La pioggia sulla pelle

di Haruakira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il silenzio della mia voce ***
Capitolo 2: *** 2. Imperfetti ***
Capitolo 3: *** 3. Judaime (ovvero la famiglia Vongola) ***
Capitolo 4: *** 4. Il vecchio e il nuovo ***
Capitolo 5: *** 5. Ricordi sotto la neve ***
Capitolo 6: *** 6. Sotto un' altra neve ***
Capitolo 7: *** 7. Illusioni ***
Capitolo 8: *** 8. Qualcosa. Qualcuno. ***
Capitolo 9: *** 9. Musica ***
Capitolo 10: *** 10. Fango, il dolore della pioggia ***
Capitolo 11: *** 11. Aishiteru ***
Capitolo 12: *** 12. La pioggia sulla pelle ***



Capitolo 1
*** 1. Il silenzio della mia voce ***


cap. 1 pioggia sulla pelle
-La pioggia sulla pelle-







Capitolo 1
Il silenzio della mia voce

Y
amamoto Takeshi non era lo stupido idiota del baseball. Questo Hayato lo aveva capito bene. Non era uno stupido, Yamamoto, anche se rideva tanto e forse troppo. Chi del resto poteva dire di averlo visto arrabbiato? Chi poteva dire sinceramente di avere visto uno Yamamoto diverso senza dovere per forza associare il suo nome a una faccia allegra e a una risata spensierata, a un paio di occhi che sorridevano essi stessi di serenità e di gioia? Nessuno.

Tranne me.- mormorò una voce stanca ma decisa.
Ho visto in quegli occhi la lama brillante della sua spada, quella spada che taglia e divelte, che sfida fiera e superba i suoi avversari. Ho visto quegli occhi gridare di testarda cocciutaggine davanti ai più fieri avversari, deciso a non morire e a non dover soffrire a sua volta per la perdita dei suoi amici, i denti digrignati per non cadere. Il dolore non era per lui.
Ho visto il sorriso di quelle labbra serrarsi in una linea dura, le sopracciglia distese in una linea morbida aggrottarsi.
E io stesso a volte sono stato causa di tali cambiamenti.
Lo odiai, lo sfidai, lo invidia, quell' idiota, con tutto me stesso senza sapere che quella sfida aveva un solo concorrente e quello ero io.

Gokudera chiuse gli occhi aspirando l' ultima boccata di fumo prima di alzarsi stordito dal letto, in una stanza troppo buia, troppo vuota, dove l' aria viziata sembrava essersi fermata, ristagnando in un silenzio immobile e pesante.
Non c' era posto per la luce, non ce ne sarebbe stato più, nemmeno il più timido raggio di sole filtrava dalle persiane abbassate. Era forse fuggito il sole?
-Non me ne stupirei.- E le labbra del ragazzo che aveva pronunciato questi pensieri si distesero in un sorriso ironico e amaro.
Gokudera cercò di alzarsi dal letto buttando di lato le lenzuala leggere già arrotolate su stesse per i suoi sonni inquieti, annaspò cercando qualcosa sul comodino. Una sveglia? Ottenendo l' unico risultato invece di far cadere qualcosa che si ruppe in mille pezzi ai suoi piedi. Hayato fece un passo mettendo le mani avanti per raccogliere distrattamente quanto caduto: Una cornice e una foto, una stupida foto.
-Cazzo!- Una scheggia lo ferì alla mano ma Hayato fissò per un momento la ferita bruciante fin quando  lo sgurado fu attirato dalla foto sul pavimento.
Una stupida foto. Una maledettissima foto. Io nemmeno volevo farla, idiota! Questo taglio è come te... brucia, dannato. Brucia e fa male. Avevi detto che non te ne saresti andato.
Bugiardo!
Idiota!
Lo hai fatto alla prima occasione. Non sei un santo Yamamoto, non sei altruista. Sei un babbeo egoista.
-
Fottiti!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola, gridò al nulla, al silenzio della sua stanza. Gridò alla sua solitudine, a Yamamoto che non poteva sentirlo.
Strappò la foto che li ritraeva insime. Una delle ultime scattate durante una gita in montagna con tutti gli altri al ritorno da quello stupido viaggio nel futuro. Li fece in mille pezzi con rabbia buttandoseli alla fine alle spalle diretto verso il bagno.

Tre mesi, dodici giorni, ventidue ore e quattordici minuti. Questo è il lasso di tempo in cui sono tornato a dannarmi l' anima. A marcire nella mia solitudine e nella mia rabbia. Non lo sai tu cosa è successo in questo tempo. Non lo sai perchè non ci sei.
Credevo che mi avresti salvato, credevo di potere diventare indispensabile per te come tu lo eri per me. Evidentemente mi sbagliavo. Mi hai lasciato anche tu. O forse è stata solo colpa mia. Ma io non riesco ad essere come te, a sorridere, a dire ti amo come se ti chiedessi di passarmi lo zucchero.
-Riesci solo a darmi dell' idiota e a tenermi il muso. Perchè Gokudera?- mi hai chiesto quel giorno sul terrazzo. Eri serio, maledettamente serio. E incazzato.
-Non capisci un cazzo- sbottai dopo un attimo in cui rimasi in silenzio spiazzato. Ma in fondo che volevo pretendere. Avevi ragione tu.
-Sono senza certezze- mi hai detto laconico alzando i tacchi.

E' l' inferno.
E' iniziato.

Riempì la vasca da bagno. Chiusa la porta dietro di sè il vapore invadeva la stanza, pesante. Gli girava la testa, ma in fondo che importava? Si immerse nella vasca piena d' acqua e rimase lì in attesa, consapevole che quell' acqua, così pura, delicata, non avrebbe lavato via i suoi affanni, non si sarebbe portata via nè i suoi pensieri nè le sue angoscie come fa invece il corso lento di un fiume che lava via il fango e i suoi vermi.
Non era possibile Hayato, perchè solo quell' acqua in cui eri immerso ti ricordava lui. Così placido e calmo, così opposto a te.  Yamamoto è la pioggia, è la pioggia che lava via tutto.  Tu sei la tempesta, la tempesta che tutto distrugge.
Respirò profondamente uscendo un braccio dall' acqua e portando la mano in alto proprio davanti ai suoi occhi. Si osservò vedendo la pelle bagnata di mille goccioline delicate. Erano come la pioggia.

Il mio braccio bagnato in quel momento si confuse con la pelle bagnata dalla pioggia incessante. Quella che mi feriva la pelle non era una di quelle dolci pioggerelline, no, era quella furiosa di un temporale. Non sarei dovuto uscire, non con quel tempo almeno ma avvertivo l' urgente bisogno di vederlo. Non ne potevo fare a meno, era più forte di me. Mi resi conto che era difficile stargli lontano, così  difficile che mi ritrovai davanti alla porta della sua casa per qualche minuto buono indeciso se suonare o meno. Poi quella porta si aprì e Yamamoto si ritrovò di fronte la mia faccia accigliata e di pessimo umore, come sempre.
-Dove vai?- chiesi indifferente
-Da te- fu la risposta sorridendo
-Sono qui- feci entrando e superandolo all' ingresso intimamente felice perchè anche lui non poteva fare a meno di me. Sarebbe venuto in barba al temporale, io lo avevo solo preceduto.
Quella volta facemmo sesso -l' amore- per la prima volta e mentre lui mi spogliava dei vestiti zuppi la mia pelle accoglieva una pioggia ben più dolce. E la tempesta fuori sfumava lentamente in pioggia quieta.*





ANGOLO AUTRICE: Questa doveva essere una semplice shot. Evidentemente non lo sarà. Mi scuso per il linguaggio poco... aehm... poco. Punto.
*L' ultima parte, appunto segnata con l' asterisco si ispira alla mia shot "Sotto il cielo scuro" ed effettivamente questa long nasce propria a partire da lì.
Ripeto per la millemillesima volta che non sono molto avvezza a confrontarmi con KHR e i suoi personaggi, dunque critiche e consigli saranno ben accetti, al di là del fatto che mi piacerebbe sapere il vostro parere, soprattutto se la storia vi piace perchè è anche più piacevole per me lavorarci su, di sicuro con maggiore solerzia. Mi auguro che i personaggi non risultino OOC nel qual caso perdonatemi, eventualmente provvederò a correggere il tiro o a mettere l' avvertimento. Un saluto,
Haru.


DISCLAIMER: I personaggi di Katekyo Hitman Reborn non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.

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Capitolo 2
*** 2. Imperfetti ***


c. 2 la pioggia sula pelle
Vi prego di leggere le note dell' autrice in fondo alla pagina per un paio di precisazioni
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Capitolo 2
Imperfetti

Noi siamo imperfetti, insieme di sicuro siamo imperfetti.



Bianco e nero, freddo e caldo, cielo e terra, sole e luna. Non sono forse opposti che si respingono e lottano in una guerriglia senza fine finchè uno dei due non soccombe?
Ma cosa accade quando il bianco e il nero si incontrano? Non si amalgano forse in un grigio neutro in cui essi convivono unendosi senza che tu possa riconoscere bianco o nero?
E il cielo e la terra? Divisi sì, ma la bellezza del creato non sarebbe forse mutila se uno mancasse? Non morirebbe la vita?
Il sole e la luna infine. Qualcuno mi direbbe che non si incontrano mai, che sono l' uno all' altro stranieri, che la loro, se anche un giorno nel caos primigenio si fossero potuti incontrare, sarebbe una storia impossibile. Io risponederei a quello sconosciuto qualcuno di guardare il tramonto, quando il giorno sfuma nella notte e la notte abbraccia timidamente i raggi del sole.
Ma nonostante questo ragionamento romantico bianco e nero non sempre riescono ad equilibrarsi in un monotono grigio, il cielo e la terra rimangono separati, ognuno immobile al suo posto, il sole e la luna non si toccheranno mai, a farlo per loro nello spazio di un tempo irrisorio saranno solo le sfumature dei loro raggi impalpabili. E caro lettore anche le anime degli uomini possono essere infine come il sole e la luna, in bilico tra la smania di incontrarsi e la distanza che inevitabilmente li separa e dunque godranno, finchè sarà loro concesso, di quello spazio che è il tramonto, in cui finalmente riusciranno pallidamente a lambirsi.

Eppure insieme, io e te siamo imperfetti.
Avrei voluto non crederci, Hayato.
Ho provato ad amarti ma forse l' ho fatto nel modo sbagliato.

-Un talent scout mi ha visto giocare-
aveva detto Yamamoto correndo in classe diretto al banco di Gokudera. Ad accoglierlo una faccia seria e un brutto presentimento per ciò che quella frase avrebbe potuto significare per loro.
-E quindi?- aveva chiesto aggrottando le sopracciglia.
-Ha detto che sono bravo, bravissimo- Rise Yamamoto scompigliandosi i capelli con la mano.
-E' ovvio. Sei un idiota del baseball. Non sei solo idiota- sbottò Hayato incrociando le braccia al petto, orgoglioso di Yamamoto.
-Hayato- la voce si era fatta seria all' improvviso, le labbra non erano inclinate più in un sorriso spenzierato- mi ha chiesto di giocare nella sua squadra.  E' lontano.
Silenzio.
Solo un immobile silenzio.
Le gambe di Hayato prima distese pigramente sul banco si piegarono compostamente fino a raggiungere terra così che il ragazzo rimase seduto sulla sedia in una posizione più consona ad un' aula scolastica.
-Mh- lo sguardo vuoto non poteva dire nulla.
Poi la campanella suonò e in classe rientrarono Tsuna e gli altri. Il Decimo boss dei Vongola girandosi per parlare con Kyoko cadde rovinosamente andando a sbattere contro uno dei banchi.
-Judaime!- urlò Gokudera alzandosi di scatto mentre Yamamoto rimaneva lì  fermo a guardare quel quadretto quotidiano.

Non mi aveva mai dato fastidio, Gokudera. So quanto Tsuna conti per te. So che non è lo stesso amore quello che provi nei miei e nei suoi confronti, so che la tua è lealtà, devozione e ammirazione. Ma in quel momento, quando aspettavo immobile che tu partecipassi dei miei dubbi e della mia speranza più grande, tutto questo me lo dimenticai.
Ci sono anche io, Gokudera.
Anche io.
Ho chiesto forse troppo, perchè in fondo tu, Gokudera Hayato indossi dei paraocchi che ti consentono solo di vedere Tsuna.
Non è giusto.
Mi sento male dentro.
Mi sento male perchè per te valgo ancora troppo poco, eppure ero sicuro che stessimo insieme.
Mi sento male perchè è Tsuna, uno dei miei migliori amici, che inconsapevolmente causa tutto questo. Ma tanto sono sicuro che se non fosse Tsuna sarebbe qualcos' altro.
Mi sento male perchè un poco Tsuna lo invidio. Perchè ha la tua ammirazione, i tuoi sorrisi, il tuo buon umore. Non mi piace invidiare un amico, non è da me, mi fa sentire un verme, non mi piace non potere godere del tuo buon umore e anzi essere quello che più ne viene privato.
Perchè Gokudera?
E perchè allora stai insieme a me?

-
Go- Gokudera- kun... non preoccuparti- balbettava Tsuna comprensivo e imbarazzato come suo solito fino all' arrivo del professore che aveva riportato perentorio l' ordine. Tsuna sedendosi al suo banco notò una cosa insolita -preoccupante- ovvero che Yamamoto non aveva riso divertito alla sua ennesima caduta venendogli incontro insieme al guardiano della Tempesta come invece faceva sempre. Tsuna guardando di sfuggita Yamamoto aveva visto quegli occhi gioviali spenti. Tristi?
In quello sguardo scuro aveva intravisto una profondità inquieta che si dibatteva tra la rabbia e la tristezza.
Era possibile si chiese?
Insomma, era di Yamamoto che si stava parlando.
No, non poteva essere. Doveva esserselo immaginato perchè quando poi si girò nuovamente verso di lui, Yamamoto gli sorrise.
Ma era un sorriso vero?

Da quella caduta era passata una settimana e Yamamoto e Gokudera non fecero altro che evitarsi costantemente. In classe non parlavano nè si guardavano, finite le lezioni scappavano in direzioni diverse. Uno a studiare, uno agli allenamenti, durante il pranzo Yamamoto non saliva più in terrazza con i suoi amici dicendo di dover stare con i compagni di squadra per i campionati che si avvicinavano e se Tsuna chiedeva loro di uscire Yamamoto rispondeva di avere gli allenamenti.
-Ti veniamo a vedere!- aveva proposto Ryohei
-No-no- aveva balbettato l' altro- è un periodo delicato per noi della squadra. Non possiamo avere distrazioni.
Non si cercavano, preferendo piuttosto fuggire l' uno dall' altro.
E i campionati giunsero non molti giorni dopo. La loro scuola era giunta alle finali e la folla attendeva impaziente di conoscere i vincitori di quell' anno, le due scuole attendevano di fregiardi del titolo di migliori e di festeggiare i loro campioni.
Quell' onore quell' anno toccò alla Namimori. Yamamoto sapeva di dover vincere, ne andava del suo futuro perchè il talent scout era andato nuovamente a vederlo.
-Fammi vedere che sai fare. Ho bisogno di essere certo che tu sia un valido elemento.
Ma Yamamoto non era solo valido, era il migliore. Era un buon capitano, aveva carisma con i suoi e quando la partita sembrò non arridergli incitò i suoi compagni a fare meglio e a non abbattersi con un sorriso e una risata allegra. Una di quelle che ti mettono di buon umore e ti trasmettono una carica nuova.
L' ultimo punto alla fine fu suo. Il silenzio intorno era carico di ansiosa attesa e se quel giocatore che era giù nel campo avesse fatto il suo dovere allora Namimori avrebbe vinto.
Un tocco della mazza contro la pallina e immediatamente scoppiò il plauso del pubblico, le urla di gioia per i vincitori, il mugugno e la rabbia dei vinti.
Yamamoto sorrise e andò a stringere la mano del capitano avversario.
Avevano vinto.
Aveva vinto.
-Ti aspetto in America ragazzo- gli aveva detto con un grande sorriso e una pacca sulla spalla quel talent scout.- Hai una settimana per pensarci in realtà. Fammi sapere- si congedò.
Vide Hayato appoggiato in un angolo che lo fissava insistentemente. Sì, ci avrebbe pensato.
Si era fatto una doccia e poi era andato a cambiarsi,  Yamamoto lo aveva cercato in giro per i corridoi.
-Vieni con me- gli disse neutro, trovandolo in giardino insieme algi altri infine.
Andarono sul terrazzo, un terrazzo silenzioso, il vento soffiava appena leggero, in sottofondo si sentivano le voci che esultavano, il chiacchiericcio degli studenti, la musica, insomma i rumori dei festeggiamenti.

-Che vuoi, idiota?- domandò Hayato infilandosi le mani nelle tasche.
-Riesci solo a darmi dell' idiota e a tenermi il muso. Perchè Gokudera?- gli ho chiesto quel giorno. Ero serio, ero arrabbiato, ero triste, speravo infine, speravo in qualcosa.
-Non capisci un cazzo- sbottò dopo un attimo in cui rimase in silenzio spiazzato. Spiazzato da cosa?
-Come potrei? Non ho ancora il dono di leggere nella mente.- sputai velenoso.
-Appunto. Non capisci niente- ripetè furioso- tu dovresti capire meglio degli altri. Ma tanto sei uno stupido idiota. Sei uno zero, Yamamoto.
Ecco, aveva confessato. Ecco cosa pensava di me. Forse era mglio quando mi ignorava. Faceva meno male.
Sentivo bruciare l' anima. Faceva decisamente male, credo di averlo guardato con astio. Cosa stavo diventando? Tutto quello non era parte di me.
Mi passai una mano sul viso, ero stanchissimo, non sapevo che fare. Cercai di calmarmi:- Vado... vado in America- balbettai- il talent scout dell' altra volta... farò l' ultimo anno di liceo là e poi giocherò nella squadra universitaria o forse proverò direttamente nel professionismo, non so.
-Ho capito- mormorò con quella costante aria da duro che non lo abbandonava mai. Si avvicinò improvvisamente a me prendendomi per il colletto della camicia- Idiota!- urlò- Idiota!
Rimase un momento in silenzio stringendo sempre di più mentre le sue mani tremavano, guardandomi fisso negli occhi arrabbiato- E tuo padre? E il Decimo?! Cazzo, Yamamoto. Sei un guardiano!
Gli presi i polsi e mi allontanai di qualche passo lasciandolo nuovamente andare. Abbassò le braccia lungo ai fianchi guardandomi serio.
-Non mi dici nient' altro?- domandai indifferente
-Che vuoi che ti dica?
-Non lo so. Gokudera mi ami?- chiesi all' improvviso.
-Che cambierebbe?-domandò a sua volta sconfitto.
Silenzio, poi un sì sussurrato nell'aria
-Non sembra lo sai?- feci sorridendo triste. -Sono senza certezze- gli dissi semplicemente andandomene via.
Forse per lui avrei potuto rinunciare a tutti i miei sogni, anzi, lo avrei fatto. Lo avrei fatto se le cose fossero andate diversamente. Ma non così. Non potevo buttare alle ortiche il mio futuro perchè di certo stare con lui in quel modo mi avrebbe  distrutto.











ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, vorrei precisare due cose. La prima è che qui considero che i ragazzi siano al penultimo anno, la seconda è a proposito di Yamamoto. Di sicuro è, usando un termine gokuderiano, un idiota. Ma Yamamoto non è solo quello, l' essere idiota è solo una parte del suo carattere dunque vorrei cercare di mettere in luce anche gli altri lati, magari anche quelli meno positivi e che riscontriamo nel corso della storia, durante le battglie, i momenti più seri e durante l' evolversi del suo rapporto con Gokudera.
Spero di potere aggiornare ogni settimano, forse ogni due (ancora non so perchè ho gli esami) e ovviamente di ricevere i vostri pareri visto che è sempre gratificante sapere di essere riuscita a comunicare certe sensazioni (sempre che davvero ci rieca) e sapere che il proprio lavoro è apprezzato. Un autore non scrive solo per sè stesso. E di sicuro sapere che c' è qualcuno che alla tua storia ci tiene ti invoglia a lavoraci meglio e con più solerzia. Ovviamente accetto anche le critiche e i consigli visto che ho molto da imparare e una storia può sempre essere migliorata. Un saluto,
Haru.

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Capitolo 3
*** 3. Judaime (ovvero la famiglia Vongola) ***


c. 3 Vi prego di leggere l' angolo autrice a fine pagina. Grazie.
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Capitolo 3
Judaime (ovvero la famiglia Vongola)



Hayato rotolò giù dal letto ritrovandosi una bottiglia di vodka a un palmo dal naso, tastò il pavimento per rialzarsi sentendolo bagnato sotto i palmi. Si annusò le mani. Che era? Rum? Vodka? Di sicuro doveva essergli caduto quando si era addormentato. Iniziò  a sentire dei passi veloci dietro la porta, giurò di avere sentito la voce del Decimo... o era Ryohei?
Poi qualcuno si degnò di bussare. Sbuffò passandosi una mano sugli occhi. Perchè doveva rispondere? Non voleva parlare, non ci riusciva, se ci provava adesso era sicuro che la sua voce sarebbe uscita strozzata, che ogni singola parola avrebbe raschiato la gola e la bocca dolorosamente.
Era patetico.
Dannato Yamamoto.
Vide la figura di Tsuna fare capolino sull' uscio ed entrare timidamente seguito a ruota da Bianchi e Reborn. Per fortuna che sua sorella aveva gli occhiali. Un mal di pancia assassino era l' ultima cosa che desiderava. Era preoccupata Bianchi e lui lo sapeva.
Lo squadrò severa poi fece velocemente alcuni passi in avanti. Quello che i suoi sensi intorpiditi sentirono bene fu uno schiaffo e la bottiglia mezza vuota sul comodino che gli veniva versata in testa, sui capelli.
Normalmente Hayato si sarebbe messo a urlare, si sarebbe arrabbiato parecchio per quel gesto, ora la fissava semplicemente senza forze come se quell' ostinato silenzio in cui si era chiuso, quel dolore in cui era caduto lo avesse prosciugato di ogni energia.
Un altro schiaffo e poi si sentì strattonare per le spalle:- Hayato! Hayato perchè fai così?
-Hayato- sussurrò prima di cadere in ginocchio di fronte a lui e abbracciarlo stretto- io sono qui, Hayato. Sono qui. Non puoi farmi questo.
La ragazza, il famigerato Scorpione velenoso si sentiva impotente. Aveva cercato di risollevare il fratello in ogni modo, con le buone e con le cattive, gli aveva preparato ogni genere di cibo (di quelli buoni e prelibati) che quello aveva ostinatamente rifiutato, aveva dovuto far cambiare almeno tre o quattro volte la porta della stanza di Hayato e quando andava bene solo la serratura per tutte le volte che era stata costretta a usare i suoi mezzi per entrare in quel luogo privo di luce e di profumi, in quel luogo immutabile dove il silenzio immobile veniva sporadicamente interrotto da qualcosa che si rompeva o da un grido nell' aria. Aria stantia e maleodorante che sapeva di chiuso e di alcol e di fumo.

Yamamoto è andato via.

Era questo il fatto e tutti quei mesi erano passati con una lentezza assurda. Il tempo forse si faceva beffe di lui, sì, decisamente, il tempo, le ore, i minuti, lo stavano prendendo per il culo e lui si limitava a rispettare una routine stupida e insensata. Andava a scuola se proprio non poteva farne a meno, o comunque se la sera prima non aveva bevuto troppo, arrivava a casa e si chiudeva in camera affondando il viso contro il materasso in attesa che i sensi si facessero meno attenti e la memoria più sbiadita. Che il rimedio fosse rum o sonnifero quello poi importava poco.
 Da quando Yamamoto era partito Gokudera era cambiato.
Era vuoto.
-Sei egoista- la voce dell' Arcobaleno arrivò chiara alle sue orecchie. In fondo non era la verità?- e un pessimo braccio destro.
-Reborn!- lo riprese Tsuna accennando qualche passo verso il guardiano della Tempesta e Bianchi che ora si era spostata un pochino sedendogli accanto e afferrandosi al suo braccio.-Non è vero Gokudera. Non dargli ascolto- Il Decimo dei Vongola si chinò alla sua altezza.
-Stai passando un brutto momento. La... la partenza di... Yamamoto- Tsuna balbettò, non sapeva bene neppure lui he parole usare e quel nome appena accennato ebbe quasi paura di pronunciarlo. Era un tabù e gli occhi di Gokudera sentendolo nominare, per la prima volta non nella sua mente ma a voce alta, si spalancarono un attimo ravvivandosi- Gokudera, è stato un brutto colpo per tutti... nessuno di noi si sarebbe aspettato tutto questo- il viso di Tsuna si fece serio, più sicuro. Doveva misurare bene le parole non poteva di sicuro confessare che nessuno di loro si immaginava una reazione come quella. Da parte sua per di più!- Non so bene che rapporto ci sia tra te e Yamamoto ma ti prometto, Ti prometto- ripetè più forte- che passerà. Che tutto questo passerà. Noi siamo qui, Bianchi è qui. Non ti lasceremo, siamo una famiglia e una famiglia è tale per sempre.
Gokudera si vide sotto il naso la mano di Tsuna che lo invitava a rialzarsi.
Era la mano del suo boss, del suo Judaime.
Judaime.
Il cielo che tutto sotto di sè raccoglie.

Judaime,

Ho odiato Yamamoto.
L' ho invidiato.
L' ho sfidato.
L' ho amato.
Lui era il braccio destro e per questo aveva lottato e doveva esserne degno.

 
Tsuna era il cielo, se non ci fosse stato quel cielo Gokudera non avrebbe mai conosciuto la dolcezza della pioggia, quella quieta, non quella della tempesta.
Grazie Judaime.

Quel cielo gli aveva dato una famiglia che prima non c' era. Gli aveva dato verità, affetto e amicizia.
Grazie Judaime

Gokudera aveva un compito, anzi due. Voleva essere un buon braccio destro per Tsuna e proteggerlo.
Voleva essere una buona guida per gli altri guardiani... e proteggerli.
Noi siamo i Vongola.

Gokudera vide gli occhi di Tsuna spalancarsi e vide le lebbra di Reborn piegarsi una linea che sembrava un sorriso.
-Kufufu-
E il rumore di tonfa.
Gokudera si girò. Che ci facevano Hibari e Mukuro nel suo giardino? Non potevano andare a scannarsi da un' altra parte?
-Acc!- un imprecazione soffocata e la figura di Dino che si rialzava da terra.
Idiota.
Era caduto scendendo i gradini.
-Erbivoro...tsè- lo salutò Hibari con aria di sufficienza
-Kyoya!- fu la risposta allegra del boss dei Cavallone mentre si  rialzava seguito dal fedele Romario:- Non possiamo lasciarla da solo boss...- lo prendeva bonariamente in giro.
-Ehi ragazzi. Dov' è Lambo?- chiese Ryohei guardandosi intorno- sono estremamente preoccupato.
Poi sentì il rumore di qualcosa che cadeva a terra e una risata matta risuonare per la casa. Era la risata di un bambino. Di quel bambino.
Stupida mucca.
A quel punto i rumori molesti sembrarono spostarsi nel corridoio.
Erano dentro casa sua, si disse Gokudera rassegnato.
-Lambo!- era I- Pin.
-Lambo-san mangia tutto, ahahahah
-Fermatevi, fermi.- Haru e Kyoko. Anche loro lì?
-Ahiaiahi- Dino. Doveva essere caduto sul tappeto, pensò Gokudera.
-Stupido erbivoro, tsè. Dov' è quel dannato di Mukuro ragazzina? Tiralo fuori.-
Un rumore di tonfa.
-Il maestro... se n' è andato- Chrome.
-Hibari! Non qui! E' estremamente pericoloso.- Rhyoei, ancora.
Casinisti
E Lambo corse gurdandosi indietro per fare una pernacchia ai più grandi... e rotolò ai piedi di Hayato.
Il bimbo scosse la testa e alzò gli occhi verdi sul guardiano della Tempesta mentre la risata allegra si spegneva.
-Scu-scusaci Gokudera- kun- Tsuna stava per ritirare la mano che era rimasta a mezz' aria osservando quel folle spettacolo che invadeva tutto quanto,  probabilmente per placare quel putiferio e soprattutto per allontanare Lambo.
Non era il momento dei giochi.
Gli occhi di Hayato si posarono prima sulla figura spaventata di quella piccola peste.
Uno sbuffo che somigliava a un sorriso uscì dalle sue labbra.
Poi la sua attenzione si spostò ancora una volta sulla mano del Decimo. E l' afferrò.
Strinse quella di Bianchi.
Si rialzavano insime mentre un silenzio carico di attese si impadroniva delle persone affacciate all' uscio della stanza. Tranne Hibari ovviamente.- che era lì solo perchè quell' erbivoro di Mukuro lo aveva fatto correre per mezza città. Non certo per quel ragazzino arrogante di Gokudera. No.-
Hayato si abbassò nuovamente facendo leva sui talloni  e fissò Lambo, l' aria accigliata.
Ma ora era diverso.
-Stupida mucca- sbottò
-Gokuscemo!- replicò il bambino rimettendosi in piedi.
Grazie.







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(IMPORTANTE) Nei prossimi capitoli potrebbero essereci riferimenti al TYL e alla Future Arc, prendendo  a riferimento addirittura certi spezzoni dell' anime. Ve lo dico perchè non voglio avere grane, questo non è l' ufficio reclami e poi conoscete il proverbio no? Lettore avvisato mezzo salvato.

ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti,
Preciso che questo capitolo non doveva decisamente essere così, avevo pensato alla sola presenza di Tsuna, Reborn  e Bianchi a consolare Hayato forse sarebbe stato più probabile, poi però non ho resistito... che ci posso fare? Amo i momenti "corali".
Mi scuso se i capitolo sono brevi ma il tempo è quello che è, spero di poterli allungare presto, tuttavia questo momento credo che andasse trattato singolarmente perchè Tsuna è importante per Gokudera, La famiglia lo è.
Chiaro che se a Yama fosse venuta la felice idea di andare in America Gokudera non si sarebbe ocmportato di certo così... probabilmente sarebbe andato all' aeroporto e lo avrebbe preso a calci. Ma la ff non deve andare così.
Nello scorso capitolo ho parlato di talent scout ecc..., in Giappone le cose non andrebbero così (e un altro poco di panzane le scriverò nel prossimo capitolo).
Oggi non potrò rispondere alle recensioni per mancanza di tempo e siccome mi piace gustarmele e rispondere bene e con ammoreh lo farò domani.

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Capitolo 4
*** 4. Il vecchio e il nuovo ***


c. 4 la pioggia.... giusto
Capitolo 4
Il vecchio e il nuovo.



-Papà... sei sicuro che non vuoi che resti?

-Ohi,ohi Takeshi! Cos' è quella faccia spenta? Non stai andando in guerra!
-Ma... tu... il ristorante...
-Takeshi, lascia fare al tuo vecchio. E sorridi, sorridi sempre Takeshi



Sorridi sempre.
Come si fa a sorridere papà se tuo figlio sente la tua mancanza? Ti conosco, lo so che all' aeroporto hai sorriso per me, sei stato forte per me. Perchè i sogni sono importanti. Perchè dobbiamo fare sempre quello che sentiamo nel cuore. Quante volte me lo hai detto? Tante e non bastano mai.
Mi manchi vecchio, mi manca il dojo e il ristorante, mi manca l' aria del Giappone e Namimori. Mi manca il terrazzo della scuola. E' stupido vero? Mi manca il suo campo da baseball.
E i miei amici.
Erano venuti tutti a salutarmi. No, anzi, tutti no.
Lo cercavo ma non lo vedevo.
-Hayato non è venuto, mi dispiace Yamamoto.
-Ah... sì. Grazie Tsuna.
-Yamamoto... sei sicuro?
Che bella domanda che mi hai fatto Tsuna. Bella davvero. Mi guardai intorno notando che  l' aroporto era pieno di gente, del resto si sa, gli aeroporti sono posti affollati. C' è chi arriva in vacanza e chi per lavoro, chi si appresta a partire per una settimana, un mese... o per sempre per non fare più ritorno. Ma c' è anche chi arriva per restare.
Che bella domanda mi ripetei. In quel momento avevo di fronte a me mio padre e i miei amici. La mia famiglia insomma. Erano quelle le cose importanti della mia vita. Il baseball, la spada erano di sicuro i talenti più grandi che avevo, le mie passioni, i miei sogni.
Non potei fare a meno di chiedermi se valesse la pena soffrire così tanto per inseguire un sogno, un sogno che in fondo avrei potuto realizzare ugualmente senza dover rinunciare a tutto quello che amavo.
No. Chi lo farebbe mai?
E allora io che ci facevo in un aeroporto pronto a partire per New York?
Scappavo.
Scappavo e sfidavo me stesso. Sfidavo me stesso solo perchè stavo scappando.
E' ora di crescere Takeshi, mi ero detto. Non esiste solo Namimori.
Forse.
-Tsuna... salutami Gokudera e...
E cosa? Che volevo dire?
-Non ti preoccupare. Ti prometto che proteggerò tutti.

 Aveva salutato tutti quel giorno, aveva salutato persino Squalo prima della partenza, ovviamente lo spadaccino dei Varia gli aveva detto arrivederci a modo suo ovvero facendogli notare che stava facendo una gran cazzata e che di quel passo non sarebbe mai stato un grande spadaccino.
Yamomoto si era limitato a ridere come al suo solito congedandosi con un vedremo risoluto.
Quando fu sull' aereo osservò il suo anello, l' anello del guardiano della pioggia dei Vongola,  e strinse forte i pugni  mentre la città sotto di lui si faceva sempre più piccola.
Un pensiero, un dubbio, una preghiera nella mente lo costrinse a chiedersi se tutto quello che stava lasciando lo avrebbe ritrovato al suo ritorno.

-Ehi, ehi... Takeshi!- Yamamoto sentì una mano posarsi sulla sua spalla e scuoterlo leggermente.
-Eh?
-Un dollaro per ogni tuo pensiero- scherzò il ragazzo di fronte a lui.
Yamamoto sorrise di rimando. La nostalgia era una brutta bestia ma i ricordi, quelli sono la cosa più bella che abbiamo anche quando ci fanno un po' male.
-Take- iniziò il ragazzo un poco incerto accomodandosi sul banco accanto al suo- non... stai bene qui? Io ti vedo sorridere ma a volte ho come l' impressione che questo tuo sorriso non arrivi ai tuoi occhi.
Quello che Yamamoto aveva di fronte era Alex, Alexander a dir la verità, un inglese della sua stessa età e con cui condivideva la stanza e la passione per lo sport.
Oh bè, ma in fondo in quella scuola chi non amava lo sport? Il liceo in cui era finito era molto particolare, era piuttosto una sorta di accademia con tanto di dormitori, mense e sale relax specializzata nel dare ai ragazzi una preparazione sportiva in grado di metterli sempre un passo o due in  avanti rispetto ai propri coetanei. Ad Alex piaceva il basket ma non disdegnava  di cimentarsi in altre attività ed era per questo che spesso lui e Yamamoto si allenavano insieme.
Per Takeshi fare amicizia con la gente era sempre stato facile, era una sorta di talento quello, ma socializzare con Alex sembrava essere stato ancora più facile, come se quel talento fosse stato condiviso anche dall' altro ragazzo, uno spilungone di un paio di centimetri più alto di lui e un gran bel viso incorniciato dai capelli corvini che cadevano scompostamente sugli occhi verdi. Un verdino strano, no, diverso, da quello che Yamamoto conosceva e amava. Lo smeraldo di quello sguardo era qualcosa di perennemente solare e gentile sebbene ogni tanto quella luminosità sembrasse oscurarsi diventando quasi inquieta e cupa.
-Dai Take- lo incitò l' altro saltando giù dal banco e afferrandogli il polso costringendolo così ad alzarsi- non è per noi restare così! Forza che mi deprimo, ho bisogno di un hamburger.
Poteva non ridere Takeshi, poteva non ritornare di buon umore? Alex era in grado di spazzare via tutto con la sua natura mutevole. A volte delicato e gentile, altre decisamente vivace e irruento. Era insomma quello che Yamamoto definiva un buon amico.
Quando aveva aperto per la prima volta la porta della sua stanza carico di valige e scatoloni non avrebbe mai immaginato che l' altro prendesse una delle scatole che teneva malamente una sull' altra ridendo e raccontandogli tutto di lui infarcendo allo stesso tempo la loro conversazione di mile domande.
-Uhm... allora Take sei giapponese?- aveva chiesto a un certo punto stravaccandosi sul letto.
-Take?- domandò stupito Yamamoto.
-Sì... Takeshi... non è il tuo nome?- fece di rimando l' altro come se fosse la cosa più ovvia. In realtà Yamamoto non era abituato a sentirsi chiamare con il suo nome di battesimo se non da suo padre e a volte da Hayato e l' altro dovette capirlo perchè poi realizzò- Ah, già... già... sei giapponese. Voi usate più il cognome, no? Qui di solito è il contrario ma se la cosa ti offende ti chiamerò Yamamoto.
Il ragazzo arcuò le sopracciglia per poi sorridere a sua volta:- No, no. Ho capito... Takeshi va bene.
-Io allora per te sono Alex... e quella nascosta dietro la porta della nostra stanza è mia sorella Sandra.
-Che?- Yamamoto non capì immediatamente, solo poi notò che la loro porta era leggermente aperta e quando si alzarono si  ritrovarono davanti alla versione femminile di Alex accucciata e con un bicchiere vuoto in mano, la differenza era che la ragazza era decisamente più bassa e con dei capelli parecchio  lunghi e molto lisci.
-Questa impicciona è la mia sorellina più piccola. Non riesce mai a farsi i fatti suoi- lo informò il ragazzo regalando uno sguardo severo alla sorella che in tutta risposta scappò nel corridoi facendogli una pernacchia.
-Sembra... simpatica.
-No è solo una rompipalle.
Alex lo aveva portato in giro per New York senza risparmiargli neppure i locali notturni, i bar e le discoteche più in voga e le paninerie con i migliori hamburger della città a suo dire. New York era decisamente grande, anzi no, era enorme e caotica. Non assomigliava per niente a Namimori. Persino la sua scuola era qualcosa di diverso e ogni volta che metteve il naso fuori da quelle quattro mura non poteva fare a meno di provare un senso di euforia dovuto alla novità dei luoghi e alla loro diversità che però si mischiava inevitabilmente una strano senso di piccolezza e smarrimento che gli ricordava perennemente quanto fosse lontano da casa. Le prime volte quando usciva con i suoi nuovi amici non poteva poi fare a meno di ripensare a quelli che aveva lasciato in Giappone.
C' era Ferrante, uno spagnolo dalla pelle olivastra e i capelli a spazzola che tanto assomigliava a Ryohei, c' era Francesca, una ragazza italiana goffa e chiacchierona, Ivan un russo biondo e dagli occhi di ghiaccio costantemente arrabbiato e silenzioso, Françosis un ragazzo  dai capelli rossicci e i modi eleganti e per finire c' era Alex, sua sorella Sandra e ultimo lui, Yamamoto Takeshi.
Era strano guardarsi intorno senza sapere dove andare, senza poter riconoscere nulla che in qualche modo gli ricordasse la sua terra, era triste vedere quelle facce nuove e non potere fare a meno di paragonarle a quelle dei suoi amici.  Tutto però sembrava sparire all' improvviso quando si girava e incrociava gli occhi di Alex. Il ragazzo non lasciava mai il suo fianco e cercava sempre di metterlo a suo agio nonostante le occhiate di Sandra non sempre gentili.


-Take questi sono i tuoi amici?
Yamamoto alzò lo sguardo dal manga che stava leggendo. Sul suo letto, di fronte a lui era seduto Alex a gambe incrociate che gli mostrava un paio di foto.
-Ah, sì. Devo averle dimenticate in mezzo al libro che stavi leggendo- rispose allungandosi per prenderle. Erano tre, una lo ritreva insieme al padre davanti al loro ristorante, la seconda... bè la seconda era parecchio strana e Yamamoto non potè fare a meno di mettersi a ridere insieme all' altro ragazzo.
-Ma come avete fatto questa foto?- domandò l' inglese.
-Sai... con un bambino piccolo come quello vestito da mucca e con i caratteri diversi che ci ritroviamo... mha... una foto del genere credo che non possa mancare.
-Cosa... ha in mano questo ragazzo? E perchè quest' altro e girato... e la ragazza qui... ha una torta in mano?!
-Allora- iniziò Yamamoto sedendosi accanto al ragazzo- questo di qui si chiama Hibari, è il capo della commissione disciplinare della nostra scuola e questi che ha in mano si chiamano tonfa.
-Sembra pericoloso- notò con aria truce Alex.
-Più o meno. Questo ragazzo che si è girato è Ryohei e...
-Yamamoto... chi è il tipo che è con te in questa fotografia- domandò Alex all' improvviso con voce atona indicando una terza foto.
-E' Gokudera- rispose neutro.
-Ti tiene la mano.
Yamamoto restò in silenzio osservando attentamente l' immagine. Come sempre Gokudera imbarazzato rivolgeva lo sguardo altrove e come sempre lui rideva. Doveva essere inverno perchè indossavano degli abiti piuttosto pesanti e intravide dietro di loro il cortile della scuola tutto innevato. Ricordò che di lì a poco erano arrivati gli altri, che avevano giocato a palle di neve, che Uri era uscita dal suo box graffiando Hayato e che Ryohei in risposta aveva fatto uscire anche Garyu che si era messo a inseguire Lambo. Era stata una bella giornata, peccato non potere baciare Hayato in pubblico, peccato che l' altro si allontanasse sempre da lui quando superava quella che  aveva imposto come distanza di sicurezza. Prima che si mettessero insieme quello spazio limite tra loro non esisteva.
-Sentiva freddo- rispose Yamamoto dopo un poco mettendosi a ridere.
-Bella scusa- sospirò l' altro alzandosi dal letto e ritornando nel suo- comunque non preoccuparti. Anche io ho avuto una volta un ragazzo. A te piaccioni i ragazzi?- domandò infine a bruciapelo voltandosi verso di lui prima di mettersi sotto le coperte.
-No.
-Come no?- fece stupito- le ragazze? Entrambi?
-No e no.
-Take non prendermi per il culo!- si spazientì il giovane.
-Non lo stò facendo- sorrise.
-E allora...
-A me piace solo una persona.
-Il tizio della foto?- sbottò impaziente Alex.
-Hayato. E basta. Non mi piacerà nessun altro o nessuna altra- fu la limpida risposta di Takeshi mentre affondava la testa nel cuscino.
-Come siamo categorici Yamamoto- sussurrò l' altro assottigliando lo sguardo cupo e malizioso- mi sembrano della belle cazzate









ANGOLO AUTRICE: Allora spero che questo capitolo non vi abbia annoiato. Vorrei dire solo che la foto di gruppo a cui mi riferisco è quella che si vede in una delle sigle finali, ma come sempre non ricordo quale inoltre per quanto riguarda i nuovi amici di Yama ho cercato di dargli delle caratteristiche semplici appositamente modellate su alcuni dei personaggi di KHR, anche i nomi come vedete non sono tutta questa gran cosa e sono piuttosto scontati, il tutto per non rendere difficile la loro identificazione anche se ancora non so quanto peso avranno nella storia, non molto in realtà ma visto che saranno inevitabilmente presenti in alcune scene ho cercato di non complicare troppo le cose.  Spero di aver detto tutto. Un saluto,
Haru.  

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Capitolo 5
*** 5. Ricordi sotto la neve ***


c. 5 la pioggia... Capitolo 5
Ricordi sotto la neve

Purchè la tua felicità sia con me,
Takeshi.




Era caduto.
Così imparo a correre sulla neve, si  ammonì Gokudera mentre i fiocchi scendevano bagnandolo.  Si osservava intorno infastidido e quasi spaesato. Quel manto di neve, quel bianco così monotono, quella neve su di lui, sugli alberi, sulle case e sulle auto, quei fiocchi che scendevano freddi pizzicandogli le guance, era uno spettacolo meraviglioso. Meraviglioso quanto triste.
Era caduto. Cadeva sempre, ogni volta che pioveva o nevicava ed era in ritardo per andare dal Decimo, oppure da Takeshi.  In realtà lui non era mai in ritardo. La verità è che non vedeva l' ora di arrivare.
 Ma se cadeva la mano di Yamamoto lo aiutava a rialzarsi.
Ma se cadeva si rialzava velocemente tra un' imprecazione e l' altra iniziando a correre più veloce perchè tanto poi avrebbe visto quella faccia da idiota.

-Sono scivolato per venire fino a qui. Che fretta avevi?
Una risata.
Un abbraccio.
-Ti amo Gokudera-kun- sussurrato sulle labbra.

-Mi manchi idiota- sussurrò Hayato appoggiando la fronte contro il vetro freddo e un po' appannato della grande vetrata
Quell' anno avrebbe passato il Natale a casa di Tsuna ed era lì che si trovava in quel giorno di vigilia. La sera era calata e le ragazze erano riunite tutte in cucina per aiutare la mamma di Tsuna con il cenone. Sperava solo che Bianchi non ci avrebbe messo il suo zampino, almeno per Natale non ci teneva a ritrovarsi al pronto soccorso. Dietro di lui poteva sentire le voci - il chiasso- degli altri.
Ryohei blaterava qualcosa a proposito del regalo estremo che aveva comprato per Hana. Conoscendolo sarebbero stati di certo dei guantoni da boxe. Gokudera non potè fare a meno di ridacchiare. Era bello stare in famiglia, era bello sentire quel chiacchiericcio che riempiva la casa. Persino Hibari aveva deciso di venire. No, precisiamo, Dino si era presentato alla porta con un disciplinare imbizzarrito legato come un salame. Miracoli della sua frusta. Strano era che ancora quella specie di teppista non avesse litigato con Mukuro che giusto in quel momento lo stava stuzzicando mettendogli  dei fiori di ciliegio sotto al naso.
-Vieni fuori- ringhiò il disciplinare. Ringhio cui seguì una risatina soddisfatta.
-Ehi! Voi due... vi siete impegnati in una tregua estremamente natalizia!
-E'... è... Natale- ribadì il Decimo balbettando. Come se quel semplice fatto avrebbe potuto fermarli se avessero deciso di distruggergli la casa durante uno dei loro scontri.
Eppure quella casa era troppo silenziosa, si ritrovò a pensare Gokudera dopo qualche minuto. C' era una voce, insistente, una risata che riempiva l' aria, che decisamente mancava.
-Cazzo- imprecò a denti stretti uscendo a fumarsi una sigaretta. Fece per aprire la porta quando questa si spalancò violentemente di fronte a lui.- Vooooooooi!
-Oh ragazzi, bel arrivati!- li salutò allegra la madre di Tsuna sbucando dalla cucina.
-Signora Sawada è stata così gentile ad invitarci- cicalò Lussuria porgendo un presente alla padrona di casa- abbiamo portato un paio di dolci di casa nostra- continuò indicando i pacchetti che ogni membro, tranne Xanxus, teneva in mano. Peccato che quello di Bel fosse stato infilzato da alcuni coltelli.
-Che diavolo ci fanno questi qui?- sbottò Gokudera rivolto al suo Juudaime.
-Li ho invitati io- intervenne Reborn con quel suo sorriso particolare stampato sulle labbra- siamo una famiglia.
Il boss dei Varia si accomodò sulla poltrona al centro del salotto e probabilmente, ipotizzò con un certo sollievo Tsuna, non si sarebbe mosso di lì fino all' ora di cena. Levi si mise in piedi alla sua destra, immobile come una statua pronto a difendere il suo boss.
A Gokudera non gliene fregava niente dei Varia, nè di quello che facevano purchè stessero lontani da loro, ben inteso. Erano stati loro nemici ed erano anche tizi strani anche se durante la battaglia nel futuro erano stati alleati veramente preziosi, questo doveva ammetterlo. Però non li poteva sopportare nonostante tutto. Soprattutto uno. Soprattutto quel deficiente che si comportava come una scimmia urlatrice. Come faceva Yamamoto ad essergli amico?
-Tch- fece Squalo passandogli accanto e guardandolo male, malissimo.
Gokudera a quel gesto si chiese se Yamamoto gli avesse raccontato qualcosa. Quei due parlavano troppo per i suoi gusti.
Non è colpa mia se quell' idiota se n' è andato! Che quel coglione di Squalo pensi quello che vuole. Non è colpa mia!
-Ehi Squalo!- lo salutò allegro il padre di Takeshi quando passò a fare gli auguri una mezzoretta dopo.
-Voooi! Yamamoto-san- sorrise l' altro, cose insolita per lui- Come stà quel moccioso di suo figlio?- domandò accomodandosi sul divano insieme all' uomo.
Gokudera si sedette sul tavolo dietro di loro, la testa poggiata sul palmo della mano, apparentemente annoiato quando in realtà dentro ribolliva di rabbia.
Vanno d' accordo. Vanno troppo d'accordo. Perchè quel coglione va così dannatamente d' accordo con il padre di Yamamoto?! Quando c' è stato a casa sua?  E a fare che poi?
Dannazione!
Che ha lui per piacere così tanto al padre di Takeshi?
E' solo un babbeo.
Gokudera, perso nei suoi truci pensieri, diede un' occhiata veloce a Xanxus. Non sembrava nervoso, o almeno non più del solito. Si era sempre chiesto se tra quei due c' era qualcosa anche se onestamente lui l' aveva escluso. Yamamoto invece sosteneva il contrario. Insomma, Xanxus non è che avesse proprio un carattere facile, era irascibile e scontroso. Ancora si ricordava di come aveva riso durante la battaglia per gli anelli quando Squalo era stato sconfitto da Yamamoto. Loro lo credevano morto e lui rideva. Agghiacciante. No, decisamente non c' era niente altrimenti non si spiegava il perchè di quella amicizia tanto, troppo stretta, con Takeshi e il fatto che lo spadaccino dei Varia sembrasse conoscere suo padre fin troppo bene.
Gokudera si alzò dal tavolo all' improvviso uscendo fuori di casa, forse sarebbe riuscito a fumarsi quella maledetta sigaretta prima di strangolare Squalo.
Camminò a lungo sotto la neve fino ad arrivare al parco deserto. Si sedette sull' altalena, non era la prima volta che lo faceva. Ricordava che Uri e il mastro di Ipin in quel parco gli avevano fatto perdere un sacco di tempo per permettere a G di prendere il suo posto durante il rilascio dell' eredità e che sempre in quel parco ci aveva giocato a calcio nel futuro insieme a Yamamoto e ai bambini.
-E se mi avesse tradito?- sussurrò mentre l' aria fredda mischiata alla nicotina gli invadeva i polmoni.
-Mi hai tradito Takeshi? Mi hai tradito e volevi liberarti di me? Il viaggio in America... è perchè ti sei stancato di me?- domandò a quel ragazzo troppo lontano da lui mentre gli occhi si riempivano di lacrime e la neve pizzicava ancora più fredda sulla pelle. Le guance si arrossavano mentre le lacrime lasciavano le loro tracce e il respiro diventava irregolare quando una mano portata istintivamente sul cuore sembrava volerlo confortare da quello stato di dolore che lo stringeva e poi lasciava e poi ancora stringeva e di nuovo lo lasciava divertendosi a fargli del male.

Ti senti il cuore strano quando soffri per amore. Quando soffri per lui lo senti raggomitolarsi su sè stesso e diventare piccolo come se qualcosa di reale stesse giocando con quel muscolo per fargli male. E' una brutta sensazione.
Le lacrime scendono e sembrano non finire mai. Ma io vorrei fermarle. Perchè non smettete?
Non voglio più stare male.
Singhiozzi e il respiro diventa rotto e un nodo ti serra la gola per non farti parlare.
Yamamoto, stò male.
La mia testa dice che tu non faresti mai una cosa del genere. Sei la persona migliore del mondo, lo so che non mi tradiresti.
Ma allora perchè il pensiero fa così male?
Perchè nonostante tutto, questo dubbio, viscido come un serpente, si insinua nella mia testa?

sbuffò al pensiero di quanto potesse essere patetico in quel momento. Si asciugò il viso alzandosi dall' altalena quando sentì la voce di Tsuna che lo chiamava.
-Juudaime!- gli corse incontro Hayato- cosa è successo?
-Niente Gokdera, o comunque nulla di grave. Quando non ti ho visto mi sono preoccupato- spiegò il ragazzo.
-No, no... ero uscito a fumare e ho deciso di... di godermi la neve- si giustificò Gokudera ridendo nervosamente.
-Capisco. Spero che tu stia veramante bene- fu la risposta seria di Tsuna che ormai aveva imparato a capire se un suo amico non stava bene, quindi sperando di allietarlo continuò sorridendo-Ho una notizia bellissima. Yamamoto-san ha detto che Yamamoto presto tornerà a Namimori per le vacanze natalizie! Probabilmente sarà qui domani mattina!
A quelle parole gli occhi di Gokudera si spalancarono increduli. Avrebbe voluto urlare di gioia ma al tempo stesso percepiva nella sua felicità delle sfumature di tristezza ben conosciute.
Si domandò cosa avrebbe potuto dirgli una volta che lo avesse visto, se il suo Yamamoto, perchè era suo, lo avesse accettato di nuovo con sè. Ma se così non fosse stato, se lo avesse rifiutato magari per Squalo lui che avrebbe fatto? Sarebbe riuscito a rialzarsi di nuovo?
-Gokudera!Gokudera- Tsuna dovette chiamarlo più volte perchè Hayato in quel momento non sentiva, ancora nella mente gli risuonavano le ultima parole dette dal suo Juudaime.
-Stò-Stò arrivando... vada avanti Juudaime. Per favore- pregò Hayato
-Io... sì... ma vieni presto Gokudera-kun- acconsentì a malincuore il giovane boss
Gokudera rimase immobile, gli occhi ancora troppo aperti e la testa che come un giradischi rotto cantavava sempre le stesse parole:
Ti rivedo.
Cosa devo dirti?
Non mi allontanare Yamamoto, prendimi di nuovo con te.
Sorrise, distendendo impercettibilmente le labbra, di un sorriso dolce e amaro mentre alzando lo sguardo verso il cielo osservava la neve e la notte attraverso gli occhi che per l' ennesima volta si riempivano di lacrime.
Sorrise. Ma era dolce ed era amaro.
Da quando avevano formato la loro numerosa famiglia aveva passato dei Natali bellissimi ma uno lo avrebbe ricordato per sempre tra tutti.
Ricordò il Natale a villa Cavallone in Italia, Dino era stato così gentile da aver ospitato tutta la famiglia.
Era stato il primo Natale dal ritorno dalla battaglia contro Byakuran. Lui e Yamamoto stavano insieme da qualche mese e quella sera, complice una notte come quella, da che stavano passeggiando nel giardino della villa respirando l' aria fredda e decisi- Takeshi lo aveva decretato- a fare un pupazzo di neve, a che, all' improvviso Gokudera si girò. Gli occhi chiusi e le guance arrossate si era fermato di fronte al ragazzo e urlò quasi:- Io... io ti amo, Idiota!
Non ce l' aveva fatta e rimanere per più di due secondi davanti a Yamamoto e aveva ben pensato di darsela a gambe, peccato che il suo piano geniale venne rovinato da un ruzzolone sulla neve.
Rise, Yamamoto rise allegro della sua piccola disgrazia:- Che hai da ridere idiota?- berciò Hayato girandosi e ritrovandosi la faccia di Takeshi a un palmo dal naso, fose anche meno.
Yamamoto chiuse gli occhi sorridendo- E' un sollievo saperlo.- sospirò baciandolo.
Gokudera ricordava di non aver capito nulla in quel momento, il suo cervello era andato in tilt. Era tutto perfetto. Sentiva la mente leggera, eccitata e rilassata al tempo stesso, il cuore battare e battere, quasi volesse scoppiare.
Semplicemente non gli importava nulla di tutto il resto quando chiudendo gli occhi si lasciò andare a quel bacio trascinando Yamamoto su di sè distedendosi sulla neve che in quel momento non sembrava nemmeno così fredda.
Che li vedessero pure. Che gli importava?
Quello fu uno dei pochi attimi in cui era riuscito a mandare a quel paese il suo stupido orgoglio.
A interrompere quel contatto fu Yamamoto:- Ti congelerai se restiamo così- gli disse mentre sorridendo si inginocchiava. Gokudera lo fissò con cipiglio e lo costrinse a sedersi facendo altrettando e trascinando nuovamente quelle labbra contro le sue trattenendolo per i capelli. Yamamoto sorrise contro la bocca fredda del compagno:- Alziamoci- soffiò.
-No.
Gokudera voleva -pretendeva- rimanere lì. Desiderava approfittare di quel momento, l' unico in cui era riuscito ad abbattere il suo orgoglio, a far crollare quel muro trasparente di diffidenza, libero di poter vivere le sue emozioni senza quel peso che pure faceva parte di lui.
Aveva paura di rinsavire e di allontanarlo nuovamente da sè ribadendosi che no, non poteva lasciarsi andare in quel modo. I sentimenti erano un terreno minato in cui era facile perdersi ed essere feriti, senza contare che lui era il braccio destro del Decimo dei Vongola.
-Andiamo... in camera- propose Yamamoto insicuro, era più una domanda che un'affermazione in realtà.
No, non avrebbe permesso che quel momento finisse. Che male c' era a spostarsi?
Si alzò in piedi tenendogli la mano e iniziarono a correre affondando e incespicando nella neve. Il respiro affannato, il cuore che batteva forte, stavano correndo come due pazzi verso uno degli ingressi secondari della villa. Hayato non potè fare a meno di ridere stringendo di più la mano del compagno.
-Dove state andando voi due?- li fermò Bianchi uscendo dal portone principale. Quella sera Bianchi era veramente bella, indossava un completo scuro molto elegante che metteva in risalto la carnagione chiara e i capelli erano acconciati in un grazioso chignon. Peccato per gli occhiali scuri- Tra dieci minuti verrà servito il buffet. Andate a cambiarvi.
I due ragazzi la fissarono perplessi, erano talmente euforici da essersi dimenticati delle loro mani ancora intrecciate, solo quando la ragazza si girò, Hayato, augurandosi che la sorella non vi avesse fatto caso, lasciò bruscamente la mano di Takeshi precedendolo all' interno.
-Io vado a cambiarmi- borbottò.

 In fondo non dura poi molto la felicità.
Cacciarla via è facile quasi quanto rompere un vaso di terracotta
Vorrei prometterti che questa volta farei di tutto per difendere la tua felicità, Takeshi, purchè la tua felicità sia con me.

Gokudera chiuse gli occhi respirando forte, affondò le mani nelle tasche del giaccone, infreddolito, e si diresse verso casa.










ANGOLO AUTRICE:
Allora, partiamo dalle cose burocratiche, come avrete notato ho menzionato tre episodi dell' anime, ovvero quando ho parlato della battaglia degli anelli e della supposta morte di Squalo, quando mi sono riferita al momento in cui, nella Namimori del futuro, Gokudera, Yamamoto, Lambo e Ipin si sono messi a giocare a palla e infine quando G si fa passare per Gokudera. Come sempre e come è ovvio io non ho alcun diritto su KHR, sui suoi personaggi, sull' anime ecc...
Punto secondo, mi auguro che i personaggi non siano stati OOC. Fare un Hayato in piena crisi amorosa e in un momento fluffoso è un dramma... e anche Squalo che chiacchiera amabilmente con il papà di Takeshi... cioè... Squalo o.O
E ora lancio il sassolino: Come mai Squalo conosce Yamamoto padre? Ma soprattutto... Yamamoto tornerà o non tornerà per Natale?
Io amo l' 8059 (non si è notato) e ammetto che mi ispira tantissimo. Mai stata così ispirata. Mi sarebbe venuta in mente anche una shot e una long. Tutto rigorosamente 8059 o.O
Non so se è una buona cosa. Mi chiedo solo: perchè durante il periodo degli esamiiii?!
Ok, la smetto e vado a prendere appunti prima che scappi l' ispirazione. Come sempre i commenti, vabbè tanto lo sapete anche perchè non è un cap. che mi convince molto, sono graditi. Non vi prenderò a tonfate. Nemmeno se sono negativi o critici (purchè costruttivi). Saluti.
Haru.

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Capitolo 6
*** 6. Sotto un' altra neve ***


c. 6 la poggia...
Capitolo 6
Sotto un' altra neve


Yamamoto osservò il soffitto della stanza in cui si trovava. L' ambiente era immerso nella penombra e accanto a sè percepiva il respiro regolare di Alex, il calore del suo corpo al suo fianco, le braccia che non si erano staccate da lui forse per tutta la notte, la testa contro il suo petto. Respirò piano come se con un semplice respiro avesse potuto svegliare l' altro ragazzo e iniziò a osservare distrattamente le sagome degli oggetti intorno a sè. I libri sulla scrivania, le valigie chiuse sul pavimento, i vestiti buttati poco riguardosamente in giro per la stanza e infine la sveglia sul comodino.
Le 7:15.
Del 25 Dicembre.
No, decisamente in quel momento sarebbe dovuto essere altrove. Molto ma molto più lontano da lì e soprattutto non così vicino al suo compagno di stanza. Fece qualche movimento, lento, sperando di non svegliare l' altro ragazzo e al tempo stesso deciso più che mai a rialzarsi.
Takeshi si sentì per la prima volta a disagio con Alex. Lui non voleva dormire proprio con nessuno. O quasi. Due amici non dovevano dormire insieme, si disse, soprattutto perchè lui si sentiva ancora impegnato.
Si mosse ancora ma sembrò che l' altro non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare. Al contrario strinse di più la presa ai suoi fianchi aprendo prima un occhio e poi l' altro salutandolo.
Yamamoto aggrottò le sopracciclia. Così non andava bene.
-Che c' è?- biascicò Alex fissando quell' espressione corrucciata.
Yamamoto sorrise:- Stò... scomodo-
-Scusa- si affrettò l' altro imbarazzato lasciando la presa e allontanandosi un poco per quanto un letto singolo lo permettesse- non mi ero accorto... cazzo... Take... scusa. N-non pensare male- si giustificò con foga il ragazzo.- Io... sono sonnabulo... ogni tanto... non sempre.
A quell' ammissione spontanea e genuina, così priva di malizia, Takeshi si sentì più sollevato. Pensò che non c' era alcun secondo fine tra loro. Da parte sua era di certo così e ora che era sicuro che anche per Alex fosse la stessa cosa si sentiva meglio. Inoltre non c' era stato niente  durante la notte.
-Sei ancora dispiaciuto per non essere potuto tornare a casa?- gli domandò l' amico
-Un po'... tanto- confessò Takeshi.
-Mi dispiace- fu il il commento sinceramente partecipe dell' altro
-Non è colpa tua... e poi neanche tu sei potuto tornare in Inghilterra. Sandra e gli altri sono stati più fortunati. Siamo stati degli stupidi ad aspettare l' utimo giorno per partire.
-Decisamente- convenne l' altro ricordando la sfuriata telefonica della sorella. Probabilmente se solo avesse potuto sarebbe tornata indietro e lo avrebbe trascinato a casa per i capelli.
-Pensi a Sandra?- intuì Yamamoto
-Come....
-Ti stai rigirando il cellulare tra le mani con una faccia... disperata.- sorrise.
-Ah sì- rise l'altro- mia sorella mi fa quest' effetto! Soprattutto dopo le dieci chiamate perse di ieri.
Takeshi si disse che il legame tra i due fratelli era molto forte e particolare. Sandra soprattutto aveva una sorta di venerazione per il maggiore. Yamamoto aveva l' impressione che il rapporto tra i due fosse ben diverso e forse più problematico rspetto a quello tra Hayato e Bianchi che pure si volevano molto bene.
-Mi vado a fare la doccia- informò il giapponese  scavalcando Alex.

-Aaaaah- sospirò Takeshi rilassandosi sotto il getto dell' acqua- ci voleva.
Sono lontano da casa. Però... in fondo perchè dovrei rovinarmi il Natale?
Sarà diverso. Semplicemente. Un' esperienza come un' altra.
E poi in fondo ieri è stata una bella giornata.
Alex lo aveva trascinato per mezza New York, avevano pattinato sul ghiaccio, erano entrati in parecchi negozi affollati e avevano comprato un piccolo alberello, che a mala pena gli arrivava al ginocchio e che poi avevano addobbato con improbabili decorazioni.
Nel giro di un paio d' ore la loro stanza era diventata un piccolo paese dei balocchi. Certo prima forse avrebbero dovuto mettere un po' in ordine.
Yamamoto fece spalluce dicendosi che avrebbero sistemato in mattinata.
-Takeeee
-Sì?
-Dov' è la felpa rossa?
Dall' altro lato della porta arrivò una risata. Una forte risata divertita. Quella genuina, vera di Yamamoto. Il ragazzo non potè fare a meno di trattenersi. Quella scena gli era vagamente familiare- Cerca nella tua valigia- consigliò ancora sotto la doccia e intenzionato a rimanerci per un po'.
Alex era proprio sbadato. Mai una volta che ricordasse dove metteva le cose. Una volta aveva persino perso l' uniforme della squadra di basket con sommo disappunto dell' allenatore per ricordarsi solo una settimana dopo di averla lasciata in lavanderia. E solo perchè la suddetta lavanderia aveva telefonato al proprietario della divisa abbandonata.
Yamamoto ricordò con una certa vena di tristezza che la Vigilia non era iniziata male. Anzi, per un paio di ore si era anche divertito.

La mattina era iniziata proprio con l' urlo di Alex.
-Takeeee...hai visto la mia felpa rossa? Quella con le renne. Quella abbinata alla t-shirt estiva!
Quando Yamamoto fece capolino dal bagno trovò la loro stanza immersa nel più completo disordine. Non si era mai reso conto di quanto due ragazzi potessero essere così disordinati per un paio di valigie. Valigie semiaperte sui letti e straripanti più che di abiti, di oggetti inutili.
-A-Alex... perchè hai messo un paio di bermuda nel borsone?- domandò il ragazzo lievemente stupito
-Mh... tradizione. E' per il bagno invernale nel lago vicino casa mia. E allora la felpa con le renne? E' quella che abbiamo comprato uguale.
Takeshi sospirò divertito facendosi largo tra le scarpe buttate in giro, i calzini il più delle volte spaiati accatastati sulla scrivania e iniziò a guardarsi intorno frugando sotto una montagna di abiti spiegazzati probabilmente su di una sedia, chè non si vedeva più nemmeno quella.
Quella stanza era un casino, si disse.
-Trovata!- esultò- scusa, era nel mio armadio. C' è anche la maglietta estiva.
-Fa niente- fece l' altro afferrandole- aiutami a chiudere la valigia. Io mi ci siedo sopra e tu tiri la cerniera ok?
-Ahahahahah
La mattina era iniziata bene. Yamamoto non poteva certo pensare che qualcosa sarebbe potuto andare storto quel giorno. Avrebbe preso l' aereo e sarebbe tornato in Giappone. Magari poteva restarci, si disse mentre si sdraiava sul letto.
-Ta-Takeshi!- lo chiamò Alex entrando in camera all' improvviso. L' atleta si alzò di scatto dal letto, allarmato dal volto preoccupato del compagno di stanza- hanno.... annullato il volo... il tuo... per il Giappone- annunciò.
Yamamoto sbiancò. No, non poteva essere. Lui doveva tornare a casa. Doveva rivedere suo padre e Hayato e tutti gli altri.
-No!- urlò precipitandosi fuori dalla stanza
-Dove vai?- lo seguì Alex
-A prenotare un altro volo!
-Yamamoto fermati- ordinò Alex- Fermati ti ho detto!- ripetè afferrandogli il polso
-Lasciami... devo tornare a Namimori. Mi aspettano.
Yamamoto non era più lo stesso, non era più l' idiota del baseball che sorridendo trovava una soluzione a tutto, che con il suo sorriso ottimista prendeva le cose così come venivano.
Quell' ottimismo era stato lasciato in Giappone il giorno in cui aveva messo piede su un volo diretto a New York.
-Idiota! Dove pensi di poter andare? Le strade sono ghiacciate e la neve ha bloccato tutto. Sono stati cancellati un sacco di voli... e poi è la vigilia. Se anche fosse, pensi che riusciresti a trovare un posto libero?- lo fece ragionare il ragazzo.
Gli occhi nocciola dell' atleta si aprirono sorpresi per il tono deciso e ruvido, quasi disperato che era stato usato dall' altro. Per quell' idiota che non sentiva pronunciare al suo indirizzo da un tempo che gli parve una vita.
Voglio risentirlo.
Voglio risentirlo.
Hayato.

-Io resto qui... con te- gli sussurrò il ragazzo stringendogli la mano e conduncendo un Takeshi ormai arrendevole nuovamente in stanza.

Non mi importa


-
Take...
-Mh?
-Stai bene?
-Sì
-Cazzate. Saresti tornato?
-Non lo so.
Era iniziata bene quella giornata. E allora perchè doveva finire così? Nella stanza di una scuola ormai deserta, in un paese che nemmeno era il suo, troppo lontano dalle persone che amava. Si girò a guardare Alex, il ragazzo lo osservava a sua volta dal suo letto E Yamamoto si sentì profondamente egoista. Non sapeva perchè Alex fosse rimasto con lui. Non sapeva se il volo per l' Inghilterra partisse o meno. E a dirla tutta, non voleva neppure saperlo perchè probabilmente si sarebbe sentito un verme se il ragazzo fosse rimasto lì per lui.
E a lui non importava. 
Non riusciva ad essere felice,  per lui Alex non era una presenza consolatoria. Forse perchè in realtà non era quella la persona che voleva accanto.
Alla fine si era reso conto che non poteva cambiare le cose e che il minimo che potesse fare per ringraziare l' altro  era sorridere. Niente di più  e niente di meno.

I giorni natalizi erano passati velocemente. Alex faceva di tutto per tenere impegnato l' altro ragazzo, per far sì che il suo sorriso non si spegnesse mai.
Takeshi passò l' ultimo dell' anno con l' altro nella notturna Times Square gremita di gente, avvolti in pesanti cappoti a godersi gli spettacoli straordinari che rendevano magica, festosa e romantica la Grande Mela in quel periodo gelido, là dove la neve che scendeva dal cielo creava uno spesso manto chiaro sul suolo che sembrava bambagia. Era quella New York fatta di gente e di colori, quella New York degli affari e del divertimento, quella New York piena di scritte  al neon e palazzi che sembravano volere sfidare l' umano limite e raggiungere il cielo, così rumorosa che non dorme mai.
Il conto alla rovescia era inziato senza che Yamamoto se ne accorse.
Meno tre.
Due.
Uno.
Fu un espoledere di voci e di colori che si intrecciavano nell' aria fredda tra l' odore pungente degli hot-dog cotti e il sapore dolciastro di un biscotto a forma di omino che sapeva di zenzero e che Alex gli aveva rifilato qualche minuto prima.
-Buon Anno nuovo!- gli disse l' inglese voltandosi verso di lui mostrandogli un viso sorridende che si stagliava su di uno scenario euforico di poesia e modernità che più che respingersi sembravano amalgamarsi in quella notte speciale. Sembrava una cartolina, si disse il giapponese.
-Buon Anno- sorrise Takeshi di rimando ingoiando l' ultimo pezzo di biscotto.
Alex si spinse più vicino abbracciandolo stretto a sè cogliendo l' altro alla sprovvista che stupito e indeciso sul da farsi rimase infine immobile sorridendo incerto. Quando il più alto finalmente si allontanò  lo fece ridendo di gusto:- E' la notte dell' anno Takeshi! E  sei a New York. Un po' di allegria, su!
Il moro rise di rimando afferrando un' altro di quegli omini nel sacchetto tra le mani dell' amico.
-E' il nuovo anno- continuò l' altro facendosi serio e guardando un punto indefinito davanti a sè- Con l' anno nuovo bisogna sbarazzarsi della zavorra e lasciarsi alle spalle il vecchiume di quello passato.
Il giapponese questa volta non rispose nè rise. Mai come in quel momento quegli occhi smeraldini gli erano sembrati così diversi ed estranei.
Per un attimo e solo per un attimo odiò Alex, lui che credeva di non saperlo fare. Lo odiò perchè si rese conto che forse il ragazzo era l' unico motivo per cui ancora restava in quella città e ancora non ritornava in Giappone.
Se non fosse stato così gentile con lui, se non gli fosse diventato amico e punto di riferimento in quel mondo a lui estraneo donandogli la pallida illusione di avere accanto la famiglia che aveva lasciato al di là dell' oceano, forse già sarebbe a Namimori.
Ma quel ragazzo aveva il potere -e neanche lui sapeva spiegarsi il perchè- di ancorarlo a lui con i suoi gesti e le sue parole ambigue, dolorose e confortanti allo stesso tempo.
-Take... le azioni e le parole di una persona ci permettono di capire cosa realmente l' altra prova per noi.

"Judaime"- sentì urlare Yamamoto nella sua testa.

"Stammi lontano idiota"

"Hayato... perchè non sorridi?"
Yamamoto si massaggiò le tempie confuso.
Perchè con Tsuna è così arrendevole? Perchè è il boss.
Dovrei essere un boss?
Che idea idiota!
Mi sputerebbe in un occhio.
Takeshi non capiva. Era strano perchè era sempre riuscito a capire Gokudera. Non capiva ma si fidava del suo istinto. O forse era amore. O magari idiozia.
Forse l' amore rende talmente ciechi da non vedere la realtà.
Istinto, concluse.
-E' il suo modo di amarmi- rispose infine all' altro ragazzo.- Hayato è così... è burbero e scontroso pronto a inveire contro di tutti... senza nemmeno un reale motivo a volte. Brontola tanto -sorrise Takeshi, come sorridono gli innamorati- E' così. Prendere o lasciare.
-Take... scusami se te lo dico... ma per una persona che ama dovrebbe essere più naturale essere gentile e sorridere al proprio compagno o alla propria compagna- tentò di farlo ragionare l' inglese.
-Forse dovrei preoccuparmi proprio se lui iniziasse a fare così- rise l altro- Hayato... è come Uri- continuò più rivolto a sè stesso che al suo interlocutore- più ti graffia e ti ignora e più ti vuole bene-
Takeshi tastò il suo vongola box nella tasca del giaccone avvertendo chiaramente la presenza della collana con l' anello intorno al suo collo.
-Il mio passato è il mio futuro- terminò stringendo la scatolina nella mano sinistra.
-Non ti capisco, Take- capitolò l' altro.
-Torno a casa- gli disse sorridendo sereno.
Gli occhi di Alex si spalancarono inquieti per poi tornare normali e sorridendo affermò:- E' una buona idea. Qui non ti trovi bene, è evidente. Però ormai ti consiglio di completare l' anno. In fondo mancano solo sei mesi, sette al più. Ti conviene sfruttare al massimo questa opportunità. E' un peccato lasciare un percorso del genere a metà. Non credi? In fondo rivedrai comunque tutti i tuoi amici e quando tornerai lo farai per  per restare per sempre, no?
Yamamoto sospirò rendendosi conto che forse l' altro non aveva tutti i torti. Come a confermare quanto già pensava, aveva il potere di trattenerlo lì. Solo che questa volta aveva capito che doveva ritornare a casa.








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ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, mi scuso per il ritardo ma sono stati dei giorni assurdi, meglio sorvolare. Da ora in poi cercherò di essere puntuale, aggiornamento sicuro una volta a settimana, scusate se però non vi dò un giorno preciso. Inoltre questo capitolo, eccetto qualche passaggio, non mi piace molto, scusatemi ma non sono riuscita a fare di meglio.
Vorrei segnalarvi (la speranza è l' ultima a morire) tre miei recenti lavori:
-I GIORNI (CON TE): sono otto frasi per Yamamoto e Gokudera, pezzi di quotidianità per la mia coppia preferita.
-AISHITERU: Sempre 8059, a metà tra il fluff e l' introspettivo.
-I PREDATORI: 6918 dunque Mukuro e Hibari... questa è strana e a dirla tutta quando lo scritta l' ho capita poco io stessa e non mi soddisfaceva, poi l' ho riletta con un altro occhio (e soprattutto da sveglia) e posso dire che il risultato non è male. Mi piace perchè è ambigua, sfuggente... e credo che, non dovrei dirlo, ma renda il pair (per ocme lo vedo io). Oddei sono disperata... mi autocommento le ff.

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Capitolo 7
*** 7. Illusioni ***


c. 7 la pioggia giusto
Capitolo 7
Illusioni


Le illusioni non sono altro che sogni, fantasmi, chimere che ti cullano assumendo l' aspetto di una fata bellissima o dell' amore più dolce e perfetto.

La notte della Vigilia avevo chiuso gli occhi allontanando da me quella bottiglia sul comodino e sorridendo mi addormentai nell' abbraccio della mia illusione: era Yamamoto, era lì accanto a me e mi stringeva forte.
Sorridevo e sentivo il profumo della sua pelle, era come la pioggia nei boschi che si confonde in una miscela di mille odori, querce, violette...
Sorridevo e percepivo il suo corpo contro il mio. Mai contatto fu così dolce e desiderato, mai sentire il contatto delle nostre gambe intrecciarsi fu così necessario.
Sorridevo e pensavo che sarebbe tornato da me.

Ma le illusioni sono destinate a finire e ci crollano addosso come come i pezzi di un vetro che si infrange, ferendoci.

La mattina di Natale Hayato Gokudera aveva preso il coraggio a due mani. Si era alzato presto, aveva buttato le vecchie bottiglie di liquore, i pacchi vuoti delle sigarette ammaccate e riordinato, si era lavato e vestito indossando la felpa rossa con un pinguino arrabbiato che gli aveva regalato Yamamoto.
Rimase fermo sulla porta di casa dell' altro per qualche minuto. Si sentiva sudato e nervoso, gli faceva male la pancia e allora si chiese se per caso la gastrite di Irie Shoici non fosse contagiosa, sentiva il cuore battere troppo velocemente nel petto.
-Uno, due e tre.
Driiin
Il padre di Yamamoto fece capolino dall' uscio stupito di ritrovarsi quel ragazzino davanti. Ricordava che ogni tanto il suo Takeshi lo aveva invitato a cena e gli aveva sempre dato l'  impressione di essere piuttosto riservato.
- Ya-Yamamoto-san - lo salutò Gokudera schiarendosi poi un poco la voce per sembrare più sicuro di quanto in realtà non fosse- Takeshi... cioè Yamamoto... volevo sapere se era in casa.
Il padre dell' amico assunse un' espressione imbronciata e si spostò un poco dalla soglia per fare accomodare il ragazzo.
-Hai già fatto colazione figliolo?- domandò prima di iniziare ad armeggiare in in cucina. Quando si accomodò fece un sorriso incerto che tanto ricordava quello del figlio.
-Takeshi è rimasto bloccato a New York. Non verrà per le vacanze.

E crollano le illusioni.
Te lo dice il crack che viene dal cuore
Però fingi Hayato, fingi che non sia niente.

-Capisco, è un peccato. E' da molto che non lo vediamo. Quindi è a New York?
-Sì. Il suo volo è stato annullato e tra la neve che ha bloccato tutto e la gente che parte per le feste non è riuscito a venire- il padre di Yamamoto fece un piccola pausa, poi sospirò accennando un sorriso sollevato- Però mi consola un poco il fatto che non sia solo. Il suo compagno di stanza è rimasto con lui. Magari hanno avuto lo stesso problema.
-Magari... aspetti... cos-? Il suo... compagno di stanza?- La mano di Goludera si fermò a mezz' aria, poi la bocca si era richiusa lentamente mentre le bacchette ritornarono a posarsi sul piatto.
-Sì, sì- annuì con convinzione l' uomo dopo un momento di stupore- meno male che il mio ragazzo non ha mai avuto difficoltà a farsi degli amici. Ha un talento naturale... proprio come il suo vecchio- la risata che seguì riempì l' aria mentre Gokudera si augurava che a quel tipo piacessero le ragazze.

O forse non voleva venire.

La coscienza degli amanti è un diavolo capriccioso che li tortura attizzando il fuoco della gelosia, sospettosa figlia di Amore. Ma Amore stesso, il dio alato, padrone degli uomini e degli dei, sa anche egli  domare i suoi figli.
Hayato scosse la testa come se ciò bastasse a scacciare quel pensiero molesto. "No"- si impose caparbio- "Lui no. Non lo farebbe."- "Spero"
E allora la gelosia lotta superba contro l' eterna rivale di purezza armata, è fiducia costei. E' la fede degli innamorati duramente provata.
-Alex è un bravo ragazzo- stava proseguendo il padrone di casa- è molto disponibile con mio figlio perciò mi sento più tranquillo a non saperlo da solo. Mi chiama Mister Yamamoto sai? Mr... a me! Mi viene da ridere.
-E' un appellativo come un altro- ribattè Gokudera apparentemente calmo.
-Sì, ma quel ragazzo mi fa ridere- rispose l' uomo sorridendo a trentadue denti come a voler sottolineare la cosa.
-Ci ha parlato quindi?
-Come? Sì, sì, ci ho parlato un paio di volte.
Quando lasciò casa Yamamoto, Gokudera dovette combattere contro il vento per cercare di accendersi una sigaretta. Si riparò in un vicolo, una strada cieca in cui il puzzo della spazzatura nei cassonetti si mischiava a quello forte della frittura di un ristorante all' angolo. Finalmente riuscì ad accendere la tanto agognata sigaretta quando sulla sua mano iniziarono a cadare la prime gocce di pioggia.
Il ragazzo sbuffò contrariato:- Merda... tempo del cazzo. Ci mancava solo la pioggia... mi sento preso per il culo, idiota! Cos' è? Non vuoi venire e mi mandi una sostituta?
Ma la pioggia diventava sempre più insistente, scendeva dal cielo scuro spazzando via la neve per le strade e le gocce unendosi al vento diventavano tanti piccoli aghi fastidiosi.
Poi il tuono, il fulmine, il tuono, ancora, e il vento sempre più forte.
E finalmente la pioggia è impazzita.
-E' tempesta- sussurrò Hayato lasciandosi scappare un risolino dalle labbra- E' tempesta. Non è una stupida, fottutissima pioggia.

 E' tempesta.

I giorni passavano monotoni e sempre uguali accompagnandosi a un' amarezza e a un senso di vuoto a cui Hayato aveva fatto lentamente l' abitudine, forti di quel dolore sordo che sembrava permeare tutto quanto lasciandogli requie solo nell' incoscienza di un sonno conquistato con qualche sonnifero.
 "Sei esagerato Gokudera", si ripeteva per darsi un tono, "ti stai comportando come una femminuccia. Tutto è destinato a finire, non credevi certo che quello fosse l' amore eterno?"
E Gokudera in effetti al per sempre non ci aveva mai creduto.
Niente è per sempre, si ripeteva in continuazione.
Se lo ripeteva anche quando Yamamoto aveva fatto irruzione -nel vero senso della parola a suo dire- nella sua vita stravolgendo il suo modo di sentire le cose, o meglio i sentimenti, eppure, nonostante la sua testa rifiutasse parole come per sempre o eterno, il suo cuore -stupido cuore- vi si era abbandonato senza che lui potesse farci niente e non di rado gli era capitato di trastullarsi pensando al futuro, quel futuro di cui avevano visto tanti piccoli pezzi. Immaginava cose sciocche, cose assurde ma che per lui avrebbero fatto la differenza, come il condividere il letto con Yamamoto e lamentarsi perchè l' altro occupava troppo spazio oppure ritrovarselo ad armeggiare in cucina di prima mattina...
Cose stupide.
Cose che odoravano, almeno per il suo cuore, di per sempre, di quella parola che era tabù nella sua testa.
Si ritrovò spesso a maledire quel viaggio nel futuro, quel fottutissimo viaggio che gli aveva fatto capire quanto quell' idiota fosse indispensabile per lui.
Forse fu proprio durante lo scontro con Ganma che aveva visto per la prima volta un Takeshi diverso. Non l' idiota. Si erano scambiati uno sguardo carico di rabbia e disprezzo reciproco.
"Non ho bisogno di te", aveva pensato quella volta.
E Yamamoto per un attimo -solo un attimo- sembrò volergli dire "E allora sbrigatela da solo visto che non capsici niente"

E mi sbagliavo.
Mi sbagliavo maledettamente.
Io ho bisogno di te.
E tu mettendo da parte quella rabbia innaturale a cui io ti avevo costretto e perchè nonostante tutto solo tu sei in grado di leggere nei miei gesti  e nella mia mente forse meglio di me, hai capito. Hai capito tutto come sempre Takeshi e alla fine le tue parole hanno reso tutto più chiaro anche a me.
Che sarei io senza di te?
Incompleto, vuoto, incomprensibile agli altri e a me stesso.
Ma io quello stupido viaggio lo odio e lo maledico perchè temo che la mia illusione sia iniziata da lì, quando la mia mano non è riuscita ad afferrare la tua e quella  dannata porta si è chiusa tra noi.
Ho gridato il tuo nome. Avrei voluto sfondare quella barriera che ci aveva divisi.
Mi hai sentito, idiota?
Mi hai sentito?
E quel sorriso, quel sorriso sulle tue labbra, cos' era? Eri felice? Perchè poi?
Ci stavano separando.
E io ero terrorizzato.
Dovevamo tornare a casa tutti insieme, dovevamo iniziare qualcosa insieme.
Io e te.
Lo avevo già visto il nostro futuro, in un album di foto che ritraevano dieci anni di vita. I nostri.
E negli occhi nocciola di un te stesso più grande.
Lo odio quel futuro, lo odio perchè è cambiato il giorno in cui sul terrazzo della scuola mi hai voltato le spalle.
Lo odio quel futuro perchè mi ha portato a domandarmi perchè ti cercavo sempre, perchè ti odiavo, cosa voleva dire quello stupido "idiota" sbraitato ai quattro venti.
E alla fine mi resi conto che non era più la sfida, l' invidia o la rivalità.
Ho un modo strano di amare.
Ma tu, idiota, lo hai capito?

I giorni dunque passavano e Gokudera si era ritrovato a lavorare al ristorante del padre di Yamamoto. Come e perchè non lo sapeva nemmeno lui. Passava di lì, aveva visto un cartello ed era entrato.
-Gokudera...ecco... ehm... c' è... qualche problema?- aveva balbettato il suo Juudaime quando gli aveva comunicato la notizia del suo lavoro part-time.
-No, assolutamente, Juudaime.
-Ecco... allora, se non sono indiscreto, come mai?
Gokudera era rimasto in silenzio voltando il viso dall' altro lato, aveva chiuso un momento gli occhi godendosi il vento sul terrazzo della Namimori.
Che diavolo poteva rispondere?
Di scuse plausibili in quel momento non gliene venivano. La verità sarebbe andata bene decise.
-Sinceramente, Juudaime, non lo so.



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ANGOLO AUTRICE: Buondì, mi auguro che questo capitolo non vi abbia fatto venire sonno, ma insomma, è una storia introspettiva quindi tutto viene filtrato attraverso il sentire e i pensieri dei protagonisti ed è inevitabile che saltino fuori certi ricordi o avvenimenti importanti. La seconda parte, ovvero quella che segue la scena nel vicolo, non mi convince molto, poteva venire decisamente meglio ma visto che il mio cervello per ora (e temo fino a tutto settembre) si rifiuta di lavorare decentemente, ci accontenteremo. Perdonatemi, ma finchè posso e c' è l' ispirazione preferisco continuare, il problema è il tempo. Di norma se una parte non mi convince troppo cerco di rivederla e migliorarla, questa volta non c' è l' ho fatta. Sono una persona orrenda.
Ho fatto riferimento a due episodi dell' anime: lo scontro contro Gamma e il momento in cui Irie cambia l' assesto della base dividendo così Yama e Lal da Gokudera e Ryohei. Al solito, non ho alcun diritto sull' anime, il manga ecc... di KHR.

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Capitolo 8
*** 8. Qualcosa. Qualcuno. ***


c. 8 la pioggia... Capitolo 8
Qualcosa. Qualcuno.


Yamamoto aveva come l' impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa. Ma cosa? Il suo istinto gli dieceva che doveva essere molto importante soprattutto perchè quella sgradevole sensazione della fuggevolezza e della dimenticanza, del dubbio, sembrava non volerlo mai abbandonare. Di contro Alex, pur avendogli comunicato la sua intenzione di ritornare a casa, sorrideva.
Strano, molto strano. Non sapeva se esserne sollevato o meno visto che l' altro ragazzo si era mostrato molto affettuoso e gentile nei suoi confronti. Insomma, erano o non erano amici? E allora perchè non gli dispiaceva neanche un po' che se ne andasse?
Il tempo sembrava non volere passare mai eppure il calendario segnava già la data del due febbraio. I due ragazzi avevano cerchiato quel giorno sul calendario giusto perchè avevano un compito in classe. Alex era stato così gentile da averlo aiutato a studiare, si era anche divertito. Avevano passato la serata a libri e pasticcini ma anche patatine, pop corn e pizza. Yamamoto aveva scoperto di amare la pizza, forse perchè un poco gli ricordava Gokudera.
Era italiana come lui.
Ogni volta che fissava la sua pizza nel piatto non poteva fare a meno di trattenere un sorriso, trovava assurdo quanto bizzaro -e forse idiota- il paragone tra l' italiano e quel cibo. Sì, perchè quello che Yamamoto faceva era un paragone vero e proprio che non aveva ragione, senza capo e nè coda. Semplicemente si era immaginato Gokudera preparargli una pizza, poi la faccia dell' italiano si era trasformata in una grossa pizza e allora Yamamoto -ma non sapeva perchè- si era messo a ridere come un pazzo.

Era assurdo, decretò, Gokudera non si sarebbe mai travestito in quel modo, doveva essere colpa di Alex che gli aveva parlato del Carnevale di Rio.
Un giorno, poco dopo Natale, aveva fatto irruzione in camera loro sventolando dei volantini. Si era messo a canticchiare una strana canzone a a ballare a tempo di musica.
Brazil, narananaranarana, Brazil...*
Yamamoto ricordava che doveva fare più o meno così. Forse.
Era bella, era allegra e dopo che Alex gli aveva parlato di tutti quei festeggiamenti e gli aveva mostrato delle foto, il ragazzo non poteva fare a meno di associarla a un' esplosione di musica e colori. Un divertimento variopinto e rumoroso.
-Ce ne andiamo a Rio!- aveva concluso alla fine il più alto mettendogli una mano intorno al collo, allegro, e buttandosi addosso a lui.
-Non lo so, non mi sembra una buona idea... la scuola...- aveva sorriso indeciso Takeshi tentato dall' idea e al tempo stesso frenato da un pensiero fisso nella mente: Gokudera. Non gli sembrava giusto andare ad una festa simile, non senza di lui.
-Take, Take, Take... quanto mi fai penare- sospirò Alex- tu non preoccuparti. Sarà solo per qualche giorno ed è un' esperienza che devi sicuramente fare. Se non ora quando? E poi Rio è bellissima.
"Giusto, quando?", si era detto Takeshi pensando che in fondo non c' era nulla di male.
E poi era curioso.
E così aveva annuito, Alex aveva tirato fuori il computer e avevano iniziato a prenotare volo e albergo.
-Così presto?- aveva domandato il giapponese.
-Sai, meglio essere previdenti. Ora cerchiamo qualche pacchetto viaggio conveniente e se c' è, ne approfittiamo. Gli altri hanno già detto di sì.
Yamamoto arrivò in classe insieme all' inglese di buon mattino. Come sempre Francesca li aspettava nel cortile esterno insieme a Ivan. Yamamoto si domandò come mai quei due non si fossero ancora uccisi a vicenda. Lei parlava a raffica e di tutto già appena sveglia, l' altro... bè, l' altro non parlava proprio. Ma in fondo chi era lui per pensare una cosa del genere? Anche lui e Hayato erano parecchio diversi.

E infatti ci siamo lasciati.

Takeshi sbuffò, sorrise e nascose quel pensiero molesto in qualche cantuccio. In fondo era anche colpa sua e ora che ne aveva preso atto, o meglio, si era accorto che non poteva stare senza Gokudera, voleva tornare indietro.

Sperando che sia possibile Hayato.
Ti prego, fa che sia lì per me.

 Pregò rivolto a qualcuno. Ma chi? Un dio, il destino, la fortuna.
Qualcuno. Che magari lo ascoltasse.

Fai che mi accolga.
Mi perdoni.
E se il suo orgoglio glielo impedirà, io lotterò, lo assedierò, lo... corteggerò?
Sì. Farò tutto.

Chiederò che tu mi perdoni, verrò da te in ginocchio, Hayato, ma tu non privarmi della tua presenza.
Io ho bisogno di te.
Ho bisogno del tuo idiota urlato contro il viso,
degli occhi verdi scontrosi,
 di quella caparbietà e di quei brontolii borbottati.
E Dio, quanto mi manca tutto questo!
Il Tutto.
Il centro.
Il mio, Gokudera Hayato.
Ho bisogno,
ho bisogno, bisogno, bisogno di te.
E' necessario.
Impellente.
Quanto puoi vivere senza l' acqua?
Quanto puoi vivere senza il cibo?
Quanto puoi vivere senza l' aria?

Il compito era durato un' ora scarsa e Yamamoto non si ricordava praticamente nulla di quanto aveva studiato con Alex e allora fece l' unica cosa che poteva fare.
 Chiuse gli occhi e tirò a indovinare.
Un risolino gli attraversò le labbra. Lo faceva sempre.
Poi, nell' ora successiva il professore presentò alla classe una studentessa trasferita, giapponese come lui.
Il moro la guardò stralunato, la testa altrove e finalmente, dolorosa e improvvisa come un pugno in faccia arrivò l' illuminazione. Ecco cosa gli sfuggiva.
-Cazzo- sibilò tra i denti- è già Febbraio.
Si alzò all' improvviso domandando al professore di potere uscire.
-E' urgente- disse deciso di fronte alla titubanza del docente, interrotto mentre indicava un posto libero alla ragazza.
Yamamoto corse in segreteria. Doveva sbrigare un sacco di pratiche, un sacco di documenti. Se ne doveva andare, e presto anche. Si augurò che non ci volesse molto.
Saltò le lezioni restanti e si recò prima in camera sua, scaricò il programma di ammissione all' ultima classe della scuola Namimori, passò in biblioteca e in libreria e iniziò a studiare.
-Take- la voce di Alex arrivò affannata dalla porta- che diavolo hai fatto? Sembrava che tu avessi il diavolo alle calcagna. Mi hai fatto venire un colpo, stupido.... e che fai? Studi?!- si stupì infine.
-Alex... io me ne ero dimenticato- spiegò brevemente il ragazzo- ma l' anno in Giappone inizia prima. A Marzo.
-Sì... ma perchè sei scappato... e studi?
Yamamoto assunse un' aria grave. Questa volta indovinare non gli sarebbe servito a niente- Vedi, devo fare un test, un esame, così potrò essere nella stessa classe dei miei amici. Sono andato in segreteria a sbrigare le pratiche per il trasferimento. Ci vorrà qualche giorno, nel frattempo inizio a studiare quello che posso.
Lo sguardo di Alex si incupì- Già- borbottò sedendosi di fronte a lui.- Non puoi finire di studiare qui? Che cambia New York o Namiqualcosa?
-Namimori. E comunque è una questione di libri. Qui non ci sono quelli che mi servono. E non c' è Gokudera che può aiutarmi.
-Mh. Allora problema risolto. Ascolta, mio padre ha una compagnia di trasporti, insomma si occupa anche di spedizioni. Dimmi che libri vuoi e te li faccio avere nel giro di un giorno. E poi ti aiuto io.- si offrì il ragazzo guardandolo serio.

Perchè è così gentile?
Amicizia disinteressata? Fino a questo punto? Gokudera già avrebbe dubitato di lui. Mi avrebbe dato dell' idiota, dell' ingenuo.
Ma Alex...
Cazzo!
Non riesco a capire cosa gli passi per la testa.

Yamamoto sentì la voce di Alex che gli chiedeva una risposta. Il giapponese lo guardava pensieroso, indeciso sul da farsi.
Una telefonata fu la risposta per entrambi.
-Sì?- disse Yamamoto prendendo il telefono.
-Ohi Takeshi, è il tuo vecchio che parla!
 Dall' altro lato Yamamoto-san stava salutando calorosamente il figlio. I due avevano iniziato a chiacchierare del più e del meno. Dello studio, del ristorante. Takeshi non voleva dire ancora al padre del suo imminente ritorno. La verità è che aveva paura. Paura che se glielo avesse detto qualcosa lo avrebbe ostacolato così come era succeso a Natale e allora lo avrebbe deluso nuovamente. Poi improvviso come un fulmine -come una tempesta- lo sentì.
-Voooi! Sta' zitto pivello.
-Razza di cretino. Giuro che questa volta ti spacco il culo. Te lo faccio saltare in aria!

Saltare... in aria

Ed è tempesta, Yamamoto.
Tempesta.
Ed è esplosiva, esplosiva come la sua anima,
esplosiva come il suo corpo,
esplosiva come lui,
esplosiva come la bomba che ti scoppia nel cuore in quel momento per una voce.
Una voce. Ma è la sua.

-Papà...- chiese incerto Takeshi, il sorriso sulle labbra, la speranza nell' anima, il cuore che batte- chi c' è lì?
Ma lui lo sapeva chi c' era.
-Oh... già, già. Quel tuo amico, Gokudera è venuto a lavorare qui. Mi dà una mano al locale. C' è anche Squalo.- Yamamoto-san sospirò, poi rise- credo che se non li vado a fermare mi distruggeranno il ristorante.
-Passamelo- Fu solo una parola. Decisa. Imperativa. Un bisogno forte quanto quello di respirare.
-Chi?- fu la domanda perplessa del padre.
-Hayato.

Un nome. Un semplice nome. Alex avrebbe voluto strappargli il telefono dalle mani e buttarlo dalla finestra, magari pestarci un po' i piedi. Perchè quel nome suonava così strano, così diverso se pronunciato dal lui? Takeshi il suo nome non lo diceva così.
Fece un respiro profondo, un ringhio soffocato. Spostò lentamente la sedia e lasciò la stanza.

-Chi è?- sbuffò l' italiano dall' altro lato del telefono
-Hayato- Yamamoto disse quel nome in un soffio, con un senso di sollievo e attesa al tempo stesso.
-T-... Idiota- disse semplicemente l' altro
-Hayato- ripetè il moro- Hayato. Hayato.-
Yamamoto voleva ridere.
Yamamoto voleva piangere.
Yamomoto voleva ritornare a casa.
Dall' altro lato del mondo Gokudera restava in silenzio inebriandosi di quella musica.









ANGOLO AUTRICE: Scusatemi il leggero ritardo, il fatto è che questo capitolo, pur essendo pronto da più o meno tre giorni, non mi convinceva molto. Ammetto che non mi piace nonostante abbia riscritto la parte finale. Speravo venisse meglio visto che è piuttosto importante ma ormai il mio cervello sembra rifiutarsi di collaborare. Scusatemi.
*La canzone sinceramente non mi ricordo di chi è e non posso neppure controllare perchè dove mi trovo la connessione  è piuttosto lenta. In tutti i casi non è mia ma degli aventi diritto... che non ricordo chi sono. ma è loro.


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Capitolo 9
*** 9. Musica ***


c. 9 la pioggia...
Capitolo 9
Musica

"Musica"

Gokudera chiuse gli occhi appoggiandosi contro la parete.
E sorrideva.
Gokudera avrebbe voluto piangere.
Gokudera avrebbe voluto ridere.
Gokudera avrebbe voluto dirgli "torna idiota!"
Gokudera avrebbe voluto che Yamamoto fosse già lì accanto a lui.
Gokudera avrebbe voluto urlare.
Urlargli nelle orecchie ti amo, urlargli quanto fosse idiota e quanto avesse bisogno di lui.
Avrebbe voluto gridargli tutte le sue più intime debolezze, quelle che gli scorrevano dentro il corpo come un fiume sotterraneo, come magma che ribolle invadendo ogni interstizio, bruciandogli ogni nervo e rendendolo al medesimo tempo quasi elettrico.
Aveva chiuso gli occhi e poteva sentire tutto questo, aveva volontariamente isolato sè stesso dal mondo nell' esatto istante in cui aveva sentito la voce di Yamamoto, sarebbe potuto finire, il mondo, e lui non ci avrebbe fatto caso preferendo tendere l' orecchio, per una volta -una sola-, alla sua anima che parlava e parlava e sembrava non volere tacere e che parlava attraverso il suo corpo teso e la voce dell' idiota dall' altro lato del telefono.

"Musica"

Quella voce per lui era musica.
Era la musica di un pianoforte scordato nella stanza, era quella melodia che non suonava da una vita perchè gli ricordava la persona più bella del mondo, la parola che non osava pronunciare perchè era una bugia.

"Mamma"

Quella che non aveva mai avuto, la cui coscienza -la coscienza, il sapere che quella ragazza fosse lei- gli era stata negata negli attimi, pochi, in cui gli era stata vicina. Vicina, seduti davanti quel pianoforte.

"Avrei potuto abbracciarla" pensò per un momento.

E la voce di Yamamoto in quell' istante era musica.
Non ci aveva mai fatto caso prima di allora.
Era quella melodia dolce e amara che gli scorreva al posto del sangue nelle vene, che gli arrivava al cuore facendolo vibrare come la corda di una chitarra, come un sasso buttato nell' acqua.
Era il Do che tutto iniziava e tutto chiudeva.
Era il La della sua vita che irradiava le sue onde in tutto il corpo attraversandolo fino all' anima.
L' anima tremava e la mente si perdeva in mille chimere, in mille illusioni -ancora- e i muscoli del corpo si tendevano sotto quella pressione di suoni.
Musica e magma.
Yamamoto e le sue debolezze.
Yamamoto e la sua forza.
Erano cose che viaggiavano insieme condividendo lo stesso binario e invadendo la sua essenza.
-Go-Gokudera?- chiamò incerto Yamamoto non sentendolo più.
-Parlami. Parlami ancora. Chiama il mio nome Takeshi- sussurrò l' altro a bassa voce.
Non aveva aperto gli occhi
"Questo sogno è troppo reale"
-Ha-Hayato- balbettò l' altro prima incerto e imbarazzato- Hayato- ripetè poi con più sicurezza come se quel solo nome -una parola- avesse potuto trasmettergli tutto ciò che provava.
E forse era così.
Ormai Gokudera aveva definitivamente perso ogni contatto con la realtà.
"Deve trattarsi di un sogno, è così"- si disse deciso ad andare fino in fondo. Tanto era un sogno, che poteva succedere di male?
In quello stesso istante aprì gli occhi:- Quandò torni?- domandò senza uan particolare intonazione nella voce e come se fosse la cosa più normale del mondo, come se Takeshi fosse solo andato a comprare del latte.
L' altro sorrise, o almeno così Gokudera immaginava:- Presto. Presto, te lo giuro.
-Non devi.- disse tagliente
-Cosa?- si allarmò l' atleta
-Non devi giurare, idiota-
-Ma io torno. Te lo prometto-
-Ti ho detto...- sbottò l' altro contrariato
-Ti ho detto che torno- lo interruppe deciso il ragazzo- oggi prenoto il volo.

-Voooi!- ululò a un certo punto Squalo- dannato boss, che diavolo ci fai qui?
"Squalo"- pensò Hayato diventando bordeaux. Si girò lentamente verso la fonte di quei suoni molesti.
"Squalo"- si ripetè mentalmente iniziando a dubitare che stesse veramente sognando.
Che brusco risveglio. Gokudera si sentì come se gli avessero buttato un secchio d' acqua in faccia o lo avessero improvvisamente spinto giù dal letto in malo modo.
-Squalo!- sputò irritato. Quel deficiente gli aveva rovinato un momento bellissimo.
"O forse dovrei ringraziarlo?"- si stupì Gokudera pensando che senza l' intervento dello spadaccino dei Varia avrebbe potuto dire qualche scemenza.
"Roba da romanzi rosa"- pensò il guardiano con disgusto prima di dedicarsi nuovamente al suo interlocutore, che per inciso, dio solo sapeva perchè stesse ridendo.
-Smettila di ridere idiota!- sbraitò l' albino
-Su, su Gokudera. Ridiamoci su!- fu la risposta gioviale di Yamamoto.
-Ma... ma ridere di che?!
-Mha... così... l' amore non è bello se non è litigarello, non lo sapevi? Ahahahaah
Gokudera era senza parole. Questa era la volta buona che lo strangolava. Certo, se fosse stato lì con lui.
Lui stava per confessare le sue indicibili pene d' amore e quell' idiota non aveva capito un tubo. E come avrebbe potuto del resto? Quello era Yamamoto Takeshi.
-Senti un po'- riprese serio e più calmo- hai intenzione... cioè... veramente... vuoi fare quello che vuoi fare?
-Prego? Scusa ma credo di non aver capito.
Hayato si passò una mano in faccia -"E quando mai capisce qualcosa"- pensò.
-Cazzo! Idiota!-
-Gokudera... ritorno davvero. Te l' ho promesso. Per restare.
L' altro rimase per un momento interdetto.
Era vero.
Si sentiva più leggero. La felicità è una piuma.
-A me non interessa. Non sono fatti miei, però sbrigati pezzo di cretino. Qui c' è gente che ti aspetta. Sono tutti disperati per colpa tua. - fece una piccola pausa- Io no.- borbottò alla fine.
Yamamoto rise. Era stata la chiamata più bella della sua vita.

Gokudera chiuse il telefono e si stiracchiò un momento. Si sentiva proprio rilassato.
-Yamamoto-san...- chiamò avvicinandosi all' uomo intento a osservare lo spettacolo gentilmente offerto dai Varia- Takeshi...ecco... credo, e dico credo, che torni a casa.- affermò con una certa cautela.
Hayato non sapeva se aveva fatto bene a dirglielo o no. In fondo non sapeva se Yamamoto voleva o meno, ma forse, pensò alla fine, già glielo aveva detto.
Lo sguardo del proprietario del locale si addolcì e le labbra si piegarono in un largo sorriso, un sorriso diverso dal solito, come se un' infinita dolcezza e serenità  lo avessero pervaso completamente.
-Sono contento, Gokudera-
Non aveva detto grandi cose. Era una frase apparentemente stupida eppure in quelle brevi parole Gokudera potè toccare con le sue mani l' affetto di un genitore, il suo orgoglio di padre, la mancanza nei confronti del figlio, la preoccupazione, la solitudine di quei mesi, infine una felicità contagiosa.
Takeshi meritava un padre come Yamamoto-san. Era fortunato e lui stesso si sentiva fortunato e onorato di aver potuto conoscere una persona come lui.
Lo faceva sentire a casa.
Il padre di Yamamoto sembrava accogliere tutti, indistintamente, però alo stesso tempo aveva una spiccata sensibilità che gli faceva allargare maggiormente quelle grandi ali per proteggere gli uccellini più spauriti.
-Vado a prendere il sushi per quelli là- dichiarò Gokudera rivolgendo uno sguardo scocciato in direzione dei Varia.
-Voooi! Non dovete venirci qui!- sbraitava Squalo all' indirizzo del boss seduto comodamente su di una poltrona gentilmente portata fin lì da Levi, immobile dietro di lui.
-Credevi che non ti avremmo mai scoperto?- chiese Levi soddisfatto della vittoria ai danni del capitano.
-Voooi! Stà zitto, ammasso di lardo ambulante.
-Che?! Ma come...
-Ora basta- li interruppe Xanxus fermando le iridi rosse sulla figura di Squalo. Poi, il boss, ghignò e l' onnipresente bicchiere colmo di liquido ambrato finì sulla testa dello spadaccino- feccia- soffiò.
Il silenzio calò nella sala, in sottofondo si sentiva solo la risatina di Bel. Finalmente Gokudera tornò con le scatole di sushi:- Smammate- si limitò a dire posandole con forza sul bancone.
Ma il boss dei Varia non si prendeva certo il disturbo di eseguire gli ordini altrui, di un Vongola poi, no, no di certo:- Portaci da mangiare- affermò più che deciso a rimanere incollato a quella poltrona rossiccia per dare una lezione al Vongola.
E infatti i Varia se ne andarono solo tre ore dopo.
-Venite a trovarci di nuovo!- li salutò Yamamoto-san, soddisfatto del lauto guadagno mentre Gokudera aveva l' insana voglia di far espodere qualcosa. Magari qualche Varia.
Non aveva iniziato da molto a lavorare per il padre di Takeshi quando Squalo si presentò nel locale urlando quel solito Voooi. Non appena lo vide per la prima volta il guardiano della Tempesta tirò fuori i candelotti di dinamite pronto a proteggere l' incolumità di Yamamoto-san senza ovviamente considerare che l' uomo fosse in ottimi rapporti con l' inatteso ospite il quale  lo redarguì con un "Non rompermi le palle, coglione, e portami il sushi" mentre si accomodava al bancone.
-E allora... quel moccioso torna o no?- domandò Squalo al padrone del locale.
-Eh no- sorrise l' altro negando col capo
-Quel cretino!- si alterò lo spadaccino- tsè... baseball... gliela rompo in testa qulla mazza se non riprende in mano la spada!- Squalo era evidentemente indignato e pronto a perorare al sua causa.
Gokudera rimase visibilmente interdetto di fronte a quella pacifica -se di pacifico si puà parlare con un Varia mezzo- scena. Ma il padre di Takeshi lo sapeva che stava parlando con un Varia? Un assassino?
E poi... che diavolo ci faceva Squalo lì?
E perchè?
Gokudera non sapeva che fare. Stringeva i pugni e avrebbe voluto fare un occhio nero all' oggetto dei suoi pensieri.
Poi notò che Squalo veniva puntuale come un orologio una o al massimo due volte al mese. Sempre da solo.
Gokudera avrebbe voluto strangolare Squalo. E anche Yamamoto che non gli aveva mai parlato di quelle visite. Il dubbio sorse spontaneo. Non è che per caso quell' idiota gli stava decorando la testa?
Alla fine, dopo vari ripensamenti e velate minacce di morte, trascinò lo spadaccino nel vicolo e lo spinse contro il muro.
-Voooi! Vuoi morire per caso?!
-Chiudi quella fogna e ascolta cosa ho da dirti.
Gokudera fece un momento di pausa, Squalo lo guardava accigliato battendo il piede a terra e pensando che il suo sushi giaceva ancora nel piatto. Poi finalmente lo chiese:- Che cazzo vieni a fare qui? In che rapporti sei con Takeshi? E perchè vai così d' accordo con Yamamoto-san?
Squalo scoppiò a ridere, dovette tenersi la pancia a appoggiarsi contro il muro per non cadere per terra. Gokudera aveva iniziato a bestemmiare al suo indirizzo quando finalmente lo spadaccino si degnò di parlare:- Ridicolo, sei ridicolo- e ridacchiò ancora- questa Yamamoto la deve proprio sapere. Tsè... sei geloso-
-Non sono geloso!
Alla fine Gokudera aveva scoperto che Squalo faceva delle periodiche incursioni in casa di Takeshi per convincere l' altro ad abbandonare quello sport insulso che era il baseball e dedicarsi completamente alla sacra arte della spada. Gli aveva rubato un sacco di mazze, le aveva sostituite con delle spade appese alle pareti, aveva persino nascosto -buttato- i trofei nei cassonetti della spazzatura.
-Ma quel moccioso non ne vuole sapere niente- capitolò ormai sull' orlo di una crisi di nervi dovuta agli insuccessi collezionati.
-E... Yamamoto-san?- domandò Gokudera con circospezione
-Yamamoto-san è un ottimo spadaccino. Non ha la testa bacata come suo figlio... e poi fa un ottimo sushi.
-Che... cosa?- Gokudera lo guardò con gli occhi sgranati.
Tutta quella preoccupazione... per niente. Solo comunanza di interessi. Solo sushi. Solo dello stupido sushi.
-Alla fine anche se Yamamoto è andato via non mi dispiacciono due chiacchiere con suo padre davanti a un buon piatto di sushi.- spiegò il ragazzo prima di di urlare un voooi per il tempo perduto e ritornare all' interno del locale.





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ANGOLO AUTRICE: Lo so, dopo questo capitolo mi ucciderete. Ma tanto eh! All' inizio avevo pensato di dedicarlo solo a Yamamoto e Gokudera, poi però ho pensato di allentare la tensione anche perchè visto che Squalo è presente mentre loro parlano al telefono ho deciso di spiegare anche il mistero Squalo... ovvero... una grossa cretinata, lo so e forse ho anche rovinato il capitolo. Magari questo momento di leggerezza contrasta troppo con la prima parte e la rovina. Non saprei veramente. E forse la parte di Yama e Goku e troppo smielata. Non lo so ç.ç
Vorrei avvisarvi infine che per il mese di Agosto non riuscirò ad aggiornare regolarmente. Anzi, forse non ci riuscirò proprio. Mi spiego meglio, io ho un lavoro durante l' estate, a ciò sommiamo un esame che devo dare a settembre... facendo due conti ho  il tempo contato  e  la testa troppo  affollata di  pensieri vari per dedicarmi serenamente a questa storia  a cui, ormai lo sapete, tengo molto. Preferisco fare un buon lavoro  o almeno accettabile invece di tirar fuori capitoli che non  comunicano niente a me per prima.  Perdonatemi davvero. Spero di ritrovarvi  ancora, intanto diciamo che qua si è conclusa una parte,  ora ci aspetta un  ritorno  con tanto di annessi e connessi. Un ultima cosa, risponderò alle recensioni spero tra oggi e domani. Vi saluto  e vi stritolo in un abbraccio gigante,
Haru.

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Capitolo 10
*** 10. Fango, il dolore della pioggia ***


c. boo
Capitolo 10
Fango, il dolore della pioggia.

-Ma tu non sei più tuo.


"Sì, è vero. Io sono suo. Credo sia bello appartenergli.
 E credo che faccia anche un po' di male."

Yamamoto Takeshi dell' America sapeva poco quando era arrivato lì un' po' di mesi addietro -e che a lui erano sembrati anni o secoli- e ora che se ne stava andando lo faceva convinto di saperne ancora meno. In realtà aveva imparato che gli occidentali preferivano i nomi ai cognomi, che le forchette potevano essere usate come fionde per fare la guerra col cibo, ma questo a lui, figlio di un ristoratore non piaceva. Non era certo bello sprecare la roba da mangiare. Aveva imparato poi che gli hamburger e le patatine erano simbolo nazionale, che New York, quella donna romantica e sensuale, piena di luci e di palazzi che sembravano voler toccare il cielo, gli sarebbe mancata in fondo. Ad Hayato sarebbe piaciuta, Gli sarebbe piaciuta tutta l' America forse, perchè un po' sapeva d' Europa e di Asia e di Africa...
Yamamoto aveva conosciuto New York, la Grande Mela e la sua cultura che sembrava un puzzle fatto con le tessere di paesi diversi e di tessere nuove, sue  e solo sue. Era bella, bella davvero. Ma non così per dire, era di un bello che a pronunciarlo ti ci riempivi la bocca.
Yamamoto Takeshi aveva la faccia spiaccicata contro il finestrino dell' aereo, l' anello della famiglia Vongola sembrava vibrare intorno al suo collo invece che bruciare facendolo sentire a disagio come era accaduto per diversi mesi, come se quell' oggettino volesse continuamente ammonirlo dicendogli "ehi bello, sei scappato. Codardo! Non si fa così". Ora invece era felice e quel ragazzone così alto sembrava un bambino. Accanto a lui Alex sorrideva mentre Sandra grugniva.
Quando aveva detto all' amico che no, a Rio, gli dispiaceva tanto, ma non ci veniva, l' altro era stato lì lì per dargli un pugno.
E in effetti avevano litigato.
Yamamoto si era messo addosso quello sguardo nocciola serio e deciso mentre gli occhi di Alex ricambiavano scrutandolo attenti e sottili, i due ragazzi,  silenziosi, eano schierati per la prima volta uno contro l' altro. Alex sospirò:- Stai mandando a puttane il tuo futuro.
-Non è vero. In Giappone il baseball è sport nazionale, è tenuto in gran considerazione.
-La gente conosce il baseball americano, non quello giapponese... e poi... se è come dici perchè sei venuto qua e non sei rimasto a fare il campione in quel buco che è Namiqualcosa, uhm?
-Namimori. Io voglio solo giocare e sono stato stupido se pensavo di farlo lontano da casa. Voglio giocare... e basta... senza rinunciare alle cose a cui tengo.
-Sei patetico, non hai un briciolo di ambizione, Yamamoto- Alex si era allontanato un poco da lui fino ad appoggiarsi contro il vetro della finestra della loro stanza, era la prima volta che lo chiamava per cognome e questo provocò un brivido che attraversò il corpo del giapponese come una scossa indesiderata, Alex ora sembrava guardarlo tutto, dall' alto in basso, aveva infilato le mani nelle tasche e sorrideva in quella sua maniera che ogni tanto era inquietante, strana e quasi superba. Non era il sorriso trasparente che gli regalava praticamente ogni giorno- le stelle nascono qui ma tu non lo capisci. Forse lo capiresti se non avessi la testa fottuta da quel coso incazzato- rise forte- non ho mai visto uno incazzato in una foto... oh sì! Ci stà proprio bene con te! Non si vede?
Yamamoto spalancò gli occhi incredulo. Come poteva quello che ormai riteneva un carissimo amico dire quelle cattiverie?
Erano parole sì, ma erano veleno concentrato. Un veleno che gli entrava in circolo nel sangue, sotto la pelle come i rifiuti che si riversano nei mari o nei fiumi  e li sporcano e li maltrattano scorrendo in essi e uccidendo la vita al loro passaggio.
Takeshi si portò istintivamente una mano sul cuore. Dio, quanto faceva male! Si sentiva come se lo avessero preso a calci, come se gli avessero inferto una ferita doppia. Una ferita che aveva due nomi.
Alex, una persona adorabile, un amico gentile, una sorta di fratello, proprio lui lo aveva deluso profondamente. Yamamoto non lo capiva perchè. Non capiva cosa gli era preso. E non poteva capirlo perchè lui, guardiano della pioggia della famiglia Vongola, era una persona limpida, trasparente. Era pioggia, Takeshi, era pioggia pura e quieta che lava via tutto.

Ma la pioggia può lavare via anche le sue ferite? E se si mescola con il fango? E se viene inquinata? Non è più pura. Non è in grado di lavare via niente.

In quel momento si era sentito pieno di dolore, pensava ad Alex e alle sue parole "Oh sì! Stà proprio bene con te!"

Che vuol dire?

Strinse forte i palmi delle mani chiudendole a pugno e chiuse gli occhi.
-Dannazione!- urlò inchiodando Alex contro il muro e sbattendo forte le mani ai lati della sua testa. Alex sorrideva ancora e lo fissava con le palpebre semiabbassate, senza pietà:- Che c'è... Take, la verità fa male?
Sì fa male.
Yamamoto non lo guardava, teneva la testa bassa e gli occhi ostinatamente chiusi, ma quelle mani da lì non si muovevano, era bloccato, paralizzato: -Che ne sai tu?
-Si capisce
-No, non si capisce un bel niente. Gokudera non si capisce così. Non è un libro facile, lui... lui è scritto al contrario, sì.
-Balle- sbuffò Alex- te le ha dette lui queste puttanate?
-No. Le so e basta. Lo vedo. Lo so leggere... ho imparato.
-Take- la voce di Alex si era intenerita, il ragazzo gli aveva afferrato le braccia costringendolo ad abbassarle e non le aveva più lasciate- Take... guardami. Ho paura che questo ragazzo ti rigiri come vuole, ho paura che ti faccia male. Lo ha fatto, lo so questo. Io ti capisco, vedevo che il tuo sorriso non era più tuo. Ti ha rubato tutto e ho paura... tu non te ne rendi conto, non puoi. Non è una cazzata che l' amore rende ciechi. E' vero. Tu non sei  più  tuo, Take.-

Sì, è vero, è vero. Non sono mio. Io non lo sono più. Sono suo, sono suo.
Credo sia bello essere suo, appartenergli.
E credo che faccia anche un po' di male.
Essere di Hayato Gokudera.

-
E ho paura, Takeshi. Te l' ho detto, ho paura perchè tu mi hai raccontato delle cose, lui non mi sembra innamorato o felice. Uno che è felice non ti tratta così. Tsuna... si chiama Tsuna l' altro vero? Magari...-
-Basta... ti prego basta- la voce di Yamamoto tremava, si coprì la faccia con le mani, quelle grandi mani che cercavano di coprire il viso ma anche le orecchie e che però, quelle grandi mani, sì, non ci riuscivano.
Yamamoto era fragile, quelle mani grandi che ostinate proteggevano tutto non riuscivano più a proteggere niente.
Era crollato.
 Quella pioggia che bagna tutto, che tutto purifica ora non riesce più a farlo. Si è macchiata quella pioggia, si è mischiata col fango e con la terra e con le ferite e il sangue delle battaglie e ora non può più avvolgere i fiori, gli alberi, la gente col suo tocco leggero, con quello strato leggero e delicato fatto di migliaia di piccole goccioline che leniscono le pene dell' anima.
Si è sporcata la pioggia e non riesce a ripulirsi.
-Ho paura, ho paura... Dio... che dolore- singhiozzò trascinandosi a terra.
-Ta- Takeshi- Alex impallidì, tese le mani verso di lui e si abbassò veloce ad abbracciarlo. E desiderava solo cullarlo e proteggerlo per sempre. Prima di tutto dalla sua cattiveria:- Scusa, scusa, scusa... non volevo, non volevo te lo giuro. E' come vuoi tu, no, anzi è la verità... che lui ti ama intendo.
-Poco fa hai detto un' altra cosa- disse Yamamoto con gli occhi ancora umidi cercando una conferma qualsiasi, magari quella che lo avrebbe fatto stare bene, da parte di Alex.
-Io sono stupido- gli sorrise il ragazzo asciugandogli gli occhi- non conosco questo tizio, lasciami parlare a vanvera.
Takeshi sorrise con un sorriso triste, di un dolore che partiva dall' anima e si irradiava fino alla bocca, agli occhi, al cuore, a tutte le cellule del suo corpo e da lì si trasmetteva, proprio allo stesso maniera dei suoi sorrisi più belli, fino agli altri, alla gente che lo circondava e adesso fino ad Alex.

Fa male però.

Alex sapeva che forse avrebbe dovuto insistere, che se avesse continuato magari Takeshi sarebbe rimasto con lui. O forse no, forse gli avrebbe dato un pugno in faccia. Però avrebbe dovuto lottare e magari il suo giapponese si sarebbe scordato di quella mozzarella. Si trovavano così vicini... così vicini che avrebbe potuto baciarlo. E allora perchè non lo faceva? Perchè quella tristezza trasparente gli faceva così male? Si chiese cosa avesse quel ragazzo per colpirlo così, lo stava affondando con quella purezza introvabile e fuori dagli schemi. Forse era una cosa rara, Takeshi, e si sa che le cose rare sono anche preziose.

E alla fine si erano ritrovati insieme su un volo per il Giappone. Dopo quello che era successo Yamamoto non si sarebbe certo aspettato che Alex si offrisse di accompagnarlo. Non credeva che gli fosse così amico da arrivare a tanto e allora iniziò a sorgergli spontaneo il dubbio che forse Alex non era così trasparente come voleva fargli credere, che in genere -ma questo lo aveva sempre saputo- la gente non è limpida come pare. E Alex allora non gli somiglia così tanto. Però l' inglese gli voleva bene e anche Yamamoto gliene voleva e una possibilità non si nega mai a nessuno.
Prima di quella brutta litigata aveva pensato che sarebbe salito sull' aereo, sarebbe sceso, avrebbe visto Hayato lì all' aeroporto, magari con le mani in tasca e lo sguardo puntato sui piedi, e allora lo avrebbe abbracciato e magari baciato. Sì, sarebbe stato bello. E tutto si sarebbe risolto.
Takeshi però sapeva che le cose non funzionavano esattamente così, che se lo avesse fatto, se avesse baciato Hayato davanti a mezzo aerporto, probabilmente l' altro non lo avrebbe mai più guardato in faccia e cosa più importante, ai ragazzi sarebbe venuto un colpo. Soprattutto a suo padre.
Si era detto che allora avrebbe aspettato di essere solo con lui per dirgli magari "Yamamoto Takeshi, piacere. Ricominciamo da qui.", prendersi uno scalpelloto, un idiota gridato ai quattro venti, ridere e alla fine prendersi anche un bacio un po' rude, un po' selvaggio.
E gli andava bene così, e di questo era stato felice. Aveva avuto la certezza, per un attimo, solo uno, che tutto si sarebbe risolto naturalmente, che ogni cosa doveva per forza tornare al suo posto perchè non poteva essere diversamente. Non sembrava volerci tanto. Ci aveva creduto davvero ma ora sentiva che qualcosa dentro di lui si era rotto, Alex aveva riportato a galla i motivi per cui se ne era andato da Namimori.

Sono senza certezze.
Quel giorno lontano sul terrazzo della scuola ce lo aveva nitido tra i ricordi e le immagini gli passavano davanti agli occhi scuri come in un film dal sonoro eccellente. Troppo eccellente.

Il suo sorriso, quello che lo aveva tenuto incollato al finestrino per quasi tutta la durata del volo -perchè nonostante tutto ritornava a casa, da suo padre, dai suoi amici, e sì anche da Gokudera- si era spento non appena era sceso dall' aereo. Prese i bagagli aiutato da Alex e prima di varcere la porta che lo separava da quel suo vecchio mondo dovette fare un respiro profondo, imporre al suo cuore di battere più piano e assumere un atteggiamento il più naturale possibile. Sentì solo la mano di Alex sulla spalla, vide il suo sorriso incoraggiante che sembrava volergli dire "sono qui e se vuoi scappare, scappo con te, se vuoi lottare, lotto con te, Take", sì perchè Alex capiva in fondo e il suo tocco non era un semplice sono qui, no, era un sono qui e agisco con te. Finalmente la porta si aprì e non seppe dire se il cuore avesse perso un battito o gli stesse scoppiando nel petto.




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ANGOLO AUTRICE:
Eccomi^^, mi auguro di essere tornata con un capitolo almeno decente perchè in effetti ci sono dei passaggi che non mi convincono (ci fosse mai una volta -.-), mi auguro di non aver OOCizzato troppo Yamamoto. Per quanto riguarda Alex mi auguro che come personaggio non sia piatto, non sono brava con i nuovi pg o.O, non so che ve ne pare ma stò cercando di dargli delle sfumature appositamente in contrasto tra loro. Mi rovino da sola, lo so.
E ora... piccolo annuncio... cof, cof... ho iniziato una nuova long 8059, il titolo è "Break.", ancora una volta una storia introspettiva, in cui però ho deciso di aggiungere del sano erotismo o///o e un poco di azione (e anche lì ce ne saranno delle belle perchè sono contorta). Break si caratterizza per uno stile più mosso e per un' introspezione, anche essa, mi auguro, più attiva, in un crescendo di tensioni e sentimenti. Ci ho messo davvero il cuore e mi piacerebbe che voi le deste una possibilità, solo una, perchè ci tengo, perchè ho bisogno del vostro appoggio visto che per la testa mi mulina l' idea malsana di prendermi una pausa stratosferica dalla scrittura. Ovviamente terminerò certe ff, sopratto "La pioggia sulla pelle". "Break" è il mio ultimo esperimento nel fandom anime e manga per come sono messe ora le cose e per il momento è una storia pilota.
Per quanto riguarda "La pioggia sulla pelle", gli aggiornamenti zoppicheranno ancora per un pochino mi dispiace tantissimo. Grazie per l' attenzione,
Haru.


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Capitolo 11
*** 11. Aishiteru ***


cap. 11 corretto
Capitolo 11 
Aishiteru

Che un tribunale lo condannasse, pensò Gokudera  davanti allo specchio della sua stanza.
-Che mi condannino pure- ripetè fissando gli occhi sulle proprie labbra e immaginando che fossero quelle di Yamamoto. Quelle di Yamamoto da baciare, mordicchiare, succhiare, torturare a lungo, così a  lungo da renderle gonfie. Le guance del guardiano della tempesta si imporporarono a questo pensiero.
Si osservò con aria critica, poi con un sorriso dolce e amaro passò in rassegna l' ambiente che lo circondava. C' era stato proprio bisogno di una telefonata da parte di quell' idiota perchè il sole facesse di nuovo capolino tra le tende grigie della sua stanza?
Era stato proprio necessario sentire quella risata inopportuna perchè aprisse le imposte alle finestre e l' aria, quella viva, quella che sapeva di muschio mischiato a un po' di smog, entrasse a cacciare quel puzzo di polvere e dolore?
Doveva proprio sentire nelle orecchie quella voce serena per mettere un poco d' ordine in giro e togliere definitivamente bottiglie di alcool semivuote e sigarette gettate malamente ovunque?
Sì, si disse Gokudera.
C' era voluta quella telefonata, quella risata, quella voce per permettere al sole di sorgere di nuovo, ai polmoni di respirare, alla sua anima di mettere ordine in mezzo a quel caos di dolore e frustrazioni.
Era bastato lo squillo di un telefono per ammettere le proprie colpe.
Le avrebbe ammesse ad alta voce ora, avrebbe gridato i suoi peccati, scontato la sua pena se necessario. Avrebbe accettato tutto, tranne una cosa: che Yamamoto non lo perdonasse. Lo avrebbe obbligato a perdonarlo.

Perderti no, non lo farò mai, idiota. Mettitelo bene in testa.
Hai una promessa da mantenere nei miei confronti,
mi hai promesso il  per sempre e il per sempre mi devi*

Gokudera dopo ore trascorse di fronte all' armadio si decise finalmente a prendere una felpa, quella felpa. Il pinguino lo fissava arrabbiato. Era uno scontro di sguardi in cui Gokudera sembrava intimargli di non portargli più sfortuna o sarebbe esplosa e finita giù per lo scarico del water. Pianificò di andare all' aeroporto con un certo anticipo.
 Arrivò tre ore prima.
Ebbe modo di capire che l' attesa può essere snervante, solo dopo molto tempo finalmente iniziarono ad arrivare alla spicciolata tutti gli altri e il guardiano della tempesta pensò che probabilmente sarebbe stato preferibile attendere da solo.
Ryohei sembrava più esaltato del solito e le ragazze particolarmente su di giri con quell' enorme striscione di benvenuto sventolato praticamente in tutte le direzioni possibili. Hibari dal canto suo aveva mandato in sua vece alcuni rappresentanti della commissione disciplinare. L' evento -anche quel teppista lo aveva capito- era importante.
Il guardiano dei Vongola si accorse che alcune voci iniziarono a lampeggiare sull'' enorme display degli arrivi sulla sua testa. New York, o meglio il nome dell' aereo che arrivava dagli States, lampeggiava. Gokudera giurò di svenire.
Posso ancora scappare, si disse ingoiando a vuoto.
I passeggeri iniziarono ad arrivare e le porte scorrevoli si aprirono. Istintivamente si avvicinò all' area degli arrivi, appoggiando le mani sulla balaustra che la delimitava senza accorgersi di avere lasciato gli altri lontano di parecchi metri. La gente faceva il suo ingresso dalle porte scorrevoli e Gokudera squadrava ogni volto, si alzò sulle punte dei piedi per cercare di vedere meglio.

 Dov' è Yamamoto? Dov' è Yamamoto? Dov' è?
Idiota...
Yamamoto.
Yamamoto.
Yamamoto... Takeshi

Una parola, un nome accompagnava i battiti del suo cuore, invadeva la sua testa.
Tum-tum
Tum-tum
Tum-tum.
Batteva forte, dannatamente forte da fare quasi male. Ansia, attesa, paura, erano un acquerello e si confondevano fino a non arrivare a capire quale è una e quale è l' altra. Voleva che quel momento finisse al più presto, non ce la faceva più.
Si mise le mani sulla faccia dicendosi che probabilmente il suo cervello era irrimediabilmente impazzito. Quello stupido sembrava essersi sintonizzato su un solo canale. Canale Yamamoto.
Hayato deglutì a vuoto, il cuore, quel bastardo, ancora gli rimbombava nel petto in un tum-tum furioso che somigliava vagamente al galoppare di mandria di cavalli pronti ad assaltare qualche fortino inespugnabile. Aveva le mani sudate e voglia di imprecare. Provò a guardarsi la punta delle scarpe anche se i suoi occhi non volevano saperne di staccarsi da quella stramaledetta porta, sgranati, aperti all' inverosimile per paura di perderlo come se Yamamoto fosse stato piccolo piccolo come un ago o una coccinella o una lumaca... o... o... o qualcosa di infinitamente piccolo. Tipo una cellula.
Dio, si era rincretinito sul serio, si rimproverò scuotendo la testa.
Che diavolo stava aspettando a uscire, quello stupido? Che gli venisse un infarto?
Poi le porte automatiche si aprirono per l' ennesima volta e finalmente quell' idiota, il suo idiota, fece capolino guardandosi intorno spaesato prima di puntare gli occhi nocciola sull' inconfondibile e rumorosa famiglia Vongola che si era accalcata alle spalle di Hayato.
Gokudera non capì perchè, ma sentì gli occhi pizzicare e l' irrefrenabile desiderio di abbracciarlo.
E invece se ne restava lì fermo, immobile dopo averlo aspettato tanto, dopo averlo desiderato. Se ne stava fermo con l' insensata voglia di piangere mentre tutti gli altri si accalcavano intorno a lui, intorno al suo sole. Che bello rivederlo, era bellissimo, era luminoso. A Gokudera scappò un sorriso dalle labbra serrate.
Se Hayato fosse stato più attento avrebbe potuto notare che tra gli abbracci, tra i sorrisi e le parole, Yamamoto, in quella folla, cercava proprio lui e dopo avere abbracciato il padre con forza e un sorriso più commosso degli altri andò verso il proprietario di quegli occhi verdi che gli erano tanto mancati.
E Gokudera lo aspettava. Lo aspettava probabilmente da una vita e un sorriso -l' ennesimo-  gli scappò dalle labbra e le mani prima ostinatamente nelle tasche furono tirate fuori, le braccia si allungarono nell' inizio di un  abbraccio incerto, la bocca si incurvò per dire qualcosa.
-Takeshi!- Alex afferrò la spalla di Yamamoto sollevato- per un attimo non ti avevo più visto.
Dolore.
E' dolore quando senti il cuore ferito da tanti piccoli aghi, quando sanguina e accasciandosi non ha più la forza per battere, quando un nodo alla gola ti blocca il respiro e deglutire saliva inesistente diventa impossibile, quando i polmoni si stringono all' improvviso e l' aria ti manca e gli occhi -maledetto specchio dell' anima-  si fanno prima grandi e poi sottili e iniziano a diventare rossi cercando di non piangere.
-Oh. Mr Yamamoto?- domandò Alex rivolto al padre di Takeshi trascinando l' amico con sè. L' uomo annuì col capo non risparmiandosi un sorriso di incoraggiamento sebbene guardando di sottecchi il figlio si disse che probabilmente qualcosa non andava.
-L' ho riconosciuta subito, sa?- continuò Alex stringendogli calorosamente le mani- lei e Takeshi vi assomigliate molto.
-Takeshi?- domandò l' uomo stupito
-Takeshi?- fecero in coro gli altri
-Yes, Takeshi- confermò il ragazzo girandosi un momento verso la sorella per invitarla a salutare- non vedevo l' ora di conoscerla.
-Bè...- iniziò Yamamoto-san- benvenuto in Giappone ragazzo! Ti farò assaggiare un sushi squisito!
Takeshi rimase accanto al gruppetto scambiando con loro qualche sorriso distratto.  Il ragazzo si sentiva in una specie di vortice, in un risucchio inaspettato, rapido, veloce che lo stava allontanando da Gokudera. E lui rimaneva lì, dentro quel vortice. Ma per quanto? Per quanto aveva intenzione di restarci?
Gokudera.
Nella sua testa rimbombava prepotente solo il suo nome, i suoi occhi e l' aria crucciata, la voce graffiante, le mani che lo strattonavano e al diavolo tutto il resto, al diavolo i dubbi, le paure e le incomprensioni. Hayato era a pochi passi da lui, si girò e non gli ci volle molto per capire che ciò che aveva davanti era tempesta.
Gokudera alzò il mento quando poco prima Alex gli aveva portato via Takeshi e gli occhierano diventati vendicativi mentre la bocca si incurvava in un ghigno.  Oh, sì che un tribunale lo condannasse pure, si ribadì con un sorriso amaro, che quell' idiota scappasse di nuovo a gambe levate come aveva già fatto. Chi sbaglia paga.
Aveva voglia di urlare e di fare esplodere tutto.
Aspettava, Gokudera semplicemente aspettava mentre quel bastardo di Alex si accattivava le simpatie del padre di Yamamoto. Una parte di lui gli diceva di andarsene, di scappare e al diavolo le spiegazioni. L' altra, quella neonata che spesso aveva soffocato, invece gli imponeva di restare e di non saltare a conclusioni affrettate.
Gokudera dunque aspettava. Spiegazioni, risposte, giustificazioni e Yamamoto questo lo sapeva bene. Rimise le mani in tasca quando Takeshi si girò verso di lui.
Ce ne hai messo di tempo.- sembrò volergli dire Hayato.
-Takeshi, presentami i tuoi amici- lo incitò di nuovo Alex afferrandogli il polso e facendo scivolare la mano nella sua.
Yamamoto lo guardò confuso, guardò Gokudera e aggrottò le sopracciglia liberandosi dalla presa leggera e ammonendo Alex con lo sguardo.
-Alex e Sandra sono due miei amici.
-Sarà Alex amico tuo, non certo io- sottolineò la ragazza incrociando le braccia al petto.
Yamamoto questa volta non rise, guardò Gokudera incamminandosi verso di lui e ribadì deciso:- Sono degli amici. Alex- e sottolineò quel nome- è un mio amico. Ci siamo conosciuti all' accademia. Lui e sua sorella sono venuti a passare qui qualche giorno.
Gokudera e Yamamoto si osservarono attentamente sotto gli sguardi ora silenziosi della numerosa famiglia.
Gokudera sospirò -di sollievo- e allungò il braccio verso l' altro afferrandogli il colletto della maglietta. I loro visi erano vicini, gli occhi, le labbra, i nasi.
-Stupido idiota, ce ne hai messo di tempo per tornare!- sbraitò l' albino mentre Yamamoto si scioglieva in una risata allegra.
Yamamoto allontanò le mani di Gokudera da sè, indugiò tenendole tra le sue:- Quella te l' ho regalata io- sorrise indicando la felpa con il pinguino dall' aria minacciosa.
-Io nemmeno la volevo mettere.
-Ma ce l' hai addosso.
-Ci sono inciampato e alla fine me la sono messa. Era tutto da lavare.
Yamamoto abbassò la testa allungandosi verso l' amico: -Aishiteru, Hayato Gokudera- sussurrò  al suo orecchio.
Gokudera normalmente avrebbe fatto un passo indietro di almeno due metri e avrebbe urlato un idiota ai quattro venti. Per l' imbarazzo, non certo per altro. Chissà se Yamamoto questo lo aveva capito.
Questa volta fu più misurato, arrossì, decisamente arrossì e stringendo istintivamente la maglia di Takeshi tra le dita alzò la testa fino a incontrare bene la sua faccia e gli  occhi nocciola.*
-Aishiteru- soffiò muovendo appena le labbra in una dichiarazione silenziosa.





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ANGOLO AUTRICE:
Eccomi qui dopo millemila anni. Perdonatemi ma nell' ultimo periodo io e la mia ispirazione abbiamo viaggiato su binari diversi. Spero che questo capitolo vi piaccia o sia almeno discreto. Mi è costato lacrime e sudore, sappiatelo. L' ho riscritto tre volte. Tre. Mai successa una cosa del genere o.O. E per la prima volta mi sono addirittura commossa in un passaggio. Questi due mi stanno rammollendo. Ovviamente questo non vuol dire che ne sia pienamente soddisfatta, anzi. Probabilmente tanto non sarò mai contenta di quello che scrivo, rassegnamoci. Non sono stata molto su EFP ma spero di potere riprendere a seguire le storie che stavo leggendo dopo la prima settimana di Novembre. Comunque, ho giusto un paio di cose da dire. La prima è che il prossimo sarà l' ultimo capitolo o il penultimo, ancora non so. Il motivo è che credo che la storia abbia fatto il suo corso, non avrebbe senso continuarla aggiungendo ad esempio dei capitoli in cui Alex mette i bastoni tra le ruote ai nostri piccioncini, troppo, troppo banale, inoltre questo significherebbe modificare l' essenza della storia che voleva essere assolutamente introspettiva senza abbellimenti o grandi gesti esterni da cui partissero pensieri ecc... ad eccezione di quelli essenziali che all' inizio hanno dato il via a tutto.
Poi, come avrete notato ho messo un paio di asterischi *, prima Gokudera fa riferimento a una promessa di Yamamoto, infatti nel primo capitolo il nostro guardiano accusa l' altro di averlo abbandonato pur avendogli promesso il contrario, inoltre in una mia shot "Aishiteru" si parla di come Yamamoto abbia promesso a Gokudera il "per sempre", un tempo a cui di norma il guardiano della tempesta crede poco. L' ultimo asterisco è semplicemente perchè in un certo senso la scena in cui Yamamoto e Gokudera si scambiano il loro Aishiteru (ti amo) riprende più o meno e a grandissime linee quella della citata shot, uno dei lavori che io personalemente ho -stranamente- apprezzato abbastanza. Credo che per certi aspetti Aishieteu sebbene molto breve anticipi e completi "La pioggia sulla pelle", soprattutto se consideriamo questo capitolo, non saprei perchè, chi l' ha letto saprà dirmi se la mia impressione è corretta o meno spero.
Infine ci tengo a dirvi che questa storia nasce e si sviluppa sulle note di due canzoni su cui ovviamente non ho diritti:  Whataya want from me (Adam Lambert) e Just a dream (Nelly).
Su youtube ci sono due video proprio con queste due canzoni che mi hanno ispirato parecchio: http://www.youtube.com/watch?v=5XlBukwE_NQ&feature=results_video&playnext=1&list=PL7687BDBC40194935

http://www.youtube.com/watch?v=7uWyqD6Gyhs

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Capitolo 12
*** 12. La pioggia sulla pelle ***


cap. conclusivo La pioggia sulla pelle






Sento correre giù l' acqua. La sento cadere sulla terra, picchiettare contro le finestre.
La sento, completamente. Dentro.

-Ah- dalle labbra si dischiuse un gemito mentre le mani di Gokudera si strinsero con forza alle spalle di Takeshi stringendolo e avvicinandolo di più al suo corpo per un altro bacio, per sentirsi più vicini, penetrarsi, unirsi completamente seguendo i movimenti rapidi di chi troppo a lungo è stato lontano. All' improvviso sentì un brivido sul corpo, una finestra si era spalancata col vento che gridava, fuori faceva freddo. Fu un momento veloce e delicato al tempo stesso quando le imposte iniziarono a sbattare ritmicamente contro la parete e Yamamoto lo strinse contro il petto. Gokudera poteva sentire il suo cuore, le mani grandi -quelle mani che tutto proteggono- sulla schiena e tra i capelli. Era caldo.
E poi di nuovo il guardiano della tempesta si sentì pieno, Yamamoto affondò dentro di lui, gli sprofondava dentro irradiando calore e sicurezza mischiati ad una sensualità che profumava di muschio umido, un profumo che si mescolava alle essenze di fiori sconosciuti, così tanti da confondergli i sensi e che sembrava amplificarsi con l' aleggiare del vento nella stanza.
E poi pioveva, insistentemente, in maniera costante.

Piove sulla mia pelle, dentro il mio corpo, nel mio cuore.

Un tuono annunciò un fulmine che non tardò a mostrarsi squarciando il cielo e la pioggia, diventata insistente, si fece tempesta.
Yamamoto sorrise. Per fare una temepesta che si rispetti ci vuole la pioggia. Sapeva bene che la sua pioggia ideale sarebbe stata sempre in una tempesta. La sentiva sulla pelle, prepotente, graffiante, fragile, a volte indifesa altre terribilmente pericolosa.

Sono le tue mani che mi scorrono addosso, Hayato.

Quelle mani Takeshi le bloccò, le strinse alzandosi in ginocchio sotto i suoi occhi, le baciò, devoto, le portò al petto. E' impazzito, ha un cuore impazzito, pensò Gokudera non troppo stupito. Come una pallina lanciata con forza, non la puoi fermare. Batte, batte, batte...
Hayato si alzò a sua volta, una mano ancora sul suo cuore, l' altra l' aveva sfilata per afferrare quella di Takeshi, lo fissò deciso, un poco accigliato. La mano di Takeshi era stata poggiata su di lui, là dove c' è il cuore. Lo senti?, pareva dirgli. Gokudera si distese su di lui, sentiva l' aria fredda sulle spalle, tremò, ebbe un brivido. Poco importava, lui lo proteggerà, il suo corpo avrebbe riscaldato quello di Yamamoto. E lo sapeva, tanto lo sapeva che ne avrebbe ricevuto anche tanto calore.

Takeshi sentì l' odore della pioggia, lo sentì forte quando Gokudera si distese su di lui.
Era un odore umido quello della sua pioggia, che sapeva di asfalto e di bruciato, di vecchi libri un po' ingialliti.
E di nicotina.


Amo questo odore, lo amo anche se a molti potrebbe sembrare orrendo. Amo che mi entri nella pelle, mi annebbi la mente, imponga la sua presenza alla mia anima.
Desiderava sentire quel profumo -che non era poi un profumo- in eterno, lo avrebbe impresso tra i suoi ricordi, se lo sarebbe marchiato addosso. Avrebbe urlato "gli appartengo, a lui solo".
E prometto, è un giuramento solenne, Gokudera, un vincolo, di restarti accanto. Non ti lascerò più solo.

Il sole fece capolino tra le nuvole, era ancora un po' freddo e un po' timido ma c' era, mentre la gente per strada poteva mettere da parte gli ombrelli e le automobili scivolavano sull' asfalto bagnato. Sole, nuvole... poco importava. Non era necessaria la pioggia del cielo per sentire le sue gocce sulla pelle.

E rimasero fermi ad abbracciarsi, a stringersi e a fissare i particolari del corpo dell' altro, impararli a memoria e non scordarli più, bearsi della presenza di quella metà che sembrava essersi perduta, sentirsi finalmente completi e più leggeri per promettersi silenziosamente "per sempre"
-Devo andare- affermò Yamamoto dopo qualche ora dispiaciuto mentre Gokudera faceva cadere le braccia sul materasso, contrariato.
-Immaginavo- il suo tono era brusco- quello dorme a casa tua?
-Chi? Alex e Sandra? No, no, hanno deciso di andare in albergo.
Gokudera si rilassò sui cuscini, si sentiva sollevato. Quel dannato Alex era una mina vagante, se lo sentiva. Ma lui eventualmente aveva la dinamite, si disse accennando un sorriso.

L' indomani Yamamoto scendendo al ristorante del padre si ritrovò un Gokudera risoluto più che mai che gli puntava contro il dito indice.
-Ascoltami bene- aveva esordito il ragazzo- io sono il discepolo più fedele di Yamamoto-san! Lui è il mio maestro... quindi  io diventerò il suo braccio destro, hai capito?!
A Yamamoto Gokudera parve particolarmente esaltato, arcuò le sopracciglia leggermente stupito:- Eh no Gokudera, non è possibile- rispose.
-C-Che?
Gli occhi di Yamamoto si fecero seri, l' accenno di un sorriso divertito aleggiava sulle sue labbra:- Mi dispiace Gokudera, non posso permetterlo, non cederò il posto di braccio destro di mio padre. Tu sarai il lobo dell' orecchio, se vuoi.
-Ma che cavolo! E allora tu sarai un pelo del naso!
-Cosa?! Allora sei il moccio.
La voce timida di Tsuna interruppe la diatriba mattutina e il ragazzo pensò che quella situazione aveva qualcosa di famigliare e che decisamente no, quei due non sarebbero mai andati d' accordo - o comunque lo avrebbero fatto nel loro personalissimo modo- anche se qualcosa in quella scena che aveva visto davvero pochi anni prima lo sollevava e rendeva felice portandolo a pensare che era meglio così, che niente probabilmente avrebbe intaccato quel rapporto di cui spesso era diffficile cogliere tutte le sfumature, le cose non dette, il significato dei singoli gesti. Il Decimo Vongola fece la sua comparsa accompaganto da Haru e Kyoko, pochi attimi dopo un Lambo scatenato più che mai gli saltò sulla testa facendolo rotolare sul pavimento. Il Bovino evidentemente scappava, cosa avesse rubato non fu dato saperlo per qualche minuto buono, un occhio attento poco dopo indicò il maltolto come un paio di occhiali da sole  mentre I-pin blaterava qualcosa che aveva a che fare con una signora.
-A chi diavolo li hai rubati, stupida mucca?- abbaiò Gokudera afferrando il bambino. Lambo in risposta si fece una grossa risata e si mise una delle aste nel naso, compiaciuto.
-E non metterti 'sti cosi nel naso, che schifo!- lo rimproverò Tsuna alzatosi non appena Reborn lo invitò gentilmente -con un calcio- a fare il suo dovere di boss e a fermare il suo stupido sottoposto impazzito.
-Ehi, ehi... come siete noiosi- affermò il bambino con aria scocciata guardandosi intorno. Poi, improvviso come solo lui sapeva essere, impazzito, gli occhi verdi si spalancarono crucciati:- Lasciami andare Stupidera!- imponeva agitando le braccia e le gambe. E tonf, gli occhiali caddero a terra.
L' ingresso dei Varia annunciato dall' urlo -che di buono prometteva ben poco- di Squalo peggiorò la situazione.
-Oh, non vedo nulla. Dove sono i miei occhiali?- andava domandando un Lussuria fasciato di un boa e di un kimono rosa shock. E poi dopo il "tonf" ci fu il "crak" inevitabile come era stato inevitabile che qualcuno avesse messo i piedi sopra gli occhiali mentre cadeva il silenzio. Persino Squalo si era fermato dal fare le paturnie a Takeshi.
-Ehi, portatemi uno scotch- ordinò Xanxus rompendo il luttuoso silenzio mentre si accomodava su una sedia imbottita.
-Ma sei scemo? Stupido boss! Questa non è una taverna!- sbraitò Squalo.
Xanxus lo afferrò per la cravatta avvicinandolo a sè:- Tch, non credere di poter venire a rimpinzarti di sushi come un maiale.
-Che diavolo c' entra?!
-Zitto, feccia. Ora non sarai più solo.
I presenti e soprattutto Squalo non capirono bene se quella frase fosse una promessa o cosa.
-Il boss intende dire che non verrai più qui da solo- ci tenne a precisare Levi paonazzo.
Mentre il cicaleccio ricominciava, Takeshi avvicinò le labbra all' orecchio di Hayato che si interruppe dal continuare a sbraitare contro cose e persone per regalarsi un brivido freddo lungo la schiena e un leggero rossore alle guance mentre restava immobile in attesa di ciò che l' altro aveva da dire:- Gokudera...
-S-sì?
-Mi aiuti a studiare?
Yamamoto sorrise, Gokudera rimase per qualche secondo di sasso, non si aspettava certo quello, lo afferrò per la maglia -era una cosa che adorava- e iniziò a tirare avvicinandosi sempre di più -e intanto pensava che adorava quell' idiota- affermando:- E' ovvio, idiota! I guardiani devono restare uniti per proteggere il boss!


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ANGOLO AUTRICE: *Sente urla di gioia in lontananza* finalmente questa storia è finita, smetterò di tediarvi. Mi auguro di non avervi deluso con questo capitolo, preciso che ho ritenuto giusto inserire due momenti fondamentali, il primo assolutamente introspettivo e delicato dedicato a Yamamoto e Gokudera e che è un po' la conclusione della ff, il secondo corale che ricreasse un' atmosfera di nuovo spenzierata per tutti, che unisse la famiglia, importante nel manga, e che indicasse a livello quotidiano, reale, che davvero tra loro non è cambiato nulla. Poi lo ammetto, ho voluto lanciare il mio piccolo sassolino per Xanxus e Squalo, è stato più forte di me. Prima o poi scriverò qualcosa su di loro, nel frattempo aspetto che ritornino il tempo e la voglia per farlo e non appena ciò avverrà la prima cosa che farò sarà rimettere le mani su Break, credo che abbia un gran potenziale. Un' ultima cosa, il dialogo finale tra Yamamoto e Gokudera sulla storia del braccio destro ricalca le battute della scena omonima del manga e contenuta nel secondo volume, ovviamente non ho diritti in merito. Vi ringrazio infinitamente per aver seguito questa storia, vi sono grata soprattutto per il supporto che mi avete dato, un abbraccio grandissimo va ai recensori di questa storia, siete stati gentilissimi e proprio voi siete stati la carica che mi ha spinta a portarla a termine. Grazie.
Haru.

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