una prova, eccola finalmente una maledetta prova.
Il potere omicida si trasmette di persona in persona.
“Sarai contento adesso…” dissi parlando da sola con tono apatico, davanti allo schermo mentre osservavo L, ferma in piedi.
Vidi L, con un’espressione attonita e gli occhi fissi sulle sue mani ricurve sulle sue ginocchia, mentre Misa vestita da infermiera e con le braccia protese in avanti teneva tra le mani il telefono.
Misa registrò un’inquietante conversazione avuta con Kyosuke Higuchi traendolo in inganno, dove lui confessava in maniera fiera e spudorata di essere Kira.
Ma in tutta quella rocambolesca questione architettata da Misa, ci fu qualcosa che non mi sfuggì.
Era palese.
“Non può esserti sfuggita L.” dissi di nuovo al nulla, sembrò che le mie parole fossero rimbalzate contro il televisore e si fossero dissolte nell’etere.
L parlò come se avesse potuto percepirmi “Misa, come hai fatto a convincere Higuchi che sei il secondo Kira?”
Misa disse di avergli detto che lei era in grado di uccidere e che lo avrebbe sposato, ma non era una cosa così chiara e convincente, almeno alle mie orecchie.
Misa era diversa, io la vedevo diversa dopo tutti quei mesi, dove era sparita quell’aura che la circondava, quell’aura che già conoscevo e odorava di morte, se l’era di nuovo portata dietro.
Possibile che avesse davvero ripreso un contatto col suo potere?
Lasciai perdere i miei contorti pensieri e spensi nell’esatto momento in cui iniziarono a parlare di come organizzare un piano di cattura per Higuchi.
Il mio meccanismo di difesa stava diventando sempre più infallibile, vivevo, andavo avanti con un automatismo che sfiorava l’insensibilità, stavo diventando di pietra.


28 ottobre 2004

Non accessi per nulla quel televisore e finestra sulla realtà.
Ero decisa ad ignorare fino alla fine, ma quando arrivò sera, venni chiamata al telefono cellulare da Wammy, risposi speranzosa.
Sperai che fosse già finito tutto, che saremmo potuti fuggire di lì.
Ma non fu così.
“Sì, pronto. Dimmi Watari.”
“Belle, ho una cortesia da chiederti. Tra non molto andremo a catturare Higuchi e Misa Amane rimarrà sola nella sala di controllo.” Wammy mi espose il tutto, quasi scandendo parola per parola e farmi recepire bene cosa dovessi fare.
“Sì, Watari, ma io cosa dovrei fare? Non posso farmi vedere da lei.”
“Basterà che tu la osservi dal tuo schermo in salone, la terremo legata. Ma ci servirebbe qualcuno che la guardi in nostra assenza.” Poi si interruppe e continuò “ E’ pur sempre ancora sospettata.”
“Va bene, farò come volete.” Dissi sospirando arrendevole e contrariata, quella conversazione telefonica non aveva niente a che vedere con quello che eravamo sempre stati io e Wammy.
Fui così costretta a seguire le fasi di quella maledetta caccia.
L, Light e Misa, erano tutti e tre davanti agli schermi della sala comando, ma ci fu un particolare che mi scosse.
Mentre si susseguivano i passaggi e gli spostamenti di Higuchi, quest’ultimo iniziò a parlare con qualcuno nella sua auto, che lui chiamò Rem, parlò di uno scambio di occhi, discorsi molto strani.
Io non potevo vedere, perché l’angolazione delle mie immagini non prendevano lo schermo principale dove L lavorava.
Ero sicurissima fosse il dio della morte, lo shinigami…..gli occhi, forse erano quegli occhi rossi che avevo visto nelle mie prime visioni… e forse anche L finalmente ci stava arrivando sicuramente avrebbe scoperto che uccide con…
Basta!
Scacciai via quei pensieri, non dovevo più impicciarmi, quello che avevo visto era inconsistente, punto dovevo farmene una ragione.
L, man mano che l’operazione di cattura prendeva pieghe inaspettate e pericolose assumeva espressioni, sempre più scure e profondamente decise che rendevano rigido il suo volto, finché finalmente non stabilì che fosse ora di intervenire e fermare quel pazzo.
Io mi limitai poi ad eseguire l’ordine di sorveglianza a Misa e rimasi per tutto il tempo dell’operazione cattura Higuchi, lì seduta sul puff a osservare la ragazza completamente incatenata ad una sedia, che sbuffava e frignava ogni qual volta la situazione la stufasse, mai quanto stufò me nel doverla vedere e sentire.
Complessivamente tutto si risolse velocemente, Higuchi inseguito e poi catturato.
Ma qualcosa stravolse la consequenzialità perfetta del piano di L.
Higuchi venne ucciso non appena arrestato e dopo aver rivelato come uccidesse.

Il quaderno.

Quello che io chiamavo libro nero, era un quaderno della morte, dove se veniva scritto il nome di qualcuno questo sarebbe morto.
<< Ma questo già lo sapevi. >> 
  Sobbalzai sentendomi disorientata qualcosa aveva parlato, mi guardai in torno, ma nel mio salone non c’era nulla.

Quando sentii il mio cuore tornare ad un battito regolare, tornai ad osservare lo schermo apatica.


Si susseguirono giorni molto lenti, tetri e silenziosi, guardavo dalla mio specchio sulla realtà tutto quello su cui L stava ragionando, comprese le regole sull’utilizzo di quell’arma letale.
Le regole di quel quaderno erano…erano semplicemente…Assurde!
Di cui una molto singolare che scagionava Light Yagami e Misa in maniera schiacciante.
Ovvero che, se loro non avessero utilizzato il quaderno e quindi ucciso prima di tredici giorni essi sarebbero morti. In cuor mio sapevo che non era così, loro avevano usato quel quaderno ed erano vivi e probabilmente, in quel momento anche coscienti di aver riavuto quel loro potere.

<< Quella regola non è mai esistita.>>  Venni svegliata di nuovo da quella voce che veniva dalla mia testa, poi riportai velocemente la mia attenzione ad L, ormai libero dal legame di catene che aveva con Light.
L, sembrò appesantito da quella lugubre atmosfera, mi parve di vederlo prendere coscienza di qualcosa, ma mi rifiutavo di concepire che cosa fosse.

<< La Morte.>>  Ancora! Ma che?!
L’ombra di quello shinigami bianco, Rem, come disse di chiamarsi e come lo chiamò Higuchi, sovrastava L, come un peso che da un momento all’altro minacciava di schiacciarlo.
Ricordo ancora che ero intenta a sentire distrattamente, come mio solito, le logiche esposte da L e le domande di tutti gli agenti e notai che Light era sempre alle spalle di L, come un traditore, pronto a pugnalarlo da un momento all’altro.

<< Giuda! >> Sentii la voce bisbigliarmi dentro.
Dovevo distrarmi, iniziaii a scrivere e scarabocchiare qualcosa su dei fogli, senza una reale ragione. Percepii una pessima sensazione, fu questione di secondi. L disse di voler testare la regola dei tredici giorni, facendo così avrebbe potuto incastrare sia Light che Misa Amane, nell’aria c’era incredulità e tensione.
<< Imprudente! Adesso sciocca guarda! Guardalo! >>

Mi voltai inorridita, d’un tratto la mia attenzione, rimasta in un letargo profondo per tutto quel tempo, si accese come un improvviso incendio sciogliendo il sicuro gelo che mi avvolgeva. Mi avvicinai con raccapriccio al televisore.
Lo Shinigami, che solo io potevo vedere senza toccare un quaderno della morte, lo vidi sparire attraversando la parete.
Il resto di quello che scorsi fu come un travolgente crollo di tutto quello che mi circondava. Le luci divennero rosse come sangue.
Wammy non rispondeva ad L dall’altro capo della comunicazione.
Ricordo che la voce di L mentre chiamava Wammy, sembrò assumere sfumature simili allo spavento, ma racchiudevano molto altro poi la sua espressione in volto divenne decisa, tagliente, guardinga e infine vendicativa.
Wammy non rispondeva più!
L’espressione del mio viso divenne di sgomento puro.
Ma quello che accade dopo fu quanto di più, tragico e doloroso io abbia mai potuto vivere in vita mia.
Tremai, tremai come non mai, per un attimo pensai che lo Shinigami stesse prendendo anche me strappandomi direttamente il cuore, perché lo sentii fermarsi.
Ma non era così, io ero ancora viva. Purtroppo.
L sdrucciolò via con la sua poltrona, perse la sua posizione, il cucchiaino scivolò dalle sue mani affusolate e cadde.
Cadeva come Lui.
Tutto davanti ai miei occhi si muoveva a rallentatore, mi sembrò possibile che il momento della sua fine potesse essere ridotto e racchiuso solo in quell’attimo, dove pensai che avrei potuto portare il tempo in dietro e permettere che non accadesse.
<< E invece tu lo hai permesso.>> Quella voce mi stata infilzando il cuore.
Fu il colmo vede Light Yagami, Kira la nemesi di L, riprenderlo prima che piombasse rovinosamente a terra, come se potesse avere una particolare cura di Lui.

<< Falso fino alla fine.>>
Il viso di L era il ritratto della sorpresa, la più brutta che la sua vita gli avesse riservato, morire tra le braccia del suo assassino, il suo sospettato numero uno.
La sorte, alle volte, non sa essere decisamente divertente.
Il mio viso era contratto dalla disperazione silenziosa, la mia bocca era aperta in una – O – ma non emettevo suoni, i miei occhi si stavano bagnando dopo molto tempo.
Presi le estremità piatte dello schermo con forza e angoscia.
Avrei dovuto esserci io al posto di Light Yagami, avrei dovuto esse io l’ultima cosa che L avrebbe visto in quell’ultimo suo misero attimo di vita.
E mentre sul volto di Kira si dipingeva il ritratto della malvagità concentrata in un’unica e sadica espressione, che nessuno tra i presenti notò, in me prese piede il vuoto.

Il buio.

La fine.

Era tutto nel mio petto.
Risuonò nella mia testa una voce, ma non quella che mi rimproverò o inflisse dolore qualche istante prima, era quella di L che mi ribadii quella sua lontana promessa: “Ti prometto che non diventerò mai freddo, Belle.”






 

Salve a tutti, scusate il mio vergognoso ritardo nella pubblicazione.
Ma ho avuto una situazione non molto bella e neanche positiva, che mi ha costretto a non poter pubblicare nei miei soliti tempi.
Meno male che già il capitolo era scritto e quindi l'ho potuto pubblicare oggi ;).
So che il capitolo sarà stato lungo e noioso, ma spero che a qualcuno piacerà.
Mi scuso ancora e ringrazio da subito chi leggerà, chi recensirà e chi inserirà la storia nelle varie sezioni, preferite, seguite e ricordate.

Baci baci dalla Ama82

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Capitolo 35
*** Il vero Giuda ***


                    Il vero Giuda





Avete mai avuto quella sensazione che paralizza e immobilizza, che preannuncia qualcosa a volte di orribile o semplicemente di bello e inaspettato?
Sorprende comunque.
In una fase della mia vita così buia e tediosa, dove tutto stava diventando un lento scorrere e sembrava che nulla potesse più sorprendermi, è comparso Lui...
Sento ancora il suo sguardo addosso.
Se dovessimo dare un'unità di misura agli sguardi, credo che il suo sia inqualificabile, immisurabile.
Ma andiamo per piccoli passi.
Adesso, dopo tre lunghi anni che ho passato con Lui, mi ritrovo in questa suite vuota.
Sola a raccontare di ciò che mi terrorizza di più, il dolore.
Ho paura che se non mi sfogo morirò come è morto Lui, con un dolore che squarcia il petto e che non lascia il tempo nemmeno per un’ultima parola. Ho conosciuto molti tipi di dolore, ma mai così straziante, concentrato e assoluto.
Mio Dio non riesco a trattenere le lacrime.....

Credo di essere pronta adesso, chiedo perdono.


Mi misi a scrivere quei pezzi di memoria, dopo averlo visto morire sotto i miei occhi, dopo aver passato ore ad osservare il vuoto.
Scrivevo e scrivevo, su di un blocco tirato fuori da non so dove, avrei dovuto provare riluttanza per qualsiasi forma cartacea che mi ricordasse quel quaderno nero, eppure ero lì ad affrontare la nausea, che mi prendeva in maniera costante la bocca dello stomaco.
Ad un tratto venni colpita da un particolare singolare. Mentre scrivevo, la mia mano faceva un movimento pensando di tracciare con la penna le parole che formulavo nella mia testa, ma invece sul foglio compariva tutt’altro.
Vidi apparire sotto le prime righe scritte…
Lo sai che quello che stai scrivendo non esiste e che non sei in una suite. Vero?
Rimasi sorpresa, ma continuai a farmi guidare dalla mia mano.
E sai anche che quello che hai visto accadrà.
Ora sbrigati e rispondi
.
Ero perplessa, quell’aspetto somigliava molto alla voce che mi assillava mentre vedevo L crollare e accasciarsi a terra esanime, con la differenza che ora la voce appariva sotto forma di scrittura.
Domandai “Rispondere a cosa?”
In maniera lontana, arrivò il suono di qualcosa che trillava, poi divenne sempre più forte ed infine assordante, tanto da farmi mettere le mani sulle orecchie, per evitare di perdere l’uso dell’udito a causa del suono brutale.

Mi svegliai! Violenta, trasalendo e con il cuore in gola.
Mio Dio! Pensai e poi dissi “Era una visione…” Passandomi bruscamente una mano in viso.
Ma non una delle mie solite visioni, dove percepivo il distacco tra il reale e il non reale, questa si era mescolata perfettamente alla realtà, come quella volta nella soffitta alla Wammy’s House con L.
Mi trovavo seduta sulla sedia e mi ero addormentata, poggiandomi sulle braccia incrociate sul tavolo. Davanti a me c’era il televisore, con le immagini di L. Vivo!
Gli agenti, Light e lo Shinigami bianco, tutto predisposto come nel mio sogno. Iniziai a chiedermi che giorno fosse, ma prima che potessi continuare nel mio ragionare, il cellulare insisteva squillando per davvero, era lui che mi aveva svegliato dalla mia realistica visione.
Asciugai con le mani il leggero residuo di lacrime che avevano rigato le mie guance, espirai ed inspirai profondamente e realizzai che potevo ancora fare qualcosa.
Divenni conscia che si stava sviluppando la situazione giusta per agire e impedire l’atrocità di ciò che avevo visto.
Mi precipitai a prendere il cellulare, poggiato sul tavolo vicino al mio gomito e a rispondere.
Ero ancora ansimante per via dell’agitazione che avevo in corpo.“Sì! Pronto!” Risposi di getto e veloce.
“Belle. Che ti prende? Tutto bene? E’ da molto che ti chiamo, ma non rispondevi.” Watari dall’altra parte rimase spiazzato sentendo la mia agitata risposta.
Quella mia previsione, mi aveva assorbito in una maniera a dir poco comatosa, per farmi arrivare a sentire lo squillare del telefono solo dopo molti tentativi di chiamata.
“Sì, tutto bene. Anzi no… Watari.” Dissi chiudendo gli occhi e cercando di calmarmi “Veni qui da me ti prego, devo parlarti. Subito.”
“ Va bene Belle, sto arrivando.” Disse ermetico e seriamente interessato a ciò che gli avevo appena chiesto. Wammy non mise molto ad arrivare, fu tempestivo, sembrò quasi avesse fatto di corsa il percorso dalla sua postazione al mio appartamento.
“Belle, eccomi.” Disse rassicurante e chiudendosi la porta dietro, mi raggiunse sul divano in pelle beige su cui ero seduta.
Si piegò leggermente per vedere come stessi. Io ero protesa in avanti, col viso basso, i gomiti poggiati sulle mie gambe e tenevo la testa tra le mani, poi la sollevai lentamente e guardai Wammy in faccia. “Watari…Wammy, L ti ha parlato di cosa sono capace di percepire, vero?” La mia voce era ferma, ma ero ancora un po’ scossa.
“Sì, Belle. Mi ha detto tutto.” Wammy rispose ricomponendosi dall’ inquietudine di pochi minuti prima. “Bene. Allora posso parlati tranquillamente senza darti spiegazioni che richiederebbero tempo. E noi ora non ne abbiamo.” Dissi calma osservandolo.
“Che intendi dire Belle? Che vuol dire che non abbiamo tempo?” Wammy si incuriosì.
“Wammy…” Non mi preoccupai più di chiamarlo con il suo pseudonimo, ero stufa in quella situazione anormale, dove non avevamo a che fare con criminali normali, smisi di fare ciò che imponeva la solita prassi. “ Ho visto una cosa terribile e se non ti porto nel posto in cui troveremo parte della soluzione a questo caso labirintico, sarà troppo tardi per tutti.” Mentre guardavo Wammy negli occhi, il mio viso era deciso e disperato alla stesso tempo.
Il mio vecchio padre adottivo sospirò e poi disse altrettanto risoluto “ Dove dobbiamo andare?”
“ Al Yoyogi Park.” Dissi concisa alzandomi e prendendo al volo il mio cappottino ceruleo.

Wammy inventò una scusa per assentarsi e allontanarsi dal quartier generale, prendemmo veloci la macchina e arrivammo al parco.
Ci inoltrammo nella vegetazione limitrofa alle stradine del giardino. Il cielo era plumbeo, minacciava pioggia da un momento all’altro, erano solo le tre del pomeriggio e quell’atmosfera creava un’oscurità artificiale insolita per quell’ora del giorno.
Ricordavo perfettamente il percorso che avevo fatto giorni prima quando mi ero persa nel boschetto.
Il mio passo era veloce e frettoloso, dovevo sbrigarmi!
Mi voltavo di tanto in tanto ad osservare Wammy, che riusciva a tenere il mio passo nonostante la sua avanzata età, ma d’altronde era pur sempre l’uomo che seguiva L in ogni sua mossa, non avrebbe potuto essere da meno.
Finalmente intravidi il piccolo spiazzo e gli alberi, disposti in quel preciso ordine che per me era diventato famigliare. Strinsi forte con la mia mano destra, presa dall’irrequietezza, la paletta da giardinaggio che mi ero fatta procurare da Wammy.
Chiusi gli occhi e cercai di ricordare i particolari del sogno, in cui avevo visto Misa Amane scavare e tirare fuori una cassetta con dentro il death note, anzi sarebbe più preciso dire l’altro death note e sapevo già chi avrei incontrato appena lo avessi dissotterrato.
Aprii gli occhi e mi misi ad osservare la terra umida e macchiata da chiazze mi muschio, più precisamente la parte delle radici degli alberi, ricordavo che l’arbusto dove era stato nascosto il quaderno della morte aveva una radice troncata ma non di netto, sembrava più fosse stata strappata via.
“Eccola!” esclamai e corsi, buttandomi poi a terra cadendo sulle ginocchia ed iniziai a scavare alla base dell’albero.
Wammy mi osservò, voltandosi poi di tanto in tanto per guardarsi intorno. Respirando emetteva vapore dalla bocca, era davvero freddo quel giorno.
Mentre affondavo l’ennesima dissodata nel terreno, sentii la paletta collidere con qualcosa di molto duro. Era lei! La cassetta, avvolta da della carta da pacchi e nastro isolante molto spesso, per impedire che potesse penetrare qualsiasi forma d’umidità o d’acqua al suo interno.
“E’ stato previdente il bastardo.” Mormorai impercettibilmente. Senza preoccuparmi del fatto che mi stessi sporcando le mani con i residui di terra che ricoprivano il pacco, scartai il tutto in maniera violenta, come quando si scarta un regalo presi dall’entusiasmo, mentre invece in quella situazione ero presa da tutt’altra sensazione.
Una sensazione più simile alla smania di scoprire se avevo visto giusto.
Aprii la scatola metallica ed eccolo, il secondo death note, anch’esso nero come la morte che vi albergava dentro.
Lo presi, ma sapevo benissimo che avrei visto quella creatura nera anche senza il quaderno, era lei quella che giorni prima mi aveva spaventata quando mi ero persa ritrovandomi lì.
Sapevo che era nascosta e sfrontata gli parlai “Che fai ti nascondi? Dopo avermi tormentato per un anno intero, ora ti nascondi? Che c’è, non sono la persona che avrebbe dovuto trovare questo quaderno, vero?” Sorrisi velenosamente.
Wammy si guardò intorno, ma sapeva che stavo parlando con uno shinigami, si avvicinò a me e stette a sentire.
Lo vidi.
Ora potevo vederlo da vicino, altissimo. Ed era nero, non mi ricordavo che fosse così intenso quel suo nero, il suo volto e collo erano candidi, non aveva il naso ma due fessure e il tutto metteva in risalto la sua orrenda bocca ridente, i suoi occhi erano tondi e cattivi allo stesso tempo. I miei sogni non avevano reso giustizia a tanta mostruosità e deformità.
Riecheggiò la sua mostruosa risata e disse “Oh! Mi hai scoperto! Peccato. Mi sono divertito a giocare a nascondino con te. Ti chiamerei per nome, ma non riesco a vederlo. Probabilmente sei un essere benedetto.” Gracchiante e profonda la sua voce emanava un tono quasi infantile e derisorio.
“Essere benedetto?” Dissi piano tra me e me abbassando la testa, ricordandomi del sogno in cui la sua voce minacciosa mi chiamava esattamente così.
“Esatto. Tu sei un essere umano speciale, non posso vedere come ti chiami e non posso sapere quando morirai. Perché qualcuno, forse il tuo Dio, ha deciso di renderti immune per proteggere qualcun’altro. Probabilmente hai delle strane doti. Vero?” e continuò a ridacchiare in modo macabro tra sé e sé.
“Questo non deve interessarti mostro.” Dissi sulla difensiva.
Non lo sopportavo.
Cominciai poi a spaginare il quaderno della morte, mentre Wammy continuava a fare da placido spettatore. Riusciva a rimanere calmo e a non scomporsi, nonostante sapesse con cosa avessimo a che fare.
Nel mio sfogliare, sentii cadere sulle mie ginocchia un qualcosa di carta che era infilato tra le pagine del death note.
Era una lettera.
La presi e lessi ad alta voce prima il nome del destinatario “ Misa Amane….” E poi la voltai leggendo, di seguito, il nome del mittente e per poco non mi si fermò il cuore.
“Light Yagami!” Mi voltai di scatto verso Wammy esterrefatta, quella missiva era una delle tante prove che avrebbero potuto incastrare Kira.
“Watari. So che aprendola potrei compromettere qualcosa, ma voglio arrivare fino in fondo.” Dissi con voce incerta e cercando il permesso per poter aprire la lettera e sapere.
“Belle, io credo che questo sia l’ultimo dei nostri problemi.” E poi Wammy, alzando il volto verso il punto in cui solo io avevo potuto vedere lo shinigami, finì dicendo in modo sicuro “Sono curioso anch’io di sapere cosa c’è scritto.”
Sbollai la lettera e rimasi di sasso nel solo leggere le prime righe.
Su quel pezzo di carta Light Yagami aveva scritto le mansioni da far svolgere al suo sottoposto Misa Amane, appena fosse venuta in possesso sia del quaderno che dei ricordi a lui correlati, spacciando tutto questo per una prova d’amore.
Le chiedeva di uccidere L, ma la cosa che mi spaventò di più, era che Misa aveva la capacità di poter vedere il nome della persona che in seguito avrebbe dovuto uccidere. Quindi era questo il potere degli occhi di quegli shinigami, quegli occhi che aveva anche B.
Sono occhi che vengono donati dagli dei della morte.
Ringraziai Dio, che fossi arrivata prima io a quel quaderno, perché se Misa lo avesse trovato prima di me, avrebbe ricordato tutto in maniera completa.
Perché io ero altrettanto sicura che lei già ricordasse e sapesse qualcosa, lo avevo intuito quando aveva fatto ascoltare al quartier generale al completo le rivelazioni di Higuchi. Lei aveva avuto un contatto con uno degli shinigami, questo bastava a renderla di nuovo pericolosa.
“Watari. Dobbiamo impedire a Misa Amane di incontrare Light Yagami, nella maniera più assoluta. Perché sia Light che Misa sanno già qualcosa di tutta questa storia. L sicuramente avrà ancora dei dubbi su quei due. Ne sono sicura.”
Wammy, ancora attonito alla lettura del contenuto della lettera, rispose con lentezza “ Sì Belle, credo che tu abbia ragione. Dobbiamo subito tornare al quartier generale e avvertire Ryuzaki.”
Rimasi a terra ancora un po’ poi mi alzai in piedi annuendo, tornando a guardare lo shinigami, seria e minacciosa.
“Credo che il mio divertimento stia finendo.” Disse lo shinigami altrettanto serio e freddo con una punta di delusione nella sua voce.

Tornati al quartier generale, Wammy ed io decidemmo che sarebbe stata la cosa migliore tenere nascosta la nostra scoperta a tutti i componenti delle indagini, chiamare L e parlarne con lui soltanto.
Quel caso era destinato ad essere risolto da una sola persona, non da una gruppo di persone cieche, che non si accorgevano che una creatura orribile con sembianze umane era tra loro.
Wammy si sedette sul sofà del mio salotto e chiamò L al suo cellulare, io ero in piedi davanti a lui in attesa di sapere cosa si sarebbero detti.
“Ryuzaki, c’è bisogno che tu raggiunga l’appartamento di Belle. Abbiamo trovato qualcosa.” Quel qualcosa detto da Wammy fu più chiaro e illuminate di qualsiasi umana intuizione, era un messaggio subliminale vero e proprio.
Wammy chiuse la chiamata e mi guardò, io mi sentii sicura, qualcosa stava per sbloccarsi, liberarsi, non sentivo più quel freddo che mi aveva catturato giorni prima.
Mi voltai a osservare lo schermo del televisore, sentii L inventare una fandonia e defilarsi dagli agenti, ma soprattutto da Light, che era una bomba a tempo, che rischiava l’esplosione alla prima nostra disattenzione da un momento all’altro.
Gli attimi prima dell’arrivo di L sembrarono secoli, ipotizzai perfino che lo shinigami bianco avesse scritto il suo nome mentre raggiungeva il mio appartamento. Camminavo turbata portandomi le mani tra i capelli e di tanto in tanto guardavo fuori dai vetri specchiati della finestra, quando sentii bussare L alla porta per poco il cuore non mi uscì dal petto.
Wammy aprì ed L entrò lento, molto assonnato, più del solito.
Mi sembrò di averlo scordato come fosse fatto, sebbene potessi vederlo tutti i giorni dal mio televisore. Ma Lui di persona fa tutt’altro effetto, è capace di scatenare un nodo al cuore al solo guardarlo.
L non si lasciò andare ai convenevoli affettuosi o alle battute velatamente addolcite con me, mi guardò e mi disse tutto con quello sguardo e corse poi veloce con gli occhi a Wammy. “Bene, Watari. Dov’è il qualcosa.” Disse poi diventando serio.
Io camminai verso il tavolo, spostai la sedia, presi il secondo quaderno della morte e la lettera, allungai le mie mani porgendoli poi verso di Lui e dissi “ Abbiamo prove e una confessione, L.”
L portò il suo dito indice verso il quaderno per toccarlo, sapeva che ci sarebbe stato uno shinigami dietro le mie spalle, sembrò incuriosirsi nel voler sapere come potesse essere un’altra creatura di quel tipo.
E lo vide “Immagino che nel vostro mondo non abbiano minimamente senso estetico.” Disse L sminuendo la situazione.
Sentii affianco a me lo shingami ridere.
“Come ti chiami?” domandò L che nel frattempo si sedette rannicchiato sul divano in pelle beige, producendo un suono con i piedi nudi, che fecero attrito col tessuto patinato e lucido della pelle.
“Ryuk.” Rispose secco.
“Immagino che tu sappia già chi sono. Non è vero? Puoi vederlo.” L gli lanciò uno sguardo aspro. Ed io continuai scagliando ad L uno sguardo sicuro.
“Sì. Può vederlo. I suoi occhi possono vederlo, come ha potuto vederlo Misa Amane. Tu, Ryuk…” dissi riluttante il suo nome, provavo per lui il ribrezzo più assoluto. “Sai molto, voglio che tu ce lo dica. Adesso.”
“Sì. Potrei dirvelo, ma così mi rovinerei lo spettacolo.” Sogghignò Ryuk.
“Non ti rovinerai proprio niente shinigami. Diciamo che ci sarà solo un cambio di programma nella trama.” Disse L placido guardando Ryuk.
“Beh! Se la mettiamo così, qualcosina ve la posso anche dire. Ma come dissi al mio vecchio possessore del death note, io sono imparziale e non sto dalla parte di nessuno.” Lo shinigami si sgranchì il collo con dei movimenti circolari.
“Ti farò una sola domanda. Il resto verrà da solo e ci penserò io personalmente, ti riserverò un bello spettacolo.” L si voltò a guardarlo, la sua solita posa chiusa assunse un non so che di aggressivo. “ Lo shinigami Rem. Non ha voluto dirmelo, perché c’era Light e perché ho anche notato che, diciamo, ha una certa simpatia per Amane. Ieri quando ho visto Misa salutare Light, ho notato lo shinigami bianco molto preoccupato. Singolare direi per certe creature come voi, ma non è questo il punto. Io sospetto che lo shinigami, Rem, stia aiutando Light, anzi per essere più precisi, che aiuti Light per aiutare Misa Amane.”
“Ho sempre detto che sei un tipo a cui non sfugge niente.” Disse lo shinigami ridacchiando come suo solito.
L lo inchiodò, non gli importava chi avesse davanti, che fosse un dio della morte o un essere umano e continuò “Voglio quella risposta che non ha voluto darmi Rem.” L si protese in avanti smuovendo il suo labbro superiore con il pollice, facendogli bofonchiare le domande. “Tutte le regole del death note sono valide? Più precisamente vorrei sapere. La regola dei tredici giorni. E’ autentica?” L sapeva perfettamente che la strana coincidenza di quella regola stonava con le improvvise ed evidenti innocenze dei due ragazzi. E avendo adesso in mano l’altro quaderno in cui quella regola era mancante, fu la conferma della sua falsità. Ma L pose comunque quella domanda allo shinigami, voleva conferme.
Era importante indagare su quel mondo sconosciuto e crudele.
“Beh…diciamo che è stato un mio scherzetto.” Disse Ryuk giocando con noi.
Ma io non potei resistere, perché sapevo già che quella regola non esisteva, i miei sogni me lo avevano detto.
“Quella regola non esiste! Smettila di giocare! Tu sai che io so che quella regola non è mai esistita. Tu, sei solo la conferma alle mie premonizioni e alle ipotesi di Ryuzaki. Quindi finiscila e dillo.” Dissi nervosa. “Mmh…va bene. Sì, non esiste.” Rispose quasi imbronciato lo shinigami nero, che si stava facendo mettere con le spalle al muro da noi, come se avesse in mente qualcosa, un qualche suo sadico e giocoso piano.
L sbarrò gli occhi e la sua testa iniziò a tessere la ragnatela di indizi, che avrebbero potuto intrappolare i due Kira, io accentuai quel suo entusiasmo consegnandogli la lettera.
Un sorriso ambiguo si aprì sulla bocca di L mentre leggeva.“Credo proprio che ora potrò dare inizio alle danze, Watari. Nessuno dovrà mai sapere quello che ci siamo detti in questa stanza, fino a domani. Ti dirò cosa fare più tardi.”
Un leggero sorriso beffardo comparve sulla bocca baffuta di Wammy.
Lo shinigami si intromise negli scambi di sguardi e intese tra me, L e Watari. “ Posso chiedervi un favore? Potrei avere delle mele? E’ molto che non ne mangio.” Disse il mostro supplichevole.
Ed L colse al balzo quel particolare per avere il coltello dalla parte del manico. “Sì, ne potrai avere quante ne vuoi, ma solo se ci darai una mano a chiudere questa storia una volta per tutte. Aiuterai noi, come hai aiutato Light Yagami. Perché so che in minima parte lo hai favorito. Ci stai?” Disse L roteando gli occhi verso lo shinigami, leggermente sorridente e pungente.
“Ci sto. Tanto da quello che mi sembra di aver capito Light è al capolinea.” Rispose Ryuk senza esitazioni, confermandoci e snocciolando la prima informazione spia, ovvero chi fosse stato il precedente possessore del suo death note.
Povero Light Yagami, quel Giuda non lo scambiò per delle monete d’oro, ma per delle misere mele.



Ciao a tutti!! Eccomi col nuovo capitolo ;)
Ringrazio tutti, come sempre anticipatamente e spero che il capitolo vi piaccia.
Lo so, non è niente di particolare questo capitolo, non sembra molto intrigante, però c’ho provato lo stesso a renderlo decentemente interessante ;D.
Grazie per le recensioni, grazie per i vari inserimenti nelle preferite, seguite e ricordate.
Baci baci Ama82

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Capitolo 36
*** La testa del serpente ***


             La testa del serpente





L, io e Watari eravamo ancora nel mio appartamento con lo shinigami Ryuk, che sembrava essere preso da una strana crisi d’astinenza, ci lasciò intendere che senza le sue mele soffriva di quelle strane contorsioni di braccia e gambe, ma lo ignorammo.
Iniziammo subito a seguire le deduzioni di L sul da farsi e il suo interrogare di tanto in tanto lo shinigami. L disse che nel momento della cattura di Higuchi aveva intuito che i quaderni potessero essere due, ricordò del messaggio del secondo Kira in cui parlava dell’incontro dei due killer a Aoyama e che si sarebbero mostrati a vicenda i proprio quaderni.
“Ryuk, vorrei sapere da te qualcosa di più su questo particolare dei ricordi. Ho notato in Light Yagami, quando ha preso in mano il death note di Higuchi dopo la sua cattura…” L prese in maniera, apparentemente distratta un biscotto cookie con pezzi di cioccolato, dalla confezione che si era fatto portare da Wammy un momento prima e lo iniziò a sgranocchiare come se stesse per iniziare a sentire un racconto che avrebbe catturato la sua attenzione in maniera irreversibile o come se stesse per vedere un film con una particolare e intrigante trama. “ …vedi, lui ha avuto una reazione a dir poco spaventosa. Reputai dipendesse dal fatto che avesse appena visto la figura inquietante dello shinigami Rem, ma subito dopo cambiò drasticamente atteggiamento, come se nulla fosse accaduto. Ho ritenuto quel comportamento strano e anormale. Un essere umano quando viene preso da una paura intensa, ci mette molto a riprendersi dallo spavento, nemmeno se fosse un perfetto attore potrebbe calmarsi in un baleno. Quindi quello che voglio sapere è, quando Light Yagami ha preso quel quaderno nelle sue mani, ha riottenuto qualcosa? Qualcosa che lo ha reso quello che conoscevo prima di essere imprigionato. Potresti dirmi che cosa è successo?” L finì la sua lunga esposizione addentando l’ultimo pezzetto di cookie rimastogli in mano, ma sapevo che la domanda che aveva posto allo shinigami, serviva da conferma a quello che aveva già letto nella lettera.
“Beh! Ha riottenuto i suoi ricordi ed è tornato Kira.” Disse Ryuk ma senza approfondire oltre e sofferente.
Ed io ebbi una folgorazione!
Ecco perché Misa quel giorno quando tornò dall’incontro con Higuchi era diversa! Aveva toccato qualcosa di appartenente a un quaderno o il quaderno stesso, ma scartai l’ultima mia ipotesi. Se avesse riavuto il suo quaderno prima, avrebbe sicuramente già ucciso L come gli aveva chiesto di fare Light nella lettera e l’articolato piano di quest’ultimo sarebbe sfumato, rendendolo l’unico possibile responsabile della morte di L e quindi in automatico Kira.
Il parziale recupero della memoria di Misa era stato mediato da qualcosa.
Quindi aveva ricordato tramite una parte del death note.
Subito ricordai che pochi istanti prima, L aveva parlato di una strana apprensione di Rem per Misa.
E se lo shinigami in non so quale occasione, avesse trovato un modo per vedere Misa Amane e aiutarla? Forse l’unica opportunità, l’ebbero quando Misa fece quello stupido provino per la Yotsuba e lì, si poteva star pur certi, che insieme a Higuchi ci fosse anche Rem e che probabilmente sia Misa che lo shinigami e le loro conseguenti azioni, fossero state entrambe preventivate nel piano di Light Yagami fin dall’inizio.
Allora posi anch’io una domanda conferma. “Ryuk, quindi è possibile usare un pezzo delle pagine non solo per uccidere, ma per mostrarsi ad un umano? Come scritto sul messaggio di Light per Misa.” Dissi portandomi le mani al petto ed incrociando le braccia.
“Già. Questa domanda è simile a quella che ho posto allo shinigami bianco. Gli chiesi se era possibile strappare dei frammenti dal quaderno ed usarli, perché avevo visto che alcune pagine avevano dei ritagli ben definiti, ma non ha seppe rispondermi, anzi fu molto elusivo. Ma questa lettera mi ha dato la risposta che non ha voluto darmi.” L si portò il pollice sulle labbra e mi guardò rapito.
In quel momento quando posi quella domanda, dovevo essere apparsa diversa hai suoi occhi, perché anche io riuscivo a condividere alcuni suoi ragionamenti riguardo quella inspiegabile storia.
Io ero la parte mancate di L, quella parte che credeva a ciò che non si poteva provare, tastare con mano e in maniera scientifica, io prestavo fede costante ha ciò che vedevo e non vedevo. Lui amava questa mia capacità proprio perché non la possedeva, perché io mi fidavo di Lui senza chiedere.
E sono convinta che questo conti per L, molto più della fiducia ottenuta da qualsiasi altro collaboratore o persona.
A differenza di quello che accadde con il caso di B, dove ero indifesa, non ero in grado di domare la mie paure e sempre costantemente presa dalla mia natura fragile, adesso ero anche io parte attiva e di aiuto per L e il fatto che ci fosse molto altro ad unirci, rese il tutto più solido e potente tra me e Lui.
“Certo che si può fare.” Confermò sempre più ermetico lo shinigami nero, forse quell’astinenza non lo aiutava a concentrarsi e continuò aggiungendo “ E voglio essere buono con te detective. Ma solo se mi darai subito qualche mela.” Disse tornando serio e alzando il suo artigliato dito indice facendo quel gesto di chi pone una condizione.
“Va bene, accetto. Bada che però sia la verità, altrimenti non manderò Watari a prendere quelle maledette mele.” L si voltò verso di lui con assoluta diffidenza.
“Sì, sì. Sarà solo verità, lo prometto!” Lo shinigami ribatté infantile come un bambino che vuole ottenere la sua marmellata. “ Allora… Tu lo sai Ryuzaki, che a quest’ora saresti già dovuto essere morto?”
Per un attimo ci fu il gelo che investì l’intera stanza, pur essendo coscienti che quella possibilità fosse sempre e costantemente esistita, sentirla uscire dalla bocca di un dio della morte faceva tutt’altro effetto.
“Rem ha fatto un accordo con Light, se lei ti avesse ucciso, lui promise che avrebbe protetto e amato Misa. Ma tanto Light non ama Misa. La usa!” Ryuk concluse il tutto ridendo schiamazzante, come se avesse appena raccontato dell’ultima notizia uscita su un giornale di gossip.
“Quindi mi stai dicendo che comunque morirei, perché ormai lo shinigami Rem, ha visto e sa il mio vero nome? Anche se Misa Amane non ha recuperato questo death note contenente la lettera?” L sembrò incuriosito da questo dettaglio, come se non si stesse parlando della sua esecuzione, muoveva i piedi e gli alluci uno sopra l’altro in modo lento.
“Credo proprio di sì e come vedi Light ha creato questo secondo piano, nel caso Rem non ti avesse ucciso prima, facendomi poi spassare e scrivere quelle false regole.” Ryuk indicò il quaderno nero che L teneva tra le dita .
L rimase per molto a riflettere, dopo quelle affermazioni a brucia pelo fatte dallo shinigami.
Sembrò quasi avvilito, perché il suo gioco preferito sebbene prima avesse preso un’ottima piega, non si stava concludendo come voleva Lui. Infine parlò “ Non potrò provare l’autenticità di questo quaderno, non ne abbiamo il tempo materiale. Se le cose stanno così, vuol dire che abbandoneremo le indagini.” La voce di L era flemme e apatica.
Io e Watari ci voltammo sconcertati verso di Lui.
Non poteva essere! L, non poteva stare per rinunciare alla risoluzione di un caso.
Mi avvicinai a Lui preoccupata e impaurita, gli misi una mano sulla spalla in un gesto di conforto cercando di guardarlo in faccia.
Teneva il viso basso mentre osservava i suoi piedi cercandovi una qualche forma di interesse, ma la sua testa pensava ad altro.
Venne a farmi visita quella vecchia sensazione d’impotenza, la mia presa sulla sua tonda e snella spalla divenne più stretta, dovevo accanirmi contro la mia natura timorosa e stargli vicino.
Glielo avevo promesso, io ero il suo appoggio, dovevo continuare ad esserlo.
Poi lo shinigami ci tirò fuori da quel momento di sconforto parlando, forse mosso da compassione o forse perché tutto consisteva nel mandare avanti quel suo gioco di vite umane.
“Però c’è una cosa che non sanno né Light, né Rem. E che io so.” Disse Ryuk divertito senza abbandonare quelle sue fastidiose risate.
Ryuk accese repentinamente la curiosità di tutti e tre, non avevamo scelta dovevamo starlo a sentire.




5 Novembre 2004

Il giorno seguente mi svegliai molto tardi, credo fossero le dieci del mattino, ed iniziai ad armeggiare col mio armadio, tirando fuori i vestiti e sparpagliandoli sul letto ed infine ripiegandoli tutti nella valigia. Dovetti ammettere a me stessa, che in quei mesi in Giappone, ora mai avevo collezionato un guardaroba che avrebbe fatto invidia a qualunque altra ragazza al mondo.
Avrò messo sì e no la metà di quello che avevo, Watari a giorni alterni per consolarmi mi comprava un capo diverso, ed io accoglievo il suo gesto un po’ imbronciata per poi finire in un sorriso che si trasformava in risate che tentavo di soffocare. Lo contagiavo, facendo sorridere i suoi piccoli occhi ricoperti dalle folte e candide sopraciglia.
Ho sempre amato farlo ridere, il fatto di fargli perdere la serietà che gli infonde il ruolo di braccio destro di L.

Mi spostai nel salone ad osservare le ultime immagini, che mi venivano fornite della sala di controllo, mentre bevevo pigramente una tazza di latte e caffè rimasi per un attimo lì ferma a guardare come L avrebbe annunciato quella notizia.

“Ho deciso di abbandonare la indagini del caso Kira.” L esordì senza preamboli molto serio in viso e in maniera lapidaria.
Tutti i componenti del gruppo investigativo erano basiti e partirono uno per uno con le domande.
“Ma come?! Dopo tutta la fatica fatta decidi di mollare Ryuzaki? Abbiamo in mano buoni indizi, abbiamo il quaderno della morte!” disse Matsuda con tono concitato e deluso allo stesso momento.
“Già! Ci hai trascinato in questa storia, hai imprigionato Light e Misa, ci hai fatto passare notti insonni, ci hai fatto abbandonare le nostre famiglie, per cosa? Per svegliarci una mattina e trovarci davanti L il detective del secolo, che getta via la spugna?!” Aizawa era furente, ma venne bloccato dal suo sfogo da Souichiro Yagami e Mogi, che lo presero per le spalle fermandolo prima che piombasse su L.
“Ryuzaki, cosa ti ha portato a prendere questa decisione?” Disse l’ex-sovrintendente Yagami pacatamente e in maniera paterna.
“Ho preso questa decisione in base al fatto, che stiamo indagando su qualcosa a cui nessuno crederebbe e a cui nemmeno io credo. Lo dirò in modo diretto e schietto. Io non posso lavorare ad un caso in cui entrano in ballo forze maggiori e non umane. Quindi caso chiuso.” L ruotò la sua poltrona girevole davanti allo schermo del suo computer e prese un foglio. “ Non voglio altre domande. Vi chiedo solo di firmare tutti, anche Light…” L diede una veloce occhiata a Light Yagami che era lì di fronte a Lui “…questo foglio. E’ un documento che attesta che il caso Kira, si è risolto con la cattura di Kyosuke Higuchi e che parte del merito è vostro. C’è scritta anche una richiesta di riassunzione in polizia per Matsuda, Mogi e del sovrintendente Yagami. Inoltre per Light, un incentivo per i punteggi alla sua facoltà di studi. Firmato questo, avrete i compensi per il lavoro svolto con me.” Infine L concluse in maniera categorica e irremovibile “ Non voglio sentire altro. Per me il caso è chiuso, qualsiasi altra diavoleria ultraterrena verrà affrontata da chi di competenza, ma state pur certi che non sarò io a risolverla. Ora potete abbandonare questo quartier generale a tornare alle vostre famiglie. Vi chiedo di dimenticare chi sono ed evitare di rintracciarmi in futuro. Sarò io per qualsiasi evenienza a interpellarvi. Questo è tutto e grazie ancora per l’aiuto. ” L non lasciò repliche a nessuno.
Nemmeno Light ebbe nulla da ridire sembrò quasi sollevato, ma forse era qualcosa che avevo visto solo dalla mia prospettiva, poi parlò a favore di L “Beh, Ryuzaki posso capire cosa intendi e ti capisco. Quindi se ritieni giusto chiudere il caso, non saremo certo noi a non rispettare la tua decisione.” Light alzò le spalle facendo spallucce e poggiando una mano sul fianco in una mossa molto spavalda.
Gli agenti si limitarono a firmare amareggiati, per ultimo Light e nel momento in cui firmò notai una tensione, dell’elettricità, nell’istante stesso in cui finì di scrivere e si allontanava da L.
Non si guardarono in faccia, Light Yagami iniziò poi a incamminarsi verso l’ascensore, ma si bloccò e si voltò verso L e parlò “ A proposito di ultraterreno, cosa ne farai del death note? Dovrai eliminarlo, è pur sempre un’arma pericolosa? Non trovi?” Nel suo tono Yagami era quasi preoccupato, ma non per l’incolumità di L, questo era certo, ma per il fatto che non avrebbe più rivisto quel death note .
“Non preoccuparti Light, lo nasconderò in un luogo sicuro. Fuori dalla portata di menti pericolose e malate.” L lanciò quella provocazione in maniera lievissimamente velenosa, ma riacquistò subito un tono pacato e inespressivo come al solito dicendo “ Light, stasera si terrà una piccola celebrazione per la chiusura del caso, ci terrei che venissi anche tu. D'altronde è l’ultima volta che ci vedremo, no?” L tolse una mano che poggiava sul ginocchio e si portò il dito indice sul labbro inferiore, sporgendosi in avanti e rimase in attesa della risposta di Light.
“Certo, come potrei mancare Ryuzaki.” Disse educato e ironico Light che si voltò veloce e quasi seccato da quell’invito ed entrò nell’ascensore, sparendo dalla vista di L e dalla mia.
Rimasi a guardare ancora un po’ lo schermo, finché L non scese dalla sedia e si allontanò dalla sala di controllo, le luci gli si spensero dietro ed anche le telecamere.
Il tutto assunse una sfumatura triste e desolata.
Passarono alcuni minuti e sentii bussare alla mia porta, quando aprii trovai L davanti a me.
“ Belle, è ora di andare.” Era bello ma non saprei definire cosa lo rendesse così, mi limitai ad obbedire uscendo sul corridoio del mio appartamento e chiudendomi la porta dietro.



La sala era enorme e vuota, priva di ogni oggetto superfluo o componente d’arredo. Aveva le fattezze e la profondità in altezza, simile alle cattedrali in stile gotico.
Le vetrate, che fungevano da punto luce e finestre, erano immense, lucide e mostravamo l’imponente cielo grigio e scuro che somigliava, grazie a quell’ambigua mescolanza di colori, a polvere di piombo. Nuvole che iniziarono a scaricare con violenza l’acqua come se volessero ferire l’edificio.
Nell’oscurità più completa del salone, spiccava sul fondo una piccola nicchia, con dentro una statuetta della Madonna nella sua consueta posizione in adorazione. Con le mani congiunte e scivolando giù per la sua rosea veste, il suo piccolo, nudo e candido piede schiacciava la ripugnante testa del serpente.
La quiete nel salone venne interrotta dall’ingresso di qualcuno al suo interno, stridette come una nota venuta male in una perfetta melodia.
Quest’individuo si guardò intorno, sembrava quasi aspettarsi di trovare qualcuno e invece aveva trovato il vuoto e l’oscurità.
Ad un tratto venne attratto anche lui dall’immagine della Vergine immersa nella sua flebile luce. Si avvicinò e il chiarore della nicchia mostrò il suo volto.
Era Light Yagami.
Toccò i piedi della Vergine e poi rimase quasi impietrito, come se avesse trovato qualcosa di molto importante o come se nella sua mente avesse preso piede un pensiero inaspettato, come se avesse capito che era osservato.
“Light Yagami. Nella tua intera esistenza, hai mai detto una volta la verità?” La voce di L sensuale ed al con tempo ostile fece eco nella sconfinata sala.
Light si girò lentamente in direzione di dove aveva sentito la voce.
L era seduto nel suo modo rannicchiato su una solitaria sedia nell’ombra, lontanissimo, dalla parte opposta del salone a quella di Light.
“Ryuzaki, mi hai spaventato. Ma dove sono tutti?” Disse il ragazzo audace cercando di riacquistare sicurezza dopo l’improvvisa sorpresa.
“Arriveranno, non ti preoccupare. Prima c’è qualcosa che mi preme molto sapere.” L era minaccioso come non mai, faceva davvero paura vederlo così, mentre perdeva quella luce umana che si scorgeva in Lui solo quando portava i suoi occhi su di me o su Wammy.
Per Lui il resto del mondo era un nemico di cui non ci si poteva fidare.
Lo shinigami bianco attraversò la parete sinistra vicina a dove Lui era seduto , Watari aveva appena portato il quaderno e lo porse ad L.
“In quanti modi hai progettato di uccidermi?” Chiese L duro e prendendo tra le mani il death note, ma poggiandolo subito su uno sterile tavolino vicino a Lui.
Light fece finta di non aver capito e attuò subito la sua solita sceneggiata per difendersi “ Ma…Ma che diavolo dici Ryuzaki, ancora questa storia. Non ti sono bastate le prove che hai ottenuto, per farti capire che io sono innocente, che Misa è innocente.” Light guardò fulmineo in direzione di Rem.
“ No, non mi sono bastate, perché ora ne ho di nuove.” L fece un leggero sorriso e Wammy abbassò lo sguardo per guardandolo tornando poi a osservare Light.
“Che intendi dire? Non ce ne sono altre Ryuzaki. Che c’è stai bleffando di nuovo per scovare in me Kira? Vero?” Stavolta Light sembrò innervosirsi, fece per avvicinarsi ma fu bloccato da qualcosa, anzi sarebbe meglio dire vide qualcosa che lo arrestò.
Di colpo divenne bianco in volto.
L alzò la mano sinistra tenendo tra le dita il secondo death note, quello trovato da me nel parco Yoyogi. Poi la voce di Aizawa riecheggiò leggendo la lettera che Light aveva lasciato nel quaderno per Misa e avanzando verso quella poca, flebile luce che attraversava la trasparenza dei vetri e che veniva emanata dal riverbero esterno.
Il suono della pioggia che batteva e cadeva fuori fece da silenziosa colonna sonora alla lettura.
“Misa, quando leggerai questa lettera vuol dire che avrai già ricordato tutto. All’università hai incontrato un mio amico, che si è presentato come Ryuga Hideki, ma tu hai visto il suo vero nome. Te lo ricordi? Vorrei che lo scrivessi su questo quaderno e lo uccidessi, ti dirò io quando eliminarlo. Adesso brucia questa lettera, prendi solo alcune pagine del quaderno e tienile nascoste, lasciando il resto sotto terra ancora per un po’. Al nostro prossimo incontro sfiorami con naturalezza usando un frammento del quaderno. Se farai quanto ti ho chiesto ti amerò per tutta la vita.” Aizawa era molto serio e duro in viso.
Il silenzio cadde pesante e pian piano vennero fuori dal buio, come aveva fatto Aizawa dietro le spalle di L, Mogi, Matsuda e Souichiro Yagami.
Quest’ultimo con il viso sconvolto, incredulo e con gli occhi leggermente sbarrati.
Light messo di fronte ad un’evidenza così schiacciante trovò il coraggio di domandare e continuare “Che significa tutto questo Ryuzaki?! E’ assurdo! Io non ho mai scritto una cosa del genere. E quel quaderno…” Light indicò frenetico il death note tra le mani di L “… quel quaderno chi dice che sia autentico?! Non può esisterne un altro! E poi c’è quella regola dei tredici giorni, che garantisce la mia innocenza e quella di Misa!”
L sollevò lo sguardo quasi addormentato ma preso da una insaziabile ferocia “Quanto ancora pensi di poter mentire?” Si voltò a guardare lo shinigami Ryuk, che Light non poteva vedere e continuò “ Ti garantisco che questo quaderno con Shinigami correlato è autentico. Come è anche autentica la calligrafia che ho comparato tra il quaderno dello shinigami nero, la lettera e infine il documentom, che ho fatto firmare a tutti i componenti della squadra investigativa per la cattura di Kira. Ho voluto approfondire e provare con certezza che fosse la tua, vedere con i miei occhi come scrivi, come hai scritto i nomi. E in base a tutte le prove raccolte, la complicità con Amane e i nomi dei criminali che sono stati uccisi da Kira….anzi no, da te. Posso definire con assoluta certezza che sia tu che Misa Amane siete i due Kira. Sai? Forse ti sei rilassato un po’ troppo, perché non mi aspettavo che avresti firmato così placidamente quel documento. Pensavo che avresti addotto una qualche giustificazione e invece lo hai fatto, hai firmato.” L lento osservò la carta del documento talmente da vicino tanto da dare l'idea di essere miope.
“Ryuzaki, non dire sciocchezze!” Urlò stridulo Light, stava iniziando a perdere il controllo “ C’è la regola che mi scagiona! E la mia scrittura potrebbe….potrebbe essere stata copiata…e…e”
“No. Non ti scagiona affatto. So che è falsa. Mi è stato detto e provato dallo shinigami chiamato Ryuk.” Disse L con una specie di sorriso beffardo, più simile ad un sorriso sadico nel vedere il suo peggior nemico vacillare a quel modo.
“Ryuk….” Farfugliò Light “ Rem…” continuò con la voce rotta da un tono insano e gli occhi gli si erano assottigliati fino a divenire una fessura, racchiudevano il male, erano la concentrazione della perfidia. “Uccidilo!! Che aspetti se non lo uccidi ora per Misa sarà la fine!!” Cominciò a ridere sommessamente perdendo tutta la sua controllata compostezza, perse tutta la dignità e ritegno mettendo in evidenza che era lui Kira.
Lo shinigami Rem osservò L e lo guardò sbigottita poi squadrò Ryuk “ Non posso ucciderlo!” esclamò, ma non facendo intendere a una risposta negativa alla richiesta di Light, ma più al fatto che fosse impotente di fronte a quella richiesta.
Ryuk rise gracidante e divertito “ No! Non puoi ucciderlo così.”
“Ma che diavolo dici Rem! Come non puoi ucciderlo!?” Urlò Light lontano dall’altro capo della sala preso ormai dall’isterismo.
“E’ quello che ha detto lo shinigami Light. Non può ucciderlo.” Dissi uscendo anch’io dall’ombra e tenendo poggiata la mia mano sulla spalla di L. “Non può ucciderlo, perché sono io ad annullare l’effetto del potere degli occhi dello shinigami, a impedire l’efficacia e la validità del nome della persona che viene scritto sul death note. In pratica ne vegono annientati gli effetti. Come se fosse già morto.” Guardai Light Yagami che mi osservava smarrito, ma altrettanto velocemente abbassò lo sguardo torvo e minaccioso.
“E tu? Tu chi sei?” Mi gridò contro il ragazzo facendo un gesto con le braccia, che scosse tutta la sua persona e facendogli finire i suoi capelli ramati davanti agli occhi.
“ Lei è Belle Edwards ed è…” Iniziò L che venne però incalzato dallo shinigami Rem, come se lei volesse prendere la lancia e infilzare la carne della già precaria posizione di Light, prendendosi il gusto di suscitare ancora più vergogna e panico in lui.
“Lei è un essere benedetto. Non puoi fare nulla su di lei, nemmeno noi shinigami. E’ protetta da un dio più potente di noi, tanto da concederle l’impossibilità di leggerle il vero nome e la sua durata vitale. Lei è nata per assolvere il suo compito di protettrice e nemmeno tu Light Yagami, puoi niente su di lei e chi la circonda.” Lo shinigami espose il tutto con voce calma, profonda e rilassata, che ispirava saggezza, cosciente di ciò che stava accadendo.
“Vedi Light, la fortuna di avere qualcosa di divino non è capitata solo a te. E se penso che, se non avessi avuto con me Belle, a quest’ora sarei morto e tu avresti avuto il campo libero. Beh! Devo dire che solo all’idea che questa cosa sarebbe potuta accadere, provo un’irritazione che supera di gran lunga il sentimento della rabbia.” Disse L ironico. “Tu, hai trovato questo oggetto diabolico e ti sei arrogato il diritto di giudicare come un dio. Hai ingannato tutto e tutti, sei arrivato a fare le meschinità più assurde pur di portare a compimento i tuoi presuntuosi piani. Hai ucciso due agenti dell’FBI, criminali e avresti iniziato anche a sterminare persone ancora più innocenti, purché non intralciassero il tuo ossessivo operato. Io direi che queste che ho in mano e le mie altre precedenti prove, ti incriminino in una maniera schiacciante direi. E puoi star pur certo che nemmeno Amane la passerà liscia, sebbene ora ricordi molto poco e solo grazie a questo shinigami…” L indicò Rem puntandole il pollice contro e continuò “…l’ha messa ancora di più nei guai, perché ora dovrò comunque incriminarla per i suoi precedenti crimini.” L tornò ad osservare Light che tremava come una foglia e sembrava stesse per impazzire.
Lo vidi armeggiare con qualcosa al suo polso, credo fosse un orologio, ma la visibilità era pessima e cominciò a parlare “Sai L..” Light chiamò L per nome come avrebbe fatto Kira che aveva riconosciuto in Lui il suo reale nemico “ Mi chiedo solo una cosa, come hai trovato il secondo quaderno? Lo avevo ben nascosto? Nessuno avrebbe potuto sapere, se non io.” Light ansimava e le mani gli tremavano agitate, impedendogli di fare movimenti decisi e fermi.
“Non ti riguarda. Tu sei Kira e non devo dire a te con quali mezzi agisco. Non commetterò l’errore di dirti altro, non ci sono più sospetti Light. Adesso io so che tu sei Kira.” Disse L prolungandosi in avanti deciso.
“L, che sta facendo? Ha qualcosa sul polso.” Dissi incuriosita dalla azioni alterate di Light.
“ Ha un frammento! Light in più di un occasione ne ha nascosti lì dentro!” Rem esclamò allarmata capendo che cosa stava per fare Light.
“E cosa vorrebbe fare uccidere i presenti? Gli unici di cui conosce il nome?” Ero impaurita perché L e Watari sarei riuscita a proteggerli ma per gli agenti non avrei potuto fare molto, loro erano persone innocenti, non dovevano morire così.
“Ehi! Lihgt che ti salta in mente!” Urlò Aizawa iniziando a muoversi verso di lui.
“Light fermo!!” Continuò preso dal panico Matsuda, vicino a lui Souichiro Yagami che assumeva espressioni di sofferenza e incredulità nel vedere ciò che stava accadendo.
“No, vuole eliminare l’ultima prova che secondo lui confermerebbe, la sua già esistente colpevolezza.” L parlò basso e il suono della sua voce divenne profondo.
“Misa!” Disse Rem guardando L e che in pochi istanti senza pensare prese il suo quaderno lo aprì ed iniziò a scrivere, prima che Light finisse di annotare il nome di Misa, con un qualcosa di molto piccolo e probabilmente con il suo sangue, sul suo frammento.
Fu un attimo.
Il tempo sembrò fermarsi come nella mia visione in cui vedevo L cadere e morire, solo che ora la suo posto c’era Kira, Light.
Gli agenti corsero verso il ragazzo per fermarlo.
Souichiro Yagami continuò a rimanere di stucco per tutto il tempo senza dire una parola, cadde in ginocchio in uno stato di trans. Per un uomo come lui questa fu una delle prove che la vita non avrebbe mai dovuto porgli.
Rem scrisse il nome e Light si bloccò, lui la osservò disordinato e sorpreso, nel suo sguardo si percepì chiaramente che si sentiva tradito da tutto e tutti.
Kira, il traditore per eccellenza dell’intera stirpe umana, che andava contro tutti i principi di umanità, misericordia e giustizia, l’essere che era divenuto una menzogna vivente, stava morendo.
Tutto accadde in quei 40 secondi.
Rem si sgretolò in una massa informe di polvere e Light Yagami crollava a terra con il volto contratto dal dolore e dalla paura, riuscì solo ad urlare “Io sono Kira!” come se potesse salvarlo quel grido, la verità fu solo che ci confermò ogni cosa.
Poi il tonfo della sua caduta echeggiò nella sala, lasciando suoi volti di tutti i presenti il disgusto e l’angoscia, tranne che sul viso di L che aveva sbarrato gli occhi, come se avesse appena assistito ad una scena ancora più raccapricciante di quella a cui avevamo appena presenziato.
Credo che in quel momento L capì di aver avuto a che fare con un pazzo vero e proprio, non il valido avversario geniale quanto Lui, idealizzato per tutta quell’indagine.
“Pare che Rem mi abbia battuto, avrei dovuto scrivere io il nome di Light sul mio quaderno.” Ryuk esplose in una fragorosa risata, come se fosse appena stata fatta la battuta più esilarante al mondo.
Ancora vicina ad L, mi accorsi abbassando lo sguardo, che mi stavano tremando le gambe, poi lo guardai e Lui di rimando mi strinse con la sua mano la mia ancora poggiata sulla sua spalla.
L si voltò verso Ryuk e parlò “ Shinigami, io non userò queste armi per omicidi di massa, quindi li brucerò, compreso quello appena lasciatoci da Rem.”
Il dettaglio che mi stupii, fu che L aveva calcolato anche il fatto che lo shinigami Rem avrebbe agito in qualche modo per aiutare di nuovo Misa, pur non sapendo che uno shinigami legato da un particolare affetto ad un umano rischiasse la vita per allungare quella della persona amata.
Questo fu un dettaglio che lo shinigami Ryuk, confidò a me soltanto quando rimanemmo soli nel mio appartamento ore prima, ma credo che anche questo comprendesse il piano di gioco di Ryuk.
Mi chiesi fin dove arrivava l’intuitività di L, che era riuscito ad arrivare a tanto senza sapere.
Credo semplicemente che fu tutto dovuto al fatto che Lui, punti il tutto per tutto pur di arrivare alla soluzione e vincere.
Anche a rischio di far sacrificare una creatura divina.
Questo rende L diverso da ogni essere vivente sulla faccia della terra, Lui non si fa scrupoli di fronte alle debolezze altrui, per lo meno dei suoi nemici, questo lato di Lui mi attrae e fa paura allo stesso tempo.
Wammy raccolse il terzo quaderno, della polvere e dalla ruggine che pochi istanti prima era stata il dio della morte e lo portò su di un piccolo braciere vicino a L.
Ovviamente aveva chiesto Lui, che fosse predisposto lì per l’eventualità che avesse dovuto distruggere i quaderni e così fu.
Wammy accese la fiamma e dopo aver cercato il silenzioso assenso di L, ci buttò dentro il quaderno di Rem, poi quello di Misa e infine quello che era stato di Light.
Il primo, quello che aveva dato inizio a quel circolo vizioso di morti misteriose.
La fiamma che produssero i quaderni quando vennero bruciati, era violacea con sfumature blu e mi sembrò di sentire delle urla. Alcune disperate e altre di gioia come se fossero state liberate le anime delle persone che vi erano state scritte sopra.
La luminosità che produceva la lingua di fuoco inondò il viso di L che mormorò “E’ finita.”
Strinsi la sua mano e spostai gli occhi su Light a terra, tenuto tra le braccia del padre che si lamentava silenzioso con i mugolii di un pianto soffocato.
Gli agenti costernati e avviliti, da una parte per il ragazzo Light che era morto giovane e incosciente e dall’altra pagavano il prezzo della loro ingenuità e superficialità avuta in quell’indagine e con quel criminale.

Ricordo ancora la faccia di Aizawa quando venne convocato da L, dopo la farsa del documento da firmare.
L gli allungò la lettera di Light e lui la lesse in silenzioso, poi chiuse gli occhi scoraggiato e riuscì solo a domandare “Cosa devo fare L?” L lo guardò serio e diretto.
“Deve solo leggere questa lettera nel momento in cui alzerò questo quaderno per mostrarlo a Light Yagami. E’ tutto. Ci vediamo alle ore sedici nel salone numero 3 al ventunesimo piano. Mi faccia anche la cortesia di avvertire gli altri, ma non dica loro di questo nostro incontro e di ciò che ci siamo detti, ed inoltre mentre parlerò dovrete rimanere nell’ombra alle mie spalle e apparire solamente finita la lettura di quella lettera. Bene è davvero tutto ora. A dopo.” L si girò pigro a guardarmi, risposi al suo sguardo scrutandolo di rimando in maniera addolcita.
Aizawa mi osservò, non si era nemmeno accorto della mia presenza vicino ad L, preso dalla lettura e mi domandò "Tu sei la ragazza che abbiamo incrociato io e Matsuda sul corridoio del Hotel K?”
“Sì, sono io.” Gli sorrisi leggera.
Era un ottimo agente non c’era nient’altro da dire, forse non fu una casualità che L scelse lui per compiere l’ultima mossa per intrappolare Kira.
Aizawa sorridendo amaro non mi chiese altro, abbattuto si allontanò e attese l’ora dell’importantissimo appuntamento.

Mi distrasse dal ricordare e da quella immagine pietosa della morte di Light, un sottile raggio di sole, che timidamente si apriva man mano che le nuvole gli lasciavano spazio.
Attraversò i vetri e si spalancò lentamente, allungandosi verso il corpo senza vita di Light, mostrando tutta la sua freschezza e purezza giovanile.
La sua espressione in viso era pulita libera dal male che lo aveva posseduto.
Provai compassione per lui. Non avrebbe mai conosciuto né l’inferno e tanto meno il paradiso.
“Bene, ora direi che dovrò tornare nel mio mondo. Credo che mi annoierò molto.” Ryuk spezzò, con le sue solite maniere fuori luogo, l’atmosfera dolorosa e luttuosa.
Mentre lo shinigami faceva per allontanarsi le parole di L lo fermarono.
“Shinigami.” L non lo guardò, il suo sguardo rimase fisso a osservare Kira morto davanti i suoi occhi e continuò “ Cerca di non far cadere altri oggetti di questa risma sulla terra, altrimenti dovrò bruciarli tutti.”
Lo shinigami riprese a camminare ed attraversò il trasparente vetro della vetrata-finestra e spiccò il volo.
Volevo muovermi, volevo dire addio a quel qualcosa di orrido a cui fui anche capace di affezionarmi.
Ma avevo paura di lasciare il contatto fisico con L, avevo paura che quel mostro potesse rispuntare fuori e portarmelo via.
Wammy mi carezzò la testa e mi infuse coraggio ed L mi diede un tacito permesso con uno sguardo stanco ma sollevato.
Io mi mossi, feci scivolare la mano che proteggeva L e andai a guardare fuori.
Superai con lo sguardo le gocce che scivolavano sul vetro, osservai il mostro che aveva infestato i miei sogni andare via per sempre.
Non l’avrei rivisto mai più.
Divenne un punto nero tra le nuvole schiarite, che si erano sfogate e liberate, come il mondo che fu liberato da Kira grazie ad L.



Ciao a tutti miei lettori/lettrici. ^___^
Perdonatemi innanzi tutto, perchè con molta probabilità questo capitolo non sarà stato per niente esaltante e tanto meno particolare. Ma ormai mi conoscete, mi butto e provo. In più volevo reinventare la fine di Death Note dato che la versione ufficiale ha lasciato malissimo, tutte le fan di L (compresa me ç__ç) e poi vedere Light strisciare "me gusta!".
Quindi ecco la mia (pietosa) versione.
Scriverò il prossimo e ultimo capitolo per la gioia (mia) e delle più romanticone.
Ancora grazie per chi ha letto e leggerà, recensirà e mi inserirà nelle varie cartelle.
Baci Baci   Ama82

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Capitolo 37
*** Nessuna campana ***


              Nessuna campana





Quella fu la prima notte senza sogni, incubi o percezioni .
Fu puro riposo, non ricordavo di aver dormito a quel modo e così pesantemente, prima del caso Kira.
Mi sembrò di essere tornata me stessa senza particolari doti.
Quando mi svegliai, parve perfino impossibile che mi trovassi nella mia vecchia stanza alla Wammy’s House.
Tutto era rimasto come lo avevo lasciato…il mio letto coperto dalla mia morbida trapunta in piume d’oca, il mio comodino con gli angoli rotondeggianti su cui avevo lasciato il mio solito bicchiere d’acqua, la lampada da tavolo, la mia scrivania dove ora spiccava il mio nuovo portatile e la splendida finestra di spalle al mio letto, che mi proiettava sul bellissimo spettacolo del giardino.
Il mio giardino.
Quando rientrai nella mia stanza la sera prima, ne respirai a fondo l’odore… sentivo ancora il profumo vanigliato che lasciava L ogni volta che mi faceva visita, il profumo dei bambini che mi portavo dietro dalle classi e dai giochi, perfino la fragranza che uso di solito albergava invisibile ma predominante su tutti quegli aromi.
Ero a casa e non mi sarei mossa di lì, per nessun motivo a questo mondo.
Forse neppure se L me lo avesse chiesto in quel’istante preciso.
Non finii di pensare che avvertii bussare alla porta.
“Avanti.” Dissi con un tono di voce ancora assonnato sebbene mi fossi destata da molto.
Entrò Wammy, fu un sollievo vederlo vestito in maniera informale e non con il suo completo da maggiordomo. Indossava il suo golfino beige, la bianca camicia, i pantaloni elegantissimi, le scarpe marroni e lucide.
Sembrò aver fatto un balzo indietro nel tempo, nel periodo in cui ci incontrammo davanti alla cancellata dell’istituto.
“Non hai fame Belle?” Mi domandò sorridendo, portando tra le mani una tazza di latte e caffè calda e un croissant alla crema.
Non attuava più cerimoniosità con me e questa piccola cosa mi faceva sentire davvero sua figlia, mi conosceva bene allo stesso livello di come conosceva bene L.
Wammy si accomodò sedendo sul letto e anche io mi sollevai a sedere, presi la tazza, il croissant che mi porse, sorrisi di cuore e lo guardai.
“T u non puoi immaginare da quanto desidero questo?”
“Cosa? Che un anziano venga nella tua stanza?” Disse Wammy ridendo sotto i baffi.
Scoppiai a ridere sommessamente e dissi altrettanto spiritosamente “No, no! E’ solo che è sempre stato il mio sogno avere un uomo che mi porta la colazione a letto. Quello che ho non si abbasserebbe a farlo e se lo facesse credo che saprei che la fine del mondo è vicina.” Continuai a ridere facendo sorridere anche Wammy.
“Lui ti sta aspettando lo sai vero?” Disse cercando di tornare serio.
“Sì, lo so. Ma me la prenderò con calma, è molto che non lo vedo come si deve. Ho bisogno di fare training autogeno.” Abbassai gli occhi per poi riportarli su Wammy, che si alzò e si diresse verso la porta poi si fermò prima di aprirla e mi bloccò parlando mentre stavo per addentare il croissant.
“Belle. Grazie.” Disse con sguardo sereno e di chi è davvero grato.
“Grazie per cosa? Io non ho fatto nulla, ho solo dato una mano. Tutto qui. Lui è l’unico da ringraziare. Tu sei quello da ringraziare. Perché, se non mi avreste permesso di far parte delle vostre vite, probabilmente la vostra bellissima e preziosa esistenza, sarebbe stata strappata da questa terra. E ti assicuro che anche non vi avessi mai conosciuto, per me sarebbe stato importante sapere vive delle persone come voi, che proteggono questo mondo. Che mi proteggevate, nonostante non avrei mai saputo chi foste. Quindi il merito sarà sempre e comunque vostro. Il merito sarà sempre e comunque il Suo.” Dissi seria e con una vena di commozione nella voce.
Wammy non aggiunse altro, abbassò il capo e tolse i suoi occhiali, prese un piccolo fazzoletto con fantasia a quadri dalla tasca e se lo portò agli occhi.
Rindossando le lenti uscì rivolgendomi un leggero sorriso commosso e chiudendo la porta.
Dovevo aver reso davvero felice il mio Qullish, con quelle parole.
Ancora con il sorriso sulle labbra volsi il mio sguardo alla finestra.
Fuori non c’era ancora quel sole primaverile e caldo che cercavo, c’era quel clima inglese che mi era mancato, nuvoloso e con una sottile pioggia di Novembre che cadeva quasi invisibile.
Ma non me ne importò molto, ormai il mio sole era nella mia stanza, nei corridoi, nelle aule, nella camera di L, poco importava se il tempo all’esterno fosse pessimo.
Smisi si poltrire nel letto e iniziai tutte le mie azioni quotidiane con il sorriso in bocca e mentre indossavo il mio maglioncino in lana, davanti allo specchio, fui perfino capace di sentirmi anche un po’ addolorata nei confronti di Light.
Non per lui come Kira, ma per tutto quello che aveva lasciato dietro di sé. La sua famiglia sarà stata sicuramente distrutta da ciò che aveva fatto.
Misa arrivò a suicidarsi dopo pochi giorni dalla sua morte, fu trovata nel suo letto, nella posizione fiabesca della bella addormentata, pallida e abbigliata con abiti in stile gothic scurissimi, intossicata con pillole di medicinali vari. Ci riferirono che a primo sguardo sembrasse davvero una bambola in porcellana, riposta lì sul letto con cura per impedire che si rompesse.
Quanta inutile tristezza e dolore aveva portato quel patto stretto con un dio della morte e Light non se ne era nemmeno accorto.
Alla fin fine quando c’è una guerra, è di norma che chi vince gioisca della propria vittoria e chi perde pianga la sua sconfitta e i suoi errori, ma in quella guerra gli unici che avrebbero pagato le conseguenze di quelle scelte sbagliate, sarebbero stati, la famiglia di Light Yagami, le persone che gli erano vicine e che lo conoscevano.
La sofferenza e l’infelicità l’avrebbero vissuta loro non lui.
Ancora pensierosa salii la terza rampa di scale che portava alla stanza di L, non mi accorsi che vi arrivai in un baleno.
Aprii la porta, entrai, ma non vi trovai traccia di L.
Anche da L era rimasto tutto come lo aveva lasciato, ma nella sua camera l’assenza era sempre qualcosa di costante nonostante anche Lui vi fosse dentro.
Nessun oggetto che lo distraesse, se non il suo computer, quell’unico letto messo lì per me e che Lui non avrebbe mai usato, le finestre con le persiane chiuse sebbene fosse giorno.
Probabilmente aveva già trovato un caso un po’ più umano da risolvere.
Ero così ansiosa di vederlo e cominciai a girare in tondo nella stanza, poi pensai che potesse essere addirittura andato fuori sotto la pioggia.
Uscii, chiusi la sua stanza e mi diressi alla quercia.
Perché sapevo quanto quel posto gli piacesse, era lontano e isolato dell’orfanotrofio, lontano da occhi indiscreti.

Mi affacciai sull’uscio della porta della cucina, che dava sul retro dell’istituto e scesi le poche scale che davano sul prato.
La finissima pioggia di qualche ora prima era diventata più forte e cadeva pesante, ci misi un po’ ad arrivare alla quercia, perché le gocce mi impedivano di vedere bene davanti a me finendomi negli occhi. Provai a coprirmi la testa con le mani, cercando una forma di protezione dal bagnato, ovviamente avevo dimenticato di prendere un ombrello e mi inzuppai.
Da prima i capelli, che divennero più scuri poi di seguito la maglia e i jeans.
Pian piano che arrivavo alla meta, iniziavo a intravedere un particolare di L.
Inizialmente i suoi capelli neri divenuti lucidissimi sotto l’acqua, la sua maglia bianca divenuta rosea perché attaccata alla pelle dal bagnato e di seguito, i suoi jeans e le sue scolorite, distrutte scarpe da ginnastica.
Mi sembrò perfino più alto nonostante la leggera curvatura della sua schiena.
Correndo leggermente, mi avvicinai sotto l’imperfetto riparo della quercia dove si trovava L.
Lo guardai riuscendo solo a dire il suo nome, come se non avessimo fatto un viaggio di ritorno, come se non ci fossimo mai visti prima d’allora.
“L.”
Si voltò lento e mi guardò, sembrò non essersi accorto di me, non si aspettava di vedermi lì, poi come se lo avessi abbagliato con qualcosa di luminoso accecandogli gli occhi si girò svelto .
“Non le sento sai. Hanno smesso e da un bel pezzo.” Parlò sbarrando leggermente lo sguardo con voce monotona e un pizzico infantile.
“ Intendi le campane?” Dissi leggermente affannata, ma capii subito che si riferiva a loro, alle campane.
“Sì.” Disse alzando gli occhi a osservare il fogliame della enorme pianta che ci sovrastava e faceva piombare giù, filtrando di foglia in foglia, consistenti gocce d’acqua.
“Allora è un bene che tu non le senta più.” Abbassai il capo riflessiva, perché sapevo che quelle campane, quel suono, se avesse continuato a sentirlo, io ero cosciente a cosa lo avrebbe condotto in seguito.
“Scusami Belle, dico sempre cose senza senso. Non starmi a sentire.” Stavolta abbassando Lui la testa e alzando leggermente le spalle, in un gesto che lo fece apparire hai miei occhi indifeso.
“No! Tu…tu non dici mai cose senza senso. Se è per questo, io vedo cose senza senso.” Dissi difendendolo, giustificandolo e sollevando la mia testa per osservarlo.
Mi guardò anche Lui e i suoi occhi erano infiammati, come non li vedevo da tempo, quel tempo che ci fu tolto per un anno intero.
“Sai Belle, non credevo te lo avrei mai detto, così direttamente, sai che non è da me…” poi esitò rimuginando ma continuò con estremo sforzo “ …ma sei molto bella. Non perché ora la pioggia fa apparire il tuo capelli scuri facendo risaltare la tua pelle e la tua figura. Non solo perché le tue guancie e le tue labbra stanno diventando di un rosso vivo. Ma perché sei un sollievo costante, il risposo che non mi concedo, le parole che non so dire e quello che so di non essere. Quando ho detto a Light Yagami, che se non fosse stato per te sarei potuto morire, ho avuto il timore che tu avessi potuto pensare, che ti avessi usata per salvarmi la vita. E l’ho fatto nonostante…” Si fermò incerto di nuovo non sapeva esprimersi in certe cose, si limitò ad abbassare gli occhi facendo gocciare l’acqua che scorreva sul suo viso fino al mento.
“Sì. Lo so. Lo hai fatto. Ma so anche che, se non te lo avessi lasciato fare, ora…ora…” La mia voce si incrinò al solo pensiero della premonizione di morte che avevo avuto su di Lui.
“Avevo capito anche questo, che avessi percepito qualcosa. L’ho compreso quando ho visto la tua faccia e mi hai messo davanti il quaderno con la lettera.” Disse tornando a scrutarmi. Iniziai a tremare dal freddo e nonostante tutto non mi spostavo, rimanevo lì a guardare Lui e Lui a guardare me.
La pioggia scrosciava lenta e produceva un suono che cullava come una nenia.
Poi L fece qualche passo verso di me e mi prese con delicatezza una ciocca di capelli, alzò gli occhi sul mio viso, vidi l’ombra dell’arbusto mettere in evidenza lo scuro dei suoi occhi e delle occhiaie, in maniera infantile tradito dal suo tono profondo di voce mormorò “ Mi perdoni?”
Mi avvicinai ancora di più a Lui e mi lasciai abbracciare.
Da quanto desideravo sentirlo, il suo contatto, chiusi gli occhi e percepii il calore del suo corpo, nonostante il freddo e l’acqua.
“L, tu non hai niente da farti perdonare, per lo meno da me. Con me non hai mai sbagliato, te lo posso assicurare. L’unica colpa che avresti potuto avere, sarebbe stata che mi avresti lasciata sola…” Mi strinse ancora più forte perché capiva perfettamente il concetto più profondo dell’abbandono poi proseguii “… e che avresti posto ad una scelta ardua e crudele due creature. Le avresti scaraventate in un mondo, che per quanto loro siano geniali, nemmeno possono comprendere. Perché non le hai preparate abbastanza ad affrontarlo. Ma alla fine tu non ha comunque colpe perché sei qui. Sei vivo.” Ripiegai la mia testa sul suo collo e mi lasciai andare alla lacrime che si mescolavano alla pioggia, ma si differenziavano da essa solo per il fatto che fossero calde.
“Beh, non ci sarebbe neanche motivo di piangere allora.” Disse sdrammatizzando sotto voce.
“Lo so, ma non ce la faccio proprio, ho resistito finché ho potuto L.” Dissi singhiozzando.
“Sì, hai resistito molto Belle e ti ringrazio. Hai dimostrato un coraggio e capacità, che non pensavo potessi avere. Ma adesso siamo a casa e non andremo da nessuna parte.” Continuò bisbigliando piano vicino la mia testa e iniziando a dondolare. “Hai qualche richiesta in particolare?” Disse rilassato e senza enfasi.
“No, niente in particolare. A parte il voler rientrare in casa perché sta per imbrunire, per il freddo e il non volerti stare lontana per tutta la sera.” Boffonchiai ancora chiusa al suo collo.
“Hai dimenticato il particolare che siamo bagnati fradici. Ma tutto sommato sono richieste esaudibili” Aggiunse continuando poi “Sì. Direi che è il caso di tornare a casa Belle.”
Seguitò a stringermi per molto sembrava non volersi staccare da me, abbassò la testa sul mio collo, respirò facendomi fare un sussulto e disse “Stavolta ho avuto davvero paura di non farcela.”
“Ma ce l’hai fatta L.” Parlai nel suo orecchio poi ci divincolammo dall’abbraccio.
Mi prese per mano e mi feci guidare da Lui verso la porta della nostra casa.
La Wammy’s House.


Posso assicurare che da quel momento in poi, la mia vita non fu né troppo noiosa, né troppo movimentata e la tristezza fu annullata completamente.
Le mie lacrime furono conservate solo per la gioia e i miei battibecchi più estremi con L.
La verità è che a Lui è sempre piaciuto farmi piangere, perché adora consolarmi a modo suo subito dopo. Adora quando entriamo in discussione e sa di avere ragione Lui sempre e comunque, sa che il mio contrastarlo è uno stimolo, un gioco dove può vincere facilmente e dove anche io mi diverto.
A me piace lasciarlo fare.
Credo che non conoscerò mai una gioia così immensa come stare con L e Quillish Wammy .
L, ora si dedica solo a casi umanamente comprensibili, per lo meno per la sua testa e allertò ogni forma di autorità mondiale, che se ci fossero state delle morti sospette o strani accadimenti intorno ad esse, questi casi, venissero immediatamente passati a Lui, perché era probabile poterli collegare a un death note ed a un nuovo Kira.
L fece tutto questo per intervenire tempestivamente e arrivare al quaderno per distruggerlo, ovviamente senza farsi vedere mai più in volto a nessuno .
Non avrebbe più commesso l’errore di mostrarsi a individui che potessero avere un potere omicida di quel genere.
Near e Mello finalmente avrebbero avuto tutto il tempo di crescere e anche L avrebbe avuto tutto il tempo di decidere, quale successore avrebbe preso un giorno il suo posto.
Sempre che abbia in mente davvero che scelta fare tra i due, è tutt’ora molto indeciso o forse no, tende semplicemente a tenerlo per sé.
Io posso solo dire che adesso con Wammy e Roger, ho iniziato a imparare come gestire l’orfanotrofio e posso assicurare che non è per nulla semplice, a tratti è molto più facile seguire i giri mentali di L.
Ma alla fine delle mie giornate c’è sempre Lui che fa capolino sulla porta della mia stanza e si siede vicino al mio cuscino, mi abbraccia, mi bacia.
L’unico mio rimpianto rimane mio padre.
Chiedo sempre di lui e sue notizie, non lo potrei mai dimenticare o abbandonare, rimarrà sempre nel mio cuore.
E adesso che sono arrivata ai miei vent’un anni d’età, posso dire che ho una vita così piena e diversa allo stesso tempo, che posso solo credere che non potrei desiderarne una diversa e dedico il mio ultimo pensiero a Lui.


Dedico a te L questo mio racconto, perché voglio farti sopravvivere al tempo, perché so che mi mancherai un giorno, perché per me non sarai mai e soltanto una L su uno schermo, perché per me non sarai mai un personaggio inconsistente e narrato nelle leggende metropolitane.
Perché anche se all’apparenza sei schivo e freddo, voglio mostrare che hai un’anima calda, che smuovi passioni e tormenti potenti, le combatti con la forza della tua logica e razionalità.
Voglio rivelare che sei in subbuglio costante, mentre sei fermo esteriormente, chiuso nella tua postura accovacciata.
So che non sarai eterno come non lo sarò io, ma voglio mantenerti in vita con questa mia cronaca della parte più movimentata della tua e della mia esistenza.
Tu per me esisti, ci sei, io ho il grande privilegio di poterti parlare, toccare, vivere e per me non c’è onore più grande.

Tua col cuore e con la mente Belle.

                                                                                      Fine.



Ciao a tutti è con le lacrime negli occhietti che a malincuore ho messo la parola fine alla mia prima storia.
Mi dispiacerà moltissimo non scrive per un po’ di L.
Confesso che sono comunque felice perché, ho trovato molto appoggio e sostegno dai miei lettori e tante bellissime parole di apprezzamento per questa storia.
Quindi un grandissimo grazie a voi, perché se non fosse stato per il vostro sprono probabilmente non sarei mai migliorata.
Ma non vi abbandonerò ( lo so speravate di liberarvi di me vero? Ahahahaha) perché ho iniziato già una nuova storia, vi linko qui sotto il primo capitolo e spero che vi piacerà anche questa.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=990669&i=1

Baci baci Ama82

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