La pioggia sulla pelle di Haruakira (/viewuser.php?uid=98001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il silenzio della mia voce ***
Capitolo 2: *** 2. Imperfetti ***
Capitolo 3: *** 3. Judaime (ovvero la famiglia Vongola) ***
Capitolo 4: *** 4. Il vecchio e il nuovo ***
Capitolo 5: *** 5. Ricordi sotto la neve ***
Capitolo 6: *** 6. Sotto un' altra neve ***
Capitolo 7: *** 7. Illusioni ***
Capitolo 8: *** 8. Qualcosa. Qualcuno. ***
Capitolo 9: *** 9. Musica ***
Capitolo 10: *** 10. Fango, il dolore della pioggia ***
Capitolo 11: *** 11. Aishiteru ***
Capitolo 12: *** 12. La pioggia sulla pelle ***
Capitolo 1 *** 1. Il silenzio della mia voce ***
cap. 1 pioggia sulla pelle
-La pioggia sulla pelle-
Capitolo
1
Il
silenzio della mia voce
Yamamoto
Takeshi non era lo stupido idiota del baseball. Questo Hayato lo aveva
capito bene. Non era uno stupido, Yamamoto, anche se rideva tanto e
forse troppo. Chi del resto poteva dire di averlo visto arrabbiato? Chi
poteva dire sinceramente di avere visto uno Yamamoto diverso senza
dovere per forza associare il suo nome a una faccia allegra e a una
risata spensierata, a un paio di occhi che sorridevano essi stessi di
serenità e di gioia? Nessuno.
Tranne me.-
mormorò una voce stanca ma decisa.
Ho visto in quegli occhi
la lama brillante della sua spada, quella spada che taglia e divelte,
che sfida fiera e superba i suoi avversari. Ho visto quegli occhi
gridare di testarda cocciutaggine davanti ai più fieri
avversari, deciso a non morire e a non dover soffrire a sua volta per
la perdita dei suoi amici, i denti digrignati per non cadere. Il dolore
non era per lui.
Ho visto il sorriso di quelle labbra serrarsi in una linea dura, le
sopracciglia distese in una linea morbida aggrottarsi.
E io stesso a volte sono stato causa di tali cambiamenti.
Lo odiai, lo sfidai, lo invidia, quell' idiota, con tutto me stesso
senza sapere che quella sfida aveva un solo concorrente e quello ero io.
Gokudera chiuse gli occhi aspirando l' ultima boccata di
fumo prima di alzarsi stordito dal letto, in una stanza troppo buia,
troppo vuota, dove l' aria viziata sembrava essersi fermata,
ristagnando in un silenzio immobile e pesante.
Non c' era posto per la luce, non ce ne sarebbe stato più,
nemmeno il più timido raggio di sole filtrava dalle persiane
abbassate. Era forse fuggito il sole?
-Non me ne stupirei.-
E le labbra del ragazzo che aveva pronunciato questi pensieri si
distesero in un sorriso ironico e amaro.
Gokudera cercò di alzarsi dal letto buttando di lato le
lenzuala leggere già arrotolate su stesse per i suoi sonni
inquieti, annaspò cercando qualcosa sul comodino. Una
sveglia? Ottenendo l' unico risultato invece di far cadere qualcosa che
si ruppe in mille pezzi ai suoi piedi. Hayato fece un passo mettendo le
mani avanti per raccogliere distrattamente quanto caduto: Una cornice e
una foto, una stupida foto.
-Cazzo!- Una scheggia lo ferì alla mano ma Hayato
fissò per un momento la ferita bruciante fin
quando lo sgurado fu attirato dalla foto sul pavimento.
Una stupida foto. Una
maledettissima foto. Io nemmeno volevo farla, idiota! Questo taglio
è come te... brucia, dannato. Brucia e fa male. Avevi detto
che non te ne saresti andato.
Bugiardo!
Idiota!
Lo hai fatto alla prima occasione. Non sei un santo Yamamoto, non sei
altruista. Sei un babbeo egoista.
-Fottiti!- gridò con tutto il fiato che aveva
in gola, gridò al nulla, al silenzio della sua stanza.
Gridò alla sua solitudine, a Yamamoto che non poteva
sentirlo.
Strappò la foto che li ritraeva insime. Una delle ultime
scattate durante una gita in montagna con tutti gli altri al ritorno da
quello stupido viaggio nel futuro. Li fece in mille pezzi con rabbia
buttandoseli alla fine alle spalle diretto verso il bagno.
Tre mesi, dodici giorni,
ventidue ore e quattordici minuti. Questo è il lasso di
tempo in cui sono tornato a dannarmi l' anima. A marcire nella mia
solitudine e nella mia rabbia. Non lo sai tu cosa è successo
in questo tempo. Non lo sai perchè non ci sei.
Credevo che mi avresti
salvato, credevo di potere diventare indispensabile per te come tu lo
eri per me. Evidentemente mi sbagliavo. Mi hai lasciato anche tu. O
forse è stata solo colpa mia. Ma io non riesco ad essere
come te, a sorridere, a dire ti amo come se ti chiedessi di passarmi lo
zucchero.
-Riesci solo a darmi
dell' idiota e a tenermi il muso. Perchè Gokudera?- mi hai
chiesto quel giorno sul terrazzo. Eri serio, maledettamente serio. E
incazzato.
-Non capisci un cazzo-
sbottai dopo un attimo in cui rimasi in silenzio spiazzato. Ma in fondo
che volevo pretendere. Avevi ragione tu.
-Sono senza certezze- mi
hai detto laconico alzando i tacchi.
E' l' inferno.
E' iniziato.
Riempì la vasca da bagno. Chiusa la porta
dietro di sè il vapore invadeva la stanza, pesante. Gli
girava la testa, ma in fondo che importava? Si immerse nella vasca
piena d' acqua e rimase lì in attesa, consapevole che quell'
acqua, così pura, delicata, non avrebbe lavato via i suoi
affanni, non si sarebbe portata via nè i suoi pensieri
nè le sue angoscie come fa invece il corso lento di un fiume
che lava via il fango e i suoi vermi.
Non era possibile Hayato, perchè solo quell' acqua in cui
eri immerso ti ricordava lui. Così placido e calmo,
così opposto a te. Yamamoto è la
pioggia, è la pioggia che lava via tutto. Tu sei
la tempesta, la tempesta che tutto distrugge.
Respirò profondamente uscendo un braccio dall' acqua e
portando la mano in alto proprio davanti ai suoi occhi. Si
osservò vedendo la pelle bagnata di mille goccioline
delicate. Erano come la pioggia.
Il mio braccio bagnato
in quel momento si confuse con la pelle bagnata dalla pioggia
incessante. Quella che mi feriva la pelle non era una di quelle dolci
pioggerelline, no, era quella furiosa di un temporale. Non sarei dovuto
uscire, non con quel tempo almeno ma avvertivo l' urgente bisogno di
vederlo. Non ne potevo fare a meno, era più forte di me. Mi
resi conto che era difficile stargli lontano, così
difficile che mi ritrovai davanti alla porta della sua casa per qualche
minuto buono indeciso se suonare o meno. Poi quella porta si
aprì e Yamamoto si ritrovò di fronte la mia
faccia accigliata e di pessimo umore, come sempre.
-Dove vai?- chiesi indifferente
-Da te- fu la risposta sorridendo
-Sono qui- feci entrando e superandolo all' ingresso intimamente felice
perchè anche lui non poteva fare a meno di me. Sarebbe
venuto in barba al temporale, io lo avevo solo preceduto.
Quella volta facemmo sesso -l' amore- per la prima volta e mentre lui
mi spogliava dei vestiti zuppi la mia pelle accoglieva una pioggia ben
più dolce. E la tempesta fuori sfumava lentamente in pioggia
quieta.*
ANGOLO
AUTRICE: Questa doveva essere una semplice shot.
Evidentemente non lo sarà. Mi scuso per il linguaggio
poco... aehm... poco. Punto.
*L' ultima parte, appunto segnata con l' asterisco si ispira alla mia
shot "Sotto il
cielo scuro" ed effettivamente questa long nasce propria a
partire da lì.
Ripeto per la millemillesima volta che non sono molto avvezza a
confrontarmi con KHR e i suoi personaggi, dunque critiche e consigli
saranno ben accetti, al di là del fatto che mi piacerebbe
sapere il vostro parere, soprattutto se la storia vi piace
perchè è anche più piacevole per me
lavorarci su, di sicuro con maggiore solerzia. Mi auguro che i
personaggi non risultino OOC nel qual caso perdonatemi, eventualmente
provvederò a correggere il tiro o a mettere l' avvertimento.
Un saluto,
Haru.
DISCLAIMER: I personaggi di Katekyo Hitman Reborn non mi appartengono
ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a
scopo di lucro.
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Capitolo 2 *** 2. Imperfetti ***
c. 2 la pioggia sula pelle
Vi prego di
leggere le note dell' autrice in fondo alla pagina per un paio di
precisazioni
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Capitolo
2
Imperfetti
Noi siamo imperfetti, insieme di sicuro siamo imperfetti.
Bianco
e nero, freddo e caldo,
cielo e terra, sole e luna. Non sono forse opposti che si respingono e
lottano in una guerriglia senza fine finchè uno dei due non
soccombe?
Ma cosa accade quando
il bianco e
il nero si incontrano? Non si amalgano forse in un grigio neutro in cui
essi convivono unendosi senza che tu possa riconoscere
bianco o nero?
E il cielo e la terra?
Divisi
sì, ma la bellezza del creato non sarebbe forse mutila se
uno mancasse? Non morirebbe la vita?
Il sole e la luna
infine. Qualcuno
mi direbbe che non si incontrano mai, che sono l' uno all' altro
stranieri, che la loro, se anche un giorno nel caos primigenio si
fossero potuti incontrare, sarebbe una storia impossibile. Io
risponederei a quello sconosciuto qualcuno di guardare il tramonto,
quando il giorno sfuma nella notte e la notte abbraccia timidamente i
raggi
del sole.
Ma nonostante questo ragionamento romantico bianco e nero non sempre
riescono ad equilibrarsi in un monotono grigio, il cielo e la terra
rimangono separati, ognuno immobile al suo posto, il sole e la luna non
si toccheranno mai, a farlo per loro nello spazio di un tempo irrisorio
saranno solo le sfumature dei loro raggi impalpabili. E caro lettore
anche le anime degli uomini possono essere infine come il sole e la
luna, in bilico tra la smania di incontrarsi e la distanza che
inevitabilmente li separa e dunque godranno, finchè
sarà loro concesso, di quello spazio che è il
tramonto, in cui finalmente riusciranno pallidamente a lambirsi.
Eppure insieme, io e te
siamo imperfetti.
Avrei voluto non
crederci, Hayato.
Ho provato ad amarti ma forse l' ho fatto nel modo sbagliato.
-Un talent scout mi ha visto giocare- aveva detto
Yamamoto correndo in classe diretto al banco di Gokudera. Ad
accoglierlo una faccia seria e un brutto presentimento per
ciò che quella frase avrebbe potuto significare per loro.
-E quindi?- aveva chiesto aggrottando le sopracciglia.
-Ha detto che sono bravo, bravissimo- Rise Yamamoto scompigliandosi i
capelli con la mano.
-E' ovvio. Sei un idiota del baseball. Non sei solo idiota-
sbottò Hayato incrociando le braccia al petto, orgoglioso di
Yamamoto.
-Hayato- la voce si era fatta seria all' improvviso, le labbra non
erano inclinate più in un sorriso spenzierato- mi ha chiesto
di giocare nella sua squadra. E' lontano.
Silenzio.
Solo un immobile silenzio.
Le gambe di Hayato prima distese pigramente sul banco si piegarono
compostamente fino a raggiungere terra così che il ragazzo
rimase seduto sulla sedia in una posizione più consona ad
un' aula scolastica.
-Mh- lo sguardo vuoto non poteva dire nulla.
Poi la campanella suonò e in classe rientrarono Tsuna e gli
altri. Il Decimo boss dei Vongola girandosi per parlare con Kyoko cadde
rovinosamente andando a sbattere contro uno dei banchi.
-Judaime!- urlò Gokudera alzandosi di scatto mentre Yamamoto
rimaneva lì fermo a guardare quel quadretto
quotidiano.
Non mi aveva mai dato
fastidio, Gokudera. So quanto Tsuna conti per te. So che non
è lo stesso amore quello che provi nei miei e nei suoi
confronti, so che la tua è lealtà, devozione e
ammirazione. Ma in quel momento, quando aspettavo immobile che tu
partecipassi dei miei dubbi e della mia speranza più grande,
tutto questo me lo dimenticai.
Ci sono anche io,
Gokudera.
Anche io.
Ho chiesto forse troppo,
perchè in fondo tu, Gokudera Hayato indossi dei paraocchi
che ti consentono solo di vedere Tsuna.
Non è giusto.
Mi sento male dentro.
Mi sento male
perchè per te valgo ancora troppo poco, eppure ero sicuro
che stessimo insieme.
Mi sento male
perchè è Tsuna, uno dei miei migliori amici, che
inconsapevolmente causa tutto questo. Ma tanto sono sicuro che se non
fosse Tsuna sarebbe qualcos' altro.
Mi sento male
perchè un poco Tsuna lo invidio. Perchè ha la tua
ammirazione, i tuoi sorrisi, il tuo buon umore. Non mi piace invidiare
un amico, non è da me, mi fa sentire un verme, non mi piace
non potere godere del tuo buon umore e anzi essere quello che
più ne viene privato.
Perchè
Gokudera?
E perchè
allora stai insieme a me?
-Go- Gokudera- kun... non preoccuparti- balbettava Tsuna
comprensivo e imbarazzato come suo solito fino all' arrivo del
professore che aveva riportato perentorio l' ordine. Tsuna sedendosi al
suo banco notò una cosa insolita -preoccupante- ovvero che
Yamamoto non aveva riso divertito alla sua ennesima caduta venendogli
incontro insieme al guardiano della Tempesta come invece faceva sempre.
Tsuna guardando di sfuggita Yamamoto aveva visto quegli occhi gioviali
spenti. Tristi?
In quello sguardo scuro aveva intravisto una profondità
inquieta che si dibatteva tra la rabbia e la tristezza.
Era possibile si chiese?
Insomma, era di Yamamoto che si stava parlando.
No, non poteva essere. Doveva esserselo immaginato perchè
quando poi si girò nuovamente verso di lui, Yamamoto gli
sorrise.
Ma era un sorriso vero?
Da quella caduta era passata una settimana e Yamamoto e Gokudera non
fecero altro che evitarsi costantemente. In classe non parlavano
nè si guardavano, finite le lezioni scappavano in direzioni
diverse. Uno a studiare, uno agli allenamenti, durante il pranzo
Yamamoto non saliva più in terrazza con i suoi amici dicendo
di dover stare con i compagni di squadra per i campionati che si
avvicinavano e se Tsuna chiedeva loro di uscire Yamamoto rispondeva di
avere gli allenamenti.
-Ti veniamo a vedere!- aveva proposto Ryohei
-No-no- aveva balbettato l' altro- è un periodo delicato per
noi della squadra. Non possiamo avere distrazioni.
Non si cercavano, preferendo piuttosto fuggire l' uno dall' altro.
E i campionati giunsero non molti giorni dopo. La loro scuola era
giunta alle finali e la folla attendeva impaziente di conoscere i
vincitori di quell' anno, le due scuole attendevano di fregiardi del
titolo di migliori e di festeggiare i loro campioni.
Quell' onore quell' anno toccò alla Namimori. Yamamoto
sapeva di dover vincere, ne andava del suo futuro perchè il
talent scout era andato nuovamente a vederlo.
-Fammi vedere che sai fare. Ho bisogno di essere certo che tu sia un
valido elemento.
Ma Yamamoto non era solo valido, era il migliore. Era un buon capitano,
aveva carisma con i suoi e quando la partita sembrò non
arridergli incitò i suoi compagni a fare meglio e a non
abbattersi con un sorriso e una risata allegra. Una di quelle che ti
mettono di buon umore e ti trasmettono una carica nuova.
L' ultimo punto alla fine fu suo. Il silenzio intorno era carico di
ansiosa attesa e se quel giocatore che era giù nel campo
avesse fatto il suo dovere allora Namimori avrebbe vinto.
Un tocco della mazza contro la pallina e immediatamente
scoppiò il plauso del pubblico, le urla di gioia per i
vincitori, il mugugno e la rabbia dei vinti.
Yamamoto sorrise e andò a stringere la mano del capitano
avversario.
Avevano vinto.
Aveva vinto.
-Ti aspetto in America ragazzo- gli aveva detto con un grande sorriso e
una pacca sulla spalla quel talent scout.- Hai una settimana per
pensarci in realtà. Fammi sapere- si congedò.
Vide Hayato appoggiato in un angolo che lo fissava insistentemente.
Sì, ci avrebbe pensato.
Si era fatto una doccia e poi era andato a cambiarsi,
Yamamoto lo aveva cercato in giro per i corridoi.
-Vieni con me- gli disse neutro, trovandolo in giardino insieme algi
altri infine.
Andarono sul terrazzo, un terrazzo silenzioso, il vento soffiava appena
leggero, in sottofondo si sentivano le voci che esultavano, il
chiacchiericcio degli studenti, la musica, insomma i rumori dei
festeggiamenti.
-Che vuoi, idiota?-
domandò Hayato infilandosi le mani nelle tasche.
-Riesci solo a darmi dell'
idiota e a
tenermi il muso. Perchè Gokudera?- gli ho chiesto quel
giorno. Ero serio, ero arrabbiato, ero triste, speravo infine, speravo
in qualcosa.
-Non capisci un cazzo-
sbottò dopo
un attimo in cui rimase in silenzio spiazzato. Spiazzato da cosa?
-Come potrei? Non ho ancora il dono di leggere nella mente.- sputai
velenoso.
-Appunto. Non capisci niente- ripetè furioso- tu dovresti
capire meglio degli altri. Ma tanto sei uno stupido idiota. Sei uno
zero, Yamamoto.
Ecco, aveva confessato. Ecco cosa pensava di me. Forse era mglio quando
mi ignorava. Faceva meno male.
Sentivo bruciare l' anima. Faceva decisamente male, credo di averlo
guardato con astio. Cosa stavo diventando? Tutto quello non era parte
di me.
Mi passai una mano sul viso, ero stanchissimo, non sapevo che fare.
Cercai di calmarmi:- Vado... vado in America- balbettai- il talent
scout dell' altra volta... farò l' ultimo anno di liceo
là e poi giocherò nella squadra universitaria o
forse proverò direttamente nel professionismo, non so.
-Ho capito- mormorò con quella costante aria da duro che non
lo abbandonava mai. Si avvicinò improvvisamente a me
prendendomi per il colletto della camicia- Idiota!- urlò-
Idiota!
Rimase un momento in silenzio stringendo sempre di più
mentre le sue mani tremavano, guardandomi fisso negli occhi arrabbiato-
E tuo padre? E il Decimo?! Cazzo, Yamamoto. Sei un guardiano!
Gli presi i polsi e mi allontanai di qualche passo lasciandolo
nuovamente andare. Abbassò le braccia lungo ai fianchi
guardandomi serio.
-Non mi dici nient' altro?- domandai indifferente
-Che vuoi che ti dica?
-Non lo so. Gokudera mi ami?- chiesi all' improvviso.
-Che cambierebbe?-domandò a sua volta sconfitto.
Silenzio, poi un sì sussurrato nell'aria
-Non sembra lo sai?- feci sorridendo triste. -Sono senza certezze- gli
dissi semplicemente andandomene via.
Forse per
lui avrei potuto rinunciare a tutti i miei sogni, anzi, lo avrei fatto.
Lo avrei fatto se le cose fossero andate diversamente. Ma non
così. Non potevo buttare alle ortiche il mio futuro
perchè di certo stare con lui in quel modo mi avrebbe
distrutto.
ANGOLO
AUTRICE: Salve a tutti, vorrei precisare due cose. La
prima è che qui considero che i ragazzi siano al penultimo
anno, la seconda è a proposito di Yamamoto. Di sicuro
è, usando un termine gokuderiano, un idiota. Ma Yamamoto non
è solo quello, l' essere idiota è solo una parte
del suo carattere dunque vorrei cercare di mettere in luce anche gli
altri lati, magari anche quelli meno positivi e che riscontriamo nel
corso della storia, durante le battglie, i momenti più seri
e durante l' evolversi del suo rapporto con Gokudera.
Spero di potere aggiornare ogni settimano, forse ogni due (ancora non
so perchè ho gli esami) e ovviamente di ricevere i vostri
pareri visto che è sempre gratificante sapere di essere
riuscita a comunicare certe sensazioni (sempre che davvero ci rieca) e
sapere che il proprio lavoro è apprezzato. Un autore non
scrive solo per sè stesso. E di sicuro sapere che c'
è qualcuno che alla tua storia ci tiene ti invoglia a
lavoraci meglio e con più solerzia. Ovviamente accetto anche
le critiche e i consigli visto che ho molto da imparare e una storia
può sempre essere migliorata. Un saluto,
Haru.
|
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Capitolo 3 *** 3. Judaime (ovvero la famiglia Vongola) ***
c. 3
Vi prego di
leggere l' angolo autrice a fine pagina. Grazie.
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Capitolo
3
Judaime
(ovvero la famiglia Vongola)
Hayato rotolò giù dal letto ritrovandosi una
bottiglia di
vodka a un palmo dal naso, tastò il pavimento per rialzarsi
sentendolo bagnato sotto i palmi. Si annusò le mani. Che
era?
Rum? Vodka? Di sicuro doveva essergli caduto quando si era
addormentato. Iniziò a sentire dei passi veloci
dietro la
porta, giurò di avere sentito la voce del Decimo... o era
Ryohei?
Poi qualcuno si degnò di bussare. Sbuffò
passandosi una
mano sugli occhi. Perchè doveva rispondere? Non voleva
parlare,
non ci riusciva, se ci provava adesso era sicuro che la sua voce
sarebbe uscita strozzata, che ogni singola parola avrebbe raschiato la
gola e la bocca dolorosamente.
Era patetico.
Dannato Yamamoto.
Vide la figura di Tsuna fare
capolino sull' uscio ed entrare timidamente seguito a ruota da Bianchi
e Reborn. Per fortuna che sua sorella aveva gli occhiali. Un mal di
pancia assassino era l' ultima cosa che desiderava. Era preoccupata
Bianchi e lui lo sapeva.
Lo squadrò severa poi fece velocemente alcuni passi in
avanti.
Quello che i suoi sensi intorpiditi sentirono bene fu uno schiaffo e la
bottiglia mezza vuota sul comodino che gli veniva versata in testa, sui
capelli.
Normalmente Hayato si sarebbe messo a urlare, si sarebbe arrabbiato
parecchio per quel gesto, ora la fissava semplicemente senza forze come
se quell' ostinato silenzio in cui si era chiuso, quel dolore in cui
era caduto lo avesse prosciugato di ogni energia.
Un altro schiaffo e poi si sentì strattonare per le spalle:-
Hayato! Hayato perchè fai così?
-Hayato- sussurrò prima di cadere in ginocchio di fronte a
lui e
abbracciarlo stretto- io sono qui, Hayato. Sono qui. Non puoi farmi
questo.
La ragazza, il famigerato Scorpione velenoso si sentiva impotente.
Aveva cercato di risollevare il fratello in ogni modo, con le buone e
con le cattive, gli aveva preparato ogni genere di cibo (di quelli
buoni e prelibati) che quello aveva ostinatamente rifiutato, aveva
dovuto far cambiare almeno tre o quattro volte la porta della stanza di
Hayato e quando andava bene solo la serratura per tutte le volte che
era stata costretta a usare i suoi mezzi per entrare in quel luogo
privo di luce e di profumi, in quel luogo immutabile dove il silenzio
immobile veniva sporadicamente interrotto da qualcosa che si rompeva o
da un grido nell' aria. Aria stantia e maleodorante che sapeva di
chiuso e di alcol e di fumo.
Yamamoto è
andato via.
Era questo il fatto e tutti quei mesi erano passati con una lentezza
assurda. Il tempo forse si faceva beffe di lui, sì,
decisamente, il tempo, le ore, i minuti, lo stavano prendendo per il
culo e lui si limitava a rispettare una routine stupida e insensata.
Andava a scuola se proprio non poteva farne a meno, o comunque se la
sera prima non aveva bevuto troppo, arrivava a casa e si chiudeva in
camera affondando il viso contro il materasso in attesa che i sensi si
facessero meno attenti e la memoria più sbiadita. Che il
rimedio fosse rum o sonnifero quello poi importava poco.
Da quando Yamamoto era partito Gokudera era cambiato.
Era vuoto.
-Sei egoista- la voce dell' Arcobaleno arrivò chiara alle
sue
orecchie. In fondo non era la verità?- e un pessimo braccio
destro.
-Reborn!- lo riprese Tsuna accennando qualche passo verso il guardiano
della Tempesta e Bianchi che ora si era spostata un pochino sedendogli
accanto e afferrandosi al suo braccio.-Non è vero Gokudera.
Non
dargli ascolto- Il Decimo dei Vongola si chinò alla sua
altezza.
-Stai passando un brutto momento. La... la partenza di... Yamamoto-
Tsuna balbettò, non sapeva bene neppure lui he parole usare
e
quel nome appena accennato ebbe quasi paura di pronunciarlo. Era un
tabù e gli occhi di Gokudera sentendolo nominare, per la
prima
volta non nella sua mente ma a voce alta, si spalancarono un attimo
ravvivandosi- Gokudera, è stato un brutto colpo per tutti...
nessuno di noi si sarebbe aspettato tutto questo- il viso di
Tsuna si fece serio, più sicuro. Doveva misurare bene le
parole
non poteva di sicuro confessare che nessuno di loro si immaginava una
reazione come quella. Da parte sua per di più!- Non so bene
che
rapporto ci sia tra te e Yamamoto ma ti prometto, Ti prometto-
ripetè più forte- che passerà. Che
tutto questo
passerà. Noi siamo qui, Bianchi è qui. Non ti
lasceremo,
siamo una famiglia e una famiglia è tale per sempre.
Gokudera si vide sotto il naso la mano di Tsuna che lo invitava a
rialzarsi.
Era la mano del suo boss, del suo Judaime.
Judaime.
Il cielo che tutto sotto di sè raccoglie.
Judaime,
Ho odiato Yamamoto.
L' ho invidiato.
L' ho sfidato.
L' ho amato.
Lui era il braccio destro e per questo aveva lottato e
doveva esserne degno.
Tsuna era il cielo, se non ci fosse stato quel cielo Gokudera non
avrebbe mai conosciuto la dolcezza della pioggia, quella quieta, non
quella della tempesta.
Grazie Judaime.
Quel cielo gli aveva dato una famiglia che prima non c'
era. Gli aveva dato verità, affetto e amicizia.
Grazie Judaime
Gokudera aveva un compito, anzi due. Voleva essere un buon braccio
destro per Tsuna e proteggerlo.
Voleva essere una buona guida per gli altri guardiani... e proteggerli.
Noi siamo i Vongola.
Gokudera vide gli occhi di Tsuna spalancarsi e vide le
lebbra di Reborn piegarsi una linea che sembrava un sorriso.
-Kufufu-
E il rumore di tonfa.
Gokudera si girò. Che ci facevano Hibari e Mukuro nel suo
giardino? Non potevano andare a scannarsi da un' altra parte?
-Acc!- un imprecazione soffocata e la figura di Dino che si rialzava da
terra.
Idiota.
Era caduto scendendo i gradini.
-Erbivoro...tsè- lo salutò Hibari con aria di
sufficienza
-Kyoya!- fu la risposta allegra del boss dei Cavallone mentre si
rialzava seguito dal fedele Romario:- Non possiamo lasciarla
da
solo boss...- lo prendeva bonariamente in giro.
-Ehi ragazzi. Dov' è Lambo?- chiese Ryohei guardandosi
intorno- sono estremamente preoccupato.
Poi
sentì il rumore di
qualcosa che cadeva a terra e una risata matta risuonare per la casa.
Era la risata di un bambino. Di quel bambino.
Stupida mucca.
A quel punto i rumori molesti sembrarono spostarsi nel
corridoio.
Erano dentro casa sua, si disse Gokudera rassegnato.
-Lambo!- era I- Pin.
-Lambo-san mangia tutto, ahahahah
-Fermatevi, fermi.- Haru e Kyoko. Anche loro lì?
-Ahiaiahi- Dino. Doveva essere caduto sul tappeto, pensò
Gokudera.
-Stupido erbivoro, tsè. Dov' è quel dannato di
Mukuro ragazzina? Tiralo fuori.-
Un rumore di tonfa.
-Il maestro... se n' è andato- Chrome.
-Hibari! Non qui! E' estremamente pericoloso.- Rhyoei, ancora.
Casinisti
E Lambo corse gurdandosi indietro per fare una pernacchia ai
più grandi... e rotolò ai piedi di Hayato.
Il bimbo scosse la testa e alzò gli occhi verdi sul
guardiano
della Tempesta mentre la risata allegra si spegneva.
-Scu-scusaci Gokudera- kun- Tsuna stava per ritirare la mano che era
rimasta a mezz' aria osservando quel folle spettacolo che invadeva
tutto quanto,
probabilmente per placare quel putiferio e soprattutto per
allontanare Lambo.
Non era il momento dei giochi.
Gli occhi di Hayato si posarono prima sulla figura spaventata di quella
piccola peste.
Uno sbuffo che somigliava a un sorriso uscì dalle sue labbra.
Poi la sua attenzione si spostò ancora una volta sulla mano
del Decimo. E l' afferrò.
Strinse quella di Bianchi.
Si rialzavano insime mentre un silenzio carico di attese si impadroniva
delle persone affacciate all' uscio della stanza. Tranne Hibari
ovviamente.- che era lì solo perchè quell'
erbivoro di Mukuro lo aveva fatto correre per mezza città.
Non certo per quel ragazzino arrogante di Gokudera. No.-
Hayato si abbassò nuovamente facendo leva sui talloni
e fissò Lambo, l' aria accigliata.
Ma ora era diverso.
-Stupida mucca- sbottò
-Gokuscemo!- replicò il bambino rimettendosi in piedi.
Grazie.
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(IMPORTANTE)
Nei prossimi capitoli
potrebbero essereci riferimenti al TYL e alla Future Arc, prendendo
a
riferimento addirittura certi spezzoni dell' anime. Ve lo dico
perchè
non voglio avere grane, questo non è l' ufficio reclami e
poi conoscete
il proverbio no? Lettore avvisato mezzo salvato.
ANGOLO
AUTRICE: Salve
a tutti,
Preciso che questo capitolo non doveva decisamente essere
così, avevo pensato alla sola presenza di Tsuna, Reborn
e Bianchi a consolare Hayato forse sarebbe stato
più probabile, poi però non ho resistito... che
ci posso fare? Amo i momenti "corali".
Mi scuso se i capitolo sono brevi ma il tempo è
quello che è, spero di poterli allungare presto, tuttavia
questo momento credo che andasse trattato singolarmente
perchè Tsuna è importante per Gokudera, La
famiglia lo è.
Chiaro che se a Yama fosse venuta la felice idea di andare in America
Gokudera non si sarebbe ocmportato di certo così...
probabilmente sarebbe andato all' aeroporto e lo avrebbe preso a calci.
Ma la ff non deve andare così.
Nello scorso capitolo ho parlato di talent scout ecc..., in Giappone le
cose non andrebbero così (e un altro poco di panzane le
scriverò nel prossimo capitolo).
Oggi non potrò rispondere alle recensioni per mancanza di
tempo e siccome mi piace gustarmele e rispondere bene e con ammoreh lo
farò domani.
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Capitolo 4 *** 4. Il vecchio e il nuovo ***
c. 4 la pioggia.... giusto
Capitolo 4
Il vecchio e il nuovo.
-Papà... sei sicuro che non vuoi che resti?
-Ohi,ohi Takeshi! Cos'
è quella faccia spenta? Non stai andando in guerra!
-Ma... tu... il
ristorante...
-Takeshi, lascia fare al
tuo vecchio. E sorridi, sorridi sempre Takeshi
Sorridi sempre.
Come si fa a sorridere
papà se
tuo figlio sente la tua mancanza? Ti conosco, lo so che all' aeroporto
hai sorriso per me, sei stato forte per me. Perchè i sogni
sono
importanti. Perchè dobbiamo fare sempre quello che sentiamo
nel
cuore. Quante volte me lo hai detto? Tante e non bastano mai.
Mi manchi vecchio, mi
manca il dojo e
il ristorante, mi manca l' aria del Giappone e Namimori. Mi
manca
il terrazzo della scuola. E' stupido vero? Mi manca il suo campo da
baseball.
E i miei amici.
Erano venuti tutti a
salutarmi. No, anzi, tutti no.
Lo cercavo ma non lo
vedevo.
-Hayato non è
venuto, mi dispiace Yamamoto.
-Ah... sì.
Grazie Tsuna.
-Yamamoto... sei sicuro?
Che bella domanda che mi
hai fatto Tsuna. Bella davvero.
Mi guardai intorno notando che l' aroporto era pieno di gente,
del resto si sa, gli
aeroporti
sono posti affollati. C' è chi arriva in vacanza e chi per
lavoro, chi si appresta a partire per una settimana, un mese... o per
sempre per non fare più ritorno. Ma c' è anche
chi arriva
per restare.
Che
bella domanda mi ripetei. In quel momento avevo di fronte a me mio
padre e i miei amici. La mia famiglia insomma. Erano quelle le cose
importanti della mia vita. Il baseball, la spada erano di
sicuro i talenti
più grandi che avevo, le mie passioni, i miei sogni.
Non potei fare a meno di chiedermi se valesse la pena soffrire
così tanto per inseguire un sogno, un
sogno che in fondo avrei potuto realizzare ugualmente senza dover
rinunciare a
tutto quello che amavo.
No. Chi lo farebbe mai?
E allora io che ci facevo in un aeroporto pronto a partire per New York?
Scappavo.
Scappavo e sfidavo me stesso. Sfidavo me stesso solo perchè
stavo scappando.
E' ora di crescere Takeshi, mi ero detto. Non esiste solo Namimori.
Forse.
-Tsuna... salutami
Gokudera e...
E cosa? Che volevo dire?
-Non ti preoccupare. Ti
prometto che proteggerò
tutti.
Aveva
salutato tutti quel giorno, aveva salutato persino Squalo prima della
partenza, ovviamente lo spadaccino dei Varia gli aveva detto
arrivederci a modo suo ovvero facendogli notare che
stava facendo una gran cazzata e che di quel passo non sarebbe mai
stato un grande spadaccino.
Yamomoto si era limitato a ridere come al suo solito congedandosi con
un vedremo risoluto.
Quando fu sull' aereo
osservò il suo anello, l' anello del guardiano della pioggia
dei
Vongola, e strinse forte i pugni mentre la
città
sotto di lui si faceva sempre più piccola.
Un pensiero, un dubbio, una
preghiera nella mente lo costrinse a chiedersi se tutto quello che
stava lasciando lo avrebbe ritrovato al suo ritorno.
-Ehi, ehi... Takeshi!- Yamamoto sentì una mano
posarsi sulla sua spalla e scuoterlo leggermente.
-Eh?
-Un dollaro per ogni tuo pensiero- scherzò il ragazzo di
fronte a lui.
Yamamoto sorrise di rimando. La nostalgia era una brutta bestia ma i
ricordi, quelli sono la cosa più bella che abbiamo anche
quando
ci fanno un po' male.
-Take- iniziò il ragazzo un poco incerto accomodandosi sul
banco
accanto al suo- non... stai bene qui? Io ti vedo sorridere ma a volte
ho come l' impressione che questo tuo sorriso non arrivi ai tuoi occhi.
Quello che Yamamoto aveva di fronte era Alex, Alexander a dir la
verità, un inglese della sua stessa età e con cui
condivideva la stanza e la passione per lo sport.
Oh bè, ma in fondo in quella scuola chi non amava lo sport?
Il
liceo in cui era finito era molto particolare, era piuttosto una sorta
di accademia con tanto di dormitori, mense e sale relax specializzata
nel dare ai ragazzi una preparazione sportiva in grado di metterli
sempre un passo o due in avanti rispetto ai propri coetanei.
Ad
Alex piaceva il basket ma non disdegnava di cimentarsi in
altre
attività ed era per questo che spesso lui e Yamamoto si
allenavano insieme.
Per Takeshi fare amicizia con la gente era sempre stato facile, era una
sorta di talento quello, ma socializzare con Alex sembrava essere stato
ancora più facile, come se quel talento fosse stato
condiviso
anche dall' altro ragazzo, uno spilungone di un paio di centimetri
più alto di lui e un gran bel viso incorniciato dai capelli
corvini che cadevano scompostamente sugli occhi verdi. Un verdino
strano, no, diverso,
da quello
che Yamamoto conosceva e amava. Lo smeraldo di quello sguardo era
qualcosa di perennemente solare e gentile sebbene ogni tanto quella
luminosità sembrasse oscurarsi diventando quasi inquieta e
cupa.
-Dai Take- lo incitò l' altro saltando giù dal
banco e
afferrandogli il polso costringendolo così ad alzarsi- non
è per noi
restare così! Forza che mi deprimo, ho bisogno di un
hamburger.
Poteva non ridere Takeshi, poteva non ritornare di buon umore? Alex era
in grado di spazzare via tutto con la sua natura mutevole. A volte
delicato e gentile, altre decisamente vivace e irruento. Era insomma
quello che Yamamoto definiva un buon amico.
Quando aveva aperto per la prima volta la porta della sua stanza carico
di valige e scatoloni non avrebbe mai immaginato che l' altro prendesse
una delle scatole che teneva malamente una sull' altra ridendo e
raccontandogli tutto di lui infarcendo allo stesso tempo la loro
conversazione di mile domande.
-Uhm... allora Take sei giapponese?- aveva chiesto a un certo punto
stravaccandosi sul letto.
-Take?- domandò stupito Yamamoto.
-Sì... Takeshi... non è il tuo nome?- fece di
rimando l'
altro come se fosse la cosa più ovvia. In realtà
Yamamoto
non era abituato a sentirsi chiamare con il suo nome di battesimo se
non da suo padre e a volte da Hayato e l' altro dovette capirlo
perchè poi realizzò- Ah, già...
già... sei
giapponese. Voi usate più il cognome, no? Qui di solito
è
il contrario ma se la cosa ti offende ti chiamerò Yamamoto.
Il ragazzo arcuò le sopracciglia per poi sorridere a sua
volta:- No, no. Ho capito... Takeshi va bene.
-Io allora per te sono Alex... e quella nascosta dietro la porta della
nostra stanza è mia sorella Sandra.
-Che?- Yamamoto non capì immediatamente, solo poi
notò
che la loro porta era leggermente aperta e quando si alzarono
si ritrovarono davanti alla versione femminile di Alex
accucciata
e con un bicchiere vuoto in mano, la differenza era che la ragazza era
decisamente più bassa e con dei capelli parecchio
lunghi e molto lisci.
-Questa impicciona è la mia sorellina più
piccola. Non
riesce mai a farsi i fatti suoi- lo informò il ragazzo
regalando
uno sguardo severo alla sorella che in tutta risposta scappò
nel
corridoi facendogli una pernacchia.
-Sembra... simpatica.
-No è solo una rompipalle.
Alex lo aveva portato in giro per New York senza risparmiargli neppure
i locali notturni, i bar e le discoteche più in voga e le
paninerie con i migliori hamburger della città a suo dire.
New
York era decisamente grande, anzi no, era enorme e caotica. Non
assomigliava per niente a Namimori. Persino la sua scuola era qualcosa
di diverso e ogni volta che metteve il naso fuori da quelle quattro
mura non poteva fare a meno di provare un senso di euforia dovuto alla
novità dei luoghi e alla loro diversità che
però si
mischiava inevitabilmente una strano senso di piccolezza e smarrimento
che gli ricordava perennemente quanto fosse lontano da casa. Le prime
volte quando usciva con i suoi nuovi amici non poteva poi fare a meno
di ripensare a quelli che aveva lasciato in Giappone.
C' era Ferrante, uno spagnolo dalla pelle olivastra e i capelli a
spazzola che tanto assomigliava a Ryohei, c' era Francesca, una ragazza
italiana goffa e chiacchierona, Ivan un russo biondo e dagli occhi di
ghiaccio costantemente arrabbiato e silenzioso, Françosis un
ragazzo dai capelli rossicci e i modi eleganti e per finire
c' era
Alex, sua sorella Sandra e ultimo lui, Yamamoto Takeshi.
Era strano guardarsi intorno senza sapere dove andare, senza poter
riconoscere nulla che in qualche modo gli ricordasse la sua terra, era
triste vedere quelle facce nuove e non potere fare a meno di
paragonarle a quelle dei suoi amici. Tutto però
sembrava
sparire all' improvviso quando si girava e incrociava gli occhi di
Alex. Il ragazzo non lasciava mai il suo fianco e cercava sempre di
metterlo a suo agio nonostante le occhiate di Sandra non sempre gentili.
-Take questi sono i tuoi amici?
Yamamoto alzò lo sguardo dal manga che stava leggendo. Sul
suo
letto, di fronte a lui era seduto Alex a gambe incrociate che gli
mostrava un paio di foto.
-Ah, sì. Devo averle dimenticate in mezzo al libro che stavi
leggendo- rispose allungandosi per prenderle. Erano tre, una lo ritreva
insieme al padre davanti al loro ristorante, la seconda...
bè la
seconda era parecchio strana e Yamamoto non potè fare a meno
di
mettersi a ridere insieme all' altro ragazzo.
-Ma come avete fatto questa foto?- domandò l' inglese.
-Sai... con un bambino piccolo come quello vestito da mucca e con i
caratteri diversi che ci ritroviamo... mha... una foto del genere credo
che non possa mancare.
-Cosa... ha in mano questo ragazzo? E perchè quest' altro e
girato... e la ragazza qui... ha una torta in mano?!
-Allora- iniziò Yamamoto sedendosi accanto al ragazzo-
questo di
qui si chiama Hibari, è il capo della commissione
disciplinare
della nostra scuola e questi che ha in mano si chiamano tonfa.
-Sembra pericoloso- notò con aria truce Alex.
-Più o meno. Questo ragazzo che si è girato
è Ryohei e...
-Yamamoto... chi è il tipo che è con te in questa
fotografia- domandò Alex all' improvviso con voce
atona
indicando una terza foto.
-E' Gokudera- rispose neutro.
-Ti tiene la mano.
Yamamoto restò in silenzio osservando attentamente l'
immagine. Come sempre Gokudera imbarazzato rivolgeva lo sguardo altrove
e come sempre lui rideva. Doveva essere inverno perchè
indossavano degli abiti piuttosto pesanti e intravide dietro di loro il
cortile della scuola tutto innevato. Ricordò che di
lì a poco erano arrivati gli altri, che avevano giocato a
palle di neve, che Uri era uscita dal suo box graffiando Hayato e che
Ryohei in risposta aveva fatto uscire anche Garyu che si era messo a
inseguire Lambo. Era stata una bella giornata, peccato non potere
baciare Hayato in pubblico, peccato che l' altro si allontanasse sempre
da lui quando superava quella che aveva imposto come distanza
di sicurezza. Prima che si mettessero insieme quello spazio limite tra
loro non esisteva.
-Sentiva freddo- rispose Yamamoto dopo un poco mettendosi a ridere.
-Bella scusa- sospirò l' altro alzandosi dal letto e
ritornando nel suo- comunque non preoccuparti. Anche io ho avuto una
volta un ragazzo. A te piaccioni i ragazzi?- domandò infine
a bruciapelo voltandosi verso di lui prima di mettersi sotto le coperte.
-No.
-Come no?- fece stupito- le ragazze? Entrambi?
-No e no.
-Take non prendermi per il culo!- si spazientì il giovane.
-Non lo stò facendo- sorrise.
-E allora...
-A me piace solo una persona.
-Il tizio della foto?- sbottò impaziente Alex.
-Hayato. E basta. Non mi piacerà nessun altro o nessuna
altra- fu la limpida risposta di Takeshi mentre affondava la testa nel
cuscino.
-Come siamo categorici Yamamoto- sussurrò l' altro
assottigliando lo sguardo cupo e malizioso- mi sembrano della belle
cazzate
ANGOLO AUTRICE: Allora spero che questo capitolo non vi abbia annoiato.
Vorrei dire solo che la foto di gruppo a cui mi riferisco è
quella che si vede in una delle sigle finali, ma come sempre non
ricordo quale inoltre per quanto riguarda i nuovi amici di Yama ho
cercato di dargli delle caratteristiche semplici appositamente
modellate su alcuni dei personaggi di KHR, anche i nomi come vedete non
sono tutta questa gran cosa e sono piuttosto scontati, il tutto per non
rendere difficile la loro identificazione anche se ancora non so quanto
peso avranno nella storia, non molto in realtà ma visto che
saranno inevitabilmente presenti in alcune scene ho cercato di non
complicare troppo le cose. Spero di aver detto tutto. Un
saluto,
Haru.
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Capitolo 5 *** 5. Ricordi sotto la neve ***
c. 5 la pioggia...
Capitolo
5
Ricordi
sotto la neve
Purchè
la tua felicità sia con me,
Takeshi.
Era
caduto.
Così imparo a correre sulla neve, si
ammonì
Gokudera mentre i fiocchi scendevano bagnandolo. Si osservava
intorno infastidido
e quasi spaesato. Quel manto di neve, quel bianco così
monotono,
quella neve su di lui, sugli alberi, sulle case e sulle auto, quei
fiocchi che scendevano freddi pizzicandogli le guance, era uno
spettacolo meraviglioso. Meraviglioso quanto triste.
Era caduto. Cadeva sempre, ogni volta che pioveva o nevicava ed era in
ritardo per andare dal Decimo, oppure da Takeshi. In
realtà lui non era mai in ritardo. La verità
è che
non vedeva l' ora di arrivare.
Ma se
cadeva la mano di Yamamoto lo aiutava a rialzarsi.
Ma se cadeva si rialzava velocemente tra un' imprecazione e l' altra
iniziando a correre più veloce perchè tanto poi
avrebbe
visto quella faccia da idiota.
-Sono scivolato per venire fino a qui. Che fretta avevi?
Una risata.
Un abbraccio.
-Ti amo Gokudera-kun- sussurrato sulle labbra.
-Mi manchi idiota- sussurrò
Hayato appoggiando la fronte contro il vetro freddo e un po' appannato
della grande vetrata
Quell' anno avrebbe passato il Natale a casa di Tsuna ed era
lì
che si trovava in quel giorno di vigilia. La sera era calata e le
ragazze erano riunite tutte in cucina per aiutare la mamma di Tsuna con
il cenone. Sperava solo che Bianchi non ci avrebbe messo il suo
zampino, almeno per Natale non ci teneva a ritrovarsi al pronto
soccorso. Dietro di lui poteva sentire le voci - il chiasso- degli
altri.
Ryohei blaterava qualcosa a proposito del regalo estremo che aveva
comprato per Hana. Conoscendolo sarebbero stati di certo dei guantoni
da boxe. Gokudera non potè fare a meno di ridacchiare. Era
bello
stare in famiglia, era bello sentire quel chiacchiericcio che riempiva
la casa. Persino Hibari aveva deciso di venire. No, precisiamo, Dino si
era presentato alla porta con un disciplinare imbizzarrito legato come
un salame. Miracoli della sua frusta. Strano era che ancora quella
specie di teppista non avesse litigato con Mukuro che giusto in quel
momento lo stava stuzzicando mettendogli dei fiori di
ciliegio
sotto al naso.
-Vieni fuori- ringhiò il disciplinare. Ringhio cui
seguì una risatina soddisfatta.
-Ehi! Voi due... vi siete impegnati in una tregua estremamente
natalizia!
-E'... è... Natale- ribadì il Decimo balbettando.
Come se
quel semplice fatto avrebbe potuto fermarli se avessero deciso di
distruggergli la casa durante uno dei loro scontri.
Eppure quella casa era troppo silenziosa, si ritrovò a
pensare
Gokudera dopo qualche minuto. C' era una voce, insistente, una risata
che riempiva l' aria, che decisamente mancava.
-Cazzo- imprecò a denti stretti uscendo a fumarsi una
sigaretta.
Fece per aprire la porta quando questa si spalancò
violentemente
di fronte a lui.- Vooooooooi!
-Oh ragazzi, bel arrivati!- li salutò allegra la madre di
Tsuna sbucando dalla cucina.
-Signora Sawada è stata così gentile ad
invitarci-
cicalò Lussuria porgendo un presente alla padrona di casa-
abbiamo portato un paio di dolci di casa nostra- continuò
indicando i pacchetti che ogni membro, tranne Xanxus, teneva in mano.
Peccato che quello di Bel fosse stato infilzato da alcuni coltelli.
-Che diavolo ci fanno questi qui?- sbottò Gokudera rivolto
al suo Juudaime.
-Li ho invitati io- intervenne Reborn con quel suo sorriso particolare
stampato sulle labbra- siamo una famiglia.
Il boss dei Varia si accomodò sulla poltrona al centro del
salotto e probabilmente, ipotizzò con un certo sollievo
Tsuna, non si
sarebbe mosso di lì fino all' ora di cena. Levi si mise in
piedi
alla sua destra, immobile come una statua pronto a difendere il suo
boss.
A Gokudera non gliene fregava niente dei Varia, nè di quello
che
facevano purchè stessero lontani da loro, ben inteso. Erano
stati loro nemici ed erano anche tizi strani anche se durante la
battaglia nel futuro erano stati alleati veramente preziosi, questo
doveva ammetterlo. Però non li poteva sopportare nonostante
tutto. Soprattutto uno. Soprattutto quel deficiente che si comportava
come una scimmia urlatrice. Come faceva Yamamoto ad essergli amico?
-Tch- fece Squalo passandogli accanto e guardandolo male, malissimo.
Gokudera a quel gesto si chiese se Yamamoto gli avesse raccontato
qualcosa. Quei due parlavano troppo per i suoi gusti.
Non è colpa
mia se quell'
idiota se n' è andato! Che quel coglione di Squalo pensi
quello
che vuole. Non è colpa mia!
-Ehi Squalo!- lo salutò allegro il padre di
Takeshi quando passò a fare gli auguri una mezzoretta dopo.
-Voooi! Yamamoto-san- sorrise l' altro, cose insolita per lui- Come
stà quel moccioso di suo figlio?- domandò
accomodandosi
sul divano insieme all' uomo.
Gokudera si sedette sul tavolo dietro di loro, la testa poggiata sul
palmo della mano, apparentemente annoiato quando in realtà
dentro
ribolliva di rabbia.
Vanno d' accordo. Vanno
troppo
d'accordo. Perchè quel coglione va così
dannatamente d'
accordo con il padre di Yamamoto?! Quando c' è stato a casa
sua?
E a fare che poi?
Dannazione!
Che ha lui per piacere
così tanto al padre di Takeshi?
E' solo un babbeo.
Gokudera, perso nei suoi truci pensieri, diede un'
occhiata
veloce a Xanxus. Non sembrava nervoso, o almeno non più del
solito. Si era sempre chiesto se tra quei due c' era qualcosa anche se
onestamente lui l' aveva escluso. Yamamoto invece sosteneva il
contrario. Insomma, Xanxus non è che avesse proprio un
carattere
facile, era irascibile e scontroso. Ancora si ricordava di come aveva
riso durante la battaglia per gli anelli quando Squalo era stato
sconfitto da Yamamoto. Loro lo credevano morto e lui rideva.
Agghiacciante. No, decisamente non c' era niente altrimenti non si
spiegava il perchè di quella amicizia tanto, troppo stretta,
con
Takeshi e il fatto che lo spadaccino dei Varia sembrasse conoscere suo
padre fin troppo bene.
Gokudera si alzò dal tavolo all' improvviso uscendo fuori di
casa, forse sarebbe riuscito a fumarsi quella maledetta sigaretta prima
di strangolare Squalo.
Camminò a lungo sotto la neve fino ad arrivare al parco
deserto.
Si sedette sull' altalena, non era la prima volta che lo faceva.
Ricordava che Uri e il mastro di Ipin in quel parco gli avevano fatto
perdere un sacco di tempo per permettere a G di prendere il suo posto
durante il rilascio dell' eredità e che sempre in quel parco
ci
aveva giocato a calcio nel futuro insieme a Yamamoto e ai bambini.
-E se mi avesse tradito?- sussurrò mentre l' aria fredda
mischiata alla nicotina gli invadeva i polmoni.
-Mi hai tradito Takeshi? Mi hai tradito e volevi liberarti di me? Il
viaggio in America... è perchè ti sei stancato di
me?-
domandò a quel ragazzo troppo lontano da lui mentre gli
occhi si
riempivano di lacrime e la neve pizzicava ancora più fredda
sulla pelle. Le guance si arrossavano mentre le lacrime lasciavano le
loro tracce e il respiro diventava irregolare quando una mano portata
istintivamente sul cuore sembrava volerlo confortare da quello stato di
dolore che lo stringeva e poi lasciava e poi ancora stringeva e di
nuovo lo lasciava divertendosi a fargli del male.
Ti senti il cuore strano
quando
soffri per amore. Quando soffri per lui lo senti raggomitolarsi su
sè stesso e diventare piccolo come se qualcosa di reale
stesse
giocando con quel muscolo per fargli male. E' una brutta sensazione.
Le lacrime scendono e sembrano non finire mai. Ma io vorrei fermarle.
Perchè non smettete?
Non voglio più stare male.
Singhiozzi e il respiro diventa rotto e un nodo ti serra la gola per
non farti parlare.
Yamamoto, stò male.
La mia testa dice che tu non faresti mai una cosa del genere. Sei la
persona migliore del mondo, lo so che non mi tradiresti.
Ma allora perchè il pensiero fa così male?
Perchè nonostante tutto, questo dubbio, viscido come un
serpente, si insinua nella mia testa?
sbuffò al pensiero di quanto potesse essere
patetico in
quel momento. Si asciugò il viso alzandosi dall' altalena
quando
sentì la voce di Tsuna che lo chiamava.
-Juudaime!- gli corse incontro Hayato- cosa è successo?
-Niente Gokdera, o comunque nulla di grave. Quando non ti ho visto mi
sono preoccupato- spiegò il ragazzo.
-No, no... ero uscito a fumare e ho deciso di... di godermi la neve- si
giustificò Gokudera ridendo nervosamente.
-Capisco. Spero che tu stia veramante bene- fu la risposta seria di
Tsuna che ormai aveva imparato a capire se un suo amico non stava bene,
quindi sperando di allietarlo continuò sorridendo-Ho una
notizia
bellissima. Yamamoto-san ha detto che Yamamoto presto
tornerà a
Namimori per le vacanze natalizie! Probabilmente sarà qui
domani
mattina!
A quelle parole gli occhi di Gokudera si spalancarono increduli.
Avrebbe voluto urlare di gioia ma al tempo stesso percepiva nella sua
felicità delle sfumature di tristezza ben conosciute.
Si domandò cosa avrebbe potuto dirgli una volta che lo
avesse
visto, se il suo Yamamoto, perchè era suo, lo avesse
accettato
di nuovo con sè. Ma se così non fosse stato, se
lo avesse
rifiutato magari per Squalo lui che avrebbe fatto? Sarebbe riuscito a
rialzarsi di nuovo?
-Gokudera!Gokudera- Tsuna dovette chiamarlo più volte
perchè Hayato in quel momento non sentiva, ancora nella
mente
gli risuonavano le ultima parole dette dal suo Juudaime.
-Stò-Stò arrivando... vada avanti Juudaime. Per
favore- pregò Hayato
-Io... sì... ma vieni presto Gokudera-kun-
acconsentì a malincuore il giovane boss
Gokudera rimase immobile, gli occhi ancora troppo aperti e la testa che
come un giradischi rotto cantavava sempre le stesse parole:
Ti rivedo.
Cosa devo dirti?
Non mi allontanare Yamamoto, prendimi di nuovo con te.
Sorrise, distendendo impercettibilmente le labbra, di un sorriso dolce
e amaro mentre alzando lo sguardo verso il cielo osservava la neve e la
notte attraverso gli occhi che per l' ennesima volta si riempivano di
lacrime.
Sorrise. Ma era dolce ed era amaro.
Da quando avevano formato la loro numerosa famiglia aveva passato dei
Natali bellissimi ma uno lo avrebbe ricordato per sempre tra tutti.
Ricordò il Natale a villa Cavallone in Italia, Dino era
stato così gentile da aver ospitato tutta la famiglia.
Era stato il primo Natale dal ritorno dalla battaglia contro Byakuran.
Lui e Yamamoto stavano insieme da qualche mese e quella sera, complice
una notte come quella, da che stavano passeggiando nel giardino della
villa respirando l' aria fredda e decisi- Takeshi lo aveva decretato- a
fare un pupazzo di neve, a che, all' improvviso Gokudera si
girò. Gli occhi chiusi e le guance arrossate si era fermato
di
fronte al ragazzo e urlò quasi:- Io... io ti amo, Idiota!
Non ce l' aveva fatta e rimanere per più di due secondi
davanti
a Yamamoto e aveva ben pensato di darsela a gambe, peccato che il suo
piano geniale venne rovinato da un ruzzolone sulla neve.
Rise, Yamamoto rise allegro della sua piccola disgrazia:- Che hai da
ridere idiota?- berciò Hayato girandosi e ritrovandosi la
faccia
di Takeshi a un palmo dal naso, fose anche meno.
Yamamoto chiuse gli occhi sorridendo- E' un sollievo saperlo.-
sospirò baciandolo.
Gokudera ricordava di non aver capito nulla in quel momento, il suo
cervello era andato in tilt. Era tutto perfetto. Sentiva la mente
leggera, eccitata e rilassata al tempo stesso, il cuore battare e
battere, quasi volesse scoppiare.
Semplicemente non gli importava nulla di tutto il resto quando
chiudendo gli occhi si lasciò andare a quel bacio
trascinando
Yamamoto su di sè distedendosi sulla neve che in quel
momento non sembrava
nemmeno così fredda.
Che li vedessero pure. Che gli importava?
Quello fu uno dei pochi attimi in cui era riuscito a mandare a quel
paese il suo stupido orgoglio.
A interrompere quel contatto fu Yamamoto:- Ti congelerai se restiamo
così- gli disse mentre sorridendo si inginocchiava. Gokudera
lo
fissò con cipiglio e lo costrinse a sedersi facendo
altrettando
e trascinando nuovamente quelle labbra contro le sue trattenendolo per
i capelli. Yamamoto sorrise contro la bocca fredda del compagno:-
Alziamoci- soffiò.
-No.
Gokudera voleva -pretendeva- rimanere lì. Desiderava
approfittare di quel momento, l' unico in cui era riuscito ad abbattere
il suo orgoglio, a far crollare quel muro trasparente di diffidenza,
libero di poter vivere le sue emozioni senza quel peso che pure faceva
parte di lui.
Aveva paura di rinsavire e di allontanarlo nuovamente da sè
ribadendosi che no, non poteva lasciarsi andare in quel modo. I
sentimenti erano un terreno minato in cui era facile perdersi ed essere
feriti, senza contare che lui era il braccio destro del Decimo dei
Vongola.
-Andiamo... in camera- propose Yamamoto insicuro, era più
una domanda che un'affermazione in realtà.
No, non avrebbe permesso che quel momento finisse. Che male c' era a
spostarsi?
Si alzò in piedi tenendogli la mano e iniziarono a correre
affondando e incespicando nella neve. Il respiro affannato, il cuore
che batteva forte, stavano correndo come due pazzi verso uno degli
ingressi secondari della villa. Hayato non potè fare a meno
di
ridere stringendo di più la mano del compagno.
-Dove state andando voi due?- li fermò Bianchi uscendo dal
portone principale. Quella sera Bianchi era veramente bella, indossava
un completo scuro molto elegante che metteva in risalto la carnagione
chiara e i capelli erano acconciati in un grazioso chignon. Peccato per
gli occhiali scuri- Tra dieci minuti verrà servito il
buffet.
Andate a cambiarvi.
I due ragazzi la fissarono perplessi, erano talmente euforici da
essersi dimenticati delle loro mani ancora intrecciate, solo quando la
ragazza si girò, Hayato, augurandosi che la sorella non vi
avesse fatto caso, lasciò bruscamente la mano di Takeshi
precedendolo all' interno.
-Io vado a cambiarmi- borbottò.
In fondo non
dura poi molto la felicità.
Cacciarla via è facile quasi quanto rompere un vaso di
terracotta
Vorrei prometterti che questa volta farei di tutto per difendere la tua
felicità, Takeshi, purchè la tua
felicità sia con
me.
Gokudera chiuse gli occhi respirando forte,
affondò le
mani nelle tasche del giaccone, infreddolito, e si diresse verso casa.
ANGOLO AUTRICE:
Allora, partiamo dalle cose burocratiche, come avrete notato ho
menzionato tre episodi dell' anime, ovvero quando ho parlato della
battaglia degli anelli e della supposta morte di Squalo, quando mi
sono riferita al momento in cui, nella Namimori del futuro, Gokudera,
Yamamoto, Lambo e Ipin si sono messi a giocare a palla e infine quando
G si fa passare per Gokudera. Come sempre e
come è ovvio io non ho alcun diritto su KHR, sui suoi
personaggi, sull' anime ecc...
Punto secondo, mi auguro che i personaggi non siano stati OOC. Fare un
Hayato in piena crisi amorosa e in un momento fluffoso è un
dramma... e anche Squalo che chiacchiera amabilmente con il
papà
di Takeshi... cioè... Squalo o.O
E ora lancio il sassolino: Come mai Squalo conosce Yamamoto padre? Ma
soprattutto... Yamamoto tornerà o non tornerà per
Natale?
Io amo l' 8059 (non si è notato) e ammetto che mi ispira
tantissimo. Mai stata così ispirata. Mi sarebbe venuta in
mente
anche una shot e una long. Tutto rigorosamente 8059 o.O
Non so se è una buona cosa. Mi chiedo solo:
perchè durante il periodo degli esamiiii?!
Ok, la smetto e vado a prendere appunti prima che scappi l'
ispirazione. Come sempre i commenti, vabbè tanto lo sapete
anche perchè non è un cap. che mi convince molto,
sono
graditi. Non vi prenderò a tonfate. Nemmeno se sono negativi
o
critici (purchè costruttivi). Saluti.
Haru.
|
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Capitolo 6 *** 6. Sotto un' altra neve ***
c. 6 la poggia...
Capitolo
6
Sotto
un' altra neve
Yamamoto
osservò il soffitto della stanza in cui si trovava. L'
ambiente
era immerso nella penombra e accanto a sè percepiva il
respiro
regolare di Alex, il calore del suo corpo al suo fianco, le braccia che
non si erano staccate da lui forse per tutta la notte, la testa contro
il suo petto. Respirò piano come se con un semplice respiro
avesse potuto svegliare l' altro ragazzo e iniziò a
osservare
distrattamente le sagome degli oggetti intorno a sè. I libri
sulla
scrivania, le valigie chiuse sul pavimento, i vestiti buttati poco
riguardosamente in giro per la stanza e infine la sveglia sul comodino.
Le 7:15.
Del 25 Dicembre.
No, decisamente in quel momento sarebbe dovuto essere altrove. Molto ma
molto più lontano da lì e soprattutto non
così
vicino al suo compagno di stanza. Fece qualche movimento, lento,
sperando di non svegliare l' altro ragazzo e al tempo stesso deciso
più che mai a rialzarsi.
Takeshi si sentì per la prima volta a disagio con Alex. Lui
non
voleva dormire proprio con nessuno. O quasi. Due amici non dovevano
dormire insieme, si disse, soprattutto perchè lui si sentiva
ancora impegnato.
Si mosse ancora ma sembrò che l' altro non avesse alcuna
intenzione di lasciarlo andare. Al contrario strinse di più
la presa ai suoi
fianchi aprendo prima un occhio e poi l' altro salutandolo.
Yamamoto aggrottò le sopracciclia. Così non
andava bene.
-Che c' è?- biascicò Alex fissando quell'
espressione corrucciata.
Yamamoto sorrise:- Stò... scomodo-
-Scusa- si affrettò l' altro imbarazzato lasciando la presa
e
allontanandosi un poco per quanto un letto singolo lo permettesse- non
mi ero accorto... cazzo... Take... scusa. N-non pensare male- si
giustificò con foga il ragazzo.- Io... sono sonnabulo...
ogni tanto... non sempre.
A quell' ammissione spontanea e genuina, così priva di
malizia,
Takeshi si sentì più sollevato. Pensò
che non c'
era alcun secondo fine tra loro. Da parte sua era di
certo così e ora che era sicuro che anche per Alex fosse la
stessa cosa si sentiva meglio. Inoltre non c' era stato
niente
durante la notte.
-Sei ancora dispiaciuto per non essere potuto tornare a casa?- gli
domandò l' amico
-Un po'... tanto- confessò Takeshi.
-Mi dispiace- fu il il commento sinceramente partecipe dell' altro
-Non è colpa tua... e poi neanche tu sei potuto tornare in
Inghilterra. Sandra e gli altri sono stati più fortunati.
Siamo
stati degli stupidi ad aspettare l' utimo giorno per partire.
-Decisamente- convenne l' altro ricordando la sfuriata telefonica della
sorella. Probabilmente se solo avesse potuto sarebbe tornata indietro e
lo avrebbe trascinato a casa per i capelli.
-Pensi a Sandra?- intuì Yamamoto
-Come....
-Ti stai rigirando il cellulare tra le mani con una faccia...
disperata.- sorrise.
-Ah sì- rise l'altro- mia sorella mi fa quest' effetto!
Soprattutto dopo le dieci chiamate perse di ieri.
Takeshi si disse che il legame tra i due fratelli era molto forte e
particolare. Sandra soprattutto aveva una sorta di venerazione per
il maggiore. Yamamoto aveva l' impressione che il rapporto tra i due
fosse ben diverso e forse più problematico rspetto a quello
tra Hayato e Bianchi che pure si volevano molto bene.
-Mi vado a fare la doccia- informò il giapponese
scavalcando Alex.
-Aaaaah- sospirò Takeshi rilassandosi sotto il getto dell'
acqua- ci voleva.
Sono lontano da casa. Però... in fondo perchè
dovrei rovinarmi il Natale?
Sarà diverso. Semplicemente. Un' esperienza come un' altra.
E poi in fondo ieri è stata una bella giornata.
Alex lo aveva
trascinato per mezza New York, avevano pattinato sul ghiaccio, erano
entrati in parecchi negozi affollati e avevano comprato un piccolo
alberello, che a mala pena gli
arrivava al ginocchio e che poi avevano addobbato con improbabili
decorazioni.
Nel giro di un paio d' ore la loro stanza era diventata un piccolo
paese dei balocchi. Certo prima forse avrebbero dovuto mettere un po'
in ordine.
Yamamoto fece spalluce dicendosi che avrebbero sistemato in
mattinata.
-Takeeee
-Sì?
-Dov' è la felpa rossa?
Dall' altro lato della porta arrivò una risata. Una forte
risata divertita. Quella genuina, vera di Yamamoto. Il ragazzo non
potè fare a meno di trattenersi.
Quella scena gli era vagamente familiare- Cerca nella tua valigia-
consigliò ancora sotto la doccia e intenzionato a rimanerci
per
un po'.
Alex era proprio sbadato. Mai una volta che ricordasse dove metteva le
cose. Una volta aveva persino perso l' uniforme della squadra di basket
con sommo disappunto dell' allenatore per ricordarsi solo una settimana
dopo di averla lasciata in lavanderia. E solo perchè la
suddetta lavanderia aveva telefonato al proprietario della divisa
abbandonata.
Yamamoto ricordò con una certa vena di tristezza che la
Vigilia
non era iniziata male. Anzi, per un paio di ore si era anche divertito.
La mattina era iniziata proprio con l' urlo di Alex.
-Takeeee...hai visto
la mia felpa rossa? Quella con le renne. Quella abbinata alla t-shirt
estiva!
Quando Yamamoto fece
capolino dal
bagno trovò la loro stanza immersa nel più
completo
disordine. Non si era mai reso conto di quanto due ragazzi potessero
essere
così disordinati per un paio di valigie. Valigie semiaperte
sui
letti e straripanti più che di abiti, di oggetti inutili.
-A-Alex... perchè hai messo un paio di bermuda nel borsone?-
domandò il ragazzo lievemente stupito
-Mh... tradizione. E' per il bagno invernale nel lago vicino casa mia.
E allora la felpa con le renne? E' quella che abbiamo comprato uguale.
Takeshi sospirò divertito facendosi largo tra le scarpe
buttate in
giro, i calzini il più delle volte spaiati accatastati
sulla scrivania e iniziò a guardarsi intorno frugando sotto
una
montagna di abiti spiegazzati probabilmente su di una sedia,
chè
non si vedeva più nemmeno quella.
Quella stanza era un casino, si disse.
-Trovata!- esultò- scusa, era nel mio armadio. C'
è anche la maglietta estiva.
-Fa niente- fece l' altro afferrandole- aiutami a chiudere la valigia.
Io mi ci siedo sopra e tu tiri la cerniera ok?
-Ahahahahah
La mattina era iniziata bene. Yamamoto non poteva certo pensare che
qualcosa sarebbe potuto andare storto quel giorno. Avrebbe preso l'
aereo e sarebbe tornato in Giappone. Magari poteva restarci, si disse
mentre si sdraiava sul letto.
-Ta-Takeshi!- lo chiamò Alex entrando in camera all'
improvviso.
L' atleta si alzò di scatto dal letto, allarmato dal volto
preoccupato del compagno di stanza- hanno....
annullato il volo... il tuo... per il Giappone- annunciò.
Yamamoto sbiancò. No, non poteva essere. Lui doveva tornare
a casa. Doveva rivedere suo padre e Hayato e tutti gli altri.
-No!- urlò precipitandosi fuori dalla stanza
-Dove vai?- lo seguì Alex
-A prenotare un altro volo!
-Yamamoto fermati- ordinò Alex- Fermati ti ho detto!-
ripetè afferrandogli il polso
-Lasciami... devo tornare a Namimori. Mi aspettano.
Yamamoto non era più lo stesso, non era più l'
idiota del
baseball che sorridendo trovava una soluzione a tutto, che con il suo
sorriso ottimista prendeva le cose così come venivano.
Quell' ottimismo era stato lasciato in Giappone il giorno in cui aveva
messo piede su un volo diretto a New York.
-Idiota! Dove pensi di poter andare? Le strade sono ghiacciate e la
neve ha bloccato tutto. Sono stati cancellati un sacco di voli... e poi
è la vigilia. Se anche fosse, pensi che riusciresti a
trovare un
posto libero?- lo fece ragionare il ragazzo.
Gli occhi nocciola dell' atleta si aprirono sorpresi per il tono deciso
e ruvido, quasi disperato che era stato usato dall' altro. Per quell'
idiota che non sentiva pronunciare al suo indirizzo da un tempo che gli
parve una vita.
Voglio risentirlo.
Voglio risentirlo.
Hayato.
-Io resto qui... con te- gli sussurrò il ragazzo
stringendogli
la mano e conduncendo un Takeshi ormai arrendevole nuovamente in stanza.
Non mi importa
-Take...
-Mh?
-Stai bene?
-Sì
-Cazzate. Saresti tornato?
-Non lo so.
Era iniziata bene quella giornata. E allora perchè doveva
finire
così? Nella stanza di una scuola ormai deserta, in un paese
che
nemmeno era il suo, troppo lontano dalle persone che amava. Si
girò a guardare Alex, il ragazzo lo osservava a sua volta
dal
suo letto E Yamamoto si sentì profondamente egoista. Non
sapeva
perchè Alex fosse rimasto con lui. Non sapeva se il volo per
l'
Inghilterra partisse o meno. E a dirla tutta, non voleva neppure
saperlo perchè probabilmente si sarebbe sentito un verme se
il
ragazzo fosse rimasto lì per lui.
E a lui non importava.
Non riusciva ad essere felice, per lui Alex non era una
presenza
consolatoria. Forse perchè in realtà non era
quella la
persona
che voleva accanto.
Alla fine si era reso conto che non poteva cambiare le cose e che il
minimo che potesse fare per ringraziare l' altro era
sorridere.
Niente di più e niente di meno.
I giorni natalizi erano passati velocemente. Alex faceva di tutto per
tenere impegnato l' altro ragazzo, per far sì che il suo
sorriso
non si spegnesse mai.
Takeshi passò l' ultimo dell' anno con l' altro nella
notturna
Times Square gremita di gente, avvolti in pesanti cappoti a godersi gli
spettacoli straordinari che rendevano magica, festosa e romantica la
Grande Mela in quel periodo gelido, là dove la neve che
scendeva dal cielo
creava uno spesso manto chiaro sul suolo che sembrava bambagia. Era
quella New York fatta di gente e di colori, quella New York degli
affari e del divertimento, quella New York piena di scritte
al
neon e palazzi che sembravano volere sfidare l' umano limite e
raggiungere il cielo, così rumorosa che non dorme mai.
Il conto alla rovescia era inziato senza che Yamamoto se ne accorse.
Meno tre.
Due.
Uno.
Fu un espoledere di voci e di colori che si intrecciavano nell' aria
fredda tra l' odore pungente degli hot-dog cotti e il sapore dolciastro
di un biscotto a forma di omino che sapeva di zenzero e che Alex gli
aveva rifilato qualche minuto prima.
-Buon Anno nuovo!- gli disse l' inglese voltandosi verso di lui
mostrandogli un viso sorridende che si stagliava su di uno scenario
euforico di poesia e modernità che più che
respingersi
sembravano amalgamarsi in quella notte speciale. Sembrava una
cartolina, si disse il giapponese.
-Buon Anno- sorrise Takeshi di rimando ingoiando l' ultimo pezzo di
biscotto.
Alex si spinse più vicino abbracciandolo stretto a
sè
cogliendo l' altro alla sprovvista che stupito e indeciso sul da farsi
rimase infine immobile
sorridendo incerto. Quando il più alto finalmente si
allontanò lo fece ridendo di gusto:- E' la notte
dell'
anno Takeshi! E sei a New York. Un po' di allegria, su!
Il moro rise di rimando afferrando un' altro di quegli omini nel
sacchetto tra le mani dell' amico.
-E' il nuovo anno- continuò l' altro facendosi serio e
guardando
un punto indefinito davanti a sè- Con l' anno nuovo bisogna
sbarazzarsi della zavorra e lasciarsi alle spalle il vecchiume di
quello passato.
Il giapponese questa volta non rispose nè rise. Mai come in
quel
momento quegli occhi smeraldini gli erano sembrati così
diversi
ed estranei.
Per un attimo e solo per un attimo odiò Alex, lui che
credeva di
non saperlo fare. Lo odiò perchè si rese conto
che forse
il ragazzo era l' unico motivo per cui ancora restava in quella
città e ancora non ritornava in Giappone.
Se non fosse stato così gentile con lui, se non gli fosse
diventato amico e punto di riferimento in quel mondo a lui estraneo
donandogli la pallida illusione di avere accanto la famiglia che aveva
lasciato al di là dell' oceano, forse già sarebbe
a
Namimori.
Ma quel ragazzo aveva il potere -e neanche lui sapeva spiegarsi il
perchè- di ancorarlo a lui con i suoi gesti e le sue parole
ambigue, dolorose e confortanti allo stesso tempo.
-Take... le azioni e le parole di una persona ci permettono di capire
cosa realmente l' altra prova per noi.
"Judaime"-
sentì urlare Yamamoto nella sua testa.
"Stammi lontano idiota"
"Hayato... perchè non sorridi?"
Yamamoto si massaggiò le tempie confuso.
Perchè con
Tsuna è così arrendevole? Perchè
è il boss.
Dovrei essere un boss?
Che idea idiota!
Mi sputerebbe in un
occhio.
Takeshi non capiva. Era strano perchè era sempre riuscito a
capire Gokudera. Non capiva ma si fidava del suo istinto. O forse era
amore. O magari idiozia.
Forse l' amore rende talmente ciechi da non vedere la realtà.
Istinto, concluse.
-E' il suo modo di amarmi- rispose infine all' altro ragazzo.- Hayato
è così... è burbero e scontroso pronto
a inveire
contro di tutti... senza nemmeno un reale motivo a volte. Brontola
tanto -sorrise Takeshi, come sorridono gli innamorati- E'
così.
Prendere o lasciare.
-Take... scusami se te lo dico... ma per una persona che ama dovrebbe
essere più naturale essere gentile e sorridere al proprio
compagno o alla propria compagna- tentò di farlo ragionare
l'
inglese.
-Forse dovrei preoccuparmi proprio se lui iniziasse a fare
così-
rise l altro- Hayato... è come Uri- continuò
più
rivolto a sè stesso che al suo interlocutore- più
ti
graffia e ti ignora e più ti vuole bene-
Takeshi tastò il suo vongola box nella tasca del giaccone
avvertendo chiaramente la presenza della collana con l' anello intorno
al suo collo.
-Il mio passato è il mio futuro- terminò
stringendo la scatolina nella mano sinistra.
-Non ti capisco, Take- capitolò l' altro.
-Torno a casa- gli disse sorridendo sereno.
Gli occhi di Alex si spalancarono inquieti per poi tornare normali e
sorridendo affermò:- E' una buona idea. Qui non ti trovi
bene,
è evidente. Però ormai ti consiglio di completare
l'
anno. In fondo mancano solo sei mesi, sette al più. Ti
conviene
sfruttare al massimo questa opportunità. E' un peccato
lasciare
un percorso del genere a metà. Non credi? In fondo rivedrai
comunque tutti i tuoi amici e quando tornerai lo farai per
per restare per sempre, no?
Yamamoto sospirò rendendosi conto che forse l' altro non
aveva
tutti i torti. Come a confermare quanto già pensava, aveva
il
potere di trattenerlo lì. Solo che questa volta aveva capito
che
doveva ritornare a casa.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, mi scuso per il ritardo ma sono stati dei
giorni assurdi, meglio sorvolare. Da ora in poi cercherò di
essere puntuale, aggiornamento sicuro una volta a settimana, scusate se
però non vi dò un giorno preciso. Inoltre questo
capitolo, eccetto qualche passaggio, non mi piace molto, scusatemi ma
non sono riuscita a fare di meglio.
Vorrei segnalarvi (la speranza è l' ultima a morire) tre
miei recenti lavori:
-I
GIORNI (CON TE): sono otto frasi per Yamamoto e Gokudera,
pezzi di quotidianità per la mia coppia preferita.
-AISHITERU:
Sempre 8059, a metà tra il fluff e l' introspettivo.
-I
PREDATORI:
6918 dunque Mukuro e Hibari... questa è strana e a dirla
tutta
quando lo scritta l' ho capita poco io stessa e non mi soddisfaceva,
poi l' ho riletta con un altro occhio (e soprattutto da sveglia) e
posso dire che il risultato non è male. Mi piace
perchè
è ambigua, sfuggente... e credo che, non dovrei dirlo, ma
renda
il pair (per ocme lo vedo io). Oddei sono disperata... mi autocommento
le ff.
|
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Capitolo 7 *** 7. Illusioni ***
c. 7 la pioggia giusto
Capitolo 7
Illusioni
Le illusioni non sono altro che
sogni, fantasmi, chimere che ti cullano assumendo l' aspetto di una
fata bellissima o dell' amore più dolce e perfetto.
La
notte della Vigilia avevo chiuso
gli occhi allontanando da me quella bottiglia sul comodino e sorridendo
mi addormentai nell' abbraccio della mia illusione: era Yamamoto, era
lì accanto a me e mi stringeva forte.
Sorridevo
e sentivo il profumo
della sua pelle, era come la pioggia nei boschi che si confonde in una
miscela di mille odori, querce, violette...
Sorridevo
e percepivo il suo corpo
contro il mio. Mai contatto fu così dolce e desiderato, mai
sentire il contatto delle nostre gambe intrecciarsi fu così
necessario.
Sorridevo
e pensavo che sarebbe tornato da me.
Ma le illusioni sono destinate a finire e ci crollano addosso come come
i pezzi di un vetro che si infrange, ferendoci.
La mattina di Natale
Hayato
Gokudera aveva preso il coraggio a due mani. Si era alzato presto,
aveva buttato le vecchie bottiglie di liquore, i pacchi vuoti delle
sigarette ammaccate e riordinato, si era lavato e vestito indossando la
felpa rossa con un pinguino arrabbiato che gli aveva regalato Yamamoto.
Rimase fermo sulla
porta di casa
dell' altro per qualche minuto. Si sentiva sudato e nervoso, gli faceva
male la pancia e allora si chiese se per caso la gastrite di Irie
Shoici non fosse contagiosa, sentiva il cuore battere troppo
velocemente nel petto.
-Uno, due e tre.
Driiin
Il padre di Yamamoto
fece capolino
dall' uscio stupito di ritrovarsi quel ragazzino davanti. Ricordava che
ogni tanto il suo Takeshi lo aveva invitato a cena e gli aveva sempre
dato l' impressione di essere piuttosto riservato.
- Ya-Yamamoto-san - lo
salutò Gokudera schiarendosi poi un poco la voce per
sembrare
più sicuro di quanto in realtà non fosse-
Takeshi...
cioè Yamamoto... volevo sapere se era in casa.
Il padre dell' amico
assunse un' espressione imbronciata e si spostò un poco
dalla soglia per fare accomodare il ragazzo.
-Hai già
fatto colazione
figliolo?- domandò prima di iniziare ad armeggiare in in
cucina.
Quando si accomodò fece un sorriso incerto che tanto
ricordava
quello del figlio.
-Takeshi è
rimasto bloccato a New York. Non verrà per le vacanze.
E crollano le
illusioni.
Te lo dice il crack
che viene dal cuore
Però fingi
Hayato, fingi che non sia niente.
-Capisco, è
un peccato. E' da molto che non lo vediamo. Quindi è a New
York?
-Sì. Il suo
volo è
stato annullato e tra la neve che ha bloccato tutto e la gente che
parte per le feste non è riuscito a venire- il padre di
Yamamoto
fece un piccola pausa, poi sospirò accennando un sorriso
sollevato- Però mi consola un poco il fatto che non sia
solo. Il
suo compagno di stanza è rimasto con lui. Magari hanno avuto
lo
stesso problema.
-Magari... aspetti...
cos-? Il
suo... compagno di stanza?- La mano di Goludera si fermò a
mezz'
aria, poi la bocca si era richiusa lentamente mentre le bacchette
ritornarono a posarsi sul piatto.
-Sì,
sì- annuì
con convinzione l' uomo dopo un momento di stupore- meno male che il
mio ragazzo non ha mai avuto difficoltà a farsi degli amici.
Ha
un talento naturale... proprio come il suo vecchio- la risata che
seguì riempì l' aria mentre Gokudera si augurava
che a
quel tipo piacessero le ragazze.
O
forse non voleva venire.
La coscienza degli
amanti è
un diavolo capriccioso che li tortura attizzando il fuoco della
gelosia, sospettosa figlia di Amore. Ma Amore stesso, il dio alato,
padrone degli uomini e degli dei, sa anche egli domare i suoi
figli.
Hayato scosse la testa
come se
ciò bastasse a scacciare quel pensiero molesto. "No"- si
impose
caparbio- "Lui no. Non lo farebbe."- "Spero"
E allora la gelosia
lotta superba
contro l' eterna rivale di purezza armata, è fiducia costei.
E'
la fede degli innamorati duramente provata.
-Alex è un
bravo ragazzo-
stava proseguendo il padrone di casa- è molto disponibile
con
mio figlio perciò mi sento più tranquillo a non
saperlo
da solo. Mi chiama Mister Yamamoto sai? Mr... a me! Mi viene da ridere.
-E' un appellativo
come un altro- ribattè Gokudera apparentemente calmo.
-Sì, ma
quel ragazzo mi fa ridere- rispose l' uomo sorridendo a trentadue denti
come a voler sottolineare la cosa.
-Ci ha parlato quindi?
-Come? Sì,
sì, ci ho parlato un paio di volte.
Quando
lasciò casa Yamamoto,
Gokudera dovette combattere contro il vento per cercare di accendersi
una sigaretta. Si riparò in un vicolo, una strada cieca in
cui
il puzzo della spazzatura nei cassonetti si mischiava a quello forte
della frittura di un ristorante all' angolo. Finalmente
riuscì
ad accendere la tanto agognata sigaretta quando sulla sua mano
iniziarono a cadare la prime gocce di pioggia.
Il ragazzo
sbuffò
contrariato:- Merda... tempo del cazzo. Ci mancava solo la pioggia...
mi sento preso per il culo, idiota! Cos' è? Non vuoi venire
e mi
mandi una sostituta?
Ma la pioggia
diventava sempre
più insistente, scendeva dal cielo scuro spazzando via la
neve
per le strade e le gocce unendosi al vento diventavano tanti piccoli
aghi fastidiosi.
Poi il tuono, il
fulmine, il tuono, ancora, e il vento sempre più forte.
E finalmente la
pioggia è impazzita.
-E' tempesta-
sussurrò
Hayato lasciandosi scappare un risolino dalle labbra- E' tempesta. Non
è una stupida, fottutissima pioggia.
E' tempesta.
I giorni passavano monotoni e sempre uguali
accompagnandosi a un' amarezza e a un senso di vuoto a cui Hayato aveva
fatto lentamente l' abitudine, forti di quel dolore sordo che sembrava
permeare tutto quanto lasciandogli requie solo nell' incoscienza di un
sonno conquistato con qualche sonnifero.
"Sei esagerato Gokudera", si ripeteva per darsi un tono, "ti
stai comportando come una femminuccia. Tutto è destinato a
finire, non credevi certo che quello fosse l' amore eterno?"
E Gokudera in effetti al per sempre non ci aveva mai creduto.
Niente è per sempre, si ripeteva in continuazione.
Se lo ripeteva anche quando Yamamoto aveva fatto irruzione -nel vero
senso della parola a suo dire- nella sua vita stravolgendo il suo modo
di sentire le cose, o meglio i sentimenti, eppure, nonostante la sua
testa rifiutasse parole come per sempre o eterno, il suo cuore -stupido
cuore- vi si era abbandonato senza che lui potesse farci niente e non
di rado gli era capitato di trastullarsi pensando al futuro, quel
futuro di cui avevano visto tanti piccoli pezzi. Immaginava cose
sciocche, cose assurde ma che per lui avrebbero fatto la differenza,
come il condividere il letto con Yamamoto e lamentarsi
perchè l' altro occupava troppo spazio oppure ritrovarselo
ad armeggiare in cucina di prima mattina...
Cose stupide.
Cose che odoravano, almeno per il suo cuore, di per sempre, di quella
parola che era tabù nella sua testa.
Si ritrovò spesso a maledire quel viaggio nel futuro, quel
fottutissimo viaggio che gli aveva fatto capire quanto quell' idiota
fosse indispensabile per lui.
Forse fu proprio durante lo scontro con Ganma che aveva visto per la
prima volta un Takeshi diverso. Non l' idiota. Si erano scambiati uno
sguardo carico di rabbia e disprezzo reciproco.
"Non ho bisogno di te", aveva pensato quella volta.
E Yamamoto per un attimo -solo un attimo- sembrò volergli
dire "E allora sbrigatela da solo visto che non capsici niente"
E mi sbagliavo.
Mi sbagliavo maledettamente.
Io ho bisogno di te.
E tu mettendo da parte quella rabbia innaturale a cui io ti
avevo costretto e perchè nonostante tutto solo tu sei in
grado di leggere nei miei gesti e nella mia mente forse
meglio di me, hai capito. Hai capito tutto come sempre Takeshi e alla
fine le tue parole hanno reso tutto più chiaro anche a me.
Che sarei io senza di te?
Incompleto, vuoto, incomprensibile agli altri e a me stesso.
Ma io quello stupido viaggio lo odio e lo maledico perchè
temo che la mia illusione sia iniziata da lì, quando la mia
mano non è riuscita ad afferrare la tua e quella
dannata porta si è chiusa tra noi.
Ho gridato il tuo nome. Avrei voluto sfondare quella barriera che ci
aveva divisi.
Mi hai sentito, idiota?
Mi hai sentito?
E quel sorriso, quel sorriso sulle tue labbra, cos' era? Eri felice?
Perchè poi?
Ci stavano separando.
E io ero terrorizzato.
Dovevamo tornare a casa tutti insieme, dovevamo iniziare qualcosa
insieme.
Io e te.
Lo avevo già visto il nostro futuro, in un album di foto che
ritraevano dieci anni di vita. I nostri.
E negli occhi nocciola di un te stesso più grande.
Lo odio quel futuro, lo odio perchè è cambiato il
giorno in cui sul terrazzo della scuola mi hai voltato le spalle.
Lo odio quel futuro perchè mi ha portato a domandarmi
perchè ti cercavo sempre, perchè ti odiavo, cosa
voleva dire quello stupido "idiota" sbraitato ai quattro venti.
E alla fine mi resi conto che non era più la sfida, l'
invidia o la rivalità.
Ho un modo strano di amare.
Ma tu, idiota, lo hai capito?
I giorni dunque
passavano e Gokudera si era ritrovato a lavorare al ristorante del
padre di Yamamoto. Come e perchè non lo
sapeva nemmeno lui. Passava di lì, aveva visto un cartello
ed era entrato.
-Gokudera...ecco... ehm... c' è... qualche problema?- aveva
balbettato il suo Juudaime quando gli aveva comunicato la notizia del
suo lavoro part-time.
-No, assolutamente, Juudaime.
-Ecco... allora, se non sono indiscreto, come mai?
Gokudera era rimasto in silenzio voltando il viso dall' altro lato,
aveva chiuso un momento gli occhi godendosi il vento sul terrazzo della
Namimori.
Che diavolo poteva rispondere?
Di scuse plausibili in quel momento non gliene venivano. La
verità sarebbe andata bene decise.
-Sinceramente, Juudaime, non lo so.
---------------------------------------------------------------------------------------------
ANGOLO AUTRICE: Buondì, mi auguro che questo capitolo non vi
abbia fatto venire sonno, ma insomma, è una storia
introspettiva quindi tutto viene filtrato attraverso il sentire e i
pensieri dei protagonisti ed è inevitabile che saltino fuori
certi ricordi o avvenimenti importanti. La seconda parte, ovvero quella
che segue la scena nel vicolo, non mi convince molto, poteva
venire decisamente meglio ma visto che il mio cervello per ora (e temo
fino a tutto settembre) si rifiuta di lavorare decentemente, ci
accontenteremo. Perdonatemi, ma finchè posso e c'
è l' ispirazione preferisco continuare, il problema
è il tempo. Di norma se una parte non mi convince troppo
cerco di rivederla e migliorarla, questa volta non c' è l'
ho fatta. Sono una persona orrenda.
Ho fatto riferimento a due episodi dell' anime: lo scontro contro Gamma
e il momento in cui Irie cambia l' assesto della base dividendo
così Yama e Lal da Gokudera e Ryohei. Al solito, non ho
alcun diritto sull' anime, il manga ecc... di KHR.
|
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Capitolo 8 *** 8. Qualcosa. Qualcuno. ***
c. 8 la pioggia...
Capitolo
8
Qualcosa.
Qualcuno.
Yamamoto
aveva come l' impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa. Ma cosa?
Il suo istinto gli dieceva che doveva essere molto importante
soprattutto perchè quella sgradevole sensazione della
fuggevolezza e della dimenticanza, del dubbio, sembrava non volerlo mai
abbandonare. Di contro Alex, pur avendogli comunicato la sua intenzione
di ritornare a casa, sorrideva.
Strano, molto strano.
Non sapeva se
esserne sollevato o meno visto che l' altro ragazzo si era mostrato
molto affettuoso e gentile nei suoi confronti. Insomma, erano o non
erano amici? E allora perchè non gli dispiaceva neanche un
po'
che se ne andasse?
Il tempo sembrava non
volere
passare mai eppure il calendario segnava già la data del due
febbraio. I due ragazzi avevano cerchiato quel giorno sul calendario
giusto perchè avevano un compito in classe. Alex era stato
così gentile da averlo aiutato a studiare, si era anche
divertito. Avevano passato la serata a libri e pasticcini ma anche
patatine, pop corn e pizza. Yamamoto aveva scoperto di amare la pizza,
forse perchè un poco gli ricordava Gokudera.
Era italiana come
lui.
Ogni volta che fissava la sua pizza nel piatto non poteva fare a
meno di trattenere un sorriso, trovava assurdo quanto bizzaro -e forse
idiota- il paragone tra l' italiano e quel cibo. Sì,
perchè quello che Yamamoto faceva era un paragone vero e
proprio
che non aveva ragione, senza capo e nè coda. Semplicemente
si
era immaginato Gokudera preparargli una pizza, poi la faccia dell'
italiano si era trasformata in una grossa pizza e allora Yamamoto -ma
non sapeva perchè- si era messo a ridere come un pazzo.
Era assurdo,
decretò,
Gokudera non si sarebbe mai travestito in quel modo, doveva essere
colpa di Alex che gli aveva parlato del Carnevale di Rio.
Un giorno, poco dopo
Natale, aveva
fatto irruzione in camera loro sventolando dei volantini. Si era messo
a canticchiare una strana canzone a a ballare a tempo di musica.
Brazil,
narananaranarana, Brazil...*
Yamamoto ricordava che
doveva fare più o meno così. Forse.
Era bella, era allegra
e dopo che
Alex gli aveva parlato di tutti quei festeggiamenti e gli aveva
mostrato delle foto, il ragazzo non poteva fare a meno di associarla a
un' esplosione di musica e colori. Un divertimento variopinto e
rumoroso.
-Ce ne andiamo a Rio!- aveva concluso alla fine il più alto
mettendogli una mano intorno al collo, allegro, e buttandosi addosso a
lui.
-Non lo so, non mi sembra una buona idea... la scuola...- aveva sorriso
indeciso Takeshi tentato dall' idea e al tempo stesso frenato da un
pensiero fisso nella mente: Gokudera. Non gli sembrava giusto andare ad
una festa simile, non senza di lui.
-Take, Take, Take... quanto mi fai penare- sospirò Alex- tu
non
preoccuparti. Sarà solo per qualche giorno ed è
un'
esperienza che devi sicuramente fare. Se non ora quando? E poi Rio
è bellissima.
"Giusto, quando?", si era detto Takeshi pensando che in fondo non c'
era nulla di male.
E poi era curioso.
E così aveva annuito, Alex
aveva tirato fuori il computer e avevano iniziato a prenotare volo e
albergo.
-Così presto?- aveva domandato il giapponese.
-Sai, meglio essere previdenti. Ora cerchiamo qualche pacchetto viaggio
conveniente e se c' è, ne approfittiamo. Gli altri hanno
già detto di sì.
Yamamoto arrivò in classe insieme all' inglese di buon
mattino.
Come sempre Francesca li aspettava nel cortile esterno insieme a Ivan.
Yamamoto si domandò come mai quei due non si fossero ancora
uccisi a vicenda. Lei parlava a raffica e di tutto già
appena
sveglia, l' altro... bè, l' altro non parlava proprio. Ma in
fondo chi era lui per pensare una cosa del genere? Anche lui e Hayato
erano parecchio diversi.
E infatti ci siamo
lasciati.
Takeshi sbuffò, sorrise e nascose quel pensiero
molesto
in qualche cantuccio. In fondo era anche colpa sua e ora che ne aveva
preso atto, o meglio, si era accorto che non poteva stare senza
Gokudera, voleva tornare indietro.
Sperando che sia
possibile Hayato.
Ti prego, fa che sia lì per me.
Pregò rivolto a qualcuno. Ma chi? Un
dio, il destino, la fortuna.
Qualcuno. Che magari lo ascoltasse.
Fai che mi accolga.
Mi perdoni.
E se il suo orgoglio glielo impedirà, io lotterò,
lo assedierò, lo... corteggerò?
Sì. Farò tutto.
Chiederò che tu mi perdoni, verrò da te in
ginocchio, Hayato, ma tu non privarmi della tua presenza.
Io ho bisogno di te.
Ho bisogno del tuo idiota urlato contro il viso,
degli occhi verdi scontrosi,
di quella caparbietà e di quei brontolii
borbottati.
E Dio, quanto mi manca tutto questo!
Il Tutto.
Il centro.
Il mio, Gokudera Hayato.
Ho bisogno,
ho bisogno, bisogno, bisogno di te.
E' necessario.
Impellente.
Quanto puoi vivere senza l' acqua?
Quanto puoi vivere senza il cibo?
Quanto puoi vivere senza l' aria?
Il compito era durato un' ora scarsa e Yamamoto non si
ricordava
praticamente nulla di quanto aveva studiato con Alex e allora fece l'
unica cosa che poteva fare.
Chiuse gli occhi e tirò a indovinare.
Un risolino gli attraversò le labbra. Lo faceva sempre.
Poi, nell' ora successiva il professore presentò alla classe
una studentessa trasferita, giapponese come lui.
Il moro la guardò stralunato, la testa altrove e finalmente,
dolorosa e improvvisa come un pugno in faccia arrivò l'
illuminazione. Ecco cosa gli sfuggiva.
-Cazzo- sibilò tra i denti- è già
Febbraio.
Si alzò all' improvviso domandando al professore di potere
uscire.
-E' urgente- disse deciso di fronte alla titubanza del docente,
interrotto mentre indicava un posto libero alla ragazza.
Yamamoto corse in segreteria. Doveva sbrigare un sacco di pratiche, un
sacco di documenti. Se ne doveva andare, e presto anche. Si
augurò che non ci volesse molto.
Saltò le lezioni restanti e si recò prima in
camera sua,
scaricò il programma di ammissione all' ultima classe della
scuola Namimori, passò in biblioteca e in libreria e
iniziò a studiare.
-Take- la voce di Alex arrivò affannata dalla porta- che
diavolo
hai fatto? Sembrava che tu avessi il diavolo alle calcagna. Mi hai
fatto venire un colpo, stupido.... e che fai? Studi?!- si
stupì
infine.
-Alex... io me ne ero dimenticato- spiegò brevemente il
ragazzo- ma l' anno in Giappone inizia prima. A Marzo.
-Sì... ma perchè sei scappato... e studi?
Yamamoto assunse un' aria grave. Questa volta indovinare non gli
sarebbe servito a niente- Vedi, devo fare un test, un esame,
così
potrò essere nella stessa classe dei miei amici. Sono andato
in
segreteria a sbrigare le pratiche per il trasferimento. Ci
vorrà
qualche giorno, nel frattempo inizio a studiare quello che posso.
Lo sguardo di Alex si incupì- Già-
borbottò
sedendosi di fronte a lui.- Non puoi finire di studiare qui? Che cambia
New York o Namiqualcosa?
-Namimori. E comunque è una questione di libri. Qui non ci
sono
quelli che mi servono. E non c' è Gokudera che
può
aiutarmi.
-Mh. Allora problema risolto. Ascolta, mio padre ha una compagnia di
trasporti, insomma si occupa anche di spedizioni. Dimmi che libri vuoi
e te li faccio avere nel giro di un giorno. E poi ti aiuto io.- si
offrì il ragazzo guardandolo serio.
Perchè
è così gentile?
Amicizia disinteressata? Fino a questo punto? Gokudera già
avrebbe dubitato di lui. Mi avrebbe dato dell' idiota, dell' ingenuo.
Ma Alex...
Cazzo!
Non riesco a capire cosa gli passi per la testa.
Yamamoto sentì la voce di Alex che gli chiedeva
una risposta. Il giapponese lo guardava pensieroso, indeciso sul da
farsi.
Una telefonata fu la risposta per entrambi.
-Sì?- disse Yamamoto prendendo il telefono.
-Ohi Takeshi, è il tuo vecchio che parla!
Dall' altro lato Yamamoto-san stava salutando calorosamente
il figlio. I due avevano iniziato a chiacchierare del più e
del meno. Dello studio, del ristorante. Takeshi non voleva dire ancora
al padre del suo imminente ritorno. La verità è
che aveva paura. Paura che se glielo avesse detto qualcosa lo avrebbe
ostacolato così come era succeso a Natale e allora lo
avrebbe deluso nuovamente. Poi improvviso come un fulmine -come una
tempesta- lo sentì.
-Voooi! Sta' zitto pivello.
-Razza di cretino. Giuro che questa volta ti spacco il culo. Te lo
faccio saltare in aria!
Saltare... in aria
Ed è tempesta, Yamamoto.
Tempesta.
Ed è esplosiva, esplosiva come la sua anima,
esplosiva come il suo corpo,
esplosiva come lui,
esplosiva come la bomba che ti scoppia nel cuore in quel momento per
una voce.
Una voce. Ma è la sua.
-Papà...- chiese incerto Takeshi, il sorriso sulle labbra,
la speranza nell' anima, il cuore che batte- chi c' è
lì?
Ma lui lo sapeva chi c' era.
-Oh... già, già. Quel tuo amico, Gokudera
è venuto a lavorare qui. Mi dà una mano al
locale. C' è anche Squalo.- Yamamoto-san sospirò,
poi rise- credo che se non li vado a fermare mi distruggeranno il
ristorante.
-Passamelo- Fu solo una parola. Decisa. Imperativa. Un bisogno forte
quanto quello di respirare.
-Chi?- fu la domanda perplessa del padre.
-Hayato.
Un nome. Un semplice nome. Alex avrebbe voluto strappargli il telefono
dalle mani e buttarlo dalla finestra, magari pestarci un po' i piedi.
Perchè quel nome suonava così strano,
così diverso se pronunciato dal lui? Takeshi il suo nome non
lo diceva così.
Fece un respiro profondo, un ringhio soffocato. Spostò
lentamente la sedia e lasciò la stanza.
-Chi è?- sbuffò l' italiano dall' altro lato del
telefono
-Hayato- Yamamoto disse quel nome in un soffio, con un senso di
sollievo e attesa al tempo stesso.
-T-... Idiota- disse semplicemente l' altro
-Hayato- ripetè il moro- Hayato. Hayato.-
Yamamoto voleva ridere.
Yamamoto voleva piangere.
Yamomoto voleva ritornare a casa.
Dall' altro lato del mondo Gokudera restava in silenzio inebriandosi di
quella musica.
ANGOLO AUTRICE: Scusatemi il leggero ritardo, il fatto è che
questo capitolo, pur essendo pronto da più o meno tre
giorni, non mi convinceva molto. Ammetto che non mi piace nonostante
abbia riscritto la parte finale. Speravo venisse meglio visto che
è piuttosto importante ma ormai il mio cervello sembra
rifiutarsi di collaborare. Scusatemi.
*La canzone sinceramente non mi ricordo di chi è e non posso
neppure controllare perchè dove mi trovo la connessione
è piuttosto lenta. In tutti i casi non
è mia ma degli aventi diritto... che non ricordo chi sono.
ma è loro.
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Capitolo 9 *** 9. Musica ***
c. 9 la pioggia...
Capitolo
9
Musica
"Musica"
Gokudera chiuse gli occhi
appoggiandosi contro la parete.
E sorrideva.
Gokudera avrebbe voluto
piangere.
Gokudera avrebbe voluto ridere.
Gokudera avrebbe voluto dirgli
"torna idiota!"
Gokudera avrebbe voluto che
Yamamoto fosse già lì accanto a lui.
Gokudera avrebbe voluto urlare.
Urlargli nelle orecchie ti
amo, urlargli quanto fosse idiota e quanto avesse bisogno di lui.
Avrebbe voluto gridargli tutte
le sue più intime debolezze,
quelle che gli scorrevano dentro il corpo come un fiume sotterraneo,
come magma che ribolle invadendo ogni interstizio, bruciandogli ogni
nervo e rendendolo al medesimo tempo quasi elettrico.
Aveva chiuso gli occhi e
poteva sentire tutto questo, aveva
volontariamente isolato sè stesso dal mondo nell' esatto
istante
in cui aveva sentito la voce di Yamamoto, sarebbe potuto finire, il
mondo, e lui non ci avrebbe fatto caso preferendo tendere l' orecchio,
per una volta -una sola-, alla sua anima che parlava e parlava e
sembrava non volere tacere e che parlava attraverso il suo corpo teso e
la voce dell' idiota dall' altro lato del telefono.
"Musica"
Quella voce per lui era musica.
Era la musica di un pianoforte
scordato nella stanza, era quella
melodia che non suonava da una vita perchè gli ricordava la
persona più bella del mondo, la parola che non osava
pronunciare
perchè era una bugia.
"Mamma"
Quella che non aveva mai
avuto, la cui coscienza -la coscienza, il
sapere che quella ragazza fosse lei- gli era stata negata negli attimi,
pochi, in cui gli era stata vicina. Vicina, seduti davanti quel
pianoforte.
"Avrei potuto abbracciarla"
pensò per un momento.
E la voce di Yamamoto in
quell' istante era musica.
Non ci aveva mai fatto caso
prima di allora.
Era quella melodia dolce e
amara che gli scorreva al
posto del sangue nelle vene, che gli arrivava al cuore facendolo
vibrare come la corda di una chitarra, come un sasso buttato nell'
acqua.
Era il Do che tutto iniziava e
tutto chiudeva.
Era il La della sua vita che
irradiava le sue onde in tutto il corpo attraversandolo fino all' anima.
L' anima tremava e la mente si
perdeva in mille chimere, in mille
illusioni -ancora- e i muscoli del corpo si tendevano sotto quella
pressione di suoni.
Musica e magma.
Yamamoto e le sue debolezze.
Yamamoto e la sua forza.
Erano cose che viaggiavano
insieme condividendo lo stesso binario e invadendo la sua essenza.
-Go-Gokudera?-
chiamò incerto Yamamoto non sentendolo più.
-Parlami. Parlami ancora.
Chiama il mio nome Takeshi- sussurrò l' altro a bassa voce.
Non aveva aperto gli occhi
"Questo sogno è
troppo reale"
-Ha-Hayato-
balbettò l' altro prima incerto e imbarazzato-
Hayato- ripetè poi con più sicurezza come se quel
solo
nome -una parola- avesse potuto trasmettergli tutto ciò che
provava.
E forse era così.
Ormai Gokudera aveva
definitivamente perso ogni contatto con la realtà.
"Deve trattarsi di un sogno,
è così"- si disse deciso ad
andare fino in fondo. Tanto era un sogno, che poteva succedere di male?
In quello stesso istante
aprì gli occhi:- Quandò torni?-
domandò senza uan particolare intonazione nella voce e come
se
fosse la cosa più normale del mondo, come se Takeshi fosse
solo
andato a comprare del latte.
L' altro sorrise, o almeno
così Gokudera immaginava:- Presto. Presto, te lo giuro.
-Non devi.- disse tagliente
-Cosa?- si allarmò
l' atleta
-Non devi giurare, idiota-
-Ma io torno. Te lo prometto-
-Ti ho detto...-
sbottò l' altro contrariato
-Ti ho detto che torno- lo
interruppe deciso il ragazzo- oggi prenoto il volo.
-Voooi!- ululò a un
certo punto Squalo- dannato boss, che diavolo ci fai qui?
"Squalo"-
pensò Hayato diventando bordeaux. Si girò
lentamente verso la fonte di quei suoni molesti.
"Squalo"- si
ripetè mentalmente iniziando a dubitare che stesse veramente
sognando.
Che
brusco risveglio. Gokudera si sentì come se gli avessero
buttato un
secchio d' acqua in faccia o lo avessero improvvisamente spinto
giù dal
letto in malo modo.
-Squalo!- sputò
irritato. Quel deficiente gli aveva rovinato un momento bellissimo.
"O forse dovrei ringraziarlo?"-
si stupì Gokudera pensando che senza l' intervento dello
spadaccino dei Varia avrebbe potuto dire qualche scemenza.
"Roba da romanzi rosa"-
pensò il guardiano con disgusto prima di dedicarsi
nuovamente al
suo interlocutore, che per inciso, dio solo sapeva perchè
stesse
ridendo.
-Smettila di ridere idiota!-
sbraitò l' albino
-Su, su Gokudera. Ridiamoci
su!- fu la risposta gioviale di Yamamoto.
-Ma... ma ridere di che?!
-Mha... così... l'
amore non è bello se non è litigarello, non lo
sapevi? Ahahahaah
Gokudera era senza parole.
Questa era la volta buona che lo strangolava. Certo, se fosse stato
lì con lui.
Lui stava per confessare le
sue indicibili pene d' amore e quell'
idiota non aveva capito un tubo. E come avrebbe potuto del resto?
Quello era Yamamoto Takeshi.
-Senti un po'- riprese serio e
più calmo- hai intenzione... cioè... veramente...
vuoi fare quello che vuoi fare?
-Prego? Scusa ma credo di non
aver capito.
Hayato si passò una
mano in faccia -"E
quando mai capisce qualcosa"- pensò.
-Cazzo! Idiota!-
-Gokudera... ritorno davvero.
Te l' ho promesso. Per restare.
L' altro rimase per un momento
interdetto.
Era vero.
Si sentiva più
leggero. La felicità è una piuma.
-A me non interessa. Non sono
fatti miei, però sbrigati pezzo di
cretino. Qui c' è gente che ti aspetta. Sono tutti disperati
per
colpa tua. - fece una piccola pausa- Io no.- borbottò alla
fine.
Yamamoto rise. Era stata la
chiamata più bella della sua vita.
Gokudera chiuse il telefono e
si stiracchiò un momento. Si sentiva proprio rilassato.
-Yamamoto-san...-
chiamò avvicinandosi all' uomo intento a
osservare lo spettacolo gentilmente offerto dai Varia-
Takeshi...ecco... credo, e dico credo, che torni a casa.-
affermò con una certa cautela.
Hayato non sapeva se aveva
fatto bene a dirglielo o no. In fondo non
sapeva se Yamamoto voleva o meno, ma forse, pensò alla fine,
già glielo aveva detto.
Lo sguardo del proprietario
del locale si addolcì e le labbra si
piegarono in un largo sorriso, un sorriso diverso dal solito, come se
un' infinita dolcezza e serenità lo avessero
pervaso
completamente.
-Sono contento, Gokudera-
Non aveva detto grandi cose.
Era una frase apparentemente stupida
eppure in quelle brevi parole Gokudera potè toccare con le
sue
mani l' affetto di un genitore, il suo orgoglio di padre, la mancanza
nei confronti del figlio, la preoccupazione, la solitudine di quei
mesi, infine una felicità contagiosa.
Takeshi meritava un padre come
Yamamoto-san. Era fortunato e lui stesso
si sentiva fortunato e onorato di aver potuto conoscere una persona
come lui.
Lo faceva sentire a casa.
Il padre di Yamamoto sembrava
accogliere tutti, indistintamente,
però alo stesso tempo aveva una spiccata
sensibilità che gli faceva
allargare maggiormente quelle grandi ali per proteggere gli uccellini
più spauriti.
-Vado a prendere il sushi per
quelli là- dichiarò
Gokudera rivolgendo uno sguardo scocciato in direzione dei Varia.
-Voooi! Non dovete venirci
qui!- sbraitava Squalo all' indirizzo del
boss seduto comodamente su di una poltrona gentilmente portata fin
lì da Levi, immobile dietro di lui.
-Credevi che non ti avremmo
mai scoperto?- chiese Levi soddisfatto della vittoria ai danni del
capitano.
-Voooi! Stà zitto,
ammasso di lardo ambulante.
-Che?! Ma come...
-Ora basta- li interruppe
Xanxus fermando le iridi rosse sulla figura
di Squalo. Poi, il boss, ghignò e l' onnipresente bicchiere
colmo di liquido ambrato finì sulla testa dello spadaccino-
feccia- soffiò.
Il silenzio calò
nella sala, in sottofondo si sentiva solo la
risatina di Bel. Finalmente Gokudera tornò con le scatole di
sushi:- Smammate- si limitò a dire posandole con forza sul
bancone.
Ma il boss dei Varia non si
prendeva certo il disturbo di eseguire gli ordini altrui, di un Vongola
poi, no, no di certo:- Portaci
da mangiare- affermò più che deciso a rimanere
incollato a quella poltrona rossiccia per dare una lezione al Vongola.
E infatti i Varia se ne
andarono solo tre ore dopo.
-Venite a trovarci di nuovo!-
li salutò Yamamoto-san,
soddisfatto del lauto guadagno mentre Gokudera aveva l' insana voglia
di far espodere qualcosa. Magari qualche Varia.
Non aveva iniziato da molto a
lavorare per il padre di Takeshi quando
Squalo si presentò nel locale urlando quel solito Voooi. Non
appena lo vide per la prima volta il guardiano della Tempesta
tirò fuori i candelotti di dinamite pronto a proteggere l'
incolumità di Yamamoto-san senza ovviamente considerare che
l'
uomo fosse in ottimi rapporti con l' inatteso ospite il quale lo
redarguì con un "Non rompermi le palle, coglione, e portami
il sushi" mentre si accomodava al bancone.
-E allora... quel moccioso
torna o no?- domandò Squalo al padrone del locale.
-Eh no- sorrise l' altro
negando col capo
-Quel cretino!- si
alterò lo spadaccino- tsè...
baseball... gliela rompo in testa qulla mazza se non riprende in mano
la
spada!- Squalo era evidentemente indignato e pronto a perorare al sua
causa.
Gokudera rimase visibilmente
interdetto di fronte a quella pacifica -se di pacifico si
puà parlare con un Varia mezzo-
scena. Ma il padre di Takeshi lo sapeva che stava parlando con un
Varia? Un assassino?
E poi... che diavolo ci faceva
Squalo lì?
E perchè?
Gokudera non sapeva che fare.
Stringeva i pugni e avrebbe voluto fare un occhio nero all' oggetto dei
suoi pensieri.
Poi notò che Squalo
veniva puntuale come un orologio una o al massimo due volte al mese.
Sempre da solo.
Gokudera avrebbe voluto
strangolare Squalo. E anche Yamamoto che non
gli aveva mai parlato di quelle visite. Il dubbio sorse spontaneo. Non
è che per caso quell' idiota gli stava decorando la testa?
Alla fine, dopo vari
ripensamenti e velate minacce di morte, trascinò lo
spadaccino nel vicolo e lo spinse contro il muro.
-Voooi! Vuoi morire per caso?!
-Chiudi quella fogna e ascolta
cosa ho da dirti.
Gokudera fece un momento di
pausa, Squalo lo guardava accigliato
battendo il piede a terra e pensando che il suo sushi giaceva ancora
nel piatto. Poi finalmente lo chiese:- Che cazzo vieni a fare qui? In
che rapporti sei con Takeshi? E perchè vai così
d'
accordo con Yamamoto-san?
Squalo scoppiò a
ridere, dovette tenersi la pancia a appoggiarsi
contro il muro per non cadere per terra. Gokudera aveva iniziato a
bestemmiare al suo indirizzo quando finalmente lo spadaccino si
degnò di parlare:- Ridicolo, sei ridicolo- e
ridacchiò
ancora- questa Yamamoto la deve proprio sapere. Tsè... sei
geloso-
-Non sono geloso!
Alla fine Gokudera aveva
scoperto che Squalo faceva delle periodiche
incursioni in casa di Takeshi per convincere l' altro ad abbandonare
quello sport insulso che era il baseball e dedicarsi completamente alla
sacra arte della spada. Gli aveva rubato un sacco di mazze, le aveva
sostituite con delle spade appese alle pareti, aveva persino nascosto
-buttato- i trofei nei cassonetti della spazzatura.
-Ma quel moccioso non ne vuole
sapere niente- capitolò ormai sull' orlo di una crisi di
nervi dovuta agli insuccessi collezionati.
-E... Yamamoto-san?-
domandò Gokudera con circospezione
-Yamamoto-san è un
ottimo spadaccino. Non ha la testa bacata come suo figlio... e poi fa
un ottimo sushi.
-Che... cosa?- Gokudera lo
guardò con gli occhi sgranati.
Tutta quella preoccupazione...
per niente. Solo comunanza di interessi. Solo sushi. Solo dello stupido
sushi.
-Alla fine anche se Yamamoto
è andato via non mi dispiacciono
due chiacchiere con suo padre davanti a un buon piatto di sushi.-
spiegò il ragazzo prima di di urlare un voooi per il tempo
perduto e ritornare all' interno del locale.
_________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE: Lo so, dopo
questo capitolo mi ucciderete. Ma tanto eh!
All' inizio avevo pensato di dedicarlo solo a Yamamoto e Gokudera, poi
però ho pensato di allentare la tensione anche
perchè
visto che Squalo è presente mentre loro parlano al telefono
ho
deciso di spiegare anche il mistero Squalo... ovvero... una grossa
cretinata, lo so e forse ho anche rovinato il capitolo. Magari questo
momento di leggerezza contrasta troppo con la prima parte e la rovina.
Non saprei veramente. E forse la parte di Yama e Goku e troppo
smielata. Non lo so ç.ç
Vorrei avvisarvi
infine che per il mese di Agosto
non riuscirò ad aggiornare regolarmente. Anzi, forse non ci
riuscirò proprio. Mi spiego meglio, io ho un
lavoro durante l' estate,
a ciò sommiamo un esame che devo dare a settembre... facendo
due conti ho il tempo contato e la testa
troppo affollata di pensieri vari per dedicarmi
serenamente a questa storia a cui, ormai lo sapete, tengo
molto. Preferisco fare un buon lavoro o almeno accettabile
invece di tirar fuori capitoli che non comunicano niente a me
per prima. Perdonatemi davvero. Spero di ritrovarvi
ancora, intanto diciamo che qua si è conclusa una
parte, ora ci aspetta un ritorno con
tanto di annessi e connessi. Un ultima cosa, risponderò alle
recensioni spero tra oggi e domani. Vi saluto e vi stritolo
in un abbraccio gigante,
Haru.
|
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Capitolo 10 *** 10. Fango, il dolore della pioggia ***
c. boo
Capitolo 10
Fango,
il dolore della pioggia.
-Ma tu non sei più tuo.
"Sì, è vero. Io sono suo. Credo sia bello
appartenergli.
E credo che faccia anche un po' di male."
Yamamoto
Takeshi dell' America sapeva poco quando era arrivato lì un'
po'
di mesi addietro -e che a lui erano sembrati anni o secoli- e ora che
se ne stava andando lo faceva convinto di saperne ancora meno. In
realtà aveva imparato che gli occidentali preferivano i nomi
ai
cognomi, che le forchette potevano essere usate come fionde per fare la
guerra col cibo, ma questo a lui, figlio di un ristoratore non piaceva.
Non era certo bello sprecare la roba da mangiare. Aveva imparato poi
che gli hamburger e le patatine erano simbolo nazionale, che New York,
quella donna romantica e sensuale, piena di luci e di palazzi che
sembravano voler toccare il cielo, gli sarebbe mancata in fondo. Ad
Hayato sarebbe piaciuta, Gli sarebbe piaciuta tutta l' America forse,
perchè un po' sapeva d' Europa e di Asia e di Africa...
Yamamoto aveva conosciuto New York, la Grande Mela e la sua cultura che
sembrava un puzzle fatto con le tessere di paesi diversi e di tessere
nuove, sue e solo sue. Era bella, bella davvero. Ma non
così per dire, era di un bello che a pronunciarlo ti ci
riempivi
la bocca.
Yamamoto Takeshi aveva la faccia spiaccicata contro il finestrino dell'
aereo, l' anello della famiglia Vongola sembrava vibrare intorno al suo
collo invece che bruciare facendolo sentire a disagio come era accaduto
per diversi mesi, come se quell' oggettino volesse continuamente
ammonirlo dicendogli "ehi bello, sei scappato. Codardo! Non si fa
così". Ora invece era felice e quel ragazzone
così alto
sembrava un bambino. Accanto a lui Alex sorrideva mentre Sandra
grugniva.
Quando aveva detto all' amico che no, a Rio, gli dispiaceva tanto, ma
non ci veniva, l' altro era stato lì lì per
dargli
un pugno.
E in effetti avevano litigato.
Yamamoto si era messo addosso quello sguardo nocciola serio e deciso
mentre gli occhi di Alex ricambiavano scrutandolo attenti e sottili, i
due ragazzi, silenziosi, eano schierati per la prima volta
uno contro l' altro. Alex
sospirò:- Stai mandando a puttane il tuo futuro.
-Non è vero. In Giappone il baseball è sport
nazionale, è tenuto in gran considerazione.
-La gente conosce il baseball americano, non quello giapponese... e
poi... se è come dici perchè sei venuto qua e non
sei
rimasto a fare il campione in quel buco che è Namiqualcosa,
uhm?
-Namimori. Io voglio solo giocare e sono stato stupido se pensavo di
farlo lontano da casa. Voglio giocare... e basta... senza rinunciare
alle cose a cui tengo.
-Sei patetico, non hai un briciolo di ambizione, Yamamoto- Alex si era
allontanato un poco da lui fino ad appoggiarsi contro il vetro della
finestra della loro stanza, era la prima volta che lo chiamava per
cognome e questo provocò un brivido che
attraversò il corpo del giapponese come una scossa
indesiderata, Alex ora sembrava guardarlo tutto, dall' alto in
basso, aveva infilato le mani nelle tasche e sorrideva in quella sua
maniera che ogni tanto era inquietante, strana e quasi superba. Non era
il sorriso trasparente che gli regalava praticamente ogni giorno- le
stelle nascono qui ma tu non lo capisci. Forse lo capiresti se non
avessi la testa fottuta da quel coso incazzato- rise forte- non ho mai
visto uno incazzato in una foto... oh sì! Ci stà
proprio
bene con te! Non si vede?
Yamamoto spalancò gli occhi incredulo. Come poteva quello
che ormai riteneva un carissimo amico dire quelle cattiverie?
Erano parole sì, ma erano veleno concentrato. Un veleno che
gli
entrava in circolo nel sangue, sotto la pelle come i rifiuti che si
riversano nei mari o nei fiumi e li sporcano e li maltrattano
scorrendo in essi e uccidendo la vita al loro passaggio.
Takeshi si portò istintivamente una mano sul cuore. Dio,
quanto
faceva male! Si sentiva come se lo avessero preso a calci, come se gli
avessero inferto una ferita doppia. Una ferita che aveva due nomi.
Alex, una persona adorabile, un amico gentile, una sorta di fratello,
proprio lui lo aveva deluso profondamente. Yamamoto non lo capiva
perchè. Non capiva cosa gli era preso. E non poteva capirlo
perchè lui, guardiano della pioggia della famiglia Vongola,
era
una persona limpida, trasparente. Era pioggia, Takeshi, era pioggia
pura e quieta che lava via tutto.
Ma la pioggia
può lavare via
anche le sue ferite? E se si mescola con il fango? E se viene
inquinata? Non è più pura. Non è in
grado di
lavare via niente.
In quel momento si era sentito pieno di dolore, pensava ad
Alex
e alle sue parole "Oh sì! Stà proprio bene con
te!"
Che vuol dire?
Strinse forte i palmi delle mani chiudendole a pugno e chiuse gli occhi.
-Dannazione!- urlò inchiodando Alex contro il muro e
sbattendo
forte le mani ai lati della sua testa. Alex sorrideva ancora e lo
fissava con le palpebre semiabbassate, senza pietà:- Che
c'è... Take, la verità fa male?
Sì fa male.
Yamamoto non lo guardava, teneva la testa bassa e gli occhi
ostinatamente chiusi, ma quelle mani da lì non si muovevano,
era
bloccato, paralizzato: -Che ne sai tu?
-Si capisce
-No, non si capisce un bel niente. Gokudera non si capisce
così. Non
è un libro facile, lui... lui è scritto al
contrario,
sì.
-Balle- sbuffò Alex- te le ha dette lui queste puttanate?
-No. Le so e basta. Lo vedo. Lo so leggere... ho imparato.
-Take- la voce di Alex si era intenerita, il ragazzo gli aveva
afferrato le braccia costringendolo ad abbassarle e non le aveva
più lasciate- Take... guardami. Ho paura che questo ragazzo
ti
rigiri come vuole, ho paura che ti faccia male. Lo ha fatto, lo so
questo. Io ti capisco, vedevo che il tuo sorriso non era più
tuo. Ti ha rubato tutto e ho paura... tu non te ne rendi conto, non
puoi. Non è una cazzata che l' amore rende ciechi. E' vero.
Tu non sei più tuo, Take.-
Sì,
è vero, è
vero. Non sono mio. Io non lo sono più. Sono suo, sono suo.
Credo sia bello essere suo, appartenergli.
E credo che faccia anche un po' di male.
Essere di Hayato Gokudera.
-E ho paura, Takeshi. Te l' ho detto, ho paura
perchè tu
mi hai raccontato delle cose, lui non mi sembra innamorato o felice.
Uno che è felice non ti tratta così. Tsuna... si
chiama
Tsuna l' altro vero? Magari...-
-Basta... ti prego basta- la voce di Yamamoto tremava, si
coprì
la faccia con le mani, quelle grandi mani che cercavano di coprire il
viso ma anche le orecchie e che però, quelle grandi mani,
sì, non ci riuscivano.
Yamamoto era fragile, quelle mani grandi che ostinate proteggevano
tutto non riuscivano più a proteggere niente.
Era crollato.
Quella pioggia che bagna tutto, che tutto purifica ora non
riesce più a farlo. Si è macchiata quella
pioggia, si è mischiata col fango e con la terra e con le
ferite e il sangue delle battaglie e ora non può
più avvolgere i fiori, gli alberi, la gente col suo tocco
leggero, con quello strato leggero e delicato fatto di migliaia di
piccole goccioline che leniscono le pene dell' anima.
Si è sporcata la pioggia e non riesce a ripulirsi.
-Ho paura, ho paura... Dio... che dolore- singhiozzò
trascinandosi a terra.
-Ta- Takeshi- Alex impallidì, tese le mani verso di lui e si
abbassò veloce ad abbracciarlo. E desiderava solo cullarlo e
proteggerlo per sempre. Prima di tutto dalla sua cattiveria:- Scusa,
scusa, scusa... non volevo, non volevo te lo giuro. E' come vuoi tu,
no, anzi è la verità... che lui ti ama intendo.
-Poco fa hai detto un' altra cosa- disse Yamamoto con gli occhi ancora
umidi cercando una conferma qualsiasi, magari quella che lo avrebbe
fatto stare bene, da parte di Alex.
-Io sono stupido- gli sorrise il ragazzo asciugandogli gli occhi- non
conosco questo tizio, lasciami parlare a vanvera.
Takeshi sorrise con un sorriso triste, di un dolore che partiva dall'
anima e si irradiava fino alla bocca, agli occhi, al cuore, a tutte le
cellule del suo corpo e da lì si trasmetteva, proprio allo
stesso maniera dei suoi sorrisi più belli, fino agli altri,
alla
gente che lo circondava e adesso fino ad Alex.
Fa male però.
Alex sapeva che forse avrebbe dovuto insistere, che se avesse
continuato magari
Takeshi sarebbe rimasto con lui. O forse no, forse gli avrebbe dato un
pugno in faccia. Però avrebbe dovuto lottare e magari il suo
giapponese si sarebbe scordato di quella mozzarella. Si trovavano
così vicini... così vicini che avrebbe potuto
baciarlo. E
allora perchè non lo faceva? Perchè quella
tristezza
trasparente gli faceva così male? Si chiese cosa avesse quel
ragazzo per colpirlo così, lo stava affondando con quella
purezza introvabile e fuori dagli schemi. Forse era una cosa rara,
Takeshi, e si sa che le cose rare sono anche preziose.
E alla fine si erano ritrovati insieme su un volo per il Giappone. Dopo
quello che era successo Yamamoto non si sarebbe certo aspettato che
Alex si offrisse di accompagnarlo. Non credeva che gli fosse
così
amico da arrivare a tanto e allora iniziò a sorgergli
spontaneo
il dubbio che forse Alex non era così trasparente come
voleva
fargli credere, che in genere -ma questo lo aveva sempre saputo- la
gente non è limpida come pare. E Alex allora non gli
somiglia
così tanto. Però l' inglese gli voleva bene e
anche
Yamamoto gliene voleva e una possibilità non si nega mai a
nessuno.
Prima di quella brutta litigata aveva pensato che sarebbe salito sull'
aereo, sarebbe sceso, avrebbe visto Hayato lì all'
aeroporto, magari con le mani in tasca e lo sguardo puntato sui piedi,
e allora lo avrebbe abbracciato e magari baciato. Sì,
sarebbe stato bello. E tutto si sarebbe risolto.
Takeshi però sapeva che le cose non funzionavano esattamente
così, che se lo avesse fatto, se avesse baciato Hayato
davanti a mezzo aerporto, probabilmente l' altro non lo avrebbe mai
più guardato in faccia e cosa più importante, ai
ragazzi sarebbe venuto un colpo. Soprattutto a suo padre.
Si era detto che allora avrebbe aspettato di essere solo con lui per
dirgli magari "Yamamoto Takeshi, piacere. Ricominciamo da qui.",
prendersi uno scalpelloto, un idiota gridato ai quattro venti, ridere e
alla fine prendersi anche un bacio un po' rude, un po' selvaggio.
E gli andava bene così, e di questo era stato felice. Aveva
avuto la certezza, per un attimo, solo uno, che tutto si sarebbe
risolto naturalmente, che ogni cosa doveva per forza tornare
al suo posto perchè non poteva essere diversamente. Non
sembrava volerci tanto. Ci aveva creduto davvero ma ora sentiva che
qualcosa dentro di lui si era rotto, Alex aveva riportato a galla i
motivi per cui se ne era andato da Namimori.
Sono senza certezze.
Quel giorno lontano sul terrazzo della scuola ce lo aveva
nitido tra i ricordi e le immagini gli passavano davanti agli occhi
scuri come in un film dal sonoro eccellente. Troppo eccellente.
Il suo sorriso, quello che lo aveva tenuto incollato al
finestrino per quasi tutta la durata del volo -perchè
nonostante tutto ritornava a casa, da suo padre, dai suoi amici, e
sì anche da Gokudera- si era spento non appena era sceso
dall' aereo. Prese i bagagli aiutato da Alex e prima di varcere la
porta che lo separava da quel suo vecchio mondo dovette fare un respiro
profondo, imporre al suo cuore di battere più piano e
assumere un atteggiamento il più naturale possibile.
Sentì solo la mano di Alex sulla spalla, vide il suo sorriso
incoraggiante che sembrava volergli dire "sono qui e se vuoi scappare,
scappo con te, se vuoi lottare, lotto con te, Take", sì
perchè Alex capiva in fondo e il suo tocco non era un
semplice sono qui, no, era un sono qui e agisco con te. Finalmente la
porta si aprì e non seppe dire se il cuore avesse perso un
battito o gli stesse scoppiando nel petto.
________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE:
Eccomi^^, mi auguro di essere tornata con un capitolo almeno decente
perchè in effetti ci sono dei passaggi che non mi convincono
(ci fosse mai una volta -.-), mi auguro di non aver OOCizzato troppo
Yamamoto. Per quanto riguarda Alex mi auguro che come personaggio non
sia piatto, non sono brava con i nuovi pg o.O, non so che ve ne pare ma
stò cercando di dargli delle sfumature appositamente in
contrasto tra loro. Mi rovino da sola, lo so.
E ora... piccolo annuncio... cof, cof... ho iniziato una nuova long 8059, il
titolo è "Break.",
ancora una volta una storia introspettiva, in cui però ho
deciso di aggiungere del sano erotismo o///o e un poco di azione (e
anche lì ce ne saranno delle belle perchè sono
contorta). Break si caratterizza per uno stile più mosso e
per un' introspezione, anche essa, mi auguro, più attiva, in
un crescendo di tensioni e sentimenti. Ci ho messo davvero il cuore e
mi piacerebbe che voi le deste una possibilità, solo una,
perchè ci tengo, perchè ho bisogno del vostro
appoggio visto che per la testa mi mulina l' idea malsana di prendermi
una pausa stratosferica dalla scrittura. Ovviamente
terminerò certe ff, sopratto "La pioggia sulla pelle".
"Break" è il mio ultimo esperimento nel fandom anime e manga
per come sono messe ora le cose e per il momento è una
storia pilota.
Per quanto riguarda "La pioggia sulla pelle", gli aggiornamenti
zoppicheranno ancora per un pochino mi dispiace tantissimo. Grazie per
l' attenzione,
Haru.
|
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Capitolo 11 *** 11. Aishiteru ***
cap. 11 corretto
Capitolo
11
Aishiteru
Che un tribunale lo condannasse, pensò Gokudera
davanti allo specchio della sua stanza.
-Che mi condannino pure- ripetè fissando gli occhi sulle
proprie
labbra e immaginando che fossero quelle di Yamamoto. Quelle di Yamamoto
da baciare, mordicchiare, succhiare, torturare a
lungo, così
a lungo da renderle gonfie. Le guance del guardiano della
tempesta si imporporarono a questo pensiero.
Si osservò con aria critica, poi con un sorriso dolce e
amaro
passò in rassegna l' ambiente che lo circondava. C' era
stato proprio
bisogno di una telefonata da parte di quell' idiota perchè
il
sole facesse di nuovo capolino tra le tende grigie della sua stanza?
Era stato proprio necessario sentire quella risata inopportuna
perchè aprisse le imposte alle finestre e l' aria, quella
viva, quella che
sapeva di muschio mischiato a un po' di smog, entrasse a cacciare quel
puzzo di polvere e dolore?
Doveva proprio sentire nelle orecchie quella voce serena per mettere un
poco d' ordine in giro e togliere definitivamente bottiglie di alcool
semivuote e sigarette gettate malamente ovunque?
Sì, si disse Gokudera.
C' era voluta quella telefonata, quella risata, quella voce per
permettere al sole di sorgere di nuovo, ai polmoni di respirare, alla
sua anima di mettere ordine in mezzo a quel caos di dolore e
frustrazioni.
Era bastato lo squillo di un telefono per ammettere le proprie colpe.
Le avrebbe ammesse ad alta voce ora, avrebbe gridato i suoi peccati,
scontato la sua pena se necessario. Avrebbe accettato tutto, tranne una
cosa: che Yamamoto non lo perdonasse. Lo avrebbe obbligato a perdonarlo.
Perderti no, non lo
farò mai, idiota. Mettitelo bene in testa.
Hai una promessa da
mantenere nei miei confronti,
mi hai promesso il
per sempre e il per sempre mi devi*
Gokudera dopo ore trascorse di fronte all' armadio si
decise finalmente a prendere una felpa, quella
felpa. Il pinguino lo fissava arrabbiato. Era uno scontro di sguardi in
cui Gokudera sembrava intimargli di non portargli più
sfortuna o
sarebbe esplosa e finita giù per lo scarico del water.
Pianificò di andare all' aeroporto con un certo
anticipo.
Arrivò tre ore prima.
Ebbe modo di capire che l'
attesa può essere snervante, solo dopo molto tempo
finalmente
iniziarono ad arrivare alla
spicciolata tutti gli altri e il guardiano della tempesta
pensò
che probabilmente sarebbe stato preferibile attendere da solo.
Ryohei sembrava più esaltato del solito e le ragazze
particolarmente su di giri con quell' enorme striscione di benvenuto
sventolato praticamente in tutte le direzioni possibili. Hibari dal
canto suo aveva mandato in
sua vece alcuni rappresentanti della commissione disciplinare. L'
evento -anche quel teppista lo aveva capito- era importante.
Il guardiano dei Vongola si accorse che alcune voci iniziarono a
lampeggiare sull'' enorme display degli arrivi
sulla sua testa. New York, o meglio il nome dell' aereo che arrivava
dagli
States, lampeggiava. Gokudera giurò di svenire.
Posso ancora scappare, si
disse ingoiando a vuoto.
I passeggeri iniziarono ad arrivare e le porte scorrevoli si aprirono.
Istintivamente si avvicinò all' area degli arrivi,
appoggiando
le mani sulla balaustra che la delimitava senza accorgersi di avere
lasciato gli altri lontano di parecchi metri. La gente faceva il suo
ingresso dalle porte scorrevoli e Gokudera squadrava ogni volto, si
alzò sulle punte dei piedi per cercare di vedere meglio.
Dov'
è Yamamoto? Dov' è Yamamoto? Dov' è?
Idiota...
Yamamoto.
Yamamoto.
Yamamoto... Takeshi
Una parola, un nome accompagnava i battiti del suo cuore,
invadeva la sua testa.
Tum-tum
Tum-tum
Tum-tum.
Batteva forte, dannatamente forte da fare quasi male. Ansia, attesa,
paura, erano un acquerello e si confondevano fino a non
arrivare a capire quale è una e quale è l' altra.
Voleva
che quel momento finisse al più presto, non ce la faceva
più.
Si mise le mani sulla faccia dicendosi che probabilmente il suo
cervello era irrimediabilmente impazzito. Quello stupido sembrava
essersi sintonizzato su un solo canale. Canale Yamamoto.
Hayato deglutì a vuoto, il cuore, quel bastardo, ancora gli
rimbombava nel petto in un
tum-tum furioso che somigliava vagamente al galoppare di mandria di
cavalli pronti ad assaltare qualche fortino inespugnabile. Aveva le
mani sudate e voglia di imprecare. Provò a guardarsi la
punta
delle scarpe anche se i suoi occhi non volevano saperne di staccarsi da
quella stramaledetta porta, sgranati, aperti all' inverosimile per
paura di perderlo come se Yamamoto fosse stato piccolo piccolo come un
ago o una coccinella o una lumaca... o... o... o qualcosa di
infinitamente piccolo. Tipo una cellula.
Dio, si era rincretinito sul serio, si rimproverò scuotendo
la testa.
Che diavolo stava aspettando a uscire, quello stupido? Che gli venisse
un infarto?
Poi le porte automatiche si aprirono per l' ennesima volta e
finalmente quell' idiota, il suo
idiota, fece capolino guardandosi
intorno spaesato prima di puntare gli occhi nocciola sull'
inconfondibile e rumorosa famiglia Vongola che si era accalcata alle
spalle di Hayato.
Gokudera non capì perchè, ma sentì gli
occhi pizzicare e l' irrefrenabile desiderio di abbracciarlo.
E invece se ne restava lì fermo, immobile dopo averlo
aspettato
tanto, dopo averlo desiderato. Se ne stava fermo con l' insensata
voglia di piangere mentre tutti gli altri si accalcavano intorno a lui,
intorno al suo sole. Che bello rivederlo, era bellissimo, era luminoso.
A Gokudera scappò un sorriso dalle labbra serrate.
Se Hayato fosse stato più attento avrebbe potuto notare che
tra
gli abbracci, tra i sorrisi e le parole, Yamamoto, in quella folla,
cercava proprio lui e dopo avere abbracciato il padre con forza e un
sorriso più commosso degli altri andò verso il
proprietario di quegli occhi verdi che gli erano tanto mancati.
E Gokudera lo aspettava. Lo aspettava probabilmente da una vita e un
sorriso -l' ennesimo- gli scappò dalle
labbra e le mani prima ostinatamente nelle tasche furono tirate fuori,
le braccia si allungarono nell' inizio di un abbraccio
incerto, la bocca si incurvò
per dire qualcosa.
-Takeshi!- Alex afferrò la spalla di Yamamoto sollevato- per
un attimo non ti avevo più visto.
Dolore.
E' dolore quando senti il cuore ferito da tanti piccoli aghi, quando
sanguina e accasciandosi non ha più la forza per battere,
quando
un
nodo alla gola ti blocca il respiro e deglutire saliva inesistente
diventa impossibile, quando i polmoni si stringono all' improvviso e l'
aria ti manca e gli occhi -maledetto specchio dell' anima- si
fanno prima grandi e poi sottili e iniziano a diventare rossi
cercando di non piangere.
-Oh. Mr Yamamoto?- domandò Alex rivolto al padre di Takeshi
trascinando l' amico con sè. L' uomo annuì col
capo non
risparmiandosi un sorriso di incoraggiamento sebbene guardando di
sottecchi il figlio si disse che probabilmente qualcosa non andava.
-L' ho riconosciuta subito, sa?- continuò Alex stringendogli
calorosamente le mani- lei e Takeshi vi assomigliate molto.
-Takeshi?- domandò l' uomo stupito
-Takeshi?- fecero in coro gli altri
-Yes, Takeshi- confermò il ragazzo girandosi un momento
verso la sorella
per invitarla a salutare- non vedevo l' ora di conoscerla.
-Bè...- iniziò Yamamoto-san- benvenuto in
Giappone ragazzo! Ti farò assaggiare un sushi squisito!
Takeshi rimase accanto al gruppetto scambiando con loro qualche
sorriso distratto. Il ragazzo si sentiva in una specie di
vortice, in un risucchio inaspettato, rapido, veloce che lo stava
allontanando da Gokudera. E lui rimaneva lì, dentro quel
vortice. Ma per quanto? Per quanto aveva intenzione di restarci?
Gokudera.
Nella sua testa rimbombava prepotente solo il suo nome, i
suoi
occhi e l' aria crucciata, la voce graffiante, le mani che lo
strattonavano e al
diavolo tutto il resto, al diavolo i dubbi, le paure e le
incomprensioni. Hayato era a pochi passi da lui, si girò e
non
gli ci volle molto per capire che ciò che aveva davanti era
tempesta.
Gokudera alzò il mento quando poco prima Alex
gli aveva
portato via Takeshi e gli occhierano diventati vendicativi mentre la
bocca si incurvava in un ghigno. Oh, sì che un
tribunale lo condannasse pure, si ribadì con un sorriso
amaro,
che quell' idiota scappasse di nuovo a gambe levate come aveva
già fatto.
Chi sbaglia paga.
Aveva voglia di urlare e di fare
esplodere tutto.
Aspettava, Gokudera semplicemente aspettava mentre quel bastardo di
Alex si accattivava le simpatie del padre di Yamamoto. Una parte di lui
gli
diceva di andarsene, di scappare e al diavolo le spiegazioni. L' altra,
quella neonata che spesso aveva soffocato,
invece gli imponeva di restare e di non saltare a conclusioni
affrettate.
Gokudera dunque aspettava. Spiegazioni, risposte, giustificazioni e
Yamamoto questo lo sapeva bene. Rimise le mani in tasca quando Takeshi
si girò verso di lui.
Ce ne hai messo di
tempo.- sembrò volergli dire Hayato.
-Takeshi, presentami i tuoi amici- lo incitò di nuovo Alex
afferrandogli il polso e facendo scivolare la mano nella sua.
Yamamoto lo guardò confuso, guardò Gokudera e
aggrottò le sopracciglia liberandosi dalla presa leggera e
ammonendo Alex con lo sguardo.
-Alex e Sandra sono due miei amici.
-Sarà Alex amico tuo, non certo io- sottolineò la
ragazza incrociando le braccia al petto.
Yamamoto questa volta non rise, guardò Gokudera
incamminandosi verso di lui e ribadì
deciso:- Sono degli amici. Alex- e sottolineò quel nome-
è un mio amico. Ci siamo conosciuti all' accademia. Lui e
sua
sorella sono venuti a passare qui qualche giorno.
Gokudera e Yamamoto si osservarono attentamente sotto gli sguardi ora
silenziosi della numerosa famiglia.
Gokudera sospirò -di sollievo- e allungò il
braccio verso l' altro
afferrandogli il colletto della maglietta. I loro visi erano vicini,
gli occhi, le labbra, i nasi.
-Stupido idiota, ce ne hai messo di tempo per tornare!-
sbraitò
l' albino mentre Yamamoto si scioglieva in una risata allegra.
Yamamoto allontanò le mani di Gokudera da sè,
indugiò tenendole tra le sue:- Quella te l' ho regalata io-
sorrise indicando la felpa con il pinguino dall' aria minacciosa.
-Io nemmeno la volevo mettere.
-Ma ce l' hai addosso.
-Ci sono inciampato e alla fine me la sono messa. Era tutto da lavare.
Yamamoto
abbassò la testa allungandosi verso l' amico: -Aishiteru, Hayato
Gokudera- sussurrò al suo orecchio.
Gokudera normalmente avrebbe fatto un passo indietro di almeno due
metri e avrebbe urlato un idiota ai quattro venti. Per l' imbarazzo,
non certo per altro. Chissà se Yamamoto questo lo aveva
capito.
Questa volta fu più misurato, arrossì,
decisamente
arrossì e stringendo istintivamente la maglia di Takeshi tra
le dita
alzò la testa fino a incontrare bene la sua faccia e
gli
occhi nocciola.*
-Aishiteru- soffiò muovendo appena le labbra in una
dichiarazione silenziosa.
________________________________________________________________________________________
ANGOLO AUTRICE:
Eccomi qui dopo millemila anni. Perdonatemi ma nell' ultimo periodo io
e la mia ispirazione abbiamo viaggiato su binari diversi. Spero che
questo capitolo vi piaccia o sia almeno discreto. Mi è
costato
lacrime e sudore, sappiatelo. L' ho riscritto tre volte. Tre. Mai
successa una cosa del genere o.O. E per la prima volta mi sono
addirittura commossa in un passaggio. Questi due mi stanno rammollendo.
Ovviamente questo non vuol dire che ne sia pienamente soddisfatta,
anzi. Probabilmente tanto non sarò mai contenta di quello
che
scrivo, rassegnamoci. Non sono stata molto su EFP ma spero di potere
riprendere a seguire le storie che stavo leggendo dopo la prima
settimana di Novembre. Comunque, ho giusto un paio di cose da dire. La
prima è che il prossimo sarà l' ultimo capitolo o
il
penultimo, ancora non so. Il motivo è che credo che la
storia
abbia fatto il suo corso, non avrebbe senso continuarla aggiungendo ad
esempio dei capitoli in cui Alex mette i bastoni tra le ruote ai nostri
piccioncini, troppo, troppo banale, inoltre questo significherebbe
modificare l' essenza della storia che voleva essere assolutamente
introspettiva senza abbellimenti o grandi gesti esterni da cui
partissero pensieri ecc... ad eccezione di quelli essenziali che all'
inizio hanno dato il via a tutto.
Poi, come avrete notato ho messo un paio di asterischi *,
prima Gokudera fa riferimento a una promessa di Yamamoto, infatti nel
primo capitolo il nostro guardiano accusa l' altro di averlo
abbandonato pur avendogli promesso il contrario, inoltre in una mia
shot "Aishiteru" si parla di come Yamamoto abbia promesso a Gokudera il
"per sempre", un tempo a cui di norma il guardiano della tempesta crede
poco. L' ultimo asterisco è semplicemente perchè
in un
certo senso la scena in cui Yamamoto e Gokudera si scambiano il loro
Aishiteru (ti amo) riprende più o meno e a grandissime linee
quella della citata shot, uno dei lavori che io personalemente ho
-stranamente- apprezzato abbastanza. Credo che per certi aspetti
Aishieteu sebbene molto breve anticipi e completi "La pioggia sulla
pelle", soprattutto se consideriamo questo capitolo, non saprei
perchè, chi l' ha letto saprà dirmi se la mia
impressione è corretta o meno spero.
Infine ci tengo a dirvi che questa storia nasce e si sviluppa sulle
note di due canzoni su cui ovviamente non ho diritti:
Whataya want from me (Adam Lambert) e Just a dream (Nelly).
Su youtube ci sono due video proprio con queste due canzoni che mi
hanno ispirato parecchio: http://www.youtube.com/watch?v=5XlBukwE_NQ&feature=results_video&playnext=1&list=PL7687BDBC40194935
http://www.youtube.com/watch?v=7uWyqD6Gyhs
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Capitolo 12 *** 12. La pioggia sulla pelle ***
cap. conclusivo
La pioggia sulla pelle
Sento correre giù l'
acqua. La sento cadere sulla terra, picchiettare contro le finestre.
La sento, completamente. Dentro.
-Ah-
dalle labbra si dischiuse un gemito mentre le mani di Gokudera si
strinsero con forza alle spalle di Takeshi stringendolo e
avvicinandolo di più al suo corpo per un altro bacio, per
sentirsi più vicini, penetrarsi, unirsi completamente
seguendo i
movimenti rapidi di chi troppo a lungo è stato lontano. All'
improvviso sentì un brivido
sul corpo, una finestra si era spalancata col vento che gridava, fuori
faceva freddo. Fu un momento veloce e delicato al tempo stesso quando
le imposte
iniziarono a sbattare ritmicamente contro la parete e Yamamoto lo
strinse contro il petto. Gokudera poteva sentire il suo cuore, le mani
grandi -quelle mani che tutto proteggono- sulla schiena e tra i
capelli. Era caldo.
E
poi di nuovo il guardiano della tempesta si sentì pieno,
Yamamoto affondò dentro di lui, gli sprofondava dentro
irradiando calore e sicurezza mischiati ad una sensualità
che
profumava di muschio umido, un profumo che si mescolava alle essenze di
fiori sconosciuti, così tanti da confondergli i sensi e che
sembrava amplificarsi con l' aleggiare del vento
nella stanza.
E poi pioveva, insistentemente,
in maniera costante.
Piove sulla mia pelle, dentro il
mio corpo, nel mio cuore.
Un
tuono annunciò un fulmine che non tardò a
mostrarsi
squarciando il cielo e la pioggia, diventata insistente, si fece
tempesta.
Yamamoto
sorrise. Per fare una temepesta che si rispetti ci vuole la pioggia.
Sapeva bene che la sua pioggia ideale sarebbe stata sempre in una
tempesta. La sentiva sulla pelle, prepotente, graffiante, fragile, a
volte indifesa altre terribilmente pericolosa.
Sono le tue mani che mi scorrono
addosso, Hayato.
Quelle
mani Takeshi le bloccò, le strinse alzandosi in ginocchio
sotto
i suoi occhi, le baciò, devoto, le portò al
petto. E'
impazzito, ha un cuore impazzito, pensò Gokudera non troppo
stupito. Come una pallina lanciata con forza, non la puoi fermare.
Batte, batte, batte...
Hayato
si alzò a sua volta, una mano ancora sul suo cuore, l' altra
l'
aveva sfilata per afferrare quella di Takeshi, lo fissò
deciso,
un poco accigliato. La mano di Takeshi era stata poggiata su di lui,
là dove c' è il cuore. Lo senti?, pareva dirgli.
Gokudera
si distese su di lui, sentiva l' aria fredda sulle spalle,
tremò, ebbe un brivido. Poco importava, lui lo
proteggerà, il suo corpo avrebbe riscaldato quello di
Yamamoto.
E lo sapeva, tanto lo sapeva che ne avrebbe ricevuto anche tanto calore.
Takeshi sentì l'
odore della pioggia, lo sentì forte quando Gokudera si
distese su di lui.
Era un odore umido quello della
sua pioggia, che sapeva di asfalto e di bruciato, di vecchi libri un
po' ingialliti.
E di nicotina.
Amo
questo odore, lo amo anche se a molti potrebbe sembrare orrendo. Amo
che mi entri nella pelle, mi annebbi la mente, imponga la sua presenza
alla mia anima.
Desiderava
sentire quel profumo -che non era poi un profumo- in eterno, lo avrebbe
impresso tra i suoi ricordi, se lo sarebbe marchiato addosso. Avrebbe
urlato "gli appartengo, a lui solo".
E prometto, è un
giuramento solenne, Gokudera, un vincolo, di restarti accanto. Non ti
lascerò più solo.
Il
sole fece capolino tra le nuvole, era ancora un po' freddo e un po'
timido ma c' era, mentre la gente per strada poteva mettere da parte
gli ombrelli e le automobili scivolavano sull' asfalto bagnato. Sole,
nuvole... poco importava. Non era necessaria la pioggia del cielo per
sentire le sue gocce sulla pelle.
E
rimasero fermi ad abbracciarsi, a stringersi e a fissare i particolari
del corpo dell' altro, impararli a memoria e non scordarli
più, bearsi della presenza di quella metà che
sembrava
essersi perduta, sentirsi finalmente completi e più leggeri
per
promettersi silenziosamente "per sempre"
-Devo
andare- affermò Yamamoto dopo qualche ora dispiaciuto mentre
Gokudera faceva cadere le braccia sul materasso, contrariato.
-Immaginavo- il suo tono era
brusco- quello dorme a casa tua?
-Chi? Alex e Sandra? No, no,
hanno deciso di andare in albergo.
Gokudera
si rilassò sui cuscini, si sentiva sollevato. Quel dannato
Alex
era una mina vagante, se lo sentiva. Ma lui eventualmente aveva la
dinamite, si disse accennando un sorriso.
L'
indomani Yamamoto scendendo al ristorante del padre si
ritrovò
un Gokudera risoluto più che mai che gli puntava contro il
dito indice.
-Ascoltami
bene- aveva esordito il ragazzo- io sono il discepolo più
fedele
di Yamamoto-san! Lui è il mio maestro... quindi io
diventerò
il suo braccio destro, hai capito?!
A
Yamamoto Gokudera parve particolarmente esaltato, arcuò le
sopracciglia leggermente stupito:- Eh no Gokudera, non è
possibile- rispose.
-C-Che?
Gli
occhi di Yamamoto si fecero seri, l' accenno di un sorriso divertito
aleggiava sulle sue labbra:- Mi dispiace Gokudera, non posso
permetterlo, non cederò il posto di braccio destro di mio
padre.
Tu sarai il lobo dell' orecchio, se vuoi.
-Ma che cavolo! E allora tu
sarai un pelo del naso!
-Cosa?! Allora sei il moccio.
La voce timida di Tsuna interruppe la diatriba mattutina e il ragazzo
pensò che quella situazione aveva qualcosa di famigliare e
che
decisamente no, quei due non sarebbero mai andati d' accordo - o
comunque lo avrebbero fatto nel loro personalissimo modo- anche se
qualcosa in quella scena che aveva visto davvero pochi anni prima lo
sollevava e rendeva felice portandolo a pensare che era meglio
così, che niente probabilmente avrebbe intaccato quel
rapporto
di cui spesso era diffficile cogliere tutte le sfumature, le cose non
dette, il significato dei singoli gesti. Il Decimo
Vongola fece la sua comparsa accompaganto da Haru e Kyoko, pochi attimi
dopo un Lambo scatenato più che mai gli saltò
sulla testa
facendolo rotolare sul pavimento. Il Bovino evidentemente scappava,
cosa avesse rubato non fu dato saperlo per qualche minuto buono, un
occhio attento poco dopo indicò il maltolto come un paio di
occhiali da sole mentre I-pin blaterava qualcosa che aveva a
che
fare con una signora.
-A chi diavolo li hai rubati, stupida mucca?- abbaiò
Gokudera
afferrando il bambino. Lambo in risposta si fece una grossa risata e si
mise una delle aste nel naso, compiaciuto.
-E non metterti 'sti cosi nel naso, che schifo!- lo
rimproverò
Tsuna alzatosi non appena Reborn lo invitò gentilmente -con
un calcio- a fare il
suo dovere di boss e a fermare il suo stupido sottoposto impazzito.
-Ehi, ehi... come siete noiosi- affermò il bambino con aria
scocciata guardandosi intorno. Poi, improvviso come solo lui sapeva
essere, impazzito, gli occhi verdi si spalancarono crucciati:- Lasciami
andare Stupidera!- imponeva agitando le braccia e le gambe. E tonf, gli
occhiali caddero a terra.
L' ingresso dei Varia annunciato dall' urlo -che di buono prometteva
ben poco- di Squalo peggiorò la situazione.
-Oh, non vedo nulla. Dove sono i miei occhiali?- andava domandando un
Lussuria fasciato di un boa e di un kimono rosa shock. E poi dopo il
"tonf" ci fu il "crak" inevitabile come era stato
inevitabile che qualcuno avesse messo i piedi sopra gli occhiali mentre
cadeva il silenzio. Persino
Squalo si era fermato dal fare le paturnie a Takeshi.
-Ehi, portatemi uno scotch- ordinò Xanxus rompendo il
luttuoso silenzio mentre si accomodava su una sedia imbottita.
-Ma sei scemo? Stupido boss! Questa non è una taverna!-
sbraitò Squalo.
Xanxus lo afferrò per la cravatta avvicinandolo a
sè:-
Tch, non credere di poter venire a rimpinzarti di sushi come un maiale.
-Che diavolo c' entra?!
-Zitto, feccia. Ora non sarai più solo.
I presenti e soprattutto Squalo non capirono bene se quella frase fosse
una promessa o cosa.
-Il boss intende dire che non verrai più qui da
solo- ci tenne a precisare Levi paonazzo.
Mentre il cicaleccio ricominciava, Takeshi avvicinò le
labbra all' orecchio di Hayato che si interruppe dal continuare a
sbraitare contro cose e persone per regalarsi un brivido freddo lungo
la schiena e un leggero rossore alle guance mentre restava immobile in
attesa di ciò che l' altro aveva da dire:- Gokudera...
-S-sì?
-Mi aiuti a studiare?
Yamamoto sorrise, Gokudera rimase per qualche secondo di sasso, non si
aspettava certo quello, lo afferrò per la maglia -era una
cosa
che adorava- e iniziò a tirare avvicinandosi sempre di
più -e intanto pensava che adorava quell' idiota-
affermando:-
E' ovvio, idiota! I guardiani devono restare uniti per proteggere il
boss!
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ANGOLO AUTRICE: *Sente urla di gioia in lontananza* finalmente questa
storia è finita, smetterò di tediarvi. Mi auguro
di non
avervi deluso con questo capitolo, preciso che ho ritenuto giusto
inserire due momenti fondamentali, il primo assolutamente introspettivo
e delicato dedicato a Yamamoto e Gokudera e che è un po' la
conclusione della ff, il secondo corale che ricreasse un' atmosfera di
nuovo spenzierata per tutti, che unisse la famiglia, importante nel
manga, e che indicasse a livello quotidiano, reale, che davvero tra
loro non è cambiato nulla. Poi lo ammetto, ho voluto
lanciare il
mio piccolo sassolino per Xanxus e Squalo, è stato
più
forte di me. Prima o poi scriverò qualcosa su di loro, nel
frattempo aspetto che ritornino il tempo e la voglia per farlo e non
appena ciò avverrà la prima cosa che
farò
sarà rimettere le mani su Break, credo che abbia un gran
potenziale. Un' ultima cosa, il dialogo finale tra Yamamoto e Gokudera
sulla storia del braccio destro ricalca le battute della scena omonima
del manga e contenuta nel secondo volume, ovviamente non ho diritti in
merito. Vi ringrazio infinitamente per aver seguito questa
storia,
vi sono grata soprattutto per il supporto che mi avete dato, un
abbraccio grandissimo va ai recensori di questa storia, siete stati
gentilissimi e proprio voi siete stati la carica che mi ha spinta a
portarla a termine. Grazie.
Haru.
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