Like A Rose On The Grave Of Love di Ariel Winchester (/viewuser.php?uid=140705)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Irina ***
Capitolo 2: *** I Miss You ***
Capitolo 3: *** A New World ***
Capitolo 4: *** Eyes ***
Capitolo 5: *** Roses ***
Capitolo 6: *** Red ***
Capitolo 7: *** Dark Star ***
Capitolo 8: *** The Chevalier ***
Capitolo 9: *** The Story ***
Capitolo 10: *** Run ***
Capitolo 11: *** Meds ***
Capitolo 12: *** Dance With The Devil ***
Capitolo 13: *** Salt In Our Wounds ***
Capitolo 14: *** Under The Rose ***
Capitolo 15: *** The Transition ***
Capitolo 16: *** House On A Hill ***
Capitolo 17: *** Rainbow In The Dark ***
Capitolo 18: *** A Thousand Lights ***
Capitolo 19: *** Frozen ***
Capitolo 20: *** Hurt ***
Capitolo 21: *** Devil Wouldn'T Recognize You ***
Capitolo 22: *** Elegantly Broken ***
Capitolo 23: *** Living In A Lie ***
Capitolo 24: *** Break The Spell ***
Capitolo 25: *** What Kind Of Love ***
Capitolo 26: *** Remember Everything ***
Capitolo 27: *** I am the only one ***
Capitolo 28: *** The Beautiful Ones ***
Capitolo 29: *** Unchain The Rain ***
Capitolo 1 *** Irina ***
-Irina-
Bulgaria
1490
“Spingi
più forte, Katerina! Ancora un po'!” disse mia madre.
Mia
sorella lanciò un altro grido di dolore e si rizzò a
sedere di scatto sul letto in cui giaceva.
Non
potevo fare nient'altro che tenerle la mano e farle forza con lo
sguardo mentre lei, in preda a forti dolori, metteva al mondo il suo
bambino.
Le
asciugai la fronte madida di sudore e lanciai un occhiata ad Ada e a
mio padre, tutti e due si tenevano a debita distanza da noi. Mia
sorella guardava Katerina quasi con ribrezzo mentre mio padre restava
in un angolo buio, nell'oscurità in cui quel bambino
illegittimo, secondo lui, lo avrebbe fatto cadere.
Le
fiamme delle candela illuminavano la stanza, il volto di Katerina era
sofferente e i suoi occhi scuri lucidi di lacrime.
“Vedo
la testa!” esclamò nostra madre, ci fu un ultimo e lungo
straziante grido di dolore di mia sorella che terminò con il
pianto di un bambino, guardammo verso nostra madre che teneva tra le
braccia una piccola creatura piangente “È una femmina”
disse con lacrime di commozione agli occhi.
Katerina
sorrise e per me fu una gioia vedere il suo viso illuminarsi di
felicità ,dopo lunghe ore di dolore e lacrime. Fino a qualche
mese prima aveva paura a partorire quella creatura e credevo fosse
anche arrivata quasi ad odiarla.
Ma
mentre la guardava in lei riuscivo solo a scorgere l'emozione di
essere diventata madre.
“Una
femmina?” ripeté.
Nostra
madre annuì, dopo aver coperto la piccola la allungò
verso di lei.
Ma
appena Katerina si protese per prenderla, nostro padre si precipitò
accanto al letto e strappò via la piccola dalle braccia della
moglie prima che raggiungesse quelle di mia sorella.
Fu
come se le avesse strappato il cuore dal petto.
Mi
chiesi come potesse infierire in quel modo sugli occhi da cerbiatto
di sua figlia?
Per
lui c'era sempre e solo stato l'onore prima di tutto, Katerina aveva
avuto quella bambina da uno sconosciuto con cui non era sposata e per
lui non meritava quindi alcuna compassione anche se era sua figlia.
Quando mia sorella lo implorò di non portargliela via e cercò
di afferrare la camicia di nostro padre per fermarlo nonostante fosse
provata dal parto, mi pianse il cuore.
“No!”
esclamò mio padre stringendosi la bambina al petto e guardando
il bel viso della figlia solcato dalle lacrime con odio “Hai
disonorato la nostra famiglia con questa bambina, non meriti di
crescerla dopo tutto quello che hai fatto!”
Quando
lui lasciò la stanza,Katerina pianse disperata e mia madre le
disse di lasciarla andare.
Anche
lei piangeva per il dolore della figlia e la strinse forte a sé,
cercando di trattenere i suoi singhiozzi. Non sopportavo quella scena
drammatica, mia sorella non meritava di soffrire così.
Seguii
mio padre in cucina cercando di non inciampare goffamente sulla gonna
e sperando di poter riuscire a convincerlo a lasciare le bambina a
sua madre.
Passai
accanto ad Ada che sembrò quasi gioire della disperazione di
Katerina.
Lo
raggiunsi rapidamente e gli posai una mano sulla spalla, sapeva già
cosa volevo dirgli perciò m'interruppe in partenza “No
Irina, tua sorella ci ha disonorato e merita una punizione esemplare”
disse con tono duro “Ha avuto una figlia senza essersi sposata,
te ne rendi conto o no?”
“Ha
sbagliato” dissi muovendo velocemente le mani “Non farle
questo ti prego!”
“Ti
ho detto di no Irina!”
“Ma
lei non merita...”
Lui
mi fermò dandomi un ceffone sulla guancia con la mano libera,
tanto che per poco caddi a terra per quanto il colpo fu forte.
“Sono
io che do gli ordini qui” disse quasi gridando, spaventando
ulteriormente la piccola che pianse più forte.
Mi
portai la mano sulla guancia calda per via del colpo e guardai il
pavimento “E tu sopratutto non hai alcun diritto di
contraddirmi!”
Uscì
fuori dalla nostra umilissima casa e sentii il nitrire dei cavalli.
Mi fu chiaro che nostro padre aveva già predisposto tutto per
portare via la piccola ancor prima che nascesse.
Mi
salirono le lacrime agli occhi ma non per lo schiaffo, ero abituata
alla rudezza di mio padre, bensì per il fatto di non essere
riuscita ad aiutare mia sorella che per me era tutto.
Sentii
Ada ridere alle mie spalle, la guardai tristemente.
“Disonore
chiama disonore” disse stringendosi le braccia al petto “Prima
Dio mi da una sorella muta e ora l'altra sgualdrina...cosa ho fatto
di male?”
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Capitolo 2 *** I Miss You ***
-I
Miss You-
Un
anno dopo....
Malgrado
fosse passato un lungo anno, per coprire l'onta subita, mio padre
decise di mandare Katerina in un altro paese chiamato Inghilterra
dove avrebbe vissuto almeno fino a quando le voci sul suo conto si
sarebbero placate.
Quindi
per moltissimo tempo.
Non
riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lei: era mia sorella e
allo stesso tempo era la mia migliore amica, l'unica che non mi
considerava un mostro insieme a mia madre.
Se mio
padre me l'avesse portata via, io sarei rimasta completamente sola.
Mentre
fissavo la carrozza su cui avrei visto mia sorella per l'ultima
volta, non riuscivo a trattenere le lacrime. Mia madre mi teneva
sottobraccio mentre mio padre e Ada aspettavano impassibili che
Katerina uscisse di casa.
La
cosa non mi stupiva: Ada, nonostante fosse la più grande di
noi tre, non era mai andata d'accordo con Katerina per cui provava
anche invidia, mentre mio padre non l'aveva mai considerata una
figlia modello.
Proprio
come me: la figlia del peccato a cui il diavolo aveva strappato la
lingua dalla nascita rendendola muta.
Purtroppo
sia io che mia sorella eravamo vittime del pregiudizio e della
superstizione.
“Stai
tranquilla piccola, non piangere” mi sussurrò
all'orecchio mia madre, la guardai: aveva gli stesso occhi scuri e
dolci di Katerina. Io ero l'unica ad avere gli occhi azzurri in
famiglia, ereditati probabilmente dalla nonna. Quando Katerina uscì
all'esterno, alzò la testa verso la fioca luce del sole come
se temesse di vederlo per l'ultima volta.
Lanciò
un occhiata gelida ad Ada a a nostro padre che sembravano non
vedessero l'ora di vederla salire sulla carrozza e sparire per
sempre.
Mia
sorella si voltò verso me e mamma e si sforzò di
sorridere. Ma era chiaro che stava soffrendo terribilmente e la sua
bellezza non poteva nascondere quel dolore.
“A
presto, madre” disse rivolgendosi a nostra madre a
abbracciandola forte, come se quella fosse l'ultima volta.
Abbassai
lo sguardo, giocherellando con i miei lunghi capelli raccolti in una
treccia : non riuscivo a trattenere le lacrime e in un baleno mi
ritrovai con gli occhi gonfi e bagnati.
Katerina
, quando si rivolse a me, scoppiò a ridere, anche se i suoi
occhi erano velati di tristezza “Irina, non far piovere sul tuo
viso, insomma!” ridacchiò, mi abbracciò forte e
in un attimo mi ritrovai con la testa invasa dai mille ricordi: i
nostri giochi, le nostre lunghe chiacchierate in cui io potevo solo
limitarmi ad ascoltare.... stava per finire tutto.
Quando
Katerina sarebbe salita su quella carrozza, l'avrei persa per sempre.
“Ti
amo più della mia vita, sorellina. Anche se sarò
lontana, ti starò sempre vicina con il cuore” sussurrò
al mio orecchio con voce tremante.
La
strinsi forte a me, non volevo lasciarla andare.
Ci
guardammo a lungo e Katerina mi prese una mano tra le sue mentre io,
con l'altra le accarezzavo i lunghi ricci scuri “Ricordati
quello che ti ho detto: anche se non hai voce,tu parli con il cuore
ed è questa la cosa più bella che un umano possa fare.
Non essere mai triste, perché la gente cercherà sempre
di schiacciare il bellissimo fiore che sei. Anche se non puoi
dirmelo, io so che mi vuoi bene. E te ne voglio anche io”
Tirai
su con il naso, perché non potevo dirle quanto mi sarebbe
mancata? Non era giusto che non potessi gridare al mondo che le
volevo bene.
Nostro
padre si avvicinò a noi rapidamente “Ora basta!”
disse, prese rudemente Katerina per il polso e la trascinò
verso la carrozza.
Quando
cercai di allungare la mano verso di lei, mia madre mi fermò:
sapeva che, se avessi provato a fermare mio padre, sarei stata
duramente punita da lui.
Katerina
continuò a guardarci, mentre si avvicinava sempre di più
alla carrozza.
Quando
salì, mio padre disse qualcosa al conducente e i cavalli
iniziarono a nitrire rumorosamente. La carrozza si mosse lentamente,
ma io dovevo far capire a mia sorella quanto le volevo bene: non
volevo che il silenzio fosse l'ultima cosa che ricordasse di me.
Prima che la carrozza prendesse velocità, strappai due fiori
dal piccolo giardino dietro casa mia, poi iniziai a correre verso la
carrozza.
“Irina,
torna subito qui!” gridò alle mie spalle mio padre.
Lo
ignorai, anche se sapevo che la mia disobbedienza sarebbe stata
severamente punita. Riuscii miracolosamente a raggiungere la carrozza
e lasciai i fiori dentro il finestrino da cui mia sorella si
affacciò. Le due margherite dovevano esserle cadute in grembo,
sperai che capisse che simboleggiavano noi due: la lontananza non ci
avrebbe mai separate.
Mi
fermai quando ormai la carrozza era più veloce di me e guardai
tristemente il volto di mia sorella, in lacrime, affacciarsi
un'ultima volta a guardarmi.
Poi
rimasi sola.
Passò
un altro lungo anno e la situazione non era cambiata.
Mio
padre e Ada non avevano alcuna intenzione di sentir anche solo
nominare Katerina e io ero come al solito sola ed emarginata. Passavo
molto tempo nella foresta, amavo la natura e sopratutto mi piaceva
coltivare erbe e fiori, per questo avevo un piccolo giardino dietro
casa, una gioia che mio padre mi avrebbe negato se mamma non gli
avesse detto che anche a lei piaceva.
Ma la
mia vita non era più la stessa senza Katerina: era con lei che
passavo ore e ore nella foresta, era lei che si congratulava con me
se un fiore cresceva bene ed era lei a consolarmi quando invece un
fiore appassiva.
Allora
ero sola, non avevo amici perché nessuno voleva avere nulla a
che fare con un “demonio” come venivo definita. Quando
ero piccola, le madri mettevano in guardia i figli da me e gli adulti
mi trattavano come se fossi un mostro. Tutto a causa del fatto che
ero muta, il diavolo mi aveva tolto la voce prima che nascessi,
perché ero malvagia.
Ero
sempre stata vittima di stupide superstizioni e pregiudizi, se non
fosse stato per Katerina e mia madre, probabilmente non sarei mai
arrivata ai quindici anni.
Ada mi
odiava, perché secondo lei ero solo una macchia sul suo futuro
e mio padre la pensava più o meno come lei. Non ricordo un
solo singolo abbraccio da parte sua. Katerina aveva sempre pagato il
fatto che mi voleva troppo bene e il fatto di aver avuto una bambina
illegittima non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.
Mi
chinai a raccogliere delle erbe da un cespuglio e sospirai
malinconica, Katerina mi aveva mandato parecchie lettere in
quell'ultimo anno, ero felice che avesse imparato la scrittura in
quel lontano paese: sosteneva che l'Inghilterra era bellissima e che
l'uomo che la ospitava, un bellissimo nobiluomo, era gentilissimo con
lei.
Da
come ne parlava, ne sembrava innamorata.
Ada
una volta lesse una delle lettere e rise sprezzante, facendo commenti
poco carini e molto sboccati su nostra sorella ed ebbi la conferma
che Ada odiasse Katerina sopratutto per via della sua bellezza.
Sinceramente la invidiavo anche io un po' per via del suo soggiorno
in quella terra: io dovevo ogni giorno sopportare l'odio di mio padre
e le angherie di Ada, solo mia madre mi stava vicino e mi proteggeva
come meglio poteva.
“Irina?!”
Sentii una voce chiamare il mio nome, mi rizzai in piedi e vidi in
lontananza Ada che si guardava attorno con disgusto. A differenza mia
e di Katerina, lei odiava la foresta: per lei era solo un insieme di
schifosi insetti e terra con cui si sarebbe potuta sporcare.
I suoi
unici interessi erano sparlare e trovarsi un marito, ma dubito che lo
avrebbe trovato se fosse rimasta così acida.
Appena
mi vide,Ada sbuffò “Oh eccoti, nostro padre ti vuole
urgentemente parlare” disse, storcendo le strette labbra.
Doveva
essere davvero importante se nostro padre mi voleva di nuovo tra i
piedi.
“Perché?”
le chiesi nel mio linguaggio.
Ada
fece spallucce “Non lo so, un uomo è venuto a casa oggi
pomeriggio e ti vuole incontrare” disse “Chissà
perché vuole vedere un mostro come te...”
Ignorai
la parte finale e la seguì, notai subito la carrozza lasciata
di fronte alla nostra casa. Doveva trattarsi di qualcuno di nobile e
di sicuro non di un falegname umile come nostro padre.
Appena
entrammo, percepii l'odore di tè che mamma era solita
preparare solo in presenza di ospiti. E se era alla tisana, l'ospite
doveva essere davvero importante.
Infatti,i
nostri genitori non erano soli e con loro c'era un uomo,
probabilmente sui quarant'anni: non molto alto, con lunghi capelli
neri, occhi scuri e un naso aquilino. Indossava abiti eleganti, forse
un po' troppo per entrare in una casa come la nostra.
“Ecco,
lei è Irina” disse Ada sorridendo calorosamente
all'uomo, come non aveva mai fatto con me.
La
guardai stupita mentre l'uomo si alzava lentamente, mi sorrideva
eppure mi sembrava che fosse un sorriso di circostanza “Irina”
disse come se fosse un piacere “Piacere di conoscervi. Io sono
Vladimir”
Fece
un mezzo inchino ,come se avesse di fronte a sé non una
contadinella del villaggio ma una principessa. Quando mi prese la
mano e la baciò sul dorso, lanciai un occhiata confusa ai miei
genitori: mio padre sorrideva come se fosse Natale mentre mia madre
evitava deliberatamente il mio sguardo.
“Siete
davvero bella come ti hanno descritta” aggiunse Vladimir quando
le sue labbra si separarono dalla mia mano. Non ero mai stata
trattata così da un uomo e sospettai subito che sotto ci fosse
qualcosa, non era una sensazione piacevole.
Inoltre
Ada si era parecchio incupita, quando quell'uomo mi aveva definita
“bella”.
“Che
succede?” chiesi rivolta a mamma, mio padre si alzò
in piedi e mi lanciò un occhiata di disapprovazione. Temetti
che volesse schiaffeggiarmi, ma poi rammentai la presenza di
quell'ospite dall'accento russo che avevo di fronte.
“Irina,
quest'uomo è un mio caro amico russo” disse guardando
Vladimir con un sorriso complice “Ed è venuto fin qui
dalla Russia per chiedere la tua mano”
Mi
ritrovai con gli occhi sgranati per la sorpresa e notai Ada
mordicchiarsi le labbra nervosamente: voleva essere lei la prima e
sposarsi e ad avere un figlio, ma a quanto sembrava sia io che
Katerina l'avevamo anticipata.
Anche
se non avevo alcuna intenzione di sposarmi con uno sconosciuto.
“A
lui non importa del tuo...problema” aggiunse mio padre “Ed
è disposto a portarti con sé in Russia”
Allora,
era quello il problema? Mio padre voleva liberarsi di me, perché
aveva trovato un anima pia disposta a sopportare la mia “condanna”?
Mi ero sentita dire parecchie volte, da Ada, da mio padre e da altre
persone, che non avrei mai trovato un uomo che mi avrebbe amata,
perché ero diversa. E Vladimir doveva essere stato spinto da
una mano dal cielo, secondo mio padre, per aver deciso di sposare un
mostro come me.
“Sapete
Irina, io e vostro padre eravamo molto amici tempo fa. Ma per
divergenze lavorative, ci siamo separati” iniziò a
raccontare Vladimir “Per me è quindi un onore, poter
sposare una delle sue figlie”
Strinsi
i pugni, quell'uomo mi parlava come se desse per scontato che avrei
accettato la sua proposta. Perché era l'unico uomo che avrebbe
mai potuto accettarmi.
Ma non
avevo lo stesso alcuna intenzione di accettare: preferivo rimanere da
sola per sempre, che sposare uno sconosciuto in abiti eleganti che
provava solo pietà per me.
“Mi
farò andare giù tutte le tue difficoltà e
sopporterò con pazienza la vostra malformazione”
aggiunse Vladimir, prendendomi le mani tra le sue e sorridendomi
calorosamente.
Malformazione?
Mi trattenni dal colpirlo in volto con uno schiaffo: io ero
normalissima, non avevo alcun problema e non avevo bisogno della
compassione di un poveraccio vestito da nobiluomo per sentirmi amata.
Avrei trovato l'amore, prima o poi, e se non lo avessi trovato,
allora sarei rimasta sola, ma era meglio così.
Katerina
diceva sempre che la vita era crudele e che senza l'amore non saremmo
mai riusciti a viverla. Io la pensavo come lei: volevo anche io
l'amore e non mi importava se mio padre mi avrebbe punito a vita, in
caso di rifiuto.
Ritirai
le mani bruscamente e guardai mia madre, che era in pena per me.
“Da
quanto tempo va avanti?” chiesi gesticolando velocemente.
Notai
con la coda dell'occhio mio padre: mi stava fulminando con lo
sguardo, mentre dall'altra parte Ada, sembrava quasi compiaciuta che
mi stessi in qualche modo “ribellando”. Era la prima e
ultima volta in cui la vidi dalla mia parte.
“Sono
mesi che lo progettiamo, Irina” rispose mio padre, impedendo
alla moglie di proferire parola. “Sono tuo padre e non voglio
che tu resti sola”
Bugiardo.
Lui
voleva solo liberarsi di me, come aveva fatto con Katerina.
Così
si sarebbe liberato dell'altro disonore vivente della famiglia
Petrova. Non voleva rischiare di ritrovarsi una zitella in casa a
vita.
Cercai
di trovare il coraggio di dirgli che non volevo sposarmi, ma lui non
me ne diede l'opportunità “Il matrimonio si celebrerà
tra un mese” concluse, con un tono che mi fece comprendere che
non avrebbe accettato repliche “Tutto è già stato
deciso. E non si torna indietro.”
Mia
madre non poteva aiutarmi in alcun modo, la donna era proprietà
del marito e se avesse, anche solo provato a far cambiare idea a
nostro padre, sarebbe stata punita.
Non
volevo che ci rimettesse lei a causa mia, già pagava
abbastanza per il bene che mi voleva.
Scrissi
così una lettera a Katerina, usando le poche parole che avevo
imparato a scrivere. Le parlai di tutto quello che stava accadendo,
con Vladimir e con i preparativi: il mio ipotetico futuro marito era
tutto preso da essi e non mi rivolse più la parola per due
ovvi motivi: ormai ero sua, mio padre gli aveva ceduto la mia mano, e
poi sapeva che non avrei potuto rispondergli.
La
risposta di mia sorella arrivò dieci giorni prima della
cerimonia: era una lettera che all'inizio mi sembrò folle ma,
rileggendola diverse volte, mi sembrò tutt'altro.
“Ne
ho parlato con lord Niklaus, il nobiluomo che mi ospita, e lui ha
acconsentito ad ospitarti qui per tutto il tempo che vuoi. Non per
sempre, ovviamente, ma il tempo necessario per sfuggire a questo
matrimonio indesiderato. Fidati Irina, l'Inghilterra è un
mondo completamente diverso, qui ti sentirai amata e accettata. La
tua vita cambierà come è cambiata la mia”
Rilessi
la lettera ancora un ultima volta e un sorriso apparve sul mio viso:
volevo anche io cambiare la mia vita.
Sarei
fuggita in Inghilterra.
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Capitolo 3 *** A New World ***
Non
riusciva nemmeno a pronunciare il nome del paese che, secondo la sua
logica materna, era diventata la nuova casa per una delle sue
figlie.
Sapevo
che la mia richiesta probabilmente la stava facendo soffrire,ma
avevo davvero il desiderio di raggiungere l'Inghilterra: volevo
ricongiungermi con mia sorella e volevo scappare da quel matrimonio
indesiderato.
Per
una volta, volevo essere io a prendere in mano le redini della mia
vita.
Mamma
continuò a tagliare della verdura, mentre io le stavo accanto
con la lettera di Katerina tra le mani. Non sapevo ancora come fare
per raggiungere quel lontano paese e potevo contare solo su mia
madre per farlo.
Ma
temevo che anche lei fosse a corto di idee, proprio come me: in
fondo mio padre aveva organizzato tutto per far trasferire Katerina
ed era quindi lui che conosceva le giuste manovre da fare.
Lei
sospirò e si pulì le mani bagnate con un panno; mi
guardò a lungo e studiando il mio sguardo deciso.
“Tu
lo sai che io non ho mai voluto questo per te?” mi disse con
un filo di voce, come se temesse che qualcuno potesse sentirci. Ma
mio padre era troppo impegnato nel preparativi e Ada non riusciva a
schiodarsi dal braccio di Vladimir. Eravamo sole, in quel momento.
Mi
prese la mano, era fredda e tremante. “Non ho mai voluto che
tu soffrissi in questo modo.” disse “Ho fatto moltissimi
errori nella mia vita e tu e Katerina ne avete pagato le
conseguenze. Perciò se tu vuoi raggiungere tua sorella, anche
se la vostra mancanza potrebbe uccidermi, ti aiuterò ad
andare in Inghilterra.”
La
guardai dispiaciuta, per un attimo pensai di lasciar perdere tutto e
non lasciarla sola.
Ero
io che l'avevo fatta soffrire, non lei e non meritava anche di
rischiare quel poco di felicità che aveva per me.
“Non
dubitare, Irina.” disse scuotendomi dolcemente la mano. “Anche
se ti sposerai con quell'uomo, io resterò sola, perché
tu andrai in Russia. Perciò preferisco saperti lontana ma
felice insieme a tua sorella...piuttosto che infelice con un uomo
che non ami.”
Deglutii
e, improvvisamente, le buttai le braccia al collo come se avessi
paura che quella fosse l'ultima opportunità per abbracciarla.
Il giorno seguente, mia madre riuscì a prendere i risparmi
che mio padre aveva messo da parte per il viaggio in Russia, in modo
che coprissero le spese per raggiungere l'Inghilterra. Lui, occupato
com'era, non se ne sarebbe accorto subito.
Decisi,
ad insaputa di mia madre, di scrivere una lettera d'addio in modo
che, quando mio padre avesse scoperto tutto, avrebbe sospettato che
avessi fatto tutto da sola. Ma non sapevo scrivere bene, perciò
lasciai scritte solo poche parole che lasciassero comunque intendere
il concetto della mia fuga volontaria.
Era
tutto organizzato, affinché prendessi una carrozza in piena
notte, così che nessuno potesse accorgersene. Mia madre mi
preparò una sacca con tutto l'indispensabile per il viaggio e
riuscì a lasciarmi anche qualche moneta in caso dovesse
servirmi.
Mi
indicò per filo e per segno, il percorso che avrei dovuto
seguire, persino poche ore prima della mia partenza, mentre mio
padre e Ada dormivano nei loro letti.
Sorrisi
al pensiero che, per la prima volta, avrei visto anche il mare, di
cui tanto avevo sentito parlare in passato.
“Madre,
che succede?”
Io
e mia madre ci voltammo di scatto verso Ada che, a causa delle
candele accese in cucina, doveva essersi svegliata. La guardai
spaventata; se avesse parlato con mio padre, sarebbe saltato tutto
il nostro piano.
Mamma
si avvicinò a lei lentamente “Non è niente,
tesoro. Torna a letto.” disse posandole una mano sulla spalla.
Ada non si mosse, guardò prima lei poi la sacca che tenevo in
mano, nonostante cercassi di nasconderla dietro la schiena. E allora
capì tutto.
“Se
ne va?” sussurrò rivolta a mamma, indicandomi con il
dito.
Intanto,
io pregavo che restasse in silenzio.
Mi
aspettavo però da un momento all'altro, che si mettesse ad
urlare e a chiamare nostro padre.
Allora
sarebbe stata la fine del mio sogno di fuga.
“Ada,
ti prego...” cercò di dire mia madre.
“Perché
la state aiutando a scappare?” ripeté ancora Ada
confusa.
Abbassai
lo sguardo, stringendo forte i pugni. Ormai mi stavo lentamente
rassegnando all'idea della disfatta.
“Ada,
ti spiegherò tutto domani.”
“No,
vorrei saperlo ora, madre.” insistette Ada, ma teneva sempre
un volume di voce parecchio basso. Non voleva svegliare nostro padre
ma non capivo se per il fatto che lui si sarebbe parecchio
arrabbiato se fosse stato svegliato nel cuore della notte o perché
non voleva ostacolare, non me, ma mia madre.
“Perché
lei non merita questo!” Mia madre scosse la spalle di Ada,
sotto il mio sguardo stupito. “E tu lo sai bene, in fondo al
tuo cuore. Sai che tua sorella, come Katerina, merita solo il bene.
Ti prego, non impedirle di essere felice, figlia mia!”
Ada
restò in silenzio, mi lanciò una lunga occhiata e poi,
sotto la luce della candela, abbozzò un sorriso. Non lo avevo
mai visto sul suo viso, quando mi guardava.
Fu
una bellissima sensazione.
“Io
non mi sono mai alzata, questa notte” sussurrò a mia
madre.
Lei
le sorrise e le diede un bacio sulla guancia.
Quando
Ada si voltò verso le scale per tornare in camera, corsi
verso di lei e la fermai.
L'abbracciai
come mai avevo fatto prima; era il mio modo per ringraziarla per
quel piccolo grande gesto che aveva compiuto nei miei confronti.
Non
sapevo se in fondo lo avesse fatto per sé stessa, ma non
m'importava.
Per
una volta, non avevo visto disprezzo nei suoi occhi e la cosa mi
bastava.
Ada
ricambiò difficilmente quell'abbraccio. “Almeno avrò
tutta la camera per me ora...” disse.
Sorrisi,
poi la lasciai andare. Lei mi lanciò un ultima lunga occhiata
e mi chiesi se, magari, le fossi mancata. Non avevo però più
tempo per avere quei pensieri, altrimenti avrei perso la carrozza.
Mia
madre mi accompagnò vicino alla foresta, dove la carrozza mi
aspettava e mi abbracciò a lungo prima di lasciarmi salire.
Dio solo sapeva, quanto mi sarebbe mancata.
Una
volta messo il piede sopra la carrozza, iniziò la mia fuga.
*
* * *
L'Inghilterra
era davvero un mondo nuovo.
Proprio
come mi aveva accennato Katerina, fu come immergersi in un mondo
diverso, pieno di luci e colori. Ero tesa però, mentre
guardavo l'enorme distesa di verde che circondava la stradina dove la
mia carrozza stava procedendo.
Non
mi ero mai allontanata dal mio piccolo villaggio, quindi viaggiare da
sola mi aveva un po' spaventata. Solo il pensiero di iniziare una
nuova vita insieme a Katerina, mi aveva dato la forza di non voltarmi
indietro.
Inoltre,
non conoscevo una parola di inglese e nessuno lì sapeva della
mia condizione. In una delle ultime lettere che mi aveva inviato
prima della mia partenza, Katerina mi aveva rassicurato che avrei
imparato l'inglese nel giro di poco tempo e il fatto che non potessi
parlare, non avrebbe in alcun modo influito negativamente sul mio
periodico soggiorno presso la corte di Klaus.
Mi
rizzai sulla schiena ,quando vidi in lontananza un enorme villa
circondata da immensi giardini. Restai a bocca aperta per quanto era
bella, sembrava una di quelle abitazioni delle favole che mamma mi
raccontava quando ero bambina.
Sentii
le gambe tremarmi e improvvisamente avvampai in volto, ero spaventata
dall'idea di conoscere persone nuove. In Bulgaria, avevo visto sempre
e solo le stesse facce e, nonostante non le trovassi affatto
simpatiche, mi ci ero comunque abituata.
Incredibile
quanto una novità potesse spaventarmi e al tempo stesso
entusiasmarmi.
Scossi
la testa, come per cacciare quel fastidioso senso di terrore che mi
attanagliava la mente: non volevo essere la solita ragazza triste e
solitaria che ero a casa. Sarei stata solo un peso per mia sorella.
Dalle lettere mi sembrava più che felice, non volevo rovinare
tutto.
Quando
la carrozza si fermò davanti al cancello dell'abitazione, era
chiaro che il momento era già arrivato. Dopo giorni e giorni
di viaggio, ero giunta a destinazione.
Quando
i cavalli portarono la carrozza di fronte alla porta d'entrata, il
cocchiere scese dal suo posto di guida e mi porse gentilmente la mano
per aiutarmi a scendere, con un sorriso sul volto.
Fu
il mio primo sorriso inglese, come inizio non fu male.
Quando
presi la sua mano, notai in lontananza mia sorella correre verso di
me: mi parve un altra persona, forse perché era passato anche
un lunghissimo anno ma non ricordavo più quel sorriso che le
illuminava il volto. Mi parve fosse passata un eternità
dall'ultima volta che lo avevo visto.
Inoltre
i capelli le erano diventati ancora più lunghi e più
ricci, indossava una abito molto chiaro e bellissimo. Io invece
indossavo un normalissimo abito scuro, uno dei soliti che indossavo
in Bulgaria, che un po' stonava con la bellezza del paesaggio che mi
circondava.
“Irina!”
esclamò quando mi raggiunse, mi si gettò addosso,
facendomi quasi cadere. Nel frattempo, il cocchiere stava tirando giù
i miei pochi bagagli dalla carrozza e io ricambiai l'abbraccio di mia
sorella.
Poi
lei mi prese il viso tra le mani e mi studiò attentamente “Sei
diventata ancora più bella, sorellina!” esclamò,
io invece pensai che lei lo fosse diventata, ancora di più di
quanto già lo fosse. Era così allegra, così
solare: sembrava davvero che mi trovassi di fronte ad una nuova
Katerina. Lei iniziò a tempestarmi di domande a cui non mi
diede nemmeno il tempo per pensare ad una risposta: mi chiese come
avessi escogitato il piano di fuga, come stava la mamma, se Ada era
ancora acida e infine com'era stato il viaggio.
Il
viaggio era stato bellissimo ma stancante, non vedevo l'ora di
gettarmi su un letto e dormire.
Ma
allo stesso tempo, volevo continuare ad ammirare la bellezza di
quella nuova terra.
Quando
le mie valigie furono tutte a terra, Katerina mi prese per mano.
“Vieni,
ti faccio vedere la nostra camera!” esclamò
gioiosamente.
*
* * *
Portandomi
in camera, io e Katerina attraversammo diversi corridoi.
L'uomo
di cui era ospite mia sorella, doveva amare l'arte: notai diverse
statue e diversi dipinti che decoravano le pareti e gli angoli della
villa. Quando raggiungemmo la porta della nostra camera, Katerina
posò la mano sul pomello e si voltò a guardarmi con un
sorrisetto furbo.
“Resterai
sorpresa da ciò che vedrai...” disse.
E
aveva ragione: quando spalancò la porta, vidi un enorme camera
da letto, grande quasi quanto tutta la nostra casa. La finestra
affacciava sui giardini esterni, accanto ad essa di trovava un enorme
letto matrimoniale con delle lenzuola color oro. C'era persino un
enorme armadio, che occupava l'intera parete destra, e un mobile
pieno di trucchi e gioielli che, a casa, non ci erano mai stati
permessi, un po' per mancanza di denaro e un po' perché nostro
padre non vedeva di buon occhio l'opportunità che le donne
avevano, di attirare l'attenzione su di loro.
Il
cocchiere lasciò le mie valigie vicino al letto e, con un
mezzo inchino, si congedò.
Katerina
si gettò a capofitto sul letto, continuava a guardarmi mentre
io osservavo estasiata il lusso che mi circondava. Era così
vicino da spaventarmi.
“Le
lenzuola sono di seta!” esclamò Katerina accarezzando la
superficie su cui era distesa con un sorriso entusiasta sul viso.
Risposi
con un mezzo sorriso, mi sentivo fuori luogo in mezzo a tutta quella
bellezza: avevo luce intorno, ma io ero oscurità. E il mio
vestito scuro ne era una prova.
“Qui
non dovrai mai più metterti quei vestiti così....orribili.”
disse mia sorella, come se mi avesse letto nel pensiero. “Le
sarte che lavorano qui sono brave, potrei chiedere a lord Niklaus di
fartene qualcuno. Intanto userai i miei, abbiamo la stessa taglia!”
Non
mi sfuggii il modo in cui le si illuminò il viso quando
parlava di Niklaus, doveva essersi presa una bella cotta per
quell'uomo. Da come ne parlava nelle sue lettere, sembrava che fosse
ospite di un angelo sceso dal paradiso. Era bello, vedere che dopo
tutto quello che aveva passato in Bulgaria, finalmente aveva trovato
qualcuno che la rendesse felice.
Ero
curiosa di conoscerlo, per vedere se era veramente affascinante come
lei sosteneva. Io e Katerina non avevamo mai avuto gli stessi gusti
in fatto di uomini, forse quello era un bene.
Com'è
lui?
Le
domandai riferendomi al suo “angelo”. Katerina guardò
le mie mani muoversi e per un attimo, pensai si fosse dimenticata del
mio linguaggio dei segni. O semplicemente si era persa in un sogno ad
occhi aperti, quando avevo fatto riferimento a Klaus.
“Oh
Irina, lui è un uomo strepitoso. È buono, gentile,
affascinante....è semplicemente perfetto” rispose,
guardava in alto come se stesse sognando. Mi fece ridere il fatto che
sognasse come una ragazza della sua età. In Bulgaria, anche
prima di rimanere incinta, si comportava come una ragazza cresciuta
troppo presto: in effetti aveva passato cose che non tutte le ragazze
della sua età avevano subito. “Lui e lord Elijah mi sono
stati di grande aiuto, è grazie a loro che sono
diventata..così!”
La
guardai stupita, nelle sue lettere non aveva mai accennato a quel
nome: mi aveva parlato solo di Klaus e della sua gioia di vivere in
Inghilterra.
Katerina
lesse la confusione sul mio viso e si rizzò a sedere sul letto
“Giusto, non te ne ho parlato...” iniziò a dire,
ma la sua frase venne interrotta da un bussare, forte e deciso, sulla
porta della nostra camera.
Katerina
disse una parola in inglese, che probabilmente voleva dire “avanti”
e la porta si aprì lentamente: ne fece capolino un ragazzo,
probabilmente sui venticinque anni.
Aveva
lunghi capelli castani che gli circondavano il viso marmoreo, occhi
scurissimi e un'eleganza nella postura che non potei fare a meno di
notare subito.
Rimasi
per un attimo estasiata, forse perché, in vita mia, ne avevo
visti pochi di uomini così belli.
Lui
mi sorrise dolcemente e abbassai lo sguardo, come una stupida.
Katerina
si alzò in piedi e fece un mezzo inchino di fronte al ragazzo.
Pensando di passare per maleducata, feci lo stesso. Lui alzò
le mani, come se volesse dirci che non era necessario.
Continuando
a sorridermi, chiese qualcosa a Katerina.
Ascoltai
la risposta di mia sorella, la lingua inglese aveva un suono così
soffice e leggero, ma in lei si sentiva ancora l'accento della nostra
lingua d'origine. Mi sarebbe davvero piaciuto poterlo parlare.
Katerina
annuì al ragazzo, poi si voltò verso di me “Irina,
lui è Lord Elijah” mi disse poi in bulgaro.
Elijah
mi prese la mano e la baciò delicatamente sul dorso, non
riuscii a contenere i brividi che attraversarono la mia schiena,
quando le sue labbra si posarono sulla mia pelle.
Niente
a che vedere con la finta galanteria che aveva mostrato Vladimir,
quel ragazzo sembrava l'eleganza in carne ed ossa.
“È
un piacere conoscervi, Irina” disse poi in uno stentato
bulgaro, per fare in modo che riuscissi a capirlo. Il fatto che
conoscesse la nostra lingua mi sorprese, doveva avergliela insegnata
Katerina in quel lungo anno in cui aveva soggiornato in quella terra.
E
il fatto che mi desse del “voi”, non mi sorprese di meno.
“Spero
che vi troverete bene qui da noi.” aggiunse Elijah.
Iniziai
a credere che mi sarei davvero trovata bene, avevo incontrato solo
due persone, esclusa Katerina, e entrambi si erano comportati più
che bene con me.
Sopratutto
quell'affascinante ragazzo che avevo di fronte.
Lui
non restò stupito dalla mia mancanza di risposta, Katerina
doveva avergli parlato della mia condizione. E non ne sembrava
affatto stranito, anzi mi stava trattando come una ragazza
normalissima.
“Credo
che debba lasciarvi, dovrete prepararvi per la festa di stasera
suppongo...” disse poi unendo le sue mani.
Non
ero a conoscenza della festa, lanciai un occhiata a Katerina che
sorrideva gioiosamente e non lasciai intendere che avevo paura. Stare
in mezzo a tanta gente che non conoscevo, con le mie insicurezze e i
miei problemi, mi spaventava.
Pensavo
che avrei conosciuto Klaus e poi mi sarei rintanata sotto le coperte.
E invece...
Ma
non volevo rovinare nulla, Katerina era troppo felice in quel momento
e non avevo alcuna intenzione di rivelarmi da subito un peso.
Avrei
preso parte a quella festa, anche se mi vergognavo da morire.
“Oggi
è il compleanno di Lord Niklaus. Così stasera te lo
farò conoscere!” disse velocemente, sempre in bulgaro.
Dubitavo che Elijah avesse inteso ciò che mia sorella aveva
appena detto.
Lo
vidi avvicinarsi alla porta e sorriderci educatamente. “A dopo
allora.” disse, aprì la porta e ci riservò un
ultima occhiata “Ancora piacere di avervi conosciuta, Irina”
Lo
ringraziai con un sorriso, era inutile che lo facessi a gesti, visto
che lui non li sapeva tradurre.
Ma
sperai lo stesso che avesse capito, che il mio era un grazie.
Quando
Elijah scomparve dietro la porta, Katerina mi prese le mani “Non
te l'ho chiesto prima...ma te la senti di prendere parte alla festa?
Il viaggio dev'essere stato stancante!”
Annuii
prontamente.
Anche
se non ne avevo molta voglia, ma più per imbarazzo personale
che per stanchezza, non avrei spento il sorriso sul viso di Katerina.
Ci teneva particolarmente che ne prendessi parte.
Lei
fece gioiosamente un saltello “Va bene!” disse “Allora
facciamoci bellissime per stasera!”
*
* * *
Katerina
aveva una miriade di vestiti, uno più bello dell'altro, che
Klaus le aveva regalato.
Mi
sembrava che anche lui ricambiasse l'interesse di mia sorella,
altrimenti perché riempirla di tutti quei regali? Mentre si
truccava, mi raccontò alcuni episodi del suo soggiorno in
Inghilterra.
Non
era felice di lasciare me e nostra madre, di lasciare il resto gliene
importava ben poco, ma quando era arrivata, Klaus ed Elijah si erano
mostrati subito gentili con lei.
Elijah
le insegnò a parlare, scrivere e leggere l'inglese mentre
Klaus l'aveva introdotta nei lussi e nei fasti di quella nuova vita.
Mentre
ascoltavo le sue parole, pensai che non mi avesse chiesto nulla della
sua bambina. Non che sapessi dov'era stata mandata, ma sembrava che
Katerina non ne volesse parlare, per cancellare quel ricordo doloroso
dalla sua mente.
Quando
terminò di truccarsi, pettinarsi e vestirsi, iniziò a
lavorare su di me.
Mi
pettinò i capelli, che solitamente portavo sempre legati in
una treccia, in modo che diventassero molto lisci, mi truccò
gli occhi e le labbra e mi prestò uno dei suoi abiti: un
bellissimo abito chiaro, che metteva in risalto i miei occhi blu.
Quando
mi guardai allo specchio, mi sembrò di vedere un altra
persona: una nuova me stessa, illuminata da una nuovissima luce.
Katerina mi guardò soddisfatta, attraverso il riflesso dello
specchio “Sei bellissima, non l'hai mai pensato vero?” mi
chiese.
No,
non l'avevo mai pensato.
E
sinceramente non lo pensavo nemmeno in quel momento, ma non riuscivo
a distogliere lo sguardo da quella nuova ragazza che stavo guardando.
Mi aspettavo che, da un momento all'altro, iniziasse a parlare, ma
forse pretendevo davvero troppo.
Il
mio sorriso si spense per un attimo, quel cambiamento sarebbe durato
solo per una sera e poi sarei tornata la solita ragazzina muta,
depressa e noiosa. Avevo paura di rovinare la nuova vita di Katerina.
Lei
si accorse del cambiamento sul mio viso e mi fece voltare, in modo
che la guardassi negli occhi “Irina, non devi avere paura. Qui
starai benissimo, nessuno ti giudicherà mai e puoi sorridere
senza che nessuno ti guardi male. Andrà tutto bene, credimi!”
disse.
Restai
sollevata dalla convinzione nella sua voce e feci un cenno con il
capo, era forse ora che smettessi di imbarazzarmi e di avere paura
per tutto.
Katerina
sorrise, appena si accorse di essere riuscita a convincermi a non
temere nulla. “Ora andiamo, la festa di compleanno di Lord
Niklaus sta quasi per iniziare e lui potrebbe arrivare da un momento
all'altro...” disse.
Nel
giro di pochi minuti, ci ritrovammo a scendere una lunga scalinata,
dirette verso un salone gremito di gente. Non avevo mai visto tante
persone in un solo posto:tutti sorridevano, ridevano e ballavano.
Quando io e mia sorella passavamo, venivamo salutate con eleganza e
con sorrisi, sia da uomini che da donne.
“Eccoci
qua. Non è stato terribile vero?” Katerina mi guardò
quando la lunga scalinata terminò, le risposi con il mio
solito sorriso.
Poi
mi guardai attorno, mi sembrava essere di entrata in un mare di
gioia. Scorsi in lontananza Lord Elijah che parlava con altri due
uomini, quando guardò verso di noi, ci sorrise gentilmente.
Per
molto tempo, Katerina non si mosse dal mio fianco: non voleva
lasciarmi da sola, in un ambiente che non conoscevo, malgrado in
molti le avessero chiesto di ballare. Quando un ragazzo di nome
Trevor, che Katerina mi aveva presentato come un suo caro amico, le
chiese di ballare, la spinsi a farlo con un sorriso. Con il mio
arrivo, non volevo certo privarla di divertirsi e di vivere.
“Sei
sicura? Guarda che posso restare qui...” disse Katerina
lanciando un occhiata verso Trevor e poi verso di me.
Prima
che potessi risponderle, Elijah si avvicinò a noi, con
quell'eleganza e gentilezza che mi avevano colpito poco prima. Disse
qualcosa in inglese a mia sorella e Katerina annuì, prese la
mano di Trevor e capii che Elijah doveva averle detto di divertirsi,
che sarebbe rimasto lui con me.
“Allora,
vado...” mi disse mia sorella. La guardai allontanarsi, quel
ragazzo sembrava innamorato di lei ma Katerina non ricambiava: mi
aveva parlato per tutto il tempo di Klaus e di tutto ciò che
lo riguardasse. Non era mai stata così presa da un uomo, che
io sapessi.
“Mi
farebbe piacere...” Mi voltai di scatto quando riconobbi la
voce di Elijah, parlava con me, ma guardava verso le coppie che
danzavano, con aria attenta. I suoi occhi neri attraversarono la sala
per poi posarsi su di me. Una vampata di calore mi bruciò il
viso. “Se accettaste la mia offerta di potervi iniziare alla
nostra lingua. Mi sembrate intelligente e sveglia quanto Katerina,
perciò sarà facile per voi...non preoccupatevi!”
Mi
sorrise e mi sembrò che il tempo si fermasse, stavo per fare
un mezzo inchino, ma lui mi bloccò, proprio come aveva fatto
prima nella nostra camera. “Irina, non c'è bisogno con
me...” disse prendendomi per mano. Il suo tocco era delicato ma
allo stesso tempo freddo e fermo, avrei voluto dirgli di non darmi
del “voi”: tra noi due il nobile era lui, io non ero una
signora.
E
sentirlo darmi del tu, mi avrebbe fatto sentire meno lontana di
quanto fossi da lui.
Elijah
sorrise “In cambio del mio aiuto però...vorrei che voi
mi insegnaste il vostro linguaggio dei segni.”
Nessuno
me lo aveva mai chiesto in passato, perché a nessuno importava
parlare con me.
Ma
a quel ragazzo sì e mi conosceva a malapena da pochi minuti.
Lo
guardai a lungo sorpresa, aveva parlato in bulgaro per tutto il
tempo: non era stato perfetto, ma si era fatto comunque capire.
Grazie.
Risposi
muovendo lentamente le dita, in modo che lui capisse cosa gli avessi
appena detto.
E
lui lo capì, forse dal mio sorriso riconoscente o non so da
che altro.
Ripeté
il gesto. All'inizio sbagliò un po', facendomi sorridere, ma
poi lo completò perfettamente.
Ci
guardammo di nuovo in silenzio, con due sorrisi che si allargavano
sulle nostre labbra.
Mi
sentivo già a casa, non sapevo spiegare quella sensazione ma
stavo già bene.
Lì,
accanto ad Elijah, mentre mia sorella danzava allegramente con
Trevor, sentivo come se la mia vita stava appena per iniziare.
Un
ragazzo, mi parve che si chiamasse Joshua, si avvicinò ad
Elijah e sussurrò qualcosa al suo orecchio. Elijah si fece
serio, annuì e disse qualcosa al ragazzo per farlo
allontanare.
In
quello stesso istante, calò un profondo silenzio. Guardai il
ragazzo accanto a me con aria interrogativa. Lui si accorse della
confusione che stavo provando e mi rispose con un sorriso.
“Il
festeggiato sta per arrivare.” mi spiegò.
Katerina
giunse alle mie spalle, tenendo sotto braccio Trevor: guardarono
tutti verso la scalinata da cui io e mia sorella eravamo scese. Un
bellissimo ragazzo stava scendendo gli scalini, lentamente e con
eleganza: aveva i capelli biondi, gli occhi chiari e un sorrisetto
affascinante sulle labbra.
“Quello
è Niklaus.” mi sussurrò all'orecchio Katerina.
In
quel momento capii perché lei e tutte la altre donne lo
guardavano affascinate: era davvero molto attraente. Proprio come lo
era Elijah, ma mi sembrava che a lui importasse meno di tutte quelle
attenzioni, rispetto a Niklaus.
Dopo
aver ascoltato gli auguri degli uomini e le lusinghe delle donne,
Niklaus si avvicinò a noi e io, istintivamente, feci un passo
indietro. Trevor si congedò, mi parve infastidito dal modo in
cui Katerina guardava Klaus mentre lui le baciava il dorso della
mano.
Poi
i suoi occhi blu si posarono su di me e io arrossii imbarazzata:
aveva un sguardo penetrante, che parve trafiggermi l'anima. Per poco
mi ritrovai nascosta dietro la schiena di Katerina che mi presentò
in inglese, lo capii perché la sentì pronunciare il mio
nome e Niklaus fece il baciamano proprio come aveva fatto con lei
poco prima. Elijah lo guardava con un sorriso.
“È
davvero un piacere conoscervi, Irina” disse Klaus, in perfetto
bulgaro.
Rimasi
di stucco, aveva un accento e una pronuncia perfetti, sembrava quasi
che non fosse inglese.
“Vostra
sorella mi ha parlato molto di voi, per me è un onore averti
ospitato qui. Spero che vi troverete bene, mio fratello vi insegnerà
la nostra lingua e le nostre usanze, in modo che possiate ambientarvi
più velocemente.”
Guardai
Elijah stupita, anche se erano fratelli, non mi sembrava che si
somigliassero. Non solo per i colori degli occhi e dei capelli, ma
anche il loro atteggiamento era, sotto molti aspetti, diverso.
Mi
bastò poco per capirlo. L'unica cosa che sembrava accomunarli,
era la bellezza e la gentilezza fuori dal comune. Anche lui doveva
sapere della mia condizione, perciò non sembrava aspettarsi
una risposta, almeno a voce.
Avevo
superato la fase più critica, quella del “Non posso
risponderti”, senza la minima difficoltà, grazie a
Katerina.
Niklaus
lasciò la mia mano delicatamente, dissi a mia sorella di
ringraziarlo per avermi permesso di soggiornare là e lei gli
riferì prontamente il messaggio.
“Figuratevi,
Irina. È un vero piacere per me.” rispose lui.
Appena
terminò la frase, venne circondato da ragazze armate di regali
e di complimenti per lui.
Mi
ricordai allora che quella era la festa del suo compleanno e chiesi a
Katerina di fargli gli auguri da parte mia. Sentivo gli occhi di
Klaus fissi su di me, mentre io gesticolavo velocemente davanti allo
sguardo di mia sorella.
Katerina
gli riferì quello che avevo detto e lui, ignorando le ragazze
che lo circondavano, mi rispose con un sorriso. “Vi ringrazio.”
disse e venne praticamente trascinato via da tutte quelle donne.
Katerina
lo seguì, con un sorriso sulle labbra.
Io
ed Elijah restammo di nuovo soli, guardai Klaus che prendeva sotto
braccio mia sorella, poi Elijah al mio fianco e mi sfuggii un sorriso
di gioia.
Sì,
forse in Inghilterra la mia vita sarebbe davvero cambiata, in meglio.
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Capitolo 4 *** Eyes ***
-Eyes-
Passò
un mese e il mio soggiorno in Inghilterra si rivelò essere un
vero paradiso.
Trascorrevo
gran parte del mio tempo con Lord Elijah, lui mi insegnò a
scrivere e a leggere l'inglese e io, come promesso, gli insegnai il
mio linguaggio dei segni.
Era
un ragazzo eccezionale: sempre gentile ed elegante, non mi aveva mai
rimproverato se non capivo qualcosa. Iniziò anche a darmi del
tu, facendomi sentire meno lontana da quell'aurea perfetta che
pareva sempre circondarlo.
Mi
faceva anche ridere, sopratutto quando cercava di ripetere i miei
segni e di impararli, ma anche lui, come me, sembrava essere portato
per l'apprendimento. In Bulgaria non avevo mai studiato nulla,
grazie ad Elijah mi accorsi di essere parecchio curiosa di
conoscere.
Mi
piaceva l'inglese e avevo desiderio di ascoltarlo e conoscerlo
sempre di più.
“Questo
che cos'è?” mi chiese Elijah indicando le mie dita che
si muovevano lentamente.
Ci
trovavamo, da soli, seduti su una panchina, in mezzo ad uno degli
immensi giardini che circondavano l'abitazione. Era lì che
studiavamo, come me Elijah amava l'aria aperta e preferiva che
studiassimo in giardino, piuttosto che in una stanza chiusa. Eravamo
parecchio simili per certi aspetti, amavamo la tranquillità e
la natura e sorridevamo di fronte alle piccole cose.
Mossi
nuovamente le dita, poi indicai una distesa di fiori, sopra cui
volavano diverse farfalle, di diversi colori.
“Ah,
farfalla.” rispose lui e dopo vari tentativi, ripete il mio
gesto senza troppe difficoltà.
Ci
ritrovammo a giocare, invece che studiare: gli insegnai a dire
diversi animali attraverso il mio linguaggio, anche se dubitavo che
“Elefante” ci sarebbe servito in qualche conversazione.
Ad
un certo punto, Elijah rivolse lo sguardo al cielo: il nero dei suoi
occhi profondi venne illuminato dalla fioca luce del sole. Rimasi
imbambolata a fissarli un attimo: non avevo mai visto in vita mia,
degli occhi così belli.
“Posso
chiederti, perché hai lasciato la Bulgaria? Conosco la storia
di Katerina, so anche che non ti trovavi bene a casa...qual'è
stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?” chiese poi
tornando a guardarmi, mi parlava un po' in inglese e un po' in
bulgaro, per non mettermi troppo in difficoltà.
Con
quelle parole, ripensai alla mia famiglia: avevo spedito diverse
lettera a mia madre, dicendole che mi trovavo benissimo e che
Katerina sembrava la gioia fatta a persona. Lei mi aveva risposto,
con le tipiche parole gioiose di una madre, che era felice per le
proprie bambine. Non mi disse nulla né di Vladimir, né
di mio padre, ma ero certa che mio padre, una volta tornata a casa,
me l'avrebbe fatta seriamente pagare. Dubitavo, però, che il
suo odio nei miei confronti potesse ulteriormente aumentare.
Matrimonio
indesiderato
Elijah
osservò a lungo il mio viso, studiando la mia espressione
afflitta. “Posso immaginare come tu ti sia sentita.” mi
disse, posando una sua mano sulla mia spalla. “In passato,
anche mio padre voleva obbligarmi a fare una cosa simile.”
I
suoi occhi si colorarono di una strana luce, una luce di nostalgia e
dolore. Sembrava che anche lui avesse sofferto a causa della figura
paterna.
Cos'è
successo?
“Lui
è morto. E tutto è cambiato...” rispose il
ragazzo guardando il cielo, sembrava non voler parlare del suo
passato e io preferii non infierire. Non volevo costringerlo a
ricordare qualcosa che gli potesse arrecare dolore, lui con me non lo
aveva mai fatto.
Il
suo sorriso, improvvisamente apparso ad illuminargli il viso, mi
colse di sorpresa. Sorrisi anche io e lo guardai con aria
interrogativa, non capivo cosa gli avesse scatenato quella reazione.
“Sai,
Irina....tu sei strana.” disse, tornò a guardarmi e si
corresse. “Strana nel senso positivo del termine, intendo. Non
mi piace aprirmi molto con le persone, ma con te...credo di poter
parlare di qualsiasi cosa. Non so spiegare il perché però...”
Valeva
lo stesso per me, ogni volta che mi svegliavo la mattina, sentivo di
dover stare con lui, di poter fare tutto quello che mi passasse per
la testa, senza aver paura di sbagliare.
Era
successo fin da subito, dalla prima volta che avevo visto i suoi
occhi neri posarsi su di me.
Lo
ringraziai, ricevere belle parole come quelle, mi faceva ancora uno
strano effetto. Una risata cristallina ruppe il silenzio tra noi, io
ed Elijah ci voltammo a guardare una coppietta che stava
attraversando il giardino.
Erano
Klaus e Katerina, non li avevo mai visti separati: stavano sempre
insieme e mia sorella, accanto a lui, aveva sempre il sorriso sulle
labbra. Elijah si alzò in piedi, poi mi porse la mano per
aiutarmi.
“Irina,
fratello.” ci salutò Klaus, guardando prima me, poi
Elijah “Sempre qui fuori a fare gli intellettuali, eh?”
Elijah
rise “Ci piace studiare. Voi invece? Dove siete stati?”
chiese loro.
Katerina
lanciò un occhiata sognante al suo cavaliere “Nella
foresta, è così bella e luminosa che riesce sempre a
rilassarmi!” rispose.
A
casa, passavamo tanto tempo nella foresta ma non l'avevamo mai
considerata bella e luminosa, come quella inglese. Anzi era tetra e,
a tratti, spaventosa, ma sempre meglio di stare in una stanza con Ada
e nostro padre.
Klaus
mi guardò e mi riservò un sorriso, provavo ancora un
certo imbarazzo in sua presenza. Non avevo passato molto tempo con
lui e non provavo quel senso di familiarità che avevo, invece,
vicino ad Elijah. Ma c'era qualcosa, negli occhi di Klaus, che mi
faceva ogni volta rabbrividire.
“Un
giorno, potrò portare anche voi nella foresta, Irina. Sempre
se vorrete.” disse.
Katerina
non parve felice di quella frase, non lo diede a vedere ma il suo
momentaneo cambio di espressione mi bastò per capirlo. Elijah
si accorse della mia difficoltà, non sapevo cosa rispondere
dopo aver visto, anche se per un solo istante, quell'espressione sul
viso di mia sorella.
Ma
non volevo nemmeno risultare scortese.
“Non
puoi rubarti tutte le dame, fratello.” disse Elijah,
prendendomi sotto braccio. “Farò vedere io ad Irina la
foresta, non sono troppe due Petrova per te?”
Lo
guardai complice, Klaus e Katerina sorrisero e si guardarono.
“Bravo,Elijah. Sei diventato anche spiritoso!” lo provocò
Klaus. Poco dopo lui e mia sorella, si allontanarono: lei mi salutò
sfiorandomi la spalla e sorridendomi per poi seguire Klaus.
Elijah
li guardò intensamente, tirò un sospirò e poi mi
guardò. “Torniamo a studiare?” mi chiese, sempre
con un sorriso gentile sul volto.
Annui
e tornammo a sederci sulla panchina, proprio come ci trovavamo poco
prima.
*
* * *
“Cosa
pensi di Niklaus?”
Katerina
mi aveva rivolto non sapevo quante centinaia di volte quella domanda.
Klaus
mi piaceva, si era sempre mostrato gentile ed educato, sia con me,
che con lei. Ma lei voleva, forse, sentirsi dire, che lo consideravo
il cognato perfetto.
Continuai
a pettinarmi capelli, la osservai attraverso il riflesso dello
specchio e mi accorsi che mi guardava in maniera diversa, rispetto
alle altre volte in cui mi aveva posto quella domanda.
Doveva
aver frainteso la frase del bosco di Klaus, mia sorella era molto
gelosa delle sue cose e anche una piccolezza come quella era capace
di infastidirla.
Forse,
quella sera, voleva scoprire cosa provassi per Klaus. Ma io non
provavo nulla per lui, se non gratitudine e rispetto.
Ti
fa stare bene.
Lasciai
la spazzola sulla superficie di fronte a me e la raggiunsi sul letto.
Katerina mi osservò a lungo, poi un sorriso le attraversò
il viso: il momentaneo fastidio doveva esserle subito passato.
“Sono
contenta che la pensi così. Immagina se ci fosse stata Ada al
tuo posto, mi avrebbe smontata in due secondi!” ridacchiò.
Aveva
ragione, conoscendo Ada, probabilmente si sarebbe innamorata sia di
Klaus, che di Elijah.
E
si sarebbe così, messa in competizione con Katerina.
L'espressione
sul viso di mia sorella improvvisamente mutò, i suoi occhi si
fecero sognanti e si posarono sul soffitto, come se riuscisse a
trapassarlo e a raggiungere il cielo stellato. “Sono contenta
che tu sia qui con me. Sono così felice che vivere questa
gioia da sola, sarebbe stato un peccato...” disse.
Le
strinsi la mano, anche io ero più che contenta di essere lì:
vederla così felice, era una gioia per i miei occhi e, per la
prima volta in vita mia, anche io ero contenta della vita. Stavo
vivendo momenti fantastici, con persone altrettanto fantastiche.
Come
Elijah.
Strano
che Katerina non mi chiedesse nulla del rapporto che avevo instaurato
con lui, era così concentrata su Klaus da non rendersi conto
di nient'altro.
Lei
sospirò “Su, ora mettiamoci a nanna! Domani è un
altra bella giornata!” disse, ci stendemmo l'una affianco
all'altra. Katerina continuava a stringermi la mano e iniziò
ad intonare una ninna nanna che la mamma ci cantava quando eravamo
bambine. Anche allora dormivamo in un unico e scomodo letto, insieme
ad Ada e la mamma ogni sera ci cantava quella soave canzone per farci
prender sonno.
Funzionava
anche allora che eravamo cresciute, la voce di Katerina si fece piano
piano più lontana e sprofondai nel sonno.
Lei
doveva avermi seguito poco dopo, perché all'inizio dei miei
sogni sentii la sua voce affievolirsi sempre più.
Ma
più tardi, un tuono ruppe il silenzio della nostra camera.
Mi
svegliai di soprassalto e alzai la testa dal cuscino. Fuori era
scoppiato un violento temporale: il vento soffiava forte contro il
vetro della finestra, smuovendo i rami degli alberi.
Un
lampo illuminò l'oscurità. Spostai delicatamente il
braccio di Katerina che cingeva i miei fianchi, e mi alzai in piedi.
Mi
avvicinai alla finestra guardando il cielo coperto, mentre violenti
tuoni lo attraversavano con tutta la loro violenza. Posai lentamente
una mano sul vetro, come per sentire il freddo che si pervadeva su di
esso ma...qualcosa mi bloccò.
Un
corvo, con le piume completamente bagnate dalla pioggia, si posò
sul davanzale esterno della finestra. Sobbalzai tirandomi indietro,
mentre lui iniziava a picchiettare con il becco sul vetro.
I
suoi occhi rossi mi fissavano, gracchiava rumorosamente e continuava
a muovere il becco sopra il vetro, come se volesse colpirmi.
Non
sopportavo più quel rumore fastidioso e aprii la bocca, come
se volessi gridargli di andarsene, ma ne uscì solo silenzio.
Così colpii il vetro, ma non troppo forte per non romperlo, e
quello volò via. Appena l'animale fu scomparso, un altra
figura lo sostituì: vidi in giardino, un uomo incappucciato,
che se ne stava immobile sotto la pioggia con la testa rivolta verso
l'alto.
Come
se mi stesse guardando.
Un
brivido di paura mi corse lungo la schiena, restai immobile a
guardarlo e quello allungò il braccio verso l'alto, dove si
trovava la mia finestra. Come se mi stesse chiedendo di raggiungerlo.
“Irina,
che succede?” disse la voce di mia sorella.
Non
mi ero resa conto di averla svegliata, con quella botta sul vetro.
Mi
voltai verso di lei spaventata, mentre accendeva la candela che
tenevamo sul comodino.
“Sorellina,
che ci fai in piedi a quest'ora? Perché hai colpito il vetro?”
mi domandò.
Non
risposi a nessuna delle sue domande, la presi velocemente per mano e
la condussi davanti alla finestra, per farle vedere quella strana
figura che se ne stava in giardino.
Lei
mi guardò, assonata e confusa, mentre indicavo un punto fuori
dal vetro.
Ma
quell'uomo sembrava scomparso.
Mi
ritrovai con il dito puntato sul nulla, se non sul giardino di fronte
alla nostra finestra, che veniva bagnato dalle gocce di pioggia.
“Cosa
vuoi dirmi, Irina?” mi chiese Katerina confusa. “Ti sei
spaventata per il temporale? Non è da te!”
Rise,
come se la mia espressione spaventata fosse solo uno scherzo. Era
vero che non mi spaventavo per un tuono o per un corvo impazzito, ma
per una figura oscura che fissava la nostra finestra in giardino, sì.
Le spiegai velocemente quello che avevo visto e Katerina mi posò
una mano sulla spalla per tranquillizzarmi.
“Irina,
stai calma.” mi disse, con tono confortante, illuminando il mio
viso con la fiamma della candela. “Hai fatto solo un brutto
sogno, là fuori non c'è nessuno.”
Guardò
verso il giardino vuoto e pensai che forse aveva ragione. Perché
un uomo incappucciato doveva fissarmi, sotto quel violento
nubifragio? Forse stavo vagando troppo con l'immaginazione , ma il
rumore del becco del corvo che colpiva il vetro, rimbombava ancora
nella mia testa.
Era
stato reale, non potevo negarlo a me stessa.
Mia
sorella mi prese per mano “Su, vieni.” mi disse,
trascinandomi verso il letto “Tranquilla e dormi.”
Lo
disse con fare materno, come se fossi una bambina piccola in preda
alla paura per gli incubi.
Spense
la candela poi, insieme, ci coricammo nuovamente e lentamente
sprofondai nel sonno, avvolta dall'abbraccio di Katerina. E
l'immagine di quell'uomo, pian piano scomparve dalla mia mente.
*
* * *
I
giardini della villa di Lord Niklaus erano pieni di piante ed erbe
davvero belle.
Mi
fermavo sempre ad osservarle, prima di raggiungere Elijah e seguire
le sue lezioni.
Ma
quel giorno, mi ritrovai a soffermarmi più del solito: non
facevo che pensare a quello che avevo visto, o che credevo di aver
visto, la notte prima.
Quando
mi risvegliai quella mattina, mi sembrò solo un brutto incubo
notturno.
Ma
più passavano le ore, più mi sembrava che fosse stato
tutto troppo reale per essere stato solo un sogno. Cercai di non
pensarci, dovevo raggiungere Elijah, prima che facessi troppo tardi.
Non
volevo essere un peso anche per lui, avevo già quasi rovinato
la nottata a mia sorella.
Attraversai
i giardini e raggiunsi la panchina, dove io ed Elijah eravamo soliti
sedere durante le nostre lezioni. Ma scorsi un altra figura che mi
dava le spalle e mi parve gemesse di dolore.
Mi
avvicinai lentamente, intimorita. Ma quando riconobbi il volto di
Klaus, venni presa dal panico: aveva gli abiti sgualciti e sporchi di
sangue, il suo viso era pallido e sudato.
Sembrava
che fosse stato attaccato da qualche animale.
Quando
lui si accorse di me, un espressione di sorpresa gli apparve sul viso
“Irina? Che ci fate qui?” mi chiese.
Non
gli risposi, intanto la mia mente stava pensando alle piante e alle
erbe che avevo notato nel giardino di Klaus. Alcune potevano essere
utili per curare quella ferita sanguinante che aveva sul braccio.
Corsi indietro e strappai alcune erbe dal terreno, Klaus doveva aver
pensato che il sangue mi aveva impressionato e per questo ero
fuggita.
Ecco
perché, quando tornai da lui, alzò lo sguardo su di me
sorpreso.
Mi
chinai sui di lui e posai le erbe sopra la ferita. “Non...non
preoccupatevi, Irina. Non c'è bisogno.” cerco di dire,
ma in quello stesso istante, corsi al pozzo lì vicino per
prendere dell'acqua. Mi occupai di quella ferita per qualche minuto,
usando un lembo che avevo strappato dal mio vestito, per premere su
di essa.
Sentivo
lo sguardo di Klaus su di me, mentre tenevo gli occhi fissi sul suo
braccio.
“Katerina
mi aveva detto che eravate troppo buona. Ma non mi aveva detto che
eravate anche una dottoressa...” disse sorridendomi, non capivo
se non stesse affatto provando dolore o se lo stesse nascondendo. In
ogni caso, forse la mia “cura” stava facendo effetto.
Alzai
lo sguardo su di lui, in realtà fare la dottoressa era il mio
sogno. Ma in un mondo maschilista come quello in cui vivevamo, non
sarei mai potuta diventarlo. Nemmeno se i miei genitori fossero stati
ricchi e avessero potuto pagarmi le spese degli studi e nemmeno se
avessi avuto la voce.
La
mia passione per l'erboristeria era dovuta anche a quel desiderio di
aiutare i più bisognosi.
Anche
se, quella mia passione, veniva considerata un motivo in più
per considerarmi “diversa”.
Tolsi
il panno bagnato e le erbe dalla sua pelle. Restai basita, la ferita
si era già rimarginata.
Com'era
possibile? Era vero che quelle erbe avrebbero velocizzato il processo
di guarigione, ma quella velocità era pari ad un miracolo.
Leggendo
la sorpresa sul mio viso, Klaus mi prese una mano tra le sue. “Vi
ringrazio molto, Irina.” disse gentilmente. “Siete stata
davvero molto gentile ad occuparvi di me.”
Mi
stava sorridendo, eppure io non riuscivo a pensare che quella ferita
non poteva essersi già chiusa. Sentimmo dei passi dietro di
noi e mi voltai giusto in tempo per vedere Elijah avvicinarsi
velocemente a noi. Doveva avermi vista da lontano e solo
avvicinandosi si accorse che ero con suo fratello.
Si
fermò, stupito, a pochi passi da noi e guardò le
macchie sugli abiti di Klaus, con aria confusa.
“Irina,
ti stavo cercando....” mi disse lentamente, senza distogliere
lo sguardo dal fratello.
Mi
ero completamente dimenticata della nostra lezione, ero rimasta così
turbata nel vedere Klaus sporco di sangue, che non ci avevo più
pensato. Elijah mi porse la mano, per aiutarmi ad alzarmi in piedi.
L'afferrai saldamente, dopo aver lasciato tutto quello che avevo
usato per la ferita di Klaus, sulla panchina. Gli occhi di Elijah
però continuavano a guardare Klaus, mi sembrava poco stupito
nel vederlo sporco di sangue.
Anzi,
mi sembrava quasi arrabbiato. “Cos'è successo,
fratello?” gli chiese.
Mi
stringeva ancora la mano, come se volesse proteggermi da quel colore
rosso su Klaus.
Il
fratello gli rispose con un sorriso. “Lupi.” disse,
rivolgendo poi lo sguardo verso di me. “Mi piace molto cacciare
in un posto, poco lontano da qui, dove ci sono interi branchi di
lupi. E io desidero tanto la testa di un lupo per abbellire le nostre
pareti, vero Elijah?”
Tornò
a guardare il fratello, il suo discorso mi fece rabbrividire.
Sembrava come se si nascondesse un altro messaggio dietro le sue
parole, oppure ero solo inorridita, perché non amavo
particolarmente la caccia agli animali.
E
perché Klaus sembrava essere stato attaccato da dieci lupi e
si mostrava più che energico comunque. Il suo viso aveva
ripreso colore e il sudore si era quasi del tutto asciugato.
Come
se non fosse accaduto nulla.
Guardai
Elijah, che fissava il fratello con i suoi occhi scuri. Era uno
sguardo complice ma che tratteneva rabbia: era come se volesse
rimproverare il fratello di essere troppo impulsivo.
Ma
per cosa? Per essere andato a cacciare lupi, riducendosi in quello
stato o per altro?
Stavo
di nuovo vagando nella paranoia, come era successo la scorsa notte.
Accettai
la teoria espressa da Klaus e mi arresi.
“Vieni,
Irina.” Elijah mi tirò delicatamente a sé. “Certe
scene di sangue non dovresti vederle con i tuoi innocenti occhi.”
Lo
seguii lentamente, ma quando mi voltai per vedere la reazione di
Klaus, notai che lui guardava Elijah con fastidio.
*
* * *
Un
altra cosa che mi piaceva dell'Inghilterra era che ogni sera era
gioiosa.
Klaus
organizzava sempre feste e banchetti a cui io e Katerina prendevamo
sempre parte.
Ci
misi un po' per abituarmi a quegli eventi: in Bulgaria, quando io e
mia sorella non riuscivamo a prendere sonno, ci mettevamo alla
finestra e guardare il cielo stellato e la luna splendente.
Ma
non avevamo mai preso parte a nessuna festa, come facevamo sempre
alla corte di Klaus.
In
quel momento eravamo in camera nostra, ci stavamo preparando per
quella serata e io ero ancora costretta a rubare i vestiti di mia
sorella. Lei ,però, mi fece capire che la cosa non la
preoccupava affatto, ne aveva così tanti che potevo anche
indossarli tutti almeno una volta mi aveva detto. Non le parlai di
Klaus, saperlo nelle condizioni in cui lo avevo trovato, l'avrebbe di
certo messa in allarme.
Se
avesse voluto dirglielo, lo avrebbe fatto lui stesso.
In
quel momento, Joshua, il ragazzo ai servigi di Klaus, bussò
alla nostra porta.
Quando
Katerina lo invitò ad entrare e lo vide con un vestito tra le
braccia, le sue labbra si allargarono in un sorriso. Lasciò la
spazzola sulla superficie di fronte a lei e gli si avvicinò.
Io
restai seduta sul letto, a guardare indecisa i vestiti che Katerina
mi aveva consigliato di indossare quella sera. Mi ero abituata ormai
ai colori chiari, tanto che i miei vestiti campagnoli che indossavo
nella quotidianità quasi mi spaventavano, nei loro colori
scuri.
“Per
la signorina Irina, da parte di Lord Niklaus.” disse Joshua,
rivolgendomi un sorriso.
Katerina
restò allibita, mentre io mi voltai verso il ragazzo
incredula.
Dovevo
aver per forza capito male, ma lui si avvicinò a me e lasciò
l'abito sopra il materasso.
Mi
porse anche una lettera, che doveva essere recapita insieme al
vestito.
Afferrai
quel pezzo di carta titubante, Katerina era rimasta immobile a
guardarmi in silenzio.
Mi
sentii arrossire in viso per la vergogna e cercai di decifrare le
parole sulla lettera di Klaus, per capire perché mi avesse
mandato quell'abito. Avevo ancora qualche difficoltà a
leggere, anche se il ragazzo aveva scritto nella mia lingua per
facilitarmi la cosa. Mia sorella fu alle mie spalle, quando Joshua
lasciò la nostra camera “Te lo leggo io?” mi
chiese, anche se sembrava più un'affermazione, che una
richiesta. Posò il mento sopra la mia testa e lesse ad alta
voce “Questo è un piccolo regalo come ringraziamento per
ciò che hai fatto per me. Klaus.” lesse poi mi guardò.
“Scusa, ma che hai fatto?”
Sospirai
e le spiegai in pochi gesti che gli avevo medicato una ferita.
Tralasciai
il fatto che indossava più sangue che abiti, l'avrei solo
spaventata.
“Ah,
allora lo ha fatto per questo...” disse quasi sollevata,
immaginavo che avrebbe reagito così ed ero contenta che Klaus
avesse specificato il motivo del regalo. Katerina si sarebbe subito
costruita tutta una sua storia, in cui lui aveva riposto le sue
attenzioni su di me, come se un uomo fosse così stupido da
lasciarsi scappare una ragazza come lei.
Aprii
l'abito per osservarlo meglio, era stupendo: color perla, con un
leggero scollo a V e le maniche larghe. Pensai che fosse un po'
troppo come regalo per aver medicato una ferita, che poi sembrava
essersi sistemata da sola, ma non potevo che esserne lusingata.
Era
un bellissimo dono.
Katerina
mi aiutò ad indossarlo, non sembrava più preoccupata
per me e Klaus fortunatamente.
E
pochi minuti dopo, scendemmo a braccetto nel salone affollato.
Mia
sorella allungò subito il collo, alla ricerca di Klaus.
Glielo
indicai, era seduto ad un tavolo, intento a parlare a uomini e donne
che lo ascoltavano quasi estasiati. Sarei dovuta andare a
ringraziarlo, ma arrossii al solo pensiero: non era solo e
interrompere la sua storia per dirgli un semplice grazie, davanti a
tutta quella gente, mi imbarazzava.
Katerina,
invece, voleva solo andare da lui, poteva esserci tutto il mondo a
circondarlo, non le importava. Qualcosa però la bloccava: la
mia presenza.
Non
voleva lasciarmi sola, nonostante sapesse che, alla fine, ci sarebbe
stato Elijah con me.
Anche
lui sembrava preoccuparsi per me, proprio come lei.
Le
feci segno di andare, ma lei mi guardò, scuotendo la testa.
“No, non ti lascio sola.” mi disse. “Ancora non ti
sei ambientata...”
Le
risposi con un sorriso. Anche se fossimo rimasti anni là, lei
si sarebbe sempre posta quel problema.
“Katerina,
ascoltate vostra sorella una buona volta.” Elijah si avvicinò
a noi, rivolgendo un sorriso quasi divertito a mia sorella. “Resterò
io con lei.”
Lei
ci guardò entrambi, poi si diresse verso Klaus, lanciandoci un
saluto con la mano.
La
seguii con lo sguardo, mentre si avvicinava sempre di più al
tavolo del suo principe.
Elijah
fece lo stesso. “Sei molto bella con questo vestito, Irina.”
disse poi, rompendo il silenzio che si era formato tra noi. “Te
lo ha regalato Klaus, vero?”
Annuii,
ripensai a come Elijah guardò il fratello, quando lo vide
sporco di sangue. Non era preoccupato o spaventato, ma infastidito:
come se non fosse la prima volta, che si facesse ridurre in quello
stato. In effetti, pure mia sorella non era rimasta molto sorpresa
quando le dissi che lo avevo trovato ferito.
Anche
se avevo omesso diverse parti.
Il
viso mi andò in fiamme e guardai il bellissimo abito che
indossavo, ringraziai Elijah per i complimenti. Non ero ancora
abituata a certe parole, ricordavo ancora come venivo scansata, anche
dai ragazzi, in Bulgaria.
Nessuno
mi aveva mai detto che fossi bella, mio padre era il primo a
ricordarmi sempre, quanto fossi mostruosa.
Elijah
mi guardò, come se mi avesse letto dentro. “Ehi.”
disse, alzandomi il mento con la mano, affinché i nostri occhi
s'incrociassero. Mi sembrò di perdermi, dentro l'abisso del
suo sguardo.
“Che
c'è? Ho detto qualcosa che non dovevo?”
Scossi
la testa, lui diceva tutto quello che mi faceva stare bene.
Era
sempre stato così, dalle prime parole che mi aveva rivolto.
Ma
lui non sapeva, della mia maledizione e del dolore che arrecavo a
coloro che mi amavano. Katerina e mia madre ne erano la prova, io non
potevo non pensare ogni giorno, a come sarebbero state le loro vite
se io non fossi mai nata. Mia sorella aveva pagato da sempre l'amore
incondizionato che provava per me e mia madre, non avrebbe vissuto
con un uomo che era quasi arrivato ad odiarla, solo per avermi messa
al mondo.
Elijah
sospirò, era incredibile come riuscisse a leggermi dentro,
senza che lasciassi trasparire nulla. “Io so cosa significa
portare il peso di una croce sulle spalle.” disse in un
sussurro. “So cosa significa sentirsi un mostro e, credimi,
saprei riconoscere qualcosa da definirsi tale anche a chilometri di
distanza...ma tu non lo sei.”
Lo
guardai incredula, in silenzio come sempre.
“Io
non vedo altro, che una ragazza dolcissima e fantastica, che ha
sofferto troppo.” aggiunse ancora lui. “Katerina mi ha
parlato della storia del diavolo, della tua voce...e ti dico solo una
cosa: il diavolo esiste, ma non a nulla a che fare con un angelo come
te”
Senza
accorgermene, mi ritrovai con gli occhi lucidi. Non volevo piangere
come una perfetta idiota, ma le parole di Elijah erano state così
belle, che sentivo il cuore battermi all'impazzata nel petto.
Perché
sei così buono con me?
Elijah
abbassò per un attimo lo sguardo, come se stesse pensando
anche lui al motivo per cui si comportava così con me. “Perché
da quando ti ho vista, ho sentito che eri...simile a me.”
rispose, tornando poi a guardarmi. Sorrise, come se quello che stava
per dire lo stupisse. “Posso considerarmi con una sola parola
per te, credo: amico.”
Nella
mia mente, ripetei quella parola all'infinito e la trovai
meravigliosamente bella.
Non
che non la conoscessi, ma non credevo di averla mai usata prima.
L'unica
amica che avevo avuto era mia sorella e ora avevo anche Elijah, il
cuore mi si riempì di gioia. Ancora una volta, quel ragazzo
era riuscito a farmi battere il cuore con la sua gentilezza.
Gli
strinsi la mano, per ringraziarlo e ci guardammo a lungo negli occhi.
Con
lui era come se non fossi muta, riuscivo a comunicare con lo sguardo
e a lui bastava per capire cosa volessi dire. Ci separammo, quando
Klaus e Katerina si avvicinarono a noi: come sempre, lei lo teneva
sottobraccio ed era sorridente.
“Lo
sapevo che questo vestito vi sarebbe stato benissimo.” disse
lui, indicando con la testa l'abito che indossavo.
“È
stato un bellissimo gesto, Lord Niklaus.” disse mia sorella,
come se volesse anche lei ringraziare, da parte mia.
Come
al solito risposi con un sorriso.
Notai
che lui non aveva proprio, però, l'aspetto di un uomo che,
fino a quella mattina, era ferito gravemente. Mi sembrava che stesse
più che bene.
Ed
era strano, dopo esser stati attaccati da un branco di lupi.
Elijah
lo fissava in silenzio, non disse nulla ma nei suoi occhi sembrava
che ci fosse un messaggio preciso rivolto al fratello, che noi non
potevamo comprendere. Klaus fece per dire qualcosa al fratello, ma un
urlo ruppe l'armonia di festa che ci circondava.
Una
ragazza era alla porta e gridava che una sua amica era morta,
attaccata da un animale feroce.
Nella
sala si scatenò il panico, alcuni uomini si catapultarono
fuori, per andare a vedere cosa effettivamente fosse successo, mentre
alcune donne restarono immobili, con gli occhi sbarrati.
“Katerina,
voi e vostra sorella andate in camera vostra.” ci ordinò
Klaus, nel frattempo Elijah mi aveva presa per mano, come per dirmi
di non aver paura. Li guardai allontanarsi tra la folla, mia sorella
mi prese per mano e mi condusse dalla parte opposta, verso le camere.
Sembrava
spaventata, ma riusciva a mantenere il sangue freddo, nonostante
avessimo appena saputo che una ragazza era stata trovata morta.
Mi
guardai indietro, per cercare con lo sguardo Elijah e Klaus ma,
involontariamente, finii contro un uomo: non sembrava inglese, era
alto e possente, con lunghi capelli neri e occhi cristallini.
Aveva
uno sguardo tagliente, fisso sul mio viso.
Lo
guardai per pochi istanti, perché Katerina mi trascinò
via, dicendomi che dovevo accelerare il passo. Quell'uomo però,
aveva un che di familiare. Quando tornai a guardarlo, lui mi stava
ancora fissando.
*
* * *
In
effetti, non era la prima volta che una ragazza moriva nella foresta.
Katerina
non me lo disse chiaramente, ma me lo fece capire. Ogni volta che
provavo a chiederle se fosse già capitato prima, lei mi
rispondeva che mi avrebbe spiegato più tardi.
Per
la prima volta, l'Inghilterra mi spaventò.
Conoscevo
la morte ovviamente e sapevo che esisteva. Ma, in Bulgaria, non
l'avevo mai sentita così vicina. Ero tesa, preoccupata per
Elijah e Klaus, triste per quella povera ragazza e turbata per
quell'uomo con cui mi ero scontrata in sala.
I
suoi occhi erano terribilmente spaventosi.
Mia
sorella non fece che accrescere la mia ansia, camminava avanti e
indietro, di fronte a me, tenendosi una mano sulla bocca e sospirando
ogni tanto.
“Uffa,
ma perché non tornano?” esclamò ad un certo
punto.
Io
restai seduta sul letto, con la testa tra le mani, fino a quando
qualcuno bussò alla porta della nostra camera. Entrambe
scattammo sull'attenti e il viso di Elijah fece capolino nella nostra
stanza.
Fui
contentissima di rivederlo, Katerina invece parve un po' delusa: era
Klaus quello che lei voleva rivedere.
“Cos'è
successo?” chiese lei con voce un po' incrinata.
Elijah
si chiuse la porta alle spalle e prese un lungo respiro. “Una
ragazza è...stata trovata morta nella foresta.” rispose,
avvicinandosi lentamente a noi. “Sembra che sia stata attaccata
da un animale.”
Sembrava
quasi preso dai sensi di colpa per quella morte brutale e non potei
che provare dispiacere per la sua espressione afflitta. Katerina
invece non ebbe pietà “E Klaus come sta?” chiese.
Le
diedi una leggera gomitata, ma lei mi ignorò: tutto la
riconduceva a lui.
Elijah
non parve molto stupito da quella domanda. “È di sotto,
a tranquillizzare alcune persone. Se lo raggiungete, gli farebbe
piacere.” disse.
Lei
non se lo fece ripetere due volte, la guardammo raggiungere
velocemente la porta, malgrado la gonna che indossasse avrebbe dovuto
intralciarla nei movimenti.
Poi
io ed Elijah ci guardammo, per smorzare l'imbarazzo che si era creato
tra noi, mi sorrise.
“Stai
bene? Mi sembri sconvolta.” disse.
Non
volevo fargli intendere che ero spaventata e intimorita. Era lui,
quello che sembrava più che toccato da quella morte. “Julia
la conoscevo. Era poco più grande di te, poco simpatica è
vero ma....non meritava quella fine.”
Abbassò
lo sguardo desolato e tutto quello che potei fare, fu posargli una
mano sul braccio.
Volevo
che capisse che non era solo, avrebbe potuto sfogarsi con me di
tutto.
Lo
aveva detto anche lui, eravamo amici ormai.
Elijah
mi guardò e sembrò riversare il suo senso di colpa su
di me, come se volesse dirmi qualcosa, ma aveva un blocco che gli
impediva di farlo.
Mi
strinse la mano che avevo sul suo braccio e deglutì “Non
avrei mai voluto che tu vivessi una serata simile...” disse.
Voleva dirmi dell'altro, altre parole che avrebbero dovuto ricoprire
il silenzio che vigeva su di noi da secondi ormai.
“Ora
riposati, vedrai che domani andrà tutto meglio.” disse
invece, mi baciò velocemente la mano e restai sola nella mia
camera, immobile a guardarlo scomparire dietro la porta.
*
* * *
Era
freddo quella notte, più del solito.
Mi
rannicchiai sotto le coperte, per fermare quei brividi che mi
percorrevano la pelle, ma fu tutto inutile. Mi voltai allora a
cercare l'abbraccio di mia sorella.
Ma
accanto a me trovai solo il vuoto.
Mi
svegliai di soprassalto, era notte fonda ormai ed ero certa che
Katerina fosse rientrata da un pezzo, mentre dormivo.
E
invece lei non c'era, doveva essere fuori da qualche parte dopo
quello che era successo a Julia.
Scattai
in piedi spaventata e accesi una candela, per poi fiondarmi fuori nei
corridoi dell'abitazione alla ricerca di mia sorella.
Camminai
a passo veloce ma silenzioso, attenta ad ogni singolo rumore che
potesse rivelarsi sospetto. Pensai a dove potessi trovare Katerina,
era scesa in sala a cercare Klaus e poi...mi fermai un secondo. E se
avesse dormito con Klaus? Mia sorella non era il tipo da fare una
cosa simile, non dopo quello che era successo due anni prima
sopratutto, ma era pure vero che lei era pazza di Klaus.
E
immaginarla in camera con lui, mi dava anche un po' fastidio. Perché?
Ripresi
a camminare, l'opzione più negativa, ovvero quella che le
fosse capitato qualcosa, era ancora presente nella mia mente.
Rallentai un attimo, quando sentii dei passi alle mie spalle.
Come
se qualcuno, mi stesse seguendo.
Pensai
di essermelo immaginata, quando quello si ripete di nuovo.
Allora
accelerai, sempre di più, fino a quando mi ritrovai a correre
per i corridoi.
Ero
sicura che qualcuno fosse alle mie spalle e che stesse correndo anche
lui, mi guardai indietro e caddi in avanti. La candela si ribaltò
a terra, restando però accesa e io avvertì un forte
dolore al ginocchio. Dovevo essermelo sbucciato.
Mi
guardai indietro, ma non vidi nulla. Se non il prolungarsi di un
ombra, che doveva essere di fronte a me.
“Irina?”
disse quella voce, mi voltai di scatto verso Klaus: indossava una
camicia aperta sul petto e teneva in mano un altra candela. Lo
guardai quasi riconoscente e lui mi porse la mano per aiutarmi ad
alzarmi.
“Che
ci fate in giro a quest'ora?” mi chiese preoccupato. M'illuminò
il viso e si accorse che avevo il volto rigato di lacrime, dovevo
essere scoppiata a piangere per paura che qualcuno mi inseguisse poco
prima. Colpa delle mie paranoie di quei giorni.
Infatti
mi guardai indietro e non avvertii alcuna presenza, c'eravamo solo io
e Klaus in quel corridoio. La sua mano si avvicinò al mio viso
e mi asciugò le lacrime.
“Cercavate
tua sorella?” mi chiese.
Il
suo tocco freddo mi fece rabbrividire, annuii lentamente e distolsi
lo sguardo imbarazzata. Avevo appena fatto la figura della pazza con
l'uomo che ospitava me e mia sorella. Avrei voluto nascondermi.
“Siamo
rimasti in sala. Dopo quello che è successo a Julia, era
sconvolta e siamo rimasti a parlare un po'.” rispose lui.
Non
volevo essere miscredente, ma avevo davvero bisogno di sapere che mia
sorella stava davvero bene. Non che non mi fidassi di Klaus, ma avevo
il crescente bisogno di avere certezze.
Dopo
Julia e dopo l'uomo della sala.
Lui
mi prese per mano, come se avesse capito cosa stavo pensando.
“Venite, vi porto da lei.”
Mi
condusse lentamente in sala: mia sorella stava dormendo su un
divanetto, con indosso ancora l'abito da festa e la giacca di Klaus
che le copriva le spalle.
Sembrava
che stesse bene, respirava lentamente con la bocca semi dischiusa e i
capelli che le circondavano il viso. “Si è appena
addormentata, stavo venendo proprio da voi per dirvi che l'avrei
portata in camera, appena fosse caduta nel pieno del sonno.”
sussurrò Klaus per non svegliarla, mentre io la osservavo.
Come
al solito, mi ero preoccupata per nulla.
“Vi
preoccupate troppo per vostra sorella, Irina.” ridacchiò
Klaus.
Alzai
lo sguardo su di lui imbarazzata e il ragazzo mi riprese la mano. “Io
non farei mai del male, né a lei e né a voi.”
aggiunse. Qualcosa nei suoi occhi però mi fece rabbrividire,
provai di nuovo quella strana sensazione che avevo sentito con
Elijah: che ci fosse un segreto, che non avrebbero mai potuto
rivelarmi. Solo che con Elijah era stato diverso, con Klaus provavo
un po' di paura.
Non
riuscivo a spiegarmelo.
“Porto
voi e Katerina in camera?” mi chiese poi.
Scossi
la testa, mia sorella si sarebbe parecchio arrabbiata, se avesse
saputo che l'avevo “strappata” alle attenzioni di Klaus.
Sarei tornata in camera da sola, era meglio che Klaus non si
allontanasse da lei dopo quello che era successo.
Lui
poteva proteggerla meglio di quanto potessi farlo io.
Klaus
lasciò la mia mano. “Siete sicura?” chiese.
Annuii
di nuovo e gli augurai la buona notte.
Lui
rispose con uno dei suoi soliti sorrisi gentili e, mentre mi
allontanavo lungo la scalinata, sentivo i suoi occhi su di me.
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Capitolo 5 *** Roses ***
-Roses-
In
quei giorni, il pensiero dell'uomo incappucciato, della morte di
Julia e dello strano tizio che avevo visto in salone rimasero fissi
nella mia mente.
Nessuno
sembrava intenzionato a farci sapere di più sulla morte di
quella povera ragazza, restò tutto in segreto tra Klaus,
Elijah e i loro uomini. Sostenevano che noi donne non dovessimo
preoccuparci troppo e, per questo, si limitarono a dirci che ad
ucciderla era stato un attacco animale: Julia si era avvicinata
troppo alla foresta ed era stata attaccata, forse da un lupo o
chissà cos'altro.
Elijah,
che come sempre passava tantissimo tempo con me, si accorse della
mia angoscia e perciò decise di portarmi in città.
Sosteneva che non fosse giusto passare tutte le giornate a studiare
la sua lingua e che meritavo anche di svagarmi un po'.
“E
poi, qual'è il modo migliore per imparare l'inglese? Stare in
mezzo a molti inglesi!” mi disse con un sorriso. Lo ricambiai
a mia volta, anche se la mia mente era tutta rivolta a pensieri
tetri e paurosi.
Quando
giungemmo nel mezzo del mercato, la mia prospettiva delle cose
cambiò: mi sembrò di trovarmi in un posto nuovo, la
gente camminava tra le bancarelle, parlottando tra loro e
dispensando luminosi sorrisi. Ancora mi faceva uno strano effetto
vedere tutta quella serenità, nel mio villaggio gli abitanti
non volevano nemmeno trovare il tempo per sorridere. La terapia di
Elijah sembrò funzionare, perché un sorriso si allargò
sul mio volto: mi sentivo una ragazza normalissima, nessuno mi
guardava con sguardo tagliente o cosa.
Sembravo
solo una giovane donna, in compagnia di un bellissimo cavaliere.
“Che
bello, è spuntato un sorriso finalmente!” esclamò
Elijah, indicandomi le labbra. Mi prese poi sotto braccio e mi
condusse tra le varie bancarelle. Guardammo di tutto: gioielli,
cibo, vestiti, libri e persino alcuni animali esotici, che però
né io né Elijah apprezzammo vedere. Erano incatenati e
spaventati da tutta la gente che li stava fissando. Perciò ci
allontanammo subito da quella parte di mercato, anche perché
Elijah era tentato dallo spendere tutti i soldi che aveva per
salvare quelle bestiole.
E
lo avrebbe davvero fatto, per come lo conoscevo.
Circa
un ora dopo, mi portò in un grande prato, ricco di bellissimi
fiori colorati, forse più belli di quelli che avevo visto nei
giardini di Klaus. Sorrisi di nuovo, era uno spettacolo meraviglioso:
il vento muoveva i fiori, trasportando il loro profumo nella sua
brezza fresca. Il cielo era limpido e il sole mi sembrava più
luminoso che mai.
Tutti
i cattivi pensieri che mi pervadevano la mente in quei giorni,
sembrarono dileguarsi.
“Dovremmo
uscire più spesso, potresti fare competizione al sole con quel
radioso sorriso.” mi disse Elijah. Mi guardava sorridente,
sembrava davvero felice di vedermi finalmente serena.
Tornai
a guardare l'enorme distesa di colori di fronte a me e provai il
desiderio, forse un po' stupido ma molto forte, di correrci in mezzo,
di sentire più da vicino quei bellissimi profumi e di tuffarmi
in quel mare di fiori. Guardai Elijah e indicai l'orizzonte, come per
chiedergli se potevo fare una “pazzia” simile.
Lui
ci mise un po' per capire. “Non devi chiedermi il permesso di
nulla, Irina. Puoi fare tutto quello che ti passa per la testa...”
mi rispose sorridente.
E
pochi secondi dopo, iniziai a correre, più veloce che potei.
Forse
sembravo una bambina un po' pazza ma non m'importava: mi sentivo
libera, senza pensieri e senza paura che qualcuno potesse giudicarmi.
Mi ritrovai con le labbra aperte in una risata, nessuno poteva
sentirla ma il vento e il mio cuore bastarono per testimoniare quella
immensa gioia che stavo provando. Mi voltai verso Elijah, che era
rimasto a fissarmi, quasi divertito, e lo guardai un po' con sfida,
per fare in modo che mi inseguisse.
“Ah,
mi stai sfidando? Guarda che non ci metto molto a prenderti!”
ridacchiò.
Lo
guardai come per dire “Staremo a vedere” e Elijah iniziò
a correre verso di me, mentre io riprendevo la mia folle corsa con un
sorriso sulle labbra.
Come
mi aspettavo, Elijah era parecchio agile e mi raggiunse senza troppe
difficoltà.
Mi
prese per il polso e, entrambi, ci ritrovammo poi a rotolare tra i
fiori come due bambini.
Lui
rideva, io pure e mi parve davvero di sentire il suono della mia
risata che faceva da sottofondo alla sua.
Restammo
distesi sul terreno, l'uno affianco all'altro. Distogliemmo lo
sguardo dal sole e ci guardammo. Eravamo entrambi stupiti da quella
corsa: Elijah mi sembrava troppo composto per lasciarsi andare ad una
cosa talmente insensata come quella e io, d'altra parte, sembravo
talmente spaventata del mondo da non potermi lasciare andare a gesti
simili.
Forse
quando eravamo soli, eravamo davvero noi stessi.
Quello
che pensavamo di essere era solo un illusione.
Ci
accorgemmo troppo tardi che le nostre mani si stavano sfiorando e non
era casuale: le sue dita cercavano le mie e viceversa, passavano
sulle nostre pelli lasciando una linea calda invisibile su di esse.
Ci guardammo negli occhi, i nostri visi non erano stati mai così
vicini e i suoi occhi scuri mi parvero ancora più profondi di
quanto sembrassero.
Avvampai
in volto e mi rizzai a sedere, appena mi accorsi di provare uno
strano desiderio che mi spingeva ad avvicinarmi ancora di più
al suo volto.
Ma
le nostre mani restarono l'una sopra l'altra. “Ti sei divertita
oggi?” mi chiese Elijah, rimase voltato da un lato per potermi
guardare.
Annuii,
era stata una delle giornate più belle tra tutte le bellissime
giornate che avevo passato in Inghilterra. Escludendo l'ultimo
periodo, in cui mi sembrava di aver di nuovo paura di tutto.
Senza
accorgermene, il mio viso si rabbuiò ed Elijah se ne accorse
subito.
“Irina,
non pensare più a Julia. Purtroppo certe cose capitano e
persone piccole come te, non dovrebbero rovinarsi la vita in questo
modo...” disse, allungò una mano verso i miei capelli,
per togliermi un fiore che si era incastrato tra di essi.
Avrei
tanto voluto dirgli dell'uomo alla finestra e di quello con cui mi
ero imbattuta alla festa, pensavo che fossero la stessa persona, ma
il pensiero di dirlo a qualcuno mi preoccupava.
Potevo
pure essermi immaginata tutto.
Scossi
la testa, come per allontanare di nuovo quei pensieri, e tornai a
guardare Elijah.
Lui
mi stava sorridendo, come per confortarmi. “Dai, sei uno
spettacolo quando sorridi!” le disse.
Mi
venne di nuovo da sorridere, gli occhi di Elijah mi facevano sempre
uno strano effetto, sopratutto se mi guardavano con quella dolcezza.
Improvvisamente,
mi chiesi se lui fosse innamorato. Klaus era tutto preso da Katerina
e anche altre donne sembravano pazze di lui, ma Elijah? Sotto quel
punto di vista era difficile da capire, avevo visto diverse ragazze,
anche al mercato, guardarlo, indubbiamente colpite dalla sua bellezza
ed eleganza.
Ma
non l'avevo mai visto in atteggiamenti romantici con nessuna.
“Andiamo,
dimmi,” mi disse ad un certo punto lui, lo guardai confusa.
“Vuoi farmi una domanda, lo capisco dai tuoi occhi. Chiedimi
ciò che vuoi.”
Mi
sorprese il modo in cui era arrivato a capirmi; potevo pure stare
immobile ma lui avrebbe capito cosa mi passava per la testa.
Avvicinai
la mano al suo petto e con un dito indicai il punto in cui si trovava
il suo cuore. Quel gesto mi parve un po' innervosirlo, ma non lo
diede a vedere.
“Vuoi
sapere...se sono innamorato?” mi chiese.
Annuii,
sentendomi un po' un impicciona. Ma lui per tutta risposta rise.
“Sai,
ora che mi ci fai pensare, non sono mai stato...veramente innamorato.
Mi sono solo avvicinato a quella sensazione che si prova quando si
ama ma...nient'altro. Credo che, in tutti questi anni, non ho mai
veramente sperimentato l'amore.” rispose, portandosi le mani
dietro la nuca e guardando il sole. Restai di nuovo sorpresa: un uomo
così bello e buono, non poteva non aver mai amato.
Non
riuscivo ad immaginarmelo nemmeno, era così perfetto...
Forse,
doveva trovare anche lui la sua anima gemella. Io la pensavo così:
c'era solo una persona nel mondo che poteva davvero farti conoscere
l'amore.
Anche
lui, come me, probabilmente doveva ancora trovarla.
Elijah
mi guardò “E tu, invece? Sei innamorata?” mi
chiese.
Inarcai
le sopracciglia, come per dirgli che non lo ero mai stata. Anche
perché nessuno, mi aveva dato l'opportunità di esserlo.
“Non preoccuparti, troveremo entrambi l'amore. È un
diritto di tutti.” rispose. Restammo di nuovo in silenzio, ad
un certo punto, Elijah aprì la borsa che aveva con sé e
ne prese qualcosa all'interno.
“Ho..una
cosa per te.” mi disse, si mise a sedere e mi porse un libro.
Lo presi con delicatezza, sulla copertina c'erano disegnate a mano,
diverse rose rosse, il libro era spesso e con le pagine ingiallite
dal tempo. “Siccome ora conosci abbastanza bene l'inglese,
pensavo che quel libro potesse esserti utile. Non è male,
credimi.” disse.
Lo
aprii, adoravo i libri e il profumo che emanavano. Prima non sapevo
leggere e quindi mi sembravano solo oggetti belli quanto
irraggiungibili.
Perciò,
ricevere un libro per regalo, mi parve una cosa stupenda. Il regalo
più bello che avessi mai avuto.
Grazie.
Gli
dissi, muovendo le mani.
Lui
mi sorrise. “Ma figurati, Irina.” mi disse e dopo lunghi
attimi di silenzio, mi prese per mano. “Ora torniamo, prima che
Niklaus mandi una squadra di ricerca a venirci a cercare!”
Tornammo
alla carrozza, attraversando la folla del mercato.
Mentre
la mia mano stringeva quella di Elijah, mi guardai attorno, per
sorridere un ultima volta a quello spettacolo di persone che mi
circondava.
Ma
il mio sorriso si spense, quando i miei occhi si posarono su un punto
lontano.
Vicino
a quella che sembrava un osteria, l'uomo della festa mi stava
fissando con i suoi occhi gelidi.
Un
brivido di paura mi corse lungo la schiena e rimasi a fissarlo a
lungo, come se volessi pregarlo di smettermi di guardarmi.
“Irina?”
Elijah mi chiamò, per aiutarmi a salire sulla carrozza.
Gli
lanciai una veloce occhiata e quando tornai a guardare il punto in
cui si trovava l'uomo, quello era scomparso.
*
* * *
Quel
libro era bellissimo.
Elijah
non me lo aveva detto, ma ero sicura che a scriverlo fosse stato
lui.: la scrittura era fluida e perfetta, sembrava che la sua
gentilezza si riflettesse in quelle parole.
Il
libro racchiudeva una serie di racconti, un misto di fantasia e
amore, che mi parve rispecchiassero un po' i miei sogni. Mentre
leggevo mi sembrava di immergermi nella storia e di esserne
protagonista. Passavo ore a leggerlo e avevo paura di finirlo troppo
presto, era così bello che volevo durasse in eterno.
In
quel momento, ero seduta a terra, nel bel mezzo di uno dei giardini
di casa.
Tenevo
il libro sulle ginocchia e mi ero un attimo bloccata su alcune frasi
che non riuscivo ancora a tradurre bene. Ma la scrittura era così
perfetta, che comunque riuscivo a capire il significato anche senza
riconoscere le parole. Dei passi alle mie spalle, ruppero il
silenzio: il pensiero dell'uomo incappucciato mi tornò in
mente, ma quando mi voltai, vidi solo il viso di Klaus che mi
sorrideva.
Il
suo sorriso era come al solito enigmatico, non capivo che cosa
racchiudesse.
“Scusami,
ti ho spaventata?” mi chiese.
Anche
lui aveva deciso di darmi del tu, come se sentisse che mi faceva
sentire meno lontana da loro.
Scossi
la testa e mi alzai in piedi. Anche se Klaus aveva ordinato a me e
Katerina di non inchinarci, non volevo mancargli di rispetto
restandomene seduta a terra.
Lo
sguardo di lui cadde sul libro che avevo in mano, sembrò
riconoscerlo: la copertina era talmente originale, che la si poteva
ricordare anche dopo averla vista una sola volta.
Klaus
rise “Te lo ha dato mio fratello, vero?” mi chiese
indicandolo. “Lo ha scritto lui, non sembra ma è un vero
sentimentale!”
Guardai
il libro e, quando ebbi la conferma che a scriverlo era stato lui, mi
sfuggì un sorriso.
Sorvolai
sulla battuta di Klaus, era solo un gioco tra fratelli che spesso
anche io e Katerina facevamo. Solo che, in lui notai un leggero
fastidio.
“Strano,
non lo ha dato mai a nessuno.” aggiunse ancora lui e alzai di
nuovo lo sguardo su di lui.
Sapere
quella cosa mi fece arrossire.
“L'ho
letto anche io, c'è sempre il lieto fine in tutti i suoi
racconti.” continuò a dire. “Peccato che io non
creda nelle fiabe...”
A
quelle parole, distolse lo sguardo e io rimasi a guardarlo confusa,
non avevo passato molto tempo con lui e quindi non lo conoscevo come
conoscevo Elijah.
Però
non l'avrei mai fatto così cinico; era pur sempre l'uomo che
faceva sognare mia sorella.
E
Katerina era sognatrice quanto me.
Perché?
Credetti
che quello fosse l'unico gesto del mio linguaggio dei segni che
avesse imparato a memoria.
Klaus
posò lo sguardo su di me. Come il fratello, aveva uno sguardo
penetrante che sembrava scavarti dentro la mente.
Solo
che, quegli occhi mi facevano un po' paura. Mi sarebbe davvero
piaciuto capirne il motivo.
“La
vita non è un racconto e il lieto fine non è per
tutti.”rispose, mi sembrò che stesse cercando di
mascherare un antico dolore, che lo attanagliava ancora nel profondo.
I
suoi sorrisi enigmatici, forse nascondevano dell'altro.
Se
fosse stato Elijah, gli avrei preso la mano per confortarlo, ma con
Klaus era diverso: non sapevo come comportarmi. Restai così a
guardarlo, finché lui tornò il ragazzo sicuro di sé,
che avevo sempre visto al fianco di Katerina, e mi prese la mano.
“Vieni,
devo farti vedere una cosa...” disse, mi condusse sotto il
portico.
Eravamo
diretti verso i giardini, dietro l'abitazione. La presa di Klaus era
fredda e stringeva la mia mano con delicatezza, come se avesse paura
di rompermi.
Mi
guardai attorno, sperando di non incrociare Katerina.
Per
come la conoscevo, si sarebbe creata una storia tutta sua nella
testa.
Raggiungemmo
quello che sembrava un giardino incolto, era enorme e talmente bello,
che mi venne voglia di iniziarci subito a piantare fiori.
Klaus
guardò il mio stupore e ne rise. “Hai il pollice verde,
no? Questo è tutto per te.” disse.
Mi
voltai verso di lui, basita.
Mi
strinsi il libro di Elijah al petto e guardai quel terreno.
Non
avevo mai ricevuto così tanti bei regali in tutta la mia vita.
In
Bulgaria avevo un giardino minuscolo, che con i dispetti di Ada si
era pure rovinato.
Lì
invece, l'Inghilterra, o meglio Klaus, mi aveva regalato un giardino
grande quanto la mia vecchia casa.
Mi
sembrava di vivere un sogno, dove la realtà stava assumendo
tutti i colori che avevo sempre desiderato.
“Dopo
quello che è accaduto a Julia, pensavo fosse doveroso,
risollevarti il morale...” disse.
Lo
ringraziai con un enorme sorriso, era un regalo bellissimo insieme al
libro che mi aveva dato suo fratello e all'abito. Ma mi sembrava
troppo, non credevo di meritare così tanto.
Non
avevo fatto nulla di che, né a lui e né tanto meno ad
Elijah.
La
loro gentilezza era il vero regalo più bello che avessi mai
ricevuto in tutta la mia esistenza.
Il
mio sguardo cadde su un punto del giardino, dove erano state piantate
delle rose rosse.
Klaus
seguì il mio sguardo e sorrise. “Mi sono preso la briga
di piantare dei fiori, se non ti dispiace. Diciamo...una specie di
omaggio.” Si avvicinò ad una di quelle rose e ne strappò
una.
Poi
tornò da me e me la porse. “Ne volevo portare una a
Katerina. Sai, adoro le rose...mi piace molto il rosso, è un
colore bello e misterioso, non trovi?” mi chiese.
Lo
guardai titubante e pensai che preferivo di gran lunga il colore blu:
il rosso mi faceva subito pensare a qualcosa di pauroso, come il
sangue.
Mi
ritrovai a rabbrividire, al pensiero di Julia e dell'uomo misterioso
che avevo visto anche in città. Presi la rosa e...la lasciai
subito cadere: aveva una spina, che mi aveva preso in pieno il dito.
Deglutii
di dolore, fissando il sangue colare lungo il dito.
Klaus
lo fissava, in silenzio. “Mi dispiace, mi ero dimenticato che
ogni rosa ha la sua spina...” disse, mi prese il dito e,
cogliendomi di sorpresa, se lo portò alle labbra.
Sapevo
che in quel modo, si poteva rallentare il flusso del sangue, ma mi
sentivo imbarazzata.
Abbassai
lo sguardo attendendo che lui mi lasciasse la mano: non potevo
ritrarmi, sarei risultata scortese. In fondo mi stava solo aiutando.
Allora
perché mi sentivo tremare?
Klaus
lasciò la mia mano e rise “Gesto poco elegante lo so.”
disse, come per scusarsi. Arrossii di nuovo e ritrassi la mano
portandomela al petto. “Ma lo sai che così si blocca
l'uscita del sangue no?”
Mi
porse poi un fazzoletto, con cui circondò il mio dito.
Si
era avvicinato parecchio a me, era così alto che dovetti
alzare la testa per guardarlo in viso. Mai lo avessi fatto, eravamo
troppo vicini e riuscivo a sentire il suo respiro sulla mia pelle.
Mi
ritrassi. Il modo in cui mi guardava mi faceva rabbrividire.
Ma
non di piacere.
“Ora
devo andare, spero che il mio regalo ti sia piaciuto.” mi
sorrise e si allontanò da me, dandomi le spalle. Mentre lo
guardavo camminare via, mi chiesi se sarei mai riuscita a
comprenderlo.
*
* * *
“Che
bello! Era da tanto che non venivo in città!” esclamò
Katerina, appena scendemmo dalla carrozza. Elijah si era offerto di
accompagnarmi dal botanico, per comprare dei semi che potessero
arricchire il giardino. E lei si era stranamente offerta di venire
con noi, lasciando Klaus solo a casa.
Mi
guardai attorno, il cielo era nero e prometteva pioggia.
Posai
la mano sopra una delle tasche del mio vestito, avevo poche monete e
sperai che bastassero per comprare quello che avevo intenzione di
prendere. Non volevo chiedere soldi ad Elijah e nemmeno a Klaus,
sopratutto dopo i regali che avevo ricevuto.
Poi,
avvicinarmi a Klaus dopo quello che era successo, mi imbarazzava.
“Voglio
andare dal sarto, per vedere che può farmi un bel vestito!”
disse mia sorella, entusiasta.
La
guardai con aria colpevole,chiedendomi come avrebbe reagito se avesse
saputo cos'era accaduto il giorno prima, con Klaus.
Non
era successo nulla, era vero, ma sentire le sue labbra che si
posavano sul mio sangue, lo consideravo un gesto...troppo intimo.
Come al solito, stavo vagando in un mare di pensieri inutili.
“Katerina,
andiamo prima dal botanico. Non posso lasciare sola nessuna di voi
due, siete sotto la mia tutela.” disse, mi lanciò un
occhiata protettiva a cui risposi con un sorriso.
Mia
sorella ridacchiò “Ma, Lord Elijah, voi non siete il mio
cavaliere!” lo provocò scherzosamente, chiara allusione
a Klaus. Era da un minuto che non ne faceva.
Le
lanciai un occhiata, come per dirle che stava un po' esagerando.
Elijah
sospirò amareggiato. “Beh, ora lo sono, Katerina. Siete
giovani e c'è gente pericolosa in giro, lo sai...”
“Ma
di giorno che può succedere?” chiese lei. “I
mostri escono solo di notte.”
Mi
fece rabbrividire e Elijah la fissò a lungo, senza proferire
parola.
Come
se volesse precisarle, che non era affatto così.
In
certi comportamenti, era complicato da capire, quasi quanto Klaus.
La
prese sotto braccio “Tua sorella è la più piccola
di noi, perciò si fa prima quello che dice lei.” le
disse, mi lanciò un occhiata ammiccante e mi sorrise.
Katerina
mise un finto broncio da bambina e ci seguì dal botanico.
Appena
entrammo,mia sorella si guardava attorno un po' annoiata, mente io
cercavo tra gli scaffali, vari semi che potessero imbellire il
giardino. Elijah stava guardando dall'altra parte della stanza.
“Perché
non compri dei semi di rosa? Adoro le rose!” mi disse Katerina.
La
parola “rosa” non mi faceva più l'effetto di
prima, ripensai all'episodio con Klaus e arrossii violentemente. Feci
finta di nulla e continuai a cercare tra gli scaffali: i nomi delle
piante erano scritti in latino, così non ebbi grandi problemi
a riconoscerne i semi. Erano le uniche parole in latino che
conoscevo. Katerina sbuffò, facendomi capire che si stava
davvero annoiando.
Strano,
perché i fiori una volta le piacevano. Era la moda che le
piaceva un po' meno.
In
Inghilterra invece, si era innamorata di vestiti e gioielli.
“Irina,
hai fatto? Il sarto poi chiude!” esclamò, mi abbracciò
da dietro, cingendomi le spalle.
Presi,
dallo scaffale di fronte a me, un vasetto di semi.
Così,
dall'altra parte della stanza, scorsi Elijah che stava osservando dei
fogli di botanica.
I
nostri sguardi si incrociarono e mi sorrise dolcemente, feci lo
stesso, dimenticandomi che l'occhio attento di Katerina vigeva su di
me.
“Uhm,
cos'era quello sguardo?” mi chiese.
Una
vampata mi investì il viso e feci spallucce, come per dirle
che non era nulla.
Ma
lei non se la bevve e mi guardò con malizia. “Ti piace
Lord Elijah?” disse, puntandomi il dito sulla punta del naso.
“E tu piaci a lui?”
Scossi
la testa, anche per allontanare il suo dito “accusatorio”
dal mio naso. Ma aveva notato quanto fossimo diversi? Io sembravo
ancora una contadinella, lui un bellissimo principe.
Potevo
negare che non mi piacesse anche se pensavo il contrario, ma ero più
che certa di non poter piacere a lui: mi vedeva solo come un amica da
difendere. Nient'altro.
“Le
bugie fanno venire le gambe corte, sorellina. Stai attenta, mi
raccomando.” mi disse con un sorriso. Presi un lungo respiro e
decisi di lasciar perdere.
Mi
vergognavo troppo a parlare di quello che pensavo di provare per
Elijah.
Perché
lo pensavo solo, il mio cuore ancora non mi faceva ben capire i suoi
segnali.
Decisi
di sbrigarmi per non annoiare ulteriormente mia sorella.
Come
mi aspettavo, Elijah si rifiutò di farmi spendere le poche
monete che avevo con me e, per farmi sentire meno in colpa, finse di
comprare anche lui dei fogli di botanica.
Passammo
poi dal sarto per accontentare Katerina, lei non si preoccupò
di far spendere soldi ad Elijah. Quando uscimmo, iniziò a
correre tra la folla, per provocare Elijah a seguirla.
Quella
sua voglia di giocare, mi faceva sorridere.
Elijah
però non voleva darle corde e restò al mio fianco,
reggendo le nostre pesanti sacche.
“Ma
che ha oggi tua sorella? Sembra esagitata!”esclamò
Elijah e scoppiai a ridere: credevo che Katerina fosse così
felice, semplicemente perché si sentiva finalmente libera.
Come
era successo a me pochi giorni prima, quando corsi lungo quel prato
insieme ad Elijah.
Eravamo
come rose, finalmente felici di sbocciare.
E
io non volevo ostacolare il gioco di Katerina.
Perciò
costrinsi Elijah a darmi le sacche e gli feci segno di seguire mia
sorella.
“Oh
no, Irina. Non vorrai che l'assecondi?!” ridacchiò lui,
mentre gli strappavo via una sacca dalla mano. Gli indicai con il
capo mia sorella, come per chiedergli di non lasciarla vincere. “Ma
ne sei sicura? Sono troppo pesanti per te!” insistette lui.
Scossi
la testa, gli feci capire che tanto li avrei seguiti e non mi sarebbe
capitato nulla.
Intanto
il cielo si fece più nero, sembrava che potesse mettersi a
piovere a momenti.
“Siete
lenti!” gridò Katerina.
Io
ed Elijah ci lanciammo un occhiata divertita e lui finalmente si
decise, a non preoccuparsi per me.
“Lo
ha voluto lei!” mi disse e iniziò a correrle dietro. Li
seguii lentamente, mia sorella si liberò spesso dalle
“grinfie” di Elijah e i due ridevano, come se fossero
bambini.
Fu
uno spettacolo stupendo per i miei occhi, erano entrambi così
belli, che non si poteva non sorridere guardandoli. Tutto finì,
quando un uomo misterioso si parò davanti a me: lo guardai
spaventata, era lo stesso che avevo visto alla festa e in città.
I suoi occhi di ghiaccio mi scrutavano attentamente, mi afferrò
violentemente per la mano libera, cercando di tirarmi a sé.
Parlò
in una lingua che non conoscevo, forse tedesco o comunque con un
accento simile.
Conosceva
il mio nome, perché fu l'unica parola comprensibile che uscì
dalla sua bocca.
Mi
dibattei furiosamente, volevo gridare aiuto ma dalle mie labbra uscì
il solito silenzio.
Cercai
con lo sguardo Elijah e Katerina, ma li avevo persi di vista.
Lui
continuava a tirarmi, da come mi parlava, non capivo se mi stesse
minacciando o se mi stesse implorando di seguirlo. Era certo però,
che voleva portarmi via.
Spaventata
più che mai, lo colpii con un calcio al ginocchio e iniziai a
correre.
Le
sacche mi caddero a terra e tutti i semi che avrei voluto piantare,
si riversarono sul terreno.
*
* * *
Avevo
corso così tanto che non mi sentivo più le gambe.
Dopo
essermi guardata indietro diverse volte, per non avere sorprese, mi
poggiai ad un albero per riprendere fiato. Era anche scoppiato un
acquazzone ed ero tutta bagnata ed infreddolita.
Dovevo
trovare Elijah e Katerina, volevo solo tornare a casa, al sicuro tra
le mura dell'abitazione di Klaus. Mi guardai attorno, ero nelle
foresta ma non riconoscevo nulla che potesse aiutarmi ad uscirne.
Il
canto di un uccello mi fece sobbalzare e ripresi a correre.
Non
sapevo dove stavo andando, ma volevo solo correre.
Quell'uomo
poteva essere dietro di me e mi ritrovai così all'uscita della
foresta.
Davanti
a me trovai una specie di collinetta, su cui era posta in cima una
casetta.
Forse
potevo chiedere aiuto, ma ero muta e nessuno là poteva
conoscere il mio linguaggio dei segni.
Venni
presa per un attimo dalla disperazione,ma la lasciai correre.
Raggiunsi
la cima della collinetta e mi avvicinai alla porta, per bussare
ripetutamente.
Nessuno
mi rispose, pensai così che non ci fosse nessuno.
Scrutai
dentro le finestrelle, per vedere se la casa era effettivamente
vuota. Quell'abitazione mi ricordava la mia in Bulgaria: piccola e
rurale, solo che la mia non era circondata da tutto quel verde.
“Chi
sei?”
Una
voce femminile, decisa e dura, mi colse di sorpresa.
Mi
voltai di scatto, verso una ragazza: aveva indosso una mantella con
cappuccio, per ripararsi dalla pioggia, e in mano aveva un cesto
pieno di piante. Mi guardava con aria inquisitoria e scorsi i suoi
occhi verde smeraldo sotto il cappuccio mentre mi fissavano.
Mi
strinsi nelle spalle, perché avevo freddo e la vista di quella
calda mantella non mi era di aiuto.
“Ti
ho fatto una domanda, rispondi!” insistette lei, guardandomi
con rabbia.
Nell'imbarazzo,
,mi dimenticai di essere muta e aprii la bocca, come se aspettassi
che da essa ne uscisse qualche suono. Lei mi guardò,
infastidita.
“Mi
prendi in giro per caso? Spii dentro casa mia e mi prendi pure per i
fondelli?” esclamò.
Non
sapendo che fare, mi ritrovai a piangere come una bambina.
Mi
portai le mani al viso, per nascondere le mie lacrime e tirai su con
il naso.
Mi
sentivo una stupida, ma avevo troppa paura: per la prima volta, da
quando ero giunta in Inghilterra, ero davvero sola. Un uomo mi aveva
praticamente quasi aggredito e quella ragazza mi stava accusando di
essere una spiona.
“Ehi,
non piangere.” Lei si addolcì, lasciò la cesta e
terra e si avvicinò a me. Mi cinse le spalle ma tenni lo
sguardo basso. “Che ti è successo?”
Non
ebbi il tempo di far nulla, la porta della casetta si spalancò
improvvisamente e riconobbi l'amico di mia sorella, Trevor. Quando mi
vide, sembrò sorpreso.
“Irina?”
mi chiese confuso,lanciò un occhiata al cielo, come per
assicurarsi che stesse ancora piovendo. “Rose, che ci fa lei
qui?”Sembrava come se la mia presenza lì, lo
spaventasse.
Rose
fece spallucce. “Non lo so, l'ho trovata qui davanti e...”
rispose.
“Entrate
tutte e due.” la interruppe lui.
Trevor
ci lasciò la porta aperta, lo guardai un po' perplessa. “Non
vi faccio del male, Irina. Lord Niklaus è meglio averlo come
amico, che come nemico. Credetemi.” mi disse, parlava con un
tale rispetto e una tale devozione verso Klaus che mi stupii.
Misti,
però, ad un forte sentimento di paura.
*
* * *
Rose
mi seguì e mi fece sedere su una poltrona mezza rotta, sotto
la finestra.
Si
tolse il mantello: aveva lunghi capelli castano chiaro e grandi occhi
verdi, avrà avuto più o meno sui venticinque anni.
Trevor restò lontano, con la schiena appoggiata sulla parete e
lo sguardo rivolto verso di me. Sembrava quasi che la mia presenza lì
lo intimorisse.
Rose
mi mise gentilmente una coperta sulle spalle, si chinò su di
me e mi sorrise. “Scusami per prima, Irina.” disse,
pronunciando il mio nome con una forte assonanza inglese. “Io
sono Rose, credo che Trevor tu lo conosca già.”
Lanciai
un occhiata a Trevor, che distolse lo sguardo.
“Come
mai sei qui? Niklaus ti permette di uscire da sola?” disse
ancora lei con una leggera punta di sarcasmo, quando pronunciò
il nome del ragazzo.
Abbassai
lo sguardo, mi sentivo ancora tremare al ricordo di quell'uomo in
città.
“Devo
pensare...che sei troppo timida per rispondermi?” mi chiese
Rose, studiando il mio viso.
“Rose,lei
è muta.” le disse Trevor con voce dura, la ragazza lo
guardò sorpreso. “Ed è ferita.”
Ferita?
Trevor indicò con un cenno della testa il mio braccio, dove
scorsi una macchia rossa che bagnava il tessuto chiaro. Dovevo essere
così spaventata da non aver nemmeno sentito dolore.
“Oh,
te la medico subito.” Rose scattò in piedi e si avvicinò
ad un secchio d'acqua che teneva vicino ad un mobile. Lo bagnò
con un panno e tornò da me, mi alzò la manica e
premette sulla ferita. Sussultai un attimo per il dolore improvviso,
in quel momento lo sentivo. “Non preoccuparti, non è
nulla di grave.” mi tranquillizzò ,gentilmente, Rose.
Forse,
di fronte alla porta, aveva agito così perché pensassi
che fossi una ladra.
Allora
mi ricordai di aver bussato più volte alla porta e che Trevor
era dentro.
Perché
non mi aveva aperto dunque?
Gli
lanciai un occhiata sospettosa e notai che lui non aveva distolto lo
sguardo da me.
“Sentite,
Irina. Non so perché siete qui...ma ora Rose vi riporterà
da Klaus. Non voglio che lui pensi che vi abbiamo rapita o trattenuta
contro la vostra volontà, va bene?” mi disse, da come
parlava sembrava quasi che pensasse fossi fuggita.
Ma
perché avrei dovuto? Lui mi vedeva tutte le sere insieme a
Katerina.
E
aveva notato che stavo benissimo con loro.
Annuii,
intanto fuori aveva smesso di piovere e alcuni raggi di sole
filtrarono attraverso la finestra. Trevor si tirò più
contro il muro e strisciò verso la porta, come se volesse
evitare di esserne colpito.
Rose
tolse il panno dalla mia pelle e mi bendò la ferita.
Quando
notò il ragazzo, andò subito a chiudere le tende della
finestra ed io la seguii con lo sguardo, confusa.
“Rose,
riportala subito da Klaus. Ti prego.” disse Trevor
avvicinandosi a lei, appena le tende furono chiuse.
“Datti
una calmata, Trevor. Non sopporto che tu mi dia ordini!” disse
lei a denti stretti, come se sperasse che non la udissi.
“Tu
non capisci.” Trevor mi lanciò brevi occhiate, come per
assicurarsi che non li stessi guardando. “Klaus si potrebbe
arrabbiare.”
“Non
parlarmi come se dovessi comprenderti. È la tua gente, non la
mia.” replicò lei.
I
due si guardarono a lungo, non capii cosa significassero quelle
parole.
L'unica
cosa che mi era chiara era che entrambi temevano, in un modo o
nell'altro, Klaus.
Rose
si voltò verso di me e mi sorrise. “Vieni, andiamo.”
disse porgendomi la mano, gliela strinsi e la seguii. Quando lei aprì
la porta, la luce del sole fece capolino all'interno della casa.
E
Trevor si allontanò, come per evitare di incontrarla.
*
* * *
Avevo
così tanti interrogativi per la testa, che non volevo più
pormi domande.
Che
relazione c'era tra Rose e Trevor?
Perché
non si era offerto lui di accompagnarmi, lasciando uscire da sola la
ragazza? E sopratutto, perché evitava così tanto la
luce del sole?
Trovai
una sola spiegazione a tutto: non m'importava.
Non
potevo vedere sempre tutto nero; ci sarebbe stata una spiegazione più
che ragionevole a tutto.
Ci
avrei pensato dopo magari, sotto le coperte del mio caldo letto.
Io
e Rose giungemmo nel salone, dove trovai solo Katerina, seduta ad un
tavolo, con un espressione afflitta sul volto. Quando sentì il
rumore dei nostri passi, balzò in piedi.
“Irina!”
esclamò.
Mi
separai dal braccio di Rose e le corsi incontro. Mia sorella mi
strinse forte, come se non volesse più lasciarmi andare. “Ma
dove sei stata? Mi hai fatto prendere un colpo, lo sai?”
esclamò poi, stringendomi le spalle.
Aveva
gli occhi lucidi, sembrava che avesse pianto a lungo e la cosa mi
dispiacque.
Rose
ci guardò in silenzio, il suo sguardo slittava da Katerina a
me. Fu allora che mia sorella la guardò, sembrava che la
conoscesse e... che non le piacesse.
Mia
sorella non era brava a nascondere le sue antipatie.
E
anche Rose non sembrava trovarla simpatica.
“L'hai
trovata tu?” le chiese Katerina, stringendomi la mano.
“Sì,
si era persa nella foresta.” rispose lei stringendosi le
braccia al petto, era la verità ma non capivo se lei lo avesse
dedotto da qualcosa o se se lo fosse solo immaginata. “Ma siete
sorelle? Non vi somigliate per niente...”
Non
si riferiva all'aspetto fisico perché, a parte i colori, in
viso io e Katerina ci somigliavamo parecchio. Doveva riferirsi ad un
aspetto caratteriale.
“Sorvolando
sulla tua acidità, ti ringrazio.” disse Katerina,
piegando la testa da un lato.
Volevo
pregarla di essere più gentile, ma ero troppo stanca ed
affaticata per fare qualsiasi cosa.
Rose
annuì, poi mi riservò un sorriso. “Alla prossima,
Irina.” mi disse e uscì dalla sala a passo svelto.
Katerina
mi condusse in camera nostra, dicendomi che Elijah e Klaus erano
scesi in città a cercarmi. Erano entrambi molto preoccupati
per me e non potei che non sentirmi in colpa.
Sopratutto
nei confronti di Elijah, che aveva il compito di vegliare su di noi.
Ci
sedemmo sul letto e lei mi accarezzò lentamente i capelli,
ancora bagnati, per tranquillizzarmi.
Poco
dopo, qualcuno entrò rapidamente in camera, senza nemmeno
bussare: Klaus ci guardò preoccupato, poi tirò un
sospiro di sollievo.
“Irina,
stai bene?” mi chiese, si chinò su di me e mi strinse le
mani tra le sue. Non erano mai state così fredde. Katerina
restò turbata da quel gesto, ma si sforzò di non darlo
a vedere.
Intanto
io annuii.
“Sei
sicura? Se qualcuno ti ha fatto del male, ti giuro che...”
Lo
interruppi, stringendogli forte le mani. Sembrava davvero furioso, il
suo viso pallido stava assumendo un espressione animalesca, che non
avevo mai visto prima.
Ci
guardammo a lungo, lui sembrò leggere nei miei occhi un
qualcosa che riuscì a placare la sua rabbia.
Alzai
lo sguardo dai suoi occhi, solo quando vidi la porta aprirsi di
nuovo.
Comparve
Elijah, che quando mi vide, sembrò illuminarsi in un
espressione serena. Il mio cuore sobbalzò e allora mi resi
conto che, in quel momento, il suo era il viso che avevo bisogno di
vedere.
“Irina...”
sussurrò dolcemente il mio nome e io mi alzai in piedi, Klaus
fece lo stesso. “Mi dispiace così tanto. È stata
colpa mia, avrei dovuto tenerti d'occhio e...”
Appena
cercai di fargli capire che non era affatto colpa sua, Klaus mi colse
di sorpresa: si avvicinò al fratello e, prendendolo per il
colletto della maglia, lo spinse contro il muro.
Persino
Katerina scattò in piedi di fronte a quel gesto, mentre io li
fissavo a bocca aperta.
Elijah
non si mosse, restò immobile a guardare gli occhi collerici di
suo fratello. Come se pensasse di meritare un tale trattamento. “Sì
che è colpa tua, Elijah. Avresti dovuto fare più
attenzione!” esclamò a denti stretti Klaus e mi
avvicinai velocemente a lui.
Cercai
di allontanare le sue braccia da Elijah ma non riuscivo nemmeno ad
attirare la sua attenzione. Solo quando la mia mano sfiorò la
sua, Klaus si voltò verso di me.
Lasciò
il fratello e, prendendo lunghi respiri per calmarsi, si avvicinò
alla porta. “La prossima volta mi potrei davvero arrabbiare,
fratello.” disse.
Elijah
restò con la schiena sul muro, continuava a non reagire e a
non guardarlo.
Se
avesse potuto, lo avrebbe potuto colpire, ma non lo aveva fatto.
Era
suo fratello e non lo avrebbe mai toccato con un dito, era questa la
mentalità di Elijah.
Era
pieno di onore ed educazione, per lasciarsi andare a certi sfoghi di
rabbia.
Ma
Klaus non aveva la stessa mentalità e pensai che un po' si
approfittasse del fatto che gli erano tutti devoti. In quel caso,
però, non riuscii a condannarlo: potevo accusare solo me
stessa, di quello che era appena successo.
La
mia “scomparsa” aveva turbato tutti, ma perché lui
si era arrabbiato in quel modo?
Mi
avvicinai ad Elijah per toccargli il braccio e lui mi guardò
dispiaciuto.
Aveva
sensi di colpa che non doveva avere e mi dispiaceva.
Dopo
quella scena, Klaus uscì dalla stanza, sbattendo la porta.
Restammo
noi tre soli, in silenzio.
E
pensai che era proprio vero che non esistevano rose senza spine.
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Capitolo 6 *** Red ***
-Red-
Passai
i giorni successivi in un profondo stato di senso di colpa e
angoscia.
Katerina
era arrabbiata con me. Non me lo disse esplicitamente, ma lo capii da
come evitava il mio sguardo e da come cercava di non rivolgermi
parola.
Il
motivo per cui mi trattava in quel modo era chiaro: la reazione, così
esagerata e protettiva, di Klaus aveva stupito persino me.
Non
riuscii nemmeno ad incontrare Elijah per giorni, doveva ancora
sentirsi colpevole per quello che mi era capitato in città e
io avevo deciso di rivelare, sperando che non mi prendesse per pazza,
cosa era realmente successo. Sarebbe stato difficile da spiegare,
perciò realizzai un piccolo e mal riuscito disegno di quello
strano uomo che avevo, troppe volte, incontrato casualmente.
Eppure,
non trovavo la forza di affrontare né lui, né mia
sorella.
Mi
sentivo di averli feriti entrambi.
Per
darmi coraggio, passavo ore a leggere il libro che mi aveva dato
Elijah e ci misi pochi giorni per finirlo. Le storie che aveva
scritto erano una più bella dell'altra, non mi capacitavo di
quanti sentimenti quell'uomo racchiudesse dentro di sé.
Restai
distesa sul letto e girai l'ultima pagina, un numero scritto
sull'angolo basso destro dell'interno copertina, colse la mia
attenzione: c'era scritto “1167”, come se fosse stata la
data in cui Elijah l'aveva scritta. Mi resi subito conto che quel
pensiero era più stupido di tutti i problemi che mi creavo
quotidianamente; voleva dire che Elijah aveva più di trecento
anni, il che era impossibile.
Quel
numero doveva rappresentare qualcos'altro, la prima impressione era
sicuramente sbagliata.
Il
ritorno, improvviso, di Katerina nella stanza mi fece sobbalzare.
Come al solito, non mi guardò e filò dritta davanti
allo specchio per iniziare a prepararsi per l'ennesima festa di
quella sera.
Non
sopportavo più quella situazione, così fastidiosa.
Se
Kat non voleva affrontare l'argomento, l'avrei fatto io.
Non
volevo essere in lite con lei, non ci era mai successo di non
guardarci per più di un giorno. In realtà, non avevamo
mai trovato alcun reale motivo per litigare.
Eravamo
tutto l'una per l'altra. Ma ora c'era anche Klaus.
Mi
alzai di scatto in piedi e andai da lei, le posai una mano sulla
spalla per attirare la sua attenzione e Katerina mi guardò
attraverso il riflesso dello specchio.
Mi
sembrava sollevata che avessi fatto la prima mossa.
“Che
cosa vuoi?” mi chiese, sistemandosi i ricci castani sulle
spalle.
Sospirai.
Sei
arrabbiata con me?
Le
chiesi, muovendo lentamente le mani.
“No.”
rispose lei, troppo velocemente per darle credibilità.
Restai
a fissarla, facendole capire che riuscivo a sentire che qualcosa non
andava.
Katerina
mi guardò a lungo, poi si alzò in piedi. “Non mi
va di parlarne.” disse e mi superò, per avvicinarsi al
suo armadio.
La
seguii, non poteva dare più importanza ai suoi vestiti,
piuttosto che a quello che ci stava succedendo. Lo faceva solo,
perché aveva paura a litigare con me.
Come
avevo paura io.
La
presi per mano e lei, cogliendomi di sorpresa, si ritrasse irritata.
“Irina, ti ho detto che non voglio parlarne!” mi
rimproverò.
Sostenni
il suo sguardo, ma solo perché, se lo avessi abbassato, avrei
perso l'opportunità di risolvere la situazione.
È
per lui?
Le
chiesi, non avendo un segno preciso per definire Klaus.
Tanto
lei avrebbe capito, per lei c'era solo un lui in quel momento.
Mia
sorella distolse lo sguardo. “Va bene, vuoi la verità:
sì, è per lui.” disse, stringendosi le braccia al
petto. E finalmente arrivammo al punto della situazione, rimasi di
fronte a lei, attendendo che continuasse a parlare.
“Io
non voglio fare né la sorella gelosa, né tanto meno la
sorella cattiva. Per quello mi è bastata Ada. Ma non posso
nascondere, quanto mi dia fastidio il modo in cui tu e Klaus vi
guardate.”
Klaus
era solo gentile, ero sicura che il suo comportamento nei miei
confronti dipendeva dal fatto che tenesse particolarmente a Katerina.
Ed essendo io la sua sorella minore, non voleva che mi capitasse
nulla di brutto, che potesse farla soffrire.
Ma
come farglielo capire? Katerina, quando si fissava su una cosa, la si
riusciva a distogliere solo con delle “prove” concrete.
E
io non le avevo.
Non
le bastava tutto il tempo che Klaus passava con lei per capirlo?
Non
è così. Le dissi.
Katerina
sorrise nervosamente. “Non puoi dirmi che...non ti sei accorta
di quella strana linea che vi unisce? Anche un cieco la sentirebbe!”
disse, spalancando le braccia.
Sbuffai
stancamente; quanto odiavo non poter parlare chiaramente e far capire
alla gente cosa pensavo. Kat si avvicinò all'armadio e prese
un vestito rosso: la festa di quella sera era basata sul rosso, il
colore che Klaus tanto amava, e lei se n'era fatto fare uno dal
miglior sarto della città.
Lui
è gentile con me, per te.
Cercai
di farle capire, con veloci e decisi gesti.
“Non
è vero, Irina!” esclamò lei, solo allora, mi
accorsi di quanto quella situazione la stesse facendo soffrire. Ma la
cosa che mi fece male, era che lei soffriva per paura di perdere
Klaus, non per paura di perdere me. “Dopo quello che ho
passato, meritavo che tu ti facessi guardare così da lui?”
Sgranai
lo sguardo, quando la sentii rivolgermi quelle parole di accusa.
Perché
di accusa si trattavano, come se io le volessi rubarle Klaus.
“Per
la prima volta da quando sei arrivata, mi sono pentita di avergli
chiesto di ospitarti qui!” esclamò poi, quelle furono le
parole più taglienti che in quel momento potesse rivolgermi.
Strinsi
i pugni e venni presa dalla rabbia; trovai Katerina più che
egoista.
Preferiva
che fossi rimasta in Bulgaria a soffrire, solo perché Klaus
era stato gentile con me?
Mi
sembrava di vivere ai confini della realtà, trovavo quella sua
collera nei miei confronti assurda.
Ci
guardammo e mi resi conto che tra di noi si era creata una specie di
barriera invisibile, che ci stava inesorabilmente allontanando.
“Ora
dove vai?” mi domandò, quando mi vide camminare spedita
verso la porta.
Non
avevo alcuna intenzione di spiegarle nulla, così spalancai la
porta e la sbattei con forza.
Quella
volta ero io ad essere arrabbiata.
*
* * *
Non
volevo stare sola, non ero riuscita a chiarire con mia sorella, ma
volevo provarci almeno con Elijah. Lo trovai seduto su una panchina
nei giardini, con lo sguardo rivolto verso il cielo.
Appena
mi vide arrivare, mi riservò un elegante sorriso.
Mi
fermai di colpo, erano passati solo due giorni in cui non lo avevo
visto, e mi era mancato davvero tanto. Era l'unica persona che
riusciva a capirmi,insieme a mia sorella.
Quella
vecchio stile però, che non avrebbe mai creduto che volessi
rubarle il principe azzurro.
“Buongiorno
Irina.” mi disse, elegantemente, ma sembrava sorpreso di
vedermi.
Forse
credeva che lo accusassi di quello che mi era capitato in città.
Mi
avvicinai a lui, tenevo in mano il suo libro e un foglio, con il
disegno del tizio misterioso che aveva dato inizio a tutte quelle
incomprensioni. Elijah mi fece segno di sedermi accanto a lui, cosa
che feci prontamente. Indicai il suo libro, per dirgli che lo avevo
finito di leggere e lui lo guardò.
“Lo
hai già finito?” mi chiese stupito.
Annuii;
come non si poteva finire un libro così bello in pochi giorni?
Lui
se lo rigirò tra le mani e sorrise.
“Strano,
Niklaus diceva che ti avrebbe annoiato...sostiene che sono troppo
noioso e sentimentale.” disse. Non pronunciò il nome del
fratello con rabbia, nonostante lo avesse praticamente aggredito per
una cosa di cui non era colpevole. Elijah era un uomo d'onore e se
credeva di dover pagare per qualcosa, avrebbe pagato in silenzio.
Peccato, che non era affatto colpa sua.
Il
suo volto s'incupì improvvisamente, guardò verso il
sole e poco dopo parlò. “Senti Irina, io....”
Gli
posai un dito sulle labbra, appena mi resi conto che stava per
scusarsi. Toccarle mi fece uno strano effetto, sentivo il suo respiro
sulla pelle e mi sembrò che il dito prendesse fuoco.
Imbarazzata,
allungai il foglio verso di lui.
Elijah
lo prese titubante e lo guardò, per un attimo non riuscì
nemmeno a capire che cosa fosse. Poi lesse delle parole che avevo
scritto sotto il disegno, per fargli capire cosa era accaduto.
Non
ero ancora un asso nella scrittura e nel lessico inglese e sperai che
lui capisse cosa volevo dirgli. Elijah mi guardò sorpreso.
“Questo...essere,
ti segue?” mi chiese.
Scoppiai
per un attimo a ridere e gli precisai che era un uomo, poi tornai
seria. Quella storia in realtà mi spaventava abbastanza, non
mi era mai capitato che qualcuno avesse cercato di rapirmi.
Elijah
mi guardò preoccupato.”Ha cercato di rapirti, in città?”
mi chiese ancora.
Annuii,
ma non mi sembrò sollevato nel sapere che la colpa non era
sua. Anzi, sembrava sentirsi lo stesso colpevole. “Come ho
potuto non accorgermene e permettergli una cosa simile?” disse
a denti stretti, in quella circostanza era identico a Klaus.
Quando
si arrabbiavano, i due erano parecchio simili nelle loro espressioni.
Gli posai una mano sul braccio, per dirgli la colpa non era affatto
sua, ma dell'uomo che mi stava, praticamente, perseguitando. Per un
attimo, pensai che fosse stato stupido dirglielo, dato che gli avrei
creato solo ulteriori problemi.
Lui
mi strinse la mano, infondendomi una sensazione di calore che mi
pervase lentamente, tutto il corpo. “Non permetterò più
che accada, Irina. Te lo prometto.” disse, con tono duro.
Si
portò la mano al petto. Come se volesse rivelarmi
qualcos'altro in quel gesto che io, però, non riuscii a
capire.. “Non permetterò più a nessuno di farti
del male, nemmeno a me stesso...”
Non
afferrai il significato delle sue parole e all'improvviso lui si alzò
in piedi. Io mi ritrovai a fissare il vuoto. “Ora devo andare,
stiamo cercando di identificare la bestia che ha ucciso Julia.”
disse, piegando il foglio del mio disegno, dentro la tasca. “Tornerò
da te il prima possibile.”
Annuii
lentamente e lo guardai andare via: lo trovai assurdo, ma mi parve di
non aver sentito il suo cuore battere.
*
* * *
Non
sapendo che altro fare, per sgomberare la mente da tutti quei
pensieri, decisi di dedicarmi al giardino che mi era stato regalato.
Anche
se il pensiero che me lo aveva regalato Klaus mi bloccava: mi
sembrava di ferire ulteriormente Katerina. Elijah era andato via
troppo velocemente, avevo paura che avesse in mente di cercare per
tutta l'Inghilterra quell'uomo.
Presi
un lungo respiro, piantai un seme e lo sommersi per bene di terra.
Una
voce alle mie spalle, mi colse di sorpresa.
“Che
bellissimo giardino!” esclamò.
Non
riconobbi subito quella voce femminile; quando girai la testa, vidi
Rose che osservava, meravigliata, le poche piante che abbellivano il
mio giardino.
“Vorrei
averne anche io uno così. Peccato che Trevor me lo
rovinerebbe....”
Mi
sorrise, riuscendo per un attimo ad allontanare il buio dalla mia
mente. Si sedette accanto a me, dopo avermi chiesto gentilmente il
permesso, e guardò le mie mani sporche di terriccio.
Mi
sorprese che fosse giunta fin là; quando mi aveva
riaccompagnata a casa, non sembrava entusiasta di mettere piede nella
residenza di Klaus. “Come va il braccio?” mi domandò.
Guardai
la fasciatura che, sotto le maniche alzate, era abbastanza visibile e
feci un cenno con il capo. Non era una ferita fisica a preoccuparmi
in quel momento.
“Meno
male, Trevor era preoccupato che Klaus gli avesse staccato la testa,
in caso la ferita fosse stata più grave!” ridacchiò
Rose, ma non riuscii a non notare che pronunciare il nome di Klaus la
innervosiva. Con me ci riusciva per un buon motivo, ma con lei non
riuscivo a capire perché: era un uomo gentile ed affascinante
in fondo...
Rose
si strinse le ginocchia al petto. “Ma davvero sei la sorella di
una come Katerina? Sei così...dolce a differenza sua!”
disse ad un certo punto.
Poi,
rendendosi conto che avrebbe potuto ferirmi, perse il sorriso. “Senza
offesa, scusa.”
Scossi
la testa, per dirle di non preoccuparsi. In quel momento, Katerina
era antipatica anche a me.
Per
distrarmi, le chiesi come mai non andasse d'accordo con lei.
Era
chiaro che la cosa riguardasse Trevor, era l'unico elemento che le
accomunava, ma Rose non mi sembrava innamorata di lui. Sembravano
ottimi amici, due persone che avrebbero fatto qualsiasi cosa l'una
per l'altra. Rose ci mise un po' per capire, non conoscendo i miei
segni.
“Vuoi
sapere...perché non sono una sostenitrice di Katerina?”
mi chiese divertita, dopo il mio assenso, prese un lungo respiro.
“Diciamo che, non mi piace come tratta il mio migliore amico.
Lei adora Niklaus, come tutte, ma non la smette di giocare anche con
Trevor.”
Lei
però non era così: Katerina soffriva, perché non
aveva mai trovato un uomo che, nella sua vita, l'avesse realmente
amata. Da piccola, aveva sofferto per la mancanza di un'amorevole
figura paterna, crescendo poi non era stata comunque fortunata con
gli uomini.
Bastava
guardare come era finita con il padre della sua bambina.
Allora
mi resi conto, che forse ero stata troppo dura con lei: in fondo, era
solo una ragazza che soffriva e che non voleva perdere il suo più
bel punto di riferimento.
Avrei
dovuto capirla, invece di andarmene in quel modo quella mattina. E mi
sentii di nuovo in colpa.
Rose
notò l'improvviso cambio di espressione sul mio viso, ma non
disse nulla.
Doveva
aver pensato che mi fossi innervosita per quello che aveva detto su
mia sorella, ma non era così.
“Ho
saputo che stasera ci sarà una altra festa in pieno stile
Klaus? Ci andrai?” mi chiese.
Annuii,
anche se non ero in vena di feste in quei giorni.
Avevo
la mente così ingombra di problemi che la sentivo scoppiare. E
poi, non avevo un abito rosso.
Le
chiesi se anche lei sarebbe venuta, indicandola.
“No,
per carità.” rispose con toppa velocità, alzando
lo sguardo verso il cielo.
La
mia domanda l'aveva inquietata, allora mi ricordai di quella frase
che aveva detto a Trevor.
“È
la tua gente, non la mia.”
Cosa
voleva dire? Forse si riferiva al fatto che Klaus ed Elijah erano
nobili?
No,
Trevor viveva con lei in quella piccola casetta rurale, perciò
non era nobile. Allora a cosa si riferiva?
“Io,
sinceramente, non so come tu faccia a vivere con una cosa simile!”
esclamò ad un certo punto e ci guardammo.
Non
riuscii a trattenere la mia confusione: Klaus ed Elijah erano stati
gentilissimi con me e Katerina e non riuscivo ad afferrare il motivo,
per cui non dovessi riuscire a vivere con loro. I
l
viso di Rose si fece improvvisamente scuro, i suoi occhi verdi erano
sgranati fissavano i miei. “Tu non lo sai...” mi disse.
Mi
spaventò, sembrava che la cosa che non sapessi, fosse una cosa
davvero terribile.
Rose
si alzò in piedi, mentre lo faceva, fissava un punto fisso nel
terreno. “Devo andare.”disse improvvisamente. “Mi
ha fatto piacere, sapere che stai bene.”
Cercai
di fermarla, ma lei si allontanò a passo svelto.
Come
se non vedesse l'ora di lasciare quel posto.
*
* * *
Appena
rientrai in camera, non trovai Katerina.
Doveva
già essersi preparata da sola, forse per farmi un dispetto e
lasciare che mi preparassi da sola. Come se a me importasse di quella
festa e di farmi bella: avevo così tanti pensieri per la
testa, che avevo solo voglia di restarmene un attimo tranquilla.
Raccolsi
velocemente i capelli in una treccia, mi truccai il minimo
indispensabile e indossai l'unico abito rosso che avevo nella mia
parte d'armadio. Qualcuno ruppe il silenzio, bussando alla porta.
Non
potendolo ovviamente invitare ad entrare, andai io ad aprire.
Non
riuscì a trattenere la sorpresa, quando mi ritrovai di fronte
Klaus. Mi sorrideva, in quel suo solito modo che ogni volta mi
confondeva.
Era
l'ultima persona che volevo vedere, ma non perché ce l'avessi
con lui: solo non avevo voglia di un altra discussione con mia
sorella.
“Salve
Irina, posso parlarti un attimo?” mi chiese gentilmente.
Non
sapevo cosa fare, restare da sola con lui in camera mi imbarazzava,
ma non potevo nemmeno lasciarlo fuori da perfetta maleducata. Poi,
cosa avrebbe potuto pensare Katerina?
Gli
feci segni di entrare, ma lasciai la porta aperta, in modo che se mia
sorella fosse tornata, non si sarebbe fatta strane idee.
“Volevo
sapere come stavi.” mi chiese Klaus, quando varcò la
soglia della nostra camera. “Sai, mi sono reso conto...di
vederti relativamente poco. Passò sempre molto tempo con tua
sorella, che mi sembra di dimenticarmi di te.”
Mi
rivolse un altro sorriso, notò che mi stavo nervosamente
torturando le mani.
Era
perché, dopo la sua reazione con Elijah, provavo con più
intensità quella strana sensazione che mi faceva aver paura di
lui. Con un rapido gesto, posò le mani sulle mie, per
impedirmi di muoverle.
Erano
dannatamente fredde.
“Stai
calma, non mordo mica.” ridacchiò.
Abbassai
gli occhi imbarazzata, allora mi accorsi che lui teneva in mano una
scatoletta, probabilmente di un gioiello.
“Avevo
un regalo per te e Katerina per questa festa. Oggi fa quasi un anno e
mezzo che Katerina è arrivata qui e mi sarebbe sembrato poco
carino...non farvi un pensiero.” disse lui, allungò la
scatoletta verso di me e la guardai titubante.
Non
potevo accettare quell'ennesimo regalo, stava diventando troppo per
me e non meritavo, in fondo, tutta quella gentilezza.
Nemmeno
da Elijah, che avevo coinvolto con i miei problemi.
“Dai,
aprilo.” disse.
Sospirai
e aprii la scatoletta; all'interno c'era un ciondolo con un
bellissimo pendente rosso.
Era
bellissimo...e stranamente familiare, come se lo avessi visto prima.
Restai
a fissarlo affascinata, sembrava anche molto antico. Probabilmente
doveva valere un sacco.
“Vieni,
ti aiuto a metterlo.” mi disse, facendomi segno di girarmi di
fronte allo specchio.
Restai
un attimo immobile perché pensai di non poterlo accettare.
Chiusi
la scatola e la allungai nuovamente verso di lui, scuotendo
lentamente la testa.
I
suoi regali erano tutti bellissimi, ma io non li meritavo. Non come
li meritava mia sorella.
Klaus
mi guardò sorpreso. “Non ti piace?” mi chiese.
Scossi
di nuovo la testa, era un bellissimo regalo e rifiutarlo era una
scortesia. Ma non volevo più litigare con Katerina, tanto non
avrebbe capito che la gentilezza di Klaus dipendeva sola dalla nostra
parentela.
“È
per Katerina, vero?” mi chiese lui, come se fosse divertito nel
potermi leggere dentro con quella facilità. Abbassai le mani;
non potevo dirgli della gelosia che mia sorella provava nei suoi
confronti, anche se credevo che l'avesse percepita, e mi ritrovai a
fissare il vuoto.
“Non
devi preoccuparti, oggi abbiamo parlato.” mi spiegò lui,
prese la scatoletta e l'aprì sotto i miei occhi. “Con te
mi comporto in questo modo, perché sei così piccola e
indifesa che quasi mi sento in obbligo di difenderti. E poi... mi
sembra di rivedere me stesso, tempo fa...”
Restai
a fissarlo meravigliata, mi resi conto di non averlo mai visto come
un essere umano fino ad allora, ma come un essere irraggiungibile e
perfetto, che mi faceva paura.
Ma
con quelle parole, il suo viso assunse un aspetto nuovo, pieno di
umanità.
Era
come se davvero qualcosa ci legasse, ma non capivo cosa.
Forse
un avvenimento del suo passato gli ricordava la mia situazione?
In
un secondo, Klaus tornò quello di sempre. “E ora, lascia
che ti metta questa ciondolo.” disse, mi voltai verso le
specchio, dopo un attimo di esitazione, e lasciai che lui facesse
fluttuare il ciondolo sopra i miei occhi. Lo sentii posarsi sul mio
collo, le dita fredde di Klaus sfiorarono la mia pelle e provai di
nuovo un intenso brivido.
“Ecco,
ti sta benissimo.” disse, alzai lo sguardo su di lui e vidi il
suo viso sopra la mia testa.
Mentre
di guardava, scorsi di nuovo quella strana espressione che avevo
visto poco fa e che tanto mi era rimasta impressa. Mi aspettavo che
mi dicesse qualcosa, ma aspettai invano.
Perché
lui tornò subito a sorridere. “Ci vediamo alla festa,
Katerina è già di sotto.” mi disse.
Lo
guardai avvicinarsi alla porta. Forse dovevo arrendermi al fatto che
non sarei mai riuscita a capirlo veramente. Ma almeno, grazie a quel
ciondolo, avevo scoperto un nuovo aspetto di lui.
*
* * *
Il
salone era pieno di persone, come al solito.
Quando
raggiunsi la scalinata, sola e goffa con quella gonna così
lunga, mi guardai attorno.
Cercai
di scorgere Elijah o Katerina insieme a Klaus. Ma non trovai nessuno
di loro tre.
Solo
moltissimi punti rossi che si muovevano in quel grande spazio.
Iniziai a scendere gli scalini, quando Katerina mi apparve
improvvisamente davanti. Mi guardava con aria dispiaciuta, anche lei
aveva un ciondolo nuovo al collo, ma sembrava più
costoso,grande e moderno di quello che indossavo.
La
raggiunsi lentamente, dovevo darle delle scuse, per il mio
comportamento di quella mattina.
“Ciao.”
mi disse.
Non
mi diede nemmeno il tempo di risponderle in alcun modo, che iniziò
a parlare a raffica.
“Irina,
mi dispiace. Non volevo comportarmi così con te, ti prego di
perdonarmi. È solo che, lo sai che sono gelosa e che tendo a
parlare troppo....”
La
bloccai, buttandole le braccia al collo.
Non
avevo bisogno di alcuna spiegazione da parte sua, le risposte
risiedevano tutte nel suo passato. Aveva solo bisogno di amore e la
paura di perderlo, la rendeva ancora più fragile.
Era
la stessa risposta, che avevo quando pensavo al comportamento di
Klaus, dopo l'espressione che lo avevo visto assumere in camera.
Solo
che, del suo passato, non sapevo nulla.
“Non
sei..arrabbiata con la tua sorella egoista e cattiva?” mi
chiese, quando mi separai da lei.
Scossi
la testa, non mi sarei mai arrabbiata con lei perché aveva
paura di non essere amata.
Nella
sua situazione, avrei anche io reagito in quel modo.
Ne
ero sicura; Katerina ne aveva passate troppe nella sua vita per non
aver paura.
Mi
strinse di nuovo a sé, stavolta più forte: come se non
volesse lasciarmi andare via, di nuovo.
“Ora
andiamo, o ci perderemo tutta la festa per abbracciarci!”
ridacchiò, dopo avermi lasciata di nuovo respirare. Mi prese
per mano e mi condusse verso il centro della sala.
Appena
vidi Elijah parlare con Joshua, la lasciai andare da Klaus e mi
avvicinai a lui.
“...tieni
d'occhio tutte le entrate e le uscite. Prima o poi, lo troveremo.”
stava dicendo Elijah al ragazzo, che annuiva lentamente.
Joshua
mi guardò appena giunsi alle spalle di Elijah e smisero di
parlare, il ragazzo si girò verso di me e mi sorrise.
“Irina,
ti stavo aspettando.” disse, fece congedare Joshua e restammo
soli.
Attorno
a noi, diverse coppie iniziarono a ballare a suon di una musica dolce
e soave suonata al clavicembalo. Posai lo sguardo tra le varie coppie
e notai che anche Klaus e mia sorella stavano ballando. “Stai
benissimo stasera.”
Tornai
a guardarlo, mi chiesi di cosa stesse parlando con Joshua.
Probabilmente
della bestia che aveva ucciso Julia? O forse dello strano uomo che mi
perseguitava?
Onorevole
com'era, non mi sarei stupita se lo avesse cercato dappertutto, pur
di impedirgli di avvicinarsi di nuovo a me. E se avessimo scoperto
che aveva ucciso lui Julia, non mi starei ulteriormente stupita.
Lo
ringraziai, anche lui stava benissimo in quell'abito rosso. Lo
rendeva più signorile ed elegante di quanto già non
fosse.
Il
suo sguardo cadde sul ciondolo che avevo al collo, il suo sorriso
restò stabile ma qualcosa lo aveva turbato. Toccò il
pendente, sentii le sue dita sfiorarmi la pelle e provai un
lunghissimo brivido.
Diverso
da quello che mi aveva fatto provare Klaus.
“Questo...te
lo ha dato Niklaus?” mi chiese stupito.
Annuii
e guardai il pendente a forma di stella, che brillava alla luce delle
candele, sopra la sua pelle. Sembrava che lo conoscesse, forse era
appartenuto a qualcuno che conosceva tempo fa.
I
suoi occhi mi sembravano nostalgici.
Lo
conosci?
Gli
chiesi a gesti.
Elijah
restò in silenzio a fissarlo per un attimo. “No, mi
ricorda molto, però, il ciondolo che indossava...una persona a
noi cara.”
Non
aggiunse altro, i suoi occhi si posarono sul pavimento in preda,
forse, a delle immagini del suo passato.
“Non
ho mai visto...Niklaus comportarsi così con qualcuno.”
disse poi in un filo di voce, sembrava che si sentisse in colpa a
dire quelle parole. Quasi non volesse rivelare nulla che riguardasse
il fratello. “Ma credo che fosse inevitabile.”
Non
riuscivo a capire, ripensai a quando Klaus aveva detto che rivedeva
molto di sé stesso in me.
Ma
non riuscivo a riscontrare nessuna somiglianza tra me e lui in
realtà, sembravamo così diversi.
“Ricordi
quando ti ho detto che ti sento molto simile a me? Forse mi
sbagliavo.” disse ancora, alzando lo sguardo verso di me e
lasciando che il pendente cadesse di nuovo sopra il mio petto.
Non
capivo perché, ma quelle parole mi pesarono un po': io mi
sentivo vicinissima al suo modo di essere e al suo modo di pensare.
Non avevo la sua eleganza, la sua educazione...la sua perfezione.
Ma
mi sembrava che avessimo gli stessi sogni.
“Tu
porti dentro di te un peso enorme, quasi quanto quello che porta
Niklaus dentro di sé.” continuò Elijah. “Credo
che il suo comportamento nei tuoi confronti, sia dovuto al fatto che,
come te, anche lui è sempre stato sminuito da nostro padre.
Non gli ha mai mostrato affetto, lo ha sempre sfidato e gli ha sempre
fatto credere di non essere all'altezza della vita. Lo odiava e non
glielo ha mai nascosto, purtroppo.”
Lanciò
uno sguardo verso le coppie che ballavano e si soffermò su
Klaus e mia sorella.
Feci
lo stesso, Klaus mi sembrava così sicuro di sé, che non
avrei mai immaginato avesse passato una situazione simile alla mia.
In quel momento, lo guardai sotto un altro punto di vista.
Strinsi
i pugni, il ricordo di mio padre si fece di nuovo largo nella mia
mente e una sensazione di dolore mi pervase il petto. Klaus stava
sorridendo a mia sorella, immaginai il dolore che doveva aver provato
in passato. Proprio come me.
“Per
altri versi però, non potresti essere più lontana da
lui.” concluse Elijah, abbassò lo sguardo e non aggiunse
altro.
Delle
volte, mi sembrava quasi che anche lui avesse paura del fratello. Era
una sensazione che non riuscivo a spiegarmi, perché tra
fratelli la paura non dovrebbe esistere la paura.
Mi
soffermai a riflettere sulle sue parole, quell'ultima frase mi aveva
fatto di nuovo temere Klaus. Eravamo così diversi e al tempo
stesso simili? Era quello il motivo, per cui mi sentivo anche io
legata a lui, in un modo o nell'altro?
“Ti
va di ballare?” mi chiese ad un certo punto,rompendo
quell'atmosfera di tristezza.
Allungò
la mano verso di me come per chiedere la mia.
Arrossii
violentemente, il ballo era una delle cose di cui avevo più
paura, goffa com'ero.
Scossi
la testa con decisione, ballare con lui era come mettere insieme un
cigno e un brutto anatroccolo. Perché non potevo avere la
grazia della maggior parte delle ragazze che stavano ballando attorno
a noi? Elijah non lasciò vincere la mia timidezza, mi prese
per mano e mi sorrise.
“Irina,
le cose che ci fanno paura, sono sempre le più belle.”
disse e, senza darmi il tempo di fare nulla, mi condusse
elegantemente tra la folla.
Avrei
voluto contraddirlo: io avevo paura dei mostri, dei posti troppo
chiusi, della cattiveria umana e non riuscivo a trovare nulla di
bello in essi. Avevo anche paura di lui spesso, della sua incredibile
umanità,ma non potevo non negare, che fosse una delle cose più
belle che avessi mai trovato.
Lo
stesso valeva per Klaus, ma la paura che provavo per lui era strana e
inspiegabile.
Era
una paura oscura e bella al tempo stesso, non mi era mai capitata
prima una cosa simile.
Forse
perché eravamo, davvero legati da quel passato doloroso.
Lasciai
quei pensieri in un angolo della mia mente, quando Elijah portò
la mia mano sinistra sopra la sua spalla e mi strinse l'altra. Ci
trovavamo vicini, come mai lo eravamo stati prima, dopo la pazzia
della corsa nel prato. Lui sorrise del mio imbarazzo “Non hai
mai ballato prima?” mi chiese.
Avevo
ballato una volta con mia sorella, quando, da piccole, giocavamo al
principe e alla principessa.
La
maggior parte delle volte facevo io la parte del principe, anche se
odiavo quella parte.
Ma
non avevamo nemmeno dieci anni, poi nessuno aveva chiesto di ballare
insieme a me.
Finché
non era arrivato lui.
Abbassai
lo sguardo sui nostri piedi. “Ti faccio vedere come si fa. Non
è difficile credimi, come hai imparato la nostra lingua,
imparerai anche a ballare.” disse lui divertito.
Iniziammo
a muoverci lentamente, quando lui muoveva il piede destro in avanti,
io muovevo quello sinistro indietro.
Quell'abbaglio
di perfezione durò pochi secondi, non ci misi molto a
pestargli un piede.
Mi
portai una mano sulla bocca dispiaciuta e imbarazzata, tentata dal
lasciar perdere tutto.
Ti
ho fatto male?
Domandai
a gesti.
Elijah
rise. “Con quei piedi così piccoli?” disse;
tornammo alla posizione iniziale e lui mi guardò negli occhi.
“Ci sono ferite peggiori...”
Sospirai,
mi pentii di non aver chiesto a Katerina di insegnarmi a ballare.
Non
avrei mai pensato che l'occasione mi si sarebbe presentata proprio
con lui.
Abbassai
lo sguardo sui nostri piedi, in movimento.
“Irina,
uno dei trucchi principali è....” disse lui, posandomi
un dito sotto il mento e alzandolo lentamente in modo che lo
guardassi. “Guardare negli occhi colui che ti sta di fronte.”
La
faceva facile lui, non aveva di fronte gli occhi che vedevo io.
Ci
guardammo e sentii come se tutto si fosse allontanato: la gente
attorno a me, la paura di sbagliare e i miei piedi che si muovevano
goffamente.
Mi
sentii libera e leggera, il mio corpo si mosse da solo senza che
nessuno facesse pressioni esterne.
C'eravamo
solo io ed Elijah.
Anche
lui, però, sembrava non riuscire a sostenere molto il mio
sguardo.
Infatti
lo distolse, per posarlo su un punto sopra la mia testa. “Hai
più visto quell'uomo?” mi chiese.
In
quel momento non stavo nemmeno più pensando a lui. Scossi la
testa per negare.
Era
un sollievo non averlo più rivisto e non volevo rovinare quel
momento ricordandolo.
“Non
gli permetterò di avvicinarsi più, se mai dovesse
provarci, gli staccherò il cuore dal petto.” disse. Lo
disse con una durezza, che mi fece rabbrividire: non ce lo vedevo a
strappare cuori dai petti delle persone. Risi, per tranquillizzarlo,
si era fatto prendere troppo dalla rabbia.
Dopo
un attimo di confusione, si fece prendere anche lui dalla mia risata
silenziosa.
“È
strano come tu riesca a sopprimere il mio...lato oscuro diciamo.
Riesci a tirare fuori solo il meglio di me.” disse, tornò
a guardami e i nostri visi si ritrovarono vicinissimi. Troppo per non
poter abbassare lo sguardo per l'imbarazzo. “Vorrei tanto che
tu potessi conoscere...tutto quello che sono. Ma non posso.”
Era
dispiaciuto, anche se non lo dava a vedere. E parecchio combattuto,
da come parlava, aveva quasi paura che io potessi scoprire chissà
cosa.
Ma
che poteva nascondere un angelo come lui?
L'arrivo
di Joshua mi riportò alla realtà, mi ricordai di non
essere sola con Elijah, che ero nel bel mezzo di un imbarazzante
tentativo di ballo. Joshua si accostò al suo orecchio e gli
sussurrò qualcosa che non riuscii a sentire.
Però
lo mise in allarme; non era difficile capire quando Elijah era
preoccupato: la sua espressione restava impassibile ma i suoi occhi
dicevano tutto. Fece segno a Joshua di allontanarsi e mi prese per
mano. “Non ti muovere di qui, Irina. Te ne prego.” disse.
Appena
cercò di allontanarsi, lo fermai stringendogli più
forte la mano. Volevo sapere cosa stava succedendo; dopo la morte di
Julia e l'avvento di quello strano uomo, non mi sentivo sicura nel
sapere che lui o mia sorella non fossero nei paraggi.
Elijah
lesse l'espressione preoccupata sul mio volto e sospirò. “È
scomparsa un altra ragazza.” disse con tono grave, mi strinse
la mano forte, in un solo lungo istante. “Per favore, resta qui
dove nessuno può farti del male.”
Non
mi diede nemmeno il tempo di fare nulla, che scomparve in mezzo alla
folla.
L'ultimo
istante che vidi di lui fu quello in cui si avvicinò a Klaus e
gli sussurrò qualcosa all'orecchio, sotto gli occhi di mia
sorella. Poi si allontanarono lasciandola nelle mani di Trevor.
Intanto,
tutti continuavano a ridere, ballare e festeggiare, senza avere la
minima idea di quello che stava realmente accadendo.
E
non potei fare a meno di pensare che l'uomo dagli occhi di ghiaccio
doveva essere più vicino di quanto potessi immaginare.
*
* * *
Non
riuscivo più a sostenere quella tensione; avevo bisogno d'aria
e tutta quella gente che mi circondava non me la garantiva.
Non
volevo disubbidire al volere di Elijah, perciò mi affacciai al
balcone fuori dal salone. S
e
c'era qualche bestia famelica o qualche matto con cattive intenzioni,
non avrebbe potuto fare molto, perché tutti avrebbero potuto
vederlo.
Restai
così a guardare il cielo nero,provando una brutta sensazione
dentro di me.
“Che
ci fai sola, qui fuori?”
La
voce di Katerina mi raggiunse e la vidi avvicinarsi lentamente a me.
“È freddo, potresti prenderti un malanno.”
continuò affiancandomi.
Tanto
un malanno me lo sarei presa comunque, ero troppo preoccupata per
quello che ci stava accadendo intorno.
Proprio
allora che avevo trovato una mia dimensione, sentivo che qualcosa la
stava lentamente distruggendo.
Mia
sorella mi posò una mano sulla spalla. “Stai tranquilla,
non capiterà nulla né ad Elijah, né a Klaus.”
disse, per tranquillizzarmi. “E troveranno quella ragazza, noi
non possiamo fare nulla purtroppo.”
Era
quella la cosa brutta; mi sentivo perseguitata da un uomo sconosciuto
e dalla morte stessa, che mai come allora la sentivo vicina, ma non
potevo fare nulla. Ero troppo debole e non avrei potuto difendere né
me stessa, né mia sorella e né tanto meno Elijah e
Klaus.
Mi
chiesi se dovessi parlare anche a lei di quello strano individuo, ma
le avrei così rovinato il suo soggiorno in Inghilterra.
Preferii allora non farle capire nulla, mi bastava che lo sapesse
Elijah.
“Su
entra, balla un po' così ti distrai.” Katerina fece un
cenno verso l'interno della sala e mi sorrise, era un sorriso
forzato. Si vedeva lontano un miglio che era preoccupata, sopratutto
per Klaus.
Annuii,pensando
che in fondo non potevo fare altro che aspettare e la seguii mentre
si avvicinava alla soglia d'entrata, quando un gracchiare ripetuto
alle mie spalle attirò la mia attenzione.
Mi
girai, giusto in tempo per vedere un enorme corvo fissarmi, con le
zampe poggiate sopra la pietra della balconata.
Era
lo stesso che avevo visto la notte dell'uomo incappucciato.
Non
avrei saputo spiegare perché, ma sentivo che era lo stesso.
Quello
sbatté le ali e gracchiò di nuovo, sembrava che volesse
mi avvicinassi a lui.
Katerina
era già entrata e io mi sentivo una stupida nell'osservare
quell'animale...e nel volerlo seguire. Mi avvicinai, con titubanza a
lui e quello volò via.
Non
lontano però, scese nei giardini di fronte alla balconata e
tornò a guardarmi, gracchiando di nuovo.
Voleva
davvero che lo seguissi.
Scesi
velocemente le scale e lo raggiunsi; lui si levò di nuovo nel
cielo.
Il
suo corpo fluttuava proprio sotto la luce della luna, come per
assicurarsi che l'oscurità non m'impedisse di seguirlo. Mi
ritrovai a correre, attraverso i giardini.
Provavo
una strana sensazione: i miei piedi si muovevano da soli e i miei
occhi non smettevano di seguire la figura di quell'animale dalle
piume scure. Il corvo continuava a gracchiare alla luce della luna.
Si posò infine su un ramo di un albero, in prossimità
della foresta.
Mi
fermai per riprendete fiato,poiché non mi sentivo più
la milza.
Appena
recuperai abbastanza forze per alzare la testa, mi accorsi di aver
raggiunto le stalle vicino alla villa.
Non
ci ero mai arrivata: erano oltre gli immensi giardini che
circondavano l'abitazione e, inoltre, troppo vicini alla foresta. Non
avevo nemmeno mai pensato di visitarle.
Affilai
lo sguardo, quando vidi del fumo uscire da una di esse.
Mi
avvicinai lentamente, il corvo gracchiò ripetutamente come se
volesse gridarmi, di non andare.
Lo
ignorai; continuai a camminare verso la piccola struttura in legno e
mi accorsi che era davvero invasa dalle fiamme.
Non
mi avvicinai di più, perché il calore mi stava già
bruciando la pelle.
Rimasi
ad osservare, senza sapere cosa fare,mentre quelle fiamme rosse che
si stagliavano verso il cielo.
Come
poteva aver preso fuoco? O meglio, chi poteva aver appiccato
l'incendio e perché?
Tutti
le mie domande scomparvero, quando sentii un grido: un grido
femminile di puro terrore, che proveniva dall'interno della stalla.
C'era qualcuno lì dentro ed era vivo.
Senza
pensarci, mi buttai tra le fiamme e mi guardai attorno: c'era solo
fuoco e fuoco, i cavalli dovevano essere scappati appena questo si
era diffuso all'interno.
Non
scorsi nessuna figura vivente , iniziai a tossire e avanzai cercando
di non inciampare in qualche ostacolo fiammeggiante. Superai una
trave e continuai a cercare; non mi ero immaginata quel grido ed ero
più che sicura di averlo sentito.
Senza
rendermene conto, inciampai in qualcosa di morbido e lungo e caddi
faccia in avanti sul pavimento. Mi voltai per vedere cos'era il mio
ostacolo e sussultai: ero inciampata nel cadavere di una ragazza dai
capelli castani e gli occhi azzurri, privi di vita,rivolti verso il
soffitto.
Strisciai
all'indietro per la paura e finii contro il muro, i miei occhi
caddero sul suo collo: c'erano due visibili puntini rossi, come se
qualcuno avesse bevuto...il suo sangue.
Non
poteva essere stato un animale, i puntini erano troppo piccoli e poi
tutto il resto del corpo era intatto. Quale bestia poteva essere così
controllata? Una bestia chiamata uomo.
Sentivo
che quella ragazza era stata uccisa.
Poi
che ci faceva una giovane, da sola in un stalla, mentre tutti
festeggiavano?
Mi
assicurai che fosse davvero morta, strisciando verso di lei e
posandole l'orecchio sul petto.
Non
sentii nulla, ero arrivata troppo tardi.
E
stavo per morire, me ne resi conto quando non trovai la forza di
alzarmi in piedi e correre verso l'uscita. Avevo gli occhi lacrimanti
e respiravo a fatica, ogni mio tentativo di aggrapparmi a qualcosa
che potesse essermi utile furono vani.
Iniziai
a sentire la testa girarmi e i miei occhi si chiusero lentamente.
Fino
a quando, sentii qualcuno prendermi tra le braccia e un secondo dopo
l'aria entrò di nuovo nei miei polmoni. Lasciai che lentamente
fluisse in me, prima di riaprire gli occhi.
Avevo
paura di scoprire di essere morta e di trovarmi in chissà
quale paradiso.
Una
voce molto vicina ripeté più volte il mio nome e,
allora, trovai la forza di aprire gli occhi.
La
prima cosa che vidi fu il volto di Klaus, sopra di lui si stagliava
il cielo nero della notte e qualche stella. Ero tra le sue braccia,
piegando la testa da un lato riuscivo a scorgere diversi uomini che
buttavano secchi d'acqua sopra le fiamme. Gli posai una mano sul
petto, per chiedergli di farmi scendere e, nel frattempo, una folla
di persone si radunò intorno a quello spettacolo di fuoco.
“Ehi,
attenta.” disse lui, appena i miei piedi toccarono il suolo e
sentii la testa vorticarmi.
Caddi
tra le sue braccia, senza che lo volessi, e lui mi sorresse. “Che
ci facevi lì dentro? Potevi morire!”
Dovevo
essere svenuta per minuti, le sue parole mi sembravano lontane e non
riuscivo nemmeno a capirle.
Morire.
Era
vero: dentro quella tomba di fuoco, c'era una ragazza morta.
Cercai
di allontanarmi da lui e camminai velocemente, ma barcollando, verso
le fiamme.
“Dove
stai andando? Fermati...” Klaus mi si parò davanti e mi
strinse nelle spalle, lo guardai distratta e indicai la stalla, per
fargli capire che lì dentro c'era una ragazza. “Irina,
devi calmarti. Non stai bene e sei sotto shock!”
Lo
ignorai, mi indicai il collo con le dita, per dirgli che in quel
punto, il cadavere aveva due puntini rossi. Sembravo pazza forse, ma
nonostante tutto lui sembrò capire cosa intendessi.
Mi
parve che la sua espressione si fece più tesa e i suoi occhi
si spalancarono leggermente.
Era
strano che avesse inteso il mio messaggio, mi sembrava di svenire e
non ero realmente consapevole dei gesti che stavo facendo. Guardai
oltre di lui, le fiamme oramai erano sul punto di essere domate.
Ma
Klaus compì un gesto improvviso, mi prese il viso tra le mani
e mi guardò fisso negli occhi.
“Ora
devi dimenticare tutto.” mi disse, scandendo bene le parole
come se mi stesse dando un ordine. “Quello che hai visto lì
dentro, è stato solo il cadavere di una fanciulla aggredita da
un animale.”
Sembrava
come se volesse convincermi a credere a quelle parole.
Forse
per tranquillizzarmi, ma io sapevo cosa avevo visto purtroppo. E non
lo avrei mai dimenticato.
Quella
ragazza era stata uccisa da qualcuno, ne ero certa.
Quando
Klaus mi lasciò il viso, sentii un leggero capogiro poi niente
più.
Lo
guardai, mi sembrava sollevato, come se fosse certo che mi sarei
convinta delle sue parole.
Ci
guardammo a lungo, Klaus aveva un espressione indecifrabile sul
volto, che non riuscii a tradurre.
Forse
perché ero sconvolta, impaurita o forse perché, quando
poco prima mi aveva preso il viso tra le mani, mi era parso che le
sue parole mi erano penetrate nella mente.
Ma
che qualcosa le aveva respinte.
Improvvisamente,
mi abbracciò: mi ritrovai con il viso contro il suo petto e
una sua mano che mi accarezzava i capelli.
Rimasi
sorpresa da quel gesto, mi sentivo protetta e fuori pericolo tra le
sue braccia.
“Sono
felice di essere arrivato in tempo...” disse in un sussurro.
Restai
immobile, il suo abbraccio all'inizio mi sembrò freddo, ma con
il passare dei secondi mutò: sembrava quasi che Klaus fosse
partito per abbracciarmi, solo per uno scopo tutto suo, ma che poi,
l'emozione si fosse fatta avanti. Non avevo la forza di staccarmi da
lui perché; se lo avessi fatto, sarei stata vittima di quelle
immagini, tutte sottosopra, che si stagliavano davanti ai miei occhi.
Feci
scorrere lo sguardo lungo la folla e fu allora che lo vidi.
Nascosto
dietro diverse teste, l'uomo dagli occhi di ghiaccio ci stava
osservando.
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Capitolo 7 *** Dark Star ***
-Dark
Star-
Dire
che ero traumatizzata era ben poco.
Non
c'era notte in cui non mi svegliassi, spaventata e tremante, per
colpa dei terribili sogni che mi accompagnavano nella notte.
Sognavo
sempre il corpo senza vita di quella povera ragazza, Mandy.
Era
così che si chiamava; Elijah me lo disse dopo che Klaus mi
aveva portato via dallo spettacolo di fuoco che tutti sembrava
osservare quasi con meraviglia.
Ricordavo
ben poco di quella notte, solo i visi preoccupati di Elijah e mia
sorella quando l'incendio venne domato e il terribile mal di testa
che mi attanagliò dopo che Klaus aveva cercato di convincermi
che non avevo mai visto quei due puntini rossi sul collo della
vittima.
Ma
come potevo dimenticarli? Io li avevo visti ed ero sicura che a
procurarglieli era quel folle che sembrava seguirmi.
Ma
perché se la prendeva con quelle povere ragazze?
“Irina,
stai bene?”
Non
sapevo dire da quanto tempo stavo ferma in quella posizione a
pensare.
Stavo
giocherellando con un ciuffo dei miei capelli, seduta sul davanzale
della finestra con lo sguardo rivolto al giardino all'esterno.
Il
tempo era primaverile, il vento smuoveva dolcemente i fiori dai mille
colori e il sole brillava, più splendente che mai, nel cielo.
Mia sorella mi guardò preoccupata, mi aveva posto quella
domanda un centinaio di volte, solo in quella giornata.
Sto
bene.
Risposi
in quella maniera, anche se il mio viso non lo dava a vedere.
Mia
sorella aveva indossato uno degli abiti più belli del suo
armadio: un vestito blu cobalto, con delle fantasie dorate sulla
gonna.
Lo
stava solo provando; quella sera Klaus ci aveva avvisato che sarebbe
arrivato un ospite speciale e mia sorella voleva essere più
bella di quanto già non fosse. Non capivo cosa ci fosse sempre
da festeggiare, visto che, fuori dalla festa, delle ragazze venivano
trovate morte. Ma nessuno se ne preoccupava: un bicchiere di vino, un
ballo e un sorriso bastavano per allontanare tutto.
“No,
non è vero, sorellina. Tu non stai affatto bene.” disse
Katerina.
Sospirai;
lei si sedette accanto a me e mi prese le mani tra le sue.
Una
volta mi sarebbe bastato quel tocco, ma non allora: avevo visto una
ragazza così giovane, morta in una stalla in fiamme. E avevo
visto quei maledetti punti rossi sul suo collo. Sentivo che non avrei
avuto pace, fino a quando non avessi scoperto cos'era accaduto a lei
e a Julia.
Anche
se non le conoscevo, erano quasi miei coetanee e non meritavamo di
morire in quel modo.
E
le prossime potevamo essere io e Kat. Non potevo permetterlo.
“Irina,
so che è stato terribile per te...ma dobbiamo andare avanti,
stare così non riporterà indietro quelle poverette.
Purtroppo gli animali sono irrazionali e spesso attaccano le persone
per soddisfare i loro bisogni feroci...” continuò mia
sorella.
La
guardai.
Anche
lei, come tutti, credeva che ad uccidere Julia e Mandy fosse stato un
animale.
Nonostante
fosse chiaro che una mano umana avesse dato inizio all'incendio,
nessuno voleva credere che si annidasse qualcuno nell'ombra.
Qualcuno
che uccideva delle povere ragazze innocenti, succhiando loro il
sangue.
In
quel momento, mi resi conto che esseri del genere esistevano nelle
credenze popolari: si chiamavano vampiri.
Ma
mi rifiutavo di crederlo; avevo convinzione di credere solo in quello
che aveva una spiegazione razionale. E i vampiri non l'avevano,
l'orrore che ci circondava era solo frutto della mostruosità
umana.
“A
che pensi?” mi chiese Katerina, accarezzandomi dolcemente il
viso.
Non
le avevo detto dell'uomo che mi seguiva, né tanto meno le
avevo detto di quei punti rossi.
Era
sempre mio desiderio tutelarla e pensai che, forse, quella storia
sarebbe finita prima che me ne accorgessi.
Vampiri?
Le
chiesi ma non sapevo come mimare quell'ultima folle parola. e infatti
Katerina non capì subito.
“Mi
stai chiedendo...se credo all'esistenza dei vampiri?” mi chiese
poi, facendosi seria.
Annuii.
non capivo perché ma speravo in una sua risposta. E speravo
che fosse seria quanto lo fossi io.
Speranze
vane, mia sorella mi scoppiò a ridere in faccia.
“Vampiri?
Irina, stai scherzando per caso?” mi chiese.
Purtroppo
non stavo scherzando, ma lei non poteva saperlo.
Risi
anche io, sperando che almeno in quell'istante potessi allontanare
l'angoscia che provavo.
“Su,
scegli un vestito adesso....almeno ti svagherai stasera!”
esclamò Katerina, tornando di fronte allo specchio. Ma sapevo
che non sarei riuscita affatto a svagarmi.
*
* * *
La
biblioteca della villa di Klaus era più che immensa.
Appena
varcai la soglia della stanza, annusai l'aria di antichità e
sapere che mi circondava.
Era
un odore di chiuso e polvere, ma che trasmetteva una sensazione di
pace e serenità.
Dopo
giorni e giorni, provai una breve ebrezza di tranquillità che
mi fece tornare a respirare. Probabilmente, non avevo tirato un
sospiro così lungo da molto tempo. Avanzai tra gli alti
scaffali che mi circondavano e osservai i libri, posti l'uno accanto
all'altro, con aria quasi intimorita.
Non
sapevo nemmeno che cosa cercare; dubitavo di trovare volumi
riguardanti mostri soprannaturali che succhiavano sangue.
Mi
sentivo una pazza solo a pensare una cosa simile.
La
soluzione più razionale a quello che stava succedendo era che
l'uomo dagli occhi di ghiaccio era un folle omicida di ragazze.
Niente più.
Raggiunsi
la fine di quella lunga serie di scaffali e libri. Non avevo nemmeno
alzato lo sguardo per provare a cercare qualcosa, perché avevo
troppo timore di risultare stupida persino a me stessa.
Oppure
avevo paura di trovare effettivamente qualcosa di veritiero sui
vampiri.
Guardai
la finestra di fronte a me: era chiusa ma il sole entrava
all'interno, riflettendosi sulla tendina bianca che copriva il vetro,
in un bellissimo gioco di luci.
Sentii
il bisogno di aria, così scostai la tenda e spalancai la
finestra.
Una
brezza primaverile sfiorò gentilmente il mio viso e mosse i
capelli che tenevo sciolti sulle spalle. Quello era il paradiso, quel
cielo e quei giardini che si stagliavano fino all'orizzonte erano
diventati la culla dei miei sogni e della mia felicità.
Non
era giusto che la paura mi avesse raggiunto anche in quella terra,
proprio quando ero certa di poter decidere per me e per il mio
futuro. Una vocina nella mia testa mi rimproverò di non essere
così cinica. Se avessi scoperto ciò che stava
succedendo, avrei potuto porre fine a quel cerchio di paura e morte.
Diedi le spalle al sole, decisa a mettermi alla ricerca di qualunque
cosa mi potesse essere di aiuto.
I
libri erano ordinati per genere, perciò mi fiondai subito su
quelli a tema soprannaturale. Non erano molti e, amareggiata, pensai
che forse non avrei davvero trovato nulla.
Mi
alzai sulle punta, cercando di prendere il volume più vicino a
me.
Ma
non ci arrivai, ero troppo piccoletta affinché la mia mano
afferrasse il bordo di quel libro.
Mi
stavo facendo anche i complessi perché non ero alta.
Sbuffai,
mi guardai intorno alla ricerca di uno sgabello o ripiano che potesse
essermi di aiuto.
Quando
un rumore ruppe il silenzio che mi circondava.
Riconobbi
il fastidioso verso che mi aveva svegliato notti fa e che, giorni or
sono, mi aveva condotto alle fiamme della stalla. Alzai lo sguardo
verso la superficie superiore della libreria, il corvo aprì il
becco e gracchiò.
I
nostri occhi entrarono in contatto e lui girò la testa da un
lato, premendo le zampe contro il bordo della superficie. Non odiavo
gli animali, ma per quel corvo, avrei fatto un eccezione.
Era
stato l'inizio del mio inferno, il messaggero di morte che mi stava
guidando verso l'oscurità più tetra.
Strinsi
i pugni. Allora sì che mi serviva davvero uno sgabello, per
cacciarlo il più lontano possibile. Come aveva fatto ad
entrare? E sopratutto, come poteva un animale notturno essere così
vigile e sveglio di giorno? Alla luce del sole, le sue piume erano
ancora più scure e i suoi occhi più rossi.
Nel
buio della notte, non avevo nemmeno fatto caso a quanto fosse grosso.
Il
corvo volò via, verso la superficie superiore della libreria
opposta a quella su cui si trovava.
Mi
girai e lo vidi posarsi su dei volumi posti in alto, fuori dagli
scaffali, uno sopra l'altro.
Strano
che si trovassero là, c'era molto posto in cui riporli. Perciò
perché lasciarli in un punto così irraggiungibile?
L'animale
iniziò a spingere un libro accanto a sé con il becco.
Osservai il volume, spostarsi lentamente verso il vuoto, per poi
cadere ai miei piedi. O meglio, mi sarebbe caduto in testa se non mi
fossi spostata. Guardai il libro, che nel tonfo si era aperto a metà,
poi lanciai un occhiataccia verso il corvo. Ma non lo trovai più;
si era volatilizzato.
Sembrava
che volesse lanciarmi un nuovo messaggio, come quelle due notti in
cui mi era apparso nell'oscurità. Non potevo che seguire il
suo volere, se di quello si trattava.
Mi
piegai sul libro e mi sedetti sul pavimento.
Sembrava
un diario e si era aperto su una pagina rappresentante un disegno di
una famiglia.
C'erano
diverse persone: un padre, una madre e i loro numerosi figli. Erano
tutti abbastanza grandi di età, il più piccolo di loro
aveva forse dieci anni. Lo trovai insolito, i loro genitori
sembravano davvero giovani per avere dei figli così grandi.
Ma
non fu quello, l'elemento scatenante la mia sorpresa: due dei ragazzi
rappresentati erano identici a Klaus ed Elijah.
Ne
ero sicura.
L'unica
cosa che cambiava in loro era la lunghezza dei capelli e un aspetto
meno austero e irraggiungibile. Elijah sembrava sempre un uomo
coraggioso e di onore, Klaus invece sembrava più umano: su
quel viso disegnato, non riuscivo ad immaginare il sorriso beffardo
che dispensava a tutti noi. Sembrava fosse un'altra persona.
Il
mio sguardo cadde poi sulla data all'angolo del disegno: “1187”,
come quella alla fine del libro di Elijah.
Non
era possibile; allora davvero quella data simboleggiava un periodo
della vita di Elijah?
Mi
bastò chiudere le palpebre un attimo per allontanare quel
momentaneo pensiero.
Era
impossibile, non esistevano persone capaci di vivere per secoli e
secoli, restando immutati.
I
vampiri potevano farlo, ma loro non esistevano. Non potevo iniziare a
credere una cosa simile.
Lessi
poi la scritta sopra le varie teste del disegno: “Originals”.
Ci
misi un po' per riuscire a comprenderlo. Non era scritto in inglese,
ma in una lingua che gli somigliava parecchio. Guardai di nuovo Klaus
ed Elijah e, di nuovo, non ebbi dubbi che fossero davvero loro.
“Irina?”
La
voce di Elijah mi raggiunse.
Sentii
il cigolare della porta che si era aperta e, in un gesto istintivo,
nascosi il libro sotto la gonna. Anche se mi fidavo di Elijah e
credevo che quelle pagine avessero un'altra spiegazione, sentivo le
parole della paura dettarmi regole nella mente.
Il
bel viso di Elijah fece capolino tra le librerie.
Quando
mi trovò seduta a terra, mi regalò uno dei suoi sorrisi
più irresistibili.
Non
riuscivo a vedere affatto un vampiro in quegli occhi così
sinceri.
“Però...ti
sei appassionata molto alla lettura vedo.” disse, mi raggiunse
e si sedette a terra di fronte a me. Approfittai del mio solito
silenzio per studiarlo.
Non
sapevo nulla dei vampiri, ma ero certa di una cosa: un mostro non può
nascondere la sua natura per sempre. E io avevo passato molto tempo
con Elijah, troppo tempo.
Mi
sarei accorta se qualcosa in lui non andava.
I
suoi occhi neri mi scrutarono. “Come stai?” mi chiese.
Stavo
sempre peggio, ero arrivata persino a dubitare di lui e di suo
fratello, per colpa di un libro scaraventatomi in testa da un
maledetto corvo.
Ma,
come sempre, non potevo fare che sorridere e annuire. Finché
non sarei stata certa di molte cose, non avrei potuto mai dubitare né
di lui, né di Klaus. Non ci sarei comunque riuscita
“Dev'essere
stato terribile per te, hai troppa sensibilità per assistere a
certi spettacoli...”
Già,
uno spettacolo di cui solo io e un cadavere eravamo protagonisti. Più
un regista che agiva nell'ombra e guidava le nostre vite,: più
che attori, eravamo burattini nelle mani di un essere senza volto.
Abbassai lo sguardo, vidi la sua mano strisciare verso le mie che
tenevo in grembo. Me ne prese una, la sfiorò con gentilezza ed
educazione, trasmettendomi un brivido rassicurante.
“Posso
farti una domanda...perché ti sei buttata nel fuoco? Mandy era
già morta da tempo secondo il medico...” mi chiese.
Anche
lui non credeva che fosse stata uccisa, ma perché allora erano
divampate quelle fiamme?
Un
animale non era capace di far nascere il fuoco.
Eppure
tutti si convincevano che non c'era nessun assassino dietro quelle
morti, proprio come aveva cercato di convincermi Klaus.
Sfiorai
il libro che tenevo nascosto sotto la gonna e mi concessi il
beneficio del dubbio.
Gli
feci capire che avevo sentito gridare e che avevo cercato di salvare
Mandy, ma era troppo tardi.
La
trovai già cadavere, circondata da lapidi di fuoco.
La
sua espressione si fece confusa; sembrava sorpreso che parlassi così
lucidamente di quello che era accaduto. Forse sperava che avessi
dimenticato tutto.
“Non
ti facevo così...coraggiosa. Mi stupisci sempre di più.”
disse ancora, la sua presa sulla mia mano si era fatta più
delicata. Anche lui mi stupiva sempre di più, nel suo modo di
toccarmi e di farmi sentire meglio con un solo sguardo. Mi aiutò
ad alzarmi in piedi, con l'altra mano tenni il libro più
vicino possibile, senza destare alcun sospetto in lui.
Elijah
mi sorrise. “Ho incontrato tua sorella poco fa.” mi
disse. “È tutta contenta per il ballo di stasera,
peccato che non sa quanto sia...spesso irritante l'ospite in
questione.”
Un
lampo di gioia nascosta illuminò il suo sguardo, lo osservai
mentre abbassava gli occhi e, con la mente, viaggiava verso un
passato che pensava fosse troppo lontano per poterlo rivivere.
Chi
è?
Gli
chiesi; le mie mani tremavano, mentre tagliavano l'aria nelle mie
parole fatte di silenzio.
“Mia
sorella, Rebekah.” rispose lui in un sospiro. “È
la più piccola della famiglia e la più capricciosa.
Possiamo dire...una Klaus in gonnella. È stata a Parigi per
anni, solo per un battibecco scoppiato con Niklaus.”
Mi
fece sorridere, mi portai una mano sulle labbra e il pensiero dei
vampiri si allontanò velocemente dalla mia mente. “Che
ne dici se ti porto da qualche parte? Penso che tu abbia bisogno di
non pensare per molto.” disse, allungò il gomito verso
di me, spingendomi a toccarlo attraverso il suo sorriso.
Troppo
perfetto e bello per appartenere a un vampiro.
Ma
anche ad un umano.
Passai
il mio braccio sotto il suo e lo seguii.
Mi
bastò sentirlo al mio fianco per vedere tutti i miei pensieri
scomparire.
*
* * *
“Ho
detto di no!”
I
capelli mi caddero sulle spalle, appena sentii quella voce
sussurrare, troppo forte, fuori dalla mia camera.
Era
una voce conosciuta, ma non di mia sorella.
Lei
era andata già in sala per quanto ne sapevo e le avevo
promesso che mi sarei preparata da sola.
Ma,
raccogliere i miei lunghi capelli in una coda di cavallo
apparentemente guardabile, mi parve un impresa titanica.
Mi
alzai lentamente e mi avvicinai alla porta; la socchiusi in modo da
guardare cosa stava succedendo all'esterno. Sentivo ancora dei
sussurri, incomprensibili e lontani. Erano due le persone a parlare.
Misi
la testa fuori dalla porta: il corridoio era buio, illuminato da
torce di fuoco appese alle pareti. Ignorai il fatto che indossavo
solo una leggera camicia da notte e avanzai nell'oscurità.
Quelle
voci, simili a sibili di un forte vento, provenivano da un angolo
alla mia destra.
“Mi
hai mentito. Avevi detto che loro sapevano!”
“Non
ti ho mentito, Rose. E sai bene che non puoi dire loro una cosa
simile. Vuoi davvero fartelo nemico?”
Mi
fermai e restai nascosta dietro l'angolo, cercando di ascoltare il
più possibile senza farmi notare.
Mi
affacciai il minimo indispensabile e scorsi Trevor e Rose.
Stavano
gesticolando animatamente, forse per riuscire a soffocare le loro
parole.
Lei
teneva in mano una cesta.
Vuoi
davvero fartelo nemico?
Tu
non sai.
Quelle
parole mi fecero rabbrividire. Non avevo ascoltato tutta la loro
conversazione, ma ero più che sicura che parlassero di Klaus e
di suo fratello. Rose sembrava ancora terrorizzata dal trovarsi in
quelle mura. Continuai a guardarli, fino a quando notai lo sguardo di
Trevor dirigersi verso la mia direzione. Mi rannicchiai contro il
muro e trattenni il respiro.
“Avevo
giudicato male Katerina. Avevo creduto che fosse così stupida
da accettare una cosa simile, proprio come te. E invece...”
“Non
siamo soli, Rose.”
Deglutii;
ormai ero stata scoperta e non potevo far altro che venire fuori.
Rose guardò verso di me e, appena mi vide apparire sotto la
fiamma della torcia sopra la mia testa, un sorriso si allargò
sul suo viso. Era un misto di imbarazzo e timore.
“Ti
stavo cercando, Irina.” disse, cercò di avvicinarsi a
me. Ma Trevor le afferrò il polso.
“Rose,
ti prego.” sussurrò.
Lei
gli lanciò un occhiata glaciale che lo spinse a lasciarle il
braccio.
Il
ragazzo scomparve nell'ombra e lei, con i capelli ramati che le
incorniciavano il viso, venne da me. Pensai che dovesse dirmi
qualcosa riguardo alla conversazione che avevo appena udito.
Ma
qualcosa in lei combatteva: aveva e non aveva paura al tempo stesso.
Di
cosa, ormai non lo sapevo più nemmeno io.
“Avevo
una cosa per il tuo giardino.” mi disse.
Avevo
percepito il gradevole profumo di fiori proveniente dalla sua cesta.
Abbassai lo sguardo e lei scostò la tovaglietta che copriva
dei piccoli fiori, da poco colti.
Erano
di diversi colori, più sul viola e sul rosa. Se non erravo,
sembrava verbena.
L'unica
pianta che non avevo trovato nei giardini di Klaus.
“È
un peccato che non si trovi in questi giardini.” disse Rose,
porgendomi la cesta. La presi indecisa, continuando a guardare quelle
piccole piante. “È ottima sopratutto per fare il the o
delle tisane.”
Mi
regalò un sorriso spento; la ringraziai e mi chiesi il vero
motivo per cui era giunta fin là.
Non
credevo che volesse solo darmi quel dono, lei non stava bene sotto
quel tetto.
Non
era difficile capirlo. Le chiesi se volesse prendere parte alla
festa, anche se indossava abiti casalinghi.
Scosse
la testa prontamente. “No, devo pulire casa.” mentì,
mi bastò seguire il suo sguardo che si abbassava sul pavimento
pur di non incontrare il mio. “Ti volevo dire un'altra cosa:
vieni da me ogni volta che vuoi, sopratutto quando hai bisogno. Sai
dove trovarmi tanto.”
Mi
sorrise e, lentamente, cominciò ad allontanarsi da me.
Scomparve nell'oscurità che sembrava tanto temere. Io tornai
in camera mia, lasciai la cesta vicino al letto e mi piegai per
guardare sotto il materasso. Il libro degli “Originals”
era ancora lì, ben nascosto.
Non
avevo avuto né tempo, né voglia di leggerlo: lo trovavo
assurdo e, al tempo stesso, avevo paura di quello che avrei potuto
leggere. Lo presi tra le mani e me lo strinsi al cuore, come se
stessi chiedendo a lui, se ero circondata da pericolosi segreti.
*
* * *
Il
salone non era mai stato così arredato.
Rebekah
doveva amare particolarmente il blu come me, a differenza di Klaus.
Diversi
festoni di quel colore appesi al soffitto sembravano cadere su di
noi.
Alzai
lo sguardo; era stato anche creato un disegno: di un cielo blu e
stellato, dove la luna aveva un sorriso buffo che riservava solo a
coloro che avrebbero alzato la testa.
Ascoltando
i discorsi delle persone che mi circondavano, riuscii a capire
diverse cose di questa Rebekah: dagli uomini compresi che era davvero
molto bella, dalle donne che era davvero presuntuosa.
Da
come la presentavano, sembrava davvero la versione femminile di
Klaus.
Anche
lui era abbastanza presuntuoso, anche se non lo si era mai mostrato
né con me, né con Katerina.
“Ottima
scelta di abito, Irina.”
Nonostante
il baccano attorno a noi, non impiegai molto a riconoscere quella
voce.
Scorsi
il sorriso di Klaus rivolto verso di me. Come al solito, non riuscii
a scoprire cosa vi era nascosto dietro. E dopo quello strano libro
che avevo trovato; quella sensazione di paura che provavo nei suoi
confronti era più presente.
Guardai
l'abito.
Effettivamente
avevo scelto un abito azzurro, senza sapere che la sorellina di Klaus
e di Elijah amava particolarmente quelle tonalità di colori.
Da quello che avevo sentito sul suo conto, poteva essere un vantaggio
per me aver scelto proprio quel vestito.
Klaus
guardò tra la folla che ci circondava: mia sorella stava
ballando con Trevor, mentre Elijah parlava in un angolo insieme a
Joshua. Non mi sembrava preoccupato, ma nemmeno particolarmente
sollevato.
“Ti
chiedo scusa in anticipo. Rebekah è una ragazza che si fa
attendere e farà la sua entrata trionfale sicuramente quando
meno ce l'aspettiamo. È sempre stata come una stella, illumina
il cielo quando il sole è già calato da un pezzo.”
disse.
Ma
anche lui aveva tardato molto la prima sera che ero giunta in
Inghilterra; ricordavo perfettamente come veniva guardato: occhi
pieni di meraviglia e timore lo avevano seguito mentre scendeva le
scale, in tutta la sua signorilità.
Quella
Rebekah non era da meno, ci potevo scommettere.
Improvvisamente
avevo paura di incontrarla; stavo diventando come mia sorella:
preoccupata di fare una buona impressione. O la mia vera paura era,
forse, che sospettavo anche lei facesse parte di quella famiglia
centenaria su quel libro? Quel pensiero mi penetrava nella testa
senza che me ne accorgessi e, ogni volta, lo trovavo più
assurdo che mai.
Klaus
allungò un bicchiere di vino verso di me e guardai il liquido
rosso racchiuso in quella prigione di vetro. “Un po' di
coraggio liquido?” mi chiese.
Scossi
la testa.
Dopo
tutto quello che mi era accaduto, avevo una grande voglia di
ubriacarmi e di svuotare la testa di tutte le preoccupazioni che,
ormai, mi assillavano in continuazione. Ma avevo anche paura di
quello che potevo fare: non mi ero mai ubriacata in vita mia e le
conseguenze potevano essere davvero disastrose.
“Niklaus,
che fai? Le offri da bere?” Elijah ci aveva raggiunto, senza
che me ne accorgessi.
Seguii
il suo sguardo rivolto al fratello e sembrava che il suo avvicinarsi,
non fosse dovuto solo al fatto che Klaus mi aveva offerto un po' di
vino. Era preoccupato per altro e non potei fare a meno di pensare,
che Elijah aveva avuto quella stessa espressione sul viso quando
avevamo parlato dell'incendio.
Klaus
lo guardò e bevve tutto d'un sorso il vino, sorridendo poi di
nuovo. “Dopo quello che ci sta accadendo attorno, bere e
festeggiare può essere davvero di aiuto.” disse.
Non
potei che dargli ragione.
Elijah
mi lanciò un occhiata veloce. “Ha solo quindici anni,
fratello.” gli ricordò.
Era
più protettivo del solito e provai una vampata di calore
quando pensai alla parola cavaliere, mentre lo guardavo. Klaus non
aggiunse nient'altro. Anche Katerina ci raggiunse, sembrava che
avesse abbandonato Trevor tra le braccia di un altra avvenente
ballerina.
“Allora?
Quando arriva questo famoso ospite? Sono curiosa di conoscerlo!”
esclamò, con parecchio entusiasmo.
“Quando
la mia pazienza sarà più che esaurita...” rispose
Klaus, era chiaro che non amasse aspettare. Rebekah doveva avergli
dato parecchio filo da torcere in passato, sembravano molto simili
caratterialmente.
“Andiamo
Nik. So che sotto questa tua acidità, mi vuoi un mondo di
bene.” disse una voce alle mie spalle.
Dietro
di me, era appena arrivata una bellissima ragazza dai capelli dorati:
era poco più alta di me, aveva gli occhi di un azzurro
profondo e un viso che sembrava scolpito nella pietra. Indossava un
abito blu scuro e diversi bellissimi gioielli che la facevano
apparire più preziosa di quando già non sembrasse. Si
muoveva con eleganza e quasi superbia, sembrava un angelo sceso dal
cielo e pronto a giudicare noi comuni mortali. Mi bastò un
solo secondo per capire che quella ragazza era la sorella di Klaus ed
Elijah: aveva lo stesso sorriso di Klaus e la stessa eleganza di
Elijah.
Sembrava
un miscuglio femminile dei due, anche se più la guardavo e più
mi sembrava di vedere una somiglianza con Klaus che con l'altro
fratello.
Lei
mi guardò, con un sorriso equivoco sulle labbra colorate di
rosso.
Scesi
dallo scalino e affiancai Elijah, proprio come Katerina stava facendo
con Klaus.
Quest'ultimo
guardava la sorella con fastidio. “Dovevi essere qui un'ora fa,
Bekah.” le ricordò.
“Siete
voi che siete in anticipo allora.” rispose lei, quasi
rimproverandoci. Piegò la testa da un lato, il suo sguardo
passò da lui ad Elijah. “Comunque...mi siete mancati
anche voi, fratelli.”
Elijah
sorrise. Provava un affetto davvero profondo per lei e traspariva dal
modo in cui mostrava i suoi denti perfetti e il modo in cui i suoi
occhi neri s'illuminavano.
Amava
la sua famiglia e non lo nascondeva. “Siamo felici che tu sia
tornata, lo sai questo no?” le disse.
Rebekah
sorrise. “Già, sono cambiate molte cose da quando me ne
sono andata...” disse e guardò me e Katerina. Paranoia o
no, mi sembrò che non ci trovasse molto simpatiche.
Un
aitante ragazzo biondo l'affiancò, la prese sotto braccio e ci
rivolse un caloroso sorriso.
Klaus
non parve gradire quel nuovo arrivo e lo guardò con aria di
sufficienza. “Ti sei portata il formaggio per cui i francesi
sono famosi, Rebekah?” chiese, guardando il ragazzo.
Mi
trattenni dallo scoppiare e ridere, ma non riuscii a nascondere il
sorriso che quella frase fece nascere sulla mia bocca. Anche Elijah
ebbe la stessa reazione.
Rebekah,
invece, sembrava sul punto di scoppiare. “No, lui è
Philippe. Il mio fiancé.” rispose lei,
stringendoselo a sé.
Io
e Katerina non capimmo l'ultima parola ma, da come lo stringeva a sé,
non ci fu difficile capire che era il suo fidanzato. Philippe sorrise
di nuovo, allungò la mano verso Klaus e si presentò. “È
un piacere conoscervi, Lord Niklaus. Vostra sorella mi ha parlato
molto di voi.” disse, con un forte accento francese.
Attese
invano, Klaus lo guardava freddamente e non aveva alcuna intenzione
di stringergli la mano. Provai imbarazzo per Philippe, non avrei
voluto essere nei suoi panni e mi chiesi perché Klaus fosse
così superbo delle volte. Era sicuro però che, così
facendo, avrebbe fatto scoppiare l'ira della sorella. Philippe si
schiarì la voce e spostò la mano in direzione
dell'altro fratello, sperando che gli andasse meglio.
Elijah
ricambiò il saluto, con estrema gentilezza. “È un
piacere per noi avervi qui.” disse.
Calò
un profondo silenzio; Rebekah e Klaus stavano intrattenendosi in un
gioco di sguardi che sembrava potesse trasformarsi in una guerra da
un momento all'altro.
“Bekah,
ti presento Katerina ed Irina...” cercò di dire Elijah,
allungando la mano verso di noi per presentarci.
“Petrova.”
l'anticipò la ragazza, sempre con uno strano sorriso sulle
labbra. Lo guardò, forse per non degnarci troppo dei suoi
occhi blu. “Lo immaginavo, le Petrova sono tutte uguali.”
“Bekah,
sii meno acida.” la rimproverò Klaus.
“Io
sono me stessa, Nik. E tu?” replicò lei e riebbe inizio
il gioco degli sguardi di fuoco.
Io,
Katerina e Philippe sembravano irrilevanti in quello spettacolo:
Klaus ignorava lui, Rebekah ignorava noi. Eravamo comparse in una
scena di perfezione e freddezza.
Quando
la bionda posò lo sguardo su di noi, provai un groppo in gola.
Sembrava che dietro il suo palesemente finto sorriso amichevole, si
nascondesse un incendio pronto a divampare.
“Kat
e Iry....scommetto che ti piacciono entrambe, Nik.” disse,
lanciò un occhiata veloce al fratello e ignorò i
richiami non troppo duri di Elijah. “O forse ti piace di più
la moretta? Così piccolina e pura, l'altra sa troppo di...
usato, no?”
Katerina
abbassò lo sguardo, lessi il dolore di un passato ancora non
troppo lontano e provai dispiacere per lei. Ma non potevo far nulla;
era tutto nelle mani di Klaus ed Elijah.
“Bekah,
mi sto arrabbiando.” disse Klaus.
“E
arrabbiati!” sbottò Rebekah, delle rughe di espressione
le solcarono il viso.
Fino
ad allora, mi era sembrata una bambola di porcellana, perfetta e
immobile. E invece, anche lei nascondeva un lato rabbioso molto
simile a quello di Klaus. “Tu puoi trattare male il mio uomo e
io non posso criticare le tue donnicciole?”
“Il
tuo uomo mi sembra solo un imbécile. Non posso farci
nulla.”
Philippe
abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzato.
“Le
tue donne invece sembrano contadinelle, catapultate in un mondo che
non le appartiene. Io almeno ho buon gusto.”
Strinsi
i pugni, mia sorella continuava a restare in silenzio per rispetto di
Klaus. Ma io sapevo che sarebbe bastata un altra parola su mia
sorella o sulle nostre origini per farmi scoppiare.
Quell'angelo
biondo aveva scelto il giorno sbagliato per sputare sentenze.
“Rebekah,
ti prego. Le vostre gelosie le potete tenere per dopo?” Elijah
mi mise una mano sulla schiena, forse per invitarmi alla pazienza o
per dirmi di non dare retta alle parole di Rebekah.
La
bionda lo guardò sorpresa. “Ha cominciato lui.”
precisò, come una bambina capricciosa.
Klaus
sbuffò e distolse lo sguardo.
“Fallo
per me ti prego...” continuò Elijah a denti stretti.
A
quelle parole, il viso di Rebekah si addolcì. Restò a
guardare il fratello maggiore e compresi che il rapporto che li univa
era diverso da quello che mi sembravo di scorgere con Klaus.
Con
quest'ultimo, sembrava un continuo gioco di amore ed odio. Con Elijah
invece, sembrava che Rebekah fosse una bambina, una piccola bambina
che si accoccolava sulle braccia del fratello maggiore, per avere
protezione e conforto.
La
sua espressione mutò di nuovo, quando vide il braccio di
Elijah dietro la mia schiena.
Prese
un lungo respiro. “Hai ragione. Che maleducata che sono.”
disse e ci riservò un sorriso che però non m'inganno.
Katerina
la guardò, speranzosa che la scena prendesse un'altra piega.
“Allora...tu hai avuto un figlio bastardo di cui scommetto che
non sai nemmeno chi sia il padre, vero Kat?” disse la bionda.
“Rebekah!”
esclamarono Elijah e Klaus all'unisono.
Katerina
abbassò di nuovo lo sguardo imbarazzata e allora non ci vidi
più: mia sorella non si toccava. Sarei rimasta in silenzio, ma
l'avrei difesa a spada tratta. A qualsiasi costo.
Mi
parai di fronte a lei e guardai Rebekah con rabbia, un affronto che
lei non si aspettava.
Non
le piacque affatto vedere i miei occhi sostenere i suoi. Anche Klaus
ed Elijah restarono sorpresi da quel mio gesto.
“Irina,
lascia stare.” Katerina cercò di prendermi per il polso,
ma mi liberai dalla sua presa.
“E
tu, piccola Irina, sei la sorellina muta, vero? Klaus mi ha parlato
parecchio di te, sei la sua... bambolina!” ridacchiò
Rebekah, fece un passo verso di me. Non indietreggiai e continuai a
fissarla. Klaus si morse il labbro, ma non disse nulla riguardo a
quell'ultima frase. “Vuoi difendere tua sorella? Fallo allora.”
mi sfidò.
Aprii
la bocca, per risponderle ma, come al solito, ne uscì solo il
vuoto.
Rebekah
rise del mio vano tentativo di replicare alle sue offese, si
divertiva del fatto che non fossi capace di difendere mia sorella.
Perché
era quello che lei voleva farmi capire: con il silenzio, non potevo
difendere coloro che amavo. Potevo solo essere un ombra che li
seguiva e che osservava in silenzio i loro passi.
Non
potevo fare nient'altro.
“Allora?
Dai, difendi tua sorella....non ho finito la mia dose giornaliera di
cattiveria, sai!” continuò.
“Bekah,
lasciala stare. Lei e Katerina non c'entrano nulla!” esclamò
Elijah.
Rebekah
lo ignorò; si portò una mano sulle labbra come se
avesse avuto una sorpresa. “Oh giusto, tu non parli. Il gatto
ti ha mangiato la lingua.” disse, sentii gli occhi gonfiarsi di
lacrime e li abbassai per nasconderli. Non potevo fare nulla, quella
cosa mi faceva impazzire di rabbia e dolore.
“Non
prendertela con mia sorella, Rebekah. Te ne prego.” azzardò
Katerina, ma la bionda aveva occhi solo per me.
Aveva
occhi solo per distruggermi. E ci stava riuscendo: lentamente mi
sentivo cadere a pezzi, piccoli ma pesanti. Fece un altro passo verso
di me.
“Che
brutto eh? Essere dei mostriciattoli immeritevoli della vita come te,
vero? Non vorrei essere nei tuoi panni, se non puoi difendere coloro
che ami, perché vivi allora?”
“Ora
basta, hai esagerato, Rebekah!” disse Klaus, la tirò a
sé e la guardò con rimprovero.
Ma
io già piangevo, mi vergognavo di mostrare debole ma non
riuscivo a trattenere la pioggia sul mio volto. Katerina cercò
di abbracciarmi, ma io corsi via fuori dal salone.
Lontano
da tutti loro.
*
* * *
“Irina,
aspetta!”
Mi
dispiaceva ignorare Elijah, ma non volevo vedere nessuno.
Volevo
solo immergermi nell'oscurità e piangere nel silenzio della
mia esistenza.
Mi
asciugai gli occhi con il palmo della mano e continuai a procedere
nel giardino. Elijah mi raggiunse prontamente e mi fece voltare verso
di lui.
“Irina,
ti prego. Ascoltami.” Elijah guardò i miei occhi bagnati
e mi strinse le spalle. Non disse nulla del mio dolore; gli
dispiaceva e lo si leggeva nei suoi occhi troppo veri.
“Non...non
ascoltare le parole di Rebekah. È solo molto gelosa di noi,
siamo le uniche figure maschili della sua famiglia che ricorda
amorevolmente e...”
Si
bloccò, quando si rese conto che la stava difendendo. Ma non
gliene facevo una colpa, era sua sorella e anche io avrei trovato una
scappatoia per difenderla. Anche se si trattava di una serpe come
lei.
“Scusa,
forse ti faccio stare peggio ma...” cercò di dire, ma
poi non trovò più la parole.
Attesi
che continuasse a parlare, ma quello che arrivò dopo non
furono frasi o parole di conforto.
Un
abbraccio.
Un
abbraccio forte che mi cinse, come se non volesse di nuovo lasciarmi
andare via. Il vento gelido che investiva noi e il paesaggio che
avevamo intorno, sembrò svanire. Sentivo solo il calore delle
sue braccia che mi circondavano e la sua mano che accarezzava
dolcemente i miei capelli.
Quel
gesto, in tutto il suo calore, mi lasciò sorpresa: Elijah non
era un uomo che non sapeva trovare le parole adatte per una
determinata situazione. Voleva dimostrare dell'altro.
“Rebekah
sbaglia.” ruppe il silenzio, facendomi quasi sobbalzare. Mi ci
ero ormai abituata. “Non è vero che tu non sei capace di
difendere coloro che ami, solo perché non puoi parlare. Vedi,
io l'ho fatto, in un semplice gesto e senza troppe parole.”
Alzai
lo sguardo su di lui e vidi il suo sorriso sulle labbra.
Non
avevo capito quell'abbraccio, fino a quando non aveva pronunciato
quelle parole.
Effettivamente,
mi era bastato sentire le sue braccia stringermi a sé per
stare meglio: Elijah aveva davvero ragione. Peccato che stavo per
rovinare quel bellissimo momento, sentii le guance accaldarsi e
l'imbarazzo premermi nel petto, quando mi accorsi di essere realmente
attaccata al corpo di Elijah. Volevo allontanarmi per il troppo
imbarazzo.
Ma
qualcos'altro rovinò il momento: un rumore proveniente
dall'oscurità del giardino, di passi che schiacciavano
velocemente il terreno.
Come
se un ombra avesse assistito a tutta la scena e si stesse accingendo
a scappare.
L'espressione
sul viso di Elijah si fece rigida “Torna dentro, Irina.”
mi ordinò, senza essere però troppo duro. “Qui ci
penso io.”
Si
allontanò a passo svelto nell'oscurità. Lo seguii con
lo sguardo, finché lui non sparì completamente dalla
mia visuale. Avrei voluto seguirlo, ma disobbedire ad un suo
protettivo ordine mi sembrava fuori luogo. Rientrai dentro, sperando
che non succedesse nulla di brutto.
*
* * *
La
festa finì prima che me ne accorgessi.
Anche
se per me non era stata affatto una festa, grazie all'angelo biondo
che era appena entrato in scena nelle nostre vite.
Klaus
non si scusò con noi per quello che era accaduto, non era un
tipo che chiedeva scusa facilmente e non lo faceva di certo per
discolpare la sorellina Rebekah, che aveva per tutta la sera ballato
con il suo bel francese, come se non fosse accaduto nulla.
Il
fratello ci assicurò, però, che la bionda sarebbe stata
duramente bacchettata.
E
l'espressione sul suo viso lasciò intendere tutto.
Katerina
sembrò a disagio per tutta la serata, rientrò in camera
prima di me e si mise a dormire.
Era
una ragazza buona, le parole di Rebekah le avrebbero lasciato una
ferita aperta molto a lungo.
Io
restai in sala, solo per aspettare Elijah che non tornò. Fu
Joshua a dirmi, quando ormai tutti se ne stavano andando, che ci
avrebbe messo a lungo per sorvegliare la zona e prendere l'animale
assassino. Anche se, una parte di me, era ancora convinta che non si
trattasse di un animale.
Venni,
così, costretta a rientrare in camera. Camminai per i corridoi
bui, guardando i miei piedi muoversi lentamente sotto di me e
cercando di non pensare a nulla che non fosse il mio caldo letto.
Una
risata cristallina attirò la mia attenzione.
Alzai
lo sguardo; una delle camere di fronte a me era socchiusa e,
dall'interno, proveniva una fioca luce di una candela. Forse mi
sbagliavo, ma mi sembrava che fosse la camera di Klaus.
Mi
nascosi velocemente dietro un angolo, quando vidi la porta
spalancarsi e uscirne una ragazza.
Mi
sembrava mora e con scuri occhi maliziosi, ma l'oscurità mi
impediva di esserne certa.
Ero
sicura, però, che l'ombra sulla soglia della porta fosse
Klaus: la guardava divertito, mentre lei ridacchiava in maniera
squillante e gli lanciava occhiate veloci e inequivocabilmente
maliziose.
Klaus
rispondeva con un sorriso forzato.
Aveva
la camicia sbottonata sul petto e fuori dai pantaloni, il fuoco
dietro di lui lo illuminava come se fosse un angelo.
Mi
morsi il labbro e restai nascosta. Klaus aveva dormito con quella
ragazza?
Doveva
essere così, lei indossava una vestaglia da notte che non ci
si metteva davanti ad un uomo, a meno che non si dormiva con lui.
Provai il desiderio di andare da lui e prenderlo a schiaffi; non
l'avevo fatto con la sorella, ma potevo farlo con lui.
Perché
mostrava tutto quell'interesse per Katerina, se poi si divertiva con
altre donne?
Klaus
non mi sembrava un donnaiolo, ma era pur vero che l'apparenza
ingannava.
Rebekah,
per esempio, sembrava una ragazza tanto a modo. Se non parlava.
La
mora si allontanò e Klaus si chiuse la porta alle spalle,
mentre io rimanevo a fissare l'oscurità.
Mai
come in quel giorno, mi sentivo così arrabbiata. Adesso avevo
un problema in più, se dire o no a Katerina quello che avevo
visto. Ma così le avrei davvero rovinato la nuova vita che si
era costruita in Inghilterra. Come avevo taciuto sui puntini rossi e
su occhi di ghiaccio, lo avrei fatto anche su quello che avevo visto
quella sera. In fondo, non avevo prove concrete che Klaus avesse
preso in giro Katerina, sempre se si poteva parlare di tradimento.
Strinsi i pugni, perché quella scena aveva irritato anche me.
“Sorpresa?”
Mi
voltai di scatto verso Rebekah.
Era
accanto a me e io non me n'ero nemmeno accorta: sembrava quel
maledetto corvo che appariva quando meno me lo aspettavo. Mi sorrise
e lanciò un occhiata alla porta del fratello. “Credevi
davvero che Nik fosse l'uomo adatto a tua sorella...o a te?”
Si
parò davanti a me, distolsi lo sguardo e mi sforzai di non
fare nulla.
Il
solo pensiero che quella giornata stava finendo, mi era di aiuto.
“Tesoro, Klaus non ama. Mettitelo in testa. Né tu e
nemmeno tua sorella potete cambiare questo.”
Rise
di nuovo e si guardò indietro.
“Non
ti è piaciuto quello che hai visto? Beh, piccola...il peggio
deve ancora venire.”
Le
sue parole mi fecero rabbrividire; parlava di suo fratello come se
fosse un vaso di pandora che, una volta aperto, avrebbe fatto
fuoriuscire tutto il male che c'era all'interno.
O
forse, era solo un tentativo per tenere lontana me e Kat dai suoi
fratelli.
Cercai
di superarla, ma lei mi prese per il polso e mi spinse contro il
muro, prima che potessi rendermene conto. Mi strinse le spalle e mi
guardò con odio.
Fino
ad allora aveva solo giocato, ora passava alle maniere dure.
“Io,
Klaus ed Elijah ci siamo appena ritrovati. Non permetterò che
nessuno ci separi di nuovo, chiaro?!” esclamò, con una
rabbia disumana. “Perciò, stai molto attenta a quello
che fai, Petrova. Io non mi faccio abbindolare dai tuoi occhioni
blu!”
Mi
fece male, cercai di liberarmi ma fu tutto inutile. Vinse lei.
Era
disumano il modo in cui era attaccata ai fratelli. Si comportava come
se loro fossero il suo unico e vero punto di riferimento. E come se,
io o mia sorella glieli avremmo portati via.
Da
cosa lo aveva capito, non lo sapevo.
Sembrava
anche che ce l'avesse particolarmente con il nostro cognome.
Finalmente,
mi lasciò le spalle e il suo viso si addolcì.
Tornò
a giocare con me, come una gatta fa con il gomitolo di lana.
“Noi
siamo stelle oscure, Iry. Brilliamo nella notte, ma nessuno ci vede.
Perché non permettiamo a nessuno di raggiungerci.”
disse ridendo, mi diede un buffetto sul viso a cui risposi ritraendo
la testa.
La
guardai andare via, ma lei mi regalò le sue ultime parole,
anche se di spalle.
“E
smetti di sbattere le ciglia con Elijah, sei ridicola. Lui è
troppo per te.”
Restai
immobile, con la schiena contro il muro, aspettando che le sparisse
nell'oscurità. L'amarezza s'impadronì di me e pensai di
aver davvero bisogno di una bella dormita, ma dubitavo che sarebbe
bastato per allontanare quelle parole dalla mia testa.
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Capitolo 8 *** The Chevalier ***
-The
Chevalier-
But
tell me are they true
Things
they say about you
A
mason and a spy
He
knows all beds
Escaped
the leads
Oh
chevalier tell me another lie
(Serenity,
The Chevalier)
“Non
la sopporto!”
Katerina
non si calmava, le parole le uscivano dalla bocca come stelle cadenti
che si andavano a schiantare nel nulla. E pensare che mi aveva detto
di voler fare una tranquilla passeggiata per i giardini, invece
voleva solo sfogarsi.
Su
Klaus, uno dei nomi che volevo tenere il più lontano possibile
dalla mia testa, ormai troppo piena.
“Quella
Rebekah le trova tutte per tenermi lontana dal fratello! Si mette
sempre in mezzo, sempre! Già la odio.” continuò a
dire.
Io
restavo in silenzio a guardare in basso.
Dovevo
dirle che Klaus non era il cavaliere che credeva? Avevo visto una
ragazza in camicia da notte uscire dalla sua camera.
Era
un bugiardo, ormai non riuscivo a definirlo in altra maniera.
Probabilmente
mi stavo sbagliando, forse non era successo nulla in quella stanza,
ma non era una teoria che stava in piedi. Poi non capivo come non
potesse essere arrabbiata con lui per esser rimasto ad assistere in
silenzio alla sfuriata di Rebekah. Capivo che Katerina non riuscisse
proprio ad avercela con Klaus, ormai lo vedeva come il principe della
favole che aveva colorato la sua triste vita, ma io sarei stata in
collera con lui.
Poi,
Klaus ormai aveva perso la maschera di principe, almeno ai miei
occhi.
“Come
pensi che mi debba comportare con lei? Io non sono brava a sfidare le
persone, l'ultima volta mi ha difeso tu e sei scoppiata in lacrime.
Quella ragazza è il diavolo.” Katerina volse lo sguardo
verso il cielo, non sapeva che forse Rebekah le stava facendo un
favore a tenerla lontana da Klaus.
Quando
mi guardò per avere una risposta, alzai le spalle. Che potevo
dire?
“Svegliati,
lui va a letto con un altra?”
O
con quante altre; quel pensiero mi raggiunse appena incontrai gli
occhi di Katerina.
Era
così presa da lui che, se le avessi detto una cosa simile, non
ci avrebbe creduto.
Ci
stavamo avvicinando all'entrata principale della villa, quando
vedemmo sbucare fuori dalla porta una ragazza mora: aveva i capelli
mossi e gli occhi scurissimi, si muoveva e si atteggiava solo per
farsi guardare e ammirare. L'abito stretto che indossava ne era la
prova.
O
forse ero così acida perché ero sicura che fosse la
ragazza che avevo visto la notte prima con Klaus? Katerina storse la
bocca: forse la conosceva, l'aveva vista aggirarsi intorno a Klaus e
l'aveva inserita nelle persone da fulminare con lo sguardo. Nemmeno
sapeva il suo nome probabilmente.
“Se
torce il didietro un altro po', potrebbe spezzarsi.” mi
sussurrò all'orecchio.
Pensò
di farmi sorridere ma non ci riuscì: ero troppo impegnata a
capire se fosse davvero la ragazza che avevo visto uscire dalla
camera di Klaus. Ne ebbi la conferma, quando i suoi occhi neri
incontrarono i nostri, man mano che si avvicinava. Non avevo dubbi,
era lei.
Ci
rivolse un sorriso di saluto, a cui risposi solo io.
Katerina
alzò gli occhi al cielo e fece finta di nulla.
La
seguii con lo sguardo, il vento le scompigliò i capelli e le
scoprì la parte nuda del suo collo.
Allora
mi accorsi subito di qualcosa di assolutamente insolito sulla sua
pelle chiara. Mi mancò il respiro e mi sentii la testa girare
vorticosamente.
“Irina,
dove vai?” mi chiese Katerina, quando mi vide allontanarmi e
raggiungere di corsa la ragazza mora. Le afferrai il polso prima che
fosse troppo lontana e la feci voltare verso di me.
Mi
guardò come se fossi pazza, ero consapevole di sembrarlo in
quel momento, e mi chiese che cosa volessi fare. Le scostai i capelli
che il vento aveva riportato sul suo collo e li vidi: due piccoli
puntini sulla sua pallida pelle.
Pensai
immediatamente a Klaus, al libro che avevo trovato e alla scena a cui
avevo assistito la sera prima.
Tutto
riconduceva a lui.
Rimasi
a fissare quei due puntini, fino a quando la ragazza mora colpì
la mia mano e mi diede della fuori di testa. Se ne andò, senza
che le sue parole mi avessero in alcun modo toccata.
Era
Klaus il vampiro che uccideva quelle ragazze? E se lo era, dovevano
esserlo anche Elijah e Rebekah? Scorsi il viso di Elijah tra i miei
pensieri ed ebbi una fitta al cuore.
Era
lui uno dei motivi per cui non volevo credere a quella teoria e, allo
stesso tempo, uno dei motivi per cui quella storia mi avrebbe ferito
più del dovuto, se fosse stata vera.
Katerina
mi raggiunse “Ehi, che ti ha preso Irina?” mi chiese
preoccupata.
Mi
stava guardando, ma io non avevo risposte da darle.
Non
avevo mai realmente preso in considerazione quello che avevo visto su
quel libro. Ma ora, sembrava quasi che stessi trovando tutti i pezzi
necessari per completare un inquietante puzzle. Katerina mosse la
mano davanti ai miei occhi. “Ehilà? C'è nessuno
là dentro?” mi chiese.
Allora
catturò la mia attenzione, ma non perché riuscì
a distogliermi dai miei pensieri.
Ma
perché dovevo assicurarmi che il suo collo fosse pulito, che
Klaus non avesse impresso in lei nessun marchio di terrore. Aveva i
capelli raccolti, mi sarei accorta subito se avesse avuto dei segni
sulla pelle. Ma non c'erano, il suo collo era perfettamente liscio,
come lo era sempre stato.
“Irina,
hai uno sguardo che mi fa paura...” mi fece notare lei.
E
speravo di non dover mai vedere in lei la paura che stavo provando io
in quel momento.
Era
ora che la smettessi di adagiarmi sugli allori e che iniziassi a
trovare delle risposte a tutte le mie domande.
E
se avessi scoperto che i nostri cavalieri erano dei mostri, avrei
trovato anche un modo per scappare da loro insieme a mia sorella.
*
* * *
Mi
sentivo in trappola.
Mi
mancava il respiro e mi sembrava che tutto il mondo avesse preso una
piega distorta.
Non
vedevo più nulla in un ottica normale, mi sembrava di vivere
un esistenza sfocata.
Come
se fossi ubriaca e non riuscissi a stare in piedi.
Katerina
era sola in giardino, potevo tenerla d'occhio attraverso la finestra
della nostra camera.
Era
davvero un bene che Rebekah giocasse la parte del terzo incomodo,
almeno Katerina sarebbe rimasta lontana da Klaus per un po'.
Restai
a guardare le sue esili spalle rivolte verso la nostra finestra, per
diversi secondi.
Sembrava
stesse riflettendo, forse sulle parole di Rebekah o forse su chissà
cos'altro.
Mi
sentivo male, al pensiero che forse mia sorella avrebbe dovuto
riflettere su cose ben più peggiori di quelle che le passavano
per la testa in quel momento.
Sospirai
e il mio sguardo si posò sul nostro letto.
Sotto
di esso, forse c'erano le risposte a tutte le mie domande.
Mi
piegai e presi il libro che il corvo mi aveva fatto trovare in
biblioteca. Mi sedetti a terra e iniziai a sfogliarlo: sembrava un
manuale per conoscere i vampiri, per riconoscerli e sconfiggerli.
Ma,
tra quelle poche righe che riuscii a capire, c'erano scritte cose che
in realtà provavano che Klaus, Elijah e Rebekah non erano
vampiri.
I
vampiri non camminano alla luce del sole: la temono, la bramano e la
odiano al tempo stesso.
E
io avevo visto sia Klaus che Elijah, illuminati dalla bellezza del
giorno.
I
vampiri bramano sangue, il loro unico e vero nettare di vita.
Su
questo, non avevo alcun elemento che potesse tranquillizzarmi.
Anzi,
avevo appena visto due puntini sul collo della ragazza della sera
prima, due puntini creati indistintamente da un morso. Ma Elijah? Lui
era sempre con me e non mi era sembrato che avesse dato segni di
volermi azzannare il collo.
Ma
Kat, che sembrava essere la ragazza per cui Klaus nutriva più
attenzioni, non aveva segni sul collo.
Perciò
poteva significare che anche Elijah avesse una bella mora su cui
affondare i denti?
Rabbrividii,
il solo pensiero mi spaventava e mi intristiva al tempo stesso: non
volevo pensare ad Elijah, né come vampiro, né come
donnaiolo.
Il
mio cuore non credeva a nessuna delle due immagini.
Peccato
che la mia testa mi ricordava continuamente, l'immagine che avevo
attribuito a Klaus prima di vederlo sorridere ad una fanciulla mezza
nuda, appena uscita dalla sua camera: un signore, proprio come
credevo che fosse Elijah.
I
vampiri possono essere uccisi da un paletto di legno conficcato nel
loro cuore.
A
quel punto, mi portai una mano sulla fronte e chiusi gli occhi.
Stavo
per lanciare il libro contro il muro e mandare tutto al diavolo. Non
ne potevo più di quelle voci che si susseguivano nella mia
testa. Era tutto assurdo, non potevano esistere esseri del genere.
Non
mi bloccai, strinsi il libro e lo lanciai rabbiosamente contro il
muro.
Quello
ricadde sul pavimento e si aprì su dei disegni che mi rifiutai
di guardare.
Mi
strinsi le ginocchia al petto e le lacrime mi salirono agli occhi.
Non ne potevo più di tutto quello che stava succedendo, volevo
solo chiudere gli occhi e risvegliarmi in una realtà dove
tutto avesse un senso. Una realtà in cui Klaus era l'uomo
gentile che avevo sempre creduto che fosse ed Elijah il mio
cavaliere, pronto a salvarmi in un mare in tempesta.
Ma
sembrava che quei due soggetti di una fiaba non esistevano: non mi
avrebbero mai salvato dalla tempesta, perché ne erano loro gli
artefici.
Odiavo
vederli così, sopratutto odiavo immaginarmi Elijah così.
Quando
mi resi conto che piangere sarebbe servito relativamente a poco, mi
asciugai le lacrime e guardai il libro. Un altro disegno, fatto dalla
stessa mano che aveva rappresentato la famiglia degli originali,
attirò la mia attenzione: era una pianta, circondata da
diverse didascalie che la descrivevano nelle sue più piccole
parti.
Verbena,
pianta capace di indebolire un vampiro e di rendere immune un umano
dal potere mentale del vampiro stesso.
La
pianta che non cresceva nei giardini di Klaus.
La
pianta che Rose mi aveva dato prima di scappare dall'inferno in cui
non sapevo di trovarmi.
Allora
lei sapeva tutto, sapeva chi erano veramente i nostri cavalieri.
Balzai
in piedi e mi diressi al nostro armadio, avevo nascosto là la
cesta che Rose mi aveva portato: tra le varie gonne dei nostri abiti,
che per un attimo pensai di distruggere, se ripensavo a chi ce li
aveva regalati.
Allungai
le mani su tutta la superficie e finalmente trovai la cesta.
Ma
era vuota.
Il
profumo della verbena continuava a respirarsi all'interno
dell'armadio ma le piante sembravano scomparse nel nulla. Fissai il
fondo della cesta, il mio cuore batteva impazzito per la paura.
L'opzione
più gratificante era che Katerina le avesse buttate o poste da
un'altra parte.
Quella
più razionale era che qualcuno aveva deciso di farle
spontaneamente sparire.
E
io avevo in mente un paio di persone che avevano buon motivo di
farlo.
Non
mi arresi e continuai a tastare con la mano la superficie interna
dell'armadio: non c'erano.
Mi
portai le mani tra i capelli, avevo appena avuto una piccola prova
che non mi stavo creando un incubo con tutte le mie domande: io stavo
vivendo un incubo, che fino ad allora credevo fosse un sogno.
Chissà
quante volte eravamo state soggiogate, io e Kat, senza che nemmeno ce
ne rendessimo conto. Tracciai un velocissimo resoconto della nostra
permanenza in Inghilterra, ma non trovai nessun episodio che potesse
essere stato provocato da un ordine di Klaus o di Elijah, piuttosto
che dalle nostre volontà. Per ciò che mi riguardava,
non trovai nulla...tranne quello che era successo dopo l'incendio,
quando Klaus mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva detto di
dimenticare ogni cosa.
Ma
io ricordavo tutto e non avevo ingerito o usato verbena.
Chiusi
l'armadio e solo allora, mi accorsi che c'era qualcuno accanto a me.
Sobbalzai
e guardai Klaus: se ne stava in piedi, con le mani dietro la schiena
e il solito sorriso sulle labbra. Ma c'era qualcosa di minaccioso in
lui e non era una conseguenza del fatto che dubitassi ormai della sua
umanità.
Klaus
aveva davvero qualcosa di diverso in volto.
“Buongiorno
Irina.” mi disse, con una maschera di gentilezza.
Mi
ritrovai a fare un passo indietro, avevo lasciato il libro aperto
vicino al letto. Se Klaus lo avesse visto e se quello che avevo visto
in quelle pagine era tutto vero, potevo giocarmi il collo.
“Dormito
bene?”
Feci
un altro passo indietro e restai con il fiato sospeso, forse quella
non era la mossa giusta per affrontare un originale o qualunque cosa
fosse.
Anche
se fosse stato un semplice cavaliere bugiardo, non potevo affrontarlo
in quel modo.
Mi
fermai e restai a guardarlo, sperando di nascondere la mia paura. Ma
i miei pensieri andavano subito a quel disegno e al fatto che Klaus
fosse entrato in camera senza fare il minimo rumore.
Annuii
con parecchio ritardo, appena mi ricordai della sua domanda.
Restammo
a guardarci, nessuno dei due distolse lo sguardo dall'altro.
Una
nuvola passò sopra il sole e lo coprì, privandoci della
sua rassicurante luce. Mai come allora avevo desiderato che il sole
brillasse per sempre.
“C'è
una cosa di cui ti vorrei parlare.” Klaus su fece serio e io
m'irrigidii per il terrore.
Che
stava per dirmi? Di essere un vampiro? E magari poi avrebbe preso il
mio sangue, come aveva fatto con la mora della sera prima. “Rebekah
mi ha detto che ieri hai visto una cosa parecchio equivoca...”
Per
poco tirai un sospiro di sollievo, anche se pure quel discorso mi
innervosiva molto.
Non
quanto il fatto che lui potesse essere un vampiro, ma non sopportavo
che lui avesse preso in giro me e mia sorella. Affrontare quel
discorso però, era meglio che affrontare due canini nella
carne.
Inoltre,
Klaus non doveva vedere il libro accanto al letto e assecondarlo mi
sembrava la cosa migliore da fare per concentrare la sua attenzione
su di me.
“Non
voglio che tu ti faccia strane idee. Io a tua sorella ci tengo
veramente.” continuò lui. “In quella stanza non è
successo nulla, dico sul serio.”
Peccato
che lei era più svestita che vestita e lui sembrava alquanto
soddisfatto. Non ero un asso a capire certe cose, ma non ero nemmeno
stupida. Eppure i suoi occhi mi parvero sinceri: forse Klaus non
aveva realmente avuto un rapporto fisico con quella moretta. Magari
si era limitato solo a berle il sangue e mandarla via, come se fosse
una damigiana di vino da consumare lentamente.
Anche
se era andata così, la cosa non mi tranquillizzava lo stesso.
Anzi,
lo preferivo donnaiolo.
Sentivo
che stavo per perdere il controllo; avevo paura e volevo solo
allontanarmi il più possibile da lui. Cercai così di
superarlo, senza sembrare troppo nervosa e lui si parò davanti
a me.
Sostenni
i suoi occhi chiari e dovetti inclinare indietro la testa per non
essere troppo vicina al suo viso. In un altra situazione, forse,
sarei pure avvampata ma la consapevolezza di poter avere davanti un
mostro, mi faceva solo tremare.
“Tu
non mi credi, vero?” mi chiese, affilando lo sguardo.
Sentivo
che si stava riferendo ad altro, non al suo ipotetico tradimento.
Si
fece avanti verso di me e io iniziai a retrocedere lentamente.
Mi
ritrovai con la schiena contro lo sportello dell'armadio e la sua
mano aperta, posata accanto alla mia testa. Avrei voluto spingerlo
via e scappare, ma qualcosa mi bloccava.
Se
lo avessi fatto, lui avrebbe saputo che io sapevo.
“Spiegami
una cosa, Irina.” disse, con voce flebile. Sembrava il sibilo
di un serpente, pronto a penetrarti dentro e ad avvelenarti
lentamente. “Tu sei più che intelligente e lo ha
dimostrato il fatto che ieri hai tenuto testa ad una come mia
sorella.” Un sorriso gli illuminò il volto. “A
proposito, i miei complimenti. Mi piace il modo in cui sei disposta a
difendere la tua famiglia.”
Come
riusciva a fare dell'ironia? Io stavo tremando e, sinceramente, stavo
già rimpiangendo lo scontro della sera precedente con sua
sorella. Mi ero chiesta perché non avesse fatto nulla e ora
era chiaro: voleva mettermi alla prova, lo aveva fatto diverse volte
senza che nemmeno me ne accorgessi.
Mi
era sempre sembrato che lui amasse particolarmente giocare con le
menti degli altri e io dovevo essere la sua pedina preferita perché
si rispecchiava in me.
Forse
mi vedeva come il vecchio Klaus, quello con il sorriso tenero che
aveva in quel disegno.
Ma
io non volevo avere niente a che fare con lui.
Mostro
o bugiardo, aveva perso comunque la stima che avevo in lui.
“Comunque,
stavo dicendo...secondo te, perché dovrei fingere di provare
un interesse per Katerina?”
Perché
ti piacciono tutte le donne? Perché brami il sangue di tutte
le fanciulle che ti circondano? Perché non ami?
Avevo
tante domande, che avrebbero risposto alla sua domanda.
Ricordavo
ancora le parole che mi aveva detto Rebekah: “Klaus non
ama”.
E
se lo diceva persino la sorella, non potevo che rifletterci sopra.
“Sono
sicuro, che in tutte le domande che ti stanno frullando adesso in
testa, troverai la risposta.” continuò lui, chinandosi
su di me. Distolsi lo sguardo, l'unica cosa a cui pensai era che
Katerina non aveva segni di morsi sul collo, a differenza dell'amante
di Klaus. Non le aveva fatto del male, ma questo non provava nulla.
Era inutile che giocasse con me, non mi avrebbe distolto dal pensiero
che uno come lui era solo da temere.
Klaus
mi prese il mento tra le mani, mi costrinse a guardarlo e ritrovai i
suoi occhi più vicini del dovuto. “Sei soddisfatta
adesso?” mi chiese.
No,
non lo ero per niente. Volevo solo che mi lasciasse il viso e se ne
andasse.
Non
volevo più vederlo.
Studiò
la mia espressione a lungo, stava cercando di darle un significato ma
probabilmente non ci riusciva. “La differenza tra te e Katerina
è che lei pensa a vivere, mentre tu ti fai troppe domande.”
mi disse, sempre in un sussurro. “Ma sono sicuro che tu spesso
eviti le domande che dovresti realmente porti...tipo, cos'ho
realmente provato quando ho visto uscire quella bella ragazza dalla
camera di lord Niklaus?”
Un
sorriso di vittoria si stampò sulle sue labbra, quando vide
che non riuscii a sostenere più i suoi occhi. Non capivo se mi
stava chiedendo se mi ero ingelosita o altro.
Allontanai
subito quel pensiero, prima che raggiungesse la mia mente, perché
non aveva senso.
Mi
ero solo infastidita per via di Katerina, chiuso. Lui non sarebbe
riuscito a farmi credere altro.
Mi
chiesi se stesse stesse esercitando il suo potere manipolatore su di
me, sentivo lentamente perdere il controllo. Posai una mano sul suo
petto, per chiedergli di allontanarsi da me.
Klaus
mi lasciò il viso e fece un passo indietro. “Io ci tengo
a te e a tua sorella, Irina.” mi disse, era finalmente tornato
a parlare con un tono di voce normale. “E credo che tu lo
sappia, perciò...potresti anche smetterla di dubitare di me,
dopo tutto quello che ho fatto.”
Ero
confusa, lo guardavo immobile e non capivo che cosa dovevo più
credere ormai. La tensione che si era creata tra di noi si affievolì,
bastò che Klaus mettesse in mostra il suo sorrisetto da
giocherellone. “Potremmo bere un tè tutti e tre insieme,
che ne dici?” mi chiese, come se fino ad allora le sua parole
non avessero avuto una parvenza di minaccia. “Io amo il tè
solo al limone però. Spero che tu gradisca.”
Sbarrai
lo sguardo, appena percepii il messaggio criptato delle sue parole:
non mi piace la verbena e te l'ho buttata nella spazzatura.
Credeva
che fossi stupida a non capirlo? O forse, era un altro dei suoi
spaventosi giochetti mentali? Non mi stava affatto soggiogando, come
c'era scritto sul libro che avevo trovato, ma solo perché
credeva che fossi imbottita di verbena.
Altrimenti,
lo avrebbe sicuramente fatto.
“Spero
che le tue domande, non m'impediscano di stare con tua sorella. Ci
faresti solo del male.” concluse, continuò a sorridermi
e uscì dalla porta.
Caddi
seduta a terra, come se avessi perso improvvisamente un peso enorme.
Klaus
non aveva visto il libro, ma forse sospettava che fossi a conoscenza
di qualcosa. Le sue parole non erano ben chiare, bisognava avere un
potere soprannaturale per potergli leggere nella mente e capire cosa
gli passasse per la testa.
Mi
portai la mano tra i capelli e guardai il libro, eccetto il disegno e
qualche nozione sui vampiri, non mi aveva dato una vera risposta.
Klaus,
Elijah e Rebekah erano davvero vampiri?
Mi
serviva solo un semplice “Sì, lo sono” e potevo
averlo solo dall'unica persona che, indirettamente, stava cercando di
portarmi alla verità.
*
* * *
Avevo
paura a lasciare sola Katerina e speravo che non le sarebbe accaduto
nulla mentre andavo da Rose. Indossai un mantello scuro e le scarpe
più comode che avevo; non potevo richiedere una carrozza senza
destare sospetti ed ero quindi costretta a farmi a piedi tutta la
strada che mi avrebbe condotto alla casa di Rose. Camminai più
velocemente che potei attraverso i giardini, l'uscita che portava
alla foresta era a pochi metri da me.
Mi
sistemai i capelli, che il vento gelido aveva portato davanti al mio
viso, e presi un lungo respiro.
“Ehi,
piccoletta, dove stai andando?”
Mi
bloccai prima che potessi raggiungere la fine dei giardini. Mi morsi
nervosamente il labbro e mi girai verso Rebekah. Teneva le braccia
strette al petto e mi fissava con aria inquisitoria.
Non
aveva un fidanzato con cui passare il tempo, piuttosto che guardarmi
in quel modo?
“Lo
sai che uscire da sola può essere pericoloso?” mi disse,
avvicinandosi lentamente a me. “Mi preoccupo per te.”
La
guardai seccata, sapevo che non era vero.
Sapevo
che sarei stata la sua valvola di sfogo per tutto il tempo in cui
sarebbe rimasta con noi. Se avesse potuto, mi avrebbe staccato la
testa dal collo. Letteralmente.
“Bugia.
Di te non m'importa nulla...ma ai miei fratelli sì. Sopratutto
ad Elijah purtroppo, ancora mi ci devo abituare.” disse, poi
fece un passo verso di me. “O forse, ti farebbe piacere che
s'interessi più Klaus, che Elijah a te? Voi Petrova amate i
triangoli amorosi, ne sono sicura.”
La
guardai freddamente, mi chiesi per quanto ancora avesse intenzione di
infierire così su di me, su Kat e persino sulla mia famiglia.
Quando pronunciava il mio cognome, sembrava quasi che dovesse
sputare. Cercai di proseguire, ma lei me lo impedì: mi prese
il polso e mi fece voltare verso di lei.
“Non
osarmi darmi le spalle, piccoletta. Dove stai andando?” mi
chiese, mi sembrava di ritrovarmi di fronte Klaus.
L'unica
cosa che li distingueva era che lui era più delicato nei modi.
Rebekah
sembrava volermi spezzare le ossa ogni volta che mi sfiorava.
Agii
con un altro gesto che la stupì: mi liberai dalla sua presa e
ritirai violentemente il braccio. Lei lo lasciò, ma qualcosa
mi disse che, se avesse voluto, avrebbe potuto trattenerlo ancora.
“Sai,
non stai facendo nulla per starmi più simpatica, Iry.”
disse, squadrandomi dalla testa ai piedi. Ma io non volevo esserle
simpatica: dopo quello che mi avevo detto, non avevo nemmeno la
minima intenzione di cercare di accattivarmi la sua simpatia.
E
se era un vampiro, avevo un motivo in più per farlo.
Sospirai
e mi accorsi che lo sguardo di Rebekah si era fatto buio. I suoi
occhi erano fissi sul mio collo, per un attimo pensai che avesse fame
e volesse uccidermi.
La
naturalezza di come mi giunse quel pensiero, mi spaventò
parecchio. Lei si avvicinò velocemente a me e afferrò
il pendente che mi aveva regalato Klaus, lo fissò a bocca
aperta e se lo rigirò tra le dita, come se volesse avere la
conferma di quello che stava guardando.
“Come...come
hai avuto questo ciondolo? Te lo ha dato Klaus?” mi chiese,
sembrava furiosa. Neanche la sera prima, quando la nostra sola
presenza l'aveva indisposta, aveva assunto quell'espressione:
sembrava una bestia, priva di controllo, pronta ad agguantare la sua
preda.
Provai
a liberarmi dalla sua presa, ma lei mi trattenne cingendomi le
spalle. Arrivò quasi a conficcare le unghie nella mia carne e
aprì la bocca in un verso di dolore.
“Perché
hai quel ciondolo?! Rispondimi!” esclamò di nuovo. “O
almeno, cerca di darmi una risposta, Petrova!”
“Rebekah!”
Guardai
sollevata Elijah, lo vidi arrivare alle spalle della sorella, insieme
a due cavalli che teneva attraverso le redini. Li stava portando
verso di noi, i suoi occhi erano fissi su di me e io non riuscii a
sostenerli. Il pensiero che potesse essere un vampiro mi impediva di
guardarlo come facevo prima.
Anche
se veniva sempre a salvarmi e proteggermi.
Rebekah
lasciò la presa su di me e si voltò verso il fratello.
Sembrava non aver ancora sbollito la rabbia ed era pronta a
riversarla sul fratello. “Elijah, ha il ciondolo...”
disse, puntandomi il dito contro, come se mi stesse accusando di una
cosa disdicevole.
Abbassai
lo sguardo sul gioiello. Da come lo guardava, sembrava che rievocasse
brutti ricordi nella mente di Rebekah. Oppure un passato che voleva
dimenticare.
Arrivai
quasi a pensare che Klaus me lo avesse dato per farmi un dispetto, ma
non mi sembrava così infantile.
Elijah
la fissò a lungo; era irritato dal modo in cui la sorella si
comportava ma il suo sguardo lasciò intendere ben altro. Mi
ricordai che anche lui aveva reagito in maniera strana alla vista di
quel ciondolo, anche se non era stato esagerato come lo era stata
Rebekah.
“Rebekah,
mi sono già stancato dei tuoi teatrini!” la rimproverò,
mi aspettai da un momento all'altro che lo aggredisse verbalmente,
com'era solita fare con Klaus.
Invece
restò in silenzio, abbassò lo sguardo con aria
colpevole e si morse le labbra, probabilmente per non continuare ad
inveire contro di me, di fronte agli occhi del fratello.
Ad
un certo punto Elijah si accorse di essere stato troppo duro con lei
e l'espressione sul suo viso di addolcì. “Per favore
Bekah, sii più gentile con le nostre ospiti. Nostra madre ci
diceva sempre di conoscerle le persone prima di giudicarle, no?”
“Non
aprire questo fronte fratello, nostra madre disse tante cose...”lo
interruppe Rebekah.
Calò
il silenzio, intanto il cielo si era completamente coperto di grigio
e il vento si era fatto più freddo. Guardai i due fratelli, il
solo nominare la madre aveva fatto cadere su di loro un velo di
nostalgia: anche Rebekah parlava con gli occhi, proprio come Elijah,
e come riuscivo a capire il suo odio, riuscivo a capire anche la sua
tristezza.
Tutto
terminò quando Elijah mi rivolse un sorriso. Ecco qual'era il
motivo per cui non potevo credere a tutta la storia dei vampiri,
degli originari e via dicendo: lui, il suo sorriso e i suoi occhi
neri che sembravano solo volere la mia serenità. La paura che
provavo dentro, per un attimo, si affievolì.
“Irina,
stai meglio? Katerina mi ha detto che non stavi molto bene...”
mi disse.
Si
accorse che gli avevo mentito, avevo fatto dire a mia sorella che
stavo poco bene per evitare di incontrare loro tre. Ma poi mi era
venuta in mente l'idea di incontrare Rose e di conseguenza avevo
incontrato tutti e tre loro. Sembrava che il destino si divertisse a
giocare con me, me li aveva fatti incontrare nell'ordine in cui li
temevo: Klaus era sempre quello che mi spaventava più di
tutti, poi c'era Rebekah, che più che paura, mi faceva
irritare e infine Elijah, per cui non potevo provare altro che
gratitudine.
Ma
avevo bisogno di sapere l'entità della sua vera natura.
Gli
dissi che stavo un po' meglio e, a quel punto, Rebekah si voltò
verso di me. Mi lanciò un sorriso falso, un chiaro messaggio
che le era appena venuta in mente un idea diabolica da usare contro
di me. “Irina vuole venire a cavalcare con noi.” disse.
Voleva
solo impedirmi di andare dove stavo andando, le riservai una lunga
occhiata con cui avrei desiderato polverizzarla e lei ricambiò
affilando lo sguardo.
Elijah
però non era stupido, aveva visto che Rebekah mi aveva
praticamente messo le braccia addosso e che non mi sarei mai sognata
di poter intrattenere una conversazione pacifica con lei.
“Smettila
Rebekah, come te lo devo chiedere? In ginocchio?” la
rimproverò.
“Ma
è la verità. Le hai insegnato a scrivere e a capire la
nostra lingua no? Certo potevi pure insegnarle a camminare per
bene...ma, visto che ora volevamo fare una passeggiata a cavallo,
perché non portarla con noi?” insistette la bionda.
Fu
allora che mi venne un idea; non ero molto lucida in quel momento, ma
avrei voluto quasi ringraziare Rebekah per essere così
diabolicamente stupida. Mi aveva appena dato una scappatoia per
raggiungere Rose, senza destare sospetti. Ero molto brava a perdermi
e nessuno avrebbe mai pensato che me ne fossi andata di proposito.
“Rebekah,
a te dovrei insegnare a tacere invece.” la provocò
Elijah, si bloccò quando gli posai una mano sul braccio. Gli
bastò guardarmi in volto per capire che avevo intenzione di
salire su quel cavallo, ma non ne parve molto convinto.
“Ne
sei sicura Irina? Se lo fai per dimostrare qualcosa a mia sorella...”
Scossi
la testa, sforzandomi di essere il più convincente possibile.
Ma non era facile darla a bere ad un uomo intelligente come Elijah;
sospettava qualcosa ma non aveva idea di cosa mi frullasse davvero
per la testa. E un po' mi dispiaceva prenderlo per i fondelli.
“Visto!
Sbatte le ciglia più del solito, vuol dire che ci sta!”
s'intromise Rebekah, non la guardai ma solo perché non si era
accorta che stava facendo, in parte, il mio gioco.
Persino
suo fratello la ignorò. “Va bene. Rebekah, vai a
prenderti un altro cavallo. Forse una bella passeggiata ti gela la
lingua di fuoco che hai!” disse.
La
bionda stava per esplodere di rabbia. La guardai andare via mentre
dentro di sé mi lanciava le maledizioni più perfide che
poteva elaborare. Se era davvero un vampiro originale, si faceva
prendere in giro troppo bene.
“Sai
salire a cavallo, Irina?” mi chiese Elijah e avvicinò un
cavallo a me. Guardai quella dolce creatura con timore; non ero mai
andata a cavallo e non ne avevo mai visto uno così vicino.
Da
piccola li avevo visti alle poche feste di paese a cui ero andata. E
quando ne vedevo uno, scappavo sempre via. Per un attimo pensai che
fosse davvero una cattiva idea, la mia.
Elijah
sorrise delle mia espressione impaurita. “Non è così
difficile come sembra.” disse, poi accarezzò il suo
cavallo. “E questi animali sono i più docili che tu
possa incontrare.”
Sospirai,
il cavallo sbuffò e posai una mano sulla sua schiena.
L'accarezzai lentamente e quello restò immobile. Sorrisi
quando superai la paura che mi aveva attanagliato attimi prima.
“Vieni...”
Elijah sfiorò la mia mano e, istintivamente, mi ritrassi.
Il
mio gesto lo colpì: anche se evitavo il suo sguardo, sentivo i
suoi occhi su di me che, probabilmente, si stavano chiedendo perché
avessi reagito in quel modo.
Non
mi ero nemmeno accorta di essermi ritratta in quel modo: era stato il
mio cuore, preso dalla paura, ad ordinarmi di farlo.
“Irina,
tutto bene? Mi sembri strana...” mi domandò Elijah,
cercò di posarmi una mano sulla spalla, ma si bloccò
appena ripensò a quello che era successo poco prima.
Annuii
e, per evitare di nuovo il suo tocco freddo, provai a salire da sola
a cavallo.
Fu
uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita: non riuscivo
ad allungare la gamba per portarla dall'altra parte del cavallo e mi
ritrovai attaccata al fianco dell'animale, per non cadere
all'indietro. Provai a distendermi allora sul dorso e tutto quello
che riuscii ad ottenere, fu restare a pancia in giù sulla
sella, mentre provavo a sedermi.
Elijah
rise, non lo fece con scherno, ma riuscì comunque a farmi
arrossire.
“Ti
offendi se ti dico che sembri un po' una scimmietta?” mi disse.
Non
mi avrebbe offeso: scimmietta era nulla in confronto a quello che
poteva dirmi Rebekah se mi avesse visto in quella situazione. Volevo
solo seppellirmi viva per l'imbarazzo; quell'idea era folle e avrei
raggiunto Rose con il collo spezzato probabilmente.
“Lascia
che ti aiuti, la prima volta non è mai facile.” Elijah
fece il giro del cavallo, per raggiungere la parte del mio corpo in
cui avrebbe visto la faccia. Nella posizione più che contorta
in cui mi trovavo, mi prese la gamba per portarla dall'altro lato.
“Ecco qua, vedi non è diff...”
Quando
credeva di aver ormai fatto il lavoro sporco, non tenne conto della
mia estrema goffaggine: persi l'equilibrio e gli finii addosso, lui
mi prese prontamente tra le braccia e, senza rendermene conto, io
buttai le braccia attorno al suo collo. Restammo a guardarci; sentivo
le sue mani dietro la mia schiena e sulle mie gambe. Non ricordavo di
averlo mai avuto così vicino: neanche quando mi aveva
abbracciato, avevo avuto i suoi occhi ad una distanza così
breve.
Avrei
potuto protendermi per sfiorargli il naso con il mio, pensiero che
comunque mi attraversò la mente. Anche se per un solo breve
secondo.
Sorrise,
anche se sembrava imbarazzato per la situazione. Non quanto me però.
“Mi
correggo, una scimmietta è più abile di te!”
scherzò.
Risi
anche io, ma l'arrivo di Rebekah, insieme ad un cavallo bianco rovinò
tutto come sempre. Il sole si era riaffacciato sul cielo per un
secondo, ma appena lei era tornata, si era di nuovo oscurato.
Pure
a lui doveva stare parecchio antipatica.
Quando
ci vide in quella posizione, da cui non riuscivamo a muoverci per la
vergogna o altro, sbuffò. “Oh cielo, voi Petrova andate
subito al sodo in questo modo?” disse, storcendo la bocca in un
espressione disgustata.
Salì
sul cavallo con eleganza e maestria, facendomi provare un po' di
invidia. “Se avete finito, possiamo andare. Anche io vorrei
tornare dal mio uomo e certe cose le riservo per la camera da letto.
A differenza di qualcuno!”
*
* * *
“Posso
farti una domanda? Non è difficile nemmeno per te capirla,
perciò vorrei una risposta chiara.”
Rebekah
approfittò della momentanea lontananza di Elijah, per voltarsi
come un cane rabbioso verso di me. Guardai suo fratello, che avanzava
a pochi passi da noi sul suo cavallo: somigliava ad un fiero
cavaliere, quelli di cui si leggono nelle fiabe e che salvano le loro
dame dalle torri in cui sono rinchiuse.
Speravo
davvero di conservare quell'immagine di lui e di non avere la
conferma che fosse tutt'altro da quello che pensavo. Anche se ormai,
mi bastava solo un “sì” per dubitare di lui.
Il
cavallo si fermò quasi per ripicca, Elijah mi aveva insegnato
a farlo trottare lentamente e senza difficoltà. Ero convinta
che fosse più difficile, fu una sorpresa per me scoprire che
non era così.
Tornai
a guardare Rebekah, mi fissava intensamente e in attesa di un mio
cenno.
Tanto
sapevo che avrebbe solo sputato veleno, perciò poteva parlare
quanto le pareva.
“Credi
di piacere ad Elijah?” mi domandò freddamente.
Dovevo
ammettere che non mi sarei mai aspettata quel genere di domanda e
posta da lei, mi sembrava più pungente di quanto potesse
risultare. Non sapevo dove mettere la faccia, me la sentivo andare in
fiamme mentre ripensavo alle sue parole.
Lei
sorrise. “Sei davvero così presuntuosa?” mi
domandò.
Restai
immobile, i nostri cavalli continuarono a camminare l'uno affianco
all'altro e i loro passi risuonavano nel silenzio della foresta. In
realtà non pensavo di piacere ad Elijah, non da quel punto di
vista almeno.
Ma
non potevo negare che lui invece mi piacesse, solo non riuscivo solo
ad ammetterlo a me stessa.
Cercai
di cancellare quella sensazione che mi aveva appena preso: ero là
per poter raggiungere più facilmente Rose, non per farmi
abbindolare dalle trappole di quella fastidiosa bionda.
“Tralasciando
il fattore dell'età che, credimi, è più che
rilevante, mocciosa.” insistette lei, alzai gli occhi al cielo
e presi un lungo respiro per mantenermi calma. “Guarda lui e
guarda te stessa. Il cavallo ha più eleganza di te e tua
sorella messe insieme!”
A
quel punto, persi il controllo di me stessa. Non era da me essere
violenta o alzare le mani ma, come Rebekah mi aveva amabilmente
ricordato, non avevo il dono di difendermi con l'uso della voce.
Fermai il cavallo, lei mi guardò con aria interrogativa e
fermò anche il suo di cavallo.
“Devi
fare un bisognino?” mi chiese.
Elijah
si era fermato anche lui, con la coda dell'occhio lo vidi girare
lentamente il cavallo verso di noi e osservare la scena confuso.
Scese prontamente, quando mi vide afferrare la caviglia di Rebekah e
tirarla giù dal cavallo. Rebekah cadde a terra, ma non si fece
nulla di grave: non volevo farle del male, volevo solo vederla a
terra come un verme. Anche perché, se lei era un vampiro, non
le avrei provocato alcun dolore.
“Irina,
che fai?!” esclamò Elijah dietro di noi, sentivo i suoi
passi farsi sempre su vicini, ma io avevo occhi solo per Rebekah
sotto di me. Lei mi fissava con occhi sgranati, forse stava
controllandosi per non saltarmi addosso e uccidermi. Avevo osato
toccarla, povera bambola di porcellana, e quello era bastato per
farmi odiare ancora di più da lei.
Cosa
di cui mi importava relativamente poco.
“Questa
te la faccio pagare cara, Petrova!” disse furiosa, scattò
in piedi e si parò davanti a me. Mi stava sfidando, voleva che
la colpissi di nuovo per poi dimostrarmi che cosa avrebbe fatto.
Elijah
accorse a separarci: si mise tra di noi, ma il suo sguardo era
rivolto alla sorella e avevo la certezza che non fosse uno sguardo
amorevole. “Ora basta, Bekah. Stai esagerando.”
“Io
esagero?! Hai visto cosa ha osato fare,no?” esclamò,
puntandomi il dito contro.
“Sono
sicuro che tu hai fatto qualcosa per cui te lo meritavi!” la
rimproverò lui.
Non
ero nemmeno il tipo da gioire dei litigi,ma Rebekah stava davvero
tirando fuori il peggio di me ed era arrivata solo da un giorno.
Guardai oltre le spalle di Elijah e studiai l'espressione della
sorella, sembrava una bambina arrabbiata, perché non aveva
avuto ragione.
Nemmeno
Ada, per quanto era capricciosa, aveva mai reagito così.
“Sta
succedendo di nuovo, te ne rendi conto o no?!” disse, parlando
di qualcosa di cui non ero a conoscenza. “Ci siamo già
passati di qua, con la persona a cui Klaus aveva già regalato
quel ciondolo. E ricordi com'è finita, Elijah, so che lo
ricordi.”
Guardai
il ciondolo, l'unica cosa che mi era chiara, era che Klaus aveva già
dato quel ciondolo ad un altra persona, probabilmente una donna, e
che quella persona non era ben ricordata da Rebekah. Elijah non
rispose subito, la stava fissando e stava probabilmente pensando alle
parole più giuste da rivolgerle.
“Il
passato è passato, Rebekah. E non voglio aggiungere altro, lo
sai perché.” rispose.
Seguì
un profondo silenzio, un tuono tagliò il cielo in due e ci
annunciò che stava per scoppiare un bel temporale. Che però
era scoppiato da un pezzo, almeno tra di noi.
E
io non potevo più sopportare tutta quella situazione, non si
poteva affrontare una tempesta da sola. Ed era chiaro che Elijah e i
suoi fratelli stessero nascondendo più cose di quanto
credessi.
Mi
strappai il ciondolo dal collo; non m'importava che Klaus me l'aveva
regalato e mi avvicinai a Rebekah. Le presi la mano e lo lasciai
cadere sul palmo, poi mi diressi lentamente verso il cavallo.
Mi
veniva da piangere, perché quello che stavo per fare non
sapevo se considerarlo giusto o sbagliato.
“Irina,
dove vai?” mi chiese Elijah confuso. Aveva imparato a
conoscermi e quindi sapeva che quel mio modo di comportarmi non era
da me. Salii a cavallo, sempre nella mia maniera goffa, e lo incitai
a partire. Elijah cercò di fermarmi, ma lo ignorai.
Corsi
via sotto le prime gocce di pioggia che iniziarono a cadere su di me.
Non
mi importava se mi sarei rotta qualcosa o se mi sarei persa: dovevo
raggiungere Rose e farmi dire da lei la verità.
Era
l'unica di cui potevo fidarmi purtroppo, dovevo rassegnarmi ad aver
perso anche Elijah.
Non
potevo stargli vicino fin quando non avessi saputo la verità,
anche se questo mi uccideva dentro. Non volevo più segreti.
*
* * *
Fermai
il cavallo di fronte alla casa di Rose.
Ero
completamente fradicia e infreddolita e corsi dritta verso la porta.
Bussai ripetutamente, dovevo fare in fretta se dovevo tornare da
Katerina in tempo.
Poi,
in caso di risposta affermativa da parte di Rose, l'avrei portata via
da quel paradiso di carta, che poteva bruciarsi con una sola vampata
di fuoco. Non mi aprì nessuno, ma riuscivo a scorgere
all'interno della casetta, le fiamme che bruciavano nel camino.
Bussai
di nuovo, con più vigore, e Rose venne subito ad aprirmi. I
suo occhi verdi mi lasciarono subito perplessa; sembrava quasi
seccata di vedermi e non mi era mai sembrato di farle
quell'impressione.
“Irina,
che ci fai qui...da sola?” mi chiese, guardò dietro di
me come se si aspettasse di vedere qualcuno. Le chiesi gentilmente di
farmi entrare, ma appena feci un passo in avanti, lei si parò
davanti alla porta. “Non posso farti entrare, se non sei
insieme a lord Niklaus o lord Elijah.” disse duramente.
La
guardai confusa, da quando li chiamava addirittura con l'appellativo
lord? Delle volte mi era sembrato, che non volesse nemmeno
pronunciare i loro nomi.
I
suoi occhi incontrarono i miei, sembrava però che volesse
farmi entrare: in effetti ero zuppa dalla testa ai piedi e dovevo
avere un aspetto a dir poco spaventoso. Non poteva abbandonarmi anche
lei, era l'unica persona che mie era rimasta e di cui potevo fidarmi.
Le presi le mani, pregandola di guardarmi e lei lo fece.
Vampiri.
Le
mie labbra si mossero in quella semplice parola, che sembrò
terrorizzarla.
La
ripetei diverse volte, lasciando che le mie labbra si muovessero
lentamente, anche se lei sembrava aver capito da un pezzo.
“I
vampiri non esistono, Irina. Ti prego, non dire sciocchezze.”
rispose Rose, si liberò con durezza della mia presa e mi
guardò con aria di rimprovero. Ma perché stava
mentendo? Aveva sempre cercato di dirmi qualcosa e ora che ero
disposta ad ascoltare, si stava tirando indietro?
Allora
dissi Klaus, era il nome più semplice che le mie labbra
potessero lasciar capire, senza che ne uscisse una parola. Ed era il
nome che continuavo a temere sempre di più.
Rose
rabbrividì di nuovo e non per la folata di vento che ci
investì. “Irina, Klaus è un gentiluomo. Non farà
del male né a te, né a Katerina. Non devi dubitare.”
disse.
Come
non potevo dubitare? Mi aveva dato della verbena che poi era
magicamente scomparsa per mano di quel nobiluomo.
La
guardai con le lacrime agli occhi per la disperazione.
“Ora
,ti prego, torna a casa. Potresti ammalarti.” continuò
Rose, fece per chiudermi la porta in faccia, ma non glieli permisi.
Avrei voluto gridarle di non farlo, anche se non potevo, ma la mia
espressione bastò comunque a smuoverla.
“Io
e Trevor gli siamo fedeli, Irina. Non faremo o diremo nulla che possa
indispettirlo!” esclamò furiosa.
Allora
capii subito: Klaus l'aveva minacciata. Non c'era altra spiegazione
logica alle sue parole, che prima non sarebbero mai uscite dalla sua
bocca.
Trovai
nei suoi occhi verdi, pieni di paura, la risposta che cercavo e che
lei aveva cercato di darmi la sera prima. Arretrai lentamente, Rose
mi seguì con lo sguardo ed era evidente quanto fosse
dispiaciuta. Per avermi chiuso la porta in faccia e per non avermi
aiutata.
Ma
non gliene avrei fatto una colpa: Klaus era sicuramente arrivato a
minacciarla, per impedirle di parlare. Perché quello che Rose
aveva da dire era la pura è semplice realtà.
Klaus,
Rebekah e persino Elijah...erano solo una bugia, non erano le stelle
bellissime e perfette come si mostravano, anche se Rebekah non si era
nemmeno sforzata di apparire come tale.
Erano
l'oscurità pronta ad inghiottirci, nel sangue e nella morte. E
il pensiero che anche l'immagine di Elijah stava cambiando, nel mio
cuore e nella mia mente, mi fece male.
Rose
non mi fermò quando mi vide correre verso il cavallo, ci salii
più velocemente che potei e mi diressi verso la strada che mi
avrebbe riportato a quella che non era più casa mia.
Era
ora che io e Katerina ce ne andassimo. A qualsiasi costo.
*
* * *
Le
pioggia si mescolava con le lacrime che bagnavano il mio viso.
Rabbia.
Dolore. Paura.
Erano
le uniche cose che mi impedivano di fermare il cavallo e mettermi a
piangere disperata in un angolo. Pensavo di aver trovato qualcosa di
bello in Inghilterra, non quei sentimenti che già conoscevo
bene.
Mi
sentivo una stupida a non averlo capito prima: era tutto troppo
irreale per essere vero. Mossi più forte le redini del
cavallo, per farlo andare più veloce. Dovevo raggiungere
subito Katerina; non avevo più la sicurezza che fosse al
sicuro in quella villa da sogno.
Guardai
di fronte a me e mi accorsi di un ombra in lontananza, un ombra che
doveva aver scorso il mio cavallo ma che non accennava a muoversi di
là.
Ma
non mi fermai, chiunque fosse voleva che lo investissi e io l'avrei
accontentato.
Non
m'importava cosa sarebbe successo, dovevo giungere la destinazione il
prima possibile.
Qualcosa
volò in mezzo alla strada, parandosi tra me e quella strana
ombra: il corvo, il mio tramite tra la bugia e la verità.
Ormai lo avrei riconosciuto anche tra migliaia di corvi, le sue piume
simboleggiavano solo dolore per i miei occhi.
Gracchiò,
il suo verso riecheggiò tra gli alberi della foresta e il
cavallo perse il controllo.
Si
fermò di colpo, si tirò su sulle zampe posteriori e mi
fece cadere, prima di correre via a tutta velocità. Lo scontro
con il terreno fu terribile: rotolai nel fango, non sentii più
il braccio destro e la testa iniziò a farmi male. Cercai di
alzarmi ma il dolore al corpo mi impediva di compiere qualsiasi
movimento.
Stavo
per svenire, mentre dentro la mia testa gridavo di restare sveglia il
più possibile.
Restai
con lo sguardo verso il cielo, quando sentii dei passi avvicinarsi a
me: un uomo incappucciato mi si fermò accanto, il corvo sulla
spalla e il capo chino su di me.
Riuscii
a girare la testa verso di lui per guardarlo e lui si tolse il
cappuccio.
Occhi
di ghiaccio, come lo avevo ormai nominato, mi fissò.
Si
piegò su di me e appena cercò di toccarmi, lo aggredii
con l'unico braccio che riuscivo a muovere.
Provai
a graffiarlo, ma lui mi trattenne con estrema facilità.
Poi
,mentre con una mano mi stringeva il polso, con l'altra posò
un panno sulla mia bocca.
Mi
guardò con freddezza mentre piangevo e mi dimenavo.
Lentamente
mi prese sonno: sentivo il corpo farsi sempre più leggero,
quasi immateriale, e la vista si appannò completamente.
Persi
i sensi e l'ultima immagine che vidi, fu il volto di occhi di
ghiaccio offuscato dalle mie lacrime.
Ciao
a tutti!
Che
ne pensate di questo capitolo?
Nel
prossimo verranno (finalmente!) chiarite diverse cose che
riguardano Irina e il perchè occhi di ghiaccio (di
cui verrà anche rivelato il nome) le stia dando la
caccia. Inoltre Iry si troverà in una situazione
davvero complicata, da cui non saprà davvero come
uscirne...
Grazie
davvero infinite a tutti coloro che leggono questa storia,
chi in silenzio e chi lasciando bellissime recensioni!
E
ringrazio anche coloro che hanno inserito questa storia tra
le seguite, preferite ecc...siete davvero uno stimolo per
andare avanti con la storia!
Alla
prossima, ciao! :)
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Capitolo 9 *** The Story ***
Non
riuscivo ad aprire gli occhi.
Sentivo
un peso che non mi doveva appartenere, quello del mio corpo
intorpidito e indolenzito. Una forte sensazione di calore mi bruciava
il volto, come se una fiamma si trovasse proprio di fronte a me.
E
infatti era così.
Quando
aprii gli occhi, mi ritrovai di fronte un camino acceso: la legna
crepitava e le fiamme zampillavano davanti ai miei occhi in una
specie di danza, che riuscì a catturare completamente il mio
sguardo. Non riuscivo a capire perché quel fuoco mi colpisse
tanto, forse perché avevo la testa priva di qualsiasi ricordo
e pensiero.
L'unica
cosa di cui ero sicura era quel calore che bruciava la mia pelle.
Mi
accorsi di essere distesa, sul fianco destro su una superficie fredda
e ruvida, un bel contrasto con l'intenso calore che avevo di fronte.
Strabuzzai gli occhi e mi sforzai di girarmi a pancia in su, ma fu il
dolore ad impedirmelo: il braccio, non sapevo nemmeno dire se quello
destro o quello sinistro, si schiacciò sotto la mia schiena e
percepii un dolore fortissimo.
Avrei
gridato per quanto mi faceva male, ma mi limitai a stringere i denti
e chiudere un attimo gli occhi. Mi accorsi di un'altra cosa, che
avevo ignorato per quanto fossi stordita: ero legata, i miei polsi e
caviglie erano stretti da delle corde. Le guardai come se fossero
serpenti velenosi che mi avevano incatenata e cercai di liberarmi di
loro. Ma fu tutto inutile, il braccio gridava pietà ad ogni
movimento brusco e quelle corde erano talmente strette che mi
graffiavano la pelle.
Se
avessi cercato di liberarmi, quelle mi avrebbero segato mani e piedi
probabilmente.
Ma
come ci ero finita là? Non avevo alcun ricordo, mi sembrava di
aver vissuto l'ultima giornata in un buco nero. Cercai di non farmi
prendere dalla disperazione, anche se le lacrime già bagnavano
i miei ricordi.
“Ti
sei svegliata...” disse una voce.
Sobbalzai,
mi guardai attorno ma non riuscii a scorgere nessuna figura
nell'oscurità.
Mi
trovavo in una specie di stanzone vuoto, le finestre erano sbarrate e
non avrei potuto dire dove si trovava la porta di uscita per quanto
fosse tutto così dannatamente buio.
Allora
sentii dei passi, dei passi felpati che si avvicinavano a me.
Strisciai
all'indietro e finii di schiena contro il muro; fu un movimento
talmente rapido che diedi una violenta botta al braccio, già
di per sé malridotto, e alle spalle.
Finalmente
quella voce glaciale e dall'accento di una terra lontana assunse un
volto.
Occhi
di ghiaccio mi fissò intensamente.
I
suoi occhi però non sembravano celare cattiveria, anzi mi
guardava quasi con gentilezza.
Se
non avessi saputo per certo che non era uno dei buoni, viste tutte le
situazioni in cui me lo ero ritrovata davanti, avrei anche potuto
credere a quella sua espressione protettiva.
Lentamente,
i ricordi affollarono di nuovo la mia mente: io e Kat che parlavamo,
la ragazza mora con i puntini sul collo, lo scontro con Klaus, la
cavalcata insieme ad Elijah e Rebekah e poi la mia fuga da Rose. E
infine,il corvo che mi tagliava la strada e lui ,la sua mano
che mi serrava la bocca per farmi perdere i sensi....
Poi,
il nulla.
Pensai
subito a Katerina, ora che sapevo chi erano Klaus ed Elijah dovevo
tornare da lei e portala via, prima che le facessero del male. Provai
a divincolarmi con forza, ignorando il braccio e i polsi che venivano
raschiati dalle corde spesse: volevo solo fuggire, raggiungere mia
sorella e portala lontano da tutto quell'inferno.
Ma
era un pensiero che, probabilmente, non avrebbe mai ottenuto una
realizzazione.
Ero
in trappola, forse con un nemico più pericoloso di Klaus. Ma
lui non lo batteva nessuno.
“Stai
ferma, hai il braccio ridotto male e hai bisogno di cure mediche.”
disse lui, si chinò su di me e allungò le mani verso le
mie gambe. Le tirai a me in un gesto rapido e mi strinsi di più
contro la parete. Occhi di ghiaccio parlava un po' in inglese e un
po' in bulgaro, probabilmente a seconda di come riusciva a tradurre
ciò che voleva dire.
Ma
il suo accento era tedesco: non ne avevo dubbi, avevo sentito mio
padre parlare con un uomo originario della Germania quando ero
bambina e quell'accento mi era rimasto impresso.
Forse
perché avrei tanto voluto esser capace di parlarlo o magari mi
piaceva solo quel suono duro e a tratti anche rude.
“Irina,
non devi aver paura. Non voglio farti del male.” disse ancora
lui.
Lo
guardai incredula: le corde, la botta in testa e il braccio che
pulsava provavano il contrario.
Per
non parlare di tutte le volte che mi era parso davanti, spingendomi
nell'inferno.
Feci
scorrere lo sguardo nell'oscurità, alla ricerca del corvo che
mi aveva portato alla realtà di sangue che mi circondava. Ma
non c'era; speravo quasi di rivederlo perché mi era più
simpatico di Occhi di ghiaccio.
Non
che mi fidassi anche di quella bestia: l'ultimo ricordo che avevo di
lei era sulla spalla dell'uomo.
“Io
mi chiamo Micah.” L'uomo parlò lentamente, come se
stesse interagendo con una bambina piccola e spaventata. Mi sorrise e
allungò le mani verso il mio viso, chiusi gli occhi di scatto.
Non
mi ero accorta di avere i capelli di fronte al viso e lui li portò
dietro le mie orecchie in un gesto estremamente delicato. Una
sensazione di fresco m'investì la pelle, probabilmente ero
accaldata in viso per colpa della fiamma che bruciava di fronte a me
fino a poco prima.
“E
tu sei Irina Petrova. So moltissime cose sul tuo conto, anche se ti
aspettavo...diversa. Mi sono stupito quando ho scoperto che sei
così...innocente.”
Lo
guardai con occhi interrogativi, non capivo di cosa stesse parlando e
volevo solo vederci chiaro.
Perché
mi hai seguito? Perché quel corvo maledetto mi ha messo in
guardia dai vampiri? Perché sono legata in uno stanzone buio,
con te?
Erano
tante le domande che avrei voluto porgergli, ma non potevo farne
nemmeno una.
Dovevo
solo contare sul fatto che quel Micah fosse abbastanza acuto da
capire cosa volessi sapere. Anche se avevo in mente un paio di
risposte plausibili: Micah mi aveva fatto mettere in guardia dal
corvo, ancora non sapevo come però, non perché volesse
proteggermi. Ma perché voleva solo isolarmi per poi rapirmi.
Ma
cosa avevo di così importante da farmi cadere in quella
situazione?
Micah
si alzò in piedi “Presumo tu abbia molte domande che ti
ronzano in testa. Ne hai sempre troppe ma sei restia ad arrivare
subito alle conclusioni, anche se l'evidenza parla chiaro.”
disse, quasi come se volesse farmi una critica. Mi mandò in
bestia, aveva pure il coraggio di farmi sentire più stupida di
quanto già non mi sentissi. “Non te ne faccio una colpa,
voi ragazzine impazzite tutte per quel Klaus e per suo fratello. Io
non li trovo nemmeno così belli.”
Inarcai
un sopracciglio, cercava di fare il simpatico in quel modo? Beh, non
ci riusciva.
L'unica
cosa che riusciva ad ottenere era farmi rimpiangere gli Originali.
Sopratutto
Elijah.
Abbassai
lo sguardo quando ripensai a lui; perché non mi ero fidata?
Insieme a Rose e Katerina, lui era davvero l'unica persona da cui
potevo realmente avere appoggio.
Se
non fossi fuggita da lui, forse non sarei stata in quella situazione.
“Partiamo
dall'inizio..” continuò Micah, andò a prendersi
una sedia, nascosta nel buio, e la trascinò di fronte a me. Si
sedette e posò i gomiti sulle sue ginocchia, come se si stesse
accingendo a raccontare una storia. Intrecciò le dita, erano
così lunghe e affusolate che sperai non volesse mai
picchiarmi. “Io sono quello che viene chiamato
comunemente...stregone.”
Esistevano
pure le streghe e gli stregoni? Non che mi sorprese, dopo i vampiri
potevo credere a qualsiasi cosa, ma speravo vivamente che fosse un
semplice umano.
Già
era più alto e robusto di me, quindi era più forte di
quanto potessi esserlo io. Figuriamoci se aveva pure dei poteri
sovrannaturali.
Come
sarei riuscita a scappare? Lui sorrise della mia sorpresa, allungò
la mano verso il fuoco e riuscì a spegnerlo e riaccenderlo,
semplicemente affilando lo sguardo.
Guardai
il buio e la luce che si susseguivano, trattenendo il respiro.
“Sono
molto forte, Irina. Ma non abbastanza per strapparti dalle grinfie di
Klaus e i suoi fratelli in uno scontro diretto. Quindi, ecco il
perché del corvo.” continuò Micah. “Era
l'unico modo che avevo per poter..diciamo, comunicare con te e
aprirti quei grandi occhi blu, che hai sempre continuato a tenere
chiusi.”
Questo
mi faceva pensare che forse era lui a compiere gli omicidi di quelle
ragazze e non Klaus.
Micah
non era un vampiro, lo avevo incontrato anche di giorno. Ma forse,
con una specie di magia, avrebbe potuto fare in modo che risultasse
colpa di un vampiro. O forse era un ragionamento piuttosto contorto?
In realtà, avevo sempre sospettato di lui: Klaus non avrebbe
mai attirato l'attenzione, uccidendo le “sue” donne in
quel modo così teatrale.
E
il fatto che io e Katerina non avevamo segni di morsi o altro ne era
anche una minima prova.
Lui
non capì la domanda che mi ronzava in testa in quel momento,
si passò una mano tra i lunghi capelli neri e sospirò.
“E quando dico che io
non voglio farti del male, dico la verità. Non sei qui per un
mio capriccio o per una mia strana perversione..”
La
paura m' invase, pendevo ormai dalle sue labbra ma Micah aveva serie
difficoltà a parlare velocemente, vista la mancata perfezione
nella conoscenza di inglese e bulgaro.
“Sono
qui perché sono vincolato ad una persona, una persona che per
me ha fatto tanto.” disse, tornando a guardarmi. “E io
devo portarti da lui.
Non
posso dirti perché ti cerca e nemmeno perché abbia
scelto
proprio te...te lo dirà lui di persona, quando ti porterò
al suo cospetto.”
Restai
con gli occhi sbarrati.
Lui.
Scelto.
Erano
quelle le parole che mi erano rimaste più impresse da tutta
quella frase.
Voleva
dire che dietro tutta quella storia, c'era un'altra figura, ancora
più spaventosa di Micah e Klaus messi insieme? Almeno di loro
conoscevo i volti, di questo Lui
non sapevo nulla.
Anche
se lui sapeva tutto di me, a quanto sembrava.
E
Micah voleva portarmi via, lontano da mia sorella, dall'Inghilterra e
dalla mia libertà.
Non
glielo potevo permettere. Cercai di liberarmi dalle corde con più
forza e decisa a usare tutta la mia tenacia per riuscire a scappare.
Micah mi incitò a star ferma, una volta con più calma.
Ma
lo ignorai, i polsi iniziarono anche a ferirsi talmente tanto da
sanguinare.
“Sta
ferma...” ripeté lui, ancora con più calma.
Continuai
a non sentire le sue parole. Mi divincolai con più forza e non
feci caso al dolore, troppo forte ormai, che sentivo sulla mia pelle.
“Ti
ho detto di stare ferma!” gridò lui.
All'improvviso,
mi mancò il respiro. Non perché fossi in ansia o perché
fossi troppo spaventata: qualcosa di invisibile mi stringeva il
collo, mi bloccava il respiro, troppo forte affinché potessi
combatterla. Mi ritrovai a tossire, ma non riuscivo proprio a
prendere aria. Alzai lo sguardo su Micah, i suoi occhi erano sbarrati
e avevo l'impressione che stessero diventando rossi per lo sforzo.
Mi
stava uccidendo.
Tutto
terminò quando si accorse che stava facendo qualcosa per
soffocarmi, riprendemmo fiato insieme e io caddi da un lato, in preda
al bisogno di aria.
I
miei polmoni l'accolsero velocemente e i miei occhi si riempirono di
lacrime.
“Oh
dio,dio...scusami Irina!” Micah si chinò velocemente su
di me, alzai lo sguardo su di lui e mi parve di leggere della
preoccupazione nei suoi occhi troppo chiari.
Ma
sempre perché gli servivo viva, per portarmi da lui.
Cercò
di allungare la mano verso il mio viso, ma io mi ritrassi
velocemente.
Non
doveva permettersi di toccarmi, né con le sue mani e nemmeno
con le sue prese invisibili. Quanto avrei desiderato avere la
possibilità di prenderlo a calci e fuggire via.
Micah
prese un lungo respiro. “Ho perso il controllo. Ma tu non hai
idea di quanto poco tempo mi resti per portarti da lui”
mi spiegò, come se volesse giustificarsi. “Non credo che
me ne farà una colpa, se mi è capitato di perdere il
controllo.”
Allora
mi accorsi che non stava parlando con me, ma a sé stesso.
C'era una luce di paura nei suoi occhi, come se lui fosse così
spaventoso da poterlo punire in caso mi avesse ferita.
Ma
cosa avevo di così speciale, da essere rapita e, allo stesso,
tempo chiusa in una specie di teca di cristallo?
Ripresi
lentamente a respirare sempre più regolarmente e la debolezza
si fece più intensa quando arrivò anche il sonno e la
fame. Chissà che ore erano e da quanto tempo ero rimasta
svenuta.
Micah
si passò una mano sulla bocca. “Vado a prenderti
qualcosa da mangiare.” disse, rialzandosi in piedi. “So
che non mangi carne, perciò rimedierò qualcosa di
vegetariano.”
Rimasi
distesa sul pavimento e alzai lo sguardo su di lui, non mi sorprese
che sapesse anche quel piccolo dettaglio della mia vita. Micah
sembrava conoscere tutto di me, ma non sapeva nulla dell'uomo che lo
aveva mandato qui.
E
forse, mi serviva più che sapesse certe informazioni, che
dettagli della mia esistenza.
“Mi
raccomando, stai buona. Tanto non puoi andare da nessuna parte.”
mi ricordò, quasi con gusto.
Mi
misi a sedere e lui uscì attraverso una porta nascosta nel
buio, che io non riuscivo a vedere.
Non
potevo far altro che aspettare e mettere in atto un piano per poter
fuggire da quella situazione.
*
* * *
Non
sapevo quanto altro tempo fosse passato.
Gridavo
ai miei occhi di non chiudersi, ma avevo troppo sonno per non cedere.
Intanto
iniziai a pensare le cose più folli, forse per via della
stanchezza, della fame e del mio forse inappropriato romanticismo:
speravo che da quella porta entrasse Elijah, sconfiggesse Micah e mi
portasse via.
Una
cosa davvero stupida, vista la sua origine di vampiro.
Non
sarebbe entrato lì dentro armato di spada e scudo, ma di denti
aguzzi e sete di sangue. Francamente non volevo vederlo all'opera,
nemmeno per salvare me.
Un
sorriso di consapevole stupidità apparì sul mio viso.
Chissà perché pensavo a lui; per quanto ne sapevo,
poteva aver giocato con me proprio come aveva fatto Klaus.
Ormai
non sapevo più a cosa credere, mi sembrava tutto così
terribilmente assurdo.
I
miei pensieri si allontanarono dai loro volti e si avvicinarono a mia
sorella.
Allora
provai una forte morsa al petto: lei non aveva la minima idea di ciò
che la circondava, avrebbe potuto trovarsi in pericolo proprio in
quel momento, mentre io ero legata in quello stanzone vuoto.
In
preda alla disperazione, diedi due colpetti con la testa, alla parete
dietro di me.
Perché
non avevo la furbizia necessaria per elaborare un piano di fuga?
Mossi
i polsi, ma ogni movimento era una tragedia per la mia pelle.
Mi
sembrava di non averla più nei punti dove erano strette le
corde.
Il
cigolare della porta ruppe il silenzio.
Non
avevo grandi aspettative, perciò non mi stupii quando vidi
tornare Micah, con in mano una ciotola di cibo e nell'altra quella
che sembrava una brocca d'acqua.
Senza
nemmeno accorgermene, mi ritrovai ad annusare l'odore di quello che
c'era nella ciotola.
Era
un odore che non riuscivo a riconoscere in realtà, ma ero
sicura fosse cibo.
Mi
vergognai di me stessa, quando la pancia iniziò ad implorarmi
di accettare quel cibo, malgrado il mio cervello mi ricordava che
poteva essere avvelenato o drogato.
“Allora..”
Micah tornò ad occupare la sedia di fronte a me. “Prima
bevi, poi mangi.”
Mi
mostrò prima la brocca, poi la ciotola.
Si
piegò su di me, riempì un bicchiere e lo avvicinò
alle mie labbra.
“Su,
apri la bocca.” mi disse.
Guardai
l'acqua, con un intenso desiderio di berla.
Le
fiamme che bruciavano nel camino accanto a me si riflettevano sul
vetro del bicchiere, unendosi in una specie di gioco di contrasto con
il liquido trasparente che oscillava da un lato all'altro del
bicchiere. Non sapevo perché, ma lo presi come un segnale per
non berla.
Usai
la poca forza che avevo, per alzare i piedi e colpire il bicchiere.
Micah
non si aspettò quel gesto e seguì con lo sguardo il
bicchiere che andava a schiantarsi sul pavimento.
Poi
arrivò il suo turno di stupirmi: pochi secondi dopo, senza
nemmeno darmi il tempo di ribellarmi, mi afferrò i capelli. Li
strinse duramente, mi portò la brocca alla bocca e lasciò
scivolare l'acqua sulle mie labbra. Per poco mi strozzai; avrei quasi
preferito che succedesse, ma solo per fare un dispetto a Micah.
Così
poi, lui gliele avrebbe suonate di santa ragione.
“Devi
soddisfare tutti i tuoi bisogni, Irina.” disse, quando il suo
diabolico piano per farmi bere fu terminato.
Tossii
più volte, Micah prese un tovagliolo dalla sua tasca e mi
asciugò il mento.
Provai
a ribellarmi di nuovo, l'ultima volta che mi aveva messo la mano
sulle labbra avevo perso i sensi. “Non posso condurti al suo
cospetto assetata e affamata...” disse ancora, quando terminò
di asciugarmi il viso, si voltò per prendere la ciotola e
l'avvicinò a me.
Erano
patate e pomodori, non avevano un aspetto invitante, ma in quel
momento mi sarei mangiata anche una pietra. Prese un cucchiaio di
legno e me lo portò davanti al viso.
“Dì
a!” disse e pensai nervosamente che neppure mia madre faceva
così quando ero bambina.
Poi
io nemmeno potevo dire quella vocale.
Micah
tradusse il mio sguardo freddo e sorrise. “E dai, cercavo di
smorzare questa tensione.” disse, poi avvicinò di più
il cucchiaio alla mia bocca. La tentazione era più forte della
mia resistenza. “Non è avvelenato, Iry. Lo stesso valeva
per l'acqua.”
Ma
malgrado mi sembrasse sincero, non accettai lo stesso il suo cibo.
Primo,non
volevo farmi imboccare da lui e secondo, non volevo accettare nulla
da parte sua. Se voleva poi infilarmi il cibo di bocca con la forza,
avevo già in mente di sputarglielo addosso per vendetta.
Micah
sospirò. “Accidenti! Per tutto questo tempo che ti ho
seguita, non mi parevi così ostinata!” disse e si tornò
a sedere sulla sedia, con un espressione di resa sul viso. “Sei
stata vicino a quei mostri per tutto questo tempo e ora fai la
diffidente con me? Roba dell'altro mondo!”
Rise,
forse per le sue parole o forse per la mia innata stupidità.
Nell'oscurità
di quella stanza, ero diventata più consapevole di essere
stata davvero una stupida e lui non faceva altro che sottolinearmelo.
“Se
vuoi, ti racconto una storia...sai, in quel piccolo libro che ti ho
fatto trovare, non c'è tutta la loro vita.”
disse. Se voleva attirare la mia attenzione, ci era riuscito: l'unica
cosa positiva che potevo ottenere da tutta quella brutta faccenda era
almeno sapere chi erano le persone che mi avevano circondato per
tutto quel tempo.
Micah
prese un lungo respiro, sembrava si stesse preparando ad un racconto
prolisso e parecchio spaventoso. “In verità nemmeno io
sono stato granché informato al loro riguardo, il mio padrone
preferisce tenermi all'oscuro di molte cose. Dice che sapere troppo
confonde e disorienta, sopratutto se si ha un obiettivo da portare a
termine. Che nel mio caso sei tu.” disse e mi indicò, in
quel frangente abbassai lo sguardo. “Sai, tu sei la prova della
sua teoria: hai saputo troppo, ma non hai concluso nulla. Ma torniamo
a Klaus e alla sua famiglia di mostriciattoli.”
Quel
termine che usciva dalla sua bocca mi faceva innervosire; parlava
proprio lui che aveva poteri magici di quel livello? Klaus almeno non
mi aveva mai tirato per i capelli, fino ad allora.
“Allora,
Klaus e tutti i membri della sua famiglia sono stati i primi vampiri
mai esistiti. Sono originari di una zona dell'Europa orientale, non
so quale di preciso, ma poi si sono trasferiti in una terra molto
lontana. Un nuovo mondo, oserei dire”
“Non
so come andarono le cose in quel periodo e perché successe, ma
so che fu una maledizione a trasformarli in vampiri: una maledizione
a cui loro stessi diedero inizio. La natura però non apprezzò
quella sfida che gli fu lanciata: il sole bruciava la loro pelle e la
verbena, la pianta che cresceva sotto la Quercia originaria usata per
il rituale, poteva ferirli e ridurre il loro potere di ammaliamento.
Ma, a quanto pare, la vinsero loro la sfida: gli Originari non
possono essere uccisi del tutto, per quanto ne so. Se si cosparge
della cenere della quercia originaria su un pugnale magico si può
renderli morti, ma solo fino a quando il pugnale non viene nuovamente
estratto.”
Ero
rimasta ad ascoltarlo a bocca aperta.
Diceva
di saperne poco sugli Originari, ma ne sapeva di più di quanto
ci fosse scritto su quel libro. Deglutii, al pensiero che non avrei
comunque potuto difendermi da Klaus e famiglia, sempre se li avessi
rincontrati, perché non avevo idea di dove trovare il
materiale necessario. Ma non mi era chiaro come camminassero alla
luce del sole: forse avevano sviluppato una specie di immunità
ai raggi solari?
“Non
so nient'altro. Solo un'altra cosa: Klaus, Elijah e Rebekah stanno
fuggendo da secoli da qualcuno. Qualcuno che li vuole morti...o che
almeno vuole sicuramente morto stecchito Klaus. Non so di chi si
tratta, Klaus ha troppi nemici, ma so che è molto potente e
che potrebbe essere coinvolto con le morti di quelle ragazze.”
Lo
guardai senza capire, stavo oramai convincendomi che ci fosse lui
dietro quelle morti.
Anche
se non avevo prove che lo potessero dimostrare.
“Sono
quasi costretto a lanciare una lancia in favore di Klaus. Sospettavo
che fosse lui ad uccidere, ma non è così. C'è
qualcun altro dietro quelle morti, qualcuno che vuole ferire Klaus il
più possibile prima di dargli il colpo di grazia. Qualcuno che
gli da la caccia da secoli.”
Scossi
la testa: troppe informazioni che non riuscivo a collegare e mi
ritrovai a combattere dentro la mia testa. Quindi c'era qualcuno che
voleva così male a Klaus,in particolare, da spezzare le vite
di quelle fanciulle?
“Ho
cercato di uccidere quell'assassino, quando ho appiccato l'incendio.
E ho avuto così la conferma che Klaus era estraneo a quei
fatti, quando l'ho visto recuperarti dalle fiamme.”
Aveva
anche appiccato lui l'incendio, solo per illuminarmi su quanto stava
accadendo.
Peccato
però, che stava quasi per uccidermi quel giorno. Mi chiesi che
senso avesse uccidere quelle ragazze: a Klaus importava relativamente
poco di loro probabilmente, per lui erano solo involucri di carne e
sangue di cui cibarsi.
“Scommetto
che ti stai chiedendo perché uccidere quelle donne per ferire
Klaus, uhm?”
Micah
prese un lungo respiro e alzò lo sguardo.
“Klaus
ha un punto debole: la solitudine. Anche se non ha un cuore, e
credimi quando ti dico che non ce l'ha, basta che lo chiedi a coloro
che si sono messi sul suo cammino, Klaus non vuole restare solo e si
circonda di persone che lo venerano come un dio. Quelle donne per lui
rappresentavano l'altra metà, quella che ti gratifica e colma
quel senso di vuoto che ti divora dentro chiamato appunto solitudine.
Ma, da quel che ho visto, lui sembra particolarmente attaccato a
Katerina. Non so per quale motivo a dir la verità, il mio
padrone non mi ha rivelato niente di più. E se questo tipo che
gli da la caccia, è così vicino a Klaus come penso io,
non esiterà ad uccidere tua sorella per ferire quel bastardo.
E sono sicuro che avrebbe ucciso anche te, Klaus si è mostrato
quasi umano pure di fronte ai tuoi occhi. Quindi...mi dovresti solo
ringraziare.” e sorrise, come se mi avesse fatto un piacere.
Lo
guardai con occhi sbarrati.
Avevo
paura, ma non tanto per me visto che ero già in una situazione
pressoché critica, ma per Kat: poteva essere nel mirino della
persona da cui Klaus scappava da secoli, senza rendersene conto.
E
sarebbe morta, solo perché Klaus aveva mostrato interesse per
lei.
Cercai
di liberarmi; lo guardai con occhi imploranti per chiedergli di
liberarmi e di permettermi almeno di avvisare mia sorella.
Poi
mi avrebbe portato ovunque volesse, ma prima dovevo almeno salvare
mia sorella.
Lui
ignorò le lacrime che iniziarono a bagnarmi gli occhi. “Non
se ne parla. Katerina non è un mio problema.” disse
Micah, con tono duro. “L'unica cosa che mi preme adesso è
portarti dal mio padrone e porre fine al vincolo che ci lega. E tu
non ha la benché minima idea, di quanto attendessi finalmente
questo giorno!”
Un
rumore esterno lo fece voltare, riconobbi il trottare di un cavallo e
il rumore delle redini che tagliavano l'aria, per incitarlo a
muoversi. Micah si lasciò andare ad un sorriso liberatorio.
“Bene.
Il sole è sorto ed è ora di andare.” mi disse.
“Mangerai strada facendo. Abbiamo un sacco di ore da
affrontare..”
Mi
slegò le caviglie, dandomi così l'opportunità di
provare a colpirlo in viso con i piedi.
Ma
lui anticipò i miei movimenti, troppo lenti e prevedibili per
poterlo ingannare.
“Non
costringermi a farti un incantesimo per farti addormentare, Irina. Ti
assicuro che non ti dona una sensazione piacevole!” mi
rimproverò lui, mi prese violentemente per il braccio e mi
costrinse ad alzarmi in piedi.
Barcollai;
mi girava la testa per la fame e per il sonno e Micah premeva sul mio
braccio, già malridotto, con troppa forza. Mi condusse
nell'oscurità e la sua mano raggiunse un punto di fronte a sé.
Riconobbi
il rumore di una porta che veniva aperta e ci ritrovammo in quella
che sembrava essere una cucina. Era composta da pochi elementi, un
tavolo in legno e due sedie poste vicino alla parete.
Il
tavolo era sporco, probabilmente era lì che Micah aveva
preparato il mio pranzo, rimasto poi in quella che era stata la mia
cella per quelle ore.
L'unica
cosa positiva che riuscivo a scorgere era la luce del sole, che
lentamente sorgeva in cielo e allontanava l'oscurità. Dovevo
aver passato tutta la notte rinchiusa là dentro.
“Eccoci
qui, la carrozza è pronta!” ridacchiò Micah,
appena mi condusse all'esterno.
Mi
guardai attorno, dovevamo ancora essere in Inghilterra, ma non avrei
saputo dire se eravamo vicini o meno alla villa di Klaus. Ci
circondava solo la foresta, gli alberi autunnali si stagliavano verso
l'alto e un forte e gelido venticello soffiava su di noi. Cercai di
fermare l'avanzata di Micah, affondando i piedi nel terreno ma lui
era il doppio più alto e forte di me. Mi tirò a sé
senza troppi problemi.
“Irina,
il posto dove ti sto portando è certamente migliore di quello
dove hai vissuto fin'ora!” mi rimproverò. Lo ignorai e
provai di nuovo a divincolarmi, ma per tutta risposta lui mi strinse
il braccio dolorante e m'impedì di provare di nuovo a
fronteggiare quel dolore.
Micah
fece un cenno verso il cocchiere, un ragazzo che non riuscivo a
vedere in volto per via del cappuccio che gli copriva il capo. Per un
attimo, pensai fosse l'uomo che avevo visto fuori dalla finestra
tempo prima, ma poi mi ricordai che era sempre stato Micah a
seguirmi.
Gli
disse qualcosa in tedesco e quello annuì, aprì lo
sportello della carrozza e iniziò a liberarla da ciò
che c'era all'interno. Mi divincolai di nuovo, con più forza e
Micah perse la pazienza.
Lo
avevo studiato bene in quei pochi momenti in cui ero stata abbastanza
lucida da poterlo comprendere e mi sembrava un tipo alquanto
irascibile. Forse non lo era di natura, ma il suo comportamento era
provocato dalla paura che aveva nei confronti di Lui.
Lo
venerava, ma allo stesso tempo lo temeva. E quando due elementi così
contrastanti si uniscono in una cosa sola, c'è davvero da aver
paura. Io provavo più o meno le stesse cose per Klaus appena
lo conobbi e , infatti, si era rivelato essere un vampiro vecchio di
secoli e secoli.
“Irina,
sta ferma!” gridò Micah, ma io continuai ad opporre
resistenza, malgrado lui approfittasse del fatto che stringere così
forte sul mio braccio mi avrebbe provocato un dolore immenso.
Vedendo
la mia resistenza, Micah mi colpì con uno schiaffo.
Fu
talmente forte che caddi a terra, su un fianco e sentì il
labbro superiore bruciare. Sentivo Micah respirare affannosamente
dietro di me. “Irina, tu non hai idea di quello che potrebbe
farmi in caso non ti porti da lui.” esclamò con
voce dura. “Non voglio morire per colpa tua, mocciosa.”
Morire?
Quell'essere oscuro e senza volto di cui Micah parlava era
addirittura disposto ad ucciderlo se non mi avesse condotta da lui?
Beh non m'importava, la vita di Katerina era più importante e
ora c'era anche un nemico invisibile di Klaus che minacciava la sua
esistenza.
Non
potevo proprio permettermi di cedere in quel momento.
“Su,
alzati.” Micah si chinò su di me, quando si accorse che
non ero disposta ad alzarmi dal terreno.
In
realtà nemmeno ci sarei riuscita; se ci avessi provato, lui mi
avrebbe di nuovo afferrata all'istante. Restai così con la
testa adagiata tra le foglie morte. Micah pensò che mi fossi
fatta male e avvicinò la mano al mio viso. “Non ti sarai
fatta male, spero?” disse, quasi allarmato.
Allora,
trovai la forza necessaria per colpirlo con un calcio. Non fui veloce
e rapida, ma lui era troppo preoccupato nel constatare che non avessi
lividi sul viso per potersene accorgere.
Cadde
di schiena sul terreno e io ne approfittai per scattare in piedi e
correre dalla parte opposta.
Sentii
delle voci rincorrersi dietro di me, probabilmente il cocchiere stava
gridando a Micah di non farmi scappare e quest'ultimo era balzato in
piedi, pronto a riprendermi.
Quanto
odiavo essere così debole: le mie gambe non seguivano la
velocità che imploravo loro di prendere e la fame mi
attanagliava lo stomaco, facendomi quasi piegare in due per il
dolore.
Micah
fu dietro di me in un secondo, mi prese per i capelli e mi fece
voltare verso di lui. Mi spinse fino ad arretrare contro il tronco di
un albero e mi cinse il collo con una mano, togliendomi quasi il
respiro. Le sue labbra erano serrate e dai suoi occhi sprizzavano
scintille di rabbia e paura.
E
pensare che mi aveva inseguita con pazienza per tutto quel tempo;
magari allora che era quasi arrivato alla fine, sentiva il diritto di
potersi lasciare andare alle sue debolezze.
“Forse
non ti è chiaro il concetto, Petrova!” mi urlò
contro, la sua mano stringeva ancora il mio collo, anche se con meno
forza. Provai a liberarmi, ma come al solito delle due forze, la più
debole era la mia. “Io e la mia famiglia verremo spazzati via,
se non sei da lui entro domani! Perciò, smettila di darmi noie
o giuro, che...”
Si
bloccò, quando un urlo alle sue spalle ruppe il silenzio.
Risuonò
attorno a noi, prolungandosi nell'aria e colmando il silenzio della
natura che ci circondava. Micah si voltò rapidamente e
constatò che il cocchiere non si trovava più vicino
alla carrozza.
Io
me ne resi conto poco dopo, quando la sua mano lasciò la presa
sul mio collo.
Ripresi
lentamente fiato, mentre Micah si guardava attorno preoccupato e mi
prendeva per un braccio.
Mi
trascinò verso la carrozza, ma non opposi resistenza.
Sentivo
dei rumori attorno a noi, come se l'aria venisse mossa troppo
velocemente dalle gambe di qualcuno. Qualcuno che correva troppo
veloce per essere umano.
“Karl?
“ lo chiamò Micah, con spettrale titubanza.
Si
guardò attorno nuovamente e io feci lo stesso, ma sembravamo
esserci solo noi in quella foresta.
“Cercavi
lui?” chiese una voce alle nostre spalle.
Con
un movimento rapido, Micah si girò e mi obbligò a
compiere il suo stesso gesto.
Davanti
a noi si trovava Klaus; aveva il suo solito sorriso provocatorio
sulle labbra, solo che stavolta era davvero diverso. Le sue labbra
erano bagnate di un rosso intenso, che veniva messo in risalto dai
deboli raggi solari che stavano sfiorando il suo volto.
Sempre
perfetto, ma sporco di morte.
Anche
se ormai ero quasi certa che lui fosse un vampiro, quella scena mi
terrorizzò.
Klaus
alzò qualcosa di pesante che aveva ai suoi piedi e che non
avevo notato per via di quel sorriso di sangue che brillava sul suo
volto. Era il cadavere del cocchiere: aveva gli occhi sgranati per il
terrore e la bocca aperta in quello che era stato il suo ultimo
grido. Avrà avuto più o meno vent'anni.
Micah
tremò, quando Klaus lasciò cadere pesantemente il
cadavere di Karl a terra. La sua presa sul mio braccio si allentò
e qualcuno mi tirò a sé, apparendo alle mie spalle.
Elijah
mi si parò davanti, era così vicino a Micah che, appena
lui si voltò, si ritrovò il suo viso a pochi centimetri
di distanza.
Sembrava
terrorizzato, non riuscivo proprio ad immaginare che espressione
avesse assunto Elijah per poterlo spaventare in quel modo.
“Fine
dei giochi. Se provi a toccarla di nuovo, ti ammazzo.” gli
disse.
Deglutii,
piegai la testa da un lato e scorsi gli occhi di Klaus che si
posavano su di me. Le sue labbra si allargarono in un sorriso ancora
più inquietante.
Micah
si ritrovò così tra due fuochi ed iniziò ad
arretrare appena i due fratelli iniziarono ad avanzare verso di lui.
“Sai...Micah,
giusto?” iniziò a parlare Klaus, con una pacatezza che
sottolineava solo troppa rabbia pronta ad esplodere. “Credo di
aver visto abbastanza...per poterti uccidere nella maniera più
dolorosa. Uno schiaffo, le mani che tiravano i suoi capelli, la
spinta....trovami un altro motivo per cui non dovrei ridurti a
brandelli?” Klaus si portò il conto sulle dita.
Micah
lo guardò terrorizzato, io dovevo avere lo stesso sguardo
mentre lo vedevo arretrare come una preda in balia dei suoi
predatori. Un topolino e due falchi, ecco cosa mi sembrava di vedere.
Elijah
si voltò verso di me, la sua espressione era dura e rabbiosa.
Si
addolcì solo per un'istante, per troppo poco, quando si
accorse che ero più che terrorizzata.
Poi
riprese la sua avanzata verso Micah, lo stregone allungò la
mano verso di loro e forse cercò di fargli scoppiare la testa
o che altro. Qualunque cosa cercasse di fare però, non ebbe
alcun effetto.
Anzi
fece scoppiare a ridere Klaus.
“Ma
lo sai quanti anni abbiamo? Credi che questi stupidi...abracadabra,
possano avere un qualche effetto?” gli chiese.
“Klaus,
smettiamola con questi trucchetti. Ti ricordo che non siamo soli.”
gli ricordò con voce dura Elijah.
Il
fratello sembrò ricordarsi solo allora della mia presenza,
voltò la testa verso di me e mi sorrise.
“Credo
che lo spettacolo ti piacerà, little sweetheart.”
mi disse, facendomi rabbrividire. “È tutto per te!”
“Come
se ve ne importasse qualcosa di lei...è solo cibo per voi!”
esclamò Micah, con voce tremante. Sembrava così duro e
sicuro di sé con me e invece con Klaus ed Elijah si era
ridotto ad un agnellino. Eppure il suo terrore non mi fece piacere,
nonostante tutto quello che mi aveva fatto.
Non
riuscivo ad immaginare il modo in cui il suo cuore doveva battere in
quel momento, guardando le labbra scarlatte di Klaus e gli occhi
penetranti di Elijah.
“A
me importa di lei.” precisò Klaus, con voce più
dura. Elijah gli lanciò un'occhiata veloce. “Quello che
le hai appena fatto, potrebbe arrecare molto dolore a sua sorella.”
concluse poi il ragazzo.
Da
come parlava, sembrava quasi che fosse venuto a salvarmi solo per il
bene di Katerina.
Possibile
che gli importasse tanto di lei, dopo tutto quello che avevo visto?
Forse mi sbagliavo, forse ero troppo pessimista, ma non mi era
sembrato che Klaus ci tenesse così tanto a lei, mentre
guardava quella ragazza mora uscire dalla sua stanza.
O
meglio, uno dei suoi cibi più prelibati che lasciava la
stanza.
Non
mi sentii in colpa, nel credere che il suo attaccamento per Katerina
celasse ben altre intenzioni.
Klaus
era tutto un enigma.
Sobbalzai,
quando vidi Klaus scattare addosso a Micah: gli strinse il collo in
una mano e gli ringhiò contro come una bestia famelica. Era un
bene che non riuscissi a vederlo in volto in quel frangente.
Micah
venne spinto contro un albero e i suoi occhi rimasero fissi su quelli
di Klaus.
Chissà
cosa stava vedendo in quel momento. Probabilmente gli occhi della
morte.
“Trattare
così una donna è disdicevole pure per uno come me.”
disse Klaus, con voce quasi gutturale.
Micah
non provò a ribellarsi, rimase a fissarlo negli occhi e
deglutì. “ Bell ti ucciderà Klaus.”
disse, quasi con un ghigno. Come se gli stesse lanciando una
maledizione.
Non
ottenne però l'effetto che sperava, Klaus ed Elijah si
lanciarono un'occhiata confusa.
Bell.
Perché quel nome mi spaventava così tanto? Era lui la
persona che aveva ordinato il mio rapimento? Un brivido mi corse
lungo il corpo.
“Scusa,
dovrei conoscerlo?” gli chiese Klaus. “Non temo coloro
che hanno un nome meno famoso del mio.”
Micah
rise, in una risata che celava davvero molta paura. Ormai aveva
accettato la consapevolezza di morire, gli occhi di Klaus dovevano
avergli lasciato intendere tutto.
“Lui
è molto potente. Tornerà per la ragazza...” Micah
mi indicò con un cenno del capo, rivolgendomi probabilmente il
suo ultimo sguardo. “E allora..dovrai guardarti le spalle. Sul
serio. Non ti conviene fartelo nemico, vampiro dei miei stivali.”
Klaus
lo osservò a lungo, stava trattenendo a stento una risata.
“Beh, questo...Bell si avvicinasse pure alla ragazza e ti
assicurò che lui non avrà più delle spalle da
cui guardarsi.” disse.
“Klaus,
facciamola finita.” ripete Elijah. “Non farmi essere
ripetitivo.”
“Va
bene, vuoi tu l'onore?” Klaus si voltò verso il fratello
e con un elegante gesto indicò la giugulare di Micah, come se
fosse un'invitante piatto da gustare.
Elijah
mi guardò con la coda dell'occhio, lo notai indistintamente.
“Ti
assicuro che io non saprei controllarmi.” aggiunse ancora
Klaus, a denti stretti.
Elijah
lo guardò, rimasero a fissarsi per invariabili secondi.
“Nemmeno io.” disse e, prima che me ne accorgessi, la sua
mano penetrò nel petto di Micah. Mi portai le mani alle labbra
per l'orrore, mentre lo stregone aprì la bocca in un ultimo
tragico grido.
Sgranò
gli occhi chiari e li posò su Elijah, il suo angelo nero della
morte.
Klaus
assisteva alla scena, come se fosse divertente.
Pochi
secondi dopo, Elijah ritrasse la mano e Micah si accasciò a
pancia in giù sul terreno.
Il
vampiro stringeva il muscolo che gli aveva appena strappato dal
petto: il cuore e lo aveva fatto con una freddezza unica e senza
pari.
Mi
spaventò più delle labbra rosse di Klaus.
Quest'ultimo
guardò il cadavere di Micah sul terreno.
“Fortuna
che dovevi essere più...delicato.” ridacchiò.
Elijah
buttò prontamente il cuore nell'erba dietro di sé.
“Posso solo immaginare quello che avevi in mente tu...”
disse, sembrava che non avesse mai voluto incorrere in quell'azione.
Lo aveva fatto solo perché covava una rabbia profonda e perché
sapeva che Klaus non mi avrebbe risparmiato uno spettacolo ancor più
disgustoso.
Quando
si voltarono verso di me, mi sentii di nuovo padrona del mio corpo.
La
sorpresa, la paura e l'orrore mi avevano impedito di pensare,
muovermi e distogliere lo sguardo da quei due angeli della morte.
Ero
rimasta a guardare per tutto il tempo, come se fossi una spettatrice
invisibile.
“Irina...”
mi disse Elijah. Arretrai lentamente, quando li vidi avanzare
entrambi verso di me, in un'elegante sincronia di passi che mi faceva
paura. “Irina, guardami. Perdonami per quello che è
appena successo. Ma sei al sicuro ora.”
Al
sicuro.
Detto
da un vampiro che aveva appena staccato il cuore dal petto di un
uomo, faceva quasi sorridere. Klaus, a differenza del fratello, non
si preoccupava dell'immagine spaventosa che aveva assunto ai miei
occhi. Continuava a sorridermi, con quelle labbra sporche di sangue.
“Andiamo,
sweetheart. Non fare quella faccia, ti abbiamo appena salvato
la vita!”
Provai
a fuggire allora, usai tutta la poca forza che mi era rimasta per
provare a scappare.
Almeno
da loro.
“Bel
ringraziamento!” Klaus mi si parò davanti, con una
velocità impressionante.
Per
evitare di entrare in contatto con il suo corpo, mi arrestai di
scatto e persi l'equilibrio cadendo all'indietro. Tremavo come una
foglia, mentre guardavo le sua labbra sorridenti macchiate di sangue.
La
luce del sole che continuava a salire in cielo, dietro di lui, creava
una specie di aureola dietro la sua testa. Sembrava un angelo e un
demonio al tempo stesso, bellezza e sangue si univano in una strana
terrificante combinazione.
“Niklaus,
la stai spaventando.” disse la voce di Elijah dietro di me.
Non
mi voltai a guardarlo, non riuscivo proprio a distogliere lo sguardo
dalle labbra di Klaus. Il pensiero che anche il mio sangue avrebbe
potuto bagnarle mi faceva tremare sempre più forte.
Klaus
non lo guardò. “E smettila di essere così
apprensivo, Elijah.” lo rimproverò, senza distogliere
però lo sguardo da me. “È proprio per questo tuo
comportamento che lei è scappata così tante volte. Se
ci avessi pensato io, forse non saremmo a questo punto.”
Continuava
a sorridere. Ma cosa lo faceva tanto divertire? Il fatto che fossi
terrorizzata da lui?
Klaus
si chinò su di me, con una velocità che continuava a
sorprendermi.
Mi
strinse il viso tra le mani, ogni mio tentativo di ribellione venne
soppresso.
Lui
non era Micah. Se lo avessi fatto arrabbiare, la sua reazione sarebbe
stata ben più paurosa.
Di
lui sì che avevo paura.
“Non
farlo. Magari potremmo spiegarle come stanno le cose....”
propose Elijah, si avvicinò a noi e scorsi l'ombra della sua
figura longilinea coprire la luce del sole che ci investiva.
Non
riuscivo a guardarlo, Klaus mi impediva di muovere la testa con le
sue mani.
“Anche
se è muta, si fa capire bene, Elijah. E preferisco farlo
adesso, prima che riesca a procurarsi di nuovo della verbena.”
disse Klaus, la sua espressione si fece dura e il sorriso si era
spento. “E, perdonami se non mi fido ciecamente di lei, come
fai tu.”
Cosa
voleva fare? L'unico pensiero che mi venne in mente fu quello più
spaventoso: uccidermi.
Magari
avevo visto troppo, le labbra di Klaus e la mano di Elijah sporche di
sangue erano una prova troppo evidente, per lasciarmi in vita.
Una
lacrima mi scese lungo il viso.
Non
volevo cedere a quella debolezza ma Klaus mi faceva troppa paura.
“Oh
no, non piangere.” disse Klaus, fingendosi dispiaciuto. Allungò
il pollice e l'asciugò, ma il suo dolce gesto mi sembrava
racchiudesse ben altro. “Se avessi voluto ucciderti, l'avrei
fatto da un pezzo. Non credi?”
Deglutii,
lui continuava a stringermi il viso e vidi i suoi occhi farsi sempre
più vicini ai miei.
“Non
ti farei mai del male. Spero che questo non lo dimenticherai.”
sussurrò, come se non volesse farsi sentire dal fratello. Le
sue labbra si allungarono verso destra, creando una fossetta ai lati
della bocca.
Lo
avrei anche considerato un gesto dolce, se non ci fosse stato il
sangue a colorare la sua pelle.
“Lascia
almeno che lo faccia io.” Elijah si chinò su di noi e
finalmente riuscii a guardarlo.
Sembrava
preoccupato, per me,per i miei ricordi e per quello che Klaus potesse
farmi. Ma nonostante le sue intenzioni mi sembrassero più che
nobili, mi sembrava ancora di scorgere il vampiro che aveva strappato
senza pietà il petto dal cuore di un uomo.
Quel
lato non sembrava visibile in quel momento, ma io sapevo per certo
che c'era.
“No,
lo faccio io, Elijah.” disse serio Klaus.
“Ma
perché?”
“Perché
credo tu ti sia affezionato troppo.” Klaus voltò la
testa verso di lui e gli lanciò un'occhiata gelida, che non si
dovrebbe mai lanciare ad un fratello.
Forse
a qualcuno come Rebekah e Ada sì, ma un fratello leale come
Elijah non se la meritava.
Quando
Klaus tornò a guardarmi, il suo viso si fece sempre più
vicino. Per un attimo pensai che volesse posare le labbra sulle mie e
invece si fermò a pochissimi millimetri. “Non ricorderai
nulla di tutto questo. Dimenticherai di essere stata rapita da
quell'uomo, di noi due e di tutto il resto. Quella di oggi è
stata solo una noiosa giornata come tutte le altre. Questo Bell
non esiste e non si avvicinerà mai più a te.”
La
testa iniziò a pulsarmi, mi sembrava di avvertire la forza
delle sue parole penetrarmi nella mente e colpirla, privandola della
sua forza. Tutto cambiò, la testa e il corpo si fecero lontani
e anche l'immagine di Klaus, Elijah e la foresta che ci circondava.
Senza
che potessi far nulla per impedirlo, lasciai che la tensione e il
dolore avessero il sopravvento su di me. E persi i sensi.
*
* * *
“Irina?”
Una
voce dolce, familiare e molto vicina mi destò dal sonno.
Strizzai
più volte le palpebre e riaprii gli occhi, di fronte a me si
trovava Katerina.
Aveva
un'espressione preoccupata sul volto e i suoi occhi neri mi
scrutavano con attenzione.
Sorrise
quando vide i miei fissarsi nei suoi.
“Piccola,
stai bene?” mi chiese, accarezzandomi dolcemente il viso.
Ero
nella nostra camera; le candele erano accese e dalla finestra accanto
al letto soffiava una leggera brezza notturna. Ci misi un po' per
ricordare tutto e mi rizzai a sedere di scatto: il rapimento, le ore
con Micah, l'arrivo di Klaus ed Elijah...le labbra bagnate di sangue,
una mano che strappava ferocemente il cuore dal petto di Micah.
E
poi le parole di Klaus che penetravano nella mia mente, cercando di
sopprimere ogni mio ricordo.
Ma
non era andata come voleva, io ricordavo tutto.
Ed
ero certa di non aver assunto verbena, allora perché? Mi
portai le mani alla testa, come se volessi percepire quale strano
meccanismo non funzionasse in me.
“Irina,
calmati!” Katerina mi posò le mani sulle spalle,
studiando l'espressione terrorizzata sul mio viso. “Hai avuto
un incidente cadendo da cavallo. Klaus ed Elijah ti hanno trovata
priva di sensi nella foresta.”
Era
quella la favolosa bugia che Klaus aveva scelto, per giustificare il
mio allontanamento.
Katerina
pensava che la mia espressione sconvolta fosse dovuta al fatto che
non ricordassi nulla.
E
invece era proprio il contrario: ricordavo tutto purtroppo.
Presi
lunghi respiri, mi sembrava che non ci fosse abbastanza ossigeno in
quella stanza.
Katerina
mi scosse dolcemente. “Irina, guardami!” mi disse, alzai
lo sguardo su di lei e il suo sorriso mi sorprese. “Sei con me
ora, andrà tutto bene.”
No,
niente sarebbe stato più come prima. Klaus ed Elijah erano
vampiri e un uomo misterioso di nome Bell mi stava dando la caccia.
Quanto
avrei voluto dimenticare davvero tutto.
Anzi,
avrei voluto tanto tornare indietro nel tempo e cambiare ogni cosa.
Scoppiai in lacrime, mi portai una mano sulla labbra e mi lasciai
andare a lunghi singhiozzi.
“Sorellina...”
Kat mi strinse a sé, con forza e dolcezza. Avevo bisogno di
entrambe le cose in quel momento. Che potevo fare? Dovevo dirle
quello che avevo visto?
Ero
combattuta.
Elijah
e Klaus alla fine mi avevano salvato, anche se in una maniera a dir
poco mostruosa, e quello era l'unico fattore che mi impediva in quel
momento di dir la verità a mia sorella.
Poi,
avevo così tante domande in testa, che mi sembrava di
impazzire.
Chi
è Bell? Cosa vuole da me? Perché sono immune al potere
dei vampiri?
Tutte
domande le cui risposte mi spaventavano da morire.
“Stai
tranquilla. Non ti accadrà più nulla di male, con Klaus
ed Elijah siamo al sicuro.” disse.
Quanto
avrei voluto che fosse davvero così.
Riaprii
gli occhi e qualcosa alle spalle di mia sorella colse la mia
attenzione: una specie di pergamena, stretta con un nastro rosso si
trovava sul tavolo dei trucchi.
Ero
sicura di non averla mai visto prima, non era là l'ultima
volta che ero stata in quella stanza.
Mi
separai lentamente da mia sorella e mi alzai in piedi, senza
distogliere l'attenzione da quello strano oggetto misterioso.
“Irina,
che c'è?” mi chiese.
La
ignorai, avanzai verso il tavolo e presi il papiro: quando lo aprì,
notai diversi disegni dall'aria antica. C'era un sole, una luna e
altre strane figure che non riuscivo ad indicare.
“L'ho
trovato stamattina, quando sono rientrata in camera. Pensavo fosse
roba tua...” Katerina mi affiancò e osservò il
papiro insieme a me.
Non
era mio, ma ero certa che fosse per me.
Un
altro indizio per scavare nella vita di Klaus e della sua famiglia
probabilmente.
Era
stato quello l''ultimo gesto di Micah, in caso fosse finita male per
lui, com'era accaduto?
Non
poteva essere, Micah sembrava fermamente convinto che il suo piano
avrebbe avuto successo.
Uno
sbattere d'ali ruppe il silenzio.
Io
e Katerina ci voltammo verso il davanzale della finestra, dove si
posò un enorme corvo dagli occhi rossi. Il mio corvo.
Lo
guardai con occhi sbarrati; mi ero convinta che almeno quella parte
del mio incubo fosse giunta a termine con la morte di Micah. E
invece, il mio messaggero era ancora là e i suoi occhi rossi
erano posati su di me, come se volessero lanciarmi un chiaro
messaggio.
Non
è ancora finita.
Katerina
prese lentamente un cuscino, si avvicinò al corvo e lo scacciò
cercando di colpirlo.
L'animale
non si fece colpire, lasciò il suo posto prima che il cuscino
lo colpisse.
All'improvviso,
Katerina sobbalzò, i suoi occhi si posarono su un punto fuori
dalla finestra. “Oh mio dio!” esclamò, portandosi
una mano sulla bocca.
Mi
avvicinai velocemente a lei e seguii la traiettoria del suo sguardo.
Un
uomo incappucciato se ne stava sotto la nostra finestra, a fissarci
nell'oscurità.
Strinsi
i pugni: avevo ormai capito che l'incubo non era ancora finito.
Ciao
a tutti! :)
Perdonate
se il capitolo è un po' “piatto”, ma ho dovuto
concentrarmi per lo più sul risolvere parte dei misteri che
fanno parte di questa storia. È stato davvero un capitolo
difficile da scrivere, perchè dovevo cercare di trasmettere
molte, ma allo stesso non troppe, informazioni al riguardo. (perciò
scusate se vi ho fatto sbadigliare! xD)
Ma
il prossimo capitolo sarà sicuramente più attivo, altre
domande avranno risposta e Irina dovrà affrontare un altro bel
problema (quanto è fortunata questa ragazza!) per non parlare
del fatto che ora è davvero consapevole di chi siano in realtà
Klaus ed Elijah.
Grazie
a tutti coloro che leggono e recensiscono!
Ciao!
:)
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Capitolo 10 *** Run ***
-Run-
Klaus
era bravo a fare due cose: terrorizzare la gente con un semplice
sorriso e organizzare feste
ogni
sera. Anche quella sera, a due notti dall'accaduto, lui aveva indetto
una festicciola a cui aveva invitato mezza Inghilterra.
Non
avevo rivisto né lui, né Elijah dal giorno in cui mi
avevano salvato da Micah.
Mi
ero data per malata e nessuno dei due decise così di
disturbarmi. Almeno per quanto riguardava Klaus; Katerina mi disse
che Elijah chiese spesso di me. Mia sorella non capiva il mio
comportamento, ma non mi fece alcuna domanda al riguardo. Si limitò
a fare quello che le chiedevo e cioè continuare a sostenere
che avessi la febbre. Anche se non era vero, il mio fisico poteva
provarlo: avevo profonde occhiaie nere sotto gli occhi, ero più
pallida del solito e mangiavo pochissimo, solo il minimo
indispensabile per non cadere a terra.
La
notte mi svegliavo con il batticuore, sognavo sempre le labbra
scarlatte di Klaus e la mano di Elijah che strappava il cuore dal
petto di Micah.
Inoltre,
Katerina era rimasta scossa quanto me dalla figura dell'uomo
incappucciato che avevamo visto sotto la finestra. Ero sempre stata
convinta che si trovasse Micah sotto quel cappuccio.
Invece
si trattava di qualcun altro, qualcuno che continuava a tramare
nell'ombra.
Cosa
mi bloccava dal correre via insieme a mia sorella, non lo sapevo.
La
mia testa era piena di voci che si contrastavano tra loro: una,
quella più razionale che veniva dal cervello, mi diceva di
prendere armi e bagagli e di scappare insieme a Katerina.
L'altra,
quella più emotiva e che proveniva direttamente dal cuore, mi
diceva invece di restare, non solo perché Klaus ed Elijah mi
avevano in fondo salvato la vita.
Ma
anche perché con loro attorno a noi, forse, eravamo più
al sicuro da Bell. Ma lo eravamo un po' meno dalla figura
misteriosa che dava la caccia a Klaus da secoli.
Dovevo
cercare di capire chi fosse.
Ero
tentata dal dirlo ad Elijah, a Klaus non volevo nemmeno avvicinarmi,
ma il ricordo della sua mano bagnata di sangue mi impediva anche solo
di pensare al suo viso.
Figuriamoci
di andare da lui e spiegargli ogni cosa.
In
quei due giorni, spesi tutte le giornate a fare ricerche.
Sgattaiolavo in biblioteca di nascosto, cercando informazioni su quel
Bell ma non trovai nulla di nulla.
Sembrava
che quell'uomo sarebbe rimasto un ombra oscura su di me, fino a
quando non lo avessi incontrato di persona. Cosa che assolutamente
non mi auguravo.
Così,
decisi di dedicarmi a quella strana pergamena che Katerina aveva
trovato in camera nostra. L'unica cosa che riconoscevo era un sole e
una luna, pian piano arrivai anche a capire che, quelle strane forme
perfettamente circolari sul terreno erano dei cerchi di fuoco. Ce
n'erano tre, posti talmente vicini da formare una figura inquietante
e dall'aspetto quasi demoniaco.
Era
un rituale? Cosa voleva dirmi Micah o chiunque guidasse quel corvo,
attraverso quella pergamena? Una scritta, posta sull'angolo destro
del foglio, attirava la mia attenzione: era una semplice parola,
scritta in una lingua che non conoscevo e che non riuscivo ad
identificare.
Ma
era antichissima, ne ero certa.
Ma,
anche se sarei rimasta a scervellarmi per ore intere, non avrei mai
capito cosa significasse.
Sbuffai;
mi alzai dal letto su cui ero seduta e andai a nascondere il foglio
in un posto sicuro: avevo scoperto che c'era un buco dietro
l'armadio, un buco probabilmente causato dall'umidità che
aveva creatp quella crepa sul muro, che poi divenne un vero e proprio
buco.
Nascosi
il foglio lì dentro, nessuno lo avrebbe notato perché
avevo spostato l'armadio di pochi centimetri per coprirlo.
Anche
se Klaus era più intelligente di me e probabilmente l'avrebbe
trovato come aveva trovato la cesta di verbena.
Mi
stiracchiai, mi doleva la schiena per tutto il tempo in cui ero
rimasta seduta a cercare di capire quella pergamena. Kat non era
ancora rientrata; avevo l'angoscia ogni volta che lasciava quella
stanza per andare da Klaus. Anche se tornava sempre abbastanza
tranquilla, per lei Klaus era una valvola di sfogo per non pensare a
quella strana figura che avevamo visto sotto la finestra.
Non
lo dava a vedere, ma l'aveva parecchio inquietata. Ogni volta che
provavo a toccare l'argomento, lei lo sviava prontamente, dicendomi
che si trattava solo di uno degli uomini di Klaus che compiva il suo
lavoro per vegliare sui giardini.
Lo
avrei pensato anche io se non avessi avuto diverse prove di sangue
dinanzi i miei occhi.
E
il corvo? Perché appariva sempre insieme a quell'uomo
incappucciato? Visto che non era Micah, di chi si trattava?
Avevo
troppe domande per la testa, delle volte mi arrendevo e decidevo di
lasciar perdere tutto.
Guardai
fuori dalla finestra; era molto freddo e le nuvole avevano
completamente ricoperto il cielo, soffocando la luce del sole che,
già di per sé, in quel periodo era fioca e priva di
calore.
Mi
parve di udire un tuono in lontananza, come se qualcuno lassù
stesse cercando di dirmi che sarebbe arrivata una tempesta molto
presto, una tempesta che si sarebbe abbattuta su me e mia sorella, se
non avessi provato a fuggire. Ma perché quella forza
invisibile mi impediva di farlo, nonostante tutto quello che avevo
visto? Mi sentii una stupida, quando ottenni la risposta ascoltando i
battiti del mio cuore.
Cercai
di occupare il più possibile la mente e pensai all'uomo che
dava la caccia a Klaus.
Magari,
avrei potuto trovare qualcosa su di lui utilizzando il libro che
Micah mi aveva fatto trovare. Non lo avevo letto tutto e forse ci
sarebbero state le risposte alle mie domande. Mi avvicinai
rapidamente al letto e mi chinai, allungai la mano sul pavimento
polveroso ma non trovai nulla di nulla.
Il
mio cuore sobbalzò, mi piegai ancora di più, in modo
che riuscissi a guardare sotto il materasso ma a terra non c'era
nulla. Il libro era scomparso.
Non
riuscivo a descrivere la sensazione di paura che mi prese in quel
momento; mi portai una mano tra i capelli e mi guardai attorno.
Che
lo avessi nascosto da qualche altra parte? Impossibile, l'ultima
volta che avevo aperto quel libro era stato poco prima dello scontro
con Klaus ed ero sicura di averlo rimesso sotto il letto.
Qualcuno
lo aveva preso e potevo mettere la mano sul fuoco che era stata la
stessa persona che mi aveva preso la verbena.
Klaus.
Diedi
un pugno sul pavimento, rischiando di farmi male.
Possibile
che quel vampiro fosse sempre cinquanta passi davanti a me? Restai
seduta accanto al letto a pensare. Mi sforzai di essere ottimista e
credere che fosse stata Katerina a prenderlo.
Lei
tornò proprio in quel preciso istante, con due abiti nuovi di
zecca tra le braccia. Le loro gonne erano così spesse ed
ampie, che le coprivano la visuale.
Era
più tranquilla rispetto a tutte le volte che era rientrata in
camera dopo i suoi pomeriggi con Klaus, non capivo perché ma
nemmeno mi posi il problema.
Ero
furiosa, non solo dovevo praticamente combattere una guerra da sola,
ma dovevo farlo anche contro un nemico scaltro e intelligente come
Niklaus.
“Irina?
Non startene lì impalata, aiutami!” disse la voce di mia
sorella, nascosta tra i tessuti ricamati.
La
raggiunsi annoiata, le presi i vestiti dalle mani e li distesi sul
letto con poca delicatezza. Katerina mi guardò confusa e si
chiuse la porta alle spalle. “Oggi ti sei alzata bene vedo...”
ridacchiò.
La
ignorai e rimasi in piedi a fissare quei due bellissimi abiti sul
letto.
“Quello
bianco è mio, quello blu è tuo. Klaus dice che sono i
colori che risaltano la nostra bellezza...”
Katerina
si bloccò e smise di sorridere, quando mi vide prendere il mio
abito e buttarlo a terra.
Non
volevo nulla da Klaus, ma solo che stesse lontano da me e Katerina il
più possibile.
I
suoi regali se li poteva pure tenere.
Mi
trattenni dal pestare violentemente quella stoffa parecchio pregiata,
ma solo per non allarmare mia sorella. Ci mancava solo che pensasse
fossi impazzita.
“Va
bene. Se non ti piace il vestito, ne possiamo chiedere un altro...”
disse lei, cercando di risultare tranquilla.
Mi
sedetti sul letto, con le ginocchia strette al petto e il viso sopra
di esse.
Dovevo
riavere quel maledetto libro, era l'unico che potesse rivelarmi
quante più cose possibili su Klaus e persino sui suoi nemici.
Ma avrei potuto sfidare Klaus e uscirne indenne? Lui credeva non
ricordassi nulla e doveva continuare a seguire questa convinzione, se
volevo rimanere viva. O almeno sana.
Katerina
mi guardò con occhi preoccupati, si sedette accanto a me e mi
accarezzò i capelli dolcemente. “Sei ancora spaventata
da ciò che abbiamo visto l'altra sera?” mi chiese.
Non
risposi, magari fosse stato solo quello il mio problema.
E
invece era solo una piccola goccia di paura in un oceano di terrore.
“Non
è solo questo, vero?” continuò a parlare mia
sorella, la sua mano affondò nuovamente tra i miei capelli
corvini. “Cos'altro ti preoccupa?”
Deglutii,
forse era quello il momento giusto per dirle la verità ma non
avevo preparato il mio pseudo discorso per non farla agitare.
E
per discorso, intendevo quattro gesti significativi che potessero
farle comprendere la situazione.
Sangue.
Morte. Vampiri.
Ecco
cosa avrei cercato di trasmetterle.
Se
avessi potuto parlare, forse a quell'ora mia sorella avrebbe avuto un
terribile mal di testa.
“Sei
sempre persa nei tuoi pensieri, fissi il vuoto continuamente, ti
spacci per malata e quando nomino Klaus, sembra quasi che abbia
nominato il diavolo in persona...” disse. Trovai la forza di
sorridere, avrei voluto vedere Klaus e il diavolo a confronto. Avrei
scommesso mille volte sulla vittoria di Klaus. “Perché
non mi dici semplicemente cosa sta succedendo?”
Continuai
a non rispondere, il mio sorriso si era rapidamente spento e guardai
il pavimento sotto di me. Katerina sospirò. “Ah forse ho
capito...” disse.
Alzai
lo sguardo su di lei, che sapesse la verità riguardo Klaus e
la sua famiglia?
Non
avevo mai preso in considerazione il fatto che Katerina potesse
essere a conoscenza di tutto e che lo avesse accettato, pur di star
vicino a Klaus.
Era
pazza quanto me sotto certi punti di vista, non mi sarei stupita di
una cosa simile.
“Sei
innamorata di Elijah.”
Quella
frase mi lasciò a bocca aperta, guardai le sue labbra
allargarsi in un sorrisetto furbo e sentii una terribile sensazione
di calore sul volto. Non capivo come fosse arrivata ad una
conclusione così banale, dopo che aveva assistito con me ad
una cosa strana come quella di poche sere prima.
Distolsi
lo sguardo, ma fu un grande errore: Katerina prese quel mio
comportamento come una conferma alla sua frase.
“Lo
sapevo....ma non trovi che sia troppo grande per te?” mi
chiese.
Anche
Klaus lo era per lei, aveva almeno cinque secoli in più.
Scossi
la testa; magari il mio problema fosse stata una cotta per Elijah: un
problema normale, che poteva affliggere qualsiasi ragazza dalla mia
età e che sarebbe stato risolvibile con semplici azioni e
pensieri. E invece, ero costretta ad affrontare problemi innaturali
come vampiri, stregoni e strane figure nell'ombra che volevano solo
il mio, il nostro male.
“No,
non lo trovi troppo grande per te o no, non sono innamorata di lui?
Guarda, che a me puoi dirlo!” mi chiese Katerina.
Alzai
l'indice e il medico insieme, per dirle che il mio no era legato alla
seconda delle sue opzioni. Katerina mi guardò allora con
attenzione. Si era resa conto che qualcosa mi stava profondamente
turbando, ma non sarebbe mai arrivata a capire cosa fosse.
La
sua mente viaggiava su onde di pensiero completamente lontane dalla
realtà.
“Non
ti sarai innamorata di Klaus pure tu?” mi chiese.
Sbarrai
lo sguardo e per poco scoppiai a ridere, come ci si poteva innamorare
di un uomo che godeva così tanto nel spaventare le persone?
Lei non conosceva quel suo lato perverso e speravo che mai lo
conoscesse. Ma io sì, sapevo chi era e lo avevo visto giocare
con la paura degli altri, anche con la mia, con un sorriso sulle
labbra. Scossi la testa con convinzione e mi parve che lei tirò
un sospiro di sollievo.
Ci
mancava solo che ci dividessimo lo stesso vampiro.
“Va
bene...ma io sento che c'è qualcosa che non va. Qualcosa che
non vuoi dirmi...non devi aver segreti con me, Irina!” mi disse
lei, facendosi più seria. Il modo in cui mi guardava, il modo
in cui muoveva la testa ad ogni singola parola di quella frase e il
suo mezzo sorriso che stava per spegnersi...mi facevano solo venir
voglia di piangere. Non potevo nemmeno parlarne con lei, la persona
di cui più mi fidavo al mondo, di quello che mi stava
divorando dentro.
Volsi
la testa dall'altra parte. Se fossi scoppiata in lacrime, le avrei
dato un ulteriore conferma del fatto che stavo nascondendo qualcosa.
Sentii
la sua mano posarsi sulla mia spalla. “Irina?” mi chiamò.
Non mi voltai, mi asciugai rapidamente le lacrime, in un gesto
nascosto agli occhi di mia sorella, e ripresi lentamente fiato.
Dovevo
trovare una via di fuga da quella realtà, non potevo più
nascondermi.
“Va
bene. Se è per quel corvaccio o per lo strano tipo alla
finestra, non devi temere.” disse.
Quelle
parole mi lasciarono sorpresa; non mi voltai verso di lei solo perché
le lacrime erano ancora visibili sulla mia pelle. Alzai la testa
verso il cielo scuro e attesi che continuasse il discorso. “Ne
ho parlato con Klaus, mi ha tranquillizzata e mi ha detto che non c'è
nulla di cui preoccuparsi. Se ne occuperà lui.”
Mi
si bloccò il respiro.
Cosa
voleva dire che se ne sarebbe occupato lui? Mi sentii doppiamente
stupida a non aver tenuto conto che Katerina avrebbe potuto dirlo a
Klaus. Mi voltai lentamente verso di lei, quando un altro dubbio mi
sorse velocemente.
Katerina
non capì quel mio sguardo e corrugò la fronte. “Ho
detto qualcosa di sbagliato?” mi chiese.
Era
stata soggiogata? Quella domanda mi sorse spontanea guardando i suoi
occhi scuri.
Magari
Klaus l'aveva tranquillizzata usando il suo potere. Quello era un
altro problema che dovevo risolvere, impedire a Klaus di giocare con
la mente di mia sorella.
Con
me non poteva farlo, ma con Kat purtroppo sì. E non dovevo
permetterglielo.
Qualcuno
bussò alla nostra porta, ci voltammo all'unisono verso di essa
e Katerina andò ad aprire.
La
vidi tentennare, mentre guardava la persona fuori dalla porta.
“Buongiorno
Katerina, stavo cercando tua sorella.” disse una voce.
Era
femminile, ma aveva lo stesso suono e la stessa parvenza di minaccia
che percepivo sempre nella voce di Klaus. Rebekah non mi era mancata
affatto, ma mi stupiva che fosse venuta a cercarmi apposta.
Katerina
si voltò verso di me e alzò gli occhi al cielo. “Se
volete darle fastidio, trovatevi un altro passatempo, Rebekah.”
disse con durezza.
Mi
stupii la sua risposta: Katerina era sempre stata gentile e cortese
con Rebekah, perché era nobile ed era la sorella di Niklaus.
Ma il bene che provava per me era più forte delle sue buone
maniere.
Sorrisi,
fortuna che avevo una sorella come lei sempre pronta a starmi
accanto.
“Come
siamo malpensanti....voglio solo parlarle. Sa difendersi da sola, non
trovi?” disse la voce profonda di Rebekah.
Mi
alzai in piedi.
Uno
scontro in più o uno scontro in meno con uno degli Originali,
non era un problema per me.
Non
avevo nulla da perdere e le offese di Rebekah non mi importavano più
di tanto.
Affiancai
mia sorella e guardai Rebekah. Quel giorno era più bella del
solito: portava i capelli raccolti in una treccia e indossava un
abito color perla che metteva in risalto la sua pelle a dir poco
perfetta.
Un
demonio vestito da angelo.
Mi
sorrise, ma il suo era un sorriso finto che non mi ingannava.
“Eccoti,
Iry. Ti va di fare due passi con me?” mi chiese.
La
guardai interrogativa, possibile che fosse venuta di proposito a
chiedermi di uscire, per insultarmi? Non la trovavo una persona che
amava perdere tempo con qualcuno che considerava un verme.
Doveva
esserci dell'altro sotto. Io e mia sorella ci guardammo, lei non si
aspettava di vedermi varcare quella soglia con estrema tranquillità.
“Irina?”
pronunciò solo il mio nome, per sottolineare il fatto che
quello che stavo facendo era strano. Rebekah mi prese sotto braccio e
lanciò un occhiata furba a mia sorella.
“Te
la riporto intera. Non preoccuparti.” disse e mi trascinò
via.
Speravo
davvero di poter tornare intera. Rebekah aveva, purtroppo, davvero il
potere di farmi a pezzi. Mi guardai indietro un ultima volta, Kat
sospirò e si richiuse in camera.
*
* * *
“Klaus
vuole che te lo renda.”
Guardai
la mano di Rebekah che agitava il ciondolo di fronte a sé.
Un'altra delle tante menzogne che mi stavano distruggendo la vita, ma
che fortunatamente ero riuscita ad allontanare.
Continuai
a camminare accanto a lei, lungo i giardini colpiti dal forte vento.
Non allungai la mano per riprendere il gioiello, non lo volevo per
due motivi: era legato ad un segreto, uno dei tanti che circondavano
la vita di quei tre vampiri e inoltre me lo aveva donato Klaus.
Per
farmi un torto o meno, sinceramente non lo avevo mai capito e non
m'importava.
Rebekah
girò la testa verso di me e mi guardò con la sua solita
altezzosità. “Oltre che muta, sei pure sorda?” mi
chiese. “Riprenditi questo affare e facciamola finita.”
La
guardai freddamente e le feci capire che non avevo alcuna intenzione
di riprendermi quel ciondolo. Se lo poteva tenere lei, visto che
sembrava odiarlo e amarlo allo stesso tempo.
Appena
vide che mi stavo allontanando, mi prese per la spalle e mi obbligò
a fermarmi. Allungò le mani verso il mio collo e per un attimo
pensai che volesse strozzarmi.
Ma
non fu così: anche se con estrema rudezza, fece scorrere
scorrere il ciondolo dietro il mio collo e lo allacciò.
“Io
non voglio avere problemi con mio fratello, perciò tienilo al
collo e falla finita.” disse, i suoi occhi chiari erano fissi
sul pendente che oscillava sul mio petto. C'era qualcosa di strano
nei suoi occhi mentre lo fissava, qualcosa di troppo umano che
stonava con il resto del suo viso.
Chissà
a chi era appartenuto e perché Rebekah sembrava rimpiangere ma
allo stesso tempo detestare colei che lo aveva indossato.
Di
chi era?
Cercai
di chiederle, indicandomi il pendente con il dito. Rebekah alzò
lo sguardo su di me, anche se non capiva il mio linguaggio dei segni,
arrivò subito a ciò che stavo cercando di dirle.
Prese
un lungo respiro e guardò il cielo grigio sopra di noi.
I
suoi occhi rifletterono la debole luce che brillava sotto le nuvole.
“Apparteneva
ad una persona a cui volevamo molto bene.” disse lentamente.
Non parlava con la sua solita freddezza o con la sua solita
cattiveria, parlava con la voce di una persona che stava rivivendo
ricordi troppo lontani. Ma forse felici. “Ma, dopo la sua
morte, l'ho odiata. L'ho odiata, perché il dolore era così
grande da separare me dai miei fratelli. Li ho persi per troppo
tempo, ci siamo ritrovati solo da poco....”
Restai
immobile, i suoi occhi erano fissi sui miei, ma erano ancora umani.
Avrei voluto chiederle come fosse morta quella ragazza, ma venni
investita dalla ritrovata freddezza di Rebekah.
La
vidi fare un passo verso di me e guardarmi con sfida.
“Tu
e Katerina le somigliate molto sai. Chi per un aspetto, chi per un
altro. Anche se questo ciondolo spetterebbe più a te che a
lei.” disse, quasi in un sussurro. Riassunse di nuovo
l'immagine di serpe velenosa che avevo sempre riscontrato in lei.
Come potevo essere stata così stupida da credere che ci fosse
dell'umanità in lei? “Per questo, non vi permetterò
di separarci. È chiaro?”
Ma
perché rivedeva in noi la persona che indossava quel ciondolo?
Lei sapeva benissimo che Klaus particolarmente non aveva alcun
interesse per noi.
Ancora
non ne conoscevo lo scopo, ma ero sicura che fosse così.
Aveva
detto lei stessa che Klaus non amava. Su Elijah la storia era ben
diversa, lui mi era sempre parso sincero nonostante tutto. Sul
fratello invece, avevo sempre avuto quella strana sensazione di
paura.
Decisi
di non sfidare Rebekah, tanto avrebbe vinto lei e io non avevo alcuna
voglia di perderci tempo. Volevo solo ritornare nella mia camera e
studiare un piano per riprendere il libro di Micah e cercare di
capire che altri pericolo si nascondesse dietro quella famiglia di
vampiri.
Rebekah
mi impedì di proseguire, usando le sue semplici e rudi parole.
“A
te piace leggere, Irina?” mi chiese.
Mi
fermai di colpo; non ci voleva un'intelligenza soprannaturale per
capire che quella frase nascondeva un altro significato. Non era una
normalissima domanda, proveniente dalla bocca di una persona
ordinaria: era un doppio senso, tipico di una persona a cui piace
giocare con le sue prede.
E
io ero la sua preferita purtroppo.
Mi
voltai lentamente verso di lei e la vidi sorridermi, nella sua solita
maniera beffarda. “Credo che tu debba un po' rivedere le tue
letture.” disse, iniziando a girarsi verso la parte opposta a
quella dove mi stavo dirigendo io. “Certe cose non sono adatte
per una ragazzina con il collo facilmente spezzabile come il tuo.”
Strinsi
i pugni per la rabbia; quindi non era stato Klaus a rubarmi il libro,
ma lei.
Avevo
qualcun altro da cui guardarmi le spalle. Rebekah l'avevo sempre
considerata solo un'oca centenaria ma innocua rispetto a Klaus. E
invece poteva essere letale quanto lui.
Fece
per allontanarsi, ma ad un certo punto si bloccò. “Ah
dimenticavo, cara!” disse e senza darmi nemmeno il tempo di far
un singolo movimento, me la ritrovai di fronte.
Mi
guardò negli occhi e sorrise. “Dimentica ogni cosa ora.”
disse.
Mi
vorticò la testa per un solo secondo e chiusi gli occhi.
Quando li riaprii, lei non c'era più.
Non
sapeva che non avevo dimenticato proprio nulla.
*
* * *
Quello
era un altro aspetto che mi stava letteralmente terrorizzando, forse
più di Klaus e Bell insieme. Da quel che ne sapevo, nessuno
poteva sfuggire al controllo mentale di un vampiro, a meno che non si
avesse fatto uso di verbena.
E
se non ricordavo male, un originale è capace persino di
ammaliare quelli della sua stessa specie. Allora, perché la
mia mente era rimasta integra dei suoi ricordi, nonostante fossi
stata manipolata più volte da Klaus e allora anche da Rebekah?
Cercai
di non pensarci più di tanto. Dovevo pormi un problema ben più
normale di quello: trovare una scusa per saltare la festa. Non avevo
nulla per cui gioire e non volevo trovarmi nella stessa sala con
Klaus, Rebekah ed Elijah. Inoltre, avrei potuto avere così
l'opportunità di intrufolarmi nella camera della vampira e
vedere se aveva nascosto là il libro.
Mi
affrettai per tornare in camera: con la sfortuna che avevo, avrei
potuto incontrare gli altri due Originali. E la voglia di sfidarli
era ben poca.
Ma
la sfortuna aveva sempre la meglio su di me. Credendo di prendere una
scorciatoia per tornare il prima possibile nelle camere, attraversai
un immenso giardino di cui ignoravo l'esistenza.
Dopo
mesi e mesi che ero arrivata là, ancora mi capitava di
perdermi in essi.
Due
figure attirarono la mia attenzione: notai subito Klaus, aveva per le
mani un arco e lo puntava verso gli alberi di fronte a sé.
Aveva la camicia sbottonata, sembrava una di quelle statue greche
troppo perfette per poterle guardare a lungo. Aveva i capelli
scompigliati, che gli ricadevano ai lati del viso e i suoi occhi
erano socchiusi in un espressione di concentrazione.
I
muscoli erano visibilmente tesi, mentre tendeva sempre di più
la cordicella dell'arco.
Dietro
di lui c'era Philippe, lo sfortunato ragazzo di Rebekah. Se ne stava
immobile a guardare Klaus con venerazione e non sembrava intenzionato
a prendere parte a quell'allenamento con arco e frecce.
Ricordavo
il modo in cui Klaus lo aveva trattato: come per Rebekah, anche lui
aveva una gelosia profonda nei confronti di sua sorella. Quei due si
somigliavano troppo, nel modo in cui guardavano e sorridevano
sopratutto. Specialmente, quando volevano intimidire qualcuno.
Smisi
di fissare Klaus, l'immagine delle sue labbra sporche di sangue tornò
vivida tra i miei ricordi e mi tirai indietro prima che fosse troppo
tardi.
“Irina!”
Mi
bloccai di colpo.
Il
mio cuore iniziò a battere a mille per la paura, quando
riconobbi la voce di Niklaus che chiamava il mio nome.
Strinsi
i pugni. Non potevo mettermi a correre senza destare sospetti in lui,
perciò dovevo per forza affrontare Klaus. Non avevo nulla di
cui aver paura, teoricamente avevo dimenticato ogni cosa e quindi
dovevo fingere di essere tranquilla e serena come sempre. Per un
attimo, pensai che fosse meglio fare finta di non aver sentito, ma
Klaus aveva parlato con voce chiara e forte.
Mi
voltai verso di loro, Klaus come al solito mi stava sorridendo.
Poi
rivolse un occhiata glaciale a Philippe. “Perché non te
ne vai?” gli disse freddamente.
Il
ragazzo non se lo fece ripetere due volte, chinò un attimo il
capo e si allontanò.
Quando
mi passò accanto, mi rivolse un sorriso gentile a cui risposi
con fatica. Anche lui doveva essere solo un passatempo per Rebekah,
come lo donne della villa dovevano esserlo per Klaus ed Elijah.
Rimasi
immobile quando notai che Klaus si stava avvicinando. Le mie gambe
però iniziarono a tremare sotto la gonna e il cuore batteva
talmente forte che temetti lui potesse sentirlo.
“Pensavo
fossi malata. Non sei mai uscita dalla tua stanza...” disse,
appena fu abbastanza vicino a me. Non lo avevo mai visto in quelle
vesti, non era perfettamente abbigliato e pettinato come al solito.
Sembrava una persona normalissima, né un nobile e nemmeno un
vampiro.
Sotto
quell'aspetto, mi faceva quasi meno paura. Sempre se non pensavo al
suo sorriso rosso.
Gli
feci capire che stavo meglio e che dovevo andare a prepararmi per la
festa a cui non avevo alcuna intenzione di prender parte. Sperai così
che mi lasciasse andare, ma mi sbagliavo.
Appena
cercai di voltarmi, la sua mano afferrò delicatamente il mio
polso e mi tirò a sé.
Per
poco mi ritrovai contro il suo petto, troppo perfetto e scoperto per
non imbarazzarmi. Mi sentii una stupida, quando pensai che era altro
quello a cui dovevo pensare.
“Che
ne dici di fare due tiri con l'arco insieme a me?” mi chiese.
I
suoi occhi si fissarono nei miei.
Il
suo potere doveva essere più forte di quello di Rebekah
perché, ogni volta che provava a manovrare il mio volere,
sentivo un fortissimo mal di testa, seguito poi da una sensazione di
stordimento.
Stava
di nuovo cercando di manipolarmi e dovevo quindi mantenere la calma
necessaria per fingere che seguivo il suo volere come un burattino.
Quanto
odiavo quella situazione: fingere ed obbedire al volere altrui, non
erano due cose che mi facevano impazzire. Ma, se ci tenevo al mio
collo e sopratutto a quello di Katerina, non potevo fare nient'altro.
Dovevo controllare per forza la mia paura, anche se avevo il solo
desiderio di correre via a gambe levate.
Klaus
sorrise e mi fece segno con la testa di seguirlo. Camminammo verso un
punto ben preciso del giardino, un punto in cui si riuscivano a
vedere gli alberi che segnavano l'inizio della foresta.
“Vieni,
ti faccio vedere come si fa.” mi disse lui, si chinò sul
terreno e prese un altro arco e alcune frecce.
Rimasi
immobile, mentre lui si posizionava dietro di me. Non sapendo proprio
che movimenti compiere, lo lasciai fare: mi fece vedere come tenere
l'arco in mano. Le sue mani presero le mie dolcemente e le posizionò
una sulla parte in legno e l'altra sulla cordicella.
“Tira
così.”
La
sua mano seguì il mio braccio, ancora bendato per la caduta da
cavallo, e lo tirò lentamente all'indietro, cercando di non
farmi male.
Ma
non riuscivo a concentrarmi, perché Klaus mi era troppo
vicino.
Le
sue mani continuavano a toccare le mie, sempre troppo delicatamente,
rendendole bollenti quando venivano abbandonate dal suo tocco.
La
sua guancia sfiorava la mia nuca e il suo petto era quasi posato
sulla mia schiena.
Aveva
un ottimo profumo, non ci avevo mai fatto caso per quanto lo avessi
temuto. Era molto simile a quello che emanava Elijah, ma il suo aveva
un tocco diverso, qualcosa di oscuro in più.
Era
difficile da spiegare e sopratutto da comprendere.
Presi
un lungo respiro, cercando di mostrarmi calma e impassibile alla sua
presenza.
“Prendi
la mira tra quegli alberi.” Vidi la sua mano allungarsi verso
un punto, mi sembrò stesse indicando il cielo. Solo poco dopo
mi resi conto che stava indicandomi un punto tra le foglie autunnali
degli alberi. Un colpo di vento freddo ci investì e i capelli
mi coprirono il viso, impedendomi di vedere di fronte a me. Mi ero
dimenticata di quanto facesse freddo ed era tutta colpa della mania
di Klaus di far provare sensazioni contrastanti a coloro che li
circondava.
A
me in particolare, chissà perché la sua mente malata
aveva preso proprio me di mira.
Con
la mano con cui mi aveva indicato gli alberi, mi liberò gli
occhi dall'ostacolo dei miei capelli.
“Tieni
ancora i muscoli ben tesi...” disse ancora.
La
sua mano si allontanò dal mio braccio e mi sembrò di
sentirmi un attimo più rilassata.
Quando
la sua mano si posò sul mio fianco destro, un lungo brivido mi
corse lungo la schiena.
Mi
ero dimenticata, oltre il freddo, anche che ero in compagnia di un
pericoloso vampiro.
Un
vampiro che non si faceva scrupoli nel terrorizzare le persone, anzi
che quasi si cibava della loro paura. Non avrei mai dimenticato il
modo in cui mi aveva sorriso, mentre io arretravo al suo cospetto,
impaurita.
Lasciai
andare la freccia e quella si conficcò nel terreno a pochi
metri da noi.
Tutto
questo, perché provai a liberarmi di quella mano sul fianco.
Klaus
sospirò. “Peccato, se non ti fossi deconcentrata, ce
l'avresti fatta.” mi disse.
Si
allontanò da me e fu come se una fiamma avesse smesso di
bruciarmi la schiena. Sentii di nuovo freddo, mentre lui andava a
prendere la freccia dal terreno.
Poi
tornò da me. “Proviamo di nuovo, sono sicuro che ce la
farai.” mi disse.
I
nostri occhi si seguirono, fino a quando lui tornò a
posizionarsi dietro le mie spalle.
Tornò
di nuovo il caldo. Mi sentivo una perfetta idiota quando il mio viso
riprese lentamente a bruciare. Klaus si posizionò più
vicino di prima, le sue labbra erano quasi vicine al mio collo.
“Lascia
che ti guidi.” sussurrò, posò le mani sulle mie e
puntò la freccia verso gli alberi.
“Tre,
due, uno...” contò.
E
lasciammo andare insieme: la freccia si scagliò verso un punto
alto, lontano da noi e dal terreno. Successe tutto così
velocemente, che neanche la vidi mentre tagliava velocemente l'aria.
Spaventammo
gli uccelli che si erano rintanati tra i rami e notai indistintamente
qualcosa cadere a terra. Mi portai le mani sulla bocca; forse avevo
ucciso un povero animale.
Klaus
non sembrò interessarsi molto a quella cosa nera che avevamo
colpito. “Mi sa che ci è scappato il morto...”
disse sarcastico.
Lo
guardai sbalordita dalle sue parole e lui mi sorrise.
Successivamente
corsi verso il punto in cui lo avevo visto cadere e Klaus mi seguì
lentamente.
Non
riuscivo a capirlo, ma mi sembrava che si aspettasse che succedesse
una cosa simile.
Raggiunsi
l'inizio della foresta e ciò che vidi a terra mi lasciò
senza parole.
Il
mio corvo giaceva sul terreno, con le ali completamente
spalancate e gli occhi rossi sbarrati. Aveva il becco aperto, come se
il suo grido di dolore si fosse unito a quelli di paura degli altri
uccelli che erano volati via. La mia freccia era conficcata nel suo
corpo, proprio in mezzo al cuore.
Klaus
mi affiancò, fissava il corvo con naturalezza. Forse i
cadaveri, di animali o uomini che siano, non lo scalfivano più
di tanto. “Bel colpo, Iry. Era ora che qualcuno facesse fuori
questo maledetto uccellaccio. Ronzava e gracchiava attorno alla villa
da mesi.” disse.
Con
la coda dell'occhio, mi accorsi che mi stava guardando.
Restai
paralizzata dalla paura, quando presi consapevolezza del gioco a cui
avevo appena preso parte, senza rendermene conto: Klaus non mi aveva
invitato a fare due tiri con l'arco per noia o per risultarmi
simpatico. Lo aveva fatto per rendermi responsabile della morte del
mio tramite.
Era
di nuovo una delle sue trappole, per farmi capire che era davvero
cento passi prima di me.
Girai
la testa lentamente verso di lui e il suo sorriso mi fu di conferma.
Ma una cosa non mi era chiara: quel corvo era morto perché era
inevitabilmente legato a Bell o semplicemente perché mi
aveva guidato verso la verità, per tutto quel tempo? Non
capivo se Klaus lo avesse fatto per proteggermi dopo tutto quello che
era successo o per proteggere sé stesso.
Conoscendolo,
avrei puntato sulla seconda opzione.
Ma
come era arrivato a capire che ero a conoscenza di molte cose grazie
al corvo?
Anche
se avessi avuto voce, non avrei potuto chiederglielo senza destare
sospetto.
Il
silenzio era l'unica cosa che potevo fronteggiare.
Tornai
a guardare il cadavere del corvo e per poco scoppiai in lacrime.
Perché ero stata così stupida da farmi di nuovo
prendere in giro?
Klaus
si chinò sull'animale ed estrasse la freccia del suo corpo,
quasi con ferocia. “Ci devono tutti un favore.” disse,
voltandosi verso di me. Mi mostrò la freccia come se fosse un
trofeo. “Adesso sì che il nostro sonno non può
più essere disturbato la notte.”
Ebbi
la conferme che Klaus sapeva di quel corvo.
Da
quanto, non lo sapevo, probabilmente da quando Katerina gli aveva
rivelato dell'uomo incappucciato sotto la nostra finestra, ma aveva
comunque deciso di usare me per sbarazzarsi di quella minaccia.
Ripensai al modo in cui aveva guidato i movimenti delle mie braccia,
era stato delicato ma deciso al tempo stesso. Se lui non mi avesse
guidata, non avrei mai ucciso il mio messaggero.
“So
quanto ami gli animali. Queste cose possono però succedere,
non preoccuparti.” disse, cercando di tranquillizzarmi. Alzai
lo sguardo su di lui, era di nuovo vicinissimo a me e stava cercando
di posarmi una mano tra i capelli, probabilmente per rasserenarmi.
Mi
tirai indietro. Sia lui che Rebekah, mi stavano dando altri mille
buoni motivi per farmi sentire una stupida nel non voler scappare da
quel posto.
Ci
mancava solo Elijah a darmi una buona motivazione per fuggire, era
rimasto quello a bloccarmi.
L'espressione
di Klaus s'indurì, di fronte al mio rifiuto nei confronti del
suo tocco. Doveva aver letto qualcosa nei miei occhi, che lo facevano
sembrare diverso dal Klaus che, fino a poco prima, usava doppi sensi
per farmi capire come mi avesse manipolata. Senza usare il suo potere
poi.
Lasciai
l'arco a terra e camminai via verso la villa.
Sentivo
gli occhi di Klaus sulla mia schiena e mi sforzai di di ignorarli.
*
* * *
“Come?
Perché non vuoi prendere parte alla festa?”
Katerina
continuava a non capire la mia ostinazione nel voler restare in
camera.
Mi
guardava, mentre fissavo il vuoto e mi stringevo un cuscino al petto.
Come sempre, me ne stavo seduta sul letto a gambe incrociate.
Nei
corridoi, riuscivamo a sentire le voci degli ospiti di Klaus, che
parlottavano e ridevano.
Non
sapevano di chi erano ospiti allora.
“Irina,
vuoi restare chiusa qui dentro a vita per caso?” domandò
ancora mia sorella, alzai lo sguardo su di lei. Stava davanti allo
specchio a prepararsi, si passava una polvere chiara sulla pelle del
viso per farla risultare più liscia. Non sapevo chi glielo
avesse consigliato, ma non ne capivo l'utilità: il suo viso
era perfetto così com'era. I nostri occhi s'incrociarono e io
li distolsi.
Li
posai verso la finestra, dove la luna piena brillava in cielo e le
stelle l'accompagnavano con le loro bellissime luci. Chissà
perché, mi sembrava comunque una notte troppo buia.
Katerina
mi si avvicinò, la gonna era così lunga che per poco ci
inciampava sopra.
“Sorellina,
non sopporto di vederti così. Un tempo mi dicevi tutto, ora
perché invece ti tieni tutto per te?” mi chiese.
Non
ce l'avrei fatta a sopportare la stessa situazione di quella mattina,
non dopo uno scontro con Rebekah e con Klaus, che mi avevano
ulteriormente destabilizzata.
Ero
stanca di tentennare, anche se continuavo ad avere il dubbio che
forse Elijah mi avrebbe dato un motivo per restare. Una parte di me
però non lo credeva visto il cuore che aveva in mano giorni
prima. Dovevo per forza dire quella cosa a mia sorella.
Non
le avrei detto dei vampiri, cercavo di salvaguardarla il più
possibile da quella realtà mostruosa, ma le avrei detto un
altra cosa, che forse l'avrebbe ferita ancora di più.
Dobbiamo
tornare in Bulgaria.
Cercai
di farle capire.
Katerina
mi guardò a lungo, riconobbe subito il mio modo di dire
“tornare”: una parola che aveva rimosso dal suo
vocabolario, se si trattava di tornare nell'oscurità dove
avevamo vissuto per anni.
Ma
che non ci avrebbe risucchiato, come stava facendo quella che ci
circondava in quel momento.
“Se...se
è uno scherzo, non è divertente.” disse lei con
voce tremante. Le stavo davvero chiedendo troppo e me ne rendevo
conto. Ma lo stavo facendo per il suo bene, perciò non
m'importava se l'avrei ferita. Quando lesse sul mio viso che ero
seria, scattò rapidamente in piedi.
Camminò
da un lato e dall'altro, per cercare di trattener la rabbia e il
dolore. “Come puoi...chiedermi di tornare da coloro che mi
hanno chiamata sgualdrina? Da coloro che mi hanno portato via la mia
bambina?!” mi chiese.
I
suoi occhi si fecero lucidi Pensavo che non mi avrebbero colpito,
viste le mie buone intenzioni, ma non era così. Katerina si
sentiva pugnalata alle spalle e non riuscivo a sostenere il mio cuore
che iniziava a battere nel vuoto per il dolore.
Chinai
il capo e strinsi i pugni sulle mie ginocchia. “E tutto questo
a cosa è dovuto?! Cosa non hai qui che ti fa rimpiangere la
Bulgaria? Io qui mi sento amata e apprezzata, come puoi chiedermi di
tornare da chi mi ha sempre odiata e disprezzata? Proprio tu poi! Che
sei stata trattata come un fenomeno da baraccone!”
Non
mi offesi perché stava parlando per rabbia.
Alzai
la testa e cercai di essere il più controllata possibile, le
feci il segno di “bugia”.
Tutto
quello che ci circondava era una bugia, una bugia che ci avrebbe
forse uccise entrambe.
Katerina
mi guardò incredula, iniziò a scuotere la testa e si
portò una mano tra i capelli ricci. “Qui l'unica bugia
che vedo sei tu.” disse, con tono grave.
Quella
volta mi ferì davvero, abbassai di nuovo la testa
giocherellando con la punta dei miei capelli e presi un lungo
respiro. Non servì però a trattenere le mie lacrime.
“Non
avrei mai pensato che nel tuo silenzio saresti stata capace di
ferirmi in questo modo...” aggiunse ancora Kat, osservandomi e
non facendo caso alle lacrime che mi ricadevano sul vestito. “Pensavo
che tu prima di tutti volessi la mia felicità...e invece mi
sbagliavo.”
Non
disse nient'altro.
Seguii
con lo sguardo i suoi piedi che si dirigevano velocemente verso la
porta, per poi scomparire dietro di essa. Mi portai le mani sul volto
disperatamente e mi sentii completamente sola.
Sola,
piccola e impotente.
Non
avevo più Rose, non avevo più quel dannato corvo e ora
non avevo più nemmeno mia sorella.
Mi
distesi sul letto e affondai la testa nel cuscino, almeno quello non
mi avrebbe abbandonato e avrebbe asciugato le mie lacrime di dolore.
*
* * *
Mi
ero addormentata.
Le
lacrime mi si erano asciugate sulla pelle e avevano bagnato il
cuscino su cui dormivo.
Non
capivo cosa mi avesse destata dal sonno, poi sentii di nuovo quel
rumore, di qualcuno che bussava delicatamente sulla porta della
camera.
Mi
rizzai a sedere sul letto e guardai il mio riflesso sullo specchio di
fronte: avevo un aspetto a dir poco spaventoso, gli occhi erano gonfi
per le lacrime e per il sonno e avevo le occhiaie ancora più
pronunciate di quando già non lo erano prima.
Andai
alla porta. Sentivo ancora gli schiamazzi della festa e delle voci
dal suono allegro che risalivano dal salone fino ai corridoi fuori
dalla camera.
Aprii
solo uno spiraglio della porta e vidi il volto di Elijah, teneva la
mano poggiata sul muro e l'altra su un fianco. Mi fece un piccolo
sorriso, che servì ad allontanare solo di poco l'immagine di
lui che strappava il cuore di Micah. Non lo avevo visto in volto
mentre compiva quell'efferato omicidio e sinceramente non riuscivo ad
immaginare un espressione adatta a quel momento sul suo viso
perfetto.
“Buonasera
Irina.” mi salutò, con voce flebile. “Ti posso
parlare un attimo, se non ti dispiace?”
Restai
a fissarlo, non sapevo cosa fare sinceramente.
Una
parte di me mi diceva che farlo entrare era una cosa stupida,
l'altra, quella fastidiosa vocina che riuscivo proprio a non far
tacere, mi diceva che potevo fidarmi di lui.
Anche
se era un assassino che avevo visto in azione giorni prima.
Spalancai
la porta e gli permisi di entrare, anche se il mio corpo tremava alla
sola idea di vederlo varcare quella soglia.
Ma
non per lui.
Avevo
paura di me, delle sensazioni contrastanti che lottavano dentro il
mio cuore mentre lo vedevo camminare.
Chiusi
la porta lentamente e mi voltai verso di lui, Elijah restò
vicino alla finestra, per poi guardarmi.
I
suoi occhi neri si posarono sui miei e restammo così in
silenzio per un po'.
Fino
a quando, non riuscii più a sorreggerli.
“Come
stai?” mi chiese.
Mi
si bloccò il respiro per un attimo, c'erano moltissimi passi
che ci separavano.
Sembrava
una distanza troppo grande, affinché uno dei due decidesse di
accorciarla.
Feci
un cenno con la testa e tirai la bocca in quello che doveva sembrare
un sorriso. Elijah mi guardò in silenzio, la sue espressione
era tesa e seria. Non mi era mai capitata di vederla, quando eravamo
soli.
“Ne
sei sicura? Perché mi sembra tu mi stia evitando da giorni...”
mi disse lui.
Non
mi sorprese il fatto che lo dicesse con quella sicurezza, Elijah non
era affatto stupido e ormai aveva capito che quando mi davo per
malata, era perché non volevo incontrare né lui, né
nessuno della sua famiglia. Ero stata sciocca io ad usare sempre e
solo la stessa scusa.
Mi
trovai in seria difficoltà, non sapevo dove guardare e
stringevo nervosamente con le mani i lati della gonna. Elijah allora
azzardò a fare un passo verso di me, impulsivamente io ne feci
dieci indietro.
Calò
di nuovo un profondo silenzio, l'unica cosa che sentivo era il mio
cuore che batteva all'impazzata e i respiri che cercavo di trattenere
troppo a lungo, come se temessi potessero insospettire ulteriormente
Elijah.
Il
magnetismo esercitato dai suoi occhi si arrestò per un attimo,
quando smise di guardarmi.
Posò
lo sguardo verso lo specchio e mi accorsi che stava guardando proprio
il mio riflesso.
“Irina,
lo sai che puoi dirmi tutto, no?” mi domandò, voltando
nuovamente la testa verso di me.
Non
capivo se le sue parole nascondessero dell'altro, di solito era Klaus
quello che parlava per doppi sensi. Non lui.
Mi
sentivo in colpa nel desiderare che lasciasse la mia camera il prima
possibile. Ogni volta che lo guardavo, mi sembrava di immaginare un
espressione terrificante sul suo viso di marmo, mentre strappava il
cuore dal petto di Micah.
Annuii,
ricordandomi solo successivamente della sua domanda.
Non
riuscii a sorridere, non avevo la forza di fingere ulteriormente.
Elijah,
però, restò a fissarmi intensamente. I suoi occhi
sembravano infinitamente profondi, due cieli notturni in cui ci si
poteva perdere per l'eternità.
“So
che ricordi tutto.”
Quelle
furono le sue parole per rompere il silenzio. Alzai lo sguardo su di
lui, mentre la paura si faceva largo a tentoni nel mio petto e nella
mia mente.
Ebbi
l'istinto di fuggire, ma le gambe erano diventate molli, come se
fossero fatte di fango.
Come
faceva a sapere che non avevo dimenticato nulla?
“Non
so come sia possibile e, francamente, nemmeno m'importa. Voglio solo
spiegarti tutta quanta la verità.” disse ancora Elijah.
Fece
diversi passi verso di me e a quel punto mi sentii libera di dare
sfogo al mio terrore. Mi voltai di scatto verso la porta e cercai di
catapultarmi fuori nei corridoi.
Elijah
mi fu davanti in un baleno, si parò di fronte a me restando
sulla soglia della porta e rapidamente mi strinse le spalle. Mi
spinse sul muro accanto alla porta e chiuse quest'ultima con un
calcio, il tutto con estrema gentilezza ed eleganza, nonostante il
gesto piuttosto brusco di per sé. Provai a spingerlo via.
Pensavo che anche lui avrebbe lottato con me e invece la mia si
rivelò una battaglia a senso unico.
Non
usai in pieno la mia forza per respingerlo, forse perché
sapevo che non gli avrei fatto del male o perché, nel mio
subconscio, non volevo nemmeno provare a fargli male.
I
miei colpi si rivelarono vento sul suo corpo di pietra.
“Irina,
guardami negli occhi, per favore.” mi chiese, con un tono di
voce leggermente più alto.
Non
lo feci. Se ci avessi solo provato, ero certa che avrei represso ogni
mio tentativo di ribellione.
“Per
favore, guardami!” disse di nuovo a denti stretti, le sue
mani strinsero un po' di più le mie spalle. Allora obbedii:
volsi lo sguardo lentamente verso di lui e i nostri occhi iniziarono
ad esplorarsi.
Cercavo
di capire che sentimenti li colmassero in quel momento, ma anche
Elijah spesso era davvero un mistero da capire.
Lui
si prese un paio di secondi, forse per trovare le parole giuste da
dire. “Hai visto che cosa sono. E mi dispiace che tu l'abbia
scoperto in questo modo.” iniziò a dire. “Se fossi
stato solo, se non avessi avuto dei fratelli da proteggere...ti
assicuro che te lo avrei detto subito.”
La
sua compostezza in viso si era leggermente sciolta, lasciando posto
ad un espressione di pura dolcezza e sincerità. Iniziai ad
avere meno paura di lui: mi resi conto che non gli avevo mai fatto
una colpa per non avermi detto la verità, probabilmente lo
avrei fatto anche io a parti inverse, ma gli facevo una colpa per ciò
che era.
Mi
sentivo un mostro a pensarla così, ma ormai la paura mi era
padrona e guidava i miei pensieri e il battito del mio cuore. Elijah
distolse gli occhi dai miei per un istante.
“Io
non farei mai del male né a te, né a tua sorella. E
dentro di te lo sai.” disse ancora. “Ti chiedo perdono se
l'altra volta ho...perso la testa inanzi ai tuoi occhi. Ma non potevo
fargliela passare liscia dopo quello che ti aveva fatto.”
Le
sue ultime parole furono macchiate di rabbia, non riuscendo a
sostenere la sua espressione che cambiava, distolsi lo sguardo.
Intanto continuavo a tremare, mentre le mani di Elijah scesero dalle
mie spalle, sui miei gomiti.
“Ma
io non voglio essere la tua paura, Irina. Voglio solo esserti amico,
proprio come lo eravamo quando credevi che ero umano.” continuò
lui, appena si destò da quell'attimo di rabbia. Il suo volto
venne illuminato da un sorriso debole, che scomparve nel giro di
pochissimi istanti. “Non voglio più nasconderti nulla,
sono disposto a stare tutta la notte a raccontarti la storia della
mia vita, del mio essere. Sono disposto a raccontarti tutto,
ma spetta a te scegliere cosa fare.”
Rimasi
a guardarlo immobile, attendendo che mi desse le sue opzioni su cosa
fare. Avevo già due vocine, mente e cuore, che mi parlavano e
mi suggerivano cosa fare.
Ma
nessuna delle due opzioni mi faceva star meglio: la mente mi diceva
di scappare, il cuore di restare.
“Se
vuoi, stasera posso dirti tutto ciò che devi sapere su di me
vampiro. Oppure , puoi scappare via da me, senza sapere la
verità. In questo caso, io non ti fermerò.” mi
disse.
Strinsi
i pugni, i miei occhi si fecero bagnati e il tremore lasciò
posto a lunghi brividi caldi che si rincorrevano sulla mia schiena.
Elijah studiò la mia espressione, lasciò cadere le mani
lontane dal mio corpo e fece un passo indietro.
“Prima
che tu scelga la seconda opzione, voglio dimostrarti che puoi fidarti
di me.” aggiunse poi.
Ero
convinta che avesse finito di parlare e le sue parole mi stupirono.
Fece
un passo verso di me, un passò lento ma deciso.
Il
suo viso si avvicinò lentamente al mio, sempre con estrema
eleganza e delicatezza. Come se fossi un cucciolo pronto a scappare
in caso di gesti troppo bruschi.
I
miei occhi continuarono a guardare i suoi, leggermente socchiusi.
Sentii il suo respiro caldo sulle labbra, sfiorandole come in un
delicato bacio. La sua fronte si posò sulla mia e la distanza
tra di noi si fece sempre più minima.
Elijah
continuava a muoversi lentamente, chissà se sentiva il mio
cuore battere all'impazzata.
Ma
la sua bocca non si avvicinò alla mia, piegò la testa
da un lato e avvertii il suo respiro spostarsi sul mio collo.
Ad
un certo punto si fermò.
Tutto
si arrestò troppo velocemente per poter capire cosa fosse
successo.
Elijah
si allontanò da me, facendo un lungo passo indietro e prese un
lungo respiro. Feci lo stesso, lo avevo trattenuto per tutto il tempo
in cui lui si era lentamente avvicinato a me.
Non
capivo se stavamo per baciarci o se stava cercando di mostrarmi
dell'altro.
L'espressione
di Elijah era abbastanza confusa, più della mia. “Avrei
potuto morderti e bere il tuo sangue.” disse, con tono
leggermente più freddo. “La tentazione di bere il vostro
sangue è molto forte credimi, sopratutto quando...”
Si
arrestò di nuovo, i suoi occhi si illuminarono e si spegnevano
a seconda delle emozioni che provava in quel momento. Rimasi con la
schiena contro la parete e continuai a respirare profondamente,
mentre dentro di me era scoppiata una tempesta.
Fuggire
o restare? Quello che era successo poco prima, mi confondeva solo di
più.
“Prendila
come una dimostrazione di fiducia.” disse ancora Elijah,
cercando di non concludere la frase di prima. “Ma sta a te
decidere se vuoi farlo o no.”
Calò
di nuovo il silenzio, ascoltai le vocine dentro di me e alla fine
presi, troppo rapidamente forse, una decisione. La vocina più
insistente, quella che non avrei mai voluto che avesse la meglio,
cantò vittoria.
Elijah
non mi guardò, mentre mi avvicinavo alla porta quasi correndo.
E, con le lacrime agli occhi, decisi di fuggire.
*
* * *
Ma
dove pensi di andare?
Un
insistente e fastidiosa vocina proveniente dal petto, ci tenne a
ricordarmi quel piccolo particolare.
Infatti...dove
pensavo di andare? Mi fermai di colpo e caddi sulle ginocchia, avevo
corso per tutti i corridoi, per poi raggiungere i giardini e infine
l'inizio della foresta, dove Klaus mi aveva fatto uccidere il mio
messaggero oscuro. Non mi sentivo più il respiro nei polmoni,
non mi ero fermata e voltata indietro solo perché la mia
volontà d'animo me lo aveva impedito.
Il
mio corpo e la mia mente non ce la facevano più, si erano
annullati entrambi nelle bugie e nel dolore. Restai inginocchiata sul
terreno, con lo sguardo rivolto verso il cielo scuro e privo di
stelle.
Anche
queste mi avevano abbandonato per farsi scudo delle nuvole,
rifiutandosi di illuminarmi con la loro splendida e rassicurante
luce.
Non
potevo andarmene. Non potevo abbandonare Katerina in quelle realtà
e inoltre non volevo fuggire. Dove sarei andata comunque?
A
casa non potevo tornare. Mio padre mi avrebbe punita e sarei andata
in sposa a Vladimir. Per non parlare di Katerina che, ero sicura,
avrebbe vissuto con appellativi spregevoli per tutta la sua
esistenza.
E
che dire di quel Bell che aveva cercato di farmi rapire? Klaus
ed Elijah mi avevano salvato la vita probabilmente, impedendo a Micah
di portarmi da lui.
Perciò,
era davvero giusto scappare o dovevo accettare quella realtà?
La
cosa che mi premeva di più era Elijah. Il momento in cui avevo
sentito il suo respiro unirsi al mio, era stato il momento in cui
avevo deciso di fuggire lontano. Ma allo stesso tempo, il momento in
cui decisi di restare.
Poi
la paura aveva preso il controllo di tutto.
Strinsi
i pugni sulle ginocchia. Non capivo se ero stupida o semplicemente
pazza nel non voler scappare via il più lontano possibile.
“Signorina
Petrova?”
Mi
voltai verso una voce conosciuta, vidi Joshua alle mie spalle.
Riconobbi
il suo viso perché erano state affisse delle torce intorno
alla villa, per allontanare l'oscurità.
Il
ragazzo mi stava sorridendo gentilmente. “Lord Niklaus vorrebbe
parlarvi.”
Lo
guardai confusa. Che voleva adesso Klaus? Che Elijah gli avesse
rivelato che ricordavo tutto?
Joshua
intanto mi guardava come se fossi fuori di testa: me ne stavo seduta
al buio di fronte ad un albero, probabilmente avrei pensato anche io
la stessa cosa.
Annuii
e mi alzai in piedi asciugandomi le mani sudate sulla gonna.
Joshua
mi fece strada, sempre con un sorriso sulle labbra.
Lo
seguii, restando qualche passo dietro di lui.
Il
fatto che Klaus mi cercasse mi preoccupava, se aveva scoperto tutta
la verità attraverso la bocca di Elijah o di Rebekah, cosa mi
avrebbe fatto?
Per
colpa dei mille pensieri che affollavano la mia mente, mi accorsi che
Joshua mi stava portando per una strada diversa da quella che
conoscevo, per arrivare al salone o alla camera di Klaus.
Mi
aveva condotto in un corridoio che non avevo mai visto prima, dalle
pareti strette al limite della claustrofobia. Mi fermai un attimo e
lo guardai titubante.
Sentendo
il mio passo arrestarsi, lui si voltò lentamente verso di me.
“Va
tutto bene?” mi chiese.
No
che non andava bene.
Dubitavo
che Klaus volesse incontrarmi in un posto del genere per fare una
chiacchierata amichevole. Non avevo idea di che intenzioni aveva, ma
ero sicura che volesse farmi del male.
Sopratutto
se conosceva la verità.
“È
una scorciatoia per arrivare prima alle camere, non vi preoccupate.”
disse Joshua, quando vide l'espressione preoccupata sul mio viso.
Però
non riuscì lo stesso a convincermi. C'era qualcosa di
maledettamente strano in tutta quella storia. Però annuii,
lasciandolo nella convinzione che fossi rilassata.
Lui
sorrise di nuovo e riprese a proseguire, seguendo il percorso
illuminato dalla torcia che teneva in mano. In quel momento, facendo
molta attenzione ai movimenti del ragazzo, iniziai a voltarmi
lentamente verso il punto da cui eravamo entrati.
Iniziai
a retrocedere lentamente, evitando di compiere qualsiasi rumore
sospetto. Quando ormai ero certa di essermi allontanata abbastanza da
lui, mi voltai e cercai di raggiungere la porta.
Ma
Joshua mi si parò davanti, cogliendomi di sorpresa.
Pochi
attimi prima stava camminando tranquillamente davanti a me, allora
invece mi era apparso davanti ad una velocità impressionante.
Questo faceva di lui solo una cosa.
Prima
che potessi compiere qualsiasi movimento, lui mi spinse contro il
muro cingendomi il collo.
La
sua espressione non rispecchiava più alcuna gentilezza, aveva
solo un aspetto mostruoso con gli occhi iniettati di sangue e i
canini in bella vista.
Cercai
di liberarmi della sua presa, ma come al solito niente mi servì
ad allontanare quelle mani dal mio collo.
“Mi
hanno detto che sei parecchio intuitiva, vorrà dire che farò
qui quello che devo fare....” mi disse, quasi divertito.
Lo
guardai senza capire, lui mi buttò a terra sopra uno scalino e
feci leva sulle mani per non sbattere il viso. Ma lui non era uno dei
fedeli di Klaus? Mi alzai in piedi il più velocemente
possibile e iniziai ad arretrare. Per quanto ne sapevo la via di fuga
era solo alle sue spalle, ma dubitavo che ci sarei arrivata così
facilmente.
Lui
continuò ad avanzare verso di me, con un sorriso sulle labbra
che poteva quasi fare concorrenza con quello di Klaus. “Non
capisci cosa sta succedendo, vero?” mi chiese, spalancando le
braccia.
Io
continuavo ad arretrare, mi guardai attorno alla ricerca di una
possibile arma ma vidi solo le pietre delle pareti e le torce che
brillavano su di esse.
Deglutii
e tornai a guardare Joshua.
“Ho
ucciso io quelle ragazze, Irina.” disse Joshua.
Sbarrai
lo sguardo sorpresa. Mi trovai a rabbrividire per la paura, mentre la
sua figura continuava ad avanzare verso di me.
“E
ora, è il tuo turno. Consideralo come un favore, mi
raccomando! Ho saputo che sei stata rapita per chissà quale
motivo..almeno con me, saprai subito che fine farai...”
Fece
un lungo passo verso di me. Mi ritrassi giusto in tempo prima che mi
trovassi a pochi centimetri da lui. Restò così a
fissarmi, piegando la testa da un lato come se stesse già
pregustando il momento in cui avrebbe affondato i denti nella mia
carne.
“Scommetto
che vuoi sapere perché, vero? Beh, diciamo che Klaus ha più
nemici che amici. E io non gli sono amico da troppo tempo. Mi ha
donato l'immortalità ma mi ha tolto la possibilità di
gestirla a modo mio.”
Non
poteva essere solo per quel motivo che Joshua aveva ucciso quelle
ragazze, Micah mi aveva detto che Klaus scappava da secoli da
qualcuno che voleva ucciderlo e che stava giocando con lui, premendo
sul bottone della solitudine.
Guardai
Joshua, parlava e si muoveva come un burattino guidato da dei fili
invisibili.
Forse
era stato manipolato? Purtroppo non avrei potuto capirlo mai, perché
mi fu addosso in un secondo. Mi spinse contro la parete alle mie
spalle.
“Sai,
un po' mi dispiace doverti ammazzare....”sussurrò a
denti stretti, quasi con rabbia. “Sei così...inutile,
che quasi mi fai pena. Ma a Klaus stai simpatica, perché si
rivede molto in te e perché ha molte sciocchezze che gli
passano per quella mente bacata. Per questo tu morirai, Klaus deve
assaporare la solitudine, prima di morire tra atroci dolori.”
Provai
a liberarmi di nuovo, ma senza risultato.
Joshua
mi tenne più strette le spalle e mi costrinse a guardarlo.
“Fine dei convenevoli, addio Iry.” disse, come se volesse
dare inizio subito alla mia morte.
Affondò
i denti nella mia carne, provocandomi un fortissimo dolore che non
avrei potuto fronteggiare. Sentivo il mio sangue scendere lungo la
pelle, mentre lui se ne cibava voracemente. Posai le mani sul suo
petto per spingerlo via, ma lui continuava a penetrare sempre di più
i denti nel mio collo.
Iniziai
a sentirmi debole, troppo debole per poter anche solo tenere gli
occhi aperti.
Fino
a quando, lui non venne strappato via da me.
Sbattei
più volte le palpebre e mi poggiai completamente sul muro alle
mie spalle, per cercare di riprendere un po' di forza. Di fronte a me
era apparso Elijah: teneva Joshua per il colletto della camicia e lo
teneva sospeso di fronte a sé.
Vidi
i suoi occhi neri, carichi di una rabbia che non aveva nulla di
umano.
“Tu
la parola lealtà non la conosci, vero Joshua?” gli
chiese a denti stretti.
Joshua
sorrise, ma era un sorriso che voleva inutilmente nascondere il
terrore che lo dominava. “Non sarò mai leale a quel
mostro di tuo fratello.” disse.
Elijah
lo tenne più stretto, mi portai una mano sopra il collo ferito
e sentii il sangue che continuava a fuoriuscire.
“Prima
di staccarti la testa dal collo, voglio sapere perché.”
stava dicendo Elijah, lo guardava fisso negli occhi e capii che stava
ordinando alla mente di Joshua di seguire i suoi ordini.
Era
incredibile come il ragazzo avesse fatto il gradasso con me fino a
poco prima e ora sembrava rabbrividire al cospetto di Elijah.
Il
suo viso assunse un espressione piatta, proprio come quella di un
manichino privo di personalità.
Iniziò
a parlare lentamente, con un tono privo di qualsiasi tipo di
emozione. “Mi è stato ordinato.” disse solo.
Elijah
sospirò, doveva averlo capito da subito, da quando aveva
scoperto che era stato Joshua a compiere quegli omicidi.
Ma
lo sapeva da prima o lo aveva sentito nel discorsetto di Joshua prima
che mi mordesse?
“Perché
hai avuto questo ordine?” continuò Elijah.
“Dovevo
far recapitare un messaggio a Niklaus, almeno fino a quando l'arma
per ucciderlo non sia pronta...”
Elijah
si ammutolì, prese dei lunghi respiri e fissò negli
occhi Joshua.
Sembrava
che avesse capito qualcosa e che stesse preparandosi e porgli
un'altra domanda, la cui risposta non gli sarebbe piaciuta.
“Chi
ti ha soggiogato?” gli chiese.
Allora
Joshua restò un attimo in silenzio, io ed Elijah restammo ad
aspettare una risposta che sembrava non sarebbe mai arrivata
nell'oscurità.
All'improvviso
Joshua sorrise. “Tanto tu mi ucciderai comunque, Elijah.”
disse, come se non fosse più sotto il controllo mentale del
vampiro. Com'era possibile, non me lo potevo capacitare.
Solo
la verbena faceva quell'effetto e un vampiro non poteva tollerarne il
sapore o il tocco.
Un
urlo di dolore ruppe il silenzio: Elijah aveva abbassato la guardia
un solo secondo e Joshua aveva avuto il tempo per afferrare uno
strano pugnale e conficcarlo nel ventre del ragazzo.
“Allora
voglio almeno portare a termine ciò che mi è stato
ordinato!” ringhiò Joshua.
Elijah
si accasciò a terra, riuscivo a vedere il sangue rosso che
bagnava il pavimento sotto il suo corpo. Presa dal panico, cercai di
soccorrerlo.
Non
poteva averlo ucciso o ferito, non esistevano armi del genere per
quanto ne sapevo.
Joshua
mi bloccò prima che potessi avvicinarmi, mi strinse la mano al
collo e mi spinse contro il muro. Aveva in mano un pugnale macchiato
del sangue di Elijah.
Il
ragazzo gemeva di dolore dietro di lui, lo vedevo mentre cercava di
rimettersi in piedi velocemente.
Avrei
tanto voluto aiutarlo, ma la mia debolezza me lo impediva.
Joshua
rise di nuovo, aveva ancora le labbra macchiate del mio sangue.
“Dov'eravamo rimasti? Ah sì, dovevo finire di
dissanguarti....”
Fece
di nuovo per affondare i denti nella mia carne, ma Elijah glielo
impedì: nonostante continuasse inspiegabilmente a sanguinare,
lo separò da me e lo gettò a terra.
Joshua
sembrava aver accettato la consapevolezza di dover morire, ma voleva
solo terminare la mia morte prima di giungere alla sua. Sembrava
davvero un folle.
Nello
scontro con Elijah, il pugnale gli era caduto di mano ed era finito
lontano da lui.
“È
ora...che tu muoia, Joshua.” disse debolmente Elijah.
Joshua
iniziò a strisciare all'indietro, per arrivare al pugnale.
Guardai
Elijah, sembrava davvero indebolito da quell'arma insolita:
all'apparenza sembrava un pugnale, ma doveva esserci qualcosa sotto.
Non
era possibile che un'arma così semplice, potesse farlo
sanguinare in quel modo.
Mi
guardai attorno, dovevo trovare qualcosa per poterlo aiutare.
“Elijah,
il tuo attaccamento a quell'animale di tuo fratello ti costerà
caro.” ridacchiò Joshua. “Tu e Rebekah state
pagando tutto per colpa sua.”
“Klaus
è mio fratello. Non è stato lui a rovinare la nostra
esistenza...” sussurrò Elijah, si tenne la mano sul
ventre e continuò a proseguire.
Voleva
uccidere il suo nemico, ma era confuso quanto me di fronte a quella
ferita inspiegabile.
Joshua
riafferrò il pugnale. “Non posso ucciderti, ma posso
indebolirti ulteriormente!” annunciò quasi con
entusiasmo. Provò a scattare di nuovo in piedi, ma non gli
permisi di avvicinarsi troppo ad Elijah. Non si era accorto del modo
in cui ero strisciata lungo il muro per prendere la torcia di fuoco
appesa alla parete. Avevo corso più veloce possibile e avevo
usato il manico di legno come paletto: era stato così
avventato che venne lui incontro al mio paletto, lo sentii
infilzargli la carne del petto.
La
sua bocca si aprì in un grido e pian piano la pelle del suo
volto divenne grigia, spenta come la morte. Alzò un'ultima
volta lo sguardo su di me, quando lasciai cadere il paletto lo vidi
accasciarsi a terra privo di vita.
Osservai
il suo corpo a lungo, mentre i miei pesanti respiri riempivano l'aria
attorno a noi, spegnendo il terribile silenzio che si era appena
creato dopo quel grido.
Mi
voltai verso Elijah, il suo volto racchiudeva tutto il dolore che
doveva provare, mentre la sua mano giaceva ancora sulla macchia rossa
che gli aveva bagnato il ventre.
“Irina..”
sussurrò debolmente.
E
prima che potessi accorgermene, cadde a terra privo di sensi.
Ciao
a tutti! :)
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito io non ne
sono molto convinta. Negli ultimi tre capitoli ho cercato di
introdurre i due nemici principali della storia, senza
lasciar trapelare né troppo poco, né molto.
Spero di esserci riuscita bene e di non avervi, in realtà,
solo confuso.
Quindi,
ci sono due personaggi che tramano nell'ombra e che hanno
due obiettivi diversi: uno Klaus, l'altro Irina. Nei
prossimi capitoli ci saranno altri chiarimenti su entrambe
queste figure e pian piano verranno rivelati anche altri
elementi riguardanti la protagonista.
A
parte tutto, spero che nel complesso la storia stia
continuando a piacervi!
Ci
tenevo a ringraziare:
Elyforgotten
Missgabriella
Sporpellina
Briony96
Katherine
Esmeralda91
per
regalarmi sempre le loro splendide recensioni!
E
ringrazio ancora di cuore chi ha inserito la mia storia tra
le preferite, le seguite e le ricordate e ai lettori
silenziosi! :D
Ciao
:)
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Capitolo 11 *** Meds ***
Spalancai
la porta della camera di Elijah con un calcio.
Lui
era ancora debole, respirava a fatica ma trovava lo stesso la forza
di ordinarmi di lasciarlo camminare da solo. Peccato che, per come
era stranamente ridotto da Joshua, non sarebbe riuscito a fare
nemmeno un passo usando le proprie forze.
Erano
diversi minuti che camminavamo, la festa era ancora in corso perciò
nessuno si accorse di noi due, quasi moribondi, che vagavamo nei
corridoi scuri alla ricerca della stanza. Ci capitò solo di
incrociare una coppia, ma erano talmente ubriachi ed era talmente
buio, che non si accorsero del sangue sui nostri vestiti.
“Lascia,
faccio da solo.” disse orgogliosamente Elijah, rifiutandosi di
ricevere ulteriore aiuto da me. Lo osservai mentre andava a sedersi
sul bordo del suo letto e rimasi immobile sulla soglia della porta.
Grazie alle luci delle candele, notai come il suo viso era diventato
pallido e sudato.
La
ferita non lo avrebbe ucciso, ma lo aveva parecchio provato quella
notte.
“Torna...torna
pure in camera tua. Domani starò meglio.” mi disse,
osservandosi la macchia rossa che bagnava la sua maglia bianca.
Parlava freddamente, probabilmente si sentiva ferito nell'orgoglio
per essere stato colpito da un vampiro qualsiasi come Joshua.
Perchè
io lo avevo distratto e il che mi fece sentire terribilmente in
colpa.
Oppure,
Elijah era semplicemente nervoso perchè aveva capito chi
realmente si nascondeva dietro gli omicidi di quelle ragazze. Micah
era la pedina di Bell, Joshua lo era di qualcun altro davvero
pericoloso per Klaus.
E
io ci ero finita in mezzo, solo perchè Klaus aveva finto di
essere carino con me.
Quando
si accorse che stavo ancora là a fissarlo immobile, Elijah
alzò lo sguardo su di me. “Irina, non ho bisogno che tu
vegli su di me. Vai in camera e riposati.” disse, ma era ancora
glaciale nel modo in cui parlava.
Non
mi andava di lasciarlo solo. Anche se avevo la certezza che non
sarebbe morto, avevo comunque paura di perderlo.
In
un modo o in un altro.
Per
dargli una risposta, mi chiusi la porta alle spalle e mi avvicinai
rapidamente al letto.
Elijah
mi seguì con lo sguardo, mentre mi chinavo davanti a lui.
Iniziai
lentamente a sfilargli gli scarponi dai piedi. Se lo avesse fatto lui
da solo, probabilmente si sarebbe fatto parecchio male data la
posizione della ferita.
Quel
mio gesto lo lasciò per un attimo interdetto.
“Irina,
smettila.” mi disse. “Non devi farlo, ci riesco anche da
solo.”
Gli
feci segno di stare zitto, mentre posavo gli scarponi accanto al
letto. Lo feci sorridere a causa della mia tenacia, almeno ero
riuscita a strappargli per un istante quella maschera di dolore dal
viso. Nonostante avessi mille domande irrisolte nella testa, a cui se
n'era aggiunte altre dopo l'attacco di Joshua, misi a tacere la mente
per concentrarmi solo su di lui.
Osservai
la pozzanghera rossa che macchiava la sua maglia bianca, pensai che
forse avrei potuto contribuire alla guarigione, già di per sé
veloce, usando le poche tecniche mediche che conoscevo. Avevo delle
erbe in camera, che sarebbero potute servirmi per aiutarlo.
Forse
era inutile quello che stavo per fare, ma tentare non avrebbe
nuociuto a nessuno.
Elijah
mi osservò attentamente, mentre riflettevo. Teneva le mani
affondate nel materasso e la testa piegata da un lato, sembrava che
stesse osservando la ferita sul mio collo.
“E
ora dove ti ha detto di andare quella testa vuota?” mi chiese.
Quando
mi vide alzarmi di scatto, mi limitai solo a fargli un gesto veloce
per dirgli che non doveva muoversi. Mi avvicinai velocemente alla
porta, allungai il braccio per afferrare il pomello e la spalancai
troppo rapidamente, per impedire al mio corpo di non ricordarmi che
ero gravemente ferita.
Malgrado
non volessi perdermi d'animo, fui costretta almeno un secondo a
posare la mano sullo stipite della porta e chiudere gli occhi. Presi
fiato, la ferita sul collo continuava a sanguinare e pulsava in una
maniera a dir poco insopportabile.
Restai
troppo a lungo a cercare di riprendermi, ad Elijah bastò per
accorgersi che qualcosa non quadrava.
“Tutto
bene?” mi chiese, la sua voce era troppo vicina. Doveva essersi
mosso con la sua velocità da vampiro per potermi raggiungere,
sentì la sua mano posarsi sulla mia schiena, come a dire che
mi avrebbe sorretto in caso il mio corpo non ce l'avesse fatta.
Annuì,
in quel momento eravamo deboli quasi allo stesso modo, cosa che
speravo e dubitavo sarebbe di nuovo accaduta, e io volevo essergli di
aiuto. Ero fuggita via e lo avevo fatto ferire solo perchè ero
stata una stupida. Dovevo ripagarlo in qualche modo.
“Sono
un vampiro, Irina. So cavarmela da solo, dovresti preoccuparti più
della tua ferita.” disse, quasi sussurrando. “Le mie sono
nulla a confronto.”
Gli
lanciai un'occhiata veloce, non riuscivo a vedere bene il suo viso
per via dell'oscurità che ci circondava, ma immaginavo il suo
sguardo rivolto verso il mio collo sanguinante.
Gli
feci di nuovo segno di attendermi là e raggiunsi velocemente
camera mia,. Katerina non era ancora rientrata, doveva essere ancora
in sala a festeggiare, alla faccia della delusione che le avevo
procurato. Anche se era sempre il centro dei miei pensieri, non
potevo perdermi in dispiaceri che avrei potuto risolvere il mattino
successivo. Frugai velocemente nell'armadio e trovai ciò che
cercavo, tenevo le piante e le erbe in una cesta, in modo che avrei
potuto prenderle subito, senza andare ogni volta in giardino a
raccoglierle. Presi anche delle bende e un abito pulito, il più
semplice che mi capitò a tiro, in modo che potessi cambiarmi
appena tornata da Elijah.
Avevo
predetto di rimanergli accanto, ma non potevo farlo con tutto quel
sangue che bagnava la mia pelle. Gli avrei fatto solo più
male, inducendolo magari in tentazione.
Tornai
velocemente in camera di Elijah, sperando che il corpo continuasse a
non cedere al forte dolore che provavo.
Lo
trovai ancora seduto sul bordo del letto, le fiamma delle candele sul
comodino illuminava la sua espressione poco convinta. Sapevo che
doveva essere fastidioso per lui ricevere aiuto da una fastidiosa
umana come me, ma dopo quello che aveva fatto per me, doveva
limitarsi ad accettare il mio aiuto senza fare storie.
“Cosa
vuoi fare adesso?” mi chiese, guardandomi mentre riponevo delle
ciotole, un panno e delle erbe sul comodino. Lo ignorai, tornai a
chiudere la porta che avevo lasciato aperta dietro di me e presi il
secchio d'acqua che avevo visto vicino alla finestra.
Tornai
a chinarmi di fronte a lui e iniziai a schiacciare diverse erbe
dentro una ciotola.
“Ma
tu lo sai che cosa sono o ti è sfuggito qualcosa?” mi
chiese divertito.
Alzai
le spalle, fissando la ciotola tra le mie mani. Una semplice arma lo
aveva ferito, forse una semplice conoscenza in erboristeria avrebbe
potuto aiutarlo a guarire più velocemente.
Elijah
sospirò, volse la testa da un lato e guardò fuori dalla
finestra. “Sono un originale, guariamo più in fretta dei
vampiri normali.” ci tenne di nuovo a sottolineare.
Allora
sarebbe guarito ancora più in fretta.
Elijah
scoccò la lingua, quando si arrese al fatto che ormai avevo
iniziato una cosa e l'avrei portata a termine. L'impasto era pronto,
non sapevo nemmeno se era venuto bene ma bastava solo spargerlo sopra
la ferita per verificarlo.
“Devo...togliermi
la maglia?”
Mi
ero dimenticata di quel piccolo ma imbarazzante dettaglio. Elijah mi
guardò a lungo, studiando la mia espressione. Il fatto che
potesse vedere il rossore sulle mia guance, mi fece tornare subito in
me.
Annuì,
ma lui sembrava stranamente imbarazzato quanto me per quello che
stava per succedere. Si tolse lentamente la maglietta, il sangue
l'aveva praticamente attaccata alla pelle e lui si lasciò
andare ad un verso di dolore quando la separò da essa. Posò
lo sguardo sul soffitto e serrò le labbra, per non cedere di
nuovo al dolore.
Deglutì,
forse non era il momento giusto per lasciarsi andare a pensieri del
genere, ma quando osservai la fiamma della candela riflettersi sulla
pelle di marmo di Elijah, mi mancò il respiro.
La
parola perfezione non bastava a descriverlo: la pelle era liscia e
chiara proprio come quella di una statua. Se non avesse parlato,
avrei davvero creduto che fosse stato creato davvero dalla mano di
uno scultore: uno scultore divino.
Elijah
mi guardò, dovette fraintendere il mio sguardo che vagava sul
suo petto.
“Scusa
per il sangue, immagino ti faccia impressione...” mi disse,
riportandomi alla realtà.
Alzai
lo sguardo sui suoi occhi, ero così persa che non mi ero
nemmeno accorta di quel liquido denso sulla sua pelle.
Scossi
la testa, trovando un po' di contegno rimasto nascosto dietro il mio
evidente imbarazzo.
Iniziai
a spalmare il contenuto appiccicoso della ciotola sulla ferita, lo
feci con delicatezza per non fargli male. Elijah seguì i
movimenti della mia mano, con curiosità.
“Anche
se sappiamo entrambi che questo esperimento è un po'
inutile...” disse ad un certo punto. “Ti ringrazio.”
Mi
sorrise, un attimo solo necessario per deconcentrarmi. Ricambiai, ma
continuai passare la mia mano sulla sua ferita. Restammo così
per diversi minuti, non mi accorsi che lo sguardo di Elijah si era
spostato dal mio viso alla zona insanguinata sul mio collo. Mi scostò
i capelli da un lato per osservarla meglio, istintivamente piegai la
testa dal lato opposto, come per evitare il suo tocco freddo. Lo
facevo per pura vergogna, non perchè avessi paura di lui.
“Bastardo...”
sussurrò rabbiosamente, mentre quelle pozzanghere nere
ispezionavano lentamente il risultato del mostro di Joshua.
Le
sue dita sfiorarono delicatamente la ferita, facendomi sobbalzare. Il
suo tocco non era freddo come lo ricordavo, o meglio lo era ma allo
stesso tempo trasmetteva un'ondata di calore inimmaginabile. Una cosa
che riusciva ad alleviare un attimo il dolore.
Continuai
a massaggiare la ferita e tenevo la testa ancora piegata sotto la
mano di Elijah,
Quando
sentì di nuovo il suo viso avvicinarsi al mio. Quella volta
fui certa che non voleva baciarmi, il suo respiro soffiò sul
sangue che macchiava il mio collo. Sembrava che lo stesse annusando,
come se la tentazione di assaggiarlo fosse troppo forte, persino per
un uomo controllato come lui. Era la mia reazione quella che mi
stupì, rimasi immobile e quasi aspettavo che lui mi mordesse.
Potevo immaginare il suo bisogno di sangue in quel momento e visto
che mi aveva salvato per ben due volte, dovevo considerarmi in debito
con lui.
Gli
avrei ceduto il mio sangue se necessario.
Con
uno scatto veloce, lui si ritrasse indietro e chiuse gli occhi, come
per allontanare un pensiero che considerava immorale dalla sua mente.
“Il
pensiero che anche io potrei farti una cosa simile, mi manda fuori di
testa.” disse scuotendo la testa.
Nel
frattempo avevo ripreso a respirare, ritrovai velocemente la
concentrazione necessaria per occuparmi della ferita che giaceva sul
corpo di Elijah. Si stava già rimarginando, mi sembrava di
sentirlo sotto la mia mano, macchiata di sangue e di quell'intruglio
verde e grumoso che avevo creato. Sentivo i suoi occhi ancora sulla
mia ferita, immaginai i pensieri di odio che gli attraversavano la
mente in quel momento.
“Ora
può bastare, è della tua ferita che bisogna occuparsi.”
esclamò ad un certo punto lui, cingendomi delicatamente i
polsi. La sua delicatezza però era unita ad un espressione
dura che non riuscivo a tradurre. Era arrabbiato con me o era
semplicemente molto provato fisicamente? Feci un cenno di assenso con
la testa e mi alzai in piedi, con movimenti lenti e decisi, rimisi in
ordine tutto il materiale che avevo usato per la medicazione. Elijah
si stava rivestendo e nel frattempo mi implorava di lasciare tutto
come stava e che se ne sarebbe occupato lui stesso l'indomani. Ma lo
ignorai, continuai a mettere a posto i vari oggetti e solo dopo
studiai la macchia rossa sul mio collo. Ogni volta che lo muovevo, la
sentivo bruciare.
Quel
liquido rosso e denso aveva smesso di uscire, ma circondava quei due
puntini rossi in una stretta letale che provocava un immenso dolore.
“Se
ti do il mio sangue, potrebbe guarire più in fretta.”
disse Elijah, lo sentì avvicinarsi alle mie spalle e tese il
polso di fronte a me. Guardai il suo riflesso sullo specchio, i suoi
occhi erano fissi sul mio viso mentre avvicinava l'altra mano alla
sua pelle.
Quando
capì che voleva ferirsi, in modo che prendessi in suo sangue,
lo fermai, posandogli la mano sul braccio.
Il
motivo non era solo perchè il pensiero di bere sangue mi
terrorizzava, ma anche perchè io non volevo che lui mi donasse
il suo di sangue. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, era
davvero troppo.
La
ferita sarebbe guarita prima o poi, avevo solo bisogno di lavare via
il sangue e cambiarmi l'abito. Una leggera striscia rossa verticale
scendeva sotto il collo, fino ad arrivare a metà della gonna.
Joshua aveva fatto davvero un lavoro con i fiocchi.
“Irina,
devi prenderlo. So che non è una cosa gradevole, ma berlo ti
farà guarire la ferita rapidamente!” insistette lui.
Con
ostinazione, continuai a rifiutarlo. Sentivo la stanchezza che stava
impadronendosi di me.
Se
avessi chiuso le palpebre per un secondo di più, probabilmente
sarei caduta a terra, addormentata.
Capendo
che non avrei accettato, allora prese una delle pezze che mi ero
portata in camera: restando in piedi dietro di me, lo bagnò
con un po' dell'acqua che avevo usato per lavare il suo sangue e
iniziò ad asciugare la ferita. C'era qualcosa di stranamente
sensuale nel modo di muovere le sue mani, pulì via il sangue
con fermezza e grazia allo stesso tempo.
Quando
terminò, era rimasto solo un leggera sfumatura di rosso sulla
pelle e due puntini rossi. Ci mise sopra una benda, in modo che i due
puntini non fossero visibili.
“Ora,
ascoltami, torna in camera e riposati. Dopo quello che hai passato,
non ti puoi permettere di farmi pure da infermiera..” disse.
Elijah vide che il mio sguardo ormai stava crollando di fronte alla
stanchezza che mi stava consumando le forze.
Ma
dovevo resistere e far capire ad Elijah che io non lo avrei
abbandonato.
Vampiro
o no, sarei rimasta con lui.
Mi
allontanai dal suo corpo e, con suo stupore, mi sedetti sulla
poltrona di fronte al suo letto. Forse si aspettava che sarei corsa
filata in camera mia e mi sarei messa sotto le coperte? Peccato che
non potesse leggermi nella mente. Quel pensiero era lontanissimo anni
luce dalla mia mente.
Le
labbra di Elijah si allargarono in un sorriso nervoso, quando mi vide
prendere una coperta da sotto la poltrona e portarmela sulle gambe.
“Vuoi
scherzare spero? Hai davvero intenzione di dormire qui?” mi
chiese.
Risposi
con una scrollata di spalle. A meno che non mi avesse fatto spostare
con la forza, io sarei rimasta inchiodata su quella poltrona.
Non
capì però, che ad Elijah non dava fastidio il fatto che
rimanessi lì la notte. Era ben altro.
“Tanto
non riuscirò a convincerti ad andare in camera...”
disse, facendo diversi passi, molto lenti a causa della ferita, verso
di me. Osservai il sorriso che brillava sul suo viso e lo vidi
indicarmi il letto. “Allora dormi tu sul letto e lascia a me la
poltrona...”
Non
ne avevo la minima intenzione, aveva lui la ferita più grave,
non io. E quindi era lui quello che doveva dormire sul suo letto.
Scossi la testa, probabilmente avremmo continuato a discutere per
tutta la notte se la nostra ostinazione e il nostro orgoglio
continuavano ad andare di pari passo.
Sospirai,
l'aveva di nuovo vinta lui. Mi alzai dalla poltrona e lo seguì
con lo sguardo mentre occupava il mio posto. Indicò il letto,
quasi come se mi stesse sfidando e mi arresi.
Mi
accomodai sul materasso, sinceramente mi imbarazzava persino dormire
di fronte ad un uomo ma se volevo rimanergli accanto, dovevo superare
quella mia infantile vergogna.
Il
letto di Elijah era morbidissimo, sentivo il suo profumo impresso
nelle federe del cuscino e sulla coperta che mi stavo portando alle
spalle per coprirmi. Non avevo il coraggio di guardare se Elijah
riuscisse a vedermi, mentre inalavo il suo odore per riuscire a
prendere sonno.
Cosa
che successe quasi subito, ero così stanca che gli occhi si
chiusero senza che me ne accorgessi. Mi parve di sentire la voce di
Elijah attraversare lentamente l'inizio dei miei sogni: mi stava
augurando la buona notte.
Fu
il sole a svegliarmi.
La
finestra non era al lato del nostro letto, improvvisamente era sopra
la mia testa e la sua luce penetrava attraverso il vetro,
investendomi gli occhi. Mi portai una mano sopra di essi e guardai il
sole brillarmi sul volto, come per augurarmi il buongiorno. Sempre se
di buon giorno si poteva trattare, i ricordi della notte precedente
mi riempirono di nuovo la testa.
Rimpiansi
i primi cinque secondi del mio risveglio, quando la mia mente era
ancora assopita dal sonno per ricordare quanto la mia vita fosse
cambiata.
Ci
misi un po' persino per ricordarmi che ero nella camera di Elijah.
Mi
misi rapidamente a sedere quando mi parve di non sentire la sua
presenza nella camera.
E
infatti, lui non stava dormendo sulla poltrona come lo avevo visto
l'ultima volta.
Ma
dov'era andato? I miei pensieri si arrestarono per qualche secondo,
mentre il mio sguardo vagava verso le pareti che mi circondavano. La
sera prima ero così stanca ed era così buio, che non mi
ero accorta di quanto fosse bella la stanza di Elijah.
Alla
mia sinistra c'era uno scrittoio, su cui erano stati posati in ordine
diversi fogli. Su diversi angoli delle pareti, c'erano dei quadri,
alcuni erano dei ritratti di persone che non riuscivo a riconoscere e
altri invece rappresentava dei bellissimi paesaggi naturali su cui,
se il mio occhio ci si fosse soffermato troppo a lungo, avrei potuto
catapultarmici dentro, come se fossero reali.
Mi
alzai di scatto, quando mi ricordai che avevo indosso ancora gli
l'abito sporco di sangue. Mi svestì velocemente e indossai
quello che avevo portato in camera la notte prima, sperando che in
quel momento Elijah non tornasse. Intanto, osservavo le lenzuola del
suo letto per assicurarmi che fossero rimaste immacolate come le
avevo trovate.
Appena
terminai, appallottolai l'abito e lo posai a terra, in un angolo
nascosto.
Mi
ricordai di aver lasciato sul comodino il materiale con cui avevo
curato Elijah, ma quelli sembravano scomparsi.
Mi
guardai di nuovo attorno e notai l'immensa libreria che occupava la
parete destra della stanza. Era un mobile scuro, color dell'ebano,
con diversi scaffali tutti occupati da libri, all'apparenza antichi.
Corsi a vederne qualcuno, avevano un profumo di antichità e di
epoche passate, che mi avvolsero completamente, con la mente e con il
corpo. Ne presi uno e lo sfogliai, non volevo leggerlo ma solo
sentire quelle pagine ingiallite che mi sfioravano le dita mentre
compievo quel gesto. La camera di Elijah sembrava un paradiso per chi
come me, si era innamorato della lettura.
La
porta che si spalancava, mi riportò di nuovo alla realtà.
La realtà in cui avevo una benda attorno al collo e in cui
avevo rischiato la vita due volte nel giro di una settimana.
Il
viso di Elijah fece capolino nella stanza, non mi aveva vista più
sul letto e perciò aveva lasciato scorrere gli occhi
preoccupati lungo le pareti. Quando mi vide acquattata a terra, con
in mano un libro, sorrise tranquillamente.
“Buongiorno.”
mi disse, chiudendosi la porta alle spalle.
In
mano aveva una tazza di quello che mi parve latte fumante, si sedette
a terra di fronte a me e me la porse gentilmente. Sembrava essersi
completamente ripreso dal colpo della scorsa notte, il suo viso era
rilassato e non aveva alcuna traccia di dolore.
Beati
loro, i vampiri, che guarivano così in fretta. A me la ferita
ancora pulsava.
Soffiai
sul latte, per allontanare quella scia di fumo che proveniva da esso
e che mi investiva la pelle. Io ed Elijah restammo in silenzio a
lungo, nessuno sembrava voler parlare di quello che era accaduto la
notte prima. Volevano solo goderci il silenzio in pace, come due
persone normali.
Ma
quella quiete non poteva durare a lungo purtroppo.
“Sono
andato a recuperare il corpo di Joshua. Non che meritasse una degna
sepoltura ma...si trova sotto terra nella foresta.” disse,
guardando fisso di fronte a sé. “Ma non ho trovato il
pugnale con cui mi ha colpito...”
A
quello rimediai io. Lo presi da sotto la gonna del vestito sporco,
dove lo avevo tenuto nascosto per tutto quel tempo, e glielo porsi.
Lo avevo recuperato prima di soccorrerlo, avevo immaginato che lo
avrebbe voluto.
Era
un pugnale dalla lama e dal manico neri, sembrava fatto con le mani
della morte.
Elijah
lo studiò per diversi secondi. “Chissà che
diavoleria ha usato chi ha creato questo pugnale...” disse in
un sospiro. “Ma se non può uccidere un originale, vuol
dire che lui non è ancora davvero pronto...”
Lo
guardai confusa, ricordavo nel suo breve scambio di battute con
Joshua, la frase in cui aveva detto che non era stato Klaus a
rovinargli l'esistenza, ma qualcun altro.
Qualcuno
che probabilmente aveva soggiogato Joshua al fine di compiere quei
terribili omicidi.
Prima
che potessi chiedergli qualcosa al riguardo, Elijah allungò il
pugnale verso di me.
“Tienilo
tu.” mi disse.
Guardai
la lama posta tra di noi, alzai lo sguardo su Elijah e sospettai che
il motivo per cui me lo volesse cedere, non era solo per proteggermi
dagli altri vampiri. Scommetto che si era automaticamente incluso
nella lista di persone su cui avrei potuto usarlo. Ricordavo ancora
il modo in cui avevo percepito il suo desiderio del mio sangue la
notte prima, non mi aveva spaventato sentire il suo respiro così
vicino, ma doveva aver spaventato lui.
Lasciai
la tazza sul pavimento e presi con titubanza il manico del pugnale.
Lo
avvicinai a me: mi accorsi che quella lama era ancora sporca del
sangue di Elijah e per questo, non riuscivo a guardarla. Lui mi
suggerì di tenerla nascosta sotto la gonna come avevo fatto in
precedenza.
“Voglio
che la tenga tu...perchè temo che questa storia non sia finita
con Joshua.” mi spiegò Elijah, come se avesse percepito
quali pensieri mi avessero attraversato la testa quando aveva
allungato il pugnale verso di me. “Anzi, sono sicuro che non
sia ancora finita...”
Uno
strano brivido si percepì nella sua voce. Lo guardai
attentamente, mentre teneva lo sguardo fisso su un punto davanti a
sé.
Strisciai
più vicino a lui e piegai la testa verso il suo viso, per
attirare la sua attenzione. La cosa bella che vivevo con Elijah, era
che lui mi capiva subito e con un semplice sguardo.
Sospirò
e mi lanciò una lunga occhiata. “Quanto ti piace
ascoltare da uno a dieci?” mi chiese. “Micah deve averti
raccontato molto di noi, ma non abbastanza. Parliamo di una decina e
più di vite almeno...”
Mi
ero dimenticata che quegli occhi scuri si erano aperti su ben cinque
secoli di epoche, cambiamenti e nuove realtà. Ma c'era
qualcosa in quello sguardo che mi faceva pensare non avesse visto
solo cose positive. Non me ne stupì, l'umanità non si
avvicinava nemmeno lontanamente ad un paradiso in cui chiunque
avrebbe voluto vivere.
Essere
immortali forse, non era propriamente una cosa meravigliosa.
Vedendo
il mio sguardo titubante, Elijah prese una decisione. Probabilmente
quella di non dirmi nulla che non fosse importante.
“Io
penso di sapere chi si nasconda dietro il soggiogamento di Joshua.”
disse, volgendo lo sguardo verso di me.
Il
nero dei suoi occhi nascondeva qualcosa, una paura dovuta
probabilmente a secoli di fughe e dolori. Ero tentata da toccargli
quegli zigomi perfetti, ma l'imbarazzo di essere inappropriata mi
fermò.
Volevo
solo sapere chi voleva fare del male a Klaus e di conseguenza ad
Elijah e Rebekah. Ne avevo uno anche io sembrava, perciò come
avevo condiviso io le mie paure con lui, Elijah avrebbe potuto fare
lo stesso.
Abbassò
gli occhi, mi resi conto solo allora che forse stavo chiedendogli
troppo.
“Mikael
.” pronunciò quel nome non con terrore, ma con
diverse emozioni miste e tutte contornate da quello che mi sembrava
essere rispetto. “C'è sicuramente lui dietro tutta
questa storia....”
Improvvisamente
trovai quel nome familiare, probabilmente lo avevo letto nel libro
che mi aveva preso Rebekah ma non riuscivo a ricollegarlo nella
mente. Doveva essere un originale però, visto che era capace
di manipolare le menti degli stessi membri della sua specie.
Forse
un fratello?
O
magari il padre.
Mi
sembrò di ricollegare tutti i tasselli mancanti nella mia
mente: Klaus non aveva buoni rapporti con suo padre, anzi mi era
sempre parso di capire che il suo fosse peggiore del mio.
Talmente
peggiore da volere il figlio morto.
Ma
per quale motivo? Cosa poteva avere di così sbagliato un
figlio da dargli la caccia per secoli?
“Quella
faccia pensierosa mi preoccupa.” disse Elijah, mi resi conto
che stavo fissando il vuoto, con occhi sgranati da troppo tempo. Lui
sorrise, almeno la mia banalità gli poteva servire per sviare
i cattivi pensieri, anche se solo per un secondo.
“Mikael
era nostro padre. Sai che non è stato un padre modello,
sopratutto per Klaus...” disse. Ricordai gli occhi di Klaus
quando mi aveva detto di suo padre, cancellai subito l'immagine che
avevo di lui e mi tornò davanti agli occhi il disegno del suo
viso sorridente. Magari Klaus non era propriamente cattivo come
pensavo: o meglio, lo era, ma non per sua natura.
Magari
aveva solo bisogno di qualcuno che lo comprendesse.
E
io non lo avevo mai compreso, per colpa della mia ingenua paura.
Cambiai idea in un semplice secondo su di lui, cosa che raramente mi
capitava con altre persone.
“Mikael
lo ha sempre messo alla prova, fin da subito. Lo ha fatto sempre
sentire inferiore rispetto a ciò che era, non gli ha fatto
conoscere un'infanzia e nemmeno un'adolescenza.” Elijah si
bloccò, quando si accorse che qualcosa era mutato nel mio
sguardo.
Era
solo che mi sembrava di risentire la mia storia, ma solo con altri
protagonisti e un finale ancora peggiore. Mi strinsi le ginocchia al
petto e gli pregai di continuare, anche se ogni parola mi sembrava
una pugnalata al cuore.
Lui
non lo fece subito, mise probabilmente da parte alcuni ricordi,
probabilmente per salvaguardare Klaus o il suo stesso padre. Potevo
immaginare il suo dolore nel ricordare l'odio di Mikael, anche
se era riverso su un altro figlio.
“Lui
impazzì quando scoprì che mia madre gli fu stata una
volta infedele.” continuò. “Solo che da questa
unica volta nacque Klaus.”
Sapere
quella cosa fu un colpo di scena per me, non mi sarei mai aspettata
che Klaus fosse nato da un adulterio. Ma questo non cambiava le cose,
nessuno meritava di avere un padre, oltretutto un estraneo, come quel
Mikael.
Il
mio in confronto sembrava un santo.
Ma
solo per questo gli dava la caccia da secoli? Perchè non era
suo figlio? Avevo intuito che tutto, quando si è vampiri, si
amplifica. Ma arrivare a certi livelli d'odio, mi sembrava assurdo.
“Uccise
nostra madre per vendetta..le strappò il cuore dal petto come
se fosse un animale.” Elijah pronunciò quelle ultime
parole quasi ringhiando, il cuore prese a battermi all'impazzata di
fronte al dolore che deformava il suo viso. “Poi cercò
di uccidere Klaus. Io e Rebekah paghiamo da secoli il fatto che
abbiamo scelto di rimanere accanto a nostro fratello. Always and
forever.”
Solo
le ultime due parole furono pronunciate con una profonda dolcezza,
come se appartenessero ad un'antica promessa che i tre fratelli si
erano fatti di fronte all'eternità che li aspettava.
Restò
in silenzio, lasciai la che sua mente vagasse verso antichi ricordi
di quella che doveva essere stata la sua vera vita: quella da
umano, con i suoi fratelli e con i suoi genitori.
Sempre
se Mikael era ancora visto come un padre, mi sembrava solo un mostro.
Elijah
tornò indietro dai suoi ricordi. “Non dirlo a Klaus, non
voglio allarmarlo senza avere delle prove certe.” mi pregò.
“Ci penserò io a trovare chi altri è coinvolto in
questa storia.”
Gli
feci segno che avevo la bocca cucita, cosa in effetti molto vera.
Anche se questo Mikael mi spaventava più della figura
di Bell: fintanto che fossi io il centro dell'odio di
qualcuno, avrei potuto accettarlo.
Ma
se si trattava di qualcuno attorno a me, come Katerina,Elijah e
persino Klaus per quanto lo temessi, la cosa mi mandava fuori di
testa.
Io
potevo essere protetta, ma non potevo proteggere nessuno. Era
deprimente.
“Ora
posso farti una domanda?” mi chiese Elijah, la sua espressione
era davvero seria. Priva del dolore che l'aveva marcata poco prima,
ma più decisa.
Annuì,
poteva chiedermi tutto quello che voleva.
“Perchè
sei immune al nostro potere di soggiogamento? Non voglio spaventarti,
ma non esiste essere al mondo che possa sfuggire ad un simile
controllo...” disse lui.
Quella
domanda era una delle principali cause per cui mi sentivo di
impazzire. Non sapevo perchè fossi immune ad un potere così
forte, delle volte pensavo che avessi qualcosa che non andava nel mio
cervello. Ma ero certa di essere normale, nella norma, ma non capivo
perchè tale potere non avesse effetto su di me.
Alzai
le spalle, era una delle tante risposte che cercavo da mesi e che
avevo paura di trovare.
Elijah
non insistette, si accorse subito di come mi ero incupita di fronte a
quelle parole. “E l'uomo che ti cerca? Hai idea di chi sia?”
mi chiese ancora. Lo faceva con calma e gentilezza, sapendo quanto
l'argomento fosse delicato per me.
Scossi
di nuovo la testa, forse avrei dovuto dirgli della morte del corvo e
del papiro che avevo trovato in camera mia, dopo la morte di Micah.
“Klaus
mi ha detto della morte del corvo, quello che doveva essere il
tramite di Micah.” mi disse, il fatto che fosse a conoscenza di
quella storia mi stupì solo in parte: in fondo, lui e Klaus
erano fratelli ed era logico che si raccontassero le cose. “Lasciamo
perdere il modo in cui ti ha coinvolto in tutto questo, a Klaus piace
sempre giocare. Con te poi, sembra quasi provarci ancora più
gusto....ma sai come funziona mio fratello no?”
Veramente
no, sapevo solo che funzionava male. Però quella frase, unita
al mio pensiero, mi fece sorridere.
“Mi
ha detto anche dell'uomo incappucciato, ma non ho capito se è
legato o meno al corvo. Io pensavo che ci fosse Micah là
sotto...ma a quanto pare mi sbagliavo.” continuò Elijah.
Posò la testa sopra la libreria retrostante e alzò lo
sguardo verso il soffitto. “Ho fatto anche delle ricerche su
questo Bell, ma non ho trovato nulla di rilevante e realistico. So
solo che vuole rapirti e questo mi basta per aggiungerlo alla lista
di nemici che abbiamo...”
Mi
morsi il labbro, ogni volta che mi parlava in quel modo sentivo il
sangue fluirmi velocemente verso il viso. Avvampavo sempre come una
stupida, ma non potevo farci nulla.
“Ma
non conoscendo il tuo nemico e conoscendo però il mio,il
nostro... ora mi chiedo chi si nasconde sotto quel cappuccio?
Bell oppure Mikael?” mi guardò, non che
sperasse di trovare in me delle risposte, sembrava solo preoccuparsi
di non avermi spaventata.
Cosa
che era impossibile, vista la sua vicinanza.
Ormai
non avevo più tanta paura, i sospetti erano stati superati e
quando si lottava in due, fianco a fianco, non si aveva nulla da
temere. Sopratutto se l'altro fianco era un uomo come lui.
Quella
sensazione di coraggio svanì subito però.
Ricordai
i momenti in cui avevo visto il corvo in compagnia dell'uomo
incappucciato: avevo sempre dato per scontato che fossero collegati,
ma forse non era così. Avevo sempre pensato che si trattasse
di Micah e invece lo avevo rivisto poco dopo la sua morte.
Ma
se Mikael era così vicino, perchè non fare la prima
mossa? Elijah aveva detto che non aveva ancora l'arma necessaria per
uccidere Klaus e quindi, forse, aspettava solo il momento giusto per
sferrare l'attacco. Intanto si divertiva a cercare di lasciarlo solo,
per farlo soffrite.
Il
tocco della mano di Elijah che si posava sulla mia, mi riportò
alla realtà.
Alzai
lo sguardo su di lui, non mi ero accorta che nel frattempo si era
avvicinato a me.
Mi
si bloccò il respiro quando lo guardai negli occhi.
“Ora
che sappiamo quasi tutto l'uno dell'altra, non dobbiamo più
nasconderci nulla, Irina.” mi disse, quasi sussurrando. “Anche
se...ci sono cose che, purtroppo non posso rivelarti...”
Sembrava
combattuto, come se stesse nascondendo qualcosa non che riguardasse
lui, ma qualcosa che riguardava qualcuno che amava. Ma io non volevo
che lui mi dicesse segreti che riguardavano altre persone, volevo
solo che mi restasse accanto.
E
che non ci fossimo nascosti più nulla l'uno sull'altra.
Ma
come potevo permettere una cosa simile, se io gli nascondevo delle
cose? Decisi che dovevo dirgli del papiro che avevo trovato in camera
mia. Forse lui poteva anche farmi capire cosa rappresentasse.
“Spero
che tu perdonerai se non ti dico altre cose. Sappi solo che sto
cercando di rimediare a tutto..” disse ancora lui.
Non
capivo di cosa stava parlando. Forse mi sbagliavo, ma sembrava quasi
che la persona che stesse proteggendo, e pensai subito a Klaus,
avesse in mente qualcosa di davvero spaventoso.
Ma
forse mi sbagliavo e se lui non voleva dirmelo, io non avrei
insistito.
Istintivamente,
fu una cosa così spontanea che nemmeno me ne resi conto, gli
gettai le braccia al collo e lo strinsi a me. Ci eravamo abbracciati
solo una volta, ma era stato un abbraccio partito di sua volontà,
non mia.
Lui
quella volta mi aveva fatto capire che non ero sola, io volevo
trasmettergli lo stesso messaggio. Lui però restò
immobile, capì il perchè solo quando mi accorsi che il
suo viso era troppo vicino alla benda insanguinata sul mio collo.
Mi
ritrassi imbarazzata, ero stata così impulsiva da non
accorgermene nemmeno.
Lui
mi impedì di allontanarmi di più, mi strinse i polsi
tra le mani e mi guardò fisso negli occhi. Non riuscivo a
capire che cosa stesse pensando in quel momento, la sua mano mi
accarezzò la guancia dolcemente e il suo sguardo tracciava il
mio viso alla ricerca di qualcosa che, forse, solo lui poteva vedere.
Provai l'irrefrenabile desiderio di prendere il suo respiro, era un
pensiero di cui mi vergognai ma che non potevo trattenere.
“Oddio,
che orrore!”
La
voce di Rebekah ci fece sobbalzare, Elijah e io la guardammo mentre
se ne stava sulla soglia della porta con le mani sui fianchi.
Guardava verso l'alto, con un aria di superbia che faceva venire
voglia di prenderla a schiaffi.
“Bekah?
Non si bussa per caso?” le chiese Elijah, con tono di
rimprovero.
“Io
non busso mai fratello.” precisò lei, volgendo lo
sguardo verso di lui. “Sopratutto quando so che devo
interrompere qualcosa.”
E
mi lanciò un sorrisetto maligno a cui risposi alzando gli
occhi al cielo.
“Che
ci fai qui? Cercavi qualcosa?” le chiese Elijah alzandosi in
piedi, mi porse la mano in modo da aiutarmi a fare lo stesso. Lanciai
un'occhiata al mio abito nascosto sotto il letto, probabilmente se ne
sarebbe occupato dopo Elijah. Se Bekah avesse visto pure che mi ero
cambiata di abito, avrei innalzato la sua già notevolmente
alta acidità.
“Sì,
c'è una tipa rossa che ha chiesto della piccola Petrova.”
rispose la bionda, indicandomi con l'indice.
Si
trattava di Rose? Non l'avevo rivista dal giorno del rapimento, mi
chiesi che cosa l'avesse spinta a tornare nella fossa dei leoni, dopo
che Klaus l'aveva minacciata.
“Ho
cercato in camera sua, ma c'era solo Katerina che dormiva. Perciò
quando non l'ho trovata sul letto di Klaus, ho pensato che fosse nel
tuo.” continuò Rebekah.
Elijah
sbuffò stancamente, mentre io divenni rossa come un peperone.
Dovevo ammettere, che Rebekah non aveva tutti i torti a pensare una
cosa simile: avevo passato la notte in camera di Elijah e nessuno
sapeva cosa era successo realmente. E una mente maligna come quella
di Rebekah, poteva solo elaborare scandali al riguardo.
“Bekah,
questo tuo comportamento sprezzante da sui nervi. Come ti sopporta il
tuo francese non lo capisco..” disse Elijah, mentre mi
avvicinavo alla sorella per andare da Rose. Era chiaro che era venuta
lei apposta, perchè voleva accompagnarmi. Forse glielo aveva
ordinato Klaus, per tenermi d'occhio.
“Lui
almeno ha buon gusto a differenza dei miei cari fratelli.”
rispose Rebekah freddamente.
Scossi
la testa sconvolta da tale superbia, quando la bionda si chiuse la
porta alle spalle, io ed Elijah ci lanciammo un ultima lunga
occhiata.
Coprì
la benda che avevo sul collo con i capelli. Il vento non tirava
ancora forte, perciò non li avrebbe spostati da quel punto che
doveva restare nascosto agli occhi della bionda.
Rebekah
avrebbe fatto sicuramente mille domande, senza contare il fatto che
avrebbe potuto pensare che era stato Elijah a farmi una cosa simile
per chissà quale scandaloso motivo. Anche se lei conosceva
bene suo fratello ed ero certa che sapesse non fosse capace di fare
una cosa simile.
Già
la vedevo, mentre camminavamo in silenzio in corridoio, che stava
elaborando le giuste frasi per essere il più pungente
possibile.
“Gli
uomini sono tutti uguali.” disse ad un certo punto, volse la
testa dall'altra parte e i suoi occhi azzurri si posarono sul sole
che splendeva fuori dai cornicioni delle finestre. Era stranamente
più caldo quel giorno, tirava la tipica fresca brezza
mattiniera, ma il calore dei raggi solari sembravano renderla meno
fredda di quanto fosse sempre stata.
“Ci
sono uomini che sono talmente umani in fondo, da non rendersi conto
che l'amore non esiste. Esistono solo dei corpi che si cercano per
non rimanere soli, fino a quando si arriva a preferire di nuovo la
solitudine piuttosto che la monotonia di qualcuno che non riesce più
a lenirla...”
Era
strano sentire quelle parole da lei, l'avevo vista spesso con il suo
ragazzo francese e non mi era parso che lo considerasse solo un
passatempo. Non avevo notato nemmeno un grande amore da parte sua,
però neanche una totale indifferenza.
Quelle
parole non erano dettate da quello che realmente provava, erano solo
il risultato di lunghi secoli visti con gli occhi di qualcuno che
pensava di non poter più ritrovare la luce in ciò che
la circondava.
“Elijah
pagherà di nuovo il fatto di essere infinitamente troppo
buono. Gli fai pena perchè sei piccola, straniera e muta...per
questo si prende così cura di te.” Rebekah si voltò
verso di me, un sorrisetto provocatorio le apparì sulle
labbra. Come al solito mi fece pentire di aver pensato anche solo un
attimo che nascondesse delle emozioni. “Dovrebbe prendere più
esempio da Klaus, e seguire la sua vera natura.”
Delle
volte pensavo che anche lei volesse rivelarmi la sua vera natura. Ora
che sapevo per certo cosa erano, mi accorsi che tutte le sue frasi
racchiudevano la verità su ciò che realmente erano.
Ma
Elijah mi aveva chiesto di non dire a nessuno ciò che sapevo e
per nessuno intendeva i suoi fratelli. Perciò continuai a
recitare la parte della stupida che sembravo essere davvero brava ad
interpretare.
Cercai
di non pensare alle parole della bionda e mi chiesi per quale motivo
Rose fosse venuta a trovarmi alla villa di Klaus. L'ultima volta si
era mostrata così spaventata da lui, che fosse di nuovo stata
coinvolta in uno dei suoi soliti giochetti?
Rebekah
mi posò una mano sul gomito, impedendomi di proseguire. La sua
presa era come al solito ben salda, per trasmettere il concetto che
se avessi provato a liberarmene, non avrebbe esitato a farmi male.
Si
parò davanti a me, posò il suo sguardo privo di
emozioni sul ciondolo che pendeva sul mio collo e poi tornò a
guardarmi. “L'altra volta mi sono dimenticata di dirti una
cosa.” disse.
Presi
un lungo respiro, doveva credere che non ricordasse nulla di quella
conversazione, ma solo l'ordine di indossare di nuovo il ciondolo di
Klaus. O forse mi sbagliavo? Esserne stranamente immune, comportava
anche dei rischi per chi, come me, spesso si dimenticava le cose.
Rimasi
a guardarla, l'espressione di quel demone biondo rimase impassibile
come al solito.
“Il
fatto che ti abbia ridato quel ciondolo non significa che l'abbia
fatto per instaurare una tregua. L'ho fatto solo perchè Klaus
mi ha chiesto di farlo e io non voglio andare contro il suo volere.”
mi disse. “Ma credo che tu l'abbia ormai capito che io non
troverò mai simpatica né te, né tua sorella.”
Rimasi
a sostenere il suo sguardo, cosa a cui lei non si era ancora
abituata. Ma era il mio unico modo per sfidarla, visto che metterle
le mani addosso mi avrebbe portato ad avere qualche osso meno integro
in corpo. E poi, non mi andava di rispondere alla sua violenza con la
mia.
Stavo
sforzandomi di credere che Rebekah agisse così solo perchè
voleva il bene dei suoi fratelli e anche se questo significava
considerarmi un nemico, l'avrei potuto accettare.
Lei
era mossa da emozioni davvero molto forti, non potevo criticarla per
questo.
Anche
io volevo tenere Katerina lontana da Klaus, per quanto iniziassi a
credere che il mio comportamento nei suoi confronti fosse stato in
qualche modo sbagliato.
Eravamo
così simili che non potevo aver paura di lui in quel modo.
Mentre
perlustravo quei pensieri, Rebekah fece un altro passo verso di me.
Il suo viso divenne una maschera minacciosa. “Quello che ho
visto stamattina, non mi è piaciuto.” disse. “Per
quanto Klaus possa aver bisogno della tua incolumità, penso
che stia abusando un po' troppo. E sta coinvolgendo pure Elijah,
l'unico con un po' di sale in zucca nella nostra famiglia.”
Ancora
non capivo perchè Klaus avesse bisogno che io stessi bene,
aveva fatto un discorso simile quando mi aveva salvato da Micah.
Dalle sue parole sembrava che l'esito della mia permanenza in
Inghilterra, gli avrebbe dato una garanzia riguardo quella di
Katerina.
Ma
non avevo mai pensato che il motivo fosse che si era innamorato di
mia sorella. C'era dell'altro a cui non riuscivo proprio ad arrivare.
“Perciò...non
ti chiedo di stare lontana da Elijah, perchè purtroppo ferirei
anche lui visto che sei diventata il suo cucciolo. Ma ti chiedo
almeno di stare alla larga dal suo letto.” mi minacciò
ancora Rebekah.
Presi
un lungo respiro e distolsi lo sguardo, stavo cercando di non odiarla
ma era più forte di me.
Io
proprio non la reggevo più.
Capivo
che mi odiava, per motivi ancora oscuri più o meno e legati
sopratutto a quel ciondolo, ma poteva anche smetterla di vivere per
tormentarmi. Non ricordavo un giorno in cui non avessi sentito una
delle sue battute.
Anzi,
non ricordavo un giorno in cui l'avessi vista in compagnia di qualcun
altro che non fossi io. Eccetto Philippe che era il suo
accompagnatore alle feste.
La
mia mente iniziò a sviluppare il concetto che forse dovevo
scavare dietro quell'odio e arrivare a quello che realmente Rebekah
si portava dentro: dolore e solitudine. Ma non sapevo se ci sarei
riuscita, ero umana e avevo dei limiti anche io purtroppo.
“Ho
bruciato un po' di carta l'altro ieri...” disse ancora lei,
capì allora che parlava del libro sugli Originals. Ma parlava
per doppi sensi perchè era convinta che non ricordassi nulla.
“Non costringermi a dar fuoco anche a un po' di carne.”
Altro
senso nascosto e significato più spaventoso. Deglutì e
mi sforzai di annuire con la testa, tanto che altro avrei potuto fare
per scampare Rebekah senza dar sfogo alla rabbia che mi provocava?
Lei
sorrise. “L'unica cosa che mi piace di te è che stai
zitta.” disse divertita. La sua malignità non aveva
limiti: avevo creduto che lei mi parlasse in quel modo perchè,
nel suo subconscio, voleva rivelarmi la sua vera natura. Il mio era
stato un pensiero stupido, affrettato e anche un po' presuntuoso.
Perchè
Rebekah avrebbe dovuto aprirsi con me? Lei stava solo giocando,
proprio come faceva suo fratello, e se ne approfittava del fatto che
non potessi gridarle addosso.
Mi
diede le spalle e mi fece segno di seguirla, mi stava conducendo da
Rose ed ero certa che avrebbe assistito in maniera ravvicinata al
nostro incontro.
Magari
glielo aveva davvero chiesto Klaus.
Rose
ci stava aspettando seduta su uno scalino di fronte all'entrata, il
vento le scompigliava i lunghi capelli rossi lasciandoli fluttuare
nell'aria come se fossero foglie di un albero. Indossava un abito
azzurro e molto semplice, che però riusciva comunque a
renderla elegantissima.
Anche
se non era ricca, quella ragazza non aveva nulla da invidiare ad una
come Rebekah per esempio.
“Eccola
qua, tizia rossa.” annunciò Rebekah, attirando su di noi
l'attenzione di Rose quando fummo abbastanza vicine. “Se ti
serve per mungere le mucche, te la cediamo volentieri.”
Rose
si alzò in piedi, mentre io alzai gli occhi al cielo
nonostante mi venne da ridere di fronte alla battuta di Rebekah.
Meglio ridere che piangere, mi dicevo. E il suo odio per me dovevo
per forza prenderlo dal lato divertente.
“Ci
vuole forza, costanza e determinazione per lavorare in fattoria, lady
Rebekah.” disse Rose, dopo un attimo di silenzio speso a posare
lo sguardo da me a lei. Notai che in mano aveva un libro che doveva
essere molto antico. Un libro di erboristeria, lo riconobbi subito
dal titolo sulla copertina. “Anche per mungere le mucche.
Perciò, se pensate questo di Irina, vuol dire che le
riconoscete queste tre qualità.”
Rose
le sorrise, il modo in cui la sfidava con quell'educazione, mi lasciò
di stucco. Studiai l'espressione fredda della Klaus in gonnella al
mio fianco e per poco scoppiai a ridere.
Non
si aspettava quel genere di sfida e non l'apprezzava.
“Le
riconosco solo una qualità, rossa. E non la dico per non
essere volgare.” Rebekah si stava trattenendo, forse perchè
sapeva che Rose era ,più o meno, al servizio di Klaus.
“Vi
do cinque minuti, sono impaziente ma aspetterò qui la fine
della vostra conversazione.” concluse la bionda. Fece tre passi
indietro e si strinse le braccia al petto, ci guardò con aria
severa come farebbe un bravo cane da guardia.
“Sta
per passare un minuto.” disse, quando vide che la stavamo
fissando incredule.
Rose
sospirò e tornò a guardarmi. “Ecco il libro che
mi avevi chiesto.” mi disse, allungando quel grande volume
verso di me. Non feci nulla riguardo al fatto che non le avessi mai
chiesto nessun libro, anzi pensavo che non l'avrei mai più
rivista.
“Ciò
che ti interessa è a pagina trentasei. Lì ci sono le
cause inverse della pianta che cercavi.” disse, fece un
cenno con la testa per farmi capire che c'era un messaggio da
decifrare sotto le sue parole. Ma mi bastò guardarla negli
occhi, per capire che stava cercando di fare qualcosa attraverso quel
gesto.
“Sono
passati quattro minuti, ma io non ho voglia di aspettarne un altro.”
disse Rebekah, avvicinandosi a noi a passo rapido. Mi afferrò
per mano e mi tirò a sé. “Scusa tizia rossa, ma
la piccola Petrova deve dormire. Non credo che stanotte lo abbia
fatto, sai?”
Non
ascoltai la sua battutina, guardai Rose con aria interrogativa e lei
mi sorrise.
La
salutai con la mano occupata dal libro, quando Rebekah mi trascinò
via da lei. Guardai la sua figura diventare sempre più
lontana, fino a quando svoltammo l'angolo.
Giungemmo
di fronte alla porta della mia camera, ma la bionda non mi permise di
entrare subito. Mi tolse il libro dalle mani e sfogliò fino ad
arrivare a pagina trentasei. Si aspettava di trovare chissà
che cosa e invece trovò solo elencate le proprietà
della camomilla.
Cosa
che sarebbe potuto davvero esserle utile.
Dopo
pochi secondi, Rebekah fece spallucce. “Forse mi sono sbagliata
stavolta...” disse, anche se ne parve poco convinta. Mi ridiede
il libro e nemmeno mi salutò prima che entrassi in camera.
Mi
chiusi la porta alle spalle lentamente e notai che Katerina stava
ancora dormendo tranquillamente.
Inverse.
Non sapevo come, ma riuscì subito a capire il trucchetto di
Rose: io non le avevo mai chiesto quel libro e non le avevo chiesto
niente riguardo ad una pianta. Perciò lei mi aveva chiesto
praticamente di invertire il numero della pagina che mi aveva
consigliato.
Sfogliai
fino ad arrivare a pagina sessantatré e trovai un piccolo
sacchetto di paglia, appiattito tra le pagine. Al suo interno trovai
un ramoscello di verbena e dei piccoli semi che avrei dovuto
piantare. Sorrisi, non solo perchè Rose mi era amica come
credevo ma anche perchè avevo appena preso per i fondelli
Rebekah. Non potevo non esserne contenta.
Ricordavo
che Katerina aveva sempre desiderato uno dei miei braccialetti. Era
l'unico decente che avevo nel portagioie e mia sorella lo aveva
sempre trovato molto carino.
Non
me lo aveva mai chiesto esplicitamente, perchè sapeva che non
ne avevi molti di gioielli, proprio come lei. Almeno, fino a quando
non giungemmo in Inghilterra.
C'era
una piccola apertura all'interno del ciondolo e ci riuscì a
far passare il ramoscello di verbena senza che lei o chiunque altro
che cercasse di manipolarla potesse accorgersene.
Mi
mossi nella stanza, stando attenta a non svegliare Katerina. Dopo la
discussione della sera prima, pensavo che avesse intenzione di
ignorarmi e non mi andava di affrontare una situazione simile dopo
quello che avevo passato la notte prima.
Posai
il bracciale sulla scrivania e mi avvicinai all'armadio, per
assicurarmi che il foglio di papiro fosse ancora là.
E
infatti era così. Avevo deciso di mostrarlo ad Elijah appena
possibile, non volevo avere più segreti con lui. Avevamo
rischiato davvero molto per via di ciò che ci tenevamo
nascosto e non volevo più correre nessun pericolo che potesse
coinvolgerlo.
E
poi, lui ormai aveva la mia completa fiducia.
“Irina?”
La
voce assonnata di Katerina attirò la mia attenzione. Mi voltai
verso di lei, mia sorella si stava massaggiando lentamente i ricci
castano scuro e teneva lo sguardo rivolto verso di me.
Non
mi sembrava affatto arrabbiata, o forse la luce solare che penetrava
dalla finestra e sembrava dividerci creando una striscia bianca sul
pavimento, mi impediva di vedere bene.
“Dove
sei stata stanotte?” mi domandò poi facendosi seria.
Rimasi
immobile per un attimo, pensando al dà farsi. Non potevo dirle
di essere stata nella camera di Elijah, senza rivelarle poi la
verità.
Avrebbe
pensato chissà cosa fosse successo.
Andai
a sedermi sul letto accanto a lei, studiai il suo volto per cercare
di scorgere i sentimenti che stava provando in quel momento. Ma non
mi pareva affatto arrabbiata, in quel momento era semplicemente
assonnata. Cercai di sviare il discorso, correndo a prendere il
bracciale da sopra la superficie. Glielo misi al polso e lei mi
lasciò fare con aria confusa.
“Irina,
ma perchè...”
Le
feci diversi segni per dirle che mi dispiaceva, per quello che era
successo la sera prima e per dirle che il mio comportamento era
semplicemente la causa di un brutto sogno notturno. Era una scusa
banale, ma non ero riuscita ad elaborarne altre.
Katerina
si guardò il bracciale, le rendeva il polso più fine di
quanto non fosse.
“Mi
stai regalando questo bracciale, perchè pensi che debba essere
arrabbiata con te?” mi chiese.
Annuì,
sperando che il suo orgoglio non venisse fuori proprio in quel
momento e non mi ridesse il bracciale. Ma non lo fece, lo accarezzò
con l'altra mano e sorrise.
“Non
posso accettarlo...” disse, ma si bloccò appena le feci
segno che doveva accettarlo. Katerina mi guardò confusa,
possibile che fosse già passata sopra la discussione della
sera prima?
“Ma
perchè dovrei essere arrabbiata con te?” mi chiese
confusa.
Katerina
non era il tipo che dimenticava le liti che faceva: se le legava al
dito, fino a quando non avesse poi risolto la cosa a modo suo. Con me
era diverso, dopo una semplice chiacchierata potevamo chiarirci, ma
in quel caso Katerina sembrava proprio essersi dimenticata della lite
della sera prima. Era stata una delle peggiori che ricordassi,
possibile che se lo fosse scordata? Il cuore sussultò nel
petto, quando mi parve di capire cos'era successo.
Forse
Katerina si era sfogata con Klaus, riguardo la nostra discussione e
riguardo alla mia proposta di lasciare l'Inghilterra. E lui l'aveva
ammaliata per tranquillizzarla e per farle scordare l'accaduto.
Strinsi i pugni, ero stanca del modo in cui Klaus continuava a
giocare con la mente di mia sorella.
Con
la mia non ci riusciva, ma con quella di Kat purtroppo ci riusciva
eccome. E ne stava abusando.
Ma
perchè desiderava così tanto che restassimo in
Inghilterra? Possibile che fosse davvero innamorato di mia sorella?
Mi chiesi quando sarebbe stato il giorno in cui avrei davvero potuto
capire cosa passava per la mente di quel ragazzo. Le sue azione erano
mosse sempre dai proprio bisogni, eppure c'era una parte di me che
pensava bene di lui. Forse voleva semplicemente farmi far pace con
Katerina? Chiusi le palpebre per un istante e mi lasciai andare ad un
lungo respiro, non potevo permettermi di pensare così di lui.
Avevo
risolto la cosa della mente di Katerina con il bracciale, non avevo
più nulla di cui preoccuparmi.
“Irina?
C'è qualcosa che devi dirmi? Non capisco perchè pensi
che sia arrabbiata con te...”
Non
feci in tempo a risponderle che qualcuno bussò alla nostra
porta. Mi voltai di scatto verso di essa, non poteva essere Rebekah
perchè mi aveva appena torturata con le sue parole. Katerina
non poteva andare alla porta in sottoveste, perciò andai ad
aprire io.
Trattenni
il respiro quando mi ritrovai di fronte Klaus. Lo osservai lasciando
la porta aperta in un solo spiraglio, l'espressione del ragazzo era
seria, ma allo stesso tempo aveva quel sorriso sulle labbra che mi
faceva rabbrividire.
“Buongiorno
Irina.” mi salutò, la sua voce aveva qualcosa di
diverso. Il sorriso non bastava a mascherare il fatto che fosse
arrabbiato, o comunque vicino ad esserlo.
Pensai
che volesse vedere Katerina, lei si era mesa dritta sulla schiena per
tendere l'orecchio al suono della voce di Klaus. Provai a dirgli che
doveva aspettare un po', dato che mia sorella non era pronta per
uscire. Lui mi anticipò, alzando semplicemente la mano.
“Veramente,
sono qui per te.” mi disse. I suoi occhi grigi mi scrutarono a
lungo, c'era qualcosa di diverso in lui che mi faceva rabbrividire.
Mi
voltai verso Katerina che non parve affatto infastidita da quella
proposta, anzi mi faceva segno di andare e di non preoccuparmi.
Magari era stata soggiogata pure per accettare quella proposta.
Guardai Klaus e capì che il rifiuto non era comunque
acconsentito.
Annuì,
mi voltai verso Katerina e la salutai con la mano. Lei mi rispose con
un semplice sorriso.
Quando
fui fuori dalla porta, Klaus fece un passo indietro per farmi
passare.
“Ti
va di andare al lago?” mi chiese.
Katerina
mi aveva raccontato di quel posto magico, Klaus ce la portava sempre
durante le loro lunghe passeggiate.
Come
darle torto riguardo alla bellezza di quel paesaggio da sogno? Il
lago era circondato da alti alberi che si innalzavano verso il cielo,
il vento era calato di nuovo, per fortuna della mia ferita, ma delle
nuvole grigie avevano coperto l'azzurro e la luce del sole. Era un
peccato, perchè l'acqua era così cristallina che ero
sicura sarebbe stata stupenda, vista alla luce del sole.
Io
e Klaus camminavamo fianco a fianco, ci separava una breve distanza a
cui non avevo alcuna intenzione di controbattere. Anche se mi dicevo
che temere Klaus era inutile, visto il modo in cui sembravamo quasi
legati, non riuscivo proprio a trattenere la paura che mi faceva
rabbrividire dentro. I nostri piedi calpestavano le foglie secche che
ricoprivano il terreno, provocando così dei piccoli rumori
simili a sussurri che volevano soffocare il silenzio attorno a noi.
Non
capivo perchè Klaus non parlasse, sembrava così
dannatamente serio che non avevo idea di cosa lo avesse spinto a
portarmi là. Anche se i brividi sulla mia schiena mi dicevano
che c'era qualcosa che non andava.
Lui
si avvicinò a me mente camminavamo, me ne accorsi solo quando
le nostre mani involontariamente si sfiorarono.
“Ti
piace questo posto? Katerina lo adora.” mi chiese.
Mi
voltai verso di lui, avevo ritratto lentamente la mano quando avevo
sentito la sua pelle fredda sulla mia. Lui se n'era accorto, ma non
disse nulla al riguardo.
Feci
un cenno con la testa e voltai lo sguardo verso la vasta distesa
d'acqua accanto a noi. Klaus rimase di nuovo in silenzio, sentivo il
suo sguardo attraversarmi il corpo.
Si
fermò, lo capì da come i suoi passi smisero di intonare
quella strana musichetta che si era creata attorno a noi. Mi arrestai
anche io a pochi passi da lui e lo guardai con aria interrogativa.
Klaus
sorrise, si grattò la guancia e guardò verso il cielo
grigio.
“Irina,
ma mi hai preso per stupido per caso?”
Rabbrividì
e sbarrai lo sguardo di fronte a quelle parole, mi sembrava di avere
davanti la persona che con le labbra scarlatte, rideva della morte di
Micah. Solo che in quell'occasione io ero stata spettatrice, ora ero
invece l'antagonista dei suoi occhi.
“Smettiamola
di giocare. Io so che tu sai.” disse semplicemente. “E ne
sono consapevole da un pezzo. Di rado mi faccio imbrogliare.”
Strinsi
i pugni, desideravo scappare il più lontano possibile in quel
momento ma qualcosa me lo impediva. Forse il suo sguardo tagliente o
forse il fatto che avevo finalmente la possibilità di
affrontare Klaus. Non avevo mai preso in considerazione il fatto che
io desiderassi che quel momento giungesse.
Improvvisamente
non ebbi più paura.
Io
e Klaus eravamo l'una di fronte all'altra, solo il vento sembrava
colmare l'enorme distanza che si era creata tra noi. Ma Klaus osò
sfidare il vento e fece dei passi verso di me.
“Non
capisco perchè...tu stia cercando di scavare in profondità
e farmi seriamente arrabbiare. Non volevo che tu scoprissi questo
lato, ma quasi mi costringi.” disse, era ancora abbastanza
calmo. Mi aspettavo che esplodesse da un momento all'altro in uno
scatto d'ira, com'era solito fare quando qualcosa non andava secondo
i suoi piani.
E i
suoi piani per me erano sfumati da un pezzo. E anche quelli per
Katerina rischiavano di saltare per causa mia.
Ecco
perchè Klaus aveva deciso di smascherarsi di fronte a me. Fu
così vicino, che sentivo quasi il suo respiro sulla pelle, i
suoi occhi mi scrutarono a lungo, alla ricerca di quello per cui
andava matto: la paura.
Ma
non la trovava nel mio volto in quel momento, non provavo alcun tipo
di terrore nei suoi confronti mentre osservavo quei suoi occhi
penetranti.
“Ho
lasciato passare troppe cose, Irina. È ora di smetterla.”
disse ancora. “Ho una pazienza anche io, sai? Saltiamo i
convenevoli in cui io sono il vampiro cattivo e così via...ma
parliamo di te!”
Lo
guardai confusa, sentivo che la rabbia stava per prendere il
sopravvento su di lui. Mi bastò come conferma il suo sorriso
che si spense per lasciare spazio ad una espressione evidentemente
irritata.
“Chi
sei davvero tu? E chi sono i tuoi nemici?” mi chiese con voce
dura, non l'aveva mai usata con me, nemmeno quando era venuto in
camera mia per intimidirmi dopo che avevo scoperto di una delle sue
tresche. “Non esiste persona capace di sfuggire al controllo di
un vampiro, un originale sopratutto. E io ho già troppi nemici
per conto mio, non posso e non voglio nemmeno accollarmi i tuoi.”
Strinsi
i pugni sopra la gonna, con una forza che quasi mi feci male. Klaus
attese un mio cenno, sperava forse che negassi impaurita ma da me
ricevette solo silenzio ed immobilità. Fece un altro passo
verso di me e piegò la testa da un lato. Per un attimo temetti
che avesse visto la ferita sul mio collo, ma i miei capelli giacevano
ancora pesantemente su di essa.
“Io
non sono Elijah. Io non lasciò che certe cose prendano
il sopravvento e non mi faccio ingannare da quegli occhioni
azzurri...” disse, stavolta con un sorrisetto che gli
attraversava le labbra. “Perciò dimmi subito se hai
qualcosa da nascondere, altrimenti potrei diventare davvero, davvero
cattivo.”
Presi
un lungo respiro e strinsi fortemente le labbra tra loro. Non avrei
mai pensato che le minacce di Klaus potessero importunarmi così
tanto, odiavo vedere quegli occhi carichi di sospetto su di me, dopo
tutte le prove a cui mi aveva sottoposto.
Ero
stata ingenua a credere che forse, sotto sotto, Klaus fosse umano e
che ci tenesse a Katerina e anche a me. A lui importava solo di sé
stesso, mia sorella gli serviva solo per qualche scopo che ancora non
riuscivo a cogliere.
E
io ero solo un giocattolino nelle sue mani, con cui si era divertito
per troppo tempo.
Scossi
la testa, per fargli capire che io non sapevo nulla di quello che mi
stava accadendo. Non avevo altro da aggiungere e volevo solo
andarmene da quel luogo paradisiaco che Klaus aveva trasformato
nell'entrata di un inferno.
Gli
diedi le spalle, ma me lo ritrovai davanti. Mi fermai di colpo per
non sfiorare il suo corpo. Alzai la testa per guardarlo in viso e
notai che la sua espressione era ancora più dura.
“Non
so perchè ma non mi fido.” disse in un sussurro. Avanzò
verso di me e io iniziai ad arretrare come se fossi la sua preda, non
avevo paura ma non volevo essere lontanamente sfiorata da lui. “Ho
fatto un po' di ricerche su Bell o su qualcuno che sia capace di
sfuggire al soggiogamento...ma nulla. Siete entrambi estranei
all'infinità di esistenze che ci sono in questo mondo.”
Vedendo
che non davo cenni che potessero insospettirlo, si fermò e io
feci lo stesso. Ero arretrata così tanto che per poco finì
contro uno degli alberi alle mie spalle.
“Non
sai proprio nulla?” mi chiese di nuovo.
Rimasi
immobile, lui sembrò trovare così la conferma a quella
domanda nei miei occhi. Si passò una mano tra i capelli biondi
e distolse lo sguardo.
Klaus
rise, mi aveva messo in trappola con estrema facilità. Tornò
improvvisamente la paura, subito dopo che mi raggiunse la
consapevolezza che accettare una sfida con lui era da pazzi.
Ad
un certo punto, l'espressione di Klaus quasi si addolcì. Ma
durò così poco, che non me ne accorsi nemmeno.
“Allora
cambiamo argomento....perchè hai paura di me ma non di mio
fratello?” mi chiese, la sua voce era forte e chiara,
nonostante una forte folata di vento ci investì in quel
momento. Non capivo cosa gli importava: a lui piaceva far paura,
quello era il suo punto di forza.
“Non
che m'importi il vero motivo, ma sono curioso.” disse ancora.
Un
suo passo avanti, uno mio indietro.
Sembrava
quasi un ballo il nostro, a cui non avevamo spettatori se non solo i
nostri occhi che si fissavano e la natura attorno a noi.
“Mi
sembra di averti dato mille motivi per fidarti di me. Ti ho trattata
sempre bene, ti ho salvato la vita e ti ho dato pure forza,
permettendoti di uccidere uno dei tuoi peggiori incubi. Dove saresti
ora se non ci fossi stato io?” mi chiese, portandosi il conto
sulle dita.
Era
un altro dei suoi giochetti, non credevo che lui avesse fatto quelle
cose per me, ma per il suo solito tornaconto. Se gli importava
qualcosa di me, perchè minacciarmi in quel modo?
“Che
tu lo voglia o no, Iry....” ridacchiò Klaus. “Mi
devi molto e pretendo più rispetto da parte tua. Sono pur
sempre un originale.”
Mi
morsi il labbro fino a farmi quasi male, mai come allora avrei voluto
colpirlo con uno schiaffo. La sua risata non era reale, era solo la
rappresentazione della sua mostruosità, ritratta su quelle
labbra.
Ad
un certo punto, mi spinse contro l'albero. Lo fece con una forza
inaudita che mi lasciò a bocca aperta. Si parò davanti
a me e precluse ogni possibile via di fuga posando le mani sulla
corteccia su cui ero stata praticamente scaraventata.
“Vuoi
una dimostrazione di fiducia?” mi domandò.
Stava
usando le stesse parole di Elijah, solo che sortivano un effetto
diverso. Non capivo se aveva ascoltato la nostra conversazione prima
della mia fuga o semplicemente Klaus pensava come il fratello ma
agiva in maniera diversa.
Scossi
la testa lentamente e con un espressione rabbiosa sul volto, da lui
io non volevo niente.
Klaus
però non volle sentir ragioni, si era messo in testa di farmi
scoppiare il cuore di paura ed era ciò che avrebbe fatto.
Avvicinò il viso al mio collo,mi bloccò i polsi prima
che provassi a respingerlo e li spinse contro l'albero. Sentivo il
suo respiro sul lato sano del collo, quello che non avevo coperto con
i capelli per nascondere le cicatrici. Il suo respiro caldo soffiò
sulla pelle, come se volesse divertirsi a farmi scorrere brividi di
paura lungo di essa.
Mi
aspettai di sentire di nuovo il dolore provocato dai suoi denti che
affondavano la mia carne, ma non fu così. Chiusi gli occhi
inutilmente, perchè Klaus aveva subito allontanato la testa
dal mio collo. Quando li riaprì, mi ritrovai il suo viso
sorridente di fronte a me.
Non
riuscivo a decifrare quel suo sorriso.
“Non
so che farmene del tuo sangue...” disse, osservando i miei
occhi, quasi trafiggendoli.
Mi
ritrovai a non respirare, per quanto il suo viso era vicino, e mi
morsi il labbro per la rabbia che fosse sempre lui a vincere. Sempre.
Il
suo viso sembrò addolcirsi di nuovo, per un misero e veloce
secondo. Poi tornò il sorriso, quel sorriso beffardo con cui
tanto amava sfidarmi.
“Mi
importa che tu ti fidi di me, solo perchè causi un sacco di
problemi.” disse in un sussurro. “Allora...eccoti la mia
prova di fiducia.”
Successe
tutto rapidamente che nemmeno mi resi conto di come Klaus posò
violentemente le sue labbra sulle mie. Il tempo parve fermarsi, sentì
il suo corpo premere contro il mio e allora mi resi conto di quello
che stava accadendo.
Lui
mi strinse il viso tra le mani per impedirmi di combatterlo e
dischiuse le labbra in modo da stringere le mie tra le sue in una
specie di abbraccio letale. Non era il primo bacio che volevo e
nemmeno quello che mi aspettavo: Klaus si era preso le mie labbra con
la forza e ci giocava come aveva sempre fatto con la mia mente.
Mi
chiesi quale piano avesse messo in atto attraverso quel gesto che, di
romantico, aveva ben poco.
Riuscì
a spingerlo via, ma solo perchè lui sembrò distrarsi un
attimo. Aveva riaperto gli occhi, come se stesse sperimentando i
risultati del suo gioco perverso.
Osservò
il mio viso sconvolto, prendendo lunghi respiri, e sorrise quando
vide la mia mano salire alla mia bocca. Mi sembrava ancora di sentire
il sapore delle sue labbra che si mischiavano a quelle delle mie.
Non
potevo credere che mi avesse rubato anche quello dopo il suo
comportamento.
Che
significava minacciarmi e poi baciarmi? Che nesso c'era tra le due
cose? In quel momento arrivai ad odiarlo: si era preso gioco di me e
ora mi aveva anche strappato via la possibilità di condividere
l'emozione di un primo bacio con la persona che volevo. Lo aveva
fatto apposta, per farmi capire che avrebbe sempre vinto lui, sulla
mia mente e ora anche sul mio corpo.
Aveva
trasformato un gesto d'amore in uno dei suoi trucchetti di sfida.
Forse
ero esagerata a prendermela così, ma non lo sopportavo.
“Con
chi credi che se la prenderà Katerina quando lo saprà?”
mi chiese.
Restai
inebetita dalla freddezza in cui parlava. Come al solito, aveva
sempre lui il coltello dalla parte del manico, perchè sapeva a
chi avrebbe dato retta mia sorella: lui poteva soggiogarla e metterla
contro di me. Peccato che avevo rimediato anche a quello, ma la paura
che lui fosse sempre più avanti a me, fece crollare quella mia
sicurezza.
Avrebbe
potuto dire a Katerina di tutto, avrebbe potuto dirgli di quel bacio
anche senza metterlo davvero in atto. Allora perchè baciarmi
sul serio?
Ero
sicura che fosse per tutte le teorie che avevano invaso la mia testa
poco prima: io ero solo un gioco, probabilmente il suo preferito. E
ora che poteva davvero incutermi paura, visto il mio coinvolgimento
ormai totale in tutta quella storia, ero certa che i suoi giochi
sarebbero stati anche più fastidiosi.
Non
volendo più sottostare al suo sguardo, lo superai rapidamente
e mi allontanai a passo svelto. Mi arresi all'evidenza: Klaus non
aveva umanità in sé e lo aveva appena dimostrato.
Eppure,
qualcuno nella mia testa, mi diceva che dovevo ancora sprofondare
ancora di più nella cattiveria di Klaus per trovare la sua
umanità. Quella fastidiosa voce che mi ricordava che io e
Klaus non eravamo tanto diversi. Ma a me non importava arrivare nel
suo profondo, avevo già perso la speranza.
Se
avessi avuto voce, probabilmente in quel momento avrei parlato da
sola per tutto il tempo.
Ero
in collera con Klaus, mi sembrava ancora di rivivere il momento in
cui le sue labbra si prendevano le mie con quella violenza. Ancora
non riuscivo bene a capire il gioco a cui stava giocando, ma come al
solito non mi piaceva. Quel gesto mi aveva ferita parecchio e dentro
di me crebbe la consapevolezza che quello era solo l'inizio della
vera sfida con Klaus.
E
lui avrebbe sempre vinto, non potevo farci proprio nulla.
Continuai
a camminare lungo il prato, dirigendomi verso la villa per poi
fiondare in camera mia e sfogarmi, affondando la testa nel cuscino e
lasciandomi andare a grida silenziose. Intanto le mie dita erano
ancora posate sulle labbra, come se volessi impedire che
qualcos'altro le sfiorasse.
In
quel momento pensai subito a Katerina, con cui mi sentivo già
in colpa, e con Elijah. Con quest'ultimo non capivo bene il perchè.
Un
rumore alle mie spalle mi bloccò, mi voltai di scatto mentre
all'orizzonte appariva la facciata della villa di Klaus. Non notai
nulla tra gli alberi, né un'ombra e nemmeno più un
rumore.
Forse
me l'ero immaginata, o forse ero così arrabbiata da non voler
indagare oltre.
Tornai
a guardare di fronte a me, le nuvole in cielo si erano fatte più
scure e il vento si era di nuovo alzato, freddo e tagliente. Scorsi
una figura di fronte a me, che mi lasciò di stucco.
Un
lupo stupendo, dal manto bianco e gli occhi di un azzurro
cristallino, sedeva sull'erba con lo sguardo rivolto verso di me. Se
ne stava immobile a guardarmi, come mai avrebbe fatto un lupo
selvatico. Ma non provai paura di fronte al suo cospetto, era così
bello che non riuscivo a smettere di guardarlo.
E
lui guardava me, con una luce negli occhi che mi parve innaturale per
un animale che, di natura, dovrebbe essere aggressivo. Lui si
avvicinò a me e restai immobile, le sue zampe così
eleganti si muovevano sopra l'erba, causando un lieve rumore che
superò la forza del vento.
Abbassai
lo sguardo, quando il suo muso si alzò sui miei occhi.
Da
vicino era ancora più bello e maestoso, non ne avevo mai visto
uno così meraviglioso. Fui tentata dall'accarezzargli la
testa, alzai lentamente la mano e provai a sfiorargli quel pelo così
morbido e candido.
Ma
lui me lo impedì, lo vidi ritrarre la testa velocemente e
scappare via. Scomparve tra gli alberi alle mie spalle e non voltarsi
più indietro verso di me. Solo allora, quando la sua bellezza
divenne solo un ricordo lontano, mi accorsi che c'era qualcosa di
davvero insolito di un lupo che si avvicinava tranquillamente ad un
umano. Come al solito, nonostante fossi abituata al fatto che le mie
paranoie avessero sempre e comunque un fondo di verità,
proseguì il cammino e cercai di non pensarci. Ignorai quel
qualcosa che mi diceva di preoccuparmi più di quella bestia
stupenda, che delle ripicche di Klaus.
Buon
pomeriggio! :)
Come
al solito, spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto!
Non
ci sono state molte scene di azione e nemmeno particolari colpi di
scena, me ne rendo conto, ma in questo capitolo ho preferito
concentrarmi di più sulle emozioni dei vari personaggi (di
Irina ed Elijah in particolare).
E
mi auguro di essere riuscita a trasmetterle abbastanza bene.
Allora,
in questo capitolo spunta finalmente fuori il nome di Mikael, e ha
fatto il suo ritorno Rose che è uno dei personaggi “andati”
che ho adorato di più nel telefilm e per questo cercherò
di introdurla in quasi tutti i capitoli. Ci tenevo a fare una
precisazione su di lei: Rose è ancora umana, anche se nel
telefilm non lo era più da molto prima che Katerina giungesse
in Inghilterra, e mi scuso per il fatto che cambierò un po' la
sua storia in questa fanfic.
Riguardo
alla “dimostrazione di fiducia”, il mio intento era
quello di mettere a confronto il modo in cui Klaus ed Elijah
cercavano di ottenerla. Anche se la scena tra Irina e l'ibrido, mi
lascia un po' perplessa, perchè ho un po' paura di essere un
pò “uscita” dal personaggio di Klaus...spero di
non aver sortito questo effetto!
Ringrazio
tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite e
ricordate e ringrazio di nuovo tutti coloro che recensiscono e coloro
che leggono in silenzio!
Ciao
a tutti! :)
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Capitolo 12 *** Dance With The Devil ***
-Dance
With The Devil-
Ero
riuscita a trovare un punto abbastanza nascosto nel giardino,
affinché potessi piantare i semi di verbena che Rose mi aveva
fatto trovare all'interno del suo libro. Mi alzai molto presto, per
quanto ne sapevo Klaus doveva essere già in giro a dispensare
quei sorrisi spaventosi a chiunque gli capitasse a tiro, ma sperai
vivamente di non incontrarlo. Se avesse scoperto che ero ancora in
vena di creargli problemi, ora che sapeva che io sapevo, avrebbe
potuto essere più intimidatorio di quanto non fosse già
stato quando era convinto che non fossi a conoscenza di nulla. Poi
dopo quello strano e inspiegabile bacio che mi aveva rubato, sentivo
ancora di più la necessità di stargli il più
lontano possibile. Non era significato nulla da entrambe le parti e
solo Dio sapeva quali fossero i veri obiettivi di Klaus in quel
momento, anche se mi ero fatta una lista di motivi plausibili, ma non
tolleravo il modo in cui mi era stata portata via la possibilità
di condividere una emozione simile, con qualcuno che io avrei scelto.
E,
istintivamente, pensai ad una sola persona di cui mi vergognavo anche
solo immaginare il suono del suo nome.
Ero
forse esagerata, colpa della mia mentalità piuttosto antiquata
con i tempi, ma non mi andava giù che il mio primo bacio fosse
stato preso da una persona che mi detestava e che fino a due secondi
prima mi stava minacciando. E pensare che riuscivo ancora a sentire
l'odore della sua pelle, se mi concentravo abbastanza da riportare
indietro la mente a quel momento.
Quello
che sentivo ogni volta, era una lunga serie di brividi, ma non erano
di piacere.
Di
cosa fossero non lo sapevo, ma ero certa che non fossero brividi
legati ad emozioni positive.
Pensai
sempre a quella storia, mentre coltivavo la verbena e mentre
attraversavo i corridoi per tornare in camera. Non volevo far
preoccupare Katerina, già aveva chissà quali idee in
testa e non volevo che si convincesse che avessi qualche relazione
segreta.
Mi
bastava Rebekah ad avere quei sospetti.
Quando
aprì la porta della nostra camera, Katerina non c'era.
Il
nostro letto era stato ricomposto e la finestra era stata lasciata
aperta per lasciar uscire l'odore della notte dalla stanza. Quel
giorno il tempo era più brutto del solito, dei nuvoloni neri
ricoprivano il cielo e ogni tanto mandavano qualche goccia di pioggia
per annunciare la tempesta che, prima o poi, sarebbe arrivata. Non
trovare Katerina in camera mi provocò preoccupazione e
sollievo, non riuscivo a guardarla negli occhi dopo quello che era
successo con Klaus.
Come
sempre, non volevo ferirla e preferivo non dirgli del giochetto a cui
ero stata sottoposta. Perchè di giochetto si trattava, non
poteva essere nient'altro, ma conoscendo Katerina e sapendo quanto
considerava importante lo scambio di un bacio, preferì tacere.
Sapevo
che non era la cosa giusta da fare probabilmente, anche se continuavo
a ripetermi che alla fine non era nulla di importante, ma temevo per
la reazione che Klaus avrebbe potuto avere se le avessi rivelato
qualcosa. Di sicuro l'avrebbe ammaliata per mettermela contro, era
così scontato nella sua malignità che non mi era
difficile capire cosa sarebbe arrivato a fare.
Oppure,
se avesse scoperto il bracciale, avrebbe potuto fare di peggio ad
entrambe.
Mi
stavo facendo tanti di quei pensieri, sul bacio e sulle mie solite
paranoie, che risultavo noiosa persino a me stessa. Mi accorsi che
ero rimasta a fissare il cielo scuro per tutto quel tempo di lunghi
pensieri e un tuono mi riportò alla realtà, facendomi
quasi sobbalzare.
Chissà
perchè il tempo era sempre così brutto in quei giorni.
Mi
grattai la fronte, avevo ancora i capelli raccolti in una treccia
adagiata sopra i segni del morso di Joshua e il vestito era sporco di
terriccio. Qualcosa sul comodino attirò la mia attenzione, era
un foglietto di pergamena con una grande scritta sopra, abbastanza
storta per via della velocità in cui era stata scritta.
L'inchiostro macchiava alcuni lati del foglio, creando dei contorni,
probabilmente involontari, alla bellissima scritta che giaceva nel
mezzo.
Buon
compleanno, sorellina!
Il
mio compleanno.
Osservai
quel foglio a lungo, mi ero dimenticata del mio stesso compleanno, ma
non era dovuto a tutto quello che mi passava per la mente quella
volta.
Io
non avevo mai festeggiato nessun anniversario della mia nascita.
“Cosa
c'è da festeggiare? “
diceva sempre mio padre, quando mamma provava a dirgli che una
carezza, un abbraccio o una parola che non fosse di odio sarebbe
stato il regalo di compleanno migliore che avrebbe potuto farmi. Da
allora, da quando lo sentì dire per la prima volta che non
c'era nulla da festeggiare riguardo ad un problema ambulante come me,
non considerai mai importante la data del mio compleanno. Gli anni
passavano, io crescevo ma il tempo restava fermo, ghiacciato nella
mia dolorosa monotonia di essere considerata solo un peso da tutti.
Era
sempre Katerina quella che mi aveva ricordato che era il mio
compleanno, mi portava nella foresta e giocavamo tutto il giorno come
se non avessimo un padre che ci avrebbe sgridate in caso avessimo
fatto tardi. Era sempre lei quella che si prendeva la colpa, ogni
giorno di quell'anno, quando rincasavamo tardi e nostro padre dava di
matto.
E
io la ripagavo con una lunga serie di bugie. Non potei sentirmi più
che in colpa.
Guardai
quella scritta con un sorriso sulle labbra, ma adesso dov'era lei? Il
fatto che non si fosse fatta trovare in camera, un po' mi
preoccupava. Sperai che non avesse deciso di andare a farmi un regalo
chiedendo i soldi a qualcuno.
Sentì bussare alla porta, mi voltai di scatto e lasciai il
foglio sulla superficie su cui lo avevo trovato.
“Buon
compleanno!” disse Elijah, appena spalancai la porta. Aveva un
sorriso bellissimo sulle labbra, una cosa a cui i miei occhi dovevano
ancora abituarsi dopo che la sincerità aveva rafforzato il
nostro legame. Mi ritrovai ad arrossire come una ragazzina, malgrado
quel giorno compievo ben sedici anni. Lo lasciai entrare: lui
indossava, sempre con il suo solito portamento che faceva invidia
alle statue greche, una completo dalla maglia blu e i pantaloni neri
che mettevano in risalto i suoi muscoli. Teneva qualcosa dietro la
schiena, qualcosa che nascondeva con un sorriso che divenne furbo man
mano che entrava e mi impediva di vedere cosa tenesse dietro la
schiena.
“Katerina
mi ha detto che sei nata sedici anni fa, alle ore sei, circa, del
pomeriggio...ma se non ti dispiace, vorrei anticipare il regalo di
qualche ora dalla tua nascita.” disse lui e mi porse un pacco
rettangolare, di cui già adoravo l'involucro colorato. Lo
presi titubante tra le mani, la voglia di buttargli le braccia al
collo era tanta ed imbarazzante, ma riuscì a trattenermi in un
sorriso che scoppiava di gioia. Ci sedemmo ai bordi del letto, non
avevo mai ricevuto un regalo di compleanno e riceverlo da un uomo
come Elijah, mi emozionava e non poco. Aprì la carta,
sforzandomi di non essere troppo di fuga, e rimasi stupita quando mi
ritrovai tra le mani quello che doveva essere un diario. La copertina
era blu e soffice, all'interno c'erano diverse pagine bianche, lisce
e che emanavano un odore di nuovo.
Era
il regalo più bello che potessero farmi, dopo il libro che
Elijah mi aveva dato tempo prima.
“Visto
che non puoi...” Elijah si bloccò, si faceva problemi
quasi ad usare la parola “parlare” con me, non sapendo
che non mi avrebbe mai potuto ferire. Gli feci segno di continuare,
ma lui lo stesso preferì non portare mai a termine la frase.
Un
vampiro più sensibile di diecimila umani messi insieme.
“So
che ti piace scrivere anche se, ammettilo, hai ancora un po' di
problemi con l'inglese...” mi disse, mi posò una mano
sulla spalla e fece un occhiolino. Sentire il suo tocco così
delicato sulla pelle, mi fece scoppiare il cuore in un ritmo
esagerato. “Però qui potrai scrivere tutto ciò
che ti passa per la testa senza farti problemi. È un diario
segreto e nessuno lo leggerà...o almeno spero, visto che ho
due spioni per fratelli.”
Mi
venne da ridere, Elijah era riuscito a sdrammatizzare un problema
rilevante come le indagini di Klaus e sorella e farmeli guardare da
un'altra ottica: quella divertente, almeno il giorno del mio
compleanno. Poi mi tornò in mente il bacio e mi sentì
di nuovo svuotata di tutto, Elijah osservò la mia espressione
tramutarsi in una maschera di preoccupazione e corrugò la
fronte confuso.
“Scusa,
forse non dovrei scherzarci su. Hai ragione.” mi disse.
Ci
misi un po' per rispondergli, lo guardai negli occhi e pensai che
dovevo dirlo ,almeno a lui, del bacio.
Non
che dovesse importargli qualcosa, perchè avrebbe dovuto
interessargli se qualcuno mi baciava?
Ma
siccome ci eravamo ripromessi di dirci tutto, non vedevo il motivo
per cui tenerglielo nascosto. Una parte di me era forse così
presuntuosa da credere che potesse dargli fastidio? Scossi la testa,
per dirgli che non era quello ciò che mi aveva un attimo
incupito, e lo ringraziai per il regalo con un abbraccio.
Non
avevo mai abbracciato una persona in quel modo, sentendo davvero il
bisogno di avvertire la forza delle sue braccia attorno ai miei
fianchi. Mi ritrovai a contare le volte in cui ci eravamo abbracciati
e quella era la terza volta, mi sentivo anche un po' in imbarazzo a
dover sempre ricorrere a quel gesto forse troppo affettuoso nei
confronti di una persona che-sì, mi voleva bene- ma aveva
comunque un orgoglio e una compostezza che avrebbero potuto essere in
qualche modo scalfiti dal mio abbraccio. Come uno scudo che veniva
scheggiato da qualcosa a cui doveva opporsi con la sua resistenza.
Ma
non volendo rispondere con il silenzio al bene che gli volevo,
preferì colpire quello scudo, sperando che non gli dessi
fastidio.
“Prego,
Irina.” rispose lui, mi cinse i fianchi delicatamente e posò
il mento sulla mia spalla. Il momento in cui sentì che
l'imbarazzo premeva per farmi separare, non arrivò mai.
Sentivo il suo profumo, il suo respiro tra i capelli e desiderai
restare così per sempre.
Poi
pensai che lui poteva sentire il mio cuore impazzito battere nel
petto, ma io non potevo sentire il suo. Ci separammo, continuai a
tenere il diario in mano e ne osservai la copertina. Elijah mi fissò
in silenzio, studiando il mio sorriso che giaceva in un espressione
preoccupata.
“Conosco
quell'espressione...cos'è successo?” mi chiese.
Ci
guardammo a lungo, delle volte mi faceva paura il modo in cui mi
capiva con una sola semplice occhiata. Non potevo tenergli nascosto
nulla, ormai mi conosceva meglio di chiunque altro.
Mi
ricordai allora che volevo tenere fede alla promessa che ci eravamo
fatti giorni prima, quella di dirci tutto quanto. Ma non gli dissi
del bacio, c'era un'altra cosa ben più importante che dovevo
condividere con lui e che il gesto di Klaus ,e la rabbia che questo
mi aveva provocato, mi aveva fatto dimenticare.
Mi
alzai in piedi e mi avvicinai all'armadio, Elijah balzò in
piedi come per correre in mio aiuto, quando vide che ero intenzionata
a spostare il mobile lungo la parete, ma si fermò quando ci
riuscì da sola.
Restò
in silenzio e notò che c'era qualcosa nascosto nel muro e
presi il foglio di papiro.
Mi
voltai verso di lui e glielo porsi, sempre tenendo il suo regalo
stretto nell'altra mano come per paura che potesse scappare via. Lui
prese ciò che gli stavo porgendo con titubanza, ovviamente si
stava chiedendo chissà quali altre cose stessi nascondendo.
“Che
cos'è?” mi chiese, aprì il foglio e la sua
espressione restò impassibile. O almeno, per qualcuno che non
aveva imparato a studiare il movimento dei suoi zigomi e il
socchiudersi dei suoi occhi: Elijah parve incredulo, spaventato e
confuso di fronte alle immagini prive di senso che aveva di fronte a
sé. Mi sedetti accanto a lui, incrociando le gambe e
soffermandomi a guardare il suo viso che, stranamente, mi parve
irriconoscibile.
“Dove...dove
lo hai trovato?” mi chiese, volse lo sguardo verso di me.
Gli
mimai la parola corvo, avrei voluto dirgli molto altro a dir la
verità: tipo che mi sembrava che quello che fosse
rappresentato su quel foglio fosse una specie di rituale in onore del
sole e della luna, o comunque una cosa che ci si avvicinava
parecchio. Il sole e la luna in alto erano chiaramente riconoscibili.
Solo che non capivo a cosa servissero i cerchi di fuoco sul terreno,
in mezzo ci sarebbero dovute stare tre vittime sacrificali...ma di
chi si trattava? Quel foglio misterioso mi confondeva parecchio,
l'unica cosa di cui ero certa, era che si trattasse di qualcosa di
diabolico.
Elijah
tornò a fissare il foglio, ma non lo stava davvero guardando.
I suoi occhi erano rivolti su di esso, ma la sua mente vagava tra
pensieri che non sarei mai riuscita a cogliere purtroppo.
Sembrava
tormentato e non capivo da cosa. Gli mossi il polso, quando mi
accorsi che stava fissando troppo a lungo i disegni sul papiro.
Allora volse di nuovo l'attenzione verso di me e serrò le
labbra, mi sembrava addolorato e continuavo a non capire il perchè.
Gli
chiesi se sapesse di cosa si trattava, magari era stato proprio
quello a spegnere la luce che illuminava sempre il suo viso. Il suo
sguardo rimase su di me, eppure ero certa che nemmeno in quel momento
mi stava realmente guardando.
“Non
credo sia nulla di importante.” rispose, con un sorriso che
però non m'ingannò. Era visibilmente forzato, lontano
da ciò che realmente stava provando in quel momento.
Provai
nuovamente la sensazione di sfiorargli la pelle e sentirla sotto le
mie mani, per dirgli che poteva dirmi davvero qualsiasi cosa e che
poteva fare affidamento su di me, come io facevo con lui. Ma ,come
sempre, mi trattenni, avevo paura di risultare davvero troppo noiosa.
Lo
osservai mentre tornava a fissare il foglio, in quel momento invece
lo stava davvero studiando. Feci lo stesso e gli indicai una parola
che era scritta tra il sole e la luna. Una parola che avevo sempre
considerato essere la chiave del mistero che si nascondeva dietro il
messaggio che Micah, o che Bell, voleva farmi recapitare. Ma
era scritto in una lingua che non conoscevo e io sapevo leggere solo
il bulgaro e l'inglese, quest'ultimo nemmeno tanto bene.
Elijah
scosse lentamente la testa. “Non so cosa sia, Irina. Mi
dispiace.” e mi sembrò che volesse chiudere lì la
discussione. Lo guardai con la coda dell'occhio, perchè aveva
cambiato così velocemente espressione del viso? Il pensiero,
nocivo per la mia mente e per quello che mi batteva nel petto, che mi
stesse nascondendo qualcosa s'impadronì di me. Ma Elijah era
l'uomo migliore e più onorevole che avessi mai conosciuto, mi
aveva promesso che mi avrebbe detto tutto e io gli credevo
ciecamente. Dovevo smetterla di crearmi problemi che non esistevano.
Probabilmente,
quelle immagini lo avevano semplicemente turbato.
In
effetti, erano parecchio inquietanti.
Molto
velocemente, Elijah sembrò riprendere il sorriso che tanto si
addiceva alle sue labbra. “Solo per oggi, possiamo non
occuparci di queste stranezze? È il tuo compleanno e sedici
anni si compiono solo una volta nella vita!” disse. Detta da
lui che doveva avere i suoi anni da chissà quante vite, mi
fece sorridere. Strinsi il foglio di papiro tra le mani e lo guardai
a lungo.
“Che
ne dici di andare a fare un giro?”
Sembrava
che Elijah volesse tenermi il più lontano possibile dalla
villa, non capivo il perchè ma sinceramente nemmeno mi
importava. Stavo così bene accanto a lui, che il tempo
scorreva velocemente. Anche troppo.
Non
potei però fare a meno di notare che era parecchio distante,
mi sorrideva di tanto in tanto, quando i miei occhi si posavano su di
lui. Ma poi qualcosa si spegneva sul suo viso, potevo quasi percepire
quei pensieri che occupavano la sua mente e lo allontanavano da me.
Pensai
subito che fosse colpa del papiro, ma la convinzione che dovevo
nutrire solo fiducia nei confronti di Elijah, mi faceva credere che
mi stessi sbagliando di grosso. Non gli chiesi nemmeno dove mi stesse
portando, restammo in silenzio l'uno accanto all'altra mentre il
cielo ci ricordava, con i suoi tuoni, che sarebbe arrivato presto un
bell'acquazzone.
“Eccoci,
siamo arrivati!” disse.
Ero
stata così persa in tutti i miei pensieri, da non accorgermi
che io avevo già percorso quel tragitto, avevo già
guardato quel cielo attraverso le fronde di quegli
alberi e avevo già visto quella distesa di acqua
cristallina che si stagliava di fronte a noi.
L'unica
cosa che cambiava, era la persona con cui mi trovavo là.
In
quel momento ero con un angelo, giorni prima ci ero stata con il
diavolo.
Il
diavolo che proprio in quel punto mi aveva ricordato quanto
potesse essere più forte di me e quanto potesse piegarmi al
suo volere come farebbe il vento con un ramoscello. Mi ritrovai a
stringere forte i pugni, talmente forte da non accorgermi nemmeno che
stavo facendomi male.
Non
capivo perchè Klaus riuscisse a scatenare quel qualcosa in me,
nonostante fossero passati giorni. Elijah si accorse del modo in cui
fissavo il lago, come se di fronte a me ci fosse un paesaggio
infernale, piuttosto che quella bellezza naturale.
Una
folata di vento ci investì e un altro tuono rimbombò in
lontananza.
“Qualcosa
non va?” mi chiese preoccupato. Ci eravamo scambiati i ruoli,
in quel momento toccava a me fare la parte di quella che si incupiva
sempre di più.
Dovevo
dirgli che Klaus sapeva di me? Il problema era ,non che volessi
mantenere il segreto, ma che quel segreto riguardava una terza
persona al di fuori di noi due.
Come
se volessi salvaguardare Klaus da qualcosa. Ma da cosa? In fondo si
trattava di Elijah e io non dovevo sentirmi in dovere di condividere
qualcosa con Klaus. Perchè avrei dovuto farlo con qualcuno che
si divertiva solo a minacciarmi? Era assurdo, il modo in cui Klaus mi
faceva scoppiare la testa di domande stupide e che detestavo anche
solo pormi nel silenzio della mia mente.
Prima
che potessi rivolgergli anche un solo cenno con la testa, Elijah
abbozzò un sorriso, guardò verso l'orizzonte dove dei
nuvoloni neri facevano di tutto per riflettersi sull'acqua del lago.
“Me
n'ero dimenticato. Che cosa ha fatto?” mi chiese.
Quella
domanda giunse inaspettata, mi voltai verso di lui e mi bastarono
pochi secondi per capire che lui sapeva dell'allegra passeggiata che
io e Klaus avevamo intrattenuto proprio là.
Ma
probabilmente, non era a conoscenza di tutto, visto il modo in cui mi
aveva posto la domanda. Distolsi lo sguardo, quando Elijah tornò
a guardarmi.
Il
vento gli scompigliava i lunghi capelli castani, trovai quasi
oltraggioso vedere quella forza della natura che colpiva il viso di
marmo di Elijah.
Non
me la sentivo di parlare di quello che era successo, ma non perchè
temessi di ferirlo, ma perchè non volevo causare qualche
rottura tra di loro. Erano già di per sé così
diversi, che ero sempre stata convinta che bastasse davvero poco per
far chiudere ai due il loro legame.
“Mi
ha detto che ti ha portata qui...per socializzare con te. Si è
accorto che lo temi molto, anche troppo.” Elijah voltò
completamente il busto verso di me, tenne le mani incrociate dietro
la schiena e continuava a sorridermi. Come se volesse dirmi che
qualsiasi cosa avesse combinato Klaus, avrei potuto parlargliene
senza problemi. Eppure qualcosa dentro mi bloccava, impedivo persino
al torrente di ricordi che in quel momento mi attraversava la testa,
di riportarmi a quel preciso momento in cui sentivo le labbra di
Klaus sulle mie. “Io so che la paura che provi nei suoi
confronti se l'è guadagnata con le sue forze....ma per un
attimo ho creduto davvero che si fosse comportato bene con te.
Sembrava così rilassato quando me ne ha parlato...”
Bastardo.
Pensai
a quella parola nella mia testa, mentre incanalavo nella mente le
parole di Elijah. Klaus era rilassato,
mentre io mi rodevo il fegato per aver subito un'altra delle sue
angherie. Si poteva essere così infimi? Cercai di reprimere la
parte di me che ogni tanto prendeva il sopravvento e mi ricordava che
ero troppo dura con una persona che aveva sofferto quanto, se non
più, di me. Mi strinsi le braccia al petto e mi morsi le
labbra per trattenere l'espressione di rabbia che stava per
mascherare il mio viso. Elijah mi guardò, mentre volgevo la
testa verso il cielo e tamburellavo nervosamente il piede sopra il
terreno.
“Devo
dedurre che sono stato di nuovo uno stolto ad essermi fidato....”
disse, appena tradusse l'espressione sul mio viso. “Che cosa ha
fatto stavolta?”
Presi
dei lunghi respiri, francamente non mi andava più di discutere
di quella cosa, non con Elijah. Ma ormai ero in trappola e lui
avrebbe indagato a fondo nella mia rabbia per capire cosa fosse
successo. Presi altri lunghi respiri, prima di iniziare a spiegargli
tutto.
Gli
feci capire che lui sapeva e la cosa lo lasciò parecchio
sconvolto, il modo in cui sbarrò o sguardo mi lasciò
intendere che l'unica persona che temeva al mondo fosse proprio
Klaus.
Probabilmente
dopo Mikael.
Cercai
di continuare a gesticolare e fargli capire in pochi e semplici gesti
quale fosse il fulcro della questione, ma lui mi impedì di
proseguire. Si avvicinò rapidamente a me e mi prese il viso
tra le mani, studiò attentamente il mio collo, alla ricerca di
lividi, segni o morsi.
“Non
ti ha fatto del male vero? Klaus non ama non avere il controllo della
situazione...” disse preoccupato, mi studiò i polsi e le
mani anche, con un attenzione e una cura che mi lasciarono sconvolta
per la sorpresa. “Se ti ha fatto del male, Irina, devi dirmelo
assolutamente. Sono passato sopra a secoli di suoi giochetti...non
posso tollerare una cosa del genere però.”
Pronunciò
le ultime parole a denti stretti, il modo in cui cercava sempre di
difendermi, anche solo con le parole, mi provocava un'esplosione nel
petto.
Ma
in quel momento, mi sentì quasi in colpa, dubitavo che Elijah
avrebbe potuto fare del male a Klaus in caso quest'ultimo ci fosse
andato ancora più
pesante con me: erano pur sempre fratelli e credevo che Klaus
nutrisse qualche sentimento positivo solo per lui e per Rebekah. E
per questo un po' mi spaventava il fatto che lui parlasse con tale
rabbia nei confronti di Klaus per colpa mia.
Elijah
notò che la mia espressione era parecchio combattuta,
nonostante tutto mi ritrovavo a salvaguardare la figura di Klaus.
Dopo tutto quello che mi aveva fatto, mi sentivo in colpa nel vedere
suo fratello così arrabbiato con lui. Era un comportamento che
non riuscivo a spiegarmi affatto. Scossi la testa, per dirgli che
Klaus non mi aveva lasciato segni visibili
sulla pelle e non mi aveva fatto del male.
E
parlavo sempre del punto di vista fisico.
Elijah
continuò a guardarmi. “Allora cosa ha fatto?” mi
chiese, da come parlava l'idea del bacio rubato non lo sfiorava
nemmeno. Conosceva meglio di me suo fratello e probabilmente sapeva
che non sarebbe arrivato a certi gesti per incutere timore. Aveva
altri metodi più efficaci, eppure con me doveva aver cambiato
il suo stile.
Avevo
preso forza per dirgli del bacio, ma in quel preciso istante diverse
gocce di pioggia caddero su di noi. Ne sentì indistintamente
una cadermi sulla nuca, la percepì infrangersi in una piccola
pozzanghera d'acqua tra i miei capelli e a lei se ne unirono altre.
Elijah
alzò lo sguardo verso lo spettacolo d'acqua che veniva dal
cielo, erano proprio arrivate al momento più giusto per
impedirmi di toccare quel tasto doloroso per la mia testa e il mio
cuore. Lui mi prese per mano e mi condusse sotto un albero poco
distante da noi. Lo raggiungemmo comunque inzuppati dalla testa ai
piedi.
I
capelli mi si appiccicarono al viso e li sentì pesanti sulla
mia testa, Elijah mi lasciò poggiare sulla corteccia
dell'albero, in modo che venissi riparata meglio delle foglie
dell'albero sopra di noi. Lui restò di fronte a me, dove
l'acqua lo raggiungeva lo stesso nonostante fosse anche lui coperto
dall'albero.
Un
altro dei suoi gesti cavallereschi, a cui mi ero tanto affezionata.
Nonostante
il momento, mi ritrovai ad ammirarlo: aveva i capelli bagnati che gli
circondavano il viso marmoreo. Un aria quasi divina si mescolava ad
una aspetto di profonda umanità: mi dimenticai, come spesso mi
accadeva, di avere di fronte un vampiro.
Ci
ritrovammo a ridere davanti ai nostri volti bagnati, io dovevo
sembrare un pulcino spennacchiato. Ma subito dopo l'espressione di
Elijah tornò seria, studiò il mio volto a lungo e prese
dei lunghi respiri.
“Irina,
la pioggia non ferma la mia voglia di capire.” disse in un
sussurro.
E
mi dimenticai subito di essere vicinissima a lui, di essere
completamente zuppa dalla testa ai piedi e mi dimenticai di quanto il
suo sorridere di poco prima mi avesse fatto battere il cuore a mille.
E tornò l'immagine di Klaus, violenta e dolorosa proprio come
lo era lui.
“Mi
fa piacere che non ti abbia fatto del male...” disse, anche se
la cosa lo stupiva ancora. Si aspettava davvero di trovare almeno un
morso sulla mia pelle. “Ma non capisco cosa abbia fatto per
farti davvero arrabbiare.
Perchè non ho mai visto quell'espressione sul tuo viso...”
Ero
stanca di dover prendere lunghi respiri per trattenere l'uragano di
rabbia che stava per abbattersi su di me, decisi una volta per tutte
di togliermi quel peso, dato che ormai non potevo più
nasconderlo. Gli indicai le mie labbra, per un attimo mi resi conto
che il mio poteva significare un gesto audace. Quanto odiavo non
poter parlare.
Feci
di nuovo quel gesto e allora lui trattenne il fiato, doveva aver
capito da un pezzo quello che stavo cercando di trasmettergli, ma
doveva averlo sorpreso così tanto che ci mise un po' per avere
una giusta reazione.
“Ti
ha... baciata?” mi chiese, calcando l'ultima parola.
Non
riuscì a tradurre la sua faccia in quel momento, ci vedevo
così tante emozioni che non potei coglierne nemmeno una. Di
sicuro c'era la sorpresa, una sorpresa che qualcuno non si sarebbe
mai aspettato riguardo un fratello che conosceva da più vite.
Il
senso di colpa si impadronì di me. Annuì, ma gli feci
capire che il suo non era per niente un bacio romantico o dolce. Cosa
che lui aveva capito senza che glielo dicessi.
Restò
in silenzio, distolse lo sguardo da me e lo posò sul lago al
nostro fianco. Intanto, altre goccioline di pioggia ci raggiunsero e
bagnarono ulteriormente i nostri visi. Il vento le trasportò
da noi, come se volesse farci capire che non ci saremmo potuti
nascondere dalla sua forza.
Dopo
Klaus, anche la natura mi stava ricordando quanto fossi piccola e
debole.
Elijah
continuò a non parlare, intanto il suo viso cambiava aspetto a
seconda del pensiero che passava per la sua testa. Era la prima volta
che non riuscì a dare un significato alla sua espressione.
Era
un giochetto il nostro, che era iniziato da quella mattina, quando
gli avevo mostrato il papiro.
Lo
osservai mentre si passava le mani agli angoli della bocca, il suo
sguardo continuava ad evitarmi e lo teneva rivolto verso l'infinito
del cielo. “Maledetto...” sussurrò. “Perchè
ha fatto una cosa simile? Non è da lui!”
E
invece era da lui, lo aveva fatto per rubarmi il primo bacio e farmi
capire che sarebbe stato sempre lui a vincere. Per non parlare del
fatto, che avrebbe potuto rigirare la cosa a suo favore con Katerina,
se non fossi corsa ai ripari. Abbassai gli occhi, Elijah in quel
momento sospirò.
“E
tu? Come lo hai respinto?” mi chiese, visibilmente preoccupato
per il modo in cui l'avevo scampata a quel gesto letale. Gli feci
capire che lo avevo spinto via e rabbrividì, appena mi resi
conto che non sarebbe stato possibile se Klaus non si fosse distratto
in quel misero secondo.
Elijah
serrò le labbra, in quel momento mi sembrava davvero un
vampiro.
“Trovo
che abbia sperimentato questo suo nuovo modo di torturare la gente
con la persona sbagliata...” concluse, con una durezza nella
voce che mi lasciò di stucco.
Lo
guardai e non riconobbi il suo viso, sembrava trattenersi per la
rabbia ma allo stesso tempo non voleva farlo. Voleva sfogarsi e ebbi
paura che volesse farlo su Klaus.
Non
avevo capito che il silenzio di poco prima, era solo un modo per
placare quel qualcosa che stava scoppiando dentro di lui.
La
certezza di aver combinato un bel disastro si fece largo tra i miei
pensieri.
Restai
a guardarlo, avevo un nome per definire quello che stavo guardando
sul volto di Elijah ma una parte di me era certa che mi stessi
sbagliando. Perchè avrebbe dovuto ingelosirsi?
No,
doveva essere il modo in cui Klaus agiva che lo faceva andare su
tutte le furie e nient'altro.
Perchè
eravamo amici e lui
non sopportava che suo fratello si comportasse in quel modo.
Accettai
quella opzione, senza crearmi troppe fantasie che mi avrebbero fatto
solo male.
Provai
a sfiorargli il braccio, ma lui si scansò. Non perchè
non volesse che lo toccassi, ma perchè stava già
faticosamente trattenendo la sua rabbia. Mi diede le spalle e
continuò a tenersi la mano sul mento. “Irina, perdona la
mia domanda.” disse, scusandosi in anticipo di quello che stava
per dirmi. “Ma ho bisogno di...sapere.”
Si
voltò verso di me e la sua espressione mi lasciò
alquanto basita, annuì e attesi che mi ponesse la sua domanda.
Lo vidi spalancare le braccia. “Hai provato solo paura in quel
momento?” mi chiese. “Niente di positivo?”
Dovetti
assumere un espressione particolarmente imbarazzante in quel momento,
ma quel genere di domanda non me la sarei mai aspettata. Era la prima
volta in cui pensai che Elijah non mi comprendesse.
Parlava
come se avessi provato qualcosa per Klaus, nonostante la violenza del
suo gesto. Era una domanda priva di fondamento secondo me, ma Elijah
ci tenne a darmi le sue motivazioni prima che rispondessi.
“Il
fatto è che...voi due siete molto simili.” mi fece segno
di farlo finire, appena vide che avevo spalancato la bocca come se
volessi protestare. “Per certi versi.”
E
non potevo negarlo, visto che per certi punti di vista lo eravamo
veramente. Ma non riuscivo ad accettarlo. Distolsi lo sguardo e
strinsi i pugni. Elijah sospirò di nuovo, era la prima volta
che lo vedevo in seria difficoltà mentre cercava di mandare
avanti un discorso.
“E
questo vostro legame, anche se saldato con la malignità di
Klaus, mi fa pensare. Anche troppo.” continuò lui. “Che
senso ha giocare con te, Irina? Non sei tu quella che...”
Lo
guardai interrogativa, Elijah riprese a parlare subito, come se si
fosse reso conto di aver detto qualcosa che non mi era chiaro. “Non
prendertela se te lo dico, ma è la prima volta che
Klaus...mette il cuore nel male che fa.” continuò e la
sua espressione era parecchio infastidita.
Non
mi era chiaro dove volesse davvero arrivare, io trovavo che Klaus il
cuore non lo avesse e non lo usasse nemmeno quando godeva nel fare
del male agli altri. Da come parlava Elijah, sembrava che suo
fratello mi trattasse ancora più male perchè mi trovava
affine a lui.
Cosa
che dubitavo fortemente, mi stavo convincendo che Klaus, molto
semplicemente, mi odiava.
“Ed
è una cosa che non sopporto: sentirti più vicina a
lui...” si bloccò di nuovo. Si passò una mano tra
i capelli e chiuse un attimo gli occhi, io invece non sopportavo che
trovasse me e Klaus così vicini dopo quello che mi aveva fatto
passare con i suoi giochetti.
L'unica
somiglianza che io e Klaus avevamo, era nel aver sofferto per un
padre orribile.
Altre
somiglianze non le vedevo. Elijah sembrò non riuscire a dire
più nulla riguardo a quella storia, mi diede le spalle e tirò
di nuovo un sospiro.
“Non
prendermi per insensibile o per uno che non ti capisce. Ma io so per
certo che le cose che ci fanno paura sono spesso quelle che ci
coinvolgono di più..” continuò a dire. “Anche
io ho paura, Irina, di una cosa in particolare che è diventata
troppo importante per me.”
Sembrò
non volermi dire quale fosse quella cosa e impedì anche a me
di pensarci su.
“E
tu Klaus lo temi da quando lo hai incontrato..”
Non
risposi, distolsi lo sguardo e cercai di dare un senso alle parole di
Elijah: era evidente che il suo era un modo per bloccare la rabbia
che stava crescendo dentro di lui. Perchè lui era davvero
arrabbiato. Il silenzio terminò presto, come se Elijah
volesse porre fine a quello che lo stava deteriorando in quel
momento.
“Ma,
resta il fatto, che io non voglio che lui ti faccia del male. Anche
se tu dovessi nutrire dei sentimenti positivi nei suoi confronti...”
Mi guardò negli occhi e trattenni a lungo il fiato, ma non lo
sapeva che io non avrei mai potuto nutrire nulla di positivo nei
confronti di Klaus? Eppure, lui sembrava pensare quasi il contrario,
solo perchè io e Klaus eravamo legati da un profondo dolore.
Peccato che quello non bastava.
“Vado
a vedere se la carrozza è pronta. Aspettami qui.” disse,
si allontanò senza nemmeno guardarmi più in faccia.
Guardai la sua composta figura che camminava via e mi ritrovai a
stringere i pugni sopra la gonna. Non riuscivo a credere che quelle
parole su Klaus mi avrebbero confuso in quel modo e la cosa non mi
andava giù.
Sembrava
quasi che Elijah desse credito a quella vocina nella mia testa che mi
diceva: Tu non odierai mai a fondo Klaus.
Ma
avrei sempre desiderato a fondo qualcos'altro.
Arrestai
subito i miei pensieri, quando giunse qualcosa alla mia mente che era
troppo forte da sostenere: una affermazione messa in atto dal mio
cuore e che rifiutavo ancora di accettare, nonostante fosse evidente.
Distolsi lo sguardo da Elijah, come se fosse lui la sorgente di quei
miei pensieri, e allora notai una figura in lontananza.
Il
bellissimo lupo dal pelo bianco mi stava osservando nascosto tra i
cespugli, fece diversi passi e si ritrovò sotto la pioggia che
cadeva incessantemente su di noi. Come la volta prima, ci guardammo a
lungo. Decisi allora di toccarlo finalmente, ma appena uscì
dal riparo in cui mi trovavo, il lupo si ritrasse e corse via, dalla
parte opposta alla mia.
Rimasi
così di nuovo sola, con la pioggia che mi investiva e una
domanda che si aggiungeva alle mille che mi occupavano già la
testa.
Andai
in camera e Katerina non era ancora tornata. Elijah mi disse di farmi
un bel bagno caldo e di mettermi un abito, Klaus doveva aver
organizzato una delle sue solite cene in cui arrivava in ritardo per
farsi ammirare. Ci misi un paio di ore per prepararmi, cercando di
non pensare a dove potesse trovarsi Katerina e alle parole di Elijah
che rimbombavano nella mia mente.
Mi
avevano lasciata parecchio perplessa, possibile che lui mi vedesse
così tanto legata a Klaus? Io avevo paura da morire di quel
ragazzo, niente di lui mi confortava come faceva invece Elijah.
Le
cose che ci fanno paura sono spesso quelle che ci coinvolgono di più.
Rabbrividì,
mentre sceglievo il vestito da mettermi per quella sera. Perchè
aveva detto una frase simile? Ripensai alla sua espressione e,
nonostante avessi scelto la teoria più razionale per
spiegarla, l'associai a quella che si chiamava gelosia.
Annullai di nuovo quel pensiero, era impossibile che Elijah provasse
una cosa del genere nei miei confronti.
Ci
teneva a me, era vero, ma non da quel punto di vista.
Ero
pur sempre una ragazzina con secoli meno di lui e migliaia di
problemi.
Mi
guardai allo specchio, lasciai i ricci neri mossi sulle spalle e
ricoprì il mio viso del poco trucco necessario che potesse
coprire quell'espressione pallida che avevo.
Sospirai
e mi trovai orrenda. Non mi era mai importato nulla del mio aspetto
fisico e non capivo perchè ci pensassi in quel momento, dopo
che il pensiero della possibile gelosia di Elijah mi aveva sfiorato.
Katerina mi diceva sempre che ero molto bella, ma che il mio
carattere chiuso non la metteva in risalto.
Ma
lei non faceva testo, era mia sorella e non poteva dirmi che ero un
mostriciattolo orrendo.
Ada
forse era più sincera.
Chiusi
gli occhi e mi portai la mano sulla fronte, ma che problemi mi
ponevo? Ero circondata da vampiri, uno di loro poi mi spaventava a
morte con un semplice sorriso, e avevo qualcuno là fuori che
voleva rapirmi per chissà quale strano motivo. E io cosa
andavo a fare? Crearmi altri problemi inutili e stupidi, solo perchè
non mi trovavo bella.
E
tutto questo, perchè mi chiesi cosa pensasse Elijah di me.
Mi
ero dimenticata cosa significava essere una ragazza con problemi
normali.
Ormai
consideravo la normalità come qualcosa che non mi apparteneva
più.
Elijah
mi aveva detto di raggiungerlo in salone, mi avrebbe atteso lì
e il pensiero di stare al suo fianco, mentre Klaus sedeva dall'altra
parte della stanza, mi tranquillizzava abbastanza. Ormai non avrei
più preso parte alle feste di Klaus con la solita armonia con
cui lo facevo ai primi tempi. Mi fermai di colpo, quando raggiunsi
l'entrata della sala e notai che era tutto troppo silenzioso e
spento. Non lo presi come un bel segno, dato che l'ultima volta che
ero stata in un posto buio, per poco ci avevo lasciato le penne.
Fissai
per un attimo e con esitazione la porta socchiusa, mi guardai attorno
ma lì fuori non c'era nessuno. Mi feci coraggio, magari non
era ancora arrivato nessuno e per questo era tutto così
silenzioso. Aprì lentamente la porta e rimasi dove la debole
luce delle torce affisse alle pareti sterne potessero illuminarmi.
L'interno era buio e soffocato dal silenzio, eppure mi parve di udire
qualche lieve respiro.
Delle
urla mi fecero sobbalzare. Ma non erano urla di paura, ma di gioia.
“Auguri!”
esclamarono delle voci
all'unisono.
La
stanza venne lentamente illuminata dalle fiamme delle torce affisse
alle pareti e notai di fronte a me, sotto la scalinata, diversi visi
sorridenti che mi applaudivano. Dal soffitto cadevano dei festoni blu
e le tavole erano state imbandite con tovaglie e posate dello stesso
colore.
Il
mio preferito.
Quelle
persone, non conoscevo nessuna di loro, continuavano a battere le
mani e a regalarmi i loro splendidi sorrisi. Ci misi un po' per
riprendermi dalla sorpresa e collegare tutto: Katerina non si era
fatta trovare in camera perchè era stata per tutto il tempo
impegnata a preparare la mia festa ed Elijah aveva il compito di
tenermi lontana per tutto il tempo necessario.
Li
trovai entrambi, i miei due angeli, in piedi in cima alla scalinata
di cui io sembravo la protagonista. Applaudivano entrambi e i loro
sorrisi furono i più belli della sala, Katerina si avvicinò
a me e mi prese le mani tra le sue. “Buon compleanno, Irina.”
disse, osservando ancora la mia espressione stupita sul viso. Ci misi
un attimo anche per lasciarmi andare all'emozione, era la prima volta
che festeggiavo un compleanno e non sentivo di meritare tutta quella
gioia.
Anche
se non conoscevo nessuno in quella sala, non potei che sentirmi
commossa da quel gesto.
Come
una stupida, per poco scoppiai a piangere e Katerina me lo impedì
stringendomi a sé.
“No,
non piangere!” ridacchiò, come se le facessi tenerezza.
In quel momento si avvicinò anche Elijah, lo guardai da sopra
la spalla di mia sorella e gli sorrisi.
Lui
fece lo stesso, ma qualcosa di invisibile gli impediva di avvicinarsi
ulteriormente a noi.
Non
ci misi molto a capire il motivo: quando io e Katerina ci separammo,
finì con la schiena contro qualcuno che era giunto alle mie
spalle.
Qualcuno
il cui profumo era inconfondibile purtroppo.
Mi
voltai lentamente verso Klaus, lui continuava a battere le mani e mi
sorrideva in quel modo che mi faceva solo tremare come una foglia
mossa del vento. I suoi occhi però trasmettevano un'altra
emozione, che non aveva nulla a che fare con quel sorriso che aveva
stampato sulle labbra. “Tanti auguri, Iry.” disse in un
sussurro. Mi morsi le labbra, il mio sguardo gli disse tutto in quel
momento e lui piegò la testa da un lato.
Anche
il diavolo era venuto al mio compleanno, ne ero quasi onorata.
Mi
voltai verso Katerina ed Elijah, solo il secondo si era accorto del
mio improvviso disagio e guardava con fermezza suo fratello.
Klaus
non apprezzò il modo in cui spostai la mia attenzione da lui,
il solito egocentrico.
“Questa
festa è tutta per te, spero che ti piaccia. Io e Katerina ci
abbiamo messo molto per organizzarla.” disse. Il messaggio in
codice di quelle parole era: non darmi filo da torcere,
perchè ho sprecato una giornata della mia eternità per
poterti organizzare questa festa e farti stare buona. Credeva
davvero che bastasse così poco per mettermi in un angolo?
Anche se, dovevo ammetterlo, il bacio rubato mi era alquanto bastato.
Katerina non capì il messaggio di Klaus, non conoscendo
davvero il tipo di cui si era invaghita. “Vieni, andiamo ad
aprire i regali!” esclamò gioiosamente e mi trascinò
nella folla. Intanto l'attenzione si era spostata da noi, la folla
cominciò a espandersi lungo la sala, per avvicinarsi ai tavoli
o ai diversi pacchi che avevo visto adagiati su una parete. Mi voltai
a guardare Elijah, non potei fare a meno di notare lo sguardo
glaciale che stava lanciando al fratello, prima di scendere la
scalinata dietro di noi.
E
provai un profondo senso di colpa che detestavo.
Ricevetti
una miriade di regali, tanto che pensai Klaus avesse ammaliato tutti
i presenti per farmeli fare. Ovviamente, per uno scopo oscuro che
solo lui conosceva.
L'unica
che non mi fece un regalo fu Rebekah, disse che la sua presenza era
il miglior regalo che potesse farmi. Poi passò tutto il tempo
al fianco di Philippe, come se la festa fosse la sua.
La
lasciai perdere, le sue parole e i suoi gesti erano nulla in
confronto a quello che poteva fare suo fratello. Rimasi seduta in un
angolo della sala, intanto diversi occhi erano rivolti verso di me e
i regali che stavo scartando.
Katerina
mi era rimasta accanto per tutto il tempo,ma poi le avevo detto che
doveva andare a divertirsi e la spinsi ad andare da Trevor. Meglio
lui che qualcun altro.
Intanto
mi accorsi che Elijah era sparito nella folla. Mi guardai attorno
preoccupata, mentre scartavo il regalo di una ragazza che non avevo
mai visto prima, ma incrociai solo la presenza di Klaus che,
dall'altra parte del tavolo, rideva con un gruppo di uomini. Era
incredibile come stessi attenta ad ogni movimento che faceva, come se
avessi quasi la certezza che potesse attaccarmi in mezzo a tutta
quella gente.
“Non
penseranno davvero che tu possa metterti quell'affare al collo?”
Alzai
lo sguardo e rimasi stupita nel ritrovarmi di fronte Rose, mi
sorrideva e in mano teneva un pacco semplice, fatto probabilmente con
le sue stesse mani. Entrambe tornammo a guardare la sciarpa nera e
color argento che mi era stata regalata. Era molto vistosa, dubitavo
che l'avrei mai indossata, ma non potei fare a meno comunque di
ringraziare la ragazza che me l'aveva regalata.
Mi
alzai in piedi e mi avvicinai a Rose, il fatto che fosse lì
nonostante detestasse Klaus e la sua abitazione, significava che ci
teneva davvero a me. Oppure era stata soggiogata per venire, ma ne
dubitavo visto che lo stesso Klaus le aveva provate tutte per tenerla
lontana.
“Buon
compleanno!” disse lei e allungò la scatola verso di me,
la presi con un sorriso sulle labbra. “Da parte mia e di
Trevor.”
Quando
l'aprì, all'interno trovai diversi contenitori di semi pronti
da piantare e un altro libro sull'erboristeria. Era un regalo
semplicissimo, proprio come quello di Elijah, ma erano entrambi i più
belli che avessi mai ricevuto in vita mia. Ringraziai Rose con un
sorriso e tenni stretta la scatola al mio petto con gioia, non avevo
mai passato un compleanno così bello.
Peccato
che ogni tanto il mio sguardo vagava nella stanza alla ricerca di
Elijah, ma non lo trovava. Dove poteva essere andato? Ogni volta mi
pentivo di compiere quel gesto con la testa, perchè ovunque mi
girassi, mi soffermavo a guardare Klaus e i suoi gesti.
In
quel momento, stava parlando con due donne visibilmente affascinate
dal suo sorriso.
Rose
si guardò attorno. “È...andato tutto bene con le
proprietà della camomilla?” mi chiese in un sussurro,
nonostante stesse parlando in codice per impedire a qualche vampiro
nei dintorni di carpirne il vero significato. La guardai per un
attimo immobile, lei alzò le sue sopracciglia sottili e
chiare, per farmi capire che anche lei stava attenta ai movimenti di
Klaus.
Annuì
con un sorriso, lanciai di nuovo un'occhiata a Klaus e notai che lui,
anche se per un solo istante, mentre sorrideva a quelle due donne,
aveva rivolto lo sguardo verso di noi. Istintivamente, distolsi lo
sguardo e gli voltai le spalle. Rose si accorse del mio evidente
nervosismo e se lo aveva notato lei, ero sicura che lo avesse notato
anche lui.
Il
mio sguardo vagò di nuovo tra la folla, sperai di scorgere
Elijah da un momento all'altro ma tra quella moltitudine di teste non
riconobbi nessuno. Se non Katerina che stava ballando con Trevor,
visibilmente in attesa che Klaus la raggiungesse.
“È
successo qualcosa?” chiese lei, allungando lo sguardo verso il
suo amico. Storse il naso, Katerina non le stava ancora molto
simpatica e non si preoccupava di nasconderlo. Le doveva dare
parecchio fastidio che ballasse con il suo amico, nonostante fosse
invaghita di un altro.
Scossi
la testa. Malgrado avessi una grande voglia di sparlare di Klaus in
quel momento, cosa che oltretutto non mi era nemmeno consentita, non
mi andava di pubblicizzare quello che era successo. Era già
tanto che l'avessi detto ad Elijah.
“Spero
che tu abbia preso la camomilla...” disse Rose preoccupata,
volse la testa verso di me e mi lanciò un'altra occhiata
significativa.
Peccato
che sembravo essere una pianta di verbena vivente, eppure quello non
serviva a rendermi immune dalla bastardaggine di Lord Niklaus.
“Irina?”
Sentì
una mano posarsi sulla mia spalla, anche in quel caso non mi servì
voltarmi per riconoscere quella voce profonda e quel profumo
avvolgente. Mi girai verso Elijah, emettendo un sospiro di sollievo,
ma il suo volto era talmente preoccupato e rigido, che mi spaventò.
Rose,
al mio fianco, si pietrificò: per lei Elijah e Klaus erano la
stessa cosa, la spaventavano entrambi. Se avesse davvero conosciuto
Elijah però, si sarebbe accorta che con Klaus aveva in comune
solo il sangue che gli scorreva nelle vene.
Lei
fece un mezzo inchino, a cui Elijah rispose educatamente. Ma in
maniera parecchio fugace.
“Rose,
potreste lasciarmi un attimo solo con Irina, se non vi dispiace?”
le chiese.
Rose
mi lanciò un'occhiata, le rivolsi un sorriso sghembo per farle
capire che non avevo paura a restare sola con lui. Allora lei si
decise. “Certo, tanto stavo per andarmene. Ci vediamo, Irina.”
disse,fece un altro mezzo inchino e si diresse nella folla per poter
raggiungere più velocemente l'uscita. Doveva essere così
difficile per lei, trovarsi troppo a lungo in un posto che detestava.
Il
fatto che fosse passata solo per lasciarmi il regalo, non mi offese.
Anzi.
Quando
tornai a concentrarmi su Elijah, lui mi prese saldamente per il polso
e mi condusse in un punto lontano e nascosto alla folla, vicino alla
tavola imbandita di spezie e cibarie varie che erano giunte al
termine. Lo guardai con aria interrogativa, mentre lui continuava a
cingermi il polso e si guardava attorno con fare circospetto. Come se
volesse assicurarsi che nessuno lo stesse ascoltando.
“Devi
restare qui in sala e non uscire per alcun motivo.” mi disse,
deciso come mai lo era stato.
Non
capì, ma non mi piacque l'idea che lui parlava come se fosse
costretto a lasciare la festa da un momento all'altro. Ma doveva
essere successo davvero qualcosa di grave per farlo parlare in quel
modo. Gli chiesi cosa fosse accaduto, ma lui sembrava intenzionato a
non dirmelo.
Probabilmente
per non rovinarmi il compleanno, non per nascondere il segreto.
“Tu
pensa a divertirti. È un problema che risolverò io, non
preoccuparti.”
Ogni
mia insistenza fu inutile. Quando lui provò ad allontanarsi,
lo presi per il polso con entrambe le mani e lo trattenni per qualche
secondo. L'ultima volta era stato quasi ammazzato da Joshua, se era
successo qualcosa di grave o di pericoloso, io sarei andata con lui.
Elijah
mi guardò a lungo, si sforzava di mostrarsi duro ma qualcosa
in me glielo impediva. Non ero mai stata così decisa nel
difendere qualcuno fino ad allora.
“Irina...resta
qui e limitati a farlo. Te ne prego.” disse, con fare deciso.
Vedendo
però che non mi rassegnavo a lasciarlo andare, senza almeno
sapere cosa stava accadendo, lui sospirò e mi tirò a
sé. Chiusi gli occhi, quando sentì le sue labbra
posarsi sulla mia fronte, in quello che doveva essere un gesto per
far soccombere ogni mio tentativo di ribellione.
E
ci riuscì, era quella la cosa che mi diede parecchio fastidio.
Quando
le sue labbra si separarono dalla mia pelle, mi parve che la mia
testa fosse tornata ad essere il macigno pieno di domande ,ma di
poche risposte, che era sempre stata. Elijah lasciò la guancia
sopra i miei capelli e sentì il soffio del suo respiro sulla
nuca.
“Andrà
tutto bene.” disse, per confortarmi ulteriormente. Intanto
liberò il suo polso dalla mia presa, che dopo quel bacio si
era allentata parecchio. “Tu stai attenta a qualcun altro
però.”
E
capì subito a chi si riferiva.
Si
allontanò rapidamente, lo osservai sparire nella folla di
persone che ballavano e voltarsi un'ultima volta per lanciarmi
l'ultimo sguardo prima di lasciare la sala. Presi un lungo respiro,
mi pentì di aver desistito dal mio intento di capire cosa
turbasse Elijah per colpa del suo bacio.
Mi
portai la mano alla fronte e mi resi conto che la pelle era diventata
fuoco.
“Un
bacio sulle labbra, uno sulla fronte...ho altri fratelli, vogliamo
vedere dove ti baciano loro, little sweetheart?” disse
una voce alle mie spalle, una voce che mi faceva rivoltare lo stomaco
al solo suono.
Strinsi
i pugni e rimasi immobile, poi decisi di camminare spedita e fingere
di non aver sentito quella frase. Ma Klaus mi si parò davanti,
come al solito mi arrestai di colpo per non scontrarmi con il suo
corpo. In mano aveva un calice di vino, che era solo uno dei tanti
che gli avevo visto bere quella sera, e mi sorrideva con sfida.
Avevo
perso il conto di quante volte avessi cercato di sfuggire da lui,
senza farmi beccare.
Ma
avevo ben in testa il conto delle volte in cui ci ero riuscita: zero.
Klaus
piegò la testa da un lato. “Mi stupisce che tu non abbia
detto a Katerina del nostro bacio.” disse, sempre con
un'espressione divertita sul viso. Stavo per precisare che il bacio
era stato solo suo, io non avevo avuto voce in capitolo. “Ma
credo che ti convenga alla fine, no? Perdere la fiducia di una
sorella non è una cosa bella....”
Si
portò il calice alle labbra e bevve un sorso, poi si guardò
attorno come se si compiacesse che molte donne lo stavano guardando.
Se si fosse tolto quella maschera di bellezza angelica dalla faccia,
dubitavo che qualcuna lo avrebbe guardato ancora in quel modo. Tornò
a fissarmi e mi sorrise, la mia espressione doveva essere dura come
la roccia in quel momento.
Lo
vidi allungare la mano verso di me e io feci un passo indietro. “Mi
sono appena accorto che non ho mai ballato con te. Vuoi avere questo
onore, oggi che compi sedici anni?” disse, un altro modo per
tenermi sotto controllo. Ma ormai lui sapeva la verità, io
pure, che senso aveva sottostare al suo giochetto? Non avevo alcuna
voglia di ballare con il diavolo e non ci avrei perso nulla se
avessi rifiutato. Mi irritava solo il fatto che, se avessi accettato
o no, lui ne sarebbe comunque uscito vincitore: se ballavo con lui,
voleva dire che mi sottomettevo alla sua forza. Se non lo facevo, gli
davo prova che lo temevo così tanto, da non volerlo nemmeno
toccare.
Preferì
comunque la seconda opzione, gli diedi lentamente le spalle e mi
diressi verso un punto lontano da lui.
Quando
sentì la sua mano prendermi per il polso e bloccarmi.
“Katerina
ha perso questo.” disse, quando i nostri occhi si incrociarono.
Il cuore mi scoppiò nel petto, quando vidi cosa stringeva la
sua mano libera: il bracciale di mia sorella.
Lo
teneva per un'estremità, in modo che non toccasse il
ramoscello di verbena che usciva dai lati di esso.
Qualsiasi
fossero le miriadi di sensazione che provavo in quel momento, tutte
annesse alla paura e al terrore, di sicuro lui le notò. Le sue
labbra si allargarono in un sorriso, un sorriso spaventoso che mi
lasciò intendere sarebbe stato seguito da una esplosione di
rabbia.
“Sono
sicuro che le dispiacerebbe molto se perdesse il regalo della sua
adorabile sorellina.” disse poi, facendomi capire che lui
avrebbe potuto toglierle quel bracciale da un momento all'altro.
Non
costituiva una minaccia per lui e io ero stata di nuovo messa con le
spalle al muro.
Con
la mano che stringeva il mio polso, mi fece aprire il palmo e lasciò
cadere il gioiello su di esso. Fissavo il bracciale in silenzio,
sforzandomi di regolare il respiro che mi faceva abbassare e alzare
il petto in una maniera troppo evidente.
“Perchè
non vai a ridarglielo?” mi chiese, con sfida. Alzai lo sguardo
su di lui, continuava a sorridermi ma lo faceva solo perchè
sapeva che, in quel modo, accresceva la mia paura. Mi voltai
lentamente e mi allontanai. Avevo bisogno di aria.
Appena
raggiunsi la balconata, posai le mani saldamente sulla superficie in
pietra e lasciai che il vento freddo mi sfiorasse il viso. Mi
sembrava di non respirare, i miei occhi si bagnarono di lacrime di
rabbia, malgrado stessi sforzandomi di impedirlo. Ma non ci riuscì,
strinsi il pugno che teneva il bracciale e l'altro che invece teneva
un vuoto immenso.
Quel
pugno poi me lo portai al viso, quando mi accorsi che le lacrime
scendevano lungo il mio viso ad una velocità impressionante.
Non
volevo piangere, non per Klaus.
Ma
non sopportavo il modo in cui si divertiva a torturarmi, il modo in
cui mi ricordava sempre che non potevo nulla contro una persona forte
e intelligente come lui e come molte altre che esistevano al mondo e,
sopratutto, non sopportavo il modo in cui mi faceva stare male.
Non
avevo mai pianto di rabbia prima di allora, nemmeno con Ada e mio
padre. Ma lui sembrava riuscire a tirare fuori il peggio di me,
sapeva come far uscire la mia debolezza e metterla su un piatto
d'argento.
Abbassai
il pugno e guardai il cielo nero sopra la mia testa, si sarebbe
rimesso a piovere da un momento all'altro. Ma qualcosa sembrava
costringere le nuvole a trattenersi.
Il
diavolo.
Non
mi accorsi della sua presenza, fino a quando non sentì le sue
mani posarsi con violenza sopra le mie, che giacevano ancora sulla
pietra della balconata, impedendomi di compiere qualsiasi movimento.
Sentì il suo petto sopra la mia schiena e il suo respiro
tagliente che attraversava i miei capelli.
L'esplosione
di rabbia era appena arrivata.
Provai
a combatterlo, ma lui mi stringeva talmente forte da rendermi
inabilitata a qualsiasi gesto.
“Hai
superato il limite, Irina.” sussurrò al mio orecchio,
quasi sibilando. Strinse con forza le mie mani, quando si accorse che
continuavo ancora a combatterlo nonostante tutto.
Non
riuscivo a vedere il suo viso, sentivo solo le sue labbra che
sfioravano il mio orecchio, ricordandomi quanto fosse vicino. Vicino
al poter succhiare via il mio sangue, semplicemente chinando la
testa. “Sono stanco di stare ai tuoi giochetti, qui l'unico che
può farli sono io. E tu devi restare al tuo posto.”
Smisi
di combattere e fissai un punto lontano tra gli alberi sotto di noi,
Klaus strinse ancora le mie mani ma con meno forza, quando si accorse
che mi ero oramai arresa.
Hai
di nuovo vinto tu, Klaus.
Lo
sentì ridere, ma era una risata di pura e violenta rabbia che
mi fece tremare ancora di più.
“Continui
a prendermi per uno stupido? Quando capirai che vincerò sempre
io su di te, ragazzina?” mi chiese. “Non ti chiedo di
fidarti di me, ma almeno di mostrarmi un po' di riconoscenza dopo
quello che ho fatto per te. Se continui così, potrei diventare
davvero cattivo sai?”
Tirai
su con il naso, le lacrime continuarono a scendere lungo il mio viso
e mi odiai per non poterle trattenere. Lui non le vedeva, era solo
troppo impegnato a divertirsi ad usare il suo respiro e le sue labbra
per torturami i pensieri. Le sue parole attraversavano le mie
orecchie, come se fossero spifferi gelidi e taglienti. Mi facevano
male, ero inerme di fronte ad essi.
“Ti
ripeto, io non sono Elijah. A me non interessa renderti felice, a me
interessa solo che non mi crei ulteriori problemi” disse ancora
e le sue labbra si accostarono ancora di più al mio orecchio.
Mi sentì tremare per la paura di avvertire il suo respiro
soffiarmi sulla pelle. “Certe emozioni rendono solo più
deboli e tu e la tua patetica esistenza state indebolendo mio
fratello. Credi che non sappia che ti abbia rivelato la nostra
natura? So tutto, Iry, solo che faccio finta di non vedere, perchè
mi sembra troppo cattivo, persino per uno come me, infierire su una
persona come te.”
Mi
morsi il labbro, osservai le sue mani grandi che avvolgevano le mie.
Una prova in più di quanto fossi debole e stupida. Calò
il silenzio, notai che Klaus stava cercando di guardarmi in viso ma
il modo in cui tenevo la testa glielo impediva. Voleva vincere di
nuovo, anche sulla mia ferma decisione di nascondermi da lui.
“Guardami....”
disse e lo fece quasi con dolcezza.
Lo
ignorai, presi un lungo respiro e mi sforzai di resistere alla paura
che mi spingeva ad eseguire i suoi ordini.
“Guardami!”
ripeté lui, calcando quella parola con una bestialità
unica. Vedendo che continuavo ad oppormi, allungò la mano
lungo il mio mento e si prese quello che voleva: il mio volto solcato
dalle lacrime di rabbia. Respiravo profondamente, mentre guardavo i
suoi occhi grigi che attraversavano il mio viso. Aveva capito che non
piangevo perchè lui mi aveva spaventato, piangevo per la
rabbia di non poterlo sconfiggere in nessuno modo.
Qualcosa
in lui mutò, come al solito durò un misero secondo
affinché potesse davvero soffocare la rabbia che provavo per
lui. Ma ogni volta, in quel singolo momento, non arrivavo ad odiarlo
come al solito. Era incredibile quanto mi detestavo in quel
frangente.
Come
se fossi disposta a perdonarlo.
Klaus
sorrise di nuovo. “Le lacrime sono debolezza, Irina. E tu ne
hai davvero troppe negli occhi, te ne rendi conto?” mi chiese.
Lo ignorai, non mi sforzai nemmeno di asciugare quelle gocce dal mio
viso e tornai a guardare verso l'orizzonte buio lontano da noi,
appena Klaus allontanò la mano dal mio mento.
Aveva
vinto, ora poteva pure andarsene e lasciarmi con la mia solitudine.
Grazie
per avermi rovinato l'unico compleanno che abbia mai festeggiato.
Quello
avrei tanto voluto dirgli ma non potevo.
Sentì
i suoi passi allontanarsi.
Per
poi fermarsi a lungo e tornare ad avvicinarsi. In quel momento non
ebbi paura, il suo andamento nella camminata era lento e tranquillo,
come se non avesse voglia di minacciarmi.
Magari
voleva solo giocare più tranquillamente a rovinarmi la vita.
“Buon
compleanno.”
Quando
sentì quelle parole, mi parve di non credere alle mie
orecchie. Continuai a non guardare Klaus, ma sentì che se ne
stava al mio fianco destro e allungava il braccio sinistro per
tendere una scatolina nera di fronte al mio sguardo. La presi
inconsciamente tra le mani e lo sentì allontanarsi da me.
Avrei voluto voltarmi per guardare la sua espressione ma ne avevo
paura.
E
comunque, quel pensiero mi raggiunse troppo tardi.
Aprì
il fiocco rosso che chiudeva la scatolina, molto lentamente, e
guardai all'interno: c'era un fermaglio luccicante a forma di
farfalla, posto in un letto di petali che erano stati inseriti nella
scatola insieme al regalo. Osservai quel fermaglio sbalordita, senza
sapere cosa pensare.
La
volta precedente mi aveva minacciata e poi aveva trasformato un gesto
romantico come un bacio, in una sua arma. Quella sera era successa la
stessa cosa, ma non capivo che arma si nascondesse dietro quel
prezioso regalo. Ma non lo avrei mai indossato, lo avrei fatto solo
se, forse, avesse mostrato un po' di umanità.
Altrimenti,
non avrei mai portato su di me qualcosa del diavolo.
Rientrai
in sala quando il mio viso tornò ad assumere un aspetto
decisamente normale.
Sperai
che Elijah fosse tornato, avevo bisogno di una certezza positiva in
quel momento e solo lui avrebbe potuto donarmela.
“Dove
sei stata?” mi chiese Katerina con un sorriso, mi raggiunse
senza che me ne accorgessi. Era così felice che quasi mi sentì
in colpa nell'essere così adirata. Le indicai il balcone, per
dirle che avevo bisogno di un po' di aria, ma lei non se la bevve.
Vedeva
che qualcosa non andava in me e da brava sorella maggiore qual'era,
avrebbe indagato fino in fondo alla questione. Ma potevo dirle del
bastardo di cui si era innamorata? Purtroppo no, almeno se volevo
evitare che Klaus facesse del male ad entrambe. Cosa di cui era
davvero capace.
“Tutto
bene? Non hai la faccia di una che sta festeggiando il proprio
compleanno!” esclamò e il suo sorriso di circostanza non
resistette. Non le risposi subito, lasciai vagare il mio sguardo
sulla folla e cercai Elijah.
Ma
lui sembrava ancora assente e la preoccupazione si unì a
quello che già mi stava facendo scoppiare il petto.
Intanto,
lei si accorse che avevo il suo bracciale. “Oh l'hai trovato?”
mi disse felice. “Temevo di averlo perso.” Lo riprese
senza che me ne accorgessi, tanto purtroppo non serviva a nulla e si
era rivelato solo uno dei miei tanti errori.
Il
suo sguardo cadde poi sulla scatolina che tenevo saldamente in mano e
la osservò con curiosità. Forse sperava che ciò
che ci fosse all'interno, potesse riportare la serenità sul
mio volto.
“Fammi
vedere!” esclamò, mettendo in atto quella sua speranza.
Gliela porsi distrattamente, lei l'aprì e ne ammirò il
contenuto mentre io continuavo a cercare la figura di Elijah tra la
folla di persone che mi circondava.
“Ma
è bellissima! Da parte di Klaus, vero?” mi chiese.
Pensai amaramente che era tipico di lui, pavoneggiarsi con quelle
grandezze prive di significato, ma cercai di trattenere la mia
cattiveria.
”Perchè
non te la metti?” mi chiese. Scossi la testa, quando la vidi
avvicinare il fermaglio ai miei capelli, per quanto fosse bello non
avevo la minima intenzione di indossarlo, visto da chi
proveniva.
Il
mio rifiuto la lasciò basita, lei abbassò lo sguardo
sulla farfalla di diamanti poi tornò a fissarmi mentre mi
guardavo attorno. Dovevo sembrare una pazza in quel momento.
Katerina
sbuffò. “Credi che non lo sappia?” mi chiese.
Quella
domanda mi fece tremare, mi voltai verso di lei e la guardai con
occhi sbarrati. La sua espressione era seria e decisa, possibile che
fosse venuta a conoscenza della verità?
“So
cosa ti preoccupa e credo che dobbiamo parlarne.” disse ancora
mia sorella.
No,
lei non poteva sapere cosa realmente mi preoccupava. Doveva avere
frainteso, per il suo bene sperai che fosse così.
Katerina
prese un lungo respiro, si preparò a parlare come se stesse
per dire qualcosa di terribile.
Mi
prese una mano e mi fissò negli occhi.
“Il...”
si bloccò come se stava per dire una bestemmia. “Il
sesso è una cosa importante.”
Quella
frase mi fece sospirare di sollievo, non che fossi felice che mia
sorella fosse arrivata ad una tale conclusione, ma meglio di ciò
che si celava dietro la verità, lo era sicuramente. Il
sollievo lasciò spazio subito all'imbarazzo. “Non che io
sia un'esperta, nonostante quello che è successo... ma devi
starci molto attenta. Anche se Elijah è un bell'uomo...cedere
a tali emozioni può portare a conseguenze drastiche. Tu lo sai
di che parlo.”
Quel
discorso faceva del male a tutte e due, mi portai una mano sulla
fronte mentre mia sorella non riusciva ad andare avanti senza
diventare più rossa ad ogni parola. Come poteva pensare che io
ed Elijah fossimo arrivati a tal punto? Non che potessi darle torto,
ero sparita per un intera notte giorni prima, ma come poteva credere
davvero che io ed Elijah passassimo il tempo in quel modo.?
Non
avevo nemmeno dato il primo bacio, mi sforzavo di mantenere vivo quel
concetto anche se non era più possibile per colpa di qualcuno,
figuriamoci se avevo il coraggio di passare subito oltre. Con un uomo
perfetto come Elijah poi.
Mi
venne da nascondermi, al solo pensiero delle immagini che Katerina
doveva aver visto nella sua testolina più contorta della mia.
Le spiegai che non era così, ma non feci che insospettirla
ancora di più.
Purtroppo
non potevo confermare una teoria simile, avrei messo nei guai anche
l'onore di Elijah se Katerina avesse davvero creduto una cosa simile.
Lei
sbuffò. “Ma perchè non me lo dici e basta?
Insomma, sono tua sorella e non ti giudicherei mai!” esclamò.
Ribadì di nuovo il concetto, ma le feci capire così che
nascondevo qualcosa. E l'espressione ferita sul suo viso, non fece
che farmi sentire in colpa ancora di più.
“Allora
com'è? Dimmelo! Perchè io ti sento allontanarti sempre
di più e non capisco perchè. Cosa mi nascondi, Irina?”
mi chiese.
Non
sapevo cosa rispondere, perchè ogni bugia sarebbe parsa troppo
piccola o troppo grande in confronto a quello che le stavo
nascondendo. Katerina capì subito che non le avrei rivelato
nulla che sarebbe stato almeno lontanamente vicino ai miei segreti.
Scosse la testa delusa.
“Non
mi aspettavo che ,in tutta questa bellezza, avrei perso la cosa più
bella che avessi mai avuto.” disse.
Quella
frase sembrò uccidermi.
Si
allontanò, lasciando cadere le mie mani nel vuoto e la
osservai sparire tra la folla, trattenendo il respiro.
Che
compleanno avevo appena festeggiato! Avevo perso la dignità
con Klaus e la fiducia di mia sorella nel giro di mezz'ora. Ma non
poteva essere finito tutto così.
Mancava
la ciliegina sulla torta.
“Il
discorsetto sul sesso è stato entusiasmante! Ma davvero quella
poveretta pensa che uno come Elijah si sporcherebbe con te?”
disse una voce alle mie spalle.
Strinsi
le labbra e mi voltai verso Rebekah: se ne stava in piedi, vicino
alla scalinata che portava al balcone, con le braccia strette al
petto e mi osservava con la sua solita aria di sfida.
“Almeno
riconosce che sei una sgualdrina come lei, l'obiettività delle
Petrova è forse l'unica cosa che apprezzo...” continuò.
Dentro
di me, sperai che continuasse ad inveire.
Almeno
avrei avuto un buon motivo per fare quello che stavo facendo.
Rebekah
alzò le spalle. “Sinceramente, mi fate pietà
tutte e due. Vi affannate per avere due cose che vi sono troppo
lontane. Tu poi, mi sembra quasi che voglia ben due cose...”
Mi
avvicinai a lei, non sapevo nemmeno che lo stavo facendo, e la
raggiunsi mentre lei continuava a parlare da sola e usando la sua
cattiveria per sorridere da sola.
Non
mi accorsi nemmeno di aver alzato la mano e di averla colpita con uno
schiaffo alla guancia. Il tempo parve fermarsi, sentì alcuni
occhi su di noi e osservai la sorpresa che apparve sul viso della
bionda.
Non
le avevo fatto male fisicamente, ma non era quello che mi importava:
era un altro punto che volevo colpire.
Mi
ero presa la rivincita su tutto, su Klaus e su ciò che mi
stava allontanando da Katerina, senza che fossi realmente connessa
con il corpo e con la mente. Guardai Rebekah che si massaggiava la
guancia incredula e che poi rialzava lo sguardo su di me.
Qualcosa
nelle mia espressione le impedì di difendere il proprio
orgoglio, non capivo cosa ma la vidi trattenersi dal ricambiare il
mio gesto. Attorno a noi, continuavano a guardarci.
Approfittai
di quella situazione e mi allontanai a passo svelto, prima che un
altro originale sfogasse la propria rabbia su di me. Le uniche
persone con cui volevo festeggiare il mio compleanno non c'erano,
perciò potevo anche lasciarmi tutto alle spalle.
E
lo feci in fretta.
Andai
subito a cercare Katerina, armata di candela e velocità nel
camminare.
Se
Elijah mi aveva chiesto di rimanere in sala, lo stesso principio
doveva valere per mia sorella. Non ci avevo pensato, per colpa della
rabbia che Rebekah e Klaus mi avevano procurato.
La
trovai nell'oscurità del corridoio, di fronte alla porta della
nostra camera.
Quando
mi vide arrivare armata di candela, la vidi roteare gli occhi e io
accelerai il passo verso di lei.
“Torna
alla festa, Irina. Almeno per rispetto a Klaus, fingi che ti stia
simpatico. L'ha organizzata lui.” mi disse. Ma la ignorai, a
Klaus non dovevo proprio un bel niente e non mi importava che ci
restasse male per il mio abbandono, cosa che non gli sarebbe di certo
successa.
Lei
aprì la porta e la seguì dentro la stanza, Katerina
sbuffò stancamente e cercai di dirle che dovevamo parlare. O
meglio, dovevo fare in modo che lei si bevesse una delle mie bugie.
Non
ne avevo in mente nemmeno una però.
“No,
ora voglio solo dormire.” Si voltò verso di me e mi
tolse la candela dalle mani, avvicinandosi al letto. “Mi dirai
altre bugie domani...”
Si
bloccò e lanciò un grido di puro terrore quando la luce
della candela illuminò il nostro letto. Istintivamente,
nonostante i miei occhi trovarono orripilante quello spettacolo,
presi Katerina verso di me e la feci voltare. Tornai ad osservare il
nostro letto, divenuto la tomba del cadavere di una ragazza con
indosso un abito da festa e dalla gola squarciata. I suoi occhi
vitrei erano rivolti verso di noi e il suo sangue macchiava le nostre
lenzuola candide.
Deglutì
per la paura e il disgusto.
Come
per Micah, anche Joshua aveva lasciato vivo il fantasma dei suoi
crimini.
E
aveva segnato l'inizio del vero incubo chiamato probabilmente Mikael.
Buon
pomeriggio a tutti! :)
Ultimamente
mi sto rendendo conto di scrivere capitoli talmente lunghi da farvi
quasi invecchiare davanti allo schermo, perciò mi auguro che
siate arrivati fin qui senza capelli bianchi. Dalla prossima volta,
cercherò di contenermi un po' di più!
Tornando
al capitolo, spero che vi sia piaciuto. Come al solito, ho sempre
paura di uscire dal personaggio di Klaus. Il fatto è che sto
cercando di creare un vero rapporto (che fino ad adesso non c'è
stato in realtà)tra lui ed Irina: Klaus si è visto come
qualcuno che ha saldato la stragrande maggioranza delle sue relazioni
con la paura e la rabbia. Perciò sto cercando di attenermi a
queste sue caratteristiche, anche se ho paura di non riuscirci perchè
il mio intento è di far uscire, in parte, anche quella sua
umanità che indubbiamente lui possiede. Attendo il lancio
delle uova, in caso non ci fossi riuscita e mi scuso!
Per
quanto riguarda Elijah, spero che la sua reazione di fronte alle
situazioni trattate in questo capitolo, non vi abbia deluso: in
realtà ho dovuto un po' trattenerlo per diverse
ragioni...però, è pur sempre l'Elijah che strappa cuori
dal petto, perciò non temete perchè anche lui
“esploderà”...
Detto
questo, mi auguro di nuovo che questo capitolo sia stato di vostro
gradimento (questi ultimi io li ho trovati un po' un disastro a dir
la verità) e ringrazio tutti coloro che leggono, chi
recensisce e chi legge in silenzio!
E
non mi stancherò mai di ringraziare coloro che hanno inserito
questa storia tra le preferite, seguite e ricordate.
Grazie
ancora a tutti!
Ciao!
|
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Capitolo 13 *** Salt In Our Wounds ***
-Salt
In Our Wounds-
Love
is insane and baby
we
are too
It's
our hearts little grave
and
the salt in our wounds
(H.I.M-
Salt In Our Wounds)
Solo
allora mi fu chiaro perchè Elijah non avesse preso parte alla
mia festa e perchè mi avesse chiesto di aspettare in salone il
più possibile: la ragazza trovata cadavere sul nostro letto
era scomparsa durante la festa ed Elijah l'aveva cercata per tutto il
tempo.
Ma
Mikael voleva che io e
Katerina la trovassimo, per mostrarci che poteva colpire di nuovo e
arrivare sempre più vicino a noi. Ma era stato Joshua il suo
tramite fino ad allora, voleva dire che era stato lui a colpire
quella volta?
In
quel momento ci trovavamo sedute in sala, gli invitati avevano
lasciato la festa ed eravamo così rimaste con i fratelli
originali e Philippe. Nonostante Katerina fosse la più scossa
tra noi due, mi teneva un braccio dietro le spalle e giocherellava
con un ciuffo dei miei capelli.
Sentivo
la sua spalla tremare contro la mia, era ancora sconvolta per quello
che aveva visto quella sera. Di fronte a noi, su una sedia vicino al
tavolo, sedeva Rebekah sulle gambe di Philippe.
Era
così rilassata che, se non avessi saputo la verità
riguardo quegli efferati omicidi, avrei potuto sospettare che ne
fosse lei l'artefice.
Elijah
stava in piedi accanto alle nostre sedie, il viso aveva
un'espressione più dura rispetto alle altre volte. Non doveva
sopportare l'idea che uno dei suoi incubi peggiori fosse così
vicino alla sua famiglia e ai suoi cari. Per come lo conoscevo,
potevo immaginare quanto il fatto che non potesse risolvere da solo
quella situazione, lo stesse logorando.
“Non
è possibile che sia successa una cosa simile...”
sussurrò mia sorella, le posai una mano sulle ginocchia e
lanciai un'occhiata ad Elijah che, in quel momento, ci stava
osservando entrambe.
Rebekah
scoccò la lingua. “Qualcuno ha voluto lasciare un
regalino a tua sorella a quanto pare...” disse e ci lanciò
uno dei suoi peggiori sorrisetti.
Katerina
non si era ancora abituata al modo di lanciare frecciatine di
Rebekah, perciò sbarrò lo sguardo incredula quando si
sentì dire una frase simile.
“Bekah,
taci per favore.” le ordinò Elijah, senza uscire dal suo
essere educato ma deciso allo stesso tempo. La sorella non osò
replicare, se le avesse rivolto Klaus una frase simile, ero certa che
se lo sarebbe mangiato vivo. Quei due erano della stessa pasta.
Pensando
al diavolo, Klaus tornò rapidamente da noi. Era scomparso da
minuti e, sinceramente, non ne avevo nemmeno sentito la mancanza.
“Dev'essere
stato uno spettacolo terribile.” disse, fingendosi quasi
dispiaciuto. Aveva in mano due bicchieri d'acqua, ne porse uno a mia
sorella, poi si rivolse a me. “Mi dispiace sopratutto che sia
stato rovinato il tuo compleanno, Iry.”
Mi
lanciò un sorrisetto, lo guardai di sottecchi mentre mi
porgeva uno dei due bicchieri. La tentazione di rovesciarglielo
addosso era tanta, ma mi limitai a guardarlo più freddamente
che potevo. Il compleanno era già stato rovinato da lui e dal
suo caratteraccio, il cadavere sul nostro letto aveva solo completato
l'opera. Presi il bicchiere, quando mi resi conto che lo stavo
fissando troppo a lungo e con troppa rabbia.
Ma
non lo ringraziai come aveva fatto Katerina.
Elijah
restò immobile accanto a noi, ma il suo sguardo vigile era
rivolto ai movimenti e alle azioni del fratello.
“È
impossibile che sia stata opera di un animale...” disse mia
sorella, tremando come una foglia.
Quella
frase mi spaventò, se mia sorella fosse arrivata alla
conclusione che ci fosse una specie di assassino che ci voleva morte,
sarebbe potuta anche arrivare alla verità sui vampiri.
Rimasi
a fissarla così a lungo, stringendo il bicchiere tra le mani,
che nemmeno mi accorsi che Klaus aveva preso una sedia e mi si era
seduto accanto. Intanto, Katerina continuò a giocare con i
miei capelli. “C'è qualcuno che fa del male a quelle
ragazze, dev'esserci un essere umano dietro a tutto questo.”
“Non
è così Katerina...” disse Elijah, ma il suo non
era un discorso che avesse un vero fondamento purtroppo. Era chiaro
che non ci fossero motivazioni plausibili che potessero nascondere la
verità, era troppo evidente ormai.
Mi
accorsi che Katerina aveva entrambe le mani, attorno al bicchiere.
Allora
chi era che giocherellava con i miei capelli? Mi voltai verso Klaus e
lo vidi sorridermi, mentre intrecciava una ciocca dei miei ricci
attorno alle proprie dita. Istintivamente gli diedi uno schiaffo sul
braccio e attirai l'attenzione di tutti su di noi, possibile che
nonostante la situazione lui continuasse a volersi divertire ad ogni
costo?
“Niklaus,
la puoi smettere?” disse Elijah duramente. Katerina intanto si
voltò verso di noi, fortunatamente non si era accorta di nulla
e vide solo il mio corpo che dava le spalle a quello di Klaus. Con la
cosa dell'occhio, notai che lui stava spalancando le braccia.
“Sto
solo cercando di essere d'aiuto, fratello.” disse. Non capivo
perchè era così divertito con tutto quello che era
successo quella notte, c'era qualcosa sotto il suo comportamento che
non mi era chiaro. Come al solito.
Elijah
lo guardò freddamente, ma non disse nient'altro. Katerina
abbassò lo sguardo preoccupata e trattenni il fiato.
Quanto
avrei voluto che dimenticasse.
Quel
pensiero mi fece rabbrividire quando il mio sguardo cadde sul
bracciale che portava al polso, perchè era una cosa che avrei
davvero potuto permettere. Ma non mi andava di violare la mente di
mia sorella, non dopo tutte le volte che Klaus si era preso il
diritto di farlo.
Però,
introdurre una persona innocente come mia sorella in quel mondo, mi
sembrava un'ingiustizia.
“Elijah,
ti posso parlare in privato?”
Mi
voltai verso Klaus, quando lo sentì pronunciare quella frase.
I suoi occhi si posarono un attimo su di me e compresi che aveva
messo in atto qualcosa che forse non mi sarebbe piaciuto. Quando mi
sorrise, gli diedi di nuovo le spalle e guardai Elijah.
Sembrava
combattuto nel volerlo seguire, ma alla fine non poteva fare
altrimenti. La sedia di Klaus cigolò, segno che si era appena
alzato e li seguì con lo sguardo mentre uscivano dalla sala.
Qualunque
cosa avesse in mente Klaus, io la volevo sapere.
Morsa
dalla curiosità, decisi di fare quello che tutti chiamavano
origliare.
Se
quel bastardo aveva in
mente qualcosa, doveva per forza riguardare me e mia sorella. Il suo
sguardo, l'unica cosa che non riusciva a coprire con quel suo sorriso
beffardo, mi aveva lasciato intendere chiaramente che aveva preso una
decisione delle sue.
“Dove
vai?” mi chiesero all'unisono Katerina e Rebekah, quando mi
videro alzarmi in piedi. Kat mi prese per il polso, poiché non
voleva che andassi da sola in giro per la villa, dopo quello che era
capitato. Rebekah invece, pronunciò quella frase con durezza,
per farmi capire che lo schiaffo che le avevo dato poteva
rivoltarmisi contro, in caso avessi combinato qualche danno.
Era
strano aver sentito le loro voci accavallarsi, perchè erano
molto simili in fondo ma avevano una profondità ben diversa.
Non risposi alla vampira, lanciai un'occhiata a mia sorella e le
dissi che dovevo andare in bagno. Rebekah finse di crederci e si
distese ancora di più sull'ampio petto di Philippe. Ma almeno
con entrambi, Katerina era al sicuro: nessuno dei due avrebbe osato
farle del male, sotto lo stesso tetto di Klaus.
Mi
allontanai così rapidamente e raggiunsi il punto da cui
sentivo provenire dei sussurri. Di due voci che si rincorrevano e che
riportavano nell'aria diverse emozioni che non riuscì a
cogliere.
Provenivano
da un punto in fondo al corridoio, dove una porta era socchiusa e una
debole luce si rifletteva sul pavimento in un piccolo spiraglio.
Attraversai velocemente l'oscurità, sforzandomi di non
produrre nessun rumore che potesse giungere all'orecchio di un
vampiro.
Mi
fermai accanto alla parete e tesi l'orecchio in ascolto: Klaus ed
Elijah erano in biblioteca, riuscì a scorgerli mentre
parlavano l'uno di fronte all'altra, ad una vicinanza che faceva
quasi paura, vista la fiamma del cammino che bruciava dietro di loro
e illuminava i loro corpi.
“Avevi
detto che questa cosa era stata risolta...e invece non è così,
Elijah. Che sta succedendo?” stava dicendo Klaus, mi sembrò
quasi umano in quel momento. Sembrava un uomo che si preoccupava per
l'incolumità della propria casa e della propria famiglia. Ma
il più umano dei due era sicuramente Elijah: lui era ancora
fermamente convinto nel non voler far preoccupare il fratello.
Mikael
era ancora una cosa
astratta e non aveva prove che potesse provare che ci fosse davvero
lui dietro a quella storia. Anche se era quasi evidente e dubitavo
che Klaus non ci fosse arrivato.
“C'è
ancora qualcun altro che trama alle nostre spalle, ma lo troverò.
Hai la mia parola.” rispose Elijah, ma il suo fare protettivo
era oscurato da una rabbia percettibile. Sembrava quasi non vedesse
l'ora di allontanarsi da Klaus, ma il fratello fece finta di nulla.
Appena
vide che Elijah stava per allontanarsi, gli posò una mano
sulla spalla. “Dobbiamo intanto cancellare la memoria di
Katerina. Sa troppo.” disse. Deglutì, quando mi accorsi
che io e Klaus avevamo avuto lo stesso pensiero. La cosa mi fece
sentire molto sporca dentro, non volevo avere, oltre al mio passato,
anche i miei pensieri accomunati ai suoi.
Elijah
volse la testa verso di lui e il suo sguardo sembrò ghiaccio.
“C'è un'altra persona a cui bisogna chiedere prima...”
disse e captai subito il chiaro riferimento a me. Malgrado tutto, la
cosa mi fece trovare la forza di sorridere.
Fu
la risata di Klaus a spegnere tutto. “A chi ti riferisci? Alla
ragazzina che sta origliando la nostra conversazione?” chiese.
A quel punto tremai e trattenni il fiato, non avevo nemmeno più
il coraggio di guardare dentro la stanza, nonostante fossi stata
beccata in pieno.
“Vieni
fuori, little sweetheart.
Sento il rumore del tuo respiro da qui!” mi chiamò
Klaus, sempre con quella sua voce talmente profonda da farmi tremare
dentro.
Chiusi
gli occhi, avevo una gran voglia di tirarmi indietro e di correre
via, anche se era troppo tardi.
Ma
non volevo farla vincere di nuovo a Klaus. Mi feci forza e decisi di
entrare nella stanza, quando Elijah mi vide apparire sulla soglia
della porta, disse qualcosa a denti stretti che non riuscì a
percepire. Ma Klaus lo interruppe prima di farlo finire, mi fece
segno di avvicinarmi e io non potei che obbedire.
“Ti
dirò una cosa in due secondi veloci, Iry. Io voglio manipolare
la mente di tua sorella, affinché dimentichi tutto e non te lo
dico perchè voglio il tuo permesso..” Klaus fece dei
passi verso di me, quando si accorse che mi ero improvvisamente
fermata. “Te lo dico solo perchè non voglio che ti metta
poi in testa qualcosa che potrebbe farmi seriamente perdere le
staffe. Mocciosa avvisata, mezza salvata, non trovi?”
Pronunciò
quelle parole quasi ringhiando, la cosa non mi spaventò ma mi
procurò una rabbia incredibile. Avrei voluto colpirlo con
tutta la forza che avevo in corpo, anche se non sarebbe servito a
nulla. Vedendo che mi stavo mordendo le labbra e spaccando i pugni
per restare calma, Klaus sorrise e fece un altro passo verso di me.
Teneva le mani dietro la schiena, sapeva che non gli servivano per
intimidirmi o per farmi andare fuori di testa: a lui bastava un
sorriso per vincere.
“Mi
hai capito?” chiese, fece un altro passo verso di me e in quel
momento Elijah si parò davanti a lui. Lo fece con una velocità
unica, che sorprese persino il suo stesso fratello, osservai il volto
di Klaus assumere un aspetto a dir poco infastidito, mentre
osservava il volto di Elijah di fronte a sé.
Le
sue spalle però, per poco mi impedivano di vedere
completamente il volto di Klaus.
“Io
penso che tu debba smetterla di minacciarla. Mi sembra davvero poco
galante, Niklaus.” Elijah parlò con una freddezza mista
a calma che mi fece tremare.
Era
di nuovo uscito il suo lato da vampiro, quello che io non avevo
ancora ben sperimentato, ma che non avrebbe tardato ad uscire a
quanto pareva. Era strano, come invece di Klaus avessi conosciuto
solo il lato mostruoso e mai quello umano. Sempre se quest'ultimo
esisteva ancora, disperso nell'oscurità che sembrava averlo
completamente divorato dall'interno.
Klaus
sorrise, rivolse lo sguardo verso di me piegando la testa e ridusse
gli occhi a due fessure. “Hai fatto la spia riguardo al nostro
piccolo segreto, vero?” mi chiese, Elijah cercò ancora
di coprirmi con le sue spalle. Intanto presi dei lunghi respiri per
restare calma.
Klaus
scosse la testa. “Adesso sì che ho davvero voglia di
dirlo a tua sorella.” ridacchiò. “Voi Petrova
siete davvero brave a rovinare rapporti fraterni...stavolta voglio
avere io questo ruolo.”
Feci
un passo verso di lui, con la stupida ma ferma convinzione di volerlo
sfidare. Fu Elijah a fermarmi, prendendomi i polsi prima che potessi
anche solo provare a colpire Klaus.
Non
voleva difendere il fratello, voleva solo difendere me.
Purtroppo,
era chiaro a tutti e tre che la più debole ero io e che sarei
stata io quella a subire la sconfitta da parte di Klaus. “Irina,
lascia stare.” mi sussurrò Elijah, mentre Klaus alle sue
spalle rideva della mia espressione furiosa. Ci godeva sul serio,
come un bambino che giocava e si divertiva in un parco fatto di paura
e rabbia. Perchè Klaus sembrava conoscere solo quei due
sentimenti.
“Sei
davvero così patetica?” mi chiese. Il termine patetica
mi si addiceva davvero in quel momento, ma sentirlo uscire dalla sua
bocca mi mandava fuori di testa.
“Irina,
lascialo perdere.” rimarcò Elijah, allora posai
finalmente lo sguardo su di lui. Dai suoi occhi scuri, capì
che lui si stava seriamente trattenendo, mi sembrava di scorgere
quella luce di rabbia che si accendeva e spegneva dentro di lui. Ma
Klaus era suo fratello ed era pericoloso, era logico che volesse
trattenersi nel miglior modo possibile.
Klaus
smise di ridere, il suo sguardo si posò sulle spalle di
Elijah. Divenne freddo, di un freddezza che ghiacciava così
tanto le sue emozioni da non lasciar trapelare nulla.
Mi
calmai e mi strinsi le braccia al petto sforzandomi di non guardare
più Klaus, Elijah mi restò di fronte probabilmente
perchè nemmeno lui voleva guardarlo.
“Facciamo
un patto, Iry.” esordì improvvisamente Klaus, affiancò
il fratello in modo che non venissi più nascosta dal suo
corpo. Una cosa che provocò l'accendersi di un'altra luce
negli occhi di Elijah. “Io cancellerò il ricordo di quel
cadavere dalla mente di Katerina e ti prometto che non abuserò
più di questo mio potere.”
Lo
studiai a lungo per capire se fosse sincero o meno, ma che forma
aveva la sincerità sul viso di qualcuno che non sapeva cos'era
fare del bene? Smise di sorridere e assunse un'espressione quasi
umana, che ogni volta mi faceva dimenticare quanto lo detestassi.
Odiavo
me stessa in quei momenti, come al solito.
“Però...tu
devi smetterla di tramare alle mie spalle, perchè è una
cosa che non sopporto.” disse poi, storcendo la bocca in una
smorfia quasi da bestia.
“Sei
tu che l'hai spinta a tramare alle tue spalle, Klaus. Tutti i tuoi
rapporti si basano sulla rabbia e la paura, anche se li instauri con
chi non vuole farti del male!” gli ricordò Elijah,
usando più o meno le stesse parole che avrei usato io in quel
momento.
Klaus
lo ignorò, come se le sue parole fossero vento. “Vuoi
fare questo patto con me o no?” mi chiese ancora. Elijah ci
guardò, non capì perchè ma avvertì un
barlume di fiducia dentro di me, mentre osservavo lo sguardo di
Klaus. Forse quella poteva essere la volta buona in cui avrebbe
dimostrato che c'era qualcosa in lui. Chiusi gli occhi, quando mi
accorsi che ci stavamo guardano a lungo, come se cercassimo qualche
prova l'uno nell'altra.
Annuì,
sperando che il mio sesto senso non si sbagliasse. Elijah rimase
visibilmente sorpreso dal modo in cui abbassai le difese così
facilmente. Klaus sorrise. “Va bene allora, il bracciale
tornerà al suo posto appena finito.” disse, mi superò
dandomi quasi una spallata.
Non
mi voltai per guardarlo andare via, rimasi a guardare Elijah e sentì
la porta chiudersi alle mie spalle. Mi sembrò di essere
finalmente tornata a respirare e mi morsi il labbro.
Elijah
mi stava guardando, ma la sua espressione lasciò trasparire
quello che mi sembrava fastidio.
“Perchè
ti sei fidata di lui così prontamente?” mi chiese
Elijah, mi guardò profondamente ed ebbi la conferma che la mia
stupida decisione lo aveva parecchio stupito e irritato.
Anche
perchè si trattava di Katerina, ma non volevo più
vederla spaventata in quel modo.
Poi,
Klaus sembrava volerla comunque al sicuro, anche se il motivo non mi
era ancora ben chiaro. Abbassai gli occhi e mi grattai la fronte,
qualcosa dentro il mio petto sobbalzò, ricordandomi che si
parlava di Niklaus, il mio più grande incubo dopo Bell
e Mikael.
Elijah
fece un passo verso di me e mi posò una mano sulla spalla.
Sospirò e sembrò voler cambiare discorso. “Mi
dispiace che il tuo compleanno sia stato rovinato in questo modo..”
disse.
Ci
guardammo a lungo, la sua mano poi raggiunse i miei capelli vicino
all'orecchio e iniziò ad accarezzarli dolcemente. Come sempre,
mi sentì esplodere il petto per via di tutte quelle emozioni
che il suo tocco mi procurava. Eppure, sembrava che qualcosa lo
turbasse in quel momento: la sua dolcezza, la sua premura erano
lontane da quelle che avevo conosciuto fino ad allora. “Lo
fermerò, non gli permetterò più di avvicinarsi a
te e a tua sorella. Te lo giuro sulla mia vita.” disse ancora.
Il suo pollice sfiorò la mia guancia, ma i suoi occhi non
incontrarono più i miei. Cercò di allontanarsi, dandomi
così la conferma che avevo sbagliato qualcosa e non mi chiesi
cosa. Già lo sapevo. Lo fermai, prendendogli la mano.
Lui
non si voltò subito, studiò a lungo un punto di fronte
a sé e poi decise di guardarmi. Capì subito che volevo
sapere cosa lo aveva indisposto in quel momento, ma sembrava
titubante nel volermi rivelare ciò che aveva dentro di sé.
“Io
non voglio che tu ti fidi di Klaus.” disse, con voce dura pochi
secondi dopo, guardando qualcosa alle mie spalle che doveva
interessargli di più di me in quel momento.
Gli
lasciai la mano e distolsi lo sguardo da lui. “Sei la tipica
persona che non sa odiare e posso immaginare come sia facile per
Klaus giocare con te e guadagnarsi falsamente la tua stima. Ma io non
voglio permetterlo, perciò cerca di non dare una mano alla sua
follia.”
Ci
guardammo di nuovo, ma più a lungo. Poi qualcosa non gli
permise più di sostenere il mio sguardo e si allontanò
rapidamente.
Presi
un lungo respiro, ma non bastò per sopprimere quello che avevo
dentro in quel momento. Mi sentivo distrutta e avevo timore di aver
sbagliato tutto. Per la prima volta mi accorsi che era stato Elijah a
farmi sentire così. Non perchè mi avesse fatto del
male, ma perchè aveva messo in evidenza un altro mio lato
debole che non conoscevo. Anche Klaus metteva sempre in mostra i miei
punti deboli, ma Elijah lo aveva fatto per il mio bene, per
proteggermi come al solito.
Lasciai
così la stanza anche io, accompagnata unicamente dal vuoto che
provavo dentro di me.
Klaus
ci affidò due camere separate, la cosa mi fece pensare
parecchio ma mi sforzavo di credere che non fosse per forza un piano
per controllarci meglio entrambe. Dalla sera prima, non le parlai più
e la trovai addormentata nel suo letto. La paura era scomparsa dal
suo viso, mentre la osservavo dormire beatamente sotto le coperte.
Decisi di restare con lei quella notte, a dormire sulla sedia per non
lasciarla sola.
Non
mi andava di restare sola e non mi andava nemmeno di lasciare sola
lei, dopo quello che era successo e dopo quello che le avevo
fatto. Dormicchiai a momenti, mi svegliavo di soprassalto ogni
tanto e mi sentivo il cuore in gola quando rivedevo l'immagine di
quel cadavere sopra il nostro letto. I suoi occhi vitrei e le sue
labbra aperte in un ultimo e soffocato grido.
E
la prossima poteva essere Katerina, non potevo permetterlo.
Avrei
preferito morire io al suo posto.
Per
combattere il sonno, decisi di pensare nuovamente al foglio di papiro
che ero riuscita a prendere prima che i nostri effetti personali
cambiassero stanza, lo avevo nascosto in un altro posto che speravo
fosse sicuro quanto il precedente. Ripensai alla parola posta tra il
sole e la luna e mi convinsi che dietro di essa c'era un'altra verità
a cui dovevo arrivare.
Guardai
il sole sorgere fuori dalla finestra, lo avevo atteso così a
lungo quella notte che fu un sollievo per i miei occhi incontrare i
suoi raggi.
Un
rumore mi fece sobbalzare, mi voltai verso la porta della camera di
Kat e vidi Elijah apparire sulla soglia. Rivederlo dopo le sue parole
della notte prima, mi fece dimenticare orrore, paura e senso di colpa
che in quel momento mi stavano uccidendo. Mi fece segno di non far
rumore e di raggiungerlo fuori, cosa che feci prontamente lanciando
un'ultima occhiata a mia sorella.
“Vieni
con me.” si limitò a dire lui, quando fui al suo fianco.
Non mi diede altre spiegazioni e obbedì, il sole stava
sorgendo sotto un mare di nuvole, faceva fresco quella mattina.
Più
del solito.
Elijah
mi condusse nel mezzo della foresta, dove gli alberi erano più
alti e i rumori della natura erano più forti e profondi. Il
vento ci investì, con una forza inaudita e qualche foglia ci
circondò, mentre si faceva trasportare da esso. Mi chiesi
perchè mi avesse portato là e non lo capì
nemmeno quando si fermò a pochi passi da me, dandomi le
spalle.
Lo
vidi solo togliersi la giacca che portava sulle spalle e restare così
con una maglia senza maniche, che metteva in risalto i muscoli delle
sue braccia. Rimasi immobile, come al solito non potei fare a meno di
tracciare con lo sguardo le linee del suo corpo. Si voltò
verso di me e mi guardò deciso, per la prima volta paragonai
il suo sguardo a quello di Klaus.
Enigmatico
e difficile da tradurre.
“Hai
ancora il pugnale con te?” mi chiese, avvicinandosi di qualche
passo a me.
Si
fermò a pochi centimetri e il modo in cui il suo viso mostrava
una ostentata durezza, mi destabilizzava parecchio. Cosa aveva in
mente di fare? Annuì e mi piegai per prenderlo sotto la gonna,
ma lui mi fermò con la mano. “No, non prenderlo. Volevo
solo assicurarmi che lo avessi ancora su di te.” disse.
Un
rumore ruppe il silenzio, fu il volo di un uccello che veniva
ostacolato dai rami degli alberi ad averlo provocato. Avevo alzato lo
sguardo spaventata, colpa probabilmente della nottataccia che avevo
passato e della strana sensazione che mi stava pervadendo in quel
momento. Mi accorsi che, per tutto il tempo in cui il mio sguardo era
rivolto verso il cielo, Elijah aveva distolto lo sguardo da me e
aveva preso qualcosa che nascondeva nella cintura.
Un
paletto di legno, molto spesso e dalla punta parecchio appuntita.
Osservai
l'arma, con il sangue che mi si gelava nelle vene. Mi fu per un
attimo chiaro cosa avesse in mente di fare, ma sperai vivamente di
sbagliarmi perchè conoscevo i miei limiti.
“Prendilo.”
mi ordinò Elijah, lasciandomi intendere che non avevo
alternative.
Eppure
non mi mossi, fu costretto lui a prendermi la mano e a cingerla
attorno al legno del paletto. Le sue dita chiusero le mie sopra
quell'arma, alzai lo sguardo su di lui mentre teneva gli occhi fissi
sulle nostre mani vicine sopra il paletto.
“E
ora colpisci al cuore.”
Lo
guardai sconvolta, le sue mani tirarono le mie, fino a portare la
punta del paletto nella zona del suo petto, dove secoli prima aveva
battuto il suo cuore, ora immobile ma pur sempre vivo secondo me.
Scossi la testa, non mi serviva che lui mi dicesse che quell'arma non
gli avrebbe mai fatto nulla, non riuscivo nemmeno ad immaginare il
pensiero di poterlo colpire.
Era
più forte di me.
“Irina,
mi farai solo un po' male, ma non mi ucciderai.” disse lui,
piuttosto duramente.
Vedendo
la mia ostinazione nel non volerlo colpire, strinse un po' di più
la presa sulla mia mano. La punta del paletto premette ancora di più
sul suo petto.
“Purtroppo
non posso insegnarti a difenderti da Mikael, lui è
troppo forte e spero vivamente che non osi mai arrivare a colpirti
davvero.” disse, a denti stretti. “Ma c'è ancora
qualcuno di cui si serve, qualcuno che avrebbe potuto ucciderti ieri
notte, al posto di quella ragazza. E io non c'ero.”
Allora
mi fu chiaro quanto lo turbasse il fatto che non era riuscito a
prendere il colpevole di quell'efferato omicidio. Da bravo uomo
d'onore quale era, non sopportava non aver risolto la situazione.
“Voglio
evitare che succeda di nuovo, voglio che tu sia pronta a mettere da
parte la tua paura, la tua umanità e che impari a difenderti
senza aver paura di fare del male.” continuò Elijah.
“Con Joshua lo hai fatto, ma solo perchè dovevi
scegliere tra me e lui. Tra te e il nemico, saresti capace di
redimere il tuo nemico.”
Non
capì subito il discorso di Elijah e ci misi un po' per
collegarlo a quello che era successo la sera prima con Klaus.
Klaus
era il mio nemico e io avevo abbassato la guardia, lasciando
che nutrissi della fiducia per lui. Gli avevo permesso di portare la
paura che dovevo nutrire per la sua figura in un angolo nascosto del
mio cuore e della mia mente, dove non poteva più raggiungermi.
Ma lo avevo fatto solo perchè, almeno così pensavo,
Klaus voleva il bene o almeno la serenità di Katerina.
Per
questo mi ero fidata, lo avevo fatto per lei. Anche se ero certa di
aver sbagliato.
Ma
era un discorso ben diverso quello tra la storia di Joshua e quella
di Klaus: nel primo caso io lo avevo ucciso per difendere Elijah, nel
secondo caso io mi ero fidata per proteggere Katerina.
Perciò
poteva essere seriamente quella la cosa che aveva fatto scattare quel
meccanismo in Elijah? Forse voleva solo farmi capire, che perdonare e
fidarsi erano due decisioni che non dovevo prendere con estrema
facilità. Come avevo fatto con Klaus.
Avrei
dovuto combattere, più per me stessa in quel caso, e lasciare
che la mia umanità venisse sostituita da una specie di spirito
di sopravvivenza. Dovevo sempre riconoscere il mio nemico e saperlo
combattere anche se dovevo solo difendere me stessa.
Ecco
cosa voleva dire Elijah.
Lui
strinse più saldamente la mia presa attorno al paletto e mi
tirò a sé, sentì il suo respiro sul viso, mentre
la punta dell'arma quasi perforava il centro del suo petto. Avrei
voluto ritrarmi, ma lui me lo impediva con la sua mano. “Colpisci,
ora e con tutta la forza che hai in corpo.”
Non
volevo farlo e lui non poteva obbligarmi.
Guardai
il suo viso con decisione e lui piegò la testa da un lato.
“Non
lo faresti mai, eh?” mi chiese, alzando la bocca verso destra,
come se lo divertissi in qualche modo. Abbassai lo sguardo, era quel
“mi farà solo un po' male” che mi bloccava, ma
anche il fatto che non avessi alcuna intenzione di colpire in pieno
petto Elijah.
“Va
bene.” disse, lasciò la mia mano e nemmeno mi accorsi
che era scomparso.
In
un baleno, come un lampo che illumina la notte più buia per un
un solo, breve istante, prima di lasciar tornare l'oscurità.
Mi guardai attorno, ma non lo trovai da nessuna parte.
Rimasi
immobile, sentivo solo il verso di un uccello che gracchiava su uno
dei tanti rami sopra la mia testa e il mio cuore che batteva a mille
nel petto.
Trovarmi
da sola, nella foresta, dopo che la presenza di Elijah mi aveva
accompagnato fino a pochi secondi fa, mi fece stare male. Mi sentivo
come se avessero strappato una parte del mio corpo, mi sentì
debole e persa come non lo ero mai stata.
Feci
qualche passo, continuando a cercare disperatamente Elijah, ma lui
sembrava scomparso.
Mi
fermai di colpo, quando sentì dei rapidi passi dietro di me.
Girandomi però non vidi nient'altro che il centro di quel
cerchio di alberi che sembravano circondarmi.
Avrei
voluto gridare il nome di Elijah, per implorarlo di tornare subito.
Non
mi piaceva rimanere da sola, non ci avevo realmente fatto caso fino
ad allora.
Sussultai,
quando sentì due mani adagiarsi sul mio collo. Non strinsero
la presa, restarono solo sopra la mia pelle fredda, come per
dimostrarmi che avrebbero potuto stringersi da un momento all'altro.
Un respiro che conoscevo bene soffiò sui miei capelli, un
respiro che inconsapevolmente fece in modo che stringessi con meno
forza il paletto che avevo in mano.
“Un
vampiro potrebbe staccarti la testa dal collo in questo stesso
istante.” disse la voce profonda di Elijah. Deglutì e
rimasi immobile, con la coda dell'occhio cercai di avvicinarmi sempre
di più all'immagine di Elijah alle mie spalle. “Potrebbe
chinare la testa in questo preciso momento e prendere il tuo sangue.
E tu, da sola, non ti sei mostrata forte come lo sei vicino a
qualcuno che vuoi bene. Capisci quello che sto cercando di
dimostrarti?”
La
voce di Elijah era durissima e profonda, ogni parola mi provocava dei
brividi lungo la schiena che non riuscivo a controllare. Le sue dita
si intrecciarono sotto il mio mento. “Tu sei forte, Irina. Ma
lo sei solo quando senti di dover difendere qualcuno: Katerina,
me...persino Klaus. Ma da sola non riesci a trovare la forza per
difenderti e questo non posso consentirtelo.”
Trattenni
il fiato, mentre le sue parole si connettevano nella mia mente fino
ad avere un senso logico, che anche io potessi cogliere: Elijah
voleva che fossi forte anche per proteggere me stessa, perchè
lui non avrebbe potuto esserci sempre. Come la sera prima, in cui mi
ero quasi sentita persa quando non lo trovavo tra la folla. O quando
Katerina si era allontanata dopo il nostro litigio. Non mi ero mai
resa conto di quanto a fondo Elijah mi stesse facendo scoprire me
stessa.
Non
che credessi davvero di essere forte, ma non avevo mai fatto a quanto
fossi debole da sola.
Quando
non avevo altri da difendere se non me stessa.
Elijah
lasciò il mio collo, permettendomi così di voltarmi
verso di lui. La sua espressione era ancora dura, ma soddisfatta di
avermi fatto aprire gli occhi su una realtà che non volevo
conoscere. “Devi combattere anche per te stessa.” mi
disse ancora. “Perchè se ti dovesse capitare qualcosa,
le persone che vogliono proteggerti ne soffrirebbero.”
Lo
guardai negli occhi, quegli occhi in cui ero capace di perdermi per
un infinità di tempo, anche se passava un solo secondo. “E
potrebbero non perdonarselo.” continuò lui, abbozzando
un sorriso che, in quel momento, non sorressi. “Perciò,
usa la forza che impieghi nell'amare gli altri, anche per amare te
stessa. Combatti anche per salvare la tua di vita, perchè come
ti ho già detto per molte persone è importante.”
Mi
superò, sentì le nostre spalle quasi sfiorarsi e un
enorme senso di gratitudine nei suoi confronti mi pervase. Mi aveva
insegnato più di quanto avessi pensato in tutto quel tempo,
ero cambiata grazie a lui, ma solo allora me ne accorsi: mi aveva
insegnato a come sconfiggere una mia debolezza che non credevo
nemmeno esistente, mi aveva insegnato una lezione di lotta e umanità
che non avrei mai imparato se non ci fosse stato lui.
Amarsi
e combattere anche per sé stessi, una unione che anche lui
doveva aver imparato nel corso dei secoli in cui aveva vissuto. Si
voltò verso di me per un attimo e mi sorrise, il vento gli
scompigliò i lunghi capelli castani e li portò sui suoi
occhi.
“Sai
a chi ho detto parole simili a queste, tempo fa?” mi chiese.
Scossi
la testa, mi sembrava ancora di sentirmi astratta e portata via dal
vento, come se fossi una fogliolina. Elijah alzò gli occhi
verso il cielo e mi parve di vedere della nostalgia nel suo sguardo.
“Ad
una persona che, come te, combatteva per coloro che amava ma non per
sé stesso.”
Tornai
in me e capì subito a chi si riferiva, non era difficile da
cogliere il paragone.
Klaus.
Elijah
tornò a guardarmi e qualcosa si spense di nuovo nel suo viso.
“Ma quella persona è morta da secoli ormai.”
disse. La nostalgia era scomparsa dal suo volto, lasciando posto ad
una amarezza che doveva tormentarlo da secoli. “Né io,
né nessun'altra delle persone che gli stavano attorno, è
riuscito a salvarlo dall'oscurità in cui lentamente e nel
tempo stava precipitando sempre di più....per questo, non
voglio che tu abbassi così facilmente la guardia con Klaus.”
Lo
osservavo attentamente, mentre sul suo viso la lotta interiore tra
l'affetto che provava per suo fratello e quello che provava per me,
sembrava riflettersi nei suoi occhi. Ero certa che Elijah volesse
comunque bene a Klaus, anche se non lo dimostrava con gesti troppo
affettuosi che non erano da lui, ma riconosceva al tempo stesso che
suo fratello non era una persona di cui ci si poteva fidare.
Ritorceva
tutto quello che gli davi, in qualcosa che poteva servirgli.
E
io avevo abbassato la guardia troppo facilmente con lui, quando avevo
deciso di provare a difendere Katerina. Ma c'era sempre quella parte
dentro di me, che mi diceva che se andavo a fondo del suo animo,
avrei potuto trovare una luce. Ed era quello che mi aveva spinto ad
annuire e a provare a fidarmi.
“Lui
avrebbe potuto colpirti in quel momento. Non intendo...fisicamente,
ma avrebbe potuto ferirti e tradire la fiducia che gli hai riposto.”
continuò Elijah, fece un altro passo verso di me e restò
poi immobile a guardarmi. Era calato il silenzio, rotto solo dal
vento che aveva ripreso a soffiare incessantemente su di noi. I
discorsi che Elijah faceva riguardo Klaus mi innervosivano, perchè
voleva tenermi lontana da lui, ma allo stesso tempo voleva che non lo
odiassi.
“Mi
dispiace dirlo, ma sono l'unico vampiro di cui tu possa realmente
fidarti.” Elijah scosse la testa mentre pronunciava quelle
parole. “Tu lo sai che non ti farei mai del male e ti
proteggerò a qualsiasi costo.”
A
quelle parole abbassai lo sguardo e sentì una vampata di
calore che mi investì il viso, non sopportavo il modo in cui
mi comportavo ogni volta che Elijah mi rivolgeva quel genere di
parole. Ma non lo potevo trattenere, era una cosa che mi faceva
scoppiare il petto in mille emozioni.
“Quindi,
usa la forza che hai dentro di te, anche se devi solo difendere te
stessa.” concluse lui, mi riservò un sorriso e mi diede
le spalle. Restai immobile nel punto in cui fino ad allora ero
rimasta a fissare gli occhi di Elijah e ad ascoltare le sue parole.
Non
avevo mai pensato che gli dovevo davvero tanto.
Era
grazie a lui se era uscita fuori quella mia forza, che ancora non
riconoscevo in realtà, ed era anche grazie a lui se ero andata
avanti fino ad allora, malgrado volessi buttarmi giù per
qualsiasi cosa. Una cosa come Bell o come Klaus.
Lo
raggiunsi di corsa e mi parai di fronte a lui, Elijah si arrestò
di colpo e mi osservò mentre gli mimavo parole di profonda
riconoscenza. Lo feci con una velocità e con un imbarazzo che
probabilmente mi avevano resa incomprensibile. Lui però
sorrise divertito e volse lo sguardo verso gli alberi al nostro
fianco. “Dovrei ringraziarti anche io.” disse,
cogliendomi di sorpresa.
Perchè
io non avevo fatto proprio nulla per ottenere parole di
ringraziamento da lui.
“Io
avevo perso molte, troppe speranze dopo secoli. Tutti noi abbiamo
perso la speranza di sperimentare di nuovo le bellezze
dell'umanità....ma da quando sei arrivata qui, per la prima
volta dopo secoli, mi sono di nuovo sentito umano, mortale.”
Per
un attimo pensai che fosse in negativo, perchè essere mortali,
temere che la propria vita o quella di coloro che si ama potesse
finire improvvisamente e da un momento all'altro, non lo consideravo
particolarmente una cosa bella. Anche essere umani aveva i suoi
problemi.
Si
soffriva più intensamente. Ma si amava con altrettanta
intensità.
Elijah
tornò a guardarmi. “So cosa stai pensando, che essere
mortali non è una bella cosa.” disse.
“Ma
per me lo è stato. Non è gradevole essere un corpo
freddo, Irina. Essere umani, mortali e potersi concedere di vivere
ogni singola emozione, bella o brutta che sia, sentendo i richiami
del proprio cuore nel petto, era una cosa bellissima. E a noi...ci è
stata portata via questa bellezza.”
Non
avevo mai pensato che Elijah soffrisse così tanto per il suo
essere vampiro, avevo capito che non era una cosa che lo rendeva
felice, ma nemmeno che lo uccideva in quel modo. Scacciò la
tristezza dal suo viso, con un altro sorriso che portò anche
le mie labbra ad allargarsi sul mio volto.
“Poi
sei arrivata tu e...non lo so. Ho iniziato a ricredermi in molte
cose.” disse divertito. Sorrideva in una maniera che trovavo
dolcissima. Anche se il suo volto era sempre stato di marmo, mi resi
conto che avevo sempre trovato dell'umanità in lui. Sia quando
non sapevo che era un vampiro, sia quando la verità era
diventata chiara ed evidente.
Lui
era umano, anche se il suo cuore non batteva più da secoli. E
io così lo vedevo.
“Perciò...credo
che ti debba anche io un grazie, non trovi?” concluse Elijah.
“Hai appena sedici anni e hai insegnato più tu quanto tu
stessa conosca ad un vampiro vecchio di secoli.”
Sorrisi,
anche se dubitavo di aver davvero insegnato qualcosa ad un uomo come
Elijah. Pensai che lui aveva solo represso la parola affetto,
ma che il suo concetto era sempre rimasto assopito in un angolo del
suo cuore, in attesa di essere risvegliato. Io non avevo fatto nulla
di che, era lui ad essere parecchio umano. In quel momento, un
pensiero mi attraversò la mente, una frase dettata da una voce
lontana ma che conoscevo bene, mi stava facendo notare un particolare
di cui ero a conoscenza, ma che continuavo ad ignorare per paura di
soffrire.
Quella
voce proveniva da un punto dentro di me, pochi centimetri più
in basso al mio viso e nel centro di quello che era il mio petto.
Istintivamente mi portai la mano sopra quel punto e premetti,
qualcosa là dentro stava battendo all'impazzata. Elijah
osservò l'espressione improvvisamente seria sul mio viso. “Che
hai?” mi domandò.
Alzai
lo sguardo su di lui e presi un lungo respiro, mai come allora avrei
voluto avere voce per poter lasciar parlare quella voce che avevo
nascosta dentro di me.
Ma
c'era sempre qualcuno che doveva darmi del filo da torcere. E se non
era Klaus, si trattava della sua degna copia al femminile. “Per
la miseria, guarda come ti fissa i muscoli, fratello!” disse la
voce di Rebekah, non mi voltai verso di lei, ma solo perchè la
vedevo con la coda dell'occhio, mentre se ne stava con la schiena
sulla corteccia di un albero, le braccia strette al petto e lo
sguardo rivolto verso di noi. Elijah la guardò, ma non disse
nulla.
“Le
Petrova sono anche delle depravate, su questo non ci piove.”
disse, sentì i suoi passi avvicinarsi a noi e allora la
guardai. Indossava un abito verde smeraldo e portava i capelli legati
in una coda di cavallo che gli ricadeva sulla spalla sinistra. Un
ciuffo di capelli era raccolto da un lato con un fermaglio a forma di
fiore. “Che ci fai qui, Bekah?” le chiese Elijah,
socchiudendo un attimo gli occhi infastidito. Rebekah fece finta di
nulla, alzò le spalle e mi lanciò un'occhiata.
Quando
ricambiai, mi ricordai del ceffone che le avevo dato alla festa e del
fatto che non avessi nulla di rotto dopo averlo fatto, perciò
dovevo aspettarmi da un momento all'altro che la bionda si
vendicasse. “Non preoccuparti, non sono venuta ad interrompere
la tua opera di carità.” disse. “Ma solo a farti
vedere che l'ho ritrovato!”
Mise
un mostra un sorriso che mi parve sincero, mentre mostrava al
fratello il bellissimo ciondolo che aveva al collo. Aveva un pendente
ovale, con delle piccole pietre verdi incastonate all'interno. Era
simile a quello che avevo io al collo e che, istintivamente, strinsi
nella mano.
Notai
che lo sguardo di Elijah si fece di nuovo nostalgico. “Klaus te
l'ha ridata?” le chiese.
“Veramente
gliel'ho rubata.” precisò Rebekah, come una bambina che
ammetteva di aver commesso una marachella che l'aveva divertita.
“Nostra madre ha sempre voluto che la tenessi io, no? Anche
perchè ero l'unica figlia femmina!”
Rebekah
si era dimenticata della mia presenza e solo per quel motivo nominò
la madre davanti ai miei occhi. Non sapeva che ero a conoscenza del
modo in cui l'avevano persa ed ero certa che, se lo avesse saputo, si
sarebbe parecchio arrabbiata. Sia lei che Elijah mi lanciarono
un'occhiata, rimasi comunque a pochi passi da loro e non osai
accorciare quella distanza.
“Sono
felice che tu l'abbia ritrovata...” Elijah preferì
tagliare corto, forse perchè non voleva parlare di quella cosa
che visibilmente procurava dolore ad entrambi, e in particolar modo
anche a Rebekah, di fronte a me. Rebekah mi lanciò di nuovo
un'occhiata, ma in quell'occasione non trasmise alcun sentimento di
odio. Mi guardava, ma non mi vedeva: i suoi occhi blu mi
attraversarono come se fossi aria invisibile di fronte a lei.
Mi
parve quasi umana, nel ricordo di quel terribile dolore che nemmeno
secoli aveva potuto soffocare. “Lo sono anche io.”
rispose e ci diede le spalle.
Stava
allontanandosi, mi parve strano che non accennasse a nulla dello
schiaffo. In effetti, mi aveva stupito il modo in cui mi aveva
guardato subito dopo che le avevo inferto il colpo.
Avrebbe
risposto subito, ma non lo aveva fatto. Il perchè non mi era
chiaro.
Elijah
mi fece segno di seguirlo, per tornare a casa, seguendo i passi di
Rebekah. Appena feci un passo, vidi la bionda irrigidirsi. Anche se
ci dava le spalle, notai indistintamente che alzò la testa e
prese un lungo respiro.
Avevo
di nuovo abbassato la guardia, troppo facilmente.
Me
ne accorsi solamente quando la vidi scattare improvvisamente verso di
me e colpirmi con uno schiaffo. Il mio, in confronto, doveva essere
stato vento per lei.
Il
suo fu come riceve un macigno in pieno viso. Caddi a terra e mi
portai la mano sulla guancia, intanto Elijah aveva gridato qualcosa e
si era scagliato su Rebekah per allontanarla da me. Rimasi tra le
foglie sul terreno, mentre con la mano premevo sulla pelle.
Mi
voltai a guardare Rebekah ed Elijah, erano lontani da me e lui teneva
la sorella contro un albero per impedirle di muoversi. Ma lo sguardo
della bionda era fisso su di me, i suoi occhi erano iniettati di
sangue e avevano perso il colore blu che li caratterizzava. Erano
neri, come l'oscurità più profonda in cui avrebbe tanto
voluto inghiottirmi in quel momento.
Come
per Klaus, anche lei aveva solo lievi sbalzi di umanità,
seguiti poi da una rabbia inaudita.
“Occhio
per occhio, dente per dente, Petrova!” disse, quasi divertita.
Cercò di divincolarsi dalla presa del fratello, ma Elijah la
tenne stretta, cingendole le spalle saldamente ma allo stesso tempo
con delicatezza. Non voleva farle del male, ma voleva impedirle di
farlo a me.
Cosa
per cui lei e Klaus ci avevano preso gusto sembrava. Mi alzai in
piedi e in quel momento Elijah mi affiancò, come se volesse
sorreggermi in caso fossi di nuovo caduta.
Rebekah
non mi avrebbe attaccato nuovamente, le parole di Elijah l'avevano in
qualche modo placata. “Non farlo mai più, Rebekah.”
le intimò lui, posandomi una mano sulla schiena.
Mi
faceva male la guancia, mi sforzai di non guardare Rebekah, solo
perchè avevo ancora l'immagine di lei che, poco prima,
sorrideva come una bambina al ricordo della madre.
Non
riuscivo a detestarla per avermi colpito, io avevo fatto lo stesso
alla festa e dovevo aver toccato un tasto dolente.
“Ha
iniziato lei, mi ha dato uno schiaffo alla festa!” esclamò
Rebekah, puntandomi il dito contro. In quel momento invece, sembrava
una bambina capricciosa che voleva discolparsi.
“Dubito
fortemente che la cosa ti abbia ferita, sei un vampiro.”
“A
proposito di questo, perchè lei sa tutto? Com'è
possibile che ricordi tutto?” cambiò discorso Rebekah.
“L'ho capito da un po', non sono la stupida che voi credete,
fratello! Nessuno si chiede perchè sia immune al nostro
potere?”
“Smettila,
Bekah.” disse ancora Elijah, ma con più durezza.
Abbassai lo sguardo, i due parlavano come se fossi invisibile ma ero
io la causa dei loro dissapori in quel momento.
E
Rebekah aveva maledettamente ragione su tutto, il fatto che lei
avesse intuito tutto non mi stupiva. Mi stupiva più il fatto
che fosse l'unica che mi guardava come una sottospecie di fenomeno da
baraccone, la cui mente era immune al potere dei vampiri.
Elijah
sembrava volerci essere passato su, perchè non gli interessava
cosa fossi.
Io
avevo paura ad andare a fondo alla cosa e Klaus era troppo divertito
dall'idea di torturarmi per domandarselo.
Restava
solo Rebekah a porsi domande.
“No
che non la smetto! Non esistono persone capaci di sfuggire a quel
genere di controllo, Elijah! Chi è realmente questa ragazza?
Da quando è arrivata qui, è successo il finimondo te ne
rendi conto o no?!” insistette Rebekah, fece dei passi verso di
me e continuò a puntarmi la mano contro, la sua voce si era
fatta più stridula man mano che parlava. Elijah si parò
tra di noi, come per paura che la sorella potesse di nuovo colpirmi.
“Basta
Rebekah, sono stanco delle tue sceneggiate.” disse Elijah.
“Sei
cieco, fratello.” Rebekah lo guardò, alzò lo
sguardo per guardarlo negli occhi e mi parve seriamente addolorata.
“Non vedi quello che sta succedendo, solo perchè la
mocciosa ha saputo riaccendere quella fiamma.”
Doveva
riferirsi al concetto di umanità, che tanto sembrava
spaventarla. Perchè doveva essere una cosa troppo difficile da
sostenere per chi si era spento da secoli.
“Non
avresti dovuto permetterlo e tu lo sai.” continuò
Rebekah, Elijah non disse nulla e rimase a fissare la sorella nei
suoi occhi blu. La bionda scosse la testa, per un attimo pensai che
volesse scoppiare in lacrime, ma poi la sua espressione assunse un
aspetto rabbioso.
E
si rivolse a me. “Io scoprirò chi sei, Irina. E se ti
rivelerai un pericolo per la mia famiglia, non esiterò ad
ucciderti.” disse, il suo sguardo non mi fece venire i brividi
come al solito.
Celavano
un dolore e un amore che Rebekah esternava nei confronti della sua
famiglia, solo perchè sentiva di doverla proteggere. Era una
vampira che amava in fondo, ma lo faceva con troppa violenza, perchè
aveva dimenticato cosa significasse essere umani.
Elijah
fece un passo verso di lei, per un attimo temetti che volesse
colpirla ma ero certa che non avrebbe toccato una donna nemmeno con
un dito. Figuriamoci la sorella.“Quello che hai appena
detto...è ciò che potrebbe farti perdere il mio
affetto, sorella.” disse.
Rebekah
sbarrò lo sguardo per un attimo, rimase immobile quando vide
Elijah farmi di nuovo segno di seguirlo, cosa che feci con una
lentezza inaudita. Passai accanto a Rebekah e la guardai, lei stava
per scoppiare seriamente in lacrime e la cosa mi provocò un
dispiacere immenso.
“Irina?”
mi chiamò Elijah. Restò immobile, mentre io e Rebekah
ci guardavamo.
“Mi
dispiace.” le mimai a fior di labbra, lei seguì il
loro movimento e ne parve per un attimo stupita. Di nuovo quel lampo
di umanità, che però durò davvero troppo poco.
“Vattene
via.” disse, marcando entrambe le parole e stringendo i denti.
Annuì,
mi avvicinai ad Elijah e ci allontanammo. Mi voltai un'ultima volta
per guardare Rebekah e lei era ancora immobile nel mezzo della
foresta, con le spalle rivolte verso di noi.
Mi
parve di sentire il rumore delle sue lacrime.
Per
lenire il senso di colpa che provavo, avevo bisogno di affrontarne un
altro.
Quello
che provavo nei confronti di Katerina, per essermi affidata
inconsciamente a Klaus per farla stare meglio. Anche se, dentro di
me, sentivo forse di aver fatto la cosa giusta.
Forse,
però.
Trovai
Katerina seduta sul davanzale della finestra, con lo sguardo rivolto
verso il cielo e le ginocchia strette al petto. Sembrava pensierosa,
oppure stava semplicemente fantasticando come ci piaceva tanto fare.
Il braccialetto era al suo polso, fu la prima cosa che vidi, dopo i
suoi ricci capelli rivolti verso di me. La nuova camera di Katerina
era vicino alla mia, era spaziosa ma non quanto quella che avevamo
precedentemente. La finestra era più stretta e affacciava
verso un lato della foresta che non avevamo mai osservato da quel
punto di vista.
Mi
chiusi la porta alle spalle e sorrisi, ma Katerina non volse lo
sguardo verso di me. Rimasi immobile, era impossibile che non avesse
sentito la porta aprirsi per poi chiudersi.
Doveva
aver percepito i miei passi, eppure non si era voltata verso di me.
Pensai
che forse mi sbagliavo, probabilmente stavo permettendo troppo alla
mia mente di abusare delle mie preoccupazioni. Per una volta, dovevo
essermi sbagliata.
Mi
avvicinai rapidamente a lei e le posai una mano sulla spalla per
richiamare la sua attenzione, Katerina si voltò parecchi
istanti dopo. Aveva uno sguardo corrucciato, che mi lasciò
intendere che doveva essere arrabbiata, delusa e ferita. Per me non
era difficile da capire mia sorella e mi fu chiaro che era a causa
mia che provava quei sentimenti.
Le
chiesi cosa avesse, sperando che mi stessi sbagliando. Ma oramai i
miei sensi erano bravi a cogliere i sentimenti che mi circondavano,
sopratutto se erano negativi. Katerina non mi rispose subito, abbassò
lo sguardo e prese un lungo respiro.
“Non
ho nulla.” disse.
Possibile
che ricordasse? No, Klaus non ci guadagnava nulla nell'avere una
Katerina nervosa e spaventata, qualsiasi fosse stato il motivo del
suo interesse. Tornò a guardare il cielo, ma dubitavo che ne
stesse ammirando la limpidezza di quella mattina.
Voleva
solo evitare di guardare me.
Premetti
di nuovo la mano sulla sua spalla e le chiesi se avevo fatto qualcosa
che non andava. Cosa che lei confermò prontamente, con una
sola semplice occhiata.
“Che
hai fatto? Dimmelo tu...” disse quasi sfidandomi.
Corrugai
la fronte, mentre lei scattava in piedi e si parava di fronte a me.
Più che arrabbiata, mi parve che quelle piccole rughe sulla
sua espressione fossero il risultato di una delusione che dovevo
averle procurato. Ma ero così stanca dalla sera prima, che non
capì che cosa avevo fatto.
“Adesso
so perchè non riuscivi a guardarmi in faccia. So qual'è
il segreto che mi stai nascondendo...” disse, stringendo quasi
i denti. Mi parve che stesse per scoppiare in lacrime, cosa che le
impedì stringendole le spalle. Ma lei si scansò
violentemente. “Non toccarmi, bugiarda!”
Il
modo in cui non mi guardava non mi piaceva, era come se mi odiasse in
quel momento.
“Perchè
lo hai baciato? Non potevi solo dirmi quello che provavi per lui e
basta?”
Sgranai
lo sguardo e trattenni il respiro.
Come
avevo potuto non capirlo subito? Klaus mi aveva di nuovo colpita, mi
aveva sottomessa di nuovo e io non me n'ero nemmeno accorta. Mi aveva
di nuovo fatto capire, che tra me e lui, avrebbe vinto sempre e solo
lui. E io, come una stupida, avevo davvero pensato che avrebbe potuto
compiere una buona azione, senza avere un suo tornaconto.
Mi
ero fidata del diavolo, e quello era il risultato.
E
il fatto che mia sorella mi stesse guardando in quel modo, faceva
male quasi quanto il pensiero che Klaus mi aveva pugnalato alle
spalle quando io credevo che avrei potuto fidarmi. Mi sembrava di
sentire due lame che mi perforavano il petto.
Come
avrei potuto convincere mia sorella che non era vero? Klaus le aveva
impresso quei pensieri nella mente quando le aveva fatto dimenticare
del cadavere sul nostro letto e lo sguardo di mia sorella era carico
di un odio che non le apparteneva. Avevo perso mia sorella, per colpa
sua, proprio come mi aveva promesso di fare.
“Come
hai potuto mentirmi così? Perchè dovevi tradirmi in
questo modo?” ripeté mia sorella, quasi ringhiando.
Provai a spiegarle che non era così, ma quei pochi gesti e la
rabbia di mia sorella sembravano non incontrarsi. Mi veniva da
piangere per la rabbia, immaginai il sorriso beffardo di Klaus mentre
pensava a come rovinare il rapporto con mia sorella per pensare solo
a poche parole.
Lo
odiavo come non avevo mai odiato nessuno prima
.
Non
riuscì a tacere quella voce, mi gridava dentro la testa e
dentro il cuore, rimbombando tra le pareti del mio corpo. Non sapevo
che sarebbe stato così facile ammettere di odiare qualcuno.
“A
me non importa che tu lo abbia baciato.” Il viso di mia sorella
si addolcì, ma solo perchè si stava per sciogliere in
un mare di lacrime. Ed era solo colpa mia, nonostante non avessi
fatto nulla di male in quel caso. “Mi ferisce più il
fatto che tu me l'abbia tenuto nascosto in questo modo, agendo alle
mie spalle.”
Mi
morsi le labbra, non sapevo davvero che cosa fare per risolvere la
situazione. Stavo perdendo Katerina e non c'erano vie di uscita,
Klaus aveva vinto di nuovo.
Calò il silenzio, Katerina si asciugò una lacrima,
prima che scendesse lungo il suo viso.
Io
non l'avrei mai tradita, ma lei non poteva saperlo visto che, sempre
per colpa mia, era stata soggiogata da quello che ormai consideravo
il diavolo. Perchè avevo abbassato così la guardia?
“Vattene.”
Katerina mi indicò la porta, fendendo l'aria con l'indice.
Provai di nuovo a farle capire che non era così, che si
sbagliava ma l'evidenza nella sua mente era ben chiara.
“Non
voglio più vederti, mi hai mentito e non lo avevi mai fatto
prima.” disse lei, rimarcando quel concetto a denti stretti.
“Non so più chi sei, non so più dov'è la
sorellina che non mi avrebbe mai tradita per nessuna ragione al
mondo...perciò, vattene via.”
Era
inutile insistere, non mi trovavo di fronte a mia sorella ma ad un
involucro ricolmo della malvagità di Klaus. In quel momento
Katerina non c'era, c'era solo la voce di Klaus che mi sussurrava
all'orecchio quanto fossi stupida e ingenua.
Mi
voltai lentamente verso la porta, stavo per scoppiare in lacrime ma
mi era rimasto ancora un po' di orgoglio per cercare di non crollare.
Klaus non poteva comunque vedermi, ma nel mio intimo non volevo
dargli una soddisfazione del genere lo stesso.
Perchè
lui era presente in quel momento, non fisicamente, ma nella mente e
negli occhi di Katerina. Mi aveva portato via una delle pietre
miliari del mio essere, la mia forza.
Lo
aveva fatto, perchè io mi ero fidata.
Aveva
buttato sale su ferite che lui stesso mi aveva procurato.
Aprì
la porta e me la chiusi di scatto alle spalle, corsi poi lungo il
corridoio quando mi resi conto che non ce l'avrei fatta a non
crollare.
Mi
sedetti su una panchina di fronte al giardino, con la testa tra le
mani e i gomiti sopra le ginocchia. Non avevo mai fatto caso a quanto
odiare potesse pesare nell'animo e nel petto di una persona,
sentivo quel macigno insostenibile che premeva sul mio petto e che mi
faceva venire voglia di distruggere tutto quello che avevo intorno a
me.
Se
mi fossi ritrovata davanti Klaus poi, ero certa che non mi sarei
trattenuta.
Ma
quella che dovevo odiare ero io.
Io
che avevo permesso che
una cosa simile capitasse.
Io
che ero stata così ingenua da sperare che Klaus potesse
davvero fare del bene, per Katerina e per me.
Dovevo per forza arrendermi all'evidenza, non dovevo più
cadere in errori simili e accettare il fatto che non ci si poteva
fidare di un mostro.
I
suoi lampi di improvvisa umanità, quelli che mi disorientavano
e mi confondevano per un solo secondo, erano solo un'illusione.
Quell'umanità non
esisteva, esisteva solo un odio capace di ferirmi profondamente.
Ed
era questo che faceva più male.
Rimasi
sola, seduta su quella panchina e con il viso tra le mani per molto,
troppo tempo. Nascosi i miei occhi alla luce del sole, nascosi il mio
volto al soffio del vento e lasciai solo che tutto di me vagasse
nell'oscurità. Accettai il fatto che ero io la più
debole, ero io l'umana che si faceva sempre male in quel gioco, non
lui.
Alzai
lo sguardo, quando sentì un respiro soffiare tra i miei
capelli. Come se qualcuno di fronte a me, mi stesse osservando,
tenendo la sua bocca troppo vicina alla mia testa.
Sobbalzai,
quando mi ritrovai ad un palmo dal naso, il lupo dal pelo bianco che
tante volte avevo visto apparirmi di fronte, come la fugace
apparizione di un sogno nel bel mezzo del giorno.
Mi
ritrovai a trattenere il fiato, mentre osservavo quegli occhi di
ghiaccio che mi fissavano intensamente. Era insolito che un animale
selvatico si avvicinasse così tanto ad un essere umano.
Sopratutto
in un giardino, ero lontana dal punto in cui iniziava la foresta ed
era strano che l'animale fosse giunto fino là, solo ed
esclusivamente per osservarmi in quel modo.
Il
lupo fece un verso, alzò la testa e per poco mi sfiorò
il mento con il suo muso. Sembrava che volesse dirmi qualcosa oppure
farmi fare qualcosa, avvicinò il muso alle mie ginocchia e lo
posò sopra, strofinando il pelo del suo manto contro la mia
gonna. Come un cucciolo che cercava di farsi accarezzare.
Ma
lui era un lupo.
Presi
un lungo respiro, la tentazione di toccare quel manto bianco come la
neve mi aveva da sempre sfiorato, dalla prima volta che lo avevo
visto di fronte a me. Svuotai lentamente la mente da ogni pensiero,
dimenticai la lite con mia sorella, la rabbia che provavo per Klaus e
tutto il resto, e abbassai la mano sul suo capo. Per un attimo la
ritrassi, quando vidi che il lupo aveva mosso le orecchie.
Ma
fu solo questione di pochissimi attimi.
Ripresi
a sfiorargli il delicato manto, lasciai scorrere la mano sopra di
esso. Sorrisi, quando mi resi conto di quanto fosse soffice e
vellutato. Mi procurò una sensazione di calma e serenità,
mentre le mie dita iniziarono a sfiorargli le orecchie, poi il muso.
Ma
come al solito, tutto si rivelò una illusione.
Il
lupo improvvisamente ringhiò, affilò i suoi bellissimi
occhi e mi mostrò i denti. Prima che potessi compiere
qualsiasi movimento, mi morse sul braccio. Aprì la bocca in un
grido, quando avvertì indistintamente i suoi denti affondarmi
nella carne e il sangue fuoriuscire dai segni del suo morso. Mi
portai il braccio al petto, il lupo si ritrasse subito ma rimase ad
osservarmi.
Sembrava
che non volesse infierire su di me, ma solo guardarmi mentre cercavo
di bloccare la fuoriuscita del sangue con l'altra mano. Gli occhi mi
si gonfiarono di lacrime per il dolore, ma mi accorsi che
qualcos'altro stava accadendo sulla mia pelle.
Qualcosa
che mi stava procurando un dolore immenso, come se qualcuno mi stesse
tagliando la carne con la punta di un coltello. Il lupo restò
ad osservare la mia agonia, mentre mi feci forza per osservare ciò
che stava accadendo sul mio braccio: il sangue stava marcando la mia
pelle, come se una mano invisibile stesse cercando di lasciare un
segno. Riconobbi delle lettere, delle lettere marcate sulla mia pelle
come profonde cicatrici che dubitavo sarebbero andate via.
Caddi
giù dalla panchina, continuando a tenermi il braccio contro il
petto sperando che quel dolore lacerante, prima o poi, terminasse. Il
lupo continuava a guardarmi, restava immobile sulle quattro zampe e
mi osservava, mugugnando ogni tanto qualche verso. Il dolore si
arrestò improvvisamente, come se quella mano invisibile avesse
deciso di segnare un punto di fine a quella pena.
Doppelganger.
Una
singola parola, marcata sulla mia pelle con il sangue, parve
offuscata dai miei occhi bagnati. Occupava quasi tutto l'interno del
braccio, i segni dei denti del lupo segnavano l'inizio di quello
scritto rosso. Rilessi la parola più volte, non l'avevo mai
sentita prima e non avevo idea di cosa potesse significare. Il lupo
mugugnò di nuovo, lo guardai e successe qualcosa, qualcosa che
mi fece capire che quella parola era qualcosa che cercavo da tempo.
La
parola sul foglio di papiro che Micah mi aveva fatto trovare.
La
serie di brividi che segnano la fine di un dolore fisico terminarono
improvvisamente, alzai la mano dalla mia pelle e notai che non c'era
più sangue e nemmeno più cicatrici.
Come
se fosse stato tutto un sogno.
Guardai
verso il lupo, anche lui era scomparso proprio come tutto il resto.
Temetti di essere diventata pazza, che tutto quello che mi era
capitato in quella giornata mi avesse fatto perdere la testa. Ma
ricordavo indistintamente la sensazione che avevo provato mentre la
mia mano accarezzava il suo pelo e non era ciò che lasciava
una illusione.
Quello
era un chiaro messaggio per spingermi sempre di più verso una
verità, una verità che dubitavo di voler davvero
conoscere ma di cui avevo bisogno.
Misi
da parte di nuovo tutta me stessa, la paura e tutto ciò che
quella giornata mi stava portando via, e corsi verso la mia camera.
Ero
così di fretta che spalancai la porta ma non la richiusi.
Avevo
nascosto il foglio di papiro in uno dei miei vestiti. Avevo
rinunciato al letto dopo che Rebekah mi aveva privato del libro e,
siccome la nostra camera era diventata la tomba di una povera
ragazza, avevo deciso di non lasciarlo in quel buco sul muro.
Vista
la gente che mi girava attorno, non lo vedevo come una cosa
rassicurante.
Spalancai
il baule dei vestiti, ricordavo di averlo nascosto sotto la gonna di
uno dei vestiti che mi ero portata dalla Bulgaria. Uno di quelli che
non avevo più indossato da quando le bugie di Klaus avevano
riempito l'armadio mio e di mia sorella, per poi svuotarmi di tutto
il resto.
Ma
non avevo tempo di maledirlo, il foglio non era più ripiegato
nel fondo del baule. Non mi feci prendere dal panico, forse ero così
di fuga che non mi ricordavo di averlo nascosto da qualche altra
parte probabilmente.
Improvvisamente,
sentì la porta chiudersi alle mie spalle.
Un
rumore che mi fece sobbalzare, una presenza che mi fece rabbrividire
nel più profondo.
Klaus
era stato lì dentro con me per tutto il tempo,nascosto dietro
la porta che poi aveva chiuso con la mano. I suoi occhi trasmettevano
esplicitamente una rabbia disumana, non aveva una maschera in quel
momento.
Era
nudo in tutta la sua mostruosità.
“Cercavi
questo?” mi chiese duramente, mi mostrò il foglio di
papiro. Vederlo stretto nella sua mano mi provocò una morsa al
cuore, deglutì e alzai di nuovo lo sguardo su Klaus.
Perchè
era così furioso? Mi ero dimenticata di come Micah, e chiunque
lo avesse guidato, da me avesse cercato di mettermi in guardia da lui
e dalla sua famiglia.
Quel
papiro, quel termine doppelganger...dovevano essere qualcosa
legato a Klaus, alla sua esistenza fatta di paura e terrore. Se
avessi saputo cosa significasse quella maledetta parola, forse avrei
potuto avere realmente un vantaggio su Klaus.
Ma
io ero sempre dieci passi indietro.
Lo
vidi storcere la bocca, di nuovo quel segno che stava per esplodere
di rabbia. Fece dei passi verso di me e io ne feci diversi indietro,
odiavo il fatto che non avrei mai potuto combattere la paura che
provavo per lui. Piegò la testa da un lato, proprio come un
predatore.
“Irina,
stai ficcando il naso in cose che sono più grandi di te e in
cui potresti farti seriamente male.” disse ringhiando,
sobbalzai quando lo vidi avvicinare il papiro al camino e buttarlo
dentro la fiamma accesa. Guardai il foglio bruciare lentamente,
ardere fino quasi a ridursi ad un misero ricordo della verità
che stavo ancora cercando di trovare. Klaus mi si parò di
fronte ad una velocità impressionante a cui mi dovevo ancora
abituare. Trattenni il fiato, mentre i suoi occhi si fissavano
penetranti nei miei, non avevo mai avuto così tanta paura di
lui fino ad allora.
In
tutte le volte in cui mi aveva sfidato, in tutte le volte che aveva
vinto su di me, avevo avvertito come se indossasse una specie di
maschera di fronte: lui faceva il mostro perchè era
quello che sentiva che gli riusciva meglio. Ma, in realtà, il
suo modo di comportarsi con me era sempre il richiamo di
qualcos'altro che lui non sapeva dimostrare.
Ancora
non mi ero chiaro cosa, ma temetti che anche in quel caso fossi stata
vittima di un illusione. Ricordai il bacio, le minacce, la lite con
mia sorella e dimenticai il regalo e gli altri lampi di umanità
che nel profondo avevo sperato di cogliere.
Avevo
di fronte l'artefice di tutte le mie ferite più profonde e non
indossava affatto una maschera. Era lì proprio per ferirmi.
“Adesso
sì che hai superato il limite.” disse, quasi digrignando
i denti. “Non posso permetterti di mandare a monte tutto, non
te lo permetto.”
Mi
chiesi cosa volesse fare, uccidermi? Arretrai ancora di più,
quando lui fece un altro passo verso di me. Mi ritrovai così
contro i piedi del letto alle mie spalle, ero di nuovo in trappola.
Non
distolsi mai lo sguardo dai suoi occhi, sembravano sprizzare fiamme
pronte a ricadere su di me. Eravamo ad un palmo di distanza, un solo
gesto veloce di Klaus e avrebbe potuto uccidermi in quell'istante. Ma
non lo fece, rimase a trafiggermi con i suoi occhi e si morse il
labbro.
“Non
volevo arrivare a farti del male, ma sembra che tu voglia farci
apposta a tirare fuori il peggio di me.” disse, quasi
sussurrando. Ma cosa aveva quel foglio di così importante da
farlo arrabbiare in quel modo? Che altri scheletri nascondeva
nell'armadio, quel demonio? Mi prese saldamente per il braccio,
facendomi male, cercai di divincolarmi e opposi resistenza.
Stava
per esplodere qualcosa dentro di me.
“Che
cosa devo fare con te...per farti smettere di sfidarmi in tutti i
modi?” mi chiese, dandomi solo un unico scossone. Ci guardammo
negli occhi e mi dimenticai cosa significasse avere paura di lui,
avevo solo una cosa che mi faceva battere il petto in quel momento e
non era il terrore.
“Sai
che ti dico? Farò leva sulla tua vera paura: restare sola.”
disse, a denti stretti. Pronunciò la parola “sola”
quasi con scherno, sapeva che quelle due sillabe potevano ferirmi più
di qualsiasi altra cosa. “Ti rispedirò in Bulgaria, dove
eri solamente una ragazzina sola, debole ed insicura. Sposerai quel
contadinello che quel bastardo di tuo padre ti ha trovato e
manderai avanti la tua vita, lontana da noi.”
Anche
il modo in cui aveva pronunciato la parola bastardo,
riferendosi a mio padre, mi colpì particolarmente. Fu l'unica
cosa che stonava nella sua minaccia, come se con quella parola avesse
voluto in realtà proteggermi dalla figura di mio padre. Dovevo
smetterla di vedere però cose che non esistevano. Klaus
mi avrebbe davvero portato via da tutto, mi avrebbe portato via
quell'immagine di sogno che avevo scoperto in Inghilterra, mi avrebbe
separato da mia sorella e mi avrebbe portata via dall'unica persona
che, in sedici anni di vita, mi aveva insegnato più di quanto
avessero fatto i miei genitori. Solo allora, probabilmente, mi resi
conto quanto fosse importante la mia vita là, nonostante
tutto.
Nonostante
la presenza di Klaus.
Dovevo
combattere per me stessa.
“Quando
sei arrivata qui, non pensavo che avresti causato questi problemi,
altrimenti ti avrei fatta rimanere dov'eri.” ripeté
ancora Klaus, serrando le labbra e guardandomi negli occhi. Sentivo
il suo respiro sul viso, mentre mi parlava in quel modo. “Magari
lo avessi fatto, mi sarei solo risparmiato un sacco di grane!”
Provai
a respingerlo, ma come al solito fu tutto inutile. Non mi arresi
però, volevo che lui mi lasciasse e in un modo o nell'altro
avrei fatto in modo che così fosse stato. Allora lo guardai
negli occhi, come si ferisce una persona che non prova sentimenti?
Come si ferisce qualcuno che vive di paura, terrore e che non sa che
cosa sia tenere a qualcuno se non a sé stesso? Non c'era modo
in cui potessi colpirlo, lui era tutto quello che mi faceva più
paura e tutto quello che non avrei mai voluto essere.
Un
corpo freddo che non conosce altro che l'odio.
Intanto
qualcosa cresceva in me, lo sentivo bruciare sempre di più
fino a diventare insostenibile da trattenere. Continuai a guardarlo
negli occhi, malgrado sapesse che era lui il responsabile di quello
che stava succedendo dentro di me. Qualcosa che non volevo conoscere,
qualcosa che detestavo avere dentro.
Klaus
abbozzò un sorriso, la sua mano continuava a stringermi il
braccio e piegò la testa da un lato. “Presumo che dopo
lo scherzetto che ho combinato a tua sorella...tu sia d'accordo con
me nel dovertene andare!” esclamò. Mi morsi le labbra,
ma ormai era troppo tardi per non poter lasciare divampare quella
fiamma.
“Io
ti odio.”
Lo
avevo detto, anche se non si era sentito, anche se avevo portato solo
altro silenzio attorno a noi, Klaus aveva udito le mie
parole. Osservò le mie
labbra muoversi lentamente, mentre pronunciavo quelle parole in modo
che lui le comprendesse, che le sentisse.
Doveva
essere abituato a sentirsi dire quella frase, mi aspettai di vederlo
ridere da un momento all'altro e di ricordarmi quanto fossi assurda e
patetica nel volerlo ferire con tre semplici parole che non lo
toccavano nemmeno.
Ma
non successe, lui non rise mai. Anzi, il suo sguardo rimase fisso
sulle mie labbra immobili da secondi ormai e qualcosa mutò sul
suo viso. Qualcosa che durò più a lungo degli altri
momenti, ma che non cambiò l'odio che provavo per lui in quel
momento.
Klaus
scosse la testa lentamente, attesi che dicesse qualcosa con cui
avrebbe pensato di ferirmi. Peccato che non ci sarebbe riuscito, per
una volta eravamo in parità.
La
sua espressione mutò improvvisamente, mi spinse violentemente
contro il letto e mi premette i polsi contro il letto. Avvicinò
il viso al mio, lo guardai con una rabbia che solo lui era capace di
far nascere in me. Guardai i suoi occhi iniettati di sangue, le vene
che circondavano le fessure del suo sguardo e i canini che
fuoriuscivano dalle sue labbra.
Allora
ebbi di nuovo paura. “Tu mi ferisci, io ferisco te.”
disse, facendo uno scatto con la testa verso sinistra. E mi morse sul
collo, avvertì indistintamente i suoi denti che penetravano
nella mia carne, la sua presa che premeva i miei polsi contro il
materasso, le sue ginocchia che stringevano le mie per impedirmi di
muovermi. Gettai la testa all'indietro, cercando di trovare un
centimetro almeno del mio corpo che potesse servirmi per scrollarmi
di dosso quella bestia.
Mi
morsi le labbra, per trattenere le lacrime di rabbia che già
mi stavano bagnando gli occhi.
L'unica
cosa che mi dava la forza per trattenerle, era che io avevo ferito
Klaus.
Non
capivo come, non capivo perchè, ma ero certa che lo avevo
ferito in qualche modo. Vedere le mie labbra muoversi nel pronunciare
silenziosamente quelle tre parole, doveva aver fatto scattare
qualcosa in lui. Ma perchè? Prima che potessi rispondere da
sola alle mie stesse domande, lui alzò la testa lentamente. Mi
sfiorò la guancia con le labbra e sentì il sangue
macchiarmi la pelle, poi parò il suo volto di fronte al mio.
Le
sue labbra erano colorate del colore denso del mio sangue, le vidi
allargarsi in un sorriso che durò troppo poco. Lui in quella
circostanza non riusciva nemmeno a voler sorridere.
“Ti
odio anche io Irina.” disse, sperò di scatenare
qualcosa in me ma non ci riuscì, io sapevo che lui mi odiava e
non me ne importava, perchè un sentimento è più
forte se è reciproco.
Così
come l'amore, anche l'odio. E noi ci odiavamo entrambi.
“Considerala
una vittoria, perchè io non mi spendo in sentimenti del
genere. Anche l'odio indebolisce e io ti odio con tutto me stesso.
Odio la tua misera vita da umana, odio la tua misera bontà e
odio ogni miserabile aspetto di te perchè mi fa
ricordare tutto.”
Corrugai
la fronte, Klaus sembrava ancora una bestia in quel momento, mentre
mi guardava con quella sua espressione corrucciata e mentre il suo
respiro sfiorava le mie labbra. Le sue parole non mi fecero male,
come non ci riuscivano nemmeno le sue labbra sporche del mio sangue,
ma sentì una specie di meccanismo scattare in me.
Klaus
mi lasciò i polsi, ma rimase disteso sopra di me. Non aveva
ancora finito la sua opera di pura malvagità. “Tu mi
odi.” disse, osservandomi ancora in viso. “Ma dovresti
anche odiare di più te stessa allora perchè non sei
così tanto diversa da me in fondo.”
Avvicinò
il viso al mio, per un attimo pensai che volesse di nuovo baciarmi,
ma non lo fece. Restò a pochi millimetri da me, sfidandomi
solamente con i suoi occhi e con le sue labbra rosse di me.
“Sei
stata felice prima, quando hai cercato di ferirmi eh?” mi
chiese e un sorriso mi schernì, rendendolo così
vittorioso ai miei occhi. “Lo sono sempre anche io quando
ferisco le persone. Perciò...che cosa ti rende così
diversa da me? Che cosa ti fa odiare il mio essere, ma non il tuo?”
Tutti
gli umani odiano.
Purtroppo
era una cosa inevitabile, era il lato marcio dell'umanità, ma
io non avevo mai odiato nessuno prima di lui. Avevo forse mal
sopportato, avevo forse disprezzato ma odiato con quella intensità
qualcuno come stavo odiando Klaus, mai.
E
avrei voluto ridere quando gli avevo pronunciato quelle tre parole.
Questo mi rendeva come lui? No, mi rendeva solo umana. Ma se anche
Klaus mi odiava, allora voleva dire che non era così diverso
da tutti gli umani che disprezzava.
Però
mi fece odiare me stessa, io dubitavo di avergli fatto odiare anche
solo una piccola parte della sua essenza. Restammo a guardarci in
silenzio, lui alzò le sopracciglia , come per segnare la fine
della sfida a cui ci eravamo sottoposti entrambi. Solo che nessuno
dei due sembrava aver davvero vinto in quel caso. Mi sfiorò la
guancia con una mano, fino a scendere sul collo dove riuscivo a
scorgere il sangue sulla mia ferita. La toccò delicatamente,
facendomi rabbrividire per il lieve dolore che mi procurò.
Buttò
di nuovo sale sulle mie ferite.
Fece
uno scatto in avanti, non sapevo che cosa volesse fare, ma vidi solo
il suo viso avvicinarsi al mio. Lui si arrestò quando sentì
qualcosa premere contro il suo petto. Abbassò lo sguardo sulle
mie mani che stringevano il pugnale di Joshua, la punta nera
dell'arma era rivolta contro il suo petto e serravo le dita attorno
al manico. Klaus rise divertito, alzò lo sguardo dall'arma e
lo posò di nuovo su di me.
“Hai
un nuovo giocattolo eh?” chiese divertito, poi la sua
espressione si indurì rapidamente. Era incredibile come le sue
reazioni mutassero in un solo baleno, passando da un estremo
all'altro senza darmi nemmeno il tempo di studiarle. “Vuoi
farmi di nuovo male?”
Presi
dei lunghi respiri, quando mi accorsi che non riuscivo a colpirlo. Le
mie mani iniziarono a tremare, sembrava che le volessi muovere ma
qualcosa me lo impediva. Quella maledetta cosa che bloccava il
mio odio. Klaus abbassò le mani, avvolse le mie nelle sue e mi
sfidò, avvicinandosi l'arma al ventre.
“Colpisci...forza.”
sussurrò. Nonostante avrei tanto voluto farlo, nonostante
stessi godendo già dell'immagine di vedere quell'arma
trafiggere la carne di Klaus, non riuscì a fare proprio nulla.
Se non piangere perchè non riuscivo.
Klaus
piegò la testa da un lato e sorrise di nuovo. “Non
riesci, vero?” mi chiese, con una finta dolcezza che mi fece
solo più male. Si abbassò di nuovo su di me, avvicinò
le labbra al mio orecchio e io ritrassi la testa per non sentire la
sua pelle vicino alla mia. “È che non odi abbastanza. È
questo il tuo vero limite, umana.”
Mi
morsi il labbro per non piangere, intanto la presa attorno all'arma
si allentò fino a diventare nulla. Perchè non riuscivo
a fargli del male come lui lo faceva a me?
Avrei
voluto pugnalarlo, ma non ci riuscivo. Era più forte di me.
Lui
mi accarezzò i capelli con la mano, voleva di nuovo che lo
guardassi affinché potesse godersi la sua, di nuovo,
conquistata vittoria. Volsi la testa verso di lui, solo quando sentì
la sua mano sotto il mio mento.
E i
nostri occhi si incontrarono di nuovo. Lui sorrise.
“Non
è vero che mi odi così tanto allora?” sussurrò.
Sì
che lo odiavo. Lo odiavo come non avevo mai odiato nessuno prima,
eppure non riuscivo nemmeno a provare a fargli del male. E non
sopportavo non sapere il perchè di quello che mi stava
succedendo.
Improvvisamente,
tutto cambiò. Klaus scomparve rapidamente dalla mia visuale,
sentì un grido e il rumore di un corpo che cadeva a terra. Mi
misi a sedere, quando vidi le spalle di Elijah rivolte verso il
letto. Klaus era disteso sul pavimento di fronte a lui.
Mi
portai la mano al collo ed osservai la scena, Elijah continuava a
darmi le spalle e ad avvicinarsi al fratello. “Ora hai osato
troppo...” gli disse, non mi parve nemmeno la sua voce. Era un
sussurro che cresceva sempre di più, fino ad assomigliare al
verso di un animale.
Klaus
si fece forza sulla mani per alzarsi, lanciò un'occhiata verso
di me e poi tornò a guardare il fratello. “Non ho mai
osato come stai osando tu in questo momento..” disse.
Elijah
non rispose, prima che potessi rendermene conto spinse il fratello
contro la parete e lo guardò con rabbia. Fu la primissima
volta che scorsi la sua espressione in una situazione simile, aveva
la fronte corrugata e le labbra che si sforzavano di restare chiuse,
nonostante sembrava che lui volesse gridare contro il fratello. Mi
alzai lentamente in piedi, ma barcollai: Klaus non aveva infierito
sul mio collo con violenza, ma lo aveva fatto con una lentezza letale
che mi causò quel forte stordimento lo stesso. Volevo fermare
Elijah, lui non doveva avere quell'espressione sul viso. Ma la risata
di Klaus mi bloccò.
Rise
in faccia al fratello, senza mostrare un briciolo di paura di fronte
al suo viso. Ero sicura che avrebbe spaventato chiunque, ma la parola
chiunque era riduttiva per uno come Klaus.
Se
lui aveva paura, l'aveva solo per sé stesso. E non potevo
biasimarlo.
“Non
pensavo che ti avrei mai trovato ridicolo, fratello.” disse
Klaus, continuando a ridere in quella maniera provocatoria e
fastidiosa. Rideva solo per sfidare Elijah, non lo faceva perchè
gli veniva naturale.
Mi
portai la mano sul collo bagnato del mio stesso sangue e mi sedetti
ai piedi del letto. Non ce la facevo a stare in piedi, non mi ero
resa conto di quanto in profondità fossero giunti i denti di
Klaus. Mi sembrava di sentire la pelle bruciare e la testa girarmi
così forte da vedere tutto offuscato. Elijah mi lanciò
un'occhiata preoccupata, premette il braccio contro il collo del
fratello e lo trattenne contro il muro. Tornò subito a
guardarlo, come se la mia vista avesse fatto accrescere la rabbia che
già provava in quel momento.
“Sei
un vigliacco, Niklaus. Lei non ha nulla a che vedere con la tua
follia, devi lasciarla stare.” disse Elijah a denti stretti,
Klaus continuò a guardarlo divertito. “Te ne ho fatte
passare troppe in tutti questi anni, ma questo proprio non te lo
permetto.”
“Perchè?”
Klaus lo sfidò di nuovo. Malgrado Elijah gli stesse premendo
sul collo, lui parlava con chiarezza e tranquillità. Non lo
avrebbe mai piegato nessuno ed era una cosa che mi mandava in bestia.
Lo odiai di nuovo, con più intensità rispetto a
prima e desiderai che morisse in quel momento. Come se avesse
percepito il mio odio, Klaus mi lanciò un'occhiata che mi
trafisse e non fece che fomentare quella fiamma che lui solo riusciva
a far scoppiare.
“Perchè
non mi permetti questo, Elijah?” disse poi tornando a guardare
il fratello, la sua espressione smise di essere beffarda e assunse un
aspetto serio e rabbioso. “Io mostro la mia vera faccia,
fratello, a differenza tua che giochi a fare il finto umano con la
piccola Petrova.”
“Tu
non la devi più toccare!” esclamò Elijah premendo
più forte sul collo del fratello, cercai di nuovo di alzarmi
in piedi ma le forze mi abbandonarono subito. Mi portai il viso tra
le mani e cercai di ridare colore al buio che mi aveva offuscato la
vista durante quel gesto.
Sentì
due occhi preoccupati posarsi di nuovo su di me.
“Se
provi di nuovo a farle del male, io ti assicuro che te la faccio
pagare molto cara. E lo sai che sono un uomo di parola...”
ringhiò ancora Elijah, la sua voce mi parve irriconoscibile:
era immateriale, ma sembrava ferire come se fosse un'arma.
Un'arma
che però non toccava minimamente Klaus. Sentì solo il
silenzio, nessuna risata o nessuna parola di sfida, ma dubitavo che
lui si fosse spaventato riguardo le parole del fratello.
Era
calato il silenzio, solo perchè Klaus stava tramando qualcosa.
Alzai
di nuovo lo sguardo su di loro, Elijah si era voltato verso di me e
il suo viso aveva perso ogni traccia della rabbia di poco prima. Lo
vidi avvicinarsi a me molto velocemente, Klaus assistette alla scena,
restando con la schiena contro il muro.
“Vieni,
ti porto via di qui.” Elijah si chinò su di me e mi
accarezzò i capelli con una mano, il suo sguardo era fisso sul
sangue vivo che macchiava la mia pelle e il mio vestito. Non era
tentato dal berlo, o forse si tratteneva parecchio bene, ma odiava
vedere quel colore su di me.
Quando
alzò gli occhi su di me, il suo sguardo mi rassicurò e
mi diede forza. Ma non so come, il mio slittò verso Klaus e mi
accorsi che ci stava guardando in una maniera che non riuscì a
decifrare, era difficile capire se lo stessero attraversando troppe
emozioni oppure nessuna. Doveva essere la seconda opzione, tanto il
nulla prova solo il nulla.
La
sua risata confermò la mia teoria, scosse la testa e si morse
il labbro inferiore per cercare di trattenersi. Elijah non lo guardò,
rimase con il viso rivolto verso di me e lo sguardo basso per non
avvicinare a me la rabbia che stava provando al suono della risata
del fratello.
“Elijah,
io ti conosco bene.” disse, sempre con quell'aria di sfida che
tanto gli piaceva usare. “Tu sceglierai sempre la famiglia.
Qualsiasi cosa accada, tu starai sempre accanto alla tua famiglia.”
Guardai
Elijah, i suoi occhi, nonostante fossero bassi, rispecchiavano un
senso di colpa che non mi era nuovo: l'avevo già notato,
quando aveva visto quel foglio di papiro,lo avevo visto quando mi
aveva detto che c'erano segreti che non poteva rivelarmi. Ma quali?
Cosa poteva logorare così tanto una persona? Guardai Klaus,
volevo che stesse zitto per una volta tanto, ma lui doveva infierire
ancora sul fratello.
“Non
sono l'unico vampiro cattivo qui.” disse, ma il suo sguardo si
posò per un attimo su di me, mentre continuava a parlare con
il fratello. “Non sono l'unico essere bugiardo e spregevole e
tu lo sai, Elijah. Lo sai meglio di me.”
Calò
il silenzio, come al solito Klaus aveva parlato con termini scelti
appositamente per confondermi. Ma mi sembrò che Elijah fosse
particolarmente toccato da quelle frasi, perchè sapeva di cosa
stava parlando il fratello. Non poteva davvero credere di essere
minimamente paragonabile a Klaus: lui gli parlava in quel modo, solo
perchè era consapevole di quanto Elijah fosse migliore di lui.
Allora perchè dare importanza alle parole del nulla?
Qualsiasi
fosse stato il segreto, qualsiasi cosa stesse nascondendo Elijah, lo
aveva fatto solo per difendere la propria famiglia. E Klaus stava
usando questa sua debolezza, anche se la consideravo più forza
in realtà, per colpire le ferite che per secoli doveva avere
impresso sul corpo del fratello. Non potevo dare la colpa ad Elijah
per mantenere un segreto in difesa del fratello, avevo fatto la
stessa cosa io per difendere Katerina.
L'unica
cosa che mi spaventata, era che questo segreto sembrava essere
terribile. E legato al foglio che avevo perso per mano di Klaus.
Rimasi
a bocca aperta per la sorpresa, quando vidi Elijah afferrare
rapidamente il pugnale che era rimasto adagiato sul letto e gettarsi
su Klaus: lui lanciò un grido, quando la punta dell'arma venne
conficcata nel suo costato. Elijah osservò la sua espressione
dolorante, con una impassibilità che avrebbe fatto
rabbrividire anche lo stesso Klaus, se in quel momento avesse aperto
gli occhi. Lui infatti teneva gli occhi chiusi e si morse le labbra,
come per trattenere un altro grido di dolore. Elijah non proferì
parola, nemmeno quando il fratello tornò a guardarlo.
Sembrava
come se fosse tormentato in quel momento, come se le parole che Klaus
aveva pronunciato prima fossero tornate, veloci e invisibili, a
bruciare sulle sue ferite aperte.
Estrasse
il pugnale dalla carne del fratello, che restò contro il muro
con la mano sopra la macchia di sangue che si era espansa sulla sua
maglia. Prese lunghi respiri, ma non smise di gemere di dolore.
Elijah tornò velocemente da me, mi prese tra le braccia per
non farmi camminare e mi condusse rapidamente fuori dalla porta.
Quando
passai accanto a Klaus, i nostri occhi si incrociarono: non ero
l'unica ad essere uscita con cicatrici dal nostro scontro, anche se
le sue cicatrici erano state procurate da qualcuno che non ero io.
Avevamo tutti e due il nostro sangue a macchiarci la pelle, eravamo
stati tutti e due sconfitti. L'unico vero vincitore era stato,
probabilmente, Elijah.
Guardai
il pugnale sporco del sangue di Klaus.
Cercai
di pulirlo con un panno, mentre tenevo la testa piegata da un lato in
modo che Elijah mi medicasse la ferita sul collo. Avevo di nuovo
rifiutato il suo sangue, ma dubitavo che al terzo morso avrei potuto
oppormi a quell'offerta o mi sarei davvero ritrovata senza più
un collo. Nessuno dei due parlò: eravamo in camera sua, seduti
ai piedi del letto e sentivo le mani calde di Elijah sfiorarmi con
delicatezza la ferita. Fuori il sole si era spento, lasciando che
l'oscurità oscurasse il cielo e persino le poche stelle che
ogni tanto lo illuminavano.
Intanto
io tenevo gli occhi fissi sull'arma, stavo odiando me stessa per non
averla infilata io stessa nella carne di Klaus. Ripensai al momento
in cui il mio odio si tramutò in qualcosa che mi stava
indebolendo, quando Klaus strinse le mani attorno alle mie e mi sfidò
a colpirlo.
Non
ce l'avevo fatta e non capivo perchè.
Guardai
Elijah allora, dire che era tormentato era poco. Il suo viso era una
maschera di pensieri che affollavano tutti insieme la sua mente e lo
tenevano lontano dalla realtà in cui ci trovavamo.
Avrei
voluto compiere qualche gesto, per poter fare in modo che i suoi
occhi mi guardassero.
“Perchè
non l'hai ferito?” chiese lui improvvisamente, lo guardai di
nuovo e i suoi occhi si alzarono su di me. La fiamma del camino
illuminava il suo viso marmoreo e si rifletteva nelle sue iridi
scure. La sua mano restò adagiata sulla ferita, trasmettendomi
dei brividi lungo la schiena.
Bella
domanda, pensai. Era proprio quella che mi stavo ponendo da quando mi
aveva portato in camera per medicarmi. Abbassai gli occhi sul pugnale
e me lo rigirai tra le mani.
“Potevo
capire se ti fossi trattenuta prima che lui ti facesse quello che ha
fatto...anzi, non lo avrei nemmeno capito in quel caso.” disse
Elijah, era arrabbiato con me perchè non capiva cosa mi avesse
trattenuto. Lo ero pure io con me stessa, perciò non potei che
comprenderlo.
“Ma
dopo....mentre ti guardava con le labbra sporche del tuo sangue, tu
non hai voluto lo stesso colpirlo? Come puoi essere stata così
stupida?”
Sentirmi
dare della stupida da lui mi fece scoppiare il petto. Lo guardai
incredula e non trovai più l'Elijah che conoscevo io, quello
che mi sorrideva sempre e che era sempre al mio fianco.
Era
il vampiro, quello che Klaus gli ricordava sempre di essere.
Strinsi
i pugni e rimasi a fissarlo. Lui non disse nulla, vedendo che la
ferita era stata medicata accuratamente, si alzò in piedi e si
allontanò da me. Seguì con lo sguardo i suoi passi che
camminavano davanti al camino e mi morsi le labbra.
Stava
per succedere qualcosa,
lo sentivo chiaramente nei passi che lui stava compiendo per
allontanarsi da me. Stava per accadere qualcosa che avrebbe posto
fine a tutte le mie speranze.
“Devi
tornare in Bulgaria.” disse semplicemente, quando giunse
davanti alla finestre che affacciava verso il cielo notturno. Alzai
lo sguardo di scatto, erano le stesse parole che aveva pronunciato
Klaus, ma non avrei mai creduto che le avrei mai sentite uscire dalle
labbra dell'unica persona che mi stava dando sogni, speranze e gioie
in quel nuovo mondo che mi ero ritrovata a sperimentare per pura
casualità.
Elijah
mi stava ferendo, era una cosa che aveva avuto inizio quando gli
rivelai del bacio di Klaus.
Era
da lì che era iniziato tutto. Da Klaus.
E
sembrava che con lui sarebbe finito tutto.
Scattai
in piedi, malgrado mi sentissi debole e stordita. Lui dovette
avvertire il movimento del mio corpo e si girò lentamente
verso di me, i suoi occhi erano privi di qualsiasi emozione. Osservò
il mio volto, non sapevo se trasmettevo rabbia, delusione o tristezza
in quel momento, ma doveva essere un miscuglio di tutti e tre quei
sentimenti distruttivi.
“Klaus
merita di non avere più la testa sul collo dopo quello che ti
ha fatto...ma su una cosa aveva ragione: tu devi tornare a casa.”
disse, continuando a ferirmi come non aveva mai fatto prima. Iniziai
a prendere lunghi respiri, mentre sentivo le lacrime salirmi agli
occhi. Lui riprese a infierire, senza nemmeno darmi il tempo di
abituarmi al dolore che si stava espandendo dentro di me. “Qui
sei solo in pericolo, qui soffri solo. Sono stanco di vederti
piangere per colpa sua e sono stanco di vederti sorridermi quando io
sono colpevole quanto lui di tutto!”
Una
lacrima mi scese lungo la guancia: Elijah mi stava ferendo per
proteggermi, ma non capiva che quella ormai era la mia casa e lo era
grazie a lui? Non c'era lacrima versata per Klaus che poteva
competere con la gioia che provavo ogni volta che ero al suo fianco.
Ma
era il senso di colpa a parlare per lui, una colpa che io non
conoscevo e che potevo solo non affidargli: perchè io sapevo
chi era Elijah e qualsiasi fosse stato il suo segreto, sapevo che lo
stava mantenendo per una buona causa.
Lui
continuò a parlare, cercò di nuovo di ferirmi ma ormai,
vista la verità che aveva tirato fuori nella frase di poco
prima, dubitavo che ci sarebbe di nuovo riuscito.
“Quello
che è successo prima in quella stanza, avrei potuto non
evitarlo. Ma tu sì.”disse, indicando un punto accanto a
sé che simboleggiasse la tomba della mia forza su Klaus. “Ma
sei troppo buona e pura per poter ferire davvero qualcuno. Non puoi
sopravvivere così nel nostro mondo. Perciò è
meglio che tu torni in Bulgaria. Almeno eri viva e fuori da pericoli
di questo genere...”
Viva?
Feci un passo verso di lui: io non ero viva là, ero sempre
stata un cadavere privo di esistenza che camminava tra gli sguardi
delle persone che mi odiavano. Se avevo cominciato a vivere, era
stato quando avevo messo piede in Inghilterra, quando avevo visto mia
sorella sorridere e quando Elijah mi aveva baciato il palmo della
mano, appena ci eravamo incontrati.
Il
pensiero che lui riuscisse ad immaginarmi lontana da lui, mentre a me
mancava il respiro invece, mi fece stare male. A lui sembrò
non importare nulla del mio sguardo, voleva proteggermi e lo sentivo,
ma lo voleva fare strappandomi il cuore via dal petto.
Avrei
voluto dire tante cose in quel momento, tutte frasi che non avevo mai
realmente pensato fino a quando lui non avesse pronunciato quelle
parole di un forzato addio. Il sentimento che tenevo nascosto dentro
di me, quello che non volevo e non potevo riconoscere, iniziò
a delinearsi prima nel mio cuore, per poi essere tradotto nella mia
mente.
“Klaus
ormai ti ha portato via tutto...meglio porre fine qui alla tua
sofferenza, giusto?” concluse lui, ponendo un punto alla sua
opera di tortura.
Intanto
quel sentimento continuò a delinearsi dentro di me, fino ad
assumere una forma ben precisa. Le frasi che volevo dire erano
troppe, forti e irruenti: mi fecero sentire forte e debole allo
stesso tempo.
Non
abbandonarmi.
Quella
fu la prima che si fece largo tra la mia mente, scossi la testa per
dirgli che io sarei rimasta in Inghilterra anche se il diavolo stesso
mi avrebbe strappato il cuore dal petto. Elijah serrò le
labbra. “No cosa, Irina? Sei circondata da mostri da cui non
puoi difenderti. E io sono uno di questi, non sai il male che potrei
farti...per non parlare di Klaus,Mikael e
Bell! Sono parte dei
tuoi incubi da quando sei arrivata qui in Inghilterra, te ne rendi
conto o no?”
Scossi
di nuovo la testa, non m'importava nulla di loro. Io non volevo
andarmene, non volevo perdere quello che avevo trovato in
Inghilterra.
Una
persona, un nome....mi bastava per tenere vivo il sogno che pensavo
di aver iniziato in quella terra. Come avrei potuto vivere perdendo
tutto quello che avevo trovato là? Non avrei più
vissuto, sarei tornata il corpo privo di vita che ero stata fino a
poco tempo prima.
Ho
bisogno di te.
Quella
seconda frase s'insinuò più prepotentemente nella mia
mente. Feci un altro passo verso di lui, la linea che delineava il
mio sentimento nascosto stava per chiudere i contorni della sua
essenza. Elijah ne fece uno indietro, mi guardò infastidito
mentre continuavo a scuotere la testa.
“Di
Bell me ne sto occupando io. Lo troverò, gli farò
pentire di essere nato e tu vivrai la tua vita in Bulgaria. Basta che
rimani il più lontano possibile da qui, da me e da tutto
quello che mi circonda.” insistette, ma vedendo che io non
desistevo e che continuavo anzi ad avanzare verso di lui, si portò
una mano sulla fronte. Riconobbi l'espressione di esplosione di
rabbia che conoscevo bene nei suoi fratelli. “Perchè
ti devi ostinare così? “ gridò. “Non
hai niente qui per cui vale la pena combattere, se non tua sorella! E
Klaus te la porterà via come ha fatto oggi...e io con lui.”
Mia
sorella era un altro dei motivi per cui volevo restare. Ma non era
lei quella che mi stava chiedendo di abbandonare quella vita, per
tornare nell'oscurità.
Era
lui, l'altra ragione che mi spingeva a combattere per restare.
Stavo
combattendo per me stessa, come
mi aveva insegnato lui.
Ero
stupida, folle, ingenua ma non m'importava. Io volevo restare là
e non mi sarei mossa.
Mi
feriva più il fatto che Elijah non si fosse accorto
di quella cosa. Ma non me n'ero
realmente accorta nemmeno io fino a quel momento, perciò la
mia era solo una ferita lieve.
“Che
cosa hai qui, Irina, se non terrore e lacrime?” ripeté
lui, con più freddezza.
Istintivamente,
mi avvicinai velocemente a lui. Elijah restò parecchio stupito
dal mio gesto, perchè aveva imparato a conoscermi e sapeva che
non sarei mai arrivata così vicina al suo viso.
I
suoi occhi di fronte ai miei non mi aiutarono a trattenere le
lacrime, avrei voluto avere così tanto la possibilità
di dirgli quello che la mia mente mi stava dicendo in quel momento.
Anche
lei, come me, non aveva avuto voce ma in quel momento stava gridando
dentro di me tutto quello che aveva taciuto per tutto quel tempo.
Elijah restò ancora immobile, gli toccai il viso con la mano e
lui chiuse gli occhi, come se il mio tocco gli facesse male.
Ho
te.
Due
semplici parole che avrei tanto voluto gridare in quel momento, ma
dubitavo che sarei riuscita a pronunciarle anche se avessi avuto voce
per farlo. C'erano altre cinque parole che avrei voluto pronunciare,
ma né il silenzio e nemmeno il suono della propria voce
potevano davvero valere molto di fronte al loro significato. Ma io
probabilmente le avrei dette lo stesso, solo per sentirle uscire
dalla mia labbra mentre fissavo quegli occhi scuri e mentre sentivo
il mio cuore battere all'impazzata nel petto.
Ma
prima dovevo dirle a me stessa, la prima persona che doveva avere il
coraggio di ascoltare quelle parole ero io.
Mi
sono innamorata di te.
Non capivo perchè, ma quelle parole mi riempivano di gioia,
paura e tristezza. Non avevo mai saputo cosa significasse amare una
persona e forse quello che provavo per Elijah dalla prima volta che
lo avevo visto non era ancora quella forza devastante che veniva
chiamata amore.
Ma
sentivo che ci si avvicinava parecchio, altrimenti il mio cuore non
avrebbe reagito così nel sentire quelle semplici parole che
stavo rivolgendo silenziosamente ad Elijah.
La
sua espressione si addolcì, mentre la mia mano scendeva lungo
la sua guancia. Abbassò lo sguardo sulle mie labbra, quando mi
vide avvicinare il viso al suo lentamente.
Era
l'unico modo per dirgli quello che provavo, le parole e il silenzio
alla fine non era nulla in confronto ad un gesto come quello. Lui
rimase immobile, mentre le nostre labbra si avvicinavano sempre di
più, le sentì sfiorarsi, cercarsi e i nostri respiri si
incontrarono fino a congiungersi quasi. Avevo paura che lui non
provasse lo stesso per me, che la nostra era davvero una semplice
amicizia e che mi
stavo solo illudendo di nuovo di vedere e percepire cose che in
realtà non esistevano.
Ma
lui era lì e le nostre labbra si stavano sfiorando, un attimo
prima di congiungersi completamente in un bacio.
Poi
Elijah improvvisamente si ritrasse, scattò indietro come una
molla e tenne la testa bassa, per evitare il mio sguardo. Il modo in
cui la magia terminò, violentemente e troppo veloce, mi
disorientò un attimo.
Fui
costretta a sbattere più volte le palpebre per tornare in me,
guardai Elijah che si passava una mano sulle labbra e prendeva dei
lunghi respiri, come se volesse anche lui riprendersi da quello che
stava per succedere. “Io non provo questo per te, Irina. E
nemmeno tu.” disse, alzò lo sguardo su di me ma non
riuscì a guardarmi per più di pochi secondi. Quello fu
il suo modo peggiore per ferirmi.
Non
volevo essere presuntuosa, non volevo pensare di essere certa di
conoscere ciò che Elijah provava per me, ma io sapevo
riconoscere una bugia
quando lui la pronunciava.
E
quella era una bugia, più
grande di me e lui messi insieme.
“Io
sono un vampiro, un'originale, la mia vita è eterna e
maledetta. Tu sei una giovanissima donna mortale e troppo umana per
essere coinvolta nell'inferno che è la mia vita. Cosa credi
che possa esserci tra noi? Te lo dico io: nulla, se non sofferenza e
paura.”
Per
la prima volta in tutte le discussioni che avevo affrontato con
Elijah, mi parve di essere io la più forte dei due. Lui stava
solo trovando delle scusanti riguardo un nostro ipotetico futuro, non
stava negando di provare qualcosa per me. Forse non mi ero illusa,
non era a senso unico.
Forse
lui lo doveva solo scoprire come lo avevo scoperto io in quel
momento.
“Stai
mentendo.” gli
dissi, cercando di muovere il più velocemente possibile le mie
mani.
Elijah
scosse la testa, si passò una mano sul mento e distolse lo
sguardo dal mio viso. Sembrava che gli costava parecchio dovermi
guardare negli occhi, ma doveva farlo.
“Smettila...”
disse, quasi come se mi stesse supplicando. Mi avvicinai di nuovo a
lui, volevo che mi guardasse in faccia e mi dicesse la verità.
Io
pensavo di conoscerla, ma lui aveva voce e poteva confermarla.
Cercai
di nuovo di toccarlo, lui però anticipò il mio gesto,
prendendomi per le spalle e stringendole con forza.
Alzò
lo sguardo su di me, i suoi occhi erano diventati scurissimi e sulle
sue labbra comparvero dei canini sporgenti. Tremai di fronte al lato
vampiro di Elijah, non lo avevo mai conosciuto davvero e sinceramente
ero arrivata anche ad ignorarne l'esistenza, per come avevo imparato
a conoscere Elijah. Lui mi avvicinò a sé, quasi
strattonandomi, in un gesto violento che non avrebbe mai compiuto
prima.
“Questo
è ciò che sono.”
disse in un ringhio, mi sforzai di guardarlo in quegli occhi
iniettati di sangue ma mi risultava difficile. Era così vicino
che mi risultava impossibile da sostenere.
“Questo
è il vero me.
Non sono quello che ti sorride per rincuorarti, non sono quello che
ti sta vicino per non farti sentire sola e non sono nemmeno quello
che ricambia il tuo abbraccio per sentirti più
vicina.” mentre
pronunciava quelle parole, con quella rabbia più rivolta a sé
stesso che a me, mi parve di rivivere diverse immagini: il suo
sorriso, le sue parole che mi raggiungevano quando sentivo di non
farcela, quelle tre bellissime volte in cui avevo sentito le sue
braccia attorno a me...le rivissi tutte in quel momento.
Ma
volevo arrestarle, perchè se si rivive una parte della propria
vita con la mente, vuol dire che tutto sta per finire.
E io sentivo che per me stava finendo l'immagine di un sogno.
Era
come la morte, che
arriva subito dopo che hai vissuto i tuoi ultimi attimi di vita a
ricordare il passato. Elijah mi avvicinò di più a sé,
mi sforzai di non piangere ma mi risultava difficile.
“Questo
sono io. Il vampiro
che non resiste all'odore del tuo sangue, il vampiro che uccide per
sfamarsi, il vampiro che odia per non odiare sé
stesso. Non c'è amore
nella nostra vita, Irina, noi siamo morti.”
Tremai,
il suo viso assunse ancora di più una espressione disumana
mentre pronunciava l'epilogo della mia illusione. Ero stata ferita
per la seconda volta quel giorno, come mi ero illusa che Klaus avesse
un'umanità, mi ero anche illusa che Elijah provasse qualcosa
per me.
Ero
solo una stupida a pensare che la mia vita sarebbe davvero cambiata.
“Nemmeno
tu provi nulla per me, perchè non hai mai conosciuto il
vero me.” continuò
Elijah, la sua presa sulle mie spalle si allentò sempre di più
e il suo viso iniziò a rilassarsi, tornando alla sua forma
umana. Quella di cui mi ero innamorata.
Intanto
piangevo come una fontana, le lacrime mi rigavano sul viso senza che
potessi far nulla per fermarle, non volevo nemmeno asciugarle e le
lasciai sulla mia pelle per ricordare a me stessa quanto fossi
debole.
Altro
sale sulle ferite, dubitavo che avrei potuto resistere ancora.
“Se
tu sapessi cosa realmente sono, cosa realmente sta
accadendo...dubito che mi ameresti.” disse, in un sussurro
così flebile ma freddo che mi parve irriconoscibile. Era una
voce che non avevo mai sentito prima, quella di un Elijah che voleva
ferirmi. “La tua era solo una illusione, adesso sai che cosa
sono veramente. Le mie maschere ormai hanno perso il loro valore...”
Tirai
su con il naso, Elijah si allontanò da me e mi diede le
spalle. Non credevo possibile che volesse chiudere la cosa lì,
dopo avermi detto tutte quelle cose.
Non
poteva aver mentito per tutto quel tempo, la vera menzogna risiedeva
nelle ultime parole che mi aveva rivolto. Mi portai una mano sulla
bocca, mi sentivo completamente ridicola nell'avere tutto quel mare
di sentimenti dentro di me: ero come uno scoglio investito dalle
onde, che non poteva far altro che restare immobile a farsi colpire
dal mare in tempesta.
“Farò
in modo che tu torni in Bulgaria il prima possibile.” disse
Elijah, prendendo lui per me quella decisione. Scossi la testa,
quanto avrei tanto voluto gridargli di smetterla e invece dovevo
rimanere ad ascoltarlo in silenzio.
Io
non volevo andarmene.
“Spero
che la tua vita prosegua nel migliore dei modi.” concluse poi.
Quella
frase era il vero epilogo
del mio sogno. Mi convinsi che forse aveva ragione lui, la mia era
solo stata una illusione in cui credevo di conoscere Elijah ma non
era così.
Quella
sera avevo conosciuto l'altra parte di lui che fingevo di ignorare.
Quella parte era sempre stata presente, solo che lui l'aveva tenuta
nascosta per non ferirmi.
Ma
se non voleva ferirmi, qualcosa di umano, come credevo io, c'era
davvero in lui.
Fuggì
di nuovo, cosa che ero convinta non avrei mai più fatto, ma
che mi uscì spontanea.
Spalancai
la porta e la lasciai aperta mentre i miei piedi percorrevano i
corridoi bui della villa.
In
quel momento mi fu davvero tutto chiaro, era tutto finito.
Spalancò
la porta quando bussai per la seconda volta.
Rose
rimase stupita nel trovarmi là, di notte e con il volto
visibilmente solcato dalle lacrime, illuminate dalla luce della luna.
Ero rimasta in camera mia per pochi minuti, ma le lenzuola sporche di
sangue mi ricordarono tutto quello che era successo e non ce la feci
a restare.
Non
volevo vedere nemmeno Katerina, perchè anche lei mi ricordava
ciò che era tutto finito.
Ma
non volevo restare sola con me stessa, ero la peggior persona che mi
potesse fare compagnia in quel momento. Perciò decisi di
andare da lei, dall'unica persona che conoscevo al di fuori di quella
villa.
“Irina?”
mi chiese preoccupata. “Cos'è successo?”
Singhiozzai,
le buttai le braccia al collo senza rendermene conto e lei ricambiò
il mio abbraccio. Mi posò una mano sui capelli e li accarezzò
dolcemente come per tranquillizzarmi, mi sembrava di essere tornata
la bambina che piangeva per ogni cosa e che pensavo fosse scomparsa
con il mio arrivo in Inghilterra. E invece era tornata, certi lati
del proprio essere non muoiono mai.
Un'altra
cosa che mi aveva insegnato Elijah in quella giornata.
Rose
mi fece entrare, mi fece sedere e mi porse una tazza di the,
nonostante l'orario indecente. Mi chiese cosa fosse successo, ma mi
limitai solo a farle capire pochi semplici gesti da cui lei dedusse
che avevo litigato con tutti praticamente e che dovevo tornare in
Bulgaria.
Ma
in Bulgaria non ci sarei tornata, nemmeno ora che Elijah mi aveva
detto di farlo.
Nemmeno
ora che lui mi aveva mostrato il suo lato oscuro, quello che aveva
mascherato per tutto quel tempo. Ma che io ancora credevo che fosse
una bugia.
“Passerà
tutto.” mi disse Rose, sorridendomi calorosamente mentre si
sedeva di fronte a me e teneva una tazza tra le mani. La stanzetta
era illuminata dalla luce del camino, per un attimo calò solo
un profondo silenzio rotto dalla legna che ardeva nelle fiamme.
“Anche i vampiri lasciano correre, pensa se se le legano al
dito per l'eternità!”
Sorrisi
solo per un secondo poi abbassai lo sguardo, non mi bastava più
un sorriso per sentirmi meglio ormai. Ero stata svuotata di tutto
senza che me ne accorgessi.
Rose
sospirò, vidi la sua mano allungarsi sul tavolo verso di me e
sfiorare la mia. Piegò la testa da un lato e studiò il
mio viso nascosto sopra una mano e il mio sguardo perso nel vuoto.
“Sai
perchè odio i vampiri?” mi chiese, attirando così
la mia attenzione su di sé. “Perchè mi hanno
fatta diventare più vecchia di Trevor. Ero io la più
giovane dei due e ora non è più così!”
Risi
di nuovo, per un attimo solo mi sentì meglio ma solo perchè
fu lei a ridere con me. La vidi farsi seria, un ciuffo di capelli che
teneva legati in una crocchia le ricadde sul viso e il suo sguardo si
posò su di me. “In realtà, li odio perchè
mi fanno paura. Non hanno un cuore, un'anima e non hanno sogni
sopratutto.” disse. Quel discorso mi fece venire di nuovo
voglia di piangere, ma mi trattenni: ripensare ad Elijah era una
tortura a cui non volevo sottopormi più.
“Trevor
è mio amico e io non l'ho abbandonato però...ammetto
che ho paura anche di lui.”
Tirai
su con il naso, la mano di Rose era ancora posata sulla mia e le sue
dita tamburellavano lentamente sulle mie. Gli occhi si bagnarono di
nuovo e li asciugai prima che mettessero in risalto la mia debolezza.
“Però
c'è un'altra cosa che devo ammettere....” Rose parlò
in un lieve sussurro, come se quello un pensiero insolito le avesse
attraversato la mente e lei avesse trovato il coraggio di dargli
voce. Alzai lo sguardo su di lei e la vidi distogliere lo sguardo.
“Mi sono ricreduta sui vampiri solo una volta: alla festa del
tuo compleanno.”
Corrugai
la fronte, mi rizzai sulla schiena e continuai a guardarla
interrogativa. Non capivo di cosa stesse parlando, lei al mio
compleanno era rimasta pochi minuti ed era scappata via prima che
potesse restare troppo a lungo con Klaus ed Elijah. Prese un lungo
respiro, essere dalla parte dei vampiri, anche se solo per un attimo,
le risultava davvero difficile.
“Ho
visto Elijah, il modo in cui ti guardava e ti
sfiorava...sembrava..umano, capisci?” mi chiese, si chinò
più verso di me. Credevo di capire: Elijah, Klaus e persino
Rebekah avevano comunque un'aria quasi divina.
La
prima volta che li avevo visti, avevo pensato subito che fossero
degli angeli, così lontani da dei normali esseri umani. Io
avevo scoperto l'umanità di Elijah perchè stavo sempre
con lui, ma per una come Rose che li vedeva di sfuggita per poi
scappare via, doveva essere una cosa che saltava prontamente agli
occhi. “Lui non ti farebbe mai del male, se non per
proteggerti. Quello sguardo si riconosce subito.” continuò
Rose.
Forse
lo stava facendo per consolarmi, abbassai di nuovo lo sguardo e mi
portai una mano sotto il mento. Rose mi strinse le dita. “Ma
non è questo che mi ha stupito veramente..” disse,
cogliendo di nuovo tutta la mia attenzione.
Ci
guardammo di nuovo, quello che stava per dirmi doveva risultare
ancora più difficile rispetto all'aver trovato un barlume di
'umanità in Elijah. Rabbrividì e distolse lo sguardo.
“Quello
che mi ha stupito maggiormente...è che c'era un'altra persona
che mi ha fatto ricredere in quella sala..”
Calò
di nuovo il silenzio, io e Rose ci guardammo a lungo ma quando trovai
la forza di trovare un senso alla parole della ragazza, qualcuno
bussò alla porta. Sobbalzammo entrambe, Rose andò ad
aprire dopo un attimo di smarrimento e la seguì.
Restammo
entrambe stupite nel vedere Philippe sulla porta. Era paonazzo e ci
guardava con aria preoccupata, quando notò la mia presenza,
tirò un sospiro di sollievo.
“Irina,
è successa una cosa terribile a tua sorella!” disse.
Quelle
parole mi fecero andare il cuore in gola, mi avvicinai a lui e gli
chiesi cosa fosse successo. Rose rimase immobile sulla porta, notai
che guardava il ragazzo con aria insospettita.
Intanto
io cercai di mantenere la calma necessaria per capire cosa stesse
accadendo, Philippe prese dei lunghi respiri. “È stata
attaccata, è venuta a cercarti e un animale l'ha attaccata! Ti
stanno cercando tutti!” esclamò, con il suo fortissimo
accento francese.
Katerina
era stata attaccata per colpa mia. Stavo per sentirmi male, andai
fuori dalla porta senza nemmeno accorgermene e lo affiancai, doveva
portarmi da lei il prima possibile.
“Irina
no!” gridò Rose, come se avesse percepito un pericolo
prima di me.
Ma
io ero ormai fuori.
Prima
che me ne accorgessi, Philippe mi fece voltare: mi cinse il collo con
il braccio e premette il suo petto contro la mia schiena. Mi tolse il
respiro per quanto era forte, mi divincolai con forza, mentre lui
teneva lo sguardo fisso su una Rose terrorizzata.
Lo
sentì ridere, di fronte allo sguardo della ragazza che si
sforzava di restare accanto alla porta.
“Allora,
Rose.” ridacchiò Philippe, impedendomi di continuare a
divincolarmi. “Invitami ad entrare in casa o ammazzo la piccola
Petrova.”
Ciao
a tutti!! :)
Perdonate
il capitolo chilometrico, ma sono stata un po' costretta per
“preparare” il prossimo che sarà decisamente più
corto.
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto lo stesso, mi spiace che non ci siano
stati parecchi colpi di scena ma mi sono concentrata per lo più
sulle due consapevolezze riconosciute da Irina in questo capitolo: la
consapevolezza di odiare e quella di amare. Come sempre, spero di
esserci riuscita abbastanza bene.
Ci
tengo a ringraziare anche in questo capitolo tutti coloro che
leggono, chi lo fa in silenzio e chi recensisce, facendomi così
sorridere con le loro belle parole. Ringrazio anche coloro che hanno
inserito questa storia tra le seguite, ricordate e preferite, non la
smetterò mai di dirvi grazie in ogni singolo capitolo.
Buona
domenica a tutti voi!
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Capitolo 14 *** Under The Rose ***
Non
farlo.
Fu
quello il mio primo pensiero, quando i miei occhi incrociarono quelli
di Rose.
Si
trovava di fronte ad uno dei suoi peggiori incubi, un incubo che però
aveva in mano la mia vita, stringendola per il respiro che poteva
soffocarle da un momento all'altro.
Non
riuscivo a credere di essere caduta in una trappola del genere, il
mio legame con Katerina era diventata un arma che chiunque poteva
utilizzare a suo piacimento.
Deglutì,
sentivo il respiro di Philippe tra i miei capelli e mi parve di
scorgere il suo sorriso di sfida e terrore sopra la mia testa.
Un
brivido mi corse lungo la schiena e non era certo causato dal vento
gelido che soffiava imperterrito su di noi. Se Rose avesse invitato
Philippe ad entrare, sarebbe morta con me.
Non
doveva farlo.
Philippe
mi scosse violentemente, bloccandomi per un interminabile attimo il
respiro e guardò ancora Rose, la ragazza tremava visibilmente.
Era coraggiosa e buona, non mi avrebbe abbandonata al mio destino, ma
così facendo avrebbe probabilmente segnato anche il suo.
“Non
ho tempo da perdere, fammi entrare o spezzo il collo della ragazzina
qui davanti a te.” rimarcò nuovamente, calcando ogni
singola parola come se fossero pietre nella sua mano, pronte ad
essere scagliate sull'umana di fronte a sé. Scossi la testa,
guardandola fisso per chiederle di non cedere, ma lei si arrese
inevitabilmente e il fatto che socchiuse gli occhi, come per darsi
forza, ne era la prova.
“Puoi
entrare.” disse semplicemente, con un tono privo di
espressione.
Il
mio cuore sussultò appena udì quelle due parole. Avevo
sperato fino all'ultimo che Rose non le pronunciasse, perchè
sapevo cosa significava stare nella stessa stanza con un incubo.
Sopratutto
se se ne conosceva anche la fine.
La
vidi appiattirsi contro la porta per farci spazio, mi morsi il labbro
quando sentì Philippe ridere vittorioso.
Mi
spinse a terra e caddi a pancia in giù sul pavimento, vicino
ai piedi di Rose. Sentii i passi di Philippe dietro di me che
avanzavano lentamente sul pavimento in legno, ogni rumore dei suoi
piedi aumentava la mia paura.
Rose
si chinò su di me, tremava e teneva gli occhi sbarrati fissi
sul vampiro. La sua mano si posò sulla mia schiena, come se
volesse proteggermi da eventuali attacchi del nostro comune nemico.
Perchè
Philippe era chiaramente un vampiro, anche se ero certa che fino a
poco tempo prima era un individuo innocuo. Quando avrei imparato che
l'apparenza è il peggiore inganno per la mente umana? Mi
voltai verso di lui, chiedendomi chi lo avesse trasformato, perchè
e quando sopratutto: lo avevo visto diverse volte alla luce del sole,
quindi doveva trattarsi di una cosa recente. Possibile che fosse
stata Rebekah?
Lui
si chiuse la porta alle spalle e quando Rose mi aiutò ad
alzarmi in piedi, notai che gli occhi chiari di lui erano fissi su di
noi e un sorriso compiaciuto si era allargato sulle sue labbra.
“Non
vedevo l'ora di trovarmi solo con te, Irina.” mi disse, quando
il suo sguardo si soffermò su di me così a lungo da
farmi rabbrividire. “Spero che ti sia piaciuto il mio regalo di
compleanno.”
Sbarrai
lo sguardo, restai ancora di fronte a Rose, malgrado fossi spaventata
quanto lei, e collegai tutto: era stato lui ad uccidere quella
ragazza.
Doveva
essere anche lui al soldo di Mikael,
non avevo alcun dubbio.
Il
modo in cui quel mostro riusciva a circondarci di nemici, mi
spaventava e mi faceva rabbia allo stesso tempo. Arretrai di qualche
passo e Rose con me, restò al mio fianco come se si sentisse
in dovere di proteggermi da quell'uomo. Ma eravamo allo stesso
livello purtroppo, deboli e innocue di fronte ad un essere quasi
immortale. Rimpiansi il fatto di essere scappata, o almeno di averlo
fatto senza il pugnale, rimasto in camera di Elijah.
Philippe
scattò in avanti, fu così rapido e veloce che nemmeno
mi resi conto di come la sua mano strinse il mio collo e mi spinse
contro la parete al mio lato. Mi mancò il respiro e cercai di
liberarmi da quella presa, ma inutilmente.
“No,
lasciala stare!” gridò Rose, appena cercò di fare
un passo verso di noi, ma Philippe la colpì con un ceffone in
pieno viso, che la fece cadere a terra. Provai a divincolarmi di
nuovo, quando la ragazza gemette di dolore e si portò la mano
sulla guancia. Come la sua fidanzata, se così la si poteva
definire ormai, anche Philippe sembrava non volerci andare piano con
le mani. Sopratutto se aveva di fronte degli innocui essere umani
come eravamo io e Rose.
Philippe
tornò a guardarmi, un ghigno gli attraversò il volto
che trovai a dir poco orribile e spaventoso. Ero ancora indebolita
dal morso che Klaus mi aveva regalato quel pomeriggio, perciò
opposi resistenza con una forza ancora inferiore rispetto a quella
che già possedevo.
Lui
quasi mi sollevò da terra, mi feci forze sulla punta dei piedi
per poter toccare il pavimento. I polmoni sembravano gridare pietà.
“Ho
ricevuto degli ordini che intendo eseguire, Irina. Perciò
comportati bene, altrimenti ti faresti molto male.” mi disse,
ridendo di quella frase che risultava terrificante alle mie orecchie.
Mi sforzai di combatterlo di nuovo, scalciando e dimenandomi come una
forsennata ma fu tutto inutile. Philippe strinse più forte la
presa, sentì le sue dita posarsi violentemente sulla ferita
ancora aperta, lasciatami in ricordo da Klaus.
Gemetti
di dolore, ma non piansi.
Ne
avevo abbastanza per quella sera, avevo pianto e sofferto abbastanza
e se Philippe aveva voglia di rovinarmi ulteriormente la vita, lo
avrei combattuto senza paura. Un'altra consapevolezza che avevo
assunto in quella giornata, dopo l'odio e l'amore uniti dal forte
dolore che entrambi mi causarono, ne aveva trovata un'altra: quella
di voler combattere in quel mondo che mi aveva insegnato ad odiare e
ad amare.
Volevo
proteggere Rose e me stessa da Philippe, non volevo avere paura di
lui, anche se mi risultava parecchio difficile.
Ma
dovevo provarci.
Lui
si fece più vicino al mio viso, Rose in quel momento alzò
lo sguardo su di noi e ci osservò spaventata. Osservai il
sorriso allargarsi sulla bocca del vampiro e rabbrividì, la
sua presa era ancora salda attorno al mio collo.
“Ho
diverse domande da porti prima di ucciderti. Peccato, perchè
avevo voglia di divertirmi.” disse, facendosi improvvisamente
serio, come se si fosse ricordato che era necessario mettere da parte
il suo sadico senso del divertimento ed eseguire gli ordini.
Mi
seccava pensare che, probabilmente, Mikael si sarebbe unito
agli altri vincitori che avevano avuto la meglio su di me quella
sera.
Quella
pessimistica visione della sconfitta si fece largo dentro il mio
cuore.
Lui
mi buttò a terra, sbattei violentemente il fianco e dovetti
utilizzare parecchia forza, solo per poter riaprire gli occhi e
alzare lo sguardo su di lui. Rose era oltre i suoi piedi, anche lei
sembrava indebolita dallo schiaffo di poco prima ma i suoi occhi
erano fissi su di me, come per assicurarsi che non subissi nessun
altro colpo.
Philippe
stendeva in piedi sopra di noi, lo sguardo però era fisso solo
ed unicamente su di me.
“Vediamo
cosa si nasconde sotto una rosa.” disse e sorrise di
nuovo.
“Mi
dispiace.”
Rose
ruppe il silenzio, alzai lo sguardo su di lei e la osservai oltre la
visione appannata che i miei occhi mi stavano offrendo in quel
momento. La ferita di Klaus mi faceva ancora male, il collo mi doleva
per la stretta esercitata poco prima da Philippe e inoltre avevo un
sonno terribile a causa della mancata nottata di riposo del giorno
prima.
Philippe
ci aveva costrette a sedere al tavolo, l'una di fronte all'altra,
come se avesse già prestabilito come posizionare delle pedine
sulla scacchiera. Girava attorno a noi come un avvoltoio attorno ad
un cadavere da diversi minuti, ma non ne capivo il perchè.
Forse
sapeva che nessun vampiro, nemmeno uno originale ,sempre se fosse
venuto qualcuno a cercarmi, avrebbe potuto varcare la soglia della
porta di Rose senza essere invitato. E se la ragazza avesse solo
provato ad aprir bocca, lui l'avrebbe uccisa.
Voleva
solo giocare con noi, mi era chiaro. Ricordava molto Joshua, anche
lui sembrava provare piacere nel terrorizzare e mantenne quel suo
comportamento anche davanti ad Elijah, nonostante fosse chiaro che lo
temesse.
Mikael
era spaventoso: soggiogava le persone a diventare dei burattini
tendenti al suicidio, pur di seguire la sua causa. Tornai a
concentrarmi su Rose, era lei la cosa a cui dovevo pensare
maggiormente in quel momento.
La
guardai interrogativa, cercando di cogliere il significato di quelle
parole di poco prima.
Lei
si sforzava di non piangere ma la paura vinceva sempre: si trovava
nella stessa stanza con un essere che temeva più della morte
stessa, un essere il cui gesto più gentile sarebbe stato
quello di ucciderci. Il fatto che volesse accrescere il nostro dolore
e la nostra ansia girandoci attorno in quel modo, lo provava.
“Tu
sei troppo piccola per vivere in un mondo simile.” disse Rose,
scuotendo la testa e mordendosi le labbra quando terminò la
frase. “Avrei dovuto dirti tutta la verità, prima che
potesse succederti tutto questo.”
La
bontà di Rose non aveva limiti, come purtroppo la sua paura
per un mondo che non capiva e che voleva evitare. Sembrava quasi che
quelle parole le stesse rivolgendo più a sé stessa che
a me, come se vedesse nei miei occhi quella ragazza che un tempo lei
era stata e che non credeva potessero esistere creature che si
nutrivano di sangue e che risiedevano negli incubi più tetri
nella notte. Allungai la mano verso di lei e gliela strinsi, in quel
momento entrambe ci dimenticammo della presenza di Philippe e del
motivo per cui non agisse.
Ci
guardammo e ci infondemmo coraggio con una semplice occhiata. Anche
se lei o se chiunque altro mi avesse rivelato cosa si nascondeva
nella realtà che mi circondava, dubitavo che sarei mai
realmente scappata. Perchè qualcosa era scattato in me, quando
avevo incontrato lo sguardo di una precisa persona, quando avevo
sfiorato una mano, quando avevo sentito una voce...avevo provato
qualcosa di troppo forte, per poi realizzarlo solo troppo tardi.
Anche
se non ci fosse stata mia sorella, che non avrei mai abbandonato
nonostante il campo minato che Klaus aveva posto tra di noi, dubitavo
fortemente che sarei più riuscita a fare a meno di quella
realtà. Ma me n'ero accorta troppo tardi, quando probabilmente
tutto sarebbe giunto ad una fine.
Philippe
rise, si prese gioco della nostra umanità di fronte alla paura
della morte che forse lui ci avrebbe procurato.
“Voi
umani siete così...patetici.” disse, posò le mani
sul tavolo e ci guardò, come se fossimo insetti pronti da
calpestare e da veder soccombere. Dall'immagine che mi ero costruita
dei vampiri, loro consideravano noi umani degli esseri insulsi e
patetici, ma non perchè ci consideravano tali, alla fine lo
erano stati anche loro un tempo. I vampiri, come Philippe e come
anche Klaus sotto sotto, invidiavano gli esseri umani per la loro
possibilità di poter cambiare, di evolversi nelle varie tappe
della vita e di poter sperimentare ogni singola emozione con più
profondità, in quello che era il ciclo della vita. Noi umani,
d'altra parte, invidiavamo in loro l'immortalità e la mancanza
di paura nei confronti della morte. Era un circolo vizioso che
nuoceva da entrambe le parti.
L'unico
che aveva avuto il coraggio di ammetterlo era stato Elijah, ma appena
la mia mente elaborò quel nome, decisi di porre fine al flusso
di quei pensieri.
“Io
sto per uccidervi entrambe. Il vostro ridicolo altruismo non vi
servirà a scampare alla morte.” ci ricordò,
guardando prima me e poi Rose. Ma il modo in cui guardava me, mi
faceva intendere che a me avrebbe spettato una morte più
dolorosa. Forse peggiore di quella che era toccata alla povera
ragazza sul nostro letto. Ma prima aveva detto che doveva chiedermi
delle cose, il motivo era però oscuro.
Velocemente,
Philippe allungò una mano verso la mia nuca e mi prese i
capelli in un pugno, li tirò con forza e mi scosse la testa
con uno scatto che mi costò parecchio dolore, dovetti chiudere
gli occhi per cercare di combatterlo. Rose intanto, assisteva
impotente alla scena.
“E
ora...passiamo alle domande.” disse lui, il suo accento
francese venne messo ancor più in risalto dal modo in cui
lasciò che le parole sibilassero tra i suoi denti. Riaprì
gli occhi e lentamente li volsi verso di lui, il suo sguardo era la
perfetta rappresentazione della follia.
“Che
cosa sei tu?” mi chiese, pronunciando duramente ogni
singola minuscola parola di quella domanda. Era una domanda che,
inconsciamente, mi ponevo anche io nel profondo: anche se fingevo di
non farci più caso, pure io spesso mi ritrovavo faccia a
faccia con quella questione, visto che sembravo essere l'unica al
mondo a non poter essere soggiogata dai vampiri.
Capì
solo poco dopo, che Philippe però non si riferiva solamente a
quella mia inspiegabile immunità nei confronti dei loro
poteri. Mi lasciò lentamente i capelli, tirandoli un ultima
volta come dimostrazione della sua forza nei miei confronti. Si rizzò
sulla schiena e continuò a guardarmi, nel frattempo Rose era
diventata come una spettatrice invisibile di uno spettacolo il cui
finale sembrava già scritto.
“Tu
a Mikael non interessavi.” disse Philippe, posando le
mani sul tavolo e fissandomi in maniera fastidiosa, intanto mi stavo
massaggiando la nuca, dove lui aveva tirato i miei capelli con
pochissima delicatezza. “Ti tiene d'occhio da molto, sai?”
Rabbrividì,
allora era lui l'uomo che si nascondeva sotto il cappuccio? Non seppi
cosa fare, abbassai lo sguardo e cercai di reprimere la paura che
provavo in quel momento. Philippe ne rise compiaciuto, non doveva
essere solo Klaus l'unico che provava piacere nel nutrirsi della
paura altrui. Philippe arrivò quasi a farmelo rimpiangere.
“Ma
all'inizio stava solo valutando se colpirti o meno, essendo tu la
sorellina Petrova.” continuò il vampiro, piegando la
testa da un lato e osservandomi con un sorrisetto provocatorio sulle
labbra. “Poi però...è apparsa nell'oscurità
la figura di Bell.”
Ecco
che pronunciò l'altro nome, quelle due sillabe capaci di farmi
tremare per un tempo maggiore rispetto a quello utilizzato per
pronunciarle. Due incubi, Mikael e Bell, che venivano fuori
dalla bocca di un altro incubo.
Trovai
la forza di guardarlo. Anche se stavo per morire, volevo almeno
andarmene con quelle risposte ben chiare nella mia mente.
“Piccola,
se quell'uomo ti cerca, vuol dire che tu nascondi un terribile
segreto, sai?” mi disse Philippe, facendomi di nuovo tremare.
Un
terribile segreto.
Un
segreto che non mi sarebbe sicuramente piaciuto conoscere, ma che,
inevitabilmente, avrei dovuto scoprire prima o poi, dato che avevo
attirato l'attenzione di quell'uomo, essere o qualunque cosa esso
fosse, su di me.
“E
io devo sapere di cosa si tratta, prima di farti fuori.”
concluse lui, mi guardò in attesa di una risposta e io non
potei fare altro che scuotere la testa, per fargli capire che non ne
sapevo nulla.
Ma
Philippe sembrava non desiderare una risposta negativa, probabilmente
Mikael l'aveva soggiogato a dovere, per indagare a fondo su di me e
sul mio legame con Bell.
Ma
perchè Mikael doveva
essere interessato ad una cosa simile? Lui voleva solo uccidere me,
Katerina e chiunque colmasse anche se di poco la solitudine che
circondava Klaus, il suo vero e unico obiettivo. Cosa poteva esserci
di così terribile dietro quell'uomo che tramava nell'oscurità
da intimorire uno come Mikael?
Guardai
Philippe, avrei voluto chiedergli cosa sapesse riguardo Bell
ma dubitavo che potesse
comprendermi, o peggio che volesse comprendermi.
Era
solo un burattino che eseguiva gli ordini, lui voleva solo una
semplice risposta che avrei potuto dargli anche se non potevo
parlare. Voleva solo un segno, un cenno che gli facesse capire cosa
ero.
Philippe
rise, quando notò che il mio sguardo si era fatto
interrogativo. Gli stavo ponendo una domanda nel mio silenzio, una
domanda che lui colse al volo fortunatamente.
“Irina,
sei fortunata a rimanere all'oscuro di ciò che Bell
è in realtà. È
una verità che io al tuo posto non vorrei conoscere, visto che
Mikael sa chi è
e lo teme.” disse. E quella risposta, anche se vaga, mi bastò
per farmi tremare di nuovo.
Se
Mikael conosceva Bell
e arrivava persino a temerlo, voleva dire che fino ad allora avevo
sottovalutato il mio nemico. Avevo passato tutto il tempo a
preoccuparmi di Mikael e
a combattere Klaus, solo perchè ritenevo Bell
la minaccia minore rispetto a loro due: i due originali stavano
ferendo le persone che amavo, Bell invece
era solo ed esclusivamente interessato a prendermi.
Ma
perchè? E cosa
significava che Mikael lo conosceva?
“Perciò
che cosa sei tu, ragazzina? Esigo saperlo.” ripeté
Philippe, guardandomi fisso negli occhi mentre io evitavo di
incrociare i suoi. Non avevo una risposta a quella domanda, l'avevo
sempre evitata nella maniera migliore possibile, ma pensai che dovevo
seriamente preoccuparmi.
Philippe
si mise di nuovo dritto sulla schiena, mi guardò con aria di
sfida e lasciò che il sorriso sulle sue labbra si spegnesse
lentamente. Chinai la testa, tremavo così forte che dovetti
stringere con forza i lembi della gonna per non smettere di
respirare.
Mi
ero dimenticata persino di Rose, che sedeva di fronte a me, con lo
sguardo carico di paura che teneva rivolto sul mio viso. Con la coda
dell'occhio, vidi Philippe strisciare verso di lei e quindi alzai la
testa allarmata. Rose chiuse gli occhi e si morse le labbra, come se
nella sua mente, stesse dicendo a sé stessa di non avere
paura, ma il suo corpo reagiva in tutt'altra maniera.
“Se
stanno così le cose, vuol dire che devo spremerti un po', vero
piccola Iry?” mi chiese Philippe, lanciandomi poi un'occhiata
divertita, per un gioco che solo a lui sarebbe piaciuto
intraprendere.
Scattai
in piedi, come se una parte di me si fosse convinta che avrei potuto
fermare il vampiro dall'avvicinarsi a Rose. Ma lui si fermò
dietro la schiena della ragazza e mi puntò contro il dito.
“Sta
seduta, ti conviene.” mi minacciò, teneva lo sguardo
puntato sulla testa di Rose che, intanto, aveva riaperto gli occhi,
gonfi di lacrime che non sarebbe a lungo riuscita a trattenere.
Non
sapevo che cosa fare: volevo impedire a Philippe di fare del male a
Rose, ma temevo che agendo in maniera impulsiva, come il restare in
piedi contro il suo volere, avrebbe solo peggiorato le cose. Perciò
mi sedetti lentamente, lasciando però lo sguardo fisso sul
vampiro.
“Che
cosa sei, Petrova?” chiese ancora lui, mi morsi le labbra fino
a farmi quasi male. Non avrebbe accettato il fatto che non sapessi
nulla, perciò cosa avrei dovuto fare?
Lui
ascoltò il silenzio attorno a noi e continuò a restare
alle spalle di Rose.
Pochi
secondi dopo, lui decise di trasformare in orrore quel silenzio.
“Vuoi
sapere come mi sono trasformato?” mi chiese, accarezzò i
capelli della ragazza e li slegò dalla crocchia in cui erano
raccolti. Li osservai cadere, soffici e voluminosi, sulle spalle
tremanti di lei.
Quello
era un puro gesto provocatorio, Philippe sapeva giocare alla
perfezione la tattica del terrore: bastava un solo tocco per far
scattare la paura. Io lo sapevo benissimo, perchè avevo
conosciuto il gioco preferito di Klaus.
Philippe
posò le mani attorno al collo di Rose, la ragazza chiuse di
nuovo gli occhi per trattenere il panico che la stava divorando.
Sentivo che i polmoni necessitavano di più aria, mi ritrovai a
respirare velocemente, con l'inquietante sensazione che stava per
accadere qualcosa di terribile che non avrei potuto evitare. “È
stato Joshua a farlo, poco prima che tu lo uccidessi.” raccontò
lui, facendomi rabbrividire di nuovo, le sue mani avvolsero il collo
di Rose accarezzandogli la pelle diafana. Mi sorrise e continuò
il suo racconto. “Mi prese alla sprovvista, mentre passeggiavo
nella foresta...mi fece bere il suo sangue e mi uccise. Sai, lo odiai
per quello che mi aveva fatto ma poi...l'immortalità è
un piatto troppo buono per rifiutarlo.”
Abbassai
lo sguardo sulle sue mani, che continuavano a scorrere avanti e
indietro lungo il collo di una singhiozzante Rose.
“Quindi,
quando Mikael è venuto da me, per chiedermi di aiutarlo
a colpire Klaus, non ho potuto non accettare. Era grazie a lui...se
finalmente potevo essere qualcuno di grande.” concluse.
Mandai
giù il groppo che mi bloccava la gola, ma Rebekah non si era
accorta di nulla? Era pur vero che Philippe era solo un giocattolino
per lei, ma avrebbe dovuto accorgersi che il cuore del suo compagno
non batteva più.
“Tenerlo
nascosto alla sorellina di Klaus è stata una cosa facile. A
lei non importa nulla di me, perciò starle vicino il minimo
necessario non le ha creato problemi. Poi non è molto
intelligente, penso che tu sia d'accordo con me.” disse poi,
con una punta di acidità. Pensai che lui doveva davvero aver
provato qualcosa per Rebekah e il fatto che lei lo avesse solo usato,
era un fattore che accresceva la sua follia
Smisi
improvvisamente di pensare.
Troppo
rapidamente, Philippe si portò il polso alla bocca e lo morse
con forza, come se non fosse parte del proprio corpo. Il sangue
fuoriuscì dalla sua carne, macchiandogli le labbra.
Scattai
nuovamente in piedi, quando vidi il ragazzo posare con irruenza il
polso ferito sulle labbra di Rose, la ragazza si divincolò, ma
il vampiro premette ancora con più forza in modo che lei
potesse bere il suo sangue.
“Sai
cosa significa subire quella trasformazione, Iry?” mi chiese
Philippe, tenendo la mano libera sulla testa di Rose, come per
impedirle di muoversi troppo. “È un processo che non
puoi combattere, proprio come la morte. Puoi solo restare fermo,
impotente e subire il cambiamento...sentì che tutto il mondo
attorno a te si trasforma, percepisci ogni singolo rumore, ogni
singolo battito di cuore e sentì sempre un brontolio allo
stomaco che non si combatte con un pezzo di pane.”
Abbassai
lo sguardo su Rose e strinsi i pugni, lei aveva gli occhi aperti su
di me come per implorarmi di aiutarla.
Valutai
la situazione in quell'unico secondo che mi fu concesso per pensare,
avevo lasciato il pugnale in camera di Elijah e non avevo nulla con
cui difendermi contro Philippe ma dovevo comunque fronteggiarlo.
Scattai
verso di lui, ma in pochissimi secondi successe il tutto: il vampiro
staccò il polso dalla bocca di Rose, lei tossì come in
preda a dei conati di vomito, mentre si toccava le labbra per
sperimentare sotto le sue dita il sangue che le bagnavano.
Subito
dopo, Philippe posò le mani sul collo di lei e lo spezzò
con un solo colpo netto.
Il
rumore delle ossa che venivano rotte dalla furia del vampiro rimbombò
nella mia mente, il corpo immobile di Rose cadde a terra, con la
schiena rivolta verso l'alto e le braccia che giacevano a penzoloni
accanto al suo corpo. Dopo un attimo di tremenda incredulità,
mi chinai su di lei in lacrime, la presi tra le braccia e la scossi
come se volessi destarla da un sonno troppo lungo.
Ma
lei era caduta nel sonno eterno. Il suo bel viso pallido era privo
della luce che lo illuminava in vita e che mai più lo avrebbe
illuminato.
Rose
sarebbe diventata il suo peggiore incubo, per colpa mia.
Se
io non fossi scappata, se non fossi giunta da lei per aiuto, se non
fossi uscita subito oltre la soglia della porta di casa sua per
raggiungere Philippe, lei non sarebbe mai morta.
Lei
aveva il sogno di voler restare umana, di vivere tutte le esperienze
della vita da umana e io l'avevo privata di quella fantasia semplice
e comune in tutti i mortali.
Philippe
restò in piedi accanto a me, sembrò ridere di ogni
singola lacrima che scivolava sul mio viso, mentre io osservavo il
volto rigido e fermo di Rose. Sembrava un angelo caduto troppo presto
e con troppa violenza e che poi si sarebbe risvegliata nell'inferno
che l'attendeva.
“La
sete di sangue si fa sempre più forte, cresce sempre di più
fino a quando non la si può più sostenere. È una
dolce tortura che ti porta a compiere un orrore inimmaginabile che la
tua mente vuole combattere ma che il tuo corpo non può
contrastare.” concluse Philippe, ma allontanai ogni singola
parola che usciva dalla sua bocca per non esplodere di rabbia.
Continuavo a scuotere Rose, come se sperassi di cambiare ciò
che era successo pochi attimi prima.
Era
colpa mia, le avevo distrutto la vita attraverso le mani di
Philippe.
Lo
guardai interrogativa, volevo trovare un significato logico a quello
che era appena successo, anche se dentro di me, sapevo che il tutto
era nato dal folle gioco messo in atto dal vampiro.
“Poche
storie, tesoro.” mi disse, come se me la stessi prendendo per
un dispetto da poco. “Tornerà in vita e sarà
immortale. Diciamo che ho rimediato a Mikael una nuova
adepta.”
Strinsi
i pugni e tenni Rose più vicina a me, volevo smetterla di
piangere ma non ci riuscivo.
Odiavo
quello che avevo appena causato, ad una persona buona come Rose poi.
Lui
si chinò su di me, volle ricordarmi quanto le mie mani fossero
sporche quanto le sue, sfiorandomi i capelli con la mano. Ritrassi
rabbiosamente la testa e lo guardai con sfida, sapevo che i miei
occhi non gli avrebbero fatto nulla purtroppo ma dentro di me speravo
quasi che potessero ucciderlo.
“Allora
vuoi rivelarmi il tuo piccolo segreto prima di morire o ti ammazzo
subito?” mi chiese, piegando la testa da un lato in modo da
studiare il mio viso. La sua mano continuava a cercare i miei
capelli, non capivo perchè fossero tutti in fissa con volermi
torturare in quel modo.
La
morte stava arrivando anche per me, perchè se Philippe non
avesse avuto le sue risposte, io potevo anche soccombere.
Abbassai
lo sguardo su Rose, nel giro di qualche minuto o di qualche ora si
sarebbe probabilmente risvegliata. Ma mi avrebbe trovata sicuramente
morta e se mi avesse odiata per quello che era successo, non l'avrei
biasimata.
In
quel momento però, non m'importò di morire. Mi
dispiaceva solo aver compiuto tutti quegli errori in una sola
giornata: mi ero ingenuamente fidata di Klaus, avevo lasciato che mi
portasse via mia sorella e che vincesse di nuovo su di me, avevo
scoperto la profondità dell'odio nero che provavo per lui. Per
non parlare dell'altra faccia della medaglia che avevo scoperto:
ossia, quello di provare qualcosa di troppo forte che non avrei
potuto più sorreggere ora che avevo perso la persona a cui era
rivolto.
Quando
pensai ad Elijah, mi sentì davvero morire. Il dolore che
provai in quel momento non sarebbe stato nemmeno lontanamente
paragonabile a quello che Philippe aveva in mente di fare.
L'unica
cosa che realmente mi dispiaceva era non poter dire delle semplici
parole ad ogni singola persona il cui ricordo mi attraversava la
mente in quel momento.
Mi
dispiace.
Quelle
due parole erano per Rose, per ringraziarla della sua amicizia e per
dirle quanto mi sentissi in colpa di fronte alla sua morte. La
strinsi più forte a me e posai il mento tra i suoi capelli
rossi.
Ti
voglio bene.
Quelle
erano per Katerina, nonostante in quel momento probabilmente mi stava
odiando per un tradimento che non avevo compiuto, avrei tanto voluto
che lei sapesse quanto le avevo voluto, le volevo e le avrei voluto
bene, qualsiasi fosse stata la realtà che mi attendeva dopo la
morte.
Chiusi
gli occhi quando pensai alle parole che avrei invece voluto dire ad
Elijah. Non ce la feci nemmeno a realizzarle in semplici pensieri, mi
provocavano un vuoto dentro che mi toglieva il respiro e mi facevano
desiderare che la mia vita non stesse davvero per finire.
Avrei
voluto rivederlo almeno per un'ultima volta, perchè il mio
ultimo ricordo di lui non era stato del suo lato migliore. Ripensai
al suo sorriso, al modo che aveva di guardarmi per non farmi sentire
sola, al modo in cui mi parlava come se non fossi una ragazzina, ma
una donna che poteva comprendere la grandezza del suo animo. Era la
prima persona per cui avrei davvero desiderato avere voce, perchè
quelle due semplici parole che mi spaventavano anche solo a pensare,
non sarebbero bastate per dirgli quanto realmente ci
tenessi a lui.
Strinsi
più forte Rose a me, le lacrime scesero più velocemente
e mi sentì in colpa nel bagnarle i capelli dopo che le avevo
portato via tutto. Philippe mi stava ancora osservando, dovevano
essere passati pochi istanti da quando mi aveva posto quella domanda,
eppure mi sembrava che mi fossi persa nei labirinti della mia mente
per molto più tempo.
“Va
bene, non sai niente e perciò sei inutile. Posso anche
ammazzarti e lasciarti sul letto di uno dei tuoi amici originali come
ricordo...” disse, la sua mano si fermò sopra la mia
nuca. Sentivo le sue dita stringere su di essa mentre la presa si
faceva sempre più salda, come se volesse staccarmi la testa in
quel momento. Ma i miei ultimi pensieri da viva non erano esauriti,
mi ritrovai ad elaborare nella mente altre parole, indirizzate
all'ultima persona al mondo a cui avrei voluto pensare. Parole che
tempo prima, quando la mia vita era ancora nulla, avevo rivolto a me
stessa, sperando che un giorno si realizzassero.
Spero
che un giorno tu conosca la vera felicità.
Riuscì
a fare in modo che quelle parole assumessero una voce dentro la mia
mente, ma non mi capacitai a riconoscere la persona a cui avrei
voluto rivolgerle. Il suo nome rimase avvolto nell'oscurità,
in un angolo nascosto della mia mente che si rifiutava di dargli una
essenza.
Philippe,
comunque, non permise alla mia mente di pensare ad altro: mi spinse a
terra,sulla schiena. Mi allontanai dal corpo privo di vita di Rose e
caddi sul pavimento dolorante, di fronte al camino e sentì la
fiamma trasmettere calore sulla mia pelle.
Sentivo
il vampiro dietro di me, strisciai lungo il pavimento anche se non
sapevo dove volevo andare. Philippe però mi afferrò per
i capelli e mi tirò su da terra, mi morsi le labbra per
trattenere il dolore e lui mi si parò davanti, quando ormai
ero praticamente in piedi.
Mi
sorrise, quanto amavano i vampiri ridermi in faccia, lo sapevano solo
loro.
“Sono
indeciso sul come ammazzarti...ti strappo il cuore e ti succhio via
il sangue lentamente, lasciando che tu senta la tua vita fluire via
sempre più?”
Da
come espresse la seconda opzione, che gli parve quella più
eccitante probabilmente, capì che avrebbe scelto quella.
Trovai la forza di guardarlo, non avevo più lacrime e voglia
di lasciarle scorrere, perciò mi limitai a posare gli occhi su
di lui con sfida.
Philippe
lasciò cadere lo sguardo sul collo, dove la ferita infieritami
da Klaus era ancora visibile. La studiò a lungo e il suo
sorriso si fece più largo. “Oh qualcuno ti ha già
assaggiata a quanto pare...” disse, la sua mano stringeva
ancora i miei capelli e li teneva arrotolati attorno alle dita.
“Peccato,
mi sarebbe piaciuto essere il primo.”
Conclusa
quella macabra frase, vidi la sua faccia assumere un'espressione
spaventosa con i canini sporgenti e gli occhi dilatati. Chiusi con
forza le palpebre, in attesa che il suo morso raggiungesse la mia
pelle.
Ma
non successe mai: un rumore bloccò Philippe, lo vidi smettere
di avvicinarsi al mio collo quando la porta venne spalancata di colpo
da una specie di forza invisibile.
Ci
voltammo all'unisono, la porta cigolò nuovamente, sbattendo
sulla parete retrostante per via del vento. Ma non c'era nessuno là.,
solo l'oscurità del cielo nero all'esterno che veniva quasi
sfiorato dagli alberi.
Philippe
si guardò attorno, mi buttò a terra con un colpo e
caddi sopra il gomito, facendomi male. Guardai i suoi piedi
avvicinarsi alla porta, per poi arrestarsi nuovamente al suono di un
altro rumore.
A
sbattere stavolta, toccò alle persiane delle finestre sulla
parete alle mie spalle. Mi voltai in tempo per vederle muoversi
sempre più lentamente fino a restare poi immobili.
Cosa
stava succedendo, non lo sapevo. Mi era solo chiaro che il cuore mi
batteva a mille per la paura e Philippe mi sembrava più
spaventato di me.
Si
guardava attorno come un cucciolo smarrito, che non capiva cosa
stesse capitando attorno a lui. “Ma che diavolo sta
succedendo?” chiese, girando su sé stesso.
Mi
misi a sedere sulle ginocchia, stringendomi il braccio dolorante al
petto e cercando di capire cosa fosse appena successo. Philippe parve
impazzire, quando sentì di nuovo un rumore, proveniente da un
punto vicino alla porta.
“Ora
basta giocare.” disse. “Facciamola finita.”
Si
voltò verso di me, avanzò velocemente come se alla fine
avesse deciso di porre fine alla mia vita nella maniera più
rapida possibile. Mi alzai in piedi e mi accorsi che qualcosa aveva
bloccato l'avanzata del vampiro, sbarrò lo sguardo fissando un
punto alle mie spalle.
Arretrò,
deglutendo visibilmente e allora seguì il suo sguardo.
Il
lupo.
Era
dietro di me e teneva i suoi occhi di ghiaccio puntati su Philippe,
il muso era chinato verso il basso, proprio come se stesse per
attaccare il suo nemico.
Che
non ero io.
Mosse
leggermente la coda per un solo attimo e avanzò, spostando le
zampe anteriori verso di me. Sentii l'impulso di spostarmi per non
ostacolare il suo cammino. Quello che stava succedendo era a dir poco
assurdo, non solo il lupo era entrato misteriosamente in casa, in
quella maniera a dir poco assurda, ma stava anche guardando fisso il
vampiro riuscendo ad incutergli timore.
E
un vampiro poteva spaventarsi così tanto alla vista di un
animale? Ogni passo in avanti del lupo ne valeva dieci indietro del
vampiro.
I
loro occhi non smisero di fissarsi nemmeno per un attimo. Lanciai
un'occhiata a Rose che giaceva ancora a terra, sarei potuta scappare
approfittando della presenza dell'animale ma non mi andava di
abbandonarla visto il ritorno che la attendeva.
“Tu...”
Philippe pronunciò quella parola, continuando ad osservare il
lupo che proseguiva verso di lui.
Come
se riconoscesse qualcosa in lui.
L'animale
abbaiò per pochi istanti, poi si scagliò addosso a
Philippe, ringhiandogli contro e tenendolo contro il pavimento con le
zampe.
Qualcosa
mi disse che era il momento di scappare. Superai rapidamente
Philippe, facendo il giro largo del tavolo per fare in modo che il
vampiro non potesse toccarmi. Quando varcai la soglia d'uscita, sentì
i rumori della lotta alle mie spalle e mi parve di udire l'animale
gemere.
Combattei
con il sonno e la stanchezza, mentre i miei piedi correvano lungo il
prato e si dirigevano verso la foresta. Le urla di Philippe ruppero
il silenzio, non riuscì nemmeno ad avere il tempo per
accelerare il passo, che lo sentì alle mie spalle e mi spinse
contro un albero. Il mio viso finì violentemente sulla ruvida
corteccia, che graffiò la pelle facendo fuoriuscire subito un
rivolo di sangue dalla guancia destra. Philippe mi prese per la
spalla e mi costrinse a voltarmi verso di lui, in maniera che potessi
guardarlo in viso. Presi dei lunghi respiri per cercare almeno di
mostrarmi calma, ma il sangue che bagnava il mio viso stava
accrescendo visibilmente la rabbia che segnava il viso del vampiro.
I
suoi occhi erano nerissimi e la bocca emetteva un ringhio prolungato,
ostacolato però dalle labbra serrate. Chiusi gli occhi, quando
la sua mano salì al mio collo e lo strinse.
“Ti
è andata male, ragazzina.” disse, scoppiando poi a
ridere a metà della frase. Istintivamente, mi chiesi cosa
fosse accaduto al lupo. Sperai di non aver causato anche la sua di
morte.
La
presa si fece più stretta, impedendomi di respirare
regolarmente. Circondai il suo polso con le mie mani, sperando che
così facendo lo spingessi ad allentare la stretta.
Mossa
inutile, come lo ero io in quel momento.
“L'operazione
di salvataggio non ti è ben riuscita.” disse lui, con
voce roca. Capì che la fine era vicina, quando lo vidi
scattare in avanti per mordermi. Chiusi gli occhi, attendendo
l'ultimo dolore prima della morte. Mi bastò un secondo per
arrendermi, era davvero finita.
“Fossi
in te non lo farei.”
Quella
voce, marcata da quel forte accento che avrei saputo riconoscere tra
molti, ruppe il silenzio.
Io
aprì gli occhi, Philippe si fermò.
Entrambi
volgemmo lo sguardo verso la figura di Klaus alle spalle del
francese. La presa sul collo si allentò lentamente, man mano
che il sorriso sulle labbra dell'originale si spegneva sempre di più,
lasciando posto ad una espressione fredda che avrebbe fatto paura
anche al più impavido dei nemici. Philippe tremò e la
cosa mi fece quasi sorridere, facevano tutti i gradassi con gli umani
ma si spaventavano a morte di fronte agli originali.
Philippe
trovò però la forza di ridere, mi tirò a sé
e fece aderire perfettamente la mia schiena al suo petto, in modo che
potesse cingermi il collo con entrambe le braccia. Klaus non mi
guardò per un solo istante, i suoi occhi erano fissi solo sul
vampiro e rimase immobile con le mani dietro la schiena. Mi mancò
di nuovo il respiro, mi chiesi cosa avesse in mente di fare
l'originale.
Perchè
dal suo sguardo, mi parve che avesse intenzioni poco carine nei
confronti di Philippe. Ma anche nei miei confronti, ricordavo
perfettamente il modo in cui i suoi denti avevano affondato nella mia
carne.
“Niklaus,
io non ho paura di te.” disse Philippe, ma tremava così
tanto che smascherò da solo la sua bugia.
“Dal
tuo sguardo non direi.” lo provocò Klaus, gli sorrise in
quel modo che solo lui sapeva fare. Tastai con forza le braccia
muscolose di Philippe, avevo bisogno d'aria e sentivo che mi mancava
da troppo. Solo in quel frangente, Klaus abbassò lo sguardo su
di me.
Philippe
tremò più forte, fece un passo indietro quando Klaus ne
fece uno avanti. “Se ti avvicini, l'ammazzo!” lo
minacciò. Dubitavo che la minaccia avesse davvero avuto
effetto, a Klaus non importava nulla di me e mi aveva chiaramente
detto che ricambiava l'antipatia che provavo per lui.
Klaus
sorrise, dando così valore alla mia teoria. “Uccidila
pure.” gli disse, mi morsi il labbro per la rabbia. “Ma
poi sai cosa ti aspetta.”
Lo
stava sfidando. Mentre lui teneva in mano la mia vita, lui lo stava
provocando per vedere quanto la paura che Philippe provasse nei suoi
confronti, fosse profonda.
Era
proprio un bastardo, non avrei mai smesso di pensarlo.
Philippe
non lo fece, qualcosa lo bloccava dal spezzarmi il collo in quel
preciso momento. “Mikael ti ucciderà prima di
quanto tu creda.” gli disse, con un ghigno forzato sulle
labbra.
Klaus
si fermò, i suoi occhi si sbarrarono e si riempirono di paura.
Non li avevo mai visti sotto quella luce, in quel momento il ragazzo
parve umano come mai si era mostrato.
Ma
non mi piacque vederlo così terrorizzato, sopratutto per via
della sua figura paterna.
Philippe
rise di quella sua improvvisa umanità. “È la fine
per te ormai. Lui ti porterà via tutto, ancor prima che
tu possa realizzare di essere rimasto solo.” disse.
Klaus abbassò lo sguardo per un attimo, i suoi occhi erano
sbarrati e la bocca dischiusa in un lieve respiro.
Mi
divincolai, quando il vampiro alle mie spalle trovò ancora la
forza di premere sul mio collo.
L'improvvisa
debolezza di Klaus glielo aveva permesso.
“Hai
paura eh? Intanto perchè non cominciamo con l'uccidere questa
mocciosetta che tanto ti sta simpatica?” lo provocò
Philippe.
Stava
per spezzarmi il collo, lo avvertì impercettibilmente quando
la sua presa di fece davvero più salda. Chiusi gli occhi,
attendendo il momento della morte.
Ma
Klaus interruppe di nuovo quel momento: sorrise, cogliendo di
sorpresa sia me, che il nostro nemico comune.
Valutai
attentamente il suo sorriso: era visibilmente forzato, come se
volesse nascondere la sua paura e infondersi coraggio. “Non
temere, il mio piano contro Mikael è già in
atto.” gli disse. “Della ragazzina non m'importa nulla,
almeno non a me.”
Non
capimmo quel suo modo di parlare, ma sobbalzai quando Philippe
gemette di dolore. Lo sentì drizzarsi sulla schiena, la sua
presa si fece improvvisamente nulla e lo sentì cadere
pesantemente a terra. Avendo fatto leva sul suo stesso equilibrio,
stavo per cadere anche io di schiena per terra.
Quando
qualcuno impedì la mia caduta.
Sentì
delle braccia passarmi sotto le spalle e vidi i palmi aperti di due
mani davanti ai miei occhi, all'altezza dei gomiti. Una delle due era
sporca di sangue, in quel gesto sembrava che chiunque fosse al mie
spalle non volesse sporcarmi di rosso. Sentì un respiro
soffiare lentamente sul mio orecchio destro, trasmettendomi una
sensazione di improvvisa tranquillità.
“Stai
bene?”
Avevo
riconosciuto subito la persona che si trovava alle mie spalle: il
modo in cui mi stava sorreggendo, la maniera in cui la mia schiena
veniva attraversata da intensi brividi...non poteva essere che lui.
La sua voce servì solo a confermare ulteriormente la sua
presenza.
Volsi
la testa da un lato e incrociai lo sguardo di Elijah, restammo in
quella posizione per pochi ma interminabili secondi. Poi abbassai lo
sguardo sul cadavere sul terreno, Philippe aveva praticamente un buco
di sangue sulla schiena e non ci misi molto a fare due più due
riguardo la morte che lo aveva raggiunto.
“Ma
si dimenticano sempre di te, fratello? Sono così tutti presi
da me che non ti sentono mai arrivare...” disse Klaus,
guardandoci con freddezza. Io ed Elijah lo guardammo, Klaus sembrava
aver perso la sua solita spavalderia dopo le parole di Philippe. Il
suo sorriso di poco prima era solo una breve parentesi usata per
mascherare quello che realmente stava provando.
Elijah
mi aiutò ad alzarmi, non riuscivo a guardarlo più di
tanto in volto, perchè avevo ancora in mente la discussione,
dolorosa per me, di quella sera. Mi sforzai di non guardare nemmeno
il cuore che giaceva sull'erba fuori dal petto di Philippe e deglutì,
mi massaggiai il collo dolorante e tossì come se mi fossi
ricordata che ero stata quasi privata dell'ossigeno per troppo tempo.
Klaus
continuava a guardare verso di noi, ero sicura che si aspettasse che
dietro quegli omicidi ci fosse Mikael, ma probabilmente
qualcosa dentro di lui si era sforzata di allontanare quella paura da
sé. Fino a quando Philippe non aveva deciso di uccidergli
quella speranza.
Restai
accanto ad Elijah, che intanto stava osservando il cadavere dietro di
noi, con il pensiero di liberarsene probabilmente. Mi ero dimenticata
in un solo secondo tutto quello che era successo in quella giornata
infernale e tenevo lo sguardo fisso su Klaus.
Era
inutile che si sforzasse di trattenerla, sul suo volto era
chiaramente riflessa l'immagine della paura.
Aveva
detto poco prima che aveva un piano ben preciso contro Mikael,
ma era normale avere comunque paura lo stesso, sopratutto con un
nemico del genere.
“La
prossima volta che ti va di scappare e metterti nei guai, fai un
fischio.” disse poi, stringendo i denti come se volesse
minacciarmi. Come al solito, preferiva rapportarsi con gli altri nel
modo che sapeva fare meglio.
Chissà
perchè, delle volte, quasi volevo pretendere che lui si
sforzasse di essere sincero.
“Non
ho tempo di starti a rincorrere sempre.” concluse poi, mi
guardò a lungo come in attesa di una qualche mia risposta. Ma
ero stanca, assonnata, ferita e non mi andava di litigare con lui,
non dopo che mi aveva comunque salvato la vita.
Perchè
era quello che aveva fatto, anche se nel suo solito modo pericoloso.
Dovevo ringraziare Elijah quanto lui, dovevo ammetterlo e accettarlo
sopratutto.
Mi
toccava mettere da parte l'astio che nutrivo nei suoi riguardi e
accettare quella cosa.
“Smettiamola
con queste storie, Niklaus. Troviamo un posto per seppellire questo
maledetto...” disse Elijah, mi lanciò un'occhiata veloce
come per dirmi di non guardare il cadavere a terra. Mi portai i
capelli mossi dal vento dietro l'orecchio e distolsi lo sguardo,
proprio come lui voleva che facessi. Klaus si avvicinò
rapidamente a noi, per un attimo temetti che volesse farmela pagare
per essere di nuovo fuggita: il mio cuore iniziò a battere
all'impazzata per la paura, ma sembrò quasi arrestarsi un
attimo quando lui si limitò a fermarsi al mio fianco.
Non
mi guardava, se ne stava ad osservare il fratello che prendeva i
piedi di Philippe. Elijah non aspettò le direttive di Klaus,
sembrava ancora in collera con lui malgrado avessero agito insieme
nel tentativo di salvarmi la vita.
“Non
diciamo nulla a Rebekah, limitiamoci a dirle che il suo fidanzato se
n'è andato.” disse Klaus, mentre Elijah trascinava il
corpo verso l'albero. “Non voglio che si spaventi per la storia
di Mikael.”
Rimasi
immobile, guardai prima Elijah poi Klaus e rimasi colpita dal fare
protettivo di quest'ultimo nei confronti della sorella. La famiglia
per lui, come per Rebekah e lo stesso Elijah, era tutto. Gli posai
involontariamente la mano sulla spalla, la tranquillità con
cui compì quel gesto mi parve innaturale e Klaus si voltò
confuso verso di me.
Anche
Elijah mi guardò, lasciando un attimo cadere pesantemente le
gambe di Philippe a terra.
“Grazie.”
Mossi
le mani lentamente, ma solo perchè mi sentivo debole e
affaticata da quella giornata. Entrambi seguirono i miei movimenti,
anche se dovevo essere furibonda con Klaus e imbarazzata con Elijah.
Preferì passare sopra a tutto, l'importante era che fosse
andato tutto bene.
Poi
però mi ricordai di Rose e venni presa di nuovo dal panico.
Non era andato bene nulla.
Mi
voltai verso la casetta a pochi metri di distanza da noi.
“Non
ci devi ringraziare, devi limitarti solo a stare ferma e buona e non
combinare danni...” mi stava rimproverando Klaus, ma si fermò
quando mi vide correre verso l'abitazione di Rose. Entrambi gridarono
il mio nome, riconobbi la voce di Elijah che assunse un suono
interrogativo, mentre quello di Klaus aveva, come al solito, un suono
rabbioso.
Corsi
lungo la stradina in salita, per poco inciampai sui miei stessi piedi
per quanto ero provata da tutto. Mi avvicinai alla porta, ma Rose mi
anticipò: quando la vidi apparire sulla soglia della porta,
con il volto pallido e mentre si massaggiava il collo come per
cercare qualcosa di rotto, per poco mi venne un colpo al cuore. Ci
guardammo a lungo, lei sembrò trovare il senso di colpa nei
miei occhi e provò a lenirlo con un sorriso.
Come
poteva sorridere dopo che l'avevo buttata nell'inferno con le mie
stesse mani?
Klaus
ed Elijah giunsero dietro di me e Rose rabbrividì quando li
vide arrivare.
“Tutto
bene, Rose?” chiese gentilmente Elijah. A Klaus non
interessava, lanciò una lunga occhiata alla ragazza per poi
darci le spalle e alzare lo sguardo al cielo.
Guardai
oltre Rose, appena mi ricordai del lupo ma lui sembrava essere
scomparso.
“Sì,
sto bene.” rispose lei. “Eccetto qualche livido.”
Pensai
di aver capito male, le lanciai un'occhiata per chiederle cosa stesse
facendo. Era entrata nella fase della transizione e aveva
bisogno di aiuto. Elijah avrebbe potuto aiutarla.
Poi
mi ricordai di quanta poca fiducia lei nutrisse nei confronti dei
vampiri.
Rose
ricambiò il mio sguardo e percepì il messaggio nascosto
nelle sue iridi: dovevo lasciare nell'oscurità quello che era
successo. Ma perchè? Non trovai una risposta davvero chiara,,
l'unica certezza che avevo in mano era che avevo causato io tutto
quell'inferno per Rose.
“Sicura?”
chiese Elijah, non era stupido e quindi non si lasciava sfuggire
certe espressioni facciali. Sopratutto se erano sul mio viso.
Klaus
sbuffò, si avvicinò rapidamente a me e mi prese per il
polso. “Basta chiacchiere, avete allungato anche troppo la mia
giornata.” disse e mi tirò verso di sé, non
opposi resistenza solo perchè stavo per cadere a terra per il
sonno e il dolore dopo tutto quello che era successo.
“Puoi
fare piano, per favore?” lo rimproverò Elijah a denti
stretti.
“Tu
liberati di quel corpo.” rispose Klaus, facendo capire che non
aveva voglia di intrattenersi in discussioni. Elijah trattenne la
rabbia, solo perchè anche lui non aveva voglia di discutere.
Mentre
ci allontanavamo, guardai un'ultima volta verso Rose che si stava
chiudendo la porta di casa alle spalle.
Prima
di andare a dormire, passai in camera di Katerina per assicurarmi che
stesse bene.
Fortunatamente,
non era stata avvisata riguardo la mia “fuga” e stava
dormendo tranquillamente sotto le coperte. Cosa che dubitavo avrei
potuto fare io.
Camminai
lungo i corridoi bui, cercando di raggiungere la mia camera e la mia
testa vagò tra mille pensieri. Erano tante le cose che mi
preoccupavano: Mikael ,Bell, la sparizione del lupo e
sopratutto la trasformazione di Rose, per cui mi sentivo ancora in
colpa.
Mi
portai una mano sulla fronte e mi stropicciai poi gli occhi, dovevano
essere le due o le tre di notte e io non avevo chiuso occhio. Sulla
guancia la ferita provocata dall'albero aveva smesso di sanguinare,
ma il graffio sarebbe rimasto per un po' di tempo.
In
quel momento, mentre sforavo quel segno con le dita, mi ripromisi di
andare a trovare Rose la mattina successiva, per verificare come
stesse: l'ultima immagine che avevo di lei, era del suo viso troppo
pallido per essere vivo. Cosa che purtroppo lei non era più.
Raggiunsi
la camera e posai la mano sul pomello della porta, lasciai che la
colpa che avevo pesasse sul mio petto. Niente mi avrebbe fatto
cambiare idea: se io non fossi andata da lei, Rose sarebbe stata
ancora umana.
Aprì
la porta lentamente, quando scorsi la punta del letto mi sentì
quasi sollevata dall'idea di farmi accogliere dalle sue lenzuola. Un
bel sonno, se fossi riuscita a chiudere gli occhi però, era
proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento.
Volevo
solo annullare tutti i miei pensieri e magari sognare qualcosa di più
positivo rispetto alla realtà. Ma quando la porta fu
completamente aperta, notai la figura seduta sul mio letto, come per
ricordarmi che avevo anche problemi personali e quasi normali, che
non sarei riuscita ad ingnorare.
Elijah
alzò lo sguardo su di me, rimasi con la mano sul pomello della
porta e lo fissai a lungo. La sua presenza lì mi stupì,
mi spaventò e mi imbarazzò anche: mi ritrovai ad
abbassare gli occhi per la vergogna, dopo la brutta discussione che
avevamo avuto quella sera.
Ripensai
al suo viso trasformato e rabbrividì.
Ma
non cambiò quello che stavo provando per lui in quel momento.
Mi sentì una stupida nell'avergli rivelato ciò che
provavo, prima di aver pienamente realizzato per me stessa la forza
di quei sentimenti. Iniziai a torturarmi le mani, tirando le dita e
muovendole lungo il palmo della mano opposta. Lo sguardo era fisso a
terra, ma voleva guardare quel viso di marmo di fronte a me.
“Dobbiamo
parlare.” mi disse Elijah, non era freddo né arrabbiato,
ma non riuscì a riconoscere quale emozione ci fosse nella sua
voce. Si alzò in piedi e in quel momento mi chiusi la porta
alle spalle.
Restammo
a debita distanza, immobili e con gli sguardi fissi l'uno nell'altra.
“Mi
dispiace per stasera, non volevo perdere il controllo.” si
scusò lui, prendendomi alla sprovvista. Ero sicura che avrebbe
cominciato con il rimproverarmi per essere scappata via oppure
continuando a marciare sulla teoria che sarei dovuta tornare in
Bulgaria. Invece non lo aveva fatto e mi chiesi se, in quella
discussione, ci sarebbe anche stato spazio per discutere di quella
cosa.
Sperai
di no, perchè sapevo che risvolti avrebbe preso la
discussione. Mi ero illusa e basta, non ero all'altezza di un uomo
come Elijah.
“Non
voglio che tu torni in Bulgaria, perchè so che tu non lo vuoi.
Ma volevo solo proteggerti da tutto e mi rendo conto di aver optato
per la scelta che ti avrebbe ferita di più.” disse lui,
spalancando le braccia per un istante, i suoi occhi neri continuarono
a fissarmi intensamente e io non riuscì a sostenerli. Presi un
lungo respiro, quando calò un profondo silenzio.
Avrei
voluto dirgli tante cose: che non ero arrabbiata, non ero delusa e
nemmeno ferita ma non riuscì ad esprimere nessuna di quelle
tre cose. Perchè quei sentimenti li provavo tutti nei
confronti di me stessa in quel momento.
“Non
preoccuparti.” gli dissi muovendo velocemente le mani. Fu
tutto quello che riuscì a trasmettergli in quella circostanza
e lui sembrò accettarlo.
Intanto
,dentro di me, pregavo che non venisse fuori quell'argomento che
tanto mi spaventava e che mi faceva scoppiare il petto per
l'imbarazzo.
Ero
convinta che Elijah non provasse le stesse cose che provavo io, ma
pensai che il suo comportamento quasi violento di quella sera fosse
stata una farsa. Altrimenti perchè poi scusarsi con me,
in quella maniera così sincera? Ma quello non provava nulla,
Elijah ci teneva a me e lo aveva sempre dimostrato. Solo che mi
addolorava che non potesse tenere a me in quel modo.
Se
non gli avessi detto nulla, se non fossi stata presa dalla paura di
perderlo e mi fossi tenuta quei sentimenti per me, forse avrei fatto
la miglior cosa.
Ma
piangersi addosso non serviva a nulla, per la prima volta in vita mia
avevo parlato sia con lui che con Klaus e mi ero sentita bene quando
lo avevo fatto. Il risultato non importava.
Elijah
fece un passo verso di me, poi ne fece un altro e ci ritrovammo
vicini. Trovai il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, sentendomi
andare il viso in fiamme.
“Voglio
che tu sappia che ho preso un'altra decisione, ma forse sono stato
egoista nel prenderla.” mi disse e quando vide il mio sguardo
interrogativo, riprese a parlare. “Voglio che tu resti qui.”
Spalancai
gli occhi per la sorpresa che quelle parole mi provocarono, piano
piano il mio cuore iniziò a battere sempre più veloce
mentre mi perdevo nei suoi occhi sinceri. Era stata quella la sua
decisione egoistica? Ma era la stessa cosa che volevo io, restare in
Inghilterra, perciò non era affatto egoistica.
“Ti
proteggerò io da tutto: da Klaus, Mikael, Bell e
chiunque altro anche solo oserà farti del male.”
pronunciò quelle parole con durezza, quasi stringendo i denti,
come se il solo pensiero che qualcuno potesse farmi del male, lo
stesse logorando. “E persino da me.”
Quell'ultima
frase non mi fu chiara, corrugai la fronte e studiai a lungo il suo
viso: di nuovo quell'inspiegabile senso di colpa che avevo già
visto poche ore prima sul suo volto.
Abbassai
la testa sulle mie mani, intrecciate tra di loro e poi sorrisi.
Averlo accanto mi bastava, anche se non necessariamente nel modo in
cui volevo io.
Ma
mi bastava.
Lo
ringraziai e gli sorrisi, per dirgli che non doveva sentirsi in colpa
di nulla. Non m'importava più di tanto dei segreti che si
nascondevano dietro la sua famiglia, m'importava solo che lui fosse
con me. L'indomani gli avrei detto della parola doppelganger, di
ciò che Philippe mi aveva raccontato quella sera e tutto il
resto.
Gli
avrei rivelato tutto, proprio come facevo prima che la consapevolezza
di provare un altro sentimento per lui si facesse largo dentro di me.
Elijah
annuì, mi studiò a lungo e con attenzione e per un
attimo pensai che volesse parlare del bacio.
Ma
non lo fece. E la cosa, anche se mi ero preparata ad accettarla, mi
fece male.
“Buonanotte
allora.” mi disse, mi posò una mano sulla testa e mi
superò. Chiusi gli occhi, quando provai di nuovo quel senso di
stupidità che mi faceva scoppiare la testa e il cuore.
Mi
grattai la fronte, mentre ascoltavo i lenti passi di Elijah che si
allontanavano verso la porta.
Ma
che mi era venuto in mente? Risi di me quando pensai che forse Elijah
avrebbe deciso di parlare del bacio. Non ne aveva motivo, perchè
io mi ero solo illusa.
Era
evidente ormai.
Stavo
ascoltando così tanti rimproveri da parte della mia mente, che
non mi accorsi di come i passi di Elijah si erano improvvisamente
arrestati.
Sentì
un braccio cingermi i fianchi e farmi fare una mezza giravolta su me
stessa.
E
prima che potessi rendermene conto, mi ritrovai le labbra di Elijah
sulle mie. Non riuscii a definire le emozioni che mi attraversarono
in quel momento, mentre la sue mani si posarono sulle mie guance e le
sue labbra premevano con delicatezza sulle mie. Il cuore era come
impazzito, temevo che potesse uscire dal petto da un momento
all'altro. Poi, molto lentamente la mia mente si assopì e
chiusi gli occhi lasciandomi andare a quel bacio inaspettato ma
sorprendente come solo qualcosa che non ci si sarebbe mai aspettati
potesse essere.
Posai
anche io le mani sulle sue guance e le sue scesero sui miei fianchi
per cingerli. Il bacio divenne poi leggermente più
appassionato e le mie dita salirono ad accarezzare i capelli di
Elijah.
Ci
separammo, ma lo facemmo solo per guardarci negli occhi. Lui posò
la fronte sulla mia e il suo respiro soffiò sulle mie labbra
che furono quasi tentate del prenderlo.
Era
come se fino ad allora non avessi mai realmente respirato, era una
sensazione stupenda e liberatoria. Quello era stato il mio vero primo
bacio, non mi ero mai sentita come allora.
“Perdona
il mio gesto poco galante.” disse lui, sorridendomi mentre le
nostre fronti si sfioravano. “Ma non ho resistito.”
Ero
così spaesata, che mi chiesi cosa ci fosse stato di poco
galante in quel bacio. Il cuore era come impazzito e non riuscivo a
smettere di guardare lui negli occhi. Lui mi sfiorò la guancia
e toccò il graffio con le dita.
“Tutto
questo è folle.” disse, abbassando gli occhi e
continuando a disegnare invisibili strisce di calore sulla mia
guancia. “Ho combattuto contro questa...cosa. Ho provato
in tutti i modi a fronteggiarla, ma poi sono stato sconfitto. Da te.”
Scosse
la testa e un sorriso quasi colpevole apparve sulle sue labbra. “E,
per la prima volta in vita mia, sento di non voler rialzarmi
da questa sconfitta.”
Come
sempre, le sue parole mi provocarono delle emozioni intense. Pensai
che le cose folli fossero le più belle: perchè non
avevano una logica, non avevano un ordine e nascevano da qualcosa di
incomprensibile e devastante e proprio in questo risiedeva la loro
bellezza. Quello che provavo io per un vampiro era forse folle, ma
devastante.
Era
grazie a lui che avevo scoperto la vera umanità, la grandezza
di un sentimento bellissimo.
Ma
Elijah parlava come se lo spaventassi e il motivo non mi era ancora
chiaro. Volevo assaporare l'essenza del sogno che stavo vivendo, ma
qualcosa dentro di me gridava che c'era qualcosa che non andava.
Forse mi sbagliavo.
“Tu
non sei muta, Irina. Siamo tutti noi ad essere sordi.” disse
ancora, fermando la mano sul mio zigomo destro. “Non ho mai
sentito una persona dire cose così belle come fai tu...”
Sorrisi
e abbassai lo sguardo, lui mi baciò dolcemente sui capelli e
sentì il suo respiro sulla testa e provocarmi dei lunghi
brividi. “Ma io non merito una donna come te....e tu meriti un
uomo che non ti faccia del male.”
Alzai
lo sguardo su di lui, ero io a non meritare una persona perfetta come
lui. Ma le sue parole, come al solito, nascevano da una convinzione
che io non potevo conoscere.
Posai
di nuovo le labbra sulle sue, cercando di trasmettergli un unico
pensiero: non doveva avere paura, perchè non ce n'era motivo.
Elijah ricambiò, mi strinse a sé posandomi le mani sui
fianchi e sorrise, mentre le nostre labbra continuarono a sfiorarsi.
Quando
ci separammo, restammo l'uno di fronte all'altra. Poi mi accarezzò
i capelli e mi augurò la buona notte. “Riposati, ne hai
bisogno dopo una giornata del genere.” mi disse e non potei
notare il modo in cui cercava di nascondere quella che sembrava
agonia.
Mi
sorrise e si allontanò lentamente verso la porta, rimasi a
fissare la sua figura allontanarsi e quando scomparve dietro la
porta, mi portai una mano sulle labbra.
No,
dovetti zittire quella voce dentro di me che mi faceva credere che
Elijah stesse ancora combattendo quello che provava. E accettai il
fatto che almeno una cosa bella e positiva, aveva colorato il mio
animo nero di quella giornata.
Mi
svegliai di soprassalto poche ore dopo, quando un lieve rumore ruppe
il silenzio del sonno.
Aprii
gli occhi e misi a fuoco l'immagine che avevo di fronte a me.
Alzai
di scatto la testa dal cuscino, quando vidi Klaus vicino alla
scrivania sulla parete di fronte a me e con il fermaglio che mi aveva
regalato tra le mani. Se lo rigirava tra le dita con una rudezza che
mi diede fastidio. Ma mi diede più fastidio il fatto che fosse
entrato in camera mia, dopo che l'aveva resa teatro dei suoi piccoli
orrori.
“Dovresti
metterlo, ci ho speso un sacco di soldi per regalartelo. Invece
quell'affare lo usi eccome.” mi disse, indicando il diario di
Elijah sulla scrivania e poi voltandosi verso di me.
Era
inutile stargli a spiegare quanto un regalo semplice ma sentito,
valesse più dei suoi preziosi doni regalati a suon di lacrime
e minacce per tenermi a posto.
Era
una cosa che non poteva capire.
Scesi
dal letto rapidamente e ,malgrado tutti i pensieri negativi che
nutrivo per lui, gli tolsi dalle mani il fermaglio e lo chiusi nel
mio palmo, come per difenderlo dalla sua irruenza.
Klaus
trovò il coraggio di regalarmi uno dei suoi soliti sorrisi
spavaldi, dopo tutto il male che mi aveva fatto in un sol giorno.
Quando
mi accorsi che gli ero troppo vicina e che il suo solo respirare era
un tormento, feci diversi passi indietro e rimasi a fissarlo, stando
attenta ad ogni singolo movimento sospetto che potesse compiere. Lui
posò le mani sulla superficie dietro di sé e lentamente
perse il sorriso.
“Ti
devo parlare ed è piuttosto urgente.” disse, facendosi
improvvisamente serio. Il suo sguardo era difficile da tradurre, era
impossibile captare i suoi pensieri in quel momento.
Ma
non mi feci ingannare: lui mi aveva mostrato come la mia fiducia
potesse essere ritorta contro di me, perciò non mi sarei più
fatta ingannare da lui. O almeno, mi sarei sforzata di farlo.
“Mikael
è una minaccia troppo grande da sostenere.” disse,
rompendo il silenzio glaciale che si era creato attorno a noi. Mi ci
ero talmente abituata, che le sue parole mi fecero sobbalzare.
“Quindi,
ti chiedo per favore di smetterla di crearmi disagi e di porre fine a
questo giochetto nei miei confronti. Devo riservare tutto il mio odio
per altro e tu lo sai bene.” continuò lui.
Avrei
voluto ricordargli che ad iniziare il tutto era stato solo lui.
Lui
mentiva sempre.
Lui
mi aveva rubato il primo bacio per mostrarmi di essere il più
forte.
Lui
mi aveva messo contro mia sorella per mostrarmi che era il più
furbo.
Lui
mi aveva morsa sul collo per dimostrarmi quanto potesse farmi male.
Ma
io ero stata la prima a dirgli che lo odiavo. Quel pensiero si fece
largo tra gli altri in una maniera alquanto fastidiosa.
La
cosa però non lo scusava, non cambiava il fatto che la
violenza l'aveva usata solo ed esclusivamente lui. Ed era la cosa che
gli riusciva meglio.
“Quindi,
che ne dici di alzare entrambi bandiera bianca? Tu la smetti di
crearmi noie e io proverò a comportarmi bene.” Klaus si
strinse le braccia al petto e pronunciò quelle parole con una
punta di sarcasmo che non gli riusciva bene in quel momento. Il
fattore Mikael doveva influire negativamente su di lui,
ricordavo perfettamente la paura nel suo sguardo al solo udire quel
nome. “Stavolta non ti tirerò un colpo basso, hai la mia
parola.”
Ma
io non volevo fidarmi, non dopo quello che mi aveva fatto passare in
tutto quel tempo.
Mi
ero fidata una volta, gli avevo affidato mia sorella e lui me l'aveva
praticamente portata via.
Poi,
non mi stava dando una prova concreta per avere la mia fiducia, anzi
nemmeno ci provava.
Ci
guardammo a lungo: lui cercò di capire se mi stavo
fidando e io stavo cercando di capire se potevo fidarmi. Ma
delle voci nella mia testa mi mettevano in guardia, rammentandomi di
come la mia scelta di credere nella possibilità di una umanità
per Klaus mi si era ritorta contro.
Poi
non volevo dirgli di Rose, di quello che aveva detto Philippe su Bell
e nemmeno della parola del lupo. Quest'ultima poi era legata al
foglio che lui mi aveva bruciato e quindi doveva essere qualcosa che
voleva tenere nascosto.
Ma
che io avrei dovuto scoprire.
“Va
bene, vuoi una dimostrazione?” mi chiese e a quelle parole feci
rapidamente due passi indietro, facendolo ridere. Non mi era piaciuta
né la prima, né l'ultima dimostrazione che aveva voluto
darmi.
“Non
voglio baciarti, non so se lo hai capito che ti trovo disgustosa.
Come il tuo sangue.” mi rimproverò, storsi il naso e non
diedi peso al suo sbocco di innata gentilezza.
Lo
trovavo anche io disgustoso tanto.
Klaus
prese un lungo respiro e distolse lo sguardo. “Ti dirò
solo la verità.”
Lo
guardai attentamente, la verità non sarebbe mai potuta uscire
dalla sua bocca, perchè lui non era bravo ad essere sincero.
Ti riempiva di menzogne e pretendeva anche che queste venissero
accettate. “Quel foglio che hai magicamente trovato rappresenta
un incantesimo che può rendermi più forte, forte
abbastanza da uccidere l'uomo che perseguita da secoli me, Elijah e
Rebekah. Per questo ti ho aggredita, perchè, come al solito,
non stai mai al tuo posto.”
Le
ultime parole le disse a labbra serrate, sempre perchè voleva
conferire un tono minaccioso alle sue parole.
.Mi
soffermai su quella storia dell'incantesimo e, anche se sembrava
comunque verosimile come cosa, mi parve alquanto strana. Se la figura
che agiva nell'ombra mi aveva fatto trovare quel foglio, voleva dire
che dovevo scoprire qualcosa di terribile su Klaus.
E
quella storia dell'incantesimo, raccontata così, sembrava
avere poco di spaventoso.
Guardai
Klaus e pensai che il suo volto palesemente sincero celasse ,in
realtà, altre bugie.
Non
mi fidavo di lui, non mi avrebbe di nuovo presa in giro.
“Mi
servono pochi insignificanti oggetti per compiere questo
incantesimo.” continuò Klaus, congiungendo le mani di
fronte a sé mentre parlava.
Deglutì,
perchè la parola oggetti mi preoccupava e non poco:
Klaus considerava anche chiunque avesse respiro un oggetto.
“E
non fare quella faccia, non voglio ammazzare nessuno.” concluse
poi duramente, quando mi vide storcere la bocca di fronte a quelle
preoccupazioni. Continuai però a guardarlo, ripensando
all'inquietudine che quel foglio aveva provocato in me e persino in
Elijah...possibile che ci fosse dietro una cosa così poco
spaventosa?
Klaus
fece un passo verso di me, io ne feci cinque indietro, ritrovandomi a
stringere con forza il fermaglio. Lui parve sorpreso dalla mia
reazione, forse credeva che non avessi più paura di lui e che
mi fidassi solo perchè mi ero avvicinata di mia spontanea
volontà poco prima e perchè lo avevo ascoltato con
calma.
“So
che probabilmente non ti fiderai mai di me, ma ti chiedo almeno di
comprendermi.” mi disse, alzando le sopracciglia,
facendo riferimento a quell'unico legame che ci univa.
La
sua faccia tosta aveva dell'incredibile: ogni sua espressione era
unica, dubitavo che qualcuno avrebbe potuto mai imitarle.
Intanto
continuavo a cercare la bugia celata dietro la verità di
Klaus.
“Questo
mio piano dovrebbe interessare anche te, dato che Mikael può
uccidere tua sorella da un momento all'altro.”
Non
potevo non dargli ragione: Joshua, Philippe erano stati entrambi
molto vicini e significava che chiunque fosse stato arruolato da
Mikael poteva avvicinarsi a noi in qualsiasi momento.
“Non
mi fido di nessuno se non dei miei fratelli, posso aggiungere
un'altra persona alla lista?” chiese poi. Dirmi sorpresa di
fronte a quella domanda era ben poco, fissai a lungo lo sguardo di
Klaus e non pensai che fosse possibile che mi stesse chiedendo almeno
di essere io una persona di fiducia per lui.
Dov'era
il trucco? Cosa stava tramando? Erano domande da porsi sempre quando
si interagiva con lui. Ormai lo avevo capito.
Allungò
la mano verso di me, come se volesse siglare un patto. “Puoi
credermi stavolta, non ho più idee sul come giocare con te
comunque.” disse. Guardai la sua mano, Klaus parlava sempre in
un codice tutto suo e quindi dovevo andare a fondo alle sue frasi per
coglierne il vero significato. Quella sua sincerità di poco
prima cosa nascondeva? Si trattava solo di un semplice incantesimo
per fermare Mikael?
Ma
più mi sforzavo di pensare in bene, più i dubbi su
qualcosa di terribile mi assalivano.
Pensai
poi alla sua richiesta nel fidarsi di me e non riuscivo a trovarne il
tornaconto. Se avessi accettato, cosa avrebbe voluto in cambio?
Possibile che si limitasse a richiedere la mia fiducia?
Non
l'avrebbe mai ottenuta, aveva molto da dimostrare per ottenerla.
Mi
dispiacque peccare di superbia, ma non se la meritava affatto.
Però
gli strinsi la mano, giocando sul fatto che potesse credere che
avessi abbassato la guardia, così lui avrebbe abbassato la
sua. Decisi di non credere ad una singola parola che mi aveva
detto, avrei continuato a scavare in fondo per arrivare poi a
scoprire davvero la verità, che non sarebbe mai uscita dalle
labbra di Klaus.
Le
sue dita cinsero il mio palmo e un sorriso pian piano si allargò
sulle sue labbra, mentre le nostre mani si muovevano a suon di una
musica silenziosa. Alzai lo sguardo su di lui, studiai a lungo il
modo in cui mi stava sorridendo e mi accorsi che qualcosa era
cambiato, che il suo era tornato ad essere un sorriso di
strafottenza.
Lasciò
la mia mano.
“Con
questo non credere che ti stia chiedendo scusa per quello che ti ho
fatto. Non voglio redimermi.” disse divertito.
Strinsi
i pugni, in uno di essi tenevo ancora il fermaglio che premeva con
forza sulla mia pelle.
Lo
odiai di nuovo e più di prima.
Mi ero quasi dimenticata che, oltre a non fidarmi, provavo quel
sentimento per lui. E come un idiota, avevo dato per scontato che,
con quella richiesta, ci fossero anche delle scuse.
“Tutto
quello che ti ho fatto te lo sei meritata, perchè hai osato
sfidarmi e perchè so che mi nascondi qualcosa. E io non mi
pento mai delle mie azioni, le rifarei tutte.” continuò
Klaus, assumendo una maschera sul viso che potevo definire davvero
odiosa. Era la contraddizione fatta a persona, prima chiedeva la mia
fiducia e poi mi ricordava che meritavo il male che mi aveva fatto.
Non
seppi come, ma alzai la mano e lo colpì con uno schiaffo. Lui
voltò di poco la testa da un lato e poi si massaggiò la
guancia con le dita. Mi guardò con la coda dell'occhio e si
accorse di quanta rabbia stessi utilizzando per guardarlo.
Sapevo
di non avergli procurato dolore, ma la soddisfazione di averlo fatto
mi arrivò comunque.
A
differenza di Rebekah però, uno non mi bastava e cercai di
colpirlo di nuovo.
Lui
mi fermò, prendendomi per il polso a mezz'aria e cingendolo
saldamente. Mi tirò a sé e dovetti chinare il capo per
non ritrovarmi il suo viso troppo vicino.
Ci
guardammo a lungo, in un gioco di sfida basato unicamente sul
disprezzo che provavamo l'uno per l'altra.
“L'unica
cosa di cui mi pento...” disse Klaus a denti stretti e odiai il
fatto che solo lui potesse avere il diritto di rompere il silenzio.
“è l'averti permesso di farmi odiare Mikael
ancora di più dopo quello
che ha cercato di farti.”
Lo
spirito guerriero che ruggiva dentro di me smise di combattere.
Spalancai lentamente gli occhi per la sorpresa e cercai di capire
cosa celasse quella frase. Provai a cercarne il significato nel suo
sguardo, ma anche quello, in quel caso, veniva oscurato dalla
negatività che Klaus cercava sempre di mettere in piazza.
Lui
mi lasciò lentamente il polso, ma non lasciò la corda
invisibile che univa i nostri sguardi.
Non
mi spiegò quella frase, mi diede le spalle e uscì dalla
stanza, senza più voltarsi verso di me.
Mi
portai il polso al petto, dove la mano stringeva ancora il fermaglio,
e presi un respiro lunghissimo, mentre guardavo il punto dove fino a
poco prima si trovava il ragazzo.
Speravo
quasi che nel vuoto che lui aveva lasciato in quel preciso punto,
potessi trovare il vero significato di quella frase.
Buon
pomeriggio! :)
Prima
di tutto non prometterò più di fare i capitoli più
corti, perchè questa promessa sembra proprio che non riesca a
mantenerla!
Spero
vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, io ho
dovuto rileggerlo una decina di volte per poi decidere di
considerarlo, comunque, il peggiore tra tutti quelli che ho scritto.
Ho paura di essere risultata frettolosa nelle descrizioni delle scene
e se così realmente è stato, mi scuso con voi. Mi
dispiace anche di non essere riuscita ad introdurre in questo
capitolo Kat e Rebekah, ma saranno entrambe presenti nel prossimo. La
nostra Klaus in gonnella, in particolar modo, sarà un
personaggio “chiave” perchè diverse cose
cambieranno dal prossimo capitolo in seguito, in parte, alle sue
azioni.
Grazie
a tutti coloro che leggono e sopratutto a tutti coloro che dedicano
parte del loro tempo a commentarla! :D
E
ringrazio anche tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le
preferite, ricordate e seguite!
Alla
prossima, ciao a tutti! ^^
|
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Capitolo 15 *** The Transition ***
-The
Transition-
Trevor
venne ad aprirmi dopo che bussai per la terza volta.
Se
speravo dentro di me che il senso di colpa potesse essere represso da
un solo sguardo, mi sbagliavo di grosso: lui era visibilmente
irritato dalla mia presenza e, come me, doveva ritenermi responsabile
della tragedia che era successa a Rose.
Ma
come potevo dargli torto? Ogni volta che ripercorrevo le scene di
quella notte, riconoscevo in me tutte le colpe riguardo ciò
che le era accaduto.
“Che
vuoi?” mi chiese lui, dopo aver roteato gli occhi. Restò
sulla soglia della porta e il suo sguardo lo potei definire glaciale,
sembrava che non volesse farmi entrare.
Abbassai
lo sguardo colpevole, non sapendo che mossa compiere dopo quelle
parole.
Una
violenta folata di vento mi investì, scompigliandomi i capelli
che portavo liberi sulle spalle. Il mantello si mosse con essi,
avvolgendomi il corpo come in un caldo abbraccio, solo le mani
restarono libere e continuavano a stringere una rosa rossa. Sapevo
che non era un dono utile per potersi far perdonare, ero quasi certa
che ormai avevo perso l'amicizia di Rose per sempre.
Vedendo
che non facevo nulla, Trevor alzò lo sguardo verso il cielo
grigio, dove diverse nuvole si muovevano velocemente.
“Torna
a casa. Se non ci sono lord Elijah o lord Niklaus, tu non puoi
entrare qui.” mi ricordò, facendo riferimento al patto
che Klaus doveva aver loro imposto tempo prima.
Scossi
la testa, per implorarlo a farmi entrare e vedere Rose, ma lui aveva
preso una decisione, a quanto sembrava, irremovibile. E la mia
ostinazione nel voler restare lo infastidì.
“L'ultima
volta che sei stata qui da sola, sappiamo entrambi cosa è
successo.” Trevor varcò la soglia della casa con la
testa, osservai i suoi occhi rancorosi e il modo in cui stringeva i
denti.
Si
ritrasse, quando si accorse che diversi raggi di sole bucarono le
nuvole.
“Quindi,
per favore tornatene a casa.” disse, lasciandomi intendere che
con quello voleva concludere la nostra discussione. Fece per chiudere
la porta, ma si bloccò quando entrambi udimmo una voce
provenire dal piano superiore della casa: una voce che aveva un suono
familiare, ma era incrinata come in un lamento di morte.
Non
udì quello che la voce disse, ma riconobbi solo le lettere del
mio nome che vennero ripetute per ben due volte. Trevor si guardò
indietro per un istante e lo sentì sbuffare, serrò le
labbra seccato e alzò le sopracciglia, quando decide di
arrendersi.
Spalancò
la porta e mi fece segno di entrare, allungando il braccio di fronte
a me. Varcai la soglia titubante, guardando il viso di Trevor che
evitava deliberatamente il mio sguardo. Per un attimo, venni tentata
dal voltarmi indietro e tornarmene a casa: non avevo il coraggio di
fronteggiare quella colpa, sopratutto se aveva il volto di una
persona a cui tenevo così tanto.
Ma
poi, la forza di volerla rivederla, per assicurarmi che stesse bene,
s'impadronì di me.
Accelerai
il passo, superando rapidamente Trevor e dirigendomi verso la
scalinata che portava al piano di sopra. Superai i gradini così
velocemente, che per poco inciampai diverse volte.
Riconobbi
la voce di Rose, non sapevo come avesse fatto a sentirmi: forse avevo
fatto troppo rumore sulle scale, oppure i suoi sensi si stavano
amplificando talmente tanto da poter percepire il mio respiro e
magari anche il mio odore.
Lei
doveva trovarsi nella sua camera e infatti, quando mi affacciai sulla
sua umile stanza, la trovai seduta ai bordi del letto, con le mani
tremanti affondate nel materasso e il volto paonazzo. Quello
spettacolo fu nulla in confronto a quello a cui avevo assistito
diverse sere prima, quando la ragazza era appena tornata alla vita:
in quel momento era come se fosse morta, ma il soffio della vita la
faceva rimanere in bilico tra la vita e la morte.
Trevor
fu alle mie spalle, sentivo il suo sguardo pungente su di me, mentre
osservavo Rose.
Lei
mi sorrideva, si sforzava di farlo, privandomi così del senso
di colpa. Ma non ci riuscì, anzi non fece che accrescere la
colpa che già provavo nei suoi confronti.
Non
volevo piangere, mi ero stancata di lasciarmi andare alle lacrime
ogni volta che non sapevo affrontare una paura, ma in quel momento mi
parve impossibile.
“Ciao
Irina.” mi salutò lei, quando mi sedetti accanto a lei.
Mi
sedetti accanto a lei e osai porgerle quello stupido dono con
cui, inconsciamente, sperai quasi di farmi perdonare. Lei la guardò,
continuò a sforzarsi di sorridere e prese i fiore tra le mani,
sfiorandone lentamente i petali. “Grazie, è bellissima.”
disse e abbassò lo sguardo su di essa.
Peccato
che quella rosa sarebbe appassita, proprio come avrebbe fatto la vita
di Rose. I suoi petali sarebbero caduti lentamente, privandola così
della bellezza che la vita le regalava.
In
quel momento Rose era in piena fase di transizione, non sapevo
come funzionava ma ero certa che bisognava nutrirsi di sangue il
prima possibile, per completare la trasformazione.
Rose
si accorse di come la stavo guardando e distolse lo sguardo dal fiore
tra le sue mani “Non preoccuparti, sto bene. Non è
nulla.” disse, continuandomi a sorridere nonostante non ce la
facesse.
Distolse
lo sguardo pochi istanti dopo, probabilmente il mio corpo doveva
fargli percepire i rumori silenziosi del sangue che scorreva dentro
di me. Cosa che doveva bramare, ma che stava combattendo in tutti i
modi. Cosa sarebbe successo se non si fosse nutrita?
“Rose,
non va affatto bene. Perchè non dici alla signorina che
morirai perchè non vuoi nutrirti?” disse Trevor,
restando sulla soglia della porta, con le braccia strette al petto e
lo sguardo truce rivolto verso di me.
A
quelle parole rabbrividì, lanciai un'occhiata verso Rose e la
vidi abbassare la testa, come se non volesse riconoscere ancora
quella consapevolezza. “Non è colpa sua, ma di uno dei
tuoi amichetti, Trevor.” rispose, con un lieve accenno di
freddezza nella voce.
Un
altro sforzo immane per il suo corpo troppo provato.
“I
vampiri non sono miei amici, Rose. Sai per chi mi sono avvicinato a
loro...” la rimproverò il ragazzo, alzando il mento e
guardando la sua amica. Il suo tono di voce era duro, ma trasmetteva
un affetto nei confronti di Rose e della persona per cui si era
avvicinato ai vampiri, cioè Katerina, che mi colpirono
parecchio.
Un'altra
ondata di senso di colpa si abbatté sul mio cuore. Posai la
mano sui capelli di Rose e li accarezzai dolcemente.
Lei
doveva nutrirsi di sangue.
Non
potevo permettere che lei morisse.
Ma
dovevo andare contro il suo volere? Non potevo scegliere al suo
posto, anche se non sopportavo il fatto che lei si stesse
praticamente uccidendo.
Per
non diventare il suo incubo.
Nemmeno
io sarei voluta diventare il mio incubo peggiore.
“Irina,
non dire nulla agli altri vampiri, te ne prego.” disse Rose,
ignorando lo sguardo dell'amico e volgendo il suo verso di me. Lo
disse proprio nel momento in cui mi era passato per la mente di
rivolgermi ad Elijah: lui avrebbe potuto aiutarla e io non volevo
mentirgli, non dopo quello che era successo tra di noi.
Ma
Rose sembrava ferma sulla convinzione che lui, Klaus e gli altri non
dovessero sapere nulla, ma perchè?
“Se
Klaus viene a sapere cosa mi è successo, prenderà lui
la decisione per me. Lui si circonda di più alleati possibili
per i suoi scopi e io non voglio diventare un vampiro!” mi
spiegò la ragazza, stringendomi le mani con la sua. “Ti
prego, promettimi di non dire nulla.”
Deglutii,
appena mi accorsi di essermi appena ritrovata in un bivio. Mentire ad
Elijah o tradire la promessa che Rose mi aveva chiesto di mantenere?
Ero certa che se avessi detto qualcosa ad Elijah, lui l'avrebbe
aiutata. Ma se non ci fosse riuscito? Klaus mi aveva beccato tante di
quelle volte, che avrebbe potuto scoprire anche quella cosa. Che
dovevo fare?
Mi
limitai ad annuire, cercando di restare calma e di riflettere sul da
farsi. Non volevo nemmeno lasciar morire Rose, ma non potevo
obbligarla a nutrirsi e trasformarsi.
Rose
mi sorrise, poi si schiarì la gola. Non capì cosa fosse
successo dentro di lei, per farle cambiare così rapidamente
espressione. Trevor sembrò riconoscere quel cambiamento, si
avvicinò a me e mi porse la mano.
“Ora
devi andare.” mi disse, con una calma glaciale, guardò
poi Rose che non replicò in alcun modo. “Le stai facendo
venire fame.”
Sospirai,
le mani di Rose si allontanarono dalle mie, per confermare la teoria
dell'amico. Anche se mi dispiaceva andarmene, dovevo farlo per
rispetto della mia amica. Mi alzai e seguii Trevor verso la
scalinata, ma prima mi guardai un attimo indietro. Rose alzò
lo sguardo su di me e sorrise, sapeva per certo che io avrei
mantenuto la promessa che le avevo fatto.
Peccato
che io non ne ero certa.
Approfittai
dell'altro tempo che mi era rimasto per andare in biblioteca e fare
ricerche su quello strano termine che il lupo, o chiunque lo
guidasse, mi aveva fatto conoscere. Lo dovetti scrivere su un foglio
perchè dimenticavo sempre il modo in cui era scritto, ma
nonostante tutto non trovai nulla. In fondo, speravo di trovare
qualcosa di soprannaturale in una comune biblioteca?
Per
scoprire dei vampiri, mi era servito leggere un libro lasciatomi da
uno stregone.
Decisi
così di rincasare, avevo deciso di parlarne con Elijah e di
avere risposte da lui, visto che era l'unica persona di cui mi fidavo
e che conoscesse la vera realtà che ci circondava.
Anche
se il pensiero di Rose continuava a bruciarmi dentro, come una fiamma
viva, per diversi motivi: lei si stava lasciando morire per non
diventare il suo peggiore incubo, ma io non volevo che ponesse fine
alla propria vita in quel modo. Esistevano vampiri buoni, come Elijah
e anche Trevor alla fine, perciò lei avrebbe potuto vivere da
vampira ma mantenendo sempre integra la sua umanità. Ma non
sapevo cosa capitava una volta che si assaggiava il sangue per la
prima volta, Elijah mi aveva parlato di un qualcosa che ti
scatta dentro e che ti priva di qualsiasi sentimento, positivo e
negativo che sia.
Ciò
che mi logorava di più era che, qualsiasi fosse stata la mia
decisione, avrei comunque ferito o Elijah o Rose. Ero davvero nel
bel mezzo di un bivio e non sapevo che strada scegliere.
Ero
così immersa nei miei pensieri, che non mi accorsi di aver
attraversato il giardino, i cui fiori venivano mossi dal vento a dir
poco tagliente, e che mi stavo avvicinando al colonnato che
anticipava l'ambiente esterno. Era deserto, eccetto la presenza di
una coppia che lo stava attraversando a braccetto, chiacchierando
allegramente.
Katerina
e Klaus.
Mi
bloccai a pochi metri da loro e odiai quell'immagine. Non perchè
mi desse fastidio vederli insieme, ma perchè Klaus continuava
a prendersi gioco di mia sorella: l'aveva soggiogata e me l'aveva
portata via, solo perchè aveva quel maledetto potere.
Invece
lei doveva odiare lui, non me.
Ma
come avrei potuto farglielo capire? Intanto sorrisi di fronte al
pensiero che quella volta ero io che stavo fregando Klaus. Lui
credeva che fossi così ingenua da aver accettato il patto
della notte precedente e da aver di nuovo abbassato la guardia,
consentendogli così di essere partecipe a tutti i miei
segreti. Ma avevo ancora il lupo, quella strana parola e la brutta
vicenda di Rose che gli tenevo nascosti. E, per la prima volta da
quando lo avevo conosciuto, sentii di essere io quella ad un passo
davanti a lui.
Non
sapevo cosa me ne desse la certezza, fino ad allora Klaus mi aveva
fregato senza che me ne accorgessi, ma sentivo che quella volta ero
io la più forte tra i due, perchè lui credeva davvero
che io gli avrei riposto la mia fiducia. Come poteva pensarlo dopo
tutto quello che mi aveva fatto? Continuai ad osservarli, mia sorella
sorrideva e teneva sottobraccio Klaus che sorrideva a sua volta. Una
volta ero contenta di vederla felice con lui, ma la sua felicità
nasceva solo da una bugia.
Klaus
era una bugia.
Loro
due mi videro, mia sorella perse rapidamente il sorriso mentre Klaus
mi guardò privo di espressione. Strano che non sorridesse per
voler sottolineare la sua vittoria “meritata” nei miei
confronti. Katerina distolse lo sguardo, ma non le feci una colpa per
il suo comportamento: era stata soggiogata ad odiarmi dal bastardo
che le stava accanto.
“Buongiorno
Iry.” mi salutò Klaus, fermandosi di fronte a me insieme
a mia sorella che continuava a non volermi guardare.
Non
risposi al suo saluto, mi limitai a guardarlo nella maniera più
glaciale possibile e mi domandai quando avrebbe smesso di prendermi
per i fondelli. Sarebbe arrivato il giorno in cui lo avrei sconfitto
prima o poi? Il giorno in cui sarebbe stato lui quello a non sapere
cosa fare per fronteggiarmi?
Quel
giorno non sarebbe mai arrivato probabilmente, ma intanto volevo
godermi i miei tre piccoli e terribili segretucci di cui lui non
sarebbe mai venuto a conoscenza probabilmente.
“Non
si risponde al saluto con la manina?” mi chiese poi,
sorridendomi in modo da mascherare la parvenza di minaccia che
risiedeva nella sua voce.
Un
altro schiaffo gli sarebbe stato bene in quella maledetta faccia.
Guardai
Katerina, non riuscire ad incontrare il suo sguardo mi provocava un
dolore immenso che non riuscì a trattenere e che servii su un
piatto d'argento a Klaus.
Purtroppo
lui non era stupido, sopratutto con me, e se ne accorse subito.
Katerina
alzò lo sguardo su di lui e sorrise debolmente. Il vento le
scompigliò i ricci castani che le coprirono il viso. “Vado
in camera a preparare i bagagli.” disse, sistemandosi un ciuffo
dietro le orecchie. Bagagli? Piegai la testa da un lato e guardai
interrogativa Klaus, chiedendomi che piano malato avesse ordito quel
giorno. Visto che ne aveva sempre uno nuovo.
Mia
sorella cercò di superarmi, ma Klaus la fermò
prendendola per il polso. Lei si fermò a pochi centimetri
dalla mia spalla, con cui cercava di non scontrarsi in tutti i modi,
e si girò verso di lui.
Odiavo
quando Klaus assumeva le sue finte espressioni dispiaciute, perchè
mi provocavano una rabbia per cui avrei perso volentieri il mio
autocontrollo.
“Aspetta
Kat, devo dirti una cosa.” disse e mi venne da sputargli in
faccia per essersi azzardato a chiamare così mia sorella. Lui
non ne aveva alcun diritto.
Si
voltò verso di me, con il suo sguardo che una persona ingenua
avrebbe definito da cucciolo, ma che celava un vero bastardo.
“Glielo diciamo Irina?” mi chiese, come se fossi sua
complice di chissà cosa. Lo guardai senza capire, eliminai
subito l'opzione che volesse dire a mia sorella dei vampiri e quindi
non capivo dove volesse andare a parare. “Dobbiamo dirle che
cosa abbiamo fatto.”
Andai
nel panico e sbarrai lo sguardo, conoscendolo bene ormai temevo che
avesse messo in atto un altro giochetto e che magari volesse dire a
Katerina che eravamo andati oltre
il bacio. Perchè da lui ci si sarebbe aspettata qualsiasi cosa
ormai, dopo il morso al collo che mi aveva lasciato.
Katerina
ci guardò entrambi, senza capire. “Fatto...cosa?”
chiese.
Mi
morsi le labbra con una forza tale che per poco le feci sanguinare,
Klaus continuava a guardarmi con quella maledetta espressione che
tanto mi faceva andare fuori di testa per la rabbia. Se avesse
provato a dire una cosa simile, gli sarei saltata alla gola in quel
momento.
Lui
scoppiò a ridere e dovetti inspirare per poter restare calma.
“Dello scherzo Iry, ricordi?”
Si
spense tutto: quella fiamma nera che era partita dal mio stomaco e
che stava salendo fino alla testa per l'odio che nutrivo nei
confronti di Klaus si placò. Mi ritrovai a fissarlo con aria
interrogativa e con il fiato sospeso troppo a lungo.
Katerina
era più confusa di me e Klaus si volse verso di lei.
“Non
ci siamo mai baciati, Kat.” le disse. “Avevamo solo fatto
una piccola e stupida scommessa per gioco. Ma ho vinto io perchè
tu ci hai creduto.”
Guardai
subito mia sorella, la cui espressione si addolcì sempre di
più. In cuor suo doveva sapere che non ero il tipo da baciare
un uomo di cui lei era invaghita e quindi, per mia stessa sorpresa,
credette alle parole di Klaus. Lui era bravo a convincere le persone
con poche parole e con quella sua maledetta voce profonda, tanto che
per poco mi convinsi anche io della storia della scommessa.
Katerina
tirò un sospiro e mi guardò con aria colpevole, doveva
sentirsi in colpa per la nostra litigata anche se lei c'entrava
relativamente poco. Non capivo se fosse stata soggiogata oppure no,
il fatto che Klaus avesse messo in atto quella scena davanti ai miei
occhi doveva significare qualcosa. E poi non mi stupivo più di
tanto del fatto che Katerina avesse creduto così facilmente
alle parole di Klaus: se potevo riconoscergli una qualità, era
quella di essere un bravo oratore.
“Lo..lo
avevo capito che era uno scherzo.” disse, cercando di
mascherare l'imbarazzo di quella situazione. Klaus fingeva di non
sapere di quell'interesse che Katerina nutriva nei suoi confronti e
lei voleva continuare a recitare la parte di colei che non era
invaghita di lui, anche se era piuttosto palese. “Infatti non
credevo possibile che mia sorella potesse mentirmi.”
In
quel momento l'abbracciai, alla faccia dell'imbarazzo che la presenza
di Klaus le provocava. Ne avevo bisogno, odiavo litigare con lei
sopratutto quando non avevo alcuna colpa.
Le
accarezzai la schiena per tranquillizzarla, appena le sentì
sussurrare al mio orecchio che le dispiaceva.
Guardai
verso Klaus e stranamente non mi stava sorridendo da sbruffone.
Quella
era una dimostrazione.
Forse per provarmi che, quella volta, ci sarebbe davvero stata una
tregua tra noi e voleva dimostrarmi che meritava la mia fiducia solo
perchè aveva riparato il mio rapporto con Katerina senza
ricorrere ai suoi poteri.
O
magari lo aveva fatto prima? Non lo sapevo, ma se davvero non l'aveva
soggiogata, dovetti riconoscere l'umanità di quel gesto.
Cancellai
subito quel pensiero e mi sforzai di trovare il tornaconto che gli
sarebbe spettato.
“Ci
vediamo in camera, devo piegare tutti i vestiti e piegherò
anche i tuoi per chiederti scusa.” disse poi Katerina
velocemente, mi diede un bacio sulla guancia e mi superò di
corsa correndo verso le camere. La guardai scomparire verso la porta
in fondo al colonnato, poi realizzai di essere rimasta sola con
Klaus.
“Me
lo devi un grazie ora?” mi chiese lui, quando tornai a
guardarlo. Le sue labbra si allargarono in un sorriso che aveva del
provocatorio e posai la schiena sulla colonna dietro di me. Non lo
ringraziai, ma mi chiesi cosa ci fosse sotto quella faccenda e cosa
significasse la storia dei bagagli. Lo fissai a lungo, perchè
una parte di me mi spingeva a fidarmi quella volta?
“Credici
o no, ma non l'ho soggiogata. Prendila come una dimostrazione del
fatto che mi serve davvero quella tregua.” aggiunse poi. Ma chi
mi dava la prova che non mi stava mentendo? Lo guardai attentamente
ma, non conoscendo nemmeno una sua espressione sincera, non sapevo
dire se potevo credergli o meno.
Klaus
inarcò le sopracciglia di fronte alla mia espressione. “Che
fai, mi scruti?” mi chiese.”Sono stato carino stavolta e
la tua faccia spaventata di poco prima sarebbe stata da
incorniciare.”
Mi
venne da sorridere, ma nascosi subito quella mia debolezza cercando
di voltarmi dall'altra parte, in maniera che il vento portasse i miei
capelli sulle mie labbra.
Sorridere
era forza per me, consapevolezza di trovare gioia in quello che avevi
di fronte, ma con Klaus sorridere era debolezza. Purtroppo con lui,
la vera forza era odiare.
Ancora
cercai di trovare la strana macchinazione che Klaus aveva potuto
mettere in atto con quella storia, ma non la trovai.
“Hai
sorriso?” mi chiese lui, rompendo improvvisamente il silenzio.
Mi
voltai verso di lui e notai qualcosa di diverso nel suo viso: mi
guardava incredulo, come se avesse appena scoperto che anche io
sapevo sorridere. Io sorridevo con Elijah e Katerina, non era colpa
mia se lui voleva solo farmi paura.
E
poi non gli importava nulla di me alla fine, quindi non capivo quella
sua espressione.
“Non
lo avevi mai fatto prima con me e devo dire che sei meno brutta
quando sorridi.” continuò poi. Eccola la parte in cui
Klaus mi faceva ricredere di tutto, arrivava sempre prima o poi.
Distolsi
di nuovo lo sguardo e lo posai in basso, cercando di non far
abbassare il livello della mia autostima da lui. Klaus fece un passo
verso di me e io strisciai più in là, anche se di poco,
lungo la colonna.
“Ti
starai chiedendo perchè Katerina sta preparando i bagagli.”
mi disse, con la coda dell'occhio lo vidi piegare la testa verso di
me per guardarmi in viso. Sobbalzai quando la sua mano giunse a
scostarmi i capelli dal viso, ma l'allontanai appena mi sfiorò
la pelle e feci da sola.
Klaus
non si stupì di quel gesto e fece finta di nulla, voleva solo
provocarmi come al solito. “Ci trasferiamo per un pò in
un'altra mia residenza. Da quelle parti abita una mia amica che ha
trovato altri ingredienti per quell'incantesimo di cui parlavamo
ieri, ricordi? Saremo solo io, te, tua sorella e i miei
fratelli...meno siamo, meglio è, visto che nessuno conosce la
fedeltà.”
Distolse
lo sguardo e lo posò verso i giardini alle mie spalle.
Stranamente, uno strano bruciore si focalizzò sul mio petto e
riconobbi un altro senso di colpa.
Perchè
Klaus sembrava sincero, aveva
legato a me il suo senso di fedeltà e io non lo stavo
mantenendo, perchè ero convinta che sotto le sue azioni si
celasse sempre qualcosa di malvagio.
Ma
se in quel caso mi stavo sbagliando? Se in quel caso, ero
io il Klaus della situazione?
“Irina,
stavolta puoi davvero fidarti di me.” disse lui, tornando a
guardarmi mentre io cercavo nel vento la risposta al perchè mi
sentissi così male. “Tu sai cosa significa scappare da
un padre e so che puoi comprendermi. Questo non vuol dire che io
abbia cambiato idea su di te, le idee e i pensieri mutano dopo tempo.
E io ti trovo ancora poco simpatica, proprio come tu trovi poco
simpatico me e la cosa non m'interessa minimamente. Ma ho bisogno
della pace necessaria per poter affrontare mio padre e so che tu puoi
davvero comprendermi.”
Anche
se aveva detto una cosa poco carina su di me, non ci feci caso. Era
tutto il resto che mi stava facendo davvero male in quel momento. Non
riuscivo a guardarlo.
“Quindi
so che non creerai più fastidi e mi fido di te in questo
caso.”
Aveva
davvero abbassato la guardia.
Lo aveva fatto con una velocità che mi spiazzò, solo
perchè la paura per Mikael era
troppo forte da tollerare per lui. Alzai lo sguardo sul suo viso,
pensai nuovamente che fosse sincero ma poi rimembranze del dolore che
lui stesso mi aveva procurato si fecero largo in me.
Dovevo
gioire di quella mia piccola vittoria, ma non ci riuscivo.
“Continuiamo
pure ad odiarci, non m'importa.” volle concludere lui. “Ma
siamo stati bravi a nasconderlo fino ad adesso, continuiamo a
reprimerlo fino a quando non sarà tutto finito.”
Serrai
le labbra, quando lui mi superò dopo avermi riservato una
lunga occhiata.
Urlavo
a me stessa di essere contenta, che forse avrei vinto almeno una
volta su Klaus.
Ma
non ci riuscii.
“Un
lupo? Dici sul serio?”
I
sensi di colpa si susseguirono uno dopo l'altro in quella giornata:
prima Rose, poi Klaus e infine Elijah. Mi disse che avevo bisogno di
svagarmi dopo quello che era successo la sera prima e mi portò
di nuovo al lago. Ci stendemmo sulla riva di esso e guardammo il
vento che trasportava velocemente le nuvole in cielo. Era freddo, ma
la vicinanza di Elijah mi procurava una sensazione di calore
inimmaginabile. Dopo il bacio, mi ero sentita una stupida: non facevo
altro che guardarlo e ammirarne la bellezza quando lui non mi
guardava, poi il senso di colpa per dovergli nascondere di Rose, mi
impediva di gioire di quel momento.
Gli
avevo appena detto del lupo, gli chiesi se potesse trattarsi di un
licantropo ma poi mi ricordai che lo avevo visto anche in pieno
giorno e che la scorsa notte non c'era stata la luna piena. Quindi
doveva trattarsi di un normale lupo che entrava in una casa e
aggrediva un vampiro...era assurda una cosa simile.
Elijah
volse lo sguardo verso di me, stavamo rilassati sopra il prato e
spesso delle foglie volavano di fronte al nostro sguardo, trasportate
via del vento gelido. Mentre guardavo le varie forme delle nuvole, mi
sembrava di volare o magari era Elijah a farmi sentire così.
Sentivo
le nostre mani vicine, ma che limitavano a sfiorarsi. “Credi
che sia Bell a mandare tutta l'allegra fattoria da te?”
mi chiese.
Scoppiai
a ridere, adoravo quando non faceva il serio perchè era un
lato che sembrava tirare fuori solo con me, per farmi affrontare
meglio quello che mi circondava. Poi tornai seria e annuii, ricordavo
ancora il modo in cui Philippe aveva guardato l'animale e
rabbrividii.
“Scopriremo
chi è Bell.”
mi tranquillizzò Elijah, quando vide l'espressione sul mio
volto cambiare. “L'amica di Klaus può aiutarci anche in
questo, gli ho rivolto la parola stamane solo per dirgli che lei
poteva risultarci utile. Con me ha chiuso per un po' dopo quello che
ti ha fatto.” disse e tornò a guardare il cielo, una
nuvola a forma di qualcosa che sembrava vagamente un cuore attraversò
il cielo.
Lo
guardai e sorrisi, ma era un sorriso che celava un chiaro senso di
colpa che detestavo provare, almeno nei confronti di Klaus. Elijah lo
odiava in quel momento, anche se sapevo che un fratello non lo si
poteva odiare per sempre, e io non potei che detestarmi per esserne
la causa.
Poi
mi ricordai un altro elemento importante: Mikael conosceva il
mio nemico e ne era spaventato. Mi misi a sedere ed Elijah mi guardò,
sorpreso dal modo in cui la mia espressione ruppe la serenità
che ci circondava. Prima che potesse chiedermi qualcosa, gli siglai
il nome di suo padre e il gesto conoscere. Poi mi toccò
siglare il nome di Bell.
“Mikael
lo conosce?” chiese incredulo, restando però
disteso, con una mano sugli occhi per pararsi dalla debole luce
solare. Annuii e lui distolse lo sguardo preoccupato.
“E
ne ha paura? La cosa allora è più preoccupante di
quanto credessi...” disse e non potei che dargli ragione.
Mikael era terrificante e se temeva un altro essere, voleva
dire che questo era ancora più spaventoso di quanto era lui.
“Troveremo un modo per fermarli entrambi. Non temere.”
disse poi, facendomi dimenticare il tutto con un sorriso che, però,
mi sembrava forzato.
Non
volevo più pensare per un po' a quella storia, faceva male
anche a lui e quindi volevo allontanare quei pensieri spaventosi
dalle nostre menti.
Gli
presi la mano, i nostri palmi si sfiorarono e un ondata di calore mi
pervase il braccio, fino a giungere al cuore. Intrecciai le dita con
quelle affusolate di lui e il suo sguardo si posò su di me.
Le
sue labbra si allargarono in un sorriso più naturale e,
improvvisamente, si alzò.
Mi
ritrovai distesa nuovamente sull'erba e lui si accostò a me,
posando le mani accanto alla mia testa e lasciando le mie gambe
distese vicino alle mie.
Il
cuore iniziò a battermi all'impazzata, mentre lui mi guardava
e mi sorrideva in quel modo. Mi accarezzò la guancia che andò
a fuoco e mi accorsi che stavo trattenendo il respiro, perchè
non volevo permettergli di sfiorare la pelle del suo viso. La sua
mano si fermò sotto il mio mento e avvicinò il volto a
me, sfiorandomi il naso con il suo.
“Tu
non sai di essere bella, vero?” mi chiese, lo faceva apposta
per farmi diventare più rossa? Nascosi il viso in una mano
perchè provai un imbarazzo incredibile, Klaus mi aveva detto
che ero brutta la sera prima,anzi disgustosa, invece lui mi
aveva appena detto il contrario.
Quel
suo lato meno freddo lo adoravo quanto quello più distaccato
che assumeva spesso.
Allontanò
la mano dal mio viso e sembrò non volersi perdere un istante
del mio sorriso, mi sfiorò le labbra con il pollice poi si
chinò su di me per baciarmi. Quel gesto mi provocava ancora
sensazioni di cui non riuscivo a capacitarmi, troppo forti e intense
per essere reali.
Mi
sentii andare a fuoco, man mano che il bacio si faceva più
appassionato. Le sue mani scesero sui miei fianchi e le braccia mi
cinsero, le mie invece salirono ad incontrare i suoi capelli lunghi e
soffici. Mi dimenticai di tutto, quando mi sentivo sua, non avevo
problemi o pensieri per la testa che potessero impedirmi di stare
bene. Le sue labbra scesero poi sulla mia guancia, la ricoprirono di
baci e poi giunsero sul mio collo.
Un
brivido intenso mi attraversò la schiena in quel momento,
quando le sue labbra si soffermarono a lungo su quel punto sotto il
mio orecchio.
Ma
notai che Elijah aveva alzato quasi subito la testa. Doveva aver
sentito qualcosa sotto pelle, che lo aveva fatto vergognare di
quell'azione.
Tornò
a guardarmi, la sua espressione raffigurava una colpa che riconobbi
subito. “Scusami, ho esagerato..” disse. Aveva percepito
il mio sangue, ma non gliene feci certo una colpa.
Scossi
la testa e lo guardai intontita dai baci di poco prima, il suo
sguardo però cadde sul mio braccio, quando mi portai la mano
sulla fronte per sentirla troppo accaldata.
“Cos'è
questo?” mi chiese curioso e prese il foglietto che era
nascosto nella manica del mio abito rosso. Si mise a sedere accanto a
me e lo lesse, mi ero scordata di dirgli della cosa del doppelganger
e osservai il suo volto assumere un'espressione che avevo visto
troppe volte e che speravo di non dover vedere ancora. Ma quella
appariva sempre, a ricordarmi che c'era qualcosa che tormentava
Elijah dentro.
“Dove
hai scoperto questa...parola?” mi chiese, voltandosi verso di
me. Mi rizzai a sedere accanto a lui e lo guardai interrogativa, gli
chiesi se sapesse cosa significasse e lui allora volse lo sguardo
lontano da me.
I
suoi occhi scuri erano difficili da sopportare, era carichi di una
malinconia e di un dolore che avrei tanto voluto cancellare.
Prese
un lungo respiro e deglutì. “Si tratta di...” si
bloccò e lasciò che il silenzio ci circondasse, sentivo
solo il rumore del vento attorno a noi.
Lo
guardai mentre abbassava la testa e stringeva il foglio con forza.
“È
il nome dell'incantesimo che vuole fare Klaus.” disse una voce
dietro di noi, una voce che riconobbi subito e che lasciava
trasparire un'acidità che poteva appartenere solo ad una
persona.
Rebekah
se ne stava a qualche metro da noi, si teneva le braccia strette al
petto sotto il mantello e ci guardava con un'espressione
fastidiosamente seria che sul suo volto calzava a pennello.
Aveva
i capelli raccolti in una lunga treccia, che dondolava sulla sua
spalla destra, spinta dal vento ghiacciato che soffiava su di noi. Mi
chiesi se lei avesse qualche sentore nella testa per cui sapesse per
certo quando venire a rovinare tutti i nostri momenti.
Elijah
la guardava serio, continuava a stringere il foglio tra le mani e non
disse nulla. Per tutta risposta, Rebekah rimase a fissarlo
intensamente, come se volesse trasmettergli un determinato pensiero.
“Tanto ormai lo sa, Elijah. Diglielo.” disse, con una
durezza che aveva adattato perfettamente alla sua voce.
Guardai
Elijah accanto a me e lo vidi annuire lentamente appena il mio guardo
si posò sul suo viso. Ma il fatto che non mi guardava e che
teneva i suoi occhi bassi perchè sapeva che avrei
potuto riconoscervi il dolore, mi fece preoccupare.
Ma
io mi fidavo ciecamente di Elijah a differenza di Klaus e sapevo che
lui non mi avrebbe mai mentito. Cosa lo preoccupava non lo sapevo, ma
ero sicura che non poteva trattarsi di qualcosa di terribile per me o
per chi mi stava accanto perchè sapevo che lui non lo
avrebbe permesso.
Allora
perchè non riuscivo ad accettare quella storia
dell'incantesimo?
“Che
cosa vuoi Rebekah? Perchè sei qui?” Elijah si alzò
in piedi e allungò la mano verso di me per aiutarmi a fare lo
stesso. Per poco inciampai sulla gonna e lo tirai un po' a me, ma lui
non ci fece caso. Rebekah continuava a guardarci con una freddezza
unica: non mi aveva mai guardato con chissà quale calore, ma
in quel caso stava superando sé stessa.
Forse
aveva visto i baci di poco prima.
E
il fatto che stessi tenendo inconsciamente per mano Elijah,
accresceva la sua rabbia. Rimediai subito, non avevo voglia di avere
grane con lei, ora che potevo essere un po' più tranquilla
dopo la tregua con Klaus.
“Nik
ti vuole parlare, fratello. E siccome vedo che non hai niente di
meglio da fare, credo che tu debba affrettarti a raggiungerlo.”
rispose Rebekah, alzando il mento in segno di sfida verso di lui. Il
mio sguardo cadde sul ciondolo che lei teneva al collo, ricadeva
sulla stoffa del suo vestito color ambra e metteva in risalto il suo
collo lungo e pallido.
Mi
soffermai così a lungo ad ammirare quel gioiello, che non mi
resi nemmeno conto della chiara frecciatina nei miei confronti da
parte della ragazza. Forse mi ci ero talmente abituata che non gli
diedi nemmeno tanto importanza.
Elijah
la fissò distrattamente, stava guardando il viso della sorella
ma i suoi occhi erano in realtà spenti in quel momento. Era
chiaro che stesse pensando ad altro, tanto che pure a lui era
sfuggita la battuta di Rebekah. E a lei la cosa non piacque, perchè
non le piaceva essere ignorata e in quello era uguale a Klaus. O
meglio, era in tutto uguale a Klaus, solo che era donna.
Il
vento continuò a soffiare prepotentemente su di noi, ciuffi
dei miei capelli mi coprirono gli occhi proprio nel momento in cui
Rebekah si voltò verso di me. Il silenzio del fratello doveva
essere stato preso da lei come una risposta.
“Dove
sei stata stamattina, Iry?” mi chiese e un sorrisetto di sfida
che non gli riusciva bene in quell'istante, apparve sul suo viso. Il
cuore mi si fermò per un secondo, quando Elijah mi guardò
con la coda dell'occhio. Il ricordo della verità che gli
tenevo nascosta tornò a farsi sentire in tutta la sua
violenza, mi sembrava di sentire come una lama che colpiva una ferita
già aperta nel mio cuore.
Odiavo
mentirgli, anche se lo stavo facendo per Rose. E odiavo che Rebekah
sembrasse essere a conoscenza di qualcosa: a lei non interessava
quello che facevo di mattina, quella domanda nasceva da un sospetto
che doveva aver appurato in qualche modo e che voleva ritorcere
contro di me. “Di solito ti vedo sempre sgambettare di qua e di
là per i corridoi con quel tuo faccino sincero....ma
non stamattina.”
La
parola sincero venne pronunciata con inequivocabile sarcasmo:
lei sapeva che stavo nascondendo qualcosa. Forse non sapeva
cosa, ma il sospetto in lei era ben presente.
Continuammo
a guardarci, Rebekah mantenne costantemente il suo sorriso di sfida
sulle labbra, malgrado fosse evidente che la rabbia le stava salendo
sempre di più.
Era
nervosa. E il fatto che le sue guance si stessero colorando quasi di
rosso ne erano la prova.
“Irina
non si trova in una prigione, Bekah. Se vuole uscire, può
farlo liberamente.” disse Elijah, con tono di rimprovero.
“Tu
non hai alcun diritto di concederle tutte queste libertà,
Elijah.” replicò lei con sfida, ma si sforzò
comunque di mantenere un tono controllato, perchè si stava
riferendo al fratello maggiore che considerava il suo scudo. Come al
solito, mi immaginai un altro modo di rispondere a Klaus.
“E
tu e Klaus non avete alcun diritto di approfittare della vostra
forza, sono stanco della vostra vigliaccheria.” rispose ancora
Elijah e notai che si stava davvero indisponendo. Non era da lui
perdere il controllo, lo avevo visto svanire solo quando Klaus mi
aveva morso sul collo, e sopratutto non era una persona che lo
avrebbe perso davanti alle battutine della sorella.
Era
qualcos'altro che lo stava facendo scattare.
Rebekah
guardò a lungo gli occhi scuri del fratello. Doveva
addolorarla vederlo così adirato con lei, ma il suo orgoglio e
la sua rabbia erano più forti di quella pena. “Tu sei un
uomo di onore, Elijah. Sei sempre stato il più virtuoso tra
tutti noi.” disse, con voce profonda e affilando i suoi occhi
blu mentre guardava il volto del fratello, che ogni tanto veniva
coperto dai suoi capelli mossi dal vento. Dietro di noi, riuscivo a
percepire lo scrosciare dell'acqua del lago, come se fosse giunto a
riempire il silenzio che si era creato attorno a noi dopo la frase di
Rebekah.
Ero
invisibile in quel momento, malgrado fossi io la causa di quella
discussione.
Avere
quel ruolo non mi piaceva, odiavo sentirmi sporca di tutte
quelle colpe.
“Ma
in questo caso, sei sul nostro stesso livello. Altrimenti la storia
dell'incantesimo sarebbe venuta fuori da un pezzo, non credi?”
concluse Rebekah.
Elijah
restò in silenzio, guardai di nuovo il suo volto ma era
nascosto dai capelli che lui quasi si rifiutava di scostare. Intanto
Rebekah aveva alzato le labbra all'insù sulla guancia
sinistra, squadrava il fratello in un modo che mi mandava in bestia.
Non
sopportavo come lei e spesso anche Klaus parlavano di Elijah, come se
fosse davvero al loro livello. Peccato che era a livelli ben più
superiori: loro erano deboli, manifestavano tutto quello che
provavano con la rabbia e la violenza perchè l'umanità
che probabilmente risiedeva dentro di loro era una cosa che non
sarebbero riusciti ad affrontare. Elijah invece era più forte,
lui sapeva manifestare sentimenti positivi e negativi in maniera
sempre più onorevole, più umana di come farebbe un
essere mortale. Quindi Rebekah non aveva il diritto di dire quelle
cose.
Sopratutto
se tutto quello che faceva nasceva dall'amore che lo legava a loro.
Strinsi
i pugni lungo i fianchi e la guardai con rabbia, lei però mi
stava ignorando e continuava a guardare Elijah. Quest'ultimo mi posò
una mano sulla spalla, come se avesse deciso che era il momento di
porre fine a quello che stava succedendo. “Andiamo Irina,
torniamo a casa.” disse, la sua mano si soffermò solo
per qualche secondo, come se non volesse osare toccarla troppo a
lungo. Guardai i suoi occhi e il suo sorriso e non mi sfuggì
quel mostro invisibile che lo stava logorando in quel momento, colpa
delle parole taglienti di Rebekah.
Lei
sapeva quanto lui valesse, non si sarebbe nemmeno potuta permettere
di parlare in quel modo. Anche se era sua sorella e quindi aveva più
diritto di rivolgersi a lui anche in maniera fredda, non lo
tolleravo.
Volevo
lanciarle uno sguardo carico di tutto il disprezzo che mi avevano
causato le sue frasi, ma poi mi ricordai che anche io avevo delle
colpe nei confronti di Elijah.
Quindi
non avevo nemmeno io il diritto di parlare.
Ci
stavamo allontanando lungo la strada che affiancava quel lato del
prato e i nostri piedi calpestarono i sassolini bianchi che la
ricoprivano. Rebekah restò immobile dove si trovava, con il
busto rivolto verso il lago e la treccia che ballò insieme al
vento dietro la sua schiena.
L'unica
cosa che cambiò in quella sua posizione, fu che volse la testa
verso di noi. Come un falco pieno di fierezza.
“Dov'è
Philippe, Elijah?” chiese a voce alta, ma senza scomporsi
troppo. Non le importava nulla di Philippe, probabilmente voleva solo
verificare che il fratello non le mentisse.
Ci
fermammo all'unisono e lanciai un'occhiata verso Elijah al mio
fianco.
Il
suo viso s'irrigidì mentre il vento gli scompigliava i capelli
che parvero vibrare nell'aria. Mentre si voltava per guardare la
sorella il suo sguardo si posò a lungo su di me, mi chiesi se
avesse in mente di dire la verità a Rebekah riguardo la morte
del suo fidanzato e la risposta mi fu subito chiara: Elijah non le
avrebbe mai mentito, per quanto la verità potesse, forse,
ferirla. “Philippe è morto, Rebekah.” disse solo,
con fare serio.
Mi
voltai a guardare l'espressione della bionda che restò
impassibile. Sapevo che non le importava nulla di quel ragazzo, ma
non mi sarei mai aspettata che la sua reazione di fronte alla sua
morte fosse stata nulla.
“Lavorava
per Mikael e tramava alle nostre spalle, ha cercato di
uccidere Irina....strappargli il cuore dal petto era un mio obbligo,
non trovi?” aggiunse poi.
Calò
il silenzio, attraversato unicamente dal flusso del vento che
soffiava imperterrito su di noi.
Ogni
volta la sincerità di Elijah mi stupiva: nonostante Klaus
avesse deciso che non era necessario dire a Rebekah di quello che era
accaduto, lui aveva preferito non mentirle e dirle le cose come
stavano. Era una delle cose che adoravo di più in lui: non
mentire alla propria famiglia era uno dei valori più profondi
da imparare, perchè nasceva da radici molto più antiche
della propria vita. Quello che io non stavo facendo con mia sorella
purtroppo.
Osservai
la reazione di Rebekah e mi stupii di non vederla mutare in paura,
terrore o almeno sorpresa. Sembrava che sapesse già tutto al
riguardo, ma com'era possibile?
Le
sue labbra si allargarono in un sorrisetto furbo, che venne quasi
coperto dalla treccia spinta nuovamente sulla sua spalla. “Lo
sapevo, ho spremuto un po' Klaus per farmi dire tutto e alla fine ha
ceduto.” disse e alzò le spalle, sentendosi
probabilmente vittoriosa.
Alzai
le sopracciglia per la sorpresa, Rebekah era davvero una Klaus in
gonnella: già me la immaginavo mentre batteva i piedi per
farsi dire tutto dal fratello, ottenendo così ciò che
voleva.
Erano
capricciosi e spesso anche maledettamente pericolosi nella stessa
maniera.
Ma
non potei fare a meno di notare che anche nei suoi occhi si accese
quella luce di paura che avevo visto nei suoi fratelli all'udire il
nome di loro padre, un nome che raffigurava secoli e secoli di
terrore e fughe.
Elijah
piegò la testa da un lato confuso. “Allora, perchè
questa domanda scusa?” chiese.
Ma
sapevamo già entrambi la risposta, Rebekah era brava quanto
l'altro biondo della famiglia a mettere in atto giochetti perversi
con la mente. Abbassai lo sguardo sulle pietre sotto i nostri piedi e
attesi la risposta di Rebekah che giunse pochi istanti dopo.
“Io,
te e Klaus saremo sempre sinceri tra noi, non ci possono essere
menzogne.” rispose e me la immaginai ancora con quel suo
sorrisetto sulle labbra. “Ma siamo solo noi tre, altre figure
non possono competere.”
Era
chiaro che la figura in questione ero io, perchè, come lei
aveva amabilmente ricordato poco prima, Elijah mi aveva tenuto
nascosto la storia dell'incantesimo e tutto il resto che poteva
annidarsi dietro quella storia.
Pensandoci,
non capivo perchè tenermelo nascosto, ma probabilmente si
trattava di un segreto che Klaus gli aveva detto di mantenere.
Continuai a dirmi che non poteva esserci nulla di seriamente
pericoloso dietro quella storia, visto che Elijah ne era coinvolto.
Non
gli avrei mai fatto una colpa per quella storia, perchè anche
io gli stavo mentendo in quel momento e lo stavo facendo, forse, per
una buona causa.
Lui
per la sua famiglia, io per amicizia. Cosa c'era da rimproverarsi?
Anche se sembrava che il senso di colpa logorasse entrambi. Alzai lo
sguardo su Elijah, anche lui aveva abbassato gli occhi dopo le parole
della sorella che erano stato seguite da un lunghissimo silenzio.
“Andiamo,
Irina.” disse poi, toccandomi lievemente la spalla destra e
facendomi segno di proseguire a camminare. Intanto il cielo si era
coperto di nuvole nere, lanciai un'occhiata verso Rebekah che invece
stava fissando intensamente l'acqua cristallina di fronte a sé.
Stranamente,
mi parve che il suo sorriso si fosse spento.
Tornai
da Rose quella sera stessa, mia sorella e i tre vampiri erano
impegnati nel preparare i bagagli per poterci poi trasferire in
quella meta misteriosa che Klaus aveva scelto per tutti noi.
Approfittai
così di quel momento di distrazione generale per allontanarmi,
mi guardai indietro più e più volte per assicurarmi che
nessuno mi stesse seguendo e finalmente giunsi davanti alla porta di
Rose. Mi guardai di nuovo attorno, con il fiatone e il cuore che mi
batteva a mille.
Era
la notte più buia e gelida che ricordassi, il vento sembrava
tagliarmi la pelle e il mantello non bastava a ripararmi da quel
gelo. Per non parlare di tutti i pensieri accusatori che mi lanciava
la mia testa nel mentire ad Elijah.
Io
non potevo aiutare Rose, lui invece sì.
E
se gli avessi parlato di quella situazione, Rose mi avrebbe perdonata
forse in futuro e avrei dato ad Elijah una dimostrazione della piena
fiducia che provavo nei suoi confronti.
Ma
avevo paura nel rompere quella promessa.
Mi
diedi coraggio e bussai più volte alla porta, attesi per
diversi secondi e mi massaggiai ripetutamente e velocemente le
braccia per bloccare il tremore causato dal freddo.
Rose
venne ad aprirmi poco dopo, era più pallida di quella mattina
e aveva lo sguardo spento. La sua espressione l'avrei definita quasi
agonizzante, malgrado lo sforzo effettuato nel trattenerla.
“Irina,
che ci fai qui? È buio e non dovresti stare in giro a
quest'ora.” quelle furono le sue parole di saluto, non le
pronunciò con rabbia o con freddezza ma come se avesse fretta.
Fretta
che io me ne andassi.
Le
chiesi se potevo entrare, la sua espressione rimase impassibile per
un lungo istante e poi mi aprì la porta, permettendomi di
varcarne la soglia. Presi atto del fatto che Rose non si fosse ancora
nutrita, sembrava come morta mentre ci dirigevamo verso il camino,
dove una poltrona era stata posta di fronte al fuoco acceso. La
guardai con la coda dell'occhio, sembrava barcollare e gli occhi si
chiudevano e si aprivano con una lentezza spaventosa.
“Siediti,
io prendo una sedia.” disse, indicando con la mano la poltrona
di fronte al camino e facendo un cenno con la testa verso una delle
sedie di legno attorno al tavolo. Ma mi rifiutai, lasciai la
poltrona, certamente più comoda, a lei e presi io una sedia,
facendola strisciare lungo il pavimento per affiancami a Rose.
“So
di non essere un bello spettacolo, Irina.” ridacchiò
lei, mentre si sedeva lentamente sulla poltrona. In realtà la
trovavo sempre bellissima, aveva un viso d'angelo ma in quel
frangente sembrava il viso di un angelo morente. E il pensiero che io
avevo causato una cosa simile, mi bloccava il respiro. Lei si portò
una coperta sulle ginocchia, come se volesse difendersi dai brividi
di freddo che l'attraversavano. “Non capisco perchè tu
sia venuta, vuoi davvero assistere all mia fine?”
Perchè
aveva davvero scelto di farla finita? Rimasi con il fiato sospeso a
guardarla, i suoi occhi color smeraldo riflettevano le fiamme che
bruciavano nel camino, mentre le sue labbra si allargarono in un
sorriso di circostanza, fatto apposta per rendere meno drammatiche le
sue parole. Abbassai gli occhi, di fronte al pensiero egoistico che
preferivo Rose vampira, che Rose morta. Ma non spettava a me prendere
una decisione così importante.
“Però
mi fa piacere che tu sia venuta, non temere.” disse ancora lei,
volgendo lo sguardo verso di me e continuando a sorridere. “Sei
una delle poche persone che vorrei salutare prima di andarmene.”
A
quelle parole non ce la feci più, serrai le labbra e lasciai
che le lacrime gonfiassero i miei occhi. In quel periodo avevo
iniziato ad odiare piangere: se potevo dar ragione a Klaus su una
cosa, era che le lacrime erano segno di profonda debolezza e io mi
lasciavo andare troppo spesso ad esse.
Ma
di fronte ad un'amica che accetta di cadere tra le braccia della
morte, non potevo proprio trattenerle. Volsi la testa dall'altra
parte, anche se sapevo che Rose aveva ormai visto quelle gocce di
sofferenza sul mio viso e strinsi i pugni sopra le ginocchia.
“Non
piangere, Irina. È un giorno che arriva per tutti, no?”
disse. “Poi vediamola in positivo, dall'altra parte ci
rincontreremo tutti.”
Scossi
la testa perchè non lo credevo. Nessuno di noi sapeva cosa
c'era dall'altra parte, chi ci diceva che dopo la morte non saremo
rimasti tutti soli? Chi diceva a Rose che lei non sarebbe
rimasta sola nell'oblio della morte, per sempre? Per colpa mia
inoltre?
Sentendomi
la testa scoppiare, portai la mano sulla fronte e ripresi fiato, non
sapendo che cosa fare. Io non volevo lasciar morire Rose, ma come
avrei potuto impedirlo se quella era una sua scelta?
“Sai,
oggi pensavo...che forse diventare un vampiro non potrebbe essere
davvero negativo. Come ti ho detto mi sono ricreduta su alcuni di
loro.” continuò lei, facendosi più seria e
tornando a fissare la fiamma che stava bruciando la legna. In quel
momento la guardai anche io, tenendo una mano sulle labbra. Ritornai
con la memoria al discorso che Rose mi stava facendo prima
dell'arrivo di Philippe: aveva fatto un chiarissimo riferimento ad
Elijah che avevo colto in pieno.
L'altro
però doveva essere rivolto a Klaus e francamente non lo
capivo, visto che quella sera mi aveva minacciata per l'ennesima
volta. Ma Rose doveva aver percepito qualcosa di cui io non ero
consapevole, qualcosa che veniva oscurato dalla paura che provavo nei
confronti di quel vampiro. Forse con lui ero cieca, oppure ero così
stolta da credere che lo fossi.
In
realtà Klaus poteva essere semplicemente il Klaus che
conoscevo. Niente umanità in lui.
Ma
allora Rose cosa intendeva dire?
“Si
vede che sei innamorata di Elijah.” disse lei, facendomi
arrossire quando il suo sguardo si posò su di me. “All'inizio
non lo comprendevo, non capivo come fosse possibile che una persona
come te desiderasse baciare delle labbra sporche di sangue. Ma dal
suo sguardo, ho capito poi che ti avrebbe protetta a qualsiasi
costo.”
Come
una stupida, sorrisi. Malgrado non dovesse nemmeno passarmi per il
cervello l'idea di sorridere, il nome di Elijah mi causò
quell'effetto, che perdurò solo per pochi secondi però.
Mi
ricordai che gli stavo mentendo e che nemmeno l'immagine di lui, in
quel caso, potesse fungermi da medicina contro quel dolore che mi
portavo dentro.
“Riguardo
l'altro...” Rose ruppe il silenzio, la sua voce era
ridotta ad un flebile sussurro che veniva quasi superato dal
crepitare della legna nel fuoco. Captai di nuovo il riferimento a
Klaus. “Non ne sono sicura, forse ho sbagliato ad esprimermi su
di lui. Ma mi sono quasi ricreduta...perchè sembra
quasi che tu lo spaventi.”
Io
spaventare Klaus? Lo trovai a dir poco impossibile, era lui quello
che spaventava me. Gli bastava solo uno sguardo o uno di quei
maledetti sorrisi che avevo ben impressi nella mente per farmi
tremare. Io per lui ero solo una piccola, insulsa umana da
schiacciare. Ne ero certa.
Rose
rise, gettò la testa all'indietro e alzò lo sguardo
verso il soffitto, come se stesse osservando un bellissimo cielo
stellato. “Mi fa ridere che io abbia forse un po' capito
Klaus.” disse. “Cioè...sono pochi i nemici che
possono sconfiggerlo in forza sia fisica che mentale.”
Continuavo
a non capire dove volesse arrivare Rose, che significavano quelle
parole?
“Klaus
ha paura di te, perchè probabilmente gli ricordi quanto sia
bello essere umani. So riconoscere certe luci negli occhi di
qualcuno...lui non ne ha mai avuta una, da quando l'ho conosciuto.”
Lei si voltò verso di me, mentre tenevo la testa bassa e
riflettevo su quelle parole, a mio avviso, prive di senso.
Io
quella luce in Klaus non l'avevo mai vista, forse perchè non
lo capivo affatto.
E
prenderlo in giro come stavo facendo quel giorno, non era magari il
modo più efficace di comprenderlo. Ma io non volevo
comprenderlo, non dopo tutto quello che mi aveva fatto passare. Anche
se era ricco di contraddizioni in cui lui mi era parso quasi umano,
il nostro percorso era stato segnato dall'odio e dalla rabbia. Perchè
io lo spaventavo, come lui spaventava me? Possibile che provassimo le
stesse sensazioni l'uno nei confronti dell'altra?
No,
non la pensavo così ed era un concetto che non riuscivo ad
accettare.
“Potrei
sbagliarmi, ma forse tu sei l'unica che potrebbe davvero
comprenderlo. Anche se non se lo meriterebbe affatto, visto il
mostro che è e poi non ne sono nemmeno così
sicura....quindi, lascia perdere queste mie ultime parole da persona
in fin di vita.” concluse Rose, posò le mani sulla
coperta e iniziò a torturarla con le unghie.
Trattenni
il respiro per un po', guardai fisso le fiamme che trasmettevano
calore su di noi e mi chiesi se le parole di Rose fossero realmente
fondate. E che, forse, dovevo combattere io la paura che provavo nei
confronti di Klaus. Ma come? Dopo il modo in cui si era comportato
con me, non mi andava nemmeno di sfidare me stessa in quel modo e
provare a comprenderlo.
Un
termine che aveva usato anche lui, quando aveva deciso di scendere a
patti con me.
“Però
è per questo che spesso oggi...l'idea di trasformarmi mi ha
sfiorata. Questo dolore è diventato insopportabile.” La
voce di Rose si era fatta incrinata, mi voltai verso di lei e notai
che delle lacrime stava scivolando silenziose sul suo viso. Tirò
su con il naso e singhiozzò. “Forse anche da vampiro si
può essere umani, si può ancora sognare e vivere certi
tipi di emozioni. Ma poi il pensiero di bere sangue, di non poter più
vedere la luce del sole...mi terrorizza.”
Si
asciugò le lacrime con la mano e deglutì. “Io non
voglio perdere tutto questo!” disse, con voce rotta. Non
sopportai di vederla in quello stato e quella frase, espressa con
quel palpabile desiderio di vita, mi bastò per capire cosa
dovevo fare.
Forse
sarebbe stato un errore, forse le avrei solo fatto del male, ma il
desiderio di vivere di Rose era più forte di quello di morire
pur di non diventare un vampiro. Aveva detto lei stessa che Elijah, e
forse anche Klaus, erano stati per lei una dimostrazione che non era
tutto nero o tutto bianco. C'erano sempre delle sfumature di grigio
nella vita e persino nella morte.
“Tu
vuoi morire?” le chiesi, gesticolando in maniera che lei
potesse comprendermi. Allo stesso tempo, mossi le labbra per dar voce
al mio silenzio, così per facilitarla a capirmi.
Lei
mi guardò a lungo, le lacrime continuavano a scendere copiose
sul suo viso d'angelo. “Io voglio vivere.” rispose in un
singhiozzo.
Non
era la risposta che mi aspettavo: se mi avesse detto di no,
significava che avrebbe accettato di diventare un vampiro. Invece
quella sua risposta, denotava che lei avrebbe tanto voluto restare
umana a tutti i costi e la cosa non era più possibile per
causa mia.
Mi
alzai in piedi, prendendo quella decisione che non m'importava esser
sbagliata. Rose mi seguì con lo sguardo, mentre mi avvicinavo
ad un mobile della cucina, dove aprii il primo cassetto. Non trovando
quello che cercavo, passai a quello sotto.
“Irina,
che stai facendo?” mi chiese Rose, in un flebile sussurro.
Lo
trovai, un coltellaccio da cucina con la lama quasi rovinata per
quanto doveva essere vecchio. Strinsi il manico e mi voltai verso di
lei, Rose scattò in piedi come spaventata dalla vista di
quell'arma che tenevo puntata saldamente nella mia mano destra.
La
guardò con terrore, mentre facevo dei passi verso di lei.
“C-che vuoi fare?” mi chiese, arretrando di poco, il suo
sguardo era fisso sulla lama e tornò su di me, quando smisi di
avanzare verso di lei. Pensava che l'avrei uccisa forse? In effetti,
era quello che volevo realmente fare.
Dovetti
prendere un lungo respiro per incanalare quel pensiero: tirai su la
manica destra del mio abito e, con forza, feci scorrere la lama sulla
pelle.
Mi
morsi le labbra, mentre quel dolore bruciante creava una striscia di
sangue su di me. Lasciai cadere la lama insanguinata a terra, un
rumore agghiacciante che durò solo pochi secondi, si espanse
attorno a noi.
Guardai
il sangue che colorava la mia pelle, poi alzai lo sguardo su Rose.
Lei
lo stava fissando, come se ne venisse richiamata: aveva gli occhi
sbarrati e respirava ripetutamente. “Che stai facendo?”
mi chiese, a denti stretti.
Mi
diressi verso di lei, tendendo il braccio teso verso di lei. Doveva
bere il mio sangue e il periodo di transizione sarebbe terminato: non
sarebbe morta.
“Io
non berrò il tuo sangue.” insistette lei, scuotendo la
testa ripetutamente. “Non lo farò mai.”
Ma
devi se non vuoi morire.
Era
ingiusto quello che stavo facendo, ma io per prima non volevo perdere
Rose. E lei aveva detto di non voler morire. Avrebbe vissuto per
sempre.
Mi
avvicinai di più a lei, continuando a tenere il braccio
scoperto in modo che il sangue fosse visibile ai suoi occhi. Rose lo
guardò e scorsi la brama nei suoi occhi di prenderlo, la
osservai mentre allungava le mani verso il mio polso e, dopo avermi
lanciato una lunga occhiata, posò le labbra su quel liquido
color cremisi. Dovetti voltarmi dall'altra parte, per non guardare la
scena e le lacrime mi bagnarono gli occhi.
La
sentivo bere il mio sangue con titubanza, per poi diventare
velocemente più vorace.
Mi
voltai verso di lei, quando mi morse. Presa dal panico e senza sapere
cosa fare, la osservai mentre stringeva con forza il mio braccio per
non lasciarlo andare. Il dolore si fece insopportabile, mentre Rose
sembrava volerne sempre di più.
Pronunciai
in silenzio il suo nome, mentre con l'altro braccio cercavo di
allontanarla.
Ma
il desiderio terribile di sangue doveva essere immenso e difficile da
sopportare e lei ne traeva forza.
Cosa
avevo fatto? Chiusi gli
occhi, continuando a muovere le labbra nel nome di Rose e sperando
quasi stupidamente che lei potesse sentirlo. All'improvviso non la
sentii più: avvertì il rumore di un corpo che veniva
spinto contro il muro, dei gemiti e per poco persi l'equilibrio di
poco prima.
Quando
aprì gli occhi, sobbalzai: Klaus stava tenendo contro il muro
Rose, la ragazza aveva gli occhi sbarrati fissi sul vampiro e la
bocca aperta per la sorpresa. Le sue labbra e il suo mento erano
tinti di rosso. Come mai Klaus era lì?
Mi
dava le spalle, ma mi immaginai il modo in cui stava fissando Rose
mentre la tratteneva con tale forza. Lei sembrava terrorizzata.
Rimasi
a fissarlo, tenendo il braccio teso come se volessi placare così
il dolore.
“Non
dovevi farlo...” disse lui in un sibilo. Non riuscivo a capire
se si stesse rivolgendo a me o a Rose ma, dal modo in cui sembrava
stesse guardando la ragazza, intuii che stava parlando con lei. Feci
per avvicinarmi a lui per spingerlo ad allontanare la mani dal collo
di Rose, ma una presenza alle mie spalle me lo impedì.
“Ferma
là, ragazzina. Sapevo che nascondevi qualcosa.” disse la
voce di Rebekah, facendomi trasalire per la paura. Mi girai verso di
lei, la bionda si teneva fieramente le mani sui fianchi e mi guardava
dall'alto al basso con aria di sfida. Aveva detto quella mattina che
sospettava stessi nascondendo qualcosa e non doveva aver tardato ad
elaborare un piano che potesse mettermi in difficoltà. Doveva
avermi seguita, coinvolgendo così Klaus per mettermi in seria
difficoltà.
Mi
sorrise, mentre io la guardavo con rabbia. Quando avrebbe imparato a
lasciarmi in pace?
Scossi
la testa incredula, di fronte alla sua innata perfidia che poteva
essere quasi superiore a quella del fratello. Tornai a concentrarmi
su di lui, Klaus si era girato verso di me e lo implorai con lo
sguardo di lasciare andare Rose, malgrado gli occhi del vampiro
sembravano bruciare di ira.
Anzi,
non era ira: era quel sentimento che si manifestava dopo un
tradimento, un miscuglio di rabbia, delusione e rancore. Non capii il
perchè di quella strana maschera sul suo viso, non l'avevo mai
vista prima e non riuscivo a spiegarmela.
“Mi
hai preso in giro, Irina. Di nuovo.” ringhiò lui,
continuando a tenere Rose contro la parete.
Ma
non aveva capito che non mi sarei mai fidata di lui? Dentro di me,
ero certa che lui mi avrebbe scoperto perchè era sempre
migliaia di passi davanti a me ma, da come mi guardava, sembrava
quasi che lui fosse caduto nella mia piccola trappola.
Lui
era sincero solo nella sua rabbia e in quel momento era davvero
arrabbiato con me.
Credeva
davvero che fossi così stupida dal diventargli quasi amica
dopo tutto il male che mi aveva dimostrato? Strinsi i pugni,
continuammo a guardarci a lungo come se fossimo soli in quella
stanza. A me non doveva importare di averlo tradito, eppure mi stava
bruciando qualcosa dentro. Qualcosa molto simile ad una colpa che non
voleva affibbiarmi.
“Te
lo avevo detto che non ci si può fidare di questo
diavoletto...” disse Rebekah, che doveva sentirsi
improvvisamente poco protagonista per i suoi gusti.
Klaus
la ignorò, continuò a guardarmi e tirò a sé
Rose, cingendole il collo con un braccio.
Sbarrai
improvvisamente lo sguardo e cercai di scattare verso di lui, ma
Rebekah mi strinse fortemente per il polso impedendomi di proseguire.
“Pensavo
che, per una volta, fossimo d'accordo, che non mi avresti più
mentito.Ma tu sei brava quanto me a pugnalare alle spalle le
persone!” esclamò Klaus.
Cercai
di liberarmi dalla presa di Bekah, ma come al solito fu tutto
inutile. Lei guardava le goccioline di sangue che scivolavano lungo
le mie dita e mi chiesi come facesse a trattenersi, semplicemente il
suo rancore nei miei confronti era più forte della sete di
sangue.
Guardai
Klaus e mi fu chiaro cosa volesse fare: voleva punirmi per avergli
mentito, uccidendo Rose. La maniera feroce in cui la stringeva a sé
ne era una chiara prova.
Ma
perchè prendersela così tanto? Come poteva pretendere
che io mi fidassi di lui per una stupida stretta di mano? Il problema
era che Klaus non voleva essere ingannato, non da una persona come me
in particolar modo.
E
lui con me aveva, anche se per poco, abbassato la guardia.
Non
potevo però gioirne, non con la vita di Rose tra le sue mani e
che poteva essere nuovamente spezzata per il capriccio di un vampiro.
E comunque non volevo gioirne.
Implorai
Klaus di non farle del male, lui se ne accorse perchè lo
pregai più volte muovendo semplicemente le labbra. Lui piegò
la testa da un lato e mi guardò come se avesse richiesto
qualcosa di troppo pretenzioso per i suoi gusti.
“Mi
dispiace, Iry. Ma non mi piace che mi si mente troppe volte.”
disse, facendo poi salire le sue mani verso la testa di Rose che
invece stava per scoppiare in lacrime. “E io sono per il
principio chi rompe paga.”
Provai
a liberarmi dalla presa di Rebekah, quando Klaus si accinse a voler
staccare la testa di Rose, per il semplice gusto di farmela pagare.
Ma come riusciva a non sentirsi meschino nel far così male?
Ebbi il tempo di aprire la bocca in un no silenzioso e di vedere Rose
chiudere gli occhi che tutto terminò: come sempre, fu l'arrivo
di Elijah a risolvere la situazione.
“Fermati
Niklaus.” disse, restando dietro di noi. Io e Rebekah ci
voltammo, gli occhi neri di lui erano fissi sul fratello che, invece,
sembrava poco intenzionato ad obbedirgli. Klaus serrò la
mascella e lo guardò con sfida.
Non
riuscivo a credere che Rebekah avesse coinvolto anche Elijah in tutta
quella faccenda, lo aveva fatto apposta per mostrare anche a lui la
mia menzogna.
“Mi
stai alquanto infastidendo, Elijah. Sono stanco di queste tue
sceneggiate da cavaliere.” disse, parlando sempre con
quell'ombra di minaccia nella sua voce. Rimasero a guardarsi in
silenzio poi, stranamente, Klaus spinse Rose a terra e rinunciò
a tutti i suoi propositi. Non capii cosa lo avesse spinto a
desistere, lo vidi sospirare e lanciare un'occhiata verso Rose che
strisciò indietro sul pavimento.
“E
va bene, come vuoi tu.” disse poi, rassegnandosi allo sguardo
del fratello. Ma solo perchè non aveva molta voglia di sfogare
in quel modo il suo odio probabilmente. “Bel ringraziamento per
aver salvato la tua amica dalla nuova vampira in città...”
In
effetti non aveva tutti i torti: quella mia bravata nel voler salvare
Rose sarebbe potuta costarmi la vita. Ma rischiare non mi era
importato e nemmeno a lui aveva pesato: il suo era solo un pretesto
provocatorio per sfidare il fratello.
Elijah
lo ignorò, si voltò verso me e Rebekah e posò lo
sguardo freddo sulla sorella. Uno sguardo che spinse la ragazza ad
allentare la presa sul mio braccio. “Lasciala subito.” le
disse.
Deglutii,
la sua voce sembrava di ghiaccio: fredda e impossibile da scalfire.
Ma
Rebekah era fuoco, difficilmente avrebbe permesso alla sua rabbia di
venire repressa.
“Ha
mentito.” ci tenne a precisare, era quella la mia colpa in
fondo.
Elijah
non amava ripetersi ma lo fece lo stesso, avanzando di diversi passi
verso di noi.
“Lasciala
andare. Ora.” ripeté.
Rebekah
si stava mordendo le labbra per la rabbia, voleva combattere le
freddezza del fratello, ma allo stesso tempo non riusciva a non
obbedirgli. Mi lasciò il braccio e in quel momento soccorsi
Rose che era seduta sul pavimento, spaventata.
“No,
sento ancora il tuo sangue...” mi bloccò lei, puntandomi
il dito contro appena fui abbastanza vicina. Mi arrestai rapidamente
e, guardandola, percepii di nuovo quel forte dolore che bruciava sul
mio braccio.
“Lo
sentiamo tutti. Per questo dobbiamo andare.” disse Elijah,
lanciando poi un'occhiataccia al fratello che si stava avvicinando a
lui, come per sfidarlo.
Si
arrestarono l'uno di fronte all'altra, temetti per un attimo che i
due potessero venire alle mani da un momento all'altro. Ma Rebekah si
parò tra loro giusto in tempo, posando una mano sulla spalla
di Elijah e l'altra su quella di Klaus.
“Fermi!
Non potete litigare per colpa di quella sgualdrina, non lo permetterò
di nuovo.” esclamò, la sua voce era carica di
emozione e non potei fare a meno di trovarla troppo umana in quel
frangente. Quando guardava i suoi fratelli in quel modo, cose se
fossero tutto per lei, anche se mi insultava pesantemente, era più
forte di me e non potevo detestarla.
“Irina,
vattene. Ti prego.” mi supplicò Rose, rompendo
l'inquietante silenzio che era sceso su di noi. Posammo tutti lo
sguardo su di lei, ma i suoi occhi erano fissi sul sangue che
continuava a scorrere sulla mia pelle.
Inspirai
profondamente e sentii dietro di me i passi dei tre vampiri muoversi.
“Andiamo.” disse Elijah, mentre Klaus e Rebekah mi
ignorarono.
Ma
lui era freddo, non era difficile capirlo anche se si era voltato
prima che potessi vederlo in volto.
Rose
non mi guardava, restò seduta a terra con una mano adagiata
sulle sue labbra rosso sangue.
Non
volevo lasciarla sola. “Ti prego, vai.” disse lei, quando
vide che stavo di nuovo avvicinandomi a lei. A quel punto non potei
insistere, Rose rifiutava il mio sguardo e sembrava che tenesse a
freno l'impulso di nutrirsi con parecchia fatica. Uscii così
dalla casa lentamente, sforzandomi di non guardarla e stringendo i
pugni lungo i fianchi per il dolore che mi stava logorando dentro.
“Andatevene
tutti in camera, non voglio vedere nessuno di voi.” ci ordinò
Klaus, appena raggiungemmo l'entrata della villa. Camminava spedito
davanti a noi e non rivolse lo sguardo verso nessuno. Rebekah lo
distanziava di pochissimi passi, mentre io ed Elijah camminavamo
fianco a fianco dietro di loro.
Ma
lui era arrabbiato. Lo capii perchè non mi guardò
mai, nemmeno per un solo misero secondo per cui avrei dato tanto in
quel momento. Il mio braccio sanguinante era stato coperto da lui
stesso attraverso un lembo del mio mantello, in modo che il sangue
non fuoriuscisse troppo. Ma lui non mi aveva guardata nemmeno in quel
momento.
Mi
sentivo affranta, il periodo della transizione era finito, non
solo per Rose, ma anche per me:
un
periodo di transizione fatto di bugie e inganni dove avevo avuto un
periodo di tregua con Klaus e dove avevo potuto vivere con serenità
quello che provavo per Elijah. Il terrore di perdere quest'ultimo mi
fece tremare.
Ma
dubitavo che Elijah si comportasse così per la mia bugia su
Rose, quella era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso. Quello che provava per me era sempre stato messo in bilico
dall'amore che lo legava alla sua famiglia. E io, mentendogli
riguardo qualcosa su cui ero certa che mi avrebbe aiutata, non avevo
fatto altro che allontanare il baricentro di quella bilancia già
di per sé vacillante.
Rebekah
si fermò improvvisamente, Elijah e Klaus continuarono a
proseguire verso l'entrata mentre io mi fermai a pochi passi dalla
vampira.
“Sei
arrabbiato con tutti, Nik? È solo con la Petrova che dovresti
prendertela!” esclamò, indicandomi con la mano.
Klaus
si girò rabbiosamente verso di lei. “Ho detto, fila in
camera!” ringhiò, lanciando poi un'occhiata di fuoco
verso di me. Elijah si fermò a pochi passi da lui e assistette
alla scena, visibilmente trattenuto.
Credevo
che se Klaus mi avesse dato contro in quel modo, lui sarebbe
scattato.
“Come
puoi parlarmi così? Dopo che ti ho mostrato quanto sei stato
stupido a fidarti di lei?”
“Io
non mi sono fidato di lei.”
“Invece
sì, lo hai fatto!” gridò Rebekah. “Non hai
esitato a farlo, perchè era la cosa che ti faceva più
comodo fare...”
“Ora
basta, Bekah!” gridò Klaus. La sua voce ci fece
sobbalzare entrambe, ruppe il silenzio della notte con la sua
violenza e sembrò riempirlo quasi prepotentemente. Elijah si
voltò verso di noi, per impedire al fratello di infierire
ancora su Rebekah.
Il
fatto era che Klaus era furibondo, non si sarebbe controllato con
nessuno.
Non
mi lasciai sfuggire il modo in cui la bionda alzava e abbassava le
spalle, come se stesse per scoppiare in un pianto isterico.
“Io
volevo solo proteggerci!” esclamò la ragazza, con voce
rotta dalle lacrime. “Ma voi date sempre addosso a me, invece
di prendervela con chi ci sta separando! Ho fatto tutto il necessario
per far sì che non vi perdessi di nuovo, lo capite?”
Provai
pena per Rebekah, sembrava una bambina che voleva solo tutelare la
sua famiglia. Non sapevo bene cosa fosse successo in passato per cui
loro tre si fossero separati, ma era chiaro che lei vedesse in me una
qualche minaccia per la sua famiglia. Cosa che non era vera, ma che
la feriva comunque. Elijah venne toccato da quella scena, ma Klaus
no: lui doveva odiare il modo in cui i suoi fratelli si rendevano,
delle volte, umani.
“Forse
se ci separiamo è anche colpa della tua ossessiva gelosia ed
inutilità, non credi?” tuonò.
Non
potevo credere che le avesse detto una cosa simile, era così
perfido da colpire sempre nei punti più deboli di chi gli
stava accanto. Capivo che era furibondo, ma avrebbe dovuto imparare a
trattenersi dopo secoli e secoli di vita.
“Klaus...”
lo richiamò Elijah, nel momento stesso in cui scattai avanti,
per pararmi di fronte a Rebekah. Klaus mi guardò sorpreso dal
mio gesto, sostenni i suoi occhi e lui dovette capire il disprezzo
che provavo nei suoi confronti per via di quell'affermazione così
meschina.
Ma
non gliene importò, come al solito. Si limitò a
trafiggermi con lo sguardo, ricordandomi che non avevo alcun diritto
di sfidarlo e che il periodo in cui mi avrebbe guardato da persona
umana era appena terminato. Lanciò quella che mi
sembrava un'occhiata dispiaciuta alla sorella e si allontanò,
superando Elijah che rimase a fissarci in silenzio.
Io
mi girai verso Rebekah che si stava inginocchiando a terra in
lacrime.
Era
la prova di come un affetto troppo profondo potesse comunque piegarti
in due. Si portò una mano sulle labbra e si lasciò
andare ad un lungo singhiozzo. Rebekah aveva semplicemente paura,
paura che un legame forte come quello che la univa ai suoi fratelli
potesse di nuovo andare perduto come era successo in passato. Era una
bambina che voleva solo essere protetta dalla sua stessa famiglia e
che, allo stesso tempo, voleva essere lei stessa a proteggere.
Se
stava soffrendo così, era solo per colpa mia.
Senza
rendermene conto, mi inginocchiai di fronte a lei e la strinsi a me.
Mi aspettai che lei mi respingesse o che mi urlasse contro qualcosa e
lo avrei accettato. Ma, dopo un attimo di sorpresa e perdizione, lei
si lasciò cullare dalle mie braccia. Le accarezzai i capelli,
mentre teneva posato il mento sopra la mia spalla e continuava a
piangere.
In
quel momento non c'era spazio per l'odio in lei, voleva solo non
sentirsi abbandonata.
Sentivo
gli occhi di Elijah su di noi e mi chiesi cosa potesse causargli
quella scena. Poi lo sentì allontanarsi e restammo solo io e
Rebekah, forse quel periodo di transizione aveva portato a qualcosa
di buono almeno per noi due.
Quando
mi diressi verso camera mia, trovai Elijah nel corridoio di fronte ad
essa.
Se
ne stava con le spalle rivolte verso la mia porta e le mani posate
sul cornicione, la testa era alzata verso l'oscurità che
ricopriva nel suo manto il cielo. Diverse stelle la illuminavano in
tutto il loro splendore, erano vicine come se volessero farsi
compagnia.
Mi
fermai a pochi passi da lui, con le mani congiunte sul mio ventre e
trattenendo il respiro.
“Quello
che hai fatto per Rebekah...è stato un gesto stupendo.”
ruppe il silenzio con la sua solita voce profonda, che mi fece
correre dei brividi lungo la schiena.
Provai
a identificare l'emozione nella sua voce, ma scorsi solo freddezza.
La luce della luna si rifletteva sulla pelle del suo viso e quando si
voltò verso di me, notai che il suo sguardo sembrava più
profondo di quanto non fosse già.
“Più
ti guardo e più ti ammiro, Irina.” disse, doveva essere
una sorta di complimento, eppure sentivo che qualcosa non andava.
Quella doveva essere una sorta di prefazione per arrivare poi ad un
altro argomento, quello che scottava ad entrambi.
Elijah
scosse la testa, distolse lo sguardo da me e lo posò sul
pavimento. “Tu sapevi che io ti avrei aiutata, ma hai preferito
tenermi nascosto quello che succedeva lo stesso.” disse, ma
come sempre sembrava che stesse riversando la colpa su sé
stesso, solo perchè non mi aveva rivelato dell'incantesimo.
Sentivo
che l'equilibrio stava per rompersi e che tutto quello che avevamo
costruito in un solo giorno sarebbe andato in fumo. Una cosa che non
volevo che accadesse, ma che non avrei potuto evitare. “Ci
mentiamo costantemente e odiamo farlo, te ne rendi conto?” mi
chiese ancora.
Abbassai
lo sguardo e presi un lungo respiro, a che serviva negare? Tanto era
la pura e semplice verità e me ne resi conto solo quando fu
troppo tardi.
Elijah
scosse nuovamente la testa e prese un lungo respiro. “Devo
continuare a combatterlo, non è nel mio essere mentire...non a
qualcuno così importante come lo sei diventata tu.”
disse.
Sbarrai
lo sguardo di fronte a quell'affermazione, mi stava dicendo che
voleva di nuovo combattere come aveva fatto fino a poco prima?
Strinsi i pugni con troppa violenza verso me stessa, quando trovai la
conferma a quello che pensavo nel suo volto.
No,
non poteva farlo di nuovo. Non riuscivo a sopportarlo.
“Perchè?”
gli chiesi
egoisticamente. In quel momento non m'importava che stesse male
nell'avermi mentito, non m'importava che andasse contro i propri
valori...m'importava solo che non ponesse fine a quello che stava
nascendo tra di noi.
“Credi
che a me non faccia male? Sai benissimo come mi sto sentendo...”
disse lui a denti stretti. “E ho preso questa decisione per il
bene di entrambi.”
Quel
suo modo di parlare mi fece rabbia, perchè lui non doveva
prendere una decisione per me.
A
quello ci avrei pensato io e io non volevo che tutto finisse in quel
modo.
Non
era nemmeno iniziato nulla a dir la verità.
“Io
non ti lascerò mai sola, ma...sono costretto a reprimere tutto
quello che c'è stato. E anche tu, se non vuoi soffrire.”
aggiunse lui, rimanendo nascosto nella penombra del corridoio.
Scossi
la testa lentamente: io non ero un vampiro, io non avevo una specie
di fiamma dentro che potevo spegnere da un momento all'altro con la
facilità con cui lo facevano loro. Io quello che sentivo me lo
sarei portato dentro per molto tempo e lui voleva buttare via tutto
solo per due bugie che ci eravamo detti? Non lo accettavo. Sentivo il
cuore che mi martellava violentemente nel petto ed ero sicura che lo
sentisse anche lui, desiderai quasi che smettesse di battere per
impedirgli di farmi così male.
“Ci
sono troppe forze contro di noi, forze che ci sono più vicine
di quanto immagini. E io non posso permettermi di sognare qualcosa
che non avrò mai...e non voglio sopratutto che tu lo faccia.
Un sogno che si spegne improvvisamente non può uccidere me, ma
te sì.”
Non
volevo più sentire nulla, non avevo modo di replicare e quindi
scelsi l'opzione più vigliacca e infantile che potessi
prendere. Corsi rapidamente in camera mia e mi chiusi la porta alle
spalle, senza guardarlo più.
Presi
dei lunghi respiri, posando la schiena sulla porta e portandomi le
mani al volto quando sentii le lacrime scendere lentamente. Scivolai
lentamente a terra e mi lasciai andare al mio dolore. Elijah non
riuscì a sopportare quello che stava succedendo in me
evidentemente, perchè sentii i suoi passi allontanarsi sempre
più velocemente, riecheggiando nel corridoio.
Stava
scappando per non ascoltare il rumore delle mie lacrime.
Restai
in silenzio, con le mani sopra gli occhi e cercando di regolare i
singhiozzi, non potevo credere di averlo perso in così poco
tempo e non credevo di soffrirne così in quel modo.
Il
periodo di transizione era finito e dopo questo periodo ci poteva
essere solo dolore.
Non
spettava solo a Rose, ma anche a me e forse me lo meritavo.
Ma
sapevo già che non sarei riuscita ad affrontarlo.
Eccomi,
come ogni lunedì a rompervi le scatoline! :)
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Prima
di tutto, il collage sotto il titolo non è di certo opera di
una incapace come me xD quindi ringrazio la bravissima Elyforgotten
per averlo fatto. (e vi consiglio anche di leggere la sua fanfic “My
Story With An Original..With Elijah” e il suo continuo “Over
The Deception Of Life”)
Vi
dico che d'ora in poi le cose un po' cambieranno: Rose non apparirà
per diversi capitoli, lo scenario che fa da sfondo a questa storia si
sposterà in un'altra ambientazione e anche alcune relazioni
muteranno. Cercherò di introdurre un nuovo personaggio (che,
non starà molto simpatica ad Irina vi anticipo!) che svolgerà
anche un ruolo importante nello scoprire cosa si cela dietro la
figura di Bell. Riguardo questo mistero (e quello per cui la
protagonista non può essere soggiogata, il lupo ecc) so che
sono un po' lenta ma pian piano cercherò di portare a queste
verità. Probabilmente vi avrò fatto perdere la
pazienza, ma tra non molto diverse risposte saranno chiare. Resistete
per favore! xD
Come
sempre, passo ora ai ringraziamenti: ringrazio chi legge questa
storia in silenzio e chi la recensisce in particolar modo!
Ringrazio
anche tutti coloro che l'hanno inserita tra le preferite, ricordate e
seguite!
Ora
la smetto di annoiarvi e vi auguro un buon pomeriggio! :)
Ciao
a tutti! ^^
|
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Capitolo 16 *** House On A Hill ***
-House
On A Hill-
I
will surrender and i'll always wait
Wait
As in all of eternity
Hard
to remember and hard to forget
The
shadow that hangs over me
Take
me home
To
a house on a hill
In
oblivion
And
take away the shadow over me
(Kamelot-
House On A Hill)
Mi
ero dimenticata che ci si sentiva proprio in quel modo.
Era
come un pugno in pieno petto, una mano premeva sulla tua carne e
spingeva sempre più fino a privarti del respiro.
Era
la tristezza. Come avevo fatto a dimenticarmene? Era proprio
lei, la compagna che mi era stata accanto per un'intera vita e che
poi era stata sostituita da un'amica migliore chiamata gioia.
Ma
quella mi aveva abbandonato, aveva smesso di tenermi sottobraccio
quando sprofondai in quell'abisso nero e profondo da cui non sarei
più riuscita a risalire.
Avevo
perso Rose.
Il
giorno dopo la sua trasformazione ricevetti una sua lettera, in cui
mi raccomandava di non sentirmi in colpa ma dove mi chiedeva
esplicitamente di rimanerle lontana. Per lei aveva avuto inizio una
nuova vita, una vita in cui la sete di sangue sarebbe stata la sua
guida e io ero una tentazione troppo grande per potervi prendere
parte.
Avevo
perso Klaus.
Incredibile,
non doveva nemmeno importarmene, ma lo avevo perso dopo quel breve
lasso di tempo in cui, forse, avrei potuto scoprire un lato di lui
che non mi spaventava. Ma il mio castello di bugie era crollato e con
questo anche la mia convinzione di poter andare nel profondo
dell'anima di Klaus.
Le
parole di Rose erano ancora vive nella mia mente: lui aveva paura
di me. Perchè ero troppo umana, perchè ero tutto
quello che lui non voleva essere e io temevo lui per lo stesso
motivo.
Superando
quelle tetre paure, forse saremmo giunti ad una luce?
Mi
posi quella domanda mentre osservavo il suo fermaglio che tenevo sul
palmo della mia mano. Rimasi in piedi accanto al letto, dove avevo
adagiato la mia borsa ancora vuota. I vestiti che avevo deciso di
portarmi dietro erano tutti ben ripiegati sul letto, in attesa di
essere riposti dentro il bagaglio. La luce del sole che brillava
dalla finestra di fronte a me si unì al luccicore emanato dal
quel gioiello. Sospirai e lo misi dentro la borsa, in un punto
nascosto nel fondo, dove ero certa sarebbe rimasto per sempre.
Poi
arrivò l'epilogo della mia tristezza, l'ultima cosa bella che
avevo perso in un solo giorno.
Avevo
perso Elijah. Avevo perso il cuore che batteva a mille quando mi
guardava, avevo perso quei brividi che mi scorrevano dietro la
schiena quando mi baciava, avevo perso la gioia di sorridere quando
lui era accanto a me. In poche parole, avevo perso tutta me stessa.
Piangere
era inutile, la mia storia con Elijah era sempre stata appesa su un
filo, da cui si era staccata troppo presto. E una parte di me, nel
profondo, lo sapeva che sarebbe finita così.
Qualcuno
mi riportò con i piedi per terra, smisi di vivere nei miei
dolori e mi voltai verso la porta, su cui qualcuno aveva bussato.
L'avevo lasciata aperta per pura dimenticanza e scorsi la figura di
Rebekah che mi sorrideva. Aveva un sorriso da bambina che non mi
aveva mai rivolto prima, i suoi occhi sembravano più grandi in
quel momento e parecchio sinceri.
Lei
era forse l'unica cosa positiva che avevo trovato in quel cammino
tortuoso in cui mi ero cimentata giorni prima. Dopo il nostro breve
momento di pace, quell'abbraccio che era nato da un dolore di Rebekah
che solo allora avevo compreso, non l'avevo più rivista ma
sentivo che qualcosa era cambiato tra noi.
“Volevo
sapere...se ti serviva una mano con i bagagli.” mi chiese quasi
con timidezza, quando varcò la soglia della porta. Si accorse
che tutto quello che dovevo portarmi dietro era ancora fuori posto,
sospirai e le dissi che non avevo bisogno d'aiuto con un semplice
cenno della testa.
Volevo
solo rimanere sola, a discutere con la mia tristezza sul quanto
avessi perso.
Volevo
farmi del male per sentirmi viva, visto che non avevo più
nulla.
Rebekah
si avvicinò a me quando abbassai lo sguardo sulla borsa vuota,
prese uno dei miei abiti e lo posò con grazia all'interno. “La
tristezza non s'addice al tuo viso, Iry.” mi disse in un
sussurro.
Non
la guardai, sentii i suoi occhi chiari su di me e fissai le sue mani
che prendevano delicatamente un altro dei miei abiti. I suoi capelli
erano sciolti sulle spalle, così quando abbassò di
nuovo la testa il suo volto venne completamente coperto da essi. “So
che le mie scuse sono forse inutili in questo momento.” mi
disse poi, i nostri occhi si incontrarono. “Mi dispiace averti
fatto del male per tutto questo tempo. Ho sempre saputo che non lo
meritavi...eppure ho continuato.”
La
guardai confusa, ricordavo i brevi tratti in cui, nel male che
Rebekah mi aveva fatto, scorgevo quella strana luce nel suo viso che
non mi spingeva ad odiarla.
Lei
mi odiava perchè voleva difendere i suoi fratelli e questo
poteva farle solo onore, anche se non ero una minaccia per nessuno di
loro. Ma Rebekah doveva averne passate così tante che per lei
fidarsi doveva risultare quasi impossibile. Aveva solo bisogno di
affetto.
Lei
sorrise, due piccole fossette si crearono ai lati della sua bocca.
“La verità è che sei migliore di tutti noi,
Irina.” disse ancora. “Chiunque gioirebbe nel vedere il
proprio nemico piegato in due nella sconfitta e invece tu...ti sei
piegata con me per non lasciarmi sola. Perchè lo hai fatto?”
Mi
tornò in mente l'immagine della piccola Rebekah che piangeva,
ancora non avevo capito cosa mi avesse spinto ad abbracciarla ma di
una cosa ero certa: non volevo lasciarla affrontare quel dolore da
sola. Chi gioirebbe nel vedere una persona, anche il proprio nemico,
soffrire in quel modo? Io no, ero umana e il mio cuore mi aveva
ordinato di starle accanto in quel momento. Vedendo che una risposta
chiara non giunse ad entrambe, lei sospirò e sorrise di nuovo.
Mi
sfiorò il ciondolo che portavo al collo e lo guardò
come se le riportasse alla mente antichi ricordi. Probabilmente molto
dolorosi, visto che quel gioiello era appartenuto ad una persona che
aveva segnato una separazione dai suoi fratelli tempo prima. “Mi..mi
dispiace aver distrutto quello che c'era tra te ed Elijah.”
disse, allontanando la mano dal ciondolo.
Quel
nome. Lo avevo pronunciato tante di quelle volte a me stessa, nel
silenzio della mia mente ma sentirlo nella concretezza di una voce mi
fece male. Distolsi lo sguardo e lo tenni basso.
“Sta
male anche lui Irina, non credere che si sia spento tutto. Noi
vampiri crediamo di poter spegnere quella fiamma quando vogliamo ma
non è così. Se soffi su una candela per spegnerla,
rimane quell'alone di fumo che si alza verso il cielo e che ti
ricorda che in quel preciso punto c'era una luce.”
Compresi
il significato di quelle parole solo dopo averle ripetute nella mia
mente, non capivo se Rebekah avesse intuito ciò che poteva
esserci tra me e suo fratello ma di una cosa ero più che
sicura: mi stava dicendo di non abbandonare la lotta, una lotta che
non pensavo di dover più affrontare purtroppo. Il dolore
vinceva sempre su di me.
“Ti
giuro che rimedierò al dolore che ti ho causato. Non temere,
sono brava a far danni quanto a risolverli.” disse.
Mi
strappò il primo vero sorriso che le mie labbra decisero di
concedersi in quei giorni e Rebekah mi fece compagnia in quel mio
inaspettato attimo di serenità. Anche se dubitavo che si
sarebbe potuto rimediare un qualcosa che non c'era mai stato. Rebekah
non era colpevole di nulla, gli unici colpevoli eravamo io,Elijah e
le bugie con cui ci eravamo ingannati.
Bugie
radicate agli inizi di quello che era nato tra noi e che era
appassito alla velocità di un fiore in pieno inverno. Quei
pensieri uccisero il mio primo vero sorriso da ragazza di nuovo sola.
Qualcuno
bussò nuovamente alla porta della mia camera e qualcosa scattò
in me: senza voltarmi mi parve di riconoscere la persona che si
trovava alle mie spalle. Anche se non avessi avuto gli occhi, avrei
potuto sempre riconoscere il rumore lieve di quell'elegante respiro.
“Ragazze,
volevo sapere se le vostre valigie erano pronte.” disse la sua
voce, inconfondibile e profonda come i miei ricordi l'avevano
mantenuta intatta nella mia mente.
Rebekah
si girò verso Elijah prima di me, osservai il suo volto
marmoreo mentre ci osservava dalla soglia della porta: portava i
capelli raccolti in una piccola coda si cavallo e due ciuffi gli
ricadevano ai lati del viso. Non lo avevo mai visto con i capelli
raccolti in quel modo, ma erano talmente belli che gli sarebbero
stati bene in qualsiasi modo. Ci guardammo, mi persi nella profondità
dei suoi occhi neri come se fossi in un sogno a cui Rebekah decise di
porre fine.
“Come
vedi, quelle di Irina non sono pronte.” disse e fu chiaro come
il sole dove volesse arrivare. Pregai che la mia mente avesse captato
male i segnali invisibili che colsi nella sua voce ma raramente mi
sbagliavo.
E
anche Elijah doveva aver avvertito quel campanello di allerta nella
sua testa.
“E
le mie non sono ancora pronte.” concluse la bionda. “Qualcuno
dovrà pur dar una mano alla piccola Iry, no?”
Io
ed Elijah ci guardammo, avvertii il calore inondarmi il viso e
abbassai lo sguardo.
“Rebekah,
le carrozze sono piene di bagagli tuoi...” ci tenne a precisare
il vampiro.
“Quelle?
Quelle sono solo le valigie dei pigiami.” si giustificò
Rebekah, usando una bugia assurda ma che disse con estrema sicurezza
da risultare quasi realistica. “Se vuoi chiedo a Nik se vuole
aiutarla..”
“No,
lo faccio io.” Elijah pronunciò quelle parole con
fermezza, temendo che Rebekah avrebbe davvero chiamato Klaus per
ricorrere in mio aiuto. Quella proposta non ebbe nemmeno il tempo di
spaventarmi: immaginarmi sola con Klaus dopo quello che gli avevo
combinato era un suicidio. Elijah si avvicinò a me e Rebekah
lo superò, non si voltò nemmeno a guardarmi ma non mi
lasciai sfuggire il suo sorrisetto furbo sulle labbra. “Fate
con comodo!” ci disse, alzando la mano in un cenno di saluto,
prima che uscisse dalla camera.
Rebekah
era “diabolica” anche quando voleva fare del bene, ma
l'adorai in quel momento.
Realizzai
solo pochi istanti dopo che io ed Elijah eravamo soli. E sopratutto
che eravamo fianco a fianco, percepii indistintamente il calore
emanato dalla sua spalla mentre sfiorava la mia.
Lo
guardai con il batticuore e ordinai a quel maledetto muscolo che
batteva nel mio petto di rallentare, perchè Elijah avrebbe
potuto sentirlo. Ma quello non mi diede retta, proprio come il mio
sguardo che non la smetteva di studiare il profilo di Elijah.
Lui
stava guardando i vestiti piegati sul letto e li stava lentamente
riponendo dentro la mia borsa con una grazia unica.
“Si
è capito poco che Rebekah voleva farci rimanere soli.”
disse in un sussurro, alzò lo sguardo verso di me e abbozzò
un sorriso. Sentire la sua voce, ripetere le parole che aveva detto
mi bloccò per un attimo il respiro. Odiavo non essere padrona
del mio corpo in quel momento.
“Ma
mi fa piacere che ora vuole aiutarti e non staccarti la testa dal
collo.” disse ancora lui. “Ha capito finalmente che ti si
può solo volere bene.”
Perchè
lui mi voleva bene? O il suo bene era evoluto in qualcos'altro come
lo era per me?
Come
una bambina, mi ritrovai a a stringere e allentare la presa al lati
della gonna che indossavo. Mi feci più vicina a lui e decisi
di aiutarlo, così facendo avrei accorciato il tempo in cui
saremmo rimasti soli in quella stanza. In quel silenzio, avremmo
trovato sicuramente il modo di farci del male e io volevo evitarlo il
più possibile.
“Non
preoccuparti, faccio io.” disse lui, continuando a non
guardarmi. Ma non lo ascoltai, l'aria si era fatta soffocante attorno
a me e non riuscivo a sorreggerla. Terminammo di piegare due abiti
nello stesso momento e sempre nello stesso istante le riponemmo
dentro la borsa.
Non
sapevo come, ma le nostre mani arrivarono a sfiorarsi.
Una
scarica di brividi mi corse lungo il corpo, mentre i dorsi delle
nostre mani continuarono a restare a contatto. Smettemmo entrambi di
muoverci e di respirare, sentii che il controllo dei miei pensieri e
della mia mente stava svanendo sempre di più, fino a cadere in
un vortice di sensazioni che non avrei potuto arrestare.
Girai
la mano, posai il palmo sul suo dorso e lo strinsi, facendo scorrere
il pollice lungo la sua pelle calda. Quel mio gesto lo disorientò,
lo sentii schiarirsi la voce mentre continuavo a volere
egoisticamente quel contatto.
Come
sempre, fu lui quello che si controllò meglio in quella
situazione.
“Irina,
basta.” disse con semplice freddezza, ritrasse la mano e se la
portò al petto come se volesse evitare che potessimo di nuovo
toccarci. Alzai lo sguardo su di lui, quando lo vidi darmi le spalle
e voltarsi, senza però volersene andare. Ero una persona molto
insicura, ma era palese che, in qualche modo, quei piccoli brividi
che mi corsero lungo la spina dorsale quando ci eravamo toccati non
ero stata l'unica a sentirli.
“Non
mi rendi le cose facili così..” mi disse poi,
sforzandosi di assumere un'espressione seria che però non
dovette riuscirgli bene, dato che non mi ferì in alcun modo.
Rimasi
a fissarlo seriamente e con ostinazione, ancora non accettavo il
fatto che lui volesse prendere una decisione simile solo perchè
ci eravamo mentiti un'unica volta.
Era
passato pochissimo tempo senza parlarci e l'idea di passare altre
giornate in quel modo mi faceva star male. Mi guardò allora
severamente poi distolse lo sguardo dal mio viso, sembrava non poter
sopportare il modo in cui lo stavo guardando.
“Mi
fai sentire come se fossi il cattivo della situazione, quando in
realtà sto sempre cercando di proteggerti.”
disse, come se volesse riversare il senso di colpa che lo logorava su
di me.
Non
lo stava facendo con l'intenzione di ferirmi, cosa che gli veniva
comunque facile quando cercava di tutelarmi in quel modo. Continuammo
a guardarci, la tentazione di prendergli il viso tra le mani e
baciarlo era tanta. Tanta quanto era la voglia di voltarmi e non
guardarlo in faccia.
“Ho
sbagliato a cedere, te l'ho già detto.” continuò
lui seriamente. “E non ti ho mai detto che non voglio più
vederti o altro. Voglio solo evitare di ferirti e mi assumo tutte le
colpe per quello che è successo tra noi. Ma è la cosa
migliore, credimi, e dobbiamo combatterla entrambi.”
Ma
stava parlando a sé stesso, non a me.
Tra
i due quello più spaventato era stranamente lui. Io ero certa
di ciò che volevo e non m'importava nulla: le bugie le diceva
chiunque e le nostre erano state dette sicuramente a fin di bene alla
fine.
Tornai
a guardare la borsa sul letto, il vestito che lui aveva ripiegato con
cura si era sgualcito nel tentativo di fuggire al mio tocco poco
prima.
Lui
sospirò, quando mi vide allungare la mano verso l'abito e
sistemarlo alla meglio. “Puoi almeno smetterla di guardarmi in
quel modo o di non guardarmi affatto?” mi chiese, sempre con
quella sua forzata freddezza. Si era portato le mani sui fianchi e a
quel punto mi decisi a voltare lentamente la testa verso di lui,
sotto quella sua maschera da espressione distaccata si celava quella
che sembrava agonia. Era stupido prendere una decisione del genere
per poi stare comunque male, perchè se il mio comportamento,
dovuto al suo desiderio di sopprimere ciò che provavamo, gli
creava disagio voleva dire che anche lui stava male quanto me.
Ma
quelle due piccole, ma forse grandi ai nostri occhi, bugie ci
impedivano ad entrambi di farci forza e varcare la soglia di quel
dolore. Non riuscimmo a sostenere l'uno lo sguardo dell'altra e
voltammo la testa, io verso il bagaglio e lui verso la porta.
Sembrava
che volesse uscire dalla mia stanza e andarsene, ma qualcosa lo
tratteneva.
“Credi
che sia solo per quelle bugie che ho preso quella decisione per
entrambi?” mi chiese, provocandomi una rabbia irrefrenabile.
Lui non aveva il diritto di decidere per me, perchè ero
abbastanza matura da decidere di buttarmi nel fuoco e scottarmi
quando meglio volevo.
“Egoista.”
dissi in silenzio e lui riuscii a tradurre le mie parole, nonostante
fossi di profilo e non lo stessi guardando.
Lui
era egoista, perchè era lui quello che aveva paura di stare
con me, non io.
Aveva
preso la decisione che faceva più comodo a lui, a me non aveva
minimamente pensato.
“Egoista?!”
ripeté incredulo, avvicinandosi a me. Sentivo il calore della
sua rabbia, probabilmente rivolta verso sé stesso. “È
vero lo sono stato, perchè mi sono concesso di viverti
nonostante sapessi che non avrei mai potuto farlo. Ma ora non sono
egoista, dato che voglio solo proteggerti.”
Se
quello significava proteggermi, preferivo che non lo facesse.
Non
sopportavo più quelle lame che mi pugnalavano dentro di
continuo, ricordandomi quanto l'amare potesse uccidere.
Elijah
continuò a guardarmi, s'inumidì le labbra e prese un
lungo respiro.
“Hai
mai pensato al tuo futuro, Irina?”
Quella
domanda mi sorprese. In realtà non avevo mai pensato al mio
futuro e non me n'ero resa nemmeno conto: avevo pensato ad una
ipotetica vita futura quando mio padre stava per farmi sposare a
Vladimir e mi ero immaginata come una donna sola e depressa che
viveva in una casa con un uomo che non amava.
Un
futuro che non volevo.
Ma
da quando ero arrivata in Inghilterra pensavo solo al presente e gran
parte di quel presente era rappresentato dall'immagine di lui. Quando
mi pose quella domanda però, mi resi conto di dove realmente
volesse arrivare. “Tu hai un futuro, ma non con me. Io non
fermerò il tempo della tua vita, non ti trasformerò mai
in quello che sono io, perchè non ti meriti un'eternità
di sangue e violenza. E nemmeno tu lo vuoi, perchè ti conosco
fin troppo bene.” continuò lui.
Odiavo
quelle parole, ma perchè non potevo contraddirle. Ero stata
così stupida da non pensare che avrei dovuto trasformarmi in
un vampiro se volevo restargli accanto. Era l'unica scelta necessaria
se volevo rimanere con lui, ma era anche una scelta che mi
spaventava.
Avevo
visto quello che avevo fatto a Rose e pensai che avevo preso per lei
una scelta che io non avrei voluto prendere per me stessa. Ma non era
di quello che si trattava, il futuro era una cosa lontana ed era il
presente che m'interessava in quel momento.
E
lui mi stava impedendo di vivermelo. Il futuro era una cosa troppo
lontana per poterci pensare.
Alzai
lo sguardo su Elijah e notai che lui stava continuando a guardarmi,
sperando che comprendessi quelle sue parole.
Ma
se lo poteva scordare, io non avrei mai accettato di arrendermi in
quel modo solo perchè lui continuava a cercare pretesti per
porre fine a tutto quello che c'era tra noi. Abbassai di nuovo lo
sguardo e mi resi conto che per la prima volta, da quando ci eravamo
conosciuti, ero davvero arrabbiata con lui. Non volevo
guardarlo, volevo solo che se ne andasse prima che reagissi nella
maniera peggiore possibile alle sue parole.
“Mi
odio per quello che ti ho fatto. Se potessi, ti farei dimenticare
ogni cosa...” disse ancora lui.
Quelle
parole mi colpirono più di tutte, perchè il pensiero di
dimenticare quei pochi ma eterni attimi che c'erano stati tra di noi
sembrò privarmi del respiro. Non capivo se Elijah avesse
pronunciato quelle parole con intenzione, oppure se avesse perso per
un attimo il controllo di sé. Non volevo nemmeno appurarlo
perchè, in un modo o nell'altro, era comunque riuscito a farmi
sanguinare il cuore.
Lui
mi avrebbe davvero cancellato la memoria se ne fosse stato capace, ne
ero certa.
“Almeno
non vedrei mai più quel tuo sguardo....” disse
dispiaciuto.
“Vattene.”
Alzai la testa verso di lui e mossi le labbra in quella parola,
stringendo i denti e sforzandomi di non piangere di rabbia. Ero
sicura che se avessi avuto voce, mi sarebbe uscito una specie di
ringhio rabbioso, molto simile a quello che avrei usato quando avevo
detto a Klaus di odiarlo.
Lui
lesse chiaramente le mie labbra, le osservò a lungo e poi
abbassò la testa come se stesse forzando sé stesso per
seguire quelle parole dettate dal silenzio. Vederlo andare via sembrò
uccidermi e quando la sua figura scomparve dietro l'angolo, rimasi
immobile vicino al letto e alzai la testa verso il soffitto per
ricacciare indietro le lacrime. Era sempre lui quello per cui avrei
voluto avere voce, in quel momento infatti avevo una gran voglia di
gridare tutto il mio dolore.
“Non
è possibile, è stupendo!”
Guardai
il cielo bianco sopra le nostre teste, la neve cadeva a piccoli
fiocchi su di noi e continuando a ricoprire il terreno che ci
circondava. Se l'abitazione dove fino a poco prima avevamo vissuto la
si poteva considerare un posto da favola, quello che ci attendeva lo
batteva su tutti i fronti.
Il
viaggio per raggiungere quella destinazione durò ore, ore in
cui solo Rebekah e Katerina sembravano mostrare entusiasmo. Dentro la
carrozza le due erano sedute di fronte a me, in mezzo a loro Elijah
sembrava non sentire le loro voci troppo squillanti per quella
palpabile atmosfera di tensione che ci circondava. Io sedetti per
tutto il tempo vicino a Klaus che, evidentemente, mi prese come parte
delle pareti della carrozza: non mi rivolse nemmeno uno sguardo o uno
di quei sorrisi che tanto adorava. Il modo in cui lo avevo preso per
i fondelli per un solo misero secondo non gli era ancora andata giù.
Il fatto che invece di farmela pagare con una minaccia, preferisse
rispondere in silenzio mi spaventava.
Solo
la vista di quella casetta posta su una collinetta innevata risollevò
di poco il mio morale. L'abitazione era molto più piccola
rispetto alla precedente, ma comunque troppo grande per ospitare solo
cinque persone. Era molto vicina alla foresta, gli alberi che la
circondavano erano completamente ricoperti di neve e si stagliavano
verso il cielo color latte. Da quella collinetta si riusciva a vedere
in lontananza il piccolo villaggio che si trovava a diversi
chilometri da essa.
“Ho
sempre adorato la neve, è uno spettacolo meraviglioso!”
aggiunse Rebekah vicino a me, unendosi così alla meraviglia di
mia sorella. La neve non ci era nuova, anche in Bulgaria la faceva
spesso e volentieri, ma non avevamo mai potuto ammirarne davvero la
bellezza in quel villaggio triste e solitario in cui avevamo vissuto
per anni.
Aprii
il palmo della mano, coperto da un guanto nero, e guardai la neve
cadere su di essa.
Faceva
freddissimo, non avevo capito perchè Klaus ci avesse
raccomandato di mettere da parte “abitini e lustrini” e
di vestirci così pesantemente, fino a quando non avevo visto
quel posto. Non avendo servi con noi, furono Elijah e Klaus a portare
dentro la casa le mille valigie che si trovavano sulla carrozza.
Klaus in particolar modo sembrava odiare quel ruolo, si considerava
così signore evidentemente da non volerlo fare.
Elijah
mi passò accanto, trasportando due enormi borsoni che dovevano
appartenere a Rebekah. Lo seguii con lo sguardo, mentre risaliva la
collina ed entrava in quella casetta dalla pareti di legno.
Nonostante sapessi che non ne avesse bisogno, fui tentata dal dargli
una mano.
Possibile
che anche se dovessi essere arrabbiata con lui, non riuscivo comunque
ad esserlo?
“Ragazze,
è solo neve. Cosa ci trovate di tanto bello e fantastico?”
ci chiese cinicamente Klaus, mentre cercava di prendere una delle
borse che erano state fissate nel retro della carrozza.
Katerina
e Rebekah nemmeno lo sentirono per quanto fossero affascinate dalla
bellezza bianca che ci circondava.
Ma
io invece ascoltai bene le sue parole e lo guardai incredula, uno dei
più grandi difetti che riconoscevo in Klaus era quello di non
riuscire a vedere la bellezza in quella piccole cose.
Spesso
erano le cose più semplici a darci le felicità più
grandi, forse lui era così sprezzante nei confronti di tutti
perchè non comprendeva un pensiero banale.
Lui
sentì che lo stavo guardando e mi rivolse una lunga occhiata,
continuando a armeggiare con le fibbie che saldavano i nostri
bagagli. Chissà perchè mi ero soffermata così
tanto su una una delle sue solite frasi che riflettevano tutta
l'oscurità che lo divorava.
Colpa
indiretta delle parole che Rose mi aveva detto qualche giorno prima
al suo riguardo.
“Nik,
noi andiamo a sceglierci le stanze. Credo che io e la Petrova senior
saremo in competizione nel scegliere quella più grande.”
disse Rebekah, lanciando un'occhiata di sfida verso mia sorella. Ma
era un solo uno sguardo giocoso, sembrava davvero che Rebekah si
stesse sforzando di essere carina con noi.
Klaus
guardò la sorella di sfuggita. “Fate come volete...”
rispose, corrugando la fronte e continuando a tirar giù
bagagli.
Io
rimasi immobile, Rebekah e Katerina si allontanarono ma mia sorella
si fermò a metà strada quando vide che non le stavo
seguendo.
“Irina,
tu non vieni?” mi chiamò, facendosi interrogativa.
Alzai
lo sguardo su di lei e le feci segno che le avrei raggiunte subito,
prima sentivo che dovevo fare una cosa.
Lei annuì e si diresse verso la casa, lanciandomi un'ultima
occhiata confusa.
Klaus
non si accorse subito che eravamo rimasti solo noi là fuori,
mi avvicinai lentamente a lui e il ragazzo rivolse lo sguardo verso
di me. Freddo e tagliente come al solito.
“Che
vuoi, piccola bugiarda?” mi chiese, mentre poneva sul terreno
uno dei bagagli che doveva essere di Katerina. Alzò di nuovo
la testa coperta da un cappuccio scuro e afferrò un'altra
borsa.
Bella
domanda, pensai. Ero
partita con l'umano intento di volerlo aiutare a tirar giù
tutti quelle borse, mi ero dimenticata di tutto quello che c'era
stato tra noi.
“Non
so se lo hai capito, little sweetheart, ma
non ho molta voglia di perdere tempo con te.” mi disse. Alzai
le sopracciglia, non avevo mai fatto caso a quanto il signorino fosse
suscettibile.
Non
mi ero fidata di lui e allora? Come poteva pretendere che lo facessi
dopo tutto quello che mi aveva combinato? Alzai lo sguardo verso il
cielo, diversi fiocchi di neve mi caddero sul viso con la loro
soffice leggerezza.
“Maledetta
neve, crea solo fastidi.” disse Klaus in un ringhio, quando si
accorse che una borsa si era aperta e l'interno si era quasi riempito
di neve.
Maledetta
era un termine che non
avrei mai potuto affidare ad uno spettacolo bello come la neve, forse
colpa del mio essere troppo bambina e infantile che mi spingeva a
guardare con occhi meravigliati ciò che la natura ci regalava.
Istintivamente,
allungai la mano verso le sue e ne presi una con forza.
Klaus
restò così sorpreso dal mio gesto che il suo polso
seguì i movimenti della mia mano. Alzò lo sguardo su di
me, quando mi vide sfilargli il guanto e girargli il palmo verso il
cielo.
“E
ora che diavolo vuoi?” mi chiese, non si ritrasse evidentemente
perchè era curioso di sapere cosa volessi combinare. Continuai
a tenere la mia mano sotto il dorso della sua e la alzai di pochi
centimetri, all'altezza della mia spalla, in modo che lui potesse
vedere i fiocchi di neve che cadevano sulla sua pelle. Come non
riusciva a vedere la bellezza in quei piccoli gioielli del cielo?
Era
una cosa che non comprendevo, le neve era uno degli spettacoli più
belli che la natura potesse donarci.
Non
era come il sole e la pioggia, quelli li si poteva vedere ad ogni
periodo dell'anno. La neve era diversa: qualcosa che arrivava quando
meno te lo aspettavi e che ti ritrovavi ad osservare con un sorriso
sulle labbra.
Come
faceva a non amarla?
Klaus
restò in silenzio, guardò quei fiocchi che si
scioglievano sulla sua mano in silenzio e mi chiesi cosa gli stesse
passando per la testa in quel momento.
La
sua espressione era strana quando la guardai, aveva la fronte
corrugata e la bocca dischiusa in un pensiero che forse non voleva
rivelare. La neve doveva piacergli, forse si vergognava ad ammetterlo
perchè era una cosa che gli sembrava troppo umana.
Perchè
le cose più piccole spesso ci regalano grandi paure che si
trasformano poi in felicità, io lo avevo sperimentato sulla
mia pelle.
Perchè
l'amore è una cosa piccola in fondo, semplice e talmente
facile da capire che spesso si tende a trasformarlo in qualcosa di
più complicato. Fa paura affrontarlo, ma quando lo si affronta
si arriva a provare una felicità immane. Era una cosa che mi
aveva insegnato Elijah, anche se poi le cose stavano prendendo una
piega dolorosa.
Paragonare
l'amore alla neve non era forse una cosa adeguata, ma entrambe erano
cose semplici di cui chiunque doveva apprezzarne la bellezza.
Anche
Klaus, lui non era così lontano dal resto del mondo come
credeva, altrimenti non si sarebbe soffermato a guardarla in quel
modo.
“Tu
e i tuoi gesti che tendono quasi al filosofico mi avete stancato.”
Klaus rovinò tutto, tirando via la mano da me e riprendendosi
il guanto che tenevo nell'altra mano. “Se stai cercando di
accattivarti la mia simpatia, ti sbagli di grosso. Io non mi faccio
fregare due volte, una basta e avanza.”
Ma
io non volevo accattivarmi la sua simpatia, volevo solo comprendere
perchè il suo odio arrivasse a tanto. Alzò lo sguardo
su un altro bagaglio, sembrò un attimo disorientato per quello
che era successo poco prima. “Questo è tuo?” mi
chiese, ma non c'era gentilezza nella sua voce.
Perciò
non mi stupii quando, dopo un mio cenno di assenso, lui fece cadere
violentemente la mia borsa a terra. Un gesto premeditato e fatto
apposta, con il solito intento di vendicarsi di me come farebbe un
bambino capriccioso.
Guardai
alcuni dei miei abiti che si riversarono sulla neve e tirai un
sospiro per calmarmi e non colpirlo con un pugno.
“Scusa
tesoro, non l'ho fatto apposta.” disse poi, voltandosi verso di
me e sorridendomi con sfida. “Ma mi sono appena ricordato che
non te l'ho fatta pagare per avermi mentito. Spero che ti divertirai
a raccogliere tutto.”
Mi
superò sfiorandomi con una spalla, presi un lungo respiro che
mi gelò ancora di più dentro e gettai la spugna. Mi era
bastato così poco per farlo, Klaus era bravo a farmi
rimpiangere sempre le mie decisioni.
Mi
chinai sulla borsa e iniziai a raccogliere gli abiti e a riporli
dentro la borsa.
Ma
perchè lo avevo fatto?
Non era possibile che le parole che mi aveva detto Rose mi stessero
causando quell'effetto, non era possibile che io volessi cancellare
il passato e combattere tutto il male che provavo per Klaus pur di
arrivare a comprenderlo per davvero. Che m'importava farlo?
Lui
non sopportava me, io non sopportavo lui: non c'era niente da fare
per cambiare le cose.
Pochi
minuti dopo, una mano accorse in mio aiuto.
Non
mi ero nemmeno accorta di come dei passi si fossero avvicinati al mio
corpo e alzai lo sguardo su Elijah che teneva lo sguardo basso sui
vestiti immersi nella neve. “Lascia, faccio io.” mi
disse, senza guardarmi.
Era
furioso con suo fratello. Lo lessi indistintamente nei suoi occhi che
si sforzava di tenere lontani da me, era chiaro che si stesse
controllando con difficoltà.
Continuò
a riporre la mia roba dentro la borsa, sempre con delicatezza ma
evitando sempre forzatamente il mio sguardo. Rimasi chinata accanto a
lui, con lo sguardo rivolto verso le sue mani, mentre ripiegava i
miei vestiti.
I
nostri gomiti si sfiorarono e una scarica di brividi mi corse lungo
il braccio.
“Ti
prego, non farlo. Non provare a capire Klaus.” mi disse, la sua
voce era costante nella solita freddezza. Ci guardammo e i suoi occhi
mi sembrarono più profondi.
Mi
si bloccò il respiro in gola, forse per il freddo e forse per
via di quelle parole, pronunciate in quella maniera così
pungente.
“Cos'hai
in mente stavolta? Di diventarci amica?” mi chiese ancora lui,
lanciando un'occhiata verso la casa alle nostre spalle, come se
volesse assicurarsi che il fratello non lo stesse ascoltando. O che
lo stesse ascoltando, perchè delle volte mi sembrava che
Elijah volesse sfidarlo a tutti i costi per fargli capire qualcosa.
Scossi
la testa, odiavo quando mi parlava in quel modo in relazione a Klaus.
Anche se, in fin dei conti, non capivo nemmeno io cosa mi avesse
spinto a mettere alla prova in quel modo suo fratello.
In
realtà volevo davvero capirlo, volevo capire perchè
detestasse il mondo così tanto.
Forse
se avessi provato a reprimere il mio odio, ci sarei riuscita. Ma
vista la reazione molto alla Klaus di poco prima, non sapevo cosa
pensare.
Vedendo
che non rispondevo, Elijah sbuffò di nuovo. “Tu il
rancore non sai nemmeno dove sta di casa, vero?” mi chiese, le
sue parole erano ghiaccio.
Mi
morsi il labbro e mi chiesi perchè ultimamente lui spendesse
il suo tempo a battibeccarmi per ogni cosa. Non volevo che mi facesse
da maestro o da fratello maggiore e lui lo sapeva bene.
Se
voleva starmi vicino in quelle vesti e farmi così del male,
poteva anche ignorarmi.
Tanto
averlo vicino ma sopprimere quello che provavo equivaleva ad averlo
lontano.
Mi
alzai lentamente in piedi e decisi di allontanarmi il prima possibile
da lui, dai suoi occhi e dai brividi che la sua vicinanza mi causava.
Sentii
gli occhi di Elijah sulle mie spalle e senza nemmeno accorgermene mi
voltai di scatto verso di lui e con rabbia. “Smettila.”
mossi le mie labbra in quelle parole che solo la mia testa udì.
O
forse no, Elijah mi fissò accigliato. “Smetterla di fare
cosa?” mi chiese.
Di
starmi vicino. Di bloccarmi il respiro. Di farmi battere il cuore. Di
ricordarmi che lo avevo perso.
Erano
tante le cose che volevo smettesse di fare, volevo che sparisse
e che si portasse dietro il mio dolore. In quel momento ero io quella
che desiderava dimenticare tutto.
Amarlo
era come una malattia, sentivo che mi stava divorando dall'interno
lentamente e presto sarebbe arrivata la morte. Non c'era cura per
quello che avevo, se non lui.
Lui
trovò nei miei occhi la risposta alla sua domanda, si tirò
su prendendo la borsa e se la portò in spalla. Si avvicinò
a me si fermò a pochi passi, abbassai lo sguardo per non
vederlo.
“Smetterò
di esistere ai tuoi occhi, pur di non farti più male.”
disse.
Gli
occhi mi si gonfiarono di lacrime quando alzai lo sguardo su di lui,
mi stava praticamente dicendo che mi sarebbe rimasto lontano per non
ferirmi.
Ma
provai comunque dolore.
Mi
superò e lo sentii allontanarsi sempre di più. A quel
punto chiusi gli occhi, lasciando che le lacrime scendessero lungo il
mio viso e venissero congelate dal vento. Nemmeno la neve mi aiutò
in quel momento.
Ci
dividemmo le stanze e io scelsi quella più piccola ma più
vicina alla foresta. Katerina, Rebekah e Klaus scelsero le più
grandi, solo io ed Elijah preferimmo la semplicità alla
comodità.
Il
mattino successivo Katerina e Rebekah andarono a fare compere
accompagnate da Elijah, il modo in cui quelle due si fossero rivelate
così affini mi faceva sorridere.
Decisi
di non andare con loro, volevo restare sola e poi ci sarebbe stato
Elijah con loro.
Preferivo
rimanere con me stessa e la mia amica tristezza.
Era
decisamente tardi quando decisi di scendere dal letto, la luce del
cielo si rifletté sul bianco del terreno e rimasi ad
osservarlo per minuti dalla finestra. Poi il mio stomaco mi ricordò
che non potevo nutrirmi solo di rimpianti e scesi le scale per
dirigermi al piano di sotto e far colazione.
Appena
superai l'ultimo scalino, mi accorsi di una porta che si trovava nel
corridoio di fronte, una porta a cui non avevo fatto minimamente caso
la sera prima, troppo impegnata a scacciare la mia malinconia. Mi
avvicinai curiosa e posai la mano sul pomello con l'intento di
entrarvi.
Ma
quella era chiusa a chiave.
“Se
provi ad entrare là, ti stacco le manine.”
Quella
voce mi fece pietrificare, ruppe il silenzio come solo il fautore di
quelle parole poteva fare e mi fece rimanere di sasso. Volsi la testa
verso la soglia del salotto alla mia destra e mi accorsi che Klaus
era seduto su una poltrona accanto al camino con in mano un libro.
La
speranza che lui fosse in giro a fare i suoi porci comodi mi
abbandonò all'istante.
Non
mi guardava, era di profilo e la fiamma del camino creava degli
strani giochi di luce sulla pelle del suo viso.
Sembrava
parecchio concentrato su quello che stava leggendo, eppure una parte
dei suoi sensi si era, come al solito, accorta che stavo facendo
qualcosa che poteva indisporlo.
E
mi chiesi cosa si celasse dietro quella stanza.
Lo
ignorai, non mi andava di stare a litigare anche con lui con quello
che stavo passando. Decisi di voltarmi verso la scalinata e tornare
in camera, preferivo rimanere sola che star con lui.
Ma
Klaus non me lo permise.
“Tu
lo sai che Niklaus si scrive con la “k”, ignorantella?”
disse la sua voce.
Non
afferrai subito il significato di quella parole, mi voltai verso di
lui e mi accorsi solo allora che il libro che aveva tra le mani era
il mio diario.
Definirmi
sconvolta era ben poco, come era riuscito a prendermelo senza che me
ne accorgessi?
Avanzai
velocemente verso di lui e provai a togliergli il diario dalle mani,
ma finii contro la poltrona vuota: Klaus era scattato in piedi con la
sua velocità da vampiro e si stava facendo beffe di me, con un
sorriso sulle labbra.
Camminava
dietro la poltrona, sopra l'enorme tappeto rosso che copriva il
pavimento. Lo sguardo fisso sulle pagine che avrei voluto mantenere
segrete.
Posai
la mani sul sedile della poltrona e cercai di farmi forza per
rimettermi velocemente in piedi.
“Noto
con piacere che sono il protagonista principale del tuo diario. Odi
tutto di me!” ridacchiò Klaus, provai a raggiungerlo di
nuovo ma lui mi diede velocemente le spalle puntò sulla sua
altezza per impedirmi di riprendermi ciò che era mio. Era
davvero bravo a premere sulle debolezze altrui, anche quando voleva
semplicemente divertirsi come un bambino troppo cresciuto.
“Odi
il mio sorriso, odi la mia voce, odi le mie labbra....e persino il
mio naso!” Klaus iniziò a citare delle frasi del mio
diario, mandandomi di nuovo in bestia. Mi tenne lontana con il
braccio sinistro, in modo che lui potesse leggere senza che io lo
intralciassi.
Scomparve
di nuovo rapidamente e per poco caddi a terra perdendo l'equilibrio,
mi trovavo di fronte al camino e le fiamme che ardevano la legna
furono gli unici rumori che si sentivano all'interno della stanza.
Mi
voltai di scatto, quando avvertii una presenza alle mie spalle: Klaus
era a pochi centimetri di distanza da me, sentivo il suo respiro sul
viso e il suo sguardo scavarmi dentro.
Le
labbra erano allargate in una specie di ghigno, con cui voleva
semplicemente provocarmi.
“In
poche parole mi ami.” disse, con una punta di malizia
nella voce che mi faceva salire il sangue al cervello. Le sue
provocazioni diventavano insopportabili, specie se era così
vicino a me. Feci diversi passi indietro e notai che Klaus aveva
nascosto il diario dietro la schiena, in modo che non glielo
togliessi dalle mani.
“Lo
sai che l'odio è il punto che anticipa l'amore?” mi
chiese ancora, sempre con l'intento di sfidarmi e mettermi in
difficoltà.
Ma
che stupidaggine era quella? L'odio è una cosa così
nera che non può trasformarsi nei colori dell'amore. Solo
qualcuno con la mente contorta come quella di Klaus poteva pensare
una cosa simile.
“Altro
che tutte le paroline dolci per mio fratello....” aggiunse poi.
A
quelle parole arrossii come un peperone, mi scagliai di nuovo su di
lui per riprendermi il custode dei miei segreti, ma Klaus continuò
a giocare sporco e si mosse di nuovo velocemente, finendo dietro la
poltrona vicino al camino.
“Dio,
ma sei fatta di zucchero? Mi hai fatto venire qualche malattia al
sangue con tutte queste parole da principessa delle fiabe!”
esclamò.
Corsi
verso di lui, decisi di sfruttare la poltrona per sfidarlo in
altezza: posai i piedi sopra il sedile e cercai di togliergli il
diario dalle mani. Lui sorrise e mi provocò, passando il
diario da una mano all'altra nascondendolo dietro la schiena.
Lo
guardai stancamente, ma aveva cinquecento anni oppure ne aveva solo
cinque? Preferivo quando faceva la parte del vampiro cattivo,
piuttosto che quella parte infantile e fastidiosa che ancora non
avevo imparato ad affrontare.
“Ti
sfido. Vediamo se riesci a riprendertelo.” mi disse lui,
alzando la testa per guardarmi in viso.
Con
un rapido gesto mi anticipò, appena cercai di strappargli il
diario dalla mano sinistra. Lo passò su quella destra con un
agilità nei movimenti che mi mise in seria difficoltà.
Poi
se lo riportò dietro la schiena e mai lo avesse fatto: per
cercare di prenderlo, persi l'equilibrio sulla poltrona e gli finii
addosso.
Per
non cadere a terra e rimanere con i piedi in equilibrio sul sedile,
fui costretta a buttare la braccia attorno al suo collo in un gesto
impulsivo. Il tempo venne congelato dall'imbarazzo di quella
situazione: i nostri visi erano ad un solo misero centimetro di
distanza e le labbra si sfiorarono per qualche interminabile secondo.
Quel piccolo incidente dovette prendere alla sprovvista anche lui,
perchè il suo sguardo divenne stranamente sorpreso da quella
improvvisa vicinanza.
Una
vampata di calore mi investì il viso e mi parve di sentire
solo il mio cuore battere dentro il petto, ero certa che avrebbe
potuto fermarsi insieme al tempo da un momento all'altro.
Ma
perchè solo a me dovevano capitare quelle figuracce? Con lui
poi?
Klaus
mi rise in faccia e abbassò lo sguardo sulle mie labbra,
continuando a sostenermi. “Se volevi saltarmi addosso bastava
chiedere, amore.” disse.
Sapeva
che si era trattato di un incidente ma la sua mente malata doveva per
forza mettermi in difficoltà. Mi morsi il labbro per la rabbia
causatami dal suo sguardo e ne approfittai per riprendermi il diario
che Klaus aveva portato al lato sinistro della sua testa.
Mi
portai indietro con la schiena per tornare in piedi sulla poltrona e
gli strappai letteralmente di mano il diario, lanciandogli poi
un'occhiataccia che a lui fece ben poco.
Scesi
lentamente, cercando di non inciampare sulla gonna e fare magari
un'altra figuraccia. Ci mancava un po' di imbarazzo nei colori tetri
della mia tristezza, mi strinsi il diario al petto come sentendomi
violata di qualcosa di troppo intimo per poterci passare sopra.
Klaus
rise e camminò di qualche passo verso la soglia della porta.
“Non mettere quel broncio. Diciamo che volevo solo prendermi
un'altra mia piccola vendetta.” mi disse, prendendo un mantello
dall'armadio a muro alle sue spalle. Lo guardai con tutta la rabbia
che potevo covare dentro e non mi accorsi nemmeno che mi aveva
lanciato un mantello, lo lasciai cadere a terra.
“Vestiti,
andiamo a fare un giro.” mi disse, cogliendomi di sorpresa.
E
ora dove voleva portarmi? Lo guardai con aria confusa, mentre si
sistemava il suo mantello sulle spalle. Lui ricambiò il mio
sguardo come se lo stessi fissando come una stupida.
“Little
sweetheart..” disse, odiavo quando mi chiamava in quel
modo. “Io qui da sola a confabulare con te stessa non ti
lascio. Perciò...mettiti quel mantello e seguimi se non vuoi
farmi arrabbiare. Ho anche un po' fame sai?”
Le
sue minacce nascoste mi spaventavano peggio di quelle dirette,
deglutii e presi il mantello da terra. Che potevo fare se non
seguirlo?
Non
capii dove voleva condurmi Klaus, ma ero semplicemente certa che non
volesse farmi fuori. Probabilmente voleva davvero solo andare da
qualche parte e impedirmi di fare danni mentre ero sola a casa,
magari curiosando in quella piccola stanza in cui mi aveva intimato
di non entrare.
Quando
avrebbe capito che tutti i miei pensieri non ruotavano attorno a lui?
“Accelera
il passo, ragazzina. Sei una palla al piede, sai?” disse, con
la sua solita voce a dir poco fastidiosa. Camminava a pochi passi da
me, avrei voluto ricordargli che quel percorso che stavamo prendendo
era in discesa e ricoperto di neve, di certo non era d'aiuto ad una
persona goffa come lo ero io. Quindi, Klaus doveva solo armarsi di
pazienza e non rimproverarmi ogni singolo movimento.
Per
combattere la tensione, avevo raccolto un ramo da terra, con cui
colpii gli alberi che si susseguivano in serie affianco a noi.
Klaus
invece si muoveva con un'agilità e una leggiadria quasi pari a
quella di Elijah. Non indossava il cappuccio a differenza mia,
portava i capelli raccolti in una coda di cavallo che gli metteva in
risalto il viso.
Si
girò verso di me, quando si accorse che la distanza tra noi
era aumentata. Ma la strada era impercorribile e io avevo il fiatone.
“Posso
dirti una cosa?” mi disse, quando finalmente giunsi al suo
fianco.
Lo
guardai stupita, da quando si poneva delle questioni sul dirmi
qualcosa? Lui apriva sempre la bocca per dargli fiato e dalle sue
labbra non uscivano mai delle cose carine. Analizzai il suo sguardo,
scostando di poco il tessuto del cappuccio dai miei occhi in modo che
potessi guardarlo meglio. Decifrare l'emozione nascosta nel suo
sguardo, mi sembrò a dir poco impossibile.
“Quello
che c'è tra te e mio fratello, qualsiasi cosa essa sia...”
riprese a parlare lui, quando riprendemmo a camminare l'uno affianco
all'altra. Dalle nostre bocche uscivano delle nuvolette di vapore che
poi scomparivano nel vento, intanto continuavo a lasciar scorrere il
bastone tra i tronchi degli alberi alla mia sinistra. La neve cadeva
dolcemente su di noi, alcuni fiocchi mi finirono sul viso per poi
sciogliersi sulla mia pelle.
Mi
chiesi dove volesse arrivare Klaus parlando di quello che c'era
tra me ed Elijah. Non sapevo se lui sapesse del nostro breve
preludio di qualche giorno prima. Era chiaro che avesse capito che
provassi qualcosa per suo fratello, visto il modo in cui aveva messo
il naso nel mio diario, ma non ero certa che sapesse che, per un
breve periodo, forse era stato ricambiato.
“Sembra
una favola.” sussurrò e per un attimo mi parve di non
trovarmi con Klaus.
Lui
guardava fisso davanti a sé e non si accorse di come le mie
labbra si fossero allargate in un lieve sorriso, di fronte ai ricordi
di quella che effettivamente era stata una favola per me.
“Una
specie di dolce ninnananna che ti accompagna nel mondo dei sogni..”
continuò lui, ogni singola parola accrebbe il battito del mio
cuore. Erano parole dolci, che non mi sarei mai aspettata di sentir
pronunciare da lui e che mi facevano vagare con la mente verso quei
momenti che, per me, erano stati davvero bellissimi.
“Una
bugia.”
I
ricordi s'interruppero di colpo con l'arrivo di quella cruda
affermazione.
Smisi
di camminare e guardai l'artefice della fine della mia momentanea
fantasia con una punta d'odio. Klaus si fermò a pochi passi da
me e mi sorrise, ricordandomi che lui era presente nella mia vita
solo per ferirmi.
“Le
favole sono bugie, Irina. Sogni spezzati che la mente ti concede per
sfuggire alla cruda realtà.” disse, lasciò poi
che il silenzio accrescesse la meschinità di quella realistica
convinzione.
Odiavo
come pronunciava la parola bugia, come se fosse una spada da brandire
e puntare contro di me. Lui amava ferirmi, non ne capivo il motivo ma
lui sembrava trarne davvero molto piacere nel farlo.
Era
come una droga per lui: più soffrivo, più lui era
felice.
Però,
in quel caso, stava gioendo per qualcosa di maledettamente vero,
almeno dal punto di vista cinico di una persona come lui. Klaus stava
parlando di una cosa che non aveva sperimentato.
E
se io volevo credere nelle favole, ci avrei creduto e basta.
“L'amore
vero, Irina, è quello che si vive quando ti batte il cuore.”
continuò Klaus, infierendo come solo lui poteva fare. “Noi
siamo come ibernati, i vampiri non provano più amore o
qualsiasi sentimento tu voglia da Elijah.”
Abbassai
lo sguardo, volevo gridargli di stare zitto ma dubitavo che, in quel
caso, mi avrebbe comunque dato retta. Lui voleva vedermi soccombere
pezzettino per pezzettino, voleva vedere il sangue uscire dal mio
cuore mentre pronunciava quella parole.
Con
la coda dell'occhio, lo vidi scuotere la testa. “Lui ha amato
quando era umano, quando il suo cuore pulsava e quando il suo corpo
desiderava calore. Quello è stato il vero e unico amore della
sua vita.” continuò, facendomi seriamente male.
In
quel momento dovevo essere il riflesso della gelosia, non ero così
stupida da pensare che Elijah non avesse avuto altre donne prima di
me, solo che avevo deciso di allontanare il più possibile da
me quella convinzione. Non volevo di certo pensare alle donne di cui
era stato innamorato, non ero così masochista.
Ma
Klaus aveva ragione, il vero amore è sempre il primo e se
Elijah lo aveva vissuto da umano, quello che provava per me non era
nulla a confronto. Mi sentii morire dentro, mille vortici si
scontrarono all'interno del mio petto, scontrandosi con le pareti del
cuore.
Klaus
fece un altro passo verso il mio corpo, si piegò su di me in
modo che i nostri visi fossero alla stessa altezza.
Con
prepotenza, mi costrinse a guardarlo, gli bastò un solo
respiro per farmi cedere.
“Visto
di cosa parlavo? Dov'è la favola qui?” sussurrò,
le sue parole sembravano taglienti come lame. “Non credere di
essere l'unica, tesoro. Tu ti spegnerai, come tutte del resto, per
poi lasciare posto ad un'altra fiamma.”
Lo
guardai negli occhi, dove trovava tutta la forza di essere così
meschino? Sapeva sempre dove colpire, con forza e irruenza, facendo
male con delle semplici parole che qualcuno con un po' di cuore non
sarebbe capace di fare.
“Prendilo
come un buon consiglio” aggiunse, le prime parole di un epilogo
che avrebbe posto fine alla mia tortura. “Non vorrei che la
delusione ti uccidesse prima del tempo dovuto.”
Le
ultime parole furono un ringhio, emesso per infierire il colpo
finale.
E
io non mi trattenni: con la mano libera lo colpii al volto, godendo
del fatto che non si aspettava minimamente di ricevere un altro
schiaffo da me.
Ma,
come lui diceva sempre: tu ferisci me, io ferisco te.
Anche
se dubitavo che gli avessi fatto male, almeno mi ero sfogata un po'.
“Fallo
di nuovo e te ne faccio pentire.” mi minacciò, dopo
essersi passato una mano sopra le labbra, come per infondersi la
calma necessaria per non reagire al mio gesto.
La
cosa non fece che accrescere la mia rabbia e lo sfidai: lasciai
il ramo a terra e alzai di nuovo la mano per colpirlo in viso,
con tutta la poca forza che mi era rimasta a causa del freddo, ma lui
mi anticipò.
Mi
strinse il polso e mi spinse contro un albero alle mie spalle.
Chiusi
gli occhi quando lui si avvicinò come solo un vampiro sapeva
fare e si parò davanti a me.
Sentivo
il suo respiro sul mio viso, freddo come il vento che soffiava su di
noi e il cuore iniziò a battermi all'impazzata. “Come
puoi odiare me ma non te stessa?” mi chiese.
Aprii
gli occhi ma non li puntai su di lui. Klaus era bravissimo a passare
da un argomento all'altro con una velocità disarmante, ma
toccava sempre argomenti che mi ferivano.
Elijah
mi feriva in quel momento e lui lo sapeva bene.
“E
guardami quando ti parlo.” Mi posò la mano sotto il
mento e alzò la mia testa in modo che i nostri occhi si
guardassero. Eravamo a pochissimi centimetri di distanza, chiunque ci
avesse visto da lontano in quelle posizioni avrebbe probabilmente
pensato che ci amassimo.
In
realtà invece ci odiavamo troppo invece.
“Ti
rendi conto del male che hai fatto a mio fratello lasciandolo
affezionare a te? Il male che fai a tua sorella mentendole in quel
modo? Hai provato anche a fare del male a me, ma ti è andata
male.” continuò a dire lui, il suo sguardo non riuscì
a sostenere il mio e ogni tanto si abbassava in un punto indefinito
del mio volto. Quelle parole mi fecero mancare il respiro, perchè
Klaus aveva il dono di dire le cose più vere nella maniera più
cruda possibile. E faceva male, mi faceva sentire un mostro ed era
quello l'obiettivo del vampiro.
“Io
almeno non indosso una maschera da angioletto come fai tu.”
continuò Klaus, avvicinò il viso al mio e sibilò
le parole seguenti, soffiando sulle mie labbra. La sua mano
continuava ad impedirmi di muovermi. “Te l'ho detto già
una volta. Odiami pure per non odiare te stessa, ma il male che fai
tu alle persone che ami non lo so fare nemmeno io probabilmente.”
Restammo
a guardarci per un po', i suoi occhi mi inchiodarono come se fossero
lame di due spade. Come potevo dargli torto? Il male che avevo fatto
ad Elijah era superiore rispetto a quello che mi stava facendo lui,
poiché voleva solo proteggermi.
E
le bugie che dicevo a Katerina non dovevano nemmeno esistere tra noi,
visto quanto le volevo bene. Ero davvero peggio di Klaus? Decisi di
non darmi una risposta, perchè ne avevo paura.
Klaus
mi lasciò improvvisamente e tornai a sentire freddo, lo
osservai allontanarsi a passi svelto e in quel momento lo odia più
di quanto avessi fatto.
Lo
odiai, perchè solo lui mi faceva rendere conto del mostro
che ero.
Giungemmo
nel centro del villaggio, di fronte a quella che sembrava una
locanda, uno di quei tipici posti dove gli uomini giungevano per
ubriacarsi e festeggiare il nulla per tutta la notte.
Klaus
mi parlò solo per dirmi che la sua amica era proprietaria di
quel posto, poi non ci guardammo più in faccia fino a quando
non giungemmo di fronte all'entrata.
A
quell'ora della mattina la locanda era praticamente vuota, eccetto la
presenza di un uomo di stazza più che robusta con la testa
poggiata sul bancone e la mano che circondava un bicchiere mezzo
vuoto. Sembrava come se il liquore o qualsiasi altro liquido si
trovasse in quella prigione di vetro fosse rimasto là per ore.
Quando
entrammo, Klaus si chiuse la porta alle spalle con forza, svegliando
così il ciccione addormentato che, appena mi vide, biascicò
qualcosa che doveva essere una specie di complimento. Io lo ignorai,
Klaus no e lo guardò con sfida, in una maniera che avrebbe
fatto rabbrividire chiunque.
“Vuoi
che ti strappi le budella, grassone?.” lo minacciò, gli
puntò il dito contro e per un attimo pensai che volesse
ucciderlo in quel momento.
Parlava
proprio lui che era la finezza fatta a persona, la discussione di
poco prima ne era la prova.
Il
ciccione rise e si ribaltò nuovamente sul bancone, diedi un
colpetto sulla spalla di Klaus e gli feci segno di lasciarlo perdere.
Ci mancava solo l'omicidio del giorno per completare la giornata.
“Siediti
qui vicino a me e stai ferma.” mi ordinò Klaus, appena
giungemmo al bancone.
Si
sedette su uno degli alti sgabelli e mi indicò la sedia alla
sua sinistra, dalla parte opposta all'ubriacone che stava ancora
parlando all'aria. Obbedii senza troppi preamboli e mi guardai
attorno: la locanda non era molto grande, c'erano pochi tavolini in
legno dalla forma circolare, le pareti erano grigie e buie e su
quella alle mie spalle c'era un quadro che stonava nel grigio di quel
luogo.
Rappresentava
un giardino fiorito, mi sembrava di vedere il vento che muoveva quei
fiori rosa che quasi toccavano il cielo. Era così reale che mi
mancava solo sentire il loro profumo per potermi completamente
immergere in esso.
“Ti
piace?” mi chiese Klaus cogliendomi di sorpresa. Mi voltai
verso di lui e notai che aveva voltato la testa verso il quadro e che
anche lui lo stava osservando attentamente.
Mi
parve alquanto strano che mi ponesse una domanda così
semplice, se mi parlava era solo per minacciarmi o per confondermi
con i suoi giochi di parole. Poi che gli importava? Era così
vuoto che dubitavo potesse capire la bellezza di quel quadro.
Annuii,
non trovando il significato nascosto in quella semplice domanda.
Klaus non disse nulla, era rimasto colpito da qualcosa che era
rimasto nel mio sguardo dopo aver visto quel quadro.
“Niklaus!”
esclamò una voce alle mie spalle e mi voltai.
Una
ragazza bellissima, probabilmente sui venticinque anni era appena
uscita dalla porta sul retro del locale e guardava Klaus.
Era
visibilmente alta, lunghissimi capelli neri le circondavano il viso
che sembrava fatto di porcellana. Gli occhi erano grandi e di un
colore che tendeva al grigio-marrone, le labbra erano rosse e larghe
in un sorriso carico di malizia. Indossava un vestito nero, con una
scollatura sul petto che mi faceva venire i brividi di freddo solo a
guardarla..
Appena
vide la ragazza, Klaus allargò le labbra in un sorriso.
“Diana, ti sono mancato?” le chiese, con voce suadente.
Alzai
impulsivamente le sopracciglia di fronte a quelle parole dettate con
quella voce che non aveva mai usato prima, mi voltai poi verso Diana
che si morse le labbra maliziosamente di fronte al viso di Klaus.
Corse
verso di lui e gli si sedette sulle ginocchia, coprendomi la visuale
del viso del vampiro. Gli cinse le braccia attorno al collo e si
dondolò sopra la sua gamba con fare a dir poco malizioso.
Quella
scena mi fece quasi vomitare. Klaus faceva tanto il superiore, ma gli
bastava poco per rincretinirsi dietro alla prima gonna che vedeva.
Non l'avrei detto, ma era così.
“Oh
Nik...ogni volta che ti vedo, pensieri a dir poco perversi mi
attraversano la mente....” disse Diana, facendo scorrere la
mano sopra il petto di Klaus. Un sorriso compiaciuto apparve sul viso
del vampiro e io mi chiesi cosa ci trovassero tutte di così
bello in lui.
Forse
io odiavo ogni singolo aspetto del suo viso e quindi non potevo
essere obiettiva.
“Conieranno
prima o poi un termine per definire quanto sei sensuale e
affascinante?” chiese ancora Diana, aveva la voce
fastidiosamente nasale, attenuata dal fatto che parlasse in quel modo
così lento e provocante.
“Oh
tesoro, il mio nome racchiude entrambe quelle due caratteristiche.”
rispose Klaus, più presuntuoso del solito.
Alzai
gli occhi al cielo, vedere un Klaus così scontato mi lasciò
senza parole.
Possibile
che solo con me di dimenticasse di cosa significava essere gentile?
Abbassai lo sguardo sulla mano che il vampiro teneva posata sul
ginocchio di Diana e alzai di nuovo un sopracciglio.
Ero
invisibile ai loro occhi e tale rimasi per molto tempo.
Poi
Diana si accorse che non c'erano solo i pettorali di Klaus da
accarezzare, la mia presenza dovette attirare la sua attenzione in
qualche modo.
“Oh
è chi abbiamo qui? La tua nuova fidanzata?” disse, la
sua voce era insopportabile. Non poteva essere così al
naturale, era lei che la camuffava per renderla sensuale e
accattivante. “Complimenti, molto carina davvero.”
Io
e Klaus ci lasciammo andare ad una risata nervosa.
“Ma
per carità!” esclamò lui, lanciandomi un'occhiata
tra il disgusto e il divertito.
Serrai
la mascella, avevo pensato le stesse parole nel medesimo momento in
cui lui le aveva pronunciate. Comico che, almeno su una cosa, eravamo
d'accordo.
Diana
rise. “Honey, si sa che adori ciò che disprezzi.”
gli disse, restò seduta sulle sue gambe e fece scorrere le
mani sulle larghe spalle di lui. Klaus le lanciò
un'occhiataccia di fronte a quelle parole, tanto che la mora distolse
lo sguardo da lui e lo posò su di me.
“Come
ti chiami, piccolina? Io sono Diana e scommetto che non hai mai visto
una strega più bella di me.” mi domandò,
tirandosi un po' indietro e lasciando oscillare i capelli corvini
sulle spalle. Alle orecchie aveva dei vistosi ed enormi orecchini che
i capelli avevano tenuto nascosti fino a poco prima.
Viva
la presunzione, pensai. Quei due raggiungevano l'apice della
superbia.
Odiavo
le presentazioni, visto che mi era difficile farle. E dubitavo che
potessi contare sull'aiuto di Klaus, lui ci godeva nel vedermi in
difficoltà.
Ma
poi quella tipa non poteva scendere dalle gambe di Klaus? Mi
risultava un po' difficile non guardarla in quel modo, mentre
provocava il ragazzo con le sue mani affusolate.
“Devi
essere Irina Petrova, la piccola ragazza muta. Elijah mi ha parlato
molto di te nelle sue lettere.” aggiunse poi Diana e una fitta
al cuore mi prese.
Elijah
conosceva quella ragazza? Era vero che mi aveva già detto di
conoscere l'amica di Klaus, ma in quel momento volevo che mi avesse
detto quanto fosse bella in realtà.
Me
la immaginai vicino a lui e li trovai fastidiosamente bene insieme.
Lei
era bella, lui era bellissimo e trovavo quella parola alquanto
riduttiva nel suo caso...poi m'immaginai io accanto ad Elijah e mi
trovai alquanto fuori luogo.
Non
avevo mai fatto caso a quanto fossi gelosa perchè non
mi si era mai parata davanti l'opportunità di esserlo. Elijah
mi aveva insegnato anche cos'era quel mostriciattolo che s'insinua
nella mente e nel cuore chiamato appunto gelosia.
Ed
era patetico essere gelosi del nulla, Elijah non mi era mai
appartenuto.
Klaus
si accorse di quella mia debolezza, come le comprendeva lui le mie
debolezze non lo faceva nessuno e decise di marciarci un po' su.
“Tu
ed Elijah sempre ottimi amici, eh?” le chiese, mi lanciò
poi un'occhiata per verificare la mia scontata reazione a quelle
parole. Aveva appena sperimentato la Irina gelosa e sembrava goderne.
“Eh
già, ho sempre adorato quella statua di marmo.” rispose
Diana e fui tentata dall'alzarmi ed andarmene. “Per questo sto
facendo quello che mi avete chiesto. Non posso resistervi e mi
sono mobilitata quindi per scoprire cosa si nasconde dietro
l'angioletto bulgaro. Per ora però non ho nulla.”
Lanciò
un'occhiata complice a Klaus, lui sembrò un po' irritato da
quelle parole poco misteriose e capii che anche lui aveva chiesto a
quella Diana di occuparsi della mia “faccenda”.
Ma
ero certa che lo avesse fatto solo perchè voleva liberarsi del
problema che gli avevo procurato.
“E
la mia pietra? Hai detto che l'hai trovata no?” Il vampiro
cambiò prontamente discorso e posò lo sguardo sulla
strega che continuò a restare seduta sulle sue gambe.
“Se
mi dici così, posso pensare che non te ne importi molto di
vedermi, caro.” rispose Diana, apponendo un finto broncio sulle
sue labbra scarlatte. Klaus però non era più in vena di
farsi ammirare ed era passato ad un'altra emozione che conoscevo
bene: l'irritazione.
Almeno
non ero solo io a procurargliela.
Diana
sbuffò e si alzò in piedi. “Sono molto vicina a
trovartela, stai calmo. Devi attendere ancora un po'.” gli
disse, portandosi le mani sui fianchi stretti e piegando la testa da
un lato.
A
Klaus non piacque quella risposta, i suoi piani non erano andati come
voleva e allora la cosa lo aveva parecchio indisposto. “Ho
preparato armi e bagagli e tu ancora non ce l'hai?” la
rimproverò.
Diana
sbuffò stancamente. “Abbi un po' di pazienza, hai
aspettato per cinquecento anni e non puoi aspettare per un paio di
giorni?” gli chiese. Klaus abbassò lo sguardo e si
sforzò di restare calmo. Quanto voleva compiere
quell'incantesimo lo sapeva solo lui.
Sbuffò
e capii che era arrivato al capolinea.
“Andiamo
Iry, non ho ottenuto quello che volevo. Alzati da quella sedia e
muoviti.” mi disse, scattò in piedi battendo un pugno
sul bancone. Lo guardai, allibita dai suoi continui sbalzi di umore
da pazzo quale era. Passava da un emozione all'altra in una maniera a
dir poco impressionante e che ancora mi spiazzava.
Scesi
dallo sgabello con un salto, tanto che per poco inciampai sui miei
stessi piedi.
Diana
guardò Klaus scuotendo la testa, dovevamo pensare la stessa
cosa in quel momento.
Il
vampiro intano era già uscito dal locale senza aspettarmi, da
uomo educato quale era.
“Piacere
di averti conosciuta, Iry.” si voltò verso di me e mi
riservò un largo sorriso.
Tese
la mano verso di me, come se volesse chiedermi di stringergliela e
così feci, nonostante mi stesse un po' antipatica a pelle.
A
quel punto, quando le nostre mani si strinsero, lei sbarrò lo
sguardo sconvolta e la ritrasse prontamente. La guardai con il
batticuore, mentre faceva un passo indietro senza smettere di
guardarmi negli occhi.
Come
se fossi un mostro.
Osservai
il modo in cui alzava e abbassava il petto per respirare e mi
capacitai solo poco dopo che ero il il soggetto del suo terrore. Una
parte di me stava ordinandomi di non crederci.
“Oh
mio dio, ho visto...” si bloccò, come se la parola che
stava per pronunciare spaventava persino lei.
Mi
ritrovai a tremare come una foglia, mi sentivo la pelle attraversata
da lunghi e intensi brividi gelidi che arrivavano poi al cuore. La
vista si fece tremante di fronte a quegli occhi scuri sbarrati in
quel modo. Era quello il terrore che causava un mostro?
“Sei...tu
sei maledetta.” disse ancora lei, con voce flebile.
Quelle
parole mi infierirono un duro colpo, feci un passo verso di lei e
cercai di chiederle cosa avesse visto. Ma Diana si ritrasse, come se
temesse che il mio solo respirare potesse di nuovo rievocare in lei
la paura che avevo fatto scoppiare poco prima.
“Te
ne devi andare.” mi disse e prima che potessi in qualche modo
controbattere, camminò via e si diresse verso la porta che
conduceva al retro del locale.
Si
chiuse la porta alle spalle, sbattendola con violenza. Il rumore di
qualcuno che fugge risuonò dentro le pareti di quel locale,
tanto che persino l'ubriaco a pochi passi dalla mia schiena si
svegliò di soprassalto dal bancone.
Mi
ritrovai con il mio unico respiro a farmi forza e poi, con la mente
priva di pensieri, mi diressi verso l'uscita. L'attanagliante
immagine di Diana che mi guardava come se fossi un mostro non
l'avrei mai dimenticata.
Mi
odiai per quello che stavo facendo ma non ce la facevo più.
Rifiutai
la cena fingendomi malata e sperando di riuscire a cancellare la
pesante ombra degli occhi di Diana su di me. Ma ero debole e da sola
non ce l'avrei mai fatta.
A
notte fonda, bussai tre volte alla sua porta. Qualcosa mi diceva che
anche la sua anima non si era addormentata perciò non aspettai
nemmeno di avere il suo permesso per entrare: Elijah era seduto sul
bordo del suo letto e sembrava stesse leggendo un libro.
Appena
mi vide sulla soglia della porta, mi guardò un attimo sorpreso
e poi scattò in piedi.
Era
visibilmente allarmato dalle mie lacrime che scendevano copiosamente
sulle mie guance le vedeva indistintamente nonostante la stanza fosse
illuminata da un'unica candela sul comodino accanto al letto, la cui
luce si rifletteva debolmente sulle pareti di quell'umile camera.
“Irina,
cos'è successo?” mi domandò, lasciò cadere
il libro sul letto e si avvicinò a me. Chiuse la porta alle
mie spalle e mi condusse verso una poltrona accanto al letto, lui si
sedette sul bordo del materasso di fronte a me e mi accarezzò
il viso con una mano.
Malgrado
gli avessi chiesto di non esistere per me, io proprio non ce
la facevo a stare senza di lui. Ormai lui era parte di me, era
l'unico che poteva darmi forza e allontanare le ombre da me.
Continuavo
a piangere come una bambina, mi mancava il respiro e i miei occhi
piangevano anche per il dolore che le lacrime dovevano procurare
loro.
“Irina,
ti prego. Dimmi cosa ti è capitato.” mi chiese lui.
“Ho
paura di me stessa.” Mossi le labbra nel silenzio delle
mie lacrime e sperai che lui mi comprendesse. Dopo un attimo di
smarrimento, lui le osservò muoversi e si chiese probabilmente
cosa avesse fatto nascere quella paura in me.
“Di
che parli?” mi chiese. “Perchè dici così?”
Come
potevo dirgli quello che era successo? La sua mano continuò ad
asciugare le mie lacrime, impedendo loro di macchiarmi il viso con la
loro maledetta presenza.
“Sono
un mostro.” dissi e volevo tanto gridarlo, lasciar
esternare quel dolore che mi stava uccidendo dentro, qualcuno doveva
spiegarmi cosa avevo di sbagliato in me.
Ma
non potevo, non mi era consentito nulla in quella mia banale vita?
“Come?
No, tu non sei un mostro. Non devi nemmeno pensarlo!” Elijah mi
prese il viso tra le mani e mi costrinse a guardarlo. “Io so
riconoscere un mostro e tu non lo sei, Irina!”
Ma
come poteva dirlo? Lui non aveva visto il modo in cui mi aveva
guardato quella donna.
Lui
stesso mi aveva lasciata perchè ero qualcosa di spaventoso ai
suoi occhi, un mostro che voleva il suo amore ma non poteva ottenerlo
perchè non gli era consentito.
Non
volevo più sapere perchè Bell mi voleva, non
volevo scoprire cosa si celava in me.
Mi
sentii svenire, malgrado stessi guardando i rincuoranti occhi di
Elijah.
Allontanai
le sue mani e m'inginocchiai di fronte a lui, gli cinsi i fianchi con
le braccia e posai la testa sul suo petto, affondai il viso sul suo
petto e mi lasciai andare alle lacrime.
Lui
s'irrigidì, come se quel gesto lo avesse colto di sorpresa.
Era sbagliato infatti, dopo tutto quello che ci era successo in pochi
giorni.
Ma
io avevo bisogno di lui, avevo bisogno della sua luce al mio fianco
per concedermi di andare avanti altrimenti non ce l'avrei fatta.
Ormai lui era il mio sole di giorno e la mia luna di notte, senza la
sua rincuorante presenza, non potevo far altro che soccombere.
Non
avevo nessuno che potesse aiutarmi, se non lui.
Privami
del tuo amore, ma concedimi il tuo abbraccio.
Purtroppo
non avevo orgoglio, non avevo dignità ma avevo bisogno di lui
e quella cosa non la potevo combattere.
Come
se percepisse quel mio pensiero, lui mi accarezzò i capelli
dolcemente e lasciò sfogarmi tra le sue braccia. Non c'era
rabbia o delusione che potessi provare per lui in quel momento.
Il
suo respiro tra i miei capelli era l'unica forza di cui avevo
bisogno, per fronteggiare l'oscurità che sembrava circondarmi.
Perchè ero così debole da non poter sconfiggere la
paura di me stessa? Mi resi conto che fino ad allora avevo avuto la
presunzione di essere forte, ma non lo ero mai stata: Elijah era
stato forte per me, io non ero nulla.
“Andrà
tutto bene, Irina. Risolveremo tutto” Elijah continuò ad
accarezzarmi i capelli con una dolcezza unica, per tutto risposta io
gli stavo macchiando la camicia con le mie lacrime. “Nella vita
ci si trasforma sempre e diventare mostri è una scelta, non un
obbligo. Io lo so perchè sono diventato un mostro e il male
che ti sto tutt'ora facendo ne è una dimostrazione.”
Aprii
gli occhi e rimasi a fissare un punto indefinito vicino a me, Elijah
continuava a infondermi forza con la sua mano tra i capelli.
“Scegliere di diventare mostri è più facile, si
da sfogo ai propri istinti e si rintanano le paure in un angolo buio
del proprio cuore in modo da non fronteggiarle. Essere angeli è
più difficile, fare del bene quando intorno c'è solo
male è una cosa che non tutti possono fare. Ma tu sei uno dei
pochi angeli che ho incontrato nella mia lunga vita. E ti ammiro più
di quanto tu creda...”
Rimasi
in silenzio, con l'orecchio posato sul suo petto e mi parve quasi di
sentire il battito del suo cuore. Come riusciva a far fare quei balzi
al mio cuore con poche parole?
“L'unica
persona di cui non devi mai avere paura sei proprio tu.”
A
quelle parole, piansi più intensamente e affondai di nuovo il
viso sul suo petto.
Persi
il conto dei minuti in cui restammo in quella posizione.
Ero
sicura che all'alba del giorno dopo sarebbe tornato tutto come prima,
ci saremo separati di nuovo per non ucciderci a vicenda.
Ma
quella notte non potevamo arrecarci alcun danno: grazie al male che
ci stavamo facendo in quell'abbraccio, allontanammo la paura che
entrambi provavamo per noi stessi.
E
sconfiggemmo le ombre che attanagliavano le nostre anime.
Ciao
a tutti! :)
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Mi
rendo conto che con molto probabilmente ho toccato l'apice della noia
stavolta e che Irina ha pianto più in questo capitolo che nei
precedenti....ma ho voluto concentrarmi per lo più
sull'introdurre la nuova ambientazione e per descrivere i sentimenti
della protagonista di fronte alla sua situazione. E mi auguro di
esserci riuscita, anche se non ne sono sicura.
Nel
prossimo ci sarà già il primo risvolto nella faccenda
di Bell e ci sarà un po' più di azione, lo prometto! :P
Che
ne pensate del personaggio di Diana? Non che si sia mostrata tanto
alla fine, ma nei prossimi capitoli sarà molto più
presente.
Vi
posterò una sua foto alla fine delle mie noiose note d'autrice
e sono sicura che chi guarda “The Secret Circle” mi
premierà per la mia innata originalità! xD
Concludo
come sempre con i ringraziamenti, che non mi stancherò mai di
fare: ringrazio tutti coloro che leggono questa storia, sia i lettori
silenziosi che coloro che lasciano i loro bellissimi commenti.
Ringrazio
anche coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite,
preferite e ricordate. Grazie mille davvero! :)
Buon
pomeriggio a tutti voi! ^^
|
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Capitolo 17 *** Rainbow In The Dark ***
-Rainbow
In The Dark-
Guardavo
la neve cadere silenziosa, fuori dalla finestra della mia camera.
Come
potevo essere un mostro se non riuscivo a distogliere lo sguardo da
quello spettacolo?
Come
potevo essere un mostro se sentivo il mio cuore piangere sangue al
pensiero di quella parola? Provai a convincermi in tutti i modi di
non esserlo: qualcuno che si reputa un mostro non è tale, un
vero mostro non trova l'oscurità in sé, non si accusa
da solo di essere uno scherzo della natura.
Io
riuscivo a trovare il buio in ogni angolo nascosto della mia essenza,
quindi non lo ero forse.
Non
era la prima volta che mi definivo con quella parola, sperando di
cogliere qualcosa in me che mi facesse credere il contrario. Mio
padre mi considerava un mostro, un disonore ambulante, secondo lui la
vita che mi era stata data non era un dono, ma un errore commesso da
qualche forza superiore. Dio, gli angeli o chiunque guidasse le leggi
del mondo doveva aver compiuto uno sbaglio permettendomi di camminare
su quella terra che non doveva accogliermi.
Non
l'avevo mai pensata come lui, mi consideravo troppo piccola per
l'universo ma non mi ero mai considerata davvero un mostro. Ma, in
quel momento, non sapevo proprio cosa pensare.
Rimasi
dall'albeggiare di quella triste giornata ad osservare la neve
cadere, ogni tanto quei piccoli fiocchi la smettevano di colorare di
bianco la terra.
Si
concedevano una tregua, per poi riprendere a cadere pochi minuti
dopo.
Katerina
era là fuori, intenta a creare un pupazzo di neve con un
sorriso gioioso sulle labbra.
Fu
la sua l'immagine su cui mi focalizzai per sentirmi meglio, per
pensare che non avevo ancora perso tutto di me stessa. Dopo Rose,
Klaus, Elijah avevo perso anche la convinzione di meritare i colori
dei sentimenti della vita, positivi o negativi che fossero.
Mi
arresi, non mi andava più di pensare alle parole di Diana e
volevo prendere in mano le redini di quella mia giornata. Dovevo pur
fare qualcosa che mi tenesse distratta e che la smettesse di farmi
autocommiserare.
Scesi
al piano di sotto, superando lentamente gli scalini mentre la mia
mente lottava per trovare un appiglio a cui aggrapparsi, per non
pensare a tutto il dolore che sentivo.
Alzai
lo sguardo, quando avvertii un rumore e vidi Klaus di fronte a me,
mentre usciva da quella strana stanza in cui non voleva che mettessi
piede. Si voltò verso di me e ci guardammo per qualche
istante, accelerai allora il passo per superarlo e svoltare alla mia
sinistra, dove si trovava la porta d'uscita.
“Buongiorno.”
La
sua voce, quella voce che avevo conosciuto solo nei colori delle sue
minacce, mi salutò.
Rimasi
per un attimo immobile, con lo sguardo verso la porta e pensando che
mi fossi sbagliata.
Mi
voltai poi verso di lui, non ricordavo che ci fossimo più
salutati da quando lui aveva dato inizio al suo teatrino di malignità
nei miei confronti: io non volevo essere educata con lui e lui, di
rimando, non sentiva più il bisogno di fingere certi
convenevoli con me.
In
quel momento non mi stava sorridendo com'era solito fare, si limitò
a guardarmi in silenzio e non parve stupito di vedere il mio sguardo
interrogativo. “Dormito bene?” mi chiese poi.
No.
Non avevo dormito bene, ma a lui non doveva importare.
Si
portò le mani dietro la schiena e fece dei passi verso di me.
“Non hai una bella cera.” disse ancora, sempre con voce
stranamente normale. Non mi andava di farmi ricordare da lui quanto
fossi terribile, feci per voltarmi e andarmene ma le sue parole mi
richiamarono di nuovo.
“Puoi
parlarne anche
con
me sai?”
Mi
arrestai di nuovo, valutando attentamente il significato delle sue
parole. Sapeva ciò che mi aveva detto Diana? Quel anche
significava che sapeva che mi ero sfogata con Elijah?
“Da
quel punto di vista, io ti posso capire meglio di lui. Credimi.”
aggiunse ancora e lo guardai. In effetti lui era doveva sapere cosa
significava sentirsi un mostro,
il modo in cui Diana mi aveva guardato doveva essere lo stesso che
assumevo sempre io di fronte a lui.
Klaus
posò la spalla sulla parete alla nostra destra e si strinse le
braccia al petto. Mi sorrise, un sorriso che probabilmente serviva a
rincuorarmi. “Qualsiasi cosa Diana abbia visto si sbaglia. Tu
non sei un mostro.” mi disse, restai a fissarlo in silenzio ma
attenta ad ogni suo singolo piccolo movimento.
“Credi
nelle fiabe no?” mi disse ancora. “Nelle fiabe i mostri
fanno paura, terrorizzano e uccidono. Tu non fai nessuna di queste
tre cose. Per te sono già io quel mostro.”
Lo
guardai incredula, in quel frangente abbassò per un attimo lo
sguardo e sembrò rabbrividire nel pronunciare quell'ultima
parola. Non seppi cosa pensare, un mostro non sa di essere tale e se
lui si vedeva in quella vesti, allora non poteva esserlo veramente.
Fingeva
di esserlo, perchè la maschera da cattivo era sempre la più
facile da indossare probabilmente.
Odiare
è più semplice che amare: se l'odio è
corrisposto o meno non cambia nulla, se l'amore non è
corrisposto invece logora,
distrugge.
Avevo
sempre pensato che Klaus non amasse realmente nessuno perchè
aveva paura e in quelle parole rividi tutta quella convinzione.
Mi
ritrovai confusa di fronte alle sue parole, non era possibile che si
fosse alzato bene quella mattina e volesse fare il gentile con me.
Voleva per forza ingannarmi, doveva esserci qualcosa sotto.
“So
riconoscere i mostri e tu non lo sei minimamente. In una fiaba c'è
sempre la fanciulla graziosa ed indifesa che il principe deve
salvare, no? Credo sia questo il tuo ruolo nella storia..il mio di
mostro mi calza a pennello e lo accetto.”
Perchè?
Lo
interruppi ancora prima che quell'espressione sul suo viso e quelle
parole potessero confondermi e osservai il suo sguardo mentre seguiva
i movimenti delle mie mani.
Il
giorno prima odiavo Klaus, in quel momento invece volevo che
continuasse a parlarmi perchè, stranamente, stava riuscendo a
farmi star meglio. Ma doveva esserci qualcosa dietro quelle parole:
Klaus sapeva giocare bene con me, gliene davo atto, e io non potevo
essere così stupida da caderci di nuovo.
“Perchè
cosa?” mi chiese, alzando le spalle.
Strinsi
i pugni. I suoi occhi erano stranamente diversi mentre mi guardava,
come se mi volesse mostrare che in quel momento lui non era il mio
mostro. Ma semplicemente Niklaus, probabilmente il ragazzino umano,
traumatizzato dal disprezzo del padre.
“Irina,
io sono stato definito mostro ancora prima di diventarlo.” mi
spiegò, entrando stranamente in sintonia con i miei pensieri.
“Ora lo sono, ma un tempo riconosco di non esserlo stato. E
soffrivo quando mio padre mi chiamava in quella maniera. Ero davvero
debole, proprio come lo sei tu ora. Perciò so come ti stai
sentendo in questo momento, riconosco quell'espressione sul tuo
viso...e la detesto.”
Strinsi
i pugni più forte, lui si avvicinò a me, tanto che
dovetti alzare la testa per poterlo guardare in viso. Si fermò
ad un passo dal mio corpo.
“Non
ti ho detto quelle parole per te, bensì perchè mi
rievoca alla mente solo antichi ricordi che preferisco tenere
impolverati in un angolo della mia mente. Non voglio solo vederti con
quella faccia, tutto qui.” disse ancora.
Quindi,
non c'era un tornaconto in tutta quella storia per prendermi in giro
ed abusare della mia possibile fiducia? Mi sembrava strano, ma non
capivo davvero dove volesse arrivare parlandomi in quel modo.
Sobbalzai
ad un suo movimento, non mi accorsi che aveva tra le mani un grigio
cappello di lana. Me lo posò sul capo con delicatezza e lo
tirò fino a coprirmi le orecchie, le sue mani mi sfiorarono le
guance e dei brividi freddi mi corsero lungo la schiena.
Era
ghiaccio.
Elijah
mi trasmetteva calore ogni volta che mi toccava, le sue mani erano
come fuoco
per
me.
Lui
invece era ghiaccio, come se tutte le sue emozioni fossero ghiacciate
dentro di sè e non riuscisse a trasmetterle con calore umano.
“Attenta
a non prendere freddo, mi raccomando.” concluse così
l'enigma delle sue parole, mentre le sue mani toccavano lievemente i
miei capelli. Si allontanò ancora prima che la mia confusione
assumesse una forma, si portò dietro la sensazione di freddo
intenso che mi provocava la sua presenza e scomparve con i suoi
passi.
Sbattei
più volte le palpebre, fissando il punto dove, fino a poco
prima, si trovava il vampiro.
Era
incredibile come mi confondesse: ore prima era il mio
mostro,
in quel momento non ne fui così sicura.
Katerina
decise di sperimentare più a fondo la bellezza del paesaggio
che ci circondava. Probabilmente non lo fece realmente per quel
motivo, si era accorta che ero diventata il quadro della depressione
e voleva farmi un po' allontanare dalla mente i pensieri che mi
tormentavano. Anche se, purtroppo, non sapeva quali fossero.
“Questo
posto è davvero una meraviglia.” disse Katerina, quando
superammo alcuni alberi e raggiungemmo quella che sembrava la linea
d'inizio dell'infinito: una rupe puntava verso il cielo bianco e il
rumore dell'acqua sottostante che veniva mossa dal vento ghiacciato
pervase l'aria. Odiavo il freddo nonostante fossi cresciuta in un
paese le cui temperature non erano certo miti. Lo sentivo pervadermi
il corpo con il suo soffio gelato, malgrado indossassi un pesante
mantello e avessi la testa coperta dal cappello di lana. Guardai
verso l'alto: leggeri fiocchi di neve caddero sulla mia pelle, come
per ricordarmi che non dovevo detestare il freddo, perchè
portava anche la loro bellezza sulla nostra terra.
Katerina
abbassò il cappuccio che le copriva la testa e io mi tirai il
cappello ancora più giù, fino a coprirmi maggiormente
le orecchie. Il suo calore mi avvolse e mi sentii più
protetta, malgrado chi me lo avesse donato non mi facesse
quell'effetto.
Ci
avvicinammo, ma non troppo, alla punta di quella rupe e guardammo
sotto di noi: a moltissimi metri più in basso si trovava un
fiume, il cui flusso era impetuoso e notai diverse rocce che venivano
investite senza pietà dall'acqua fredda.
Oltre
quello spettacolo acquatico, si trovava la riva che conduceva
all'altra parte della foresta che, da quella altezza, sembrava finire
con il cielo.
Il
paesaggio era da favola, un chiaro esempio di quanto fosse bella la
natura.
“Qui
in Inghilterra abbiamo visto cose che nel nostro villaggio ci saremmo
sognate di vedere!” esclamò mia sorella, alzando gli
occhi verso il cielo bianco che sembrò riflettersi nelle sue
iridi scure.
Effettivamente
paesaggi così belli non li avremmo mai visti se non avessimo
lasciato quel piccolo villaggio dove eravamo nate. Avevamo assistito
a spettacoli della natura che non avremmo mai potuto incontrare
prima, peccato che stavo rovinando tutto con le mie paure.
Mi
sedetti a terra, guardando fisso il cielo e lasciandomi cullare dal
rumore dell'acqua sottostante. Katerina fece lo stesso, tese
l'orecchio e ascoltò ogni singolo suono che la natura volle
regalarci in quel momento.
“Non
capisco perchè Klaus ci abbia portate qui. Mi ha detto che
voleva regalarci una vacanza da sogno, ma...delle volte sembra che
non gli importi molto di noi.” disse lei, mentre parlava la sua
voce si era abbassata sempre di più. Mi voltai verso di lei e
scorsi la malinconia nel suo sguardo, che teneva rivolto in un punto
davanti a sé.
Quanto
ero stata egoista? Ero sempre stata così occupata a celare
i miei problemi, a farla preoccupare per motivi che non avrei mai
potuto dirle che non mi ero resa conto di averla lasciata
praticamente sola. Anche lei aveva i suoi dubbi e le sue
paure, come quella nei confronti di Klaus, eppure io non ci avevo
fatto per niente caso, tanto ero presa dai fatti miei.
Lei
volse lo sguardo verso di me e le sfuggì un sorriso. “Lascia
stare, sono solo le tipiche paranoie di una Petrova.” disse.
Ma
quelle paranoie facevano lo stesso male e io volevo che lei le
lasciasse andare.
“Dimmi.”
le feci segno di parlarmi, volevo che potesse sfogarsi con me dato
che ero l'unica persona con cui poteva farlo.
Lei
volse la testa imbarazzata, un lieve rossore apparve sulle sue
guance. “Non lo so, delle volte sembra quasi che mi
corteggi...ma delle volte mi pare che davvero non si interessi di
me.” disse e abbassò il mento.
Doveva
farle davvero male pensare una cosa simile, lei non era innamorata di
Klaus ma comunque era chiaro che sentisse qualcosa, anche piccolo,
per lui.
Io
ancora non avevo capito cosa provasse per lei il vampiro, sembrava
forse tenerci ma esserne innamorato era, purtroppo, fuori
discussione. Ma quel ragazzo era un enigma vivente, capirlo era
davvero difficile e io lo sapevo bene visto che il giorno prima lo
detestavo e quella mattina sentivo persino di dovergli un grazie.
Sospirai,
l'aria gelida fluì dentro il mio corpo facendomi rabbrividire.
Distolsi
lo sguardo da mia sorella e lo posai verso la serie di alberi che si
trovavano oltre la rupe: io e Kat non eravamo così diverse
nelle nostre situazione.
Entrambe
soffrivamo per qualcosa che volevamo ma che ci era comunque troppo
lontano.
Era
una cosa che faceva sanguinare dentro, anche troppo.
“E
tu lo sai come la penso riguardo l'amore vero?” Katerina si
voltò verso di me e mi sorrise. Ricordai allora un discorso
che mi aveva fatto tempo prima, quando era incinta e io le facevo
compagnia perchè non voleva restarsene a letto tutto il giorno
ma preferiva stare con me nella foresta. Ricordavo quella giorno come
se fosse stato il precedente: eravamo sedute sul tronco di un albero
caduto e circondato dal verde della foresta, Katerina aveva lo
sguardo rivolto verso il cielo, quel giorno stranamente limpido.
“L'amore
non è reale se non è corrisposto.” mi aveva
detto.
Non
comprendendo l'amore a quei tempi, non ne capii il significato. Ma in
quel momento, dopo che lo avevo conosciuto e sperimentato per un
breve ma intenso periodo, mi fu chiaro cosa significasse quella
frase: l'amore non esiste se non viene rivolto verso qualcuno che è
pronto ad accoglierlo. Si disperde nel vuoto, come una singola stella
in un cielo troppo buio, e soccombe.
Katerina
mi parlò in quei termini in riferimento al padre della
bambina, un ragazzo che sembrava non averla mai amata più di
tanto. Allora quelle parole dovevano essere rivolte a Klaus, ma le
sentii vicine anche alla mia situazione.
Voleva
dire che il mio non era amore, visto che Elijah aveva deciso di
reprimere tutto? Quella convinzione valse quanto una pugnalata in
pieno petto.
Per
un attimo desiderai essere priva di cuore, non credere più
nell'amore visto che era solo sofferenza. Io non ero mai stata così
male emotivamente come in quei giorni e non potevo incolpare nessuno
se non me stessa.
“L'amore
è una cosa bellissima, ma deve essere presente da entrambe le
parti.” disse la voce di Katerina, le sue parole entrarono in
conflitto con i miei pensieri. “Non esiste una cosa a senso
unico, in quel caso l'amore è incompleto. Deve trovare l'altra
parte di sé nella persona che si ama e completarsi.”
Alzai
lo sguardo su di lei, delle volte mi sorprendeva per quanto fosse
matura per la sua giovane età. Era stata etichettata come una
sgualdrina ma in realtà la gente del nostro villaggio,
nostro padre e Ada avevano semplicemente paura della sua mente troppo
aperta ai sentimenti, ai sogni.
Molti
si spaventavano a sognare perchè si raggiungeva mondi e realtà
che non si sarebbero mai vissuti realmente e che avrebbero solo
potuto lasciare l'amaro nelle esistenze di chiunque una volta
risvegliati.
“Ma
perchè crediamo nell'amore se spesso fa male?” le
chiesi, gesticolando velocemente.
Lei
soffriva per Klaus, io per Elijah. Allora perchè si decideva
di abbandonarsi a quella forza?
Perchè
credere in qualcosa che ti dava una felicità troppo immensa o
un dolore troppo intenso? Non lo capivo più, se si era da soli
forse si sarebbero evitati certi dolori. Ma si sarebbe raggiunta solo
un'empia felicità.
Katerina
restò sorpresa da quella domanda, mi guardò a lungo e
un sorriso si allargò lentamente sulle sue labbra. “La
vita è troppo crudele, Irina. Se non crediamo nell'amore, cosa
ci spinge ad andare avanti?” mi chiese.
E
non seppi rispondere, provai ad immaginarmi un'esistenza senza amore
e il cuore mi gridò di interrompere quei pensieri.
Chiusi
gli occhi e lasciai che quelle mie paure venissero trasportate via
dal forte vento.
“L'amore
esiste per tutti, bisogna solo saperlo cercare e pazientare che
arrivi. Non esiste essere che non possa amare.” disse ancora
lei.
Il
fatto che non avesse accompagnato il termine “umano” ad
essere, mi fu di grande conforto.
Perchè
Klaus mi aveva detto che i vampiri hanno, praticamente, un cuore di
ghiaccio, un cuore che si può lasciar sciogliere dal fuoco
fino farsi , però, completamente distruggere.
E
lasciando il vuoto nel petto. Allora era vero che i vampiri non
potevano amare?
Calò
il silenzio, sentivo il suo sguardo sul mio viso e poi la sua risata
cristallina che mi riportava con i piedi per terra. La guardai
incredula e nei suoi occhi mi parve di vedere i suoi ricordi che
attraversavano velocemente la sua mente.
“Strano,
questo discorso l'ho fatto ad Elijah uno dei primi giorni in cui sei
arrivata qui...” mi disse, cogliendomi di sorpresa. Sbarrai lo
sguardo e la osservai a lungo, chiedendomi come avesse reagito lui di
fronte a quella parole.
Era
stato cinico come mi ero mostrata io? Oppure lo avevano
particolarmente colpito?
Ero
davvero curiosa di saperlo, visto che il fulcro dei miei sentimenti
era proprio lui.
“Mi
disse che lui non credeva più nell'amore. Come se, in realtà,
pensasse di non poterci più credere.” disse lei e
ripensai a quando ci eravamo allenati nella foresta e lui mi aveva
rivelato che, prima del mio arrivo, non credeva più in molte
cose. Ma parlava anche dell'amore?
“Ma
un uomo che non ama non è un uomo. Ed Elijah è un uomo
nobilissimo, l'ho sempre pensato.” disse ancora Katerina.
Sorrisi
malinconicamente e tornai a guardare il cielo sopra le nostre teste.
“In
quel momento poi è successa una cosa strana, forse tu non lo
ricordi.” aggiunse ancora mia sorella, attirando la mia
attenzione su di sé. “Quando terminammo il discorso,
calò un profondo silenzio. Elijah stava sorridendo, come se
stesse analizzando a fondo le mie parole...poi sei arrivata tu.”
Mi
parve di ricordare quel momento: loro due erano seduti su una delle
panchine in giardino e io, come al solito, mi ero persa. Doveva
trattarsi di uno dei pochi giorni successivi al mio arrivo, dove
ancora non conoscevo una parola di inglese e dove mi vergognavo del
mondo.
Forse
era quello il momento di cui parlava mia sorella. Ma lei aveva capito
cosa era successo tra me ed Elijah? Quando la guardai, pensai che non
fosse possibile: magari lei sospettava qualcosa ma aveva paura di
sbagliarsi.
“Irina,
non smettere mai di credere nell'amore. Una persona come te non può
non amare.” disse ancora lei, scuotendo la testa lentamente.
“L'amore si cerca, si affronta, spesso si perde ma non bisogna
mai abbandonarlo. Hai troppo amore dentro di te, perchè
trattenerlo?”
Perchè
era stato incatenato improvvisamente, sigillato in una gabbia d'oro
che lo privava di muoversi in libertà. E gridava di essere
liberato, lacerandomi il cuore sempre di più.
Io,
l'amore, non lo volevo più. Almeno non in quel momento, visto
che mi aveva lasciato ferite fresche che non riuscivano ancora a
rimarginarsi. Sia io che Katerina posammo lo sguardo verso
l'orizzonte, come se cercassimo il vero significato dell'amore in
quella tenue nube bianca che colorava il cielo.
L'amore
era davvero una cosa bellissima, ma se non veniva ricambiato o se
veniva spento improvvisamente si tramutava in un mostro. Nelle
fiabe c'erano eroi ed eroine che lo trovavano, lo affrontavano e lo
rendevano parte delle loro anime. La realtà era ben diversa
invece.
Mai
come allora diedi ragione a Klaus: le fiabe non esistono, perchè
nella realtà ci sono troppi mostri e pochissimi eroi pronti a
vincere.
Un
rumore alle nostre spalle ruppe il silenzio. Ci voltammo di scatto e
scorgemmo una figura che stava uscendo da quella serie di alberi: era
un uomo, probabilmente sui trent'anni, altissimo e muscoloso. Aveva
grandi occhi neri, solcati da sottili sopracciglia, indosso portava
degli abiti pesanti e visibilmente da cacciatore. La cosa che mi
colpì di più, era che in una mano stringeva le orecchie
di un povero coniglio, il cui sangue della morte bagnava ancora il
suo manto marrone.
Storsi
il naso, detestavo i cacciatori e il modo in cui uccidevano quei
poveri animali. Lo trovavo repellente. Ci guardò a lungo e
trovai la luce nel suo sguardo alquanto strana, sembrava volerci dire
qualcosa mentre ci fissava in quel modo a dir poco inquietante.
“Perchè
ci fissa così?” chiese Katerina a labbra quasi serrate,
per paura che quel tipo potesse leggere il suo labiale. Mi voltai
verso di lei e scossi la testa lentamente, sentii i passi dell'uomo
alle nostre spalle farsi sempre più lontani fino a scomparire
lungo una stradina ripida che conduceva ai piedi della foresta. La
sensazione di inquietudine portata da quella figura sparì e mi
ritrovai di nuovo a rabbrividire per il freddo.
“Accidenti,
anche in Inghilterra ci sono i tipi inquietanti!” esclamò
mia sorella, sorridendo e lanciandosi indietro un'occhiata per
assicurarsi che quel tipo non ci stesse ancora osservando.
Sorrisi
con lei, non sapeva quanto aveva ragione al riguardo.
Non
seppi come ma mi ritrovai là.
Dopo
la nostra passeggiata nella foresta, Katerina decise di tornare a
casa, ma io avevo ancora bisogno di sentirmi a contatto con me stessa
e solo la neve riusciva a farmi compiere quel cammino introspettivo
nella mia anima. Così decisi di andare al villaggio.
Mentre
passeggiavo per le strade, notai un luogo che attirò la mia
completa attenzione.
Salii
la scalinata che portava all'ingresso con estrema titubanza e
spalancai l'enorme portone in legno che si stagliava di fronte a me.
Si
udì un violento rumore che riecheggiò a lungo
all'interno di quel luogo sacro: le pareti scure venivano illuminate
dalle tenue luci delle candele affisse alle pareti. Sulle lunghi
panche in legno poste parallelamente tra loro di fronte all'altare
non vi era seduto nessuno.
Guardai
il confessionale accanto alla porta d'ingresso, ma non mi avvicinai.
Alzai lo sguardo sul un punto alto della parete dietro l'altare e
guardai il rosone dai diversi colori che lasciava penetrare una lieve
luce bianca nel corridoio tra la file delle panche.
Da
entrambi i lati della chiesetta vi era una statua, una della sacra
vergine e l'altra che rappresentava invece un angelo dalle enormi ali
bianche.
Un
crocefisso in legno era affisso sopra l'altare bianco, diversi
centimetri sotto il rosone.
Rimasi
immobile di fronte alla porta, mentre questa si richiudeva alle mie
spalle e mi guardai attorno. Uno strano senso di angoscia mi pervase,
mentre guardavo il pavimento in mattoni color ocra sotto di me e mi
avvicinavo lentamente ad una della panche vicino alla statua della
Madonna. Il suo sguardo parve seguirmi fino a quando non mi sedetti
al margine di una panca.
Appena
i miei passi smisero di oltraggiare quel posto, calò un
profondo silenzio che mi fece tremare. Perchè ero in quella
chiesa, non lo sapevo nemmeno io e mi sentii stranamente pervasa
dall'angoscia.
Guardai
l'altare di fronte a me e sentii il mio cuore battere violentemente,
come se mi dicesse che forse io non potevo trovarmi in quel posto.
Per quel motivo ero lì invece, se ero un mostro, se ero
maledetta, potevo mettere piede in quel tempio di bontà?
Congiunsi le mani come in segno di preghiera e guardai fisso il
crocefisso, la mamma mi aveva insegnato a pregare sempre prima di
andare a dormire, perchè qualcuno lassù era sempre
disposto ad ascoltarci.
Non
ci avevo mai creduto granché, ma mai come allora sperai che
avesse ragione.
Sono
un mostro? Qualcuno
doveva pur darmi quella risposta di cui tanto avevo bisogno, ma che
io avevo paura a conoscere. Per un attimo pensai alla mia condizione,
il fatto che fossi muta: e se era una punizione che mi era stata
inferta? Se Diana aveva visto una specie di maledizione in me, forse
ero stata punita per qualcosa che avevo compiuto da qualche parte
prima che la mia vita avesse inizio.
Eppure
io ero lì, in quel luogo che non avrebbe potuto accogliermi se
ci fosse stato qualcosa di profondamente impuro in me.
Alzai
lo sguardo verso il soffitto, disegni di piccoli angeli sorridenti
sembrarono accompagnare la mia silenziosa preghiera. Sperai che loro,
almeno loro, potessero sentire la mia voce e darmi le risposte che
cercavo. Volevo solo un angelo custode che mi guidasse verso
la verità.
“Che
ci fai tu qui?” sussurrò una voce alle mie spalle.
Udire
quella voce mi fece sobbalzare.
Volsi
la testa verso Elijah il quale sembrava stupito quanto me di vedermi,
indossava un lungo mantello scuro e i capelli sciolti sulle spalle
avevano imprigionato tra loro alcuni fiocchi di neve.
Avevo
richiesto un angelo custode ed era apparso lui, possibile che fosse
solo una coincidenza? Poi, dopo il discorso con Katerina, mi parve
ancora più strano averlo incontrato in quelle circostanze.
Un
sorrisetto apparve sulle sue labbra, come se quell' incontro fortuito
divertisse anche lui, e si sedette accanto a me, restandomi però
abbastanza lontano. Posò una mano accanto alla sua gamba,
sopra il legno della panca e io tenni le mani sopra la gonna.
“Stai
pensando ancora alla storia di ieri, vero?” mi disse, sempre
con voce bassa per non profanare quel posto. “Non troverai qui
risposte che già hai ottenuto, Irina.”
Lo
guardai a lungo, intrecciai le dita delle mani tra loro.
Lui
invece perchè era lì? Un
vampiro in una chiesa. Non mi stupii molto vederlo là, era un
uomo dall'animo così nobile che non poteva non essergli
concesso di metter piede là dentro.
Elijah
sembrò leggere la domanda nel mio sguardo, come al solito era
sempre capace di sentirmi parlare nel più totale silenzio.
Solo che molte cose che dicevo ,probabilmente, lui si rifiutava di
capirle. “Sono...stato da Diana.” disse e a quelle parole
distolsi lo sguardo, me lo immaginai accanto a quella bellezza
straordinaria e non potei fare a meno di paragonarmi a lei.
Riuscivo
ad essere gelosa in qualsiasi momento, mi sentii proprio ridicola.
Elijah
sembrò percepire la mia stupida gelosia e ne rise. “Andiamo
Irina, non mi piacciono le donne così...esuberanti.”
disse, sempre in un sussurro. “Preferisco le ragazze più
tranquille.”
Alzai
di nuovo lo sguardo su di lui e lo vidi distogliere lo sguardo, una
vampata di calore mi pervase il volto quando pensai che quelle parole
dovevano essere un complimento nei miei confronti.
“Sono
andato da lei per parlarle di una cosa che devo assolutamente
risolvere..” continuò e mi parve incupirsi mentre
pronunciava quelle parole. Quando alzai lo sguardo su di lui, parve
voler cambiare discorso prontamente. “E, lo ammetto, ho voluto
parlare a Diana di quello che ti ha detto. Si è certamente
sbagliata, ciò che ha visto in te deve essere causato da
Bell...perciò le ho intimato di non guardarti più
nel modo che penso abbia fatto.”
Deglutii
di nuovo, il calore sul mio viso si fece più intenso mentre
lui mi guardava in quella maniera che solo lui sapeva fare. O forse
ero io che vedevo quegli occhi in un modo diverso.
Abbozzai
un sorriso per ringraziarlo, anche se Diana non aveva colpe se aveva
visto qualcosa di maledetto in
me e che non si poteva cancellare.
“Scusami,
non ho risposto alla tua domanda.” disse poi, abbassando la
testa. “Sono entrato qui..un po' per i tuoi stessi motivi
probabilmente.”
Lo
guardai incredula, sul suo viso mutò l'espressione lentamente
fino a diventare una maschera di angoscia e tristezza. Spalancai per
un attimo lo sguardo, vederlo in quel modo mi faceva scoppiare il
petto in una danza di dolore. Ma cosa lo tormentava così
tanto?
“Irina,
l'unico mostro della tua storia sono io.” disse, tornò a
guardarmi e il silenzio nella sua completa totalità ci
pervase. Mi sembrò che anche il mio cuore avesse smesso di
battere in quell'attimo, perchè quelle parole mi erano state
rivolte anche da Klaus quella stessa mattina.
Entrambi
si definivano i mostri della mia fiaba.
Ma
nessuno dei due lo era, Elijah sopratutto non doveva nemmeno
considerarsi una cosa simile.
Scossi
più volte la testa e strisciai lungo la panca fino a giungere
a lui, fui tentata dal prendergli la mano ma la mia mente mi fermò
prima che potessi compiere quel gesto.
“Ti
ho fatto più male io di chiunque altro. Klaus ti ha procurato
ferite fisiche che poi sono guarite, io invece ti ho procurato ferite
nell'animo che vedo, sento ancora sanguinare.” mi spiegò
lui, quando incrociò il mio sguardo interrogativo. “E
non sai cosa darei per tornare indietro e non ferirti in questo
modo.”
I
suoi occhi neri si fissarono nei miei, un intensa ondata di calore mi
pervase il petto quando compresi che la nostra presenza insieme in
quella chiesa non era stata casuale.
Era
chiaro che qualcuno, qualcosa voleva che trovassi in Elijah una delle
risposte che cercavo.
In
realtà ero io il suo mostro.
Era
davvero così: Elijah mi voleva bene, si era concesso di
sognare con me una fiaba, ma poi aveva deciso di tornare alla realtà
solo per non farmi del male. Stava cercando di proteggermi in fondo e
io lo ripagavo regalandogli il mio dolore e facendolo sentire in
colpa.
Ero
io il suo vero mostro
perchè se non ci fossi stata io, lui probabilmente non avrebbe
sofferto.
Le
parole di Katerina riecheggiarono nei miei pensieri.
Cercalo.
Affrontalo.
Posai
la mano sulla guancia sinistra di Elijah, lui mi guardò
sorpreso mentre con il pollice toccavo delicatamente il suo zigomo e
mentre il mio palmo diventava fuoco. Lo cercai nel suo sguardo
mentre ci guardavamo e lo affrontai quando posai le mie labbra
sulle sue.
Quel
gesto lo stupì, lo sentii trattenere il respiro mentre tenevo
la mia bocca premuta sulla sua. Avvertii i brividi corrermi lungo la
schiena e il cuore battere più forte man mano che mi sentivo
mancare il respiro. L'unica arma per non soffrire più era
ucciderci e con quel
bacio letale avevamo firmato la condanna a morte del nostro dolore.
Non
volevo più essere il suo mostro,
dovevo semplicemente arrendermi al fatto che in quel
momento probabilmente non
eravamo destinati a stare insieme.
Cercalo.
Affrontalo. Perdilo.
E
io lo avevo perso con quel bacio. Lo avrei poi ritrovato se e
quando saremmo stati entrambi pronti, quando non ci saremmo più
fatti del male.
Non
volevo più abbandonare l'amore.
Non volevo più farlo soffrire come avevo fatto fino ad allora.
Mi
separai dalle sue labbra lentamente, guardandolo negli occhi che
aveva tenuto aperti per quei pochi secondi in cui ci unimmo per
un'ultima volta. Elijah capì subito cosa si celava dietro quel
mio inaspettato gesto, aveva percepito anche lui che quella era stata
una cura alle nostre pene.
E
mi sentii come svuotata da tutto il dolore che la sua vista mi
causava.
Elijah
non era mai stato il mostro della mia fiaba, io per lui sì
invece.
E
gli avevo permesso di sconfiggermi, mi ero svuotata dal dolore ma
sentii comunque un briciolo di tristezza che si allargava poi nel mio
petto.
Mi
alzai in piedi prima che potesse dire qualcosa e mi diressi lungo il
corridoio che portava verso l'uscita della chiesa. I miei passi
ruppero il silenzio e sentii lo sguardo di Elijah sulle mie spalle.
Mi dissi che se ero un mostro, non mi sarei mai infierita un colpo
così letale per salvare qualcuno che amavo. Per lui almeno,
non ero più un mostro.
Prima
di rincasare, decisi di fare una passeggiata per la foresta.
Aveva
di nuovo smesso di nevicare, i miei piedi affondavano nello spesso
strato di neve sul terreno, tanto che ogni passo richiedeva più
del dovuto.
Gli
unici rumori che udii furono quelli della natura attorno a me, il
vento che muoveva le fronde innevate degli alberi e il canto di
qualche uccello che si trovava nascosto in quei rami ormai bianchi.
Continuai a camminare a lungo, percorrendo un cammino fatto di miei
pensieri e di consapevolezze che stavo assumendo grazie alla musica
della natura.
Stavo
avvicinandomi alla casa sulla collina e sperai di raggiungerla il più
tardi possibile. Avevo ancora bisogno che la mia mente vagasse in
quello spazio infinito, che si disperdesse in esso per trovare le
altre risposte che cercavo.
Era
stata la natura a condurmi in quella chiesa, a farmi capire che il
mostro da affrontare ero ancora io stessa, ma necessitavo di molte
altre risposte ancora.
Sentii
un rumore alle mie spalle, mi voltai di scatto e giurai di aver
percepito quelli che sembravano dei passi. Ma non vidi nulla, eccetto
il bianco della neve che ricopriva il terreno dietro di me. Forse mi
stavo illudendo, non avevo sentito nulla ed ero solo vittima di
paranoie che non esistevano.
Ma
appena tornai a guardare di fronte a me, lo vidi: il lupo bianco, i
suoi occhi di ghiaccio e il suo manto lucido e perfetto.
Restai
immobile a pochi passi da lui e rivederlo mi creò un insano
senso di serenità.
Dopo
lo scontro con Philippe era scomparso e mi ero preoccupata spesso per
la sua sorte in quel giorni. Fu come se, sempre la natura, volesse
permettermi di affrontare un'altra delle mie paure.
Dovevo
temere quell'animale, invece mi ritrovavo solamente a volerlo
osservare, sfiorare.
Colpa
del fatto che mi aveva salvato la vita tempo prima.
Mi
avvicinai a lui, prestando attenzione ad ogni singolo movimento
improvviso che potesse spaventarlo. Il lupo mi parve che stesse in
guardia, con la testa bassa e lo sguardo vago.
Allungai
la mano mentre mi facevo più vicina, come per volergli
sfiorare il muso ma lui si tirò un po' indietro. Era
stranamente spaventato, sembrava volesse allontanarsi ma non potesse
farlo.
Forse
non mi riconosceva per via del cappello che avevo sulla testa e che
nascondeva i miei capelli.
Me
lo tolsi lentamente e qualcosa attirò la mia attenzione: uno
strano oggetto cadde davanti ai miei occhi e affondò nello
spesso strato di neve sotto i me.
Lo
guardai confusa: era una piccola pietruzza rossa che era rimasta
nascosta per tutto il tempo nel ripiego del cappello.
La
presi tra le dita e la osservai, il lupo si ritrasse più
indietro e si lasciò andare a dei lasciti di paura che mi
colpirono. Alzai lo sguardo su di lui, quando una morsa al cuore
seguii la consapevolezza di quello che stava per succedere: Klaus
aveva messo quella pietra dentro il cappello, con la certezza che non
me lo sarei mai tolta durante la giornata non solo per il freddo, ma
anche perchè levarmelo mi avrebbe fatto sentire in
colpa nei suoi confronti.
Ma
perchè? Mi fu davvero tutto più chiaro, quando scorsi
una rapida ombra correre dietro il corpo del lupo: Klaus si affiancò
a lui, con una seria espressione sul viso mente fissava il manto
bianco dell'animale.
Spalancai
la bocca in un grido, quando lo sguardo del lupo e del vampiro si
incontrarono e Klaus scattò verso di lui. Qualcuno dietro di
me mi afferrò, facendomi voltare e tenendomi le braccia lungo
le spalle come per impedirmi di assistere a quello spettacolo.
Ma
il verso di morte del lupo risuonò nella mia mente, il cuore
batté all'impazzata mentre il silenzio che seguiva la fine ci
circondava.
Mi
ritrovai con la testa nascosta nel petto di Elijah, il cui sguardo
era fisso sul fratello.
Alzai
lo sguardo su di lui, poi la forza di guardare in faccia la morte di
quel povero lupo, mi spinse a girarmi verso Klaus. Aveva
un'espressione fredda sul viso, le sue mani erano sporche di sangue e
in una di esse stringeva il cuore del povero animale.
Vedere
il suo candido manto macchiato di morte mi fece salire le lacrime
agli occhi. Il suo corpo giaceva nella neve, sarebbe quasi divenuto
un tutt'uno con essa se non fosse stato per il rosso attorno al suo
corpo. Mi separai dal petto di Elijah, le cui braccia attorno alle
mie spalle si abbassarono lentamente e guardai Klaus: nei suoi occhi
non c'era pietà, non gli importava nulla di aver ucciso
barbaramente il lupo a cui dovevo la vita.
Ma
non era solo per quello che provai un irrefrenabile rabbia dentro:
c'era un altro motivo, il solito motivo, che mi spingeva ad odiare
Klaus come mai avevo fatto prima.
Mi
aveva preso in giro.
Un
sorriso si allargò sulle sue labbra. “Bene, è
stato più facile del previsto!” disse, evitava il mio
sguardo perchè sapeva cosa ci avrebbe trovato. “Scusa
cara se ho dovuto ricorrere all'espediente di stamani per lasciarti
indosso quella pietra. Ma Diana mi ha detto che era l'unico modo per
catturare il tramite di Bell ed ero certo che non avresti mai
acconsentito a prendere parte al piano di tua spontanea volontà.
Diciamo che mi hai costretto.”
In
quel momento mi guardò, il suo sguardo si posò a lungo
su di me e derise la mia rabbia.
Il
discorso di quella mattina, il fatto che mi comprendesse, il fatto
che volesse aiutarmi era tutta una farsa.
Ma
dovevo aspettarmelo: ero stata io la stupida a fidarmi di nuovo
di lui, Klaus era bravissimo a dire le bugie più delle verità
e la sua era stata solo una tattica per affrontare il problema Bell
più rapidamente e liberarsene il prima possibile.
Di
me non gli importava nulla e dovevo saperlo, altrimenti non mi
avrebbe preso in giro come aveva fatto quella mattina, mettendomi
quell'oggetto nel cappello per attirare il lupo da me ed ucciderlo.
Mi aveva di nuovo resa complice di un suo omicidio, nei confronti di
un essere che mi aveva salvato la vita.
Mentre
lo guardavo mi parve di non respirare, la rabbia e l'odio divennero
due combinazioni letali che ostruivano i miei polmoni e non
permettevano loro di accogliere l'aria necessaria per vivere.
L'odio
non ha respiro, proprio come l'amore: erano davvero più simili
di quanto credessi, solo di fronte a loro non avevo ossigeno
sufficiente per andare avanti.
Klaus
piegò la testa da un lato, quando riconobbe gli occhi
dell'odio. “Adesso sai come ci si sente ad essere pugnalati
alle spalle.” mi disse e non potei credere che pensasse ancora
a quella storia.
Avrebbe
fatto meglio a dimenticarsela, visto tutto il male che mi aveva fatto
precedentemente e che io mi sforzavo di non ricordare.
“Mi
odi, non è così? Allora devi odiare anche Elijah, lui
era d'accordo con me.”
Il
mio odio si spense improvvisamente quando Klaus pronunciò
quelle parole, aveva perso il sorriso mentre parlava, come se volesse
davvero allontanare il mio odio per lui da sé e trasferirlo su
Elijah. Una parte di me mi disse che era una bugia, Elijah non
avrebbe mai agito alle mie spalle ma quando mi voltai e non trovai il
suo sguardo, fisso con rabbia su Klaus, mi sembrò davvero di
non avere più aria nei polmoni.
“Non
è proprio andata così, Niklaus.” precisò
lui, con tono duro.
Klaus
scoccò la lingua. “Sì, giusto. Ne hai preso parte
quando avevo già messo in atto il teatrino per proteggere la
tua fanciulla.” rispose. “Ma siamo comunque stati sempre
complici, Iry.”
Rivolse
quelle ultime parole a me per farmi più male, mentre io
guardavo il volto di Elijah.
Era
davvero d'accordo con lui.
Dopo la scena in chiesa, dopo che mi ero umiliata un'altra volta per
affrontare ciò che provavo per lui, lui aveva agito alle mie
spalle in quel modo.
Strinsi
i pugni e mai come allora mi sentii sola, stupida e abbandonata,
aveva preso parte a quel piano malgrado sapesse, sentisse che
io non volevo uccidere quel lupo e non volevo arrivare a Bell.
Perchè ne avevo troppa paura.
Come
aveva potuto farlo?
Elijah
mi guardò, non era vigliacco e avrebbe affrontato la rabbia
che avevo nel mio sguardo e la cosa lo ferii.
“Non
abbiamo tempo. A Diana serve il cuore per scoprire chi è Bell
e io ho poco tempo da perdere.
Muovetevi.” ci ordinò Klaus. Mi fu facile distogliere lo
sguardo da Elijah, spesso mi era difficile farlo ma in quel momento
lui non era l'Elijah che conoscevo.
Quello
che conoscevo io non avrebbe mai agito alle mie spalle in combutta
con Klaus.
Lui
mi si avvicinò, si fermò per un attimo accanto a me,
come se sperasse che gli concedessi almeno uno sguardo. Ma non lo
feci, tenni la testa bassa e mi morsi le labbra più forte che
potevo.
Quando
lui si allontanò per seguire Klaus, ascoltai il dolore del mio
cuore che risuonava tra quegli alberi silenziosi.
Per
un attimo temetti che anche lui mi tradisse e mi lasciasse morire da
sola.
La
casa di Diana era nascosta nella foresta, era simile a quella in cui
risiedevamo noi solo che era più piccola e composta da un
unico stanzone ripieno di mobili con oggetti dall'aspetto esoterico.
Sul lato destro di quelle pareti in legno si trovava il cucinino, ma
per il resto c'erano solo elementi che riconducevano alla magia. Una
scalinata infondo a destra, portava alla camera da letto al piano
superiore, che immaginai arredata con oggetti di magia come tutto il
resto della casa.
Era
buio, Diana aveva acceso solo diverse candele la cui fiamma disegnava
sui nostri volti una tenue luce. Disse che aveva bisogno di silenzio,
oscurità e concentrazione per compiere quell'incantesimo: il
cuore del lupo giaceva in una bacinella in legno sopra il tavolo,
come se fosse l'oggetto di un rituale, e la strega teneva le braccia
allungate sopra di essa, con gli occhi chiusi e la bocca che si
muoveva in flebili sussurri narrati in una lingua che non conoscevo.
Restai
seduta su una poltrona, più lontana possibile da quello
spettacolo a cui ero stata costretta a prendere parte. Mi strinsi le
ginocchia al petto e fissai un punto sul pavimento mentre le lacrime
scendevano costantemente sul mio viso. Klaus era dalla parte del
tavolo opposta a quella in cui si trovava Diana e la fissava con
trepidazione, in attesa di una risposta.
Ogni
tanto lo guardavo e lui ricambiava il mio sguardo, lo odiai con tutta
me stessa perchè mi aveva costretta
ad affrontare quella mia paura abusando della mia fiducia. Perchè
lui tutti i sentimenti positivi -fiducia, affetto,amicizia- non li
accoglieva, li sfruttava solo quando gli era necessario.
Per lui non esistevano.
“Tieni.”
Elijah si avvicinò con un bicchiere d'acqua in mano, si chinò
davanti a me e posò una mano sul mio ginocchio destro. Mi
guardò addolorato, le mie lacrime dovevano arrecargli davvero
molta pena ma ne ero contenta: erano il risultato di ciò che
lui mi aveva fatto e se soffriva come stavo facendo io, se lo
meritava.
Mi
aveva tradita. E io che
avevo deciso di sopprimere il mio dolore, per non farlo soffrire.
Presa
dalla rabbia, scaraventai con una manata il bicchiere a terra,
l'acqua si riversò sul pavimento e il bicchiere di legno
rotolò lungo il pavimento, andando a nascondersi
nell'oscurità.
Diana
continuò a parlare nei suoi sussurri, Klaus invece si voltò
ad assistere alla scena.
Elijah
non parve stupito della mia reazione ma qualcosa sembrò
scattare in lui, mi strinse con delicatezza le spalle e mi guardò,
scuotendomi sempre con pochissima forza.
“Per
chi credi che l'abbia fatto eh?” mi chiese, parlando fitto in
modo che non disturbasse l'incantesimo.
Si
stava arrabbiando? Bene, perchè volevo davvero sfogare tutto
il mio risentimento e dopo quello che mi aveva fatto, trovai in un
lui il soggetto più adatto.
“Sono
giorni che ne parlo con Diana. L'unico modo per arrivare a Bell
era questo, prendere il suo tramite!” Elijah parlò quasi
stringendo i denti. “Non erano così che dovevano andare
le cose, volevo tutelarti in una maniera migliore ma non ci sono
riuscito. Sapevo che non volevi prendere parte a questo piano, ma non
c'era alternativa, lo capisci?”
Lo
guardai accigliata. Ero stanca di come si comportava, ero stanca che
prendesse decisioni per me da solo, senza tenere conto che nella mia
vita la prima voce in capitolo era proprio la mia. Aveva deciso di
non amarmi e mi ero sottomessa a questa sua scelta, ma poi aveva
scelto anche di tradirmi e quello non potevo proprio accettarlo.
“L'ho
fatto perchè voglio proteggerti, lo capisci? Bell
vuole farti del male!”
rispose Elijah, come se avesse percepito la mia domanda nelle lacrime
che continuavano a scendere lungo il mio viso. “Se farmi odiare
da te significa proteggerti...allora è quello che continuerò
a fare. Posso perdere il tuo affetto, ma non voglio perdere la tua
vita.”
Mi
morsi il labbro, come al solito la rabbia che potevo provare nei suoi
confronti si spense lentamente e sempre più, mentre lo
guardavo nei suoi profondi occhi neri.
Mi
stava proteggendo davvero, ma a che prezzo? Visto che mi stava
tutelando da tutto ma non dal male che lui mi
aveva arrecato lui in quel momento.
“Sono
parole al vento, fratello. Questa piccola irriconoscente
bastarda non sa nemmeno cosa sia
la gratitudine.” Klaus si avvicinò rapidamente a noi,
alzai di scatto lo sguardo su di lui e notai la luce di sfida nei
suoi occhi blu. Aveva le labbra serrate e lo sguardo affilato mentre
mi osservava.
“Stanne
fuori, Niklaus.” gli intimò Elijah, senza nemmeno
guardarlo.
Voleva
ancora proteggermi.
Ma
io volevo scottarmi, nel modo più violento possibile e lui non
avrebbe potuto impedirmelo.
Scattai
in piedi e mi fiondai su Klaus, sentendomi ancora senza corpo per via
di tutto quello che era successo in quel giorno.
Mi
limitai a spintonarlo, smuovendolo solo di qualche misero centimetro.
Klaus
mi guardò furibondo ed Elijah si alzò in piedi come se
volesse evitare che lui reagisse, ma il fratello sembrava non
intenzionato a farlo. Almeno non con le mani.
E
io volevo fronteggiare il mio mostro da sola, lui non doveva
intromettersi.
“Continui
a provare la mia teoria, Irina.” mi disse con sfida, si
avvicinò a me e ci ritrovammo con i visi vicinissimi. Per lui
non ero una bambina indifesa o una fragile ragazzina a cui nessun
uomo avrebbe dovuto avvicinarsi in quel modo: per lui ero il suo
mostro da annientare. “Ci
rimani male per la morte di un tuo nemico e te la prendi con chi
perde tempo a salvarti quella misera vita che ti ritrovi. Se tu sei
la definizione di umana, sono felice di disprezzare l'umanità!”
Cosa
poteva comprendere lui dell'umanità? Quella mattina si era
fatto beffe di me giocando con i sentimenti, aveva di nuovo finto che
potessi contare qualcosa per lui e ogni volta che quella mia vana
speranza si spegneva, sentivo che l'odio curava la mia delusione e
tornava a prendere terribilmente possesso di me. Era solo tutta colpa
sua, odiavo come giocava con sentimenti che non voleva capire.
“Mostro.
Ti odio!”
Pronunciai
quelle parole come se mi fosse consentito gridarle, tenni lo sguardo
fisso sul viso di Klaus che lesse il mio labiale, mentre la sua
espressione iniziò a mutare.
Puntai
sulle sue debolezze, proprio come faceva lui.
Volevo
fargli male, come me ne aveva fatto sempre lui. Ero davvero stanca.
Quelle
parole lo ferirono come nessun'arma poteva mai fare, perchè
puntavano alla sua anima marcia, la colpivano e la martoriavano nel
sangue di un antico dolore che lo riportava a quello che tanto
disprezzava: l'essere umano.
Le
mie parole silenziose dovettero rimbombare nella sua mente, ma non mi
aspettai minimamente quello che accadde pochi istanti dopo: la sua
mano mi colpì, un calore intenso e violento mi pervase la
guancia e mi ritrovai a terra, mentre il dolore mi fece realizzare
che Klaus mi aveva dato uno schiaffo. Fu come se il tempo si
arrestasse, mentre mi massaggiavo la guancia dolorante e pian piano
qualcosa cominciò a bruciarmi dentro, in un insopportabile
rogo di rabbia.
Sentii
dei rumori alle mie spalle: Elijah aveva colpito Klaus e gli stava
urlando qualcosa contro.
Diana
sembrava appartenere ad un'altra realtà e non si accorse dei
due vampiri che stavano discutendo.
Io
non udii le loro grida, non guardai la loro lotta, stavo solamente
ascoltando le mie grida e la lotta che era scoppiata dentro il mio
corpo.
Dolore.
Rabbia. Delusione. Tristezza.
Volevo
sfogarle tutte insieme in un grido, ma non mi era consentito.
Singhiozzai
disperata, perchè non mi era nemmeno consentita la possibilità
di liberarmi da quei demoni, di gridare il più possibile e di
lasciarli andare via nell'oscurità.
Morire
sarebbe stato più facile, quella vita mi stava facendo
solamente soffrire. La sofferenza era parte della vita in fondo, ma
perchè a me non era permesso liberarmene come facevano tutti?
Perchè
tutti dovevano buttarmi giù in quel modo?
Posai
la fronte sul pavimento e lascia che il gelo della superficie mi
attraversasse la pelle, quando presi consapevolezza di voler
combattere con me stessa.
Un
pugno sul pavimento diede inizio alla lotta.
Poi
ce ne furono altri, sempre più forti tanto che mi feci del
male da sola.
Delle
urla nelle mia mente accompagnarono quei rumori, mentre cercavo di
cacciare la mia rabbia.
Singhiozzavo
così forte che non mi accorsi del silenzio che si era creato
attorno a me.
Continuai
a colpire sempre più, fino a quando il dolore fisico cacciò
quei quattro demoni che si erano impossessati di me.
Avvertii
una presenza di fronte a me e capii che il mio vero mostro
aveva forse deciso che era ora che lo affrontassi.
Una
mano mi raggiunse, passò sopra il mio orecchio sinistro per
poi raggiungere il retro del mio collo. Usò poca forza, per
far sì che lo guardassi.
Guardai
il mio odio, che si celava dietro quegli occhi blu.
“I
mostri si affrontano, Irina.” disse Klaus, parlando con voce
priva di espressione.
La
sua mano restò tra i miei capelli, mentre le lacrime
continuarono ad uscire più prepotentemente di fronte alla sua
vista.
“Affrontami.
Accetta il fatto che non mi sconfiggerai mai, ma prova a combattermi.
Te lo concedo.” continuò a dire Klaus. “Mostra il
tuo amore con un bacio, sfoga il tuo odio con un pugno. Non c'è
bisogno di voce per poter esternare questi due sentimenti.”
Mi
morsi le labbra, quando compresi il vero significato di quelle
parole.
E
il fatto che lui mi stesse assecondando, il fatto che lui volesse che
gettassi il mio odio al vento mi fece rabbia. Ma lo accettai, perchè
non ce la facevo a portarmi tutto dentro.
Iniziai
a colpirlo al petto, con dei piccoli, deboli ma rapidi pugni con cui
iniziai a lasciar andare la mia rabbia. Tutti quei sensi oscuri
iniziarono a svanire, si riversarono tutti sul petto di Klaus, la
quale se ne stava immobile senza ombra di dolore sul viso mentre io
lo colpivo sempre di più.
Elijah
se ne stava alle sue spalle, in silenzio, perchè probabilmente
sapeva che dovevo affrontare da sola l'odio.
Continuai
in quel modo per diversi minuti, fino a quando poi la stanchezza mi
pervase.
Ma
mi sentii come svuotata, tutto svanì improvvisamente e il
cuore si fece come più leggero.
Alzai
lo sguardo su Klaus. Mi stava guardando con gli occhi bassi su di me,
mentre le mie mani restavano sul suo petto.
Lo
colpii con un ultimo pugno, con cui misi un punto alla mia rabbia.
Non
potevo credere che proprio Klaus me ne avesse dato l'opportunità.
Non potevo credere che mi avesse mostrato che non avevo bisogno di
voce per fronteggiare l'odio, era lo stesso insegnamento che avevo
imparato quando avevo affrontato Elijah in chiesa.
Avevo
lottato con me stessa e, in parte, avevo vinto, perchè avevo
sconfitto il dolore e la paura.
“Hai
combattuto. Anche se non hai vinto su di me, lo hai fatto.”
disse Klaus, alzai lentamente lo sguardo su di lui e i nostri occhi
s'incontrarono. La sua espressione era indecifrabile, sembrava
racchiudere troppe emozioni e tutte troppo umane per poterle
comprendere sul suo viso. “Era pure ora che affrontassi l'odio
che nutri per me.”
Era
vero che non lo avevo mai affrontato.
Persino
quando aveva macchiato le proprie labbra del mio sangue, non ero
stata capace di combattere l'odio marcio che lui scatenava in me. Ma
in quel momento, lui mi aveva spinto ad affrontarlo, non a
sconfiggerlo ma almeno a fronteggiarlo.
Non
volevo essergliene grata, ma dovevo forse?
Klaus
mi prese i polsi e li allontanò da sé, ma li tenne
nella sua presa per qualche istante. “Smettila di piangere, è
da deboli e non serve a nulla.” mi disse. “E sii un po'
più riconoscente, se non fosse per non vagheresti ancora
nell'oscurità pur di non affrontare un altro dei demoni della
tua storia.”
Le
ultime parole furono quasi un sibilo. Continuai a guardarlo in
silenzio, allontanai poi le mani dal suo tocco e abbassai lo sguardo.
Mi
portai i polsi al petto, assaporando quella strana sensazione di
leggerezza sul mio petto.
Diana
sussultò, attirando la nostra attenzione. Fu come come se una
qualche forza oscura l'avesse riportata violentemente tra noi,
osservai i suoi occhi sgranati e il modo in cui le sue spalle si
alzavano e abbassavano in preda ad un violento respiro.
Klaus
si alzò in piedi, distogliendo lo sguardo rapidamente da me,
per posarlo sulla strega.
Elijah
si avvicinò a me e mi aiutò ad alzarmi in piedi, anche
se le mie gambe non reggevano e non avevo alcuna forza di mettermi in
piedi.
Diana
lo guardò seriamente. “Qualcosa mi impedisce di arrivare
a Bell...ma ho scoperto qualcosa che potrebbe esserci utile.”
disse.
Restai
dietro Klaus e affianco ad Elijah, il mio sguardo si posò
sulla strega, il cui viso riprese lentamente colorito. Le sue gote
parvero tornare rosee e il respiro si fece più regolare.
“Continua.”
la incitò Elijah e la ragazza non se lo fece ripetere due
volte.
“Il
corvo e il lupo erano entrambi Bell.” disse e quello fu
già un primo colpo.“Esiste un incantesimo chiamato
capovolgimento spirituale che permette di trasferirsi momentaneamente
in un altro corpo con lo spirito: lui è entrato nelle anime di
questi due animali per entrare in contatto con la ragazzina. Ma poco
prima che tu li uccidessi, Klaus, lui è uscito dai loro
corpi.” ci spiegò, anche se capii lo stesso
relativamente poco riguardo quella storia.
Non
ero stupida probabilmente, anche Klaus ed Elijah parvero comprendere
ben poco.
Il
primo si andò a sedere ad una sedia accanto al tavolo e guardò
la strega con attenzione. “Se la vuole, perchè non se la
viene a prendere?” chiese.
A
quel punto Diana mi guardò, affilò lo sguardo e un
sorrisetto apparve sulle sue labbra. “Lei è maledetta.”
ripeté quella dannata parola, ma alzò le mani in segno
di arresa quando Elijah provò a replicare. “Ma siccome
non ho visto granché quando l'ho toccata, oserei anche dire
che non si tratta propriamente di una maledizione negativa. Sembra
che Bell non possa avvicinarsi di persona a lei.”
Continuavo
a non capire, Elijah mi lanciò un'occhiata come per
assicurarsi che stessi bene e che non crollassi in quel preciso
momento.
Che
significava? Che qualcuno mi aveva maledetta per allontanarmi da
Bell? Forse era lo stesso motivo per cui non potevo essere
soggiogata?
Guardai
Diana che mi stava fissando intensamente. “Purtroppo ancora non
ho capito molto di te, piccoletta.”
“Allora
è uno stregone?” la interruppe Elijah.
Diana
alzò le spalle. “Penso proprio di sì. In diverse
credenze pagane, il lupo e il corvo sono simboli di oscurità.”
disse. “Ed è certo che questo Bell faccia uso di
magia nera. Ma il fatto che non possa avvicinarsi a lei, credo che
sia un bel vantaggio per voi.”
Klaus
serrò la mascella. “Va bene, in poche parole ancora non
sappiamo di chi si tratta. Sei stata inutile.”
“Qui
ti sbagli, caro.” Diana gli puntò il dito contro e gli
fece l'occhiolino, come faceva a giocare le carte della seduzione
anche in quel momento lo sapeva solo lei. “Posso eseguire un
altro incantesimo per arrivare alla verità, ma mi serve il
ciondolo di Rebekah.”
A
quella parole alzammo tutti e tre lo sguardo su di lei, poiché
quelle parole parvero stonare con il resto del discorso.
“Il
ciondolo di nostra madre?” ripeté Elijah. “Perchè?”
Klaus
rimase ammutolito da quella richiesta, sembrava come se la figura
della madre defunta lo spaventasse oppure lo addolorasse troppo. Mi
soffermai un attimo a guardarlo, poi torna a concentrarmi su Diana.
“Perchè?”
ripeté “Perchè in pochi sono capaci di compiere
un incantesimo simili, lei era uno di questi. Se ho quel ciondolo,
posso arrivare a scoprire chi è Bell .”
Guardai
Elijah e Klaus che si lanciarono un'occhiata. Il primo annuì
di fronte al secondo che guardò poi Diana. “Ne sei
davvero sicura?” le chiese Klaus.
La
strega annuì, volgendo poi lo sguardo dal vampiro su di me. Un
sorriso si allargò sulle sue labbra e abbassai gli occhi
deglutendo. “Preparati, ragazzina. Il vero mostro della tua
fiaba lo devi ancora affrontare.”
Volevo
restare sola.
Nessuno
di noi tre parlò quando rincasammo, non avevo voglia di
parlare con nessuno di quella faccenda e avevo deciso di non pensarci
più fino a quando non avessi ottenuto delle chiare risposte.
Sia Klaus che Elijah non andarono contro quella mia decisione e la
rispettarono.
Bell
era potente e, per tutto quel tempo, mi era stato vicino più
di quanto avessi mai pensato.
Era
probabilmente uno stregone, ma quel concetto non mi era nuovo visto
tutto quello che aveva combinato per giungere a me. Restava ancora da
scoprire cosa ero io e
perchè ero così maledettamente fuori dall'ordinario.
“Non
riesci a dormire?”
Alzai
lo sguardo su Rebekah che se ne stava sulla soglia della porta. Mi
ero dimenticata di chiuderla prima di coricarmi a letto, restai
distesa sul fianco destro e con il pollice della mano sinistra tra le
labbra. La bionda si avvicinò a me e si sedette sul bordo del
letto, non portava più al collo il ciondolo della madre e
provai un profondo senso di colpa, come se glielo avessi strappato
via io stessa.
“Che
c'è? Guarda che poi Diana me lo rende, che credi?” mi
disse, quando si accorse che stavo guardando il punto della sua pelle
dove doveva trovarsi il pendente.
Serrai
le labbra e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai con il volto
rigato di lacrime.
Ero
stanca. Non ne potevo
proprio più di quella storia di Bell, di
quella di Mikael e
volevo solo la serenità che pensavo di meritare.
Volevo
chiudere gli occhi e credere che fosse solo un incubo notturno che la
luce del sole avrebbe scacciato via al risveglio. Ma non era così,
quella era la realtà.
“Ma
perchè piangi sempre, Iry?” Rebekah mi sfiorò
delicatamente i capelli sciolti e mi sorrise. “Sei davvero una
piagnona, non lo si può negare.”
Mi
strappò un sorriso e mi asciugai le lacrime con il palmo della
mano. Fortuna che avevo trovato in lei qualcuno che potesse
infondermi un po' di tranquillità, lei e Katerina furono le
mie ancore di salvezza in quella triste giornata. In realtà
anche Klaus ed Elijah lo furono.
Allora
perchè mi sentivo ancora sprofondare? Perchè mi sentivo
ancora un mostro?
Rebekah
piegò la testa da un lato. “Sai, le fiabe e la realtà
non sono poi così diverse dalla realtà.” disse,
continuando a giocare con i miei capelli. “I mostri sono sempre
gli stessi.”
Quali
erano i mostri? Nella mia storia, mi ero ritrovata ad essere
protagonista e antagonista nello stesso momento. L'unico
mostro della mia storia ero io.
“Gli
unici mostri delle fiabe, delle favole e della vita sono le paure.”
disse Rebekah, cogliendomi di sorpresa. Alzai lo sguardo su di lei e
corrugai la fronte confusa. “I mostri delle fiabe rappresentano
sempre la paura. Paura
di amare, di odiare, di piangere, di ridere...paura di vivere.
Per questo, alla fine della storia, soccombono sempre. Perchè
le paure vengono sempre abbattute quando giungono i sentimenti, come
un arcobaleno che appare nell'oscurità e la riempe dei suoi
colori. Non devi avere paura di nessuno Irina, se senti che il tuo
cuore batte o si spegne a qualsiasi emozione.”
Mi
sorrise e la sua mano raggiunse un'altra lacrima che era scesa da
sola sul mio viso. “I sentimenti, positivi e negativi che
siano, sono sconosciuti ai mostri. I mostri sono solo la paura di
saperli fronteggiare e tu oggi hai affrontato più paure di
quanto tu creda. Non temere te stessa, perchè in questa
storia..tu sei solo un'eroina.”
Tirai
su con il naso, quando lei terminò di parlare.
Non
riuscivo ancora a credere che quella ragazza, fino a poco tempo
prima, mi avesse reso la vita impossibile. In quel momento invece fu
uno dei colori che allontanarono l'oscurità da me.
Ebbi
la prova finale che non ero un mostro.
Dovevo
solo fronteggiare la paura che Bell mi
causava per poi sconfiggerlo: se non fosse stato per Katerina avrei
ancora avuto paura dell'amore, se non fosse stato per Klaus ed Elijah
non avrei mai affrontato ciò che era Bell e
se non era per Rebekah non avrei mai compreso che dovevo molto a
tutti loro.
Era
grazie alle loro parole che ero arrivata davvero a rialzarmi nello
spirito.
Sorrisi,
mentre sentivo che finalmente potevo dormire. Tutti i miei sensi
iniziarono a confondersi, mentre la voce di Morfeo iniziò a
penetrare nella mia mente, per accompagnarmi nel mondo dei sogni.
Rebekah dovette restare al mio fianco fino a quando non cedetti, mi
sembrava ancora di sentire la sua mano tra i miei capelli e il suo
sguardo su di me.
Non
volevo più rimanere nell'oscurità. Volevo essere
l'arcobaleno che la colorava.
Prima
di chiudere gli occhi a quella lunga giornata, scorsi un'ombra fuori
dalla porta della mia camera. Come se non fossi l'unica ad aver preso
consapevolezza di non essere un mostro.
Ehilà,
il capitolo è finalmente finito! :D
Spero
che vi sia piaciuto, a me non piace per niente come al solito e dopo
averlo riletto per la centesima volta, ho deciso di pubblicarlo lo
stesso e di prepararmi al lancio dei pomodori marci!
L'immagine
ad inizio capitolo è da attribuire a colei che nominò
Klaus come super-fusto ossia Elyforgotten
che ringrazio infinitamente.
In
questo capitolo ho deciso di affrontare il tema del “mostro”
visto quello che è successo nello scorso capitolo e mi auguro
di esserci riuscita bene e di non essere risultata confusa in alcuni
passaggi. Il prossimo capitolo sarà un pochino meno
angosciante di questo, ci sarà una festa dove la povera Iry
potrà almeno un po' (sottolineo un po' xD)
svagarsi
visto tutto quello che le sta capitando!
Ah
e un certo personaggio che è apparso per pochi (e un po'
inutili è vero) istanti...non è stato messo lì a
casaccio. :P
Passo
ai ringraziamenti (tanto li faccio sempre e sono sempre gli
stessi..ma vabbè, non mi stanco mai!) ringrazio tutti coloro
che leggono questa storia, sia i lettori silenziosi, che coloro che
recensiscono. I vostri commenti sono davvero uno stimolo e mi aiutano
a capire se i miei capitoli fanno pietà e dove mi devo
correggere.
Ringrazio
anche chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite e
ricordate.
Adesso
passo e chiudo finalmente :)
Ciao
a tutti! ^^
|
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Capitolo 18 *** A Thousand Lights ***
-A
Thousand Lights-
There's a
line, there's a road that we're walking Different path to the
point where they're crossing But each step is one step closer to
you As the sun says goodnight in the distance A thousand
lights fill the sky like they missed us But each one is lighting
my way to you …
(Leona Lewis-
A Thousand Lights)
La
mia vera paura era quella della delusione.
Era
più facile non pretendere niente di positivo dagli altri: se
si voleva per forza ricavare qualcosa di buono da chi ci circondava,
si veniva feriti anche troppo spesso e senza che conoscessimo i veri
rimedi per curare quelle ferite che facevano più male.
Perché
sanguinavano nel cuore, non nella carne e spesso era davvero più
facile venir feriti e ferire.
Eppure
io volevo farmi male.
Presi
quella decisione mentre osservavo il suo fermaglio sul palmo
della mia mano. Avevo deciso di indossarlo alla festa di quella sera,
a cui ero stata un po' obbligata da tutti a prenderne parte per non
pensare alla solita brutta faccenda soprannaturale che sembrava
circondarmi.
Volevo
che quella piccola farfalla argentata si posasse sui miei capelli
perché quello che Klaus mi aveva permesso di fare giorni prima
oscurava tutto il resto delle sue azioni: lo schiaffo, le sue parole
cariche di rancore non erano nulla in confronto al modo in cui si era
inginocchiato davanti a me per far sì che mi rialzassi dalla
mia sconfitta.
Doveva
pur significare qualcosa e io volevo prendere la luce insita in quel
gesto e scoprirla sempre più. Perché la luce non era
come l'oscurità: nel buio non si trovava nulla, nella luce si
trovavano invece sempre nuovi piccoli bagliori che stupivano e
catturavano il nostro sguardo.
Elijah
era luce per me, lui mi aveva dato molto più di quanto
pensasse e aveva scacciato via molte ombre che si erano annidate nel
mio animo.
Perché
dovevo allora continuare a temere Klaus in quel modo, dopo che anche
lui aveva scacciato una di quelle ombre?
Per
non parlare di quell'ombra, mi sembrava ancora di rivederla
mentre appariva davanti ai miei occhi prima che gli occhi cedessero
al sonno. Le avevo già dato un nome, ma ero curiosa di
scoprire chi, insieme a me quella notte, avesse scoperto di non
essere solo un'ombra.
Il
mio cuore aveva già preso quella decisione riguardo il
fermaglio, insieme alla mia mente e mi portai il fermaglio al petto,
come per siglare quella promessa con me stessa.
Erano
minuti che attendevo in camera di Katerina che lei tornasse dal suo
giro di compere con Rebekah, io le avevo accompagnate la mattina del
giorno prima e mi ero pentita di averlo fatto: quelle due erano
terribili, si fermavano ad ogni singola bancarella e torturavano i
negozianti con le loro domande sui prezzi. Più stavano vicine,
più si somigliavano.
Decisi
così di tornare in camera mia a passo rapido, ma mi fermai in
corridoio quando notai qualcosa di insolito.
La
porta era leggermente socchiusa, un fascio di luce bianca si stendeva
lungo il pavimento e mi sembrò di avvertire una leggera brezza
che soffiava dall'interno.
Ero
sicura di averla chiusa e anche di non aver aperto la finestra, per
non permettere al gelido vento di entrare troppo a lungo dentro la
mia stanza. Sentii il cuore stringersi in una morsa, mentre restavo
immobile davanti ad essa senza sapere se entrare oppure meno.
Strinsi
i pugni ferrei mentre seguivo con lo sguardo quel lungo bagliore di
luce che sembrava tagliarmi i piedi. Tesi l'orecchio per cogliere
ogni singolo rumore sospetto all'interno, ma eccetto il soffio del
vento non udii nulla di insolito.
Posai
l'indice sul legno della porta e lo usai per spingerla verso
l'interno, in modo che si aprisse lentamente e quanto bastava
affinché potessi accorgermi di qualsiasi presenza dentro la
stanza.
Ma
non vidi nulla, la finestra era spalancata e il vento muoveva le
bianche tende che sembravano rimanere sospese nell'aria gelida. Il
diario era rimasto sul comodino accanto al letto ben fatto e la tenue
luce del sole sembrava accarezzarne la copertina.
Mi
guardai attorno e trovai tutto come lo avevo lasciato, solo quando
feci diversi passi verso il letto mi accorsi di qualcosa di insolito
sopra di esso: un biglietto ingiallito, piegato in quattro parti
giaceva sulle mie lenzuola. Scorsi il colore dell'inchiostro scuro
all'interno di esso, appariva come un ombra nascosta dietro il colore
ingiallito di quel foglio.
Lo
presi titubante e lo aprii, leggendone attentamente il contenuto.
“
Lo
sai che le cose belle devi sempre cercarle?”
Lessi
quella frase più e più volte, l'inquietudine che mi
aveva accompagnato fino a quel momento iniziò lentamente a
smorzarsi, lasciandosi sostituire dalla sorpresa che quelle parole mi
causarono. La calligrafia era elegante, raffinata e certamente di una
persona che aveva una certa cultura. Non c'erano sbavature attorno a
quelle lettere, come se chi le avesse scritte ci tenesse ad apparire
perfetto.
Anche
la sorpresa scomparve, lasciando posto alla confusione.
Klaus.
Cosa
aveva in mente di fare? E cosa voleva che cercassi di bello?
Sospettai
comunque qualcosa di losco, malgrado i buoni propositi che avevo
deciso di prendere quella mattina.
Mi
guardai attorno, ma non mi parve di trovare niente di insolito
eccetto la finestra spalancata. Poi mi accorsi che un anta del mio
armadio era leggermente socchiusa, come se qualcuno volesse attirare
la mia curiosità a guardare dentro il mobile.
Mi
avvicinai lentamente, mentre il cuore mi batteva all'impazzata. La
mia mano stringeva la ruvida carta con il messaggio di Klaus e i miei
passi si mossero lentamente verso l'armadio, rompendo il silenzio che
mi stava accompagnando da pochi attimi a quella parte.
Mi
aspettavo di tutto: di trovarmi qualche povero animale morto o magari
persino il cadavere di qualche povera fanciulla caduta nelle sue
grinfie. Pensavo che ce l'avesse con me, Klaus era la persona più
lunatica al mondo e non mi sarei stupita se fosse stato in collera
con me per chissà quale motivo.
Spalancai
le ante, lasciandole muoversi all'indietro mentre guardavo l'interno
del mio armadio.
Un
vestito.
Era
di un rosso scarlatto, come il suo colore preferito. Contorni dorati
coloravano la maniche e la gonna, su quest'ultima c'erano anche
diverse fantasie sempre color oro, di quelli che sembravano fiori e
farfalle. Rimasi a fissarlo meravigliata per diversi secondi,
lasciando scorrere lo sguardo in alto e in basso di quella che si
poteva considerare un'opera d'arte di un sarto.
Sull'apertura
del petto era nascosto un altro biglietto, sempre ripiegato con
precisione. Lo presi tra le mani, appallottolando l'altro dentro il
palmo della mia mano e lo aprii lentamente.
“Credo
che l'ultima volta si è parecchio esagerato.
Sai
che non mi pento mai delle mie azioni, ma
spero
con questo dono di poter davvero porre fine a tutti i nostri
disguidi.
Sono
sicuro che saresti benissimo con questo vestito.
Klaus.”
Lessi
più e più volte quelle parole e me le immaginai mentre
uscivano dalle labbra di Klaus.
Era
come se fosse di fronte a me, mentre le diceva,come se si volesse
scusare per lo schiaffo ma non lo volesse apertamente affermare.
Perché comprarsi il perdono era più facile che
chiederlo semplicemente. Non venivano implicati sentimenti o
emozioni, perché si era più certi di ottenerlo con più
facilità. Peccato che ancora non capiva che non ero come lui,
io non avevo nulla da perdonargli perché ero passata sopra al
suo schiaffo, anche se nel biglietto sembrava quasi che volesse
incolpare pure me di qualcosa.
In
fondo avevo cercato anche io di ferirlo, dandogli del mostro.
Avevo le mie colpe come lui.
Sospirai
e presi la decisione di indossare anche quell'abito quella sera,
sperando probabilmente di trarne qualcosa di buono.
“Arriccia
le labbra.”
Obbedii,
tanto combatterla sarebbe stato inutile.
Restammo
sedute sul bordo del letto e Rebekah era di fronte e me, continuando
a passare quel pennellino intinto di rosso sulle mie labbra. Aveva
deciso di truccarmi e pettinarmi lei, sostenendo che voleva rendermi
più provocante e che era ora che la smettessi di sembrare una
bambina. Usò parole un po' meno carine, segno che la Rebekah
provocatoria era ancora viva malgrado tutto.
Passò
quella sostanza densa sulle mie labbra e mi ordinò di non
mordermi le labbra fino a quando non si fosse asciugato. Katerina era
dietro di lei, aveva preso parte attivamente al piano della bionda di
truccarmi come se fossi una bambola di porcellana. In quel momento si
stava guardando allo specchio, sistemandosi il vestito che Klaus le
aveva dato in dono: era simile al mio, ma di un intenso viola e con
delle fantasie disegnate sulla schiena piuttosto che sulla gonna. I
capelli li aveva raccolti in una crocchia, diversi ciuffi ricci le
ricadevano dolcemente ai lati del viso ovale, sottolineandone la
bellezza.
Rebekah
non era da meno, aveva indosso un vestito azzurro e i capelli erano
raccolti in una treccia laterale. Quelle due avrebbero avuto ai piedi
tutti gli uomini del villaggio.
“Si
dice che il rosso sulle labbra simboleggi stregoneria...sei la prova
che la superstizione è una grossa baggianata.” disse
Bekah, piegando le testa da un lato come se volesse analizzare per
bene la sua opera. Mi bloccò la mano prima che me la portassi
alle labbra per sentire il rosso su di esse. “Scommetto che
Elijah apprezzerà.” sussurrò, per non farsi
sentire da Katerina.
Divenni
più rossa del vestito che indossavo e abbassai lo sguardo
imbarazzata, Elijah mi aveva detto più volte che ero bella,
eppure continuavo a pensare il contrario.
Forse
davo troppo credito a quello che diceva Klaus probabilmente.
“Come
mai Diana non viene? L'ultima volta che l'ho vista era attaccata al
braccio di Lord Niklaus come una cozza allo scoglio!.” disse
Katerina, con una punta di acidità che non le si addiceva, ma
che Diana faceva scattare in tutte noi. Le due si erano incontrate
solo una volta qualche giorno prima e fui felice di sapere che non
ero stata l'unica a detestarla subito: come al solito aveva fatto la
civetta con Klaus e mi parve di capire che aveva assunto lo stesso
comportamento con Elijah, cosa a cui cercavo in tutti i modi di non
pensare. Rebekah pure la mal tollerava, quando parlava con lei usava
parole più taglienti di quanto fossero mai state quando si
rivolgeva a me tempo prima.
“Ha
da fare quell'arpia.” rispose la bionda, voltandosi verso mia
sorella.“Deve svolgere delle commissioni per conto di Elijah e
quindi oggi non prenderà parte alla festa.”
La
guardai confusa, chiedendomi che genere di commissione Elijah avesse
chiesto alla strega. Me ne aveva parlato lui anche in chiesa, ma non
mi era passato per la mente di indagare sulle sue intenzioni.
“Che
genere di commissione?” chiese Katerina al mio posto, girandosi
verso di noi in tutto il suo splendore. Rebekah non si voltò
verso di lei, tenne lo sguardo basso sulle nostre mani sopra il
materasso del mio letto e l'ombra di quella che sembrava tristezza
apparì sul suo viso.
“Qualcosa
che spero anche io vada in porto...” disse, la sua voce aveva
una tonalità grave come se un pensiero terribile avesse preso
forma nella sua testa. Alzò lo sguardo su di me, quando i
nostri occhi si incrociarono mi sembrò come se volesse dirmi
qualcosa che teneva nascosto da troppo tempo, qualcosa che le
bruciava dentro come un fiamma pronta a divampare.
“Va
bene. Ora tocca a noi finirci di preparare, Kat” Rebekah tornò
pimpante come al solito, rompendo improvvisamente quella gelida
atmosfera che si era creata tra noi.
Pensai
un attimo che avessi inteso male quell'espressione sul viso di
Rebekah, forse era solo una delle mie tante paranoie. Stava di fatto,
che non avrei atteso ancora che loro terminassero di prepararsi,
temevo che avrebbero speso un'altra intera ora solo a specchiarsi.
“Se
ti annoi, aspetta di sotto. Tanto Elijah e Klaus dovrebbero essere
già alla festa.”
Feci
bene a seguire il suo suggerimento, perché attesi per un altra
ora buona che lei e Katerina finissero di prepararsi. Rimasi tutto il
tempo in salotto, osservandomi allo specchio che pendeva sulla parete
di fronte al camino e pensai che Rebekah aveva fatto un lavoro con i
fiocchi.
I
miei capelli corvini erano sciolti sulle spalle, che venivano
totalmente coperte da essi. La pelle era resa più rosea dalla
cipria che vi era stata apposta sopra e le labbra scarlatte
spiccavano su tutto il viso. Arricciai il naso, pensando di trovarmi
di fronte ad un'altra persona e poi abbassai lo sguardo sul fermaglio
che stringevo nella mano da quel pomeriggio.
Ne
osservai a lungo il luccicore argentato, come se mi aspettassi che
fosse lui a prendere per me la decisione di raggiungere i miei
capelli. Colsi uno spesso ciuffo tra le mie dita e lo racchiusi
dentro il fermaglio, lo osservai mentre brillava tra i miei capelli,
posato sul lato destro della mia testa. Un sorriso si allargò
sulle mie labbra, mentre guardavo il mio riflesso e poi mi voltai
verso il camino, le fiamme che bruciavano la legna trasmettevano
calore in tutta la stanza e i loro colori si riflettevano sulle
pareti chiare della stanza.
Le
osservai ballare davanti ai miei occhi, mentre mi stringevo le mani
al petto in preda a mille pensieri.
Chissà
perché l'immagine di Klaus che mi permetteva di sfogare la
rabbia su di sé mi aveva spinto ad indossare quel fermaglio.
Eppure perché avevo comunque paura di non trarre nulla di
positivo da quel mio gesto?
Lasciai
perdere tutte le mie paranoie e mi diressi verso il corridoio con
l'intento di mettere fretta a Katerina e Rebekah, quando passai di
fronte a quella porta.
Ne
fissai la parete in legno e il pomello color ocra a lungo, la
curiosità che quella stanza faceva nascere in me era tremenda.
Strinsi il pomello tra le mani, sforzandomi di non pensare al fatto
che Klaus non volesse che mettessi piede là dentro, e spinsi
con forza, ottenendo però il nulla.
“Lo
sai che la curiosità uccide il gatto?”
Sussultai,
appena sentii quelle parole, pronunciate così vicine al mio
orecchio e con una intensità che faceva rabbrividire. Due
braccia si allungarono oltre il mio corpo, osservai le sue mani
circondare le mie e tirarle lentamente via dal pomello. Il suo
respiro soffiò dietro il mio orecchio, fu come una ventata di
calore che si tramutava poi in ghiaccio quando si scontrò con
la mia pelle. Diversi brividi ghiacciati corsero lungo la mia
schiena, mentre le sue mani muovevano lentamente le mie fino a
tirarle indietro e avvertii il suo petto sfiorare la mia schiena.
“Vedo
che hai indossato il mio vestito. Devo presumere che ho vinto di
nuovo io e tu hai ceduto?”
Idiota.
Mi liberai della sua presa e feci un giro su me stessa per guardarlo,
mentre mi allontanavo di qualche passo dalla sua presenza.
Stava
per dire qualcosa, ma si bloccò quando il suo sguardo si posò
su di me. Non capivo cosa stesse pensando la sua testa in quel
momento, i suoi occhi blu scorsero lungo il mio vestito per poi
tornare alla mia testa. Sembrava come sorpreso da quello che vedeva,
in particolar modo quando il suo sguardo si posava sul fermaglio tra
i miei capelli.
Ne
era sorpreso? Felice? Indifferente? Come sempre, era troppo
complicato per far trapelare qualcosa di semplice. Fece dei passi
verso di me, tanto che mi pietrificai e toccò il fermaglio con
le dita. Lo sentii muovere i miei capelli, mentre mi facevo sempre
più rigida.
“Lo
hai messo.” disse solo, continuando a passare le dita lungo le
ali della farfalla. Alzai lo sguardo su di lui, non aveva mai usato
quel tono così pacato con me e ne rimasi sorpresa.
Come
se si fosse accorto di aver lasciato intendere qualcosa di positivo,
ritrasse la mano e allargò le labbra in un ghigno mentre
osservava il resto del mio viso. “E quelle labbra color
ciliegia? Sono proprio del rosso che piace a me.” disse
furbamente. Avvampai di fronte a quella sua mania di provocarmi come
al solito, lo guardai piegare la testa da un lato e scrutarmi di
nuovo con attenzione. “Te lo concedo, stasera sei passabile.”
disse e rise di quelle sue parole.
Distolsi
lo sguardo seccata, quello era una sottospecie di complimento
probabilmente ma mi mandò lo stesso su tutte le furie. Lui
continuò a guardarmi, esercitando ancora e con insistenza
quella pressione del suo sguardo che mi faceva remare dentro. “Posso
sapere perché?” mi chiese.
Non
capii il senso di quella domanda, mi strinsi le braccia al petto e lo
guardai con aria interrogativa. “Perché li hai indossati
entrambi? Sei forse così presuntuosa da pensare che possa
farmi piacere?” mi chiese.
Scossi
la testa, lui mi aveva regalato quell'abito con l'intento di
indossarlo o mi sbagliavo? Lo guardai a lungo e compresi che lui si
era convinto che avrei rifiutato quell'opportunità di poter
davvero ricominciare daccapo con lui.
“Grazie.”
gli dissi, Klaus lasciò che terminassi quel gesto e poi alzò
lentamente gli occhi su di me.
Era
sorpresa quella nascosta nelle iridi del suo sguardo. Di nuovo.
“Grazie
di cosa, Irina?” mi domandò e mi resi conto che non gli
avevo mai detto grazie prima, almeno non con il cuore come in quel
momento. Non risposi, l'immagine dei miei pugni che colpivano il suo
petto tornò velocemente davanti ai miei occhi.
Restammo
con quella domanda priva di risposta tra noi, fino a quando sentimmo
bussare alla porta alle mie spalle. Due colpi decisi ruppero il
silenzio, Klaus mi superò sostenendo che doveva trattarsi di
Elijah, ma ci ritrovammo di fronte un'altra figura.
Il
cacciatore. La sorpresa di vederlo alla nostra porta mi fece venire i
brividi.
Aveva
indosso un mantello scuro e un cappuccio che gli parava il capo, la
pelle del viso era rossa, martoriata dal freddo assiduo che aveva
accompagnato quella giornata.
Lo
guardai da sopra la spalla di Klaus che teneva una mano sulla porta e
l'altra sullo stipite, mi coprì totalmente con tutto il suo
corpo, come se non volesse che vedessi quel ragazzo di fronte a lui.
“Sì?” domandò poco educatamente, restai
dietro di lui cercando un punto che mi avrebbe permesso di guardare
il cacciatore ma mi venne impedito.
“Salve
signore, mi chiamo Daniel e sono un'abitante del villaggio qui
vicino.” disse il ragazzo, aveva una voce profonda ma un po'
roca. “Mi sono permesso di prendermi il diritto di informarvi
riguardo i pericoli della foresta, visto che siete nuovi di qui e io
lavoro nei dintorni da tempo.”
Cercai
di affiancare Klaus, ma lui continuò con ostinazione a tenermi
lontana con il braccio. Daniel abbassò lo sguardo su di me per
qualche secondo, per poi tornare a fissare Klaus.
“Parla
e poi lasciaci in pace. Non abbiamo molto tempo da perdere.”
rispose Klaus, con un ghigno sulle labbra mentre continuava a tenermi
indietro.
Daniel
rimase per qualche istante di stucco, di fronte a quel tono che di
formale aveva ben poco. Io che conoscevo Klaus, potevo dire che in
confronto a come si comportava spesso con me, era quasi educato. “Vi
invito a fare molta attenzione, molti lupi abitano la foresta che vi
circonda e diverse persone sono scomparse o sono state trovate morte.
Nelle vicinanze della vostra casa.” continuò.
“Bene.”
pensai ironica, era normale che ci fossero anche le bestie nella
foresta. Il palco della mia vita non era ancora al completo.
“L'altra
volta ho visto la signorina e un'altra ragazza vicino alla rupe.”
Daniel abbassò di nuovo lo sguardo su di me, si soffermò
a lungo sul mio viso e notai di nuovo quella strana luce che
risiedeva nelle sue iridi scure.
“Non
è conveniente che andiate da sole in punti così
inoltrati.” aggiunse poi, rivolgendosi a me.
“Alle
mie ospiti ci penso già io, se non ti dispiace.” Klaus
si parò davanti a me e strinse più forte la porta, come
se fosse pronto a chiuderla da un momento all'altro. “Grazie
per l'informazione e a mai più rivederci.”
Klaus
gli chiuse la porta in faccia, senza dargli nemmeno il tempo di dire
nient'altro. Lo guardai incredula, non mi capacitavo di quanto
potesse essere scorbutico con tutti.
“Che
vuoi adesso? Era un tuo amico?” mi rimproverò lui appena
si voltò verso di me, spalancò le braccia e scrutò
il mio viso con attenzione, mentre mi stringevo le braccia al petto.
“Ha detto quello che doveva dirci e io ho bisogno di andare a
quella maledetta festa...vuoi farmi la predica pure su questo?”
Presi
un lungo respiro, dovevo abituarmi al fatto che Klaus la buona
educazione la conoscesse sol quando doveva fingere. Le parole di
Daniel rimbombarono nella mia mente, possibile che si trattasse di
semplici lupi che vivevano tra quegli alberi? Dopo che avevo scoperto
la verità sul lupo bianco, pensai che dovetti temere anche
tutti gli animali oltre che i vari nemici che avevamo.
“Non
ci pensare e goditi la testa, non puoi avere quel fastidioso broncio
sul viso tutti i giorni.” Klaus si avvicinò a me e mi
diede un irritante buffetto sulla guancia, che mi spinse a ritrarmi.
“Vado a chiamare mia e tua sorella, sono stanco di aspettare.”
continuò, lo guardai salire rapidamente le scale e mi ritrovai
sola davanti alla porta d'uscita.
Chissà
perché, ma pensai che le parole di Daniel non erano da
sottovalutare.
Quando
giungemmo al villaggio, sembrava di trovarsi in un paradiso di luci.
Il
bianco della neve si univa alle sfumature rosse ed arancioni delle
fiaccole che erano state apposte ai lati delle strade. La folla si
riversava sulle stradine in festa, diversi negozianti avevano
allestito delle bancherelle dove mostravano i loro prodotti, per di
più di genere alimentare.
Gli
odori delle spezie e delle prelibatezze si fondevano al vento gelido
di quella notte, conferendo così una maggiore aurea di magia a
quella gioiosa festa popolana.
Sembrava
quasi che il cielo e la terra fossero entrate in competizione, le
stelle sembravano riflettersi sulla terra attraverso quelle fiamme
che coloravano le strade. Ma le vere luci, quelle stelle senza cielo
che non potevo fare a meno di ammirare, erano le persone: i loro
sorrisi, le loro risa e il loro gioioso parlare sembravano cingermi
in un protettivo abbraccio, che scacciava tutti i cattivi pensieri
che avevo avuto fino a poco prima.
Quella
folla che mi circondava era uno spettacolo bellissimo per i miei
occhi, sembrava che la felicità avesse preso possesso di ogni
corpo che animava quelle strade fredde e innevate.
Mi
guardai attorno, staccandomi da Klaus, Rebekah e Katerina. Ero
partita con l'intento di cercare Elijah che doveva trovarsi già
là, ma alla fine mi ero persa nell'ammirare ogni cosa che mi
circondava.
Mi
fermai di fronte ad una specie di piccolo teatrino di burattini,
allestito appositamente per tenere tranquilli i molti bambini che
stavano giocando su quelle strade. Alcuni di loro rimasero tra le
braccia dei genitori, mentre i loro occhi innocenti guardavano
meravigliati lo spettacolo di fronte a loro. La scenetta
rappresentava una principessa bionda, dagli occhi azzurri disegnati
talmente grandi da occuparle tutto il viso, che parlava con un
principe moro e con gli occhi scuri. La voce prestata alla
principessa era molto simile a quella del principe, chiunque stesse
muovendo il suo burattino non era molto bravo a camuffare la propria
voce per renderla più femminile. Ma trovai la scenetta
divertente, mentre guardavo quei pupazzi muoversi nel teatrino,
alzando la testa in modo da superare le diverse spalle che mi
coprivano la visuale.
Il
mio sguardo cadde poi su un uomo proprio di fronte a me: mi dava le
spalle, ma aveva tra le braccia una bellissima bambina bionda dagli
occhi verdi. Un cappuccio più grande della sua testa le
copriva i capelli e teneva le dita della mano sinistra tra le labbra.
Aveva più o meno due anni e mi stava guardando oltre la spalla
del padre, i cui occhi erano invece fissi sul teatrino.
Mi
sorrise dolcemente, come se la mia immagine la spingesse ad allargare
le sue labbra in quella piccola e splendida meraviglia di sorriso.
Le
risposi con un altro sorriso, lo resi il più buffo possibile e
storcendo le labbra nella maniera più contorta che potessi
concedermi. E le rise gioiosamente, nascondendo la testa nell'incavo
del collo del padre. Tra tutte quelle voci, la sua innocente risata
la udii chiaramente,: era uno dei suoni più belli che potessi
sentire. Strinsi la busta di cartone che tenevo tra le mani e
continuai a guardarla meravigliata.
“Sei
arrivata.” disse una voce calda, che scalzò tutto le
altre attorno a me.
Volsi
la testa verso Elijah che era apparso al mio fianco, come al solito
rimasi spiazzata dalla sua immagine così vicina alla mia. I
suoi occhi scuri parvero studiarmi, cercando ogni minimo dettaglio
del mio viso e del mio abbigliamento come se mi volesse ammirare.
Le
sue labbra poi si allargarono in un mezzo sorriso. “Concedimelo...sei
stupenda.” mi disse.
E
come al solito, il mio viso andò a fuoco. Sentì una
leggera onda fiammeggiante che attraversò tutta la pelle del
mio volto e fui sicura di essere diventata più rossa di quelle
fiamme attorno a noi.
Lo
ringraziai nello stesso momento in cui la sua mano si alzò sul
mio viso. Mi sentii pietrificare, ma il tocco della sua pelle non
venne rivolto verso di me, bensì sul fermaglio che raccoglieva
un ciuffo dei miei capelli. “Ti sta davvero benissimo.”
disse. Per un attimo la sua voce sprofondò in quella che
sembrava freddezza, temetti di averlo in qualche modo offeso
indossando il fermaglio di Klaus ma poi mi fece ricredere con un
sorriso.
Lo
guardai, persa come sempre nei suoi occhi.
I
nostri occhi s'incontrarono di nuovo e allora mi ricordai che c'era
una cosa che dovevo fare, i miei pensieri si erano per un attimo
annullati di fronte alla sua presenza per poi tornare prepotentemente
a ricordarmi di fare quella cosa.
Gli
feci segno di attendere e guardai dentro la piccola busta che tenevo
in mano, Elijah seguì i miei movimenti con attenzione mentre
estraevo una scatolina dalla borsa.
Gliela
porsi con entrambe le mani, per paura che con la mia disattenzione
potessi farla cadere a terra e romperla.
“Che
cos'è?” mi chiese lui, visibilmente stupito. Feci la
scatolina più vicina a lui, in modo che la prendesse prima che
gli rivelassi il contenuto.
Prese
quella scatolina di legno tra le mani e osservò le fantasie
rosse che si trovavano ai lati di essa. Alzò poi di nuovo gli
occhi su di me, chiedendomi il perché di quel gesto.
Klaus
non era l'unico a cui dovessi almeno una parola, Elijah ne meritava
troppe ma me ne veniva in mente solo una in quel momento.
“Scusa.”
gli feci quel semplice gesto con le mani.
Anche
se non meritavo nessuna scusa dopo quello che gli avevo fatto. Per
notti intere mi ero ritrovata a ricordare quella scena in cui la mia
mano scagliava via il bicchiere che Elijah mi aveva offerto per
tranquillizzarmi. Ripensavo al suo sguardo mentre si posava su di me,
la forza delle sue mani che comunque non osavano lo stesso infrangere
la mia fragile corazza mentre mi stringeva le spalle e mi diceva che
mi avrebbe protetto a qualsiasi costo.
Io
gli avevo fatto solo del male, non c'era regalo materiale che potesse
donarmi pace dopo quell'avvenimento. Avevo di nuovo commesso l'errore
di ferirlo.
“Non
c'è nulla di cui tu debba scusarti, Irina.” Elijah alzò
di nuovo gli occhi su di me e mi sorrise, dovette aver capito quale
senso di colpa mi stesse divorando l'anima da un paio di giorni a
quella parte. Aprì la scatola e estrasse dall'interno il
piccolo bracciale che avevo comprato quella mattina in una delle
bancherelle che erano state allestite in città, diversi e
colorati fili di vimini erano uniti tra di loro e il negoziante mi
aveva spiegato che tutti quei colori simboleggiavano i vari aspetti
dell'anima. Appena lo avevo visto, pensai subito ad Elijah e alla sua
anima che racchiudeva tutti i colori di quel bracciale.
Lui
sorrise mentre lo osservava sul palmo della sua mano e temetti che
non gli sarebbe piaciuto. “Non ce n'era bisogno, davvero. Sai
che non c'è niente per cui tu debba sentirti in colpa.”
mi disse. “Ma ti ringrazio con tutto il cuore.”
Presi
il bracciale dalla sua mano e gli feci segno di porgermi il suo
polso, lui mi guardò mentre posavo quell'unione di colori
sulla sua pelle e lo richiudevo attorno ad essa.
Le
nostre mani si sfiorarono a lungo, ma cercai di non dare tanto peso
ai soliti brividi che mi scorrevano lungo la schiena. Feci diversi
passi indietro e lo guardai, con un sorriso sulle labbra. Sembravo
una bambina, mentre mi portavo le mani dietro la schiena e lo
osservavo senza sapere cosa fare o dire.
“Io
però non..non ti ho regalato nulla.” disse lui, la sua
voce venne mascherata dal senso di colpa per diversi istanti. Il
sorriso mi abbandonò rapidamente, mentre osservavo
quell'espressione apparire sul suo volto. “Perché
l'unico regalo che mi è venuto in mente di farti non lo posso
comprare.”
A
me bastava il suo sguardo come regalo, quando mi guardava come solo
lui sapeva fare, sentivo nascere un fiume di emozioni dentro di me
che niente e nessuno sapeva procurarmi con quella semplicità.
“Ma
visto che mi ha dato questo dono.” Elijah si passò le
dita lungo il bracciale, il suo sorriso si nascose sotto il colletto
del mantello. “Credo che dovrò darti il mio dono per
forza.”
Non
capii cosa avesse in mente, fino a quando le sue mani mi presero per
i polsi e mi tirarono a lui. Mi ritrovai con il mento sopra la sua
spalla, mentre le sue braccia mi cingevano i fianchi e una sua mano
saliva ad incontrare i miei capelli. Dopo un lungo attimo di
smarrimento causatomi dalla nostra vicinanza, chiusi gli occhi perché
non volevo vedere nulla di ciò che mi circondava.
Non
dovevano essere i miei occhi a vedere in quel momento, ma il mio
cuore.
E,
mentre le mie mani si posavano sulle spalle di Elijah, il mio cuore
parve vedere davvero tutto.
Sembrava
che fino a quel momento fossi stata cieca e che solo con
quell'abbraccio tutto aveva assunto colore.
Inalai
il suo profumo a lungo, allontanando così tutti gli altri
odori che avevano inebriato l'aria.
Il
mio udito colse solo il suo respiro tra i miei capelli, non il rumore
delle mani che applaudivano il teatrino di burattini.
Il
mio corpo non avvertì più il freddo tagliente che
soffiava su di noi, ma solo il calore di quelle braccia che mi
stringevano contro di lui.
Era
come se tutti i miei sensi si fossero mescolati e non riuscissi più
a distinguerli.
Quando
ci separammo, dovetti sbattere più volte le palpebre per
rendermi conto che fino ad allora non ero stata sospesa e che non ero
appena caduta di nuovo sulla terra.
Ero
sempre stata lì, solo che mi ero di nuovo persa davanti
a quegli occhi.
Ci
guardammo, ogni volta che mi guardava in quel modo sentivo come se la
mia strada fosse troppo buia e ripida e che solo la sua luce poteva
indicarmi il cammino.
“Ci
siamo scusati a vicenda allora.” disse Elijah, la sua voce era
cristallina come mai l'avevo sentita e sorridemmo nello stesso
momento. La bambina tra le braccia del padre preferiva ancora
guardare noi piuttosto che i burattini e rise sonoramente quando vide
le nostre labbra allargarsi in quei sorrisi troppo sinceri per poter
essere spiegati. Era proprio vero che solo da bambini si era capaci
di percepire la bellezza del mondo, perché si era puri,
innocenti e ancora incorrotti dalle asprezze che la vita riservava
con il crescere.
Nessun
adulto avrebbe riso in quella maniera di fronte alla nostra
improvvisa serenità.
Elijah
la guardò e allungò dolcemente la mano verso di lei,
dandole un buffetto leggero.
Il
padre della piccola si voltò verso di noi e ci sorrise, quando
sentì il riso della piccola di fronte a quel tocco. Non ero
allora l'unica a imbarazzarmi in quel modo di fronte a lui, anche se
la mia degna compagna aveva solo due anni.
Quel
momento si rivelò essere ai miei occhi una di quelle tipiche
scene che un pittore esperto doveva ritrarre per farlo vivere per
sempre in un disegno. Sarebbe stato un peccato se quell'immagine che
mi si era posta davanti agli occhi in quell'istante si offuscasse,
sparendo poi con altri ricordi del passato.
Mi
immaginai un Elijah padre.
Sapevo
che era impossibile da concepire, ma ero più che sicura che
ogni figlio avrebbe voluto un padre come lui che gli insegnasse i
veri valori della vita.
Ogni
figlia avrebbe voluto un padre come lui che la facesse sentire
protetta e amata.
Sarebbe
stato un padre esemplare, meglio dei nostri che invece non avevano
meritato un compito così semplice come quello di allevare dei
figli.
“Qualcosa
non va?” mi chiese Elijah voltandosi verso di me e dovetti
scuotere la testa per tornare in me. Ero rimasta a fissarlo sognante
per diversi secondi, troppi affinché lui non se ne accorgesse.
La sua espressione era preoccupata mentre mi guardava e gli dissi di
non preoccuparsi.
Non
ero mai stata meglio prima.
“Andiamo
a cercare Rebekah e Katerina, che ne dici? Non vorrei che mia sorella
spendesse tutto il nostro patrimonio comprandosi un'intera
bancarella!” disse, strappandomi di nuovo una risata.
Ci
allontanammo lungo la strada, quelle migliaia di luci accanto alla
strada e le miriadi di stelle sopra le nostre teste continuavano a
farsi competizione.
Ma
pensai che c'erano altre luci con cui né quelle stelle e
nemmeno quelle fiaccole potevano competere.
“È
ridicolo. Insomma...non solo devo ballare con una ragazza..ma pure
più bassa di me mi doveva capitare?”
Rebekah
si era lamentata in continuazione, ma nella sua finta rabbia mi
faceva comunque sorridere mentre ballavamo. La strada principale del
villaggio era divenuta un teatro di balli, diverse coppie danzavano
armoniosamente a suon di una musica che diventava a tratti più
lenta e a tratti più veloce, proprio per coinvolgere di più
i presenti in quelle danze.
I
poveri musicisti suonavano ai lati della strada, sulla neve ancora
fresca, ma con un sorriso sulle labbra con cui sembravano prendere
parte al nostro divertimento.
Io
e Rebekah non eravamo le sole donne a ballare insieme, anche due
anziane signore erano nelle nostre stesse condizioni e la bionda si
mise in competizione con loro. Mi disse che avremmo perso la sfida
con quelle due “megere” per colpa mia e delle mie cosce
grosse, ma come al solito sorrisi solo delle sue parole. Mi guardai
attorno, Klaus ballava con una ragazza dai corti capelli neri e un
sorriso seducente sulle labbra che mi fece quasi rimpiangere Diana.
Dietro
di me, Katerina ballava con un aitante giovanotto, ma continuava a
guardare verso Klaus mentre Elijah danzava con una ragazza dai
capelli castani e gli occhi verdi.
Non
ero riuscita nemmeno a provare ad avvicinarmi a lui, che c'era sempre
qualcuna già pronta a prendere il posto della precedente
ragazza con cui danzava. Con Klaus stava succedendo la stessa cosa e
Katerina si ritrovava nella mia stessa condizione.
“Ehi,
stai guardando tutti tranne me! Anche io preferirei guardare un bel
fusto, ma mi devo accontentare di te, nanetta.” mi disse
Rebekah, facendosi fintamente acida. “Perciò smettila di
ignorarmi o ti mordo.”
Continuammo
così per diversi minuti, non ricordavo di divertirmi così
da tempo. Si diceva che il riso abbondava sulla bocca degli stolti,
ma in quella serata ero ben fiera di essere una stolta.
Ad
un certo punto la musica si arrestò, ci fu un lungo attimo in
cui solo le voci di chi ci stava attorno riempivano il silenzio, poi
una nuova bellissima melodia ci pervase. Era più lenta e
coinvolgente, vidi diverse coppie che si facevano più vicine
mentre iniziavano a danzare con quella musica.
“Lo
sapete che siete un po' ridicole voi due?” Klaus era apparso
alle spalle di Rebekah e entrambe posammo lo sguardo su di lui.
Sembrava essersi liberato della sua ultima ammiratrice e che avesse
approfittato dell'ultimo attimo di pausa dalla musica per avvicinarsi
a noi.
“Vuoi
che ti cedo questa provetta ballerina? Accomodati. Basta che non fai
il bastardo” disse velocemente Rebekah sorridendo e prima che
potessi comprendere ciò che voleva dire con quelle parole e
replicare, la vidi sfrecciare via.
Guardai
la sua figura scomparire rapidamente tra la moltitudine di anime che
stavano danzando e mi ritrovai sola di fronte a Klaus.
Ci
lanciammo una lunga occhiata: io ero perplessa, lui divertito.
Poi
guardai la sua mano allungarsi verso di me, come per domandarmi di
danzare con lui. Il che mi innervosiva, non avevamo mai ballato
insieme prima e lui non era Elijah o Rebekah.
Lui
era Klaus.
Nonostante
avessi deciso di ricominciare daccapo con lui, non avevo ancora il
coraggio di stargli così vicino e di dargli la fiducia
necessaria per compiere un ballo.
Non
mi ero mai resa conto di essere davvero una fifona quando mi trovavo
al suo cospetto.
“Andiamo,
dovrai concedermelo un ballo prima o poi.” disse lui, dopo aver
analizzato la mia espressione titubante. Le sue parole mi penetrarono
nel cervello, erano pronunciate con una tonalità di voce più
bassa, scelta apposta per far sì che si mescolasse ai miei
pensieri e prendesse il sopravvento su di loro. Scossi la testa e gli
diedi le spalle, cercando un altro partner per il ballo.
Elijah
fu occupato con Katerina, il che era un sollievo perché la
bionda e alta giovane che si era già preparata per ballare con
lui non mi piaceva affatto. Dovevo ritirarmi dal ballo e ai miei
piedi quella mia decisione non sarebbe affatto dispiaciuta.
Però
qualcuno non voleva permettermelo.
Una
mano si posò sul mio fianco destro e mi ritrovai a fare una
giravolta su me stessa, il suo palmo restò fermo sulla mia
schiena e mi ritrovai ad inarcarla per non avvertire il ghiaccio
della sua pelle che passava attraverso la stoffa del mio vestito.
Ma così facendo compii solo una mossa peggiore, poiché
mi ritrovai il petto contro il suo. Il suo respiro caldo soffiava
sulla mia fronte e dei leggeri brividi corsero lungo la mia schiena.
Le
sue labbra si allargarono in un sorrisetto, mentre i suoi occhi
rimasero fissi nei miei.
“Andiamo,
non c'è nessun'altro con cui noi possiamo ballare al momento.”
Le
sue parole rimisero di nuovo tutto in moto. Fino a poco prima
sembrava che il mondo si fosse arrestato, come se si fosse tutto
congelato nell'imbarazzo di quel momento.
Io
non volevo ballare con lui, serrai le labbra con convinzione mentre
mi decidevo a non dargliela vinta. Gli pestai il piede, con tutta la
forza che avevo in corpo, anche se a poco serviva contro di lui.
Klaus
infatti non si fece male, ma rimase parecchio indispettito da quella
mia reazione.
Alzai
le spalle e sorrisi furbamente, per dirgli che aveva perso quella
volta.
Ma
appena mi voltai, lui mi riprese di nuovo, ma non ci ritrovammo nella
situazione di poco prima. Era come se avesse programmato tutti i miei
movimenti, in quell'ennesima giravolta mi ritrovai sempre contro il
suo petto, ma la mia mano destra si strinse nella sua sinistra.
L'altra mano la mantenne sulla mia schiena e non sul mio fianco e io
continuai a tenerla inarcata perché il suo tocco sembrava
pietrificarmi.
Aveva
di nuovo vinto lui, fui così costretta a posare l'altra mia
mano sulla sua spalla e iniziammo a muoverci lentamente. Più
che altro era lui a dirigere il tutto, io mi limitavo solo a seguire
i suoi movimenti aggraziati e perfetti come al solito.
“Le
tue labbra sono color ciliegia, lo sai?” mi chiese Klaus,
mentre tenevo lo sguardo posato su un punto indefinito oltre la sua
spalla.
Sentivo
il suo respiro sulla pelle, mi accarezzava delicatamente il viso e
sembrava allontanare il gelido vento tagliente che fino ad allora mi
aveva sfiorata. Mi pentii di nuovo di essermi fatta truccare da
Rebekah, perché dovevo riconoscere che suo fratello aveva
sempre la mania di fare battutine. Con la coda dell'occhio, notai che
il suo sguardo si era di nuovo soffermato sul fermaglio, come se
ancora non si capacitasse di trovarlo tra i miei capelli.
“Pensavo
che ti avessero insegnato a guardare colui con cui balli negli
occhi..non riesci perché ti vergogni per caso?” Klaus mi
provocò nuovamente, volsi lo sguardo verso di lui e come al
solito li trovai sorridenti quanto le sue labbra. “Ti sfido:
guardiamoci negli occhi per tutto il ballo e se uno dei due abbassa
lo sguardo prima del tempo, paga una penitenza. Che ne dici?”
Inarcai
le sopracciglia sconvolta, spesso lo trovavo davvero infantile per la
sua età. Era un bambino che si inventava i giochi più
impossibili ed immaginabili solo per soddisfare il suo desiderio di
vincere. Perché sapeva che avrebbe di nuovo prevalso.
Chinò
la testa su di me, in modo che i nostri visi si avvicinarono e colse
tutte le sfumature che dovevano essere apparse nei miei occhi. “Hai
paura di perdere, sweetheart?”
No,
non potevo dargliela vinta in quel modo. Dovevo cogliere la sfida e
batterlo almeno in quello stupido giochino che la sua mente contorta
aveva messo in atto.
Mi
concessi di non guardarlo per diversi istanti, per poi alzare gli
occhi su di lui: una linea invisibile unì i nostri sguardo,
cercammo entrambi di trovare nelle iridi dell'altro un punto da
fissare. Quella linea doveva essere saldata con la fiducia, bisognava
cercare di collegarsi con l'altro e unirsi a lui nei movimenti del
corpo. Nel nostro caso era diverso, non cercavamo fiducia l'uno
nell'altra ma solo una debolezza che portasse l'altro a perdere.
“Ho
una domanda per te, Iry. Perché hai usato il tuo fermaglio per
questa occasione?”
Nei
suoi occhi mi parve di scorgere della curiosità, davvero non
capiva perché lo avessi fatto.
Ma
era così difficile capire? Non poteva semplicemente accettare
che non nutrissi più rancore nei suoi confronti perché
anche lui aveva fatto tanto per me? Mi aveva dato voce quando non
l'avevo. Anche Elijah mi aveva permesso di parlare, più e più
volte grazie ai sentimenti che nutrivo per lui.
Klaus
aveva fatto lo stesso alla fine, quindi perché non potevo solo
mostrargli la mia gratitudine?
Ancora
non capivo il perché di quello che era successo
l'ultima volta, perché mi avesse buttato giù per poi
risollevarmi, ma potevo essergliene solo riconoscente ma per lui era
troppo difficile da capire probabilmente.
Ma
io ero sicura che, una piccola parte di lui, era felice del fatto che
avessi deciso di accettare le sue indirette scuse.
Feci
spallucce e i suoi occhi blu combatterono per non posarsi di nuovo
sul fermaglio. “Almeno non sono soldi buttati al vento.”
disse. “Presumo che tu non ce l'abbia con me per lo schiaffo
quindi. Anche perché tu mi hai riempito di schiaffi.”
Stavo
per distogliere lo sguardo, perché il ricordo della sua mano
che mi colpiva era ancora ben vivido nella mia mente. Ma volevo
vincere quella stupida sfida tra noi e così mi trattenni.
“Perdoni
troppo facilmente secondo me, lo sai che io potrei farti solo del
male.” continuò.
Era
vero, ma non volevo essere la tipica persona che dimenticava il bene
e ricordava solo il male. Avevo trovato anche delle luci in lui,
anche se troppo piccole e spesso soffocate ancor prima di accendersi
e io volevo basarmi su quelle. Volevo davvero comprenderlo,
scorgere ciò che si annidava dietro la maschera da mostro
cattivo della situazione.
Eri
tu quell'ombra, Niklaus?
Quella
domanda avrei dovuta porla anche ad Elijah, ma mi venne in mente solo
nel momento in cui mi trovai di fronte a Klaus. Quando pensai a
quelle parole, la sua espressione si fece più dura. Come se
avesse scorto quelle domanda in qualche angolo dei miei occhi, ma nei
suoi non trovai nessuna risposta.
Non
voleva rispondere, oppure non era lui l'ombra che era apparsa tra i
miei sogni prima che il sonno giungesse a me e quindi non poteva
comprendere l'interrogativo che avevo in mente.
“Tu
non mi odi veramente.” disse e pronunciò quella
oscura parola come se fosse una bestemmia.
Perché
in fondo lui voleva farsi odiare, ma sperava che così facendo
avrebbe ottenuto l'effetto contrario.
Non
capii subito se la sua era una domanda o una affermazione, ma era
chiaro che stesse convincendo anche se stesso con quelle parole.
“Fingi di farlo, perché in realtà ti spavento.”
Inclinò
la testa verso di me, il suo respiro soffiò su di me ma i suoi
occhi rimasero fissi nei miei, uniti ancora da quell'invisibile linea
di sfida che ci stava legando. Mi sentii mancare il respiro, ma non
per la sua vicinanza. Con la coda dell'occhio riuscivo a scorgere le
fossette agli angoli della sua bocca, chiaro segno che stava cercando
di provocarmi.
“Io
so cosa sono per te.” disse, spegnendo quell'attimo in cui
aveva dato sfogo ai suoi sentimenti poco prima. Doveva averlo
considerato un momento troppo lungo per lui, era davvero necessario
spegnere quello spiraglio di luce e lasciarsi di nuovo avvolgere
dall'oscurità.
“Io
per te rappresento tutti i peccati che non hai mai avuto il coraggio
di commettere.”
Furono
quelle parole che segnarono l'inizio della sua provocazione, le
pronunciò tenendo quasi strette le labbra e lasciando che il
suo respiro si schiantasse contro la mia anima.
Continuai
a sostenere il suo sguardo perché mi ero ostinata a non voler
perdere la sfida, ma mi risultò difficile dopo quella frase.
“Ho
sempre detto che noi due non siamo poi così diversi...ma in
realtà siamo luce e ombra. Siamo a stretto contatto e una
sottile linea ci separa..ma se si varca quella soglia, luce e ombra
si mescolano e arrivano a conoscere i lati l'uno dell'altra. Ma sappi
che il buio ha sempre la meglio, una singola luce non può
completamente scacciarla.”
Trattenni
il fiato, ma lui sembrava non avere ancora finito di esprimere il suo
terribile monologo.
“Io
e te siamo come peccato e purezza. Ma i peccati vengono sempre
sperimentati una volta nella vita, non sono altro che la
realizzazione dei più oscuri desideri insiti nei sogni di
ognuno di noi. Molti cercano di evitarli, affinché il loro
spirito resti elevato al di sopra di tutto...ma poi si cede e si
sperimenta l'oscurità fino ad apprezzarla.”
Ma
perché mi diceva quella parole? E sopratutto perché le
pronunciava in quel modo, proprio come se voleva che mi
confondessero, che si fondessero con i miei pensieri e tuonassero
ripetutamente nella mia testa. La presa delle nostre mani si fece più
salda, accettando la sfida di non distogliere lo sguardo eravamo
costretti a stringere in quel modo per resistere.
Capii
il suo intento: io volevo trovare la luce in lui, lui voleva trovate
l'oscurità in me. Era un'altra sfida.
Era
così complicato il suo discorso da rivelarsi invece troppo
semplice.
“Il
fatto che tu abbia accettato di indossare quel fermaglio e quel
vestito...è perché volevi in qualche modo dimostrarmi
che potevamo ricominciare daccapo, oppure perché ti sei voluta
avvicinare di più al buio che rappresento per te?” mi
chiese, il suo viso si fece più vicino, tanto che dovetti
ritrarre di poco la testa, non volendo che i nostri respiri si
unissero in uno.
Non
sapevo cosa pensare, Klaus mi confondeva sempre qualsiasi cosa
facessi.
Io
gli ero solo riconoscente per quello che mi aveva permesso di fare,
avevo rimosso lo schiaffo e tutto il resto perché per me quel
gesto con cui mi aveva permesso di sfogarmi era valso molto. Eppure
lui rigirava le cose sempre a modo suo, come se temesse che io stessi
cercando di cambiarlo e quindi lui faceva lo stesso.
Ma
io non volevo cambiarlo, volevo semplicemente che mostrasse tutti i
lati di sé stesso.
Perché
Klaus non era solo quel Klaus, doveva esserci dell'altro
sotto. Per forza.
Ma
per lui era troppo inverosimile capire che le mie intenzioni non
erano oscure come credeva.
Abbassai
lo sguardo quando gli pestai involontariamente il piede.
E
persi la sfida.
Ma
non m'importò.
Come
al solito, mi ero fatta prendere troppo dalle parole contorte che la
sua mente metteva in atto ogni volta. Le nostre mani si separarono
lentamente e ci distanziammo di pochi passi, alzai di nuovo lo
sguardo su di lui e vidi che mi stava sorridendo nella sua solita
maniera beffarda.
“Ho
vinto io, di nuovo. Ma ormai ci hai fatto l'abitudine, no?” mi
disse.
Presi
un lungo respiro, pian piano tutto intorno a me riprese posto: le
coppie che ballavano, la musica sospesa nell'aria, il vento gelido
che si mischiava ad essa e agli odori delle bancarelle attorno a noi
vennero di nuovo avvertite dai miei sensi.
Io
e Klaus non eravamo più soli, persi nei nostri sguardi.
Chissà
perché lui di godeva a confondermi con le sue parole.
Chissà
perché poi io ci rimanevo sempre male.
Avevo
messo in conto che sarebbe potuto succedere, che lui avrebbe deciso
di provocarmi come era solito fare, ma come sempre ne rimanevo sempre
io l'unica ferita.
“Facciamo
cambio di coppia?”
Katerina
era magicamente apparsa al nostro fianco, tanto che io non mi ero per
nulla accorta di come lei ed Elijah si erano avvicinati a noi. Lui se
ne stava pochi passi dietro di lei e notai che stava guardando il
fratello con una punta di sospetto e fastidio, o forse mi sbagliavo.
Io
e Klaus ci lanciammo un'occhiata complice. “Sì, certo.
Siete certamente una ballerina migliore di vostra sorella, Katerina.”
disse, usando il suo tono più educato e affascinante.
Eppure
inarcava le sopracciglia verso di me, come se anche in quel caso mi
stesse sfidando.
Katerina
si mostrò imbarazzata a quella battuta, forse pensava che me
la fossi presa ma ci ero abituata a certi comportamenti da parte di
Klaus, solo che lei non lo sapeva.
Lo
guardai prendere per mano mia sorella e allontanarsi con lei verso un
punto un po' più distante da noi, un'altra dolce melodia
riprese a suonare e io ed Elijah ci guardammo.
Lui
mi regalò un sorriso sghembo, mentre io rimasi ancora
paralizzata al ricordo di quella voce che sibilava nella mia mente.
“Cosa
ti ha detto?” Elijah si parò davanti a me, quando si
accorse che stavo visibilmente rabbrividendo. Non era solo per il
freddo però, si era accorto che avevo mutato espressione dopo
che la linea che mi univa allo sguardo di Klaus si era
improvvisamente spezzata.
Scossi
la testa e guardai lui che ballava con mia sorella.
Stavano
parlando, le labbra di Klaus si muovevano come se le sue parole
diventassero un tutt'uno con la musica e mia sorella sorrideva, la
bellezza del suo sorriso poteva fare concorrenza alle stelle sopra di
noi. Almeno con lei non si comportava egregiamente, il che mi faceva
dimenticare il suo comportamento nei miei confronti.
Mi
voltai verso Elijah, mostrandomi tranquilla e allungai la mano verso
di lui come per chiedergli di ballare. Pensai di essere risultata
troppo audace, ma visto che eravamo in quella situazione, pensai
fosse una buona idea ballare con lui. Sempre se fosse stato
d'accordo.
“Per
me sarebbe un onore.” rispose lui, mi prese delicatamente la
mano.
Le
sue dita l'avvolsero e ne sfiorarono la pelle, trasmettendomi un
calore intenso lungo il palmo.
Cogliendomi
di sorpresa e strappandomi un sorriso, mi fece fare una giravolta in
modo che il suo braccio passasse sopra la mia testa. Finimmo poi
vicini e ci posizionammo per iniziare il ballo, lui posò la
mia mano sul fianco e non la tenne dietro la mia schiena come aveva
fatto poco prima Klaus.
Iniziammo
a muoverci lentamente e guardandoci negli occhi. Con lui mi risultò
più facile farlo, perché quella piramide di fiducia che
si era creata tra noi, resisteva ancora alle intemperie che ci
avevano colpito in quei giorni. Con Klaus invece, non c'era ancora
fiducia purtroppo.
Restammo
in silenzio e mi accorsi che il volto di Elijah si era incupito, i
suoi occhi neri erano rivolti verso il fratello e sembravano lo
stessero scrutando con attenzione.
Gli
strinsi un attimo la mano che tenevo congiunta alla sua e lui rivolse
rapidamente lo sguardo verso di me. “Niente Irina, non
preoccuparti.” mi rispose, quando lesse l'interrogativo che
aleggiava nel mio sguardo. Lanciò un'altra occhiata verso suo
fratello, che per un attimo aveva distolto lo sguardo da Katerina per
posarlo su di noi, e sospirò.
Non
capivo cosa stesse pensando in quel momento, sembrava come sorpreso
dall'atteggiamento di Klaus e allo stesso tempo infastidito.
Decise
cambiare così argomento, come se volesse a tutti i costi
allontanare qualche pensiero dalla sua testa e impedire anche a me di
pormi delle domande sulla sua espressione.
“Sai,
prima quando ti ho vista guardare quella bambina davanti al teatrino,
mi sono posto una domanda.” disse, il tono della sua voce tornò
normale e sembrava non voler più pensare al comportamento del
fratello. Abbassai lo sguardo sul bracciale che aveva al polso e
sorrisi, ricordando il bellissimo volto di quella piccola meraviglia.
“Irina, tu vorrai un bambino in futuro, vero?”
Il
velo di malinconia che si nascondeva dietro quelle parole era
palpabile, sentii il cuore per un attimo fermarsi mentre ripetevo
nella mia mente quella domanda.
Il
futuro per me restava ancora un punto molto lontano da raggiungere,
ma quella questione mi disorientò, perché mi spinse a
rifletterci per davvero.
Io
una famiglia la volevo. Volevo un giorno stringere un figlio tra le
mie braccia, sapendo che era solo mio e che lo avrei protetto anche a
costo della mia stessa vita. Volevo donargli l'amore che io non avevo
avuto e accompagnarlo in ogni tappa della sua vita, per poi lasciarlo
una volta adulto, quando la sua vita aveva preso davvero il suo corso
e la mia sarebbe giunta al termine.
Ma
fermai quelle immagini perché la figura dell'uomo che volevo
al mio fianco risultò essere un'ombra. Era lì che
Elijah voleva arrivare, ancora una volta mi stava mostrando uno dei
tanti motivi per cui quell'uomo non poteva essere lui.
I
vampiri non potevano procreare e il sogno della maternità era
uno dei tanti desideri che si perdevano con l'immortalità.
E
lui ci teneva davvero a mostrarmi i lati più belli
dell'umanità, ma arrivava anche a farmeli odiare. Perché
più sperimentavo il mio futuro, più lo odiavo visto che
lui probabilmente non ci sarebbe stato.
Mi
fermai, lui rimase colpito dal modo in cui avevo interrotto la nostra
danza e lo stessi fissando.
Perché
lo faceva? Perché continuava a trovare tutto quello che tenevo
nascosto in me e ad usarlo per aprirmi gli occhi su un futuro che non
volevo vedere? Mi faceva rabbia quando faceva così.
“Saresti
una madre fantastica, ne sono sicuro.” disse allora, scuotendo
la testa lentamente.
Basta.
“L'uomo
che avrà l'onore di farti realizzare questo sogno ha tutta la
mia invidia, credimi.”
Basta.
La
voce di Elijah smise di parlare, quando si accorse che quella singola
e ripetuta parola si era appena disegnata dentro i miei occhi. Mi
lasciai inondare dalla rabbia, non volevo permettere una cosa simile
ma lui la stava praticamente obbligando a prendere possesso di me.
Elijah
mi guardò a lungo, il suo sguardo sembrò scavare dentro
la mia momentanea collera e arrivare in fondo ad essa. E in fondo ad
essa trovò il modo comunque per placarla, solo lui era capace
di domarla con un solo sguardo.
“Non
volevo farti arrabbiare, Irina.” mi disse solo. “Ma
quando ti ho vista con quello sguardo rivolto verso quella bambina,
non ho potuto fare a meno di domandarmi una cosa simile.”
Smettila.
Come spesso mi accadeva, mi ritrovai a muovere le labbra e ad
ascoltare il silenzio che usciva da esse. Ma lui non sentiva
silenzio, solo il rumore della mia tristezza.
Elijah
si indispose, lo capii dal modo in cui serrò la mascella e
fece un passo verso di me.
“Credi
che io ne sia felice? Credi che a me non faccia male scoprire i tuoi
sogni e sapere che non ne posso prendere parte?” mi chiese, con
voce dura e fredda allo stesso tempo.
Non
ero l'unica che stava soffrendo nel sentire quelle parole, per lui
doveva essere stata un'agonia pronunciarle. Ma perché ci
facevamo così male per qualsiasi gesto compievamo?
Strinsi
i pugni lungo i fianchi, mentre inspiravo profondamente per mantenere
la calma.
Ogni
volta che lui si poneva con dei discorsi del genere, mi sembrava di
trovarmi in un bivio dove non volevo perdere nessuna delle due strade
che avevo davanti.
Ma
ne dovevo per forza scegliere una.
“Scusa
di nuovo se penso al tuo futuro.”
Tu
non devi pensare al mio futuro.
Incredibile
ma in quel silenzio stavamo litigando, la mia risposta alla sua
affermazione fu chiara ai suoi occhi. Restammo l'uno di fronte
all'altra, immobili in un mondo in completo movimento.
“Dobbiamo
per forza litigare, non è così?” mi chiese.
Scossi
la testa. Non ero io quella che voleva litigare, non ero io quella
che trovava tutti i pretesti possibili per mandarmi fuori di testa.
Voleva aprirmi gli occhi? Io preferivo tenerli chiusi invece, ero io
a decidere se tenere le palpebre aperte sul mio futuro o meno. Ci
allontanammo, lasciandoci il silenzio alle spalle.
Una
discussione nata dal nulla si concluse alla stessa maniera.
Era
incredibile come, con una semplice domanda, fossi stata capace di
rovinarmi una festa. Mi feci largo tra le varie coppie danzanti e
cercai uno spazio libero affinché potessi riprendere fiato.
Ormai
mi stavo abituando al fatto che ci sarebbe sempre stato qualcosa per
rovinare tutto.
La
festa terminò poche ore dopo.
Quando
rincasammo, ero praticamente distrutta.
Ero
stanca ma non volevo dormire, perché sapevo che una volta che
mi fossi coricata sotto le coperte avrei iniziato a pensare alle
parole di Elijah. Non potevo credere davvero che fosse successo, che
mi fossi arrabbiata con lui proprio in quella serata in cui avevo
deciso di ricominciare tutto daccapo con il mondo intero.
E
invece non avevo ottenuto nulla, anzi le tracce all'inizio di quel
cammino che avevo intrapreso in quel giorno erano state violentemente
spazzate via.
Rimasi
seduta sugli scalini di fronte alla porta d'ingresso della nostra
casa. Tenevo la testa rivolta verso il cielo scuro, soffermandomi a
guardare ogni singola stella che lo illuminava. Quelle sulla terra
avevano iniziato a spegnersi, volsi lo sguardo verso l'orizzonte del
villaggio che iniziò a farsi man mano più scuro.
Mi
sentii avvolgere dall'oscurità, ma il pensiero che quelle
stelle mi avrebbero fatto compagnia mi consolava. Erano le stesse che
avevano illuminato il mio cielo in Bulgaria, eppure qualcosa era
cambiato: io ero cambiata e con me la meraviglia che provavo nel
guardarle.
Indossavo
la camicia da notte, i capelli li avevo raccolti in una treccia e mi
stringevo nel mantello, per proteggermi dal vento gelido di quella
notte.
Allungai
il braccio verso il cielo come se volessi cogliere una stella nel
palmo della mia mano. Era un gesto insensato che compivo anche in
Bulgaria, ma allora era viva la consapevolezza che non ne avrei mai
afferrata una. Ma in quel momento, malgrado sapessi lo stesso che non
potessi mai prenderne una, lo feci lo stesso. Perché ero stata
capace di raggiungere sogni che non avevo mai pensato di poter
raggiungere, quindi quelle stelle non potevano essere tanto lontane
da me.
“Le
tue labbra sono ancora color ciliegia.”
La
voce di Klaus ruppe la magia della notte, insinuandosi
prepotentemente nel suo silenzio. Mi girai verso di lui, lo trovai
con la spalla posata sullo stipite della porta di ingresso e la
camicia bianca aperta sul petto. I capelli erano sciolti sulle spalle
e gli circondavano il viso, su cui brillava un sorriso divertito.
“Che fai, cerchi di prendere le stelle? Sei proprio sciocca.”
disse ancora.
Scossi
la testa alzando gli occhi al cielo e tornando a guardare il cielo,
sentii i suoi passi farsi sempre più vicini alla mia schiena e
lo vidi sedersi al mio fianco, con le gambe distese lungo la neve e
le mani posate ai lati dei fianchi.
Che
vuoi Klaus? Gli
domandai, dandogli un buffetto sulla spalla che lui tradusse subito
in parole.
“Pensavo
al mio premio da riscuotere. Non so proprio che penitenza farti
pagare, non c'è gusto con te!” mi rispose, regalandomi
uno dei suoi tanti ghigni divertiti a cui risposi con un'occhiata
stanca verso il cielo. “Tu invece? Vuoi prendere una stella
adesso?”
Non
risposi visto che mi stava parlando come se fossi una povera pazza,
cosa che dovevo davvero sembrare poco prima mentre tendevo il braccio
verso il cielo. Vedendo che non rispondevo, Klaus volse lo sguardo
verso le stelle, le cui luci si rifletterono nel suo sguardo. “Il
cielo, le stelle..sono le uniche cose rimaste immutate in tutti
questi secoli.” disse, parlando come se si trovasse in qualche
lontana dimensione, come se io non fossi al suo fianco. “Quando
ero umano e sgattaiolavo fuori di casa, mi stendevo sul terreno e
rimanevo a guardarle per tutta la notte. Erano l'unica cosa che mi
consolava e che mi allontanava dall'ombra di mio padre. E se lui mi
beccava ad uscire di notte, mi picchiava per il semplice motivo che
avevo compiuto qualcosa alle sue spalle.”
Lo
guardai in silenzio, la maschera impassibile che copriva il suo viso
sembrava lentamente sciogliersi, lasciando trasparire quella
malinconia che solo i ricordi riuscivano a portare a galla.
Ancora
non mi immaginavo un Klaus umano, era una visione così
inverosimile che mi parve difficile darle una forma. Ma non capivo
perché il Klaus vampiro mi stesse facendo una confessione
simile, perché lasciava che i suoi ricordi si disperdessero
con me.
Però
le sue parole mi riportarono alla mente tutte le volte in cui anche
io avevo subito le percosse di mio padre. Non potevo dare un volto al
Klaus umano, ma potevo identificare il volto del suo dolore perché
era lo stesso mio.
Alzai
la mano, per posarla sulla sua schiena e consolarlo.
Ma
mi bloccai a metà gesto, perché non mi trovavo di
fronte a una persona qualunque.
Lui
era Klaus.
Mi
morsi la lingua quando mi accorsi che lo stavo trattando come un
essere che non meritava un trattamento simile a quello degli altri,
come al solito mi sbagliavo.
Posai
la mano sulla sua schiena e la lasciai scorrere lungo il tessuto
della sua camicia, una strana sensazione di freddo mi pervase. Klaus
mi guardò per un lungo istante con confusione poi, con un
gesto improvviso, alzò il braccio per stringermi il polso e
allontanare la mia mano dalla sua pelle. Le sue dita avvolsero la
pelle in una presa dolorosa, cercai di riprendermi il braccio ma lui
me lo impedì. Lo guardai quasi implorandolo, ma il suo sguardo
e la sua mano non mi diedero scampo.
“Quella
che ti ho raccontato è una vecchia storia che ha già
avuto il suo finale.” mi disse, mentre i suoi occhi di fuoco
rimasero su di me. “Questi gesti risparmiali per chi crede
ancora che un finale non sia stato scritto. Con me non attacca.”
Liberò
la presa sul mio polso e io mi portai rapidamente la mano al petto,
massaggiandomi la pelle su cui dovette essere rimasto un segno rosso.
Klaus volse di nuovo la testa verso l'orizzonte bianco, ma la sua
espressione sembrava essere pensierosa. Era sempre così,
appena uno spiraglio di umanità appariva sul suo viso, lui lo
richiudeva e lo sigillava dietro la sua maschera da cattivo.
Deglutii
e volsi lo sguardo di nuovo verso il cielo, cercando di riportare al
mio cuore un battito regolare.
“Smettila
di comportarti così.” disse poi Klaus, rompendo di nuovo
il silenzio glaciale che era sceso su di noi. “Io resto sempre
il mostro della tua fiaba che agisce nell'ombra
e non voglio nessuna compassione da te.”
Ombra.
Era
davvero lui quell'ombra.
Non
seppi perché, ma trovai la conferma a quello che avevo sempre
pensato in quella sua frase. Io e Klaus ci guardammo e lui si accorse
che avevo capito tutto, ma fece finta di nulla, preferendo
guardare le stelle piuttosto che il mio viso.
Presi
un lungo respiro, non potevo credere di essere arrivata a trovare il
coraggio di farlo in quel momento. Mi voltai verso la mia destra e
presi la scatolina scura che avevo nascosto accanto a me per tutto
quel tempo e gliela porsi.
L'espressione
di Klaus fu incredibile, fissò la scatolina a lungo come se
pensasse fosse uscita da un sogno e corrugò la fronte. “Cosa
stai tramando? Io non mi faccio comprare.” disse dopo lunghi
attimi di silenzio e rivolgendo i suoi occhi verso di me.
Volevo
chiedergli scusa per tutto, entrambi non potevamo dirlo però
con una semplice parola: io perché ero muta, lui perché
sapeva invece che quelle cinque parole poteva creare cose troppo
umane in lui. Lo guardai prendere la scatolina tra le mani e aprirla
con titubanza, ciò che vide all'interno lo lasciò
basito. Lasciò scorgere lo sguardo sul proprio riflesso, come
se non fosse il suo ma quello di un'altra persona. “Uno
specchio? So già di essere bello, Irina.” mi rispose.
Lo
guardai infastidita, con quello specchio volevo solo mostrargli come
quell'espressione stupita che aveva avuto poco prima lo rendesse
luminoso. Non era un'ombra, non era solo quella scura figura che si
era stagliata davanti ai miei occhi quella notte, ma c'erano anche
delle luci in lui.
Lui
però era il primo che voleva soffocarle perché si era
abituato al buio.
Sempre
per colpa di un padre, anche io avevo sperimentato il buio. Ma
l'oscurità non aveva un volto, quindi Klaus non poteva avere
nulla a che fare con essa.
Non
servirono gesti o parole che gli spiegassero ciò che volevo
fare con quel regalo, Klaus arrivò da solo alla mia stessa
conclusione. “Non vorrai un ringraziamento per questa specie di
regalo, perché non lo avrai.” mi annunciò. Non
pretendevo nulla da lui, non era capace di dire scusa, impossibile
quindi aspettarsi un grazie.
Si
voltò verso di me e il suo sguardo si posò a lungo sul
suo volto, alzai le spalle come per chiedergli cosa volesse, nei suoi
occhi trovai un qualcosa che non conoscevo.
“Mi
è venuta in mente la penitenza da farti pagare.” mi
disse, indicandomi con il dito indice della mano che teneva il mio
regalo. Sbarrai lo sguardo incredula, come poteva pensare ancora a
quello stupido giochino dopo quello che era successo? “Pagherai
la tua sconfitta restando immobile.”
Piegai
la testa da un lato e lo guardai senza capire, fino a quando lui
scattò verso di me: non ebbi nemmeno il tempo di replicare che
mi trovai con la schiena contro la colonna portante del porticato e
la sua presenza a pochi centimetri da me. Mi ritrovai con le gambe
strette al petto e il respiro di Klaus che bruciava la pelle del mio
viso, tenni gli occhi fissi su di lui e mi sentii come una piccola
preda nella trappola del cacciatore. Batté le mani accanto
alla mia testa, puntellando con le dita sul legno e avvicinando
sempre di più il viso al mio, sorridendo mentre lo faceva.
Posai
le mani sulle sue spalle per allontanarlo, ma la mia forza fu nulla
in confronto alla sua.
Deglutii,
guardando quegli occhi che si avvicinavano sempre di più ai
miei e il suo profumo circondarmi mentre rabbrividivo. Accostò
di più la testa verso di me e chiusi gli occhi quando pensai
che mi avrebbe morso. Tanto cos'altro avrebbe potuto farmi?
Chiusi
gli occhi, attendendo l'arrivo dei suoi denti che penetrassero la mia
carne, ma quel momento non giunse mai.
Un
bacio.
Prima
che realizzai il tutto, ci misi pochi secondi.
Ero
così impegnata a tenere serrate le palpebre per la paura che
non mi ero resa conto di come il suo respiro avesse iniziato a
soffiare sulle mie labbra, fino a farsi sempre più intenso e
vicino. Aveva dato poi inizio a quel bacio, premendo con fermezza le
sue labbra sulle mie. Portò le sue mani sulle mie guance, come
per impedirmi qualsiasi movimento per ritrarmi. Non mi sentivo
respirare e non potevo concedermi di farlo con le labbra di Klaus che
cingevano le mie nella loro morsa. I suoi pollici mi accarezzarono
gli zigomi, mentre iniziava a premere di più sulle mie labbra
per ordinarle di dischiudersi.
Dopo
quei lunghi attimi di sorpresa, cercai di spingerlo via ma lui mi
anticipò,ritraendosi rapidamente.
L'espressione
sul suo viso, divertita al massimo, mi mandò fuori di testa.
Come al solito, voleva semplicemente divertirsi, non curandosi del
fatto che io quel bacio non lo volevo.
“Erano
troppo rosse, cara.” disse lui per giustificarsi. “Rosse
come il sangue e le ciliegie. E a me piacciono entrambi, sai?”
Avvampai
per la rabbia, l'imbarazzo e il fastidio. Mi piegai verso di lui per
colpirlo con un piccolo pugno al petto che servì a ben poco,
perché lui non si fece male e il suo sorriso non si spense.
Lui
si alzò in piedi. “ Buonanotte Iry.” disse, tutto
compiaciuto per la riuscita del suo giochetto.
Lo
guardai rientrare con la scatolina e lo specchio rinchiusi in una
mano, mentre io scacciavo il suo sapore dalle mie labbra, facendo
scorrere il dorso della mia mano su di esse.
Mi
aveva di nuovo baciato per un capriccio, fu l'unica soluzione logica
che trovai al suo comportamento. Era un bambino capriccioso di ben
cinquecento anni, che non sapeva come passare il tempo.
Ma
sforzai di non arrabbiarmi per l'accaduto. Klaus poteva credere
quanto gli pareva di aver vinto, ma la vera vittoria era stata la
mia. Lo avevo sorpreso e lui non se lo aspettava.
Alla
fine, era quello il modo migliore per ricominciare tutto daccapo.
Tornai
a guardare il cielo, continuando a toccarmi le labbra per cancellare
il ricordo di quelle di Klaus che si erano posate sulle mie. Migliaia
di luci mi stavano guardando e mi confermarono che avevo davvero
vinto io per una volta.
Sorrisi
e rimasi in loro compagnia per un altro po'.
Il
mattino seguente la casa sembrava deserta, a quanto pareva solo io e
Katerina eravamo rimaste all'interno. Mia sorella però prese
la decisione di andare a creare altri pupazzi di neve di fronte al
porticato di casa e io decisi di seguirla in quel suo divertimento.
Mi
vestii rapidamente e indossando l'abito più pesante che
avessi, quel giorno il clima era più freddo del solito e la
neve cadeva accompagnata da un gelido vento.
Scesi
rapidamente di sotto, superando gli scalini molto velocemente.
Fu
la curiosità ad impedirmi di varcare la soglia della porta
d'uscita: la camera misteriosa di Klaus era socchiusa, dall'interno
si scorgeva uno spiraglio di tenebra, come se non ci fosse alcuna
luce per poterla illuminare.
Fui
tentata dall'entrare là dentro e scoprire cosa nascondesse, ma
poi pensai che far arrabbiare Klaus non era una cosa che volevo fare.
Anche se se lo meritava dopo l'ultimo suo stupido scherzetto. Strano
però che fosse aperta...
La
curiosità s'impadronì di me velocemente, mi avvicinai
alla porta e mi guardai attorno, per assicurarmi che non ci fosse
nessuno lungo quel corridoio. Posai una mano sulla ruvida superficie
in legno e la spinsi: all'interno trovai solo buio, un intenso odore
di polvere si mischiava ad un profumo che avevo sentito prima ma che
non riuscì ad associare a nulla.
Mi
feci largo nell'oscurità e urtai contro qualcosa che sembrava
essere lo spigolo di un tavolo.
Mi
fermai gemendo di dolore e mi massaggiai la gamba con una mano, ma
fermandomi scorsi un leggero spiraglio di luce che si nascondeva
dietro il buio.
C'era
una finestra, che sembrava essere coperta da una pesante e oscura
tenda che ostacolava l'entrata della luce. Mi avvicinai ad essa
rapidamente e la spalancai, usando entrambe le mani.
La
luce si fece largo nella stanza, attraversò il pavimento con i
suoi raggi e sembrò unirsi ai piccoli granelli di polvere che
caddero dalle tende.
Tossii
ripetutamente, muovendo la mano per allontanarle dal mio sguardo, e
mi guardai attorno.
Definire
quello che trovai in quella stanza una meraviglia era ben
poco: sulle pareti spoglie erano posati diversi disegni, alcuni
incorniciati e altri no, che raffiguravano splendidi paesaggi
naturali oppure perfette rappresentazione di visi di persone. Al
centro della stanza, due tavoli in legno erano stati posti
parallelamente e su di essi si trovavano diversi fogli ingialliti e
pennelli, colori e tavolozze da cui proveniva quell'intenso odore che
avevo sentito appena entrata.
Mi
avvicinai ad uno di quei tavoli e restai a bocca aperta mentre
fissavo quei fogli.
Rappresentavano
tutti delle ragazze in momenti in cui i loro sguardi sembravano
sollevati verso punti infiniti, che un occhio umano non avrebbe
potuto facilmente cogliere. L'artista che si nascondeva dietro quei
disegni aveva tutta la mia ammirazione, li presi tra le mani e
iniziai a sfogliarli.
Quell'artista
era Klaus.
Per
un attimo la sorpresa venne sostituita dalla confusione, gli artisti
erano sensibili e affascinati da tutto ciò che li circondava e
Klaus invece era cinico e parecchio. Da dove usciva quella sua
passione per l'arte?
Ma
il fatto che disegnasse, significava che una parte di me aveva
ragione: l'umanità che tanto disprezzava non era ancora stata
abbandonata. Anzi, tendeva a nasconderla come se se ne vergognasse.
Alzai
un attimo lo sguardo pensierosa e di fronte a me scorsi un grande
quadro che rappresentava un paesaggio innevato, riconobbi la rupe
dove eravamo state giorni prima io e Katerina, ma a quel disegno
mancava un intero pezzo, come se la mano che guidasse quei colori
avesse perso l'ispirazione o la voglia di dipingere. Probabilmente il
quadro alla locanda di Diana era sempre opera di Klaus.
Presi
un lungo respiro e tornai a sfogliare i disegni, erano tutti privi di
colori ma la matita veniva calcata in maniera talmente sublime che
furono i miei occhi a darli a quei volti.
Non
conoscevo nessuna di quelle ragazze, finché non mi imbattei in
un disegno di Katerina: era stata rappresentata mentre guardava un
punto di fronte a sé con aria sognante, le labbra erano
leggermente allargate in un sorriso, come se stesse osservando
qualcosa che l'avesse allietata.
Però
più la guardavo, più non riconoscevo Katerina in quei
tratti delicati.
A
prima vista poteva sembrare lei, ma c'era qualcosa nel suo sguardo
che la rendeva diversa, come se Klaus avesse cercato di rappresentare
nel suo volto un'altra persona.
Pensai
di sbagliarmi e andai avanti con il disegno successivo che trovai il
più bello di tutti: una ragazza stava dormendo, i suoi capelli
scurissimi erano sparsi sopra il cuscino dietro la sua testa.
Gli
occhi erano chiusi e le ciglia lunghe e scure, le labbra erano
dischiuse come se quella fanciulla stesse parlando con un sogno. Una
mano era adagiata accanto alla sua testa, l'altra stringeva un lembo
di lenzuolo che teneva sopra il petto.
Ero
io.
Il
cuore sobbalzò nel petto quando la consapevolezza che quel
viso era il mio prese il sopravvento. Dopo un attimo di arresa, il
battito riprese regolare fino poi a divenire più veloce.
Osservai
il foglio più attentamente, quella ragazza addormentata la
trovai molto più bella di me e cercai di convincermi che non
fossi io. Guardai quello dopo e mi riconobbi di nuovo, mentre sedevo
su una poltrona con le gambe strette al petto e lo sguardo rivolto
verso il diario che tenevo gelosamente tra le mani e su cui stavo
scrivendo.
Quello
dopo invece mi rappresentava mentre sorridevo verso qualcuno al mio
fianco, il mio profilo venne rappresentato egregiamente, tanto che mi
parve di vedere un'altra me nella realtà di quel disegno.
Delle
mani feroci giunsero a strapparmi i fogli di mano.
Mi
voltai verso Klaus, era al mio fianco e si stava portando i fogli
dietro la schiena mentre il suo sguardo di fuoco era fisso su di me.
Mi ritrovai ad arretrare, non lo avevo mai visto così
infuriato, nemmeno quando mi aveva morso e mi aveva colpito con uno
schiaffo.
“Ti
avevo detto che qui non potevi entrare.” ringhiò,
sembrava una bestia: stringeva
i denti per non gridare, ma la sua voce assunse il suono di un verso
animalesco.
Fece
diversi passi verso di me e io continuai ad arretrare. Cosa avevo
fatto di male? Non c'era niente di terribile in quella stanza.
Perché
arrabbiarsi in quel modo, per dei semplici disegni? Abbassai lo
sguardo sui fogli che continuava a nascondere dietro la schiena,
probabilmente il fatto che avessi visto i miei lo aveva fatto andare
su tutte le furie. Doveva considerare una debolezza la sua passione
nel dipingere, perché era nettamente umana.
“Non
volevo.” provai a
giustificarmi in quel modo, ma ero terrorizzata dalla sua figura.
“Non
volevi, eh? Se non volevi, non mettevi piede qui dentro!”
ripeté lui, stava ancora trattenendosi dal gridare ma il
ringhio si fece più marcato mentre avanzava verso di me. “Tu
ci godi proprio a farmi andare in bestia, non è così?”
No,
era lui che diventava una bestia ad ogni cosa. Conosceva così
bene la rabbia che la sapeva esternare in tutte le sue forme, sempre
le più violente.
Scattò
verso di me e spalancai la bocca in un grido silenzioso, quando
credetti che volesse mordermi o colpirmi di nuovo. Perché era
così infuriato che lo avrebbe fatto.
Ma
si limitò a restare di fronte a me, il suo respiro tagliò
la mia pelle e i suoi occhi sembrarono voler inchiodare la mia anima.
“Esci subito di qui.” mi disse.
Ma...
“Fuori
di qui!!” Quella volta Klaus gridò, la sua voce tuonò
tra la pareti attorno a noi e mi sembrò di essere avvolta di
nuovo dall'oscurità. Tremai visibilmente, mentre lui mi
indicava la porta con il braccio. I suoi occhi erano ancora fissi su
di me, carichi di una rabbia che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.
Non
seppi come, ma mi ritrovai con gli occhi gonfi di lacrime. Le sentii
scendere lungo il mio viso senza che me ne accorgessi, delle strisce
calde scorsero lungo le mia guance e corsi via.
Scappai
da quella stanza e dalla bestia che si trovava al suo interno.
Uscii dalla porta d'ingresso, come se volessi improvvisamente
scappare da tutto e tutti, ma mi fermai di colpo sulla neve.
Le
mie lacrime caddero su di essa, osservai quelle piccole gocce
disperdersi in quel bianco e trattenni un singhiozzo. Chissà
perché ci rimanevo male, chissà perché mi
ostinavo ancora a non imparare la lezione che lui mi impartiva
sempre: se c'era luce, io non l'avrei trovata in alcun modo.
Qualsiasi cosa avessi fatto, lui avrebbe finito per ricordarmi che
avrei solo incontrato oscurità in lui.
Ogni
volta che mi infondevo coraggio per capirlo, mi ritrovavo sempre a
pentirmi della mia decisione e a gettare la spugna. Tanto mi facevo
sempre e solo male con lui.
Mi
stropicciai gli occhi, per ricacciare indietro le lacrime che li
stavano bagnando.
“Irina?”
La voce di Elijah provenne dal mio fianco, mi voltai verso di lui:
aveva indosso un pesante mantello e tra le braccia dei pezzi di legna
per il camino della casa. Doveva essere appena tornato dal villaggio,
il suo intenso profumo si era mescolato agli odori più comuni
di quel villaggio.
Non
esitò a buttare a terra quei pezzi di legna, quando riconobbe
le lacrime sul mio volto.
Mi
prese il viso tra le mani e mi guardò interrogativo. “Cos'è
successo? Cosa ti ha fatto?” mi chiese , mentre ogni parola
sembrava venir calcata da una crescente rabbia.
Possibile
che tutti sapessero che piangevo quasi sempre per Klaus?
Scossi
la testa, cercando di calmarmi ma mi parve impossibile. Le sue dita
accorsero a fermare il cammino di altre gocce sul mio viso. “Irina,
smettila di farti del male da sola e dimmi cosa è successo, te
ne prego.” mi implorò, facendomi capire che non avrebbe
esitato a fronteggiare il fratello in quel preciso istante.
Provai
a tranquillizzarlo, ma mi bloccai quando notai qualcosa di insolito
alle sue spalle: un pupazzo di neve era rimasto incompiuto, la sua
testa sembrava rotta a metà e i rami che dovevano essere le
sue braccia erano caduti a terra.
Sbarrai
lo sguardo e Elijah seguì i miei occhi per vedere cosa stavo
guardando.
Ci
accorgemmo entrambi del mantello scuro che giaceva abbandonato sulla
neve, il vento lo investiva e lo ricopriva dei piccoli fiocchi che
stavano cadendo dal cielo.
La
testa iniziò a vorticare velocemente e le mani di Elijah si
abbassarono sulle mie spalle mentre fissavo incredula quel punto.
Katerina
era scomparsa.
Scusate
il ritardo con cui giungo con il nuovo capitolo, ma ho avuto un sacco
di impegni e il mio vecchio computer giorni fa ha deciso di
piantarmi...ok, non vi interessa lo so! XD
Intanto
spero di essermi fatta perdonare con questo nuovo capitolo, anche se
sono sicura che molti di voi sarebbero stati meglio senza!
Il
capitolo è stato decisamente più tranquillo rispetto ai
precedenti, non ci sono stati colpi di scena particolari o scene
speciali e infatti manca davvero di originalità come avrete
ben notato...
La
frase detta da Klaus “Io per te rappresento tutti i peccati
che non hai mai avuto il coraggio di commettere” non è
ovviamente opera mia, ma è una frase ripresa da “Il
ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.
Vi
anticipo che il prossimo sarà un capitolo Klaus-centrico, lui
(insieme ad Irina ovviamente) sarà il personaggio principale
nelle vicende che avranno luogo nel corso del prossimo capitolo, dove
si svolgeranno le ricerche di Katerina.
Dico
un grazie di cuore a tutte quelle splendide persone che leggono la
mia storia: sia chi recensisce, sia i lettori silenziosi che spero
continuino ad apprezzare i miei disastri. Grazie davvero infinite a
tutti voi!
Ringrazio
anche chi ha inserito questa storia tra le preferite/ricordate e
seguite!
Alla
prossima, ciao a tutti e buona serata! ^^
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Capitolo 19 *** Frozen ***
-Frozen-
Katerina.
Me
l'avevano portata via.
Fissavo
il vuoto sentendomi congelare dentro, come se non esistessi.
Si
diceva che la morte poteva avere mille nomi, in quel momento aveva
sicuramente il mio.
Ogni
sensazione, ogni singolo movimento dentro il mio corpo non mi
arrecava altro che dolore: il cuore che batteva troppo forte, le
lacrime che scendevano troppo velocemente, i singhiozzi che volevo
soffocare ma che si liberavano lo stesso attraverso le mie labbra.
Tutto
mi stava facendo morire.
Perché
mi era stata strappata via?
Non
poteva essere, era come se una parte della mia anima fosse stata
brutalmente lacerata via dal corpo e stessi aspettando solamente che
la fine giungesse a portarmi via.
Se
io fossi uscita subito quella mattina, se non avessi dato spago alla
mia insana curiosità verso quella maledetta stanza,
probabilmente sarei riuscita ad impedire che me la portassero via.
Due
mani giunsero a confortarmi, mi ero abituata a sentire la pelle
liscia e calda di quelle dita che si adagiavano delicatamente sul mio
viso, come se fossi un piccolo fiore in balia di un forte vento da
cui doveva essere protetto. Guardai quegli occhi, mentre quelle dita
colsero di nuovo le lacrime che scendevano lentamente lungo le mie
guance e scoprii con rammarico che non era vero che potessero sempre
salvarmi dall'oscurità.
In
quel caso nulla poteva risollevarmi dal vuoto in cui ero caduta, solo
la vista di mia sorella viva e vegeta e del suo dolce sorriso rivolto
verso di me.
“Non
preoccuparti, la ritroveremo.” mi disse Elijah, la sua voce
calda e profonda non scacciò comunque il gelo in cui mi
ritrovai imprigionata. Bastò solo a farmi rendere conto che
non ero sola, avvolta nel buio dove credevo di trovarmi: mi guardai
attorno e riconobbi le pareti della casa di Diana.
Dopo
la scomparsa di Katerina ci eravamo diretti là affinché
la strega potesse aiutarci a ritrovarla. Lei era appena tornata dalle
varie commissioni che doveva svolgere per Elijah e, appena ci aveva
trovato di fronte casa sua, aveva cominciato a lamentarsi sul come
loro la stessero sfruttando. Klaus la zittì con un ringhio, la
scomparsa di mia sorella aveva portato me al limite della
disperazione e lui al limite dell'isteria.
Non
mi soffermai più di tanto a comprendere quel suo
comportamento, la mia mente si era svuotata di qualsiasi tipo di
pensiero razionale e non avevo alcuna voglia di pormi altri
interrogativi.
Volevo
solo indietro Katerina e basta, poi sarei tornata a vivere.
Rimasi
con la schiena sulla parete, io ed Elijah eravamo soli vicino alla
porta d'entrata dell'abitazione. Alle sue spalle, Diana stava
discutendo con Klaus e Rebekah riguardo la riuscita di un incantesimo
di localizzazione per ritrovare Katerina. Lui stava gesticolando
animatamente e la strega sembrava rispondergli per le rime, seccata
dalla sua prepotenza. Rebekah posò una mano sul petto del
fratello per calmarlo.
“Guardami.”
Elijah mosse la mia testa, che sembrava essere abbandonata tra le sue
mani e fece in modo che la mia attenzione ricadesse su di lui. Quei
due piccoli oceani neri imprigionati nei suoi occhi non mi fecero
perdere come al solito, non si poteva perdere qualcosa che non c'era
più.
Irina
Petrova non c'era più in quel momento.
“Ritroveremo
tua sorella sana e salva, te lo prometto.” calcò le
ultime parole, come se avesse promesso non solo a me, ma anche a sé
stesso di mantenere quel giuramento.
Il
che mi infuse un po' di speranza, il cuore sussultò lievemente
nel petto e riprese il suo battito quasi regolarmente, senza farmi
più male e scese un ultima lacrima, a cui Elijah bloccò
il cammino asciugandola con il suo pollice.
“Invece
che stare qui a fare il consolatore della situazione, fratello, vieni
a darci una mano.” Sussultai quando vidi Klaus giungere al
fianco di Elijah, il suo sguardo non si posò su di me nemmeno
per un istante e il suo viso era distorto in un'espressione bestiale,
peggiore rispetto a tutte quelle che avevo scoperto in quel lungo
periodo.
Elijah
lo ignorò, come al solito mi parve di vederlo trattenersi nei
confronti del fratello. La sue espressione nascondeva un fastidio che
sarebbe potuto divampare in un incendio da un momento all'altro, se
la situazione non fosse stata così drastica.
“Adesso
arrivo, ma credo tu debba smetterla di usare questo tono con tutti.
Non te lo consento.” replicò freddamente, guardandolo
con la coda dell'occhio mentre le sue mani restavano sul mio viso.
Klaus
piegò la testa da un lato infastidito, sembrava voler dire
dell'altro al fratello, ma si fermò quando i suoi occhi si
spostarono su di me. Mi sentii come tremare dentro: se fino ad allora
mi ero trovata nell'oscurità, quegli occhi mi ci fecero
sprofondare ancora di più.
“E
tu smettila di singhiozzare, ci dai solo fastidio.” mi disse,
facendo un passo verso di me e usando un tono di voce leggermente
roca. Probabilmente avrebbe voluto gridarmi contro, ma non lo fece
solo per non disturbare la strega alle sue spalle.
Abbassai
lo sguardo colpevole, Elijah lanciò un'occhiataccia al
fratello. “Quando ti dicevo di non usare questi termini, mi
riferivo proprio a questo.” disse, con una parvenza di minaccia
nella voce a cui Klaus stava per rispondere.
Ma
non ebbe il tempo di farlo, poiché la voce di Diana prevalse
sul silenzio che aveva seguito quella frase. “Ho bisogno di
qualcosa di Katerina per poterla localizzare!” ci disse a gran
voce. Lei e Rebekah si voltarono verso di noi. La strega ci guardò
in attesa, i suoi occhi da gatta erano leggermente truccati di nero e
la rendevano molto sensuale, nonostante fosse visibilmente stanca e
infastidita dalla situazione in cui si era trovata.
Sospirai,
non avevo pensato a portarmi nulla che appartenesse a mia sorella
perché ero stata troppo impegnata a disperarmi e a recarmi
velocemente presso la dimora della strega. Avevo solo il pugnale di
Joshua con me, ma non serviva a nulla.
Come
al solito, commisi un altro errore.
“Va
bene anche qualcosa che la leghi a lei?” chiese Klaus, rompendo
di nuovo il silenzio che ci aveva avvolti. Alzai lo sguardo su di lui
confusa, chiedendomi dove volesse giungere con quella conclusione.
“Sì,
basta che sia collegato alla ragazza.” rispose prontamente la
strega, inarcando le sopracciglia come se avesse intuito ciò
che il vampiro stava per fare.
Io
invece non capii subito a che conclusione fosse giunto Klaus con
quella constatazione, fino a quando non mi afferrò il polso
con irruenza e se lo portò alle labbra. Affondò con
violenza i denti nella mia pallida carne e io aprii la bocca con
l'intento di esternare il mio dolore.
Osservai
le gocce di sangue scorrere lungo il mio polso, mentre Elijah
afferrava il fratello per le spalle e lo allontanava via da me.
Gemetti di dolore mentre passavo l'altra mano su quella chiazza rossa
che volevo pulire via. Elijah continuava a trattenere Klaus lontano
da me e lo guardava con rabbia.
“Sangue
Petrova....cosa le può legare di più?” si
giustificò lui, guardando il fratello con fastidio. Non si
curò nemmeno di pulirsi le labbra sporche del mio sangue,
lasciò che una goccia gli scorresse lungo il mento e allora vi
passò sopra un dito, portandoselo poi alle labbra
Lo
osservai a lungo e disgustata, fino a quando lui mi trascinò
verso Diana e allungò il mio polso verso di lei. Elijah,dietro
di noi, sbuffò, era chiaro che non esplodeva solo perché
la scomparsa di Katerina aveva la priorità, ma si vedeva
lontano un miglio che era furibondo.
“Ti
piace proprio il suo sangue, vero Nik?” lo provocò
Diana, ma il vampiro sembrava avere poca voglia di dare retta alle
sue battute. Come tutti noi del resto.
“Fai
quello che devi fare e muoviti.” le ordinò, allungando
sempre di più il mio braccio verso di lei, come se fosse un
oggetto. Mi morsi le labbra, il bruciore che mi stava provocando
quella piccola ferita mi gonfiava gli occhi di lacrime, ma mi sforzai
di resistere.
Se
serviva a ritrovare Katerina, ero disposta a soffrire pene ben
peggiori di quel morso.
Diana
sospirò stancamente, trattenne a stento un'altra delle sue
frecciatine e allungò la mano verso il sangue che bagnava il
mio braccio, vi passò sopra le dita, come se fosse un colore
nella tavolozza di un pittore e lasciò cadere una goccia
dentro una di quelle tante strane bacinelle in legno sparse sul
tavolo. Osservai quelle piccole gocce rosse cadere sopra degli
arbusti posti in quella bacinella e successivamente si innalzò
una lieve scia di fumo che salì verso il soffitto, malgrado
non ci fossero fiamme all'interno.
Diana
chiuse gli occhi, come sempre parve come se la sua mente avesse
lasciato il corpo e iniziò a parlare in una lingua
sconosciuta.
Mi
portai il polso ferito al petto quando Klaus si decise a lasciarmi.
Il sangue non usciva più in grande quantità ma il suo
odore, impercettibile al mio olfatto, sembrava richiamare invece i
sensi dei tre vampiri attorno a me. Solo Klaus non mi guardava, i
suoi occhi erano fissi su un punto davanti a sé e sembrava
trepidare nell'attesa di sapere il responso di quell'incantesimo.
Eravamo
messi davvero male entrambi.
“Vieni,
ti fascio il polso.” Elijah allungò gentilmente la mano
verso di me e la posò sulla mia spalla. Mentre Diana
continuava ad occuparsi di localizzare mia sorella, lui mi fasciò
alla meglio la ferita, impedendo così la fuoriuscita del poco
sangue che ancora continuava a sgorgare da essa. Restammo a pochi
passi dagli altri, i miei occhi erano fissi sulla strega e mi
ritrovai come a pendere dalle sue labbra e dalle parole che sarebbero
uscite da esse.
“E
se fosse morta?” chiese Rebekah, sussurrando all'orecchio di
Klaus.
Le
sue parole giunsero comunque a me, come un uragano pronto a
distruggermi dentro.
Non
lo aveva fatto apposta a porre quella domanda, guardava Klaus con
aria preoccupata e temendo probabilmente una sua reazione collerica
dopo quelle parole.
Io
però sentivo che Katerina era viva.
Se
era morta, se la vita aveva abbandonato il suo corpo ero sicura che
lo avrei percepito. Avrei sentito il mio cuore spegnersi lentamente,
fino a soccombere, per poi abbandonarmi tra le braccia della morte.
Katerina
era viva.
La
sentivo lontana e magari stava chiamando il mio nome affinché
accorressi in suo aiuto. Il fatto che non potessi risponderle in quel
caso, mi stava divorando l'anima.
Diana
sbarrò di nuovo lo sguardo, i suoi occhi scuri si fissarono un
attimo in un punto indefinito di fronte a sé. La fronte venne
solcata da delle piccole rughe, segno che qualcosa la stava
disorientando. “È viva, nella foresta...ma non riesco a
localizzare il punto preciso perché qualcosa mi blocca.”
disse solo, continuando a non guardarci.
“La
foresta non è piccola, Diana.” le ricordò Elijah,
con una lieve punta di fastidio nella voce e restando accanto a me.
“Ultimamente
ti stai rendendo solo inutile, sai?” Klaus sbottò,
battendo un pugno sul tavolo mentre guardava la strega, la ragazza
parve amareggiata dalla sua impossibilità nel trovare Katerina
e infastidita dal comportamento nervoso che Niklaus aveva assunto.
Intanto
mi sentii di nuovo pervadere dalla disperazione, la foresta attorno a
noi era immensa e trovarla senza avere un indizio, era praticamente
impossibile.
Ed
era freddissimo, Katerina sarebbe anche potuta morire assiderata.
“Ti
prego, fa qualcosa.”
Feci
un passo verso di lei, mentre le lacrime tornavano a scendere lungo
il mio viso e mi ritrovai quasi ad implorarla.
Diana
parve provare compassione per me, vedendomi in quello stato, era una
cosa che non tolleravo ma che purtroppo ero costretta ad accettare
viste le mie condizioni. Klaus abbassò per qualche istante lo
sguardo su di me, mentre la strega sospirava.
“Aspettate
qui.” disse con un filo di voce e si allontanò
frettolosamente verso il piano di sopra.
“Fai
in fretta Diana, sai che perdo molto la pazienza in questi casi!”
gridò Klaus, puntando gli occhi verso la scalinata che portava
alle stanze di sopra. Subito dopo che la sua voce si sparse
nell'aria, calò un silenzio di tomba che sembrò pesare
sul mio corpo.
Mi
asciugai le lacrime con il dorso della mano e Rebekah, per
consolarmi, mi passò un braccio lungo le spalle. Elijah restò
affianco a me, ma i suoi occhi erano rivolti verso il fratello. Come
se sapesse che non si sarebbe trattenuto nel dire una delle sue
solite frasi.
Klaus
volse la testa verso di me infastidito, i suoi occhi blu si posarono
sul mio viso e non trasmettevano altro che rabbia e disappunto. Le
sue iridi erano colorate di emozioni negative che solo lui sapeva
mostrare con quella intensità.
“Smettila
di frignare. Così non ritroverai certo tua sorella.” mi
disse.
Le
sue parole dovevano ferirmi ma non ci riuscirono. Dovevo rispondere
in qualche modo, ma non avevo la forza di farlo. Poteva dirmi quello
che voleva, tanto Irina non era là in quel momento.
“Anche
tu hai pianto da umano quando ti è successa una cosa simile,
Niklaus.” lo ammonì Elijah, con un'espressione dura in
volto che raramente gli avevo visto acquisire. A Klaus non piacque
però quel paragone, guardò di traverso il fratello e
fece per rispondere in qualche modo, ma il ritorno di Diana glielo
impedì.
“Ecco
qui, vi servono queste.” disse, affrettando il passo lungo gli
ultimi scalini e giungendo a noi, con in mano due pietruzze di un
colore rosso scuro grandi quanto un piccolo sasso. Guardò
ognuno di noi in viso, soffermandosi in particolar modo su Klaus. “Ma
dovrete per forza seguire il mio piano.”
* *
* *
Quel
giorno le temperature erano ancora più rigide del solito.
Il
vento soffiava imperterrito su di noi, trasportando in esso diversi
fiocchi di neve che sembravano lame taglienti sulla pelle . Non
riuscivo a non tremare, un po' per l'ansia e un po' per quel
terribile gelo che non riuscivo a scacciare, malgrado indossassi
indumenti più che pesanti.
Le
pietre che ci aveva dato Diana servivano per trovare Katerina, ma
eravamo costretti a dividerci in due gruppi per farlo dato che non
avevamo un'idea ben precisa di dove si trovasse. La pietra avrebbe
perso il suo colore scarlatto, una volta che Katerina sarebbe stata
ritrovata, così che anche l'altra coppia venisse a conoscenza
del ritrovamento e tornasse a casa. Eravamo costretti a dividerci,
visto che la foresta era più che immensa.
“Va
bene, dividiamoci.” la voce di Klaus ruppe il silenzio
agghiacciante che si era creato attorno a noi. Fino ad allora
sembrava fosse stato il vento a parlare, le sue folate violente
fischiavano attorno a noi e muovevano con violenza i rami degli
alberi che ci circondavano.
Mi
strinsi le braccia al petto, restando accanto ad Elijah, Rebekah e
Klaus erano invece di fronte a noi e la ragazza stringeva tra le mani
l'altra pietra.
“Rebekah,
vai con Elijah, io proseguo da solo e Irina se ne torna a casa.”
disse ancora Klaus, indicandoci a turno, secondo il nome che veniva
pronunciato dalle sue labbra.
Lo
guardai allibita, come poteva pretendere che me ne tornassi a casa
sapendo che mia sorella era là fuori, sola, spaventata e in
pericolo di vita?
Scossi
la testa per obiettare, ma Elijah mi posò una mano sulla
spalla, accordandosi alle parole del fratello.
“Niklaus
non ha tutti i torti. È pericoloso per te, forse è
meglio se rimani con Diana magari.” disse.
No!
Mi
rifiutai categoricamente di non prendere parte alle ricerche.
Io
avrei cercato mia sorella a qualsiasi costo. Anche se mi sarebbe
successo qualcosa nel farlo, almeno lei avrebbe saputo, in un modo o
nell'altro, che io avevo provato a superare il mondo intero pur di
ritrovarla.
Klaus
mi guardò infastidito, non avevo mai visto tanta intolleranza
nei suoi occhi. “Non costringermi a metterti in spalla e
trascinarti in casa con la forza, ragazzina.” mi disse
minaccioso. Ma le sue minacce servivano a poco, poteva usare tutta la
violenza, fisica o verbale che fosse, ma io non mi sarei smossa
dall'idea che avrei cercato e trovato io Katerina.
Io
volevo salvarla.
Rebekah
fu l'unica che mi sostenne, lei sapeva cosa significava voler
proteggere a tutti i costi i propri fratelli. Ed era la sorella più
piccola dei tre, quindi da sorella minore poteva capirmi meglio di
tutti probabilmente.
“La
proteggeremo noi, ma lasciatela venire. Non potete farla rimanere a
casa a crogiolarsi nella disperazione!” disse, volgendosi
sopratutto verso Klaus che sembrava quello più nervoso di
tutti. “E poi, conoscendola, sappiamo tutti che se ne andrebbe
in giro da sola a farsi ammazzare!”
Utilizzò
quelle ultime fondate parole per convincere i fratelli, in effetti lo
sapevano anche loro che cacciarmi nei guai era la cosa che sapevo
fare meglio. Guardai prima Elijah poi Klaus ed entrambi i loro volti
sembrarono arrendersi all'evidenza che dovevo prendere parte alle
ricerche.
Elijah
sospirò e Klaus alzò gli occhi al cielo. “Sappi
che se tua sorella muore, è solo colpa tua.” mi disse
quest'ultimo, il suo ringhio superò i fischi del vento e
giunsero alle mie orecchie in tutta la loro violenza.
Risposi
affilando lo sguardo e stringendo i pugni guantati lungo i fianchi.
“Allora,
Rebekah va con Elijah e Irina viene con me.” disse poi,
cogliendomi di sorpresa.
Lo
fissai confusa, pensavo che sarei andata io con Elijah e invece lui
aveva preso quella inaspettata decisione. Pensavo che avrebbe deciso
il contrario, pur di non vedermi per un po'.
Magari
voleva solo tenermi d'occhio, era tipico suo.
Guardai
Elijah al mio fianco e lo vidi prendere un lungo respiro, voleva
replicare ma non lo fece perché non era l'occasione adatta per
farlo.
“Io
e Rebekah siamo impulsivi, tu e Irina siete più ragionevoli.
La bilancia è ben equilibrata quindi.” Klaus diede
velocemente le sue spiegazioni quando incrociò lo sguardo del
fratello, si avvicinò a me e con poca grazia mi prese per il
braccio, tirandomi a sé.
Rebekah
mi passò accanto e per occupare il posto che aveva avuto la
mia figura accanto ad Elijah, il cui sguardo era fisso e freddo su di
noi. “Non è che ne vuoi approfittare per stare da solo
con qualcuno, Nik?” gli chiese lei a suon di battuta, guardando
il fratello con sospetto e stringendosi le braccia al petto.
Klaus
la guardò con fastidio, affilò lo sguardo verso di lei
ed ero certa che chiunque avrebbe distolto gli occhi di fronte a
quella espressione. Ma non lei: Rebekah rimase a guardarlo con sfida,
mentre il vento continuava a soffiare imperterrito su di noi,
attraversando i nostri pensieri.
Il
vampiro non rispose, mi tirò più forte a sé per
spingermi a camminare e ci dirigemmo verso la foresta. Prima di
superare la prima serie di alberi, mi voltai verso Elijah e incontrai
il suo sguardo.
* *
* *
Silenzio.
Il
vento aveva smesso di soffiare così forte.
La
foresta sembrava addormentata malgrado fosse pomeriggio inoltrato.
I
nostri respiri venivano congelati in piccole nuvolette bianche, prima
che potessero oltraggiare quella spaventosa quiete che si era creata
attorno a noi.
Camminavamo
da un'ora probabilmente e nessuno di noi due osò pronunciare
una sola parola. Eravamo troppo nervosi e, inoltre, non avevamo nulla
da dirci dopo quello che era successo. Avrei preferito avere al mio
fianco una persona che potesse confortarmi, non che mi facesse ancora
di più venire i brividi.
Guardai
la pietra, era ancora rossa. Katerina non era stata ritrovata nemmeno
da Elijah e Rebekah.
Katerina.
Tutti
i miei pensieri si ridussero ad una sola parola, il nome di mia
sorella. La sentivo, mi sembrava di udirla chiamare il mio nome e io
volevo solo averla al mio fianco. Volevo riportarla indietro, volevo
che con lei la vita tornasse a me e che tutto acquistasse di nuovo un
senso. Non volevo che gli ultimi momenti insieme a lei, fossero stati
segnati dalle continue bugie che le dicevo.
Delle
lacrime scapparono dai miei occhi senza che potessi fermarle. Fu il
gelo a farlo per me: le congelò sulla mia pelle come se il
cielo volesse impedirmi di piangere, almeno fino a quando non avrei
ritrovato Katerina.
“Ti
prego, non aprire di nuovo le fontane. Altrimenti ti abbandono qui e
continuo le ricerche da solo. Sarei più veloce sicuramente.”
Klaus mi rimproverò, aveva la testa nascosta sotto il
cappuccio e la voce dura e brutale come solo lui sapeva renderla.
Come
aveva visto che stavo piangendo, se non mi stava nemmeno guardando?
Forse avevo tirato su con il naso e lui aveva dipinto nella sua mente
l'immagine del mio viso che piangeva.
Lo
guardai, non provai alcuna emozione nel guardarlo: rabbia, fastidio,
irritazione.
Nulla.
Anche
i miei sensi si erano ridotti ad una sola sensazione e cioè
l'ansia di ritrovare mia sorella viva al più presto. Però,
quelle parole che Klaus mi rivolse, anche se poco gentili come al
solito, mi servirono da distrazione.
Per
un attimo quell'unico senso e quell'unico pensiero si dispersero nel
vuoto e mi parve di sentirmi meglio, anche se per poco. Volevo che
Klaus mi parlasse anche se aveva intenzione di infierire su di me, ma
almeno mi avrebbe per un momento distratto da tutto, mentre i nostri
piedi camminavano lungo quella strada innevata in salita, verso un
punto indefinito. Ma che argomento trattare con lui? Non era Elijah,
con lui ogni argomento poteva infastidirlo, ma mai quanto uno in
particolar modo. Approfittai di quel silenzio, di quel mio bisogno di
distrarmi, per toccare un argomento che mi creava parecchia curiosità
e parecchie domande.
Klaus
si accorse che lo stavo osservando da diversi attimi, si voltò
verso di me e mi inchiodò con lo sguardo. “Che diavolo
vuoi, Irina?” mi chiese, con tono rabbioso.
Parlami.
Volevo
scacciare quel peso che aveva deciso di stringermi il cuore, volevo
che il mio obiettivo nel salvare Katerina restasse ma che l'ansia
venisse smorzata via in qualche modo. E l'unico che poteva rendere
possibile una cosa simile era lui, non poteva mettere da parte la
rabbia che nutriva nei miei confronti e parlare con me?
Klaus
osservò a lungo il mio viso immobile e scosse la testa
confuso. “Tua sorella è scomparsa e tu te ne stai lì
a fissarmi come un'ebete...non ti sembra un po' fuori luogo?”
mi rimproverò, ma la sua espressione si rilassò di
fronte alla consapevolezza nel mio sguardo.
Spostò
gli occhi da me e li rivolse verso un punto di fronte a noi, dove il
cielo bianco e il terreno innevato si univano in un tutt'uno, come
un orizzonte bianco stagliato dagli alberi che si paravano di fronte
a noi.
“Disegni?”
gli posi quella domanda, muovendo le labbra lentamente e in modo che
lui cogliesse il quesito che gli stavo rivolgendo.
Klaus
osservò le mie labbra a lungo, fino a quando la parola che
avevo silenziosamente pronunciato prese forma nella sua mente. Lo
guardai allontanare di nuovo lo sguardo da me e serrare la mascella,
come per trattenere la rabbia che quelle poche e semplici lettere gli
avevano procurato.
Non
era mio intento farlo andare in collera, ma la mia curiosità
poteva essere colmata in quel silenzio, mentre la mia mente cercava
un appiglio per non pensare solo al nome di Katerina.
Ogni
volta che quel nome si faceva largo nella mia mente, mi sentivo come
pugnalare al petto.
“Tu
non vuoi distrarti, vuoi solo mandarmi in bestia come al solito.”
rispose secco, lasciandomi intendere che non avrebbe affrontato
l'argomento per nessun motivo. Ripensai a quei disegni, quando mi
tornavano in mente le immagini che avevano seguito quella mia
scoperta, mi ritrovai a rabbrividire. Proseguimmo il cammino, Klaus
avanzava più spedito di me, che invece facevo fatica a farmi
largo in quello spesso strato di neve dove i miei piedi affondavano.
“Perché?”
Toccandogli il braccio con la mano, feci in modo che la sua
attenzione tornasse ferma su di me. Il suo sguardo era, come al
solito,freddo e penetrante: era ovvio che fosse infastidito dal mio
modo di comportarmi, ma lui mi doveva per forza delle risposte.
Si
fermò di colpo accanto a me, le sue mani mi cinsero le spalle
e le strinse con forza, bloccando il tremore causato dal freddo ma
provocandomi dolore sulla pelle.
“Perché
cosa? “ mi chiese scuotendomi, mi sentii diventare piccola come
non lo ero mai stata, mentre quegli occhi mi penetravano dentro e mi
immobilizzavano nella paura.
Klaus
era molte cose per me: era stato odio, era stato rabbia, ma tutte
quelle forme che aveva assunto si erano affievolite molto velocemente
con il tempo, diventando quasi ricordi lontani.
Ma
Klaus restava paura per me, sempre.
Come
potevo superare quell'immagine che avevo di lui? Avvicinò di
più il viso al mio, il suo respiro si congelò prima che
potesse giungere a me e i suoi occhi continuavano a fissare i miei
con rabbia. “Perché cosa, Irina?” mi chiese di
nuovo e con fermezza.
Lui
sapeva benissimo il perché.
Non
riuscivo nemmeno a dare un senso ai pensieri che avevo in quel
momento perché quello che avevo visto in quella stanza mi
aveva disorientata. Non capivo proprio il perché: comprendere
Klaus era impossibile, ma con quell'avvenimento aveva superato sé
stesso. Mi rilasciò con irruenza, quando si accorse che
nessuno di noi due era intenzionato a rivelare il significato di quel
interrogativo che si era instaurato tra di noi.
Per
poco persi l'equilibrio tanto mi ero affidata alla forza della sua
rabbia per rimanere in piedi e lo guardai allontanarsi di qualche
passo da me. Si passò una mano sulle labbra e alzò lo
sguardo verso il cielo. Era la prima volta che lo trovai senza una
battuta pronta, sembrava come se stesse elaborando in quel momento
una possibile risposta da darmi.
“Ho
molto tempo libero, sai? Non passo tutto il tempo ad ammazzare le
persone e quindi cerco un modo per passare le giornata. Ora
riprendiamo il cammino?” disse, si voltò di scatto verso
di me e mi guardò con freddezza.
Klaus
che evitava il vero perché che gli avevo posto, mi lasciò
senza parole.
Ripresi
a camminare, facendo sempre una grande fatica per superare gli
ostacoli della neve, ma lui restò immobile, seguendomi con lo
sguardo mentre proseguivo lungo quel ripido terreno.
“Cosa
credi Irina, eh?” La rabbia che trasparì in quel grido
che mi rivolse era diversa da come l'avevo sempre conosciuta. Era più
controllata, più umana e la paragonai a quell'ira che si prova
verso sé stessi, quando si è ormai consapevoli di una
sconfitta.
Mi
voltai verso di lui e lo guardai confusa, Klaus mi stava fissando con
le braccia spalancate e un'espressione incomprensibile sul volto.
Perché
è così difficile comprenderti?
“Quello
che hai visto...cosa ti fa pensare, Petrova?” mi chiese di
nuovo, come se dovessi trovare io la risposta alla domanda che io
stessa gli avevo posto. Ma io non avevo una risposta chiara,
continuavo a brancolare nel buio e a rifiutarmi di fondere nella mia
mente un chiaro pensiero al riguardo. Volevo da Klaus quella
risposta, perché quella che avevo io voleva restare nascosta
nell'ombra. Si fece di nuovo vicino a me, quella volta fu lui a
cercare me e non il contrario, come era successo poco prima.
Scossi
la testa, per dirgli che non conoscevo la risposta a quella domanda
così semplice.
Lui
l'aveva, ma voleva sentire a che conclusione fossi arrivata io. Cioè
nessuna.
“Non
farti strane idee, sicuramente la risposta che quella tua piccola
testolina ha elaborato è sbagliata.” Klaus si fece
sempre più vicino, si parò davanti a me e si mise al
mio stesso livello, in modo che i nostri occhi si guardassero a
fondo. Ci stavamo di nuovo sfidando, era sempre così ormai e
l'abitudine mi aveva quasi portato alla noia. Tanto in quel gioco che
mettevamo sempre in atto tra di noi, era lui quello che in un modo o
nell'altro vinceva sempre.
“Sì,
ti ho dipinta, ma non sei l'unica come hai ben notato.” disse,
annuì lentamente e serrò le labbra con rabbia, mentre
io restavo a guardarlo in silenzio. Una vampata di calore m'investì,
al ricordo di quei disegni e per un attimo la sensazione di freddo
che mi stava attanagliando da quando eravamo usciti sembrò
attenuarsi. “Mi piacciono le espressioni che assumi in volto,
tutto qui. Essendo muta probabilmente esterni tutto ciò che
provi sul tuo viso: quando sorridi, quando pensi, quando scrivi su
quel maledetto diario è come se i tuoi pensieri vengono
disegnati su di esso.” Il modo in cui parlò fu più
pacato, era in quei momenti che si mostrava quasi sincero, quando non
mascherava la sua voce con ostinata rabbia o freddezza.
Analizzai
le sue parole a lungo e avvertì una strana sensazione che non
avevo mai provato prima e che mi confondeva ancora di più. “E
mentre dormi il tuo viso diventa il quadro dei tuoi sogni.”
concluse, continuando a guardarmi negli occhi, a quelle parole seguì
un lungo silenzio, rotto unicamente dalla folate di vento che avevano
ripreso a soffiare su di noi.
Ma
io non le sentivo, mi ero talmente persa nei miei pensieri e nello
studiare il viso di Klaus che mi parve di non sentire più
nulla. Quando lui ruppe il filo che univa i nostri sguardi, mi sembrò
di tornare a respirare e tutto il mondo attorno a me, riprese forma.
Continuavo
a non capire.
“Sei
solo un ottimo soggetto per la mia noia e basta. Ti ripeto che, come
hai ben visto, non sei l'unica ragazza che abbia rappresentato. Non
credere chissà cosa quindi...”
Abbassai
lo sguardo sulla neve ai nostri piedi, continuavo a non sapere cosa
pensare al riguardo ma il pensiero di Katerina tornò
velocemente a torturarmi.
Una
distrazione era un breve attimo che volava via, la realtà e le
sue preoccupazioni tornavano sempre a bruciare dentro e a strapparmi
l'anima pezzo per pezzo.
“E
ora muoviti, se non vuoi che tua sorella diventi mangime per i lupi.”
Klaus
pose fine al suo monologo, mi superò dandomi una spallata e
riprendemmo a camminare, lui davanti a me di pochi passi e io più
indietro.
Passarono
altri interminabili minuti, senza che trovassimo alcunché che
potesse servirci da indizio per trovare mia sorella. La disperazione
tornò a farsi largo dentro il mio cuore, scacciò il
coraggio e iniziò a soffocare la speranza, buttandola in un
profondo vuoto da cui era impossibile risalire.
Ogni
tanto le lacrime tornavano a bagnare i miei occhi e volevo gridare a
gran voce il nome di Katerina: lei doveva sapere che ero lì,
dovevo sapere che l'avrei portata a casa a qualsiasi costo.
Ad
un certo punto guardai la pietra e una sensazione di tranquillità
sembrò risollevarmi dal vuoto in cui ero caduta: Katerina era
stata ritrovata, il colore scarlatto era scomparso simbolo che Elijah
e Rebekah erano giunti a lei.
“Che
hai?” Klaus si fermò a pochi passi da me e gli mostrai
la pietra con un sorriso.
Lo
osservai prendere un sospiro di sollievo, ma che durò un solo
attimo. Lui corrugò la fronte confuso e scosse la testa subito
dopo, spegnendo anche quel mio momento di gioia. “Però è
strano...possibile che l'abbiano già ritrovata con questa
facilità? Il nostro nemico dev'essere proprio un'idiota.”
disse e non potevo dargli torto. Diana non era riuscita a
localizzarla e pensavamo quindi che le ricerche sarebbero perdurate
per tutta la notte. Possibile quindi che fossimo giunti alla
conclusione di quella faccenda così in fretta?
Non
m'importava rimuginare, volevo subito tornare a casa e rivedere mia
sorella. Mi portai la pietra dentro la tasca del mantello, ma Klaus
mi fermò appena cercai di compiere un movimento.
Adagiò
la sua mano sopra il mio braccio sinistro e il suo tocco mi
immobilizzò.
Lo
guardai fissare il vuoto in silenzio, con l'orecchio ben teso a
captare suoni che solo il suo udito poteva cogliere. “Sta
ferma. Ci sta seguendo da troppo tempo.” sussurrò e il
mio cuore sobbalzò a quelle parole.
Di
cosa stava parlando? Io non sentivo nulla.
Feci
per girarmi, ma il suo respiro me lo impedì.
“Non
guardarti intorno, stupida.” Klaus pronunciò quelle
parole a denti stretti, inchiodandomi con lo sguardo affinché
tenessi gli occhi sempre rivolti verso di lui. Il suo tocco si
trasformò in una presa, le sue dita avvolsero il mio braccio
con forza. Mi tirò a sé con poca grazia, le sue labbra
sfiorarono il mio orecchio e il suo respiro soffiò sulla base
del mio collo.
Era
stranamente caldo, attraversava il tessuto del cappuccio e sembrava
sciogliere il ghiaccio che la mia pelle sembrava essere diventata
sotto quel vento.
“Quando
te lo dico io, scappa il più lontano possibile.”
sussurrò. Corrugai la fronte confusa, la sua presa si allentò
sempre di più, fino a trasformarsi in un lieve tocco sulla mia
pelle. Volsi la testa verso di lui, eravamo così vicini che i
nostri respiri entrarono in contrasto come se fossero due onde pronte
a schiantarsi l'una nell'altra. Gli occhi di Klaus però erano
fissi su un punto dietro le mie spalle, come se scrutassero qualcosa
tra gli alberi. Seguii la linea del suo sguardo e la vidi anche io:
quell'ombra che nascosta tra gli alberi sembrava voler venire allo
scoperto.
“Vai,
ora!!” gridò Klaus, prendendomi di nuovo il braccio e
tirandomi dietro di lui, mentre sembrava prepararsi ad attaccare,
come un falco che aveva puntato la sua preda.
Obbedii
al suo volere e iniziai a correre più veloce che potei, dalla
parte opposta alla sua. Rumori di lotte dietro di me rompevano il
silenzio, i miei passi affondavano sempre di più sulla neve e
ogni tanto mi ritrovavo perdere quasi l'equilibrio e finire a terra.
Non so per quanto corsi, avevo il fiatone e sentivo un crescere di
gelidi tremori corrermi dentro il petto.
Ma
cosa stavo facendo?
Mi
fermai di colpo, quando mi resi conto che stavo scappando. Posai la
mano sulla corteccia dell'albero che trovai al mio fianco e ripresi
lentamente fiato, il petto si alzava e abbassava velocemente e il
tremore sembrava accompagnare ogni mio singolo respiro. Mi guardai
indietro, Klaus doveva essere ancora oltre quella neve, magari a
lottare con quella strana figura che avevamo visto tra gli alberi.
Anche
se era un vampiro, un originale non potevo semplicemente scappare e
lasciarlo solo. Mi voltai, come se volessi tornare da lui, ma poi il
suo ordine tuonò nuovamente nella mia testa e mi ritrovai a
sentire le gambe impossibilitate a muoversi.
Cosa
dovevo fare? Dove potevo andare?
Un
grido agghiacciante.
Alzai
di scatto la testa, quando quel suono tremendo si espanse nell'aria
attorno a me, per poi riecheggiare tra quegli alberi silenziosi,
lungo il flusso del vento che soffiava sulla terra. Quel grido
pervase poi i miei pensieri, lo sentii ripetersi nella mia mente e
fermare il mio cuore.
Klaus?
Era
la sua voce, ne ero sicura e quello che era giunto a me era un grido
di dolore.
Klaus.
Ripetei
il nome che la mia mente aveva dettato e ripresi a correre, diretta
verso il punto da cui avevo sentito provenire la sua voce. Corsi più
veloce, sfidando il vento e la neve che sembravano volermi
ostacolare, afferrai il pugnale che avevo sempre con me, nascosto
sotto la gonna, e lo strinsi in una mano con tutta la forza che
avevo.
Mi
ero persa dopo la fuga, eppure qualcosa dentro di me mi diceva che la
strada che stavo prendendo era quella giusta e mi stava guidando
verso lui. Ne ero certa, mi fidai del mio istinto e lo seguii senza
timore, mentre dentro di me cresceva la consapevolezza di voler
combattere ad ogni costo.
Li
vidi: Klaus era inginocchiato a terra e stava strisciando
all'indietro mentre si portava una mano alla testa, come se stesse
per scoppiare. Sembrava fosse sotto l'effetto di qualche sorta di
incantesimo che gli stava facendo scoppiare quasi la testa.
Una
figura incappucciata avanzava verso di lui lentamente, ogni parte del
suo corpo era nascosta da pesanti indumenti tanto che non riuscii
nemmeno a definire se fosse un uomo o una donna.
Beh,
non m'importava.
Continuai
a correre verso quell'ombra, mentre dentro di me una rabbia crescente
sembrava infiammarmi sempre di più il petto. Strinsi i denti e
mi feci più vicina, mentre quella figura sembrava non
accorgersi di me e avanzava verso la figura di Klaus.
Non
gli avrei permesso di toccarlo, ero sicura che fosse stata proprio
quella figura ad avermi portato via mia sorella, non avrebbe fatto lo
stesso con Klaus.
Gli
saltai sulla schiena,cingendogli il collo con entrambe le braccia e
cercando di graffiarlo, soffocarlo o semplicemente farlo barcollare e
allontanarlo dal vampiro.
In
quel momento, Klaus alzò debolmente lo sguardo e lo posò
su di me. “Irina?” disse incredulo.
Quella
figura si divincolò, mentre con tutta la forza che avevo
continuavo a tenermi attaccata a lui o a lei, chiunque fosse. Mi
colpì con una gomitata in pieno viso, che mi fece cadere
all'indietro nella neve. Avvertii un fortissimo dolore al naso e lo
sentii sanguinare sotto le mie dita, quando le avvicinai ad esso. La
figura si voltò verso di me, con una lentezza spettrale che mi
fece tremare: anche quell'ombra aveva tra le mani un pugnale ma era
diverso dal mio, aveva una punta più fine ma tremendamente più
affilata.
Cercai
di strisciare all'indietro per recuperare il mio, che era caduto
nella neve dopo lo scontro di poco prima ma quella figura me lo
impedì: mi prese per i capelli e mi tirò su,
spingendomi di schiena contro un albero alle mie spalle. Klaus aveva
ancora le mani alla testa e combatteva con il dolore che sembrava lo
stesse logorando. Distolsi lo sguardo da lui e lo posai sulla figura
di fronte a me: rimase a pochi passi dal mio corpo e si avvicinò
lentamente, impugnando saldamente il pugnale. Lo alzò accanto
alla sua testa, come se volesse colpirmi con esso in pieno petto.
Stava
per uccidermi.
Chiusi
gli occhi e ascoltai la voce della realtà intorno a me, mentre
mi disperdevo nell'oscurità: un grido, un rumore di qualcosa
che sembrava tagliare il vento, un gemito e poi la voce che nella mia
testa mi gridava di guardare.
Appena
aprii le palpebre, sussultai: Klaus era di fronte a me, le sue mani
erano posate accanto alle mie spalle, sopra la ruvida corteccia
dell'albero su cui mi trovavo. I suoi occhi blu erano fissi su di me
e le sue labbra sembravano cercare disperatamente il respiro. La sua
pelle assunse un colorito grigiastro e delle piccole venature scure
apparvero sul suo viso e sulle sue mani. Distogliemmo entrambi lo
sguardo l'una dall'altra e lo posammo su un punto nel centro del
petto di Klaus: la punta del pugnale fuoriusciva da esso, aveva
perforato la schiena del vampiro dopo che quest'ultimo si era parato
davanti a me per proteggermi.
Era
successo tutto così velocemente che nemmeno me ne accorsi.
Cadde di peso su di me, esalando il suo ultimo respiro tra i miei
capelli e farfugliando qualche parola che non compresi. Lo strinsi
tra le braccia, cadendo insieme a lui e scuotendolo ripetutamente
affinché riprendesse a vivere.
Ma
Klaus restò immobile, con il viso sulla mia spalla e le
braccia che ciondolavano accanto al suo corpo. Sentii il cuore
stringersi in una presa, continuando ad avvertire il peso del corpo
di Klaus su di me.
Era
morto?
Tutti
i miei pensieri si tramutarono in rabbia, mentre guardavo la figura
incappucciata avanzare verso di me. Con un ringhio, estrassi il
pugnale dalla schiena di Klaus e adagiai il suo corpo accanto a me,
scattai in piedi e strinsi l'arma nella mia mano, preparandomi ad
affrontare il nemico.
Quello
scattò velocemente verso di me, tanto che nemmeno mi accorsi
di come la sua mano raggiunse i miei capelli e mi spinse a terra.
Cercai subito di rialzarmi in piedi, ma lui me lo impedì,
chinandosi su di me e posandomi una mano sul collo.
Strinse
la presa con forza e procurandomi un intenso dolore sulla pelle,
approfittai però di un suo insensato momento di titubanza per
spingerlo via con un calcio e farlo cadere di schiena all'indietro.
Fui io a prevalere quella volta, gli strinsi il collo con entrambe le
mani usando tutta la rabbia che avevo in corpo e gli tolsi il
cappuccio.
Era
Daniel.
Lo
guardai incredula e lui ricambiò il mio sguardo, approfittando
di quel mio momento di smarrimento, si liberò violentemente
della mia presa e scattò in piedi. Sentii i suoi passi
allontanarsi sempre di più, mi misi velocemente a sedere ma
lui era già scomparso tra gli alberi.
Presi
dei lunghi respiri, il cappuccio aveva abbandonato i miei capelli che
si mossero con il vento. Provai un intenso dolore alla caviglia,
probabilmente me l'ero slogata quando Daniel mi aveva colpito poco
prima e la sentivo pulsare con forza sotto lo scarpone.
Poi
mi ricordai di Klaus.
Il
suo corpo giaceva ancora immobile vicino al tronco dell'albero dietro
di me, era rigido come una statua di pietra. Strisciai verso di lui,
ignorando i dolori che mi stavano paralizzando il corpo.
Klaus?
Avrei
voluto chiamare il suo nome, sentire la mia voce rompere il silenzio
glaciale che ci circondava e far sì che si risvegliasse.
Posai
le mani sul suo petto e lo mossi, perché pretendevo che lui mi
sentisse.
Ma
Klaus non riaprì gli occhi, rimasero chiusi e continuammo a
rimanere fermi nel gelo del silenzio. Lo scossi di nuovo, muovendolo
per le spalle e sperando il più possibile che mi guardasse,
che il suo respiro riprendesse a circolare e che il suo corpo si
muovesse.
Ma
lui era ancora immobile, come morto.
No.
Ripetei
quella parola all'infinito, non poteva essere morto.
Mi
guardai attorno, il vento aveva ripreso a soffiare fortissimo e a
tagliarmi la pelle con quei fiocchi di neve che sembravano armi nelle
mani del cielo. Quest'ultimo si stava facendo più scuro,
simbolo che la notte sarebbe scesa su di noi di lì a poco e
non potevamo restare in quella bufera di neve.
Mi
feci forza, alzandomi in piedi. Ripresi i due pugnali, poi afferrai
Klaus per le mani e lo trascinai lungo il terreno, in cerca di un
posto sicuro.
* *
* *
Trovai
una specie di piccola grotta, nascosta tra quella moltitudine di
giganti alberi che ci attorniavano.
Klaus
era magro, eppure io ero così debole da non riuscire a
trasportare il suo corpo sulla neve, se non con estrema fatica.
Un
ultimo sforzo e riuscii a portarlo dentro quel piccolo e angusto
spazio roccioso, dove il gelo era sovrano, ma il vento non poteva
penetrarvi.
Sentivo
che ogni parte del mio corpo era stata immobilizzata dal freddo.
Nella lotta con l'uomo incappucciato avevo perso anche un guanto e la
pelle della mia mano si era fatta violacea, ma non smisi di stringere
quella di Klaus mentre lo trascinavo lungo la neve.
Quando
fummo ormai dentro, usai la poca forza che mi era rimasta, per
metterlo seduto, con la schiena poggiata sulla parete rocciosa dietro
di lui.
Mi
sentii una stupida, mentre gli prendevo il viso tra le mani e cercavo
di tenere la sua testa dritta sopra il collo. Ma quella cadeva sempre
da un lato, come se fosse morto.
Scacciai
di nuovo quel pensiero, scuotendo la testa e mordendomi le labbra,
ormai secche per il freddo. Guardai il volto di Klaus, era ancora di
quel colorito grigiastro che mi faceva rabbrividire e immobile come
solo la morte poteva renderlo.
Ma
perché pensavo sempre a quella parola?
Klaus
svegliati!
Posai
le mani sulle sue spalle, tremavano così forte che strinsi con
fatica i lembi del tessuto del suo mantello. Lo scossi, una volta un
pò più delicatamente, quella dopo più forte.
E
se non si fosse mai svegliato? Scossi la testa, ordinando ai miei
pensieri di smetterla di giungere a conclusioni così
drastiche. Klaus non era morto, si sarebbe di certo risvegliato di lì
a poco e magari mi avrebbe pure fatto uno di quei suoi soliti sorrisi
beffardi che tanto amava rivolgermi.
Luce.
Pensai
che forse aveva bisogno di un po' di luce. Quella grotta era troppo
scura e fredda, magari accendere un piccolo fuoco gli avrebbe solo
giovato. Mi armai di tutta la forza che avevo e sfidai il gelo, la
mia mente ordinò al mio corpo tremante di resistere e cercare
di far risvegliare Klaus.
Il
vento tornò ad investirmi con tutta la sua forza e nel giro di
pochi minuti trovai abbastanza rami per poter raggiungere il mio
obiettivo. Tornai alla grotta, quasi sperando che Klaus fosse già
in piedi e pronto a rimproverarmi della mia innata stupidità
per non aver obbedito al suo ordine.
Ma
lui era ancora immobile, come una statua perfetta che ci si poteva
solo soffermare ad ammirare, quasi nello stupido desiderio di vederla
parlare. Non avevo mai fatto caso a come il suo viso assumesse un
aspetto angelico, quando non era rovinato dalla maschera di rabbia e
odio che sembravano ricoprirlo. Gettai quei rami davanti ai suoi
piedi e usai una pietra per poter accendere il fuoco, ci provai
un'infinità di volte prima di riuscirci e mi ferii ad una
mano. Gemendo di dolore, osservai quella chiazza scura colorarsi sul
mio palmo, divenendo sempre più grande, mentre una fiamma
iniziò a danzare davanti ai miei occhi. Il suo calore sembrò
bruciarmi la pelle fredda, mentre la luce allontanava sempre di più
l'oscurità attorno a me.
Sangue.
Forse
sarebbe riuscito a destare Klaus dal sonno in cui era caduto.
Camminai
verso di lui, zoppicando per il forte dolore alla caviglia e mi
inginocchiai di fronte alla sua figura immobile. Feci scorrere la
mano davanti al suo volto, ma senza ottenere alcun risultato. Poi
posai la mano sulle sue labbra, lasciando che il mio sangue le
colorasse di nuovo di rosso ma lui rimase fermo.
Privo
di vita. Freddo.
Perché
non si risvegliava? Dentro di me iniziò di nuovo a crescere
la disperazione, mi strinse il collo impedendomi di respirare e portò
gocce di lacrime a salire agli occhi. Mi guardai attorno allora e
studiai i riflessi di luce che si allungavano su quelle pareti scure:
notai dei graffi su di esse, come se un animale dai possenti artigli
si fosse accanito su di esse. Ce n'erano diversi che le fiamme mi
permettevano di vedere, ne sfiorai una vicina alla testa di Klaus, ma
non mi ci soffermai troppo a lungo perché il mio sguardo cadde
di nuovo su di lui e tutti i miei pensieri riguardo quei segni si
annullarono.
Un
grido.
Forse
quello poteva riportarlo indietro, forse l'unica cosa che non mi era
concessa nella vita mi avrebbe permesso di farlo svegliare da quel
terribile sonno che lo aveva allontanato dalla realtà.
Trasformai la violenza che sarebbe risuonata nella mia voce
attraverso uno schiaffo, lo colpii in pieno viso e sperando che i
suoi occhi si spalancassero su di me, preparandomi anche alla rabbia
che avrei potuto scatenare in lui.
Ma
nulla, la sua testa si spostò da un lato e rimase immobile in
quella posizione, com'era sempre stata.
Svegliati!
Mi
ritrovai a gridare senza voce, a chiamare il suo nome e a sperare
quasi che lui mi sentisse e tornasse. Ma non ottenni niente, Klaus
rimase addormentato in quel mondo in cui era caduto e sperai non
fosse quello della morte. Amareggiata, mi sedetti accanto a lui e
fissai quella fiamme che bruciavano davanti a noi. Il crepitio dei
rami bruciati sfidava il silenzio, il fuoco sfidava il calore e io
sfidai le mie lacrime che bagnavano gli occhi, sfidai il mio corpo
che tremava intensamente e sfidai il mio cuore, il cui battito
risuonava nella mia mente.
Fuori
il sole era ormai spento da un pezzo, riuscivo a scorgere la
mezzaluna che illuminava l'oscurità e la cui luce pallida mi
parve appartenere ad un sogno.
Mi
stavo addormentando? No, dovevo resistere.
Battei
più volte le palpebre, per sfuggire a Morfeo e restare in
quella fredda realtà che mi circondava. Erano passate ore, lo
capii dal fatto che le fiamme erano meno imponenti e la luna era più
alta nel cielo e sembrava un sorriso rivolto verso di me, come per
dirmi che sarebbe andato tutto bene.
Ma
non era così. Katerina mi stava ancora aspettando e Klaus era
ancora morto. Non ce la facevo proprio a togliermi quella parola
dalla mente, ormai non riuscivo a definire in altro modo quel corpo
freddo che era al mio fianco. Volsi la testa verso di lui,
continuando a tremare e battendo i denti con forza.
Klaus
aveva la testa rivolta verso di me, i suoi occhi ancora chiusi e le
labbra semi aperte in un respiro che non accennava ad uscire.
Sembrava
un angelo, solo in quella immobilità, quando il suo volto non
lasciava trasparire tutto l'odio che aveva dentro me ne resi conto.
Quel pomeriggio mi aveva detto che il mio viso era lo specchio dei
miei sogni mentre dormivo, lui in quel momento che stava sognando?
Forse
stava sognando il suo passato, magari quelle terre lontane in cui
aveva vissuto quando era umano e in cui era solito camminare insieme
ai suoi fratelli. Tirai su con il naso, quando scoppiai di nuovo in
lacrime mentre fissavo Klaus.
Perché
non si svegliava? Avevo bisogno di lui per ritornare e inoltre
non volevo che morisse.
Ma
cosa avevo in mano per poterlo riportare indietro? Avevo usato il
fuoco, il sangue e la violenza: tutto quello che lui conosceva
meglio, ma non era servito.
Cosa
avrebbe potuto risvegliarlo allora?
Me.
Quella
voce giunse nella mia testa, alleviò la disperazione e assopì
improvvisamente tutti i miei pensieri. Forse avevo sbagliato a
cercare di svegliare Klaus facendo leva sulla sua forza, forse dovevo
puntare su una debolezza. Lui aveva paura di restare solo, se gli
avessi fatto capire che non lo era, forse sarebbe tornato.
Allungai
la mia mano priva di guanto verso la sua, era fredda e rigida ma
intrecciai le mie dita tra le sue, in modo che lui potesse sentirmi
vicina a lui.
Non
sei solo Klaus, io ci sono.
Quindi
torna, ti prego.
Chissà
quanto tempo era ancora passato: lui era immobile, io lo ero con lui,
ma tutto intorno a noi andava avanti. Solo noi eravamo fermi nel
tempo, mentre tutto là fuori continuava a muoversi.
Perché
non si svegliava?
Singhiozzai,
sentendomi inabilitata a trattenerli troppo a lungo e posai la testa
sulla spalla di lui. La colpì con delle piccole testate,
sperando che lui mi sentisse.
Ma
rimase congelato, non si mosse e non ascoltò le parole che
volevo trasmettergli attraverso le nostre mani congiunte. Strinsi più
forte la presa, perché avevo ancora l'insano desiderio che lui
potesse sentirmi.
Ma
non fu così, lentamente il sonno vinse sul mio corpo.
Klaus.
Era
finita, ero rimasta sola e probabilmente sarei morta assiderata
quella notte. I miei occhi si chiusero sulle mie ultime lacrime, le
lasciarono scorrere lungo la mia pelle, mentre lentamente lasciavo la
realtà e raggiungevo i miei sogni.
La
mia mano però non abbandonò mai quella di Klaus.
* *
* *
Luce.
Il
sole brillava oltre quella grotta, illuminava il cielo bianco con la
sua tenue luce e si rifletté nei miei occhi appena liberi
dalle catene del sonno.
Sbattei
più volte le palpebre, cercando di riprendere contatto con la
realtà e di abituarmi a quella luminosità che faceva
capolino dall'esterno. Mi parve di essere svuotata di qualsiasi
ricordo, corrugai la fronte e mi stropicciai gli occhi, lasciandomi
andare ad un lungo sbadiglio. Portai quella mano, quella che aveva
accompagnato i sogni di qualcuno che era stato accanto a me per tutta
la notte.
Velocemente,
i ricordi di quella giornata passata tornarono e volsi lo sguardo
verso il mio fianco.
Klaus
non c'era.
Sobbalzai,
guardai il vuoto che aveva preso il posto del suo corpo e sentii il
respiro mancarmi. Forse si era svegliato, forse qualcuno aveva
approfittato della mia condizione per portarlo via.
Cercai
di alzarmi in piedi, ma la caviglia mi faceva ancora male e mi
sentivo terribilmente indebolita dal freddo. Fui costretta così
a restare immobile al mio posto.
Ogni
mio muscolo era intorpidito e sembrava non voler rispondere ai
comandi del mio cervello.
“Dove
sei, Klaus? “ pensai, guardandomi attorno disperata.
“Era
ora che ti svegliassi, dobbiamo tornare subito a casa.”
Alzai
lo sguardo di scatto verso l'ingresso della grotta: Klaus era in
piedi di fronte a me, oltre il mucchio di arbusti bruciati che si
trovavano tra di noi.
Il
suo viso aveva ripreso il solito colorito e dalle sue labbra mi parve
di sentire uscire il respiro che quella notte lo aveva abbandonato. I
suoi occhi erano fissi su di me, erano come al solito freddi ma non
m'importava.
Lui
era vivo.
Pensai
un attimo che stessi sognando, probabilmente mi stavo immaginando
tutto e da qualche parte, lui era ancora al mio fianco. Morto.
Mi
si avvicinò e si chinò su di me, posando i gomiti sopra
le sue ginocchia e guardandomi infastidito.
“Sei
sorda per caso? Non ho voglia di perdere tempo con te e...”
Si
bloccò, quando compii quel gesto che sorprese sia me che lui.
Gli
gettai le braccia al collo, gettandomi in avanti per poterlo
raggiungere. Lo strinsi più forte che potei, affondando il
viso nella sua spalla e lasciando che le lacrime gonfiassero i miei
occhi. Le sentii scorrere lungo le mie guance e chiusi le palpebre
per bloccare la loro caduta, ma invano.
Quelle
scesero a bagnare la spalla di Klaus che restò immobile,
stupito da quell'abbraccio inaspettato che gli avevo rivolto.
Era
vivo.
Il
suo corpo restò rigido, sentivo il suo respiro tra i capelli e
compresi che mi stava guardando, magari con confusione.
“Piantala
Irina, non sono un cucciolo. Lasciami.” disse, posò le
sue mani sopra le mia spalle e mi allontanò da sé, non
usò troppa forza e si limitò solo a far sì che
la mia schiena aderisse alla parete alle mie spalle. Lo guardai, sul
suo viso vennero ritratte una miriade di emozioni e riconobbi la
confusione, la sorpresa ma anche un profondo fastidio.
Non
m'importava però, ero contenta che lui fosse tornato indietro
e che fosse vivo.
“Che
pensavi che fossi morto? Tu sei proprio stupida, nessuna arma può
ucciderci. Se il pugnale viene rimosso dal petto, noi torniamo a
vivere. Elijah non te ne ha parlato per caso?” disse ancora,
restando chinato davanti a me e guardando il pugnale che lo aveva
colpito la sera prima, rimasto adagiato accanto a me insieme a quello
che già possedevo.
Elijah
me ne aveva parlato, ma io ero stata così presa dalla
disperazione che me n'ero dimenticata.
Guardando
Klaus mi parve provato: i suoi occhi erano quasi spenti e prendeva
lunghi respiri, come se avesse bisogno di aria. O di sangue magari,
la sua era la tipica espressione di una persona affamata e i vampiri
per nutrimento potevano intendere solo quello di sangue.
“Dobbiamo
tornare, qualcuno potrebbe preoccuparsi per te.” disse, con
tono affannato, ma appena provò ad alzarsi in piedi, si portò
una mano al petto e si sedette pesantemente sul terreno sottostante.
Mi chinai preoccupata verso di lui, sfiorandogli la spalla per
chiedergli cosa avesse.
Mi
guardò di nuovo sorpreso, continuò a prendere dei
lunghi respiri e deglutì. “Ho solo troppa fame, ma nei
dintorni non ho trovato nulla. Tu invece?” mi chiese poi.
Ci
guardammo a lungo e in silenzio, la luce bianca del cielo retrostante
sembrava circondare i suoi capelli e risaltarne il colore dorato. Ero
ancora così abituata all'oscurità che fui costretta a
sbattere più volte le palpebre, per riprendere contatto con
quella debole luce.
Gli
indicai la mia caviglia, che la sentivo dolorante sotto il tessuto
della gonna e lui seguì il movimento dei miei occhi. Guardò
i miei piedi, posati vicino alle ginocchia di lui e, delicatamente,
passò le mani sopra gli scarponi. Sempre adagio mi tolse
quello che conteneva la caviglia gonfia e le sue mani fredde
circondarono la mia pelle.
Rabbrividii
e gemetti di dolore, malgrado lui toccasse la mia pelle sempre con
estrema delicatezza. Avvertivo delle piccole dolorose vibrazioni
lungo la pelle, mentre la sua mano fredda scorreva sulla mia.
Improvvisamente
la sua stretta si fece più forte e un ondata di dolore mi
attraversò tutta la gamba, cercai di ritrarmi ma Klaus
continuò a stringere la mia caviglia con forza.
“Stai
ferma, sto cercando di vedere quanto è grave!” mi
ringhiò contro, infastidito dalla mia reazione impaurita.
Guardai
i suoi occhi blu fissi nei miei e riconobbi gli intensi sintomi della
fame. Quei pugnali dovevano farne venire davvero molta, perché
le iridi di Klaus mi trasmisero tutto il disagio fisico che provava.
Deglutii quando smettemmo di guardarci, era come se mi fossi
aggrappata ai suoi occhi e un attimo mi ritrovai disorientata, ad
osservare le sue mani che massaggiavano la mia caviglia quasi
dolcemente.
Non
avrei mai pensato di usare un termine simile nei suoi confronti.
Hai
bisogno di sangue?
Allungai
il braccio verso di lui e rivolsi l'interno del mio polso in modo che
lui capisse il mio intento. Osservai lo sguardo di Klaus rivolgersi
verso le vene bluastre che si vedevano sotto la mia pelle bianca.
Seguii il movimento delle sue pupille, mentre scorrevano su quelle
linee di sangue sotto la mia pelle. “Non mi nutrirò di
te in queste condizioni. Non sono così infimo.” mi
disse, serrando le labbra per resistere alla brama di afferrare quel
polso e portarselo alle labbra come aveva fatto il giorno prima. Ma
non demorsi, avvicinai di più il mio braccio a lui e lo
obbligai con lo sguardo a prendere il mio sangue.
Klaus
alzò il braccio e strinse il mio nella sua mano, le sue dita
affusolate cinsero il polso con rudezza e storsi la bocca per il
dolore che quel gesto mi provocò. Lo guardai osservare a lungo
il mio arto, respirandovi sopra come la tentazione di morderlo fosse
troppa.
“Se
dobbiamo proprio farlo, facciamolo per bene.” disse, la sua
voce roca ruppe il silenzio di quella grotta.
Le
sue parole riecheggiarono prima tra quelle pareti di pietra, per poi
rimbombare nella mia testa prima che potessero assumere un senso.
Stava cedendo alla bramosia del mio sangue, ma non avrei mai inteso
che se lo sarebbe preso a modo suo.
Sussultai,
quando lo vidi scattare verso di me, lasciò lentamente il mio
polso e io tirai a me le ginocchia, in modo che non venissero avvolte
dalle sue. Successe tutto così lentamente che sentivo il cuore
martellarmi forte nel petto, mentre il respiro di Klaus si fondeva
con il mio e i suoi occhi fissarono i miei con intensità. Il
blu del suo sguardo si fece più scuro, delle piccole venature
nere apparvero accanto alle fessure dei suoi occhi mentre li lasciava
scorrere lungo il mio viso. Sussultai nuovamente quando lo vidi
alzare la mano e posarla sul colletto del mio mantello, il flusso
della paura prese velocemente a scorrere in me attraverso delle
scariche, con cui il mio corpo parve incapace di muoversi e reagire.
La zona sinistra del mio collo venne scoperta e il gelido della
grotta la investì, facendovi scorrere sopra degli intensi
brividi freddi. Klaus l'accarezzò con le dita fredde, le fece
scorrere lungo di essa e sembrava disegnarvi delle linee di ghiaccio.
Continuai
a restare immobile ma tremante, mentre con lo sguardo fissavo le
labbra di Klaus che vennero sfiorate dai canini sporgenti. Piegò
la testa da un lato, sentii il suo respiro spostarsi dalle mie
labbra, poi sulla mia guancia e infine sopra il mio collo. Un'ondata
di calore si schiantò contro la pelle fredda, fino a farsi
sempre più vicina e forte. Poi le sue labbra sfiorarono la
pelle delicatamente, l'accarezzarono a lungo e salirono a toccare il
lobo del mio orecchio, provocandomi un ulteriore e nuova immobilità
del corpo.
Si
abbassarono poi nuovamente sul mio collo, adagiandosi sopra come se
volessero baciarmi la pelle.
Ma
un lieve pizzicore mi fece gemere di dolore.
I
suoi denti perforarono lentamente la mia carne, le sue mani salirono
alle mie spalle per placare il tremore che le muoveva e per rendermi
più vicina a lui. Deglutii, gettando la testa all'indietro
verso la parete alle mie spalle per non farmi prendere dal panico. Mi
morsi le labbra il più forte possibile, mentre Klaus si
nutriva di me.
Tutto
si attenuò lentamente: paura, terrore, preoccupazione
sembrarono fluire via insieme al mio sangue. Il cuore smise di
battere all'impazzata e pensai che Klaus non riuscisse più a
sentirlo, tanto era preso dalla sua fame. Fu in quel momento, quando
mi parve di essere leggera e priva di pensieri che Klaus morse per un
solo, lungo attimo con più forza la mia pelle.
Come
se non volesse permettermi di scappare e come se volesse cibarsi di
me fino all'ultima goccia. Mi strinse in una specie di abbraccio,
sentii indistintamente le sue braccia scorrere lungo la mia schiena e
avvolgermi in esse, tirandomi di più verso di loro.
Così
mi uccidi.
Alzai
lentamente un braccio e feci salire la mia mano ai suoi capelli,
tirandoglieli debolmente e in modo che capisse che doveva fermarsi. E
se non voleva farlo? Se ormai avesse deciso di bere il mio sangue
fino all'ultima goccia? Tirai debolmente due ciuffi e poi affondai la
mano tra essi. A quel punto Klaus si ritrasse, aveva il respiro
affannato e il petto si abbassava e alzava rapidamente in preda a
forti tremori. Continuò a cingermi i fianchi con le sue
braccia e gettò la testa all'indietro, come se volesse
riprendere il controllo di sé. Osservai il suo volto smarrita,
i suoi occhi erano completamente neri e accanto ad essi quelle
piccole venature scure sembravano essersi accentuate.
Le
labbra erano spalancate, i canini macchiati di rosso vennero riflessi
alla debole luce del sole e le sue labbra e il suo mento erano
intrisi di denso color rosso.
Per
un attimo dimenticai che si trattasse del mio sangue.
Lui
abbassò di nuovo la testa, prendendo lunghi respiri e fissando
i suoi occhi scuri su di me, chiuse un po' le labbra e allora studiai
a lungo il rosso che le bagnava.
Volevo
togliere quella macchia, pulirla via e ridonare a quelle labbra il
loro colore naturale. Era uno spettacolo terribile per i miei occhi,
non mi capacitavo di pensare che avessi preso parte anche io a quella
scena. Posai le dita della mia mano destra sulle sua labbra, il suo
respiro si arrestò di fronte al mio tocco e macchiai la mia
pelle del mio stesso sangue, pur di non vederlo sulla bocca di Klaus.
Lui
restò immobile, con lo sguardo basso sulle mie dita che
scendevano a pulire sempre di più quel rosso.
Mi
cinse il polso, impedendomi di continuare a scacciare il sangue che
colorava la sua pelle. Il suo viso tornò lentamente alla sua
forma normale e io ritornai in me, sentivo la pelle del collo
bruciare intensamente e il freddo sembrò congelare l'interno
della ferita che mi era stata appena procurata. Presi dei lunghi
respiri, continuando a guardare Klaus e i suoi occhi su di me.
“Andiamo,
è ora di tornare.” annunciò, rompendo
quell'assurdo silenzio che aveva preso parte alla nostra scena. Si
pulì le labbra con il dorso della mano, ma si cibò del
rivolo di sangue che era rimasto lungo il suo mento. Sembrava quasi
che si fosse pentito di aver quasi perso il controllo, ma forse era
solo una mia impressione.
A
lui che doveva importare in fondo?
Sempre
con la mente in confusione, mi sistemai il colletto del mantello e
lui mi porse la mano, per aiutarmi ad alzarmi in piedi. Appena
strinsi le dita della sua mano, la mia testa venne presa da un forte
capogiro e per poco mi ritrovai a terra.
Era
come se il mio corpo fosse sorretto da una piramide di carta, che si
distruggeva facilmente di fronte al primo spiffero di vento.
Fu
Klaus a sorreggermi, mi cinse i fianchi con entrambe le braccia e
posai le mani sulle sue spalle per trovare un sostegno. Il freddo, la
caviglia, il sangue erano tutti fattori avversi al mio equilibrio, la
testa vorticava in mille colori e sensazioni in cui mi parve di non
scorgere più me stessa. Stavo per perdere i sensi da un
momento all'altro.
Chiusi
gli occhi, sforzandomi di trovare in quella confusione qualcosa che
mi permettesse di restare in piedi.
Klaus
sospirò, il suo respiro soffiò tra i miei capelli e la
sua presa restò ferma attorno ai miei fianchi. “Te
l'avevo detto che bere il tuo sangue non era una buona idea.”
disse, scuotendo la testa. “Ora sono costretto a fare una cosa
che non voglio fare.”
Alzai
lentamente lo sguardo su di lui e il suo sguardo non mi piacque.
* *
* *
“Lo
sapevo. Sei piccola, ma non per questo leggera.”
La
voce, quasi squillante in quel caso, di Klaus giunse ai miei
pensieri.
Davanti
ai miei occhi si susseguivano rapidamente la serie di alberi accanto
a noi, dietro le loro cortecce riuscivo a scorgere il cielo bianco
che emetteva dei leggeri bagliori di luce candida che andava poi a
riflettersi sulla neve.
O
forse erano diventati un tutt'uno?
Non
lo capivo, non riuscivo più a riconoscere nulla di ciò
che mi circondava.
Mi
sembrava di sognare la realtà e che tutto intorno a me non
fosse concreto. I passi di Klaus risuonavano nell'aria mentre
affondavano nella neve sotto i suoi piedi, il suo respiro stranamente
affaticato interrompeva a tratti il silenzio e ogni tanto le sue
parole mi portavano fuori da quello strano stato di dormiveglia in
cui ogni tanto cadevo.
“Non
ti addormentare, Iry.” Klaus scosse le mani che teneva sotto le
mie ginocchia, mentre la mia testa aveva preso a ciondolare sopra la
sua spalla sinistra. Avevo chiuso per un attimo le palpebre, in preda
all'opprimente bisogno di dormire. Ma con quel gesto lui scacciò
nuovamente tutto l'offuscamento causato dal sonno. “Non sei
messa bene e io non ho voglia di sentirmi in colpa se schiatti in
questo momento, sulla mia schiena poi.”
Mi
venne da sorridere nonostante tutto, o magari nemmeno ero consapevole
di farlo. Continuai a tenere le braccia strette attorno al suo collo
e le gambe a penzoloni attorno ai suoi fianchi. Non dovevamo essere
molto lontani da casa, era quasi un ora che camminavamo e Klaus non
stava usando la sua velocità da vampiro per non farmi
investire ancora di più dal freddo tagliente. Da come mi
parlava, sembrava quasi che stessi per morire assiderata.
“Hai
una mano viola.” mi fece notare, parlava probabilmente con la
chiara intenzione di tenermi le orecchie occupate, perché se
sollecitate dal silenzio, mi avrebbero catapultato nel mondo dei
sogni. “Perché non te ne sei semplicemente andata e non
mi hai lasciato lì? Anche se mi credevi morto, cosa pensavi di
fare?”
Abbassai
leggermente le palpebre, la serie di alberi accanto a noi si
arrestarono per un attimo. Ma non perché Klaus si fosse
fermato, bensì perché si era aperto un grande spazio
che lasciava affacciare sull'orizzonte bianco latte. I rumori dei
nostri respiri, dei passi di Klaus e di quello strano brusio che
sentivo nella mia testa continuarono a farmi compagnia.
Come
potevo rispondere alla sua domanda? Tanto non avrebbe mai creduto che
ero rimasta per non lasciarlo solo. Lui non pensava mai che qualcuno
potesse fare solo del bene per lui. La sua presa sotto le mia
ginocchia si fece per qualche istante più forte ma non servì
a molto, avevo troppo sonno e sentivo le palpebre troppo pensanti per
poterle sopportare. Rimasi in quello stato di dormiveglia per diversi
minuti, mentre davanti a me il cielo bianco sembrava muoversi e gli
alberi erano tornati a fare da contorno a quello spettacolo.
“Irina?
Se sei sveglia, muovi una mano.” La voce di Klaus era irreale,
troppo lontana e onirica per poterla riconoscere, eppure la voce era
la sua.
L'avrei
riconosciuta tra milioni.
Mi
sforzai di muovere la mano, ma qualcosa bloccava le mie dita e
impediva loro di eseguire i comandi del mio cervello. Però un
lieve movimento riuscii comunque a compierlo e Klaus ne sembrò
sollevato.
“Vuoi
che parlo con te?” mi chiese poi.
Klaus
che mi chiedeva di parlare mi fece sorridere, dovevo fargli davvero
molta pietà in quel caso. Cinsi di più il suo collo,
avvicinando le braccia alla sua pelle e sfiorando i suoi capelli.
Seguì
un lungo attimo di silenzio, avvertivo il lieve rumore del suo
respiro che aveva una strana musicalità, si fondeva con il
suono del vento e sembrava prendervi parte.
“Va
bene...quel maledetto Daniel era uno stregone sicuramente. È
riuscito ad immobilizzarmi con uno di quei suoi odiosi trucchetti
magici, però è strano...e questo non ci fa capire per
chi dei due lavora.” disse, rifiutandosi di pronunciare i nomi
dei nostri due incubi. Mi ero dimenticata di avergli fatto capire di
Daniel poco prima, quando con un gesto poco gentile mi aveva preso
sulle spalle.
“Gli
darò la caccia per tutto il villaggio e gli staccherò
la testa. Si pentirà di essere venuto al mondo.” disse
poi, ma avrei voluto chiedergli di placare la sua ira.
Ma
Katerina era salva.
Lui
era salvo.
Daniel
sarebbe stato un problema a cui avremmo pensato dopo. Aprii di nuovo
le palpebre, i raggi solari si fecero un attimo più intensi e
penetrarono il terreno innevato con la loro luce.
Durò
però pochissimo, le nuvole soffocarono di nuovo quei raggi con
la loro consistenza e chiusi di nuovo gli occhi, sentendomi
abbandonare al potere di Morfeo o chiunque si fosse adagiato sul mio
animo stanco.
Una
voce lontana accompagnò l'oscurità in cui mi fiondai,
tutte le mie forze, sia fisiche che mentali, si annullarono
lentamente ma qualcosa mi spinse ad udire quella frase, forse
appartenente ad un sogno.
“Grazie.”
* *
* *
Calore.
Ne
ero pervasa.
Aprii
lentamente gli occhi e scorsi subito la fiamma che crepitava nel
camino di fronte a me, riconobbi anche il bordo del mio letto e una
mano che giaceva adagiata sotto la mia. Malgrado fossi intontita
nell'essere stata appena abbandonata dal sonno, la riconobbi subito.
Lasciai le mie dita sulle sue e ne sfiorai il dorso, quasi con paura
che la potessi rompere.
“Ti
sei svegliata.”
Una
presenza alle mie spalle ruppe il silenzio, il suo respiro penetrò
tra i miei capelli e mi sentii improvvisamente bene.
La
sua voce riportò tutto al suo aspetto reale: la mia camera, il
camino, il mio letto e sopratutto il mio corpo riacquistarono di
nuovo la loro concretezza.
Volsi
la testa verso un punto dietro di me: Elijah era disteso al mio
fianco, con un braccio che scorreva sopra il mio fianco e l'altro che
teneva stretto al suo petto. Io ero coperta, lui no: era come se
fosse stato pronto a lasciare il mio letto da un momento all'altro,
eppure non avesse avuto alcuna intenzione di farlo.
Arrossii
violentemente in volto, malgrado i pensieri riguardanti la giornata
precedente tornarono in me. Lui rimase lì al mio fianco, si
mise a sedere e mi sfiorò la guancia con dolcezza, usando la
mano che aveva lasciato accanto al mio corpo.
“Sì,
tranquilla. È tutto finito.” mi tranquillizzò.
Guardai
i suoi occhi neri a lungo e mi lasciai immergere in essi, come facevo
sempre.
La
sua mano scese poi, raggiungendo il mio collo e sfiorandovi una parte
che ancora bruciava: il morso di Klaus, lui lo aveva visto.
Mi
aspettai che dicesse qualcosa al riguardo, ma così non fu. Mi
guardò in silenzio e aspettandosi magari che dicessi o facessi
io qualcosa.
Katerina.
Mi
rizzai velocemente a sedere ma il mio corpo venne attraversato da
mille dolori. Il gonfiore della caviglia si scontrò con la
morbidezza del mio materasso come se fosse fatto di pietra e di
fronte a quel bruciore, mi lasciai andare ad un gemito.
“Irina,
stai ferma. Non ti sei ancora ripresa da...”
Katerina?
Elijah
si interruppe quando mi vide muovere le labbra in quel nome, studiò
la mia espressione preoccupata e sospirò. “Lei sta bene,
sembra però che non ricordi nulla di quello che è
successo. È stata addormentata per tutto il tempo e ora sta
riposando.” mi spiegò.
A
quelle parole, tirai un sospirò di sollievo ma non mi bastò
comunque a tenermi ferma. Scesi dal letto velocemente e provai a
dirigermi verso la porta, un solo passo zoppicante e le lacrime mi
salirono agli occhi.
“Dove
pensi di andare? Irina, devi restare a letto. Sei ancora ferita!”
Elijah apparì velocemente di fronte a me, mi posò le
mani sulle spalle e mi guardò con aria preoccupata.
Ma
io dovevo andare da Katerina, l'avevo abbandonata per troppo tempo e
volevo che sapesse che da allora in poi non l'avrei più
lasciata sola. Elijah guardò la mia ostinazione, mentre
cercavo di superarlo per avvicinarmi alla porta.
Ma
ero così debole che non ce la feci nemmeno a provare a
respingerlo. Caddi così contro il suo petto e lui mi sorresse
per i fianchi, in modo che non raggiungessi il pavimento. Sentii il
suo respiro tra i capelli e le sue mani forti che continuavano a
farmi da sostegno, mentre la debolezza prendeva possesso di me. “Vuoi
andare da tua sorella? Ti ci porto io allora.” sussurrò
e mi prese tra le braccia per condurmi alla sua stanza.
Attraversammo
il corridoio, restai abbandonata tra le sue braccia.
Venni
pervasa dal loro calore, fino a quando Elijah aprì la porta
della camera di Katerina.
E
la vidi.
Lei
dormiva tranquillamente nel suo letto, i boccoli scuri erano sparsi
sul cuscino candido e ne stringeva un altro tra le braccia, mentre il
suo viso sembrava rilassato mentre la sua mente viaggiava verso i
sogni che la stavano accompagnando nel sonno. Elijah mi lasciò
andare a terra, quando gli feci segno che potevo farcela da sola. Mi
mossi così verso il letto e mi accoccolai accanto a lei, le
cinsi i fianchi con un braccio. Lanciai poi un'occhiata verso Elijah
che restò sulla soglia della porta, sorridendomi dolcemente.
Gli feci segno di restare, non volevo che se ne andasse.
“Non
voglio rovinare questo momento, Irina.” mi disse, ma era
turbato per qualcosa.
Qualcosa
molto simile a quei due puntini rossi sul mio collo. Lo guardai
sorridermi e chiudersi la porta alle spalle.
Lei
continuava a dormire beatamente, sentivo il suo respiro soffiare
lento vicino a me e il suo petto alzarsi e abbassarsi sotto le
coperte.
Era
viva.
Mi
sentii quasi in colpa nell'aver pensato per un solo istante che fosse
morta. Mi strinsi a lei e affondai il viso tra i suoi capelli, mentre
sentivo le lacrime salirmi agli occhi.
Un
po' per felicità. Un po' per senso di colpa. Un po' perché
volevo piangere.
Non
l'avrei più abbandonata.
Avrei
protetto lei e tutti coloro che amavo a qualsiasi costo, quella mia
consapevolezza mi rendeva stranamente forte e pronta a qualsiasi cosa
pur di riuscire a proteggerli. Tirai su con il naso e scacciai le
lacrime, restando comunque accanto a lei.
Ti
proteggerò io Katerina. Sempre.
E
lentamente, mi abbandonai al sonno e al mio bisogno di riposare. Ora
che lei era al mio fianco, potevo davvero farlo.
Ok,
il capitolo è chilometrico come al solito. scusate!
Spero
che vi sia piaciuto!
Riguardo
questo capitolo, volevo scusarmi per aver apportato qualche modifica
a quei famosi pugnali che “uccidono” gli Originali. So
che non avrebbero effetto su Klaus, data la sua natura in parte da
licantropo, ma in questa storia ho deciso di fare finta che il
pugnale avesse effetto lo stesso, almeno solo
ora che il suo lato da lupo mannaro è ancora assopito.
Sinceramente non ricordo se questa immunità dai poteri del
pugnale valesse anche prima del rituale, ma spero che comunque
abbiate apprezzato questo piccolo cambiamento che ho fatto a fin di
trama.
Mi
rendo anche conto che ciò che si nasconde dietro il rapimento
di Katerina è un po' confuso ora, ma nel prossimo capitolo
verranno spiegate molte cose al riguardo. Scusate come al solito se
sono lentissima in tutto!
Volevo
concludere dedicando questo capitolo a tutte le meravigliose persone
che leggono questa storia, sia chi recensisce, che i lettori
silenziosi di cui mi piacerebbe sentire la voce, per sapere se
continuano ad apprezzare la storia!
Ringrazio
anche infinitamente chi ha inserito questa storia tra le seguite,
preferite e ricordate!
La
smetto di assillarvi ora!
Alla
prossima, ciao a tutti! ^^
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Capitolo 20 *** Hurt ***
-Hurt-
What
have I become My sweetest friend Everyone I know goes away In
the end And you could have it all My empire of dirt I will
let you down I will make you hurt
(Nine
Inch Nails-Hurt)
Più
la guardavo, più non la riconoscevo.
La
trovavo spesso a fissare il vuoto, come in quel momento. I suoi occhi
neri stavano attraversando i bianchi orizzonti che si stagliavano
fuori dalla finestra della mia camera.
Si
stringeva le ginocchia al petto, mentre restava seduta sul davanzale,
e sembrava non aver avvertito la mia presenza, malgrado stessi in
camera con lei da diversi minuti.
Il
fatto che non ricordasse nulla dell'accaduto mi preoccupava: poteva
aver perso i sensi per tutto il tempo in cui era stata rapita, ma
poteva anche essere stata soggiogata a dimenticare. Erano tante le
opzioni in ballo e non riuscivo a capire quale fosse.
“Quando
la tua caviglia sarà guarita, dovremmo andare nella foresta
come facevamo da piccole.” La sua voce, così irreale per
poterla riconoscere, ruppe il silenzio della nostra camera. La
guardai confusa, restando in piedi accanto al letto e ricordando con
una strana malinconia i momenti della nostra infanzia. Gli unici
momenti felici che ricordavo erano quelli con lei e la mamma. “Ci
sono fiori che crescono anche di inverno, potremmo trovarne qualcuno
che ne dici?”
Si
voltò verso di me, rivolgendomi un timido sorriso che mi
congelò il cuore.
Non
capii perché mi fece quell'effetto, provai una strana
sensazione di freddo dentro che mi fece rabbrividire.
“Stai
bene?” le chiesi.
Lei
mi guardò confusa. “Quante volte me lo hai chiesto in
questi giorni? Sì, sto benissimo. Non preoccuparti.”
rispose divertita e tornò a guardare fuori dalla finestra.
Rimasi
a guardarla poco convinta, perché nei suoi occhi mi pareva di
scorgere il contrario?
*
* * *
Avevo
bisogno di parlare con Elijah, non solo perché volevo
chiedergli di Katerina ma anche perché mi era sembrato
parecchio distante e freddo in quei giorni con me. Il motivo per cui
si comportasse così con me mi era abbastanza chiaro, ma non lo
comprendevo.
Quella
mattina non lo trovai, probabilmente era da Diana oppure alla ricerca
di Daniel che sembrava bello che scomparso: casa sua era vuota, come
se avesse deciso di scappare via il più lontano possibile. Lo
avrei fatto anche io, sapendo che Klaus aveva minacciato di
strappargli letteralmente viscere e altri parti del corpo che nemmeno
sapevo esistessero.
Zoppicando
lungo il corridoio, mi fermai proprio di fronte alla porta della sua
camera.
Non
avevo modo di parlare nemmeno con lui in quei giorni, tanto era stato
preso dagli affaracci suoi, ma doveva pur arrivare il momento in cui
avremmo parlato di quello che era successo.
Mi
fermai di fronte alla porta e presi un lungo respiro.
Bastava
bussare, eppure non ci riuscivo.
Alzai
il pugno e lo avvicinai alla superficie in legno, ma non osai
muoverlo contro la porta. Non riuscivo a comprendere il perché
di quel mio blocco, avevo quasi paura che quei brevi attimi in cui
eravamo stati uniti nello sfidare il mondo intero fossero solo una
breve parentesi che non si sarebbe mai ripetuta. Probabilmente, Klaus
avrebbe ripreso a comportarsi come prima facendo finta di nulla e non
me ne sarei stupita.
Perché
mi ostinavo sempre a pretendere un cambiamento?
Decisi
di lasciar perdere e di trovarmi qualcosa da fare insieme a Katerina
e Rebekah, già stavo pregustando una bella passeggiata con
loro tra le bancarelle del villaggio.
“Entra
pure, Iry.”
Appena
feci per voltarmi e tornare nella mia stanza, udii la voce di Klaus
chiamare il mio nome. Proveniva da un punto oltre quella porta, anche
se le sue parole mi parvero troppo lontane per provenire dalla
camera. Trattenni il fiato, chiedendomi come avesse fatto ad
avvertire la mia presenza oltre quella porta. Spesso dimenticavo che
era un vampiro.
“Solo
tu hai questo fastidioso odore primaverile in pieno inverno, ti
riconoscerei tra milioni.” continuò a dire la voce di
Klaus, parlava con tono così alto che non riuscii a cogliere
l'emozione che si nascondeva in essa. “Andiamo, entra. Dobbiamo
parlare.”
Presi
un lungo respiro e posai la mano sul pomello della porta, entrando
lentamente nella stanza di Klaus. Definirla una stanza principesca
era ben poco: le finestre erano il doppio più ampie delle mie
e affacciavano su un punto aperto della foresta dove il cielo era ben
più visibile. Il letto era a due ante, ricoperto con lenzuola
di seta bianca e decorazioni dorate. Accanto ad esso vi era un
comodino per lato, sulle superficie di entrambi vi erano posati del
fogli ingialliti che mi soffermai ad osservare a lungo.
Alle
pareti erano affissi diversi dipinti, alcuni mi parvero esser nati
dalla mano di Klaus mentre in altri non riconobbi lo stile che avevo
associato a lui.
Un'ampia
libreria pendeva sulla parete alla mia sinistra ed era ricolma di
libri e oggetti di valore che sembravano molto fragili e preziosi,
era meglio quindi che stessero lontani dalla mia portata.
Sotto
i miei piedi si estendeva un grande tappeto persiano color rosso ed
oro, che rendeva quella stanza ancora più lussuosa di quanto
fosse.
“Sono
qui.” La voce di Klaus ruppe il silenzio facendomi sobbalzare.
Volsi
lo sguardo verso il punto da cui proveniva, una porta socchiusa sulla
parete sinistra da cui filtrava una debole luce bianca. Mi avvicinai
lentamente e con titubanza, cercando di capire se Klaus aveva in
mente di fare qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. Dall'interno mi
parve di sentire il rumore dell'acqua che scrosciava ma non ne ero
certa, forse mi stavo solo facendo troppi problemi come al solito.
Armata
di tutto il coraggio possibile, entrai in quella stanza.
Tutti
gli scherzi che Klaus mi aveva giocato, erano nulla in confronto a
quello a cui mi aveva sottoposto quel giorno: lo trovai beatamente
seduto in una vasca, con le braccia allungate verso i bordi e un
sorriso beffardo rivolto verso un punto davanti a sé. I
capelli biondi erano bagnati e tirati all'indietro, la luce che
brillava dalla finestre sulla parete accanto alla vasca mettevano in
risalto la pelle diafana del suo petto.
Non
osai guardare di più, poiché mi voltai rapidamente
dall'altra parte, con la mano sulle labbra e gli occhi sbarrati per
quanto ero sconvolta. Fortunatamente non mi ero avvicinata molto,
altrimenti avrei visto anche altro.
Klaus
rise di me, la sua risata cristallina risuonò tra le pareti
della stanza e giocò con il rumore dell'acqua che veniva mossa
da un lato e dall'altro della vasca. “Come siamo timide,
Petrova.” disse poi, divertito come non mai.
Una
vampata di calore mi salì al volto, si espanse lungo le mie
guance e raggiunse poi la mia testa che sembrò andare a fuoco.
Non potevo credere che mi fossi fatta prendere in giro in quel modo
come una stupida.
“È
stato un colpo di fortuna che tu sia passata, little sweetheart.”
disse ancora lui. “Mi passi per piacere il panno accanto a te?”
Stavo
per mandarlo a farsi benedire, guardai l'ampio panno bianco che se ne
stava adagiato sullo schienale di una sedia in legno. Lo presi con
una mano, mentre con l'altra mi coprii gli occhi e iniziai ad
arretrare verso di lui per porgerglielo e scappare via il più
lontano possibile. Tesi il braccio verso di lui, Klaus mi stava
sicuramente fissando intensamente e mi parve di udire il suono del
suo ghigno silenzioso che mi scherniva.
“Molto
gentile.” disse poi, sempre con quella punta di provocazione
nella voce.
Un
movimento del tessuto che tenevo in mano mi fece capire che Klaus lo
stava sfiorando, ma non accennava a prenderlo. Quel piccolo movimento
si arrestò ancor prima che potessi capire cosa stava
elaborando la mente malata di Klaus e sentii una mano stringermi il
polso e tirarmi con forza verso il basso.
Caddi
dentro la vasca con un tonfo, tutto il mio corpo venne circondato
dall'acqua e prima che potessi accorgermene, Klaus mi strinse
entrambi i polsi per impedirmi di muovermi.
Cosa
che non volevo affatto fare vista la mia imbarazzante condizione, se
avessi compiuto anche un solo movimento ero certa che avrei visto
qualcosa che non dovevo vedere. Tenni gli occhi fissi in quelli di
Klaus, mentre mi accoccolavo sempre più su me stessa. Un lato
della gonna fluttuava nell'acqua, coprendo così parte del
corpo di Klaus.
Lui
mi sorrideva, mentre il mio viso si faceva sempre più rosso
per l'imbarazzo.
Come
non avevo messo in conto che quello scherzetto sarebbe finito pure
peggio?
“Sei
troppo divertente quando fai quella faccia, Irina.” mi prese in
giro, continuando a stringermi i polsi per impedirmi di sgattaiolare
fuori da quella vasca e correre via, cosa che dovevo fare molto prima
di quell'episodio.
Che
cosa vuoi?
“Dobbiamo
parlare.” Klaus rispose alla mia domanda silenziosa, il suo
ghigno si spense per un attimo e lasciò posto ad un sorrisetto
più trattenuto, mentre i suoi occhi restavano fissi sul mio
viso.
Non
mi sembra il momento adatto.
“La
verità deve sempre essere limpida e trasparente. Nuda, Irina.”
mi rispose lui. “E poi smettila di scandalizzarti, è
solo un gioco.”
Trattenni
il respiro quando lui mi tirò di più verso di sé,
il suo fiato soffiò sulla punta del mio naso mentre le sue
mani salivano al mio viso e lo circondavano con esse. Colsi
l'occasione per provare a scappare, ma lui me lo impedì.
“Io
ti ho fatto solo del male, ti ho sempre e solo abbandonata. Non ho
fatto nulla per meritarmi il tuo comportamento dell'altro giorno...e
sinceramente nemmeno mi interessa meritarlo.” mi interruppe
lui, uccidendo ogni mio tentativo di fuga. “Quindi rispondi
alla domanda che hai lasciato in sospeso l'altra volta...perché
sei rimasta con me?”
Lo
guardai sconcertata, i nostri sguardi continuarono a rimanere fissi
l'uno nell'altra mentre il rumore dell'acqua che si muoveva attorno a
noi rompeva il silenzio.
Come
poteva pretendere che in quel momento avessi la testa di
rispondergli? Ero completamente zuppa dalla testa ai piedi per colpa
sua e stavo cercando di non pensare al fatto che lui fosse nudo.
Continuavo a tenere gli occhi fissi sul suo viso, mentre le sue mani
continuavano a stringere il mio. Stava attendendo una risposta,
mentre sulle sue labbra si allargava un ghigno divertito che però
mi parve alquanto forzato.
Ero
rimasta perché non volevo abbandonarlo, era così
difficile da comprendere?
“Non
ti comprendo. Possibile che tu non sappia odiare?”
Klaus
scosse la testa incredulo e mi ritrovai nella condizione in cui era
lui a non capirmi. Eppure non ero così complicata, ai suoi
occhi dovevo essere un libro aperto visto che aveva vissuto ben
cinquecento anni di umanità. Doveva aver imparato a conoscere
noi comuni mortali, ma poi pensai che Klaus l'umanità l'aveva
conosciuta nel peggiore dei modi quando era vivo e l'aveva
denigrata fino a rifiutare di conoscerla davvero quando era poi
morto. Non aveva mai conosciuto, quindi, la vera umanità.
“Io
ti ho fatto tutto il male possibile, eppure tu hai combattuto per me
lo stesso. È un atteggiamento stupido, non ti pare?” mi
chiese ancora, sembrava quasi che volesse affermassi la mia innata
stupidità. Forse perché gli conveniva, se accettava che
fossi rimasta al suo fianco perché lo volevo, probabilmente un
po' di gratitudine nei miei confronti l'avrebbe provata. O mi
sbagliavo?
Le
sue mani mi accarezzarono i capelli, scesero dolcemente sopra di loro
e li bagnarono in modo che si attaccassero al mio viso. Brividi
intesi mi corsero lungo la schiena e mi ritrovai a chiudere gli
occhi, contando nella mia testa fino ad un numero che mi avrebbe dato
il coraggio necessario per alzarmi e correre via. Ma lui mi
immobilizzava.
“E
mi hai offerto il tuo sangue senza problemi...” disse ancora,
mi fece scivolare un po' più verso di lui e il calore mi salì
alle gote con estrema rapidità, le sue dita fredde sfiorarono
i due puntini rossi che erano rimasti sulla mia pelle e rabbrividì
di nuovo.
Provai
a tirarmi indietro, ma Klaus volle a tutti i costi continuare quel
giochino perverso che aveva messo in atto. Aprii di nuovo gli occhi,
mi stava sorridendo in una maniera talmente provocatoria che mi
trattenni a fatica per non dargli uno schiaffo.
“Non
è che ti sei innamorata di me, piccoletta?”
Inarcai
le sopracciglia incredula di fronte a quel quesito, avvampai ancora
di più e sul mio viso parve scoppiare un incendio. Klaus era
il solito idiota, non avrebbe mai smesso di giocare con me, nemmeno
dopo quello che era accaduto giorni prima.
“Non
mi stupirei, la linea che divide odio e amore è più
sottile di quanto pensi. Un attimo prima vorresti strapparmi il
cuore, quello dopo vorresti donarmi il tuo...”
Provai
a divincolarmi e a liberarmi dalla sua presa ma lui mi trattenne,
avvicinò di più il viso al mio in modo che il suo
sguardo si incatenasse ai miei occhi e li rendessero prigionieri di
quella gabbia invisibile che rinchiudeva i nostri pensieri, facendoli
scontrare nel silenzio.
“Perché
allora, Irina? Rispondi.” disse ancora, abbassando la voce
sempre di più in modo che le sue parole mi rimbombassero nella
testa e mi immobilizzassero sempre più.
Deglutii
rumorosamente, il groppo che avevo in gola scomparve e calò un
innaturale silenzio rotto unicamente dallo scrosciare dell'acqua.
L'unica arma che avevo per tirarmi fuori da quella imbarazzante
situazione era dire la verità.
Non
volevo lasciarti solo.
Gesticolai
quel poco che mi era consentito e lui seguì i movimenti delle
mie mani. Ne tradusse il significato solo pochi istanti dopo, quando
delle rughe apparvero sulla sua fronte, segno che stava riflettendo
sul loro significato.
Non
ci credeva, per lui era davvero troppo irreale che si nascondesse una
cosa così semplice dietro il mio comportamento. “Non ti
credo.” mi disse, scuotendo la testa per un istante e serrando
la mascella.
Non
mi andava più di discutere con lui in quella situazione e
decisi di tirarmene fuori anche se lui sembrava volermelo impedire.
Appena
compii un movimento per alzarmi in piedi, lui mi tirò di più
a sé: tirai un po' la testa all'indietro quando il suo petto
nudo entro in contatto con il mio. Avvertii il suo respiro sopra il
mio mento, mentre lui rideva dell'imprecazione che, spontaneamente,
uscì silenziosa dalle mie labbra.
“Lo
sai che quando beviamo il sangue possiamo sentire il vostro battito
cardiaco?” mi domandò, tenni lo sguardo basso sui suoi e
in quel momento il mio cuore iniziò a battere troppo forte
affinché il suo udito non lo percepisse. Infatti lo vidi
sorridere di più, divertito da quella reazione che io non
potevo placare. “Tutte le volte che mi sono nutrito di una
fanciulla, il suo cuore batteva all'impazzata...non mi piace
ammaliare le mie vittime per tenerle ferme, sai?”
Non
volevo sapere i dettagli macabri delle sue uccisioni, volevo solo
uscire da quella vasca e non sentire più le sue mani umide sul
mio viso. “Vuoi sapere come batteva il tuo cuore?” Klaus
mi trattenne il viso con più forza, quando mi dibattei di
nuovo per liberarmene.
“No.”
dissi, scuotendo la testa ripetutamente.
“Ha
battuto all'impazzata solo all'inizio...poi si è abbandonato a
me. Strano non trovi?” mi rispose lui, ignorando la
risposta che avevo usato di fronte alla sua domanda.
Lo
guardai confusa, chiedendomi dove volesse arrivare con quei soliti
giochi di parole a cui mi sottoponeva sempre. Il nostro gioco di
sguardi andò avanti per altri secondi: lui si aspettava una
risposta, io una spiegazione. Non saremmo giunti da nessuna parte.
Lentamente
mi fece scivolare ancora più vicino a lui, le mie mani si
posarono sulla sue spalle rigide e fredde e le ginocchia nascoste
sotto il tessuto del mio vestito sfiorarono il suo gomito. Trattenni
il respiro imbarazzata, non volevo che finisse a schiantarsi con il
suo. Le sue mani tornarono sui miei capelli, le dita sfiorarono la
zona dietro le orecchie con delicatezza. Le mosse sopra la pelle,
piccole goccioline scivolarono tra i miei capelli e mi sentii di
nuovo paralizzare per la vergogna.
Quando
si accostò di più a me, ne approfittai per liberarmi:
lo colpii con uno schiaffo e balzai fuori dalla vasca. Per colpa
della caviglia malandata, inciampai sul bordo di essa e caddi distesa
a terra. Klaus se la rideva alle mie spalle, mentre mi rimettevo
malamente in piedi e tremavo per il freddo che passava attraverso i
miei vestiti. Ero completamente zuppa, i capelli non erano più
raccolti ma sciolti sulle spalle su cui ricadevano pesantemente. Mi
tolsi il fermaglio a forma di farfalla, ignorando quelle odiose
risate alle mie spalle.
“E
andiamo...stavo solo giocando un po'. Quando imparerai a divertirti
un po' pure tu?”
Avrei
tanto voluto voltarmi e lasciargli un'occhiataccia, ma la paura di un
altro scherzetto ben peggiore di quello di prima mi bloccò.
Idiota.
Balzai
in piedi ignorando il dolore e scappai fuori dal bagno il più
veloce possibile che potei.
*
* * *
Me
la chiusi alle spalle con rabbia.
Ma
perché doveva sempre fare così? Se non mi metteva in
imbarazzo o se non mi provocava come solo lui sapeva fare, la sua
giornata probabilmente avrebbe perso senso.
Gocciolando
sul pavimento in legno e con le braccia strette al petto, camminai
lentamente verso la porta quando qualcosa sul comodino accanto al
letto attirò la mia attenzione: un foglio ingiallito che avevo
notato subito appena entrata, ma a cui non mi ero avvicinata.
Se
la curiosità era un demone, io ne ero davvero posseduta.
Mi
avvicinai ad esso lentamente e con le mani umide lo presi tra le
mani: rappresentava due mani, calcate con il colore grigio di una
matita che ne metteva in risalto i tratti. Cinque dita sottili
stringevano altre cinque dita più lunghe e grandi, in una
specie di candido abbraccio che sembrava voler sconfiggere la
solitudine.
Allora
lo sapeva che ero rimasta con lui perché non volevo
abbandonarlo?
“Possibile
che devi sempre essere così impicciona?” Klaus apparve
alle mie spalle, mi strappò il foglio di mano allungando il
braccio accanto a me.
Mi
voltai per guardarlo interrogativa, ma mi portai prontamente una mano
agli occhi quando scorsi la pelle bianca del suo petto nudo di fronte
a me. Fortunatamente aveva almeno avuto la decenza di indossare un
lungo panno bianco che lo coprisse dalla vita in giù.
Restando
nell'oscurità sentii il rumore del foglio che veniva
appallottolato, un lievissimo suono mi fece comprendere che era
anche stato gettato a terra.
Poi
un sospiro, di qualcuno che davvero non ne poteva più di me.
“Smetti di fare la bambina.” Klaus allungò la mano
verso quella che tenevo sugli occhi, la staccò da essi ma io
con ostinazione ce la riportai. Lui però voleva avere la
vittoria in pugno, così scostò nuovamente la mia mano e
la strinse nella sua, in modo che non potesse più fare ritorno
sopra i miei occhi.
Ma
non l'ebbe vinta: tenni le palpebre serrate più forte che
potei in modo da non guardarlo, anche se non era più
completamente nudo.
Sempre
perdendomi nel buio che i miei occhi vedevano, sentii un movimento di
fronte a me e un caldo respiro soffiarmi sulla fronte. Sentivo anche
un'altra forza, quella che gli occhi di Klaus stavano esercitando sul
mio viso in quel momento. La sua mano stringeva ancora la mia. “Sei
venuta qui per dirmi qualcosa, vero?” mi chiese la sua voce,
maledettamente vicina ai miei occhi. Come se volesse spingerli ad
aprirsi.
Annuii
lentamente, facendo un passo indietro ma non troppo, visto che lui me
lo impediva. Deglutii di nuovo troppo rumorosamente, il cuore batteva
all'impazzata per l'imbarazzo e il viso bruciò di nuovo come
se fosse in fiamme. Klaus continuava a soffiarci sopra, non capivo se
per attenuare o accrescere l'incendio sulla mia pelle.
“Grazie.”
dissi.
Seguì
un lungo attimo di silenzio, il respiro di Klaus smise di scontrarsi
con il mio viso e il suo corpo parve farsi un po' più lontano
da me. “Mi stai ringraziando?” mi domandò, le sue
dita attorno al mio polso strinsero con più vigore, ma senza
farmi male.
Scossi
la testa. “Tu mi hai ringraziata?”
chiesi, muovendo le labbra e l'altra mano per compiere qualche segno
significativo, che potesse fargli comprendere.
Calò
il silenzio, più profondo e intenso di quello che lo aveva
anticipato.
Il
mio respiro non divenne l'unico ad essere trattenuto, la presa sul
mio polso si allentò lentamente e la mia mano cadde affianco
alla mia gamba. In quel momento, mi ritrovai costretta a vedere:
aprii gli occhi, ignorando le gocce d'acqua che bagnavano la sua
pelle chiara, quelle che cadevano dai suoi folti capelli biondi per
scendere lungo il suo viso e quelle che continuavano a cadere come
pioggia lungo il suo petto. Mi soffermai a lungo a guardare i tratti
del suo volto: era rigido, come se quella mia domanda lo avesse in
qualche modo sorpreso. “Quella parola non mi appartiene.”
rispose, in un filo di voce per non profanare il silenzio che faceva
spettatore alla nostra strana conversazione. “Eri mezza
moribonda, di sicuro te lo sei immaginata.”
Era
una bugia.
Anche
se quella parola, quella voce mi era parsa così irreale che
sembrava appartenere ad un sogno ero certa che lui l'avesse
pronunciata. Perché non lo ammetteva e basta? Gli pesava tanto
ammettere di non essere solo il cattivo della situazione?
Ci
guardammo a lungo, come al solito ci aspettavamo altre reazioni l'uno
dall'altra: lui voleva che desistessi e io volevo che lui ammettesse
di avermi ringraziata.
Sussultai
quando lui fece un passo verso di me, in quel momento tutta la
situazione parve riacquistare il suo aspetto imbarazzante, mentre il
suo petto si faceva vicino al mio. Prese qualcosa da sopra il letto
accanto a noi e mi avvolse le spalle in un panno scuro che per un
solo attimo placò i tremori che mi stavano scuotendo da un
paio di minuti.
“Invece
che fare queste domande sciocche, cerca di non farti prendere dal
raffreddore.”
Le
sue labbra si allargarono in un sorrisetto di divertito, mentre
stringevo i lembi del panno per ripararmi ancora di più. I
capelli continuarono a fare scendere delle gocce fredde lungo il mio
viso, che scorsero su di esso come lacrime di ghiaccio.
Un
altro movimento di Klaus mi fece sussultare, la sua mano accorse a
scostare un ciuffo che ricadeva sopra il mio occhio sinistro. Chiusi
gli occhi, mentre le sue dita lo portavano dietro il mio orecchio.
Nel movimento di ritrarle, Klaus sfiorò la mia guancia
delicatamente per poi riportarla a sé. “Sembri un
pulcino bagnato, ragazzina.”
Aprii
gli occhi per freddarlo con un'occhiataccia, la lucentezza dei suoi
capelli biondi venne messa in risalto dalla luce pallida che
penetrava dalla finestra accanto a noi.
Era
ora che me ne andassi, ero stata ai giochetti di Klaus anche troppo a
lungo e non vedevo l'ora di spegnere quella fiamma calda che bruciava
sul mio viso.
Mi
avvicinai alla porta lentamente, ma quella si aprii da sola: rimasi
paralizzata, quando vidi la figura di Elijah apparire sulla soglia,
la sua espressione era fredda ancor prima che i suoi occhi vedessero
la mia figura bagnata e quella di Klaus a petto nudo.
Se
la freddezza della rabbia la si poteva ritrarre, lui poteva essere il
soggetto perfetto.
“Lascia
perdere, Elijah. Io e la piccola Petrova ci siamo fatti un bagnetto
insieme.” gli disse Klaus, con fare beffardo. Non mi voltai
verso di lui, solo perché la sua espressione mi avrebbe di
certo fatto innervosire solo di più.
Elijah
lo guardò con rabbia, come una fiamma imprigionata tra pareti
di ghiaccio che, prima o poi, si sarebbero sciolte. “Vatti a
cambiare, Irina.” la sua voce era dura, come un prezioso
diamante che nessun'arma poteva scalfire.
Provai
a replicare, ma lui mi blocco con rabbia. “Subito.” mi
ordinò, paralizzandomi con quella semplice parola. Deglutii
quasi spaventata e lentamente lasciai la stanza, la porta venne
chiusa alle mie spalle e io rimasi immobile di fronte ad essa per
qualche secondo.
Era
la prima volta che vedevo una freddezza simile negli occhi di Elijah.
E,
come ogni prima volta, mi ritrovai ad aver paura di affrontarla.
*
* * *
Lo
raggiunsi subito in salotto, dopo essermi cambiata velocemente
d'abito ed essermi sistemata i capelli in una coda e lasciandoli
umidi come Klaus si era divertito a renderli.
Elijah
stava sistemando diversi fogli sulla scrivania e riponendo altri
libri negli appositi scaffali della libreria.
Malgrado
fosse sempre elegante, riconobbi del nervosismo nei suoi movimenti:
era chiaro che fosse irritato e non era nemmeno difficile capire il
perché.
Lui
si voltò verso di me, aveva già avvertito la mia
presenza ma fece lo stesso finta di nulla, mentre io restavo immobile
sulla soglia della porta del salotto e lo guardavo preoccupata.
“Devo
andare da Diana, aveva detto di avere delle notizie importanti e non
vorrei farla attendere troppo.” disse, dopo aver messo a posto
altri volumi.
Sembrava
più che stesse parlando a sé stesso, come se io fossi
parte delle pareti.
Non
sopportavo quel suo comportamento di quel momento, mi dava sui nervi.
Lo
guardai passarmi accanto, ma lo raggiunsi prontamente e con la
velocità che la caviglia gonfia riusciva a concedermi. Mi
parai di fronte a lui, gli posai le mani sulle spalle e lo implorai
di fermarsi e spiegarmi.
Elijah
era freddo, i suoi occhi scuri erano fissi su di me ma sembravano non
vedermi. Non avevo mai fatto caso a quanto fossero davvero intensi di
fronte a qualsiasi sentimento egli provava. In quel momento sembrava
di leggere la parola rabbia nelle sue iridi nere.
Sei
arrabbiato?
Domanda
sciocca, ma necessaria per avere una risposta chiara in quel momento.
Era
arrabbiato per il morso, ma avevo donato il mio sangue a Klaus non
per gioco o per chissà cosa ma perché ne necessitava.
La scenetta di poco prima poi non era molto equivoca, si capiva che
era stato uno dei soliti giochetti che il fratello amava fare.
La
collera di Elijah si divideva infatti tra me e lui, ma su chi si
concentrava di più, non riuscivo a capirlo.
“Non
mi va di parlarne.” rispose lui, provando di nuovo a superarmi.
Mi
parai ancora di fronte a lui e il vampiro si arrestò
nuovamente per non finire contro il mio corpo. Tenne lo sguardo fisso
su un punto sopra la mia testa e prese un lungo respiro, come se
volesse non perdere la calma.
Ti
prego, spiegami.
La
mia richiesta giunse comunque alle sue orecchie, nonostante il mio
solito silenzio.
Lui
abbassò gli occhi su di me e li sentì penetrare nel mio
sguardo, come mai avevano fatto prima. Mi ritrovai incatenata ad
essi, in una prigionia da cui non mi sarei liberata se non fosse
stato lui a decidere di sciogliere quella invisibile schiavitù.
Mi
aspettai di sentire la sua voce rispondermi, di sentire le sue parole
mentre mi diceva che era chiaro il motivo per cui fosse arrabbiato.
Ma
lui aveva deciso di far parlare il silenzio.
Lo
vidi avanzare verso di me, con lo sguardo ancora legato al mio.
Mostrandomi
confusa di fronte a quel gesto, mi ritrovai ad arretrare. Occhi
dentro occhi, ci muovevamo in una sincronia che faceva risultare i
nostri movimenti come passi di un ballo. Il cuore mi batteva
all'impazzata, mentre rimanevo totalmente dipendente da quei pezzi di
cielo notturno che mi stavano fissando, il respiro rimase bloccato in
gola e gridava di essere liberato al più presto prima che
fosse tardi.
Finii
contro una poltrona, ci caddi seduta sopra in una posizione che di
composto aveva ben poco. Elijah si fermò, in piedi davanti a
me, e rimase così per qualche misero secondo.
Poi
mi tolse il respiro.
Si
chinò rapidamente su di me, i suoi occhi continuavano a tenere
legati i miei mentre il suo viso si faceva più vicino al mio.
Mi
tolse così il respiro, donandomi il suo.
Soffiando
sulle mia guance rosse a causa di quella vicinanza che trovai a dir
poco soffocante. Il cuore aveva battuto così forte in poche e
rare occasioni e se sarebbe scoppiato nel mio petto, non me ne sarei
affatto stupita.
Ma
che stava facendo Elijah? Non era da lui comportarsi in quel modo.
Malgrado la sua espressione era sempre la stessa, c'era della
freddezza in essa che quasi mi spaventava.
Il
suo viso scese sul mio collo, scostò i capelli bagnati che lo
coprivano e vi respirò sopra.
I
miei pugni affondarono nella stoffa della poltrona, usando tutta la
forza che potessero avere, mentre intensi e lunghissimi brividi caldi
attraversavano il mio corpo.
Stava
per mordermi?
Quel
pensiero balenò nella mia testa, nel momento in cui la punta
del suo naso disegnò una linea sulla mia guancia sinistra. Una
scia di fuoco bruciò sulla pelle, mentre il respiro di Elijah
restava vicino alla base del mio collo. Qualche centimetro più
in basso e i suoi denti avrebbero potuto perforare quei puntini rossi
che ricordavano il morso di Klaus.
“Sai
quante volte ho pensato di bere il tuo sangue? Sono un vampiro anche
io, Irina.” La sua voce era un sussurro, parole che bisognava
ascoltare nel buio per esserne pervasi. Chiusi un attimo le palpebre,
cercando di ritrovare l'ossigeno necessario di cui avevo bisogno.
Avevo trattenuto il respiro anche troppo a lungo. “In questo
momento, potrei prenderlo...senza che tu nemmeno te ne accorgessi.
Sentiresti solo un lieve pizzicore, mentre me ne nutro.”
Deglutii,
erano tutte sensazioni che conoscevo perché le avevo provate
giorni prima.
Quindi
perché Elijah mi stava dicendo delle cose del genere? Le sue
mani si posarono sulle mie,
quasi immobilizzandole mentre io tiravo la testa all'indietro perché
mi bruciava troppo la pelle sotto il suo respiro.
Avevo
paura, ma era quel tipo di paura che non faceva correre via a gambe
levate: era quella che ti immobilizzava, ti faceva tremare e che
volevi a tutti i costi sapere dove ti avrebbe portata. Ma io sapevo
quale sarebbe stato l'epilogo di quella faccenda, quindi perché
non scappavo?
Le
dita di Elijah si intrecciarono alle mie, riconobbi le sue labbra che
sfioravano delicatamente le due piccole ferite alla base del mio
collo. Il respiro, il battito del cuore si fece tutto più
veloce, anche troppo e io non ero capace di tollerarlo.
“Ma
non lo farò mai.”
Elijah
allontanò velocemente il viso dal mio collo e ripresi subito
controllo delle mie sensazioni. I polmoni ripresero aria, mentre lo
sguardo tornava lentamente a guardare il volto di marmo di fronte a
me. Lui mi fissava con freddezza, quello che stava cercando di fare
era impartirmi una lezione che io, francamente, non avevo ancora ben
compreso.
”È
questa la differenza tra me e lui: io ho rispetto di te, del tuo
corpo e della tua anima a differenza sua. Io non avrei mai e poi mai
bevuto il tuo sangue, nemmeno se stessi per abbandonare questo
mondo.” disse, le parole rinchiuse tra quelle labbra quasi
serrate.
Abbassai
lo sguardo, sentendo il cuore battere davvero troppo forte dentro il
mio petto. Riascoltai quelle parole nella mia mente, ma non seppi
cosa pensare al riguardo.
“Come
puoi farti così tanto male per una persona che non se lo
merita?”
Mi
morsi le labbra, mentre il petto si alzava e abbassava in maniera
troppo evidente e veloce sotto il tessuto del mio vestito. Mi misi a
sedere in una posizione più composta e distolsi lo sguardo da
lui, sentendomi in imbarazzo completo.
Klaus
aveva bisogno di sangue quel giorno se volevamo sopravvivere
entrambi,quindi non c'era bisogno di comportarsi in quella maniera
folle.
Folle.
Non avrei mai pensato di usare un termine simile per Elijah, ma in
quel momento proprio non lo capivo. Era arrabbiato perché
avevo offerto di spontanea volontà il mio sangue a Klaus, ma
non capiva che ne ero stata obbligata?
Mi
alzai lentamente in piedi, volevo solamente uscire da quella stanza e
riprendere il respiro che lui mi stava togliendo in quel momento.
Ma
lui me lo impedì.
Si
parò davanti a me, senza toccarmi ma semplicemente guardandomi
in quella maniera che avrebbe paralizzato chiunque. Non mi aveva mai
rivolto quello sguardo, ma lo sentii passarmi sotto pelle e
immobilizzare ogni singolo muscolo del mio corpo.
Mi
faceva paura e quella cosa non la sopportavo.
Che
cosa vuoi?
Quella
domanda rimase nascosta nei miei passi che retrocedevano di fronte ai
suoi. Elijah non smise un secondo di guardarmi, l'unico movimento che
notai sul suo viso fu quello della mascella che venne serrata per
qualche istante.
“Non
sto rinunciando a te, per permetterti di avvicinarti a lui.”
disse. “Klaus mi ha portato via tante cose in questi secoli.
Non gli permetterò di fare lo stesso con te.”
La
sua voce era più che profonda, parve scaraventarmi in un
abisso profondo da cui non sarei
potuta risalire, se avessi continuato a ostinarmi e fissarlo così
intensamente.
“Non
lascerò che tu ti faccia del male e nutra qualcosa nei suoi
confronti che ti porterà solo dolore.” disse ancora,
facendomi comprendere che non avrebbe detto altro dopo quelle ultime
parole.
Serrai
i pugni accanto alle gambe, la sua forza nel volermi difendere dal
mondo intero, da sé stesso e persino da me stessa in
quel momento, scatenò in me diversi e contrastanti sentimenti.
Lo
odiavo.
Rabbia
incandescente bruciava sul mio viso mentre continuavo a sostenere il
suo sguardo.
Lui
lo mantenne saldo a sé, lasciando che l'ira incendiasse i miei
occhi.
Poi
mi ritrovai ad amarlo.
Perché
era sempre pronto a proteggermi in tutti i modi, a non permettere che
venissi ferita da terze persone oppure dalla mia stessa anima, che
spesso mi aveva fatto più male di qualsiasi altro.
Non
era normale che emozioni così in contrasto tra loro mi
disorientassero in quel modo.
Fu
lui ad andarsene, portandosi dietro tutta quella palpabile tensione
che aveva pesato su di noi fino ad allora. . L'aria tornò a
circondarmi e mi sembrò di non aver respirato per troppo
tempo. Mi chiesi perché, in un modo o nell'altro, fossi capace
di ferirmi con qualsiasi arma, anche quello che provavo per Elijah si
era tramutato in un pugnale pronto a colpirmi.
Prima
o poi, o ne sarei scampata o quella lama mi avrebbe trafitto il
cuore.
Quale
dei due destini mi sarebbe spettato, non lo sapevo nemmeno io.
*
* * *
Irina?
Una
voce che conoscevo bene si fece largo tra i miei sogni, allontanò
la foschia irreale che li circondava e mi fece ritornare nel vero
mondo. Spalancai gli occhi, ritrovandomi di fronte l'oscurità
che faceva padrona alla mia stanza. Una mano toccava i miei capelli
dolcemente e mi voltai rapidamente dal lato opposto dove trovai
Katerina.
Mi
stava fissando, il suo pallido volto era illuminato dalla luce della
luna che brillava fuori dalla finestra e mise in risalto i suoi occhi
scurissimi. C'era qualcosa di insolito in loro, sembravano due buchi
vuoti in cui la sua anima era sprofondata per non risalire più.
Sbattei
più volte le palpebre per scacciare quella strana sensazione
di inquietudine che mia sorella mi causava. “Vieni con me.”
mi disse.
Mi
misi a sedere sul letto e la guardai interrogativa. Lei si alzò
dal bordo del mio letto senza rispondere alla domanda silenziosa che
le avevo rivolto, si diresse a passo deciso fuori dalla stanza e mi
rivolse un'ultima lunga occhiata prima di sparire dietro l'angolo.
Restai per qualche istante sul letto, cercando di comprendere cosa si
nascondesse dietro la richiesta di Katerina ma, per paura che uscisse
da sola, presi il mantello e la raggiunsi.
Fu
lei a segnare il percorso da intraprendere, i nostri piedi
affondavano pesantemente nel manto di neve che si era fatto ancora
più alto dopo l'ultima precipitazione di quel giorno. Il vento
era tagliante e graffiava i nostri volti con i suoi artigli
invisibili, mi strinsi di più le braccia al petto per placare
il tremore che mi attanagliava e guardai le spalle di mia sorella.
Lei sembrava non temere il freddo, era come se lo stesse sfidando a
viso aperto mentre lui le sollevava i lunghi ricci scuri sulle spalle
e il tessuto del mantello che si gonfiava accanto al suo esile corpo.
Katerina?
Ma
cosa aveva? Mi avvicinai a lei il più rapidamente che potei,
ignorando il dolore lancinante che la caviglia stava procurandomi
sotto lo scarpone, e mi fermai al suo fianco.
In
quel momento mia sorella si fermò, il suo volto era rivolto
verso il cielo oscuro e il suo sguardo sembrava riflettere la miriade
di luci che brillavano in esso, oltre il candore che ricopriva i rami
degli alberi oltre le nostre teste.
“È
bellissima la notte, non trovi? La prima musica suonata al mondo
proviene dal suo silenzio, la sua melodia fa da sottofondo ai nostri
sogni e accompagna i nostri corpi verso mondi che possiamo conoscere
solo attraverso le nostre illusioni notturne...la mamma diceva sempre
così, ricordi?” disse, la sua voce sembrava spenta e
priva di qualsiasi emozione. Continuai ad osservare il suo profilo,
illuminato dalla pallida luce della luna e mi sembrò di avere
accanto una statua: perfetta, da ammirare ma vuota.
Seguii
la linea del suo sguardo e lo volsi verso il cielo,parte della luna
era nascosta dagli alberi e quindi ammirai quelle piccole luci che si
perdevano nel buio. M voltai verso mia sorella, chiedendomi perché
avesse deciso di uscire: faceva troppo freddo e inoltre era buio
pesto. Le presi il polso, facendole segno che dovevamo rientrare ma
lei mi ignorò.
“Tu
che cosa sogni, Irina?” mi chiese ancora Katerina, restando
immobile mentre la mia mano stringeva il suo polso freddo. La guardai
confusa, mentre il suo sguardo si rivolgeva lentamente verso di me e
le sue labbra si allargarono in un sorrisetto malinconico.
La
sua voce mi spaventava, aveva un suono che non poteva appartenere a
lei: qualcosa di oscuro e terrificante.
“Io
stanotte ho sognato che ero in Bulgaria, con mia figlia e un uomo al
mio fianco che mi avrebbe amata per il resto della mia vita...non ho
chiesto tanto vero?”
Guardai
il suo volto impassibile e lo vidi trattenere un dolore e una
tristezza che erano sempre rimasti ben nascosti dietro esso, ma che
in quel momento divennero molto evidenti.
Katerina
si comportava in modo strano per via di quel sogno? Presi un lungo
respiro e la strinsi a me, posandole una mano sulla nuca e cingendole
i fianchi con l'altro braccio.
Mi
fece così male vederla soffrire, che mi dimenticai per un
secondo della paura che quegli alberi attorno a noi mi provocavano.
Lei
ricambiò lentamente il mio abbraccio, le sue dita giocarono
con alcuni ciuffi dei miei capelli che il vento ogni tanto spostava
attraverso il suo flusso. Il respiro freddo di mia sorella venne
soffocato dal modo in cui il suo mento affondò nella mia
spalla.
“Io
ho sempre sognato una cosa simile eppure...mi è stata portata
via. Non potrò più avere una cosa simile, Irina.”
disse poi, alzando il mento e posandolo sopra la spallina del mio
mantello. La strinsi più forte, come per arrestare il dolore
che la stava attraversando in quel momento e farlo trasportare via
dal vento che soffiava imperterrito.
“Ma
forse non lo merito, forse ho commesso errori nella mia vita di cui
non mi rendo conto...”
Non
dire così.
Chiusi
gli occhi e continuai a stringerla sempre con forza, volevo che
capisse tutto quello che volevo dirle attraverso quell'abbraccio e
continuavo a desiderare di far sparire la sofferenza che le stava
arrecando quella notte.
Non
sentii più la sua mano tra i miei capelli, le sue dita li
abbandonarono e il braccio le cadde accanto al corpo. Alzò il
mento poi, come se non volesse più sentire il contatto con la
mia spalla. Calò di nuovo il silenzio, rotto unicamente dal
verso di qualche rapace appollaiato tra i rami sopra di noi e dal
fischiare del gelido vento.
“È
tutta colpa tua, Irina.”
Aprii
lentamente gli occhi, mentre il cuore parve arrestarsi per qualche
secondo nel mio petto.
Mi
ero immaginata quelle parole? Erano forse state trasportate dal
vento?
No,
nella mia mente quelle parole si ripeterono e le loro lame si
scagliarono furiosamente contro il mio cuore. Mi allontanai
lentamente da Katerina, guardai il suo volto freddo e i suoi
occhi spenti che mi osservavano mentre un sorriso disegnato
dall'odio si allargava sulle sue labbra.
“È
solo colpa tua se non sono felice, Irina.” ripeté,
mentre io mio cuore incassava con dolore tutti i colpi che quella
voce, che non poteva essere di Katerina, stava infierendomi.
Mi
parve di vivere un incubo, uno di quei terribili sogni da cui ci si
vorrebbe destare subito, prima che si giungesse al loro doloroso
epilogo. Ma era tutto maledettamente reale, il cuore che stava
iniziando a sanguinare troppo forte ne era la prova.
“Nostro
padre ti odia. Ada ti odia. Ma loro non hanno grandi sofferenze da
patire, eccetto la loro profonda ignoranza.” Katerina fece un
passo verso di me, mentre io ne feci diversi indietro. I nostri occhi
continuarono a rimaner legati, i suoi erano vuoti e i miei erano
pieni di lacrime pronte ad attraversare il mio viso. “Nostra
madre ti ama ed è costretta a vivere con un uomo che la odia
da quando tu sei nata....io ti amo, sorella mia, e la felicità
mi è stata negata.”
Ti
prego, basta.
Scossi
la testa, mentre le lacrime iniziavano a bagnare la mia pelle e a
congelarsi sotto il vento gelido. Più la guardavo e più
non vedevo la mia Katerina dietro quello sguardo: quello era il suo
corpo, ma la sua anima era stata imprigionata in qualche luogo oscuro
in cui si era persa.
“Ti
rendi conto che tutto riconduce a te? Sei tu il demonio delle nostre
vite, Irina!” continuò a dire, la sua voce si fece più
alta e le ultime parole riecheggiarono tra gli alberi attorno a noi.
No
Katerina...
Continuavo
ad arretrare, senza sapere come difendermi dalle crude parole di
colei che era stata il mio angelo custode per un'intera vita. Ma le
sue ali bianche sembravano esser state strappate via, sostituite da
ali nere che mi avrebbero soffocato nel loro odio. Inciampai sulla
neve, quando vidi mia sorella estrarre un pugnale dal suo mantello.
La sua lama sembrava sorridermi sotto la luce della luna, brillava e
scintillava un ultima volta, poi probabilmente sarebbe stata colorata
dal rosso del mio sangue.
Perché
Katerina voleva uccidermi.
Non
c'era luce nei suoi occhi, non c'era sorriso sulle sue labbra e il
suo viso sembrava aver scacciato i colori di qualsiasi emozione che
l'avesse pervasa fino ad allora.
Quella
non era Katerina, era l'odio.
“Tu
hai ucciso i miei sogni. Mi hai tolto la vita, sorellina”
iniziò a dire, facendo altri passi verso di me, mentre io
strisciavo indietro spaventata e priva di forze per rialzarmi.
Piangevo disperata, allungando la mano verso di lei e implorandola di
fermarsi, ma lei non mi stava ascoltando. Nel silenzio della notte,
lei stava ascoltando solo la voce del suo odio.
“Ora
io la toglierò a te.” concluse con quelle parole e
compresi che era soggiogata.
Non
poteva essere altrimenti, le sue labbra si muovevano in parole che
un'altra mente aveva imposto loro di dire.
“Mikael
ti manda i suoi ultimi saluti.” disse poi, confermandomi
che dietro quel rapimento c'era lui. Ma la mia mente non poteva
concedersi di pensare troppo a quel maledetto e a ciò che
aveva messo in atto.
Katerina,
no!
Si
scagliò su di me, provando a pugnalarmi in pieno petto ma
raccolsi l'agilità necessaria per ritrarmi velocemente e
scappare via. Corsi verso la parte opposta a quella di Katerina, ma
la caviglia non mi permise di andare molto lontano e inciampai sulla
neve cadendo di faccia sopra di essa, continuando a piangere e
sforzandomi di rimettermi presto in piedi.
Lei
fu subito alle mie spalle.
Mi
fece voltare a pancia in su, posando una mano sulla mia spalla e
spingendomi a guardarla. Le lacrime mi offuscarono la vista, mentre
rumorosi singhiozzi si liberavano dalle mie labbra e il mio cuore
batteva ad un ritmo frenetico e doloroso dentro il mio petto.
Quell'ombra davanti a me si chinò, la sua mano mi strinse il
collo mentre l'altra innalzava la mia morte accanto alla sua testa.
Vieni
a raccogliere dei fiori insieme a me, sorellina?
Katerina
mi aveva sorpreso ponendomi quella domanda quel giorno: avevo circa
sei anni e me ne stavo da sola seduta al tavolo
della nostra cucina, guardando la mamma che cucinava per noi. Era il
periodo in cui mi resi conto che non avrei mai potuto chiamarla mamma
e che non avrei mai potuto ascoltare la mia voce perché non
l'avevo.
Ecco
perché gli altri bambini non volevano giocare con me, perché
non ero come loro.
Ho
bisogno di te per scegliere i più belli. Dai, vieni.
Katerina
aveva allungato la mano verso di me e aveva stretto le mie dita tra
le sue, prima di condurmi nella foresta. Raccogliemmo fiori e
giocammo a rincorrerci per tutto il tempo.
Fu
la prima volta in cui sentii la mia voce ridere e gioire dell'affetto
che mia sorella mi regalava. Mia madre mi diede respiro donandomi la
vita, Katerina mi diede il primo sorriso, donandomi un'anima.
Il
mio angelo stava per diventare il mio carnefice.
L'arresa
si prese il mio corpo: le lacrime, il cuore, i singhiozzi si
arrestarono improvvisamente mentre guardavo Katerina che mi stava
fissando, priva di emozione.
Lei
non aveva colpe se quella lama si sarebbe macchiata del mio sangue,
lei sarebbe stata sempre la sorella maggiore che io avevo sempre
amato.
Ti
voglio bene, Katerina.
Ero
certa che una parte di lei mi avesse sentito, mentre la lama scendeva
sempre più a fendere l'aria, prima di raggiungere il mio
petto. Chiusi gli occhi, l'ultima immagine che volevo di mia sorella
era del suo sorriso dolce che sempre mi rivolgeva.
“Addio,
piccolo demonio.”furono le ultime parole di quella Katerina.
“Ti
voglio bene anche io, Irina.” furono
le parole della mia Katerina.
Ma
il dolore che porta la morte con sé non giunse mai, il
silenzio tetro dell'oscurità venne rotto da un ringhio feroce
e tutto successe troppo rapidamente.
La
mano sul mio collo si allontanò. Un urlo di dolore di Katerina
riecheggiò nella notte e diversi versi animaleschi lo
seguirono.
Sbarrai
lo sguardo e lo volsi verso il punto da cui provenivano quei rumori.
La
mia vita finì in quel momento, malgrado la lama del pugnale
giacesse pulita accanto a me: un enorme lupo dal manto scurissimo
aveva azzannato mia sorella alla spalla, il suo sangue scuro
macchiava il candore della neve accanto a lei e il suo viso, sotto la
luce della luna, si fece più pallido. Il lupo mi stava dando
le spalle, ma separò prontamente le fauci della
pelle di mia sorella che stava annaspando per il dolore.
No!
lo sentii il mio grido, prendere largo dentro il mio petto e
espandersi dentro di esso mentre guardavo il volto morente di mia
sorella.
L'animale
volse lo sguardo verso di me, mentre i miei occhi lo fissavano. Mi
sentii pervadere da una rabbia che non pensavo di avere, iniziai a
tremare e a stringere i pugni nella neve mentre fissavo quegli occhi
che avevano qualcosa di familiare.
Volevo
morisse in quel momento.
Il
lupo arretrò di fronte al mio sguardo, con la coda tra le
zampe e il muso abbassato, come non riuscisse a sostenere il mio
sguardo. Scappò via, velocissimo e scomparendo tra gli arbusti
innevati vicino agli alberi.
Non
mi soffermai troppo a lungo a guardare il punto dove il licantropo
mi stava fissando fino a pochi
istanti prima. Strisciai verso Katerina più veloce che potei,
pregando il vasto cielo sopra le nostre teste che fosse viva. I suoi
occhi sembravano fissare con dolore la luna piena che brillava nel
cielo, ero stata così presa dal suo dolore che non mi ero
accorta di come splendesse in cielo.
Era
tutta colpa mia quello che era successo, solo colpa mia.
Prendi
quel fiore, Irina. È il più bello di tutti.
Solo
quella notte colsi il fiore più bello che la terra aveva mai
fatto nascere. Piangendo disperatamente presi Katerina tra le
braccia, il sangue macchiava la neve, le mie mani e la sua pallida
pelle, mentre il suo sguardo vagava sul mio viso e sembrava
accarezzarlo dolcemente. “Irina...” sussurrò il
mio nome, con voce flebile che la morte stava lentamente soffocando.
Gridai di nuovo, ma quell'urlo soffocò nuovamente tra le
pareti del mio corpo mentre stringevo Katerina a me e speravo che
qualcuno giungesse in mio aiuto.
Katerina,
non lasciarmi!
Doveva
sentire quelle ultime parole, doveva leggerle nei miei occhi e sapere
che non poteva abbandonarmi. Non poteva farlo, non doveva.
Ero
così presa dal voler tenere in vita quegli occhi scuri
attraverso i miei, che non mi accorsi di un rumore che giunse alle
mie spalle.
Volsi
lo sguardo verso Elijah, lo vidi rapidamente portarsi il polso alla
bocca e poi posare il suo sangue sulle labbra di Katerina. Lei si
divincolò, appena sentì il sapore del sangue
attraversarle le labbra ma le feci segno di non muoversi.
Elijah
continuava a tenere saldamente il polso sopra le sue labbra, Katerina
lentamente si arrese e le sue palpebre iniziarono a chiudersi sulle
ultime lacrime che quella notte le avrebbe regalato. Quando perse i
sensi, la strinsi a me più forte e le baciai i capelli in cui
soffocarono i miei singhiozzi. Elijah restò inginocchiato
accanto a me e mi posò una mano sulla schiena. “Andiamo
via, è troppo pericoloso stare qui.” disse, ma la sua
voce mi parve troppo lontana per poterla sentire. Nella mia mente
udivo solo la vocina di quella bambina che anni prima era stata la
mia ancora di salvezza.
Ti
voglio bene, sorellina. Te ne vorrò sempre.
*
* * *
Sentii
i suoi singhiozzi ancor prima che raggiungessi la sua camera.
Mi
affacciai sulla soglia della porta e guardai la sua figura
accoccolata su sé stessa, come se stesse cercando in
quell'abbraccio su di sé un po' di conforto. Il viso era
nascosto tra le ginocchia, i piedi nudi giacevano sulle lenzuola
bianche e le sue spalle venivano scosse dai tremori che quei
singhiozzi le stavano provocando.
Provai
ad avvicinarmi senza fare rumore, ma la mia caviglia gonfia purtroppo
non mi fece riuscire nell'intento. Le suole delle mie scarpe
strisciarono sul pavimento e Katerina alzò di scatto la testa
di fronte a quel rumore. Il suo viso era rigato dalle lacrime, gli
occhi scuri avevano assunto una profonda lucentezza a causa di quelle
gocce che li bagnavano e le labbra tremolanti sembravano cercare
lunghi respiri che non riuscivano a trovare.
Era
uno spettacolo terribile per i miei occhi, l'immagine della
sofferenza era rappresentata sul viso della persona che amavo di più
al mondo.
Volevo
essere di conforto, ma mi ritrovai solo a implorare me stessa di
resistere alla vista della sue lacrime. Dopo che Elijah ci aveva
condotte a casa, Katerina si era lentamente ripresa ma ricordava
tutto: il suo tentativo di uccidermi, il licantropo e il sangue di
Elijah che bagnava le sue labbra e la strappavano con ferocia dalle
braccia della morte che stava giungendo. Si era resa conto di molte
cose quella sera, ma forse non riusciva a definirle.
Spettava
a me farlo.
Ero
decisa a renderla partecipe della vera realtà
che ci circondava. Non le avrei più mentito: per colpa delle
mie bugie, l'avevo quasi perduta per ben due volte in due giorni.
E
non era giusto che fosse all'oscuro dei pericoli che ci circondavano,
lei doveva sapere.
Mi
sedetti accanto al suo letto e le presi il viso tra le mani, non
sapevo come affrontare però il discorso: avevo troppe cose da
dire ma dovevo farlo in silenzio e con la figura piangente di mia
sorella di fronte a me.
“Ho...ho
bevuto il suo sangue, Irina...” disse singhiozzando, le luce
delle candele sul comodino illuminavano il suo viso cereo. Le dita
salirono alle labbra e le toccarono delicatamente, come se avessero
paura di sentire di nuovo il sapore del sangue di Elijah su di loro.
Le strinsi il polso e lo allontanai dal suo viso, gli occhi scuri di
mia sorella tornarono a posarsi su di me e delle lacrime scesero
lungo le sue gote.
Aprii
la bocca come per parlare, dimenticandomi che non potevo farlo, ma
rimasi immobile. Come potevo spiegarle tutto quanto senza spaventarla
ulteriormente? Mi sembrava terrorizzata da Elijah, se le avessi detto
che anche Klaus e Rebekah erano vampiri, come avrebbe reagito?
“Stavo
per ucciderti Irina, ti rendi conto?” singhiozzò poi
disperata, anticipando uno dei gesti che stavo per rivolgerle per
poter parlare. Corrugai la fronte, mentre le lacrime sul viso di mia
sorella scendevano sempre più copiose. “Tu sei tutto per
me e io stavo per ucciderti...e non so perché! Volevo fermarmi
ma il mio corpo seguiva i comandi di..quella voce. Voleva che
uccidessi te..poi me.”
Mi
morsi le labbra, mai come allora desiderai che Mikael
morisse nella maniera più
atroce possibile. Perché ordinare a Katerina di uccidere me e
poi togliersi la vita? Per colpire Klaus? Mi sembrava alquanto strano
come piano, poteva uccidere Katerina il giorno del rapimento, se
veramente c'era lui dietro tutta quella storia. Era tutto troppo
strano.
“Io
ho paura, Irina. Non riesco a credere di aver quasi fatto una cosa
simile...ti vedevo piangere perché avevi paura di me.”
Katerina singhiozzò più forte, mentre le sue lacrime
divennero fiumi per il suo volto. “Stavo per pugnalarti e
guardarti morire.”
Ti
voglio bene, Irina.
Quella
vocina proveniente dal mio passato tornò tra i miei pensieri.
Come
potevo lasciare che convivesse con una cosa simile per il resto della
sua vita? Il senso di colpa l'avrebbe logorata troppo a lungo e
l'avrebbe portata sempre di più verso l'oscurità in cui
io stessa mi trovavo da mesi ormai. Non potevo lasciarla vivere nella
paura per tutta la vita, era egoista da parte mia coinvolgerla in
quel mondo solo perché volevo condividere con lei il terrore
che avevo sempre con me da quando avevo scoperto la verità.
Noi
staremo sempre insieme, vero sorellina?
La
voce di quella bambina che sarebbe poi diventato il mio angelo
custode risuonò dentro la mia mente. Gettai le braccia al
petto e la strinsi a me più forte che potei, mentre lei
piangeva sopra la mia spalla e le sue lacrime bagnavano la spallina
del mio vestito.
Chiusi
gli occhi piangendo con lei, mi chiesi se prima o poi Katerina mi
avrebbe mai perdonata per quello che stavamo per fare.
La
sentii sussultare, mentre dei passi alle mie spalle si facevano
sempre più vicini, la tenni stretta a me, mentre un corpo si
sedeva sul letto, in un punto dietro di me.
Le
mani di Katerina salirono alle mie spalle, le sue dita affondarono
nella stoffa del mio abito e i suoi respiri si fecero più
profondi.
“È
stato tutto solo un brutto sogno, Katerina. Domani ti sveglierai e
dimenticherai tutto quello che è successo questa notte, sarà
stato solo un terribile incubo notturno.”
Singhiozzai,
mentre sentivo il corpo di mia sorella rilassarsi lentamente tra le
mie braccia. Mi avrebbe mai perdonata per quello che stavo facendo?
Non ne ero certa.
“Non
hai mai aggredito tua sorella. Non sei mai stata morsa da quel lupo.
Non hai mai bevuto sangue. Domani ti sveglierai e sarai di nuovo
Katerina Petrova, una ragazza che,come tutti, è stata vittima
di un brutto incubo.”
Quelle
mani che si stavano aggrappando alle mie spalle mi lasciarono
lentamente, il suo cuore rallentò il battito e il suo respiro
si fece più regolare mentre si addormentava tra le mia
braccia. Tirai su con il naso e piansi più forte, avvertivo
dietro di me il respiro di Elijah mentre osservava il nostro
abbraccio, mentre mia sorella dormiva sulla mia spalla.
La
adagiai sul letto, come se fosse una preziosa bambola da trattare con
cura, e le rimboccai le coperte come faceva la mamma quando eravamo
in Bulgaria. Dentro di me, diversi perché si
susseguivano rapidamente in un vortice di domande senza risposta che
si abbatterono poi sul mio cuore. Avrei tanto voluto dimenticare
anche io tutto, avrei tanto voluto che la mia vita tornasse ad essere
quella che Katerina conosceva, non quella che le stavo nascondendo.
“Stai
bene?”
Elijah
mi pose quella domanda quando fummo fuori dalla stanza di Katerina,
la mia mano stringeva ancora il pomello e lo sguardo era fisso su un
punto tra i nostri piedi, illuminato dalla debole luce delle candele
che splendevano alle pareti del corridoio.
Alzai
lo sguardo su di lui, i suoi occhi neri mi stavano scrutando con
attenzione e il viso era fermo in una espressione che non riuscivo a
decifrare. Annuì lentamente, asciugandomi le ultime gocce di
lacrime che erano scese sul mio viso.
“Hai
fatto la cosa giusta, non devi sentirti in colpa solo perché
proteggi tua sorella.” disse ancora lui, con voce bassa.
Sembrava non volesse violare il silenzio di quell'oscurità che
ci stava avvolgendo. Ascoltai le vibrazioni nascoste nella sua voce,
era sempre fredda come quel pomeriggio malgrado lui stesse cercando
di confortarmi.
“Grazie.”
Aveva
salvato la vita di mia sorella, tutto il resto non contava. Per
quanto potesse essere arrabbiato con me, lui aveva impedito che
Katerina morisse. Gli potevo essere solo riconoscente.
“Qualsiasi
cosa Mikael abbia in mente, lo fermeremo.” disse ancora
lui, in risposta alla mia parola. “Non verrai più ferita
in questo modo.”
Malgrado
fosse freddo, era evidente che stava ancora cercando di tutelarmi da
tutto il male che mi aveva circondato quel giorno. Era il suo modo di
replicare al mio ringraziamento e io lo accettai lo stesso, perché
lui per me aveva sempre fatto tanto. Avremmo superato i nostri più
ordinari disguidi la mattina successiva, quando quella notte sarebbe
finalmente giunta al termine e il pensiero di ciò che avevo
fatto a Katerina sarebbe passato.
“Ora,
non preoccuparti e fatti una bella dormita. Ne hai davvero bisogno.”
Elijah mi posò una mano sulla spalla e una sensazione di
calore mi pervase. Abbozzai un sorriso di ringraziamento e lo guardai
poi allontanarsi lungo il corridoio.
Rimasi
per qualche secondo immobile davanti alla porta di Katerina, mentre
la figura di lui diventava sempre di più parte delle ombre che
abitavano la fine di quel corridoio.
E
sperai che, dopo l'incubo di quella notte, mi spettassero un po' di
bei sogni.
*
* * *
Un
rumore alle mie spalle mi destò dal sonno.
Aprii
rapidamente le palpebre, i miei occhi si incontrarono con il raggio
di luna che stava attraversando parte della mia stanza. Rimasi
distesa sul fianco, tendendo l'orecchio verso quel movimento che
stava avendo luogo dietro di me e feci scorrere la mano sotto il
cuscino.
Strinsi
il manico del pugnale, che da diverse notti a quella parte
accompagnava i miei sonni e lo avvicinai lentamente al petto.
Quell'ombra che si nascondeva nel buio compì un altro
movimento: sentii l'aria muoversi vicino a me, come se la sua mano
stesse cercando di toccarmi.
A
quel punto mi voltai rapidamente: la lama del pugnale fendette l'aria
davanti a me, ma una mano serrò il mio polso. Un'altra mi
strinse il collo e mi spinse contro lo schienale del letto,
provocandomi una fitta di dolore sulla spina dorsale. Il cuore prese
a battere fortissimo per la paura, la mia mano perdette il pugnale
che cadde sul materasso.
Non
riuscivo a scorgere quella figura persa nel buio, ma mi sembrò
di riconoscere quel respiro.
“Ma
sei impazzita? Perché invece che un pugnale, non metti una
bibbia sotto quel cuscino, come fanno tutte le santarelline come te?”
Il
cuore rallentò il battito, quando riconobbi quella voce
inconfondibile nel silenzio.
Ma
una parte di me aveva compreso si trattasse di lui: il suo respiro e
il magnetismo che quegli occhi sapevano esercitare anche
nell'oscurità potevano solo appartenere a Klaus.
La
sua mano lasciò il mio collo, non sapevo definire quanto fosse
vicino o lontano. Il suo respiro aveva soffiato sul mio viso per
pochi secondi, poi era improvvisamente sparito.
Che
ci fai qui?
Mi
chiesi se avesse imparato a bussare in tutti quegli anni di vita, ma
ne dubitavo. Lasciai vagare lo sguardo nel buio, cercando di
scorgerlo dietro di esso ma fu tutto inutile. La luce della luna
giungeva ad illuminare solo una parte della camera e del mio letto,
io e lui invece eravamo nascosti nella parte oscura di essa, dove non
potevamo essere colpiti dal suo chiarore.
Eravamo
come il lato oscuro della luna,
quello nascosto che nessuno avrebbe mai visto.
“Non
riesco a dormire.” rispose Klaus, continuando ad essere parte
di quella oscurità. “E la colpa è solo tua, i
tuoi singhiozzi giungono fino alla mia camera.”
Non
capivo, io non stavo piangendo e prima che lui venisse a farmi
prendere un colpo, stavo dormendo. Mi portai una mano alle guance e
sfiorandole, sentii il calore della pelle riscaldata dalle lacrime
ormai asciutte. Avevo pianto nel sonno, senza nemmeno accorgermene.
Presi
un lungo respiro e abbassai lo sguardo in un punto in cui dovevano
trovarsi le mie mani, adagiate sul grembo.
Che
cosa vuoi allora?
Se
era venuto a passare la nottata prendendomi in giro, poteva anche
tornarsene in camera.
Ma
lui non rispose. Mentre io continuavo a cercarlo nel buio, mi
ritrovai ad assaporare quell'improvviso silenzio che era calato su di
noi. Forse se n'era andato?
“Perché
soffri così?”
La
sua domanda mi fece sobbalzare, poiché la consapevolezza di
essere rimasta sola si era fatta largo dentro di me. Non ne capii
però il significato: forse mi sbagliavo, ma non mi ero mai
sentita rivolgere così tante domande da lui come in quel
giorno.
Stava
cercando di comprendermi forse?
“Katerina
starà sicuramente meglio senza certi ricordi, eppure tu hai
portato le sue pene ad arricchire il tuo vasto impero di dolore.
Perché ti addossi tutto questo? Hai fatto solo quello che era
meglio per lei.” chiese ancora Klaus, la sua voce era bassa e
trovai difficile capire se fosse vicina o lontana a me. Non potendo
trovare la sua figura, provai a cercare il suo respiro ma anche
quello parve essersi perso nel buio. Non mi chiesi nemmeno come
avesse saputo di mia sorella, mi ero abituata al fatto che fosse
sempre a conoscenza di tutto.
“Perché
non la smetti di far soffrire il tuo cuore, Irina? Non puoi portare i
pesi di tutti noi su di esso, finirai per farlo morire.”
Non
era Klaus.
La
voce era la sua, il profumo era il suo, quegli occhi che
sconfiggevano l'oscurità erano i suoi, ma lui non avrebbe mai
pronunciato parole del genere. Stavo forse sognando? Pensai che fosse
così, magari ero così immersa nelle mie illusioni che
stavo solo immaginando che Klaus fosse lì davanti a me, seduto
su un punto lontano o vicino del mio letto.
Perché
mi dici queste cose?
Volevo
la prova che stessi sognando: allungai la mano verso il buio, lasciai
il braccio sospeso nel vuoto ma la mia mano parve toccare solo
l'aria. Il silenzio continuò a circondarci, mentre spostavo il
braccio verso la mia sinistra e toccai la spalla di Klaus.
Non
era molto lontana da me.
Feci
scorrere lentamente la mano sopra il tessuto della sua maglia,
lasciandola quasi fluttuare sopra di essa e mi apprestai a
raggiungere il suo volto. Sfiorai i lunghi capelli biondi e poi
arrivai a toccargli la guancia, il mento...
Ritrassi
subito la mano.
Klaus
era a pochi centimetri da me. Il suo viso doveva trovarsi proprio di
fronte al mio, ma era come se stesse trattenendo il respiro per non
riversarlo sul mio volto. I miei occhi vagavano ancora nell'oscurità,
ma ero certa che probabilmente in quel momento stessero fissando i
suoi.
Non
rispose alla mia domanda, lo sentii scomparire
e una leggera ventata fredda mi investì. Mi ritrovai a
respirare per davvero, come
se Klaus non mi avesse permesso di farlo poco prima.
Mi
portai le ginocchia al petto e vi posai il mento sopra, fissando il
vuoto con aria pensierosa.
Aspettavo
di risvegliarmi da un momento all'altro, ma così non fu.
Non
potevo trasformare in illusione, qualcosa che invece era stato reale.
Ciao
a tutti! :D
Spero
che abbiate gradito il capitolo!
Eh
lo se...la scena della vasca è davvero molto, molto,
molto scema, ma la mia mente
ogni tanto elabora diverse mal sanità come questa e la parte
sana di me spera che vi sia comunque piaciuta questa parte molto,
molto, molto stupida....
Non
voglio annoiarvi oltre dopo questo capitolo che in lunghezza fa paura
a “I promessi sposi”, vi anticipo però che nel
prossimo capitolo ci sarà un'altra piccola svolta riguardante
una delle domande irrisolte che si nascondo dietro questa storia. Mi
merito di essere mandata a quel paese, lo so, ma spero che
continuiate ad avere pazienza e pietà per questo bradipo che
si potrebbe quasi definire un' autrice! :P
Ringrazio
tutti coloro che leggono i miei capitoli, sia chi lo fa in silenzio
che chi recensisce!
Ringrazio
anche tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le
preferite/ ricordate e seguite e coloro che mi hanno inserito tra gli
autori preferiti!
Vi
auguro una buona serata, ciao! ^^
|
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Capitolo 21 *** Devil Wouldn'T Recognize You ***
-Devil
Wouldn't Recognize You-
Era
quasi tutto il giorno che me ne stavo là, a guardare fuori
dalla finestra.
Stava
scendendo il buio, il chiarore pallido dell'orizzonte stava
lentamente scomparendo, lasciando posto ad un lungo lenzuolo nero che
sembrava volesse ricoprire il cielo nella sua oscurità. Era
così tanto tempo che stavo osservando quei cambiamenti
naturali, seduta sul davanzale della finestra in salotto, che avevo
perso la cognizione del tempo.
Tutti
gli altri erano usciti e io avevo deciso di restarmene a casa perché
non avevo alcuna voglia di fare nulla, se non stare a guardare le
pagine del mio diario vuote, come se la mia mano non voleva scrivere
alcun ricordo su di esso. L'ultima pagina scritta parlava di ciò
che Mikael aveva cercato di fare a Katerina e di come Elijah era
palesemente freddo con me. Volevo un diario che, rileggendolo, mi
avrebbe portato ricordo di momenti felici, non di sciagure che volevo
dimenticare.
Ero
così pensierosa e persa nei colori contrastanti del cielo, che
nemmeno mi accorsi di quella presenza che stava avvicinandosi a me,
ricordandomi che dalla porta d'ingresso avevo visto uscire solo
Elijah, Katerina e Rebekah ma non lui.
“Caro
diario.” disse, restando nascosto dietro le mie spalle ma
accostandosi al mio orecchio in modo che le sue parole, sussurrate in
quel modo che faceva rabbrividire anche se nascevano da un gioco,
scansassero ferocemente i pensieri che turbinavano nella mia mente in
quel momento.
Un
brivido mi corse lungo la schiena e mi ritrovai ad irrigidire ogni
muscolo del mio corpo, mentre le sue parole soffiavano sulla mia
pelle. “Sono terribilmente attratta da lord Niklaus, ma lo nego
persino a me stessa perché lui è cattivo e io sono
buona. Poi mi verrà negato il paradiso se cedo le mie labbra
al diavolo, quindi che devo fare?”
Presi
un lungo, solo Klaus era capace di farmi innervosire con una semplice
provocazione. Quando si annoiava era davvero pericoloso. La sua mente
pensava tutte le diavolerie più impossibili per importunarmi e
farmi saltare i nervi. Guardai la sua figura spostarsi dalle mie
spalle e sedersi davanti a me, sul davanzale della finestra.
Tirai
un po' indietro i piedi, forse per fargli posto o forse perché
erano troppo vicini alle sue ginocchia, non sapevo spiegarlo nemmeno
io.
Klaus
mi sorrise, inarcò le sopracciglia e attese che la mia
espressione seccata sparisse dal viso per lasciare posto a qualcosa
che lui forse pretendeva.
Quel
giorno avevo meno voglia del solito di giocare con lui, non facevo
altro che pensare al fatto che Elijah si comportava in maniera
davvero fredda con me e non sapevo come risolvere la cosa.
“Sei
triste? Che novità.” ridacchiò Klaus, mentre lo
fissavo incuriosita, infatti stavo aspettando che pronunciasse una
frase del genere così avevo la scusa per andare in camera e
starmene davvero da sola. Chiusi il diario di colpo e mi alzai in
piedi, avvicinandomi alla soglia della porta.
“Mi
annoio.”
Sussultai,
quando me lo ritrovai improvvisamente di fronte. Con le braccia
strette al petto e gli occhi che sorridevano divertiti insieme alle
labbra, costrinse il mio sguardo a fissare il suo. Mi immobilizzai di
nuovo, tenendo la testa alzata verso la sua figura e trattenendo il
respiro.
Quella
frase così banale mi spaventò più di tutte le
minacce che tempo prima mi aveva rivolto. Perché la noia era
capace di spingere gli uomini alle azioni più irrazionali,
figurarsi uno come Klaus che faceva cose irrazionali persino quando
era impegnato.
E
tutto lasciava presupporre che io dovevo essere coinvolta in ciò
che aveva in mente.
“Usciamo.”
esordì pochi secondi dopo, scavalcando il rumore delle fiamme
che bruciavano nel camino sulla parete alla nostra destra. Era stato
l'unico suono che aveva accompagnato il nostro improvviso silenzio.
Quella
proposta mi fece innalzare le sopracciglia per la sorpresa: doveva
essere parecchio annoiato se era disposto a chiedermi una cosa del
genere.
Non
ero il tipo con cui passare una bella serata di divertimento,
sopratutto quel giorno.
“Allora?”
Klaus fece un passo verso di me, continuando a sorridermi come solo
lui sapeva fare e piegando la testa da un lato, in attesa di una mia
risposta.
Scossi
la testa, sapevo di risultare antipatica ma non ero proprio in vena
di “uscire” con lui.
Poi
non avevo la minima idea di cosa avesse intenzione di combinarmi.
Provai
a superarlo, ma lui si parò nuovamente di fronte a me per
impedirmi di proseguire. “Andiamo...un'uscita tra amici intimi
non fa male a nessuno.” disse ancora, spalancando le braccia
come per sottolineare che quella frase nascondeva una battuta che
solo lui divertiva.
Amici
intimi? Quelle due parole le trovavo alquanto irreali per la nostra
situazione, dove non si capiva nemmeno se ci sopportavamo o meno.
Dipendeva
dai momenti, quando Klaus decideva di comportarsi normalmente oppure
meno.
“Beh,
mi hai visto nudo...penso che abbiamo raggiunto quasi il massimo
dell'intimità.” ridacchiò Klaus, divertendosi nel
guardare salire il rossore lungo le mie guance al ricordo di
quell'avvenimento che, ero certa,non avrei dimenticato per tutto il
resto della vita.
Se
si poteva fare una scaletta delle situazioni più imbarazzanti
della mia vita, quella era in cima.
Seguita
da altri avvenimenti di cui Klaus mi aveva reso protagonista.
Provai
di nuovo ma inutilmente a lasciare la stanza: Klaus si era spostato
dietro di me, mi aveva posato le mani sulle spalle e costretta a fare
una giravolta, per voltarmi verso di lui.
“Lo
sai che bisogna anche divertirsi nella vita? È breve e
sprecarla in un musone come il tuo è un po' stupido.”
disse lui, facendosi pure serio. Abbassai le spalle stancamente e lo
guardai, speranzosa che mi lasciasse in pace ma non era sua
intenzione.
Fece
un passo verso di me, facendosi talmente vicino che sentivo il suo
respiro soffiare sulla mia fronte. La sua presenza mi privò
della capacità di muovermi, riducendo il mio corpo ad un
blocco di ghiaccio, pronto a sciogliersi di fronte al fuoco delle sue
parole.
Alzò
l'indice e, contemporaneamente, le sopracciglia, come se stava per
dire qualcosa che lo divertiva. “Una serata insieme io e te e
ti assicuro che nemmeno il diavolo ti riconoscerebbe.” disse.
Possibile
che tutte le frasi che mi diceva, sapevano colpire nel mio profondo?
Sempre in senso negativo, perché suscitava in me un fastidio
che mi spingeva quasi ad accettare le sue stupide, inutili
provocazioni.
Un
giorno avrebbe dovuto spiegarmi perché lo divertivo così
tanto.
Vedendomi
distogliere lo sguardo, Klaus sorrise di nuovo. “Allora, ci
stai?”mi chiese.
Gli
sorrisi con sfida, nella maniera che meglio mi riuscì in quel
momento.
No!
*
* * *
E
invece accettai la sfida.
Il
suono che proveniva da oltre quella porta si fece più vicino.
Il
silenzio, il buio, la tranquillità della notte vennero
rapidamente sostituite da quel vociare fastidioso e dal rumore
cristallino di bicchieri che si scontravano tra loro.
Quando
Klaus spalancò la porta, guardò quegli uomini come se
fossero vermi, come se la loro sola vista creasse in lui un senso di
ripugnanza e fastidio.
“Seguimi.”
mi disse solo, lanciandomi un'occhiata fugace e proseguendo verso
l'interno del locale. Rimasi per un attimo ferma sulla soglia,
nascosta ancora nel buio che ci aveva avvolto fino a pochi istanti
prima e guardando la sua figura muoversi nella luce che rischiarava
l'interno della locanda.
Sul
bancone alla mia destra, sedevano un gruppo di uomini visibilmente
ubriachi, mentre i tavoli alla mia sinistra erano stranamente vuoti,
come se nessuno volesse sedervici.
Presi
coraggio, cercando di ignorare quella voce nella mia testa che
ripetutamente mi chiedeva perché avessi accettato e seguii
Klaus. Diversi occhi, vittime del piacere che quelle bevande nei
bicchieri regalavano loro, si rivolsero verso di me.
Un
uomo fischiettò qualcosa alla mia vista, qualcosa che fece
ridere i suoi compagni e li spinse ad unirsi a lui in diverse battute
poco eleganti.
Mi
sforzai di ignorarli, guardando Klaus che si era già seduto al
bancone e stava rivolgendo loro uno sguardo omicida che non
prometteva nulla di buono. Appena giunsi da lui, la sua mano
tamburellò sullo sgabello accanto a sé, per invitarmi a
sedermici sopra. “Che ti hanno detto?” mi chiese poi,
quando riuscii a trovare l'equilibrio necessario per salire su quella
postazione alto quasi quanto me.
Mi
posizionai sopra di esso e posai i gomiti sul bancone, cercando con i
piedi un punto di appoggio sulle zampe in legno dello sgabello. Mi
volsi verso Klaus, i suoi occhi più grigi del solito
sembravano brillare di una strana luce che sarebbe prima o poi
divampata in un incendio.
Non
capivo se il suo era senso di protezione o semplicemente voglia di
staccare qualche testa, ma conoscendolo ero certa fosse la seconda
opzione. Scossi la testa, per dirgli che non avevano detto nulla,
anche se avevo udito commenti poco carini riguardo diverse parti del
mio corpo.
L'arrivo
di Diana gli impedì di farmi un altro interrogatorio: una
parte di me fu lieta che non fossi l'unica donna presente in quel
locale, l'altra invece non gioiva per nulla della sua presenza.
Anche
se aveva comunque contribuito al salvataggio di mia sorella, Diana
non mi era per nulla simpatica.
Lei
sorrise, le sue labbra si allargarono lentamente e lasciarono
trasparire i suoi denti chiari e perfetti mentre gli occhi da gatta
passavano da me a Klaus. “Ecco qui la coppia più mal
assortita del mondo. Come mai siete qui piccioncini?” ci
chiese.
La
guardai infastidita, mi sbagliavo riguardo la capacità di
Klaus di farmi innervosire con una semplice battuta. Lei era peggio.
“Se
può farti piacere, siamo qui per divertirci e non per
spremerti un po' riguardo il lavoro che non sei capace di svolgere.”
Klaus sorrise beffardo, lasciando però intendere nella sua
voce un fastidio che non era stato capace di sopprimere e che Diana
percepì inevitabilmente. La sua espressione si contrasse e si
portò le braccia al petto, mentre delle rughe di disappunto
apparvero sul viso. “Ti ricordo che non ti ho mai deluso, caro
il mio Nik.” disse, piegando la testa da un lato. “E tu
lo sai bene.”
“No
che non lo so, visto che non ho ancora la mia pietra.” rispose
lui, riservandole uno di quei sorrisi pericolosi che un secondo dopo
potevano mutare in un gesto di rabbia. Pensai che quella pietra
c'entrasse qualcosa con la storia dell'incantesimo per fermare
Mikael, quella storia su cui avevo smesso di indagare da tempo ma che
ancora mi incuriosiva parecchio.
Klaus
spense quel sorriso, portando al suo viso un'espressione più
serena che rivolse verso di me. “Portaci due boccali di birra.”
le ordinò poi, facendole ben intendere che non era dell'umore
di sentir replicare in alcun modo.
Diana
colse l'antifona e si allontanò sinuosamente verso la credenza
piena di bicchieri e bevande alle sue spalle.
Guardai
Klaus, sperando di aver intuito male ciò che aveva appena
detto. Il suo divertimento consisteva nel farmi bere?
Ma
perché lo avevo seguito?
“Oh
andiamo, sweetheart, non guardarmi con quell'espressione da
martire.” cantilenò, spalancando le mani sopra il
bancone e volgendomi uno sguardo fintamente irritato. “Voglio
solo insegnarti un po' i piaceri della vita, tutto qui! Mi fai un po'
pena, sempre a fare la brava ragazza...”
Distolsi
lo sguardo irritata e mi strinsi le braccia al petto.
Una
mano di Klaus si allungò verso di me, mi sfiorò il
mento e mi spinse a voltare la testa verso di lui.
Le
sue labbra erano innalzate verso sinistra,due piccole fossette si
creavano ai lati di esse mentre i suoi occhi mi fissavano
intensamente. Mi chiesi se avrei mai visto un sorriso innocente sul
suo volto, un sorriso spontaneo che scaturiva da un emozione reale
che lo attraversava lentamente dentro e lo spingeva a concedersi ad
un attimo di gioia.
Sarebbe
stato un sorriso bellissimo.
“Poi,
sai come si dice? In vino veritas.” mi disse poi, si
accostò lentamente a me e raccolsi lo sguardo di sfida nei
suoi occhi. “Mi piacerebbe vedere la Irina che vuole andare
all'inferno, quella che vuole scottarsi per sentirsi più viva
perché una parte di te che lo vuole ci deve essere.”
Trattenni
il respiro, mentre quegli occhi mi impalavano i miei, trafiggevano i
miei pensieri e impedivano loro di continuare a vagare nella mia
mente. In quel momento solo le sue parole fluttuavano tra loro, li
assorbivano con la loro forza e li facevano soccombere, così
che il mio unico pensiero fosse rivolto a loro. Parole per confondere
e per soggiogare il mio volere, affinché si uniformasse al
suo.
Spesso
pensavo che la mia immunità da quei poteri non funzionasse con
lui, come se Klaus fosse capace comunque di plasmare la mia mente
alla sua con delle parole all'apparenza semplici, ma davvero ben
studiate.
“Fai
finta che sono il tuo veleno: pronto a correrti sotto pelle mentre lo
senti scorrere lungo il tuo sangue.” La sua mano si posò
sulla mia, le punte delle dita camminarono velocemente sulla manica
del mio abito, provocando una scossa sotto la mia pelle.
“Per
poi fluire nella tua mente e dominarla con il suo inebriante tocco di
morte.”
La
mano giunse vicino al mio viso, le dita attraversarono parte del mio
collo nascosto sotto i capelli e la scansai con una manata. Klaus
sorrise, ritraendo la mano e divertendosi a vedere il rossore
colorare le mie gote.
“Non
tutti i veleni sono fatti per uccidere. Alcuni fanno male, ma sono
fatti per curare.” mi disse ancora, posando il gomito sul
bancone e restando rivolto verso di me. Io fissai un punto di fronte
a me, perso tra quei bicchieri che decoravano le mensole del mobile
oltre il bancone. “E io sarò la cura che ti farà
scoprire davvero te stessa, quella parte di te che rifiuti di
conoscere perché sai che ne rimarrai spaventata e
affascinata.”
Un
po' come te allora.
Volsi
lentamente la testa verso Klaus, piegandola dal lato in modo che lui
comprendesse il significato di quel mio sguardo. Il suo sorriso
lentamente sparì, quando si accorse che il suo obiettivo non
era poi diverso dal mio, da quello che mi ero posta da tempo ormai:
lui voleva il mio lato oscuro, io il suo lato luminoso, quello che
aveva diverse volte mostrato ma la cui luce era stata poi soffocata
dalla paura di mostrarsi troppo umano.
Avevamo
entrambi paura di quello che poteva celarsi davvero dentro di noi,
era questa la vera cosa che avevamo in comune.
Paura
di un padre.
Paura
di amare.
Paura
di soffrire.
Paura
di noi stessi.
“Ecco
qua.” Diana giunse da noi con due boccali di birra enormi, la
loro schiuma faceva capolino dal bordo di essi e gocce scapparono a
quella prigionia di vetro, scorrendo lungo i lati.
Mi
ritrassi quasi intimorita, quando la donna posò quei boccali
di fronte a noi e che Klaus stava già pregustando con lo
sguardo.
“Bene,
bene...qui ci si diverte.” disse con un sorriso, si voltò
verso di me e rise del mio sguardo fisso su quel liquido dorato.
Diana
sembrava divertita quanto lui.
“Prima
tu.” Klaus allungò la mano, come se mi stesse offrendo
il privilegio di bere prima di lui.
Scossi
la testa ripetutamente, non avevo mai bevuto in vita mia e non avevo
voglia di cominciarlo a fare quella sera con lui.
“Andiamo
Iry, non cominciare con quel broncio odioso e goditi un po' la vita!”
ridacchiò Klaus, alzando la voce come se temesse non potessi
udirlo.
Lo
guardai infastidita, mentre lui si scambiava occhiate complici con la
sua degna compagna di provocazioni. “Poi...quale modo migliore
per soffocare la noia, la paura e la disperazione se non
nell'alcool?” chiese ancora lui.
Sapevo
dove voleva arrivare, voleva che mi convincessi a far passare la mia
tristezza dovuta al comportamento di Elijah in quel modo che, di
giusto, aveva ben poco.
Ma
non sarei uscita facilmente da quella situazione se non lo avessi
accontentato.
Mi
concessi un unico sorso, stringendo i lati del boccale in modo che lo
alzassi verso le mie labbra.
Klaus
sorrise mentre trangugiavo quella bevanda amara, il suo sapore
fastidioso mi si incollò al palato e mi provocò un
senso di disgusto che poi si trasformò in un pizzicore in
gola.
Chiusi
gli occhi e storsi la bocca, lasciando il boccale sul bancone e
tirando fuori la lingua, sperando che l'ossigeno cancellasse via quel
saporaccio da essa.
“Tesoro,
bevila tutta. Anche se sono un vampiro, la devo pagare quella birra,
sai?” mi sfidò di nuovo Klaus, facendomi venir voglia di
prenderlo a pugni. Guardai il suo sorriso beffardo, tramutarsi poi
nell'ennesima provocazione. “Ti sfido.”
Due
semplici parole, per spingermi ad accettare di raggiungere quella
vittoria nei suoi confronti.
Bevvi
un altro sorso, promettendo a me stessa che sarebbe stato l'ultimo.
*
* * *
Erano
belli.
Quei
fiori mossi dal vento, che trasportavano il loro profumo fino a noi,
erano davvero stupendi. Ma mi sembrava un peccato fossero
intrappolati in quella cornice dorata, ero tentata dall'allontanarla
da loro e permettere così che quei fiori fossero liberi come
lo era la mia mente in quel momento.
Priva
di pensieri, leggera e libera come non lo era mai stata in sedici
anni di vita.
Nemmeno
pensai che quella “prigione” di quei bei fiori fosse un
quadro affisso ad una parete. Posai il mento sulla superficie del
tavolo, il mondo attorno a me continuava stranamente a muoversi senza
che potessi controllarlo e venni invasa dalle troppe luci e colori
che lo dominavano.
Restando
quasi distesa sul tavolo, allungai la mano verso il bicchiere di
fronte a me e rimasi estremamente amareggiata quando lo trovai vuoto.
“1367”
Volsi
la testa verso Klaus, seduto accanto a me. Aveva le gambe distese sul
tavolo e stava ammirando il proprio riflesso sul vetro del bicchiere
che teneva in mano.
Il
suo era ancora pieno, lo trovai ingiusto.
“Si
chiamava Elisabetta, aveva gli occhi verdi, delle labbra da divorare
ed era....fuoco. A volte mi scandalizzavo persino io quando passavamo
la notte insieme.”
Quel
nome fu l'ennesimo che mi passò da un orecchio per poi uscire
dall'altro. Avevo posto a Klaus una specifica domanda e lui mi
aveva iniziato a parlare delle innumerevoli donne che avevano
allietato con la passione le sue notti nel corso di quei secoli.
Quella
Elisabetta non mi stava meno antipatica delle altre che avevo sentito
nominare e Klaus non si rendeva nemmeno conto di quanto mi desse
fastidio sentirlo parlare in quei termini di altre donne.
Mi
alzai in piedi, ma per poco perdi l'equilibrio e dovetti chiudere gli
occhi per arrestare il girotondo di quel mondo attorno a me. Mi
sorressi al tavolo e cercai di avvicinarmi a lui, facendo strisciare
le mani lungo la superficie circolare in legno.
“Mi
è quasi dispiaciuto dissanguarla quella notte, era davvero
stupenda e diabolica.” Klaus si portò il bicchiere alle
labbra, fissandone l'interno con aria pensierosa. Ripose la sua
attenzione su di me solo quando gli fui abbastanza vicina, alzò
la testa e io gli posai una mano sulla bocca, in modo che capisse che
la doveva smettere di parlare di quelle ragazze che gli aveva donato
il cuore per poi non ritrovarselo più nel petto. Sentii Klaus
ridere sotto il palmo della mia mano, il suo respiro mi soffiò
sulla pelle mentre gli occhi quasi si riducevano a due fessure per il
divertimento.
“Che
hai? Sei gelosa?” mi chiese poi, quando gli gettai le braccia
al collo senza che potessi fermarmi. Quella improvvisa vicinanza lo
sconvolse e mi resi conto che, per la prima volta da quando lo avevo
conosciuto, fui io quella a sorprenderlo in quel modo.
Le
sue labbra si allargarono in un sorriso, che avrei quasi definito
timido, e portò le mani dietro la mia schiena,
intrecciando le dita e adagiandole su un punto sopra il mio abito,
che fece correre dei brividi lungo la mia schiena.
“Sbaglio,
o sto corrompendo Irina Petrova?” mi domandò, quasi
ammiccante.
Ma
io non ero Irina Petrova in quel momento.
Lei
era assopita da qualche parte dentro di me, io non ero altro che il
lato oscuro che si era liberato dalle catene della sua mente e del
suo cuore ed era divenuto libero.
Ignorando
lo sguardo languido di Klaus, presi il bicchiere che aveva lasciato e
bevvi l'ultima goccia. Il suo sapore amaro mi faceva ancora ribrezzo,
ma lo lasciai scorrere lungo la gola per portare via un altro pezzo
della mia razionalità.
Mi
piaceva non avere pensieri per la mente, non ero mai stata così
libera come lo ero in quel momento.
“Stavamo
parlando di amore.” gli
ricordai.
Io
volevo solo sapere se era mai esistito un Klaus che si sentiva
mancare il respiro di fronte all'amore, se aveva mai desiderato
sentir battere il cuore dell'amata in simbiosi con il suo, se aveva
mai voluto stringere tra le sue braccia il centro del suo amore e
proteggerla ad ogni costo.
Perché
non riuscivo proprio ad immaginare un Klaus innamorato?
Forse
perché avevo ancora tanta umanità da scoprire prima di
giungere a lui.
Era
incredibile: anche nel vino, Irina Petrova continuava a voler
ostinatamente arrivare al cuore di Klaus.
Il
volto del vampiro si era irrigidito, lo vidi abbassare lo sguardo su
un punto dietro di me, dove alcuni ubriachi stavano cantando una
volgare canzoncina, per poi posarlo di nuovo sul mio viso. “Ho
già risposto alla tua domanda.” mi disse.
Lo
fissai quasi dispiaciuta, perché la mia curiosità si
era terribilmente amplificata sotto gli effetti dell'alcool e Irina
Petrova continuava a ruggire dentro di me la sua volontà di
voler tornare a comandare il nostro corpo. Spinsi via le
braccia di Klaus e mi voltai verso la sedia alle mie spalle, la
trascinai di fronte a lui in modo che fossimo occhi dentro occhi,
mentre lo costringevo a rispondere alle mie domande.
Klaus
si mostrò incuriosito da quel mio comportamento, seguì
in silenzio ogni mio movimento e mi guardò sedermi con le
braccia strette al petto e un'espressione che doveva rispecchiare un
insensato miscuglio di emozioni. Non riuscivo a controllarle, si
erano ormai fuse tra loro e dividerle mi parve impossibile.
Cos'è
per te l'amore, Klaus?
Lui
mi sorrise divertito, si distese sulla sedia e allungò le
gambe lungo il pavimento, portandole quasi fino a me. Le punte dei
suoi piedi sfiorarono gli orli della mia gonna.
“L'amore?
Solo uno stupido sentimento che rende deboli. Niente più.”
rispose, con voce roca.
Quella
frase fu terribile da sentire: un sentimento è qualcosa di
così potente, che non lo si può associare con la parola
solo.
Poi perché dovrebbe indebolire? L'amore rende solo più
forti, crea delle difese attorno al proprio cuore con la quale è
possibile sfuggire ai dolori che la vita cerca sempre di infliggere.
L'amore
è la nostra più grande forma di resistenza, senza di
esso la morte
sarebbe giunta a noi più rapidamente.
“L'amore
ha ucciso molte più persone di quanto abbiano fatto le
malattie. Dimmi perché dovrei credere in qualcosa che nuoce
solamente, Irina.” Klaus divenne quasi arrabbiato, la sua
espressione si fece corrugata e il suo sguardo parve sfidarmi a
dargli una risposta. Irina Petrova parve destarsi dal sonno in cui
era caduta, mi spinse a piegarmi in avanti per essere più
vicina a lui e dargli un sorriso che voleva infondere serenità.
Klaus rimase di nuovo stupito da quel gesto che nasceva però
da Irina, non da me, e lasciò scorrere lo sguardo lungo il
rossore che doveva colorare le mie gote.
Perché
l'amore rende davvero liberi.
E
tu non lo sei, Klaus. Perché ti aggrappi alla convinzione di
non voler più credere nell'amore, quando in realtà è
la prima cosa che desideri al mondo.
Interdetto.
Fu
così che rimase Klaus di fronte a quelle mie parole
silenziose.
Divertito.
Fu
così che si mostrò subito dopo, quando si piegò
in avanti in modo che il suo viso fosse vicino al mio.
Irina
Petrova tornò prepotentemente in me in quel momento. La
vicinanza del respiro del vampiro la spingeva a ritrarsi indietro, ma
io la costringevo a restare immobile, a lasciare che quegli occhi blu
le trapassassero lo sguardo. La bocca di Klaus si allargò in
un sorriso, mentre continuava con il respiro a baciarmi la pelle.
“Smettila
con questi giochetti, io non sono più un uomo. Non posso amare
di nuovo.” disse, la sua espressione era provocatoria eppure
riconobbi della malinconia in quegli occhi. Poteva indossare tutte le
maschere che voleva, ma il suo sguardo non mentiva.
Allungò
la mano verso la mia e la portò lentamente al suo petto, sulla
scollatura aperta della sua camicia. Irina venne presa da un profondo
senso di pudore quando
sfiorammo la pelle marmorea del petto del ragazzo,
ma io la trattenni perché volevo davvero vedere a cosa sarebbe
arrivato lui.
“Senti?
Non c'è nulla qui dentro. Il mio petto è vuoto, privo
di quel patetico muscolo che batte nel vostro e che vi fa provare
amore. Il cuore prima o poi si spegne, Irina, e con esso la capacità
di amare...quindi, perché dovrei credere in qualcosa che è
destinato finire?”
E
tu perché continui a pormi domande sul perché non
credere nell'amore?
Perché
lui lo aveva provato, una parte di sé continuava a ricordare
cosa fosse l'amore, ma probabilmente l'averlo perso per sempre lo
stava rendendo così chiuso a quel sentimento che, però,
bramava ancora.
Irina
mosse la mano sul petto di Klaus, tamburellando su di esso come se
volesse riattivare quel cuore che non batteva da secoli. Il vampiro
mi guardò sorpreso mentre sentivo la mente di Irina riprendere
man mano controllo di me, man mano che quella mano continuava a
battere sul petto di Klaus.
Come
se fosse il suo cuore.
Piano
piano ripresi controllo del mio corpo.
Lui
non voleva un petto vuoto, lo sapevo, così cercai di riempirlo
io stessa con quel gesto.
Non
seppi cosa successe: mi sentivo ancora la mente pervasa da troppo
caos, tutti i sensi si mescolarono in una specie di turbine che quasi
mi fece cadere.
Ma
mi accorsi di lui.
Di
come si era tremendamente piegato su di me, di come le sue mani
avevano preso il mio viso tra le sue e di come le sue labbra si
erano pericolosamente
avvicinate alle mie, quasi sfiorandole con il fiato. La mano aveva
preso a battere più forte sul petto di Klaus, come se il suo
battito cardiaco, mai ci fosse stato, sarebbe aumentato sempre di
più.
Le
distanze si annullarono.
Il
controllo ritornò in me.
Non
potevo.
Ritrassi
la testa, prima che ci baciassimo e abbassai lo sguardo imbarazzata,
Klaus mi fissò in silenzio mentre io mi alzavo lentamente in
piedi, ancora stordita dall'alcool ma abbastanza lucida per capire
che dovevo andarmene. Dovevo farlo.
“Adesso
te ne vai?” mi chiese lui con sfida, quando gli voltai le
spalle.
Presi
il mantello dallo schienale della sedia su cui ero seduta e rimasi
immobile. Nella voce del vampiro, scorsi una profonda rabbia che mi
parve quasi troppo concreta per non poterla fronteggiare.
La
sua mano accorse a stringere il mio gomito, mi costrinse a voltarmi
verso di lui e venni pietrificata dal suo sguardo.
“Perché
mi chiedi sempre dell'amore allora se non lo vuoi da me?” mi
domandò.
Quella
questione mi lasciò confusa, pensai subito che Klaus stesse
parlando per gli effetti della birra ma qualcosa in lui mi lasciava
cogliere della delusione troppo sincera,
per essere frutto di una illusione. O
mi sbagliavo?
“Lasciala
stare.”
Una
voce ruppe l'innaturale silenzio che si era creato attorno a noi,
riconobbi subito il suo suono malgrado tutto attorno a me si fosse
troppo confuso. Mi voltai di scatto verso Elijah, la sua figura
immobile di fronte a noi e lo sguardo truce che si posava in
particolar modo sul fratello.
Questi
rise, come se la vista di Elijah adirato in quel modo lo divertisse
solamente. O era troppo ubriaco per rendersene conto, oppure era
davvero troppo folle per sostenere quegli occhi. “È
arrivato il guastafeste...” cantilenò fastidiosamente.
Elijah
lo ignorò, si avvicinò rapidamente a me e la vista
offuscata mi regalò solo una immagine distorta della sua
immagine. Lo sentii prendermi il polso con forza, una forza che non
aveva mai usato prima, e mi tirò a sé. “Torniamo
a casa, sei ubriaca.” mi disse solamente e mi avvicinò
di più al suo corpo. I suoi occhi neri sembravano pezzi di
carbone ardente, ero certa di non averlo mai davvero visto
così arrabbiato.
Provai
a fare qualcosa, a dirgli qualcosa, ma era tutto inutile:
Elijah non voleva ascoltarmi.
Camminammo
lungo il corridoio centrale della locanda, quando la voce di Klaus
interruppe la nostra avanzata. “Tu lo sai di essere patetico,
vero fratello?”
Come
buttare altra carne alla brace, solo lui era capace di farlo.
Sentendomi
ancora troppo disorientata per cercare di porre rimedio a quella
strana situazione, sentii i muscoli delle braccia di Elijah
irrigidirsi e il suo busto girarsi lentamente verso il fratello.
Klaus
gli sorrideva con sfida, malgrado anche lui stesse barcollando, con
la mano adagiata sul tavolo. “Te l'ho detto l'altro giorno e te
lo ripeto: mi fai pena.” disse.
Elijah
stava per esplodere, lo capii da come il suo sguardo si era fatto più
affilato e da come la sua mascella si era fatta serrata. Continuò
a tenermi per il polso e pensai che Klaus doveva riferirsi alla
discussione che era scoppiata dopo la faccenda della vasca.
Chissà
cosa si erano detti.
“Non
penso ti convenga ripetere quella discussione, Niklaus.” lo
intimò Elijah, come se volesse sottolineare che non era andata
molto bene per lui. Klaus assunse un'espressione infastidita, mentre
lui mi tirava di nuovo verso la porta, senza permettermi di opporre
resistenza.
“È
colpa tua, Irina.” esclamò Klaus, arrestando di nuovo la
nostra avanzata. Lo guardai senza capire, ci fermammo vicino al
gruppo di ubriaconi al bancone che stavano parlottando con Diana e
notai che i loro sguardi erano fissi su di noi, per quanto Klaus
aveva alzato la voce. I suoi occhi grigio blu sembravano carichi di
fuoco, pronto a divampare rapidamente intorno a noi. “È
solo per colpa tua se diamo il peggio di noi sempre.”
“Parla
per te, Niklaus. Qui l'unico che da davvero il peggio di sé,
sei tu. Con le bugie che dici sempre a te stesso.” precisò
Elijah, con voce fredda e spaventosa.
“Beh,
Irina non ti ha detto del bacio alla festa di qualche sera fa. Io
dirò a me stesso le bugie, ma lei le dice a te.”
Lo
guardai incredula: come un bambino capriccioso e che desiderava
vendicarsi di aver perso un gioco, Klaus aveva tirato fuori la
faccenda del bacio che Elijah non sapeva.
Perché
non glielo avevo detto, dato che non significava nulla.
Elijah
lo guardò a lungo e in silenzio, mentre attorno a noi
l'attenzione si era focalizzata sopratutto sui due vampiri. Ero
talmente confusa, che non mi accorsi di come Elijah si era avvicinato
pericolosamente, ma lentamente, al fratello e lo aveva colpito con un
pugno in viso, facendolo ribaltare sul tavolo dietro di sé.
Si
era mosso con eleganza, ma aveva usato una forza che trovai disumana.
“Ehi,
qui non ammetto risse, signori fusti!” esclamò Diana,
parlando con voce gracchiante e portandosi i pugni sui fianchi,
mentre alcuni uomini ridevano di quella scena.
Klaus
restò a terra, massaggiandosi la mascella colpita e alzando lo
sguardo sul fratello con un'espressione infastidita. Voleva forse
replicare, ma le parole di Elijah gli impedirono di fare nulla.
“Sapevi sarebbe finita così.” disse e si allontanò
da lui.
Quando
si voltò verso di me, ritrovai il mio senso di colpa così
amplificato che uscii dalla locanda rapidamente, barcollando
visibilmente. Quando mi scontrai con l'aria gelida della notte, mi
portai il mantello alle spalle e mi sorressi alla parete esterna
della locanda.
“Dove
pensi di andare? Ti accompagno io.”
No!
Mi
liberai della presa di Elijah, quando scorsi di nuovo quel tono
arrabbiato nella sua voce.
Mi
sentivo già abbastanza in colpa per quello che era successo
poco prima là dentro, non volevo sorbirmi anche la sua rabbia.
Volevo
tornare a casa. Da sola.
Elijah
mi strinse le spalle e mi spinse a guardarlo, esercitava una forza
non troppo potente sulla mia pelle ma che comunque mi faceva venire i
brividi. “Sei tu quella arrabbiata adesso? Non vedi come ti ha
ridotto?” mi domandò e capii che il “bacio”
nascosto non era il solo motivo che lo mandava in collera. Lui non
riusciva a vedermi ridotta in quello stato e io la pensavo allo
stesso modo. “Non ti riconosco nemmeno più.”
Nemmeno
il diavolo ti riconoscerebbe.
E
non volevo che lui mi guardasse in quel modo.
Mi
liberai dalla sua presa e mi allontanai rapidamente, sperando che
l'equilibrio non mi abbandonasse. Percorsi la stradina di fronte alla
locanda e ignorai il suo sguardo su di me.
*
* * *
Presa
dal senso di colpa, decisi di tornare a casa da sola ma, come una
stupida, fui capace di perdermi anche in quel piccolo villaggio.
Mi
fermai, quando riconobbi quella casa, le cui inconfondibili pareti
rosse si erano stagliate davanti al mio sguardo per ben tre volte,
mentre camminavo lungo le strade.
Sbuffai
amareggiata, alzai lo sguardo verso il cielo scuro e guardai la mezza
luna che brillava in cielo. Un rumore dietro di me mi destò da
quella immagine, per un attimo pensai che me lo fossi immaginata e
che fosse solo una illusione causata dalla mia spossatezza, ma
voltandomi scorsi un uomo che camminava lungo quella stradina. Aveva
in mano una bottiglia e riconobbi in lui, uno di quegli energumeni
che stavano bevendo al bancone della locanda di Diana. Cercai di non
fissarlo troppo e proseguii lungo la strada opposta alla sua,
sperando di non perdermi ancora.
“Buonasera
bellezza!” mi richiamò lui, ma lo ignorai.
Malgrado
sentissi le gambe tremarmi per il panico, malgrado lo sentivo farsi
sempre più vicino. Quello arrivò subito a me, mi
strinse i fianchi con le braccia e mi costrinse a voltarmi verso di
lui.
Il
suo viso divenne più visibile alla luce della luna, aveva più
o meno trent'anni ma la sua pelle sembrava aver conosciuto da troppo
tempo i primi sintomi della vecchiaia. Aprì la bocca in un
ghigno orribile e venni inondata dall'odore acre del suo alito,
provai a divincolarmi ma fu tutto inutile. Eravamo entrambi storditi,
ma lui era più forte di me.
“E
dai tesoro, non avere paura. Sei davvero troppo carina, sai?”
Tremai più forte di fronte a quelle parole, provai a
divincolarmi, ma fu tutto inutile.
Quell'uomo
agiva in balia dell'alcool e la sua forza era quindi il doppio meno
controllata del solito. Le sue mani cominciarono a scendere lungo il
mio corpo, provando a passare sotto il tessuto del mio abito e allora
provai davvero un profondo senso di paura.
Lacrime
di terrore scorsero lungo le mie guance, mentre la forza di
quell'uomo si faceva sempre più pressante sul mio corpo,
cercando di violare la mia pelle.
Ma
durò poco: il tempo di aprire la bocca in un grido silenzioso
e l'uomo era a terra sulla neve. Caddi anche io in quell'oceano
bianco, allungando le mani in avanti per non cadere di faccia sul
terreno.
Quando
mi voltai, mi si bloccò il respiro in gola.
Nemmeno
il diavolo ti riconoscerebbe.
L'uomo
gridava, la sua voce si riduceva sempre di più ad un debole
sussurro della notte mentre Elijah affondava i denti sempre di più
nella carne del suo collo. La luce della luna illuminò quelle
linee di sangue che scendevano lungo la pelle pallida dell'ubriaco
che provava a divincolarsi ma inutilmente. Elijah continuò a
strappare via la sua vita, la sua forza attraverso quel morso, mentre
i miei occhi fissavano la scena increduli.
Durò
tutto molto poco, eppure mi parve di aver assistito per un'eternità
a quella scena: Elijah lasciò il corpo a terra, si portò
le mani sulle labbra come per constatare che fossero sporche di
sangue. Il respiro affannato muoveva il suo petto rapidamente e i
suoi occhi erano più neri del solito, mentre la luna faceva
scendere la sua luce su di loro.
Poi
volse lo sguardo verso di me, tremavo visibilmente e non riuscivo
distogliere lo sguardo dalle sue labbra sporche di sangue.
Quello
non era Elijah. Non poteva esserlo.
O
ero troppo ubriaca per rendermene conto? O magari troppo ubriaca che
mi stavo immaginando tutto.
“Irina?”
lui fece un passo verso di me, la sua voce era intrisa di senso di
colpa ma mi parve di non riconoscerla.
Quella
bocca sporca di sangue non era la sua.
Strisciai
un po' all'indietro, presa dalla paura di averlo troppo vicino e lui
si arrestò. Mi guardo con occhi confusi e allo stesso tempo
increduli, non credeva forse che lo avrei mai guardato in quel modo.
E
lo pensavo anche io.
Mi
alzai in piedi e corsi via, lontano da lui.
Fu
la paura a guidarmi.
*
* * *
Non
avevo dormito quella notte.
Appena
i miei occhi si chiudevano alle porte del sogno, mi sembrava di
rivivere l'attimo in cui Elijah affondava i denti nella carne di
quell'energumeno, succhiandogli via la vita fino a prosciugarlo di
essa. Ma di cosa mi stupivo? Elijah era un vampiro, nel corso della
sua vita doveva aver strappato la vita di molte persone in quel modo.
Eppure,
io non volevo accettarlo.
Volevo
rimanere aggrappata all'immagine di lui che avevo conosciuto fino ad
allora, quella maschera umana di cui mi ero innamorata e che ancora
volevo tenere viva.
Una
parte di me sapeva anche che avrei scoperto quella parte molto
presto, perché nascondere la propria natura non era facile,
non si poteva indossare una maschera e coprire le apparenze per
sempre, ma non potevo comunque non trattenere la mia paura.
Quella
mattina la volli passare da sola, la testa stava ancora pagando per i
colpi subiti la notte prima e ogni tanto un senso di nausea mi saliva
alla gola. Decisi così di andare a fare una passeggiata nei
boschi, in sola compagnia di me stessa.
Indossai
un lungo abito blu notte e mi accinsi ad uscire dalla porta della mia
camera.
Nemmeno
il diavolo ti riconoscerebbe.
Me
lo ritrovai di fronte, come un profumo portato dal vento e che
assumeva una forma davanti ai miei occhi. Mi sentii pietrificare, i
muscoli si irrigidirono e il cuore batté un ultima volta,
rimbombandomi nel petto e lasciando riecheggiare il suo suono tra le
pareti del mio corpo.
Quegli
occhi neri mi scrutarono dentro, immobilizzarono la mia anima e la
resero priva di consistenza e forza. Per la prima volta non furono le
farfalle nello stomaco ad accompagnare la sua immagine, ma una lunga
serie di brividi che correvano lungo la mia schiena e che avevano il
nome del terrore.
“Dobbiamo
parlare.” Due semplici parole, per gelarmi il cuore e
impedirgli di riprendere a battere regolarmente.
Possibile
che si fosse fermato davvero? Sentivo solo silenzio, dentro e fuori
di me.
Nessun
suono parve interrompere quel viaggio nei suoi occhi scuri.
Ma
io non volevo parlare, volevo solo stare il più lontana
possibile da lui almeno fino a quando l'immagine delle sue labbra
sporche di sangue non si sarebbe affievolita sempre di più.
Non
sopportavo pensare le sue mani sporche di sangue, era più
forte di me e volevo preservare l'illusione di un Elijah umano.
Provai
ad allontanarmi, ma non mi fu concesso.
La
sua mano.
Si
allungò davanti al mio sguardo e batté sulla parete
alle mie spalle e sembrò quasi farlo tremare.
E
io con lui. Mi sentii percuotere dal tremito di quel rumore, che
parve espandersi dentro di me e portarmi tra le braccia della paura.
Volsi
lo sguardo verso Elijah, i suoi occhi neri continuavano a tenere
legati i miei ad i suoi e sembrarono perforare la mia anima e
renderla sua succube.
Smettila.
Mi
faceva paura, ma non se ne rendeva conto? O ero io che sbagliavo e
pretendevo che lui fosse buono? Guardai il suo viso e il
ricordo delle sue labbra colorate di rosso mi costrinsero a
distogliere lo sguardo e portalo altrove.
“Irina,
guardami. Sono sempre io.” disse la voce di Elijah, quasi
irriconoscibile e con un suono duro che avrebbe fatto tremare anche
l'animo del più impavido degli animi.
No,
non era sempre lui. Lui era ira, furia devastante che bruciava
qualsiasi cosa toccava e io non volevo bruciarmi in quel momento.
Lasciami
andare.
Provai
di nuovo ad allontanarmi, fuggendo al suo braccio, ma un'altra mano
giunse ad arrestare il mio cammino. Tremai di nuovo con la superficie
e mi ritrovai intrappolata tra gli arti di Elijah, vittima di quegli
occhi che erano carnefici della mia pena.
Serrai
le labbra e mi voltai completamente verso di lui, posando la schiena
sul muro e sforzandomi di risultare tranquilla anche se il mio corpo,
vittima dei tremori, mostrava il contrario.
Elijah
era ancora arrabbiato, vedevo la luce dell'ira illuminare le sue
iridi scure e incendiare la mia paura.
“Ho
perso il controllo, è vero, e mi dispiace.” disse, fece
un passo verso di me e mi costrinse a rannicchiarmi sempre di più
in me stessa, pur di sfuggire a quel tocco che una stupida parte di
me giungeva comunque a bramare. La testa alta verso di lui, il
respiro trattenuto per non arrivare al suo e il cuore che batteva
talmente forte che quasi mi perforava le costole. “Ma io sono
un vampiro, non devi dimenticarlo. Ho sentito il tuo corpo tremare e
si è accesa la mia ira, ho sentito il tuo cuore battere
all'impazzata per la paura e la prima catena che tratteneva la mia
furia si è sciolta, ho visto le sue mani su di te e tutte le
altre catene si sono sciolte e hanno fatto divampare l'incendio...e
ho portato morte, ho portato quel viscido verme all'inferno che
meritava.”
Ogni
parola mi provocava un blocco in gola, che arrestava il mio fiato e
mi faceva vibrare il petto in preda a piccoli spasmi causati dalla
paura.
Elijah
tenne di nuovo gli occhi su di me, l'espressione tesa in una
freddezza che continuava a spaventarmi. “Ho perso il controllo
ma è perché ho sentito nascere tutto questo in te. Non
è una giustificazione, non voglio difendermi, ma è
questo che sono: un vampiro.”
Deglutii,
rendendomi conto che non potevo trattenere troppo a lungo i miei
respiri in quel modo. Le parole di Elijah mi confondevano, mi
rasserenavano in parte e mi turbavano in altra maniera. Mi ritrovai
divisa in due, perché volevo essere debole e accettare ciò
che era successo mentre l'altra parte di me, quella un po' più
forte, preferiva aspettare ancora che quell'immagine di morte avrebbe
abbandonato i miei ricordi.
“Come
puoi avere paura di me dopo tutto quello che è successo?”
mi chiese, scuotendo la testa.
Non
volevo arrivare a quel punto, cercai di superarlo passando sotto il
suo braccio destro e dirigendomi lungo il corridoio ma lui si parò
di nuovo di fronte a me.
Mi
scontrai con la sua figura e il cuore che si era un attimo
tranquillizzato, riprese a battere troppo velocemente in preda ad una
folle paura. “Puoi provare ad ascoltarmi almeno per favore?”
mi chiese duramente, facendo trapassare le sue parole attraverso i
denti, come in un sibilo.
Non
in quel momento, non volevo comprenderlo in quel momento.
Mi
irrigidii, stringendo i pugni lungo le gambe e serrando la mascella
per non mostrare che potevo mettermi a piangere di rabbia, tristezza,
malinconia da un momento all'altro.
Lasciami
andare.
Avrei
tanto voluto calcare quelle parole, far sì che lo facessero
rabbrividire ma non fu così.
Rimasi
io quella che tremava di fronte a lui.
Lasciò
che lo superassi,quella volta non mi fermò, e sentii i suoi
occhi seguire i miei movimenti.
Non
respirai per tutto il tempo in cui li avvertii sulla mia schiena.
*
* * *
Si
diceva che nella solitudine si era davvero capaci di trovare sé
stessi.
Si
scoprivano di avere domande irrisolte, si trovavano risposte che mai
e poi mai si pensava di trovare e molto spesso ci si ritrovava faccia
a faccia con sé stessi.
Era
forse quello che stava accadendo a me, mentre vagavo silenziosamente
in quella foresta innevata, sfidando il vento che mi stava tagliando
la pelle e ascoltando tutti i suoni che il mio udito era capace di
cogliere. Il verso di qualche uccello che si librava per aria, il
rumore del fiume che scorreva oltre quella rupe.
Non
mi ero nemmeno accorta di averla raggiunta, tanto ero presa dai miei
pensieri. Mi fermai a pochi passi da quella punta che sembrava
volersi tuffare nel vuoto e lasciai che il vento muovesse la mia
gonna, insieme al mio sguardo che si allungava verso l'orizzonte.
Fu
lì che trovai una risposta.
Stavo
sbagliando tutto.
Perché
spaventarmi così per aver visto il vero Elijah, quando
già sapevo che quella era la sua natura?
Avevo
già accettato di essere innamorata di un vampiro, sapevo che
lui aveva comunque bagnato le proprie labbra di sangue umano e allora
perché prendermela?
Perché
sei un'ipocrita.
Mi
sembrò di sentire di nuovo l'irrazionalità farsi largo
nella mia mente, mentre chiudevo gli occhi e stringevo i pugni.
Quella voce si fece largo tra i miei pensieri, annullò tutto
il resto e mi ritrovai a prendere lunghi respiri per
tranquillizzarmi.
“Mi
hai fatto male, Irina.”
Quella
voce non proveniva dai miei pensieri.
Sbarrai
lo sguardo e mi voltai verso Daniel: i suoi occhi scurissimi erano
fissi su di me, la sua espressione fredda e impassibile e i muscoli
del corpo visibilmente tesi sotto i pesanti vestiti che indossava. Mi
trattenni dall'arretrare, sapendo che dietro di me c'era il vuoto, e
lo guardai con aria spaventata.
Pensavo
che se ne fosse andato, che avesse lasciato il villaggio dopo il
rapimento di Katerina, ma era ovvio che non era così. Rimase
fermo davanti a me, trafiggendomi con lo sguardo.
“Adesso
capisco perché lui ti stia cercando. Devi essere
qualcosa di strano per avermi fatto una cosa simile.” continuò
a dire Daniel, un sorrisetto amaro apparve sulle sue labbra e fece un
passo verso di me.
Era
lui il lupo.
Stava
sicuramente parlando di come avevo causato la sua fuga, dopo
l'aggressione a Katerina. Perché sapevo che, in qualche modo,
ero stata io a spaventarlo, anche se non mi ero posta molte domande
al riguardo.
La
paura oscura le risposte, non ti permette di trovarle perché
sa che ne rimarresti sconvolto. E con me, la paura si era
permessa di nascondere molte cose.
Deglutii,
passai una mano accanto alla gonna ma mi dimenticai di non essermi
portata il pugnale con me. Ero nel pieno della mia debolezza,
incapace in alcun modo di difendermi.
Mikael?
Era
quel bastardo il lui
di
cui Daniel stava parlando? Perché era chiaro che Katerina
fosse stata rapita per suo conto e il licantropo aveva aggredito me e
Klaus mentre la cercavamo.
Non
credevo nelle coincidenze.
Ma
poi mi ricordai che Klaus era stato indebolito da un incantesimo
proprio per mano di Daniel, ma quest'ultimo non poteva essere un
licantropo e uno stregone allo stesso tempo.
Oppure,
c'era qualcun'altro quel giorno che agiva nell'ombra e che aveva
lanciato quell'incantesimo su Klaus. Magari proprio Bell.
Daniel
sorrise, avanzò di nuovo verso di me perché sapeva mi
sarei fermata. “Prova ancora.” mi disse in un sussurro.
Bell.
Era
per lui che lavorava.
Non
capivo più nulla, lo guardai con aria interrogativa ma sapevo
che non potevo ricevere risposte, non essendo capace di formulare
tutte quelle domande.
“Dovresti
essermi grata, ti ho salvato la vita l'altra notte.” continuò
lui, fece uno scatto verso di me e mi strinse il polso con rudezza.
Mi
tirò poi a sé e provai a divincolarmi inutilmente, lui
era troppo forte e la sua presa era ben salda sulla mia pelle,
impedendomi di compiere alcun movimento. Iniziai a provare paura, un
terrore profondo mi pervase mentre lui continuava a perforarmi
l'anima con il suo sguardo.
“Ho
provato anche a salvarti da quel bastardo
di
vampiro con cui vai in giro, ma tu dovevi proprio metterti in mezzo,
eh?” Daniel serrò le labbra e mi tirò più
vicino a sé. Mi sembrò di rivivere i momenti con Micah,
lui aveva la sua stessa espressione di ostinazione sul viso.
Di
qualcuno che era disposto a tutto pur di liberarsi di Bell.
E
io ero il loro obiettivo, per motivi ancora troppo inspiegabili.
Katerina?
“Non
sono stato io a rapire tua sorella, abbiamo solo approfittato
della situazione per provare a portarti via...ma hai mandato tutto
all'aria.” disse prontamente lui, come se avesse letto le mie
labbra. Allora era vero che qualcun'altro stava tramando nell'ombra
quella sera, ma chi?
Provai
di nuovo a liberarmi, ma inutilmente: Daniel mi strattonò a
sé, mi ritrovai con un centimetro dal suo viso e i suoi occhi
sembrarono volermi incendiare, i denti fermi sopra le sue labbra e un
lieve tremore che gli scuoteva il viso. “Belial ha
promesso la mia incolumità se ti portò da lui viva e
vegeta.” disse in un ringhio. “Non posso permetterti di
scappare, ragazzina. Sono costretto a farlo.”
Belial?
Smisi
un attimo di divincolarmi, appena la mia mente elaborò quel
nome e lo ripeté più e più volte, come se
volesse cogliervi in esso un qualche ricordo, nascosto in un angolo
buio della mia testa. Perché mi era così familiare quel
nome? Di chi si trattava?
“Tu
non sai cosa è capace di fare...tu non sai chi è
veramente.” disse ancora Daniel, scuotendo lentamente la testa
e facendomi capire che stava parlando di Bell.
Era
quello il suo vero nome? Avevo troppa confusione in testa e mi parve
quasi che questa stesse per scoppiare.
Provò
a tirarmi via, ma combattei con tutta me stessa per opporre
resistenza. Puntai i piedi sul terreno e mi piegai su me stessa per
non farmi trascinare da lui. Ma Daniel era troppo forte: nel vano
tentativo di liberarmi della sua presa, caddi a terra e lui non
lasciò mai il mio polso.
“Mi
dispiace, Irina. Ma sono costretto a portarti da lui se voglio salva
la vita...” Lui parve quasi scusarsi, mentre continuava a
volermi tirare a sé ma lo ignorai. Lo colpì con un
calcio alle ginocchia che gli fece quasi perdere l'equilibrio e
strisciai all'indietro per allontanarmi.
Lui
fu subito in piedi e fu di nuovo su di me. Presi così la prima
roccia che trovai vicino a me e lo colpì in viso, usando tutta
la forza che potei.
Lui
cadde accanto a me, gemendo di dolore e toccandosi il lato destro del
viso, mentre io balzavo in piedi e cercavo di scappare. La sua mano
però giunse a stringere la mia caviglia, caddi di nuovo a
terra e lo colpii con un calcio in pieno viso che gli fece perdere
l'equilibrio.
Non
mi ero accorta di quanto fossimo vicini alla punta della rupe:
scattai in piedi e iniziai a correre nel momento in cui lui gridò
qualcosa alle mie spalle, il suo della sua voce si propagò
nell'aria e riecheggiò in quella fredda foresta.
Mi
fermai.
Smisi
di correre e mi girai verso la rupe, dove riuscivo a scorgere solo le
dita di Daniel che ne stringevano la punta. Gridava disperato, mentre
con l'altra mano provava a cercare un altro appiglio.
Corsi
verso di lui, mi inginocchiai alla punta della rupe e gli tesi la
mano, sperando di avere abbastanza forza per riuscire a tirarlo su.
Il corpo di Daniel sembrava oscillare come una fogliolina mossa dal
vento, sotto di lui il rumore del fiume che scorreva impetuoso
riempiva l'aria circostante. Sembrava essere più attenuato,
ora che mi ero così affacciata alla rupe.
I
suoi occhi mi guardarono stupiti, mentre gli facevo segno di prendere
la mia mano. Si stava sicuramente chiedendo perché stessi
cercando di aiutarlo, ma non potevo lasciarlo morire: era Bell
colui che doveva pagare, era lui che muoveva i fili di tutta
quella brutta faccenda.
Daniel
era come Micah, solo un'altra pedina sacrificabile.
Si
decise finalmente ad allungare la mano verso di me, ma le nostre dita
arrivarono solo a sfiorarsi: l'altra mano, quella che stringeva la
punta della rupe, cedette.
Aprii
la bocca in un grido silenzioso, che si unì a quello di Daniel
e guardai il suo corpo farsi sempre più lontano insieme alla
sua voce, per poi scomparire nella nebbia sottostante.
Rimasi
con il braccio teso nell'aria fredda, il respiro bloccato in gola e
il cuore che martellava dentro il mio petto.
Non
ebbi però il tempo di dire o fare nulla, che un rumore alle
mie spalle mi costrinse a voltarmi: una figura incappucciata si
trovava dietro di me, le sue mani si allungarono rapidamente verso le
mie spalle e tutto finì.
La
terra sotto i miei piedi mi abbandonò, l'aria si tramutò
in una veloce serie di scariche ghiacciate che attraversavano il mio
corpo e mi sentii leggera come mai lo ero stata.
Forse
perché il mio corpo era nulla, in confronto al vento che stava
accompagnandomi verso la fine in quel momento.
Non
ebbi il tempo di fare nulla: piangere, aprire la bocca per gridare e
nemmeno pensare a tutti coloro che avrei perso, dopo che avrei
raggiunto la fine di quella mia corsa.
Katerina.
Klaus.
Elijah.
Elijah.
Il
mio corpo poi si infranse, come un'onda sopra uno scoglio e mi
ritrovai a galleggiare nel nulla. Gli occhi rivolti verso l'alto,
colsero gli ultimi bagliori di luci che mi vennero concessi, mentre
l'aria lasciava i miei polmoni sempre di più.
E
quando chiusi gli occhi, giunse la fine.
Ciao
a tutti! :)
Spero
davvero che il capitolo vi sia piaciuto!
Mi
rendo conto che potevo fare molto di meglio, ma purtroppo ho scritto
questo capitolo in un periodo un po' “incasinato” dato
che avevo l'esame della patente martedì e quindi sono stata
parecchio impegnata con lo studio...
Ringrazio
infinitamente Elyforgotten
per l'immagine
all'inizio e per
i suoi utilissimi
consigli, dato che avevo
davvero pochissime idee su
questo capitolo.
(e infatti si vede xD)
Ci
tengo anche a consigliarvi le sue fanfic che meritano davvero molto:
“My
story with an original...with Elijah.”
e il suo continuo “Over
the deception of life”
che
è davvero una bellissima storia, con una protagonista
fantastica e una storia d'amore intensa e da brividi.
Inoltre
dedico questo capitolo a tutti voi che leggete, chi recensisce e chi
legge in silenzio. Spero di sentire le vostre voci nelle recensioni,
perché mi piacerebbe conoscere il vostro parere riguardo
questa storia,al fine anche di migliorarmi. :)
Ringrazio
anche quelle splendide persone che hanno inserito questa storia tra
le seguite/preferite e ricordate. Siete davvero uno stimolo per me e
non smetterò mai di dedicarvi un grazie (anche se uno non
basta) in ogni capitolo.
Come
ben vedete le mie note d'autrice sono sempre molto originali xD
perciò passo e chiudo e auguro a tutti voi buone vacanza di
pasqua!
Alla
prossima ^^
|
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Capitolo 22 *** Elegantly Broken ***
-Elegantly
Broken-
“Elijah!
Elijah, non respira!”
“No,
no...respira ancora.”
Voci
lontane giunsero a me, penetrarono nell'oscurità che stava
avvolgendomi nel suo abbraccio.
Ma
di chi erano? Mi sembravano irreali, oniriche, appartenenti ad un
sogno. La prima aveva parlato più forte, quasi come se stesse
gridando mentre la seconda era più pacata, profonda,
indimenticabile.
Elijah.
Sì,
era lui. Era nascosto in quel buio da qualche parte vicino a me, ma
non ne avvertivo la presenza. Era come se il mio corpo si fosse
dissolto in quella nebbia scura, come se non avessi più occhi,
come si fossero persi in quell'abisso profondo in cui sembravo essere
stata risucchiata.
Provai
a muovermi, a guardare a fondo in quella oscurità ma mi
sembrava di non riuscire a fare nulla, il mio corpo non era più
con me. Mi aveva abbandonato, lasciandomi sola in quel nero.
“Resisti
Irina, sono qui.”
Diverse
pressioni sembrarono esercitarsi in un punto sul mio petto, se ancora
ne avevo uno.
Erano
forti, intense e servirono a muovere un po' il buio che mi
circondava. Ma non riuscivo lo stesso ad aprire gli occhi, una forza
mi impediva di sbarrare le palpebre e guardare Elijah.
“Dobbiamo
darle del sangue o morirà!”
La
prima voce che avevo udito si ripeté: mi parve familiare, ma
un'emozione di disperazione la storceva in maniera che mi sembrasse
irriconoscibile. Non sapevo a chi apparteneva, ma ero certa di averla
udita prima. E odiavo sentire quel dolore tingergli le parole.
“Lascia
Elijah, ci penso io.” Quella voce stridula la riconobbi invece:
era Diana.
Qualcosa
di freddo si posò sulla mia tempia sinistra e parole in latino
seguirono i brividi di freddo che quell'oggetto sulla mia pelle mi
causò.
Poi la vita.
Sentii un forte peso che
gravava sul mio petto, come un macigno che mi impediva di respirare,
e tossii ripetutamente. Mi girai su un fianco, chiudendo gli occhi e
sputando tutta l'acqua che mi ostruiva i polmoni. Riconobbi il gelo
che pungeva sul mio corpo, mentre tremavo con troppa forza per
poterlo fermare. Delle braccia accorsero a me e mi avvolsero in uno
scuro mantello di lana, che mi circondò le spalle con il suo
calore.
“Irina?”
Mi girai verso Elijah: era
completamente zuppo, i capelli castani ricadevano pesantemente ai
lati del suo viso, lasciando scorrere delle gocce lungo i suoi
zigomi. Gli indumenti erano totalmente bagnati, mentre restava in
ginocchio davanti a me e mi regalava un sorriso tranquillo. La sua
mano accorse a posarsi sulla mia guancia, come ghiaccio bollente e mi
resi conto di essere nelle sue stesse condizioni: i capelli gravavano
pesantemente sulla mia testa, gocce gelide scorrevano tra essi e
sotto il mio abito che aderiva perfettamente al mio corpo.
Ma cosa era successo? Allora
mi ricordai di quella figura incappucciata, delle sue mani che si
allungavano verso di me e che mi spingevano nell'abisso del nulla.
Elijah mi aveva salvata?
Doveva essere così, visto che entrambi eravamo fradici dalla
testa ai piedi. Solo che io tremavo, lui no. Ma sicuramente nessuno
di noi due aveva idea di chi fosse quella figura mascherata.
Guardai il cielo pieno di
nuvole bianche che sembravano correre velocemente a coprire
l'orizzonte, il vento fischiava attorno a noi e oltre le fronde degli
alberi, scorsi la punta della rupe che aveva quasi segnato la mia
fine. Poi decisi di fare scendere lo sguardo su un punto davanti a
me.
E vidi Klaus.
No, non era lui. Non era
possibile. Diana stava ponendosi al suo fianco, mentre lui mi
guardava. Il suo viso era quello che conoscevo, ma attraversato da
troppe emozioni. Tristezza? Paura? Disperazione?
Sì era lei, la
disperazione. Marchiava il suo viso, tingeva i suoi occhi blu e
arrestava il suo respiro che sembrava esser rimasto imprigionato tra
le labbra schiuse.
Non la smetteva di fissarmi,
come se la mia immagine servisse a lenire il suo dolore. Anche lui
sembrava completamente bagnato, i capelli biondi gli circondavano il
viso e mi parve di scorgere diverse gocce che scendevano lungo la sua
pelle.
Si
era preoccupato per me? Stavo
per morire quel giorno.
Tremai più forte,
presa dal panico quando quei pensieri giunsero rapidamente a me.
Lacrime intollerabili scorsero lungo la mia pelle e buttai le braccia
al collo di Elijah, come se volessi sconfiggere la paura che stavo
vivendo.
Lui ricambiò il mio
abbraccio, facendo scorrere le mani sotto il mantello, lungo la mia
schiena.
“Va
tutto bene, siamo qui ora.” sussurrò al mio orecchio,
sfiorandolo con le labbra. Serrai le labbra e chiusi con forza le
palpebre, per far scorrere le lacrime che rimasero intrappolate
dietro di esse.
Poi guardai verso Klaus, lui
assisteva immobile al nostro abbraccio e, quando questo si sciolse,
tesi la mano verso di lui. Come per cercare un contatto al fine di
cancellare quell'emozione dai suoi occhi.
Klaus guardò le mie
dita muoversi nell'aria e sembrò titubante nel volerle
stringere. Dopo diversi secondi, fece un passo verso di me e ricambiò
la presa, circondando il mio palmo con le sue dita fredde.
Ci guardammo e gli sorrisi
nel tentativo di rimuovere quell'emozione dal suo volto. Elijah volse
lo sguardo verso di lui per qualche istante, continuando però
a stringermi per trasmettermi calore.
La mano mia e di Klaus
ancora unite nel gelo del vento.
“Dobbiamo
tornare ora, il cristallo l'ha strappata dalla morte ma non la
difende mica da colpi di freddo futuri.” ridacchiò
Diana, mostrandoci fieramente un cristallo che stringeva tra le mani.
“Poi credo che la signorina debba raccontarci cosa è
successo.”
* * * *
Silence
is broken Empty words arc licking the layers of sin from our
skin We realize happy endings are not for everyone, they're not
for us Break of dawn let us lay down our arms in the end of the
day we can savour our loss But I never stopped trying and I never
said I wasn't up for
Dovevo sapere che la fortuna
non mi era amica.
Subito dopo il “miracolo”
attuato dall'incantesimo di Diana, venni colta da una febbre violenta
ed improvvisa. I tremori scuotevano continuamente il mio corpo, tanto
che il solo respirare sembrava impossibile per il mio corpo. Il cuore
che batteva nel mio petto valeva come un pugno sotto pelle, mi
provocava dolore solo sentirlo. Malgrado gli sforzi che impiegavo per
non mostrarmi debole e affaticata, non riuscii a non far preoccupare
Katerina. Erano poche le volte in cui non la trovavo accanto al mio
letto, ad osservare il pallore cereo del mio volto e il sudore che
ogni tanto bagnava la mia fronte.
Vederla con le lacrime agli
occhi mi faceva ancora più male, ma non potevo dirglielo in
alcun modo.
Solo quella mattina, quando
Rebekah la portò via da me per condurla da Diana e prendere
delle erbe mediche per curarmi, restai sola: distesa sul letto, avevo
la testa affondata nel cuscino e lo sguardo rivolto verso quelle
nuvole violacee che tingevano quel giorno il cielo fuori dalla mia
stanza.
Non aveva mai piovuto così
tanto come in quei giorni.
“Ehi.”
Qualcuno bussò delicatamente alla porta aperta della mia
stanza e mi voltai verso Elijah. Se ne stava sulla soglia della
stanza, con un pugno elegantemente adagiato sul legno della porta e
gli occhi scuri e visibilmente preoccupati rivolti verso di me. “Come
stai?”
Volevo cancellare la
preoccupazione dal suo viso, perciò mi rizzai a sedere sul
letto e mi sforzai di sorridere. Ma persino i polsi non riuscivano a
sostenere il peso del mio corpo e così mi sfuggì un
gemito di dolore mentre provavo a mostrarmi forte. Cosa che
non ero e non sarei mai stata purtroppo.
“Non
ti sforzare, resta distesa.” Elijah camminò lentamente
verso di me, il rumore lieve dei suoi passi sembrava troppo rumoroso
per la mia testa che sembrava voler scoppiare da un momento
all'altro. Ostinatamente decisi di restare in quella posizione,
mentre lui mi guardava con quell'espressione tesa e si sedeva sul
bordo del mio letto. Posai la schiena sui cuscini dietro di me e lo
guardai, sentendo una vampata di calore incendiarmi le gote. Ma non
era solo a causa della sua vicinanza, colpa di quella febbre
maledetta che sembrava volermi mandare a fuoco.
Lui allungò la mano
verso di me, sfiorandomi la fronte con il suo solito tocco delicato.
Riconobbi i brividi che mi correvano sul corpo in sua presenza e
chiusi gli occhi mentre le sue dita scorrevano sulla mia pelle
bollente. “Mi sa che è salita.” dedusse lui,
ritraendo la mano mentre io respiravo troppo rumorosamente, rovinando
quel silenzio tranquillo che pervadeva la mia stanza. Mi rimboccò
le coperte, vedendo che il mio corpo tremava troppo forte e le sue
mani sfiorarono il mio mento, causandomi un intenso brivido freddo
che mi attraversò con corrente gelida in un mare di fuoco.
Mi sentii meglio per un solo
istante, merito della sua presenza vicino a me.
Belial?
Gli chiesi e osservai la sua
espressione indurirsi sempre di più.
“Non
ci devi pensare adesso, Irina.” mi disse, con un tono che non
ammetteva repliche ma che mi fece comprendere che aveva scoperto
qualcosa. Provai a sedermi e porgli domande al riguardo, ma lui mi
posò le mani sulle spalle per impedirmi di compiere qualsiasi
gesto.
“Va
bene, va bene ti dirò quello che mi ha detto Diana.”
sussurrò, come se sapesse che ogni singolo rumore era un
omicidio per le vibrazioni dentro il mio cranio. “Sembra
che...nostra madre conoscesse qualcuno con un nome simile. Diana si è
mostrata preoccupata quando le ho detto di questo Belial
e ha sostenuto di averlo già sentito, mentre lavorava al
ciondolo di nostra madre. Purtroppo non sa altro, ci deve lavorare su
ancora.”
Rimasi incredula. La loro
madre era morta secoli or sono, quindi quel Belial aveva almeno
cinquecento anni? Non era possibile, nemmeno lo stregone più
potente al mondo poteva sconfiggere il tempo in quel modo.
Ma
allora che cos'è?
“Lo
scopriremo.” rispose prontamente lui, cercando di nascondere il
fatto che fosse preoccupato quasi quanto me. “Non devi
affaticarti a pensare troppo ora e riposati. Penseremo noi a questo e
troveremo anche chi ti ha ridotto così.”
Quella volta non ammise
davvero repliche, lasciò scendere il silenzio su di noi e mi
portai una mano sugli occhi, stropicciandomeli e cercando di
sconfiggere il sonno che voleva portarmi con sé.
Non
ora. Prima devo fare una cosa.
Alzai lo sguardo su Elijah e
gli chiesi scusa.
“Scusa
per cosa?” mi domandò.
Per
essermi comportata come una stupida.
Per essere fuggita da lui,
per averlo fatto sentire sporco quando invece non lo era. Non capivo
nemmeno io perché avessi reagito in quel modo, era solo che
vedevo e continuavo a vedere sempre Elijah come un umano, non come un
vampiro. Spesso mi dimenticavo persino della sua vera natura. Ma quel
giorno, quando avevo visto le sue labbra macchiate di sangue, quando
lo avevo visto cedere al suo lato immortale...avevo avuto paura.
Di errori ne avevo commessi
tanti nella mia vita, ma quello di fuggire da lui fu di certo il
peggiore.
Elijah mi guardò a
lungo, si accorse che il senso di colpa aveva oscurato il mio viso e
pensai che, in qualche modo, volesse scacciarlo accarezzandomi il
viso come fece in quell'istante.
“Non
ce l'ho con te.” continuò a sussurrare, come se le sue
parole appartenessero ad una realtà lontana da me. Le sua dita
scorsero poi lungo la mia guancia per infine fermarsi. “Tu mi
vedi come umano e, anche se sbagli perché io non sono tale, ti
devo solo ringraziare per questo. Tu non vedi il mostro in me.”
Ma
qui non ci sono mostri.
Calò il silenzio,
sembrava che la mia testa fosse troppo pesante anche solo per
elaborare una risposta alle sue parole. Posai così una mano
sul suo polso e lo strinsi con delicatezza, avvertendone il calore
sotto il palmo. Un gesto che lo fece immobilizzare per qualche
attimo.
“Ed
essendo un vampiro, ho anche io le mie debolezze.” continuò
lui, ritraendo lentamente la mano dal mio volto e portandola a
stringere la mia, che avevo posato sul suo polso. “Sono
egoista. Per questo voglio che tu sappia che, in caso dovessi....”
si arrestò, ma la morte
aleggiava
già tra noi, come uno spirito oscuro pronto a colpire. Anche
se non l'aveva nominata, lei era apparsa.
“Non
esiterò a trasformarti.” disse. “Ed è
questo che mi fa più male, perché sono disposto a
dannarti per l'eternità pur di non farti morire, pur di
non...non perderti.”
Mi morsi le labbra, colpita
da quella luce che apparve nei suoi occhi scuri come la notte.
Sembrava quasi che si aspettasse che me la prendessi con lui per ciò
che mi stava dicendo, ma perché dovevo?
Perché mi parlava
come se avesse colpe?
Non
devi sentirti in colpa.
“Sono
egoista, Irina. Professo così tanto le mie virtù ma con
te mi sembra quasi che tutti si annulli, che diventi un'altra persona
che non conoscevo...” mi rispose lui, incrociando le dita e
piegando la testa da un lato mentre mi osservava. “Quasi non
ricordavo che...questo significa amare.”
Il cuore smise di battermi
nel petto, il dolore che il suo muoversi sotto pelle mi procurava si
arrestò improvvisamente mentre guardavo il viso di Elijah. Un
intenso calore mi salì al volto, incendiò le mie gote e
parve offuscarmi la mente, lo sguardo, tanto che vedevo solo lui.
I suoi occhi che arrivavano
ai miei, le sue mani che sfioravano il mio mento e le sue labbra che
si posavano delicatamente sulle mie. Mi ero dimenticata di cosa
causasse in me il sapore di un suo bacio, di come mi rinvigorisse e
mi distruggesse allo stesso tempo. Allungai le mani dietro le sue
spalle, sfiorandogli con le dita i capelli e lasciando che quel bacio
diventasse più intenso, che mi travolgesse sempre di più
fino a scacciare l'intera realtà: non c'era febbre, non c'era
corpo, non c'era dolore ma solo un anima che cercava lui.
Sentii le sue mani accarezzare i miei fianchi, circondarmi la vita e
rendermi più vicina a sé.
Poi tutto terminò,
lentamente e dolcemente come era iniziato, ma lasciando uno strano
senso di amarezza dentro di me. Solo allora mi resi conto di quanto
fosse stupido pensare di volere una voce per lui, tanto tutte le
parole del mondo non sarebbero bastate per descrivere quello che
sentivo quando lui mi era accanto.
“Ora
devo davvero lasciarti dormire.” mi disse, in un flebile
sussurro dove parole venivano soffiate sulle mie labbra. Un battito
di ciglia e lui era scomparso, lontano. Malgrado sentissi ancora la
sua presenza in qualche modo, racchiusa in quel profumo che mi aveva
inondato poco prima.
Presi un lungo respiro,
sentendolo sbattere negli angoli dei miei polmoni e causandomi un
dolore intenso, che fino a poco prima avevo smesso di provare.
Guardai di nuovo verso il cielo e sperai che quelle nuvole nere non
oscurassero la luce ancora per molto.
* * * *
You
were always so much stronger than me now your pain has made you
beautiful
But
inside your armour is you heart still open, for here i stand still
trapped in my solitary shell
Reaching
out you with my aching thoughts
Hear
me now, please don't tell me that you're too proud for
I giorni passavano, ma la
febbre non mi abbandonava.
Le mie giornate
trascorrevano sotto le coperte, nella speranza che esse potessero
placare i tremori i quali, regolarmente, mi scuotevano sempre.
Katerina era disperata, non lasciava mai il ciglio del mio letto e la
colsi diverse volte, quando la mia mente tornava abbastanza vigile
per potersi definire sveglia, a guardarmi con occhi lucidi. Ogni
volta la rassicuravo, dicendole che mi sarei ripresa presto da quella
febbre, ma il mio ottimismo spesso scemava in terrore. Terrore che la
mia fosse solo una bugia.
Quella mattina ero sola e
pioveva.
Strano, perché avevo
visto solo neve scendere in quel posto da quando eravamo giunti là.
Significava
forse qualcosa?
Ne approfittai per alzarmi
un po' da quel letto, che parve essere divenuto ormai parte del mio
corpo, e lentamente mi diressi alla finestra. Le gocce venivano
portate sul vetro dalla forza del vento, che le faceva schiantare su
esso. Queste poi scivolavano sempre più in basso, lasciando
strisce trasparenti davanti al mio sguardo.
Posai una mano sul vetro e
lasciai che il freddo della sua superficie si scontrasse con la mia
pelle. Volsi lo sguardo verso il cielo scurissimo, le nuvole ogni
tanto venivano attraversate da lampi violenti, il cui suono ruppe il
silenzio attorno a me. Sussultai appena, ma rimasi immobile davanti
al vetro osservando il quadro della natura che si stagliava di fronte
ai miei occhi.
“Che
ci fai in piedi? Torna a letto.”
Una voce bassa strappò
via il mio sguardo dal paesaggio oltre la finestra e mi costrinse a
voltarmi.
Mi chiesi come mai, ogni
volta che credevo di esser sola, Klaus arrivava e mi faceva scoprire
il contrario.
Lo guardai sulla soglia
della porta, le braccia immobili accanto al suo corpo e gli occhi
fissi su di me. Mi fu difficile cogliere l'emozione, o qualsiasi cosa
li accendesse in quel modo, che li attraversava in quel momento. Era
come se ci stesse mettendo tutto sé stesso per nasconderla, ma
la sua maschera si stesse comunque sciogliendo e cadendo a pezzi.
“Non
farmi ripetere, Irina. Non ti reggi in piedi, torna a letto.”
ripeté lui, indicando il letto con un cenno della testa. Non
seppi perché ma obbedii: le ginocchia stavano cedendo e la
testa mi vorticava vertiginosamente, tamburellando pensieri che
parvero quasi volessero farla scoppiare.
Mentre mi avvicinavo al
letto, mi accorsi che Klaus si era quasi voltato, come per andarsene.
Probabilmente era passato solo per caso davanti alla mia stanza e,
vedendomi ferma davanti alla finestra, aveva deciso di ricordarmi che
dovevo tornare a letto.
Non ci pensai più di
tanto, mi rintanai sotto le coperte e cercai in loro l'abbraccio di
cui avevo bisogno per trovare calore. Ma i brividi si fecero più
intensi, il corpo si era ormai abituato alla temperatura che vigeva
fuori quel letto e ne pagò i colpi appena cercai di trovare
conforto sotto quelle lenzuola.
Chiusi gli occhi, cercando
di trattenere i gemiti che fuggivano dalle mie labbra a causa di quei
scossoni nel mio corpo.
Lui
si avvicinò a me.
Mi ero preparata al fatto
che avesse lasciato la stanza, che se ne fosse andato lungo quel
corridoio e invece me lo trovai seduto accanto al mio letto. Posò
una mano sul materasso con delicatezza e mi guardò
attentamente, mentre cercavo imbarazzata di nascondere i miei muscoli
che tremavano davvero troppo forte. Ma anche un cieco si sarebbe
accorto di quello che mi stava succedendo.
“La
febbre non accenna a diminuire ancora?” mi chiese, inarcando le
sopracciglia mentre nascondevo metà del mio viso sotto il
lenzuolo.
Scossi la testa lentamente,
cercando di trattenermi dal fargli capire che probabilmente la febbre
era aumentata. Klaus non aggiunse nient'altro, lasciò scorrere
lo sguardo lungo le pareti della mia camera per poi posarlo sul
comodino accanto a me, dove si trovava il piatto ancora leggermente
fumante della zuppa che Katerina aveva preparato. Non l'avevo
mangiata, perché la mano tremava così forte da non
reggere il cucchiaio e perché ogni boccone che buttavo giù
era una lenta agonia per la mia gola.
Sembrava come se il mio
corpo fosse totalmente pieno di lei, di quella maledetta febbre che
succhiava via la mia forza rendendomi alla stregua di un vegetale.
Volevo
alzarmi, volevo combattere, volevo vivere ma
lei me lo stava impedendo, inondandomi la mente come nebbia che
oscura il cammino.
Per mia sorpresa, Klaus
prese il piatto con delicatezza, cercando di non rovesciarne il
contenuto, e se lo portò alle ginocchia. Guardò
l'interno, di un color verde scuro, e prese un sospiro. Non l'avrei
mai detto, ma mi parve che le sue gote si tinsero di un leggero
rosso, mentre prendeva il cucchiaio e lo avvicinava alle mie labbra.
Restammo a guardarci in
silenzio, mentre il cucchiaio restava sospeso tra me e lui.
“Avanti,
apri la bocca.” mi disse, sempre con un tono di voce roca e
quasi impercettibile.
Klaus voleva imboccarmi la
zuppa? Quel pensiero mi fece ridere, mi sentii quasi in colpa quando
mi portai una mano alle labbra e mi lasciai andare ad una risata
divertita, che però fece divenire Klaus ancora più
rosso di rabbia e imbarazzo.
“È
già abbastanza deprimente per me fare una cosa simile, puoi
almeno non ridermi in faccia?” mi rimproverò, parlando a
denti stretti e osservando la mia espressione che doveva essere
gioviale in quel momento. La rabbia che Klaus provava allora non era
quel tipo di rabbia che sarebbe esplosa in violenza, era quel tipo di
rabbia che divertiva, quella che si provava verso sé stessi
quando non ci si rendeva conto di quello che si stava compiendo.
Era divertente vedere Klaus
in quelle vesti.
Quel momento di normalità
durò poco, perché anche ridere sembrava esser diventato
una pena. Tossii ripetutamente e mi misi a sedere in posizione
composta sul letto, posando la schiena sull'enorme massa di cuscini
che Rebekah e Katerina avevano apposto dietro di me.
La rabbia che provava Klaus
si tramutò in altro, un'altra sensazione che non aveva nome
perché non ero capace di riconoscerla. Portai il mio volto
all'altezza del cucchiaio e aprii la bocca per prenderne il
contenuto, lui alzò un po' il braccio in modo che mi venisse
più facile lasciar scorrere la zuppa per la gola.
Ma qualcosa andò
storto: le tonsille pizzicarono troppo forte e mi costrinsero a
tossire, prima che potessi ingerirla. Mi portai una mano sulle labbra
prima di sputarla, ma quella scorse lungo il mio mento e per poco
invase le mie cavità nasali.
Klaus
si mosse rapido: lasciò il piatto sul comodino e prese un
tovagliolo, con cui giunse prontamente ad asciugarmi il viso. La sua
mano sinistra si posò sui miei capelli, mentre l'altra rimase
adagiata sul tovagliolo che mi asciugava il volto. Alzai lo sguardo
su di lui, entrambi stupiti per via di quel gesto così umano
che nessuno dei due si aspettava
nascesse da lui. Dopo quegli attimi di completa sorpresa, Klaus si
ritrasse, lasciando il tovagliolo sporco sul comodino vicino al
piatto, mentre io mi tiravo lentamente indietro. Sembrava che la mia
schiena non riuscisse proprio a stare dritta senza un appoggio.
“Il
licantropo è morto.” disse lui, fissando un punto
accanto a sé.
Corrugai
la fronte confusa, mentre una serie di tuoni si susseguì in
rapida successione dopo l'affermazione del ragazzo. Ci guardammo e
capii che lui doveva
averlo trovato e ucciso: quello
era scritto nei suoi occhi blu, eppure pensai che mi stesse
nascondendo qualcosa. Mi era parso alquanto pensieroso quando gli fu
chiaro che Daniel era un lupo mannaro, come se la cosa dovesse
tornargli utile in un modo o nell'altro.
Ma forse mi sbagliavo.
Non
dovevi. Daniel era uno delle
vittime di Bell, era
solo lui quello che doveva pagare.
“Smettila
di fare così, non penso che quel tipo meriti la tua
compassione.” mi anticipò lui, guardandomi con
un'espressione fredda. “E riserverò lo stesso destino al
bastardo che ha agito con lui il giorno del rapimento di Katerina e
su quello che ti ha spinto giù dalla rupe. Su questo non ho
dubbi.”
Non dissi nulla, perché
in quel momento non ero nel pieno delle mie facoltà mentali
per pensare a quella storia.
Calò il silenzio,
rotto solo dai singhiozzi del cielo nero, che lasciava ancora cadere
le sue lacrime sulla terra. Entrambi distogliemmo lo sguardo
dall'altro, fino a quando Klaus allungò la mano verso il
fermaglio che portavo sempre tra i capelli. Le sue dita lo
sfiorarono, con una grazia che si usa verso qualcosa di troppo
prezioso e fragile, qualcosa che si potrebbe rompere con un solo
sguardo.
“Lo
sai che ti sta davvero bene?” mi disse gentilmente, sembrava
quasi si stesse rivolgendo ad una bambina.
Klaus così gentile me
lo stavo sicuramente immaginando.
Abbozzai un sorriso, quello
più sincero che potesse riuscirmi, ma persino muovere le
labbra mi sembrava tragicamente doloroso. Chiusi gli occhi e me li
stropicciai, cercando di scacciare l'offuscamento che mi impediva di
vedere per davvero.
Klaus lasciò ancora
la mano sul fermaglio e prese un sospiro, leggero ma che parve
valicare il crepitio della legna nel camino accanto a noi. “Posso
farti una domanda?” mi chiese e lo fece quasi con timidezza.
Annuii senza pensarci troppo
e continuai a tenere gli occhi socchiusi, con le dita apposte sopra
la fronte bollente. Attesi un paio di istanti, che lui spese nel
silenzio per poter formulare una frase.
“Cosa
siamo noi?” mi
domandò lui, con voce soffusa.
Quelle parole mi sorpresero
e mentre lo guardavo, mi accorsi che lo stupore non aveva colto solo
me.
Corrugai la fronte, perché
per la prima volta mi parve quasi che Klaus fosse più confuso
di me. Alzai le spalle e gli feci comprendere che, almeno in quel
momento, non avevo una risposta da dargli.
Quasi
amici?
Posi
quel quasi davanti, perché non riuscivo proprio a definirci
“amici”, era una parola lontana anni luce e di cui,
magari, Klaus nemmeno ne conosceva il vero valore.
Potevamo esserlo stati solo
da ubriachi, quando il mondo era distorto insieme a noi.
“Amici?
“ Quella parola parve divertirlo, tanto che ne rise. “Io
e te siamo quel genere di persone che non proveranno mai amicizia nei
confronti dell'altro. O ci odiamo o ci amiamo. E noi non stiamo
facendo nessuna delle due cose attualmente.”
Ciondolai un po' con la
testa. In effetti, io non lo odiavo più da tempo e una parte
di me sapeva che per lui era lo stesso. Il fattore amore poi era ben
lontano da essere preso in considerazione per entrambi.
Cos'eravamo
allora? Bella domanda.
Tossii di nuovo e con più
forza, avvertendo un intenso pizzicore all'altezza della gola. Mi
portai la mano sulle labbra e cercai di soffocarla il prima
possibile, Klaus mi guardò combattere in silenzio fino a
quando finalmente quell'ennesimo attacco terminò. Mi accasciai
nuovamente contro i cuscini e ripresi lentamente a respirare con
regolarità, guardando il cielo scuro fuori dalla finestra e
ordinandomi di non prendere sonno.
Lui continuava a fissarmi
immobile, come se non volesse violare un profondo sonno che mai mi
avrebbe colta. Ma in realtà stava solo elaborando le parole
che avrebbe pronunciato dopo.
“Devo
ucciderti, Irina.”
La
sua voce giunse come un tuono alla mia mente: rapido, inaspettato,
spaventoso.
Mi voltai verso di lui e lo
guardai portarsi rapidamente il polso alla bocca, affondando i denti
nella propria carne e lasciando scorrere il sangue lungo la sua pelle
diafana. Il panico che provai in un primo momento si attenuò,
lasciando posto ad un'espressione sorpresa, mentre lui avvicinava il
polso a me.
“Non
sappiamo se sopravvivrai a questa febbre, meglio non rischiare.”
mi disse lui, quando vide il mio sguardo interrogativo posarsi sul
suo sangue.
Allungò l'altro
braccio verso di me, mi circondò la schiena con esso e mi tirò
a sé con delicatezza. Sentii il suo respiro tra i capelli, il
mio braccio destro si schiacciò contro il suo petto e un
ciuffo ribelle sulla mia fronte dovette solleticargli il mento. I
nostri volti erano rivolti a quella chiazza rossa che bagnava la sua
pelle, mentre i nostri respiri sembravano alternarsi in una strana
sinfonia.
Trattenni il mio,
assaporando però quello strano profumo che lui emanava.
Un profumo di pericolo e
morte.
“Bevi
Irina. Coraggio.” insistette lui, avvicinando lentamente il
polso al mio viso, mentre non riuscivo a distogliere lo sguardo dal
suo sangue.
Perché?
Innalzai lo sguardo verso di
lui, Klaus chinò il viso su di me e lesse l'interrogativo che
si disegnava sulle mie labbra.
Perché
sei disposto a questo? Perché sei disposto a donarmi il tuo
sangue? Perché vuoi che io viva?
Era
strano, ma non credevo davvero possibile che lui volesse, in qualche
modo, salvarmi. Anche
se avevamo imparato a conoscerci, anche se ci eravamo inevitabilmente
avvicinati, Klaus era pur sempre il vampiro sanguinario che
disprezzava le vite umane.
Lui
soffocava vite, non le salvava. Allora perché a me
voleva dare un nuovo respiro?
“So
riconoscere la morte.” mi rispose lui, in un flebile e quasi
inudibile sussurro. “Ne so riconoscere le linee negli sguardi
delle persone, poiché molte volte l'ho portata io a loro. E
ora la vedo..nei
tuoi occhi.”
Fu quella la sua risposta,
ma non era alla domanda che gli avevo posto.
Mi aveva solo ulteriormente
confermato che non voleva che io morissi, ma perché?
Abbassai lo sguardo sul suo
sangue, alcune gocce fendettero l'aria per poi schiantarsi sulle
lenzuola candide.
Elijah aveva detto che mi
avrebbe trasformata pur di non lasciarmi morire e una parte di me gli
fu grata nell'averlo sentito pronunciare quelle parole.
Klaus mi stava offrendo il
suo sangue e un'altra parte di me sapeva che aveva visto qualcosa nei
miei occhi che lo aveva spinto a compiere quel gesto. Ma non lo
accettai.
Posai la mano sul suo pugno
chiuso, stretto con forza affinché il sangue uscisse in un
maggior flusso e mi separai da lui. Mi alzai poi in piedi, ignorando
il suo sguardo interrogativo che seguiva la mia figura instabile
mentre mi dirigevo verso la porta.
“Stai
scherzando spero....”
Klaus fu dietro di me, come
un lampo nel buio, e mi sorressi allo stipite della porta, per non
cadere e perdere i sensi da un momento all'altro. Mi portai una mano
sugli occhi, al fine di fermare quel mondo che non la smetteva di
vorticare e affogarlo nell'oscurità. Non mi reggevo in piedi,
non avevo bisogno di sentire pure la sua furia che faceva peso sulla
mia schiena.
Mi strinse le spalle e mi
fece voltare verso di lui, i suoi occhi blu saettavano fiamme. Mi
parve di sentirmi incendiare da loro, mentre le sue mani premevano
con forza sulla mia pelle.
“Devi
bere il mio sangue, Irina. O vuoi morire per caso?”
No.
“Allora
bevilo. Ora!” gridò Klaus, alzando nuovamente il polso
ferito e avvicinandolo pericolosamente alle mie labbra. Mi tirai
indietro, ma lui mi trattenne con l'altro braccio.
No!
Ma lui volle dominare il mio
volere, voleva che seguissi il suo e che mi piegassi ad esso, come se
fosse lui colui che possedeva la mia vita. Mi tenne ferma con
una mano mentre posava con irruenza il polso sulle mie labbra. Provai
a divincolarmi, ma fu tutto inutile: il sapore metallico del sangue
incontrò il mio palato, mentre il polso di Klaus continuava a
premere con troppa forza sulle mie labbra. Provai a liberarmi e
stranamente ci riuscii, perché lui me lo concesse: caddi a
terra, mi portai una mano sulle labbra e mi lasciai andare ad una
forte tosse, dovuta al mal di gola e al fastidioso sapore di sangue
che ancora avvertivo nella mia bocca.
Poi guardai Klaus.
La sua espressione era
glaciale, gli occhi affilati come lame pronte a colpire e i suoi
zigomi sembravano ritratti nella rabbia. Non potevo credere che lo
avesse fatto, non potevo credere che avesse preso lui in mano le
redini della mia vita. Mi aveva privato della possibilità di
scegliere o meno l'immortalità, aveva fatto tutto da solo.
Come
hai potuto?
Lui camminò verso di
me, mentre io strisciavo indietro come un serpente in fuga dagli
artigli di un'aquila. Allungai la mano verso di lui, come per
impedirgli di avvicinarsi.
Sta
lontano da me!
La sua avanzata si arrestò:
i suoi piedi si fermarono a pochi centimetri dai miei, lo sguardo
fisso su di me mutò in qualcos'altro e riconobbi i primi segni
della rabbia marcare il suo volto.
Avevo visto rare volte
quello sguardo in lui, quando qualcosa non andava secondo i suoi
piani.
E, stranamente, ero io
quella volta il suo piano mal riuscito e la rabbia profonda che
provavo verso di lui doveva alimentare la sua, come una fiamma mossa
dal vento.
Voleva salvarmi e gliene ero
grata, ma non volevo che lui quella notte mi uccidesse per farmi
diventare un vampiro, se avevo ancora la speranza di vivere da umana.
Lui
però era egoista,
aveva
deciso di farmi bere il suo sangue contro la mia volontà e lo
aveva fatto. Ignorando il mio volere.
“Come
puoi essere così egoista, eh?!” sbottò Klaus dopo
la mia esclamazione, facendo un passo verso di me e facendomi
rabbrividire di terrore. Mi strinsi in me stessa, come un topolino in
preda al terrore. “Fai tanto la brava per difendere coloro che
ami ma sei disposta ad abbandonare tutti, pur di mantenere integra la
tua umanità. Non sei disposta a rinunciarci per coloro che
ami. Sei solo una piccola egoista.”
Strinsi
i pugni, non riuscivo a credere che potesse dirmi delle cose del
genere. Sperai che si arrestasse, che la sua bocca di fuoco la
smettesse di bruciarmi ma Klaus aveva solo iniziato: lui voleva
ferirmi, voleva farlo e sarebbe andato fino in fondo pur di farmi
sempre più male. Sempre
più.
“Sei
disposta a lasciare sola tua sorella che tanto adori. Sei disposta a
lasciare sola Rebekah, quando ti professi essere sua amica. Sei
disposta a lasciare solo Elijah,...di cui affermi di essere
innamorata.” disse ancora, spalancando le braccia. A quelle
parole abbassai lo sguardo e sentii le lacrime pungermi gli occhi.
Calò il silenzio ed
entrambi ci rendemmo conto che mancava una persona all'appello,
un'altra persona che sarebbe probabilmente rimasta sola con la mia
ipotetica dipartita ma lui non la nominò.
Mi portai le mani a pulirmi
il sangue che bagnava le mie labbra e un nuovo brivido mi corse lungo
la schiena. Io non volevo lasciare tutti coloro che amavo, non
volevo. Ma l'immortalità mi spaventava, mi disorientava e
oscurava il mio futuro...non volevo pensare alla morte, volevo ancora
sperare che potessi decidere della mia vita, quando la morte
non era sulla soglia di essa, ad attendere che la mia anima si
arrendesse a lei.
Ma ormai era stato tutto
deciso, da Klaus: se fossi morta, sarei tornata una vampira.
“Allora
sai che ti dico? Tu non meriti di vivere.” disse Klaus, con le
labbra tremanti per la rabbia.
Il
cuore non aveva mai battuto così forte da fare male come in
quel momento. Alzai lo sguardo su di lui, osservai i suoi lineamenti
modificati dalla rabbia e vidi che lui credeva in quelle parole, mi
voleva davvero morta. Per
punirmi, per farmi capire che avrei dovuto solamente piegarmi al suo
potere senza combattere.
Mi alzai in piedi e lui fece
un passo verso di me, con sfida,abbassando la testa per guardarmi.
“Avrei voluto esserci sul tuo letto di morte, quando ti saresti
resa conto che hai perso tutto per colpa del tuo egoismo, perché
sei solo una vigliacca. Voglio vedere i tuoi occhi mentre si
soffermano sui volti di coloro che ami e a cui tu hai causato quel
dolore....ti meriti tutto questo, Irina. Meriti questo e altro.”
Tremavo, ma non per il
freddo.
Annaspavo, ma non perché
non riuscivo a respirare.
Piangevo, ma non perché
non stavo bene.
Il mio corpo reagiva al
dolore che lui mi stava procurando. Incurante della pessima figura
che stavo facendo, tirai su con il naso e lasciai che le lacrime
scorressero lungo le mie guance, in grande abbondanza.
“Ora
piangi eh?” Klaus ridacchiò, cibandosi della mia
tristezza per accrescere la sua rabbia. “Piangi perché
sai che meriti questo?”
No,
piango perché tu mi stai augurando tutto questo.
Ma perché ci restavo
così male? Perché mi sentivo morire guardandolo odiarmi
in quel modo? Aveva rivolto molte volte quegli occhi verso di me, ma
non mi avevano fatto mai tanto male quanto in quel momento.
“Non
sei molto diversa dagli altri, anche tu sei disposta ad abbandonare
coloro che ami.” disse ancora Klaus.
Alzò lo sguardo sul
fermaglio che portavo tra i capelli e lo strappò da essi senza
che me ne accorgessi.
I lacrimoni che offuscavano
il mio sguardo colsero però il movimento della sua mano,
mentre lo lanciava contro la parete e lo riduceva in diversi
frantumi. Non mi ero mai sentita ridicola come in quel momento,
mentre seguivo i movimenti dei vari pezzi di quella farfalla
argentata che cadevano sul pavimento mentre portavo una mano sulle
mie labbra a trattenere i singhiozzi che, imperterriti, volevano
liberarsi dal mio corpo. Era un dolore troppo grande da sopportare,
mi sembrava impossibile sorreggere il peso del suo odio.
Vattene!
Venni
presa dalla follia, mista a quel briciolo di tristezza e agonia che
mi stava pervadendo e lo spintonai con la poca forza che avevo. Klaus
non distolse il suo sguardo da me, però qualcosa mutò:
fu come se solo allora si fosse
accorto delle mie lacrime, come se si fosse reso conto solo in quel
momento che stavo soffrendo come non mai per quello che mi aveva
detto.
La sorpresa si dipinse sul
suo volto ma non m'importava. Se stava soffrendo per quello che mi
aveva detto, se lo meritava. Lo superai rapidamente e mi chinai sul
fermaglio, ormai distrutto e lo sentii andare via rapidamente.
Continuai a piangere, mentre raccoglievo quei piccoli frantumi sul
palmo della mia mano.
Era
finita. Tutto
quello che credevo di aver costruito con Klaus, quello che avevo
scoperto in lui era solo una menzogna. Lui continuava ad odiarmi e il
fatto che volesse farmi soffrire in quel modo ne era la prova.
Mi piegai verso il pavimento
e posai la fronte su di esso, mentre portavo il fermaglio all'altezza
del mio petto. Il dolore mi posò una mano sulla spalla e cantò
con me la sua disperazione.
* * * *
“Irina?”
Scacciai quella voce lontana
con una mano, voltandomi verso l'altro lato del cuscino e cercando di
riprendere sonno in esso, il custode delle mie lacrime notturne. Ma
quella presenza si fece di nuovo insistente, una mano si adagiò
sulla mia spalla destra e la scosse con delicatezza.
“Irina?
Svegliati.”
Era Katerina. La trovai
seduta accanto al mio letto, tra le mani una tazza che lasciava
libera una scia di fumo la quale si innalzava verso l'alto. La sua
immagine mi giunse distorta, come se il suo volto fosse riflesso in
una superficie d'acqua mossa dal vento. Dovetti sbattere più
volte le palpebre per assicurarmi che fosse mia sorella. “Finalmente
ti sei svegliata. Sono tre giorni filati che dormi...” mi disse
lei.
Tre
giorni.
Erano passati tre giorni
spesi in quel letto? Non riuscivo a crederlo, mi sembrava ieri di
aver litigato con Klaus e di aver deciso di non dire nulla ad Elijah.
Ero certa che non l'avrebbe presa bene e io non volevo inoltre
causare un'ulteriore lite tra di due. Anche se lui doveva essersi
accorto che qualcosa non andava in me.
Mi portai una mano sulla
fronte bollente e mi rizzai lentamente a sedere, ogni fibra del mio
corpo sembrava intorpidita e per un attimo temetti di aver perso
qualche arto, per quanto li sentivo lontani da me.
Katerina allungò la
tazza verso di me. “Diana ha preparato questo per te. Dice che
ti farà riprendere presto.”
Abbassai lo sguardo sul quel
contenuto scuro e storsi il naso disgustata, chiedendomi quale
diavoleria avesse utilizzato la strega per creare quella cosa poco
invitante. Come ogni medicina del resto.
La presi tra le mani e ne
bevvi un lungo sorso, ignorando l'amaro che invase il mio palato e mi
costrinse a storcere il naso disperata, per non sputarlo sulle
coperte.
“No,
Irina. Devi finirlo. Quella
mi ha assicurato che ti farà davvero stare bene e , viste le
tue condizioni, voglio proprio crederlo.” mi bloccò
Katerina, quando mi vide allungare la tazza ancora piena verso di
lei. Guardai i suoi occhi carichi di determinazione e presi forza per
mandare giù quella cosa davvero disgustosa. Lo feci tutto d'un
fiato, senza respirare e senza stare a pensare troppo.
Quando l'ultima goccia fluì
in me, finalmente potei respirare e lasciarmi andare a versi di
disgusto che fecero sorridere mia sorella.
“Prendere
medicine ti rende sempre troppo buffa!” mi prese in giro lei,
con il chiaro intento di sdrammatizzare la situazione. Le risposi
sorridendo e stropicciandomi gli occhi gonfi per il sonno.
Quando smise di parlare, mi
resi conto che la casa era troppo silenziosa: non sentivo il vociare
di Rebekah dal salotto e nemmeno la voce profonda di Elijah. Neppure
quella di Klaus, ma dopo quello che era accaduto pensai malignamente
che non mi importava nulla di lui.
Poteva
anche sparire.
Chiesi a mia sorella dove si
trovassero Elijah e Rebekah e notai subito la sua espressione farsi
preoccupata, abbassò gli occhi sulle sue mani che avvolgevano
la mia e prese un lungo respiro. “Sono andati a cercare lord
Niklaus.” mi rispose. “È...è scomparso da
quando hai preso sonno. Da ben tre giorni.”
Sentii il cuore battermi nel
petto all'impazzata, al pensiero che, forse, qualcuno lassù
aveva ascoltato i miei stupidi pensieri. Klaus era davvero
scomparso.
Per colpa mia forse, di
quello che gli avevo involontariamente fatto capire, quando reagii
con terrore alla vista del suo sangue. Solo colpa mia.
“Ehi!
Irina, che stai facendo?” mi chiese Katerina, quando mi vide
balzare giù dal letto con uno scatto quasi felino e camminare
verso l'armadio. Presi il primo mantello che riuscii a
scorgere,portandomelo sulle spalle alla meglio e lasciando i capelli
rinchiusi dentro di esso.
“Irina,
torna a letto. Quella medicina non fa miracoli e non hai forze
per...” Katerina mi strinse le spalle e mi costrinse a voltarmi
verso di lei, ma si bloccò quando mi vide dire ostinatamente
due parole.
Dobbiamo
trovarlo.
“Se
ne stanno già occupando lord Elijah e Rebekah, tu in queste
condizioni non vai da nessuna parte!” mi rispose lei, con
quella durezza quasi materna di chi mi avrebbe rinchiuso in una teca
di cristallo pur di tutelarmi. Ma io avrei distrutto quelle barriere:
Klaus era scomparso e io non potevo starmene in quel letto sapendo
che poteva essergli successo qualcosa di brutto. Non
potevo farlo.
Vedendomi ignorarla,
leggendo la determinazione nel mio viso smorto mentre mi avvicinavo
alla porta, Katerina giunse di nuovo davanti a me a intralciarmi il
cammino. “Tu...tu sei pazza! Non ti reggi in piedi, non lo
vedi? Vuoi morire proprio, per caso?” mi chiese duramente,
quasi arrabbiata.
Ma non potevo permettere
alla sua preoccupazione di fermarmi. Niente poteva fermarmi in quel
momento, io volevo andare e nessuno doveva ostacolarmi.
Allora
vieni con me.
“No,
tu resti con me. Qui.” precisò Katerina, cercando di
prendermi per una mano ma mi ritrassi.
Sembravo folle, ne ero
certa, ma io sarei uscita da quella casa anche in punto di morte e
lei non poteva, non doveva, fermarmi.
Ti
prego.
Katerina mi guardò
sorpresa, vide qualcosa nei miei occhi che la convinse a cedere alla
mia follia. Qualcosa che non aveva mai visto prima e che la
confondeva non poco. “Perché Irina?” mi chiese.
Domanda più che
giusta da rivolgere a qualcuno che non ci stava capendo più
nulla. Mi stava chiedendo perché fossi disposta a sfidare
il mio corpo pur di andare a cercare Klaus? Bene, nemmeno io
avevo la risposta. Sapevo solo che volerlo trovarlo, assicurarmi che
stesse bene e magari mandarlo poi a farsi benedire.
Katerina sapeva che non
avrei risposto, sapeva che anche io ero priva di quella risoluzione
al mio enigma e così prese un lungo respiro. “Va bene.
Ma io verrò con te.”
* * * *
“Irina,
non ce la fai più! Dobbiamo tornare a casa!”
No.
Mi ero fatta largo tra la
folla, per raggiungere la parete di una delle tante case a schiera
lungo il villaggio e posarmi su di essa con la schiena. Il vociare
della gente intorno a me era troppo forte, le goccioline di pioggia
che cadevano da quel cielo nero erano troppo pesanti sul mio
cappuccio, il freddo troppo intenso e i boati che ci annunciavano
l'arrivo di un temporale rimbombavano nella mia testa troppo
violentemente.
Non
sopportavo il mondo. Ma dovevo
combatterlo per ritrovare Klaus. Voci nella mia testa mi incitavano a
resistere, perché alcune di loro mi ricordavano persino che
potesse essere successo qualcosa al vampiro.
Presi lunghi respiri,
gridando al mio corpo di non abbandonarmi proprio in quel momento e
mandando al diavolo le mani della febbre che artigliavano tutti i
miei sensi.
“Irina,
ti prego! Non ti reggi in piedi, non lo vedi? Lord Niklaus starà
bene, ne sono sicura.” insistette Katerina, ma non le diedi
retta. Al solo sentire il nome di Klaus, mi rimisi subito in sesto e
ripresi a camminare con ostinazione tra la folla. Mia sorella mi
seguì e camminò con me per altri diversi minuti in cui
vagammo praticamente a vuoto. Non ce la feci più e mi accorsi
di essere pure affamata, quei piccoli crampi che contraevano il mio
stomaco erano troppo intensi per poterli sopportare.
Non
ce la facevo, quasi piansi di
rabbia di fronte a quell'evidenza.
Katerina mi fece sedere su
uno scalino davanti ad una locanda e mi disse di attenderla lì,
mentre andava a comprarmi qualcosa da mangiare. Chiusi gli occhi e
presi dei lunghi respiri, guardandomi intorno presa da una rabbia
cieca che rivolsi verso me stessa.
Perché
non potevo essere forte? Mi
dicevo mentre scrutavo una buia stradina accanto alla locanda dietro
di me, dove due ombre si stavano velocemente allontanando. Perché
ero sempre così...
Klaus.
Trattenni
il fiato quando riconobbi una delle due ombre: quella più
slanciata, quella più alta era sicuramente di Klaus. La sua
ombra era legata ad una più piccola, sicuramente di una
ragazza, che lo stava seguendo mentre attraversavano quella stradina
battuta dalla pioggia. Katerina non si apprestava a tornare e Klaus
si stava facendo sempre più lontano, non
potevo perderlo di vista.
Mi alzai di scatto e seguii
quelle due figure lentamente. Le scorsi in fondo alla stradina, ferme
di fronte a quello che sembrava un piccolo albergo e poi entrarono.
Non si accorsero di me.
Accelerai il passo, cercando
di non scivolare sul ghiaccio sotto i miei piedi e giunsi di fronte a
quella porta ormai chiusa, decisa ad aprirla senza troppi pensieri:
mi resi conto che non era un albergo, ma uno di quei luoghi di
piaceri dove gli uomini bevevano e passavano la serata in compagnia
di ragazze poco vestite.
Diversi
tavoli erano disposti lungo quella sala: alcune ragazze ridevano
sguaiatamente insieme ad uomini visibilmente ubriachi, preda
dell'alcool che li stava soffocando con il loro potere. Sul bancone
alla mia destra vi erano altre persone, sempre folli per via della
birra e di quelle ragazze che regalavano loro sorrisi maliziosi e
adulanti. Non mi soffermai molto a guardarli: le due ombre si stavano
allontanando lungo una scalinata che portava ai piani superiori e,
quando passarono accanto alla finestra che lasciava filtrare la luce
grigia del cielo, ebbi la conferma che si trattava di Klaus. Insieme
a lui vi era una ragazza bionda che lo seguiva priva di espressione,
mentre lui le stringeva il polso. Mi morsi il labbro con rabbia e
camminai lungo il centro della sala, in quel piccolo spazio libero
tra i tavoli e il bancone.
Nessuno si accorse di me,
mentre salivo rapidamente le scale e raggiungevo il piano superiore
dove mi ritrovai in un lungo corridoio. Solo delle porte sembravano
decorare quelle pareti buie, una di loro si aprì e lasciò
uscire un uomo e una donna che si tenevano per mano: lei poco
vestita, lui completamente ubriaco.
Mi
superarono, guardandomi come se fossi una bambina in un posto
proibito e raggiunsi la fine del corridoio. Non capivo perché
ma sapevo di
trovarlo là, nell'ultima stanza vicino alla finestra.
Bussai ripetutamente e con
forza, desiderando con tutta me stessa di sfondare quella porta. Non
venni aperta subito, così dovetti esercitare maggior forza sul
pugno per spingere Klaus ad aprirmi. Lo fece pochi istanti dopo,
quando la mia mano restò sospesa nell'aria prima di giungere a
colpire il suo petto nudo.
Era
irriconoscibile: il volto pallido e scavato, un'espressione mista a
divertimento e dolore sul viso e la camicia aperta sul petto. Era
ubriaco ma non solo, era
succube del sangue.
Quella fanciulla che era con
lui, doveva trattarsi di una prostituta, non doveva servire per
soddisfare i suoi piaceri fisici, doveva averla condotta là
per nutrirsene.
Le sue labbra bagnate di
sangue e troppo scarlatte ne erano la prova.
“Che
ci fai all'inferno, little
sweetheart?”
mi
chiese, con un sorriso inquietante che mi fece rabbrividire.
Non gli risposi, entrai
nella stanza e guardai la bionda seduta ai piedi del letto, con un
espressione persa sul volto. Il collo scoperto, due puntini rossi ben
visibili sulla sua carnagione pallida.
Mandala
via.
Mi rivolsi a Klaus che era
rimasto dietro di me sulla soglia della porta, con un sorrisetto
inflessibile sul suo volto e gli indicai la bionda. Piegò la
testa da un lato e mi guardò interrogativo. “Perché
dovrei?” mi chiese, con voce profonda.
Non gli risposi, mi
avvicinai rapidamente a quella ragazza e la presi per mano. Lei si
lasciò guidare dai miei movimenti immobile, mentre la
conducevo verso la soglia della porta per liberarla dalla prigione di
rabbia e furore in cui Klaus l'aveva condotta.
Lui mi impedì di
proseguire: si parò davanti a me, facendomi blocco con
entrambe la braccia, le mani strette agli stipiti e lo sguardo
penetrante fisso su di me. “Scusa, ma quella è la mia
cena.” mi disse, con un sorrisetto maligno sul volto.
Non mi feci intimorire,
malgrado venni attraversata da altri scossoni interni dovuti alla
febbre. Lo affrontai avvicinando il viso al suo e i nostri occhi
parvero inseguirsi in una specie di duello da cui nessuno dei due
riusciva ad uscirne vincitore.
Lasciala
andare.
Era con me che ce l'aveva,
quella ragazza non c'entrava nulla: se doveva prendersela con
qualcuno, quella ero io. Klaus piegò la testa da un lato,
guardò le mie labbra muoversi e poi sorrise.
“Va
bene...va bene.” ripeté, mi diede una spallata e si
avvicinò alla ragazza, prendendole il viso tra le mani e
soggiogandola affinché dimenticasse tutto e lasciasse la
stanza.
Quando quella se ne andò
lentamente, come una marionetta priva d'anima, restammo solo io e
lui.
Ero stupita dal modo in cui
si era arreso, tanto che mi convinsi per un attimo che volesse
tornare subito a casa insieme a me.
Stupida.
Appena feci un passo verso
la porta, Klaus se la chiuse alle spalle con con colpo secco e restò
in piedi di fronte a me, con quel suo solito inquietante sorriso
sulle labbra.
Ebbi
paura di lui, come
mai ne avevo avuta da troppo tempo. Fece un passo verso di me, io ne
feci diversi indietro ma i nostri occhi non smisero per un istante di
restare legati. Quando mi fermai, lui fece lo stesso rimanendo a
pochi centimetri di distanza dal mio corpo pietrificato.
“Hai
ragione a pensarlo: bisogna prendersela sempre con i veri colpevoli,
non con altri.” disse, facendomi comprendere che ero io la
causa di tutto quel buio che vedevo sul suo volto. Io
e solo io.
E malgrado la paura, non
potei che sentirmi in colpa.
Poi, successe tutto
velocemente: Klaus mi afferrò per le spalle e mi spinse contro
la parete alla mia sinistra. Mi tenne ferma, mentre ignoravo il
dolore e cercavo di divincolarmi, provando a respingerlo con le mani
che spingevano contro il suo petto.
Ma
lui non desistette, rideva. Prendeva
forza dal terrore stampato sul mio viso, si cibava di esso e ne
godeva fino a sentirsi quasi vivo. Per
lui era quella la vita in quel momento, l'odore del mio panico che
giungeva a lui e offuscava tutti i suoi sensi.
“È
tutta colpa tua.” mi disse in un sussurro. “Guarda cosa
mi hai fatto.”
Era
impazzito. Guardavo i suoi
occhi, il suo sorriso e non vidi niente di razionale in essi. Solo il
manto della follia che era sceso su di lui, soffocando ogni minimo
sprazzo di ragione che potesse esserci.
L'oscurità
di quella stanza era nulla in confronto a quello che mi stava
portando lui.
“Si
dice che spesso la cura è veleno. Se mi cibo di te, forse la
ferita che mi hai causato guarirà, non credi?”
Klaus,
no!
Lui mi guardava, la sua
espressione si addolcì per un solo istante mentre mi strappava
il mantello dalle spalle, con esso strappò anche parte del mio
vestito che copriva il collo nudo. Le sue mani scorsero in esso,
passando sulle linee scure sotto pelle e che lui sembrava già
pregustare con gli occhi.
No!
Scoppiai in lacrime, quando
il suo viso si accostò a me rapidamente e sentii le sue labbra
posarsi sul mio collo. Le lasciò scorrere lungo la pelle,
disegnando scie di calore lungo di essa e scelse il punto in cui
affondarvi i denti attraverso un bacio. Lasciò le labbra
posate su quell'angolo del mio collo a lungo, come se volesse
prepararsi al morso attraverso il calore della mia pelle.
Mi
avrebbe uccisa. Non era in sé
e non aveva controllo delle sue azioni, per lui in quel momento ero
solo la causa del suo male e voleva punirmi. Lasciò scorrere i
denti lungo la pelle, provocandomi una serie infinita di brividi
lungo la mia schiena e portando al massimo il mio livello di panico.
Intanto
piangevo, piangevo perché non volevo fosse lui il carnefice
della mia morte. Non volevo che
fosse proprio lui ad uccidermi, così come non volevo fosse
Katerina tempo prima. Aprii la bocca e mi lasciai andare a diversi
singhiozzi, mentre premevo le mani contro i suoi pettorali per
allontanarlo via da me.
Ma ero debole, inutile,
piccola e lui era tutto l'opposto.
Portò di nuovo le
labbra al mio orecchio, soffiò in esso e lasciò che i
brividi corressero lungo la mia schiena mentre sembrava voler baciare
la pelle vicino al mio orecchio. “Durerà poco, non avere
paura. Tanto poi tornerai.” disse sghignazzando.
No,
ti prego!
Urlai.
Mai come allora mi resi
conto di aver urlato, di aver lasciato che la mia voce rompesse il
silenzio attorno a noi. E lui mi sentì, volse
lentamente la testa verso di me, lasciando però le nostre
guance a contatto. Io non lo guardai, non direttamente, e continuai a
piangere disperata, perché avevo paura di lui.
Piano piano, sentii i suoi
muscoli rilassarsi, la testa si adagiò delicatamente
sull'incavo del mio collo, la fronte che sfiorava la spalla e il
respiro che soffiava basso, sul tessuto squarciato del mio vestito.
Questi divenne lentamente
più regolare, sempre di più, fino a diventare quasi
impercettibile.
“No..”
sussurrò, con voce flebile, come un lamento di morte. “No.”
ripeté.
Cadde sulle ginocchia,
lasciando le mani scorrere lungo le mie braccia fino ad incontrare le
mie mani e posò la fronte sul mio ventre. Io restai immobile:
avevo ancora il respiro affannato, la paura che scorreva nelle mie
vene e gli occhi che lacrimavano per un motivo che non mi pareva più
chiaro.
Il terrore si stava
lentamente estinguendo, come una fiamma in procinto di spegnersi,
mentre abbassavo lo sguardo sulla figura di Klaus: ancora
inginocchiato a terra, guardava un punto sul pavimento e tremava,
tremava come foglia al vento e stringeva le mie mani, quasi con
rabbia.
Cosa era successo? Cosa
aveva fermato la sua follia, tanto che si stava pugnalando da
solo in quel modo?
Perché lo vedevo,
vedevo come si stava ferendo sempre di più, come stava
sanguinando per sentirsi di nuovo vivo, cosa che non era stato
più fino a poco prima.
Lasciai scorrere lo sguardo
lungo la stanza, mentre Klaus si girava su un fianco e si metteva a
sedere accanto a me, con le gambe distese lungo il pavimento e le
mani congiunte in mezzo ad esse.
L'espressione spenta, lo
sguardo vuoto fisso in un punto imprecisato della stanza.
Restammo fermi in quel modo
per diversi secondi, fino a quando il mio corpo si mosse. La
febbre offuscava i comandi del mio cervello e le mie gambe si
muovevano da sole verso un punto lontano da Klaus, verso la scrivania
spoglia sulla parete di fronte a me, dove vidi dei pezzi di tessuto.
Ne presi uno, il più
candido e grande e giunsi al fianco di Klaus. Lui sembrava ancora
perso, con gli occhi fissi in un punto nel vuoto e il corpo
che veniva solo mosso dal respiro regolare. Sembrava una statua
abbandonata, una di quelle statue perfette che però erano
rimaste dimenticate nel tempo malgrado la loro integra perfezione.
Mi chinai su di lui,
restando però distante di pochi centimetri e con titubanza
allungai il panno verso il suo viso. Come aveva fatto lui quella
mattina di quel giorno, come lui era accorso a pulire la macchia che
bagnava le mie labbra, io feci lo stesso. Cercai di togliere il
sangue che le colorava, di scacciare quella colpa che le sporcava
mentre il cuore mi batteva nel petto con troppa forza.
Klaus si voltò
lentamente verso di me, i suoi occhi mi trafissero come lame e la
fronte si corrugò, mentre mi osservava. Un brivido di paura mi
corse lungo la schiena e, istintivamente, abbassai la mano che
stringeva il panno.
“Non
pulirai mai tutto il sangue che le macchia. E io non dovrei sentirmi
in colpa nel volere il tuo sangue.” mi disse, rompendo il
silenzio attraverso quella frase. Affilò lo sguardo, mentre mi
sembrava di rivedere la luce della follia accendersi dentro i suoi
occhi. “Tu...che
cosa mi hai fatto?”
Prima che potessi dare un
senso a quella domanda, lui mi spinse nuovamente contro la parete:
provai a divincolarmi, mentre le mie ginocchia arrivarono a
stringergli i fianchi e con le mani cercavo di allontanarlo da me,
tenendo le mani sul suo petto. Klaus mi serrava il collo con la mano,
tenendomi ferma contro il muro e osservando le mie lacrime scendere
repentinamente sul viso.
Basta, per favore!
“Che
cosa mi hai fatto, Irina? Che cosa mi hai fatto per farmi perdere
così il controllo? Che cosa mi hai fatto per farmi perdere ciò
che avevo fatto di me stesso?”
gridò lui furiosamente, mentre io chiudevo gli occhi per
trattenere le lacrime che continuavano a scendere. Fermarle
mi
parve impossibile, loro nascevano da qualcosa di molto forte come la
paura, che macchiava il mio animo e mi impediva da pulirlo via da
essa.
Cosa ti ho fatto Klaus?
Lo avevo reso io così...folle.
Ma cosa avevo fatto?
“Sei
solo una bugiarda! Tutto quello che fai, tutto il bene che compi è
solo una bugia!” Continuò a gridare Klaus, mi prese i
polsi che stavo usando per combattere contro di lui e li spinse
contro la parete, in un punto sopra le nostre teste. Accostò
il viso al mio e mi costrinse a guardarlo: i suoi occhi avevano
ripreso il loro colorito naturale, quel blu-grigio che ogni tanto si
illuminava e oscurava a seconda delle emozioni che li attraversavano.
“Dici di voler scoprire la mia umanità, per poi decidere
di pugnalarla di nuovo alle spalle, preferendo morire e lasciarmi
solo
piuttosto
che trasformarti.
Come
hai potuto essere così meschina?!”
Smisi di divincolarmi e
alzai lo sguardo su di lui.
Quindi era quello il vero
problema? Era quella la fiamma
che alimentava la sua follia? Era quello che lo aveva spinto a
compiere quelle nefandezze? Io. Il
fatto che avevo rinnegato il suo sangue, il fatto che avessi quasi
chiamato la morte piuttosto che trasformarmi in un vampiro.
Il
fatto che avrei rischiato di perdere la vita e lasciarlo solo.
Solo. Come
se lui avesse perso il significato di quella parola in tutto quel
tempo, come se io avessi cancellato quella bestemmia
dalla sua bocca. Le lacrime si
asciugarono, mentre guardavo i suoi occhi e mi lasciavo andare al
senso di colpa, non credevo di aver causato tutto quello in lui con
quel semplice rifiuto dell'altra sera.
“Io
quasi pensavo...ho quasi pensato che a te importasse qualcosa.”
continuò Klaus, a denti stretti e con voce stranamente
tremante. Non lo avevo mai visto così indifeso, così
inerme, così umano.
Aveva paura, come tutti gli
umani del resto, della solitudine. Io lo sapevo, eppure avevo dato
per scontato che lui non potesse subire i colpi che alcune parole,
che il silenzio lasciava parlare, perché lo vedevo come
vampiro. Così come vedevo Elijah solo umano.
Tirai su con il naso e lo
guardai, Klaus lasciò lentamente i miei polsi mentre abbassava
gli occhi su un punto in basso, dove le mie ginocchia stringevano sui
suoi fianchi.
Si allontanò di pochi
centimetri, ma rimase inginocchiato davanti a me.
Mi venne di nuovo da
piangere, quando una forza mi spinse in avanti verso di lui e mi fece
prendere il suo viso tra le mani. Klaus volse lo sguardo verso di me,
i suoi occhi lucidi fissarono i miei e, tra le lacrime, gli sorrisi.
Io ci tengo a te.
Lui le sentì quelle
parole, così come sentì il mio urlo di poco prima,
quello che gli trasmise tutta la mia paura. Parve non crederci,
un'espressione stupefatta apparve sul suo volto mentre scuoteva la
testa.
“Non
è vero.” disse.
Sì, invece.
“Perché
continui a mentirmi? Come puoi tenere ad un abominio come me?! Tu che
sei così pura, tu che scappi davanti all'orrore, tu che mi
hai...” si bloccò, interruppe la frase con un morso di
labbra e abbassò lo sguardo. Mi misi in ginocchio davanti a
lui, tenendo ancora il suo viso tra le mani e cercando di non
tremare, di scacciare il demone della paura mentre lo guardavo.
Tu non sei un abominio.
Avevo fatto sentire così
Elijah quando ero fuggita da lui, perché non accettavo ancora
il suo lato da vampiro.
Non volevo nemmeno che lui
si sentisse così, perché non era vero. Lui non era un
abominio.
Lui era...
Mi morsi il labbro, vedendo
che lui ancora non mi credeva. Allora qualcosa scattò in me,
qualcosa che si era destato dal sonno solo in quel momento, qualcosa
che sapevo era rimasto nascosto per troppo tempo e che venne
violentemente a galla in me.
Io ti voglio bene, Klaus.
Lui bloccò il
respiro, quando sentì quella parole, quando avvertì
la loro forza farsi largo dentro di lui.
Era come se il cuore avesse
ripreso a battere, come se quella parole avessero risvegliato in lui
Niklaus.
Quello che si era parato
davanti a me per salvarmi la vita.
Quello che mi aveva parlato
nel buio per consolarmi.
Quello che aveva paura che
morissi.
Quello che poco prima aveva
arrestato la sua follia pur di non togliermi la vita.
Sì, io gli volevo
bene. Ci sarei sempre stata per
lui ormai, era diventato parte della mia vita e io non volevo
lasciarlo solo.
Sconfissi la sua immobilità,
gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo. Lui restò
però fermo, come aveva fatto al mio precedente abbraccio. Ma
in quel momento lo bloccava altro, non l'orgoglio ma qualcosa simile
al senso di colpa che sentivo muoversi nel suo petto.
Klaus abbassò la
testa verso la mia, sentii la sua mano posarsi sulla mia nuca e
accarezzarmi i capelli con delicatezza, come se temesse di rompermi.
“Perché? Perché provi questo per me?”
disse.
Il bene era una cosa che non
si poteva spiegare, nasceva e basta. E in me era nato per lui, da
troppo tempo.
Solo che me n'ero accorta
davvero troppo tardi, tanto che per poco lo persi.
Ciò che successe dopo
mi stupii: le sue braccia mi cinsero lentamente, il suo corpo si fece
più vicino al mio mentre avvertivo il suo respiro soffiare tra
i miei capelli. Mi stava abbracciando.
Non mi domandai nemmeno
perché lo stesse facendo, perché quella sera nessuno
dei due era davvero in sé.
Stavamo solo combattendo la
pioggia, il mondo, noi stessi.
Irina e Niklaus. In
quel momento non c'era nessun vampiro in quella stanza, solo due
ragazzi umani che volevano sconfiggere il mondo. Nient'altro.
* * * *
Pochi giorni dopo mi ripresi
quasi completamente. La mente non era più offuscata, il corpo
non sembrava voler cedere ogni volta che mi muovessi e finalmente mi
sembrò di riuscire a camminare. Rimasi seduta su
quell'altalena, a guardare la bellissima quiete della foresta di
fronte a me e serrando con le mani protette dai guanti le catene
accanto alla mia testa. Dietro di me si susseguirono i rumori di
bambini del villaggio che correvano e giocavano, le loro voci
divertite si mescolavano al fischio del vento che soffiava
imperterrito e che inesorabilmente scacciava il calore di quella
debole luce solare che faceva capolino dalle nuvole grigie.
Aveva smesso di piovere da
un paio di giorni, significava forse qualcosa?
La neve era ancora presente
sulle strade, in alcuni tratti si erano solo formati strati di
ghiaccio su cui ero caduta un paio di volte ma in altri la sua
candida presenza era ancora così presente, tanto che i bambini
la usarono per giocare e lanciarsi delle palle di neve.
Volsi lo sguardo verso il
cielo, vidi apparire oltre quelle nuvole grigie dei pezzi di azzurro
che inevitabilmente mi fecero sorridere. Il maltempo era quasi
passato probabilmente, sia sulla terra e su di me.
Poi
mi feci più vicina al cielo.
Strinsi di più alle
catene dell'altalena, mentre delle mani posavano delicatamente sui
miei fianchi spingendoli in avanti, per poi lasciarli andare ogni
volta che le mie labbra sembravano volessero baciare il cielo. Quando
girai la testa verso un punto dietro di me, rimasi sorpresa nel
vedere che era Klaus a spingermi sull'altalena: il suo sguardo era
fisso verso il cielo, le braccia tese verso di me e le mani aperte
verso la mia schiena, per poi chiudersi un attimo sui miei fianchi
quando doveva spingermi.
“Ti
sei ripresa da nemmeno un giorno e già sei sgattaiolata via a
far preoccupare tutti.” mi rimproverò, abbassando poi lo
sguardo su di me mentre continuavo a dondolare su quell'altalena. “La
prossima volta ti lego da qualche parte. Così almeno stai
ferma.”
Trattenni una risata,
abbassai il capo e chiusi gli occhi. Io e Klaus non ci eravamo più
parlati da quando eravamo tornati a casa giorni prima e sinceramente
mi era andata bene così, visto che non avevo idea di come
affrontare qualsiasi argomento dopo ciò che gli avevo detto.
Klaus smise di spingere
l'altalena, in quell'ultimo mio movimento finii con la schiena contro
il suo petto e il suo respiro che attraversava i miei capelli. Una
sua mano si adagiò sulla mia mentre l'altro braccio mi sfiorò
la spalla, mentre si accingeva a portare il pugno chiuso davanti al
mio sguardo.
“Tieni.”
mi disse, con un tono di voce basso, e aprì il pugno:
all'interno sembrava stesse proteggendo il fermaglio a forma di
farfalla che temevo fosse andato distrutto. Quella mattina lo avevo
cercato per tutto il tempo senza trovarne alcun frammento ma,
malgrado l'amarezza, decisi di non ostinarmi tanto a rimanerci male.
Perché probabilmente Klaus si sarebbe sentito in colpa nel
vedermi dispiaciuta per la distruzione del suo regalo. Forse
sbagliavo, ma credevo davvero che un po' si sarebbe sentito in colpa.
E
lui lo aveva riparato. Era quasi
perfettamente intatto, la piccola crepa sull'ala destra non la vidi
nemmeno perché era tutto il resto che importava.
Un sorriso mi sfuggì
dalle labbra senza che potessi controllarlo e presi il fermaglio tra
le mani.
“Non
fare quella faccia. Ci ho messo due minuti per ripararlo, non c'è
nulla che io non sappia fare, ragazzina.” mi disse lui,
ritraendo il braccio e allontanandosi dalla mia schiena. “E
l'ho fatto solo perché l'ho pagato un mucchio di soldi
quell'affare. E a me non piace sprecare così il denaro.”
Scossi la testa incredula,
ignorando quell'ultima affermazione e mi girai verso di lui per
ringraziarlo. Dovetti alzare il viso per farlo, mentre lui mi fissava
con un'espressione indecifrabile sul volto. Gli occhi erano fissi su
di me, ma sembravano non mi stessero guardando: come se stessero
cercando qualcosa al mio interno, trapassandomi lo sguardo e
giungendo in un punto più profondo di me stessa.
Tornai a guardare davanti a
me verso il fermaglio e continuai a sorridere sollevata.
“Ah
c'è una cosa che devo dirti, Iry.” aggiunse poi lui. La
sua voce era velata di uno strano senso di serietà, ma mi
convinsi che stesse per giungere una delle sue tante provocazioni o
magari qualche semplice frecciatina.
Quando mi girai verso di
lui, il sorriso si spense: era scomparso, al posto della sua immagine
vidi solo i bambini in lontananza che ridevano e giocavano tra loro.
Stupita, lo cercai ancora in
qualche punto dietro di me, ma sembrava davvero scomparso.
Quando
tornai a guardare di fronte a me, lo vidi:
inginocchiato davanti a me, con i piedi che affondavano nella neve,
il viso all'altezza del mio e una maschera fredda che copriva il suo
volto.
La cosa che mi colpì
di più furono, come al solito, i suoi occhi: non erano freddi,
ma pieni carichi di troppe emozioni di cui non ne riconobbi nemmeno
una.
Trattenni il fiato per tutto
il tempo necessario affinché il senso di sorpresa si
dileguasse.
Deglutii e rimasi a guardare
il suo volto, chiedendomi cosa volesse dirmi.
Sperai per lui che non
volesse farmi qualche battuta con quell'espressione sul viso.
“So
cosa sei per me.”
mi
disse, inarcando le sopracciglia e lasciando poi posto al silenzio
che ci pervase. “Qualcosa che mi sorprende sempre e sempre più.
In tutti questi anni, avevo perso persino il significato della parola
stupirsi.”
Calò nuovamente il
silenzio, ma entrambi attendemmo la fine di quel discorso. Lui
abbassò lo sguardo e prese un lungo respiro. “Tu sei...”
disse ancora e tornò a fissarmi. “la mia meraviglia.”
Strinsi più forte le
catene dell'altalena quando pensai che quello non poteva essere
Klaus. No, la mia mente mi stava solo giocando un brutto scherzo,
tendendomi una trappola in cui stavo per cadere.
Eppure lui era lì, mi
stava guardando e le sue parole erano rimaste sospese tra noi.
“Non
diventarmi rossa.” ridacchiò lui e solo allora mi
accorsi del bruciore che sentivo all'altezza delle gote. “Te lo
devo, in pochi riescono a prendermi in contropiede e tu lo fai
sempre. Per questo ho trovato solo quel termine troppo...lusinghiero
evidentemente, per poterti definire. Ancora non capisco come fai ad
essere sempre diversi passi davanti a me, piccola umana.”
Ma
sei sempre tu quello diversi passi davanti a me, grande vampiro.
Restammo a fissarci in
silenzio per qualche istante, fino a quando lui mi posò una
mano tra i capelli e li scombinò con
il suo gesto. “Ora torna a casa, mocciosa.” mi disse,
serio e provocatore al tempo stesso.”Hai ancora il mio sangue
in circolo e sappiamo tutti che sei una calamita per la morte. Se ti
dovesse succedere qualcosa, poi torneresti vampira e dovrei patirti
per l'eternità.”
La provocazione arrivò,
ma troppo tardi affinché potesse avere effetto su di me. Lo
guardai alzarsi in piedi e dirigersi verso un punto dietro di me, il
rumore dei suoi passi che affondavano nelle neve fu l'unica cosa che
percepii, mentre guardavo il vuoto che avevo davanti.
Anche
lui era una sorpresa continua, era
quello che eravamo l'uno per l'altra allora? Scoperte inaspettate che
lasciano di stucco e senza parole. Quando mi girai per guardarlo, lui
sembrava essere scomparso.
Prego,
Niklaus.
Fu quello il mio pensiero di
risposta alle sue parole.
Guardai il fermaglio sul
palmo della mia mano e rimasi ancora ad ascoltare il silenzio.
Just
give yourself to me, together we will be so elegantly broken
Ehilà!
:D
Sono
stata bravissima ad uscire dal personaggio di Klaus in questo
capitolo, davvero -.-'' l'ho reso un incrocio tra Winnie the pooh e
Jack Nicholson in “Shining”, che bello! xD
Malgrado
questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)
La
canzone presente all'interno del capitolo e in quella roba...ehm
immagine all'inizio (sì, quell'immagine terribile è
opera mia, perciò preparatevi una doppia porzione di pomodori
marci da lanciarmi!) è “Elegantly broken” dei
Cain's Offering.
Ringrazio
tutti voi che leggete la mia storia, sia chi legge in silenzio che
chi recensisce. E ringrazio infinitamente coloro che hanno inserito
la mia storia tra le preferite/ricordate e seguite!
Alla
prossima e buona serata! ^^
|
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Capitolo 23 *** Living In A Lie ***
-Living
In A Lie-
Non
riuscivo a credere che avremmo lasciato quella casa sulla collina
entro un paio di settimane.
Mi
sarebbe mancato quel cielo bianco che lottava con i raggi del sole, i
quali si insinuavano tra le nuvole per poter raggiungere la terra. Mi
sarebbero mancati quei fiocchi di neve che cadevano incessantemente
fuori dalla finestra ma sopratutto mi sarebbero mancati i ricordi che
quelle pareti in legno mi regalavano.
Ero
giunta fin là disperata, credendo di aver perso tutto e in
quel momento invece, mi ritrovavo a dovermene andare, ma con un
sorriso sulle labbra.
Sorridevo
anche in quel momento, guardando la neve cadere sulla foresta, mentre
Katerina preparava i suoi bagagli. Notai che parlò pochissimo,
sistemava alla rinfusa i suoi abiti dentro le valigie e ogni tanto si
lasciava andare a lunghi e sonori sospiri che rompevano il silenzio.
“Sai,
mi mancherà questo posto.” disse ad un certo punto,
traducendo i pensieri che mi attraversarono la mente in quel momento.
“Era così bello e rilassante, ma quando torneremo alla
vecchia dimora, ci sarà sicuramente una festa in grande
stile.”
Lo
disse sorridendo. Avevo sentito Klaus e Rebekah parlare già di
organizzare un evento simile e entrambi ne parvero già
alquanto eccitati.
Doveva
essergli davvero mancato molto, il non poter organizzare feste e
divertirsi.
Mi
voltai a guardarla, quando mi accorsi che si era ammutolita e quando
sentii il suo sguardo posarsi su di me. Mi fissò, come se
volesse chiedermi qualcosa ma non avesse il coraggio di farlo, perché
reputava quella domanda imbarazzante.
Scossi
la testa per chiederle cosa avesse e lei abbassò per un
istante lo sguardo, prendendo un lungo respiro.
“Devo
chiedertelo e non fraintendermi. Cosa...cosa provi per lord Niklaus?”
mi chiese, abbozzando un sorriso che però non mi evitò
di avvampare come una sciocca. “Insomma, io non salto giù
dal letto con la febbre da cavallo per andare a cercare qualcuno che
non sopporto, no?”
Parlò
così veloce, che non mi diede nemmeno il tempo di
metabolizzare il mio imbarazzo e di trovare una sana risposta a
quella domanda.
Scesi
dal davanzale della finestra su cui ero seduta e mi portai le mani
sui fianchi.
Non
potevo mica spiegarle che era in parte colpa mia se Klaus era sparito
quei tre giorni, dopo che avevo praticamente rifiutato l'idea di
diventare un vampiro. E non potevo di certo dirle tutto quello che
era accaduto dopo. Avrei voluto raccontarle la verità, ma allo
stesso tempo non potevo farlo.
E
lei avrebbe di certo frainteso il motivo per cui ero corsa a cercare
Klaus, lo stava già facendo in quel momento mentre mi guardava
in quel modo.
“Non
ti sarai mica..?”
No.
Non
le diedi nemmeno il tempo di formulare quell'assurda ipotesi, che la
interruppi e avvampai velocemente, sentendo il fuoco bruciarmi la
pelle. Katerina mi guardò, mi parve poco convinta ma feci
finta di nulla: non potendole spiegarle la verità, quasi
preferì che galleggiasse in quei suoi infondati dubbi.
“Non
te lo chiedo per gelosia, Irina.” disse poi scuotendo la testa
e muovendo i ricci castani attorno al suo viso ovale. La guardai di
nuovo, colpita dal tono carico di malinconia con cui pronunciò
quelle parole. “Da..quando vi siete avvicinati, ti sento ancora
più lontana. Forse è stupido da pensare ma è
come se..lui ti portasse via da me.”
Corrugai
la fronte, quando la vidi rabbrividire.
Mi
aveva già espresso un concetto simile tempo prima, quando era
venuta fuori la storia dei vampiri e io avevo deciso di non dirle
nulla. E ancora una volta provai un immenso dispiacere, nell'averla
trascurata in quel modo. Ma non capivo perché Klaus scaturisse
quella insicurezza in lei.
Mi
avvicinai a Katerina e le presi le mani tra le mie, muovendole
nell'aria e sorridendo.
Nessuno
mi porterà via da te.
Le
dissi, cercando di infonderle un po' di sicurezza riguardo l'affetto
che provavo per lei.
Anche
se enormi bugie ci avevano divise, io non l'avrei mai abbandonata e
lei aveva bisogno di saperlo. E quella sua continua paura era
infondata, nessuno ci avrebbe mai separate: eravamo state sempre
insieme e sarebbe stato così per sempre.
Un
sorriso da bambina si allargò sulle labbra di Katerina. “Noi
due ci facciamo troppe paranoie, eh?” mi chiese poi, quando il
mio sorriso la convinse.
In
effetti, eravamo sempre state molto paranoiche e insicure su tutto,
ma cosa potevamo farci?
Poco
dopo, le dissi che dovevo andare in camera a prendere una cosa, avevo
deciso di scrivere un po' sul mio diario mentre lei faceva i bagagli,
visto che non avevo alcuna voglia di fare i miei.
Ma
appena varcai la soglia della mia stanza, notai subito che qualcosa
non andava. Era tutto in ordine: la finestra chiusa, il letto ben
fatto ma il cassetto del comodino era aperto. All'interno doveva
esserci il mio diario, ma invece quello era aperto sul pavimento,
circondato da una miriade di pagine che erano state visibilmente
strappate da esso.
No...
Mi
chinai su di esso e lo guardai, era quasi praticamente distrutto e i
miei ricordi erano tutti riversi a terra, come se qualcuno avesse
voluto distruggere le mie memorie. Trattenendo lacrime di rabbia per
il fatto che quel diario mi era stato regalato da Elijah e ci tenevo
troppo, mi resi subito conto di una cosa: mancavano diverse pagine.
*
* * *
Non
potevo credere una cosa simile.
Chi
poteva essere entrato in casa per distruggermi il diario?
Provavo
una rabbia immane che però non potevo rivolgere verso nessun
individuo concreto, dato che non avevo idea di chi potesse essere
stato. Sistemai le pagine che riuscii a recuperare dal pavimento
dentro ciò che restava del diario e rimasi inginocchiata a
sospirare per non scoppiare in lacrime di rabbia.
Quel
diario che Elijah mi aveva dato in dono era una delle cose a cui
tenevo maggiormente e qualcuno si era divertito a ridurmelo a pezzi.
Inoltre,
diversi ricordi mi erano stati rubati e il perché non mi
poteva certo essere chiaro.
“Cos'è
successo qui?”
Nulla.
Nemmeno
mi voltai verso Elijah, quando sentii la sua voce rompere il silenzio
dentro la mia stanza.
Se
mi fossi voltata, se avessi guardato verso la soglia della porta dove
lui doveva trovarsi in quel momento, di sicuro si sarebbe accorto che
il diario era stato praticamente distrutto. Non volevo che lui
sapesse cos'era successo al dono che mi aveva fatto e quindi lo
nascosi velocemente sotto il letto.
Come
un'attrice che entra in scena, mi preparai a sfoggiare il sorriso più
sereno che potessi delineare sulle mie labbra e mi girai verso lui.
Me lo ritrovai ad un centimetro di distanza dal corpo, tanto che il
fiato mi si arrestò in gola per la sorpresa, appena scorsi il
suo volto così vicino al mio, che mi sembrava di percepire il
suo lieve respiro passarmi tra i capelli. Mi posò la mano
sulla fronte, in un gesto che mi fece chiudere gli occhi: il suo
tocco era bollente, eppure fu il ghiaccio ad attraversarmi la pelle
in quel momento.
“Non
uscire ancora. Potresti avere una ricaduta.”disse in un
sussurro e ritraendo la mano con lentezza.
Quelle
parole mi fecero venire i brividi, perché mi rammentarono che
Elijah era all'oscuro di molte cose: non sapeva che io ero uscita
anche prima di riprendermi, per andare a recuperare suo fratello dopo
la nostra litigata. Come non sapeva nemmeno che Klaus mi aveva fatto
bere il suo sangue.
Non
dovevo sentirmi in colpa nel tenergli nascosti quegli equivoci, visto
che si erano risolti tutti per il meglio, eppure mentirgli mi faceva
davvero male.
Elijah
corrugò la fronte. “Tutto bene?” mi domandò,
con una punta di sospetto che dissolse tutti i miei pensieri. Alzai
di nuovo lo sguardo su di lui, chiedendomi se fossi un libro troppo
aperto e se lui percepisse che
gli stavo nascondendo qualcosa.
Il
cuore mi tuonava dentro il petto, in un moto troppo forte e violento
che lui non poteva non sentire.
Annuii,
sforzandomi di mostrarmi piuttosto sicura di quel gesto e ordinando
al mio cuore di smetterla di battere così forte. Ma quello
ascoltava i comandi della colpa, non della mia mente.
“Il
tuo cuore sta battendo ad una velocità assurda. C'è
qualcosa che ti preoccupa?” Elijah andò a sedersi sulla
poltrona accanto al mio letto, come se aspettasse che gli parlassi da
un momento all'altro e gli esternassi ciò che mi stava
tormentando. Oramai aveva capito tutto, ma io non potevo di certo
dirgli cosa nascondevo.
Mi
portai le mani sui fianchi e mi avvicinai a lui, pensai ad uno
stratagemma che non lo preoccupasse in quel modo e che mi cavasse
fuori da quell'impiccio. Ma questo implicava dirgli un'ennesima bugia
e io non avevo alcuna voglia di prenderlo in giro ulteriormente.
No,
nulla.
“Irina?
Tu mi stai nascondendo qualcosa.” mi disse, guardandomi negli
occhi.
No,
non è vero.
“E
ora mi stai mentendo.”
Strinsi
i pugni sopra i fianchi, pensando che gli stavo nascondendo così
tante cose che non avrei saputo nemmeno da dove partire. Ma anche se
mi pesava tenerlo all'oscuro di tutte quelle cose, non avrei parlato
mai e poi mai. Non volevo che lui si arrabbiasse, sopratutto con
Klaus: non volevo rendermi colpevole anche di una loro ennesima lite.
Nessuno dei due lo meritava.
Ti
sbagli.
Fu
quella l'unica cosa che riuscì a dirgli, anche se lui sembrava
non sbagliare mai. Sapeva leggere pensieri ed emozioni in un semplice
battito cardiaco e il mio cuore stava parlando troppo in quel
momento.
“Il
tuo cuore non dice questo.” mi disse, sorridendo quasi
vittorioso.
Forse
lo ascolti male allora.
Sorrise,
come se la mia fosse una colossale baggianata “Lo pensi
davvero?” disse.
No
che non lo pensavo, era assurdo dirgli una cosa simile. Ma non potevo
fare altrimenti, visto che ero costretta a recitare la mia parte.
Non
mi accorsi nemmeno di come lui tese le mani verso di me, afferrò
con delicatezza i polsi e mi tirò a sé, senza che
potessi compiere alcun gesto: portò delicatamente le mani
dietro la mia schiena e posò l'orecchio sul mio petto, proprio
nel punto in cui stava battendo il mio cuore.
Le
fiamme dell'imbarazzo divamparono sul mio viso, quello batteva così
forte nel petto che per un attimo pensai potesse addirittura
infastidire l'udito di Elijah. Mi sembrò di sciogliermi,
mentre lo avevo così troppo vicino.
Elijah?
Posai
le mani sulle sue spalle, ma applicandovi poca forza perché
volevo capire cosa stesse facendo.
“Così
sei sicura che non sto sbagliando.” sussurrò lui,
abbassai gli occhi sul suo capo e mi accorsi che aveva gli occhi
chiusi, come per cogliere appieno ciò che il mio cuore stava
dicendo. “Ora lui batte fortissimo, perché la mia
vicinanza ti provoca mille emozioni. Imbarazzo in primis.”
Ma
non lo sapeva? Dubitavo ormai che il mio cuore battesse ad un ritmo
regolare quando ero in sua presenza.
“Ma
prima...prima sembrava che lui dicesse altro, rispetto a quello che
invece stavi provando a trasmettermi tu.” disse poi, alzò
la testa su di me allontanandosi dal mio petto e ci guardammo, il
senso di colpa tornò prepotentemente ad accogliermi nella sua
dimora scura e il respiro parve bloccarsi all'altezza del petto.
“Come se tu stessi mentendomi e il tuo cuore, invece, voleva
gridare la verità.”
Si
alzò poi in piedi, il mio sguardo seguì i suoi occhi
per tutto il tempo e restammo l'uno di fronte all'altra mentre le
cose che stavo trattenendo, mi spinsero a deglutire.
“In
questi secoli ho imparato..che un battito cardiaco non mente mai.”
aggiunse poi, sorridendo ma come se con quelle parole volesse
incitarmi a parlare.
Ma
continuai a negare, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso
fintamente sincero.
Poi
mi voltai, storcendo la faccia per cancellare quella bugia dalle mie
labbra e cercare di riprendere un po' il controllo delle mie
emozioni.
“Si
tratta di Niklaus?” mi chiese lui e a quel punto mi arrestai.
Mi
girai a guardarlo, il suo viso assunse un espressione piuttosto
sospetta, come se nel mio cuore avesse letto il nome di suo fratello.
Spalancai le braccia e negai.
“Te
lo chiedo perché mentire non è nella tua indole e
quelle poche volte che lo hai fatto, è stato per coprire lui.”
mi chiese ancora, facendo un passo verso di me e quasi non sbattendo
mai le palpebre, pur di mantenere il contatto visivo con il mio.
Percepii una punta di fastidio mentre parlava del fratello e del
fatto che mi spingesse a mentirgli, come era successo con la storia
del bacio per gioco.
Klaus
non ha fatto nulla.
Gli
feci comprendere quel concetto mostrandomi più che risoluta.
Per
come era Elijah, se avesse saputo che il fratello mi aveva fatto bere
il suo sangue contro il mio volere, sarebbe di certo andato dritto
sparato da lui. Avrebbe tralasciato il fatto che Klaus aveva comunque
compiuto quel gesto per il mio bene, anche se in modo sbagliato. Non
lo avrebbe mai perdonato.
Mi
guardò a lungo, poi sembrò accettare la realtà
dei fatti.
O
che gli stavo mentendo, o che Klaus non aveva davvero fatto nulla.
Visto
il suo sguardo, optai per la prima.
“Va
bene.” disse solo, annuendo.
Provai
sollievo e amarezza quando lo vidi dirigersi verso la porta: sollievo
perché sembrava non mi fossi fatta scoprire e amarezza perché
lui se ne stava andando, dopo che gli avevo deliberatamente mentito.
Guardai
verso il mio letto, sotto cui era nascosto ciò che restava del
mio diario, quando la sua voce mi richiamò. “Io so che
tu mi menti al suo riguardo perché non vuoi farci litigare.”
disse.
Mi
accinsi ad ascoltare il resto della frase, senza però voltarmi
verso di lui.
“Ma
se lui sbaglia con te, sono costretto a litigare con lui e la colpa
non è tua. Ma sua.” disse. “La tua unica colpa è
forse fidarti così tanto di lui.”
A
quelle parole, mi girai verso la soglia della porta e lui era
scomparso.
Dopo
quella frase, l'amarezza e il sollievo sparirono come neve al sole e
rimasi sola con lui: il senso di colpa.
* *
* *
Erano
le pagine che narravano i giorni della mia febbre ad essere scomparse
e io stavo elaborando mille e mille teorie per capire che fine
avessero fatto e sopratutto perché avessero fatto quella fine.
Sospirai
e continuai a cercare di sistemare le restanti pagine dentro il
diario, seduta sulla scrivania di fronte alla finestra in salotto.
Fuori la mezza luna brillava nel blu della notte, donando quasi un
sorriso a quel cielo scuro e puntellato di stelle.
Rimasi
concentrata sui fogli e provai a sistemarli all'interno in maniera
che quello tornasse a sembrare un diario ma gemetti di dolore quando
mi provocai un taglio sul dito attraverso uno di quei fogli.
Ritrassi
velocemente la mano e guardai quelle piccole gocce di sangue scorrere
lungo il mio indice, lasciando un leggera scia rossa lungo la mia
pelle. Accorsi subito a bloccare la fuoriuscita del sangue, alzandomi
in piedi e avvolgendomi il dito in un pezzo di stoffa che presi
sempre dalla scrivania.
“Che
stai facendo?”
La
voce di Klaus mi colse di sorpresa.
Mi
voltai di scatto verso di lui e i suoi occhi saettarono prontamente
al mio dito insanguinato, il pezzo di stoffa bianca si stava
lentamente tingendo di rosso e lui trattenne per qualche istante il
respiro, come per assaporare a pieno l'odore del mio sangue. Mi
strinsi il dito al petto, avvolgendolo anche nel palmo della mia mano
e scossi la testa, per fargli capire che non stavo facendo nulla,
tanto non sarei mai riuscita a sistemare quel diario. Lo nascosi
subito sul sedile della sedia, in modo che lui non lo vedesse.
Anche
se non lo avrebbe mai visto, il suo sguardo era fisso su altro.
“Lascia,
faccio io.” disse, allungando la mano verso di me e invitandomi
così a porgergli la mia. Ma non lo feci subito, lo guardai
interrogativa e rimasi con la schiena adagiata sul bordo della
scrivania, mentre le candele illuminavano l'interno della stanza,
oscurata dal cielo notturno.
“Andiamo,
non avere paura.” Klaus fece un passo verso di me, tenendo
ancora il palmo della sua mano aperto verso di me e muovendo le dita
affinché gli cedessi la mia.
Presi
un lungo respiro, chiedendomi perché provassi quella strana
sensazione nei suoi confronti in quel momento, e gli porsi la mano.
Lui tolse lentamente il panno dal mio dito insanguinato e guardò
quelle gocce color cremisi bagnarmi la pelle, come se fossero pioggia
su di essa.
E
mi sembrò di rivivere un vecchio ricordo, quello in cui Klaus
medicò una piccola ferita, che mi ero procurata con la spina
di una rosa, attraverso le sue labbra. Trattenni il fiato e sussultai
silenziosamente, quando lo vidi portarsi il mio dito tra le labbra.
Lui
chiuse gli occhi, mentre avvolgeva la mia mano tra le sue e
circondava il dito ferito con le labbra.
Rivissi
quel momento di mesi prima con un solo cambiamento: la vecchia Irina
non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi allora, il timore che
nutriva nei confronti di quell'uomo era troppo forte.
La
nuova Irina invece non aveva più paura di lui invece e
riusciva a guardarlo negli occhi senza tremare.
Anche
se, in quel momento, provai comunque un profondo timore mentre lo
vedevo bere il mio sangue.
Le
sue labbra smisero di avvolgermi il dito e lo vidi riaprire gli
occhi, il respiro che accarezzava la pelle del dorso della mia mano e
lo sguardo che si focalizzava in un punto sospeso tra noi.
Le
sue labbra scorsero poi lungo la pelle, con una lentezza e leggerezza
nei movimenti che mi immobilizzò ulteriormente. La morbidezza
delle sue labbra raggiunse un punto vicino al mio pollice, rimase
fermo su di esso e piano piano le labbra si schiusero lentamente.
Allora mi accorsi di come i suoi occhi erano mutati: divenendo più
scuri e mostrando delle venature scure accanto ad essi.
La
fame stava per prendere il sopravvento, lo compresi quando sentii
qualcosa di pungente sfiorarmi la pelle, ma senza penetrare in essa.
Klaus,
no.
Gli
posai la mano sulle sue che stringevano ancora il mio dorso e Klaus
alzò lo sguardo su di me.
Sembrò
scrutarmi a lungo, come se non mi avesse riconosciuto subito e poi
lasciò lentamente la mia mano. “Sì, giusto.”
sussurrò, rimase in silenzio fino a quando la sua presa
abbandonò completamente la mia pelle. Prese un altro pezzo di
stoffa dalla scrivania accanto a noi e me lo porse, facendomi segno
di avvolgervi dentro il dito. “La ferita sanguinerà
ancora per un po'.”
Lo
guardai come ipnotizzata per qualche altro istante, ripensando al
momento in cui le sue labbra erano accorse a sopprimere il sangue che
bagnava la mia pelle. E a soddisfare la sua fame.
Poi
mi avvolsi il dito nel pezzo di stoffa che lui mi aveva dato.
“Sai,
il tuo sangue ha un sapore ...irresistibile.” Klaus tornò
a parlare con un tono di voce alto, distruggendo le barriere del
silenzio che era sceso su di noi e avvicinandosi ad un tavolino
vicino alla libreria alle mie spalle, quello che conteneva bicchieri
di vetro e una bottiglia di liquore.
Mi
voltai lentamente verso di lui e lo vidi riempire due bicchierini, il
liquido cantò tra le pareti di vetro e oscillò come
mare in tempesta dentro quella piccola prigione.
“Nel
senso che ha un sapore...troppo dolce, almeno per me. Delle volte
faccio fatica a trattenermi dal morderti...non so Elijah come
faccia.” disse poi.
Si
girò verso di me e mi porse uno dei due bicchierini, quello
meno pieno ma rifiutai, scuotendo la testa. Non mi andava di ripetere
il momento in cui cercavo di prendere i fiori da un quadro, avevo
preso la saggia decisione di non bere più.
“Va
bene, come vuoi.” Klaus se lo portò alle labbra e lo
bevve tutto d'un sorso, prese anche l'altro e andò a sedersi
sul davanzale della finestra accanto alla libreria. Non capivo se
voleva semplicemente bere o se voleva scacciare in qualche modo il
sapore del mio sangue dal suo palato.
Ero
troppo confusa dal suo discorso riguardo il mio sangue: doveva essere
una specie di complimento, quello che era tentato dal mordermi? Era
strano che un vampiro vecchio secoli fosse solo tentato dal farlo,
credevo che avesse più controllo di sé.
Ti
piace il mio sangue quindi?
Gli
chiesi sospetta, lo aveva definito irresistibile e la cosa un
po' mi sembrava strana.
Klaus
alzò lo sguardo su di me, quel pensiero balenò anche
nella sua mente, tanto che lo vidi subito abbassare lo sguardo quasi
imbarazzato. “Si dice che le vergini abbiano il sangue più
buono.” si giustificò.
Inarcai
le sopracciglia ma lui sembrò voler subito cambiare argomento.
“A
proposito...perché non hai detto a mio fratello quello che ti
ho fatto?” mi chiese poi, allungando le gambe sul pavimento e
posando una mano sul suo ginocchio sinistro.
Posò
gli occhi su di me, mentre trangugiava quel liquido marroncino che
occupava il suo bicchiere.
Mi
avvicinai a lui lentamente, trattenendomi dal sedermi al suo fianco e
tenendo il dito ferito ancora stretto nella mano, adagiata sul mio
petto. Provai di nuovo un profondo senso di colpa nel mentire ad
Elijah.
Ma
lo stavo facendo perché, sicuramente,lui non l'avrebbe presa
bene.
Klaus
aveva pur sempre imposto il suo volere con la forza, ma lo aveva
fatto perché ero in pericolo di vita.
Elijah
non avrebbe perdonato una cosa simile e non volevo che i due fratelli
litigassero per una cosa che, alla fine, non era tanto grave quanto
potesse sembrare.
A me
non piaceva litigare con Katerina e lo stesso doveva valere per loro.
Alzai
le spalle e scossi la testa, perché non avevo parole per
dirglielo e perché lui comunque ne conosceva il motivo. Mi
poneva quella domanda solo perché voleva mettermi alla prova.
Klaus
non rispose, girò la testa verso il cielo scuro oltre la
finestra e guardò la luna piena brillare in cielo.
La
sua luce investì il suo pallido viso, i suoi occhi sembrarono
quasi vitrei visti in quella maniera.
“Ed
è vero?” mi chiese poi, volse lo sguardo nuovamente su
di me, quando si rese conto che non avevo compreso quella domanda.
“Ciò che mi hai detto...”
A
quel punto avvampai, distolsi lo sguardo e serrai le labbra.
Stranamente,
quel discorso metteva in imbarazzo anche lui.
Però
annuii perché, anche se mi vergognavo a pronunciare di nuovo
quelle parole, non gli avevo mentito quel giorno. Provavo davvero
quel bene per lui.
Klaus
sorrise e tornò ad osservare il cielo fuori dalla finestra.
“Irina, a me non si può voler bene. È impossibile
volermi bene.” disse, quasi divertito. “È più
facile voler bene a qualcuno come mio fratello: l'erede perfetto per
i nostri genitori, il fratello perfetto per Rebekah...”
Tornò
poi a guardarmi e abbozzò un sorriso sghembo. “L'uomo
perfetto per Irina Petrova..” disse e un lieve rossore mi salì
alle gote, tanto che dovetti distogliere lo sguardo anche se sapevo
che Klaus avrebbe comunque notato quelle fiamme che bruciavano sul
mio viso, malgrado la debole luce che illuminava quella stanza.
Non
parlare così di lui.
Provai
un leggero fastidio dopo aver udito quelle parole: sembrava quasi che
Klaus dicesse che Elijah era scontato, perché lui era più
facile da amare grazie al suo carattere virtuoso. Non era così:
era difficile rimanere onesti come lo era lui, in un mondo dove
regnavano oscurità, bugie e dolore. E dubitavo che Elijah si
sentisse perfetto, perché avevo visto spesso una luce carica
di tristezza nel suo sguardo.
“Non
ti alterare.” Klaus mi lanciò un'occhiata di fuoco, che
mise a tacere la mia rabbia. “Non volevo offenderlo. Dico solo
che è più facile apprezzare...le cose che non dobbiamo
cambiare perché sono già perfette come sono. Ma spesso,
non sono le cose più facili quelle di cui abbiamo davvero
bisogno.”
Lo
guardai interrogativa, sperando che lui non volesse chiudere lì
il discorso e mi strinsi le braccia al petto. Klaus distolse lo
sguardo da me, bevve ancora un sorso del suo bicchiere e pensai che
quello non doveva essere solo il secondo che aveva bevuto quella
sera.
Probabilmente
ce n'erano stati altri prima, quando non era con me.
E,
in quel momento, compresi quanto fossi stata sciocca a prendermela
poco prima. Probabilmente quel discorso nasceva dal fatto che Klaus
si era sempre sentito escluso nella sua vita, forse perché
reputato così difficile da capire da risultare sbagliato agli
occhi di tutti.
Forse
quello voleva dirmi, quelle parole su Elijah significavano che lo
ammirava in realtà? Non riuscivo a capirlo, Klaus restava
spesso un punto interrogativo, impossibile da risolvere.
“Nei
cammini privi di ostacoli arrivi soddisfatto e senza fatica alla
meta...sai che la fine del percorso non può che essere
migliore di ciò che si è appreso per arrivarvi. Nei
cammini tortuosi invece, arrivi stremato, ferito, perduto alla meta e
puoi provare solo due cose alla fine: sollievo, se scopri che la meta
raggiunta compensa la fatica che hai fatto per raggiungerla o
delusione se scopri con amarezza che la meta raggiunta è
peggiore del cammino intrapreso.”
Piegai
la testa da un lato, Klaus ricambiò il mio sguardo e in quella
quiete che ci univa, mi parve che stessimo rivolgendoci più
parole di quanto avessimo mai fatto. E in effetti quella era la
discussione più strana e lunga che avessimo mai avuto, esclusa
ovviamente l'allegra chiacchierata avuta quando eravamo ubriachi.
Mi
sedetti accanto a lui, sistemandomi le gonne in modo che non
coprissero le sue ginocchia e lui volse lo sguardo verso di me.
Tu
pensi di essere così sbagliato? Gli
chiesi, perché era quello il vero nocciolo della questione.
Lo
feci ridere. “Tesoro, io non penso di essere sbagliato. Non
prendere le mie parole come autocommiserazione perché non è
così.” mi disse, guardando dritto di fronte a sé
e portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra. “Io sono
giusto, perché sono me stesso. Se il mondo mi reputa
sbagliato, non posso farci niente e non mi interessa.”
Ma
stava mentendo. In parte gli interessava.
Aveva
detto che il mondo lo reputava sbagliato, ma da quelle parole
trapelava il suo desiderio di venir apprezzato per davvero da
qualcuno così com'era. Io ad Elijah avevo imparato a voler
bene praticamente da subito, perché si era mostrato per ciò
che realmente era e io non avevo potuto non nutrire subito affetto
nei suoi confronti. Klaus anche era stato sé stesso, ma solo
in parte poiché lui tendeva a mostrare più i suoi
difetti che i suoi pregi.
Mostrare
le proprie virtù, come faceva Elijah, non era per niente
facile come lui diceva. Era più semplice cedere ai propri
sbagli, mostrare i propri difetti e adeguarsi ad un mondo in cui
violenza e oscurità regnavano. Ma Klaus aveva mostrato anche i
suoi pregi, altrimenti non mi avrebbe salvato la vita così
tante volte.
“Dico
solo che trovo alquanto irreale quello che mi hai detto. Visto tutto
quello che ti ho fatto in questi mesi...e non voglio qualcuno che mi
menta, credendo di farmi sentire bene.”
No,
tu vuoi qualcuno che ti apprezzi così come sei. Non
nasconderlo. E io ti apprezzo così come sei.
Klaus
abbassò gli occhi, era come se avesse sentito i miei pensieri
e ne fosse rimasto alquanto...basito.
Ma
perché non comprendeva ancora ciò che gli avevo detto
giorni prima? Era così difficile per lui arrendersi
all'evidenza che non era poi così sbagliato sentirsi legato a
qualcuno da un sentimento umano?
“Deve
essere difficile per te...vero? Avere così tante cose da
dire...ma non poterlo fare?” mi chiese.
Alzai
le spalle e continuai a sorridere.
Ma
io posso parlare.
Non
c'era bisogno di parole per trasmettere pensieri, per dire ciò
che si provava, per dimostrare ciò che si sentiva dentro. E
non c'era nemmeno bisogno di un cuore che batteva per provare
sentimenti.
Come
io potevo parlare, lui poteva amare e provare affetto.
Anche
senza voce e cuore, potevamo farlo lo stesso. Ma lui sembrava non
capirlo.
Tu
hai la tua forza.
Comincia
a mimargli quelle parole, nella speranza che comprendesse ciò
che stavo per dirgli e lui mi guardò attentamente, mentre
iniziavo a elencargli tutto ciò che lui possedeva.
Tu
hai me. Forse valevo poco, ma
ero uno dei tanti ostacoli del suo tortuoso cammino per capire che
non era solo e sbagliato come pensava di essere.
Ma
sopratutto hai i tuoi fratelli. Elijah
e Rebekah gli sarebbero sempre stati accanto, solo lui non lo capiva.
La
famiglia non lo avrebbe mai abbandonato, i suoi fratelli non erano
come Mikael ed ero
certa che sarebbero sempre stati con lui. Always and
forever, come mi disse una volta
Elijah.
Come
io ho te, loro e mia sorella.
Non sono sola nemmeno io.
A
quelle parole Klaus mi guardò a lungo, affondando il suo
sguardo nel mio e arrivando in profondità di domande e
risposte che avevo nascoste nella mia anima.
Parole
che non avrei mai pensato, ma che lui volle cogliere.
“Tu
e Katerina...” ripeté. “Io uno dei miei fratelli
l'ho perso. Chi ti dice che non te la porteranno via?”
Non
lo permetterò.
Anche
se quella domanda mi aveva un po' destabilizzata, la risposta la
diedi subito: Katerina non me l'avrebbero mai portata via, l'avrei
difesa da qualsiasi forza avesse cercato di farlo.
Klaus
allungò la mano verso di me, cogliendomi di sorpresa, e posò
il palmo sulla mia guancia sinistra.
Le
sue dita accarezzarono la pelle dietro i miei capelli e chinò
il viso su di me per guardarmi meglio.
Non
mi ritrassi subito, perché i suoi occhi mi parvero racchiudere
qualcosa nel loro blu, che mi faceva quasi male al cuore. Cos'era?
“Tu...moriresti
per lei, vero?” mi chiese, con una punta di amarezza nella
voce.
Non
compresi il perché mi parlasse in quel modo di mia sorella, ma
la mia risposta arrivò subito, senza troppi ripensamenti
perché avrei raggiunto volentieri la morte pur di salvarla.
Sarei
morta per Katerina.
Annuii
per rispondergli e lui lasciò la mano adagiata sulla mia
guancia, fredda e immobile.
Non
la scacciai via, perché quello sguardo con cui mi stava
fissando in quel momento restava alquanto insolito persino per lui.
Mi
sembrava fosse colto dal senso di colpa, l'espressione era tipica di
chi non si aspettava quella risposta, anche se era chiaramente
scontata. Mi ritrassi lentamente, nello stesso momento in cui lui
allontanò la sua mano dal mio viso e abbassò lo
sguardo.
Ma
che gli era preso? Dubitavo fosse già ubriaco, sembrava come
se fosse stato colto da mille pensieri in quel momento e che tutti,
tutti, lo stessero
logorando dentro.
Qualcosa
non va?
Gli
chiesi posandogli una mano sulla spalla. Lui sembrò ricordarsi
allora della mia presenza, voltò nuovamente la testa verso di
me e abbassò lo sguardo sulla mano che tenevo sopra la sua
spalla. Sembrò voler rimettere in ordine la sua espressione,
come per riprendere controllo delle sue emozioni.
O
meglio, delle catene che le bloccavano e che gli assicuravano di
mostrarsi sempre freddo e impassibile, cose che lui non era.
“No,
va tutto bene.” rispose solo, distogliendo lo sguardo.
Ma
mentiva di nuovo.
Non
ebbi tempo di chiedergli altro, che una voce troppo vicina giunse a
noi.
“Irina?”
Elijah
pronunciò il mio nome, come fosse una lama di ghiaccio giunta
a rompere il silenzio.
Mi
voltai verso di lui di scatto: era accanto a noi, l'espressione era
seria, fissa sul fratello e il suo viso sembrava essere una maschera
di freddezza, che congelava tutte le sue emozioni.
Di
certo la rabbia era tra queste, quegli occhi scuri fermi su Klaus non
trasmettevano altro.
Mi
alzai in piedi lentamente e mi avvicinai a lui, sembrava però
che non mi vedesse: gli occhi erano fermi su Klaus che, invece,
continuava a bere incurante di quello sguardo tagliente che lo stava
inchiodando.
Elijah
era furioso, lo capivo da come i suoi occhi sembravano più
penetranti del solito.
Cercai
di toccargli la spalla, ma lui si scansò mostrandomi dei fogli
ingialliti piagati in quattro parti.
Non
mi guardò nemmeno, mentre li prendevo tra le mani e riconobbi
lo spessore delle pagine del mio diario.
Li
aprii lentamente e il cuore prese a battere forte in preda al
terrore. Strinsi con forza i bordi dei fogli, mentre leggevo quella
parole che la disperazione mi aveva spinto a scrivere sul mio diario,
l'unico che poteva davvero ascoltarmi in quel momento e l'unico in
cui pensavo di trovare delle risposte al perché Klaus mi
avesse ferito in quel modo sere prima, quando ero vittima della mia
febbre. I fogli scomparsi.
No.
Elijah
mi passò accanto con passo elegante e si avvicinò
lentamente al fratello, mentre Klaus sembrava non curarsi di quello
che stava per accadere. Lo raggiunsi prontamente, muovendomi con
l'agilità necessaria affinché non inciampassi sui bordi
della mia gonna, e mi parai davanti a Klaus guardando Elijah con aria
supplichevole.
Elijah,
ti prego. Stai calmo.
Ma
lui mi ignorò, guardò oltre la mia spalla e tenne gli
occhi fissi su Klaus, che sembrava essersi accorto solo allora che il
fratello si era avvicinato in quel modo.
“Cosa
ho combinato, stavolta?” chiese, quasi innocentemente. Non
capivo come gli riuscisse facile sfidare quello sguardo. Lo sentii
alzarsi in piedi e ricambiare lo sguardo del fratello.
Mi
sembrava di essere uno scoglio in balia di due onde mosse dalla
tempesta, vittima della loro forza.
“Hai
anche il coraggio di chiederlo?”esclamò Elijah.
Elijah,
ti prego!
“Irina.
Tu stanne fuori.”
La
sua voce era durissima, tanto che mi sentii tremare dentro come mai
mi era successo prima.
Ma
era normale che provasse una tale collera: gli avevo di nuovo mentito
e, per i valori che aveva, non gradiva affatto ciò che Klaus
aveva cercato di fare giorni prima. “Hai...davvero cercato di
ucciderla?”
Klaus
scoccò la lingua. “Non ti devo alcuna spiegazione.”
disse, passandomi accanto e così vicino che i nostri vestiti
si sfiorarono. Elijah non distolse lo sguardo dal fratello nemmeno
per un istante, lo guardò allontanarsi verso il tavolino dei
liquori e versarsi un altro bicchiere.
Quello
che avevo cercato di evitare stava per accadere ed, essendone la
causa, dovevo in qualche modo impedire che l'incendio divampasse.
Elijah si avvicinò lentamente al fratello che gli dava le
spalle, con quella grazia felina di un predatore che si nutre del
silenzio attorno a sé prima di aggredire la preda.
Solo
che Klaus mi sembrava voler accettare quella sfida, o era troppo
ubriaco e forse...era ciò che voleva?
Sembrava
troppo tranquillo di fronte allo sguardo di Elijah, uno sguardo che
avrebbe davvero fatto rabbrividire chiunque. Ma non lui, si girò
verso il fratello e, per provocarlo, bevve un lungo sorso di liquore.
“Sei
il solito egoista, pensi solo a te stesso e non ti importa nulla
degli altri. Non hai alcun onore.” ripeté Elijah,
parlando a denti stretti e tenendo quasi le labbra serrate. “Mi
disgusti.”
Cercai
di prendergli il polso, quando lo vidi farsi più vicino a
Klaus ,che per poco gli scoppiò a ridere in faccia, ma Elijah
mi scansò, non degnandomi nemmeno di uno sguardo.
Mi
sembrava di essere il nulla, in mezzo ad oceano troppo vasto, non
potevo nemmeno gridare e dubitavo che la mia voce si sarebbe comunque
fatta largo tra i loro pensieri di sfida.
“Non
si può piacere a tutti, fratello. E, ribadisco, non ho nulla
da dirti al riguardo.” ripeté Klaus, levando il
bicchiere verso Elijah come per brindare a qualcosa.
Forse
al pugno che lo colpì pochi istanti dopo.
Non
ebbi nemmeno il tempo di chiedermi perché Klaus lo stesse
provocando in quel modo, che lo vidi rotolare diversi passi indietro,
con una velocità che l'occhio umano non avrebbe potuto
cogliere.
Il
bicchiere volò contro la parete alle sue spalle, infrangendosi
in mille piccole schegge e bagnando il muro con il liquido denso e
chiaro che si espanse come una pozzanghera.
“Hai
ragione, non hai nulla da dirmi. Il fatto che hai cercato di
ucciderla mentre era così debole, dice tutto!” ringhiò
di nuovo Elijah, avanzando verso Klaus che si stava rialzando in
piedi, facendo leva sulle caviglie. Rimase inginocchiato con lo
sguardo carico di rabbia fisso sul fratello. “E no! Ora hai
proprio esagerato, Elijah.” ringhiò.
Ma
c'ero anche io in quella stanza? Mi sembrava che la testa mi
scoppiasse, mentre cercavo di farli smettere.
Elijah
gli sorrise, in una maniera che mi fece quasi rabbrividire. “Voglio
proprio vedere se riesci a prendertela con qualcuno alla tua
altezza.” lo sfidò.
Klaus
non se lo fece ripetere due volte e si preparò a colpirlo. Ma
prima che potesse scattare verso Elijah, alzando un pugno, mi parai
tra i due finendo quasi nella traiettoria del colpo di Klaus.
Lui
si arrestò di colpo, il suo pungo fendette l'aria tra noi e si
fermò a pochi millimetri dal mio viso, tanto che per un attimo
venni presa dal panico di essere davvero colpita: chiusi gli occhi e
tremai visibilmente. Elijah scattò rapido, prendendomi per le
spalle per spostarmi dalla traiettoria , ma si fermò quando
vide che il fratello si era fermato giusto in tempo per non
spendere il suo colpo su di me.
Presi
dei lunghi respiri, aprendo gli occhi e guardando Klaus che stava
ricambiando, sconvolto, il mio sguardo, ritirando lentamente il pugno
per allontanarlo dal mio viso.
Il
suo volto parve assumere un'espressione più rilassata, mentre
ripetevo una sola parola.
Smettetela.
I
due si guardarono nello stesso momento in cui pronunciai quelle
parole.
Mi
girai verso Elijah e cercai di prendergli la mano e farlo
tranquillizzare, ma lui si scostò bruscamente e si allontanò
senza degnarmi di uno sguardo. Lanciai un'occhiata veloce a Klaus e
lo seguii rapidamente, mentre lui si dirigeva all'esterno della
nostra casa.
Non
presi il mantello, ignorai il vento che portò i capelli a
coprirmi il viso, il gelo che attraversò il mio abito e mi
strinsi le braccia al petto.
Elijah?
Lo
volli quasi chiamare, come se potesse sentirmi, ma lui continuò
ad allontanarsi sulla neve, con indosso un mantello scuro, verso un
punto davanti a sé e mi ignorò.
Elijah!
Allora
mi guardò: mentre spalancavo le labbra come per poter gridare
e mi piegavo in avanti per dare più enfasi al suo nome. Fu
come se mi avesse sentito, come se avessi realmente urlato il suo
nome e avessi così portato la sua attenzione su di me.
Non
lo avevo mai visto così arrabbiato: sembrava stesse prendendo
rapidamente fiato per calmarsi, mentre questo, quando abbandonava le
sue labbra, si tramutava in piccole nuvolette bianche che si
innalzavano nell'aria per poi dileguarsi nella notte.
Sperai
di fare lo stesso con la sua rabbia, ma lo trovai davvero
improbabile.
“Irina,
lasciami stare. Ne ho abbastanza per oggi.” mi disse solo, come
se sapesse che la rabbia sarebbe stata pure riversata su di me se non
avessi acconsentito al suo volere.
Inoltre
il suo sguardo scorse per un attimo lungo il mio abito che si muoveva
nel vento, come se si stesse comunque preoccupando che potessi
prendere freddo.
Devi
calmarti.
Mi
avvicinai rapidamente a lui, parandomi di fronte al suo corpo in
tutta la mia piccola statura e cercando di catturare nel mio il suo
sguardo. Ma Elijah mi stava evitando, i suoi occhi cercarono un punto
lontano dal mio viso, un punto che potesse lenire tutta l'ira che, in
quel momento, lo stava logorando.
“Calmarmi?
Mi sembrava di sentirti singhiozzare mentre leggevo quelle parole, te
ne rendi conto?” esclamò lui, furibondo. “Hai la
minima idea di quello che vorrei fargli in questo momento, per averti
fatto provare un terrore simile?”
Ma
non è successo nulla. Gli
mimai a gesti, nella speranza che potessi in qualche modo porre un
freno a quell'ondata di
rabbia che si era abbattuta su di lui.
Ma
mi sembrò di peggiorare la situazione: Elijah abbassò
lo sguardo su di me, le sue iridi scure immobilizzarono il mio
sguardo e un lungo brivido mi scorse sotto pelle.
Fece
un passo verso di me, ma io non mi ritrassi.
Mi
strinsi ancora di più nelle spalle, e non potei fare a meno di
distogliere lo sguardo. Era impossibile non sostenerlo, obbligava gli
occhi di chi lo stava guardando a fuggire e rintanarsi in un punto
lontano da lui.
“Come
puoi avergli perdonato una cosa simile? Sei corsa a salvarlo, dopo
quello che ha cercato di farti!” disse, tenendo quasi le labbra
serrate e indicando con la mano la casa alle mie spalle che, in quel
momento, doveva rappresentargli Klaus.
Chiusi
le palpebre e scossi la testa.
Lo
ha fatto solo perché preoccupato, gli
feci capire sempre a gesti e, di nuovo, compii il gesto più
sbagliato in quella situazione. Elijah sembrò alterarsi
ulteriormente, il modo in cui affilò lo sguardo ne era la
prova.
“E
continui a giustificarlo...” disse, con voce dura.
Sto
solo cercando di mantenere la calma tra voi!
Possibile
che non lo capisse? Klaus aveva davvero sbagliato, non potevo
negarlo, ma a fin di bene.
E
comunque si era risolto tutto per il meglio: avevo smaltito il suo
sangue dal corpo e non ero morta quella notte. Non ci si poteva
mettere sopra una pietra e andare avanti? Poteva non prendersela in
quel modo?
“Irina,
la tua bontà arriva a dei livelli assurdi. Sarà proprio
lei ad ucciderti alla fine, se continui di questo passo....”
Questo
è assurdo.
Ci
tenni a precisare.
Strinsi
i pugni sopra le mia braccia e distolsi nuovamente lo sguardo, un
vento gelido si levò su di noi e mi costrinse a rabbrividire.
Elijah abbassò lo sguardo sul mio corpo tremante, si tolse il
mantello e me lo posò sulle spalle in un gesto delicato che
però trapelava freddezza.
“Guardami.”
mi disse solo, con voce lieve, mentre sistemava il mantello sulle mie
spalle e il calore iniziò a pervadermi. Ma lo ignorai malgrado
la sua voce mi stava quasi obbligando a seguire il suo volere.
“Ho
detto..guardami.”
Poi
mi tirò di più a sé, tanto che fui costretta ad
alzare la testa per guardarlo e finii contro il suo petto.
Lo
stavo guardando, era ciò che voleva e lo aveva ottenuto.
Quegli occhi neri sembrarono volermi scavare dentro sempre più,
ponendo un freno al mio volere ma accrescendo la paura che essi mi
procurarono.
“Ho
letto anche quello che è successo dopo, Irina. Ti ha quasi
morsa...per la terza volta e tu, invece di scappare via appena avuta
l'opportunità, sei rimasta là e lo hai pure perdonato.”
Scossi
la testa, senza sapere cosa rispondere.
Non
capivo dove volesse arrivare, per caso voleva che odiassi suo
fratello? Le sue mani strinsero ancora lembi del mantello, così
che restassi vicina a lui il minimo indispensabile, affinché
non perdessimo il contatto visivo. “Ti ha fatto versare più
lacrime di quanto abbiamo fatto altri in tutta la tua vita. Ti ha
fatto soffrire, ti ha spaventata a morte, ti ha abbattuta più
e più volte ma tu sei rimasta al suo fianco. Perché?”
Strinsi
di nuovo i pugni, con più forza, tanto che per poco le unghie
si conficcarono nella mia pelle. Guardavo Elijah, lui sembrava
conoscere la risposta a quel quesito mentre io invece brancolavo nel
buio. Non si poteva spiegare né a parole, né a gesti
quello che mi aveva spinta a perdonare Klaus: come quando lui mi
aveva chiesto perché gli avessi detto di volergli bene, anche
in quel caso non avevo una risposta da dare ad Elijah.
Mi
spiace averti mentito.
“So
che non mi hai detto nulla perché volevi tutelare il nostro
rapporto fraterno. Ma sopra delle cose come queste, io non posso
passarci sopra.” disse lui scuotendo la testa. “Lui ha
abusato della tua fragilità, quando non
potevi difenderti...quando io non
potevo difenderti. Lo ha fatto perché non voleva farti morire,
va bene, ma devi sempre porre in primo piano te stessa e non
l'egoismo, anche se a fin di bene, degli altri. Sopratutto se si
tratta del suo.”
Abbassai
lo sguardo, quando lui accostò di più il viso al mio.
“Il fatto che tu stia volendo bene ad una persona che ti ha
fatto tutto questo...non lo considero ammirevole, ma stupido.”
disse ancora.
Lasciò
poi il mantello e si allontanò da me, con indosso quei
semplici abiti di lana che non potevano difendere dal freddo un
qualsiasi umano. Mi sembrò di non saper respirare, come se
fino ad allora mi fossi aggrappata alle sue parole e con esse avessi
riempito i miei polmoni, il mio cuore e sopratutto la mia mente.
“E
un altra cosa...chi può averti distrutto il diario che ti ho
regalato e portarci a questo punto, Irina?”mi chiese poi,
voltandosi rapidamente verso di me e puntando lo sguardo sul mio
viso.
Capii
subito dove volesse arrivare, accusando l'unica persona che, oltre
me, era a conoscenza di quello che era successo. Ma non ebbi il tempo
di dire nulla, che lui riprese ad allontanarsi.
Elijah?
Quasi
volli chiamarlo, ma lui ovviamente non mi udì. O meglio, fece
finta che il mio richiamo non fosse giunto alle sue orecchie e si
incamminò verso la foresta, mentre restavo sola sotto la neve.
Non
mi persi in solo attimo della sua figura che spariva nell'oscurità,
come se si stesse unendo al buio della notte. Rimasi immobile per
altri interminabili istanti e strinsi i pugni. Non avrei mai creduto
che, quasi alla fine di quel soggiorno, lo avrei perso di nuovo.
* *
* *
“Si
è calmato?”
Quando
rientrai sbattendo la porta e tenendomi addosso il mantello che
emanava il suo profumo, mi voltai verso il corridoio che
portava al salotto.
Klaus
era in piedi sulla soglia della stanza, con lo sguardo rivolto verso
di me e un bicchierino di vetro mezzo vuoto. O mezzo pieno, ma in
quel caso vedevo solo il vuoto.
La
sua espressione era strana, come pacata e fredda allo stesso tempo.
Proprio come lo era stato di fronte allo sguardo carico di collera
che Elijah gli aveva rivolto pochi attimi prima.
Chi
può averti distrutto il diario e averci portato a questo
punto, Irina?
Le
parole che Elijah mi aveva rivolto riecheggiarono nelle pareti della
mia mente, ma non gli diedi molto credito. Cercai di dirigermi verso
le scale che portavano al piano di sopra, ma la voce di Klaus ruppe
il silenzio.
“Glielo
hai detto quindi....” disse poi, con una punta di accusa che
proveniva dalle sue parole.
Mi
sembrò di aver capito male, tanto che mi fermai a metà
della scalinata e strinsi i pugni sotto il mantello, fissando un
vuoto davanti a me, sperando che in esso trovassi la certezza di
captato male le sue parole.
Scusa?
Mi
voltai verso di lui, Klaus se ne stava ai piedi della scalinata e mi
guardava con sospetto. Quello sguardo mi fece scoppiare quasi di
rabbia, la sentii crescere dentro di me sempre più, invadendo
lentamente il mio corpo. Cercai di fermarla prima che giungesse ai
miei pensieri e che li incendiasse, rendendomi incapace di pensare
lucidamente.
“Mi
sembrava strano che tu non fossi andata a raccontargli tutto, visto
che quasi pendi dalle sue labbra...e sappiamo entrambi quanto ti
piaccia fare la sua principessa e lui il tuo cavaliere.” disse
ancora, piegando la testa da un lato e quasi sibilando.
Sperai
per lui che stesse parlando perché aveva bevuto troppo, poiché
se realmente pensava che io avessi messo in moto tutto quanto per
farli litigare e se pensava che io fossi anche così stupida da
finire per litigare io stessa con Elijah, allora Klaus era davvero
fuori di testa.
Scesi
gli scalini quasi per sfidarlo e mi fermai sul secondo, in modo che
il mio viso fosse all'altezza del suo.
Come
puoi pensare una cosa simile?
“Sto
andando ad esclusione.”
Accusando
me? Quanto poteva essere bastardo e puntarmi il dito contro con
quella facilità dopo ciò che era successo?
“Eri
l'unica a saperlo, chi altri poteva farlo?” disse ancora.
Tu.
Allora
andai anche io ad esclusione. Eravamo in due a sapere quello che era
accaduto, solo noi.
Non
gli avevo detto nulla riguardo le pagine strappate del mio diario e
lui sembrava non sapere nulla al riguardo, ma chi mi diceva che non
stava mentendo? Perché eravamo in cinque in quella casa e solo
in due sapevamo quello che era successo, io e lui. E io ero
certa di essere innocente al riguardo.
Klaus
restò stupito nel vedere le mie labbra muoversi in quell'unica
parola, mentre mi perdevo nel suo sguardo, alla ricerca di qualche
conferma alla mia stupida accusa.
Perché
di stupida accusa si trattava.
La
definii subito tale quando nei suoi occhi mi parve di scorgere quella
che sembrava essere innocenza. Mi morsi il labbro, sforzandomi di non
distogliere lo sguardo e di affrontare Klaus, anche se ormai ero
certa di aver detto una stupidaggine.
Ma
lui aveva puntato il dito contro di me con una facilità
assurda, perché io non potevo fare lo stesso?
Klaus
non si fidava dell'umanità in generale, perché fidarsi
di me dopo quello che era successo giorni prima? Più che
giusto ovviamente, accusare qualcuno che era disposto a fare tutto
per lui.
“Io?
Iry, ma per chi mi hai preso? Il mio mondo non ruota attorno a te e a
mio fratello.” mi disse e capii che anche lui stava per cedere
alla rabbia.
Sembrava
che lei avesse deciso di guidare le nostre azioni quel giorno.
E
il mio mondo non ruota attorno a te!
Non
voleva essere accusato, quando lui prima aveva fatto la stessa cosa
con me e senza batter ciglio.
Ipocrita.
Feci
un altro passo verso di lui e gli mostrai le pagine strappate del mio
diario, lui le guardò con aria confusa e poi alzò
nuovamente lo sguardo verso di me, quando cercai di fargli capire che
qualcuno mi aveva
distrutto il diario.
Chi
poteva esser stato a fare una cosa simile? Se non colui che era
sempre stato un bambino capriccioso?
“Adesso
dimmi perché avrei dovuto distruggerti quell'affare e far
capire ad Elijah ciò che è successo giorni fa.”
mi disse, quasi ringhiando e accostando il volto al mio come per
sfidarmi.
Come
se fossi al suo livello, cosa che io ovviamente non ero e lui lo
sapeva.
Lui
abusa della tua fragilità per vincere sempre.
E io
non volevo essere fragile in quel momento, provavo una rabbia assurda
che dovevo in qualche modo sfogare. Era lui che doveva dirmi perché
avesse deciso di giocarmi un colpo basso come quello, io sinceramente
non ne avevo alcuna idea. Dentro di me venti avversi parvero
scontrarsi: una parte di me mi diceva che negli occhi di Klaus vi era
sincerità, mentre l'altra parte, quella più forte in
quel momento e quella che nutriva rancore per essere stata accusata
ingiustamente, mi ricordava che Klaus era bravissimo a mascherare le
sue bugie.
Vedendo
che non aveva una risposta, gli diedi le spalle e salii le scale
lentamente, sentendo la fiamma della sua rabbia bruciare sulle mie
spalle.
“Non
darmi le spalle e guardami. Non abbiamo finito di parlare.” mi
richiamò lui, ma lo ignorai.
Poco
prima non avevo esitato ad obbedire ad Elijah, quando mi aveva detto
di guardarlo, ma con Klaus mi sentii quasi in diritto di poterlo
ignorare.
Cosa
che lui, decisamente, non voleva permettermi: lo vidi pararsi davanti
a me, tendendo il braccio contro la parete alla mia destra e battendo
la mano sul muro con una forza inaudita, che quasi poteva creare un
buco nel legno della parete.
Mi
fermai di colpo e guardai il suo volto corrugato dalla rabbia, io
dovevo avere la stessa medesima espressione. “Rispondi: perché
dovrei aver fatto una cosa simile?”
Perché
io avrei dovuto fare una cosa simile?
Replicai,
indicando me stessa in modo che lui comprendesse quella mia domanda.
Klaus
ridacchiò. “Perché tu non sai mentire, di sicuro
ti sei lasciata sfuggire questa storia.”
Tu
invece sei bravo a mentire.
Klaus
mi guardò di nuovo con rabbia, passai sotto il suo braccio per
potermi allontanare ma lui mi bloccò: il braccio che teneva
contro la parete lo usò per cingermi i fianchi e voltarmi
verso lui, mentre ci ritrovavamo a pochi centimetri di distanza.
“Guardami
negli occhi e dimmi che pensi sul serio sia stato io.” mi
disse, sembrava quasi che mi stesse soggiogando affinché
obbedissi alle sue parole. Guardai i suoi occhi blu, senza
distogliere mai lo sguardo ignorando il fatto che stavamo litigando
quasi come bestie e i nostri respiri si distanziavano pochi
millimetri. Io non lo credevo realmente colpevole, più
lo guardavo e più me ne convincevo, ma poi ricordavo sempre
che lui sapeva davvero mentire. Lo aveva fatto troppe volte con me e
non potevo aggrapparmi a quella, forse vana, speranza che invece
potesse essere il contrario.
Penso
che sia stato tu.
Dissi
e quasi subito mi pentii di aver detto una cosa simile, anche se ero
terribilmente confusa.
Il
volto di Klaus si irrigidì, mi ero mostrata così
determinata dell'accusarlo che lui aveva creduto alle mie parole. Ne
era certo, io invece non lo ero pienamente.
“Io
ora ti sto guardando negli occhi, Irina.” disse poi, fece un
ulteriore passo verso di me, tanto che mi ritrovai sovrastata dalla
sua figura. Continuammo a guardarci e un brivido mi corse lungo la
schiena. “Non penso sia stata tu.”
Lo
guardai sorpresa, ma perché mi stupivo ancora del suo essere
così lunatico? Però mi fece rendere conto che stavo
mentendo a me stessa, perché anche io, in quel momento, non
vedevo colpevolezza nel suo sguardo.
Klaus
scattò di nuovo verso di me, il suo viso venne corrugato dalla
rabbia mentre parve volermi immobilizzare con i suoi occhi, piccoli
oceani in una tempesta di collera.
“La
via più facile, Irina. Accusare il cattivo della situazione
perché lui sa essere colpevole.” Klaus parlò a
denti stretti, soffiando quella parole rabbiose sul mio viso.
Distolsi
lo sguardo, perché in quel caso non riuscii a sostenere
nemmeno il suo.
“Ma
stavolta...io non c'entro nulla. Eppure tu non hai potuto non
dubitare davvero di me, non è vero?”
Mi
superò dandomi quasi una spallata e chiusi gli occhi,
lasciandomi prendere dallo sconforto del momento. Mi portai i capelli
dietro le orecchie e presi un lungo respiro.
E
quella sera, sentii di aver perso anche una seconda cosa che ritenevo
troppo importante.
E
solo per colpa mia.
* *
* *
“Eccoti,
honey.”
Diana
venne ad aprirmi poco dopo che la mia mano bussò, per
l'ennesima volta, sulla sua porta.
Perfetta
come al solito, gli occhi erano velati di un leggero trucco scuro e
sulle labbra abbondava un intenso colore rosso. Indossava un vestito
nero, con un'abbondante scollatura sul petto, segno che si aspettava
di trovarmi o con Klaus o con Elijah. Non si sarebbe mai aspettata
che mi fossi presentata da sola, dopo aver ricevuto un suo biglietto
in cui mi diceva che aveva delle risposte su Belial da darmi.
I
due vampiri non erano in casa in quel momento e quindi preferii
andare sola.
Era
riconoscibile della preoccupazione nei tratti felini del volto di
Diana, eppure lasciava pendere quel finto sorriso malizioso sulla sua
bocca, come se non potesse fare a meno di farlo.
Mi
fece entrare, allungando il braccio dietro di sé e facendomi
segno di sedermi al tavolo in cucina. Quando si chiuse la porta alle
spalle, mi sedetti su una delle due sedie e lei fece il giro del
tavolo, per potersi accomodare di fronte a me.
Sulla
superficie, vi era una teiera, da cui si innalzava del fumo che poi
scompariva nell'aria. Ne avevo davvero bisogno, dopo quella
passeggiata sulla neve che aveva lasciato su di me una profonda
sensazione di freddo.
“Non
sei venuta con il tuo fidanzato?” mi chiese, fermandosi davanti
a me prima di sedersi. Ma prima che potessi persino arrossire, lei
piegò la testa da un lato e si portò una mano sul
fianco. “Ah giusto, tu ne hai due...”
Cercai
di reprimere la rabbia fomentata da quella battutina e dal risolino
che ne seguì, prendendo un lungo respiro e sforzandomi di non
arrossire troppo. Se Diana si riteneva spiritosa, era davvero fuori
strada.
Ero
ancora così adirata per quello che era successo la sera prima,
che non avrei esitato ad alzarmi in piedi e prenderla a schiaffi.
Almeno mi sarei sfogata.
“Lascia
stare.” mi disse poi, alzando la mano come se volesse scacciare
una mosca che la importunava e si sedette con eleganza.“Vuoi
qualcosa di caldo da bere? Perché dobbiamo farci una lunga
chiacchierata che ti riguarda.”
La
guardai confusa, tutta l'ombra della provocazione abbandonò il
suo viso riducendolo ad una maschera di preoccupazione che mi fece
rabbrividire.
Annuii,
avevo bisogno di un po' di thé. Diana prese la teiera in mezzo
al tavolo e andò a prendere due tazze dal mobile alle sue
spalle.
“Mettiti
comoda, non so se ti piacerà ciò che sentirai.”
mi disse poi,
quando si fu nuovamente
seduta
al tavolo, mentre versava il thé. Il suo calore insieme al suo
profumo pervasero l'aria, mentre nel silenzio iniziavo a sentire la
consapevolezza che stavo per giungere alla verità.
Guardai
Diana che lasciava cadere il thé dentro le nostre tazze e
deglutii.
Era
davvero giunto il momento.
Mi
accorsi che avevo un blocco in gola, che impediva all'ossigeno di
fluire liberamente dentro di me e il cuore iniziò a battere
così forte che per poco temetti avrebbe perforato il petto.
Ero
sempre stata una persona così ansiosa? Nemmeno me ne ero mai
resa conto.
La
luce pallida del sole nascosto tra le nuvole penetrava dal vetro
della porta della cucina, che affacciava sul piccolo inutilizzato
giardino accanto alla casa. Le mie mani vennero colpite da quella
tenue luminosità, rendendo la pelle ancora più pallida
di quanto non fosse.
Sembravo
una bambina che attendeva nervosamente l'arrivo del suo regalo di
compleanno, iniziai a scrocchiarmi le dita con agitazione e
tamburellavo con la punta dei piedi sul pavimento.
“Vuoi
anche dei biscotti?”
mi chiese poi Diana,sorseggiando il thé.
Biscotti?
Ero così appesa alle sue parole, al suo respiro che per un
attimo mi chiesi persino cosa fossero i biscotti. Non riuscivo a
credere che mi ponesse una domanda simile proprio in quel momento.
Scossi
la testa, l'unica cosa di cui avevo bisogno era sentire la sua voce
che mi dava delle risposte.
Io
volevo sapere. Ma allo stesso
tempo non volevo.
Belial
era stato il mio incubo per
tutto quel tempo, quasi quanto Mikael. E
sapere la sua identità, chi fosse, cosa volesse da me...mi
faceva sospirare di sollievo ma, allo stesso tempo, mi faceva tremare
di puro terrore.
“Ti
conviene stare calma, non ho ancora parlato” mi disse lei, con
quella calma pacata che però mi diede di più sui nervi.
Cercai
di riprendere controllo di me, tremando come una stupida e tenendo
gli occhi sbarrati fissi su di lei. Tornai a torturarmi
freneticamente le mani e a guardare le sue labbra che si accingevano
a muoversi.
“Se
ami così tanto tua sorella, se vuoi così bene ad
Elijah, Klaus e Rebekah...devi andare il più lontano possibile
da loro.”
Furono
quelle le sue prime parole, parole che avvolsero il mio cuore in una
stretta violenta e arrestarono il suo battito, facendo calare un
silenzio di tomba dentro il mio petto. Sentii i muscoli del mio viso
rilassarsi, come se in esso non vi fosse nessuna emozione in quel
momento. Come se fossi stata svuotata di tutto.
Devi
andare il più lontano possibile da loro.
Quelle
parole si ripeterono nella mia mente, come un eco nel buio che
interrompe la quiete della notte. Scossi la testa con aria
interrogativa, mentre Diana mi guardava seria come mai lo era stata.
“Ti
assicuro che è la cosa migliore. Se li ami così tanto,
devi portare Belial il
più lontano da loro.”
Iniziai
a scuotere la testa più velocemente e per tranquillizzarmi
bevvi un lunghissimo sorso di thé. Ma nemmeno il suo calore
servì a placare il gelo che portavo dentro.
P-perché?
Diana
mi guardò a lungo, con la tazza sospesa davanti al suo mento
mentre l'alone del fumo che saliva da esso sembrò riflettersi
nelle sue iridi scure. Rimase in silenzio per due o massimo tre
secondi, eppure mi parve di essere rimasta un'intera vita a
guardarla.
“Hai
mai pensato...da dove nasce la magia? Quella vera intendo.”
Diana posò la tazza sul tavolo e mi guardò
attentamente. “Quella nera, profonda e che è stata
radicata agli inizi dei tempi? Quella che dà vita, quella che
uccide.”
Scossi
la testa, chiedendomi dove volesse arrivare perché, con un
solo altro giro di parole, io sarei potuta morire di crepacuore in
quell'istante.
Bevvi
un altro sorso, più lungo, ma non smisi di tremare e di
provare quella fastidiosa sensazione al petto.
“Esther,
la madre di Klaus, Elijah e Rebekah, fu la prima strega. Secoli fa,
lei e la sua famiglia vivevano in un villaggio del nuovo mondo dove
erano costretti a convivere con dei licantropi.”
Diana
iniziò a parlare, come se stesse raccontando un fiaba
appartenente a tempi lontani. Ma che temevo non avesse un lieto fine
come le fiabe che ero solita conoscere.
“Ma
un giorno, uno dei più giovani dei fratelli, venne ucciso
durante una notte di luna piena. Klaus portò il suo corpo
privo di vita dalla madre...”
Ripensai
al giorno in cui venne rapita Katerina, quando Elijah disse a Klaus
che anche lui, come me, aveva pianto per uno dei suoi fratelli.
Doveva essere quello l'avvenimento di cui stavano parlando quel
giorno.
“Ma
non erano solo i licantropi la minaccia che tormentava Esther: nelle
foreste di quel villaggio girava voce che abitasse un uomo
bellissimo, con l'aspetto d'angelo ma un sorriso diabolico. Un uomo
così potente...che persino la natura sembrava temerlo.”
Tremai
visibilmente, stringendo i pugni sul tavolo e attendendo con ansia,
in quei lunghi secondi, che lei riprendesse il racconto. Ci fu
persino una parte di me che non volle più sapere nulla, perché
già troppo spaventata, ma la misi a tacere senza troppo
problemi e senza distogliere gli occhi da lei.
“Esther
però all'inizio ignorò la sua minaccia. Si rivolse a
lui per accingere ai poteri necessari per poter trasformare i propri
figli in vampiri e proteggerli dalla minaccia dei licantropi, facendo
un patto con lui: lui le diede il potere necessario e lei gli promise
i suoi servigi e la sua anima.” continuò Diana e mi resi
conto che aveva volontariamente lasciato a tacere la parte in cui mi
dice cosa era
Belial.
Perché
non si parlava in quei termini di una persona, ma di un mostro.
“Ma
la strega fece un grave errore e cercò di uccidere Belial,
perché anche lui si rivelò essere una grave minaccia
per la sua famiglia. E
ammetto che quasi ci riuscì ma....lui la privò di tutti
i suoi poteri, così che lei venisse poi uccisa successivamente
senza che potesse difendersi. La sua anima ora è sospesa in
una specie di limbo, dannata per l'eternità.”
Continuai
a tremare e sentii la testa vorticarmi, troppo forte.
Chiusi
un attimo gli occhi, perché vidi tutto quanto troppo ondulato
e troppo mosso affinché potessi tenerli aperti. Durò
solo pochi attimi e poi tornai a guardare Diana, la cui espressione
gelida sul viso mi fece rabbrividire.
“Si
dice che la magia di noi streghe nasca dall'inferno, Irina. Hai
capito chi è Belial?”
mi chiese poi. Una parola si delineò nella mia mente, ma
rimase così a lungo nascosta in quella scura foschia che non
volli nemmeno realmente pensarla.
Ma anche se era lontana, anche
se mi sforzavo di non vederla, la natura di Belial
divenne sempre più
chiara.
Patti,
anima, dannazione. Mi veniva in mente solo quella
parola.
“Un
demone, Irina.” mi disse
e mi sembrò di sentirmi congelare dentro di fronte a quella
parola che era sospesa nell'aria da troppo. “Così lo
chiamiamo noi, è stato colui che ha donato la magia alle prime
streghe chiedendo in cambio le loro anime. Ha usato un nome fittizio
perché sapeva che, qualcuno con dei poteri magici, poteva
giungere facilmente a lui. Solo che sembrava scomparso con la morte
di Esther, nello scontro con lei ha perso anche lui gran parte dei
poteri....e ora vuole te. Perché, Irina?”
Presi
a respirare troppo velocemente, ma l'aria mi mancava. Mi sembrava di
non riuscire più a pensare razionalmente, come se la paura
avesse invaso la mia testa. Questa mi girava troppo forte e lo
sguardo si fece offuscato, appannandomi l'immagine della strega di
fronte a me.
Stava
sorridendo?
Non
ne ero certa. Però quel male fisico che stavo provando era
strano, non potevano essere state quelle parole a causarmi quello
stordimento.
“Stai
bene?” mi chiese, la sua voce troppo lontana ma il suo volto
distorto di fronte a me.
No,
ho bisogno d'aria.
Mi
alzai in piedi, ma la testa mi vorticò più velocemente,
mentre mi dirigevo verso il corridoio che portava alla porta
d'uscita. Serrai le palpebre e scossi la testa per fermare il mondo,
mentre i piedi strisciavano lungo il pavimento.
Diana
mi seguì, come un corvo che vola nella notte più buia,
mentre arrancavi per poter trovare un appiglio, una luce che ti
potesse condurre alla fine di quel sentiero.
“Almeno...te
ne andrai sapendo questa storia.”
La
voce camuffata di Diana pronunciò quelle parole e mi fermai in
mezzo al corridoio, mentre il mio corpo barcollava oppure il mondo
attorno a me lo faceva.
Allora
mi resi conto che quella storia, per quanto inquietante, non era la
causa di quello stordimento.
Il
thé.
La risata che avevo udito poco prima, uscire dalle labbra di Diana.
Mi
aveva drogata.
Provai
a girarmi verso di lei, ma non ci riuscì. Caddi rovinosamente
a terra in preda al vorticare dei miei pensieri, ma rimasi abbastanza
sveglia per vederla avvicinarsi lentamente a lei, con passo elegante
e le braccia strette al petto. Con la grazia di un felino, la ragazza
si portò le mani sui fianchi e mi guardò.
Tenevo
le mani sul pavimento mentre tremavo e mi sforzavo in tutti i modi di
alzare lo sguardo verso di lei e guardare il suo viso.
Stava
sorridendo, era chiaro. Sentivo il peso del suo scherno gravare su di
me, come se fossi un misero insetto in procinto di essere schiacciato
da un gigante.
Tu.
Come
avevo potuto non pensarci prima? Era stata lei ad usare quella magia
su Klaus, il giorno in cui Katerina scomparve. Era stata lei a
spingermi giù dal dirupo giorni prima, per uccidermi.
Ed
ero certa che fosse stata anche lei a distruggere il mio diario, a
far trovare quelle pagine ad Elijah e a provocare quella spaccatura
tra noi. E io, stupida, ero caduta nella sua trappola con una
facilità immane, presentandomi sola da lei.
Aveva
previsto tutto.
Perché?
Volevo sapere perché
avesse tramato alle nostre spalle in quel modo, ma lei non volle
rispondere.
“Ogni
cosa a tempo debito.” mi disse e tremai.
La
sua risata cristallina giunse a me, come lame pronte a penetrarmi
nella pelle e a farmi sanguinare. La vidi voltarsi verso un punto
dietro di lei.
“Vieni.
È pronta.”
Mi
sembrò di non aver ben capito o almeno sperai immensamente che
così fosse. Caddi distesa a terra, con il volto rivolto verso
i piedi di Diana, mentre prendevo lunghi respiri affinché
resistessi. Ma il mio corpo era privo di forza, il cuore mi
martellava nel petto e nella testa rimbombavano i miei pensieri di
quel momento.
Riuscii
a mettermi a sedere, anche se il mio intento era quello di mettermi
in piedi ma mi fu impossibile. La mia schiena finì contro il
muro alle mie spalle e presi lunghi respiri per poter restare
sveglia.
Poi
lo vidi.
I
suoi piedi, coperti da due pesanti scarponi neri, superarono Diana e
si avvicinarono a me. Volevo gridare per la paura, scattare in piedi
e fuggire via, ma il mio corpo non obbediva più ad alcun
comando che le mia mente gli diceva.
Lui
si chinò su di me, poi le sue
mani, mi presero il viso con
rudezza e mi costrinsero a guardarli.
Due
occhi azzurri.
Scavarono
nei miei in profondità, mentre le sue mani avvolsero il mio
viso in modo che non distogliessi lo sguardo. Mi ritrovai a tremare e
lui avvicinò il suo viso al mio, il suo respirò mi
inondò il volto privandomi della facoltà di pensare, la
paura aveva preso il sopravvento, ma lo stordimento la teneva lontana
dal mio volto.
“Irina...”
la sua voce rude pronunciò il mio nome e dentro di me iniziai
a tremare ancora più forte. Volevo chiudere gli occhi, non
vedere quel volto segnato dalle rughe del tempo, non guardare quei
capelli biondi che lo circondavano, non guardare quei maledetti occhi
che mi incatenavano ai loro, in una prigione di agonia. “Non ti
ucciderò, non ora. Ma prima devi fare una cosa per me.”
Le
sue parole poi inondarono la mia mente, soffocarono i miei pensieri,
mi privarono della libertà e della paura e mi obbligarono a
seguirle e a fare ciò che lui mi diceva.
Mentre
una lacrima scendeva sul mio viso, qualcosa dentro di me decise di
abbassarsi al suo volere.
Lentamente
mi abbandonai ad esso, priva di forza e sua completa succube.
Come
vuoi, Mikael. Lo farò.
Ciao!
^^
Parto
con il ringraziare la bravissima Elyforgotten per
l'immagine ad inizio capitolo!
E
poi...spero che questo noiosissimo capitolo vi sia piaciuto!
È
indubbiamente noioso, perché è uno di quei tipici
capitoli in cui non succede quasi nulla, ma che anticipano il
finimondo che ci sarà nel prossimo. Mi auguro di non avervi
comunque fatto sbadigliare! xD
Grazie
a tutte quelle splendide persone che sopportano la mia storia, sia
chi legge in silenzio e sia chi recensisce.
Ringrazio
anche tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le
preferite/ricordate e seguite.
Alla
prossima!
Buona
serata a tutti voi! :D
|
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Capitolo 24 *** Break The Spell ***
-Break
the spell-
Like
a moth into a flame
I'm
hypnotized and like a stone
I'm
paralyzed 'cause i can't look away
You
found your way under my skin
And
trying not to love you
But
i hate the way i keep on giving in to you
Like
i always do
No
matter how i try
Or
maybe it could it be that you're the part of me
thats'
keeping me alive
“Svegliati!”
Sbarrai
lo sguardo quando udii pronunciare ad alta voce quell'ordine.
Non
fui molto sorpresa, quando riconobbi subito a chi apparteneva: Klaus
se ne stava in piedi accanto al divano su cui ero comodamente
rannicchiata.
Mi
guardava torvo, come se la mia immagine gli desse quasi fastidio. Gli
occhi socchiusi erano fissi sul mio volto e le braccia strette al
petto gli conferivano un'aria di autorità che quasi mi mandò
sui nervi.
“Da
quando il divano del salotto è diventato di tua proprietà?”
mi chiese con sfida, quando mi misi a sedere. In quel movimento, la
coperta a scacchi che copriva le mie spalle, scivolò lungo la
schiena. Abbassai lo sguardo sul cuscino dove avevo adagiato il capo
e mi guardai attorno: eravamo a casa nostra, non di Diana. La luce
del sole penetrava dalle finestre sulle pareti, filtrando dagli
alberi innevati oltre quel vetro ed estendendo il suo pallore lungo
il pavimento.
Tutto
mi parve avere un aspetto alquanto irreale, come se la mia mente
stesse vivendo in un illusione.
Rammentai
diversi frammenti di ciò che mi restava della scorsa giornata:
Diana, il thé, la storia di Belial,quella...voce. Ma tutte
quelle immagini mi parvero così sfocate, che le associai
immediatamente ad un incubo.
Nemmeno
mi soffermai a realizzare che potessero essere invece state reali,
che le avessi realmente vissute: la mia mente decise per me, mi
impose di segnalarle come resti di un brutto sogno notturno.
Non
poteva essere altrimenti, si giustificavano i miei pensieri,
altrimenti non mi sarei trovata là.
Al
sicuro.
Con
Klaus.
Lui
sbuffò, infastidito dall'espressione persa che dovevo avere
sul viso. “Se devi dormire, vattene in camera tua.” mi
disse poi, grattandosi la fronte e indicando il corridoio dietro di
sé, dove era ben visibile la scalinata che conduceva alle
camere.
Lo
guardai incredula e ricordai che la sua antipatia doveva essere
dovuta al litigio del giorno prima.
Mi
alzai in piedi lentamente e lo scrutai, sentendo che dovevo dirgli
qualcosa ma non sapevo nemmeno io cosa. Ero succube della mia mente
e attendevo che lei mi desse compiti da eseguire, che lei guidasse le
prossime mosse che avrei compiuto.
Klaus
fece per voltarsi e allora scattai in piedi, protendendomi verso di
lui: con le mani presi il suo polso e lo tenni saldamente, tanto che
lui arrestò la sua avanzata per guardarmi sorpreso. Abbassò
gli occhi sulle mie mani adagiate sulla sua pelle, poi li alzò
nuovamente sul mio sguardo. “Ora che vuoi?”
Passeggiata.
Gli
mimai quella parola velocemente. Non l'avevo mai stupito così
tanto con un semplice gesto.
E
in effetti una parte di me mi ricordava che dovevo essere in collera
con lui per essere stata accusata ingiustamente per la storia del
diario. Eppure non mi importava, io volevo, dovevo, averlo
vicino.
Klaus
ritrasse la mano con rudezza, tanto che nemmeno mi accorsi che le mie
mani non erano più avvolte attorno al suo polso ma erano scese
di nuovo vicino i miei fianchi.
“Con
chi credi di avere a che fare? Con un cucciolo da compagnia? Vai da
sola.” mi disse con sfida, accostandosi a me in modo che
percepissi la rabbia insita nella sua voce.
Lo
guardai voltarsi di nuovo, ma fui così rapida nel pararmi
davanti a lui che quasi mi finì addosso.
Per
favore.
Lo
pregai, congiungendo le mani e sorridendo nella maniera più
convincente possibile.
Una
voce nella mia testa diceva che, quel gesto, avrebbe funzionato su
Klaus, che lo avrebbe colpito.
Gli
avrebbe fatto abbassare la guardia.
E
infatti così parve: i suoi occhi accesi dalla sorpresa
rimasero fissi nei miei, come in cerca di una razionale spiegazione
al mio comportamento.
“Va
bene.” si arrese poi, scuotendo la testa e abbassando lo
sguardo. “Conoscendoti saresti capace di incontrare il diavolo
in persona se vai da sola. Andiamo.”
* *
* *
Alzai
lo sguardo su quei graffi sulle pareti.
La
mia mano scorse sulla ruvida pietra, sfiorando quei segni rimasti
indelebili sulla roccia. Uno di essi era talmente grosso, che la mia
mano sembrava aderire perfettamente ad esso. Pensai alle notti di
luna piena che Daniel doveva aver passato là dentro e un po'
mi dispiacque che fosse morto, per colpa mia poi. Ma non era il
momento di dispiacersi per una morte ormai lontana.
“Senti
Irina, perché siamo qui?” Klaus rimase dietro di me, con
le braccia aperte e lo sguardo fisso su di me.
Durante
tutto il tragitto, nessuno dei due aveva mai parlato. Ogni tanto ci
lanciavamo un'occhiata fugace, mentre i nostri piedi affondavano
nella neve e il vento, stranamente poco gelido quel giorno, soffiava
su di noi. Non sapevo nemmeno io perché, ma volli condurlo in
quella grotta, dove ci trovavamo da pochissimi minuti, in balia del
silenzio di tomba che sembrava circondarsi nella sua morsa.
Mi
girai verso di lui lentamente e ritirando la mano dalla parete, la
nascosi sotto il mantello quando la sentii rabbrividire e restai
immobile.
La
luce bianca del cielo che sbucava dall'apertura della grotta mi
permetteva di scorgere la figura di Klaus davanti a me: una parte del
suo viso era illuminata, l'altra invece era leggermente immersa
nell'oscurità. Anche la mia immagine doveva essere divisa in
quel modo, innanzi ai suoi occhi.
Riconosci
questo posto?
Gli
domandai a gesti, lasciando scorrere lo sguardo sulle pareti attorno
a noi.
Klaus
sbuffò, i suoi occhi si posarono in un preciso angolo sul
terreno e mi chiesi come avesse fatto a riconoscere con quella
facilità l'esatto punto dove io e lui eravamo stati seduti
tempo prima.
“Sì,
qui mi sono nutrito del tuo sangue.” mi disse, con sfida. “Cosa
stai cercando di fare? Farmi sentire in colpa dopo la litigata di
ieri? Non funziona.”
Non
gli risposi, rimasi a guardare i suoi occhi blu, così pieni di
risentimento, che avrebbero dovuto farmi rabbrividire.
Invece
non provai nulla di fronte ad essi, eccetto un desiderio: volevo
averlo più vicino.
Feci
diversi passi verso di lui, sentendomi leggera e agile come non lo
ero mai stata.
Ogni
mio movimento era sempre stato pura goffaggine, ma in quel momento
invece mi parve di essere stata quasi elegante. Fu un aspetto che
Klaus notò, lasciò scorrere lo sguardo sulla mia figura
e poi tornò a guardare il mio viso.
No,
qui è dove la mia mano ha stretto la tua.
Gli
trasmisi quella frase, prendendo lentamente la sua mano e
intrecciando le mie dita alle sue, come avevo fatto tempo addietro.
Per un attimo, mi sembrò di sentire nuovamente i miei
singhiozzi risuonare tra le mura di quella grotta, oppure
era qualcuno nella mia mente che singhiozzava altro dolore?
Klaus
guardò le nostre mani congiunte per un istante, poi sciolse la
loro unione con molta rapidità.
“Te
lo dico il più gentilmente possibile: mi stai urtando, Irina.”
mi disse. “Ti sei svegliata con tutti i buoni propositi per
farmi imbestialire?”
Rimasi
immobile, a farmi colpire dalle fiamme che quegli occhi blu stavano
lanciando su di me.
Come
era bravo a legarsi al dito le cose, era capace di ricordare un torto
anche dopo secoli.
“So
che sei arrabbiata con me per quello che ci siamo detti ieri.”
Klaus pronunciò quelle parole con un sorrisetto sulle labbra,
come se avesse smascherato una messinscena che credeva avessi messo
in atto. “Se questo è il tuo modo di fare finta di
nulla, puoi anche andare al diavolo...”
Abbasserà
la guardia...
La
sua voce si spense, il suo sguardo mutò in pura sorpresa e il
suo petto parve muoversi al ritmo del mio cuore, quando la mia mano
giunse ad accarezzare il suo viso. Mi ero fatta più vicina a
lui, alzandomi sulla punta dei piedi per poter raggiungere prima la
sua fronte, per poi accarezzare con le dita i suoi zigomi, la sua
guancia, il suo mento e poi risalire alle sue labbra. Klaus bloccò
il suo respiro, quando le mia dita si adagiarono su di esse, come se
non volesse sfiorarmi la pelle con il tocco del suo fiato.
I
suoi occhi erano fissi su di me, mentre io invece non li distoglievo
dalle sue labbra. Il mio lieve respiro dovette soffiare sul suo
mento, mentre lasciavo scorrere le dita lungo le sue labbra, il
polpastrello dell'indice si adagiò sul suo labbro inferiore e,
a quel punto, Klaus mi strinse i polsi e mi allontanò da sé.
“Che
stai facendo?” mi domandò, freddo e rude allo stesso
tempo, mentre le sue dita circondavano con forza la mia pelle.
Sbattei
più volte le palpebre, scrutando ogni minimo centimetro del
suo viso che esternava solo rabbia e fastidio. Scossi la testa e
mossi le labbra nella parola nulla mentre i suoi occhi blu
continuavano a fissare il mio sguardo. Calò di nuovo il
silenzio e restammo in quelle posizioni per diversi istanti, fino a
quando le sue mani lasciarono la presa sui miei polsi. “Ti
comporti in maniera strana.”
Abbasserà
la guardia, Irina...
Quella
voce si ripeté nelle mia testa e mi portai le mani alle
tempie, come per arrestarla e metterla a tacere. Mi sembrò che
mille pensieri stessero affollando la mia mente, pensieri però
che non mi appartenevano e che, comunque, mi abbattevano e vincevano
su di me senza che potessi combatterli.
Klaus
fece un passo verso di me. “Irina?” ripeté più
volte il mio nome con preoccupazione, posando le mani sulle mie
spalle e scuotendomi affinché alzassi lo sguardo su di lui.
Una
baraonda di parole scoppiò dentro me, mentre cercavo in tutti
i modi di controllarle, di sopprimere quelle che non appartenevano
alla mia voce. Ma non ci riuscii, dovevo seguirle.
Alzai
lo sguardo su Klaus, visibilmente preoccupato, e il mio corpo parve
cedere.
Anche
se quel frastuono nei miei pensieri si era arrestato, fu come se le
mie gambe non fossero uscite illese da quello scontro.
“Ehi,
ehi siediti.” Klaus mi posò le mani sotto le braccia e
mi fece sedere sul freddo terreno roccioso della grotta. Rimase
inginocchiato su di me, mentre io prendevo lunghi e sonori respiri
necessari per poter controllare il mio corpo. “Non vorrai
svenirmi proprio ora che mi ha portato fin qui. Non ti prendo di
nuovo in braccio, sappilo.” Mi prese il viso tra le mani, in
modo che potessi guardarlo negli occhi. Anche se aveva lanciato
un'ennesima provocazione, una battuta che doveva avere del pungente,
non poteva nascondere la preoccupazione che stava provando in quel
momento. Lo seguii con lo sguardo, mentre si sedeva accanto a me,
osservando ancora il mio volto come se vi trovasse qualcosa di
insolito.
Lentamente,
mi sembrò di riuscire a controllare di nuovo i miei pensieri e
gli ordini che mi stava impartendo. Il mio respiro svanì in
una nuvoletta di ghiaccio davanti al mio sguardo, mentre lo tenevo
rivolto verso Klaus al mio fianco.
“Allora,
mi spieghi cos'hai o no?” mi domandò.
Abbasserà
la guardia, Irina, con te...
Quella
voce giunse di nuovo a me, tanto che ignorai il suono delle parole di
Klaus.
Le
lasciai riecheggiare per qualche istante tra quelle nude pareti e mi
avvicinai a lui.
Vidi
la sua espressione farsi, di nuovo, carica di sorpresa, quando mi
mossi verso di lui e avvicinai il viso al suo: Klaus non si mosse,
lasciò che il mio respiro soffiasse sulle sue labbra, mentre
le mie mani salivano ad adagiarsi sul suo petto.
Le
lasciai scorrere sul tessuto del suo mantello, per poi posarle sulle
spalle, come per esplorare centimetro per centimetro ciò che
era nascosto sotto quella stoffa.
Lui
era ancora troppo lontano.
Mi
misi sulle ginocchia, in modo che potessi facilmente aderire al suo
petto. Le mani salirono dietro la sua nuca, intrecciandosi tra loro
mentre intrappolavano dolcemente tra le dita i suoi capelli biondi. I
nostri visi ancora molto vicini, le nostre labbra potevano
raggiungersi con un solo singolo movimento. “Irina, che cosa
stai combinando?” mi chiese Klaus, con un filo di voce mentre i
suoi occhi erano fissi sulle mie labbra.
Abbasserà
la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...
Non
era ancora giunto il momento di baciarlo, mi avrebbe sicuramente
respinta.
Come
fece lui in quel preciso punto giorni prima, abbassai il colletto del
suo mantello in modo che le mie labbra potessero raggiungere la pelle
nuda del suo collo.
Klaus
si irrigidì, restando spalle al muro mentre facevo scorrere le
mie labbra lungo la sua pelle. Il suo profumo mi spinse a compiere di
più quella strana danza, dove le mie mani giocavano tra i suoi
capelli e la mia bocca respirava sulla sua pelle, come vento estivo.
Sorrisi,
quando cercai di raggiungere il suo mento e Klaus deglutì, il
suo pomo di Adamo si mosse sotto pelle e il respiro, per quanto
cercasse di trattenerlo, gridava di essere liberato.
Come
se avesse bisogno di ossigeno.
Le
mie labbra salirono al suo mento, rimasero adagiate su di esse e i
miei occhi si alzarono per guardare i suoi. Klaus sembrava
combattuto: voleva respingermi, eppure non lo faceva, come se quel
gioco di seduzione a cui lo stavo sottoponendo gli stesse, in qualche
modo, piacendo.
Era
giunto il momento.
Mi
misi di nuovo dritta sulla schiena, in modo che il mio viso fosse di
fronte al suo, e guardai le sue labbra scarlatte, decisa ad unirle
alle mie il prima possibile.
Klaus
non me lo permise: mi strinse con forza le spalle e mi allontanò
da sé, come se il suo spirito fosse tornato a controllare il
suo corpo in quel preciso momento. “A che gioco stai giocando?”
mi domandò, calcando ogni singola parola nel suono della
rabbia.
Perché
pensi che stia giocando?
“Perché,
se non ti conoscessi bene, direi quasi che tu stia cercando di
sedurmi in una grotta. Se vuoi fare un dispetto ad Elijah, io...”
Elijah.
A
quella parola, qualcosa scattò di nuovo in me, ma la voce
soppresse subito l'immagine di lui che si era disegnata nella mia
mente, cancellò ogni singola lettera del suo nome e inabissò
le emozioni che stavo di nuovo provando in quel momento.
Alzai
lo sguardo su Klaus, lui si era accorto che qualcosa era di nuovo
cambiato in me, ma non disse nulla al riguardo. Entrambi respiravamo
profondamente, il suono dei nostri sospiri risuonarono in quella
grotta.
Io
voglio te.
Non
mi resi nemmeno conto di aver pronunciato silenziosamente quella
parole, gli occhi di Klaus si spalancarono per la sorpresa, come se
le avesse realmente udite e gli fossero entrate sotto pelle, come un
veleno di cui sarebbe divenuto succube.
Abbasserà
la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta.
Il
controllo abbandonò le nostre menti, ancor prima che i nostri
corpi si avvicinassero.
Klaus
mi attirò a sé, affondò la mano tra i miei
capelli, lambendone qualche ciuffo, e posò le labbra sulle
mie. Iniziò tutto con un lento rincorrersi, i nostri respiri
che si raggiungevano e si cercavano fino a ritrovarsi, per poi
scontrarsi ed iniziare quella lenta lotta a cui le nostre labbra
diedero inizio.
Quello
che era cominciato quasi dolcemente, divenne violento, travolgente,
inarrestabile.
C'era
quella voce dentro di me che mi ricordava quanto fosse ingiusto
quello che stavo facendo, quanto fosse sbagliato il motivo per
cui lo stessi facendo, ma non m'importava.
Sentimenti,
pensieri, dolori vennero assopiti in un angolo della mia mente,
mentre il mio corpo si abbandonava a quel volere che non era
il mio.
Klaus
mi tirò a sé, mi baciava con tale veemenza che mi
privava del respiro, che quasi mi sembrava di soffocare nelle sue
labbra, mentre affondavo le mani tra i suoi capelli e li trattenevo
tra le mie dita.
Si
gettò con la schiena all'indietro, tirandomi a sé tanto
che mi ritrovai con le ginocchia a cingergli il bacino. Le sue mani
superarono il tessuto della mia gonna, innalzandolo lentamente per
poter sfiorare la pelle nuda del mio polpaccio, che a contatto con il
suo tocco e con il gelo di quella grotta, venne attraversata da
lunghi ed intensi brividi.
Continuammo
a baciarci, ma io non riuscivo più a respirare.
Mi
ritrassi un attimo dal bacio e Klaus portò le labbra al mio
collo, come se avesse il fortissimo bisogno di sentire il calore
della mia pelle. Le sue braccia mi strinsero di più a sé,
cingendomi i fianchi mentre le sue labbra scorrevano lungo il mio
collo, in una serie di lunghi, interminabili baci.
Non
dovevi cedere, Klaus. Perché lo stai facendo?
Quella
voce venne subito messa in silenzio nella mia mente, mentre cercavo
di riprendere il controllo delle mie facoltà mentali, malgrado
le labbra di Klaus stessero mettendo in atto quel dolce supplizio con
le pelle del mio collo. Poi la sua bocca salì sempre più
a raggiungere il mio orecchio, la passione per un attimo svanì
e prese il posto della dolcezza, mentre le sue labbra scorrevano
lungo la mia guancia. Lentamente, ripresi il respiro e spalancai gli
occhi puntandoli verso l'alto, Klaus aveva una mano sulla mia guancia
destra e l'altra che accarezzava la pelle della mia gamba.
“Irina...”
pronunciò il mio nome come se fosse una tortura, un
agonia, un male che lo stava lentamente portando via.
Abbasserà
la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta.
E allora...
Le
lacrime mi salirono agli occhi, senza che potessi controllarlo. Non
dovevo farlo, dannazione, non potevo piangere. Klaus prese
lunghi respiri, mentre le sue labbra respiravano ancora sulla mia
guancia. Le gocce dei miei occhi scesero lungo di lui, solcandogli il
viso con il mio dolore.
“Ehi.”
Klaus mi prese il viso tra le mani, mi guardò attentamente e
cercando di tradurre la pena che risiedeva nei miei occhi.
Ti
prego non guardarmi così.
Lo
imploravo di scappare, di non essere umano con me, non in quel
momento quando il mostro ero
io. “Cos'hai? Dimmi. Ti senti in..colpa?”
Scossi
la testa per scacciare quella paura, era l'unica cosa che mi era
possibile in quel momento, mentre guardavo il blu dei suoi occhi che
mi fissavano in quella maniera.
Mi
dispiace.
Piansi
più forte, portandomi le mani alla testa e cercando di
arrestare quella maledetta voce che mi ordinava di andare avanti, di
cedere sempre più all'ingiuria che stavo per compiere.
Dondolai
un poco la testa, cercando di farla stare zitta in
tutti i modi ma senza riuscirci.
“Irina?
Che stai...”
Alzai
la testa di scatto, interrompendo il flusso delle sue parole.
Presi
dei lunghi respiri, abbassando lo sguardo sulle sue labbra e sentendo
di nuovo quel pressante bisogno di... averlo. Scossi
la testa, per dirgli che non avevo nulla e ripresi a baciarlo, lui
non si arrese subito a me. Una mano strinse la mia coscia e io
accorsi a posarvi sopra la mia, mentre mi propendevo sempre di più
verso lui, come se volessi che quel contatto si facesse più
forte.
Poi
ribaltammo velocemente le posizioni: finii io contro la schiena,
mentre lui premeva sul mio corpo e mi strappava via il respiro dalla
bocca con i suoi baci. Chiusi gli occhi, quando le sue labbra scesero
a torturare dolcemente il mio collo e le sue mani slacciarono il
mantello che gli impediva di godere appieno del calore della mia
pelle.
Gettai
la testa all'indietro e pensai che volevo più violenza in quel
bacio, qualcosa che mi permettesse di fare
quello che la mente mi stava ordinando di
fare.
Lo
spinsi un po' indietro, in modo che mi guardasse mentre pronunciavo
quella parola, Klaus parve un po'
infastidito da come avevo interrotto quel gioco pericoloso
a cui ci eravamo
sottoposti.
Mordimi.
Klaus
guardò le mie labbra muoversi, il suo respiro restò
sospeso in gola e posò le mani sulle mie ginocchia, che
cingevano ancora il bacino. Scostai i capelli che coprivano il lato
sinistro del mio collo e piegai la testa da un lato, in modo da
facilitargli quell'azione. Lui lasciò correre le dita lungo le
venature sotto la pelle diafana, per poi scendere su un punto sul mio
petto, fermandosi poco sopra la scollatura. Avvicinò il viso
rapidamente al mio e mi rubò un lunghissimo bacio sulle
labbra, la dolcezza che anticipa la violenza, poi mosse le labbra
vicino al mio collo, lo attraversò con la propria passione e
poi trafisse la carne con i suoi denti.
Un
po' di dolore, un po' di piacere mi costrinsero ad aprire la bocca
nel silenzio, mentre sentivo il mio sangue fluire, di nuovo, in lui.
Non mi ero mai accorta di quanto fosse stranamente piacevole,
sentirlo abbandonare il mio corpo per attraversare il suo.
Lo
abbracciai, nello stesso momento in cui lui cinse i miei fianchi con
le sue braccia, per bere sempre di più. Mi sembrava di non
respirare più, ero completamente soggetta a lui, alle sue
labbra che sui erano sicuramente tinte del mio sangue, delle sue mani
che mi stringevano le gambe.
Abbasserà
la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta.
E allora...
La
mia mano raggiunse la manica del braccio opposto, le dita cercarono
quella lama fredda di cui avevo bisogno e la estrassi lentamente,
senza farmi scoprire da Klaus.
Ma
lui era troppo preso dal bere il mio sangue per rendersene conto.
Mi
mancò di nuovo il respiro, quando la sua mano accorse a
stringere con più forza i miei capelli, muovendo le dita in
lenta carezze mortali sulla pelle sotto di essi.
E
allora...colpiscilo.
Volsi
la punta del pugnale verso il punto della sua schiena, dove potevo
coprire il suo cuore.
Intanto
il mio corpo rimase suo succube, vittima di quel doloroso piacere che
il suo cibarsi mi provocava.
Feci
per colpirlo.
Ma
non potevo. No.
La
mia mano iniziò a tremare forte, mentre lacrime di
disperazione inondavano il mio sguardo.
Volevo
gridargli di scappare via da me, ma era tutto inutile: lui aveva
abbassato la guardia e il mio colpo partì ancor prima che
potessi compiere alcun gesto.
Klaus
stava per perdere la vita, attraverso la mia mano.
No!
Quello
che venne dopo fu un dolore lancinante, che partì dalla mano e
giunse fino alla mia mente.
Klaus
si ritrasse di colpo, con le labbra ancora scarlatte, mentre io
lasciavo cadere il pugnale a terra, il suo suono cristallino si
ripeté tra quelle pareti di pietra e mi portai la mano
insanguinata al petto.
Non
ero riuscita a fermare il colpo, ma ad attutirlo sì: avevo
mosso la mano libera lunga la schiena di Klaus, adagiandola nel
preciso punto in cui lo avrei colpito.
Klaus
si voltò a guardare il pugnale a terra, poi la mia mano
grondante sangue e un'espressione confusa si dipinse sul suo volto.
“Irina, ma cosa...”
“Sapevo
che non ce l'avresti fatta.”
Ancor
prima che realizzassi che quella era la voce di Diana, Klaus lanciò
un grido di dolore.
Si
portò una mano alla fronte, gemendo e tremando mentre cercava
di bloccare il dolore alla sua testa.
La
strega se ne stava sull'entrata della grotta, con le mani sui fianchi
e la luce del sole che disegnava della linee luminose accanto alla
sua esile figura.
Tese
la mano verso di me appena mi vide cercare di soccorrere Klaus.
“Prendi il pugnale e vieni qui, ragazzina.” mi ordinò.
No!
Eppure
mi stavo avvicinando da lei.
Mi
allontanai lentamente da Klaus, presi il pugnale alle sue spalle e
feci per dirigermi verso Diana, malgrado non avessi alcuna intenzione
di raggiungerla. Ma qualcosa nella mia mente mi ricordava che io ero
obbligata a seguire il volere della strega.
“Iry,
no!” Klaus mi afferrò il polso, la tentazione di
voltarmi a guardarlo fu tanta, ma Diana artigliò ulteriormente
il suo dolore e lo costrinse ad abbandonare la presa.
Quando
la raggiunsi e fui al suo fianco, Klaus parve liberarsi dal dolore e
lo vidi scattare verso di noi.
Si
scontrò con una specie di parete invisibile, appena compì
quel gesto: dalla risata di Diana, compresi che si trattava di uno
dei suoi giochetti.
Ma
cosa mi impediva di colpirla? Di cancellarle quel sorrisetto
compiaciuto dalle labbra?
Restavo
immobile, forzando la presa sul manico del pugnale e osservavo il suo
profilo, lei mi ignorava categoricamente, perché sapeva che
non ero una minaccia.
Una
voce mi diceva che non dovevo far altro che seguire gli ordini
silenziosi della strega.
“Diana...”
ringhiò Klaus, prendendo lunghi respiri per allontanare il
dolore che fino a poco prima lo aveva bruciato. “Dovevo
immaginare che c'eri tu dietro tutto questo.”
La
strega sorrise, dondolando la testa con fare provocatorio. “Bel
fusto, devi sapere che tutti ti odiano.” gli disse, come se
fosse una cosa ovvia e scontata. “Non sono mai stata dalla tua
parte. Stupido tu che non te ne sei accorto.” e gli rise in
faccia.
Spavalda,
perché lui era in trappola e non poteva strapparle il cuore
dal petto, cosa che meritava.
Il
vampiro volse lo sguardo verso di me, pensai di leggere collera,
disprezzo, delusione per ciò che era appena successo, per
averlo...preso in giro, mentre il mio corpo era vincolato a
quella voce che mi ordinava di spingermi a quel punto. Invece
lessi solo preoccupazione, più per me che per sé
stesso.
“Che
cosa le hai fatto?” chiese poi rivolto alla strega. “Eri
tu che hai cercato più volte di ucciderla, non è vero?
Adesso perché le hai fatto una cosa simile?”
“Diciamo
che, visto che questa ragazzina è molto fortunata e la morte
la evita come la peste, abbiamo deciso di usarla contro di te.
Conosco diverse pozioni che possono soggiogare tipi come lei per un
breve lasso di tempo...doveva sedurti e pugnalarti.” disse
Diana, stringendomi il braccio con una mano, anche se sapeva che non
potevo fuggire.
Provai
un profondo senso di vergogna e di rabbia, quando rammentai ciò
che stavo per fare poco prima. Un brivido mi percorse, mentre
abbassavo gli occhi e avvampavo in volto, senza che potessi realmente
sfogare la mia vergogna.
“Ma
avevamo previsto che avrebbe fallito, quindi...piano b: ora
sei chiuso lì dentro e magari ti pugnalerò io di
persona.”
Trattenni
il fiato, volgendo lo sguardo prima verso lei e poi verso Klaus,
scuotendo la testa e muovendo le labbra in due sole parole: Mi
dispiace. Era colpa mia se eravamo giunti a quella conclusione,
era colpa della mia inutile debolezza che Klaus stava rischiando così
tanto.
Era
colpa della mia stupidità se lui avrebbe incontrato quella
voce.
Klaus
mi lanciò una lunga occhiata, gli occhi socchiusi fissi sul
mio volto e il respiro trattenuto tra le labbra. Non era arrabbiato
con me, ma sapeva che cosa stava per succedere, perché quei
verbi coniugati al plurale non gli erano sfuggiti. Come non erano
sfuggiti a me.
“Ti
ucciderò prima che tu possa provarci.” la minacciò,
lanciandole uno sguardo di fuoco.
“E
io ucciderò la tua ragazzina.”
La
sua voce.
Servì
a cancellare l'espressione dura sul viso di Klaus: i suoi occhi si
sgranarono mentre si muovevano verso il punto da cui provenivano
quelle parole, il suo corpo tremò mosso dalla paura.
Quell'ombra
che io seguii con la coda dell'occhio si pose al mio fianco,
prendendo forma e una figura: indossava un ampio mantello scuro che
veniva mosso dal vento ghiacciato, i capelli biondi ondeggiavano ai
lati del suo viso dai tratti duri, gli occhi azzurri sorridevano di
quella paura, che aveva pervaso il volto di Klaus di fronte a noi.
“Mikael...”
Klaus pronunciò il suo nome in un lieve sussurro che venne
scacciato dal vento, mi parve di rivedere antichi dolori susseguirsi
dentro il suo sguardo. Cose che credeva di aver assopito, relegato in
un angolo del proprio animo e che credeva non sarebbero più
riemersi.
Ma
lui avrebbe sempre ricordato.
Avrebbe sempre ricordato di come l'uomo che lo aveva cresciuto aveva
distrutto la sua vita e stava provando a fare lo stesso anche dopo
cinque secoli, rincorrendo la sua morte per distruggergli anche
quella.
Tremò
di nuovo come un bambino, per un attimo Klaus non riuscì
nemmeno a sostenere il suo sguardo.
“Niklaus...che
piacere rivederti.” rispose ironico Mikael, mi lanciò
un'occhiata che mi fece rabbrividire e mi prese il braccio con
rudezza.
Klaus
seguì il movimento dei nostri corpi, mentre mi avvicinavo a
Diana, la strega mi tolse il pugnale di mano e lo strinse tra le
dita, con un sorriso divertito sulle labbra.
“Sai,
non avrei mai pensato che sarebbe stato così facile colpirti.
Con una semplice piccola umana? I miei complimenti! La tua debolezza
ha raggiunto davvero il suo abisso..”
Mikael
si mostrò divertito, ma le sue parole erano così
cariche di un odio covato per secoli di vita e di morte che facevano
tremare sia me che Klaus. Guardai il ragazzo, i suoi occhi fissavano
quelli del padre con la mascella serrata e temetti che potesse
scoppiare in lacrime da un momento all'altro.
“Io...ti
ucciderò.” lo minacciò, con voce tremante.
“E
come? Sei chiuso lì dentro come un topolino in trappola, mio
caro.” gli ricordò Mikael, piegando il capo da un lato.
“Posso entrare lì dentro e Diana poi mi farà
uscire. Potrei farti a pezzi in questo istante: rinchiuderò
il tuo misero corpo in una bara e lo farò marcire per
secoli...finché non troverò la vera arma che possa
ridurti in cenere!”
Klaus
non smetteva un attimo di guardarlo, in tutto quel tempo non lo avevo
mai visto spaventato in quel modo. Il terrore aveva posseduto il suo
corpo, tanto che ogni parte di lui tremava al cospetto di Mikael.
Diana se la rideva sotto i baffi, malgrado fosse, come me, una
comparsa in quel teatro di paura e rancori che si era creato
attraverso gli sguardi di Mikael e Klaus.
Una
folata di vento gelido soffiò su di noi, provocandomi
ulteriori tremiti che scossero il mio corpo. Il gelo e il panico si
fondevano sotto la mia pelle, gelandomi il sangue che scorreva nelle
vene e arrestando il battito del cuore che, ogni tanto, sembrava
volesse scoppiare di paura.
Mikael
poteva davvero entrare e fare a pezzi Klaus.
Sarebbe
poi uscito, perché Diana avrebbe potuto rompere l'incantesimo
una volta attuato il loro piano. Ma cosa gli diceva che poteva
fidarsi di lei?
“Ho
un'idea migliore.” Mikael alzò l'indice, muovendolo
nell'aria e girandosi lentamente verso di me. Tese la mano verso
Diana per farsi rendere il pugnale, e mi alzò il mento con le
dita dell'altra mano.
I
suoi occhi premettero di nuovo nella mia volontà, scacciando
via come polvere al vento ogni mio possibile tentativo di lotta nei
loro confronti. “Irina, entra là e pugnalalo al cuore.”
“No...”
sussurrò Klaus, lo vidi scuotere la testa con la coda
dell'occhio e una parte di me, quella che ancora era mia, si
chiese che emozione lo stesse attraversando in quel momento.
Mikael
non si fidava di Diana, era chiaro, e per quel motivo voleva mandare
me...anche perché voleva giocare con Klaus, divertirsi con il
suo terrore e vedere fino a che punto sarebbe stato capace di portare
la sua sofferenza.
“Irina,
non farlo.” ripeté ancora Klaus, mentre allungavo la
mano a prendere il pugnale che lui stringeva nella mano. Il dolore
bruciante che avvertivo al palmo ferito era ancora vivo, eppure lo
ignorai perché avevo altri ordini da seguire, altre pene a cui
cedere.
“Perché
no, Niklaus? Puoi sempre spezzarle il collo per impedirle di farlo..”
li provocò Mikael, lanciandogli una lunga occhiata di fuoco.
Prima
che le mie mani circondassero il manico del pugnale, lo spirito che
si era assopito in me, si liberò dai vincoli di Mikael e
trovai la forza di ribellarmi ai suoi comandi e riprendere possesso
del mio corpo e della mia mente. Ritrassi la mano, ignorando il
dolore alla testa che martellava ripetutamente e la scossi con
decisione, sforzandomi anche di non lasciarmi abbattere dal terrore
che quegli occhi di ghiaccio mi procuravano.
No.
“Ti
ordino...di prendere il pugnale e colpire Niklaus.” insistette
Mikael, digrignando i denti e piegandosi di più verso me, per
mostrarmi ulteriormente la sua rabbia manifesta.
Un
atteggiamento che anche Klaus aveva spesso, perché la sua
parte negativa, la sua rabbia nascosta, l'odio che pensava di saper
covare, non erano altro che i risultati di comportamenti che per
secoli gli avevano deteriorato l'animo. Se Klaus era distrutto, era
solo colpa di Mikael.
Non
seppi nemmeno da dove nacque il mio coraggio nel farlo, ma per
risposta alla sua rabbia, gli sputai in faccia, con tutto il
disprezzo possibile che potessi nutrire nei suoi confronti.
Dentro
di me era scoppiato l'inferno, sembrava come se la testa potesse
esplodere da un momento all'altro, in balia dei miei pensieri che non
sapevano più verso che parte andare.
Guardai
Mikael e mi ritrovai ad essere io con lui protagonista di quella
scena da incubo: Diana rimase solo una comparsa, Klaus lo divenne
quando suo padre chiuse gli occhi, asciugandosi lo sputo che aveva
raggiunto il suo viso.
Alzò
poi lo sguardo su di me, ma non mi lasciai intimorire.
Se
quel giorno dovevamo morire, almeno lo avrei fatto togliendomi quel
sassolino dalla scarpa: cercando di umiliarlo, come lui aveva fatto
per intere esistenze con Klaus, Elijah e Rebekah, dando loro la
caccia come un segugio rincorre delle lepri. Trovai in lui anche la
forza di dire a me stessa che non ero debole, anche se poi mi avrebbe
potuta uccidere un istante dopo: stavo combattendo lui, la figura di
mio padre e persino la morte.
Con
quel semplice e banale gesto, mi sentii quasi vittoriosa.
“No!”
gridò Klaus, quando Mikael allungò la mano verso di me
per stringermi il collo con forza.
La
sua presa fu così stretta, che pensai potesse spezzarmelo con
estrema facilità. Tossii più e più volte,
sentendo l'ossigeno dileguarsi sempre di più, fino a divenire
nullo e strinsi il polso dell'uomo, come per scacciarlo.
“Smettila,
lasciala stare!” gridò ancora Klaus.
“Sei
patetico, ragazzo.” Mikael lo schernì, volgendo lo
sguardo verso di lui ma non lasciando mai il mio collo. “Sei
sempre stato un ottimo attore, ma mai come adesso. Fingi di
preoccuparti di questa fanciulla ora?”
Non
ci fu risposta, chiusi gli occhi cercando di afferrare con le labbra
un po' del mio respiro, che stava lentamente abbandonando il corpo.
Quando gli occhi del nostro incubo saettarono verso di me, qualcosa
si accese in loro, come se avesse appena messo in atto un nuovo piano
per colpire suo figlio.
“Tu
ci tieni veramente a lui, non è vero Irina?” mi chiese.
Mi
lasciò di colpo, tanto che per poco caddi a terra, se Diana
non mi avesse sorretta. Presi lunghissimi respiri, colsi tutta l'aria
possibile e mi massaggiai il collo che fino a poco prima era stato
stritolato dalla sua presa e il vampiro tornò a guardare
Klaus, il cui silenzio si era fatto sempre più pressante.
“È
questa la tua debolezza e la tua forza, vero ragazzo? Il suo affetto
per te?”
Chiusi
gli occhi, guardando verso Mikael che si stava avvicinando sempre di
più verso il figlio, sfidandolo attraverso quello specchio
invisibile che li divideva e impediva loro di entrare davvero in
contatto. Klaus non rispose, serrò nuovamente la mascella e il
suo corpo tremò in balia dei brividi.
La
domanda del padre restò priva di risposta, non voleva in alcun
modo dirgli nulla.
Glielo
lessi negli occhi.
“Cibati
della sua presenza fino a quando puoi....tanto la perderai, Niklaus.”
Mikael scosse la testa, convinto di quelle parole. “Quando
vedrà ciò che le farai, morirai del suo odio.”
Klaus
tremò più forte, quasi come se quelle parole gli
fossero entrate sotto pelle come un veleno letale. L'ultima parola,
le lettere che segnavano il male dell'oscurità, lo avevano
terribilmente scosso.
Perché
lui credeva di voler odio, di poterlo gestire e di saperlo plasmare
nella sue mani, ma in realtà non era così. Non era mai
stato così: lui riceveva odio, nascondendo dolore, quando in
realtà la cosa che bramava di più era qualcuno che lo
facesse sentire bene.
Qualcuno
che gli facesse comprendere che non era nell'oscurità che lui
voleva davvero abbandonarsi.
Mikael
tornò a guardarmi. “La vuoi sapere, Irina, una storia
sul tuo Klaus?” mi chiese, parlandomi come se fossi una bambina
che voleva sentire una favola per dormire. Una terribile favola per
dormire.
“Stai
zitto...” Quella parole uscirono come un ringhio dalle labbra
di Klaus, pronunciate a bassa voce ma con una brutalità che
quasi sembrò distruggerle.
Guardai
Mikael confusa, chiedendomi cosa stesse dicendo. Lui si accostò
ulteriormente a me, sfiorandomi di nuovo il mento con le dita. “Sai
che cosa ha in mente di fare? Lo vuoi sapere?”
“Ho
detto di smetterla!” gridò ancora Klaus, con una rabbia
che gli crebbe dentro così velocemente da scoppiare nell'aria.
Le sue parole rimbalzarono nei meandri della grotta, della foresta,
dell'aria, tanto che la natura quasi ne parve spaventata. Il vento si
abbassò per un istante e alcuni uccelli nascosti tra gli
alberi, volarono via facendo risuonare i loro versi nell'aria.
Sia
io che Mikael ci voltammo a guardarlo. Eravamo confusione io e
divertimento lui.
Cosa
aveva in mente di fare Klaus tanto che mi avrebbe indotto ad odiarlo?
Lui intanto prendeva lunghissimi respiri e deglutiva così
rumorosamente che mi parve di sentire quel suono.
Mi
stava guardando, un profondo senso di colpa tingeva le sue iridi,
rendendole quasi lucide alla luce del debole sole.
“La
perderai, Niklaus.” gli ricordò nuovamente Mikael, in un
lieve sussurro. “Ma voglio farti un dono, prendilo come il mio
unico e ultimo atto di bontà nei tuoi confronti, prima di
ucciderti.”
Calò
il silenzio, il vento si alzò nuovamente impetuoso e mosse i
nostri abiti che ondeggiarono nell'aria. Io e Klaus ci guardammo a
lungo. L'ultima sguardo prima della fine.
“Anticiperò
allora il momento.”
Quelle
parole non assunsero subito significato nella mia mente, perché
Mikael si mosse veloce.
Troppo
veloce.
Un
dolore lancinante mi pervase, come una fiamma che cresceva e bruciava
sempre di più il mio corpo, quando qualcosa di freddo e
tagliente trafisse la mia pelle.
Quella
sensazione venne poi sostituita da un freddo intenso, mentre un grido
lontano, quello di Klaus, si espanse attorno a me. Sentii il sangue
salirmi alla bocca, senza che potessi gridare o piangere per l'agonia
che mi stava attanagliando e abbassai lo sguardo sulla mano di
Mikael, che stringeva il pugnale conficcato nel mio addome.
Tossii,
cercando di combattere quell'agonia in cui ero caduta mentre gli
occhi guardavano quelle gocce rosse che lasciavano il mio corpo per
infrangersi nella neve.
Alzai
poi lo sguardo verso Klaus, fui costretta a muovermi lentamente
perché la testa parve farsi così pesante che il collo
non poté sorreggerla.
Incontrai
i suoi occhi sbarrati, le sue labbra spalancate in un respiro sospeso
e il suo corpo che tremava in preda al terrore.
Un
altro grido e caddi di faccia nelle neve.
La
morbidezza del suo candore mi parve letale per la mia pelle.
Prendevo
lunghi respiri, cercavo di muovermi per poter riafferrare la mia vita
ma quella fiamma che stava divampando sull'addome, si fece sempre più
larga, fino ad investire completamente il mio corpo. Si fece sempre
più freddo, il sangue abbandonava lentamente il mio corpo, per
violare la neve con il suo colore rosso cremisi.
Qualcuno
rise, qualcuno gridò, non riuscivo nemmeno più a
riconoscere i suoni attorno a me.
Solo
il fischio del vento, come se sapessi che attraverso lui sarebbe
giunta a prendermi la morte.
“Irina,
no!”
“Ti
ringrazio per avermi permesso di ferirti in questo modo. Lei è
solo la tua debolezza...innamorarti di lei è stato il tuo più
grande errore, Niklaus.”
“Ti
farò pentire di questo, Mikael.”
“Fuori
due scherzi della natura in un colpo solo.”
Quelle
voci si susseguirono rapidamente, malgrado dovessero esserci degli
spazi di silenzio tra loro. Tutte parole prive di senso, che la mia
mente non riusciva a comprendere.
Il
dolore che il mio corpo stava vivendo era così devastante, che
bruciò anche la mia razionalità.
Si
fece sempre più freddo, sempre più.
Vedevo
solo la mia mano che si muoveva davanti ai miei occhi, scavando con
le dita nella neve come per trovare un appiglio che mi permettesse di
alzarmi in piedi e andare a salvare Klaus.
Ma
la vita mi stava abbandonando, come potevo anche solo pensare di
riuscire a salvare la sua?
Poi
calò il silenzio, tanto che per un attimo credetti di essere
davvero morta, di aver raggiunto l'aldilà ma un gemito troppo
vicino a me, mi fece capire che non era così.
Un
tonfo, qualcosa di pesante cadde vicino a me e riuscii ad alzare
lentamente la testa per vedere cosa fosse successo.
Elijah.
Aveva
ucciso Diana, il cui corpo era caduto a pochi centimetri da me: il
collo spezzato e gli occhi socchiusi nel loro ultimo sguardo. I miei
occhi cercarono poi quelli scuri di Elijah, li trovai nella nebbia
che mi offuscava lo sguardo e scorsi la rabbia e colsi la
preoccupazione che li macchiavano.
Gemetti
di dolore, tanto che un suono roco parve attraversare il mio corpo
mentre allungavo la mano verso lui, come per raggiungerlo.
Ma
Elijah non poté muoversi verso me: suo padre gli si parò
davanti, prima che potesse farlo.
Si
dissero qualcosa, parole che non potei sentire perché il mio
udito sembrava essersi paralizzato nella morte. Klaus cercava ancora
di uscire dalla grotta, senza però riuscirci in alcun modo.
Intanto
Elijah e Mikael lottarono: erano però troppo veloci, oppure i
miei occhi erano ormai troppo lenti per seguire i loro movimenti. La
fiamma che bruciava sull'addome divampò sempre più,
arrivando però quasi a spegnersi, lasciando posto solo ad un
profondo vuoto in cui la morte mi avrebbe spinta.
Mikael
paralizzò il figlio, stringendogli il collo e spingendolo
contro la corteccia di un albero.
Elijah
volse un attimo lo sguardo verso me, mentre il padre gli diceva
qualcosa e alzava il pugnale come per colpirlo al petto.
Allora
una nuova lotta, forse l'ultima, si liberò in me.
La
rabbia di veder Elijah colpito da quel pugnale,di vedere i suoi occhi
fissare quelli di uno dei suoi peggiori incubi, vederlo lottare ma
perdere per colpa mia, fece nascere in me una profonda e devastante
rabbia, talmente forte che per un attimo sconfisse le braccia della
morte che stava giungendo a prendermi.
Non
toccarlo!
Quell'urlo
si scatenò nella mia testa.
E
Mikael si fermò: lo vidi piegarsi in due per il dolore e
portarsi una mano alla bocca, mentre un qualcosa di denso e rosso
sfuggiva alle sue labbra. Stava come sputando...sangue.
Si
portò una mano al petto, come se vi avvertisse dentro una lama
che lo colpiva sempre più, poi non riuscii a vedere altro.
Due
mani mi afferrarono per le spalle, facendomi voltare verso l'alto.
Il
cielo bianco, diversi rapaci che volavano in esso lasciando gli
alberi, due occhi blu che mi fissavano preoccupati....
Klaus
mi strinse a sé, come se fossi una neonata bisognosa di
protezione e mi trovai accoccolata al suo petto, mentre si portava il
polso alle labbra. Come aveva fatto a liberarsi della prigionia
attuata da Diana? Forse con la morte della strega, anche
l'incantesimo era giunto al termine poco dopo.
Lui
mi diceva diverse parole, ma non ne colsi nemmeno una, e portò
il suo sangue alle mie labbra. Chiusi gli occhi, disgustata dal
sapore metallico che aveva mentre fluiva in me. Scorse lungo la mia
lingua, scendendo nella mia gola e facendomi quasi tossire.
Quando
li riaprii per un attimo, Elijah era sano e salvo accanto al fratello
e mi guardava con un'espressione preoccupata, mentre continuavo a
bere. Dov'era Mikael?
“Shh,
siamo qui. Bevi.” Klaus mi ordinò di farlo, con una
prepotenza che aveva della dolcezza, appena cercai di allontanare il
suo polso con un gemito e stringendogli la mano del polso con le mie
dita.
Con
lo sguardo scorsi i tratti del suo viso, quelli del viso di Elijah e
poi, inevitabilmente, li alzai verso il cielo.
Fu
lui l'ultima cosa che vidi, mentre i miei occhi iniziarono a cedere
all'oscurità.
Poi,
il nulla.
* *
* *
I
could fight you 'til the end But I would lose you if I win So I
guess I'll just keep on giving In to you like I always do, no
matter how I try Or maybe could it be that you're the part of
me That's keeping me alive!
Com'era
possibile che il dolore fosse già giunto al termine?
Non
sentivo più freddo, non sentivo più la sensazione del
sangue che abbandonava il mio corpo, non avvertivo più
l'aleggiare della morte che stava venendo a prendermi.
No.
Mi
sentivo al caldo, al sicuro: il mio corpo era leggero, svuotato da
tutta quella pena che avevo sentito quando Mikael mi aveva colpita,
ma la mente era ancora frastornata. Pensieri e ricordi balzavano da
un lato all'altro della mia testa, facendola rimbombare in una
maniera che mi stava distruggendo.
Mi
portai una mano alla fronte, tenendo ancora le palpebre socchiuse in
modo che potessi bloccare quel frastuono dentro la mente. Il palmo
era bendato e un intenso rosso ne tingeva il tessuto bianco, ricordai
allora che, in quel preciso punto, mi ero ferita.
“Irina?”
Quella
voce, così reale e vicina, mi costrinse ad aprire gli occhi:
Klaus era seduto al bordo del mio letto e mi guardava con fare
preoccupato. I suoi occhi blu erano lo specchio di stanchezza,
stanchezza di chi ha lottato con il suo peggiore nemico, per poi non
uscirne né vinto, né vincitore.
Strinsi
le palpebre più forte, per mettere a fuoco il suo viso, ma
quasi mi risultò impossibile.
I
ricordi di quello che era successo secondi, minuti o ore prima
invasero la mia mente, come un fiume in piena, e non potei che
sentirmi in colpa. Perché la mia debolezza aveva fatto sì
che lui ed Elijah affrontassero un nemico da cui fuggivano da secoli,
qualcuno che era capace di portare loro via la vita.
Era
colpa mia.
Avevo
quasi ucciso Klaus, lo avevo quasi gettato tra le grinfie di suo
padre, solo perché ero inutile.
Scesero
le lacrime, ogni volta che attraversavano il mio viso per
abbandonarsi alla morte, mi sembrava di essere più leggera e
libera. Come se loro facessero scivolare via il mio dolore, la mia
pena, la mia colpa.
Mi
dispiace.
Klaus
fece un passo verso di me, mi fu così vicino che dovetti
alzare la testa, in cerca del suo sguardo. Pensai che fosse
arrabbiato, deluso, seccato e lo era, ma nei confronti di sé
stesso.
“Non
devi scusarti di nulla. Stavolta sei stata tu a salvarmi la vita,
quindi non vedo perché dovrei prendermela con te.”
disse, parlò con tale freddezza nei toni che mi lasciò
intendere non voleva aggiungere altro, chiudere lì la
questione e andare avanti.
Voleva
provare a lenire il mio dolore, ma chi ha troppe ferite da curare sul
proprio corpo, non può medicare quelle degli altri.
Calò
un profondo silenzio, perché sapevamo che saremmo giunti a
discutere di altro, di parole che avevano bisogno di essere provate,
frasi che dovevamo capire fossero veritiere o meno.
“Vuoi
sapere la verità, piccola Petrova?”
Alzai
lo sguardo su Klaus, allontanandomi dal cuscino su cui le mie spalle
stavano comodamente affondando e lo guardai attentamente.
Il
vampiro piegò la testa da un lato, anche se sapeva cosa stavo
per chiedergli.
Perché
Mikael sosteneva che io, prima o poi, lo avrei odiato? Ne era certo,
come se sapesse che suo figlio avrebbe compiuto un atto così
atroce da impedirmi di stargli mai più vicino.
Gli
posi quella domanda a gesti, lenti e decisi, malgrado la testa mi
stesse scoppiando.
“Mio
padre farneticava. Voleva solo separarci, perché sa che....”
si bloccò di scatto, rendendosi conto che, involontariamente,
stava arrivando ad un altro quesito che Mikael aveva posto in me con
le sue parole, altre frasi che trovavo insensate e che non credevo
fossero vere. Era impossibile.
Non
dovevi innamorartene.
Come
non credevo che Klaus potesse farmi del male, non credevo nemmeno in
quelle tre parole, che si susseguirono nella mia mente, la quale le
elaborava e le rielaborava ancora per trovarne un significato
alternativo.
Klaus
non mi diede il tempo nemmeno di pensare ad altro, che si accostò
al mio viso e lo strinse tra le mani, incatenando lo sguardo al mio e
affondando il blu delle sue iridi in quelle dei miei occhi.
“Ora
mi ascolterai attentamente.”
Quelle
parole trapassarono il mio sguardo come lame, raggiunsero poi i miei
pensieri e li soffocarono in maniera che mi piegassi completamente ad
esse.
Potevo
ancora essere soggiogata per via della pozione di Diana.
Ma
non capivo perché Klaus lo stesse facendo. Lo guardai, il
terrore mi pervase lo stesso, anche se il mio corpo non poteva
rispondervi ed esternarlo.
Klaus
si fece ancora più vicino a me, tanto che il suo respiro si
abbatté sulla mia pelle, come un uragano di fuoco.
“Stai
per perdere la memoria su quello che è accaduto, Irina.”
Klaus
alzò il capo, ma non smise di tenere il contatto con i miei
occhi.
Cosa
voleva cancellare dalla mia mente? Io non volevo dimenticare, non
volevo scordare quello che era successo in quella giornata.
Non
volevo dimenticare ciò che avevo visto in lui. Non
volevo dimenticare quello che avevo sentito.
Anche
se ero in balia del suo potere, ero libera di piangere e scuotere la
testa per implorare di non farlo, di non fare quello che aveva in
mente di compiere, anche se non avevo ancora ben capito di cosa si
trattasse.
“Sai,
quando ti ho fatta venire qui dalla Bulgaria, non sapevo cosa avresti
portato. I guai, i problemi che mi avresti causato in questi
mesi...se potessi tornare indietro, non avrei mai fatto spedire
quella lettera a Katerina per farti venire qui da noi.”
Tirai
su con il naso, le lacrime continuavano a scendere lungo il mio viso
nell'udire quelle parole, perché Klaus stava parlando di me
come se fossi una maledizione.
Ma
come dargli torto? Avevo causato così tanti danni a lui,
Elijah e gli altri che forse veramente lo ero.
“Tu
sei una maledizione, Irina. Sei la mia maledizione.”
Klaus pronunciò quelle parole con rabbia, non potendo
abbassare lo sguardo, fui costretta a chiudere le palpebre un
istante, per non vederlo guardarmi in quel modo. Si fece più
vicino, percepii i suoi occhi attraversarmi il viso e scrutare ogni
singola emozione che lo attraversava, poi qualcosa cambiò.
La
sua...rabbia parve trasformasi in altro, in qualcosa di diverso.
“Sei
una maledizione che non potrò mai spezzare, la debolezza che
non potrò mai sconfiggere.” disse ancora. Il viso del
vampiro si rilassò, tanto che mi parve assumere un aspetto
così umano che mi sconvolse, mi disorientò proprio come
era successo quel pomeriggio.
“Non
sapevo, non potevo sapere cosa sarebbe successo....non potevo
sapere che tu saresti stata la parte di me a farmi sentire di
nuovo...vivo!”
Parlò
in un ringhio, la sua voce venne spezzata dalle parole che uscivano
dalle sue labbra e i suoi occhi si fecero stranamente lucidi. Il
cuore mi batteva all'impazzata mentre lo guardavo lottare con sé
stesso.
Non
con me, con sé stesso.
“Tu
sei l'aria che non potrò mai respirare. Il veleno che non
potrà mai uccidermi. La cura che non potrà mai
guarirmi....” disse ancora, affilando lo sguardo e abbassando
gli occhi nei miei, ancora più in profondità. Non
potevo fare nulla: pensare, rispondere...potevo solo ascoltarlo, con
le lacrime che sfuggivano al suo controllo mentale.
Il
cuore però parlava da sé: lui era libero, privo di
catene e poteva gridare e parlare quanto volesse.
“Non
me ne sono nemmeno reso conto, non so dire nemmeno io quando sia
stato il momento in cui non ho più desiderato le tue lacrime,
ma il tuo sorriso.” continuò Klaus, scuotendo la testa.
“Ma è successo...e non doveva succedere. Non con te. Non
con quello che c'è in ballo. Non con quello che dovrò
fare e a cui non posso rinunciare. Se ti sconfiggo, ti perdo. Se ti
lascio vincere, perdo me stesso. E io non so come comportarmi.”
Klaus
lasciò il mio volto e spalancò le braccia, mentre io lo
guardavo in silenzio. Non avevo parole da dire, occhiate da lanciare,
ma continuavo solo a sentire il mio cuore battere all'impazzata nel
petto.
“Sono
una bastardo egoista, chi lo dice ha ragione.” Klaus scosse la
testa e si morse il labbro. “Non voglio rinunciare al mio
futuro, ma non voglio nemmeno rinunciare al mio presente...anche se
so che si tramuterà presto in odio. Voglio, ma non posso
combatterlo ormai..ci ho provato e ho fallito. E sono così
vigliacco che nemmeno ho voglia di dirti quelle parole che
definiscono ciò che tu hai fatto nascere in me.”
Volevo
muovermi, fare qualcosa, magari fuggire come una vigliacca da quella
stanza perché quello che Klaus mi stava dicendo mi faceva star
male dentro.
Mi
provocava un dolore immane, riconobbi la disperazione che voleva
farsi largo dentro me e liberarsi, perché lei solo poteva
permettermi di rispondere alle parole di Klaus. Ma ero vincolata ai
suoi occhi blu.
“Ed
essendo un bastardo egoista e vigliacco, ho deciso di abusare di
nuovo della tua momentanea debolezza...per cavarmi in parte da questo
impiccio.”
Klaus
scattò verso di me, facendomi rabbrividire e prendendomi
nuovamente il viso tra le mani.
I
nostri occhi si persero l'uno nell'altra e mi trovai in completa
balia di quella prigionia blu in cui ero rinchiusa.
“Cancella
il dolore che hai provato nell'essere stata soggiogata a farmi del
male. Dimentica i dubbi che Mikael ti ha fatto nascere. Dimentica
tutte quelle frasi che dimostrano che tu sei la mia debolezza.
Dimentica che...”
Si
bloccò, mentre quelle parole si abbatterono su di me come un
fiume in piena, ne venni invasa e pian piano la mia anima venne
ricoperta di esse. Ma una parte di me, il vero ricordo di quel
momento, causò la discesa di un'ultima, sola lacrima lungo il
mio viso.
Klaus
l'asciugò con il pollice che teneva sulla mia guancia e
sorrise.
Mi
accorsi in quel momento, che due lacrime abbandonarono anche i suoi
occhi, nel dolore di poter parlare per davvero per la prima volta, ma
essere costretti a rendere vane e vuote quelle parole.
E
io, inconsciamente, mi liberai dalle catene con cui Klaus mi stava
obbligando a pendere dal suo volere.
Alzai
le mani e gli asciugai quelle gocce di agonia che stavano scendendo
lungo il suo viso.
Klaus
deglutì e chiuse gli occhi, mentre le mie dita scorrevano
sulla linea invisibile di quelle lacrime. Abbassò la testa per
un attimo, in modo da tornare in sé e nascondere l'umanità
che era fuggita al suo controllo in quel momento.
“Tanto
so chi ami. Tanto so che, prima o poi, mi odierai...eppure non voglio
che tu dimentichi i momenti che abbiamo passato insieme, i momenti in
cui mi sono sentito umano al tuo fianco.”
Klaus
pronunciò quelle parole, poi ridacchiò. “Sono
così bastardo, vigliacco ed egoista che non voglio quindi
cancellare quei ricordi dalla tua mente.”
Non
sapevo cosa pensare, come agire, come guardarlo....Klaus stava
esercitando un potere così forte in me che parve quasi la mia
volontà fosse stata affogata nel mare delle sue parole.
Non
ragionavo più, ero completamente soggetta alla sua voce, alla
sua espressione, a quelle lacrime che cercava di cacciare indietro.
“ E
sono anche masochista. Perché non voglio perderti, almeno
finché posso ancora averti affianco. Ma voglio davvero...che
dimentichi di essere la mia debolezza, voglio che dimentichi di avere
questo potere su di me. Dimentica...ciò che io purtroppo non
posso dimenticare e che devo continuare a combattere.”
Il
mio respiro si fece lentamente più regolare, il battito
cardiaco ritornò pian piano alla normalità e parole,
frasi, sguardi, lacrime si tramutarono in antichi ricordi.
Ricordi
vicini, poi sempre più lontani e che vennero circondati da una
leggera foschia.
Che
si fece poi sempre più spessa...
Stavo
per dimenticare tutto.
Non
volevo però, volevo provare a fronteggiare quell'uragano che
voleva trasportare via tutti i miei ricordi, tutte le sensazioni di
quel momento.
Cancellando
la memoria di quel viso.
“Vorrei
tanto sfuggire all'incantesimo che mi hai involontariamente lanciato.
Ma la magia deve finire, devo provare a romperla e a tornare in me.”
continuò Klaus.
Le
sue parole riportarono a galla immagini e parole passate, che
lentamente stavano diventando sempre più irraggiungibili.
No,
quelli non erano ricordi, ma immagini di un dolce sogno, di un
bellissimo incubo.
Non
appartenevano a me, ma a qualcosa di immaginario e che aveva
accompagnato una delle mie notti, illudendomi a tal punto che mi era
quasi parso reale.
“Svegliati,
Irina. Ricorda il meglio che mi hai dato, ricorda ciò che
sei...ma non dimenticare il peggio di me, quello che hai imparato a
non disprezzare e domani mattina, ti prego, ricorda il mio
viso e il mio nome. E non piangere...sorridi.”
Klaus
concluse con quella frase e chiusi gli occhi di colpo.
Come
una dolce ninnananna che giunge al termine, mi parve di uscire dalla
realtà, per balzare nel sogno che avrei vissuto una volta
addormentatami.
Prima
di perdere tutto, prima di abbandonarmi a Morfeo, prima di cedere
all'illusione che avrei provato quella notte, caddi in avanti,
finendo contro qualcosa.
O
qualcuno.
Doveva
essere un corpo quello con cui mi ero scontrata, il mio viso dovette
finire sopra la sua spalla e quel tocco tra i miei capelli doveva
essere una mano, che li accarezzava dolcemente mentre l'altra
rimaneva adagiata sulla mia schiena.
Un
sospiro, il rumore di qualcuno che tirava su con il naso, il suono di
una lacrima che scendeva, mi fece capire che quel qualcuno stava
soffrendo. E anche se sapevo di non poter muovere il mio corpo,
provai un fortissimo rammarico per non poter curare il suo dolore.
Perché
quel qualcuno non volevo che piangesse.
Poi
persi anche contatto con il mio corpo, il sonno stava portandomi via
sempre più e alla fine giunsi nella completa oscurità.
E
tutto quello che volevo ricordare, svanì dalla mia mente.
* *
* *
This
feeling is far from sober There's beauty buried deep inside You're
the only one who gets me high And I know it's far from over As
you can see, you're the part of me that's keeping me alive
Il
crepitio della legna che bruciava mi destò dal sonno.
Spalancai
lo sguardo e la prima cosa che scorsi fu la finestra chiusa.
Il
vento ghiacciato ne colpiva il vetro, fischiando contro di esso con
le sua voce e trasportando fiocchi di neve che si schiantarono su di
esso.
Provai
un senso di stordimento così intenso, che dovetti stringere
più volte le palpebre per rendermi conto che ero distesa nel
mio letto e che quelle pareti di legno appartenevano alla mia camera.
Mi sembrò di avere la mente sgombra di qualsiasi pensiero.
Alzai
il capo, in direzione di quel rumore di legna che bruciava e vidi
Elijah chinato sul camino.
Con
un attizzatoio in mano, cercava di far bruciare sempre di più
il pezzo di legno che aveva introdotto nel fuoco, il quale stava
giocando con le sue luci dorate sopra il volto del vampiro.
Mi
misi a sedere sul materasso, stropicciandomi gli occhi e scendendo
poi velocemente dal letto, con un balzo così rumoroso che
Elijah si voltò di scatto verso me.
I
suoi occhi scuri mi scrutarono mentre mi facevo sempre più
vicina, lasciò l'oggetto che teneva in mano sul pavimento e si
mise in piedi, portandosi le mani sui fianchi. “Stai bene?”
mi domandò.
Perché,
non dovevo? Mi grattai la nuca,
cercando di trovare un nesso logico tra me e la preoccupazione che
Elijah stava provando.
Poi
diverse immagini si susseguirono: io e Klaus nella grotta, Mikael, la
morte di Diana, Elijah e Mikael che lottavano....ma mancava qualche
frammento di quei ricordi, ne ero certa. Serrai le palpebre fissando
un punto nel vuoto e cercando di capire cosa mancasse, o almeno
perché io avessi la sensazione che qualcosa mancasse. Tipo,
cos'era successo in quella grotta? Mi pareva di non avere ricordi di
quel momento. Magari ero ancora troppo stordita per ricordare.
Tu...stai
bene? Ignorai il tutto,
soffermandomi solo su di lui: ricordavo con che occhi mi aveva
guardata quando ero stata ferita, con quale rabbia ma anche timore si
era rivolto poi a quel padre che era solo in un mostro per
lui.
Elijah
annuì. “Io sto bene....ora.” disse in un sospiro e
volgendo lo sguardo verso un punto dietro di me. “Fortunatamente,
vi ho trovati in tempo e l'incantesimo che tratteneva Klaus si è
spezzato dopo la morte di Diana. Grazie a lui sei salva,
altrimenti...”
Ripensai
al momento in cui suo fratello si era avvicinato a me e mi aveva
salvata, appena lui interruppe la frase per non formulare un
ipotetico continuo. Si sentiva in colpa, forse per non essere
riuscito lui a salvarmi, ma non doveva: era solo colpa di Mikael, se
eravamo stati gettati tutti in quella situazione.
Ripensando
a lui, avvertii come dei buchi nella mia memoria, come se ci fossero
stati altri momenti, magari legati a Klaus, che non riuscivo proprio
a ricordare.
Mi
portai di nuovo la mano alla fronte e chiusi per un'istante gli
occhi, cercando di rimettere a posto tutti i miei ricordi.
Mikael?
Elijah
alzò le sopracciglia. “Bella domanda.” disse, con
aria leggermente inquieta. “Ha iniziato a sputare sangue, a
perdere colorito della pelle...ma è riuscito a scappare, prima
che potessi colpirlo una volta per tutte. E sembra sia scomparso,
almeno per ora.”
Non
sapeva come spiegarsi ciò che era successo, ma io temevo di
poterlo fare: quella rabbia, quella furia che avevo sentito crescere
dentro di me quando Mikael stava per ucciderlo...e se fosse, in
qualche modo, “esplosa” e avesse colpito il
vampiro?
Era
un'ipotesi assurda che scartai subito, magari Diana aveva giocato a
Mikael qualche giochetto che lo aveva fregato. Non potevo aver fatto
una cosa simile, non potevo.
“Forse
hai ancora bisogno di riposo, Irina.” mi disse Elijah,
trovandomi persa nei miei pensieri, ma scossi la testa.
Stavo
bene, troppo bene per essere stata pugnalata all'addome e per
essere stata soggiogata. Non avevo necessità di tornare a
letto. Alzai lo sguardo su di lui, quando ricordai la storia di
Belial, del demone dall'aspetto d'angelo, ma non trovai la forza di
parlargliene. Non in quel momento, non dopo che entrambi avevamo
rischiato di morire quel giorno. Forse presi quel pretesto, perché
non avevo coraggio, in quell'istante, di ricordare ciò che
Diana mi aveva detto riguardo quell'uomo che mi stava cercando.
Mi
dispiace.
“Per
cosa?” Elijah corrugò la fronte confuso, quando mi vide
muovere le mani in quei gesti veloci.
Per
averlo messo di nuovo in pericolo, sia lui che Klaus.
Se
fossi stata più forte, più scaltra, meno
insignificante, forse lo avrei evitato.
Non
risposi però, Elijah mantenne lo sguardo sul mio viso e,
lentamente, notai che i suoi piedi si erano mossi nella mia direzione
e lui si era fatto più vicino. “Devo dirti una cosa.”
mi disse.
Come
di consueto, il cuore iniziò a volermi scoppiare nel petto,
mentre lui mi guardava intensamente con quegli occhi neri che
sembravano potessero arrivare nel profondo del mio animo.
“Mesi
fa, ho rinunciato a te perché stavo per compiere qualcosa di
terribile, qualcosa che...non volevo più fare.” iniziò
a dire e non seppi come, ma mi parve di aver provato anche prima una
sensazione simile di fronte a quelle parole. Come se qualcuno me le
avesse rivolte, ma non riconoscevo chi.
“Ma
ora ho trovato un modo per cancellare, in parte, colpe che non avrei
potuto sostenere.” Elijah si fece più vicino a me, tanto
che una vampata di calore mi salì al viso. Quello sprigionato
dal fuoco alle sue spalle era nulla a confronto di quello che io
stavo provando dentro di me.
“Non
meritavi le bugie che ti dicevo...e forse non meriti nemmeno quello
che sto facendo adesso, perché sto continuando a nasconderti
l'oscurità che ci circonda.”
Ma
di che stava parlando?
Che
colpa aveva deciso di cancellare, tanto che non sarebbe più
riuscito a sostenerla?
Tanto
che aveva preso una decisione che aveva fatto del male ad entrambi?
Mi
prese il viso tra le mani, in modo che i nostri occhi non la
smettessero mai di fissarsi. Il cuore continuava a battermi
all'impazzata, preda di troppe emozioni che lo stavano sconvolgendo.
“Adesso
però mi sento libero...di combattere per te.” sussurrò,
muovendo lentamente le dita sulla pelle delle mie guance.
“E,
sarò egoista, ma...” Elijah sorrise, in una maniera che
scacciò tutto il buio che aveva pesato su di noi in quella
giornata. “Farò di tutto per averti di nuovo. Sarò
al tuo fianco sempre, in ogni occasione...e affronteremo insieme
tutte le difficoltà che incontreremo.”
Abbassai
gli occhi, non riuscendo più a sostenere i suoi occhi scuri,
mentre il calore mi saliva alle guance per l'emozione.
Notai
poi che stava per andarsene, allontanando le mani dal mio viso e
continuando a sorridere, mentre si dirigeva verso la porta. Perché
credeva che io non stessi aspettando quel momento, che avessi
abbandonato la speranza di riaverlo, ma in realtà non era
così.
E
lui doveva saperlo.
Doveva
sapere che avevo sognato di rivivere quella realtà insieme a
lei, di non dovermici più aggrappare nelle mie notti, come se
fosse un sogno che non avrei mai potuto raggiungere.
Prima
che aprisse la porta e che se ne andasse con quella infondata
convinzione, corsi a pararmi davanti a lui.
Elijah
mi guardò sorpreso, ma non ebbe tempo di fare nient'altro che
mi alzai sulla punta dei piedi e posai le labbra sulle sue.
Il
respirò si arrestò, il battito del mio cuore divenne
sempre meno regolare, man mano che i nostri corpi si muovevano.
Crebbe sempre più, mentre le mie braccia accorsero a
circondare il suo collo e le sue mani salivano a raggiungere un punto
dietro la mia schiena, in modo che fossimo più vicini.
Poi
il bacio divenne più intenso, più passionale.
Scacciammo
la dolcezza, come se non fosse abbastanza in quel momento, perché
avevamo troppo bisogno l'uno dell'altra per poter andare avanti.
Indietreggiai diversi passi, mentre lui ne fece diversi in avanti e
mi ritrovai con la schiena sulla porta. Le mie dita raccolsero
diversi ciuffi dei suoi capelli, come per aggrapparsi ad essi mentre
un inarrestabile fiamma bruciava dentro il mio petto.
Le
labbra di Elijah si spostarono verso la mia guancia, ricoprendola di
lenti baci che mi bloccarono il respiro, per poi raggiungere un punto
alla base destra del mio collo, sopra cui affondò il viso.
Chiusi
gli occhi, trovandomi intrappolata tra la porta e il suo corpo e
sentendo il respiro troppo affrettato, mentre attraversava i suoi
capelli, a cui le mie dita stavano ancora aggrappandosi.
Quando
baciò la pelle del mio collo, provai un lungo brivido che
corse lungo la mia spina dorsale.
Il
cuore batteva così forte da farmi scoppiare la testa, priva di
qualsiasi razionale pensiero potessi avere in quel momento.
Elijah
sorrise, alzò la testa e posò il viso davanti al mio,
mentre le sue mani salirono nuovamente ad accarezzare le mie guance,
accaldate e sicuramente rosse. “Stavo per chiederti se ne sei
sicura, ma il tuo cuore ha già risposto a quanto pare.”
mi disse, un po' divertito, mentre io iniziai a rimproverare quel
muscolo logorroico che
non la smetteva di gridare tutto ciò che provavo.
Sorrisi
imbarazzata e distolsi lo sguardo, le sue dita rimasero ancora sulle
mie guance, delineando strisce di calore su di esse. “Ti
proteggerò io da qualsiasi cosa, Irina.” sussurrò,
come se quelle parole gli facessero male.
Trattenni
il fiato. Non volevo che lui mi proteggesse, l'ultima volta che lo
aveva fatto ci eravamo fatti entrambi del male: preferivo l'ipotesi
che, magari, avremmo combattuto tutto insieme. Qualsiasi
cosa.
Le
mie mani presero il suo viso e gli sorrisi, nella maniera più
rincuorante possibile.
Combattere.
Insieme.
Non
potevo dirgli che quelle due parole, per fargli capire che avevamo
bisogno solo di quello.
Gli
gettai di nuovo le braccia al collo, più lentamente rispetto a
come lo feci poco prima, e lo strinsi forte a me. Sorridevo mentre
rimanevo avvinghiata a lui e fui felice che, quella casa, avrebbe
intrappolato tra le sue pareti un ultimo bellissimo ricordo.
Forse
un epilogo migliore non potevo chiederlo.
* *
* *
“Muoviti
nanetta! O Elijah ci lascia entrambe qui!”
La
voce di Rebekah mi richiamò alla realtà, strappandomi
via dal mare di ricordi che mi inondò mentre lasciavo scorrere
lo sguardo lungo quelle pareti ormai spoglie.
La
nostalgia mi avvolse nel suo abbraccio. Risa, lacrime, dolori, gioie
che quella casa mi aveva regalato si sarebbero tramutate in ricordi
che io avrei tenuto per sempre con me, mentre quelle pareti le
avrebbero racchiuse e protette in loro fino all'eternità.
Rebekah
apparve sulla soglia della porta d'uscita, con il cappuccio che le
copriva i capelli dorati e un'espressione da bambina sul viso.
“Allora, ti muovi oppure ti faccio portare in braccio da mio
fratello?” mi domandò, mostrandosi pungente ma ridendo
divertita.
Non
risposi subito, rimasi immobile al centro del corridoio con lo
sguardo che solcava ogni centimetro di quelle pareti.
Quanto
mi sarebbe mancato quel posto...avrei tanto voluto rimanervici per
sempre, per quante cose mi aveva dato.
Rebekah
lesse la malinconia nel mio sguardo, fece diversi passi verso di me e
abbozzò un sorrisetto nella mia direzione. “Mancherà
anche a me questo posto.” mi disse, cercando di unire le mie
sensazioni alle sue, in maniera che non fossi sola ad affrontarle.
“Ma ci torneremo un giorno, che ne dici? Tanto Nik l'ha pagata
un sacco di soldi questa casa e quindi non l'abbandonerà
mica...”
Dovevo
sorridere ma non ci riuscivo, quella casa mi sarebbe davvero mancata
troppo.
Non
avrei mai creduto che avrei potuto affezionarmici in quella maniera,
ma era inevitabile: lì dentro avevo scoperto le cose più
belle che mi legavano ad altre persone, ma lo avevo fatto affrontando
le più brutte. Era come se quella casa mi aveva permesso di
combattere, di crescere e di trovare quanto di migliore ci potesse
essere in coloro che amavo.
Si
diceva che anche le case avevano un cuore, mai come allora ne fui
d'accordo.
Rebekah
batté le mani. “Dai, non fare quella faccia.”
disse, cercando di non mostrami la malinconia che aveva inumidito i
suoi occhi. “Quando torneremo alla vecchia dimora, ci saranno
feste e balli. Non è poi così male, no?” Il suo
tentativo di risollevarmi il morale in parte funzionò,il
sorriso da bambina che le illuminava il volto avrebbe contagiato
chiunque.
“Su
andiamo, Elijah e Katerina sono giù in carrozza ad
aspettarci.” disse poi e si allontanò elegantemente
oltre la porta, la sua figura si mosse tra gli ultimi fiocchi di neve
che avrei visto cadere da quel cielo per poi farsi sempre più
lontana.
Sospirai
facendomi forza per varcare quella soglia. Ma appena mi mossi, passai
davanti alla porta socchiusa della camera dei dipinti. Sentivo dei
rumori provenienti dall'interno, come di fogli che venivano mossi tra
le dita.
Presa
dalla curiosità, aprii la porta e vi trovai dentro Klaus: mi
dava le spalle, indossava il mantello per uscire e aveva il capo
chino su qualcosa davanti ai suoi occhi.
Malgrado
ero stata attenta a non compiere alcun rumore, lui parve percepire la
mia presenza: alzò la testa e poi la voltò verso di me,
guardandomi sulla soglia della porta e ricambiando il mio sguardo.
In
mano aveva dei fogli rappresentanti dei volti, ma li piegò
subito in quattro parte in modo che non ne riconoscessi il soggetto.
“Che vuoi?” mi chiese pungente.
Scrollai
le spalle, guardandolo sentivo come se qualcosa fosse nascosto ed
invisibile.
Era
una strana sensazione che non sapevo spiegare, sembrava che un pezzo
di noi fosse stato cancellato dalla mia mente, che arrancava
alla ricerca di esso ma non riusciva a trovarlo.
Klaus
sbuffò. “Quando ti toglierai il vizio di fissare le
persone in quel modo e senza motivo?” mi domandò. Ma si
stava sforzando di essere rude, una parte di me riusciva a scorgere
altro sotto quell'espressione seccata. Non la sapevo definire però,
forse...tristezza?
Magari
la stava provando anche lui nell'abbandonare quella casa, o forse si
trattava di altro.
Non
piangere...sorridi.
Quelle
parole si fecero largo nella mia mente, come il risuono di vecchie e
dolorose parole che qualcuno doveva avermi rivolto tempo addietro, ma
il cui volto mi parve offuscato.
Però
inspiegabilmente, seguii il suo volere e..sorrisi.
Forse
verso Klaus, forse verso me stessa o forse verso un'altra parte di
futuro che avrebbe atteso tutti noi. Non lo sapevo nemmeno io in
realtà, ma sentivo che dovevo farlo.
Lui
guardò le mie labbra allargarsi in quel sorriso e la sua
espressione si fece più rilassata, quasi come se aspettasse
quel momento, come se si fino ad allora si fosse arrampicato ad esso.
Ma
non sapevo spiegare il motivo per cui provassi quelle assurde
sensazioni.
Mi
voltai indietro e mi avviai verso l'uscita di casa, scrutando per
l'ultima volta quelle pareti che avrebbero per sempre racchiusi
rimembranze di lacrime, sorrisi, gioie e dolori.
Appena
raggiunsi la neve fuori dalla casa e scorsi la carrozza in fondo alla
collina, sentii Klaus apparire alle mie spalle. Proseguii il cammino,
mentre sentivo il vampiro chiuderci la porta alle spalle a chiave.
In
quel modo, aveva deciso di proteggere tutta la vita che avevamo
vissuto là dentro.
Ed
era ora di tornare a casa.
How
am I supposed to break this spell you got me under? I'm so
addicted to the pain Got your poison running through my veins The
way you pull me in The way you chew me up The way you spit me
out I keep coming back I can't get enough I can't go without
you
Buon
pomeriggio a tutti! :D
Mi
auguro che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! :)
Allora,
ci tenevo a fare alcune precisazioni al riguardo: mi rendo conto che
la parte in cui Irina sta per perdere la vita è un po' confusa
e magari anche frettolosa, ma è un elemento che ho deciso
appositamente di fare perché, dovendo o almeno cercando di
immedesimarmi nella protagonista, non sarebbe stato realistico
riportare tutto in maniera dettagliata. Spero comunque che questa
parte sia stata comprensibile.
Ora
vi do una bella notizia: preparate trombette e cappellini, perché
questa fanfic è quasi giunta al termine! Mancano solo 4/5
capitoli (la storia era già bella che pronta ma siccome vi ho
apportato alcune modifiche, non so dire di preciso se ne mancano 4 o
5) però comunque pochini e tra un po' mi levo dalle scatoline!
XD in questi ultimissimi capitoli verrà risolta del tutto la
faccenda di Belial ma inoltre ci saranno anche dei “confronti”
tra Irina e Klaus...malgrado quello che è successo in questo
capitolo, penso sia normale che i due affrontino la
loro...situazione,diciamo. :)
Inoltre
la fanfic è in revisione, anche se ora ho corretto solo il
prologo, poiché mi sono accorta di diversi orrori grammaticali
e sintattici per cui i miei insegnanti di italiano mi verrebbero a
cercare con la mazza!
Ok,
la smetto di dilungarmi più di tanto e passo ai
ringraziamenti: grazie a tutti coloro che leggono la mia storia, sia
chi lo fa in silenzio e sia chi recensisce. Un grazie di cuore anche
a chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate e seguite.
Alla
prossima, ciao! ^^
|
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Capitolo 25 *** What Kind Of Love ***
Dedicato
ad Elisabetta che sopporta sempre questa croce umana di pseudo
autrice :P
-What
Kind Of Love-
What
If Love will leave your heart an open sore
and
i can't reveal what even i don't know
The
love you feel you waste away on me
What
kind of love will let us bleed away?
No
kind of love will make us bleed away
(Avantasia-
What Kind Of Love)
“Irina?”
Mi
voltai di scatto, ma scorsi solo l'oscurità della notte
circondarmi.
Tirava
un fresco venticello che muoveva le gonne del mio vestito, i capelli
sciolti si muovevano nell'aria e giunsero a coprire il mio volto.
Attorno a me solo un vasta distesa di erba che ballava con il vento,
alcuni alberi si trovavano distanti da me e le loro fronde causavano
una lieve melodia che giunse fino a me. Ma non trovai nessuno che
avesse pronunciato il mio nome in quel roco ed inquietante sussurro.
“Irina?”
Quella voce lo ripeté, ma in quel caso era più profonda
e penetrante rispetto a poco prima.
Mi
sentii terribilmente attratta da essa, come se quel richiamo fosse un
aroma irresistibile a cui non potevo resistere.
E,
quando mi voltai, lo vidi.
*
* * *
“Irina?!”
Sobbalzai
sulla poltrona e spalancai gli occhi, quando quella voce mi urlò
nelle orecchie.
Chinate
su di me vi erano Rebekah e Katerina, ma la voce squillante che aveva
chiamato il mio nome doveva essere quella della bionda. Entrambe
avevano tra le mani i vestiti che avremmo indossato per quella sera e
mi guardavano come se trovassero assurdo che mi fossi addormentata
nel bel mezzo delle prove d'abito.
Sbattei
più volte le palpebre, cercando di riprendere contatto con la
realtà e scacciare la foschia che offuscava il mio sguardo,
appena destatosi dal sonno da cui ero stata strappata via.
Non
mi trovavo in un prato e non era notte: il tempo era soleggiato, il
cielo terso e limpido e una leggera brezza mattutina portava un po'
di fresco dentro la stanza di Katerina, muovendo la tenda bianca che
rimaneva sospesa nell'aria. Il cinguettio di qualche uccello tra i
rami degli alberi rendeva più tangibile l'aria di tranquillità
che aleggiava tra noi.
“Si
può sapere cosa stavi sognando? Ti lamentavi nel sonno.”
mi chiese Katerina preoccupata, mentre io cercavo di rimettermi
composta sulla poltrona dove ero seduta.
Dovevo
essere in completo disordine, con i capelli arruffati e gli occhi
gonfi per il sonno, chissà quanto tempo quelle due erano state
ad osservarmi in quel modo.
Scossi
la testa, portandomi la mano alla fronte e lasciandomi andare ad un
lungo sbadiglio. Non sapevo nemmeno io cosa avessi sognato e nemmeno
volevo darci tanto peso, era solo uno stupido sogno.
“Va
bene. Alzati nanetta, che dobbiamo prepararci per stasera!”
Rebekah era tutta brio e allegria quei giorni, batté le mani
entusiasta e distese il suo abito color porpora sul letto. Da come si
comportava, era chiaro che non avesse apprezzato la solitudine che la
casa sulla collina ci aveva regalato per tutto quel tempo, cosa che
invece avevo fatto io: lei adorava le feste, adorava organizzarle e
prendervi parte, mentre io avevo già un groppo in gola al
pensiero che sarei di nuovo stata circondata da tutte quelle eleganti
persone che, malgrado tutto, riuscivano ancora ad imbarazzarmi come
non mai.
Mi
alzai in piedi e mi stropicciai gli occhi, guardando Katerina che
invece stava ammirando il suo abito color ambra. Mi posizionai
accanto a loro, attraversando il fascio di luce che si estendeva
lungo il pavimento e lasciandomi attraversare dal suo calore.
Cercai
il mio abito, quello che Rebekah mi avrebbe di certo fatto indossare
per quella festa, ma non lo trovai. Guardai le due con aria
interrogativa, ma loro erano così prese dall'ammirare le
stoffe dei vestiti che nemmeno si accorsero del mio sguardo.
“Nik
non ti ha mandato il tuo vestito?” mi domandò Rebekah,
quando si accorse che mi stavo guardando attorno troppo, quasi come
se temessi che il vestito fosse fuggito via.
Scossi
la testa, erano giorni che Klaus mi sembrava...freddo. Era distante e
delle volte sembrava quasi evitarmi, non ci parlavamo da quando
avevamo lasciato l'altra dimora e non riuscivo proprio a comprendere
il motivo per cui si comportasse così.
Rebekah
non parve molto sorpresa della mia espressione, sembrava aspettarsi
un comportamento simile dal fratello, a differenza mia invece.
Presi
un lungo respiro, cercando di non rimanerci troppo male sul perché
non fosse arrivato un vestito anche a me. Visti gli ultimi
atteggiamenti, non dovevo nemmeno stupirmi di una cosa simile.
“Forse
è rimasto dal sarto. Vado a sentire io.” Katerina mi
sorrise, come per rincuorarmi, e mi passò accanto, dirigendosi
verso la porta.
Io
e Rebekah restammo sole e in silenzio, lei aveva le mani sui fianchi
e faceva scorrere lo sguardo lungo ogni centimetro di stoffa del suo
abito. I suoi occhi erano inquisitori, come se cercasse in quelle
pieghe una qualche imperfezione che avrebbe usato poi contro il
fratello.
Io
mi sedetti al margine del letto di Katerina, sforzandomi in tutti i
modi di non pensare al plausibile motivo per cui non mi fosse giunto
il vestito. Del vestito non mi interessava nulla, era il gesto che mi
faceva alquanto restare male. Ma forse era davvero rimasto dal sarto,
poteva anche essere così.
“Ti
vedo più radiosa.” Rebekah mi lanciò un
sorrisetto amichevole, avvicinandosi al mobile dove si trovava il
portagioie di Katerina. Cercò tra i vari orecchini, alla
ricerca di quello che meglio poteva abbinarsi al suo vestito, mentre
io continuavo a guardarla interrogativa. “Presumo che...è
finita la bufera?”
Mi
lanciò un'occhiata che lasciava intendere tutto, mentre con le
dita giocherellava con gli orecchini. Come al solito, dovetti
diventare rossa come un peperone e impedire il flusso di quel calore
salirmi alle gote fu davvero impossibile. Distolsi lo sguardo e lo
posai altrove, magari verso la finestra aperta da cui entrava quel
leggero e fresco venticello mattutino.
Rebekah
non era stupida, doveva essersi accorta che ero più serena
perché io ed Elijah ci eravamo riavvicinati. Anche se stavamo
andando pianissimo nel ricostruire il nostro rapporto, doveva essere
chiaro che stavo meglio da diversi giorni per quel motivo. Però
la ragazza sembrava pensierosa, i suoi occhi blu erano fissi su di me
e un mezzo sorriso illuminava il suo volto. Ma era il tipico sorriso
di qualcuno che stava cercando le parole giuste da dire, quelle con
cui avrebbe rivelato un qualcosa che avrebbe potuto turbarmi.
“Devo
dirtelo però, mi hai sorpresa...” disse poi, parlando
talmente veloce che quasi si mangiò le parole.
La
scrutai a lungo e chiedendomi che cosa intendesse dire. Era a
conoscenza di ciò che sentivo per suo fratello, eppure
sembrava che il nostro riavvicinamento la preoccupasse. Non capivo
perché.
“Ci
sono già passata in una situazione simile...” Rebekah
abbassò lo sguardo timidamente, quasi non riuscisse a
sostenere il mio di sguardo. “E non voglio che si ripeta.”
Quando
i nostri sguardi si incontrarono nuovamente, non riuscii a cogliere
il vero significato nascosto in quelle parole. Sembrava volesse
trasmettermi qualcosa, ma tenerlo nascosto allo stesso tempo. Doveva
riferirsi ad un avvenimento del suo passato che aveva cercato di
cancellare ma che io avevo in qualche modo riportato a galla.
Di
cosa stai parlando? Mi sarebbe
tanto piaciuto poterle riferire quelle parole, comprendere il motivo
per cui i suoi occhi chiari fossero velati di malinconia, paura ma
anche accusa nei miei confronti.
Forse
sbagliavo.
Rebekah
abbassò lo sguardo. “Non voglio che nessuno dei due
soffra, Iry.” disse, scuotendo la testa. “E so quello che
Nik ti ha detto quella sera, anche se con me non si è
confidato per nulla.”
E
mi guardò di nuovo, aspettandosi una mia reazione.
Quale
sera? Riflettei sulle sue parole, su ciò che mi aveva
appena detto e provai a rammentare il momento a cui doveva riferirsi.
Ma
non c'era stata alcuna sera in cui Klaus era venuto a dirmi qualcosa
negli ultimi giorni, non che io ricordassi almeno.
Scossi
la testa interrogativa, facendole capire che non avevo idea di cosa
stesse parlando.
“Non
c'è bisogno di fare finta di nulla, Irina.” continuò
Rebekah, mostrando parecchio fastidio. “Io so che...”
Si
bloccò, quando vide la confusione apparire sul mio volto e
sbatté più volte le palpebre, come se lei stessa non
capisse più quello che stava accadendo.
Io
non avevo mai parlato con Klaus dopo ciò che ci era accaduto,
l'ultima volta era stata la mattina in cui partimmo per tornare in
quella dimora e già da quel momento si era mostrato parecchio
freddo.
Prima
che potessi chiedere dell'altro, sentimmo bussare alla porta della
camera. Rebekah diede il permesso di entrare e Klaus si affacciò
sulla soglia della porta;con lo sguardo basso e la mano che
circondava il pomello della porta. La sua espressione era rigida e
gli occhi si alzarono lentamente, per posarsi su Rebekah, che invece
lo guardava con una severità, che quasi mi pare fosse adirata
con lui.
“C'è...una
lettera per te.” Klaus volse lo sguardo verso di me, ma parve
non vedermi.
O
non volesse vedermi; la mia figura davanti a lui venne
trafitta da quegli occhi blu e gelidi.
Provai
uno strano senso di turbamento, mentre mi alzavo in piedi e mi chiesi
cosa avessi fatto di così male da averlo urtato in quel modo:
perché quella freddezza che ostentava la utilizzava solo con
me, con Katerina, Rebekah e gli altri era tranquillo e sereno.
“Torno...torno
subito.” Rebekah gettò gli orecchini sul suo vestito e
si allontanò rapidamente, superando il fratello e lanciandogli
una lunga occhiata che lui ignorò.
Mi
sembrava arrabbiata con lui, quasi indispettita e doveva essere per
qualcosa collegato al suo discorso di prima. Ma perché si
comportavano tutti in quella maniera così assurda?
Io
e Klaus restammo soli e tesi la mano per prendere la lettera che lui
mi stava porgendo.
Fui
molto attenta a non sfiorare le sue dita mentre lo facevo, quasi
sapessi che un mio contatto avrebbe potuto infastidirlo. Aprii la
busta rapidamente e lessi il contenuto, mentre lui sembrava scrutare
il mio volto per vedere che emozioni lo potessero attraversare.
Ma
prima che potessi permettere a quelle parole così dure di
avere effetto su di me, presi un lungo respiro e piegai di nuovo il
foglio dentro la busta.
“Che
cos'era?” mi chiese Klaus, con voce fredda.
Alzai
lo sguardo su di lui e mi parve parecchio distaccato mentre mi poneva
quella domanda, come se non gli interessasse molto sapere la
risposta. Eppure, mi aveva comunque posto la questione.
Per
un istante quelle parole che avevo letto e quasi rifiutato di
comprendere per davvero, mi provocarono un forte dolore al petto. Ma
scossi la testa, non volevo affatto pensarci.
Ci
guardammo a lungo, in un silenzio che sembrava accogliere più
parole di quanto realmente potessimo fare attraverso le nostre voci e
presi, nuovamente, un lunghissimo respiro. Quando vide che stavo per
cercare di rompere quell'immobilità dei nostri volti, lui si
voltò e io sfiorai il suo polso con un lungo tocco per
impedirgli di proseguire.
Come
stai?
Gli
posi a gesti quella domanda, mentre lui mi guardava con la coda
dell'occhio e sembrava essersi irrigidito talmente tanto da sembrare
un blocco di ghiaccio. Non voleva guardarmi, sembrava quasi che la
mia sola vista gli desse talmente fastidio da non volerci nemmeno
provare.
“Come
dovrei stare?” mi chiese, lanciandomi un'occhiata talmente
fredda che mi fece rabbrividire. Una morsa mi avvolse il cuore, mi
sembrò di rivedere lo sguardo che tempo prima mi aveva sempre
rivolto, quello pieno di disprezzo e rancore che nutriva verso la mia
figura.
In
un secondo mi balenarono alla mente tutti i ricordi che avevo con lui
e non trovai nessun mio atteggiamento che potesse averlo indisposto.
Tu
sei la mia maledizione.
Mentre
la mia mente vagava, mentre tutti i miei pensieri si raggruppavano
nella mia testa, sentii quella voce giungere a me, facendosi largo
tra tutti i suoni che i miei ricordi avevano riportato a galla.
Ma
quella voce, quelle parole, non ricordavo nemmeno che qualcuno me le
avesse rivolte.
“Ora
posso andare o mi devi rivolgere qualche altra assurda domanda?”
mi chiese ancora Klaus, facendosi più pungente.
Sì,
avevo un'altra assurda domanda da rivolgergli. Appena cercai di
chiedergli se era stato in camera mia ultimamente e avevamo parlato,
lui distolse lo sguardo.
“Ho
da fare.” disse solo e si allontanò verso la porta,
ignorando il mio sguardo.
E
sbattendo la porta.
*
* * *
I
giardini erano rimasti verdi e ben curati come li avevamo lasciati. I
fiori che ricordavo aver visto crescere non erano appassiti, i loro
colori ancora arricchivano quelle distese di verde che tanto mi erano
mancate. Diversi profumi venivano trasportati dal venticello fresco
che soffiava sulla terra, il sole ancora alto irradiava calore che si
disperdeva in quella brezza leggera e quasi impercettibile.
Rimasi
diverso tempo a fissare i giardini dal cornicione della finestra nei
corridoi, ignorando le diverse figure che camminavano velocemente
dietro di me nei preparativi della festa di quella sera. I loro passi
che interrompevano quel mio silenzioso contatto con la natura
all'esterno.
Avevo
troppi pensieri per la testa, mentre le parole di Rebekah e Klaus
tornavano a preoccuparmi, ogni volta che non mi soffermavo troppo a
lungo a pensare alla bellezza di quei fiori. Più le ricordavo,
più sentivo le rimembranze delle loro voci nella mia mente e
mi rendevo conto che qualcosa non tornava.
Tutte
le mie preoccupazioni si arrestarono, quando udii altri passi dietro
di me.
Non
mi voltai nemmeno che lo riconobbi subito: Elijah stava camminando
nella mia direzione, con in mano dei fogli ingialliti e un sorriso
gentile sulle labbra. Era incredibile come la sua presenza bastasse a
tranquillizzarmi e ad allontanare tutti i cattivi pensieri che sempre
mi avevano trovato in quella mattinata.
“Buongiorno.”
mi salutò, portandosi poi le mani dietro la schiena e
continuando a concedermi quel sorriso a cui non avrei mai potuto
resistere. Però mi parve di cogliere della preoccupazione
anche nei suoi tratti:era bravissimo a nasconderla, come al solito,
ma non mi sfuggii comunque quell'ombra che lui cercava di celare in
ogni modo.
Feci
un passo verso di lui, posandogli una mano sulla spalla e guardandolo
con aria interrogativa.
Elijah
comprese subito l'interrogativo che stavo rivolgendogli e distolse lo
sguardo. “Vieni.”
Mi
condusse nella sua stanza, dove non saremmo stati interrotti dal via
vai delle persone nei corridoi.
Si
chiuse la porta alle spalle, mentre io mi avvicinavo al centro della
stanza e mi guardavo attorno: era come l'avevamo lasciata, odorava di
antico e la luce del sole entrava dalla finestra aperta, allungandosi
lungo il pavimento.
Tenni
le braccia ai lati del mio corpo e posai lo sguardo verso la finestra
aperta.
Elijah
si parò davanti a me, con una espressione visibilmente
preoccupata in volto.
“Perdonami,
ma non mi sembrava il caso di parlare di Belial in mezzo agli altri.”
mi disse, posandomi delicatamente una mano sulla spalla e
sorridendomi.
Un
sorriso per non farmi agitare, ma che non bastò comunque a non
farmi rabbrividire nel sentire quel nome. Lo guardai con occhi
sbarrati e deglutii.
Cos'hai
trovato? Mi limitai a trasmettergli a gesti solo l'ultima parola,
sperando che comprendesse la mia domanda.
Lui
sospirò, si sedette su una delle due poltrone vicino alla
scrivania sulla parete destra e mi fece segno di sedermi accanto a
lui. “Non ho trovato nulla di importante.” mi rispose,
mentre mi avvicinavo alla poltrona. “Come non ho capito cosa
sia successo a Mikael giorni fa e sopratutto che fine lui abbia
fatto.”
Mi
fermai di colpo.
Quando
Elijah pronunciò quelle parole, rammentai subito quella rabbia
che avevo provato nei confronti di suo padre nel momento in cui aveva
cercato di ucciderlo. Era stata devastante, mi era scoppiata dentro
come un urlo che non si poteva trattenere, per poi dilagarsi nel
silenzio più profondo.
Ogni
tanto, un brivido mi correva lungo la schiena quando ci pensavo ma
dicevo a me stessa che non potevo essere stata io a compiere una cosa
simile. L'ipotesi che Diana avesse giocato un brutto scherzo al
vampiro era ancora la prima spiegazione razionale e meno
spaventosa che sceglievo per definire ciò che era
successo.
“Irina?
A che stai pensando?” Elijah si accorse subito di come mi ero
immobilizzata e di come stavo fissando il vuoto, mi osservò
con attenzione e mi resi conto che dovevo avere un'espressione
sconvolta in viso.
Scossi
la testa come per cancellarla e decisi di non dirgli nulla riguardo
quella faccenda. Perché avevo paura di cosa avrebbe pensato e
temevo allo stesso tempo di scoprire che ero davvero stata io a
compiere quella cosa.
Elijah
non si bevve il mio finto sorriso e affilò lo sguardo per
studiarmi ulteriormente. “Vieni qui.” mi disse, facendomi
segno di avvicinarmi a lui.
Non
capii perché me lo chiedesse, ma lo feci senza esitazioni.
Allungò lentamente la mano verso di me e mi prese il polso, mi
tirò delicatamente verso sé e in pochi istanti mi
ritrovai seduta sulle sue ginocchia.
Era
inutile dire che il mio pallore venne nascosto dal rossore che salì
prontamente al mio viso. Elijah ne sorrise per diversi istanti.
“Come
te lo devo dire che con me puoi parlare di tutto?” mi disse,
scostandomi gentilmente una ciocca di capelli dal viso e portandola
dietro le orecchie. Ma non potevo parlargli di quello che temevo di
aver fatto, volevo averne delle prove prima e non basarmi unicamente
su quella rabbia incendiante che mi aveva colta giorni prima.
Abbassai
lo sguardo e decisi di scacciare la mia paura per affrontarne
un'altra. Gli chiesi con pochi gesti, perché Mikael avesse
cercato di ucciderlo: era Klaus il suo obiettivo, era lui quello che
“odiava”, ma Elijah e Rebekah non sembravano essere al
centro del suo odio.
Lui
voleva solo distruggere Klaus, per chissà quale vero e folle
motivo.
Elijah
sospirò, distolse un attimo lo sguardo e i suoi occhi si
riempirono di una profonda malinconia. “Perché ho scelto
i miei fratelli invece che lui.” mi rispose. “Loro sono
la mia famiglia. Lui ha deciso di non farne più parte quando
ha deciso di darci la caccia...non mi considera più il suo
figlio... “modello” diciamo.”
Scacciò
subito quell'espressione tra il nostalgico e il malinconico dovuto a
momenti passati che si erano rivelati solo illusioni, perché
aveva creduto di avere un padre, ma si era ritrovato ad avere solo un
mostro. Abbassò lo sguardo pensieroso, come se parlare
di quella faccenda lo facesse stare male.
Mi
rivolse poi un sorriso, con cui cercò di cancellare la
tristezza che aveva colto anche me.
Perché
parlare di suo padre, mi fece inevitabilmente pensare al mio.
Strinsi
i pugni, dimenticando che in uno di esso stringevo la lettera che
Klaus mi aveva portato quella mattina. Il rumore del foglio che
veniva accartocciato ruppe il silenzio e Elijah abbassò lo
sguardo su di esso, lo aveva già notato prima ma non aveva
chiesto nulla al riguardo.
“Che
cos'è?” mi domandò, indicandola con un cenno
della testa.
Gliela
porsi, in modo che lui la leggesse. L'avevo portata con me perché
sapevo di aver bisogno di parlarne con qualcuno, affrontare un
problema che sembrasse normale e non inquietante come quello di
Mikael e di ciò che gli era successo quel giorno.
Elijah
mi guardò confuso, aprì lentamente il foglio piegato in
quattro parti e ne lesse il contenuto, facendo scorrere velocemente
lo sguardo su ogni singola parola vi era scritta all'interno.
Mi
fece sorridere il modo in cui si fermò: non terminò
nemmeno di leggere la lettera, che la appallottolò in una
mano. Cosa che io non avevo avuto il coraggio di fare, quasi come se
temessi di mancare di rispetto a mio padre. Atteggiamento che, in
effetti, lui meritava però.
“Lo
sai che tuo padre può andare all'inferno, no?” mi
chiese, inarcando le sopracciglia e sorridendomi divertito. Ancora
non mi rendevo conto di come riuscisse a sdrammatizzare le cose con
un semplice sorriso e uno sguardo.
Guardai
la lettera, ridotta ad una pallina di carta,nascosta nella sua mano e
abbozzai un sorriso. Forse mi stavo solo facendo troppi problemi per
nulla, mio padre e quella faccenda di Mikael potevo tranquillamente
nasconderli in un cassetto e fare finta di nulla. Ma potevo
davvero?
Elijah
mi diede un bacio sulla spalla e posò la mano sul mio
ginocchio. “Tu sei libera qui, Irina.” mi disse e
avvicinò lentamente le labbra alle mie.
Mi
diede un leggero bacio, con cui riuscì a scacciare le ultime
preoccupazioni che erano rimaste in lontananza.“Voglio che tu
ti goda la festa stasera. Ci sarà anche una bella sorpresa per
te.”
*
* * *
Klaus
e Rebekah avevano organizzato le cose in grande.
Non
mi ero ancora riabituata a trovarmi circondata da tutte quelle
persone e un po' sentivo la mancanza del piccolo salotto della casa
sulla collina che mi regalava solitudine e tranquillità.
Il
salone era gremito di gente: lunghi tavoli ricolmi di cibarie e
bevande erano stati posti nelle vicinanze delle pareti, in modo che
il centro della sala fosse libero per le danze, sotto la musica del
clavicembalo.
L'atmosfera
era soffusa, i candelabri illuminavano l'ambiente attraverso delle
candele accese e la cui fiamma era mossa dal vento fresco che
soffiava dalle finestre aperte.
Scesi
lentamente la scalinata, l'abito bianco che indossavo era di Rebekah
ma non era della mia taglia. Perciò rischiai di inciampare
sulla gonna diverse volte, ma il mio equilibrio, fortunatamente, non
vacillò.
Quando
raggiunsi l'ultimo scalino, venni accolta da diversi sorrisi e
saluti, di volti che ricordavo di aver visto, ma a cui non sapevo dar
nome.
Oltre
allo scarso equilibrio, dovevo riconoscere di essere alquanto
smemorata.
Venni
per un attimo presa dal panico, quando non trovai né Elijah e
nemmeno Katerina e Rebekah.
Mi
sentivo un po' a disagio a stare da sola in mezzo a quella folla,
dovevo assolutamente riprendere l'abitudine di non poter mai essere
davvero sola.
Mi
guardai attorno e scorsi solamente la figura di Klaus alla mia
destra, oltre diverse teste: aveva la mano sinistra posata su uno dei
tavoli e stava parlando con due ragazze. Sorrideva, in una maniera
che mi parve quasi irreale, visto che non si era più rivolto a
me in quel modo, da un'eternità.
In
qualche modo, lui si accorse di come lo stavo guardando e volse la
testa nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociarono per un
breve lasso di tempo, quanto bastasse per farmi perdere contatto con
la realtà. Quando ripresi controllo di me, una vampata di
calore mi salì al viso e distolsi prontamente lo sguardo.
“Ciao,
ragazzina.”
Quella
voce sovrastò tutti i rumori in quella sala, riportandomi con
la mente a vecchi ricordi di quella persona, che non avevo di certo
dimenticato. Come potevo dimenticare chi mi aveva insegnato la parola
amicizia?
Mi
girai lentamente verso di lei e incrociai subito il suo sorriso
radioso.
Rose.
Non
era cambiata di una virgola in quei mesi in cui non l'avevo più
vista. I capelli rossi le ricadevano dolcemente sulle spalle, gli
occhi erano verdi e luminosi come li avevo sempre ricordati, il
sorriso carico di spontaneità che avrebbe contagiato chiunque.
Indossava un semplice abito azzurro, con un lievissimo scollo sul
petto e, anche se non portava gioielli addosso, era davvero
elegantissima.
Presa
da un'irrefrenabile gioia, le gettai le braccia al collo facendo
quasi un salto per potervi riuscire. Non m'importava di sembrare una
bambina o di non comportarmi adeguatamente in pubblico, ero troppo
felice di rivederla dopo tutto quel tempo, dopo che non le avevo
potuto spedire altre lettere e mi dimenticai che forse, quel gesto,
poteva arrecarle disagio.
Me
ne resi conto troppo tardi, quando ormai avevo compiuto quell'azione
affrettata, istintiva ed infantile. Rose però non si era
irrigidita, non aveva spento il suo sorriso e non aveva mostrato
altro che non fosse gioia nel rivedermi. Me ne resi conto subito,
mentre mi allontanavo lentamente da lei e la guardavo con aria
colpevole.
Mi
ero dimenticata che non era più la Rose umana che conoscevo,
ma la Rose vampira che avevo creato.
Che
io avevo creato.
Il
dispiacere scacciò una gioia che pensavo di non meritare, lo
sentii lentamente salire in me e incendiarmi il petto e la mente.
Lei
rise della mia espressione, come se volesse cancellarla e
ricostruirla con un semplice sorriso. “Non fare quella faccia.
Non mordo mica.” disse, ironica e divertente come la
ricordavo.
Sorrisi
anche io di quella battuta, chiedendomi come avesse gestito in quei
mesi la sua nuova vita: ricordavo ancora quando Elijah mi
aveva detto che il periodo subito dopo la trasformazione era il più
difficile da gestire. Perché ci si trovava di fronte ad un
cambiamento troppo repentino e violento, dove tutto veniva
terribilmente amplificato e resistere ai propri impulsi diveniva
estremamente difficile.
Per
non parlare poi del sole: Rose amava il sole, ne ero certa, perché
amava la natura quanto me. Doveva essere difficile per lei vivere
perennemente in un eterna oscurità.
Come
stai? Le chiesi, sempre facendo
leva sul mio linguaggio dei segni, che dubitavo lei ricordasse alla
fine.
“Io
sto bene.” Rose rispose rapidamente, senza troppi preamboli e
sempre con quel sorriso gioviale sulle labbra. Rispose con una tale
prontezza che mi lasciò di stucco, come se stesse preservando
la sua umanità. Fu una cosa che apprezzai, io al suo posto
sarei rimasta terrorizzata per secoli dalla mia nuova natura, anche
se avevo ormai accettato di doverla accogliere in
un prossimo futuro. “La sete e..tutto il resto. Riesco a
gestirli grazie all'aiuto di Trevor.”
Attesi
un attimo in silenzio, aspettandomi altre parole dopo quella frase ma
così non fu. Era per colpa mia che Rose era divenuta un
vampiro, pensavo di non meritare quello sguardo carico di gioia che
mi stava rivolgendo.
Rose
sospirò, piegando la testa da un lato. “Tu invece sei
sempre la stessa, eh? Ti fai sempre problemi...”
Cercò
di curare la mia preoccupazione, facendomi quella battuta e scuotendo
la testa. E in parte ci riuscì: forse perché la musica,
le danze, il vociare attorno a me, il suo sorriso creavano
quell'atmosfera di serenità di cui sentivo di aver bisogno.
Rose
fece un passo verso di me e mi posò le mani sulle spalle. Mi
guardò fisso negli occhi, ma non lasciò mai fuggire il
sorriso dalle sue labbra. “Non è colpa tua, va bene? È
successo e basta. E io mi sto abituando a...questo. Se non fosse per
te, sarei sepolta sotto terra e il che non mi avrebbe fatto piacere.”
disse e alla fine della frase mi fece un leggero occhiolino con il
quale riuscì a rubarmi un sorriso.
Subito
dopo, mi strinse a sé in un delicato abbraccio. Compresi
subito che, con quel gesto, non voleva solo mostrarmi affetto, ma
anche sussurrarmi qualcosa all'orecchio. “Tu..stai bene, vero?”
mi domandò.
La
sua domanda aveva un significato retorico, me lo fece intendere solo
una volta separate e quando con un lievissimo movimento del capo, mi
indicò Klaus.
In
quel modo mi voltai a guardarlo nuovamente: lui continuava a
sorridere e a dialogare con quelle due ragazze, gesticolando con
eleganza mentre loro lo ascoltavano affascinate. Rose si era persa il
pezzo in cui io e lui ci eravamo avvicinati, anche se quegli attimi
sembravano essere stati cancellati dal suo nuovo modo di comportarsi.
Guardai
Rose che lo stava osservando con la coda dell'occhio e lessi ancora
del timore nel suo viso. Anche se era una vampira, continuava a
temere Klaus e di conseguenza anche Elijah. Avevo paura che quella
sarebbe stata una delle paure che mai avrebbe potuto cancellare così
facilmente.
Annuii,
poiché stavo davvero benissimo. Eccetto il suo comportamento
inspiegabile e che mi faceva davvero male, non consideravo Klaus il
mio problema peggiore. Ne avevo altri da affrontare, ma non volevo
farlo quella sera e non allora che avevo ritrovato la mia amica.
Rose
mi lanciò una lunga occhiata e tornò a sorridere. I
suoi occhi verdi mi scrutarono con attenzione, scorrendo sul mio viso
e sul mio corpo. “Lo sai che mi sembri...diversa?” mi
disse.
Le
sue parole mi lasciarono leggermente basita. Pensai subito che doveva
riferirsi al fatto che mi fossi ingrassata: nell'altra dimora, per
combattere il freddo, ero stata costretta a cambiare le mie abitudini
alimentari e qualcuno non si era astenuto dal farci battute al
riguardo. Almeno, prima che iniziasse ad evitarmi in quel modo.
“Iry,
non intendevo in quel senso.” ridacchiò Rose, quando
scorse il mio sguardo inquisitore viaggiare tra le pieghe del
vestito. Alzai lo sguardo su di lei. “Intendevo dire che
sembri...più sicura di te. Più forte. Non so come
spiegarlo sinceramente, ma prima sembravi davvero più
fragile.”
Se
le avessi raccontato tutto ciò che mi era successo nell'altra
abitazione, avrebbe capito perché sembravo più forte.
Mi sembrava di essere tornata da un campo di guerra e che dovessi
curarmi tutte le ferite riportate dalla battaglia.
Mi
prese il viso tra le mani e continuò a sorridermi
gioiosamente.“Sono davvero felice che tu stia bene.”
concluse, annuendo e regalandomi uno sguardo carico di affetto.
Ricambiai,
ma in quello stesso momento il suo sorriso si spense: lo sguardo si
posò su un punto dietro di me, verso qualcosa che doveva
essere in procinto di avvicinarsi a noi. Da come i suoi occhi si
erano illuminati di quella luce di paura, compresi che doveva
trattarsi di Elijah, visto che Klaus era dall'altra parte della sala.
E infatti, appena mi voltai, lo vidi avvicinarsi elegantemente a noi,
con le mani dietro la schiena e un sorriso gentile sulle labbra. Ma
Rose non vedeva quell'espressione, i suoi occhi l'avevano trapassata
per giungere a quella natura che l'aveva coinvolta ma che sembrava
comunque spaventarla.
“Buonasera
Rose, sono lieto di rivedervi.” le disse gentilmente,
affiancandomi.
Rose
rimase un attimo in silenzio, la tensione si fece palpabile e quasi
mi tolse il respiro.
Non
sapevo nemmeno se guardare lei oppure se guardare Elijah, optai così
per il pavimento.
“Vi
ringrazio molto, Lord Elijah.” rispose la ragazza, con fare
educato ma palesemente distaccato. “E vi chiedo scusa se non
posso trattenermi molto a questa festa, ero passata solo per salutare
Irina.”
Fu
molto veloce, trasportò il suo sguardo da Elijah a me e mi
regalò un ultimo sorriso, prima di passarmi accanto e posarmi
la mano sulla spalla per dirmi che ci saremo riviste nei giorni
seguenti.
Elijah
la seguì con lo sguardo per pochi istanti, mentre io mi girai
subito verso di lui per vedere la sua espressione. Dubitavo
fortemente che si fosse offeso o peggio che si fosse arrabbiato, ma
di sicuro il comportamento di Rose non lo faceva saltare di gioia.
Anche se ne era abituato.
Lui
e i suoi fratelli erano i vampiri più antichi al mondo, un
certo effetto era normale che lo facessero.
Mi
dispiacque però che Rose avesse deciso di andarsene così
presto, anche se non la biasimavo affatto.
Elijah
mi sorrise. “Ti è piaciuta la sorpresa?” mi
domandò, con un leggero senso di colpa perché la
sorpresa era praticamente fuggita via.
Lo
guardai stupita e un sorriso incontrollabile si allargò sulle
mie labbra. Avevo intuito che fosse stato lui a invitarla alla festa
e non sapevo proprio come ringraziarlo per questo.
Sì,
grazie.
Gli
dissi, annuendo e muovendo mani e labbra all'unisono per dirgli
quelle due parole.
Elijah
continuò a sorridere, poi lanciò uno sguardo verso un
punto dietro di sé da cui Rose era scomparsa. La musica si
fermò e cambiò velocemente, lui allora tese la mano
verso me per invitarmi a ballare. “Un ballo?” mi chiese
elegantemente e continuando a sorridere.
*
* * *
Odiavo
ballare. Ne presi consapevolezza in quel momento.
Tutti
attorno a me sembravano personificare l'eleganza, io invece ero la
più pura e profonda rappresentazione della goffaggine. Le
ragazze attorno a me, Rebekah e Katerina incluse, si muovevano in una
sincronia così perfetta con i loro compagni di ballo che fui
certa Elijah quasi li invidiò.
Io
ancora facevo pena nel ballo e quella dannata gonna troppo
lunga non mi permetteva nemmeno di poter anche solo provare a muovere
dei movimenti che risultassero aggraziati.
“Irina?”
Elijah mi richiamò all'attenzione, quando tradusse il broncio
sul mio viso. “Ancora ti stai facendo problemi che non ci
sono?”
Guardai
le sue labbra allargarsi in un sorriso, poi i suoi occhi scuri e
profondi e mi sembrò che tutto il mondo attorno a me venisse
avvolto dalla nebbia. Come se ci fosse solo lui, tutto il resto si
era scomparso nel nulla insieme alle mie inutili e stupide
preoccupazioni.
Elijah
accostò il viso al mio orecchio, mentre la mia mano strinse
più forte la sua e il respiro mi morì tra le labbra.
Anche la presa che avevo sulla sua spalla, si fece leggermente più
forte.
“Non
so se te l'ho detto, ma sei bellissima stasera.” sussurrò,
soffiando quelle parole sulla mia pelle e provocandomi diversi
brividi lungo la schiena.
Il
cuore batteva all'impazzata e ovviamente lui poteva sentirlo.
Non
riuscii a trattenere né un sorriso timido e nemmeno il solito
rossore che veniva a trovarmi ogni volta che mi trovavo in una
situazione simile con lui.
Lentamente
girammo su noi stessi e lui alzò il viso dal mio orecchio per
guardarmi in volto e lo ringraziai. Volevo dire lo stesso di lui, ma
temevo di risultare più sciocca e banale di quanto già
non sembrassi.
Per
un istante non riuscii a sostenere il suo sguardo, così lo
spostai in un punto oltre la sua spalla.
E
vidi Klaus.
Stava
ballando con Katerina, le sorrideva mentre le sue labbra si muovevano
in parole che la musica soffocava. Anche lei stava sorridendo e
abbassava timidamente lo sguardo, mentre i loro corpi continuavano a
muoversi aggraziati in mezzo alle altre coppie. I loro profili si
mossero, tanto che vidi la schiena di Katerina e il volto di Klaus
rivolto nella mia direzione.
I
suoi occhi si posarono su di me.
Io
li distolsi subito.
Elijah
si accorse subito del mio improvviso cambiamento di espressione e per
un istante ci fermammo.
“Qualcosa
non va?” mi domandò preoccupato.
Alzai
lo sguardo su di lui, sentendomi quasi in colpa nell'aver spento il
suo sorriso, solo perché il comportamento assurdo di
Klaus mi stava mandando fuori di testa. Mi sarebbe davvero piaciuto
capire perché si comportasse in quella maniera, ma era così
lunatico che di sicuro non mi avrebbe spiegato nulla.
Scossi
la testa per dirgli che stavo bene, ma lui si voltò per vedere
cosa avesse causato quella reazione in me. Quando il suo sguardo
incontrò la figura di Klaus, la sua espressione si irrigidì
velocemente.
“È..successo
qualcosa?” mi chiese poi, riprendendo la posizione da ballo.
Presi
un lungo respiro, i nostri corpi ripresero a muoversi lentamente e
trovai una punta di fastidio nel suo sguardo, mentre lo guardavo. Era
inutile che nascondessi di essere rimasta parecchio male per il
comportamento di Klaus, era più che evidente.
“Ti
sei molto legata a lui, Irina.” Elijah pronunciò quelle
parole con durezza, quasi il mio potesse essere un errore doloroso.
Non era la prima volta che sentivo parlare in quel modo del nostro
“rapporto”. “Ma...dovrei parlarti di una cosa.”
Quella
frase mi lasciò leggermente sorpresa, alzai lo sguardo su di
lui chiedendomi cosa gli facesse così male dentro, da aver
quasi paura di volermene parlare.
Cercò
di dirmi dell'altro, ma la musica improvvisamente cambiò e le
danze si interruppero per un istante.
“Scusa
nanetta, ti posso rubare mio fratello?” Rebekah apparve al
nostro fianco, con un sorriso sulle labbra e uno sguardo furbo negli
occhi.
Ero
così presa dal discorso con Elijah, che nemmeno mi accorsi
della sua figura che si era avvicinata a noi. Eravamo gli unici che
non avevamo mai cambiato compagno di ballo, era difficile schiodarsi
dalla sua voce e dal magnetismo del suo sguardo. Erano capaci di
portarti via dalla realtà.
Sbattei
più volte le palpebre, mettendo a fuoco l'immagine di Rebekah,
che quasi mi parve irreale e lanciai un'occhiata ad Elijah che
sembrava divertito da ciò che stava succedendo.
“Non
dovreste fare gli asociali, sapete?” ci rimproverò
Rebekah, usando quella come scusa per mascherare il fatto che aveva
ballato con tutti gli uomini della sala e che le mancavano solo i
suoi fratelli.
Però
mi sembrava distaccata quando mi guardava, come se la mia
vista gli procurasse qualche pensiero. Ricordai allora il discorso di
quella mattina, come aveva cambiato rapidamente espressione quando
aveva nominato quella chiacchierata con Klaus che non c'era mai stata
e un altro pensiero negativo mi tornò in mente.
“Faccio
la figura del bastian contrario se dico che questa usanza è
alquanto noiosa?” chiese Elijah, tra l'interdetto e il
divertito, ma sentivo anche io il bisogno di interrompere le danze
per un po' e di andarmi a sedere magari. Tanto gli altri avevano
formato già nuove coppie e io sarei sicuramente rimasta sola.
Poi,
non volevo di certo “obbligare” Elijah a dover ballare
sempre con me, la regina della goffaggine, e ballare con Rebekah
doveva essere un sollievo per i suoi piedi.
Sorrisi
così verso lui, dicendogli con uno sguardo che andava tutto
bene; interrompere il ballo mi permetteva un po' di concentrarmi su
quei troppi pensieri che, prepotentemente, mi impedivano di godermi
realmente la festa. Elijah non parve però molto convinto di
quella mia espressione, ma non ebbe tempo di replicare, poiché
la musica ripartì.
Mi
allontanai lentamente tra le varie coppie che danzavano, nessuno era
solo nei balli tranne me, una piccola figura in bianco che camminava
tra loro.
Ma
non ero davvero l'unica.
Trovai
un'altra anima isolata nella folla e il cui sguardo freddo vagava tra
le diverse figure danzanti attorno a noi.
Mi
fermai di colpo, quando i nostri occhi si incontrarono.
Eravamo
gli unici immobili in quelle danze, in quegli eleganti movimenti.
Stonavamo con l'ambiente che ci circondava.
Lui
mi guardò un po' di traverso, io invece scrutai ogni minimo
centimetro del suo volto, cercandovi il motivo per cui ostentasse
quella freddezza nei miei confronti. Cosa gli avevo fatto?
Provai
un'improvvisa rabbia nei suoi confronti, perché non vedevo
proprio il motivo per cui lui dovesse atteggiarsi a quella maniera.
Non dopo ciò che era successo, non dopo quello che avevamo
passato.
Mi
sembrava di essere tornata al punto di partenza: non a quello in cui
lo temevo, non a quello in cui ci odiavamo, ma a quello che era stato
il punto di inizio di tutto. Quello in cui non lo comprendevo.
Distolsi
lo sguardo imbarazzata, battendo le mani nervosamente ai lati delle
cosce e cercando uno spazio che mi permettesse di fuggire da quella
folla improvvisamente soffocante.
Ma
l'unico spazio possibile era vicino a lui.
Mi
feci largo tra alcune coppie, sforzandomi di non muovere lo sguardo
verso lui. Intravidi subito la sedia su cui mi sarei seduta, per dare
spago a tutti i miei pensieri, per non pensare a ciò che mi
aveva detto Elijah, per non pensare a come Klaus si stava
comportando, per non pensare...
“Balliamo?”
Mi
bloccai di colpo.
Alzai
lentamente lo sguardo verso Klaus, il quale stava elegantemente
tendendo una mano verso di me.
La
sua espressione era ancora fredda, gli occhi fissi nei miei e il
corpo immobile, mentre la sua mano rimaneva sospesa tra di noi.
Definirmi
sorpresa era ben poco, mi ero quasi dimenticata come fosse la sua
voce per quanto poco l'avevo sentita in quei giorni. Guardai la sua
mano, chiedendomi perché fosse così dannatamente
lunatico. Mi aveva evitato per giorni e in quel momento mi stava
chiedendo di ballare?
“Siamo
gli unici senza un compagno di ballo. Siamo un po' obbligati.”
disse allora lui, alzando delicatamente la mano, come per farmi segno
di prenderla subito oppure andarmene.
Trattenni
il fiato, forse con quel ballo avrei finalmente capito cosa diavolo
lo spingeva a trattarmi in quel modo.
Presi
la sua mano lentamente, il mio palmo venne lentamente circondato
dalle sue dita e solo l'indice rimase libero dalla prigionia della
sua pelle. Ci guardammo, lui mi tirò delicatamente verso sé
e ci ritrovammo nella posizione da ballo.
Solo
che era diverso.
Solo
in quel caso mi accorsi, che lui non si poneva in quel modo in un
ballo con Katerina o con le altre ragazze con cui danzava.
Con
loro, non posava la mano dietro la schiena ma sul fianco.
Non
stringeva la mano della compagna in quel modo, alzandola al livello
della sua spalla.
Non
accostava il viso al lato di quello di colei con cui ballava,
sfiorandone l'orecchio con i capelli e respirando sulla sua spalla.
Mi parve di sentire la pelle del collo farsi fredda, di fronte a quel
contatto.
Iniziammo
a muoverci a suon di musica, anche se a me parve di sentire solo
silenzio circondarci.
Silenzio, perché quella melodia che suonava era inudibile di
fronte alle domande che avevo in quel momento.
“Sai
che si dice che il bianco sia il colore del demonio?” disse
lui, leggermente divertito. “Sei la prova provata che queste
inutili credenze sono solo baggianate.”
Continuammo
a muoverci: lui con estrema eleganza, io invece seguendo i suoi
movimenti con la mia terribile goffaggine. Malgrado avessi appreso da
troppo tempo la necessità di guardare negli occhi il mio
compagno di ballo, in quel momento non ci riuscii.
Sentivo
che se lo avessi guardato negli occhi avrei potuto solo provare due
cose: rabbia, perché non comprendevo il suo comportamento,
oppure dispiacere, sempre per lo stesso motivo che avrebbe fatto
esplodere la mia rabbia. In ogni caso, volevo evitarlo.
Mi
morsi il labbro, fissando lo sguardo verso un punto oltre la sua
spalla, anche se non vedevo nulla di quello che si trovava in quella
sala. Ero troppo focalizzata sulle mie domande e sui miei pensieri
per poter realmente vedere qualcosa.
Presi
coraggio, mi tirai leggermente indietro, quanto bastasse per non
interrompere il nostro ballo e lo guardai negli occhi.
Non
doveva essere difficile sostenere uno sguardo, eppure con lui, in
quel momento, lo era. Mi ero illusa di riuscire oramai a capirlo, ma
in realtà, da un diversi giorni a quella parte, tutte le mie
convinzioni su di lui erano crollate.
Era
di una freddezza unica, anche se stavamo ballando, e il motivo non mi
era chiaro.
Ho
fatto qualcosa di sbagliato?
Cercai
di trasmettergli quel concetto con un'espressione dura e con pochi
semplici gesti, con cui fui costretta a lasciare un attimo la sua
mano. Klaus arrivò subito al succo della mia domanda, ma
rimase comunque a fissarmi a lungo e senza proferire alcuna parola.
La
musica era ancora lontana, le voci delle coppie attorno a noi solo
flebili ed inudibili rumori, le altre presenze attorno a noi
divennero invisibili: c'eravamo solo io e il suo sguardo.
“No.”
Risposta secca. Bugia.
Klaus
parve non aggiungere altro, come se tutto quello che avevo bisogno di
sapere fosse rinchiuso in quelle due lettere. Ma mentire non gli
riusciva affatto bene, tanto i suoi occhi parlavano da soli.
Qualcosa
per farlo comportare così dovevo averla pur fatta.
...sei
il veleno che non potrà mai uccidermi....
Parole
martellarono dentro la mia testa, mi portai una mano sulla fronte e
strinsi le palpebre, cercando di scacciare quei suoni che
rimbombarono prepotentemente nei miei pensieri.
Rimasi
in quell'oscurità per diversi istanti, fino a quando quelle
parole si arrestarono completamente.
“Tutto
bene?” La voce di Klaus si fece largo nei miei pensieri,
riportò a galla la musica che suonava tra le pareti e fece
riaffiorare la presenza di tutte quelle persone nella sala.
Lo
guardai, aveva l'espressione corrugata e lo sguardo fisso su di me.
In quel caso mi accorsi, che la sua voce sembrava stranamente simile
a quella che avevo sentito nella mia mente: solo che quella era più
lontana, più grave, più irreale. Come se appartenesse
ad un passato che avevo rimosso.
Annuii,
provando a ricompormi e a riprendere la posizione del ballo. Ripensai
alle parole di Rebekah di quella mattina, quando mi aveva detto che
Klaus e io avevamo parlato qualche sera fa.
Perché
non lo ricordavo affatto? Forse mi sbagliavo.
Possibile
che..no, non poteva essere.
“Sicura
di stare bene?”
Sì.
Mi limitai ad annuire,
continuando a tenere lo sguardo lontano dal suo viso e dando sempre
più importanza ai miei contorti pensieri. Restammo in
silenzio, continuando a muoverci lentamente insieme alla musica e mi
inumidii le labbra, in preda al nervosismo che provavo in quel
momento.
Dovevo
chiederglielo.
Mi
allontanai leggermente da lui, senza farlo però troppo, e lo
guardai interrogativa.
Mi
hai detto qualcosa di importante?
Non
seppi perché gli trasmisi quella domanda a gesti, non seppi
perché scelsi proprio quelle parole per iniziare il discorso,
ma vidi qualcosa accendersi nel suo sguardo, quando comprese ciò
che gli stavo chiedendo.
“No.”
Altra risposta secca. Ennesima bugia.
Rebekah..
“Delle
volte, dalla bocca di Rebekah escono solo delle sciocchezze.”
Pronunciò
quella parole con una freddezza unica, che quasi mi lasciò di
stucco. Distolse poi lo sguardo, chiudendo gli occhi per un istante e
riprendendo a muoversi lentamente con me.
Decise
di cambiare discorso.
“Ho
letto...la lettera di tuo padre.” mi disse poi, quasi in un
sussurro che però riuscii a cogliere lo stesso malgrado la
musica attorno a noi.
La
mia espressione si fece improvvisamente più dura, quando il
mio cuore riprese a battere gravemente sotto pelle al ricordo di
quelle parole che mi avevano riportato ad una vita da cui ero fuggita
per troppo tempo. Dovevo essere arrabbiata con lui per ciò che
aveva fatto, eppure trepidavo nell'attesa di sapere qual'era la sua
conclusione, perché stesse ammettendo così apertamente
di averlo fatto.
“E
penso che...tu debba davvero tornare a casa.”
Un
dolore sordo al petto.
Mi
fermai di scatto, sentendo quel dolore crescere sempre più
dentro me, mentre non staccavo mai gli occhi dai suoi. Per un attimo
sperai che stesse
scherzando, che la sua fosse solo una battuta con cui voleva cercare
di rovinare la serata, un gioco perverso dei suoi...ma era serio,
terribilmente serio.
Lasciai
la sua mano e feci un passo indietro, mentre un groppo mi saliva in
gola e mi impediva di respirare come dovevo.
Come
poteva chiedermi una cosa simile? Come poteva definire casa, quel
luogo che mi aveva provocato solo sofferenza e pena? In Bulgaria non
avevo nessuno, eccetto mia madre: non avevo amici, non avevo persone
che mi amavano, non avevo nessuno che mi capisse. Non avevo una
famiglia.
E
lui, proprio lui che forse doveva capirmi meglio di chiunque
altro, mi stava dicendo che dovevo davvero seguire il volere di mio
padre, tornare subito in Bulgaria, sposare Vladimir e vivere una vita
che non volevo.
Detto
da lui, non me l'aspettavo proprio.
Strinsi
i pugni con una tale forza che quasi mi feci male, le unghie si
conficcarono nei palmi delle mani e non smisi mai di guardarlo.
Klaus
abbassò lo sguardo, non volle nemmeno avere la decenza di
spiegarmi subito il motivo per cui mi stesse dicendo quelle parole.
Il suo silenzio fu l'ultima cosa che riuscii a sentire.
Lo
superai rapidamente, dirigendomi verso la balconata per prendere un
po' d'aria e superando alcune coppie, con cui quasi inevitabilmente
mi scontrai. Raggiunsi finalmente l'esterno e volsi lo sguardo verso
il cielo buio, mentre posavo i pugni sopra la pietra della balconata
e prendevo lunghi respiri.
Mi
piegai in avanti, cercando di riprendere controllo di me, attraverso
l'ossigeno che affluiva dentro me, ma non bastò.
Lui
fu alle mie spalle.
“Adesso
calmati e lasciami spiegare.” disse, usando quelle parole quasi
come giustificazioni, ma pronunciandole con una rabbia che lasciarono
trasparire la sua convinzione nell'aver ragione.
Calmarmi?
Non bastavano i miei dubbi al riguardo, le mie paure, le mie
consapevolezze...ma doveva mettercisi anche lui a riportare a galla
ciò che cercavo in tutti i modi di tener lontano da me stessa.
Mi
voltai verso di lui, decisa ad ascoltare le sue spiegazioni, giusto
per arrabbiarmi e vedere se erano compatibili con quelle che mi ero
data io, leggendo le parole di mio padre.
Lui
restò a diversi passi da me, sulla soglia della porta e con
una postura rigida che quasi lo faceva sembrare una statua.
L'espressione ormai permanentemente fredda quando si trovava con me,
lo sguardo carico di quel qualcosa che non aveva nome, un misto di
diversi emozioni che scaturivano in lui di fronte alle parole che
stava per rivolgermi.
“È
la cosa migliore.” disse solo, spalancando le braccia. “Per
te, per tutti noi.”
Per
lui. Era la cosa migliore per
lui.
Klaus
era egoista e quando parlava o prendeva decisioni lo faceva solo per
sé stesso, parlando però a nome di altri. Lui voleva
che me ne andassi e mi sarebbe tanto piaciuto sapere il perché
volesse una cosa simile, cosa avevo fatto per far sì che non
mi volesse più tra i piedi.
A
lui non piacque lo sguardo che stavo rivolgendogli, perciò si
avvicinò repentinamente a me e mi guardò fisso negli
occhi. Nonostante l'oscurità che ci circondava, riuscii a
scorgere la luminosità del suo sguardo. “Pensaci bene.”
mi disse, con una calma glaciale. “Da quando sei venuta qui, la
tua vita è sempre stata in pericolo.”
E
non potevo negarlo, anche se mi importava ben poco dei pericoli che
correvo, visto che avevo vicino persone che amavo e di cui non potevo
più fare a meno. Ma Klaus sapeva sempre dove colpire, quella
fu solo una breve parentesi che aveva usato per aprire un discorso
che sicuramente mi
avrebbe fatto male.
“E
da quando sei venuta qui, portandoti dietro i tuoi demoni, siamo
stati anche noi in pericolo.”
Ma
non era quello il motivo per cui mi stava letteralmente ordinando di
lasciare il suo paese, c'era dell'altro che lui non voleva dirmi e
che era la verità che stava nascondendo.
“Che
futuro vedi qui, sentiamo? Non ti ci vedo nelle vesti di vampira ed
Elijah non acconsentirebbe facilmente a trasformarti.” aggiunse
ancora.
Eppure
lui non si era fatto molti problemi a cercare di trasformarmi giorni
prima, quando la mia vita era in serio pericolo. Il discorso di Klaus
faceva acqua da tutte le parti, come se stesse trovando tutte le
giustificazioni possibili per convincermi ad andarmene, per motivi
suoi però.
E
io volevo la verità.
Volevo
che per una volta la dicesse e non si nascondesse dietro frasi fatte
o finti giochi di parole.
Klaus
restò ulteriormente infastidito dal mio sguardo, fece un altro
passo verso di me e avvicinò il viso al mio. “Elijah non
te lo ha detto per proteggerti, ma molto spesso la verità è
ciò di cui si ha davvero bisogno, no?” disse con voce
quasi impercettibile, sbattei più volte le palpebre di fronte
al suo sguardo freddo e per un istante arretrai. Come se sapessi che
ciò che stavo per sentire non mi sarebbe piaciuto.
“Belial...se
è davvero ciò che Diana ti ha detto, sarebbe capace di
uccidere un vampiro originario.” disse lentamente, in modo che
ogni parola potesse essere un duro colpo per il mio cuore.
E
infatti lo sentii sussultare quando quella frase terminò,
voleva scoppiarmi nel petto pur di non sostenere più la paura
che quelle parole avevano appena procurato in me. Per un solo misero
istante, quasi sperai che lui stesse scherzando, che fosse solo uno
dei suoi sadici giochetti con cui voleva provocarmi...ma non era
così: Klaus era serio, dannatamente serio. E ricordavo
ancora l'espressione di Elijah quando gli avevo chiesto di Belial
quella mattina, come se non volesse dirmi qualcosa di terribile.
Ma
Klaus aveva rimediato.
“Ha
perso potere, almeno così pare da quei pochi libri che sono
riuscito a trovare sull'argomento, ma se lo riacquistasse...io, il
tuo amato Elijah la tua cara Rebekah potremmo morire. È questo
che vuoi?”
No.
Non
avrei mai voluto che succedesse, non avrei mai voluto che loro
fossero in pericolo per causa mia.
Diana
mi aveva detto una cosa simile prima di drogarmi, prima che
succedesse...quello che non ricordavo poi così bene. E se
anche Klaus mi stava dicendo quelle parole, come potevo non crederci?
Dovevo
allora davvero andarmene.
Mi
portai le mani tra i capelli e abbassai lo sguardo, Klaus rimase a
scrutarmi a lungo, come se quella mia reazione non lo sorprendesse in
alcun modo, come se ne volesse in realtà vedere un'altra.
Forse
non voleva vedere rassegnazione, anche se ci sperava, ma un qualche
tipo di lotta.
Perché
io lì in Inghilterra avevo tutto.
Katerina.
Elijah. Rebekah. Rose. Lui.
E
dovevo rinunciare a tutto, solo perché quel demonio che mi ero
davvero portata dietro poteva far loro del male. Il mio
egoismo quasi mi spinse a ignorare tutto e a godermi la rinnovata
serenità che da qualche giorno a quella parte era tornata a
far parte della mia vita.
Ma
non potevo farlo.
“Pensaci
Irina, è la cosa migliore per tutti.” disse Klaus. Ma
come poteva parlarmi senza provare il minimo dispiacere? Ero così
folle che, in quel momento di tremenda confusione, desideravo che
qualcuno mi dicesse “Combatteremo insieme tutto questo, ma
voglio che tu resti.” e io avevo davvero bisogno di una
persona del genere in quel momento.
Non
di qualcuno che parlava come se non vedesse l'ora di liberarsi di me.
Ma cosa gli avevo fatto di male?
Cacciai
indietro le lacrime; non volevo mostrarle a me stessa e nemmeno a
Klaus. Lo guardai con un po' di rabbia, di malinconia, di
dispiacere...ma davvero non gli importava nulla che avevo appena
deciso di seguire il suo volere?
Mi
guardava, freddo e distante, ma senza proferire nessuna parola. Non
gli importava. Era davvero così. E non gli bastò
mostrarmelo con un solo sguardo: si voltò e fece per
andarsene, regalandomi come ultimo possibile ricordo di lui le sue
spalle.
Volevo
raggiungerlo, dargli uno schiaffo oppure pregarlo di non comportarsi
in quel modo con me, ma ero pietrificata. Le mie gambe immobili, il
respiro che si liberava con troppa ferocia dalla mia bocca, il
battito del cuore era sempre dolore.
Lo
guardai rientrare, senza poterlo nemmeno fermare perché non
riuscivo a muovermi.
Ma
riuscii a correre in camera mia.
*
* * *
Le
mani tra i capelli.
Gli
occhi che combattevano per non piangere.
Il
mio corpo immobile.
Il
bagaglio vuoto e aperto sul mio letto.
La
disperazione che rideva sulla mia spalla mentre me ne stavo là
ferma, nell'oscurità della mia stanza.
Dannazione,
dovevo andarmene di là e
tornare in Bulgaria.
Rinunciare
a Katerina per Ada, rinunciare all'amicizia di Rose e Rebekah per la
mia futura solitudine, rinunciare a Klaus per non lottare più
per nulla di buono, rinunciare ad Elijah per sposare Vladimir e un
amore che non avrei mai provato per lui...
Dio,
non ci riuscivo.
Abbassai
la testa e lasciai scorrere le lacrime lungo le mie guance; non era
giusto che io perdessi tutto quello che avevo trovato solo perché
un mostro aveva deciso di mettersi alle mie calcagna.
Ma
non meritavo anche io un po' di felicità? Non meritavo anche
io di non dover vivere sempre con un groppo in gola? Perché
doveva andare tutto a rotoli? Perché?
Mi
ritrovai a gridare con tutta me stessa, dentro la mia mente urla di
pura disperazione ed isteria si susseguirono nel silenzio.
“Che
stai facendo?”
Non
mi voltai nemmeno a guardarlo, rimasi immobile vicino al letto e lo
sentii chiudersi la porta alle spalle per poi venirmi più
vicino. Mi fece voltare verso di lui rapidamente, costringendomi a
guardarlo negli occhi e, quando mi vide in lacrime, la sua
espressione non si addolcì comunque.
“Vuoi
andartene? Per la lettera di tuo padre?”
Scossi
la testa. Belial; pronunciai quel nome muovendo le labbra nel
silenzio, ma lui non mutò espressione. Mi guardò a
lungo, con estrema attenzione e comprese chiaramente ciò che
era successo e perché improvvisamente il nome di quel demone
era tornato sulle mie labbra.
“Te
lo ha detto Niklaus, vero?” mi domandò e un lampo di
rabbia balenò nel suo sguardo. “Quello che dice lui, non
è legge per te!”
Ma
doveva essere legge. Perché se davvero erano in
pericolo, se davvero quel demonio aveva il potere di ucciderli e
voleva me...io dovevo rinunciare a tutti loro.
“Non
sei tu che devi proteggere nessuno, Irina.” continuò
lui, scuotendo la testa.
Come
no? Dovevo davvero andarmene se in ballo c'erano le loro vite e lui
non poteva tenermi nascosta una cosa simile, solo perché
sapeva che avrei preso la decisione migliore. Klaus aveva
ragione.
Scossi
la testa, in preda alla follia che quel dolore stava causandomi e mi
avvicinai rapidamente all'armadio, nell'intento di prendere le mie
cose e gettarle alla rinfusa dentro la valigia.
Elijah
non me lo permise, si parò davanti a me e mi strinse i polsi
con entrambe le mani, applicandovi una forza con cui quasi mi fece
male.
“Fuggire
non è mai la soluzione migliore, Irina.” mi disse,
mentre cercavo di liberarmi. “Non servirà a nulla!”
Ma
io non stavo fuggendo perché volevo proteggere me, era loro
che volevo proteggere. Tutti loro.
E
lui non poteva impedirmi di andarmene, non doveva. Era
costretto a farlo.
Non
gli davo altra scelta.
Provai
a liberarmi e ci riuscii superandolo per dirigermi verso l'armadio.
Ma
lui mi fermò con più forza.
Mi
spinse contro l'anta dell'armadio, su cui finii di schiena, e un
dolore parve passarmi sotto pelle.
Chiusi
gli occhi per affrontarlo, sentendomi mancare il respiro per la botta
subita e per la sorpresa di quel gesto. Quando riaprii gli occhi,
Elijah stava osservandomi con un espressione durissima sul volto,
tanto che per poco ne rimasi spaventata.
Posò
entrambe le mani ai lati della mia testa, come se volesse impedirmi
di fuggire. Il fiume di lacrime ormai stava per scendere, quella mia
debolezza non mi avrebbe mai e poi mai abbandonata.
“Nessuno
deve permetterti di pensare a rinunciare alla tua vita, per la
nostra.” disse, facendosi lentamente più calmo. Prendeva
lunghissimi respiri, proprio come stavo facendo io, poi le sue mani
strinsero il mio viso. “Lo hai detto tu stessa. Serve lottare
nella vita, non scappare...e non posso credere che tu lo stia davvero
facendo.”
Allora,
dovevo lottare e mettere a repentaglio tutto coloro che amavo? Lui
non l'avrebbe fatto, lui avrebbe annullato tutto sé stesso per
proteggere la sua famiglia, i suoi cari, me...e io lo avrei
fermato.
Riprendendo
fiato, mi accorsi che a situazioni inverse, anche io avrei reagito
alla stessa maniera.
Lo
avrei spronato a combattere insieme, non ad andarsene.
Ma
non ero certa che lui avrebbe davvero ceduto all'egoismo, cosa che
stavo facendo io per paura.
Scuotevo
la testa, mentre pensieri avversi si scontravano dentro la mia testa.
Il cuore mi batteva talmente forte che volevo quasi smettesse di
farlo, il respiro sempre più accelerato ed irregolare, la
confusione che pervadeva la mia mente...
“Arrendersi
è più facile, combattere invece non lo è. E tu
devi smetterla di farti piegare da ogni avversario...” continuò
Elijah, definendo probabilmente avversario ciò che Klaus mi
aveva detto poco prima. “Tu credi di essere debole?”
Non
capivo perché mi ponesse quella domanda, ma non potei non
rispondere: io ero debole, ma mi sarebbe tanto piaciuto non
esserlo per una volta. La mia risposta rimase comunque silenziosa.
“Tu
non sei debole, giochi la parte della debole perché credi di
non avere forza.” continuò Elijah. “Ma sei più
forte di quanto tu creda e devi smetterla di pensare il contrario. Se
fuggi, Belial non sparisce e il problema persiste...ma se rimani, qui
ci sono persone che combatteranno con te.”
Le
frasi che volevo sentirmi dire.
Mi
morsi le labbra, sempre più forte, fino a farmi male, pur di
trattenere i singhiozzi che stavano per liberarsi dalla mia gola.
Scuotevo la testa, come per non lasciarmi convincere da quelle
parole, perché andarmene era la scelta meno egoista e più
giusta.
Solo
che ero stanca di dover soffrire in quel modo. Ero stanca di vivere
nella paura, nel terrore di poter perdere tutto da un giorno
all'altro. E lui doveva dirmi di andarmene, non di restare perché
lui non aveva paura di ciò che potevo causargli. Io non
riuscivo ad essere forte in un mondo del genere.
Mi
scosse di nuovo, ma con meno forza rispetto a prima, perché
sapeva che lentamente mi stavo calmando. Lo sentiva.
“Ora...calmati.”
mi sussurrò,
Un
ultimo eco della mia voce mi disse che dovevo andarmene di là,
ma fu così lontano che a malapena lo percepii. Istintivamente,
abbracciai forte Elijah, affondando il viso contro il suo petto e
lasciandomi andare alle lacrime.
Bagnarono
la stoffa della sua maglia, affondarono quella forza che tanto avrei
voluto avere e rigarono il mio volto come troppe volte avevano fatto
nella mia vita. Elijah mi strinse a sé, circondandomi i
fianchi con le braccia e lasciando che io combattessi il mio dolore
contro il suo petto.
Quando
alzai la testa, le nostre labbra si sfiorarono dolcemente in un
bacio, un bacio in cui cercavo il suo respiro perché non
trovavo più il mio, strappato via dalla disperazione. Restammo
uniti attraverso di esso per diversi istanti, sentendo il cuore
cambiare battito, come se non stesse più battendo per la paura
e la tristezza, ma per le emozioni che lui riusciva a causare in me.
Quando
ci separammo, le sue mani salirono nuovamente sul mio viso e i suoi
occhi incatenarono i miei.
“È
passato?” mi domandò, quasi come se si stesse riferendo
ad un malore fisico che mi aveva colpita.
Annuii,
sentivo che il peso che gravava sul mio petto stava letteralmente
scomparendo. Ed era bastato il suo sguardo, le sue parole ad
infondermi un po' di coraggio.
Elijah
scosse la testa e un sorriso apparve sulle sue labbra. “La
festa è già finita e credo che tu abbia bisogno di
riposare.” mi disse e mi baciò sulla fronte con
delicatezza, chiusi gli occhi quando sentii il calore della sue
labbra posarsi sulla mia pelle.
Fece
per allontanarsi ma io glielo impedii, prendendogli il polso tra le
mani. Lui si voltò a guardarmi confuso e io abbozzai un
sorriso terribilmente imbarazzato, mentre gli chiedevo di restare
quella notte.
Dovevo
essere diventata terribilmente rossa, nella speranza di non essere
risultata...audace.
Ma
non volevo stare sola quella notte, perché sapevo che nella
solitudine avrei di nuovo combattuto con me stessa e l'unica persona
che poteva risollevarmi da quelle paure era lui.
Elijah
abbassò un attimo gli occhi, ma non mi parve affatto
imbarazzato. “Va bene.” disse, ci avvicinammo al letto e
ci distendemmo l'uno accanto all'altra. Posai la testa sopra il suo
petto e chiusi gli occhi, mentre il suo profumo mi accompagnava verso
il mondo dei sogni.
E
mi addormentai.
*
* * *
“Irina?”
Una
voce nel buio ruppe il silenzio.
Aprii
gli occhi di colpo e mi trovai in una vasta distesa di verde.
Il
cielo nero, le poche stelle nascoste sotto delle nuvole e il vento
gelido che muoveva i miei capelli, la stoffa del mio vestito, i fili
d'erba che sfioravano la mia pelle.
Mi
alzai in piedi, chiedendomi come fossi finita là fuori, quando
ricordavo di essere in camera mia. Con Elijah.
Guardandomi
attorno, cercai la figura che doveva aver pronunciato il mio nome ma
non trovai nulla.
“Iry?”
cantilenò un'altra voce, diversa da quella di poco prima.
Mi
girai con uno scatto, alle mie spalle trovai la figura di Klaus.
Era...diverso.
Malgrado
il buio, riuscivo a scorgere una sorta di differenza nel suo viso,
nel suo sguardo.
Mi
faceva quasi paura.
Arretrai
di qualche passo, lui stava tenendo le mani dietro la schiena e mi
stava guardando con un sorriso inquietante sulle labbra. Dentro di
me, sentivo il panico farsi sempre più crescente: vibrare in
ogni cellula del mio corpo, spingere il mio cuore a battere sempre
più forte e stringeva il mio respiro in una morsa.
Klaus
scattò verso me, con una rapidità che mi sconvolse. La
paura continuava ad attanagliarmi, non riuscivo a muovermi da dove mi
trovavo ma le ginocchia tremavano visibilmente sotto la gonna.
Lui
rise del mio terrore, mi prese il viso tra le mani e avvicinò
così tanto il volto al mio, che per un attimo credetti volesse
baciarmi.
Il
suo sorriso si fece più ampio.
“Addio,
little sweetheart.” sussurrò, pronunciando quella parole
come in un canto di morte.
E
aprii la bocca in un grido, quando lui affondò la mano nel mio
petto.
*
* * *
Mi
svegliai praticamente in un grido silenzioso.
Era
ancora buio, la luna penetrava dalla mia finestra ma sua la luce
sembrava talmente lontana, che mi parve di essere avvolta
completamente nell'oscurità.
Tremavo
fortissimo, davvero troppo, sotto le lenzuola che mi coprivano e mi
portai una mano al petto, come se mi aspettassi di trovarvi un
abisso, dove il mio cuore era stato strappato via.
Da
Klaus.
“Cos'è
successo?”domandò una voce accanto a me.
Arrivò
così inaspettata, che sobbalzai quando la udii vicina a me.
Elijah era ancora disteso accanto a me, ma si rizzò a sedere
per scrutarmi. I suoi occhi scurissimi quasi si confondevano con il
buio della notte e il pallore della luna illuminava tratti della sua
pelle marmorea.
Respiravo
così profondamente, che vedevo il mio petto alzarsi e
abbassarsi con una tale velocità, che l'ossigeno sembrava
volermi uccidere.
Ripensai
a Klaus, al suo sorriso, alla sua mano che mi toglieva la vita per
regalarmi la morte.
Un
incubo.
Era
solo un terribile, maledettissimo incubo che non sarebbe mai
successo.
Ultimamente
ne stavo facendo troppi e uno più spaventoso e reale
dell'altro.
“Stai
bene?” Elijah posò la mano sopra la mia nuca, come per
infondermi un po' di tranquillità. “Era solo un brutto
sogno.”
Lo
guardai di nuovo, sentendo la sensazione di terrore affievolirsi
sempre più, trovandomi finalmente libera di quelle catene
infuocate in cui ero stata legata. Abbassai poi gli occhi, annuendo
lentamente e vedendo l'immagine di Klaus che mi uccideva farsi
sempre più lontana.
Quando
scomparve totalmente, mi sembrò quasi assurdo essermi
spaventata così tanto solo per un incubo. Chiusi gli occhi per
un attimo e tutto tornò alla tranquillità, mi avvicinai
ad Elijah e mi strinsi a lui, circondandogli i fianchi con entrambe
le braccia e affondando la fronte nell'incavo del suo collo.
La
sua mano rimase tra i miei capelli, le sue dita ne intrecciavano
diversi ciuffi.
“Cos'hai
sognato?” mi chiese, un po' preoccupato.
Si
tirò indietro, posandosi sullo schienale del letto e
trascinandomi così con sé. Mi ritrovai distesa al suo
fianco, le mie gambe che sfioravano le sue e con il volto sopra il
suo petto e gli occhi chiusi.
Scossi
la testa, come per dire che non era nulla. Vicino a lui sentivo di
poter dormire di nuovo.
Niente,
solo un incubo che non si realizzerà mai.
Buongiorno
a tutti! :D
Allora
so che il capitolo fa veramente pietà, so che Elijah è
stato troppo dolce, so che Klaus è apparso poco, so che Irina
è un po' tanto schizzata, so che state sbadigliando anche
leggendo tutti questi so....ok, spero che il capitolo vi sia
piaciuto!
È
un capitolo di passaggio (l'ultimo visto che d'ora in poi accadrà
sempre qualcosa) e siccome io odio scriverli, ma ne introduco sempre
qualcuno, so che non è il massimo. Se vi siete addormentati
sul pc, sapete di chi è la colpa. u.u
I
sogni che fa Irina li ho introdotti per un semplice motivo, che sarà
chiaro già dal prossimo capitolo, ma è stato qualcosa
che è accaduto ultimamente a farli scattare....per chi ha
sentito la “mancanza” di Klaus, nel prossimo capitolo
avrà mooolto più spazio.
La
smetto di annoiarvi e ringrazio Elyforgotten per tutto l'aiuto
che mi ha dato e di cui vi consiglio vivamente le sue storie:
“My story with
an original...with Elijah”
e
il suo continuo “Over the deception of
life” un
ottima storia che merita di essere lette, con una stupenda
protagonista e una fantastica ed emozionante storia d'amore che la
lega al nostro Elijah.
Ringrazio
tutti coloro che leggono (o meglio, che ancora sopportano) la mia
storia, sia chi lo fa in silenzio e sia che recensisce.
Ringrazio
anche infinitamente chi ha inserito la mia storia tra le preferite/
ricordate e seguite! ^^
Vi
auguro buona giornata e buon fine settimana! :D
Alla
prossima, ciao! ^^
|
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Capitolo 26 *** Remember Everything ***
*le
frasi in inglese presenti nel capitolo appartengono alla canzone
“Remember Everything” dei Five Finger Death Punch. La
loro traduzione è stata leggermente modificata e riadattata al
capitolo.
-Remember
Everything-
Vergogna.
Rabbia.
Disprezzo.
Dolore.
Nel
buio di quella stanza, io non ero sola. Loro erano con me, ad
accompagnarmi nel silenzio di quel profondo abisso in cui ero ormai
solita precipitare da un'intera vita.
La
piccola finestrella alle mie spalle lasciava entrare un leggerissimo
fascio di luce, quasi impercettibile. Cercava di raggiungermi, ma poi
sembrava disperdersi nell'oscurità che avvolgeva quelle
spoglie pareti e veniva quindi soppresso prima che potesse toccarmi.
Non
osai nemmeno voltarmi a cercarla, quella luce, per sentirla sulla mia
pelle, quasi temessi di essere un fastidio anche per lei. Tenevo gli
occhi bassi, fissi sulle mani congiunte sopra le ginocchia e diverse
gocce caddero da essi, giungendo a bagnare la pelle delle mie dita.
Quelle
lacrime pesavano tutto il male che mi portavo dentro in quel momento;
ero certa che, sentendole scorrere lungo la mia pelle ormai priva di
forza, mi avrebbero procurato un forte dolore. Era una fortuna che
loro decidessero di cadere e lasciarsi morire nel vuoto, la via più
gentile per non procurarmi altre pene.
“Cos'è
successo?” La voce di Katerina s'insinuò nel silenzio
della mia vergogna e per un attimo osai alzare lo sguardo verso un
punto davanti a me.
Perché,
dopo quello che era successo quel pomeriggio, reputavo ogni mio
gesto, ogni mio movimento, ogni mio singolo respiro solo un oltraggio
al mondo intero. Mia sorella non poteva vedermi in viso, i capelli
coprivano i segni del mio disonore, ma tra i ciuffi scuri riuscii a
scorgere il suo pancione, su cui sopra vi era posata la sua mano.
Volevo dirle di tornare a letto, che con la gravidanza ormai molto
avanzata doveva stare tutto il giorno a riposo e non a preoccuparsi
per me.
Ma
anche compiere quel misero gesto mi parve impossibile.
Trovai
il suo sguardo tra i ciuffi dei miei capelli, i suoi occhi
preoccupati scrutavano attentamente la mia figura ma tornai
prontamente ad osservare il vuoto.
Mia
sorella non si arrese. “Che cosa ti ha fatto?” mi
domandò.
Giunse
con grandi falcate fino a me e pregai con tutto il cuore che non
facesse ciò che stava per fare.
Mi
mossi troppo tardi per sfuggire al suo sguardo.
La
mano di Katerina era già arrivata a scostarmi i capelli,
mentre cercavo di voltare completamente il viso dall'altra parte, per
nascondere lo scempio che dovevo essere, il risultato di una vergogna
che mi aveva segnato, come un marchio di fuoco sulla pelle.
Lei
sussultò, si portò le mani alle labbra e guardò
attonita il mio volto.
Ero
così orribile? Non lo potevo sapere.
Dopo
che papà si era arrabbiato con me, non avevo nemmeno avuto il
coraggio di andare a guardarmi allo specchio. Ma se mi faceva così
male tutto il viso, se mia sorella aveva quella faccia mentre mi
guardava, voleva dire che dovevo essere ridotta davvero male.
Un
abominio.
Per
poco Katerina scoppiò in lacrime, si sedette vicino a me e mi
accarezzò dolcemente il viso; ogni carezza un dolore che mi
faceva sussultare. Non la guardai, tenni il più possibile lo
sguardo basso per la vergogna di essere vista in quello stato e
trattenni il fiato mentre le sue dita scorrevano su quelli che
dovevano essere i lividi.
Probabilmente
avevo anche un occhio gonfio, perché mi sembrava di non vedere
bene.
Le
lacrime che mi appannavano lo sguardo non erano gli unici ostacoli
alla mia vista.
Katerina
stava piangendo in silenzio. “Perché ti ha fatto di
nuovo questo?” mi chiese, con voce rotta.
Non
sapevo risponderle, non ricordavo nemmeno cosa avessi fatto per far
arrabbiare così papà ma forse lo meritavo. Non mi
avrebbe mai dato le botte, se non avessi fatto nulla di male.
Mi
aveva chiamata mostro, disonore, sangue maledetto. Quelle ultime due
parole furono quelle che mi erano rimaste più impresse, perché
il mio sangue era il suo.
Allora,
anche lui si considerava cattivo come me?
“Katerina,
ci penso io.” la voce di mamma ruppe il silenzio che di nuovo
era piombato tra quelle pareti, come ad avvolgerci nel suo freddo
abbraccio.
Volsi
lo sguardo verso di lei sulla soglia della porta, ma quella volta lo
feci senza vergogna.
Perché
,con la mia mamma, non sentivo il bisogno di nascondere le mie
ferite; lei le avrebbe curate.
In
mano teneva una piccola bacinella in legno piena d'acqua e un panno
sotto braccio.
I
suoi occhi erano velati di malinconia mentre ci guardava e sembrava
anche lei sul punto di piangere da un momento all'altro.
Katerina
si alzò lentamente in piedi e con le lacrime agli occhi. “Deve
smetterla di farle questo, madre!” esclamò, la voce più
incrinata rispetto a poco prima. Ma aveva una forza nascosta in essa
che mi colse di sorpresa. “Non ha fatto nulla di male, è
solo una bambina!”
Volevo
dissentire; avevo tredici anni e non ero una bambina.
Io
ero grande, ma si diceva che i grandi non sbagliavano mai e che
sapevano difendersi.
E
io invece sbagliavo sempre e non sapevo né combattere e né
tanto meno proteggermi.
Ci
sarei riuscita una volta cresciuta? Quel pensiero mi risollevò
un poco il morale.
Mamma
non disse nulla, prese un lungo respiro e la superò
avvicinandosi a me. Mi si sedette accanto, portò i miei
capelli dietro le orecchie e per un attimo i suoi occhi seguirono le
linee dei lividi che io non riuscivo a vedere. E che non volevo
vedere.
Katerina
restò immobile, in piedi vicino alla porta e guardava quello
spettacolo con lacrime ormai evidenti. Nostra madre bagnò
leggermente il panno e lo portò al mio viso, posandolo
delicatamente sopra la cute, con l'intento di curare le mie ferite.
Il
panno si muoveva gentilmente, quasi non volesse violare la mia pelle
oramai già violata, ma il dolore giunse comunque troppo forte.
Le carezze che lei e Katerina mi avevano rivolto divennero macigni, a
causa dell'odio che mio padre mi aveva marchiato sul corpo.
Volsi
lo sguardo verso di lei e la vidi piangere.
Era
colpa mia se piangeva. Lei piangeva sempre per me e così
valeva lo stesso per Katerina.
Forse
papà aveva ragione quando diceva che ero cattiva, altrimenti
non avrei fatto soffrire le persone che amavo più della mia
stessa vita in quella maniera.
Oh
dear mother, i love you. I'm sorry, i wasn't good enough
Cara
mamma, ti voglio bene. Mi dispiace, non sono brava abbastanza.
Era
quello che volevo dirle in quel momento, mentre mi regalava le sue
cure, mentre quasi silenziosamente si accusava di non essere riuscita
a proteggermi. Ma lei non aveva alcuna colpa.
Scese
di nuovo il silenzio, ma le lacrime in quella stanza gridavano
talmente forte che distrussero il suo abbraccio.
*
* * *
Gli
incubi continuavano a tormentarmi.
Erano
sogni terribili, tetri ma privi di logica: notti in un prato
verdeggiante, figure nell'ombra, Klaus che mi uccideva...erano senza
senso, eppure venivano a soffocare i miei sogni con le loro
inquietanti illusioni tutte le notti. Come se la realtà non
fosse stata già inquietante di per sé.
Mi
sforzai di non pensarci; avanzai rapidamente lungo il corridoio in
direzione della camera di Elijah, che trovai aperta. Quella mattina
il tempo era a dir poco brutto: nuvoloni neri sembravano rincorrersi
velocemente nel cielo, accompagnati dal forte vento. Ogni tanto si
sentiva un tuono in lontananza, l'aria voleva avvisarci che un
violento temporale avrebbe potuto investire la terra da un momento
all'altro.
Elijah
era in piedi vicino alla finestra, da dove quelle nuvole nere si
affacciavano. Stava preparando una sacca da viaggio e teneva lo
sguardo fisso su di esso, mentre lo riempiva di effetti personali.
Mi
aveva detto che sarebbe partito con Rebekah per qualche giorno, per
motivi a me ignoti, ma vederlo prepararsi per quel “viaggio”
mi provocò un tuffo al cuore e un vuoto all'altezza dello
stomaco.
Bussai
docilmente sulla porta, per attirare la sua attenzione e i suoi occhi
neri si alzarono rapidamente verso me. L'espressione era stranamente
dura, come se, fino a poco prima, la sua mente stesse conversando con
pensieri talmente preoccupanti che lo avevano strappato dalla realtà.
Alzai
la mano, come per salutarlo e poi gli mostrai il diario che ero
riuscita miracolosamente a riportare quasi all'aspetto
originario. Le pagine ancora sembravano voler scappare dai bordi e la
forma non era più propriamente rettangolare, ma mi
accontentavo.
Non
volevo un altro diario; quel dono era troppo importante per me.
“Lo
hai sistemato?” mi chiese. Non sorrise e nemmeno distrusse
quell'espressione fredda che mascherava il suo viso, ne rimasi così
sorpresa che il sorriso sulle mie labbra divenne uno sforzo. “Ne
sono contento.”
Tornò
poi a guardare la sacca che aveva tra le mani.
Qualcosa
lo turbava, ma cosa? Sembrava quasi arrabbiato, ma allo stesso tempo
combatteva con quella sua rabbia, come se ci fosse altro di più
importante da fronteggiare dentro di lui.
Feci
un passo per avvicinarmi, abbassando il diario accanto alla mia gamba
sinistra e lo scrutai attentamente. Elijah aveva di nuovo rivolto lo
sguardo verso il sacco e lo stava chiudendo con un gesto rapido e
deciso; sentiva i miei occhi interrogativi su di sé eppure li
stava ignorando.
Decisi
che era solo una mia impressione e gli chiesi a gesti dove stesse
andando insieme alla sorella. Non me lo aveva detto; la meta verso
cui erano diretti sembrava dovesse restare nascosta.
“Dobbiamo
svolgere...delle commissioni.” rispose, sempre con voce fredda
e dopo avermi lanciato un'occhiata. Si girò poi verso me,
portandosi la sacca sulla spalla. “Saremo di ritorno entro un
paio di giorni.”
Calò
un silenzio profondo, che parve circondare noi ma sopratutto i nostri
sguardi.
Loro
non si separarono mai, come se si stessero studiando così in
profondità da non potersi perdere nemmeno per un istante.
Non
era solo arrabbiato; era stanco, preoccupato, infastidito,
nervoso...era troppe cose e tutte si mescolavano sulla sua
espressione. Non capivo se ero io a causargli quella reazione o
altro.
Che
hai?
Quando
mi vide porgli quella domanda, scosse un attimo la testa ma non
rispose subito.
Temetti
non volesse darmi una vera risposta, ma lui non era il tipo da
nascondere la verità.
“Rebekah
mi ha detto una cosa..” disse solamente, dandomi solo quelle
sei parole come spiegazione al suo comportamento. Quando sentii
nominare Rebekah, corrugai la fronte confusa: ultimamente sembrava
che tutto ruotasse attorno alle sue parole o ai suoi sguardi.
Quasi
fosse la custode di un segreto importante, ma era indubbio che io
dovevo starne fuori.
“Non
è questo che mi preoccupa però.” Elijah parlò
rapidamente, prima che potessi elaborare un benché solo minimo
gesto per potergli chiedere ulteriori spiegazioni. Distolse per un
istante lo sguardo, volgendolo verso un punto dietro di me e poi
abbassò nuovamente gli occhi sul mio viso. “Quando
tornerò, devo assolutamente dirti una cosa. È troppo
importante affinché tu non la sappia.”
Ma
perché ultimamente tutti parlavano per enigmi? Ogni parola
sembrava celare un mistero, quasi volessero dirmi delle verità
ma allo stesso tempo volessero tenermele nascoste. Era un
atteggiamento che mi infastidiva, perché mi faceva sentire
completamente tagliata fuori dal loro mondo.
E
comunque, Elijah stava in parte mentendo; quello che Rebekah gli
aveva detto doveva essere comunque responsabile di quell'espressione
dura sul suo volto.
Come
lui poteva sentire il mio cuore, anche io ogni tanto potevo leggere i
suoi occhi.
“Passa
più tempo possibile con Katerina. Niklaus sarà
impegnato per altre sue faccende e dubito possa stare molto tempo con
voi.” Elijah fece un passo verso di me, parlandomi con fredda
premura.
Abbassai
gli occhi, incapace di sorreggere i suoi. “E stai attenta, mi
raccomando.”
Dovevo
alzare lo sguardo su di lui, un'ultima volta, prima che lasciasse
quella stanza.
Non
lo avrei più visto per un po' di giorni, quindi dovevo per
forza imprimermi un'immagine del suo volto, prima che se ne andasse.
Appena lo feci, lui fissò gli occhi nei miei e poi mi superò,
sfiorandomi delicatamente la spalla con la sua.
Non
osai voltarmi, restai con le braccia lungo i fianchi e gli occhi che
fissavano il vuoto, fuori dal vetro della finestra. Lui però
si era fermato sulla soglia della porta, il suo profumo era ancora
fortemente troppo vicino a me e non percepirlo era impossibile.
“C'è
molto altro che devi affrontare, Irina.” disse, con voce dura.
Le sue parole mi colsero così di sorpresa, che lentamente mi
voltai a guardarlo. Era immobile vicino alla porta, con la testa
leggermente piegata nella mia direzione e lo sguardo fisso sul mio
volto. “Meriti di sapere la nostra verità, ma anche di
ricordare la tua.”
Era
inutile dire che non capivo di cosa stesse parlando, ma i suoi occhi
erano così profondi che comunque annuii, malgrado non avessi
la benché minima idea di cosa mi stesse chiedendo.
Mi
concesse un ultimo sorriso.
Un
battito di ciglia e poi era scomparso.
Mi
ero così aggrappata alla sua immagine che, per poco, mi
ritrovai stordita mentre fissavo il vuoto.
Uscii
rapidamente dalla stanza, fermandomi nel corridoio vuoto ma senza
trovare la figura di Elijah.
Per
diversi secondi, rimasi immobile nel silenzio che mi circondava,
mentre la mia testa tuonava mille pensieri. Ma perché non mi
aveva detto chiaramente cosa era successo? Perché ogni cosa mi
sembrava turbarlo?
Una
presenza dietro di me mi destò da quei pensieri.
Ma
non era di Elijah.
Guardai
alle mie spalle, con la coda dell'occhio e scorsi Klaus che stava
fermo a pochi passi da me, con il busto rivolto verso il corridoio
che svoltava alla mia sinistra, ma lo sguardo fisso su di me.
La
sua espressione era sempre fredda, come lo era stata in quegli ultimi
e lunghi giorni e sinceramente ne fui stanca.
Serrai
le labbra; lui abbassò lo sguardo.
E
mi allontanai velocemente, scomparendo dietro l'angolo.
*
* * *
“Acceleriamo
o ci coglierà il temporale.” disse Katerina, allungando
i suoi passi.
Il
vento si alzò imponente, attraversando i tessuti dei nostri
abiti mentre camminavamo lungo il prato. La villa era ancora lontana,
ma riuscivano a scorgerne le pareti chiare oltre gli alberi.
Il
tempo non era migliorato dalla mattina precedente; le nuvole nere
avevano soffocato l'azzurro con il loro colore tendente al violaceo e
ogni tanto un tuono li divideva a metà, rimbombando tra le
pareti del creato in tutta la sua potenza.
Katerina
mi stringeva la mano saldamente, non l'aveva lasciata nemmeno un
attimo da quando eravamo uscite quella mattina, come se avesse
percepito le mie preoccupazioni e cercasse di scacciarle via con la
sua presenza. Stavo sforzandomi di non pensare più alle parole
di Elijah, a Belial, al comportamento di Klaus....ma i miei pensieri
si soffermavano sempre e comunque su di loro. La mie mente si era
ormai abituata a rivivere le immagini e le parole che li
riguardavano, senza poterli combattere.
“Ho
saputo che nostro padre vuole che tu torni a casa.” Katerina
attirò la mia attenzione, senza rendersi conto di aver portato
a galla un altro dei miei numerosi problemi. Volsi lo sguardo verso
di lei, i suoi occhi scuri sembravano rispecchiare l'oscurità
del cielo sopra le nostre teste. I
l
vento le scompigliò i ricci scuri, muovendo anche i ciuffi
ribelli, che erano sfuggiti dalla mia coda di cavallo, e stavano
danzando sul mio volto.
“Sarei
una bugiarda se ti dicessi che non dovremmo tornare mai più in
Bulgaria.” disse ancora lei, abbozzando poi un sorriso
malinconico. Le sue dita strinsero più forte il mio palmo,
tanto che le unghie quasi affondarono nella mia carne. “Ma se
lui vuole rovinarti nuovamente la vita, se vuole di nuovo strapparti
il sorriso dalle labbra...sappi che io non glielo permetterò.
Non più. Non ora che hai conosciuto la vera felicità.”
Parlò
con fermezza e decisione, come quella volta in cui disse a nostra
madre che papà doveva smetterla di arrabbiarsi con me. Ma
nessuno le aveva dato ascolto; purtroppo era lui che comandava e
decideva per noi, io, come Katerina ed Ada, potevo solo sottomettermi
al suo volere.
In
quel momento però, Katerina parlava con una sicurezza nei toni
e con un evidente forza d'animo che mi sembrò quasi di
sentirmi protetta, al sicuro di fronte ad un ipotetico futuro in
Bulgaria che avremmo dovuto vivere insieme.
Peccato
che non ci sarebbe mai stato, né per lei e nemmeno per me.
Io
non avrei permesso che tornasse a soffrire tra i pregiudizi e le
credenze fasulle della gente del nostro villaggio e io...io avevo già
deciso cosa fare del mio futuro.
Anche
se era una scelta egoista, perché avrei ottenuto l'eternità,
ma avrei perso mia sorella.
Dissi
a me stessa di nuovo di non pensare a nulla: ogni pensiero negativo
ne chiamava un altro e ne ero davvero stanca.
Le
sorrisi di rimando, per ringraziarla di essere sempre così
protettiva nei miei confronti.
Accelerammo
ulteriormente il passo, quando ormai era evidente che un forte
acquazzone sarebbe scoppiato di lì a poco.
Quasi
corremmo lungo quella vasta distesa di verde e la villa si fece
sempre più vicina.
“C'è...una
carrozza.” Katerina si fermò per un istante, alzai lo
sguardo su di lei confusa, per poi rivolgerlo rapidamente verso
l'ingresso della villa, dove si trovava ferma una carrozza scura di
cui riuscivamo a scorgerne solo la parte posteriore dalla nostra
posizione.
I
cavalli sbuffavano rumorosamente, nitrendo di tanto in tanto, mentre
una figura con indosso un mantello scuro e degli abiti pesanti ci
dava le spalle. La sua testa si muoveva da un lato e dall'altro,
sembrava si stesse guardando attorno alla ricerca di qualcosa.
Noi
eravamo ancora troppo lontane per poterne davvero cogliere la figura,
ma mi parve avesse i capelli bianchi e lunghi, che si muovevano sopra
le spalle in balia del vento. Quest'ultimo si era fatto più
freddo e tagliente; appena avrebbe abbandonato la terra, la pioggia
ci avrebbe sicuramente raggiunto.
Katerina
sorrise, mentre io scrutavo con attenzione quella figura sempre più
vicina. “Lord Niklaus deve aver invitato qualche nuovo ospite.”
disse tranquillamente, mentre quella figura si voltava. “Magari
è...”
Ci
fermammo di colpo, quando quella figura si voltò verso di noi.
Le
nostre mani si separarono.
Il
panico attraversò i miei muscoli come una violenta scarica che
li immobilizzò e il mondo attorno smise di essere vivo, mentre
qualcosa dentro mi moriva. I miei occhi non riuscivano a distaccarsi
da quelli scuri dell'uomo che ci stava fissando, con i lineamenti
delineati dalla rabbia e la postura talmente rigida ed immobile da
farmi venire i brividi.
Nostro
padre.
Dovevo
svegliarmi.
Doveva
trattarsi di un incubo, un terribile incubo.
Non poteva essere altrimenti. Gridavo a me stessa di svegliarmi, di
destarmi da quel sonno e di correre via il più lontano
possibile, di tornare nella realtà.
Ma
era quella la realtà e non potevo semplicemente scappare in un
sogno in quel momento.
Lui
guardava solo verso me, tutta la sua collera era focalizzata sulla
mia immagine, mentre Katerina prese a respirare in maniera troppo
accelerata facendo scorrere lo sguardo da lui a me.
Sapeva
che il vero temporale
stava per scoppiare, quello che davvero ci avrebbe coinvolto
entrambe, in una spirale di dolore e paura che ci avrebbe solamente
fatto del male.
Conoscevo
quegli occhi carichi di odio che avevo sempre desiderato donarmi un
po' di affetto.
Conoscevo
quelle labbra serrate che avevo sempre voluto vederle sorridermi.
Conoscevo
quei pugni serrati da cui avrei tanto voluto avere anche solo una
carezza.
Conoscevo
tutto. Tutto quello che lui mi
aveva dato, al posto di ciò che desideravo.
Si
avvicinò a noi velocemente e ogni suo passo in avanti, ne
valeva due miei indietro.
Volevo
scappare. Dovevo farlo, se
volevo sfuggire alla sua rabbia, quella che stava per esplodere ed
investirmi con la sua violenza.
“Irina?
Irina, calmati.” Katerina cercò di infondermi un po' di
coraggio, mentre mi voltavo e cercavo di allontanarmi, quasi
correndo. Ma la ignorai: dovevo andarmene,perché non ce la
facevo ad affrontarlo.
Avevo
troppa paura.
“Irina!”
gridò mio padre, subito dopo che un lampo tagliò il
cielo in due. “Irina, fermati subito!”
Obbedii,
senza che realmente volessi farlo.
Poiché
l'ubbidienza che mi era stata imposta nei suoi confronti tornò
prepotentemente a farsi sentire. Mi pietrificò il corpo ma non
lo sguardo, che vagava nello spazio, pur di non posarsi su di lui.
Anche
lui si fermò; Katerina rimase tra noi ma la sua figura divenne
solo una comparsa in un scena che avrebbe di certo avuto un epilogo
drammatico.
“Guardami.”
Nostro padre pronunciò quella parola con rudezza, facendomi
intendere che dovevo fare ciò che mi chiedeva. Ma rimasi
immobile, scossa dai tremori.
“Ho
detto...di guardarmi quando ti parlo, ragazzina.” urlò
poi, la sua voce diveniva più alta ad ogni parola.
Se
non mi fossi voltata, lui mi avrebbe costretto a farlo con la forza.
Tanto valeva farlo da sola.
Mi
girai lentamente, ogni fibra del mio corpo tremava al pensiero che
stavo di nuovo per incontrare quegli occhi scuri che sempre mi
avevano trafitta, superando le barriere del mio sguardo per giungere
a martoriare la mia anima con il loro disprezzo.
Lui
era il solo ad esserci sempre
riuscito.
Mi
fermai, quando ormai fummo l'uno di fronte all'altra, i suoi occhi si
legarono ai miei.
Quest'ultimi
volevano tanto abbassarsi, fuggire lontano per non dover fronteggiare
l'odio che tingeva quelle iridi scure.
Ma
non riuscivo a muovermi: ogni singolo muscolo del mio corpo era
paralizzato, anche se intensi tremori lo scuotevano con una forza
tale, che provai dolore ad ogni brivido.
Katerina
combatteva con la paura e pareva volesse dire qualcosa in mia difesa,
qualcosa che non avrebbe impedito a mio padre di dare sfogo alla sua
rabbia.
Ma
non poteva fare nulla: lui, in quel momento, non la vedeva. C'ero
solo io, io dovevo essere punita.
“Tu
ora torni a casa con me senza fare troppe storie, sono stato chiaro?”
Nostro padre calcò ogni singola parola che le sue labbra
lasciarono andare. Mi puntò il dito contro, come per
sottolineare l'obbligo a cui dovevo sottopormi, se non volevo fare
fronte alla sua rabbia. “Mi hai già disonorato scappando
in quel modo e coinvolgendo tua madre. Non ti permetterò di
farlo ancora.”
Alzò
il mento, spalancò leggermente gli occhi e mi rivolse contro
uno sguardo talmente carico di ribrezzo che fece nascere in me
talmente tante emozioni contrastanti tra loro che non sapevo come
gestirle. Fuori ero immobile, rigida, fissa in quella posizione, ma
dentro di me era scoppiato l'inferno.
La
paura l'avevo sempre provata per mio padre, così come il
dispiacere di non essere mai stata abbastanza per lui e il dolore di
non aver mai ricevuto ciò che una figlia doveva
avere dal padre.
Dear
father, forgive me 'cause in your eyes, i just never added up.
Caro
papà, perdonami perché ai tuoi occhi non sono mai
andata bene.
Rabbia.
Quel
sentimento non l'avevo mai provato prima.
Ogni
volta che lui si arrabbiava con me, o mi picchiava, quel sentimento
era stato subito soppresso, perché sentivo di meritare tutto:
il suo disprezzo, le sue mani che mi colpivano o i suoi occhi che mi
guardavano come se fossi un abominevole scempio che aveva distrutto
la sua famiglia.
Ma
non era così.
In
my heart i know i failed you, but you left me here all alone.
Nel
mio cuore so di averti deluso, ma tu mi hai lasciata sempre sola.
Strinsi
i pugni, facendomi più rigida mentre la rabbia attraversava il
mio corpo, partendo dal mio cuore e giungendo al mio cervello. Mio
padre la vide, i suoi occhi si sgranarono per la sorpresa di essere
sfidato, di non poter vincere con la facilità con cui poteva
farlo prima.
No.
Forse
lui riuscì anche a sentire la mia voce, perché mai come
allora mi ero resa conto che uno sguardo, un'espressione, potevano
davvero permettermi di combatterlo come mai avevo fatto prima.
Io
non mi sarei mossa di là.
Poteva
anche picchiarmi così forte da frantumarmi le ossa, ma io
sarei rimasta ferma dov'ero.
Non
gli avrei permesso di vincermi di nuovo. Elijah aveva ragione,
bisognava combattere nella vita.
Sempre.
E,
in quel momento, con lui dovevo assolutamente farlo.
“Mi
stai sfidando, ragazzina?” Si avvicinò a grandi passi
verso me, nell'intento di farmi più paura possibile. Ma non ci
riuscì, era la rabbia a dominarmi e lui non sarebbe mai
riuscito a sconfiggerla.
Sapeva
benissimo che era un nemico troppo forte da battere, quando si era in
sua completa balia.
“Padre,
vi prego non lo fate...” Katerina cercò di impedire la
sua avanzata, ma lui la ignorò.
Aveva
già rinunciato a lei, aveva già accettato il disonore
che lei gli aveva arrecato avendo un figlio fuori dal matrimonio. Era
stata esiliata e stava pagando ciò che, secondo lui, doveva
pagare.
Io
invece avevo disobbedito: ero andata contro i suoi piani per il mio
futuro ed ero fuggita, oltraggiando il suo volere. Dovevo pagare
l'affronto che gli avevo arrecato.
Katerina
lo seguì, quando lui si parò di fronte a me e mi
trafisse con lo sguardo. Fortunatamente non vi era nessuno là
fuori insieme a noi, eccetto i nuvoloni che assistevano alla scena,
mentre altri lampi li squarciavano con le loro urla. La pioggia
attendeva di cadere, come se non volesse attendere la mia rabbia che
stava per divampare. Oppure quella di mio padre.
“Sali
subito su quella carrozza senza fare storie, le poche cose che hai
qui rimarranno con tua sorella.” Indicò il carro dietro
di sé, accostando il viso al mio, per imprimermi ancora di più
l'idea che non potevo scappare al suo volere.
Scossi
la testa così lentamente, affilai lo sguardo così tanto
e mi morsi le labbra così forte che lo sconfissi. Forse lo
avevo sempre fatto, ecco perché ricorreva alle mani per
mostrare la sua superiorità.
“No,
padre!”
La
voce di Katerina si fece troppo lontana, quando lo schiaffo di mio
padre colpì la mia guancia destra.
Il
colpo arrivò tremendamente forte e il dolore si espanse
lentamente sulla pelle quando caddi a terra. Le sue dita erano giunte
anche a colpire il mio orecchio, tanto che per un istante mi parve di
sentire tutto rimbombare attorno a me: ogni parola di Katerina, ogni
tuono nel cielo, ogni soffio di vento che mi attraversava...era
tutto, tutto, un
insieme di suoni troppo forti che facevano solo male.
Il
mio abito si macchiò di terra, mentre tentavo di rialzarmi in
piedi. Portai la mano sulla guancia, sentendola bollente sotto il mio
tocco e sforzandomi di non piangere per la rabbia e il dolore.
“Sei
sempre stata una palla al piede, una macchia da cancellare dalla mia
vita....” Mio padre diede inizio al suo soliloquio, in cui
cercava di gettarmi nell'abisso del suo odio, dove sarei giunta alla
mia più profonda sofferenza. Mi voltai verso di lui, restando
però seduta sul terreno. “Mi hai arrecato solo infamia e
disonore. Non sei mai stata degna di vivere.”
Fece
un altro passo verso di me, spingendo via Katerina quando cercò
di ostacolare la sua avanzata.
La
sua spinta fu così rude, che quasi la fece capitolare a terra.
La
rabbia che provai in quel frangente fu nulla in confronto al dolore
al viso che sentivo.
La
sua mano afferrò i miei capelli, con una forza che mi
costrinse a chiudere gli occhi per non piangere. Mi tirò su da
terra e diede uno scossone alla mia testa, mentre iniziava a
trasportarmi verso la carrozza.
“Quando
andiamo a casa...” disse, in un fastidioso sibilo. “Ti
farò pentire di aver...”
Non
terminò la frase che la sua mano abbandonò velocemente
i miei capelli.
Caddi
a terra in un tonfo, facendomi male al braccio che, nell'impatto,
finì sotto la schiena.
Non
compresi subito ciò che stava succedendo perciò alzai
la testa verso un punto alle mie spalle.
Scorsi
allora quelle di Klaus.
Mio
padre lo guardava con occhi sbarrati, mentre il vampiro gli stringeva
il colletto della camicia con forza e lo spingeva contro il lato
della carrozza.
Per
la prima volta in tutta la mia vita, vidi mio padre avere paura di
qualcuno.
Il
suo sguardo, la sua bocca serrata, il suo respiro accelerato giunsero
come una novità ai miei occhi, una cosa che non avevo mai
visto prima.
Ma
Klaus tremava visibilmente, non riuscivo a scorgere la sua
espressione, ma ero certa che doveva essere distorta dalla rabbia. Lo
avrebbe ucciso.
Katerina
assisteva ormai impotente alla scena e, quando cercò di
avvicinarsi a me per aiutarmi ad alzarmi, io ero già corsa
verso Klaus. Gli presi il braccio sinistro con entrambe le mani e
cercai di tirarlo via, ma lui oppose leggermente resistenza per poi
arrendersi.
Mi
parai tra loro due, posando le mani sul petto di Klaus e spingendolo
lentamente via da mio padre.
Non
lo avevo mai visto con quell'espressione sul volto, sembrava stesse
guardando papà, ma che nella sua figura vedesse ben altro.
Come se la scena di poco prima, lo avesse riportato indietro di
secoli, quando anche lui era umano e l'unico incubo che aveva era
quello della figura paterna.
Un
padre che non aveva mai potuto definire tale, perché l'affetto
che avrebbe dovuto ricevere da lui si era tramutato in odio e
violenza.
Klaus
era furioso:
ero certa che sarebbe saltato alla gola di mio padre in quel preciso
istante, davanti a Katerina, se non avessi cercato di calmarlo.
Prendeva lunghissimi respiri, inspirando ed espirando con velocità
e puntando lo sguardo contro il punto focale del mio
dolore.
Non
del suo, del mio.
Non
doveva vedere Mikael in mio padre. Non doveva soffrire in quel modo
attraverso lui.
“Prova
a toccarla di nuovo, stupido vecchio, e ti giuro che te ne pentirai
molto amaramente!” Klaus gli puntò contro il dito,
accompagnando ogni parola di quella minaccia ad uno sguardo
penetrante.
Vedeva
solo lui: mio padre, Mikael.
Tutto
il mondo intorno a lui doveva essersi annullato, tanto che non vedeva
nemmeno me, che gli ero di fronte in quel momento. Per
farmi guardare da lui, per dileguare il suo odio, gli presi il viso
tra le mani. Lui però mantenne lo sguardo fisso su mio padre
ancora, malgrado stessi cercando in tutti i modi di fargli
distogliere la figura da lui.
Lo
scossi allora con più forza e finalmente riuscii ad ottenere
il suo sguardo.
I
suoi occhi blu si posarono nei miei, mentre cercavo di
tranquillizzarlo con un sorriso, per dirgli che andava tutto bene. La
sua espressione allora si rilassò sempre più, i suoi
occhi persero quel barlume di follia che poco prima li aveva oscurati
e mi guardò per davvero.
Mi
vide; vedeva che stavo cercando di tranquillizzarlo, facendogli
capire che quello non era suo padre. Non doveva ricordare, non
doveva lasciare che quei ricordi dolorosi tornassero alla sua mente,
di fronte all'immagine di mio padre. Sbatté più volte
le palpebre, come per mettere a fuoco la mia immagine.
Tenevo
ancora le mani sul suo viso, le dita accarezzavano i suoi zigomi e il
mio sorriso divenne ciò che realmente vedeva in quel momento.
“Come
vi permettete, signore? Non avete alcun diritto di aggredirmi in quel
modo!” Mio padre parlò a gran voce, con un inglese a dir
poco stentato, e l'espressione di Klaus si tese nuovamente, quando il
suo sguardo saettò su di lui.
Anche
io mi voltai a guardarlo, Katerina si pose al mio fianco e adagiò
le sue mani sulle mie spalle.
Nostro
padre si stava ricomponendo, sistemandosi la camicia sgualcita e
sforzandosi di regolare il respiro sempre più. Non guardava
Klaus, ma un punto tra me e lui, perché dubitavo sarebbe
riuscito a sostenere gli occhi del vampiro.
“Tu
la chiami aggressione quella, vecchio?” Klaus lo sfidò,
dandogli del tu e nominandolo in quella maniera che non si dovrebbe
utilizzare nei confronti di qualcuno che, teoricamente, doveva essere
più vecchio di lui. Parlò in bulgaro, per dimostrargli
la differenza che vigeva tra loro. “Non mi conosci affatto.”
“Questi
sono affari tra me e mia figlia, voi non c'entrate nulla!” Mio
padre fece un passo verso noi, Klaus quasi volle raggiungerlo ma le
mie mani ancora posate sul suo petto non glielo permisero. Avrebbe
potuto spingermi via subito, ma non lo fece. “Perciò,
non vi permettete di ostacolarmi.”
Klaus
s'irrigidì ulteriormente, sembrava un predatore che attendeva
il momento giusto per aggredire la sua preda. I suoi occhi erano
ricolmi di odio e rabbia e si spostarono un istante su di me e sulle
mani con cui stavo ancora cercando di impedirgli di avanzare verso
mio padre.
“La
guardi.” Klaus ruppe il silenzio con quelle parole, non
compresi subito che stava chiedendo a mio padre di guardare me, fino
a quando lo vidi superarmi e avvicinarsi a lui. Non lo ostacolai più,
perché il suo passo fu lento e leggero, non quello di una
persona che stava per aggredire qualcun'altro.
Mi
indicò con la mano, mio padre ancora non riusciva a guardare
in volto il vampiro. “Guardi sua figlia!” gridò
ancora Klaus, facendo sobbalzare me e Katerina.
Persino
mio padre rabbrividì, di fronte a quella voce quasi gutturale.
Posò
gli occhi su di me e per la prima volta furono diversi: per la prima
volta in sedici anni di vita, mi guardavano
per davvero. Non ero un
mostro, un abominio, un disonore, una macchia nella famiglia Petrova
da pulir via: ero semplicemente Irina.
“Sua
figlia è una delle persone più belle che abbia mai
conosciuto in vita mia e non ha mai meritato la vita di inferno che
gli hai regalato. Ed è difficile rimanere così puri, di
fronte ad intemperie simili, ma lei ci è riuscita
benissimo...nonostante tu abbia sempre cercato di sopprimerla.”
Klaus teneva lo sguardo puntato sul viso di mio padre, il quale
abbassò prontamente gli occhi nell'udire quelle parole.
Katerina
mi strinse le spalle, ascoltando attentamente insieme a me le parole
del ragazzo. Il cuore mi batteva troppo forte nel petto mentre
guardavo il suo profilo, la sua postura rigida, la mascella serrata.
Come
se stesse pronunciando parole che avrebbe davvero tanto voluto
sentire rivolgere a sé stesso, quando era lui vittima di quel
padre che lo aveva sempre buttato a terra. La mano era ancora puntata
verso di me, perché voleva
a tutti i costi che mio
padre trovasse il coraggio di guardarmi di nuovo in viso.
“Bontà.
Altruismo. Coraggio. Forza d'animo. Bellezza. Io non ho visto
nient'altro che questo in tua figlia, la ragazza che hai cercato in
tutti i modi di spegnere per un'intera vita. E voglio che tu sappia
che qui ci sono persone che non ti permetteranno più di
toccarla anche solo come un dito. Io
non ti permetterò
più neanche solo di guardarla.”
Calò
il silenzio, persino il cielo aveva smesso di tuonare, come se
volesse ascoltare la voce di Klaus.
Io
sentivo di non avere più respiro, mi sembrava che tutto
l'ossigeno del mondo non fosse abbastanza per i miei polmoni. I miei
occhi fermi, fissi su Klaus e la mente che ricordava quelle parole
che poco prima aveva pronunciato, parlando di me, come se non fossi
lì.
“Lei
non merita...di soffrire.” disse, concedendosi una pausa che
non compresi. “Quindi, lascia subito questo paese, oppure ti
farò pentire di averci messo piede. Fossi in te non oserei
sfidarmi.”
Mio
padre lo guardò di sbieco e lo vidi tremare sotto i suoi
abiti. Intanto, alcune gocce di pioggia segnarono l'epilogo di quella
scena, di cui non mi sarei aspettata un finale del genere.
Klaus
si allontanò da mio padre, si avvicinò a noi e mi posò
una mano sulla spalla, facendoci segno di rientrare in casa.
Mio
padre fu l'unico a restare sotto la pioggia.
*
* * *
Cadevano
fortissimo.
Quelle
gocce scendevano rapidamente sulla terra, spinte dalla forza del
vento che le portava ad infrangersi sul vetro della finestra accanto
a me.
Ero
seduta su una delle panche nel salone che sere prima era stato teatro
della nostra festa di ritorno, solo che in quel momento era avvolto
nel silenzio e nel buio. Fissavo il vuoto, i miei occhi erano fermi
sul pavimento e le mie orecchie captavano ogni singolo richiamo che
quelle gocce di pioggia stavano lanciandomi.
“Irina?”
Katerina era seduta accanto a me, mi scuoteva delicatamente le
spalle, cingendole con il suo braccio. Mi guardava amorevolmente,
sentivo i suoi occhi sul mio volto, però non riuscivo a
voltarmi per accertarmi di quello sguardo.
Mi
sembrava di essere tornata alla scena di qualche anno prima, quando
io ero seduta in quelle condizioni sul letto della nostra camera, con
il volto martoriato dalle percosse subite e Katerina che piangeva per
me, perché doveva combattere con me una lotta che non potevamo
vincere.
Ma
allora l'avevamo vinta.
Grazie
al coraggio che avevo imparato ad avere grazie ad Elijah. Grazie alle
parole di Klaus.
Ma
allora perché non mi sentivo bene? Perché non sorridevo
e non gioivo per l'espressione che mio padre aveva avuto poco prima?
“Irina?
Guardami. È finita.” Katerina mi parlò in
bulgaro, soffiando dolcemente quelle parole sulla mia guancia. “Se
ne andrà e resterai qui con me. Non ti porterà via, non
dopo che Lord Niklaus lo ha minacciato in quella maniera.”
Non
riuscii a sentire le sue parole, tanto ero focalizzata sul motivo per
cui non mi sentissi bene.
Perché
mi sentivo ancora così male? Lo compresi quando vidi un figura
avvicinarsi a noi, i miei occhi non si ritrovarono più a
fissare un punto sul pavimento ma il volto di qualcuno che si
inginocchiò davanti a me.
Alzai
lo sguardo dalla bocca di Klaus per cercare i suoi occhi blu che mi
osservavano in silenzio. Non riuscii a decifrare la sua espressione:
si manteneva freddo, ma non troppo, come se volesse assicurarsi che
non rimanessi ferita anche dal suo sguardo.
Guardandolo,
mi resi davvero conto del perché stessi ancora male: io non
volevo lottare con mio padre. Non volevo vincerlo, proprio come non
volevo perdere perché non era la lotta ciò che
desideravo da lui.
No,
io volevo semplicemente che
fosse mio padre.
Che
mi volesse bene, che fosse fiero di me, che desiderasse vedermi
felice e invece avevo ottenuto tutto il contrario. Ecco perché
stavo male lo stesso, se si combatte una guerra che non si vuole
combattere, se ne esce sempre sconfitti.
E
chi meglio di Klaus poteva saperlo?
“Katerina,
potete lasciarci soli per un attimo, per favore.” Klaus parlò
con un sussurro, volgendo lo sguardo verso mia sorella che non si
aspettava minimamente una richiesta simile. Ma acconsentì,
sembrava presagire che avevo bisogno
di rapportarmi con una persona che davvero poteva capirmi.
Lui.
Katerina
scomparve oltre la porta, lanciandoci un'ultima lunga occhiata prima
di svoltare l'angolo.
“Fammi
vedere.”Klaus tese le mani verso il mio viso, posò
delicatamente le dita sotto il mio mento e scrutò con
attenzione i segni che mio padre doveva avermi lasciato con lo
schiaffo di poco prima. Mi alzò lentamente il viso e chiusi
gli occhi lasciandomi andare ad un gemito di dolore, quando le sue
dita strisciarono lentamente sulla mia pelle.
Lo
guardai storcere il naso, come se quei segni facessero male anche a
lui. “Bastardo...” ringhiò, con una tale rabbia
che pensai sarebbe scattato in piedi per andare ad uccidere mio
padre.
Ma
non lo fece; allontanò le mani dal mio viso e mi guardò
negli occhi.
Rimase
inginocchiato davanti a me, il suo viso di fronte al mio e le mani
adagiate sulle ginocchia, quasi sfiorando le mie. “Non devi
preoccuparti, non ti porterà via.” disse poi, con voce
carezzevole.
La
dolcezza che impiegò nelle sue parole mi sconvolse dentro,
riportandomi con la memoria al discorso che poco prima aveva fatto a
mio padre. E pensare che lui stesso, giorni prima, mi aveva detto che
dovevo lasciare l'Inghilterra per tornare in Bulgaria. Aveva cambiato
idea?
“No...”
Klaus pronunciò quelle due lettere, cogliendomi di sorpresa.
Allungò la mano verso il mio viso per bloccare l'avanzata di
una lacrima che, solitaria, stava avanzando lungo la mia guancia. Il
suo pollice la schiacciò sotto il polpastrello, per poi
asciugarla via con la sua pelle. Non mi ero nemmeno accorta che
quella era scappata via dalla prigione di finta soddisfazione
in cui avevo rinchiuso i miei occhi.
“Non
c'è bisogno di piangere. Non renderà quell'uomo il
padre che desideri.”
Serrai
le labbra, in preda alla vergogna.
Klaus
però non sembrava deridere le mie lacrime, era come se non
volesse vederle. Magari, in quel frangente, gli sembrava di trovarsi
di fronte ad uno specchio e di vedere il sé stesso di secoli
prima.
“Lui
non lo merita, Irina.” Scosse la testa e mi guardò fisso
negli occhi. “Il tuo affetto, intendo. Lui non lo merita.”
Ma
lui lo aveva comunque il mio affetto, malgrado tutto. Ero così
attaccata al desiderio di sentirmi amata da lui che, anche se mi
detestava, io gli volevo bene lo stesso.
Ed
era quella la cosa che faceva più male, desiderare amore ma
ricevere invece odio. Era un dolore intollerabile.
Abbassai
lo sguardo e intrecciai le dita tra loro e fissandole, perché
mi sembrava di non riuscire a sostenere gli occhi di Klaus.
Calò
un silenzio di tomba che perdurò per qualche secondo, un tuono
infranse quelle barriere che si erano innalzate attorno a noi e la
sua luce invase la sala, tanto che per un secondo i nostri visi
dovettero essere scomparsi dallo sguardo dell'altro.
“Quello
non è tuo padre, il fatto che ti abbia messa al mondo non lo
rende per forza tale.” disse poi Klaus, riprendendo equilibrio
sulle ginocchia e continuando a fissarmi negli occhi, io feci lo
stesso. “Tu sei perfetta così come sei; lui vuole solo
soffocare la tua luce e spegnere il tuo animo come è spento il
suo. E tu non devi farlo mai.”
Quelle
parole restarono sospese nell'aria, come una nube di fumo che
lentamente si sarebbe dileguata. Le parole che stava rivolgendo a me
dovevano essere le stesse che avrebbe tanto voluto sentirsi rivolgere
tempo addietro, quando lui era quello spinto a terra dal padre da cui
desiderava solo essere capito.
Mi
chiesi se, in vita sua, avesse mai ricevuto un abbraccio: non nella
sua vita immortale, ma in quella umana che aveva vissuto e perduto
secoli prima.
Quella
in cui un abbraccio poteva valere più di mille parole.
Avevo
sempre pensato che la sua freddezza, il suo cinismo e il suo
risentimento verso l'umanità fossero frutto di quello che
aveva patito in vita. Mai come in quel momento ne fui certa.
“Io
ho sempre avuto paura di mio padre. Sempre.” continuò
poi, abbozzando un sorriso che aveva del malinconico e
dell'imbarazzato. “Non ho mai avuto il coraggio di affrontarlo,
malgrado fossi un uomo e il coraggio doveva essere una mia virtù.”
Distolse lo sguardo posandolo verso il soffitto e strinse le labbra,
per trattenere altre parole che avrebbe tanto voluto pronunciare, ma
che avrebbero reso la sua confessione troppo umana. “Ma tu sei
così piccola. Ed è da vigliacchi...distruggere i tuoi
sogni, le tue speranze e il tuo spirito in quel modo.”
Non
riuscii a trattenere le lacrime.
Scossi
la testa, come per negare a me stessa di credere a quelle parole, e
abbassai di nuovo gli occhi. Perché diavolo dovevo piangere
sempre? Per una volta in vita mia, non potevo affrontare le cose a
viso duro, senza che quelle maledette decidessero di scorrere
lungo il mio viso?
Il
problema era che le parole di Klaus stavano guarendo le mie ferite,
ma allo stesso tempo stavano portando a galla il vero dolore che da
una vita mi portavo dentro: io volevo bene al mio papà, gliene
volevo tanto. Ma lui mi aveva sempre fatto sentire sbagliata, ma cosa
avevo fatto di sbagliato in realtà?
Era
giusto considerare un errore il semplice fatto di esistere?
Tirai
su con il naso, una lacrima pesantissima cambiò il suo
tragitto giungendo alla punta di esso, per poi decidere di
schiantarsi sul palmo della mia mano.
Ma
anche in quel caso, il suo destino cambiò: Klaus prese le mie
mani tra le sue e quella lacrima andò a schiantarsi sul suo
dorso. Alzai lo sguardo di nuovo su di lui, su quell'espressione
che avevo visto così poche volte sul suo viso ma che sempre mi
lasciava di stucco.
Le
sue dita mi strinsero con estrema delicatezza le mani e il calore
della sua pelle sembrò farsi largo tra le tenebre fredde che
mi attanagliavano il cuore in una morsa.
“Allora,
come vuoi che lo uccida?” disse poi.
Non
compresi subito le sue parole, fino a quando la sua espressione seria
venne infranta da un sorrisetto furbo che per poco mi fece ridere.
Stava scherzando. “La mia specialità è staccare
la testa ed è da un po' che non lo faccio. A strappare cuori è
più bravo Elijah, però io non sono da meno sai? Oppure
posso bere ogni goccia del suo sangue, ma il sangue umano non segue
la regola del vino e lui è molto vecchio...potrei stare male
poi.”
Malgrado
stesse parlando di tutte cose che facevano impressione, mi fece
sorridere l'espressione con cui pronunciò quelle frasi. Voleva
farmi ridere, con il suo solito poco tatto, ma ci stava riuscendo.
Mi
asciugai le lacrime con un dorso della mano e gli sorrisi, l'altra
mano restò nascosta sotto le sue, mentre anche lui rideva.
Poi
abbassò lo sguardo, ricordandosi che si era lasciato andare
troppo a lungo a quell'attimo troppo umano.
S'inumidì
le labbra e posò gli occhi sulle sue mani, ritraendole
lentamente. “Perciò, smettila di frignare e lascia
perdere quell'idiota. Che andasse all'inferno, no?” abbozzò
un ultimo sorriso e sembrò volerla chiudere là.
Ma
non glielo permisi.
Aveva
parlato lui per tutto il tempo, io non avevo potuto dirgli nulla di
quello che davvero avrei voluto trasmettergli. Compii allora il
solito gesto che lo disarmò come era successo settimane prima:
mi protesi verso di lui e lo abbracciai, in modo che capisse che lo
stavo ringraziando per quello che aveva appena fatto per me. Era
chiaro che si fosse sforzato; odiava davvero tanto far emergere un
lato di sé stesso che per secoli aveva represso, ma con me
aveva adempito a quello sforzo moltissime volte. Per aiutarmi.
Posai
il mento sulla sua spalla, i nostri petti non si incontrarono e
sentivo il suo respiro attraversarmi i capelli. Chiusi gli occhi,
mentre le mie ginocchia sfioravano le sue e lui restava immobile: non
ricambiò, non mosse un muscolo e nemmeno respirò più
ad un certo punto. Allora era proprio vero che aveva ricevuto
pochissimi gesti come quello, perché sembrava quasi non fosse
capace di rispondervi.
“Va
bene...” Tamburellò con la mano sulla mia schiena,
dandovi due colpetti secchi. “Ora staccati per favore.”
Parlò
con durezza, ma non m'incantò. Voleva solo preservare il suo
orgoglio, da vampiro cattivo e vecchio secoli. Obbedii, ritraendomi
un poco e lanciandogli una lunga occhiata, quando i nostri volti
tornarono a trovarsi l'uno di fronte all'altro.
...non
doveva succedere. Non con te....
Di
nuovo quelle parole.
Rimbombarono
con troppa violenza dentro la mia testa, costringendomi a stringerla
tra le mani.
Chiusi
gli occhi gemendo di dolore, come se il loro eco stesse graffiando
sulle pareti della mia mente.
“Ehi?
Che ti prende?” Klaus mi strinse le spalle, mentre restavo
rannicchiata su me stessa, nell'intento di sopprimere quella voce che
si ripeteva di continuo.
Finalmente
scomparvero, quelle parole e il loro eco, lasciandomi nel silenzio di
poco prima.
Ma
perché erano giorni che mi succedeva una cosa simile? E perché
mi succedeva...sempre quando ero con Klaus? Prendendo un lungo
respiro, alzai la testa di scatto ma commisi un grave errore: il viso
di Klaus si era avvicinato alla mia nuca, mi reso conto solo dopo che
ciò che soffiava tra i miei capelli era il suo respiro. Lui
allontanò il volto prima che lo colpissi con la testa, ma non
si allontanò molto: ci guardammo a lungo, mentre i nostri
respiri si scontravano sulle labbra dell'altro, respiri troppo
accelerati affinché riuscissimo a controllarli.
...Tu
sei una maledizione...
Altre
parole si ripeterono nella mia mente, ma non mi fecero male.
Mi
diedero solo la conferma che era lui a causarle. E quelle voce era
la...
Quando
ci allontanammo rapidamente, una figura apparve sulla soglia della
porta: Katerina era dietro di essa e la guardava con aria impaurita.
Era
nostro padre.
Ci
guardava gravemente, con una strana espressione sul volto. Non era
odio, risentimento, rabbia o tutto ciò che lui era stato
sempre bravo a mostrare: era serio, freddo, come se stesse
trattenendo dentro qualcosa che gli faceva male.
Klaus
scattò in piedi furiosamente. “Non ti ho detto di
sparire?” gli chiese in bulgaro, con una parvenza di minaccia
nella voce.
Si
avvicinò rabbiosamente a lui, tanto che mi alzai anche io in
piedi, con la paura che lo aggredisse di nuovo. Katerina diceva
qualcosa a mio padre, cercando di tirarlo via ma lui non l'ascoltava.
“Devo
parlare con lei.” disse semplicemente, lanciandomi una lunga
occhiata che non compresi.
“Tu
non devi parlare proprio con nessuno. Ora vattene, questa è
casa mia.” Klaus gli posò le mani sulle spalle, cercando
di farlo uscire dal salone. Katerina si tirò indietro, per
scansarsi dalla traiettoria dei due uomini che iniziarono a gridarsi
addosso parole. Parole talmente cariche di rabbia, che si
intrecciarono tra loro divenendo solo un ammasso di lettere e suoni
che si frapponevano tra loro.
Urla,
solo urla.
Rimasi
a fissare la scena inebetita, cercando di cogliere almeno qualche
parola in quelle grida.
“Deve
sapere la verità.”
“Tu
non le dirai proprio nulla.”
“No,
dovete permettermi di dirle perché...”
“Vattene.”
I
toni di voce si smorzarono lievemente, ma Klaus continuò a
spingere lentamente mio padre. Quest'ultimo si ammutolì un
attimo, comprendendo che affrontare Klaus gli avrebbe procurato solo
una sonora sconfitta. E chi sa di perdere, è costretto a
gridare la sua sconfitta.
“Lei
non è mia!”
Silenzio.
Klaus
si fermò. Katerina volse lo sguardo verso mio padre. Lui
guardava fisso verso di me.
Io
non provai nulla.
Provai
solo un senso di attonito sgomento, mentre ripetevo quelle quattro
parole nella mia mente, canalizzandole tra i miei pensieri per
cogliervi un vero significato.
Un
significato che io non volevo vedere.
Klaus
lasciò il colletto della camicia di mio padre e mi lanciò
un'occhiata veloce e confusa, lo stupore era dipinto sul suo viso e
sul suo sguardo incredulo.
“Che...che
significa?” domandò Katerina, scuotendo la testa
confusa.
Io
ero sola davanti a loro; temetti che se la domanda di mia sorella
avesse avuto risposta, sarei crollata in quel preciso istante.
Quell'uomo,
l'uomo da cui avevo per sedici anni desiderato affetto, l'uomo che mi
aveva regalato solo il suo odio, prese un lungo respiro. “Tu
non sei mia figlia, Irina.” disse.
Arretrai
di un passo e lo guardai, quasi pregandolo di rimangiarsi ciò
che stava dicendo. “Non ti ho mai odiata perché sei muta
o per le dicerie che giravano nel villaggio sul tuo conto...ti ho
sempre odiata, perché sei il frutto di un adulterio di tua
madre.”
Le
ultime lettere della sua frase vennero soffocate dal silenzio.
Silenzio
in cui riuscivo solo a sentire il rumore del mio cuore che batteva
sempre più veloce, lo sguardo divenne tremante e la gambe
molli.
Katerina
si portò una mano alle labbra. Klaus abbassò lo sguardo
quasi sbarrato, sbattendo poi più volte le palpebre, mentre
rielaborava le parole di mio padre. Di quell'uomo. Di quell'estraneo.
Qualcuno
doveva dirmi che era una bugia, uno scherzo di cattivo gusto, ma
tutti tacerono.
Era
la verità, lo era stata per ben sedici anni ma era venuta a
galla solo dopo tutto quel tempo.
Strinsi
i pugni, il petto mi faceva male davvero troppo forte.
L'estraneo
fece un passo verso di me, né Klaus e nemmeno Katerina lo
fermarono. “Mi dispiace.” disse.
Mi
dispiace? Scossi la testa
sconvolta, perché non erano quelle le parole che volevo
sentirmi dire da lui.
Volevo
sapere chi era il mio
vero padre, chi mi aveva dato una vita a cui non ne aveva mai preso
parte.
Meritavo
di sapere, dopo che lui aveva osato prendersi il diritto di
umiliarmi come se fossi sua.
Quell'uomo
comprese ciò che volevo sapere, prese un lungo respiro e
abbassò un istante gli occhi.
“Un
forestiero apparve nel nostro villaggio sedici anni fa. Io ero via
per lavorare nei campi, tua madre era sola...e hanno passato una
notte insieme. Lei me lo confessò subito, quando scoprì
di essere incinta di te.”
Si
zittì qualche istante, mentre ripensavo al volto della mia
mamma. Quell'estraneo la odiava per colpa mia, ma non perché
fossi soggetto di mille e mille pregiudizi, ma perché lo aveva
tradito e aveva avuto me. In un modo o nell'altro, ero
comunque stata la sua sciagura.
Deglutii,
sentendo che mio padre doveva dire dell'altro.
E
malgrado la vista offuscata dalle lacrime, non distolsi lo sguardo da
lui nemmeno per un istante.
“Era
alto, biondo e con gli occhi blu come i tuoi. Di una bellezza
disarmante, dicevano, con un viso d'angelo e un sorriso demoniaco.”
continuò.
Di
nuovo silenzio.
Mi
sentii pietrificare mentre sentivo quelle parole, parole che avevo
già ascoltato tempo prima e che sapevo non avrei mai
dimenticato.
“Si
faceva chiamare Bell.”
No.
Un
epilogo causa sempre più dolore di un inizio, in quel caso già
di per sé troppo doloroso.
Il
cuore si fermò nel petto, ne fui certa. Mi portai le mani tra
i capelli, scuotendo la testa sconvolta e negando a me stessa tutto
quello che avevo sentito.
Bugia.
È solo una sporca bugia.
Non
poteva essere vero, non potevo essere davvero figlia di quel demonio.
Ma
tutto aveva senso: non potevo essere soggiogata e avevo...inutile
negarlo, avevo fatto io qualcosa a Mikael quando questi aveva
aggredito Elijah. Quella rabbia si era tramutata in una violenta
scarica che io avevo
creato. Perché, dentro di me, scorreva del sangue...malvagio.
L'uomo
che in quel momento desiderai fosse davvero mio
padre stava dicendo dell'altro, altre parole che però non
giunsero nemmeno alla mia mente.
Non
avevo pensieri in quel momento, non avevo nemmeno un'anima che
potesse guidare il mio corpo.
Ero
solo lacrime, il martellare di un cuore in procinto di spegnersi che
stava e sangue marcio.
Sangue
sporco.
Ecco
perché quell'estraneo mi aveva chiamato in quel modo tempo
prima.
Avevo
davvero del sangue sporco in corpo, sangue marcio che non meritava di
vivere. Ero un mostro.
Gridavo
a me stessa di svegliarmi, perché era solo un incubo. Doveva
essere altrimenti, no? Non poteva essere il contrario. Tutto quello
che avevo sentito non poteva essere vero.
Qualcuno
si avvicinò a me e cercò di parlarmi; Katerina mi prese
le spalle e mi scosse, come se volesse riportarmi alla vita.
Le
sue labbra si muovevano in parole leggermente gridate, gli occhi
lucidi fissi su di me.
La
sua immagine traballava, ogni tanto si faceva più vicina, poi
più lontana.
Suo
padre era dietro di lei e mi guardava fisso in volto.
Klaus
ancora più indietro, aveva gli occhi sbarrati fissi sul
pavimento e una mano sulle labbra.
Silenzio,
ancora silenzio.
Il
cuore che gridava dentro il mio petto sovrastava tutti i rumori che
dovevano circondarmi.
Ma
era troppo pesante da sopportare, così come trovai opprimenti
quegli sguardi che Katerina e quell'uomo mi regalavano e quello che
Klaus invece mi negava.
Non
ce la feci più, non potevo restare là nemmeno per un
istante.
Mi
liberai della mani di Katerina e corsi fuori dalla stanza.
Nessuno
provò a fermarmi.
*
* * *
If
i could hold back the rain, would you numb the pain?
'Cause
i remember everything
If
i could help you forget, would you take my regrets?
'Cause
i remember everything.
Il
temporale si fece meno violento, mentre correvo verso nessun luogo.
Sembrava
che avessi spaventato anche le nuvole con la mia presenza, che
correvano nel cielo verso la parte opposta alla mia. Il vento invece
sembrava spingermi più lontano, indicandomi la via da prendere
per finire nel nulla. Sentivo le sue mani posarsi sulla mia schiena,
mentre accelerava la mia corsa e mi spingeva sempre più. Le
fronde degli alberi si muovevano con insana rapidità, alcune
foglie vennero strappate dalle loro braccia e corsero via insieme al
vento, insieme a me.
I
capelli mi si appiccicarono al viso, pesanti e bagnati, e il vestito
era completamente zuppo, tanto che ostacolava i miei passi veloci.
Non
sapevo nemmeno io perché stessi correndo in quel modo, con il
cuore in gola e il respiro che ormai era diventato troppo corto. I
miei piedi schiacciavano il terriccio di quella stradina, setacciata
dalla pioggia, mentre fuggivo via da un nemico chiamato verità.
Una
verità intrisa in quel dolore logorante che mi stava bruciando
dentro.
Bell,
Belial, il mio incubo era mio padre. E da un incubo, non può
che nascere un altro incubo.
Sangue
sporco.
Dentro
le mie vene scorreva sangue maledetto.
Inciampai
sui miei piedi, finendo di faccia sul terreno e sporcandomi il
vestito di fango. La forza che mi aveva spinto a correre fino a qual
momento, non mi aiutò a rialzarmi da terra. Affondai le dita
nella terra, mentre le gocce di pioggia continuavano a cadere sul mio
corpo sconfitto.
Piansi
più forte, sentendo il tremore scuotere le mie membra insieme
ai singhiozzi che non volevano restare assopiti tra le mie labbra. Il
terreno sotto il mio viso accolse le mie lacrime, le lasciò
riposare in esso mentre il vento portava via le mia silenziose grida
di dolore.
Ma
niente; in quella vasta natura poteva permettere di rialzarmi. Ero
stata sconfitta dal mondo intero, ormai non c'era più vittoria
per me ed ero destinata a restare a terra per tutta la vita.
Ma
qualcuno, qualcuno che aveva sconfitto la natura ancor prima
di non farvi più parte, mi fece rialzare.
Trovai
due piedi di fronte a me, due scarponi sporchi di pioggia e fango e
una mano tesa verso il mio volto.
Alzai
lo sguardo, i capelli mi ricadevano pesantemente sopra il viso, ma
l'immagine di quel ragazzo non mi sfuggii: un'espressione seria
mascherava quel volto, gli occhi erano puntati su di me, sul verme
che strisciava dopo l'ennesima sconfitta, e la mano restava sospesa
tra il mio e il suo sguardo.
Non
mi chiesi nemmeno perché mi avesse seguita, sentivo solo il
bisogno di provare a rialzarmi da quella terra che si era offerta di
raccogliere il mio corpo distrutto.
Alzai
la mano per prendere la sua, le sue dita avvolsero le mie e mi
tirarono in piedi con forza.
Mi
sostenni fortemente ad esse, per non cadere di nuovo e mi strinsi poi
le braccia al petto.
Io
e Klaus ci guardammo a lungo, il vento che soffiava gelido su di noi
e le gocce di pioggia che si gettavano sui nostri corpi e sulla
natura che ci circondava furono gli unici rumori che rompevano il
silenzio che ci legava.
Mi
aspettai che dicesse qualcosa riguardo quello che aveva sentito poco
prima, che magari mi dicesse che dovevo davvero andarmene il più
lontano possibile allora. Ma Klaus non parlò, i suoi occhi
erano fissi sul mio viso, scindendo le lacrime dalle gocce di pioggia
che lo bagnavano.
Non
riuscivo a sostenere il suo sguardo, sentivo il bisogno di starmene
per conto mio, sola con i soli miei pensieri a farmi compagnia.
Pensieri che ovviamente non avevano pietà di me e che
continuavano ad infierire su quelle ferite appena aperte.
Lo
superai, trattenendo le lacrime e alzando le spalle per bloccare il
freddo che soffiava sul mio collo nudo. I miei passi si muovevano
goffamente sul terreno, strisciando quasi sopra di esso, mentre i
capelli danzavano attorno al mio viso, lasciandovi scorrere sopra
diverse gocce umide.
“Dove
stai andando?” mi gridò Klaus, per sovrastare la potenza
della pioggia e restando immobile dietro di me. La distanza tra noi
doveva farsi sempre più ampia, la sua voce mi sembrava così
lontana che quasi non mi pareva nemmeno la sua.
Ma
era solo smorzata dalla forza del vento e della pioggia, che la
soffocavano con le sue grida.
Non
lo so.
Se
ci fosse stato un posto fuori dal mondo, fuori dalla realtà,
un piccolo angolo privo di spazio e tempo in cui andare, sarebbe
stata la meta perfetta da raggiungere.
Meritavo
la mia paura, quella di essere completamente sola.
Mi
ero illusa di non meritare la solitudine, di avere il diritto di
cercare la felicità e di costruirmi un futuro, ma così
non era. Non meritavo nulla di ciò che volevo, perché
ero un solo affronto alla natura, viste le mie origini.
“Fermati
subito.”
Klaus
pronunciò quella parole, quando oramai mi aveva fermata: si
era parato di fronte a me in tutta la sua altezza, le sue spalle
coprivano la visuale dell'orizzonte nero che si stagliava davanti a
me e che sapevo non avrei mai veramente raggiunto.
Non
osai alzare lo sguardo su di lui; volevo che il suo viso restasse
lontano dai miei occhi, come se non meritassi nemmeno di guardarlo.
Provai a superarlo, ma lui si mosse rapido e giunse a bloccarmi il
cammino con il suo petto.
Vattene!
“Smettila
di fare la sciocca e torniamo a casa, se non vuoi farti venire un
colpo.”
Quando
il pensiero di volerlo mandare via balenò nella mia mente, lui
pronunciò invece quelle parole con estrema calma. Io ero fuori
di me, sarei potuta scoppiare in un'altra crisi isterica o di pianto
da un momento all'altro, mentre lui, l'irascibile e lunatico Klaus,
sembrava la tranquillità fatta a persona.
Si
stava rendendo la parte di cui avevo bisogno in quel momento.
Provai
nuovamente a superarlo, con l'ostinazione di voler davvero restare da
sola per qualche minuto, per qualche ora, per sempre.
Ma
Klaus non accettò obiezioni; mi strinse le spalle tra le mani
e provò ad impedirmi di avanzare.
Lasciami.
“Smettila,
Iry.”
Le
mie mani cercavano di respingerlo, le sue di trattenermi.
Andammo
avanti in quel modo per pochi istanti, fino a quando, troppo
improvvisamente, tutto sembrò tornare al proprio posto.
I
colori scuri del cielo, quelle pesanti gocce di pioggia, il vento
tagliente, l'abisso del mio dolore...tutto ciò che fino
a pochi istanti prima sembrava essere solo la parte di una realtà
lontana e di cui non potevo più far parte, tornò
a circondarmi.
Per
colpa o grazie a Klaus, che mi gridò di smetterla.
Quando
le mani di Klaus mi strattonarono con rudezza, non per farmi del
male, ma per riportare indietro qualcuno che lui conosceva, ma
che non era mai esistito.
Io
ormai ero solo il residuo di quel qualcuno, che pochi attimi prima si
era spento nella sala di casa sua.
Indossavo
il suo volto, il suo corpo ma non possedevo più la sua anima.
Non
avevo mai avuto la sua anima.
Però,
quando Klaus mi strinse più forte le spalle, mi sembrò
che quell'anima che credevo di avere stesse tornando prepotentemente
a galla, facendosi sentire con tutta la sua forza.
“Ora
falla finita!” esclamò, le dita che premevano così
forte sulle mie braccia da farmi male.
Mi
diede un altro scossone, non troppo violento, per avvicinarmi ancora
di più al suo viso, come se volesse che lo guardassi negli
occhi, che mi perdessi in quelle iridi chiare per trovare la forza di
combattere quella nuova realtà che si era posta davanti ai
miei occhi.
“Non
penserai davvero di scappare come una vigliacca! Tanto le cose non
cambieranno, Irina...e tu hai già un luogo dove stare, non
dove fuggire.”
Ma
aveva sentito ciò che aveva detto il padre di Katerina?
Ero
figlia di un mostro e dentro le mie vene scorreva il suo sangue. Come
potevo oramai vivere con loro, dopo aver saputo che un loro ipotetico
pericolo potevo essere proprio io?
Provai
a liberarmi dalla sua presa, ma fu tutto inutile.
Non
riuscivo nemmeno a distogliere lo sguardo dal suo, perché era
l'unico appiglio che riuscivo a trovare in quel momento, quando tutto
il mondo sembrava andare a rotoli.
“Io
capisco come ti senti.”
No,
non puoi. Lui era figlio di un
adulterio, come me, e suo padre lo odiava per quel motivo.
Ma
lui non era figlio di un mostro come Belial: lui aveva potuto godere
della sua umanità quando l'aveva posseduta, lui davvero non
meritava l'odio che Mikael gli aveva donato quando era in vita.
Io,
invece, dovevo meritarlo.
Cosa
ne poteva sapere lui?
“Il
mio vero padre era un licantropo.”
Dopo
lunghi attimi di silenzio, in cui la pioggia batteva su di esso,
Klaus pronunciò quella parole con profonda serietà. La
smisi di divincolarmi e piantai i miei occhi nei suoi, trovandovi
unicamente qualcosa che fino a poco prima stavo combattendo, ma di
cui in quel momento sentivo davvero il bisogno.
Klaus
sapeva benissimo di avermi rivelato qualcosa che mi coinvolgeva,
qualcosa che mi facesse sentire meno lontana dal mondo in cui avevo
vissuto fino ad allora. Venni un attimo colta dal dubbio che mi
stesse mentendo, ma i suoi occhi trapelavano talmente tanta
sincerità, che soffocai rapidamente quel dubbio. Serrai le
labbra, anche l'interrogativo su quale fosse la vera natura di Klaus
venne subito assopito, e le lacrime ripresero a scendere sul mio
viso, unendosi alle fredde gocce di pioggia che già lo
solcavano.
Klaus
piegò la testa da un lato, fiero di essere riuscito a
reprimere la parte irrazionale di me, troppo intenta ormai ad
ascoltarlo. “Quindi so come ti senti, so cosa stai provando in
questo momento...io l'ho scoperto quando ormai ero morto, quindi ho
vissuto nell'illusione di essere umano per tutti gli anni in cui il
cuore mi ha battuto nel petto.”
Allora,
se sai benissimo come mi sento, devi lasciarmi andare.
Era
evidente ormai, non potevo più scappare alla realtà e
rifugiarmi nell'illusione: io non potevo più stare là,
uno dei loro peggiori incubi ero proprio io.
Provai
ad aprire bocca, quasi volessi dirgli tutto ciò che mi portavo
dentro, ma come al solito mi uscì unicamente un profondo
silenzio. Un silenzio solcato dalle mie lacrime, che oramai seguivano
sempre lo stesso tragitto lungo le mie guance.
Klaus
continuò a stringermi le spalle, la mascella era serrata e lo
sguardo fisso sui miei occhi che cercavano di sfuggire alla sua
vista. “Tu mi hai fatto sentire ciò che non sono,
Irina.” disse, attirando la mia attenzione su di sé,
quando uno strano sorriso apparve sulle sue labbra.
“Mi
hai fatto sentire pulito, quando in realtà sono davvero sporco
dentro.”
Le
sue parole giunsero incomprensibili a me, tanto ero assorta nei miei
pensieri, sempre collegati a ciò che avevo appena scoperto
riguardo la mia natura.
“Tu
invece ti senti immeritevole della vita che hai vissuto, quando non è
così. È una cosa che mi hai insegnato tu, sbagliando ma
quasi ci ho creduto...non puoi essere così sciocca da lasciar
andare via tutto quanto solo per questa storia.”
Non
seppi cosa rispondere e lo lasciai continuare, Klaus avvicinò
di più il viso al mio, per legare sempre più le mie
iridi alle sue. “È ora la tu la finisca di cedere alla
tua paura. Nelle vene ti scorre il suo sangue, ma nell'animo
tu non hai nulla a che fare con lui ed è questo che conta.”
No.
Gli
sforzi di Klaus non potevano avere davvero effetto, convincendomi di
una cosa che non esisteva più ormai. Non aveva nemmeno osato
definire Belial per ciò che era, perché voleva
mostrarmi quanto fossi lontana dalla natura che mi legava a lui.
Perché
mi dici queste cose? Che ti importa?
Gli
posi quella domanda, semplicemente scuotendo delicatamente la testa e
guardandolo con aria interrogativa.
Lui
capì subito cosa stavo chiedendogli, oramai ero come un libro
aperto ai suoi occhi che avevano visto secoli e secoli di umanità,
umanità che aveva odiato ma da cui si era lo stesso fatto
circondare.
La
sua spiegazione giunse prontamente.
Non
seppi nemmeno definire il secondo in cui le sue labbra si adagiarono
sulle mie.
Le
sue dita premettero con meno forza sulla pelle delle spalle, le gocce
di pioggia che colavano dalla sua fronte e dai suoi capelli bagnati
caddero sulle mie guance, mentre quel bacio sembrava durare in
eterno.
Un
eternità in cui i nostri respiri si arrestarono.
Un
eternità in cui il mio cuore sembrava battere troppo forte nel
petto.
Un
eternità in cui lontani ricordi perduti affollarono la mia
mente.
Chiusi
gli occhi, mentre immagini, parole, sguardi, lacrime tornavano
a farsi largo tra i miei pensieri, come parti di un sogno che erano
andate perdute. Ma non erano un sogno, bensì la realtà:
una realtà che Klaus mi aveva fatto dimenticare ma che era
comunque completamente riaffiorata attraverso il suo bacio.
Lui
si ritrasse lentamente e aprimmo nello stesso istante gli occhi,
scrutandoci con attenzione.
Tutta
la realtà riprese il proprio ordine nel mondo: ero tornata a
sentire la pioggia cadere, il vento soffiare, il suo flebile respiro
che si faceva sempre più lontano dal mio, i suoi occhi che
incatenavano i miei nella sua morsa.
Lui
non lo sapeva.
Non
sapeva che avevo ricordato tutto.
“Ti
odio, Irina.” disse in un sussurro, pensando di cogliermi di
sorpresa quando, in realtà, non ci riuscì affatto. “Ti
ho odiata dalla prima volta che ti ho vista, piccola ed ingenua
ragazzina che non sa fare del male ad una mosca. Ho anche pensato di
ucciderti, di strapparti via la vita, di toglierti il diritto di
farmi sentire così legato a te. Ma io e te siamo legati, siamo
pezzi di uno specchio ridotto in frammenti e che non aspetta altro
che essere completato. Ora so perché.”
Le
sue mani restarono sulle mie spalle, mentre continuavamo a guardarci
e le sue parole s'innalzavano nell'aria intorno a noi. “Ti odio
per questo...perché mi hai fatto sentire appartenente ad una
realtà che non volevo, non cercavo ma che forse desideravo dal
più profondo del cuore.”
Strinsi
le labbra con forza, così forte che quasi mi feci male.
Lui
non sapeva, non aveva capito cosa aveva fatto riaffiorare in me
con quel semplice bacio di pochi istanti prima.
E
io..io non riuscivo...non sapevo cosa...
“Io
non sono buono come credi tu, eppure non hai esitato a vedere quel
lato di me che non esiste.” continuò lui, un sorriso
malinconico, molto simile a quello che mi aveva rivolto quella sera,
si disegnò sulle sue labbra. “Io invece ti vedo per
quello che sei...e malgrado il dolore che hai vissuto, malgrado il
sangue che ti scorre nelle vene...posso dirti che tu sei davvero una
delle persone più belle che ho conosciuto in questi secoli. E
non devi, non puoi scappare da te stessa. Non te lo permetto, così
come tu non lo hai permesso a me.”
Quando
le sue parole si arrestarono, quando solo la pioggia era rimasta a
riempire quel silenzio che scendeva a circondarci nel suo freddo
abbraccio, persi completamente il poco controllo che potevo avere di
me stessa.
Klaus
rimase completamente, totalmente stupito, quando posai la mano
sulla sua guancia e le mie labbra incontrarono di nuovo le sue. Non
chiuse gli occhi subito, come feci io, poiché non avvertii la
delicatezza delle sue ciglia che si abbassavano e che mi
accarezzavano la pelle con il loro lieve tocco.
Poi
lo fece: schiuse le labbra, avvolgendo completamente le mie tra le
sue e concedendosi un ultimo, lungo respiro che sentii affluire in
me. Mi sembrava di non essere nemmeno consapevole di quello che stavo
facendo; tutta me stessa, tutta la realtà attorno a me
sembravano solo un'immagine appannata, che presto sarebbe stata
completamente nascosta dalle gocce della pioggia.
Il
bacio sfidò la dolcezza e la purezza di quel tocco solo per un
secondo, facendosi leggermente più spinto quando Klaus mi
cinse i fianchi per tirarmi di più verso sé, come se
sentisse il bisogno di avermi più vicina, per avvertire il mio
cuore battere forte nel petto per via di quel bacio.
Poi
tornai in me e lui fece lo stesso.
Le
nostre labbra ancora si sfioravano, i respiri si schiantavano tra
loro come onde in balia del vento, i nostri occhi incatenati e uniti
insieme mentre i nostri corpi iniziarono ad allontanarsi di più,
sempre più. Fino a quando l'ultima cosa che ci univa si
ridusse alla linea invisibile che univa i nostri occhi e le gocce di
pioggia che la saldava.
Abbassai
lo sguardo, il battito cardiaco si fece sempre meno accelerato nel
momento in cui cercai di reprimere le emozioni che quelle parole,
quei ricordi, quelle sensazioni che tutte insieme erano riemerse e mi
avevano scosso dentro, travolgendomi in un arrestabile uragano.
Klaus
mi guardava in silenzio, il rumore del suo respiro si faceva largo
tra i vari tuoni che rimbombavano in lontananza e il fischio del
vento di cui eravamo vittime.
Io...non
riuscivo a definire ciò che era successo, ciò che aveva
spinto il mio cuore a battere a quella velocità assurda per
poi spingere le mie labbra a cercare le sue. Non poteva essere.
Klaus
capì che avevo ricordato tutto, ma non seppi definire
se quella sul suo viso, insieme alla sorpresa, fosse la gioia oppure
una profonda tristezza. Sentivo che mancavano altri pezzi di quella
trama che era stata rimossa dalla mia mente, ma in quel momento ero
così confusa che davvero non riuscivo a rimettere a posto gli
ultimi pezzi di quei ricordi perduti.
“Prefazione
ed epilogo sono la stessa cosa per noi.” Lui aveva abbozzato un
sorriso sghembo, con cui cercava di mascherare l'imbarazzo, il
dispiacere, ma anche la gioia di potersi essere concesso di
non essere ciò che tutti credevano per una sola volta.
Cancellando
quel momento, ma poi riportandolo in vita senza accorgersene.
Tenevo
ancora gli occhi bassi, in preda a mille emozioni tutte legate a quel
momento di poco prima.
Io
non potevo, pensai quando oramai il senso di colpa e la
confusione iniziarono a prevalere, non potevo tacere su quello
che avevo appena scoperto.
Non
con lui, quella persona di cui non riuscivo nemmeno a
pronunciare il nome, per quanto mi facesse male essermi concessa
quell'unico, ultimo, momento con Klaus.
Ero
troppo confusa, troppo persa in quella marea di pensieri ed emozioni
che non sapevo più cosa pensare. Ma di una cosa ero certa; era
una cosa che andava affrontata e da cui non potevamo scappare in
eterno. Nessuno dei due poteva farlo.
Grazie.
Lo
ringraziai per essermi stato vicino, per avermi aiutato ad affrontare
un problema più grande di me e lui messi insieme.
E
lo ringraziai anche per tutto l'affetto che
mi aveva dimostrato, che aveva esternato e nascosto, ma che comunque
nutriva nei miei confronti. Come io ne nutrivo nei suoi, sempre se di
affetto si poteva parlare.
In
realtà era altro, ma entrambi lo stavamo combattendo per
motivi più grandi di noi.
Io
i miei li conoscevo, i suoi non li potevo sapere invece.
Klaus
mi rispose con un sorriso palesemente sincero, una sincerità
che annegava però in un mare di emozioni difficili da
riconoscere. “No, grazie a te.” rispose solo.
Restammo
a guardarci per altri lunghissimi istanti, tanto che persino il
silenzio parve allontanarsi da noi. “Ora...torniamo a casa.”
disse poi lui e mi superò, sfiorando la spalla con la mia.
Il
dolore che portavo dentro si stava lentamente spegnendo, ma
continuava a bruciare con forza dentro il mio petto, perché la
realtà continuava a farmi male.
Chiusi
gli occhi, gridando al mio cuore di stare in silenzio, ma senza
riuscirci.
Quando
mi voltai per seguire Klaus, lui era già lontano.
It
all went by so fast.
I
still can't change the past, i always will remember everything
If
we could start again, would that change the end?
We
remember everything, everything.
*
* * *
Prima
di addormentarmi, avevo preso tante, troppe decisioni.
Avrei
affrontato Katerina l'indomani, quando la ferita aperta da nostro
padre si sarebbe un po' rimarginata.
Avrei
affrontato sopratutto Elijah, gli avrei parlato di ciò che
ero, di quello che mi portavo dentro e di quell'inizio e quella fine
che avevo avuto con Klaus.
Sapevo
che, probabilmente, lo avrei perso per sempre, ma meritava la verità
e io non gliela avrei negata.
Ma
quella notte, il destino sembrava avere altri piani per me.
Il
sonno mi portò verso un'oscurità ancora più
vasta, che si stagliò davanti al mio sguardo appena spalancai
gli occhi.
Era
un sogno, eppure percepivo ogni suono di quell'oscurità in
maniera talmente nitida che mi sembrava reale. Ero distesa sopra
l'erba, che mi accarezzava la pelle del viso con i suoi steli umidi,
mentre mi rizzavo di scatto a sedere sopra essa. Intorno a me vi
erano solo altissimi alberi, che sfioravano il cielo buio con le loro
foglie, mosse dal vento tagliente che soffiava imperterrito.
Mi
alzai in piedi con un balzo che non avrei mai compiuto così
bene nella realtà. Perché quella non era la realtà,
dove ero addormentata nel letto della mia camera: quello era solo un
sogno.
Non
poteva essere altrimenti.
“Irina.”
Una
voce chiamò il mio nome, la stessa voce che sogni prima mi era
apparsa così roca da non sembrare nemmeno umana. Sembrava
l'eco di un tempo perduto, in quel momento invece era una voce calda
e carezzevole, di qualcuno che si trovava dietro di me.
Mi
voltai di scatto e mi trovai di fronte un uomo.
Era
bellissimo, forse uno degli uomini più belli che avessi mai
visto.
Alto,
con un'elegante e fiera postura, le spalle larghe nascoste sotto un
mantello scuro, le mani congiunte sul grembo e le dita affusolate che
si intrecciavano tra loro.
Ma
il suo viso...era da esso che non si poteva scappare.
Era
perfetto; circondato da corti capelli biondi che lo incorniciavano
come se fosse un quadro, le labbra carnose e perfettamente modellate,
gli zigomi alti ma spigolosi, la fronte né molto né
troppo poco ampia e gli occhi.
Blu.
Dello
stesso colore dei miei.
Demonio.
“Belial.”
Padre.
Non
mi accorsi nemmeno che, in quel sogno, ero stata capace di parlare.
La
sorpresa mi immobilizzò per un istante e mi portai le dita
alle labbra, come per assicurarmi che il respiro che aveva donato
voce a quella parola fosse il mio.
L'uomo
bellissimo sorrise, rimanendo però a debita distanza da me.
“Piacere di rivederti, figlia mia.” disse. “Finalmente
possiamo incontrarci per davvero. Abbiamo così tante cose da
dirci.”
Ciao
a tutti! :D
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Prima
di iniziare con la mia tiritera di parole, chiedo umilmente scusa se
ho urtato la sensibilità di qualcuno nella prima scena di
questo capitolo. Il tema della violenza domestica è molto
delicato e difficile da affrontare, spero vivamente di averlo fatto
usando il giusto tatto.
Finalmente
l'”arcano” mistero che lega Irina a Belial è stato
chiarito, anche se molti dettagli devono ancora venir spiegati.
Inoltre,
verrà chiarito anche il motivo per cui il demone riesce a
comunicare con la protagonista attraverso un suo sogno, visto che
fino a poco tempo prima non poteva avvicinarsi a lei....Belial lo
immagino con il volto dell'attore Jude Law. Per chi non lo
conoscesse, vi posto una sua immagine nel link sottostante.
http://tinypic.com/r/ix6wt5/6
Parlando
di...ehm Irina e Klaus; ho quasi paura a parlarne...ma che lei fosse
leggermente “incasinata”, diciamo, era ben chiaro. Vi
anticipo che il prossimo capitolo sarà quasi tutto interamente
su Irina e...Katerina.
Dicendo
così mi sa che vi ho rivelato parte del macello che succederà
nel prossimo capitolo.
Ringrazio
tutti coloro che leggono la mia storia, sia chi lo fa in silenzio e
sia chi recensisce regalandomi un bel sorriso a 152 mila denti.:D
Ringrazio
anche infinitamente chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate e
seguite e anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti. Grazie
davvero di cuore, tutti voi avrete i veri e degni ringraziamenti che
meritate quando la storia sarà giunta al termine.
Mi
levo dalle scatole e vi auguro un buon fine settimana!
Alla
prossima, ciao! ^^
|
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Capitolo 27 *** I am the only one ***
-I
am the only one-
Mio
padre.
Più
lo guardavo e più mi sentivo una stolta nel pensare quelle due
parole, mentre quegli occhi blu, così simili ai miei, mi
fissavano con attento interesse. Lasciai scorrere lo sguardo lungo il
suo viso perfetto; gli zigomi pronunciati, le labbra carnose e
allargate in un sorriso ipnotico, le lievi rughe che si creavano
accanto ai suoi occhi, mentre tendeva il viso in un'espressione
apparentemente serena.
Aveva
l'aspetto di un angelo, ma in realtà nascondeva il diavolo
dentro sé.
Rabbrividii.
Malgrado mi trovassi nel pieno di un sogno, quelle folate di vento
ghiacciato che soffiavano su di noi sembravano davvero fin troppo
reali. Passavano sotto i tessuti della mia leggera camicia da notte e
accarezzavano la pelle con il loro freddo tocco.
“Sei
più piccola vista da vicino, Irina.” Belial ruppe le
barriere invisibili che ci avevano rinchiuso nel loro silenzio. La
sua voce era calda, profonda, entrava sotto pelle come un letale
veleno da cui era impossibile salvarsi. Tremai più forte e
distolsi lo sguardo, facendolo scivolare lungo le diverse serie di
alberi che ci circondavano. Il vento attraversava le loro foglie,
dando vita ad una specie di melodia che si liberava nel cielo scuro
di quella glaciale e buia notte.
“Come...”
Mi bloccai di colpo portandomi una mano sulle labbra, quando mi
accorsi di aver di nuovo parlato. Era una strana sensazione, quella
di aver voce: sentire il respiro salire in gola, trasformarsi in
suoni, sentirli mutarsi in parole pronte a liberarsi nell'aria...era
una sensazione stupenda.
Mi
sentivo come se avessi udito la musica per la prima volta.
Sbattei
più volte le palpebre, pensai che la mia voce non era delle
migliori: era leggermente acuta, ma soffice e delicata. Avrei
preferito averla più dura, sarebbe stata più utile per
difendersi da Belial.
Appena
superai la sorpresa di quel momento, mi decisi a concludere la frase.
“Come puoi esserti avvicinato a me?”
Diana
aveva detto che lui non poteva farlo, per chissà quale motivo.
Aveva provato a comunicare con me attraverso un corvo e un lupo e
mandando i suoi sicari soprannaturali a darmi la caccia.
Allora,
perché in quel momento era là, di fronte a me, anche se
in un sogno?
Perché
non lo aveva fatto prima?
Belial
sorrise, con le mani ancora congiunte davanti a sé. “Il
sangue di Klaus è maledetto, Irina. La prossima volta, per
salvarti la vita, bevi quello di uno dei suoi fratelli. È
meglio.” disse, con aria quasi divertita.
Non
riuscivo a comprendere il motivo per cui il sangue, anche se
maledetto come lo definiva lui, di Klaus gli avesse consentito di
avvicinarsi a me. Non la smisi mai di guardarlo, prestando attenzione
ad ogni singolo movimento che avrebbe compiuto.
Ma
lui restava immobile, fermo, come una statua bellissima e perfetta.
“Che
intendi dire?” domandai, ancora stranamente incapace di
controllare il tono della mia voce.
“I
tuoi poteri erano come sigillati in una parte buia del tuo animo e mi
impedivano così di comunicare con te di persona. Tutto questo
a causa di tua madre; quando scoprì la mia vera natura e che
era rimasta incinta di te, si rivolse ad una strega di un villaggio
vicino per impedire che il tuo lato oscuro venisse fuori e che io
potessi incontrarti di persona. Ma il sangue impuro di Klaus ha
iniziato a sciogliere questo sigillo, permettendomi così di
poterti finalmente parlare faccia a faccia.”mi spiegò,
abbozzando un sorriso che trovai davvero fuori luogo, malgrado il
fascino che trasmetteva.
Il
fatto che mia madre fosse coinvolta più del dovuto mi fece
sussultare il cuore nel petto.
Non
avrei mai pensato che lei fosse a conoscenza di quei fenomeni
paranormali e che avesse così impedito il crescere della
mia...natura.
Tornai
a guardare Belial.
Lui
continuava a restarsene immobile in quella postura di malefica
eleganza.
Gli
orli del suo lungo mantello nero venivano mossi dal vento e
sfioravano quasi con delicatezza i fili d'erba ai nostri piedi. Essi
si piegavano a quel tessuto e al vento, come sottomessi.
“Ma
allora io...sono un demone?” chiesi, spaventata dalla possibile
risposta.
La
mia voce si era leggermente incrinata, tanto che temetti il demone
non mi avesse sentita.
Ma
così non fu: lui sorrise, mostrando i denti bianchi e
perfetti, come se la mia fosse una sciocca battuta. “No,
tesoro.” disse. “I demoni non sono mica umani. Per noi è
impossibile procreare con voi...anche se ci piace provarci.”
Mi
fece l'occhiolino e io serrai con forza la mascella, per non
lasciarmi andare ad un impeto di rabbia.
Lui
tornò rapidamente serio. “Tu sei umana. La tua vita ha
un termine come quella di tutti gli altri, puoi morire per una
semplice malattia e puoi anche trasformarti in un vampiro, volendo.
Ma l'unica cosa che hai in più sono una piccola parte dei miei
poteri che Mikael può ben provare.”
Ripensai
a ciò che era successo al vampiro, a come la mia rabbia era
esplosa in quella maniera a dir poco tremenda quando aveva provato ad
uccidere Elijah.
E
avevo bevuto il sangue di Klaus giorni prima; ecco perché ero
riuscita a fare una cosa simile. Sapermi umana, anche se in possesso
di poteri del genere, mi rassicurò solo per qualche misero
istante.
“Ma
allora come è possibile che io sia nata, se voi non potete
avere figli con gli esseri umani?” chiesi confusa.
“Perché
ero in possesso di un corpo umano quando ti ho concepita con tua
madre. Quello che vedi adesso...” Belial indicò il
proprio corpo, aprendo i palmi delle mani. “È il mio
vero aspetto, quello con cui sono nato. Dato che sono nella tua
mente, posso assumere qualsiasi aspetto io voglia. Ma a causa
dell'incantesimo di Esther, per vivere nella realtà, sono
costretto ad impossessarmi di corpi umani per poter sopravvivere.
Come quello di tuo padre, un bel ragazzone biondo parecchio
somigliante a me e a cui tua madre non seppe resistere. L'ho scelto
apposta perché era bello quasi quanto me.”mi regalò
un sorriso sornione.
Era
divertito, e io mi chiesi perché visto che, da come parlava,
era in fin di vita.
“Quindi,
io sono stata nata per puro caso?” domandai, pronunciando la
parola “errore” con una punta di malinconia. Entrambi i
miei padri mi consideravano qualcosa di sbagliato, dovevo farci il
callo.
Il
demone non rispose, ma la sua espressione si fece improvvisamente
seria. “Non proprio.” mi disse e non capii perché
stesse facendo l'evasivo. “Ponimi un'altra domanda, per
favore.”
Voleva
sviare l'argomento e io decisi, per allora, di accontentarlo e porgli
un'altra delle tante domande che avevo in mente.
“Ce
ne sono altri...come te?” domandai allora, guardandolo fisso e
pronunciando quelle parole con estrema velocità.
Quella
domanda lo fece rabbuiare un attimo. “Non molti. Le streghe e
gli stregoni sono diventati sempre di più e sempre più
forti. Come voi umani vi rivoltate spesso a Dio, loro hanno fatto lo
stesso con noi. Molti di noi sono stati uccisi.”
Parlava
con un avversione profonda nei confronti di coloro che avevano
sterminato la sua specie. Quasi pensai amaramente che fosse colpa
loro se erano stati uccisi a gran numero dalle streghe, potevano
evitare di dannare anime.
Ma
era il ruolo dei demoni; esistevano per lo scopo di fare del male.
Lui
abbassò un attimo lo sguardo, i lineamenti delicati del suo
viso vennero deformati dall'odio.
Quasi
mi fece paura.
“E
io sono l'unica...così?” azzardai timidamente
quell'ipotesi, stringendomi nelle spalle quando sentii le mani del
vento accarezzarmi la pelle, con fastidiosa forza. Stavo parlando di
me stessa, ma non avevo nemmeno il coraggio di indicarmi per quanto
ero tremante e spaventata.
Quella
domanda divertì Belial. La sua risata aveva un qualcosa di
inquietante, era sommessa ma non la si poteva non ascoltare; quasi
fosse una melodia ipnotica da si veniva soggiogati. “ Sì,
sei la sola. Noi demoni poi ci consideriamo superiori a voi...anche
se potessimo procreare con voi, non ci sogneremo mai di farlo.
Sarebbe come accoppiarsi con insetti.” Storse il naso quando
parlò dell'umanità.
“Se
ti facciamo così ribrezzo, potevi anche farmi uccidere da uno
dei tuoi sottoposti e liberarti di me. Perché non l'hai
fatto?” La domanda giunse talmente rapida, che neanche gli
permisi di terminare la frase.
Belial
abbassò un istante lo sguardo, i suoi occhi blu attraversarono
i fili d'erba ai nostri piedi e si morse un attimo il labbro. “Perché
sto morendo Irina.” rispose, come se quella misera risposta di
cui già ero al corrente bastasse.
Il
demone sbarrò lo sguardo e lo posò su di me.
La
sua espressione era completamente diversa rispetto a poco prima;
solcata dal terrore, dal panico e dalla paura della morte che doveva
essere imminente. Aspettai la conclusione della frase, ma lui sembrò
non voler aggiungere altro, come se la questione fosse chiara già
di per sé.
“E
allora volevi provare l'ebrezza di diventare padre prima di morire?
Sempre se tale ti si può definire...” dissi, non sapendo
in che modo gestire le emozioni di rabbia che stavano pervadendomi.
Quelle divenivano estremamente opprimenti, si legavano alla mia voce
con prepotenza e attraverso di essa si liberavano nell'esterno. Era
una cosa confortante ma allo stesso tempo fastidiosa, quella di non
saper controllare la propria emotività.
Belial
abbozzò un sorriso. “Volevo una famiglia. È così
sbagliato?” mi chiese, parlando con voce profonda.
Scossi
la testa confusa; qualcosa dentro di me mi diceva di non credere alle
parole di quell'essere, perché mentire, fare del male era
insito nella sua natura. Quindi anche nella mia.
Eppure,
qualcos'altro mi diceva che era sincero. Le sue parole erano state
pronunciate in maniera diversa in quel caso, come se le emozioni le
avessero pervase con il loro dolce abbraccio.
Com'era
successo a me poco prima, solo che le mie emozioni erano state
negative.
E
il desiderio di avere una famiglia era una cosa talmente naturale,
che riguardava qualsiasi essere. Cattivo o buono che fosse.
Rabbrividii
più forte. “Cosa vuoi davvero da me?” domandai,
puntando lo sguardo sull'orizzonte buio alle spalle dell'uomo.
Non
era possibile che fosse apparso nel mio sogno solamente per dirmi che
voleva una famiglia: in quei mesi, voleva comunicarmi qualcosa che
non avevo compreso e lo aveva fatto attraverso i suoi sottoposti o
attraverso i suoi inquietanti incantesimi. Se era là, un
motivo più valido doveva esserci.
Belial
si mostrò nuovamente divertito da quella domanda, anche se in
maniera diversa rispetto a poco prima. Era come se aspettasse quelle
parole dall'inizio della nostra conversazione.
Fece
diversi passi verso me, lasciando abbondare quel sorriso sulle sue
labbra. “Credo che tu debba sapere la mia storia, Irina.”
disse.
Mi
feci indietro.
Non
volevo averlo vicino, volevo che stesse lontano da me il più
possibile.
Fui
tentata dal mettermi a gridare, in modo che la mente mi facesse
uscire da quel terribile incubo, ma dubitavo che Belial me lo avrebbe
permesso. E poi, quel perché meritava risposta da tempo.
“Non
è di me che devi aver paura, piccola.” disse il demone,
affilando lo sguardo e riservandomi un'occhiata truce che portò
il mio cuore a battere più forte rispetto a poco prima. Non
seppi dire il motivo, ma quelle parole non sembravano promettere
nulla di buono, come se presto mi avrebbe rivelato qualcosa che non
mi sarebbe piaciuto sentire.
Mi
fermai e lui allora prese fiato, fermandosi a pochi centimetri da me
e riprendendo a sorridermi.
“Noi
demoni bazzichiamo su questa terra de millenni, quasi dall'inizio dei
tempi diciamo. La magia non nasce dalle streghe, quella vera intendo
ovviamente, quella nera...siamo stati noi a crearla e donarla loro.
Abbiamo poteri molto simili a quelli degli stregoni e delle streghe
solo che noi siamo immortali...e usiamo quelle piccole creature
solamente come burattini per i nostri scopi. Errore madornale..visto
che molti di loro ci hanno uccisi, no?
Le
nostre vite si basano su patti con le streghe dove possiamo ottenere
i loro servigi e la loro anima per poter accrescere anche i nostri
poteri. Secoli fa, conobbi una strega potentissima già di per
sé di nome Esther, la madre dei vampiri Originali. Uno dei
suoi figli era stato massacrato dai licantropi del villaggio vicino e
lei voleva avere il potere necessario per difendere i figli
sopravvissuti dagli attacchi dei lupi, trasformandoli in vampiri. E
si rivolse a me.
Stringemmo
un patto, in cui lei mi vendeva la sua anima, promettendomi anche di
mettersi al mio servizio e io in cambio...le ho ceduto il potere
necessario per poter compiere quell'incantesimo.”
Calò
un attimo il silenzio, mentre io canalizzavo informazioni di cui ero
già al corrente.
Guardai
fisso Belial, chiedendomi perché dalla mia richiesta nel
sapere il motivo per cui si trovasse nel mio incubo, fosse giunto a
raccontarmi la storia della sua vita.
“So
già il legame che hai con Esther. Dimmi quello che devi dirmi
e facciamola finita.”
Lui
riprese a parlare, compiendo un altro passo verso me.
“Esther
usò i poteri acquisiti anche per risolvere un'altra faccenda.
Come si suol dire, due piccioni con una fava. Usò il sangue di
una graziosa fanciulla del suo villaggio per poter trasformare i suoi
figli.”
Scese
di nuovo quel gelido silenzio e un brivido mi corse lungo la schiena
quando riconobbi la scintilla di un profondo divertimento, dovuto
alle nefandezze di un'altra persona. Le sue labbra si mossero, in un
ghigno che aveva dell'affascinante ma anche dell'intimidatorio. Lo
lasciai continuare.
“Questa
ragazza era bellissima e aveva ai suoi piedi molti uomini. Ma
accettava la corte e le attenzioni solo di due aiutanti giovanotti:
Niklaus ed Elijah.”
Rise,
quando vide la sorpresa disegnarsi sul mio viso.
Klaus
ed Elijah avevano davvero amato la stessa donna, come sospettavo da
tempo.
La
cosa mi avrebbe probabilmente infastidito in altre circostanze, se
non mi fossi trovata davanti un demone che sembrava volermi
lentamente trasportare nell'abisso dell'inferno. Perché ero
certa che la fine di quel racconto mi avrebbe scossa nel profondo,
dato che lui sembrava volerci arrivare con quella lentezza che poteva
uccidere.
“Diciamo
che è un vizio di famiglia.” rise della sua stessa
battuta, che io invece non compresi.
Distolsi
lo sguardo, e lo posai in un punto distante dalla sua figura, verso
l'orizzonte più buio. Mi tornò in mente il ciondolo che
Klaus mi aveva regalato tempo prima e che mai aveva abbandonato il
mio collo. Rebekah mi aveva, in parte, raccontato la storia e solo
allora collegai il fatto che potesse essere appartenuto a quella
ragazza.
“I
due fratelli vissero una specie di faida per molto tempo, per
ottenere il suo amore. Ed Esther non lo sopportava, la famiglia era
una cosa troppo importante per lei e doveva restare unita. Così
decise di usare questa ragazza come vittima sacrificale per
trasformare i suoi prediletti in vampiri. La poveretta si è
trovata ammazzata senza nemmeno accorgersene e i due giovani
spasimanti bevvero il suo sangue senza saperlo.”
Definirmi
disgustata era ben poco. Mi portai una mano tra i capelli, chiudendo
gli occhi e provando un forte dispiacere per quella povera ragazza.
La madre di Elijah e Klaus non meritava certo la medaglia di miglior
genitore, proprio come Belial.
“Perché...mi
stai dicendo queste cose?” gli chiesi,non trovando il nesso
logico tra l'inizio della nostra conversazione e il suo
proseguimento.
Calò
il silenzio, ma l'espressione sul viso di Belial si fece leggermente
più serena. Un altro inquietante e spaventoso sorriso si
allargò poi sulle sue labbra e gli occhi si puntarono di nuovo
nei miei.
“Fammi
arrivare al succo della questione, piccola Iry.” disse.
E
provai un profondo senso di inquietudine, come se sapessi che quello
che sarebbe uscito dalle sue labbra mi avrebbe davvero sconvolta. Era
giunto il momento.
“Quella
ragazza, la donna che Klaus ed Elijah tanto amarono, è stata
la primissima doppelganger si può dire.”
Doppelganger.
Ripensai
a quella parola, quella che il lupo aveva impresso sulla mia pelle
tempo prima e che doveva trovarsi sul foglio di pergamena che Micah
mi aveva fatto recapitare prima di venir ucciso.
Ero
sempre stata convinta che fosse un oggetto; Klaus mi aveva detto che
gli serviva per completare l'incantesimo che gli avrebbe permesso di
uccidere Mikael. E, invece, era una persona.
Continuavo
a non capire.
“Quella
ragazza si chiamava Tatia Petrova.” disse Belial, guardandomi
serio e alzai lo sguardo su di lui in preda alla sorpresa. Era una
nostra antenata: sapere che la mia famiglia e quella degli Originali
fosse legata mi faceva stranamente venire i brividi.
Era
davvero stranissimo che fossimo così legati. Il racconto
proseguì.
“Ogni
cinquecento anni circa però, nasce un'altra doppelganger
identica nell'aspetto a Tatia Petrova.” continuò Belial.
“Tua sorella Katerina è il suo ritratto sputato.”
Un
lunghissimo brivido mi corse lungo la schiena; la testa mi vorticava
in preda a mille e mille pensieri contrastanti e inspiegabili, a cui
non riuscivo proprio a dare un senso.
Che
significava? Non mi piacque il modo in cui il cuore stava martellando
nel petto.
Mi
portai una mano sulla fronte e deglutii, mentre la mia mente iniziò
a collegare il tutto.
“Cosa...cosa
stai cercando davvero di dirmi?” gli chiesi, con voce tremante,
tanto che qualche parola assunse una tonalità talmente bassa
che nemmeno io riuscii ad udirla.
Belial
si prese un attimo di pausa, prima di continuare il suo discorso. “La
doppelganger deve essere sacrificata affinché si rompa la
maledizione che pende su Klaus, quella che libererà il suo
lato da licantropo e lo renderà un ibrido.”
Il
silenzio scese di nuovo su di noi, e in quel momento mi parve persino
più gelido di quanto fosse mai stato. Quelle parole rimasero
sospese nell'aria per troppo tempo, sembrò che neanche la
tetra quiete che ci aveva circondato potesse soffocarle.
Il
cuore mi batté nel petto con più forza, tanto che
temetti potesse bucarmi il torace e abbandonare il mio corpo. Mi
parve di non respirare, che ogni leggera brezza che abbandonava le
mie labbra non fosse altro che un tormento troppo duraturo.
Ma
allora...voleva dire che Klaus....
“Non...non
ti credo.” biascicai, mentre il respiro si faceva sempre più
corto.
“Per
il rituale non deve sacrificare solo tua sorella. Gli serve un
vampiro e ne ha a bizzeffe intorno. Gli serve un licantropo e Elijah
e Rebekah sono andati a recuperare Daniel che, mia cara, ti hanno
fatto credere fosse morto ma in realtà è prigioniero di
Klaus da tempo, dopo l'incidente della rupe. Gli serve una strega e
anche quelle non gli mancano. Ha bisogno della pietra di luna, che è
sempre stata in mano a Diana e che lui ha recuperato dopo la sua...”
Belial iniziò a parlare a raffica, ma io non volli più
udirlo.
“Smettila!”
gridai.
L'eco
della mia voce seguì quella parola,mi rimbombò nella
mente e nelle pareti di quell'onirica notte che avrei tanto voluto
finisse al più presto.
Non
volevo più ascoltare. Belial stava solamente rifilandomi delle
sporche bugie con cui confondermi; Klaus, Rebekah e sopratutto Elijah
non avrebbero mai architettato un orrore simile.
Eravamo
stati tutti vicini per così tanto tempo, che trovai
impossibile potessero aver mentito così a lungo.
Mi
portai le mani tra i capelli, in prossimità delle orecchie,
come se volesse impedir loro di ascoltare le altre parole che Belial
stava cercando di dirmi.
“Mi
sono rimasti pochi complici, Irina. Micah e Daniel erano tra questi e
con loro ho cercato di portarti alla verità ma....”
iniziò a dire lui.
“Basta!
Ti ho detto di smetterla!”
Il
mio grido si espanse nuovamente in quell'aria notturna, soffocandone
il silenzio con la sua disperazione e propagandosi nell'oscurità.
Allontanai le mani dai capelli e chiusi gli occhi, sperando di
potermi svegliare da un momento all'altro e scacciare il dolore che
quelle parole stavano procurandomi.
Era
una bugia, una terribile bugia.
Ripetei
quelle parole dentro la mia testa, cercando di farmi convincere da
esse.
Klaus.
Rebekah.
Elijah....
No,
loro non erano come lui li dipingeva, non potevano aver mentito per
tutto quel tempo con noi, provando il solo desiderio di sacrificare
mia sorella per rompere una sciocca maledizione.
Bugiardo.
Belial era solo uno sporco bugiardo.
Lui
fece un altro passo verso me, fu così vicino che dovetti
alzare la testa verso la sua direzione per poterne incontrare lo
sguardo. Stavo piangendo, il dolore e le lacrime erano state capaci
di raggiungermi anche in un sogno, un incubo che però era
avvolto da elementi troppo reali. Sarei anche potuta svenire in quel
momento per quanto le parole di Belial mi stavano distruggendo
dentro.
“Non
ti sto mentendo, Irina. È la pura e semplice verità.”
“Ma
perché mi fai questo?!” Ero fuori di me, puntai gli
occhi nei suoi e la sua immagine divenne offuscata a causa delle
lacrime che bagnavano il mio sguardo.
Non
riuscivo a riconoscere l'emozione che gli mascherava il viso in quel
momento, per quanto la sua immagine mi giunse distorta, ma mi
sembrava preoccupato. O forse perplesso.
Stava
di fatto che voleva farmi del male, era l'unica spiegazione logica.
“Loro
non ci farebbero mai del male. Non con tutto quello che abbiamo
passato!”
“Cosa
avete passato, Irina?” Belial mi rivolse quella domanda con
tono pungente, come se volesse andare a colpire su una ferita aperta.
Tacetti,
trattenevo persino il respiro pur di non violare il silenzio di tomba
che ci circondava.
“Erano
tutte menzogne. Quello che provi per Elijah, quello che stai
iniziando a provare per Klaus, l'amicizia che ti lega a
Rebekah...sono tutte bugie.”
“No...”
iniziai a scuotere la testa lentamente, sentendo di non riuscire più
a convincere nemmeno me stessa, quando mi imponevo di pensare che ciò
che Belial mi stava dicendo non fosse la realtà.
Abbassai
lo sguardo e lui posò le mani sulle mie spalle; erano calde ma
mi provocarono un violento e freddo tremore a contatto con la pelle
che mi spinse a stringermi di più in me stessa. Sentivo gli
occhi di Belial cercare i miei e li lasciai vincere, facendo in modo
che si incontrassero di nuovo.
“Era
pure ora che la smettessi di vivere una finta favola. Devi andare
via..”
“No...”
“Scappare
con tua sorella il più lontano possibile, se non vuoi che
venga sacrificata da Klaus e dai suoi fratelli.”
Nel
silenzio, rivissi tutti i ricordi che mi legavano ad ognuno di loro.
Avevamo
intrapreso cammini che non erano stati facili viste le circostanze e
le differenze che c'erano tra noi.
Con
Rebekah, che prima sembrava nutrire una profonda ostilità nei
miei confronti, per poi divenirmi amica.
Con
Klaus, con cui avevo intrapreso il cammino più difficile
probabilmente, iniziato con l'odio e finito con quell'affetto troppo
profondo che sembrava legarci e che da poco avevamo scoperto.
Con..lui.
Appena
la mia mente pronunciò il suo nome, smisi di scuotere la
testa.
Con
lui avevo intrapreso un cammino che poteva risultare semplice, ma non
era così.
Era
stato un evolversi di emozioni, sensazioni sia positive che negative
e il cammino si era rivelato pieno di ostacoli. Ostacoli come quello
che era successo con Klaus quel giorno e per cui sapevo che lo avrei
perduto.
Delle
persone che condividono dei legami simili, allora, potevano davvero
farmi del male in quella maniera?
Guardai
Belial, ma i suoi occhi, così simili ai miei, erano talmente
sinceri che non potei non credervi.
“Voglio...voglio
che tu mi provi che stai dicendo la verità.” dissi con
decisione, stringendo poi le labbra per impedire l'avanzata di un
singhiozzo disperato.
Belial
non si lasciò cogliere di sorpresa da quella richiesta e mi
guardò a lungo, con un lieve sorriso che sapeva di malinconia
sulle labbra. “Quando ti sveglierai, avrai la mia prova di
fiducia.” disse solo.
E
quasi pensai di non volermi più svegliare.
Almeno
mi sarei evitata un dolore troppo grande da tollerare e avrei posto
fine alle sofferenze che quel sogno di morte mi stava causando. Ma
poi, chi avrebbe aiutato Katerina a fuggire?
Non
dovevo arrendermi, dovevo combattere per lei, per noi. Per restare
per sempre unite.
“Ancora...”
Deglutii, quando un singhiozzò mi smorzò la voce sul
nascere. Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano e guardai in
viso Belial. “Ancora non mi hai detto perché mi stai
aiutando.”
Belial
lasciò crescere tra noi il silenzio, come se volesse elaborare
le parole migliori con cui rispondermi. Abbozzò un sorriso,
che doveva trasmettere qualcosa di umano ma che mi fece però
venire i brividi. “Perché sei mia figlia. E l'unica cosa
che accomuna mostri e non, è l'amore per la propria famiglia.”
disse.
Non
seppi cosa rispondere, ma di certo non ribattei. Non ne avevo alcuna
voglia e io e Katerina e Klaus e i suoi fratelli eravamo la prova
che, per la propria famiglia, si sarebbe fatto davvero qualsiasi
cosa. Anche la più sbagliata.
Abbassai
lo sguardo, concedendomi un'unica ultima lacrima, che Belial asciugò
con delicatezza.
“E
ora, piccola....segui il mio consiglio e scappa con Katerina!”
“Irina!”
Una
voce disperata mi strappò via dalle mani di Belial.
Spalancai
gli occhi e mi ritrovai distesa supina sul mio letto, stretta al
cuscino che sembravo quasi voler artigliare con le mie dita e con la
luce del sole nascente che entrava dalla finestra della camera,
investendo con la sua luce il volto in lacrime della persona davanti
a me.
Katerina.
Piangeva
disperatamente, trattenendo i singhiozzi con una tale fatica che
pensai potessero scoppiarle nel petto. Le lacrime attraversavano il
suo viso ovale, solcandone le guance con le loro calde linee
invisibili.
Per
un attimo non capii cosa stesse succedendo, fino a quando le immagini
di quel bellissimo uomo che mi donava le verità di un inferno
nascosto, tornarono prepotentemente a farsi sentire nella mia mente.
Quando
ti sveglierai, avrai la tua prova.
E
infatti, appena mi rizzai nel letto, Katerina tese un foglio di
pergamena verso me, con mano tremante. Lo guardai un attimo
titubante, prima di prenderlo tra le mani.
Quando
lo aprii, all'interno scorsi diverse figure in rilievo: un sole, una
luna, tre cerchi di fuoco su cui erano rinchiuse tre figure. Le
scritte in corsivo che attraversavano la parte alta del foglio
fornivano una descrizione abbastanza veloce ma dettagliata del
rituale.
Allora
era tutto vero.
Stavo
per disperarmi di nuovo, ma Katerina me lo impedì, lasciandosi
andare ad un lungo singhiozzo che cercò inutilmente di
reprimere, portandosi una mano sulle labbra.
“Vogliono
uccidermi, Irina.” disse, poi mi gettò le braccia al
collo, tremando e piangendo per la paura.
Rimasi
immobile, muovendomi insieme ai tremiti di mia sorella e presi un
lungo respiro, mentre il cuore gridava dolore dentro il petto, ormai
provato dalla pena di sentirlo soffrire in quella maniera.
Mi
veniva da piangere, ma non lo feci.
Non
serviva a nulla e l'unica cosa che davvero mi premeva in quel momento
era salvare mia sorella.
A
qualsiasi costo.
*
* * *
Ever
after never came,
And
I'm still waiting for a life that never was,
And
all the dreams I lay to rest
The
ghost that keeps me, after all that i've become
I
am the only one
Katerina
aveva trovato quel foglio di pergamena sotto il letto e ne comprese
subito il significato. Non seppi come, ma sembrava che Belial fosse
riuscito anche a parlare a lei in sogno, facendole più o meno
lo stesso discorso che aveva fatto a me e rivelandole così la
cruda verità.
La
verità.
Obbligai
la mia mente a non pensare ad Elijah,Klaus e Rebekah, ma a
concentrarsi sopratutto su un possibile piano per far fuggire
Katerina. Non avevo tempo per dispiacermi nell'aver nutrito affetto
per delle persone che lo ricambiavano con la finzione. Volevano
uccidere un'innocente in quella maniera, come se la sua vita fosse un
misero numero di anni da distruggere per soddisfare il bisogno di
Klaus di sentirsi...cosa? Più forte? Non gli bastava essere un
vampiro?
Strinsi
i pugni con rabbia, quasi facendomi male, quando pensai che il giorno
prima avevo baciato qualcuno che voleva strapparmi la vita in quel
modo.
Il
sogno che Belial mi aveva fatto avere notti prima, non era casuale.
Mia
sorella passò sopra il fatto che sapessi loro fossero dei
vampiri. Belial le aveva detto che le avevo tenuto nascosto tutto per
proteggerla e perciò non se la prese, anche perché non
avevamo tempo di litigare tra noi. Una volta a casa, al sicuro,
avremmo potuto litigare quanto volevamo.
“Dobbiamo
fuggire lontano, facendo in modo che lui lo scopra troppo tardi per
poterci fermare.” Katerina camminava avanti e indietro, mentre
io restavo seduta ai piedi del letto con lo sguardo fisso sulle mani,
che tenevo posate sulle ginocchia.
Mi
stuzzicavo le dita in tutti i modi possibili, affinché non
pensassi a quei tre nomi che, continuamente, balenavano nella mia
mente. “Ma come? Siamo sole contro di loro...”
Alzai
rapidamente lo sguardo su di lei; quello di Katerina era distante e
si spostava da un punto all'altro delle pareti che ci circondavano.
Continuava a sussurrare parole soffocate dal terrore, temeva che
Klaus potesse sentirla, ma sapevamo entrambe che lui era lontano in
quel momento, perso nei preparativi dell'ennesima festa che si
sarebbe tenuta l'indomani.
L'ultima
festa.
La
notte di luna piena era tra meno di una settimana e in quella notte
si sarebbe dovuto tenere il sacrificio di Katerina. Avevamo
pochissimo tempo.
Ed
eravamo prive di idee di fuga, se non quella di scappare in quel
momento a gambe levate.
Ma
Klaus ci avrebbe scoperto, ed era pieno di uomini ai suoi piedi
pronti a scattare ad un suo segnale e venirci a cercare per tutto il
paese. Dovevamo elaborare un piano di fuga migliore, che avrebbe
potuto prenderlo in contropiede.
Ma
come si potevano prendere in giro tre vampiri vecchi di secoli?
Mi
portai le dita alle tempie, massaggiandole con delicatezza quasi
volessi, con quei movimenti, mettere in moto il cervello e far sì
che qualche geniale idea nascesse dalla mia mente. Ma mi sentivo come
svuotata di tutto: mente, cuore,anima. Ero un contenitore vuoto a cui
era stato strappato via tutto.
Non
riuscivo ancora a credere che loro fossero quei mostri. Che
avrebbero potuto davvero distruggerci. Non volevo immaginarmeli nelle
vesti di predatori e noi di prede.
Non
ce la facevo.
Ma
dovevo.
Katerina
si fermò improvvisamente, puntò i suoi occhi sul mio
viso e una leggera scintilla le illuminò le iridi scure.
“Trevor...” sussurrò e quando vide che non
riuscivo proprio a comprendere dove volesse arrivare, si sedette
accanto a me, prendendomi le mani tra le sue.
“Lui
mi ha detto che anche Trevor è un vampiro. Ed è
innamorato di me. Farebbe qualsiasi cosa io gli chieda..”
disse, parlando quasi come se i sentimenti che il ragazzo nutriva nei
suoi confronti fossero un arma a doppio taglio da utilizzare.
“Potrebbe aiutarci a distrarre Klaus e a procurarci il denaro
necessario per lasciare il paese nel cuore della notte. È un
suo subordinato, quindi Klaus non nutrirà sospetti su di
lui.”
Ma
coinvolgere lui, significava coinvolgere anche Rose e noi non
potevamo mettere a repentaglio anche le loro vite, oltre le nostre
già in pericolo. Ma Katerina era risoluta e la comprendevo; la
paura della morte era troppo pesante da sopportare e si era sempre
disposti a tutto pur di scamparla.
Ma
io non potevo permettere che anche loro pagassero...dovevamo trovare
un altro modo.
“Non
essere sciocca, Irina!” Katerina quasi urlò quando mi
vide cercare di dissentire. Resasi conto di aver alzato la voce,
riprese fiato e si guardò attorno, come temesse di trovarsi
alle spalle Klaus. “Sono gli unici che possano aiutarci e
Trevor è così preso da me che non potrà
rifiutarsi di aiutarci..”
E
se Klaus facesse loro del male?
Cercai
di trasmetterle quell'ipotesi e il suo viso si incupì, in una
maniera che mai avevo visto prima. L'abisso scuro dei suoi occhi si
fece più profondo, e un sorriso disegnato dalle mani della
paura della morte si allargò sulle sue labbra. Più che
un sorriso, sembrava una smorfia che spingeva la bocca di Katerina a
sollevarsi verso destra.
“Meglio
loro che noi.” Quelle parole mi fecero venire i brividi.
*
* * *
I
close my eyes and plead this empty heart
Of
all that longs to die
When
faces lie and love will falter
I'm
left with only time
And
time will break the dreams that take
The
pain away
Continua
a fare finta di nulla. Loro non devono sapere che noi sappiamo.
Così
mi aveva detto Katerina, dopo che avevamo deciso di andare a casa di
Trevor e Rose quella mattina. Mi chiesi se davvero ci sarei riuscita,
perché fingere di essere serena e tranquilla con persone che
volevano rovinarci la vita mi parve impossibile.
Elijah
e Rebekah non erano ancora tornati dal loro viaggio. Ogni volta che
pensavo a loro, in particolar modo a lui, avvertivo
indistintamente una morsa all'altezza del petto che mi sembrava
privarmi di vita e respiro.
Camminavo
lungo i giardini, diretta verso il punto in cui dovevo incontrarmi
con Katerina per raggiungere la piccola dimora dei due vampiri.
Tenevo
gli occhi bassi, socchiusi sul terreno come se in esso stessi di
nuovo rivivendo quei bellissimi momenti che avevo trascorso con i
nostri aguzzini.
Con
Rebekah.
Con
Elijah. Il mio cuore si arrestò per il troppo dolore.
Con
Klaus....
Mi
fermai di colpo.
Quando
pensai a lui, me lo ritrovai fermo a pochi metri di distanza mentre
discuteva con due uomini. Stava indicando loro dei punti in un foglio
ingiallito, come se stesse dando predisposizioni per organizzare
qualche evento. Una delle tante menzogne che lui era solito regalare.
Lo
guardai.
Il
suo volto era sempre bellissimo, con gli zigomi pronunciati e la
pelle chiarissima. I capelli biondi ravviati all'indietro la
incorniciavano con i loro ciuffi chiari, illuminati dal sole alle sue
spalle.
I
suoi occhi blu scorrevano dal foglio ai volti dei due uomini al suo
fianco e le labbra rosse si muovevano mentre parlava con loro.
Era
uguale a come lo conoscevo fino al giorno prima, ma i miei occhi
sembravano vedere la vera immagine nascosta dietro la bugia. Dietro
quell'apparenza d'angelo che possedeva, dietro quegli occhi a cui mi
ero aggrappata giorni prima, sotto la pioggia, quando avevo più
bisogno di loro che del mio respiro, si nascondeva un vero demonio,
pronto a strappare via la vita di mia sorella per una stupida
maledizione.
Quello
che provava per me, l'affetto che io nutrivo per lui...erano solo
illusioni, falsi sentimenti.
Voleva
uccidere Katerina, come poteva sentire quindi qualcosa per me?
Dobbiamo
continuare a fare finta di nulla, Irina.
Non
ci riuscivo.
Dovevo
prendere un'altra strada per poter raggiungere il punto d'incontro
con mia sorella, senza che incrociassi in alcun modo Klaus. Ma ero
stata così intenta ad osservarlo per quei pochi secondi, che
lui si accorse subito di me.
Tremai,
quando i nostri occhi s'incontrarono e la sua espressione si fece più
dolce, in confronto alla rudezza che aveva mostrato ai due uomini che
gli stavano ancora accanto.
Bugiardo.
Quella
singola parola tuonava con rabbia dentro me, mentre fissavo i suoi
occhi aprirsi e chiudersi nello scrutare la mia figura.
Vedeva
che tremavo? Vedeva che le lacrime di rabbia per aver vissuto mesi di
bugia con lui stavano quasi bagnando il mio sguardo? Vedeva che io
riuscivo a scorgere la
sua vera natura sotto quella maschera? Sperai che non volesse dirmi
nulla, che magari si limitasse ad un unico cenno di saluto e che mi
lasciasse proseguire.
Ma
così non fu.
Disse
qualcosa ai due uomini, che annuirono e si allontanarono rapidamente
con il foglio tra le mani.
E
camminò verso di me.
Il
cuore iniziò ad intonare un tormento di paura e terrore dentro
il petto, ad ogni passo che lui faceva più vicino a me. Mi
sentii pietrificare, senza sapere come e dove muovermi.
Ero
come un topolino in trappola, tremante e spaventato, che non poteva
sfuggire alle fauci del suo predatore. Klaus mi sorrise, un sorriso
radioso che avrebbe potuto anche rasserenarmi, se non avessi saputo
che si stava allargando sulle labbra del diavolo.
“Buongiorno,
Iry.” disse, con voce profonda che parve penetrarmi dentro e
giungere nell'abisso della mia anima. Quella voce, che tante volte
avevo udito, studiato, in cui avevo sempre cercato le emozioni che
potessero attraversarla e che sapevo dovevano
esserci. Ma che, invece, non c'erano.
Erano
solo patetiche speranze a cui io mi ero appigliata
per tutto quel tempo.
Klaus
era la nostra fine.
E
io odiavo vederlo in quelle vesti, malgrado non dovessi nemmeno dare
retta ai sentimenti che nutrivo nei suoi confronti. Non avevano mai
avuto nome e, vista la verità, mai li avrebbero avuti.
“Tutto
bene?”
La
sua voce mi riportò alla realtà e mi accorsi di essermi
soffermata ad osservarlo in quella maniera per troppo tempo. Sbattei
più volte le palpebre, mettendo a fuoco la sua figura; il suo
viso si era leggermente oscurato, in preda alla preoccupazione che la
mia espressione doveva procurargli in quel momento.
Un'altra
menzogna dipinta sul suo volto.
Stavo
per mandare a monte tutto. Dovevo continuare a fare finta di nulla, a
credere nella maschera che Klaus indossava e non al vero volto che
riuscivo a scorgere sotto di essa.
Ma
non ci riuscivo. Perché,
guardandolo, non potevo fare a meno di pensare a tutti i momenti
passati insieme e in cui credevo fosse sincero, in cui credevo fossi
davvero riuscita a portare qualcosa di positivo in lui.
E
invece, era tutta una bugia. E, ancora adesso, non riuscivo proprio a
riconoscerla.
Annuii
lentamente, deglutendo rumorosamente e abbassando lo sguardo, ma non
il viso che invece lo tenni alto nella sua direzione. Ero pronta a
cogliere ogni suo singolo movimento, ogni singolo sguardo che poteva
mutare in altro, come se potesse uccidermi in quel preciso istante,
in mezzo a quel giardino.
Ne
sarebbe stato capace? Probabilmente
sì.
“Ne
sei sicura? Mi sembri...”
Scattai
all'indietro, quando notai la sua mano alzarsi nella mia direzione
per toccarmi la guancia. Le sue dita sfiorarono lievemente la pelle
del mio viso, con una dolcezza nei movimenti che però mi fece
rabbrividire. Perché, quella dolcezza poteva celare ben altro.
Alzai
lentamente lo sguardo su di lui, cogliendo i tratti della sorpresa
sul suo viso. Gli occhi blu si legavano ai miei, in un contatto che
quasi trovai letale per quanto mi sembrò impossibile fuggirne.
Lo
avevo forse ferito, ma non m'importava più ormai.
Lui
mi aveva sempre e solo ferita, ma non me ne ero mai accorta.
Stupida.
“Iry,
ma che hai?” Klaus sussurrò quelle parole, come se
volesse accarezzarmi il viso con le sue parole, visto che la sua mano
non aveva potuto compiere quel gesto.
In
realtà non sapeva cosa tutto di lui fosse capace di far
scattare in me: rabbia, dispiacere, paura, delusione. Tutte insieme
nella sua figura, che avevo imparato a conoscere e ad amare.
Ma
dovevo mascherare il mio viso, come lui faceva con il suo.
Se
avesse scoperto che io e Katerina sapevamo la verità, sarebbe
stata la fine.
Scossi
la testa, abbozzando il miglior sorriso che potessi sfoderare in
quella situazione.
I
miei occhi restavano fermi nei suoi con difficoltà, anche se
volevano liberarsi da quel contatto.
Stavo
bene. Lui doveva crederlo.
Klaus
però non mi parve convinto, i suoi occhi scorsero lungo il mio
viso, cercando di cogliervi ciò che causava la mia evidente
preoccupazione. “Va bene...” disse solo, alzando le
spalle e sorridendomi di rimando. Fu la prima volta in cui mi rivolse
un sorriso del genere, dovuto forse all'imbarazzo causato dal bacio
che c'era stato tra noi il giorno prima.
Abbassò
gli occhi, sentendo quasi le lacrime bagnare i miei. Perché
una cosa come quella doveva
essere una menzogna? Serrai le labbra; se reagivo in quel modo con
Klaus, non riuscivo ad immaginare la reazione che avrei avuto nei
confronti di Elijah.
Il
solo pensiero, il solo ricordo di lui mi struggeva dentro.
Calò
un profondo silenzio, che però non parve avvolgermi. Dentro la
mia testa, si stavano scontrando così tante parole che mi
sembrava l'intero mondo stesse urlandovi dentro.
“Vai...vai
da qualche parte?”mi chiese poi Klaus, sembrava quasi un
bambino che non sapeva come atteggiarsi di fronte ad una persona
sconosciuta.
In
effetti, in quel momento, eravamo entrambi due persone che non
eravamo.
Recita,
la mia mente mi ordinò di
farlo.
Così
annuii, facendogli poi segno che io e Katerina andavamo a fare una
passeggiata.
La
cosa non doveva insospettirlo, eravamo solite fare delle passeggiate
da sole nella giornata e quindi non c'era ragione che lui potesse
pensare ci fosse qualcosa sotto.
Quando
capì ciò che stavo dicendogli, Klaus annuì e
abbozzò un altro sorriso. “Allora, state attente, mi
raccomando.” disse, chinando la testa e puntando i suoi occhi
blu nei miei.
Un
sorriso fintamente sincero si allargò sulle sue labbra
e lo fissai un attimo assorta.
Staremo
attente al lupo cattivo, non temere. Pensai
tristemente e continuando a
guardare
il nemico con indosso la veste d'angelo da cui i miei occhi erano
stati, tempo prima, ingannati. Avrei tanto voluto che quell'inganno
fosse stato invece qualcosa di reale, qualcosa che davvero nascondeva
del positivo in sé, ma non era così.
La
delusione che provavo in quel momento, ero certa si sarebbe presto
tramutata in rabbia.
Trattenni
il fiato per qualche istante, poi lo ringraziai e mi accinsi ad
allontanarmi, mostrandomi tranquilla. Lo superai, sentendo i suoi
occhi sul mio viso.
Tremai
quando la sua mano prese la mia.
Fu
come se il mondo intero si fosse arrestato e l'unico rumore che
riuscivo ad udire fosse quello del mio cuore che batteva troppo forte
nel petto. Puntai gli occhi verso l'orizzonte davanti a me, dove
alcuni alberi si aprivano sul cielo azzurro e circondavano la
stradina illuminata dal sole che avrei dovuto percorrere per
raggiungere Katerina. La presa di Klaus alle mie spalle era ferma,
decisa ma non dura, sembrava quasi volesse solo impedirmi di
allontanarmi da lui. Non c'era violenza in quel gesto. Ma se era
un altro inganno? Non potevo nemmeno accertarmene, perché
non riuscivo a voltarmi.
“So
perché ti comporti così con me.” disse Klaus.
E
tremai più forte.
Chiusi
gli occhi, mordendomi le labbra talmente forte che il dolore fu così
intenso da soffocare la paura che mi stava divorando.
Klaus
sapeva? Se era così, era davvero finita per noi.
Le
sue dita si intrecciarono alle mie, mentre continuavo a dargli le
spalle e a sentire la sua presenza dietro di me. Una strana
sensazione di calore mi attraversò la pelle, mentre le sue
dita accarezzavano con delicatezza il palmo della mia mano.
La
mia mano era unita a quella del nostro carnefice, in una stretta
innocente con le dita del diavolo.
“È
per quello che è successo ieri, vero?” mi chiese. Si
fece più vicino, tanto che sentii quasi il suo petto posarsi
sulla mia schiena. Non riuscivo a voltarmi, le nostre mani erano
ancora unite in quell'abbraccio che sapeva di fine e di morte,
malgrado la dolcezza che le legava.
Il
suo respiro soffiò tra i miei capelli, lo sentii attraversarli
con leggerezza, passando attraverso di essi e mi irrigidii ancora di
più. Era un respiro fresco, come una brezza che attraversa il
deserto e scaccia il calore bruciante sulla pelle. Peccato che, il
deserto, era ciò che mi circondava in realtà.
“Ascolta,
abbiamo già detto che si è trattato...di un solo
momento.” Klaus parlò con una nota di rammarico, che
trovai incomprensibile, visto quello che aveva in mente. Le sue dita
non smisero di rimanere unite alle mie, ne sfioravano la pelle con la
sua e un intenso brivido caldo mi corse lungo la schiena.
Ma
perché continuava a fingere di nutrire qualcosa nei
miei confronti?
“Quindi,
non c'è bisogno che tu mi tratti con freddezza. Non è
necessario e tu lo sai.” Klaus mi stava guardando mentre
pronunciava quelle parole, con un volume di voce talmente basso che
quasi venne scacciato dal soffio del vento. Ogni singola parola, ogni
singolo suono che usciva fuori dalle sue labbra mi passava sotto
pelle e sembrava volermi uccidere dall'interno sempre più.
Pregai
con tutta me stessa che lasciasse la mia mano, che mi permettesse di
andare via, perché non ce la facevo.
Non
ce la facevo a stargli vicina.
Non
ce la facevo a guardarlo.
Non
ce la facevo nemmeno ad odiarlo. L'astio e il rancore che mi portavo
dentro divennero pesanti macigni sul petto, dai quali il mio cuore
venne sempre più schiacciato.
Dovevo
odiarlo. Lo odiavo. Lo avrei odiato per sempre. Eppure stavo male per
questo.
Ancora
speravo che fosse tutto un incubo, che fossi addormentata e che loro
non volessero uccidere Katerina. Ma quella era vita, e io la
dovevo affrontare se volevo uscirne viva.
Klaus
sospirò, doveva aver mosso la testa, poiché il suo
respiro parve scontrarsi sulla mia spalla. “Elijah non la
prenderà bene, e tu lo sai. Potremmo anche...mettere a tacere
tutto. Tanto non si ripeterà.” disse.
Allora
era chiaro il motivo per cui mi parlasse in quel modo, forse aveva
dei rimorsi di coscienza anche lui? O forse temeva che ciò che
sentiva per me potesse distoglierlo dal suo intento?
Ne
dubitavo fortemente. Stavo dubitando persino che lui fosse capace di
nutrire un vero sentimento.
Ma
perché mi sentivo così male a pensarla in quella
maniera?
Mi
voltai lentamente verso Klaus, i nostri occhi si incontrarono, o
meglio si scontrarono, come due onde in piena tempesta che si
schiantavano l'una con l'altra, fino ad infrangersi.
Non
mentirò ad Elijah.
Incredibile,
stavo davvero affrontando quella questione.
Non
capivo se lo stavo facendo per mandare avanti quella recita, oppure
perché mentire ad Elijah mi faceva rabbia, sopratutto dopo ciò
che era successo. Mi comportavo come se non avessi scoperto nulla,
tanto ero aggrappata alla folle illusione che potesse trattarsi tutto
di un brutto sogno.
Klaus
guardò la durezza della mia espressione, forse ne rimase
sconvolto o forse turbato. Non seppi dirlo, intanto rimasi ad
osservare il vento che muoveva i suoi ciuffi biondi vicino al viso,
mentre gli occhi si abbassavano su un punto sul terreno. Annuì,
con lentezza e stringendo le labbra tra loro, riducendole quasi ad un
linea retta. “Hai ragione.” disse e finalmente lasciò
la mia mano.
Era
rimasta così rigida, vittima di un intenso calore nella sua
che quando il vento la investì mi sembrò di rinascere.
La strinsi in un pugno, portandomela accanto alla gamba e senza
smettere di guardare Klaus.
Lui
sembrò non riuscire a sostenere il mio sguardo, tanto che
continuava a tenere gli occhi puntati sul terreno. “Però,
smettila di essere fredda. Non serve a nulla.” mi disse,
per poi ascoltare il silenzio che ci pervase. “Ti auguro una
buona giornata.”
Presi
un lunghissimo respiro, mentre fissavo il suo sorriso farsi per un
istante più largo, mentre si allontanava lentamente verso la
sua abitazione.
Mentre
lo guardavo andare via, per poco scoppiai a piangere.
Sotto
il sole, lui restava comunque una bugia purtroppo.
*
* * *
“Cosa
mi state chiedendo di fare, Katerina?”
Le
parole che mia sorella e Trevor si stavano scambiando sembravano echi
lontani nella mia mente, suoni solo lievemente percettibili,
probabilmente appartenenti ad una realtà al di fuori di me.
Ancora
stavo aspettando di destarmi da un incubo, ma ogni mia speranza
restava sempre vana.
Ero
viva, sveglia, circondata da un mondo che apparentemente era pieno di
colori, ma in realtà era solo un groviglio di ombre
perfettamente celate dietro dolci illusioni.
Guardavo
Trevor e nei suoi occhi vedevo tutto l'amore che nutriva per mia
sorella.
Non
era un amore completo, ma una potente infatuazione che lo avrebbe
spinto a compiere qualsiasi folle gesto per lei. Katerina un po' ne
stava approfittando, ma per aver salva la vita qualsiasi azione,
qualsiasi parola poteva essere ben giustificata.
Anche
se mi dispiaceva quasi pensarla in quei termini.
Restai
seduta come una bambola priva di anima e vita sul pavimento. Con le
ginocchia strette al petto e il mento posato sopra di esse, non
riuscivo a smettere di fissare lo sguardo di Trevor.
Amore.
Era
tutto ciò che riuscivo a scorgere nel suo sguardo, malgrado un
lungo tremito gli avesse attraversato il corpo dopo aver saputo da
Katerina la storia del rituale. Mettersi contro Klaus lo terrorizzava
a morte; a quanto pareva solo io non ero più riuscita a vedere
il mostro in lui da qualche tempo a quella parte, però c'era
un barlume nelle sue iridi blu che lasciava intendere che, comunque,
avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa per mia sorella. Tentennava,
solo perché il suo coinvolgimento implicava anche quello di
Rose e lui, ovviamente, voleva evitarlo in tutti i modi.
Volsi
lo sguardo proprio verso lei.
Rose
se ne stava chinata sul caminetto acceso, cercando di riscaldare del
tè, ma teneva comunque l'orecchio teso, per ascoltare ciò
che Katerina e Trevor stavano dicendosi. Cercai di cogliere un
qualche brivido attraversarle la pelle, ma non lo trovai: era
immobile, attenta, con il corpo davanti al camino ma la mente vicina
a noi.
“Klaus
non lo scoprirà.” stava dicendo Katerina, che sembrava
avere ormai il cuore in gola da quella mattina. “Dovete
solo....vi prego, dateci solo una mano nell'ottenere i soldi
necessari per tornare a casa. E aiutateci a fare in modo che Klaus
non se ne accorga subito.”
La
disperazione si nascondeva in ogni sua singola parola, Trevor e Rose
erano le nostre uniche speranze per poter lasciare il paese il più
presto possibile, senza avere Klaus subito alle calcagna.
O
almeno, così speravamo.
Me
lo immaginai mentre ci dava la caccia come un segugio, poi pensai
all'immagine di quella mattina.
Possibile
che fossero la stessa persona?
Trevor
sospirò e abbassò lo sguardo, si passò una mano
tra i lunghi capelli castani e rimase diversi attimi in silenzio.
Mentre osservava gli angoli del pavimento, riuscii di nuovo a
scorgere quella luce da innamorato che sarebbe morto per colei di cui
era invaghito.
Era
un immagine di pura umanità, malgrado riguardasse un vampiro.
Ormai,
dopo ciò che avevo scoperto, non riuscivo nemmeno più
ad associare la parola umano con quella di vampiro. Era una cosa
terribile.
Pensai
ad Elijah, che avevo il terrore di incontrare di nuovo, e mi chiesi
come proprio lui potesse essere coinvolto in una cosa simile. Lui che
mi aveva dato così tanto...
Forse
il mio comportamento del giorno prima con Klaus doveva essere punito
in quella maniera.
Ma
non era troppo come punizione? Ormai ogni pensiero più folle
attraversava la mia mente.
“Io...non
penso di potere.” Trevor alzò gli occhi pochi istanti
dopo, posando lo sguardo sul volto pallido di Katerina, che sembrava
essere sbiancata di colpo. “Se vi aiutassi, Klaus non avrà
pietà di me...e nemmeno di Rose...”
Spostò
un attimo lo sguardo su di me, accorgendosi solo in quel momento che
anche io ero presente in quella stanza. In effetti, ero talmente
silenziosa e pensierosa che nemmeno mi sentivo respirare. La mia
mente era ferma su ricordi di quei mesi in cui pensavo di aver
conosciuto il paradiso, senza rendermi conto che ero stata più
vicina all'inferno di quanto pensassi.
Sorrisi.
Parole. Lacrime. Affetto. Amore.
Non
erano altro che inganni di quell'inferno in cui avevamo vissuto per
mesi.
Katerina
si portò le mani tra i capelli, chiudendo gli occhi e
lasciandosi andare a lunghi respiri trattenuti, con la forza del suo
fiato stava cercando di fermare i singhiozzi di puro terrore che,
probabilmente, stavano per nascere in lei.
Eravamo
sole. Contro il mondo intero.
“A
me non interessa. Voglio aiutarle.” La voce di Rose ci colse di
sorpresa.
Si
avvicinò a noi con in mano due tazze di tè caldo. Il
suo sguardo era fermo su Trevor, ma i suoi piedi sembravano essere
volti verso me, come se ero io colei che voleva raggiungere. Mia
sorella la guardò con leggera freddezza, mentre Trevor si
voltava verso di lei, stringendosi le braccia al petto.
“Lo
faresti davvero?” chiese Katerina, guardandola con aria
sorpresa e sbattendo più volte le palpebre.
Rose
non le rispose subito. Si chinò su di me e mi regalò un
sorriso di conforto, mentre mi tendeva la tazza di tè fumante.
La guardai per diversi istanti, quasi confusa nell'incontrare il suo
sguardo e quel sorriso. Mi sembrava come se fossi stata per decenni
lontana dall'umanità e non ricordassi quindi più la
bellezza che risiedeva nella semplicità di gesti come quelli
che lei stava rivolgendomi.
Mi
ero ritrovata priva di capacità di comprendere quelle emozioni
e sensazioni, dopo che avevo scoperto che quelle che avevo vissuto
ultimamente erano state solo un'illusione.
Presi
la tazza, le mani mi tremavano leggermente, e ne guardai l'interno.
Il
liquido verde acqua rinchiuso tra quelle pareti di legno lasciava
salire una leggera scia di fumo verso l'alto, che mi investì
il viso con il suo calore.
Per
un attimo, venni pervasa da un leggero senso di serenità.
Ma
durò pochissimo, quel breve lasso di tempo in cui non mi ero
soffermata a pensare all'inferno che ci circondava.
Rose
tornò a guardare Katerina con serietà, Trevor intanto
si stringeva le braccia al petto e guardava l'amica senza capire. “Io
temo Klaus, temo la sua collera e temo ciò che sarebbe capace
di fare se i suoi piani andassero in fumo...ma tu ed Irina non
meritate di soffrire in questo modo.” spiegò lei,
riuscendo persino a bloccare il tremore che stava cercando di
liberarsi nella sua voce.
Alzai
lo sguardo su di lei, nello stesso istante in cui lei lo volse verso
me.
Un
sorriso si allargò sulle sue labbra, un sorriso che
trasmetteva paura ma anche un profondo desiderio di lotta per
difendere delle persone a cui teneva.
Katerina
ed io. Allora esisteva davvero l'amicizia? Non era solo un illusione.
Distolsi
lo sguardo, sbattendo più volte le palpebre. Quasi mi sentii
in colpa al pensiero che loro due si erano offerti di aiutarci
davvero. Perché era pericoloso.
Se
Klaus era davvero il mostro senza pietà come ormai lo
dipingevo, l'avrebbe fatta pagar loro molto cara. E magari anche
Elijah gli avrebbe fatto pentire di averci aiutate.
Mi
portai le mani tra i capelli disperatamente, cercando di non pensare
a quelle nuove immagini che avevo di loro due. Non avevo tempo di
disperarmi, era arrivato il momento di combattere.
“Perciò
potete contare su di noi. Potremmo aiutarvi senza che Klaus ci
scopra.” Rose tornò a guardare verso Katerina e Trevor,
parlando con una sicurezza nei toni che mi colpì, anche se me
ne stavo con la testa sulle ginocchia e gli occhi completamente
chiusi, quasi sigillati di fronte a ciò che avevo davanti.
Nessuno
osò dirmi nulla, quasi volessero lasciarmi nel mio silenzioso
dolore.
Mi
immaginai Katerina annuire, quasi speranzosa, per poi guardare i due,
sempre con quel barlume di paura nel suo sguardo. “Dobbiamo
prendere la pietra di luna prima di lasciare il paese, almeno avremo
un vantaggio in più. Ma non ho idea di dove la possa tenere.”
disse, dopo lunghi attimi di silenzio.
Sentivo
i suoi occhi scuri su di me, quasi mi stessero implorando ad essere
forte insieme a lei, e quindi decisi di alzare la testa lentamente e
di prendere un lungo respiro, con cui infondermi coraggio.
Non
dovevo arrendermi, non dovevo farlo.
“Io
so dove si trova.” intervenne Trevor,restando in piedi davanti
a Katerina e guardandola con determinazione. Entrambe lo guardammo
stupite e lui annuì di rimando. “Ne ho sentito parlare
giorni fa, alla festa del vostro ritorno, ma non avevo capito che
servisse per una cosa simile. Ma...prenderla senza destare sospetti è
praticamente impossibile, visto che Klaus sembra tenerla nella sua
camera.”
Katerina
si mostrò leggermente amareggiata, mentre Rose si portò
le mani al volto, posando le dita ai lati del naso e prendendo un
lungo respiro, mentre ragionava.
“E
allora, come facciamo a prenderla?” domandò. “Nessuno
di noi può entrare in camera sua senza destare sospetti!”
Spalancò
le braccia, mentre Katerina si portava le mani tra i capelli e si
voltava verso la finestra alle sue spalle, cercando aiuto nella luce
del sole che brillava alto.
Nacque
una discussione sul come riuscire ad arrivarci.
Formularono
così tante ipotesi che mi sembrarono una più assurda
dell'altra. L'unico modo per arrivare alla pietra di luna senza che
Klaus si insospettisse era probabilmente quello che loro
consideravano talmente evidente e semplice da scartarlo.
Vado
io.
Mi
alzai in piedi lentamente, con le gambe deboli ed intorpidite, tanto
che per un attimo pensai di cadere a terra. Loro volsero lo sguardo
verso me, zittendosi all'istante.
Non
mi servirono gesti o parole da compiere per dirgli quello che volevo
fare.
Bastò
il mio sguardo spento, la mia espressione decisa e i pugni che si
stringevano con forza accanto alle gambe.
Katerina
e Rose scossero la testa in maniera diversa, ma nello stesso medesimo
istante.
“No,
Irina. Non ti lascerò rischiare così tanto!”
esclamò mia sorella, avvicinandosi rapidamente a me e
stringendomi le spalle tra le mani.
Si
aspettava che desistessi, che mi facessi indietro per il terrore che
Klaus potesse farmi del male ma non lo feci. Io volevo salvare
Katerina e, probabilmente, ero l'unica persona che poteva metter
piede nella stanza di Klaus senza che lui pensasse ci fosse qualcosa
sotto.
Lui
abbassava la guardia con me, lo aveva detto anche Mikael, e sarei
stata la sua debolezza per salvare Katerina. Pensare a quelle parole,
aggrappandomi all'immagine di quel Klaus che credevo di aver
conosciuto, mi fece sentire un verme.
Ma
lui non era così, meritava di essere abbattuto.
“E
se ti scoprisse? Irina, quello che lui...può provare per te
non basterà. Lui purtroppo non è come hai creduto fino
ad ora, potrebbe farti del male.” disse ancora Rose,
affiancando mia sorella.
Non
m'importava.
Non
c'era più senso in nulla di ciò che mi circondava in
quel momento e io volevo solo proteggere Katerina dal destino
terribile che le era stato dato.
E
Klaus poteva farmi del male quanto voleva, non avrebbe cambiato il
mio volere di salvarla a tutti i costi.
Guardai
Trevor, lui fu l'unico che sembrava accettare con determinazione la
mia ipotetica prova di coraggio. “Irina non ha tutti i torti.
Se Klaus non sospetta nulla, lei potrebbe entrare indisturbata nella
sua camera e prendere la pietra.”
“Ma
se lui la cogliesse con le mani nel sacco? La ucciderà!”
esclamò Katerina, voltandosi con estrema rapidità verso
il ragazzo, tanto che la gonna sembrò sollevarsi nell'aria per
qualche istante.
Mi
sarei inventata qualcosa.
Dovevamo
essere ottimiste e piene di speranza, era l'unica cosa che ci avrebbe
potuto spingere ad avere la forza necessaria per scappare via da
quell'orrore.
Rose
mi guardava fisso, sperando quasi che desistessi dal mio intento, ma
ormai la decisione era stata presa. Anche Katerina tornò a
guardarmi, quando capì che Trevor non le avrebbe dato alcuna
risposta. Tenne le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa nel
vedermi così risoluta, così decisa, così
combattiva come mai ero stata.
Ma
era necessario, affinché lasciassimo quell'inferno sane e
salve.
“Bene,
è deciso.” disse Trevor, come se avesse preso lui in
mano le redini della situazione. “Ora, dobbiamo elaborare un
piano.”
*
* * *
Come
potevamo passare un altra giornata come quella?
Io
non potevo resistere, non ce la facevo proprio e non vedevo l'ora di
fuggire il più lontano possibile insieme a Katerina. Mentre mi
dirigevo verso camera mia, fissavo il pavimento sotto i piedi con
ferma decisione, nel tentativo quasi impossibile di non scoppiare in
lacrime da un momento all'altro.
Tenevo
sempre i pugni chiusi, con estrema forza, sentendo le unghie
penetrarmi nella carne quasi fino a farla sanguinare. Non c'era
tempo per la disperazione, quelle parole continuavano a ripetersi
nella mia mente con ferma decisione, ma solo tempo per agire.
Raggiunsi
la porta della mia camera, ringraziando il cielo che fosse notte e
che quindi domani fosse più vicino.
Posai
la mano sul pomello ed entrai velocemente dentro la stanza.
Continua
a fingere.
Quelle
tre parole si ripeterono nella mia testa, diventando sempre più
forti, talmente forti da farla quasi scoppiare. Elijah era nella mia
stanza, mi dava le spalle e teneva le mani dietro la schiena in
un'elegantissima postura. Stava fissando il paesaggio notturno fuori
dalla finestra con aria attenta e io riuscivo a scorgere i suoi occhi
scuri che attraversavano l'orizzonte lentamente.
Anche
se era buio, vedevo tutto di lui.
I
capelli sciolti sulle spalle, il profilo del suo viso, gli abiti
scuri in cotone e quella postura rigida ma estremamente elegante che
solo lui riusciva ad assumere.
Era
la stessa persona che avevo avuto accanto per troppo tempo, eppure
non riuscivo a rivedere in lui nulla di ciò che avevo
conosciuto. La verità aveva permesso ai miei occhi di vederlo
per davvero.
E
vedere quello che stavo osservando in quel momento, mi fece male.
Quando
lui volse lo sguardo verso di me, mi sentii tremare dentro.
Il
respiro mi si bloccò in gola e le gambe quasi vollero
spingermi a voltarmi e scappare via il più lontano possibile.
Era tornato con un altro povero innocente da sacrificare, come potevo
fingere?
Continua
a fingere.
Ma,
davvero, come potevo?
Elijah
si voltò completamente verso me e notai subito la freddezza
nel suo sguardo.
Che
avesse scoperto che io sapevo? Ne dubitavo, dentro di me era ancora
viva la convinzione che lui non mi avrebbe mai fatto del male. La mia
doveva essere pura follia.
“Come
stai?” Elijah ruppe il silenzio con quelle parole, pronunciate
con una lieve tonalità roca che mi sconvolse nel profondo.
Dovevo
chiudere la porta, ma non ci riuscivo.
Perché
lui era preoccupato, era arrabbiato, era ferito, era tante cose e io
non potevo rimediare a nessuna di esse, poiché mi sembrava di
vedere il fantasma di un'altra persona davanti a me.
Eppure,
la recita doveva andare avanti e quindi dovevo per forza fingere che
i mille ed inutili problemi che mi logoravano dentro, prima di
scoprire la verità, fossero fondamentali.
Stava
parlando della faccenda di mio padre, perciò mi limitai ad
annuire.
Mi
chiusi la porta alle spalle, molto, troppo, lentamente.
Quella
cigolò, mentre chiudeva sempre di più l'ultimo
spiraglio di luce che penetrava dall'esterno del corridoio. Ci
ritrovammo così avvolti nell'oscurità, ma mi mossi
rapidamente verso il comodino per poter accendere una candela.
Una
debole luce illuminò i nostri volti e alzai lo sguardo su
Elijah, di lui riuscivo a vedere solo le labbra e la mascella
visibilmente serrata.
“Mi
dispiace che tu abbia scoperto una cosa simile. Dev'essere dura per
te.” aggiunse poi lui, mentre mi avvicinavo ad accendere un
altro paio di candele che potessero illuminarci completamente.
Piano
piano, la stanza venne pervasa dalle luci tremolanti delle fiamme,
che crearono una specie di giochi di ombra sul pavimento, sulle
pareti e sui nostri corpi.
Restai
in piedi, di fronte ad Elijah, e continuammo a guardarci in silenzio
per alcuni istanti. Guardavo il suo viso e provai dentro di me un
profondo senso di vuoto, era davvero una maschera quella che
indossava?
Gli
feci segno che stavo bene, quando in realtà non era così.
Stavo
male per troppe cose, per troppi errori commessi e per troppe bugie a
cui avevo creduto.
Riuscivo
a stare male persino per il bacio di Klaus, perché pensavo
ancora che Elijah non meritava quello che era accaduto.
Poi,
dentro di me, qualcosa mi ricordò che lui era un bugiardo.
Incredibile,
quanto il suo nome e quell'aggettivo stonassero vicini. Ma la verità
poche volte aveva una bella melodia.
“Non
stai bene, Irina. Si vede lontano un miglio che sei distrutta.”
Elijah si alzò in piedi, avvicinandosi a me con elegante
compostezza.
I
suoi movimenti erano lenti, quasi fui tentata dall'arretrare, ma non
lo feci.
Purtroppo,
però, abbassai lo sguardo e lui capì che qualcosa non
andava. Sperai che associasse a quel mio atteggiamento ad altro, a
quell'altra cosa che mi faceva sentire davvero male. Mi morsi
le labbra, intrecciando le dita tra loro e obbligando me stessa ad
immergermi in un mare di finta calma.
Lui
restò per un istante in silenzio, scrutando con estrema
attenzione il mio viso e catturando in essi l'emozione che doveva
essersi dipinto in esso. Emozioni che mi stavano divorando l'anima e
che lui poteva persino sentire attraverso il mio cuore
impazzito.
“Devi
dirmi qualcosa?” mi domandò con tono quasi apatico,
privo di sentimenti che potessi riconoscere.
Si
fermò a pochi passi da me, sentii il suo lieve respiro
soffiarmi sulla fronte, mentre fissavo un punto sul suo petto. Dove
pensavo si trovasse il suo cuore, anche se spento da tempo. Ma
probabilmente anche quello non era altro che un fantasma ormai, una
bellissima illusione che non era mai esistita. Ma perché mi
sentivo in colpa nel pensare a quei termini di Elijah? Perché
non lo odiavo e basta? Non ci riuscivo con nessuno di loro, era
quello il danno.
Annuii,
anche se immaginavo lui fosse già a conoscenza di quello che
era successo con Klaus.
E,
conoscendolo, non mi avrebbe mai perdonata.
Il
pensiero che lo avrei perso comunque tornò a farmi male,
troppo male.
Elijah
sospirò e attese che mi muovessi in qualche modo. Alzai
lentamente gli occhi verso i suoi, soffermandomi ad osservarli con
estrema attenzione, e mossi lentamente le mani in un unico gesto.
Bacio.
Klaus.
Gli
bastò. Comprese con estrema facilità ciò che gli
avevo detto e socchiuse le palpebre senza distogliere mai lo sguardo
dal mio. Io però non ce la feci a sostenere i suoi occhi, li
abbassai così con estrema vergogna verso me stessa,
dimenticandomi solo per un attimo della storia del rituale.
Se
quella faccenda non fosse mai esistita, se Elijah era l'uomo che
credevo di aver conosciuto, io lo avrei perso per sempre. I miei
pensieri erano fissi su quella convinzione.
Il
dolore tornò prepotentemente a stringermi il cuore nella sua
morsa.
Continuai
ad osservarlo, lui nemmeno sbatteva le palpebre mentre mi osservava
con accurata freddezza.
Una
parte di me voleva che se ne andasse al più presto possibile,
perché affrontare la faccenda del bacio di Klaus, dopo tutto
ciò che avevo scoperto, non mi sembrava affatto il caso. Ma
un'altra parte di me, quella folle che ancora sperava non ci fossero
problemi più grandi di quello, voleva che parlasse, che mi
dicesse qualcosa.
Elijah
socchiuse lo sguardo e si inumidì le labbra, sembrò non
riuscire più a sostenere il mio sguardo.
“Dopo
quello che mi ha detto Rebekah, non mi stupisco nemmeno.”
disse, in un lievissimo sussurro.
Nel
buio, desiderai quasi scomparire, dileguarmi nell'oscurità
come fumo spazzato dal vento, ma sarebbe stato davvero vigliacco
aggrapparsi a quella folle quanto fantasiosa speranza.
Dovevo
affrontare la questione, come avevo deciso di fare prima che venisse
fuori la faccenda del rituale. Ma perché mi risultava
impossibile riuscirci? Strinsi le labbra e puntai gli occhi su un
punto alle spalle del vampiro, rendendomi conto che non ce la facevo
proprio a sopportare la mancanza del suo sguardo. “Provi
qualcosa per lui?” mi chiese poi, sapeva la risposta ma voleva
sentirsela dire.
E
io non potevo essere così bugiarda da negare che qualcosa
avevo sentito per Klaus.
Parlavo
al passato, perché oramai tutti i sentimenti che potevo
nutrire nei loro confronti si erano ridotti in cenere, di ricordi
bruciati dalla verità.
Aspettai
che dicesse qualcosa, che magari infierisse su di me, che mi desse
della stupida o che magari mi chiamasse con un'altra parola, con cui
meritavo maggiormente di essere appellata probabilmente.
Ma
Elijah rimase freddo, impassibile, evitava di guardarmi a lungo
perché la mia vista doveva procurargli qualcosa di negativo e
se, ogni tanto, il suo sguardo si posava su di me, mi sembrò
come trafiggermi.
“Probabilmente
ora sarai stanca, ma domani ti devo parlare con urgenza di una cosa.”
disse solo e mi passò accanto, senza nemmeno permettermi di
ingranare il fatto che si stava allontanando.
Non
stava sviando il discorso, non era un suo tipico atteggiamento, ma
stava solo trattenendo la rabbia, il disappunto e la delusione di ciò
che aveva appena saputo per non riversarla su di me.
Doveva
pensare che fossi sconvolta per la storia di Belial, e quindi non
voleva avere la rudezza di arrabbiarsi con me in quel momento.
Ma
io non volevo che se ne andasse in silenzio; ero così egoista
da pretendere che mi dicesse qualcosa, che sfogasse la sua indubbia
rabbia, malgrado non dovessi preoccuparmi di come lui doveva sentirsi
al riguardo. Io avevo commesso uno sbaglio, era vero, ma quello che
nascondevano lui e la sua famiglia non era nulla in confronto a
quello che avevo fatto io. Eppure, io volevo affrontare l'Elijah che
avevo creduto di conoscere fino ad allora e...fare cosa non lo so, il
mio comportamento non aveva giustificazioni probabilmente.
Mi
voltai e cercai di prendergli il polso, come per fermarlo. Nemmeno mi
accorsi di come rapido fu il suo movimento, quando le mie mani
sfiorarono la sua pelle. Ritirò il polso, quasi con rudezza,
portandoselo al petto e si voltò verso me, lanciandomi
un'occhiata fredda che mi fece venire i brividi.
Mi
dispiace.
Scusami.
Perdonami.
Cosa
potevo dirgli se non quelle parole? Ma non lo feci. Non me la sentivo
di recitare ulteriormente con lui, non dopo quello che sapevo.
Elijah mi stava guardando, tenendo ben dritte le spalle mentre
quasi sembrava che il respiro muovesse il suo petto. Il silenzio ci
circondava, un profondo, freddo, doloroso silenzio che mi
sembrava non riuscire a sopportare.
Non
sapendo come comportarmi, non sapendo come sostenere quelle ombre che
offuscavano il suo sguardo, mi decisi a dirgli di parlarmi. Di dirmi
qualcosa, qualsiasi cosa, che almeno mi destasse dal torpore del
dolore che sembrava aver privato di ogni cosa il mio corpo.
“Senti,
Irina...sto rispettando il tuo dolore per la faccenda di Belial e
devi sapere che io ti starò sempre vicino. Sempre.”
disse, alzò la mano con estrema eleganza muovendola verso me
come se volesse respingere il mio respiro. “Ma...adesso, non
riesco. Non riesco a tollerare ciò che è successo e tu
lo sai.”
Lo
sapevo, non doveva nemmeno interessarmi, e allora perché
ci stavo male lo stesso?
Era
semplice il motivo, era perché ero talmente sciocca dal
sentirmi in colpa per un unico bacio che era scattato con Klaus e
perché ferire Elijah non era mai stata mia intenzione.
Ma
gli avevo detto la verità e ne ero soddisfatta. Mentirgli non
sarebbe stato corretto, anche se ero certa che avrebbe posto una fine
a noi due.
Ma
tanto, la fine doveva proprio essere scritta nel mio destino.
Non
seppi cosa dirgli, non lasciai nemmeno che i miei occhi si
gonfiassero di quelle infide lacrime che erano pronte a scendere
lungo il mio viso. Sarebbe stato sciocco, come se volessi
impietosirlo, ma io sapevo di meritare la sua rabbia e quindi non
potevo fare altro che tacere e basta.
Elijah
fece un altro passo verso di me. “Io so che hai iniziato a
provare qualcosa per lui, quando ci siamo allontanati. L'ho visto.”
disse, le sue parole erano taglienti come lame. “E so che non
ci saremmo mai riavvicinati probabilmente, se tu avessi ricordato la
conversazione con Klaus. Ma reprimere ciò che provi, anche se
probabilmente si è trattato di un solo momento, è
altamente stupido non trovi?”
Non
compresi subito quello che mi stava dicendo. Ma i suoi occhi mi
stavano trasmettendo una profonda delusione e non lo stava nemmeno
negando, perché gli dava fastidio che io avevo trattenuto
troppi sentimenti che nutrivo nei confronti di Klaus.
“Penso
che tu non abbia bisogno della mia freddezza ora, ma solo di te
stessa.” disse solo e con estrema freddezza.
Fece
per allontanarsi e allora non ce la feci.
Non
ce la feci a trattenere la mostruosità di ciò che avevo
scoperto, non ce la feci a reprimere la rabbia che la delusione
faceva nascere in me, di fronte alla verità che era nascosta
attorno a noi.
E
non ce la facevo proprio a credere che Elijah fosse davvero uno degli
artefici del futuro assassinio di mia sorella. Mi avvicinai, con
passi pesanti sul pavimento, al comodino e aprii un cassetto,
prendendo dall'interno la pergamena che Belial aveva fatto recapitare
a Katerina la sera prima.
Elijah,
prima di giungere alla porta, si fermò e si girò verso
me, con la mano ben stretta al pomello. Doveva essere rimasto
sorpreso dai miei movimenti rapidi e decisi, mentre con la mano
stringevo il foglio e lo tendevo verso lui.
Stavo
segnando la nostra fine? No, qualcosa mi diceva che la fine
non era ciò che avrei trovato, quando Elijah avrebbe posato i
suoi occhi su quel foglio.
La
speranza mi faceva quasi credere che si trattasse tutto di un gioco
perverso uscito dalla mente di Belial e che magari Elijah, Klaus e
Rebekah non avessero minimamente intenzione di uccidere Katerina.
La
ragione soppresse la speranza, rammentandomi che Belial non aveva
alcun interesse nell'inventarsi una fandonia simile e che la storia
del sacrificio era veritiera.
La
ragione si unì alla follia di quel gesto, con cui volevo
appurare la reazione che Elijah avrebbe avuto. Lui guardò i
disegni sul foglio, i suoi occhi scorsero lungo le varie linee
disegnate su di esso poi alzò gli occhi su di me.
Conferma.
Stava confermando che era tutto
vero.
E
tutta la preparazione che avevo fatto per prepararmi a quel momento
andò in fumo. Volevo scappare, il più lontano
possibile, accorgendomi solo in quell'attimo del grave errore a cui
ero andata incontro.
Però
rimasi immobile, paralizzata dalla paura, ad osservare gli occhi
scuri di Elijah che mi fissavano quasi con paura.
“Dove...dove
l'hai trovata?” mi chiese.
Ulteriore
conferma. Iniziai a scuotere la
testa, trovando irrilevante spiegargli che era stato Belial a
portarmi sulla retta via per la verità, perché il fatto
che lui stava davvero affermando
che era tutto vero, quasi mi spinse a crollare in quel momento.
Elijah
vide il terrore che prendeva largo dentro me, con il cuore impazzito
e gli occhi che si allargavano sempre più per la paura.
“Irina,
aspetta. Posso spiegarti.” Elijah scattò rapido verso
me, appena mi mossi per raggiungere la porta, cingendomi le spalle
tra le mani e impedendomi di compiere un altro passo. La sua presa
non era rude, non era violenta, voleva solamente impedirmi di
andarmene prima di sapere una sua verità.
“Non..non
volevo lo scoprissi in questa maniera. Ero disposto a dirti tutto
prima che accadesse.”
Quando?
Quando ormai tutto era stato
predisposto affinché mia sorella venisse sacrificata?
Cercai
di divincolarmi, sentendo l'odio scorrermi lungo le vene, per
giungere alla mia testa e sopprimere ogni barlume di razionalità
che mi permettesse di pensare al comportamento più giusto da
assumere.
Ma
nulla. Io volevo solo scappare, il più lontano possibile e mi
sentii libera di dare libero sfogo all'odio che
dovevo nutrire nei confronti di tutti loro.
Elijah
mi trattenne, continuando a cingermi le spalle con più
rudezza. Tanto che le sue dita affondarono nella mia carne, mentre
continuavo a divincolarmi con forza.
“Ho
trovato il modo per salvarla!”
La
lotta terminò.
Alzai
lo sguardo su Elijah, sui suoi occhi neri che stavano cercando i miei
per legarli ai loro e lessi un profondo dispiacere in essi.
E
sincerità. Era una cosa che la si poteva indistintamente
riconoscere.
Quando
vide che stavo lentamente iniziando a riprendere fiato, a rilassare i
muscoli e a trattenere il battito del mio cuore impazzito, Elijah
ammorbidì la presa sulle mie spalle. “Diana mi ha detto
che c'è una maniera per far sì che tua sorella non
muoia nel rituale. E le streghe che prenderanno parte al sacrificio
sono disposte ad attuarlo.”
Aveva
trovato un modo per salvarla? Improvvisamente
mi sembrò di ritornare a guardare l'uomo che avevo conosciuto
tempo prima, quello che mi era sempre stato vicino e che mai mi aveva
abbandonata, nemmeno quando aveva rinunciato al nostro rapporto.
Voleva salvare mia sorella.
Un
inaspettato sollievo mi pervase, quasi mi sentissi meglio nel non
aver l'obbligo di odiarlo. Serrai le labbra, e per poco mi lasciai
andare ad un pianto liberatorio. Riuscii a trattenermi per puro
miracolo.
“Devi
fidarti di me. Katerina non morirà.” Le sue mani mi
salirono al viso, in un gesto in cui cercava di confortarmi.
Nei
suoi occhi lessi tante richieste.
Non
dirlo a Katerina.
Non
avere paura.
Fidati
di me.
La
terza fu subito accolta, ma per le altre due era troppo tardi. Scossi
la testa, quando una lacrima sfuggì alla forza di volontà
che l'aveva trattenuta fino a poco prima e abbassai lo sguardo.
Klaus?
Chi
diceva che lui avrebbe acconsentito al piano del fratello?
Elijah
tacette un attimo, serrò le labbra con una tale forza che
sembrava volesse bloccare il proprio respiro. “Gli farò
accettare la proposta, te lo prometto.” mi disse.
Non
fidarti. Katerina
me
lo aveva detto poche ore prima e
io non seppi come rispondere al loro ricordo che prendeva largo nella
mia mente.
Io
di Elijah mi fidavo, perché lo avevo affrontato, ma Klaus?
Lui
non riuscivo ad affrontarlo, il sacrificio era una cosa che lo
interessava direttamente e se non avesse voluto accettare la proposta
del fratello, per paura che la salvezza di mia sorella non garantisse
la riuscita del suo piano? Non sapevo cosa pensare, avevo così
tante voci nella mia testa che non sapevo come interpretare la
questione di Klaus.
Anche
se non lo meritavo, anche se era finito tutto,
anche se la paura mi stava attanagliando, gettai le braccia al collo
di Elijah, come per ringraziarlo. Lui restò un attimo
immobile, come sorpreso da quel gesto, e poi posò le mani
sulla mia schiena.
“Non
temere, andrà tutto bene.” mi disse.
Lui
non sapeva che, con quell'abbraccio, volevo dirgli anche scusa
per quello che stavo per fare.
Restammo uniti in quella maniera per diversi secondi, assaporando
ogni singolo attimo che ci legò.
Gli
ultimi attimi.
*
* * *
“Questo
non cambia nulla.”
Lo
so.
Abbassai
lo sguardo sul pavimento, congiungendo le mani davanti al grembo e
tenendo la testa bassa.
Chiusi
un attimo gli occhi, ripensando al volto di Elijah che mi diceva che
aveva trovato un modo per salvare Katerina. E io mi fidavo di lui, mi
fidavo di ciò che mi aveva detto eppure sapevo che le
cose non si sarebbero placate.
Perché
la soluzione di Elijah comportava comunque che Katerina morisse, e io
non potevo lasciarle affrontare un orrore simile.
E,
inoltre, non eravamo affatto certe che Klaus accettasse di
acconsentire al piano del fratello, per paura che il rituale potesse
non sortirgli il giusto effetto.
Katerina
si avvicinò a me.
Quando
ero andata in camera sua a dirle ciò che Elijah mi aveva
rivelato, l'avevo trovata sveglia, malgrado l'ora davvero tarda. Se
ne stava in piedi, davanti la finestra, ad osservare il cielo scuro e
privo di stelle. Immobile come una statua e pallida come un fantasma.
Sembrava
che la morte fosse già giunta a prenderla e portarla via.
Solo
in quel momento, quando lesse il mio dispiacere nell'andare contro la
fiducia di Elijah, si era decisa a guardarmi e ad avvicinarsi a me.
Prese le mie mani tra le sue, dopo aver attraversato velocemente lo
spazio che ci separava. Nel buio, le sue mani mi sembravano bianche
come la porcellana mentre stringevano le mie. Il loro calore doveva
infondermi coraggio, eppure provai comunque un profondo senso di
colpa nel confronti dell'uomo che aveva fatto di tutto, in quei mesi,
per poter salvare Katerina.
“Non
abbandonarmi, Irina.” sussurrò lievemente, tanto che la
sua voce mi parve appartenere al buio che ci circondava. “Ti
prego, non fidarti di lui. Ci ha solo mentito.”
No,
non era proprio così. Avevo
visto gli occhi di Elijah, avevo sentito le sue mani stringermi le
spalle e avevo sentito la sua voce. Non mentiva.
Ma
Katerina era terrorizzata dall'idea della morte ed era normale che
non si fidasse.
Aveva
paura di morire e io non lo avrei comunque permesso, malgrado tutto.
Sospirai
e annuii, chiudendo gli occhi e stringendo con forza le dita di mia
sorella.
Mi
era comunque rimasta solo lei.
Katerina
rabbrividì, forse per il freddo in quella stanza oppure perché
la morte aleggiava su di noi da tempo ormai. Mi abbracciò con
forza e io ricambiai subito la sua presa, posando le mani sopra la
sua schiena e cercando in quella maniera di bloccare il tremore che
la scuoteva da un giorno a quella parte.
“Dobbiamo
restare unite, Irina.” parve supplicarmi, soffiando parole nel
mio orecchio. “Non abbandonarmi, ti prego.”
Stava
per scoppiare in lacrime, la paura che potessi lasciarla combattere
da sola quella battaglia, in quel momento, la stava lentamente
logorando. Ma io non l'avrei abbandonata mai, lei doveva saperlo.
Mi
dispiace Elijah.
Ma
avrei trovato il modo di ripagarlo per l'aiuto che ci aveva dato,
nonostante la fuga fosse imminente. Lo meritava.
“Domani
sera scapperemo, Irina.” disse ancora Katerina, mentre una
lacrima di dolore, l'unica che volli concedermi nel buio, scendeva
lungo il mio viso. “E saremo insieme sempre.”
Per
sempre.
Sì,
sarebbe stato davvero così.
L'indomani
sarebbe tutto finito.
I'm
on my own here
No
one's left to be the hero
This
fairytale's gone wrong as
Night
will fall, my heart will die alone.
(We
are the fallen- I am the only one)
Ciao
a tutti! :D
Prima
di iniziare a tartassarvi con le mie cavolate, mi scuso immensamente
per il ritardo con cui ho pubblicato il capitolo, ma è stato
un periodo molto pieno. So che non mi perdonerete, perché il
capitolo, oltre che ad arrivare in ritardo, fa orrore per quanto è
brutto....quindi scusate di nuovo. ç.ç
Come
avete ben visto, in questo capitolo è successo un bel macello
e io ho odiato con tutto il cuore scriverlo e sono certa che,
probabilmente, anche voi dovete averlo odiato mentre lo leggevate. La
faccenda di Belial nasconde ancora diversi aspett che verranno
chiariti nel corso degli ultimissimi capitoli. Inoltre la storia dei
demoni è molto ispirata a quelli del telefilm “Supernatural”
per cui io vado matta...eh lo so, sono una copiona. :P
Per
quanto riguarda Irina, beh...so che in questo capitolo è
sembrata un po' bipolare, dato che è passata dal disperarsi al
voler combattere. Ma è umana, è imperfetta e renderla
improvvisamente forte sarebbe stato come uscire dal personaggio.
Katerina
è apparsa molto Katherine vampira in alcuni atteggiamenti
probabilmente, ma di fronte alla morte penso che chiunque non veda
l'ora di scappare a gambe levate, arrivando anche ad “usare”
delle persone che possano correre dei rischi. Nel telefilm poi, lei
lo ha fatto. Premetto anche che so che Katerina non si messa ad
elaborare piani ma che è scappata come una furia appena
scoperto la verità, ma in questa fanfic ho pensato di farla
agire in questa maniera, visto che ha anche il desiderio di tutelare
la sorellina. Spero abbiate gradito.
Parlando
di Elijah...beh, su di lui non ho nulla da dire. Il fatto che abbia
cercato di salvare Katerina lo commenta per ciò che è
*-*
Io
chiedo in anticipo perdono se cambierò anche altri elementi
riguardanti la fuga di Katerina, della doppelganger, e di Klaus
sopratutto ecc...non posso propriamente attenermi a ciò che è
successo nel telefilm per seguire la linea di questa fanfic. Come
sempre, mi auguro che gradiate i futuri cambiamenti. :)
Ah
inoltre, mi rendo conto che i “confronti” di Irina (sia
con Elijah che con Klaus) non sono stati dei migliori, ma perché
ho preferito riservarli per il prossimo capitolo. In questo Irina era
troppo sconvolta e dubbiosa per via della storia del rituale, nel
prossimo sarà meno dubbiosa ma diciamo che avrà più
“testa” per confrontarsi con loro. Non so se mi sono
spiegata bene, sono un disastro -.-''
Ok,
volete spararmi per quanto parlo? Vi capisco. u.u
Ringrazio
coloro che leggono questa storia, sia chi lo fa in silenzio e sia chi
recensisce.
Grazie
anche di cuore a chi ha aggiunto questa storia tra le preferite/
ricordate e seguite e chi mi ha aggiunta agli autori preferiti.
Spero
di leggere i vostri commenti, positivi e negativi che siano, anche
per dirmi di abbandonare e di darmi all'ippica o di andare a lavorare
la terra, il che, dopo questo capitolo, ci starebbe pure....
Alla
prossima e buona serata, ciao! :D
|
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Capitolo 28 *** The Beautiful Ones ***
-The
beautiful ones-
Il
momento era giunto.
Mi
ero svegliata quella mattina sentendola attorno a me, avvertendo la
fine di tutto mentre l'ossigeno affluiva nei miei polmoni,
ricordandomi che avrei respirato quell'aria per l'ultima volta.
Quella
notte, sapevo che il mio solo fiato non sarebbe bastato a sostenere
la furia della corsa verso la salvezza che avrei intrapreso insieme a
Katerina.
Verso
casa.
Verso
quel luogo che non avremmo mai creduto potesse essere il nostro
riparo dal mondo intero. Probabilmente, per noi, non ci sarebbe mai
stato un vero posto da poter definire casa, un luogo che ci
avrebbe regalato affetto e protezione. Un luogo simile, per me e
Katerina, non era mai esistito.
Era
stato solo un miraggio a cui ci eravamo appigliate per tutto quel
tempo. Niente più.
Mi
mossi con rapidità lungo il terreno, i miei piedi calpestavano
rumorosamente i fili d'erba sotto di me, ancora bagnati dalle gocce
di pioggia che erano scese per tutto la notte.
Il
cielo non era stato clemente con la terra e aveva riversato su di
essa tutta la furia, come se volesse punirla per i misfatti di cui
essa si era macchiata.
Dovevo
raggiungere casa di Trevor e Rose, avevo deciso di non svegliare
Katerina quella mattina e lasciare che ci occupassimo noi di tutto.
Dovevamo affinare al meglio il piano per ottenere la pietra di luna,
anche se il solo pensiero di entrare nella stanza di Klaus mi faceva
tremare di paura.
Presa
dai miei pensieri, tutti quanti privi di logica a causa dell'ansia
che mi attanagliava nella sua morsa, non mi accorsi di una sagoma, di
qualcuno che era nascosto dietro un albero che stavo accingendomi a
superare.
Alzai
lo sguardo allarmata e vidi un uomo che non avevo mai visto prima.
Aveva più o meno sui trent'anni, era biondo e aveva profondi
occhi verdi. Era di bell'aspetto, alto ma con indosso abiti da
agricoltore sporchi di terra. Non ero un genio, ma non ci misi molto
a fare due più due e a capire chi realmente mi trovavo
di fronte.
L'uomo
piegò la testa da un lato, quasi stesse scrutandomi con
estrema attenzione, e un sorriso ,più simile ad un ghigno
divertito, si allargò sulle sue labbra. Ennesima conferma che
si trattava di lui.
“Sei
più carina dal vivo, piccola Iry.” mi disse.
La
voce non era lontanamente paragonabile all'eleganza nei suoni che
aveva avvolto ogni singola parola pronunciata da Belial nel mio
sogno. Quella era roca, dura e troppo incisiva, quasi fastidiosa.
Senza
contare che in un corpo umano il demone perdeva davvero molto del suo
fascino.
Mi
guardai attorno, assicurandomi che nessuno stesse assistendo alla
scena.
Ma
se anche così fosse stato? Quello sembrava tutto fuorché
un demone vecchio di secoli e secoli.
Eravamo
completamente soli, il cielo ancora velato di grigio lasciava
trasparire dei leggeri raggi di sole attraverso le sue nuvole e
questi investivano i capelli dorati dell'uomo.
Lui
sorrise più largamente, quando mi vide rabbrividire per
qualche istante.
“Quante
volte devo dirtelo che non sono io quello che devi temere?” mi
chiese, lasciando trapelare del leggero sarcasmo e fastidio dalle sue
parole. Non mi lasciai intimidire.
Perché
sei qui? Gesticolai, anche se
pensai non fosse necessario, visto che mi trovavo di fronte ad un
demone e non
ad
un contadino appena tornato dal lavorare la terra.
Lui
fece un passo verso me, facendo scorrere la sua spalla lungo la
corteccia dell'albero alla mia destra.
“Voglio
aiutarti.” disse solo. E chissà per quale insolito
motivo, pensai di non fidarmi. Quel ghigno inquietante che aveva
assunto sul viso non prometteva nulla di buono. “Il vostro
patetico piano di fregare l'ibrido in quel modo andrà a farsi
benedire, lo sai no?”
Sì,
lo sapevo. Ma ero così disperata che sperai potesse davvero
funzionare un piano del genere. Distolsi lo sguardo imbarazzata e
sentendo l'ansia serrare sempre di più il mio cuore nella sua
presa.
Belial
mi mostrò una pietra che aveva nascosto nel palmo e sorrise.
“È un falso. Klaus non dovrebbe accorgersene subito
perché la magia che ho usato su di essa potrebbe ingannarlo
per un po'.” disse, quasi fiero di aver messo appunto un piano
quasi migliore del nostro. Il suo uso del condizionale non mi
convinceva molto.
Allungai
la mano per prendere la pietra, ma lui ritrasse la sua cogliendomi di
sorpresa. Lo guardai in malo modo, come per dirgli che non avevo
altro tempo da perdere con lui e con i suoi capricci.
“Katerina
ti ha svegliata troppo presto l'altra sera.” disse, alzando
l'indice e puntandolo sulla punta del mio naso. Mi ritrassi. “C'è
un'altra cosa che devi assolutamente sapere...”
Detto
ciò, il suo sorriso si spense lentamente.
*
* * *
Flies
with a broken wing, she's ever so graceful, so like an angel
But
i see, tears flow quietly.
Bussai
con forza e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, in modo
che Trevor, e sopratutto Rose, non si accorgessero che avevo pianto
per tutto il tragitto percorso per giungere a casa loro.
La
vampira venne ad aprirmi quasi subito, quando la pelle della mia mano
aveva asciugato via giusto in tempo l'ultima striscia di lacrime
disegnata sulla mia pelle.
“Irina,
che ci fai qui?” mi chiese, aveva gli occhi sbarrati, come se
fosse un cerbiatto che stava fuggendo dal cacciatore. Si accorse
subito che qualcosa non andava in me; anche se il sole alle mie
spalle doveva rendermi il viso una specie di ombra, Rose colse
prontamente quelle gocce che erano state malamente e frettolosamente
cancellate via dal mio volto.
Trevor.
Era
l'unica parola che volevo pronunciare nel silenzio, l'unica che forse
sarei riuscita a dire.
E
l'unica di cui avevo bisogno.
Come
se mi avesse udito, Trevor apparve alle spalle di Rose e mi guardò
con aria confusa. Probabilmente, avevano entrambi il terrore di
trovarsi Klaus alla porta, pronto a staccar loro la testa appena
scoperto che Katerina stava per fuggire grazie al loro aiuto.
“Irina?”
chiese confuso, mentre Rose gli lanciava un'occhiata veloce, trovando
complicità nella perdizione del suo sguardo. “Perché
sei qui? Non avevamo detto...”
Presi
un lunghissimo respiro, scuotendo lievemente la testa e mordendomi la
lingua per non scoppiare di nuovo in lacrime.
Il
piano è cambiato.
*
* * *
The
struggle she's seen this spring, when nothing comes dancing
paying
a handsome fee, and she still smiles at me.
Calma
e sangue freddo.
Ero
sempre stata una persona che non si faceva prendere dal panico o dal
nervosismo, o almeno lo ero prima che giungessi in Inghilterra e
scoprissi quante spaventose realtà esistessero nel mondo.
Mi
trovavo in camera di Klaus, come il piano richiedeva.
Era
tardo pomeriggio, lui era impegnato negli ultimi preparativi della
festa di quella sera e, secondo i nostri calcoli, non sarebbe tornato
così presto da cogliermi con in mano la pietra di luna.
Belial
mi era stato di grande aiuto, permettendomi di attuare un piano
migliore di quello confuso e probabilmente destinato al fallimento
che avevamo ideato noi.
Sapeva
il posto preciso dove si trovava la pietra, così che avrei
impiegato pochi minuti per prenderla, sostituirla con la falsa pietra
e lasciare la stanza. Mentre la stringevo tra le mani, guardando i
suoi bordi bianchi che nel giro di pochi giorni sarebbero stati
macchiati del sangue di Katerina, mi chiesi come potesse un oggetto
così piccolo poter essere fonte di così tanti problemi.
Il
pugno si strinse con forza su di essa, mentre restavo inginocchiata
davanti all'armadio in cui Klaus aveva nascosto l'oggetto, sul suo
doppiofondo.
Ripensai
a ciò che Belial mi aveva detto.
Il
pugno strinse con più forza, con talmente tanta forza che il
dolore si espanse con rapidità lungo i muscoli delle dita.
Eppure non riuscii a distogliermi dal tremore e dalla forza che
applicavo su di essa.
Non
potevo credere di aver fatto una cosa simile.
Mi
sforzai di non pensarci, perché se lo avevo fatto una
ragione c'era.
Ed
era la cosa più giusta che avessi fatto in sedici anni di
vita.
Poi
non sarei potuta tornare indietro, quindi ripensarci era inutile. Mi
alzai in piedi, lentamente, sentendo il tessuto della gonna scivolare
nuovamente lungo le mie gambe e mi voltai verso la porta. Lasciai
tutto come avevo trovato quando ero entrata e corsi ad aprire la
finestra che avevo chiuso al mio arrivo. Venni investita dalla
leggera brezza serale che soffiava quel giorno e che prometteva solo
ulteriore pioggia. Sperai vivamente che non ci si mettesse anche lei
a voler ostacolare il mio piano.
Klaus
si sarebbe accorto troppo tardi che la pietra di luna era scomparsa,
quando Katerina sarebbe già scappata lontana con essa. O
almeno, era quella la mia speranza e ciò che Belial mi aveva
garantito.
Nascosi
la pietra nella piega della scollatura sul mio vestito, in modo che
se avessi incontrato qualcuno in corridoio prima di raggiungere
Katerina, non si sarebbe accorto che l'avevo con me.
Proseguii
rapidamente verso la porta, quando la serratura scattò.
Mi
arrestai di colpo, puntando gli occhi sul legno in mogano della sua
superficie, mentre il battito cardiaco aumentava sempre più e
sempre più a dismisura. Strinsi con forza i pugni, restando
immobile nel centro della stanza e riuscendo a percepire unicamente
il cuore che martellava con forza violenta contro le costole.
Bum
bum. La porta si aprì
lentamente, lasciandomi scorgere una mano dalle dita affusolate che
ne stringeva il pomello.
Bum
bum. Quella mano spinse ancora e
più lentamente la porta, in maniera che la figura nascosta
dietro di essa divenne chiaramente visibile ai
miei occhi.
Bum
bum. I suoi occhi blu
incontrarono i miei e il sangue mi si gelò nelle vene,
immobilizzandomi i muscoli
del corpo che parvero non ascoltare più i miei comandi.
Era
finita? Fu la prima cosa che
pensai, quando vidi Klaus sulla soglia della camera.
Se
avesse scoperto il motivo per cui ero là, era davvero la fine
per me e Katerina.
Il
cuore batteva come impazzito, quasi volesse fuggire in quel preciso
istante. La mia mente, invece, mi ricordò che avevamo già
tenuto conto della probabilità che Klaus entrasse nella stanza
proprio in quel preciso momento e che avevamo già preso in
considerazione un ipotetico comportamento da assumere per
quell'eventualità.
Il
cuore si calmò, molto lentamente, tanto che insieme a lui
sentii anche rilassarsi i muscoli del mio corpo. Sbattei più
volte le palpebre, lasciando gli occhi puntati sull'immagine di Klaus
che si chiudeva la porta alle spalle, con un'espressione di pura
sorpresa ma anche fastidio sul volto.
“Iry,
che ci fai qui?” mi domandò.
La
sua voce lasciava trapelare durezza, malgrado i suoi occhi
mostrassero ben altro. Deglutii, sentendo quel groppo scendere
rumorosamente in gola e distogliendo per un attimo lo sguardo.
Ancora mi sembrava impossibile che Klaus fosse veramente quella
persona che mi era stato descritta.
Avanzò
verso me, continuando a tenere in mano dei fogli e senza distogliere
mai lo sguardo dal mio. I suoi occhi sembravano trafiggermi il volto,
giungendo a riconoscere la sensazione di panico che stavo inutilmente
cercando di nascondere.
L'attrice
non era il lavoro più adatto a me, era ovvio.
“Allora?”
insistette il vampiro, fermandosi a pochi centimetri dal mio viso.
Trovai la forza necessaria per poter alzare lo sguardo su di lui e
trovare il suo, ancora intento a cercare di capire cosa scatenava il
tremore che mi correva lungo le membra.
Come...
La
mano mi si bloccò a mezz'aria, quando mi resi conto che non
riuscivo a portare avanti quella recita, senza lasciarmi andare alla
rabbia o all'odio. Mi parve impossibile.
Klaus
attese in silenzio che continuassi a parlargli e io ricordai a me
stessa che mentire significava salvare Katerina. Allora mi rivestii
di tutte le menzogne che ero pronta ad usare per ingannarlo.
Come
stai?
Domanda
sciocca, innocua ma che poteva comunque servirmi per poter
“ingannare” Klaus. O almeno così credevo. Klaus
affilò lo sguardo, lasciando scorrere le sue iridi blu lungo
il mio viso e mostrandosi relativamente poco convinto. Cedetti
nuovamente al panico, ricredendomi su quella sottospecie di piano che
avevo messo in atto.
Poi,
improvvisamente, lui alzò le sopracciglia e la sua espressione
passò dal tranquillo, al sarcastico. “Sei venuta in
camera mia per chiedermi come sto?” mi domandò.
Era
buffo come trovassi ancora inspiegabile il modo in cui lui rimaneva
sorpreso in situazioni semplici come quella. Anche se quella
situazione non aveva nulla di semplice poiché anche io stavo
facendo il doppio gioco. Provai uno strano senso di colpa nel
prendere il giro il prossimo, ma rammentai che quel prossimo voleva
squarciare la gola a mia sorella.
Il
mio cuore passò dal piangere per il senso di colpa, allo
urlare di rabbia.
Klaus
sorrise, quasi divertito dalla mia mancanza di risposta. “Ti
prego, non te ne approfittare.” disse, portandosi le mani ai
lati della bocca e lasciandovi scorrere le dita. “Non ho
bisogno della tua compassione.”
Usò
quelle ultime quelle parole, unendole all'evidente fastidio che la
mia semplice domanda gli aveva causato. Mi superò, i nostri
vestiti si sfiorarono delicatamente quando mi passò accanto e
un'ondata di calore si espanse lungo il mio corpo, unita ad una lunga
scia fredda che mi attraversò la schiena.
Stavo
per sospirare di sollievo, poiché potevo andarmene da quella
stanza prima di quanto pensassi. Potevo far sembrare terminata lì
la conversazione, visto che non volevo ulteriormente infastidirlo.
O
forse avrei destato sospetti?
Trattenni
il fiato. Odiavo complottare ed elaborare piani per fregare il
prossimo, perché non mi riusciva.
Decisi
così di muovermi verso la porta, fingendomi come afflitta
dall'atteggiamento di Klaus. Ma...
“Elijah
mi ha detto tutto.”
Mi
bloccai.
La
mano tremò, fermandosi tra me e il pomello della porta che
volevo le mie dita raggiungessero.
Giurai
di stare tremando come una foglia, sbarrai lo sguardo e lo tenni
fermo sul legno della porta. Poi li chiusi e mi morsi le labbra presa
dal panico.
“Te
l'avevo detto che se la sarebbe presa e che era meglio non gli
dicessi nulla.” continuò Klaus.
Si
era seduto sul letto, lo compresi dal rumore delle aste in legno
sotto il materasso, che cigolarono sotto il suo peso.
Stavo
di nuovo per sospirare di puro sollievo, sentendomi una sciocca per
aver pensato al peggio.
Mi
girai verso Klaus e mi chiesi quanti secondi, o minuti, fossero
passati dal momento in cui ci eravamo incontrati in quella stanza.
Non
pochi come credevo, dato che lui aveva avuto il tempo di lasciare i
fogli sul comodino accanto al letto, di riempirsi un bicchiere con
del liquore preso dal tavolino vicino alla finestra e sedersi ai
piedi del letto. Klaus fissò con disinteresse il contenuto
color ambra che ballava all'interno di quelle pareti in vetro,
tenendo gli occhi socchiusi.
Alzò
poi lo sguardo su di me, come se volesse dirmi che la discussione non
era affatto finita lì.
E
io tremai.
Tremai
perché sapevo non sarei riuscita a sostenere una finta
conversazione pacifica con l'angelo dalle ali di diavolo. Ma dovevo,
o probabilmente sarei risultata troppo sospettosa.
Asciugai
le mani sudate sulla gonna e mi avvicinai verso lui.
Non
troppo, perché poi mi avrebbe vista rabbrividire. Che ti ha
detto?
Klaus
scosse la testa e storse le labbra, posando lo sguardo in un punto
verso la finestra. “Elijah non è uno che si spertica in
molte parole. Mi ha semplicemente detto di andare all'inferno con uno
sguardo.” disse e si portò il bicchiere alle labbra,
come se volesse rimuovere il residuo di quelle parole dal suo palato
“Ma non ha tutti i torti, stavolta. Non dovevo baciarti per
l'ennesima volta, non con ciò che...”
Si
bloccò, abbassando lo sguardo e rendendosi improvvisamente
meno enigmatico di quanto stesse facendo prima.
Senso
di colpa.
Allora
sai che cos'è, vero Klaus?
Non
seppi come e nemmeno perché, ma vedendo quell'espressione
trovai il coraggio e la forza di mettere in atto quella messinscena
che tanto difficile mi risultava portare avanti. Feci un altro passo
verso lui e Klaus alzò di poco lo sguardo posandolo su un
punto sul mio vestito bianco.
Che?
“Che
t'importa?” Lui rispose prontamente, posando rabbiosamente gli
occhi nei miei. Lunatico come al solito. “Non dovevamo baciarci
e basta,non dovevamo concedercelo. Punto.”
E
gli diedi più che ragione. Viste le circostanze, visto tutto
quello che si nascondeva dietro le sue intenzioni, concederci quel
momento era stato davvero assurdo e irreale. A me faceva male pensare
che fosse stato tutto una menzogna, ma a lui? Sembrava logorato dal
senso di colpa, ma pensai che stesse mentendo. Altrimenti avrebbe
desistito fin da subito dall'intento di uccidere Katerina.
Strinsi
i pugni, pensai che potevo fingermi imbarazzata da quella discussione
e lasciare la stanza.
Sì,
potevo farlo. Sarebbe stato
da me.
Cercai
di voltarmi verso la porta, procedendo a grandi falcate verso essa e
sentendomi più rilassata man mano che la vedevo più
vicina. Sentivo Klaus che mi stava guardando, poi non avvertii più
la pressione dei suoi occhi sulle mie spalle.
Perché
me lo ritrovai di fronte.
Sussultai,
pensando subito che avesse scoperto stessi nascondendo qualcosa, ma
poi mi rasserenai. Klaus restò davanti a me, con il bicchiere
imprigionato nelle dita della sua mano e gli occhi fermi sul mio
volto. Non aveva espressione, solo una maschera di pura freddezza che
non mi permetteva di ipotizzare ciò che stava per dirmi.
Malgrado sapessi che non aveva intuito nulla, mi sentii tremare per
quella vicinanza così troppo improvvisa e difficile da
sopportare. Mi si bloccò il respiro in gola...
“L'amore
è dolore.”
Sobbalzai,
quando Klaus ruppe il silenzio che aleggiava su noi con quelle tre
semplici parole che mi entrarono dentro con violenza. Socchiusi lo
sguardo confusa, colpita da come i suoi occhi si fossero stranamente
illuminati mentre le aveva pronunciate.
“L'amore
uccide. Strappa tutto ciò che racchiudi dentro di te: forza,
pensieri, cuore. Tutto. Ti soffoca, ti ferisce, ti fa
sanguinare...l'amore fa solo ed esclusivamente male.”
Mi
mancava l'aria, poiché Klaus parlava con una tale enfasi che
mi trovai aggrappata ai suoi occhi, mentre aspettavo concludesse quel
discorso di cui non capivo l'origine e non prevedevo la fine.
Un
sorriso, velato di profonda malinconia, si allargò sulle sue
labbra, tanto che per uno stupido istante dimenticai di
trovarmi di fronte l'uomo che voleva uccidere mia sorella.
“L'amore
è tutto ciò che sento mi lega a te.”
Si
bloccò e io mi bloccai con lui.
Il
respiro sembrò non voler più avere nulla a che fare con
i miei polmoni e si liberò dalle catene che lo legavano ad
essi, mentre fissavo confusa Klaus.
Tutto
in me scoppiò con troppa violenza, perché non mi
rendevo capace di capire come potesse farmi un discorso simile
sapendo che il suo unico obiettivo era quello di uccidere mia
sorella, divenire più forte e lasciarmi sola per l'intera
esistenza.
Non
era forse quello, il suo obiettivo?
Iniziai
a sentirmi gli occhi pungermi per le lacrime di rabbia; quelle
volevano liberarsi repentinamente dal mio sguardo e potersi così
sfogare.
O
forse erano lacrime di dispiacere, perché avrei anche potuto
apprezzare quel discorso in una situazione reale? Non lo sapevo
nemmeno io.
“Ma
ci sono troppe variabili in gioco e non parlo solo del fatto che tu
ami lui...” continuò Klaus e pensai amaramente
che sapevo non si trattava di Elijah. Mi trattenni dallo
scoppiare per rabbia, odio e disperazione e abbassai lo sguardo. “E
ho imparato una lezione in questo tempo che mai avrei pensato di
poter apprendere, perché se c'è una cosa che
odio...sono gli sciocchi sentimentalismi che voi mortali amate con
tutto il cuore.” Storse il naso pronunciando le ultime parole,
mostrando il suo più totale ribrezzo per la nostra specie. Non
mi spiegò di cosa si trattava, come se non volesse dirmelo o
semplicemente stesse aspettando che gli facessi io stessa un segnale
affinché mi spiegasse.
Non
doveva importamene, eppure volevo vedere fino a che punto sarebbe
arrivato.
Cosa?
Klaus
abbassò lentamente lo sguardo, facendolo scivolare su di me
fino a quando non si posò sul pavimento. Si cibò del
silenzio che ci pervadeva, per fare in modo che potesse trovare la
forza di continuare.
“Augurarsi
il meglio per chi si ama, anche se questo comporta soffrire.”
disse. “E il meglio per te, è stare lontano da me. Il
più possibile...visto il male che potrei arrecarti.”
Il
cuore ebbe un singulto, mentre guardavo gli occhi di Klaus penetrare
nei miei in quella maniera, quasi volessero cercare le mie lacrime
per poter nascondere quelle che avrebbero potuto essere le sue.
Ma
come poteva farmi un discorso simile, con la storia del rituale che
incombeva?
Si
sentiva in colpa? Allora perché non rinunciarvi?
Pensai
di fare come avevo fatto con Elijah, di affrontarlo, ma poi mi
diedi della stupida per aver avuto anche solo per un secondo l'idea
di potergliene parlare.
Klaus
era irascibile, era lunatico ed era egoista, non lo si poteva negare.
Anche
se con me, in quel momento, non lo era affatto.
E
io non sapevo come combattere quella nascente sensazione che lui,
probabilmente, avrebbe salvato mia sorella seguendo il piano di
Elijah.
Ma
questo non cambiava il mio piano purtroppo.
“Sono
da secoli che non ho sentito qualcosa di simile per una persona, per
una ragazzina come te poi.” ridacchiò, quasi il suo
sentimento per me lo divertisse. “Hai riacceso una fiamma che
doveva restare spenta, assopita nell'oscurità di una
vita in cui non ci doveva essere amore. A noi vampiri basta un soffio
per spegnerla...una cosa semplicissima. Eppure, io non riesco a
farlo...non ora che ho incontrato te.”
Parlava
con una tale enfasi che provai uno strano ed inspiegabile senso di
dispiacere per lui, nel sentirlo parlare in quel modo del suo rifiuto
nell'amare, per poter adempiere a qualcosa che considerava più
grande di quello stesso sentimento.
Ma
sacrificare mia sorella non aveva scusanti. Quello non era amore, non
quello vero almeno.
Che
dovevo fare quindi? Mostrarmi colpita dalle sue parole o uscire da
quella stanza non mostrando alcun interesse per ciò che avevo
udito? Una Irina tranquilla, serena e per nulla sospettosa avrebbe
reagito solo in una maniera a quelle parole.
Tesi
la mano verso il suo volto, lentamente e alzandomi sulla punta dei
piedi per poterlo raggiungere, sentii la pelle del viso di Klaus
tendersi sotto i miei polpastrelli quando gli sfiorai una guancia.
Io
tremai, lui rabbrividii per un attimo.
Come
potevo recitare in quella maniera? Semplicemente, sentii di fare
molta leva sulla parte di me, quella più debole e più
fiacca, che si era sentita colpita da quella parole.
La
parte di me che stava inesorabilmente morendo in quel giorno.
Non
dissi nulla, nessun gesto o nessun movimento di labbra che potesse
darmi voce. Nulla.
Quel
gesto così poco spontaneo mi era bastato.
Klaus
chiuse gli occhi quando lo superai e dentro di me, malgrado tutto,
pensai due parole.
Addio
Klaus.
Dissi
addio al Klaus che avevo conosciuto, al Klaus che avrei creduto di
poter scoprire sempre più, a quello che avevo conosciuto in
tutto quel tempo. Quello che purtroppo non era mai esistito.
Klaus
non si trattenne, alzò la mano libera e sfiorò
delicatamente la mia con le sue dita.
Trattenni
il fiato, mentre le sue labbra si posavano sul palmo della mia mano,
baciandone con delicatezza la pelle. Il calore che mi trasmise
attraverso quel gesto mi privò di tutto quello che stava
muovendomi in quel momento. Paura, odio, rabbia...
“Ora
vai. O farai tardi.” mi disse.
Tardi
per la festa. Non seppe nemmeno che, con quelle parole, stava
ricordandomi che stavo facendo tardi per la fine di tutto.
Abbozzai
un sorriso e mi allontanai a passo svelto, sfiorandogli
involontariamente la spalla e avvicinandomi alla porta. I suoi occhi
mi seguirono, fino a quando non scomparvi dietro l'angolo.
And
i can't take it, i can't help but wonder
Why
do we sacrifice the beautiful ones?
How
do you break a heart of gold?
Why
do we sacrifice our beautiful souls?
Heroes
of tales unsung, untold.
*
* * *
Pensavo
che i piani consistessero in fasi diverse.
C'era
la parte facile, quella risolvibile con estrema semplicità, e
quella più difficile, quella che faceva tremare il corpo e
battere forte il cuore nel petto, in preda all'ansia di non poter
riuscire a portarlo a termine. Allora perché il mio piano
consisteva solo ed unicamente in parti estremamente ardue?
Dallo
scontro con Klaus, che miracolosamente era finito bene, alle fasi del
piano che mi stavo accingendo ad eseguire era tutto troppo difficile.
Ce
l'avrei fatta? Mentii così tante volte a me stessa, mentre
camminavo nel buio della foresta, che riuscii persino a convincermi
di essere realmente forte abbastanza da sostenere da sola il peso di
quel piano.
La
villa di Klaus era ancora in festa.
Malgrado
mi fossi allontanata parecchio, malgrado tutto il mondo attorno a me
si fosse improvvisamente arrestato per lasciarmi ascoltare in pace i
miei pensieri, mi sembrava ancora di udire il vociare delle persone
che ne avevano preso parte.
Nessuno
si sarebbe accorto della nostra mancanza, vista la folla di
persone che si trovava all'interno dell'abitazione. Almeno non troppo
presto, Katerina sarebbe sicuramente stata già lontana, una
volta che Klaus si fosse accorto della sua assenza. Io avrei permesso
una cosa simile.
“Eccola
finalmente!”
Alzai
di scatto lo sguardo e lo puntai sulle tre figure che, nel buio, si
trovavano a pochi passi da me. Riconobbi il volto di Trevor, il quale
teneva in mano una torcia fiammeggiante che illuminava anche i volti
delle due ragazze accanto a sé. Katerina sorrideva rincuorata
nel vedermi sana e salva mentre procedevo verso lei; sorrideva ma il
corpo era talmente teso che riconobbi i brividi del panico e della
tensione che le attraversavano la pelle. Rose invece era seria,
troppo seria, e temetti potesse mandare a monte ciò che
le avevo detto quel pomeriggio, cosa che sicuramente avrebbe provato
a fare.
La
fiamma che illuminava i loro visi venne mossa dal leggero vento che
soffiava quella notte. L'odore di pioggia era ancora nell'aria, ma
sembrava che almeno il cielo mi fosse favorevole quel giorno e
volesse attendere un po' prima di gettare le sue gocce contro la
terra.
“Tutto
bene? Klaus ti ha fatto del male?” Katerina si mosse rapida
verso me, per incontrarmi a metà strada nel tragitto che ci
separava. Continuava a sorridere, ma avendola più vicina mi
accorsi che tremava più di quanto sembrasse da lontano.
Persino
le sue labbra sembravano non riuscire a smettere di tremolare.
Mi
fermai, guardando i suoi occhi scurissimi e sentendomi pervadere da
un'altra sensazione che non avevo mai provato in quella giornata.
Quella malinconia crescente che mi saliva nel petto ricordandomi che
dovevo avere il potere di farlo...
Tesi
la mano verso lei, quella che stringeva la pietra di luna, e la posai
sul palmo della sua. Katerina sorrise sollevata, senza domandarsi
nemmeno come mai il nostro piano avventato e destinato a finire in
malo modo fosse, invece, così ben riuscito. Non le importava,
le importava solo che noi, insieme, avremmo lasciato quella terra
degli orrori per correre via, il più lontano possibile, in un
posto in cui avremmo potuto portare avanti le nostre vite.
Un
posto in cui nasconderci.
Ma
un tale posto non esisteva.
“Bene.
Ora partiamo subito...non c'è tempo da perdere.”
Katerina perse il sorriso, strinse la pietra con entrambe le mani,
continuando a tremare, e voltandosi verso i due cavalli che,
immobili, assistevano alla scena, restando alle spalle di Trevor e
Rose.
Non
si accorse che io era rimasta immobile, guardando la sua figura
allontanarsi velocemente e sentendola già così distante
che quasi mi sentii male.
Volsi
lo sguardo verso Trevor che comprese prontamente che era arrivato il
turno di intervenire e mettere in atto il mio piano.
Rose
chiuse gli occhi, notai i suoi pugni serrarsi con forza accanto alle
gambe, mentre Trevor si avvicinava rapidamente a mia sorella,
bloccandole il passaggio.
Lei
alzò lo sguardo su di lui, i suoi ricci scuri si mossero nel
vento mentre mi immaginai i suoi occhi innocenti fissare con aria
interrogativa il volto del vampiro.
Trevor
si mosse rapido; le prese il viso tra le mani e puntò gli
occhi nei suoi.
Katerina
oppose un attimo resistenza, stringendogli i polsi, cercando di
allontanarlo e gridandogli di lasciarla andare. Rose fu tentata dal
muoversi verso di lui, ma il mio sguardo parve impedirglielo.
“Ora,
Katerina, tu lascerai il paese. Da sola.” Trevor iniziò
a parlare e mia sorella si bloccò, smettendo di divincolarsi e
di gridare e ascoltando attentamente le parole del vampiro. Mi parve
di vedere le lame nella voce di Trevor penetrarle nello sguardo, per
giungere alla sua mente e offuscarne il volere, sopprimendo tutti i
pensieri che doveva avere in quel momento ad aleggiarle dentro.
Strinsi
i pugni, sforzandomi di non scoppiare in lacrime in quel momento.
Non
potevo permettermelo. Katerina sarebbe stata salva grazie a me, la
mia futura solitudine non contava nulla. Lei avrebbe vissuto
libera per il resto della sua vita.
“Scapperai
il più lontano possibile, sempre da sola, raggiungerai il
confine a cavallo e ti metterai in salvo. Irina ti raggiungerà
appena possibile e starete insieme per sempre.”
Trevor
parlò in altri termini rispetto a quelli che gli avevo
chiesto, elaborando però sempre lo stesso concetto, come se
volesse convincere anche se stesso, mentre imprimeva quei pensieri
nella mente di mia sorella. Peccato che probabilmente,
quell'imposizione di volontà celava una menzogna.
Appena
tutto terminò, appena Katerina si volse verso me, con le
lacrime che le avevano rigato il viso, quando era ancora libera di
avere i suoi pensieri e il suo volere, compresi che non c'era potere
migliore, potere più grande di quello di sapere dire addio.
E
io dovevo dirle addio. Dovevo riuscire a dirle addio.
Perché
la probabilità che non l'avrei più rivista c'era.
E
per quanto mi risultasse difficile farlo, dovevo accettare il fatto
che dovevo lasciarla andare. Era la cosa migliore e dovevo frenare il
mio innato egoismo che mi spingeva quasi a mandare a monte tutto e
fuggire insieme con lei, come doveva essere. Ma poi l'avrei persa
probabilmente.
E
io preferivo averla lontana ma in vita, invece che averla vicina e
sempre prossima alla morte.
Katerina
mi sorrise, le labbra si allargarono in un sorriso malinconico che
probabilmente apparteneva alla parte di lei che combatteva contro la
voce di Trevor dentro la sua testa, quasi volesse liberarsi da quel
volere e costringermi a seguirla come doveva essere. Ci mancò
poco che scoppiassi a piangere.
“A
presto, sorellina.” disse, con un filo di voce.
Le
sue parole parvero disperdersi nella notte, nell'oscurità più
buia che in quel giorno ci aveva strette nel suo freddo abbraccio. Mi
consolò il fatto che, almeno per lei, potermi dire addio
risultò più facile di quanto potesse esserlo per me.
Anche se il suo non era un addio, ma un arrivederci, perché io
volevo continuasse a sperare che ci saremmo rincontrate un giorno.
Poteva anche essere così.
Spero
un giorno tu possa perdonarmi, lo sto facendo per te.
Trevor
e Rose rimasero muti spettatori di quell'addio annunciato nel
silenzio, poi mia sorella si allontanò e Trevor la seguì,
prendendo le redini del cavallo su cui lei sarebbe partita.
Nel
mio piano anche Rose avrebbe dovuto seguirla, ma lei non si
mosse.
Mi
guardò fisso negli occhi e si avvicinò con rapidi passi
verso me. Le gambe che si muovevano sotto la gonna provocarono uno
strano rumore scontrandosi con la stoffa del suo abito.
“Rose?”
la richiamò Trevor, voltandosi un attimo verso di lei, ma la
vampira lo ignorò, continuando a guardarmi fisso in volto.
Cercai di non farmi intimidire dalla sua espressione dura, di non
farmi convincere dalla durezza delle parole che mi avrebbe rivolto,
di non farmi sopratutto commuovere dall'amicizia che mi aveva
mostrato in tutto quel tempo e che avrebbe ulteriormente dimostrato
in quel frangente.
“Perché
lo stai facendo, Irina? Perché stai praticamente compiendo
questo suicidio?!” mi chiese, con un tono di voce leggermente
alzato. Trevor la richiamò, ma lei continuò a non
curarsi di lui.
Guardai
le spalle di mia sorella, mentre procedeva accanto al vampiro,
quest'ultimo, fortunatamente, non si era fermato malgrado Rose stesse
quasi mandando a monte il piano.
Non
gliene diedi una colpa però, io probabilmente avrei fatto lo
stesso per lei. Comunque decisi di non darle alcuna risposta, mi
girai verso la strada che avevo intrapreso per giungere fino a là
e mi preparai a proseguirla nuovamente.
Rose
non mi permise di compiere nessun'altro passo.
Mi
ritrovai scaraventata a terra senza nemmeno rendermene conto.
Nell'impatto con il terreno, avevo sbattuto violentemente il braccio
che iniziò subito a pulsare di dolore. Gemetti, guardando la
vampira in piedi accanto a me che respirava velocemente, troppo
velocemente, tanto che non riuscì a trattenere le lacrime che
volevano scenderle lungo il viso.
Se
le asciugò con il palmo della mano, mentre io restavo distesa
a terra.
Perché
diavolo piangeva? Non capiva che così mi rendeva tutto più
difficile?
Non
volevo le lacrime, volevo solo comprendesse che quello che stavo
facendo era la cosa più giusta. Ma come poteva farlo, non
sapendo la verità?
“Io
non ti lascerò tornare indietro.” Rose scosse la testa,
tremando di rabbia. “Non ti lascerò mettere in atto
questo folle piano e adesso tu te ne andrai con Katerina. Non
m'importa nulla di quello che stai nascondendo, non lascerò
che tu lo faccia!” La vampira serrò le labbra, sentiva
persino i denti batterle in preda alla rabbia. Le sue parole uscirono
perciò trattenute, probabilmente niente le avrebbe impedito di
urlarmi in faccia in quel momento.
Perché?
Mi
alzai in piedi lentamente, chiedendole perché doveva mettermi
i bastoni tra le ruote.
Quello
che stavo facendo non era solo per salvare Katerina, ma anche lei e
Trevor.
Possibile
che non se ne rendesse conto?
“Perché
sei mia amica.” Rose non mi sorprese con quella risposta,
sapevo già che avrebbe replicato in quella maniera. “E
so che sei così pazza da poter credere di salvare tutti quelli
che ami, ma non te lo permetterò. Mi dispiace.” Scosse
la testa e io con lei.
Riuscii
a non piangere di fronte a quelle parole per puro miracolo, perché
la forza di riuscire a dire addio era l'unica volontà che mi
ritrovavo a possedere in quel momento.
Tutto
il resto, era solo da ignorare.
Le
sorrisi. Grazie.
Rose
mi guardò atterrita, senza capire. Il gesto che avvenne dopo
la stupì.
Non
seppi come, ma riuscii a prendere in mano la forza dei miei poteri
con estrema facilità e spinsi a terra la vampira. Sentirla
gemere di dolore fu una pena per le mie orecchie, un segno di via
libera per le mie lacrime che scorsero lungo le guance mentre un
sorriso malinconico si allargava sulle mie labbra.
Sì,
piangevo e sorridevo. Perché stavo dicendo addio ad un'amica,
sicura che lei mi avrebbe odiata per aver utilizzato la mia forza
contro di lei, ma perché dentro di me sapevo lo stavo facendo
per il suo bene. Lei cadde a terra distesa, tossendo per il dolore
causato dall'impatto con il terreno e la guardai cercare di rialzarsi
in piedi a fatica.
Poi
volsi un'ultima occhiata verso Katerina e Trevor.
Lui
mi guardava quasi incollerito, lei invece continuava a darmi le
spalle, guardando fisso davanti a sé, quasi sapesse che il suo
futuro fosse il guardare avanti, non indietro. Rose alzò lo
sguardo verso me, continuando a piangere in silenzio perché
era così orgogliosa da lasciarsi andare ad un muto dolore,
senza però vergognarsi di dimostrarlo.
Non
avrei mai pensato potesse essere così difficile dire addio a
loro. Era un dolore insostenibile.
Chiusi
gli occhi e intrapresi la strada che mi avrebbe condotta di nuovo
alla villa di Klaus.
Dentro
la mia testa, solo dei saluti di addio.
Addio
Rose. Amica mia.
Addio
Katerina. Sei la mia vita.
*
* * *
Sweet
as an angel sings, she gives though she has none left
but
the last one, free, unhesitatingly.
Tenevo
tutto a mente, come se fossi diario.
Il
mio piano consisteva in tre fasi, una più complicata
dell'altra.
Le
prime due erano state superate, mancava solo la terza e sperai con
tutto il cuore che sarebbe andata a buon fine. E dopo...dopo non
sapevo cosa mi aspettava, se non la consapevolezza di essere riuscita
a proteggere tutti coloro che volevo fossero al sicuro.
La
festa era finita da poco. Camminavo per i corridoi, ignorando le
persone gioiose che stavano abbandonando la villa per poter
raggiungere le loro carrozze e tornare a casa.
Quel
posto in cui si era al sicuro. Quel posto in cui ci si poteva
nascondere dalla paura.
Quel
posto che io non avevo mai avuto.
Continuai
a camminare, invisibile come un fantasma, e tenendo il mantello che
avevo indossato stretto contro il mio petto. Passai davanti alla
camera dei libri e la trovai socchiusa; dall'interno sembrava
provenire la luce delle candele accese che rischiaravano l'oscurità
all'interno della stanza.
Non
mi sorpresi di trovarlo là, seduto sulla poltrona con
un libro aperto tra le mani.
L'espressione
era assorta nei suoi pensieri, mentre gli occhi scuri, che scorrevano
lungo le parole scritte su quelle pagine ingiallite, lasciava
trasparire parecchia preoccupazione e rammarico.
Per
cosa era più che evidente, almeno per me. Chi non fosse stato
a conoscenza di quello che era successo, non avrebbe mai davvero
potuto tradurre quell'espressione sul volto di Elijah.
Mi
chiesi perché volevo andare da lui. Parlargli non era nel
piano.
Ma
in ogni piano, c'era sempre un inaspettato contrattempo da affrontare
e io volli farlo.
Entrai
lentamente nella stanza, provando uno strano senso di inquietudine.
Come se nemmeno più a lui riuscissi ad avvicinarmi
naturalmente, malgrado sapessi che aveva in mente di salvare mia
sorella.
Lui
alzò lentamente lo sguardo su di me e capii che doveva già
essersi accorto da molto prima della mia presenza, ma non aveva
voluto in alcun modo forzarmi ad entrare.
Scorsi
la mia ombra allungarsi sul pavimento, privandolo in parte della luce
che si diradava sopra di esso e rimasi a debita distanza. Continuai a
stringere il mantello al mio ventre, sentendo le mani sudare sotto il
suo pesante tessuto e tenendo lo sguardo fisso sulla copertina scura
del libro che lui stava leggendo. Non capivo perché ero
entrata, sentivo solo che avevo avuto il bisogno di farlo.
Elijah
mi guardò in silenzio, mi parve impossibile identificare i
suoi pensieri in quel momento.
Ruppe
il silenzio. “Hai lasciato presto la festa.”disse; più
che un appunto, mi sembrò che si trattasse di una semplice
constatazione. Aveva messo in conto che non avrei preso parte alla
festa, ma non seppi dire con certezza se sospettava quello che era
successo. Per come mi conosceva, non mi sarei stupita di scoprire che
sapeva della fuga di Katerina ma preferiva tacere al riguardo.
Vedendo
che non rispondevo, e non avendo lui stesso bisogno di una risposta,
distolse lo sguardo e chiuse il libro con lentezza. Il rumore delle
pagine che si scontravano fra loro fu l'unico rumore che s'insinuò
in quell'assurdo silenzio. Non sentivo nemmeno il mio respiro, tanto
ero assorta nella sua espressione e nei miei pensieri, ridotti ad
essere sempre gli stessi.
Elijah
schioccò la lingua, poi alzò nuovamente lo sguardo
verso me. I suoi occhi erano ermetici, non riuscivo proprio a
comprendere cosa stesse provando in quel momento. Mi parve di vedere
delle rabbia, ma non rivolta verso me, della malinconia, della lotta
con se stesso e del senso di colpa, tante cose ben distinte tra
loro ma che seguivano la stessa linea: quella del dolore.
“Perché
sei qui? Volevi dirmi qualcosa?” mi domandò poi, con
fare apprensivo.
Non
doveva aspettarsi che lo avrei raggiunto quella sera, né mai.
Forse
perché era convinto non gli avrei più rivolto la parola
dopo aver scoperto del sacrificio, cosa che, effettivamente, avrei
fatto se lui non avesse cercato di impedirlo.
Se
avesse saputo...
Sospirai
e gli dissi che avevo alcune domande da fargli, alcune così
assurde che persino mi vergognai a porgliele vista la nostra
situazione. Ma il tempo doveva pur scorrere in qualche modo.
Lui
mi guardò in attesa, trattenendo ancora lo stupore che si
stava disegnando sul suo volto.
Mi
sedetti nella poltrona alla sua destra, restando comunque distante da
lui e stringendomi sempre il mantello contro il petto, per far sì
che lui non mi vedesse tremare.
Perché?
Fu
quella la domanda che avevo in mente da un giorno a quella parte, da
quando Belial mi aveva rivelato la verità che li riguardava.
Elijah mi guardò a lungo, per assicurarsi che desiderassi
davvero la risposta a quella domanda.
“Perché
Klaus è disposto a fare...una cosa simile?” mi domandò
e io annuii con estrema prontezza.
Mi
sembrò facesse troppo caldo in quella stanza. Le finestre
erano chiuse e le candele illuminavano completamente la stanza con le
loro fiamme, ogni tanto queste ballavano, per colpa di uno spiffero
magari, e così si creavano delle zone d'ombra sui nostri
volti.
Quasi
non volli più sapere la risposta, quando abbassai lo sguardo.
Perché
il fatto che Klaus fosse davvero disposto a fare una cosa simile mi
bastava per provare un dolore immenso che mi soffocava il respiro e
mi strappava via il cuore e l'anima. Non c'era giustificazione al suo
comportamento, ma io ero così stupida da voler sapere cosa
c'era di così importante nel rompere quella maledizione.
Cosa
fosse più importante della vita di mia sorella.
Cosa
fosse più importante del mio affetto.
Deglutii,
cancellando via quell'ultimo pensiero dalla mia mente.
“Per
diventare più forte. Per poter avere finalmente il potere
necessario per sconfiggere Mikael. Per crearsi una sua stirpe di
simili.” Elijah fece l'elenco delle motivazioni che si potevano
nascondere dietro il volere di Klaus, ma anche lui mi parve non
comprenderle appieno.
Scossi
la testa incredula, chiudendo gli occhi e portandomi le mani al
volto, per mascherare con i miei palmi lo stupore che doveva essere
apparsa su di esso.
E
io? Domandai poi, battendo i
palmi delle mani sulle ginocchia.
Bella
questione quella; che voleva fare di me Klaus? Dopo la morte di
Katerina, cosa ne sarebbe stato di me? Non che la cosa m'importasse,
visto che avevo già risolto la cosa, ma ero davvero curiosa di
sapere fino a che punto Klaus era disposto a spingersi con me, pur di
compiere quello stupido rituale.
E
volevo sapere perché farmi giungere in Inghilterra, sapendo
che voleva ammazzarmi la sorella.
Elijah
abbassò di nuovo gli occhi, posando con lentezza il libro che
stava leggendo sul tavolino in legno accanto a sé, dove una
candela ci separava attraverso la sua fiamma.
“All'inizio,
quando Katerina sentì il bisogno di averti accanto, Klaus la
prese come un gioco. Pensò di uccidere anche te facendoti
venire qui. Una vita in più, una in meno, non gli importava.”
rispose Elijah.
Il
cuore si fermò nel petto, improvvisamente. Mi parve di non
sentirlo più battere, che avesse perso la forza di continuare
a pompare sangue dentro il mio corpo, dopo aver udito quelle parole.
Distolsi
lo sguardo, posandolo sui miei piedi e trattenendo le lacrime causate
da cosa nemmeno sapevo dirlo. Forse rabbia, forse tristezza di non
contare davvero così tanto per lui.
Ma
di che mi stupivo dopo tutto?
“Poi,
con il tempo, è passato a voler far passare la morte di
Katerina per un incidente, così che tu non saresti mai venuta
a scoprire la verità.” aggiunse poi Elijah, parlando con
un leggero pizzico di colpa, perché probabilmente non se la
sentiva di parlare di suo fratello in quei termini, ma non voleva
comunque negarmi di nuovo la verità. Si sentiva colpevole come
lui.
Lo
guardai attentamente, trattenendo il respiro.
E
tu?
Elijah
mi guardò a lungo, quando mossi le mani in quella domanda.
Socchiuse lo sguardo e lo abbassò su un punto tra me e lui.
“Io non ho mai voluto che tu venissi qui.” mi disse, più
sincero che mai.
Strinsi
i pugni sopra il mantello sulle ginocchia. “Perché non
trovavo giusto che anche tu pagassi con la vita per questa
maledizione...conoscendoti poi mi sono quasi dimenticato di quello
che ci sarebbe stato in futuro.” I suoi occhi mi scrutarono a
lungo e io avvampai. “Ma ora rimango ancora di questo parere,
visto che da quando sei giunta qui non hai fatto altro che soffrire.”
E
far soffrire. Ero stata molto
brava a fare anche quello, non lo potevo nascondere.
Tenni
la testa alta, nella sua direzione, ma gli occhi decisi di lasciarli
fissi sul pavimento, perché mi sembrava di non farcela a
sostenere i suoi.
Intanto
il tempo passava, inesorabilmente, e il momento si avvicinava.
Calò
un profondo silenzio, rotto unicamente dal leggero rumore delle
fiamme che bruciavano sulle candele. “Ora devo farti io una
domanda.” Elijah si fece improvvisamente più serio e
deciso, mettendo da parte la colpa e la malinconia che aveva
macchiato la sua voce poco prima.
Alzai
lo sguardo stupita e il cuore ebbe un sussulto nel petto.
Non
riuscivo proprio ad ipotizzare cosa stesse per chiedermi.
“Perché
sei qui adesso?” Lasciò che il silenzio ci circondasse
di nuovo, mentre i secondi battevano sempre più e il cuore
accelerava il suo movimento dentro il mio petto. “Perché
ti sei fidata di me ieri, dicendomi di sapere del rituale? Io non
sono poi tanto diverso da Klaus, avrei lasciato morire tua sorella se
non ti avessi mai incontrata. Senza contare che, per te, ieri dovevo
essere sullo stesso piano di mio fratello, eppure non hai esitato a
dirmi di sapere la verità.”
Portai
lo sguardo altrove, su un punto sulla libreria alla parete di fronte
a noi, la porta era ancora socchiusa e riconobbi il movimento di
alcune ombre che si muovevano rapidamente fuori dal corridoio.
Trattenni
il respiro, rendendomi conto di non avere una risposta che risuonasse
logica a quella domanda. Ero stata stupida a rivelarglielo così
apertamente la sera prima, era quello ciò che lui voleva farmi
capire, ma il problema era che una cosa del genere mi sembrava troppo
inverosimile e sentivo che l'unico che non mi avrebbe mentito al
riguardo era lui.
Su
Klaus non sapevo proprio dirlo. Lui era il diretto interessato in
quella faccenda e rivelarglielo...mi avrebbe spaventato. Proprio come
era successo pochissime ore prima.
Mi
fido di te. Era l'unica risposta
che seppi dargli.
“Beh,
fidarti di tutti è sempre stato il tuo più grande
errore.” Elijah quasi mi stava rimproverando, ma la durezza
delle sue parole veniva soffocata dalla delicatezza con cui voleva
rivolgersi a me in quella data situazione. Sentivo i suoi occhi fissi
su di me, come se stessero in qualche modo richiamando il mio
sguardo, ma li ignorai. Non ce la facevo a ricambiarlo in quel
momento. “Avrei potuto ucciderti pur di mantenere il segreto.
Niente poteva farti credere il contrario.”
So
che non l'avresti mai fatto.
Ma
non gli dissi quelle parole, a cui preferii rimanere immobile e in
silenzio.
Elijah
si protese verso me, tanto che sentii il suo respiro caldo soffiarmi
sulle guancia sinistra.
Un
lungo brivido mi corse lungo la spina dorsale, diradandosi poi in
tutto il corpo.
“Potrei
anche aver recitato ieri sera e potrei ucciderti in questo preciso
istante. Nessuno se ne accorgerebbe.” mi disse ancora, parlando
con una tonalità più bassa, tanto che la sua voce
divenne talmente profonda da risultare spaventosa.
Deglutii
e mi voltai con sicurezza verso di lui. So che non lo
farai. Le mie mani si mossero di
nuovo.
Elijah
abbozzò un sorrisetto. “Ora lo sai, ma ieri no.”
ripeté, facendo così in modo che distogliessi di nuovo
lo sguardo e lo posassi su un punto lontano dal suo volto.
Con
la coda dell'occhio, mi accorsi che la sua espressione era mutata e
che aveva interrotto per un istante il contatto visivo con il mio
volto, abbassando le palpebre. Calò il silenzio, ma io sentivo
tutti i rumori con cui il mio petto e la mia testa mi riempivano il
corpo.
“E
Klaus? Perché di lui non ti sei fidata? Con quello che è
successo tra voi, dopo quello che hai scoperto di provare...”
Elijah abbassò lo sguardo, della lieve irritazione mascherò
le sue parole e mi voltai nuovamente a guardarlo e ancora arrossii.
Sbattei più volte le palpebre, ritrovandomi nuovamente senza
risposta. Il fatto era che, dopo che Belial mi aveva rivelato la
verità, avevo di nuovo provato paura per lui, quella paura
primordiale che era stata all'origine del nostro rapporto. E, dopo
quello che era successo, non credevo di riuscire a sostenere il
crollo di quelle barriere, fatte però di menzogne, che avevano
solidificato il nostro legame.
Elijah
sospirò, rinunciando ad ottenere una risposta che doveva aver
trovato da solo.
“Klaus
potrebbe accettare la mia proposta, lo potrebbe fare davvero.”
No,
non lo farà mai. Da come
parlava quella mattina, da come mi diceva che mi avrebbe fatto
davvero male, avevo ben capito che avrebbe ucciso mia sorella senza
ripensamenti.
Elijah
mi posò una mano sulla spalla, facendo in modo che lo
guardassi. “Devi fidarti di me. Ce la farò a
convincerlo.” disse.
Mi
voltai verso di lui, di nuovo, e ritrovandomi improvvisamente armata
del coraggio necessario per poter sostenere il suo sguardo. Lui era
freddo, impassibile come al solito, ma per come lo conoscevo,
riconobbi in quello sguardo il senso di colpa che condivideva con me.
Non sapeva cosa avevo appena fatto...
Perché
dici così? Gli chiesi,
muovendo lentamente le dita.
Lui
abbassò lo sguardo e prese un lungo respiro. “Perché
voglio sperare che quello che nutre per te lo spinga a desistere.”
mi spiegò e non riuscii a dirgli che pensavo il contrario, che
non credevo che Klaus sarebbe disposto a rinunciare a una cosa così
grande per me.
Lo
guardai a lungo, trattenendo il fiato e contando i secondi che si
rincorrevano tra loro in quel silenzio.
Scossi
la testa. Mi dispiace.
Non
seppi dire come aveva fatto a comprendere ciò che stavo
dicendogli, perché non usai né gesti e nemmeno
movimenti delle labbra per potergli trasmettere il mio dispiacere. Ma
lui mi conosceva bene, e sapeva tradurre benissimo la voce del mio
cuore e le parole scritte nel mio sguardo.
“Ti
dispiace? Per cosa?” mi domandò.
Per
tutto. Per averlo deluso troppe
volte, per averlo ferito come mai avrei dovuto, per avergli fatto del
male. Lui non lo meritava.
Elijah
abbozzò un sorriso, con cui parve volermi un po' rincuorare,
malgrado la brutta atmosfera che sembrava circondarci, anche se non
per colpa nostra. “Non importa più ormai.” disse e
abbassò lo sguardo. “Le cose hanno preso ormai la piega
che non volevo prendessero. Dobbiamo preoccuparci di questo e mettere
da parte ciò che è successo in passato. Quello che ci
circonda adesso è ben più grande, Irina.”
Abbassai
di nuovo lo sguardo,stringendomi di più il mantello contro il
petto e ascoltando il rumore del silenzio che ci pervadeva. Era
strano quanto potesse risultare assordante una quiete del genere,
quando non si era capace di mettere a tacere i sentimenti che
muovevano i nostri animi. La discussione del bacio era scemata solo
perché c'era qualcosa di ben più grande in ballo; se
così non fosse stato, ero certa che avrei davvero perso Elijah
per sempre. E lui non meritava una persona sbagliata come me.
Chiusi
gli occhi, prendendo un lunghissimo respiro che fece male, mentre
giungeva al mio petto.
Mi
alzai in piedi, dicendo a me stessa che era ora di andare e mi
diressi verso la porta, rammentando a me stessa che il piano
doveva proseguire. Muovendomi però verso l'uscita di quella
stanza, colsi un veloce rumore alle mie spalle, come di qualcuno che
era scattato in piedi e si era avvicinato rapidamente alle mie
spalle.
“Io
ti conosco, Irina.” disse la voce profonda di Elijah, mentre le
mie dita circondarono il pomello della porta. Il respiro mi si bloccò
in gola, appena avvertii la sua presenza così vicina alla mia
schiena.
Dovevo
voltarmi a guardarlo, ma non ce la feci per paura di scoppiare di
nuovo in lacrime, cosa che non potevo assolutamente permettermi viste
le circostanze. Perciò chiusi gli occhi, immaginandomi la sua
espressione mentre mi
rivolgeva parole che non ero in grado di prevedere. La mano tremò
sul pomello.
“So
cosa avresti fatto se non ci fosse stata questa storia del rituale a
sconvolgerti la vita....” disse ancora e sorrisi al pensiero
che mi conoscesse così bene. “Per il bacio con Klaus,
per la faccenda di Belial, sono sicuro che avresti preso quella
decisione.”
Sì,
quella di andarmene.
Lo
avrei fatto, perché ero un pericolo per loro, perché
avevo un potere dentro me che poteva diventare ingestibile man mano
che cresceva. E perché non avevo alcun diritto di far soffrire
in quella maniera due persone a cui tenevo così tanto. Lui in
particolar modo.
Fece
un passo verso me, lo sentii più vicino alla mia schiena. “Ci
sarebbe stato comunque un addio tra noi, per come sono andate le
cose. Era destino purtroppo.” disse ancora.
E
pensai che il destino fosse un bel bastardo.
Aveva
giocato con noi come fossimo dadi, facendoci credere nel risultato di
una partita che sarebbe finita nel peggiore dei modi: con troppi
vinti e nessun vincitore. Sospirai amareggiata, ogni singolo respiro
che passava dentro il mio corpo era diventato un puro tormento.
“Purtroppo
delle volte, i sentimenti non sono abbastanza forti per cambiare le
cose. Doveva finire così...ci saremmo persi comunque.”
compresi che Elijah aveva terminato il suo discorso, con una punta di
rammarico nella voce. Lui stesso sapeva che, anche se Katerina fosse
sopravvissuta al rituale, avremmo comunque poi lasciato il paese per
sempre.
E
io pensai che non sarebbe finita così. No, io avevo in qualche
modo cambiato il sentiero del fato.
Per
quel motivo ero lì.
Mi
voltai verso lui, non riuscendo a capire come fossi capace di
trattenere le lacrime che mi stavano fastidiosamente pungendo gli
occhi. La sua espressione era fredda come sempre, impassibile, ma i
suoi occhi parlavano chiaramente.
Grazie.
Fu tutto ciò che potevo
dirgli per quello che aveva fatto per me. Al diavolo il destino e
tutto ciò che era successo, in quell'istante il mondo doveva
essere rinchiuso in quella parola.
Elijah
non rispose, come se avesse in parte capito che dietro quelle singole
e mute lettere si nascondesse ben altro. Ma prima che lo lasciassi
accorgere di ciò che stava per accadere, lasciai la stanza.
In
qualche modo sarei anche riuscita a ripagarlo per tutto.
And
i'm humbled, I'm a broken mirror and i can't help but wonder
Why
do we sacrifice the beautiful ones?
How
do you break a heart of gold?
Why
do we sacrifice our beautiful souls?
Heroes
of tales unsung, untold.
*
* * *
Mi
mancava il respiro.
Non
avrei mai creduto che sarebbe stato così difficile farlo;
eppure mi ero mostrata parecchio risoluta nel prendere quella
decisione, quando Belial me l'aveva posta. Mi sedetti ai piedi del
mio letto, immerso nell'oscurità, e volsi lo sguardo verso la
finestra alla mia sinistra, dove una mezzaluna brillava alta in mezzo
al cielo nero.
Katerina
doveva essere già lontana. Lontana.
Quell'ultima
parola sembrò strapparmi via un pezzo del corpo quando
attraversò la mia mente e nel giro di pochi secondi mi
ritrovai con il volto tra le mani e piegata su me stessa, in preda ai
singhiozzi.
Continuavo
a ripetere a me stessa che stavo facendo solo ciò che era più
giusto, ma questo non bastò a placare la pena che si era
espansa dentro il mio petto.
Il
battito divenne angoscia, il respiro puro tormento, il mondo attorno
a me solo dolore.
Poi
la porta si spalancò di colpo e il ricordo del piano balenò
di nuovo alla mia mente.
“Sapevo
nascondevi qualcosa.” La voce di Klaus era carica di rabbia, in
alcune note tremava così forte che pensai stesse per avere uno
scatto d'ira da un momento all'altro.
Io
avevo ancora il viso tra le mani, ma ricacciai indietro le lacrime di
cui non avevo necessità in quel momento. Alzai lentamente lo
sguardo su un punto davanti a me e con la coda dell'occhio scorsi la
sua immagine accanto al letto. Mi stava fissando, le braccia erano
tese accanto al corpo e il viso nascosto nell'oscurità doveva
essere una maschera di pura collera.
Stringeva
qualcosa in un pugno, aveva scoperto che la pietra era un falso.
“Sei
entrata in camera mia per fregarmi....” mi mostrò la
pietra falsa. “Dimmi perché.”
Lo
guardai incredula, davvero non credeva possibile che io sarei venuta
a conoscenza del rituale prima o poi? Si credeva davvero così
furbo, che pensava gli altri fossero sempre dieci passi dietro lui.
Non
in quel caso, però.
Presi
un lungo respiro. So tutto, gli dissi.
Il
silenzio che scese su di noi, e dopo che ebbi gesticolato quelle
parole, divenne più pesante di quello che lo aveva preceduto.
Klaus quasi sussultò quando riconobbe i segni di quelle parole
e osservai con estrema attenzione il suo volto carico di sorpresa,
mentre mi paravo davanti a lui con un coraggio che non mi
apparteneva. Klaus fece un passo verso me e io mantenni gli occhi
fissi su di lui, sulla sua espressione divenuta improvvisamente dura
e sulla sua postura rigida, di chi potrebbe attaccare da un momento
all'altro.
E
io avevo paura.
Paura
di colui che mi aveva insegnato ad averla e a reprimerla poi con il
tempo, paura di colui per cui non avrei mai più voluto nutrire
quel terrore. Malgrado il poco coraggio che ero riuscita a
raccogliere dentro di me, mi ritrovai a tremare e a distogliere lo
sguardo dal volto di Klaus.
“Di
che parli?” mi domandò, malgrado avesse capito benissimo
poco prima. Eppure, continuava a negare malgrado l'evidenza. Era
davvero incredibile.
Abbassai
gli occhi, mordendomi il labbro e cercando di placare il tremore che
muoveva il mio corpo.
So
tutto, Klaus, ripetei e alzai gli occhi lucidi sui suoi.
Si
era ancora di più avvicinato a me e io restai immobile armata
di audacia. I nostri visi erano separati solo da pochissimi
centimetri. Le labbra carnose di Klaus erano strette tra loro e gli
occhi ridotti a due singole fessure in cui riconobbi la luce della
paura e della sorpresa.
Probabilmente,
quello era un momento che lui non avrebbe mai avuto voluto
affrontare, un momento che gli sarebbe davvero piaciuto tanto evitare
e coprirlo con una menzogna. Ma era troppo tardi ormai.
Rituale.
Morte. Katerina. Sperai che quei
pochi gesti gli bastassero.
“Non
capisco di cosa tu stia parlando...” m'interruppe lui
prontamente, affilando ancora di più lo sguardo. Continuava
ancora a negare.
Aveva
così tanta paura ad affrontarmi per quella questione, che
andava avanti a recitare la sua parte anche di fronte all'evidenza.
Scossi la testa incredula.
Basta
mentire. Odiavo non poter
parlare, avrei tanto voluto mettermi a gridare come una pazza contro
di lui e fargli presente
tutto il dolore che mi era stato arrecato. Ma non avrei mai potuto
farlo, purtroppo, su quello Belial non aveva potuto fare nulla.
Sentivo
la rabbia crescermi sempre di più dentro, in ogni pensiero, in
ogni battito, in ogni singolo respiro che abbandonava le mie labbra.
Tesi le braccia accanto al mio corpo, tanto che quasi parvero non
tremare più. Il battito del cuore si fece sempre più
doloroso, stretto dalla morsa di quella che doveva essere isteria,
oltre che rabbia e desiderio di poter finalmente sfogare ed
affrontare la mia più grande paura. Quella che non avrei mai
più voluto avere. Quella che nutrivo per lui.
Klaus
restò in silenzio, osservando attentamente il mio viso che
doveva aver assunto un'espressione che mai prima il mio volto aveva
conosciuto nel corso della vita che avevo vissuto.
Klaus
fece un altro passo verso me, non mi mossi. “Che cosa hai
fatto, Irina?”
Alzai
le spalle. L'ho fatta scappare.
Mossi
le dita in quelle parole, che piombarono su Klaus come inaspettati
macigni.
Lo
vidi rabbrividire e fermarsi per un secondo, quando il concetto che
tutti i suoi piani erano stati spazzati via come cenere al vento
attraversò la sua mente.
Scossi
la testa di nuovo. Mi dispiace, Klaus.
Anche
se non mi dispiaceva per nulla. Se non per il fatto che lui non era
la persona che avevo creduto, la persona che pensavo non mi avrebbe
mai fatto del male. Klaus continuò a guardarmi.
“Stai
mentendo.” disse e i suoi occhi divennero talmente stretti che
non riuscii nemmeno più scorgere il loro colore. Scossi la
testa per negare e lui, allora, rimase a fissarmi come se volesse
rimangiassi ciò che gli avevo fatto comprendere.
Poi
si mosse.
Fece
un passo verso me.
La
fine si fece più vicina.
E
il freddo che sentivo dentro non faceva che confermarlo.
“Come
hai potuto...” Klaus sussurrò, parole che sembravano
essere uscite dalla bocca della morte.
E
io non volevo avere paura, non dovevo e sopratutto non potevo.
Continuammo con quella strana danza di puro terrore, che consisteva
nei nostri movimenti sincronizzati.
Un
suo passo avanti, un passo indietro mio.
La
rabbia cresceva in lui, la paura saliva in me.
Finii
di schiena contro la parete alle mie spalle, mi scontrai con la sua
superficie dura con forza, tanto che quasi mi si bloccò il
respiro.
Le
lacrime scesero. Maledette....
Si
erano sentite troppo trattenute, non avevo permesso loro di
abbandonare i miei occhi almeno fino a quando Katerina non sarebbe
stata al sicuro. Ma in quel momento, di fronte alla mia paura, di
fronte a colui che sarebbe stata la mia fine concessi loro di
scendere. Tanto non sarei riuscita a fermarle.
È
finita, gli feci capire e mi pentii di averlo fatto, visto il
tremore insito nei miei movimenti.
Klaus
scattò rapido e io non aprii la bocca in un grido solamente
perché sapevo di non poterlo fare.
Chiusi
gli occhi, le mani di Klaus strinsero il mio viso tra le loro e il
suo respiro si fece più vicino al mio. Lo sentii scontrarsi
con la pelle delle mie guance, caldo e veloce come il soffio di vento
che avrebbe portato via la vita. Il suo tocco era delicato, ma poteva
trasformarsi in violenza da un momento all'altro.
Riaprii
gli occhi.
Klaus
mi stava guardando, stringendo le labbra con evidente forza e
guardandomi con odio.
Sì,
mi stava odiando e io non riuscivo comunque a guardarlo in quella
maniera nonostante tutto.
O
almeno non riuscivo a farlo con l'intensità che stava usando
lui. La presa sul mio viso si fece leggermente più forte, non
mi sarei stupita se in quel momento mi avrebbe staccato la testa.
E
piangevo.
Silenziose,
quelle lacrime scorrevano lungo la mia pelle, felici di potersi
liberare finalmente dalla prigionia in cui le avevo rinchiuse per
un'intera giornata. Erano finalmente libere di poter mostrare il
dolore che tutta quella situazione stava causandomi, ricordandomi con
la loro pesantezza quanto avrei desiderato farla finita, se non
avessi dovuto proteggere Katerina.
Klaus
mi odiava. E mi amava così tanto che mi avrebbe probabilmente
uccisa in quel momento.
Era
quello, l'amore?
“Come
hai potuto fare una cosa simile?!” Klaus ringhiò, a
denti stretti, come una bestia che ha perso la più prelibata
della sue vittime. Come un uomo a cui è stato strappato un
futuro già deciso, anche se basato sul dolore altrui e su
terribili menzogne. Le sue dita tremarono sul suo viso, oscurato in
parte dalla luce della luna che brillava fuori dalla finestra accanto
a noi. Non voleva uccidermi, non brutalmente almeno, ma sembrava non
riuscire nemmeno più a tenere il peso della mia testa tra le
sue mani. Involontariamente, le sue dita asciugarono alcune delle mie
lacrime.
Allora
trovai la forza di far uscire dal mio corpo la disperazione che mi
immobilizzava come una statua priva di vita e lo respinsi, posando le
mani sul suo petto e spingendolo.
Lui
lasciò che la mia innocua, patetica forza lo allontanasse da
me, perché aveva bisogno unicamente dei suoi occhi per volermi
uccidere. Dovevo proteggere mia sorella, era assurdo che
credesse davvero me ne sarei rimasta buona con le mani nelle tasche.
Klaus
rimase immobile di fronte a me, poi si mosse, quando la rabbia
continuò a crescergli dentro, come una fiamma che sarebbe
cresciuta fino a divampare in un incendio. “Non dovevi
farlo....non dovevi.” disse minaccioso.
L'ho
fatto, precisai.
Rimasi
con la schiena sulla parete, mentre lui si muoveva nervosamente,
portandosi le mani tra i capelli e chiudendo di tanto in tanto gli
occhi,come se volesse in qualche modo trattenere la rabbia che stava
ancora e ancora crescendo dentro di lui.
E
io trepidavo nell'attesa di vederla esplodere, soddisfacendo così
la mia ira.
È
finita. Lui non mi vide muovere
le mani in quei gesti, però parve come percepire ciò
che stavo pensando.
Lui
scattò di nuovo e con lui la mia paura.
Le
sue mani cinsero il mio collo, troppo grandi e forti affinché
potessi combatterle.
Vi
esercitò della forza con le dita, le sentii premere sulla mia
pelle e bloccare così il flusso del sangue che mi parve non
sentirlo più giungere alla mia testa. Pensai mancasse poco
alla fine della mia vita.
Chiusi
gli occhi, le lacrime che rimasero incastrati in essi scesero lungo
le mie guance, in maniera che lui non vedesse la paura nei miei
occhi. Non volevo dargliela vinta anche in quel caso.
“Come
hai potuto farlo?!” gridò di nuovo, le sue parole si
schiantarono sul mio viso come pioggia di tempesta.
Uccidimi.
La
mia giunse come una supplica, malgrado non volessi affatto renderla
in quella maniera.
E
le sue mani smisero di stringere sul mio collo, rilassandosi sempre
più e sempre più lentamente.
Il
suo respiro si fece più regolare, meno mosso dalla collera che
lo mandava avanti.
Riaprii
gli occhi e i suoi mi fissavano lucidi, quasi sbarrati, come se
quella mia parola lo avesse spaventato. Ripresi lentamente a
respirare, fissando il suo volto paonazzo.
Uccidimi.
Fallo.
Quasi
lo sfidai con il mio solo pensiero, continuando a piangere. Il suo
pollice si mosse sulla base del mio collo, donandogli un'involontaria
carezza che mi fece tremare.
Klaus
guardava le mie lacrime, non riuscendo però a reprimere la
rabbia che nutriva dentro.“Sai che non lo farei mai.”
disse solo, come un bambino che non accoglie l'assurda provocazione
di un amichetto.
Non
voleva uccidermi...però avresti ucciso mia sorella.
Scossi
la testa in preda al fastidio, trasmettendogli quel concetto e Klaus
ci mise un po' per rispondere, i suoi occhi si accesero di una strana
luce e si abbassarono un istante, lontani dal mio viso. Le mani
lasciarono il mio collo, tremando, come se non riuscissero più
a toccarlo. “Lei non è te.” rispose.
Sbuffai
incredula, scuotendo la testa e guardandolo fisso negli occhi. E io
che fino all'ultimo avevo sperato che avesse almeno preso in
considerazione l'idea di poterla salvare. Sciocca.
Piansi
ancora e con più intensità rispetto a poco prima, ma
trattenendo il dolore che si stava manifestando nei muscoli del mio
viso. Trattenni i singhiozzi, perché non volevo lui li
sentisse.
Poteva
vedere il mio dolore, gioirne o soffrirne, ma non volevo che lo
sentisse.
Mia
sorella è tutto per me. È la mia famiglia e tu, proprio
tu, saresti stato disposto a portarmela via. Mi avresti lasciato
sola!
Avrei
esclamato furiosamente quelle parole se avessi avuto voce. Sentii
crescere dentro me quella marea bruciante di rabbia che investì
completamente il mio corpo.
Stavo
per perdere il controllo, lo avvertivo.
Klaus
mi guardò fisso in volto, senza pronunciare alcuna parola. Mi
sembrava quasi provasse sintonia con il mio dolore, malgrado sarebbe
stato lui la lama che me lo avrebbe causato.
Continuavo
a piangere, odiandomi per non essere capace di trattenere quelle
lacrime.
Io
ti pensavo diverso. Gesticolai con vergogna e con rabbia.
Klaus
mi guardò a lungo, quasi quelle parole gli stessero facendo
male perché lui era felice che io avessi creduto per così
tanto tempo in tutte le sue bugie, in qualcosa che non esisteva. Lui
poteva essere come io avevo creduto per tutto quel tempo, ma
anteponendo i suoi interessi aveva solo mostrato la sua vera natura.
“Errare
è umano.” Mi rispose freddamente, perché non
aveva alcuna voglia di arrabbiarsi con me, non ora che la sua vittima
sacrificale si stava allontanando sempre più da lui e dal suo
sogno di divenire un ibrido.
La
rabbia crebbe sempre più, la avvertivo in ogni fibra del mio
corpo, in ogni battito del mio cuore, in ogni respiro che abbandonava
le mie labbra. Una fiamma ardeva dentro il mio petto, alimentata dal
vento di quella crescente ira.
Già,
questa è la lezione che ho dovuto imparare da te.
Lo
feci sorridere di puro odio, quando mi vide disperarmi ancora di più.
“E
perseverare è diabolico.” aggiunse, si avvicinò a
me e il suo rancore si schiantò su di me, investendomi con la
sua onda. “Non preoccuparti, ritroverò in un modo o
nell'altro tua sorella. E la ucciderò lo stesso.”
Si
fermò ad un passo da me, avvicinando il viso al mio, come se
volesse donarmi un bacio letale.
Quella
fu la goccia che fece traboccare il vaso.
La
rabbia scoppiò, le barriere del mio corpo non furono più
abbastanza forti per poterla contenere e questa si scagliò
invisibilmente su Klaus in tutta la sua potenza.
Lui
tossì, piegandosi in due e portandosi le mani al ventre, in
preda a degli spasmi di dolore.
Si
portò una mano alle labbra e continuò a tossire. Vidi
il sangue macchiarle.
Stringevo
con forza i pugni e non mi accorsi che stavo sanguinando anche io.
Guardavo
Klaus, lo vedevo contorcersi dal dolore e dovevo compiacermi di
fargli così male, dovevo essere felice di vederlo piegato su
sé stesso, nell'attesa che la morte lo raggiungesse.
E
invece no,ne soffrivo come un cane.
E
ne piangevo disperata.
Klaus
alzò di scatto la testa verso me. “Uccidimi!
Coraggio!” gridò con tutta la voce che aveva in
corpo. Il sangue continuava a scivolargli lungo il mento, in rivoli
densi e rossi e gli occhi si fecero neri, vuoti, privi di una vita
che avrei voluto strappargli ma che non sarei mai riuscita a farlo.
Infatti
non ci riuscii.
Non
riuscii ad accogliere quella sfida che mi aveva lanciato e la rabbia
si spense con le mie lacrime.
Mi
portai il palmo della mano sinistra sulle labbra, sopprimendo i
singhiozzi che velocemente stavano attraversando la gola e guardando
Klaus con la vista offuscata dalle lacrime, mentre lui riprendeva a
respirare con regolarità e a riacquistare colorito della
pelle.
Perché
mi ero fermata? Perché non ero riuscita a portare a termine
quel dolore?
Non...non
ce la faccio.
Klaus
alzò gli occhi su di me con stupore, passandosi una mano sulle
labbra e togliendo via il sangue che le bagnava. Mi parve di vedere
della sorpresa nelle sue iridi chiare ma non sapevo dirlo, visti che
i miei occhi erano investiti dalle lacrime.
Avrebbe
dato la caccia a mia sorella, avrebbe potuto trovarla ed ucciderla e
io mi ero fermata.
Caddi
sulle ginocchia, continuando a piangere e tenendo ancora la mano
sulla bocca, per impedire ad altri singhiozzi di uscire dalle mie
labbra. Lentamente mi piegai in due per il dolore, sentendo il peso
di una vita che era andata in pezzi gravare sulle mie deboli membra.
Tutto quello che ero quasi riuscita a trattenere in quella
lunghissima giornata ricadde sulle mie spalle e io non riuscii a
sostenerne il fardello.
Sentivo
gli occhi di Klaus correre lungo il mio corpo in preda ai tremori.
“Perché...perché non lo hai fatto?” mi
domandò, con voce tremante. Continuai a tenere gli occhi
chiusi, avvertendo la freddezza del pavimento contro la mia fronte.
Venni colta anche dai brividi di freddo e le labbra presero a tremare
a causa del pianto che stava guidando il mio corpo. Rimasi immobile.
Klaus
si fece più vicino, perché il suo respiro soffiò
sui miei capelli. Stava scivolando sempre più verso me, come
se volesse appesantire ancora di più il carico di agonia sul
mio corpo.
“Perché
non mi hai ucciso?!” gridò di nuovo, folle di rabbia e
sorpresa.
Perché
sentiva di meritare la morte, sentiva di meritare il mio odio, e non
capiva perché mi fossi fermata. Come aveva fatto lui pochi
istanti prima.
Presi
fiato, i singhiozzi finalmente soffocarono dentro il mio corpo e
ritornai a controllare le mie lacrime.
Lo
sai perché. Non seppi che altra risposta pensare e un mio
pugno batté sul pavimento.
Perché
io non ero un assassina come lo era lui e l'affetto che nutrivo nei
suoi confronti era sincero, talmente sincero che non riuscivo ad
ucciderlo nemmeno in quell'occasione. Ero proprio folle.
Klaus
tacque, la sua mano si era avvicinata al mio viso e non trovai la
forza di scacciarla via. La sentii tremare, e la mia folle mente ideò
l'immagine di lui che piangeva perché soffriva del mio dolore.
Sciocca.
Tremava solo perché avevo
mandato a monte il suo piano e perché non riusciva ad
uccidermi come avrebbe tanto voluto fare. Era quello che scatenava il
suo tremore.
Il
respiro tra i miei capelli si fece più vicino.
“Perché
non sei scappata anche tu, allora?” sussurrò, le sue
parole erano così soffuse che quasi non le associai alla sua
voce. A quella domanda non risposi, ma mi sembrò di smettere
di respirare.
Ero
rimasta perché volevo in qualche modo che Katerina prendesse
tempo, insieme a Rose e Trevor.
Ero
rimasta perché non volevo che per la nostra fuga venisse
accusato Elijah.
Ero
rimasta perché ero così pazza da aver deciso
di...
“Ora
basta.”
Una
voce ruppe il silenzio e avvertii così la presenza di altre
persone in quella stanza. Doveva trattarsi di due figure sulla soglia
della porta, una delle due si stava avvicinando a me e stava
posandomi le mani sulle spalle. Non avevo bisogno della vista, per
sapere che si trattava di Elijah: la sua voce chiara e forte aveva
sconfitto i miei respiri, i sussurri di Klaus e il silenzio che ci
imprigionava nella sua morsa.
Alzai
la testa,quando le dita di Elijah premettero con decisione sulle mie
spalle e mi spinsero ad alzarmi.
Incrociai
il suo sguardo, sentendomi una stupida nell'avere il volto
completamente rigato dalle lacrime. Lui mi guardava con dispiacere,
ma anche con severità, come volesse rimproverarmi di essere
rimasta là a rischiare così tanto. O per non essermi
fidata abbastanza di lui, da adempiere al suo piano.
Rebekah
era sulla soglia della stanza, con entrambe le mani sulle labbra e
gli occhi bagnati dalle lacrime. Voleva accorrere dal fratello, il
cui volto era ancora macchiato di sangue, ma voleva anche venire da
me. Il mio viso era ancora bagnato dalle troppe lacrime che poco
prima lo avevano inondato.
Non
sapeva come muoversi, perciò preferì rimanere distante
da noi, ad assistere al nostro dolore.
Il
silenzio scese su di noi e volsi lo sguardo verso Klaus. I suoi occhi
erano ancora iniettati di sangue per ciò che gli avevo fatto e
la sue labbra erano schiuse, in respiri che si muovevano silenziosi.
Chiuse
gli occhi per un lungo attimo, come se stesse per spegnere quella
fiamma di cui mi aveva parlato quel pomeriggio. Quella che aveva
acceso per me e che, sempre per me, avrebbe nuovamente spento.
Riaprì
gli occhi. Solo il buio vi era in essi.
Si
alzò lentamente in piedi, notai che Elijah lo guardava vigile,
quasi temesse potesse di nuovo scattare verso me.
“Tu
ora...” Klaus mi guardò fisso, scavando in profondità
del mio sguardo e puntandomi il dito contro. “Non andrai più
da nessuna parte.”
Elijah
lo guardò con rabbia, mordendosi le labbra e affilando lo
sguardo. “Non puoi farlo, non te lo permetto.” gli disse.
Klaus
gli rise in faccia. “Invece lo sto proprio facendo. Troverò
Katerina e farò quello che dovevo fare senza problemi...e tu
sarai prigioniera qui dentro.” Aveva spento la fiamma, i suoi
occhi erano carichi di odio nei miei confronti che si affievolì
nello stupore quando mi vide annuire lentamente, come se mi fossi
arresa a quella decisione. Elijah mi guardò incredulo, Rebekah
lasciò scorrere lo sguardo da me a Klaus, quest'ultimo non la
smetteva di fissarmi.
Non
sapeva che la sua maligna decisione era un'altra parte del mio
piano.
Why
do we sacrifice the beautiful ones?
Why
when they walk with love alone?
Why
do we sacrifice our beautiful souls?
Just
trying to find their way home.
(The
beautiful ones- Poets Of The Fall)
Ciao
a tutti! ^^
Mi
auguro di cuore che il capitolo vi sia piaciuto!
So
che le intenzioni che si nascondono dietro la decisione di Irina nel
rimanere nella dimora di Klaus non sono molto chiare, ma verrà
tutto ben chiarito nel prossimo capitolo. Diciamo che questo capitolo
apre le porte per il finale.
Riguardo
la scena finale tra Klaus ed Irina...non so se sia stata troppo cruda
o no, sta di fatto che io ho odiato scriverla e quindi ho un po'
paura delle vostre reazioni al riguardo!
Ah
e non detestatemi Klaus, vi prego...anche se so per certo che non me
lo odierete manco se vi pago tutto l'oro del mondo, ma comunque ve lo
dico lo stesso. u.u
Comunque,
volevo avvisarvi che mancano due capitoli più l'epilogo alla
conclusione della storia, ma saranno tutti e tre relativamente molto
più brevi rispetto a questi già pubblicati, quindi
spero di essere puntuale le prossime settimane. Resistete ancora un
po'!!
Passo
ai ringraziamenti: ringrazio tutti tutti tutti coloro che leggono la
mia storia.
Ringrazio
chi l'ha inserita tra le preferite/seguite e ricordate e chi mi ha
inserita tra gli autori preferiti...non mi stancherò mai di
ripeterlo, ma è sopratutto grazie a voi se questa storia va
avanti!
Volevo
anche consigliarvi alcune bellissime storie che si trovano in questa
sezione:
“My
story with an original...with Elijah.” e il suo continuo “Over
the deception of life” di Elyforgotten, una bellissima ed
emozionante storia su Elijah e un nuovo fantastico personaggio di
nome Briony con cui il nostro vampirozzo vivrà una
coinvolgente storia d'amore.
“He's
my only saviour” di debby_88 un'altra stupenda ed originale
storia su Elijah ed una nuova protagonista.
Ne
approfitto inoltre anche per ringraziare Elyforgotten
per tutto l'aiuto che mi
sta dando con questa storia.
Ok,
la smetto di rompervi le balline come al solito, e vi auguro un buon
fine settimana!
Ciao
a tutti e alla prossima! :D
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Capitolo 29 *** Unchain The Rain ***
-Unchain
the rain-
Quando
Belial terminò di parlare, mi sembrò che il mondo fosse
più orribile di quanto mi era fosse mai apparso.
Un
altro spiraglio di luce si era spento, un'altra lama aveva affondato
nel mio cuore ,altre lacrime bagnarono i miei occhi. La mente venne
invasa da tutte le parole che il demone aveva appena finito di
pronunciare; prima si presentarono solo come semplici e lontani echi
della sua voce poi divennero il tuonare di una nuova verità,
appena affiorata inanzi a me. Abbassai gli occhi e iniziai a scuotere
la testa, prima lentamente e poi sempre più velocemente.
Non
potevo crederci. Non poteva essere....
Le
mani salirono a stringere i miei lunghi capelli corvini, diversi
ciuffi mi rimasero avvolti tra le dita mentre pregavo il cielo che
fosse tutta un'altra menzogna, che Belial mi stesse mentendo quella
volta.
Ma
il ghigno sul suo viso confermava l'esistenza di un ennesima fiamma
dell'inferno pronta a bruciare le vie della mia esistenza. Fece un
passo verso me; anche se avevo chiuso gli occhi, avevo captato quel
suo movimento attraverso il rumore dei suoi passi che schiacciavano
l'umida erba sotto di noi. Non riuscivo ad aprire gli occhi e nemmeno
ad alzare lo sguardo nella sua direzione.
Se
lo avessi fatto, ero certa che sarei crollata a terra in quel preciso
istante.
“Puoi
fermarlo prima che accada, Irina.” disse lui ancora, la sua
voce sempre terribilmente profonda e penetrante.
Tenendo
ancora il capo chino, trovai il coraggio di aprire le palpebre e
osservare le punte dei nostri piedi che quasi si sfiorarono. La mano
di lui si allungò nella mia direzione e mi sfiorò il
mento con le dita. Venni obbligata a guardarlo e mi ritrovai ad
affondare nelle sue iridi chiare; mi parve di scorgere il buio che
avevo colto in quelle di mio padre, anche se in realtà quegli
occhi appartenevano al corpo di una sua povera vittima.
Si
stava prendendo gioco di me, non poteva essere altrimenti; come
poteva pensare che fossi in grado di fare una cosa del genere? Ero
solo una disastrosa ragazzina di sedici anni nel cui corpo scorreva
del sangue maledetto. Come poteva anche solo farsi beffe di me,
facendomi credere di poter fermare una cosa del genere?
Belial
mi sorrise, le sue dita solleticarono dolcemente la punta del mio
mento.
“Io
posso aiutarti ad impedirlo.” disse ancora, inclinando
leggermente il viso nella mia direzione, tanto che la sua fronte
arrivò quasi a sfiorare la mia. Lo guardai confusa, mentre il
mio respiro si faceva sempre più irregolare e il petto
iniziava ad alzarsi e abbassarsi, appena il cuore percepì
l'esistenza di una possibile speranza.
E
Belial mi diede il suo aiuto.
*
* * *
Ore
bagnate di pioggia si susseguirono fin troppo lentamente.
Mi
sentivo un involucro vuoto, privo di vita e anima e abbandonato in
una realtà senza più spazio e tempo. Intorno a me
sembrava non esserci nulla; non vedevo nient'altro che il vuoto, dove
le ore, i minuti e i secondi sembravano essersi fermati. Fissavo
imbambolata un punto di fronte a me, immerso nel buio che regnava in
quella stanza e dove il rumore della pioggia continuava a rompere il
silenzio che gravava sul mio corpo oramai privo di forze.
E io
ascoltavo in silenzio la furia della tempesta, sperando che in quel
modo il tempo riprendesse velocemente il suo corso. Forse il motivo
per cui pioveva così tanto in quei giorni era perché
c'era fin troppo da pulire su quella terra: troppi misfatti, troppo
sangue e troppo dolore da cancellare via. Se tutte le mie lacrime
avessero potuto sortire lo stesso effetto, ero certa che quella
realtà sarebbe stata ripulita di tutto.
“Tieni.”
Rebekah allungò il braccio verso me, restandomi seduta
accanto.
Non
mi mossi, la guardai con la coda dell'occhio e vidi che stava
allungando verso me un tozzo di pane. Girai completamente la testa
nella sua direzione e incontrai il suo timido sorriso, mentre
continuava a tenere il braccio teso verso me.
Mi
resi conto solo allora che mi era stata accanto per tutto il tempo,
ma era come se il mio sguardo non avesse mai potuto scorgere la sua
immagine. Per tutto il tempo, i miei occhi erano stati offuscati
dalla nube di pensieri e dolore che si erano impadroniti della mia
mente e del mio corpo, piegandoli sotto il suo potere. I miei
pensieri non seguivano più una logica, il mio cuore non
batteva più a ritmo regolare nel petto e ogni tanto il respiro
sembrava fermarsi improvvisamente. Non avevo realmente più
controllo del mio corpo, quello era divenuto una marionetta in balia
dell'agonia.
Scossi
la testa e guardai il tozzo di pane nella mano di Rebekah.
Lo
stomaco mi brontolò per la fame, rammentandomi che non
mangiavo da troppo tempo e, il fatto che la pancia mi si contraesse
in quelle fitte, non fece altro che accrescere il male di cui ero già
vittima.Rifiutai l'idea di mangiarlo, poiché il solo pensiero
di sentire il suo sapore mi diede il voltastomaco.
Ero
troppo nervosa, agitata, impaurita e addolorata per aver forza di
mangiare.
Girai
la testa verso la finestra; il cielo si era fatto più denso di
nuvole e un lampo ne squarciò il manto scuro con la sua
improvvisa e violenta luce. La pioggia stava iniziando a cadere più
fitta e un forte vento si era alzato, investendo con la sua ferocia
la natura.
Rebekah
sospirò, arrendendosi all'evidenza che avevo perso lo spirito
che animava il mio corpo.
Posò
il pane sul tavolo a cui eravamo sedute e sentii il suo sguardo
posarsi sulla mia nuca. Anche lei non era poi diversa dai suoi
fratelli: i loro occhi erano capaci di farsi sentire anche se non li
si guardava direttamente. Erano troppo magnetici ed intensi per non
poterne sentire la forza sulla propria pelle. “Senti, devi
mangiare.” La vampira assunse il tipico tono di una sorella
maggiore che doveva proteggere la più piccola ed indifesa
della famiglia. Proprio come faceva Katerina.
Mi
posò una mano sulla spalla, come per trasmettermi un po' di
calore ma ottene l'effetto contrario. Ricordare mia sorella non fu
una buona idea e il dolore dentro me si amplificò.
Vedendo
che non rispondevo, la mia mente sembrava rifiutarsi di accettare
qualsiasi messaggio proveniente dalla realtà al di fuori di
lei, Rebekah sospirò di nuovo e lasciò che il silenzio
inondasse la stanza. Poi decise, o capì, che anche lei aveva
bisogno di sfogarsi un po', parlandomi e permettendomi così di
distrarmi.
Sempre
se esisteva un argomento valido per potermi distrarre.
“Sai,
ti ho odiata...” Iniziò a dire, strappandomi un sorriso
dalle labbra nonostante avesse pronunciato quelle parole con gravità.
Non era il modo migliore per iniziare un discorso a qualcuno che
doveva avere il mio aspetto; mi immaginai pallida e smunta, con gli
occhi cerchiati dalle profonde occhiaie scure e i capelli
scompigliati che mi circondavano il viso.
Dovevo
essere orribile, quanto lo era stato il mondo con me.
Abbassai
di nuovo lo sguardo, rendendomi conto che il mio sorriso era fuori
luogo e sopratutto non era una cosa che mi ero davvero sentita di
fare. Era nato spontaneamente, senza che potessi in alcun modo
controllarlo. Corpo, cuore e testa erano così sconnessi tra
loro, che prendevano vie differenti e in contrapposizione tra di
essi.
Invece
che lottare con ciò che ci avrebbe atteso, quegli stolti si
facevano guerra tra di loro, malgrado fossero sullo stesso fronte.
Rebekah
si umettò le labbra. “Quando ho saputo del bacio con
Klaus, ti ho odiata. Perché con la tua debolezza hai ferito
entrambi i miei fratelli e vederli soffrire è una cosa che non
tollero.” disse, la rabbia crebbe velocemente nelle sue parole,
tanto che le ultime vennero pronunciate sotto forma di ringhio.
Rebekah
si ricompose, quando mi vide rabbrividire.
Pensò
che fosse a causa del sentimento con cui mi aveva rivolto quella
parole, ma in realtà mi ero sentita scuotere dentro a causa
dei sensi di colpa ma anche dei crampi dovuti alla fame.
Guardai
il tozzo di pane con tentazione, poi mi rifiutai di mangiarlo quando
avvertii una fitta allo stomaco dovuta al pensiero di doverne sentire
il sapore.
“Ti
avrei presa a schiaffi, ma poi...ora so che non lo meriti.”
continuò Rebekah, volse la testa nella mia direzione e io feci
lo stesso. Ci guardammo in silenzio mentre la pioggia batteva la sua
forza contro il silenzio. In quel preciso istante mi accorsi che
anche fuori, nei corridoi della villa, sembrava non esserci anima
viva. Avevo saputo che Klaus stava pensando di traslocare e,
inevitabilmente, mi domandai quale sarebbe stato il mio destino a
quel punto. Anche se poco mi interessava in realtà.
“Insomma,
guarda.” La vampira si guardò intorno, come se tutto il
marcio del mondo potesse essere riassunto nell'oscurità in
quella sala. “Guarda che sta succedendo. Era da ipocriti
prendersela con te per un bacio, quando c'era tutto questo in gioco,
non trovi?”
Rebekah
mi guardò con intensità, sembrava non riuscire a
trovare le parole più giuste per rivolgermi ciò che
realmente sentiva dentro e, perciò, si ritrovò a
trasmettermi tutto quello che provava dentro attraverso i suoi
bellissimi occhi chiari.
Era
combattuta, tra l'affetto che la legava a Klaus e quello che provava
per me.
Ricordavo
tempo prima, quando eravamo ancora nella casa sulla collina, mi aveva
detto che sperava che Elijah trovasse il modo per salvare Katerina.
All'epoca non avevo capito fosse quello il vero significato delle sue
parole, ma adesso che sapevo la verità, rimisi diversi pezzi a
posto.
Sembrava
che solo Klaus non fosse d'accordo a prendere parte a quel piano.
Rebekah
abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro e lasciando di nuovo
che quella fredda quiete scendesse su di noi. Non sapevo se preferire
il silenzio o il rumore; mi sembrava che entrambi stessero
divertendosi nel vedermi patire quelle insostenibili pene.
“Perché
sei rimasta?”La sua domanda giunse rapida e, stranamente,
inaspettata.
Guardai
Rebekah. Il suo volto perfetto si era fatto improvvisamente serio e i
suoi occhi scavavano nei miei come se volessero arrivare alla verità.
Una
verità che io non le avrei fatto presente, perché non
potevo rivelarla.
“A
quest'ora saresti stata già lontana con tua sorella e non
dovresti affrontare...Klaus.” Rebekah mostrò titubanza
nel definire suo fratello il mostro della situazione, ma era normale
che parlasse in quella maniera. “Non ha senso, perché lo
hai fatto?”
Parlò
con molto più animo rispetto a poco prima. Aveva girato il
busto verso me e spalancato il palmo della mano destra sul tavolo
mentre mi fissava con aria interrogativa.
Io
l'avevo di nuovo privata dei miei occhi, abbassando la testa e
lasciando che i capelli avvolgessero il mio volto.
Pensai
di dover piangere, ma in realtà non riuscivo a farlo.
Per
la prima volta in vita mia, mi resi conto che era inutile che le
lacrime vincessero. Loro non potevano cambiare il passato e né
tanto meno potevano cambiare il corso del futuro.
Perciò,
presi la saggia e più razionale decisione di non farle
scorrere lungo il mio viso.
“Vorrei
tanto saperlo anche io.”
Alzai
di scatto la testa appena riconobbi quella voce; sulla soglia della
porta vi era Elijah, con un braccio distese accanto al corpo e lo
sguardo puntato nella mia direzione. Definirlo infuriato era ben
poco: i suoi occhi nerissimi erano più profondi del solito e
sembravano racchiudere in loro tutta la rabbia che quella situazione
doveva causargli. Aveva la mano sul pomello della porta semi aperta,
da essa riuscivo a scorgere l'esterno, dove il cielo riusciva ad
essere persino più nero di quanto sembrasse da oltre il vetro
della finestra. Quello scenario devastante faceva da contorno alla
sua figura rigida ed immobile.
Mentre
lo osservavo, sentivo quasi di potermi lasciare andare e di far sì
che la debolezza vincesse su di me. Quasi possedesse lui la forza
necessaria per poter impedire al mio corpo e alla mia anima di cadere
nel baratro.
Elijah
si chiuse lentamente la porta alle spalle, senza mai distogliere
l'attenzione da me.
Lanciò
poi un'occhiata in direzione di Rebekah, mentre si avvicinava con
passo lento a noi.
La
sorella restò immobile, aveva compreso in anticipo cosa stava
per chiederle il vampiro.
Certi
sguardi non erano difficili da tradurre.
“Lasciaci
soli per favore.” la pregò Elijah, con una combinazione
nella voce di freddezza e gentilezza.
Era
ghiaccio e fuoco insieme.
Rebekah
annuì con prontezza, mi lanciò un'occhiata consolatoria
e mi posò una mano sulla spalla per infondermi un po' di
coraggio. Sapeva che ne avrei avuto bisogno per affrontare Elijah.
Lei
si alzò e io la seguii con lo sguardo, mentre si dirigeva
velocemente verso la porta. Non potei fare a meno di notare che
Elijah non fece lo stesso; lui, i suoi occhi, li tenne puntati sul
mio viso per tutto il tempo e solo quando Rebekah ci lasciò
completamente soli, mi decisi a ricambiarli.
Deglutii,
mandare giù quel pesante groppo incastrato nella gola mi
risultò estremamente difficile vista la gola secca e i
brontolii nello stomaco che continuava a reclamare il suo bisogno di
cibo.
Elijah
fece un altro passo verso me e distolsi lo sguardo, la sua mano
posata sulla gamba arrivò quasi a sfiorarmi la spalla e un
brivido mi corse lungo la schiena.
Mi
domandai se fosse arrabbiato per non essermi fidata abbastanza di
lui da lasciarlo mandare avanti il suo piano, anche se non era
proprio così che erano andate la cose. Poi pensai che,
onorevole com'era, in quel momento non doveva avercela che con suo
fratello e con la mia decisione che doveva sembrare parecchio
stupida. Mi chiesi come avrebbe reagito, una volta saputa la
verità.
Elijah
sospirò, come infastidito dal modo in cui stavo evitando il
suo sguardo. “Non mi importa nulla di quello che hai in mente.”
mi disse, giurai di non aver mai sentito il suo tono così
deciso come in quel momento. Se avessi avuto voce, ero certa che non
sarei stata capace di replicare.
“Io
ora ti porto via di qui.”
No.
Scattai
in piedi con estrema rapidità e lo guardai, tirandomi
leggermente indietro per sfuggire al magnetismo del suo sguardo.
Avevo reagito con quella rapidità, perché ero certa che
Elijah avrebbe davvero fatto di tutto per portarmi via. Combatterlo
sarebbe stato impossibile nella mia condizione. Lui restò
sorpreso dalla mia reazione, quasi mi credesse totalmente priva di
forza e animo per poter scattare con quella rapidità.
E,
effettivamente, forza non ne avevo.
Avevo
compiuto quel gesto con tale velocità, che la testa mi vorticò
per un istante e fui costretta a chiudere le palpebre per permettere
agli occhi di trovare il coraggio necessario per poter guardare il
mondo nel suo giusto ordine.
Non
seppi dire se Elijah se ne fosse accorto, ma attento com'era, ero
certa che il mio evidente stordimento non gli fosse sfuggito.
“No?”
ripeté, la voce così alta da arrivare ad essere quasi
un urlo. “Ma sei impazzita per caso?”
Mentre
si muoveva nella mia direzione, mi ritrovai ad arretrare lentamente e
la testa riprese a vorticare. Mi sembrava di essere su una barca
abbandonata in un mare in tempesta, vedevo tutto distorto e appannato
e non avevo forza ed equilibrio per rimanere perfettamente in piedi.
Fui
costretta a fermarmi.
Essendo
stata seduta per tutto il tempo, non avevo previsto che un singolo e
semplice movimento come quello del passo potesse risultarmi così
difficoltoso. Non seppi dire se stessi barcollando o meno, ma mi
portai una mano alla fronte per fare in modo che la testa smettesse
di distorcere il mondo.
Elijah
fu più vicino, riuscii a sentire la sua presenza davanti a me
e il suo respiro soffiarmi tra i capelli. Non avevo la forza di
togliere la mano dalla mia fronte e di aprire gli occhi, rimasi
perciò immobile aspettando che lui facesse qualche gesto.
“Ti
ribadisco che non mi importa ciò che stai tramando o se la tua
è semplice idiozia, ma sappi che non mi faccio problemi a
caricarti in spalla con la forza e portarti via di qui in questo
momento, chiaro?” mi disse, quasi sibilando. In quel momento
riaprii gli occhi e li puntai su di lui, il suo volto sembrava il suo
stesso riflesso in uno specchio bagnato.
Non
riuscivo a scorgere il suo mento, le sue labbra, i suoi zigomi, ma
riuscivo a vedere solo l'oscurità dei suoi occhi e capelli
scuri.
I
crampi per la fame si fecero più intensi e mi fecero quasi
piegare in due.
Io
non vado da nessuna parte.
Scossi
la testa e così lui comprese.
Elijah
fece un passo verso me, un altro ancora, e fu tremendamente vicino al
mio viso.
Non
riuscivo nemmeno ad alzare il mio per incontrare i suoi occhi, tanto
mi sembrava di cadere a terra da un momento all'altro.
Mi
ero illusa di potermi cibare di dolore e paura, ma in realtà
in mio corpo aveva bisogno anche di vero e proprio nutrimento se
volevo andare avanti.
Mi
serviva anche per il mio piano, a dire il vero.
Elijah
si accorse di ciò che stava succedendo e preferì non
infierire, o almeno il suo sospiro mi fece intendere questo. Chiusi
di nuovo gli occhi, posando la nuca sulla parete dietro me e
prendendo dei respiri lunghissimi, confidando nel fatto che potessero
farmi stare meglio.
Ma
ormai mentivo a me stessa nei modi più assurdi.
Stavo
male, l'agonia causata da un mondo che aveva perso tutti quanti i
suoi colori mi stava ormai strappando via la vita ed ero così
stupida da credere che, senza di essa, potessi lo stesso fronteggiare
quel dolore che mi aveva pervasa.
“Siediti.
Coraggio.” Elijah ammorbidì i toni, ma solo di poco.
Continuai
a tenere gli occhi chiusi, sentendolo più vicino. Aveva posato
la mano sulla mia spalla,dandomi così il via libera per far
cedere le mie ginocchia.
Mi
sedetti a terra lentamente, facendo scorrere la schiena lungo la
parete su cui mi ero praticamente arresa. Continuai a tenere le
palpebre serrate e distesi lentamente le gambe sul pavimento, la cui
freddezza attraversò il tessuto della gonna.
Prendevo
dei respiri lunghissimi, cercando di placare il tremore che scuoteva
il mio corpo. I crampi allo stomaco si erano fatti sempre più
opprimenti e le gambe sembravano essere diventate troppo deboli per
poter sorreggere il resto del corpo. Elijah si era piegato accanto a
me, sentivo il suo respiro caldo soffiarmi sulla guancia destra
mentre combattevo quella lotta con il mio corpo.
“Tieni.
Devi mangiare.”
Aveva
allungato il braccio verso il tavolo, stringendo nella mano quel
tozzo di pane che stavo iniziando ad odiare con tutta me stessa.
Poiché lo desideravo, ma allo stesso tempo lo respingevo;
l'idea di mangiare in un momento come quello, con ciò che
stava per accadere, mi faceva venire da vomitare.
Riaprii
gli occhi, puntandoli verso la mano di Elijah.
Trattenni
a lungo il fiato, quando l'acquolina mi salì alla bocca al
pensiero di poter mangiare. Il vampiro distese il braccio verso me,
con l'altra mano poi mi strinse i polsi con estrema delicatezza e
posò il pezzo di pane tra le mie dita.
“Non
vorrai mica morire di fame, spero?” mi domandò, tornando
a posare i gomiti sulle sue ginocchia e rimanendo in perfetto
equilibrio sulla punta dei piedi.
Abbozzò
un sorriso, in forte contrapposizione con la sua espressione di poco
prima, e io presi a far passare da una mano all'altra quel pezzo di
pane. Feci scorrere le dita lungo la sua crosta, quasi volessi
assaporarla in anticipo, attraverso la pelle delle mie dita.
Elijah
si sedette poi accanto a me, sul pavimento umido e sporco.
L'assordante
melodia della tempesta faceva da sottofondo al nostro innaturale
silenzio, la pioggia prese a cadere più fitta e un fortissimo
lampo squarciò il cielo in due parti.
Sobbalzai
impaurita per un solo secondo, lanciando uno sguardo veloce verso il
cielo, poi mi portai il pane alle labbra. Era duro e di certo doveva
risalire a diversi giorni prima ma non importava, lo stomaco iniziò
a smettere di contrarsi, rilassandosi sempre più mentre
iniziava a sentirsi soddisfatto.
Il
corpo iniziò a riprendere vigore. Per l'anima, invece, non
c'era nulla da fare.
Restammo
ancora in silenzio, ascoltando i suoni del cielo. Gli occhi di Elijah
non abbandonarono mai il mio viso, li sentivo scorrere sulla mia
pelle e una vampata di calore mi incendiò le gote.
“Sei
rimasta perché Katerina prendesse tempo...e perché non
volevi la colpa della sua fuga ricadesse su di me, non è
così?” mi domandò.
A
quel punto mi voltai a guardarlo e solo allora riuscii a vedere per
davvero il suo viso in quella giornata.
I
capelli erano visibilmente umidi, segno che era stato sotto la
pioggia fino a poco prima. Lo sguardo era serio, gli occhi socchiusi
nel tentativo di scrutare la mia espressione e le labbra erano
strette tra loro. Mandai giù un pesante groppo e annuii.
Sì,
lui era uno dei motivi per cui ero rimasta là nonostante i
pericoli che potevo correre.
Ma,
la verità, era che c'era qualcosa di più grande di me e
lui messi insieme che stavo per fare. Qualcosa che lui avrebbe
certamente provato a impedire, se avesse saputo.
Mentirgli
ulteriormente, mi sembrò una cosa oscena ma strettamente
necessaria.
Dovevo
farlo.
Elijah
annuì, serrando la mascella e piegando la testa da un lato.
I
suoi occhi scuri si alzarono verso il cielo grigio oltre la finestra
e ne riflesse le deboli luci. Fissai meravigliata quello spettacolo
di luce e ombra nel suo sguardo, poi abbassai la testa e osservai il
pane tra le mie mani. Era quasi finito e la testa aveva smesso
finalmente di vorticare.
“So
difendermi da solo, Irina. E comunque, ora che hai compiuto il tuo
folle gesto di coraggio, puoi lasciare che ti porti via da Klaus.”
aggiunse Elijah, totalmente intenzionato a cavarmi fuori la verità,
malgrado avessi imposto a me stessa di non rivelarla nemmeno sotto
tortura.
Anche
se sopportare il magnetismo del suo sguardo mi parve quasi
impossibile.
Scossi
la testa, mostrandomi forte e risoluta come dovevo essere.
Elijah
continuò a guardarmi, il mio viso venne completamente nascosto
dalla cascata di capelli corvini e pensai fosse meglio così.
Almeno, non avrebbe visto il dolore disegnarsi nelle mie iridi.
La
sua mano si fece largo tra di essi, le sue dita si posarono
delicatamente sotto il mio mento e mi spinsero a voltare il volto
nella sua direzione.
Quando
lui mi guardò, penetrando nei miei occhi, venni invasa da un
profondo senso di calore.
Mi
sembrò di non essere più sola, priva di uno scudo in
grado di proteggermi da quella oscurità senza nome. Elijah mi
infuse forza, semplicemente guardandomi.
“Cosa
sta succedendo, Irina?” mi chiese, in un sussurro talmente
lieve che si unì al silenzio del buio. Le sue parole erano
avvolgenti, vennero iniettate nel sangue come un antidoto pronto a
guarirmi dal veleno che mi scorreva nelle vene.
Sbattei
le palpebre più volte, destandomi da quella sensazione di pace
e quiete che mi avvolse in quei pochi attimi. La mano di Elijah salì
alla mia guancia, il pollice passò lentamente sul mio zigomo e
lo accarezzò con estrema delicatezza, quasi temesse potessi
rompermi in quel momento.
“Me
la dici la verità o no?” mi incalzò, tenendo
comunque la voce tanto bassa da essere ancora un sussurro.
Silenzio.
Un altro tuono lo squarciò
con il suo boato.
E
mi resi conto che stavo per dirgli quanta paura avevo
riguardo ciò che stava per succedere,riguardo ciò che
avevo fatto e che non potevo più cambiare.
Avevo
paura e volevo dirglielo, perché sapevo che lui mi avrebbe
donato la forza necessaria per affrontarla.
No,
no, no, non potevo cedere.
Dovevo...dovevo fare in modo che lui non lo scoprisse.
Dovevo
smetterla di correre dietro quegli occhi scuri, sperando che
potessero proteggermi dal mondo. Ripresi controllo di me, deglutendo
e sbattendo le palpebre così tante volte che ne persi il
conto.
Alzai
lo sguardo su di lui e scossi la testa. Gli feci capire che non
potevo dirglielo, perché non avevo modo di spiegargli tutto
nemmeno volendo e perché era troppo tardi.
Non
doveva preoccuparsi per me, tanto non poteva fare nulla.
La
testa mi girò di nuovo e persi il controllo dei suoi
movimenti, quella cadde quasi in avanti e mi accorsi di avere
terribilmente sonno. Quella notte mi ero rifiutata di chiudere
occhio, nonostante fossi stanca e provata, perché avevo paura
che, in quel modo, il momento sarebbe
arrivato troppo presto.
Ma
potevo continuare ad ignorare i bisogni del mio corpo in quel modo?
Elijah
posò delicatamente le mani sulle mie spalle, per impedirmi di
cadere in avanti come stavo per fare. Le sue dita tremavano, come se
stesse reprimendo con estrema fatica la rabbia dovuta alla mia
ostinazione. Ma la presa fu comunque delicata, con un pizzico di
forza necessaria per non farmi crollare.
“Irina,
c'è qualcos'altro sotto. Non puoi nasconderlo e lo sai che con
me puoi parlare di qualsiasi cosa, no?” Elijah tenne i denti
stretti tra loro, reprimendo l'ira nelle sue parole in quella
maniera, ma i suoi occhi valsero più di mille parole.
Non
volevo mi guardasse in quella maniera, perché così
avrebbe potuto abbattere tutte le deboli difese che ero riuscita ad
innalzare per difendermi da colpi esterni.
Chiusi
gli occhi, portandomi una mano per coprirli quando sentii che stavo
per scoppiare in lacrime. Avevo resistito fino ad allora, ma con
Elijah che mi guardava e parlava in quel modo non riuscivo proprio ad
essere forte.
“Che
cosa hai in mente di fare? Devi smetterla di combattere da sola
questa battaglia, Irina.” insistette Elijah, volendo
proteggermi ad ogni costo perché pensava di poterlo fare.
Ma,
in realtà, persino lui non ne era in grado. Nessuno poteva
farlo.
Dovevo
allontanarlo, era il modo migliore per non cedere alla tentazione di
sfogare tutto ciò che mi portavo dentro e mandare avanti quel
piano che, solo allora, mi resi conto fosse più difficile da
sostenere di quanto pensassi. Era lui a farmene rendere conto,
standomi vicino.
Ripresi
controllo di me, del ruolo di cui mi dovevo rivestire per poter
mandare avanti quella scena e deglutii. Puntando poi gli occhi in un
punto davanti a me, allontanai le mani dai capelli e ripresi
lentamente fiato.
Vattene.
Mi
alzai in piedi, stranamente ebbi la forza necessaria per farlo, e
lentamente mi mossi verso la finestra, quasi preferissi il cielo in
tempesta che rumoreggiava all'esterno, piuttosto che lo sguardo di
Elijah.
Lui
restò stupito dal mio improvviso ed inspiegabile cambio di
umore, ma non si fece prendere in giro. Non era stupido, prenderlo
per i fondelli come dovevo fare era davvero difficile.
Chiusi
le palpebre, cercai di mettere di nuovo in correlazione il mio corpo
con la mente e in questa maniera trovai il vigore necessario per
poter rimanere perfettamente in piedi e restare di fronte alla
finestra.
L'aria
si mosse,venne tagliata da un rapido movimento, e in un secondo
compresi che Elijah doveva essere proprio dietro di me. Le sue mani
strinsero le mie spalle, mi fece voltare verso di lui e i suoi occhi
neri scavarono in profondità nei miei. Erano ricolmi di rabbia
e fastidio, perché sapeva benissimo che lui poteva aiutarmi ma
io mi stavo comunque rifiutando di accettarlo.
Perché
lo volevo davvero, ma non potevo proprio accoglierlo.
“Non
funziona con me.” Elijah scosse la testa. “Non fare la
dura adesso per mandarmi via. Tu nascondi qualcosa che, sicuramente,
potrà metterti in pericolo...e io non ti permetterò di
rischiare.”
Che
cosa dovevo fare per farlo desistere? Ogni sua parola, ogni suo
respiro sul mio viso, ogni suo sguardo che affondava sempre più
nel mio faceva quasi esplodere il mio desiderio di richiedere aiuto.
Non
sapevo come comportarmi, come fargli capire che non doveva insistere
perché non poteva vincere
su di me...non con ciò che c'era in gioco.
Scossi
la testa, Elijah mosse le mie spalle. “Smettila Irina, smettila
di mandare avanti qualsiasi cosa tu stia facendo e lascia che ti
aiuti!” disse, quasi gridando.
Presa
da una cocente rabbia nei confronti di me stessa, della debolezza che
con troppa irruenza veniva esternata in sua presenza lo colpii
lievemente. Elijah si portò
una mano alla fronte, strinse le palpebre e le labbra, come se avesse
una violenta emicrania.
Mi
fermai subito, appena mi resi conto di aver perso il controllo
proprio con lui.
Presa
dal panico,arrestai subito il flusso dei miei poteri, per non fargli
ulteriormente male. Il cuore martellò nel petto e il respiro
scappava frettoloso dalle mie labbra, mentre mi avvicinavo a lui per
vedere come stava. Elijah si tirò leggermente indietro, quando
sentì le mie mani posarsi sul suo braccio.
Mi
guardò a lungo, serrando la mascella e affilando lo sguardo,
intanto che riprendeva lentamente fiato.
Mi
venne da piangere al pensiero che avevo dovuto ferirlo di nuovo, per
mandare avanti tutta quella maledetta storia. Ritrassi le mani,
sapendo che non meritavano di posare sulle sue spalle e abbassai gli
occhi, velati di lacrime.
Non
dovevo sentirmi in colpa. Però il pensiero che lo avevo fatto
per mandare avanti il piano non mi consolava. Non lo avevo
già ferito abbastanza?
Elijah
mi guardò a lungo, quasi attendesse una spiegazione al mio
comportamento ma non gliela diedi. “Tu lo sai che
questo...atteggiamento non mi incanta, vero?” mi chiese,
malgrado fosse ancora lievemente provato dal mio colpo di poco prima.
Soffocai
il senso di colpa, mi limitai a indossare di nuovo la maschera per
mandare avanti il piano, quella di completa apatia verso il mondo che
mi circondava. Lui compreso.
Scossi
la testa.
Vai
via. Possibile che non riuscissi a dire altro di più
credibile?
Tornai
a guardare fuori dalla finestra, mentre sentivo gli occhi di Elijah
puntare sulla mia schiena. Non avrebbe desistito dal suo intento,
dubitavo persino credesse alla mia freddezza, e chiusi gli occhi
quando non avvertii più la sua presenza dietro me.
Se
n'era andato.
E,
ancora una volta, non ero riuscita a dirgli addio.
Forse
perché avevo così tante colpe nei suoi confronti, che
avevo bisogno di più forza per farlo. Forse perché lui
mi era stato sempre vicino, malgrado i miei errori, e non potevo
dirgli quella parola.
Guardando
il mio riflesso sul vetro, non potendo scorgere su di esso le lacrime
che stavano scendendo sul mio viso provai a dirlo.
Addio...le
mie labbra si mossero, ma nel silenzio non conclusi nemmeno quel
pensiero.
* *
* *
Anche
Morfeo ebbe la meglio su di me, solo che lui fu un vincitore
silenzioso e vinse, senza che potessi nemmeno accorgermene.
Quando
riaprii gli occhi, dovetti sbattere più volte le palpebre per
rendermi conto di essere viva. Dovevo aver dormito troppo a
lungo, tanto che quasi considerai i miei sogni la vera realtà
in cui vivevo, un'illusione più dolce di quella in cui, in
verità, vivevo.
Il
paesaggio apocalittico oltre quella finestra dimostrava che doveva
esser passato diverso tempo: il cielo era più nero rispetto a
poche ore prima e diversi, sottili lampi di luce squarciavano le
nuvole e diversi boati si susseguirono.
Sbadigliai,
stropicciandomi gli occhi e alzando la testa.
Mi
ero assopita da seduta, con la testa tra le braccia posate sul tavolo
e una coperta sulle spalle. Qualcuno doveva averla posta su di me per
ripararmi dal profondo freddo che risiedeva tra quelle mura.
Elijah.
Doveva
esser stato lui a coprirmi, malgrado quello a cui ero dovuta
ricorrere per impedirgli di scoprire la verità. L'accarezzai
con le dita e un lieve sorriso di nostalgia si disegnò sulle
mie labbra.
Durò
relativamente poco,il tempo necessario affinché i pensieri si
facessero largo nella nube del sonno e mi rammentassero solo una
cosa.
Che
il momento era quasi giunto.
I
miei pensieri vennero però nuovamente soppressi.
Un
respiro si fece largo tra di loro, un profumo che avrei riconosciuto
anche tra mille penetrò nelle mie narici e uno sguardo
premette sul mio corpo, quasi potesse dolorosamente attraversarlo.
Non
ero sola in quella oscurità.
Volsi
di scatto la testa verso un preciso punto vicino alla porta e scorsi
una figura; aveva la schiena posata sulla parete dietro sé, le
braccia strette al petto gli conferivano un aspetto autoritario e i
suoi occhi erano chiaramente visibili malgrado l'oscurità
regnante tra quelle pareti. Erano più grigi quel giorno,
probabilmente a causa del brutto tempo, e brillavano nel buio come
piccoli diamanti di luce.
Sporchi
di sangue però.
Era
Klaus.
Presa
dal panico, cercai di scattare in piedi come per voler fuggire, ma il
mio corpo e la mia mente non furono abbastanza rapidi per vincere su
di lui. Con velocità disumana, il vampiro si parò
davanti a me, strinse le mie mani e le posò sui braccioli
della sedia. Le dita affusolate circondarono i miei polsi, divenendo
catene con cui mi ritrovai immobilizzata su quella sedia. La coperta
cadde sul pavimento dietro le mie spalle.
Guardavo
Klaus spaventata, sentendomi tremare in tutto il corpo.
Lui
mi vedeva: vedeva come
stringevo le spalle per nascondere il tremore dovuto alla paura,
vedeva come le mie ginocchia, strette tra loro, non la smettevano di
vibrare sotto la gonna, vedeva come i miei occhi erano diventati
lucidi di fronte alla paura della morte.
Deglutii,
distogliendo poi lo sguardo dal suo volto e lasciandolo vagare
nell'oscurità.
Klaus
sghignazzò, il verso che abbandonò le sue labbra aveva
ben poco di umano.
“Hai
paura, piccola Petrova?” mi domandò, malgrado vedesse la
risposta nel mio corpo tremante. Accostò il viso al mio e io
mi ritrassi leggermente. “Fai bene ad averne.”
Un
sussurro di morte soffiò sul mio orecchio.
Rimasi
immobile, chiudendo le palpebre e ordinando al mio corpo di vincere
il terrore e di smetterla. Volevo mostrasse un po' di coraggio di
fronte al nostro aguzzino, che non gli desse la soddisfazione di
avere la meglio. Mi morsi il labbro, quando l'interrogativo per cui
Klaus mi avesse tenuta prigioniera balenò nella mia mente. Non
che mi importasse, visto quello che stava per succedere, ma non potei
fare a meno di avvertire la fiamma di paura bruciare con più
insistenza in me.
Uccidermi?
Torturarmi? Parlarmi? Che diavolo aveva in mente di fare con me
Klaus?
Lui
ammorbidì lentamente la sua presa sui miei polsi; le dita
sfiorarono delicatamente la pelle e, nel giro di pochi secondi, mi
ritrovai libera, ma comunque inchiodata alla sedia dal suo sguardo.
Alzai
di nuovo gli occhi nella sua direzione e Klaus si strinse ancora una
volta le braccia al petto, piegando la testa da un lato e posando la
schiena sul bordo del tavolo dietro di sé.
Era
a pochi centimetri dal mio corpo.
Lasciò
che il silenzio ci pervadesse di nuovo, anche se ogni tanto un lampo
in lontananza decideva di romperlo, e mi ritrovai a guardarlo. Presi
a tremare sempre meno, mentre osservavo i suoi occhi magnetici e il
cuore mi ricordò quanta rabbia nutrivo nei suoi confronti.
Che
cosa vuoi da me?
Gli
chiesi con lo sguardo, lui lo seppe prontamente tradurre.
Klaus
posò i palmi delle mani sulla superficie dietro di sé.
Guardò un punto davanti a sé, fece spallucce e mise un
finto broncio sul viso. “Ancora non lo so.” disse, quasi
stesse parlando di un normale impegno da programmare per il futuro.
“Sono molto impulsivo, sai? Per questo ti ho tenute prigioniera
qui, perché in quel momento mi andava. Ma non so ancora come
fartela pagare.”
Mi
sentii tremare dentro e Klaus sembrava quasi divertirsi nel
spaventarmi in quella maniera.
Era
diverso da quello che avevo conosciuto, diverso sia dal suo miraggio
e sia dal suo vero aspetto: i suoi occhi erano spenti, vuoti, privi
di sentimenti ed emozioni. Sembrava non guardare il mondo che lo
circondava, quasi non ne sopportasse la vista malgrado ci vivesse.
Qualcosa
si era spento in lui.
Mentre
studiavo con paura il suo volto, Klaus perse la voglia di giocare con
me.
Il
sorriso scomparì lentamente dalle sue labbra e i suoi occhi
rimasero fissi sul mio viso.
Non
avevo la forza per sostenerli troppo a lungo e così mi
ritrovai ad abbassarli con estrema rapidità.
“Katerina
è morta.”
A
quelle parole sobbalzai.
Pensai
subito che fosse una menzogna, o che avessi udito male, ma Klaus non
era in grado di mentire su qualcosa che interessava direttamente
anche lui. Voltai la testa nella sua direzione, molto lentamente,
sentendo il cuore martellarmi nel petto con sempre più forza.
Lui
era serissimo, mi fissava con le labbra schiuse e lo sguardo gelido
ed affilato.
Il
respiro mi si arrestò in gola e una pesante oscurità
parve avvolgermi nel suo abbraccio, quando ripetei le parole da lui
pronunciate dentro la mia testa.
No,
no, no...Katerina non poteva
essere morta. Non doveva esserlo, io non avevo fatto tutto quello
per...
“Si
è trasformata in un vampiro.” Klaus sembrò aver
sentito la voce dei miei pensieri e la interruppe prontamente.
Trattenni il fiato, ma il cuore non si placò. “La tua
cara sorellina si è approfittata di Rose e del suo aiuto per
sfuggire ai miei scagnozzi e...ora è una succhia sangue.”
Parlava
con evidente fastidio e notai che i pugni nascosti sotto le sue
braccia si erano fatti più stretti.
Il
fatto che Katerina fosse divenuta un vampiro doveva essere un altro
duro colpo per lui, visto che mia sorella serviva umana per essere
sacrificata. Sapere che non era propriamente morta
mi rincuorava, ma non mi rendeva nemmeno felice il fatto che si fosse
trasformata, mettendo in pericolo anche Rose e Trevor. Non volevo che
si dannasse ad
un'eternità di sangue e dolore, non in quella maniera almeno.
Si
era uccisa solo perché impaurita, perché
l'immortalità le garantiva di essere un leggero passo avanti a
Klaus e perché la vedeva come l'unica possibilità di
salvarsi da morte certa.
Niente
stava andando come previsto.
Venni
quasi presa dallo sconforto nell'immaginare mia sorella che
affrontava un tale cambiamento nella sua esistenza da sola, senza che
io potessi in alcun modo aiutarla.
Era
rimasta senza nessuno su cui contare per colpa mia e io non potevo
fare nulla per esserle d'aiuto.
Klaus
continuava a fissarmi, mentre mi portavo le mani tra i capelli e
chiudevo gli occhi per trattenere le lacrime. Si piegò su di
me, posando le mani sullo schienale della mia sedia per farmi
avvertire più da vicino la sua collera. “Sai che hai
appena condannato a subire la mia ira altre due persone?”
disse, la sua voce era vittima di quell'anima nera di odio ed ira che
manovrava il suo corpo.
Distorta,
quasi irriconoscibile o perlomeno non associabile a nessuno dei Klaus
che avevo conosciuto.
Avevo
un altro Klaus di fronte a me.
No,
ti prego.
Patetica
come solo io potevo essere, scattai in piedi e rimasi poi immobile.
Tenni
le braccia accanto alle gambe, gli occhi erano velati di lacrime che
mi sforzavo in tutti i modi di non lasciarle cadere sul mio viso, le
labbra tremavano nel vano tentativo di trattenere i singhiozzi.
Ma
che stavo facendo? Imploravo
Klaus come se lui conoscesse la pietà verso il prossimo?
Il
vampiro, infatti, mi guardò sorpreso; non capivo se perché
non si aspettava un simile gesto da parte mia oppure perché,
in qualche maniera, la mia supplica riusciva in parte a smuoverlo.
Rimossi
subito la seconda opzione, quando lui si mise dritto sulla schiena e
si avvicinò a pochi centimetri da me, come per sfidarmi.
Mi
pentii prontamente del gesto che avevo compiuto; le lacrime scorsero
solitarie lungo la pelle, ma caddero comunque in numero minore
rispetto a quelle che gli occhi stavano accogliendo in loro.
Alcune
gocce si limitarono a scendere lungo le guance, per poi unirsi
all'altezza del mento e cadere sul pavimento. A Klaus, del mio pianto
breve e silenzioso, durò ben poco. Lui fu la tempesta sul mio
dolore.
“Non
sei più nella posizione di pretendere qualcosa da me. Dovevi
pensarci prima.” mi rimproverò e trovai assurda la sua
pretesa nell'aver tanto desiderato che non mettessi i bastoni tra le
ruote al suo piano. “Hai mandato a monte qualcosa che ho
pianificato da secoli....lo capisci o no?”
Scossi
la testa incredula, mordendomi le labbra e avvicinandomi a lui con
sfida. Non ero in grado di spiegare perché stessi compiendo un
gesto simile, vista la fifa che nutrivo nei suoi riguardi, ma mi
ritrovai ad affrontarlo con il coraggio che avrebbe avuto un coniglio
nello sfidare un'aquila.
Volevi
uccidere Katerina.
E
pretendeva che rimanessi ferma e buona in un angolo, a lasciare che
lui continuasse il suo giochetto?
Klaus
abbozzò un sorrisetto provocatore. “Non è colpa
mia se è lei la doppelganger.” disse, quasi quella fosse
una scusante. “E non è nemmeno colpa mia se tu hai
avuto la sfortuna di averla come sorella.”
Strinsi
i pugni, il suo sguardo fomentò la rabbia che continuava a
bruciarmi con insistenza sotto pelle.
Potevi
salvarla. Poteva comunque
accettare il piano di Elijah, perché quindi non farlo?
Klaus
mosse gli occhi, seguii il movimento delle sue iridi che sembravano
unirsi violentemente alle mie, come incatenate a guardarsi per
sempre. La sua espressione mutò un'istante, in qualcosa che
non seppi definire, poi ritornò la maschera di rabbia ed odio
che fino a poco prima l'aveva animata.
“La
patetica vita di Katerina per me non contava nulla, è solo
un'umana...le avrei strappato il respiro senza pormi il benché
minimo problema!” parlò con un tale odio, con un tale
disprezzo nei confronti della vita di mia sorella che non riuscii a
sopportarlo.
Lo
colpii in pieno viso con uno schiaffo.
Il
rumore del mio palmo che si scontrava con la sua guancia schernì
la voce del silenzio.
Klaus
si era stranamente lasciato guidare dal movimento della mia mano e la
sua testa venne girata verso un punto alla sua destra,dove fissava il
pavimento come sorpreso. Ripresi lentamente fiato, alzando e
abbassando rapidamente le spalle e sentendomi incendiare il viso
dalla collera.
Quanto
lo odiavo.
Odiavo
ormai tutto di lui: il suo viso, i suoi occhi, le sue movenze, il
modo in cui mi parlava, la maniera in cui mi toccava. Sembrava che
quel Klaus che mi ero illusa di aver vissuto non l'avessi mai
realmente conosciuto, ma che fino ad allora mi fossi solamente
rapportata con il suo demone mascherato da essere umano.
E
io odiavo me stessa
per aver creduto che fosse diverso.
Klaus
si massaggiò la guancia, girò lentamente lo sguardo
verso me e fui solo in grado di scorgere i suoi occhi grigiastri che
mi fissavano con disprezzo. Il resto del volto venne coperto dal
palmo della sua mano e dai capelli biondi scompigliati attorno ad
esso.
Ti
odio. Ti odio. Ti odio.
Quante
volte avrei voluto gridargli quelle parole. Quante volte avrei voluto
fargli presente l'astio e il rancore che nutrivo nei suoi confronti.
Quante volte avrei voluto ferirlo, ancora e ancora, per fargli
provare anche solo un briciolo di quello che stavo sentendo io in
quel momento.
Klaus
si scricchiolò il collo con un rapido gesto, sembrava stesse
sforzandosi di restare calmo e non colpirmi. “So che mi odi.”
disse solo, con un filo di voce. Questa era fredda e tagliente come
il vento che torturava gli alberi all'esterno. “E non me ne
importa più.”
Ed
era vero.
Klaus
sembrava davvero non curarsi del mio odio; tempo prima mi aveva
ferita e colpita più e più volte quando gli avevo
rivolto quelle parole, ma in quel momento non gliene importava nulla.
La
cosa più importante per lui era solo la mancata riuscita del
suo diabolico piano.
Era
come se avesse spento la fiamma.
Come
se ciò che avevo fatto gli avesse permesso di soffiare su di
essa e spegnerla definitamente.
Continuavo
a respirare profondamente, ma persino il mio stesso fiato sembrò
capace di ferirmi in quel momento. Continuammo a guardarci, lui non
sbatteva nemmeno le palpebre pur di non perdere il contatto visivo
con i miei occhi, mentre io sembravo non riuscire a sostenerlo.
Più
lo guardavo e più volevo colpirlo con tutte le mie forze.
Ma
non ti dispiace nemmeno un po'? Non
provava nemmeno a scusarsi?
Pensavo
che, almeno dopo ciò che mi aveva rivelato il giorno prima,
provasse almeno un po' di ribrezzo per se stesso, per quello che
avrebbe fatto a mia sorella. Aveva detto di provare qualcosa per me,
che avevo risvegliato quel sentimento in lui, eppure voleva portarmi
via la persona che tenevo di più al mondo.
Se
davvero sentiva, perché non rinunciare al rituale, sapendo che
mi avrebbe fatto male?
Come
poteva aver anche solo menzionato l'esistenza di quei sentimenti,
quando nascondeva un orrore come quello?
Quello
non era amore, era solo una
pallida illusione di quel sentimento, pronto ad essere soffocato dal
suo innato egoismo. A lui non importava nulla di me, non importava
nulla del male che mi avrebbe e mi stava facendo. Non capivo come
faceva a guardare il riflesso di se stesso senza odiarsi nemmeno un
po'.
Klaus
fece spallucce. “Niente più conta per me adesso. Ho
perso il doppelganger, ho perso te...odiami quanto di pare, non puoi
ferire un uomo che non ha più debolezze.” disse solo,
senza sorridere e senza mostrare alcuna emozione nella sua voce.
Mi
sembrava davvero di trovarmi di fronte ad un mostro. E io non volevo
nemmeno essere considerata un qualcosa che lui aveva perso, non mi
aveva mai avuta perché non era mai stato sincero.
Lo
detestavo.
In
un baleno, Klaus mi spinse nuovamente contro la sedia con un gesto
violento. Quella quasi si ribaltò nell'impatto in cui finii su
di essa, ma lui impedì che si ribaltasse: posò la mani
sui braccioli della sedia e si piegò su me, incatenando i miei
occhi ai suoi per impedir loro di fuggire a quella prigionia. Il
respiro mi si fermò a metà, tra la gola e il petto,
serrai le labbra per non permettergli di fuggire dalle mie labbra e
incontrare il volto di Klaus.
Per
paura, i miei occhi decisero di restare succubi di quella gabbia.
“Elijah
non è nei dintorni in questo momento.” mi disse,
restandomi vicino. Sembrava quasi godesse del fatto che lui non
potesse intervenire. “Ora spiegami perché non lo fai,
perché non fuggi come lui vuole che tu faccia. Non ti rimane
più nulla, Irina, hai perso tutto...vuoi per questo perdere
anche la tua vita? Proprio non capisco.”
Il
respiro si mutò in tormento, tenni gli occhi fissi su Klaus e
sul modo in cui aveva accostato il viso al mio per impedirmi di
sfuggirgli.
Il
suo discorso avrebbe potuto ferirmi, se non fossi rimasta per mio
volere.
In
realtà ero là per uno scopo per cui valeva davvero la
pena vivere, ma lui non poteva saperlo. Preferii che credesse fossi
così sciocca da aver deciso di rimanere per chissà
quale decisione.
Sorrise,
traducendo la tristezza del mio sguardo, dovuto a ciò che
stava per succedere, in malinconia e nostalgia dovuta al fatto che
avessi perso tutto in pochissimi giorni.
“Se
vuoi, potrei essere buono con te e ucciderti in questo istante. Che
ne dici?” mi domandò, sadico e bastardo come
solo lui poteva essere. Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere
che avvicinò lentamente il viso alla base del mio collo e vi
soffiò sopra.
Restai
immobile e rigida, chiudendo gli occhi quando sentii le sue labbra
sfiorarmi quasi la pelle del collo. Avrebbe potuto mordermi in quel
preciso istante, eppure sapevo che non lo avrebbe fatto. Non sapevo
cosa me lo faceva pensare, ma lo sapevo. Sarebbe stato troppo
semplice per lui.
Volsi
la testa dall'altra parte quando il suo naso scorse lungo la pelle
della guancia, mi costrinse a guardarlo allungando la mano verso la
mia guancia destra. Le sue dita premettero con forza sulla pelle e mi
ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. Ogni tentativo di
allontanarlo fu vano ed inutile.
“Prima
però...ti obbligo a rivelarmi il vero motivo per cui sei
rimasta.” mi disse, portando poi il viso all'altezza del mio.
La
sua non era una richiesta bensì un'imposizione di volere;
voleva davvero capire il motivo per cui non fossi fuggita insieme a
Katerina e mi domandai, ingenua come sempre, se sapere il motivo lo
avrebbe in qualche modo distolto dai suoi sanguinosi propositi di
vendetta.
Le
sue dita scesero a stringermi il mento, in una presa leggermente più
delicata ma sempre mortale. Socchiusi le palpebre, fissando le sue
iridi chiare e ascoltando il rumore della pioggia che continuava a
battere sulla realtà all'esterno.
Un
tuono si aggiunse a quei suoni.
Sentii
le lacrime pungermi gli occhi, mentre lo guardavo e scossi lentamente
la testa, arrendendomi a quella debolezza.
L'amore...Iniziai
a dire, muovendo lentamente le labbra. Klaus affilò lo sguardo
confuso.
Non
è solo dolore...non
capivo da dove nascessero quelle mute parole; le trovai inappropriate
e inutili.
L'amore...e
continuavo, continuavo
a muovere le labbra mentre Klaus traduceva il mio silenzio, malgrado
desiderassi con tutta me stessa che quelle smettessero di muoversi.
È
essere disposti a morire per coloro che si ama.
L'amore
è un campo di battaglia; molti soldati ne escono con il cuore
infranto, altri invece, con un sorriso sulle labbra. Si curano le
ferite causate dalla battaglia combattuta per poterlo ottenere e si
preparano a vivere l'amore per cui hanno lottato. Che vincano o
perdano, i soldati hanno in comune la guerra, la lotta con la vita e
con il dolore per far prevalere il loro amore e proteggere a tutti i
costi coloro che tenevano a cuore. Klaus non amava, era un soldato
che aveva abbandonato la battaglia e aveva preferito nascondersi nel
proprio egoismo per paura di poterla perdere.
Quindi
non poteva capire una cosa del genere.
Il
vampiro sbatté le palpebre, non riuscendo a comprendere il
messaggio nascosto nei miei occhi. Ma restò colpito dalle
parole che le mie labbra si erano concesse; sospirò e abbassò
lo sguardo sul mio corpo ancora in preda ai tremori.
“Elijah,
Katerina....Vuoi dunque dirmi che sei rimasta solo per loro, giusto?”
constatò.
Non
risposi in alcuna maniera, il silenzio diceva tutto.
“Vuoi
farti perdonare il fatto che li hai traditi entrambi per caso?”
ridacchiò poi, con l'intento di ferirmi. Chiusi gli occhi e
deglutii, mandando giù un pesante groppo che mi bloccava il
respiro.
Improvvisamente,
Klaus mi guardò di nuovo e qualcosa nei suoi occhi era
cambiato. Come se nei miei occhi lucidi, avesse trovato una risposta
che cercava da tempo.
Come
poteva capire? Non sospettava
nulla.
“Sei
libera di andare.” disse, dopo un po' di silenzio e si
allontanò rapidamente verso la porta.
Non
compresi subito, quelle parole mi sembrarono troppo inverosimili.
Sbattei più volte le palpebre, seguendo la sua figura che si
faceva sempre più lontana nell'oscurità e rimasi
immobile.
Klaus
aprì la porta, inumidendosi le labbra e volgendo lo sguardo
verso l'esterno. Si accorse che stavo scuotendo la testa, come per
chiedergli a cosa fosse dovuto quel cambiamento d'idea. Era assurdo
come cambiasse nel giro di pochi secondi, come un pensiero mutasse in
altro in un singolo momento, a causa di qualcosa che poteva risultare
una cosa piccola e banale per qualcuno ma non per lui.
A
lui bastava una sola parola, un solo gesto, una sola lacrima per
passare dall'antipodo di un'emozione all'altra.
“Ti
stai chiedendo perché ti sto lasciando andare, vero?” mi
domandò, traducendo in quella maniera il mio sguardo
interrogativo. I nostri sguardi si incontrarono, malgrado l'oscurità
sembrava largamente distanziarci. “Semplice; non c'è
soddisfazione migliore per me che dare la caccia a te e tua sorella
insieme. La trovo più gratificante come punizione da
assegnarti.”
L'odio
riprese a farmi battere con forza il cuore, strinsi i denti con
rabbia e i pugni sopra le ginocchia. Mi feci male, ma poco importava:
le parole che Klaus stava pronunciando accrebbero così tanto
la mia rabbia che il dolore fisico passò in secondo piano. Ma
se non fosse stato così? Se lo stesse facendo perché....no,
impossibile.
Klaus
abbozzò un sorriso. “Non ti amo più Irina. Non è
per quello che lo sto facendo.” aggiunse poi, per donare un
epilogo ben peggiore a quelle sue frasi.
Mi
morsi il labbro furiosa, ma non ebbi tempo di fare altro che un grido
femminile ruppe il silenzio.
Proveniva
dal corridoio esterno, ed era così vicino e così
familiare che sia io che Klaus ci voltammo a guardare il
pavimento oltre la porta per poi lanciarci un'occhiata complice.
Rebekah.
Era
iniziato tutto.
Klaus
uscì all'esterno, camminando con passi decisi e veloci e io
scattai in piedi, pronta a seguirlo. Appena fummo fuori, nel lungo
corridoio circondato dalle colonne bagnate della pioggia, la prima
cosa che attirò il nostro sguardo fu lui.
Mikael.
Teneva
Rebekah tra le sue braccia in una specie di stretta fatale,
l'abbraccio che non si donerebbe mai ad una figlia che piangeva in
quella maniera. Le teneva i polsi stretti in un palmo, all'altezza
della spalla destra di lei, e con l'altra mano teneva un pugnale
dalla punta nera puntato contro il cuore di lei.
Pronto
a colpirlo in qualsiasi istante per toglierle la vita.
Li
aveva di nuovo trovati; compresi che Klaus aveva deciso di
abbandonare, insieme ai suoi fratelli, la villa in quei giorni
proprio perché temeva quel momento. Ma, ormai, non vi poteva
più sfuggire.
Klaus
restò immobile; malgrado mi trovassi dietro di lui vidi
indistintamente i suoi pugni stringersi, i muscoli irrigidirsi sotto
i vestiti e il respiro che soccombeva dentro il suo corpo. La paura
s'impossessò del suo spirito, mentre fissava la figura del suo
peggiore incubo che teneva tra le mani la vita di sua sorella.
Mikael
fece slittare lo sguardo nella mia direzione, un sorriso provocatore
gli si disegnò sulle labbra quando i nostri occhi entrarono in
contatto. Non doveva aver dimenticato lo scherzetto che gli avevo
giocato, sempre se era consapevole che ne fossi io la colpevole.
“Felice
di rivedervi, ragazzi.” disse Mikael con voce profonda, quasi
solenne. “Non vedevo l'ora di vedere dal vivo anche questa
bella casetta.”
Alzò
il mento in direzione di Klaus e spalancò leggermente gli
occhi. Il ragazzo rabbrividì in quel preciso istante e mi
immaginai la sua espressione impaurita, mentre affilava lo sguardo e
stringeva con forza le labbra tra loro, nel tentativo di farle
smettere di tremare. “È passato troppo tempo, non
trovate? E l'ultima volta ci siamo lasciati così male...”
Rebekah
continuava a piangere, chiuse gli occhi e trattenne a stento i
singhiozzi che le scoppiavano nel petto. Sembrava una bambina in
balia del mostro che divorava i suoi sogni notturni; il viso di
porcellana era solcato da lunghe scie di lacrime che scorrevano più
lentamente rispetto alla pioggia.
Ma
le gocce che cadevano dai suoi occhi erano certamente più
rumorose.
Sentivo
il suo panico e il suo terrore persino dal punto lontano in cui mi
trovavo.
Klaus
s'irrigidì di più, i pugni si serrarono con maggior
forza e il corpo venne scosso da un lungo tremore. Mi chiesi se
stesse guardando con profondo terrore suo padre, oppure con tenerezza
l'immagine di sua sorella in lacrime. Era così spaventato che
non credevo fosse capace di muoversi da quella posizione per correre
in aiuto di Rebekah.
“Lasciala
stare.” disse solo, con voce roca che venne sfidata dalla
violenza di un tuono in lontananza.
Il
vento aveva preso a soffiare con forza e, malgrado ci trovassimo in
un punto coperto, trasportò a noi le gocce di pioggia che
continuavano incessantemente a bagnare la terra.
Mikael
chiuse gli occhi, scosse la testa e assunse la tipica espressione di
qualcuno che non poteva soddisfare la richiesta di un altro. Solo che
la sua era ovvia finzione per burlarsi di Klaus.
“Certo.
Se ti consegni a me, la lascerò certamente andare.” gli
propose, ma pensai fosse una bugia. Mikael voleva farla pagar loro
per essere fuggiti per tutto quel tempo, per aver mantenuto la
promessa che si erano fatti secoli prima, quella di rimanere sempre
insieme.
Dovevano
pagare tutti loro, anche se Elijah e Rebekah non erano nel mirino del
suo disprezzo.
Strinsi
i pugni.
Rebekah
riaprì gli occhi e li puntò sul fratello; la sua
espressione addolorata sembrava implorarlo di salvarla ma, al tempo
stesso, di non acconsentire al volere del padre.
Non
voleva morire, ma non voleva nemmeno restare da sola senza il suo
amato fratello.
Vedendo
che Klaus rimaneva rigido in un blocco di paura, feci un passo verso
Mikael e Rebekah, credendo di poter fermare in qualche modo quella
tragedia. Ma Klaus tese il braccio per impedirmi di proseguire e mi
fermai prima che il mio volto finisse contro il suo gomito.
Volsi
lo sguardo verso lui, confusa. Lui non mi rivolse alcuna occhiata e
si limitò a tenere il braccio teso.
“Tu
torna in sala e non immischiarti.” mi ordinò, con voce
dura ma che vibrava leggermente nelle note della paura. Non distolse
mai lo sguardo dal volto di suo padre e un altro brivido lo scosse.
Mikael
sorrise, mantenni il volto in direzione di Klaus ma volsi lo sguardo
verso il suo nemico. “Andiamo Niklaus....” ridacchiò.
“Ora che non hai più il tuo prezioso doppelganger sei
piccolo, inerme e patetico come lo eri quando il cuore ti batteva nel
petto. Ma sono certo che non avresti lo stesso avuto il coraggio di
affrontarmi una volta divenuto un ibrido.”
La
punta del pugnale affondò maggiormente nel petto di Rebekah,
che prese a piangere più intensamente, trattenendo i suoi
singhiozzi con fatica. Klaus fece un passo in avanti ma poi si fermò.
“Se
ami così tanto tua sorella, perché non vieni qui e mi
affronti da uomo, eh?” Il tono di Mikael si era fatto
autoritario, simile a quello che doveva usare quando era umano e
ricordava a suo figlio quanto indegno per il mondo fosse, secondo la
sua logica contorta di padre.
Ebbene,
Klaus si era adattato fin troppo bene al mondo, facendosi immergere
dall'oscurità in cui questo era piombato dall'inizio dei
tempi, ma di fronte a Mikael non vi era oscurità che potesse
renderlo più forte.
Klaus
tacque e io strinsi i pugni rendendomi conto che stava per avere
tutto inizio. Avevo aspettato così a lungo quel momento,
che sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene, mentre assistevo a
quella scena.
“Coraggio
Niklaus!” Mikael urlò, la sua voce assunse la stessa
tonalità e la stessa brutalità di uno dei tuoni che
stavano squarciando il cielo nero.
Klaus
sobbalzò sul posto, come un bambino spaventato dal rimprovero
del padre.
I
miei pugni si strinsero con più forza.
“Vieni
qui e salva tua sorella! Sii uomo per una volta nella tua miserabile
esistenza!” Mikael gridò di nuovo, la sua voce
riecheggiò tra le pareti spoglie della villa e Rebekah si
lasciò sfuggire un singhiozzo.
Klaus
non riusciva a muoversi; immobilizzato come una statua, guardava il
suo incubo con impotenza.
I
miei pugni si strinsero ancora di più, le unghie
affondarono nella carne.
Mikael
scosse la testa, quando nell'oscurità prese atto del terrore
del figlio che lui doveva considerare vigliaccheria.
“Non
sei disposto a morire per la tua famiglia. Non sei disposto a
rinunciare a te stesso per la donna che ami...” Fece un cenno
nella mia direzione, il rancore che nutrivo nei suoi confronti mi
incendiò il petto e Klaus mi guardò con la coda
dell'occhio. “Non hai mai meritato di vivere.”
Volsi
lo sguardo verso Klaus, i miei pugni iniziarono a rilassarsi.
Il
vampiro stava ancora rabbrividendo, ma ascoltava le parole del padre
senza replicare in alcun modo.
Forse
perché pensava che una parola avrebbe potuto far scattare il
suo nemico, oppure perché, dentro sé, credeva davvero
in ciò che lui gli stava dicendo. Non potevo permettermi di
rimuginarci su.
Mikael
sorrise. “Sarò felice di ucciderti quest'oggi.”
concluse. “E con te, magari, la tua bella amata. Magari un po'
ti ferisco...chissà!”
Era
il momento di agire. Lo capii
nel momento in cui vidi Klaus provare a
reagire.
Pensai
fosse più difficile, invece accadde tutto con estrema
rapidità.
Mikael
che sbarrava gli occhi per la sorpresa.
Rebekah
che lanciava un urlo disperato.
La
mia mano che rimaneva tesa verso Klaus.
Il
suo corpo che cadeva di schiena a terra, privo di vita.
Seguii
il movimento della sua figura che si riversava a terra, con le
braccia aperte, la testa che dondolava sul pavimento per l'impatto
della caduta e le gambe leggermente piegate.
Sembrava
si fosse addormentato, il suo viso assunse un aspetto angelico mentre
il sonno della morte lo attanagliava.
Credevo
sarebbe stato più difficile usare i miei poteri, invece avevo
già imparato a dominarne la forza quasi con maestria. Presi
dei lunghi respiri, fissando Klaus a terra e sbarrando lo sguardo.
“No!
Che cosa hai fatto?!” gridava Rebekah, cercando di dimenarsi
dalla stretta del padre, per correre in aiuto di suo fratello.
Avevo
ucciso Klaus. Ecco cosa avevo
fatto.
Guardai
ancora il suo corpo, le palpebre chiuse al mondo e il corpo
abbandonato su quelle fredde mattonelle. Avevo proprio io strappato
la vita da lui?
Mikael,
dopo un lunghissimo attimo di sorpresa, iniziò a ridere come
divertito da quello spettacolo. Continuai a fissare Klaus, sentendo
una strana sensazione crescere dentro di me mentre guardavo il suo
viso, mascherato da una espressione innocente, posta su esso dalla
mia mano di morte.
“Irina,
che cosa hai fatto?!” continuava a gridare Rebekah, con pura
isteria nei toni della voce.
Il
suo grido, poi, mutò in un rantolo di dolore.
Mi
decisi a guardarla; Mikael l'aveva pugnalata al petto con forza, ma
la teneva tra le braccia con delicatezza, mentre la vita scorreva via
dal suo corpo. Non voleva farla cadere a terra quando sarebbe
tutto finito, quasi volesse
accompagnarla per mano verso il buio della morte.
Quasi
volesse sentirsi padre in quel frangente.
Rebekah
mi guardò fino alla fine, boccheggiando nel tentativo di
assorbire ossigeno mentre la pelle le diveniva lentamente grigiastra.
Il petto sembrava tremarle, scosso nei suoi ultimi respiri, e i suoi
occhi divennero lentamente spenti e vitrei.
Ma
con una domanda ben riposta in essi, mentre mi fissava nei suoi
ultimi attimi di agonia.
Mi
stava chiedendo perché lo
avessi fatto. E non avrebbe mai potuto avere la risposta.
Abbassai
gli occhi, nel momento in cui la vita l'abbandonò e il suo
corpo si abbandonò completamente tra le braccia del padre.
Mikael
la osservò a lungo, con un velato senso di tristezza nello
sguardo mentre lo faceva scorrere lungo il volto della ragazza.
L'adagiò poi con delicatezza sul ruvido e freddo pavimento.
Malgrado
si trattasse dell'assassino e della sua vittima, quella scenetta mi
trasmise una momentanea sensazione di tenerezza, come se mi trovassi
di fronte ad un tipico quadretto familiare.
Scacciai
quella sbagliata sensazione scuotendo la testa e tornando a guardare
Klaus; il suo volto era rivolto verso il cielo, ancora nero di
tempesta, e il candore della pelle venne illuminato dalla luce di un
lampo. Mentre lo guardavo, mi ritrovai a non avere emozioni né
pensieri.
Fissavo
indifferente il suo cadavere, rammentando i momenti passati che
consideravo bugia e i momenti attuali che invece erano stati segnati
da un dolore troppo grande.
Malinconia
e dolore.
Avrei
dovuto provare quelle due cose, fissando il suo corpo privo di vita,
e invece mi ritrovavo a sentire il nulla dentro me.
La
mia umanità era appena caduta in un precipizio e da esso non
sarebbe più potuto risalire.
Mikael
si rivestì della propria perfidia, appena Rebekah fu distesa
sul pavimento. Alzai lo sguardo nella loro direzione, il manico del
pugnale conficcato nel petto della vampira era esposto in bella
vista.
“E
io che ti facevo stupida, piccola Petrova.” ridacchiò il
vampiro, camminando verso me con estrema ed elegante sincronia nei
movimenti.
Batteva
le mani, il rumore dei suoi palmi che lentamente si scontravano tra
loro ruppe l'innaturale silenzio sceso sopra di noi. Persino i tuoni
sembravano aver perso la loro voce, in confronto a quel gesto.
“Quando
ho visto che eri rimasta con loro, credevo lo avessi fatto per
qualche stupido motivo di cuore.”
Mi
si fermò accanto, nel momento stesso in cui ero tornata a
guardare Klaus.
I
capelli mi coprivano completamente il volto, li sentivo aderire
perfettamente alle guance mentre il mio sguardo fissava intensamente
le palpebre chiuse della mia vittima.
“E,
invece, lo hai preso per i fondelli e vuoi consegnarlo a me? Sei
davvero degna di tuo padre, ragazza.” concluse Mikael, con
un'ultima risatina gutturale, che venne seguita da un lampo in
lontananza. Trattenni il fiato di fronte a quelle parole, poiché
la mancanza di sentimenti in me, e il fatto che il mio cuore battesse
silenzioso nel petto dopo ciò che avevo fatto, era la prova
che non ero poi diversa dal demonio che era mio padre.
Un
tempo, sapermi così maligna, mi avrebbe fatto male ma in quel
momento non me ne importava.
Mikael
si schiarì la voce, mettendosi ad osservare anche lui con
indifferenza la morte che si trovava ai nostri piedi. Mi chiesi come
si dovesse sentire lo spirito di Klaus, se avesse potuto assistere
all'indifferenza in cui stavamo reagendo alla vista del suo cadavere.
“Così
mi fai sentire in colpa...” parlò ancora il vampiro con
fare divertito.
In
quel preciso istante, rammentando ciò che Belial mi aveva
detto riguardo ciò che Mikael aveva fatto, alzai lo sguardo su
di lui e un sentimento riaffiorò in me. Il sentimento più
buio e pericoloso che il mio corpo potesse accogliere dentro sé:
quello dell'odio e della rabbia più profonda.
Mikael
pensò che non sapessi la verità.
“Comunque...con
i tuoi poteri, hai solo spezzato il collo al tuo fidanzato....ma
questo non lo uccide mica!” disse, aprendo i palmi delle mani
verso l'alto e lanciandomi un'occhiata, come se pensasse fossi così
stupida da non saperlo.
Per
tutta risposta, piegai la testa da un lato e tesi il braccio verso
Klaus, quasi per dare il permesso a Mikael di prenderne il corpo.
Dai
miei occhi dovette trapelare tutta la freddezza che ero capace di
ostentare.
Mikael
rabbrividì un istante, colpito dalla lentezza dei miei
movimenti e dai miei occhi ridotti a due oceani notturni senza fondo.
Il suo sguardo si fece inquisitore, scorrendo sul mio viso e sul mio
corpo, come se volesse provare la fiducia che aveva nutrito senza
difficoltà nei miei confronti poco prima.
“C'è
qualcosa di strano in te, ragazzina.” disse e fece un passo
verso me, allungò la mano verso il mio viso e lasciai le sue
dita libere di spostare i capelli che mi coprivano le guance e gli
occhi.
Sentire
la sua pelle fredda toccare la mia, mi provocò un lungo
brivido di paura che mi percorse la spina dorsale.
“Ora
che ci penso..” Mikael portò i capelli dietro le mie
orecchie e inclinò leggermente il viso.“Mi risulta
difficile che tu sia davvero capace di una cosa simile, malgrado la
vendetta e il sangue che ti scorre nelle vene...”
Un
altro brivido. Un altro tuono ruppe il silenzio. E rimase solo il
rumore della pioggia.
Quella
continuava ancora e ancora a
cedere senza sosta oltre le colonne, i fiori e le piante in giardino
continuarono a venir mosse dal violento vento che soffiava sulla
terra.
Sia
io, che Mikael, che il corpo di Klaus venimmo bagnati dalle gocce
scagliate da esso contro di noi.
Lo
faccio per Katerina.
Gli
feci intendere, anche se dubitai fortemente che Mikael fosse stato
capace di capirmi. La sua mano restò sui miei capelli, in una
presa che poteva divenire mortale da un momento all'altro, e parve
capire ciò che stavo trasmettendogli. Uccidendo Klaus,
consegnandolo a lui, potevo garantire la salvezza di mia
sorella....come poteva dubitare di ciò che avevo appena fatto?
Mikael
non disse altro, strinse le labbra e abbassò lo sguardo sul
mantello che portava indosso.
Staccò
la mano dal mio viso, la fece scorrere sotto il tessuto scuro del
mantello e estrasse un altro pugnale, destinato al petto di Klaus.
Probabilmente ne aveva anche un terzo, lo guardai con odio.
“Beh
allora...grazie per l'aiuto, cara.” Mikael provò ad
abbassarsi su Klaus, lo vidi inginocchiarsi e osservare a lungo il
volto del figlio. Era uno sguardo diverso da quello che aveva usato
per guardare Rebekah, era carico di astio, ribrezzo, un odio che non
si era spento nemmeno dopo secoli.
“Sai
di cosa è colpevole?” mi domandò, non degnandomi
di un'occhiata.
Rimasi
immobile, poiché ne ero già a conoscenza. Belial mi
aveva detto di come Klaus aveva strappato il cuore dal petto della
madre, una volta scoperta la verità sulla sua natura, ma non
era lui l'unico colpevole di quella morte. Lo scontro con Belial
l'aveva indebolita quasi a ridurla in fin di vita ed era per colpa
del demone se Esther non era stata capace di difendersi dalla furia
del figlio.
Distolsi
lo sguardo quando Mikael lanciò un'occhiata verso me, quasi
avesse captato i miei pensieri.
Mi
asciugai le mani sudate sulla gonna.
Coraggio,
fallo. Uccidi Klaus. Erano solo
quelli i miei pensieri.
Lo
vidi alzare le mani, strette attorno al manico del pugnale, pronto a
colpire il petto del figlio.
Mi
preparai ad agire.
Ma
qualcosa andò diversamente da come avevo pianificato.
Un'ombra
spinse via Mikael da me e da Klaus; il vampiro perse il pugnale che
cadde in un punto vicino ai miei piedi e il suo corpo venne scagliato
lontano, in un punto alle mie spalle dove rimase disteso a terra,
gemendo di dolore. Lanciai un'occhiata nella sua direzione, per poi
tornare a guardare l'ombra che aveva preso forma davanti a me.
Elijah.
Aveva
velocemente strappato dal petto di Rebekah il pugnale che l'aveva
colpita al cuore e poi si era fiondato su Mikael come una furia, per
salvare me e Klaus.
I
suoi occhi neri guardarono il corpo di Rebekah alle mie spalle poi mi
fissarono intensamente, le spalle si alzavano e abbassavano in preda
a profondi respiri, stringeva in una mano il pugnale che aveva
infierito su sua sorella mentre guardava il mio volto, scoprendo la
maschera di cinismo che lo copriva. Aveva pensato per un attimo che
fossi anche io vittima di Mikael; in quel momento invece si rese
conto che ero invece carnefice come lui.
Non
disse nulla, serrò la mascella e mi superò, parandosi
davanti a Mikael che si stava alzando a fatica da terra. Rimasi
immobile vicino al corpo di Klaus, il piano stava sfumando.
Mikael
si alzò in piedi, perse il tipico sorriso sornione che era
solito regalare a chi gli piaceva far tremare. Ma con Elijah era
diverso; sembrava quasi che fosse lui quello a tremare di fronte al
suo cospetto.
Ci
fu un breve momento di intesa tra i loro sguardi, come se i due
stessero rivivendo il loro legame affettivo, che doveva essere stato
saldo, ma comunque conflittuale, quando erano stati umani.
Elijah
aveva sempre protetto Klaus dalle sue angherie.
Elijah
doveva essere l'unica vera figura maschile da cui Rebekah doveva
essersi sentita davvero protetta.
Elijah
doveva essere l'unica figura della sua famiglia, che Mikael doveva
temere perché era l'unico a non nutrire davvero paura nei suoi
confronti.
Quel
momento di sguardi durò pochissimo, strinsi i pugni e abbassai
di nuovo gli occhi su Klaus. Dovevo agire, ma
come? Guardai il pugnale, non potevo usarlo contro di
lui...
Guardai
padre e figlio nell'intento di sfidarsi, mentre, immobile, elaboravo
un piano nella mia testa.
“Non
ho mai voluto che arrivassimo a questo punto, Elijah. Non con te,
figlio mio.” disse Mikael, stringendo il pugnale nella mano.
Bugiardo,
non voleva arrivare a quel punto perché aveva paura di
lui.
Elijah
non rispose; lo guardò con disprezzo, dovuto al fatto che
aveva colpito i propri figli in quella maniera brutale. Erano suoi
fratelli, malgrado con Klaus fosse evidentemente in conflitto per la
storia di Katerina, ed era normale che li volesse difendere da colui
che aveva dato inizio alla distruzione della sua famiglia. Perché
Mikael era il vero colpevole dell'oscurità che aleggiava su di
loro.
“Non
ti permetterò di distruggere questa famiglia, padre. Non di
nuovo.” rispose Elijah.
Mikael
lo guardò in silenzio, quasi infastidito dal tono duro e
tagliente che il figlio aveva usato nei suoi confronti. “È
stato tuo fratello a distruggere tutto. Te ne accorgerai molto
presto.” disse. “Ma visto che avete scelto
lui...pagherete entrambi la vostra innata stupidità!”
A
quelle parole si scagliò su di lui e la lotta ebbe inizio:
erano così rapidi e precisi nei movimenti che non riuscivo
nemmeno a dire chi stesse per avere la meglio. Elijah tagliò
l'aria più volte con la lama del pugnale, ma Mikael scansò
diverse volte il colpo con estrema velocità e rudezza nei
movimenti.
Rimasi
immobile, assistendo a quella lotta furiosa che stava avendo luogo
innanzi ai miei occhi. Strinsi i pugni, lanciai un'occhiata alle mie
spalle verso Rebekah e accanto a me su Klaus.
Stava
andando tutto a monte. Elijah
non doveva essere presente per...
Mi
bloccai, quando vidi Mikael riuscire a strappare il pugnale in mano
ad Elijah con un colpo basso, per poi colpirlo alle spalle, in un
punto vicino al cuore.
No...
Guardai
Elijah piegarsi in due per il dolore, portandosi la mano dove la
punta del pugnale fuoriusciva dalla sua pelle. Aveva mancato il
cuore, ma quell'arma sembrò voler bruciargli in quel punto più
in basso nel petto. Mikael lo guardava indifferente, riprendendo
fiato mentre il figlio si piegava in due in preda agli spasmi di
dolore.
Vigliacco.
Mikael lo aveva colpito alle
spalle ed Elijah non era stato capace di difendersi.
Strinsi
i pugni, volevo agire.
Io...io
dovevo assolutamente portare avanti il piano nonostante tutto.
Persa
nella poca lucidità dei miei pensieri, rimasi a fissare la
scena inebetita, con il respiro improvvisamente troncato quando vidi
Elijah cadere a terra. Gemeva continuamente di dolore e si piegò
a terra, chiudendo gli occhi e cercando con le braccia tremanti di
strapparsi via dal petto quell'arma.
Mi
mordicchiai nervosamente un labbro, guardando lui, poi il cadavere di
Klaus e il corpo ancora privo di vita di Rebekah. Stavo di nuovo
perdendo il controllo della situazione, trovandomi di fronte a tre
scene che mi stringevano il cuore in una morsa.
Mikael
se ne stava in piedi davanti al figlio, affaticato dalla dura lotta
che aveva intrattenuto con lui poco prima. Elijah avrebbe vinto, se
lui non fosse ricorso a quell'atto così villano.
Maledetto.
Venni
tentata dall'accorrere in suo aiuto, ma la mente ordinò ai
piedi di non muoversi perché il piano doveva andare
avanti. O sarebbe stata la fine.
Non
potevo cedere, non potevo mandare a monte tutto, dovevo
portarlo avanti fino alla fine.
“Scusami
Elijah, sarò subito da te non appena avrò finito con
tuo fratello.” gli disse Mikael, con tono ancora affaticato.
Si
sistemò il mantello sgualcito e il colletto di stoffa scura
che si era piegato sotto il suo mento.
Poi
si avvicinò a me lentamente, lanciandomi diverse e veloci
occhiate.
Non
si curò dello sguardo che tenevo rivolto verso Elijah, della
sofferenza che provavo nel vederlo in quello stato agonizzante, del
desiderio di correre da lui e togliergli quel pugnale che penava sul
suo corpo. Ma non potevo fare nulla.
Mikael
si accorse dei miei occhi sgranati quando mi fu accanto e allora mi
ricomposi.
Come
un'attrice pronta a mandare avanti la sua parte, sbattei più
volte le palpebre per riportare sul mio viso l'espressione fredda di
cui avevo bisogno.
Mikael
riprese il pugnale di poco prima e mi guardò divertito. “Spero
non ti dispiaccia.” disse, riferendosi alla figura di Elijah
che mi guardava, ancora inginocchiato a terra in preda agli spasmi di
dolore.
“Sai...affari
di famiglia.” ammiccò nella mia direzione e pensai di
dovermi sentir invadere dalla rabbia o dal disappunto, ma in realtà
non riuscivo a sentire altro se non il dolore nel vedere quello
spettacolo.
Lanciai
un'occhiata verso Elijah, lui mi guardava incredulo, confuso,
stupito, ferito...deluso.
Perché
non avrebbe mai pensato che la fine della sua famiglia sarebbe stata
segnata proprio per mano mia, di colei che troppe e troppe volte lo
aveva colpito in così poco tempo.
La
mia mano era brava a ferire sempre più in profondità
ormai, abituatasi a stringere nel suo palmo armi pronte a colpire
alle spalle. Sopratutto spalle di persone a cui non avrei mai voluto
fare del male.
“Diavoletto?”
Mikael mi richiamò, pronunciando quel nomignolo come se stesse
rivolgendosi ad un bambino. Tornai a guardarlo, la maschera mi era di
nuovo caduta dal viso.
Scossi
la testa, facendogli capire che non m'importava nulla di Elijah.
Quest'ultimo
lo capì, continuò a tenere lo sguardo puntato nella mia
direzione e pronunciò il mio nome.
Chiusi
gli occhi quanto sentii la sua voce chiamarmi, con quel punto
interrogativo alla fine di esso. Come se non mi riconoscesse, come se
volesse rivedere la persona che pensava di aver conosciuto, come se
invocasse un angelo, guardando però un diavolo.
Mikael
si chinò su Klaus, riprese il pugnale accanto al suo corpo e
quella volta non prese tempo a rammentargli il suo odio attraverso lo
sguardo.
Si
accinse a colpirlo in pieno petto, condannandolo ad un destino di
eterna morte.
I
secondi passarono inesorabili.
Le
mani di Mikael si innalzarono vero l'alto, pronte a colpire.
Elijah,
a diversi passi da noi, combatté con la sua agonia per alzarsi
in piedi e fermare il padre.
Io
volsi la testa nella sua direzione.
Lo
sguardo di Elijah catturò il mio.
Un
tuono ruppe il silenzio.
Elijah
lesse il dolore sul mio volto, assaporò l'attimo che anticipa
la fine di tutto.
E io
gli sorrisi.
Il
tempo parve fermarsi, ed Elijah guardò quel sorriso sulle mie
labbra, senza capirne il significato.
Ma
davvero pensava che avrei lasciato morire lui e la sua famiglia?
Credeva potessi arrivare a
tanto?
Mi
fece sorridere il modo in cui ero riuscita ad “imbrogliarlo”,
cosa che non ero quasi riuscita a fare quella mattina. Presi atto del
fatto che fossi divenuta davvero una brava attrice.
Per
confermargli il tutto, gli feci un leggero occhiolino ma dubitai che
ne avesse capito il vero significato, visto il dolore che lo faceva
piegare in quel momento.
Il
pugnale nelle mani di Mikael si abbassò lentamente, la punta
arrivò quasi a penetrare nel petto di Klaus.
Ma
io lo fermai.
Il
vampiro lanciò quasi un grido e si ritrovò con la
schiena contro la parete alle mie spalle. Il pugnale che teneva in
mano era caduto accanto al corpo del figlio, dopo che lo avevo
scaraventato lontano da lui e lo tenni il più possibile contro
il muro, con il palmo della mano tesa nella sua direzione. Mi
avvicinai lentamente, mantenendo dentro me la forza necessaria per
impedirgli di muoversi: spezzare il collo a Klaus con il pensiero
risultò più semplice, vista la breve durata di
quell'attimo, invece tenere Mikael attaccato alla parete risultò
essere molto più difficile, visto che era un gesto in cui
dovevo impiegare più energia.
“Irina?”
Elijah chiamò il mio nome e gli lanciai un'occhiata veloce,
volevo rendermi coraggiosa, audace e anche provocatoria, visto che
ero riuscita a prendere per i fondelli persino lui.
Ma
il dolore che mi stava crescendo dentro mi impediva di fare altro,
sentii il sangue colarmi dal naso e lo rimossi con il palmo della
mano libera.
Mikael
cercava di divincolarsi dalla mia presa invisibile, ma inutilmente.
Sentivo l'odore della sua paura.
“Tu...piccola
sgualdrinella!” ringhiò Mikael, calcando ogni parola con
profondo astio. Stava tremando, nel vano tentativo di combattere con
il mio potere e io avrei riso di disprezzo, se non mi fossi sentita
così male. Mentre mi facevo più vicina, quasi le
ginocchia cedettero e vidi Elijah cercare di alzarsi in piedi per
accorrere in mio aiuto. “Che stai facendo?!”
Stavo
salvando tutti coloro che amavo.
Tossii,
cercando di mantenere l'equilibrio sulle gambe e combattendo con la
vista offuscata. Mi sentivo svenire, ma non potevo permettermelo
visto che ormai ero sul punto di portare a termine il piano. Arrivai
vicinissima a Mikael, prendendo lunghi respiri e mantenendo il
controllo del mio potere.
Quello
andò quasi a farsi benedire, quando lo scorrere del sangue dal
naso mi solleticò la pelle e bagnò le mie labbra. Il
suo sapore ferroso sembrò strapparmi via ancora di più
la forza, tanto che per poco Mikael riuscì quasi a liberarsi
della mia presa.
Ne
rise. “Sei rimasta perché sapevi li avrei uccisi oggi,
vero? Sei rimasta perché sapevi anche che sarei venuto a
cercarti per toglierti dalla faccia della terra, abominio?”
gridò, quasi divertito da quelle motivazioni.
Sì,
ero rimasta per loro.
Perché
Belial mi aveva detto che Mikael stava arrivando per sterminare la
sua famiglia.
E
perché Mikael voleva uccidere anche me, essendo la figlia di
colui che era causa della morte di sua moglie ed essendo un demonio
capace di ucciderlo. Dovevo morire anche io secondo lui.
Non
potevo quindi fuggire con Katerina, mettendola di fronte ad un tale
pericolo.
Ecco
perché ero rimasta.
“Hai
ucciso Klaus...solo per distrarmi e salvarli...” continuò
a dire Mikael mettendo al giusto posto tutti i frammenti di quello
specchio. Il trucchetto con Klaus non nasceva da un mio desiderio di
vendetta, ma lo usai per distrarre Mikael e poterlo colpire con più
facilità.
Anche
se, alla fine, Klaus il collo spezzato lo meritava eccome.
L'arrivo
di Elijah aveva mandato quasi a monte il piano, perché non
volevo fosse presente. Avrebbe potuto cercare di cambiare il finale
del mio piano ma ferito com'era, malgrado la cosa mi facesse male,
sentivo che il piano sarebbe andato a buon fine.
“Sei
davvero patetica, ragazzina! Ti sacrifichi per coloro che volevano
uccidere tua sorella su un altare di fuoco!” mi provocò
Mikael, scuotendo lievemente la testa.
Forse
ero davvero ridicola, forse qualsiasi altra persona razionale sarebbe
fuggita via non curandosi del loro destino, forse una qualsiasi
persona umana avrebbe potuto lo stesso approfittare di quella
situazione per uccidere Klaus, forse una qualsiasi persona razionale
non sarebbe stata così sciocca da accettare le condizioni di
Belial. Ma, in realtà, io ero fiera di essere patetica, se
questo significava fare tutto l'opposto di quello che una persona
razionale avrebbe fatto.
Avevo
salvato Katerina. Avevo salvato Elijah. Avevo salvato Rebekah. Avevo
salvato persino Klaus e mi dispiaceva persino essere ricorsa a metodi
così estremi con tutti loro per poterlo fare.
Elijah
continuava a lottare con il suo stesso corpo per potersi alzare in
piedi e accorrere da me, ma anche per lui il dolore pesava con
gravità sulla sua volontà e sulla sua forza fisica.
Giunsi
più vicina a Mikael, sforzandomi di non voltarmi in direzione
di Elijah.
Non
potevo permettermelo. Non ora.
“Non
puoi farmi troppo male, Irina. Sei umana! Non hai poteri per potermi
uccidere!” mi gridò Mikael ,restando contro la parete e
ormai preda della paura, mentre il palmo della mia mano continuava ad
avvicinarsi al suo petto. “Mi riprenderò, ucciderò
tua sorella sotto i tuoi occhi e ti porterò via tutto ciò
che ti è rimasto!”
Non
ci riuscirai. Ero lì
apposta per non permetterglielo, avevo accettato le condizioni di
Belial per avere il potere necessario per impedire che lui strappasse
la vita a Katerina e ai suoi stessi figli.
Avrei
salvato tutti loro.
Fui
più vicina a Mikael, la mia mano ormai aderì
perfettamente al punto in cui il cuore doveva avergli battuto in
vita. Sempre se ne avesse avuto uno, visto tutto il male che aveva
portato nella sua famiglia.
Stranamente,
comprese ciò che stava per succedere e i suoi occhi si
sgranarono, illuminati da un barlume di paura. Un tuono risuonò
in lontananza.
“T-tu
non puoi farlo...non ne hai il potere!”
Mikael
l'aveva riconosciuta, la morte.
Gli
sorrisi con sfida, perché, in realtà, quel potere io lo
avevo. Belial me lo
aveva dato.
Lo
sguardo di Mikael non mutò, scosse lievemente la testa e
trattenne il respiro quando capì che io avevo l'arma per
vederlo soccombere. “Ma questo potere...ti ucciderà!”
mi disse in un sussurro.
Tentennai
nel sentire quelle parole che, fino a poco prima, mi sembrarono prive
di significato
Feci
lentamente slittare lo sguardo verso Elijah, il cui sguardo era
ancora fisso su di noi.
Ci
guardammo a lungo, lui doveva aver udito le parole di suo padre e mi
fissava con occhi sbarrati, quasi sperasse di aver sentito male.
Un
sorriso mi si allargò sulle labbra. In quel preciso istante,
mentre il tempo sembrava fermarsi attorno a noi, trovai la forza di
pensarlo, di dirglielo guardandolo negli occhi.
Addio
Elijah.
Grazie
per essermi stato vicino per tutto questo tempo, grazie per essere la
magnifica persona che sei.
Scusami
per tutto.
Addio.
Lui
mi sentì. Udì il mio ultimo saluto, lesse la
fine nel mio sguardo e io non ce la feci più a sostenerlo,
senza scoppiare in lacrime.
Volsi
lo sguardo poi verso Rebekah e infine verso Klaus, i cui corpi
giacevano ancora alle mie spalle.
Un
altro sorriso mi si allargò sulle labbra mentre li guardavo e,
in quel momento, la mano di Klaus si mosse. Pochi attimi dopo, lui
volse lentamente la testa verso me. Strizzò gli occhi per un
attimo, come stesse destandosi da un lungo sonno, e il suo sguardo
perso incontrò il mio.
Sbatté
poi più volte le palpebre, prima di riconoscermi.
Lo
distolsi prontamente.
Portai
la mia attenzione su Mikael, riempendolo di tutto l'odio che avevo
nascosto poco prima in me, e presi dal suo volto spaventato la forza
necessaria per poter porre fine al mio piano.
Elijah
lanciò un grido, implorando di fermarmi.
Mikael
rantolò di dolore.
Qualcuno
alle mie spalle smise di respirare.
La
mia mano premette con forza sul petto del mio nemico.
Ci
ero riuscita.
Ciao
a tutti ^^
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Mi
spiace aver reso anche questo molto lungo, ma spero che non vi abbia
annoiato. Mi rendo anche conto che probabilmente potevo fare molto
meglio e che probabilmente non ho trasmesso come volevo le emozioni
della protagonista. Vabbè, eccetto questo, spero che vi sia
comunque piaciuto. :)
Allora,
finalmente si è capito il piano che Irina aveva in mente e non
era quello di uccidere Klaus come avete pensato tutti (mandandole dei
colpi, vero? xD) bensì quello di salvare la famiglia degli
Originals e anche Katerina, visto che Belial ha rivelato alla ragazza
i propositi di vendetta del vampiro nei confronti della protagonista.
Quindi, il suo allontanamento da Katerina dipende anche da questo.
Ci
tengo a precisare che Irina è rimasta per salvare Katerina,
Elijah, Rebekah e sì, anche Klaus ma questo non vuol dire che
abbia dimenticato la faccenda del rituale e che lo abbia perdonato. È
normale che sia ancora in collera con lui nonostante tutto, non penso
sarebbe stato verosimile perdonarlo così facilmente. Anche
quando ha “ferito” lievemente Elijah, lo ha fatto solo
per portare avanti il suo piano, non perché voleva fargli
davvero del male. Perciò...non abbiatene a male con Irina! XD
Ok,
taccio e vi lascio.
Grazie
a tutti coloro che leggono questa storia, sia chi lo fa e sia chi
recensisce. Sono arrivata a ben 200 recensioni (siete troppo buoni!),
e sinceramente un misero grazie per ripagarvi tutti del sostegno che
mi avete dimostrato non basta.
Grazie
anche di cuore a chi ha inserito questa storia tra le
preferite/seguite e ricordate.
Alla
prossima e vi auguro un buon fine settimana!
Ciao
^^
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