Snow

di AlisIntoTheDark
(/viewuser.php?uid=116935)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Oh... malefico cerchietto rosso! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Quando la tua persona finalmente da buoni consigli ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Il poker è un gioco solo per Duppy ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Il materassino gonfiabile odia l'albero di Natale ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - I problemi di mangiarsi popcorn con il gelato alla fragola ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Quando nel giorno di San Valentino un camioncino decide di rovinarti la vita ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Due ritorni importanti per capire di essere fottuti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il ritorno del magico Duppy ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Stare seduti su un cactus ***



Capitolo 1
*** Prologo - Oh... malefico cerchietto rosso! ***


 

 

 

 

Snow

 

 

 

 

 

 

 

Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


“E’ possibile che sia incinta?” chiesi scrivendo le varie informazioni della paziente sulla cartella.


La ragazza ci pensò un po’ prima di rispondere.


“Non lo so” disse sorpresa.


“Quando ha avuto l’ultimo ciclo?”


“Non sono sicura...” 


Spostai frustrata gli occhi dalla cartella e guardai quella ragazza con poco più di vent’anni, un aspetto vanitoso e un po’ superficiale.


“Magari era... il giorno di St. Patrizio e mangiando delle enormi ciambelle verdi avrà pensato - oh! Che schifo devono essere gli ormoni! -”


Lo sguardo della donna posta sul lettino si illuminò.


“O mio Dio! Lei ha ragione! Si saranno state quelle ciambelle verdi! Penso... che mi sia venuto il ciclo anche verso Pasqua perché continuavo a mangiare coniglietti di

cioccolato! Funziona!”


Per un attimo, mentre aggiornavo la cartella della paziente, la mente mi si soffermò sul calendario posto in bagno.


Ero solita a cerchiare i giorni del mio “periodo nero” con un indelebile rosso.


Mi fermai per un momento.


La mente si bloccò su quell’immagine.


Il calendario, il cerchietto rosso sul giorno di Pasqua, io che disegnavo un cerchietto sul mese dopo.


Non può essere pensai Non è possibile che sia successo.


Sbiancai stringendo la penna che avevo in mano. 


Mollai la cartella sul lettino della paziente e con uno sguardo preoccupato mi allontanai dalla banca del sangue mentre la ragazza mi urlava dietro.


Corsi fino in ginecologia e mi piazzai davanti allo studio della Dottoressa Field.


Non è possibile. Non può essere possibile.


Ero ormai nel panico, un panico inimmaginabile.


Quando vidi una donna sorridente uscire dallo studio di Lucy mi avvicinai e fermai la dottoressa sulla porta.


“Ho bisogno di parlarti” dissi alla ginecologa bionda.


Lei mi guardò un po’ sorpresa e annuì la testa lasciandomi entrare nello studio.


Lucy si sedette dietro la sua scrivania invitandomi a sedere sul lettino.


“Ok” disse “Pensi di avere un infezione, lo stress influisce sul ciclo... qualsiasi problema tu abbia io lo risolverò!” disse scherzosa


Pensai bene alle parole di Lucy.


“Ecco... io... forse è lo stress, ma mi è saltato il ciclo questo mese e... nelle peggiori delle ipotesi, penso di essere... ehm... essere incinta” dissi quelle parole con titubanza come se non volessi che scoprisse che non volevo un bambino.


“Ok. Allora controlliamo.”


Lì la paura mi pervase.

 











“Sembra di sei settimane” disse Lucy alzandosi dallo sgabello dove mi aveva appena fatto l’ecografia.


Ormai nel panico e con quasi le lacrime agli occhi presi un respiro profondo.


Ero incinta.


Ero una stupida vacca incinta. Di nuovo.


Non mi era bastata la gravidanza di Burke per capire che quella non era la mia strada, no... aspettavo un bambino di nuovo, un bambino che non volevo, ma che era più importante di prima.


“Vedo che non è desiderato” disse Lucy.


“No” scossi la testa con le mani sulla fronte.


“Vuoi parlare delle opzioni?” chiese con il suo angelico sorriso da brava ragazza.


Respirai ancora una volta a fondo.


“No.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua...

 

Alis HuntYang

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Quando la tua persona finalmente da buoni consigli ***


 

 

 

 

 

 

Snow

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cristina non avrebbe mai voluto fare la mamma.

 

Eppure quel giorno qualcosa era cambiato in lei.

 

Qualcosa si era mosso nel suo cuore e nella sua mente, lasciando spazio a quel pensiero che la tormentava da giorni: devo farlo? Oppure no?

 

Erano passati cinque giorni da quando aveva litigato con suo marito e non riusciva a pensare ad altro che ha lui e alla sua vita e come cambiarla sarebbe stato pazzesco per lei.

 

Lei amava il lavoro, la chirurgia era la sua vita e benché amasse Owen più di quanto avesse mai potuto amare qualcun’altro, prendere in mano un bisturi e salvare la vita delle

persone era tutto ciò che la rendeva veramente felice.

 

Oppure no?

 

Quella mattina con le braccia incrociate al petto e seduta sul letto ci aveva pensato.

 

Si era immaginata sorridente e con un bambino in braccio, sembrava felice, e quel pensiero la fece sorridere ancora più di quanto non facesse nel suo profondo.

 

E li aveva capito.

 

Aveva veramente capito che non poteva aspettare ancora quella felicità, che non era legata al lavoro, ma a qualcosa di suo, con un proprio pensiero, due occhi grigi e una piccola boccuccia.

 

Dopo si era alzata da quel letto e si era decisa a far vedere a tutti quanto una donna chirurgo potesse essere un ottima madre.

 

Certo.

L’idea la spaventava parecchio, ma con Owen al suo fianco niente sarebbe stato più bello.

 

Cristina prese le chiavi dell’auto e uscì vittoriosa da casa di Meredith.

 

Sarebbe andata da Owen e gli avrebbe detto la notizia.

 

Parcheggiò e salendo le scale di quel vecchio palazzo il cuore le batteva a mille, non si era mai sentito niente di più forte, niente di più potente e che correva all’impazzata.

 

Si fermò davanti alla porta di casa sua, anche se l’ultima volta che ci era stata le cose non erano andate per il meglio.

 

Fissò la porta, la toccò e fu quasi convinta di bussare fino a quando qualcosa dentro di se non le disse di aspettare.

 

Gettò le braccia lungo i fianchi e si voltò per andare via.

 

Ma come poteva andarsene? Come poteva negare ad una parte importante di se di non fare più parte della sua vita.

 

Della vita di suo figlio.

 

Già.

 

Suo figlio.

 

Il figlio che non aveva mai voluto, ma che ora c’era.

 

Senza pensarci troppo Cristina prese il cellulare e chiamò Meredith. La sua compagna di viaggio. Sua sorella. La sua persona. L’unica che potesse capirla davvero.

 

Compose il numero e rimase li ad aspettare.

 

Beep. Beep. Beep.

 

“Pronto?” rispose quella voce squillante che riempiva le giornate di Cristina.

 

“Ehi... Meredith.”

 

“Cristina! E’ da un po’ che ti cerco! E che cerco le chiavi della mia auto! Sei uscita senza dire niente a nessuno, pensavo che ti fosse successo qualcosa!” rispose Meredith preoccupata per la sua migliore amica.

 

Cristina si schiarì la voce e voltò la testa verso la porta di casa.

 

“Meredith... non sei mia madre e sono abbastanza grande per decidere se uscire da sola, per cosa fare nella mia vita e sono abbastanza grande anche per decidere se voglio dei

figli!” disse Cristina stringendo il cellulare posto sull’orecchio destro.

 

“Ok. So di non essere tua madre. Ma è tutta questa questione con Zola che...” Meredith prese una pausa “cambiando discorso... dove sei?” chiese.

 

“Sono. Davanti. A casa mia. E... sto cercando di capire se devo bussare oppure andarmene e dimenticarmi per sempre di Owen o almeno dimenticarmi di lui finché non verrà a cercarmi.”

 

Meredith sorpresa si schiarì la voce.

 

“Ehm... wow... voglio dire... quindi avrai un bambino? Ne sei sicura?”

 

Quello era i vero problema per Cristina.

 

Essere sicura di quello che voleva.

 

Per colpa della sua forte emotività, affrontare abbandoni o situazioni molti forti sul lato sentimentale la faceva riempire di preoccupazioni e paure e la faceva chiudere ancor più in se stessa.

 

Ma forse quella era una situazione un po’ diversa.

 

“Bussa. Bussa a quella porta e fa vedere a Owen quanto tu sia una gran donna! Perché... tu sei Cristina Yang! E io sono Meredith Grey e non permetterò a nessuno di ostacolare di nuovo il tuo finale felice!” disse Meredith dando coraggio a Cristina.

 

“Hai ragione. Voglio anch’io il mio finale felice!” affermò convinta.

 

Decisa a bussare quella porta, Cristina, alzò la mano.

 

-Ah ah ah... Owen! E’ da tanto che non ci divertiamo così io e te!-

 

Quella voce femminile fece preoccupare Cristina, le fece montare la rabbia e la tristezza rendendola vulnerabile.

 

“Meredith. Oddio. C’è una donna in casa di Owen! In casa mia!”

 

“Ok... non preoccuparti, è il momento migliore per bussare! Fatti forza Cristina e bussa a quella maledetta porta!” disse Meredith incoraggiando Cristina.

 

Prese fiato facendo respiri profondi e bussò a quella porta.

 

Attendendo quei pochi secondi che la  separavano da Owen avrebbe voluto scappare.

 

“Grazie Meredith. Ti chiamo più tardi.”

 

Cristina chiuse la chiamata.

 

Quando la porta si aprì lentamente, alla donna mancò un battito.

 

Il profumo di quella casa, il suo e quello di Owen, la invase come una leggera nebbia che disperde i sensi.

 

Il sorriso felice che Owen aveva dipinto sul volto si spense in pochi attimi.

 

“Cristina” disse Owen realizzando quanto veramente le fosse mancata in quei giorni.

 

Lei teneva lo sguardo basso perché incrociare gli occhi di Owen sarebbe stato un colpo troppo forte.

 

Ma gli occhi di Owen, quegli splendidi occhi grigi, erano qualcosa di meraviglioso in cui perdersi per momenti infiniti.

 

A Cristina mancavano gli occhi di suo marito.

 

Gli mancava il suo soldato, ma era troppo orgogliosa per dirlo.

 

“Owen” disse lei in cenno di saluto.

 

“Che ci fai qui?” chiese Owen.

 

Cristina scosse il capo e si guardò le scarpe.

 

“Voglio solo parlare” disse con voce tremante.

 

Owen annuì.

 

“Io voglio parlare con te, ma ora non posso... c’è... c’è Teddy in casa, è venuta a farmi una visita” disse Owen.

 

Cristina si costrinse ad alzare gli occhi e ad incrociare quelli di Owen.

 

Il dolore e il rimorso che provò per quello che gli aveva fatto la fecero piangere copiosamente.

 

“Scusami... io non ho il diritto di essere qui, ma non lo faccio per me. Lo faccio perché ti amo e voglio che mi ascolti un attimo, mentre ti parlo.”

 

Owen la guardò e i suoi occhi tradivano amore mentre il suo volto voleva esprimere serietà e durezza.

 

Lui la amava e tutto avrebbe fatto per lei.

 

“Allora ti ascolto” disse l’uomo impaziente.

 

Cristina riprese a respirare normalmente e sorrise.

 

“Ti amo, e tu sei l’unico che mi abbia mai veramente capita. Hai sciolto la mia corazza di ghiaccio e mi hai accolto al caldo nella tua aura solare, mi hai aperto il mondo e sei

stato come un secchio d’acqua in faccia, un secchio che da troppo tempo non ricevevo. Mi hai tolto i tappi dagli occhi e mi hai amato. Mi hai amato. per quello che sono e non per quella stupida senza cuore che conosce la gente, ma mi è più facile comportarmi così e lo sai. Ti prego. Amami. Amami... ancora” fece una pausa e fissò di nuovo quegli occhi grigi.

 

Owen si avvicinò a Cristina.

 

“Perché mi stai dicendo questo? Perché vuoi farmi stare male?” disse sottovoce.

 

“Perché non terrò il bambino... per te. Ma perché lo voglio io e perché se non lo faccio adesso non potrò mai più coglierne l’occasione, perché se non lo faccio non vorrò mai più farlo. Quindi adesso è il momento in cui forse voglio veramente avere un bambino, ed è questo momento che conta.” 

 

Owen rimase a bocca aperta con gli occhi fissi su Cristina.

 

Cristina deglutì mentre Owen si metteva le mani sui fianchi e ancora una volta annuiva pensierosamente.

 

“Ok” rispose Owen “Ma se è femmina ho diritto a sceglierne il primo nome.”

 

Cristina sorrise scuotendo la testa e incrociò lo sguardo di Owen un altra volta, ma ormai non provava più quel peso.

 

“Ci sto” disse la donna tendendo all’uomo la propria mano.

 

Owen l’accettò e la strinse con delicatezza.

 

“Ti amo. Ti amerò sempre” disse e attirò Cristina a se abbracciandola.

 

Cristina restituì l’abbraccio respirando il profumo di Owen.

 

Owen si era dimenticato completamente della presenza di Teddy in casa loro. Ormai aveva tutto ciò che desiderava e lo condivideva con la persona che amava.

 

Non si sarebbe mai e poi mai staccato da quell’abbraccio.

 

“Posso tornare a casa adesso?” chiese Cristina.

 

Owen la strinse a se più forte.

 

“Si” rispose mentre la prendeva per mano e la invitava con un gesto della mano ad entrare in casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua...

    Alis    

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Il poker è un gioco solo per Duppy ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano le quattro di mattina e del tutto presa da un film strappalacrime, divoravo i miei cereali preferiti come se non avessi altri giorni da vivere.

 

Owen non era in casa, ma bensì in ospedale a salvare vite e non aveva la benché minima idea di che io fossi sveglia ad aspettarlo.

 

Quei giorni di nuovo a casa mia con mio marito e Dash, il cucciolo di pastore tedesco che Teddy aveva regalato ad Owen per tirarlo su di morale, erano stati molto strani.

 

Anche se Owen mi amava e sapeva che volevo tenere il bambino, spesso mi evitava.

 

Mi evitava in casa, sul lavoro, e anche per tornare a casa alla sera.

 

Cercava di non chiamarmi per le emergenze durante la notte ma continuava a guardarmi sorridente.

 

Dash mi si avvicinò e si accovacciò accanto a me con la testa da tenero cucciolo appoggiata alla mia gamba.

 

Mi guardava con quegli occhioni neri come il carbone che ad un solo sguardo ti trapassavano l’anima.

 

Mi soffiai il naso ammucchiando, poi, quest’ultimo fazzoletto vicino agli altri nella pila accanto a me.

 

Ma perché piango? mi chiesi Io non devo piangere, non posso piangere. Stupidi ormoni.

 

Accarezzai il cane finché, piano piano, non chiusi gli occhi e mi addormentai sul lato sinistro del divano.

 

Mi svegliai non appena sentii il rumore della porta di casa aprirsi.

 

“Ciao” dissi assonnata voltandomi verso Owen.

 

Lui mi rispose con un cenno della testa dirigendosi verso la cucina.

 

“Stavi dormendo?” chiese.

 

“No” risposi fingendo e sorridente.

 

Ero felice di vederlo, ero felice solo del fatto che potevo abbracciarlo di nuovo, averlo intorno, e sentirmi di nuovo con le farfalle nello stomaco guardandolo.

 

“Com’è andata stanotte? Tanti casi gravi?” chiesi con curiosità e una punta di invidia nella voce.

 

Lui ci meditò su per poi guardarmi.

 

“Beh... un ragazzo ubriaco si è schiantato, in macchina, contro un albero e aveva milza e fegato spappolati, quindi abbiamo dovuto operarlo e metterlo in lista per un trapianto.

Per il resto direi che è stata una nottata tranquilla. Non ti sei parsa niente” rispose.

 

“Oh... ok... ok... la prossima volta... comunque... potresti chiamarmi perché mi manca andare in ospedale la notte e operare una milza spappolata alle due del mattino. Mi manca sul serio.”

 

Sorrise versandosi dell’acqua in un bicchiere.

 

“Beh... posso dire solo una cosa... e spero che tu non ti arrabbi per questo ma te la devo dire” fece una pausa “dato che vorrei preservare la tua salute come donna incinta, perché sei mia moglie e ti amo, ho chiesto ha tutti di non chiamarti più per le emergenze notturne... fino alla nascita del bambino” disse bevendo un sorso d’acqua.

 

“Cosa? Che cosa? Come puoi farmi questo! Non è giusto! Io... ho bisogno di interventi notturni! Non voglio fare la brava donna di famiglia che non può operare la gente perché... beh... perché è incinta! O perché deve stare dietro ad un bambino! Non fraintendermi, voglio prendermi cura del bambino ma sicuramente ogni tanto... la notte... avrò bisogno di fare il chirurgo! E poi, scusa, dovrei aspettare quasi un anno prima di poter vedere di nuovo una sala operatoria di notte? No questo no! Lasciami questi ultimi sette mesi per godermela...” dissi alzandomi dal divano e sentendomi improvvisamente attiva.

 

“Sei mesi. Sei incinta di un mese e non ti farò andare in ospedale oltre al settimo. Sarai fragile, con la schiena dolorante e si anche bramosa di chirurgia ma mi ringrazierai la notte per non averti chiamato e per averti lasciato dormire.”

 

“Quindi pensi davvero che non cercherò di ribellarmi solo perché non mi vedrò più i piedi?” chiesi.

 

Lui annuì con la testa.

 

“Si”

 

“Ma tu sei MATTO?” scoppiai facendo sobbalzare il cane.

 

Dash si alzò dal divano correndo nella sua cuccia dietro al divano  rifugiandosi sotto al suo cuscino.

 

Guardai il cucciolo che mi fissava impaurito.

 

“Forse dovresti ridarlo a Teddy...” proposi spostando lo sguardo su Owen.

 

Lui si avvicinò al cucciolo e lo prese in braccio accarezzandogli il collo.

 

“Non penso che lo farò...”

 

Sbuffai.

 

“Non ho detto che non voglio il cane in torno. Ma non mi hai mai chiesto se volevo un animale, e ciò mi spinge a chiederti come faremo ad occuparci di lui quando, come

dicevi prima, farò fatica a reggermi in piedi e dovrai controllarmi perché io non cada. Come faccio ha prendermi cura di due bambini e un cane?” dissi.

 

“Non aspettiamo mica due gemelli” rispose convinto.

 

“No, infatti. Ma stavo parlando di te”

 

Owen appoggiò il cane a terra e si avvicinò a me.

 

“Prenderò in considerazione l’ipotesi di lasciarlo a Teddy per un paio di mesi dopo che sarà nato il bambino. Ma tu... tu devi stare alle regole notturne per quanto riguarda le

emergenze in ospedale. Quando arrivi a sei mesi inizierai a diminuire il lavoro eliminando per prima cosa interventi troppo lunghi, la notte, il pronto soccorso, fino a che non eseguirai solo appendicectomie e quando anche le appendicectomie inizieranno ad essere faticose, starai a casa.”

 

“Andiamo! Sul serio? Appendicectomie faticose?”

 

“Prima o poi tu a casa ci starai comunque” disse.

 

“Sei ingiusto” risposi abbracciandolo.

 

“Lo so. Che ne dici se ora andiamo a letto e ci addormentiamo mentre io ti coccolo finché non ti iniziano le nausee mattutine?”

 

Sorrisi appoggiando la testa al suo petto.

 

“Sono d’accordo” risposi “ma ti avverto penso che mi addormenterò non appena metterò la testa sul cuscino.”

 

Mi prese in braccio e insieme ci distendemmo sul letto.

 

 

 

 

“Ora del decesso undici e quarantacinque” annunciai distrutta dopo aver cercato in tutti i modi di rianimare un paziente.

 

Guardai l’orologio appeso alla parete della stanza dell’uomo appena morto.

 

“Tu!” dissi indicando uno specializzando impaurito “Vai ad informare la famiglia e poi torna dal tuo superiore... e non fare casini!”

 

Il povero Michael si agitò sul posto e quando si voltò verso la porta per uscire, andò a sbattere contro un infermiera facendola cadere.

 

“Tirocinanti... imbecilli” affermai convinta.

 

“Beh... lo eravate anche tu e il tuo gruppo Yang” disse la Bailey.

 

“Dottoressa Bailey... io ero una fantastica tirocinante... la migliore! Ho fatto un sacco di interventi fichi e non sbagliavo mai una procedura! Ero efficiente in qualsiasi caso... non

può paragonarmi a... a quello!” risposi indicando la direzione in qui era andato il ragazzo.

 

“Yang... guardami... chi sono io?” chiese la dottoressa Bailey.

 

“La Bailey?” risposi titubante.

 

“Esatto. Allora... posso paragonarti a chi mi pare e piace” mi guardò bene in faccia “Sembri... affaticata... a quanti interventi hai assistito oggi?”

 

“Un appendicite, l’amputazione di un braccio, ho assistito la Altman nella riparazione di una aorta, la rimozione di un tumore e ho appena perso il paziente della 15, come

vede.”

 

“Stacanovista. Yang pensi troppo al lavoro. Fatti una dormita nella stanza del medico di guardia o vai a casa” disse.

 

“Beh... se rimanessi qui Hunt non mi farebbe operare... quindi andrò a casa...”

 

“Ma perché Hunt vuole che tu non faccia la notte?” chiese la Bailey.

 

Facendo una faccia da finta tonta scossi la testa in segno di negazione.

 

“Non lo so, dottoressa. Mi dispiace. Ora devo andare” guardai l’orologio. Erano le undici e cinquantacinque, sarei andata da Meredith e poi avrei deciso che fare.

 

Da un lato triste per il paziente perso, camminavo velocemente per i corridoi dell’ospedale finchè  non trovai Meredith con quello stupido camice rosa della “Squadra della

vagina” indosso.

 

“Ehi! Meredith! Ti stavo cercando... penso che la Bailey inizi a sospettare qualcosa, e sai di che parlo.”

 

Meredith aveva uno sguardo perso, i suoi occhi verdi non trasmettevano emozioni. 

 

Restava seduta sul lettino del corridoio con il cellulare nella mano destra.

 

“Ehi... Meredith... che è successo?” chiesi preoccupata per la mia migliore amica che non dava cenni di vitalità.

 

“Non la rivedrò più” disse ad un tratto “Non rivedrò più Zola... mai più.”

 

“Che vuoi dire con “non rivedrò più Zola?” spiegati meglio” domandai sedendomi accanto a lei.

 

“Janet a chiamato e... ha detto che hanno annullato l’udienza e che io e Derek dovremmo iniziare a pensare ad altro” rispose sbattendo le palpebre velocemente cercando di

trattenere le lacrime.

 

Cercai nella testa una soluzione, qualsiasi cosa potesse aiutarla.

 

“Vedrai che non è così... avranno sbagliato! Meredith... guardami” dissi prendendole il volto con le mani e voltandolo nella mia direzione.

 

“Zola tornerà con noi. Ripetilo. Zola tornerà con noi.”

 

Lei scosse la testa respirando a fondo.

 

“Meredith!” la ripresi “Ripetilo!”

 

Lei mi guardò negli occhi.

 

“Ormai non ci credo più, Cristina. E tu non puoi dirmi di fare così. Tutto è iniziato perché sono rimasta incinta e ho avuto un aborto, ho scoperto di avere un utero ostile e Callie è rimasta incinta, continuo a provare ad avere un bambino ma niente, così decido di adottare una stupenda bambina africana, ma ho rovinato tutto manomettendo il trial di Derek. E tu sei rimasta incinta. E’ come se le mie sventure giovassero agli altri!”

 

“Sei un po’ sfortunata ma è il caso... è solo una coincidenza se avrò un bambino e Zola in questo momento non è con te! Io neanche l’avrei voluto il mese scorso un figlio e poi... non lo so... ho cambiato idea e adesso la mia vita prosegue così. In attesa per un po’. Ed è ciò che dovrai fare anche tu... stare in attesa.”

Mi guardò di nuovo, ma questa volta piangeva. Si era lasciata andare.

 

“Cristina... lei era la mia bambina. Non puoi capire perché non hai mai avuto un contatto così profondo con un bambino e, scusa se te lo dico, ma ho dubbi sul fatto che tu possa crescere un bambino e stabilire un contatto come lo avevo io con Zola”

 

“Ok” dissi sentendo una strana sensazione che mi fece stringere istintivamente le braccia vicino al ventre.

 

“Meredith... so che per te non è facile niente ora... lo so. Ma ora devi solo mantenere la speranza. Fallo per la tua salute mentale!” risposi.

 

La mia migliore amica appoggiò la testa sulla mia spalla e si lasciò sfuggire di nuovo lacrime di disperazione.

 

“Grazie di essere la mia persona. Grazie” disse la donna bionda.

 

Sorrisi.

 

“Prego dottoressa Grey.”

 

 

 


La mattinata del giorno dopo passò piuttosto in fretta.

 

“Ho vinto Jackson! O posso chiamarti Duppy?” chiese Alex prendendo l’ammasso di biscotti ammucchiati sul tavolo.

 

“Odio giocare a poker... e no! Non puoi chiamarmi Duppy...” disse Jackson lanciando le carte sul tavolo dell’ufficio di April.

 

“Duppy?” chiese Lexie entrando nella stanza con il suo vassoio.

 

“Era il suo soprannome quando era piccolo... diciamo fino hai diciannove anni da quanto ho capito”  rispose Alex scoppiando in una grande risata.

 

“Già molto divertente direi... ora me ne vado... sono stufo di essere preso in giro” 

 

Jackson guardò Lexie e uscì dalla stanza.

 

“Bambino! Sei tu che mi hai lasciato!” gridò Lexie guardandolo uscire dalla sala.

 

“Tu gli hai spezzato il cuore...” disse Meredith “cerca di capirlo.”

 

“NON gli ho spezzato il cuore! Lui ha fatto tutto da solo! Non ho colpe!” ribattè Lexie.

 

“Lo dicono tutti tesoro... inventati qualcos’altro!” esordii prendendola in giro.

 

Lexie mi guardò mentre Meredith, Alex e April se la ridevano.

 

“Posso dirvelo? Non vi sopporto più! Seriamente ma tu non ti stufi a fare la acida con tutti?” chiese rivolta direttamente a me.

 

“Beh... essere acidi è uno stile di vita! Non tutti ci nascono...”

 

“Io la trovo meno acida del solito... Strano...” disse Alex guardandomi con occhi indagatori.

 

“E’ vero” disse Meredith “sarà per quella cosa...”

 

Fulminai Meredith con lo sguardo. Nessuno doveva sapere del bambino, almeno non ancora.

 

“Meredith...”

 

“Andiamo Cristina! In sostanza quello che mi hai detto ieri sera è stato credi in quello che fai... e tu non lo fai!” disse Meredith.

 

Alex, Lexie e April stavano in ascolto con attenzione.

 

Sospirai.

 

“Ok... quest’informazione non dovrà uscire da qui. Ci siamo capiti?”

 

Gli altri annuirono come fedeli cagnolini.

 

“E’ che... aspetto un bambino” biascicai timorosa della loro reazione.

 

Lexie sgranò gli occhi cercando di riprendersi subito.

 

“Wow... è...”

 

“Magnifico!” urlò Kepner venendomi in contro per abbracciarmi “Oddio... i bambini sono così carini! Hanno le fossette, i braccialetti di ciccia, ti fanno sorrisi come se fosse Natale. Sai già se è un maschio o una femmina? Il nome è importante... molto importante... assolutamente si... deve essere di successo... poi, tu ed il dottor Hunt, dovrete comprare tutte quelle tutine per neonati così carine! Ma voi c’è lo vedete Hunt con un piccolo neonato in braccio? Sarebbe...”

 

“April zitta!” disse Alex rassegnato “Basta parlare! E comunque, Yang, faccio fatica a vederti con un bambino. Sapete, l’ultima volta che si è presa cura di uno è stato quattro anni fa con il piccolo Tuck... un disastro. Invece io ho visto Hunt con Sofia in braccio... semplicemente “un amore”... l’avreste detto voi ragazze... mica io.”

 

Meredith annuì poco convinta guardando Alex che beveva il suo succo di frutta.

 

“Oh... il piccolo Alex che beve il succhetto... che c’è Alex ti manca la mamma?” dissi scherzosa per prenderlo in giro.

 

“Stupida acida incinta... dovrebbero darti l’Harper Avery per questo...”

 

“Almeno ne vincerei uno... o due... tu no, rimarresti con la testa di una zucchina”

 

Meredith rise e mi osservò mentre legavo i capelli in una coda altamente disordinata.

 

Guardai di sfuggita l’orologio.

 

Mi alzai dal divano rosso su cui ero seduta e mi diressi verso la porta.

 

“Meredith... tra venti minuti tu sai dove!” ordinai prima di uscire definitivamente.

 

“Agli ordini capo!”

 

 

 

 


Mi trovavo distesa su quel lettino con in dosso solo uno stupido camice a pallini blu da paziente, per fortuna che Meredith era lì con me.

 

“Perché Owen non può venire?” chiese Meredith.

 

“Beh, ha detto che gli dispiaceva veramente tanto, ma per quest’ora sarebbe stato in sala operatoria. Quindi... ci sei tu qui con me che mi sostieni!” risposi.

 

Mentre la mia migliore amica mi stringeva la mano, entrò la Dott. Fields.

 

“Buongiorno dottoresse! Avete deciso di avere un bambino insieme o il padre è in sala operatoria?” chiese Lucy.

 

“Potrebbero essere entrambe le cose” disse Meredith.

 

La ginecologa guardò Meredith come fosse un alieno proveniente da un altro pianeta.

 

“Ok”

 

Lucy si sedette sulla sedia accanto al monitor.

 

“Diamo una controllata al bambino?” 

 

Istintivamente, mentre la ginecologa iniziava a passare l’ecografo sul mio addome, strinsi più forte la mia mano intorno a quella di Meredith.

 

“Ok dottoressa Yang... il suo bambino è più che altro un fagiolo ora come ora, ma penso di poterglielo far vedere lo stesso”

 

Lucy spostò il monitor facendomi vedere quel piccolo esserino bianco.

 

Meredith mi guardò e sollevò le spalle.

 

“E’ carino no? E’... carino” disse.

 

Risi mentre lei faceva lo stesso.

 

“Si... è carino.”

 

In quel momento iniziai ad accettare veramente ciò che stavo diventando.

   Alis   

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Il materassino gonfiabile odia l'albero di Natale ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Snow

 

 

 

 

Capitolo 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Penso che tu la stia montando nel modo sbagliato”


“Non è vero”


“Oh... si che è vero...”


“Piantala Mark!”


“Io dico che ha ragione...”


“Derek... ti prego cerca di non immischiarti pure tu!”


Derek e Mark iniziarono a ridere come bambini mentre il povero Owen li guardava con uno sguardo astio pensando di voler tirare addosso ad ognuno di loro il cacciavite che aveva in mano.


“Sai una cosa? Ci rinuncio! Mio figlio dormirà sul divano!”


Mark lo guardò iniziando a bere birra.


“Sono le gioie del genitore, Owen. Devi abituartici!”


“Comprerò un lettino gonfiabile se necessario, ma tutto pur di non montare questa cosa!” gridò Owen.


“Oh... no non lo farai!” dissi entrando nella stanza del bambino.


I tre uomini mi guardarono, voltandosi verso di me, è iniziarono a ridere sonoramente come se non ci fosse cosa più divertente di una donna incinta che indossa stupidi abiti pre-maman.


Avevo indosso una “adorabile” maglietta di seta rosa chiaro con risvolti delle maniche e decorazioni floreali in pizzo.  


Per quanto una donna in gravidanza avrebbe potuto trovarla carina, il mio lato non femminile si opponeva nell’indossarla.


“Mamma mia... ma che ti hanno fatto?” chiese Mark lasciando la sua birra nelle mani di Derek.


“Chiedilo a Callie e ad Arizona. Sicuramente ti sapranno rispondere.”


Mark mi passò affianco guardandomi con occhi sorpresi.


“Quando l’hanno comprato non pensavo l’avresti provato sul serio.”


Guardai Mark nel peggiore dei modi.


“E tu potevi fermarle!” dissi arrabbiata quasi gridando.


Mi avvicinai a Derek e Owen mentre quest’ultimo si alzava da terra tenendo in mano una cartina delle istruzioni.


“Cristina lo stress non fa bene nelle donne in gravidanza” disse Derek, e come al solito, con quel odioso sarcasmo di sottofondo.


“Stranamore perché non raggiungi Meredith in salotto e usi la tua ironia di là?” chiesi.


“Stranamore? Ancora mi chiami così?”


“E’ il tuo soprannome e me lo sono inventato io... non ci rinuncerò facilmente.”


Derek annuì.


“Ok... vi lascio da soli...” disse e poi se ne andò.


Ero rimasta da sola con Owen nella luminosa stanza del bambino.


Le finestre erano grandi quasi quanto le vetrate del soggiorno e, in quel momento, illuminavano il viso di Owen risaltandogli gli occhi.


La stanza del bambino era un disastro totale, mancavano ancora quattro mesi e mezzo alla data prestabilita del parto, ma il tempo passava troppo velocemente. 


La camera aveva le pareti mezze dipinte di verde chiaro, era piena di scatole contenenti alcuni vestiti e copertine di quando Owen era piccolo, la culla era in uno stato pietoso sul pavimento e l’unica

cosa a posto lì dentro sembrava essere solo il lampadario.


Owen si avvicinò a me e mi abbracciò iniziando a baciarmi.


“Cos’è quest’improvvisa voglia d’affetto?” chiesi.


“Mmm.... non saprei... ti da fastidio?”


Scossi la testa e tornai a strusciarmi contro di lui.


“Il bambino non dormirà sul divano, avrà già me come madre e ciò gli basterà come punizione.”


Owen si allontanò leggermente da me per guardarmi negli occhi.


“Ma che...? Cristina! Tu sarai una madre stupenda, lei ti adorerà e io adorerò lei”


Owen istintivamente appoggiò una mano sul mio ventre facendomi provare un brivido che mi passava su e giù per la schiena.


“Lei? Convinto che sia femmina?” chiesi.


Lui rise guardandomi negli occhi.


“Sì. Direi di sì. Sarete le mie donne, le sole e uniche e non lascerò a nessuno il permesso di toccarvi”


“Maniaco” dissi dandogli un pugno sul braccio.


“E’ per questo che ti amo”


Owen mi prese in braccio e mentre mi legavo al suo collo stringendo le gambe intorno ai suoi fianchi, Meredith entrò nella stanza.


“Molto carini... ma vi richiedono di là... sopratutto perché inizia a sentirsi odore di bruciato, Owen.”


Owen inspirò l’aria e corse in cucina lasciandomi a terra.


“Come va Meredith? Ha chiamato Janet? ” chiesi.


Lei annuì triste.


“Entro qualche mese, anche se non ci hanno detto entro quanto, dovremmo sapere se possiamo avere Zola oppure no, e ciò mi sta distruggendo.”


Misi un braccio intorno a Meredith e insieme andammo in salotto, dove tutti erano accomodati sul divano a guardare Callie e Lexie che abbellivano l’albero di Natale.


Quell’albero che mai avrei voluto in casa e che probabilmente non appena Callie se ne fosse andata avrei gettato dalla finestra.


Teddy era affianco a Henry e gli sussurrava all’orecchio qualcosa di incomprensibile.


Arizona faceva delle foto a Mark che con occhi sognanti guardava Lexie anche se era impegnato.


“Mark hai della bava che ti cala da un lato della bocca” disse Arizona.


Mark distolse lo sguardo da Lexie e si toccò gli angoli della bocca.


“Robbins...” sibilò.


Voltai lo sguardo verso la Bailey che fissava con preoccupazione il figlio che, insieme a Sofia, giocava con le luci di Natale.


Non riuscivo a capire del tutto perché provasse tutta quella preoccupazione verso il figlio, per me rimaneva ancora un limite anche se parte di quello l’avevo superato.


Avevo deciso di avere un bambino.


Volevo cambiare quella atmosfera che circondava me, Owen, e le persone con cui mi relazionavo.


“Non ti preoccupare Cristina. Un giorno sentirai anche tu quella preoccupazione che prova la Bailey guardando suo figlio” disse Meredith quasi leggendomi nel pensiero.


“Ehm... non sto pensando a quello” dissimulai “stavo solo guardando l’albero perché vorrei uccidere Callie!” le ultime parole le dissi con più decisione in modo che anche l’interessata Callie sentisse.


La donna si voltò dopo aver messo l’ultima pallina su di un ramo.


“Scusami? Questo albero è ancora più bello di quello che abbiamo a casa! Non lamentarti...”


“E’ vero” disse Arizona “il vostro albero ha il doppio di decorazioni del nostro.”


Sbuffai.


Ero stata cresciuta secondo un educazione ebrea. 


Non volevo un albero.


Owen mi si avvicinò e mi prese per le spalle.


“Non ti preoccupare” sussurrò “Me ne sbarazzo io.”


Lui era così dolce, affettuoso, e mi amava più di quanto tenesse alla sua vita, non avrei potuto desiderare niente di meglio. Lo amavo così tanto che in alcuni momenti Meredith passava in secondo piano.


Owen mi lasciò un bacio sulla guancia e poi andò a sedersi in cucina con Derek.


Mi avvicinai al divano e sedendomi vicino a Teddy controllai il cercapersone in modo ossessionato.


“Andiamo Cristina, è Natale! Potresti spegnere la modalità “ospedale” per almeno oggi!” mi rimproverò la Altman.


“Non posso farne a meno, è più forte di me! Infondo... continuo a ripeterlo, dato che Owen non mi farà mettere piedi in una sala operatoria per mesi vorrei fare il pieno adesso! Ora che c’è la faccio ancora!” ribattei strillando.


Quando mi accorsi che stavo gridando senza un motivo addosso a Teddy, la quale mi guardava basita, abbassai lo sguardo e mi fissai pantaloni che iniziavano a starmi stretti.


La Bailey rise seguita a ruota da Henry.


“Si... sbalzi d’umore... comuni nelle donne incinte... ma Yang... è la peggiore di tutte...” disse Miranda indicandomi leggermente con un dito.


Callie si voltò verso di me con un sorriso.


“Cristina è un caso disperato, lo sappiamo tutti... ma io, anzi noi, avremmo una piccola sorpresa...”


Iniziavo a temere le cose più orribili... e i miei pensieri erano fondati.


Da dietro Callie sbucarono April, Arizona, Lexie, Mark e Meredith, ognuno con un pacchetto rosato in mano.


“Oh mio Dio...” bisbigliai affondando nel divano.


Teddy si alzò lasciando lo spazio ad Owen che si sedette affianco a me cingendomi con le braccia.


“Forse è presto, ma domani è Natale, quindi.... abbiamo anticipato la festa per il bambino!” 


Arizona mi mise tra le mani il suo pacchetto.


Mimai a Meredith un “traditrice” mentre lei rideva sotto i baffi.


“Vi ringrazio ma io, noi, non volevamo nessuna festa” dissi.


Owen si schiarì la voce.


“In verità...” disse “ieri mi hanno chiesto se potevano organizzare tutto e io... ho detto si... mi dispiace non sapevo che non ti andasse, non ne abbiamo mai parlato.”


Lo guardai negli occhi.


“Non importa... fa lo stesso... solo... vorrei aprirli più tardi perché sto morendo di fame!” affermai stringendo la mano di Owen.


La scusa dell’appetito era sempre valida per sfuggire da momenti in cui non avrei voluto stare.


“Ok... mangiamo allora!”







Era sera ormai, Sofia era felicemente addormentata tra le braccia di Callie e Tuck giocava con il suo orsacchiotto sotto la sorveglianza di mamma Bailey.


Quei bambini avevano un’ aria felice, sembravano così tanto allegri che mi chiesi se mio figlio avrebbe provato lo stesso e se io sarei stata in grado di farlo sentire felice.


Infondo tutti in quel momento avevano un aria beata, tutti tranne Meredith.


Stava ferma affianco al tavolo in cucina e guardava il salotto con aria meravigliata.


Mi avvicinai a lei prendendola per sotto un braccio.


“Andiamo... a che stai pensando?” chiesi con un tono un po’ preoccupato.


Lei mi guardò e alzò le spalle.


“Pensavo a Zola...” rispose.


“Meredith... quante volte devo dirtelo! Andrà tutto bene! Zola tornerà a casa sana e salva e tu e Stranamore potrete riempirla di coccole, aiutarla a crescere... ma che...”


Un sonoro beep si fece sentire per tutta la casa, tutti i cercapersone squillavano all’impazzata, tutti tranne uno... il mio.


“Dev’essere grave...” disse Teddy prendendo la sua giacca.


“Io direi molto grave. Mi ha appena chiamato l’ospedale, dicono che due autobus si sono schiantati l’uno con l’altro, dobbiamo andare” disse Owen che istintivamente voltò lo sguardo verso di me.


Mentre tutti si preparavano, compresa Meredith, Owen si avvicinò a me.


“Mi dispiace” cominciò “so che avresti voluto venire anche tu, ma preferisco che tu stia qui” disse.


 Sbuffai, non ne potevo più di essere messa da parte.


“Capisco, capisco tutto ma... ti prego... solo stasera... non ti chiederò mai più nient’altro! Solo... per stanotte” lo implorai.


Avevo bisogno di sporcarmi le mani di sangue, di sentire quella pressione e quella stanchezza che durante un intervento di notte ti prendono, ma sei talmente concentrato su ciò che fai che alla fine

finisci col dimenticarle.


Owen mi scrutò con uno sguardo pieno di amore.


E alla fine cedette.


“Spero... che tu ti sappia regolare...” disse mentre io lo abbracciavo forte.


“Grazie, grazie, grazie!”


“Ehi, piano, fai attenzione al bambino” disse allontanandomi da lui.


“Non mi sembra che tu ne abbia molta attenzione quando si tratta...”


“Ok. Ho capito. Ora muoviti, abbiamo dei traumi in arrivo”


Me ne andai felice e ridendo raggiungendo Meredith sulla porta.








Erano le tre di mattina. E sì. Forse avevo esagerato con la chirurgia.


Ma in quel momento niente mi rendeva più felice del poter aver tenuto un bisturi in mano durante la notte.


Il sangue che colava sulle mani coperte dai guanti, la pelle che con facilità si strappava come pezzi di carta, la concentrazione alle stelle.


Si, quella ero proprio io. 


Nessun margine di errore, solo il silenzio che incombeva nella sala operatoria.


Ero stanca e con la mascherina tra le mani, camminavo nell’ospedale alla ricerca di Owen.


Avevo un’aria beata, fiera, felice.


La chirurgia era tutto ciò che mi rendeva differente dagli altri.


“Lei sta ancora operando... non possiamo dirglielo ora...”


Owen. E’ lui.


Mi fermai sulla porta della sala conferenze e l’aprii appena.


“Non può non sapere cos’è successo in quella sala operatoria. Si tratta di... uff... devi dirglielo e basta, altrimenti ti odierà per tutta la vita” disse la Bailey.


“Io non... c’è in gioco la vita di un paziente, non rischierò proprio adesso. Sono il suo migliore amico ma sono anche il capo, è difficile ma ora ho questa responsabilità”


“Devi dire a Teddy che suo marito è morto!”


Smisi di ascoltare di colpo.


Henry è morto.


Henry, quel uomo che rideva e scherzava fino a poche ore fa, ora non c’era più.


Copiose, le lacrime iniziavano a scendere lasciando solchi di fuoco sulla pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alis HuntYang


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 - I problemi di mangiarsi popcorn con il gelato alla fragola ***


Ciao a tutti! è la prima volta che diciamo "mi faccio sentire"! Volevo solo ringraziare chi legge, chi recensisce  e chi segue... grazie!

 

 

 

 

 

 

 

Snow




Capitolo 5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era passato un mese dall’improvvisa morte di Henry e Teddy sembrava avesse ancora moltissime difficoltà ad accettare il fatto.


Era stato un brutto colpo per tutti, specialmente per Jackson che si era preso cura di Henry durante i suoi ultimi attimi di vita mentre vomitava sangue sul pavimento dell’ospedale.


Era stato orribile vederlo in quelle condizioni; Teddy era tremendamente preoccupata ma pensava che tutto sarebbe andato per il meglio. Beh... si sbagliava. Niente sarebbe dovuto andare così.


Per quanto la tristezza incombesse su tutti, quella piccola parte del resto, che solitamente chiamiamo vita, procedeva come al solito .


I soliti interventi, le solite persone, le solite abitudini...






“Non so che fare, io...” 


Owen uscì dalla stanza trovandomi lì davanti alla porta a guardarlo.


Avevo le lacrime agli occhi, le quali scendevano come un fiume in piena.


“Hai sentito vero?” mi chiese Owen prendendomi per le spalle.


Annuii con lo sguardo basso mentre lui si guardava intorno. 


“Cristina, ho bisogno che tu faccia una cosa per me, perché non ho il coraggio per farlo.”


Alzai gli occhi da terra e lo fissai spaventata.


Non chiedermelo, pensai.


“Ho bisogno che tu venga con me per dire a Teddy che cosa è successo ad Henry... so che è difficile, è difficile ma ho bisogno che tu lo faccia, perché se vieni con me avrò la forza per dirglielo.”


Non lo guardai, mi limitai ad annuire mentre mi stringeva ancora una volta tra le sue braccia.

 






Iniziavo a non vedermi più i piedi e ciò mi portava seri handicap, ad esempio se dovevo infilarmi un paio di scarpe da ginnastica, sudavo sette camicie solo per riuscire ad infilare il piede in una scarpa, oppure prendevo una via più semplice, chiedevo ad Owen.


Era così strano iniziare a dipendere totalmente da lui. Per qualsiasi cosa che non riuscivo a compiere finivo sempre per mettermi da parte e lasciare a fare a lui.  


Sembrava felice di potermi aiutare, sembrava gli desse quasi soddisfazione vedermi in difficoltà, gli leggevi in faccia una sorta di allegria e spensieratezza in quei momenti, dove la mancata amicizia con Teddy non regnava nei suoi pensieri.


Quella mattina ero a letto assonnata, la notte non avevo dormito bene, il bambino aveva improvvisamente iniziato a muoversi nel bel mezzo della notte e non aveva più deciso di smettere.


Owen era in cucina, ultimamente era giù di morale perché Teddy non gli rivolgeva più parola da quando non le aveva detto che Henry era morto, ma il compito più difficile era toccato a me infondo, alla fine avevo dovuto dire io alla Altman che era morto.


“Buongiorno” disse Owen con un mezzo sorriso portando un vassoio con la colazione.


“Ciao” dissi spostando la coperta per farlo sedere affianco a me.


Appoggiò il vassoio sul letto.


Aveva sul volto quel solito sorriso che, ormai, sfoderava solo per me ogni mattina.


“Hai parlato a Teddy?” chiesi spostando lo sguardo su di lui.


“Non me lo permette. Non lascia che io le parli. E tu? Ci hai parlato?”


Era preoccupato e curioso. 


Io avevo parlato con Teddy, le avevo spiegato quanto soffrisse Owen ma a lei sembrava non importare più di tanto, si limitava ad annuire.


“No, non di recente” mentii, non volevo che si arrabbiasse perché lei aveva voluto parlare con me.


“Bugiarda” disse.


“Oh... andiamo... come hai fatto a non cascarci?” chiesi stupita.


“Ormai ti conosco Cristina Yang, e so riconoscere quando dici una bugia.”


Mi misi a ridere afferrandogli la mano.


Eravamo felici, nonostante gli ultimi tragici avvenimenti.


Tutto ad un tratto un movimento del bambino mi fece rivoltare lo stomaco.


Feci una smorfia e appoggiai entrambe le mani hai lati della pancia.


“E basta adesso! E’ tutta la notte che ti diverti a darmi calci” dissi, quasi per rimproverare il bambino.


Mi stava venendo da vomitare, erano passati dieci minuti e il piccolo non ne voleva sapere di stare fermo.


“Non la smette, è testardo...” dissi.


“E’ una bimba con le palle, del resto passare nove mesi dentro il tuo utero non deve essere una passeggiata.”


Feci un falso sorriso e tornai a circondarmi il ventre con le mani.


Owen mi tirò su la maglietta e accarezzò la pelle nuda quasi a mettersi in contatto con il bambino.


“Sarai una bella bimba dai capelli neri e ricci come quelli della tua mamma e gli occhioni blu, sarai perfetta Elizabeth...”


Lo bloccai. Rimasi spiazzata sentendolo dire quel nome.


“Da quando hai deciso il suo nome?” chiesi guardandolo divertita.


“Beh... ha smesso di scalciare, forse vuol dire che le piace” rispose Owen convinto baciandomi su una guancia.


Era vero, aveva smesso di tirare calci non appena aveva pronunciato quel nome.


“Beh... si sarà fermato a pensare: ma che razza di nome mi vuole dare mio padre? Sul serio Owen. Mi ricorda l’ottocento, non voglio dire che è ridicolo, ma lo è.”


“Io ho solo detto il primo nome che mi veniva in mente. Non farne un dramma; penso comunque che non dovremmo deciderlo ora.”


“Tanto tu sei convinto che sia una femmina” dissi prendendolo in giro.


“E ho ragione devi solo aspettare che questa piccolina decida di svelarsi invece di nascondersi come ha fatto l’ultima volta” 


Owen lasciò un leggero bacio sul pancione e si alzò dal letto.


“Avanti prepariamoci, dobbiamo andare al lavoro.”


Ad un tratto alzai lo sguardo come colpita da un’illuminazione.


“Cole” dissi senza pensarci troppo.


“Che?” chiese Owen voltandosi verso di me.


“Cole, mi piace, era il nome di mio padre.”


Amavo mio padre, lo amavo talmente tanto che tutto l’amore del mondo non avrebbe mai potuto   superare quello che avevo io nei confronti del mio papà. Volevo che

mio figlio avesse una parte di lui, benché forse piccola e insignificante.


Mio marito annuì con un sorriso deciso lanciandomi un paio di pantaloni.


“Ok, vada per Cole”


Sorrisi di rimando.


Quel bambino mi stava facendo diventare più morbida di quanto pensassi, ormai ogni cosa iniziava a girare intorno a lui.






Arrivammo in ospedale, come al solito era pieno di gente alla mattina. Ogni volta che arrivavo al lavoro mi sentivo osservata, tutti si voltavano a guardarmi e a sorridermi mentre pensavano: “la moglie del capo è incinta e nevrotica, facciamo i ruffiani con lei”, da un lato quel comportamento era gratificante, ma dall’altro avrei solo voluto nascondere la testa nella spalla di Owen.


Vidi Meredith raggiante avvicinarsi a me e mio marito con un sorriso a trentadue denti.


“Cristina ieri ti avrò chiamato una cinquantina di volte. Dov’eri?” chiese mentre Owen iniziava a ridere e il mio imbarazzo saliva alle stelle.


“Dormiva sul divano” disse Owen “penso stesse guardando “Titanic” mentre mangiava dei pop corn con gelato alla fragola.”


Meredith mi guardò con uno sguardo stranito mentre accennava un leggero sorriso. 


“Devi per forza raccontarle tutte le mie stranezze in gravidanza?” chiesi ad Owen.


“Si perché è divertente. Ci vediamo dopo, te la affido” disse rivolgendosi a Meredith “non farla cadere e tienila d’occhio.”


“Ok capo.”


Lo guardai allontanarsi verso gli ascensori mentre Meredith mi prendeva sotto braccio e mi portava verso il bancone.


“Sul serio? Pop corn e gelato?”


La guardai, non mi andava di discutere delle  mie strane voglie.


“Non dare la colpa a me per ciò che mangio. Piuttosto, perché prima eri così felice?” domandai cambiando subito argomento.


Lei sembrò illuminarsi, come se un raggio di Sole l’avesse colpita facendola brillare.


“Janet mi ha chiamato ieri sera, avevo appena finito il turno, è stato stupendo, sono in pratica saltata  in braccio a Derek dall’emozione!” disse prendendo la cartella di un

suo paziente.


“Cos’è successo? Andiamo Mer parla!”


Rimase con il sospiro a mezz’aria mentre mi guardava con occhi lucidi. 


“Oggi riavremo Zola... mi sembra un sogno sapere di poterla riabbracciare, non ci credo ne ancora...”


Rimasi sbalordita, finalmente quella bambina poteva ritornare tra le braccia di Meredith; ero così felice per lei che non resistetti nell’abbracciarla.


“Sono... contenta per te!” esclamai.


“Penso di non essere mai stata così felice in tutta la mia vita, insomma, ho sabotato il trial di Derek, e ora io e lui siamo tornati più forti di prima, abbiamo perso la

bambina ma ora tornerà da noi. La vita mi sta sorridendo Cristina... e ciò è la parte più incredibile.”


“Mi mancherà la triste e cupa Meredith” affermai mettendole una mano sulla spalla.


“Meredith... la triste e cupa” disse.


Diede un occhiata all’orologio da polso che Lexie le aveva regalato per il compleanno.


“Si sta facendo tardi, ho un intervento e devo dimettere un paziente. Mi raccomando, vacci piano con la chirurgia, non come hai fatto nelle ultime settimane, sempre

dietro a Teddy. Ok? Voglio un figlio sano da te Cristina Yang.”


Annuii guardando verso il soffitto “Non preoccuparti Mer... ho i miei limiti...”


“E dovrei crederci? Fa quello che ti ho detto. Ci vediamo più tardi!”


Se ne andò correndo portandosi via tutta la sua felicità contagiosa.


Era carina quando si preoccupava per me e beh... aveva totalmente ragione a farlo.


“Yang! La mia valvola meccanica!”


La rabbiosa voce di Karev mi fece voltare verso di lui che infuriato correva verso di me.


“Che c’è Alex?” chiesi sorridente.


“Mi hai fregato un intervento! Ecco che c’è! La sostituzione di una valvola meccanica su quel bambino di dieci anni!”


“Beh... io sono di cardiochirurgia e se Teddy vuole me devi prendertela con lei!”


Alex mi scrutò da capo a piedi soffermandosi sul rigonfio ventre.


“Non mi faccio fregare da una che inizia ad somigliare ad una balena!”


Lo guardai stupita sentendo il sangue ribollire nelle vene.


“Scusami... stai dicendo che sono grassa?”


Alex si ricompose in un attimo allungando leggermente le mani verso di me in segno di difesa.


“Non intendevo quello!”


“Certo come no! Ora ho diritto a quell’intervento!” 


Me ne andai mentre Alex mi inseguiva come un cagnolino.


“Non intendevo dire che tu fossi grassa. Andiamo le balene sono carine e anche le balenottere! Dalla circonferenza della tua pancia direi che è una bella balenottera quella

che c’è li dentro, una balenottera molto carina!”


Entrai nello spogliatoio trovando Meredith ancora intenta a cambiarsi.


“Penso che tu debba smettere di parlare prima di degenerare la cosa” disse Meredith che aveva ascoltato l’ultima parte del discorso.


“Cosa dovrebbe degenerare?” chiese Jackson.


“Alex ha dato della balena a Cristina” rispose April sistemandosi meglio il camice bianco.


“Amico,sei nei guai!”


“Non le ho dato della balena, ho detto che inizia ad assomigliare ad una balena!” affermò Alex mentre ancora una volta mi giravo verso di lui guardandolo truce.


“L’intervento rimane a me, trovati qualcun'altro da importunare!”


Alex se ne andò insoddisfatto mormorando qualcosa di incomprensibile.


Quell’intervento era mio. 


Nessuno poteva rubarmelo.

 





“Ok... procediamo, Yang aspira qui...”


L’intervento era iniziato da un paio d’ore e tutto sembrava andare liscio come l’olio ma dentro di me sentivo un senso di irrequietezza come se qualcosa non andasse nel modo giusto.


“Non c’è stato nessun errore nella procedura fino ad ora, vero?” chiesi sospettosa.


“Cristina mi fai questa domanda perché hai paura di mettere a repentaglio i tuoi esiti positivi in sala operatoria?” rispose Teddy.


“No ero... preoccupata”


La Dottoressa Altman iniziò a ridere di gusto come se avessi fatto una battuta molto divertente.


“Simpatico... te l’ho mai detto che sei divertente? Tu che ti preoccupi per il paziente... quando mai è successo! Dovrei segnare questo giorno sul calendario!”


Per quanto sembrasse essere abbastanza tranquilla dovevo chiederle come andava da quando era morto Henry.


“Ehm... Teddy stai bene? Insomma, hai parlato con Owen della vostra situazione?”


Il suo sguardo sembrò perso e triste per alcuni attimi.


“Non capisco perché ti interessi così tanto alle persone oggi, ma che ti prende?”


“Beh... Owen è il tuo migliore amico e non vi parlate, Henry è morto, la tua vita non va nella direzione giusta ma sembra che tu la prenda con leggerezza” mi fermai non appena notai con che occhi mi guardava.


“Questo... non è divertente. Stiamo operando un ragazzino di dieci anni e tu... pensi a quanto ti faccio tristezza o pena. Non è divertente Cristina. Concentrati di questo possiamo anche...”


“Ah...” 


Un enorme fitta mi prese al basso ventre impedendomi di concentrarmi sull’intervento e ciò che stava accadendo intorno a me.


“Non di nuovo...” farfugliai.


“Non di nuovo cosa? Cristina ti senti bene?”


La vista mi si appannò.


L’ultima cosa che vidi fu un’ infermiera corrermi incontro mentre crollavo a terra senza sensi.







 

“Si riprenderà tra poco Owen, non preoccuparti, adesso è tutto ok”


La voce di Meredith mi svegliò da una dormita che sembrava essere durata un’eternità.


“Che succede? Perché sono in una stanza dell’ospedale?” domandai sedendomi sul letto.


Owen mi si avvicinò di scatto con fare protettivo; si sedette affianco a me e mi prese una mano accarezzandola.


Ero confusa e, sinceramente, capivo ben poco di ciò che accadeva intorno a me, ma quel gesto da parte sua mi faceva sentire tranquilla.


“Sei svenuta nella sala operatoria durante l’intervento un paio d’ore fa. Hai rischiato l’aborto, ti avevo detto di andarci con calma con il lavoro ma tu hai fatto di testa tua!” disse mio marito.


“Beh...” risposi “Meredith doveva controllarmi, sai che sono stacanovista!”


Meredith iniziò a ridere.


“Vuoi scaricare la colpa di questo su di me? E’ la seconda volta che ti capita di svenire in una sala operatoria, dovresti aver imparato la lezione.”


Sprofondai la testa nel cuscino, un senso di preoccupazione mi aveva pervaso in un istante.


“Il bambino sta bene?” domandai ad Owen come se fosse la cosa più naturale del mondo.


Lui esitò qualche secondo per poi regalarmi un suo sorriso.


“Sta bene ora, ma ho deciso, o meglio, io e la Dott. Cobalt, di ricoverarti in ospedale per un po’, il che significa niente lavoro.”


Meredith scosse la testa osservando Owen che credeva sul serio di poter frenare il mio spirito lavorativo.


“Ma almeno sai cos’è successo quando l’hanno operata per la salpingectomia monolaterale dopo la gravidanza extrauterina di Burke? L’abbiamo fatta ricoverare e lei ce

l’ha messa tutta per non stare a letto, ironia della sorte è riuscita anche a curare un paziente, poi è entrata in crisi ma... quella è un altra storia” aggiunse Meredith.


“Mi ricordo di Calpana o Colpana, si provocava le aritmie da sola... questa è la prova che io brillo come una stella anche se sono una paziente”


“Cristina” mi chiamò Owen.


“Si?”


Mi voltai verso di lui con un aria allegre e divertita.


“Se non mi prometti che te ne starai a letto, giuro che chiamo tua madre e le dico che stiamo per avere un bambino. Mi dai la tua parola che starai in questa stanza almeno finché non tornerai a casa?”


Sbiancai all’idea che mia madre venisse a Seattle prima ancora che nascesse il bambino.


“Ti prometto che brillerò da questa camera!”








   Alis   

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Quando nel giorno di San Valentino un camioncino decide di rovinarti la vita ***


 

 

 

 

 

 

 

Snow

 

 

 

 

Capitolo 6


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ciao Zola! Ciao Zola!”

 

Ero ormai ricoverata in ospedale da quasi un mese e dopo tutto il tempo che avevo passato rinchiusa in quella stanza d’ospedale, come una paziente, avevo perso la cognizione del tempo. 

 

Tutti i giorni vedevo Teddy. 

 

Mi raccontava dei suoi splendidi interventi a cuore aperto che continuavo a sognare di poter fare io stessa.

 

La Dott. Altaman mi preoccupava parecchio; era sempre sotto pressione e viveva in una casa ormai vuota, in più parlava spesso di Henry come se fosse ancora vivo.  

 

Era il giorno di San Valentino, ora di pranzo, Meredith mi era venuta a trovare con Zola.

 

“Sei una bambina bellissima, lo sai?” continuavo a domandare alla piccoletta che giocava con il lenzuolo del mio letto.

 

“Adoro mia figlia, ma non riesco ad avere intimità con Derek ultimamente, devo cacciare Zola dal lettone!” disse Meredith accarezzando la testa della piccola.

 

Guardai Zola e per un attimo mi chiesi come sarebbe stata la vita di Meredith senza di lei. Forse non sarebbe stata così felice.

 

Zola si alzò in piedi sul letto e iniziò a saltarci sopra, ma la poveretta, dopo neanche mezzo salto, mi cadde addosso, la presi per un pelo.

 

“Attenta Zola! Zia Cristina è delicata come un vaso di vetro adesso, o meglio, il mio ventre è molto delicato” dissi facendola accomodare sulle le mie gambe.

 

Zola mi mise una mano sulla pancia e il bambino, quasi a proteggersi, tirò un calcio che fece ritrarre la piccola mano della bambina.

 

Accarezzai con dolcezza il punto dove il bambino aveva scalciato e Zola appoggiò la sua manina sulla mia.

 

Non capivo come fossi potuta diventare così flessibile e sdolcinata, sarà stata quell’aria d’amore che mi circondava come un’ eterna coperta, quella premura che tutti avevano nei miei confronti, o forse mi ero semplicemente trasformata in una mamma.

 

“Quando ti faranno tornare a casa? Pur sempre che decidano di fartici tornare” mi chiese Meredith sistemando un lembo del lenzuolo grigio che mi ricopriva.

 

“Stasera dovrei tornare, pur sempre che mi ci facciano tornare” dissi e guardai meredith con sguardo d’intesa.

 

Meredith rise ed io la segui ridendo a mia volta.

 

Zola ci guardò battendo le mani. 

 

Meredith la prese in braccio non appena sentì il suo cercapersone suonare.

 

“E’ Derek. Devo andare, passo più tardi ok?”

 

Annuii e la guardai uscire dalla stanza mentre giocava con sua figlia.

 

 

 

 

 

 

 

Meredith

 

 

 

 

 


Corsi più veloce che potei finché non mi ritrovai nel pronto soccorso.

 

Il bancone dove venivano ricevute le chiamate degli incidenti era distrutto, così come la porta principale del pronto soccorso.

 

Dei vetri erano sparsi per tutto il pavimento e un enorme furgoncino rosa era parcheggiato nel mezzo della stanza.

 

“Ma che è successo?” chiesi non appena vidi Derek preoccupato avvicinarmisi.

 

“Un fioraio è finito con il suo furgone qui dentro e ha distrutto il pronto soccorso, Meredith...” 

 

Lo interruppi osservandomi intorno.

 

Lui sembrava molto preoccupato, talmente tanto che le rughe della fronte iniziavano ad essere marcate.

 

“E’ per questo che mi hai chiamata vero?” 

 

C’era caos lì intorno, tutti parlavano ad alta voce  e correvano da una parte all’altra del pronto soccorso.

 

“Meredith, devo andare in sala operatoria...”

 

“Qualcuno si è fatto male?”

 

Il suo volto contratto non prometteva niente di buono, non era affatto bravo a mentire.

 

“Owen si è gettato verso il furgone per spostare Teddy e... accidentalmente un vetro gli è finito sotto la palpebra superiore dell’occhio destro,

quindi devo andare in sala operatoria a vedere che sta succedendo. Ti pregherei di non avvisare Cristina per il momento”

 

Il cuore mi si riempì di preoccupazione.

 

“E andrà tutto bene? Vero? Non può succedere ciò che è successo ad Henry... è solo un vetro in un occhio, potrebbe... insomma non vederci più? O peggio, perderlo? Ci sono danni gravi?”

 

Derek mi guardò cercando di apparire sicuro di sé e disse: “Non dirlo a Cristina, è incinta, costretta a letto, e probabilmente ora se la starà prendendo con il suo cuscino perché non è abbastanza morbido. Stai con lei, tienile compagnia, con Owen c’è Teddy. Ti chiamerò al cellulare per darti notizie e solo allora dirai a Cristina cos’è successo ad Owen.”

 

Alzai lo sguardo dritto nei suoi occhi.

 

“Va bene.”

 

 

 

 


Entrai nella stanza di Cristina e la trovai intenta a mettere via le sue cose.

 

“Cristina, ma che fai?” domandai aiutandola a spostare dal letto il pesante borsone contenente la sua roba.

 

“Mi hanno dimesso circa venti minuti fa, mi preparo per andare a casa no? Owen non risponde al cellulare, sai che fine ha fatto?” chiese.

 

Cristina era fragile e sembrava preoccupata anche se cercava di non darlo troppo a vedere.

 

“No, non lo so con sicurezza, ma probabilmente è in sala operatoria, c’è stato un incidente nel pronto soccorso, un paio di feriti ma niente di grave, sarà impegnato. Tu siediti e non agitarti.” Tecnicamente non le stavo mentendo.

 

Feci sedere Cristina sul letto e la guardai mentre si tranquillizzava.

 

“Allora” esordii “Come la vedi questa cosa di fare la mamma?” cercai di cambiare discorso in fretta.

 

Lei si guardò l’enorme pancia e sbuffò.

 

“Non vedo l’ora che esca da me questa cosa per poter tornare come prima. Certo sono spaventata a morte per il parto, e quando nascerà sarò

costantemente preoccupata e verrò assalita da attacchi di panico improvvisi e altre cose del genere, ma penso... di potercela fare... non sarà poi tanto complicato... giusto?”

 

“Oh... certo!” crescere un bambino era più che complicato e presto se ne sarebbe accorta ma tutto sarebbe andato per il meglio.

 

Cristina lanciò uno sguardo verso un orsacchiotto che le aveva regalato Teddy.

 

“Owen mi ha detto... che sta finendo di preparare la stanzetta. Lui è così emozionato e felice, ma io... no. Sono felice, però non quanto lui, mi sento strana. Secondo te sono anormale? Penso di voler bene a mio figlio e mi preoccupo per lui già da ora ma non mi sento collegata a lui in qualche modo, mi sento solo rammollita, è come se la mia vena di cattiveria si stesse spegnendo.”

 

Sorrisi prendendo in mano l’orsacchiotto e passandoglielo tra le mani.

 

“Non ti stai spegnendo, la tua vena di cattiveria rimarrà accesa, Cristina. Pensa a quando dovrai occuparti di tuo figlio durante la notte, vedrai che riconquisterai tutta la tua durezza” mi bloccai un attimo e la guardai negli occhi “Andrai bene. Verrà tutto naturale, ti sentirai collegata a lui non appena potrai stringerlo tra le braccia e dirgli ciao. Non preoccupartene”

 

Lei si voltò verso di me e annuì.

 

“Grazie, Meredith.”

 

Aiutai Cristina a finire di sistemarsi e l’aiutai a vestirsi.

 

Continuava a chiamare Owen e a mandargli messaggi ma lui non rispondeva, d’altra parte come avrebbe potuto?

 

Una volta finito Cristina si voltò verso di me domandomi, con un tono di tristezza, se era successo qualcosa a Owen.

 

Aspettai a rispondere, cercavo di cambiare discorso ma lei era troppo sveglia per non capire se stavo cercando di evitare l’argomento.

 

“Meredith... la smetti di fare così? Perché non mi dici cos’è successo e basta?”

 

“Cristina non posso adesso”

 

“Meredith non sono fragile quanto crede la gente!” Cristina sbuffò “C'entra qualcosa con ciò che è successo al pronto soccorso?”

 

Mi guardò, cercava, sbattendo velocemente le palpebre, di trattenere lacrime che non volevano essere trattenute.

 

“Cristina, andrà tutto bene” cercai di consolarla.

 

“Quindi, quando hai detto che Owen era in sala operatoria intendevi che era il paziente, giusto? Non doveva operare, doveva essere operato?”

 

“Andrà tutto bene.”

 

Ormai lo ripetevo come se fosse un hobby, andrà tutto dannatamente bene.

 

“Meredith cazzo! Sono incinta, sono stanca e l’unica cosa che vorrei è poter tornarmene a casa in questo momento, ma voglio sapere perché mio marito è finito in quella sala operatoria!”

 

Presi un respiro.

 

“Ecco... Teddy stava per essere investita dal furgone e lui le si è gettato addosso per spostarla. C’erano pezzi di vetro dappertutto e uno gli è finito nell’occhio, sotto la palpebra superiore dell’occhio destro, calmati con lui c’è la Altman. Starà bene e ti prometto che appena esce dalla sala andiamo a vedere come sta.”

 

Cristina aveva gli occhi arrossati, era troppo orgogliosa per piangere ma le lacrime scendevano sempre più velocemente e i suoi occhi sembravano fiumi in piena.

 

“Stiamo per avere un bambino, non dovrebbero succedere queste cose, lui non dovrebbe finire in sala operatoria e io dovrei rimanere tranquilla.”

 

Sembrava così indifesa, ma non lo era, sotto le apparenze nascondeva un animo da guerriera.

 

Il mio cellulare suonò rompendo il silenzio che si era creato intorno a noi.

 

“Pronto? Derek! Va tutto bene?”

 

“L’intervento è riuscito con successo, ora puoi avvertire Cristina, anche se... penso sappia già che cosa è successo a suo marito.”

 

Derek era troppo bravo ad intuire queste cose.

 

“Non ti arrabbiare! Ci è arrivata da sola!”

 

Lo sentii ridere dall’altra parte del telefono e poi chiusi la chiamata.

 

Con sollievo mi voltai verso Cristina e mimai con le labbra un “hanno finito, sta bene”.

 

La vidi tirare un sospiro di sollievo e chiudere gli occhi per qualche istante.

 

Chiusi la chiamata e mi avvicinai a lei mettendole poi una mano sulla spalla.

 

“Ti porto da lui?” chiesi a Cristina la quale teneva gli occhi chiusi.

 

“Non ancora, aspettiamo qualche minuto. Sto realizzando che mio marito sta bene.”

 

“Ok”

 

Lei si sedette sul letto e nello stesso istante apparve alla porta della stanza un’ infermiera.

 

Aveva capelli color mogano raccolti in una coda di cavallo e occhi chiari tendenti al verde, indossava un largo camice giallo e portava con se la

cartella di un paziente.

 

“Salve, lei è la dottoressa Yang presumo” disse la donna sicura di se, dando un’occhiata a Cristina.

 

“Si sono io, perché?”rispose Cris aprendo gli occhi.

 

“Devi andartene, sei un medico e sai come funziona, questa stanza potrebbe servire a qualcuno più grave di te. Tu, beh... sei solo incinta... devi

andare via, ti hanno dimessa” disse in modo sgarbato la ragazza.

 

Mi aspettavo che Cristina la liquidasse in qualche sarcastico modo, come suo solito, invece si limitò ad annuire.

 

“Hai ragione devo andare via” disse.

 

“Ma Cristina...” sussurrai forse a voce un po’ troppo alta.

 

“Ha ragione, Meredith.”

 

L’infermiera fece un falso sorriso e prima di uscire dalla stanza aggiunse: “Perfetto, prendi la tua roba e vattene.”

 

Dopo che se ne fu andata mi voltai verso Cristina e stupita la guardavo mentre raccoglieva la giacca di pelle dal letto e si avviava verso l’uscita della stanza.

 

“Ma perché non hai detto niente?” chiesi stupita.

 

“Non mi andava di litigare con un’oca come quella e ho bisogno di vedere Owen, quindi, per piacere, portami da lui.”

 

 

 

 

 


Cristina

 

 

 

 


Meredith ed io arrivammo alla stanza di Owen.

 

Con lui c’era Teddy, la quale stava seduta accanto al suo letto con una mano sugli occhi e l’altra appoggiata su quella di Owen. 

 

Lui dormiva pacificamente, o almeno sembrava che lo facesse.

 

April controllava la sua cartella mormorando qualcosa ad alta voce in modo che la dottoressa Altaman potesse sentire, successivamente uscì dalla stanza.

 

“Più tardi puoi portarmi a casa?” domandai a Meredith posta al mio fianco che reggeva la mia valigia.

 

“Ma certo. Non dovresti fare queste domande, ora vai da lui.”

 

La ragazza mi diede una leggera spinta e io piano piano entrai nella stanza di Owen.

 

Teddy, accorgendosi della mia presenza, si asciugò alcune lacrime sul volto e mi guardò.

 

“Ehm... ciao, lui sta bene non ti devi preoccupare” disse cercando di farmi stare tranquilla.

 

Mi avvicinai a lui e gli strinsi una mano, era calda.

 

Owen aveva una benda sull’occhio, da cui era stato estratto il vetro, e sembrava stare bene.

 

“Dovresti perdonarlo” dissi ad un tratto nel silenzio che si era creato intorno a me e a Teddy.

 

“Cosa?” domandò la donna bionda,la quale si voltò verso di me e mi guardò con occhi curiosi.

 

“Insomma, si è buttato sotto quel dannato furgoncino per te. L’ha fatto perché ci tiene, Teddy. Lui non vuole altro che il tuo perdono.”

 

Lei sbuffò scuotendo convinta la testa.

 

“Lo so. Ma per ora non posso cambiare niente, non riesco a perdonarlo.”

 

Teddy iniziò a piangere e si alzò dalla sedia.

 

Capivo il suo dolore, sapevo che stava male, ma Owen era la mia vita e volevo che riuscisse di nuovo ad essere del tutto felice.

 

“Io me ne vado prima che si risvegli.”

 

La bloccai per un braccio.

 

“Almeno, pensaci! Non voglio che si tormenti su questo sentendosi in colpa per la morte di Henry. Lui non c'entrava niente, ha dovuto essere il

capo e ha pensato al bene della paziente posta sul tuo tavolo operatorio, ha fatto la cosa giusta anche se nella vita privata a te possa risultare sbagliata! Owen non è cattivo, tu e lui siete... come me e Meredith. Lui è la tua persona. Owen non può vivere senza la sua persona, come io non posso vivere senza Meredith. Tu sei una parte del suo passato, tu fai... parte di lui. Lui chiamerebbe te se commettesse un omicidio e volesse nascondere il cadavere.”

 

Fece un leggero sorriso e poi si avvicinò a me, mii mise una mano sulla spalla e mi guardò negli occhi.

 

“Io penso la stessa cosa, ma... appena finito l’intervento non ha trovato le palle per dirmi che Henry era morto e l’ha lasciato fare a te. Adoro Owen, ma ha perso molti punti con questa storia; amavo mio marito più di quanto un tempo amassi Owen, ci sto male perché Henry era... tutto. Lui era tutto per me.”

 

Mi guardò bene da capo a piedi.

 

“Sono felice per voi” disse “ state per diventare genitori e questo è ciò che lui ha sempre voluto, ma non posso perdonarlo.”

 

Uscì dalla stanza lasciandomi lì da sola con Owen.

 

Mi sedetti sulla sedia su cui, poco prima, era seduta Teddy e osservai Owen.

 

Aspettavo seduta lì che qualcosa accadesse, che lui improvvisamente si svegliasse.

 

Ma non successe niente; Owen continuava a dormire.

 

La nostra vita, più  ciò che ci girava intorno, spesso iniziava a ruotare all’incontrario e quello era uno di quei momenti.

 

Ma io e Owen l’avremmo superato, insieme.

----------------------
*Angolo Autrice*

Capitolo leggermente penoso... lo so... scusate xD
   AlisIntoTheDark  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Due ritorni importanti per capire di essere fottuti ***


 

 

 

 

 

 

Snow

 

 

 

 

 

 

Capitolo 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stavo seduta su uno degli sgabelli in cucina mentre aspettavo che Owen finisse di prepararmi la colazione.


“Sai cosa ci vorrebbe su queste frittelle? Un po’ di caramello...” dissi afferrando la bottiglia piena di quella salsa dolce.


“Mettilo giù, Cristina” mi ordinò Owen che sorridente mi metteva il piatto pieno di cibo davanti agli occhi.


“Andiamo solo un pochino!” lo supplicai.


“No.”


Odiavo quando faceva così.


Ero una povera donna incinta di otto mesi, avevo fame e il mio diritto al cibo mi era spesso negato, Owen doveva smetterla di comportarsi così.


“Senti non farmi il discorso! Cosa vuoi che cambi per una montagna di caramello fuso che cola lentamente sulle frittelle?” chiesi pensando all’immagine che avevo appena descritto.


Mio marito si passò una mano tra i capelli rossicci, appoggiò le pentole nel lavabo e infine si voltò verso di me.


“Sto solo cercando di farti mangiare sano o almeno ci provo. Sopratutto se vuoi che quella maglietta la settimana prossima ti entri ancora” disse e poi indicò velocemente la mia pancia.


Guardai la maglietta verde militare di Owen che avevo indosso perché ormai più di metà del mio guardaroba non mi entrava e mi rifiutavo di comprare stupidi abiti pre-maman.


“Sai che è una tua maglietta vero?” chiesi cercando di capire cosa intendeva.


“Esatto”


Bastardo.


In poche parole stava dicendo che ero enorme.


A quanto pare doveva essere vero dato che iniziava a dirlo persino lui.


Cominciai a piangere per finta cercando di farlo impietosire.


“Hai ragione, sono enorme! Dovrei smettere di magiare o prima o poi... scoppierò come un palloncino!” 


Misi le mani davanti alla faccia facendo i soliti versi da pianto, così avrei potuto ingannarlo e convincerlo a comprarmi una ciambella.


Lui si avvicinò a me e da dietro mi abbracciò inebriandomi con il suo profumo.


“Non piangere, volevo solo scherzare. Non piangere” cercava di consolarmi.


“Sono gli ormoni, ok?” gridai continuando a singhiozzare.


Lui non era capace di resistermi. 


Stava andando nel pallone, tra poco sarebbe crollato nella mia famelica trappola.


“Ok allora... metti tutto il caramello che vuoi e mangia fino a scoppiare, per una volta non penso che cambi tanto!” disse sorridente.


Lo fulminai con lo sguardo e mi alzai dallo sgabello con fatica appoggiandomi un tovagliolo sotto l’occhio destro per fargli vedere che mi stavo “asciugando le lacrime”.


“Non intendevo dire che stai per scoppiare! Assolutamente no! Io... vuoi prendermi a calci? Quella proposta è ancora valida ma non l’hai mai... usata! Quindi... ti vado a comprare una ciambella” esordì infilandosi la giacca nera.


Piano riuscito.


Avevo conquistato la mia ciambella e ci erano voluti meno di cinque minuti.


Questa era una delle soddisfazioni dell’essere incinta.


“Ok, assicurati che abbia il cioccolato sopra” dissi singhiozzante.


Owen annuì e in fretta uscì di casa, avrebbe fatto qualunque cosa per me.





 

Nel pomeriggio sarei andata in ospedale per un’ecografia e Meredith avrebbe dovuto accompagnarmi, così mi sedetti sul divano con il telefono e la chiamai.


Lasciai squillare il cellulare un paio di volte e poi lei rispose.


Stava ridendo allegramente.


“Ehi? Che hai da ridere?” chiesi cercando di capire perché fosse così felice.


“Ciao Cristina! Dovresti essere qui in ospedale!”


Dopo quella frase iniziai a provare un senso di gelosia nei confronti della mia migliore amica, cosa c’era di così divertente da dover essere là?


“Ehm... perché che succede?”


In sottofondo sentivo la voce di Lexie e April, anche loro ridevano.


“Meredith? Che succede?” continuai a chiedere insistente perché la curiosità mi stava mangiando viva.


“Cristina ti devo lasciare ora, lo vedrai più tardi!” disse lei.


“Cosa? Ti ricordi che devi venirmi a prendere?” domandai innervosita dal suo comportamento.


“Mi ricordo non preoccuparti! Scusa è arrivata... Callie! Devo andare!”


Ogni tanto mi ritrovavo ad odiare la Meredith non più cupa e triste, ma ero così felice per la sua vita che ogni volta che pensavo a quanto mi facesse innervosire... sorridevo.








Isobel

 






“Ehi! Non avevamo tue notizie da secoli!” disse Meredith abbracciandomi o meglio stritolandomi in un abbraccio che sembrava dire ti voglio bene ma ti voglio strozzare.


“Ogni tanto ho chiamato, non dire che non mi sono mai fatta sentire!” risposi sciogliendo il suo abbraccio.


Meredith mise il broncio.


“Non importa. Sono felice di vederti Izzie!” disse illuminandomi con uno dei suoi sguardi magici.


Già, ero tornata a Seattle per un raduno con i chirurghi più famosi negli Stati Uniti e il mio mentore, il dott. Ronald Smith, chirurgo neonatale

all’ospedale di Tacoma, era stato invitato e mi aveva chiesto se volevo andare con lui.


Per me era stata anche una possibilità per rivedere i miei amici, per stare con loro, sapere che era cambiato da quando ero partita e beh... sapere come se la passava Alex.


Non avevo mai smesso di pensare a lui, neanche un giorno.


Ma ormai era acqua passata, sia per me che per lui, in fondo, dopo tutto quello che avevamo passato, avevamo deciso di dividerci e prendere strade differenti.


Ero a Seattle per me, non per lui.


O almeno è quello che credevo.


Lexie mi si avvicinò con il suo solito sorriso.


“Sono felice di vederti, sai è strano? Eravamo tutti preoccupati per il tuo cancro al cervello e ora stai bene! Sei viva! Si!” disse la ragazza che come al suo solito si incasinava con le parole.


“Ok, a parte ciò, vi ho portato dei muffin! La vostra bocca inizierà a gridare “bentornata Izzie” non appena ne metterete un pezzo in bocca” dissi aprendo la borsa e tirando fuori un sacchetto. 


Non appena lo appoggiai sul tavolo della segreteria mi ritrovai circondata da tutti.


Mark, Callie, Arizona, Jackson, April, tutti quanti, anche Alex.


Guardavo tutti abbuffarsi e nascondere i muffin nelle tasche del camice come se non mangiassero da giorni. 


Facevano a spintoni per raggiungere i miei dolcetti.


“Calma, ne ho altri in macchina!” dissi cercando di calmarli.


“Izzie” mi chiamò Alex.


Lo guardai negli occhi come se fosse la cosa più naturale del mondo.


“Ottimo... lavoro” disse, poi sorrise e se ne andò impacciato.


Mi mancava.


Dovevo ammetterlo.


Abbassai lo sguardo e mi accorsi che qualcuno mancava all’appello.


“Dov’è Cristina?” domandai.


Tutti si voltarono verso di me con le bocche piene e si guardarono a vicenda.


Meredith uscì dal gruppo che si era creato attorno hai muffin e deglutì.


“Che c’è Mer? Dimmi che ha l’influenza! Se è così possiamo portarle del brodo di pollo prima che inizino tutte queste... conferenze” dissi scherzosa convinta che per la prima volta quella specie di robot aveva saltato il lavoro.


“Penso stia studiando per gli esami dato che è costretta a casa, ma non sta male, lei è... piuttosto incinta” 


Rimasi scioccata.


Quasi faticavo a crederci.


Cristina Yang, la cinica dottoressa robot che non voleva figli stava per avere un bambino.


“Scusa non capisco, come è incinta? Cioè lei avrà un bambino? E quand’è successo? Sul serio io... non capisco come sia successo, perché è successo? Ha avuto una specie di amnesia e non si ricordava di non volere figli? Le avete fatto il lavaggio del cervello?” 


Ero totalmente sconvolta, sopratutto perché moltissime cose erano cambiate.


Meredith e Derek avevano adottato una bambina, Callie era quasi morta, la moglie di Webber, che non era più il capo ormai, aveva l’Alzheimer e Cristina era... piuttosto incinta.


“Non ti preoccupare” disse Jackson “ha fatto quest’effetto a tutti la prima volta che ce l’ha detto.”


Sorrisi ancora un po’ confusa.


Salutai tutti mentre Meredith mi tirava per un braccio verso l’asilo, voleva farmi conoscere Zola.


Lei mi stava raccontando alcune abitudini di Zola quando notò che ero distratta.


“Izzie, è tutto ok?” domandò fermandosi in mezzo al corridoio.


“Certo, perché me lo chiedi?”


“Non mi stai ascoltando, ho insultato anche tua madre ma tu hai continuato a pensare che parlassi di Zola.”


La guardai non sapendo che dire.


Me la cavavo bene da sola, ma la mia vita era triste e forse era per quello che ero tornata a Seattle, la città che aveva cambiato la mia vita.


“Ok... mi  dispiace, hai ragione non ti sto ascoltando.”


Lei mi osservò con uno sguardo apprensivo, in seguito sorrise.


“Tra poco vado a prendere Cristina e la porto qui, vuoi venire con me?” chiese.


Annuii, sarebbe stato divertente.






Cristina

 





Ero addormentata sul divano quando sentii il campanello squillare.


Aprii gli occhi non molto felice di dovermi alzare e mi stiracchiai con i raggi del Sole che mi colpivano il volto.


Sul tavolo della cucina c’erano le chiavi di Owen, le aveva dimenticate di nuovo, come la volta in cui Dash, il cane di Teddy che durante lo scorrere dei mesi era arrivato a pesare 26 kg, si era presentato alla nostra porta. 


Fuori pioveva e Owen dovette prenderlo di peso e riportarlo da Teddy. 


Tornato a casa, mio marito aveva un’aspetto più simile a quello di un pulcino bagnato, io dormivo e lui era rimasto fuori dalla porta per tutta la notte.


Dopo essermi alzata dal divano mi avvicinai all’ingresso.


Aprii la porta di casa aspettandomi di trovare Owen.


“Le chiavi...” mormorai prima che una cascata di capelli biondi mi investisse con il suo amore.


“Cristina!” urlò Izzie.


Guardai Meredith dietro di lei che sorrideva con Zola in braccio.


“Izzie? Izzie! Ma... che bello vederti!” dissi cercando di sembrare felice e sorpresa.


Izzie Stevens, avrei voluto bucarle la faccia con un coltellino svizzero.


Aveva il cancro e io le avevo salvato la vita, avrei dovuto avere il diritto di sapere come stava.


“Come va?” disse lei posando lo sguardo sul mio rigonfio ventre.


“Ho molta voglia di ucciderti.”


Lei raddrizzò la schiena.


“Sai, mi aspettavo una risposta tipo va tutto alla grande, ehi sono incinta! Non ho molta voglia di ucciderti. Ma sono felice che tu abbia preservato la tua schiettezza” rispose.


Meredith si avvicinò a Izzie e le diede Zola in braccio.


“Questa è casa tua? Tu e Owen avete un palo dei pompieri? Zola mi fai fare un giro della casa?”


Izzie iniziò a gironzolare con la bimba in braccio e immediatamente mi voltai verso Meredith.


“Pensavo ti avrebbe fatto piacere rivederla, non ha più il cancro, ora sta bene e ha bisogno di noi. Potresti essere più carina” disse la mia migliore amica.


Sbuffai guardando Izzie che dondolava insieme a Zola.


“Io più carina? Io potrei essere più carina? Senti io non faccio il bastoncino di zucchero solo perché lei è sola e ha preferito finire di affrontare il

cancro lontana da tutti piuttosto che con accanto i suoi amici. Non dirmi di essere più carina.” 


Meredith sorrise e poi inizio a ridere mentre io la seguivo ridendo a mia volta.


“Tu... tu sei carina solo con me!”


“Te l’ho sempre detto che non posso essere carina con altre persone!”


Toc. 


Toc toc.


Meredith smise di ridere e si avvicinò alla porta.


L’aprì e sulla soglia c’era un Owen agitato con un sacchetto giallo in mano.


La mia ciambella.


“Mi dispiace” disse mollandomi il sacchetto tra le mani.


“Di cosa? Di esserti dimenticato le chiavi di casa?” chiesi mentre si metteva una mano tra i capelli.


“Che? No ho fatto una brutta cosa... non so se riuscirai a perdonarmi per questo” disse guardandomi  tristemente.


“Hai dimenticato di chiedere se la ciambella era al cioccolato?” 


Lui rise indicando la porta aperta.


“Molto peggio...”


“Che può esserci di peggio di una ciambella senza cioccolato?” chiese Izzie intromettendosi nella conversazione.


“Stevens?” disse Owen voltandosi verso di lei.


“Dottor Hunt! E’ un piacere rivederla.”


Lui annuì sorridente poi mi appoggiò una mano sulla spalla.


“Ti prego non avercela con me, mi ha trovato lei, io la stavo ignorando” disse disperato.


Ad un tratto sentii una voce squillante venire dal corridoio e dopo due secondi lei, quella belva era lì.


Coperta da un abito color verde confetto, con la sua borsetta in pelle di coccodrillo e i capelli neri lisci lungo le spalle, mia madre era davanti alla porta.


“Oh... Cristina!” esordì mia madre avvicinandosi a me e mio marito.


Afferrai in preda al panico un braccio di Owen e sfoderai un falso sorriso.


“Mamma... che ci fai qui?”


“E’ il modo di accogliere tua madre questo? Se non avessi trovato Owen ora non sarei qui! Ti ringrazio giovanotto!” disse la donna accarezzando una guancia di Owen.


Cercavo di nascondermi un po’ dietro Meredith, Izzie e Owen così che lei non notasse che ero incinta.


“Avanti esci da quella corazza di persone e abbraccia tua madre!” gridò la signora Rubenstein.


“Sai mamma non sto molto bene, forse è meglio una stretta di mano?” dissi cercando una via per sfuggire a quell’abbraccio.


“Non dire sciocchezze! Esci da lì!” mi riprese.


Izzie e Meredith si spostarono lasciandomi scoperta e vulnerabili hai suoi abbracci.


Lei mi guardò amorevolmente e corse ad abbracciare sia me che mio marito.


“Ormai avevo perso le speranze! Avrò un nipotino!”


Mentre mia madre mi abbracciava forte, guardavo Owen con occhi indemoniati.


TU mimai con le labbra.


“Cosa?” bisbigliò.


“Sei fottuto” risposi.


“Siamo tutti fottuti.”


Owen aveva ragione... eravamo tutti fottuti.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





   AlisIntoTheDark  

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il ritorno del magico Duppy ***



 

Snow

Capitolo 8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Odiavo mia madre, era ufficiale.

 

La guardavo dormire nel mio letto e non potevo fare a meno di sentire quell’odio profondo che mi usciva dal petto.

 

Avevo dovuto passare l’intera notte con lei perché gli alberghi della città erano pieni grazie a quelle conferenze che si stavano svolgendo a Seattle.

 

Era arrivata da un giorno e già mi dava sui nervi.

 

Sbuffai sentendola russare più forte mentre si rigirava nel letto.

 

Owen uscì dal bagno sistemandosi la cravatta viola, che gli aveva regalato sua madre, e si avvicinò a me.

 

“Dormito bene?” mi chiese facendosi scrocchiare le ossa del collo.

 

“Con mia madre? Nemmeno una persona con il sonno pari a quello di un ghiro riuscirebbe a dormire bene con lei” feci una pausa “Tu? dormito bene sul divano?” gli chiesi facendo un sorrisetto.

 

“Sì! Benissimo... il divano può essere più ospitale di quanto credi!” disse con una faccia non molto convinta.

 

Annuii battendogli una mano sulla spalla.

 

“Certo.”

 

Entrai in bagno sentendo l’umidità che si era creata dopo che Owen si era fatto la doccia.

 

“Quanto pensi si fermerà?” domandò appoggiandosi allo stipite della porta.

 

Alzai le spalle cercando nel disordine dell’armadietto del bagno un elastico per capelli nero.

 

 “Non lo so... sei tu quello che la portata qui” risposi raccogliendomi i capelli in uno chignon.

 

Lui fece il sorriso di una persona che è appena stata incastrata e mi aiutò a sistemare i capelli.

 

“Tu sei sua figlia, magari se l’avessimo avvertita prima che noi...”

 

Lo zittii mettendogli un dito sulle labbra.

 

“No, se l’avessimo avvertita prima l’avremmo avuta in casa per tutti questi mesi! Io non potrei reggerla. Senti, non dirmi come devo comportarmi con mia madre... io... non ti do nessun consiglio su come comportarti con la tua!”

 

Guardai lo specchio, Owen aveva una faccia stupita.

 

“Che cosa? Cos’è che tu non faresti? Owen, hai chiamato tua madre? Dovresti chiamarla, sai? Perché non vai a trovarla ogni tanto!” disse gesticolando.

 

Arricciai il naso incrociando le braccia.

 

“Sono critiche costruttive per aiutarti a tenere un buon rapporto con tua madre!” dissi.

 

“E tu non vuoi un buon rapporto con la tua?”

 

Ci voltammo verso la porta del bagno non appena sentimmo mia madre mugugnare un lamento, così gli tappai la bocca dicendogli di abbassare la voce.

 

Restammo in silenzio per qualche secondo guardandoci negli occhi con espressioni serie.

 

Lui sorrise.

 

“Comunque, io ho un ottimo rapporto a distanza con mia madre” dissi.

 

Dovevo averla vinta io in quella discussione, sua madre e mia madre venivano da pianeti totalmente diversi, non erano paragonabili.

 

Mia madre era una persona che faceva saltare i nervi e che metteva soggezione, la sua era una donna meravigliosa piena di amore verso gli altri.

 

“Sai, vuole portarti a comprare delle cose per il bambino oggi” disse.

 

“Cosa vuole fare?” sbraitai.

 

“Ehm si, cerca di non stancarti troppo se puoi, mi raccomando.”

 

No... quella proprio no... non sarei mai potuta uscire con lei.

 

Era mia madre, voleva fare parte della mia vita, lo capivo, ma sarebbe successo qualcosa di terribile se fossimo uscite insieme, me lo sentivo.

 

Ero ancora incredula quando sentii il cercapersone di mio marito squillare.

 

“Devo andare... ci vediamo più tardi” disse dandomi un bacio sulla guancia.

 

“Aspetta, vuoi lasciarmi sola con lei?” dissi a bassa voce.

 

“Sono obbligato! Il pronto soccorso ha bisogno di me.”

 

Spalancai la bocca guardandolo andare via.

 

“Ti chiamo più tardi!” disse chiudendo la porta sbattendola.

 

Mia madre sentendo  il rumore si svegliò di soprassalto urlando.

 

Spaventata si alzò dal letto e mi chiamò.

 

Mi voltai con un falso sorriso e la guardai scuotendo leggermente la testa.

 

 

 

 


 

Owen

 

 

 

 


 

“Susan White, 23 anni, trovata schiacciata sotto un auto distrutta, presenta ferite multiple a braccia e gambe, ha perso due dita presumibilmente durante l’incidente, quando l’abbiamo trovata era lucida ma poi ha perso i sensi” disse il paramedico porgendo la cartella della paziente a Kepner.

 

“Ok avete le dita?” chiesi auscultando il cuore della donna.

 

“No le stanno ancora cercando sul posto.”

 

April fece un ecografia all’addome di Susan.

 

“Dottor Hunt, prenoto una risonanza e una TAC?” mi chiese Kepner.

 

“Si fai in fretta, è possibile che abbia un trauma cranico, chiama Sheperd e Sloan per le dita” dissi guardando April andare via di fretta.

 

Osservavo la donna, sembrava senza vita.

 

Le prelevai un campione di sangue e lo feci mandare in laboratorio.

 

“Che succede?” chiese la donna riprendendo conoscenza e iniziando ad agitarsi.

 

“Sono il dottor Hunt, lei si trova al Seattle Grace Mercy West Hospital. Ha avuto un incidente, tra un po’ la porteremo a fare degli esami.”

 

Susan sembrò rilassarsi per qualche istante, finché, dalla porta del pronto soccorso, non entrò un uomo sulla trentina.

 

“Sue che ti è successo?” 

 

L’uomo si avvicinò al lettino e cercò di afferrare la mano della donna, la quale si ritrasse spaventata.

 

“Chi è lei?” domandai.

 

“Sono suo marito, siamo sposati da poco, vero Sue?”

 

Lei non disse niente, si limitò ad annuire.

 

Qualcosa non andava.

 

“Ora deve andarsene signor White, potrà vederla più tardi” dissi chiedendo ad un infermiera di scortarlo fuori.

 

Dopo aver finito di visitare la paziente ordinai di portarla in stanza, ma prima che la portassero via notai che aveva dei brutti lividi sul collo.

 

Dovevano avere qualche giorno.

 

“Come si è procurata questi lividi?” chiesi spostandole leggermente la testa per osservare meglio.

 

Lei non rispose.

 

“E’ stato suo marito?” 

 

Susan si irrigidì stringendo con una mano il mio camice e lasciandoci sopra un’ impronta di sangue.

 

“No” disse con voce lieve.

 

“E’ molto spaventata da lui signorina. Penso... che dovrebbe dirmi la verità... è importante.”

 

Continuava a non parlare.

 

Forse era meglio lasciarla riposare per un po’.

 

“Ok portatela in stanza” dissi arrendendomi.

 

Iniziavo a sospettare che fosse il signor White la causa per cui Susan era finita in ospedale.

 

Mentre camminavo verso il paramedico che l’aveva portata al pronto soccorso, Kepner mi raggiunse con la sua solita e inspiegabile energia.

 

“Capo... più tardi, tra circa un’ ora, ci sarebbe una conferenza che vorrei vedere, sa ci sono tutti questi chirurghi e dottori famosi e io... i... io volevo

provare a conoscere il mio idolo, la dottoressa Catherine Avery. So che sono legata a questo caso ma la paziente sembra stare abbastanza bene per ora. Oh... la TAC è prenotata per l’una e sono solo le dieci di mattina!” 

 

Interruppi Kepner o avrebbe iniziato a dare i numeri.

 

“Ok, vai se vuoi” risposi non dandole troppa importanza.

 

April gioiosa andò via.

 

Mi avvicinai al paramedico e gli chiesi di descrivermi il posto in cui aveva trovato Susan.

 

“C’erano due macchine, una era capovolta e riportava segni di uno scontro ma non era messa male come l’auto della ragazza” rispose.

 

“C’erano altre vittime dell’incidente?”

 

Lui ci pensò qualche secondo.

 

“Non c’era nessun altro, ma l’incidente è avvenuto qua vicino, penso che la donna si stesse dirigendo verso l’ospedale.”

 

“Grazie”.

 

Non sapevo bene cosa cercavo di capire, ma in qualche modo Il signor White faceva parte dell’incidente.

 

 

 

 

 

 


Cristina

 

 

 

 

 


 

“Oh... Cristina guarda qui!”

 

Mia madre mi mostrò una piccola tutina da neonato color giallo confetto.

 

“Fantastico mamma, ora mettila al suo posto” dissi cercando di sembrare gentile.

 

Lei sbuffò e la mise dentro il carrello con il resto di vestiti, giocattoli e quant’altro che aveva deciso di comprare.

 

“Quale parte di metti al suo posto non hai capito?” chiesi afferrando il piccolo vestito per rimetterlo sullo scaffale.

 

“Non essere scortese sto solo cercando di aiutarti a fare shopping. Mi chiedevo se avete già fatto una festa per il bambino” domandò con quella voce irritante da cornacchia.

 

“Sì” risposi con voce monotona.

 

“Avete comprato un lettino?” chiese guardando le culle del negozio.

 

“Sì”

 

“Avete assunto una tata?”

 

“Non ne abbiamo bisogno”

 

“Come non ne avete bisogno? Le tate sono essenziali, tu fai il chirurgo non potrai esserci tutti i giorni per tuo figlio e nemmeno Owen. Guardati, pensavo di aver fatto una cattiva scelta all’inizio quando ti lasciavo con la tata ma tu sei cresciuta su bene!”

 

Annuii appoggiando una mano sul carrello.

 

“Certo, incazzata con il mondo e sentimentalmente instabile, sono perfetta!”

 

Lei mi guardò.

 

“Non sono potuta stare con te molto per i miei numerosissimi impegni” disse.

 

Sorrisi, era stato meglio così.

 

“Amiche, estetista, vestiti, problemi con papà, il matrimonio con Saul, eri distrutta per la morte di mio padre, c’era sempre qualcosa per non potermi stare accanto.”

 

“Ma” esordì senza ascoltarmi “sono sicura che passerò molto tempo con il mio nipotino!”

 

Appoggiò le mani sulla mia pancia provocando un calcio degno di lode da parte del bambino.

 

Non la sopporti anche tu a quanto pare, pensai.

 

“Comunque, io e Saul potremmo trasferirci qui così farei io da tata al bambino” propose.

 

No, non poteva.

 

Non poteva continuare a rovinarmi la vita.

 

“Mamma capisco che questa è... una situazione delicata! Ma... no grazie, ci terrei se tu rimanessi a Beverly Hills” dissi cercando di toglierle l’idea dalla mente.

 

“Quante volte ti devo ripetere di non dire sciocchezze? Non ti sono mai piaciuti i bambini, ora che hai un amore ritrovato penso che potrei aiutarti a

crescere tuo figlio, le nonne lo fanno” rispose sicura di sé.

 

“No... vedi si tratta di me e Owen, tu non centri!”

 

Iniziavamo a guardarci tutti, il che non era molto confortante.

 

Mi stavo agitando più di quanto avrei voluto, non ero per niente rilassata, quella discussione poteva finire molto male.

 

“Vedi Cristina ora posso sistemare quelle cose che avrei voluto fare! Tu non ne sai niente di bambini, finiresti con...”

 

“Fallire?” domandai interrompendola.

 

“Non intendevo questo, intendevo..”

 

“Non mi interessa che intendevi, ok? Stavi dicendo che i-io sarò una pessima madre e che tu potresti crescere mio figlio per sentirti meno in colpa di non essere stata una buona madre per me! Beh... non ti voglio nella mia vita così.”

 

Mi voltai pronta ad uscire dal negozio mentre tutti mi fissavano e mormoravano qualcosa a bassa voce che non riuscivo a capire, ma probabilmente la rabbia mi stava tappando le orecchie.

 

Così non riuscivo a sentire niente.

 

“Owen sarà un buon padre e tu te la caverai bene Cristina” disse cercando in qualche modo di scusarsi.

 

La guardai.

 

“Se ho preso i tuoi geni non sarà così” risposi acida.

 

Mi sentivo esposta e fragile, non riuscivo più a controllare le mie emozioni.

 

Un bambino nel negozio iniziò a ridere mentre mia madre mi guardava con occhi compassionevoli.

 

“Mamma, mamma! Quella signora se l’è fatta addosso!” gridò il bambino indicandomi.

 

Sua madre lo sgridò dicendogli che era stato scortese e il bimbo abbassò il capo.

 

Mi guardai i jeans blu, erano totalmente bagnati.

 

“Andiamo a casa” disse mia madre seria avvicinandosi.

 

“No” risposi prendendo un respiro profondo.

 

“No? Perché no?” chiese lei incrociando le braccia.

 

Continuai a respirare lentamente cercando di rilassarmi.

 

Non era possibile che fosse appena successo.

 

“Non possiamo andare a casa perché... mi si sono appena rotte le acque.”

 

 

 

 

 

 


Meredith

 

 

 

 

 

 

 

Io, Lexie, Jackson e Izzie eravamo in piedi in fondo la sala conferenze ad ascoltare la mamma di Avery.

 

In fondo alla sala era un posto perfetto, nessuno poteva sentire quello che dicevi, ovviamente se parlavi con moderazione.

 

“Quella è tua madre? Tu non hai per niente il suo carattere” disse Lexie ridendo.

 

“Beh... si lei è mia madre, una mamma molto famosa” rispose Avery orgoglioso delle sue origini.

 

“Che ti chiama Duppy” dissi scherzando.

 

Jackson si voltò verso di me e pian piano divenne tutto rosso.

 

Izzie ci guardava divertita vedendo che non eravamo cambiati di una virgola dall’ultima volta che ci aveva lasciati.

 

“Duppy? Affettivo particolare” rispose la bionda.

 

“Non mi chiamano così da almeno... tanto tempo!”

 

Era proprio imbarazzato e la situazione a noi ragazze divertiva parecchio.

 

La conversazione sembrò finita lì finché Izzie non mi tirò per un braccio e indicò l’uomo accanto a Teddy, entrambi si dirigevano verso il nostro gruppo.

 

“Ma quello è il tizio che ha palpato il culo a Cristina o sbaglio?” mi chiese.

 

Io lo guardai bene in faccia e mi ritrovai a dare ragione a Izzie.

 

Quel tizio era proprio Colin Marlow.

 

“Si! E’ lui! E’... Colin Marlow... il palpatore!” esordii.

 

Lexie e Jackson si voltarono verso di noi come a chiedere spiegazioni.

 

“Ha palpato il culo a Yang? Perché ha palpato il culo a Yang?” chiese Lexie con uno sguardo tra il sorpreso e lo schifato.

 

“Quanti anni ha? Sessanta?” domandò Avery.

 

“E’ una storia lunga, direi che possiamo anche lasciare perdere per adesso” risposi cercando di bloccare lì la conversazione.

 

“Io vorrei sapere che ne è stato dell’uomo che usava pasticche blu magiche per non avere problemi con l’ospite che tiene tra le gambe” disse Izzie lasciando tutti perplessi.

 

“Usava il Viagra! Andiamo!”

 

Jackson guardò Izzie basito.

 

“Andavano anche a letto insieme?” chiese.

 

“C’era confidenza diceva lei” aggiunse Izzie.

 

Teddy arrivò apparentemente felice e allegra con il professor Marlow e ci presentò uno per uno.

 

Colin non sembrava che si ricordasse della mia faccia e di quella di Izzie.

 

“Pensavo che avrei trovato la specializzanda che cerco, ma non c’è, speravo che... Hunt l’avrebbe fatta venire, so di certo che vorebbe essere qui” disse Teddy.

 

“Non vuole dirmi chi mi presenterà” 

 

“Marlow vedrai l’apprezzerai di più se non ti parlo di lei.”

 

“Almeno so che è una donna” disse Colin sorridendo.

 

La dottoressa Altman mi guardò e mi chiese se sapessi che ne fosse stato dell’altra metà delle gemelle siamesi.

 

“Esonerata dal lavoro fino al parto” dissi.

 

“Mamma in carriera, mi piace” rispose Colin Marlow.

 

“Sì? Sono sicuro che la troverai piena di talento.”

 

Mentre ascoltavo la conversazione mi arrivò un messaggio di Cristina.

 

 


- Sono all’ingresso, ho un problema, vieni a prendermi -

 

 


Alzai lo sguardo dal cellulare e guardai Izzie.

 

“Mi spiace... ma devo andare, c’è... l’altra metà delle gemelle siamesi che mi aspetta, perciò...”

 

“Perfetto!”  gridò Teddy ricevendo occhiate minacciose da chi stava seguendo la conferenza.

 

Uscii dalla sala conferenze, seguita dalla Altman e il suo amico, per dirigermi all’entrata.

 

Appena arrivai trovai Cristina e sua madre che le teneva la borsa.

 

Sembravano nervose.

 

“Che succede?” domandai guardando Cristina che indifesa e spaventata mi guardava con occhi lucidi.

 

“Ho bisogno di Owen, sai dov’è?” chiese afferrandomi improvvisamente il braccio e facendo una smorfia di dolore.

 

“Io... no... non lo so, ma tu stai... bene?” 

 

Notai che aveva i pantaloni bagnati. 

 

“E’ in travaglio” rispose la signora Rubenstain.

 

E’ presto, continuavo a ripetermi nella testa, ma ormai non c’era molto da fare.

 

Avevo una faccia scioccata mentre cercavo di realizzare che Cristina stava per avere il bambino.

 

Teddy ci corse incontro.

 

“Marlow ti presento Cristina Yang, Yang ti presento...” 

 

Altman smise di parlare non appena notò le condizioni di Cristina, la quale guardava Colin con leggero disprezzo. 

 

La dottoressa prese l’altro braccio di Cristina per aiutarla a sorreggersi.

 

“Portate una sedia a rotelle!” ordinò la Altman.

 

“Cos’è successo?” chiese Teddy preoccupata rivolgendosi a Cristina.

 

“Si è stressata un po’ troppo” rispose sua madre.

 

Cristina la fulminò con lo sguardo.

 

“Sarei dovuta rimanere a casa a riposare e avevo iniziato ad accettarlo ma... no... ” s’interruppe presa da una contrazione.

 

“Cristina cerca di non agitarti” 

 

Teddy cercava di calmare Yang, cosa che in quel momento sembrava impossibile.

 

Colin Marlow aveva un’espressione confusa e cercava di tenersi in disparte.

 

“Pensavo che non avrei mai avuto l’onore di vederti incinta” disse Marlow con uno sguardo divertito.

 

“Beh... ora che hai avuto l’onore di vedermi in travaglio sparisci!”

 

Teddy fissò Colin per qualche secondo.

 

“Aspetta, vi conoscete?” chiese appoggiando Cristina sulla sedia.

 

Si conoscono piuttosto bene, pensai.

 

“Meredith... trova Owen... ti prego” supplicò la mia migliore amica.

 

Annuii e prima di andare a cercare Hunt l’accompagnai nella sua stanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   AlisIntoTheDark   

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Stare seduti su un cactus ***


 

 

 

 

 

 

 

Snow

 

 


 

Capitolo 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Meredith

 

 

 

 

 


 

“Sei dilatata di... quattro centimetri” disse la ginecologa finendo di visitare Cristina, la quale sbuffò chiudendo gli occhi.

 

“Voglio uccidermi” sussurrò.

 

Iniziai a ridere per smorzare la tensione che, in quel momento, stava invadendo anche me.

 

La ginecologa uscì dalla camera lasciando me e la signora Rubenstain nella stanza.

 

Cristina si sciolse i capelli ricci e iniziò a giocherellare con l’elastico, era nervosa.

 

“Cerca di... rilassarti” dissi provando a confortarla.

 

Lei mi osservò con uno sguardo leggermente indemoniato.

 

“Per te è facile!” disse “ ma non è così. Non è che dici rilassati e io ho l’azione immediata! Vorrei... solo che questo momento non fosse mai arrivato... non ora almeno.” 

 

“Perché ora diverrà tutto concreto?” domandai cercando di percepire i suoi pensieri.

 

Cristina abbassò la testa e spostò alcuni riccioli che le erano caduti sulla faccia dietro alle orecchie.

 

Sua madre si alzò dalla sedia affianco al letto di Cristina e prese il cellulare dalla sua borsa.

 

“Devo avvertire Saul, vedrai sarà contento!” gridò la donna uscendo dalla stanza.

 

Yang rimase a fissarla qualche istante.

 

“Non... non pensavo che alla fine l’avrei fatto sul serio. Ogni tanto ho l’impressione di star sognando, ma ora so che non sarà più così” disse Cristina guardando l’orologio.

 

Era spaventata, cosa che non ci si aspetterebbe dalla dottoressa Yang.

 

“Dov’è Owen? L’hai chiamato, no?” chiese preoccupata.

 

“Certo. Arriverà tra poco” risposi.

 

Avevo chiamato Hunt, ero andata da lui, l’avevo preso per il colletto della camicia e gli avevo detto di Cristina chiaramente.

 

Non l’aveva presa molto bene.

 

O meglio, era in uno stato di shock totale.

 

Il suo sguardo pensieroso era diventato vuoto, il colore del suo volto si era tramutato da rosa a verde  e le sue mani avevano iniziato a tremare come le foglie scosse dal vento.

 

Infine aveva dato di stomaco, sulle scarpe di Jackson.

 

Insomma, non stava molto bene.

 

“Ne sei... sicura? Perché non ci tengo a passare le prossime ora in compagnia di quella... cosa” disse Cristina indicando sua madre.

 

“Non preoccuparti, rilassati. Ora devo andare, ti mando Izzie?” domandai.

 

Non mi stava più ascoltando.

 

La sua faccia divenne leggermente sofferente.

 

“Sai, puoi chiederla un’ epidurale...”

 

“Cosa dico sempre? I medicinali sono per i bambini.”

 

“Si ma proverai dolore, molto dolore, se fossi in te io la farei”

 

“Già ma non sei tu che devi partorire, piuttosto trova Owen!” gridò rabbiosa.

 

“Ok.Vado a prenderlo” risposi senza battere ciglio e mi dileguai.

 

Uscii dalla stanza e presi il telefono, Alex mi aveva inviato decine di messaggi, così lo chiamai.

 

“Meredith?” rispose.

 

“Ehi, come sta Hunt?”

 

“E’ disteso in posizione fetale su un lettino del poliambulatorio, non pensavo che un uomo sopravvissuto alla guerra potesse avere paura di questo genere” rispose allegro.

 

Si stava mettendo male.

 

“La maggior parte degli uomini reagisce così, almeno credo. Devi cercare di fargli alzare il culo, Cristina si sta innervosendo e non è una buona cosa ne per lei ne per il bambino e nemmeno per chi le sta accanto.”

 

Alex non diede nessuna risposta.

 

“C’è Izzie devo andare!” 

 

“Aspetta, Alex.... Alex!” dissi cercando di fermarlo, ma lui mi attaccò il telefono in faccia.

 

Guardai il cellulare con disprezzo e lo rimisi nella tasta del camice.

 

Alex non avrebbe potuto aiutarmi, troppo preso dai suoi problemi sentimentali con Isobel, sicuramente era ancora innamorato, quindi avrei dovuto cavarmela da sola.

 

Iniziai a dirigermi verso il poliambulatorio quando, davanti agli ascensori, notai un lungo filo di nastro rosso e bianco, a delimitare la zona, e al suo interno erano presenti dei tecnici.

 

Probabilmente uno degli ascensori si era bloccato.

 

Mi avvicinai per vedere meglio tra le persone che si erano fermate ad osservare fino a che un uomo agito le mani per farci andare via.

 

“Si è bloccato uno degli ascensori, non allarmatevi è tutto sotto controllo!” disse uno dei tecnici cercando di cacciarci.

 

Stavo per andarmene quando mi ritrovai davanti Alex.

 

“Alex! Tu dovresti essere da Owen a consolarlo!” dissi dando un pugno sul braccio di Karev.

 

“Ehi! Si è alzato ok! Mi sono distratto a parlare con Izzie e lui non c’era più quando mi sono voltato!” rispose.

 

Estrassi il telefono dalla tasca del camice e chiamai Hunt.

 

“Che fai adesso?” chiese Alex.

 

“Hunt non sa la stanza di Cristina” risposi con voce leggermente agitata.

 

Iniziai a sentire un telefono squillare.

 

Karev si guardò intorno cercando la suoneria che sembrava essere quella di Hunt, poi si voltò verso l’ascensore e mi mise una mano sulla spalla.

 

Guardai anch’io l’ascensore da cui proveniva il suono e iniziai a pensare mille modi su come uccidere Owen.

 

 

 

 

 


 

Owen

 

 

 

 

 


 

Meredith mi stava chiamando e io ero bloccato in un ascensore.

 

L’ascensore.

 

Il maledetto ascensore.

 

“Grey non ti allarmare” dissi cercando di sembrare calmo, cosa che non ero dato che mia moglie avrebbe partorito tra poco e io non potevo raggiungerla.

 

“In questo momento tu non sei il capo, tu sei Owen. Il marito di Cristina, l’amico di Derek, fai parte della nostra famiglia allargata, quindi ti parlerò da amica: che diavolo ci fai lì dentro?” disse Meredith.

 

Diedi un’ occhiata a Mark e Shepherd, i quali erano bloccati con me, e mi grattai la guancia sinistra.

 

“Io... sono uscito dalla mia fase shock e ho pensato che sarei stato più veloce se non prendevo le scale, quindi...”

 

“Owen! Che cosa devo dire a Cristina? Che non ti andava di prendere le scale e sei rimasto bloccato nell’ascensore?”

 

“Beh... sì” risposi non sapendo bene che dire.

 

“Riuscirò ad essere fuori di qui in tempo! Non potrei mai lasciarla sola” affermai cercando di essere  sicuro di ciò che dicevo.

 

Ero talmente agitato da essermi dimenticato persino del lavoro.

 

“Non so quanto tempo riuscirò a tenere a bada la bestia” rispose Grey prima di chiudere la conversazione.

 

Mi accasciai alla parete e scivolai fino a sedermi sul pavimento.

 

Non sapevo che fare, avevo paura di non riuscire a raggiungere Cristina.

 

Iniziai a sentire un po’ d’ansia e tristezza così, Derek, notando che ero giù di morale, mi si avvicinò.

 

“Vedrai che ce la farai. Cristina è una tosta...”

 

“No... non lo è. Lei è terrorizzata, lo so perché... spesso la sento alzarsi di notte, lei si alza e io rimango sveglio ad osservarla e ad ascoltarla mentre parla da sola. E’ terrorizzata. Lo è anche se non lo vuole mostrare” risposi interrompendo Derek.

 

“Guarda il lato positivo, alla fine di tutto avrai un bambino tra le braccia” disse Mark provando ad essere consolatorio.

 

Shepherd lo guardò scuotendo la testa ma face silenzio mentre pensavo che forse sarebbe stato meglio rimanere in quell’ascensore per il resto della mia vita.

 

“Non posso credere che sono realmente bloccato qui...”

 

“Sei una persona sfortunata... come tutti noi. Inizio a pensare che sia colpa di questo ospedale perché le mie disavventure sono iniziate quando mi sono trasferito a Seattle. Cominciando dall’amore impossibile con Lexie, la sparatoria...”

 

“Mark.”

 

Sloan si voltò verso Derek e sorrise.

 

“Cerco di sdrammatizzare la situazione, guardalo!” disse indicandomi “E’ allegro come... un tizio seduto su un cactus!”

 

Shepherd cercò di trattenersi ma preso dal momento iniziò a ridere piegandosi in due e io non potei fare a meno di sorridere.

 

“Non è divertente” affermai cercando di rimanere serio.

 

“Com’è stare seduto su un cactus Hunt?” chiese Derek ironicamente.

 

“Quando il signor Clark a tentato di ucciderti anche tu eri seduto su un cactus, dovresti saperlo” conclusi.

 

I sorrisi di Derek e Mark si spensero ricordando ancora una volta la terribile situazione della sparatoria.

 

“E’ stato divertente stare su un cactus, sembrava di essere in un telefilm” disse Mark.

 

“Un telefilm non dovrebbe fare così paura” rispose Derek con sguardo serioso.

 

Mi alzai in piedi e Shepherd mi mise una mano sulla spalla.

 

“Riusciremo ad uscire da qui in tempo” disse.

 

“Lo spero.”

 

Guardai le porte dell’ascensore e iniziai a sperare che da un momento all’altro si aprissero e mi lasciassero correre da Cristina.

 

 

 

 


 

 

Cristina

 

 

 

 

 

 


“Scusami... non ho capito bene” dissi.

 

“Beh... Hunt è... bloccato in ascensore” ripeté April mentre Meredith annuiva.

 

“Bloccato in ascensore? Bloccato in ascensore!” urlai furiosamente.

 

Meredith prese il bicchiere pieno d’acqua posto sul tavolino e me lo passò, ma lo buttai a terra con uno schiaffo.

 

L’acqua iniziò a espandersi su tutto il pavimento.

 

“Non è possibile che in questo momento lui non possa essere qui, non può non essere qui! Se lui non ci sarà, dopo che avrò partorito dolorosamente suo figlio, la prossima testa che taglierò sarà la sua! E mi piacerà pure vedere il suo sangue schizzare per le pareti della stanza, oh... sì! Mi piacerà da impazzire!”

 

April, continuando a sorridere, fece un passo indietro allontanandosi dal mio letto.

 

Mia madre entrò dalla porta saltellante raccontandomi di aver parlato con il professor Marlow e, quando uscì di nuovo dalla camera, lasciai sprofondare la testa nel cuscino.

 

“Mi correggo, la prossima testa che taglierò sarà quella di mia madre” affermai mettendomi una mano sulla fronte.

 

Meredith chiese ad April di andare a prendere uno straccio, per asciugare l’acqua a terra, e si sedette affianco a me.

 

Mentre osservavo Kepner correre via con quelle odiose scarpe cigolanti, Meredith sorrise e mi prese  un braccio.

 

“Sarà qui” disse provando a rassicurarmi.

 

Sbuffai e sistemai il lenzuolo arancio che mi copriva le gambe.

 

Nel reparto maternità era tutto colorato e pieno di luce, come se il coniglio pasquale ci avesse vomitato sopra.

 

Sentendo un’altra contrazione cominciai a respirare più lentamente, in quei momenti cercavo di rilassarmi ma l’unico pensiero che avevo fisso in mente era operare.

 

Avevo bisogno di entrare in una sala operatoria, poiché era troppo tempo ormai che non toccavo un bisturi.

 

Stavo per partorire, ma non ero psicologicamente preparata all’evento, no... non lo ero.

 

Forse avere un bambino era una delle sfide più grandi che mi erano state poste nella vita, perché ormai operare e salvare vite mi era naturale.

 

Ora avrei dovuto affrontare ciò che mi legava a quel piccolo esserino che mi portavo dentro.

 

Sarei stata una mamma.

 

La mia migliore amica mi persuase dai miei pensieri richiamandomi alla realtà.

 

“Cristina, stai bene?” chiese.

 

Meredith mi adocchiò e fece un leggero sorriso.

 

“Si, era solo... un’altra contrazione” dissi breve restituendo il sorriso.

 

Meredith aprì la bocca per dire qualcosa quando dalla porta della stanza entrò Teddy seguita dall’immancabile dottor Marlow.

 

Mi voltai verso di lui e, notando che mi osservava, iniziai a sentirmi a disagio.

 

“Ehi!” esordì la Altman facendo qualche passo nella mia direzione “siamo venuti a farti una visita, in che punto sei?” chiese riferendosi alla mia posizione nel travaglio.

 

Prima di rispondere lanciai uno sguardo veloce a Marlow.

 

“Sono dilatata di circa sette centimetri”

 

Colin iniziò a ridere cercando di mascherarlo simulando il bisogno di tossire.

 

Meredith si alzò dal letto vedendo rientrare April con lo straccio.

 

“Salve” iniziò frizzante Kepner “ ho... io... ho ricevuto delle... notizie sull’ascensore.”

 

Mi voltai speranzosa verso di lei, ma non servì a niente.

 

“Loro sono... beh... sì... sono-sono bloccati ancora lì”

 

Meredith prese lo straccio dalle mani di April e provò a cambiare discorso mentre, nel frattempo, Colin Marlow mi fissava divertito.

 

“Che cos’hai da fissare?” chiesi acida.

 

“Stavo pensando che stai per avere un bambino e mi fa ridere perché... hai sempre detto che non volevi figli quindi capisco ancora una volta che non sei la Cristina che ricordavo. Deve essere l’effetto di Burke.”

 

Quella volta fui io a ridere.

 

Lui non sapeva assolutamente niente di quel che era successo tra me e Preston.

 

“Burke? Sì beh non stiamo insieme ormai da molto tempo! Comunque, hai presente il dott. Hunt? Il primario di chirurgia? E’ lui che mi ha messo in questa situazione” spiegai.

 

La conversazione si chiuse lì, Marlow capì che non avevo granché voglia di parlare con lui.

 

Sentii il bambino iniziare ad agitarsi e cominciai a provare una leggera nausea.

 

“Hai bisogno di riposare quindi io e il mio amico, anche tuo amico da quel che ho capito, ce ne andiamo” disse Teddy afferrando un braccio di Colin.

 

“E’ stato bello rivederti, Cris” disse l’uomo.

 

Io annuii tentando di tenere a bada la mia nausea.

 

Non appena i cardiochirurghi uscirono dalla stanza, chiamai l’attenzione di April e Meredith.

 

“April cosa sai esattamente dell’ascensore?” domandai tentando di capire se avrei avuto mio marito durante il parto.

 

Lei esitò prima di rispondere.

 

“Beh... ecco... non si sa per quanto... rimarranno là dentro, ma ho chiesto a Lexie se poteva, insomma, restare lì a-a controllare che succedeva”  spiegò Kepner.

 

Avevo uno sguardo assente ormai, non c’era molto che poteva tirarmi su di morale.

 

“Che vuoi fare?” domandò Meredith.

 

Mi passai le mani tra i capelli.

 

“Aspetto.”

 

 

 

 


 

Owen

 

 

 

 

 


 

Erano passate un paio d’ore.

 

Per l’esattezza un’ora e quarantanove minuti.

 

Sloan e Shepherd cercavano di far passare il tempo parlando del più e del meno, ma io no.

 

Non riuscivo a far passare il tempo, ero dannatamente preoccupato.

 

Preoccupato non solo per mia moglie ma anche per il fatto che probabilmente la mia paziente aveva un marito violento ma io non potevo aiutarla.

 

“Quando ci faranno uscire di qui?” domandai a Derek e Mark.

 

I due si guardarono un attimo senza sapere che rispondere.

 

“Sono passate quasi due ore, tra poco dovrebbero farci uscire Hunt” disse Derek accennando uno dei suoi sorrisi.

 

Cercai di non buttarmi giù e fissai le mattonelle del pavimento dell’ascensore per quasi un minuto.

 

Mark guardò le porte scorrevoli e iniziò a sentire degli strani rumori.

 

“Li sentite?”

 

Derek alzò la testa tendendo le orecchie, io feci la stessa cosa.

 

Osservai le porte pieno di speranza, volevo che si aprissero, che mi lasciassero passare.

 

Avevo l’obbligo di uscire da lì.

 

Mark si avvicinò all’uscita dell’ascensore e attese in silenzio finché qualcosa non scattò e le porte si aprirono improvvisamente.

 

Scattai in piedi durante gli applausi che si ricevevano i tecnici dalle infermiere.

 

“Ok, andiamocene” disse Derek.

 

Uscii finalmente dall’ascensore e ritrovai Lexie che mi veniva in contro.

 

“Ehi! Ciao! Devo avvertirti che hanno già iniziato, ma non agitarti! Sei uscito in tempo! Ce la puoi fare!” disse la pimpante ragazza.

 

Dovevo assolutamente raggiungere Cristina, era il momento, stavamo per diventare genitori.

 

Mi feci dire la stanza di Cristina e ringraziai Lexie per essere rimasta ad aspettarmi.

 

Iniziai a correre verso la maternità, scontrai un paio di infermiere e per un pelo non centrai una barella.

 

Sentivo l’adrenalina scorrermi nel sangue, sicuramente niente avrebbe potuto intralciare la mia strada.

 

Non appena arrivai vicino alla stanza giusta cominciai a sentire le urla di Cristina.

 

Entrai nella camera e la prima cosa che notai fu lo sguardo spaventato di mia moglie, i miei occhi erano solo per lei.

 

Mi avvicinai al letto dove Meredith le teneva la mano mentre la ginecologa controllava che fosse tutto a posto.

 

“Owen” bisbigliò Cristina mentre nei suoi occhi si accendeva una luce.

 

“Sono qui, sono qui” dissi prendendole la mano e accarezzandole la testa.

 

“Io... ti uccido!” affermò afferrandomi il colletto della camicia.

 

“Sai che sto morendo di paura e tu ti diverti a... nasconderti negli ascensori!” urlò.

 

“No! Non è così! Sono qui, ho passato l’inferno in quell’ascensore ma ora sono qui e voglio sostenerti e aiutarti nel modo in cui posso perché ti amo.”

 

La ginecologa ci interruppe avvisandoci che era il momento di riniziare.

 

Cristina mi strinse forte la mano e mentre spaventata affrontava le sue paure, le nostre paure, io le sussurravo parole di incoraggiamento.

 

Avrei voluto provare io il suo dolore, non volevo vederla soffrire, ma l’unica cosa che potevo fare era comportarmi da figura rassicurante.

 

“Ok, al tre spingi” disse la dottoressa.

 

Cristina iniziò a spingere tra una contrazione e l’altra.

 

Lei era forte, sapevo che infondo stava facendo tutto quello per me.

 

“Cristina ce la puoi fare! Stai andando bene!” disse Meredith.

 

Dopo l’ultima contrazione Cristina si accasciò sul lettino ansimante.

 

“Non... non posso... io...”

 

“Cristina” la chiamai “ce la fai, ce la puoi fare devi solo... fare un ultimo sforzo.”

 

Lei sbuffò, sapeva che era ciò che si diceva alle donne mentre partorivano, ma invece di arrendersi fece un respiro profondo gonfiando d’aria le guance, si risedette sul letto e poi mi guardò.

 

Annuì e capii che era pronta a continuare.

 

Passarono i secondi, i minuti, le ore, ogni istante era importante e ci avvicinava alla fine.

 

Era sera ormai.

 

Continuai a stringere la mano di Cristina e ad accarezzarle i capelli neri finché l’ostetrica non ordinò a mia moglie di smettere. 

 

Cristina si fermò e guardò la ginecologa avvolgere quel batuffolo con una copertina. 

 

Un lamento, il pianto di un bambino, dilaniò nella stanza squarciando l’aria.

 

Erano piccoli polmoni ma potenti, come quelli della madre.

 

“Oddio” sussurrò Cristina.

 

Mi voltai verso di lei, che stanca respirava faticosamente, e le feci un sorriso enorme.

 

“Siamo... genitori?” domandò, forse non riusciva a realizzarlo nemmeno lei.

 

“Penso di si. Grazie” dissi.

 

Ero felice, veramente felice.

 

“Di cosa?” chiese leggermente stranita.

 

“Di essere arrivata fino in fondo, solo... per questo”

 

Lei sorrise e appoggiò delicatamente la testa sulla mia spalla.

 

“Ti amo.”

 

Mi ama. Lo so.

 

Quella fu una delle poche volte che me lo disse senza pensarci o senza vergognarsi.

 

La sua corazza di ghiaccio si era sciolta per davvero.

 

“Scusate, mi dispiace interrompere questa scena molto carina, ma qualcuno vorrebbe conoscervi e credo che preferirebbe stare tra le vostre braccia” disse Meredith stringendo il bambino il quale pianto ci fece voltare.

 

Non sapevamo se fosse un lui o una lei ma non ci importava granché.

 

“E’... ha tutte le dita?” chiese Cristina alzando il mento per scrutare meglio il piccolo.

 

“Dita più... dita meno. E’ ok. E’... semplicemente perfetta” disse.

 

Era una bambina.

 

L’avevo sempre saputo, ne ero stato convinto fin dal primo momento, e adesso, che avrei potuto coccolarla e tenerla stretta, ero ancora più felice.

 

Cristina fece un leggero sorriso e Meredith le pose la piccola tra le braccia.

 

Le manine chiuse a pugno appoggiate sul petto, gli occhi sigillati per proteggersi alla luce della stanza, i capelli neri inclini ad arricciarsi, la pelle candida. 

 

Era bellissima.

 

Cristina inclinò la testa di lato e notai che aveva iniziato a piangere.

 

Era emozionata e ciò non me lo sarei mai aspettato da lei.

 

“Ti assomiglia” sussurrai accarezzando il braccio di mia figlia.

 

“Avevi ragione, su ogni cosa.”

 

“Anche sul fatto che si chiamerà Elizabeth?” dissi scherzando.

 

Scosse la testa.

 

“Non ho cambiato idea, sai che io non cambio idea facilmente” rispose cullando dolcemente la piccola.

 

Sembrava volesse proteggerla.

 

“Lo so, comunque non possiamo chiamarla Cole” dissi osservando la bimba che tranquilla ci mostrava bellamente la lingua.

 

Lei non rispose era persa in quel semplice gesto di osservare la propria figlia che per la prima volta tentava di aprire gli occhi.

 

Era scattato qualcosa in lei.

 

Era diventata diversa, era... semplicemente una mamma.

 

 

 

 

 

 

 

0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman';"> 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  AlisIntoTheDark  


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=867207