Like A Rose On The Grave Of Love

di Ariel Winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Irina ***
Capitolo 2: *** I Miss You ***
Capitolo 3: *** A New World ***
Capitolo 4: *** Eyes ***
Capitolo 5: *** Roses ***
Capitolo 6: *** Red ***
Capitolo 7: *** Dark Star ***
Capitolo 8: *** The Chevalier ***
Capitolo 9: *** The Story ***
Capitolo 10: *** Run ***
Capitolo 11: *** Meds ***
Capitolo 12: *** Dance With The Devil ***
Capitolo 13: *** Salt In Our Wounds ***
Capitolo 14: *** Under The Rose ***
Capitolo 15: *** The Transition ***
Capitolo 16: *** House On A Hill ***
Capitolo 17: *** Rainbow In The Dark ***
Capitolo 18: *** A Thousand Lights ***
Capitolo 19: *** Frozen ***
Capitolo 20: *** Hurt ***
Capitolo 21: *** Devil Wouldn'T Recognize You ***
Capitolo 22: *** Elegantly Broken ***
Capitolo 23: *** Living In A Lie ***
Capitolo 24: *** Break The Spell ***
Capitolo 25: *** What Kind Of Love ***
Capitolo 26: *** Remember Everything ***
Capitolo 27: *** I am the only one ***
Capitolo 28: *** The Beautiful Ones ***
Capitolo 29: *** Unchain The Rain ***



Capitolo 1
*** Irina ***


-Irina-

Bulgaria 1490

Spingi più forte, Katerina! Ancora un po'!” disse mia madre.

Mia sorella lanciò un altro grido di dolore e si rizzò a sedere di scatto sul letto in cui giaceva.

Non potevo fare nient'altro che tenerle la mano e farle forza con lo sguardo mentre lei, in preda a forti dolori, metteva al mondo il suo bambino.

Le asciugai la fronte madida di sudore e lanciai un occhiata ad Ada e a mio padre, tutti e due si tenevano a debita distanza da noi. Mia sorella guardava Katerina quasi con ribrezzo mentre mio padre restava in un angolo buio, nell'oscurità in cui quel bambino illegittimo, secondo lui, lo avrebbe fatto cadere.

Le fiamme delle candela illuminavano la stanza, il volto di Katerina era sofferente e i suoi occhi scuri lucidi di lacrime.

Vedo la testa!” esclamò nostra madre, ci fu un ultimo e lungo straziante grido di dolore di mia sorella che terminò con il pianto di un bambino, guardammo verso nostra madre che teneva tra le braccia una piccola creatura piangente “È una femmina” disse con lacrime di commozione agli occhi.

Katerina sorrise e per me fu una gioia vedere il suo viso illuminarsi di felicità ,dopo lunghe ore di dolore e lacrime. Fino a qualche mese prima aveva paura a partorire quella creatura e credevo fosse anche arrivata quasi ad odiarla.

Ma mentre la guardava in lei riuscivo solo a scorgere l'emozione di essere diventata madre.

Una femmina?” ripeté.

Nostra madre annuì, dopo aver coperto la piccola la allungò verso di lei.

Ma appena Katerina si protese per prenderla, nostro padre si precipitò accanto al letto e strappò via la piccola dalle braccia della moglie prima che raggiungesse quelle di mia sorella.

Fu come se le avesse strappato il cuore dal petto.

Mi chiesi come potesse infierire in quel modo sugli occhi da cerbiatto di sua figlia?

Per lui c'era sempre e solo stato l'onore prima di tutto, Katerina aveva avuto quella bambina da uno sconosciuto con cui non era sposata e per lui non meritava quindi alcuna compassione anche se era sua figlia. Quando mia sorella lo implorò di non portargliela via e cercò di afferrare la camicia di nostro padre per fermarlo nonostante fosse provata dal parto, mi pianse il cuore.

No!” esclamò mio padre stringendosi la bambina al petto e guardando il bel viso della figlia solcato dalle lacrime con odio “Hai disonorato la nostra famiglia con questa bambina, non meriti di crescerla dopo tutto quello che hai fatto!”

Quando lui lasciò la stanza,Katerina pianse disperata e mia madre le disse di lasciarla andare.

Anche lei piangeva per il dolore della figlia e la strinse forte a sé, cercando di trattenere i suoi singhiozzi. Non sopportavo quella scena drammatica, mia sorella non meritava di soffrire così.

Seguii mio padre in cucina cercando di non inciampare goffamente sulla gonna e sperando di poter riuscire a convincerlo a lasciare le bambina a sua madre.

Passai accanto ad Ada che sembrò quasi gioire della disperazione di Katerina.

Lo raggiunsi rapidamente e gli posai una mano sulla spalla, sapeva già cosa volevo dirgli perciò m'interruppe in partenza “No Irina, tua sorella ci ha disonorato e merita una punizione esemplare” disse con tono duro “Ha avuto una figlia senza essersi sposata, te ne rendi conto o no?”

Ha sbagliato” dissi muovendo velocemente le mani “Non farle questo ti prego!”

Ti ho detto di no Irina!”

Ma lei non merita...”

Lui mi fermò dandomi un ceffone sulla guancia con la mano libera, tanto che per poco caddi a terra per quanto il colpo fu forte.

Sono io che do gli ordini qui” disse quasi gridando, spaventando ulteriormente la piccola che pianse più forte.

Mi portai la mano sulla guancia calda per via del colpo e guardai il pavimento “E tu sopratutto non hai alcun diritto di contraddirmi!”

Uscì fuori dalla nostra umilissima casa e sentii il nitrire dei cavalli. Mi fu chiaro che nostro padre aveva già predisposto tutto per portare via la piccola ancor prima che nascesse.

Mi salirono le lacrime agli occhi ma non per lo schiaffo, ero abituata alla rudezza di mio padre, bensì per il fatto di non essere riuscita ad aiutare mia sorella che per me era tutto.

Sentii Ada ridere alle mie spalle, la guardai tristemente.

Disonore chiama disonore” disse stringendosi le braccia al petto “Prima Dio mi da una sorella muta e ora l'altra sgualdrina...cosa ho fatto di male?”




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Capitolo 2
*** I Miss You ***


-I Miss You-

Un anno dopo....

Malgrado fosse passato un lungo anno, per coprire l'onta subita, mio padre decise di mandare Katerina in un altro paese chiamato Inghilterra dove avrebbe vissuto almeno fino a quando le voci sul suo conto si sarebbero placate.

Quindi per moltissimo tempo.

Non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lei: era mia sorella e allo stesso tempo era la mia migliore amica, l'unica che non mi considerava un mostro insieme a mia madre.

Se mio padre me l'avesse portata via, io sarei rimasta completamente sola.

Mentre fissavo la carrozza su cui avrei visto mia sorella per l'ultima volta, non riuscivo a trattenere le lacrime. Mia madre mi teneva sottobraccio mentre mio padre e Ada aspettavano impassibili che Katerina uscisse di casa.

La cosa non mi stupiva: Ada, nonostante fosse la più grande di noi tre, non era mai andata d'accordo con Katerina per cui provava anche invidia, mentre mio padre non l'aveva mai considerata una figlia modello.

Proprio come me: la figlia del peccato a cui il diavolo aveva strappato la lingua dalla nascita rendendola muta.

Purtroppo sia io che mia sorella eravamo vittime del pregiudizio e della superstizione.

Stai tranquilla piccola, non piangere” mi sussurrò all'orecchio mia madre, la guardai: aveva gli stesso occhi scuri e dolci di Katerina. Io ero l'unica ad avere gli occhi azzurri in famiglia, ereditati probabilmente dalla nonna. Quando Katerina uscì all'esterno, alzò la testa verso la fioca luce del sole come se temesse di vederlo per l'ultima volta.

Lanciò un occhiata gelida ad Ada a a nostro padre che sembravano non vedessero l'ora di vederla salire sulla carrozza e sparire per sempre.

Mia sorella si voltò verso me e mamma e si sforzò di sorridere. Ma era chiaro che stava soffrendo terribilmente e la sua bellezza non poteva nascondere quel dolore.

A presto, madre” disse rivolgendosi a nostra madre a abbracciandola forte, come se quella fosse l'ultima volta.

Abbassai lo sguardo, giocherellando con i miei lunghi capelli raccolti in una treccia : non riuscivo a trattenere le lacrime e in un baleno mi ritrovai con gli occhi gonfi e bagnati.

Katerina , quando si rivolse a me, scoppiò a ridere, anche se i suoi occhi erano velati di tristezza “Irina, non far piovere sul tuo viso, insomma!” ridacchiò, mi abbracciò forte e in un attimo mi ritrovai con la testa invasa dai mille ricordi: i nostri giochi, le nostre lunghe chiacchierate in cui io potevo solo limitarmi ad ascoltare.... stava per finire tutto.

Quando Katerina sarebbe salita su quella carrozza, l'avrei persa per sempre.

Ti amo più della mia vita, sorellina. Anche se sarò lontana, ti starò sempre vicina con il cuore” sussurrò al mio orecchio con voce tremante.

La strinsi forte a me, non volevo lasciarla andare.

Ci guardammo a lungo e Katerina mi prese una mano tra le sue mentre io, con l'altra le accarezzavo i lunghi ricci scuri “Ricordati quello che ti ho detto: anche se non hai voce,tu parli con il cuore ed è questa la cosa più bella che un umano possa fare. Non essere mai triste, perché la gente cercherà sempre di schiacciare il bellissimo fiore che sei. Anche se non puoi dirmelo, io so che mi vuoi bene. E te ne voglio anche io”

Tirai su con il naso, perché non potevo dirle quanto mi sarebbe mancata? Non era giusto che non potessi gridare al mondo che le volevo bene.

Nostro padre si avvicinò a noi rapidamente “Ora basta!” disse, prese rudemente Katerina per il polso e la trascinò verso la carrozza.

Quando cercai di allungare la mano verso di lei, mia madre mi fermò: sapeva che, se avessi provato a fermare mio padre, sarei stata duramente punita da lui.

Katerina continuò a guardarci, mentre si avvicinava sempre di più alla carrozza.

Quando salì, mio padre disse qualcosa al conducente e i cavalli iniziarono a nitrire rumorosamente. La carrozza si mosse lentamente, ma io dovevo far capire a mia sorella quanto le volevo bene: non volevo che il silenzio fosse l'ultima cosa che ricordasse di me. Prima che la carrozza prendesse velocità, strappai due fiori dal piccolo giardino dietro casa mia, poi iniziai a correre verso la carrozza.

Irina, torna subito qui!” gridò alle mie spalle mio padre.

Lo ignorai, anche se sapevo che la mia disobbedienza sarebbe stata severamente punita. Riuscii miracolosamente a raggiungere la carrozza e lasciai i fiori dentro il finestrino da cui mia sorella si affacciò. Le due margherite dovevano esserle cadute in grembo, sperai che capisse che simboleggiavano noi due: la lontananza non ci avrebbe mai separate.

Mi fermai quando ormai la carrozza era più veloce di me e guardai tristemente il volto di mia sorella, in lacrime, affacciarsi un'ultima volta a guardarmi.

Poi rimasi sola.


Passò un altro lungo anno e la situazione non era cambiata.

Mio padre e Ada non avevano alcuna intenzione di sentir anche solo nominare Katerina e io ero come al solito sola ed emarginata. Passavo molto tempo nella foresta, amavo la natura e sopratutto mi piaceva coltivare erbe e fiori, per questo avevo un piccolo giardino dietro casa, una gioia che mio padre mi avrebbe negato se mamma non gli avesse detto che anche a lei piaceva.

Ma la mia vita non era più la stessa senza Katerina: era con lei che passavo ore e ore nella foresta, era lei che si congratulava con me se un fiore cresceva bene ed era lei a consolarmi quando invece un fiore appassiva.

Allora ero sola, non avevo amici perché nessuno voleva avere nulla a che fare con un “demonio” come venivo definita. Quando ero piccola, le madri mettevano in guardia i figli da me e gli adulti mi trattavano come se fossi un mostro. Tutto a causa del fatto che ero muta, il diavolo mi aveva tolto la voce prima che nascessi, perché ero malvagia.

Ero sempre stata vittima di stupide superstizioni e pregiudizi, se non fosse stato per Katerina e mia madre, probabilmente non sarei mai arrivata ai quindici anni.

Ada mi odiava, perché secondo lei ero solo una macchia sul suo futuro e mio padre la pensava più o meno come lei. Non ricordo un solo singolo abbraccio da parte sua. Katerina aveva sempre pagato il fatto che mi voleva troppo bene e il fatto di aver avuto una bambina illegittima non aveva fatto altro che peggiorare la situazione.

Mi chinai a raccogliere delle erbe da un cespuglio e sospirai malinconica, Katerina mi aveva mandato parecchie lettere in quell'ultimo anno, ero felice che avesse imparato la scrittura in quel lontano paese: sosteneva che l'Inghilterra era bellissima e che l'uomo che la ospitava, un bellissimo nobiluomo, era gentilissimo con lei.

Da come ne parlava, ne sembrava innamorata.

Ada una volta lesse una delle lettere e rise sprezzante, facendo commenti poco carini e molto sboccati su nostra sorella ed ebbi la conferma che Ada odiasse Katerina sopratutto per via della sua bellezza. Sinceramente la invidiavo anche io un po' per via del suo soggiorno in quella terra: io dovevo ogni giorno sopportare l'odio di mio padre e le angherie di Ada, solo mia madre mi stava vicino e mi proteggeva come meglio poteva.

Irina?!” Sentii una voce chiamare il mio nome, mi rizzai in piedi e vidi in lontananza Ada che si guardava attorno con disgusto. A differenza mia e di Katerina, lei odiava la foresta: per lei era solo un insieme di schifosi insetti e terra con cui si sarebbe potuta sporcare.

I suoi unici interessi erano sparlare e trovarsi un marito, ma dubito che lo avrebbe trovato se fosse rimasta così acida.

Appena mi vide,Ada sbuffò “Oh eccoti, nostro padre ti vuole urgentemente parlare” disse, storcendo le strette labbra.

Doveva essere davvero importante se nostro padre mi voleva di nuovo tra i piedi.

Perché?” le chiesi nel mio linguaggio.

Ada fece spallucce “Non lo so, un uomo è venuto a casa oggi pomeriggio e ti vuole incontrare” disse “Chissà perché vuole vedere un mostro come te...”

Ignorai la parte finale e la seguì, notai subito la carrozza lasciata di fronte alla nostra casa. Doveva trattarsi di qualcuno di nobile e di sicuro non di un falegname umile come nostro padre.

Appena entrammo, percepii l'odore di tè che mamma era solita preparare solo in presenza di ospiti. E se era alla tisana, l'ospite doveva essere davvero importante.

Infatti,i nostri genitori non erano soli e con loro c'era un uomo, probabilmente sui quarant'anni: non molto alto, con lunghi capelli neri, occhi scuri e un naso aquilino. Indossava abiti eleganti, forse un po' troppo per entrare in una casa come la nostra.

Ecco, lei è Irina” disse Ada sorridendo calorosamente all'uomo, come non aveva mai fatto con me.

La guardai stupita mentre l'uomo si alzava lentamente, mi sorrideva eppure mi sembrava che fosse un sorriso di circostanza “Irina” disse come se fosse un piacere “Piacere di conoscervi. Io sono Vladimir”

Fece un mezzo inchino ,come se avesse di fronte a sé non una contadinella del villaggio ma una principessa. Quando mi prese la mano e la baciò sul dorso, lanciai un occhiata confusa ai miei genitori: mio padre sorrideva come se fosse Natale mentre mia madre evitava deliberatamente il mio sguardo.

Siete davvero bella come ti hanno descritta” aggiunse Vladimir quando le sue labbra si separarono dalla mia mano. Non ero mai stata trattata così da un uomo e sospettai subito che sotto ci fosse qualcosa, non era una sensazione piacevole.

Inoltre Ada si era parecchio incupita, quando quell'uomo mi aveva definita “bella”.

Che succede?” chiesi rivolta a mamma, mio padre si alzò in piedi e mi lanciò un occhiata di disapprovazione. Temetti che volesse schiaffeggiarmi, ma poi rammentai la presenza di quell'ospite dall'accento russo che avevo di fronte.

Irina, quest'uomo è un mio caro amico russo” disse guardando Vladimir con un sorriso complice “Ed è venuto fin qui dalla Russia per chiedere la tua mano”

Mi ritrovai con gli occhi sgranati per la sorpresa e notai Ada mordicchiarsi le labbra nervosamente: voleva essere lei la prima e sposarsi e ad avere un figlio, ma a quanto sembrava sia io che Katerina l'avevamo anticipata.

Anche se non avevo alcuna intenzione di sposarmi con uno sconosciuto.

A lui non importa del tuo...problema” aggiunse mio padre “Ed è disposto a portarti con sé in Russia”

Allora, era quello il problema? Mio padre voleva liberarsi di me, perché aveva trovato un anima pia disposta a sopportare la mia “condanna”? Mi ero sentita dire parecchie volte, da Ada, da mio padre e da altre persone, che non avrei mai trovato un uomo che mi avrebbe amata, perché ero diversa. E Vladimir doveva essere stato spinto da una mano dal cielo, secondo mio padre, per aver deciso di sposare un mostro come me.

Sapete Irina, io e vostro padre eravamo molto amici tempo fa. Ma per divergenze lavorative, ci siamo separati” iniziò a raccontare Vladimir “Per me è quindi un onore, poter sposare una delle sue figlie”

Strinsi i pugni, quell'uomo mi parlava come se desse per scontato che avrei accettato la sua proposta. Perché era l'unico uomo che avrebbe mai potuto accettarmi.

Ma non avevo lo stesso alcuna intenzione di accettare: preferivo rimanere da sola per sempre, che sposare uno sconosciuto in abiti eleganti che provava solo pietà per me.

Mi farò andare giù tutte le tue difficoltà e sopporterò con pazienza la vostra malformazione” aggiunse Vladimir, prendendomi le mani tra le sue e sorridendomi calorosamente.

Malformazione? Mi trattenni dal colpirlo in volto con uno schiaffo: io ero normalissima, non avevo alcun problema e non avevo bisogno della compassione di un poveraccio vestito da nobiluomo per sentirmi amata. Avrei trovato l'amore, prima o poi, e se non lo avessi trovato, allora sarei rimasta sola, ma era meglio così.

Katerina diceva sempre che la vita era crudele e che senza l'amore non saremmo mai riusciti a viverla. Io la pensavo come lei: volevo anche io l'amore e non mi importava se mio padre mi avrebbe punito a vita, in caso di rifiuto.

Ritirai le mani bruscamente e guardai mia madre, che era in pena per me.

Da quanto tempo va avanti?” chiesi gesticolando velocemente.

Notai con la coda dell'occhio mio padre: mi stava fulminando con lo sguardo, mentre dall'altra parte Ada, sembrava quasi compiaciuta che mi stessi in qualche modo “ribellando”. Era la prima e ultima volta in cui la vidi dalla mia parte.

Sono mesi che lo progettiamo, Irina” rispose mio padre, impedendo alla moglie di proferire parola. “Sono tuo padre e non voglio che tu resti sola”

Bugiardo.

Lui voleva solo liberarsi di me, come aveva fatto con Katerina.

Così si sarebbe liberato dell'altro disonore vivente della famiglia Petrova. Non voleva rischiare di ritrovarsi una zitella in casa a vita.

Cercai di trovare il coraggio di dirgli che non volevo sposarmi, ma lui non me ne diede l'opportunità “Il matrimonio si celebrerà tra un mese” concluse, con un tono che mi fece comprendere che non avrebbe accettato repliche “Tutto è già stato deciso. E non si torna indietro.”


Mia madre non poteva aiutarmi in alcun modo, la donna era proprietà del marito e se avesse, anche solo provato a far cambiare idea a nostro padre, sarebbe stata punita.

Non volevo che ci rimettesse lei a causa mia, già pagava abbastanza per il bene che mi voleva.

Scrissi così una lettera a Katerina, usando le poche parole che avevo imparato a scrivere. Le parlai di tutto quello che stava accadendo, con Vladimir e con i preparativi: il mio ipotetico futuro marito era tutto preso da essi e non mi rivolse più la parola per due ovvi motivi: ormai ero sua, mio padre gli aveva ceduto la mia mano, e poi sapeva che non avrei potuto rispondergli.

La risposta di mia sorella arrivò dieci giorni prima della cerimonia: era una lettera che all'inizio mi sembrò folle ma, rileggendola diverse volte, mi sembrò tutt'altro.


Ne ho parlato con lord Niklaus, il nobiluomo che mi ospita, e lui ha acconsentito ad ospitarti qui per tutto il tempo che vuoi. Non per sempre, ovviamente, ma il tempo necessario per sfuggire a questo matrimonio indesiderato. Fidati Irina, l'Inghilterra è un mondo completamente diverso, qui ti sentirai amata e accettata. La tua vita cambierà come è cambiata la mia”


Rilessi la lettera ancora un ultima volta e un sorriso apparve sul mio viso: volevo anche io cambiare la mia vita.

Sarei fuggita in Inghilterra.

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Capitolo 3
*** A New World ***


    -A New World-

    Sei davvero sicura di voler andare là?” chiese mia madre.

    Non riusciva nemmeno a pronunciare il nome del paese che, secondo la sua logica materna, era diventata la nuova casa per una delle sue figlie.

    Sapevo che la mia richiesta probabilmente la stava facendo soffrire,ma avevo davvero il desiderio di raggiungere l'Inghilterra: volevo ricongiungermi con mia sorella e volevo scappare da quel matrimonio indesiderato.

    Per una volta, volevo essere io a prendere in mano le redini della mia vita.

    Mamma continuò a tagliare della verdura, mentre io le stavo accanto con la lettera di Katerina tra le mani. Non sapevo ancora come fare per raggiungere quel lontano paese e potevo contare solo su mia madre per farlo.

    Ma temevo che anche lei fosse a corto di idee, proprio come me: in fondo mio padre aveva organizzato tutto per far trasferire Katerina ed era quindi lui che conosceva le giuste manovre da fare.

    Lei sospirò e si pulì le mani bagnate con un panno; mi guardò a lungo e studiando il mio sguardo deciso.

    Tu lo sai che io non ho mai voluto questo per te?” mi disse con un filo di voce, come se temesse che qualcuno potesse sentirci. Ma mio padre era troppo impegnato nel preparativi e Ada non riusciva a schiodarsi dal braccio di Vladimir. Eravamo sole, in quel momento.

    Mi prese la mano, era fredda e tremante. “Non ho mai voluto che tu soffrissi in questo modo.” disse “Ho fatto moltissimi errori nella mia vita e tu e Katerina ne avete pagato le conseguenze. Perciò se tu vuoi raggiungere tua sorella, anche se la vostra mancanza potrebbe uccidermi, ti aiuterò ad andare in Inghilterra.”

    La guardai dispiaciuta, per un attimo pensai di lasciar perdere tutto e non lasciarla sola.

    Ero io che l'avevo fatta soffrire, non lei e non meritava anche di rischiare quel poco di felicità che aveva per me.

    Non dubitare, Irina.” disse scuotendomi dolcemente la mano. “Anche se ti sposerai con quell'uomo, io resterò sola, perché tu andrai in Russia. Perciò preferisco saperti lontana ma felice insieme a tua sorella...piuttosto che infelice con un uomo che non ami.”

    Deglutii e, improvvisamente, le buttai le braccia al collo come se avessi paura che quella fosse l'ultima opportunità per abbracciarla. Il giorno seguente, mia madre riuscì a prendere i risparmi che mio padre aveva messo da parte per il viaggio in Russia, in modo che coprissero le spese per raggiungere l'Inghilterra. Lui, occupato com'era, non se ne sarebbe accorto subito.

    Decisi, ad insaputa di mia madre, di scrivere una lettera d'addio in modo che, quando mio padre avesse scoperto tutto, avrebbe sospettato che avessi fatto tutto da sola. Ma non sapevo scrivere bene, perciò lasciai scritte solo poche parole che lasciassero comunque intendere il concetto della mia fuga volontaria.

    Era tutto organizzato, affinché prendessi una carrozza in piena notte, così che nessuno potesse accorgersene. Mia madre mi preparò una sacca con tutto l'indispensabile per il viaggio e riuscì a lasciarmi anche qualche moneta in caso dovesse servirmi.

    Mi indicò per filo e per segno, il percorso che avrei dovuto seguire, persino poche ore prima della mia partenza, mentre mio padre e Ada dormivano nei loro letti.

    Sorrisi al pensiero che, per la prima volta, avrei visto anche il mare, di cui tanto avevo sentito parlare in passato.

    Madre, che succede?”

    Io e mia madre ci voltammo di scatto verso Ada che, a causa delle candele accese in cucina, doveva essersi svegliata. La guardai spaventata; se avesse parlato con mio padre, sarebbe saltato tutto il nostro piano.

    Mamma si avvicinò a lei lentamente “Non è niente, tesoro. Torna a letto.” disse posandole una mano sulla spalla. Ada non si mosse, guardò prima lei poi la sacca che tenevo in mano, nonostante cercassi di nasconderla dietro la schiena. E allora capì tutto.

    Se ne va?” sussurrò rivolta a mamma, indicandomi con il dito.

    Intanto, io pregavo che restasse in silenzio.

    Mi aspettavo però da un momento all'altro, che si mettesse ad urlare e a chiamare nostro padre.

    Allora sarebbe stata la fine del mio sogno di fuga.

    Ada, ti prego...” cercò di dire mia madre.

    Perché la state aiutando a scappare?” ripeté ancora Ada confusa.

    Abbassai lo sguardo, stringendo forte i pugni. Ormai mi stavo lentamente rassegnando all'idea della disfatta.

    Ada, ti spiegherò tutto domani.”

    No, vorrei saperlo ora, madre.” insistette Ada, ma teneva sempre un volume di voce parecchio basso. Non voleva svegliare nostro padre ma non capivo se per il fatto che lui si sarebbe parecchio arrabbiato se fosse stato svegliato nel cuore della notte o perché non voleva ostacolare, non me, ma mia madre.

    Perché lei non merita questo!” Mia madre scosse la spalle di Ada, sotto il mio sguardo stupito. “E tu lo sai bene, in fondo al tuo cuore. Sai che tua sorella, come Katerina, merita solo il bene. Ti prego, non impedirle di essere felice, figlia mia!”

    Ada restò in silenzio, mi lanciò una lunga occhiata e poi, sotto la luce della candela, abbozzò un sorriso. Non lo avevo mai visto sul suo viso, quando mi guardava.

    Fu una bellissima sensazione.

    Io non mi sono mai alzata, questa notte” sussurrò a mia madre.

    Lei le sorrise e le diede un bacio sulla guancia.

    Quando Ada si voltò verso le scale per tornare in camera, corsi verso di lei e la fermai.

    L'abbracciai come mai avevo fatto prima; era il mio modo per ringraziarla per quel piccolo grande gesto che aveva compiuto nei miei confronti.

    Non sapevo se in fondo lo avesse fatto per sé stessa, ma non m'importava.

    Per una volta, non avevo visto disprezzo nei suoi occhi e la cosa mi bastava.

    Ada ricambiò difficilmente quell'abbraccio. “Almeno avrò tutta la camera per me ora...” disse.

    Sorrisi, poi la lasciai andare. Lei mi lanciò un ultima lunga occhiata e mi chiesi se, magari, le fossi mancata. Non avevo però più tempo per avere quei pensieri, altrimenti avrei perso la carrozza.

    Mia madre mi accompagnò vicino alla foresta, dove la carrozza mi aspettava e mi abbracciò a lungo prima di lasciarmi salire. Dio solo sapeva, quanto mi sarebbe mancata.

    Una volta messo il piede sopra la carrozza, iniziò la mia fuga.

    * * * *

    L'Inghilterra era davvero un mondo nuovo.

Proprio come mi aveva accennato Katerina, fu come immergersi in un mondo diverso, pieno di luci e colori. Ero tesa però, mentre guardavo l'enorme distesa di verde che circondava la stradina dove la mia carrozza stava procedendo.

Non mi ero mai allontanata dal mio piccolo villaggio, quindi viaggiare da sola mi aveva un po' spaventata. Solo il pensiero di iniziare una nuova vita insieme a Katerina, mi aveva dato la forza di non voltarmi indietro.

Inoltre, non conoscevo una parola di inglese e nessuno lì sapeva della mia condizione. In una delle ultime lettere che mi aveva inviato prima della mia partenza, Katerina mi aveva rassicurato che avrei imparato l'inglese nel giro di poco tempo e il fatto che non potessi parlare, non avrebbe in alcun modo influito negativamente sul mio periodico soggiorno presso la corte di Klaus.

Mi rizzai sulla schiena ,quando vidi in lontananza un enorme villa circondata da immensi giardini. Restai a bocca aperta per quanto era bella, sembrava una di quelle abitazioni delle favole che mamma mi raccontava quando ero bambina.

Sentii le gambe tremarmi e improvvisamente avvampai in volto, ero spaventata dall'idea di conoscere persone nuove. In Bulgaria, avevo visto sempre e solo le stesse facce e, nonostante non le trovassi affatto simpatiche, mi ci ero comunque abituata.

Incredibile quanto una novità potesse spaventarmi e al tempo stesso entusiasmarmi.

Scossi la testa, come per cacciare quel fastidioso senso di terrore che mi attanagliava la mente: non volevo essere la solita ragazza triste e solitaria che ero a casa. Sarei stata solo un peso per mia sorella. Dalle lettere mi sembrava più che felice, non volevo rovinare tutto.

Quando la carrozza si fermò davanti al cancello dell'abitazione, era chiaro che il momento era già arrivato. Dopo giorni e giorni di viaggio, ero giunta a destinazione.

Quando i cavalli portarono la carrozza di fronte alla porta d'entrata, il cocchiere scese dal suo posto di guida e mi porse gentilmente la mano per aiutarmi a scendere, con un sorriso sul volto.

Fu il mio primo sorriso inglese, come inizio non fu male.

Quando presi la sua mano, notai in lontananza mia sorella correre verso di me: mi parve un altra persona, forse perché era passato anche un lunghissimo anno ma non ricordavo più quel sorriso che le illuminava il volto. Mi parve fosse passata un eternità dall'ultima volta che lo avevo visto.

Inoltre i capelli le erano diventati ancora più lunghi e più ricci, indossava una abito molto chiaro e bellissimo. Io invece indossavo un normalissimo abito scuro, uno dei soliti che indossavo in Bulgaria, che un po' stonava con la bellezza del paesaggio che mi circondava.

Irina!” esclamò quando mi raggiunse, mi si gettò addosso, facendomi quasi cadere. Nel frattempo, il cocchiere stava tirando giù i miei pochi bagagli dalla carrozza e io ricambiai l'abbraccio di mia sorella.

Poi lei mi prese il viso tra le mani e mi studiò attentamente “Sei diventata ancora più bella, sorellina!” esclamò, io invece pensai che lei lo fosse diventata, ancora di più di quanto già lo fosse. Era così allegra, così solare: sembrava davvero che mi trovassi di fronte ad una nuova Katerina. Lei iniziò a tempestarmi di domande a cui non mi diede nemmeno il tempo per pensare ad una risposta: mi chiese come avessi escogitato il piano di fuga, come stava la mamma, se Ada era ancora acida e infine com'era stato il viaggio.

Il viaggio era stato bellissimo ma stancante, non vedevo l'ora di gettarmi su un letto e dormire.

Ma allo stesso tempo, volevo continuare ad ammirare la bellezza di quella nuova terra.

Quando le mie valigie furono tutte a terra, Katerina mi prese per mano.

Vieni, ti faccio vedere la nostra camera!” esclamò gioiosamente.

* * * *

Portandomi in camera, io e Katerina attraversammo diversi corridoi.

L'uomo di cui era ospite mia sorella, doveva amare l'arte: notai diverse statue e diversi dipinti che decoravano le pareti e gli angoli della villa. Quando raggiungemmo la porta della nostra camera, Katerina posò la mano sul pomello e si voltò a guardarmi con un sorrisetto furbo.

Resterai sorpresa da ciò che vedrai...” disse.

E aveva ragione: quando spalancò la porta, vidi un enorme camera da letto, grande quasi quanto tutta la nostra casa. La finestra affacciava sui giardini esterni, accanto ad essa di trovava un enorme letto matrimoniale con delle lenzuola color oro. C'era persino un enorme armadio, che occupava l'intera parete destra, e un mobile pieno di trucchi e gioielli che, a casa, non ci erano mai stati permessi, un po' per mancanza di denaro e un po' perché nostro padre non vedeva di buon occhio l'opportunità che le donne avevano, di attirare l'attenzione su di loro.

Il cocchiere lasciò le mie valigie vicino al letto e, con un mezzo inchino, si congedò.

Katerina si gettò a capofitto sul letto, continuava a guardarmi mentre io osservavo estasiata il lusso che mi circondava. Era così vicino da spaventarmi.

Le lenzuola sono di seta!” esclamò Katerina accarezzando la superficie su cui era distesa con un sorriso entusiasta sul viso.

Risposi con un mezzo sorriso, mi sentivo fuori luogo in mezzo a tutta quella bellezza: avevo luce intorno, ma io ero oscurità. E il mio vestito scuro ne era una prova.

Qui non dovrai mai più metterti quei vestiti così....orribili.” disse mia sorella, come se mi avesse letto nel pensiero. “Le sarte che lavorano qui sono brave, potrei chiedere a lord Niklaus di fartene qualcuno. Intanto userai i miei, abbiamo la stessa taglia!”

Non mi sfuggii il modo in cui le si illuminò il viso quando parlava di Niklaus, doveva essersi presa una bella cotta per quell'uomo. Da come ne parlava nelle sue lettere, sembrava che fosse ospite di un angelo sceso dal paradiso. Era bello, vedere che dopo tutto quello che aveva passato in Bulgaria, finalmente aveva trovato qualcuno che la rendesse felice.

Ero curiosa di conoscerlo, per vedere se era veramente affascinante come lei sosteneva. Io e Katerina non avevamo mai avuto gli stessi gusti in fatto di uomini, forse quello era un bene.

Com'è lui?

Le domandai riferendomi al suo “angelo”. Katerina guardò le mie mani muoversi e per un attimo, pensai si fosse dimenticata del mio linguaggio dei segni. O semplicemente si era persa in un sogno ad occhi aperti, quando avevo fatto riferimento a Klaus.

Oh Irina, lui è un uomo strepitoso. È buono, gentile, affascinante....è semplicemente perfetto” rispose, guardava in alto come se stesse sognando. Mi fece ridere il fatto che sognasse come una ragazza della sua età. In Bulgaria, anche prima di rimanere incinta, si comportava come una ragazza cresciuta troppo presto: in effetti aveva passato cose che non tutte le ragazze della sua età avevano subito. “Lui e lord Elijah mi sono stati di grande aiuto, è grazie a loro che sono diventata..così!”

La guardai stupita, nelle sue lettere non aveva mai accennato a quel nome: mi aveva parlato solo di Klaus e della sua gioia di vivere in Inghilterra.

Katerina lesse la confusione sul mio viso e si rizzò a sedere sul letto “Giusto, non te ne ho parlato...” iniziò a dire, ma la sua frase venne interrotta da un bussare, forte e deciso, sulla porta della nostra camera.

Katerina disse una parola in inglese, che probabilmente voleva dire “avanti” e la porta si aprì lentamente: ne fece capolino un ragazzo, probabilmente sui venticinque anni.

Aveva lunghi capelli castani che gli circondavano il viso marmoreo, occhi scurissimi e un'eleganza nella postura che non potei fare a meno di notare subito.

Rimasi per un attimo estasiata, forse perché, in vita mia, ne avevo visti pochi di uomini così belli.

Lui mi sorrise dolcemente e abbassai lo sguardo, come una stupida.

Katerina si alzò in piedi e fece un mezzo inchino di fronte al ragazzo. Pensando di passare per maleducata, feci lo stesso. Lui alzò le mani, come se volesse dirci che non era necessario.

Continuando a sorridermi, chiese qualcosa a Katerina.

Ascoltai la risposta di mia sorella, la lingua inglese aveva un suono così soffice e leggero, ma in lei si sentiva ancora l'accento della nostra lingua d'origine. Mi sarebbe davvero piaciuto poterlo parlare.

Katerina annuì al ragazzo, poi si voltò verso di me “Irina, lui è Lord Elijah” mi disse poi in bulgaro.

Elijah mi prese la mano e la baciò delicatamente sul dorso, non riuscii a contenere i brividi che attraversarono la mia schiena, quando le sue labbra si posarono sulla mia pelle.

Niente a che vedere con la finta galanteria che aveva mostrato Vladimir, quel ragazzo sembrava l'eleganza in carne ed ossa.

È un piacere conoscervi, Irina” disse poi in uno stentato bulgaro, per fare in modo che riuscissi a capirlo. Il fatto che conoscesse la nostra lingua mi sorprese, doveva avergliela insegnata Katerina in quel lungo anno in cui aveva soggiornato in quella terra.

E il fatto che mi desse del “voi”, non mi sorprese di meno.

Spero che vi troverete bene qui da noi.” aggiunse Elijah.

Iniziai a credere che mi sarei davvero trovata bene, avevo incontrato solo due persone, esclusa Katerina, e entrambi si erano comportati più che bene con me.

Sopratutto quell'affascinante ragazzo che avevo di fronte.

Lui non restò stupito dalla mia mancanza di risposta, Katerina doveva avergli parlato della mia condizione. E non ne sembrava affatto stranito, anzi mi stava trattando come una ragazza normalissima.

Credo che debba lasciarvi, dovrete prepararvi per la festa di stasera suppongo...” disse poi unendo le sue mani.

Non ero a conoscenza della festa, lanciai un occhiata a Katerina che sorrideva gioiosamente e non lasciai intendere che avevo paura. Stare in mezzo a tanta gente che non conoscevo, con le mie insicurezze e i miei problemi, mi spaventava.

Pensavo che avrei conosciuto Klaus e poi mi sarei rintanata sotto le coperte. E invece...

Ma non volevo rovinare nulla, Katerina era troppo felice in quel momento e non avevo alcuna intenzione di rivelarmi da subito un peso.

Avrei preso parte a quella festa, anche se mi vergognavo da morire.

Oggi è il compleanno di Lord Niklaus. Così stasera te lo farò conoscere!” disse velocemente, sempre in bulgaro. Dubitavo che Elijah avesse inteso ciò che mia sorella aveva appena detto.

Lo vidi avvicinarsi alla porta e sorriderci educatamente. “A dopo allora.” disse, aprì la porta e ci riservò un ultima occhiata “Ancora piacere di avervi conosciuta, Irina”

Lo ringraziai con un sorriso, era inutile che lo facessi a gesti, visto che lui non li sapeva tradurre.

Ma sperai lo stesso che avesse capito, che il mio era un grazie.

Quando Elijah scomparve dietro la porta, Katerina mi prese le mani “Non te l'ho chiesto prima...ma te la senti di prendere parte alla festa? Il viaggio dev'essere stato stancante!”

Annuii prontamente.

Anche se non ne avevo molta voglia, ma più per imbarazzo personale che per stanchezza, non avrei spento il sorriso sul viso di Katerina. Ci teneva particolarmente che ne prendessi parte.

Lei fece gioiosamente un saltello “Va bene!” disse “Allora facciamoci bellissime per stasera!”

* * * *

Katerina aveva una miriade di vestiti, uno più bello dell'altro, che Klaus le aveva regalato.

Mi sembrava che anche lui ricambiasse l'interesse di mia sorella, altrimenti perché riempirla di tutti quei regali? Mentre si truccava, mi raccontò alcuni episodi del suo soggiorno in Inghilterra.

Non era felice di lasciare me e nostra madre, di lasciare il resto gliene importava ben poco, ma quando era arrivata, Klaus ed Elijah si erano mostrati subito gentili con lei.

Elijah le insegnò a parlare, scrivere e leggere l'inglese mentre Klaus l'aveva introdotta nei lussi e nei fasti di quella nuova vita.

Mentre ascoltavo le sue parole, pensai che non mi avesse chiesto nulla della sua bambina. Non che sapessi dov'era stata mandata, ma sembrava che Katerina non ne volesse parlare, per cancellare quel ricordo doloroso dalla sua mente.

Quando terminò di truccarsi, pettinarsi e vestirsi, iniziò a lavorare su di me.

Mi pettinò i capelli, che solitamente portavo sempre legati in una treccia, in modo che diventassero molto lisci, mi truccò gli occhi e le labbra e mi prestò uno dei suoi abiti: un bellissimo abito chiaro, che metteva in risalto i miei occhi blu.

Quando mi guardai allo specchio, mi sembrò di vedere un altra persona: una nuova me stessa, illuminata da una nuovissima luce. Katerina mi guardò soddisfatta, attraverso il riflesso dello specchio “Sei bellissima, non l'hai mai pensato vero?” mi chiese.

No, non l'avevo mai pensato.

E sinceramente non lo pensavo nemmeno in quel momento, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella nuova ragazza che stavo guardando. Mi aspettavo che, da un momento all'altro, iniziasse a parlare, ma forse pretendevo davvero troppo.

Il mio sorriso si spense per un attimo, quel cambiamento sarebbe durato solo per una sera e poi sarei tornata la solita ragazzina muta, depressa e noiosa. Avevo paura di rovinare la nuova vita di Katerina.

Lei si accorse del cambiamento sul mio viso e mi fece voltare, in modo che la guardassi negli occhi “Irina, non devi avere paura. Qui starai benissimo, nessuno ti giudicherà mai e puoi sorridere senza che nessuno ti guardi male. Andrà tutto bene, credimi!” disse.

Restai sollevata dalla convinzione nella sua voce e feci un cenno con il capo, era forse ora che smettessi di imbarazzarmi e di avere paura per tutto.

Katerina sorrise, appena si accorse di essere riuscita a convincermi a non temere nulla. “Ora andiamo, la festa di compleanno di Lord Niklaus sta quasi per iniziare e lui potrebbe arrivare da un momento all'altro...” disse.

Nel giro di pochi minuti, ci ritrovammo a scendere una lunga scalinata, dirette verso un salone gremito di gente. Non avevo mai visto tante persone in un solo posto:tutti sorridevano, ridevano e ballavano. Quando io e mia sorella passavamo, venivamo salutate con eleganza e con sorrisi, sia da uomini che da donne.

Eccoci qua. Non è stato terribile vero?” Katerina mi guardò quando la lunga scalinata terminò, le risposi con il mio solito sorriso.

Poi mi guardai attorno, mi sembrava essere di entrata in un mare di gioia. Scorsi in lontananza Lord Elijah che parlava con altri due uomini, quando guardò verso di noi, ci sorrise gentilmente.

Per molto tempo, Katerina non si mosse dal mio fianco: non voleva lasciarmi da sola, in un ambiente che non conoscevo, malgrado in molti le avessero chiesto di ballare. Quando un ragazzo di nome Trevor, che Katerina mi aveva presentato come un suo caro amico, le chiese di ballare, la spinsi a farlo con un sorriso. Con il mio arrivo, non volevo certo privarla di divertirsi e di vivere.

Sei sicura? Guarda che posso restare qui...” disse Katerina lanciando un occhiata verso Trevor e poi verso di me.

Prima che potessi risponderle, Elijah si avvicinò a noi, con quell'eleganza e gentilezza che mi avevano colpito poco prima. Disse qualcosa in inglese a mia sorella e Katerina annuì, prese la mano di Trevor e capii che Elijah doveva averle detto di divertirsi, che sarebbe rimasto lui con me.

Allora, vado...” mi disse mia sorella. La guardai allontanarsi, quel ragazzo sembrava innamorato di lei ma Katerina non ricambiava: mi aveva parlato per tutto il tempo di Klaus e di tutto ciò che lo riguardasse. Non era mai stata così presa da un uomo, che io sapessi.

Mi farebbe piacere...” Mi voltai di scatto quando riconobbi la voce di Elijah, parlava con me, ma guardava verso le coppie che danzavano, con aria attenta. I suoi occhi neri attraversarono la sala per poi posarsi su di me. Una vampata di calore mi bruciò il viso. “Se accettaste la mia offerta di potervi iniziare alla nostra lingua. Mi sembrate intelligente e sveglia quanto Katerina, perciò sarà facile per voi...non preoccupatevi!”

Mi sorrise e mi sembrò che il tempo si fermasse, stavo per fare un mezzo inchino, ma lui mi bloccò, proprio come aveva fatto prima nella nostra camera. “Irina, non c'è bisogno con me...” disse prendendomi per mano. Il suo tocco era delicato ma allo stesso tempo freddo e fermo, avrei voluto dirgli di non darmi del “voi”: tra noi due il nobile era lui, io non ero una signora.

E sentirlo darmi del tu, mi avrebbe fatto sentire meno lontana di quanto fossi da lui.

Elijah sorrise “In cambio del mio aiuto però...vorrei che voi mi insegnaste il vostro linguaggio dei segni.”

Nessuno me lo aveva mai chiesto in passato, perché a nessuno importava parlare con me.

Ma a quel ragazzo sì e mi conosceva a malapena da pochi minuti.

Lo guardai a lungo sorpresa, aveva parlato in bulgaro per tutto il tempo: non era stato perfetto, ma si era fatto comunque capire.

Grazie.

Risposi muovendo lentamente le dita, in modo che lui capisse cosa gli avessi appena detto.

E lui lo capì, forse dal mio sorriso riconoscente o non so da che altro.

Ripeté il gesto. All'inizio sbagliò un po', facendomi sorridere, ma poi lo completò perfettamente.

Ci guardammo di nuovo in silenzio, con due sorrisi che si allargavano sulle nostre labbra.

Mi sentivo già a casa, non sapevo spiegare quella sensazione ma stavo già bene.

Lì, accanto ad Elijah, mentre mia sorella danzava allegramente con Trevor, sentivo come se la mia vita stava appena per iniziare.

Un ragazzo, mi parve che si chiamasse Joshua, si avvicinò ad Elijah e sussurrò qualcosa al suo orecchio. Elijah si fece serio, annuì e disse qualcosa al ragazzo per farlo allontanare.

In quello stesso istante, calò un profondo silenzio. Guardai il ragazzo accanto a me con aria interrogativa. Lui si accorse della confusione che stavo provando e mi rispose con un sorriso.

Il festeggiato sta per arrivare.” mi spiegò.

Katerina giunse alle mie spalle, tenendo sotto braccio Trevor: guardarono tutti verso la scalinata da cui io e mia sorella eravamo scese. Un bellissimo ragazzo stava scendendo gli scalini, lentamente e con eleganza: aveva i capelli biondi, gli occhi chiari e un sorrisetto affascinante sulle labbra.

Quello è Niklaus.” mi sussurrò all'orecchio Katerina.

In quel momento capii perché lei e tutte la altre donne lo guardavano affascinate: era davvero molto attraente. Proprio come lo era Elijah, ma mi sembrava che a lui importasse meno di tutte quelle attenzioni, rispetto a Niklaus.

Dopo aver ascoltato gli auguri degli uomini e le lusinghe delle donne, Niklaus si avvicinò a noi e io, istintivamente, feci un passo indietro. Trevor si congedò, mi parve infastidito dal modo in cui Katerina guardava Klaus mentre lui le baciava il dorso della mano.

Poi i suoi occhi blu si posarono su di me e io arrossii imbarazzata: aveva un sguardo penetrante, che parve trafiggermi l'anima. Per poco mi ritrovai nascosta dietro la schiena di Katerina che mi presentò in inglese, lo capii perché la sentì pronunciare il mio nome e Niklaus fece il baciamano proprio come aveva fatto con lei poco prima. Elijah lo guardava con un sorriso.

È davvero un piacere conoscervi, Irina” disse Klaus, in perfetto bulgaro.

Rimasi di stucco, aveva un accento e una pronuncia perfetti, sembrava quasi che non fosse inglese.

Vostra sorella mi ha parlato molto di voi, per me è un onore averti ospitato qui. Spero che vi troverete bene, mio fratello vi insegnerà la nostra lingua e le nostre usanze, in modo che possiate ambientarvi più velocemente.”

Guardai Elijah stupita, anche se erano fratelli, non mi sembrava che si somigliassero. Non solo per i colori degli occhi e dei capelli, ma anche il loro atteggiamento era, sotto molti aspetti, diverso.

Mi bastò poco per capirlo. L'unica cosa che sembrava accomunarli, era la bellezza e la gentilezza fuori dal comune. Anche lui doveva sapere della mia condizione, perciò non sembrava aspettarsi una risposta, almeno a voce.

Avevo superato la fase più critica, quella del “Non posso risponderti”, senza la minima difficoltà, grazie a Katerina.

Niklaus lasciò la mia mano delicatamente, dissi a mia sorella di ringraziarlo per avermi permesso di soggiornare là e lei gli riferì prontamente il messaggio.

Figuratevi, Irina. È un vero piacere per me.” rispose lui.

Appena terminò la frase, venne circondato da ragazze armate di regali e di complimenti per lui.

Mi ricordai allora che quella era la festa del suo compleanno e chiesi a Katerina di fargli gli auguri da parte mia. Sentivo gli occhi di Klaus fissi su di me, mentre io gesticolavo velocemente davanti allo sguardo di mia sorella.

Katerina gli riferì quello che avevo detto e lui, ignorando le ragazze che lo circondavano, mi rispose con un sorriso. “Vi ringrazio.” disse e venne praticamente trascinato via da tutte quelle donne.

Katerina lo seguì, con un sorriso sulle labbra.

Io ed Elijah restammo di nuovo soli, guardai Klaus che prendeva sotto braccio mia sorella, poi Elijah al mio fianco e mi sfuggii un sorriso di gioia.

Sì, forse in Inghilterra la mia vita sarebbe davvero cambiata, in meglio.












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Capitolo 4
*** Eyes ***


    -Eyes-

    Passò un mese e il mio soggiorno in Inghilterra si rivelò essere un vero paradiso.

    Trascorrevo gran parte del mio tempo con Lord Elijah, lui mi insegnò a scrivere e a leggere l'inglese e io, come promesso, gli insegnai il mio linguaggio dei segni.

    Era un ragazzo eccezionale: sempre gentile ed elegante, non mi aveva mai rimproverato se non capivo qualcosa. Iniziò anche a darmi del tu, facendomi sentire meno lontana da quell'aurea perfetta che pareva sempre circondarlo.

    Mi faceva anche ridere, sopratutto quando cercava di ripetere i miei segni e di impararli, ma anche lui, come me, sembrava essere portato per l'apprendimento. In Bulgaria non avevo mai studiato nulla, grazie ad Elijah mi accorsi di essere parecchio curiosa di conoscere.

    Mi piaceva l'inglese e avevo desiderio di ascoltarlo e conoscerlo sempre di più.

    Questo che cos'è?” mi chiese Elijah indicando le mie dita che si muovevano lentamente.

    Ci trovavamo, da soli, seduti su una panchina, in mezzo ad uno degli immensi giardini che circondavano l'abitazione. Era lì che studiavamo, come me Elijah amava l'aria aperta e preferiva che studiassimo in giardino, piuttosto che in una stanza chiusa. Eravamo parecchio simili per certi aspetti, amavamo la tranquillità e la natura e sorridevamo di fronte alle piccole cose.

    Mossi nuovamente le dita, poi indicai una distesa di fiori, sopra cui volavano diverse farfalle, di diversi colori.

    Ah, farfalla.” rispose lui e dopo vari tentativi, ripete il mio gesto senza troppe difficoltà.

    Ci ritrovammo a giocare, invece che studiare: gli insegnai a dire diversi animali attraverso il mio linguaggio, anche se dubitavo che “Elefante” ci sarebbe servito in qualche conversazione.

    Ad un certo punto, Elijah rivolse lo sguardo al cielo: il nero dei suoi occhi profondi venne illuminato dalla fioca luce del sole. Rimasi imbambolata a fissarli un attimo: non avevo mai visto in vita mia, degli occhi così belli.

    Posso chiederti, perché hai lasciato la Bulgaria? Conosco la storia di Katerina, so anche che non ti trovavi bene a casa...qual'è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?” chiese poi tornando a guardarmi, mi parlava un po' in inglese e un po' in bulgaro, per non mettermi troppo in difficoltà.

    Con quelle parole, ripensai alla mia famiglia: avevo spedito diverse lettera a mia madre, dicendole che mi trovavo benissimo e che Katerina sembrava la gioia fatta a persona. Lei mi aveva risposto, con le tipiche parole gioiose di una madre, che era felice per le proprie bambine. Non mi disse nulla né di Vladimir, né di mio padre, ma ero certa che mio padre, una volta tornata a casa, me l'avrebbe fatta seriamente pagare. Dubitavo, però, che il suo odio nei miei confronti potesse ulteriormente aumentare.

    Matrimonio indesiderato

Elijah osservò a lungo il mio viso, studiando la mia espressione afflitta. “Posso immaginare come tu ti sia sentita.” mi disse, posando una sua mano sulla mia spalla. “In passato, anche mio padre voleva obbligarmi a fare una cosa simile.”

I suoi occhi si colorarono di una strana luce, una luce di nostalgia e dolore. Sembrava che anche lui avesse sofferto a causa della figura paterna.

Cos'è successo?

Lui è morto. E tutto è cambiato...” rispose il ragazzo guardando il cielo, sembrava non voler parlare del suo passato e io preferii non infierire. Non volevo costringerlo a ricordare qualcosa che gli potesse arrecare dolore, lui con me non lo aveva mai fatto.

Il suo sorriso, improvvisamente apparso ad illuminargli il viso, mi colse di sorpresa. Sorrisi anche io e lo guardai con aria interrogativa, non capivo cosa gli avesse scatenato quella reazione.

Sai, Irina....tu sei strana.” disse, tornò a guardarmi e si corresse. “Strana nel senso positivo del termine, intendo. Non mi piace aprirmi molto con le persone, ma con te...credo di poter parlare di qualsiasi cosa. Non so spiegare il perché però...”

Valeva lo stesso per me, ogni volta che mi svegliavo la mattina, sentivo di dover stare con lui, di poter fare tutto quello che mi passasse per la testa, senza aver paura di sbagliare.

Era successo fin da subito, dalla prima volta che avevo visto i suoi occhi neri posarsi su di me.

Lo ringraziai, ricevere belle parole come quelle, mi faceva ancora uno strano effetto. Una risata cristallina ruppe il silenzio tra noi, io ed Elijah ci voltammo a guardare una coppietta che stava attraversando il giardino.

Erano Klaus e Katerina, non li avevo mai visti separati: stavano sempre insieme e mia sorella, accanto a lui, aveva sempre il sorriso sulle labbra. Elijah si alzò in piedi, poi mi porse la mano per aiutarmi.

Irina, fratello.” ci salutò Klaus, guardando prima me, poi Elijah “Sempre qui fuori a fare gli intellettuali, eh?”

Elijah rise “Ci piace studiare. Voi invece? Dove siete stati?” chiese loro.

Katerina lanciò un occhiata sognante al suo cavaliere “Nella foresta, è così bella e luminosa che riesce sempre a rilassarmi!” rispose.

A casa, passavamo tanto tempo nella foresta ma non l'avevamo mai considerata bella e luminosa, come quella inglese. Anzi era tetra e, a tratti, spaventosa, ma sempre meglio di stare in una stanza con Ada e nostro padre.

Klaus mi guardò e mi riservò un sorriso, provavo ancora un certo imbarazzo in sua presenza. Non avevo passato molto tempo con lui e non provavo quel senso di familiarità che avevo, invece, vicino ad Elijah. Ma c'era qualcosa, negli occhi di Klaus, che mi faceva ogni volta rabbrividire.

Un giorno, potrò portare anche voi nella foresta, Irina. Sempre se vorrete.” disse.

Katerina non parve felice di quella frase, non lo diede a vedere ma il suo momentaneo cambio di espressione mi bastò per capirlo. Elijah si accorse della mia difficoltà, non sapevo cosa rispondere dopo aver visto, anche se per un solo istante, quell'espressione sul viso di mia sorella.

Ma non volevo nemmeno risultare scortese.

Non puoi rubarti tutte le dame, fratello.” disse Elijah, prendendomi sotto braccio. “Farò vedere io ad Irina la foresta, non sono troppe due Petrova per te?”

Lo guardai complice, Klaus e Katerina sorrisero e si guardarono. “Bravo,Elijah. Sei diventato anche spiritoso!” lo provocò Klaus. Poco dopo lui e mia sorella, si allontanarono: lei mi salutò sfiorandomi la spalla e sorridendomi per poi seguire Klaus.

Elijah li guardò intensamente, tirò un sospirò e poi mi guardò. “Torniamo a studiare?” mi chiese, sempre con un sorriso gentile sul volto.

Annui e tornammo a sederci sulla panchina, proprio come ci trovavamo poco prima.

* * * *

Cosa pensi di Niklaus?”

Katerina mi aveva rivolto non sapevo quante centinaia di volte quella domanda.

Klaus mi piaceva, si era sempre mostrato gentile ed educato, sia con me, che con lei. Ma lei voleva, forse, sentirsi dire, che lo consideravo il cognato perfetto.

Continuai a pettinarmi capelli, la osservai attraverso il riflesso dello specchio e mi accorsi che mi guardava in maniera diversa, rispetto alle altre volte in cui mi aveva posto quella domanda.

Doveva aver frainteso la frase del bosco di Klaus, mia sorella era molto gelosa delle sue cose e anche una piccolezza come quella era capace di infastidirla.

Forse, quella sera, voleva scoprire cosa provassi per Klaus. Ma io non provavo nulla per lui, se non gratitudine e rispetto.

Ti fa stare bene.

Lasciai la spazzola sulla superficie di fronte a me e la raggiunsi sul letto. Katerina mi osservò a lungo, poi un sorriso le attraversò il viso: il momentaneo fastidio doveva esserle subito passato.

Sono contenta che la pensi così. Immagina se ci fosse stata Ada al tuo posto, mi avrebbe smontata in due secondi!” ridacchiò.

Aveva ragione, conoscendo Ada, probabilmente si sarebbe innamorata sia di Klaus, che di Elijah.

E si sarebbe così, messa in competizione con Katerina.

L'espressione sul viso di mia sorella improvvisamente mutò, i suoi occhi si fecero sognanti e si posarono sul soffitto, come se riuscisse a trapassarlo e a raggiungere il cielo stellato. “Sono contenta che tu sia qui con me. Sono così felice che vivere questa gioia da sola, sarebbe stato un peccato...” disse.

Le strinsi la mano, anche io ero più che contenta di essere lì: vederla così felice, era una gioia per i miei occhi e, per la prima volta in vita mia, anche io ero contenta della vita. Stavo vivendo momenti fantastici, con persone altrettanto fantastiche.

Come Elijah.

Strano che Katerina non mi chiedesse nulla del rapporto che avevo instaurato con lui, era così concentrata su Klaus da non rendersi conto di nient'altro.

Lei sospirò “Su, ora mettiamoci a nanna! Domani è un altra bella giornata!” disse, ci stendemmo l'una affianco all'altra. Katerina continuava a stringermi la mano e iniziò ad intonare una ninna nanna che la mamma ci cantava quando eravamo bambine. Anche allora dormivamo in un unico e scomodo letto, insieme ad Ada e la mamma ogni sera ci cantava quella soave canzone per farci prender sonno.

Funzionava anche allora che eravamo cresciute, la voce di Katerina si fece piano piano più lontana e sprofondai nel sonno.

Lei doveva avermi seguito poco dopo, perché all'inizio dei miei sogni sentii la sua voce affievolirsi sempre più.

Ma più tardi, un tuono ruppe il silenzio della nostra camera.

Mi svegliai di soprassalto e alzai la testa dal cuscino. Fuori era scoppiato un violento temporale: il vento soffiava forte contro il vetro della finestra, smuovendo i rami degli alberi.

Un lampo illuminò l'oscurità. Spostai delicatamente il braccio di Katerina che cingeva i miei fianchi, e mi alzai in piedi.

Mi avvicinai alla finestra guardando il cielo coperto, mentre violenti tuoni lo attraversavano con tutta la loro violenza. Posai lentamente una mano sul vetro, come per sentire il freddo che si pervadeva su di esso ma...qualcosa mi bloccò.

Un corvo, con le piume completamente bagnate dalla pioggia, si posò sul davanzale esterno della finestra. Sobbalzai tirandomi indietro, mentre lui iniziava a picchiettare con il becco sul vetro.

I suoi occhi rossi mi fissavano, gracchiava rumorosamente e continuava a muovere il becco sopra il vetro, come se volesse colpirmi.

Non sopportavo più quel rumore fastidioso e aprii la bocca, come se volessi gridargli di andarsene, ma ne uscì solo silenzio. Così colpii il vetro, ma non troppo forte per non romperlo, e quello volò via. Appena l'animale fu scomparso, un altra figura lo sostituì: vidi in giardino, un uomo incappucciato, che se ne stava immobile sotto la pioggia con la testa rivolta verso l'alto.

Come se mi stesse guardando.

Un brivido di paura mi corse lungo la schiena, restai immobile a guardarlo e quello allungò il braccio verso l'alto, dove si trovava la mia finestra. Come se mi stesse chiedendo di raggiungerlo.

Irina, che succede?” disse la voce di mia sorella.

Non mi ero resa conto di averla svegliata, con quella botta sul vetro.

Mi voltai verso di lei spaventata, mentre accendeva la candela che tenevamo sul comodino.

Sorellina, che ci fai in piedi a quest'ora? Perché hai colpito il vetro?” mi domandò.

Non risposi a nessuna delle sue domande, la presi velocemente per mano e la condussi davanti alla finestra, per farle vedere quella strana figura che se ne stava in giardino.

Lei mi guardò, assonata e confusa, mentre indicavo un punto fuori dal vetro.

Ma quell'uomo sembrava scomparso.

Mi ritrovai con il dito puntato sul nulla, se non sul giardino di fronte alla nostra finestra, che veniva bagnato dalle gocce di pioggia.

Cosa vuoi dirmi, Irina?” mi chiese Katerina confusa. “Ti sei spaventata per il temporale? Non è da te!”

Rise, come se la mia espressione spaventata fosse solo uno scherzo. Era vero che non mi spaventavo per un tuono o per un corvo impazzito, ma per una figura oscura che fissava la nostra finestra in giardino, sì. Le spiegai velocemente quello che avevo visto e Katerina mi posò una mano sulla spalla per tranquillizzarmi.

Irina, stai calma.” mi disse, con tono confortante, illuminando il mio viso con la fiamma della candela. “Hai fatto solo un brutto sogno, là fuori non c'è nessuno.”

Guardò verso il giardino vuoto e pensai che forse aveva ragione. Perché un uomo incappucciato doveva fissarmi, sotto quel violento nubifragio? Forse stavo vagando troppo con l'immaginazione , ma il rumore del becco del corvo che colpiva il vetro, rimbombava ancora nella mia testa.

Era stato reale, non potevo negarlo a me stessa.

Mia sorella mi prese per mano “Su, vieni.” mi disse, trascinandomi verso il letto “Tranquilla e dormi.”

Lo disse con fare materno, come se fossi una bambina piccola in preda alla paura per gli incubi.

Spense la candela poi, insieme, ci coricammo nuovamente e lentamente sprofondai nel sonno, avvolta dall'abbraccio di Katerina. E l'immagine di quell'uomo, pian piano scomparve dalla mia mente.

* * * *

I giardini della villa di Lord Niklaus erano pieni di piante ed erbe davvero belle.

Mi fermavo sempre ad osservarle, prima di raggiungere Elijah e seguire le sue lezioni.

Ma quel giorno, mi ritrovai a soffermarmi più del solito: non facevo che pensare a quello che avevo visto, o che credevo di aver visto, la notte prima.

Quando mi risvegliai quella mattina, mi sembrò solo un brutto incubo notturno.

Ma più passavano le ore, più mi sembrava che fosse stato tutto troppo reale per essere stato solo un sogno. Cercai di non pensarci, dovevo raggiungere Elijah, prima che facessi troppo tardi.

Non volevo essere un peso anche per lui, avevo già quasi rovinato la nottata a mia sorella.

Attraversai i giardini e raggiunsi la panchina, dove io ed Elijah eravamo soliti sedere durante le nostre lezioni. Ma scorsi un altra figura che mi dava le spalle e mi parve gemesse di dolore.

Mi avvicinai lentamente, intimorita. Ma quando riconobbi il volto di Klaus, venni presa dal panico: aveva gli abiti sgualciti e sporchi di sangue, il suo viso era pallido e sudato.

Sembrava che fosse stato attaccato da qualche animale.

Quando lui si accorse di me, un espressione di sorpresa gli apparve sul viso “Irina? Che ci fate qui?” mi chiese.

Non gli risposi, intanto la mia mente stava pensando alle piante e alle erbe che avevo notato nel giardino di Klaus. Alcune potevano essere utili per curare quella ferita sanguinante che aveva sul braccio. Corsi indietro e strappai alcune erbe dal terreno, Klaus doveva aver pensato che il sangue mi aveva impressionato e per questo ero fuggita.

Ecco perché, quando tornai da lui, alzò lo sguardo su di me sorpreso.

Mi chinai sui di lui e posai le erbe sopra la ferita. “Non...non preoccupatevi, Irina. Non c'è bisogno.” cerco di dire, ma in quello stesso istante, corsi al pozzo lì vicino per prendere dell'acqua. Mi occupai di quella ferita per qualche minuto, usando un lembo che avevo strappato dal mio vestito, per premere su di essa.

Sentivo lo sguardo di Klaus su di me, mentre tenevo gli occhi fissi sul suo braccio.

Katerina mi aveva detto che eravate troppo buona. Ma non mi aveva detto che eravate anche una dottoressa...” disse sorridendomi, non capivo se non stesse affatto provando dolore o se lo stesse nascondendo. In ogni caso, forse la mia “cura” stava facendo effetto.

Alzai lo sguardo su di lui, in realtà fare la dottoressa era il mio sogno. Ma in un mondo maschilista come quello in cui vivevamo, non sarei mai potuta diventarlo. Nemmeno se i miei genitori fossero stati ricchi e avessero potuto pagarmi le spese degli studi e nemmeno se avessi avuto la voce.

La mia passione per l'erboristeria era dovuta anche a quel desiderio di aiutare i più bisognosi.

Anche se, quella mia passione, veniva considerata un motivo in più per considerarmi “diversa”.

Tolsi il panno bagnato e le erbe dalla sua pelle. Restai basita, la ferita si era già rimarginata.

Com'era possibile? Era vero che quelle erbe avrebbero velocizzato il processo di guarigione, ma quella velocità era pari ad un miracolo.

Leggendo la sorpresa sul mio viso, Klaus mi prese una mano tra le sue. “Vi ringrazio molto, Irina.” disse gentilmente. “Siete stata davvero molto gentile ad occuparvi di me.”

Mi stava sorridendo, eppure io non riuscivo a pensare che quella ferita non poteva essersi già chiusa. Sentimmo dei passi dietro di noi e mi voltai giusto in tempo per vedere Elijah avvicinarsi velocemente a noi. Doveva avermi vista da lontano e solo avvicinandosi si accorse che ero con suo fratello.

Si fermò, stupito, a pochi passi da noi e guardò le macchie sugli abiti di Klaus, con aria confusa.

Irina, ti stavo cercando....” mi disse lentamente, senza distogliere lo sguardo dal fratello.

Mi ero completamente dimenticata della nostra lezione, ero rimasta così turbata nel vedere Klaus sporco di sangue, che non ci avevo più pensato. Elijah mi porse la mano, per aiutarmi ad alzarmi in piedi. L'afferrai saldamente, dopo aver lasciato tutto quello che avevo usato per la ferita di Klaus, sulla panchina. Gli occhi di Elijah però continuavano a guardare Klaus, mi sembrava poco stupito nel vederlo sporco di sangue.

Anzi, mi sembrava quasi arrabbiato. “Cos'è successo, fratello?” gli chiese.

Mi stringeva ancora la mano, come se volesse proteggermi da quel colore rosso su Klaus.

Il fratello gli rispose con un sorriso. “Lupi.” disse, rivolgendo poi lo sguardo verso di me. “Mi piace molto cacciare in un posto, poco lontano da qui, dove ci sono interi branchi di lupi. E io desidero tanto la testa di un lupo per abbellire le nostre pareti, vero Elijah?”

Tornò a guardare il fratello, il suo discorso mi fece rabbrividire. Sembrava come se si nascondesse un altro messaggio dietro le sue parole, oppure ero solo inorridita, perché non amavo particolarmente la caccia agli animali.

E perché Klaus sembrava essere stato attaccato da dieci lupi e si mostrava più che energico comunque. Il suo viso aveva ripreso colore e il sudore si era quasi del tutto asciugato.

Come se non fosse accaduto nulla.

Guardai Elijah, che fissava il fratello con i suoi occhi scuri. Era uno sguardo complice ma che tratteneva rabbia: era come se volesse rimproverare il fratello di essere troppo impulsivo.

Ma per cosa? Per essere andato a cacciare lupi, riducendosi in quello stato o per altro?

Stavo di nuovo vagando nella paranoia, come era successo la scorsa notte.

Accettai la teoria espressa da Klaus e mi arresi.

Vieni, Irina.” Elijah mi tirò delicatamente a sé. “Certe scene di sangue non dovresti vederle con i tuoi innocenti occhi.”

Lo seguii lentamente, ma quando mi voltai per vedere la reazione di Klaus, notai che lui guardava Elijah con fastidio.

* * * *

Un altra cosa che mi piaceva dell'Inghilterra era che ogni sera era gioiosa.

Klaus organizzava sempre feste e banchetti a cui io e Katerina prendevamo sempre parte.

Ci misi un po' per abituarmi a quegli eventi: in Bulgaria, quando io e mia sorella non riuscivamo a prendere sonno, ci mettevamo alla finestra e guardare il cielo stellato e la luna splendente.

Ma non avevamo mai preso parte a nessuna festa, come facevamo sempre alla corte di Klaus.

In quel momento eravamo in camera nostra, ci stavamo preparando per quella serata e io ero ancora costretta a rubare i vestiti di mia sorella. Lei ,però, mi fece capire che la cosa non la preoccupava affatto, ne aveva così tanti che potevo anche indossarli tutti almeno una volta mi aveva detto. Non le parlai di Klaus, saperlo nelle condizioni in cui lo avevo trovato, l'avrebbe di certo messa in allarme.

Se avesse voluto dirglielo, lo avrebbe fatto lui stesso.

In quel momento, Joshua, il ragazzo ai servigi di Klaus, bussò alla nostra porta.

Quando Katerina lo invitò ad entrare e lo vide con un vestito tra le braccia, le sue labbra si allargarono in un sorriso. Lasciò la spazzola sulla superficie di fronte a lei e gli si avvicinò.

Io restai seduta sul letto, a guardare indecisa i vestiti che Katerina mi aveva consigliato di indossare quella sera. Mi ero abituata ormai ai colori chiari, tanto che i miei vestiti campagnoli che indossavo nella quotidianità quasi mi spaventavano, nei loro colori scuri.

Per la signorina Irina, da parte di Lord Niklaus.” disse Joshua, rivolgendomi un sorriso.

Katerina restò allibita, mentre io mi voltai verso il ragazzo incredula.

Dovevo aver per forza capito male, ma lui si avvicinò a me e lasciò l'abito sopra il materasso.

Mi porse anche una lettera, che doveva essere recapita insieme al vestito.

Afferrai quel pezzo di carta titubante, Katerina era rimasta immobile a guardarmi in silenzio.

Mi sentii arrossire in viso per la vergogna e cercai di decifrare le parole sulla lettera di Klaus, per capire perché mi avesse mandato quell'abito. Avevo ancora qualche difficoltà a leggere, anche se il ragazzo aveva scritto nella mia lingua per facilitarmi la cosa. Mia sorella fu alle mie spalle, quando Joshua lasciò la nostra camera “Te lo leggo io?” mi chiese, anche se sembrava più un'affermazione, che una richiesta. Posò il mento sopra la mia testa e lesse ad alta voce “Questo è un piccolo regalo come ringraziamento per ciò che hai fatto per me. Klaus.” lesse poi mi guardò. “Scusa, ma che hai fatto?”

Sospirai e le spiegai in pochi gesti che gli avevo medicato una ferita.

Tralasciai il fatto che indossava più sangue che abiti, l'avrei solo spaventata.

Ah, allora lo ha fatto per questo...” disse quasi sollevata, immaginavo che avrebbe reagito così ed ero contenta che Klaus avesse specificato il motivo del regalo. Katerina si sarebbe subito costruita tutta una sua storia, in cui lui aveva riposto le sue attenzioni su di me, come se un uomo fosse così stupido da lasciarsi scappare una ragazza come lei.

Aprii l'abito per osservarlo meglio, era stupendo: color perla, con un leggero scollo a V e le maniche larghe. Pensai che fosse un po' troppo come regalo per aver medicato una ferita, che poi sembrava essersi sistemata da sola, ma non potevo che esserne lusingata.

Era un bellissimo dono.

Katerina mi aiutò ad indossarlo, non sembrava più preoccupata per me e Klaus fortunatamente.

E pochi minuti dopo, scendemmo a braccetto nel salone affollato.

Mia sorella allungò subito il collo, alla ricerca di Klaus.

Glielo indicai, era seduto ad un tavolo, intento a parlare a uomini e donne che lo ascoltavano quasi estasiati. Sarei dovuta andare a ringraziarlo, ma arrossii al solo pensiero: non era solo e interrompere la sua storia per dirgli un semplice grazie, davanti a tutta quella gente, mi imbarazzava.

Katerina, invece, voleva solo andare da lui, poteva esserci tutto il mondo a circondarlo, non le importava. Qualcosa però la bloccava: la mia presenza.

Non voleva lasciarmi sola, nonostante sapesse che, alla fine, ci sarebbe stato Elijah con me.

Anche lui sembrava preoccuparsi per me, proprio come lei.

Le feci segno di andare, ma lei mi guardò, scuotendo la testa. “No, non ti lascio sola.” mi disse. “Ancora non ti sei ambientata...”

Le risposi con un sorriso. Anche se fossimo rimasti anni là, lei si sarebbe sempre posta quel problema.

Katerina, ascoltate vostra sorella una buona volta.” Elijah si avvicinò a noi, rivolgendo un sorriso quasi divertito a mia sorella. “Resterò io con lei.”

Lei ci guardò entrambi, poi si diresse verso Klaus, lanciandoci un saluto con la mano.

La seguii con lo sguardo, mentre si avvicinava sempre di più al tavolo del suo principe.

Elijah fece lo stesso. “Sei molto bella con questo vestito, Irina.” disse poi, rompendo il silenzio che si era formato tra noi. “Te lo ha regalato Klaus, vero?”

Annuii, ripensai a come Elijah guardò il fratello, quando lo vide sporco di sangue. Non era preoccupato o spaventato, ma infastidito: come se non fosse la prima volta, che si facesse ridurre in quello stato. In effetti, pure mia sorella non era rimasta molto sorpresa quando le dissi che lo avevo trovato ferito.

Anche se avevo omesso diverse parti.

Il viso mi andò in fiamme e guardai il bellissimo abito che indossavo, ringraziai Elijah per i complimenti. Non ero ancora abituata a certe parole, ricordavo ancora come venivo scansata, anche dai ragazzi, in Bulgaria.

Nessuno mi aveva mai detto che fossi bella, mio padre era il primo a ricordarmi sempre, quanto fossi mostruosa.

Elijah mi guardò, come se mi avesse letto dentro. “Ehi.” disse, alzandomi il mento con la mano, affinché i nostri occhi s'incrociassero. Mi sembrò di perdermi, dentro l'abisso del suo sguardo.

Che c'è? Ho detto qualcosa che non dovevo?”

Scossi la testa, lui diceva tutto quello che mi faceva stare bene.

Era sempre stato così, dalle prime parole che mi aveva rivolto.

Ma lui non sapeva, della mia maledizione e del dolore che arrecavo a coloro che mi amavano. Katerina e mia madre ne erano la prova, io non potevo non pensare ogni giorno, a come sarebbero state le loro vite se io non fossi mai nata. Mia sorella aveva pagato da sempre l'amore incondizionato che provava per me e mia madre, non avrebbe vissuto con un uomo che era quasi arrivato ad odiarla, solo per avermi messa al mondo.

Elijah sospirò, era incredibile come riuscisse a leggermi dentro, senza che lasciassi trasparire nulla. “Io so cosa significa portare il peso di una croce sulle spalle.” disse in un sussurro. “So cosa significa sentirsi un mostro e, credimi, saprei riconoscere qualcosa da definirsi tale anche a chilometri di distanza...ma tu non lo sei.”

Lo guardai incredula, in silenzio come sempre.

Io non vedo altro, che una ragazza dolcissima e fantastica, che ha sofferto troppo.” aggiunse ancora lui. “Katerina mi ha parlato della storia del diavolo, della tua voce...e ti dico solo una cosa: il diavolo esiste, ma non a nulla a che fare con un angelo come te”

Senza accorgermene, mi ritrovai con gli occhi lucidi. Non volevo piangere come una perfetta idiota, ma le parole di Elijah erano state così belle, che sentivo il cuore battermi all'impazzata nel petto.

Perché sei così buono con me?

Elijah abbassò per un attimo lo sguardo, come se stesse pensando anche lui al motivo per cui si comportava così con me. “Perché da quando ti ho vista, ho sentito che eri...simile a me.” rispose, tornando poi a guardarmi. Sorrise, come se quello che stava per dire lo stupisse. “Posso considerarmi con una sola parola per te, credo: amico.”

Nella mia mente, ripetei quella parola all'infinito e la trovai meravigliosamente bella.

Non che non la conoscessi, ma non credevo di averla mai usata prima.

L'unica amica che avevo avuto era mia sorella e ora avevo anche Elijah, il cuore mi si riempì di gioia. Ancora una volta, quel ragazzo era riuscito a farmi battere il cuore con la sua gentilezza.

Gli strinsi la mano, per ringraziarlo e ci guardammo a lungo negli occhi.

Con lui era come se non fossi muta, riuscivo a comunicare con lo sguardo e a lui bastava per capire cosa volessi dire. Ci separammo, quando Klaus e Katerina si avvicinarono a noi: come sempre, lei lo teneva sottobraccio ed era sorridente.

Lo sapevo che questo vestito vi sarebbe stato benissimo.” disse lui, indicando con la testa l'abito che indossavo.

È stato un bellissimo gesto, Lord Niklaus.” disse mia sorella, come se volesse anche lei ringraziare, da parte mia.

Come al solito risposi con un sorriso.

Notai che lui non aveva proprio, però, l'aspetto di un uomo che, fino a quella mattina, era ferito gravemente. Mi sembrava che stesse più che bene.

Ed era strano, dopo esser stati attaccati da un branco di lupi.

Elijah lo fissava in silenzio, non disse nulla ma nei suoi occhi sembrava che ci fosse un messaggio preciso rivolto al fratello, che noi non potevamo comprendere. Klaus fece per dire qualcosa al fratello, ma un urlo ruppe l'armonia di festa che ci circondava.

Una ragazza era alla porta e gridava che una sua amica era morta, attaccata da un animale feroce.

Nella sala si scatenò il panico, alcuni uomini si catapultarono fuori, per andare a vedere cosa effettivamente fosse successo, mentre alcune donne restarono immobili, con gli occhi sbarrati.

Katerina, voi e vostra sorella andate in camera vostra.” ci ordinò Klaus, nel frattempo Elijah mi aveva presa per mano, come per dirmi di non aver paura. Li guardai allontanarsi tra la folla, mia sorella mi prese per mano e mi condusse dalla parte opposta, verso le camere.

Sembrava spaventata, ma riusciva a mantenere il sangue freddo, nonostante avessimo appena saputo che una ragazza era stata trovata morta.

Mi guardai indietro, per cercare con lo sguardo Elijah e Klaus ma, involontariamente, finii contro un uomo: non sembrava inglese, era alto e possente, con lunghi capelli neri e occhi cristallini.

Aveva uno sguardo tagliente, fisso sul mio viso.

Lo guardai per pochi istanti, perché Katerina mi trascinò via, dicendomi che dovevo accelerare il passo. Quell'uomo però, aveva un che di familiare. Quando tornai a guardarlo, lui mi stava ancora fissando.

* * * *

In effetti, non era la prima volta che una ragazza moriva nella foresta.

Katerina non me lo disse chiaramente, ma me lo fece capire. Ogni volta che provavo a chiederle se fosse già capitato prima, lei mi rispondeva che mi avrebbe spiegato più tardi.

Per la prima volta, l'Inghilterra mi spaventò.

Conoscevo la morte ovviamente e sapevo che esisteva. Ma, in Bulgaria, non l'avevo mai sentita così vicina. Ero tesa, preoccupata per Elijah e Klaus, triste per quella povera ragazza e turbata per quell'uomo con cui mi ero scontrata in sala.

I suoi occhi erano terribilmente spaventosi.

Mia sorella non fece che accrescere la mia ansia, camminava avanti e indietro, di fronte a me, tenendosi una mano sulla bocca e sospirando ogni tanto.

Uffa, ma perché non tornano?” esclamò ad un certo punto.

Io restai seduta sul letto, con la testa tra le mani, fino a quando qualcuno bussò alla porta della nostra camera. Entrambe scattammo sull'attenti e il viso di Elijah fece capolino nella nostra stanza.

Fui contentissima di rivederlo, Katerina invece parve un po' delusa: era Klaus quello che lei voleva rivedere.

Cos'è successo?” chiese lei con voce un po' incrinata.

Elijah si chiuse la porta alle spalle e prese un lungo respiro. “Una ragazza è...stata trovata morta nella foresta.” rispose, avvicinandosi lentamente a noi. “Sembra che sia stata attaccata da un animale.”

Sembrava quasi preso dai sensi di colpa per quella morte brutale e non potei che provare dispiacere per la sua espressione afflitta. Katerina invece non ebbe pietà “E Klaus come sta?” chiese.

Le diedi una leggera gomitata, ma lei mi ignorò: tutto la riconduceva a lui.

Elijah non parve molto stupito da quella domanda. “È di sotto, a tranquillizzare alcune persone. Se lo raggiungete, gli farebbe piacere.” disse.

Lei non se lo fece ripetere due volte, la guardammo raggiungere velocemente la porta, malgrado la gonna che indossasse avrebbe dovuto intralciarla nei movimenti.

Poi io ed Elijah ci guardammo, per smorzare l'imbarazzo che si era creato tra noi, mi sorrise.

Stai bene? Mi sembri sconvolta.” disse.

Non volevo fargli intendere che ero spaventata e intimorita. Era lui, quello che sembrava più che toccato da quella morte. “Julia la conoscevo. Era poco più grande di te, poco simpatica è vero ma....non meritava quella fine.”

Abbassò lo sguardo desolato e tutto quello che potei fare, fu posargli una mano sul braccio.

Volevo che capisse che non era solo, avrebbe potuto sfogarsi con me di tutto.

Lo aveva detto anche lui, eravamo amici ormai.

Elijah mi guardò e sembrò riversare il suo senso di colpa su di me, come se volesse dirmi qualcosa, ma aveva un blocco che gli impediva di farlo.

Mi strinse la mano che avevo sul suo braccio e deglutì “Non avrei mai voluto che tu vivessi una serata simile...” disse. Voleva dirmi dell'altro, altre parole che avrebbero dovuto ricoprire il silenzio che vigeva su di noi da secondi ormai.

Ora riposati, vedrai che domani andrà tutto meglio.” disse invece, mi baciò velocemente la mano e restai sola nella mia camera, immobile a guardarlo scomparire dietro la porta.

* * * *

Era freddo quella notte, più del solito.

Mi rannicchiai sotto le coperte, per fermare quei brividi che mi percorrevano la pelle, ma fu tutto inutile. Mi voltai allora a cercare l'abbraccio di mia sorella.

Ma accanto a me trovai solo il vuoto.

Mi svegliai di soprassalto, era notte fonda ormai ed ero certa che Katerina fosse rientrata da un pezzo, mentre dormivo.

E invece lei non c'era, doveva essere fuori da qualche parte dopo quello che era successo a Julia.

Scattai in piedi spaventata e accesi una candela, per poi fiondarmi fuori nei corridoi dell'abitazione alla ricerca di mia sorella.

Camminai a passo veloce ma silenzioso, attenta ad ogni singolo rumore che potesse rivelarsi sospetto. Pensai a dove potessi trovare Katerina, era scesa in sala a cercare Klaus e poi...mi fermai un secondo. E se avesse dormito con Klaus? Mia sorella non era il tipo da fare una cosa simile, non dopo quello che era successo due anni prima sopratutto, ma era pure vero che lei era pazza di Klaus.

E immaginarla in camera con lui, mi dava anche un po' fastidio. Perché?

Ripresi a camminare, l'opzione più negativa, ovvero quella che le fosse capitato qualcosa, era ancora presente nella mia mente. Rallentai un attimo, quando sentii dei passi alle mie spalle.

Come se qualcuno, mi stesse seguendo.

Pensai di essermelo immaginata, quando quello si ripete di nuovo.

Allora accelerai, sempre di più, fino a quando mi ritrovai a correre per i corridoi.

Ero sicura che qualcuno fosse alle mie spalle e che stesse correndo anche lui, mi guardai indietro e caddi in avanti. La candela si ribaltò a terra, restando però accesa e io avvertì un forte dolore al ginocchio. Dovevo essermelo sbucciato.

Mi guardai indietro, ma non vidi nulla. Se non il prolungarsi di un ombra, che doveva essere di fronte a me.

Irina?” disse quella voce, mi voltai di scatto verso Klaus: indossava una camicia aperta sul petto e teneva in mano un altra candela. Lo guardai quasi riconoscente e lui mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi.

Che ci fate in giro a quest'ora?” mi chiese preoccupato. M'illuminò il viso e si accorse che avevo il volto rigato di lacrime, dovevo essere scoppiata a piangere per paura che qualcuno mi inseguisse poco prima. Colpa delle mie paranoie di quei giorni.

Infatti mi guardai indietro e non avvertii alcuna presenza, c'eravamo solo io e Klaus in quel corridoio. La sua mano si avvicinò al mio viso e mi asciugò le lacrime.

Cercavate tua sorella?” mi chiese.

Il suo tocco freddo mi fece rabbrividire, annuii lentamente e distolsi lo sguardo imbarazzata. Avevo appena fatto la figura della pazza con l'uomo che ospitava me e mia sorella. Avrei voluto nascondermi.

Siamo rimasti in sala. Dopo quello che è successo a Julia, era sconvolta e siamo rimasti a parlare un po'.” rispose lui.

Non volevo essere miscredente, ma avevo davvero bisogno di sapere che mia sorella stava davvero bene. Non che non mi fidassi di Klaus, ma avevo il crescente bisogno di avere certezze.

Dopo Julia e dopo l'uomo della sala.

Lui mi prese per mano, come se avesse capito cosa stavo pensando. “Venite, vi porto da lei.”

Mi condusse lentamente in sala: mia sorella stava dormendo su un divanetto, con indosso ancora l'abito da festa e la giacca di Klaus che le copriva le spalle.

Sembrava che stesse bene, respirava lentamente con la bocca semi dischiusa e i capelli che le circondavano il viso. “Si è appena addormentata, stavo venendo proprio da voi per dirvi che l'avrei portata in camera, appena fosse caduta nel pieno del sonno.” sussurrò Klaus per non svegliarla, mentre io la osservavo.

Come al solito, mi ero preoccupata per nulla.

Vi preoccupate troppo per vostra sorella, Irina.” ridacchiò Klaus.

Alzai lo sguardo su di lui imbarazzata e il ragazzo mi riprese la mano. “Io non farei mai del male, né a lei e né a voi.” aggiunse. Qualcosa nei suoi occhi però mi fece rabbrividire, provai di nuovo quella strana sensazione che avevo sentito con Elijah: che ci fosse un segreto, che non avrebbero mai potuto rivelarmi. Solo che con Elijah era stato diverso, con Klaus provavo un po' di paura.

Non riuscivo a spiegarmelo.

Porto voi e Katerina in camera?” mi chiese poi.

Scossi la testa, mia sorella si sarebbe parecchio arrabbiata, se avesse saputo che l'avevo “strappata” alle attenzioni di Klaus. Sarei tornata in camera da sola, era meglio che Klaus non si allontanasse da lei dopo quello che era successo.

Lui poteva proteggerla meglio di quanto potessi farlo io.

Klaus lasciò la mia mano. “Siete sicura?” chiese.

Annuii di nuovo e gli augurai la buona notte.

Lui rispose con uno dei suoi soliti sorrisi gentili e, mentre mi allontanavo lungo la scalinata, sentivo i suoi occhi su di me.

































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Capitolo 5
*** Roses ***


    -Roses-

    In quei giorni, il pensiero dell'uomo incappucciato, della morte di Julia e dello strano tizio che avevo visto in salone rimasero fissi nella mia mente.

    Nessuno sembrava intenzionato a farci sapere di più sulla morte di quella povera ragazza, restò tutto in segreto tra Klaus, Elijah e i loro uomini. Sostenevano che noi donne non dovessimo preoccuparci troppo e, per questo, si limitarono a dirci che ad ucciderla era stato un attacco animale: Julia si era avvicinata troppo alla foresta ed era stata attaccata, forse da un lupo o chissà cos'altro.

    Elijah, che come sempre passava tantissimo tempo con me, si accorse della mia angoscia e perciò decise di portarmi in città. Sosteneva che non fosse giusto passare tutte le giornate a studiare la sua lingua e che meritavo anche di svagarmi un po'.

    E poi, qual'è il modo migliore per imparare l'inglese? Stare in mezzo a molti inglesi!” mi disse con un sorriso. Lo ricambiai a mia volta, anche se la mia mente era tutta rivolta a pensieri tetri e paurosi.

    Quando giungemmo nel mezzo del mercato, la mia prospettiva delle cose cambiò: mi sembrò di trovarmi in un posto nuovo, la gente camminava tra le bancarelle, parlottando tra loro e dispensando luminosi sorrisi. Ancora mi faceva uno strano effetto vedere tutta quella serenità, nel mio villaggio gli abitanti non volevano nemmeno trovare il tempo per sorridere. La terapia di Elijah sembrò funzionare, perché un sorriso si allargò sul mio volto: mi sentivo una ragazza normalissima, nessuno mi guardava con sguardo tagliente o cosa.

    Sembravo solo una giovane donna, in compagnia di un bellissimo cavaliere.

    Che bello, è spuntato un sorriso finalmente!” esclamò Elijah, indicandomi le labbra. Mi prese poi sotto braccio e mi condusse tra le varie bancarelle. Guardammo di tutto: gioielli, cibo, vestiti, libri e persino alcuni animali esotici, che però né io né Elijah apprezzammo vedere. Erano incatenati e spaventati da tutta la gente che li stava fissando. Perciò ci allontanammo subito da quella parte di mercato, anche perché Elijah era tentato dallo spendere tutti i soldi che aveva per salvare quelle bestiole.

E lo avrebbe davvero fatto, per come lo conoscevo.

Circa un ora dopo, mi portò in un grande prato, ricco di bellissimi fiori colorati, forse più belli di quelli che avevo visto nei giardini di Klaus. Sorrisi di nuovo, era uno spettacolo meraviglioso: il vento muoveva i fiori, trasportando il loro profumo nella sua brezza fresca. Il cielo era limpido e il sole mi sembrava più luminoso che mai.

Tutti i cattivi pensieri che mi pervadevano la mente in quei giorni, sembrarono dileguarsi.

Dovremmo uscire più spesso, potresti fare competizione al sole con quel radioso sorriso.” mi disse Elijah. Mi guardava sorridente, sembrava davvero felice di vedermi finalmente serena.

Tornai a guardare l'enorme distesa di colori di fronte a me e provai il desiderio, forse un po' stupido ma molto forte, di correrci in mezzo, di sentire più da vicino quei bellissimi profumi e di tuffarmi in quel mare di fiori. Guardai Elijah e indicai l'orizzonte, come per chiedergli se potevo fare una “pazzia” simile.

Lui ci mise un po' per capire. “Non devi chiedermi il permesso di nulla, Irina. Puoi fare tutto quello che ti passa per la testa...” mi rispose sorridente.

E pochi secondi dopo, iniziai a correre, più veloce che potei.

Forse sembravo una bambina un po' pazza ma non m'importava: mi sentivo libera, senza pensieri e senza paura che qualcuno potesse giudicarmi. Mi ritrovai con le labbra aperte in una risata, nessuno poteva sentirla ma il vento e il mio cuore bastarono per testimoniare quella immensa gioia che stavo provando. Mi voltai verso Elijah, che era rimasto a fissarmi, quasi divertito, e lo guardai un po' con sfida, per fare in modo che mi inseguisse.

Ah, mi stai sfidando? Guarda che non ci metto molto a prenderti!” ridacchiò.

Lo guardai come per dire “Staremo a vedere” e Elijah iniziò a correre verso di me, mentre io riprendevo la mia folle corsa con un sorriso sulle labbra.

Come mi aspettavo, Elijah era parecchio agile e mi raggiunse senza troppe difficoltà.

Mi prese per il polso e, entrambi, ci ritrovammo poi a rotolare tra i fiori come due bambini.

Lui rideva, io pure e mi parve davvero di sentire il suono della mia risata che faceva da sottofondo alla sua.

Restammo distesi sul terreno, l'uno affianco all'altro. Distogliemmo lo sguardo dal sole e ci guardammo. Eravamo entrambi stupiti da quella corsa: Elijah mi sembrava troppo composto per lasciarsi andare ad una cosa talmente insensata come quella e io, d'altra parte, sembravo talmente spaventata del mondo da non potermi lasciare andare a gesti simili.

Forse quando eravamo soli, eravamo davvero noi stessi.

Quello che pensavamo di essere era solo un illusione.

Ci accorgemmo troppo tardi che le nostre mani si stavano sfiorando e non era casuale: le sue dita cercavano le mie e viceversa, passavano sulle nostre pelli lasciando una linea calda invisibile su di esse. Ci guardammo negli occhi, i nostri visi non erano stati mai così vicini e i suoi occhi scuri mi parvero ancora più profondi di quanto sembrassero.

Avvampai in volto e mi rizzai a sedere, appena mi accorsi di provare uno strano desiderio che mi spingeva ad avvicinarmi ancora di più al suo volto.

Ma le nostre mani restarono l'una sopra l'altra. “Ti sei divertita oggi?” mi chiese Elijah, rimase voltato da un lato per potermi guardare.

Annuii, era stata una delle giornate più belle tra tutte le bellissime giornate che avevo passato in Inghilterra. Escludendo l'ultimo periodo, in cui mi sembrava di aver di nuovo paura di tutto.

Senza accorgermene, il mio viso si rabbuiò ed Elijah se ne accorse subito.

Irina, non pensare più a Julia. Purtroppo certe cose capitano e persone piccole come te, non dovrebbero rovinarsi la vita in questo modo...” disse, allungò una mano verso i miei capelli, per togliermi un fiore che si era incastrato tra di essi.

Avrei tanto voluto dirgli dell'uomo alla finestra e di quello con cui mi ero imbattuta alla festa, pensavo che fossero la stessa persona, ma il pensiero di dirlo a qualcuno mi preoccupava.

Potevo pure essermi immaginata tutto.

Scossi la testa, come per allontanare di nuovo quei pensieri, e tornai a guardare Elijah.

Lui mi stava sorridendo, come per confortarmi. “Dai, sei uno spettacolo quando sorridi!” le disse.

Mi venne di nuovo da sorridere, gli occhi di Elijah mi facevano sempre uno strano effetto, sopratutto se mi guardavano con quella dolcezza.

Improvvisamente, mi chiesi se lui fosse innamorato. Klaus era tutto preso da Katerina e anche altre donne sembravano pazze di lui, ma Elijah? Sotto quel punto di vista era difficile da capire, avevo visto diverse ragazze, anche al mercato, guardarlo, indubbiamente colpite dalla sua bellezza ed eleganza.

Ma non l'avevo mai visto in atteggiamenti romantici con nessuna.

Andiamo, dimmi,” mi disse ad un certo punto lui, lo guardai confusa. “Vuoi farmi una domanda, lo capisco dai tuoi occhi. Chiedimi ciò che vuoi.”

Mi sorprese il modo in cui era arrivato a capirmi; potevo pure stare immobile ma lui avrebbe capito cosa mi passava per la testa.

Avvicinai la mano al suo petto e con un dito indicai il punto in cui si trovava il suo cuore. Quel gesto mi parve un po' innervosirlo, ma non lo diede a vedere.

Vuoi sapere...se sono innamorato?” mi chiese.

Annuii, sentendomi un po' un impicciona. Ma lui per tutta risposta rise.

Sai, ora che mi ci fai pensare, non sono mai stato...veramente innamorato. Mi sono solo avvicinato a quella sensazione che si prova quando si ama ma...nient'altro. Credo che, in tutti questi anni, non ho mai veramente sperimentato l'amore.” rispose, portandosi le mani dietro la nuca e guardando il sole. Restai di nuovo sorpresa: un uomo così bello e buono, non poteva non aver mai amato.

Non riuscivo ad immaginarmelo nemmeno, era così perfetto...

Forse, doveva trovare anche lui la sua anima gemella. Io la pensavo così: c'era solo una persona nel mondo che poteva davvero farti conoscere l'amore.

Anche lui, come me, probabilmente doveva ancora trovarla.

Elijah mi guardò “E tu, invece? Sei innamorata?” mi chiese.

Inarcai le sopracciglia, come per dirgli che non lo ero mai stata. Anche perché nessuno, mi aveva dato l'opportunità di esserlo. “Non preoccuparti, troveremo entrambi l'amore. È un diritto di tutti.” rispose. Restammo di nuovo in silenzio, ad un certo punto, Elijah aprì la borsa che aveva con sé e ne prese qualcosa all'interno.

Ho..una cosa per te.” mi disse, si mise a sedere e mi porse un libro. Lo presi con delicatezza, sulla copertina c'erano disegnate a mano, diverse rose rosse, il libro era spesso e con le pagine ingiallite dal tempo. “Siccome ora conosci abbastanza bene l'inglese, pensavo che quel libro potesse esserti utile. Non è male, credimi.” disse.

Lo aprii, adoravo i libri e il profumo che emanavano. Prima non sapevo leggere e quindi mi sembravano solo oggetti belli quanto irraggiungibili.

Perciò, ricevere un libro per regalo, mi parve una cosa stupenda. Il regalo più bello che avessi mai avuto.

Grazie.

Gli dissi, muovendo le mani.

Lui mi sorrise. “Ma figurati, Irina.” mi disse e dopo lunghi attimi di silenzio, mi prese per mano. “Ora torniamo, prima che Niklaus mandi una squadra di ricerca a venirci a cercare!”

Tornammo alla carrozza, attraversando la folla del mercato.

Mentre la mia mano stringeva quella di Elijah, mi guardai attorno, per sorridere un ultima volta a quello spettacolo di persone che mi circondava.

Ma il mio sorriso si spense, quando i miei occhi si posarono su un punto lontano.

Vicino a quella che sembrava un osteria, l'uomo della festa mi stava fissando con i suoi occhi gelidi.

Un brivido di paura mi corse lungo la schiena e rimasi a fissarlo a lungo, come se volessi pregarlo di smettermi di guardarmi.

Irina?” Elijah mi chiamò, per aiutarmi a salire sulla carrozza.

Gli lanciai una veloce occhiata e quando tornai a guardare il punto in cui si trovava l'uomo, quello era scomparso.

* * * *

Quel libro era bellissimo.

Elijah non me lo aveva detto, ma ero sicura che a scriverlo fosse stato lui.: la scrittura era fluida e perfetta, sembrava che la sua gentilezza si riflettesse in quelle parole.

Il libro racchiudeva una serie di racconti, un misto di fantasia e amore, che mi parve rispecchiassero un po' i miei sogni. Mentre leggevo mi sembrava di immergermi nella storia e di esserne protagonista. Passavo ore a leggerlo e avevo paura di finirlo troppo presto, era così bello che volevo durasse in eterno.

In quel momento, ero seduta a terra, nel bel mezzo di uno dei giardini di casa.

Tenevo il libro sulle ginocchia e mi ero un attimo bloccata su alcune frasi che non riuscivo ancora a tradurre bene. Ma la scrittura era così perfetta, che comunque riuscivo a capire il significato anche senza riconoscere le parole. Dei passi alle mie spalle, ruppero il silenzio: il pensiero dell'uomo incappucciato mi tornò in mente, ma quando mi voltai, vidi solo il viso di Klaus che mi sorrideva.

Il suo sorriso era come al solito enigmatico, non capivo che cosa racchiudesse.

Scusami, ti ho spaventata?” mi chiese.

Anche lui aveva deciso di darmi del tu, come se sentisse che mi faceva sentire meno lontana da loro.

Scossi la testa e mi alzai in piedi. Anche se Klaus aveva ordinato a me e Katerina di non inchinarci, non volevo mancargli di rispetto restandomene seduta a terra.

Lo sguardo di lui cadde sul libro che avevo in mano, sembrò riconoscerlo: la copertina era talmente originale, che la si poteva ricordare anche dopo averla vista una sola volta.

Klaus rise “Te lo ha dato mio fratello, vero?” mi chiese indicandolo. “Lo ha scritto lui, non sembra ma è un vero sentimentale!”

Guardai il libro e, quando ebbi la conferma che a scriverlo era stato lui, mi sfuggì un sorriso.

Sorvolai sulla battuta di Klaus, era solo un gioco tra fratelli che spesso anche io e Katerina facevamo. Solo che, in lui notai un leggero fastidio.

Strano, non lo ha dato mai a nessuno.” aggiunse ancora lui e alzai di nuovo lo sguardo su di lui.

Sapere quella cosa mi fece arrossire.

L'ho letto anche io, c'è sempre il lieto fine in tutti i suoi racconti.” continuò a dire. “Peccato che io non creda nelle fiabe...”

A quelle parole, distolse lo sguardo e io rimasi a guardarlo confusa, non avevo passato molto tempo con lui e quindi non lo conoscevo come conoscevo Elijah.

Però non l'avrei mai fatto così cinico; era pur sempre l'uomo che faceva sognare mia sorella.

E Katerina era sognatrice quanto me.

Perché?

Credetti che quello fosse l'unico gesto del mio linguaggio dei segni che avesse imparato a memoria.

Klaus posò lo sguardo su di me. Come il fratello, aveva uno sguardo penetrante che sembrava scavarti dentro la mente.

Solo che, quegli occhi mi facevano un po' paura. Mi sarebbe davvero piaciuto capirne il motivo.

La vita non è un racconto e il lieto fine non è per tutti.”rispose, mi sembrò che stesse cercando di mascherare un antico dolore, che lo attanagliava ancora nel profondo.

I suoi sorrisi enigmatici, forse nascondevano dell'altro.

Se fosse stato Elijah, gli avrei preso la mano per confortarlo, ma con Klaus era diverso: non sapevo come comportarmi. Restai così a guardarlo, finché lui tornò il ragazzo sicuro di sé, che avevo sempre visto al fianco di Katerina, e mi prese la mano.

Vieni, devo farti vedere una cosa...” disse, mi condusse sotto il portico.

Eravamo diretti verso i giardini, dietro l'abitazione. La presa di Klaus era fredda e stringeva la mia mano con delicatezza, come se avesse paura di rompermi.

Mi guardai attorno, sperando di non incrociare Katerina.

Per come la conoscevo, si sarebbe creata una storia tutta sua nella testa.

Raggiungemmo quello che sembrava un giardino incolto, era enorme e talmente bello, che mi venne voglia di iniziarci subito a piantare fiori.

Klaus guardò il mio stupore e ne rise. “Hai il pollice verde, no? Questo è tutto per te.” disse.

Mi voltai verso di lui, basita.

Mi strinsi il libro di Elijah al petto e guardai quel terreno.

Non avevo mai ricevuto così tanti bei regali in tutta la mia vita.

In Bulgaria avevo un giardino minuscolo, che con i dispetti di Ada si era pure rovinato.

Lì invece, l'Inghilterra, o meglio Klaus, mi aveva regalato un giardino grande quanto la mia vecchia casa.

Mi sembrava di vivere un sogno, dove la realtà stava assumendo tutti i colori che avevo sempre desiderato.

Dopo quello che è accaduto a Julia, pensavo fosse doveroso, risollevarti il morale...” disse.

Lo ringraziai con un enorme sorriso, era un regalo bellissimo insieme al libro che mi aveva dato suo fratello e all'abito. Ma mi sembrava troppo, non credevo di meritare così tanto.

Non avevo fatto nulla di che, né a lui e né tanto meno ad Elijah.

La loro gentilezza era il vero regalo più bello che avessi mai ricevuto in tutta la mia esistenza.

Il mio sguardo cadde su un punto del giardino, dove erano state piantate delle rose rosse.

Klaus seguì il mio sguardo e sorrise. “Mi sono preso la briga di piantare dei fiori, se non ti dispiace. Diciamo...una specie di omaggio.” Si avvicinò ad una di quelle rose e ne strappò una.

Poi tornò da me e me la porse. “Ne volevo portare una a Katerina. Sai, adoro le rose...mi piace molto il rosso, è un colore bello e misterioso, non trovi?” mi chiese.

Lo guardai titubante e pensai che preferivo di gran lunga il colore blu: il rosso mi faceva subito pensare a qualcosa di pauroso, come il sangue.

Mi ritrovai a rabbrividire, al pensiero di Julia e dell'uomo misterioso che avevo visto anche in città. Presi la rosa e...la lasciai subito cadere: aveva una spina, che mi aveva preso in pieno il dito.

Deglutii di dolore, fissando il sangue colare lungo il dito.

Klaus lo fissava, in silenzio. “Mi dispiace, mi ero dimenticato che ogni rosa ha la sua spina...” disse, mi prese il dito e, cogliendomi di sorpresa, se lo portò alle labbra.

Sapevo che in quel modo, si poteva rallentare il flusso del sangue, ma mi sentivo imbarazzata.

Abbassai lo sguardo attendendo che lui mi lasciasse la mano: non potevo ritrarmi, sarei risultata scortese. In fondo mi stava solo aiutando.

Allora perché mi sentivo tremare?

Klaus lasciò la mia mano e rise “Gesto poco elegante lo so.” disse, come per scusarsi. Arrossii di nuovo e ritrassi la mano portandomela al petto. “Ma lo sai che così si blocca l'uscita del sangue no?”

Mi porse poi un fazzoletto, con cui circondò il mio dito.

Si era avvicinato parecchio a me, era così alto che dovetti alzare la testa per guardarlo in viso. Mai lo avessi fatto, eravamo troppo vicini e riuscivo a sentire il suo respiro sulla mia pelle.

Mi ritrassi. Il modo in cui mi guardava mi faceva rabbrividire.

Ma non di piacere.

Ora devo andare, spero che il mio regalo ti sia piaciuto.” mi sorrise e si allontanò da me, dandomi le spalle. Mentre lo guardavo camminare via, mi chiesi se sarei mai riuscita a comprenderlo.

* * * *

Che bello! Era da tanto che non venivo in città!” esclamò Katerina, appena scendemmo dalla carrozza. Elijah si era offerto di accompagnarmi dal botanico, per comprare dei semi che potessero arricchire il giardino. E lei si era stranamente offerta di venire con noi, lasciando Klaus solo a casa.

Mi guardai attorno, il cielo era nero e prometteva pioggia.

Posai la mano sopra una delle tasche del mio vestito, avevo poche monete e sperai che bastassero per comprare quello che avevo intenzione di prendere. Non volevo chiedere soldi ad Elijah e nemmeno a Klaus, sopratutto dopo i regali che avevo ricevuto.

Poi, avvicinarmi a Klaus dopo quello che era successo, mi imbarazzava.

Voglio andare dal sarto, per vedere che può farmi un bel vestito!” disse mia sorella, entusiasta.

La guardai con aria colpevole,chiedendomi come avrebbe reagito se avesse saputo cos'era accaduto il giorno prima, con Klaus.

Non era successo nulla, era vero, ma sentire le sue labbra che si posavano sul mio sangue, lo consideravo un gesto...troppo intimo. Come al solito, stavo vagando in un mare di pensieri inutili.

Katerina, andiamo prima dal botanico. Non posso lasciare sola nessuna di voi due, siete sotto la mia tutela.” disse, mi lanciò un occhiata protettiva a cui risposi con un sorriso.

Mia sorella ridacchiò “Ma, Lord Elijah, voi non siete il mio cavaliere!” lo provocò scherzosamente, chiara allusione a Klaus. Era da un minuto che non ne faceva.

Le lanciai un occhiata, come per dirle che stava un po' esagerando.

Elijah sospirò amareggiato. “Beh, ora lo sono, Katerina. Siete giovani e c'è gente pericolosa in giro, lo sai...”

Ma di giorno che può succedere?” chiese lei. “I mostri escono solo di notte.”

Mi fece rabbrividire e Elijah la fissò a lungo, senza proferire parola.

Come se volesse precisarle, che non era affatto così.

In certi comportamenti, era complicato da capire, quasi quanto Klaus.

La prese sotto braccio “Tua sorella è la più piccola di noi, perciò si fa prima quello che dice lei.” le disse, mi lanciò un occhiata ammiccante e mi sorrise.

Katerina mise un finto broncio da bambina e ci seguì dal botanico.

Appena entrammo,mia sorella si guardava attorno un po' annoiata, mente io cercavo tra gli scaffali, vari semi che potessero imbellire il giardino. Elijah stava guardando dall'altra parte della stanza.

Perché non compri dei semi di rosa? Adoro le rose!” mi disse Katerina.

La parola “rosa” non mi faceva più l'effetto di prima, ripensai all'episodio con Klaus e arrossii violentemente. Feci finta di nulla e continuai a cercare tra gli scaffali: i nomi delle piante erano scritti in latino, così non ebbi grandi problemi a riconoscerne i semi. Erano le uniche parole in latino che conoscevo. Katerina sbuffò, facendomi capire che si stava davvero annoiando.

Strano, perché i fiori una volta le piacevano. Era la moda che le piaceva un po' meno.

In Inghilterra invece, si era innamorata di vestiti e gioielli.

Irina, hai fatto? Il sarto poi chiude!” esclamò, mi abbracciò da dietro, cingendomi le spalle.

Presi, dallo scaffale di fronte a me, un vasetto di semi.

Così, dall'altra parte della stanza, scorsi Elijah che stava osservando dei fogli di botanica.

I nostri sguardi si incrociarono e mi sorrise dolcemente, feci lo stesso, dimenticandomi che l'occhio attento di Katerina vigeva su di me.

Uhm, cos'era quello sguardo?” mi chiese.

Una vampata mi investì il viso e feci spallucce, come per dirle che non era nulla.

Ma lei non se la bevve e mi guardò con malizia. “Ti piace Lord Elijah?” disse, puntandomi il dito sulla punta del naso. “E tu piaci a lui?”

Scossi la testa, anche per allontanare il suo dito “accusatorio” dal mio naso. Ma aveva notato quanto fossimo diversi? Io sembravo ancora una contadinella, lui un bellissimo principe.

Potevo negare che non mi piacesse anche se pensavo il contrario, ma ero più che certa di non poter piacere a lui: mi vedeva solo come un amica da difendere. Nient'altro.

Le bugie fanno venire le gambe corte, sorellina. Stai attenta, mi raccomando.” mi disse con un sorriso. Presi un lungo respiro e decisi di lasciar perdere.

Mi vergognavo troppo a parlare di quello che pensavo di provare per Elijah.

Perché lo pensavo solo, il mio cuore ancora non mi faceva ben capire i suoi segnali.

Decisi di sbrigarmi per non annoiare ulteriormente mia sorella.

Come mi aspettavo, Elijah si rifiutò di farmi spendere le poche monete che avevo con me e, per farmi sentire meno in colpa, finse di comprare anche lui dei fogli di botanica.

Passammo poi dal sarto per accontentare Katerina, lei non si preoccupò di far spendere soldi ad Elijah. Quando uscimmo, iniziò a correre tra la folla, per provocare Elijah a seguirla.

Quella sua voglia di giocare, mi faceva sorridere.

Elijah però non voleva darle corde e restò al mio fianco, reggendo le nostre pesanti sacche.

Ma che ha oggi tua sorella? Sembra esagitata!”esclamò Elijah e scoppiai a ridere: credevo che Katerina fosse così felice, semplicemente perché si sentiva finalmente libera.

Come era successo a me pochi giorni prima, quando corsi lungo quel prato insieme ad Elijah.

Eravamo come rose, finalmente felici di sbocciare.

E io non volevo ostacolare il gioco di Katerina.

Perciò costrinsi Elijah a darmi le sacche e gli feci segno di seguire mia sorella.

Oh no, Irina. Non vorrai che l'assecondi?!” ridacchiò lui, mentre gli strappavo via una sacca dalla mano. Gli indicai con il capo mia sorella, come per chiedergli di non lasciarla vincere. “Ma ne sei sicura? Sono troppo pesanti per te!” insistette lui.

Scossi la testa, gli feci capire che tanto li avrei seguiti e non mi sarebbe capitato nulla.

Intanto il cielo si fece più nero, sembrava che potesse mettersi a piovere a momenti.

Siete lenti!” gridò Katerina.

Io ed Elijah ci lanciammo un occhiata divertita e lui finalmente si decise, a non preoccuparsi per me.

Lo ha voluto lei!” mi disse e iniziò a correrle dietro. Li seguii lentamente, mia sorella si liberò spesso dalle “grinfie” di Elijah e i due ridevano, come se fossero bambini.

Fu uno spettacolo stupendo per i miei occhi, erano entrambi così belli, che non si poteva non sorridere guardandoli. Tutto finì, quando un uomo misterioso si parò davanti a me: lo guardai spaventata, era lo stesso che avevo visto alla festa e in città. I suoi occhi di ghiaccio mi scrutavano attentamente, mi afferrò violentemente per la mano libera, cercando di tirarmi a sé.

Parlò in una lingua che non conoscevo, forse tedesco o comunque con un accento simile.

Conosceva il mio nome, perché fu l'unica parola comprensibile che uscì dalla sua bocca.

Mi dibattei furiosamente, volevo gridare aiuto ma dalle mie labbra uscì il solito silenzio.

Cercai con lo sguardo Elijah e Katerina, ma li avevo persi di vista.

Lui continuava a tirarmi, da come mi parlava, non capivo se mi stesse minacciando o se mi stesse implorando di seguirlo. Era certo però, che voleva portarmi via.

Spaventata più che mai, lo colpii con un calcio al ginocchio e iniziai a correre.

Le sacche mi caddero a terra e tutti i semi che avrei voluto piantare, si riversarono sul terreno.

* * * *

Avevo corso così tanto che non mi sentivo più le gambe.

Dopo essermi guardata indietro diverse volte, per non avere sorprese, mi poggiai ad un albero per riprendere fiato. Era anche scoppiato un acquazzone ed ero tutta bagnata ed infreddolita.

Dovevo trovare Elijah e Katerina, volevo solo tornare a casa, al sicuro tra le mura dell'abitazione di Klaus. Mi guardai attorno, ero nelle foresta ma non riconoscevo nulla che potesse aiutarmi ad uscirne.

Il canto di un uccello mi fece sobbalzare e ripresi a correre.

Non sapevo dove stavo andando, ma volevo solo correre.

Quell'uomo poteva essere dietro di me e mi ritrovai così all'uscita della foresta.

Davanti a me trovai una specie di collinetta, su cui era posta in cima una casetta.

Forse potevo chiedere aiuto, ma ero muta e nessuno là poteva conoscere il mio linguaggio dei segni.

Venni presa per un attimo dalla disperazione,ma la lasciai correre.

Raggiunsi la cima della collinetta e mi avvicinai alla porta, per bussare ripetutamente.

Nessuno mi rispose, pensai così che non ci fosse nessuno.

Scrutai dentro le finestrelle, per vedere se la casa era effettivamente vuota. Quell'abitazione mi ricordava la mia in Bulgaria: piccola e rurale, solo che la mia non era circondata da tutto quel verde.

Chi sei?”

Una voce femminile, decisa e dura, mi colse di sorpresa.

Mi voltai di scatto, verso una ragazza: aveva indosso una mantella con cappuccio, per ripararsi dalla pioggia, e in mano aveva un cesto pieno di piante. Mi guardava con aria inquisitoria e scorsi i suoi occhi verde smeraldo sotto il cappuccio mentre mi fissavano.

Mi strinsi nelle spalle, perché avevo freddo e la vista di quella calda mantella non mi era di aiuto.

Ti ho fatto una domanda, rispondi!” insistette lei, guardandomi con rabbia.

Nell'imbarazzo, ,mi dimenticai di essere muta e aprii la bocca, come se aspettassi che da essa ne uscisse qualche suono. Lei mi guardò, infastidita.

Mi prendi in giro per caso? Spii dentro casa mia e mi prendi pure per i fondelli?” esclamò.

Non sapendo che fare, mi ritrovai a piangere come una bambina.

Mi portai le mani al viso, per nascondere le mie lacrime e tirai su con il naso.

Mi sentivo una stupida, ma avevo troppa paura: per la prima volta, da quando ero giunta in Inghilterra, ero davvero sola. Un uomo mi aveva praticamente quasi aggredito e quella ragazza mi stava accusando di essere una spiona.

Ehi, non piangere.” Lei si addolcì, lasciò la cesta e terra e si avvicinò a me. Mi cinse le spalle ma tenni lo sguardo basso. “Che ti è successo?”

Non ebbi il tempo di far nulla, la porta della casetta si spalancò improvvisamente e riconobbi l'amico di mia sorella, Trevor. Quando mi vide, sembrò sorpreso.

Irina?” mi chiese confuso,lanciò un occhiata al cielo, come per assicurarsi che stesse ancora piovendo. “Rose, che ci fa lei qui?”Sembrava come se la mia presenza lì, lo spaventasse.

Rose fece spallucce. “Non lo so, l'ho trovata qui davanti e...” rispose.

Entrate tutte e due.” la interruppe lui.

Trevor ci lasciò la porta aperta, lo guardai un po' perplessa. “Non vi faccio del male, Irina. Lord Niklaus è meglio averlo come amico, che come nemico. Credetemi.” mi disse, parlava con un tale rispetto e una tale devozione verso Klaus che mi stupii.

Misti, però, ad un forte sentimento di paura.

* * * *

Rose mi seguì e mi fece sedere su una poltrona mezza rotta, sotto la finestra.

Si tolse il mantello: aveva lunghi capelli castano chiaro e grandi occhi verdi, avrà avuto più o meno sui venticinque anni. Trevor restò lontano, con la schiena appoggiata sulla parete e lo sguardo rivolto verso di me. Sembrava quasi che la mia presenza lì lo intimorisse.

Rose mi mise gentilmente una coperta sulle spalle, si chinò su di me e mi sorrise. “Scusami per prima, Irina.” disse, pronunciando il mio nome con una forte assonanza inglese. “Io sono Rose, credo che Trevor tu lo conosca già.”

Lanciai un occhiata a Trevor, che distolse lo sguardo.

Come mai sei qui? Niklaus ti permette di uscire da sola?” disse ancora lei con una leggera punta di sarcasmo, quando pronunciò il nome del ragazzo.

Abbassai lo sguardo, mi sentivo ancora tremare al ricordo di quell'uomo in città.

Devo pensare...che sei troppo timida per rispondermi?” mi chiese Rose, studiando il mio viso.

Rose,lei è muta.” le disse Trevor con voce dura, la ragazza lo guardò sorpreso. “Ed è ferita.”

Ferita? Trevor indicò con un cenno della testa il mio braccio, dove scorsi una macchia rossa che bagnava il tessuto chiaro. Dovevo essere così spaventata da non aver nemmeno sentito dolore.

Oh, te la medico subito.” Rose scattò in piedi e si avvicinò ad un secchio d'acqua che teneva vicino ad un mobile. Lo bagnò con un panno e tornò da me, mi alzò la manica e premette sulla ferita. Sussultai un attimo per il dolore improvviso, in quel momento lo sentivo. “Non preoccuparti, non è nulla di grave.” mi tranquillizzò ,gentilmente, Rose.

Forse, di fronte alla porta, aveva agito così perché pensassi che fossi una ladra.

Allora mi ricordai di aver bussato più volte alla porta e che Trevor era dentro.

Perché non mi aveva aperto dunque?

Gli lanciai un occhiata sospettosa e notai che lui non aveva distolto lo sguardo da me.

Sentite, Irina. Non so perché siete qui...ma ora Rose vi riporterà da Klaus. Non voglio che lui pensi che vi abbiamo rapita o trattenuta contro la vostra volontà, va bene?” mi disse, da come parlava sembrava quasi che pensasse fossi fuggita.

Ma perché avrei dovuto? Lui mi vedeva tutte le sere insieme a Katerina.

E aveva notato che stavo benissimo con loro.

Annuii, intanto fuori aveva smesso di piovere e alcuni raggi di sole filtrarono attraverso la finestra. Trevor si tirò più contro il muro e strisciò verso la porta, come se volesse evitare di esserne colpito.

Rose tolse il panno dalla mia pelle e mi bendò la ferita.

Quando notò il ragazzo, andò subito a chiudere le tende della finestra ed io la seguii con lo sguardo, confusa.

Rose, riportala subito da Klaus. Ti prego.” disse Trevor avvicinandosi a lei, appena le tende furono chiuse.

Datti una calmata, Trevor. Non sopporto che tu mi dia ordini!” disse lei a denti stretti, come se sperasse che non la udissi.

Tu non capisci.” Trevor mi lanciò brevi occhiate, come per assicurarsi che non li stessi guardando. “Klaus si potrebbe arrabbiare.”

Non parlarmi come se dovessi comprenderti. È la tua gente, non la mia.” replicò lei.

I due si guardarono a lungo, non capii cosa significassero quelle parole.

L'unica cosa che mi era chiara era che entrambi temevano, in un modo o nell'altro, Klaus.

Rose si voltò verso di me e mi sorrise. “Vieni, andiamo.” disse porgendomi la mano, gliela strinsi e la seguii. Quando lei aprì la porta, la luce del sole fece capolino all'interno della casa.

E Trevor si allontanò, come per evitare di incontrarla.

* * * *

Avevo così tanti interrogativi per la testa, che non volevo più pormi domande.

Che relazione c'era tra Rose e Trevor?

Perché non si era offerto lui di accompagnarmi, lasciando uscire da sola la ragazza? E sopratutto, perché evitava così tanto la luce del sole?

Trovai una sola spiegazione a tutto: non m'importava.

Non potevo vedere sempre tutto nero; ci sarebbe stata una spiegazione più che ragionevole a tutto.

Ci avrei pensato dopo magari, sotto le coperte del mio caldo letto.

Io e Rose giungemmo nel salone, dove trovai solo Katerina, seduta ad un tavolo, con un espressione afflitta sul volto. Quando sentì il rumore dei nostri passi, balzò in piedi.

Irina!” esclamò.

Mi separai dal braccio di Rose e le corsi incontro. Mia sorella mi strinse forte, come se non volesse più lasciarmi andare. “Ma dove sei stata? Mi hai fatto prendere un colpo, lo sai?” esclamò poi, stringendomi le spalle.

Aveva gli occhi lucidi, sembrava che avesse pianto a lungo e la cosa mi dispiacque.

Rose ci guardò in silenzio, il suo sguardo slittava da Katerina a me. Fu allora che mia sorella la guardò, sembrava che la conoscesse e... che non le piacesse.

Mia sorella non era brava a nascondere le sue antipatie.

E anche Rose non sembrava trovarla simpatica.

L'hai trovata tu?” le chiese Katerina, stringendomi la mano.

Sì, si era persa nella foresta.” rispose lei stringendosi le braccia al petto, era la verità ma non capivo se lei lo avesse dedotto da qualcosa o se se lo fosse solo immaginata. “Ma siete sorelle? Non vi somigliate per niente...”

Non si riferiva all'aspetto fisico perché, a parte i colori, in viso io e Katerina ci somigliavamo parecchio. Doveva riferirsi ad un aspetto caratteriale.

Sorvolando sulla tua acidità, ti ringrazio.” disse Katerina, piegando la testa da un lato.

Volevo pregarla di essere più gentile, ma ero troppo stanca ed affaticata per fare qualsiasi cosa.

Rose annuì, poi mi riservò un sorriso. “Alla prossima, Irina.” mi disse e uscì dalla sala a passo svelto.

Katerina mi condusse in camera nostra, dicendomi che Elijah e Klaus erano scesi in città a cercarmi. Erano entrambi molto preoccupati per me e non potei che non sentirmi in colpa.

Sopratutto nei confronti di Elijah, che aveva il compito di vegliare su di noi.

Ci sedemmo sul letto e lei mi accarezzò lentamente i capelli, ancora bagnati, per tranquillizzarmi.

Poco dopo, qualcuno entrò rapidamente in camera, senza nemmeno bussare: Klaus ci guardò preoccupato, poi tirò un sospiro di sollievo.

Irina, stai bene?” mi chiese, si chinò su di me e mi strinse le mani tra le sue. Non erano mai state così fredde. Katerina restò turbata da quel gesto, ma si sforzò di non darlo a vedere.

Intanto io annuii.

Sei sicura? Se qualcuno ti ha fatto del male, ti giuro che...”

Lo interruppi, stringendogli forte le mani. Sembrava davvero furioso, il suo viso pallido stava assumendo un espressione animalesca, che non avevo mai visto prima.

Ci guardammo a lungo, lui sembrò leggere nei miei occhi un qualcosa che riuscì a placare la sua rabbia.

Alzai lo sguardo dai suoi occhi, solo quando vidi la porta aprirsi di nuovo.

Comparve Elijah, che quando mi vide, sembrò illuminarsi in un espressione serena. Il mio cuore sobbalzò e allora mi resi conto che, in quel momento, il suo era il viso che avevo bisogno di vedere.

Irina...” sussurrò dolcemente il mio nome e io mi alzai in piedi, Klaus fece lo stesso. “Mi dispiace così tanto. È stata colpa mia, avrei dovuto tenerti d'occhio e...”

Appena cercai di fargli capire che non era affatto colpa sua, Klaus mi colse di sorpresa: si avvicinò al fratello e, prendendolo per il colletto della maglia, lo spinse contro il muro.

Persino Katerina scattò in piedi di fronte a quel gesto, mentre io li fissavo a bocca aperta.

Elijah non si mosse, restò immobile a guardare gli occhi collerici di suo fratello. Come se pensasse di meritare un tale trattamento. “Sì che è colpa tua, Elijah. Avresti dovuto fare più attenzione!” esclamò a denti stretti Klaus e mi avvicinai velocemente a lui.

Cercai di allontanare le sue braccia da Elijah ma non riuscivo nemmeno ad attirare la sua attenzione. Solo quando la mia mano sfiorò la sua, Klaus si voltò verso di me.

Lasciò il fratello e, prendendo lunghi respiri per calmarsi, si avvicinò alla porta. “La prossima volta mi potrei davvero arrabbiare, fratello.” disse.

Elijah restò con la schiena sul muro, continuava a non reagire e a non guardarlo.

Se avesse potuto, lo avrebbe potuto colpire, ma non lo aveva fatto.

Era suo fratello e non lo avrebbe mai toccato con un dito, era questa la mentalità di Elijah.

Era pieno di onore ed educazione, per lasciarsi andare a certi sfoghi di rabbia.

Ma Klaus non aveva la stessa mentalità e pensai che un po' si approfittasse del fatto che gli erano tutti devoti. In quel caso, però, non riuscii a condannarlo: potevo accusare solo me stessa, di quello che era appena successo.

La mia “scomparsa” aveva turbato tutti, ma perché lui si era arrabbiato in quel modo?

Mi avvicinai ad Elijah per toccargli il braccio e lui mi guardò dispiaciuto.

Aveva sensi di colpa che non doveva avere e mi dispiaceva.

Dopo quella scena, Klaus uscì dalla stanza, sbattendo la porta.

Restammo noi tre soli, in silenzio.

E pensai che era proprio vero che non esistevano rose senza spine.









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Capitolo 6
*** Red ***


-Red-

Passai i giorni successivi in un profondo stato di senso di colpa e angoscia.

Katerina era arrabbiata con me. Non me lo disse esplicitamente, ma lo capii da come evitava il mio sguardo e da come cercava di non rivolgermi parola.

Il motivo per cui mi trattava in quel modo era chiaro: la reazione, così esagerata e protettiva, di Klaus aveva stupito persino me.

Non riuscii nemmeno ad incontrare Elijah per giorni, doveva ancora sentirsi colpevole per quello che mi era capitato in città e io avevo deciso di rivelare, sperando che non mi prendesse per pazza, cosa era realmente successo. Sarebbe stato difficile da spiegare, perciò realizzai un piccolo e mal riuscito disegno di quello strano uomo che avevo, troppe volte, incontrato casualmente.

Eppure, non trovavo la forza di affrontare né lui, né mia sorella.

Mi sentivo di averli feriti entrambi.

Per darmi coraggio, passavo ore a leggere il libro che mi aveva dato Elijah e ci misi pochi giorni per finirlo. Le storie che aveva scritto erano una più bella dell'altra, non mi capacitavo di quanti sentimenti quell'uomo racchiudesse dentro di sé.

Restai distesa sul letto e girai l'ultima pagina, un numero scritto sull'angolo basso destro dell'interno copertina, colse la mia attenzione: c'era scritto “1167”, come se fosse stata la data in cui Elijah l'aveva scritta. Mi resi subito conto che quel pensiero era più stupido di tutti i problemi che mi creavo quotidianamente; voleva dire che Elijah aveva più di trecento anni, il che era impossibile.

Quel numero doveva rappresentare qualcos'altro, la prima impressione era sicuramente sbagliata.

Il ritorno, improvviso, di Katerina nella stanza mi fece sobbalzare. Come al solito, non mi guardò e filò dritta davanti allo specchio per iniziare a prepararsi per l'ennesima festa di quella sera.

Non sopportavo più quella situazione, così fastidiosa.

Se Kat non voleva affrontare l'argomento, l'avrei fatto io.

Non volevo essere in lite con lei, non ci era mai successo di non guardarci per più di un giorno. In realtà, non avevamo mai trovato alcun reale motivo per litigare.

Eravamo tutto l'una per l'altra. Ma ora c'era anche Klaus.

Mi alzai di scatto in piedi e andai da lei, le posai una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e Katerina mi guardò attraverso il riflesso dello specchio.

Mi sembrava sollevata che avessi fatto la prima mossa.

Che cosa vuoi?” mi chiese, sistemandosi i ricci castani sulle spalle.

Sospirai.

Sei arrabbiata con me?

Le chiesi, muovendo lentamente le mani.

No.” rispose lei, troppo velocemente per darle credibilità.

Restai a fissarla, facendole capire che riuscivo a sentire che qualcosa non andava.

Katerina mi guardò a lungo, poi si alzò in piedi. “Non mi va di parlarne.” disse e mi superò, per avvicinarsi al suo armadio.

La seguii, non poteva dare più importanza ai suoi vestiti, piuttosto che a quello che ci stava succedendo. Lo faceva solo, perché aveva paura a litigare con me.

Come avevo paura io.

La presi per mano e lei, cogliendomi di sorpresa, si ritrasse irritata. “Irina, ti ho detto che non voglio parlarne!” mi rimproverò.

Sostenni il suo sguardo, ma solo perché, se lo avessi abbassato, avrei perso l'opportunità di risolvere la situazione.

È per lui?

Le chiesi, non avendo un segno preciso per definire Klaus.

Tanto lei avrebbe capito, per lei c'era solo un lui in quel momento.

Mia sorella distolse lo sguardo. “Va bene, vuoi la verità: sì, è per lui.” disse, stringendosi le braccia al petto. E finalmente arrivammo al punto della situazione, rimasi di fronte a lei, attendendo che continuasse a parlare.

Io non voglio fare né la sorella gelosa, né tanto meno la sorella cattiva. Per quello mi è bastata Ada. Ma non posso nascondere, quanto mi dia fastidio il modo in cui tu e Klaus vi guardate.”

Klaus era solo gentile, ero sicura che il suo comportamento nei miei confronti dipendeva dal fatto che tenesse particolarmente a Katerina. Ed essendo io la sua sorella minore, non voleva che mi capitasse nulla di brutto, che potesse farla soffrire.

Ma come farglielo capire? Katerina, quando si fissava su una cosa, la si riusciva a distogliere solo con delle “prove” concrete.

E io non le avevo.

Non le bastava tutto il tempo che Klaus passava con lei per capirlo?

Non è così. Le dissi.

Katerina sorrise nervosamente. “Non puoi dirmi che...non ti sei accorta di quella strana linea che vi unisce? Anche un cieco la sentirebbe!” disse, spalancando le braccia.

Sbuffai stancamente; quanto odiavo non poter parlare chiaramente e far capire alla gente cosa pensavo. Kat si avvicinò all'armadio e prese un vestito rosso: la festa di quella sera era basata sul rosso, il colore che Klaus tanto amava, e lei se n'era fatto fare uno dal miglior sarto della città.

Lui è gentile con me, per te.

Cercai di farle capire, con veloci e decisi gesti.

Non è vero, Irina!” esclamò lei, solo allora, mi accorsi di quanto quella situazione la stesse facendo soffrire. Ma la cosa che mi fece male, era che lei soffriva per paura di perdere Klaus, non per paura di perdere me. “Dopo quello che ho passato, meritavo che tu ti facessi guardare così da lui?”

Sgranai lo sguardo, quando la sentii rivolgermi quelle parole di accusa.

Perché di accusa si trattavano, come se io le volessi rubarle Klaus.

Per la prima volta da quando sei arrivata, mi sono pentita di avergli chiesto di ospitarti qui!” esclamò poi, quelle furono le parole più taglienti che in quel momento potesse rivolgermi.

Strinsi i pugni e venni presa dalla rabbia; trovai Katerina più che egoista.

Preferiva che fossi rimasta in Bulgaria a soffrire, solo perché Klaus era stato gentile con me?

Mi sembrava di vivere ai confini della realtà, trovavo quella sua collera nei miei confronti assurda.

Ci guardammo e mi resi conto che tra di noi si era creata una specie di barriera invisibile, che ci stava inesorabilmente allontanando.

Ora dove vai?” mi domandò, quando mi vide camminare spedita verso la porta.

Non avevo alcuna intenzione di spiegarle nulla, così spalancai la porta e la sbattei con forza.

Quella volta ero io ad essere arrabbiata.

* * * *

Non volevo stare sola, non ero riuscita a chiarire con mia sorella, ma volevo provarci almeno con Elijah. Lo trovai seduto su una panchina nei giardini, con lo sguardo rivolto verso il cielo.

Appena mi vide arrivare, mi riservò un elegante sorriso.

Mi fermai di colpo, erano passati solo due giorni in cui non lo avevo visto, e mi era mancato davvero tanto. Era l'unica persona che riusciva a capirmi,insieme a mia sorella.

Quella vecchio stile però, che non avrebbe mai creduto che volessi rubarle il principe azzurro.

Buongiorno Irina.” mi disse, elegantemente, ma sembrava sorpreso di vedermi.

Forse credeva che lo accusassi di quello che mi era capitato in città.

Mi avvicinai a lui, tenevo in mano il suo libro e un foglio, con il disegno del tizio misterioso che aveva dato inizio a tutte quelle incomprensioni. Elijah mi fece segno di sedermi accanto a lui, cosa che feci prontamente. Indicai il suo libro, per dirgli che lo avevo finito di leggere e lui lo guardò.

Lo hai già finito?” mi chiese stupito.

Annuii; come non si poteva finire un libro così bello in pochi giorni?

Lui se lo rigirò tra le mani e sorrise.

Strano, Niklaus diceva che ti avrebbe annoiato...sostiene che sono troppo noioso e sentimentale.” disse. Non pronunciò il nome del fratello con rabbia, nonostante lo avesse praticamente aggredito per una cosa di cui non era colpevole. Elijah era un uomo d'onore e se credeva di dover pagare per qualcosa, avrebbe pagato in silenzio. Peccato, che non era affatto colpa sua.

Il suo volto s'incupì improvvisamente, guardò verso il sole e poco dopo parlò. “Senti Irina, io....”

Gli posai un dito sulle labbra, appena mi resi conto che stava per scusarsi. Toccarle mi fece uno strano effetto, sentivo il suo respiro sulla pelle e mi sembrò che il dito prendesse fuoco.

Imbarazzata, allungai il foglio verso di lui.

Elijah lo prese titubante e lo guardò, per un attimo non riuscì nemmeno a capire che cosa fosse. Poi lesse delle parole che avevo scritto sotto il disegno, per fargli capire cosa era accaduto.

Non ero ancora un asso nella scrittura e nel lessico inglese e sperai che lui capisse cosa volevo dirgli. Elijah mi guardò sorpreso.

Questo...essere, ti segue?” mi chiese.

Scoppiai per un attimo a ridere e gli precisai che era un uomo, poi tornai seria. Quella storia in realtà mi spaventava abbastanza, non mi era mai capitato che qualcuno avesse cercato di rapirmi.

Elijah mi guardò preoccupato.”Ha cercato di rapirti, in città?” mi chiese ancora.

Annuii, ma non mi sembrò sollevato nel sapere che la colpa non era sua. Anzi, sembrava sentirsi lo stesso colpevole. “Come ho potuto non accorgermene e permettergli una cosa simile?” disse a denti stretti, in quella circostanza era identico a Klaus.

Quando si arrabbiavano, i due erano parecchio simili nelle loro espressioni. Gli posai una mano sul braccio, per dirgli la colpa non era affatto sua, ma dell'uomo che mi stava, praticamente, perseguitando. Per un attimo, pensai che fosse stato stupido dirglielo, dato che gli avrei creato solo ulteriori problemi.

Lui mi strinse la mano, infondendomi una sensazione di calore che mi pervase lentamente, tutto il corpo. “Non permetterò più che accada, Irina. Te lo prometto.” disse, con tono duro.

Si portò la mano al petto. Come se volesse rivelarmi qualcos'altro in quel gesto che io, però, non riuscii a capire.. “Non permetterò più a nessuno di farti del male, nemmeno a me stesso...”

Non afferrai il significato delle sue parole e all'improvviso lui si alzò in piedi. Io mi ritrovai a fissare il vuoto. “Ora devo andare, stiamo cercando di identificare la bestia che ha ucciso Julia.” disse, piegando il foglio del mio disegno, dentro la tasca. “Tornerò da te il prima possibile.”

Annuii lentamente e lo guardai andare via: lo trovai assurdo, ma mi parve di non aver sentito il suo cuore battere.

* * * *

Non sapendo che altro fare, per sgomberare la mente da tutti quei pensieri, decisi di dedicarmi al giardino che mi era stato regalato.

Anche se il pensiero che me lo aveva regalato Klaus mi bloccava: mi sembrava di ferire ulteriormente Katerina. Elijah era andato via troppo velocemente, avevo paura che avesse in mente di cercare per tutta l'Inghilterra quell'uomo.

Presi un lungo respiro, piantai un seme e lo sommersi per bene di terra.

Una voce alle mie spalle, mi colse di sorpresa.

Che bellissimo giardino!” esclamò.

Non riconobbi subito quella voce femminile; quando girai la testa, vidi Rose che osservava, meravigliata, le poche piante che abbellivano il mio giardino.

Vorrei averne anche io uno così. Peccato che Trevor me lo rovinerebbe....”

Mi sorrise, riuscendo per un attimo ad allontanare il buio dalla mia mente. Si sedette accanto a me, dopo avermi chiesto gentilmente il permesso, e guardò le mie mani sporche di terriccio.

Mi sorprese che fosse giunta fin là; quando mi aveva riaccompagnata a casa, non sembrava entusiasta di mettere piede nella residenza di Klaus. “Come va il braccio?” mi domandò.

Guardai la fasciatura che, sotto le maniche alzate, era abbastanza visibile e feci un cenno con il capo. Non era una ferita fisica a preoccuparmi in quel momento.

Meno male, Trevor era preoccupato che Klaus gli avesse staccato la testa, in caso la ferita fosse stata più grave!” ridacchiò Rose, ma non riuscii a non notare che pronunciare il nome di Klaus la innervosiva. Con me ci riusciva per un buon motivo, ma con lei non riuscivo a capire perché: era un uomo gentile ed affascinante in fondo...

Rose si strinse le ginocchia al petto. “Ma davvero sei la sorella di una come Katerina? Sei così...dolce a differenza sua!” disse ad un certo punto.

Poi, rendendosi conto che avrebbe potuto ferirmi, perse il sorriso. “Senza offesa, scusa.”

Scossi la testa, per dirle di non preoccuparsi. In quel momento, Katerina era antipatica anche a me.

Per distrarmi, le chiesi come mai non andasse d'accordo con lei.

Era chiaro che la cosa riguardasse Trevor, era l'unico elemento che le accomunava, ma Rose non mi sembrava innamorata di lui. Sembravano ottimi amici, due persone che avrebbero fatto qualsiasi cosa l'una per l'altra. Rose ci mise un po' per capire, non conoscendo i miei segni.

Vuoi sapere...perché non sono una sostenitrice di Katerina?” mi chiese divertita, dopo il mio assenso, prese un lungo respiro. “Diciamo che, non mi piace come tratta il mio migliore amico. Lei adora Niklaus, come tutte, ma non la smette di giocare anche con Trevor.”

Lei però non era così: Katerina soffriva, perché non aveva mai trovato un uomo che, nella sua vita, l'avesse realmente amata. Da piccola, aveva sofferto per la mancanza di un'amorevole figura paterna, crescendo poi non era stata comunque fortunata con gli uomini.

Bastava guardare come era finita con il padre della sua bambina.

Allora mi resi conto, che forse ero stata troppo dura con lei: in fondo, era solo una ragazza che soffriva e che non voleva perdere il suo più bel punto di riferimento.

Avrei dovuto capirla, invece di andarmene in quel modo quella mattina. E mi sentii di nuovo in colpa.

Rose notò l'improvviso cambio di espressione sul mio viso, ma non disse nulla.

Doveva aver pensato che mi fossi innervosita per quello che aveva detto su mia sorella, ma non era così.

Ho saputo che stasera ci sarà una altra festa in pieno stile Klaus? Ci andrai?” mi chiese.

Annuii, anche se non ero in vena di feste in quei giorni.

Avevo la mente così ingombra di problemi che la sentivo scoppiare. E poi, non avevo un abito rosso.

Le chiesi se anche lei sarebbe venuta, indicandola.

No, per carità.” rispose con toppa velocità, alzando lo sguardo verso il cielo.

La mia domanda l'aveva inquietata, allora mi ricordai di quella frase che aveva detto a Trevor.

È la tua gente, non la mia.”

Cosa voleva dire? Forse si riferiva al fatto che Klaus ed Elijah erano nobili?

No, Trevor viveva con lei in quella piccola casetta rurale, perciò non era nobile. Allora a cosa si riferiva?

Io, sinceramente, non so come tu faccia a vivere con una cosa simile!” esclamò ad un certo punto e ci guardammo.

Non riuscii a trattenere la mia confusione: Klaus ed Elijah erano stati gentilissimi con me e Katerina e non riuscivo ad afferrare il motivo, per cui non dovessi riuscire a vivere con loro. I

l viso di Rose si fece improvvisamente scuro, i suoi occhi verdi erano sgranati fissavano i miei. “Tu non lo sai...” mi disse.

Mi spaventò, sembrava che la cosa che non sapessi, fosse una cosa davvero terribile.

Rose si alzò in piedi, mentre lo faceva, fissava un punto fisso nel terreno. “Devo andare.”disse improvvisamente. “Mi ha fatto piacere, sapere che stai bene.”

Cercai di fermarla, ma lei si allontanò a passo svelto.

Come se non vedesse l'ora di lasciare quel posto.

* * * *

Appena rientrai in camera, non trovai Katerina.

Doveva già essersi preparata da sola, forse per farmi un dispetto e lasciare che mi preparassi da sola. Come se a me importasse di quella festa e di farmi bella: avevo così tanti pensieri per la testa, che avevo solo voglia di restarmene un attimo tranquilla.

Raccolsi velocemente i capelli in una treccia, mi truccai il minimo indispensabile e indossai l'unico abito rosso che avevo nella mia parte d'armadio. Qualcuno ruppe il silenzio, bussando alla porta.

Non potendolo ovviamente invitare ad entrare, andai io ad aprire.

Non riuscì a trattenere la sorpresa, quando mi ritrovai di fronte Klaus. Mi sorrideva, in quel suo solito modo che ogni volta mi confondeva.

Era l'ultima persona che volevo vedere, ma non perché ce l'avessi con lui: solo non avevo voglia di un altra discussione con mia sorella.

Salve Irina, posso parlarti un attimo?” mi chiese gentilmente.

Non sapevo cosa fare, restare da sola con lui in camera mi imbarazzava, ma non potevo nemmeno lasciarlo fuori da perfetta maleducata. Poi, cosa avrebbe potuto pensare Katerina?

Gli feci segni di entrare, ma lasciai la porta aperta, in modo che se mia sorella fosse tornata, non si sarebbe fatta strane idee.

Volevo sapere come stavi.” mi chiese Klaus, quando varcò la soglia della nostra camera. “Sai, mi sono reso conto...di vederti relativamente poco. Passò sempre molto tempo con tua sorella, che mi sembra di dimenticarmi di te.”

Mi rivolse un altro sorriso, notò che mi stavo nervosamente torturando le mani.

Era perché, dopo la sua reazione con Elijah, provavo con più intensità quella strana sensazione che mi faceva aver paura di lui. Con un rapido gesto, posò le mani sulle mie, per impedirmi di muoverle.

Erano dannatamente fredde.

Stai calma, non mordo mica.” ridacchiò.

Abbassai gli occhi imbarazzata, allora mi accorsi che lui teneva in mano una scatoletta, probabilmente di un gioiello.

Avevo un regalo per te e Katerina per questa festa. Oggi fa quasi un anno e mezzo che Katerina è arrivata qui e mi sarebbe sembrato poco carino...non farvi un pensiero.” disse lui, allungò la scatoletta verso di me e la guardai titubante.

Non potevo accettare quell'ennesimo regalo, stava diventando troppo per me e non meritavo, in fondo, tutta quella gentilezza.

Nemmeno da Elijah, che avevo coinvolto con i miei problemi.

Dai, aprilo.” disse.

Sospirai e aprii la scatoletta; all'interno c'era un ciondolo con un bellissimo pendente rosso.

Era bellissimo...e stranamente familiare, come se lo avessi visto prima.

Restai a fissarlo affascinata, sembrava anche molto antico. Probabilmente doveva valere un sacco.

Vieni, ti aiuto a metterlo.” mi disse, facendomi segno di girarmi di fronte allo specchio.

Restai un attimo immobile perché pensai di non poterlo accettare.

Chiusi la scatola e la allungai nuovamente verso di lui, scuotendo lentamente la testa.

I suoi regali erano tutti bellissimi, ma io non li meritavo. Non come li meritava mia sorella.

Klaus mi guardò sorpreso. “Non ti piace?” mi chiese.

Scossi di nuovo la testa, era un bellissimo regalo e rifiutarlo era una scortesia. Ma non volevo più litigare con Katerina, tanto non avrebbe capito che la gentilezza di Klaus dipendeva sola dalla nostra parentela.

È per Katerina, vero?” mi chiese lui, come se fosse divertito nel potermi leggere dentro con quella facilità. Abbassai le mani; non potevo dirgli della gelosia che mia sorella provava nei suoi confronti, anche se credevo che l'avesse percepita, e mi ritrovai a fissare il vuoto.

Non devi preoccuparti, oggi abbiamo parlato.” mi spiegò lui, prese la scatoletta e l'aprì sotto i miei occhi. “Con te mi comporto in questo modo, perché sei così piccola e indifesa che quasi mi sento in obbligo di difenderti. E poi... mi sembra di rivedere me stesso, tempo fa...”

Restai a fissarlo meravigliata, mi resi conto di non averlo mai visto come un essere umano fino ad allora, ma come un essere irraggiungibile e perfetto, che mi faceva paura.

Ma con quelle parole, il suo viso assunse un aspetto nuovo, pieno di umanità.

Era come se davvero qualcosa ci legasse, ma non capivo cosa.

Forse un avvenimento del suo passato gli ricordava la mia situazione?

In un secondo, Klaus tornò quello di sempre. “E ora, lascia che ti metta questa ciondolo.” disse, mi voltai verso le specchio, dopo un attimo di esitazione, e lasciai che lui facesse fluttuare il ciondolo sopra i miei occhi. Lo sentii posarsi sul mio collo, le dita fredde di Klaus sfiorarono la mia pelle e provai di nuovo un intenso brivido.

Ecco, ti sta benissimo.” disse, alzai lo sguardo su di lui e vidi il suo viso sopra la mia testa.

Mentre di guardava, scorsi di nuovo quella strana espressione che avevo visto poco fa e che tanto mi era rimasta impressa. Mi aspettavo che mi dicesse qualcosa, ma aspettai invano.

Perché lui tornò subito a sorridere. “Ci vediamo alla festa, Katerina è già di sotto.” mi disse.

Lo guardai avvicinarsi alla porta. Forse dovevo arrendermi al fatto che non sarei mai riuscita a capirlo veramente. Ma almeno, grazie a quel ciondolo, avevo scoperto un nuovo aspetto di lui.

* * * *

Il salone era pieno di persone, come al solito.

Quando raggiunsi la scalinata, sola e goffa con quella gonna così lunga, mi guardai attorno.

Cercai di scorgere Elijah o Katerina insieme a Klaus. Ma non trovai nessuno di loro tre.

Solo moltissimi punti rossi che si muovevano in quel grande spazio. Iniziai a scendere gli scalini, quando Katerina mi apparve improvvisamente davanti. Mi guardava con aria dispiaciuta, anche lei aveva un ciondolo nuovo al collo, ma sembrava più costoso,grande e moderno di quello che indossavo.

La raggiunsi lentamente, dovevo darle delle scuse, per il mio comportamento di quella mattina.

Ciao.” mi disse.

Non mi diede nemmeno il tempo di risponderle in alcun modo, che iniziò a parlare a raffica.

Irina, mi dispiace. Non volevo comportarmi così con te, ti prego di perdonarmi. È solo che, lo sai che sono gelosa e che tendo a parlare troppo....”

La bloccai, buttandole le braccia al collo.

Non avevo bisogno di alcuna spiegazione da parte sua, le risposte risiedevano tutte nel suo passato. Aveva solo bisogno di amore e la paura di perderlo, la rendeva ancora più fragile.

Era la stessa risposta, che avevo quando pensavo al comportamento di Klaus, dopo l'espressione che lo avevo visto assumere in camera.

Solo che, del suo passato, non sapevo nulla.

Non sei..arrabbiata con la tua sorella egoista e cattiva?” mi chiese, quando mi separai da lei.

Scossi la testa, non mi sarei mai arrabbiata con lei perché aveva paura di non essere amata.

Nella sua situazione, avrei anche io reagito in quel modo.

Ne ero sicura; Katerina ne aveva passate troppe nella sua vita per non aver paura.

Mi strinse di nuovo a sé, stavolta più forte: come se non volesse lasciarmi andare via, di nuovo.

Ora andiamo, o ci perderemo tutta la festa per abbracciarci!” ridacchiò, dopo avermi lasciata di nuovo respirare. Mi prese per mano e mi condusse verso il centro della sala.

Appena vidi Elijah parlare con Joshua, la lasciai andare da Klaus e mi avvicinai a lui.

...tieni d'occhio tutte le entrate e le uscite. Prima o poi, lo troveremo.” stava dicendo Elijah al ragazzo, che annuiva lentamente.

Joshua mi guardò appena giunsi alle spalle di Elijah e smisero di parlare, il ragazzo si girò verso di me e mi sorrise.

Irina, ti stavo aspettando.” disse, fece congedare Joshua e restammo soli.

Attorno a noi, diverse coppie iniziarono a ballare a suon di una musica dolce e soave suonata al clavicembalo. Posai lo sguardo tra le varie coppie e notai che anche Klaus e mia sorella stavano ballando. “Stai benissimo stasera.”

Tornai a guardarlo, mi chiesi di cosa stesse parlando con Joshua.

Probabilmente della bestia che aveva ucciso Julia? O forse dello strano uomo che mi perseguitava?

Onorevole com'era, non mi sarei stupita se lo avesse cercato dappertutto, pur di impedirgli di avvicinarsi di nuovo a me. E se avessimo scoperto che aveva ucciso lui Julia, non mi starei ulteriormente stupita.

Lo ringraziai, anche lui stava benissimo in quell'abito rosso. Lo rendeva più signorile ed elegante di quanto già non fosse.

Il suo sguardo cadde sul ciondolo che avevo al collo, il suo sorriso restò stabile ma qualcosa lo aveva turbato. Toccò il pendente, sentii le sue dita sfiorarmi la pelle e provai un lunghissimo brivido.

Diverso da quello che mi aveva fatto provare Klaus.

Questo...te lo ha dato Niklaus?” mi chiese stupito.

Annuii e guardai il pendente a forma di stella, che brillava alla luce delle candele, sopra la sua pelle. Sembrava che lo conoscesse, forse era appartenuto a qualcuno che conosceva tempo fa.

I suoi occhi mi sembravano nostalgici.

Lo conosci?

Gli chiesi a gesti.

Elijah restò in silenzio a fissarlo per un attimo. “No, mi ricorda molto, però, il ciondolo che indossava...una persona a noi cara.”

Non aggiunse altro, i suoi occhi si posarono sul pavimento in preda, forse, a delle immagini del suo passato.

Non ho mai visto...Niklaus comportarsi così con qualcuno.” disse poi in un filo di voce, sembrava che si sentisse in colpa a dire quelle parole. Quasi non volesse rivelare nulla che riguardasse il fratello. “Ma credo che fosse inevitabile.”

Non riuscivo a capire, ripensai a quando Klaus aveva detto che rivedeva molto di sé stesso in me.

Ma non riuscivo a riscontrare nessuna somiglianza tra me e lui in realtà, sembravamo così diversi.

Ricordi quando ti ho detto che ti sento molto simile a me? Forse mi sbagliavo.” disse ancora, alzando lo sguardo verso di me e lasciando che il pendente cadesse di nuovo sopra il mio petto.

Non capivo perché, ma quelle parole mi pesarono un po': io mi sentivo vicinissima al suo modo di essere e al suo modo di pensare. Non avevo la sua eleganza, la sua educazione...la sua perfezione.

Ma mi sembrava che avessimo gli stessi sogni.

Tu porti dentro di te un peso enorme, quasi quanto quello che porta Niklaus dentro di sé.” continuò Elijah. “Credo che il suo comportamento nei tuoi confronti, sia dovuto al fatto che, come te, anche lui è sempre stato sminuito da nostro padre. Non gli ha mai mostrato affetto, lo ha sempre sfidato e gli ha sempre fatto credere di non essere all'altezza della vita. Lo odiava e non glielo ha mai nascosto, purtroppo.”

Lanciò uno sguardo verso le coppie che ballavano e si soffermò su Klaus e mia sorella.

Feci lo stesso, Klaus mi sembrava così sicuro di sé, che non avrei mai immaginato avesse passato una situazione simile alla mia. In quel momento, lo guardai sotto un altro punto di vista.

Strinsi i pugni, il ricordo di mio padre si fece di nuovo largo nella mia mente e una sensazione di dolore mi pervase il petto. Klaus stava sorridendo a mia sorella, immaginai il dolore che doveva aver provato in passato. Proprio come me.

Per altri versi però, non potresti essere più lontana da lui.” concluse Elijah, abbassò lo sguardo e non aggiunse altro.

Delle volte, mi sembrava quasi che anche lui avesse paura del fratello. Era una sensazione che non riuscivo a spiegarmi, perché tra fratelli la paura non dovrebbe esistere la paura.

Mi soffermai a riflettere sulle sue parole, quell'ultima frase mi aveva fatto di nuovo temere Klaus. Eravamo così diversi e al tempo stesso simili? Era quello il motivo, per cui mi sentivo anche io legata a lui, in un modo o nell'altro?

Ti va di ballare?” mi chiese ad un certo punto,rompendo quell'atmosfera di tristezza.

Allungò la mano verso di me come per chiedere la mia.

Arrossii violentemente, il ballo era una delle cose di cui avevo più paura, goffa com'ero.

Scossi la testa con decisione, ballare con lui era come mettere insieme un cigno e un brutto anatroccolo. Perché non potevo avere la grazia della maggior parte delle ragazze che stavano ballando attorno a noi? Elijah non lasciò vincere la mia timidezza, mi prese per mano e mi sorrise.

Irina, le cose che ci fanno paura, sono sempre le più belle.” disse e, senza darmi il tempo di fare nulla, mi condusse elegantemente tra la folla.

Avrei voluto contraddirlo: io avevo paura dei mostri, dei posti troppo chiusi, della cattiveria umana e non riuscivo a trovare nulla di bello in essi. Avevo anche paura di lui spesso, della sua incredibile umanità,ma non potevo non negare, che fosse una delle cose più belle che avessi mai trovato.

Lo stesso valeva per Klaus, ma la paura che provavo per lui era strana e inspiegabile.

Era una paura oscura e bella al tempo stesso, non mi era mai capitata prima una cosa simile.

Forse perché eravamo, davvero legati da quel passato doloroso.

Lasciai quei pensieri in un angolo della mia mente, quando Elijah portò la mia mano sinistra sopra la sua spalla e mi strinse l'altra. Ci trovavamo vicini, come mai lo eravamo stati prima, dopo la pazzia della corsa nel prato. Lui sorrise del mio imbarazzo “Non hai mai ballato prima?” mi chiese.

Avevo ballato una volta con mia sorella, quando, da piccole, giocavamo al principe e alla principessa.

La maggior parte delle volte facevo io la parte del principe, anche se odiavo quella parte.

Ma non avevamo nemmeno dieci anni, poi nessuno aveva chiesto di ballare insieme a me.

Finché non era arrivato lui.

Abbassai lo sguardo sui nostri piedi. “Ti faccio vedere come si fa. Non è difficile credimi, come hai imparato la nostra lingua, imparerai anche a ballare.” disse lui divertito.

Iniziammo a muoverci lentamente, quando lui muoveva il piede destro in avanti, io muovevo quello sinistro indietro.

Quell'abbaglio di perfezione durò pochi secondi, non ci misi molto a pestargli un piede.

Mi portai una mano sulla bocca dispiaciuta e imbarazzata, tentata dal lasciar perdere tutto.

Ti ho fatto male?

Domandai a gesti.

Elijah rise. “Con quei piedi così piccoli?” disse; tornammo alla posizione iniziale e lui mi guardò negli occhi. “Ci sono ferite peggiori...”

Sospirai, mi pentii di non aver chiesto a Katerina di insegnarmi a ballare.

Non avrei mai pensato che l'occasione mi si sarebbe presentata proprio con lui.

Abbassai lo sguardo sui nostri piedi, in movimento.

Irina, uno dei trucchi principali è....” disse lui, posandomi un dito sotto il mento e alzandolo lentamente in modo che lo guardassi. “Guardare negli occhi colui che ti sta di fronte.”

La faceva facile lui, non aveva di fronte gli occhi che vedevo io.

Ci guardammo e sentii come se tutto si fosse allontanato: la gente attorno a me, la paura di sbagliare e i miei piedi che si muovevano goffamente.

Mi sentii libera e leggera, il mio corpo si mosse da solo senza che nessuno facesse pressioni esterne.

C'eravamo solo io ed Elijah.

Anche lui, però, sembrava non riuscire a sostenere molto il mio sguardo.

Infatti lo distolse, per posarlo su un punto sopra la mia testa. “Hai più visto quell'uomo?” mi chiese.

In quel momento non stavo nemmeno più pensando a lui. Scossi la testa per negare.

Era un sollievo non averlo più rivisto e non volevo rovinare quel momento ricordandolo.

Non gli permetterò di avvicinarsi più, se mai dovesse provarci, gli staccherò il cuore dal petto.” disse. Lo disse con una durezza, che mi fece rabbrividire: non ce lo vedevo a strappare cuori dai petti delle persone. Risi, per tranquillizzarlo, si era fatto prendere troppo dalla rabbia.

Dopo un attimo di confusione, si fece prendere anche lui dalla mia risata silenziosa.

È strano come tu riesca a sopprimere il mio...lato oscuro diciamo. Riesci a tirare fuori solo il meglio di me.” disse, tornò a guardami e i nostri visi si ritrovarono vicinissimi. Troppo per non poter abbassare lo sguardo per l'imbarazzo. “Vorrei tanto che tu potessi conoscere...tutto quello che sono. Ma non posso.”

Era dispiaciuto, anche se non lo dava a vedere. E parecchio combattuto, da come parlava, aveva quasi paura che io potessi scoprire chissà cosa.

Ma che poteva nascondere un angelo come lui?

L'arrivo di Joshua mi riportò alla realtà, mi ricordai di non essere sola con Elijah, che ero nel bel mezzo di un imbarazzante tentativo di ballo. Joshua si accostò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa che non riuscii a sentire.

Però lo mise in allarme; non era difficile capire quando Elijah era preoccupato: la sua espressione restava impassibile ma i suoi occhi dicevano tutto. Fece segno a Joshua di allontanarsi e mi prese per mano. “Non ti muovere di qui, Irina. Te ne prego.” disse.

Appena cercò di allontanarsi, lo fermai stringendogli più forte la mano. Volevo sapere cosa stava succedendo; dopo la morte di Julia e l'avvento di quello strano uomo, non mi sentivo sicura nel sapere che lui o mia sorella non fossero nei paraggi.

Elijah lesse l'espressione preoccupata sul mio volto e sospirò. “È scomparsa un altra ragazza.” disse con tono grave, mi strinse la mano forte, in un solo lungo istante. “Per favore, resta qui dove nessuno può farti del male.”

Non mi diede nemmeno il tempo di fare nulla, che scomparve in mezzo alla folla.

L'ultimo istante che vidi di lui fu quello in cui si avvicinò a Klaus e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, sotto gli occhi di mia sorella. Poi si allontanarono lasciandola nelle mani di Trevor.

Intanto, tutti continuavano a ridere, ballare e festeggiare, senza avere la minima idea di quello che stava realmente accadendo.

E non potei fare a meno di pensare che l'uomo dagli occhi di ghiaccio doveva essere più vicino di quanto potessi immaginare.

* * * *

Non riuscivo più a sostenere quella tensione; avevo bisogno d'aria e tutta quella gente che mi circondava non me la garantiva.

Non volevo disubbidire al volere di Elijah, perciò mi affacciai al balcone fuori dal salone. S

e c'era qualche bestia famelica o qualche matto con cattive intenzioni, non avrebbe potuto fare molto, perché tutti avrebbero potuto vederlo.

Restai così a guardare il cielo nero,provando una brutta sensazione dentro di me.

Che ci fai sola, qui fuori?”

La voce di Katerina mi raggiunse e la vidi avvicinarsi lentamente a me. “È freddo, potresti prenderti un malanno.” continuò affiancandomi.

Tanto un malanno me lo sarei presa comunque, ero troppo preoccupata per quello che ci stava accadendo intorno.

Proprio allora che avevo trovato una mia dimensione, sentivo che qualcosa la stava lentamente distruggendo.

Mia sorella mi posò una mano sulla spalla. “Stai tranquilla, non capiterà nulla né ad Elijah, né a Klaus.” disse, per tranquillizzarmi. “E troveranno quella ragazza, noi non possiamo fare nulla purtroppo.”

Era quella la cosa brutta; mi sentivo perseguitata da un uomo sconosciuto e dalla morte stessa, che mai come allora la sentivo vicina, ma non potevo fare nulla. Ero troppo debole e non avrei potuto difendere né me stessa, né mia sorella e né tanto meno Elijah e Klaus.

Mi chiesi se dovessi parlare anche a lei di quello strano individuo, ma le avrei così rovinato il suo soggiorno in Inghilterra. Preferii allora non farle capire nulla, mi bastava che lo sapesse Elijah.

Su entra, balla un po' così ti distrai.” Katerina fece un cenno verso l'interno della sala e mi sorrise, era un sorriso forzato. Si vedeva lontano un miglio che era preoccupata, sopratutto per Klaus.

Annuii,pensando che in fondo non potevo fare altro che aspettare e la seguii mentre si avvicinava alla soglia d'entrata, quando un gracchiare ripetuto alle mie spalle attirò la mia attenzione.

Mi girai, giusto in tempo per vedere un enorme corvo fissarmi, con le zampe poggiate sopra la pietra della balconata.

Era lo stesso che avevo visto la notte dell'uomo incappucciato.

Non avrei saputo spiegare perché, ma sentivo che era lo stesso.

Quello sbatté le ali e gracchiò di nuovo, sembrava che volesse mi avvicinassi a lui.

Katerina era già entrata e io mi sentivo una stupida nell'osservare quell'animale...e nel volerlo seguire. Mi avvicinai, con titubanza a lui e quello volò via.

Non lontano però, scese nei giardini di fronte alla balconata e tornò a guardarmi, gracchiando di nuovo.

Voleva davvero che lo seguissi.

Scesi velocemente le scale e lo raggiunsi; lui si levò di nuovo nel cielo.

Il suo corpo fluttuava proprio sotto la luce della luna, come per assicurarsi che l'oscurità non m'impedisse di seguirlo. Mi ritrovai a correre, attraverso i giardini.

Provavo una strana sensazione: i miei piedi si muovevano da soli e i miei occhi non smettevano di seguire la figura di quell'animale dalle piume scure. Il corvo continuava a gracchiare alla luce della luna. Si posò infine su un ramo di un albero, in prossimità della foresta.

Mi fermai per riprendete fiato,poiché non mi sentivo più la milza.

Appena recuperai abbastanza forze per alzare la testa, mi accorsi di aver raggiunto le stalle vicino alla villa.

Non ci ero mai arrivata: erano oltre gli immensi giardini che circondavano l'abitazione e, inoltre, troppo vicini alla foresta. Non avevo nemmeno mai pensato di visitarle.

Affilai lo sguardo, quando vidi del fumo uscire da una di esse.

Mi avvicinai lentamente, il corvo gracchiò ripetutamente come se volesse gridarmi, di non andare.

Lo ignorai; continuai a camminare verso la piccola struttura in legno e mi accorsi che era davvero invasa dalle fiamme.

Non mi avvicinai di più, perché il calore mi stava già bruciando la pelle.

Rimasi ad osservare, senza sapere cosa fare,mentre quelle fiamme rosse che si stagliavano verso il cielo.

Come poteva aver preso fuoco? O meglio, chi poteva aver appiccato l'incendio e perché?

Tutti le mie domande scomparvero, quando sentii un grido: un grido femminile di puro terrore, che proveniva dall'interno della stalla. C'era qualcuno lì dentro ed era vivo.

Senza pensarci, mi buttai tra le fiamme e mi guardai attorno: c'era solo fuoco e fuoco, i cavalli dovevano essere scappati appena questo si era diffuso all'interno.

Non scorsi nessuna figura vivente , iniziai a tossire e avanzai cercando di non inciampare in qualche ostacolo fiammeggiante. Superai una trave e continuai a cercare; non mi ero immaginata quel grido ed ero più che sicura di averlo sentito.

Senza rendermene conto, inciampai in qualcosa di morbido e lungo e caddi faccia in avanti sul pavimento. Mi voltai per vedere cos'era il mio ostacolo e sussultai: ero inciampata nel cadavere di una ragazza dai capelli castani e gli occhi azzurri, privi di vita,rivolti verso il soffitto.

Strisciai all'indietro per la paura e finii contro il muro, i miei occhi caddero sul suo collo: c'erano due visibili puntini rossi, come se qualcuno avesse bevuto...il suo sangue.

Non poteva essere stato un animale, i puntini erano troppo piccoli e poi tutto il resto del corpo era intatto. Quale bestia poteva essere così controllata? Una bestia chiamata uomo.

Sentivo che quella ragazza era stata uccisa.

Poi che ci faceva una giovane, da sola in un stalla, mentre tutti festeggiavano?

Mi assicurai che fosse davvero morta, strisciando verso di lei e posandole l'orecchio sul petto.

Non sentii nulla, ero arrivata troppo tardi.

E stavo per morire, me ne resi conto quando non trovai la forza di alzarmi in piedi e correre verso l'uscita. Avevo gli occhi lacrimanti e respiravo a fatica, ogni mio tentativo di aggrapparmi a qualcosa che potesse essermi utile furono vani.

Iniziai a sentire la testa girarmi e i miei occhi si chiusero lentamente.

Fino a quando, sentii qualcuno prendermi tra le braccia e un secondo dopo l'aria entrò di nuovo nei miei polmoni. Lasciai che lentamente fluisse in me, prima di riaprire gli occhi.

Avevo paura di scoprire di essere morta e di trovarmi in chissà quale paradiso.

Una voce molto vicina ripeté più volte il mio nome e, allora, trovai la forza di aprire gli occhi.

La prima cosa che vidi fu il volto di Klaus, sopra di lui si stagliava il cielo nero della notte e qualche stella. Ero tra le sue braccia, piegando la testa da un lato riuscivo a scorgere diversi uomini che buttavano secchi d'acqua sopra le fiamme. Gli posai una mano sul petto, per chiedergli di farmi scendere e, nel frattempo, una folla di persone si radunò intorno a quello spettacolo di fuoco.

Ehi, attenta.” disse lui, appena i miei piedi toccarono il suolo e sentii la testa vorticarmi.

Caddi tra le sue braccia, senza che lo volessi, e lui mi sorresse. “Che ci facevi lì dentro? Potevi morire!”

Dovevo essere svenuta per minuti, le sue parole mi sembravano lontane e non riuscivo nemmeno a capirle.

Morire.

Era vero: dentro quella tomba di fuoco, c'era una ragazza morta.

Cercai di allontanarmi da lui e camminai velocemente, ma barcollando, verso le fiamme.

Dove stai andando? Fermati...” Klaus mi si parò davanti e mi strinse nelle spalle, lo guardai distratta e indicai la stalla, per fargli capire che lì dentro c'era una ragazza. “Irina, devi calmarti. Non stai bene e sei sotto shock!”

Lo ignorai, mi indicai il collo con le dita, per dirgli che in quel punto, il cadavere aveva due puntini rossi. Sembravo pazza forse, ma nonostante tutto lui sembrò capire cosa intendessi.

Mi parve che la sua espressione si fece più tesa e i suoi occhi si spalancarono leggermente.

Era strano che avesse inteso il mio messaggio, mi sembrava di svenire e non ero realmente consapevole dei gesti che stavo facendo. Guardai oltre di lui, le fiamme oramai erano sul punto di essere domate.

Ma Klaus compì un gesto improvviso, mi prese il viso tra le mani e mi guardò fisso negli occhi.

Ora devi dimenticare tutto.” mi disse, scandendo bene le parole come se mi stesse dando un ordine. “Quello che hai visto lì dentro, è stato solo il cadavere di una fanciulla aggredita da un animale.”

Sembrava come se volesse convincermi a credere a quelle parole.

Forse per tranquillizzarmi, ma io sapevo cosa avevo visto purtroppo. E non lo avrei mai dimenticato.

Quella ragazza era stata uccisa da qualcuno, ne ero certa.

Quando Klaus mi lasciò il viso, sentii un leggero capogiro poi niente più.

Lo guardai, mi sembrava sollevato, come se fosse certo che mi sarei convinta delle sue parole.

Ci guardammo a lungo, Klaus aveva un espressione indecifrabile sul volto, che non riuscii a tradurre.

Forse perché ero sconvolta, impaurita o forse perché, quando poco prima mi aveva preso il viso tra le mani, mi era parso che le sue parole mi erano penetrate nella mente.

Ma che qualcosa le aveva respinte.

Improvvisamente, mi abbracciò: mi ritrovai con il viso contro il suo petto e una sua mano che mi accarezzava i capelli.

Rimasi sorpresa da quel gesto, mi sentivo protetta e fuori pericolo tra le sue braccia.

Sono felice di essere arrivato in tempo...” disse in un sussurro.

Restai immobile, il suo abbraccio all'inizio mi sembrò freddo, ma con il passare dei secondi mutò: sembrava quasi che Klaus fosse partito per abbracciarmi, solo per uno scopo tutto suo, ma che poi, l'emozione si fosse fatta avanti. Non avevo la forza di staccarmi da lui perché; se lo avessi fatto, sarei stata vittima di quelle immagini, tutte sottosopra, che si stagliavano davanti ai miei occhi.

Feci scorrere lo sguardo lungo la folla e fu allora che lo vidi.

Nascosto dietro diverse teste, l'uomo dagli occhi di ghiaccio ci stava osservando.




























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Capitolo 7
*** Dark Star ***


-Dark Star-

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Dire che ero traumatizzata era ben poco.

Non c'era notte in cui non mi svegliassi, spaventata e tremante, per colpa dei terribili sogni che mi accompagnavano nella notte.

Sognavo sempre il corpo senza vita di quella povera ragazza, Mandy.

Era così che si chiamava; Elijah me lo disse dopo che Klaus mi aveva portato via dallo spettacolo di fuoco che tutti sembrava osservare quasi con meraviglia.

Ricordavo ben poco di quella notte, solo i visi preoccupati di Elijah e mia sorella quando l'incendio venne domato e il terribile mal di testa che mi attanagliò dopo che Klaus aveva cercato di convincermi che non avevo mai visto quei due puntini rossi sul collo della vittima.

Ma come potevo dimenticarli? Io li avevo visti ed ero sicura che a procurarglieli era quel folle che sembrava seguirmi.

Ma perché se la prendeva con quelle povere ragazze?

Irina, stai bene?”

Non sapevo dire da quanto tempo stavo ferma in quella posizione a pensare.

Stavo giocherellando con un ciuffo dei miei capelli, seduta sul davanzale della finestra con lo sguardo rivolto al giardino all'esterno.

Il tempo era primaverile, il vento smuoveva dolcemente i fiori dai mille colori e il sole brillava, più splendente che mai, nel cielo. Mia sorella mi guardò preoccupata, mi aveva posto quella domanda un centinaio di volte, solo in quella giornata.

Sto bene.

Risposi in quella maniera, anche se il mio viso non lo dava a vedere.

Mia sorella aveva indossato uno degli abiti più belli del suo armadio: un vestito blu cobalto, con delle fantasie dorate sulla gonna.

Lo stava solo provando; quella sera Klaus ci aveva avvisato che sarebbe arrivato un ospite speciale e mia sorella voleva essere più bella di quanto già non fosse. Non capivo cosa ci fosse sempre da festeggiare, visto che, fuori dalla festa, delle ragazze venivano trovate morte. Ma nessuno se ne preoccupava: un bicchiere di vino, un ballo e un sorriso bastavano per allontanare tutto.

No, non è vero, sorellina. Tu non stai affatto bene.” disse Katerina.

Sospirai; lei si sedette accanto a me e mi prese le mani tra le sue.

Una volta mi sarebbe bastato quel tocco, ma non allora: avevo visto una ragazza così giovane, morta in una stalla in fiamme. E avevo visto quei maledetti punti rossi sul suo collo. Sentivo che non avrei avuto pace, fino a quando non avessi scoperto cos'era accaduto a lei e a Julia.

Anche se non le conoscevo, erano quasi miei coetanee e non meritavamo di morire in quel modo.

E le prossime potevamo essere io e Kat. Non potevo permetterlo.

Irina, so che è stato terribile per te...ma dobbiamo andare avanti, stare così non riporterà indietro quelle poverette. Purtroppo gli animali sono irrazionali e spesso attaccano le persone per soddisfare i loro bisogni feroci...” continuò mia sorella.

La guardai.

Anche lei, come tutti, credeva che ad uccidere Julia e Mandy fosse stato un animale.

Nonostante fosse chiaro che una mano umana avesse dato inizio all'incendio, nessuno voleva credere che si annidasse qualcuno nell'ombra.

Qualcuno che uccideva delle povere ragazze innocenti, succhiando loro il sangue.

In quel momento, mi resi conto che esseri del genere esistevano nelle credenze popolari: si chiamavano vampiri.

Ma mi rifiutavo di crederlo; avevo convinzione di credere solo in quello che aveva una spiegazione razionale. E i vampiri non l'avevano, l'orrore che ci circondava era solo frutto della mostruosità umana.

A che pensi?” mi chiese Katerina, accarezzandomi dolcemente il viso.

Non le avevo detto dell'uomo che mi seguiva, né tanto meno le avevo detto di quei punti rossi.

Era sempre mio desiderio tutelarla e pensai che, forse, quella storia sarebbe finita prima che me ne accorgessi.

Vampiri?

Le chiesi ma non sapevo come mimare quell'ultima folle parola. e infatti Katerina non capì subito.

Mi stai chiedendo...se credo all'esistenza dei vampiri?” mi chiese poi, facendosi seria.

Annuii. non capivo perché ma speravo in una sua risposta. E speravo che fosse seria quanto lo fossi io.

Speranze vane, mia sorella mi scoppiò a ridere in faccia.

Vampiri? Irina, stai scherzando per caso?” mi chiese.

Purtroppo non stavo scherzando, ma lei non poteva saperlo.

Risi anche io, sperando che almeno in quell'istante potessi allontanare l'angoscia che provavo.

Su, scegli un vestito adesso....almeno ti svagherai stasera!” esclamò Katerina, tornando di fronte allo specchio. Ma sapevo che non sarei riuscita affatto a svagarmi.

* * * *

La biblioteca della villa di Klaus era più che immensa.

Appena varcai la soglia della stanza, annusai l'aria di antichità e sapere che mi circondava.

Era un odore di chiuso e polvere, ma che trasmetteva una sensazione di pace e serenità.

Dopo giorni e giorni, provai una breve ebrezza di tranquillità che mi fece tornare a respirare. Probabilmente, non avevo tirato un sospiro così lungo da molto tempo. Avanzai tra gli alti scaffali che mi circondavano e osservai i libri, posti l'uno accanto all'altro, con aria quasi intimorita.

Non sapevo nemmeno che cosa cercare; dubitavo di trovare volumi riguardanti mostri soprannaturali che succhiavano sangue.

Mi sentivo una pazza solo a pensare una cosa simile.

La soluzione più razionale a quello che stava succedendo era che l'uomo dagli occhi di ghiaccio era un folle omicida di ragazze. Niente più.

Raggiunsi la fine di quella lunga serie di scaffali e libri. Non avevo nemmeno alzato lo sguardo per provare a cercare qualcosa, perché avevo troppo timore di risultare stupida persino a me stessa.

Oppure avevo paura di trovare effettivamente qualcosa di veritiero sui vampiri.

Guardai la finestra di fronte a me: era chiusa ma il sole entrava all'interno, riflettendosi sulla tendina bianca che copriva il vetro, in un bellissimo gioco di luci.

Sentii il bisogno di aria, così scostai la tenda e spalancai la finestra.

Una brezza primaverile sfiorò gentilmente il mio viso e mosse i capelli che tenevo sciolti sulle spalle. Quello era il paradiso, quel cielo e quei giardini che si stagliavano fino all'orizzonte erano diventati la culla dei miei sogni e della mia felicità.

Non era giusto che la paura mi avesse raggiunto anche in quella terra, proprio quando ero certa di poter decidere per me e per il mio futuro. Una vocina nella mia testa mi rimproverò di non essere così cinica. Se avessi scoperto ciò che stava succedendo, avrei potuto porre fine a quel cerchio di paura e morte. Diedi le spalle al sole, decisa a mettermi alla ricerca di qualunque cosa mi potesse essere di aiuto.

I libri erano ordinati per genere, perciò mi fiondai subito su quelli a tema soprannaturale. Non erano molti e, amareggiata, pensai che forse non avrei davvero trovato nulla.

Mi alzai sulle punta, cercando di prendere il volume più vicino a me.

Ma non ci arrivai, ero troppo piccoletta affinché la mia mano afferrasse il bordo di quel libro.

Mi stavo facendo anche i complessi perché non ero alta.

Sbuffai, mi guardai intorno alla ricerca di uno sgabello o ripiano che potesse essermi di aiuto.

Quando un rumore ruppe il silenzio che mi circondava.

Riconobbi il fastidioso verso che mi aveva svegliato notti fa e che, giorni or sono, mi aveva condotto alle fiamme della stalla. Alzai lo sguardo verso la superficie superiore della libreria, il corvo aprì il becco e gracchiò.

I nostri occhi entrarono in contatto e lui girò la testa da un lato, premendo le zampe contro il bordo della superficie. Non odiavo gli animali, ma per quel corvo, avrei fatto un eccezione.

Era stato l'inizio del mio inferno, il messaggero di morte che mi stava guidando verso l'oscurità più tetra.

Strinsi i pugni. Allora sì che mi serviva davvero uno sgabello, per cacciarlo il più lontano possibile. Come aveva fatto ad entrare? E sopratutto, come poteva un animale notturno essere così vigile e sveglio di giorno? Alla luce del sole, le sue piume erano ancora più scure e i suoi occhi più rossi.

Nel buio della notte, non avevo nemmeno fatto caso a quanto fosse grosso.

Il corvo volò via, verso la superficie superiore della libreria opposta a quella su cui si trovava.

Mi girai e lo vidi posarsi su dei volumi posti in alto, fuori dagli scaffali, uno sopra l'altro.

Strano che si trovassero là, c'era molto posto in cui riporli. Perciò perché lasciarli in un punto così irraggiungibile?

L'animale iniziò a spingere un libro accanto a sé con il becco. Osservai il volume, spostarsi lentamente verso il vuoto, per poi cadere ai miei piedi. O meglio, mi sarebbe caduto in testa se non mi fossi spostata. Guardai il libro, che nel tonfo si era aperto a metà, poi lanciai un occhiataccia verso il corvo. Ma non lo trovai più; si era volatilizzato.

Sembrava che volesse lanciarmi un nuovo messaggio, come quelle due notti in cui mi era apparso nell'oscurità. Non potevo che seguire il suo volere, se di quello si trattava.

Mi piegai sul libro e mi sedetti sul pavimento.

Sembrava un diario e si era aperto su una pagina rappresentante un disegno di una famiglia.

C'erano diverse persone: un padre, una madre e i loro numerosi figli. Erano tutti abbastanza grandi di età, il più piccolo di loro aveva forse dieci anni. Lo trovai insolito, i loro genitori sembravano davvero giovani per avere dei figli così grandi.

Ma non fu quello, l'elemento scatenante la mia sorpresa: due dei ragazzi rappresentati erano identici a Klaus ed Elijah.

Ne ero sicura.

L'unica cosa che cambiava in loro era la lunghezza dei capelli e un aspetto meno austero e irraggiungibile. Elijah sembrava sempre un uomo coraggioso e di onore, Klaus invece sembrava più umano: su quel viso disegnato, non riuscivo ad immaginare il sorriso beffardo che dispensava a tutti noi. Sembrava fosse un'altra persona.

Il mio sguardo cadde poi sulla data all'angolo del disegno: “1187”, come quella alla fine del libro di Elijah.

Non era possibile; allora davvero quella data simboleggiava un periodo della vita di Elijah?

Mi bastò chiudere le palpebre un attimo per allontanare quel momentaneo pensiero.

Era impossibile, non esistevano persone capaci di vivere per secoli e secoli, restando immutati.

I vampiri potevano farlo, ma loro non esistevano. Non potevo iniziare a credere una cosa simile.

Lessi poi la scritta sopra le varie teste del disegno: “Originals”.

Ci misi un po' per riuscire a comprenderlo. Non era scritto in inglese, ma in una lingua che gli somigliava parecchio. Guardai di nuovo Klaus ed Elijah e, di nuovo, non ebbi dubbi che fossero davvero loro.

Irina?”

La voce di Elijah mi raggiunse.

Sentii il cigolare della porta che si era aperta e, in un gesto istintivo, nascosi il libro sotto la gonna. Anche se mi fidavo di Elijah e credevo che quelle pagine avessero un'altra spiegazione, sentivo le parole della paura dettarmi regole nella mente.

Il bel viso di Elijah fece capolino tra le librerie.

Quando mi trovò seduta a terra, mi regalò uno dei suoi sorrisi più irresistibili.

Non riuscivo a vedere affatto un vampiro in quegli occhi così sinceri.

Però...ti sei appassionata molto alla lettura vedo.” disse, mi raggiunse e si sedette a terra di fronte a me. Approfittai del mio solito silenzio per studiarlo.

Non sapevo nulla dei vampiri, ma ero certa di una cosa: un mostro non può nascondere la sua natura per sempre. E io avevo passato molto tempo con Elijah, troppo tempo.

Mi sarei accorta se qualcosa in lui non andava.

I suoi occhi neri mi scrutarono. “Come stai?” mi chiese.

Stavo sempre peggio, ero arrivata persino a dubitare di lui e di suo fratello, per colpa di un libro scaraventatomi in testa da un maledetto corvo.

Ma, come sempre, non potevo fare che sorridere e annuire. Finché non sarei stata certa di molte cose, non avrei potuto mai dubitare né di lui, né di Klaus. Non ci sarei comunque riuscita

Dev'essere stato terribile per te, hai troppa sensibilità per assistere a certi spettacoli...”

Già, uno spettacolo di cui solo io e un cadavere eravamo protagonisti. Più un regista che agiva nell'ombra e guidava le nostre vite,: più che attori, eravamo burattini nelle mani di un essere senza volto. Abbassai lo sguardo, vidi la sua mano strisciare verso le mie che tenevo in grembo. Me ne prese una, la sfiorò con gentilezza ed educazione, trasmettendomi un brivido rassicurante.

Posso farti una domanda...perché ti sei buttata nel fuoco? Mandy era già morta da tempo secondo il medico...” mi chiese.

Anche lui non credeva che fosse stata uccisa, ma perché allora erano divampate quelle fiamme?

Un animale non era capace di far nascere il fuoco.

Eppure tutti si convincevano che non c'era nessun assassino dietro quelle morti, proprio come aveva cercato di convincermi Klaus.

Sfiorai il libro che tenevo nascosto sotto la gonna e mi concessi il beneficio del dubbio.

Gli feci capire che avevo sentito gridare e che avevo cercato di salvare Mandy, ma era troppo tardi.

La trovai già cadavere, circondata da lapidi di fuoco.

La sua espressione si fece confusa; sembrava sorpreso che parlassi così lucidamente di quello che era accaduto. Forse sperava che avessi dimenticato tutto.

Non ti facevo così...coraggiosa. Mi stupisci sempre di più.” disse ancora, la sua presa sulla mia mano si era fatta più delicata. Anche lui mi stupiva sempre di più, nel suo modo di toccarmi e di farmi sentire meglio con un solo sguardo. Mi aiutò ad alzarmi in piedi, con l'altra mano tenni il libro più vicino possibile, senza destare alcun sospetto in lui.

Elijah mi sorrise. “Ho incontrato tua sorella poco fa.” mi disse. “È tutta contenta per il ballo di stasera, peccato che non sa quanto sia...spesso irritante l'ospite in questione.”

Un lampo di gioia nascosta illuminò il suo sguardo, lo osservai mentre abbassava gli occhi e, con la mente, viaggiava verso un passato che pensava fosse troppo lontano per poterlo rivivere.

Chi è?

Gli chiesi; le mie mani tremavano, mentre tagliavano l'aria nelle mie parole fatte di silenzio.

Mia sorella, Rebekah.” rispose lui in un sospiro. “È la più piccola della famiglia e la più capricciosa. Possiamo dire...una Klaus in gonnella. È stata a Parigi per anni, solo per un battibecco scoppiato con Niklaus.”

Mi fece sorridere, mi portai una mano sulle labbra e il pensiero dei vampiri si allontanò velocemente dalla mia mente. “Che ne dici se ti porto da qualche parte? Penso che tu abbia bisogno di non pensare per molto.” disse, allungò il gomito verso di me, spingendomi a toccarlo attraverso il suo sorriso.

Troppo perfetto e bello per appartenere a un vampiro.

Ma anche ad un umano.

Passai il mio braccio sotto il suo e lo seguii.

Mi bastò sentirlo al mio fianco per vedere tutti i miei pensieri scomparire.

* * * *

Ho detto di no!”

I capelli mi caddero sulle spalle, appena sentii quella voce sussurrare, troppo forte, fuori dalla mia camera.

Era una voce conosciuta, ma non di mia sorella.

Lei era andata già in sala per quanto ne sapevo e le avevo promesso che mi sarei preparata da sola.

Ma, raccogliere i miei lunghi capelli in una coda di cavallo apparentemente guardabile, mi parve un impresa titanica.

Mi alzai lentamente e mi avvicinai alla porta; la socchiusi in modo da guardare cosa stava succedendo all'esterno. Sentivo ancora dei sussurri, incomprensibili e lontani. Erano due le persone a parlare.

Misi la testa fuori dalla porta: il corridoio era buio, illuminato da torce di fuoco appese alle pareti. Ignorai il fatto che indossavo solo una leggera camicia da notte e avanzai nell'oscurità.

Quelle voci, simili a sibili di un forte vento, provenivano da un angolo alla mia destra.

Mi hai mentito. Avevi detto che loro sapevano!”

Non ti ho mentito, Rose. E sai bene che non puoi dire loro una cosa simile. Vuoi davvero fartelo nemico?”

Mi fermai e restai nascosta dietro l'angolo, cercando di ascoltare il più possibile senza farmi notare.

Mi affacciai il minimo indispensabile e scorsi Trevor e Rose.

Stavano gesticolando animatamente, forse per riuscire a soffocare le loro parole.

Lei teneva in mano una cesta.

Vuoi davvero fartelo nemico?

Tu non sai.

Quelle parole mi fecero rabbrividire. Non avevo ascoltato tutta la loro conversazione, ma ero più che sicura che parlassero di Klaus e di suo fratello. Rose sembrava ancora terrorizzata dal trovarsi in quelle mura. Continuai a guardarli, fino a quando notai lo sguardo di Trevor dirigersi verso la mia direzione. Mi rannicchiai contro il muro e trattenni il respiro.

Avevo giudicato male Katerina. Avevo creduto che fosse così stupida da accettare una cosa simile, proprio come te. E invece...”

Non siamo soli, Rose.”

Deglutii; ormai ero stata scoperta e non potevo far altro che venire fuori. Rose guardò verso di me e, appena mi vide apparire sotto la fiamma della torcia sopra la mia testa, un sorriso si allargò sul suo viso. Era un misto di imbarazzo e timore.

Ti stavo cercando, Irina.” disse, cercò di avvicinarsi a me. Ma Trevor le afferrò il polso.

Rose, ti prego.” sussurrò.

Lei gli lanciò un occhiata glaciale che lo spinse a lasciarle il braccio.

Il ragazzo scomparve nell'ombra e lei, con i capelli ramati che le incorniciavano il viso, venne da me. Pensai che dovesse dirmi qualcosa riguardo alla conversazione che avevo appena udito.

Ma qualcosa in lei combatteva: aveva e non aveva paura al tempo stesso.

Di cosa, ormai non lo sapevo più nemmeno io.

Avevo una cosa per il tuo giardino.” mi disse.

Avevo percepito il gradevole profumo di fiori proveniente dalla sua cesta. Abbassai lo sguardo e lei scostò la tovaglietta che copriva dei piccoli fiori, da poco colti.

Erano di diversi colori, più sul viola e sul rosa. Se non erravo, sembrava verbena.

L'unica pianta che non avevo trovato nei giardini di Klaus.

È un peccato che non si trovi in questi giardini.” disse Rose, porgendomi la cesta. La presi indecisa, continuando a guardare quelle piccole piante. “È ottima sopratutto per fare il the o delle tisane.”

Mi regalò un sorriso spento; la ringraziai e mi chiesi il vero motivo per cui era giunta fin là.

Non credevo che volesse solo darmi quel dono, lei non stava bene sotto quel tetto.

Non era difficile capirlo. Le chiesi se volesse prendere parte alla festa, anche se indossava abiti casalinghi.

Scosse la testa prontamente. “No, devo pulire casa.” mentì, mi bastò seguire il suo sguardo che si abbassava sul pavimento pur di non incontrare il mio. “Ti volevo dire un'altra cosa: vieni da me ogni volta che vuoi, sopratutto quando hai bisogno. Sai dove trovarmi tanto.”

Mi sorrise e, lentamente, cominciò ad allontanarsi da me. Scomparve nell'oscurità che sembrava tanto temere. Io tornai in camera mia, lasciai la cesta vicino al letto e mi piegai per guardare sotto il materasso. Il libro degli “Originals” era ancora lì, ben nascosto.

Non avevo avuto né tempo, né voglia di leggerlo: lo trovavo assurdo e, al tempo stesso, avevo paura di quello che avrei potuto leggere. Lo presi tra le mani e me lo strinsi al cuore, come se stessi chiedendo a lui, se ero circondata da pericolosi segreti.

* * * *

Il salone non era mai stato così arredato.

Rebekah doveva amare particolarmente il blu come me, a differenza di Klaus.

Diversi festoni di quel colore appesi al soffitto sembravano cadere su di noi.

Alzai lo sguardo; era stato anche creato un disegno: di un cielo blu e stellato, dove la luna aveva un sorriso buffo che riservava solo a coloro che avrebbero alzato la testa.

Ascoltando i discorsi delle persone che mi circondavano, riuscii a capire diverse cose di questa Rebekah: dagli uomini compresi che era davvero molto bella, dalle donne che era davvero presuntuosa.

Da come la presentavano, sembrava davvero la versione femminile di Klaus.

Anche lui era abbastanza presuntuoso, anche se non lo si era mai mostrato né con me, né con Katerina.

Ottima scelta di abito, Irina.”

Nonostante il baccano attorno a noi, non impiegai molto a riconoscere quella voce.

Scorsi il sorriso di Klaus rivolto verso di me. Come al solito, non riuscii a scoprire cosa vi era nascosto dietro. E dopo quello strano libro che avevo trovato; quella sensazione di paura che provavo nei suoi confronti era più presente.

Guardai l'abito.

Effettivamente avevo scelto un abito azzurro, senza sapere che la sorellina di Klaus e di Elijah amava particolarmente quelle tonalità di colori. Da quello che avevo sentito sul suo conto, poteva essere un vantaggio per me aver scelto proprio quel vestito.

Klaus guardò tra la folla che ci circondava: mia sorella stava ballando con Trevor, mentre Elijah parlava in un angolo insieme a Joshua. Non mi sembrava preoccupato, ma nemmeno particolarmente sollevato.

Ti chiedo scusa in anticipo. Rebekah è una ragazza che si fa attendere e farà la sua entrata trionfale sicuramente quando meno ce l'aspettiamo. È sempre stata come una stella, illumina il cielo quando il sole è già calato da un pezzo.” disse.

Ma anche lui aveva tardato molto la prima sera che ero giunta in Inghilterra; ricordavo perfettamente come veniva guardato: occhi pieni di meraviglia e timore lo avevano seguito mentre scendeva le scale, in tutta la sua signorilità.

Quella Rebekah non era da meno, ci potevo scommettere.

Improvvisamente avevo paura di incontrarla; stavo diventando come mia sorella: preoccupata di fare una buona impressione. O la mia vera paura era, forse, che sospettavo anche lei facesse parte di quella famiglia centenaria su quel libro? Quel pensiero mi penetrava nella testa senza che me ne accorgessi e, ogni volta, lo trovavo più assurdo che mai.

Klaus allungò un bicchiere di vino verso di me e guardai il liquido rosso racchiuso in quella prigione di vetro. “Un po' di coraggio liquido?” mi chiese.

Scossi la testa.

Dopo tutto quello che mi era accaduto, avevo una grande voglia di ubriacarmi e di svuotare la testa di tutte le preoccupazioni che, ormai, mi assillavano in continuazione. Ma avevo anche paura di quello che potevo fare: non mi ero mai ubriacata in vita mia e le conseguenze potevano essere davvero disastrose.

Niklaus, che fai? Le offri da bere?” Elijah ci aveva raggiunto, senza che me ne accorgessi.

Seguii il suo sguardo rivolto al fratello e sembrava che il suo avvicinarsi, non fosse dovuto solo al fatto che Klaus mi aveva offerto un po' di vino. Era preoccupato per altro e non potei fare a meno di pensare, che Elijah aveva avuto quella stessa espressione sul viso quando avevamo parlato dell'incendio.

Klaus lo guardò e bevve tutto d'un sorso il vino, sorridendo poi di nuovo. “Dopo quello che ci sta accadendo attorno, bere e festeggiare può essere davvero di aiuto.” disse.

Non potei che dargli ragione.

Elijah mi lanciò un occhiata veloce. “Ha solo quindici anni, fratello.” gli ricordò.

Era più protettivo del solito e provai una vampata di calore quando pensai alla parola cavaliere, mentre lo guardavo. Klaus non aggiunse nient'altro. Anche Katerina ci raggiunse, sembrava che avesse abbandonato Trevor tra le braccia di un altra avvenente ballerina.

Allora? Quando arriva questo famoso ospite? Sono curiosa di conoscerlo!” esclamò, con parecchio entusiasmo.

Quando la mia pazienza sarà più che esaurita...” rispose Klaus, era chiaro che non amasse aspettare. Rebekah doveva avergli dato parecchio filo da torcere in passato, sembravano molto simili caratterialmente.

Andiamo Nik. So che sotto questa tua acidità, mi vuoi un mondo di bene.” disse una voce alle mie spalle.

Dietro di me, era appena arrivata una bellissima ragazza dai capelli dorati: era poco più alta di me, aveva gli occhi di un azzurro profondo e un viso che sembrava scolpito nella pietra. Indossava un abito blu scuro e diversi bellissimi gioielli che la facevano apparire più preziosa di quando già non sembrasse. Si muoveva con eleganza e quasi superbia, sembrava un angelo sceso dal cielo e pronto a giudicare noi comuni mortali. Mi bastò un solo secondo per capire che quella ragazza era la sorella di Klaus ed Elijah: aveva lo stesso sorriso di Klaus e la stessa eleganza di Elijah.

Sembrava un miscuglio femminile dei due, anche se più la guardavo e più mi sembrava di vedere una somiglianza con Klaus che con l'altro fratello.

Lei mi guardò, con un sorriso equivoco sulle labbra colorate di rosso.

Scesi dallo scalino e affiancai Elijah, proprio come Katerina stava facendo con Klaus.

Quest'ultimo guardava la sorella con fastidio. “Dovevi essere qui un'ora fa, Bekah.” le ricordò.

Siete voi che siete in anticipo allora.” rispose lei, quasi rimproverandoci. Piegò la testa da un lato, il suo sguardo passò da lui ad Elijah. “Comunque...mi siete mancati anche voi, fratelli.”

Elijah sorrise. Provava un affetto davvero profondo per lei e traspariva dal modo in cui mostrava i suoi denti perfetti e il modo in cui i suoi occhi neri s'illuminavano.

Amava la sua famiglia e non lo nascondeva. “Siamo felici che tu sia tornata, lo sai questo no?” le disse.

Rebekah sorrise. “Già, sono cambiate molte cose da quando me ne sono andata...” disse e guardò me e Katerina. Paranoia o no, mi sembrò che non ci trovasse molto simpatiche.

Un aitante ragazzo biondo l'affiancò, la prese sotto braccio e ci rivolse un caloroso sorriso.

Klaus non parve gradire quel nuovo arrivo e lo guardò con aria di sufficienza. “Ti sei portata il formaggio per cui i francesi sono famosi, Rebekah?” chiese, guardando il ragazzo.

Mi trattenni dallo scoppiare e ridere, ma non riuscii a nascondere il sorriso che quella frase fece nascere sulla mia bocca. Anche Elijah ebbe la stessa reazione.

Rebekah, invece, sembrava sul punto di scoppiare. “No, lui è Philippe. Il mio fiancé.” rispose lei, stringendoselo a sé.

Io e Katerina non capimmo l'ultima parola ma, da come lo stringeva a sé, non ci fu difficile capire che era il suo fidanzato. Philippe sorrise di nuovo, allungò la mano verso Klaus e si presentò. “È un piacere conoscervi, Lord Niklaus. Vostra sorella mi ha parlato molto di voi.” disse, con un forte accento francese.

Attese invano, Klaus lo guardava freddamente e non aveva alcuna intenzione di stringergli la mano. Provai imbarazzo per Philippe, non avrei voluto essere nei suoi panni e mi chiesi perché Klaus fosse così superbo delle volte. Era sicuro però che, così facendo, avrebbe fatto scoppiare l'ira della sorella. Philippe si schiarì la voce e spostò la mano in direzione dell'altro fratello, sperando che gli andasse meglio.

Elijah ricambiò il saluto, con estrema gentilezza. “È un piacere per noi avervi qui.” disse.

Calò un profondo silenzio; Rebekah e Klaus stavano intrattenendosi in un gioco di sguardi che sembrava potesse trasformarsi in una guerra da un momento all'altro.

Bekah, ti presento Katerina ed Irina...” cercò di dire Elijah, allungando la mano verso di noi per presentarci.

Petrova.” l'anticipò la ragazza, sempre con uno strano sorriso sulle labbra. Lo guardò, forse per non degnarci troppo dei suoi occhi blu. “Lo immaginavo, le Petrova sono tutte uguali.”

Bekah, sii meno acida.” la rimproverò Klaus.

Io sono me stessa, Nik. E tu?” replicò lei e riebbe inizio il gioco degli sguardi di fuoco.

Io, Katerina e Philippe sembravano irrilevanti in quello spettacolo: Klaus ignorava lui, Rebekah ignorava noi. Eravamo comparse in una scena di perfezione e freddezza.

Quando la bionda posò lo sguardo su di noi, provai un groppo in gola. Sembrava che dietro il suo palesemente finto sorriso amichevole, si nascondesse un incendio pronto a divampare.

Kat e Iry....scommetto che ti piacciono entrambe, Nik.” disse, lanciò un occhiata veloce al fratello e ignorò i richiami non troppo duri di Elijah. “O forse ti piace di più la moretta? Così piccolina e pura, l'altra sa troppo di... usato, no?”

Katerina abbassò lo sguardo, lessi il dolore di un passato ancora non troppo lontano e provai dispiacere per lei. Ma non potevo far nulla; era tutto nelle mani di Klaus ed Elijah.

Bekah, mi sto arrabbiando.” disse Klaus.

E arrabbiati!” sbottò Rebekah, delle rughe di espressione le solcarono il viso.

Fino ad allora, mi era sembrata una bambola di porcellana, perfetta e immobile. E invece, anche lei nascondeva un lato rabbioso molto simile a quello di Klaus. “Tu puoi trattare male il mio uomo e io non posso criticare le tue donnicciole?”

Il tuo uomo mi sembra solo un imbécile. Non posso farci nulla.”

Philippe abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzato.

Le tue donne invece sembrano contadinelle, catapultate in un mondo che non le appartiene. Io almeno ho buon gusto.”

Strinsi i pugni, mia sorella continuava a restare in silenzio per rispetto di Klaus. Ma io sapevo che sarebbe bastata un altra parola su mia sorella o sulle nostre origini per farmi scoppiare.

Quell'angelo biondo aveva scelto il giorno sbagliato per sputare sentenze.

Rebekah, ti prego. Le vostre gelosie le potete tenere per dopo?” Elijah mi mise una mano sulla schiena, forse per invitarmi alla pazienza o per dirmi di non dare retta alle parole di Rebekah.

La bionda lo guardò sorpresa. “Ha cominciato lui.” precisò, come una bambina capricciosa.

Klaus sbuffò e distolse lo sguardo.

Fallo per me ti prego...” continuò Elijah a denti stretti.

A quelle parole, il viso di Rebekah si addolcì. Restò a guardare il fratello maggiore e compresi che il rapporto che li univa era diverso da quello che mi sembravo di scorgere con Klaus.

Con quest'ultimo, sembrava un continuo gioco di amore ed odio. Con Elijah invece, sembrava che Rebekah fosse una bambina, una piccola bambina che si accoccolava sulle braccia del fratello maggiore, per avere protezione e conforto.

La sua espressione mutò di nuovo, quando vide il braccio di Elijah dietro la mia schiena.

Prese un lungo respiro. “Hai ragione. Che maleducata che sono.” disse e ci riservò un sorriso che però non m'inganno.

Katerina la guardò, speranzosa che la scena prendesse un'altra piega. “Allora...tu hai avuto un figlio bastardo di cui scommetto che non sai nemmeno chi sia il padre, vero Kat?” disse la bionda.

Rebekah!” esclamarono Elijah e Klaus all'unisono.

Katerina abbassò di nuovo lo sguardo imbarazzata e allora non ci vidi più: mia sorella non si toccava. Sarei rimasta in silenzio, ma l'avrei difesa a spada tratta. A qualsiasi costo.

Mi parai di fronte a lei e guardai Rebekah con rabbia, un affronto che lei non si aspettava.

Non le piacque affatto vedere i miei occhi sostenere i suoi. Anche Klaus ed Elijah restarono sorpresi da quel mio gesto.

Irina, lascia stare.” Katerina cercò di prendermi per il polso, ma mi liberai dalla sua presa.

E tu, piccola Irina, sei la sorellina muta, vero? Klaus mi ha parlato parecchio di te, sei la sua... bambolina!” ridacchiò Rebekah, fece un passo verso di me. Non indietreggiai e continuai a fissarla. Klaus si morse il labbro, ma non disse nulla riguardo a quell'ultima frase. “Vuoi difendere tua sorella? Fallo allora.” mi sfidò.

Aprii la bocca, per risponderle ma, come al solito, ne uscì solo il vuoto.

Rebekah rise del mio vano tentativo di replicare alle sue offese, si divertiva del fatto che non fossi capace di difendere mia sorella.

Perché era quello che lei voleva farmi capire: con il silenzio, non potevo difendere coloro che amavo. Potevo solo essere un ombra che li seguiva e che osservava in silenzio i loro passi.

Non potevo fare nient'altro.

Allora? Dai, difendi tua sorella....non ho finito la mia dose giornaliera di cattiveria, sai!” continuò.

Bekah, lasciala stare. Lei e Katerina non c'entrano nulla!” esclamò Elijah.

Rebekah lo ignorò; si portò una mano sulle labbra come se avesse avuto una sorpresa. “Oh giusto, tu non parli. Il gatto ti ha mangiato la lingua.” disse, sentii gli occhi gonfiarsi di lacrime e li abbassai per nasconderli. Non potevo fare nulla, quella cosa mi faceva impazzire di rabbia e dolore.

Non prendertela con mia sorella, Rebekah. Te ne prego.” azzardò Katerina, ma la bionda aveva occhi solo per me.

Aveva occhi solo per distruggermi. E ci stava riuscendo: lentamente mi sentivo cadere a pezzi, piccoli ma pesanti. Fece un altro passo verso di me.

Che brutto eh? Essere dei mostriciattoli immeritevoli della vita come te, vero? Non vorrei essere nei tuoi panni, se non puoi difendere coloro che ami, perché vivi allora?”

Ora basta, hai esagerato, Rebekah!” disse Klaus, la tirò a sé e la guardò con rimprovero.

Ma io già piangevo, mi vergognavo di mostrare debole ma non riuscivo a trattenere la pioggia sul mio volto. Katerina cercò di abbracciarmi, ma io corsi via fuori dal salone.

Lontano da tutti loro.

* * * *

Irina, aspetta!”

Mi dispiaceva ignorare Elijah, ma non volevo vedere nessuno.

Volevo solo immergermi nell'oscurità e piangere nel silenzio della mia esistenza.

Mi asciugai gli occhi con il palmo della mano e continuai a procedere nel giardino. Elijah mi raggiunse prontamente e mi fece voltare verso di lui.

Irina, ti prego. Ascoltami.” Elijah guardò i miei occhi bagnati e mi strinse le spalle. Non disse nulla del mio dolore; gli dispiaceva e lo si leggeva nei suoi occhi troppo veri.

Non...non ascoltare le parole di Rebekah. È solo molto gelosa di noi, siamo le uniche figure maschili della sua famiglia che ricorda amorevolmente e...”

Si bloccò, quando si rese conto che la stava difendendo. Ma non gliene facevo una colpa, era sua sorella e anche io avrei trovato una scappatoia per difenderla. Anche se si trattava di una serpe come lei.

Scusa, forse ti faccio stare peggio ma...” cercò di dire, ma poi non trovò più la parole.

Attesi che continuasse a parlare, ma quello che arrivò dopo non furono frasi o parole di conforto.

Un abbraccio.

Un abbraccio forte che mi cinse, come se non volesse di nuovo lasciarmi andare via. Il vento gelido che investiva noi e il paesaggio che avevamo intorno, sembrò svanire. Sentivo solo il calore delle sue braccia che mi circondavano e la sua mano che accarezzava dolcemente i miei capelli.

Quel gesto, in tutto il suo calore, mi lasciò sorpresa: Elijah non era un uomo che non sapeva trovare le parole adatte per una determinata situazione. Voleva dimostrare dell'altro.

Rebekah sbaglia.” ruppe il silenzio, facendomi quasi sobbalzare. Mi ci ero ormai abituata. “Non è vero che tu non sei capace di difendere coloro che ami, solo perché non puoi parlare. Vedi, io l'ho fatto, in un semplice gesto e senza troppe parole.”

Alzai lo sguardo su di lui e vidi il suo sorriso sulle labbra.

Non avevo capito quell'abbraccio, fino a quando non aveva pronunciato quelle parole.

Effettivamente, mi era bastato sentire le sue braccia stringermi a sé per stare meglio: Elijah aveva davvero ragione. Peccato che stavo per rovinare quel bellissimo momento, sentii le guance accaldarsi e l'imbarazzo premermi nel petto, quando mi accorsi di essere realmente attaccata al corpo di Elijah. Volevo allontanarmi per il troppo imbarazzo.

Ma qualcos'altro rovinò il momento: un rumore proveniente dall'oscurità del giardino, di passi che schiacciavano velocemente il terreno.

Come se un ombra avesse assistito a tutta la scena e si stesse accingendo a scappare.

L'espressione sul viso di Elijah si fece rigida “Torna dentro, Irina.” mi ordinò, senza essere però troppo duro. “Qui ci penso io.”

Si allontanò a passo svelto nell'oscurità. Lo seguii con lo sguardo, finché lui non sparì completamente dalla mia visuale. Avrei voluto seguirlo, ma disobbedire ad un suo protettivo ordine mi sembrava fuori luogo. Rientrai dentro, sperando che non succedesse nulla di brutto.

* * * *

La festa finì prima che me ne accorgessi.

Anche se per me non era stata affatto una festa, grazie all'angelo biondo che era appena entrato in scena nelle nostre vite.

Klaus non si scusò con noi per quello che era accaduto, non era un tipo che chiedeva scusa facilmente e non lo faceva di certo per discolpare la sorellina Rebekah, che aveva per tutta la sera ballato con il suo bel francese, come se non fosse accaduto nulla.

Il fratello ci assicurò, però, che la bionda sarebbe stata duramente bacchettata.

E l'espressione sul suo viso lasciò intendere tutto.

Katerina sembrò a disagio per tutta la serata, rientrò in camera prima di me e si mise a dormire.

Era una ragazza buona, le parole di Rebekah le avrebbero lasciato una ferita aperta molto a lungo.

Io restai in sala, solo per aspettare Elijah che non tornò. Fu Joshua a dirmi, quando ormai tutti se ne stavano andando, che ci avrebbe messo a lungo per sorvegliare la zona e prendere l'animale assassino. Anche se, una parte di me, era ancora convinta che non si trattasse di un animale.

Venni, così, costretta a rientrare in camera. Camminai per i corridoi bui, guardando i miei piedi muoversi lentamente sotto di me e cercando di non pensare a nulla che non fosse il mio caldo letto.

Una risata cristallina attirò la mia attenzione.

Alzai lo sguardo; una delle camere di fronte a me era socchiusa e, dall'interno, proveniva una fioca luce di una candela. Forse mi sbagliavo, ma mi sembrava che fosse la camera di Klaus.

Mi nascosi velocemente dietro un angolo, quando vidi la porta spalancarsi e uscirne una ragazza.

Mi sembrava mora e con scuri occhi maliziosi, ma l'oscurità mi impediva di esserne certa.

Ero sicura, però, che l'ombra sulla soglia della porta fosse Klaus: la guardava divertito, mentre lei ridacchiava in maniera squillante e gli lanciava occhiate veloci e inequivocabilmente maliziose.

Klaus rispondeva con un sorriso forzato.

Aveva la camicia sbottonata sul petto e fuori dai pantaloni, il fuoco dietro di lui lo illuminava come se fosse un angelo.

Mi morsi il labbro e restai nascosta. Klaus aveva dormito con quella ragazza?

Doveva essere così, lei indossava una vestaglia da notte che non ci si metteva davanti ad un uomo, a meno che non si dormiva con lui. Provai il desiderio di andare da lui e prenderlo a schiaffi; non l'avevo fatto con la sorella, ma potevo farlo con lui.

Perché mostrava tutto quell'interesse per Katerina, se poi si divertiva con altre donne?

Klaus non mi sembrava un donnaiolo, ma era pur vero che l'apparenza ingannava.

Rebekah, per esempio, sembrava una ragazza tanto a modo. Se non parlava.

La mora si allontanò e Klaus si chiuse la porta alle spalle, mentre io rimanevo a fissare l'oscurità.

Mai come in quel giorno, mi sentivo così arrabbiata. Adesso avevo un problema in più, se dire o no a Katerina quello che avevo visto. Ma così le avrei davvero rovinato la nuova vita che si era costruita in Inghilterra. Come avevo taciuto sui puntini rossi e su occhi di ghiaccio, lo avrei fatto anche su quello che avevo visto quella sera. In fondo, non avevo prove concrete che Klaus avesse preso in giro Katerina, sempre se si poteva parlare di tradimento. Strinsi i pugni, perché quella scena aveva irritato anche me.

Sorpresa?”

Mi voltai di scatto verso Rebekah.

Era accanto a me e io non me n'ero nemmeno accorta: sembrava quel maledetto corvo che appariva quando meno me lo aspettavo. Mi sorrise e lanciò un occhiata alla porta del fratello. “Credevi davvero che Nik fosse l'uomo adatto a tua sorella...o a te?”

Si parò davanti a me, distolsi lo sguardo e mi sforzai di non fare nulla.

Il solo pensiero che quella giornata stava finendo, mi era di aiuto. “Tesoro, Klaus non ama. Mettitelo in testa. Né tu e nemmeno tua sorella potete cambiare questo.”

Rise di nuovo e si guardò indietro.

Non ti è piaciuto quello che hai visto? Beh, piccola...il peggio deve ancora venire.”

Le sue parole mi fecero rabbrividire; parlava di suo fratello come se fosse un vaso di pandora che, una volta aperto, avrebbe fatto fuoriuscire tutto il male che c'era all'interno.

O forse, era solo un tentativo per tenere lontana me e Kat dai suoi fratelli.

Cercai di superarla, ma lei mi prese per il polso e mi spinse contro il muro, prima che potessi rendermene conto. Mi strinse le spalle e mi guardò con odio.

Fino ad allora aveva solo giocato, ora passava alle maniere dure.

Io, Klaus ed Elijah ci siamo appena ritrovati. Non permetterò che nessuno ci separi di nuovo, chiaro?!” esclamò, con una rabbia disumana. “Perciò, stai molto attenta a quello che fai, Petrova. Io non mi faccio abbindolare dai tuoi occhioni blu!”

Mi fece male, cercai di liberarmi ma fu tutto inutile. Vinse lei.

Era disumano il modo in cui era attaccata ai fratelli. Si comportava come se loro fossero il suo unico e vero punto di riferimento. E come se, io o mia sorella glieli avremmo portati via.

Da cosa lo aveva capito, non lo sapevo.

Sembrava anche che ce l'avesse particolarmente con il nostro cognome.

Finalmente, mi lasciò le spalle e il suo viso si addolcì.

Tornò a giocare con me, come una gatta fa con il gomitolo di lana.

Noi siamo stelle oscure, Iry. Brilliamo nella notte, ma nessuno ci vede. Perché non permettiamo a nessuno di raggiungerci.” disse ridendo, mi diede un buffetto sul viso a cui risposi ritraendo la testa.

La guardai andare via, ma lei mi regalò le sue ultime parole, anche se di spalle.

E smetti di sbattere le ciglia con Elijah, sei ridicola. Lui è troppo per te.”

Restai immobile, con la schiena contro il muro, aspettando che le sparisse nell'oscurità. L'amarezza s'impadronì di me e pensai di aver davvero bisogno di una bella dormita, ma dubitavo che sarebbe bastato per allontanare quelle parole dalla mia testa.


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Capitolo 8
*** The Chevalier ***


    -The Chevalier-

    But tell me are they true

    Things they say about you

    A mason and a spy

    He knows all beds

    Escaped the leads

    Oh chevalier tell me another lie

    (Serenity, The Chevalier)

Non la sopporto!”

Katerina non si calmava, le parole le uscivano dalla bocca come stelle cadenti che si andavano a schiantare nel nulla. E pensare che mi aveva detto di voler fare una tranquilla passeggiata per i giardini, invece voleva solo sfogarsi.

Su Klaus, uno dei nomi che volevo tenere il più lontano possibile dalla mia testa, ormai troppo piena.

Quella Rebekah le trova tutte per tenermi lontana dal fratello! Si mette sempre in mezzo, sempre! Già la odio.” continuò a dire.

Io restavo in silenzio a guardare in basso.

Dovevo dirle che Klaus non era il cavaliere che credeva? Avevo visto una ragazza in camicia da notte uscire dalla sua camera.

Era un bugiardo, ormai non riuscivo a definirlo in altra maniera.

Probabilmente mi stavo sbagliando, forse non era successo nulla in quella stanza, ma non era una teoria che stava in piedi. Poi non capivo come non potesse essere arrabbiata con lui per esser rimasto ad assistere in silenzio alla sfuriata di Rebekah. Capivo che Katerina non riuscisse proprio ad avercela con Klaus, ormai lo vedeva come il principe della favole che aveva colorato la sua triste vita, ma io sarei stata in collera con lui.

Poi, Klaus ormai aveva perso la maschera di principe, almeno ai miei occhi.

Come pensi che mi debba comportare con lei? Io non sono brava a sfidare le persone, l'ultima volta mi ha difeso tu e sei scoppiata in lacrime. Quella ragazza è il diavolo.” Katerina volse lo sguardo verso il cielo, non sapeva che forse Rebekah le stava facendo un favore a tenerla lontana da Klaus.

Quando mi guardò per avere una risposta, alzai le spalle. Che potevo dire?

Svegliati, lui va a letto con un altra?”

O con quante altre; quel pensiero mi raggiunse appena incontrai gli occhi di Katerina.

Era così presa da lui che, se le avessi detto una cosa simile, non ci avrebbe creduto.

Ci stavamo avvicinando all'entrata principale della villa, quando vedemmo sbucare fuori dalla porta una ragazza mora: aveva i capelli mossi e gli occhi scurissimi, si muoveva e si atteggiava solo per farsi guardare e ammirare. L'abito stretto che indossava ne era la prova.

O forse ero così acida perché ero sicura che fosse la ragazza che avevo visto la notte prima con Klaus? Katerina storse la bocca: forse la conosceva, l'aveva vista aggirarsi intorno a Klaus e l'aveva inserita nelle persone da fulminare con lo sguardo. Nemmeno sapeva il suo nome probabilmente.

Se torce il didietro un altro po', potrebbe spezzarsi.” mi sussurrò all'orecchio.

Pensò di farmi sorridere ma non ci riuscì: ero troppo impegnata a capire se fosse davvero la ragazza che avevo visto uscire dalla camera di Klaus. Ne ebbi la conferma, quando i suoi occhi neri incontrarono i nostri, man mano che si avvicinava. Non avevo dubbi, era lei.

Ci rivolse un sorriso di saluto, a cui risposi solo io.

Katerina alzò gli occhi al cielo e fece finta di nulla.

La seguii con lo sguardo, il vento le scompigliò i capelli e le scoprì la parte nuda del suo collo.

Allora mi accorsi subito di qualcosa di assolutamente insolito sulla sua pelle chiara. Mi mancò il respiro e mi sentii la testa girare vorticosamente.

Irina, dove vai?” mi chiese Katerina, quando mi vide allontanarmi e raggiungere di corsa la ragazza mora. Le afferrai il polso prima che fosse troppo lontana e la feci voltare verso di me.

Mi guardò come se fossi pazza, ero consapevole di sembrarlo in quel momento, e mi chiese che cosa volessi fare. Le scostai i capelli che il vento aveva riportato sul suo collo e li vidi: due piccoli puntini sulla sua pallida pelle.

Pensai immediatamente a Klaus, al libro che avevo trovato e alla scena a cui avevo assistito la sera prima.

Tutto riconduceva a lui.

Rimasi a fissare quei due puntini, fino a quando la ragazza mora colpì la mia mano e mi diede della fuori di testa. Se ne andò, senza che le sue parole mi avessero in alcun modo toccata.

Era Klaus il vampiro che uccideva quelle ragazze? E se lo era, dovevano esserlo anche Elijah e Rebekah? Scorsi il viso di Elijah tra i miei pensieri ed ebbi una fitta al cuore.

Era lui uno dei motivi per cui non volevo credere a quella teoria e, allo stesso tempo, uno dei motivi per cui quella storia mi avrebbe ferito più del dovuto, se fosse stata vera.

Katerina mi raggiunse “Ehi, che ti ha preso Irina?” mi chiese preoccupata.

Mi stava guardando, ma io non avevo risposte da darle.

Non avevo mai realmente preso in considerazione quello che avevo visto su quel libro. Ma ora, sembrava quasi che stessi trovando tutti i pezzi necessari per completare un inquietante puzzle. Katerina mosse la mano davanti ai miei occhi. “Ehilà? C'è nessuno là dentro?” mi chiese.

Allora catturò la mia attenzione, ma non perché riuscì a distogliermi dai miei pensieri.

Ma perché dovevo assicurarmi che il suo collo fosse pulito, che Klaus non avesse impresso in lei nessun marchio di terrore. Aveva i capelli raccolti, mi sarei accorta subito se avesse avuto dei segni sulla pelle. Ma non c'erano, il suo collo era perfettamente liscio, come lo era sempre stato.

Irina, hai uno sguardo che mi fa paura...” mi fece notare lei.

E speravo di non dover mai vedere in lei la paura che stavo provando io in quel momento.

Era ora che la smettessi di adagiarmi sugli allori e che iniziassi a trovare delle risposte a tutte le mie domande.

E se avessi scoperto che i nostri cavalieri erano dei mostri, avrei trovato anche un modo per scappare da loro insieme a mia sorella.

* * * *

Mi sentivo in trappola.

Mi mancava il respiro e mi sembrava che tutto il mondo avesse preso una piega distorta.

Non vedevo più nulla in un ottica normale, mi sembrava di vivere un esistenza sfocata.

Come se fossi ubriaca e non riuscissi a stare in piedi.

Katerina era sola in giardino, potevo tenerla d'occhio attraverso la finestra della nostra camera.

Era davvero un bene che Rebekah giocasse la parte del terzo incomodo, almeno Katerina sarebbe rimasta lontana da Klaus per un po'.

Restai a guardare le sue esili spalle rivolte verso la nostra finestra, per diversi secondi.

Sembrava stesse riflettendo, forse sulle parole di Rebekah o forse su chissà cos'altro.

Mi sentivo male, al pensiero che forse mia sorella avrebbe dovuto riflettere su cose ben più peggiori di quelle che le passavano per la testa in quel momento.

Sospirai e il mio sguardo si posò sul nostro letto.

Sotto di esso, forse c'erano le risposte a tutte le mie domande.

Mi piegai e presi il libro che il corvo mi aveva fatto trovare in biblioteca. Mi sedetti a terra e iniziai a sfogliarlo: sembrava un manuale per conoscere i vampiri, per riconoscerli e sconfiggerli.

Ma, tra quelle poche righe che riuscii a capire, c'erano scritte cose che in realtà provavano che Klaus, Elijah e Rebekah non erano vampiri.

I vampiri non camminano alla luce del sole: la temono, la bramano e la odiano al tempo stesso.

E io avevo visto sia Klaus che Elijah, illuminati dalla bellezza del giorno.

I vampiri bramano sangue, il loro unico e vero nettare di vita.

Su questo, non avevo alcun elemento che potesse tranquillizzarmi.

Anzi, avevo appena visto due puntini sul collo della ragazza della sera prima, due puntini creati indistintamente da un morso. Ma Elijah? Lui era sempre con me e non mi era sembrato che avesse dato segni di volermi azzannare il collo.

Ma Kat, che sembrava essere la ragazza per cui Klaus nutriva più attenzioni, non aveva segni sul collo.

Perciò poteva significare che anche Elijah avesse una bella mora su cui affondare i denti?

Rabbrividii, il solo pensiero mi spaventava e mi intristiva al tempo stesso: non volevo pensare ad Elijah, né come vampiro, né come donnaiolo.

Il mio cuore non credeva a nessuna delle due immagini.

Peccato che la mia testa mi ricordava continuamente, l'immagine che avevo attribuito a Klaus prima di vederlo sorridere ad una fanciulla mezza nuda, appena uscita dalla sua camera: un signore, proprio come credevo che fosse Elijah.

I vampiri possono essere uccisi da un paletto di legno conficcato nel loro cuore.

A quel punto, mi portai una mano sulla fronte e chiusi gli occhi.

Stavo per lanciare il libro contro il muro e mandare tutto al diavolo. Non ne potevo più di quelle voci che si susseguivano nella mia testa. Era tutto assurdo, non potevano esistere esseri del genere.

Non mi bloccai, strinsi il libro e lo lanciai rabbiosamente contro il muro.

Quello ricadde sul pavimento e si aprì su dei disegni che mi rifiutai di guardare.

Mi strinsi le ginocchia al petto e le lacrime mi salirono agli occhi. Non ne potevo più di tutto quello che stava succedendo, volevo solo chiudere gli occhi e risvegliarmi in una realtà dove tutto avesse un senso. Una realtà in cui Klaus era l'uomo gentile che avevo sempre creduto che fosse ed Elijah il mio cavaliere, pronto a salvarmi in un mare in tempesta.

Ma sembrava che quei due soggetti di una fiaba non esistevano: non mi avrebbero mai salvato dalla tempesta, perché ne erano loro gli artefici.

Odiavo vederli così, sopratutto odiavo immaginarmi Elijah così.

Quando mi resi conto che piangere sarebbe servito relativamente a poco, mi asciugai le lacrime e guardai il libro. Un altro disegno, fatto dalla stessa mano che aveva rappresentato la famiglia degli originali, attirò la mia attenzione: era una pianta, circondata da diverse didascalie che la descrivevano nelle sue più piccole parti.

Verbena, pianta capace di indebolire un vampiro e di rendere immune un umano dal potere mentale del vampiro stesso.

La pianta che non cresceva nei giardini di Klaus.

La pianta che Rose mi aveva dato prima di scappare dall'inferno in cui non sapevo di trovarmi.

Allora lei sapeva tutto, sapeva chi erano veramente i nostri cavalieri.

Balzai in piedi e mi diressi al nostro armadio, avevo nascosto là la cesta che Rose mi aveva portato: tra le varie gonne dei nostri abiti, che per un attimo pensai di distruggere, se ripensavo a chi ce li aveva regalati.

Allungai le mani su tutta la superficie e finalmente trovai la cesta.

Ma era vuota.

Il profumo della verbena continuava a respirarsi all'interno dell'armadio ma le piante sembravano scomparse nel nulla. Fissai il fondo della cesta, il mio cuore batteva impazzito per la paura.

L'opzione più gratificante era che Katerina le avesse buttate o poste da un'altra parte.

Quella più razionale era che qualcuno aveva deciso di farle spontaneamente sparire.

E io avevo in mente un paio di persone che avevano buon motivo di farlo.

Non mi arresi e continuai a tastare con la mano la superficie interna dell'armadio: non c'erano.

Mi portai le mani tra i capelli, avevo appena avuto una piccola prova che non mi stavo creando un incubo con tutte le mie domande: io stavo vivendo un incubo, che fino ad allora credevo fosse un sogno.

Chissà quante volte eravamo state soggiogate, io e Kat, senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Tracciai un velocissimo resoconto della nostra permanenza in Inghilterra, ma non trovai nessun episodio che potesse essere stato provocato da un ordine di Klaus o di Elijah, piuttosto che dalle nostre volontà. Per ciò che mi riguardava, non trovai nulla...tranne quello che era successo dopo l'incendio, quando Klaus mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva detto di dimenticare ogni cosa.

Ma io ricordavo tutto e non avevo ingerito o usato verbena.

Chiusi l'armadio e solo allora, mi accorsi che c'era qualcuno accanto a me.

Sobbalzai e guardai Klaus: se ne stava in piedi, con le mani dietro la schiena e il solito sorriso sulle labbra. Ma c'era qualcosa di minaccioso in lui e non era una conseguenza del fatto che dubitassi ormai della sua umanità.

Klaus aveva davvero qualcosa di diverso in volto.

Buongiorno Irina.” mi disse, con una maschera di gentilezza.

Mi ritrovai a fare un passo indietro, avevo lasciato il libro aperto vicino al letto. Se Klaus lo avesse visto e se quello che avevo visto in quelle pagine era tutto vero, potevo giocarmi il collo.

Dormito bene?”

Feci un altro passo indietro e restai con il fiato sospeso, forse quella non era la mossa giusta per affrontare un originale o qualunque cosa fosse.

Anche se fosse stato un semplice cavaliere bugiardo, non potevo affrontarlo in quel modo.

Mi fermai e restai a guardarlo, sperando di nascondere la mia paura. Ma i miei pensieri andavano subito a quel disegno e al fatto che Klaus fosse entrato in camera senza fare il minimo rumore.

Annuii con parecchio ritardo, appena mi ricordai della sua domanda.

Restammo a guardarci, nessuno dei due distolse lo sguardo dall'altro.

Una nuvola passò sopra il sole e lo coprì, privandoci della sua rassicurante luce. Mai come allora avevo desiderato che il sole brillasse per sempre.

C'è una cosa di cui ti vorrei parlare.” Klaus su fece serio e io m'irrigidii per il terrore.

Che stava per dirmi? Di essere un vampiro? E magari poi avrebbe preso il mio sangue, come aveva fatto con la mora della sera prima. “Rebekah mi ha detto che ieri hai visto una cosa parecchio equivoca...”

Per poco tirai un sospiro di sollievo, anche se pure quel discorso mi innervosiva molto.

Non quanto il fatto che lui potesse essere un vampiro, ma non sopportavo che lui avesse preso in giro me e mia sorella. Affrontare quel discorso però, era meglio che affrontare due canini nella carne.

Inoltre, Klaus non doveva vedere il libro accanto al letto e assecondarlo mi sembrava la cosa migliore da fare per concentrare la sua attenzione su di me.

Non voglio che tu ti faccia strane idee. Io a tua sorella ci tengo veramente.” continuò lui. “In quella stanza non è successo nulla, dico sul serio.”

Peccato che lei era più svestita che vestita e lui sembrava alquanto soddisfatto. Non ero un asso a capire certe cose, ma non ero nemmeno stupida. Eppure i suoi occhi mi parvero sinceri: forse Klaus non aveva realmente avuto un rapporto fisico con quella moretta. Magari si era limitato solo a berle il sangue e mandarla via, come se fosse una damigiana di vino da consumare lentamente.

Anche se era andata così, la cosa non mi tranquillizzava lo stesso.

Anzi, lo preferivo donnaiolo.

Sentivo che stavo per perdere il controllo; avevo paura e volevo solo allontanarmi il più possibile da lui. Cercai così di superarlo, senza sembrare troppo nervosa e lui si parò davanti a me.

Sostenni i suoi occhi chiari e dovetti inclinare indietro la testa per non essere troppo vicina al suo viso. In un altra situazione, forse, sarei pure avvampata ma la consapevolezza di poter avere davanti un mostro, mi faceva solo tremare.

Tu non mi credi, vero?” mi chiese, affilando lo sguardo.

Sentivo che si stava riferendo ad altro, non al suo ipotetico tradimento.

Si fece avanti verso di me e io iniziai a retrocedere lentamente.

Mi ritrovai con la schiena contro lo sportello dell'armadio e la sua mano aperta, posata accanto alla mia testa. Avrei voluto spingerlo via e scappare, ma qualcosa mi bloccava.

Se lo avessi fatto, lui avrebbe saputo che io sapevo.

Spiegami una cosa, Irina.” disse, con voce flebile. Sembrava il sibilo di un serpente, pronto a penetrarti dentro e ad avvelenarti lentamente. “Tu sei più che intelligente e lo ha dimostrato il fatto che ieri hai tenuto testa ad una come mia sorella.” Un sorriso gli illuminò il volto. “A proposito, i miei complimenti. Mi piace il modo in cui sei disposta a difendere la tua famiglia.”

Come riusciva a fare dell'ironia? Io stavo tremando e, sinceramente, stavo già rimpiangendo lo scontro della sera precedente con sua sorella. Mi ero chiesta perché non avesse fatto nulla e ora era chiaro: voleva mettermi alla prova, lo aveva fatto diverse volte senza che nemmeno me ne accorgessi.

Mi era sempre sembrato che lui amasse particolarmente giocare con le menti degli altri e io dovevo essere la sua pedina preferita perché si rispecchiava in me.

Forse mi vedeva come il vecchio Klaus, quello con il sorriso tenero che aveva in quel disegno.

Ma io non volevo avere niente a che fare con lui.

Mostro o bugiardo, aveva perso comunque la stima che avevo in lui.

Comunque, stavo dicendo...secondo te, perché dovrei fingere di provare un interesse per Katerina?”

Perché ti piacciono tutte le donne? Perché brami il sangue di tutte le fanciulle che ti circondano? Perché non ami?

Avevo tante domande, che avrebbero risposto alla sua domanda.

Ricordavo ancora le parole che mi aveva detto Rebekah: “Klaus non ama”.

E se lo diceva persino la sorella, non potevo che rifletterci sopra.

Sono sicuro, che in tutte le domande che ti stanno frullando adesso in testa, troverai la risposta.” continuò lui, chinandosi su di me. Distolsi lo sguardo, l'unica cosa a cui pensai era che Katerina non aveva segni di morsi sul collo, a differenza dell'amante di Klaus. Non le aveva fatto del male, ma questo non provava nulla. Era inutile che giocasse con me, non mi avrebbe distolto dal pensiero che uno come lui era solo da temere.

Klaus mi prese il mento tra le mani, mi costrinse a guardarlo e ritrovai i suoi occhi più vicini del dovuto. “Sei soddisfatta adesso?” mi chiese.

No, non lo ero per niente. Volevo solo che mi lasciasse il viso e se ne andasse.

Non volevo più vederlo.

Studiò la mia espressione a lungo, stava cercando di darle un significato ma probabilmente non ci riusciva. “La differenza tra te e Katerina è che lei pensa a vivere, mentre tu ti fai troppe domande.” mi disse, sempre in un sussurro. “Ma sono sicuro che tu spesso eviti le domande che dovresti realmente porti...tipo, cos'ho realmente provato quando ho visto uscire quella bella ragazza dalla camera di lord Niklaus?”

Un sorriso di vittoria si stampò sulle sue labbra, quando vide che non riuscii a sostenere più i suoi occhi. Non capivo se mi stava chiedendo se mi ero ingelosita o altro.

Allontanai subito quel pensiero, prima che raggiungesse la mia mente, perché non aveva senso.

Mi ero solo infastidita per via di Katerina, chiuso. Lui non sarebbe riuscito a farmi credere altro.

Mi chiesi se stesse stesse esercitando il suo potere manipolatore su di me, sentivo lentamente perdere il controllo. Posai una mano sul suo petto, per chiedergli di allontanarsi da me.

Klaus mi lasciò il viso e fece un passo indietro. “Io ci tengo a te e a tua sorella, Irina.” mi disse, era finalmente tornato a parlare con un tono di voce normale. “E credo che tu lo sappia, perciò...potresti anche smetterla di dubitare di me, dopo tutto quello che ho fatto.”

Ero confusa, lo guardavo immobile e non capivo che cosa dovevo più credere ormai. La tensione che si era creata tra di noi si affievolì, bastò che Klaus mettesse in mostra il suo sorrisetto da giocherellone. “Potremmo bere un tè tutti e tre insieme, che ne dici?” mi chiese, come se fino ad allora le sua parole non avessero avuto una parvenza di minaccia. “Io amo il tè solo al limone però. Spero che tu gradisca.”

Sbarrai lo sguardo, appena percepii il messaggio criptato delle sue parole: non mi piace la verbena e te l'ho buttata nella spazzatura.

Credeva che fossi stupida a non capirlo? O forse, era un altro dei suoi spaventosi giochetti mentali? Non mi stava affatto soggiogando, come c'era scritto sul libro che avevo trovato, ma solo perché credeva che fossi imbottita di verbena.

Altrimenti, lo avrebbe sicuramente fatto.

Spero che le tue domande, non m'impediscano di stare con tua sorella. Ci faresti solo del male.” concluse, continuò a sorridermi e uscì dalla porta.

Caddi seduta a terra, come se avessi perso improvvisamente un peso enorme.

Klaus non aveva visto il libro, ma forse sospettava che fossi a conoscenza di qualcosa. Le sue parole non erano ben chiare, bisognava avere un potere soprannaturale per potergli leggere nella mente e capire cosa gli passasse per la testa.

Mi portai la mano tra i capelli e guardai il libro, eccetto il disegno e qualche nozione sui vampiri, non mi aveva dato una vera risposta.

Klaus, Elijah e Rebekah erano davvero vampiri?

Mi serviva solo un semplice “Sì, lo sono” e potevo averlo solo dall'unica persona che, indirettamente, stava cercando di portarmi alla verità.

* * * *

Avevo paura a lasciare sola Katerina e speravo che non le sarebbe accaduto nulla mentre andavo da Rose. Indossai un mantello scuro e le scarpe più comode che avevo; non potevo richiedere una carrozza senza destare sospetti ed ero quindi costretta a farmi a piedi tutta la strada che mi avrebbe condotto alla casa di Rose. Camminai più velocemente che potei attraverso i giardini, l'uscita che portava alla foresta era a pochi metri da me.

Mi sistemai i capelli, che il vento gelido aveva portato davanti al mio viso, e presi un lungo respiro.

Ehi, piccoletta, dove stai andando?”

Mi bloccai prima che potessi raggiungere la fine dei giardini. Mi morsi nervosamente il labbro e mi girai verso Rebekah. Teneva le braccia strette al petto e mi fissava con aria inquisitoria.

Non aveva un fidanzato con cui passare il tempo, piuttosto che guardarmi in quel modo?

Lo sai che uscire da sola può essere pericoloso?” mi disse, avvicinandosi lentamente a me. “Mi preoccupo per te.”

La guardai seccata, sapevo che non era vero.

Sapevo che sarei stata la sua valvola di sfogo per tutto il tempo in cui sarebbe rimasta con noi. Se avesse potuto, mi avrebbe staccato la testa dal collo. Letteralmente.

Bugia. Di te non m'importa nulla...ma ai miei fratelli sì. Sopratutto ad Elijah purtroppo, ancora mi ci devo abituare.” disse, poi fece un passo verso di me. “O forse, ti farebbe piacere che s'interessi più Klaus, che Elijah a te? Voi Petrova amate i triangoli amorosi, ne sono sicura.”

La guardai freddamente, mi chiesi per quanto ancora avesse intenzione di infierire così su di me, su Kat e persino sulla mia famiglia. Quando pronunciava il mio cognome, sembrava quasi che dovesse sputare. Cercai di proseguire, ma lei me lo impedì: mi prese il polso e mi fece voltare verso di lei.

Non osarmi darmi le spalle, piccoletta. Dove stai andando?” mi chiese, mi sembrava di ritrovarmi di fronte Klaus.

L'unica cosa che li distingueva era che lui era più delicato nei modi.

Rebekah sembrava volermi spezzare le ossa ogni volta che mi sfiorava.

Agii con un altro gesto che la stupì: mi liberai dalla sua presa e ritirai violentemente il braccio. Lei lo lasciò, ma qualcosa mi disse che, se avesse voluto, avrebbe potuto trattenerlo ancora.

Sai, non stai facendo nulla per starmi più simpatica, Iry.” disse, squadrandomi dalla testa ai piedi. Ma io non volevo esserle simpatica: dopo quello che mi avevo detto, non avevo nemmeno la minima intenzione di cercare di accattivarmi la sua simpatia.

E se era un vampiro, avevo un motivo in più per farlo.

Sospirai e mi accorsi che lo sguardo di Rebekah si era fatto buio. I suoi occhi erano fissi sul mio collo, per un attimo pensai che avesse fame e volesse uccidermi.

La naturalezza di come mi giunse quel pensiero, mi spaventò parecchio. Lei si avvicinò velocemente a me e afferrò il pendente che mi aveva regalato Klaus, lo fissò a bocca aperta e se lo rigirò tra le dita, come se volesse avere la conferma di quello che stava guardando.

Come...come hai avuto questo ciondolo? Te lo ha dato Klaus?” mi chiese, sembrava furiosa. Neanche la sera prima, quando la nostra sola presenza l'aveva indisposta, aveva assunto quell'espressione: sembrava una bestia, priva di controllo, pronta ad agguantare la sua preda.

Provai a liberarmi dalla sua presa, ma lei mi trattenne cingendomi le spalle. Arrivò quasi a conficcare le unghie nella mia carne e aprì la bocca in un verso di dolore.

Perché hai quel ciondolo?! Rispondimi!” esclamò di nuovo. “O almeno, cerca di darmi una risposta, Petrova!”

Rebekah!”

Guardai sollevata Elijah, lo vidi arrivare alle spalle della sorella, insieme a due cavalli che teneva attraverso le redini. Li stava portando verso di noi, i suoi occhi erano fissi su di me e io non riuscii a sostenerli. Il pensiero che potesse essere un vampiro mi impediva di guardarlo come facevo prima.

Anche se veniva sempre a salvarmi e proteggermi.

Rebekah lasciò la presa su di me e si voltò verso il fratello. Sembrava non aver ancora sbollito la rabbia ed era pronta a riversarla sul fratello. “Elijah, ha il ciondolo...” disse, puntandomi il dito contro, come se mi stesse accusando di una cosa disdicevole.

Abbassai lo sguardo sul gioiello. Da come lo guardava, sembrava che rievocasse brutti ricordi nella mente di Rebekah. Oppure un passato che voleva dimenticare.

Arrivai quasi a pensare che Klaus me lo avesse dato per farmi un dispetto, ma non mi sembrava così infantile.

Elijah la fissò a lungo; era irritato dal modo in cui la sorella si comportava ma il suo sguardo lasciò intendere ben altro. Mi ricordai che anche lui aveva reagito in maniera strana alla vista di quel ciondolo, anche se non era stato esagerato come lo era stata Rebekah.

Rebekah, mi sono già stancato dei tuoi teatrini!” la rimproverò, mi aspettai da un momento all'altro che lo aggredisse verbalmente, com'era solita fare con Klaus.

Invece restò in silenzio, abbassò lo sguardo con aria colpevole e si morse le labbra, probabilmente per non continuare ad inveire contro di me, di fronte agli occhi del fratello.

Ad un certo punto Elijah si accorse di essere stato troppo duro con lei e l'espressione sul suo viso di addolcì. “Per favore Bekah, sii più gentile con le nostre ospiti. Nostra madre ci diceva sempre di conoscerle le persone prima di giudicarle, no?”

Non aprire questo fronte fratello, nostra madre disse tante cose...”lo interruppe Rebekah.

Calò il silenzio, intanto il cielo si era completamente coperto di grigio e il vento si era fatto più freddo. Guardai i due fratelli, il solo nominare la madre aveva fatto cadere su di loro un velo di nostalgia: anche Rebekah parlava con gli occhi, proprio come Elijah, e come riuscivo a capire il suo odio, riuscivo a capire anche la sua tristezza.

Tutto terminò quando Elijah mi rivolse un sorriso. Ecco qual'era il motivo per cui non potevo credere a tutta la storia dei vampiri, degli originari e via dicendo: lui, il suo sorriso e i suoi occhi neri che sembravano solo volere la mia serenità. La paura che provavo dentro, per un attimo, si affievolì.

Irina, stai meglio? Katerina mi ha detto che non stavi molto bene...” mi disse.

Si accorse che gli avevo mentito, avevo fatto dire a mia sorella che stavo poco bene per evitare di incontrare loro tre. Ma poi mi era venuta in mente l'idea di incontrare Rose e di conseguenza avevo incontrato tutti e tre loro. Sembrava che il destino si divertisse a giocare con me, me li aveva fatti incontrare nell'ordine in cui li temevo: Klaus era sempre quello che mi spaventava più di tutti, poi c'era Rebekah, che più che paura, mi faceva irritare e infine Elijah, per cui non potevo provare altro che gratitudine.

Ma avevo bisogno di sapere l'entità della sua vera natura.

Gli dissi che stavo un po' meglio e, a quel punto, Rebekah si voltò verso di me. Mi lanciò un sorriso falso, un chiaro messaggio che le era appena venuta in mente un idea diabolica da usare contro di me. “Irina vuole venire a cavalcare con noi.” disse.

Voleva solo impedirmi di andare dove stavo andando, le riservai una lunga occhiata con cui avrei desiderato polverizzarla e lei ricambiò affilando lo sguardo.

Elijah però non era stupido, aveva visto che Rebekah mi aveva praticamente messo le braccia addosso e che non mi sarei mai sognata di poter intrattenere una conversazione pacifica con lei.

Smettila Rebekah, come te lo devo chiedere? In ginocchio?” la rimproverò.

Ma è la verità. Le hai insegnato a scrivere e a capire la nostra lingua no? Certo potevi pure insegnarle a camminare per bene...ma, visto che ora volevamo fare una passeggiata a cavallo, perché non portarla con noi?” insistette la bionda.

Fu allora che mi venne un idea; non ero molto lucida in quel momento, ma avrei voluto quasi ringraziare Rebekah per essere così diabolicamente stupida. Mi aveva appena dato una scappatoia per raggiungere Rose, senza destare sospetti. Ero molto brava a perdermi e nessuno avrebbe mai pensato che me ne fossi andata di proposito.

Rebekah, a te dovrei insegnare a tacere invece.” la provocò Elijah, si bloccò quando gli posai una mano sul braccio. Gli bastò guardarmi in volto per capire che avevo intenzione di salire su quel cavallo, ma non ne parve molto convinto.

Ne sei sicura Irina? Se lo fai per dimostrare qualcosa a mia sorella...”

Scossi la testa, sforzandomi di essere il più convincente possibile. Ma non era facile darla a bere ad un uomo intelligente come Elijah; sospettava qualcosa ma non aveva idea di cosa mi frullasse davvero per la testa. E un po' mi dispiaceva prenderlo per i fondelli.

Visto! Sbatte le ciglia più del solito, vuol dire che ci sta!” s'intromise Rebekah, non la guardai ma solo perché non si era accorta che stava facendo, in parte, il mio gioco.

Persino suo fratello la ignorò. “Va bene. Rebekah, vai a prenderti un altro cavallo. Forse una bella passeggiata ti gela la lingua di fuoco che hai!” disse.

La bionda stava per esplodere di rabbia. La guardai andare via mentre dentro di sé mi lanciava le maledizioni più perfide che poteva elaborare. Se era davvero un vampiro originale, si faceva prendere in giro troppo bene.

Sai salire a cavallo, Irina?” mi chiese Elijah e avvicinò un cavallo a me. Guardai quella dolce creatura con timore; non ero mai andata a cavallo e non ne avevo mai visto uno così vicino.

Da piccola li avevo visti alle poche feste di paese a cui ero andata. E quando ne vedevo uno, scappavo sempre via. Per un attimo pensai che fosse davvero una cattiva idea, la mia.

Elijah sorrise delle mia espressione impaurita. “Non è così difficile come sembra.” disse, poi accarezzò il suo cavallo. “E questi animali sono i più docili che tu possa incontrare.”

Sospirai, il cavallo sbuffò e posai una mano sulla sua schiena. L'accarezzai lentamente e quello restò immobile. Sorrisi quando superai la paura che mi aveva attanagliato attimi prima.

Vieni...” Elijah sfiorò la mia mano e, istintivamente, mi ritrassi.

Il mio gesto lo colpì: anche se evitavo il suo sguardo, sentivo i suoi occhi su di me che, probabilmente, si stavano chiedendo perché avessi reagito in quel modo.

Non mi ero nemmeno accorta di essermi ritratta in quel modo: era stato il mio cuore, preso dalla paura, ad ordinarmi di farlo.

Irina, tutto bene? Mi sembri strana...” mi domandò Elijah, cercò di posarmi una mano sulla spalla, ma si bloccò appena ripensò a quello che era successo poco prima.

Annuii e, per evitare di nuovo il suo tocco freddo, provai a salire da sola a cavallo.

Fu uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita: non riuscivo ad allungare la gamba per portarla dall'altra parte del cavallo e mi ritrovai attaccata al fianco dell'animale, per non cadere all'indietro. Provai a distendermi allora sul dorso e tutto quello che riuscii ad ottenere, fu restare a pancia in giù sulla sella, mentre provavo a sedermi.

Elijah rise, non lo fece con scherno, ma riuscì comunque a farmi arrossire.

Ti offendi se ti dico che sembri un po' una scimmietta?” mi disse.

Non mi avrebbe offeso: scimmietta era nulla in confronto a quello che poteva dirmi Rebekah se mi avesse visto in quella situazione. Volevo solo seppellirmi viva per l'imbarazzo; quell'idea era folle e avrei raggiunto Rose con il collo spezzato probabilmente.

Lascia che ti aiuti, la prima volta non è mai facile.” Elijah fece il giro del cavallo, per raggiungere la parte del mio corpo in cui avrebbe visto la faccia. Nella posizione più che contorta in cui mi trovavo, mi prese la gamba per portarla dall'altro lato. “Ecco qua, vedi non è diff...”

Quando credeva di aver ormai fatto il lavoro sporco, non tenne conto della mia estrema goffaggine: persi l'equilibrio e gli finii addosso, lui mi prese prontamente tra le braccia e, senza rendermene conto, io buttai le braccia attorno al suo collo. Restammo a guardarci; sentivo le sue mani dietro la mia schiena e sulle mie gambe. Non ricordavo di averlo mai avuto così vicino: neanche quando mi aveva abbracciato, avevo avuto i suoi occhi ad una distanza così breve.

Avrei potuto protendermi per sfiorargli il naso con il mio, pensiero che comunque mi attraversò la mente. Anche se per un solo breve secondo.

Sorrise, anche se sembrava imbarazzato per la situazione. Non quanto me però.

Mi correggo, una scimmietta è più abile di te!” scherzò.

Risi anche io, ma l'arrivo di Rebekah, insieme ad un cavallo bianco rovinò tutto come sempre. Il sole si era riaffacciato sul cielo per un secondo, ma appena lei era tornata, si era di nuovo oscurato.

Pure a lui doveva stare parecchio antipatica.

Quando ci vide in quella posizione, da cui non riuscivamo a muoverci per la vergogna o altro, sbuffò. “Oh cielo, voi Petrova andate subito al sodo in questo modo?” disse, storcendo la bocca in un espressione disgustata.

Salì sul cavallo con eleganza e maestria, facendomi provare un po' di invidia. “Se avete finito, possiamo andare. Anche io vorrei tornare dal mio uomo e certe cose le riservo per la camera da letto. A differenza di qualcuno!”

* * * *

Posso farti una domanda? Non è difficile nemmeno per te capirla, perciò vorrei una risposta chiara.”

Rebekah approfittò della momentanea lontananza di Elijah, per voltarsi come un cane rabbioso verso di me. Guardai suo fratello, che avanzava a pochi passi da noi sul suo cavallo: somigliava ad un fiero cavaliere, quelli di cui si leggono nelle fiabe e che salvano le loro dame dalle torri in cui sono rinchiuse.

Speravo davvero di conservare quell'immagine di lui e di non avere la conferma che fosse tutt'altro da quello che pensavo. Anche se ormai, mi bastava solo un “sì” per dubitare di lui.

Il cavallo si fermò quasi per ripicca, Elijah mi aveva insegnato a farlo trottare lentamente e senza difficoltà. Ero convinta che fosse più difficile, fu una sorpresa per me scoprire che non era così.

Tornai a guardare Rebekah, mi fissava intensamente e in attesa di un mio cenno.

Tanto sapevo che avrebbe solo sputato veleno, perciò poteva parlare quanto le pareva.

Credi di piacere ad Elijah?” mi domandò freddamente.

Dovevo ammettere che non mi sarei mai aspettata quel genere di domanda e posta da lei, mi sembrava più pungente di quanto potesse risultare. Non sapevo dove mettere la faccia, me la sentivo andare in fiamme mentre ripensavo alle sue parole.

Lei sorrise. “Sei davvero così presuntuosa?” mi domandò.

Restai immobile, i nostri cavalli continuarono a camminare l'uno affianco all'altro e i loro passi risuonavano nel silenzio della foresta. In realtà non pensavo di piacere ad Elijah, non da quel punto di vista almeno.

Ma non potevo negare che lui invece mi piacesse, solo non riuscivo solo ad ammetterlo a me stessa.

Cercai di cancellare quella sensazione che mi aveva appena preso: ero là per poter raggiungere più facilmente Rose, non per farmi abbindolare dalle trappole di quella fastidiosa bionda.

Tralasciando il fattore dell'età che, credimi, è più che rilevante, mocciosa.” insistette lei, alzai gli occhi al cielo e presi un lungo respiro per mantenermi calma. “Guarda lui e guarda te stessa. Il cavallo ha più eleganza di te e tua sorella messe insieme!”

A quel punto, persi il controllo di me stessa. Non era da me essere violenta o alzare le mani ma, come Rebekah mi aveva amabilmente ricordato, non avevo il dono di difendermi con l'uso della voce. Fermai il cavallo, lei mi guardò con aria interrogativa e fermò anche il suo di cavallo.

Devi fare un bisognino?” mi chiese.

Elijah si era fermato anche lui, con la coda dell'occhio lo vidi girare lentamente il cavallo verso di noi e osservare la scena confuso. Scese prontamente, quando mi vide afferrare la caviglia di Rebekah e tirarla giù dal cavallo. Rebekah cadde a terra, ma non si fece nulla di grave: non volevo farle del male, volevo solo vederla a terra come un verme. Anche perché, se lei era un vampiro, non le avrei provocato alcun dolore.

Irina, che fai?!” esclamò Elijah dietro di noi, sentivo i suoi passi farsi sempre su vicini, ma io avevo occhi solo per Rebekah sotto di me. Lei mi fissava con occhi sgranati, forse stava controllandosi per non saltarmi addosso e uccidermi. Avevo osato toccarla, povera bambola di porcellana, e quello era bastato per farmi odiare ancora di più da lei.

Cosa di cui mi importava relativamente poco.

Questa te la faccio pagare cara, Petrova!” disse furiosa, scattò in piedi e si parò davanti a me. Mi stava sfidando, voleva che la colpissi di nuovo per poi dimostrarmi che cosa avrebbe fatto.

Elijah accorse a separarci: si mise tra di noi, ma il suo sguardo era rivolto alla sorella e avevo la certezza che non fosse uno sguardo amorevole. “Ora basta, Bekah. Stai esagerando.”

Io esagero?! Hai visto cosa ha osato fare,no?” esclamò, puntandomi il dito contro.

Sono sicuro che tu hai fatto qualcosa per cui te lo meritavi!” la rimproverò lui.

Non ero nemmeno il tipo da gioire dei litigi,ma Rebekah stava davvero tirando fuori il peggio di me ed era arrivata solo da un giorno. Guardai oltre le spalle di Elijah e studiai l'espressione della sorella, sembrava una bambina arrabbiata, perché non aveva avuto ragione.

Nemmeno Ada, per quanto era capricciosa, aveva mai reagito così.

Sta succedendo di nuovo, te ne rendi conto o no?!” disse, parlando di qualcosa di cui non ero a conoscenza. “Ci siamo già passati di qua, con la persona a cui Klaus aveva già regalato quel ciondolo. E ricordi com'è finita, Elijah, so che lo ricordi.”

Guardai il ciondolo, l'unica cosa che mi era chiara, era che Klaus aveva già dato quel ciondolo ad un altra persona, probabilmente una donna, e che quella persona non era ben ricordata da Rebekah. Elijah non rispose subito, la stava fissando e stava probabilmente pensando alle parole più giuste da rivolgerle.

Il passato è passato, Rebekah. E non voglio aggiungere altro, lo sai perché.” rispose.

Seguì un profondo silenzio, un tuono tagliò il cielo in due e ci annunciò che stava per scoppiare un bel temporale. Che però era scoppiato da un pezzo, almeno tra di noi.

E io non potevo più sopportare tutta quella situazione, non si poteva affrontare una tempesta da sola. Ed era chiaro che Elijah e i suoi fratelli stessero nascondendo più cose di quanto credessi.

Mi strappai il ciondolo dal collo; non m'importava che Klaus me l'aveva regalato e mi avvicinai a Rebekah. Le presi la mano e lo lasciai cadere sul palmo, poi mi diressi lentamente verso il cavallo.

Mi veniva da piangere, perché quello che stavo per fare non sapevo se considerarlo giusto o sbagliato.

Irina, dove vai?” mi chiese Elijah confuso. Aveva imparato a conoscermi e quindi sapeva che quel mio modo di comportarmi non era da me. Salii a cavallo, sempre nella mia maniera goffa, e lo incitai a partire. Elijah cercò di fermarmi, ma lo ignorai.

Corsi via sotto le prime gocce di pioggia che iniziarono a cadere su di me.

Non mi importava se mi sarei rotta qualcosa o se mi sarei persa: dovevo raggiungere Rose e farmi dire da lei la verità.

Era l'unica di cui potevo fidarmi purtroppo, dovevo rassegnarmi ad aver perso anche Elijah.

Non potevo stargli vicino fin quando non avessi saputo la verità, anche se questo mi uccideva dentro. Non volevo più segreti.

* * * *

Fermai il cavallo di fronte alla casa di Rose.

Ero completamente fradicia e infreddolita e corsi dritta verso la porta. Bussai ripetutamente, dovevo fare in fretta se dovevo tornare da Katerina in tempo.

Poi, in caso di risposta affermativa da parte di Rose, l'avrei portata via da quel paradiso di carta, che poteva bruciarsi con una sola vampata di fuoco. Non mi aprì nessuno, ma riuscivo a scorgere all'interno della casetta, le fiamme che bruciavano nel camino.

Bussai di nuovo, con più vigore, e Rose venne subito ad aprirmi. I suo occhi verdi mi lasciarono subito perplessa; sembrava quasi seccata di vedermi e non mi era mai sembrato di farle quell'impressione.

Irina, che ci fai qui...da sola?” mi chiese, guardò dietro di me come se si aspettasse di vedere qualcuno. Le chiesi gentilmente di farmi entrare, ma appena feci un passo in avanti, lei si parò davanti alla porta. “Non posso farti entrare, se non sei insieme a lord Niklaus o lord Elijah.” disse duramente.

La guardai confusa, da quando li chiamava addirittura con l'appellativo lord? Delle volte mi era sembrato, che non volesse nemmeno pronunciare i loro nomi.

I suoi occhi incontrarono i miei, sembrava però che volesse farmi entrare: in effetti ero zuppa dalla testa ai piedi e dovevo avere un aspetto a dir poco spaventoso. Non poteva abbandonarmi anche lei, era l'unica persona che mie era rimasta e di cui potevo fidarmi. Le presi le mani, pregandola di guardarmi e lei lo fece.

Vampiri.

Le mie labbra si mossero in quella semplice parola, che sembrò terrorizzarla.

La ripetei diverse volte, lasciando che le mie labbra si muovessero lentamente, anche se lei sembrava aver capito da un pezzo.

I vampiri non esistono, Irina. Ti prego, non dire sciocchezze.” rispose Rose, si liberò con durezza della mia presa e mi guardò con aria di rimprovero. Ma perché stava mentendo? Aveva sempre cercato di dirmi qualcosa e ora che ero disposta ad ascoltare, si stava tirando indietro?

Allora dissi Klaus, era il nome più semplice che le mie labbra potessero lasciar capire, senza che ne uscisse una parola. Ed era il nome che continuavo a temere sempre di più.

Rose rabbrividì di nuovo e non per la folata di vento che ci investì. “Irina, Klaus è un gentiluomo. Non farà del male né a te, né a Katerina. Non devi dubitare.” disse.

Come non potevo dubitare? Mi aveva dato della verbena che poi era magicamente scomparsa per mano di quel nobiluomo.

La guardai con le lacrime agli occhi per la disperazione.

Ora ,ti prego, torna a casa. Potresti ammalarti.” continuò Rose, fece per chiudermi la porta in faccia, ma non glieli permisi. Avrei voluto gridarle di non farlo, anche se non potevo, ma la mia espressione bastò comunque a smuoverla.

Io e Trevor gli siamo fedeli, Irina. Non faremo o diremo nulla che possa indispettirlo!” esclamò furiosa.

Allora capii subito: Klaus l'aveva minacciata. Non c'era altra spiegazione logica alle sue parole, che prima non sarebbero mai uscite dalla sua bocca.

Trovai nei suoi occhi verdi, pieni di paura, la risposta che cercavo e che lei aveva cercato di darmi la sera prima. Arretrai lentamente, Rose mi seguì con lo sguardo ed era evidente quanto fosse dispiaciuta. Per avermi chiuso la porta in faccia e per non avermi aiutata.

Ma non gliene avrei fatto una colpa: Klaus era sicuramente arrivato a minacciarla, per impedirle di parlare. Perché quello che Rose aveva da dire era la pura è semplice realtà.

Klaus, Rebekah e persino Elijah...erano solo una bugia, non erano le stelle bellissime e perfette come si mostravano, anche se Rebekah non si era nemmeno sforzata di apparire come tale.

Erano l'oscurità pronta ad inghiottirci, nel sangue e nella morte. E il pensiero che anche l'immagine di Elijah stava cambiando, nel mio cuore e nella mia mente, mi fece male.

Rose non mi fermò quando mi vide correre verso il cavallo, ci salii più velocemente che potei e mi diressi verso la strada che mi avrebbe riportato a quella che non era più casa mia.

Era ora che io e Katerina ce ne andassimo. A qualsiasi costo.

* * * *

Le pioggia si mescolava con le lacrime che bagnavano il mio viso.

Rabbia. Dolore. Paura.

Erano le uniche cose che mi impedivano di fermare il cavallo e mettermi a piangere disperata in un angolo. Pensavo di aver trovato qualcosa di bello in Inghilterra, non quei sentimenti che già conoscevo bene.

Mi sentivo una stupida a non averlo capito prima: era tutto troppo irreale per essere vero. Mossi più forte le redini del cavallo, per farlo andare più veloce. Dovevo raggiungere subito Katerina; non avevo più la sicurezza che fosse al sicuro in quella villa da sogno.

Guardai di fronte a me e mi accorsi di un ombra in lontananza, un ombra che doveva aver scorso il mio cavallo ma che non accennava a muoversi di là.

Ma non mi fermai, chiunque fosse voleva che lo investissi e io l'avrei accontentato.

Non m'importava cosa sarebbe successo, dovevo giungere la destinazione il prima possibile.

Qualcosa volò in mezzo alla strada, parandosi tra me e quella strana ombra: il corvo, il mio tramite tra la bugia e la verità. Ormai lo avrei riconosciuto anche tra migliaia di corvi, le sue piume simboleggiavano solo dolore per i miei occhi.

Gracchiò, il suo verso riecheggiò tra gli alberi della foresta e il cavallo perse il controllo.

Si fermò di colpo, si tirò su sulle zampe posteriori e mi fece cadere, prima di correre via a tutta velocità. Lo scontro con il terreno fu terribile: rotolai nel fango, non sentii più il braccio destro e la testa iniziò a farmi male. Cercai di alzarmi ma il dolore al corpo mi impediva di compiere qualsiasi movimento.

Stavo per svenire, mentre dentro la mia testa gridavo di restare sveglia il più possibile.

Restai con lo sguardo verso il cielo, quando sentii dei passi avvicinarsi a me: un uomo incappucciato mi si fermò accanto, il corvo sulla spalla e il capo chino su di me.

Riuscii a girare la testa verso di lui per guardarlo e lui si tolse il cappuccio.

Occhi di ghiaccio, come lo avevo ormai nominato, mi fissò.

Si piegò su di me e appena cercò di toccarmi, lo aggredii con l'unico braccio che riuscivo a muovere.

Provai a graffiarlo, ma lui mi trattenne con estrema facilità.

Poi ,mentre con una mano mi stringeva il polso, con l'altra posò un panno sulla mia bocca.

Mi guardò con freddezza mentre piangevo e mi dimenavo.

Lentamente mi prese sonno: sentivo il corpo farsi sempre più leggero, quasi immateriale, e la vista si appannò completamente.

Persi i sensi e l'ultima immagine che vidi, fu il volto di occhi di ghiaccio offuscato dalle mie lacrime.




Ciao a tutti!

Che ne pensate di questo capitolo?

Nel prossimo verranno (finalmente!) chiarite diverse cose che riguardano Irina e il perchè occhi di ghiaccio (di cui verrà anche rivelato il nome) le stia dando la caccia. Inoltre Iry si troverà in una situazione davvero complicata, da cui non saprà davvero come uscirne...

Grazie davvero infinite a tutti coloro che leggono questa storia, chi in silenzio e chi lasciando bellissime recensioni!

E ringrazio anche coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, preferite ecc...siete davvero uno stimolo per andare avanti con la storia!

Alla prossima, ciao! :)
















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Capitolo 9
*** The Story ***


    -The Story-

Non riuscivo ad aprire gli occhi.

Sentivo un peso che non mi doveva appartenere, quello del mio corpo intorpidito e indolenzito. Una forte sensazione di calore mi bruciava il volto, come se una fiamma si trovasse proprio di fronte a me.

E infatti era così.

Quando aprii gli occhi, mi ritrovai di fronte un camino acceso: la legna crepitava e le fiamme zampillavano davanti ai miei occhi in una specie di danza, che riuscì a catturare completamente il mio sguardo. Non riuscivo a capire perché quel fuoco mi colpisse tanto, forse perché avevo la testa priva di qualsiasi ricordo e pensiero.

L'unica cosa di cui ero sicura era quel calore che bruciava la mia pelle.

Mi accorsi di essere distesa, sul fianco destro su una superficie fredda e ruvida, un bel contrasto con l'intenso calore che avevo di fronte. Strabuzzai gli occhi e mi sforzai di girarmi a pancia in su, ma fu il dolore ad impedirmelo: il braccio, non sapevo nemmeno dire se quello destro o quello sinistro, si schiacciò sotto la mia schiena e percepii un dolore fortissimo.

Avrei gridato per quanto mi faceva male, ma mi limitai a stringere i denti e chiudere un attimo gli occhi. Mi accorsi di un'altra cosa, che avevo ignorato per quanto fossi stordita: ero legata, i miei polsi e caviglie erano stretti da delle corde. Le guardai come se fossero serpenti velenosi che mi avevano incatenata e cercai di liberarmi di loro. Ma fu tutto inutile, il braccio gridava pietà ad ogni movimento brusco e quelle corde erano talmente strette che mi graffiavano la pelle.

Se avessi cercato di liberarmi, quelle mi avrebbero segato mani e piedi probabilmente.

Ma come ci ero finita là? Non avevo alcun ricordo, mi sembrava di aver vissuto l'ultima giornata in un buco nero. Cercai di non farmi prendere dalla disperazione, anche se le lacrime già bagnavano i miei ricordi.

Ti sei svegliata...” disse una voce.

Sobbalzai, mi guardai attorno ma non riuscii a scorgere nessuna figura nell'oscurità.

Mi trovavo in una specie di stanzone vuoto, le finestre erano sbarrate e non avrei potuto dire dove si trovava la porta di uscita per quanto fosse tutto così dannatamente buio.

Allora sentii dei passi, dei passi felpati che si avvicinavano a me.

Strisciai all'indietro e finii di schiena contro il muro; fu un movimento talmente rapido che diedi una violenta botta al braccio, già di per sé malridotto, e alle spalle.

Finalmente quella voce glaciale e dall'accento di una terra lontana assunse un volto.

Occhi di ghiaccio mi fissò intensamente.

I suoi occhi però non sembravano celare cattiveria, anzi mi guardava quasi con gentilezza.

Se non avessi saputo per certo che non era uno dei buoni, viste tutte le situazioni in cui me lo ero ritrovata davanti, avrei anche potuto credere a quella sua espressione protettiva.

Lentamente, i ricordi affollarono di nuovo la mia mente: io e Kat che parlavamo, la ragazza mora con i puntini sul collo, lo scontro con Klaus, la cavalcata insieme ad Elijah e Rebekah e poi la mia fuga da Rose. E infine,il corvo che mi tagliava la strada e lui ,la sua mano che mi serrava la bocca per farmi perdere i sensi....

Poi, il nulla.

Pensai subito a Katerina, ora che sapevo chi erano Klaus ed Elijah dovevo tornare da lei e portala via, prima che le facessero del male. Provai a divincolarmi con forza, ignorando il braccio e i polsi che venivano raschiati dalle corde spesse: volevo solo fuggire, raggiungere mia sorella e portala lontano da tutto quell'inferno.

Ma era un pensiero che, probabilmente, non avrebbe mai ottenuto una realizzazione.

Ero in trappola, forse con un nemico più pericoloso di Klaus. Ma lui non lo batteva nessuno.

Stai ferma, hai il braccio ridotto male e hai bisogno di cure mediche.” disse lui, si chinò su di me e allungò le mani verso le mie gambe. Le tirai a me in un gesto rapido e mi strinsi di più contro la parete. Occhi di ghiaccio parlava un po' in inglese e un po' in bulgaro, probabilmente a seconda di come riusciva a tradurre ciò che voleva dire.

Ma il suo accento era tedesco: non ne avevo dubbi, avevo sentito mio padre parlare con un uomo originario della Germania quando ero bambina e quell'accento mi era rimasto impresso.

Forse perché avrei tanto voluto esser capace di parlarlo o magari mi piaceva solo quel suono duro e a tratti anche rude.

Irina, non devi aver paura. Non voglio farti del male.” disse ancora lui.

Lo guardai incredula: le corde, la botta in testa e il braccio che pulsava provavano il contrario.

Per non parlare di tutte le volte che mi era parso davanti, spingendomi nell'inferno.

Feci scorrere lo sguardo nell'oscurità, alla ricerca del corvo che mi aveva portato alla realtà di sangue che mi circondava. Ma non c'era; speravo quasi di rivederlo perché mi era più simpatico di Occhi di ghiaccio.

Non che mi fidassi anche di quella bestia: l'ultimo ricordo che avevo di lei era sulla spalla dell'uomo.

Io mi chiamo Micah.” L'uomo parlò lentamente, come se stesse interagendo con una bambina piccola e spaventata. Mi sorrise e allungò le mani verso il mio viso, chiusi gli occhi di scatto.

Non mi ero accorta di avere i capelli di fronte al viso e lui li portò dietro le mie orecchie in un gesto estremamente delicato. Una sensazione di fresco m'investì la pelle, probabilmente ero accaldata in viso per colpa della fiamma che bruciava di fronte a me fino a poco prima.

E tu sei Irina Petrova. So moltissime cose sul tuo conto, anche se ti aspettavo...diversa. Mi sono stupito quando ho scoperto che sei così...innocente.”

Lo guardai con occhi interrogativi, non capivo di cosa stesse parlando e volevo solo vederci chiaro.

Perché mi hai seguito? Perché quel corvo maledetto mi ha messo in guardia dai vampiri? Perché sono legata in uno stanzone buio, con te?

Erano tante le domande che avrei voluto porgergli, ma non potevo farne nemmeno una.

Dovevo solo contare sul fatto che quel Micah fosse abbastanza acuto da capire cosa volessi sapere. Anche se avevo in mente un paio di risposte plausibili: Micah mi aveva fatto mettere in guardia dal corvo, ancora non sapevo come però, non perché volesse proteggermi. Ma perché voleva solo isolarmi per poi rapirmi.

Ma cosa avevo di così importante da farmi cadere in quella situazione?

Micah si alzò in piedi “Presumo tu abbia molte domande che ti ronzano in testa. Ne hai sempre troppe ma sei restia ad arrivare subito alle conclusioni, anche se l'evidenza parla chiaro.” disse, quasi come se volesse farmi una critica. Mi mandò in bestia, aveva pure il coraggio di farmi sentire più stupida di quanto già non mi sentissi. “Non te ne faccio una colpa, voi ragazzine impazzite tutte per quel Klaus e per suo fratello. Io non li trovo nemmeno così belli.”

Inarcai un sopracciglio, cercava di fare il simpatico in quel modo? Beh, non ci riusciva.

L'unica cosa che riusciva ad ottenere era farmi rimpiangere gli Originali.

Sopratutto Elijah.

Abbassai lo sguardo quando ripensai a lui; perché non mi ero fidata? Insieme a Rose e Katerina, lui era davvero l'unica persona da cui potevo realmente avere appoggio.

Se non fossi fuggita da lui, forse non sarei stata in quella situazione.

Partiamo dall'inizio..” continuò Micah, andò a prendersi una sedia, nascosta nel buio, e la trascinò di fronte a me. Si sedette e posò i gomiti sulle sue ginocchia, come se si stesse accingendo a raccontare una storia. Intrecciò le dita, erano così lunghe e affusolate che sperai non volesse mai picchiarmi. “Io sono quello che viene chiamato comunemente...stregone.”

Esistevano pure le streghe e gli stregoni? Non che mi sorprese, dopo i vampiri potevo credere a qualsiasi cosa, ma speravo vivamente che fosse un semplice umano.

Già era più alto e robusto di me, quindi era più forte di quanto potessi esserlo io. Figuriamoci se aveva pure dei poteri sovrannaturali.

Come sarei riuscita a scappare? Lui sorrise della mia sorpresa, allungò la mano verso il fuoco e riuscì a spegnerlo e riaccenderlo, semplicemente affilando lo sguardo.

Guardai il buio e la luce che si susseguivano, trattenendo il respiro.

Sono molto forte, Irina. Ma non abbastanza per strapparti dalle grinfie di Klaus e i suoi fratelli in uno scontro diretto. Quindi, ecco il perché del corvo.” continuò Micah. “Era l'unico modo che avevo per poter..diciamo, comunicare con te e aprirti quei grandi occhi blu, che hai sempre continuato a tenere chiusi.”

Questo mi faceva pensare che forse era lui a compiere gli omicidi di quelle ragazze e non Klaus.

Micah non era un vampiro, lo avevo incontrato anche di giorno. Ma forse, con una specie di magia, avrebbe potuto fare in modo che risultasse colpa di un vampiro. O forse era un ragionamento piuttosto contorto? In realtà, avevo sempre sospettato di lui: Klaus non avrebbe mai attirato l'attenzione, uccidendo le “sue” donne in quel modo così teatrale.

E il fatto che io e Katerina non avevamo segni di morsi o altro ne era anche una minima prova.

Lui non capì la domanda che mi ronzava in testa in quel momento, si passò una mano tra i lunghi capelli neri e sospirò. “E quando dico che io non voglio farti del male, dico la verità. Non sei qui per un mio capriccio o per una mia strana perversione..”

La paura m' invase, pendevo ormai dalle sue labbra ma Micah aveva serie difficoltà a parlare velocemente, vista la mancata perfezione nella conoscenza di inglese e bulgaro.

Sono qui perché sono vincolato ad una persona, una persona che per me ha fatto tanto.” disse, tornando a guardarmi. “E io devo portarti da lui. Non posso dirti perché ti cerca e nemmeno perché abbia scelto proprio te...te lo dirà lui di persona, quando ti porterò al suo cospetto.”

Restai con gli occhi sbarrati.

Lui. Scelto.

Erano quelle le parole che mi erano rimaste più impresse da tutta quella frase.

Voleva dire che dietro tutta quella storia, c'era un'altra figura, ancora più spaventosa di Micah e Klaus messi insieme? Almeno di loro conoscevo i volti, di questo Lui non sapevo nulla.

Anche se lui sapeva tutto di me, a quanto sembrava.

E Micah voleva portarmi via, lontano da mia sorella, dall'Inghilterra e dalla mia libertà.

Non glielo potevo permettere. Cercai di liberarmi dalle corde con più forza e decisa a usare tutta la mia tenacia per riuscire a scappare. Micah mi incitò a star ferma, una volta con più calma.

Ma lo ignorai, i polsi iniziarono anche a ferirsi talmente tanto da sanguinare.

Sta ferma...” ripeté lui, ancora con più calma.

Continuai a non sentire le sue parole. Mi divincolai con più forza e non feci caso al dolore, troppo forte ormai, che sentivo sulla mia pelle.

Ti ho detto di stare ferma!” gridò lui.

All'improvviso, mi mancò il respiro. Non perché fossi in ansia o perché fossi troppo spaventata: qualcosa di invisibile mi stringeva il collo, mi bloccava il respiro, troppo forte affinché potessi combatterla. Mi ritrovai a tossire, ma non riuscivo proprio a prendere aria. Alzai lo sguardo su Micah, i suoi occhi erano sbarrati e avevo l'impressione che stessero diventando rossi per lo sforzo.

Mi stava uccidendo.

Tutto terminò quando si accorse che stava facendo qualcosa per soffocarmi, riprendemmo fiato insieme e io caddi da un lato, in preda al bisogno di aria.

I miei polmoni l'accolsero velocemente e i miei occhi si riempirono di lacrime.

Oh dio,dio...scusami Irina!” Micah si chinò velocemente su di me, alzai lo sguardo su di lui e mi parve di leggere della preoccupazione nei suoi occhi troppo chiari.

Ma sempre perché gli servivo viva, per portarmi da lui.

Cercò di allungare la mano verso il mio viso, ma io mi ritrassi velocemente.

Non doveva permettersi di toccarmi, né con le sue mani e nemmeno con le sue prese invisibili. Quanto avrei desiderato avere la possibilità di prenderlo a calci e fuggire via.

Micah prese un lungo respiro. “Ho perso il controllo. Ma tu non hai idea di quanto poco tempo mi resti per portarti da lui” mi spiegò, come se volesse giustificarsi. “Non credo che me ne farà una colpa, se mi è capitato di perdere il controllo.”

Allora mi accorsi che non stava parlando con me, ma a sé stesso. C'era una luce di paura nei suoi occhi, come se lui fosse così spaventoso da poterlo punire in caso mi avesse ferita.

Ma cosa avevo di così speciale, da essere rapita e, allo stesso, tempo chiusa in una specie di teca di cristallo?

Ripresi lentamente a respirare sempre più regolarmente e la debolezza si fece più intensa quando arrivò anche il sonno e la fame. Chissà che ore erano e da quanto tempo ero rimasta svenuta.

Micah si passò una mano sulla bocca. “Vado a prenderti qualcosa da mangiare.” disse, rialzandosi in piedi. “So che non mangi carne, perciò rimedierò qualcosa di vegetariano.”

Rimasi distesa sul pavimento e alzai lo sguardo su di lui, non mi sorprese che sapesse anche quel piccolo dettaglio della mia vita. Micah sembrava conoscere tutto di me, ma non sapeva nulla dell'uomo che lo aveva mandato qui.

E forse, mi serviva più che sapesse certe informazioni, che dettagli della mia esistenza.

Mi raccomando, stai buona. Tanto non puoi andare da nessuna parte.” mi ricordò, quasi con gusto.

Mi misi a sedere e lui uscì attraverso una porta nascosta nel buio, che io non riuscivo a vedere.

Non potevo far altro che aspettare e mettere in atto un piano per poter fuggire da quella situazione.

* * * *

Non sapevo quanto altro tempo fosse passato.

Gridavo ai miei occhi di non chiudersi, ma avevo troppo sonno per non cedere.

Intanto iniziai a pensare le cose più folli, forse per via della stanchezza, della fame e del mio forse inappropriato romanticismo: speravo che da quella porta entrasse Elijah, sconfiggesse Micah e mi portasse via.

Una cosa davvero stupida, vista la sua origine di vampiro.

Non sarebbe entrato lì dentro armato di spada e scudo, ma di denti aguzzi e sete di sangue. Francamente non volevo vederlo all'opera, nemmeno per salvare me.

Un sorriso di consapevole stupidità apparì sul mio viso. Chissà perché pensavo a lui; per quanto ne sapevo, poteva aver giocato con me proprio come aveva fatto Klaus.

Ormai non sapevo più a cosa credere, mi sembrava tutto così terribilmente assurdo.

I miei pensieri si allontanarono dai loro volti e si avvicinarono a mia sorella.

Allora provai una forte morsa al petto: lei non aveva la minima idea di ciò che la circondava, avrebbe potuto trovarsi in pericolo proprio in quel momento, mentre io ero legata in quello stanzone vuoto.

In preda alla disperazione, diedi due colpetti con la testa, alla parete dietro di me.

Perché non avevo la furbizia necessaria per elaborare un piano di fuga?

Mossi i polsi, ma ogni movimento era una tragedia per la mia pelle.

Mi sembrava di non averla più nei punti dove erano strette le corde.

Il cigolare della porta ruppe il silenzio.

Non avevo grandi aspettative, perciò non mi stupii quando vidi tornare Micah, con in mano una ciotola di cibo e nell'altra quella che sembrava una brocca d'acqua.

Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai ad annusare l'odore di quello che c'era nella ciotola.

Era un odore che non riuscivo a riconoscere in realtà, ma ero sicura fosse cibo.

Mi vergognai di me stessa, quando la pancia iniziò ad implorarmi di accettare quel cibo, malgrado il mio cervello mi ricordava che poteva essere avvelenato o drogato.

Allora..” Micah tornò ad occupare la sedia di fronte a me. “Prima bevi, poi mangi.”

Mi mostrò prima la brocca, poi la ciotola.

Si piegò su di me, riempì un bicchiere e lo avvicinò alle mie labbra.

Su, apri la bocca.” mi disse.

Guardai l'acqua, con un intenso desiderio di berla.

Le fiamme che bruciavano nel camino accanto a me si riflettevano sul vetro del bicchiere, unendosi in una specie di gioco di contrasto con il liquido trasparente che oscillava da un lato all'altro del bicchiere. Non sapevo perché, ma lo presi come un segnale per non berla.

Usai la poca forza che avevo, per alzare i piedi e colpire il bicchiere.

Micah non si aspettò quel gesto e seguì con lo sguardo il bicchiere che andava a schiantarsi sul pavimento.

Poi arrivò il suo turno di stupirmi: pochi secondi dopo, senza nemmeno darmi il tempo di ribellarmi, mi afferrò i capelli. Li strinse duramente, mi portò la brocca alla bocca e lasciò scivolare l'acqua sulle mie labbra. Per poco mi strozzai; avrei quasi preferito che succedesse, ma solo per fare un dispetto a Micah.

Così poi, lui gliele avrebbe suonate di santa ragione.

Devi soddisfare tutti i tuoi bisogni, Irina.” disse, quando il suo diabolico piano per farmi bere fu terminato.

Tossii più volte, Micah prese un tovagliolo dalla sua tasca e mi asciugò il mento.

Provai a ribellarmi di nuovo, l'ultima volta che mi aveva messo la mano sulle labbra avevo perso i sensi. “Non posso condurti al suo cospetto assetata e affamata...” disse ancora, quando terminò di asciugarmi il viso, si voltò per prendere la ciotola e l'avvicinò a me.

Erano patate e pomodori, non avevano un aspetto invitante, ma in quel momento mi sarei mangiata anche una pietra. Prese un cucchiaio di legno e me lo portò davanti al viso.

Dì a!” disse e pensai nervosamente che neppure mia madre faceva così quando ero bambina.

Poi io nemmeno potevo dire quella vocale.

Micah tradusse il mio sguardo freddo e sorrise. “E dai, cercavo di smorzare questa tensione.” disse, poi avvicinò di più il cucchiaio alla mia bocca. La tentazione era più forte della mia resistenza. “Non è avvelenato, Iry. Lo stesso valeva per l'acqua.”

Ma malgrado mi sembrasse sincero, non accettai lo stesso il suo cibo.

Primo,non volevo farmi imboccare da lui e secondo, non volevo accettare nulla da parte sua. Se voleva poi infilarmi il cibo di bocca con la forza, avevo già in mente di sputarglielo addosso per vendetta.

Micah sospirò. “Accidenti! Per tutto questo tempo che ti ho seguita, non mi parevi così ostinata!” disse e si tornò a sedere sulla sedia, con un espressione di resa sul viso. “Sei stata vicino a quei mostri per tutto questo tempo e ora fai la diffidente con me? Roba dell'altro mondo!”

Rise, forse per le sue parole o forse per la mia innata stupidità.

Nell'oscurità di quella stanza, ero diventata più consapevole di essere stata davvero una stupida e lui non faceva altro che sottolinearmelo.

Se vuoi, ti racconto una storia...sai, in quel piccolo libro che ti ho fatto trovare, non c'è tutta la loro vita.” disse. Se voleva attirare la mia attenzione, ci era riuscito: l'unica cosa positiva che potevo ottenere da tutta quella brutta faccenda era almeno sapere chi erano le persone che mi avevano circondato per tutto quel tempo.

Micah prese un lungo respiro, sembrava si stesse preparando ad un racconto prolisso e parecchio spaventoso. “In verità nemmeno io sono stato granché informato al loro riguardo, il mio padrone preferisce tenermi all'oscuro di molte cose. Dice che sapere troppo confonde e disorienta, sopratutto se si ha un obiettivo da portare a termine. Che nel mio caso sei tu.” disse e mi indicò, in quel frangente abbassai lo sguardo. “Sai, tu sei la prova della sua teoria: hai saputo troppo, ma non hai concluso nulla. Ma torniamo a Klaus e alla sua famiglia di mostriciattoli.”

Quel termine che usciva dalla sua bocca mi faceva innervosire; parlava proprio lui che aveva poteri magici di quel livello? Klaus almeno non mi aveva mai tirato per i capelli, fino ad allora.

Allora, Klaus e tutti i membri della sua famiglia sono stati i primi vampiri mai esistiti. Sono originari di una zona dell'Europa orientale, non so quale di preciso, ma poi si sono trasferiti in una terra molto lontana. Un nuovo mondo, oserei dire”

Non so come andarono le cose in quel periodo e perché successe, ma so che fu una maledizione a trasformarli in vampiri: una maledizione a cui loro stessi diedero inizio. La natura però non apprezzò quella sfida che gli fu lanciata: il sole bruciava la loro pelle e la verbena, la pianta che cresceva sotto la Quercia originaria usata per il rituale, poteva ferirli e ridurre il loro potere di ammaliamento. Ma, a quanto pare, la vinsero loro la sfida: gli Originari non possono essere uccisi del tutto, per quanto ne so. Se si cosparge della cenere della quercia originaria su un pugnale magico si può renderli morti, ma solo fino a quando il pugnale non viene nuovamente estratto.”

Ero rimasta ad ascoltarlo a bocca aperta.

Diceva di saperne poco sugli Originari, ma ne sapeva di più di quanto ci fosse scritto su quel libro. Deglutii, al pensiero che non avrei comunque potuto difendermi da Klaus e famiglia, sempre se li avessi rincontrati, perché non avevo idea di dove trovare il materiale necessario. Ma non mi era chiaro come camminassero alla luce del sole: forse avevano sviluppato una specie di immunità ai raggi solari?

Non so nient'altro. Solo un'altra cosa: Klaus, Elijah e Rebekah stanno fuggendo da secoli da qualcuno. Qualcuno che li vuole morti...o che almeno vuole sicuramente morto stecchito Klaus. Non so di chi si tratta, Klaus ha troppi nemici, ma so che è molto potente e che potrebbe essere coinvolto con le morti di quelle ragazze.”

Lo guardai senza capire, stavo oramai convincendomi che ci fosse lui dietro quelle morti.

Anche se non avevo prove che lo potessero dimostrare.

Sono quasi costretto a lanciare una lancia in favore di Klaus. Sospettavo che fosse lui ad uccidere, ma non è così. C'è qualcun altro dietro quelle morti, qualcuno che vuole ferire Klaus il più possibile prima di dargli il colpo di grazia. Qualcuno che gli da la caccia da secoli.”

Scossi la testa: troppe informazioni che non riuscivo a collegare e mi ritrovai a combattere dentro la mia testa. Quindi c'era qualcuno che voleva così male a Klaus,in particolare, da spezzare le vite di quelle fanciulle?

Ho cercato di uccidere quell'assassino, quando ho appiccato l'incendio. E ho avuto così la conferma che Klaus era estraneo a quei fatti, quando l'ho visto recuperarti dalle fiamme.”

Aveva anche appiccato lui l'incendio, solo per illuminarmi su quanto stava accadendo.

Peccato però, che stava quasi per uccidermi quel giorno. Mi chiesi che senso avesse uccidere quelle ragazze: a Klaus importava relativamente poco di loro probabilmente, per lui erano solo involucri di carne e sangue di cui cibarsi.

Scommetto che ti stai chiedendo perché uccidere quelle donne per ferire Klaus, uhm?”

Micah prese un lungo respiro e alzò lo sguardo.

Klaus ha un punto debole: la solitudine. Anche se non ha un cuore, e credimi quando ti dico che non ce l'ha, basta che lo chiedi a coloro che si sono messi sul suo cammino, Klaus non vuole restare solo e si circonda di persone che lo venerano come un dio. Quelle donne per lui rappresentavano l'altra metà, quella che ti gratifica e colma quel senso di vuoto che ti divora dentro chiamato appunto solitudine. Ma, da quel che ho visto, lui sembra particolarmente attaccato a Katerina. Non so per quale motivo a dir la verità, il mio padrone non mi ha rivelato niente di più. E se questo tipo che gli da la caccia, è così vicino a Klaus come penso io, non esiterà ad uccidere tua sorella per ferire quel bastardo. E sono sicuro che avrebbe ucciso anche te, Klaus si è mostrato quasi umano pure di fronte ai tuoi occhi. Quindi...mi dovresti solo ringraziare.” e sorrise, come se mi avesse fatto un piacere.

Lo guardai con occhi sbarrati.

Avevo paura, ma non tanto per me visto che ero già in una situazione pressoché critica, ma per Kat: poteva essere nel mirino della persona da cui Klaus scappava da secoli, senza rendersene conto.

E sarebbe morta, solo perché Klaus aveva mostrato interesse per lei.

Cercai di liberarmi; lo guardai con occhi imploranti per chiedergli di liberarmi e di permettermi almeno di avvisare mia sorella.

Poi mi avrebbe portato ovunque volesse, ma prima dovevo almeno salvare mia sorella.

Lui ignorò le lacrime che iniziarono a bagnarmi gli occhi. “Non se ne parla. Katerina non è un mio problema.” disse Micah, con tono duro. “L'unica cosa che mi preme adesso è portarti dal mio padrone e porre fine al vincolo che ci lega. E tu non ha la benché minima idea, di quanto attendessi finalmente questo giorno!”

Un rumore esterno lo fece voltare, riconobbi il trottare di un cavallo e il rumore delle redini che tagliavano l'aria, per incitarlo a muoversi. Micah si lasciò andare ad un sorriso liberatorio.

Bene. Il sole è sorto ed è ora di andare.” mi disse. “Mangerai strada facendo. Abbiamo un sacco di ore da affrontare..”

Mi slegò le caviglie, dandomi così l'opportunità di provare a colpirlo in viso con i piedi.

Ma lui anticipò i miei movimenti, troppo lenti e prevedibili per poterlo ingannare.

Non costringermi a farti un incantesimo per farti addormentare, Irina. Ti assicuro che non ti dona una sensazione piacevole!” mi rimproverò lui, mi prese violentemente per il braccio e mi costrinse ad alzarmi in piedi.

Barcollai; mi girava la testa per la fame e per il sonno e Micah premeva sul mio braccio, già malridotto, con troppa forza. Mi condusse nell'oscurità e la sua mano raggiunse un punto di fronte a sé.

Riconobbi il rumore di una porta che veniva aperta e ci ritrovammo in quella che sembrava essere una cucina. Era composta da pochi elementi, un tavolo in legno e due sedie poste vicino alla parete.

Il tavolo era sporco, probabilmente era lì che Micah aveva preparato il mio pranzo, rimasto poi in quella che era stata la mia cella per quelle ore.

L'unica cosa positiva che riuscivo a scorgere era la luce del sole, che lentamente sorgeva in cielo e allontanava l'oscurità. Dovevo aver passato tutta la notte rinchiusa là dentro.

Eccoci qui, la carrozza è pronta!” ridacchiò Micah, appena mi condusse all'esterno.

Mi guardai attorno, dovevamo ancora essere in Inghilterra, ma non avrei saputo dire se eravamo vicini o meno alla villa di Klaus. Ci circondava solo la foresta, gli alberi autunnali si stagliavano verso l'alto e un forte e gelido venticello soffiava su di noi. Cercai di fermare l'avanzata di Micah, affondando i piedi nel terreno ma lui era il doppio più alto e forte di me. Mi tirò a sé senza troppi problemi.

Irina, il posto dove ti sto portando è certamente migliore di quello dove hai vissuto fin'ora!” mi rimproverò. Lo ignorai e provai di nuovo a divincolarmi, ma per tutta risposta lui mi strinse il braccio dolorante e m'impedì di provare di nuovo a fronteggiare quel dolore.

Micah fece un cenno verso il cocchiere, un ragazzo che non riuscivo a vedere in volto per via del cappuccio che gli copriva il capo. Per un attimo, pensai fosse l'uomo che avevo visto fuori dalla finestra tempo prima, ma poi mi ricordai che era sempre stato Micah a seguirmi.

Gli disse qualcosa in tedesco e quello annuì, aprì lo sportello della carrozza e iniziò a liberarla da ciò che c'era all'interno. Mi divincolai di nuovo, con più forza e Micah perse la pazienza.

Lo avevo studiato bene in quei pochi momenti in cui ero stata abbastanza lucida da poterlo comprendere e mi sembrava un tipo alquanto irascibile. Forse non lo era di natura, ma il suo comportamento era provocato dalla paura che aveva nei confronti di Lui.

Lo venerava, ma allo stesso tempo lo temeva. E quando due elementi così contrastanti si uniscono in una cosa sola, c'è davvero da aver paura. Io provavo più o meno le stesse cose per Klaus appena lo conobbi e , infatti, si era rivelato essere un vampiro vecchio di secoli e secoli.

Irina, sta ferma!” gridò Micah, ma io continuai ad opporre resistenza, malgrado lui approfittasse del fatto che stringere così forte sul mio braccio mi avrebbe provocato un dolore immenso.

Vedendo la mia resistenza, Micah mi colpì con uno schiaffo.

Fu talmente forte che caddi a terra, su un fianco e sentì il labbro superiore bruciare. Sentivo Micah respirare affannosamente dietro di me. “Irina, tu non hai idea di quello che potrebbe farmi in caso non ti porti da lui.” esclamò con voce dura. “Non voglio morire per colpa tua, mocciosa.”

Morire? Quell'essere oscuro e senza volto di cui Micah parlava era addirittura disposto ad ucciderlo se non mi avesse condotta da lui? Beh non m'importava, la vita di Katerina era più importante e ora c'era anche un nemico invisibile di Klaus che minacciava la sua esistenza.

Non potevo proprio permettermi di cedere in quel momento.

Su, alzati.” Micah si chinò su di me, quando si accorse che non ero disposta ad alzarmi dal terreno.

In realtà nemmeno ci sarei riuscita; se ci avessi provato, lui mi avrebbe di nuovo afferrata all'istante. Restai così con la testa adagiata tra le foglie morte. Micah pensò che mi fossi fatta male e avvicinò la mano al mio viso. “Non ti sarai fatta male, spero?” disse, quasi allarmato.

Allora, trovai la forza necessaria per colpirlo con un calcio. Non fui veloce e rapida, ma lui era troppo preoccupato nel constatare che non avessi lividi sul viso per potersene accorgere.

Cadde di schiena sul terreno e io ne approfittai per scattare in piedi e correre dalla parte opposta.

Sentii delle voci rincorrersi dietro di me, probabilmente il cocchiere stava gridando a Micah di non farmi scappare e quest'ultimo era balzato in piedi, pronto a riprendermi.

Quanto odiavo essere così debole: le mie gambe non seguivano la velocità che imploravo loro di prendere e la fame mi attanagliava lo stomaco, facendomi quasi piegare in due per il dolore.

Micah fu dietro di me in un secondo, mi prese per i capelli e mi fece voltare verso di lui. Mi spinse fino ad arretrare contro il tronco di un albero e mi cinse il collo con una mano, togliendomi quasi il respiro. Le sue labbra erano serrate e dai suoi occhi sprizzavano scintille di rabbia e paura.

E pensare che mi aveva inseguita con pazienza per tutto quel tempo; magari allora che era quasi arrivato alla fine, sentiva il diritto di potersi lasciare andare alle sue debolezze.

Forse non ti è chiaro il concetto, Petrova!” mi urlò contro, la sua mano stringeva ancora il mio collo, anche se con meno forza. Provai a liberarmi, ma come al solito delle due forze, la più debole era la mia. “Io e la mia famiglia verremo spazzati via, se non sei da lui entro domani! Perciò, smettila di darmi noie o giuro, che...”

Si bloccò, quando un urlo alle sue spalle ruppe il silenzio.

Risuonò attorno a noi, prolungandosi nell'aria e colmando il silenzio della natura che ci circondava. Micah si voltò rapidamente e constatò che il cocchiere non si trovava più vicino alla carrozza.

Io me ne resi conto poco dopo, quando la sua mano lasciò la presa sul mio collo.

Ripresi lentamente fiato, mentre Micah si guardava attorno preoccupato e mi prendeva per un braccio.

Mi trascinò verso la carrozza, ma non opposi resistenza.

Sentivo dei rumori attorno a noi, come se l'aria venisse mossa troppo velocemente dalle gambe di qualcuno. Qualcuno che correva troppo veloce per essere umano.

Karl? “ lo chiamò Micah, con spettrale titubanza.

Si guardò attorno nuovamente e io feci lo stesso, ma sembravamo esserci solo noi in quella foresta.

Cercavi lui?” chiese una voce alle nostre spalle.

Con un movimento rapido, Micah si girò e mi obbligò a compiere il suo stesso gesto.

Davanti a noi si trovava Klaus; aveva il suo solito sorriso provocatorio sulle labbra, solo che stavolta era davvero diverso. Le sue labbra erano bagnate di un rosso intenso, che veniva messo in risalto dai deboli raggi solari che stavano sfiorando il suo volto.

Sempre perfetto, ma sporco di morte.

Anche se ormai ero quasi certa che lui fosse un vampiro, quella scena mi terrorizzò.

Klaus alzò qualcosa di pesante che aveva ai suoi piedi e che non avevo notato per via di quel sorriso di sangue che brillava sul suo volto. Era il cadavere del cocchiere: aveva gli occhi sgranati per il terrore e la bocca aperta in quello che era stato il suo ultimo grido. Avrà avuto più o meno vent'anni.

Micah tremò, quando Klaus lasciò cadere pesantemente il cadavere di Karl a terra. La sua presa sul mio braccio si allentò e qualcuno mi tirò a sé, apparendo alle mie spalle.

Elijah mi si parò davanti, era così vicino a Micah che, appena lui si voltò, si ritrovò il suo viso a pochi centimetri di distanza.

Sembrava terrorizzato, non riuscivo proprio ad immaginare che espressione avesse assunto Elijah per poterlo spaventare in quel modo.

Fine dei giochi. Se provi a toccarla di nuovo, ti ammazzo.” gli disse.

Deglutii, piegai la testa da un lato e scorsi gli occhi di Klaus che si posavano su di me. Le sue labbra si allargarono in un sorriso ancora più inquietante.

Micah si ritrovò così tra due fuochi ed iniziò ad arretrare appena i due fratelli iniziarono ad avanzare verso di lui.

Sai...Micah, giusto?” iniziò a parlare Klaus, con una pacatezza che sottolineava solo troppa rabbia pronta ad esplodere. “Credo di aver visto abbastanza...per poterti uccidere nella maniera più dolorosa. Uno schiaffo, le mani che tiravano i suoi capelli, la spinta....trovami un altro motivo per cui non dovrei ridurti a brandelli?” Klaus si portò il conto sulle dita.

Micah lo guardò terrorizzato, io dovevo avere lo stesso sguardo mentre lo vedevo arretrare come una preda in balia dei suoi predatori. Un topolino e due falchi, ecco cosa mi sembrava di vedere.

Elijah si voltò verso di me, la sua espressione era dura e rabbiosa.

Si addolcì solo per un'istante, per troppo poco, quando si accorse che ero più che terrorizzata.

Poi riprese la sua avanzata verso Micah, lo stregone allungò la mano verso di loro e forse cercò di fargli scoppiare la testa o che altro. Qualunque cosa cercasse di fare però, non ebbe alcun effetto.

Anzi fece scoppiare a ridere Klaus.

Ma lo sai quanti anni abbiamo? Credi che questi stupidi...abracadabra, possano avere un qualche effetto?” gli chiese.

Klaus, smettiamola con questi trucchetti. Ti ricordo che non siamo soli.” gli ricordò con voce dura Elijah.

Il fratello sembrò ricordarsi solo allora della mia presenza, voltò la testa verso di me e mi sorrise.

Credo che lo spettacolo ti piacerà, little sweetheart.” mi disse, facendomi rabbrividire. “È tutto per te!”

Come se ve ne importasse qualcosa di lei...è solo cibo per voi!” esclamò Micah, con voce tremante. Sembrava così duro e sicuro di sé con me e invece con Klaus ed Elijah si era ridotto ad un agnellino. Eppure il suo terrore non mi fece piacere, nonostante tutto quello che mi aveva fatto.

Non riuscivo ad immaginare il modo in cui il suo cuore doveva battere in quel momento, guardando le labbra scarlatte di Klaus e gli occhi penetranti di Elijah.

A me importa di lei.” precisò Klaus, con voce più dura. Elijah gli lanciò un'occhiata veloce. “Quello che le hai appena fatto, potrebbe arrecare molto dolore a sua sorella.” concluse poi il ragazzo.

Da come parlava, sembrava quasi che fosse venuto a salvarmi solo per il bene di Katerina.

Possibile che gli importasse tanto di lei, dopo tutto quello che avevo visto? Forse mi sbagliavo, forse ero troppo pessimista, ma non mi era sembrato che Klaus ci tenesse così tanto a lei, mentre guardava quella ragazza mora uscire dalla sua stanza.

O meglio, uno dei suoi cibi più prelibati che lasciava la stanza.

Non mi sentii in colpa, nel credere che il suo attaccamento per Katerina celasse ben altre intenzioni.

Klaus era tutto un enigma.

Sobbalzai, quando vidi Klaus scattare addosso a Micah: gli strinse il collo in una mano e gli ringhiò contro come una bestia famelica. Era un bene che non riuscissi a vederlo in volto in quel frangente.

Micah venne spinto contro un albero e i suoi occhi rimasero fissi su quelli di Klaus.

Chissà cosa stava vedendo in quel momento. Probabilmente gli occhi della morte.

Trattare così una donna è disdicevole pure per uno come me.” disse Klaus, con voce quasi gutturale.

Micah non provò a ribellarsi, rimase a fissarlo negli occhi e deglutì. “ Bell ti ucciderà Klaus.” disse, quasi con un ghigno. Come se gli stesse lanciando una maledizione.

Non ottenne però l'effetto che sperava, Klaus ed Elijah si lanciarono un'occhiata confusa.

Bell. Perché quel nome mi spaventava così tanto? Era lui la persona che aveva ordinato il mio rapimento? Un brivido mi corse lungo il corpo.

Scusa, dovrei conoscerlo?” gli chiese Klaus. “Non temo coloro che hanno un nome meno famoso del mio.”

Micah rise, in una risata che celava davvero molta paura. Ormai aveva accettato la consapevolezza di morire, gli occhi di Klaus dovevano avergli lasciato intendere tutto.

Lui è molto potente. Tornerà per la ragazza...” Micah mi indicò con un cenno del capo, rivolgendomi probabilmente il suo ultimo sguardo. “E allora..dovrai guardarti le spalle. Sul serio. Non ti conviene fartelo nemico, vampiro dei miei stivali.”

Klaus lo osservò a lungo, stava trattenendo a stento una risata. “Beh, questo...Bell si avvicinasse pure alla ragazza e ti assicurò che lui non avrà più delle spalle da cui guardarsi.” disse.

Klaus, facciamola finita.” ripete Elijah. “Non farmi essere ripetitivo.”

Va bene, vuoi tu l'onore?” Klaus si voltò verso il fratello e con un elegante gesto indicò la giugulare di Micah, come se fosse un'invitante piatto da gustare.

Elijah mi guardò con la coda dell'occhio, lo notai indistintamente.

Ti assicuro che io non saprei controllarmi.” aggiunse ancora Klaus, a denti stretti.

Elijah lo guardò, rimasero a fissarsi per invariabili secondi. “Nemmeno io.” disse e, prima che me ne accorgessi, la sua mano penetrò nel petto di Micah. Mi portai le mani alle labbra per l'orrore, mentre lo stregone aprì la bocca in un ultimo tragico grido.

Sgranò gli occhi chiari e li posò su Elijah, il suo angelo nero della morte.

Klaus assisteva alla scena, come se fosse divertente.

Pochi secondi dopo, Elijah ritrasse la mano e Micah si accasciò a pancia in giù sul terreno.

Il vampiro stringeva il muscolo che gli aveva appena strappato dal petto: il cuore e lo aveva fatto con una freddezza unica e senza pari.

Mi spaventò più delle labbra rosse di Klaus.

Quest'ultimo guardò il cadavere di Micah sul terreno.

Fortuna che dovevi essere più...delicato.” ridacchiò.

Elijah buttò prontamente il cuore nell'erba dietro di sé. “Posso solo immaginare quello che avevi in mente tu...” disse, sembrava che non avesse mai voluto incorrere in quell'azione. Lo aveva fatto solo perché covava una rabbia profonda e perché sapeva che Klaus non mi avrebbe risparmiato uno spettacolo ancor più disgustoso.

Quando si voltarono verso di me, mi sentii di nuovo padrona del mio corpo.

La sorpresa, la paura e l'orrore mi avevano impedito di pensare, muovermi e distogliere lo sguardo da quei due angeli della morte.

Ero rimasta a guardare per tutto il tempo, come se fossi una spettatrice invisibile.

Irina...” mi disse Elijah. Arretrai lentamente, quando li vidi avanzare entrambi verso di me, in un'elegante sincronia di passi che mi faceva paura. “Irina, guardami. Perdonami per quello che è appena successo. Ma sei al sicuro ora.”

Al sicuro.

Detto da un vampiro che aveva appena staccato il cuore dal petto di un uomo, faceva quasi sorridere. Klaus, a differenza del fratello, non si preoccupava dell'immagine spaventosa che aveva assunto ai miei occhi. Continuava a sorridermi, con quelle labbra sporche di sangue.

Andiamo, sweetheart. Non fare quella faccia, ti abbiamo appena salvato la vita!”

Provai a fuggire allora, usai tutta la poca forza che mi era rimasta per provare a scappare.

Almeno da loro.

Bel ringraziamento!” Klaus mi si parò davanti, con una velocità impressionante.

Per evitare di entrare in contatto con il suo corpo, mi arrestai di scatto e persi l'equilibrio cadendo all'indietro. Tremavo come una foglia, mentre guardavo le sua labbra sorridenti macchiate di sangue.

La luce del sole che continuava a salire in cielo, dietro di lui, creava una specie di aureola dietro la sua testa. Sembrava un angelo e un demonio al tempo stesso, bellezza e sangue si univano in una strana terrificante combinazione.

Niklaus, la stai spaventando.” disse la voce di Elijah dietro di me.

Non mi voltai a guardarlo, non riuscivo proprio a distogliere lo sguardo dalle labbra di Klaus. Il pensiero che anche il mio sangue avrebbe potuto bagnarle mi faceva tremare sempre più forte.

Klaus non lo guardò. “E smettila di essere così apprensivo, Elijah.” lo rimproverò, senza distogliere però lo sguardo da me. “È proprio per questo tuo comportamento che lei è scappata così tante volte. Se ci avessi pensato io, forse non saremmo a questo punto.”

Continuava a sorridere. Ma cosa lo faceva tanto divertire? Il fatto che fossi terrorizzata da lui?

Klaus si chinò su di me, con una velocità che continuava a sorprendermi.

Mi strinse il viso tra le mani, ogni mio tentativo di ribellione venne soppresso.

Lui non era Micah. Se lo avessi fatto arrabbiare, la sua reazione sarebbe stata ben più paurosa.

Di lui sì che avevo paura.

Non farlo. Magari potremmo spiegarle come stanno le cose....” propose Elijah, si avvicinò a noi e scorsi l'ombra della sua figura longilinea coprire la luce del sole che ci investiva.

Non riuscivo a guardarlo, Klaus mi impediva di muovere la testa con le sue mani.

Anche se è muta, si fa capire bene, Elijah. E preferisco farlo adesso, prima che riesca a procurarsi di nuovo della verbena.” disse Klaus, la sua espressione si fece dura e il sorriso si era spento. “E, perdonami se non mi fido ciecamente di lei, come fai tu.”

Cosa voleva fare? L'unico pensiero che mi venne in mente fu quello più spaventoso: uccidermi.

Magari avevo visto troppo, le labbra di Klaus e la mano di Elijah sporche di sangue erano una prova troppo evidente, per lasciarmi in vita.

Una lacrima mi scese lungo il viso.

Non volevo cedere a quella debolezza ma Klaus mi faceva troppa paura.

Oh no, non piangere.” disse Klaus, fingendosi dispiaciuto. Allungò il pollice e l'asciugò, ma il suo dolce gesto mi sembrava racchiudesse ben altro. “Se avessi voluto ucciderti, l'avrei fatto da un pezzo. Non credi?”

Deglutii, lui continuava a stringermi il viso e vidi i suoi occhi farsi sempre più vicini ai miei.

Non ti farei mai del male. Spero che questo non lo dimenticherai.” sussurrò, come se non volesse farsi sentire dal fratello. Le sue labbra si allungarono verso destra, creando una fossetta ai lati della bocca.

Lo avrei anche considerato un gesto dolce, se non ci fosse stato il sangue a colorare la sua pelle.

Lascia almeno che lo faccia io.” Elijah si chinò su di noi e finalmente riuscii a guardarlo.

Sembrava preoccupato, per me,per i miei ricordi e per quello che Klaus potesse farmi. Ma nonostante le sue intenzioni mi sembrassero più che nobili, mi sembrava ancora di scorgere il vampiro che aveva strappato senza pietà il petto dal cuore di un uomo.

Quel lato non sembrava visibile in quel momento, ma io sapevo per certo che c'era.

No, lo faccio io, Elijah.” disse serio Klaus.

Ma perché?”

Perché credo tu ti sia affezionato troppo.” Klaus voltò la testa verso di lui e gli lanciò un'occhiata gelida, che non si dovrebbe mai lanciare ad un fratello.

Forse a qualcuno come Rebekah e Ada sì, ma un fratello leale come Elijah non se la meritava.

Quando Klaus tornò a guardarmi, il suo viso si fece sempre più vicino. Per un attimo pensai che volesse posare le labbra sulle mie e invece si fermò a pochissimi millimetri. “Non ricorderai nulla di tutto questo. Dimenticherai di essere stata rapita da quell'uomo, di noi due e di tutto il resto. Quella di oggi è stata solo una noiosa giornata come tutte le altre. Questo Bell non esiste e non si avvicinerà mai più a te.”

La testa iniziò a pulsarmi, mi sembrava di avvertire la forza delle sue parole penetrarmi nella mente e colpirla, privandola della sua forza. Tutto cambiò, la testa e il corpo si fecero lontani e anche l'immagine di Klaus, Elijah e la foresta che ci circondava.

Senza che potessi far nulla per impedirlo, lasciai che la tensione e il dolore avessero il sopravvento su di me. E persi i sensi.

* * * *

Irina?”

Una voce dolce, familiare e molto vicina mi destò dal sonno.

Strizzai più volte le palpebre e riaprii gli occhi, di fronte a me si trovava Katerina.

Aveva un'espressione preoccupata sul volto e i suoi occhi neri mi scrutavano con attenzione.

Sorrise quando vide i miei fissarsi nei suoi.

Piccola, stai bene?” mi chiese, accarezzandomi dolcemente il viso.

Ero nella nostra camera; le candele erano accese e dalla finestra accanto al letto soffiava una leggera brezza notturna. Ci misi un po' per ricordare tutto e mi rizzai a sedere di scatto: il rapimento, le ore con Micah, l'arrivo di Klaus ed Elijah...le labbra bagnate di sangue, una mano che strappava ferocemente il cuore dal petto di Micah.

E poi le parole di Klaus che penetravano nella mia mente, cercando di sopprimere ogni mio ricordo.

Ma non era andata come voleva, io ricordavo tutto.

Ed ero certa di non aver assunto verbena, allora perché? Mi portai le mani alla testa, come se volessi percepire quale strano meccanismo non funzionasse in me.

Irina, calmati!” Katerina mi posò le mani sulle spalle, studiando l'espressione terrorizzata sul mio viso. “Hai avuto un incidente cadendo da cavallo. Klaus ed Elijah ti hanno trovata priva di sensi nella foresta.”

Era quella la favolosa bugia che Klaus aveva scelto, per giustificare il mio allontanamento.

Katerina pensava che la mia espressione sconvolta fosse dovuta al fatto che non ricordassi nulla.

E invece era proprio il contrario: ricordavo tutto purtroppo.

Presi lunghi respiri, mi sembrava che non ci fosse abbastanza ossigeno in quella stanza.

Katerina mi scosse dolcemente. “Irina, guardami!” mi disse, alzai lo sguardo su di lei e il suo sorriso mi sorprese. “Sei con me ora, andrà tutto bene.”

No, niente sarebbe stato più come prima. Klaus ed Elijah erano vampiri e un uomo misterioso di nome Bell mi stava dando la caccia.

Quanto avrei voluto dimenticare davvero tutto.

Anzi, avrei voluto tanto tornare indietro nel tempo e cambiare ogni cosa. Scoppiai in lacrime, mi portai una mano sulla labbra e mi lasciai andare a lunghi singhiozzi.

Sorellina...” Kat mi strinse a sé, con forza e dolcezza. Avevo bisogno di entrambe le cose in quel momento. Che potevo fare? Dovevo dirle quello che avevo visto?

Ero combattuta.

Elijah e Klaus alla fine mi avevano salvato, anche se in una maniera a dir poco mostruosa, e quello era l'unico fattore che mi impediva in quel momento di dir la verità a mia sorella.

Poi, avevo così tante domande in testa, che mi sembrava di impazzire.

Chi è Bell? Cosa vuole da me? Perché sono immune al potere dei vampiri?

Tutte domande le cui risposte mi spaventavano da morire.

Stai tranquilla. Non ti accadrà più nulla di male, con Klaus ed Elijah siamo al sicuro.” disse.

Quanto avrei voluto che fosse davvero così.

Riaprii gli occhi e qualcosa alle spalle di mia sorella colse la mia attenzione: una specie di pergamena, stretta con un nastro rosso si trovava sul tavolo dei trucchi.

Ero sicura di non averla mai visto prima, non era là l'ultima volta che ero stata in quella stanza.

Mi separai lentamente da mia sorella e mi alzai in piedi, senza distogliere l'attenzione da quello strano oggetto misterioso.

Irina, che c'è?” mi chiese.

La ignorai, avanzai verso il tavolo e presi il papiro: quando lo aprì, notai diversi disegni dall'aria antica. C'era un sole, una luna e altre strane figure che non riuscivo ad indicare.

L'ho trovato stamattina, quando sono rientrata in camera. Pensavo fosse roba tua...” Katerina mi affiancò e osservò il papiro insieme a me.

Non era mio, ma ero certa che fosse per me.

Un altro indizio per scavare nella vita di Klaus e della sua famiglia probabilmente.

Era stato quello l''ultimo gesto di Micah, in caso fosse finita male per lui, com'era accaduto?

Non poteva essere, Micah sembrava fermamente convinto che il suo piano avrebbe avuto successo.

Uno sbattere d'ali ruppe il silenzio.

Io e Katerina ci voltammo verso il davanzale della finestra, dove si posò un enorme corvo dagli occhi rossi. Il mio corvo.

Lo guardai con occhi sbarrati; mi ero convinta che almeno quella parte del mio incubo fosse giunta a termine con la morte di Micah. E invece, il mio messaggero era ancora là e i suoi occhi rossi erano posati su di me, come se volessero lanciarmi un chiaro messaggio.

Non è ancora finita.

Katerina prese lentamente un cuscino, si avvicinò al corvo e lo scacciò cercando di colpirlo.

L'animale non si fece colpire, lasciò il suo posto prima che il cuscino lo colpisse.

All'improvviso, Katerina sobbalzò, i suoi occhi si posarono su un punto fuori dalla finestra. “Oh mio dio!” esclamò, portandosi una mano sulla bocca.

Mi avvicinai velocemente a lei e seguii la traiettoria del suo sguardo.

Un uomo incappucciato se ne stava sotto la nostra finestra, a fissarci nell'oscurità.

Strinsi i pugni: avevo ormai capito che l'incubo non era ancora finito.


Ciao a tutti! :)

Perdonate se il capitolo è un po' “piatto”, ma ho dovuto concentrarmi per lo più sul risolvere parte dei misteri che fanno parte di questa storia. È stato davvero un capitolo difficile da scrivere, perchè dovevo cercare di trasmettere molte, ma allo stesso non troppe, informazioni al riguardo. (perciò scusate se vi ho fatto sbadigliare! xD)

Ma il prossimo capitolo sarà sicuramente più attivo, altre domande avranno risposta e Irina dovrà affrontare un altro bel problema (quanto è fortunata questa ragazza!) per non parlare del fatto che ora è davvero consapevole di chi siano in realtà Klaus ed Elijah.

Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono!

Ciao! :)


























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Capitolo 10
*** Run ***


-Run-

Klaus era bravo a fare due cose: terrorizzare la gente con un semplice sorriso e organizzare feste

ogni sera. Anche quella sera, a due notti dall'accaduto, lui aveva indetto una festicciola a cui aveva invitato mezza Inghilterra.

Non avevo rivisto né lui, né Elijah dal giorno in cui mi avevano salvato da Micah.

Mi ero data per malata e nessuno dei due decise così di disturbarmi. Almeno per quanto riguardava Klaus; Katerina mi disse che Elijah chiese spesso di me. Mia sorella non capiva il mio comportamento, ma non mi fece alcuna domanda al riguardo. Si limitò a fare quello che le chiedevo e cioè continuare a sostenere che avessi la febbre. Anche se non era vero, il mio fisico poteva provarlo: avevo profonde occhiaie nere sotto gli occhi, ero più pallida del solito e mangiavo pochissimo, solo il minimo indispensabile per non cadere a terra.

La notte mi svegliavo con il batticuore, sognavo sempre le labbra scarlatte di Klaus e la mano di Elijah che strappava il cuore dal petto di Micah.

Inoltre, Katerina era rimasta scossa quanto me dalla figura dell'uomo incappucciato che avevamo visto sotto la finestra. Ero sempre stata convinta che si trovasse Micah sotto quel cappuccio.

Invece si trattava di qualcun altro, qualcuno che continuava a tramare nell'ombra.

Cosa mi bloccava dal correre via insieme a mia sorella, non lo sapevo.

La mia testa era piena di voci che si contrastavano tra loro: una, quella più razionale che veniva dal cervello, mi diceva di prendere armi e bagagli e di scappare insieme a Katerina.

L'altra, quella più emotiva e che proveniva direttamente dal cuore, mi diceva invece di restare, non solo perché Klaus ed Elijah mi avevano in fondo salvato la vita.

Ma anche perché con loro attorno a noi, forse, eravamo più al sicuro da Bell. Ma lo eravamo un po' meno dalla figura misteriosa che dava la caccia a Klaus da secoli.

Dovevo cercare di capire chi fosse.

Ero tentata dal dirlo ad Elijah, a Klaus non volevo nemmeno avvicinarmi, ma il ricordo della sua mano bagnata di sangue mi impediva anche solo di pensare al suo viso.

Figuriamoci di andare da lui e spiegargli ogni cosa.

In quei due giorni, spesi tutte le giornate a fare ricerche. Sgattaiolavo in biblioteca di nascosto, cercando informazioni su quel Bell ma non trovai nulla di nulla.

Sembrava che quell'uomo sarebbe rimasto un ombra oscura su di me, fino a quando non lo avessi incontrato di persona. Cosa che assolutamente non mi auguravo.

Così, decisi di dedicarmi a quella strana pergamena che Katerina aveva trovato in camera nostra. L'unica cosa che riconoscevo era un sole e una luna, pian piano arrivai anche a capire che, quelle strane forme perfettamente circolari sul terreno erano dei cerchi di fuoco. Ce n'erano tre, posti talmente vicini da formare una figura inquietante e dall'aspetto quasi demoniaco.

Era un rituale? Cosa voleva dirmi Micah o chiunque guidasse quel corvo, attraverso quella pergamena? Una scritta, posta sull'angolo destro del foglio, attirava la mia attenzione: era una semplice parola, scritta in una lingua che non conoscevo e che non riuscivo ad identificare.

Ma era antichissima, ne ero certa.

Ma, anche se sarei rimasta a scervellarmi per ore intere, non avrei mai capito cosa significasse.

Sbuffai; mi alzai dal letto su cui ero seduta e andai a nascondere il foglio in un posto sicuro: avevo scoperto che c'era un buco dietro l'armadio, un buco probabilmente causato dall'umidità che aveva creatp quella crepa sul muro, che poi divenne un vero e proprio buco.

Nascosi il foglio lì dentro, nessuno lo avrebbe notato perché avevo spostato l'armadio di pochi centimetri per coprirlo.

Anche se Klaus era più intelligente di me e probabilmente l'avrebbe trovato come aveva trovato la cesta di verbena.

Mi stiracchiai, mi doleva la schiena per tutto il tempo in cui ero rimasta seduta a cercare di capire quella pergamena. Kat non era ancora rientrata; avevo l'angoscia ogni volta che lasciava quella stanza per andare da Klaus. Anche se tornava sempre abbastanza tranquilla, per lei Klaus era una valvola di sfogo per non pensare a quella strana figura che avevamo visto sotto la finestra.

Non lo dava a vedere, ma l'aveva parecchio inquietata. Ogni volta che provavo a toccare l'argomento, lei lo sviava prontamente, dicendomi che si trattava solo di uno degli uomini di Klaus che compiva il suo lavoro per vegliare sui giardini.

Lo avrei pensato anche io se non avessi avuto diverse prove di sangue dinanzi i miei occhi.

E il corvo? Perché appariva sempre insieme a quell'uomo incappucciato? Visto che non era Micah, di chi si trattava?

Avevo troppe domande per la testa, delle volte mi arrendevo e decidevo di lasciar perdere tutto.

Guardai fuori dalla finestra; era molto freddo e le nuvole avevano completamente ricoperto il cielo, soffocando la luce del sole che, già di per sé, in quel periodo era fioca e priva di calore.

Mi parve di udire un tuono in lontananza, come se qualcuno lassù stesse cercando di dirmi che sarebbe arrivata una tempesta molto presto, una tempesta che si sarebbe abbattuta su me e mia sorella, se non avessi provato a fuggire. Ma perché quella forza invisibile mi impediva di farlo, nonostante tutto quello che avevo visto? Mi sentii una stupida, quando ottenni la risposta ascoltando i battiti del mio cuore.

Cercai di occupare il più possibile la mente e pensai all'uomo che dava la caccia a Klaus.

Magari, avrei potuto trovare qualcosa su di lui utilizzando il libro che Micah mi aveva fatto trovare. Non lo avevo letto tutto e forse ci sarebbero state le risposte alle mie domande. Mi avvicinai rapidamente al letto e mi chinai, allungai la mano sul pavimento polveroso ma non trovai nulla di nulla.

Il mio cuore sobbalzò, mi piegai ancora di più, in modo che riuscissi a guardare sotto il materasso ma a terra non c'era nulla. Il libro era scomparso.

Non riuscivo a descrivere la sensazione di paura che mi prese in quel momento; mi portai una mano tra i capelli e mi guardai attorno.

Che lo avessi nascosto da qualche altra parte? Impossibile, l'ultima volta che avevo aperto quel libro era stato poco prima dello scontro con Klaus ed ero sicura di averlo rimesso sotto il letto.

Qualcuno lo aveva preso e potevo mettere la mano sul fuoco che era stata la stessa persona che mi aveva preso la verbena.

Klaus.

Diedi un pugno sul pavimento, rischiando di farmi male.

Possibile che quel vampiro fosse sempre cinquanta passi davanti a me? Restai seduta accanto al letto a pensare. Mi sforzai di essere ottimista e credere che fosse stata Katerina a prenderlo.

Lei tornò proprio in quel preciso istante, con due abiti nuovi di zecca tra le braccia. Le loro gonne erano così spesse ed ampie, che le coprivano la visuale.

Era più tranquilla rispetto a tutte le volte che era rientrata in camera dopo i suoi pomeriggi con Klaus, non capivo perché ma nemmeno mi posi il problema.

Ero furiosa, non solo dovevo praticamente combattere una guerra da sola, ma dovevo farlo anche contro un nemico scaltro e intelligente come Niklaus.

Irina? Non startene lì impalata, aiutami!” disse la voce di mia sorella, nascosta tra i tessuti ricamati.

La raggiunsi annoiata, le presi i vestiti dalle mani e li distesi sul letto con poca delicatezza. Katerina mi guardò confusa e si chiuse la porta alle spalle. “Oggi ti sei alzata bene vedo...” ridacchiò.

La ignorai e rimasi in piedi a fissare quei due bellissimi abiti sul letto.

Quello bianco è mio, quello blu è tuo. Klaus dice che sono i colori che risaltano la nostra bellezza...”

Katerina si bloccò e smise di sorridere, quando mi vide prendere il mio abito e buttarlo a terra.

Non volevo nulla da Klaus, ma solo che stesse lontano da me e Katerina il più possibile.

I suoi regali se li poteva pure tenere.

Mi trattenni dal pestare violentemente quella stoffa parecchio pregiata, ma solo per non allarmare mia sorella. Ci mancava solo che pensasse fossi impazzita.

Va bene. Se non ti piace il vestito, ne possiamo chiedere un altro...” disse lei, cercando di risultare tranquilla.

Mi sedetti sul letto, con le ginocchia strette al petto e il viso sopra di esse.

Dovevo riavere quel maledetto libro, era l'unico che potesse rivelarmi quante più cose possibili su Klaus e persino sui suoi nemici. Ma avrei potuto sfidare Klaus e uscirne indenne? Lui credeva non ricordassi nulla e doveva continuare a seguire questa convinzione, se volevo rimanere viva. O almeno sana.

Katerina mi guardò con occhi preoccupati, si sedette accanto a me e mi accarezzò i capelli dolcemente. “Sei ancora spaventata da ciò che abbiamo visto l'altra sera?” mi chiese.

Non risposi, magari fosse stato solo quello il mio problema.

E invece era solo una piccola goccia di paura in un oceano di terrore.

Non è solo questo, vero?” continuò a parlare mia sorella, la sua mano affondò nuovamente tra i miei capelli corvini. “Cos'altro ti preoccupa?”

Deglutii, forse era quello il momento giusto per dirle la verità ma non avevo preparato il mio pseudo discorso per non farla agitare.

E per discorso, intendevo quattro gesti significativi che potessero farle comprendere la situazione.

Sangue. Morte. Vampiri.

Ecco cosa avrei cercato di trasmetterle.

Se avessi potuto parlare, forse a quell'ora mia sorella avrebbe avuto un terribile mal di testa.

Sei sempre persa nei tuoi pensieri, fissi il vuoto continuamente, ti spacci per malata e quando nomino Klaus, sembra quasi che abbia nominato il diavolo in persona...” disse. Trovai la forza di sorridere, avrei voluto vedere Klaus e il diavolo a confronto. Avrei scommesso mille volte sulla vittoria di Klaus. “Perché non mi dici semplicemente cosa sta succedendo?”

Continuai a non rispondere, il mio sorriso si era rapidamente spento e guardai il pavimento sotto di me. Katerina sospirò. “Ah forse ho capito...” disse.

Alzai lo sguardo su di lei, che sapesse la verità riguardo Klaus e la sua famiglia?

Non avevo mai preso in considerazione il fatto che Katerina potesse essere a conoscenza di tutto e che lo avesse accettato, pur di star vicino a Klaus.

Era pazza quanto me sotto certi punti di vista, non mi sarei stupita di una cosa simile.

Sei innamorata di Elijah.”

Quella frase mi lasciò a bocca aperta, guardai le sue labbra allargarsi in un sorrisetto furbo e sentii una terribile sensazione di calore sul volto. Non capivo come fosse arrivata ad una conclusione così banale, dopo che aveva assistito con me ad una cosa strana come quella di poche sere prima.

Distolsi lo sguardo, ma fu un grande errore: Katerina prese quel mio comportamento come una conferma alla sua frase.

Lo sapevo....ma non trovi che sia troppo grande per te?” mi chiese.

Anche Klaus lo era per lei, aveva almeno cinque secoli in più.

Scossi la testa; magari il mio problema fosse stata una cotta per Elijah: un problema normale, che poteva affliggere qualsiasi ragazza dalla mia età e che sarebbe stato risolvibile con semplici azioni e pensieri. E invece, ero costretta ad affrontare problemi innaturali come vampiri, stregoni e strane figure nell'ombra che volevano solo il mio, il nostro male.

No, non lo trovi troppo grande per te o no, non sono innamorata di lui? Guarda, che a me puoi dirlo!” mi chiese Katerina.

Alzai l'indice e il medico insieme, per dirle che il mio no era legato alla seconda delle sue opzioni. Katerina mi guardò allora con attenzione. Si era resa conto che qualcosa mi stava profondamente turbando, ma non sarebbe mai arrivata a capire cosa fosse.

La sua mente viaggiava su onde di pensiero completamente lontane dalla realtà.

Non ti sarai innamorata di Klaus pure tu?” mi chiese.

Sbarrai lo sguardo e per poco scoppiai a ridere, come ci si poteva innamorare di un uomo che godeva così tanto nel spaventare le persone? Lei non conosceva quel suo lato perverso e speravo che mai lo conoscesse. Ma io sì, sapevo chi era e lo avevo visto giocare con la paura degli altri, anche con la mia, con un sorriso sulle labbra. Scossi la testa con convinzione e mi parve che lei tirò un sospiro di sollievo.

Ci mancava solo che ci dividessimo lo stesso vampiro.

Va bene...ma io sento che c'è qualcosa che non va. Qualcosa che non vuoi dirmi...non devi aver segreti con me, Irina!” mi disse lei, facendosi più seria. Il modo in cui mi guardava, il modo in cui muoveva la testa ad ogni singola parola di quella frase e il suo mezzo sorriso che stava per spegnersi...mi facevano solo venir voglia di piangere. Non potevo nemmeno parlarne con lei, la persona di cui più mi fidavo al mondo, di quello che mi stava divorando dentro.

Volsi la testa dall'altra parte. Se fossi scoppiata in lacrime, le avrei dato un ulteriore conferma del fatto che stavo nascondendo qualcosa.

Sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla. “Irina?” mi chiamò. Non mi voltai, mi asciugai rapidamente le lacrime, in un gesto nascosto agli occhi di mia sorella, e ripresi lentamente fiato.

Dovevo trovare una via di fuga da quella realtà, non potevo più nascondermi.

Va bene. Se è per quel corvaccio o per lo strano tipo alla finestra, non devi temere.” disse.

Quelle parole mi lasciarono sorpresa; non mi voltai verso di lei solo perché le lacrime erano ancora visibili sulla mia pelle. Alzai la testa verso il cielo scuro e attesi che continuasse il discorso. “Ne ho parlato con Klaus, mi ha tranquillizzata e mi ha detto che non c'è nulla di cui preoccuparsi. Se ne occuperà lui.”

Mi si bloccò il respiro.

Cosa voleva dire che se ne sarebbe occupato lui? Mi sentii doppiamente stupida a non aver tenuto conto che Katerina avrebbe potuto dirlo a Klaus. Mi voltai lentamente verso di lei, quando un altro dubbio mi sorse velocemente.

Katerina non capì quel mio sguardo e corrugò la fronte. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” mi chiese.

Era stata soggiogata? Quella domanda mi sorse spontanea guardando i suoi occhi scuri.

Magari Klaus l'aveva tranquillizzata usando il suo potere. Quello era un altro problema che dovevo risolvere, impedire a Klaus di giocare con la mente di mia sorella.

Con me non poteva farlo, ma con Kat purtroppo sì. E non dovevo permetterglielo.

Qualcuno bussò alla nostra porta, ci voltammo all'unisono verso di essa e Katerina andò ad aprire.

La vidi tentennare, mentre guardava la persona fuori dalla porta.

Buongiorno Katerina, stavo cercando tua sorella.” disse una voce.

Era femminile, ma aveva lo stesso suono e la stessa parvenza di minaccia che percepivo sempre nella voce di Klaus. Rebekah non mi era mancata affatto, ma mi stupiva che fosse venuta a cercarmi apposta.

Katerina si voltò verso di me e alzò gli occhi al cielo. “Se volete darle fastidio, trovatevi un altro passatempo, Rebekah.” disse con durezza.

Mi stupii la sua risposta: Katerina era sempre stata gentile e cortese con Rebekah, perché era nobile ed era la sorella di Niklaus. Ma il bene che provava per me era più forte delle sue buone maniere.

Sorrisi, fortuna che avevo una sorella come lei sempre pronta a starmi accanto.

Come siamo malpensanti....voglio solo parlarle. Sa difendersi da sola, non trovi?” disse la voce profonda di Rebekah.

Mi alzai in piedi.

Uno scontro in più o uno scontro in meno con uno degli Originali, non era un problema per me.

Non avevo nulla da perdere e le offese di Rebekah non mi importavano più di tanto.

Affiancai mia sorella e guardai Rebekah. Quel giorno era più bella del solito: portava i capelli raccolti in una treccia e indossava un abito color perla che metteva in risalto la sua pelle a dir poco perfetta.

Un demonio vestito da angelo.

Mi sorrise, ma il suo era un sorriso finto che non mi ingannava.

Eccoti, Iry. Ti va di fare due passi con me?” mi chiese.

La guardai interrogativa, possibile che fosse venuta di proposito a chiedermi di uscire, per insultarmi? Non la trovavo una persona che amava perdere tempo con qualcuno che considerava un verme.

Doveva esserci dell'altro sotto. Io e mia sorella ci guardammo, lei non si aspettava di vedermi varcare quella soglia con estrema tranquillità.

Irina?” pronunciò solo il mio nome, per sottolineare il fatto che quello che stavo facendo era strano. Rebekah mi prese sotto braccio e lanciò un occhiata furba a mia sorella.

Te la riporto intera. Non preoccuparti.” disse e mi trascinò via.

Speravo davvero di poter tornare intera. Rebekah aveva, purtroppo, davvero il potere di farmi a pezzi. Mi guardai indietro un ultima volta, Kat sospirò e si richiuse in camera.

* * * *

Klaus vuole che te lo renda.”

Guardai la mano di Rebekah che agitava il ciondolo di fronte a sé. Un'altra delle tante menzogne che mi stavano distruggendo la vita, ma che fortunatamente ero riuscita ad allontanare.

Continuai a camminare accanto a lei, lungo i giardini colpiti dal forte vento. Non allungai la mano per riprendere il gioiello, non lo volevo per due motivi: era legato ad un segreto, uno dei tanti che circondavano la vita di quei tre vampiri e inoltre me lo aveva donato Klaus.

Per farmi un torto o meno, sinceramente non lo avevo mai capito e non m'importava.

Rebekah girò la testa verso di me e mi guardò con la sua solita altezzosità. “Oltre che muta, sei pure sorda?” mi chiese. “Riprenditi questo affare e facciamola finita.”

La guardai freddamente e le feci capire che non avevo alcuna intenzione di riprendermi quel ciondolo. Se lo poteva tenere lei, visto che sembrava odiarlo e amarlo allo stesso tempo.

Appena vide che mi stavo allontanando, mi prese per la spalle e mi obbligò a fermarmi. Allungò le mani verso il mio collo e per un attimo pensai che volesse strozzarmi.

Ma non fu così: anche se con estrema rudezza, fece scorrere scorrere il ciondolo dietro il mio collo e lo allacciò.

Io non voglio avere problemi con mio fratello, perciò tienilo al collo e falla finita.” disse, i suoi occhi chiari erano fissi sul pendente che oscillava sul mio petto. C'era qualcosa di strano nei suoi occhi mentre lo fissava, qualcosa di troppo umano che stonava con il resto del suo viso.

Chissà a chi era appartenuto e perché Rebekah sembrava rimpiangere ma allo stesso tempo detestare colei che lo aveva indossato.

Di chi era?

Cercai di chiederle, indicandomi il pendente con il dito. Rebekah alzò lo sguardo su di me, anche se non capiva il mio linguaggio dei segni, arrivò subito a ciò che stavo cercando di dirle.

Prese un lungo respiro e guardò il cielo grigio sopra di noi.

I suoi occhi rifletterono la debole luce che brillava sotto le nuvole.

Apparteneva ad una persona a cui volevamo molto bene.” disse lentamente. Non parlava con la sua solita freddezza o con la sua solita cattiveria, parlava con la voce di una persona che stava rivivendo ricordi troppo lontani. Ma forse felici. “Ma, dopo la sua morte, l'ho odiata. L'ho odiata, perché il dolore era così grande da separare me dai miei fratelli. Li ho persi per troppo tempo, ci siamo ritrovati solo da poco....”

Restai immobile, i suoi occhi erano fissi sui miei, ma erano ancora umani. Avrei voluto chiederle come fosse morta quella ragazza, ma venni investita dalla ritrovata freddezza di Rebekah.

La vidi fare un passo verso di me e guardarmi con sfida.

Tu e Katerina le somigliate molto sai. Chi per un aspetto, chi per un altro. Anche se questo ciondolo spetterebbe più a te che a lei.” disse, quasi in un sussurro. Riassunse di nuovo l'immagine di serpe velenosa che avevo sempre riscontrato in lei. Come potevo essere stata così stupida da credere che ci fosse dell'umanità in lei? “Per questo, non vi permetterò di separarci. È chiaro?”

Ma perché rivedeva in noi la persona che indossava quel ciondolo? Lei sapeva benissimo che Klaus particolarmente non aveva alcun interesse per noi.

Ancora non ne conoscevo lo scopo, ma ero sicura che fosse così.

Aveva detto lei stessa che Klaus non amava. Su Elijah la storia era ben diversa, lui mi era sempre parso sincero nonostante tutto. Sul fratello invece, avevo sempre avuto quella strana sensazione di paura.

Decisi di non sfidare Rebekah, tanto avrebbe vinto lei e io non avevo alcuna voglia di perderci tempo. Volevo solo ritornare nella mia camera e studiare un piano per riprendere il libro di Micah e cercare di capire che altri pericolo si nascondesse dietro quella famiglia di vampiri.

Rebekah mi impedì di proseguire, usando le sue semplici e rudi parole.

A te piace leggere, Irina?” mi chiese.

Mi fermai di colpo; non ci voleva un'intelligenza soprannaturale per capire che quella frase nascondeva un altro significato. Non era una normalissima domanda, proveniente dalla bocca di una persona ordinaria: era un doppio senso, tipico di una persona a cui piace giocare con le sue prede.

E io ero la sua preferita purtroppo.

Mi voltai lentamente verso di lei e la vidi sorridermi, nella sua solita maniera beffarda. “Credo che tu debba un po' rivedere le tue letture.” disse, iniziando a girarsi verso la parte opposta a quella dove mi stavo dirigendo io. “Certe cose non sono adatte per una ragazzina con il collo facilmente spezzabile come il tuo.”

Strinsi i pugni per la rabbia; quindi non era stato Klaus a rubarmi il libro, ma lei.

Avevo qualcun altro da cui guardarmi le spalle. Rebekah l'avevo sempre considerata solo un'oca centenaria ma innocua rispetto a Klaus. E invece poteva essere letale quanto lui.

Fece per allontanarsi, ma ad un certo punto si bloccò. “Ah dimenticavo, cara!” disse e senza darmi nemmeno il tempo di far un singolo movimento, me la ritrovai di fronte.

Mi guardò negli occhi e sorrise. “Dimentica ogni cosa ora.” disse.

Mi vorticò la testa per un solo secondo e chiusi gli occhi. Quando li riaprii, lei non c'era più.

Non sapeva che non avevo dimenticato proprio nulla.

* * * *

Quello era un altro aspetto che mi stava letteralmente terrorizzando, forse più di Klaus e Bell insieme. Da quel che ne sapevo, nessuno poteva sfuggire al controllo mentale di un vampiro, a meno che non si avesse fatto uso di verbena.

E se non ricordavo male, un originale è capace persino di ammaliare quelli della sua stessa specie. Allora, perché la mia mente era rimasta integra dei suoi ricordi, nonostante fossi stata manipolata più volte da Klaus e allora anche da Rebekah?

Cercai di non pensarci più di tanto. Dovevo pormi un problema ben più normale di quello: trovare una scusa per saltare la festa. Non avevo nulla per cui gioire e non volevo trovarmi nella stessa sala con Klaus, Rebekah ed Elijah. Inoltre, avrei potuto avere così l'opportunità di intrufolarmi nella camera della vampira e vedere se aveva nascosto là il libro.

Mi affrettai per tornare in camera: con la sfortuna che avevo, avrei potuto incontrare gli altri due Originali. E la voglia di sfidarli era ben poca.

Ma la sfortuna aveva sempre la meglio su di me. Credendo di prendere una scorciatoia per tornare il prima possibile nelle camere, attraversai un immenso giardino di cui ignoravo l'esistenza.

Dopo mesi e mesi che ero arrivata là, ancora mi capitava di perdermi in essi.

Due figure attirarono la mia attenzione: notai subito Klaus, aveva per le mani un arco e lo puntava verso gli alberi di fronte a sé. Aveva la camicia sbottonata, sembrava una di quelle statue greche troppo perfette per poterle guardare a lungo. Aveva i capelli scompigliati, che gli ricadevano ai lati del viso e i suoi occhi erano socchiusi in un espressione di concentrazione.

I muscoli erano visibilmente tesi, mentre tendeva sempre di più la cordicella dell'arco.

Dietro di lui c'era Philippe, lo sfortunato ragazzo di Rebekah. Se ne stava immobile a guardare Klaus con venerazione e non sembrava intenzionato a prendere parte a quell'allenamento con arco e frecce.

Ricordavo il modo in cui Klaus lo aveva trattato: come per Rebekah, anche lui aveva una gelosia profonda nei confronti di sua sorella. Quei due si somigliavano troppo, nel modo in cui guardavano e sorridevano sopratutto. Specialmente, quando volevano intimidire qualcuno.

Smisi di fissare Klaus, l'immagine delle sue labbra sporche di sangue tornò vivida tra i miei ricordi e mi tirai indietro prima che fosse troppo tardi.

Irina!”

Mi bloccai di colpo.

Il mio cuore iniziò a battere a mille per la paura, quando riconobbi la voce di Niklaus che chiamava il mio nome.

Strinsi i pugni. Non potevo mettermi a correre senza destare sospetti in lui, perciò dovevo per forza affrontare Klaus. Non avevo nulla di cui aver paura, teoricamente avevo dimenticato ogni cosa e quindi dovevo fingere di essere tranquilla e serena come sempre. Per un attimo, pensai che fosse meglio fare finta di non aver sentito, ma Klaus aveva parlato con voce chiara e forte.

Mi voltai verso di loro, Klaus come al solito mi stava sorridendo.

Poi rivolse un occhiata glaciale a Philippe. “Perché non te ne vai?” gli disse freddamente.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, chinò un attimo il capo e si allontanò.

Quando mi passò accanto, mi rivolse un sorriso gentile a cui risposi con fatica. Anche lui doveva essere solo un passatempo per Rebekah, come lo donne della villa dovevano esserlo per Klaus ed Elijah.

Rimasi immobile quando notai che Klaus si stava avvicinando. Le mie gambe però iniziarono a tremare sotto la gonna e il cuore batteva talmente forte che temetti lui potesse sentirlo.

Pensavo fossi malata. Non sei mai uscita dalla tua stanza...” disse, appena fu abbastanza vicino a me. Non lo avevo mai visto in quelle vesti, non era perfettamente abbigliato e pettinato come al solito. Sembrava una persona normalissima, né un nobile e nemmeno un vampiro.

Sotto quell'aspetto, mi faceva quasi meno paura. Sempre se non pensavo al suo sorriso rosso.

Gli feci capire che stavo meglio e che dovevo andare a prepararmi per la festa a cui non avevo alcuna intenzione di prender parte. Sperai così che mi lasciasse andare, ma mi sbagliavo.

Appena cercai di voltarmi, la sua mano afferrò delicatamente il mio polso e mi tirò a sé.

Per poco mi ritrovai contro il suo petto, troppo perfetto e scoperto per non imbarazzarmi. Mi sentii una stupida, quando pensai che era altro quello a cui dovevo pensare.

Che ne dici di fare due tiri con l'arco insieme a me?” mi chiese.

I suoi occhi si fissarono nei miei.

Il suo potere doveva essere più forte di quello di Rebekah perché, ogni volta che provava a manovrare il mio volere, sentivo un fortissimo mal di testa, seguito poi da una sensazione di stordimento.

Stava di nuovo cercando di manipolarmi e dovevo quindi mantenere la calma necessaria per fingere che seguivo il suo volere come un burattino.

Quanto odiavo quella situazione: fingere ed obbedire al volere altrui, non erano due cose che mi facevano impazzire. Ma, se ci tenevo al mio collo e sopratutto a quello di Katerina, non potevo fare nient'altro. Dovevo controllare per forza la mia paura, anche se avevo il solo desiderio di correre via a gambe levate.

Klaus sorrise e mi fece segno con la testa di seguirlo. Camminammo verso un punto ben preciso del giardino, un punto in cui si riuscivano a vedere gli alberi che segnavano l'inizio della foresta.

Vieni, ti faccio vedere come si fa.” mi disse lui, si chinò sul terreno e prese un altro arco e alcune frecce.

Rimasi immobile, mentre lui si posizionava dietro di me. Non sapendo proprio che movimenti compiere, lo lasciai fare: mi fece vedere come tenere l'arco in mano. Le sue mani presero le mie dolcemente e le posizionò una sulla parte in legno e l'altra sulla cordicella.

Tira così.”

La sua mano seguì il mio braccio, ancora bendato per la caduta da cavallo, e lo tirò lentamente all'indietro, cercando di non farmi male.

Ma non riuscivo a concentrarmi, perché Klaus mi era troppo vicino.

Le sue mani continuavano a toccare le mie, sempre troppo delicatamente, rendendole bollenti quando venivano abbandonate dal suo tocco.

La sua guancia sfiorava la mia nuca e il suo petto era quasi posato sulla mia schiena.

Aveva un ottimo profumo, non ci avevo mai fatto caso per quanto lo avessi temuto. Era molto simile a quello che emanava Elijah, ma il suo aveva un tocco diverso, qualcosa di oscuro in più.

Era difficile da spiegare e sopratutto da comprendere.

Presi un lungo respiro, cercando di mostrarmi calma e impassibile alla sua presenza.

Prendi la mira tra quegli alberi.” Vidi la sua mano allungarsi verso un punto, mi sembrò stesse indicando il cielo. Solo poco dopo mi resi conto che stava indicandomi un punto tra le foglie autunnali degli alberi. Un colpo di vento freddo ci investì e i capelli mi coprirono il viso, impedendomi di vedere di fronte a me. Mi ero dimenticata di quanto facesse freddo ed era tutta colpa della mania di Klaus di far provare sensazioni contrastanti a coloro che li circondava.

A me in particolare, chissà perché la sua mente malata aveva preso proprio me di mira.

Con la mano con cui mi aveva indicato gli alberi, mi liberò gli occhi dall'ostacolo dei miei capelli.

Tieni ancora i muscoli ben tesi...” disse ancora.

La sua mano si allontanò dal mio braccio e mi sembrò di sentirmi un attimo più rilassata.

Quando la sua mano si posò sul mio fianco destro, un lungo brivido mi corse lungo la schiena.

Mi ero dimenticata, oltre il freddo, anche che ero in compagnia di un pericoloso vampiro.

Un vampiro che non si faceva scrupoli nel terrorizzare le persone, anzi che quasi si cibava della loro paura. Non avrei mai dimenticato il modo in cui mi aveva sorriso, mentre io arretravo al suo cospetto, impaurita.

Lasciai andare la freccia e quella si conficcò nel terreno a pochi metri da noi.

Tutto questo, perché provai a liberarmi di quella mano sul fianco.

Klaus sospirò. “Peccato, se non ti fossi deconcentrata, ce l'avresti fatta.” mi disse.

Si allontanò da me e fu come se una fiamma avesse smesso di bruciarmi la schiena. Sentii di nuovo freddo, mentre lui andava a prendere la freccia dal terreno.

Poi tornò da me. “Proviamo di nuovo, sono sicuro che ce la farai.” mi disse.

I nostri occhi si seguirono, fino a quando lui tornò a posizionarsi dietro le mie spalle.

Tornò di nuovo il caldo. Mi sentivo una perfetta idiota quando il mio viso riprese lentamente a bruciare. Klaus si posizionò più vicino di prima, le sue labbra erano quasi vicine al mio collo.

Lascia che ti guidi.” sussurrò, posò le mani sulle mie e puntò la freccia verso gli alberi.

Tre, due, uno...” contò.

E lasciammo andare insieme: la freccia si scagliò verso un punto alto, lontano da noi e dal terreno. Successe tutto così velocemente, che neanche la vidi mentre tagliava velocemente l'aria.

Spaventammo gli uccelli che si erano rintanati tra i rami e notai indistintamente qualcosa cadere a terra. Mi portai le mani sulla bocca; forse avevo ucciso un povero animale.

Klaus non sembrò interessarsi molto a quella cosa nera che avevamo colpito. “Mi sa che ci è scappato il morto...” disse sarcastico.

Lo guardai sbalordita dalle sue parole e lui mi sorrise.

Successivamente corsi verso il punto in cui lo avevo visto cadere e Klaus mi seguì lentamente.

Non riuscivo a capirlo, ma mi sembrava che si aspettasse che succedesse una cosa simile.

Raggiunsi l'inizio della foresta e ciò che vidi a terra mi lasciò senza parole.

Il mio corvo giaceva sul terreno, con le ali completamente spalancate e gli occhi rossi sbarrati. Aveva il becco aperto, come se il suo grido di dolore si fosse unito a quelli di paura degli altri uccelli che erano volati via. La mia freccia era conficcata nel suo corpo, proprio in mezzo al cuore.

Klaus mi affiancò, fissava il corvo con naturalezza. Forse i cadaveri, di animali o uomini che siano, non lo scalfivano più di tanto. “Bel colpo, Iry. Era ora che qualcuno facesse fuori questo maledetto uccellaccio. Ronzava e gracchiava attorno alla villa da mesi.” disse.

Con la coda dell'occhio, mi accorsi che mi stava guardando.

Restai paralizzata dalla paura, quando presi consapevolezza del gioco a cui avevo appena preso parte, senza rendermene conto: Klaus non mi aveva invitato a fare due tiri con l'arco per noia o per risultarmi simpatico. Lo aveva fatto per rendermi responsabile della morte del mio tramite.

Era di nuovo una delle sue trappole, per farmi capire che era davvero cento passi prima di me.

Girai la testa lentamente verso di lui e il suo sorriso mi fu di conferma. Ma una cosa non mi era chiara: quel corvo era morto perché era inevitabilmente legato a Bell o semplicemente perché mi aveva guidato verso la verità, per tutto quel tempo? Non capivo se Klaus lo avesse fatto per proteggermi dopo tutto quello che era successo o per proteggere sé stesso.

Conoscendolo, avrei puntato sulla seconda opzione.

Ma come era arrivato a capire che ero a conoscenza di molte cose grazie al corvo?

Anche se avessi avuto voce, non avrei potuto chiederglielo senza destare sospetto.

Il silenzio era l'unica cosa che potevo fronteggiare.

Tornai a guardare il cadavere del corvo e per poco scoppiai in lacrime. Perché ero stata così stupida da farmi di nuovo prendere in giro?

Klaus si chinò sull'animale ed estrasse la freccia del suo corpo, quasi con ferocia. “Ci devono tutti un favore.” disse, voltandosi verso di me. Mi mostrò la freccia come se fosse un trofeo. “Adesso sì che il nostro sonno non può più essere disturbato la notte.”

Ebbi la conferme che Klaus sapeva di quel corvo.

Da quanto, non lo sapevo, probabilmente da quando Katerina gli aveva rivelato dell'uomo incappucciato sotto la nostra finestra, ma aveva comunque deciso di usare me per sbarazzarsi di quella minaccia. Ripensai al modo in cui aveva guidato i movimenti delle mie braccia, era stato delicato ma deciso al tempo stesso. Se lui non mi avesse guidata, non avrei mai ucciso il mio messaggero.

So quanto ami gli animali. Queste cose possono però succedere, non preoccuparti.” disse, cercando di tranquillizzarmi. Alzai lo sguardo su di lui, era di nuovo vicinissimo a me e stava cercando di posarmi una mano tra i capelli, probabilmente per rasserenarmi.

Mi tirai indietro. Sia lui che Rebekah, mi stavano dando altri mille buoni motivi per farmi sentire una stupida nel non voler scappare da quel posto.

Ci mancava solo Elijah a darmi una buona motivazione per fuggire, era rimasto quello a bloccarmi.

L'espressione di Klaus s'indurì, di fronte al mio rifiuto nei confronti del suo tocco. Doveva aver letto qualcosa nei miei occhi, che lo facevano sembrare diverso dal Klaus che, fino a poco prima, usava doppi sensi per farmi capire come mi avesse manipolata. Senza usare il suo potere poi.

Lasciai l'arco a terra e camminai via verso la villa.

Sentivo gli occhi di Klaus sulla mia schiena e mi sforzai di di ignorarli.

* * * *

Come? Perché non vuoi prendere parte alla festa?”

Katerina continuava a non capire la mia ostinazione nel voler restare in camera.

Mi guardava, mentre fissavo il vuoto e mi stringevo un cuscino al petto. Come sempre, me ne stavo seduta sul letto a gambe incrociate.

Nei corridoi, riuscivamo a sentire le voci degli ospiti di Klaus, che parlottavano e ridevano.

Non sapevano di chi erano ospiti allora.

Irina, vuoi restare chiusa qui dentro a vita per caso?” domandò ancora mia sorella, alzai lo sguardo su di lei. Stava davanti allo specchio a prepararsi, si passava una polvere chiara sulla pelle del viso per farla risultare più liscia. Non sapevo chi glielo avesse consigliato, ma non ne capivo l'utilità: il suo viso era perfetto così com'era. I nostri occhi s'incrociarono e io li distolsi.

Li posai verso la finestra, dove la luna piena brillava in cielo e le stelle l'accompagnavano con le loro bellissime luci. Chissà perché, mi sembrava comunque una notte troppo buia.

Katerina mi si avvicinò, la gonna era così lunga che per poco ci inciampava sopra.

Sorellina, non sopporto di vederti così. Un tempo mi dicevi tutto, ora perché invece ti tieni tutto per te?” mi chiese.

Non ce l'avrei fatta a sopportare la stessa situazione di quella mattina, non dopo uno scontro con Rebekah e con Klaus, che mi avevano ulteriormente destabilizzata.

Ero stanca di tentennare, anche se continuavo ad avere il dubbio che forse Elijah mi avrebbe dato un motivo per restare. Una parte di me però non lo credeva visto il cuore che aveva in mano giorni prima. Dovevo per forza dire quella cosa a mia sorella.

Non le avrei detto dei vampiri, cercavo di salvaguardarla il più possibile da quella realtà mostruosa, ma le avrei detto un altra cosa, che forse l'avrebbe ferita ancora di più.

Dobbiamo tornare in Bulgaria.

Cercai di farle capire.

Katerina mi guardò a lungo, riconobbe subito il mio modo di dire “tornare”: una parola che aveva rimosso dal suo vocabolario, se si trattava di tornare nell'oscurità dove avevamo vissuto per anni.

Ma che non ci avrebbe risucchiato, come stava facendo quella che ci circondava in quel momento.

Se...se è uno scherzo, non è divertente.” disse lei con voce tremante. Le stavo davvero chiedendo troppo e me ne rendevo conto. Ma lo stavo facendo per il suo bene, perciò non m'importava se l'avrei ferita. Quando lesse sul mio viso che ero seria, scattò rapidamente in piedi.

Camminò da un lato e dall'altro, per cercare di trattener la rabbia e il dolore. “Come puoi...chiedermi di tornare da coloro che mi hanno chiamata sgualdrina? Da coloro che mi hanno portato via la mia bambina?!” mi chiese.

I suoi occhi si fecero lucidi Pensavo che non mi avrebbero colpito, viste le mie buone intenzioni, ma non era così. Katerina si sentiva pugnalata alle spalle e non riuscivo a sostenere il mio cuore che iniziava a battere nel vuoto per il dolore.

Chinai il capo e strinsi i pugni sulle mie ginocchia. “E tutto questo a cosa è dovuto?! Cosa non hai qui che ti fa rimpiangere la Bulgaria? Io qui mi sento amata e apprezzata, come puoi chiedermi di tornare da chi mi ha sempre odiata e disprezzata? Proprio tu poi! Che sei stata trattata come un fenomeno da baraccone!”

Non mi offesi perché stava parlando per rabbia.

Alzai la testa e cercai di essere il più controllata possibile, le feci il segno di “bugia”.

Tutto quello che ci circondava era una bugia, una bugia che ci avrebbe forse uccise entrambe.

Katerina mi guardò incredula, iniziò a scuotere la testa e si portò una mano tra i capelli ricci. “Qui l'unica bugia che vedo sei tu.” disse, con tono grave.

Quella volta mi ferì davvero, abbassai di nuovo la testa giocherellando con la punta dei miei capelli e presi un lungo respiro. Non servì però a trattenere le mie lacrime.

Non avrei mai pensato che nel tuo silenzio saresti stata capace di ferirmi in questo modo...” aggiunse ancora Kat, osservandomi e non facendo caso alle lacrime che mi ricadevano sul vestito. “Pensavo che tu prima di tutti volessi la mia felicità...e invece mi sbagliavo.”

Non disse nient'altro.

Seguii con lo sguardo i suoi piedi che si dirigevano velocemente verso la porta, per poi scomparire dietro di essa. Mi portai le mani sul volto disperatamente e mi sentii completamente sola.

Sola, piccola e impotente.

Non avevo più Rose, non avevo più quel dannato corvo e ora non avevo più nemmeno mia sorella.

Mi distesi sul letto e affondai la testa nel cuscino, almeno quello non mi avrebbe abbandonato e avrebbe asciugato le mie lacrime di dolore.

* * * *

Mi ero addormentata.

Le lacrime mi si erano asciugate sulla pelle e avevano bagnato il cuscino su cui dormivo.

Non capivo cosa mi avesse destata dal sonno, poi sentii di nuovo quel rumore, di qualcuno che bussava delicatamente sulla porta della camera.

Mi rizzai a sedere sul letto e guardai il mio riflesso sullo specchio di fronte: avevo un aspetto a dir poco spaventoso, gli occhi erano gonfi per le lacrime e per il sonno e avevo le occhiaie ancora più pronunciate di quando già non lo erano prima.

Andai alla porta. Sentivo ancora gli schiamazzi della festa e delle voci dal suono allegro che risalivano dal salone fino ai corridoi fuori dalla camera.

Aprii solo uno spiraglio della porta e vidi il volto di Elijah, teneva la mano poggiata sul muro e l'altra su un fianco. Mi fece un piccolo sorriso, che servì ad allontanare solo di poco l'immagine di lui che strappava il cuore di Micah. Non lo avevo visto in volto mentre compiva quell'efferato omicidio e sinceramente non riuscivo ad immaginare un espressione adatta a quel momento sul suo viso perfetto.

Buonasera Irina.” mi salutò, con voce flebile. “Ti posso parlare un attimo, se non ti dispiace?”

Restai a fissarlo, non sapevo cosa fare sinceramente.

Una parte di me mi diceva che farlo entrare era una cosa stupida, l'altra, quella fastidiosa vocina che riuscivo proprio a non far tacere, mi diceva che potevo fidarmi di lui.

Anche se era un assassino che avevo visto in azione giorni prima.

Spalancai la porta e gli permisi di entrare, anche se il mio corpo tremava alla sola idea di vederlo varcare quella soglia.

Ma non per lui.

Avevo paura di me, delle sensazioni contrastanti che lottavano dentro il mio cuore mentre lo vedevo camminare.

Chiusi la porta lentamente e mi voltai verso di lui, Elijah restò vicino alla finestra, per poi guardarmi.

I suoi occhi neri si posarono sui miei e restammo così in silenzio per un po'.

Fino a quando, non riuscii più a sorreggerli.

Come stai?” mi chiese.

Mi si bloccò il respiro per un attimo, c'erano moltissimi passi che ci separavano.

Sembrava una distanza troppo grande, affinché uno dei due decidesse di accorciarla.

Feci un cenno con la testa e tirai la bocca in quello che doveva sembrare un sorriso. Elijah mi guardò in silenzio, la sue espressione era tesa e seria. Non mi era mai capitata di vederla, quando eravamo soli.

Ne sei sicura? Perché mi sembra tu mi stia evitando da giorni...” mi disse lui.

Non mi sorprese il fatto che lo dicesse con quella sicurezza, Elijah non era affatto stupido e ormai aveva capito che quando mi davo per malata, era perché non volevo incontrare né lui, né nessuno della sua famiglia. Ero stata sciocca io ad usare sempre e solo la stessa scusa.

Mi trovai in seria difficoltà, non sapevo dove guardare e stringevo nervosamente con le mani i lati della gonna. Elijah allora azzardò a fare un passo verso di me, impulsivamente io ne feci dieci indietro.

Calò di nuovo un profondo silenzio, l'unica cosa che sentivo era il mio cuore che batteva all'impazzata e i respiri che cercavo di trattenere troppo a lungo, come se temessi potessero insospettire ulteriormente Elijah.

Il magnetismo esercitato dai suoi occhi si arrestò per un attimo, quando smise di guardarmi.

Posò lo sguardo verso lo specchio e mi accorsi che stava guardando proprio il mio riflesso.

Irina, lo sai che puoi dirmi tutto, no?” mi domandò, voltando nuovamente la testa verso di me.

Non capivo se le sue parole nascondessero dell'altro, di solito era Klaus quello che parlava per doppi sensi. Non lui.

Mi sentivo in colpa nel desiderare che lasciasse la mia camera il prima possibile. Ogni volta che lo guardavo, mi sembrava di immaginare un espressione terrificante sul suo viso di marmo, mentre strappava il cuore dal petto di Micah.

Annuii, ricordandomi solo successivamente della sua domanda.

Non riuscii a sorridere, non avevo la forza di fingere ulteriormente.

Elijah, però, restò a fissarmi intensamente. I suoi occhi sembravano infinitamente profondi, due cieli notturni in cui ci si poteva perdere per l'eternità.

So che ricordi tutto.”

Quelle furono le sue parole per rompere il silenzio. Alzai lo sguardo su di lui, mentre la paura si faceva largo a tentoni nel mio petto e nella mia mente.

Ebbi l'istinto di fuggire, ma le gambe erano diventate molli, come se fossero fatte di fango.

Come faceva a sapere che non avevo dimenticato nulla?

Non so come sia possibile e, francamente, nemmeno m'importa. Voglio solo spiegarti tutta quanta la verità.” disse ancora Elijah.

Fece diversi passi verso di me e a quel punto mi sentii libera di dare sfogo al mio terrore. Mi voltai di scatto verso la porta e cercai di catapultarmi fuori nei corridoi.

Elijah mi fu davanti in un baleno, si parò di fronte a me restando sulla soglia della porta e rapidamente mi strinse le spalle. Mi spinse sul muro accanto alla porta e chiuse quest'ultima con un calcio, il tutto con estrema gentilezza ed eleganza, nonostante il gesto piuttosto brusco di per sé. Provai a spingerlo via. Pensavo che anche lui avrebbe lottato con me e invece la mia si rivelò una battaglia a senso unico.

Non usai in pieno la mia forza per respingerlo, forse perché sapevo che non gli avrei fatto del male o perché, nel mio subconscio, non volevo nemmeno provare a fargli male.

I miei colpi si rivelarono vento sul suo corpo di pietra.

Irina, guardami negli occhi, per favore.” mi chiese, con un tono di voce leggermente più alto.

Non lo feci. Se ci avessi solo provato, ero certa che avrei represso ogni mio tentativo di ribellione.

Per favore, guardami!” disse di nuovo a denti stretti, le sue mani strinsero un po' di più le mie spalle. Allora obbedii: volsi lo sguardo lentamente verso di lui e i nostri occhi iniziarono ad esplorarsi.

Cercavo di capire che sentimenti li colmassero in quel momento, ma anche Elijah spesso era davvero un mistero da capire.

Lui si prese un paio di secondi, forse per trovare le parole giuste da dire. “Hai visto che cosa sono. E mi dispiace che tu l'abbia scoperto in questo modo.” iniziò a dire. “Se fossi stato solo, se non avessi avuto dei fratelli da proteggere...ti assicuro che te lo avrei detto subito.”

La sua compostezza in viso si era leggermente sciolta, lasciando posto ad un espressione di pura dolcezza e sincerità. Iniziai ad avere meno paura di lui: mi resi conto che non gli avevo mai fatto una colpa per non avermi detto la verità, probabilmente lo avrei fatto anche io a parti inverse, ma gli facevo una colpa per ciò che era.

Mi sentivo un mostro a pensarla così, ma ormai la paura mi era padrona e guidava i miei pensieri e il battito del mio cuore. Elijah distolse gli occhi dai miei per un istante.

Io non farei mai del male né a te, né a tua sorella. E dentro di te lo sai.” disse ancora. “Ti chiedo perdono se l'altra volta ho...perso la testa inanzi ai tuoi occhi. Ma non potevo fargliela passare liscia dopo quello che ti aveva fatto.”

Le sue ultime parole furono macchiate di rabbia, non riuscendo a sostenere la sua espressione che cambiava, distolsi lo sguardo. Intanto continuavo a tremare, mentre le mani di Elijah scesero dalle mie spalle, sui miei gomiti.

Ma io non voglio essere la tua paura, Irina. Voglio solo esserti amico, proprio come lo eravamo quando credevi che ero umano.” continuò lui, appena si destò da quell'attimo di rabbia. Il suo volto venne illuminato da un sorriso debole, che scomparve nel giro di pochissimi istanti. “Non voglio più nasconderti nulla, sono disposto a stare tutta la notte a raccontarti la storia della mia vita, del mio essere. Sono disposto a raccontarti tutto, ma spetta a te scegliere cosa fare.”

Rimasi a guardarlo immobile, attendendo che mi desse le sue opzioni su cosa fare. Avevo già due vocine, mente e cuore, che mi parlavano e mi suggerivano cosa fare.

Ma nessuna delle due opzioni mi faceva star meglio: la mente mi diceva di scappare, il cuore di restare.

Se vuoi, stasera posso dirti tutto ciò che devi sapere su di me vampiro. Oppure , puoi scappare via da me, senza sapere la verità. In questo caso, io non ti fermerò.” mi disse.

Strinsi i pugni, i miei occhi si fecero bagnati e il tremore lasciò posto a lunghi brividi caldi che si rincorrevano sulla mia schiena. Elijah studiò la mia espressione, lasciò cadere le mani lontane dal mio corpo e fece un passo indietro.

Prima che tu scelga la seconda opzione, voglio dimostrarti che puoi fidarti di me.” aggiunse poi.

Ero convinta che avesse finito di parlare e le sue parole mi stupirono.

Fece un passo verso di me, un passò lento ma deciso.

Il suo viso si avvicinò lentamente al mio, sempre con estrema eleganza e delicatezza. Come se fossi un cucciolo pronto a scappare in caso di gesti troppo bruschi.

I miei occhi continuarono a guardare i suoi, leggermente socchiusi. Sentii il suo respiro caldo sulle labbra, sfiorandole come in un delicato bacio. La sua fronte si posò sulla mia e la distanza tra di noi si fece sempre più minima.

Elijah continuava a muoversi lentamente, chissà se sentiva il mio cuore battere all'impazzata.

Ma la sua bocca non si avvicinò alla mia, piegò la testa da un lato e avvertii il suo respiro spostarsi sul mio collo.

Ad un certo punto si fermò.

Tutto si arrestò troppo velocemente per poter capire cosa fosse successo.

Elijah si allontanò da me, facendo un lungo passo indietro e prese un lungo respiro. Feci lo stesso, lo avevo trattenuto per tutto il tempo in cui lui si era lentamente avvicinato a me.

Non capivo se stavamo per baciarci o se stava cercando di mostrarmi dell'altro.

L'espressione di Elijah era abbastanza confusa, più della mia. “Avrei potuto morderti e bere il tuo sangue.” disse, con tono leggermente più freddo. “La tentazione di bere il vostro sangue è molto forte credimi, sopratutto quando...”

Si arrestò di nuovo, i suoi occhi si illuminarono e si spegnevano a seconda delle emozioni che provava in quel momento. Rimasi con la schiena contro la parete e continuai a respirare profondamente, mentre dentro di me era scoppiata una tempesta.

Fuggire o restare? Quello che era successo poco prima, mi confondeva solo di più.

Prendila come una dimostrazione di fiducia.” disse ancora Elijah, cercando di non concludere la frase di prima. “Ma sta a te decidere se vuoi farlo o no.”

Calò di nuovo il silenzio, ascoltai le vocine dentro di me e alla fine presi, troppo rapidamente forse, una decisione. La vocina più insistente, quella che non avrei mai voluto che avesse la meglio, cantò vittoria.

Elijah non mi guardò, mentre mi avvicinavo alla porta quasi correndo. E, con le lacrime agli occhi, decisi di fuggire.

* * * *

Ma dove pensi di andare?

Un insistente e fastidiosa vocina proveniente dal petto, ci tenne a ricordarmi quel piccolo particolare.

Infatti...dove pensavo di andare? Mi fermai di colpo e caddi sulle ginocchia, avevo corso per tutti i corridoi, per poi raggiungere i giardini e infine l'inizio della foresta, dove Klaus mi aveva fatto uccidere il mio messaggero oscuro. Non mi sentivo più il respiro nei polmoni, non mi ero fermata e voltata indietro solo perché la mia volontà d'animo me lo aveva impedito.

Il mio corpo e la mia mente non ce la facevano più, si erano annullati entrambi nelle bugie e nel dolore. Restai inginocchiata sul terreno, con lo sguardo rivolto verso il cielo scuro e privo di stelle.

Anche queste mi avevano abbandonato per farsi scudo delle nuvole, rifiutandosi di illuminarmi con la loro splendida e rassicurante luce.

Non potevo andarmene. Non potevo abbandonare Katerina in quelle realtà e inoltre non volevo fuggire. Dove sarei andata comunque?

A casa non potevo tornare. Mio padre mi avrebbe punita e sarei andata in sposa a Vladimir. Per non parlare di Katerina che, ero sicura, avrebbe vissuto con appellativi spregevoli per tutta la sua esistenza.

E che dire di quel Bell che aveva cercato di farmi rapire? Klaus ed Elijah mi avevano salvato la vita probabilmente, impedendo a Micah di portarmi da lui.

Perciò, era davvero giusto scappare o dovevo accettare quella realtà?

La cosa che mi premeva di più era Elijah. Il momento in cui avevo sentito il suo respiro unirsi al mio, era stato il momento in cui avevo deciso di fuggire lontano. Ma allo stesso tempo, il momento in cui decisi di restare.

Poi la paura aveva preso il controllo di tutto.

Strinsi i pugni sulle ginocchia. Non capivo se ero stupida o semplicemente pazza nel non voler scappare via il più lontano possibile.

Signorina Petrova?”

Mi voltai verso una voce conosciuta, vidi Joshua alle mie spalle.

Riconobbi il suo viso perché erano state affisse delle torce intorno alla villa, per allontanare l'oscurità.

Il ragazzo mi stava sorridendo gentilmente. “Lord Niklaus vorrebbe parlarvi.”

Lo guardai confusa. Che voleva adesso Klaus? Che Elijah gli avesse rivelato che ricordavo tutto?

Joshua intanto mi guardava come se fossi fuori di testa: me ne stavo seduta al buio di fronte ad un albero, probabilmente avrei pensato anche io la stessa cosa.

Annuii e mi alzai in piedi asciugandomi le mani sudate sulla gonna.

Joshua mi fece strada, sempre con un sorriso sulle labbra.

Lo seguii, restando qualche passo dietro di lui.

Il fatto che Klaus mi cercasse mi preoccupava, se aveva scoperto tutta la verità attraverso la bocca di Elijah o di Rebekah, cosa mi avrebbe fatto?

Per colpa dei mille pensieri che affollavano la mia mente, mi accorsi che Joshua mi stava portando per una strada diversa da quella che conoscevo, per arrivare al salone o alla camera di Klaus.

Mi aveva condotto in un corridoio che non avevo mai visto prima, dalle pareti strette al limite della claustrofobia. Mi fermai un attimo e lo guardai titubante.

Sentendo il mio passo arrestarsi, lui si voltò lentamente verso di me.

Va tutto bene?” mi chiese.

No che non andava bene.

Dubitavo che Klaus volesse incontrarmi in un posto del genere per fare una chiacchierata amichevole. Non avevo idea di che intenzioni aveva, ma ero sicura che volesse farmi del male.

Sopratutto se conosceva la verità.

È una scorciatoia per arrivare prima alle camere, non vi preoccupate.” disse Joshua, quando vide l'espressione preoccupata sul mio viso.

Però non riuscì lo stesso a convincermi. C'era qualcosa di maledettamente strano in tutta quella storia. Però annuii, lasciandolo nella convinzione che fossi rilassata.

Lui sorrise di nuovo e riprese a proseguire, seguendo il percorso illuminato dalla torcia che teneva in mano. In quel momento, facendo molta attenzione ai movimenti del ragazzo, iniziai a voltarmi lentamente verso il punto da cui eravamo entrati.

Iniziai a retrocedere lentamente, evitando di compiere qualsiasi rumore sospetto. Quando ormai ero certa di essermi allontanata abbastanza da lui, mi voltai e cercai di raggiungere la porta.

Ma Joshua mi si parò davanti, cogliendomi di sorpresa.

Pochi attimi prima stava camminando tranquillamente davanti a me, allora invece mi era apparso davanti ad una velocità impressionante. Questo faceva di lui solo una cosa.

Prima che potessi compiere qualsiasi movimento, lui mi spinse contro il muro cingendomi il collo.

La sua espressione non rispecchiava più alcuna gentilezza, aveva solo un aspetto mostruoso con gli occhi iniettati di sangue e i canini in bella vista.

Cercai di liberarmi della sua presa, ma come al solito niente mi servì ad allontanare quelle mani dal mio collo.

Mi hanno detto che sei parecchio intuitiva, vorrà dire che farò qui quello che devo fare....” mi disse, quasi divertito.

Lo guardai senza capire, lui mi buttò a terra sopra uno scalino e feci leva sulle mani per non sbattere il viso. Ma lui non era uno dei fedeli di Klaus? Mi alzai in piedi il più velocemente possibile e iniziai ad arretrare. Per quanto ne sapevo la via di fuga era solo alle sue spalle, ma dubitavo che ci sarei arrivata così facilmente.

Lui continuò ad avanzare verso di me, con un sorriso sulle labbra che poteva quasi fare concorrenza con quello di Klaus. “Non capisci cosa sta succedendo, vero?” mi chiese, spalancando le braccia.

Io continuavo ad arretrare, mi guardai attorno alla ricerca di una possibile arma ma vidi solo le pietre delle pareti e le torce che brillavano su di esse.

Deglutii e tornai a guardare Joshua.

Ho ucciso io quelle ragazze, Irina.” disse Joshua.

Sbarrai lo sguardo sorpresa. Mi trovai a rabbrividire per la paura, mentre la sua figura continuava ad avanzare verso di me.

E ora, è il tuo turno. Consideralo come un favore, mi raccomando! Ho saputo che sei stata rapita per chissà quale motivo..almeno con me, saprai subito che fine farai...”

Fece un lungo passo verso di me. Mi ritrassi giusto in tempo prima che mi trovassi a pochi centimetri da lui. Restò così a fissarmi, piegando la testa da un lato come se stesse già pregustando il momento in cui avrebbe affondato i denti nella mia carne.

Scommetto che vuoi sapere perché, vero? Beh, diciamo che Klaus ha più nemici che amici. E io non gli sono amico da troppo tempo. Mi ha donato l'immortalità ma mi ha tolto la possibilità di gestirla a modo mio.”

Non poteva essere solo per quel motivo che Joshua aveva ucciso quelle ragazze, Micah mi aveva detto che Klaus scappava da secoli da qualcuno che voleva ucciderlo e che stava giocando con lui, premendo sul bottone della solitudine.

Guardai Joshua, parlava e si muoveva come un burattino guidato da dei fili invisibili.

Forse era stato manipolato? Purtroppo non avrei potuto capirlo mai, perché mi fu addosso in un secondo. Mi spinse contro la parete alle mie spalle.

Sai, un po' mi dispiace doverti ammazzare....”sussurrò a denti stretti, quasi con rabbia. “Sei così...inutile, che quasi mi fai pena. Ma a Klaus stai simpatica, perché si rivede molto in te e perché ha molte sciocchezze che gli passano per quella mente bacata. Per questo tu morirai, Klaus deve assaporare la solitudine, prima di morire tra atroci dolori.”

Provai a liberarmi di nuovo, ma senza risultato.

Joshua mi tenne più strette le spalle e mi costrinse a guardarlo. “Fine dei convenevoli, addio Iry.” disse, come se volesse dare inizio subito alla mia morte.

Affondò i denti nella mia carne, provocandomi un fortissimo dolore che non avrei potuto fronteggiare. Sentivo il mio sangue scendere lungo la pelle, mentre lui se ne cibava voracemente. Posai le mani sul suo petto per spingerlo via, ma lui continuava a penetrare sempre di più i denti nel mio collo.

Iniziai a sentirmi debole, troppo debole per poter anche solo tenere gli occhi aperti.

Fino a quando, lui non venne strappato via da me.

Sbattei più volte le palpebre e mi poggiai completamente sul muro alle mie spalle, per cercare di riprendere un po' di forza. Di fronte a me era apparso Elijah: teneva Joshua per il colletto della camicia e lo teneva sospeso di fronte a sé.

Vidi i suoi occhi neri, carichi di una rabbia che non aveva nulla di umano.

Tu la parola lealtà non la conosci, vero Joshua?” gli chiese a denti stretti.

Joshua sorrise, ma era un sorriso che voleva inutilmente nascondere il terrore che lo dominava. “Non sarò mai leale a quel mostro di tuo fratello.” disse.

Elijah lo tenne più stretto, mi portai una mano sopra il collo ferito e sentii il sangue che continuava a fuoriuscire.

Prima di staccarti la testa dal collo, voglio sapere perché.” stava dicendo Elijah, lo guardava fisso negli occhi e capii che stava ordinando alla mente di Joshua di seguire i suoi ordini.

Era incredibile come il ragazzo avesse fatto il gradasso con me fino a poco prima e ora sembrava rabbrividire al cospetto di Elijah.

Il suo viso assunse un espressione piatta, proprio come quella di un manichino privo di personalità.

Iniziò a parlare lentamente, con un tono privo di qualsiasi tipo di emozione. “Mi è stato ordinato.” disse solo.

Elijah sospirò, doveva averlo capito da subito, da quando aveva scoperto che era stato Joshua a compiere quegli omicidi.

Ma lo sapeva da prima o lo aveva sentito nel discorsetto di Joshua prima che mi mordesse?

Perché hai avuto questo ordine?” continuò Elijah.

Dovevo far recapitare un messaggio a Niklaus, almeno fino a quando l'arma per ucciderlo non sia pronta...”

Elijah si ammutolì, prese dei lunghi respiri e fissò negli occhi Joshua.

Sembrava che avesse capito qualcosa e che stesse preparandosi e porgli un'altra domanda, la cui risposta non gli sarebbe piaciuta.

Chi ti ha soggiogato?” gli chiese.

Allora Joshua restò un attimo in silenzio, io ed Elijah restammo ad aspettare una risposta che sembrava non sarebbe mai arrivata nell'oscurità.

All'improvviso Joshua sorrise. “Tanto tu mi ucciderai comunque, Elijah.” disse, come se non fosse più sotto il controllo mentale del vampiro. Com'era possibile, non me lo potevo capacitare.

Solo la verbena faceva quell'effetto e un vampiro non poteva tollerarne il sapore o il tocco.

Un urlo di dolore ruppe il silenzio: Elijah aveva abbassato la guardia un solo secondo e Joshua aveva avuto il tempo per afferrare uno strano pugnale e conficcarlo nel ventre del ragazzo.

Allora voglio almeno portare a termine ciò che mi è stato ordinato!” ringhiò Joshua.

Elijah si accasciò a terra, riuscivo a vedere il sangue rosso che bagnava il pavimento sotto il suo corpo. Presa dal panico, cercai di soccorrerlo.

Non poteva averlo ucciso o ferito, non esistevano armi del genere per quanto ne sapevo.

Joshua mi bloccò prima che potessi avvicinarmi, mi strinse la mano al collo e mi spinse contro il muro. Aveva in mano un pugnale macchiato del sangue di Elijah.

Il ragazzo gemeva di dolore dietro di lui, lo vedevo mentre cercava di rimettersi in piedi velocemente.

Avrei tanto voluto aiutarlo, ma la mia debolezza me lo impediva.

Joshua rise di nuovo, aveva ancora le labbra macchiate del mio sangue. “Dov'eravamo rimasti? Ah sì, dovevo finire di dissanguarti....”

Fece di nuovo per affondare i denti nella mia carne, ma Elijah glielo impedì: nonostante continuasse inspiegabilmente a sanguinare, lo separò da me e lo gettò a terra.

Joshua sembrava aver accettato la consapevolezza di dover morire, ma voleva solo terminare la mia morte prima di giungere alla sua. Sembrava davvero un folle.

Nello scontro con Elijah, il pugnale gli era caduto di mano ed era finito lontano da lui.

È ora...che tu muoia, Joshua.” disse debolmente Elijah.

Joshua iniziò a strisciare all'indietro, per arrivare al pugnale.

Guardai Elijah, sembrava davvero indebolito da quell'arma insolita: all'apparenza sembrava un pugnale, ma doveva esserci qualcosa sotto.

Non era possibile che un'arma così semplice, potesse farlo sanguinare in quel modo.

Mi guardai attorno, dovevo trovare qualcosa per poterlo aiutare.

Elijah, il tuo attaccamento a quell'animale di tuo fratello ti costerà caro.” ridacchiò Joshua. “Tu e Rebekah state pagando tutto per colpa sua.”

Klaus è mio fratello. Non è stato lui a rovinare la nostra esistenza...” sussurrò Elijah, si tenne la mano sul ventre e continuò a proseguire.

Voleva uccidere il suo nemico, ma era confuso quanto me di fronte a quella ferita inspiegabile.

Joshua riafferrò il pugnale. “Non posso ucciderti, ma posso indebolirti ulteriormente!” annunciò quasi con entusiasmo. Provò a scattare di nuovo in piedi, ma non gli permisi di avvicinarsi troppo ad Elijah. Non si era accorto del modo in cui ero strisciata lungo il muro per prendere la torcia di fuoco appesa alla parete. Avevo corso più veloce possibile e avevo usato il manico di legno come paletto: era stato così avventato che venne lui incontro al mio paletto, lo sentii infilzargli la carne del petto.

La sua bocca si aprì in un grido e pian piano la pelle del suo volto divenne grigia, spenta come la morte. Alzò un'ultima volta lo sguardo su di me, quando lasciai cadere il paletto lo vidi accasciarsi a terra privo di vita.

Osservai il suo corpo a lungo, mentre i miei pesanti respiri riempivano l'aria attorno a noi, spegnendo il terribile silenzio che si era appena creato dopo quel grido.

Mi voltai verso Elijah, il suo volto racchiudeva tutto il dolore che doveva provare, mentre la sua mano giaceva ancora sulla macchia rossa che gli aveva bagnato il ventre.

Irina..” sussurrò debolmente.

E prima che potessi accorgermene, cadde a terra privo di sensi.




Ciao a tutti! :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito io non ne sono molto convinta. Negli ultimi tre capitoli ho cercato di introdurre i due nemici principali della storia, senza lasciar trapelare né troppo poco, né molto. Spero di esserci riuscita bene e di non avervi, in realtà, solo confuso.

Quindi, ci sono due personaggi che tramano nell'ombra e che hanno due obiettivi diversi: uno Klaus, l'altro Irina. Nei prossimi capitoli ci saranno altri chiarimenti su entrambe queste figure e pian piano verranno rivelati anche altri elementi riguardanti la protagonista.

A parte tutto, spero che nel complesso la storia stia continuando a piacervi!


Ci tenevo a ringraziare:

Elyforgotten

Missgabriella

Sporpellina

Briony96

Katherine

Esmeralda91

per regalarmi sempre le loro splendide recensioni!

E ringrazio ancora di cuore chi ha inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate e ai lettori silenziosi! :D

Ciao :)


















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Capitolo 11
*** Meds ***


    -Meds-

Spalancai la porta della camera di Elijah con un calcio.

Lui era ancora debole, respirava a fatica ma trovava lo stesso la forza di ordinarmi di lasciarlo camminare da solo. Peccato che, per come era stranamente ridotto da Joshua, non sarebbe riuscito a fare nemmeno un passo usando le proprie forze.

Erano diversi minuti che camminavamo, la festa era ancora in corso perciò nessuno si accorse di noi due, quasi moribondi, che vagavamo nei corridoi scuri alla ricerca della stanza. Ci capitò solo di incrociare una coppia, ma erano talmente ubriachi ed era talmente buio, che non si accorsero del sangue sui nostri vestiti.

Lascia, faccio da solo.” disse orgogliosamente Elijah, rifiutandosi di ricevere ulteriore aiuto da me. Lo osservai mentre andava a sedersi sul bordo del suo letto e rimasi immobile sulla soglia della porta. Grazie alle luci delle candele, notai come il suo viso era diventato pallido e sudato.

La ferita non lo avrebbe ucciso, ma lo aveva parecchio provato quella notte.

Torna...torna pure in camera tua. Domani starò meglio.” mi disse, osservandosi la macchia rossa che bagnava la sua maglia bianca. Parlava freddamente, probabilmente si sentiva ferito nell'orgoglio per essere stato colpito da un vampiro qualsiasi come Joshua.

Perchè io lo avevo distratto e il che mi fece sentire terribilmente in colpa.

Oppure, Elijah era semplicemente nervoso perchè aveva capito chi realmente si nascondeva dietro gli omicidi di quelle ragazze. Micah era la pedina di Bell, Joshua lo era di qualcun altro davvero pericoloso per Klaus.

E io ci ero finita in mezzo, solo perchè Klaus aveva finto di essere carino con me.

Quando si accorse che stavo ancora là a fissarlo immobile, Elijah alzò lo sguardo su di me. “Irina, non ho bisogno che tu vegli su di me. Vai in camera e riposati.” disse, ma era ancora glaciale nel modo in cui parlava.

Non mi andava di lasciarlo solo. Anche se avevo la certezza che non sarebbe morto, avevo comunque paura di perderlo.

In un modo o in un altro.

Per dargli una risposta, mi chiusi la porta alle spalle e mi avvicinai rapidamente al letto.

Elijah mi seguì con lo sguardo, mentre mi chinavo davanti a lui.

Iniziai lentamente a sfilargli gli scarponi dai piedi. Se lo avesse fatto lui da solo, probabilmente si sarebbe fatto parecchio male data la posizione della ferita.

Quel mio gesto lo lasciò per un attimo interdetto.

Irina, smettila.” mi disse. “Non devi farlo, ci riesco anche da solo.”

Gli feci segno di stare zitto, mentre posavo gli scarponi accanto al letto. Lo feci sorridere a causa della mia tenacia, almeno ero riuscita a strappargli per un istante quella maschera di dolore dal viso. Nonostante avessi mille domande irrisolte nella testa, a cui se n'era aggiunte altre dopo l'attacco di Joshua, misi a tacere la mente per concentrarmi solo su di lui.

Osservai la pozzanghera rossa che macchiava la sua maglia bianca, pensai che forse avrei potuto contribuire alla guarigione, già di per sé veloce, usando le poche tecniche mediche che conoscevo. Avevo delle erbe in camera, che sarebbero potute servirmi per aiutarlo.

Forse era inutile quello che stavo per fare, ma tentare non avrebbe nuociuto a nessuno.

Elijah mi osservò attentamente, mentre riflettevo. Teneva le mani affondate nel materasso e la testa piegata da un lato, sembrava che stesse osservando la ferita sul mio collo.

E ora dove ti ha detto di andare quella testa vuota?” mi chiese.

Quando mi vide alzarmi di scatto, mi limitai solo a fargli un gesto veloce per dirgli che non doveva muoversi. Mi avvicinai velocemente alla porta, allungai il braccio per afferrare il pomello e la spalancai troppo rapidamente, per impedire al mio corpo di non ricordarmi che ero gravemente ferita.

Malgrado non volessi perdermi d'animo, fui costretta almeno un secondo a posare la mano sullo stipite della porta e chiudere gli occhi. Presi fiato, la ferita sul collo continuava a sanguinare e pulsava in una maniera a dir poco insopportabile.

Restai troppo a lungo a cercare di riprendermi, ad Elijah bastò per accorgersi che qualcosa non quadrava.

Tutto bene?” mi chiese, la sua voce era troppo vicina. Doveva essersi mosso con la sua velocità da vampiro per potermi raggiungere, sentì la sua mano posarsi sulla mia schiena, come a dire che mi avrebbe sorretto in caso il mio corpo non ce l'avesse fatta.

Annuì, in quel momento eravamo deboli quasi allo stesso modo, cosa che speravo e dubitavo sarebbe di nuovo accaduta, e io volevo essergli di aiuto. Ero fuggita via e lo avevo fatto ferire solo perchè ero stata una stupida. Dovevo ripagarlo in qualche modo.

Sono un vampiro, Irina. So cavarmela da solo, dovresti preoccuparti più della tua ferita.” disse, quasi sussurrando. “Le mie sono nulla a confronto.”

Gli lanciai un'occhiata veloce, non riuscivo a vedere bene il suo viso per via dell'oscurità che ci circondava, ma immaginavo il suo sguardo rivolto verso il mio collo sanguinante.

Gli feci di nuovo segno di attendermi là e raggiunsi velocemente camera mia,. Katerina non era ancora rientrata, doveva essere ancora in sala a festeggiare, alla faccia della delusione che le avevo procurato. Anche se era sempre il centro dei miei pensieri, non potevo perdermi in dispiaceri che avrei potuto risolvere il mattino successivo. Frugai velocemente nell'armadio e trovai ciò che cercavo, tenevo le piante e le erbe in una cesta, in modo che avrei potuto prenderle subito, senza andare ogni volta in giardino a raccoglierle. Presi anche delle bende e un abito pulito, il più semplice che mi capitò a tiro, in modo che potessi cambiarmi appena tornata da Elijah.

Avevo predetto di rimanergli accanto, ma non potevo farlo con tutto quel sangue che bagnava la mia pelle. Gli avrei fatto solo più male, inducendolo magari in tentazione.

Tornai velocemente in camera di Elijah, sperando che il corpo continuasse a non cedere al forte dolore che provavo.

Lo trovai ancora seduto sul bordo del letto, le fiamma delle candele sul comodino illuminava la sua espressione poco convinta. Sapevo che doveva essere fastidioso per lui ricevere aiuto da una fastidiosa umana come me, ma dopo quello che aveva fatto per me, doveva limitarsi ad accettare il mio aiuto senza fare storie.

Cosa vuoi fare adesso?” mi chiese, guardandomi mentre riponevo delle ciotole, un panno e delle erbe sul comodino. Lo ignorai, tornai a chiudere la porta che avevo lasciato aperta dietro di me e presi il secchio d'acqua che avevo visto vicino alla finestra.

Tornai a chinarmi di fronte a lui e iniziai a schiacciare diverse erbe dentro una ciotola.

Ma tu lo sai che cosa sono o ti è sfuggito qualcosa?” mi chiese divertito.

Alzai le spalle, fissando la ciotola tra le mie mani. Una semplice arma lo aveva ferito, forse una semplice conoscenza in erboristeria avrebbe potuto aiutarlo a guarire più velocemente.

Elijah sospirò, volse la testa da un lato e guardò fuori dalla finestra. “Sono un originale, guariamo più in fretta dei vampiri normali.” ci tenne di nuovo a sottolineare.

Allora sarebbe guarito ancora più in fretta.

Elijah scoccò la lingua, quando si arrese al fatto che ormai avevo iniziato una cosa e l'avrei portata a termine. L'impasto era pronto, non sapevo nemmeno se era venuto bene ma bastava solo spargerlo sopra la ferita per verificarlo.

Devo...togliermi la maglia?”

Mi ero dimenticata di quel piccolo ma imbarazzante dettaglio. Elijah mi guardò a lungo, studiando la mia espressione. Il fatto che potesse vedere il rossore sulle mia guance, mi fece tornare subito in me.

Annuì, ma lui sembrava stranamente imbarazzato quanto me per quello che stava per succedere. Si tolse lentamente la maglietta, il sangue l'aveva praticamente attaccata alla pelle e lui si lasciò andare ad un verso di dolore quando la separò da essa. Posò lo sguardo sul soffitto e serrò le labbra, per non cedere di nuovo al dolore.

Deglutì, forse non era il momento giusto per lasciarsi andare a pensieri del genere, ma quando osservai la fiamma della candela riflettersi sulla pelle di marmo di Elijah, mi mancò il respiro.

La parola perfezione non bastava a descriverlo: la pelle era liscia e chiara proprio come quella di una statua. Se non avesse parlato, avrei davvero creduto che fosse stato creato davvero dalla mano di uno scultore: uno scultore divino.

Elijah mi guardò, dovette fraintendere il mio sguardo che vagava sul suo petto.

Scusa per il sangue, immagino ti faccia impressione...” mi disse, riportandomi alla realtà.

Alzai lo sguardo sui suoi occhi, ero così persa che non mi ero nemmeno accorta di quel liquido denso sulla sua pelle.

Scossi la testa, trovando un po' di contegno rimasto nascosto dietro il mio evidente imbarazzo.

Iniziai a spalmare il contenuto appiccicoso della ciotola sulla ferita, lo feci con delicatezza per non fargli male. Elijah seguì i movimenti della mia mano, con curiosità.

Anche se sappiamo entrambi che questo esperimento è un po' inutile...” disse ad un certo punto. “Ti ringrazio.”

Mi sorrise, un attimo solo necessario per deconcentrarmi. Ricambiai, ma continuai passare la mia mano sulla sua ferita. Restammo così per diversi minuti, non mi accorsi che lo sguardo di Elijah si era spostato dal mio viso alla zona insanguinata sul mio collo. Mi scostò i capelli da un lato per osservarla meglio, istintivamente piegai la testa dal lato opposto, come per evitare il suo tocco freddo. Lo facevo per pura vergogna, non perchè avessi paura di lui.

Bastardo...” sussurrò rabbiosamente, mentre quelle pozzanghere nere ispezionavano lentamente il risultato del mostro di Joshua.

Le sue dita sfiorarono delicatamente la ferita, facendomi sobbalzare. Il suo tocco non era freddo come lo ricordavo, o meglio lo era ma allo stesso tempo trasmetteva un'ondata di calore inimmaginabile. Una cosa che riusciva ad alleviare un attimo il dolore.

Continuai a massaggiare la ferita e tenevo la testa ancora piegata sotto la mano di Elijah,

Quando sentì di nuovo il suo viso avvicinarsi al mio. Quella volta fui certa che non voleva baciarmi, il suo respiro soffiò sul sangue che macchiava il mio collo. Sembrava che lo stesse annusando, come se la tentazione di assaggiarlo fosse troppo forte, persino per un uomo controllato come lui. Era la mia reazione quella che mi stupì, rimasi immobile e quasi aspettavo che lui mi mordesse. Potevo immaginare il suo bisogno di sangue in quel momento e visto che mi aveva salvato per ben due volte, dovevo considerarmi in debito con lui.

Gli avrei ceduto il mio sangue se necessario.

Con uno scatto veloce, lui si ritrasse indietro e chiuse gli occhi, come per allontanare un pensiero che considerava immorale dalla sua mente.

Il pensiero che anche io potrei farti una cosa simile, mi manda fuori di testa.” disse scuotendo la testa.

Nel frattempo avevo ripreso a respirare, ritrovai velocemente la concentrazione necessaria per occuparmi della ferita che giaceva sul corpo di Elijah. Si stava già rimarginando, mi sembrava di sentirlo sotto la mia mano, macchiata di sangue e di quell'intruglio verde e grumoso che avevo creato. Sentivo i suoi occhi ancora sulla mia ferita, immaginai i pensieri di odio che gli attraversavano la mente in quel momento.

Ora può bastare, è della tua ferita che bisogna occuparsi.” esclamò ad un certo punto lui, cingendomi delicatamente i polsi. La sua delicatezza però era unita ad un espressione dura che non riuscivo a tradurre. Era arrabbiato con me o era semplicemente molto provato fisicamente? Feci un cenno di assenso con la testa e mi alzai in piedi, con movimenti lenti e decisi, rimisi in ordine tutto il materiale che avevo usato per la medicazione. Elijah si stava rivestendo e nel frattempo mi implorava di lasciare tutto come stava e che se ne sarebbe occupato lui stesso l'indomani. Ma lo ignorai, continuai a mettere a posto i vari oggetti e solo dopo studiai la macchia rossa sul mio collo. Ogni volta che lo muovevo, la sentivo bruciare.

Quel liquido rosso e denso aveva smesso di uscire, ma circondava quei due puntini rossi in una stretta letale che provocava un immenso dolore.

Se ti do il mio sangue, potrebbe guarire più in fretta.” disse Elijah, lo sentì avvicinarsi alle mie spalle e tese il polso di fronte a me. Guardai il suo riflesso sullo specchio, i suoi occhi erano fissi sul mio viso mentre avvicinava l'altra mano alla sua pelle.

Quando capì che voleva ferirsi, in modo che prendessi in suo sangue, lo fermai, posandogli la mano sul braccio.

Il motivo non era solo perchè il pensiero di bere sangue mi terrorizzava, ma anche perchè io non volevo che lui mi donasse il suo di sangue. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, era davvero troppo.

La ferita sarebbe guarita prima o poi, avevo solo bisogno di lavare via il sangue e cambiarmi l'abito. Una leggera striscia rossa verticale scendeva sotto il collo, fino ad arrivare a metà della gonna. Joshua aveva fatto davvero un lavoro con i fiocchi.

Irina, devi prenderlo. So che non è una cosa gradevole, ma berlo ti farà guarire la ferita rapidamente!” insistette lui.

Con ostinazione, continuai a rifiutarlo. Sentivo la stanchezza che stava impadronendosi di me.

Se avessi chiuso le palpebre per un secondo di più, probabilmente sarei caduta a terra, addormentata.

Capendo che non avrei accettato, allora prese una delle pezze che mi ero portata in camera: restando in piedi dietro di me, lo bagnò con un po' dell'acqua che avevo usato per lavare il suo sangue e iniziò ad asciugare la ferita. C'era qualcosa di stranamente sensuale nel modo di muovere le sue mani, pulì via il sangue con fermezza e grazia allo stesso tempo.

Quando terminò, era rimasto solo un leggera sfumatura di rosso sulla pelle e due puntini rossi. Ci mise sopra una benda, in modo che i due puntini non fossero visibili.

Ora, ascoltami, torna in camera e riposati. Dopo quello che hai passato, non ti puoi permettere di farmi pure da infermiera..” disse. Elijah vide che il mio sguardo ormai stava crollando di fronte alla stanchezza che mi stava consumando le forze.

Ma dovevo resistere e far capire ad Elijah che io non lo avrei abbandonato.

Vampiro o no, sarei rimasta con lui.

Mi allontanai dal suo corpo e, con suo stupore, mi sedetti sulla poltrona di fronte al suo letto. Forse si aspettava che sarei corsa filata in camera mia e mi sarei messa sotto le coperte? Peccato che non potesse leggermi nella mente. Quel pensiero era lontanissimo anni luce dalla mia mente.

Le labbra di Elijah si allargarono in un sorriso nervoso, quando mi vide prendere una coperta da sotto la poltrona e portarmela sulle gambe.

Vuoi scherzare spero? Hai davvero intenzione di dormire qui?” mi chiese.

Risposi con una scrollata di spalle. A meno che non mi avesse fatto spostare con la forza, io sarei rimasta inchiodata su quella poltrona.

Non capì però, che ad Elijah non dava fastidio il fatto che rimanessi lì la notte. Era ben altro.

Tanto non riuscirò a convincerti ad andare in camera...” disse, facendo diversi passi, molto lenti a causa della ferita, verso di me. Osservai il sorriso che brillava sul suo viso e lo vidi indicarmi il letto. “Allora dormi tu sul letto e lascia a me la poltrona...”

Non ne avevo la minima intenzione, aveva lui la ferita più grave, non io. E quindi era lui quello che doveva dormire sul suo letto. Scossi la testa, probabilmente avremmo continuato a discutere per tutta la notte se la nostra ostinazione e il nostro orgoglio continuavano ad andare di pari passo.

Sospirai, l'aveva di nuovo vinta lui. Mi alzai dalla poltrona e lo seguì con lo sguardo mentre occupava il mio posto. Indicò il letto, quasi come se mi stesse sfidando e mi arresi.

Mi accomodai sul materasso, sinceramente mi imbarazzava persino dormire di fronte ad un uomo ma se volevo rimanergli accanto, dovevo superare quella mia infantile vergogna.

Il letto di Elijah era morbidissimo, sentivo il suo profumo impresso nelle federe del cuscino e sulla coperta che mi stavo portando alle spalle per coprirmi. Non avevo il coraggio di guardare se Elijah riuscisse a vedermi, mentre inalavo il suo odore per riuscire a prendere sonno.

Cosa che successe quasi subito, ero così stanca che gli occhi si chiusero senza che me ne accorgessi. Mi parve di sentire la voce di Elijah attraversare lentamente l'inizio dei miei sogni: mi stava augurando la buona notte.


Fu il sole a svegliarmi.

La finestra non era al lato del nostro letto, improvvisamente era sopra la mia testa e la sua luce penetrava attraverso il vetro, investendomi gli occhi. Mi portai una mano sopra di essi e guardai il sole brillarmi sul volto, come per augurarmi il buongiorno. Sempre se di buon giorno si poteva trattare, i ricordi della notte precedente mi riempirono di nuovo la testa.

Rimpiansi i primi cinque secondi del mio risveglio, quando la mia mente era ancora assopita dal sonno per ricordare quanto la mia vita fosse cambiata.

Ci misi un po' persino per ricordarmi che ero nella camera di Elijah.

Mi misi rapidamente a sedere quando mi parve di non sentire la sua presenza nella camera.

E infatti, lui non stava dormendo sulla poltrona come lo avevo visto l'ultima volta.

Ma dov'era andato? I miei pensieri si arrestarono per qualche secondo, mentre il mio sguardo vagava verso le pareti che mi circondavano. La sera prima ero così stanca ed era così buio, che non mi ero accorta di quanto fosse bella la stanza di Elijah.

Alla mia sinistra c'era uno scrittoio, su cui erano stati posati in ordine diversi fogli. Su diversi angoli delle pareti, c'erano dei quadri, alcuni erano dei ritratti di persone che non riuscivo a riconoscere e altri invece rappresentava dei bellissimi paesaggi naturali su cui, se il mio occhio ci si fosse soffermato troppo a lungo, avrei potuto catapultarmici dentro, come se fossero reali.

Mi alzai di scatto, quando mi ricordai che avevo indosso ancora gli l'abito sporco di sangue. Mi svestì velocemente e indossai quello che avevo portato in camera la notte prima, sperando che in quel momento Elijah non tornasse. Intanto, osservavo le lenzuola del suo letto per assicurarmi che fossero rimaste immacolate come le avevo trovate.

Appena terminai, appallottolai l'abito e lo posai a terra, in un angolo nascosto.

Mi ricordai di aver lasciato sul comodino il materiale con cui avevo curato Elijah, ma quelli sembravano scomparsi.

Mi guardai di nuovo attorno e notai l'immensa libreria che occupava la parete destra della stanza. Era un mobile scuro, color dell'ebano, con diversi scaffali tutti occupati da libri, all'apparenza antichi. Corsi a vederne qualcuno, avevano un profumo di antichità e di epoche passate, che mi avvolsero completamente, con la mente e con il corpo. Ne presi uno e lo sfogliai, non volevo leggerlo ma solo sentire quelle pagine ingiallite che mi sfioravano le dita mentre compievo quel gesto. La camera di Elijah sembrava un paradiso per chi come me, si era innamorato della lettura.

La porta che si spalancava, mi riportò di nuovo alla realtà. La realtà in cui avevo una benda attorno al collo e in cui avevo rischiato la vita due volte nel giro di una settimana.

Il viso di Elijah fece capolino nella stanza, non mi aveva vista più sul letto e perciò aveva lasciato scorrere gli occhi preoccupati lungo le pareti. Quando mi vide acquattata a terra, con in mano un libro, sorrise tranquillamente.

Buongiorno.” mi disse, chiudendosi la porta alle spalle.

In mano aveva una tazza di quello che mi parve latte fumante, si sedette a terra di fronte a me e me la porse gentilmente. Sembrava essersi completamente ripreso dal colpo della scorsa notte, il suo viso era rilassato e non aveva alcuna traccia di dolore.

Beati loro, i vampiri, che guarivano così in fretta. A me la ferita ancora pulsava.

Soffiai sul latte, per allontanare quella scia di fumo che proveniva da esso e che mi investiva la pelle. Io ed Elijah restammo in silenzio a lungo, nessuno sembrava voler parlare di quello che era accaduto la notte prima. Volevano solo goderci il silenzio in pace, come due persone normali.

Ma quella quiete non poteva durare a lungo purtroppo.

Sono andato a recuperare il corpo di Joshua. Non che meritasse una degna sepoltura ma...si trova sotto terra nella foresta.” disse, guardando fisso di fronte a sé. “Ma non ho trovato il pugnale con cui mi ha colpito...”

A quello rimediai io. Lo presi da sotto la gonna del vestito sporco, dove lo avevo tenuto nascosto per tutto quel tempo, e glielo porsi. Lo avevo recuperato prima di soccorrerlo, avevo immaginato che lo avrebbe voluto.

Era un pugnale dalla lama e dal manico neri, sembrava fatto con le mani della morte.

Elijah lo studiò per diversi secondi. “Chissà che diavoleria ha usato chi ha creato questo pugnale...” disse in un sospiro. “Ma se non può uccidere un originale, vuol dire che lui non è ancora davvero pronto...”

Lo guardai confusa, ricordavo nel suo breve scambio di battute con Joshua, la frase in cui aveva detto che non era stato Klaus a rovinargli l'esistenza, ma qualcun altro.

Qualcuno che probabilmente aveva soggiogato Joshua al fine di compiere quei terribili omicidi.

Prima che potessi chiedergli qualcosa al riguardo, Elijah allungò il pugnale verso di me.

Tienilo tu.” mi disse.

Guardai la lama posta tra di noi, alzai lo sguardo su Elijah e sospettai che il motivo per cui me lo volesse cedere, non era solo per proteggermi dagli altri vampiri. Scommetto che si era automaticamente incluso nella lista di persone su cui avrei potuto usarlo. Ricordavo ancora il modo in cui avevo percepito il suo desiderio del mio sangue la notte prima, non mi aveva spaventato sentire il suo respiro così vicino, ma doveva aver spaventato lui.

Lasciai la tazza sul pavimento e presi con titubanza il manico del pugnale.

Lo avvicinai a me: mi accorsi che quella lama era ancora sporca del sangue di Elijah e per questo, non riuscivo a guardarla. Lui mi suggerì di tenerla nascosta sotto la gonna come avevo fatto in precedenza.

Voglio che la tenga tu...perchè temo che questa storia non sia finita con Joshua.” mi spiegò Elijah, come se avesse percepito quali pensieri mi avessero attraversato la testa quando aveva allungato il pugnale verso di me. “Anzi, sono sicuro che non sia ancora finita...”

Uno strano brivido si percepì nella sua voce. Lo guardai attentamente, mentre teneva lo sguardo fisso su un punto davanti a sé.

Strisciai più vicino a lui e piegai la testa verso il suo viso, per attirare la sua attenzione. La cosa bella che vivevo con Elijah, era che lui mi capiva subito e con un semplice sguardo.

Sospirò e mi lanciò una lunga occhiata. “Quanto ti piace ascoltare da uno a dieci?” mi chiese. “Micah deve averti raccontato molto di noi, ma non abbastanza. Parliamo di una decina e più di vite almeno...”

Mi ero dimenticata che quegli occhi scuri si erano aperti su ben cinque secoli di epoche, cambiamenti e nuove realtà. Ma c'era qualcosa in quello sguardo che mi faceva pensare non avesse visto solo cose positive. Non me ne stupì, l'umanità non si avvicinava nemmeno lontanamente ad un paradiso in cui chiunque avrebbe voluto vivere.

Essere immortali forse, non era propriamente una cosa meravigliosa.

Vedendo il mio sguardo titubante, Elijah prese una decisione. Probabilmente quella di non dirmi nulla che non fosse importante.

Io penso di sapere chi si nasconda dietro il soggiogamento di Joshua.” disse, volgendo lo sguardo verso di me.

Il nero dei suoi occhi nascondeva qualcosa, una paura dovuta probabilmente a secoli di fughe e dolori. Ero tentata da toccargli quegli zigomi perfetti, ma l'imbarazzo di essere inappropriata mi fermò.

Volevo solo sapere chi voleva fare del male a Klaus e di conseguenza ad Elijah e Rebekah. Ne avevo uno anche io sembrava, perciò come avevo condiviso io le mie paure con lui, Elijah avrebbe potuto fare lo stesso.

Abbassò gli occhi, mi resi conto solo allora che forse stavo chiedendogli troppo.

Mikael .” pronunciò quel nome non con terrore, ma con diverse emozioni miste e tutte contornate da quello che mi sembrava essere rispetto. “C'è sicuramente lui dietro tutta questa storia....”

Improvvisamente trovai quel nome familiare, probabilmente lo avevo letto nel libro che mi aveva preso Rebekah ma non riuscivo a ricollegarlo nella mente. Doveva essere un originale però, visto che era capace di manipolare le menti degli stessi membri della sua specie.

Forse un fratello?

O magari il padre.

Mi sembrò di ricollegare tutti i tasselli mancanti nella mia mente: Klaus non aveva buoni rapporti con suo padre, anzi mi era sempre parso di capire che il suo fosse peggiore del mio.

Talmente peggiore da volere il figlio morto.

Ma per quale motivo? Cosa poteva avere di così sbagliato un figlio da dargli la caccia per secoli?

Quella faccia pensierosa mi preoccupa.” disse Elijah, mi resi conto che stavo fissando il vuoto, con occhi sgranati da troppo tempo. Lui sorrise, almeno la mia banalità gli poteva servire per sviare i cattivi pensieri, anche se solo per un secondo.

Mikael era nostro padre. Sai che non è stato un padre modello, sopratutto per Klaus...” disse. Ricordai gli occhi di Klaus quando mi aveva detto di suo padre, cancellai subito l'immagine che avevo di lui e mi tornò davanti agli occhi il disegno del suo viso sorridente. Magari Klaus non era propriamente cattivo come pensavo: o meglio, lo era, ma non per sua natura.

Magari aveva solo bisogno di qualcuno che lo comprendesse.

E io non lo avevo mai compreso, per colpa della mia ingenua paura. Cambiai idea in un semplice secondo su di lui, cosa che raramente mi capitava con altre persone.

Mikael lo ha sempre messo alla prova, fin da subito. Lo ha fatto sempre sentire inferiore rispetto a ciò che era, non gli ha fatto conoscere un'infanzia e nemmeno un'adolescenza.” Elijah si bloccò, quando si accorse che qualcosa era mutato nel mio sguardo.

Era solo che mi sembrava di risentire la mia storia, ma solo con altri protagonisti e un finale ancora peggiore. Mi strinsi le ginocchia al petto e gli pregai di continuare, anche se ogni parola mi sembrava una pugnalata al cuore.

Lui non lo fece subito, mise probabilmente da parte alcuni ricordi, probabilmente per salvaguardare Klaus o il suo stesso padre. Potevo immaginare il suo dolore nel ricordare l'odio di Mikael, anche se era riverso su un altro figlio.

Lui impazzì quando scoprì che mia madre gli fu stata una volta infedele.” continuò. “Solo che da questa unica volta nacque Klaus.”

Sapere quella cosa fu un colpo di scena per me, non mi sarei mai aspettata che Klaus fosse nato da un adulterio. Ma questo non cambiava le cose, nessuno meritava di avere un padre, oltretutto un estraneo, come quel Mikael.

Il mio in confronto sembrava un santo.

Ma solo per questo gli dava la caccia da secoli? Perchè non era suo figlio? Avevo intuito che tutto, quando si è vampiri, si amplifica. Ma arrivare a certi livelli d'odio, mi sembrava assurdo.

Uccise nostra madre per vendetta..le strappò il cuore dal petto come se fosse un animale.” Elijah pronunciò quelle ultime parole quasi ringhiando, il cuore prese a battermi all'impazzata di fronte al dolore che deformava il suo viso. “Poi cercò di uccidere Klaus. Io e Rebekah paghiamo da secoli il fatto che abbiamo scelto di rimanere accanto a nostro fratello. Always and forever.”

Solo le ultime due parole furono pronunciate con una profonda dolcezza, come se appartenessero ad un'antica promessa che i tre fratelli si erano fatti di fronte all'eternità che li aspettava.

Restò in silenzio, lasciai la che sua mente vagasse verso antichi ricordi di quella che doveva essere stata la sua vera vita: quella da umano, con i suoi fratelli e con i suoi genitori.

Sempre se Mikael era ancora visto come un padre, mi sembrava solo un mostro.

Elijah tornò indietro dai suoi ricordi. “Non dirlo a Klaus, non voglio allarmarlo senza avere delle prove certe.” mi pregò. “Ci penserò io a trovare chi altri è coinvolto in questa storia.”

Gli feci segno che avevo la bocca cucita, cosa in effetti molto vera. Anche se questo Mikael mi spaventava più della figura di Bell: fintanto che fossi io il centro dell'odio di qualcuno, avrei potuto accettarlo.

Ma se si trattava di qualcuno attorno a me, come Katerina,Elijah e persino Klaus per quanto lo temessi, la cosa mi mandava fuori di testa.

Io potevo essere protetta, ma non potevo proteggere nessuno. Era deprimente.

Ora posso farti una domanda?” mi chiese Elijah, la sua espressione era davvero seria. Priva del dolore che l'aveva marcata poco prima, ma più decisa.

Annuì, poteva chiedermi tutto quello che voleva.

Perchè sei immune al nostro potere di soggiogamento? Non voglio spaventarti, ma non esiste essere al mondo che possa sfuggire ad un simile controllo...” disse lui.

Quella domanda era una delle principali cause per cui mi sentivo di impazzire. Non sapevo perchè fossi immune ad un potere così forte, delle volte pensavo che avessi qualcosa che non andava nel mio cervello. Ma ero certa di essere normale, nella norma, ma non capivo perchè tale potere non avesse effetto su di me.

Alzai le spalle, era una delle tante risposte che cercavo da mesi e che avevo paura di trovare.

Elijah non insistette, si accorse subito di come mi ero incupita di fronte a quelle parole. “E l'uomo che ti cerca? Hai idea di chi sia?” mi chiese ancora. Lo faceva con calma e gentilezza, sapendo quanto l'argomento fosse delicato per me.

Scossi di nuovo la testa, forse avrei dovuto dirgli della morte del corvo e del papiro che avevo trovato in camera mia, dopo la morte di Micah.

Klaus mi ha detto della morte del corvo, quello che doveva essere il tramite di Micah.” mi disse, il fatto che fosse a conoscenza di quella storia mi stupì solo in parte: in fondo, lui e Klaus erano fratelli ed era logico che si raccontassero le cose. “Lasciamo perdere il modo in cui ti ha coinvolto in tutto questo, a Klaus piace sempre giocare. Con te poi, sembra quasi provarci ancora più gusto....ma sai come funziona mio fratello no?”

Veramente no, sapevo solo che funzionava male. Però quella frase, unita al mio pensiero, mi fece sorridere.

Mi ha detto anche dell'uomo incappucciato, ma non ho capito se è legato o meno al corvo. Io pensavo che ci fosse Micah là sotto...ma a quanto pare mi sbagliavo.” continuò Elijah. Posò la testa sopra la libreria retrostante e alzò lo sguardo verso il soffitto. “Ho fatto anche delle ricerche su questo Bell, ma non ho trovato nulla di rilevante e realistico. So solo che vuole rapirti e questo mi basta per aggiungerlo alla lista di nemici che abbiamo...”

Mi morsi il labbro, ogni volta che mi parlava in quel modo sentivo il sangue fluirmi velocemente verso il viso. Avvampavo sempre come una stupida, ma non potevo farci nulla.

Ma non conoscendo il tuo nemico e conoscendo però il mio,il nostro... ora mi chiedo chi si nasconde sotto quel cappuccio? Bell oppure Mikael?” mi guardò, non che sperasse di trovare in me delle risposte, sembrava solo preoccuparsi di non avermi spaventata.

Cosa che era impossibile, vista la sua vicinanza.

Ormai non avevo più tanta paura, i sospetti erano stati superati e quando si lottava in due, fianco a fianco, non si aveva nulla da temere. Sopratutto se l'altro fianco era un uomo come lui.

Quella sensazione di coraggio svanì subito però.

Ricordai i momenti in cui avevo visto il corvo in compagnia dell'uomo incappucciato: avevo sempre dato per scontato che fossero collegati, ma forse non era così. Avevo sempre pensato che si trattasse di Micah e invece lo avevo rivisto poco dopo la sua morte.

Ma se Mikael era così vicino, perchè non fare la prima mossa? Elijah aveva detto che non aveva ancora l'arma necessaria per uccidere Klaus e quindi, forse, aspettava solo il momento giusto per sferrare l'attacco. Intanto si divertiva a cercare di lasciarlo solo, per farlo soffrite.

Il tocco della mano di Elijah che si posava sulla mia, mi riportò alla realtà.

Alzai lo sguardo su di lui, non mi ero accorta che nel frattempo si era avvicinato a me.

Mi si bloccò il respiro quando lo guardai negli occhi.

Ora che sappiamo quasi tutto l'uno dell'altra, non dobbiamo più nasconderci nulla, Irina.” mi disse, quasi sussurrando. “Anche se...ci sono cose che, purtroppo non posso rivelarti...”

Sembrava combattuto, come se stesse nascondendo qualcosa non che riguardasse lui, ma qualcosa che riguardava qualcuno che amava. Ma io non volevo che lui mi dicesse segreti che riguardavano altre persone, volevo solo che mi restasse accanto.

E che non ci fossimo nascosti più nulla l'uno sull'altra.

Ma come potevo permettere una cosa simile, se io gli nascondevo delle cose? Decisi che dovevo dirgli del papiro che avevo trovato in camera mia. Forse lui poteva anche farmi capire cosa rappresentasse.

Spero che tu perdonerai se non ti dico altre cose. Sappi solo che sto cercando di rimediare a tutto..” disse ancora lui.

Non capivo di cosa stava parlando. Forse mi sbagliavo, ma sembrava quasi che la persona che stesse proteggendo, e pensai subito a Klaus, avesse in mente qualcosa di davvero spaventoso.

Ma forse mi sbagliavo e se lui non voleva dirmelo, io non avrei insistito.

Istintivamente, fu una cosa così spontanea che nemmeno me ne resi conto, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi a me. Ci eravamo abbracciati solo una volta, ma era stato un abbraccio partito di sua volontà, non mia.

Lui quella volta mi aveva fatto capire che non ero sola, io volevo trasmettergli lo stesso messaggio. Lui però restò immobile, capì il perchè solo quando mi accorsi che il suo viso era troppo vicino alla benda insanguinata sul mio collo.

Mi ritrassi imbarazzata, ero stata così impulsiva da non accorgermene nemmeno.

Lui mi impedì di allontanarmi di più, mi strinse i polsi tra le mani e mi guardò fisso negli occhi. Non riuscivo a capire che cosa stesse pensando in quel momento, la sua mano mi accarezzò la guancia dolcemente e il suo sguardo tracciava il mio viso alla ricerca di qualcosa che, forse, solo lui poteva vedere. Provai l'irrefrenabile desiderio di prendere il suo respiro, era un pensiero di cui mi vergognai ma che non potevo trattenere.

Oddio, che orrore!”

La voce di Rebekah ci fece sobbalzare, Elijah e io la guardammo mentre se ne stava sulla soglia della porta con le mani sui fianchi. Guardava verso l'alto, con un aria di superbia che faceva venire voglia di prenderla a schiaffi.

Bekah? Non si bussa per caso?” le chiese Elijah, con tono di rimprovero.

Io non busso mai fratello.” precisò lei, volgendo lo sguardo verso di lui. “Sopratutto quando so che devo interrompere qualcosa.”

E mi lanciò un sorrisetto maligno a cui risposi alzando gli occhi al cielo.

Che ci fai qui? Cercavi qualcosa?” le chiese Elijah alzandosi in piedi, mi porse la mano in modo da aiutarmi a fare lo stesso. Lanciai un'occhiata al mio abito nascosto sotto il letto, probabilmente se ne sarebbe occupato dopo Elijah. Se Bekah avesse visto pure che mi ero cambiata di abito, avrei innalzato la sua già notevolmente alta acidità.

Sì, c'è una tipa rossa che ha chiesto della piccola Petrova.” rispose la bionda, indicandomi con l'indice.

Si trattava di Rose? Non l'avevo rivista dal giorno del rapimento, mi chiesi che cosa l'avesse spinta a tornare nella fossa dei leoni, dopo che Klaus l'aveva minacciata.

Ho cercato in camera sua, ma c'era solo Katerina che dormiva. Perciò quando non l'ho trovata sul letto di Klaus, ho pensato che fosse nel tuo.” continuò Rebekah.

Elijah sbuffò stancamente, mentre io divenni rossa come un peperone. Dovevo ammettere, che Rebekah non aveva tutti i torti a pensare una cosa simile: avevo passato la notte in camera di Elijah e nessuno sapeva cosa era successo realmente. E una mente maligna come quella di Rebekah, poteva solo elaborare scandali al riguardo.

Bekah, questo tuo comportamento sprezzante da sui nervi. Come ti sopporta il tuo francese non lo capisco..” disse Elijah, mentre mi avvicinavo alla sorella per andare da Rose. Era chiaro che era venuta lei apposta, perchè voleva accompagnarmi. Forse glielo aveva ordinato Klaus, per tenermi d'occhio.

Lui almeno ha buon gusto a differenza dei miei cari fratelli.” rispose Rebekah freddamente.

Scossi la testa sconvolta da tale superbia, quando la bionda si chiuse la porta alle spalle, io ed Elijah ci lanciammo un ultima lunga occhiata.


Coprì la benda che avevo sul collo con i capelli. Il vento non tirava ancora forte, perciò non li avrebbe spostati da quel punto che doveva restare nascosto agli occhi della bionda.

Rebekah avrebbe fatto sicuramente mille domande, senza contare il fatto che avrebbe potuto pensare che era stato Elijah a farmi una cosa simile per chissà quale scandaloso motivo. Anche se lei conosceva bene suo fratello ed ero certa che sapesse non fosse capace di fare una cosa simile.

Già la vedevo, mentre camminavamo in silenzio in corridoio, che stava elaborando le giuste frasi per essere il più pungente possibile.

Gli uomini sono tutti uguali.” disse ad un certo punto, volse la testa dall'altra parte e i suoi occhi azzurri si posarono sul sole che splendeva fuori dai cornicioni delle finestre. Era stranamente più caldo quel giorno, tirava la tipica fresca brezza mattiniera, ma il calore dei raggi solari sembravano renderla meno fredda di quanto fosse sempre stata.

Ci sono uomini che sono talmente umani in fondo, da non rendersi conto che l'amore non esiste. Esistono solo dei corpi che si cercano per non rimanere soli, fino a quando si arriva a preferire di nuovo la solitudine piuttosto che la monotonia di qualcuno che non riesce più a lenirla...”

Era strano sentire quelle parole da lei, l'avevo vista spesso con il suo ragazzo francese e non mi era parso che lo considerasse solo un passatempo. Non avevo notato nemmeno un grande amore da parte sua, però neanche una totale indifferenza.

Quelle parole non erano dettate da quello che realmente provava, erano solo il risultato di lunghi secoli visti con gli occhi di qualcuno che pensava di non poter più ritrovare la luce in ciò che la circondava.

Elijah pagherà di nuovo il fatto di essere infinitamente troppo buono. Gli fai pena perchè sei piccola, straniera e muta...per questo si prende così cura di te.” Rebekah si voltò verso di me, un sorrisetto provocatorio le apparì sulle labbra. Come al solito mi fece pentire di aver pensato anche solo un attimo che nascondesse delle emozioni. “Dovrebbe prendere più esempio da Klaus, e seguire la sua vera natura.”

Delle volte pensavo che anche lei volesse rivelarmi la sua vera natura. Ora che sapevo per certo cosa erano, mi accorsi che tutte le sue frasi racchiudevano la verità su ciò che realmente erano.

Ma Elijah mi aveva chiesto di non dire a nessuno ciò che sapevo e per nessuno intendeva i suoi fratelli. Perciò continuai a recitare la parte della stupida che sembravo essere davvero brava ad interpretare.

Cercai di non pensare alle parole della bionda e mi chiesi per quale motivo Rose fosse venuta a trovarmi alla villa di Klaus. L'ultima volta si era mostrata così spaventata da lui, che fosse di nuovo stata coinvolta in uno dei suoi soliti giochetti?

Rebekah mi posò una mano sul gomito, impedendomi di proseguire. La sua presa era come al solito ben salda, per trasmettere il concetto che se avessi provato a liberarmene, non avrebbe esitato a farmi male.

Si parò davanti a me, posò il suo sguardo privo di emozioni sul ciondolo che pendeva sul mio collo e poi tornò a guardarmi. “L'altra volta mi sono dimenticata di dirti una cosa.” disse.

Presi un lungo respiro, doveva credere che non ricordasse nulla di quella conversazione, ma solo l'ordine di indossare di nuovo il ciondolo di Klaus. O forse mi sbagliavo? Esserne stranamente immune, comportava anche dei rischi per chi, come me, spesso si dimenticava le cose.

Rimasi a guardarla, l'espressione di quel demone biondo rimase impassibile come al solito.

Il fatto che ti abbia ridato quel ciondolo non significa che l'abbia fatto per instaurare una tregua. L'ho fatto solo perchè Klaus mi ha chiesto di farlo e io non voglio andare contro il suo volere.” mi disse. “Ma credo che tu l'abbia ormai capito che io non troverò mai simpatica né te, né tua sorella.”

Rimasi a sostenere il suo sguardo, cosa a cui lei non si era ancora abituata. Ma era il mio unico modo per sfidarla, visto che metterle le mani addosso mi avrebbe portato ad avere qualche osso meno integro in corpo. E poi, non mi andava di rispondere alla sua violenza con la mia.

Stavo sforzandomi di credere che Rebekah agisse così solo perchè voleva il bene dei suoi fratelli e anche se questo significava considerarmi un nemico, l'avrei potuto accettare.

Lei era mossa da emozioni davvero molto forti, non potevo criticarla per questo.

Anche io volevo tenere Katerina lontana da Klaus, per quanto iniziassi a credere che il mio comportamento nei suoi confronti fosse stato in qualche modo sbagliato.

Eravamo così simili che non potevo aver paura di lui in quel modo.

Mentre perlustravo quei pensieri, Rebekah fece un altro passo verso di me. Il suo viso divenne una maschera minacciosa. “Quello che ho visto stamattina, non mi è piaciuto.” disse. “Per quanto Klaus possa aver bisogno della tua incolumità, penso che stia abusando un po' troppo. E sta coinvolgendo pure Elijah, l'unico con un po' di sale in zucca nella nostra famiglia.”

Ancora non capivo perchè Klaus avesse bisogno che io stessi bene, aveva fatto un discorso simile quando mi aveva salvato da Micah. Dalle sue parole sembrava che l'esito della mia permanenza in Inghilterra, gli avrebbe dato una garanzia riguardo quella di Katerina.

Ma non avevo mai pensato che il motivo fosse che si era innamorato di mia sorella. C'era dell'altro a cui non riuscivo proprio ad arrivare.

Perciò...non ti chiedo di stare lontana da Elijah, perchè purtroppo ferirei anche lui visto che sei diventata il suo cucciolo. Ma ti chiedo almeno di stare alla larga dal suo letto.” mi minacciò ancora Rebekah.

Presi un lungo respiro e distolsi lo sguardo, stavo cercando di non odiarla ma era più forte di me.

Io proprio non la reggevo più.

Capivo che mi odiava, per motivi ancora oscuri più o meno e legati sopratutto a quel ciondolo, ma poteva anche smetterla di vivere per tormentarmi. Non ricordavo un giorno in cui non avessi sentito una delle sue battute.

Anzi, non ricordavo un giorno in cui l'avessi vista in compagnia di qualcun altro che non fossi io. Eccetto Philippe che era il suo accompagnatore alle feste.

La mia mente iniziò a sviluppare il concetto che forse dovevo scavare dietro quell'odio e arrivare a quello che realmente Rebekah si portava dentro: dolore e solitudine. Ma non sapevo se ci sarei riuscita, ero umana e avevo dei limiti anche io purtroppo.

Ho bruciato un po' di carta l'altro ieri...” disse ancora lei, capì allora che parlava del libro sugli Originals. Ma parlava per doppi sensi perchè era convinta che non ricordassi nulla. “Non costringermi a dar fuoco anche a un po' di carne.”

Altro senso nascosto e significato più spaventoso. Deglutì e mi sforzai di annuire con la testa, tanto che altro avrei potuto fare per scampare Rebekah senza dar sfogo alla rabbia che mi provocava?

Lei sorrise. “L'unica cosa che mi piace di te è che stai zitta.” disse divertita. La sua malignità non aveva limiti: avevo creduto che lei mi parlasse in quel modo perchè, nel suo subconscio, voleva rivelarmi la sua vera natura. Il mio era stato un pensiero stupido, affrettato e anche un po' presuntuoso.

Perchè Rebekah avrebbe dovuto aprirsi con me? Lei stava solo giocando, proprio come faceva suo fratello, e se ne approfittava del fatto che non potessi gridarle addosso.

Mi diede le spalle e mi fece segno di seguirla, mi stava conducendo da Rose ed ero certa che avrebbe assistito in maniera ravvicinata al nostro incontro.

Magari glielo aveva davvero chiesto Klaus.

Rose ci stava aspettando seduta su uno scalino di fronte all'entrata, il vento le scompigliava i lunghi capelli rossi lasciandoli fluttuare nell'aria come se fossero foglie di un albero. Indossava un abito azzurro e molto semplice, che però riusciva comunque a renderla elegantissima.

Anche se non era ricca, quella ragazza non aveva nulla da invidiare ad una come Rebekah per esempio.

Eccola qua, tizia rossa.” annunciò Rebekah, attirando su di noi l'attenzione di Rose quando fummo abbastanza vicine. “Se ti serve per mungere le mucche, te la cediamo volentieri.”

Rose si alzò in piedi, mentre io alzai gli occhi al cielo nonostante mi venne da ridere di fronte alla battuta di Rebekah. Meglio ridere che piangere, mi dicevo. E il suo odio per me dovevo per forza prenderlo dal lato divertente.

Ci vuole forza, costanza e determinazione per lavorare in fattoria, lady Rebekah.” disse Rose, dopo un attimo di silenzio speso a posare lo sguardo da me a lei. Notai che in mano aveva un libro che doveva essere molto antico. Un libro di erboristeria, lo riconobbi subito dal titolo sulla copertina. “Anche per mungere le mucche. Perciò, se pensate questo di Irina, vuol dire che le riconoscete queste tre qualità.”

Rose le sorrise, il modo in cui la sfidava con quell'educazione, mi lasciò di stucco. Studiai l'espressione fredda della Klaus in gonnella al mio fianco e per poco scoppiai a ridere.

Non si aspettava quel genere di sfida e non l'apprezzava.

Le riconosco solo una qualità, rossa. E non la dico per non essere volgare.” Rebekah si stava trattenendo, forse perchè sapeva che Rose era ,più o meno, al servizio di Klaus.

Vi do cinque minuti, sono impaziente ma aspetterò qui la fine della vostra conversazione.” concluse la bionda. Fece tre passi indietro e si strinse le braccia al petto, ci guardò con aria severa come farebbe un bravo cane da guardia.

Sta per passare un minuto.” disse, quando vide che la stavamo fissando incredule.

Rose sospirò e tornò a guardarmi. “Ecco il libro che mi avevi chiesto.” mi disse, allungando quel grande volume verso di me. Non feci nulla riguardo al fatto che non le avessi mai chiesto nessun libro, anzi pensavo che non l'avrei mai più rivista.

Ciò che ti interessa è a pagina trentasei. Lì ci sono le cause inverse della pianta che cercavi.” disse, fece un cenno con la testa per farmi capire che c'era un messaggio da decifrare sotto le sue parole. Ma mi bastò guardarla negli occhi, per capire che stava cercando di fare qualcosa attraverso quel gesto.

Sono passati quattro minuti, ma io non ho voglia di aspettarne un altro.” disse Rebekah, avvicinandosi a noi a passo rapido. Mi afferrò per mano e mi tirò a sé. “Scusa tizia rossa, ma la piccola Petrova deve dormire. Non credo che stanotte lo abbia fatto, sai?”

Non ascoltai la sua battutina, guardai Rose con aria interrogativa e lei mi sorrise.

La salutai con la mano occupata dal libro, quando Rebekah mi trascinò via da lei. Guardai la sua figura diventare sempre più lontana, fino a quando svoltammo l'angolo.

Giungemmo di fronte alla porta della mia camera, ma la bionda non mi permise di entrare subito. Mi tolse il libro dalle mani e sfogliò fino ad arrivare a pagina trentasei. Si aspettava di trovare chissà che cosa e invece trovò solo elencate le proprietà della camomilla.

Cosa che sarebbe potuto davvero esserle utile.

Dopo pochi secondi, Rebekah fece spallucce. “Forse mi sono sbagliata stavolta...” disse, anche se ne parve poco convinta. Mi ridiede il libro e nemmeno mi salutò prima che entrassi in camera.

Mi chiusi la porta alle spalle lentamente e notai che Katerina stava ancora dormendo tranquillamente.

Inverse. Non sapevo come, ma riuscì subito a capire il trucchetto di Rose: io non le avevo mai chiesto quel libro e non le avevo chiesto niente riguardo ad una pianta. Perciò lei mi aveva chiesto praticamente di invertire il numero della pagina che mi aveva consigliato.

Sfogliai fino ad arrivare a pagina sessantatré e trovai un piccolo sacchetto di paglia, appiattito tra le pagine. Al suo interno trovai un ramoscello di verbena e dei piccoli semi che avrei dovuto piantare. Sorrisi, non solo perchè Rose mi era amica come credevo ma anche perchè avevo appena preso per i fondelli Rebekah. Non potevo non esserne contenta.


Ricordavo che Katerina aveva sempre desiderato uno dei miei braccialetti. Era l'unico decente che avevo nel portagioie e mia sorella lo aveva sempre trovato molto carino.

Non me lo aveva mai chiesto esplicitamente, perchè sapeva che non ne avevi molti di gioielli, proprio come lei. Almeno, fino a quando non giungemmo in Inghilterra.

C'era una piccola apertura all'interno del ciondolo e ci riuscì a far passare il ramoscello di verbena senza che lei o chiunque altro che cercasse di manipolarla potesse accorgersene.

Mi mossi nella stanza, stando attenta a non svegliare Katerina. Dopo la discussione della sera prima, pensavo che avesse intenzione di ignorarmi e non mi andava di affrontare una situazione simile dopo quello che avevo passato la notte prima.

Posai il bracciale sulla scrivania e mi avvicinai all'armadio, per assicurarmi che il foglio di papiro fosse ancora là.

E infatti era così. Avevo deciso di mostrarlo ad Elijah appena possibile, non volevo avere più segreti con lui. Avevamo rischiato davvero molto per via di ciò che ci tenevamo nascosto e non volevo più correre nessun pericolo che potesse coinvolgerlo.

E poi, lui ormai aveva la mia completa fiducia.

Irina?”

La voce assonnata di Katerina attirò la mia attenzione. Mi voltai verso di lei, mia sorella si stava massaggiando lentamente i ricci castano scuro e teneva lo sguardo rivolto verso di me.

Non mi sembrava affatto arrabbiata, o forse la luce solare che penetrava dalla finestra e sembrava dividerci creando una striscia bianca sul pavimento, mi impediva di vedere bene.

Dove sei stata stanotte?” mi domandò poi facendosi seria.

Rimasi immobile per un attimo, pensando al dà farsi. Non potevo dirle di essere stata nella camera di Elijah, senza rivelarle poi la verità.

Avrebbe pensato chissà cosa fosse successo.

Andai a sedermi sul letto accanto a lei, studiai il suo volto per cercare di scorgere i sentimenti che stava provando in quel momento. Ma non mi pareva affatto arrabbiata, in quel momento era semplicemente assonnata. Cercai di sviare il discorso, correndo a prendere il bracciale da sopra la superficie. Glielo misi al polso e lei mi lasciò fare con aria confusa.

Irina, ma perchè...”

Le feci diversi segni per dirle che mi dispiaceva, per quello che era successo la sera prima e per dirle che il mio comportamento era semplicemente la causa di un brutto sogno notturno. Era una scusa banale, ma non ero riuscita ad elaborarne altre.

Katerina si guardò il bracciale, le rendeva il polso più fine di quanto non fosse.

Mi stai regalando questo bracciale, perchè pensi che debba essere arrabbiata con te?” mi chiese.

Annuì, sperando che il suo orgoglio non venisse fuori proprio in quel momento e non mi ridesse il bracciale. Ma non lo fece, lo accarezzò con l'altra mano e sorrise.

Non posso accettarlo...” disse, ma si bloccò appena le feci segno che doveva accettarlo. Katerina mi guardò confusa, possibile che fosse già passata sopra la discussione della sera prima?

Ma perchè dovrei essere arrabbiata con te?” mi chiese confusa.

Katerina non era il tipo che dimenticava le liti che faceva: se le legava al dito, fino a quando non avesse poi risolto la cosa a modo suo. Con me era diverso, dopo una semplice chiacchierata potevamo chiarirci, ma in quel caso Katerina sembrava proprio essersi dimenticata della lite della sera prima. Era stata una delle peggiori che ricordassi, possibile che se lo fosse scordata? Il cuore sussultò nel petto, quando mi parve di capire cos'era successo.

Forse Katerina si era sfogata con Klaus, riguardo la nostra discussione e riguardo alla mia proposta di lasciare l'Inghilterra. E lui l'aveva ammaliata per tranquillizzarla e per farle scordare l'accaduto. Strinsi i pugni, ero stanca del modo in cui Klaus continuava a giocare con la mente di mia sorella.

Con la mia non ci riusciva, ma con quella di Kat purtroppo ci riusciva eccome. E ne stava abusando.

Ma perchè desiderava così tanto che restassimo in Inghilterra? Possibile che fosse davvero innamorato di mia sorella? Mi chiesi quando sarebbe stato il giorno in cui avrei davvero potuto capire cosa passava per la mente di quel ragazzo. Le sue azione erano mosse sempre dai proprio bisogni, eppure c'era una parte di me che pensava bene di lui. Forse voleva semplicemente farmi far pace con Katerina? Chiusi le palpebre per un istante e mi lasciai andare ad un lungo respiro, non potevo permettermi di pensare così di lui.

Avevo risolto la cosa della mente di Katerina con il bracciale, non avevo più nulla di cui preoccuparmi.

Irina? C'è qualcosa che devi dirmi? Non capisco perchè pensi che sia arrabbiata con te...”

Non feci in tempo a risponderle che qualcuno bussò alla nostra porta. Mi voltai di scatto verso di essa, non poteva essere Rebekah perchè mi aveva appena torturata con le sue parole. Katerina non poteva andare alla porta in sottoveste, perciò andai ad aprire io.

Trattenni il respiro quando mi ritrovai di fronte Klaus. Lo osservai lasciando la porta aperta in un solo spiraglio, l'espressione del ragazzo era seria, ma allo stesso tempo aveva quel sorriso sulle labbra che mi faceva rabbrividire.

Buongiorno Irina.” mi salutò, la sua voce aveva qualcosa di diverso. Il sorriso non bastava a mascherare il fatto che fosse arrabbiato, o comunque vicino ad esserlo.

Pensai che volesse vedere Katerina, lei si era mesa dritta sulla schiena per tendere l'orecchio al suono della voce di Klaus. Provai a dirgli che doveva aspettare un po', dato che mia sorella non era pronta per uscire. Lui mi anticipò, alzando semplicemente la mano.

Veramente, sono qui per te.” mi disse. I suoi occhi grigi mi scrutarono a lungo, c'era qualcosa di diverso in lui che mi faceva rabbrividire.

Mi voltai verso Katerina che non parve affatto infastidita da quella proposta, anzi mi faceva segno di andare e di non preoccuparmi. Magari era stata soggiogata pure per accettare quella proposta. Guardai Klaus e capì che il rifiuto non era comunque acconsentito.

Annuì, mi voltai verso Katerina e la salutai con la mano. Lei mi rispose con un semplice sorriso.

Quando fui fuori dalla porta, Klaus fece un passo indietro per farmi passare.

Ti va di andare al lago?” mi chiese.


Katerina mi aveva raccontato di quel posto magico, Klaus ce la portava sempre durante le loro lunghe passeggiate.

Come darle torto riguardo alla bellezza di quel paesaggio da sogno? Il lago era circondato da alti alberi che si innalzavano verso il cielo, il vento era calato di nuovo, per fortuna della mia ferita, ma delle nuvole grigie avevano coperto l'azzurro e la luce del sole. Era un peccato, perchè l'acqua era così cristallina che ero sicura sarebbe stata stupenda, vista alla luce del sole.

Io e Klaus camminavamo fianco a fianco, ci separava una breve distanza a cui non avevo alcuna intenzione di controbattere. Anche se mi dicevo che temere Klaus era inutile, visto il modo in cui sembravamo quasi legati, non riuscivo proprio a trattenere la paura che mi faceva rabbrividire dentro. I nostri piedi calpestavano le foglie secche che ricoprivano il terreno, provocando così dei piccoli rumori simili a sussurri che volevano soffocare il silenzio attorno a noi.

Non capivo perchè Klaus non parlasse, sembrava così dannatamente serio che non avevo idea di cosa lo avesse spinto a portarmi là. Anche se i brividi sulla mia schiena mi dicevano che c'era qualcosa che non andava.

Lui si avvicinò a me mente camminavamo, me ne accorsi solo quando le nostre mani involontariamente si sfiorarono.

Ti piace questo posto? Katerina lo adora.” mi chiese.

Mi voltai verso di lui, avevo ritratto lentamente la mano quando avevo sentito la sua pelle fredda sulla mia. Lui se n'era accorto, ma non disse nulla al riguardo.

Feci un cenno con la testa e voltai lo sguardo verso la vasta distesa d'acqua accanto a noi. Klaus rimase di nuovo in silenzio, sentivo il suo sguardo attraversarmi il corpo.

Si fermò, lo capì da come i suoi passi smisero di intonare quella strana musichetta che si era creata attorno a noi. Mi arrestai anche io a pochi passi da lui e lo guardai con aria interrogativa.

Klaus sorrise, si grattò la guancia e guardò verso il cielo grigio.

Irina, ma mi hai preso per stupido per caso?”

Rabbrividì e sbarrai lo sguardo di fronte a quelle parole, mi sembrava di avere davanti la persona che con le labbra scarlatte, rideva della morte di Micah. Solo che in quell'occasione io ero stata spettatrice, ora ero invece l'antagonista dei suoi occhi.

Smettiamola di giocare. Io so che tu sai.” disse semplicemente. “E ne sono consapevole da un pezzo. Di rado mi faccio imbrogliare.”

Strinsi i pugni, desideravo scappare il più lontano possibile in quel momento ma qualcosa me lo impediva. Forse il suo sguardo tagliente o forse il fatto che avevo finalmente la possibilità di affrontare Klaus. Non avevo mai preso in considerazione il fatto che io desiderassi che quel momento giungesse.

Improvvisamente non ebbi più paura.

Io e Klaus eravamo l'una di fronte all'altra, solo il vento sembrava colmare l'enorme distanza che si era creata tra noi. Ma Klaus osò sfidare il vento e fece dei passi verso di me.

Non capisco perchè...tu stia cercando di scavare in profondità e farmi seriamente arrabbiare. Non volevo che tu scoprissi questo lato, ma quasi mi costringi.” disse, era ancora abbastanza calmo. Mi aspettavo che esplodesse da un momento all'altro in uno scatto d'ira, com'era solito fare quando qualcosa non andava secondo i suoi piani.

E i suoi piani per me erano sfumati da un pezzo. E anche quelli per Katerina rischiavano di saltare per causa mia.

Ecco perchè Klaus aveva deciso di smascherarsi di fronte a me. Fu così vicino, che sentivo quasi il suo respiro sulla pelle, i suoi occhi mi scrutarono a lungo, alla ricerca di quello per cui andava matto: la paura.

Ma non la trovava nel mio volto in quel momento, non provavo alcun tipo di terrore nei suoi confronti mentre osservavo quei suoi occhi penetranti.

Ho lasciato passare troppe cose, Irina. È ora di smetterla.” disse ancora. “Ho una pazienza anche io, sai? Saltiamo i convenevoli in cui io sono il vampiro cattivo e così via...ma parliamo di te!”

Lo guardai confusa, sentivo che la rabbia stava per prendere il sopravvento su di lui. Mi bastò come conferma il suo sorriso che si spense per lasciare spazio ad una espressione evidentemente irritata.

Chi sei davvero tu? E chi sono i tuoi nemici?” mi chiese con voce dura, non l'aveva mai usata con me, nemmeno quando era venuto in camera mia per intimidirmi dopo che avevo scoperto di una delle sue tresche. “Non esiste persona capace di sfuggire al controllo di un vampiro, un originale sopratutto. E io ho già troppi nemici per conto mio, non posso e non voglio nemmeno accollarmi i tuoi.”

Strinsi i pugni sopra la gonna, con una forza che quasi mi feci male. Klaus attese un mio cenno, sperava forse che negassi impaurita ma da me ricevette solo silenzio ed immobilità. Fece un altro passo verso di me e piegò la testa da un lato. Per un attimo temetti che avesse visto la ferita sul mio collo, ma i miei capelli giacevano ancora pesantemente su di essa.

Io non sono Elijah. Io non lasciò che certe cose prendano il sopravvento e non mi faccio ingannare da quegli occhioni azzurri...” disse, stavolta con un sorrisetto che gli attraversava le labbra. “Perciò dimmi subito se hai qualcosa da nascondere, altrimenti potrei diventare davvero, davvero cattivo.”

Presi un lungo respiro e strinsi fortemente le labbra tra loro. Non avrei mai pensato che le minacce di Klaus potessero importunarmi così tanto, odiavo vedere quegli occhi carichi di sospetto su di me, dopo tutte le prove a cui mi aveva sottoposto.

Ero stata ingenua a credere che forse, sotto sotto, Klaus fosse umano e che ci tenesse a Katerina e anche a me. A lui importava solo di sé stesso, mia sorella gli serviva solo per qualche scopo che ancora non riuscivo a cogliere.

E io ero solo un giocattolino nelle sue mani, con cui si era divertito per troppo tempo.

Scossi la testa, per fargli capire che io non sapevo nulla di quello che mi stava accadendo. Non avevo altro da aggiungere e volevo solo andarmene da quel luogo paradisiaco che Klaus aveva trasformato nell'entrata di un inferno.

Gli diedi le spalle, ma me lo ritrovai davanti. Mi fermai di colpo per non sfiorare il suo corpo. Alzai la testa per guardarlo in viso e notai che la sua espressione era ancora più dura.

Non so perchè ma non mi fido.” disse in un sussurro. Avanzò verso di me e io iniziai ad arretrare come se fossi la sua preda, non avevo paura ma non volevo essere lontanamente sfiorata da lui. “Ho fatto un po' di ricerche su Bell o su qualcuno che sia capace di sfuggire al soggiogamento...ma nulla. Siete entrambi estranei all'infinità di esistenze che ci sono in questo mondo.”

Vedendo che non davo cenni che potessero insospettirlo, si fermò e io feci lo stesso. Ero arretrata così tanto che per poco finì contro uno degli alberi alle mie spalle.

Non sai proprio nulla?” mi chiese di nuovo.

Rimasi immobile, lui sembrò trovare così la conferma a quella domanda nei miei occhi. Si passò una mano tra i capelli biondi e distolse lo sguardo.

Klaus rise, mi aveva messo in trappola con estrema facilità. Tornò improvvisamente la paura, subito dopo che mi raggiunse la consapevolezza che accettare una sfida con lui era da pazzi.

Ad un certo punto, l'espressione di Klaus quasi si addolcì. Ma durò così poco, che non me ne accorsi nemmeno.

Allora cambiamo argomento....perchè hai paura di me ma non di mio fratello?” mi chiese, la sua voce era forte e chiara, nonostante una forte folata di vento ci investì in quel momento. Non capivo cosa gli importava: a lui piaceva far paura, quello era il suo punto di forza.

Non che m'importi il vero motivo, ma sono curioso.” disse ancora.

Un suo passo avanti, uno mio indietro.

Sembrava quasi un ballo il nostro, a cui non avevamo spettatori se non solo i nostri occhi che si fissavano e la natura attorno a noi.

Mi sembra di averti dato mille motivi per fidarti di me. Ti ho trattata sempre bene, ti ho salvato la vita e ti ho dato pure forza, permettendoti di uccidere uno dei tuoi peggiori incubi. Dove saresti ora se non ci fossi stato io?” mi chiese, portandosi il conto sulle dita.

Era un altro dei suoi giochetti, non credevo che lui avesse fatto quelle cose per me, ma per il suo solito tornaconto. Se gli importava qualcosa di me, perchè minacciarmi in quel modo?

Che tu lo voglia o no, Iry....” ridacchiò Klaus. “Mi devi molto e pretendo più rispetto da parte tua. Sono pur sempre un originale.”

Mi morsi il labbro fino a farmi quasi male, mai come allora avrei voluto colpirlo con uno schiaffo. La sua risata non era reale, era solo la rappresentazione della sua mostruosità, ritratta su quelle labbra.

Ad un certo punto, mi spinse contro l'albero. Lo fece con una forza inaudita che mi lasciò a bocca aperta. Si parò davanti a me e precluse ogni possibile via di fuga posando le mani sulla corteccia su cui ero stata praticamente scaraventata.

Vuoi una dimostrazione di fiducia?” mi domandò.

Stava usando le stesse parole di Elijah, solo che sortivano un effetto diverso. Non capivo se aveva ascoltato la nostra conversazione prima della mia fuga o semplicemente Klaus pensava come il fratello ma agiva in maniera diversa.

Scossi la testa lentamente e con un espressione rabbiosa sul volto, da lui io non volevo niente.

Klaus però non volle sentir ragioni, si era messo in testa di farmi scoppiare il cuore di paura ed era ciò che avrebbe fatto. Avvicinò il viso al mio collo,mi bloccò i polsi prima che provassi a respingerlo e li spinse contro l'albero. Sentivo il suo respiro sul lato sano del collo, quello che non avevo coperto con i capelli per nascondere le cicatrici. Il suo respiro caldo soffiò sulla pelle, come se volesse divertirsi a farmi scorrere brividi di paura lungo di essa.

Mi aspettai di sentire di nuovo il dolore provocato dai suoi denti che affondavano la mia carne, ma non fu così. Chiusi gli occhi inutilmente, perchè Klaus aveva subito allontanato la testa dal mio collo. Quando li riaprì, mi ritrovai il suo viso sorridente di fronte a me.

Non riuscivo a decifrare quel suo sorriso.

Non so che farmene del tuo sangue...” disse, osservando i miei occhi, quasi trafiggendoli.

Mi ritrovai a non respirare, per quanto il suo viso era vicino, e mi morsi il labbro per la rabbia che fosse sempre lui a vincere. Sempre.

Il suo viso sembrò addolcirsi di nuovo, per un misero e veloce secondo. Poi tornò il sorriso, quel sorriso beffardo con cui tanto amava sfidarmi.

Mi importa che tu ti fidi di me, solo perchè causi un sacco di problemi.” disse in un sussurro. “Allora...eccoti la mia prova di fiducia.”

Successe tutto rapidamente che nemmeno mi resi conto di come Klaus posò violentemente le sue labbra sulle mie. Il tempo parve fermarsi, sentì il suo corpo premere contro il mio e allora mi resi conto di quello che stava accadendo.

Lui mi strinse il viso tra le mani per impedirmi di combatterlo e dischiuse le labbra in modo da stringere le mie tra le sue in una specie di abbraccio letale. Non era il primo bacio che volevo e nemmeno quello che mi aspettavo: Klaus si era preso le mie labbra con la forza e ci giocava come aveva sempre fatto con la mia mente.

Mi chiesi quale piano avesse messo in atto attraverso quel gesto che, di romantico, aveva ben poco.

Riuscì a spingerlo via, ma solo perchè lui sembrò distrarsi un attimo. Aveva riaperto gli occhi, come se stesse sperimentando i risultati del suo gioco perverso.

Osservò il mio viso sconvolto, prendendo lunghi respiri, e sorrise quando vide la mia mano salire alla mia bocca. Mi sembrava ancora di sentire il sapore delle sue labbra che si mischiavano a quelle delle mie.

Non potevo credere che mi avesse rubato anche quello dopo il suo comportamento.

Che significava minacciarmi e poi baciarmi? Che nesso c'era tra le due cose? In quel momento arrivai ad odiarlo: si era preso gioco di me e ora mi aveva anche strappato via la possibilità di condividere l'emozione di un primo bacio con la persona che volevo. Lo aveva fatto apposta, per farmi capire che avrebbe sempre vinto lui, sulla mia mente e ora anche sul mio corpo.

Aveva trasformato un gesto d'amore in uno dei suoi trucchetti di sfida.

Forse ero esagerata a prendermela così, ma non lo sopportavo.

Con chi credi che se la prenderà Katerina quando lo saprà?” mi chiese.

Restai inebetita dalla freddezza in cui parlava. Come al solito, aveva sempre lui il coltello dalla parte del manico, perchè sapeva a chi avrebbe dato retta mia sorella: lui poteva soggiogarla e metterla contro di me. Peccato che avevo rimediato anche a quello, ma la paura che lui fosse sempre più avanti a me, fece crollare quella mia sicurezza.

Avrebbe potuto dire a Katerina di tutto, avrebbe potuto dirgli di quel bacio anche senza metterlo davvero in atto. Allora perchè baciarmi sul serio?

Ero sicura che fosse per tutte le teorie che avevano invaso la mia testa poco prima: io ero solo un gioco, probabilmente il suo preferito. E ora che poteva davvero incutermi paura, visto il mio coinvolgimento ormai totale in tutta quella storia, ero certa che i suoi giochi sarebbero stati anche più fastidiosi.

Non volendo più sottostare al suo sguardo, lo superai rapidamente e mi allontanai a passo svelto. Mi arresi all'evidenza: Klaus non aveva umanità in sé e lo aveva appena dimostrato.

Eppure, qualcuno nella mia testa, mi diceva che dovevo ancora sprofondare ancora di più nella cattiveria di Klaus per trovare la sua umanità. Quella fastidiosa voce che mi ricordava che io e Klaus non eravamo tanto diversi. Ma a me non importava arrivare nel suo profondo, avevo già perso la speranza.


Se avessi avuto voce, probabilmente in quel momento avrei parlato da sola per tutto il tempo.

Ero in collera con Klaus, mi sembrava ancora di rivivere il momento in cui le sue labbra si prendevano le mie con quella violenza. Ancora non riuscivo bene a capire il gioco a cui stava giocando, ma come al solito non mi piaceva. Quel gesto mi aveva ferita parecchio e dentro di me crebbe la consapevolezza che quello era solo l'inizio della vera sfida con Klaus.

E lui avrebbe sempre vinto, non potevo farci proprio nulla.

Continuai a camminare lungo il prato, dirigendomi verso la villa per poi fiondare in camera mia e sfogarmi, affondando la testa nel cuscino e lasciandomi andare a grida silenziose. Intanto le mie dita erano ancora posate sulle labbra, come se volessi impedire che qualcos'altro le sfiorasse.

In quel momento pensai subito a Katerina, con cui mi sentivo già in colpa, e con Elijah. Con quest'ultimo non capivo bene il perchè.

Un rumore alle mie spalle mi bloccò, mi voltai di scatto mentre all'orizzonte appariva la facciata della villa di Klaus. Non notai nulla tra gli alberi, né un'ombra e nemmeno più un rumore.

Forse me l'ero immaginata, o forse ero così arrabbiata da non voler indagare oltre.

Tornai a guardare di fronte a me, le nuvole in cielo si erano fatte più scure e il vento si era di nuovo alzato, freddo e tagliente. Scorsi una figura di fronte a me, che mi lasciò di stucco.

Un lupo stupendo, dal manto bianco e gli occhi di un azzurro cristallino, sedeva sull'erba con lo sguardo rivolto verso di me. Se ne stava immobile a guardarmi, come mai avrebbe fatto un lupo selvatico. Ma non provai paura di fronte al suo cospetto, era così bello che non riuscivo a smettere di guardarlo.

E lui guardava me, con una luce negli occhi che mi parve innaturale per un animale che, di natura, dovrebbe essere aggressivo. Lui si avvicinò a me e restai immobile, le sue zampe così eleganti si muovevano sopra l'erba, causando un lieve rumore che superò la forza del vento.

Abbassai lo sguardo, quando il suo muso si alzò sui miei occhi.

Da vicino era ancora più bello e maestoso, non ne avevo mai visto uno così meraviglioso. Fui tentata dall'accarezzargli la testa, alzai lentamente la mano e provai a sfiorargli quel pelo così morbido e candido.

Ma lui me lo impedì, lo vidi ritrarre la testa velocemente e scappare via. Scomparve tra gli alberi alle mie spalle e non voltarsi più indietro verso di me. Solo allora, quando la sua bellezza divenne solo un ricordo lontano, mi accorsi che c'era qualcosa di davvero insolito di un lupo che si avvicinava tranquillamente ad un umano. Come al solito, nonostante fossi abituata al fatto che le mie paranoie avessero sempre e comunque un fondo di verità, proseguì il cammino e cercai di non pensarci. Ignorai quel qualcosa che mi diceva di preoccuparmi più di quella bestia stupenda, che delle ripicche di Klaus.


Buon pomeriggio! :)

Come al solito, spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto!

Non ci sono state molte scene di azione e nemmeno particolari colpi di scena, me ne rendo conto, ma in questo capitolo ho preferito concentrarmi di più sulle emozioni dei vari personaggi (di Irina ed Elijah in particolare).

E mi auguro di essere riuscita a trasmetterle abbastanza bene.

Allora, in questo capitolo spunta finalmente fuori il nome di Mikael, e ha fatto il suo ritorno Rose che è uno dei personaggi “andati” che ho adorato di più nel telefilm e per questo cercherò di introdurla in quasi tutti i capitoli. Ci tenevo a fare una precisazione su di lei: Rose è ancora umana, anche se nel telefilm non lo era più da molto prima che Katerina giungesse in Inghilterra, e mi scuso per il fatto che cambierò un po' la sua storia in questa fanfic.

Riguardo alla “dimostrazione di fiducia”, il mio intento era quello di mettere a confronto il modo in cui Klaus ed Elijah cercavano di ottenerla. Anche se la scena tra Irina e l'ibrido, mi lascia un po' perplessa, perchè ho un po' paura di essere un pò “uscita” dal personaggio di Klaus...spero di non aver sortito questo effetto!

Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite e ricordate e ringrazio di nuovo tutti coloro che recensiscono e coloro che leggono in silenzio!

Ciao a tutti! :)







































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Capitolo 12
*** Dance With The Devil ***


-Dance With The Devil-

Ero riuscita a trovare un punto abbastanza nascosto nel giardino, affinché potessi piantare i semi di verbena che Rose mi aveva fatto trovare all'interno del suo libro. Mi alzai molto presto, per quanto ne sapevo Klaus doveva essere già in giro a dispensare quei sorrisi spaventosi a chiunque gli capitasse a tiro, ma sperai vivamente di non incontrarlo. Se avesse scoperto che ero ancora in vena di creargli problemi, ora che sapeva che io sapevo, avrebbe potuto essere più intimidatorio di quanto non fosse già stato quando era convinto che non fossi a conoscenza di nulla. Poi dopo quello strano e inspiegabile bacio che mi aveva rubato, sentivo ancora di più la necessità di stargli il più lontano possibile. Non era significato nulla da entrambe le parti e solo Dio sapeva quali fossero i veri obiettivi di Klaus in quel momento, anche se mi ero fatta una lista di motivi plausibili, ma non tolleravo il modo in cui mi era stata portata via la possibilità di condividere una emozione simile, con qualcuno che io avrei scelto.

E, istintivamente, pensai ad una sola persona di cui mi vergognavo anche solo immaginare il suono del suo nome.

Ero forse esagerata, colpa della mia mentalità piuttosto antiquata con i tempi, ma non mi andava giù che il mio primo bacio fosse stato preso da una persona che mi detestava e che fino a due secondi prima mi stava minacciando. E pensare che riuscivo ancora a sentire l'odore della sua pelle, se mi concentravo abbastanza da riportare indietro la mente a quel momento.

Quello che sentivo ogni volta, era una lunga serie di brividi, ma non erano di piacere.

Di cosa fossero non lo sapevo, ma ero certa che non fossero brividi legati ad emozioni positive.

Pensai sempre a quella storia, mentre coltivavo la verbena e mentre attraversavo i corridoi per tornare in camera. Non volevo far preoccupare Katerina, già aveva chissà quali idee in testa e non volevo che si convincesse che avessi qualche relazione segreta.

Mi bastava Rebekah ad avere quei sospetti.

Quando aprì la porta della nostra camera, Katerina non c'era.

Il nostro letto era stato ricomposto e la finestra era stata lasciata aperta per lasciar uscire l'odore della notte dalla stanza. Quel giorno il tempo era più brutto del solito, dei nuvoloni neri ricoprivano il cielo e ogni tanto mandavano qualche goccia di pioggia per annunciare la tempesta che, prima o poi, sarebbe arrivata. Non trovare Katerina in camera mi provocò preoccupazione e sollievo, non riuscivo a guardarla negli occhi dopo quello che era successo con Klaus.

Come sempre, non volevo ferirla e preferivo non dirgli del giochetto a cui ero stata sottoposta. Perchè di giochetto si trattava, non poteva essere nient'altro, ma conoscendo Katerina e sapendo quanto considerava importante lo scambio di un bacio, preferì tacere.

Sapevo che non era la cosa giusta da fare probabilmente, anche se continuavo a ripetermi che alla fine non era nulla di importante, ma temevo per la reazione che Klaus avrebbe potuto avere se le avessi rivelato qualcosa. Di sicuro l'avrebbe ammaliata per mettermela contro, era così scontato nella sua malignità che non mi era difficile capire cosa sarebbe arrivato a fare.

Oppure, se avesse scoperto il bracciale, avrebbe potuto fare di peggio ad entrambe.

Mi stavo facendo tanti di quei pensieri, sul bacio e sulle mie solite paranoie, che risultavo noiosa persino a me stessa. Mi accorsi che ero rimasta a fissare il cielo scuro per tutto quel tempo di lunghi pensieri e un tuono mi riportò alla realtà, facendomi quasi sobbalzare.

Chissà perchè il tempo era sempre così brutto in quei giorni.

Mi grattai la fronte, avevo ancora i capelli raccolti in una treccia adagiata sopra i segni del morso di Joshua e il vestito era sporco di terriccio. Qualcosa sul comodino attirò la mia attenzione, era un foglietto di pergamena con una grande scritta sopra, abbastanza storta per via della velocità in cui era stata scritta. L'inchiostro macchiava alcuni lati del foglio, creando dei contorni, probabilmente involontari, alla bellissima scritta che giaceva nel mezzo.

Buon compleanno, sorellina!

Il mio compleanno.

Osservai quel foglio a lungo, mi ero dimenticata del mio stesso compleanno, ma non era dovuto a tutto quello che mi passava per la mente quella volta.

Io non avevo mai festeggiato nessun anniversario della mia nascita.

Cosa c'è da festeggiare? “ diceva sempre mio padre, quando mamma provava a dirgli che una carezza, un abbraccio o una parola che non fosse di odio sarebbe stato il regalo di compleanno migliore che avrebbe potuto farmi. Da allora, da quando lo sentì dire per la prima volta che non c'era nulla da festeggiare riguardo ad un problema ambulante come me, non considerai mai importante la data del mio compleanno. Gli anni passavano, io crescevo ma il tempo restava fermo, ghiacciato nella mia dolorosa monotonia di essere considerata solo un peso da tutti.

Era sempre Katerina quella che mi aveva ricordato che era il mio compleanno, mi portava nella foresta e giocavamo tutto il giorno come se non avessimo un padre che ci avrebbe sgridate in caso avessimo fatto tardi. Era sempre lei quella che si prendeva la colpa, ogni giorno di quell'anno, quando rincasavamo tardi e nostro padre dava di matto.

E io la ripagavo con una lunga serie di bugie. Non potei sentirmi più che in colpa.

Guardai quella scritta con un sorriso sulle labbra, ma adesso dov'era lei? Il fatto che non si fosse fatta trovare in camera, un po' mi preoccupava. Sperai che non avesse deciso di andare a farmi un regalo chiedendo i soldi a qualcuno. Sentì bussare alla porta, mi voltai di scatto e lasciai il foglio sulla superficie su cui lo avevo trovato.

Buon compleanno!” disse Elijah, appena spalancai la porta. Aveva un sorriso bellissimo sulle labbra, una cosa a cui i miei occhi dovevano ancora abituarsi dopo che la sincerità aveva rafforzato il nostro legame. Mi ritrovai ad arrossire come una ragazzina, malgrado quel giorno compievo ben sedici anni. Lo lasciai entrare: lui indossava, sempre con il suo solito portamento che faceva invidia alle statue greche, una completo dalla maglia blu e i pantaloni neri che mettevano in risalto i suoi muscoli. Teneva qualcosa dietro la schiena, qualcosa che nascondeva con un sorriso che divenne furbo man mano che entrava e mi impediva di vedere cosa tenesse dietro la schiena.

Katerina mi ha detto che sei nata sedici anni fa, alle ore sei, circa, del pomeriggio...ma se non ti dispiace, vorrei anticipare il regalo di qualche ora dalla tua nascita.” disse lui e mi porse un pacco rettangolare, di cui già adoravo l'involucro colorato. Lo presi titubante tra le mani, la voglia di buttargli le braccia al collo era tanta ed imbarazzante, ma riuscì a trattenermi in un sorriso che scoppiava di gioia. Ci sedemmo ai bordi del letto, non avevo mai ricevuto un regalo di compleanno e riceverlo da un uomo come Elijah, mi emozionava e non poco. Aprì la carta, sforzandomi di non essere troppo di fuga, e rimasi stupita quando mi ritrovai tra le mani quello che doveva essere un diario. La copertina era blu e soffice, all'interno c'erano diverse pagine bianche, lisce e che emanavano un odore di nuovo.

Era il regalo più bello che potessero farmi, dopo il libro che Elijah mi aveva dato tempo prima.

Visto che non puoi...” Elijah si bloccò, si faceva problemi quasi ad usare la parola “parlare” con me, non sapendo che non mi avrebbe mai potuto ferire. Gli feci segno di continuare, ma lui lo stesso preferì non portare mai a termine la frase.

Un vampiro più sensibile di diecimila umani messi insieme.

So che ti piace scrivere anche se, ammettilo, hai ancora un po' di problemi con l'inglese...” mi disse, mi posò una mano sulla spalla e fece un occhiolino. Sentire il suo tocco così delicato sulla pelle, mi fece scoppiare il cuore in un ritmo esagerato. “Però qui potrai scrivere tutto ciò che ti passa per la testa senza farti problemi. È un diario segreto e nessuno lo leggerà...o almeno spero, visto che ho due spioni per fratelli.”

Mi venne da ridere, Elijah era riuscito a sdrammatizzare un problema rilevante come le indagini di Klaus e sorella e farmeli guardare da un'altra ottica: quella divertente, almeno il giorno del mio compleanno. Poi mi tornò in mente il bacio e mi sentì di nuovo svuotata di tutto, Elijah osservò la mia espressione tramutarsi in una maschera di preoccupazione e corrugò la fronte confuso.

Scusa, forse non dovrei scherzarci su. Hai ragione.” mi disse.

Ci misi un po' per rispondergli, lo guardai negli occhi e pensai che dovevo dirlo ,almeno a lui, del bacio.

Non che dovesse importargli qualcosa, perchè avrebbe dovuto interessargli se qualcuno mi baciava?

Ma siccome ci eravamo ripromessi di dirci tutto, non vedevo il motivo per cui tenerglielo nascosto. Una parte di me era forse così presuntuosa da credere che potesse dargli fastidio? Scossi la testa, per dirgli che non era quello ciò che mi aveva un attimo incupito, e lo ringraziai per il regalo con un abbraccio.

Non avevo mai abbracciato una persona in quel modo, sentendo davvero il bisogno di avvertire la forza delle sue braccia attorno ai miei fianchi. Mi ritrovai a contare le volte in cui ci eravamo abbracciati e quella era la terza volta, mi sentivo anche un po' in imbarazzo a dover sempre ricorrere a quel gesto forse troppo affettuoso nei confronti di una persona che-sì, mi voleva bene- ma aveva comunque un orgoglio e una compostezza che avrebbero potuto essere in qualche modo scalfiti dal mio abbraccio. Come uno scudo che veniva scheggiato da qualcosa a cui doveva opporsi con la sua resistenza.

Ma non volendo rispondere con il silenzio al bene che gli volevo, preferì colpire quello scudo, sperando che non gli dessi fastidio.

Prego, Irina.” rispose lui, mi cinse i fianchi delicatamente e posò il mento sulla mia spalla. Il momento in cui sentì che l'imbarazzo premeva per farmi separare, non arrivò mai. Sentivo il suo profumo, il suo respiro tra i capelli e desiderai restare così per sempre.

Poi pensai che lui poteva sentire il mio cuore impazzito battere nel petto, ma io non potevo sentire il suo. Ci separammo, continuai a tenere il diario in mano e ne osservai la copertina. Elijah mi fissò in silenzio, studiando il mio sorriso che giaceva in un espressione preoccupata.

Conosco quell'espressione...cos'è successo?” mi chiese.

Ci guardammo a lungo, delle volte mi faceva paura il modo in cui mi capiva con una sola semplice occhiata. Non potevo tenergli nascosto nulla, ormai mi conosceva meglio di chiunque altro.

Mi ricordai allora che volevo tenere fede alla promessa che ci eravamo fatti giorni prima, quella di dirci tutto quanto. Ma non gli dissi del bacio, c'era un'altra cosa ben più importante che dovevo condividere con lui e che il gesto di Klaus ,e la rabbia che questo mi aveva provocato, mi aveva fatto dimenticare.

Mi alzai in piedi e mi avvicinai all'armadio, Elijah balzò in piedi come per correre in mio aiuto, quando vide che ero intenzionata a spostare il mobile lungo la parete, ma si fermò quando ci riuscì da sola.

Restò in silenzio e notò che c'era qualcosa nascosto nel muro e presi il foglio di papiro.

Mi voltai verso di lui e glielo porsi, sempre tenendo il suo regalo stretto nell'altra mano come per paura che potesse scappare via. Lui prese ciò che gli stavo porgendo con titubanza, ovviamente si stava chiedendo chissà quali altre cose stessi nascondendo.

Che cos'è?” mi chiese, aprì il foglio e la sua espressione restò impassibile. O almeno, per qualcuno che non aveva imparato a studiare il movimento dei suoi zigomi e il socchiudersi dei suoi occhi: Elijah parve incredulo, spaventato e confuso di fronte alle immagini prive di senso che aveva di fronte a sé. Mi sedetti accanto a lui, incrociando le gambe e soffermandomi a guardare il suo viso che, stranamente, mi parve irriconoscibile.

Dove...dove lo hai trovato?” mi chiese, volse lo sguardo verso di me.

Gli mimai la parola corvo, avrei voluto dirgli molto altro a dir la verità: tipo che mi sembrava che quello che fosse rappresentato su quel foglio fosse una specie di rituale in onore del sole e della luna, o comunque una cosa che ci si avvicinava parecchio. Il sole e la luna in alto erano chiaramente riconoscibili. Solo che non capivo a cosa servissero i cerchi di fuoco sul terreno, in mezzo ci sarebbero dovute stare tre vittime sacrificali...ma di chi si trattava? Quel foglio misterioso mi confondeva parecchio, l'unica cosa di cui ero certa, era che si trattasse di qualcosa di diabolico.

Elijah tornò a fissare il foglio, ma non lo stava davvero guardando. I suoi occhi erano rivolti su di esso, ma la sua mente vagava tra pensieri che non sarei mai riuscita a cogliere purtroppo.

Sembrava tormentato e non capivo da cosa. Gli mossi il polso, quando mi accorsi che stava fissando troppo a lungo i disegni sul papiro. Allora volse di nuovo l'attenzione verso di me e serrò le labbra, mi sembrava addolorato e continuavo a non capire il perchè.

Gli chiesi se sapesse di cosa si trattava, magari era stato proprio quello a spegnere la luce che illuminava sempre il suo viso. Il suo sguardo rimase su di me, eppure ero certa che nemmeno in quel momento mi stava realmente guardando.

Non credo sia nulla di importante.” rispose, con un sorriso che però non m'ingannò. Era visibilmente forzato, lontano da ciò che realmente stava provando in quel momento.

Provai nuovamente la sensazione di sfiorargli la pelle e sentirla sotto le mie mani, per dirgli che poteva dirmi davvero qualsiasi cosa e che poteva fare affidamento su di me, come io facevo con lui. Ma ,come sempre, mi trattenni, avevo paura di risultare davvero troppo noiosa.

Lo osservai mentre tornava a fissare il foglio, in quel momento invece lo stava davvero studiando. Feci lo stesso e gli indicai una parola che era scritta tra il sole e la luna. Una parola che avevo sempre considerato essere la chiave del mistero che si nascondeva dietro il messaggio che Micah, o che Bell, voleva farmi recapitare. Ma era scritto in una lingua che non conoscevo e io sapevo leggere solo il bulgaro e l'inglese, quest'ultimo nemmeno tanto bene.

Elijah scosse lentamente la testa. “Non so cosa sia, Irina. Mi dispiace.” e mi sembrò che volesse chiudere lì la discussione. Lo guardai con la coda dell'occhio, perchè aveva cambiato così velocemente espressione del viso? Il pensiero, nocivo per la mia mente e per quello che mi batteva nel petto, che mi stesse nascondendo qualcosa s'impadronì di me. Ma Elijah era l'uomo migliore e più onorevole che avessi mai conosciuto, mi aveva promesso che mi avrebbe detto tutto e io gli credevo ciecamente. Dovevo smetterla di crearmi problemi che non esistevano.

Probabilmente, quelle immagini lo avevano semplicemente turbato.

In effetti, erano parecchio inquietanti.

Molto velocemente, Elijah sembrò riprendere il sorriso che tanto si addiceva alle sue labbra. “Solo per oggi, possiamo non occuparci di queste stranezze? È il tuo compleanno e sedici anni si compiono solo una volta nella vita!” disse. Detta da lui che doveva avere i suoi anni da chissà quante vite, mi fece sorridere. Strinsi il foglio di papiro tra le mani e lo guardai a lungo.

Che ne dici di andare a fare un giro?”


Sembrava che Elijah volesse tenermi il più lontano possibile dalla villa, non capivo il perchè ma sinceramente nemmeno mi importava. Stavo così bene accanto a lui, che il tempo scorreva velocemente. Anche troppo.

Non potei però fare a meno di notare che era parecchio distante, mi sorrideva di tanto in tanto, quando i miei occhi si posavano su di lui. Ma poi qualcosa si spegneva sul suo viso, potevo quasi percepire quei pensieri che occupavano la sua mente e lo allontanavano da me.

Pensai subito che fosse colpa del papiro, ma la convinzione che dovevo nutrire solo fiducia nei confronti di Elijah, mi faceva credere che mi stessi sbagliando di grosso. Non gli chiesi nemmeno dove mi stesse portando, restammo in silenzio l'uno accanto all'altra mentre il cielo ci ricordava, con i suoi tuoni, che sarebbe arrivato presto un bell'acquazzone.

Eccoci, siamo arrivati!” disse.

Ero stata così persa in tutti i miei pensieri, da non accorgermi che io avevo già percorso quel tragitto, avevo già guardato quel cielo attraverso le fronde di quegli alberi e avevo già visto quella distesa di acqua cristallina che si stagliava di fronte a noi.

L'unica cosa che cambiava, era la persona con cui mi trovavo là.

In quel momento ero con un angelo, giorni prima ci ero stata con il diavolo.

Il diavolo che proprio in quel punto mi aveva ricordato quanto potesse essere più forte di me e quanto potesse piegarmi al suo volere come farebbe il vento con un ramoscello. Mi ritrovai a stringere forte i pugni, talmente forte da non accorgermi nemmeno che stavo facendomi male.

Non capivo perchè Klaus riuscisse a scatenare quel qualcosa in me, nonostante fossero passati giorni. Elijah si accorse del modo in cui fissavo il lago, come se di fronte a me ci fosse un paesaggio infernale, piuttosto che quella bellezza naturale.

Una folata di vento ci investì e un altro tuono rimbombò in lontananza.

Qualcosa non va?” mi chiese preoccupato. Ci eravamo scambiati i ruoli, in quel momento toccava a me fare la parte di quella che si incupiva sempre di più.

Dovevo dirgli che Klaus sapeva di me? Il problema era ,non che volessi mantenere il segreto, ma che quel segreto riguardava una terza persona al di fuori di noi due.

Come se volessi salvaguardare Klaus da qualcosa. Ma da cosa? In fondo si trattava di Elijah e io non dovevo sentirmi in dovere di condividere qualcosa con Klaus. Perchè avrei dovuto farlo con qualcuno che si divertiva solo a minacciarmi? Era assurdo, il modo in cui Klaus mi faceva scoppiare la testa di domande stupide e che detestavo anche solo pormi nel silenzio della mia mente.

Prima che potessi rivolgergli anche un solo cenno con la testa, Elijah abbozzò un sorriso, guardò verso l'orizzonte dove dei nuvoloni neri facevano di tutto per riflettersi sull'acqua del lago.

Me n'ero dimenticato. Che cosa ha fatto?” mi chiese.

Quella domanda giunse inaspettata, mi voltai verso di lui e mi bastarono pochi secondi per capire che lui sapeva dell'allegra passeggiata che io e Klaus avevamo intrattenuto proprio là.

Ma probabilmente, non era a conoscenza di tutto, visto il modo in cui mi aveva posto la domanda. Distolsi lo sguardo, quando Elijah tornò a guardarmi.

Il vento gli scompigliava i lunghi capelli castani, trovai quasi oltraggioso vedere quella forza della natura che colpiva il viso di marmo di Elijah.

Non me la sentivo di parlare di quello che era successo, ma non perchè temessi di ferirlo, ma perchè non volevo causare qualche rottura tra di loro. Erano già di per sé così diversi, che ero sempre stata convinta che bastasse davvero poco per far chiudere ai due il loro legame.

Mi ha detto che ti ha portata qui...per socializzare con te. Si è accorto che lo temi molto, anche troppo.” Elijah voltò completamente il busto verso di me, tenne le mani incrociate dietro la schiena e continuava a sorridermi. Come se volesse dirmi che qualsiasi cosa avesse combinato Klaus, avrei potuto parlargliene senza problemi. Eppure qualcosa dentro mi bloccava, impedivo persino al torrente di ricordi che in quel momento mi attraversava la testa, di riportarmi a quel preciso momento in cui sentivo le labbra di Klaus sulle mie. “Io so che la paura che provi nei suoi confronti se l'è guadagnata con le sue forze....ma per un attimo ho creduto davvero che si fosse comportato bene con te. Sembrava così rilassato quando me ne ha parlato...”

Bastardo.

Pensai a quella parola nella mia testa, mentre incanalavo nella mente le parole di Elijah. Klaus era rilassato, mentre io mi rodevo il fegato per aver subito un'altra delle sue angherie. Si poteva essere così infimi? Cercai di reprimere la parte di me che ogni tanto prendeva il sopravvento e mi ricordava che ero troppo dura con una persona che aveva sofferto quanto, se non più, di me. Mi strinsi le braccia al petto e mi morsi le labbra per trattenere l'espressione di rabbia che stava per mascherare il mio viso. Elijah mi guardò, mentre volgevo la testa verso il cielo e tamburellavo nervosamente il piede sopra il terreno.

Devo dedurre che sono stato di nuovo uno stolto ad essermi fidato....” disse, appena tradusse l'espressione sul mio viso. “Che cosa ha fatto stavolta?”

Presi dei lunghi respiri, francamente non mi andava più di discutere di quella cosa, non con Elijah. Ma ormai ero in trappola e lui avrebbe indagato a fondo nella mia rabbia per capire cosa fosse successo. Presi altri lunghi respiri, prima di iniziare a spiegargli tutto.

Gli feci capire che lui sapeva e la cosa lo lasciò parecchio sconvolto, il modo in cui sbarrò o sguardo mi lasciò intendere che l'unica persona che temeva al mondo fosse proprio Klaus.

Probabilmente dopo Mikael.

Cercai di continuare a gesticolare e fargli capire in pochi e semplici gesti quale fosse il fulcro della questione, ma lui mi impedì di proseguire. Si avvicinò rapidamente a me e mi prese il viso tra le mani, studiò attentamente il mio collo, alla ricerca di lividi, segni o morsi.

Non ti ha fatto del male vero? Klaus non ama non avere il controllo della situazione...” disse preoccupato, mi studiò i polsi e le mani anche, con un attenzione e una cura che mi lasciarono sconvolta per la sorpresa. “Se ti ha fatto del male, Irina, devi dirmelo assolutamente. Sono passato sopra a secoli di suoi giochetti...non posso tollerare una cosa del genere però.”

Pronunciò le ultime parole a denti stretti, il modo in cui cercava sempre di difendermi, anche solo con le parole, mi provocava un'esplosione nel petto.

Ma in quel momento, mi sentì quasi in colpa, dubitavo che Elijah avrebbe potuto fare del male a Klaus in caso quest'ultimo ci fosse andato ancora più pesante con me: erano pur sempre fratelli e credevo che Klaus nutrisse qualche sentimento positivo solo per lui e per Rebekah. E per questo un po' mi spaventava il fatto che lui parlasse con tale rabbia nei confronti di Klaus per colpa mia.

Elijah notò che la mia espressione era parecchio combattuta, nonostante tutto mi ritrovavo a salvaguardare la figura di Klaus. Dopo tutto quello che mi aveva fatto, mi sentivo in colpa nel vedere suo fratello così arrabbiato con lui. Era un comportamento che non riuscivo a spiegarmi affatto. Scossi la testa, per dirgli che Klaus non mi aveva lasciato segni visibili sulla pelle e non mi aveva fatto del male.

E parlavo sempre del punto di vista fisico.

Elijah continuò a guardarmi. “Allora cosa ha fatto?” mi chiese, da come parlava l'idea del bacio rubato non lo sfiorava nemmeno. Conosceva meglio di me suo fratello e probabilmente sapeva che non sarebbe arrivato a certi gesti per incutere timore. Aveva altri metodi più efficaci, eppure con me doveva aver cambiato il suo stile.

Avevo preso forza per dirgli del bacio, ma in quel preciso istante diverse gocce di pioggia caddero su di noi. Ne sentì indistintamente una cadermi sulla nuca, la percepì infrangersi in una piccola pozzanghera d'acqua tra i miei capelli e a lei se ne unirono altre.

Elijah alzò lo sguardo verso lo spettacolo d'acqua che veniva dal cielo, erano proprio arrivate al momento più giusto per impedirmi di toccare quel tasto doloroso per la mia testa e il mio cuore. Lui mi prese per mano e mi condusse sotto un albero poco distante da noi. Lo raggiungemmo comunque inzuppati dalla testa ai piedi.

I capelli mi si appiccicarono al viso e li sentì pesanti sulla mia testa, Elijah mi lasciò poggiare sulla corteccia dell'albero, in modo che venissi riparata meglio delle foglie dell'albero sopra di noi. Lui restò di fronte a me, dove l'acqua lo raggiungeva lo stesso nonostante fosse anche lui coperto dall'albero.

Un altro dei suoi gesti cavallereschi, a cui mi ero tanto affezionata.

Nonostante il momento, mi ritrovai ad ammirarlo: aveva i capelli bagnati che gli circondavano il viso marmoreo. Un aria quasi divina si mescolava ad una aspetto di profonda umanità: mi dimenticai, come spesso mi accadeva, di avere di fronte un vampiro.

Ci ritrovammo a ridere davanti ai nostri volti bagnati, io dovevo sembrare un pulcino spennacchiato. Ma subito dopo l'espressione di Elijah tornò seria, studiò il mio volto a lungo e prese dei lunghi respiri.

Irina, la pioggia non ferma la mia voglia di capire.” disse in un sussurro.

E mi dimenticai subito di essere vicinissima a lui, di essere completamente zuppa dalla testa ai piedi e mi dimenticai di quanto il suo sorridere di poco prima mi avesse fatto battere il cuore a mille. E tornò l'immagine di Klaus, violenta e dolorosa proprio come lo era lui.

Mi fa piacere che non ti abbia fatto del male...” disse, anche se la cosa lo stupiva ancora. Si aspettava davvero di trovare almeno un morso sulla mia pelle. “Ma non capisco cosa abbia fatto per farti davvero arrabbiare. Perchè non ho mai visto quell'espressione sul tuo viso...”

Ero stanca di dover prendere lunghi respiri per trattenere l'uragano di rabbia che stava per abbattersi su di me, decisi una volta per tutte di togliermi quel peso, dato che ormai non potevo più nasconderlo. Gli indicai le mie labbra, per un attimo mi resi conto che il mio poteva significare un gesto audace. Quanto odiavo non poter parlare.

Feci di nuovo quel gesto e allora lui trattenne il fiato, doveva aver capito da un pezzo quello che stavo cercando di trasmettergli, ma doveva averlo sorpreso così tanto che ci mise un po' per avere una giusta reazione.

Ti ha... baciata?” mi chiese, calcando l'ultima parola.

Non riuscì a tradurre la sua faccia in quel momento, ci vedevo così tante emozioni che non potei coglierne nemmeno una. Di sicuro c'era la sorpresa, una sorpresa che qualcuno non si sarebbe mai aspettato riguardo un fratello che conosceva da più vite.

Il senso di colpa si impadronì di me. Annuì, ma gli feci capire che il suo non era per niente un bacio romantico o dolce. Cosa che lui aveva capito senza che glielo dicessi.

Restò in silenzio, distolse lo sguardo da me e lo posò sul lago al nostro fianco. Intanto, altre goccioline di pioggia ci raggiunsero e bagnarono ulteriormente i nostri visi. Il vento le trasportò da noi, come se volesse farci capire che non ci saremmo potuti nascondere dalla sua forza.

Dopo Klaus, anche la natura mi stava ricordando quanto fossi piccola e debole.

Elijah continuò a non parlare, intanto il suo viso cambiava aspetto a seconda del pensiero che passava per la sua testa. Era la prima volta che non riuscì a dare un significato alla sua espressione.

Era un giochetto il nostro, che era iniziato da quella mattina, quando gli avevo mostrato il papiro.

Lo osservai mentre si passava le mani agli angoli della bocca, il suo sguardo continuava ad evitarmi e lo teneva rivolto verso l'infinito del cielo. “Maledetto...” sussurrò. “Perchè ha fatto una cosa simile? Non è da lui!”

E invece era da lui, lo aveva fatto per rubarmi il primo bacio e farmi capire che sarebbe stato sempre lui a vincere. Per non parlare del fatto, che avrebbe potuto rigirare la cosa a suo favore con Katerina, se non fossi corsa ai ripari. Abbassai gli occhi, Elijah in quel momento sospirò.

E tu? Come lo hai respinto?” mi chiese, visibilmente preoccupato per il modo in cui l'avevo scampata a quel gesto letale. Gli feci capire che lo avevo spinto via e rabbrividì, appena mi resi conto che non sarebbe stato possibile se Klaus non si fosse distratto in quel misero secondo.

Elijah serrò le labbra, in quel momento mi sembrava davvero un vampiro.

Trovo che abbia sperimentato questo suo nuovo modo di torturare la gente con la persona sbagliata...” concluse, con una durezza nella voce che mi lasciò di stucco.

Lo guardai e non riconobbi il suo viso, sembrava trattenersi per la rabbia ma allo stesso tempo non voleva farlo. Voleva sfogarsi e ebbi paura che volesse farlo su Klaus.

Non avevo capito che il silenzio di poco prima, era solo un modo per placare quel qualcosa che stava scoppiando dentro di lui.

La certezza di aver combinato un bel disastro si fece largo tra i miei pensieri.

Restai a guardarlo, avevo un nome per definire quello che stavo guardando sul volto di Elijah ma una parte di me era certa che mi stessi sbagliando. Perchè avrebbe dovuto ingelosirsi?

No, doveva essere il modo in cui Klaus agiva che lo faceva andare su tutte le furie e nient'altro.

Perchè eravamo amici e lui non sopportava che suo fratello si comportasse in quel modo.

Accettai quella opzione, senza crearmi troppe fantasie che mi avrebbero fatto solo male.

Provai a sfiorargli il braccio, ma lui si scansò. Non perchè non volesse che lo toccassi, ma perchè stava già faticosamente trattenendo la sua rabbia. Mi diede le spalle e continuò a tenersi la mano sul mento. “Irina, perdona la mia domanda.” disse, scusandosi in anticipo di quello che stava per dirmi. “Ma ho bisogno di...sapere.”

Si voltò verso di me e la sua espressione mi lasciò alquanto basita, annuì e attesi che mi ponesse la sua domanda. Lo vidi spalancare le braccia. “Hai provato solo paura in quel momento?” mi chiese. “Niente di positivo?”

Dovetti assumere un espressione particolarmente imbarazzante in quel momento, ma quel genere di domanda non me la sarei mai aspettata. Era la prima volta in cui pensai che Elijah non mi comprendesse.

Parlava come se avessi provato qualcosa per Klaus, nonostante la violenza del suo gesto. Era una domanda priva di fondamento secondo me, ma Elijah ci tenne a darmi le sue motivazioni prima che rispondessi.

Il fatto è che...voi due siete molto simili.” mi fece segno di farlo finire, appena vide che avevo spalancato la bocca come se volessi protestare. “Per certi versi.”

E non potevo negarlo, visto che per certi punti di vista lo eravamo veramente. Ma non riuscivo ad accettarlo. Distolsi lo sguardo e strinsi i pugni. Elijah sospirò di nuovo, era la prima volta che lo vedevo in seria difficoltà mentre cercava di mandare avanti un discorso.

E questo vostro legame, anche se saldato con la malignità di Klaus, mi fa pensare. Anche troppo.” continuò lui. “Che senso ha giocare con te, Irina? Non sei tu quella che...”

Lo guardai interrogativa, Elijah riprese a parlare subito, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa che non mi era chiaro. “Non prendertela se te lo dico, ma è la prima volta che Klaus...mette il cuore nel male che fa.” continuò e la sua espressione era parecchio infastidita.

Non mi era chiaro dove volesse davvero arrivare, io trovavo che Klaus il cuore non lo avesse e non lo usasse nemmeno quando godeva nel fare del male agli altri. Da come parlava Elijah, sembrava che suo fratello mi trattasse ancora più male perchè mi trovava affine a lui.

Cosa che dubitavo fortemente, mi stavo convincendo che Klaus, molto semplicemente, mi odiava.

Ed è una cosa che non sopporto: sentirti più vicina a lui...” si bloccò di nuovo. Si passò una mano tra i capelli e chiuse un attimo gli occhi, io invece non sopportavo che trovasse me e Klaus così vicini dopo quello che mi aveva fatto passare con i suoi giochetti.

L'unica somiglianza che io e Klaus avevamo, era nel aver sofferto per un padre orribile.

Altre somiglianze non le vedevo. Elijah sembrò non riuscire a dire più nulla riguardo a quella storia, mi diede le spalle e tirò di nuovo un sospiro.

Non prendermi per insensibile o per uno che non ti capisce. Ma io so per certo che le cose che ci fanno paura sono spesso quelle che ci coinvolgono di più..” continuò a dire. “Anche io ho paura, Irina, di una cosa in particolare che è diventata troppo importante per me.”

Sembrò non volermi dire quale fosse quella cosa e impedì anche a me di pensarci su.

E tu Klaus lo temi da quando lo hai incontrato..”

Non risposi, distolsi lo sguardo e cercai di dare un senso alle parole di Elijah: era evidente che il suo era un modo per bloccare la rabbia che stava crescendo dentro di lui. Perchè lui era davvero arrabbiato. Il silenzio terminò presto, come se Elijah volesse porre fine a quello che lo stava deteriorando in quel momento.

Ma, resta il fatto, che io non voglio che lui ti faccia del male. Anche se tu dovessi nutrire dei sentimenti positivi nei suoi confronti...” Mi guardò negli occhi e trattenni a lungo il fiato, ma non lo sapeva che io non avrei mai potuto nutrire nulla di positivo nei confronti di Klaus? Eppure, lui sembrava pensare quasi il contrario, solo perchè io e Klaus eravamo legati da un profondo dolore. Peccato che quello non bastava.

Vado a vedere se la carrozza è pronta. Aspettami qui.” disse, si allontanò senza nemmeno guardarmi più in faccia. Guardai la sua composta figura che camminava via e mi ritrovai a stringere i pugni sopra la gonna. Non riuscivo a credere che quelle parole su Klaus mi avrebbero confuso in quel modo e la cosa non mi andava giù.

Sembrava quasi che Elijah desse credito a quella vocina nella mia testa che mi diceva: Tu non odierai mai a fondo Klaus.

Ma avrei sempre desiderato a fondo qualcos'altro.

Arrestai subito i miei pensieri, quando giunse qualcosa alla mia mente che era troppo forte da sostenere: una affermazione messa in atto dal mio cuore e che rifiutavo ancora di accettare, nonostante fosse evidente. Distolsi lo sguardo da Elijah, come se fosse lui la sorgente di quei miei pensieri, e allora notai una figura in lontananza.

Il bellissimo lupo dal pelo bianco mi stava osservando nascosto tra i cespugli, fece diversi passi e si ritrovò sotto la pioggia che cadeva incessantemente su di noi. Come la volta prima, ci guardammo a lungo. Decisi allora di toccarlo finalmente, ma appena uscì dal riparo in cui mi trovavo, il lupo si ritrasse e corse via, dalla parte opposta alla mia.

Rimasi così di nuovo sola, con la pioggia che mi investiva e una domanda che si aggiungeva alle mille che mi occupavano già la testa.


Andai in camera e Katerina non era ancora tornata. Elijah mi disse di farmi un bel bagno caldo e di mettermi un abito, Klaus doveva aver organizzato una delle sue solite cene in cui arrivava in ritardo per farsi ammirare. Ci misi un paio di ore per prepararmi, cercando di non pensare a dove potesse trovarsi Katerina e alle parole di Elijah che rimbombavano nella mia mente.

Mi avevano lasciata parecchio perplessa, possibile che lui mi vedesse così tanto legata a Klaus? Io avevo paura da morire di quel ragazzo, niente di lui mi confortava come faceva invece Elijah.

Le cose che ci fanno paura sono spesso quelle che ci coinvolgono di più.

Rabbrividì, mentre sceglievo il vestito da mettermi per quella sera. Perchè aveva detto una frase simile? Ripensai alla sua espressione e, nonostante avessi scelto la teoria più razionale per spiegarla, l'associai a quella che si chiamava gelosia. Annullai di nuovo quel pensiero, era impossibile che Elijah provasse una cosa del genere nei miei confronti.

Ci teneva a me, era vero, ma non da quel punto di vista.

Ero pur sempre una ragazzina con secoli meno di lui e migliaia di problemi.

Mi guardai allo specchio, lasciai i ricci neri mossi sulle spalle e ricoprì il mio viso del poco trucco necessario che potesse coprire quell'espressione pallida che avevo.

Sospirai e mi trovai orrenda. Non mi era mai importato nulla del mio aspetto fisico e non capivo perchè ci pensassi in quel momento, dopo che il pensiero della possibile gelosia di Elijah mi aveva sfiorato. Katerina mi diceva sempre che ero molto bella, ma che il mio carattere chiuso non la metteva in risalto.

Ma lei non faceva testo, era mia sorella e non poteva dirmi che ero un mostriciattolo orrendo.

Ada forse era più sincera.

Chiusi gli occhi e mi portai la mano sulla fronte, ma che problemi mi ponevo? Ero circondata da vampiri, uno di loro poi mi spaventava a morte con un semplice sorriso, e avevo qualcuno là fuori che voleva rapirmi per chissà quale strano motivo. E io cosa andavo a fare? Crearmi altri problemi inutili e stupidi, solo perchè non mi trovavo bella.

E tutto questo, perchè mi chiesi cosa pensasse Elijah di me.

Mi ero dimenticata cosa significava essere una ragazza con problemi normali.

Ormai consideravo la normalità come qualcosa che non mi apparteneva più.

Elijah mi aveva detto di raggiungerlo in salone, mi avrebbe atteso lì e il pensiero di stare al suo fianco, mentre Klaus sedeva dall'altra parte della stanza, mi tranquillizzava abbastanza. Ormai non avrei più preso parte alle feste di Klaus con la solita armonia con cui lo facevo ai primi tempi. Mi fermai di colpo, quando raggiunsi l'entrata della sala e notai che era tutto troppo silenzioso e spento. Non lo presi come un bel segno, dato che l'ultima volta che ero stata in un posto buio, per poco ci avevo lasciato le penne.

Fissai per un attimo e con esitazione la porta socchiusa, mi guardai attorno ma lì fuori non c'era nessuno. Mi feci coraggio, magari non era ancora arrivato nessuno e per questo era tutto così silenzioso. Aprì lentamente la porta e rimasi dove la debole luce delle torce affisse alle pareti sterne potessero illuminarmi. L'interno era buio e soffocato dal silenzio, eppure mi parve di udire qualche lieve respiro.

Delle urla mi fecero sobbalzare. Ma non erano urla di paura, ma di gioia.

Auguri!” esclamarono delle voci all'unisono.

La stanza venne lentamente illuminata dalle fiamme delle torce affisse alle pareti e notai di fronte a me, sotto la scalinata, diversi visi sorridenti che mi applaudivano. Dal soffitto cadevano dei festoni blu e le tavole erano state imbandite con tovaglie e posate dello stesso colore.

Il mio preferito.

Quelle persone, non conoscevo nessuna di loro, continuavano a battere le mani e a regalarmi i loro splendidi sorrisi. Ci misi un po' per riprendermi dalla sorpresa e collegare tutto: Katerina non si era fatta trovare in camera perchè era stata per tutto il tempo impegnata a preparare la mia festa ed Elijah aveva il compito di tenermi lontana per tutto il tempo necessario.

Li trovai entrambi, i miei due angeli, in piedi in cima alla scalinata di cui io sembravo la protagonista. Applaudivano entrambi e i loro sorrisi furono i più belli della sala, Katerina si avvicinò a me e mi prese le mani tra le sue. “Buon compleanno, Irina.” disse, osservando ancora la mia espressione stupita sul viso. Ci misi un attimo anche per lasciarmi andare all'emozione, era la prima volta che festeggiavo un compleanno e non sentivo di meritare tutta quella gioia.

Anche se non conoscevo nessuno in quella sala, non potei che sentirmi commossa da quel gesto.

Come una stupida, per poco scoppiai a piangere e Katerina me lo impedì stringendomi a sé.

No, non piangere!” ridacchiò, come se le facessi tenerezza. In quel momento si avvicinò anche Elijah, lo guardai da sopra la spalla di mia sorella e gli sorrisi.

Lui fece lo stesso, ma qualcosa di invisibile gli impediva di avvicinarsi ulteriormente a noi.

Non ci misi molto a capire il motivo: quando io e Katerina ci separammo, finì con la schiena contro qualcuno che era giunto alle mie spalle.

Qualcuno il cui profumo era inconfondibile purtroppo.

Mi voltai lentamente verso Klaus, lui continuava a battere le mani e mi sorrideva in quel modo che mi faceva solo tremare come una foglia mossa del vento. I suoi occhi però trasmettevano un'altra emozione, che non aveva nulla a che fare con quel sorriso che aveva stampato sulle labbra. “Tanti auguri, Iry.” disse in un sussurro. Mi morsi le labbra, il mio sguardo gli disse tutto in quel momento e lui piegò la testa da un lato.

Anche il diavolo era venuto al mio compleanno, ne ero quasi onorata.

Mi voltai verso Katerina ed Elijah, solo il secondo si era accorto del mio improvviso disagio e guardava con fermezza suo fratello.

Klaus non apprezzò il modo in cui spostai la mia attenzione da lui, il solito egocentrico.

Questa festa è tutta per te, spero che ti piaccia. Io e Katerina ci abbiamo messo molto per organizzarla.” disse. Il messaggio in codice di quelle parole era: non darmi filo da torcere, perchè ho sprecato una giornata della mia eternità per poterti organizzare questa festa e farti stare buona. Credeva davvero che bastasse così poco per mettermi in un angolo? Anche se, dovevo ammetterlo, il bacio rubato mi era alquanto bastato. Katerina non capì il messaggio di Klaus, non conoscendo davvero il tipo di cui si era invaghita. “Vieni, andiamo ad aprire i regali!” esclamò gioiosamente e mi trascinò nella folla. Intanto l'attenzione si era spostata da noi, la folla cominciò a espandersi lungo la sala, per avvicinarsi ai tavoli o ai diversi pacchi che avevo visto adagiati su una parete. Mi voltai a guardare Elijah, non potei fare a meno di notare lo sguardo glaciale che stava lanciando al fratello, prima di scendere la scalinata dietro di noi.

E provai un profondo senso di colpa che detestavo.


Ricevetti una miriade di regali, tanto che pensai Klaus avesse ammaliato tutti i presenti per farmeli fare. Ovviamente, per uno scopo oscuro che solo lui conosceva.

L'unica che non mi fece un regalo fu Rebekah, disse che la sua presenza era il miglior regalo che potesse farmi. Poi passò tutto il tempo al fianco di Philippe, come se la festa fosse la sua.

La lasciai perdere, le sue parole e i suoi gesti erano nulla in confronto a quello che poteva fare suo fratello. Rimasi seduta in un angolo della sala, intanto diversi occhi erano rivolti verso di me e i regali che stavo scartando.

Katerina mi era rimasta accanto per tutto il tempo,ma poi le avevo detto che doveva andare a divertirsi e la spinsi ad andare da Trevor. Meglio lui che qualcun altro.

Intanto mi accorsi che Elijah era sparito nella folla. Mi guardai attorno preoccupata, mentre scartavo il regalo di una ragazza che non avevo mai visto prima, ma incrociai solo la presenza di Klaus che, dall'altra parte del tavolo, rideva con un gruppo di uomini. Era incredibile come stessi attenta ad ogni movimento che faceva, come se avessi quasi la certezza che potesse attaccarmi in mezzo a tutta quella gente.

Non penseranno davvero che tu possa metterti quell'affare al collo?”

Alzai lo sguardo e rimasi stupita nel ritrovarmi di fronte Rose, mi sorrideva e in mano teneva un pacco semplice, fatto probabilmente con le sue stesse mani. Entrambe tornammo a guardare la sciarpa nera e color argento che mi era stata regalata. Era molto vistosa, dubitavo che l'avrei mai indossata, ma non potei fare a meno comunque di ringraziare la ragazza che me l'aveva regalata.

Mi alzai in piedi e mi avvicinai a Rose, il fatto che fosse lì nonostante detestasse Klaus e la sua abitazione, significava che ci teneva davvero a me. Oppure era stata soggiogata per venire, ma ne dubitavo visto che lo stesso Klaus le aveva provate tutte per tenerla lontana.

Buon compleanno!” disse lei e allungò la scatola verso di me, la presi con un sorriso sulle labbra. “Da parte mia e di Trevor.”

Quando l'aprì, all'interno trovai diversi contenitori di semi pronti da piantare e un altro libro sull'erboristeria. Era un regalo semplicissimo, proprio come quello di Elijah, ma erano entrambi i più belli che avessi mai ricevuto in vita mia. Ringraziai Rose con un sorriso e tenni stretta la scatola al mio petto con gioia, non avevo mai passato un compleanno così bello.

Peccato che ogni tanto il mio sguardo vagava nella stanza alla ricerca di Elijah, ma non lo trovava. Dove poteva essere andato? Ogni volta mi pentivo di compiere quel gesto con la testa, perchè ovunque mi girassi, mi soffermavo a guardare Klaus e i suoi gesti.

In quel momento, stava parlando con due donne visibilmente affascinate dal suo sorriso.

Rose si guardò attorno. “È...andato tutto bene con le proprietà della camomilla?” mi chiese in un sussurro, nonostante stesse parlando in codice per impedire a qualche vampiro nei dintorni di carpirne il vero significato. La guardai per un attimo immobile, lei alzò le sue sopracciglia sottili e chiare, per farmi capire che anche lei stava attenta ai movimenti di Klaus.

Annuì con un sorriso, lanciai di nuovo un'occhiata a Klaus e notai che lui, anche se per un solo istante, mentre sorrideva a quelle due donne, aveva rivolto lo sguardo verso di noi. Istintivamente, distolsi lo sguardo e gli voltai le spalle. Rose si accorse del mio evidente nervosismo e se lo aveva notato lei, ero sicura che lo avesse notato anche lui.

Il mio sguardo vagò di nuovo tra la folla, sperai di scorgere Elijah da un momento all'altro ma tra quella moltitudine di teste non riconobbi nessuno. Se non Katerina che stava ballando con Trevor, visibilmente in attesa che Klaus la raggiungesse.

È successo qualcosa?” chiese lei, allungando lo sguardo verso il suo amico. Storse il naso, Katerina non le stava ancora molto simpatica e non si preoccupava di nasconderlo. Le doveva dare parecchio fastidio che ballasse con il suo amico, nonostante fosse invaghita di un altro.

Scossi la testa. Malgrado avessi una grande voglia di sparlare di Klaus in quel momento, cosa che oltretutto non mi era nemmeno consentita, non mi andava di pubblicizzare quello che era successo. Era già tanto che l'avessi detto ad Elijah.

Spero che tu abbia preso la camomilla...” disse Rose preoccupata, volse la testa verso di me e mi lanciò un'altra occhiata significativa.

Peccato che sembravo essere una pianta di verbena vivente, eppure quello non serviva a rendermi immune dalla bastardaggine di Lord Niklaus.

Irina?”

Sentì una mano posarsi sulla mia spalla, anche in quel caso non mi servì voltarmi per riconoscere quella voce profonda e quel profumo avvolgente. Mi girai verso Elijah, emettendo un sospiro di sollievo, ma il suo volto era talmente preoccupato e rigido, che mi spaventò.

Rose, al mio fianco, si pietrificò: per lei Elijah e Klaus erano la stessa cosa, la spaventavano entrambi. Se avesse davvero conosciuto Elijah però, si sarebbe accorta che con Klaus aveva in comune solo il sangue che gli scorreva nelle vene.

Lei fece un mezzo inchino, a cui Elijah rispose educatamente. Ma in maniera parecchio fugace.

Rose, potreste lasciarmi un attimo solo con Irina, se non vi dispiace?” le chiese.

Rose mi lanciò un'occhiata, le rivolsi un sorriso sghembo per farle capire che non avevo paura a restare sola con lui. Allora lei si decise. “Certo, tanto stavo per andarmene. Ci vediamo, Irina.” disse,fece un altro mezzo inchino e si diresse nella folla per poter raggiungere più velocemente l'uscita. Doveva essere così difficile per lei, trovarsi troppo a lungo in un posto che detestava.

Il fatto che fosse passata solo per lasciarmi il regalo, non mi offese. Anzi.

Quando tornai a concentrarmi su Elijah, lui mi prese saldamente per il polso e mi condusse in un punto lontano e nascosto alla folla, vicino alla tavola imbandita di spezie e cibarie varie che erano giunte al termine. Lo guardai con aria interrogativa, mentre lui continuava a cingermi il polso e si guardava attorno con fare circospetto. Come se volesse assicurarsi che nessuno lo stesse ascoltando.

Devi restare qui in sala e non uscire per alcun motivo.” mi disse, deciso come mai lo era stato.

Non capì, ma non mi piacque l'idea che lui parlava come se fosse costretto a lasciare la festa da un momento all'altro. Ma doveva essere successo davvero qualcosa di grave per farlo parlare in quel modo. Gli chiesi cosa fosse accaduto, ma lui sembrava intenzionato a non dirmelo.

Probabilmente per non rovinarmi il compleanno, non per nascondere il segreto.

Tu pensa a divertirti. È un problema che risolverò io, non preoccuparti.”

Ogni mia insistenza fu inutile. Quando lui provò ad allontanarsi, lo presi per il polso con entrambe le mani e lo trattenni per qualche secondo. L'ultima volta era stato quasi ammazzato da Joshua, se era successo qualcosa di grave o di pericoloso, io sarei andata con lui.

Elijah mi guardò a lungo, si sforzava di mostrarsi duro ma qualcosa in me glielo impediva. Non ero mai stata così decisa nel difendere qualcuno fino ad allora.

Irina...resta qui e limitati a farlo. Te ne prego.” disse, con fare deciso.

Vedendo però che non mi rassegnavo a lasciarlo andare, senza almeno sapere cosa stava accadendo, lui sospirò e mi tirò a sé. Chiusi gli occhi, quando sentì le sue labbra posarsi sulla mia fronte, in quello che doveva essere un gesto per far soccombere ogni mio tentativo di ribellione.

E ci riuscì, era quella la cosa che mi diede parecchio fastidio.

Quando le sue labbra si separarono dalla mia pelle, mi parve che la mia testa fosse tornata ad essere il macigno pieno di domande ,ma di poche risposte, che era sempre stata. Elijah lasciò la guancia sopra i miei capelli e sentì il soffio del suo respiro sulla nuca.

Andrà tutto bene.” disse, per confortarmi ulteriormente. Intanto liberò il suo polso dalla mia presa, che dopo quel bacio si era allentata parecchio. “Tu stai attenta a qualcun altro però.”

E capì subito a chi si riferiva.

Si allontanò rapidamente, lo osservai sparire nella folla di persone che ballavano e voltarsi un'ultima volta per lanciarmi l'ultimo sguardo prima di lasciare la sala. Presi un lungo respiro, mi pentì di aver desistito dal mio intento di capire cosa turbasse Elijah per colpa del suo bacio.

Mi portai la mano alla fronte e mi resi conto che la pelle era diventata fuoco.

Un bacio sulle labbra, uno sulla fronte...ho altri fratelli, vogliamo vedere dove ti baciano loro, little sweetheart?” disse una voce alle mie spalle, una voce che mi faceva rivoltare lo stomaco al solo suono.

Strinsi i pugni e rimasi immobile, poi decisi di camminare spedita e fingere di non aver sentito quella frase. Ma Klaus mi si parò davanti, come al solito mi arrestai di colpo per non scontrarmi con il suo corpo. In mano aveva un calice di vino, che era solo uno dei tanti che gli avevo visto bere quella sera, e mi sorrideva con sfida.

Avevo perso il conto di quante volte avessi cercato di sfuggire da lui, senza farmi beccare.

Ma avevo ben in testa il conto delle volte in cui ci ero riuscita: zero.

Klaus piegò la testa da un lato. “Mi stupisce che tu non abbia detto a Katerina del nostro bacio.” disse, sempre con un'espressione divertita sul viso. Stavo per precisare che il bacio era stato solo suo, io non avevo avuto voce in capitolo. “Ma credo che ti convenga alla fine, no? Perdere la fiducia di una sorella non è una cosa bella....”

Si portò il calice alle labbra e bevve un sorso, poi si guardò attorno come se si compiacesse che molte donne lo stavano guardando. Se si fosse tolto quella maschera di bellezza angelica dalla faccia, dubitavo che qualcuna lo avrebbe guardato ancora in quel modo. Tornò a fissarmi e mi sorrise, la mia espressione doveva essere dura come la roccia in quel momento.

Lo vidi allungare la mano verso di me e io feci un passo indietro. “Mi sono appena accorto che non ho mai ballato con te. Vuoi avere questo onore, oggi che compi sedici anni?” disse, un altro modo per tenermi sotto controllo. Ma ormai lui sapeva la verità, io pure, che senso aveva sottostare al suo giochetto? Non avevo alcuna voglia di ballare con il diavolo e non ci avrei perso nulla se avessi rifiutato. Mi irritava solo il fatto che, se avessi accettato o no, lui ne sarebbe comunque uscito vincitore: se ballavo con lui, voleva dire che mi sottomettevo alla sua forza. Se non lo facevo, gli davo prova che lo temevo così tanto, da non volerlo nemmeno toccare.

Preferì comunque la seconda opzione, gli diedi lentamente le spalle e mi diressi verso un punto lontano da lui.

Quando sentì la sua mano prendermi per il polso e bloccarmi.

Katerina ha perso questo.” disse, quando i nostri occhi si incrociarono. Il cuore mi scoppiò nel petto, quando vidi cosa stringeva la sua mano libera: il bracciale di mia sorella.

Lo teneva per un'estremità, in modo che non toccasse il ramoscello di verbena che usciva dai lati di esso.

Qualsiasi fossero le miriadi di sensazione che provavo in quel momento, tutte annesse alla paura e al terrore, di sicuro lui le notò. Le sue labbra si allargarono in un sorriso, un sorriso spaventoso che mi lasciò intendere sarebbe stato seguito da una esplosione di rabbia.

Sono sicuro che le dispiacerebbe molto se perdesse il regalo della sua adorabile sorellina.” disse poi, facendomi capire che lui avrebbe potuto toglierle quel bracciale da un momento all'altro.

Non costituiva una minaccia per lui e io ero stata di nuovo messa con le spalle al muro.

Con la mano che stringeva il mio polso, mi fece aprire il palmo e lasciò cadere il gioiello su di esso. Fissavo il bracciale in silenzio, sforzandomi di regolare il respiro che mi faceva abbassare e alzare il petto in una maniera troppo evidente.

Perchè non vai a ridarglielo?” mi chiese, con sfida. Alzai lo sguardo su di lui, continuava a sorridermi ma lo faceva solo perchè sapeva che, in quel modo, accresceva la mia paura. Mi voltai lentamente e mi allontanai. Avevo bisogno di aria.


Appena raggiunsi la balconata, posai le mani saldamente sulla superficie in pietra e lasciai che il vento freddo mi sfiorasse il viso. Mi sembrava di non respirare, i miei occhi si bagnarono di lacrime di rabbia, malgrado stessi sforzandomi di impedirlo. Ma non ci riuscì, strinsi il pugno che teneva il bracciale e l'altro che invece teneva un vuoto immenso.

Quel pugno poi me lo portai al viso, quando mi accorsi che le lacrime scendevano lungo il mio viso ad una velocità impressionante.

Non volevo piangere, non per Klaus.

Ma non sopportavo il modo in cui si divertiva a torturarmi, il modo in cui mi ricordava sempre che non potevo nulla contro una persona forte e intelligente come lui e come molte altre che esistevano al mondo e, sopratutto, non sopportavo il modo in cui mi faceva stare male.

Non avevo mai pianto di rabbia prima di allora, nemmeno con Ada e mio padre. Ma lui sembrava riuscire a tirare fuori il peggio di me, sapeva come far uscire la mia debolezza e metterla su un piatto d'argento.

Abbassai il pugno e guardai il cielo nero sopra la mia testa, si sarebbe rimesso a piovere da un momento all'altro. Ma qualcosa sembrava costringere le nuvole a trattenersi.

Il diavolo.

Non mi accorsi della sua presenza, fino a quando non sentì le sue mani posarsi con violenza sopra le mie, che giacevano ancora sulla pietra della balconata, impedendomi di compiere qualsiasi movimento. Sentì il suo petto sopra la mia schiena e il suo respiro tagliente che attraversava i miei capelli.

L'esplosione di rabbia era appena arrivata.

Provai a combatterlo, ma lui mi stringeva talmente forte da rendermi inabilitata a qualsiasi gesto.

Hai superato il limite, Irina.” sussurrò al mio orecchio, quasi sibilando. Strinse con forza le mie mani, quando si accorse che continuavo ancora a combatterlo nonostante tutto.

Non riuscivo a vedere il suo viso, sentivo solo le sue labbra che sfioravano il mio orecchio, ricordandomi quanto fosse vicino. Vicino al poter succhiare via il mio sangue, semplicemente chinando la testa. “Sono stanco di stare ai tuoi giochetti, qui l'unico che può farli sono io. E tu devi restare al tuo posto.”

Smisi di combattere e fissai un punto lontano tra gli alberi sotto di noi, Klaus strinse ancora le mie mani ma con meno forza, quando si accorse che mi ero oramai arresa.

Hai di nuovo vinto tu, Klaus.

Lo sentì ridere, ma era una risata di pura e violenta rabbia che mi fece tremare ancora di più.

Continui a prendermi per uno stupido? Quando capirai che vincerò sempre io su di te, ragazzina?” mi chiese. “Non ti chiedo di fidarti di me, ma almeno di mostrarmi un po' di riconoscenza dopo quello che ho fatto per te. Se continui così, potrei diventare davvero cattivo sai?”

Tirai su con il naso, le lacrime continuarono a scendere lungo il mio viso e mi odiai per non poterle trattenere. Lui non le vedeva, era solo troppo impegnato a divertirsi ad usare il suo respiro e le sue labbra per torturami i pensieri. Le sue parole attraversavano le mie orecchie, come se fossero spifferi gelidi e taglienti. Mi facevano male, ero inerme di fronte ad essi.

Ti ripeto, io non sono Elijah. A me non interessa renderti felice, a me interessa solo che non mi crei ulteriori problemi” disse ancora e le sue labbra si accostarono ancora di più al mio orecchio. Mi sentì tremare per la paura di avvertire il suo respiro soffiarmi sulla pelle. “Certe emozioni rendono solo più deboli e tu e la tua patetica esistenza state indebolendo mio fratello. Credi che non sappia che ti abbia rivelato la nostra natura? So tutto, Iry, solo che faccio finta di non vedere, perchè mi sembra troppo cattivo, persino per uno come me, infierire su una persona come te.”

Mi morsi il labbro, osservai le sue mani grandi che avvolgevano le mie. Una prova in più di quanto fossi debole e stupida. Calò il silenzio, notai che Klaus stava cercando di guardarmi in viso ma il modo in cui tenevo la testa glielo impediva. Voleva vincere di nuovo, anche sulla mia ferma decisione di nascondermi da lui.

Guardami....” disse e lo fece quasi con dolcezza.

Lo ignorai, presi un lungo respiro e mi sforzai di resistere alla paura che mi spingeva ad eseguire i suoi ordini.

Guardami!” ripeté lui, calcando quella parola con una bestialità unica. Vedendo che continuavo ad oppormi, allungò la mano lungo il mio mento e si prese quello che voleva: il mio volto solcato dalle lacrime di rabbia. Respiravo profondamente, mentre guardavo i suoi occhi grigi che attraversavano il mio viso. Aveva capito che non piangevo perchè lui mi aveva spaventato, piangevo per la rabbia di non poterlo sconfiggere in nessuno modo.

Qualcosa in lui mutò, come al solito durò un misero secondo affinché potesse davvero soffocare la rabbia che provavo per lui. Ma ogni volta, in quel singolo momento, non arrivavo ad odiarlo come al solito. Era incredibile quanto mi detestavo in quel frangente.

Come se fossi disposta a perdonarlo.

Klaus sorrise di nuovo. “Le lacrime sono debolezza, Irina. E tu ne hai davvero troppe negli occhi, te ne rendi conto?” mi chiese. Lo ignorai, non mi sforzai nemmeno di asciugare quelle gocce dal mio viso e tornai a guardare verso l'orizzonte buio lontano da noi, appena Klaus allontanò la mano dal mio mento.

Aveva vinto, ora poteva pure andarsene e lasciarmi con la mia solitudine.

Grazie per avermi rovinato l'unico compleanno che abbia mai festeggiato.

Quello avrei tanto voluto dirgli ma non potevo.

Sentì i suoi passi allontanarsi.

Per poi fermarsi a lungo e tornare ad avvicinarsi. In quel momento non ebbi paura, il suo andamento nella camminata era lento e tranquillo, come se non avesse voglia di minacciarmi.

Magari voleva solo giocare più tranquillamente a rovinarmi la vita.

Buon compleanno.”

Quando sentì quelle parole, mi parve di non credere alle mie orecchie. Continuai a non guardare Klaus, ma sentì che se ne stava al mio fianco destro e allungava il braccio sinistro per tendere una scatolina nera di fronte al mio sguardo. La presi inconsciamente tra le mani e lo sentì allontanarsi da me. Avrei voluto voltarmi per guardare la sua espressione ma ne avevo paura.

E comunque, quel pensiero mi raggiunse troppo tardi.

Aprì il fiocco rosso che chiudeva la scatolina, molto lentamente, e guardai all'interno: c'era un fermaglio luccicante a forma di farfalla, posto in un letto di petali che erano stati inseriti nella scatola insieme al regalo. Osservai quel fermaglio sbalordita, senza sapere cosa pensare.

La volta precedente mi aveva minacciata e poi aveva trasformato un gesto romantico come un bacio, in una sua arma. Quella sera era successa la stessa cosa, ma non capivo che arma si nascondesse dietro quel prezioso regalo. Ma non lo avrei mai indossato, lo avrei fatto solo se, forse, avesse mostrato un po' di umanità.

Altrimenti, non avrei mai portato su di me qualcosa del diavolo.


Rientrai in sala quando il mio viso tornò ad assumere un aspetto decisamente normale.

Sperai che Elijah fosse tornato, avevo bisogno di una certezza positiva in quel momento e solo lui avrebbe potuto donarmela.

Dove sei stata?” mi chiese Katerina con un sorriso, mi raggiunse senza che me ne accorgessi. Era così felice che quasi mi sentì in colpa nell'essere così adirata. Le indicai il balcone, per dirle che avevo bisogno di un po' di aria, ma lei non se la bevve.

Vedeva che qualcosa non andava in me e da brava sorella maggiore qual'era, avrebbe indagato fino in fondo alla questione. Ma potevo dirle del bastardo di cui si era innamorata? Purtroppo no, almeno se volevo evitare che Klaus facesse del male ad entrambe. Cosa di cui era davvero capace.

Tutto bene? Non hai la faccia di una che sta festeggiando il proprio compleanno!” esclamò e il suo sorriso di circostanza non resistette. Non le risposi subito, lasciai vagare il mio sguardo sulla folla e cercai Elijah.

Ma lui sembrava ancora assente e la preoccupazione si unì a quello che già mi stava facendo scoppiare il petto.

Intanto, lei si accorse che avevo il suo bracciale. “Oh l'hai trovato?” mi disse felice. “Temevo di averlo perso.” Lo riprese senza che me ne accorgessi, tanto purtroppo non serviva a nulla e si era rivelato solo uno dei miei tanti errori.

Il suo sguardo cadde poi sulla scatolina che tenevo saldamente in mano e la osservò con curiosità. Forse sperava che ciò che ci fosse all'interno, potesse riportare la serenità sul mio volto.

Fammi vedere!” esclamò, mettendo in atto quella sua speranza. Gliela porsi distrattamente, lei l'aprì e ne ammirò il contenuto mentre io continuavo a cercare la figura di Elijah tra la folla di persone che mi circondava.

Ma è bellissima! Da parte di Klaus, vero?” mi chiese. Pensai amaramente che era tipico di lui, pavoneggiarsi con quelle grandezze prive di significato, ma cercai di trattenere la mia cattiveria.

Perchè non te la metti?” mi chiese. Scossi la testa, quando la vidi avvicinare il fermaglio ai miei capelli, per quanto fosse bello non avevo la minima intenzione di indossarlo, visto da chi proveniva.

Il mio rifiuto la lasciò basita, lei abbassò lo sguardo sulla farfalla di diamanti poi tornò a fissarmi mentre mi guardavo attorno. Dovevo sembrare una pazza in quel momento.

Katerina sbuffò. “Credi che non lo sappia?” mi chiese.

Quella domanda mi fece tremare, mi voltai verso di lei e la guardai con occhi sbarrati. La sua espressione era seria e decisa, possibile che fosse venuta a conoscenza della verità?

So cosa ti preoccupa e credo che dobbiamo parlarne.” disse ancora mia sorella.

No, lei non poteva sapere cosa realmente mi preoccupava. Doveva avere frainteso, per il suo bene sperai che fosse così.

Katerina prese un lungo respiro, si preparò a parlare come se stesse per dire qualcosa di terribile.

Mi prese una mano e mi fissò negli occhi.

Il...” si bloccò come se stava per dire una bestemmia. “Il sesso è una cosa importante.”

Quella frase mi fece sospirare di sollievo, non che fossi felice che mia sorella fosse arrivata ad una tale conclusione, ma meglio di ciò che si celava dietro la verità, lo era sicuramente. Il sollievo lasciò spazio subito all'imbarazzo. “Non che io sia un'esperta, nonostante quello che è successo... ma devi starci molto attenta. Anche se Elijah è un bell'uomo...cedere a tali emozioni può portare a conseguenze drastiche. Tu lo sai di che parlo.”

Quel discorso faceva del male a tutte e due, mi portai una mano sulla fronte mentre mia sorella non riusciva ad andare avanti senza diventare più rossa ad ogni parola. Come poteva pensare che io ed Elijah fossimo arrivati a tal punto? Non che potessi darle torto, ero sparita per un intera notte giorni prima, ma come poteva credere davvero che io ed Elijah passassimo il tempo in quel modo.?

Non avevo nemmeno dato il primo bacio, mi sforzavo di mantenere vivo quel concetto anche se non era più possibile per colpa di qualcuno, figuriamoci se avevo il coraggio di passare subito oltre. Con un uomo perfetto come Elijah poi.

Mi venne da nascondermi, al solo pensiero delle immagini che Katerina doveva aver visto nella sua testolina più contorta della mia. Le spiegai che non era così, ma non feci che insospettirla ancora di più.

Purtroppo non potevo confermare una teoria simile, avrei messo nei guai anche l'onore di Elijah se Katerina avesse davvero creduto una cosa simile.

Lei sbuffò. “Ma perchè non me lo dici e basta? Insomma, sono tua sorella e non ti giudicherei mai!” esclamò. Ribadì di nuovo il concetto, ma le feci capire così che nascondevo qualcosa. E l'espressione ferita sul suo viso, non fece che farmi sentire in colpa ancora di più.

Allora com'è? Dimmelo! Perchè io ti sento allontanarti sempre di più e non capisco perchè. Cosa mi nascondi, Irina?” mi chiese.

Non sapevo cosa rispondere, perchè ogni bugia sarebbe parsa troppo piccola o troppo grande in confronto a quello che le stavo nascondendo. Katerina capì subito che non le avrei rivelato nulla che sarebbe stato almeno lontanamente vicino ai miei segreti. Scosse la testa delusa.

Non mi aspettavo che ,in tutta questa bellezza, avrei perso la cosa più bella che avessi mai avuto.” disse.

Quella frase sembrò uccidermi.

Si allontanò, lasciando cadere le mie mani nel vuoto e la osservai sparire tra la folla, trattenendo il respiro.

Che compleanno avevo appena festeggiato! Avevo perso la dignità con Klaus e la fiducia di mia sorella nel giro di mezz'ora. Ma non poteva essere finito tutto così.

Mancava la ciliegina sulla torta.

Il discorsetto sul sesso è stato entusiasmante! Ma davvero quella poveretta pensa che uno come Elijah si sporcherebbe con te?” disse una voce alle mie spalle.

Strinsi le labbra e mi voltai verso Rebekah: se ne stava in piedi, vicino alla scalinata che portava al balcone, con le braccia strette al petto e mi osservava con la sua solita aria di sfida.

Almeno riconosce che sei una sgualdrina come lei, l'obiettività delle Petrova è forse l'unica cosa che apprezzo...” continuò.

Dentro di me, sperai che continuasse ad inveire.

Almeno avrei avuto un buon motivo per fare quello che stavo facendo.

Rebekah alzò le spalle. “Sinceramente, mi fate pietà tutte e due. Vi affannate per avere due cose che vi sono troppo lontane. Tu poi, mi sembra quasi che voglia ben due cose...”

Mi avvicinai a lei, non sapevo nemmeno che lo stavo facendo, e la raggiunsi mentre lei continuava a parlare da sola e usando la sua cattiveria per sorridere da sola.

Non mi accorsi nemmeno di aver alzato la mano e di averla colpita con uno schiaffo alla guancia. Il tempo parve fermarsi, sentì alcuni occhi su di noi e osservai la sorpresa che apparve sul viso della bionda.

Non le avevo fatto male fisicamente, ma non era quello che mi importava: era un altro punto che volevo colpire.

Mi ero presa la rivincita su tutto, su Klaus e su ciò che mi stava allontanando da Katerina, senza che fossi realmente connessa con il corpo e con la mente. Guardai Rebekah che si massaggiava la guancia incredula e che poi rialzava lo sguardo su di me.

Qualcosa nelle mia espressione le impedì di difendere il proprio orgoglio, non capivo cosa ma la vidi trattenersi dal ricambiare il mio gesto. Attorno a noi, continuavano a guardarci.

Approfittai di quella situazione e mi allontanai a passo svelto, prima che un altro originale sfogasse la propria rabbia su di me. Le uniche persone con cui volevo festeggiare il mio compleanno non c'erano, perciò potevo anche lasciarmi tutto alle spalle.

E lo feci in fretta.


Andai subito a cercare Katerina, armata di candela e velocità nel camminare.

Se Elijah mi aveva chiesto di rimanere in sala, lo stesso principio doveva valere per mia sorella. Non ci avevo pensato, per colpa della rabbia che Rebekah e Klaus mi avevano procurato.

La trovai nell'oscurità del corridoio, di fronte alla porta della nostra camera.

Quando mi vide arrivare armata di candela, la vidi roteare gli occhi e io accelerai il passo verso di lei.

Torna alla festa, Irina. Almeno per rispetto a Klaus, fingi che ti stia simpatico. L'ha organizzata lui.” mi disse. Ma la ignorai, a Klaus non dovevo proprio un bel niente e non mi importava che ci restasse male per il mio abbandono, cosa che non gli sarebbe di certo successa.

Lei aprì la porta e la seguì dentro la stanza, Katerina sbuffò stancamente e cercai di dirle che dovevamo parlare. O meglio, dovevo fare in modo che lei si bevesse una delle mie bugie.

Non ne avevo in mente nemmeno una però.

No, ora voglio solo dormire.” Si voltò verso di me e mi tolse la candela dalle mani, avvicinandosi al letto. “Mi dirai altre bugie domani...”

Si bloccò e lanciò un grido di puro terrore quando la luce della candela illuminò il nostro letto. Istintivamente, nonostante i miei occhi trovarono orripilante quello spettacolo, presi Katerina verso di me e la feci voltare. Tornai ad osservare il nostro letto, divenuto la tomba del cadavere di una ragazza con indosso un abito da festa e dalla gola squarciata. I suoi occhi vitrei erano rivolti verso di noi e il suo sangue macchiava le nostre lenzuola candide.

Deglutì per la paura e il disgusto.

Come per Micah, anche Joshua aveva lasciato vivo il fantasma dei suoi crimini.

E aveva segnato l'inizio del vero incubo chiamato probabilmente Mikael.


Buon pomeriggio a tutti! :)

Ultimamente mi sto rendendo conto di scrivere capitoli talmente lunghi da farvi quasi invecchiare davanti allo schermo, perciò mi auguro che siate arrivati fin qui senza capelli bianchi. Dalla prossima volta, cercherò di contenermi un po' di più!

Tornando al capitolo, spero che vi sia piaciuto. Come al solito, ho sempre paura di uscire dal personaggio di Klaus. Il fatto è che sto cercando di creare un vero rapporto (che fino ad adesso non c'è stato in realtà)tra lui ed Irina: Klaus si è visto come qualcuno che ha saldato la stragrande maggioranza delle sue relazioni con la paura e la rabbia. Perciò sto cercando di attenermi a queste sue caratteristiche, anche se ho paura di non riuscirci perchè il mio intento è di far uscire, in parte, anche quella sua umanità che indubbiamente lui possiede. Attendo il lancio delle uova, in caso non ci fossi riuscita e mi scuso!

Per quanto riguarda Elijah, spero che la sua reazione di fronte alle situazioni trattate in questo capitolo, non vi abbia deluso: in realtà ho dovuto un po' trattenerlo per diverse ragioni...però, è pur sempre l'Elijah che strappa cuori dal petto, perciò non temete perchè anche lui “esploderà”...

Detto questo, mi auguro di nuovo che questo capitolo sia stato di vostro gradimento (questi ultimi io li ho trovati un po' un disastro a dir la verità) e ringrazio tutti coloro che leggono, chi recensisce e chi legge in silenzio!

E non mi stancherò mai di ringraziare coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, seguite e ricordate.

Grazie ancora a tutti!

Ciao!





















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Capitolo 13
*** Salt In Our Wounds ***


-Salt In Our Wounds-

Love is insane and baby

we are too

It's our hearts little grave

and the salt in our wounds

(H.I.M- Salt In Our Wounds)

Solo allora mi fu chiaro perchè Elijah non avesse preso parte alla mia festa e perchè mi avesse chiesto di aspettare in salone il più possibile: la ragazza trovata cadavere sul nostro letto era scomparsa durante la festa ed Elijah l'aveva cercata per tutto il tempo.

Ma Mikael voleva che io e Katerina la trovassimo, per mostrarci che poteva colpire di nuovo e arrivare sempre più vicino a noi. Ma era stato Joshua il suo tramite fino ad allora, voleva dire che era stato lui a colpire quella volta?

In quel momento ci trovavamo sedute in sala, gli invitati avevano lasciato la festa ed eravamo così rimaste con i fratelli originali e Philippe. Nonostante Katerina fosse la più scossa tra noi due, mi teneva un braccio dietro le spalle e giocherellava con un ciuffo dei miei capelli.

Sentivo la sua spalla tremare contro la mia, era ancora sconvolta per quello che aveva visto quella sera. Di fronte a noi, su una sedia vicino al tavolo, sedeva Rebekah sulle gambe di Philippe.

Era così rilassata che, se non avessi saputo la verità riguardo quegli efferati omicidi, avrei potuto sospettare che ne fosse lei l'artefice.

Elijah stava in piedi accanto alle nostre sedie, il viso aveva un'espressione più dura rispetto alle altre volte. Non doveva sopportare l'idea che uno dei suoi incubi peggiori fosse così vicino alla sua famiglia e ai suoi cari. Per come lo conoscevo, potevo immaginare quanto il fatto che non potesse risolvere da solo quella situazione, lo stesse logorando.

Non è possibile che sia successa una cosa simile...” sussurrò mia sorella, le posai una mano sulle ginocchia e lanciai un'occhiata ad Elijah che, in quel momento, ci stava osservando entrambe.

Rebekah scoccò la lingua. “Qualcuno ha voluto lasciare un regalino a tua sorella a quanto pare...” disse e ci lanciò uno dei suoi peggiori sorrisetti.

Katerina non si era ancora abituata al modo di lanciare frecciatine di Rebekah, perciò sbarrò lo sguardo incredula quando si sentì dire una frase simile.

Bekah, taci per favore.” le ordinò Elijah, senza uscire dal suo essere educato ma deciso allo stesso tempo. La sorella non osò replicare, se le avesse rivolto Klaus una frase simile, ero certa che se lo sarebbe mangiato vivo. Quei due erano della stessa pasta.

Pensando al diavolo, Klaus tornò rapidamente da noi. Era scomparso da minuti e, sinceramente, non ne avevo nemmeno sentito la mancanza.

Dev'essere stato uno spettacolo terribile.” disse, fingendosi quasi dispiaciuto. Aveva in mano due bicchieri d'acqua, ne porse uno a mia sorella, poi si rivolse a me. “Mi dispiace sopratutto che sia stato rovinato il tuo compleanno, Iry.”

Mi lanciò un sorrisetto, lo guardai di sottecchi mentre mi porgeva uno dei due bicchieri. La tentazione di rovesciarglielo addosso era tanta, ma mi limitai a guardarlo più freddamente che potevo. Il compleanno era già stato rovinato da lui e dal suo caratteraccio, il cadavere sul nostro letto aveva solo completato l'opera. Presi il bicchiere, quando mi resi conto che lo stavo fissando troppo a lungo e con troppa rabbia.

Ma non lo ringraziai come aveva fatto Katerina.

Elijah restò immobile accanto a noi, ma il suo sguardo vigile era rivolto ai movimenti e alle azioni del fratello.

È impossibile che sia stata opera di un animale...” disse mia sorella, tremando come una foglia.

Quella frase mi spaventò, se mia sorella fosse arrivata alla conclusione che ci fosse una specie di assassino che ci voleva morte, sarebbe potuta anche arrivare alla verità sui vampiri.

Rimasi a fissarla così a lungo, stringendo il bicchiere tra le mani, che nemmeno mi accorsi che Klaus aveva preso una sedia e mi si era seduto accanto. Intanto, Katerina continuò a giocare con i miei capelli. “C'è qualcuno che fa del male a quelle ragazze, dev'esserci un essere umano dietro a tutto questo.”

Non è così Katerina...” disse Elijah, ma il suo non era un discorso che avesse un vero fondamento purtroppo. Era chiaro che non ci fossero motivazioni plausibili che potessero nascondere la verità, era troppo evidente ormai.

Mi accorsi che Katerina aveva entrambe le mani, attorno al bicchiere.

Allora chi era che giocherellava con i miei capelli? Mi voltai verso Klaus e lo vidi sorridermi, mentre intrecciava una ciocca dei miei ricci attorno alle proprie dita. Istintivamente gli diedi uno schiaffo sul braccio e attirai l'attenzione di tutti su di noi, possibile che nonostante la situazione lui continuasse a volersi divertire ad ogni costo?

Niklaus, la puoi smettere?” disse Elijah duramente. Katerina intanto si voltò verso di noi, fortunatamente non si era accorta di nulla e vide solo il mio corpo che dava le spalle a quello di Klaus. Con la cosa dell'occhio, notai che lui stava spalancando le braccia.

Sto solo cercando di essere d'aiuto, fratello.” disse. Non capivo perchè era così divertito con tutto quello che era successo quella notte, c'era qualcosa sotto il suo comportamento che non mi era chiaro. Come al solito.

Elijah lo guardò freddamente, ma non disse nient'altro. Katerina abbassò lo sguardo preoccupata e trattenni il fiato.

Quanto avrei voluto che dimenticasse.

Quel pensiero mi fece rabbrividire quando il mio sguardo cadde sul bracciale che portava al polso, perchè era una cosa che avrei davvero potuto permettere. Ma non mi andava di violare la mente di mia sorella, non dopo tutte le volte che Klaus si era preso il diritto di farlo.

Però, introdurre una persona innocente come mia sorella in quel mondo, mi sembrava un'ingiustizia.

Elijah, ti posso parlare in privato?”

Mi voltai verso Klaus, quando lo sentì pronunciare quella frase. I suoi occhi si posarono un attimo su di me e compresi che aveva messo in atto qualcosa che forse non mi sarebbe piaciuto. Quando mi sorrise, gli diedi di nuovo le spalle e guardai Elijah.

Sembrava combattuto nel volerlo seguire, ma alla fine non poteva fare altrimenti. La sedia di Klaus cigolò, segno che si era appena alzato e li seguì con lo sguardo mentre uscivano dalla sala.

Qualunque cosa avesse in mente Klaus, io la volevo sapere.

Morsa dalla curiosità, decisi di fare quello che tutti chiamavano origliare.

Se quel bastardo aveva in mente qualcosa, doveva per forza riguardare me e mia sorella. Il suo sguardo, l'unica cosa che non riusciva a coprire con quel suo sorriso beffardo, mi aveva lasciato intendere chiaramente che aveva preso una decisione delle sue.

Dove vai?” mi chiesero all'unisono Katerina e Rebekah, quando mi videro alzarmi in piedi. Kat mi prese per il polso, poiché non voleva che andassi da sola in giro per la villa, dopo quello che era capitato. Rebekah invece, pronunciò quella frase con durezza, per farmi capire che lo schiaffo che le avevo dato poteva rivoltarmisi contro, in caso avessi combinato qualche danno.

Era strano aver sentito le loro voci accavallarsi, perchè erano molto simili in fondo ma avevano una profondità ben diversa. Non risposi alla vampira, lanciai un'occhiata a mia sorella e le dissi che dovevo andare in bagno. Rebekah finse di crederci e si distese ancora di più sull'ampio petto di Philippe. Ma almeno con entrambi, Katerina era al sicuro: nessuno dei due avrebbe osato farle del male, sotto lo stesso tetto di Klaus.

Mi allontanai così rapidamente e raggiunsi il punto da cui sentivo provenire dei sussurri. Di due voci che si rincorrevano e che riportavano nell'aria diverse emozioni che non riuscì a cogliere.

Provenivano da un punto in fondo al corridoio, dove una porta era socchiusa e una debole luce si rifletteva sul pavimento in un piccolo spiraglio. Attraversai velocemente l'oscurità, sforzandomi di non produrre nessun rumore che potesse giungere all'orecchio di un vampiro.

Mi fermai accanto alla parete e tesi l'orecchio in ascolto: Klaus ed Elijah erano in biblioteca, riuscì a scorgerli mentre parlavano l'uno di fronte all'altra, ad una vicinanza che faceva quasi paura, vista la fiamma del cammino che bruciava dietro di loro e illuminava i loro corpi.

Avevi detto che questa cosa era stata risolta...e invece non è così, Elijah. Che sta succedendo?” stava dicendo Klaus, mi sembrò quasi umano in quel momento. Sembrava un uomo che si preoccupava per l'incolumità della propria casa e della propria famiglia. Ma il più umano dei due era sicuramente Elijah: lui era ancora fermamente convinto nel non voler far preoccupare il fratello.

Mikael era ancora una cosa astratta e non aveva prove che potesse provare che ci fosse davvero lui dietro a quella storia. Anche se era quasi evidente e dubitavo che Klaus non ci fosse arrivato.

C'è ancora qualcun altro che trama alle nostre spalle, ma lo troverò. Hai la mia parola.” rispose Elijah, ma il suo fare protettivo era oscurato da una rabbia percettibile. Sembrava quasi non vedesse l'ora di allontanarsi da Klaus, ma il fratello fece finta di nulla.

Appena vide che Elijah stava per allontanarsi, gli posò una mano sulla spalla. “Dobbiamo intanto cancellare la memoria di Katerina. Sa troppo.” disse. Deglutì, quando mi accorsi che io e Klaus avevamo avuto lo stesso pensiero. La cosa mi fece sentire molto sporca dentro, non volevo avere, oltre al mio passato, anche i miei pensieri accomunati ai suoi.

Elijah volse la testa verso di lui e il suo sguardo sembrò ghiaccio. “C'è un'altra persona a cui bisogna chiedere prima...” disse e captai subito il chiaro riferimento a me. Malgrado tutto, la cosa mi fece trovare la forza di sorridere.

Fu la risata di Klaus a spegnere tutto. “A chi ti riferisci? Alla ragazzina che sta origliando la nostra conversazione?” chiese. A quel punto tremai e trattenni il fiato, non avevo nemmeno più il coraggio di guardare dentro la stanza, nonostante fossi stata beccata in pieno.

Vieni fuori, little sweetheart. Sento il rumore del tuo respiro da qui!” mi chiamò Klaus, sempre con quella sua voce talmente profonda da farmi tremare dentro.

Chiusi gli occhi, avevo una gran voglia di tirarmi indietro e di correre via, anche se era troppo tardi.

Ma non volevo farla vincere di nuovo a Klaus. Mi feci forza e decisi di entrare nella stanza, quando Elijah mi vide apparire sulla soglia della porta, disse qualcosa a denti stretti che non riuscì a percepire. Ma Klaus lo interruppe prima di farlo finire, mi fece segno di avvicinarmi e io non potei che obbedire.

Ti dirò una cosa in due secondi veloci, Iry. Io voglio manipolare la mente di tua sorella, affinché dimentichi tutto e non te lo dico perchè voglio il tuo permesso..” Klaus fece dei passi verso di me, quando si accorse che mi ero improvvisamente fermata. “Te lo dico solo perchè non voglio che ti metta poi in testa qualcosa che potrebbe farmi seriamente perdere le staffe. Mocciosa avvisata, mezza salvata, non trovi?”

Pronunciò quelle parole quasi ringhiando, la cosa non mi spaventò ma mi procurò una rabbia incredibile. Avrei voluto colpirlo con tutta la forza che avevo in corpo, anche se non sarebbe servito a nulla. Vedendo che mi stavo mordendo le labbra e spaccando i pugni per restare calma, Klaus sorrise e fece un altro passo verso di me. Teneva le mani dietro la schiena, sapeva che non gli servivano per intimidirmi o per farmi andare fuori di testa: a lui bastava un sorriso per vincere.

Mi hai capito?” chiese, fece un altro passo verso di me e in quel momento Elijah si parò davanti a lui. Lo fece con una velocità unica, che sorprese persino il suo stesso fratello, osservai il volto di Klaus assumere un aspetto a dir poco infastidito, mentre osservava il volto di Elijah di fronte a sé.

Le sue spalle però, per poco mi impedivano di vedere completamente il volto di Klaus.

Io penso che tu debba smetterla di minacciarla. Mi sembra davvero poco galante, Niklaus.” Elijah parlò con una freddezza mista a calma che mi fece tremare.

Era di nuovo uscito il suo lato da vampiro, quello che io non avevo ancora ben sperimentato, ma che non avrebbe tardato ad uscire a quanto pareva. Era strano, come invece di Klaus avessi conosciuto solo il lato mostruoso e mai quello umano. Sempre se quest'ultimo esisteva ancora, disperso nell'oscurità che sembrava averlo completamente divorato dall'interno.

Klaus sorrise, rivolse lo sguardo verso di me piegando la testa e ridusse gli occhi a due fessure. “Hai fatto la spia riguardo al nostro piccolo segreto, vero?” mi chiese, Elijah cercò ancora di coprirmi con le sue spalle. Intanto presi dei lunghi respiri per restare calma.

Klaus scosse la testa. “Adesso sì che ho davvero voglia di dirlo a tua sorella.” ridacchiò. “Voi Petrova siete davvero brave a rovinare rapporti fraterni...stavolta voglio avere io questo ruolo.”

Feci un passo verso di lui, con la stupida ma ferma convinzione di volerlo sfidare. Fu Elijah a fermarmi, prendendomi i polsi prima che potessi anche solo provare a colpire Klaus.

Non voleva difendere il fratello, voleva solo difendere me.

Purtroppo, era chiaro a tutti e tre che la più debole ero io e che sarei stata io quella a subire la sconfitta da parte di Klaus. “Irina, lascia stare.” mi sussurrò Elijah, mentre Klaus alle sue spalle rideva della mia espressione furiosa. Ci godeva sul serio, come un bambino che giocava e si divertiva in un parco fatto di paura e rabbia. Perchè Klaus sembrava conoscere solo quei due sentimenti.

Sei davvero così patetica?” mi chiese. Il termine patetica mi si addiceva davvero in quel momento, ma sentirlo uscire dalla sua bocca mi mandava fuori di testa.

Irina, lascialo perdere.” rimarcò Elijah, allora posai finalmente lo sguardo su di lui. Dai suoi occhi scuri, capì che lui si stava seriamente trattenendo, mi sembrava di scorgere quella luce di rabbia che si accendeva e spegneva dentro di lui. Ma Klaus era suo fratello ed era pericoloso, era logico che volesse trattenersi nel miglior modo possibile.

Klaus smise di ridere, il suo sguardo si posò sulle spalle di Elijah. Divenne freddo, di un freddezza che ghiacciava così tanto le sue emozioni da non lasciar trapelare nulla.

Mi calmai e mi strinsi le braccia al petto sforzandomi di non guardare più Klaus, Elijah mi restò di fronte probabilmente perchè nemmeno lui voleva guardarlo.

Facciamo un patto, Iry.” esordì improvvisamente Klaus, affiancò il fratello in modo che non venissi più nascosta dal suo corpo. Una cosa che provocò l'accendersi di un'altra luce negli occhi di Elijah. “Io cancellerò il ricordo di quel cadavere dalla mente di Katerina e ti prometto che non abuserò più di questo mio potere.”

Lo studiai a lungo per capire se fosse sincero o meno, ma che forma aveva la sincerità sul viso di qualcuno che non sapeva cos'era fare del bene? Smise di sorridere e assunse un'espressione quasi umana, che ogni volta mi faceva dimenticare quanto lo detestassi.

Odiavo me stessa in quei momenti, come al solito.

Però...tu devi smetterla di tramare alle mie spalle, perchè è una cosa che non sopporto.” disse poi, storcendo la bocca in una smorfia quasi da bestia.

Sei tu che l'hai spinta a tramare alle tue spalle, Klaus. Tutti i tuoi rapporti si basano sulla rabbia e la paura, anche se li instauri con chi non vuole farti del male!” gli ricordò Elijah, usando più o meno le stesse parole che avrei usato io in quel momento.

Klaus lo ignorò, come se le sue parole fossero vento. “Vuoi fare questo patto con me o no?” mi chiese ancora. Elijah ci guardò, non capì perchè ma avvertì un barlume di fiducia dentro di me, mentre osservavo lo sguardo di Klaus. Forse quella poteva essere la volta buona in cui avrebbe dimostrato che c'era qualcosa in lui. Chiusi gli occhi, quando mi accorsi che ci stavamo guardano a lungo, come se cercassimo qualche prova l'uno nell'altra.

Annuì, sperando che il mio sesto senso non si sbagliasse. Elijah rimase visibilmente sorpreso dal modo in cui abbassai le difese così facilmente. Klaus sorrise. “Va bene allora, il bracciale tornerà al suo posto appena finito.” disse, mi superò dandomi quasi una spallata.

Non mi voltai per guardarlo andare via, rimasi a guardare Elijah e sentì la porta chiudersi alle mie spalle. Mi sembrò di essere finalmente tornata a respirare e mi morsi il labbro.

Elijah mi stava guardando, ma la sua espressione lasciò trasparire quello che mi sembrava fastidio.

Perchè ti sei fidata di lui così prontamente?” mi chiese Elijah, mi guardò profondamente ed ebbi la conferma che la mia stupida decisione lo aveva parecchio stupito e irritato.

Anche perchè si trattava di Katerina, ma non volevo più vederla spaventata in quel modo.

Poi, Klaus sembrava volerla comunque al sicuro, anche se il motivo non mi era ancora ben chiaro. Abbassai gli occhi e mi grattai la fronte, qualcosa dentro il mio petto sobbalzò, ricordandomi che si parlava di Niklaus, il mio più grande incubo dopo Bell e Mikael.

Elijah fece un passo verso di me e mi posò una mano sulla spalla. Sospirò e sembrò voler cambiare discorso. “Mi dispiace che il tuo compleanno sia stato rovinato in questo modo..” disse.

Ci guardammo a lungo, la sua mano poi raggiunse i miei capelli vicino all'orecchio e iniziò ad accarezzarli dolcemente. Come sempre, mi sentì esplodere il petto per via di tutte quelle emozioni che il suo tocco mi procurava. Eppure, sembrava che qualcosa lo turbasse in quel momento: la sua dolcezza, la sua premura erano lontane da quelle che avevo conosciuto fino ad allora. “Lo fermerò, non gli permetterò più di avvicinarsi a te e a tua sorella. Te lo giuro sulla mia vita.” disse ancora. Il suo pollice sfiorò la mia guancia, ma i suoi occhi non incontrarono più i miei. Cercò di allontanarsi, dandomi così la conferma che avevo sbagliato qualcosa e non mi chiesi cosa. Già lo sapevo. Lo fermai, prendendogli la mano.

Lui non si voltò subito, studiò a lungo un punto di fronte a sé e poi decise di guardarmi. Capì subito che volevo sapere cosa lo aveva indisposto in quel momento, ma sembrava titubante nel volermi rivelare ciò che aveva dentro di sé.

Io non voglio che tu ti fidi di Klaus.” disse, con voce dura pochi secondi dopo, guardando qualcosa alle mie spalle che doveva interessargli di più di me in quel momento.

Gli lasciai la mano e distolsi lo sguardo da lui. “Sei la tipica persona che non sa odiare e posso immaginare come sia facile per Klaus giocare con te e guadagnarsi falsamente la tua stima. Ma io non voglio permetterlo, perciò cerca di non dare una mano alla sua follia.”

Ci guardammo di nuovo, ma più a lungo. Poi qualcosa non gli permise più di sostenere il mio sguardo e si allontanò rapidamente.

Presi un lungo respiro, ma non bastò per sopprimere quello che avevo dentro in quel momento. Mi sentivo distrutta e avevo timore di aver sbagliato tutto. Per la prima volta mi accorsi che era stato Elijah a farmi sentire così. Non perchè mi avesse fatto del male, ma perchè aveva messo in evidenza un altro mio lato debole che non conoscevo. Anche Klaus metteva sempre in mostra i miei punti deboli, ma Elijah lo aveva fatto per il mio bene, per proteggermi come al solito.

Lasciai così la stanza anche io, accompagnata unicamente dal vuoto che provavo dentro di me.


Klaus ci affidò due camere separate, la cosa mi fece pensare parecchio ma mi sforzavo di credere che non fosse per forza un piano per controllarci meglio entrambe. Dalla sera prima, non le parlai più e la trovai addormentata nel suo letto. La paura era scomparsa dal suo viso, mentre la osservavo dormire beatamente sotto le coperte. Decisi di restare con lei quella notte, a dormire sulla sedia per non lasciarla sola.

Non mi andava di restare sola e non mi andava nemmeno di lasciare sola lei, dopo quello che era successo e dopo quello che le avevo fatto. Dormicchiai a momenti, mi svegliavo di soprassalto ogni tanto e mi sentivo il cuore in gola quando rivedevo l'immagine di quel cadavere sopra il nostro letto. I suoi occhi vitrei e le sue labbra aperte in un ultimo e soffocato grido.

E la prossima poteva essere Katerina, non potevo permetterlo.

Avrei preferito morire io al suo posto.

Per combattere il sonno, decisi di pensare nuovamente al foglio di papiro che ero riuscita a prendere prima che i nostri effetti personali cambiassero stanza, lo avevo nascosto in un altro posto che speravo fosse sicuro quanto il precedente. Ripensai alla parola posta tra il sole e la luna e mi convinsi che dietro di essa c'era un'altra verità a cui dovevo arrivare.

Guardai il sole sorgere fuori dalla finestra, lo avevo atteso così a lungo quella notte che fu un sollievo per i miei occhi incontrare i suoi raggi.

Un rumore mi fece sobbalzare, mi voltai verso la porta della camera di Kat e vidi Elijah apparire sulla soglia. Rivederlo dopo le sue parole della notte prima, mi fece dimenticare orrore, paura e senso di colpa che in quel momento mi stavano uccidendo. Mi fece segno di non far rumore e di raggiungerlo fuori, cosa che feci prontamente lanciando un'ultima occhiata a mia sorella.

Vieni con me.” si limitò a dire lui, quando fui al suo fianco. Non mi diede altre spiegazioni e obbedì, il sole stava sorgendo sotto un mare di nuvole, faceva fresco quella mattina.

Più del solito.

Elijah mi condusse nel mezzo della foresta, dove gli alberi erano più alti e i rumori della natura erano più forti e profondi. Il vento ci investì, con una forza inaudita e qualche foglia ci circondò, mentre si faceva trasportare da esso. Mi chiesi perchè mi avesse portato là e non lo capì nemmeno quando si fermò a pochi passi da me, dandomi le spalle.

Lo vidi solo togliersi la giacca che portava sulle spalle e restare così con una maglia senza maniche, che metteva in risalto i muscoli delle sue braccia. Rimasi immobile, come al solito non potei fare a meno di tracciare con lo sguardo le linee del suo corpo. Si voltò verso di me e mi guardò deciso, per la prima volta paragonai il suo sguardo a quello di Klaus.

Enigmatico e difficile da tradurre.

Hai ancora il pugnale con te?” mi chiese, avvicinandosi di qualche passo a me.

Si fermò a pochi centimetri e il modo in cui il suo viso mostrava una ostentata durezza, mi destabilizzava parecchio. Cosa aveva in mente di fare? Annuì e mi piegai per prenderlo sotto la gonna, ma lui mi fermò con la mano. “No, non prenderlo. Volevo solo assicurarmi che lo avessi ancora su di te.” disse.

Un rumore ruppe il silenzio, fu il volo di un uccello che veniva ostacolato dai rami degli alberi ad averlo provocato. Avevo alzato lo sguardo spaventata, colpa probabilmente della nottataccia che avevo passato e della strana sensazione che mi stava pervadendo in quel momento. Mi accorsi che, per tutto il tempo in cui il mio sguardo era rivolto verso il cielo, Elijah aveva distolto lo sguardo da me e aveva preso qualcosa che nascondeva nella cintura.

Un paletto di legno, molto spesso e dalla punta parecchio appuntita.

Osservai l'arma, con il sangue che mi si gelava nelle vene. Mi fu per un attimo chiaro cosa avesse in mente di fare, ma sperai vivamente di sbagliarmi perchè conoscevo i miei limiti.

Prendilo.” mi ordinò Elijah, lasciandomi intendere che non avevo alternative.

Eppure non mi mossi, fu costretto lui a prendermi la mano e a cingerla attorno al legno del paletto. Le sue dita chiusero le mie sopra quell'arma, alzai lo sguardo su di lui mentre teneva gli occhi fissi sulle nostre mani vicine sopra il paletto.

E ora colpisci al cuore.”

Lo guardai sconvolta, le sue mani tirarono le mie, fino a portare la punta del paletto nella zona del suo petto, dove secoli prima aveva battuto il suo cuore, ora immobile ma pur sempre vivo secondo me. Scossi la testa, non mi serviva che lui mi dicesse che quell'arma non gli avrebbe mai fatto nulla, non riuscivo nemmeno ad immaginare il pensiero di poterlo colpire.

Era più forte di me.

Irina, mi farai solo un po' male, ma non mi ucciderai.” disse lui, piuttosto duramente.

Vedendo la mia ostinazione nel non volerlo colpire, strinse un po' di più la presa sulla mia mano. La punta del paletto premette ancora di più sul suo petto.

Purtroppo non posso insegnarti a difenderti da Mikael, lui è troppo forte e spero vivamente che non osi mai arrivare a colpirti davvero.” disse, a denti stretti. “Ma c'è ancora qualcuno di cui si serve, qualcuno che avrebbe potuto ucciderti ieri notte, al posto di quella ragazza. E io non c'ero.”

Allora mi fu chiaro quanto lo turbasse il fatto che non era riuscito a prendere il colpevole di quell'efferato omicidio. Da bravo uomo d'onore quale era, non sopportava non aver risolto la situazione.

Voglio evitare che succeda di nuovo, voglio che tu sia pronta a mettere da parte la tua paura, la tua umanità e che impari a difenderti senza aver paura di fare del male.” continuò Elijah. “Con Joshua lo hai fatto, ma solo perchè dovevi scegliere tra me e lui. Tra te e il nemico, saresti capace di redimere il tuo nemico.”

Non capì subito il discorso di Elijah e ci misi un po' per collegarlo a quello che era successo la sera prima con Klaus.

Klaus era il mio nemico e io avevo abbassato la guardia, lasciando che nutrissi della fiducia per lui. Gli avevo permesso di portare la paura che dovevo nutrire per la sua figura in un angolo nascosto del mio cuore e della mia mente, dove non poteva più raggiungermi. Ma lo avevo fatto solo perchè, almeno così pensavo, Klaus voleva il bene o almeno la serenità di Katerina.

Per questo mi ero fidata, lo avevo fatto per lei. Anche se ero certa di aver sbagliato.

Ma era un discorso ben diverso quello tra la storia di Joshua e quella di Klaus: nel primo caso io lo avevo ucciso per difendere Elijah, nel secondo caso io mi ero fidata per proteggere Katerina.

Perciò poteva essere seriamente quella la cosa che aveva fatto scattare quel meccanismo in Elijah? Forse voleva solo farmi capire, che perdonare e fidarsi erano due decisioni che non dovevo prendere con estrema facilità. Come avevo fatto con Klaus.

Avrei dovuto combattere, più per me stessa in quel caso, e lasciare che la mia umanità venisse sostituita da una specie di spirito di sopravvivenza. Dovevo sempre riconoscere il mio nemico e saperlo combattere anche se dovevo solo difendere me stessa.

Ecco cosa voleva dire Elijah.

Lui strinse più saldamente la mia presa attorno al paletto e mi tirò a sé, sentì il suo respiro sul viso, mentre la punta dell'arma quasi perforava il centro del suo petto. Avrei voluto ritrarmi, ma lui me lo impediva con la sua mano. “Colpisci, ora e con tutta la forza che hai in corpo.”

Non volevo farlo e lui non poteva obbligarmi.

Guardai il suo viso con decisione e lui piegò la testa da un lato.

Non lo faresti mai, eh?” mi chiese, alzando la bocca verso destra, come se lo divertissi in qualche modo. Abbassai lo sguardo, era quel “mi farà solo un po' male” che mi bloccava, ma anche il fatto che non avessi alcuna intenzione di colpire in pieno petto Elijah.

Va bene.” disse, lasciò la mia mano e nemmeno mi accorsi che era scomparso.

In un baleno, come un lampo che illumina la notte più buia per un un solo, breve istante, prima di lasciar tornare l'oscurità. Mi guardai attorno, ma non lo trovai da nessuna parte.

Rimasi immobile, sentivo solo il verso di un uccello che gracchiava su uno dei tanti rami sopra la mia testa e il mio cuore che batteva a mille nel petto.

Trovarmi da sola, nella foresta, dopo che la presenza di Elijah mi aveva accompagnato fino a pochi secondi fa, mi fece stare male. Mi sentivo come se avessero strappato una parte del mio corpo, mi sentì debole e persa come non lo ero mai stata.

Feci qualche passo, continuando a cercare disperatamente Elijah, ma lui sembrava scomparso.

Mi fermai di colpo, quando sentì dei rapidi passi dietro di me. Girandomi però non vidi nient'altro che il centro di quel cerchio di alberi che sembravano circondarmi.

Avrei voluto gridare il nome di Elijah, per implorarlo di tornare subito.

Non mi piaceva rimanere da sola, non ci avevo realmente fatto caso fino ad allora.

Sussultai, quando sentì due mani adagiarsi sul mio collo. Non strinsero la presa, restarono solo sopra la mia pelle fredda, come per dimostrarmi che avrebbero potuto stringersi da un momento all'altro. Un respiro che conoscevo bene soffiò sui miei capelli, un respiro che inconsapevolmente fece in modo che stringessi con meno forza il paletto che avevo in mano.

Un vampiro potrebbe staccarti la testa dal collo in questo stesso istante.” disse la voce profonda di Elijah. Deglutì e rimasi immobile, con la coda dell'occhio cercai di avvicinarmi sempre di più all'immagine di Elijah alle mie spalle. “Potrebbe chinare la testa in questo preciso momento e prendere il tuo sangue. E tu, da sola, non ti sei mostrata forte come lo sei vicino a qualcuno che vuoi bene. Capisci quello che sto cercando di dimostrarti?”

La voce di Elijah era durissima e profonda, ogni parola mi provocava dei brividi lungo la schiena che non riuscivo a controllare. Le sue dita si intrecciarono sotto il mio mento. “Tu sei forte, Irina. Ma lo sei solo quando senti di dover difendere qualcuno: Katerina, me...persino Klaus. Ma da sola non riesci a trovare la forza per difenderti e questo non posso consentirtelo.”

Trattenni il fiato, mentre le sue parole si connettevano nella mia mente fino ad avere un senso logico, che anche io potessi cogliere: Elijah voleva che fossi forte anche per proteggere me stessa, perchè lui non avrebbe potuto esserci sempre. Come la sera prima, in cui mi ero quasi sentita persa quando non lo trovavo tra la folla. O quando Katerina si era allontanata dopo il nostro litigio. Non mi ero mai resa conto di quanto a fondo Elijah mi stesse facendo scoprire me stessa.

Non che credessi davvero di essere forte, ma non avevo mai fatto a quanto fossi debole da sola.

Quando non avevo altri da difendere se non me stessa.

Elijah lasciò il mio collo, permettendomi così di voltarmi verso di lui. La sua espressione era ancora dura, ma soddisfatta di avermi fatto aprire gli occhi su una realtà che non volevo conoscere. “Devi combattere anche per te stessa.” mi disse ancora. “Perchè se ti dovesse capitare qualcosa, le persone che vogliono proteggerti ne soffrirebbero.”

Lo guardai negli occhi, quegli occhi in cui ero capace di perdermi per un infinità di tempo, anche se passava un solo secondo. “E potrebbero non perdonarselo.” continuò lui, abbozzando un sorriso che, in quel momento, non sorressi. “Perciò, usa la forza che impieghi nell'amare gli altri, anche per amare te stessa. Combatti anche per salvare la tua di vita, perchè come ti ho già detto per molte persone è importante.”

Mi superò, sentì le nostre spalle quasi sfiorarsi e un enorme senso di gratitudine nei suoi confronti mi pervase. Mi aveva insegnato più di quanto avessi pensato in tutto quel tempo, ero cambiata grazie a lui, ma solo allora me ne accorsi: mi aveva insegnato a come sconfiggere una mia debolezza che non credevo nemmeno esistente, mi aveva insegnato una lezione di lotta e umanità che non avrei mai imparato se non ci fosse stato lui.

Amarsi e combattere anche per sé stessi, una unione che anche lui doveva aver imparato nel corso dei secoli in cui aveva vissuto. Si voltò verso di me per un attimo e mi sorrise, il vento gli scompigliò i lunghi capelli castani e li portò sui suoi occhi.

Sai a chi ho detto parole simili a queste, tempo fa?” mi chiese.

Scossi la testa, mi sembrava ancora di sentirmi astratta e portata via dal vento, come se fossi una fogliolina. Elijah alzò gli occhi verso il cielo e mi parve di vedere della nostalgia nel suo sguardo.

Ad una persona che, come te, combatteva per coloro che amava ma non per sé stesso.”

Tornai in me e capì subito a chi si riferiva, non era difficile da cogliere il paragone.

Klaus.

Elijah tornò a guardarmi e qualcosa si spense di nuovo nel suo viso. “Ma quella persona è morta da secoli ormai.” disse. La nostalgia era scomparsa dal suo volto, lasciando posto ad una amarezza che doveva tormentarlo da secoli. “Né io, né nessun'altra delle persone che gli stavano attorno, è riuscito a salvarlo dall'oscurità in cui lentamente e nel tempo stava precipitando sempre di più....per questo, non voglio che tu abbassi così facilmente la guardia con Klaus.”

Lo osservavo attentamente, mentre sul suo viso la lotta interiore tra l'affetto che provava per suo fratello e quello che provava per me, sembrava riflettersi nei suoi occhi. Ero certa che Elijah volesse comunque bene a Klaus, anche se non lo dimostrava con gesti troppo affettuosi che non erano da lui, ma riconosceva al tempo stesso che suo fratello non era una persona di cui ci si poteva fidare.

Ritorceva tutto quello che gli davi, in qualcosa che poteva servirgli.

E io avevo abbassato la guardia troppo facilmente con lui, quando avevo deciso di provare a difendere Katerina. Ma c'era sempre quella parte dentro di me, che mi diceva che se andavo a fondo del suo animo, avrei potuto trovare una luce. Ed era quello che mi aveva spinto ad annuire e a provare a fidarmi.

Lui avrebbe potuto colpirti in quel momento. Non intendo...fisicamente, ma avrebbe potuto ferirti e tradire la fiducia che gli hai riposto.” continuò Elijah, fece un altro passo verso di me e restò poi immobile a guardarmi. Era calato il silenzio, rotto solo dal vento che aveva ripreso a soffiare incessantemente su di noi. I discorsi che Elijah faceva riguardo Klaus mi innervosivano, perchè voleva tenermi lontana da lui, ma allo stesso tempo voleva che non lo odiassi.

Mi dispiace dirlo, ma sono l'unico vampiro di cui tu possa realmente fidarti.” Elijah scosse la testa mentre pronunciava quelle parole. “Tu lo sai che non ti farei mai del male e ti proteggerò a qualsiasi costo.”

A quelle parole abbassai lo sguardo e sentì una vampata di calore che mi investì il viso, non sopportavo il modo in cui mi comportavo ogni volta che Elijah mi rivolgeva quel genere di parole. Ma non lo potevo trattenere, era una cosa che mi faceva scoppiare il petto in mille emozioni.

Quindi, usa la forza che hai dentro di te, anche se devi solo difendere te stessa.” concluse lui, mi riservò un sorriso e mi diede le spalle. Restai immobile nel punto in cui fino ad allora ero rimasta a fissare gli occhi di Elijah e ad ascoltare le sue parole.

Non avevo mai pensato che gli dovevo davvero tanto.

Era grazie a lui se era uscita fuori quella mia forza, che ancora non riconoscevo in realtà, ed era anche grazie a lui se ero andata avanti fino ad allora, malgrado volessi buttarmi giù per qualsiasi cosa. Una cosa come Bell o come Klaus.

Lo raggiunsi di corsa e mi parai di fronte a lui, Elijah si arrestò di colpo e mi osservò mentre gli mimavo parole di profonda riconoscenza. Lo feci con una velocità e con un imbarazzo che probabilmente mi avevano resa incomprensibile. Lui però sorrise divertito e volse lo sguardo verso gli alberi al nostro fianco. “Dovrei ringraziarti anche io.” disse, cogliendomi di sorpresa.

Perchè io non avevo fatto proprio nulla per ottenere parole di ringraziamento da lui.

Io avevo perso molte, troppe speranze dopo secoli. Tutti noi abbiamo perso la speranza di sperimentare di nuovo le bellezze dell'umanità....ma da quando sei arrivata qui, per la prima volta dopo secoli, mi sono di nuovo sentito umano, mortale.”

Per un attimo pensai che fosse in negativo, perchè essere mortali, temere che la propria vita o quella di coloro che si ama potesse finire improvvisamente e da un momento all'altro, non lo consideravo particolarmente una cosa bella. Anche essere umani aveva i suoi problemi.

Si soffriva più intensamente. Ma si amava con altrettanta intensità.

Elijah tornò a guardarmi. “So cosa stai pensando, che essere mortali non è una bella cosa.” disse.

Ma per me lo è stato. Non è gradevole essere un corpo freddo, Irina. Essere umani, mortali e potersi concedere di vivere ogni singola emozione, bella o brutta che sia, sentendo i richiami del proprio cuore nel petto, era una cosa bellissima. E a noi...ci è stata portata via questa bellezza.”

Non avevo mai pensato che Elijah soffrisse così tanto per il suo essere vampiro, avevo capito che non era una cosa che lo rendeva felice, ma nemmeno che lo uccideva in quel modo. Scacciò la tristezza dal suo viso, con un altro sorriso che portò anche le mie labbra ad allargarsi sul mio volto.

Poi sei arrivata tu e...non lo so. Ho iniziato a ricredermi in molte cose.” disse divertito. Sorrideva in una maniera che trovavo dolcissima. Anche se il suo volto era sempre stato di marmo, mi resi conto che avevo sempre trovato dell'umanità in lui. Sia quando non sapevo che era un vampiro, sia quando la verità era diventata chiara ed evidente.

Lui era umano, anche se il suo cuore non batteva più da secoli. E io così lo vedevo.

Perciò...credo che ti debba anche io un grazie, non trovi?” concluse Elijah. “Hai appena sedici anni e hai insegnato più tu quanto tu stessa conosca ad un vampiro vecchio di secoli.”

Sorrisi, anche se dubitavo di aver davvero insegnato qualcosa ad un uomo come Elijah. Pensai che lui aveva solo represso la parola affetto, ma che il suo concetto era sempre rimasto assopito in un angolo del suo cuore, in attesa di essere risvegliato. Io non avevo fatto nulla di che, era lui ad essere parecchio umano. In quel momento, un pensiero mi attraversò la mente, una frase dettata da una voce lontana ma che conoscevo bene, mi stava facendo notare un particolare di cui ero a conoscenza, ma che continuavo ad ignorare per paura di soffrire.

Quella voce proveniva da un punto dentro di me, pochi centimetri più in basso al mio viso e nel centro di quello che era il mio petto. Istintivamente mi portai la mano sopra quel punto e premetti, qualcosa là dentro stava battendo all'impazzata. Elijah osservò l'espressione improvvisamente seria sul mio viso. “Che hai?” mi domandò.

Alzai lo sguardo su di lui e presi un lungo respiro, mai come allora avrei voluto avere voce per poter lasciar parlare quella voce che avevo nascosta dentro di me.

Ma c'era sempre qualcuno che doveva darmi del filo da torcere. E se non era Klaus, si trattava della sua degna copia al femminile. “Per la miseria, guarda come ti fissa i muscoli, fratello!” disse la voce di Rebekah, non mi voltai verso di lei, ma solo perchè la vedevo con la coda dell'occhio, mentre se ne stava con la schiena sulla corteccia di un albero, le braccia strette al petto e lo sguardo rivolto verso di noi. Elijah la guardò, ma non disse nulla.

Le Petrova sono anche delle depravate, su questo non ci piove.” disse, sentì i suoi passi avvicinarsi a noi e allora la guardai. Indossava un abito verde smeraldo e portava i capelli legati in una coda di cavallo che gli ricadeva sulla spalla sinistra. Un ciuffo di capelli era raccolto da un lato con un fermaglio a forma di fiore. “Che ci fai qui, Bekah?” le chiese Elijah, socchiudendo un attimo gli occhi infastidito. Rebekah fece finta di nulla, alzò le spalle e mi lanciò un'occhiata.

Quando ricambiai, mi ricordai del ceffone che le avevo dato alla festa e del fatto che non avessi nulla di rotto dopo averlo fatto, perciò dovevo aspettarmi da un momento all'altro che la bionda si vendicasse. “Non preoccuparti, non sono venuta ad interrompere la tua opera di carità.” disse. “Ma solo a farti vedere che l'ho ritrovato!”

Mise un mostra un sorriso che mi parve sincero, mentre mostrava al fratello il bellissimo ciondolo che aveva al collo. Aveva un pendente ovale, con delle piccole pietre verdi incastonate all'interno. Era simile a quello che avevo io al collo e che, istintivamente, strinsi nella mano.

Notai che lo sguardo di Elijah si fece di nuovo nostalgico. “Klaus te l'ha ridata?” le chiese.

Veramente gliel'ho rubata.” precisò Rebekah, come una bambina che ammetteva di aver commesso una marachella che l'aveva divertita. “Nostra madre ha sempre voluto che la tenessi io, no? Anche perchè ero l'unica figlia femmina!”

Rebekah si era dimenticata della mia presenza e solo per quel motivo nominò la madre davanti ai miei occhi. Non sapeva che ero a conoscenza del modo in cui l'avevano persa ed ero certa che, se lo avesse saputo, si sarebbe parecchio arrabbiata. Sia lei che Elijah mi lanciarono un'occhiata, rimasi comunque a pochi passi da loro e non osai accorciare quella distanza.

Sono felice che tu l'abbia ritrovata...” Elijah preferì tagliare corto, forse perchè non voleva parlare di quella cosa che visibilmente procurava dolore ad entrambi, e in particolar modo anche a Rebekah, di fronte a me. Rebekah mi lanciò di nuovo un'occhiata, ma in quell'occasione non trasmise alcun sentimento di odio. Mi guardava, ma non mi vedeva: i suoi occhi blu mi attraversarono come se fossi aria invisibile di fronte a lei.

Mi parve quasi umana, nel ricordo di quel terribile dolore che nemmeno secoli aveva potuto soffocare. “Lo sono anche io.” rispose e ci diede le spalle.

Stava allontanandosi, mi parve strano che non accennasse a nulla dello schiaffo. In effetti, mi aveva stupito il modo in cui mi aveva guardato subito dopo che le avevo inferto il colpo.

Avrebbe risposto subito, ma non lo aveva fatto. Il perchè non mi era chiaro.

Elijah mi fece segno di seguirlo, per tornare a casa, seguendo i passi di Rebekah. Appena feci un passo, vidi la bionda irrigidirsi. Anche se ci dava le spalle, notai indistintamente che alzò la testa e prese un lungo respiro.

Avevo di nuovo abbassato la guardia, troppo facilmente.

Me ne accorsi solamente quando la vidi scattare improvvisamente verso di me e colpirmi con uno schiaffo. Il mio, in confronto, doveva essere stato vento per lei.

Il suo fu come riceve un macigno in pieno viso. Caddi a terra e mi portai la mano sulla guancia, intanto Elijah aveva gridato qualcosa e si era scagliato su Rebekah per allontanarla da me. Rimasi tra le foglie sul terreno, mentre con la mano premevo sulla pelle.

Mi voltai a guardare Rebekah ed Elijah, erano lontani da me e lui teneva la sorella contro un albero per impedirle di muoversi. Ma lo sguardo della bionda era fisso su di me, i suoi occhi erano iniettati di sangue e avevano perso il colore blu che li caratterizzava. Erano neri, come l'oscurità più profonda in cui avrebbe tanto voluto inghiottirmi in quel momento.

Come per Klaus, anche lei aveva solo lievi sbalzi di umanità, seguiti poi da una rabbia inaudita.

Occhio per occhio, dente per dente, Petrova!” disse, quasi divertita. Cercò di divincolarsi dalla presa del fratello, ma Elijah la tenne stretta, cingendole le spalle saldamente ma allo stesso tempo con delicatezza. Non voleva farle del male, ma voleva impedirle di farlo a me.

Cosa per cui lei e Klaus ci avevano preso gusto sembrava. Mi alzai in piedi e in quel momento Elijah mi affiancò, come se volesse sorreggermi in caso fossi di nuovo caduta.

Rebekah non mi avrebbe attaccato nuovamente, le parole di Elijah l'avevano in qualche modo placata. “Non farlo mai più, Rebekah.” le intimò lui, posandomi una mano sulla schiena.

Mi faceva male la guancia, mi sforzai di non guardare Rebekah, solo perchè avevo ancora l'immagine di lei che, poco prima, sorrideva come una bambina al ricordo della madre.

Non riuscivo a detestarla per avermi colpito, io avevo fatto lo stesso alla festa e dovevo aver toccato un tasto dolente.

Ha iniziato lei, mi ha dato uno schiaffo alla festa!” esclamò Rebekah, puntandomi il dito contro. In quel momento invece, sembrava una bambina capricciosa che voleva discolparsi.

Dubito fortemente che la cosa ti abbia ferita, sei un vampiro.”

A proposito di questo, perchè lei sa tutto? Com'è possibile che ricordi tutto?” cambiò discorso Rebekah. “L'ho capito da un po', non sono la stupida che voi credete, fratello! Nessuno si chiede perchè sia immune al nostro potere?”

Smettila, Bekah.” disse ancora Elijah, ma con più durezza. Abbassai lo sguardo, i due parlavano come se fossi invisibile ma ero io la causa dei loro dissapori in quel momento.

E Rebekah aveva maledettamente ragione su tutto, il fatto che lei avesse intuito tutto non mi stupiva. Mi stupiva più il fatto che fosse l'unica che mi guardava come una sottospecie di fenomeno da baraccone, la cui mente era immune al potere dei vampiri.

Elijah sembrava volerci essere passato su, perchè non gli interessava cosa fossi.

Io avevo paura ad andare a fondo alla cosa e Klaus era troppo divertito dall'idea di torturarmi per domandarselo.

Restava solo Rebekah a porsi domande.

No che non la smetto! Non esistono persone capaci di sfuggire a quel genere di controllo, Elijah! Chi è realmente questa ragazza? Da quando è arrivata qui, è successo il finimondo te ne rendi conto o no?!” insistette Rebekah, fece dei passi verso di me e continuò a puntarmi la mano contro, la sua voce si era fatta più stridula man mano che parlava. Elijah si parò tra di noi, come per paura che la sorella potesse di nuovo colpirmi.

Basta Rebekah, sono stanco delle tue sceneggiate.” disse Elijah.

Sei cieco, fratello.” Rebekah lo guardò, alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi e mi parve seriamente addolorata. “Non vedi quello che sta succedendo, solo perchè la mocciosa ha saputo riaccendere quella fiamma.

Doveva riferirsi al concetto di umanità, che tanto sembrava spaventarla. Perchè doveva essere una cosa troppo difficile da sostenere per chi si era spento da secoli.

Non avresti dovuto permetterlo e tu lo sai.” continuò Rebekah, Elijah non disse nulla e rimase a fissare la sorella nei suoi occhi blu. La bionda scosse la testa, per un attimo pensai che volesse scoppiare in lacrime, ma poi la sua espressione assunse un aspetto rabbioso.

E si rivolse a me. “Io scoprirò chi sei, Irina. E se ti rivelerai un pericolo per la mia famiglia, non esiterò ad ucciderti.” disse, il suo sguardo non mi fece venire i brividi come al solito.

Celavano un dolore e un amore che Rebekah esternava nei confronti della sua famiglia, solo perchè sentiva di doverla proteggere. Era una vampira che amava in fondo, ma lo faceva con troppa violenza, perchè aveva dimenticato cosa significasse essere umani.

Elijah fece un passo verso di lei, per un attimo temetti che volesse colpirla ma ero certa che non avrebbe toccato una donna nemmeno con un dito. Figuriamoci la sorella.“Quello che hai appena detto...è ciò che potrebbe farti perdere il mio affetto, sorella.” disse.

Rebekah sbarrò lo sguardo per un attimo, rimase immobile quando vide Elijah farmi di nuovo segno di seguirlo, cosa che feci con una lentezza inaudita. Passai accanto a Rebekah e la guardai, lei stava per scoppiare seriamente in lacrime e la cosa mi provocò un dispiacere immenso.

Irina?” mi chiamò Elijah. Restò immobile, mentre io e Rebekah ci guardavamo.

Mi dispiace.” le mimai a fior di labbra, lei seguì il loro movimento e ne parve per un attimo stupita. Di nuovo quel lampo di umanità, che però durò davvero troppo poco.

Vattene via.” disse, marcando entrambe le parole e stringendo i denti.

Annuì, mi avvicinai ad Elijah e ci allontanammo. Mi voltai un'ultima volta per guardare Rebekah e lei era ancora immobile nel mezzo della foresta, con le spalle rivolte verso di noi.

Mi parve di sentire il rumore delle sue lacrime.


Per lenire il senso di colpa che provavo, avevo bisogno di affrontarne un altro.

Quello che provavo nei confronti di Katerina, per essermi affidata inconsciamente a Klaus per farla stare meglio. Anche se, dentro di me, sentivo forse di aver fatto la cosa giusta.

Forse, però.

Trovai Katerina seduta sul davanzale della finestra, con lo sguardo rivolto verso il cielo e le ginocchia strette al petto. Sembrava pensierosa, oppure stava semplicemente fantasticando come ci piaceva tanto fare. Il braccialetto era al suo polso, fu la prima cosa che vidi, dopo i suoi ricci capelli rivolti verso di me. La nuova camera di Katerina era vicino alla mia, era spaziosa ma non quanto quella che avevamo precedentemente. La finestra era più stretta e affacciava verso un lato della foresta che non avevamo mai osservato da quel punto di vista.

Mi chiusi la porta alle spalle e sorrisi, ma Katerina non volse lo sguardo verso di me. Rimasi immobile, era impossibile che non avesse sentito la porta aprirsi per poi chiudersi.

Doveva aver percepito i miei passi, eppure non si era voltata verso di me.

Pensai che forse mi sbagliavo, probabilmente stavo permettendo troppo alla mia mente di abusare delle mie preoccupazioni. Per una volta, dovevo essermi sbagliata.

Mi avvicinai rapidamente a lei e le posai una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione, Katerina si voltò parecchi istanti dopo. Aveva uno sguardo corrucciato, che mi lasciò intendere che doveva essere arrabbiata, delusa e ferita. Per me non era difficile da capire mia sorella e mi fu chiaro che era a causa mia che provava quei sentimenti.

Le chiesi cosa avesse, sperando che mi stessi sbagliando. Ma oramai i miei sensi erano bravi a cogliere i sentimenti che mi circondavano, sopratutto se erano negativi. Katerina non mi rispose subito, abbassò lo sguardo e prese un lungo respiro.

Non ho nulla.” disse.

Possibile che ricordasse? No, Klaus non ci guadagnava nulla nell'avere una Katerina nervosa e spaventata, qualsiasi fosse stato il motivo del suo interesse. Tornò a guardare il cielo, ma dubitavo che ne stesse ammirando la limpidezza di quella mattina.

Voleva solo evitare di guardare me.

Premetti di nuovo la mano sulla sua spalla e le chiesi se avevo fatto qualcosa che non andava. Cosa che lei confermò prontamente, con una sola semplice occhiata.

Che hai fatto? Dimmelo tu...” disse quasi sfidandomi.

Corrugai la fronte, mentre lei scattava in piedi e si parava di fronte a me. Più che arrabbiata, mi parve che quelle piccole rughe sulla sua espressione fossero il risultato di una delusione che dovevo averle procurato. Ma ero così stanca dalla sera prima, che non capì che cosa avevo fatto.

Adesso so perchè non riuscivi a guardarmi in faccia. So qual'è il segreto che mi stai nascondendo...” disse, stringendo quasi i denti. Mi parve che stesse per scoppiare in lacrime, cosa che le impedì stringendole le spalle. Ma lei si scansò violentemente. “Non toccarmi, bugiarda!”

Il modo in cui non mi guardava non mi piaceva, era come se mi odiasse in quel momento.

Perchè lo hai baciato? Non potevi solo dirmi quello che provavi per lui e basta?”

Sgranai lo sguardo e trattenni il respiro.

Come avevo potuto non capirlo subito? Klaus mi aveva di nuovo colpita, mi aveva sottomessa di nuovo e io non me n'ero nemmeno accorta. Mi aveva di nuovo fatto capire, che tra me e lui, avrebbe vinto sempre e solo lui. E io, come una stupida, avevo davvero pensato che avrebbe potuto compiere una buona azione, senza avere un suo tornaconto.

Mi ero fidata del diavolo, e quello era il risultato.

E il fatto che mia sorella mi stesse guardando in quel modo, faceva male quasi quanto il pensiero che Klaus mi aveva pugnalato alle spalle quando io credevo che avrei potuto fidarmi. Mi sembrava di sentire due lame che mi perforavano il petto.

Come avrei potuto convincere mia sorella che non era vero? Klaus le aveva impresso quei pensieri nella mente quando le aveva fatto dimenticare del cadavere sul nostro letto e lo sguardo di mia sorella era carico di un odio che non le apparteneva. Avevo perso mia sorella, per colpa sua, proprio come mi aveva promesso di fare.

Come hai potuto mentirmi così? Perchè dovevi tradirmi in questo modo?” ripeté mia sorella, quasi ringhiando. Provai a spiegarle che non era così, ma quei pochi gesti e la rabbia di mia sorella sembravano non incontrarsi. Mi veniva da piangere per la rabbia, immaginai il sorriso beffardo di Klaus mentre pensava a come rovinare il rapporto con mia sorella per pensare solo a poche parole.

Lo odiavo come non avevo mai odiato nessuno prima .

Non riuscì a tacere quella voce, mi gridava dentro la testa e dentro il cuore, rimbombando tra le pareti del mio corpo. Non sapevo che sarebbe stato così facile ammettere di odiare qualcuno.

A me non importa che tu lo abbia baciato.” Il viso di mia sorella si addolcì, ma solo perchè si stava per sciogliere in un mare di lacrime. Ed era solo colpa mia, nonostante non avessi fatto nulla di male in quel caso. “Mi ferisce più il fatto che tu me l'abbia tenuto nascosto in questo modo, agendo alle mie spalle.”

Mi morsi le labbra, non sapevo davvero che cosa fare per risolvere la situazione. Stavo perdendo Katerina e non c'erano vie di uscita, Klaus aveva vinto di nuovo. Calò il silenzio, Katerina si asciugò una lacrima, prima che scendesse lungo il suo viso.

Io non l'avrei mai tradita, ma lei non poteva saperlo visto che, sempre per colpa mia, era stata soggiogata da quello che ormai consideravo il diavolo. Perchè avevo abbassato così la guardia?

Vattene.” Katerina mi indicò la porta, fendendo l'aria con l'indice. Provai di nuovo a farle capire che non era così, che si sbagliava ma l'evidenza nella sua mente era ben chiara.

Non voglio più vederti, mi hai mentito e non lo avevi mai fatto prima.” disse lei, rimarcando quel concetto a denti stretti. “Non so più chi sei, non so più dov'è la sorellina che non mi avrebbe mai tradita per nessuna ragione al mondo...perciò, vattene via.”

Era inutile insistere, non mi trovavo di fronte a mia sorella ma ad un involucro ricolmo della malvagità di Klaus. In quel momento Katerina non c'era, c'era solo la voce di Klaus che mi sussurrava all'orecchio quanto fossi stupida e ingenua.

Mi voltai lentamente verso la porta, stavo per scoppiare in lacrime ma mi era rimasto ancora un po' di orgoglio per cercare di non crollare. Klaus non poteva comunque vedermi, ma nel mio intimo non volevo dargli una soddisfazione del genere lo stesso.

Perchè lui era presente in quel momento, non fisicamente, ma nella mente e negli occhi di Katerina. Mi aveva portato via una delle pietre miliari del mio essere, la mia forza.

Lo aveva fatto, perchè io mi ero fidata.

Aveva buttato sale su ferite che lui stesso mi aveva procurato.

Aprì la porta e me la chiusi di scatto alle spalle, corsi poi lungo il corridoio quando mi resi conto che non ce l'avrei fatta a non crollare.


Mi sedetti su una panchina di fronte al giardino, con la testa tra le mani e i gomiti sopra le ginocchia. Non avevo mai fatto caso a quanto odiare potesse pesare nell'animo e nel petto di una persona, sentivo quel macigno insostenibile che premeva sul mio petto e che mi faceva venire voglia di distruggere tutto quello che avevo intorno a me.

Se mi fossi ritrovata davanti Klaus poi, ero certa che non mi sarei trattenuta.

Ma quella che dovevo odiare ero io.

Io che avevo permesso che una cosa simile capitasse.

Io che ero stata così ingenua da sperare che Klaus potesse davvero fare del bene, per Katerina e per me. Dovevo per forza arrendermi all'evidenza, non dovevo più cadere in errori simili e accettare il fatto che non ci si poteva fidare di un mostro.

I suoi lampi di improvvisa umanità, quelli che mi disorientavano e mi confondevano per un solo secondo, erano solo un'illusione. Quell'umanità non esisteva, esisteva solo un odio capace di ferirmi profondamente.

Ed era questo che faceva più male.

Rimasi sola, seduta su quella panchina e con il viso tra le mani per molto, troppo tempo. Nascosi i miei occhi alla luce del sole, nascosi il mio volto al soffio del vento e lasciai solo che tutto di me vagasse nell'oscurità. Accettai il fatto che ero io la più debole, ero io l'umana che si faceva sempre male in quel gioco, non lui.

Alzai lo sguardo, quando sentì un respiro soffiare tra i miei capelli. Come se qualcuno di fronte a me, mi stesse osservando, tenendo la sua bocca troppo vicina alla mia testa.

Sobbalzai, quando mi ritrovai ad un palmo dal naso, il lupo dal pelo bianco che tante volte avevo visto apparirmi di fronte, come la fugace apparizione di un sogno nel bel mezzo del giorno.

Mi ritrovai a trattenere il fiato, mentre osservavo quegli occhi di ghiaccio che mi fissavano intensamente. Era insolito che un animale selvatico si avvicinasse così tanto ad un essere umano.

Sopratutto in un giardino, ero lontana dal punto in cui iniziava la foresta ed era strano che l'animale fosse giunto fino là, solo ed esclusivamente per osservarmi in quel modo.

Il lupo fece un verso, alzò la testa e per poco mi sfiorò il mento con il suo muso. Sembrava che volesse dirmi qualcosa oppure farmi fare qualcosa, avvicinò il muso alle mie ginocchia e lo posò sopra, strofinando il pelo del suo manto contro la mia gonna. Come un cucciolo che cercava di farsi accarezzare.

Ma lui era un lupo.

Presi un lungo respiro, la tentazione di toccare quel manto bianco come la neve mi aveva da sempre sfiorato, dalla prima volta che lo avevo visto di fronte a me. Svuotai lentamente la mente da ogni pensiero, dimenticai la lite con mia sorella, la rabbia che provavo per Klaus e tutto il resto, e abbassai la mano sul suo capo. Per un attimo la ritrassi, quando vidi che il lupo aveva mosso le orecchie.

Ma fu solo questione di pochissimi attimi.

Ripresi a sfiorargli il delicato manto, lasciai scorrere la mano sopra di esso. Sorrisi, quando mi resi conto di quanto fosse soffice e vellutato. Mi procurò una sensazione di calma e serenità, mentre le mie dita iniziarono a sfiorargli le orecchie, poi il muso.

Ma come al solito, tutto si rivelò una illusione.

Il lupo improvvisamente ringhiò, affilò i suoi bellissimi occhi e mi mostrò i denti. Prima che potessi compiere qualsiasi movimento, mi morse sul braccio. Aprì la bocca in un grido, quando avvertì indistintamente i suoi denti affondarmi nella carne e il sangue fuoriuscire dai segni del suo morso. Mi portai il braccio al petto, il lupo si ritrasse subito ma rimase ad osservarmi.

Sembrava che non volesse infierire su di me, ma solo guardarmi mentre cercavo di bloccare la fuoriuscita del sangue con l'altra mano. Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime per il dolore, ma mi accorsi che qualcos'altro stava accadendo sulla mia pelle.

Qualcosa che mi stava procurando un dolore immenso, come se qualcuno mi stesse tagliando la carne con la punta di un coltello. Il lupo restò ad osservare la mia agonia, mentre mi feci forza per osservare ciò che stava accadendo sul mio braccio: il sangue stava marcando la mia pelle, come se una mano invisibile stesse cercando di lasciare un segno. Riconobbi delle lettere, delle lettere marcate sulla mia pelle come profonde cicatrici che dubitavo sarebbero andate via.

Caddi giù dalla panchina, continuando a tenermi il braccio contro il petto sperando che quel dolore lacerante, prima o poi, terminasse. Il lupo continuava a guardarmi, restava immobile sulle quattro zampe e mi osservava, mugugnando ogni tanto qualche verso. Il dolore si arrestò improvvisamente, come se quella mano invisibile avesse deciso di segnare un punto di fine a quella pena.

Doppelganger.

Una singola parola, marcata sulla mia pelle con il sangue, parve offuscata dai miei occhi bagnati. Occupava quasi tutto l'interno del braccio, i segni dei denti del lupo segnavano l'inizio di quello scritto rosso. Rilessi la parola più volte, non l'avevo mai sentita prima e non avevo idea di cosa potesse significare. Il lupo mugugnò di nuovo, lo guardai e successe qualcosa, qualcosa che mi fece capire che quella parola era qualcosa che cercavo da tempo.

La parola sul foglio di papiro che Micah mi aveva fatto trovare.

La serie di brividi che segnano la fine di un dolore fisico terminarono improvvisamente, alzai la mano dalla mia pelle e notai che non c'era più sangue e nemmeno più cicatrici.

Come se fosse stato tutto un sogno.

Guardai verso il lupo, anche lui era scomparso proprio come tutto il resto. Temetti di essere diventata pazza, che tutto quello che mi era capitato in quella giornata mi avesse fatto perdere la testa. Ma ricordavo indistintamente la sensazione che avevo provato mentre la mia mano accarezzava il suo pelo e non era ciò che lasciava una illusione.

Quello era un chiaro messaggio per spingermi sempre di più verso una verità, una verità che dubitavo di voler davvero conoscere ma di cui avevo bisogno.

Misi da parte di nuovo tutta me stessa, la paura e tutto ciò che quella giornata mi stava portando via, e corsi verso la mia camera.


Ero così di fretta che spalancai la porta ma non la richiusi.

Avevo nascosto il foglio di papiro in uno dei miei vestiti. Avevo rinunciato al letto dopo che Rebekah mi aveva privato del libro e, siccome la nostra camera era diventata la tomba di una povera ragazza, avevo deciso di non lasciarlo in quel buco sul muro.

Vista la gente che mi girava attorno, non lo vedevo come una cosa rassicurante.

Spalancai il baule dei vestiti, ricordavo di averlo nascosto sotto la gonna di uno dei vestiti che mi ero portata dalla Bulgaria. Uno di quelli che non avevo più indossato da quando le bugie di Klaus avevano riempito l'armadio mio e di mia sorella, per poi svuotarmi di tutto il resto.

Ma non avevo tempo di maledirlo, il foglio non era più ripiegato nel fondo del baule. Non mi feci prendere dal panico, forse ero così di fuga che non mi ricordavo di averlo nascosto da qualche altra parte probabilmente.

Improvvisamente, sentì la porta chiudersi alle mie spalle.

Un rumore che mi fece sobbalzare, una presenza che mi fece rabbrividire nel più profondo.

Klaus era stato lì dentro con me per tutto il tempo,nascosto dietro la porta che poi aveva chiuso con la mano. I suoi occhi trasmettevano esplicitamente una rabbia disumana, non aveva una maschera in quel momento.

Era nudo in tutta la sua mostruosità.

Cercavi questo?” mi chiese duramente, mi mostrò il foglio di papiro. Vederlo stretto nella sua mano mi provocò una morsa al cuore, deglutì e alzai di nuovo lo sguardo su Klaus.

Perchè era così furioso? Mi ero dimenticata di come Micah, e chiunque lo avesse guidato, da me avesse cercato di mettermi in guardia da lui e dalla sua famiglia.

Quel papiro, quel termine doppelganger...dovevano essere qualcosa legato a Klaus, alla sua esistenza fatta di paura e terrore. Se avessi saputo cosa significasse quella maledetta parola, forse avrei potuto avere realmente un vantaggio su Klaus.

Ma io ero sempre dieci passi indietro.

Lo vidi storcere la bocca, di nuovo quel segno che stava per esplodere di rabbia. Fece dei passi verso di me e io ne feci diversi indietro, odiavo il fatto che non avrei mai potuto combattere la paura che provavo per lui. Piegò la testa da un lato, proprio come un predatore.

Irina, stai ficcando il naso in cose che sono più grandi di te e in cui potresti farti seriamente male.” disse ringhiando, sobbalzai quando lo vidi avvicinare il papiro al camino e buttarlo dentro la fiamma accesa. Guardai il foglio bruciare lentamente, ardere fino quasi a ridursi ad un misero ricordo della verità che stavo ancora cercando di trovare. Klaus mi si parò di fronte ad una velocità impressionante a cui mi dovevo ancora abituare. Trattenni il fiato, mentre i suoi occhi si fissavano penetranti nei miei, non avevo mai avuto così tanta paura di lui fino ad allora.

In tutte le volte in cui mi aveva sfidato, in tutte le volte che aveva vinto su di me, avevo avvertito come se indossasse una specie di maschera di fronte: lui faceva il mostro perchè era quello che sentiva che gli riusciva meglio. Ma, in realtà, il suo modo di comportarsi con me era sempre il richiamo di qualcos'altro che lui non sapeva dimostrare.

Ancora non mi ero chiaro cosa, ma temetti che anche in quel caso fossi stata vittima di un illusione. Ricordai il bacio, le minacce, la lite con mia sorella e dimenticai il regalo e gli altri lampi di umanità che nel profondo avevo sperato di cogliere.

Avevo di fronte l'artefice di tutte le mie ferite più profonde e non indossava affatto una maschera. Era lì proprio per ferirmi.

Adesso sì che hai superato il limite.” disse, quasi digrignando i denti. “Non posso permetterti di mandare a monte tutto, non te lo permetto.”

Mi chiesi cosa volesse fare, uccidermi? Arretrai ancora di più, quando lui fece un altro passo verso di me. Mi ritrovai così contro i piedi del letto alle mie spalle, ero di nuovo in trappola.

Non distolsi mai lo sguardo dai suoi occhi, sembravano sprizzare fiamme pronte a ricadere su di me. Eravamo ad un palmo di distanza, un solo gesto veloce di Klaus e avrebbe potuto uccidermi in quell'istante. Ma non lo fece, rimase a trafiggermi con i suoi occhi e si morse il labbro.

Non volevo arrivare a farti del male, ma sembra che tu voglia farci apposta a tirare fuori il peggio di me.” disse, quasi sussurrando. Ma cosa aveva quel foglio di così importante da farlo arrabbiare in quel modo? Che altri scheletri nascondeva nell'armadio, quel demonio? Mi prese saldamente per il braccio, facendomi male, cercai di divincolarmi e opposi resistenza.

Stava per esplodere qualcosa dentro di me.

Che cosa devo fare con te...per farti smettere di sfidarmi in tutti i modi?” mi chiese, dandomi solo un unico scossone. Ci guardammo negli occhi e mi dimenticai cosa significasse avere paura di lui, avevo solo una cosa che mi faceva battere il petto in quel momento e non era il terrore.

Sai che ti dico? Farò leva sulla tua vera paura: restare sola.” disse, a denti stretti. Pronunciò la parola “sola” quasi con scherno, sapeva che quelle due sillabe potevano ferirmi più di qualsiasi altra cosa. “Ti rispedirò in Bulgaria, dove eri solamente una ragazzina sola, debole ed insicura. Sposerai quel contadinello che quel bastardo di tuo padre ti ha trovato e manderai avanti la tua vita, lontana da noi.”

Anche il modo in cui aveva pronunciato la parola bastardo, riferendosi a mio padre, mi colpì particolarmente. Fu l'unica cosa che stonava nella sua minaccia, come se con quella parola avesse voluto in realtà proteggermi dalla figura di mio padre. Dovevo smetterla di vedere però cose che non esistevano. Klaus mi avrebbe davvero portato via da tutto, mi avrebbe portato via quell'immagine di sogno che avevo scoperto in Inghilterra, mi avrebbe separato da mia sorella e mi avrebbe portata via dall'unica persona che, in sedici anni di vita, mi aveva insegnato più di quanto avessero fatto i miei genitori. Solo allora, probabilmente, mi resi conto quanto fosse importante la mia vita là, nonostante tutto.

Nonostante la presenza di Klaus.

Dovevo combattere per me stessa.

Quando sei arrivata qui, non pensavo che avresti causato questi problemi, altrimenti ti avrei fatta rimanere dov'eri.” ripeté ancora Klaus, serrando le labbra e guardandomi negli occhi. Sentivo il suo respiro sul viso, mentre mi parlava in quel modo. “Magari lo avessi fatto, mi sarei solo risparmiato un sacco di grane!”

Provai a respingerlo, ma come al solito fu tutto inutile. Non mi arresi però, volevo che lui mi lasciasse e in un modo o nell'altro avrei fatto in modo che così fosse stato. Allora lo guardai negli occhi, come si ferisce una persona che non prova sentimenti? Come si ferisce qualcuno che vive di paura, terrore e che non sa che cosa sia tenere a qualcuno se non a sé stesso? Non c'era modo in cui potessi colpirlo, lui era tutto quello che mi faceva più paura e tutto quello che non avrei mai voluto essere.

Un corpo freddo che non conosce altro che l'odio.

Intanto qualcosa cresceva in me, lo sentivo bruciare sempre di più fino a diventare insostenibile da trattenere. Continuai a guardarlo negli occhi, malgrado sapesse che era lui il responsabile di quello che stava succedendo dentro di me. Qualcosa che non volevo conoscere, qualcosa che detestavo avere dentro.

Klaus abbozzò un sorriso, la sua mano continuava a stringermi il braccio e piegò la testa da un lato. “Presumo che dopo lo scherzetto che ho combinato a tua sorella...tu sia d'accordo con me nel dovertene andare!” esclamò. Mi morsi le labbra, ma ormai era troppo tardi per non poter lasciare divampare quella fiamma.

Io ti odio.”

Lo avevo detto, anche se non si era sentito, anche se avevo portato solo altro silenzio attorno a noi, Klaus aveva udito le mie parole. Osservò le mie labbra muoversi lentamente, mentre pronunciavo quelle parole in modo che lui le comprendesse, che le sentisse.

Doveva essere abituato a sentirsi dire quella frase, mi aspettai di vederlo ridere da un momento all'altro e di ricordarmi quanto fossi assurda e patetica nel volerlo ferire con tre semplici parole che non lo toccavano nemmeno.

Ma non successe, lui non rise mai. Anzi, il suo sguardo rimase fisso sulle mie labbra immobili da secondi ormai e qualcosa mutò sul suo viso. Qualcosa che durò più a lungo degli altri momenti, ma che non cambiò l'odio che provavo per lui in quel momento.

Klaus scosse la testa lentamente, attesi che dicesse qualcosa con cui avrebbe pensato di ferirmi. Peccato che non ci sarebbe riuscito, per una volta eravamo in parità.

La sua espressione mutò improvvisamente, mi spinse violentemente contro il letto e mi premette i polsi contro il letto. Avvicinò il viso al mio, lo guardai con una rabbia che solo lui era capace di far nascere in me. Guardai i suoi occhi iniettati di sangue, le vene che circondavano le fessure del suo sguardo e i canini che fuoriuscivano dalle sue labbra.

Allora ebbi di nuovo paura. “Tu mi ferisci, io ferisco te.” disse, facendo uno scatto con la testa verso sinistra. E mi morse sul collo, avvertì indistintamente i suoi denti che penetravano nella mia carne, la sua presa che premeva i miei polsi contro il materasso, le sue ginocchia che stringevano le mie per impedirmi di muovermi. Gettai la testa all'indietro, cercando di trovare un centimetro almeno del mio corpo che potesse servirmi per scrollarmi di dosso quella bestia.

Mi morsi le labbra, per trattenere le lacrime di rabbia che già mi stavano bagnando gli occhi.

L'unica cosa che mi dava la forza per trattenerle, era che io avevo ferito Klaus.

Non capivo come, non capivo perchè, ma ero certa che lo avevo ferito in qualche modo. Vedere le mie labbra muoversi nel pronunciare silenziosamente quelle tre parole, doveva aver fatto scattare qualcosa in lui. Ma perchè? Prima che potessi rispondere da sola alle mie stesse domande, lui alzò la testa lentamente. Mi sfiorò la guancia con le labbra e sentì il sangue macchiarmi la pelle, poi parò il suo volto di fronte al mio.

Le sue labbra erano colorate del colore denso del mio sangue, le vidi allargarsi in un sorriso che durò troppo poco. Lui in quella circostanza non riusciva nemmeno a voler sorridere.

Ti odio anche io Irina.” disse, sperò di scatenare qualcosa in me ma non ci riuscì, io sapevo che lui mi odiava e non me ne importava, perchè un sentimento è più forte se è reciproco.

Così come l'amore, anche l'odio. E noi ci odiavamo entrambi.

Considerala una vittoria, perchè io non mi spendo in sentimenti del genere. Anche l'odio indebolisce e io ti odio con tutto me stesso. Odio la tua misera vita da umana, odio la tua misera bontà e odio ogni miserabile aspetto di te perchè mi fa ricordare tutto.”

Corrugai la fronte, Klaus sembrava ancora una bestia in quel momento, mentre mi guardava con quella sua espressione corrucciata e mentre il suo respiro sfiorava le mie labbra. Le sue parole non mi fecero male, come non ci riuscivano nemmeno le sue labbra sporche del mio sangue, ma sentì una specie di meccanismo scattare in me.

Klaus mi lasciò i polsi, ma rimase disteso sopra di me. Non aveva ancora finito la sua opera di pura malvagità. “Tu mi odi.” disse, osservandomi ancora in viso. “Ma dovresti anche odiare di più te stessa allora perchè non sei così tanto diversa da me in fondo.”

Avvicinò il viso al mio, per un attimo pensai che volesse di nuovo baciarmi, ma non lo fece. Restò a pochi millimetri da me, sfidandomi solamente con i suoi occhi e con le sue labbra rosse di me.

Sei stata felice prima, quando hai cercato di ferirmi eh?” mi chiese e un sorriso mi schernì, rendendolo così vittorioso ai miei occhi. “Lo sono sempre anche io quando ferisco le persone. Perciò...che cosa ti rende così diversa da me? Che cosa ti fa odiare il mio essere, ma non il tuo?”

Tutti gli umani odiano.

Purtroppo era una cosa inevitabile, era il lato marcio dell'umanità, ma io non avevo mai odiato nessuno prima di lui. Avevo forse mal sopportato, avevo forse disprezzato ma odiato con quella intensità qualcuno come stavo odiando Klaus, mai.

E avrei voluto ridere quando gli avevo pronunciato quelle tre parole. Questo mi rendeva come lui? No, mi rendeva solo umana. Ma se anche Klaus mi odiava, allora voleva dire che non era così diverso da tutti gli umani che disprezzava.

Però mi fece odiare me stessa, io dubitavo di avergli fatto odiare anche solo una piccola parte della sua essenza. Restammo a guardarci in silenzio, lui alzò le sopracciglia , come per segnare la fine della sfida a cui ci eravamo sottoposti entrambi. Solo che nessuno dei due sembrava aver davvero vinto in quel caso. Mi sfiorò la guancia con una mano, fino a scendere sul collo dove riuscivo a scorgere il sangue sulla mia ferita. La toccò delicatamente, facendomi rabbrividire per il lieve dolore che mi procurò.

Buttò di nuovo sale sulle mie ferite.

Fece uno scatto in avanti, non sapevo che cosa volesse fare, ma vidi solo il suo viso avvicinarsi al mio. Lui si arrestò quando sentì qualcosa premere contro il suo petto. Abbassò lo sguardo sulle mie mani che stringevano il pugnale di Joshua, la punta nera dell'arma era rivolta contro il suo petto e serravo le dita attorno al manico. Klaus rise divertito, alzò lo sguardo dall'arma e lo posò di nuovo su di me.

Hai un nuovo giocattolo eh?” chiese divertito, poi la sua espressione si indurì rapidamente. Era incredibile come le sue reazioni mutassero in un solo baleno, passando da un estremo all'altro senza darmi nemmeno il tempo di studiarle. “Vuoi farmi di nuovo male?”

Presi dei lunghi respiri, quando mi accorsi che non riuscivo a colpirlo. Le mie mani iniziarono a tremare, sembrava che le volessi muovere ma qualcosa me lo impediva. Quella maledetta cosa che bloccava il mio odio. Klaus abbassò le mani, avvolse le mie nelle sue e mi sfidò, avvicinandosi l'arma al ventre.

Colpisci...forza.” sussurrò. Nonostante avrei tanto voluto farlo, nonostante stessi godendo già dell'immagine di vedere quell'arma trafiggere la carne di Klaus, non riuscì a fare proprio nulla. Se non piangere perchè non riuscivo.

Klaus piegò la testa da un lato e sorrise di nuovo. “Non riesci, vero?” mi chiese, con una finta dolcezza che mi fece solo più male. Si abbassò di nuovo su di me, avvicinò le labbra al mio orecchio e io ritrassi la testa per non sentire la sua pelle vicino alla mia. “È che non odi abbastanza. È questo il tuo vero limite, umana.”

Mi morsi il labbro per non piangere, intanto la presa attorno all'arma si allentò fino a diventare nulla. Perchè non riuscivo a fargli del male come lui lo faceva a me?

Avrei voluto pugnalarlo, ma non ci riuscivo. Era più forte di me.

Lui mi accarezzò i capelli con la mano, voleva di nuovo che lo guardassi affinché potesse godersi la sua, di nuovo, conquistata vittoria. Volsi la testa verso di lui, solo quando sentì la sua mano sotto il mio mento.

E i nostri occhi si incontrarono di nuovo. Lui sorrise.

Non è vero che mi odi così tanto allora?” sussurrò.

Sì che lo odiavo. Lo odiavo come non avevo mai odiato nessuno prima, eppure non riuscivo nemmeno a provare a fargli del male. E non sopportavo non sapere il perchè di quello che mi stava succedendo.

Improvvisamente, tutto cambiò. Klaus scomparve rapidamente dalla mia visuale, sentì un grido e il rumore di un corpo che cadeva a terra. Mi misi a sedere, quando vidi le spalle di Elijah rivolte verso il letto. Klaus era disteso sul pavimento di fronte a lui.

Mi portai la mano al collo ed osservai la scena, Elijah continuava a darmi le spalle e ad avvicinarsi al fratello. “Ora hai osato troppo...” gli disse, non mi parve nemmeno la sua voce. Era un sussurro che cresceva sempre di più, fino ad assomigliare al verso di un animale.

Klaus si fece forza sulla mani per alzarsi, lanciò un'occhiata verso di me e poi tornò a guardare il fratello. “Non ho mai osato come stai osando tu in questo momento..” disse.

Elijah non rispose, prima che potessi rendermene conto spinse il fratello contro la parete e lo guardò con rabbia. Fu la primissima volta che scorsi la sua espressione in una situazione simile, aveva la fronte corrugata e le labbra che si sforzavano di restare chiuse, nonostante sembrava che lui volesse gridare contro il fratello. Mi alzai lentamente in piedi, ma barcollai: Klaus non aveva infierito sul mio collo con violenza, ma lo aveva fatto con una lentezza letale che mi causò quel forte stordimento lo stesso. Volevo fermare Elijah, lui non doveva avere quell'espressione sul viso. Ma la risata di Klaus mi bloccò.

Rise in faccia al fratello, senza mostrare un briciolo di paura di fronte al suo viso. Ero sicura che avrebbe spaventato chiunque, ma la parola chiunque era riduttiva per uno come Klaus.

Se lui aveva paura, l'aveva solo per sé stesso. E non potevo biasimarlo.

Non pensavo che ti avrei mai trovato ridicolo, fratello.” disse Klaus, continuando a ridere in quella maniera provocatoria e fastidiosa. Rideva solo per sfidare Elijah, non lo faceva perchè gli veniva naturale.

Mi portai la mano sul collo bagnato del mio stesso sangue e mi sedetti ai piedi del letto. Non ce la facevo a stare in piedi, non mi ero resa conto di quanto in profondità fossero giunti i denti di Klaus. Mi sembrava di sentire la pelle bruciare e la testa girarmi così forte da vedere tutto offuscato. Elijah mi lanciò un'occhiata preoccupata, premette il braccio contro il collo del fratello e lo trattenne contro il muro. Tornò subito a guardarlo, come se la mia vista avesse fatto accrescere la rabbia che già provava in quel momento.

Sei un vigliacco, Niklaus. Lei non ha nulla a che vedere con la tua follia, devi lasciarla stare.” disse Elijah a denti stretti, Klaus continuò a guardarlo divertito. “Te ne ho fatte passare troppe in tutti questi anni, ma questo proprio non te lo permetto.”

Perchè?” Klaus lo sfidò di nuovo. Malgrado Elijah gli stesse premendo sul collo, lui parlava con chiarezza e tranquillità. Non lo avrebbe mai piegato nessuno ed era una cosa che mi mandava in bestia. Lo odiai di nuovo, con più intensità rispetto a prima e desiderai che morisse in quel momento. Come se avesse percepito il mio odio, Klaus mi lanciò un'occhiata che mi trafisse e non fece che fomentare quella fiamma che lui solo riusciva a far scoppiare.

Perchè non mi permetti questo, Elijah?” disse poi tornando a guardare il fratello, la sua espressione smise di essere beffarda e assunse un aspetto serio e rabbioso. “Io mostro la mia vera faccia, fratello, a differenza tua che giochi a fare il finto umano con la piccola Petrova.”

Tu non la devi più toccare!” esclamò Elijah premendo più forte sul collo del fratello, cercai di nuovo di alzarmi in piedi ma le forze mi abbandonarono subito. Mi portai il viso tra le mani e cercai di ridare colore al buio che mi aveva offuscato la vista durante quel gesto.

Sentì due occhi preoccupati posarsi di nuovo su di me.

Se provi di nuovo a farle del male, io ti assicuro che te la faccio pagare molto cara. E lo sai che sono un uomo di parola...” ringhiò ancora Elijah, la sua voce mi parve irriconoscibile: era immateriale, ma sembrava ferire come se fosse un'arma.

Un'arma che però non toccava minimamente Klaus. Sentì solo il silenzio, nessuna risata o nessuna parola di sfida, ma dubitavo che lui si fosse spaventato riguardo le parole del fratello.

Era calato il silenzio, solo perchè Klaus stava tramando qualcosa.

Alzai di nuovo lo sguardo su di loro, Elijah si era voltato verso di me e il suo viso aveva perso ogni traccia della rabbia di poco prima. Lo vidi avvicinarsi a me molto velocemente, Klaus assistette alla scena, restando con la schiena contro il muro.

Vieni, ti porto via di qui.” Elijah si chinò su di me e mi accarezzò i capelli con una mano, il suo sguardo era fisso sul sangue vivo che macchiava la mia pelle e il mio vestito. Non era tentato dal berlo, o forse si tratteneva parecchio bene, ma odiava vedere quel colore su di me.

Quando alzò gli occhi su di me, il suo sguardo mi rassicurò e mi diede forza. Ma non so come, il mio slittò verso Klaus e mi accorsi che ci stava guardando in una maniera che non riuscì a decifrare, era difficile capire se lo stessero attraversando troppe emozioni oppure nessuna. Doveva essere la seconda opzione, tanto il nulla prova solo il nulla.

La sua risata confermò la mia teoria, scosse la testa e si morse il labbro inferiore per cercare di trattenersi. Elijah non lo guardò, rimase con il viso rivolto verso di me e lo sguardo basso per non avvicinare a me la rabbia che stava provando al suono della risata del fratello.

Elijah, io ti conosco bene.” disse, sempre con quell'aria di sfida che tanto gli piaceva usare. “Tu sceglierai sempre la famiglia. Qualsiasi cosa accada, tu starai sempre accanto alla tua famiglia.”

Guardai Elijah, i suoi occhi, nonostante fossero bassi, rispecchiavano un senso di colpa che non mi era nuovo: l'avevo già notato, quando aveva visto quel foglio di papiro,lo avevo visto quando mi aveva detto che c'erano segreti che non poteva rivelarmi. Ma quali? Cosa poteva logorare così tanto una persona? Guardai Klaus, volevo che stesse zitto per una volta tanto, ma lui doveva infierire ancora sul fratello.

Non sono l'unico vampiro cattivo qui.” disse, ma il suo sguardo si posò per un attimo su di me, mentre continuava a parlare con il fratello. “Non sono l'unico essere bugiardo e spregevole e tu lo sai, Elijah. Lo sai meglio di me.”

Calò il silenzio, come al solito Klaus aveva parlato con termini scelti appositamente per confondermi. Ma mi sembrò che Elijah fosse particolarmente toccato da quelle frasi, perchè sapeva di cosa stava parlando il fratello. Non poteva davvero credere di essere minimamente paragonabile a Klaus: lui gli parlava in quel modo, solo perchè era consapevole di quanto Elijah fosse migliore di lui. Allora perchè dare importanza alle parole del nulla?

Qualsiasi fosse stato il segreto, qualsiasi cosa stesse nascondendo Elijah, lo aveva fatto solo per difendere la propria famiglia. E Klaus stava usando questa sua debolezza, anche se la consideravo più forza in realtà, per colpire le ferite che per secoli doveva avere impresso sul corpo del fratello. Non potevo dare la colpa ad Elijah per mantenere un segreto in difesa del fratello, avevo fatto la stessa cosa io per difendere Katerina.

L'unica cosa che mi spaventata, era che questo segreto sembrava essere terribile. E legato al foglio che avevo perso per mano di Klaus.

Rimasi a bocca aperta per la sorpresa, quando vidi Elijah afferrare rapidamente il pugnale che era rimasto adagiato sul letto e gettarsi su Klaus: lui lanciò un grido, quando la punta dell'arma venne conficcata nel suo costato. Elijah osservò la sua espressione dolorante, con una impassibilità che avrebbe fatto rabbrividire anche lo stesso Klaus, se in quel momento avesse aperto gli occhi. Lui infatti teneva gli occhi chiusi e si morse le labbra, come per trattenere un altro grido di dolore. Elijah non proferì parola, nemmeno quando il fratello tornò a guardarlo.

Sembrava come se fosse tormentato in quel momento, come se le parole che Klaus aveva pronunciato prima fossero tornate, veloci e invisibili, a bruciare sulle sue ferite aperte.

Estrasse il pugnale dalla carne del fratello, che restò contro il muro con la mano sopra la macchia di sangue che si era espansa sulla sua maglia. Prese lunghi respiri, ma non smise di gemere di dolore. Elijah tornò velocemente da me, mi prese tra le braccia per non farmi camminare e mi condusse rapidamente fuori dalla porta.

Quando passai accanto a Klaus, i nostri occhi si incrociarono: non ero l'unica ad essere uscita con cicatrici dal nostro scontro, anche se le sue cicatrici erano state procurate da qualcuno che non ero io. Avevamo tutti e due il nostro sangue a macchiarci la pelle, eravamo stati tutti e due sconfitti. L'unico vero vincitore era stato, probabilmente, Elijah.


Guardai il pugnale sporco del sangue di Klaus.

Cercai di pulirlo con un panno, mentre tenevo la testa piegata da un lato in modo che Elijah mi medicasse la ferita sul collo. Avevo di nuovo rifiutato il suo sangue, ma dubitavo che al terzo morso avrei potuto oppormi a quell'offerta o mi sarei davvero ritrovata senza più un collo. Nessuno dei due parlò: eravamo in camera sua, seduti ai piedi del letto e sentivo le mani calde di Elijah sfiorarmi con delicatezza la ferita. Fuori il sole si era spento, lasciando che l'oscurità oscurasse il cielo e persino le poche stelle che ogni tanto lo illuminavano.

Intanto io tenevo gli occhi fissi sull'arma, stavo odiando me stessa per non averla infilata io stessa nella carne di Klaus. Ripensai al momento in cui il mio odio si tramutò in qualcosa che mi stava indebolendo, quando Klaus strinse le mani attorno alle mie e mi sfidò a colpirlo.

Non ce l'avevo fatta e non capivo perchè.

Guardai Elijah allora, dire che era tormentato era poco. Il suo viso era una maschera di pensieri che affollavano tutti insieme la sua mente e lo tenevano lontano dalla realtà in cui ci trovavamo.

Avrei voluto compiere qualche gesto, per poter fare in modo che i suoi occhi mi guardassero.

Perchè non l'hai ferito?” chiese lui improvvisamente, lo guardai di nuovo e i suoi occhi si alzarono su di me. La fiamma del camino illuminava il suo viso marmoreo e si rifletteva nelle sue iridi scure. La sua mano restò adagiata sulla ferita, trasmettendomi dei brividi lungo la schiena.

Bella domanda, pensai. Era proprio quella che mi stavo ponendo da quando mi aveva portato in camera per medicarmi. Abbassai gli occhi sul pugnale e me lo rigirai tra le mani.

Potevo capire se ti fossi trattenuta prima che lui ti facesse quello che ha fatto...anzi, non lo avrei nemmeno capito in quel caso.” disse Elijah, era arrabbiato con me perchè non capiva cosa mi avesse trattenuto. Lo ero pure io con me stessa, perciò non potei che comprenderlo.

Ma dopo....mentre ti guardava con le labbra sporche del tuo sangue, tu non hai voluto lo stesso colpirlo? Come puoi essere stata così stupida?”

Sentirmi dare della stupida da lui mi fece scoppiare il petto. Lo guardai incredula e non trovai più l'Elijah che conoscevo io, quello che mi sorrideva sempre e che era sempre al mio fianco.

Era il vampiro, quello che Klaus gli ricordava sempre di essere.

Strinsi i pugni e rimasi a fissarlo. Lui non disse nulla, vedendo che la ferita era stata medicata accuratamente, si alzò in piedi e si allontanò da me. Seguì con lo sguardo i suoi passi che camminavano davanti al camino e mi morsi le labbra.

Stava per succedere qualcosa, lo sentivo chiaramente nei passi che lui stava compiendo per allontanarsi da me. Stava per accadere qualcosa che avrebbe posto fine a tutte le mie speranze.

Devi tornare in Bulgaria.” disse semplicemente, quando giunse davanti alla finestre che affacciava verso il cielo notturno. Alzai lo sguardo di scatto, erano le stesse parole che aveva pronunciato Klaus, ma non avrei mai creduto che le avrei mai sentite uscire dalle labbra dell'unica persona che mi stava dando sogni, speranze e gioie in quel nuovo mondo che mi ero ritrovata a sperimentare per pura casualità.

Elijah mi stava ferendo, era una cosa che aveva avuto inizio quando gli rivelai del bacio di Klaus.

Era da lì che era iniziato tutto. Da Klaus.

E sembrava che con lui sarebbe finito tutto.

Scattai in piedi, malgrado mi sentissi debole e stordita. Lui dovette avvertire il movimento del mio corpo e si girò lentamente verso di me, i suoi occhi erano privi di qualsiasi emozione. Osservò il mio volto, non sapevo se trasmettevo rabbia, delusione o tristezza in quel momento, ma doveva essere un miscuglio di tutti e tre quei sentimenti distruttivi.

Klaus merita di non avere più la testa sul collo dopo quello che ti ha fatto...ma su una cosa aveva ragione: tu devi tornare a casa.” disse, continuando a ferirmi come non aveva mai fatto prima. Iniziai a prendere lunghi respiri, mentre sentivo le lacrime salirmi agli occhi. Lui riprese a infierire, senza nemmeno darmi il tempo di abituarmi al dolore che si stava espandendo dentro di me. “Qui sei solo in pericolo, qui soffri solo. Sono stanco di vederti piangere per colpa sua e sono stanco di vederti sorridermi quando io sono colpevole quanto lui di tutto!”

Una lacrima mi scese lungo la guancia: Elijah mi stava ferendo per proteggermi, ma non capiva che quella ormai era la mia casa e lo era grazie a lui? Non c'era lacrima versata per Klaus che poteva competere con la gioia che provavo ogni volta che ero al suo fianco.

Ma era il senso di colpa a parlare per lui, una colpa che io non conoscevo e che potevo solo non affidargli: perchè io sapevo chi era Elijah e qualsiasi fosse stato il suo segreto, sapevo che lo stava mantenendo per una buona causa.

Lui continuò a parlare, cercò di nuovo di ferirmi ma ormai, vista la verità che aveva tirato fuori nella frase di poco prima, dubitavo che ci sarebbe di nuovo riuscito.

Quello che è successo prima in quella stanza, avrei potuto non evitarlo. Ma tu sì.”disse, indicando un punto accanto a sé che simboleggiasse la tomba della mia forza su Klaus. “Ma sei troppo buona e pura per poter ferire davvero qualcuno. Non puoi sopravvivere così nel nostro mondo. Perciò è meglio che tu torni in Bulgaria. Almeno eri viva e fuori da pericoli di questo genere...”

Viva? Feci un passo verso di lui: io non ero viva là, ero sempre stata un cadavere privo di esistenza che camminava tra gli sguardi delle persone che mi odiavano. Se avevo cominciato a vivere, era stato quando avevo messo piede in Inghilterra, quando avevo visto mia sorella sorridere e quando Elijah mi aveva baciato il palmo della mano, appena ci eravamo incontrati.

Il pensiero che lui riuscisse ad immaginarmi lontana da lui, mentre a me mancava il respiro invece, mi fece stare male. A lui sembrò non importare nulla del mio sguardo, voleva proteggermi e lo sentivo, ma lo voleva fare strappandomi il cuore via dal petto.

Avrei voluto dire tante cose in quel momento, tutte frasi che non avevo mai realmente pensato fino a quando lui non avesse pronunciato quelle parole di un forzato addio. Il sentimento che tenevo nascosto dentro di me, quello che non volevo e non potevo riconoscere, iniziò a delinearsi prima nel mio cuore, per poi essere tradotto nella mia mente.

Klaus ormai ti ha portato via tutto...meglio porre fine qui alla tua sofferenza, giusto?” concluse lui, ponendo un punto alla sua opera di tortura.

Intanto quel sentimento continuò a delinearsi dentro di me, fino ad assumere una forma ben precisa. Le frasi che volevo dire erano troppe, forti e irruenti: mi fecero sentire forte e debole allo stesso tempo.

Non abbandonarmi.

Quella fu la prima che si fece largo tra la mia mente, scossi la testa per dirgli che io sarei rimasta in Inghilterra anche se il diavolo stesso mi avrebbe strappato il cuore dal petto. Elijah serrò le labbra. “No cosa, Irina? Sei circondata da mostri da cui non puoi difenderti. E io sono uno di questi, non sai il male che potrei farti...per non parlare di Klaus,Mikael e Bell! Sono parte dei tuoi incubi da quando sei arrivata qui in Inghilterra, te ne rendi conto o no?”

Scossi di nuovo la testa, non m'importava nulla di loro. Io non volevo andarmene, non volevo perdere quello che avevo trovato in Inghilterra.

Una persona, un nome....mi bastava per tenere vivo il sogno che pensavo di aver iniziato in quella terra. Come avrei potuto vivere perdendo tutto quello che avevo trovato là? Non avrei più vissuto, sarei tornata il corpo privo di vita che ero stata fino a poco tempo prima.

Ho bisogno di te.

Quella seconda frase s'insinuò più prepotentemente nella mia mente. Feci un altro passo verso di lui, la linea che delineava il mio sentimento nascosto stava per chiudere i contorni della sua essenza. Elijah ne fece uno indietro, mi guardò infastidito mentre continuavo a scuotere la testa.

Di Bell me ne sto occupando io. Lo troverò, gli farò pentire di essere nato e tu vivrai la tua vita in Bulgaria. Basta che rimani il più lontano possibile da qui, da me e da tutto quello che mi circonda.” insistette, ma vedendo che io non desistevo e che continuavo anzi ad avanzare verso di lui, si portò una mano sulla fronte. Riconobbi l'espressione di esplosione di rabbia che conoscevo bene nei suoi fratelli. “Perchè ti devi ostinare così? “ gridò. “Non hai niente qui per cui vale la pena combattere, se non tua sorella! E Klaus te la porterà via come ha fatto oggi...e io con lui.”

Mia sorella era un altro dei motivi per cui volevo restare. Ma non era lei quella che mi stava chiedendo di abbandonare quella vita, per tornare nell'oscurità.

Era lui, l'altra ragione che mi spingeva a combattere per restare.

Stavo combattendo per me stessa, come mi aveva insegnato lui.

Ero stupida, folle, ingenua ma non m'importava. Io volevo restare là e non mi sarei mossa.

Mi feriva più il fatto che Elijah non si fosse accorto di quella cosa. Ma non me n'ero realmente accorta nemmeno io fino a quel momento, perciò la mia era solo una ferita lieve.

Che cosa hai qui, Irina, se non terrore e lacrime?” ripeté lui, con più freddezza.

Istintivamente, mi avvicinai velocemente a lui. Elijah restò parecchio stupito dal mio gesto, perchè aveva imparato a conoscermi e sapeva che non sarei mai arrivata così vicina al suo viso.

I suoi occhi di fronte ai miei non mi aiutarono a trattenere le lacrime, avrei voluto avere così tanto la possibilità di dirgli quello che la mia mente mi stava dicendo in quel momento.

Anche lei, come me, non aveva avuto voce ma in quel momento stava gridando dentro di me tutto quello che aveva taciuto per tutto quel tempo. Elijah restò ancora immobile, gli toccai il viso con la mano e lui chiuse gli occhi, come se il mio tocco gli facesse male.

Ho te.

Due semplici parole che avrei tanto voluto gridare in quel momento, ma dubitavo che sarei riuscita a pronunciarle anche se avessi avuto voce per farlo. C'erano altre cinque parole che avrei voluto pronunciare, ma né il silenzio e nemmeno il suono della propria voce potevano davvero valere molto di fronte al loro significato. Ma io probabilmente le avrei dette lo stesso, solo per sentirle uscire dalla mia labbra mentre fissavo quegli occhi scuri e mentre sentivo il mio cuore battere all'impazzata nel petto.

Ma prima dovevo dirle a me stessa, la prima persona che doveva avere il coraggio di ascoltare quelle parole ero io.

Mi sono innamorata di te. Non capivo perchè, ma quelle parole mi riempivano di gioia, paura e tristezza. Non avevo mai saputo cosa significasse amare una persona e forse quello che provavo per Elijah dalla prima volta che lo avevo visto non era ancora quella forza devastante che veniva chiamata amore.

Ma sentivo che ci si avvicinava parecchio, altrimenti il mio cuore non avrebbe reagito così nel sentire quelle semplici parole che stavo rivolgendo silenziosamente ad Elijah.

La sua espressione si addolcì, mentre la mia mano scendeva lungo la sua guancia. Abbassò lo sguardo sulle mie labbra, quando mi vide avvicinare il viso al suo lentamente.

Era l'unico modo per dirgli quello che provavo, le parole e il silenzio alla fine non era nulla in confronto ad un gesto come quello. Lui rimase immobile, mentre le nostre labbra si avvicinavano sempre di più, le sentì sfiorarsi, cercarsi e i nostri respiri si incontrarono fino a congiungersi quasi. Avevo paura che lui non provasse lo stesso per me, che la nostra era davvero una semplice amicizia e che mi stavo solo illudendo di nuovo di vedere e percepire cose che in realtà non esistevano.

Ma lui era lì e le nostre labbra si stavano sfiorando, un attimo prima di congiungersi completamente in un bacio.

Poi Elijah improvvisamente si ritrasse, scattò indietro come una molla e tenne la testa bassa, per evitare il mio sguardo. Il modo in cui la magia terminò, violentemente e troppo veloce, mi disorientò un attimo.

Fui costretta a sbattere più volte le palpebre per tornare in me, guardai Elijah che si passava una mano sulle labbra e prendeva dei lunghi respiri, come se volesse anche lui riprendersi da quello che stava per succedere. “Io non provo questo per te, Irina. E nemmeno tu.” disse, alzò lo sguardo su di me ma non riuscì a guardarmi per più di pochi secondi. Quello fu il suo modo peggiore per ferirmi.

Non volevo essere presuntuosa, non volevo pensare di essere certa di conoscere ciò che Elijah provava per me, ma io sapevo riconoscere una bugia quando lui la pronunciava.

E quella era una bugia, più grande di me e lui messi insieme.

Io sono un vampiro, un'originale, la mia vita è eterna e maledetta. Tu sei una giovanissima donna mortale e troppo umana per essere coinvolta nell'inferno che è la mia vita. Cosa credi che possa esserci tra noi? Te lo dico io: nulla, se non sofferenza e paura.”

Per la prima volta in tutte le discussioni che avevo affrontato con Elijah, mi parve di essere io la più forte dei due. Lui stava solo trovando delle scusanti riguardo un nostro ipotetico futuro, non stava negando di provare qualcosa per me. Forse non mi ero illusa, non era a senso unico.

Forse lui lo doveva solo scoprire come lo avevo scoperto io in quel momento.

Stai mentendo.” gli dissi, cercando di muovere il più velocemente possibile le mie mani.

Elijah scosse la testa, si passò una mano sul mento e distolse lo sguardo dal mio viso. Sembrava che gli costava parecchio dovermi guardare negli occhi, ma doveva farlo.

Smettila...” disse, quasi come se mi stesse supplicando. Mi avvicinai di nuovo a lui, volevo che mi guardasse in faccia e mi dicesse la verità.

Io pensavo di conoscerla, ma lui aveva voce e poteva confermarla.

Cercai di nuovo di toccarlo, lui però anticipò il mio gesto, prendendomi per le spalle e stringendole con forza.

Alzò lo sguardo su di me, i suoi occhi erano diventati scurissimi e sulle sue labbra comparvero dei canini sporgenti. Tremai di fronte al lato vampiro di Elijah, non lo avevo mai conosciuto davvero e sinceramente ero arrivata anche ad ignorarne l'esistenza, per come avevo imparato a conoscere Elijah. Lui mi avvicinò a sé, quasi strattonandomi, in un gesto violento che non avrebbe mai compiuto prima.

Questo è ciò che sono.” disse in un ringhio, mi sforzai di guardarlo in quegli occhi iniettati di sangue ma mi risultava difficile. Era così vicino che mi risultava impossibile da sostenere.

Questo è il vero me. Non sono quello che ti sorride per rincuorarti, non sono quello che ti sta vicino per non farti sentire sola e non sono nemmeno quello che ricambia il tuo abbraccio per sentirti più vicina.” mentre pronunciava quelle parole, con quella rabbia più rivolta a sé stesso che a me, mi parve di rivivere diverse immagini: il suo sorriso, le sue parole che mi raggiungevano quando sentivo di non farcela, quelle tre bellissime volte in cui avevo sentito le sue braccia attorno a me...le rivissi tutte in quel momento.

Ma volevo arrestarle, perchè se si rivive una parte della propria vita con la mente, vuol dire che tutto sta per finire. E io sentivo che per me stava finendo l'immagine di un sogno.

Era come la morte, che arriva subito dopo che hai vissuto i tuoi ultimi attimi di vita a ricordare il passato. Elijah mi avvicinò di più a sé, mi sforzai di non piangere ma mi risultava difficile.

Questo sono io. Il vampiro che non resiste all'odore del tuo sangue, il vampiro che uccide per sfamarsi, il vampiro che odia per non odiare sé stesso. Non c'è amore nella nostra vita, Irina, noi siamo morti.

Tremai, il suo viso assunse ancora di più una espressione disumana mentre pronunciava l'epilogo della mia illusione. Ero stata ferita per la seconda volta quel giorno, come mi ero illusa che Klaus avesse un'umanità, mi ero anche illusa che Elijah provasse qualcosa per me.

Ero solo una stupida a pensare che la mia vita sarebbe davvero cambiata.

Nemmeno tu provi nulla per me, perchè non hai mai conosciuto il vero me.” continuò Elijah, la sua presa sulle mie spalle si allentò sempre di più e il suo viso iniziò a rilassarsi, tornando alla sua forma umana. Quella di cui mi ero innamorata.

Intanto piangevo come una fontana, le lacrime mi rigavano sul viso senza che potessi far nulla per fermarle, non volevo nemmeno asciugarle e le lasciai sulla mia pelle per ricordare a me stessa quanto fossi debole.

Altro sale sulle ferite, dubitavo che avrei potuto resistere ancora.

Se tu sapessi cosa realmente sono, cosa realmente sta accadendo...dubito che mi ameresti.” disse, in un sussurro così flebile ma freddo che mi parve irriconoscibile. Era una voce che non avevo mai sentito prima, quella di un Elijah che voleva ferirmi. “La tua era solo una illusione, adesso sai che cosa sono veramente. Le mie maschere ormai hanno perso il loro valore...”

Tirai su con il naso, Elijah si allontanò da me e mi diede le spalle. Non credevo possibile che volesse chiudere la cosa lì, dopo avermi detto tutte quelle cose.

Non poteva aver mentito per tutto quel tempo, la vera menzogna risiedeva nelle ultime parole che mi aveva rivolto. Mi portai una mano sulla bocca, mi sentivo completamente ridicola nell'avere tutto quel mare di sentimenti dentro di me: ero come uno scoglio investito dalle onde, che non poteva far altro che restare immobile a farsi colpire dal mare in tempesta.

Farò in modo che tu torni in Bulgaria il prima possibile.” disse Elijah, prendendo lui per me quella decisione. Scossi la testa, quanto avrei tanto voluto gridargli di smetterla e invece dovevo rimanere ad ascoltarlo in silenzio.

Io non volevo andarmene.

Spero che la tua vita prosegua nel migliore dei modi.” concluse poi.

Quella frase era il vero epilogo del mio sogno. Mi convinsi che forse aveva ragione lui, la mia era solo stata una illusione in cui credevo di conoscere Elijah ma non era così.

Quella sera avevo conosciuto l'altra parte di lui che fingevo di ignorare. Quella parte era sempre stata presente, solo che lui l'aveva tenuta nascosta per non ferirmi.

Ma se non voleva ferirmi, qualcosa di umano, come credevo io, c'era davvero in lui.

Fuggì di nuovo, cosa che ero convinta non avrei mai più fatto, ma che mi uscì spontanea.

Spalancai la porta e la lasciai aperta mentre i miei piedi percorrevano i corridoi bui della villa.

In quel momento mi fu davvero tutto chiaro, era tutto finito.


Spalancò la porta quando bussai per la seconda volta.

Rose rimase stupita nel trovarmi là, di notte e con il volto visibilmente solcato dalle lacrime, illuminate dalla luce della luna. Ero rimasta in camera mia per pochi minuti, ma le lenzuola sporche di sangue mi ricordarono tutto quello che era successo e non ce la feci a restare.

Non volevo vedere nemmeno Katerina, perchè anche lei mi ricordava ciò che era tutto finito.

Ma non volevo restare sola con me stessa, ero la peggior persona che mi potesse fare compagnia in quel momento. Perciò decisi di andare da lei, dall'unica persona che conoscevo al di fuori di quella villa.

Irina?” mi chiese preoccupata. “Cos'è successo?”

Singhiozzai, le buttai le braccia al collo senza rendermene conto e lei ricambiò il mio abbraccio. Mi posò una mano sui capelli e li accarezzò dolcemente come per tranquillizzarmi, mi sembrava di essere tornata la bambina che piangeva per ogni cosa e che pensavo fosse scomparsa con il mio arrivo in Inghilterra. E invece era tornata, certi lati del proprio essere non muoiono mai.

Un'altra cosa che mi aveva insegnato Elijah in quella giornata.

Rose mi fece entrare, mi fece sedere e mi porse una tazza di the, nonostante l'orario indecente. Mi chiese cosa fosse successo, ma mi limitai solo a farle capire pochi semplici gesti da cui lei dedusse che avevo litigato con tutti praticamente e che dovevo tornare in Bulgaria.

Ma in Bulgaria non ci sarei tornata, nemmeno ora che Elijah mi aveva detto di farlo.

Nemmeno ora che lui mi aveva mostrato il suo lato oscuro, quello che aveva mascherato per tutto quel tempo. Ma che io ancora credevo che fosse una bugia.

Passerà tutto.” mi disse Rose, sorridendomi calorosamente mentre si sedeva di fronte a me e teneva una tazza tra le mani. La stanzetta era illuminata dalla luce del camino, per un attimo calò solo un profondo silenzio rotto dalla legna che ardeva nelle fiamme. “Anche i vampiri lasciano correre, pensa se se le legano al dito per l'eternità!”

Sorrisi solo per un secondo poi abbassai lo sguardo, non mi bastava più un sorriso per sentirmi meglio ormai. Ero stata svuotata di tutto senza che me ne accorgessi.

Rose sospirò, vidi la sua mano allungarsi sul tavolo verso di me e sfiorare la mia. Piegò la testa da un lato e studiò il mio viso nascosto sopra una mano e il mio sguardo perso nel vuoto.

Sai perchè odio i vampiri?” mi chiese, attirando così la mia attenzione su di sé. “Perchè mi hanno fatta diventare più vecchia di Trevor. Ero io la più giovane dei due e ora non è più così!”

Risi di nuovo, per un attimo solo mi sentì meglio ma solo perchè fu lei a ridere con me. La vidi farsi seria, un ciuffo di capelli che teneva legati in una crocchia le ricadde sul viso e il suo sguardo si posò su di me. “In realtà, li odio perchè mi fanno paura. Non hanno un cuore, un'anima e non hanno sogni sopratutto.” disse. Quel discorso mi fece venire di nuovo voglia di piangere, ma mi trattenni: ripensare ad Elijah era una tortura a cui non volevo sottopormi più.

Trevor è mio amico e io non l'ho abbandonato però...ammetto che ho paura anche di lui.”

Tirai su con il naso, la mano di Rose era ancora posata sulla mia e le sue dita tamburellavano lentamente sulle mie. Gli occhi si bagnarono di nuovo e li asciugai prima che mettessero in risalto la mia debolezza.

Però c'è un'altra cosa che devo ammettere....” Rose parlò in un lieve sussurro, come se quello un pensiero insolito le avesse attraversato la mente e lei avesse trovato il coraggio di dargli voce. Alzai lo sguardo su di lei e la vidi distogliere lo sguardo. “Mi sono ricreduta sui vampiri solo una volta: alla festa del tuo compleanno.”

Corrugai la fronte, mi rizzai sulla schiena e continuai a guardarla interrogativa. Non capivo di cosa stesse parlando, lei al mio compleanno era rimasta pochi minuti ed era scappata via prima che potesse restare troppo a lungo con Klaus ed Elijah. Prese un lungo respiro, essere dalla parte dei vampiri, anche se solo per un attimo, le risultava davvero difficile.

Ho visto Elijah, il modo in cui ti guardava e ti sfiorava...sembrava..umano, capisci?” mi chiese, si chinò più verso di me. Credevo di capire: Elijah, Klaus e persino Rebekah avevano comunque un'aria quasi divina.

La prima volta che li avevo visti, avevo pensato subito che fossero degli angeli, così lontani da dei normali esseri umani. Io avevo scoperto l'umanità di Elijah perchè stavo sempre con lui, ma per una come Rose che li vedeva di sfuggita per poi scappare via, doveva essere una cosa che saltava prontamente agli occhi. “Lui non ti farebbe mai del male, se non per proteggerti. Quello sguardo si riconosce subito.” continuò Rose.

Forse lo stava facendo per consolarmi, abbassai di nuovo lo sguardo e mi portai una mano sotto il mento. Rose mi strinse le dita. “Ma non è questo che mi ha stupito veramente..” disse, cogliendo di nuovo tutta la mia attenzione.

Ci guardammo di nuovo, quello che stava per dirmi doveva risultare ancora più difficile rispetto all'aver trovato un barlume di 'umanità in Elijah. Rabbrividì e distolse lo sguardo.

Quello che mi ha stupito maggiormente...è che c'era un'altra persona che mi ha fatto ricredere in quella sala..”

Calò di nuovo il silenzio, io e Rose ci guardammo a lungo ma quando trovai la forza di trovare un senso alla parole della ragazza, qualcuno bussò alla porta. Sobbalzammo entrambe, Rose andò ad aprire dopo un attimo di smarrimento e la seguì.

Restammo entrambe stupite nel vedere Philippe sulla porta. Era paonazzo e ci guardava con aria preoccupata, quando notò la mia presenza, tirò un sospiro di sollievo.

Irina, è successa una cosa terribile a tua sorella!” disse.

Quelle parole mi fecero andare il cuore in gola, mi avvicinai a lui e gli chiesi cosa fosse successo. Rose rimase immobile sulla porta, notai che guardava il ragazzo con aria insospettita.

Intanto io cercai di mantenere la calma necessaria per capire cosa stesse accadendo, Philippe prese dei lunghi respiri. “È stata attaccata, è venuta a cercarti e un animale l'ha attaccata! Ti stanno cercando tutti!” esclamò, con il suo fortissimo accento francese.

Katerina era stata attaccata per colpa mia. Stavo per sentirmi male, andai fuori dalla porta senza nemmeno accorgermene e lo affiancai, doveva portarmi da lei il prima possibile.

Irina no!” gridò Rose, come se avesse percepito un pericolo prima di me.

Ma io ero ormai fuori.

Prima che me ne accorgessi, Philippe mi fece voltare: mi cinse il collo con il braccio e premette il suo petto contro la mia schiena. Mi tolse il respiro per quanto era forte, mi divincolai con forza, mentre lui teneva lo sguardo fisso su una Rose terrorizzata.

Lo sentì ridere, di fronte allo sguardo della ragazza che si sforzava di restare accanto alla porta.

Allora, Rose.” ridacchiò Philippe, impedendomi di continuare a divincolarmi. “Invitami ad entrare in casa o ammazzo la piccola Petrova.”


Ciao a tutti!! :)

Perdonate il capitolo chilometrico, ma sono stata un po' costretta per “preparare” il prossimo che sarà decisamente più corto.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto lo stesso, mi spiace che non ci siano stati parecchi colpi di scena ma mi sono concentrata per lo più sulle due consapevolezze riconosciute da Irina in questo capitolo: la consapevolezza di odiare e quella di amare. Come sempre, spero di esserci riuscita abbastanza bene.

Ci tengo a ringraziare anche in questo capitolo tutti coloro che leggono, chi lo fa in silenzio e chi recensisce, facendomi così sorridere con le loro belle parole. Ringrazio anche coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, ricordate e preferite, non la smetterò mai di dirvi grazie in ogni singolo capitolo.

Buona domenica a tutti voi!

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Capitolo 14
*** Under The Rose ***


    -Under The Rose-

Non farlo.

Fu quello il mio primo pensiero, quando i miei occhi incrociarono quelli di Rose.

Si trovava di fronte ad uno dei suoi peggiori incubi, un incubo che però aveva in mano la mia vita, stringendola per il respiro che poteva soffocarle da un momento all'altro.

Non riuscivo a credere di essere caduta in una trappola del genere, il mio legame con Katerina era diventata un arma che chiunque poteva utilizzare a suo piacimento.

Deglutì, sentivo il respiro di Philippe tra i miei capelli e mi parve di scorgere il suo sorriso di sfida e terrore sopra la mia testa.

Un brivido mi corse lungo la schiena e non era certo causato dal vento gelido che soffiava imperterrito su di noi. Se Rose avesse invitato Philippe ad entrare, sarebbe morta con me.

Non doveva farlo.

Philippe mi scosse violentemente, bloccandomi per un interminabile attimo il respiro e guardò ancora Rose, la ragazza tremava visibilmente. Era coraggiosa e buona, non mi avrebbe abbandonata al mio destino, ma così facendo avrebbe probabilmente segnato anche il suo.

Non ho tempo da perdere, fammi entrare o spezzo il collo della ragazzina qui davanti a te.” rimarcò nuovamente, calcando ogni singola parola come se fossero pietre nella sua mano, pronte ad essere scagliate sull'umana di fronte a sé. Scossi la testa, guardandola fisso per chiederle di non cedere, ma lei si arrese inevitabilmente e il fatto che socchiuse gli occhi, come per darsi forza, ne era la prova.

Puoi entrare.” disse semplicemente, con un tono privo di espressione.

Il mio cuore sussultò appena udì quelle due parole. Avevo sperato fino all'ultimo che Rose non le pronunciasse, perchè sapevo cosa significava stare nella stessa stanza con un incubo.

Sopratutto se se ne conosceva anche la fine.

La vidi appiattirsi contro la porta per farci spazio, mi morsi il labbro quando sentì Philippe ridere vittorioso.

Mi spinse a terra e caddi a pancia in giù sul pavimento, vicino ai piedi di Rose. Sentii i passi di Philippe dietro di me che avanzavano lentamente sul pavimento in legno, ogni rumore dei suoi piedi aumentava la mia paura.

Rose si chinò su di me, tremava e teneva gli occhi sbarrati fissi sul vampiro. La sua mano si posò sulla mia schiena, come se volesse proteggermi da eventuali attacchi del nostro comune nemico.

Perchè Philippe era chiaramente un vampiro, anche se ero certa che fino a poco tempo prima era un individuo innocuo. Quando avrei imparato che l'apparenza è il peggiore inganno per la mente umana? Mi voltai verso di lui, chiedendomi chi lo avesse trasformato, perchè e quando sopratutto: lo avevo visto diverse volte alla luce del sole, quindi doveva trattarsi di una cosa recente. Possibile che fosse stata Rebekah?

Lui si chiuse la porta alle spalle e quando Rose mi aiutò ad alzarmi in piedi, notai che gli occhi chiari di lui erano fissi su di noi e un sorriso compiaciuto si era allargato sulle sue labbra.

Non vedevo l'ora di trovarmi solo con te, Irina.” mi disse, quando il suo sguardo si soffermò su di me così a lungo da farmi rabbrividire. “Spero che ti sia piaciuto il mio regalo di compleanno.”

Sbarrai lo sguardo, restai ancora di fronte a Rose, malgrado fossi spaventata quanto lei, e collegai tutto: era stato lui ad uccidere quella ragazza.

Doveva essere anche lui al soldo di Mikael, non avevo alcun dubbio.

Il modo in cui quel mostro riusciva a circondarci di nemici, mi spaventava e mi faceva rabbia allo stesso tempo. Arretrai di qualche passo e Rose con me, restò al mio fianco come se si sentisse in dovere di proteggermi da quell'uomo. Ma eravamo allo stesso livello purtroppo, deboli e innocue di fronte ad un essere quasi immortale. Rimpiansi il fatto di essere scappata, o almeno di averlo fatto senza il pugnale, rimasto in camera di Elijah.

Philippe scattò in avanti, fu così rapido e veloce che nemmeno mi resi conto di come la sua mano strinse il mio collo e mi spinse contro la parete al mio lato. Mi mancò il respiro e cercai di liberarmi da quella presa, ma inutilmente.

No, lasciala stare!” gridò Rose, appena cercò di fare un passo verso di noi, ma Philippe la colpì con un ceffone in pieno viso, che la fece cadere a terra. Provai a divincolarmi di nuovo, quando la ragazza gemette di dolore e si portò la mano sulla guancia. Come la sua fidanzata, se così la si poteva definire ormai, anche Philippe sembrava non volerci andare piano con le mani. Sopratutto se aveva di fronte degli innocui essere umani come eravamo io e Rose.

Philippe tornò a guardarmi, un ghigno gli attraversò il volto che trovai a dir poco orribile e spaventoso. Ero ancora indebolita dal morso che Klaus mi aveva regalato quel pomeriggio, perciò opposi resistenza con una forza ancora inferiore rispetto a quella che già possedevo.

Lui quasi mi sollevò da terra, mi feci forze sulla punta dei piedi per poter toccare il pavimento. I polmoni sembravano gridare pietà.

Ho ricevuto degli ordini che intendo eseguire, Irina. Perciò comportati bene, altrimenti ti faresti molto male.” mi disse, ridendo di quella frase che risultava terrificante alle mie orecchie. Mi sforzai di combatterlo di nuovo, scalciando e dimenandomi come una forsennata ma fu tutto inutile. Philippe strinse più forte la presa, sentì le sue dita posarsi violentemente sulla ferita ancora aperta, lasciatami in ricordo da Klaus.

Gemetti di dolore, ma non piansi.

Ne avevo abbastanza per quella sera, avevo pianto e sofferto abbastanza e se Philippe aveva voglia di rovinarmi ulteriormente la vita, lo avrei combattuto senza paura. Un'altra consapevolezza che avevo assunto in quella giornata, dopo l'odio e l'amore uniti dal forte dolore che entrambi mi causarono, ne aveva trovata un'altra: quella di voler combattere in quel mondo che mi aveva insegnato ad odiare e ad amare.

Volevo proteggere Rose e me stessa da Philippe, non volevo avere paura di lui, anche se mi risultava parecchio difficile.

Ma dovevo provarci.

Lui si fece più vicino al mio viso, Rose in quel momento alzò lo sguardo su di noi e ci osservò spaventata. Osservai il sorriso allargarsi sulla bocca del vampiro e rabbrividì, la sua presa era ancora salda attorno al mio collo.

Ho diverse domande da porti prima di ucciderti. Peccato, perchè avevo voglia di divertirmi.” disse, facendosi improvvisamente serio, come se si fosse ricordato che era necessario mettere da parte il suo sadico senso del divertimento ed eseguire gli ordini.

Mi seccava pensare che, probabilmente, Mikael si sarebbe unito agli altri vincitori che avevano avuto la meglio su di me quella sera.

Quella pessimistica visione della sconfitta si fece largo dentro il mio cuore.

Lui mi buttò a terra, sbattei violentemente il fianco e dovetti utilizzare parecchia forza, solo per poter riaprire gli occhi e alzare lo sguardo su di lui. Rose era oltre i suoi piedi, anche lei sembrava indebolita dallo schiaffo di poco prima ma i suoi occhi erano fissi su di me, come per assicurarsi che non subissi nessun altro colpo.

Philippe stendeva in piedi sopra di noi, lo sguardo però era fisso solo ed unicamente su di me.

Vediamo cosa si nasconde sotto una rosa.” disse e sorrise di nuovo.


Mi dispiace.”

Rose ruppe il silenzio, alzai lo sguardo su di lei e la osservai oltre la visione appannata che i miei occhi mi stavano offrendo in quel momento. La ferita di Klaus mi faceva ancora male, il collo mi doleva per la stretta esercitata poco prima da Philippe e inoltre avevo un sonno terribile a causa della mancata nottata di riposo del giorno prima.

Philippe ci aveva costrette a sedere al tavolo, l'una di fronte all'altra, come se avesse già prestabilito come posizionare delle pedine sulla scacchiera. Girava attorno a noi come un avvoltoio attorno ad un cadavere da diversi minuti, ma non ne capivo il perchè.

Forse sapeva che nessun vampiro, nemmeno uno originale ,sempre se fosse venuto qualcuno a cercarmi, avrebbe potuto varcare la soglia della porta di Rose senza essere invitato. E se la ragazza avesse solo provato ad aprir bocca, lui l'avrebbe uccisa.

Voleva solo giocare con noi, mi era chiaro. Ricordava molto Joshua, anche lui sembrava provare piacere nel terrorizzare e mantenne quel suo comportamento anche davanti ad Elijah, nonostante fosse chiaro che lo temesse.

Mikael era spaventoso: soggiogava le persone a diventare dei burattini tendenti al suicidio, pur di seguire la sua causa. Tornai a concentrarmi su Rose, era lei la cosa a cui dovevo pensare maggiormente in quel momento.

La guardai interrogativa, cercando di cogliere il significato di quelle parole di poco prima.

Lei si sforzava di non piangere ma la paura vinceva sempre: si trovava nella stessa stanza con un essere che temeva più della morte stessa, un essere il cui gesto più gentile sarebbe stato quello di ucciderci. Il fatto che volesse accrescere il nostro dolore e la nostra ansia girandoci attorno in quel modo, lo provava.

Tu sei troppo piccola per vivere in un mondo simile.” disse Rose, scuotendo la testa e mordendosi le labbra quando terminò la frase. “Avrei dovuto dirti tutta la verità, prima che potesse succederti tutto questo.”

La bontà di Rose non aveva limiti, come purtroppo la sua paura per un mondo che non capiva e che voleva evitare. Sembrava quasi che quelle parole le stesse rivolgendo più a sé stessa che a me, come se vedesse nei miei occhi quella ragazza che un tempo lei era stata e che non credeva potessero esistere creature che si nutrivano di sangue e che risiedevano negli incubi più tetri nella notte. Allungai la mano verso di lei e gliela strinsi, in quel momento entrambe ci dimenticammo della presenza di Philippe e del motivo per cui non agisse.

Ci guardammo e ci infondemmo coraggio con una semplice occhiata. Anche se lei o se chiunque altro mi avesse rivelato cosa si nascondeva nella realtà che mi circondava, dubitavo che sarei mai realmente scappata. Perchè qualcosa era scattato in me, quando avevo incontrato lo sguardo di una precisa persona, quando avevo sfiorato una mano, quando avevo sentito una voce...avevo provato qualcosa di troppo forte, per poi realizzarlo solo troppo tardi.

Anche se non ci fosse stata mia sorella, che non avrei mai abbandonato nonostante il campo minato che Klaus aveva posto tra di noi, dubitavo fortemente che sarei più riuscita a fare a meno di quella realtà. Ma me n'ero accorta troppo tardi, quando probabilmente tutto sarebbe giunto ad una fine.

Philippe rise, si prese gioco della nostra umanità di fronte alla paura della morte che forse lui ci avrebbe procurato.

Voi umani siete così...patetici.” disse, posò le mani sul tavolo e ci guardò, come se fossimo insetti pronti da calpestare e da veder soccombere. Dall'immagine che mi ero costruita dei vampiri, loro consideravano noi umani degli esseri insulsi e patetici, ma non perchè ci consideravano tali, alla fine lo erano stati anche loro un tempo. I vampiri, come Philippe e come anche Klaus sotto sotto, invidiavano gli esseri umani per la loro possibilità di poter cambiare, di evolversi nelle varie tappe della vita e di poter sperimentare ogni singola emozione con più profondità, in quello che era il ciclo della vita. Noi umani, d'altra parte, invidiavamo in loro l'immortalità e la mancanza di paura nei confronti della morte. Era un circolo vizioso che nuoceva da entrambe le parti.

L'unico che aveva avuto il coraggio di ammetterlo era stato Elijah, ma appena la mia mente elaborò quel nome, decisi di porre fine al flusso di quei pensieri.

Io sto per uccidervi entrambe. Il vostro ridicolo altruismo non vi servirà a scampare alla morte.” ci ricordò, guardando prima me e poi Rose. Ma il modo in cui guardava me, mi faceva intendere che a me avrebbe spettato una morte più dolorosa. Forse peggiore di quella che era toccata alla povera ragazza sul nostro letto. Ma prima aveva detto che doveva chiedermi delle cose, il motivo era però oscuro.

Velocemente, Philippe allungò una mano verso la mia nuca e mi prese i capelli in un pugno, li tirò con forza e mi scosse la testa con uno scatto che mi costò parecchio dolore, dovetti chiudere gli occhi per cercare di combatterlo. Rose intanto, assisteva impotente alla scena.

E ora...passiamo alle domande.” disse lui, il suo accento francese venne messo ancor più in risalto dal modo in cui lasciò che le parole sibilassero tra i suoi denti. Riaprì gli occhi e lentamente li volsi verso di lui, il suo sguardo era la perfetta rappresentazione della follia.

Che cosa sei tu?” mi chiese, pronunciando duramente ogni singola minuscola parola di quella domanda. Era una domanda che, inconsciamente, mi ponevo anche io nel profondo: anche se fingevo di non farci più caso, pure io spesso mi ritrovavo faccia a faccia con quella questione, visto che sembravo essere l'unica al mondo a non poter essere soggiogata dai vampiri.

Capì solo poco dopo, che Philippe però non si riferiva solamente a quella mia inspiegabile immunità nei confronti dei loro poteri. Mi lasciò lentamente i capelli, tirandoli un ultima volta come dimostrazione della sua forza nei miei confronti. Si rizzò sulla schiena e continuò a guardarmi, nel frattempo Rose era diventata come una spettatrice invisibile di uno spettacolo il cui finale sembrava già scritto.

Tu a Mikael non interessavi.” disse Philippe, posando le mani sul tavolo e fissandomi in maniera fastidiosa, intanto mi stavo massaggiando la nuca, dove lui aveva tirato i miei capelli con pochissima delicatezza. “Ti tiene d'occhio da molto, sai?”

Rabbrividì, allora era lui l'uomo che si nascondeva sotto il cappuccio? Non seppi cosa fare, abbassai lo sguardo e cercai di reprimere la paura che provavo in quel momento. Philippe ne rise compiaciuto, non doveva essere solo Klaus l'unico che provava piacere nel nutrirsi della paura altrui. Philippe arrivò quasi a farmelo rimpiangere.

Ma all'inizio stava solo valutando se colpirti o meno, essendo tu la sorellina Petrova.” continuò il vampiro, piegando la testa da un lato e osservandomi con un sorrisetto provocatorio sulle labbra. “Poi però...è apparsa nell'oscurità la figura di Bell.”

Ecco che pronunciò l'altro nome, quelle due sillabe capaci di farmi tremare per un tempo maggiore rispetto a quello utilizzato per pronunciarle. Due incubi, Mikael e Bell, che venivano fuori dalla bocca di un altro incubo.

Trovai la forza di guardarlo. Anche se stavo per morire, volevo almeno andarmene con quelle risposte ben chiare nella mia mente.

Piccola, se quell'uomo ti cerca, vuol dire che tu nascondi un terribile segreto, sai?” mi disse Philippe, facendomi di nuovo tremare.

Un terribile segreto.

Un segreto che non mi sarebbe sicuramente piaciuto conoscere, ma che, inevitabilmente, avrei dovuto scoprire prima o poi, dato che avevo attirato l'attenzione di quell'uomo, essere o qualunque cosa esso fosse, su di me.

E io devo sapere di cosa si tratta, prima di farti fuori.” concluse lui, mi guardò in attesa di una risposta e io non potei fare altro che scuotere la testa, per fargli capire che non ne sapevo nulla.

Ma Philippe sembrava non desiderare una risposta negativa, probabilmente Mikael l'aveva soggiogato a dovere, per indagare a fondo su di me e sul mio legame con Bell.

Ma perchè Mikael doveva essere interessato ad una cosa simile? Lui voleva solo uccidere me, Katerina e chiunque colmasse anche se di poco la solitudine che circondava Klaus, il suo vero e unico obiettivo. Cosa poteva esserci di così terribile dietro quell'uomo che tramava nell'oscurità da intimorire uno come Mikael?

Guardai Philippe, avrei voluto chiedergli cosa sapesse riguardo Bell ma dubitavo che potesse comprendermi, o peggio che volesse comprendermi.

Era solo un burattino che eseguiva gli ordini, lui voleva solo una semplice risposta che avrei potuto dargli anche se non potevo parlare. Voleva solo un segno, un cenno che gli facesse capire cosa ero.

Philippe rise, quando notò che il mio sguardo si era fatto interrogativo. Gli stavo ponendo una domanda nel mio silenzio, una domanda che lui colse al volo fortunatamente.

Irina, sei fortunata a rimanere all'oscuro di ciò che Bell è in realtà. È una verità che io al tuo posto non vorrei conoscere, visto che Mikael sa chi è e lo teme.” disse. E quella risposta, anche se vaga, mi bastò per farmi tremare di nuovo.

Se Mikael conosceva Bell e arrivava persino a temerlo, voleva dire che fino ad allora avevo sottovalutato il mio nemico. Avevo passato tutto il tempo a preoccuparmi di Mikael e a combattere Klaus, solo perchè ritenevo Bell la minaccia minore rispetto a loro due: i due originali stavano ferendo le persone che amavo, Bell invece era solo ed esclusivamente interessato a prendermi.

Ma perchè? E cosa significava che Mikael lo conosceva?

Perciò che cosa sei tu, ragazzina? Esigo saperlo.” ripeté Philippe, guardandomi fisso negli occhi mentre io evitavo di incrociare i suoi. Non avevo una risposta a quella domanda, l'avevo sempre evitata nella maniera migliore possibile, ma pensai che dovevo seriamente preoccuparmi.

Philippe si mise di nuovo dritto sulla schiena, mi guardò con aria di sfida e lasciò che il sorriso sulle sue labbra si spegnesse lentamente. Chinai la testa, tremavo così forte che dovetti stringere con forza i lembi della gonna per non smettere di respirare.

Mi ero dimenticata persino di Rose, che sedeva di fronte a me, con lo sguardo carico di paura che teneva rivolto sul mio viso. Con la coda dell'occhio, vidi Philippe strisciare verso di lei e quindi alzai la testa allarmata. Rose chiuse gli occhi e si morse le labbra, come se nella sua mente, stesse dicendo a sé stessa di non avere paura, ma il suo corpo reagiva in tutt'altra maniera.

Se stanno così le cose, vuol dire che devo spremerti un po', vero piccola Iry?” mi chiese Philippe, lanciandomi poi un'occhiata divertita, per un gioco che solo a lui sarebbe piaciuto intraprendere.

Scattai in piedi, come se una parte di me si fosse convinta che avrei potuto fermare il vampiro dall'avvicinarsi a Rose. Ma lui si fermò dietro la schiena della ragazza e mi puntò contro il dito.

Sta seduta, ti conviene.” mi minacciò, teneva lo sguardo puntato sulla testa di Rose che, intanto, aveva riaperto gli occhi, gonfi di lacrime che non sarebbe a lungo riuscita a trattenere.

Non sapevo che cosa fare: volevo impedire a Philippe di fare del male a Rose, ma temevo che agendo in maniera impulsiva, come il restare in piedi contro il suo volere, avrebbe solo peggiorato le cose. Perciò mi sedetti lentamente, lasciando però lo sguardo fisso sul vampiro.

Che cosa sei, Petrova?” chiese ancora lui, mi morsi le labbra fino a farmi quasi male. Non avrebbe accettato il fatto che non sapessi nulla, perciò cosa avrei dovuto fare?

Lui ascoltò il silenzio attorno a noi e continuò a restare alle spalle di Rose.

Pochi secondi dopo, lui decise di trasformare in orrore quel silenzio.

Vuoi sapere come mi sono trasformato?” mi chiese, accarezzò i capelli della ragazza e li slegò dalla crocchia in cui erano raccolti. Li osservai cadere, soffici e voluminosi, sulle spalle tremanti di lei.

Quello era un puro gesto provocatorio, Philippe sapeva giocare alla perfezione la tattica del terrore: bastava un solo tocco per far scattare la paura. Io lo sapevo benissimo, perchè avevo conosciuto il gioco preferito di Klaus.

Philippe posò le mani attorno al collo di Rose, la ragazza chiuse di nuovo gli occhi per trattenere il panico che la stava divorando. Sentivo che i polmoni necessitavano di più aria, mi ritrovai a respirare velocemente, con l'inquietante sensazione che stava per accadere qualcosa di terribile che non avrei potuto evitare. “È stato Joshua a farlo, poco prima che tu lo uccidessi.” raccontò lui, facendomi rabbrividire di nuovo, le sue mani avvolsero il collo di Rose accarezzandogli la pelle diafana. Mi sorrise e continuò il suo racconto. “Mi prese alla sprovvista, mentre passeggiavo nella foresta...mi fece bere il suo sangue e mi uccise. Sai, lo odiai per quello che mi aveva fatto ma poi...l'immortalità è un piatto troppo buono per rifiutarlo.”

Abbassai lo sguardo sulle sue mani, che continuavano a scorrere avanti e indietro lungo il collo di una singhiozzante Rose.

Quindi, quando Mikael è venuto da me, per chiedermi di aiutarlo a colpire Klaus, non ho potuto non accettare. Era grazie a lui...se finalmente potevo essere qualcuno di grande.” concluse.

Mandai giù il groppo che mi bloccava la gola, ma Rebekah non si era accorta di nulla? Era pur vero che Philippe era solo un giocattolino per lei, ma avrebbe dovuto accorgersi che il cuore del suo compagno non batteva più.

Tenerlo nascosto alla sorellina di Klaus è stata una cosa facile. A lei non importa nulla di me, perciò starle vicino il minimo necessario non le ha creato problemi. Poi non è molto intelligente, penso che tu sia d'accordo con me.” disse poi, con una punta di acidità. Pensai che lui doveva davvero aver provato qualcosa per Rebekah e il fatto che lei lo avesse solo usato, era un fattore che accresceva la sua follia

Smisi improvvisamente di pensare.

Troppo rapidamente, Philippe si portò il polso alla bocca e lo morse con forza, come se non fosse parte del proprio corpo. Il sangue fuoriuscì dalla sua carne, macchiandogli le labbra.

Scattai nuovamente in piedi, quando vidi il ragazzo posare con irruenza il polso ferito sulle labbra di Rose, la ragazza si divincolò, ma il vampiro premette ancora con più forza in modo che lei potesse bere il suo sangue.

Sai cosa significa subire quella trasformazione, Iry?” mi chiese Philippe, tenendo la mano libera sulla testa di Rose, come per impedirle di muoversi troppo. “È un processo che non puoi combattere, proprio come la morte. Puoi solo restare fermo, impotente e subire il cambiamento...sentì che tutto il mondo attorno a te si trasforma, percepisci ogni singolo rumore, ogni singolo battito di cuore e sentì sempre un brontolio allo stomaco che non si combatte con un pezzo di pane.”

Abbassai lo sguardo su Rose e strinsi i pugni, lei aveva gli occhi aperti su di me come per implorarmi di aiutarla.

Valutai la situazione in quell'unico secondo che mi fu concesso per pensare, avevo lasciato il pugnale in camera di Elijah e non avevo nulla con cui difendermi contro Philippe ma dovevo comunque fronteggiarlo.

Scattai verso di lui, ma in pochissimi secondi successe il tutto: il vampiro staccò il polso dalla bocca di Rose, lei tossì come in preda a dei conati di vomito, mentre si toccava le labbra per sperimentare sotto le sue dita il sangue che le bagnavano.

Subito dopo, Philippe posò le mani sul collo di lei e lo spezzò con un solo colpo netto.

Il rumore delle ossa che venivano rotte dalla furia del vampiro rimbombò nella mia mente, il corpo immobile di Rose cadde a terra, con la schiena rivolta verso l'alto e le braccia che giacevano a penzoloni accanto al suo corpo. Dopo un attimo di tremenda incredulità, mi chinai su di lei in lacrime, la presi tra le braccia e la scossi come se volessi destarla da un sonno troppo lungo.

Ma lei era caduta nel sonno eterno. Il suo bel viso pallido era privo della luce che lo illuminava in vita e che mai più lo avrebbe illuminato.

Rose sarebbe diventata il suo peggiore incubo, per colpa mia.

Se io non fossi scappata, se non fossi giunta da lei per aiuto, se non fossi uscita subito oltre la soglia della porta di casa sua per raggiungere Philippe, lei non sarebbe mai morta.

Lei aveva il sogno di voler restare umana, di vivere tutte le esperienze della vita da umana e io l'avevo privata di quella fantasia semplice e comune in tutti i mortali.

Philippe restò in piedi accanto a me, sembrò ridere di ogni singola lacrima che scivolava sul mio viso, mentre io osservavo il volto rigido e fermo di Rose. Sembrava un angelo caduto troppo presto e con troppa violenza e che poi si sarebbe risvegliata nell'inferno che l'attendeva.

La sete di sangue si fa sempre più forte, cresce sempre di più fino a quando non la si può più sostenere. È una dolce tortura che ti porta a compiere un orrore inimmaginabile che la tua mente vuole combattere ma che il tuo corpo non può contrastare.” concluse Philippe, ma allontanai ogni singola parola che usciva dalla sua bocca per non esplodere di rabbia. Continuavo a scuotere Rose, come se sperassi di cambiare ciò che era successo pochi attimi prima.

Era colpa mia, le avevo distrutto la vita attraverso le mani di Philippe.

Lo guardai interrogativa, volevo trovare un significato logico a quello che era appena successo, anche se dentro di me, sapevo che il tutto era nato dal folle gioco messo in atto dal vampiro.

Poche storie, tesoro.” mi disse, come se me la stessi prendendo per un dispetto da poco. “Tornerà in vita e sarà immortale. Diciamo che ho rimediato a Mikael una nuova adepta.”

Strinsi i pugni e tenni Rose più vicina a me, volevo smetterla di piangere ma non ci riuscivo.

Odiavo quello che avevo appena causato, ad una persona buona come Rose poi.

Lui si chinò su di me, volle ricordarmi quanto le mie mani fossero sporche quanto le sue, sfiorandomi i capelli con la mano. Ritrassi rabbiosamente la testa e lo guardai con sfida, sapevo che i miei occhi non gli avrebbero fatto nulla purtroppo ma dentro di me speravo quasi che potessero ucciderlo.

Allora vuoi rivelarmi il tuo piccolo segreto prima di morire o ti ammazzo subito?” mi chiese, piegando la testa da un lato in modo da studiare il mio viso. La sua mano continuava a cercare i miei capelli, non capivo perchè fossero tutti in fissa con volermi torturare in quel modo.

La morte stava arrivando anche per me, perchè se Philippe non avesse avuto le sue risposte, io potevo anche soccombere.

Abbassai lo sguardo su Rose, nel giro di qualche minuto o di qualche ora si sarebbe probabilmente risvegliata. Ma mi avrebbe trovata sicuramente morta e se mi avesse odiata per quello che era successo, non l'avrei biasimata.

In quel momento però, non m'importò di morire. Mi dispiaceva solo aver compiuto tutti quegli errori in una sola giornata: mi ero ingenuamente fidata di Klaus, avevo lasciato che mi portasse via mia sorella e che vincesse di nuovo su di me, avevo scoperto la profondità dell'odio nero che provavo per lui. Per non parlare dell'altra faccia della medaglia che avevo scoperto: ossia, quello di provare qualcosa di troppo forte che non avrei potuto più sorreggere ora che avevo perso la persona a cui era rivolto.

Quando pensai ad Elijah, mi sentì davvero morire. Il dolore che provai in quel momento non sarebbe stato nemmeno lontanamente paragonabile a quello che Philippe aveva in mente di fare.

L'unica cosa che realmente mi dispiaceva era non poter dire delle semplici parole ad ogni singola persona il cui ricordo mi attraversava la mente in quel momento.

Mi dispiace.

Quelle due parole erano per Rose, per ringraziarla della sua amicizia e per dirle quanto mi sentissi in colpa di fronte alla sua morte. La strinsi più forte a me e posai il mento tra i suoi capelli rossi.

Ti voglio bene.

Quelle erano per Katerina, nonostante in quel momento probabilmente mi stava odiando per un tradimento che non avevo compiuto, avrei tanto voluto che lei sapesse quanto le avevo voluto, le volevo e le avrei voluto bene, qualsiasi fosse stata la realtà che mi attendeva dopo la morte.

Chiusi gli occhi quando pensai alle parole che avrei invece voluto dire ad Elijah. Non ce la feci nemmeno a realizzarle in semplici pensieri, mi provocavano un vuoto dentro che mi toglieva il respiro e mi facevano desiderare che la mia vita non stesse davvero per finire.

Avrei voluto rivederlo almeno per un'ultima volta, perchè il mio ultimo ricordo di lui non era stato del suo lato migliore. Ripensai al suo sorriso, al modo che aveva di guardarmi per non farmi sentire sola, al modo in cui mi parlava come se non fossi una ragazzina, ma una donna che poteva comprendere la grandezza del suo animo. Era la prima persona per cui avrei davvero desiderato avere voce, perchè quelle due semplici parole che mi spaventavano anche solo a pensare, non sarebbero bastate per dirgli quanto realmente ci tenessi a lui.

Strinsi più forte Rose a me, le lacrime scesero più velocemente e mi sentì in colpa nel bagnarle i capelli dopo che le avevo portato via tutto. Philippe mi stava ancora osservando, dovevano essere passati pochi istanti da quando mi aveva posto quella domanda, eppure mi sembrava che mi fossi persa nei labirinti della mia mente per molto più tempo.

Va bene, non sai niente e perciò sei inutile. Posso anche ammazzarti e lasciarti sul letto di uno dei tuoi amici originali come ricordo...” disse, la sua mano si fermò sopra la mia nuca. Sentivo le sue dita stringere su di essa mentre la presa si faceva sempre più salda, come se volesse staccarmi la testa in quel momento. Ma i miei ultimi pensieri da viva non erano esauriti, mi ritrovai ad elaborare nella mente altre parole, indirizzate all'ultima persona al mondo a cui avrei voluto pensare. Parole che tempo prima, quando la mia vita era ancora nulla, avevo rivolto a me stessa, sperando che un giorno si realizzassero.

Spero che un giorno tu conosca la vera felicità.

Riuscì a fare in modo che quelle parole assumessero una voce dentro la mia mente, ma non mi capacitai a riconoscere la persona a cui avrei voluto rivolgerle. Il suo nome rimase avvolto nell'oscurità, in un angolo nascosto della mia mente che si rifiutava di dargli una essenza.

Philippe, comunque, non permise alla mia mente di pensare ad altro: mi spinse a terra,sulla schiena. Mi allontanai dal corpo privo di vita di Rose e caddi sul pavimento dolorante, di fronte al camino e sentì la fiamma trasmettere calore sulla mia pelle.

Sentivo il vampiro dietro di me, strisciai lungo il pavimento anche se non sapevo dove volevo andare. Philippe però mi afferrò per i capelli e mi tirò su da terra, mi morsi le labbra per trattenere il dolore e lui mi si parò davanti, quando ormai ero praticamente in piedi.

Mi sorrise, quanto amavano i vampiri ridermi in faccia, lo sapevano solo loro.

Sono indeciso sul come ammazzarti...ti strappo il cuore e ti succhio via il sangue lentamente, lasciando che tu senta la tua vita fluire via sempre più?”

Da come espresse la seconda opzione, che gli parve quella più eccitante probabilmente, capì che avrebbe scelto quella. Trovai la forza di guardarlo, non avevo più lacrime e voglia di lasciarle scorrere, perciò mi limitai a posare gli occhi su di lui con sfida.

Philippe lasciò cadere lo sguardo sul collo, dove la ferita infieritami da Klaus era ancora visibile. La studiò a lungo e il suo sorriso si fece più largo. “Oh qualcuno ti ha già assaggiata a quanto pare...” disse, la sua mano stringeva ancora i miei capelli e li teneva arrotolati attorno alle dita.

Peccato, mi sarebbe piaciuto essere il primo.”

Conclusa quella macabra frase, vidi la sua faccia assumere un'espressione spaventosa con i canini sporgenti e gli occhi dilatati. Chiusi con forza le palpebre, in attesa che il suo morso raggiungesse la mia pelle.

Ma non successe mai: un rumore bloccò Philippe, lo vidi smettere di avvicinarsi al mio collo quando la porta venne spalancata di colpo da una specie di forza invisibile.

Ci voltammo all'unisono, la porta cigolò nuovamente, sbattendo sulla parete retrostante per via del vento. Ma non c'era nessuno là., solo l'oscurità del cielo nero all'esterno che veniva quasi sfiorato dagli alberi.

Philippe si guardò attorno, mi buttò a terra con un colpo e caddi sopra il gomito, facendomi male. Guardai i suoi piedi avvicinarsi alla porta, per poi arrestarsi nuovamente al suono di un altro rumore.

A sbattere stavolta, toccò alle persiane delle finestre sulla parete alle mie spalle. Mi voltai in tempo per vederle muoversi sempre più lentamente fino a restare poi immobili.

Cosa stava succedendo, non lo sapevo. Mi era solo chiaro che il cuore mi batteva a mille per la paura e Philippe mi sembrava più spaventato di me.

Si guardava attorno come un cucciolo smarrito, che non capiva cosa stesse capitando attorno a lui. “Ma che diavolo sta succedendo?” chiese, girando su sé stesso.

Mi misi a sedere sulle ginocchia, stringendomi il braccio dolorante al petto e cercando di capire cosa fosse appena successo. Philippe parve impazzire, quando sentì di nuovo un rumore, proveniente da un punto vicino alla porta.

Ora basta giocare.” disse. “Facciamola finita.”

Si voltò verso di me, avanzò velocemente come se alla fine avesse deciso di porre fine alla mia vita nella maniera più rapida possibile. Mi alzai in piedi e mi accorsi che qualcosa aveva bloccato l'avanzata del vampiro, sbarrò lo sguardo fissando un punto alle mie spalle.

Arretrò, deglutendo visibilmente e allora seguì il suo sguardo.

Il lupo.

Era dietro di me e teneva i suoi occhi di ghiaccio puntati su Philippe, il muso era chinato verso il basso, proprio come se stesse per attaccare il suo nemico.

Che non ero io.

Mosse leggermente la coda per un solo attimo e avanzò, spostando le zampe anteriori verso di me. Sentii l'impulso di spostarmi per non ostacolare il suo cammino. Quello che stava succedendo era a dir poco assurdo, non solo il lupo era entrato misteriosamente in casa, in quella maniera a dir poco assurda, ma stava anche guardando fisso il vampiro riuscendo ad incutergli timore.

E un vampiro poteva spaventarsi così tanto alla vista di un animale? Ogni passo in avanti del lupo ne valeva dieci indietro del vampiro.

I loro occhi non smisero di fissarsi nemmeno per un attimo. Lanciai un'occhiata a Rose che giaceva ancora a terra, sarei potuta scappare approfittando della presenza dell'animale ma non mi andava di abbandonarla visto il ritorno che la attendeva.

Tu...” Philippe pronunciò quella parola, continuando ad osservare il lupo che proseguiva verso di lui.

Come se riconoscesse qualcosa in lui.

L'animale abbaiò per pochi istanti, poi si scagliò addosso a Philippe, ringhiandogli contro e tenendolo contro il pavimento con le zampe.

Qualcosa mi disse che era il momento di scappare. Superai rapidamente Philippe, facendo il giro largo del tavolo per fare in modo che il vampiro non potesse toccarmi. Quando varcai la soglia d'uscita, sentì i rumori della lotta alle mie spalle e mi parve di udire l'animale gemere.

Combattei con il sonno e la stanchezza, mentre i miei piedi correvano lungo il prato e si dirigevano verso la foresta. Le urla di Philippe ruppero il silenzio, non riuscì nemmeno ad avere il tempo per accelerare il passo, che lo sentì alle mie spalle e mi spinse contro un albero. Il mio viso finì violentemente sulla ruvida corteccia, che graffiò la pelle facendo fuoriuscire subito un rivolo di sangue dalla guancia destra. Philippe mi prese per la spalla e mi costrinse a voltarmi verso di lui, in maniera che potessi guardarlo in viso. Presi dei lunghi respiri per cercare almeno di mostrarmi calma, ma il sangue che bagnava il mio viso stava accrescendo visibilmente la rabbia che segnava il viso del vampiro.

I suoi occhi erano nerissimi e la bocca emetteva un ringhio prolungato, ostacolato però dalle labbra serrate. Chiusi gli occhi, quando la sua mano salì al mio collo e lo strinse.

Ti è andata male, ragazzina.” disse, scoppiando poi a ridere a metà della frase. Istintivamente, mi chiesi cosa fosse accaduto al lupo. Sperai di non aver causato anche la sua di morte.

La presa si fece più stretta, impedendomi di respirare regolarmente. Circondai il suo polso con le mie mani, sperando che così facendo lo spingessi ad allentare la stretta.

Mossa inutile, come lo ero io in quel momento.

L'operazione di salvataggio non ti è ben riuscita.” disse lui, con voce roca. Capì che la fine era vicina, quando lo vidi scattare in avanti per mordermi. Chiusi gli occhi, attendendo l'ultimo dolore prima della morte. Mi bastò un secondo per arrendermi, era davvero finita.

Fossi in te non lo farei.”

Quella voce, marcata da quel forte accento che avrei saputo riconoscere tra molti, ruppe il silenzio.

Io aprì gli occhi, Philippe si fermò.

Entrambi volgemmo lo sguardo verso la figura di Klaus alle spalle del francese. La presa sul collo si allentò lentamente, man mano che il sorriso sulle labbra dell'originale si spegneva sempre di più, lasciando posto ad una espressione fredda che avrebbe fatto paura anche al più impavido dei nemici. Philippe tremò e la cosa mi fece quasi sorridere, facevano tutti i gradassi con gli umani ma si spaventavano a morte di fronte agli originali.

Philippe trovò però la forza di ridere, mi tirò a sé e fece aderire perfettamente la mia schiena al suo petto, in modo che potesse cingermi il collo con entrambe le braccia. Klaus non mi guardò per un solo istante, i suoi occhi erano fissi solo sul vampiro e rimase immobile con le mani dietro la schiena. Mi mancò di nuovo il respiro, mi chiesi cosa avesse in mente di fare l'originale.

Perchè dal suo sguardo, mi parve che avesse intenzioni poco carine nei confronti di Philippe. Ma anche nei miei confronti, ricordavo perfettamente il modo in cui i suoi denti avevano affondato nella mia carne.

Niklaus, io non ho paura di te.” disse Philippe, ma tremava così tanto che smascherò da solo la sua bugia.

Dal tuo sguardo non direi.” lo provocò Klaus, gli sorrise in quel modo che solo lui sapeva fare. Tastai con forza le braccia muscolose di Philippe, avevo bisogno d'aria e sentivo che mi mancava da troppo. Solo in quel frangente, Klaus abbassò lo sguardo su di me.

Philippe tremò più forte, fece un passo indietro quando Klaus ne fece uno avanti. “Se ti avvicini, l'ammazzo!” lo minacciò. Dubitavo che la minaccia avesse davvero avuto effetto, a Klaus non importava nulla di me e mi aveva chiaramente detto che ricambiava l'antipatia che provavo per lui.

Klaus sorrise, dando così valore alla mia teoria. “Uccidila pure.” gli disse, mi morsi il labbro per la rabbia. “Ma poi sai cosa ti aspetta.”

Lo stava sfidando. Mentre lui teneva in mano la mia vita, lui lo stava provocando per vedere quanto la paura che Philippe provasse nei suoi confronti, fosse profonda.

Era proprio un bastardo, non avrei mai smesso di pensarlo.

Philippe non lo fece, qualcosa lo bloccava dal spezzarmi il collo in quel preciso momento. “Mikael ti ucciderà prima di quanto tu creda.” gli disse, con un ghigno forzato sulle labbra.

Klaus si fermò, i suoi occhi si sbarrarono e si riempirono di paura. Non li avevo mai visti sotto quella luce, in quel momento il ragazzo parve umano come mai si era mostrato.

Ma non mi piacque vederlo così terrorizzato, sopratutto per via della sua figura paterna.

Philippe rise di quella sua improvvisa umanità. “È la fine per te ormai. Lui ti porterà via tutto, ancor prima che tu possa realizzare di essere rimasto solo.” disse. Klaus abbassò lo sguardo per un attimo, i suoi occhi erano sbarrati e la bocca dischiusa in un lieve respiro.

Mi divincolai, quando il vampiro alle mie spalle trovò ancora la forza di premere sul mio collo.

L'improvvisa debolezza di Klaus glielo aveva permesso.

Hai paura eh? Intanto perchè non cominciamo con l'uccidere questa mocciosetta che tanto ti sta simpatica?” lo provocò Philippe.

Stava per spezzarmi il collo, lo avvertì impercettibilmente quando la sua presa di fece davvero più salda. Chiusi gli occhi, attendendo il momento della morte.

Ma Klaus interruppe di nuovo quel momento: sorrise, cogliendo di sorpresa sia me, che il nostro nemico comune.

Valutai attentamente il suo sorriso: era visibilmente forzato, come se volesse nascondere la sua paura e infondersi coraggio. “Non temere, il mio piano contro Mikael è già in atto.” gli disse. “Della ragazzina non m'importa nulla, almeno non a me.”

Non capimmo quel suo modo di parlare, ma sobbalzai quando Philippe gemette di dolore. Lo sentì drizzarsi sulla schiena, la sua presa si fece improvvisamente nulla e lo sentì cadere pesantemente a terra. Avendo fatto leva sul suo stesso equilibrio, stavo per cadere anche io di schiena per terra.

Quando qualcuno impedì la mia caduta.

Sentì delle braccia passarmi sotto le spalle e vidi i palmi aperti di due mani davanti ai miei occhi, all'altezza dei gomiti. Una delle due era sporca di sangue, in quel gesto sembrava che chiunque fosse al mie spalle non volesse sporcarmi di rosso. Sentì un respiro soffiare lentamente sul mio orecchio destro, trasmettendomi una sensazione di improvvisa tranquillità.

Stai bene?”

Avevo riconosciuto subito la persona che si trovava alle mie spalle: il modo in cui mi stava sorreggendo, la maniera in cui la mia schiena veniva attraversata da intensi brividi...non poteva essere che lui. La sua voce servì solo a confermare ulteriormente la sua presenza.

Volsi la testa da un lato e incrociai lo sguardo di Elijah, restammo in quella posizione per pochi ma interminabili secondi. Poi abbassai lo sguardo sul cadavere sul terreno, Philippe aveva praticamente un buco di sangue sulla schiena e non ci misi molto a fare due più due riguardo la morte che lo aveva raggiunto.

Ma si dimenticano sempre di te, fratello? Sono così tutti presi da me che non ti sentono mai arrivare...” disse Klaus, guardandoci con freddezza. Io ed Elijah lo guardammo, Klaus sembrava aver perso la sua solita spavalderia dopo le parole di Philippe. Il suo sorriso di poco prima era solo una breve parentesi usata per mascherare quello che realmente stava provando.

Elijah mi aiutò ad alzarmi, non riuscivo a guardarlo più di tanto in volto, perchè avevo ancora in mente la discussione, dolorosa per me, di quella sera. Mi sforzai di non guardare nemmeno il cuore che giaceva sull'erba fuori dal petto di Philippe e deglutì, mi massaggiai il collo dolorante e tossì come se mi fossi ricordata che ero stata quasi privata dell'ossigeno per troppo tempo.

Klaus continuava a guardare verso di noi, ero sicura che si aspettasse che dietro quegli omicidi ci fosse Mikael, ma probabilmente qualcosa dentro di lui si era sforzata di allontanare quella paura da sé. Fino a quando Philippe non aveva deciso di uccidergli quella speranza.

Restai accanto ad Elijah, che intanto stava osservando il cadavere dietro di noi, con il pensiero di liberarsene probabilmente. Mi ero dimenticata in un solo secondo tutto quello che era successo in quella giornata infernale e tenevo lo sguardo fisso su Klaus.

Era inutile che si sforzasse di trattenerla, sul suo volto era chiaramente riflessa l'immagine della paura.

Aveva detto poco prima che aveva un piano ben preciso contro Mikael, ma era normale avere comunque paura lo stesso, sopratutto con un nemico del genere.

La prossima volta che ti va di scappare e metterti nei guai, fai un fischio.” disse poi, stringendo i denti come se volesse minacciarmi. Come al solito, preferiva rapportarsi con gli altri nel modo che sapeva fare meglio.

Chissà perchè, delle volte, quasi volevo pretendere che lui si sforzasse di essere sincero.

Non ho tempo di starti a rincorrere sempre.” concluse poi, mi guardò a lungo come in attesa di una qualche mia risposta. Ma ero stanca, assonnata, ferita e non mi andava di litigare con lui, non dopo che mi aveva comunque salvato la vita.

Perchè era quello che aveva fatto, anche se nel suo solito modo pericoloso. Dovevo ringraziare Elijah quanto lui, dovevo ammetterlo e accettarlo sopratutto.

Mi toccava mettere da parte l'astio che nutrivo nei suoi riguardi e accettare quella cosa.

Smettiamola con queste storie, Niklaus. Troviamo un posto per seppellire questo maledetto...” disse Elijah, mi lanciò un'occhiata veloce come per dirmi di non guardare il cadavere a terra. Mi portai i capelli mossi dal vento dietro l'orecchio e distolsi lo sguardo, proprio come lui voleva che facessi. Klaus si avvicinò rapidamente a noi, per un attimo temetti che volesse farmela pagare per essere di nuovo fuggita: il mio cuore iniziò a battere all'impazzata per la paura, ma sembrò quasi arrestarsi un attimo quando lui si limitò a fermarsi al mio fianco.

Non mi guardava, se ne stava ad osservare il fratello che prendeva i piedi di Philippe. Elijah non aspettò le direttive di Klaus, sembrava ancora in collera con lui malgrado avessero agito insieme nel tentativo di salvarmi la vita.

Non diciamo nulla a Rebekah, limitiamoci a dirle che il suo fidanzato se n'è andato.” disse Klaus, mentre Elijah trascinava il corpo verso l'albero. “Non voglio che si spaventi per la storia di Mikael.”

Rimasi immobile, guardai prima Elijah poi Klaus e rimasi colpita dal fare protettivo di quest'ultimo nei confronti della sorella. La famiglia per lui, come per Rebekah e lo stesso Elijah, era tutto. Gli posai involontariamente la mano sulla spalla, la tranquillità con cui compì quel gesto mi parve innaturale e Klaus si voltò confuso verso di me.

Anche Elijah mi guardò, lasciando un attimo cadere pesantemente le gambe di Philippe a terra.

Grazie.”

Mossi le mani lentamente, ma solo perchè mi sentivo debole e affaticata da quella giornata. Entrambi seguirono i miei movimenti, anche se dovevo essere furibonda con Klaus e imbarazzata con Elijah. Preferì passare sopra a tutto, l'importante era che fosse andato tutto bene.

Poi però mi ricordai di Rose e venni presa di nuovo dal panico. Non era andato bene nulla.

Mi voltai verso la casetta a pochi metri di distanza da noi.

Non ci devi ringraziare, devi limitarti solo a stare ferma e buona e non combinare danni...” mi stava rimproverando Klaus, ma si fermò quando mi vide correre verso l'abitazione di Rose. Entrambi gridarono il mio nome, riconobbi la voce di Elijah che assunse un suono interrogativo, mentre quello di Klaus aveva, come al solito, un suono rabbioso.

Corsi lungo la stradina in salita, per poco inciampai sui miei stessi piedi per quanto ero provata da tutto. Mi avvicinai alla porta, ma Rose mi anticipò: quando la vidi apparire sulla soglia della porta, con il volto pallido e mentre si massaggiava il collo come per cercare qualcosa di rotto, per poco mi venne un colpo al cuore. Ci guardammo a lungo, lei sembrò trovare il senso di colpa nei miei occhi e provò a lenirlo con un sorriso.

Come poteva sorridere dopo che l'avevo buttata nell'inferno con le mie stesse mani?

Klaus ed Elijah giunsero dietro di me e Rose rabbrividì quando li vide arrivare.

Tutto bene, Rose?” chiese gentilmente Elijah. A Klaus non interessava, lanciò una lunga occhiata alla ragazza per poi darci le spalle e alzare lo sguardo al cielo.

Guardai oltre Rose, appena mi ricordai del lupo ma lui sembrava essere scomparso.

Sì, sto bene.” rispose lei. “Eccetto qualche livido.”

Pensai di aver capito male, le lanciai un'occhiata per chiederle cosa stesse facendo. Era entrata nella fase della transizione e aveva bisogno di aiuto. Elijah avrebbe potuto aiutarla.

Poi mi ricordai di quanta poca fiducia lei nutrisse nei confronti dei vampiri.

Rose ricambiò il mio sguardo e percepì il messaggio nascosto nelle sue iridi: dovevo lasciare nell'oscurità quello che era successo. Ma perchè? Non trovai una risposta davvero chiara,, l'unica certezza che avevo in mano era che avevo causato io tutto quell'inferno per Rose.

Sicura?” chiese Elijah, non era stupido e quindi non si lasciava sfuggire certe espressioni facciali. Sopratutto se erano sul mio viso.

Klaus sbuffò, si avvicinò rapidamente a me e mi prese per il polso. “Basta chiacchiere, avete allungato anche troppo la mia giornata.” disse e mi tirò verso di sé, non opposi resistenza solo perchè stavo per cadere a terra per il sonno e il dolore dopo tutto quello che era successo.

Puoi fare piano, per favore?” lo rimproverò Elijah a denti stretti.

Tu liberati di quel corpo.” rispose Klaus, facendo capire che non aveva voglia di intrattenersi in discussioni. Elijah trattenne la rabbia, solo perchè anche lui non aveva voglia di discutere.

Mentre ci allontanavamo, guardai un'ultima volta verso Rose che si stava chiudendo la porta di casa alle spalle.



Prima di andare a dormire, passai in camera di Katerina per assicurarmi che stesse bene.

Fortunatamente, non era stata avvisata riguardo la mia “fuga” e stava dormendo tranquillamente sotto le coperte. Cosa che dubitavo avrei potuto fare io.

Camminai lungo i corridoi bui, cercando di raggiungere la mia camera e la mia testa vagò tra mille pensieri. Erano tante le cose che mi preoccupavano: Mikael ,Bell, la sparizione del lupo e sopratutto la trasformazione di Rose, per cui mi sentivo ancora in colpa.

Mi portai una mano sulla fronte e mi stropicciai poi gli occhi, dovevano essere le due o le tre di notte e io non avevo chiuso occhio. Sulla guancia la ferita provocata dall'albero aveva smesso di sanguinare, ma il graffio sarebbe rimasto per un po' di tempo.

In quel momento, mentre sforavo quel segno con le dita, mi ripromisi di andare a trovare Rose la mattina successiva, per verificare come stesse: l'ultima immagine che avevo di lei, era del suo viso troppo pallido per essere vivo. Cosa che purtroppo lei non era più.

Raggiunsi la camera e posai la mano sul pomello della porta, lasciai che la colpa che avevo pesasse sul mio petto. Niente mi avrebbe fatto cambiare idea: se io non fossi andata da lei, Rose sarebbe stata ancora umana.

Aprì la porta lentamente, quando scorsi la punta del letto mi sentì quasi sollevata dall'idea di farmi accogliere dalle sue lenzuola. Un bel sonno, se fossi riuscita a chiudere gli occhi però, era proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento.

Volevo solo annullare tutti i miei pensieri e magari sognare qualcosa di più positivo rispetto alla realtà. Ma quando la porta fu completamente aperta, notai la figura seduta sul mio letto, come per ricordarmi che avevo anche problemi personali e quasi normali, che non sarei riuscita ad ingnorare.

Elijah alzò lo sguardo su di me, rimasi con la mano sul pomello della porta e lo fissai a lungo. La sua presenza lì mi stupì, mi spaventò e mi imbarazzò anche: mi ritrovai ad abbassare gli occhi per la vergogna, dopo la brutta discussione che avevamo avuto quella sera.

Ripensai al suo viso trasformato e rabbrividì.

Ma non cambiò quello che stavo provando per lui in quel momento. Mi sentì una stupida nell'avergli rivelato ciò che provavo, prima di aver pienamente realizzato per me stessa la forza di quei sentimenti. Iniziai a torturarmi le mani, tirando le dita e muovendole lungo il palmo della mano opposta. Lo sguardo era fisso a terra, ma voleva guardare quel viso di marmo di fronte a me.

Dobbiamo parlare.” mi disse Elijah, non era freddo né arrabbiato, ma non riuscì a riconoscere quale emozione ci fosse nella sua voce. Si alzò in piedi e in quel momento mi chiusi la porta alle spalle.

Restammo a debita distanza, immobili e con gli sguardi fissi l'uno nell'altra.

Mi dispiace per stasera, non volevo perdere il controllo.” si scusò lui, prendendomi alla sprovvista. Ero sicura che avrebbe cominciato con il rimproverarmi per essere scappata via oppure continuando a marciare sulla teoria che sarei dovuta tornare in Bulgaria. Invece non lo aveva fatto e mi chiesi se, in quella discussione, ci sarebbe anche stato spazio per discutere di quella cosa.

Sperai di no, perchè sapevo che risvolti avrebbe preso la discussione. Mi ero illusa e basta, non ero all'altezza di un uomo come Elijah.

Non voglio che tu torni in Bulgaria, perchè so che tu non lo vuoi. Ma volevo solo proteggerti da tutto e mi rendo conto di aver optato per la scelta che ti avrebbe ferita di più.” disse lui, spalancando le braccia per un istante, i suoi occhi neri continuarono a fissarmi intensamente e io non riuscì a sostenerli. Presi un lungo respiro, quando calò un profondo silenzio.

Avrei voluto dirgli tante cose: che non ero arrabbiata, non ero delusa e nemmeno ferita ma non riuscì ad esprimere nessuna di quelle tre cose. Perchè quei sentimenti li provavo tutti nei confronti di me stessa in quel momento.

Non preoccuparti.” gli dissi muovendo velocemente le mani. Fu tutto quello che riuscì a trasmettergli in quella circostanza e lui sembrò accettarlo.

Intanto ,dentro di me, pregavo che non venisse fuori quell'argomento che tanto mi spaventava e che mi faceva scoppiare il petto per l'imbarazzo.

Ero convinta che Elijah non provasse le stesse cose che provavo io, ma pensai che il suo comportamento quasi violento di quella sera fosse stata una farsa. Altrimenti perchè poi scusarsi con me, in quella maniera così sincera? Ma quello non provava nulla, Elijah ci teneva a me e lo aveva sempre dimostrato. Solo che mi addolorava che non potesse tenere a me in quel modo.

Se non gli avessi detto nulla, se non fossi stata presa dalla paura di perderlo e mi fossi tenuta quei sentimenti per me, forse avrei fatto la miglior cosa.

Ma piangersi addosso non serviva a nulla, per la prima volta in vita mia avevo parlato sia con lui che con Klaus e mi ero sentita bene quando lo avevo fatto. Il risultato non importava.

Elijah fece un passo verso di me, poi ne fece un altro e ci ritrovammo vicini. Trovai il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, sentendomi andare il viso in fiamme.

Voglio che tu sappia che ho preso un'altra decisione, ma forse sono stato egoista nel prenderla.” mi disse e quando vide il mio sguardo interrogativo, riprese a parlare. “Voglio che tu resti qui.”

Spalancai gli occhi per la sorpresa che quelle parole mi provocarono, piano piano il mio cuore iniziò a battere sempre più veloce mentre mi perdevo nei suoi occhi sinceri. Era stata quella la sua decisione egoistica? Ma era la stessa cosa che volevo io, restare in Inghilterra, perciò non era affatto egoistica.

Ti proteggerò io da tutto: da Klaus, Mikael, Bell e chiunque altro anche solo oserà farti del male.” pronunciò quelle parole con durezza, quasi stringendo i denti, come se il solo pensiero che qualcuno potesse farmi del male, lo stesse logorando. “E persino da me.”

Quell'ultima frase non mi fu chiara, corrugai la fronte e studiai a lungo il suo viso: di nuovo quell'inspiegabile senso di colpa che avevo già visto poche ore prima sul suo volto.

Abbassai la testa sulle mie mani, intrecciate tra di loro e poi sorrisi. Averlo accanto mi bastava, anche se non necessariamente nel modo in cui volevo io.

Ma mi bastava.

Lo ringraziai e gli sorrisi, per dirgli che non doveva sentirsi in colpa di nulla. Non m'importava più di tanto dei segreti che si nascondevano dietro la sua famiglia, m'importava solo che lui fosse con me. L'indomani gli avrei detto della parola doppelganger, di ciò che Philippe mi aveva raccontato quella sera e tutto il resto.

Gli avrei rivelato tutto, proprio come facevo prima che la consapevolezza di provare un altro sentimento per lui si facesse largo dentro di me.

Elijah annuì, mi studiò a lungo e con attenzione e per un attimo pensai che volesse parlare del bacio.

Ma non lo fece. E la cosa, anche se mi ero preparata ad accettarla, mi fece male.

Buonanotte allora.” mi disse, mi posò una mano sulla testa e mi superò. Chiusi gli occhi, quando provai di nuovo quel senso di stupidità che mi faceva scoppiare la testa e il cuore.

Mi grattai la fronte, mentre ascoltavo i lenti passi di Elijah che si allontanavano verso la porta.

Ma che mi era venuto in mente? Risi di me quando pensai che forse Elijah avrebbe deciso di parlare del bacio. Non ne aveva motivo, perchè io mi ero solo illusa.

Era evidente ormai.

Stavo ascoltando così tanti rimproveri da parte della mia mente, che non mi accorsi di come i passi di Elijah si erano improvvisamente arrestati.

Sentì un braccio cingermi i fianchi e farmi fare una mezza giravolta su me stessa.

E prima che potessi rendermene conto, mi ritrovai le labbra di Elijah sulle mie. Non riuscii a definire le emozioni che mi attraversarono in quel momento, mentre la sue mani si posarono sulle mie guance e le sue labbra premevano con delicatezza sulle mie. Il cuore era come impazzito, temevo che potesse uscire dal petto da un momento all'altro. Poi, molto lentamente la mia mente si assopì e chiusi gli occhi lasciandomi andare a quel bacio inaspettato ma sorprendente come solo qualcosa che non ci si sarebbe mai aspettati potesse essere.

Posai anche io le mani sulle sue guance e le sue scesero sui miei fianchi per cingerli. Il bacio divenne poi leggermente più appassionato e le mie dita salirono ad accarezzare i capelli di Elijah.

Ci separammo, ma lo facemmo solo per guardarci negli occhi. Lui posò la fronte sulla mia e il suo respiro soffiò sulle mie labbra che furono quasi tentate del prenderlo.

Era come se fino ad allora non avessi mai realmente respirato, era una sensazione stupenda e liberatoria. Quello era stato il mio vero primo bacio, non mi ero mai sentita come allora.

Perdona il mio gesto poco galante.” disse lui, sorridendomi mentre le nostre fronti si sfioravano. “Ma non ho resistito.”

Ero così spaesata, che mi chiesi cosa ci fosse stato di poco galante in quel bacio. Il cuore era come impazzito e non riuscivo a smettere di guardare lui negli occhi. Lui mi sfiorò la guancia e toccò il graffio con le dita.

Tutto questo è folle.” disse, abbassando gli occhi e continuando a disegnare invisibili strisce di calore sulla mia guancia. “Ho combattuto contro questa...cosa. Ho provato in tutti i modi a fronteggiarla, ma poi sono stato sconfitto. Da te.”

Scosse la testa e un sorriso quasi colpevole apparve sulle sue labbra. “E, per la prima volta in vita mia, sento di non voler rialzarmi da questa sconfitta.”

Come sempre, le sue parole mi provocarono delle emozioni intense. Pensai che le cose folli fossero le più belle: perchè non avevano una logica, non avevano un ordine e nascevano da qualcosa di incomprensibile e devastante e proprio in questo risiedeva la loro bellezza. Quello che provavo io per un vampiro era forse folle, ma devastante.

Era grazie a lui che avevo scoperto la vera umanità, la grandezza di un sentimento bellissimo.

Ma Elijah parlava come se lo spaventassi e il motivo non mi era ancora chiaro. Volevo assaporare l'essenza del sogno che stavo vivendo, ma qualcosa dentro di me gridava che c'era qualcosa che non andava. Forse mi sbagliavo.

Tu non sei muta, Irina. Siamo tutti noi ad essere sordi.” disse ancora, fermando la mano sul mio zigomo destro. “Non ho mai sentito una persona dire cose così belle come fai tu...”

Sorrisi e abbassai lo sguardo, lui mi baciò dolcemente sui capelli e sentì il suo respiro sulla testa e provocarmi dei lunghi brividi. “Ma io non merito una donna come te....e tu meriti un uomo che non ti faccia del male.”

Alzai lo sguardo su di lui, ero io a non meritare una persona perfetta come lui. Ma le sue parole, come al solito, nascevano da una convinzione che io non potevo conoscere.

Posai di nuovo le labbra sulle sue, cercando di trasmettergli un unico pensiero: non doveva avere paura, perchè non ce n'era motivo. Elijah ricambiò, mi strinse a sé posandomi le mani sui fianchi e sorrise, mentre le nostre labbra continuarono a sfiorarsi.

Quando ci separammo, restammo l'uno di fronte all'altra. Poi mi accarezzò i capelli e mi augurò la buona notte. “Riposati, ne hai bisogno dopo una giornata del genere.” mi disse e non potei notare il modo in cui cercava di nascondere quella che sembrava agonia.

Mi sorrise e si allontanò lentamente verso la porta, rimasi a fissare la sua figura allontanarsi e quando scomparve dietro la porta, mi portai una mano sulle labbra.

No, dovetti zittire quella voce dentro di me che mi faceva credere che Elijah stesse ancora combattendo quello che provava. E accettai il fatto che almeno una cosa bella e positiva, aveva colorato il mio animo nero di quella giornata.


Mi svegliai di soprassalto poche ore dopo, quando un lieve rumore ruppe il silenzio del sonno.

Aprii gli occhi e misi a fuoco l'immagine che avevo di fronte a me.

Alzai di scatto la testa dal cuscino, quando vidi Klaus vicino alla scrivania sulla parete di fronte a me e con il fermaglio che mi aveva regalato tra le mani. Se lo rigirava tra le dita con una rudezza che mi diede fastidio. Ma mi diede più fastidio il fatto che fosse entrato in camera mia, dopo che l'aveva resa teatro dei suoi piccoli orrori.

Dovresti metterlo, ci ho speso un sacco di soldi per regalartelo. Invece quell'affare lo usi eccome.” mi disse, indicando il diario di Elijah sulla scrivania e poi voltandosi verso di me.

Era inutile stargli a spiegare quanto un regalo semplice ma sentito, valesse più dei suoi preziosi doni regalati a suon di lacrime e minacce per tenermi a posto.

Era una cosa che non poteva capire.

Scesi dal letto rapidamente e ,malgrado tutti i pensieri negativi che nutrivo per lui, gli tolsi dalle mani il fermaglio e lo chiusi nel mio palmo, come per difenderlo dalla sua irruenza.

Klaus trovò il coraggio di regalarmi uno dei suoi soliti sorrisi spavaldi, dopo tutto il male che mi aveva fatto in un sol giorno.

Quando mi accorsi che gli ero troppo vicina e che il suo solo respirare era un tormento, feci diversi passi indietro e rimasi a fissarlo, stando attenta ad ogni singolo movimento sospetto che potesse compiere. Lui posò le mani sulla superficie dietro di sé e lentamente perse il sorriso.

Ti devo parlare ed è piuttosto urgente.” disse, facendosi improvvisamente serio. Il suo sguardo era difficile da tradurre, era impossibile captare i suoi pensieri in quel momento.

Ma non mi feci ingannare: lui mi aveva mostrato come la mia fiducia potesse essere ritorta contro di me, perciò non mi sarei più fatta ingannare da lui. O almeno, mi sarei sforzata di farlo.

Mikael è una minaccia troppo grande da sostenere.” disse, rompendo il silenzio glaciale che si era creato attorno a noi. Mi ci ero talmente abituata, che le sue parole mi fecero sobbalzare.

Quindi, ti chiedo per favore di smetterla di crearmi disagi e di porre fine a questo giochetto nei miei confronti. Devo riservare tutto il mio odio per altro e tu lo sai bene.” continuò lui.

Avrei voluto ricordargli che ad iniziare il tutto era stato solo lui.

Lui mentiva sempre.

Lui mi aveva rubato il primo bacio per mostrarmi di essere il più forte.

Lui mi aveva messo contro mia sorella per mostrarmi che era il più furbo.

Lui mi aveva morsa sul collo per dimostrarmi quanto potesse farmi male.

Ma io ero stata la prima a dirgli che lo odiavo. Quel pensiero si fece largo tra gli altri in una maniera alquanto fastidiosa.

La cosa però non lo scusava, non cambiava il fatto che la violenza l'aveva usata solo ed esclusivamente lui. Ed era la cosa che gli riusciva meglio.

Quindi, che ne dici di alzare entrambi bandiera bianca? Tu la smetti di crearmi noie e io proverò a comportarmi bene.” Klaus si strinse le braccia al petto e pronunciò quelle parole con una punta di sarcasmo che non gli riusciva bene in quel momento. Il fattore Mikael doveva influire negativamente su di lui, ricordavo perfettamente la paura nel suo sguardo al solo udire quel nome. “Stavolta non ti tirerò un colpo basso, hai la mia parola.”

Ma io non volevo fidarmi, non dopo quello che mi aveva fatto passare in tutto quel tempo.

Mi ero fidata una volta, gli avevo affidato mia sorella e lui me l'aveva praticamente portata via.

Poi, non mi stava dando una prova concreta per avere la mia fiducia, anzi nemmeno ci provava.

Ci guardammo a lungo: lui cercò di capire se mi stavo fidando e io stavo cercando di capire se potevo fidarmi. Ma delle voci nella mia testa mi mettevano in guardia, rammentandomi di come la mia scelta di credere nella possibilità di una umanità per Klaus mi si era ritorta contro.

Poi non volevo dirgli di Rose, di quello che aveva detto Philippe su Bell e nemmeno della parola del lupo. Quest'ultima poi era legata al foglio che lui mi aveva bruciato e quindi doveva essere qualcosa che voleva tenere nascosto.

Ma che io avrei dovuto scoprire.

Va bene, vuoi una dimostrazione?” mi chiese e a quelle parole feci rapidamente due passi indietro, facendolo ridere. Non mi era piaciuta né la prima, né l'ultima dimostrazione che aveva voluto darmi.

Non voglio baciarti, non so se lo hai capito che ti trovo disgustosa. Come il tuo sangue.” mi rimproverò, storsi il naso e non diedi peso al suo sbocco di innata gentilezza.

Lo trovavo anche io disgustoso tanto.

Klaus prese un lungo respiro e distolse lo sguardo. “Ti dirò solo la verità.”

Lo guardai attentamente, la verità non sarebbe mai potuta uscire dalla sua bocca, perchè lui non era bravo ad essere sincero. Ti riempiva di menzogne e pretendeva anche che queste venissero accettate. “Quel foglio che hai magicamente trovato rappresenta un incantesimo che può rendermi più forte, forte abbastanza da uccidere l'uomo che perseguita da secoli me, Elijah e Rebekah. Per questo ti ho aggredita, perchè, come al solito, non stai mai al tuo posto.”

Le ultime parole le disse a labbra serrate, sempre perchè voleva conferire un tono minaccioso alle sue parole.

.Mi soffermai su quella storia dell'incantesimo e, anche se sembrava comunque verosimile come cosa, mi parve alquanto strana. Se la figura che agiva nell'ombra mi aveva fatto trovare quel foglio, voleva dire che dovevo scoprire qualcosa di terribile su Klaus.

E quella storia dell'incantesimo, raccontata così, sembrava avere poco di spaventoso.

Guardai Klaus e pensai che il suo volto palesemente sincero celasse ,in realtà, altre bugie.

Non mi fidavo di lui, non mi avrebbe di nuovo presa in giro.

Mi servono pochi insignificanti oggetti per compiere questo incantesimo.” continuò Klaus, congiungendo le mani di fronte a sé mentre parlava.

Deglutì, perchè la parola oggetti mi preoccupava e non poco: Klaus considerava anche chiunque avesse respiro un oggetto.

E non fare quella faccia, non voglio ammazzare nessuno.” concluse poi duramente, quando mi vide storcere la bocca di fronte a quelle preoccupazioni. Continuai però a guardarlo, ripensando all'inquietudine che quel foglio aveva provocato in me e persino in Elijah...possibile che ci fosse dietro una cosa così poco spaventosa?

Klaus fece un passo verso di me, io ne feci cinque indietro, ritrovandomi a stringere con forza il fermaglio. Lui parve sorpreso dalla mia reazione, forse credeva che non avessi più paura di lui e che mi fidassi solo perchè mi ero avvicinata di mia spontanea volontà poco prima e perchè lo avevo ascoltato con calma.

So che probabilmente non ti fiderai mai di me, ma ti chiedo almeno di comprendermi.” mi disse, alzando le sopracciglia, facendo riferimento a quell'unico legame che ci univa.

La sua faccia tosta aveva dell'incredibile: ogni sua espressione era unica, dubitavo che qualcuno avrebbe potuto mai imitarle.

Intanto continuavo a cercare la bugia celata dietro la verità di Klaus.

Questo mio piano dovrebbe interessare anche te, dato che Mikael può uccidere tua sorella da un momento all'altro.”

Non potevo non dargli ragione: Joshua, Philippe erano stati entrambi molto vicini e significava che chiunque fosse stato arruolato da Mikael poteva avvicinarsi a noi in qualsiasi momento.

Non mi fido di nessuno se non dei miei fratelli, posso aggiungere un'altra persona alla lista?” chiese poi. Dirmi sorpresa di fronte a quella domanda era ben poco, fissai a lungo lo sguardo di Klaus e non pensai che fosse possibile che mi stesse chiedendo almeno di essere io una persona di fiducia per lui.

Dov'era il trucco? Cosa stava tramando? Erano domande da porsi sempre quando si interagiva con lui. Ormai lo avevo capito.

Allungò la mano verso di me, come se volesse siglare un patto. “Puoi credermi stavolta, non ho più idee sul come giocare con te comunque.” disse. Guardai la sua mano, Klaus parlava sempre in un codice tutto suo e quindi dovevo andare a fondo alle sue frasi per coglierne il vero significato. Quella sua sincerità di poco prima cosa nascondeva? Si trattava solo di un semplice incantesimo per fermare Mikael?

Ma più mi sforzavo di pensare in bene, più i dubbi su qualcosa di terribile mi assalivano.

Pensai poi alla sua richiesta nel fidarsi di me e non riuscivo a trovarne il tornaconto. Se avessi accettato, cosa avrebbe voluto in cambio? Possibile che si limitasse a richiedere la mia fiducia?

Non l'avrebbe mai ottenuta, aveva molto da dimostrare per ottenerla.

Mi dispiacque peccare di superbia, ma non se la meritava affatto.

Però gli strinsi la mano, giocando sul fatto che potesse credere che avessi abbassato la guardia, così lui avrebbe abbassato la sua. Decisi di non credere ad una singola parola che mi aveva detto, avrei continuato a scavare in fondo per arrivare poi a scoprire davvero la verità, che non sarebbe mai uscita dalle labbra di Klaus.

Le sue dita cinsero il mio palmo e un sorriso pian piano si allargò sulle sue labbra, mentre le nostre mani si muovevano a suon di una musica silenziosa. Alzai lo sguardo su di lui, studiai a lungo il modo in cui mi stava sorridendo e mi accorsi che qualcosa era cambiato, che il suo era tornato ad essere un sorriso di strafottenza.

Lasciò la mia mano.

Con questo non credere che ti stia chiedendo scusa per quello che ti ho fatto. Non voglio redimermi.” disse divertito.

Strinsi i pugni, in uno di essi tenevo ancora il fermaglio che premeva con forza sulla mia pelle.

Lo odiai di nuovo e più di prima. Mi ero quasi dimenticata che, oltre a non fidarmi, provavo quel sentimento per lui. E come un idiota, avevo dato per scontato che, con quella richiesta, ci fossero anche delle scuse.

Tutto quello che ti ho fatto te lo sei meritata, perchè hai osato sfidarmi e perchè so che mi nascondi qualcosa. E io non mi pento mai delle mie azioni, le rifarei tutte.” continuò Klaus, assumendo una maschera sul viso che potevo definire davvero odiosa. Era la contraddizione fatta a persona, prima chiedeva la mia fiducia e poi mi ricordava che meritavo il male che mi aveva fatto.

Non seppi come, ma alzai la mano e lo colpì con uno schiaffo. Lui voltò di poco la testa da un lato e poi si massaggiò la guancia con le dita. Mi guardò con la coda dell'occhio e si accorse di quanta rabbia stessi utilizzando per guardarlo.

Sapevo di non avergli procurato dolore, ma la soddisfazione di averlo fatto mi arrivò comunque.

A differenza di Rebekah però, uno non mi bastava e cercai di colpirlo di nuovo.

Lui mi fermò, prendendomi per il polso a mezz'aria e cingendolo saldamente. Mi tirò a sé e dovetti chinare il capo per non ritrovarmi il suo viso troppo vicino.

Ci guardammo a lungo, in un gioco di sfida basato unicamente sul disprezzo che provavamo l'uno per l'altra.

L'unica cosa di cui mi pento...” disse Klaus a denti stretti e odiai il fatto che solo lui potesse avere il diritto di rompere il silenzio. “è l'averti permesso di farmi odiare Mikael ancora di più dopo quello che ha cercato di farti.

Lo spirito guerriero che ruggiva dentro di me smise di combattere. Spalancai lentamente gli occhi per la sorpresa e cercai di capire cosa celasse quella frase. Provai a cercarne il significato nel suo sguardo, ma anche quello, in quel caso, veniva oscurato dalla negatività che Klaus cercava sempre di mettere in piazza.

Lui mi lasciò lentamente il polso, ma non lasciò la corda invisibile che univa i nostri sguardi.

Non mi spiegò quella frase, mi diede le spalle e uscì dalla stanza, senza più voltarsi verso di me.

Mi portai il polso al petto, dove la mano stringeva ancora il fermaglio, e presi un respiro lunghissimo, mentre guardavo il punto dove fino a poco prima si trovava il ragazzo.

Speravo quasi che nel vuoto che lui aveva lasciato in quel preciso punto, potessi trovare il vero significato di quella frase.


Buon pomeriggio! :)

Prima di tutto non prometterò più di fare i capitoli più corti, perchè questa promessa sembra proprio che non riesca a mantenerla!

Spero vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, io ho dovuto rileggerlo una decina di volte per poi decidere di considerarlo, comunque, il peggiore tra tutti quelli che ho scritto. Ho paura di essere risultata frettolosa nelle descrizioni delle scene e se così realmente è stato, mi scuso con voi. Mi dispiace anche di non essere riuscita ad introdurre in questo capitolo Kat e Rebekah, ma saranno entrambe presenti nel prossimo. La nostra Klaus in gonnella, in particolar modo, sarà un personaggio “chiave” perchè diverse cose cambieranno dal prossimo capitolo in seguito, in parte, alle sue azioni.

Grazie a tutti coloro che leggono e sopratutto a tutti coloro che dedicano parte del loro tempo a commentarla! :D

E ringrazio anche tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, ricordate e seguite!

Alla prossima, ciao a tutti! ^^




















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Capitolo 15
*** The Transition ***


-The Transition-

Image and video hosting by TinyPic Trevor venne ad aprirmi dopo che bussai per la terza volta.

Se speravo dentro di me che il senso di colpa potesse essere represso da un solo sguardo, mi sbagliavo di grosso: lui era visibilmente irritato dalla mia presenza e, come me, doveva ritenermi responsabile della tragedia che era successa a Rose.

Ma come potevo dargli torto? Ogni volta che ripercorrevo le scene di quella notte, riconoscevo in me tutte le colpe riguardo ciò che le era accaduto.

Che vuoi?” mi chiese lui, dopo aver roteato gli occhi. Restò sulla soglia della porta e il suo sguardo lo potei definire glaciale, sembrava che non volesse farmi entrare.

Abbassai lo sguardo colpevole, non sapendo che mossa compiere dopo quelle parole.

Una violenta folata di vento mi investì, scompigliandomi i capelli che portavo liberi sulle spalle. Il mantello si mosse con essi, avvolgendomi il corpo come in un caldo abbraccio, solo le mani restarono libere e continuavano a stringere una rosa rossa. Sapevo che non era un dono utile per potersi far perdonare, ero quasi certa che ormai avevo perso l'amicizia di Rose per sempre.

Vedendo che non facevo nulla, Trevor alzò lo sguardo verso il cielo grigio, dove diverse nuvole si muovevano velocemente.

Torna a casa. Se non ci sono lord Elijah o lord Niklaus, tu non puoi entrare qui.” mi ricordò, facendo riferimento al patto che Klaus doveva aver loro imposto tempo prima.

Scossi la testa, per implorarlo a farmi entrare e vedere Rose, ma lui aveva preso una decisione, a quanto sembrava, irremovibile. E la mia ostinazione nel voler restare lo infastidì.

L'ultima volta che sei stata qui da sola, sappiamo entrambi cosa è successo.” Trevor varcò la soglia della casa con la testa, osservai i suoi occhi rancorosi e il modo in cui stringeva i denti.

Si ritrasse, quando si accorse che diversi raggi di sole bucarono le nuvole.

Quindi, per favore tornatene a casa.” disse, lasciandomi intendere che con quello voleva concludere la nostra discussione. Fece per chiudere la porta, ma si bloccò quando entrambi udimmo una voce provenire dal piano superiore della casa: una voce che aveva un suono familiare, ma era incrinata come in un lamento di morte.

Non udì quello che la voce disse, ma riconobbi solo le lettere del mio nome che vennero ripetute per ben due volte. Trevor si guardò indietro per un istante e lo sentì sbuffare, serrò le labbra seccato e alzò le sopracciglia, quando decide di arrendersi.

Spalancò la porta e mi fece segno di entrare, allungando il braccio di fronte a me. Varcai la soglia titubante, guardando il viso di Trevor che evitava deliberatamente il mio sguardo. Per un attimo, venni tentata dal voltarmi indietro e tornarmene a casa: non avevo il coraggio di fronteggiare quella colpa, sopratutto se aveva il volto di una persona a cui tenevo così tanto.

Ma poi, la forza di volerla rivederla, per assicurarmi che stesse bene, s'impadronì di me.

Accelerai il passo, superando rapidamente Trevor e dirigendomi verso la scalinata che portava al piano di sopra. Superai i gradini così velocemente, che per poco inciampai diverse volte.

Riconobbi la voce di Rose, non sapevo come avesse fatto a sentirmi: forse avevo fatto troppo rumore sulle scale, oppure i suoi sensi si stavano amplificando talmente tanto da poter percepire il mio respiro e magari anche il mio odore.

Lei doveva trovarsi nella sua camera e infatti, quando mi affacciai sulla sua umile stanza, la trovai seduta ai bordi del letto, con le mani tremanti affondate nel materasso e il volto paonazzo. Quello spettacolo fu nulla in confronto a quello a cui avevo assistito diverse sere prima, quando la ragazza era appena tornata alla vita: in quel momento era come se fosse morta, ma il soffio della vita la faceva rimanere in bilico tra la vita e la morte.

Trevor fu alle mie spalle, sentivo il suo sguardo pungente su di me, mentre osservavo Rose.

Lei mi sorrideva, si sforzava di farlo, privandomi così del senso di colpa. Ma non ci riuscì, anzi non fece che accrescere la colpa che già provavo nei suoi confronti.

Non volevo piangere, mi ero stancata di lasciarmi andare alle lacrime ogni volta che non sapevo affrontare una paura, ma in quel momento mi parve impossibile.

Ciao Irina.” mi salutò lei, quando mi sedetti accanto a lei.

Mi sedetti accanto a lei e osai porgerle quello stupido dono con cui, inconsciamente, sperai quasi di farmi perdonare. Lei la guardò, continuò a sforzarsi di sorridere e prese i fiore tra le mani, sfiorandone lentamente i petali. “Grazie, è bellissima.” disse e abbassò lo sguardo su di essa.

Peccato che quella rosa sarebbe appassita, proprio come avrebbe fatto la vita di Rose. I suoi petali sarebbero caduti lentamente, privandola così della bellezza che la vita le regalava.

In quel momento Rose era in piena fase di transizione, non sapevo come funzionava ma ero certa che bisognava nutrirsi di sangue il prima possibile, per completare la trasformazione.

Rose si accorse di come la stavo guardando e distolse lo sguardo dal fiore tra le sue mani “Non preoccuparti, sto bene. Non è nulla.” disse, continuandomi a sorridere nonostante non ce la facesse.

Distolse lo sguardo pochi istanti dopo, probabilmente il mio corpo doveva fargli percepire i rumori silenziosi del sangue che scorreva dentro di me. Cosa che doveva bramare, ma che stava combattendo in tutti i modi. Cosa sarebbe successo se non si fosse nutrita?

Rose, non va affatto bene. Perchè non dici alla signorina che morirai perchè non vuoi nutrirti?” disse Trevor, restando sulla soglia della porta, con le braccia strette al petto e lo sguardo truce rivolto verso di me.

A quelle parole rabbrividì, lanciai un'occhiata verso Rose e la vidi abbassare la testa, come se non volesse riconoscere ancora quella consapevolezza. “Non è colpa sua, ma di uno dei tuoi amichetti, Trevor.” rispose, con un lieve accenno di freddezza nella voce.

Un altro sforzo immane per il suo corpo troppo provato.

I vampiri non sono miei amici, Rose. Sai per chi mi sono avvicinato a loro...” la rimproverò il ragazzo, alzando il mento e guardando la sua amica. Il suo tono di voce era duro, ma trasmetteva un affetto nei confronti di Rose e della persona per cui si era avvicinato ai vampiri, cioè Katerina, che mi colpirono parecchio.

Un'altra ondata di senso di colpa si abbatté sul mio cuore. Posai la mano sui capelli di Rose e li accarezzai dolcemente.

Lei doveva nutrirsi di sangue.

Non potevo permettere che lei morisse.

Ma dovevo andare contro il suo volere? Non potevo scegliere al suo posto, anche se non sopportavo il fatto che lei si stesse praticamente uccidendo.

Per non diventare il suo incubo.

Nemmeno io sarei voluta diventare il mio incubo peggiore.

Irina, non dire nulla agli altri vampiri, te ne prego.” disse Rose, ignorando lo sguardo dell'amico e volgendo il suo verso di me. Lo disse proprio nel momento in cui mi era passato per la mente di rivolgermi ad Elijah: lui avrebbe potuto aiutarla e io non volevo mentirgli, non dopo quello che era successo tra di noi.

Ma Rose sembrava ferma sulla convinzione che lui, Klaus e gli altri non dovessero sapere nulla, ma perchè?

Se Klaus viene a sapere cosa mi è successo, prenderà lui la decisione per me. Lui si circonda di più alleati possibili per i suoi scopi e io non voglio diventare un vampiro!” mi spiegò la ragazza, stringendomi le mani con la sua. “Ti prego, promettimi di non dire nulla.”

Deglutii, appena mi accorsi di essermi appena ritrovata in un bivio. Mentire ad Elijah o tradire la promessa che Rose mi aveva chiesto di mantenere? Ero certa che se avessi detto qualcosa ad Elijah, lui l'avrebbe aiutata. Ma se non ci fosse riuscito? Klaus mi aveva beccato tante di quelle volte, che avrebbe potuto scoprire anche quella cosa. Che dovevo fare?

Mi limitai ad annuire, cercando di restare calma e di riflettere sul da farsi. Non volevo nemmeno lasciar morire Rose, ma non potevo obbligarla a nutrirsi e trasformarsi.

Rose mi sorrise, poi si schiarì la gola. Non capì cosa fosse successo dentro di lei, per farle cambiare così rapidamente espressione. Trevor sembrò riconoscere quel cambiamento, si avvicinò a me e mi porse la mano.

Ora devi andare.” mi disse, con una calma glaciale, guardò poi Rose che non replicò in alcun modo. “Le stai facendo venire fame.”

Sospirai, le mani di Rose si allontanarono dalle mie, per confermare la teoria dell'amico. Anche se mi dispiaceva andarmene, dovevo farlo per rispetto della mia amica. Mi alzai e seguii Trevor verso la scalinata, ma prima mi guardai un attimo indietro. Rose alzò lo sguardo su di me e sorrise, sapeva per certo che io avrei mantenuto la promessa che le avevo fatto.

Peccato che io non ne ero certa.


Approfittai dell'altro tempo che mi era rimasto per andare in biblioteca e fare ricerche su quello strano termine che il lupo, o chiunque lo guidasse, mi aveva fatto conoscere. Lo dovetti scrivere su un foglio perchè dimenticavo sempre il modo in cui era scritto, ma nonostante tutto non trovai nulla. In fondo, speravo di trovare qualcosa di soprannaturale in una comune biblioteca?

Per scoprire dei vampiri, mi era servito leggere un libro lasciatomi da uno stregone.

Decisi così di rincasare, avevo deciso di parlarne con Elijah e di avere risposte da lui, visto che era l'unica persona di cui mi fidavo e che conoscesse la vera realtà che ci circondava.

Anche se il pensiero di Rose continuava a bruciarmi dentro, come una fiamma viva, per diversi motivi: lei si stava lasciando morire per non diventare il suo peggiore incubo, ma io non volevo che ponesse fine alla propria vita in quel modo. Esistevano vampiri buoni, come Elijah e anche Trevor alla fine, perciò lei avrebbe potuto vivere da vampira ma mantenendo sempre integra la sua umanità. Ma non sapevo cosa capitava una volta che si assaggiava il sangue per la prima volta, Elijah mi aveva parlato di un qualcosa che ti scatta dentro e che ti priva di qualsiasi sentimento, positivo e negativo che sia.

Ciò che mi logorava di più era che, qualsiasi fosse stata la mia decisione, avrei comunque ferito o Elijah o Rose. Ero davvero nel bel mezzo di un bivio e non sapevo che strada scegliere.

Ero così immersa nei miei pensieri, che non mi accorsi di aver attraversato il giardino, i cui fiori venivano mossi dal vento a dir poco tagliente, e che mi stavo avvicinando al colonnato che anticipava l'ambiente esterno. Era deserto, eccetto la presenza di una coppia che lo stava attraversando a braccetto, chiacchierando allegramente.

Katerina e Klaus.

Mi bloccai a pochi metri da loro e odiai quell'immagine. Non perchè mi desse fastidio vederli insieme, ma perchè Klaus continuava a prendersi gioco di mia sorella: l'aveva soggiogata e me l'aveva portata via, solo perchè aveva quel maledetto potere.

Invece lei doveva odiare lui, non me.

Ma come avrei potuto farglielo capire? Intanto sorrisi di fronte al pensiero che quella volta ero io che stavo fregando Klaus. Lui credeva che fossi così ingenua da aver accettato il patto della notte precedente e da aver di nuovo abbassato la guardia, consentendogli così di essere partecipe a tutti i miei segreti. Ma avevo ancora il lupo, quella strana parola e la brutta vicenda di Rose che gli tenevo nascosti. E, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, sentii di essere io quella ad un passo davanti a lui.

Non sapevo cosa me ne desse la certezza, fino ad allora Klaus mi aveva fregato senza che me ne accorgessi, ma sentivo che quella volta ero io la più forte tra i due, perchè lui credeva davvero che io gli avrei riposto la mia fiducia. Come poteva pensarlo dopo tutto quello che mi aveva fatto? Continuai ad osservarli, mia sorella sorrideva e teneva sottobraccio Klaus che sorrideva a sua volta. Una volta ero contenta di vederla felice con lui, ma la sua felicità nasceva solo da una bugia.

Klaus era una bugia.

Loro due mi videro, mia sorella perse rapidamente il sorriso mentre Klaus mi guardò privo di espressione. Strano che non sorridesse per voler sottolineare la sua vittoria “meritata” nei miei confronti. Katerina distolse lo sguardo, ma non le feci una colpa per il suo comportamento: era stata soggiogata ad odiarmi dal bastardo che le stava accanto.

Buongiorno Iry.” mi salutò Klaus, fermandosi di fronte a me insieme a mia sorella che continuava a non volermi guardare.

Non risposi al suo saluto, mi limitai a guardarlo nella maniera più glaciale possibile e mi domandai quando avrebbe smesso di prendermi per i fondelli. Sarebbe arrivato il giorno in cui lo avrei sconfitto prima o poi? Il giorno in cui sarebbe stato lui quello a non sapere cosa fare per fronteggiarmi?

Quel giorno non sarebbe mai arrivato probabilmente, ma intanto volevo godermi i miei tre piccoli e terribili segretucci di cui lui non sarebbe mai venuto a conoscenza probabilmente.

Non si risponde al saluto con la manina?” mi chiese poi, sorridendomi in modo da mascherare la parvenza di minaccia che risiedeva nella sua voce.

Un altro schiaffo gli sarebbe stato bene in quella maledetta faccia.

Guardai Katerina, non riuscire ad incontrare il suo sguardo mi provocava un dolore immenso che non riuscì a trattenere e che servii su un piatto d'argento a Klaus.

Purtroppo lui non era stupido, sopratutto con me, e se ne accorse subito.

Katerina alzò lo sguardo su di lui e sorrise debolmente. Il vento le scompigliò i ricci castani che le coprirono il viso. “Vado in camera a preparare i bagagli.” disse, sistemandosi un ciuffo dietro le orecchie. Bagagli? Piegai la testa da un lato e guardai interrogativa Klaus, chiedendomi che piano malato avesse ordito quel giorno. Visto che ne aveva sempre uno nuovo.

Mia sorella cercò di superarmi, ma Klaus la fermò prendendola per il polso. Lei si fermò a pochi centimetri dalla mia spalla, con cui cercava di non scontrarsi in tutti i modi, e si girò verso di lui.

Odiavo quando Klaus assumeva le sue finte espressioni dispiaciute, perchè mi provocavano una rabbia per cui avrei perso volentieri il mio autocontrollo.

Aspetta Kat, devo dirti una cosa.” disse e mi venne da sputargli in faccia per essersi azzardato a chiamare così mia sorella. Lui non ne aveva alcun diritto.

Si voltò verso di me, con il suo sguardo che una persona ingenua avrebbe definito da cucciolo, ma che celava un vero bastardo. “Glielo diciamo Irina?” mi chiese, come se fossi sua complice di chissà cosa. Lo guardai senza capire, eliminai subito l'opzione che volesse dire a mia sorella dei vampiri e quindi non capivo dove volesse andare a parare. “Dobbiamo dirle che cosa abbiamo fatto.”

Andai nel panico e sbarrai lo sguardo, conoscendolo bene ormai temevo che avesse messo in atto un altro giochetto e che magari volesse dire a Katerina che eravamo andati oltre il bacio. Perchè da lui ci si sarebbe aspettata qualsiasi cosa ormai, dopo il morso al collo che mi aveva lasciato.

Katerina ci guardò entrambi, senza capire. “Fatto...cosa?” chiese.

Mi morsi le labbra con una forza tale che per poco le feci sanguinare, Klaus continuava a guardarmi con quella maledetta espressione che tanto mi faceva andare fuori di testa per la rabbia. Se avesse provato a dire una cosa simile, gli sarei saltata alla gola in quel momento.

Lui scoppiò a ridere e dovetti inspirare per poter restare calma. “Dello scherzo Iry, ricordi?”

Si spense tutto: quella fiamma nera che era partita dal mio stomaco e che stava salendo fino alla testa per l'odio che nutrivo nei confronti di Klaus si placò. Mi ritrovai a fissarlo con aria interrogativa e con il fiato sospeso troppo a lungo.

Katerina era più confusa di me e Klaus si volse verso di lei.

Non ci siamo mai baciati, Kat.” le disse. “Avevamo solo fatto una piccola e stupida scommessa per gioco. Ma ho vinto io perchè tu ci hai creduto.”

Guardai subito mia sorella, la cui espressione si addolcì sempre di più. In cuor suo doveva sapere che non ero il tipo da baciare un uomo di cui lei era invaghita e quindi, per mia stessa sorpresa, credette alle parole di Klaus. Lui era bravo a convincere le persone con poche parole e con quella sua maledetta voce profonda, tanto che per poco mi convinsi anche io della storia della scommessa.

Katerina tirò un sospiro e mi guardò con aria colpevole, doveva sentirsi in colpa per la nostra litigata anche se lei c'entrava relativamente poco. Non capivo se fosse stata soggiogata oppure no, il fatto che Klaus avesse messo in atto quella scena davanti ai miei occhi doveva significare qualcosa. E poi non mi stupivo più di tanto del fatto che Katerina avesse creduto così facilmente alle parole di Klaus: se potevo riconoscergli una qualità, era quella di essere un bravo oratore.

Lo..lo avevo capito che era uno scherzo.” disse, cercando di mascherare l'imbarazzo di quella situazione. Klaus fingeva di non sapere di quell'interesse che Katerina nutriva nei suoi confronti e lei voleva continuare a recitare la parte di colei che non era invaghita di lui, anche se era piuttosto palese. “Infatti non credevo possibile che mia sorella potesse mentirmi.”

In quel momento l'abbracciai, alla faccia dell'imbarazzo che la presenza di Klaus le provocava. Ne avevo bisogno, odiavo litigare con lei sopratutto quando non avevo alcuna colpa.

Le accarezzai la schiena per tranquillizzarla, appena le sentì sussurrare al mio orecchio che le dispiaceva.

Guardai verso Klaus e stranamente non mi stava sorridendo da sbruffone.

Quella era una dimostrazione. Forse per provarmi che, quella volta, ci sarebbe davvero stata una tregua tra noi e voleva dimostrarmi che meritava la mia fiducia solo perchè aveva riparato il mio rapporto con Katerina senza ricorrere ai suoi poteri.

O magari lo aveva fatto prima? Non lo sapevo, ma se davvero non l'aveva soggiogata, dovetti riconoscere l'umanità di quel gesto.

Cancellai subito quel pensiero e mi sforzai di trovare il tornaconto che gli sarebbe spettato.

Ci vediamo in camera, devo piegare tutti i vestiti e piegherò anche i tuoi per chiederti scusa.” disse poi Katerina velocemente, mi diede un bacio sulla guancia e mi superò di corsa correndo verso le camere. La guardai scomparire verso la porta in fondo al colonnato, poi realizzai di essere rimasta sola con Klaus.

Me lo devi un grazie ora?” mi chiese lui, quando tornai a guardarlo. Le sue labbra si allargarono in un sorriso che aveva del provocatorio e posai la schiena sulla colonna dietro di me. Non lo ringraziai, ma mi chiesi cosa ci fosse sotto quella faccenda e cosa significasse la storia dei bagagli. Lo fissai a lungo, perchè una parte di me mi spingeva a fidarmi quella volta?

Credici o no, ma non l'ho soggiogata. Prendila come una dimostrazione del fatto che mi serve davvero quella tregua.” aggiunse poi. Ma chi mi dava la prova che non mi stava mentendo? Lo guardai attentamente ma, non conoscendo nemmeno una sua espressione sincera, non sapevo dire se potevo credergli o meno.

Klaus inarcò le sopracciglia di fronte alla mia espressione. “Che fai, mi scruti?” mi chiese.”Sono stato carino stavolta e la tua faccia spaventata di poco prima sarebbe stata da incorniciare.”

Mi venne da sorridere, ma nascosi subito quella mia debolezza cercando di voltarmi dall'altra parte, in maniera che il vento portasse i miei capelli sulle mie labbra.

Sorridere era forza per me, consapevolezza di trovare gioia in quello che avevi di fronte, ma con Klaus sorridere era debolezza. Purtroppo con lui, la vera forza era odiare.

Ancora cercai di trovare la strana macchinazione che Klaus aveva potuto mettere in atto con quella storia, ma non la trovai.

Hai sorriso?” mi chiese lui, rompendo improvvisamente il silenzio.

Mi voltai verso di lui e notai qualcosa di diverso nel suo viso: mi guardava incredulo, come se avesse appena scoperto che anche io sapevo sorridere. Io sorridevo con Elijah e Katerina, non era colpa mia se lui voleva solo farmi paura.

E poi non gli importava nulla di me alla fine, quindi non capivo quella sua espressione.

Non lo avevi mai fatto prima con me e devo dire che sei meno brutta quando sorridi.” continuò poi. Eccola la parte in cui Klaus mi faceva ricredere di tutto, arrivava sempre prima o poi.

Distolsi di nuovo lo sguardo e lo posai in basso, cercando di non far abbassare il livello della mia autostima da lui. Klaus fece un passo verso di me e io strisciai più in là, anche se di poco, lungo la colonna.

Ti starai chiedendo perchè Katerina sta preparando i bagagli.” mi disse, con la coda dell'occhio lo vidi piegare la testa verso di me per guardarmi in viso. Sobbalzai quando la sua mano giunse a scostarmi i capelli dal viso, ma l'allontanai appena mi sfiorò la pelle e feci da sola.

Klaus non si stupì di quel gesto e fece finta di nulla, voleva solo provocarmi come al solito. “Ci trasferiamo per un pò in un'altra mia residenza. Da quelle parti abita una mia amica che ha trovato altri ingredienti per quell'incantesimo di cui parlavamo ieri, ricordi? Saremo solo io, te, tua sorella e i miei fratelli...meno siamo, meglio è, visto che nessuno conosce la fedeltà.”

Distolse lo sguardo e lo posò verso i giardini alle mie spalle. Stranamente, uno strano bruciore si focalizzò sul mio petto e riconobbi un altro senso di colpa.

Perchè Klaus sembrava sincero, aveva legato a me il suo senso di fedeltà e io non lo stavo mantenendo, perchè ero convinta che sotto le sue azioni si celasse sempre qualcosa di malvagio.

Ma se in quel caso mi stavo sbagliando? Se in quel caso, ero io il Klaus della situazione?

Irina, stavolta puoi davvero fidarti di me.” disse lui, tornando a guardarmi mentre io cercavo nel vento la risposta al perchè mi sentissi così male. “Tu sai cosa significa scappare da un padre e so che puoi comprendermi. Questo non vuol dire che io abbia cambiato idea su di te, le idee e i pensieri mutano dopo tempo. E io ti trovo ancora poco simpatica, proprio come tu trovi poco simpatico me e la cosa non m'interessa minimamente. Ma ho bisogno della pace necessaria per poter affrontare mio padre e so che tu puoi davvero comprendermi.”

Anche se aveva detto una cosa poco carina su di me, non ci feci caso. Era tutto il resto che mi stava facendo davvero male in quel momento. Non riuscivo a guardarlo.

Quindi so che non creerai più fastidi e mi fido di te in questo caso.”

Aveva davvero abbassato la guardia. Lo aveva fatto con una velocità che mi spiazzò, solo perchè la paura per Mikael era troppo forte da tollerare per lui. Alzai lo sguardo sul suo viso, pensai nuovamente che fosse sincero ma poi rimembranze del dolore che lui stesso mi aveva procurato si fecero largo in me.

Dovevo gioire di quella mia piccola vittoria, ma non ci riuscivo.

Continuiamo pure ad odiarci, non m'importa.” volle concludere lui. “Ma siamo stati bravi a nasconderlo fino ad adesso, continuiamo a reprimerlo fino a quando non sarà tutto finito.”

Serrai le labbra, quando lui mi superò dopo avermi riservato una lunga occhiata.

Urlavo a me stessa di essere contenta, che forse avrei vinto almeno una volta su Klaus.

Ma non ci riuscii.


Un lupo? Dici sul serio?”

I sensi di colpa si susseguirono uno dopo l'altro in quella giornata: prima Rose, poi Klaus e infine Elijah. Mi disse che avevo bisogno di svagarmi dopo quello che era successo la sera prima e mi portò di nuovo al lago. Ci stendemmo sulla riva di esso e guardammo il vento che trasportava velocemente le nuvole in cielo. Era freddo, ma la vicinanza di Elijah mi procurava una sensazione di calore inimmaginabile. Dopo il bacio, mi ero sentita una stupida: non facevo altro che guardarlo e ammirarne la bellezza quando lui non mi guardava, poi il senso di colpa per dovergli nascondere di Rose, mi impediva di gioire di quel momento.

Gli avevo appena detto del lupo, gli chiesi se potesse trattarsi di un licantropo ma poi mi ricordai che lo avevo visto anche in pieno giorno e che la scorsa notte non c'era stata la luna piena. Quindi doveva trattarsi di un normale lupo che entrava in una casa e aggrediva un vampiro...era assurda una cosa simile.

Elijah volse lo sguardo verso di me, stavamo rilassati sopra il prato e spesso delle foglie volavano di fronte al nostro sguardo, trasportate via del vento gelido. Mentre guardavo le varie forme delle nuvole, mi sembrava di volare o magari era Elijah a farmi sentire così.

Sentivo le nostre mani vicine, ma che limitavano a sfiorarsi. “Credi che sia Bell a mandare tutta l'allegra fattoria da te?” mi chiese.

Scoppiai a ridere, adoravo quando non faceva il serio perchè era un lato che sembrava tirare fuori solo con me, per farmi affrontare meglio quello che mi circondava. Poi tornai seria e annuii, ricordavo ancora il modo in cui Philippe aveva guardato l'animale e rabbrividii.

Scopriremo chi è Bell.” mi tranquillizzò Elijah, quando vide l'espressione sul mio volto cambiare. “L'amica di Klaus può aiutarci anche in questo, gli ho rivolto la parola stamane solo per dirgli che lei poteva risultarci utile. Con me ha chiuso per un po' dopo quello che ti ha fatto.” disse e tornò a guardare il cielo, una nuvola a forma di qualcosa che sembrava vagamente un cuore attraversò il cielo.

Lo guardai e sorrisi, ma era un sorriso che celava un chiaro senso di colpa che detestavo provare, almeno nei confronti di Klaus. Elijah lo odiava in quel momento, anche se sapevo che un fratello non lo si poteva odiare per sempre, e io non potei che detestarmi per esserne la causa.

Poi mi ricordai un altro elemento importante: Mikael conosceva il mio nemico e ne era spaventato. Mi misi a sedere ed Elijah mi guardò, sorpreso dal modo in cui la mia espressione ruppe la serenità che ci circondava. Prima che potesse chiedermi qualcosa, gli siglai il nome di suo padre e il gesto conoscere. Poi mi toccò siglare il nome di Bell.

Mikael lo conosce?” chiese incredulo, restando però disteso, con una mano sugli occhi per pararsi dalla debole luce solare. Annuii e lui distolse lo sguardo preoccupato.

E ne ha paura? La cosa allora è più preoccupante di quanto credessi...” disse e non potei che dargli ragione. Mikael era terrificante e se temeva un altro essere, voleva dire che questo era ancora più spaventoso di quanto era lui. “Troveremo un modo per fermarli entrambi. Non temere.” disse poi, facendomi dimenticare il tutto con un sorriso che, però, mi sembrava forzato.

Non volevo più pensare per un po' a quella storia, faceva male anche a lui e quindi volevo allontanare quei pensieri spaventosi dalle nostre menti.

Gli presi la mano, i nostri palmi si sfiorarono e un ondata di calore mi pervase il braccio, fino a giungere al cuore. Intrecciai le dita con quelle affusolate di lui e il suo sguardo si posò su di me.

Le sue labbra si allargarono in un sorriso più naturale e, improvvisamente, si alzò.

Mi ritrovai distesa nuovamente sull'erba e lui si accostò a me, posando le mani accanto alla mia testa e lasciando le mie gambe distese vicino alle mie.

Il cuore iniziò a battermi all'impazzata, mentre lui mi guardava e mi sorrideva in quel modo. Mi accarezzò la guancia che andò a fuoco e mi accorsi che stavo trattenendo il respiro, perchè non volevo permettergli di sfiorare la pelle del suo viso. La sua mano si fermò sotto il mio mento e avvicinò il volto a me, sfiorandomi il naso con il suo.

Tu non sai di essere bella, vero?” mi chiese, lo faceva apposta per farmi diventare più rossa? Nascosi il viso in una mano perchè provai un imbarazzo incredibile, Klaus mi aveva detto che ero brutta la sera prima,anzi disgustosa, invece lui mi aveva appena detto il contrario.

Quel suo lato meno freddo lo adoravo quanto quello più distaccato che assumeva spesso.

Allontanò la mano dal mio viso e sembrò non volersi perdere un istante del mio sorriso, mi sfiorò le labbra con il pollice poi si chinò su di me per baciarmi. Quel gesto mi provocava ancora sensazioni di cui non riuscivo a capacitarmi, troppo forti e intense per essere reali.

Mi sentii andare a fuoco, man mano che il bacio si faceva più appassionato. Le sue mani scesero sui miei fianchi e le braccia mi cinsero, le mie invece salirono ad incontrare i suoi capelli lunghi e soffici. Mi dimenticai di tutto, quando mi sentivo sua, non avevo problemi o pensieri per la testa che potessero impedirmi di stare bene. Le sue labbra scesero poi sulla mia guancia, la ricoprirono di baci e poi giunsero sul mio collo.

Un brivido intenso mi attraversò la schiena in quel momento, quando le sue labbra si soffermarono a lungo su quel punto sotto il mio orecchio.

Ma notai che Elijah aveva alzato quasi subito la testa. Doveva aver sentito qualcosa sotto pelle, che lo aveva fatto vergognare di quell'azione.

Tornò a guardarmi, la sua espressione raffigurava una colpa che riconobbi subito. “Scusami, ho esagerato..” disse. Aveva percepito il mio sangue, ma non gliene feci certo una colpa.

Scossi la testa e lo guardai intontita dai baci di poco prima, il suo sguardo però cadde sul mio braccio, quando mi portai la mano sulla fronte per sentirla troppo accaldata.

Cos'è questo?” mi chiese curioso e prese il foglietto che era nascosto nella manica del mio abito rosso. Si mise a sedere accanto a me e lo lesse, mi ero scordata di dirgli della cosa del doppelganger e osservai il suo volto assumere un'espressione che avevo visto troppe volte e che speravo di non dover vedere ancora. Ma quella appariva sempre, a ricordarmi che c'era qualcosa che tormentava Elijah dentro.

Dove hai scoperto questa...parola?” mi chiese, voltandosi verso di me. Mi rizzai a sedere accanto a lui e lo guardai interrogativa, gli chiesi se sapesse cosa significasse e lui allora volse lo sguardo lontano da me.

I suoi occhi scuri erano difficili da sopportare, era carichi di una malinconia e di un dolore che avrei tanto voluto cancellare.

Prese un lungo respiro e deglutì. “Si tratta di...” si bloccò e lasciò che il silenzio ci circondasse, sentivo solo il rumore del vento attorno a noi.

Lo guardai mentre abbassava la testa e stringeva il foglio con forza.

È il nome dell'incantesimo che vuole fare Klaus.” disse una voce dietro di noi, una voce che riconobbi subito e che lasciava trasparire un'acidità che poteva appartenere solo ad una persona.

Rebekah se ne stava a qualche metro da noi, si teneva le braccia strette al petto sotto il mantello e ci guardava con un'espressione fastidiosamente seria che sul suo volto calzava a pennello.

Aveva i capelli raccolti in una lunga treccia, che dondolava sulla sua spalla destra, spinta dal vento ghiacciato che soffiava su di noi. Mi chiesi se lei avesse qualche sentore nella testa per cui sapesse per certo quando venire a rovinare tutti i nostri momenti.

Elijah la guardava serio, continuava a stringere il foglio tra le mani e non disse nulla. Per tutta risposta, Rebekah rimase a fissarlo intensamente, come se volesse trasmettergli un determinato pensiero. “Tanto ormai lo sa, Elijah. Diglielo.” disse, con una durezza che aveva adattato perfettamente alla sua voce.

Guardai Elijah accanto a me e lo vidi annuire lentamente appena il mio guardo si posò sul suo viso. Ma il fatto che non mi guardava e che teneva i suoi occhi bassi perchè sapeva che avrei potuto riconoscervi il dolore, mi fece preoccupare.

Ma io mi fidavo ciecamente di Elijah a differenza di Klaus e sapevo che lui non mi avrebbe mai mentito. Cosa lo preoccupava non lo sapevo, ma ero sicura che non poteva trattarsi di qualcosa di terribile per me o per chi mi stava accanto perchè sapevo che lui non lo avrebbe permesso.

Allora perchè non riuscivo ad accettare quella storia dell'incantesimo?

Che cosa vuoi Rebekah? Perchè sei qui?” Elijah si alzò in piedi e allungò la mano verso di me per aiutarmi a fare lo stesso. Per poco inciampai sulla gonna e lo tirai un po' a me, ma lui non ci fece caso. Rebekah continuava a guardarci con una freddezza unica: non mi aveva mai guardato con chissà quale calore, ma in quel caso stava superando sé stessa.

Forse aveva visto i baci di poco prima.

E il fatto che stessi tenendo inconsciamente per mano Elijah, accresceva la sua rabbia. Rimediai subito, non avevo voglia di avere grane con lei, ora che potevo essere un po' più tranquilla dopo la tregua con Klaus.

Nik ti vuole parlare, fratello. E siccome vedo che non hai niente di meglio da fare, credo che tu debba affrettarti a raggiungerlo.” rispose Rebekah, alzando il mento in segno di sfida verso di lui. Il mio sguardo cadde sul ciondolo che lei teneva al collo, ricadeva sulla stoffa del suo vestito color ambra e metteva in risalto il suo collo lungo e pallido.

Mi soffermai così a lungo ad ammirare quel gioiello, che non mi resi nemmeno conto della chiara frecciatina nei miei confronti da parte della ragazza. Forse mi ci ero talmente abituata che non gli diedi nemmeno tanto importanza.

Elijah la fissò distrattamente, stava guardando il viso della sorella ma i suoi occhi erano in realtà spenti in quel momento. Era chiaro che stesse pensando ad altro, tanto che pure a lui era sfuggita la battuta di Rebekah. E a lei la cosa non piacque, perchè non le piaceva essere ignorata e in quello era uguale a Klaus. O meglio, era in tutto uguale a Klaus, solo che era donna.

Il vento continuò a soffiare prepotentemente su di noi, ciuffi dei miei capelli mi coprirono gli occhi proprio nel momento in cui Rebekah si voltò verso di me. Il silenzio del fratello doveva essere stato preso da lei come una risposta.

Dove sei stata stamattina, Iry?” mi chiese e un sorrisetto di sfida che non gli riusciva bene in quell'istante, apparve sul suo viso. Il cuore mi si fermò per un secondo, quando Elijah mi guardò con la coda dell'occhio. Il ricordo della verità che gli tenevo nascosta tornò a farsi sentire in tutta la sua violenza, mi sembrava di sentire come una lama che colpiva una ferita già aperta nel mio cuore.

Odiavo mentirgli, anche se lo stavo facendo per Rose. E odiavo che Rebekah sembrasse essere a conoscenza di qualcosa: a lei non interessava quello che facevo di mattina, quella domanda nasceva da un sospetto che doveva aver appurato in qualche modo e che voleva ritorcere contro di me. “Di solito ti vedo sempre sgambettare di qua e di là per i corridoi con quel tuo faccino sincero....ma non stamattina.”

La parola sincero venne pronunciata con inequivocabile sarcasmo: lei sapeva che stavo nascondendo qualcosa. Forse non sapeva cosa, ma il sospetto in lei era ben presente.

Continuammo a guardarci, Rebekah mantenne costantemente il suo sorriso di sfida sulle labbra, malgrado fosse evidente che la rabbia le stava salendo sempre di più.

Era nervosa. E il fatto che le sue guance si stessero colorando quasi di rosso ne erano la prova.

Irina non si trova in una prigione, Bekah. Se vuole uscire, può farlo liberamente.” disse Elijah, con tono di rimprovero.

Tu non hai alcun diritto di concederle tutte queste libertà, Elijah.” replicò lei con sfida, ma si sforzò comunque di mantenere un tono controllato, perchè si stava riferendo al fratello maggiore che considerava il suo scudo. Come al solito, mi immaginai un altro modo di rispondere a Klaus.

E tu e Klaus non avete alcun diritto di approfittare della vostra forza, sono stanco della vostra vigliaccheria.” rispose ancora Elijah e notai che si stava davvero indisponendo. Non era da lui perdere il controllo, lo avevo visto svanire solo quando Klaus mi aveva morso sul collo, e sopratutto non era una persona che lo avrebbe perso davanti alle battutine della sorella.

Era qualcos'altro che lo stava facendo scattare.

Rebekah guardò a lungo gli occhi scuri del fratello. Doveva addolorarla vederlo così adirato con lei, ma il suo orgoglio e la sua rabbia erano più forti di quella pena. “Tu sei un uomo di onore, Elijah. Sei sempre stato il più virtuoso tra tutti noi.” disse, con voce profonda e affilando i suoi occhi blu mentre guardava il volto del fratello, che ogni tanto veniva coperto dai suoi capelli mossi dal vento. Dietro di noi, riuscivo a percepire lo scrosciare dell'acqua del lago, come se fosse giunto a riempire il silenzio che si era creato attorno a noi dopo la frase di Rebekah.

Ero invisibile in quel momento, malgrado fossi io la causa di quella discussione.

Avere quel ruolo non mi piaceva, odiavo sentirmi sporca di tutte quelle colpe.

Ma in questo caso, sei sul nostro stesso livello. Altrimenti la storia dell'incantesimo sarebbe venuta fuori da un pezzo, non credi?” concluse Rebekah.

Elijah restò in silenzio, guardai di nuovo il suo volto ma era nascosto dai capelli che lui quasi si rifiutava di scostare. Intanto Rebekah aveva alzato le labbra all'insù sulla guancia sinistra, squadrava il fratello in un modo che mi mandava in bestia.

Non sopportavo come lei e spesso anche Klaus parlavano di Elijah, come se fosse davvero al loro livello. Peccato che era a livelli ben più superiori: loro erano deboli, manifestavano tutto quello che provavano con la rabbia e la violenza perchè l'umanità che probabilmente risiedeva dentro di loro era una cosa che non sarebbero riusciti ad affrontare. Elijah invece era più forte, lui sapeva manifestare sentimenti positivi e negativi in maniera sempre più onorevole, più umana di come farebbe un essere mortale. Quindi Rebekah non aveva il diritto di dire quelle cose.

Sopratutto se tutto quello che faceva nasceva dall'amore che lo legava a loro.

Strinsi i pugni lungo i fianchi e la guardai con rabbia, lei però mi stava ignorando e continuava a guardare Elijah. Quest'ultimo mi posò una mano sulla spalla, come se avesse deciso che era il momento di porre fine a quello che stava succedendo. “Andiamo Irina, torniamo a casa.” disse, la sua mano si soffermò solo per qualche secondo, come se non volesse osare toccarla troppo a lungo. Guardai i suoi occhi e il suo sorriso e non mi sfuggì quel mostro invisibile che lo stava logorando in quel momento, colpa delle parole taglienti di Rebekah.

Lei sapeva quanto lui valesse, non si sarebbe nemmeno potuta permettere di parlare in quel modo. Anche se era sua sorella e quindi aveva più diritto di rivolgersi a lui anche in maniera fredda, non lo tolleravo.

Volevo lanciarle uno sguardo carico di tutto il disprezzo che mi avevano causato le sue frasi, ma poi mi ricordai che anche io avevo delle colpe nei confronti di Elijah.

Quindi non avevo nemmeno io il diritto di parlare.

Ci stavamo allontanando lungo la strada che affiancava quel lato del prato e i nostri piedi calpestarono i sassolini bianchi che la ricoprivano. Rebekah restò immobile dove si trovava, con il busto rivolto verso il lago e la treccia che ballò insieme al vento dietro la sua schiena.

L'unica cosa che cambiò in quella sua posizione, fu che volse la testa verso di noi. Come un falco pieno di fierezza.

Dov'è Philippe, Elijah?” chiese a voce alta, ma senza scomporsi troppo. Non le importava nulla di Philippe, probabilmente voleva solo verificare che il fratello non le mentisse.

Ci fermammo all'unisono e lanciai un'occhiata verso Elijah al mio fianco.

Il suo viso s'irrigidì mentre il vento gli scompigliava i capelli che parvero vibrare nell'aria. Mentre si voltava per guardare la sorella il suo sguardo si posò a lungo su di me, mi chiesi se avesse in mente di dire la verità a Rebekah riguardo la morte del suo fidanzato e la risposta mi fu subito chiara: Elijah non le avrebbe mai mentito, per quanto la verità potesse, forse, ferirla. “Philippe è morto, Rebekah.” disse solo, con fare serio.

Mi voltai a guardare l'espressione della bionda che restò impassibile. Sapevo che non le importava nulla di quel ragazzo, ma non mi sarei mai aspettata che la sua reazione di fronte alla sua morte fosse stata nulla.

Lavorava per Mikael e tramava alle nostre spalle, ha cercato di uccidere Irina....strappargli il cuore dal petto era un mio obbligo, non trovi?” aggiunse poi.

Calò il silenzio, attraversato unicamente dal flusso del vento che soffiava imperterrito su di noi.

Ogni volta la sincerità di Elijah mi stupiva: nonostante Klaus avesse deciso che non era necessario dire a Rebekah di quello che era accaduto, lui aveva preferito non mentirle e dirle le cose come stavano. Era una delle cose che adoravo di più in lui: non mentire alla propria famiglia era uno dei valori più profondi da imparare, perchè nasceva da radici molto più antiche della propria vita. Quello che io non stavo facendo con mia sorella purtroppo.

Osservai la reazione di Rebekah e mi stupii di non vederla mutare in paura, terrore o almeno sorpresa. Sembrava che sapesse già tutto al riguardo, ma com'era possibile?

Le sue labbra si allargarono in un sorrisetto furbo, che venne quasi coperto dalla treccia spinta nuovamente sulla sua spalla. “Lo sapevo, ho spremuto un po' Klaus per farmi dire tutto e alla fine ha ceduto.” disse e alzò le spalle, sentendosi probabilmente vittoriosa.

Alzai le sopracciglia per la sorpresa, Rebekah era davvero una Klaus in gonnella: già me la immaginavo mentre batteva i piedi per farsi dire tutto dal fratello, ottenendo così ciò che voleva.

Erano capricciosi e spesso anche maledettamente pericolosi nella stessa maniera.

Ma non potei fare a meno di notare che anche nei suoi occhi si accese quella luce di paura che avevo visto nei suoi fratelli all'udire il nome di loro padre, un nome che raffigurava secoli e secoli di terrore e fughe.

Elijah piegò la testa da un lato confuso. “Allora, perchè questa domanda scusa?” chiese.

Ma sapevamo già entrambi la risposta, Rebekah era brava quanto l'altro biondo della famiglia a mettere in atto giochetti perversi con la mente. Abbassai lo sguardo sulle pietre sotto i nostri piedi e attesi la risposta di Rebekah che giunse pochi istanti dopo.

Io, te e Klaus saremo sempre sinceri tra noi, non ci possono essere menzogne.” rispose e me la immaginai ancora con quel suo sorrisetto sulle labbra. “Ma siamo solo noi tre, altre figure non possono competere.”

Era chiaro che la figura in questione ero io, perchè, come lei aveva amabilmente ricordato poco prima, Elijah mi aveva tenuto nascosto la storia dell'incantesimo e tutto il resto che poteva annidarsi dietro quella storia.

Pensandoci, non capivo perchè tenermelo nascosto, ma probabilmente si trattava di un segreto che Klaus gli aveva detto di mantenere. Continuai a dirmi che non poteva esserci nulla di seriamente pericoloso dietro quella storia, visto che Elijah ne era coinvolto.

Non gli avrei mai fatto una colpa per quella storia, perchè anche io gli stavo mentendo in quel momento e lo stavo facendo, forse, per una buona causa.

Lui per la sua famiglia, io per amicizia. Cosa c'era da rimproverarsi? Anche se sembrava che il senso di colpa logorasse entrambi. Alzai lo sguardo su Elijah, anche lui aveva abbassato gli occhi dopo le parole della sorella che erano stato seguite da un lunghissimo silenzio.

Andiamo, Irina.” disse poi, toccandomi lievemente la spalla destra e facendomi segno di proseguire a camminare. Intanto il cielo si era coperto di nuvole nere, lanciai un'occhiata verso Rebekah che invece stava fissando intensamente l'acqua cristallina di fronte a sé.

Stranamente, mi parve che il suo sorriso si fosse spento.


Tornai da Rose quella sera stessa, mia sorella e i tre vampiri erano impegnati nel preparare i bagagli per poterci poi trasferire in quella meta misteriosa che Klaus aveva scelto per tutti noi.

Approfittai così di quel momento di distrazione generale per allontanarmi, mi guardai indietro più e più volte per assicurarmi che nessuno mi stesse seguendo e finalmente giunsi davanti alla porta di Rose. Mi guardai di nuovo attorno, con il fiatone e il cuore che mi batteva a mille.

Era la notte più buia e gelida che ricordassi, il vento sembrava tagliarmi la pelle e il mantello non bastava a ripararmi da quel gelo. Per non parlare di tutti i pensieri accusatori che mi lanciava la mia testa nel mentire ad Elijah.

Io non potevo aiutare Rose, lui invece sì.

E se gli avessi parlato di quella situazione, Rose mi avrebbe perdonata forse in futuro e avrei dato ad Elijah una dimostrazione della piena fiducia che provavo nei suoi confronti.

Ma avevo paura nel rompere quella promessa.

Mi diedi coraggio e bussai più volte alla porta, attesi per diversi secondi e mi massaggiai ripetutamente e velocemente le braccia per bloccare il tremore causato dal freddo.

Rose venne ad aprirmi poco dopo, era più pallida di quella mattina e aveva lo sguardo spento. La sua espressione l'avrei definita quasi agonizzante, malgrado lo sforzo effettuato nel trattenerla.

Irina, che ci fai qui? È buio e non dovresti stare in giro a quest'ora.” quelle furono le sue parole di saluto, non le pronunciò con rabbia o con freddezza ma come se avesse fretta.

Fretta che io me ne andassi.

Le chiesi se potevo entrare, la sua espressione rimase impassibile per un lungo istante e poi mi aprì la porta, permettendomi di varcarne la soglia. Presi atto del fatto che Rose non si fosse ancora nutrita, sembrava come morta mentre ci dirigevamo verso il camino, dove una poltrona era stata posta di fronte al fuoco acceso. La guardai con la coda dell'occhio, sembrava barcollare e gli occhi si chiudevano e si aprivano con una lentezza spaventosa.

Siediti, io prendo una sedia.” disse, indicando con la mano la poltrona di fronte al camino e facendo un cenno con la testa verso una delle sedie di legno attorno al tavolo. Ma mi rifiutai, lasciai la poltrona, certamente più comoda, a lei e presi io una sedia, facendola strisciare lungo il pavimento per affiancami a Rose.

So di non essere un bello spettacolo, Irina.” ridacchiò lei, mentre si sedeva lentamente sulla poltrona. In realtà la trovavo sempre bellissima, aveva un viso d'angelo ma in quel frangente sembrava il viso di un angelo morente. E il pensiero che io avevo causato una cosa simile, mi bloccava il respiro. Lei si portò una coperta sulle ginocchia, come se volesse difendersi dai brividi di freddo che l'attraversavano. “Non capisco perchè tu sia venuta, vuoi davvero assistere all mia fine?”

Perchè aveva davvero scelto di farla finita? Rimasi con il fiato sospeso a guardarla, i suoi occhi color smeraldo riflettevano le fiamme che bruciavano nel camino, mentre le sue labbra si allargarono in un sorriso di circostanza, fatto apposta per rendere meno drammatiche le sue parole. Abbassai gli occhi, di fronte al pensiero egoistico che preferivo Rose vampira, che Rose morta. Ma non spettava a me prendere una decisione così importante.

Però mi fa piacere che tu sia venuta, non temere.” disse ancora lei, volgendo lo sguardo verso di me e continuando a sorridere. “Sei una delle poche persone che vorrei salutare prima di andarmene.”

A quelle parole non ce la feci più, serrai le labbra e lasciai che le lacrime gonfiassero i miei occhi. In quel periodo avevo iniziato ad odiare piangere: se potevo dar ragione a Klaus su una cosa, era che le lacrime erano segno di profonda debolezza e io mi lasciavo andare troppo spesso ad esse.

Ma di fronte ad un'amica che accetta di cadere tra le braccia della morte, non potevo proprio trattenerle. Volsi la testa dall'altra parte, anche se sapevo che Rose aveva ormai visto quelle gocce di sofferenza sul mio viso e strinsi i pugni sopra le ginocchia.

Non piangere, Irina. È un giorno che arriva per tutti, no?” disse. “Poi vediamola in positivo, dall'altra parte ci rincontreremo tutti.”

Scossi la testa perchè non lo credevo. Nessuno di noi sapeva cosa c'era dall'altra parte, chi ci diceva che dopo la morte non saremo rimasti tutti soli? Chi diceva a Rose che lei non sarebbe rimasta sola nell'oblio della morte, per sempre? Per colpa mia inoltre?

Sentendomi la testa scoppiare, portai la mano sulla fronte e ripresi fiato, non sapendo che cosa fare. Io non volevo lasciar morire Rose, ma come avrei potuto impedirlo se quella era una sua scelta?

Sai, oggi pensavo...che forse diventare un vampiro non potrebbe essere davvero negativo. Come ti ho detto mi sono ricreduta su alcuni di loro.” continuò lei, facendosi più seria e tornando a fissare la fiamma che stava bruciando la legna. In quel momento la guardai anche io, tenendo una mano sulle labbra. Ritornai con la memoria al discorso che Rose mi stava facendo prima dell'arrivo di Philippe: aveva fatto un chiarissimo riferimento ad Elijah che avevo colto in pieno.

L'altro però doveva essere rivolto a Klaus e francamente non lo capivo, visto che quella sera mi aveva minacciata per l'ennesima volta. Ma Rose doveva aver percepito qualcosa di cui io non ero consapevole, qualcosa che veniva oscurato dalla paura che provavo nei confronti di quel vampiro. Forse con lui ero cieca, oppure ero così stolta da credere che lo fossi.

In realtà Klaus poteva essere semplicemente il Klaus che conoscevo. Niente umanità in lui.

Ma allora Rose cosa intendeva dire?

Si vede che sei innamorata di Elijah.” disse lei, facendomi arrossire quando il suo sguardo si posò su di me. “All'inizio non lo comprendevo, non capivo come fosse possibile che una persona come te desiderasse baciare delle labbra sporche di sangue. Ma dal suo sguardo, ho capito poi che ti avrebbe protetta a qualsiasi costo.”

Come una stupida, sorrisi. Malgrado non dovesse nemmeno passarmi per il cervello l'idea di sorridere, il nome di Elijah mi causò quell'effetto, che perdurò solo per pochi secondi però.

Mi ricordai che gli stavo mentendo e che nemmeno l'immagine di lui, in quel caso, potesse fungermi da medicina contro quel dolore che mi portavo dentro.

Riguardo l'altro...” Rose ruppe il silenzio, la sua voce era ridotta ad un flebile sussurro che veniva quasi superato dal crepitare della legna nel fuoco. Captai di nuovo il riferimento a Klaus. “Non ne sono sicura, forse ho sbagliato ad esprimermi su di lui. Ma mi sono quasi ricreduta...perchè sembra quasi che tu lo spaventi.”

Io spaventare Klaus? Lo trovai a dir poco impossibile, era lui quello che spaventava me. Gli bastava solo uno sguardo o uno di quei maledetti sorrisi che avevo ben impressi nella mente per farmi tremare. Io per lui ero solo una piccola, insulsa umana da schiacciare. Ne ero certa.

Rose rise, gettò la testa all'indietro e alzò lo sguardo verso il soffitto, come se stesse osservando un bellissimo cielo stellato. “Mi fa ridere che io abbia forse un po' capito Klaus.” disse. “Cioè...sono pochi i nemici che possono sconfiggerlo in forza sia fisica che mentale.”

Continuavo a non capire dove volesse arrivare Rose, che significavano quelle parole?

Klaus ha paura di te, perchè probabilmente gli ricordi quanto sia bello essere umani. So riconoscere certe luci negli occhi di qualcuno...lui non ne ha mai avuta una, da quando l'ho conosciuto.” Lei si voltò verso di me, mentre tenevo la testa bassa e riflettevo su quelle parole, a mio avviso, prive di senso.

Io quella luce in Klaus non l'avevo mai vista, forse perchè non lo capivo affatto.

E prenderlo in giro come stavo facendo quel giorno, non era magari il modo più efficace di comprenderlo. Ma io non volevo comprenderlo, non dopo tutto quello che mi aveva fatto passare. Anche se era ricco di contraddizioni in cui lui mi era parso quasi umano, il nostro percorso era stato segnato dall'odio e dalla rabbia. Perchè io lo spaventavo, come lui spaventava me? Possibile che provassimo le stesse sensazioni l'uno nei confronti dell'altra?

No, non la pensavo così ed era un concetto che non riuscivo ad accettare.

Potrei sbagliarmi, ma forse tu sei l'unica che potrebbe davvero comprenderlo. Anche se non se lo meriterebbe affatto, visto il mostro che è e poi non ne sono nemmeno così sicura....quindi, lascia perdere queste mie ultime parole da persona in fin di vita.” concluse Rose, posò le mani sulla coperta e iniziò a torturarla con le unghie.

Trattenni il respiro per un po', guardai fisso le fiamme che trasmettevano calore su di noi e mi chiesi se le parole di Rose fossero realmente fondate. E che, forse, dovevo combattere io la paura che provavo nei confronti di Klaus. Ma come? Dopo il modo in cui si era comportato con me, non mi andava nemmeno di sfidare me stessa in quel modo e provare a comprenderlo.

Un termine che aveva usato anche lui, quando aveva deciso di scendere a patti con me.

Però è per questo che spesso oggi...l'idea di trasformarmi mi ha sfiorata. Questo dolore è diventato insopportabile.” La voce di Rose si era fatta incrinata, mi voltai verso di lei e notai che delle lacrime stava scivolando silenziose sul suo viso. Tirò su con il naso e singhiozzò. “Forse anche da vampiro si può essere umani, si può ancora sognare e vivere certi tipi di emozioni. Ma poi il pensiero di bere sangue, di non poter più vedere la luce del sole...mi terrorizza.”

Si asciugò le lacrime con la mano e deglutì. “Io non voglio perdere tutto questo!” disse, con voce rotta. Non sopportai di vederla in quello stato e quella frase, espressa con quel palpabile desiderio di vita, mi bastò per capire cosa dovevo fare.

Forse sarebbe stato un errore, forse le avrei solo fatto del male, ma il desiderio di vivere di Rose era più forte di quello di morire pur di non diventare un vampiro. Aveva detto lei stessa che Elijah, e forse anche Klaus, erano stati per lei una dimostrazione che non era tutto nero o tutto bianco. C'erano sempre delle sfumature di grigio nella vita e persino nella morte.

Tu vuoi morire?” le chiesi, gesticolando in maniera che lei potesse comprendermi. Allo stesso tempo, mossi le labbra per dar voce al mio silenzio, così per facilitarla a capirmi.

Lei mi guardò a lungo, le lacrime continuavano a scendere copiose sul suo viso d'angelo. “Io voglio vivere.” rispose in un singhiozzo.

Non era la risposta che mi aspettavo: se mi avesse detto di no, significava che avrebbe accettato di diventare un vampiro. Invece quella sua risposta, denotava che lei avrebbe tanto voluto restare umana a tutti i costi e la cosa non era più possibile per causa mia.

Mi alzai in piedi, prendendo quella decisione che non m'importava esser sbagliata. Rose mi seguì con lo sguardo, mentre mi avvicinavo ad un mobile della cucina, dove aprii il primo cassetto. Non trovando quello che cercavo, passai a quello sotto.

Irina, che stai facendo?” mi chiese Rose, in un flebile sussurro.

Lo trovai, un coltellaccio da cucina con la lama quasi rovinata per quanto doveva essere vecchio. Strinsi il manico e mi voltai verso di lei, Rose scattò in piedi come spaventata dalla vista di quell'arma che tenevo puntata saldamente nella mia mano destra.

La guardò con terrore, mentre facevo dei passi verso di lei. “C-che vuoi fare?” mi chiese, arretrando di poco, il suo sguardo era fisso sulla lama e tornò su di me, quando smisi di avanzare verso di lei. Pensava che l'avrei uccisa forse? In effetti, era quello che volevo realmente fare.

Dovetti prendere un lungo respiro per incanalare quel pensiero: tirai su la manica destra del mio abito e, con forza, feci scorrere la lama sulla pelle.

Mi morsi le labbra, mentre quel dolore bruciante creava una striscia di sangue su di me. Lasciai cadere la lama insanguinata a terra, un rumore agghiacciante che durò solo pochi secondi, si espanse attorno a noi.

Guardai il sangue che colorava la mia pelle, poi alzai lo sguardo su Rose.

Lei lo stava fissando, come se ne venisse richiamata: aveva gli occhi sbarrati e respirava ripetutamente. “Che stai facendo?” mi chiese, a denti stretti.

Mi diressi verso di lei, tendendo il braccio teso verso di lei. Doveva bere il mio sangue e il periodo di transizione sarebbe terminato: non sarebbe morta.

Io non berrò il tuo sangue.” insistette lei, scuotendo la testa ripetutamente. “Non lo farò mai.”

Ma devi se non vuoi morire.

Era ingiusto quello che stavo facendo, ma io per prima non volevo perdere Rose. E lei aveva detto di non voler morire. Avrebbe vissuto per sempre.

Mi avvicinai di più a lei, continuando a tenere il braccio scoperto in modo che il sangue fosse visibile ai suoi occhi. Rose lo guardò e scorsi la brama nei suoi occhi di prenderlo, la osservai mentre allungava le mani verso il mio polso e, dopo avermi lanciato una lunga occhiata, posò le labbra su quel liquido color cremisi. Dovetti voltarmi dall'altra parte, per non guardare la scena e le lacrime mi bagnarono gli occhi.

La sentivo bere il mio sangue con titubanza, per poi diventare velocemente più vorace.

Mi voltai verso di lei, quando mi morse. Presa dal panico e senza sapere cosa fare, la osservai mentre stringeva con forza il mio braccio per non lasciarlo andare. Il dolore si fece insopportabile, mentre Rose sembrava volerne sempre di più.

Pronunciai in silenzio il suo nome, mentre con l'altro braccio cercavo di allontanarla.

Ma il desiderio terribile di sangue doveva essere immenso e difficile da sopportare e lei ne traeva forza.

Cosa avevo fatto? Chiusi gli occhi, continuando a muovere le labbra nel nome di Rose e sperando quasi stupidamente che lei potesse sentirlo. All'improvviso non la sentii più: avvertì il rumore di un corpo che veniva spinto contro il muro, dei gemiti e per poco persi l'equilibrio di poco prima.

Quando aprì gli occhi, sobbalzai: Klaus stava tenendo contro il muro Rose, la ragazza aveva gli occhi sbarrati fissi sul vampiro e la bocca aperta per la sorpresa. Le sue labbra e il suo mento erano tinti di rosso. Come mai Klaus era lì?

Mi dava le spalle, ma mi immaginai il modo in cui stava fissando Rose mentre la tratteneva con tale forza. Lei sembrava terrorizzata.

Rimasi a fissarlo, tenendo il braccio teso come se volessi placare così il dolore.

Non dovevi farlo...” disse lui in un sibilo. Non riuscivo a capire se si stesse rivolgendo a me o a Rose ma, dal modo in cui sembrava stesse guardando la ragazza, intuii che stava parlando con lei. Feci per avvicinarmi a lui per spingerlo ad allontanare la mani dal collo di Rose, ma una presenza alle mie spalle me lo impedì.

Ferma là, ragazzina. Sapevo che nascondevi qualcosa.” disse la voce di Rebekah, facendomi trasalire per la paura. Mi girai verso di lei, la bionda si teneva fieramente le mani sui fianchi e mi guardava dall'alto al basso con aria di sfida. Aveva detto quella mattina che sospettava stessi nascondendo qualcosa e non doveva aver tardato ad elaborare un piano che potesse mettermi in difficoltà. Doveva avermi seguita, coinvolgendo così Klaus per mettermi in seria difficoltà.

Mi sorrise, mentre io la guardavo con rabbia. Quando avrebbe imparato a lasciarmi in pace?

Scossi la testa incredula, di fronte alla sua innata perfidia che poteva essere quasi superiore a quella del fratello. Tornai a concentrarmi su di lui, Klaus si era girato verso di me e lo implorai con lo sguardo di lasciare andare Rose, malgrado gli occhi del vampiro sembravano bruciare di ira.

Anzi, non era ira: era quel sentimento che si manifestava dopo un tradimento, un miscuglio di rabbia, delusione e rancore. Non capii il perchè di quella strana maschera sul suo viso, non l'avevo mai vista prima e non riuscivo a spiegarmela.

Mi hai preso in giro, Irina. Di nuovo.” ringhiò lui, continuando a tenere Rose contro la parete.

Ma non aveva capito che non mi sarei mai fidata di lui? Dentro di me, ero certa che lui mi avrebbe scoperto perchè era sempre migliaia di passi davanti a me ma, da come mi guardava, sembrava quasi che lui fosse caduto nella mia piccola trappola.

Lui era sincero solo nella sua rabbia e in quel momento era davvero arrabbiato con me.

Credeva davvero che fossi così stupida dal diventargli quasi amica dopo tutto il male che mi aveva dimostrato? Strinsi i pugni, continuammo a guardarci a lungo come se fossimo soli in quella stanza. A me non doveva importare di averlo tradito, eppure mi stava bruciando qualcosa dentro. Qualcosa molto simile ad una colpa che non voleva affibbiarmi.

Te lo avevo detto che non ci si può fidare di questo diavoletto...” disse Rebekah, che doveva sentirsi improvvisamente poco protagonista per i suoi gusti.

Klaus la ignorò, continuò a guardarmi e tirò a sé Rose, cingendole il collo con un braccio.

Sbarrai improvvisamente lo sguardo e cercai di scattare verso di lui, ma Rebekah mi strinse fortemente per il polso impedendomi di proseguire.

Pensavo che, per una volta, fossimo d'accordo, che non mi avresti più mentito.Ma tu sei brava quanto me a pugnalare alle spalle le persone!” esclamò Klaus.

Cercai di liberarmi dalla presa di Bekah, ma come al solito fu tutto inutile. Lei guardava le goccioline di sangue che scivolavano lungo le mie dita e mi chiesi come facesse a trattenersi, semplicemente il suo rancore nei miei confronti era più forte della sete di sangue.

Guardai Klaus e mi fu chiaro cosa volesse fare: voleva punirmi per avergli mentito, uccidendo Rose. La maniera feroce in cui la stringeva a sé ne era una chiara prova.

Ma perchè prendersela così tanto? Come poteva pretendere che io mi fidassi di lui per una stupida stretta di mano? Il problema era che Klaus non voleva essere ingannato, non da una persona come me in particolar modo.

E lui con me aveva, anche se per poco, abbassato la guardia.

Non potevo però gioirne, non con la vita di Rose tra le sue mani e che poteva essere nuovamente spezzata per il capriccio di un vampiro. E comunque non volevo gioirne.

Implorai Klaus di non farle del male, lui se ne accorse perchè lo pregai più volte muovendo semplicemente le labbra. Lui piegò la testa da un lato e mi guardò come se avesse richiesto qualcosa di troppo pretenzioso per i suoi gusti.

Mi dispiace, Iry. Ma non mi piace che mi si mente troppe volte.” disse, facendo poi salire le sue mani verso la testa di Rose che invece stava per scoppiare in lacrime. “E io sono per il principio chi rompe paga.”

Provai a liberarmi dalla presa di Rebekah, quando Klaus si accinse a voler staccare la testa di Rose, per il semplice gusto di farmela pagare. Ma come riusciva a non sentirsi meschino nel far così male? Ebbi il tempo di aprire la bocca in un no silenzioso e di vedere Rose chiudere gli occhi che tutto terminò: come sempre, fu l'arrivo di Elijah a risolvere la situazione.

Fermati Niklaus.” disse, restando dietro di noi. Io e Rebekah ci voltammo, gli occhi neri di lui erano fissi sul fratello che, invece, sembrava poco intenzionato ad obbedirgli. Klaus serrò la mascella e lo guardò con sfida.

Non riuscivo a credere che Rebekah avesse coinvolto anche Elijah in tutta quella faccenda, lo aveva fatto apposta per mostrare anche a lui la mia menzogna.

Mi stai alquanto infastidendo, Elijah. Sono stanco di queste tue sceneggiate da cavaliere.” disse, parlando sempre con quell'ombra di minaccia nella sua voce. Rimasero a guardarsi in silenzio poi, stranamente, Klaus spinse Rose a terra e rinunciò a tutti i suoi propositi. Non capii cosa lo avesse spinto a desistere, lo vidi sospirare e lanciare un'occhiata verso Rose che strisciò indietro sul pavimento.

E va bene, come vuoi tu.” disse poi, rassegnandosi allo sguardo del fratello. Ma solo perchè non aveva molta voglia di sfogare in quel modo il suo odio probabilmente. “Bel ringraziamento per aver salvato la tua amica dalla nuova vampira in città...”

In effetti non aveva tutti i torti: quella mia bravata nel voler salvare Rose sarebbe potuta costarmi la vita. Ma rischiare non mi era importato e nemmeno a lui aveva pesato: il suo era solo un pretesto provocatorio per sfidare il fratello.

Elijah lo ignorò, si voltò verso me e Rebekah e posò lo sguardo freddo sulla sorella. Uno sguardo che spinse la ragazza ad allentare la presa sul mio braccio. “Lasciala subito.” le disse.

Deglutii, la sua voce sembrava di ghiaccio: fredda e impossibile da scalfire.

Ma Rebekah era fuoco, difficilmente avrebbe permesso alla sua rabbia di venire repressa.

Ha mentito.” ci tenne a precisare, era quella la mia colpa in fondo.

Elijah non amava ripetersi ma lo fece lo stesso, avanzando di diversi passi verso di noi.

Lasciala andare. Ora.” ripeté.

Rebekah si stava mordendo le labbra per la rabbia, voleva combattere le freddezza del fratello, ma allo stesso tempo non riusciva a non obbedirgli. Mi lasciò il braccio e in quel momento soccorsi Rose che era seduta sul pavimento, spaventata.

No, sento ancora il tuo sangue...” mi bloccò lei, puntandomi il dito contro appena fui abbastanza vicina. Mi arrestai rapidamente e, guardandola, percepii di nuovo quel forte dolore che bruciava sul mio braccio.

Lo sentiamo tutti. Per questo dobbiamo andare.” disse Elijah, lanciando poi un'occhiataccia al fratello che si stava avvicinando a lui, come per sfidarlo.

Si arrestarono l'uno di fronte all'altra, temetti per un attimo che i due potessero venire alle mani da un momento all'altro. Ma Rebekah si parò tra loro giusto in tempo, posando una mano sulla spalla di Elijah e l'altra su quella di Klaus.

Fermi! Non potete litigare per colpa di quella sgualdrina, non lo permetterò di nuovo.” esclamò, la sua voce era carica di emozione e non potei fare a meno di trovarla troppo umana in quel frangente. Quando guardava i suoi fratelli in quel modo, cose se fossero tutto per lei, anche se mi insultava pesantemente, era più forte di me e non potevo detestarla.

Irina, vattene. Ti prego.” mi supplicò Rose, rompendo l'inquietante silenzio che era sceso su di noi. Posammo tutti lo sguardo su di lei, ma i suoi occhi erano fissi sul sangue che continuava a scorrere sulla mia pelle.

Inspirai profondamente e sentii dietro di me i passi dei tre vampiri muoversi. “Andiamo.” disse Elijah, mentre Klaus e Rebekah mi ignorarono.

Ma lui era freddo, non era difficile capirlo anche se si era voltato prima che potessi vederlo in volto.

Rose non mi guardava, restò seduta a terra con una mano adagiata sulle sue labbra rosso sangue.

Non volevo lasciarla sola. “Ti prego, vai.” disse lei, quando vide che stavo di nuovo avvicinandomi a lei. A quel punto non potei insistere, Rose rifiutava il mio sguardo e sembrava che tenesse a freno l'impulso di nutrirsi con parecchia fatica. Uscii così dalla casa lentamente, sforzandomi di non guardarla e stringendo i pugni lungo i fianchi per il dolore che mi stava logorando dentro.


Andatevene tutti in camera, non voglio vedere nessuno di voi.” ci ordinò Klaus, appena raggiungemmo l'entrata della villa. Camminava spedito davanti a noi e non rivolse lo sguardo verso nessuno. Rebekah lo distanziava di pochissimi passi, mentre io ed Elijah camminavamo fianco a fianco dietro di loro.

Ma lui era arrabbiato. Lo capii perchè non mi guardò mai, nemmeno per un solo misero secondo per cui avrei dato tanto in quel momento. Il mio braccio sanguinante era stato coperto da lui stesso attraverso un lembo del mio mantello, in modo che il sangue non fuoriuscisse troppo. Ma lui non mi aveva guardata nemmeno in quel momento.

Mi sentivo affranta, il periodo della transizione era finito, non solo per Rose, ma anche per me:

un periodo di transizione fatto di bugie e inganni dove avevo avuto un periodo di tregua con Klaus e dove avevo potuto vivere con serenità quello che provavo per Elijah. Il terrore di perdere quest'ultimo mi fece tremare.

Ma dubitavo che Elijah si comportasse così per la mia bugia su Rose, quella era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Quello che provava per me era sempre stato messo in bilico dall'amore che lo legava alla sua famiglia. E io, mentendogli riguardo qualcosa su cui ero certa che mi avrebbe aiutata, non avevo fatto altro che allontanare il baricentro di quella bilancia già di per sé vacillante.

Rebekah si fermò improvvisamente, Elijah e Klaus continuarono a proseguire verso l'entrata mentre io mi fermai a pochi passi dalla vampira.

Sei arrabbiato con tutti, Nik? È solo con la Petrova che dovresti prendertela!” esclamò, indicandomi con la mano.

Klaus si girò rabbiosamente verso di lei. “Ho detto, fila in camera!” ringhiò, lanciando poi un'occhiata di fuoco verso di me. Elijah si fermò a pochi passi da lui e assistette alla scena, visibilmente trattenuto.

Credevo che se Klaus mi avesse dato contro in quel modo, lui sarebbe scattato.

Come puoi parlarmi così? Dopo che ti ho mostrato quanto sei stato stupido a fidarti di lei?”

Io non mi sono fidato di lei.”

Invece sì, lo hai fatto!” gridò Rebekah. “Non hai esitato a farlo, perchè era la cosa che ti faceva più comodo fare...”

Ora basta, Bekah!” gridò Klaus. La sua voce ci fece sobbalzare entrambe, ruppe il silenzio della notte con la sua violenza e sembrò riempirlo quasi prepotentemente. Elijah si voltò verso di noi, per impedire al fratello di infierire ancora su Rebekah.

Il fatto era che Klaus era furibondo, non si sarebbe controllato con nessuno.

Non mi lasciai sfuggire il modo in cui la bionda alzava e abbassava le spalle, come se stesse per scoppiare in un pianto isterico.

Io volevo solo proteggerci!” esclamò la ragazza, con voce rotta dalle lacrime. “Ma voi date sempre addosso a me, invece di prendervela con chi ci sta separando! Ho fatto tutto il necessario per far sì che non vi perdessi di nuovo, lo capite?”

Provai pena per Rebekah, sembrava una bambina che voleva solo tutelare la sua famiglia. Non sapevo bene cosa fosse successo in passato per cui loro tre si fossero separati, ma era chiaro che lei vedesse in me una qualche minaccia per la sua famiglia. Cosa che non era vera, ma che la feriva comunque. Elijah venne toccato da quella scena, ma Klaus no: lui doveva odiare il modo in cui i suoi fratelli si rendevano, delle volte, umani.

Forse se ci separiamo è anche colpa della tua ossessiva gelosia ed inutilità, non credi?” tuonò.

Non potevo credere che le avesse detto una cosa simile, era così perfido da colpire sempre nei punti più deboli di chi gli stava accanto. Capivo che era furibondo, ma avrebbe dovuto imparare a trattenersi dopo secoli e secoli di vita.

Klaus...” lo richiamò Elijah, nel momento stesso in cui scattai avanti, per pararmi di fronte a Rebekah. Klaus mi guardò sorpreso dal mio gesto, sostenni i suoi occhi e lui dovette capire il disprezzo che provavo nei suoi confronti per via di quell'affermazione così meschina.

Ma non gliene importò, come al solito. Si limitò a trafiggermi con lo sguardo, ricordandomi che non avevo alcun diritto di sfidarlo e che il periodo in cui mi avrebbe guardato da persona umana era appena terminato. Lanciò quella che mi sembrava un'occhiata dispiaciuta alla sorella e si allontanò, superando Elijah che rimase a fissarci in silenzio.

Io mi girai verso Rebekah che si stava inginocchiando a terra in lacrime.

Era la prova di come un affetto troppo profondo potesse comunque piegarti in due. Si portò una mano sulle labbra e si lasciò andare ad un lungo singhiozzo. Rebekah aveva semplicemente paura, paura che un legame forte come quello che la univa ai suoi fratelli potesse di nuovo andare perduto come era successo in passato. Era una bambina che voleva solo essere protetta dalla sua stessa famiglia e che, allo stesso tempo, voleva essere lei stessa a proteggere.

Se stava soffrendo così, era solo per colpa mia.

Senza rendermene conto, mi inginocchiai di fronte a lei e la strinsi a me. Mi aspettai che lei mi respingesse o che mi urlasse contro qualcosa e lo avrei accettato. Ma, dopo un attimo di sorpresa e perdizione, lei si lasciò cullare dalle mie braccia. Le accarezzai i capelli, mentre teneva posato il mento sopra la mia spalla e continuava a piangere.

In quel momento non c'era spazio per l'odio in lei, voleva solo non sentirsi abbandonata.

Sentivo gli occhi di Elijah su di noi e mi chiesi cosa potesse causargli quella scena. Poi lo sentì allontanarsi e restammo solo io e Rebekah, forse quel periodo di transizione aveva portato a qualcosa di buono almeno per noi due.


Quando mi diressi verso camera mia, trovai Elijah nel corridoio di fronte ad essa.

Se ne stava con le spalle rivolte verso la mia porta e le mani posate sul cornicione, la testa era alzata verso l'oscurità che ricopriva nel suo manto il cielo. Diverse stelle la illuminavano in tutto il loro splendore, erano vicine come se volessero farsi compagnia.

Mi fermai a pochi passi da lui, con le mani congiunte sul mio ventre e trattenendo il respiro.

Quello che hai fatto per Rebekah...è stato un gesto stupendo.” ruppe il silenzio con la sua solita voce profonda, che mi fece correre dei brividi lungo la schiena.

Provai a identificare l'emozione nella sua voce, ma scorsi solo freddezza. La luce della luna si rifletteva sulla pelle del suo viso e quando si voltò verso di me, notai che il suo sguardo sembrava più profondo di quanto non fosse già.

Più ti guardo e più ti ammiro, Irina.” disse, doveva essere una sorta di complimento, eppure sentivo che qualcosa non andava. Quella doveva essere una sorta di prefazione per arrivare poi ad un altro argomento, quello che scottava ad entrambi.

Elijah scosse la testa, distolse lo sguardo da me e lo posò sul pavimento. “Tu sapevi che io ti avrei aiutata, ma hai preferito tenermi nascosto quello che succedeva lo stesso.” disse, ma come sempre sembrava che stesse riversando la colpa su sé stesso, solo perchè non mi aveva rivelato dell'incantesimo.

Sentivo che l'equilibrio stava per rompersi e che tutto quello che avevamo costruito in un solo giorno sarebbe andato in fumo. Una cosa che non volevo che accadesse, ma che non avrei potuto evitare. “Ci mentiamo costantemente e odiamo farlo, te ne rendi conto?” mi chiese ancora.

Abbassai lo sguardo e presi un lungo respiro, a che serviva negare? Tanto era la pura e semplice verità e me ne resi conto solo quando fu troppo tardi.

Elijah scosse nuovamente la testa e prese un lungo respiro. “Devo continuare a combatterlo, non è nel mio essere mentire...non a qualcuno così importante come lo sei diventata tu.” disse.

Sbarrai lo sguardo di fronte a quell'affermazione, mi stava dicendo che voleva di nuovo combattere come aveva fatto fino a poco prima? Strinsi i pugni con troppa violenza verso me stessa, quando trovai la conferma a quello che pensavo nel suo volto.

No, non poteva farlo di nuovo. Non riuscivo a sopportarlo.

Perchè?” gli chiesi egoisticamente. In quel momento non m'importava che stesse male nell'avermi mentito, non m'importava che andasse contro i propri valori...m'importava solo che non ponesse fine a quello che stava nascendo tra di noi.

Credi che a me non faccia male? Sai benissimo come mi sto sentendo...” disse lui a denti stretti. “E ho preso questa decisione per il bene di entrambi.”

Quel suo modo di parlare mi fece rabbia, perchè lui non doveva prendere una decisione per me.

A quello ci avrei pensato io e io non volevo che tutto finisse in quel modo.

Non era nemmeno iniziato nulla a dir la verità.

Io non ti lascerò mai sola, ma...sono costretto a reprimere tutto quello che c'è stato. E anche tu, se non vuoi soffrire.” aggiunse lui, rimanendo nascosto nella penombra del corridoio.

Scossi la testa lentamente: io non ero un vampiro, io non avevo una specie di fiamma dentro che potevo spegnere da un momento all'altro con la facilità con cui lo facevano loro. Io quello che sentivo me lo sarei portato dentro per molto tempo e lui voleva buttare via tutto solo per due bugie che ci eravamo detti? Non lo accettavo. Sentivo il cuore che mi martellava violentemente nel petto ed ero sicura che lo sentisse anche lui, desiderai quasi che smettesse di battere per impedirgli di farmi così male.

Ci sono troppe forze contro di noi, forze che ci sono più vicine di quanto immagini. E io non posso permettermi di sognare qualcosa che non avrò mai...e non voglio sopratutto che tu lo faccia. Un sogno che si spegne improvvisamente non può uccidere me, ma te sì.”

Non volevo più sentire nulla, non avevo modo di replicare e quindi scelsi l'opzione più vigliacca e infantile che potessi prendere. Corsi rapidamente in camera mia e mi chiusi la porta alle spalle, senza guardarlo più.

Presi dei lunghi respiri, posando la schiena sulla porta e portandomi le mani al volto quando sentii le lacrime scendere lentamente. Scivolai lentamente a terra e mi lasciai andare al mio dolore. Elijah non riuscì a sopportare quello che stava succedendo in me evidentemente, perchè sentii i suoi passi allontanarsi sempre più velocemente, riecheggiando nel corridoio.

Stava scappando per non ascoltare il rumore delle mie lacrime.

Restai in silenzio, con le mani sopra gli occhi e cercando di regolare i singhiozzi, non potevo credere di averlo perso in così poco tempo e non credevo di soffrirne così in quel modo.

Il periodo di transizione era finito e dopo questo periodo ci poteva essere solo dolore.

Non spettava solo a Rose, ma anche a me e forse me lo meritavo.

Ma sapevo già che non sarei riuscita ad affrontarlo.


Eccomi, come ogni lunedì a rompervi le scatoline! :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Prima di tutto, il collage sotto il titolo non è di certo opera di una incapace come me xD quindi ringrazio la bravissima Elyforgotten per averlo fatto. (e vi consiglio anche di leggere la sua fanfic “My Story With An Original..With Elijah” e il suo continuo “Over The Deception Of Life”)

Vi dico che d'ora in poi le cose un po' cambieranno: Rose non apparirà per diversi capitoli, lo scenario che fa da sfondo a questa storia si sposterà in un'altra ambientazione e anche alcune relazioni muteranno. Cercherò di introdurre un nuovo personaggio (che, non starà molto simpatica ad Irina vi anticipo!) che svolgerà anche un ruolo importante nello scoprire cosa si cela dietro la figura di Bell. Riguardo questo mistero (e quello per cui la protagonista non può essere soggiogata, il lupo ecc) so che sono un po' lenta ma pian piano cercherò di portare a queste verità. Probabilmente vi avrò fatto perdere la pazienza, ma tra non molto diverse risposte saranno chiare. Resistete per favore! xD

Come sempre, passo ora ai ringraziamenti: ringrazio chi legge questa storia in silenzio e chi la recensisce in particolar modo!

Ringrazio anche tutti coloro che l'hanno inserita tra le preferite, ricordate e seguite!

Ora la smetto di annoiarvi e vi auguro un buon pomeriggio! :)

Ciao a tutti! ^^













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Capitolo 16
*** House On A Hill ***


-House On A Hill-

I will surrender and i'll always wait

Wait As in all of eternity

Hard to remember and hard to forget

The shadow that hangs over me

Take me home

To a house on a hill

In oblivion

And take away the shadow over me

(Kamelot- House On A Hill)

Mi ero dimenticata che ci si sentiva proprio in quel modo.

Era come un pugno in pieno petto, una mano premeva sulla tua carne e spingeva sempre più fino a privarti del respiro.

Era la tristezza. Come avevo fatto a dimenticarmene? Era proprio lei, la compagna che mi era stata accanto per un'intera vita e che poi era stata sostituita da un'amica migliore chiamata gioia.

Ma quella mi aveva abbandonato, aveva smesso di tenermi sottobraccio quando sprofondai in quell'abisso nero e profondo da cui non sarei più riuscita a risalire.

Avevo perso Rose.

Il giorno dopo la sua trasformazione ricevetti una sua lettera, in cui mi raccomandava di non sentirmi in colpa ma dove mi chiedeva esplicitamente di rimanerle lontana. Per lei aveva avuto inizio una nuova vita, una vita in cui la sete di sangue sarebbe stata la sua guida e io ero una tentazione troppo grande per potervi prendere parte.

Avevo perso Klaus.

Incredibile, non doveva nemmeno importarmene, ma lo avevo perso dopo quel breve lasso di tempo in cui, forse, avrei potuto scoprire un lato di lui che non mi spaventava. Ma il mio castello di bugie era crollato e con questo anche la mia convinzione di poter andare nel profondo dell'anima di Klaus.

Le parole di Rose erano ancora vive nella mia mente: lui aveva paura di me. Perchè ero troppo umana, perchè ero tutto quello che lui non voleva essere e io temevo lui per lo stesso motivo.

Superando quelle tetre paure, forse saremmo giunti ad una luce?

Mi posi quella domanda mentre osservavo il suo fermaglio che tenevo sul palmo della mia mano. Rimasi in piedi accanto al letto, dove avevo adagiato la mia borsa ancora vuota. I vestiti che avevo deciso di portarmi dietro erano tutti ben ripiegati sul letto, in attesa di essere riposti dentro il bagaglio. La luce del sole che brillava dalla finestra di fronte a me si unì al luccicore emanato dal quel gioiello. Sospirai e lo misi dentro la borsa, in un punto nascosto nel fondo, dove ero certa sarebbe rimasto per sempre.

Poi arrivò l'epilogo della mia tristezza, l'ultima cosa bella che avevo perso in un solo giorno.

Avevo perso Elijah. Avevo perso il cuore che batteva a mille quando mi guardava, avevo perso quei brividi che mi scorrevano dietro la schiena quando mi baciava, avevo perso la gioia di sorridere quando lui era accanto a me. In poche parole, avevo perso tutta me stessa.

Piangere era inutile, la mia storia con Elijah era sempre stata appesa su un filo, da cui si era staccata troppo presto. E una parte di me, nel profondo, lo sapeva che sarebbe finita così.

Qualcuno mi riportò con i piedi per terra, smisi di vivere nei miei dolori e mi voltai verso la porta, su cui qualcuno aveva bussato. L'avevo lasciata aperta per pura dimenticanza e scorsi la figura di Rebekah che mi sorrideva. Aveva un sorriso da bambina che non mi aveva mai rivolto prima, i suoi occhi sembravano più grandi in quel momento e parecchio sinceri.

Lei era forse l'unica cosa positiva che avevo trovato in quel cammino tortuoso in cui mi ero cimentata giorni prima. Dopo il nostro breve momento di pace, quell'abbraccio che era nato da un dolore di Rebekah che solo allora avevo compreso, non l'avevo più rivista ma sentivo che qualcosa era cambiato tra noi.

Volevo sapere...se ti serviva una mano con i bagagli.” mi chiese quasi con timidezza, quando varcò la soglia della porta. Si accorse che tutto quello che dovevo portarmi dietro era ancora fuori posto, sospirai e le dissi che non avevo bisogno d'aiuto con un semplice cenno della testa.

Volevo solo rimanere sola, a discutere con la mia tristezza sul quanto avessi perso.

Volevo farmi del male per sentirmi viva, visto che non avevo più nulla.

Rebekah si avvicinò a me quando abbassai lo sguardo sulla borsa vuota, prese uno dei miei abiti e lo posò con grazia all'interno. “La tristezza non s'addice al tuo viso, Iry.” mi disse in un sussurro.

Non la guardai, sentii i suoi occhi chiari su di me e fissai le sue mani che prendevano delicatamente un altro dei miei abiti. I suoi capelli erano sciolti sulle spalle, così quando abbassò di nuovo la testa il suo volto venne completamente coperto da essi. “So che le mie scuse sono forse inutili in questo momento.” mi disse poi, i nostri occhi si incontrarono. “Mi dispiace averti fatto del male per tutto questo tempo. Ho sempre saputo che non lo meritavi...eppure ho continuato.”

La guardai confusa, ricordavo i brevi tratti in cui, nel male che Rebekah mi aveva fatto, scorgevo quella strana luce nel suo viso che non mi spingeva ad odiarla.

Lei mi odiava perchè voleva difendere i suoi fratelli e questo poteva farle solo onore, anche se non ero una minaccia per nessuno di loro. Ma Rebekah doveva averne passate così tante che per lei fidarsi doveva risultare quasi impossibile. Aveva solo bisogno di affetto.

Lei sorrise, due piccole fossette si crearono ai lati della sua bocca. “La verità è che sei migliore di tutti noi, Irina.” disse ancora. “Chiunque gioirebbe nel vedere il proprio nemico piegato in due nella sconfitta e invece tu...ti sei piegata con me per non lasciarmi sola. Perchè lo hai fatto?”

Mi tornò in mente l'immagine della piccola Rebekah che piangeva, ancora non avevo capito cosa mi avesse spinto ad abbracciarla ma di una cosa ero certa: non volevo lasciarla affrontare quel dolore da sola. Chi gioirebbe nel vedere una persona, anche il proprio nemico, soffrire in quel modo? Io no, ero umana e il mio cuore mi aveva ordinato di starle accanto in quel momento. Vedendo che una risposta chiara non giunse ad entrambe, lei sospirò e sorrise di nuovo.

Mi sfiorò il ciondolo che portavo al collo e lo guardò come se le riportasse alla mente antichi ricordi. Probabilmente molto dolorosi, visto che quel gioiello era appartenuto ad una persona che aveva segnato una separazione dai suoi fratelli tempo prima. “Mi..mi dispiace aver distrutto quello che c'era tra te ed Elijah.” disse, allontanando la mano dal ciondolo.

Quel nome. Lo avevo pronunciato tante di quelle volte a me stessa, nel silenzio della mia mente ma sentirlo nella concretezza di una voce mi fece male. Distolsi lo sguardo e lo tenni basso.

Sta male anche lui Irina, non credere che si sia spento tutto. Noi vampiri crediamo di poter spegnere quella fiamma quando vogliamo ma non è così. Se soffi su una candela per spegnerla, rimane quell'alone di fumo che si alza verso il cielo e che ti ricorda che in quel preciso punto c'era una luce.”

Compresi il significato di quelle parole solo dopo averle ripetute nella mia mente, non capivo se Rebekah avesse intuito ciò che poteva esserci tra me e suo fratello ma di una cosa ero più che sicura: mi stava dicendo di non abbandonare la lotta, una lotta che non pensavo di dover più affrontare purtroppo. Il dolore vinceva sempre su di me.

Ti giuro che rimedierò al dolore che ti ho causato. Non temere, sono brava a far danni quanto a risolverli.” disse.

Mi strappò il primo vero sorriso che le mie labbra decisero di concedersi in quei giorni e Rebekah mi fece compagnia in quel mio inaspettato attimo di serenità. Anche se dubitavo che si sarebbe potuto rimediare un qualcosa che non c'era mai stato. Rebekah non era colpevole di nulla, gli unici colpevoli eravamo io,Elijah e le bugie con cui ci eravamo ingannati.

Bugie radicate agli inizi di quello che era nato tra noi e che era appassito alla velocità di un fiore in pieno inverno. Quei pensieri uccisero il mio primo vero sorriso da ragazza di nuovo sola.

Qualcuno bussò nuovamente alla porta della mia camera e qualcosa scattò in me: senza voltarmi mi parve di riconoscere la persona che si trovava alle mie spalle. Anche se non avessi avuto gli occhi, avrei potuto sempre riconoscere il rumore lieve di quell'elegante respiro.

Ragazze, volevo sapere se le vostre valigie erano pronte.” disse la sua voce, inconfondibile e profonda come i miei ricordi l'avevano mantenuta intatta nella mia mente.

Rebekah si girò verso Elijah prima di me, osservai il suo volto marmoreo mentre ci osservava dalla soglia della porta: portava i capelli raccolti in una piccola coda si cavallo e due ciuffi gli ricadevano ai lati del viso. Non lo avevo mai visto con i capelli raccolti in quel modo, ma erano talmente belli che gli sarebbero stati bene in qualsiasi modo. Ci guardammo, mi persi nella profondità dei suoi occhi neri come se fossi in un sogno a cui Rebekah decise di porre fine.

Come vedi, quelle di Irina non sono pronte.” disse e fu chiaro come il sole dove volesse arrivare. Pregai che la mia mente avesse captato male i segnali invisibili che colsi nella sua voce ma raramente mi sbagliavo.

E anche Elijah doveva aver avvertito quel campanello di allerta nella sua testa.

E le mie non sono ancora pronte.” concluse la bionda. “Qualcuno dovrà pur dar una mano alla piccola Iry, no?”

Io ed Elijah ci guardammo, avvertii il calore inondarmi il viso e abbassai lo sguardo.

Rebekah, le carrozze sono piene di bagagli tuoi...” ci tenne a precisare il vampiro.

Quelle? Quelle sono solo le valigie dei pigiami.” si giustificò Rebekah, usando una bugia assurda ma che disse con estrema sicurezza da risultare quasi realistica. “Se vuoi chiedo a Nik se vuole aiutarla..”

No, lo faccio io.” Elijah pronunciò quelle parole con fermezza, temendo che Rebekah avrebbe davvero chiamato Klaus per ricorrere in mio aiuto. Quella proposta non ebbe nemmeno il tempo di spaventarmi: immaginarmi sola con Klaus dopo quello che gli avevo combinato era un suicidio. Elijah si avvicinò a me e Rebekah lo superò, non si voltò nemmeno a guardarmi ma non mi lasciai sfuggire il suo sorrisetto furbo sulle labbra. “Fate con comodo!” ci disse, alzando la mano in un cenno di saluto, prima che uscisse dalla camera.

Rebekah era “diabolica” anche quando voleva fare del bene, ma l'adorai in quel momento.

Realizzai solo pochi istanti dopo che io ed Elijah eravamo soli. E sopratutto che eravamo fianco a fianco, percepii indistintamente il calore emanato dalla sua spalla mentre sfiorava la mia.

Lo guardai con il batticuore e ordinai a quel maledetto muscolo che batteva nel mio petto di rallentare, perchè Elijah avrebbe potuto sentirlo. Ma quello non mi diede retta, proprio come il mio sguardo che non la smetteva di studiare il profilo di Elijah.

Lui stava guardando i vestiti piegati sul letto e li stava lentamente riponendo dentro la mia borsa con una grazia unica.

Si è capito poco che Rebekah voleva farci rimanere soli.” disse in un sussurro, alzò lo sguardo verso di me e abbozzò un sorriso. Sentire la sua voce, ripetere le parole che aveva detto mi bloccò per un attimo il respiro. Odiavo non essere padrona del mio corpo in quel momento.

Ma mi fa piacere che ora vuole aiutarti e non staccarti la testa dal collo.” disse ancora lui. “Ha capito finalmente che ti si può solo volere bene.”

Perchè lui mi voleva bene? O il suo bene era evoluto in qualcos'altro come lo era per me?

Come una bambina, mi ritrovai a a stringere e allentare la presa al lati della gonna che indossavo. Mi feci più vicina a lui e decisi di aiutarlo, così facendo avrei accorciato il tempo in cui saremmo rimasti soli in quella stanza. In quel silenzio, avremmo trovato sicuramente il modo di farci del male e io volevo evitarlo il più possibile.

Non preoccuparti, faccio io.” disse lui, continuando a non guardarmi. Ma non lo ascoltai, l'aria si era fatta soffocante attorno a me e non riuscivo a sorreggerla. Terminammo di piegare due abiti nello stesso momento e sempre nello stesso istante le riponemmo dentro la borsa.

Non sapevo come, ma le nostre mani arrivarono a sfiorarsi.

Una scarica di brividi mi corse lungo il corpo, mentre i dorsi delle nostre mani continuarono a restare a contatto. Smettemmo entrambi di muoverci e di respirare, sentii che il controllo dei miei pensieri e della mia mente stava svanendo sempre di più, fino a cadere in un vortice di sensazioni che non avrei potuto arrestare.

Girai la mano, posai il palmo sul suo dorso e lo strinsi, facendo scorrere il pollice lungo la sua pelle calda. Quel mio gesto lo disorientò, lo sentii schiarirsi la voce mentre continuavo a volere egoisticamente quel contatto.

Come sempre, fu lui quello che si controllò meglio in quella situazione.

Irina, basta.” disse con semplice freddezza, ritrasse la mano e se la portò al petto come se volesse evitare che potessimo di nuovo toccarci. Alzai lo sguardo su di lui, quando lo vidi darmi le spalle e voltarsi, senza però volersene andare. Ero una persona molto insicura, ma era palese che, in qualche modo, quei piccoli brividi che mi corsero lungo la spina dorsale quando ci eravamo toccati non ero stata l'unica a sentirli.

Non mi rendi le cose facili così..” mi disse poi, sforzandosi di assumere un'espressione seria che però non dovette riuscirgli bene, dato che non mi ferì in alcun modo.

Rimasi a fissarlo seriamente e con ostinazione, ancora non accettavo il fatto che lui volesse prendere una decisione simile solo perchè ci eravamo mentiti un'unica volta.

Era passato pochissimo tempo senza parlarci e l'idea di passare altre giornate in quel modo mi faceva star male. Mi guardò allora severamente poi distolse lo sguardo dal mio viso, sembrava non poter sopportare il modo in cui lo stavo guardando.

Mi fai sentire come se fossi il cattivo della situazione, quando in realtà sto sempre cercando di proteggerti.” disse, come se volesse riversare il senso di colpa che lo logorava su di me.

Non lo stava facendo con l'intenzione di ferirmi, cosa che gli veniva comunque facile quando cercava di tutelarmi in quel modo. Continuammo a guardarci, la tentazione di prendergli il viso tra le mani e baciarlo era tanta. Tanta quanto era la voglia di voltarmi e non guardarlo in faccia.

Ho sbagliato a cedere, te l'ho già detto.” continuò lui seriamente. “E non ti ho mai detto che non voglio più vederti o altro. Voglio solo evitare di ferirti e mi assumo tutte le colpe per quello che è successo tra noi. Ma è la cosa migliore, credimi, e dobbiamo combatterla entrambi.”

Ma stava parlando a sé stesso, non a me.

Tra i due quello più spaventato era stranamente lui. Io ero certa di ciò che volevo e non m'importava nulla: le bugie le diceva chiunque e le nostre erano state dette sicuramente a fin di bene alla fine.

Tornai a guardare la borsa sul letto, il vestito che lui aveva ripiegato con cura si era sgualcito nel tentativo di fuggire al mio tocco poco prima.

Lui sospirò, quando mi vide allungare la mano verso l'abito e sistemarlo alla meglio. “Puoi almeno smetterla di guardarmi in quel modo o di non guardarmi affatto?” mi chiese, sempre con quella sua forzata freddezza. Si era portato le mani sui fianchi e a quel punto mi decisi a voltare lentamente la testa verso di lui, sotto quella sua maschera da espressione distaccata si celava quella che sembrava agonia. Era stupido prendere una decisione del genere per poi stare comunque male, perchè se il mio comportamento, dovuto al suo desiderio di sopprimere ciò che provavamo, gli creava disagio voleva dire che anche lui stava male quanto me.

Ma quelle due piccole, ma forse grandi ai nostri occhi, bugie ci impedivano ad entrambi di farci forza e varcare la soglia di quel dolore. Non riuscimmo a sostenere l'uno lo sguardo dell'altra e voltammo la testa, io verso il bagaglio e lui verso la porta.

Sembrava che volesse uscire dalla mia stanza e andarsene, ma qualcosa lo tratteneva.

Credi che sia solo per quelle bugie che ho preso quella decisione per entrambi?” mi chiese, provocandomi una rabbia irrefrenabile. Lui non aveva il diritto di decidere per me, perchè ero abbastanza matura da decidere di buttarmi nel fuoco e scottarmi quando meglio volevo.

Egoista.” dissi in silenzio e lui riuscii a tradurre le mie parole, nonostante fossi di profilo e non lo stessi guardando.

Lui era egoista, perchè era lui quello che aveva paura di stare con me, non io.

Aveva preso la decisione che faceva più comodo a lui, a me non aveva minimamente pensato.

Egoista?!” ripeté incredulo, avvicinandosi a me. Sentivo il calore della sua rabbia, probabilmente rivolta verso sé stesso. “È vero lo sono stato, perchè mi sono concesso di viverti nonostante sapessi che non avrei mai potuto farlo. Ma ora non sono egoista, dato che voglio solo proteggerti.”

Se quello significava proteggermi, preferivo che non lo facesse.

Non sopportavo più quelle lame che mi pugnalavano dentro di continuo, ricordandomi quanto l'amare potesse uccidere.

Elijah continuò a guardarmi, s'inumidì le labbra e prese un lungo respiro.

Hai mai pensato al tuo futuro, Irina?”

Quella domanda mi sorprese. In realtà non avevo mai pensato al mio futuro e non me n'ero resa nemmeno conto: avevo pensato ad una ipotetica vita futura quando mio padre stava per farmi sposare a Vladimir e mi ero immaginata come una donna sola e depressa che viveva in una casa con un uomo che non amava.

Un futuro che non volevo.

Ma da quando ero arrivata in Inghilterra pensavo solo al presente e gran parte di quel presente era rappresentato dall'immagine di lui. Quando mi pose quella domanda però, mi resi conto di dove realmente volesse arrivare. “Tu hai un futuro, ma non con me. Io non fermerò il tempo della tua vita, non ti trasformerò mai in quello che sono io, perchè non ti meriti un'eternità di sangue e violenza. E nemmeno tu lo vuoi, perchè ti conosco fin troppo bene.” continuò lui.

Odiavo quelle parole, ma perchè non potevo contraddirle. Ero stata così stupida da non pensare che avrei dovuto trasformarmi in un vampiro se volevo restargli accanto. Era l'unica scelta necessaria se volevo rimanere con lui, ma era anche una scelta che mi spaventava.

Avevo visto quello che avevo fatto a Rose e pensai che avevo preso per lei una scelta che io non avrei voluto prendere per me stessa. Ma non era di quello che si trattava, il futuro era una cosa lontana ed era il presente che m'interessava in quel momento.

E lui mi stava impedendo di vivermelo. Il futuro era una cosa troppo lontana per poterci pensare.

Alzai lo sguardo su Elijah e notai che lui stava continuando a guardarmi, sperando che comprendessi quelle sue parole.

Ma se lo poteva scordare, io non avrei mai accettato di arrendermi in quel modo solo perchè lui continuava a cercare pretesti per porre fine a tutto quello che c'era tra noi. Abbassai di nuovo lo sguardo e mi resi conto che per la prima volta, da quando ci eravamo conosciuti, ero davvero arrabbiata con lui. Non volevo guardarlo, volevo solo che se ne andasse prima che reagissi nella maniera peggiore possibile alle sue parole.

Mi odio per quello che ti ho fatto. Se potessi, ti farei dimenticare ogni cosa...” disse ancora lui.

Quelle parole mi colpirono più di tutte, perchè il pensiero di dimenticare quei pochi ma eterni attimi che c'erano stati tra di noi sembrò privarmi del respiro. Non capivo se Elijah avesse pronunciato quelle parole con intenzione, oppure se avesse perso per un attimo il controllo di sé. Non volevo nemmeno appurarlo perchè, in un modo o nell'altro, era comunque riuscito a farmi sanguinare il cuore.

Lui mi avrebbe davvero cancellato la memoria se ne fosse stato capace, ne ero certa.

Almeno non vedrei mai più quel tuo sguardo....” disse dispiaciuto.

Vattene.” Alzai la testa verso di lui e mossi le labbra in quella parola, stringendo i denti e sforzandomi di non piangere di rabbia. Ero sicura che se avessi avuto voce, mi sarebbe uscito una specie di ringhio rabbioso, molto simile a quello che avrei usato quando avevo detto a Klaus di odiarlo.

Lui lesse chiaramente le mie labbra, le osservò a lungo e poi abbassò la testa come se stesse forzando sé stesso per seguire quelle parole dettate dal silenzio. Vederlo andare via sembrò uccidermi e quando la sua figura scomparve dietro l'angolo, rimasi immobile vicino al letto e alzai la testa verso il soffitto per ricacciare indietro le lacrime. Era sempre lui quello per cui avrei voluto avere voce, in quel momento infatti avevo una gran voglia di gridare tutto il mio dolore.


Non è possibile, è stupendo!”

Guardai il cielo bianco sopra le nostre teste, la neve cadeva a piccoli fiocchi su di noi e continuando a ricoprire il terreno che ci circondava. Se l'abitazione dove fino a poco prima avevamo vissuto la si poteva considerare un posto da favola, quello che ci attendeva lo batteva su tutti i fronti.

Il viaggio per raggiungere quella destinazione durò ore, ore in cui solo Rebekah e Katerina sembravano mostrare entusiasmo. Dentro la carrozza le due erano sedute di fronte a me, in mezzo a loro Elijah sembrava non sentire le loro voci troppo squillanti per quella palpabile atmosfera di tensione che ci circondava. Io sedetti per tutto il tempo vicino a Klaus che, evidentemente, mi prese come parte delle pareti della carrozza: non mi rivolse nemmeno uno sguardo o uno di quei sorrisi che tanto adorava. Il modo in cui lo avevo preso per i fondelli per un solo misero secondo non gli era ancora andata giù. Il fatto che invece di farmela pagare con una minaccia, preferisse rispondere in silenzio mi spaventava.

Solo la vista di quella casetta posta su una collinetta innevata risollevò di poco il mio morale. L'abitazione era molto più piccola rispetto alla precedente, ma comunque troppo grande per ospitare solo cinque persone. Era molto vicina alla foresta, gli alberi che la circondavano erano completamente ricoperti di neve e si stagliavano verso il cielo color latte. Da quella collinetta si riusciva a vedere in lontananza il piccolo villaggio che si trovava a diversi chilometri da essa.

Ho sempre adorato la neve, è uno spettacolo meraviglioso!” aggiunse Rebekah vicino a me, unendosi così alla meraviglia di mia sorella. La neve non ci era nuova, anche in Bulgaria la faceva spesso e volentieri, ma non avevamo mai potuto ammirarne davvero la bellezza in quel villaggio triste e solitario in cui avevamo vissuto per anni.

Aprii il palmo della mano, coperto da un guanto nero, e guardai la neve cadere su di essa.

Faceva freddissimo, non avevo capito perchè Klaus ci avesse raccomandato di mettere da parte “abitini e lustrini” e di vestirci così pesantemente, fino a quando non avevo visto quel posto. Non avendo servi con noi, furono Elijah e Klaus a portare dentro la casa le mille valigie che si trovavano sulla carrozza. Klaus in particolar modo sembrava odiare quel ruolo, si considerava così signore evidentemente da non volerlo fare.

Elijah mi passò accanto, trasportando due enormi borsoni che dovevano appartenere a Rebekah. Lo seguii con lo sguardo, mentre risaliva la collina ed entrava in quella casetta dalla pareti di legno. Nonostante sapessi che non ne avesse bisogno, fui tentata dal dargli una mano.

Possibile che anche se dovessi essere arrabbiata con lui, non riuscivo comunque ad esserlo?

Ragazze, è solo neve. Cosa ci trovate di tanto bello e fantastico?” ci chiese cinicamente Klaus, mentre cercava di prendere una delle borse che erano state fissate nel retro della carrozza.

Katerina e Rebekah nemmeno lo sentirono per quanto fossero affascinate dalla bellezza bianca che ci circondava.

Ma io invece ascoltai bene le sue parole e lo guardai incredula, uno dei più grandi difetti che riconoscevo in Klaus era quello di non riuscire a vedere la bellezza in quella piccole cose.

Spesso erano le cose più semplici a darci le felicità più grandi, forse lui era così sprezzante nei confronti di tutti perchè non comprendeva un pensiero banale.

Lui sentì che lo stavo guardando e mi rivolse una lunga occhiata, continuando a armeggiare con le fibbie che saldavano i nostri bagagli. Chissà perchè mi ero soffermata così tanto su una una delle sue solite frasi che riflettevano tutta l'oscurità che lo divorava.

Colpa indiretta delle parole che Rose mi aveva detto qualche giorno prima al suo riguardo.

Nik, noi andiamo a sceglierci le stanze. Credo che io e la Petrova senior saremo in competizione nel scegliere quella più grande.” disse Rebekah, lanciando un'occhiata di sfida verso mia sorella. Ma era un solo uno sguardo giocoso, sembrava davvero che Rebekah si stesse sforzando di essere carina con noi.

Klaus guardò la sorella di sfuggita. “Fate come volete...” rispose, corrugando la fronte e continuando a tirar giù bagagli.

Io rimasi immobile, Rebekah e Katerina si allontanarono ma mia sorella si fermò a metà strada quando vide che non le stavo seguendo.

Irina, tu non vieni?” mi chiamò, facendosi interrogativa.

Alzai lo sguardo su di lei e le feci segno che le avrei raggiunte subito, prima sentivo che dovevo fare una cosa. Lei annuì e si diresse verso la casa, lanciandomi un'ultima occhiata confusa.

Klaus non si accorse subito che eravamo rimasti solo noi là fuori, mi avvicinai lentamente a lui e il ragazzo rivolse lo sguardo verso di me. Freddo e tagliente come al solito.

Che vuoi, piccola bugiarda?” mi chiese, mentre poneva sul terreno uno dei bagagli che doveva essere di Katerina. Alzò di nuovo la testa coperta da un cappuccio scuro e afferrò un'altra borsa.

Bella domanda, pensai. Ero partita con l'umano intento di volerlo aiutare a tirar giù tutti quelle borse, mi ero dimenticata di tutto quello che c'era stato tra noi.

Non so se lo hai capito, little sweetheart, ma non ho molta voglia di perdere tempo con te.” mi disse. Alzai le sopracciglia, non avevo mai fatto caso a quanto il signorino fosse suscettibile.

Non mi ero fidata di lui e allora? Come poteva pretendere che lo facessi dopo tutto quello che mi aveva combinato? Alzai lo sguardo verso il cielo, diversi fiocchi di neve mi caddero sul viso con la loro soffice leggerezza.

Maledetta neve, crea solo fastidi.” disse Klaus in un ringhio, quando si accorse che una borsa si era aperta e l'interno si era quasi riempito di neve.

Maledetta era un termine che non avrei mai potuto affidare ad uno spettacolo bello come la neve, forse colpa del mio essere troppo bambina e infantile che mi spingeva a guardare con occhi meravigliati ciò che la natura ci regalava.

Istintivamente, allungai la mano verso le sue e ne presi una con forza.

Klaus restò così sorpreso dal mio gesto che il suo polso seguì i movimenti della mia mano. Alzò lo sguardo su di me, quando mi vide sfilargli il guanto e girargli il palmo verso il cielo.

E ora che diavolo vuoi?” mi chiese, non si ritrasse evidentemente perchè era curioso di sapere cosa volessi combinare. Continuai a tenere la mia mano sotto il dorso della sua e la alzai di pochi centimetri, all'altezza della mia spalla, in modo che lui potesse vedere i fiocchi di neve che cadevano sulla sua pelle. Come non riusciva a vedere la bellezza in quei piccoli gioielli del cielo?

Era una cosa che non comprendevo, le neve era uno degli spettacoli più belli che la natura potesse donarci.

Non era come il sole e la pioggia, quelli li si poteva vedere ad ogni periodo dell'anno. La neve era diversa: qualcosa che arrivava quando meno te lo aspettavi e che ti ritrovavi ad osservare con un sorriso sulle labbra.

Come faceva a non amarla?

Klaus restò in silenzio, guardò quei fiocchi che si scioglievano sulla sua mano in silenzio e mi chiesi cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.

La sua espressione era strana quando la guardai, aveva la fronte corrugata e la bocca dischiusa in un pensiero che forse non voleva rivelare. La neve doveva piacergli, forse si vergognava ad ammetterlo perchè era una cosa che gli sembrava troppo umana.

Perchè le cose più piccole spesso ci regalano grandi paure che si trasformano poi in felicità, io lo avevo sperimentato sulla mia pelle.

Perchè l'amore è una cosa piccola in fondo, semplice e talmente facile da capire che spesso si tende a trasformarlo in qualcosa di più complicato. Fa paura affrontarlo, ma quando lo si affronta si arriva a provare una felicità immane. Era una cosa che mi aveva insegnato Elijah, anche se poi le cose stavano prendendo una piega dolorosa.

Paragonare l'amore alla neve non era forse una cosa adeguata, ma entrambe erano cose semplici di cui chiunque doveva apprezzarne la bellezza.

Anche Klaus, lui non era così lontano dal resto del mondo come credeva, altrimenti non si sarebbe soffermato a guardarla in quel modo.

Tu e i tuoi gesti che tendono quasi al filosofico mi avete stancato.” Klaus rovinò tutto, tirando via la mano da me e riprendendosi il guanto che tenevo nell'altra mano. “Se stai cercando di accattivarti la mia simpatia, ti sbagli di grosso. Io non mi faccio fregare due volte, una basta e avanza.”

Ma io non volevo accattivarmi la sua simpatia, volevo solo comprendere perchè il suo odio arrivasse a tanto. Alzò lo sguardo su un altro bagaglio, sembrò un attimo disorientato per quello che era successo poco prima. “Questo è tuo?” mi chiese, ma non c'era gentilezza nella sua voce.

Perciò non mi stupii quando, dopo un mio cenno di assenso, lui fece cadere violentemente la mia borsa a terra. Un gesto premeditato e fatto apposta, con il solito intento di vendicarsi di me come farebbe un bambino capriccioso.

Guardai alcuni dei miei abiti che si riversarono sulla neve e tirai un sospiro per calmarmi e non colpirlo con un pugno.

Scusa tesoro, non l'ho fatto apposta.” disse poi, voltandosi verso di me e sorridendomi con sfida. “Ma mi sono appena ricordato che non te l'ho fatta pagare per avermi mentito. Spero che ti divertirai a raccogliere tutto.”

Mi superò sfiorandomi con una spalla, presi un lungo respiro che mi gelò ancora di più dentro e gettai la spugna. Mi era bastato così poco per farlo, Klaus era bravo a farmi rimpiangere sempre le mie decisioni.

Mi chinai sulla borsa e iniziai a raccogliere gli abiti e a riporli dentro la borsa.

Ma perchè lo avevo fatto? Non era possibile che le parole che mi aveva detto Rose mi stessero causando quell'effetto, non era possibile che io volessi cancellare il passato e combattere tutto il male che provavo per Klaus pur di arrivare a comprenderlo per davvero. Che m'importava farlo?

Lui non sopportava me, io non sopportavo lui: non c'era niente da fare per cambiare le cose.

Pochi minuti dopo, una mano accorse in mio aiuto.

Non mi ero nemmeno accorta di come dei passi si fossero avvicinati al mio corpo e alzai lo sguardo su Elijah che teneva lo sguardo basso sui vestiti immersi nella neve. “Lascia, faccio io.” mi disse, senza guardarmi.

Era furioso con suo fratello. Lo lessi indistintamente nei suoi occhi che si sforzava di tenere lontani da me, era chiaro che si stesse controllando con difficoltà.

Continuò a riporre la mia roba dentro la borsa, sempre con delicatezza ma evitando sempre forzatamente il mio sguardo. Rimasi chinata accanto a lui, con lo sguardo rivolto verso le sue mani, mentre ripiegava i miei vestiti.

I nostri gomiti si sfiorarono e una scarica di brividi mi corse lungo il braccio.

Ti prego, non farlo. Non provare a capire Klaus.” mi disse, la sua voce era costante nella solita freddezza. Ci guardammo e i suoi occhi mi sembrarono più profondi.

Mi si bloccò il respiro in gola, forse per il freddo e forse per via di quelle parole, pronunciate in quella maniera così pungente.

Cos'hai in mente stavolta? Di diventarci amica?” mi chiese ancora lui, lanciando un'occhiata verso la casa alle nostre spalle, come se volesse assicurarsi che il fratello non lo stesse ascoltando. O che lo stesse ascoltando, perchè delle volte mi sembrava che Elijah volesse sfidarlo a tutti i costi per fargli capire qualcosa.

Scossi la testa, odiavo quando mi parlava in quel modo in relazione a Klaus. Anche se, in fin dei conti, non capivo nemmeno io cosa mi avesse spinto a mettere alla prova in quel modo suo fratello.

In realtà volevo davvero capirlo, volevo capire perchè detestasse il mondo così tanto.

Forse se avessi provato a reprimere il mio odio, ci sarei riuscita. Ma vista la reazione molto alla Klaus di poco prima, non sapevo cosa pensare.

Vedendo che non rispondevo, Elijah sbuffò di nuovo. “Tu il rancore non sai nemmeno dove sta di casa, vero?” mi chiese, le sue parole erano ghiaccio.

Mi morsi il labbro e mi chiesi perchè ultimamente lui spendesse il suo tempo a battibeccarmi per ogni cosa. Non volevo che mi facesse da maestro o da fratello maggiore e lui lo sapeva bene.

Se voleva starmi vicino in quelle vesti e farmi così del male, poteva anche ignorarmi.

Tanto averlo vicino ma sopprimere quello che provavo equivaleva ad averlo lontano.

Mi alzai lentamente in piedi e decisi di allontanarmi il prima possibile da lui, dai suoi occhi e dai brividi che la sua vicinanza mi causava.

Sentii gli occhi di Elijah sulle mie spalle e senza nemmeno accorgermene mi voltai di scatto verso di lui e con rabbia. “Smettila.” mossi le mie labbra in quelle parole che solo la mia testa udì.

O forse no, Elijah mi fissò accigliato. “Smetterla di fare cosa?” mi chiese.

Di starmi vicino. Di bloccarmi il respiro. Di farmi battere il cuore. Di ricordarmi che lo avevo perso.

Erano tante le cose che volevo smettesse di fare, volevo che sparisse e che si portasse dietro il mio dolore. In quel momento ero io quella che desiderava dimenticare tutto.

Amarlo era come una malattia, sentivo che mi stava divorando dall'interno lentamente e presto sarebbe arrivata la morte. Non c'era cura per quello che avevo, se non lui.

Lui trovò nei miei occhi la risposta alla sua domanda, si tirò su prendendo la borsa e se la portò in spalla. Si avvicinò a me si fermò a pochi passi, abbassai lo sguardo per non vederlo.

Smetterò di esistere ai tuoi occhi, pur di non farti più male.” disse.

Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime quando alzai lo sguardo su di lui, mi stava praticamente dicendo che mi sarebbe rimasto lontano per non ferirmi.

Ma provai comunque dolore.

Mi superò e lo sentii allontanarsi sempre di più. A quel punto chiusi gli occhi, lasciando che le lacrime scendessero lungo il mio viso e venissero congelate dal vento. Nemmeno la neve mi aiutò in quel momento.


Ci dividemmo le stanze e io scelsi quella più piccola ma più vicina alla foresta. Katerina, Rebekah e Klaus scelsero le più grandi, solo io ed Elijah preferimmo la semplicità alla comodità.

Il mattino successivo Katerina e Rebekah andarono a fare compere accompagnate da Elijah, il modo in cui quelle due si fossero rivelate così affini mi faceva sorridere.

Decisi di non andare con loro, volevo restare sola e poi ci sarebbe stato Elijah con loro.

Preferivo rimanere con me stessa e la mia amica tristezza.

Era decisamente tardi quando decisi di scendere dal letto, la luce del cielo si rifletté sul bianco del terreno e rimasi ad osservarlo per minuti dalla finestra. Poi il mio stomaco mi ricordò che non potevo nutrirmi solo di rimpianti e scesi le scale per dirigermi al piano di sotto e far colazione.

Appena superai l'ultimo scalino, mi accorsi di una porta che si trovava nel corridoio di fronte, una porta a cui non avevo fatto minimamente caso la sera prima, troppo impegnata a scacciare la mia malinconia. Mi avvicinai curiosa e posai la mano sul pomello con l'intento di entrarvi.

Ma quella era chiusa a chiave.

Se provi ad entrare là, ti stacco le manine.”

Quella voce mi fece pietrificare, ruppe il silenzio come solo il fautore di quelle parole poteva fare e mi fece rimanere di sasso. Volsi la testa verso la soglia del salotto alla mia destra e mi accorsi che Klaus era seduto su una poltrona accanto al camino con in mano un libro.

La speranza che lui fosse in giro a fare i suoi porci comodi mi abbandonò all'istante.

Non mi guardava, era di profilo e la fiamma del camino creava degli strani giochi di luce sulla pelle del suo viso.

Sembrava parecchio concentrato su quello che stava leggendo, eppure una parte dei suoi sensi si era, come al solito, accorta che stavo facendo qualcosa che poteva indisporlo.

E mi chiesi cosa si celasse dietro quella stanza.

Lo ignorai, non mi andava di stare a litigare anche con lui con quello che stavo passando. Decisi di voltarmi verso la scalinata e tornare in camera, preferivo rimanere sola che star con lui.

Ma Klaus non me lo permise.

Tu lo sai che Niklaus si scrive con la “k”, ignorantella?” disse la sua voce.

Non afferrai subito il significato di quella parole, mi voltai verso di lui e mi accorsi solo allora che il libro che aveva tra le mani era il mio diario.

Definirmi sconvolta era ben poco, come era riuscito a prendermelo senza che me ne accorgessi?

Avanzai velocemente verso di lui e provai a togliergli il diario dalle mani, ma finii contro la poltrona vuota: Klaus era scattato in piedi con la sua velocità da vampiro e si stava facendo beffe di me, con un sorriso sulle labbra.

Camminava dietro la poltrona, sopra l'enorme tappeto rosso che copriva il pavimento. Lo sguardo fisso sulle pagine che avrei voluto mantenere segrete.

Posai la mani sul sedile della poltrona e cercai di farmi forza per rimettermi velocemente in piedi.

Noto con piacere che sono il protagonista principale del tuo diario. Odi tutto di me!” ridacchiò Klaus, provai a raggiungerlo di nuovo ma lui mi diede velocemente le spalle puntò sulla sua altezza per impedirmi di riprendermi ciò che era mio. Era davvero bravo a premere sulle debolezze altrui, anche quando voleva semplicemente divertirsi come un bambino troppo cresciuto.

Odi il mio sorriso, odi la mia voce, odi le mie labbra....e persino il mio naso!” Klaus iniziò a citare delle frasi del mio diario, mandandomi di nuovo in bestia. Mi tenne lontana con il braccio sinistro, in modo che lui potesse leggere senza che io lo intralciassi.

Scomparve di nuovo rapidamente e per poco caddi a terra perdendo l'equilibrio, mi trovavo di fronte al camino e le fiamme che ardevano la legna furono gli unici rumori che si sentivano all'interno della stanza.

Mi voltai di scatto, quando avvertii una presenza alle mie spalle: Klaus era a pochi centimetri di distanza da me, sentivo il suo respiro sul viso e il suo sguardo scavarmi dentro.

Le labbra erano allargate in una specie di ghigno, con cui voleva semplicemente provocarmi.

In poche parole mi ami.” disse, con una punta di malizia nella voce che mi faceva salire il sangue al cervello. Le sue provocazioni diventavano insopportabili, specie se era così vicino a me. Feci diversi passi indietro e notai che Klaus aveva nascosto il diario dietro la schiena, in modo che non glielo togliessi dalle mani.

Lo sai che l'odio è il punto che anticipa l'amore?” mi chiese ancora, sempre con l'intento di sfidarmi e mettermi in difficoltà.

Ma che stupidaggine era quella? L'odio è una cosa così nera che non può trasformarsi nei colori dell'amore. Solo qualcuno con la mente contorta come quella di Klaus poteva pensare una cosa simile.

Altro che tutte le paroline dolci per mio fratello....” aggiunse poi.

A quelle parole arrossii come un peperone, mi scagliai di nuovo su di lui per riprendermi il custode dei miei segreti, ma Klaus continuò a giocare sporco e si mosse di nuovo velocemente, finendo dietro la poltrona vicino al camino.

Dio, ma sei fatta di zucchero? Mi hai fatto venire qualche malattia al sangue con tutte queste parole da principessa delle fiabe!” esclamò.

Corsi verso di lui, decisi di sfruttare la poltrona per sfidarlo in altezza: posai i piedi sopra il sedile e cercai di togliergli il diario dalle mani. Lui sorrise e mi provocò, passando il diario da una mano all'altra nascondendolo dietro la schiena.

Lo guardai stancamente, ma aveva cinquecento anni oppure ne aveva solo cinque? Preferivo quando faceva la parte del vampiro cattivo, piuttosto che quella parte infantile e fastidiosa che ancora non avevo imparato ad affrontare.

Ti sfido. Vediamo se riesci a riprendertelo.” mi disse lui, alzando la testa per guardarmi in viso.

Con un rapido gesto mi anticipò, appena cercai di strappargli il diario dalla mano sinistra. Lo passò su quella destra con un agilità nei movimenti che mi mise in seria difficoltà.

Poi se lo riportò dietro la schiena e mai lo avesse fatto: per cercare di prenderlo, persi l'equilibrio sulla poltrona e gli finii addosso.

Per non cadere a terra e rimanere con i piedi in equilibrio sul sedile, fui costretta a buttare la braccia attorno al suo collo in un gesto impulsivo. Il tempo venne congelato dall'imbarazzo di quella situazione: i nostri visi erano ad un solo misero centimetro di distanza e le labbra si sfiorarono per qualche interminabile secondo. Quel piccolo incidente dovette prendere alla sprovvista anche lui, perchè il suo sguardo divenne stranamente sorpreso da quella improvvisa vicinanza.

Una vampata di calore mi investì il viso e mi parve di sentire solo il mio cuore battere dentro il petto, ero certa che avrebbe potuto fermarsi insieme al tempo da un momento all'altro.

Ma perchè solo a me dovevano capitare quelle figuracce? Con lui poi?

Klaus mi rise in faccia e abbassò lo sguardo sulle mie labbra, continuando a sostenermi. “Se volevi saltarmi addosso bastava chiedere, amore.” disse.

Sapeva che si era trattato di un incidente ma la sua mente malata doveva per forza mettermi in difficoltà. Mi morsi il labbro per la rabbia causatami dal suo sguardo e ne approfittai per riprendermi il diario che Klaus aveva portato al lato sinistro della sua testa.

Mi portai indietro con la schiena per tornare in piedi sulla poltrona e gli strappai letteralmente di mano il diario, lanciandogli poi un'occhiataccia che a lui fece ben poco.

Scesi lentamente, cercando di non inciampare sulla gonna e fare magari un'altra figuraccia. Ci mancava un po' di imbarazzo nei colori tetri della mia tristezza, mi strinsi il diario al petto come sentendomi violata di qualcosa di troppo intimo per poterci passare sopra.

Klaus rise e camminò di qualche passo verso la soglia della porta. “Non mettere quel broncio. Diciamo che volevo solo prendermi un'altra mia piccola vendetta.” mi disse, prendendo un mantello dall'armadio a muro alle sue spalle. Lo guardai con tutta la rabbia che potevo covare dentro e non mi accorsi nemmeno che mi aveva lanciato un mantello, lo lasciai cadere a terra.

Vestiti, andiamo a fare un giro.” mi disse, cogliendomi di sorpresa.

E ora dove voleva portarmi? Lo guardai con aria confusa, mentre si sistemava il suo mantello sulle spalle. Lui ricambiò il mio sguardo come se lo stessi fissando come una stupida.

Little sweetheart..” disse, odiavo quando mi chiamava in quel modo. “Io qui da sola a confabulare con te stessa non ti lascio. Perciò...mettiti quel mantello e seguimi se non vuoi farmi arrabbiare. Ho anche un po' fame sai?”

Le sue minacce nascoste mi spaventavano peggio di quelle dirette, deglutii e presi il mantello da terra. Che potevo fare se non seguirlo?


Non capii dove voleva condurmi Klaus, ma ero semplicemente certa che non volesse farmi fuori. Probabilmente voleva davvero solo andare da qualche parte e impedirmi di fare danni mentre ero sola a casa, magari curiosando in quella piccola stanza in cui mi aveva intimato di non entrare.

Quando avrebbe capito che tutti i miei pensieri non ruotavano attorno a lui?

Accelera il passo, ragazzina. Sei una palla al piede, sai?” disse, con la sua solita voce a dir poco fastidiosa. Camminava a pochi passi da me, avrei voluto ricordargli che quel percorso che stavamo prendendo era in discesa e ricoperto di neve, di certo non era d'aiuto ad una persona goffa come lo ero io. Quindi, Klaus doveva solo armarsi di pazienza e non rimproverarmi ogni singolo movimento.

Per combattere la tensione, avevo raccolto un ramo da terra, con cui colpii gli alberi che si susseguivano in serie affianco a noi.

Klaus invece si muoveva con un'agilità e una leggiadria quasi pari a quella di Elijah. Non indossava il cappuccio a differenza mia, portava i capelli raccolti in una coda di cavallo che gli metteva in risalto il viso.

Si girò verso di me, quando si accorse che la distanza tra noi era aumentata. Ma la strada era impercorribile e io avevo il fiatone.

Posso dirti una cosa?” mi disse, quando finalmente giunsi al suo fianco.

Lo guardai stupita, da quando si poneva delle questioni sul dirmi qualcosa? Lui apriva sempre la bocca per dargli fiato e dalle sue labbra non uscivano mai delle cose carine. Analizzai il suo sguardo, scostando di poco il tessuto del cappuccio dai miei occhi in modo che potessi guardarlo meglio. Decifrare l'emozione nascosta nel suo sguardo, mi sembrò a dir poco impossibile.

Quello che c'è tra te e mio fratello, qualsiasi cosa essa sia...” riprese a parlare lui, quando riprendemmo a camminare l'uno affianco all'altra. Dalle nostre bocche uscivano delle nuvolette di vapore che poi scomparivano nel vento, intanto continuavo a lasciar scorrere il bastone tra i tronchi degli alberi alla mia sinistra. La neve cadeva dolcemente su di noi, alcuni fiocchi mi finirono sul viso per poi sciogliersi sulla mia pelle.

Mi chiesi dove volesse arrivare Klaus parlando di quello che c'era tra me ed Elijah. Non sapevo se lui sapesse del nostro breve preludio di qualche giorno prima. Era chiaro che avesse capito che provassi qualcosa per suo fratello, visto il modo in cui aveva messo il naso nel mio diario, ma non ero certa che sapesse che, per un breve periodo, forse era stato ricambiato.

Sembra una favola.” sussurrò e per un attimo mi parve di non trovarmi con Klaus.

Lui guardava fisso davanti a sé e non si accorse di come le mie labbra si fossero allargate in un lieve sorriso, di fronte ai ricordi di quella che effettivamente era stata una favola per me.

Una specie di dolce ninnananna che ti accompagna nel mondo dei sogni..” continuò lui, ogni singola parola accrebbe il battito del mio cuore. Erano parole dolci, che non mi sarei mai aspettata di sentir pronunciare da lui e che mi facevano vagare con la mente verso quei momenti che, per me, erano stati davvero bellissimi.

Una bugia.”

I ricordi s'interruppero di colpo con l'arrivo di quella cruda affermazione.

Smisi di camminare e guardai l'artefice della fine della mia momentanea fantasia con una punta d'odio. Klaus si fermò a pochi passi da me e mi sorrise, ricordandomi che lui era presente nella mia vita solo per ferirmi.

Le favole sono bugie, Irina. Sogni spezzati che la mente ti concede per sfuggire alla cruda realtà.” disse, lasciò poi che il silenzio accrescesse la meschinità di quella realistica convinzione.

Odiavo come pronunciava la parola bugia, come se fosse una spada da brandire e puntare contro di me. Lui amava ferirmi, non ne capivo il motivo ma lui sembrava trarne davvero molto piacere nel farlo.

Era come una droga per lui: più soffrivo, più lui era felice.

Però, in quel caso, stava gioendo per qualcosa di maledettamente vero, almeno dal punto di vista cinico di una persona come lui. Klaus stava parlando di una cosa che non aveva sperimentato.

E se io volevo credere nelle favole, ci avrei creduto e basta.

L'amore vero, Irina, è quello che si vive quando ti batte il cuore.” continuò Klaus, infierendo come solo lui poteva fare. “Noi siamo come ibernati, i vampiri non provano più amore o qualsiasi sentimento tu voglia da Elijah.”

Abbassai lo sguardo, volevo gridargli di stare zitto ma dubitavo che, in quel caso, mi avrebbe comunque dato retta. Lui voleva vedermi soccombere pezzettino per pezzettino, voleva vedere il sangue uscire dal mio cuore mentre pronunciava quella parole.

Con la coda dell'occhio, lo vidi scuotere la testa. “Lui ha amato quando era umano, quando il suo cuore pulsava e quando il suo corpo desiderava calore. Quello è stato il vero e unico amore della sua vita.” continuò, facendomi seriamente male.

In quel momento dovevo essere il riflesso della gelosia, non ero così stupida da pensare che Elijah non avesse avuto altre donne prima di me, solo che avevo deciso di allontanare il più possibile da me quella convinzione. Non volevo di certo pensare alle donne di cui era stato innamorato, non ero così masochista.

Ma Klaus aveva ragione, il vero amore è sempre il primo e se Elijah lo aveva vissuto da umano, quello che provava per me non era nulla a confronto. Mi sentii morire dentro, mille vortici si scontrarono all'interno del mio petto, scontrandosi con le pareti del cuore.

Klaus fece un altro passo verso il mio corpo, si piegò su di me in modo che i nostri visi fossero alla stessa altezza.

Con prepotenza, mi costrinse a guardarlo, gli bastò un solo respiro per farmi cedere.

Visto di cosa parlavo? Dov'è la favola qui?” sussurrò, le sue parole sembravano taglienti come lame. “Non credere di essere l'unica, tesoro. Tu ti spegnerai, come tutte del resto, per poi lasciare posto ad un'altra fiamma.”

Lo guardai negli occhi, dove trovava tutta la forza di essere così meschino? Sapeva sempre dove colpire, con forza e irruenza, facendo male con delle semplici parole che qualcuno con un po' di cuore non sarebbe capace di fare.

Prendilo come un buon consiglio” aggiunse, le prime parole di un epilogo che avrebbe posto fine alla mia tortura. “Non vorrei che la delusione ti uccidesse prima del tempo dovuto.”

Le ultime parole furono un ringhio, emesso per infierire il colpo finale.

E io non mi trattenni: con la mano libera lo colpii al volto, godendo del fatto che non si aspettava minimamente di ricevere un altro schiaffo da me.

Ma, come lui diceva sempre: tu ferisci me, io ferisco te.

Anche se dubitavo che gli avessi fatto male, almeno mi ero sfogata un po'.

Fallo di nuovo e te ne faccio pentire.” mi minacciò, dopo essersi passato una mano sopra le labbra, come per infondersi la calma necessaria per non reagire al mio gesto.

La cosa non fece che accrescere la mia rabbia e lo sfidai: lasciai il ramo a terra e alzai di nuovo la mano per colpirlo in viso, con tutta la poca forza che mi era rimasta a causa del freddo, ma lui mi anticipò.

Mi strinse il polso e mi spinse contro un albero alle mie spalle.

Chiusi gli occhi quando lui si avvicinò come solo un vampiro sapeva fare e si parò davanti a me.

Sentivo il suo respiro sul mio viso, freddo come il vento che soffiava su di noi e il cuore iniziò a battermi all'impazzata. “Come puoi odiare me ma non te stessa?” mi chiese.

Aprii gli occhi ma non li puntai su di lui. Klaus era bravissimo a passare da un argomento all'altro con una velocità disarmante, ma toccava sempre argomenti che mi ferivano.

Elijah mi feriva in quel momento e lui lo sapeva bene.

E guardami quando ti parlo.” Mi posò la mano sotto il mento e alzò la mia testa in modo che i nostri occhi si guardassero. Eravamo a pochissimi centimetri di distanza, chiunque ci avesse visto da lontano in quelle posizioni avrebbe probabilmente pensato che ci amassimo.

In realtà invece ci odiavamo troppo invece.

Ti rendi conto del male che hai fatto a mio fratello lasciandolo affezionare a te? Il male che fai a tua sorella mentendole in quel modo? Hai provato anche a fare del male a me, ma ti è andata male.” continuò a dire lui, il suo sguardo non riuscì a sostenere il mio e ogni tanto si abbassava in un punto indefinito del mio volto. Quelle parole mi fecero mancare il respiro, perchè Klaus aveva il dono di dire le cose più vere nella maniera più cruda possibile. E faceva male, mi faceva sentire un mostro ed era quello l'obiettivo del vampiro.

Io almeno non indosso una maschera da angioletto come fai tu.” continuò Klaus, avvicinò il viso al mio e sibilò le parole seguenti, soffiando sulle mie labbra. La sua mano continuava ad impedirmi di muovermi. “Te l'ho detto già una volta. Odiami pure per non odiare te stessa, ma il male che fai tu alle persone che ami non lo so fare nemmeno io probabilmente.”

Restammo a guardarci per un po', i suoi occhi mi inchiodarono come se fossero lame di due spade. Come potevo dargli torto? Il male che avevo fatto ad Elijah era superiore rispetto a quello che mi stava facendo lui, poiché voleva solo proteggermi.

E le bugie che dicevo a Katerina non dovevano nemmeno esistere tra noi, visto quanto le volevo bene. Ero davvero peggio di Klaus? Decisi di non darmi una risposta, perchè ne avevo paura.

Klaus mi lasciò improvvisamente e tornai a sentire freddo, lo osservai allontanarsi a passi svelto e in quel momento lo odia più di quanto avessi fatto.

Lo odiai, perchè solo lui mi faceva rendere conto del mostro che ero.


Giungemmo nel centro del villaggio, di fronte a quella che sembrava una locanda, uno di quei tipici posti dove gli uomini giungevano per ubriacarsi e festeggiare il nulla per tutta la notte.

Klaus mi parlò solo per dirmi che la sua amica era proprietaria di quel posto, poi non ci guardammo più in faccia fino a quando non giungemmo di fronte all'entrata.

A quell'ora della mattina la locanda era praticamente vuota, eccetto la presenza di un uomo di stazza più che robusta con la testa poggiata sul bancone e la mano che circondava un bicchiere mezzo vuoto. Sembrava come se il liquore o qualsiasi altro liquido si trovasse in quella prigione di vetro fosse rimasto là per ore.

Quando entrammo, Klaus si chiuse la porta alle spalle con forza, svegliando così il ciccione addormentato che, appena mi vide, biascicò qualcosa che doveva essere una specie di complimento. Io lo ignorai, Klaus no e lo guardò con sfida, in una maniera che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Vuoi che ti strappi le budella, grassone?.” lo minacciò, gli puntò il dito contro e per un attimo pensai che volesse ucciderlo in quel momento.

Parlava proprio lui che era la finezza fatta a persona, la discussione di poco prima ne era la prova.

Il ciccione rise e si ribaltò nuovamente sul bancone, diedi un colpetto sulla spalla di Klaus e gli feci segno di lasciarlo perdere. Ci mancava solo l'omicidio del giorno per completare la giornata.

Siediti qui vicino a me e stai ferma.” mi ordinò Klaus, appena giungemmo al bancone.

Si sedette su uno degli alti sgabelli e mi indicò la sedia alla sua sinistra, dalla parte opposta all'ubriacone che stava ancora parlando all'aria. Obbedii senza troppi preamboli e mi guardai attorno: la locanda non era molto grande, c'erano pochi tavolini in legno dalla forma circolare, le pareti erano grigie e buie e su quella alle mie spalle c'era un quadro che stonava nel grigio di quel luogo.

Rappresentava un giardino fiorito, mi sembrava di vedere il vento che muoveva quei fiori rosa che quasi toccavano il cielo. Era così reale che mi mancava solo sentire il loro profumo per potermi completamente immergere in esso.

Ti piace?” mi chiese Klaus cogliendomi di sorpresa. Mi voltai verso di lui e notai che aveva voltato la testa verso il quadro e che anche lui lo stava osservando attentamente.

Mi parve alquanto strano che mi ponesse una domanda così semplice, se mi parlava era solo per minacciarmi o per confondermi con i suoi giochi di parole. Poi che gli importava? Era così vuoto che dubitavo potesse capire la bellezza di quel quadro.

Annuii, non trovando il significato nascosto in quella semplice domanda. Klaus non disse nulla, era rimasto colpito da qualcosa che era rimasto nel mio sguardo dopo aver visto quel quadro.

Niklaus!” esclamò una voce alle mie spalle e mi voltai.

Una ragazza bellissima, probabilmente sui venticinque anni era appena uscita dalla porta sul retro del locale e guardava Klaus.

Era visibilmente alta, lunghissimi capelli neri le circondavano il viso che sembrava fatto di porcellana. Gli occhi erano grandi e di un colore che tendeva al grigio-marrone, le labbra erano rosse e larghe in un sorriso carico di malizia. Indossava un vestito nero, con una scollatura sul petto che mi faceva venire i brividi di freddo solo a guardarla..

Appena vide la ragazza, Klaus allargò le labbra in un sorriso. “Diana, ti sono mancato?” le chiese, con voce suadente.

Alzai impulsivamente le sopracciglia di fronte a quelle parole dettate con quella voce che non aveva mai usato prima, mi voltai poi verso Diana che si morse le labbra maliziosamente di fronte al viso di Klaus.

Corse verso di lui e gli si sedette sulle ginocchia, coprendomi la visuale del viso del vampiro. Gli cinse le braccia attorno al collo e si dondolò sopra la sua gamba con fare a dir poco malizioso.

Quella scena mi fece quasi vomitare. Klaus faceva tanto il superiore, ma gli bastava poco per rincretinirsi dietro alla prima gonna che vedeva. Non l'avrei detto, ma era così.

Oh Nik...ogni volta che ti vedo, pensieri a dir poco perversi mi attraversano la mente....” disse Diana, facendo scorrere la mano sopra il petto di Klaus. Un sorriso compiaciuto apparve sul viso del vampiro e io mi chiesi cosa ci trovassero tutte di così bello in lui.

Forse io odiavo ogni singolo aspetto del suo viso e quindi non potevo essere obiettiva.

Conieranno prima o poi un termine per definire quanto sei sensuale e affascinante?” chiese ancora Diana, aveva la voce fastidiosamente nasale, attenuata dal fatto che parlasse in quel modo così lento e provocante.

Oh tesoro, il mio nome racchiude entrambe quelle due caratteristiche.” rispose Klaus, più presuntuoso del solito.

Alzai gli occhi al cielo, vedere un Klaus così scontato mi lasciò senza parole.

Possibile che solo con me di dimenticasse di cosa significava essere gentile? Abbassai lo sguardo sulla mano che il vampiro teneva posata sul ginocchio di Diana e alzai di nuovo un sopracciglio.

Ero invisibile ai loro occhi e tale rimasi per molto tempo.

Poi Diana si accorse che non c'erano solo i pettorali di Klaus da accarezzare, la mia presenza dovette attirare la sua attenzione in qualche modo.

Oh è chi abbiamo qui? La tua nuova fidanzata?” disse, la sua voce era insopportabile. Non poteva essere così al naturale, era lei che la camuffava per renderla sensuale e accattivante. “Complimenti, molto carina davvero.”

Io e Klaus ci lasciammo andare ad una risata nervosa.

Ma per carità!” esclamò lui, lanciandomi un'occhiata tra il disgusto e il divertito.

Serrai la mascella, avevo pensato le stesse parole nel medesimo momento in cui lui le aveva pronunciate. Comico che, almeno su una cosa, eravamo d'accordo.

Diana rise. “Honey, si sa che adori ciò che disprezzi.” gli disse, restò seduta sulle sue gambe e fece scorrere le mani sulle larghe spalle di lui. Klaus le lanciò un'occhiataccia di fronte a quelle parole, tanto che la mora distolse lo sguardo da lui e lo posò su di me.

Come ti chiami, piccolina? Io sono Diana e scommetto che non hai mai visto una strega più bella di me.” mi domandò, tirandosi un po' indietro e lasciando oscillare i capelli corvini sulle spalle. Alle orecchie aveva dei vistosi ed enormi orecchini che i capelli avevano tenuto nascosti fino a poco prima.

Viva la presunzione, pensai. Quei due raggiungevano l'apice della superbia.

Odiavo le presentazioni, visto che mi era difficile farle. E dubitavo che potessi contare sull'aiuto di Klaus, lui ci godeva nel vedermi in difficoltà.

Ma poi quella tipa non poteva scendere dalle gambe di Klaus? Mi risultava un po' difficile non guardarla in quel modo, mentre provocava il ragazzo con le sue mani affusolate.

Devi essere Irina Petrova, la piccola ragazza muta. Elijah mi ha parlato molto di te nelle sue lettere.” aggiunse poi Diana e una fitta al cuore mi prese.

Elijah conosceva quella ragazza? Era vero che mi aveva già detto di conoscere l'amica di Klaus, ma in quel momento volevo che mi avesse detto quanto fosse bella in realtà.

Me la immaginai vicino a lui e li trovai fastidiosamente bene insieme.

Lei era bella, lui era bellissimo e trovavo quella parola alquanto riduttiva nel suo caso...poi m'immaginai io accanto ad Elijah e mi trovai alquanto fuori luogo.

Non avevo mai fatto caso a quanto fossi gelosa perchè non mi si era mai parata davanti l'opportunità di esserlo. Elijah mi aveva insegnato anche cos'era quel mostriciattolo che s'insinua nella mente e nel cuore chiamato appunto gelosia.

Ed era patetico essere gelosi del nulla, Elijah non mi era mai appartenuto.

Klaus si accorse di quella mia debolezza, come le comprendeva lui le mie debolezze non lo faceva nessuno e decise di marciarci un po' su.

Tu ed Elijah sempre ottimi amici, eh?” le chiese, mi lanciò poi un'occhiata per verificare la mia scontata reazione a quelle parole. Aveva appena sperimentato la Irina gelosa e sembrava goderne.

Eh già, ho sempre adorato quella statua di marmo.” rispose Diana e fui tentata dall'alzarmi ed andarmene. “Per questo sto facendo quello che mi avete chiesto. Non posso resistervi e mi sono mobilitata quindi per scoprire cosa si nasconde dietro l'angioletto bulgaro. Per ora però non ho nulla.”

Lanciò un'occhiata complice a Klaus, lui sembrò un po' irritato da quelle parole poco misteriose e capii che anche lui aveva chiesto a quella Diana di occuparsi della mia “faccenda”.

Ma ero certa che lo avesse fatto solo perchè voleva liberarsi del problema che gli avevo procurato.

E la mia pietra? Hai detto che l'hai trovata no?” Il vampiro cambiò prontamente discorso e posò lo sguardo sulla strega che continuò a restare seduta sulle sue gambe.

Se mi dici così, posso pensare che non te ne importi molto di vedermi, caro.” rispose Diana, apponendo un finto broncio sulle sue labbra scarlatte. Klaus però non era più in vena di farsi ammirare ed era passato ad un'altra emozione che conoscevo bene: l'irritazione.

Almeno non ero solo io a procurargliela.

Diana sbuffò e si alzò in piedi. “Sono molto vicina a trovartela, stai calmo. Devi attendere ancora un po'.” gli disse, portandosi le mani sui fianchi stretti e piegando la testa da un lato.

A Klaus non piacque quella risposta, i suoi piani non erano andati come voleva e allora la cosa lo aveva parecchio indisposto. “Ho preparato armi e bagagli e tu ancora non ce l'hai?” la rimproverò.

Diana sbuffò stancamente. “Abbi un po' di pazienza, hai aspettato per cinquecento anni e non puoi aspettare per un paio di giorni?” gli chiese. Klaus abbassò lo sguardo e si sforzò di restare calmo. Quanto voleva compiere quell'incantesimo lo sapeva solo lui.

Sbuffò e capii che era arrivato al capolinea.

Andiamo Iry, non ho ottenuto quello che volevo. Alzati da quella sedia e muoviti.” mi disse, scattò in piedi battendo un pugno sul bancone. Lo guardai, allibita dai suoi continui sbalzi di umore da pazzo quale era. Passava da un emozione all'altra in una maniera a dir poco impressionante e che ancora mi spiazzava.

Scesi dallo sgabello con un salto, tanto che per poco inciampai sui miei stessi piedi.

Diana guardò Klaus scuotendo la testa, dovevamo pensare la stessa cosa in quel momento.

Il vampiro intano era già uscito dal locale senza aspettarmi, da uomo educato quale era.

Piacere di averti conosciuta, Iry.” si voltò verso di me e mi riservò un largo sorriso.

Tese la mano verso di me, come se volesse chiedermi di stringergliela e così feci, nonostante mi stesse un po' antipatica a pelle.

A quel punto, quando le nostre mani si strinsero, lei sbarrò lo sguardo sconvolta e la ritrasse prontamente. La guardai con il batticuore, mentre faceva un passo indietro senza smettere di guardarmi negli occhi.

Come se fossi un mostro.

Osservai il modo in cui alzava e abbassava il petto per respirare e mi capacitai solo poco dopo che ero il il soggetto del suo terrore. Una parte di me stava ordinandomi di non crederci.

Oh mio dio, ho visto...” si bloccò, come se la parola che stava per pronunciare spaventava persino lei.

Mi ritrovai a tremare come una foglia, mi sentivo la pelle attraversata da lunghi e intensi brividi gelidi che arrivavano poi al cuore. La vista si fece tremante di fronte a quegli occhi scuri sbarrati in quel modo. Era quello il terrore che causava un mostro?

Sei...tu sei maledetta.” disse ancora lei, con voce flebile.

Quelle parole mi infierirono un duro colpo, feci un passo verso di lei e cercai di chiederle cosa avesse visto. Ma Diana si ritrasse, come se temesse che il mio solo respirare potesse di nuovo rievocare in lei la paura che avevo fatto scoppiare poco prima.

Te ne devi andare.” mi disse e prima che potessi in qualche modo controbattere, camminò via e si diresse verso la porta che conduceva al retro del locale.

Si chiuse la porta alle spalle, sbattendola con violenza. Il rumore di qualcuno che fugge risuonò dentro le pareti di quel locale, tanto che persino l'ubriaco a pochi passi dalla mia schiena si svegliò di soprassalto dal bancone.

Mi ritrovai con il mio unico respiro a farmi forza e poi, con la mente priva di pensieri, mi diressi verso l'uscita. L'attanagliante immagine di Diana che mi guardava come se fossi un mostro non l'avrei mai dimenticata.


Mi odiai per quello che stavo facendo ma non ce la facevo più.

Rifiutai la cena fingendomi malata e sperando di riuscire a cancellare la pesante ombra degli occhi di Diana su di me. Ma ero debole e da sola non ce l'avrei mai fatta.

A notte fonda, bussai tre volte alla sua porta. Qualcosa mi diceva che anche la sua anima non si era addormentata perciò non aspettai nemmeno di avere il suo permesso per entrare: Elijah era seduto sul bordo del suo letto e sembrava stesse leggendo un libro.

Appena mi vide sulla soglia della porta, mi guardò un attimo sorpreso e poi scattò in piedi.

Era visibilmente allarmato dalle mie lacrime che scendevano copiosamente sulle mie guance le vedeva indistintamente nonostante la stanza fosse illuminata da un'unica candela sul comodino accanto al letto, la cui luce si rifletteva debolmente sulle pareti di quell'umile camera.

Irina, cos'è successo?” mi domandò, lasciò cadere il libro sul letto e si avvicinò a me. Chiuse la porta alle mie spalle e mi condusse verso una poltrona accanto al letto, lui si sedette sul bordo del materasso di fronte a me e mi accarezzò il viso con una mano.

Malgrado gli avessi chiesto di non esistere per me, io proprio non ce la facevo a stare senza di lui. Ormai lui era parte di me, era l'unico che poteva darmi forza e allontanare le ombre da me.

Continuavo a piangere come una bambina, mi mancava il respiro e i miei occhi piangevano anche per il dolore che le lacrime dovevano procurare loro.

Irina, ti prego. Dimmi cosa ti è capitato.” mi chiese lui.

Ho paura di me stessa.” Mossi le labbra nel silenzio delle mie lacrime e sperai che lui mi comprendesse. Dopo un attimo di smarrimento, lui le osservò muoversi e si chiese probabilmente cosa avesse fatto nascere quella paura in me.

Di che parli?” mi chiese. “Perchè dici così?”

Come potevo dirgli quello che era successo? La sua mano continuò ad asciugare le mie lacrime, impedendo loro di macchiarmi il viso con la loro maledetta presenza.

Sono un mostro.” dissi e volevo tanto gridarlo, lasciar esternare quel dolore che mi stava uccidendo dentro, qualcuno doveva spiegarmi cosa avevo di sbagliato in me.

Ma non potevo, non mi era consentito nulla in quella mia banale vita?

Come? No, tu non sei un mostro. Non devi nemmeno pensarlo!” Elijah mi prese il viso tra le mani e mi costrinse a guardarlo. “Io so riconoscere un mostro e tu non lo sei, Irina!”

Ma come poteva dirlo? Lui non aveva visto il modo in cui mi aveva guardato quella donna.

Lui stesso mi aveva lasciata perchè ero qualcosa di spaventoso ai suoi occhi, un mostro che voleva il suo amore ma non poteva ottenerlo perchè non gli era consentito.

Non volevo più sapere perchè Bell mi voleva, non volevo scoprire cosa si celava in me.

Mi sentii svenire, malgrado stessi guardando i rincuoranti occhi di Elijah.

Allontanai le sue mani e m'inginocchiai di fronte a lui, gli cinsi i fianchi con le braccia e posai la testa sul suo petto, affondai il viso sul suo petto e mi lasciai andare alle lacrime.

Lui s'irrigidì, come se quel gesto lo avesse colto di sorpresa. Era sbagliato infatti, dopo tutto quello che ci era successo in pochi giorni.

Ma io avevo bisogno di lui, avevo bisogno della sua luce al mio fianco per concedermi di andare avanti altrimenti non ce l'avrei fatta. Ormai lui era il mio sole di giorno e la mia luna di notte, senza la sua rincuorante presenza, non potevo far altro che soccombere.

Non avevo nessuno che potesse aiutarmi, se non lui.

Privami del tuo amore, ma concedimi il tuo abbraccio.

Purtroppo non avevo orgoglio, non avevo dignità ma avevo bisogno di lui e quella cosa non la potevo combattere.

Come se percepisse quel mio pensiero, lui mi accarezzò i capelli dolcemente e lasciò sfogarmi tra le sue braccia. Non c'era rabbia o delusione che potessi provare per lui in quel momento.

Il suo respiro tra i miei capelli era l'unica forza di cui avevo bisogno, per fronteggiare l'oscurità che sembrava circondarmi. Perchè ero così debole da non poter sconfiggere la paura di me stessa? Mi resi conto che fino ad allora avevo avuto la presunzione di essere forte, ma non lo ero mai stata: Elijah era stato forte per me, io non ero nulla.

Andrà tutto bene, Irina. Risolveremo tutto” Elijah continuò ad accarezzarmi i capelli con una dolcezza unica, per tutto risposta io gli stavo macchiando la camicia con le mie lacrime. “Nella vita ci si trasforma sempre e diventare mostri è una scelta, non un obbligo. Io lo so perchè sono diventato un mostro e il male che ti sto tutt'ora facendo ne è una dimostrazione.”

Aprii gli occhi e rimasi a fissare un punto indefinito vicino a me, Elijah continuava a infondermi forza con la sua mano tra i capelli. “Scegliere di diventare mostri è più facile, si da sfogo ai propri istinti e si rintanano le paure in un angolo buio del proprio cuore in modo da non fronteggiarle. Essere angeli è più difficile, fare del bene quando intorno c'è solo male è una cosa che non tutti possono fare. Ma tu sei uno dei pochi angeli che ho incontrato nella mia lunga vita. E ti ammiro più di quanto tu creda...”

Rimasi in silenzio, con l'orecchio posato sul suo petto e mi parve quasi di sentire il battito del suo cuore. Come riusciva a far fare quei balzi al mio cuore con poche parole?

L'unica persona di cui non devi mai avere paura sei proprio tu.”

A quelle parole, piansi più intensamente e affondai di nuovo il viso sul suo petto.

Persi il conto dei minuti in cui restammo in quella posizione.

Ero sicura che all'alba del giorno dopo sarebbe tornato tutto come prima, ci saremo separati di nuovo per non ucciderci a vicenda.

Ma quella notte non potevamo arrecarci alcun danno: grazie al male che ci stavamo facendo in quell'abbraccio, allontanammo la paura che entrambi provavamo per noi stessi.

E sconfiggemmo le ombre che attanagliavano le nostre anime.


Ciao a tutti! :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Mi rendo conto che con molto probabilmente ho toccato l'apice della noia stavolta e che Irina ha pianto più in questo capitolo che nei precedenti....ma ho voluto concentrarmi per lo più sull'introdurre la nuova ambientazione e per descrivere i sentimenti della protagonista di fronte alla sua situazione. E mi auguro di esserci riuscita, anche se non ne sono sicura.

Nel prossimo ci sarà già il primo risvolto nella faccenda di Bell e ci sarà un po' più di azione, lo prometto! :P

Che ne pensate del personaggio di Diana? Non che si sia mostrata tanto alla fine, ma nei prossimi capitoli sarà molto più presente.

Vi posterò una sua foto alla fine delle mie noiose note d'autrice e sono sicura che chi guarda “The Secret Circle” mi premierà per la mia innata originalità! xD

Concludo come sempre con i ringraziamenti, che non mi stancherò mai di fare: ringrazio tutti coloro che leggono questa storia, sia i lettori silenziosi che coloro che lasciano i loro bellissimi commenti.

Ringrazio anche coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, preferite e ricordate. Grazie mille davvero! :)

Buon pomeriggio a tutti voi! ^^

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Capitolo 17
*** Rainbow In The Dark ***


-Rainbow In The Dark-

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Guardavo la neve cadere silenziosa, fuori dalla finestra della mia camera.

Come potevo essere un mostro se non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello spettacolo?

Come potevo essere un mostro se sentivo il mio cuore piangere sangue al pensiero di quella parola? Provai a convincermi in tutti i modi di non esserlo: qualcuno che si reputa un mostro non è tale, un vero mostro non trova l'oscurità in sé, non si accusa da solo di essere uno scherzo della natura.

Io riuscivo a trovare il buio in ogni angolo nascosto della mia essenza, quindi non lo ero forse.

Non era la prima volta che mi definivo con quella parola, sperando di cogliere qualcosa in me che mi facesse credere il contrario. Mio padre mi considerava un mostro, un disonore ambulante, secondo lui la vita che mi era stata data non era un dono, ma un errore commesso da qualche forza superiore. Dio, gli angeli o chiunque guidasse le leggi del mondo doveva aver compiuto uno sbaglio permettendomi di camminare su quella terra che non doveva accogliermi.

Non l'avevo mai pensata come lui, mi consideravo troppo piccola per l'universo ma non mi ero mai considerata davvero un mostro. Ma, in quel momento, non sapevo proprio cosa pensare.

Rimasi dall'albeggiare di quella triste giornata ad osservare la neve cadere, ogni tanto quei piccoli fiocchi la smettevano di colorare di bianco la terra.

Si concedevano una tregua, per poi riprendere a cadere pochi minuti dopo.

Katerina era là fuori, intenta a creare un pupazzo di neve con un sorriso gioioso sulle labbra.

Fu la sua l'immagine su cui mi focalizzai per sentirmi meglio, per pensare che non avevo ancora perso tutto di me stessa. Dopo Rose, Klaus, Elijah avevo perso anche la convinzione di meritare i colori dei sentimenti della vita, positivi o negativi che fossero.

Mi arresi, non mi andava più di pensare alle parole di Diana e volevo prendere in mano le redini di quella mia giornata. Dovevo pur fare qualcosa che mi tenesse distratta e che la smettesse di farmi autocommiserare.

Scesi al piano di sotto, superando lentamente gli scalini mentre la mia mente lottava per trovare un appiglio a cui aggrapparsi, per non pensare a tutto il dolore che sentivo.

Alzai lo sguardo, quando avvertii un rumore e vidi Klaus di fronte a me, mentre usciva da quella strana stanza in cui non voleva che mettessi piede. Si voltò verso di me e ci guardammo per qualche istante, accelerai allora il passo per superarlo e svoltare alla mia sinistra, dove si trovava la porta d'uscita.

Buongiorno.”

La sua voce, quella voce che avevo conosciuto solo nei colori delle sue minacce, mi salutò.

Rimasi per un attimo immobile, con lo sguardo verso la porta e pensando che mi fossi sbagliata.

Mi voltai poi verso di lui, non ricordavo che ci fossimo più salutati da quando lui aveva dato inizio al suo teatrino di malignità nei miei confronti: io non volevo essere educata con lui e lui, di rimando, non sentiva più il bisogno di fingere certi convenevoli con me.

In quel momento non mi stava sorridendo com'era solito fare, si limitò a guardarmi in silenzio e non parve stupito di vedere il mio sguardo interrogativo. “Dormito bene?” mi chiese poi.

No. Non avevo dormito bene, ma a lui non doveva importare.

Si portò le mani dietro la schiena e fece dei passi verso di me. “Non hai una bella cera.” disse ancora, sempre con voce stranamente normale. Non mi andava di farmi ricordare da lui quanto fossi terribile, feci per voltarmi e andarmene ma le sue parole mi richiamarono di nuovo.

Puoi parlarne anche con me sai?”

Mi arrestai di nuovo, valutando attentamente il significato delle sue parole. Sapeva ciò che mi aveva detto Diana? Quel anche significava che sapeva che mi ero sfogata con Elijah?

Da quel punto di vista, io ti posso capire meglio di lui. Credimi.” aggiunse ancora e lo guardai. In effetti lui era doveva sapere cosa significava sentirsi un mostro, il modo in cui Diana mi aveva guardato doveva essere lo stesso che assumevo sempre io di fronte a lui.

Klaus posò la spalla sulla parete alla nostra destra e si strinse le braccia al petto. Mi sorrise, un sorriso che probabilmente serviva a rincuorarmi. “Qualsiasi cosa Diana abbia visto si sbaglia. Tu non sei un mostro.” mi disse, restai a fissarlo in silenzio ma attenta ad ogni suo singolo piccolo movimento.

Credi nelle fiabe no?” mi disse ancora. “Nelle fiabe i mostri fanno paura, terrorizzano e uccidono. Tu non fai nessuna di queste tre cose. Per te sono già io quel mostro.

Lo guardai incredula, in quel frangente abbassò per un attimo lo sguardo e sembrò rabbrividire nel pronunciare quell'ultima parola. Non seppi cosa pensare, un mostro non sa di essere tale e se lui si vedeva in quella vesti, allora non poteva esserlo veramente.

Fingeva di esserlo, perchè la maschera da cattivo era sempre la più facile da indossare probabilmente.

Odiare è più semplice che amare: se l'odio è corrisposto o meno non cambia nulla, se l'amore non è corrisposto invece logora, distrugge.

Avevo sempre pensato che Klaus non amasse realmente nessuno perchè aveva paura e in quelle parole rividi tutta quella convinzione.

Mi ritrovai confusa di fronte alle sue parole, non era possibile che si fosse alzato bene quella mattina e volesse fare il gentile con me. Voleva per forza ingannarmi, doveva esserci qualcosa sotto.

So riconoscere i mostri e tu non lo sei minimamente. In una fiaba c'è sempre la fanciulla graziosa ed indifesa che il principe deve salvare, no? Credo sia questo il tuo ruolo nella storia..il mio di mostro mi calza a pennello e lo accetto.”

Perchè?

Lo interruppi ancora prima che quell'espressione sul suo viso e quelle parole potessero confondermi e osservai il suo sguardo mentre seguiva i movimenti delle mie mani.

Il giorno prima odiavo Klaus, in quel momento invece volevo che continuasse a parlarmi perchè, stranamente, stava riuscendo a farmi star meglio. Ma doveva esserci qualcosa dietro quelle parole: Klaus sapeva giocare bene con me, gliene davo atto, e io non potevo essere così stupida da caderci di nuovo.

Perchè cosa?” mi chiese, alzando le spalle.

Strinsi i pugni. I suoi occhi erano stranamente diversi mentre mi guardava, come se mi volesse mostrare che in quel momento lui non era il mio mostro. Ma semplicemente Niklaus, probabilmente il ragazzino umano, traumatizzato dal disprezzo del padre.

Irina, io sono stato definito mostro ancora prima di diventarlo.” mi spiegò, entrando stranamente in sintonia con i miei pensieri. “Ora lo sono, ma un tempo riconosco di non esserlo stato. E soffrivo quando mio padre mi chiamava in quella maniera. Ero davvero debole, proprio come lo sei tu ora. Perciò so come ti stai sentendo in questo momento, riconosco quell'espressione sul tuo viso...e la detesto.”

Strinsi i pugni più forte, lui si avvicinò a me, tanto che dovetti alzare la testa per poterlo guardare in viso. Si fermò ad un passo dal mio corpo.

Non ti ho detto quelle parole per te, bensì perchè mi rievoca alla mente solo antichi ricordi che preferisco tenere impolverati in un angolo della mia mente. Non voglio solo vederti con quella faccia, tutto qui.” disse ancora.

Quindi, non c'era un tornaconto in tutta quella storia per prendermi in giro ed abusare della mia possibile fiducia? Mi sembrava strano, ma non capivo davvero dove volesse arrivare parlandomi in quel modo.

Sobbalzai ad un suo movimento, non mi accorsi che aveva tra le mani un grigio cappello di lana. Me lo posò sul capo con delicatezza e lo tirò fino a coprirmi le orecchie, le sue mani mi sfiorarono le guance e dei brividi freddi mi corsero lungo la schiena.

Era ghiaccio.

Elijah mi trasmetteva calore ogni volta che mi toccava, le sue mani erano come fuoco per me.

Lui invece era ghiaccio, come se tutte le sue emozioni fossero ghiacciate dentro di sè e non riuscisse a trasmetterle con calore umano.

Attenta a non prendere freddo, mi raccomando.” concluse così l'enigma delle sue parole, mentre le sue mani toccavano lievemente i miei capelli. Si allontanò ancora prima che la mia confusione assumesse una forma, si portò dietro la sensazione di freddo intenso che mi provocava la sua presenza e scomparve con i suoi passi.

Sbattei più volte le palpebre, fissando il punto dove, fino a poco prima, si trovava il vampiro.

Era incredibile come mi confondesse: ore prima era il mio mostro, in quel momento non ne fui così sicura.


Katerina decise di sperimentare più a fondo la bellezza del paesaggio che ci circondava. Probabilmente non lo fece realmente per quel motivo, si era accorta che ero diventata il quadro della depressione e voleva farmi un po' allontanare dalla mente i pensieri che mi tormentavano. Anche se, purtroppo, non sapeva quali fossero.

Questo posto è davvero una meraviglia.” disse Katerina, quando superammo alcuni alberi e raggiungemmo quella che sembrava la linea d'inizio dell'infinito: una rupe puntava verso il cielo bianco e il rumore dell'acqua sottostante che veniva mossa dal vento ghiacciato pervase l'aria. Odiavo il freddo nonostante fossi cresciuta in un paese le cui temperature non erano certo miti. Lo sentivo pervadermi il corpo con il suo soffio gelato, malgrado indossassi un pesante mantello e avessi la testa coperta dal cappello di lana. Guardai verso l'alto: leggeri fiocchi di neve caddero sulla mia pelle, come per ricordarmi che non dovevo detestare il freddo, perchè portava anche la loro bellezza sulla nostra terra.

Katerina abbassò il cappuccio che le copriva la testa e io mi tirai il cappello ancora più giù, fino a coprirmi maggiormente le orecchie. Il suo calore mi avvolse e mi sentii più protetta, malgrado chi me lo avesse donato non mi facesse quell'effetto.

Ci avvicinammo, ma non troppo, alla punta di quella rupe e guardammo sotto di noi: a moltissimi metri più in basso si trovava un fiume, il cui flusso era impetuoso e notai diverse rocce che venivano investite senza pietà dall'acqua fredda.

Oltre quello spettacolo acquatico, si trovava la riva che conduceva all'altra parte della foresta che, da quella altezza, sembrava finire con il cielo.

Il paesaggio era da favola, un chiaro esempio di quanto fosse bella la natura.

Qui in Inghilterra abbiamo visto cose che nel nostro villaggio ci saremmo sognate di vedere!” esclamò mia sorella, alzando gli occhi verso il cielo bianco che sembrò riflettersi nelle sue iridi scure.

Effettivamente paesaggi così belli non li avremmo mai visti se non avessimo lasciato quel piccolo villaggio dove eravamo nate. Avevamo assistito a spettacoli della natura che non avremmo mai potuto incontrare prima, peccato che stavo rovinando tutto con le mie paure.

Mi sedetti a terra, guardando fisso il cielo e lasciandomi cullare dal rumore dell'acqua sottostante. Katerina fece lo stesso, tese l'orecchio e ascoltò ogni singolo suono che la natura volle regalarci in quel momento.

Non capisco perchè Klaus ci abbia portate qui. Mi ha detto che voleva regalarci una vacanza da sogno, ma...delle volte sembra che non gli importi molto di noi.” disse lei, mentre parlava la sua voce si era abbassata sempre di più. Mi voltai verso di lei e scorsi la malinconia nel suo sguardo, che teneva rivolto in un punto davanti a sé.

Quanto ero stata egoista? Ero sempre stata così occupata a celare i miei problemi, a farla preoccupare per motivi che non avrei mai potuto dirle che non mi ero resa conto di averla lasciata praticamente sola. Anche lei aveva i suoi dubbi e le sue paure, come quella nei confronti di Klaus, eppure io non ci avevo fatto per niente caso, tanto ero presa dai fatti miei.

Lei volse lo sguardo verso di me e le sfuggì un sorriso. “Lascia stare, sono solo le tipiche paranoie di una Petrova.” disse.

Ma quelle paranoie facevano lo stesso male e io volevo che lei le lasciasse andare.

Dimmi.” le feci segno di parlarmi, volevo che potesse sfogarsi con me dato che ero l'unica persona con cui poteva farlo.

Lei volse la testa imbarazzata, un lieve rossore apparve sulle sue guance. “Non lo so, delle volte sembra quasi che mi corteggi...ma delle volte mi pare che davvero non si interessi di me.” disse e abbassò il mento.

Doveva farle davvero male pensare una cosa simile, lei non era innamorata di Klaus ma comunque era chiaro che sentisse qualcosa, anche piccolo, per lui.

Io ancora non avevo capito cosa provasse per lei il vampiro, sembrava forse tenerci ma esserne innamorato era, purtroppo, fuori discussione. Ma quel ragazzo era un enigma vivente, capirlo era davvero difficile e io lo sapevo bene visto che il giorno prima lo detestavo e quella mattina sentivo persino di dovergli un grazie.

Sospirai, l'aria gelida fluì dentro il mio corpo facendomi rabbrividire.

Distolsi lo sguardo da mia sorella e lo posai verso la serie di alberi che si trovavano oltre la rupe: io e Kat non eravamo così diverse nelle nostre situazione.

Entrambe soffrivamo per qualcosa che volevamo ma che ci era comunque troppo lontano.

Era una cosa che faceva sanguinare dentro, anche troppo.

E tu lo sai come la penso riguardo l'amore vero?” Katerina si voltò verso di me e mi sorrise. Ricordai allora un discorso che mi aveva fatto tempo prima, quando era incinta e io le facevo compagnia perchè non voleva restarsene a letto tutto il giorno ma preferiva stare con me nella foresta. Ricordavo quella giorno come se fosse stato il precedente: eravamo sedute sul tronco di un albero caduto e circondato dal verde della foresta, Katerina aveva lo sguardo rivolto verso il cielo, quel giorno stranamente limpido.

L'amore non è reale se non è corrisposto.” mi aveva detto.

Non comprendendo l'amore a quei tempi, non ne capii il significato. Ma in quel momento, dopo che lo avevo conosciuto e sperimentato per un breve ma intenso periodo, mi fu chiaro cosa significasse quella frase: l'amore non esiste se non viene rivolto verso qualcuno che è pronto ad accoglierlo. Si disperde nel vuoto, come una singola stella in un cielo troppo buio, e soccombe.

Katerina mi parlò in quei termini in riferimento al padre della bambina, un ragazzo che sembrava non averla mai amata più di tanto. Allora quelle parole dovevano essere rivolte a Klaus, ma le sentii vicine anche alla mia situazione.

Voleva dire che il mio non era amore, visto che Elijah aveva deciso di reprimere tutto? Quella convinzione valse quanto una pugnalata in pieno petto.

Per un attimo desiderai essere priva di cuore, non credere più nell'amore visto che era solo sofferenza. Io non ero mai stata così male emotivamente come in quei giorni e non potevo incolpare nessuno se non me stessa.

L'amore è una cosa bellissima, ma deve essere presente da entrambe le parti.” disse la voce di Katerina, le sue parole entrarono in conflitto con i miei pensieri. “Non esiste una cosa a senso unico, in quel caso l'amore è incompleto. Deve trovare l'altra parte di sé nella persona che si ama e completarsi.”

Alzai lo sguardo su di lei, delle volte mi sorprendeva per quanto fosse matura per la sua giovane età. Era stata etichettata come una sgualdrina ma in realtà la gente del nostro villaggio, nostro padre e Ada avevano semplicemente paura della sua mente troppo aperta ai sentimenti, ai sogni.

Molti si spaventavano a sognare perchè si raggiungeva mondi e realtà che non si sarebbero mai vissuti realmente e che avrebbero solo potuto lasciare l'amaro nelle esistenze di chiunque una volta risvegliati.

Ma perchè crediamo nell'amore se spesso fa male?” le chiesi, gesticolando velocemente.

Lei soffriva per Klaus, io per Elijah. Allora perchè si decideva di abbandonarsi a quella forza?

Perchè credere in qualcosa che ti dava una felicità troppo immensa o un dolore troppo intenso? Non lo capivo più, se si era da soli forse si sarebbero evitati certi dolori. Ma si sarebbe raggiunta solo un'empia felicità.

Katerina restò sorpresa da quella domanda, mi guardò a lungo e un sorriso si allargò lentamente sulle sue labbra. “La vita è troppo crudele, Irina. Se non crediamo nell'amore, cosa ci spinge ad andare avanti?” mi chiese.

E non seppi rispondere, provai ad immaginarmi un'esistenza senza amore e il cuore mi gridò di interrompere quei pensieri.

Chiusi gli occhi e lasciai che quelle mie paure venissero trasportate via dal forte vento.

L'amore esiste per tutti, bisogna solo saperlo cercare e pazientare che arrivi. Non esiste essere che non possa amare.” disse ancora lei.

Il fatto che non avesse accompagnato il termine “umano” ad essere, mi fu di grande conforto.

Perchè Klaus mi aveva detto che i vampiri hanno, praticamente, un cuore di ghiaccio, un cuore che si può lasciar sciogliere dal fuoco fino farsi , però, completamente distruggere.

E lasciando il vuoto nel petto. Allora era vero che i vampiri non potevano amare?

Calò il silenzio, sentivo il suo sguardo sul mio viso e poi la sua risata cristallina che mi riportava con i piedi per terra. La guardai incredula e nei suoi occhi mi parve di vedere i suoi ricordi che attraversavano velocemente la sua mente.

Strano, questo discorso l'ho fatto ad Elijah uno dei primi giorni in cui sei arrivata qui...” mi disse, cogliendomi di sorpresa. Sbarrai lo sguardo e la osservai a lungo, chiedendomi come avesse reagito lui di fronte a quella parole.

Era stato cinico come mi ero mostrata io? Oppure lo avevano particolarmente colpito?

Ero davvero curiosa di saperlo, visto che il fulcro dei miei sentimenti era proprio lui.

Mi disse che lui non credeva più nell'amore. Come se, in realtà, pensasse di non poterci più credere.” disse lei e ripensai a quando ci eravamo allenati nella foresta e lui mi aveva rivelato che, prima del mio arrivo, non credeva più in molte cose. Ma parlava anche dell'amore?

Ma un uomo che non ama non è un uomo. Ed Elijah è un uomo nobilissimo, l'ho sempre pensato.” disse ancora Katerina.

Sorrisi malinconicamente e tornai a guardare il cielo sopra le nostre teste.

In quel momento poi è successa una cosa strana, forse tu non lo ricordi.” aggiunse ancora mia sorella, attirando la mia attenzione su di sé. “Quando terminammo il discorso, calò un profondo silenzio. Elijah stava sorridendo, come se stesse analizzando a fondo le mie parole...poi sei arrivata tu.”

Mi parve di ricordare quel momento: loro due erano seduti su una delle panchine in giardino e io, come al solito, mi ero persa. Doveva trattarsi di uno dei pochi giorni successivi al mio arrivo, dove ancora non conoscevo una parola di inglese e dove mi vergognavo del mondo.

Forse era quello il momento di cui parlava mia sorella. Ma lei aveva capito cosa era successo tra me ed Elijah? Quando la guardai, pensai che non fosse possibile: magari lei sospettava qualcosa ma aveva paura di sbagliarsi.

Irina, non smettere mai di credere nell'amore. Una persona come te non può non amare.” disse ancora lei, scuotendo la testa lentamente. “L'amore si cerca, si affronta, spesso si perde ma non bisogna mai abbandonarlo. Hai troppo amore dentro di te, perchè trattenerlo?”

Perchè era stato incatenato improvvisamente, sigillato in una gabbia d'oro che lo privava di muoversi in libertà. E gridava di essere liberato, lacerandomi il cuore sempre di più.

Io, l'amore, non lo volevo più. Almeno non in quel momento, visto che mi aveva lasciato ferite fresche che non riuscivano ancora a rimarginarsi. Sia io che Katerina posammo lo sguardo verso l'orizzonte, come se cercassimo il vero significato dell'amore in quella tenue nube bianca che colorava il cielo.

L'amore era davvero una cosa bellissima, ma se non veniva ricambiato o se veniva spento improvvisamente si tramutava in un mostro. Nelle fiabe c'erano eroi ed eroine che lo trovavano, lo affrontavano e lo rendevano parte delle loro anime. La realtà era ben diversa invece.

Mai come allora diedi ragione a Klaus: le fiabe non esistono, perchè nella realtà ci sono troppi mostri e pochissimi eroi pronti a vincere.

Un rumore alle nostre spalle ruppe il silenzio. Ci voltammo di scatto e scorgemmo una figura che stava uscendo da quella serie di alberi: era un uomo, probabilmente sui trent'anni, altissimo e muscoloso. Aveva grandi occhi neri, solcati da sottili sopracciglia, indosso portava degli abiti pesanti e visibilmente da cacciatore. La cosa che mi colpì di più, era che in una mano stringeva le orecchie di un povero coniglio, il cui sangue della morte bagnava ancora il suo manto marrone.

Storsi il naso, detestavo i cacciatori e il modo in cui uccidevano quei poveri animali. Lo trovavo repellente. Ci guardò a lungo e trovai la luce nel suo sguardo alquanto strana, sembrava volerci dire qualcosa mentre ci fissava in quel modo a dir poco inquietante.

Perchè ci fissa così?” chiese Katerina a labbra quasi serrate, per paura che quel tipo potesse leggere il suo labiale. Mi voltai verso di lei e scossi la testa lentamente, sentii i passi dell'uomo alle nostre spalle farsi sempre più lontani fino a scomparire lungo una stradina ripida che conduceva ai piedi della foresta. La sensazione di inquietudine portata da quella figura sparì e mi ritrovai di nuovo a rabbrividire per il freddo.

Accidenti, anche in Inghilterra ci sono i tipi inquietanti!” esclamò mia sorella, sorridendo e lanciandosi indietro un'occhiata per assicurarsi che quel tipo non ci stesse ancora osservando.

Sorrisi con lei, non sapeva quanto aveva ragione al riguardo.


Non seppi come ma mi ritrovai là.

Dopo la nostra passeggiata nella foresta, Katerina decise di tornare a casa, ma io avevo ancora bisogno di sentirmi a contatto con me stessa e solo la neve riusciva a farmi compiere quel cammino introspettivo nella mia anima. Così decisi di andare al villaggio.

Mentre passeggiavo per le strade, notai un luogo che attirò la mia completa attenzione.

Salii la scalinata che portava all'ingresso con estrema titubanza e spalancai l'enorme portone in legno che si stagliava di fronte a me.

Si udì un violento rumore che riecheggiò a lungo all'interno di quel luogo sacro: le pareti scure venivano illuminate dalle tenue luci delle candele affisse alle pareti. Sulle lunghi panche in legno poste parallelamente tra loro di fronte all'altare non vi era seduto nessuno.

Guardai il confessionale accanto alla porta d'ingresso, ma non mi avvicinai. Alzai lo sguardo sul un punto alto della parete dietro l'altare e guardai il rosone dai diversi colori che lasciava penetrare una lieve luce bianca nel corridoio tra la file delle panche.

Da entrambi i lati della chiesetta vi era una statua, una della sacra vergine e l'altra che rappresentava invece un angelo dalle enormi ali bianche.

Un crocefisso in legno era affisso sopra l'altare bianco, diversi centimetri sotto il rosone.

Rimasi immobile di fronte alla porta, mentre questa si richiudeva alle mie spalle e mi guardai attorno. Uno strano senso di angoscia mi pervase, mentre guardavo il pavimento in mattoni color ocra sotto di me e mi avvicinavo lentamente ad una della panche vicino alla statua della Madonna. Il suo sguardo parve seguirmi fino a quando non mi sedetti al margine di una panca.

Appena i miei passi smisero di oltraggiare quel posto, calò un profondo silenzio che mi fece tremare. Perchè ero in quella chiesa, non lo sapevo nemmeno io e mi sentii stranamente pervasa dall'angoscia.

Guardai l'altare di fronte a me e sentii il mio cuore battere violentemente, come se mi dicesse che forse io non potevo trovarmi in quel posto. Per quel motivo ero lì invece, se ero un mostro, se ero maledetta, potevo mettere piede in quel tempio di bontà? Congiunsi le mani come in segno di preghiera e guardai fisso il crocefisso, la mamma mi aveva insegnato a pregare sempre prima di andare a dormire, perchè qualcuno lassù era sempre disposto ad ascoltarci.

Non ci avevo mai creduto granché, ma mai come allora sperai che avesse ragione.

Sono un mostro? Qualcuno doveva pur darmi quella risposta di cui tanto avevo bisogno, ma che io avevo paura a conoscere. Per un attimo pensai alla mia condizione, il fatto che fossi muta: e se era una punizione che mi era stata inferta? Se Diana aveva visto una specie di maledizione in me, forse ero stata punita per qualcosa che avevo compiuto da qualche parte prima che la mia vita avesse inizio.

Eppure io ero lì, in quel luogo che non avrebbe potuto accogliermi se ci fosse stato qualcosa di profondamente impuro in me.

Alzai lo sguardo verso il soffitto, disegni di piccoli angeli sorridenti sembrarono accompagnare la mia silenziosa preghiera. Sperai che loro, almeno loro, potessero sentire la mia voce e darmi le risposte che cercavo. Volevo solo un angelo custode che mi guidasse verso la verità.

Che ci fai tu qui?” sussurrò una voce alle mie spalle.

Udire quella voce mi fece sobbalzare.

Volsi la testa verso Elijah il quale sembrava stupito quanto me di vedermi, indossava un lungo mantello scuro e i capelli sciolti sulle spalle avevano imprigionato tra loro alcuni fiocchi di neve.

Avevo richiesto un angelo custode ed era apparso lui, possibile che fosse solo una coincidenza? Poi, dopo il discorso con Katerina, mi parve ancora più strano averlo incontrato in quelle circostanze.

Un sorrisetto apparve sulle sue labbra, come se quell' incontro fortuito divertisse anche lui, e si sedette accanto a me, restandomi però abbastanza lontano. Posò una mano accanto alla sua gamba, sopra il legno della panca e io tenni le mani sopra la gonna.

Stai pensando ancora alla storia di ieri, vero?” mi disse, sempre con voce bassa per non profanare quel posto. “Non troverai qui risposte che già hai ottenuto, Irina.”

Lo guardai a lungo, intrecciai le dita delle mani tra loro.

Lui invece perchè era lì? Un vampiro in una chiesa. Non mi stupii molto vederlo là, era un uomo dall'animo così nobile che non poteva non essergli concesso di metter piede là dentro.

Elijah sembrò leggere la domanda nel mio sguardo, come al solito era sempre capace di sentirmi parlare nel più totale silenzio. Solo che molte cose che dicevo ,probabilmente, lui si rifiutava di capirle. “Sono...stato da Diana.” disse e a quelle parole distolsi lo sguardo, me lo immaginai accanto a quella bellezza straordinaria e non potei fare a meno di paragonarmi a lei.

Riuscivo ad essere gelosa in qualsiasi momento, mi sentii proprio ridicola.

Elijah sembrò percepire la mia stupida gelosia e ne rise. “Andiamo Irina, non mi piacciono le donne così...esuberanti.” disse, sempre in un sussurro. “Preferisco le ragazze più tranquille.”

Alzai di nuovo lo sguardo su di lui e lo vidi distogliere lo sguardo, una vampata di calore mi pervase il volto quando pensai che quelle parole dovevano essere un complimento nei miei confronti.

Sono andato da lei per parlarle di una cosa che devo assolutamente risolvere..” continuò e mi parve incupirsi mentre pronunciava quelle parole. Quando alzai lo sguardo su di lui, parve voler cambiare discorso prontamente. “E, lo ammetto, ho voluto parlare a Diana di quello che ti ha detto. Si è certamente sbagliata, ciò che ha visto in te deve essere causato da Bell...perciò le ho intimato di non guardarti più nel modo che penso abbia fatto.”

Deglutii di nuovo, il calore sul mio viso si fece più intenso mentre lui mi guardava in quella maniera che solo lui sapeva fare. O forse ero io che vedevo quegli occhi in un modo diverso.

Abbozzai un sorriso per ringraziarlo, anche se Diana non aveva colpe se aveva visto qualcosa di maledetto in me e che non si poteva cancellare.

Scusami, non ho risposto alla tua domanda.” disse poi, abbassando la testa. “Sono entrato qui..un po' per i tuoi stessi motivi probabilmente.”

Lo guardai incredula, sul suo viso mutò l'espressione lentamente fino a diventare una maschera di angoscia e tristezza. Spalancai per un attimo lo sguardo, vederlo in quel modo mi faceva scoppiare il petto in una danza di dolore. Ma cosa lo tormentava così tanto?

Irina, l'unico mostro della tua storia sono io.” disse, tornò a guardarmi e il silenzio nella sua completa totalità ci pervase. Mi sembrò che anche il mio cuore avesse smesso di battere in quell'attimo, perchè quelle parole mi erano state rivolte anche da Klaus quella stessa mattina.

Entrambi si definivano i mostri della mia fiaba.

Ma nessuno dei due lo era, Elijah sopratutto non doveva nemmeno considerarsi una cosa simile.

Scossi più volte la testa e strisciai lungo la panca fino a giungere a lui, fui tentata dal prendergli la mano ma la mia mente mi fermò prima che potessi compiere quel gesto.

Ti ho fatto più male io di chiunque altro. Klaus ti ha procurato ferite fisiche che poi sono guarite, io invece ti ho procurato ferite nell'animo che vedo, sento ancora sanguinare.” mi spiegò lui, quando incrociò il mio sguardo interrogativo. “E non sai cosa darei per tornare indietro e non ferirti in questo modo.”

I suoi occhi neri si fissarono nei miei, un intensa ondata di calore mi pervase il petto quando compresi che la nostra presenza insieme in quella chiesa non era stata casuale.

Era chiaro che qualcuno, qualcosa voleva che trovassi in Elijah una delle risposte che cercavo.

In realtà ero io il suo mostro.

Era davvero così: Elijah mi voleva bene, si era concesso di sognare con me una fiaba, ma poi aveva deciso di tornare alla realtà solo per non farmi del male. Stava cercando di proteggermi in fondo e io lo ripagavo regalandogli il mio dolore e facendolo sentire in colpa.

Ero io il suo vero mostro perchè se non ci fossi stata io, lui probabilmente non avrebbe sofferto.

Le parole di Katerina riecheggiarono nei miei pensieri.

Cercalo. Affrontalo.

Posai la mano sulla guancia sinistra di Elijah, lui mi guardò sorpreso mentre con il pollice toccavo delicatamente il suo zigomo e mentre il mio palmo diventava fuoco. Lo cercai nel suo sguardo mentre ci guardavamo e lo affrontai quando posai le mie labbra sulle sue.

Quel gesto lo stupì, lo sentii trattenere il respiro mentre tenevo la mia bocca premuta sulla sua. Avvertii i brividi corrermi lungo la schiena e il cuore battere più forte man mano che mi sentivo mancare il respiro. L'unica arma per non soffrire più era ucciderci e con quel bacio letale avevamo firmato la condanna a morte del nostro dolore.

Non volevo più essere il suo mostro, dovevo semplicemente arrendermi al fatto che in quel momento probabilmente non eravamo destinati a stare insieme.

Cercalo. Affrontalo. Perdilo.

E io lo avevo perso con quel bacio. Lo avrei poi ritrovato se e quando saremmo stati entrambi pronti, quando non ci saremmo più fatti del male.

Non volevo più abbandonare l'amore. Non volevo più farlo soffrire come avevo fatto fino ad allora.

Mi separai dalle sue labbra lentamente, guardandolo negli occhi che aveva tenuto aperti per quei pochi secondi in cui ci unimmo per un'ultima volta. Elijah capì subito cosa si celava dietro quel mio inaspettato gesto, aveva percepito anche lui che quella era stata una cura alle nostre pene.

E mi sentii come svuotata da tutto il dolore che la sua vista mi causava.

Elijah non era mai stato il mostro della mia fiaba, io per lui sì invece.

E gli avevo permesso di sconfiggermi, mi ero svuotata dal dolore ma sentii comunque un briciolo di tristezza che si allargava poi nel mio petto.

Mi alzai in piedi prima che potesse dire qualcosa e mi diressi lungo il corridoio che portava verso l'uscita della chiesa. I miei passi ruppero il silenzio e sentii lo sguardo di Elijah sulle mie spalle. Mi dissi che se ero un mostro, non mi sarei mai infierita un colpo così letale per salvare qualcuno che amavo. Per lui almeno, non ero più un mostro.


Prima di rincasare, decisi di fare una passeggiata per la foresta.

Aveva di nuovo smesso di nevicare, i miei piedi affondavano nello spesso strato di neve sul terreno, tanto che ogni passo richiedeva più del dovuto.

Gli unici rumori che udii furono quelli della natura attorno a me, il vento che muoveva le fronde innevate degli alberi e il canto di qualche uccello che si trovava nascosto in quei rami ormai bianchi. Continuai a camminare a lungo, percorrendo un cammino fatto di miei pensieri e di consapevolezze che stavo assumendo grazie alla musica della natura.

Stavo avvicinandomi alla casa sulla collina e sperai di raggiungerla il più tardi possibile. Avevo ancora bisogno che la mia mente vagasse in quello spazio infinito, che si disperdesse in esso per trovare le altre risposte che cercavo.

Era stata la natura a condurmi in quella chiesa, a farmi capire che il mostro da affrontare ero ancora io stessa, ma necessitavo di molte altre risposte ancora.

Sentii un rumore alle mie spalle, mi voltai di scatto e giurai di aver percepito quelli che sembravano dei passi. Ma non vidi nulla, eccetto il bianco della neve che ricopriva il terreno dietro di me. Forse mi stavo illudendo, non avevo sentito nulla ed ero solo vittima di paranoie che non esistevano.

Ma appena tornai a guardare di fronte a me, lo vidi: il lupo bianco, i suoi occhi di ghiaccio e il suo manto lucido e perfetto.

Restai immobile a pochi passi da lui e rivederlo mi creò un insano senso di serenità.

Dopo lo scontro con Philippe era scomparso e mi ero preoccupata spesso per la sua sorte in quel giorni. Fu come se, sempre la natura, volesse permettermi di affrontare un'altra delle mie paure.

Dovevo temere quell'animale, invece mi ritrovavo solamente a volerlo osservare, sfiorare.

Colpa del fatto che mi aveva salvato la vita tempo prima.

Mi avvicinai a lui, prestando attenzione ad ogni singolo movimento improvviso che potesse spaventarlo. Il lupo mi parve che stesse in guardia, con la testa bassa e lo sguardo vago.

Allungai la mano mentre mi facevo più vicina, come per volergli sfiorare il muso ma lui si tirò un po' indietro. Era stranamente spaventato, sembrava volesse allontanarsi ma non potesse farlo.

Forse non mi riconosceva per via del cappello che avevo sulla testa e che nascondeva i miei capelli.

Me lo tolsi lentamente e qualcosa attirò la mia attenzione: uno strano oggetto cadde davanti ai miei occhi e affondò nello spesso strato di neve sotto i me.

Lo guardai confusa: era una piccola pietruzza rossa che era rimasta nascosta per tutto il tempo nel ripiego del cappello.

La presi tra le dita e la osservai, il lupo si ritrasse più indietro e si lasciò andare a dei lasciti di paura che mi colpirono. Alzai lo sguardo su di lui, quando una morsa al cuore seguii la consapevolezza di quello che stava per succedere: Klaus aveva messo quella pietra dentro il cappello, con la certezza che non me lo sarei mai tolta durante la giornata non solo per il freddo, ma anche perchè levarmelo mi avrebbe fatto sentire in colpa nei suoi confronti.

Ma perchè? Mi fu davvero tutto più chiaro, quando scorsi una rapida ombra correre dietro il corpo del lupo: Klaus si affiancò a lui, con una seria espressione sul viso mente fissava il manto bianco dell'animale.

Spalancai la bocca in un grido, quando lo sguardo del lupo e del vampiro si incontrarono e Klaus scattò verso di lui. Qualcuno dietro di me mi afferrò, facendomi voltare e tenendomi le braccia lungo le spalle come per impedirmi di assistere a quello spettacolo.

Ma il verso di morte del lupo risuonò nella mia mente, il cuore batté all'impazzata mentre il silenzio che seguiva la fine ci circondava.

Mi ritrovai con la testa nascosta nel petto di Elijah, il cui sguardo era fisso sul fratello.

Alzai lo sguardo su di lui, poi la forza di guardare in faccia la morte di quel povero lupo, mi spinse a girarmi verso Klaus. Aveva un'espressione fredda sul viso, le sue mani erano sporche di sangue e in una di esse stringeva il cuore del povero animale.

Vedere il suo candido manto macchiato di morte mi fece salire le lacrime agli occhi. Il suo corpo giaceva nella neve, sarebbe quasi divenuto un tutt'uno con essa se non fosse stato per il rosso attorno al suo corpo. Mi separai dal petto di Elijah, le cui braccia attorno alle mie spalle si abbassarono lentamente e guardai Klaus: nei suoi occhi non c'era pietà, non gli importava nulla di aver ucciso barbaramente il lupo a cui dovevo la vita.

Ma non era solo per quello che provai un irrefrenabile rabbia dentro: c'era un altro motivo, il solito motivo, che mi spingeva ad odiare Klaus come mai avevo fatto prima.

Mi aveva preso in giro.

Un sorriso si allargò sulle sue labbra. “Bene, è stato più facile del previsto!” disse, evitava il mio sguardo perchè sapeva cosa ci avrebbe trovato. “Scusa cara se ho dovuto ricorrere all'espediente di stamani per lasciarti indosso quella pietra. Ma Diana mi ha detto che era l'unico modo per catturare il tramite di Bell ed ero certo che non avresti mai acconsentito a prendere parte al piano di tua spontanea volontà. Diciamo che mi hai costretto.”

In quel momento mi guardò, il suo sguardo si posò a lungo su di me e derise la mia rabbia.

Il discorso di quella mattina, il fatto che mi comprendesse, il fatto che volesse aiutarmi era tutta una farsa.

Ma dovevo aspettarmelo: ero stata io la stupida a fidarmi di nuovo di lui, Klaus era bravissimo a dire le bugie più delle verità e la sua era stata solo una tattica per affrontare il problema Bell più rapidamente e liberarsene il prima possibile.

Di me non gli importava nulla e dovevo saperlo, altrimenti non mi avrebbe preso in giro come aveva fatto quella mattina, mettendomi quell'oggetto nel cappello per attirare il lupo da me ed ucciderlo. Mi aveva di nuovo resa complice di un suo omicidio, nei confronti di un essere che mi aveva salvato la vita.

Mentre lo guardavo mi parve di non respirare, la rabbia e l'odio divennero due combinazioni letali che ostruivano i miei polmoni e non permettevano loro di accogliere l'aria necessaria per vivere.

L'odio non ha respiro, proprio come l'amore: erano davvero più simili di quanto credessi, solo di fronte a loro non avevo ossigeno sufficiente per andare avanti.

Klaus piegò la testa da un lato, quando riconobbe gli occhi dell'odio. “Adesso sai come ci si sente ad essere pugnalati alle spalle.” mi disse e non potei credere che pensasse ancora a quella storia.

Avrebbe fatto meglio a dimenticarsela, visto tutto il male che mi aveva fatto precedentemente e che io mi sforzavo di non ricordare.

Mi odi, non è così? Allora devi odiare anche Elijah, lui era d'accordo con me.”

Il mio odio si spense improvvisamente quando Klaus pronunciò quelle parole, aveva perso il sorriso mentre parlava, come se volesse davvero allontanare il mio odio per lui da sé e trasferirlo su Elijah. Una parte di me mi disse che era una bugia, Elijah non avrebbe mai agito alle mie spalle ma quando mi voltai e non trovai il suo sguardo, fisso con rabbia su Klaus, mi sembrò davvero di non avere più aria nei polmoni.

Non è proprio andata così, Niklaus.” precisò lui, con tono duro.

Klaus scoccò la lingua. “Sì, giusto. Ne hai preso parte quando avevo già messo in atto il teatrino per proteggere la tua fanciulla.” rispose. “Ma siamo comunque stati sempre complici, Iry.”

Rivolse quelle ultime parole a me per farmi più male, mentre io guardavo il volto di Elijah.

Era davvero d'accordo con lui. Dopo la scena in chiesa, dopo che mi ero umiliata un'altra volta per affrontare ciò che provavo per lui, lui aveva agito alle mie spalle in quel modo.

Strinsi i pugni e mai come allora mi sentii sola, stupida e abbandonata, aveva preso parte a quel piano malgrado sapesse, sentisse che io non volevo uccidere quel lupo e non volevo arrivare a Bell. Perchè ne avevo troppa paura.

Come aveva potuto farlo?

Elijah mi guardò, non era vigliacco e avrebbe affrontato la rabbia che avevo nel mio sguardo e la cosa lo ferii.

Non abbiamo tempo. A Diana serve il cuore per scoprire chi è Bell e io ho poco tempo da perdere. Muovetevi.” ci ordinò Klaus. Mi fu facile distogliere lo sguardo da Elijah, spesso mi era difficile farlo ma in quel momento lui non era l'Elijah che conoscevo.

Quello che conoscevo io non avrebbe mai agito alle mie spalle in combutta con Klaus.

Lui mi si avvicinò, si fermò per un attimo accanto a me, come se sperasse che gli concedessi almeno uno sguardo. Ma non lo feci, tenni la testa bassa e mi morsi le labbra più forte che potevo.

Quando lui si allontanò per seguire Klaus, ascoltai il dolore del mio cuore che risuonava tra quegli alberi silenziosi.

Per un attimo temetti che anche lui mi tradisse e mi lasciasse morire da sola.


La casa di Diana era nascosta nella foresta, era simile a quella in cui risiedevamo noi solo che era più piccola e composta da un unico stanzone ripieno di mobili con oggetti dall'aspetto esoterico. Sul lato destro di quelle pareti in legno si trovava il cucinino, ma per il resto c'erano solo elementi che riconducevano alla magia. Una scalinata infondo a destra, portava alla camera da letto al piano superiore, che immaginai arredata con oggetti di magia come tutto il resto della casa.

Era buio, Diana aveva acceso solo diverse candele la cui fiamma disegnava sui nostri volti una tenue luce. Disse che aveva bisogno di silenzio, oscurità e concentrazione per compiere quell'incantesimo: il cuore del lupo giaceva in una bacinella in legno sopra il tavolo, come se fosse l'oggetto di un rituale, e la strega teneva le braccia allungate sopra di essa, con gli occhi chiusi e la bocca che si muoveva in flebili sussurri narrati in una lingua che non conoscevo.

Restai seduta su una poltrona, più lontana possibile da quello spettacolo a cui ero stata costretta a prendere parte. Mi strinsi le ginocchia al petto e fissai un punto sul pavimento mentre le lacrime scendevano costantemente sul mio viso. Klaus era dalla parte del tavolo opposta a quella in cui si trovava Diana e la fissava con trepidazione, in attesa di una risposta.

Ogni tanto lo guardavo e lui ricambiava il mio sguardo, lo odiai con tutta me stessa perchè mi aveva costretta ad affrontare quella mia paura abusando della mia fiducia. Perchè lui tutti i sentimenti positivi -fiducia, affetto,amicizia- non li accoglieva, li sfruttava solo quando gli era necessario. Per lui non esistevano.

Tieni.” Elijah si avvicinò con un bicchiere d'acqua in mano, si chinò davanti a me e posò una mano sul mio ginocchio destro. Mi guardò addolorato, le mie lacrime dovevano arrecargli davvero molta pena ma ne ero contenta: erano il risultato di ciò che lui mi aveva fatto e se soffriva come stavo facendo io, se lo meritava.

Mi aveva tradita. E io che avevo deciso di sopprimere il mio dolore, per non farlo soffrire.

Presa dalla rabbia, scaraventai con una manata il bicchiere a terra, l'acqua si riversò sul pavimento e il bicchiere di legno rotolò lungo il pavimento, andando a nascondersi nell'oscurità.

Diana continuò a parlare nei suoi sussurri, Klaus invece si voltò ad assistere alla scena.

Elijah non parve stupito della mia reazione ma qualcosa sembrò scattare in lui, mi strinse con delicatezza le spalle e mi guardò, scuotendomi sempre con pochissima forza.

Per chi credi che l'abbia fatto eh?” mi chiese, parlando fitto in modo che non disturbasse l'incantesimo.

Si stava arrabbiando? Bene, perchè volevo davvero sfogare tutto il mio risentimento e dopo quello che mi aveva fatto, trovai in un lui il soggetto più adatto.

Sono giorni che ne parlo con Diana. L'unico modo per arrivare a Bell era questo, prendere il suo tramite!” Elijah parlò quasi stringendo i denti. “Non erano così che dovevano andare le cose, volevo tutelarti in una maniera migliore ma non ci sono riuscito. Sapevo che non volevi prendere parte a questo piano, ma non c'era alternativa, lo capisci?”

Lo guardai accigliata. Ero stanca di come si comportava, ero stanca che prendesse decisioni per me da solo, senza tenere conto che nella mia vita la prima voce in capitolo era proprio la mia. Aveva deciso di non amarmi e mi ero sottomessa a questa sua scelta, ma poi aveva scelto anche di tradirmi e quello non potevo proprio accettarlo.

L'ho fatto perchè voglio proteggerti, lo capisci? Bell vuole farti del male!” rispose Elijah, come se avesse percepito la mia domanda nelle lacrime che continuavano a scendere lungo il mio viso. “Se farmi odiare da te significa proteggerti...allora è quello che continuerò a fare. Posso perdere il tuo affetto, ma non voglio perdere la tua vita.”

Mi morsi il labbro, come al solito la rabbia che potevo provare nei suoi confronti si spense lentamente e sempre più, mentre lo guardavo nei suoi profondi occhi neri.

Mi stava proteggendo davvero, ma a che prezzo? Visto che mi stava tutelando da tutto ma non dal male che lui mi aveva arrecato lui in quel momento.

Sono parole al vento, fratello. Questa piccola irriconoscente bastarda non sa nemmeno cosa sia la gratitudine.” Klaus si avvicinò rapidamente a noi, alzai di scatto lo sguardo su di lui e notai la luce di sfida nei suoi occhi blu. Aveva le labbra serrate e lo sguardo affilato mentre mi osservava.

Stanne fuori, Niklaus.” gli intimò Elijah, senza nemmeno guardarlo.

Voleva ancora proteggermi.

Ma io volevo scottarmi, nel modo più violento possibile e lui non avrebbe potuto impedirmelo.

Scattai in piedi e mi fiondai su Klaus, sentendomi ancora senza corpo per via di tutto quello che era successo in quel giorno.

Mi limitai a spintonarlo, smuovendolo solo di qualche misero centimetro.

Klaus mi guardò furibondo ed Elijah si alzò in piedi come se volesse evitare che lui reagisse, ma il fratello sembrava non intenzionato a farlo. Almeno non con le mani.

E io volevo fronteggiare il mio mostro da sola, lui non doveva intromettersi.

Continui a provare la mia teoria, Irina.” mi disse con sfida, si avvicinò a me e ci ritrovammo con i visi vicinissimi. Per lui non ero una bambina indifesa o una fragile ragazzina a cui nessun uomo avrebbe dovuto avvicinarsi in quel modo: per lui ero il suo mostro da annientare. “Ci rimani male per la morte di un tuo nemico e te la prendi con chi perde tempo a salvarti quella misera vita che ti ritrovi. Se tu sei la definizione di umana, sono felice di disprezzare l'umanità!”

Cosa poteva comprendere lui dell'umanità? Quella mattina si era fatto beffe di me giocando con i sentimenti, aveva di nuovo finto che potessi contare qualcosa per lui e ogni volta che quella mia vana speranza si spegneva, sentivo che l'odio curava la mia delusione e tornava a prendere terribilmente possesso di me. Era solo tutta colpa sua, odiavo come giocava con sentimenti che non voleva capire.

Mostro. Ti odio!”

Pronunciai quelle parole come se mi fosse consentito gridarle, tenni lo sguardo fisso sul viso di Klaus che lesse il mio labiale, mentre la sua espressione iniziò a mutare.

Puntai sulle sue debolezze, proprio come faceva lui.

Volevo fargli male, come me ne aveva fatto sempre lui. Ero davvero stanca.

Quelle parole lo ferirono come nessun'arma poteva mai fare, perchè puntavano alla sua anima marcia, la colpivano e la martoriavano nel sangue di un antico dolore che lo riportava a quello che tanto disprezzava: l'essere umano.

Le mie parole silenziose dovettero rimbombare nella sua mente, ma non mi aspettai minimamente quello che accadde pochi istanti dopo: la sua mano mi colpì, un calore intenso e violento mi pervase la guancia e mi ritrovai a terra, mentre il dolore mi fece realizzare che Klaus mi aveva dato uno schiaffo. Fu come se il tempo si arrestasse, mentre mi massaggiavo la guancia dolorante e pian piano qualcosa cominciò a bruciarmi dentro, in un insopportabile rogo di rabbia.

Sentii dei rumori alle mie spalle: Elijah aveva colpito Klaus e gli stava urlando qualcosa contro.

Diana sembrava appartenere ad un'altra realtà e non si accorse dei due vampiri che stavano discutendo.

Io non udii le loro grida, non guardai la loro lotta, stavo solamente ascoltando le mie grida e la lotta che era scoppiata dentro il mio corpo.

Dolore. Rabbia. Delusione. Tristezza.

Volevo sfogarle tutte insieme in un grido, ma non mi era consentito.

Singhiozzai disperata, perchè non mi era nemmeno consentita la possibilità di liberarmi da quei demoni, di gridare il più possibile e di lasciarli andare via nell'oscurità.

Morire sarebbe stato più facile, quella vita mi stava facendo solamente soffrire. La sofferenza era parte della vita in fondo, ma perchè a me non era permesso liberarmene come facevano tutti?

Perchè tutti dovevano buttarmi giù in quel modo?

Posai la fronte sul pavimento e lascia che il gelo della superficie mi attraversasse la pelle, quando presi consapevolezza di voler combattere con me stessa.

Un pugno sul pavimento diede inizio alla lotta.

Poi ce ne furono altri, sempre più forti tanto che mi feci del male da sola.

Delle urla nelle mia mente accompagnarono quei rumori, mentre cercavo di cacciare la mia rabbia.

Singhiozzavo così forte che non mi accorsi del silenzio che si era creato attorno a me.

Continuai a colpire sempre più, fino a quando il dolore fisico cacciò quei quattro demoni che si erano impossessati di me.

Avvertii una presenza di fronte a me e capii che il mio vero mostro aveva forse deciso che era ora che lo affrontassi.

Una mano mi raggiunse, passò sopra il mio orecchio sinistro per poi raggiungere il retro del mio collo. Usò poca forza, per far sì che lo guardassi.

Guardai il mio odio, che si celava dietro quegli occhi blu.

I mostri si affrontano, Irina.” disse Klaus, parlando con voce priva di espressione.

La sua mano restò tra i miei capelli, mentre le lacrime continuarono ad uscire più prepotentemente di fronte alla sua vista.

Affrontami. Accetta il fatto che non mi sconfiggerai mai, ma prova a combattermi. Te lo concedo.” continuò a dire Klaus. “Mostra il tuo amore con un bacio, sfoga il tuo odio con un pugno. Non c'è bisogno di voce per poter esternare questi due sentimenti.”

Mi morsi le labbra, quando compresi il vero significato di quelle parole.

E il fatto che lui mi stesse assecondando, il fatto che lui volesse che gettassi il mio odio al vento mi fece rabbia. Ma lo accettai, perchè non ce la facevo a portarmi tutto dentro.

Iniziai a colpirlo al petto, con dei piccoli, deboli ma rapidi pugni con cui iniziai a lasciar andare la mia rabbia. Tutti quei sensi oscuri iniziarono a svanire, si riversarono tutti sul petto di Klaus, la quale se ne stava immobile senza ombra di dolore sul viso mentre io lo colpivo sempre di più.

Elijah se ne stava alle sue spalle, in silenzio, perchè probabilmente sapeva che dovevo affrontare da sola l'odio.

Continuai in quel modo per diversi minuti, fino a quando poi la stanchezza mi pervase.

Ma mi sentii come svuotata, tutto svanì improvvisamente e il cuore si fece come più leggero.

Alzai lo sguardo su Klaus. Mi stava guardando con gli occhi bassi su di me, mentre le mie mani restavano sul suo petto.

Lo colpii con un ultimo pugno, con cui misi un punto alla mia rabbia.

Non potevo credere che proprio Klaus me ne avesse dato l'opportunità. Non potevo credere che mi avesse mostrato che non avevo bisogno di voce per fronteggiare l'odio, era lo stesso insegnamento che avevo imparato quando avevo affrontato Elijah in chiesa.

Avevo lottato con me stessa e, in parte, avevo vinto, perchè avevo sconfitto il dolore e la paura.

Hai combattuto. Anche se non hai vinto su di me, lo hai fatto.” disse Klaus, alzai lentamente lo sguardo su di lui e i nostri occhi s'incontrarono. La sua espressione era indecifrabile, sembrava racchiudere troppe emozioni e tutte troppo umane per poterle comprendere sul suo viso. “Era pure ora che affrontassi l'odio che nutri per me.”

Era vero che non lo avevo mai affrontato.

Persino quando aveva macchiato le proprie labbra del mio sangue, non ero stata capace di combattere l'odio marcio che lui scatenava in me. Ma in quel momento, lui mi aveva spinto ad affrontarlo, non a sconfiggerlo ma almeno a fronteggiarlo.

Non volevo essergliene grata, ma dovevo forse?

Klaus mi prese i polsi e li allontanò da sé, ma li tenne nella sua presa per qualche istante. “Smettila di piangere, è da deboli e non serve a nulla.” mi disse. “E sii un po' più riconoscente, se non fosse per non vagheresti ancora nell'oscurità pur di non affrontare un altro dei demoni della tua storia.”

Le ultime parole furono quasi un sibilo. Continuai a guardarlo in silenzio, allontanai poi le mani dal suo tocco e abbassai lo sguardo.

Mi portai i polsi al petto, assaporando quella strana sensazione di leggerezza sul mio petto.

Diana sussultò, attirando la nostra attenzione. Fu come come se una qualche forza oscura l'avesse riportata violentemente tra noi, osservai i suoi occhi sgranati e il modo in cui le sue spalle si alzavano e abbassavano in preda ad un violento respiro.

Klaus si alzò in piedi, distogliendo lo sguardo rapidamente da me, per posarlo sulla strega.

Elijah si avvicinò a me e mi aiutò ad alzarmi in piedi, anche se le mie gambe non reggevano e non avevo alcuna forza di mettermi in piedi.

Diana lo guardò seriamente. “Qualcosa mi impedisce di arrivare a Bell...ma ho scoperto qualcosa che potrebbe esserci utile.” disse.

Restai dietro Klaus e affianco ad Elijah, il mio sguardo si posò sulla strega, il cui viso riprese lentamente colorito. Le sue gote parvero tornare rosee e il respiro si fece più regolare.

Continua.” la incitò Elijah e la ragazza non se lo fece ripetere due volte.

Il corvo e il lupo erano entrambi Bell.” disse e quello fu già un primo colpo.“Esiste un incantesimo chiamato capovolgimento spirituale che permette di trasferirsi momentaneamente in un altro corpo con lo spirito: lui è entrato nelle anime di questi due animali per entrare in contatto con la ragazzina. Ma poco prima che tu li uccidessi, Klaus, lui è uscito dai loro corpi.” ci spiegò, anche se capii lo stesso relativamente poco riguardo quella storia.

Non ero stupida probabilmente, anche Klaus ed Elijah parvero comprendere ben poco.

Il primo si andò a sedere ad una sedia accanto al tavolo e guardò la strega con attenzione. “Se la vuole, perchè non se la viene a prendere?” chiese.

A quel punto Diana mi guardò, affilò lo sguardo e un sorrisetto apparve sulle sue labbra. “Lei è maledetta.” ripeté quella dannata parola, ma alzò le mani in segno di arresa quando Elijah provò a replicare. “Ma siccome non ho visto granché quando l'ho toccata, oserei anche dire che non si tratta propriamente di una maledizione negativa. Sembra che Bell non possa avvicinarsi di persona a lei.”

Continuavo a non capire, Elijah mi lanciò un'occhiata come per assicurarsi che stessi bene e che non crollassi in quel preciso momento.

Che significava? Che qualcuno mi aveva maledetta per allontanarmi da Bell? Forse era lo stesso motivo per cui non potevo essere soggiogata?

Guardai Diana che mi stava fissando intensamente. “Purtroppo ancora non ho capito molto di te, piccoletta.”

Allora è uno stregone?” la interruppe Elijah.

Diana alzò le spalle. “Penso proprio di sì. In diverse credenze pagane, il lupo e il corvo sono simboli di oscurità.” disse. “Ed è certo che questo Bell faccia uso di magia nera. Ma il fatto che non possa avvicinarsi a lei, credo che sia un bel vantaggio per voi.”

Klaus serrò la mascella. “Va bene, in poche parole ancora non sappiamo di chi si tratta. Sei stata inutile.”

Qui ti sbagli, caro.” Diana gli puntò il dito contro e gli fece l'occhiolino, come faceva a giocare le carte della seduzione anche in quel momento lo sapeva solo lei. “Posso eseguire un altro incantesimo per arrivare alla verità, ma mi serve il ciondolo di Rebekah.”

A quella parole alzammo tutti e tre lo sguardo su di lei, poiché quelle parole parvero stonare con il resto del discorso.

Il ciondolo di nostra madre?” ripeté Elijah. “Perchè?”

Klaus rimase ammutolito da quella richiesta, sembrava come se la figura della madre defunta lo spaventasse oppure lo addolorasse troppo. Mi soffermai un attimo a guardarlo, poi torna a concentrarmi su Diana.

Perchè?” ripeté “Perchè in pochi sono capaci di compiere un incantesimo simili, lei era uno di questi. Se ho quel ciondolo, posso arrivare a scoprire chi è Bell .”

Guardai Elijah e Klaus che si lanciarono un'occhiata. Il primo annuì di fronte al secondo che guardò poi Diana. “Ne sei davvero sicura?” le chiese Klaus.

La strega annuì, volgendo poi lo sguardo dal vampiro su di me. Un sorriso si allargò sulle sue labbra e abbassai gli occhi deglutendo. “Preparati, ragazzina. Il vero mostro della tua fiaba lo devi ancora affrontare.”


Volevo restare sola.

Nessuno di noi tre parlò quando rincasammo, non avevo voglia di parlare con nessuno di quella faccenda e avevo deciso di non pensarci più fino a quando non avessi ottenuto delle chiare risposte. Sia Klaus che Elijah non andarono contro quella mia decisione e la rispettarono.

Bell era potente e, per tutto quel tempo, mi era stato vicino più di quanto avessi mai pensato.

Era probabilmente uno stregone, ma quel concetto non mi era nuovo visto tutto quello che aveva combinato per giungere a me. Restava ancora da scoprire cosa ero io e perchè ero così maledettamente fuori dall'ordinario.

Non riesci a dormire?”

Alzai lo sguardo su Rebekah che se ne stava sulla soglia della porta. Mi ero dimenticata di chiuderla prima di coricarmi a letto, restai distesa sul fianco destro e con il pollice della mano sinistra tra le labbra. La bionda si avvicinò a me e si sedette sul bordo del letto, non portava più al collo il ciondolo della madre e provai un profondo senso di colpa, come se glielo avessi strappato via io stessa.

Che c'è? Guarda che poi Diana me lo rende, che credi?” mi disse, quando si accorse che stavo guardando il punto della sua pelle dove doveva trovarsi il pendente.

Serrai le labbra e senza nemmeno accorgermene mi ritrovai con il volto rigato di lacrime.

Ero stanca. Non ne potevo proprio più di quella storia di Bell, di quella di Mikael e volevo solo la serenità che pensavo di meritare.

Volevo chiudere gli occhi e credere che fosse solo un incubo notturno che la luce del sole avrebbe scacciato via al risveglio. Ma non era così, quella era la realtà.

Ma perchè piangi sempre, Iry?” Rebekah mi sfiorò delicatamente i capelli sciolti e mi sorrise. “Sei davvero una piagnona, non lo si può negare.”

Mi strappò un sorriso e mi asciugai le lacrime con il palmo della mano. Fortuna che avevo trovato in lei qualcuno che potesse infondermi un po' di tranquillità, lei e Katerina furono le mie ancore di salvezza in quella triste giornata. In realtà anche Klaus ed Elijah lo furono.

Allora perchè mi sentivo ancora sprofondare? Perchè mi sentivo ancora un mostro?

Rebekah piegò la testa da un lato. “Sai, le fiabe e la realtà non sono poi così diverse dalla realtà.” disse, continuando a giocare con i miei capelli. “I mostri sono sempre gli stessi.”

Quali erano i mostri? Nella mia storia, mi ero ritrovata ad essere protagonista e antagonista nello stesso momento. L'unico mostro della mia storia ero io.

Gli unici mostri delle fiabe, delle favole e della vita sono le paure.” disse Rebekah, cogliendomi di sorpresa. Alzai lo sguardo su di lei e corrugai la fronte confusa. “I mostri delle fiabe rappresentano sempre la paura. Paura di amare, di odiare, di piangere, di ridere...paura di vivere. Per questo, alla fine della storia, soccombono sempre. Perchè le paure vengono sempre abbattute quando giungono i sentimenti, come un arcobaleno che appare nell'oscurità e la riempe dei suoi colori. Non devi avere paura di nessuno Irina, se senti che il tuo cuore batte o si spegne a qualsiasi emozione.”

Mi sorrise e la sua mano raggiunse un'altra lacrima che era scesa da sola sul mio viso. “I sentimenti, positivi e negativi che siano, sono sconosciuti ai mostri. I mostri sono solo la paura di saperli fronteggiare e tu oggi hai affrontato più paure di quanto tu creda. Non temere te stessa, perchè in questa storia..tu sei solo un'eroina.”

Tirai su con il naso, quando lei terminò di parlare.

Non riuscivo ancora a credere che quella ragazza, fino a poco tempo prima, mi avesse reso la vita impossibile. In quel momento invece fu uno dei colori che allontanarono l'oscurità da me.

Ebbi la prova finale che non ero un mostro.

Dovevo solo fronteggiare la paura che Bell mi causava per poi sconfiggerlo: se non fosse stato per Katerina avrei ancora avuto paura dell'amore, se non fosse stato per Klaus ed Elijah non avrei mai affrontato ciò che era Bell e se non era per Rebekah non avrei mai compreso che dovevo molto a tutti loro.

Era grazie alle loro parole che ero arrivata davvero a rialzarmi nello spirito.

Sorrisi, mentre sentivo che finalmente potevo dormire. Tutti i miei sensi iniziarono a confondersi, mentre la voce di Morfeo iniziò a penetrare nella mia mente, per accompagnarmi nel mondo dei sogni. Rebekah dovette restare al mio fianco fino a quando non cedetti, mi sembrava ancora di sentire la sua mano tra i miei capelli e il suo sguardo su di me.

Non volevo più rimanere nell'oscurità. Volevo essere l'arcobaleno che la colorava.

Prima di chiudere gli occhi a quella lunga giornata, scorsi un'ombra fuori dalla porta della mia camera. Come se non fossi l'unica ad aver preso consapevolezza di non essere un mostro.


Ehilà, il capitolo è finalmente finito! :D

Spero che vi sia piaciuto, a me non piace per niente come al solito e dopo averlo riletto per la centesima volta, ho deciso di pubblicarlo lo stesso e di prepararmi al lancio dei pomodori marci!

L'immagine ad inizio capitolo è da attribuire a colei che nominò Klaus come super-fusto ossia Elyforgotten che ringrazio infinitamente.

In questo capitolo ho deciso di affrontare il tema del “mostro” visto quello che è successo nello scorso capitolo e mi auguro di esserci riuscita bene e di non essere risultata confusa in alcuni passaggi. Il prossimo capitolo sarà un pochino meno angosciante di questo, ci sarà una festa dove la povera Iry potrà almeno un po' (sottolineo un po' xD)

svagarsi visto tutto quello che le sta capitando!

Ah e un certo personaggio che è apparso per pochi (e un po' inutili è vero) istanti...non è stato messo lì a casaccio. :P

Passo ai ringraziamenti (tanto li faccio sempre e sono sempre gli stessi..ma vabbè, non mi stanco mai!) ringrazio tutti coloro che leggono questa storia, sia i lettori silenziosi, che coloro che recensiscono. I vostri commenti sono davvero uno stimolo e mi aiutano a capire se i miei capitoli fanno pietà e dove mi devo correggere.

Ringrazio anche chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite e ricordate.

Adesso passo e chiudo finalmente :)

Ciao a tutti! ^^


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Capitolo 18
*** A Thousand Lights ***


-A Thousand Lights-

There's a line, there's a road that we're walking
Different path to the point where they're crossing
But each step is one step closer to you
As the sun says goodnight in the distance
A thousand lights fill the sky like they missed us
But each one is lighting my way to you …

(Leona Lewis- A Thousand Lights)


La mia vera paura era quella della delusione.

Era più facile non pretendere niente di positivo dagli altri: se si voleva per forza ricavare qualcosa di buono da chi ci circondava, si veniva feriti anche troppo spesso e senza che conoscessimo i veri rimedi per curare quelle ferite che facevano più male.

Perché sanguinavano nel cuore, non nella carne e spesso era davvero più facile venir feriti e ferire.

Eppure io volevo farmi male.

Presi quella decisione mentre osservavo il suo fermaglio sul palmo della mia mano. Avevo deciso di indossarlo alla festa di quella sera, a cui ero stata un po' obbligata da tutti a prenderne parte per non pensare alla solita brutta faccenda soprannaturale che sembrava circondarmi.

Volevo che quella piccola farfalla argentata si posasse sui miei capelli perché quello che Klaus mi aveva permesso di fare giorni prima oscurava tutto il resto delle sue azioni: lo schiaffo, le sue parole cariche di rancore non erano nulla in confronto al modo in cui si era inginocchiato davanti a me per far sì che mi rialzassi dalla mia sconfitta.

Doveva pur significare qualcosa e io volevo prendere la luce insita in quel gesto e scoprirla sempre più. Perché la luce non era come l'oscurità: nel buio non si trovava nulla, nella luce si trovavano invece sempre nuovi piccoli bagliori che stupivano e catturavano il nostro sguardo.

Elijah era luce per me, lui mi aveva dato molto più di quanto pensasse e aveva scacciato via molte ombre che si erano annidate nel mio animo.

Perché dovevo allora continuare a temere Klaus in quel modo, dopo che anche lui aveva scacciato una di quelle ombre?

Per non parlare di quell'ombra, mi sembrava ancora di rivederla mentre appariva davanti ai miei occhi prima che gli occhi cedessero al sonno. Le avevo già dato un nome, ma ero curiosa di scoprire chi, insieme a me quella notte, avesse scoperto di non essere solo un'ombra.

Il mio cuore aveva già preso quella decisione riguardo il fermaglio, insieme alla mia mente e mi portai il fermaglio al petto, come per siglare quella promessa con me stessa.

Erano minuti che attendevo in camera di Katerina che lei tornasse dal suo giro di compere con Rebekah, io le avevo accompagnate la mattina del giorno prima e mi ero pentita di averlo fatto: quelle due erano terribili, si fermavano ad ogni singola bancarella e torturavano i negozianti con le loro domande sui prezzi. Più stavano vicine, più si somigliavano.

Decisi così di tornare in camera mia a passo rapido, ma mi fermai in corridoio quando notai qualcosa di insolito.

La porta era leggermente socchiusa, un fascio di luce bianca si stendeva lungo il pavimento e mi sembrò di avvertire una leggera brezza che soffiava dall'interno.

Ero sicura di averla chiusa e anche di non aver aperto la finestra, per non permettere al gelido vento di entrare troppo a lungo dentro la mia stanza. Sentii il cuore stringersi in una morsa, mentre restavo immobile davanti ad essa senza sapere se entrare oppure meno.

Strinsi i pugni ferrei mentre seguivo con lo sguardo quel lungo bagliore di luce che sembrava tagliarmi i piedi. Tesi l'orecchio per cogliere ogni singolo rumore sospetto all'interno, ma eccetto il soffio del vento non udii nulla di insolito.

Posai l'indice sul legno della porta e lo usai per spingerla verso l'interno, in modo che si aprisse lentamente e quanto bastava affinché potessi accorgermi di qualsiasi presenza dentro la stanza.

Ma non vidi nulla, la finestra era spalancata e il vento muoveva le bianche tende che sembravano rimanere sospese nell'aria gelida. Il diario era rimasto sul comodino accanto al letto ben fatto e la tenue luce del sole sembrava accarezzarne la copertina.

Mi guardai attorno e trovai tutto come lo avevo lasciato, solo quando feci diversi passi verso il letto mi accorsi di qualcosa di insolito sopra di esso: un biglietto ingiallito, piegato in quattro parti giaceva sulle mie lenzuola. Scorsi il colore dell'inchiostro scuro all'interno di esso, appariva come un ombra nascosta dietro il colore ingiallito di quel foglio.

Lo presi titubante e lo aprii, leggendone attentamente il contenuto.

Lo sai che le cose belle devi sempre cercarle?”

Lessi quella frase più e più volte, l'inquietudine che mi aveva accompagnato fino a quel momento iniziò lentamente a smorzarsi, lasciandosi sostituire dalla sorpresa che quelle parole mi causarono. La calligrafia era elegante, raffinata e certamente di una persona che aveva una certa cultura. Non c'erano sbavature attorno a quelle lettere, come se chi le avesse scritte ci tenesse ad apparire perfetto.

Anche la sorpresa scomparve, lasciando posto alla confusione.

Klaus.

Cosa aveva in mente di fare? E cosa voleva che cercassi di bello?

Sospettai comunque qualcosa di losco, malgrado i buoni propositi che avevo deciso di prendere quella mattina.

Mi guardai attorno, ma non mi parve di trovare niente di insolito eccetto la finestra spalancata. Poi mi accorsi che un anta del mio armadio era leggermente socchiusa, come se qualcuno volesse attirare la mia curiosità a guardare dentro il mobile.

Mi avvicinai lentamente, mentre il cuore mi batteva all'impazzata. La mia mano stringeva la ruvida carta con il messaggio di Klaus e i miei passi si mossero lentamente verso l'armadio, rompendo il silenzio che mi stava accompagnando da pochi attimi a quella parte.

Mi aspettavo di tutto: di trovarmi qualche povero animale morto o magari persino il cadavere di qualche povera fanciulla caduta nelle sue grinfie. Pensavo che ce l'avesse con me, Klaus era la persona più lunatica al mondo e non mi sarei stupita se fosse stato in collera con me per chissà quale motivo.

Spalancai le ante, lasciandole muoversi all'indietro mentre guardavo l'interno del mio armadio.

Un vestito.

Era di un rosso scarlatto, come il suo colore preferito. Contorni dorati coloravano la maniche e la gonna, su quest'ultima c'erano anche diverse fantasie sempre color oro, di quelli che sembravano fiori e farfalle. Rimasi a fissarlo meravigliata per diversi secondi, lasciando scorrere lo sguardo in alto e in basso di quella che si poteva considerare un'opera d'arte di un sarto.

Sull'apertura del petto era nascosto un altro biglietto, sempre ripiegato con precisione. Lo presi tra le mani, appallottolando l'altro dentro il palmo della mia mano e lo aprii lentamente.

Credo che l'ultima volta si è parecchio esagerato.

Sai che non mi pento mai delle mie azioni, ma

spero con questo dono di poter davvero porre fine a tutti i nostri disguidi.

Sono sicuro che saresti benissimo con questo vestito.

Klaus.”

Lessi più e più volte quelle parole e me le immaginai mentre uscivano dalle labbra di Klaus.

Era come se fosse di fronte a me, mentre le diceva,come se si volesse scusare per lo schiaffo ma non lo volesse apertamente affermare. Perché comprarsi il perdono era più facile che chiederlo semplicemente. Non venivano implicati sentimenti o emozioni, perché si era più certi di ottenerlo con più facilità. Peccato che ancora non capiva che non ero come lui, io non avevo nulla da perdonargli perché ero passata sopra al suo schiaffo, anche se nel biglietto sembrava quasi che volesse incolpare pure me di qualcosa.

In fondo avevo cercato anche io di ferirlo, dandogli del mostro. Avevo le mie colpe come lui.

Sospirai e presi la decisione di indossare anche quell'abito quella sera, sperando probabilmente di trarne qualcosa di buono.


Arriccia le labbra.”

Obbedii, tanto combatterla sarebbe stato inutile.

Restammo sedute sul bordo del letto e Rebekah era di fronte e me, continuando a passare quel pennellino intinto di rosso sulle mie labbra. Aveva deciso di truccarmi e pettinarmi lei, sostenendo che voleva rendermi più provocante e che era ora che la smettessi di sembrare una bambina. Usò parole un po' meno carine, segno che la Rebekah provocatoria era ancora viva malgrado tutto.

Passò quella sostanza densa sulle mie labbra e mi ordinò di non mordermi le labbra fino a quando non si fosse asciugato. Katerina era dietro di lei, aveva preso parte attivamente al piano della bionda di truccarmi come se fossi una bambola di porcellana. In quel momento si stava guardando allo specchio, sistemandosi il vestito che Klaus le aveva dato in dono: era simile al mio, ma di un intenso viola e con delle fantasie disegnate sulla schiena piuttosto che sulla gonna. I capelli li aveva raccolti in una crocchia, diversi ciuffi ricci le ricadevano dolcemente ai lati del viso ovale, sottolineandone la bellezza.

Rebekah non era da meno, aveva indosso un vestito azzurro e i capelli erano raccolti in una treccia laterale. Quelle due avrebbero avuto ai piedi tutti gli uomini del villaggio.

Si dice che il rosso sulle labbra simboleggi stregoneria...sei la prova che la superstizione è una grossa baggianata.” disse Bekah, piegando le testa da un lato come se volesse analizzare per bene la sua opera. Mi bloccò la mano prima che me la portassi alle labbra per sentire il rosso su di esse. “Scommetto che Elijah apprezzerà.” sussurrò, per non farsi sentire da Katerina.

Divenni più rossa del vestito che indossavo e abbassai lo sguardo imbarazzata, Elijah mi aveva detto più volte che ero bella, eppure continuavo a pensare il contrario.

Forse davo troppo credito a quello che diceva Klaus probabilmente.

Come mai Diana non viene? L'ultima volta che l'ho vista era attaccata al braccio di Lord Niklaus come una cozza allo scoglio!.” disse Katerina, con una punta di acidità che non le si addiceva, ma che Diana faceva scattare in tutte noi. Le due si erano incontrate solo una volta qualche giorno prima e fui felice di sapere che non ero stata l'unica a detestarla subito: come al solito aveva fatto la civetta con Klaus e mi parve di capire che aveva assunto lo stesso comportamento con Elijah, cosa a cui cercavo in tutti i modi di non pensare. Rebekah pure la mal tollerava, quando parlava con lei usava parole più taglienti di quanto fossero mai state quando si rivolgeva a me tempo prima.

Ha da fare quell'arpia.” rispose la bionda, voltandosi verso mia sorella.“Deve svolgere delle commissioni per conto di Elijah e quindi oggi non prenderà parte alla festa.”

La guardai confusa, chiedendomi che genere di commissione Elijah avesse chiesto alla strega. Me ne aveva parlato lui anche in chiesa, ma non mi era passato per la mente di indagare sulle sue intenzioni.

Che genere di commissione?” chiese Katerina al mio posto, girandosi verso di noi in tutto il suo splendore. Rebekah non si voltò verso di lei, tenne lo sguardo basso sulle nostre mani sopra il materasso del mio letto e l'ombra di quella che sembrava tristezza apparì sul suo viso.

Qualcosa che spero anche io vada in porto...” disse, la sua voce aveva una tonalità grave come se un pensiero terribile avesse preso forma nella sua testa. Alzò lo sguardo su di me, quando i nostri occhi si incrociarono mi sembrò come se volesse dirmi qualcosa che teneva nascosto da troppo tempo, qualcosa che le bruciava dentro come un fiamma pronta a divampare.

Va bene. Ora tocca a noi finirci di preparare, Kat” Rebekah tornò pimpante come al solito, rompendo improvvisamente quella gelida atmosfera che si era creata tra noi.

Pensai un attimo che avessi inteso male quell'espressione sul viso di Rebekah, forse era solo una delle mie tante paranoie. Stava di fatto, che non avrei atteso ancora che loro terminassero di prepararsi, temevo che avrebbero speso un'altra intera ora solo a specchiarsi.

Se ti annoi, aspetta di sotto. Tanto Elijah e Klaus dovrebbero essere già alla festa.”

Feci bene a seguire il suo suggerimento, perché attesi per un altra ora buona che lei e Katerina finissero di prepararsi. Rimasi tutto il tempo in salotto, osservandomi allo specchio che pendeva sulla parete di fronte al camino e pensai che Rebekah aveva fatto un lavoro con i fiocchi.

I miei capelli corvini erano sciolti sulle spalle, che venivano totalmente coperte da essi. La pelle era resa più rosea dalla cipria che vi era stata apposta sopra e le labbra scarlatte spiccavano su tutto il viso. Arricciai il naso, pensando di trovarmi di fronte ad un'altra persona e poi abbassai lo sguardo sul fermaglio che stringevo nella mano da quel pomeriggio.

Ne osservai a lungo il luccicore argentato, come se mi aspettassi che fosse lui a prendere per me la decisione di raggiungere i miei capelli. Colsi uno spesso ciuffo tra le mie dita e lo racchiusi dentro il fermaglio, lo osservai mentre brillava tra i miei capelli, posato sul lato destro della mia testa. Un sorriso si allargò sulle mie labbra, mentre guardavo il mio riflesso e poi mi voltai verso il camino, le fiamme che bruciavano la legna trasmettevano calore in tutta la stanza e i loro colori si riflettevano sulle pareti chiare della stanza.

Le osservai ballare davanti ai miei occhi, mentre mi stringevo le mani al petto in preda a mille pensieri.

Chissà perché l'immagine di Klaus che mi permetteva di sfogare la rabbia su di sé mi aveva spinto ad indossare quel fermaglio. Eppure perché avevo comunque paura di non trarre nulla di positivo da quel mio gesto?

Lasciai perdere tutte le mie paranoie e mi diressi verso il corridoio con l'intento di mettere fretta a Katerina e Rebekah, quando passai di fronte a quella porta.

Ne fissai la parete in legno e il pomello color ocra a lungo, la curiosità che quella stanza faceva nascere in me era tremenda. Strinsi il pomello tra le mani, sforzandomi di non pensare al fatto che Klaus non volesse che mettessi piede là dentro, e spinsi con forza, ottenendo però il nulla.

Lo sai che la curiosità uccide il gatto?”

Sussultai, appena sentii quelle parole, pronunciate così vicine al mio orecchio e con una intensità che faceva rabbrividire. Due braccia si allungarono oltre il mio corpo, osservai le sue mani circondare le mie e tirarle lentamente via dal pomello. Il suo respiro soffiò dietro il mio orecchio, fu come una ventata di calore che si tramutava poi in ghiaccio quando si scontrò con la mia pelle. Diversi brividi ghiacciati corsero lungo la mia schiena, mentre le sue mani muovevano lentamente le mie fino a tirarle indietro e avvertii il suo petto sfiorare la mia schiena.

Vedo che hai indossato il mio vestito. Devo presumere che ho vinto di nuovo io e tu hai ceduto?”

Idiota. Mi liberai della sua presa e feci un giro su me stessa per guardarlo, mentre mi allontanavo di qualche passo dalla sua presenza.

Stava per dire qualcosa, ma si bloccò quando il suo sguardo si posò su di me. Non capivo cosa stesse pensando la sua testa in quel momento, i suoi occhi blu scorsero lungo il mio vestito per poi tornare alla mia testa. Sembrava come sorpreso da quello che vedeva, in particolar modo quando il suo sguardo si posava sul fermaglio tra i miei capelli.

Ne era sorpreso? Felice? Indifferente? Come sempre, era troppo complicato per far trapelare qualcosa di semplice. Fece dei passi verso di me, tanto che mi pietrificai e toccò il fermaglio con le dita. Lo sentii muovere i miei capelli, mentre mi facevo sempre più rigida.

Lo hai messo.” disse solo, continuando a passare le dita lungo le ali della farfalla. Alzai lo sguardo su di lui, non aveva mai usato quel tono così pacato con me e ne rimasi sorpresa.

Come se si fosse accorto di aver lasciato intendere qualcosa di positivo, ritrasse la mano e allargò le labbra in un ghigno mentre osservava il resto del mio viso. “E quelle labbra color ciliegia? Sono proprio del rosso che piace a me.” disse furbamente. Avvampai di fronte a quella sua mania di provocarmi come al solito, lo guardai piegare la testa da un lato e scrutarmi di nuovo con attenzione. “Te lo concedo, stasera sei passabile.” disse e rise di quelle sue parole.

Distolsi lo sguardo seccata, quello era una sottospecie di complimento probabilmente ma mi mandò lo stesso su tutte le furie. Lui continuò a guardarmi, esercitando ancora e con insistenza quella pressione del suo sguardo che mi faceva remare dentro. “Posso sapere perché?” mi chiese.

Non capii il senso di quella domanda, mi strinsi le braccia al petto e lo guardai con aria interrogativa. “Perché li hai indossati entrambi? Sei forse così presuntuosa da pensare che possa farmi piacere?” mi chiese.

Scossi la testa, lui mi aveva regalato quell'abito con l'intento di indossarlo o mi sbagliavo? Lo guardai a lungo e compresi che lui si era convinto che avrei rifiutato quell'opportunità di poter davvero ricominciare daccapo con lui.

Grazie.” gli dissi, Klaus lasciò che terminassi quel gesto e poi alzò lentamente gli occhi su di me.

Era sorpresa quella nascosta nelle iridi del suo sguardo. Di nuovo.

Grazie di cosa, Irina?” mi domandò e mi resi conto che non gli avevo mai detto grazie prima, almeno non con il cuore come in quel momento. Non risposi, l'immagine dei miei pugni che colpivano il suo petto tornò velocemente davanti ai miei occhi.

Restammo con quella domanda priva di risposta tra noi, fino a quando sentimmo bussare alla porta alle mie spalle. Due colpi decisi ruppero il silenzio, Klaus mi superò sostenendo che doveva trattarsi di Elijah, ma ci ritrovammo di fronte un'altra figura.

Il cacciatore. La sorpresa di vederlo alla nostra porta mi fece venire i brividi.

Aveva indosso un mantello scuro e un cappuccio che gli parava il capo, la pelle del viso era rossa, martoriata dal freddo assiduo che aveva accompagnato quella giornata.

Lo guardai da sopra la spalla di Klaus che teneva una mano sulla porta e l'altra sullo stipite, mi coprì totalmente con tutto il suo corpo, come se non volesse che vedessi quel ragazzo di fronte a lui. “Sì?” domandò poco educatamente, restai dietro di lui cercando un punto che mi avrebbe permesso di guardare il cacciatore ma mi venne impedito.

Salve signore, mi chiamo Daniel e sono un'abitante del villaggio qui vicino.” disse il ragazzo, aveva una voce profonda ma un po' roca. “Mi sono permesso di prendermi il diritto di informarvi riguardo i pericoli della foresta, visto che siete nuovi di qui e io lavoro nei dintorni da tempo.”

Cercai di affiancare Klaus, ma lui continuò con ostinazione a tenermi lontana con il braccio. Daniel abbassò lo sguardo su di me per qualche secondo, per poi tornare a fissare Klaus.

Parla e poi lasciaci in pace. Non abbiamo molto tempo da perdere.” rispose Klaus, con un ghigno sulle labbra mentre continuava a tenermi indietro.

Daniel rimase per qualche istante di stucco, di fronte a quel tono che di formale aveva ben poco. Io che conoscevo Klaus, potevo dire che in confronto a come si comportava spesso con me, era quasi educato. “Vi invito a fare molta attenzione, molti lupi abitano la foresta che vi circonda e diverse persone sono scomparse o sono state trovate morte. Nelle vicinanze della vostra casa.” continuò.

Bene.” pensai ironica, era normale che ci fossero anche le bestie nella foresta. Il palco della mia vita non era ancora al completo.

L'altra volta ho visto la signorina e un'altra ragazza vicino alla rupe.” Daniel abbassò di nuovo lo sguardo su di me, si soffermò a lungo sul mio viso e notai di nuovo quella strana luce che risiedeva nelle sue iridi scure.

Non è conveniente che andiate da sole in punti così inoltrati.” aggiunse poi, rivolgendosi a me.

Alle mie ospiti ci penso già io, se non ti dispiace.” Klaus si parò davanti a me e strinse più forte la porta, come se fosse pronto a chiuderla da un momento all'altro. “Grazie per l'informazione e a mai più rivederci.”

Klaus gli chiuse la porta in faccia, senza dargli nemmeno il tempo di dire nient'altro. Lo guardai incredula, non mi capacitavo di quanto potesse essere scorbutico con tutti.

Che vuoi adesso? Era un tuo amico?” mi rimproverò lui appena si voltò verso di me, spalancò le braccia e scrutò il mio viso con attenzione, mentre mi stringevo le braccia al petto. “Ha detto quello che doveva dirci e io ho bisogno di andare a quella maledetta festa...vuoi farmi la predica pure su questo?”

Presi un lungo respiro, dovevo abituarmi al fatto che Klaus la buona educazione la conoscesse sol quando doveva fingere. Le parole di Daniel rimbombarono nella mia mente, possibile che si trattasse di semplici lupi che vivevano tra quegli alberi? Dopo che avevo scoperto la verità sul lupo bianco, pensai che dovetti temere anche tutti gli animali oltre che i vari nemici che avevamo.

Non ci pensare e goditi la testa, non puoi avere quel fastidioso broncio sul viso tutti i giorni.” Klaus si avvicinò a me e mi diede un irritante buffetto sulla guancia, che mi spinse a ritrarmi. “Vado a chiamare mia e tua sorella, sono stanco di aspettare.” continuò, lo guardai salire rapidamente le scale e mi ritrovai sola davanti alla porta d'uscita.

Chissà perché, ma pensai che le parole di Daniel non erano da sottovalutare.


Quando giungemmo al villaggio, sembrava di trovarsi in un paradiso di luci.

Il bianco della neve si univa alle sfumature rosse ed arancioni delle fiaccole che erano state apposte ai lati delle strade. La folla si riversava sulle stradine in festa, diversi negozianti avevano allestito delle bancherelle dove mostravano i loro prodotti, per di più di genere alimentare.

Gli odori delle spezie e delle prelibatezze si fondevano al vento gelido di quella notte, conferendo così una maggiore aurea di magia a quella gioiosa festa popolana.

Sembrava quasi che il cielo e la terra fossero entrate in competizione, le stelle sembravano riflettersi sulla terra attraverso quelle fiamme che coloravano le strade. Ma le vere luci, quelle stelle senza cielo che non potevo fare a meno di ammirare, erano le persone: i loro sorrisi, le loro risa e il loro gioioso parlare sembravano cingermi in un protettivo abbraccio, che scacciava tutti i cattivi pensieri che avevo avuto fino a poco prima.

Quella folla che mi circondava era uno spettacolo bellissimo per i miei occhi, sembrava che la felicità avesse preso possesso di ogni corpo che animava quelle strade fredde e innevate.

Mi guardai attorno, staccandomi da Klaus, Rebekah e Katerina. Ero partita con l'intento di cercare Elijah che doveva trovarsi già là, ma alla fine mi ero persa nell'ammirare ogni cosa che mi circondava.

Mi fermai di fronte ad una specie di piccolo teatrino di burattini, allestito appositamente per tenere tranquilli i molti bambini che stavano giocando su quelle strade. Alcuni di loro rimasero tra le braccia dei genitori, mentre i loro occhi innocenti guardavano meravigliati lo spettacolo di fronte a loro. La scenetta rappresentava una principessa bionda, dagli occhi azzurri disegnati talmente grandi da occuparle tutto il viso, che parlava con un principe moro e con gli occhi scuri. La voce prestata alla principessa era molto simile a quella del principe, chiunque stesse muovendo il suo burattino non era molto bravo a camuffare la propria voce per renderla più femminile. Ma trovai la scenetta divertente, mentre guardavo quei pupazzi muoversi nel teatrino, alzando la testa in modo da superare le diverse spalle che mi coprivano la visuale.

Il mio sguardo cadde poi su un uomo proprio di fronte a me: mi dava le spalle, ma aveva tra le braccia una bellissima bambina bionda dagli occhi verdi. Un cappuccio più grande della sua testa le copriva i capelli e teneva le dita della mano sinistra tra le labbra. Aveva più o meno due anni e mi stava guardando oltre la spalla del padre, i cui occhi erano invece fissi sul teatrino.

Mi sorrise dolcemente, come se la mia immagine la spingesse ad allargare le sue labbra in quella piccola e splendida meraviglia di sorriso.

Le risposi con un altro sorriso, lo resi il più buffo possibile e storcendo le labbra nella maniera più contorta che potessi concedermi. E le rise gioiosamente, nascondendo la testa nell'incavo del collo del padre. Tra tutte quelle voci, la sua innocente risata la udii chiaramente,: era uno dei suoni più belli che potessi sentire. Strinsi la busta di cartone che tenevo tra le mani e continuai a guardarla meravigliata.

Sei arrivata.” disse una voce calda, che scalzò tutto le altre attorno a me.

Volsi la testa verso Elijah che era apparso al mio fianco, come al solito rimasi spiazzata dalla sua immagine così vicina alla mia. I suoi occhi scuri parvero studiarmi, cercando ogni minimo dettaglio del mio viso e del mio abbigliamento come se mi volesse ammirare.

Le sue labbra poi si allargarono in un mezzo sorriso. “Concedimelo...sei stupenda.” mi disse.

E come al solito, il mio viso andò a fuoco. Sentì una leggera onda fiammeggiante che attraversò tutta la pelle del mio volto e fui sicura di essere diventata più rossa di quelle fiamme attorno a noi.

Lo ringraziai nello stesso momento in cui la sua mano si alzò sul mio viso. Mi sentii pietrificare, ma il tocco della sua pelle non venne rivolto verso di me, bensì sul fermaglio che raccoglieva un ciuffo dei miei capelli. “Ti sta davvero benissimo.” disse. Per un attimo la sua voce sprofondò in quella che sembrava freddezza, temetti di averlo in qualche modo offeso indossando il fermaglio di Klaus ma poi mi fece ricredere con un sorriso.

Lo guardai, persa come sempre nei suoi occhi.

I nostri occhi s'incontrarono di nuovo e allora mi ricordai che c'era una cosa che dovevo fare, i miei pensieri si erano per un attimo annullati di fronte alla sua presenza per poi tornare prepotentemente a ricordarmi di fare quella cosa.

Gli feci segno di attendere e guardai dentro la piccola busta che tenevo in mano, Elijah seguì i miei movimenti con attenzione mentre estraevo una scatolina dalla borsa.

Gliela porsi con entrambe le mani, per paura che con la mia disattenzione potessi farla cadere a terra e romperla.

Che cos'è?” mi chiese lui, visibilmente stupito. Feci la scatolina più vicina a lui, in modo che la prendesse prima che gli rivelassi il contenuto.

Prese quella scatolina di legno tra le mani e osservò le fantasie rosse che si trovavano ai lati di essa. Alzò poi di nuovo gli occhi su di me, chiedendomi il perché di quel gesto.

Klaus non era l'unico a cui dovessi almeno una parola, Elijah ne meritava troppe ma me ne veniva in mente solo una in quel momento.

Scusa.” gli feci quel semplice gesto con le mani.

Anche se non meritavo nessuna scusa dopo quello che gli avevo fatto. Per notti intere mi ero ritrovata a ricordare quella scena in cui la mia mano scagliava via il bicchiere che Elijah mi aveva offerto per tranquillizzarmi. Ripensavo al suo sguardo mentre si posava su di me, la forza delle sue mani che comunque non osavano lo stesso infrangere la mia fragile corazza mentre mi stringeva le spalle e mi diceva che mi avrebbe protetto a qualsiasi costo.

Io gli avevo fatto solo del male, non c'era regalo materiale che potesse donarmi pace dopo quell'avvenimento. Avevo di nuovo commesso l'errore di ferirlo.

Non c'è nulla di cui tu debba scusarti, Irina.” Elijah alzò di nuovo gli occhi su di me e mi sorrise, dovette aver capito quale senso di colpa mi stesse divorando l'anima da un paio di giorni a quella parte. Aprì la scatola e estrasse dall'interno il piccolo bracciale che avevo comprato quella mattina in una delle bancherelle che erano state allestite in città, diversi e colorati fili di vimini erano uniti tra di loro e il negoziante mi aveva spiegato che tutti quei colori simboleggiavano i vari aspetti dell'anima. Appena lo avevo visto, pensai subito ad Elijah e alla sua anima che racchiudeva tutti i colori di quel bracciale.

Lui sorrise mentre lo osservava sul palmo della sua mano e temetti che non gli sarebbe piaciuto. “Non ce n'era bisogno, davvero. Sai che non c'è niente per cui tu debba sentirti in colpa.” mi disse. “Ma ti ringrazio con tutto il cuore.”

Presi il bracciale dalla sua mano e gli feci segno di porgermi il suo polso, lui mi guardò mentre posavo quell'unione di colori sulla sua pelle e lo richiudevo attorno ad essa.

Le nostre mani si sfiorarono a lungo, ma cercai di non dare tanto peso ai soliti brividi che mi scorrevano lungo la schiena. Feci diversi passi indietro e lo guardai, con un sorriso sulle labbra. Sembravo una bambina, mentre mi portavo le mani dietro la schiena e lo osservavo senza sapere cosa fare o dire.

Io però non..non ti ho regalato nulla.” disse lui, la sua voce venne mascherata dal senso di colpa per diversi istanti. Il sorriso mi abbandonò rapidamente, mentre osservavo quell'espressione apparire sul suo volto. “Perché l'unico regalo che mi è venuto in mente di farti non lo posso comprare.”

A me bastava il suo sguardo come regalo, quando mi guardava come solo lui sapeva fare, sentivo nascere un fiume di emozioni dentro di me che niente e nessuno sapeva procurarmi con quella semplicità.

Ma visto che mi ha dato questo dono.” Elijah si passò le dita lungo il bracciale, il suo sorriso si nascose sotto il colletto del mantello. “Credo che dovrò darti il mio dono per forza.”

Non capii cosa avesse in mente, fino a quando le sue mani mi presero per i polsi e mi tirarono a lui. Mi ritrovai con il mento sopra la sua spalla, mentre le sue braccia mi cingevano i fianchi e una sua mano saliva ad incontrare i miei capelli. Dopo un lungo attimo di smarrimento causatomi dalla nostra vicinanza, chiusi gli occhi perché non volevo vedere nulla di ciò che mi circondava.

Non dovevano essere i miei occhi a vedere in quel momento, ma il mio cuore.

E, mentre le mie mani si posavano sulle spalle di Elijah, il mio cuore parve vedere davvero tutto.

Sembrava che fino a quel momento fossi stata cieca e che solo con quell'abbraccio tutto aveva assunto colore.

Inalai il suo profumo a lungo, allontanando così tutti gli altri odori che avevano inebriato l'aria.

Il mio udito colse solo il suo respiro tra i miei capelli, non il rumore delle mani che applaudivano il teatrino di burattini.

Il mio corpo non avvertì più il freddo tagliente che soffiava su di noi, ma solo il calore di quelle braccia che mi stringevano contro di lui.

Era come se tutti i miei sensi si fossero mescolati e non riuscissi più a distinguerli.

Quando ci separammo, dovetti sbattere più volte le palpebre per rendermi conto che fino ad allora non ero stata sospesa e che non ero appena caduta di nuovo sulla terra.

Ero sempre stata lì, solo che mi ero di nuovo persa davanti a quegli occhi.

Ci guardammo, ogni volta che mi guardava in quel modo sentivo come se la mia strada fosse troppo buia e ripida e che solo la sua luce poteva indicarmi il cammino.

Ci siamo scusati a vicenda allora.” disse Elijah, la sua voce era cristallina come mai l'avevo sentita e sorridemmo nello stesso momento. La bambina tra le braccia del padre preferiva ancora guardare noi piuttosto che i burattini e rise sonoramente quando vide le nostre labbra allargarsi in quei sorrisi troppo sinceri per poter essere spiegati. Era proprio vero che solo da bambini si era capaci di percepire la bellezza del mondo, perché si era puri, innocenti e ancora incorrotti dalle asprezze che la vita riservava con il crescere.

Nessun adulto avrebbe riso in quella maniera di fronte alla nostra improvvisa serenità.

Elijah la guardò e allungò dolcemente la mano verso di lei, dandole un buffetto leggero.

Il padre della piccola si voltò verso di noi e ci sorrise, quando sentì il riso della piccola di fronte a quel tocco. Non ero allora l'unica a imbarazzarmi in quel modo di fronte a lui, anche se la mia degna compagna aveva solo due anni.

Quel momento si rivelò essere ai miei occhi una di quelle tipiche scene che un pittore esperto doveva ritrarre per farlo vivere per sempre in un disegno. Sarebbe stato un peccato se quell'immagine che mi si era posta davanti agli occhi in quell'istante si offuscasse, sparendo poi con altri ricordi del passato.

Mi immaginai un Elijah padre.

Sapevo che era impossibile da concepire, ma ero più che sicura che ogni figlio avrebbe voluto un padre come lui che gli insegnasse i veri valori della vita.

Ogni figlia avrebbe voluto un padre come lui che la facesse sentire protetta e amata.

Sarebbe stato un padre esemplare, meglio dei nostri che invece non avevano meritato un compito così semplice come quello di allevare dei figli.

Qualcosa non va?” mi chiese Elijah voltandosi verso di me e dovetti scuotere la testa per tornare in me. Ero rimasta a fissarlo sognante per diversi secondi, troppi affinché lui non se ne accorgesse. La sua espressione era preoccupata mentre mi guardava e gli dissi di non preoccuparsi.

Non ero mai stata meglio prima.

Andiamo a cercare Rebekah e Katerina, che ne dici? Non vorrei che mia sorella spendesse tutto il nostro patrimonio comprandosi un'intera bancarella!” disse, strappandomi di nuovo una risata.

Ci allontanammo lungo la strada, quelle migliaia di luci accanto alla strada e le miriadi di stelle sopra le nostre teste continuavano a farsi competizione.

Ma pensai che c'erano altre luci con cui né quelle stelle e nemmeno quelle fiaccole potevano competere.


È ridicolo. Insomma...non solo devo ballare con una ragazza..ma pure più bassa di me mi doveva capitare?”

Rebekah si era lamentata in continuazione, ma nella sua finta rabbia mi faceva comunque sorridere mentre ballavamo. La strada principale del villaggio era divenuta un teatro di balli, diverse coppie danzavano armoniosamente a suon di una musica che diventava a tratti più lenta e a tratti più veloce, proprio per coinvolgere di più i presenti in quelle danze.

I poveri musicisti suonavano ai lati della strada, sulla neve ancora fresca, ma con un sorriso sulle labbra con cui sembravano prendere parte al nostro divertimento.

Io e Rebekah non eravamo le sole donne a ballare insieme, anche due anziane signore erano nelle nostre stesse condizioni e la bionda si mise in competizione con loro. Mi disse che avremmo perso la sfida con quelle due “megere” per colpa mia e delle mie cosce grosse, ma come al solito sorrisi solo delle sue parole. Mi guardai attorno, Klaus ballava con una ragazza dai corti capelli neri e un sorriso seducente sulle labbra che mi fece quasi rimpiangere Diana.

Dietro di me, Katerina ballava con un aitante giovanotto, ma continuava a guardare verso Klaus mentre Elijah danzava con una ragazza dai capelli castani e gli occhi verdi.

Non ero riuscita nemmeno a provare ad avvicinarmi a lui, che c'era sempre qualcuna già pronta a prendere il posto della precedente ragazza con cui danzava. Con Klaus stava succedendo la stessa cosa e Katerina si ritrovava nella mia stessa condizione.

Ehi, stai guardando tutti tranne me! Anche io preferirei guardare un bel fusto, ma mi devo accontentare di te, nanetta.” mi disse Rebekah, facendosi fintamente acida. “Perciò smettila di ignorarmi o ti mordo.”

Continuammo così per diversi minuti, non ricordavo di divertirmi così da tempo. Si diceva che il riso abbondava sulla bocca degli stolti, ma in quella serata ero ben fiera di essere una stolta.

Ad un certo punto la musica si arrestò, ci fu un lungo attimo in cui solo le voci di chi ci stava attorno riempivano il silenzio, poi una nuova bellissima melodia ci pervase. Era più lenta e coinvolgente, vidi diverse coppie che si facevano più vicine mentre iniziavano a danzare con quella musica.

Lo sapete che siete un po' ridicole voi due?” Klaus era apparso alle spalle di Rebekah e entrambe posammo lo sguardo su di lui. Sembrava essersi liberato della sua ultima ammiratrice e che avesse approfittato dell'ultimo attimo di pausa dalla musica per avvicinarsi a noi.

Vuoi che ti cedo questa provetta ballerina? Accomodati. Basta che non fai il bastardo” disse velocemente Rebekah sorridendo e prima che potessi comprendere ciò che voleva dire con quelle parole e replicare, la vidi sfrecciare via.

Guardai la sua figura scomparire rapidamente tra la moltitudine di anime che stavano danzando e mi ritrovai sola di fronte a Klaus.

Ci lanciammo una lunga occhiata: io ero perplessa, lui divertito.

Poi guardai la sua mano allungarsi verso di me, come per domandarmi di danzare con lui. Il che mi innervosiva, non avevamo mai ballato insieme prima e lui non era Elijah o Rebekah.

Lui era Klaus.

Nonostante avessi deciso di ricominciare daccapo con lui, non avevo ancora il coraggio di stargli così vicino e di dargli la fiducia necessaria per compiere un ballo.

Non mi ero mai resa conto di essere davvero una fifona quando mi trovavo al suo cospetto.

Andiamo, dovrai concedermelo un ballo prima o poi.” disse lui, dopo aver analizzato la mia espressione titubante. Le sue parole mi penetrarono nel cervello, erano pronunciate con una tonalità di voce più bassa, scelta apposta per far sì che si mescolasse ai miei pensieri e prendesse il sopravvento su di loro. Scossi la testa e gli diedi le spalle, cercando un altro partner per il ballo.

Elijah fu occupato con Katerina, il che era un sollievo perché la bionda e alta giovane che si era già preparata per ballare con lui non mi piaceva affatto. Dovevo ritirarmi dal ballo e ai miei piedi quella mia decisione non sarebbe affatto dispiaciuta.

Però qualcuno non voleva permettermelo.

Una mano si posò sul mio fianco destro e mi ritrovai a fare una giravolta su me stessa, il suo palmo restò fermo sulla mia schiena e mi ritrovai ad inarcarla per non avvertire il ghiaccio della sua pelle che passava attraverso la stoffa del mio vestito. Ma così facendo compii solo una mossa peggiore, poiché mi ritrovai il petto contro il suo. Il suo respiro caldo soffiava sulla mia fronte e dei leggeri brividi corsero lungo la mia schiena.

Le sue labbra si allargarono in un sorrisetto, mentre i suoi occhi rimasero fissi nei miei.

Andiamo, non c'è nessun'altro con cui noi possiamo ballare al momento.”

Le sue parole rimisero di nuovo tutto in moto. Fino a poco prima sembrava che il mondo si fosse arrestato, come se si fosse tutto congelato nell'imbarazzo di quel momento.

Io non volevo ballare con lui, serrai le labbra con convinzione mentre mi decidevo a non dargliela vinta. Gli pestai il piede, con tutta la forza che avevo in corpo, anche se a poco serviva contro di lui.

Klaus infatti non si fece male, ma rimase parecchio indispettito da quella mia reazione.

Alzai le spalle e sorrisi furbamente, per dirgli che aveva perso quella volta.

Ma appena mi voltai, lui mi riprese di nuovo, ma non ci ritrovammo nella situazione di poco prima. Era come se avesse programmato tutti i miei movimenti, in quell'ennesima giravolta mi ritrovai sempre contro il suo petto, ma la mia mano destra si strinse nella sua sinistra. L'altra mano la mantenne sulla mia schiena e non sul mio fianco e io continuai a tenerla inarcata perché il suo tocco sembrava pietrificarmi.

Aveva di nuovo vinto lui, fui così costretta a posare l'altra mia mano sulla sua spalla e iniziammo a muoverci lentamente. Più che altro era lui a dirigere il tutto, io mi limitavo solo a seguire i suoi movimenti aggraziati e perfetti come al solito.

Le tue labbra sono color ciliegia, lo sai?” mi chiese Klaus, mentre tenevo lo sguardo posato su un punto indefinito oltre la sua spalla.

Sentivo il suo respiro sulla pelle, mi accarezzava delicatamente il viso e sembrava allontanare il gelido vento tagliente che fino ad allora mi aveva sfiorata. Mi pentii di nuovo di essermi fatta truccare da Rebekah, perché dovevo riconoscere che suo fratello aveva sempre la mania di fare battutine. Con la coda dell'occhio, notai che il suo sguardo si era di nuovo soffermato sul fermaglio, come se ancora non si capacitasse di trovarlo tra i miei capelli.

Pensavo che ti avessero insegnato a guardare colui con cui balli negli occhi..non riesci perché ti vergogni per caso?” Klaus mi provocò nuovamente, volsi lo sguardo verso di lui e come al solito li trovai sorridenti quanto le sue labbra. “Ti sfido: guardiamoci negli occhi per tutto il ballo e se uno dei due abbassa lo sguardo prima del tempo, paga una penitenza. Che ne dici?”

Inarcai le sopracciglia sconvolta, spesso lo trovavo davvero infantile per la sua età. Era un bambino che si inventava i giochi più impossibili ed immaginabili solo per soddisfare il suo desiderio di vincere. Perché sapeva che avrebbe di nuovo prevalso.

Chinò la testa su di me, in modo che i nostri visi si avvicinarono e colse tutte le sfumature che dovevano essere apparse nei miei occhi. “Hai paura di perdere, sweetheart?”

No, non potevo dargliela vinta in quel modo. Dovevo cogliere la sfida e batterlo almeno in quello stupido giochino che la sua mente contorta aveva messo in atto.

Mi concessi di non guardarlo per diversi istanti, per poi alzare gli occhi su di lui: una linea invisibile unì i nostri sguardo, cercammo entrambi di trovare nelle iridi dell'altro un punto da fissare. Quella linea doveva essere saldata con la fiducia, bisognava cercare di collegarsi con l'altro e unirsi a lui nei movimenti del corpo. Nel nostro caso era diverso, non cercavamo fiducia l'uno nell'altra ma solo una debolezza che portasse l'altro a perdere.

Ho una domanda per te, Iry. Perché hai usato il tuo fermaglio per questa occasione?”

Nei suoi occhi mi parve di scorgere della curiosità, davvero non capiva perché lo avessi fatto.

Ma era così difficile capire? Non poteva semplicemente accettare che non nutrissi più rancore nei suoi confronti perché anche lui aveva fatto tanto per me? Mi aveva dato voce quando non l'avevo. Anche Elijah mi aveva permesso di parlare, più e più volte grazie ai sentimenti che nutrivo per lui.

Klaus aveva fatto lo stesso alla fine, quindi perché non potevo solo mostrargli la mia gratitudine?

Ancora non capivo il perché di quello che era successo l'ultima volta, perché mi avesse buttato giù per poi risollevarmi, ma potevo essergliene solo riconoscente ma per lui era troppo difficile da capire probabilmente.

Ma io ero sicura che, una piccola parte di lui, era felice del fatto che avessi deciso di accettare le sue indirette scuse.

Feci spallucce e i suoi occhi blu combatterono per non posarsi di nuovo sul fermaglio. “Almeno non sono soldi buttati al vento.” disse. “Presumo che tu non ce l'abbia con me per lo schiaffo quindi. Anche perché tu mi hai riempito di schiaffi.”

Stavo per distogliere lo sguardo, perché il ricordo della sua mano che mi colpiva era ancora ben vivido nella mia mente. Ma volevo vincere quella stupida sfida tra noi e così mi trattenni.

Perdoni troppo facilmente secondo me, lo sai che io potrei farti solo del male.” continuò.

Era vero, ma non volevo essere la tipica persona che dimenticava il bene e ricordava solo il male. Avevo trovato anche delle luci in lui, anche se troppo piccole e spesso soffocate ancor prima di accendersi e io volevo basarmi su quelle. Volevo davvero comprenderlo, scorgere ciò che si annidava dietro la maschera da mostro cattivo della situazione.

Eri tu quell'ombra, Niklaus?

Quella domanda avrei dovuta porla anche ad Elijah, ma mi venne in mente solo nel momento in cui mi trovai di fronte a Klaus. Quando pensai a quelle parole, la sua espressione si fece più dura. Come se avesse scorto quelle domanda in qualche angolo dei miei occhi, ma nei suoi non trovai nessuna risposta.

Non voleva rispondere, oppure non era lui l'ombra che era apparsa tra i miei sogni prima che il sonno giungesse a me e quindi non poteva comprendere l'interrogativo che avevo in mente.

Tu non mi odi veramente.” disse e pronunciò quella oscura parola come se fosse una bestemmia.

Perché in fondo lui voleva farsi odiare, ma sperava che così facendo avrebbe ottenuto l'effetto contrario.

Non capii subito se la sua era una domanda o una affermazione, ma era chiaro che stesse convincendo anche se stesso con quelle parole. “Fingi di farlo, perché in realtà ti spavento.”

Inclinò la testa verso di me, il suo respiro soffiò su di me ma i suoi occhi rimasero fissi nei miei, uniti ancora da quell'invisibile linea di sfida che ci stava legando. Mi sentii mancare il respiro, ma non per la sua vicinanza. Con la coda dell'occhio riuscivo a scorgere le fossette agli angoli della sua bocca, chiaro segno che stava cercando di provocarmi.

Io so cosa sono per te.” disse, spegnendo quell'attimo in cui aveva dato sfogo ai suoi sentimenti poco prima. Doveva averlo considerato un momento troppo lungo per lui, era davvero necessario spegnere quello spiraglio di luce e lasciarsi di nuovo avvolgere dall'oscurità.

Io per te rappresento tutti i peccati che non hai mai avuto il coraggio di commettere.”

Furono quelle parole che segnarono l'inizio della sua provocazione, le pronunciò tenendo quasi strette le labbra e lasciando che il suo respiro si schiantasse contro la mia anima.

Continuai a sostenere il suo sguardo perché mi ero ostinata a non voler perdere la sfida, ma mi risultò difficile dopo quella frase.

Ho sempre detto che noi due non siamo poi così diversi...ma in realtà siamo luce e ombra. Siamo a stretto contatto e una sottile linea ci separa..ma se si varca quella soglia, luce e ombra si mescolano e arrivano a conoscere i lati l'uno dell'altra. Ma sappi che il buio ha sempre la meglio, una singola luce non può completamente scacciarla.”

Trattenni il fiato, ma lui sembrava non avere ancora finito di esprimere il suo terribile monologo.

Io e te siamo come peccato e purezza. Ma i peccati vengono sempre sperimentati una volta nella vita, non sono altro che la realizzazione dei più oscuri desideri insiti nei sogni di ognuno di noi. Molti cercano di evitarli, affinché il loro spirito resti elevato al di sopra di tutto...ma poi si cede e si sperimenta l'oscurità fino ad apprezzarla.”

Ma perché mi diceva quella parole? E sopratutto perché le pronunciava in quel modo, proprio come se voleva che mi confondessero, che si fondessero con i miei pensieri e tuonassero ripetutamente nella mia testa. La presa delle nostre mani si fece più salda, accettando la sfida di non distogliere lo sguardo eravamo costretti a stringere in quel modo per resistere.

Capii il suo intento: io volevo trovare la luce in lui, lui voleva trovate l'oscurità in me. Era un'altra sfida.

Era così complicato il suo discorso da rivelarsi invece troppo semplice.

Il fatto che tu abbia accettato di indossare quel fermaglio e quel vestito...è perché volevi in qualche modo dimostrarmi che potevamo ricominciare daccapo, oppure perché ti sei voluta avvicinare di più al buio che rappresento per te?” mi chiese, il suo viso si fece più vicino, tanto che dovetti ritrarre di poco la testa, non volendo che i nostri respiri si unissero in uno.

Non sapevo cosa pensare, Klaus mi confondeva sempre qualsiasi cosa facessi.

Io gli ero solo riconoscente per quello che mi aveva permesso di fare, avevo rimosso lo schiaffo e tutto il resto perché per me quel gesto con cui mi aveva permesso di sfogarmi era valso molto. Eppure lui rigirava le cose sempre a modo suo, come se temesse che io stessi cercando di cambiarlo e quindi lui faceva lo stesso.

Ma io non volevo cambiarlo, volevo semplicemente che mostrasse tutti i lati di sé stesso.

Perché Klaus non era solo quel Klaus, doveva esserci dell'altro sotto. Per forza.

Ma per lui era troppo inverosimile capire che le mie intenzioni non erano oscure come credeva.

Abbassai lo sguardo quando gli pestai involontariamente il piede.

E persi la sfida.

Ma non m'importò.

Come al solito, mi ero fatta prendere troppo dalle parole contorte che la sua mente metteva in atto ogni volta. Le nostre mani si separarono lentamente e ci distanziammo di pochi passi, alzai di nuovo lo sguardo su di lui e vidi che mi stava sorridendo nella sua solita maniera beffarda.

Ho vinto io, di nuovo. Ma ormai ci hai fatto l'abitudine, no?” mi disse.

Presi un lungo respiro, pian piano tutto intorno a me riprese posto: le coppie che ballavano, la musica sospesa nell'aria, il vento gelido che si mischiava ad essa e agli odori delle bancarelle attorno a noi vennero di nuovo avvertite dai miei sensi.

Io e Klaus non eravamo più soli, persi nei nostri sguardi.

Chissà perché lui di godeva a confondermi con le sue parole.

Chissà perché poi io ci rimanevo sempre male.

Avevo messo in conto che sarebbe potuto succedere, che lui avrebbe deciso di provocarmi come era solito fare, ma come sempre ne rimanevo sempre io l'unica ferita.

Facciamo cambio di coppia?”

Katerina era magicamente apparsa al nostro fianco, tanto che io non mi ero per nulla accorta di come lei ed Elijah si erano avvicinati a noi. Lui se ne stava pochi passi dietro di lei e notai che stava guardando il fratello con una punta di sospetto e fastidio, o forse mi sbagliavo.

Io e Klaus ci lanciammo un'occhiata complice. “Sì, certo. Siete certamente una ballerina migliore di vostra sorella, Katerina.” disse, usando il suo tono più educato e affascinante.

Eppure inarcava le sopracciglia verso di me, come se anche in quel caso mi stesse sfidando.

Katerina si mostrò imbarazzata a quella battuta, forse pensava che me la fossi presa ma ci ero abituata a certi comportamenti da parte di Klaus, solo che lei non lo sapeva.

Lo guardai prendere per mano mia sorella e allontanarsi con lei verso un punto un po' più distante da noi, un'altra dolce melodia riprese a suonare e io ed Elijah ci guardammo.

Lui mi regalò un sorriso sghembo, mentre io rimasi ancora paralizzata al ricordo di quella voce che sibilava nella mia mente.

Cosa ti ha detto?” Elijah si parò davanti a me, quando si accorse che stavo visibilmente rabbrividendo. Non era solo per il freddo però, si era accorto che avevo mutato espressione dopo che la linea che mi univa allo sguardo di Klaus si era improvvisamente spezzata.

Scossi la testa e guardai lui che ballava con mia sorella.

Stavano parlando, le labbra di Klaus si muovevano come se le sue parole diventassero un tutt'uno con la musica e mia sorella sorrideva, la bellezza del suo sorriso poteva fare concorrenza alle stelle sopra di noi. Almeno con lei non si comportava egregiamente, il che mi faceva dimenticare il suo comportamento nei miei confronti.

Mi voltai verso Elijah, mostrandomi tranquilla e allungai la mano verso di lui come per chiedergli di ballare. Pensai di essere risultata troppo audace, ma visto che eravamo in quella situazione, pensai fosse una buona idea ballare con lui. Sempre se fosse stato d'accordo.

Per me sarebbe un onore.” rispose lui, mi prese delicatamente la mano.

Le sue dita l'avvolsero e ne sfiorarono la pelle, trasmettendomi un calore intenso lungo il palmo.

Cogliendomi di sorpresa e strappandomi un sorriso, mi fece fare una giravolta in modo che il suo braccio passasse sopra la mia testa. Finimmo poi vicini e ci posizionammo per iniziare il ballo, lui posò la mia mano sul fianco e non la tenne dietro la mia schiena come aveva fatto poco prima Klaus.

Iniziammo a muoverci lentamente e guardandoci negli occhi. Con lui mi risultò più facile farlo, perché quella piramide di fiducia che si era creata tra noi, resisteva ancora alle intemperie che ci avevano colpito in quei giorni. Con Klaus invece, non c'era ancora fiducia purtroppo.

Restammo in silenzio e mi accorsi che il volto di Elijah si era incupito, i suoi occhi neri erano rivolti verso il fratello e sembravano lo stessero scrutando con attenzione.

Gli strinsi un attimo la mano che tenevo congiunta alla sua e lui rivolse rapidamente lo sguardo verso di me. “Niente Irina, non preoccuparti.” mi rispose, quando lesse l'interrogativo che aleggiava nel mio sguardo. Lanciò un'altra occhiata verso suo fratello, che per un attimo aveva distolto lo sguardo da Katerina per posarlo su di noi, e sospirò.

Non capivo cosa stesse pensando in quel momento, sembrava come sorpreso dall'atteggiamento di Klaus e allo stesso tempo infastidito.

Decise cambiare così argomento, come se volesse a tutti i costi allontanare qualche pensiero dalla sua testa e impedire anche a me di pormi delle domande sulla sua espressione.

Sai, prima quando ti ho vista guardare quella bambina davanti al teatrino, mi sono posto una domanda.” disse, il tono della sua voce tornò normale e sembrava non voler più pensare al comportamento del fratello. Abbassai lo sguardo sul bracciale che aveva al polso e sorrisi, ricordando il bellissimo volto di quella piccola meraviglia. “Irina, tu vorrai un bambino in futuro, vero?”

Il velo di malinconia che si nascondeva dietro quelle parole era palpabile, sentii il cuore per un attimo fermarsi mentre ripetevo nella mia mente quella domanda.

Il futuro per me restava ancora un punto molto lontano da raggiungere, ma quella questione mi disorientò, perché mi spinse a rifletterci per davvero.

Io una famiglia la volevo. Volevo un giorno stringere un figlio tra le mie braccia, sapendo che era solo mio e che lo avrei protetto anche a costo della mia stessa vita. Volevo donargli l'amore che io non avevo avuto e accompagnarlo in ogni tappa della sua vita, per poi lasciarlo una volta adulto, quando la sua vita aveva preso davvero il suo corso e la mia sarebbe giunta al termine.

Ma fermai quelle immagini perché la figura dell'uomo che volevo al mio fianco risultò essere un'ombra. Era lì che Elijah voleva arrivare, ancora una volta mi stava mostrando uno dei tanti motivi per cui quell'uomo non poteva essere lui.

I vampiri non potevano procreare e il sogno della maternità era uno dei tanti desideri che si perdevano con l'immortalità.

E lui ci teneva davvero a mostrarmi i lati più belli dell'umanità, ma arrivava anche a farmeli odiare. Perché più sperimentavo il mio futuro, più lo odiavo visto che lui probabilmente non ci sarebbe stato.

Mi fermai, lui rimase colpito dal modo in cui avevo interrotto la nostra danza e lo stessi fissando.

Perché lo faceva? Perché continuava a trovare tutto quello che tenevo nascosto in me e ad usarlo per aprirmi gli occhi su un futuro che non volevo vedere? Mi faceva rabbia quando faceva così.

Saresti una madre fantastica, ne sono sicuro.” disse allora, scuotendo la testa lentamente.

Basta.

L'uomo che avrà l'onore di farti realizzare questo sogno ha tutta la mia invidia, credimi.”

Basta.

La voce di Elijah smise di parlare, quando si accorse che quella singola e ripetuta parola si era appena disegnata dentro i miei occhi. Mi lasciai inondare dalla rabbia, non volevo permettere una cosa simile ma lui la stava praticamente obbligando a prendere possesso di me.

Elijah mi guardò a lungo, il suo sguardo sembrò scavare dentro la mia momentanea collera e arrivare in fondo ad essa. E in fondo ad essa trovò il modo comunque per placarla, solo lui era capace di domarla con un solo sguardo.

Non volevo farti arrabbiare, Irina.” mi disse solo. “Ma quando ti ho vista con quello sguardo rivolto verso quella bambina, non ho potuto fare a meno di domandarmi una cosa simile.”

Smettila. Come spesso mi accadeva, mi ritrovai a muovere le labbra e ad ascoltare il silenzio che usciva da esse. Ma lui non sentiva silenzio, solo il rumore della mia tristezza.

Elijah si indispose, lo capii dal modo in cui serrò la mascella e fece un passo verso di me.

Credi che io ne sia felice? Credi che a me non faccia male scoprire i tuoi sogni e sapere che non ne posso prendere parte?” mi chiese, con voce dura e fredda allo stesso tempo.

Non ero l'unica che stava soffrendo nel sentire quelle parole, per lui doveva essere stata un'agonia pronunciarle. Ma perché ci facevamo così male per qualsiasi gesto compievamo?

Strinsi i pugni lungo i fianchi, mentre inspiravo profondamente per mantenere la calma.

Ogni volta che lui si poneva con dei discorsi del genere, mi sembrava di trovarmi in un bivio dove non volevo perdere nessuna delle due strade che avevo davanti.

Ma ne dovevo per forza scegliere una.

Scusa di nuovo se penso al tuo futuro.”

Tu non devi pensare al mio futuro.

Incredibile ma in quel silenzio stavamo litigando, la mia risposta alla sua affermazione fu chiara ai suoi occhi. Restammo l'uno di fronte all'altra, immobili in un mondo in completo movimento.

Dobbiamo per forza litigare, non è così?” mi chiese.

Scossi la testa. Non ero io quella che voleva litigare, non ero io quella che trovava tutti i pretesti possibili per mandarmi fuori di testa. Voleva aprirmi gli occhi? Io preferivo tenerli chiusi invece, ero io a decidere se tenere le palpebre aperte sul mio futuro o meno. Ci allontanammo, lasciandoci il silenzio alle spalle.

Una discussione nata dal nulla si concluse alla stessa maniera.

Era incredibile come, con una semplice domanda, fossi stata capace di rovinarmi una festa. Mi feci largo tra le varie coppie danzanti e cercai uno spazio libero affinché potessi riprendere fiato.

Ormai mi stavo abituando al fatto che ci sarebbe sempre stato qualcosa per rovinare tutto.


La festa terminò poche ore dopo.

Quando rincasammo, ero praticamente distrutta.

Ero stanca ma non volevo dormire, perché sapevo che una volta che mi fossi coricata sotto le coperte avrei iniziato a pensare alle parole di Elijah. Non potevo credere davvero che fosse successo, che mi fossi arrabbiata con lui proprio in quella serata in cui avevo deciso di ricominciare tutto daccapo con il mondo intero.

E invece non avevo ottenuto nulla, anzi le tracce all'inizio di quel cammino che avevo intrapreso in quel giorno erano state violentemente spazzate via.

Rimasi seduta sugli scalini di fronte alla porta d'ingresso della nostra casa. Tenevo la testa rivolta verso il cielo scuro, soffermandomi a guardare ogni singola stella che lo illuminava. Quelle sulla terra avevano iniziato a spegnersi, volsi lo sguardo verso l'orizzonte del villaggio che iniziò a farsi man mano più scuro.

Mi sentii avvolgere dall'oscurità, ma il pensiero che quelle stelle mi avrebbero fatto compagnia mi consolava. Erano le stesse che avevano illuminato il mio cielo in Bulgaria, eppure qualcosa era cambiato: io ero cambiata e con me la meraviglia che provavo nel guardarle.

Indossavo la camicia da notte, i capelli li avevo raccolti in una treccia e mi stringevo nel mantello, per proteggermi dal vento gelido di quella notte.

Allungai il braccio verso il cielo come se volessi cogliere una stella nel palmo della mia mano. Era un gesto insensato che compivo anche in Bulgaria, ma allora era viva la consapevolezza che non ne avrei mai afferrata una. Ma in quel momento, malgrado sapessi lo stesso che non potessi mai prenderne una, lo feci lo stesso. Perché ero stata capace di raggiungere sogni che non avevo mai pensato di poter raggiungere, quindi quelle stelle non potevano essere tanto lontane da me.

Le tue labbra sono ancora color ciliegia.”

La voce di Klaus ruppe la magia della notte, insinuandosi prepotentemente nel suo silenzio. Mi girai verso di lui, lo trovai con la spalla posata sullo stipite della porta di ingresso e la camicia bianca aperta sul petto. I capelli erano sciolti sulle spalle e gli circondavano il viso, su cui brillava un sorriso divertito. “Che fai, cerchi di prendere le stelle? Sei proprio sciocca.” disse ancora.

Scossi la testa alzando gli occhi al cielo e tornando a guardare il cielo, sentii i suoi passi farsi sempre più vicini alla mia schiena e lo vidi sedersi al mio fianco, con le gambe distese lungo la neve e le mani posate ai lati dei fianchi.

Che vuoi Klaus? Gli domandai, dandogli un buffetto sulla spalla che lui tradusse subito in parole.

Pensavo al mio premio da riscuotere. Non so proprio che penitenza farti pagare, non c'è gusto con te!” mi rispose, regalandomi uno dei suoi tanti ghigni divertiti a cui risposi con un'occhiata stanca verso il cielo. “Tu invece? Vuoi prendere una stella adesso?”

Non risposi visto che mi stava parlando come se fossi una povera pazza, cosa che dovevo davvero sembrare poco prima mentre tendevo il braccio verso il cielo. Vedendo che non rispondevo, Klaus volse lo sguardo verso le stelle, le cui luci si rifletterono nel suo sguardo. “Il cielo, le stelle..sono le uniche cose rimaste immutate in tutti questi secoli.” disse, parlando come se si trovasse in qualche lontana dimensione, come se io non fossi al suo fianco. “Quando ero umano e sgattaiolavo fuori di casa, mi stendevo sul terreno e rimanevo a guardarle per tutta la notte. Erano l'unica cosa che mi consolava e che mi allontanava dall'ombra di mio padre. E se lui mi beccava ad uscire di notte, mi picchiava per il semplice motivo che avevo compiuto qualcosa alle sue spalle.”

Lo guardai in silenzio, la maschera impassibile che copriva il suo viso sembrava lentamente sciogliersi, lasciando trasparire quella malinconia che solo i ricordi riuscivano a portare a galla.

Ancora non mi immaginavo un Klaus umano, era una visione così inverosimile che mi parve difficile darle una forma. Ma non capivo perché il Klaus vampiro mi stesse facendo una confessione simile, perché lasciava che i suoi ricordi si disperdessero con me.

Però le sue parole mi riportarono alla mente tutte le volte in cui anche io avevo subito le percosse di mio padre. Non potevo dare un volto al Klaus umano, ma potevo identificare il volto del suo dolore perché era lo stesso mio.

Alzai la mano, per posarla sulla sua schiena e consolarlo.

Ma mi bloccai a metà gesto, perché non mi trovavo di fronte a una persona qualunque.

Lui era Klaus.

Mi morsi la lingua quando mi accorsi che lo stavo trattando come un essere che non meritava un trattamento simile a quello degli altri, come al solito mi sbagliavo.

Posai la mano sulla sua schiena e la lasciai scorrere lungo il tessuto della sua camicia, una strana sensazione di freddo mi pervase. Klaus mi guardò per un lungo istante con confusione poi, con un gesto improvviso, alzò il braccio per stringermi il polso e allontanare la mia mano dalla sua pelle. Le sue dita avvolsero la pelle in una presa dolorosa, cercai di riprendermi il braccio ma lui me lo impedì. Lo guardai quasi implorandolo, ma il suo sguardo e la sua mano non mi diedero scampo.

Quella che ti ho raccontato è una vecchia storia che ha già avuto il suo finale.” mi disse, mentre i suoi occhi di fuoco rimasero su di me. “Questi gesti risparmiali per chi crede ancora che un finale non sia stato scritto. Con me non attacca.”

Liberò la presa sul mio polso e io mi portai rapidamente la mano al petto, massaggiandomi la pelle su cui dovette essere rimasto un segno rosso. Klaus volse di nuovo la testa verso l'orizzonte bianco, ma la sua espressione sembrava essere pensierosa. Era sempre così, appena uno spiraglio di umanità appariva sul suo viso, lui lo richiudeva e lo sigillava dietro la sua maschera da cattivo.

Deglutii e volsi lo sguardo di nuovo verso il cielo, cercando di riportare al mio cuore un battito regolare.

Smettila di comportarti così.” disse poi Klaus, rompendo di nuovo il silenzio glaciale che era sceso su di noi. “Io resto sempre il mostro della tua fiaba che agisce nell'ombra e non voglio nessuna compassione da te.”

Ombra.

Era davvero lui quell'ombra.

Non seppi perché, ma trovai la conferma a quello che avevo sempre pensato in quella sua frase. Io e Klaus ci guardammo e lui si accorse che avevo capito tutto, ma fece finta di nulla, preferendo guardare le stelle piuttosto che il mio viso.

Presi un lungo respiro, non potevo credere di essere arrivata a trovare il coraggio di farlo in quel momento. Mi voltai verso la mia destra e presi la scatolina scura che avevo nascosto accanto a me per tutto quel tempo e gliela porsi.

L'espressione di Klaus fu incredibile, fissò la scatolina a lungo come se pensasse fosse uscita da un sogno e corrugò la fronte. “Cosa stai tramando? Io non mi faccio comprare.” disse dopo lunghi attimi di silenzio e rivolgendo i suoi occhi verso di me.

Volevo chiedergli scusa per tutto, entrambi non potevamo dirlo però con una semplice parola: io perché ero muta, lui perché sapeva invece che quelle cinque parole poteva creare cose troppo umane in lui. Lo guardai prendere la scatolina tra le mani e aprirla con titubanza, ciò che vide all'interno lo lasciò basito. Lasciò scorgere lo sguardo sul proprio riflesso, come se non fosse il suo ma quello di un'altra persona. “Uno specchio? So già di essere bello, Irina.” mi rispose.

Lo guardai infastidita, con quello specchio volevo solo mostrargli come quell'espressione stupita che aveva avuto poco prima lo rendesse luminoso. Non era un'ombra, non era solo quella scura figura che si era stagliata davanti ai miei occhi quella notte, ma c'erano anche delle luci in lui.

Lui però era il primo che voleva soffocarle perché si era abituato al buio.

Sempre per colpa di un padre, anche io avevo sperimentato il buio. Ma l'oscurità non aveva un volto, quindi Klaus non poteva avere nulla a che fare con essa.

Non servirono gesti o parole che gli spiegassero ciò che volevo fare con quel regalo, Klaus arrivò da solo alla mia stessa conclusione. “Non vorrai un ringraziamento per questa specie di regalo, perché non lo avrai.” mi annunciò. Non pretendevo nulla da lui, non era capace di dire scusa, impossibile quindi aspettarsi un grazie.

Si voltò verso di me e il suo sguardo si posò a lungo sul suo volto, alzai le spalle come per chiedergli cosa volesse, nei suoi occhi trovai un qualcosa che non conoscevo.

Mi è venuta in mente la penitenza da farti pagare.” mi disse, indicandomi con il dito indice della mano che teneva il mio regalo. Sbarrai lo sguardo incredula, come poteva pensare ancora a quello stupido giochino dopo quello che era successo? “Pagherai la tua sconfitta restando immobile.”

Piegai la testa da un lato e lo guardai senza capire, fino a quando lui scattò verso di me: non ebbi nemmeno il tempo di replicare che mi trovai con la schiena contro la colonna portante del porticato e la sua presenza a pochi centimetri da me. Mi ritrovai con le gambe strette al petto e il respiro di Klaus che bruciava la pelle del mio viso, tenni gli occhi fissi su di lui e mi sentii come una piccola preda nella trappola del cacciatore. Batté le mani accanto alla mia testa, puntellando con le dita sul legno e avvicinando sempre di più il viso al mio, sorridendo mentre lo faceva.

Posai le mani sulle sue spalle per allontanarlo, ma la mia forza fu nulla in confronto alla sua.

Deglutii, guardando quegli occhi che si avvicinavano sempre di più ai miei e il suo profumo circondarmi mentre rabbrividivo. Accostò di più la testa verso di me e chiusi gli occhi quando pensai che mi avrebbe morso. Tanto cos'altro avrebbe potuto farmi?

Chiusi gli occhi, attendendo l'arrivo dei suoi denti che penetrassero la mia carne, ma quel momento non giunse mai.

Un bacio.

Prima che realizzai il tutto, ci misi pochi secondi.

Ero così impegnata a tenere serrate le palpebre per la paura che non mi ero resa conto di come il suo respiro avesse iniziato a soffiare sulle mie labbra, fino a farsi sempre più intenso e vicino. Aveva dato poi inizio a quel bacio, premendo con fermezza le sue labbra sulle mie. Portò le sue mani sulle mie guance, come per impedirmi qualsiasi movimento per ritrarmi. Non mi sentivo respirare e non potevo concedermi di farlo con le labbra di Klaus che cingevano le mie nella loro morsa. I suoi pollici mi accarezzarono gli zigomi, mentre iniziava a premere di più sulle mie labbra per ordinarle di dischiudersi.

Dopo quei lunghi attimi di sorpresa, cercai di spingerlo via ma lui mi anticipò,ritraendosi rapidamente.

L'espressione sul suo viso, divertita al massimo, mi mandò fuori di testa. Come al solito, voleva semplicemente divertirsi, non curandosi del fatto che io quel bacio non lo volevo.

Erano troppo rosse, cara.” disse lui per giustificarsi. “Rosse come il sangue e le ciliegie. E a me piacciono entrambi, sai?”

Avvampai per la rabbia, l'imbarazzo e il fastidio. Mi piegai verso di lui per colpirlo con un piccolo pugno al petto che servì a ben poco, perché lui non si fece male e il suo sorriso non si spense.

Lui si alzò in piedi. “ Buonanotte Iry.” disse, tutto compiaciuto per la riuscita del suo giochetto.

Lo guardai rientrare con la scatolina e lo specchio rinchiusi in una mano, mentre io scacciavo il suo sapore dalle mie labbra, facendo scorrere il dorso della mia mano su di esse.

Mi aveva di nuovo baciato per un capriccio, fu l'unica soluzione logica che trovai al suo comportamento. Era un bambino capriccioso di ben cinquecento anni, che non sapeva come passare il tempo.

Ma sforzai di non arrabbiarmi per l'accaduto. Klaus poteva credere quanto gli pareva di aver vinto, ma la vera vittoria era stata la mia. Lo avevo sorpreso e lui non se lo aspettava.

Alla fine, era quello il modo migliore per ricominciare tutto daccapo.

Tornai a guardare il cielo, continuando a toccarmi le labbra per cancellare il ricordo di quelle di Klaus che si erano posate sulle mie. Migliaia di luci mi stavano guardando e mi confermarono che avevo davvero vinto io per una volta.

Sorrisi e rimasi in loro compagnia per un altro po'.


Il mattino seguente la casa sembrava deserta, a quanto pareva solo io e Katerina eravamo rimaste all'interno. Mia sorella però prese la decisione di andare a creare altri pupazzi di neve di fronte al porticato di casa e io decisi di seguirla in quel suo divertimento.

Mi vestii rapidamente e indossando l'abito più pesante che avessi, quel giorno il clima era più freddo del solito e la neve cadeva accompagnata da un gelido vento.

Scesi rapidamente di sotto, superando gli scalini molto velocemente.

Fu la curiosità ad impedirmi di varcare la soglia della porta d'uscita: la camera misteriosa di Klaus era socchiusa, dall'interno si scorgeva uno spiraglio di tenebra, come se non ci fosse alcuna luce per poterla illuminare.

Fui tentata dall'entrare là dentro e scoprire cosa nascondesse, ma poi pensai che far arrabbiare Klaus non era una cosa che volevo fare. Anche se se lo meritava dopo l'ultimo suo stupido scherzetto. Strano però che fosse aperta...

La curiosità s'impadronì di me velocemente, mi avvicinai alla porta e mi guardai attorno, per assicurarmi che non ci fosse nessuno lungo quel corridoio. Posai una mano sulla ruvida superficie in legno e la spinsi: all'interno trovai solo buio, un intenso odore di polvere si mischiava ad un profumo che avevo sentito prima ma che non riuscì ad associare a nulla.

Mi feci largo nell'oscurità e urtai contro qualcosa che sembrava essere lo spigolo di un tavolo.

Mi fermai gemendo di dolore e mi massaggiai la gamba con una mano, ma fermandomi scorsi un leggero spiraglio di luce che si nascondeva dietro il buio.

C'era una finestra, che sembrava essere coperta da una pesante e oscura tenda che ostacolava l'entrata della luce. Mi avvicinai ad essa rapidamente e la spalancai, usando entrambe le mani.

La luce si fece largo nella stanza, attraversò il pavimento con i suoi raggi e sembrò unirsi ai piccoli granelli di polvere che caddero dalle tende.

Tossii ripetutamente, muovendo la mano per allontanarle dal mio sguardo, e mi guardai attorno.

Definire quello che trovai in quella stanza una meraviglia era ben poco: sulle pareti spoglie erano posati diversi disegni, alcuni incorniciati e altri no, che raffiguravano splendidi paesaggi naturali oppure perfette rappresentazione di visi di persone. Al centro della stanza, due tavoli in legno erano stati posti parallelamente e su di essi si trovavano diversi fogli ingialliti e pennelli, colori e tavolozze da cui proveniva quell'intenso odore che avevo sentito appena entrata.

Mi avvicinai ad uno di quei tavoli e restai a bocca aperta mentre fissavo quei fogli.

Rappresentavano tutti delle ragazze in momenti in cui i loro sguardi sembravano sollevati verso punti infiniti, che un occhio umano non avrebbe potuto facilmente cogliere. L'artista che si nascondeva dietro quei disegni aveva tutta la mia ammirazione, li presi tra le mani e iniziai a sfogliarli.

Quell'artista era Klaus.

Per un attimo la sorpresa venne sostituita dalla confusione, gli artisti erano sensibili e affascinati da tutto ciò che li circondava e Klaus invece era cinico e parecchio. Da dove usciva quella sua passione per l'arte?

Ma il fatto che disegnasse, significava che una parte di me aveva ragione: l'umanità che tanto disprezzava non era ancora stata abbandonata. Anzi, tendeva a nasconderla come se se ne vergognasse.

Alzai un attimo lo sguardo pensierosa e di fronte a me scorsi un grande quadro che rappresentava un paesaggio innevato, riconobbi la rupe dove eravamo state giorni prima io e Katerina, ma a quel disegno mancava un intero pezzo, come se la mano che guidasse quei colori avesse perso l'ispirazione o la voglia di dipingere. Probabilmente il quadro alla locanda di Diana era sempre opera di Klaus.

Presi un lungo respiro e tornai a sfogliare i disegni, erano tutti privi di colori ma la matita veniva calcata in maniera talmente sublime che furono i miei occhi a darli a quei volti.

Non conoscevo nessuna di quelle ragazze, finché non mi imbattei in un disegno di Katerina: era stata rappresentata mentre guardava un punto di fronte a sé con aria sognante, le labbra erano leggermente allargate in un sorriso, come se stesse osservando qualcosa che l'avesse allietata.

Però più la guardavo, più non riconoscevo Katerina in quei tratti delicati.

A prima vista poteva sembrare lei, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che la rendeva diversa, come se Klaus avesse cercato di rappresentare nel suo volto un'altra persona.

Pensai di sbagliarmi e andai avanti con il disegno successivo che trovai il più bello di tutti: una ragazza stava dormendo, i suoi capelli scurissimi erano sparsi sopra il cuscino dietro la sua testa.

Gli occhi erano chiusi e le ciglia lunghe e scure, le labbra erano dischiuse come se quella fanciulla stesse parlando con un sogno. Una mano era adagiata accanto alla sua testa, l'altra stringeva un lembo di lenzuolo che teneva sopra il petto.

Ero io.

Il cuore sobbalzò nel petto quando la consapevolezza che quel viso era il mio prese il sopravvento. Dopo un attimo di arresa, il battito riprese regolare fino poi a divenire più veloce.

Osservai il foglio più attentamente, quella ragazza addormentata la trovai molto più bella di me e cercai di convincermi che non fossi io. Guardai quello dopo e mi riconobbi di nuovo, mentre sedevo su una poltrona con le gambe strette al petto e lo sguardo rivolto verso il diario che tenevo gelosamente tra le mani e su cui stavo scrivendo.

Quello dopo invece mi rappresentava mentre sorridevo verso qualcuno al mio fianco, il mio profilo venne rappresentato egregiamente, tanto che mi parve di vedere un'altra me nella realtà di quel disegno.

Delle mani feroci giunsero a strapparmi i fogli di mano.

Mi voltai verso Klaus, era al mio fianco e si stava portando i fogli dietro la schiena mentre il suo sguardo di fuoco era fisso su di me. Mi ritrovai ad arretrare, non lo avevo mai visto così infuriato, nemmeno quando mi aveva morso e mi aveva colpito con uno schiaffo.

Ti avevo detto che qui non potevi entrare.” ringhiò, sembrava una bestia: stringeva i denti per non gridare, ma la sua voce assunse il suono di un verso animalesco.

Fece diversi passi verso di me e io continuai ad arretrare. Cosa avevo fatto di male? Non c'era niente di terribile in quella stanza.

Perché arrabbiarsi in quel modo, per dei semplici disegni? Abbassai lo sguardo sui fogli che continuava a nascondere dietro la schiena, probabilmente il fatto che avessi visto i miei lo aveva fatto andare su tutte le furie. Doveva considerare una debolezza la sua passione nel dipingere, perché era nettamente umana.

Non volevo.” provai a giustificarmi in quel modo, ma ero terrorizzata dalla sua figura.

Non volevi, eh? Se non volevi, non mettevi piede qui dentro!” ripeté lui, stava ancora trattenendosi dal gridare ma il ringhio si fece più marcato mentre avanzava verso di me. “Tu ci godi proprio a farmi andare in bestia, non è così?”

No, era lui che diventava una bestia ad ogni cosa. Conosceva così bene la rabbia che la sapeva esternare in tutte le sue forme, sempre le più violente.

Scattò verso di me e spalancai la bocca in un grido silenzioso, quando credetti che volesse mordermi o colpirmi di nuovo. Perché era così infuriato che lo avrebbe fatto.

Ma si limitò a restare di fronte a me, il suo respiro tagliò la mia pelle e i suoi occhi sembrarono voler inchiodare la mia anima. “Esci subito di qui.” mi disse.

Ma...

Fuori di qui!!” Quella volta Klaus gridò, la sua voce tuonò tra la pareti attorno a noi e mi sembrò di essere avvolta di nuovo dall'oscurità. Tremai visibilmente, mentre lui mi indicava la porta con il braccio. I suoi occhi erano ancora fissi su di me, carichi di una rabbia che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Non seppi come, ma mi ritrovai con gli occhi gonfi di lacrime. Le sentii scendere lungo il mio viso senza che me ne accorgessi, delle strisce calde scorsero lungo le mia guance e corsi via.

Scappai da quella stanza e dalla bestia che si trovava al suo interno. Uscii dalla porta d'ingresso, come se volessi improvvisamente scappare da tutto e tutti, ma mi fermai di colpo sulla neve.

Le mie lacrime caddero su di essa, osservai quelle piccole gocce disperdersi in quel bianco e trattenni un singhiozzo. Chissà perché ci rimanevo male, chissà perché mi ostinavo ancora a non imparare la lezione che lui mi impartiva sempre: se c'era luce, io non l'avrei trovata in alcun modo. Qualsiasi cosa avessi fatto, lui avrebbe finito per ricordarmi che avrei solo incontrato oscurità in lui.

Ogni volta che mi infondevo coraggio per capirlo, mi ritrovavo sempre a pentirmi della mia decisione e a gettare la spugna. Tanto mi facevo sempre e solo male con lui.

Mi stropicciai gli occhi, per ricacciare indietro le lacrime che li stavano bagnando.

Irina?” La voce di Elijah provenne dal mio fianco, mi voltai verso di lui: aveva indosso un pesante mantello e tra le braccia dei pezzi di legna per il camino della casa. Doveva essere appena tornato dal villaggio, il suo intenso profumo si era mescolato agli odori più comuni di quel villaggio.

Non esitò a buttare a terra quei pezzi di legna, quando riconobbe le lacrime sul mio volto.

Mi prese il viso tra le mani e mi guardò interrogativo. “Cos'è successo? Cosa ti ha fatto?” mi chiese , mentre ogni parola sembrava venir calcata da una crescente rabbia.

Possibile che tutti sapessero che piangevo quasi sempre per Klaus?

Scossi la testa, cercando di calmarmi ma mi parve impossibile. Le sue dita accorsero a fermare il cammino di altre gocce sul mio viso. “Irina, smettila di farti del male da sola e dimmi cosa è successo, te ne prego.” mi implorò, facendomi capire che non avrebbe esitato a fronteggiare il fratello in quel preciso istante.

Provai a tranquillizzarlo, ma mi bloccai quando notai qualcosa di insolito alle sue spalle: un pupazzo di neve era rimasto incompiuto, la sua testa sembrava rotta a metà e i rami che dovevano essere le sue braccia erano caduti a terra.

Sbarrai lo sguardo e Elijah seguì i miei occhi per vedere cosa stavo guardando.

Ci accorgemmo entrambi del mantello scuro che giaceva abbandonato sulla neve, il vento lo investiva e lo ricopriva dei piccoli fiocchi che stavano cadendo dal cielo.

La testa iniziò a vorticare velocemente e le mani di Elijah si abbassarono sulle mie spalle mentre fissavo incredula quel punto.

Katerina era scomparsa.


Scusate il ritardo con cui giungo con il nuovo capitolo, ma ho avuto un sacco di impegni e il mio vecchio computer giorni fa ha deciso di piantarmi...ok, non vi interessa lo so! XD

Intanto spero di essermi fatta perdonare con questo nuovo capitolo, anche se sono sicura che molti di voi sarebbero stati meglio senza!

Il capitolo è stato decisamente più tranquillo rispetto ai precedenti, non ci sono stati colpi di scena particolari o scene speciali e infatti manca davvero di originalità come avrete ben notato...

La frase detta da Klaus “Io per te rappresento tutti i peccati che non hai mai avuto il coraggio di commettere” non è ovviamente opera mia, ma è una frase ripresa da “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.

Vi anticipo che il prossimo sarà un capitolo Klaus-centrico, lui (insieme ad Irina ovviamente) sarà il personaggio principale nelle vicende che avranno luogo nel corso del prossimo capitolo, dove si svolgeranno le ricerche di Katerina.

Dico un grazie di cuore a tutte quelle splendide persone che leggono la mia storia: sia chi recensisce, sia i lettori silenziosi che spero continuino ad apprezzare i miei disastri. Grazie davvero infinite a tutti voi!

Ringrazio anche chi ha inserito questa storia tra le preferite/ricordate e seguite!

Alla prossima, ciao a tutti e buona serata! ^^



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Capitolo 19
*** Frozen ***


-Frozen-

Katerina.

Me l'avevano portata via.

Fissavo il vuoto sentendomi congelare dentro, come se non esistessi.

Si diceva che la morte poteva avere mille nomi, in quel momento aveva sicuramente il mio.

Ogni sensazione, ogni singolo movimento dentro il mio corpo non mi arrecava altro che dolore: il cuore che batteva troppo forte, le lacrime che scendevano troppo velocemente, i singhiozzi che volevo soffocare ma che si liberavano lo stesso attraverso le mie labbra.

Tutto mi stava facendo morire.

Perché mi era stata strappata via?

Non poteva essere, era come se una parte della mia anima fosse stata brutalmente lacerata via dal corpo e stessi aspettando solamente che la fine giungesse a portarmi via.

Se io fossi uscita subito quella mattina, se non avessi dato spago alla mia insana curiosità verso quella maledetta stanza, probabilmente sarei riuscita ad impedire che me la portassero via.

Due mani giunsero a confortarmi, mi ero abituata a sentire la pelle liscia e calda di quelle dita che si adagiavano delicatamente sul mio viso, come se fossi un piccolo fiore in balia di un forte vento da cui doveva essere protetto. Guardai quegli occhi, mentre quelle dita colsero di nuovo le lacrime che scendevano lentamente lungo le mie guance e scoprii con rammarico che non era vero che potessero sempre salvarmi dall'oscurità.

In quel caso nulla poteva risollevarmi dal vuoto in cui ero caduta, solo la vista di mia sorella viva e vegeta e del suo dolce sorriso rivolto verso di me.

Non preoccuparti, la ritroveremo.” mi disse Elijah, la sua voce calda e profonda non scacciò comunque il gelo in cui mi ritrovai imprigionata. Bastò solo a farmi rendere conto che non ero sola, avvolta nel buio dove credevo di trovarmi: mi guardai attorno e riconobbi le pareti della casa di Diana.

Dopo la scomparsa di Katerina ci eravamo diretti là affinché la strega potesse aiutarci a ritrovarla. Lei era appena tornata dalle varie commissioni che doveva svolgere per Elijah e, appena ci aveva trovato di fronte casa sua, aveva cominciato a lamentarsi sul come loro la stessero sfruttando. Klaus la zittì con un ringhio, la scomparsa di mia sorella aveva portato me al limite della disperazione e lui al limite dell'isteria.

Non mi soffermai più di tanto a comprendere quel suo comportamento, la mia mente si era svuotata di qualsiasi tipo di pensiero razionale e non avevo alcuna voglia di pormi altri interrogativi.

Volevo solo indietro Katerina e basta, poi sarei tornata a vivere.

Rimasi con la schiena sulla parete, io ed Elijah eravamo soli vicino alla porta d'entrata dell'abitazione. Alle sue spalle, Diana stava discutendo con Klaus e Rebekah riguardo la riuscita di un incantesimo di localizzazione per ritrovare Katerina. Lui stava gesticolando animatamente e la strega sembrava rispondergli per le rime, seccata dalla sua prepotenza. Rebekah posò una mano sul petto del fratello per calmarlo.

Guardami.” Elijah mosse la mia testa, che sembrava essere abbandonata tra le sue mani e fece in modo che la mia attenzione ricadesse su di lui. Quei due piccoli oceani neri imprigionati nei suoi occhi non mi fecero perdere come al solito, non si poteva perdere qualcosa che non c'era più.

Irina Petrova non c'era più in quel momento.

Ritroveremo tua sorella sana e salva, te lo prometto.” calcò le ultime parole, come se avesse promesso non solo a me, ma anche a sé stesso di mantenere quel giuramento.

Il che mi infuse un po' di speranza, il cuore sussultò lievemente nel petto e riprese il suo battito quasi regolarmente, senza farmi più male e scese un ultima lacrima, a cui Elijah bloccò il cammino asciugandola con il suo pollice.

Invece che stare qui a fare il consolatore della situazione, fratello, vieni a darci una mano.” Sussultai quando vidi Klaus giungere al fianco di Elijah, il suo sguardo non si posò su di me nemmeno per un istante e il suo viso era distorto in un'espressione bestiale, peggiore rispetto a tutte quelle che avevo scoperto in quel lungo periodo.

Elijah lo ignorò, come al solito mi parve di vederlo trattenersi nei confronti del fratello. La sue espressione nascondeva un fastidio che sarebbe potuto divampare in un incendio da un momento all'altro, se la situazione non fosse stata così drastica.

Adesso arrivo, ma credo tu debba smetterla di usare questo tono con tutti. Non te lo consento.” replicò freddamente, guardandolo con la coda dell'occhio mentre le sue mani restavano sul mio viso.

Klaus piegò la testa da un lato infastidito, sembrava voler dire dell'altro al fratello, ma si fermò quando i suoi occhi si spostarono su di me. Mi sentii come tremare dentro: se fino ad allora mi ero trovata nell'oscurità, quegli occhi mi ci fecero sprofondare ancora di più.

E tu smettila di singhiozzare, ci dai solo fastidio.” mi disse, facendo un passo verso di me e usando un tono di voce leggermente roca. Probabilmente avrebbe voluto gridarmi contro, ma non lo fece solo per non disturbare la strega alle sue spalle.

Abbassai lo sguardo colpevole, Elijah lanciò un'occhiataccia al fratello. “Quando ti dicevo di non usare questi termini, mi riferivo proprio a questo.” disse, con una parvenza di minaccia nella voce a cui Klaus stava per rispondere.

Ma non ebbe il tempo di farlo, poiché la voce di Diana prevalse sul silenzio che aveva seguito quella frase. “Ho bisogno di qualcosa di Katerina per poterla localizzare!” ci disse a gran voce. Lei e Rebekah si voltarono verso di noi. La strega ci guardò in attesa, i suoi occhi da gatta erano leggermente truccati di nero e la rendevano molto sensuale, nonostante fosse visibilmente stanca e infastidita dalla situazione in cui si era trovata.

Sospirai, non avevo pensato a portarmi nulla che appartenesse a mia sorella perché ero stata troppo impegnata a disperarmi e a recarmi velocemente presso la dimora della strega. Avevo solo il pugnale di Joshua con me, ma non serviva a nulla.

Come al solito, commisi un altro errore.

Va bene anche qualcosa che la leghi a lei?” chiese Klaus, rompendo di nuovo il silenzio che ci aveva avvolti. Alzai lo sguardo su di lui confusa, chiedendomi dove volesse giungere con quella conclusione.

Sì, basta che sia collegato alla ragazza.” rispose prontamente la strega, inarcando le sopracciglia come se avesse intuito ciò che il vampiro stava per fare.

Io invece non capii subito a che conclusione fosse giunto Klaus con quella constatazione, fino a quando non mi afferrò il polso con irruenza e se lo portò alle labbra. Affondò con violenza i denti nella mia pallida carne e io aprii la bocca con l'intento di esternare il mio dolore.

Osservai le gocce di sangue scorrere lungo il mio polso, mentre Elijah afferrava il fratello per le spalle e lo allontanava via da me. Gemetti di dolore mentre passavo l'altra mano su quella chiazza rossa che volevo pulire via. Elijah continuava a trattenere Klaus lontano da me e lo guardava con rabbia.

Sangue Petrova....cosa le può legare di più?” si giustificò lui, guardando il fratello con fastidio. Non si curò nemmeno di pulirsi le labbra sporche del mio sangue, lasciò che una goccia gli scorresse lungo il mento e allora vi passò sopra un dito, portandoselo poi alle labbra

Lo osservai a lungo e disgustata, fino a quando lui mi trascinò verso Diana e allungò il mio polso verso di lei. Elijah,dietro di noi, sbuffò, era chiaro che non esplodeva solo perché la scomparsa di Katerina aveva la priorità, ma si vedeva lontano un miglio che era furibondo.

Ti piace proprio il suo sangue, vero Nik?” lo provocò Diana, ma il vampiro sembrava avere poca voglia di dare retta alle sue battute. Come tutti noi del resto.

Fai quello che devi fare e muoviti.” le ordinò, allungando sempre di più il mio braccio verso di lei, come se fosse un oggetto. Mi morsi le labbra, il bruciore che mi stava provocando quella piccola ferita mi gonfiava gli occhi di lacrime, ma mi sforzai di resistere.

Se serviva a ritrovare Katerina, ero disposta a soffrire pene ben peggiori di quel morso.

Diana sospirò stancamente, trattenne a stento un'altra delle sue frecciatine e allungò la mano verso il sangue che bagnava il mio braccio, vi passò sopra le dita, come se fosse un colore nella tavolozza di un pittore e lasciò cadere una goccia dentro una di quelle tante strane bacinelle in legno sparse sul tavolo. Osservai quelle piccole gocce rosse cadere sopra degli arbusti posti in quella bacinella e successivamente si innalzò una lieve scia di fumo che salì verso il soffitto, malgrado non ci fossero fiamme all'interno.

Diana chiuse gli occhi, come sempre parve come se la sua mente avesse lasciato il corpo e iniziò a parlare in una lingua sconosciuta.

Mi portai il polso ferito al petto quando Klaus si decise a lasciarmi. Il sangue non usciva più in grande quantità ma il suo odore, impercettibile al mio olfatto, sembrava richiamare invece i sensi dei tre vampiri attorno a me. Solo Klaus non mi guardava, i suoi occhi erano fissi su un punto davanti a sé e sembrava trepidare nell'attesa di sapere il responso di quell'incantesimo.

Eravamo messi davvero male entrambi.

Vieni, ti fascio il polso.” Elijah allungò gentilmente la mano verso di me e la posò sulla mia spalla. Mentre Diana continuava ad occuparsi di localizzare mia sorella, lui mi fasciò alla meglio la ferita, impedendo così la fuoriuscita del poco sangue che ancora continuava a sgorgare da essa. Restammo a pochi passi dagli altri, i miei occhi erano fissi sulla strega e mi ritrovai come a pendere dalle sue labbra e dalle parole che sarebbero uscite da esse.

E se fosse morta?” chiese Rebekah, sussurrando all'orecchio di Klaus.

Le sue parole giunsero comunque a me, come un uragano pronto a distruggermi dentro.

Non lo aveva fatto apposta a porre quella domanda, guardava Klaus con aria preoccupata e temendo probabilmente una sua reazione collerica dopo quelle parole.

Io però sentivo che Katerina era viva.

Se era morta, se la vita aveva abbandonato il suo corpo ero sicura che lo avrei percepito. Avrei sentito il mio cuore spegnersi lentamente, fino a soccombere, per poi abbandonarmi tra le braccia della morte.

Katerina era viva.

La sentivo lontana e magari stava chiamando il mio nome affinché accorressi in suo aiuto. Il fatto che non potessi risponderle in quel caso, mi stava divorando l'anima.

Diana sbarrò di nuovo lo sguardo, i suoi occhi scuri si fissarono un attimo in un punto indefinito di fronte a sé. La fronte venne solcata da delle piccole rughe, segno che qualcosa la stava disorientando. “È viva, nella foresta...ma non riesco a localizzare il punto preciso perché qualcosa mi blocca.” disse solo, continuando a non guardarci.

La foresta non è piccola, Diana.” le ricordò Elijah, con una lieve punta di fastidio nella voce e restando accanto a me.

Ultimamente ti stai rendendo solo inutile, sai?” Klaus sbottò, battendo un pugno sul tavolo mentre guardava la strega, la ragazza parve amareggiata dalla sua impossibilità nel trovare Katerina e infastidita dal comportamento nervoso che Niklaus aveva assunto.

Intanto mi sentii di nuovo pervadere dalla disperazione, la foresta attorno a noi era immensa e trovarla senza avere un indizio, era praticamente impossibile.

Ed era freddissimo, Katerina sarebbe anche potuta morire assiderata.

Ti prego, fa qualcosa.”

Feci un passo verso di lei, mentre le lacrime tornavano a scendere lungo il mio viso e mi ritrovai quasi ad implorarla.

Diana parve provare compassione per me, vedendomi in quello stato, era una cosa che non tolleravo ma che purtroppo ero costretta ad accettare viste le mie condizioni. Klaus abbassò per qualche istante lo sguardo su di me, mentre la strega sospirava.

Aspettate qui.” disse con un filo di voce e si allontanò frettolosamente verso il piano di sopra.

Fai in fretta Diana, sai che perdo molto la pazienza in questi casi!” gridò Klaus, puntando gli occhi verso la scalinata che portava alle stanze di sopra. Subito dopo che la sua voce si sparse nell'aria, calò un silenzio di tomba che sembrò pesare sul mio corpo.

Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano e Rebekah, per consolarmi, mi passò un braccio lungo le spalle. Elijah restò affianco a me, ma i suoi occhi erano rivolti verso il fratello. Come se sapesse che non si sarebbe trattenuto nel dire una delle sue solite frasi.

Klaus volse la testa verso di me infastidito, i suoi occhi blu si posarono sul mio viso e non trasmettevano altro che rabbia e disappunto. Le sue iridi erano colorate di emozioni negative che solo lui sapeva mostrare con quella intensità.

Smettila di frignare. Così non ritroverai certo tua sorella.” mi disse.

Le sue parole dovevano ferirmi ma non ci riuscirono. Dovevo rispondere in qualche modo, ma non avevo la forza di farlo. Poteva dirmi quello che voleva, tanto Irina non era là in quel momento.

Anche tu hai pianto da umano quando ti è successa una cosa simile, Niklaus.” lo ammonì Elijah, con un'espressione dura in volto che raramente gli avevo visto acquisire. A Klaus non piacque però quel paragone, guardò di traverso il fratello e fece per rispondere in qualche modo, ma il ritorno di Diana glielo impedì.

Ecco qui, vi servono queste.” disse, affrettando il passo lungo gli ultimi scalini e giungendo a noi, con in mano due pietruzze di un colore rosso scuro grandi quanto un piccolo sasso. Guardò ognuno di noi in viso, soffermandosi in particolar modo su Klaus. “Ma dovrete per forza seguire il mio piano.”

* * * *

Quel giorno le temperature erano ancora più rigide del solito.

Il vento soffiava imperterrito su di noi, trasportando in esso diversi fiocchi di neve che sembravano lame taglienti sulla pelle . Non riuscivo a non tremare, un po' per l'ansia e un po' per quel terribile gelo che non riuscivo a scacciare, malgrado indossassi indumenti più che pesanti.

Le pietre che ci aveva dato Diana servivano per trovare Katerina, ma eravamo costretti a dividerci in due gruppi per farlo dato che non avevamo un'idea ben precisa di dove si trovasse. La pietra avrebbe perso il suo colore scarlatto, una volta che Katerina sarebbe stata ritrovata, così che anche l'altra coppia venisse a conoscenza del ritrovamento e tornasse a casa. Eravamo costretti a dividerci, visto che la foresta era più che immensa.

Va bene, dividiamoci.” la voce di Klaus ruppe il silenzio agghiacciante che si era creato attorno a noi. Fino ad allora sembrava fosse stato il vento a parlare, le sue folate violente fischiavano attorno a noi e muovevano con violenza i rami degli alberi che ci circondavano.

Mi strinsi le braccia al petto, restando accanto ad Elijah, Rebekah e Klaus erano invece di fronte a noi e la ragazza stringeva tra le mani l'altra pietra.

Rebekah, vai con Elijah, io proseguo da solo e Irina se ne torna a casa.” disse ancora Klaus, indicandoci a turno, secondo il nome che veniva pronunciato dalle sue labbra.

Lo guardai allibita, come poteva pretendere che me ne tornassi a casa sapendo che mia sorella era là fuori, sola, spaventata e in pericolo di vita?

Scossi la testa per obiettare, ma Elijah mi posò una mano sulla spalla, accordandosi alle parole del fratello.

Niklaus non ha tutti i torti. È pericoloso per te, forse è meglio se rimani con Diana magari.” disse.

No!

Mi rifiutai categoricamente di non prendere parte alle ricerche.

Io avrei cercato mia sorella a qualsiasi costo. Anche se mi sarebbe successo qualcosa nel farlo, almeno lei avrebbe saputo, in un modo o nell'altro, che io avevo provato a superare il mondo intero pur di ritrovarla.

Klaus mi guardò infastidito, non avevo mai visto tanta intolleranza nei suoi occhi. “Non costringermi a metterti in spalla e trascinarti in casa con la forza, ragazzina.” mi disse minaccioso. Ma le sue minacce servivano a poco, poteva usare tutta la violenza, fisica o verbale che fosse, ma io non mi sarei smossa dall'idea che avrei cercato e trovato io Katerina.

Io volevo salvarla.

Rebekah fu l'unica che mi sostenne, lei sapeva cosa significava voler proteggere a tutti i costi i propri fratelli. Ed era la sorella più piccola dei tre, quindi da sorella minore poteva capirmi meglio di tutti probabilmente.

La proteggeremo noi, ma lasciatela venire. Non potete farla rimanere a casa a crogiolarsi nella disperazione!” disse, volgendosi sopratutto verso Klaus che sembrava quello più nervoso di tutti. “E poi, conoscendola, sappiamo tutti che se ne andrebbe in giro da sola a farsi ammazzare!”

Utilizzò quelle ultime fondate parole per convincere i fratelli, in effetti lo sapevano anche loro che cacciarmi nei guai era la cosa che sapevo fare meglio. Guardai prima Elijah poi Klaus ed entrambi i loro volti sembrarono arrendersi all'evidenza che dovevo prendere parte alle ricerche.

Elijah sospirò e Klaus alzò gli occhi al cielo. “Sappi che se tua sorella muore, è solo colpa tua.” mi disse quest'ultimo, il suo ringhio superò i fischi del vento e giunsero alle mie orecchie in tutta la loro violenza.

Risposi affilando lo sguardo e stringendo i pugni guantati lungo i fianchi.

Allora, Rebekah va con Elijah e Irina viene con me.” disse poi, cogliendomi di sorpresa.

Lo fissai confusa, pensavo che sarei andata io con Elijah e invece lui aveva preso quella inaspettata decisione. Pensavo che avrebbe deciso il contrario, pur di non vedermi per un po'.

Magari voleva solo tenermi d'occhio, era tipico suo.

Guardai Elijah al mio fianco e lo vidi prendere un lungo respiro, voleva replicare ma non lo fece perché non era l'occasione adatta per farlo.

Io e Rebekah siamo impulsivi, tu e Irina siete più ragionevoli. La bilancia è ben equilibrata quindi.” Klaus diede velocemente le sue spiegazioni quando incrociò lo sguardo del fratello, si avvicinò a me e con poca grazia mi prese per il braccio, tirandomi a sé.

Rebekah mi passò accanto e per occupare il posto che aveva avuto la mia figura accanto ad Elijah, il cui sguardo era fisso e freddo su di noi. “Non è che ne vuoi approfittare per stare da solo con qualcuno, Nik?” gli chiese lei a suon di battuta, guardando il fratello con sospetto e stringendosi le braccia al petto.

Klaus la guardò con fastidio, affilò lo sguardo verso di lei ed ero certa che chiunque avrebbe distolto gli occhi di fronte a quella espressione. Ma non lei: Rebekah rimase a guardarlo con sfida, mentre il vento continuava a soffiare imperterrito su di noi, attraversando i nostri pensieri.

Il vampiro non rispose, mi tirò più forte a sé per spingermi a camminare e ci dirigemmo verso la foresta. Prima di superare la prima serie di alberi, mi voltai verso Elijah e incontrai il suo sguardo.

* * * *

Silenzio.

Il vento aveva smesso di soffiare così forte.

La foresta sembrava addormentata malgrado fosse pomeriggio inoltrato.

I nostri respiri venivano congelati in piccole nuvolette bianche, prima che potessero oltraggiare quella spaventosa quiete che si era creata attorno a noi.

Camminavamo da un'ora probabilmente e nessuno di noi due osò pronunciare una sola parola. Eravamo troppo nervosi e, inoltre, non avevamo nulla da dirci dopo quello che era successo. Avrei preferito avere al mio fianco una persona che potesse confortarmi, non che mi facesse ancora di più venire i brividi.

Guardai la pietra, era ancora rossa. Katerina non era stata ritrovata nemmeno da Elijah e Rebekah.

Katerina.

Tutti i miei pensieri si ridussero ad una sola parola, il nome di mia sorella. La sentivo, mi sembrava di udirla chiamare il mio nome e io volevo solo averla al mio fianco. Volevo riportarla indietro, volevo che con lei la vita tornasse a me e che tutto acquistasse di nuovo un senso. Non volevo che gli ultimi momenti insieme a lei, fossero stati segnati dalle continue bugie che le dicevo.

Delle lacrime scapparono dai miei occhi senza che potessi fermarle. Fu il gelo a farlo per me: le congelò sulla mia pelle come se il cielo volesse impedirmi di piangere, almeno fino a quando non avrei ritrovato Katerina.

Ti prego, non aprire di nuovo le fontane. Altrimenti ti abbandono qui e continuo le ricerche da solo. Sarei più veloce sicuramente.” Klaus mi rimproverò, aveva la testa nascosta sotto il cappuccio e la voce dura e brutale come solo lui sapeva renderla.

Come aveva visto che stavo piangendo, se non mi stava nemmeno guardando? Forse avevo tirato su con il naso e lui aveva dipinto nella sua mente l'immagine del mio viso che piangeva.

Lo guardai, non provai alcuna emozione nel guardarlo: rabbia, fastidio, irritazione.

Nulla.

Anche i miei sensi si erano ridotti ad una sola sensazione e cioè l'ansia di ritrovare mia sorella viva al più presto. Però, quelle parole che Klaus mi rivolse, anche se poco gentili come al solito, mi servirono da distrazione.

Per un attimo quell'unico senso e quell'unico pensiero si dispersero nel vuoto e mi parve di sentirmi meglio, anche se per poco. Volevo che Klaus mi parlasse anche se aveva intenzione di infierire su di me, ma almeno mi avrebbe per un momento distratto da tutto, mentre i nostri piedi camminavano lungo quella strada innevata in salita, verso un punto indefinito. Ma che argomento trattare con lui? Non era Elijah, con lui ogni argomento poteva infastidirlo, ma mai quanto uno in particolar modo. Approfittai di quel silenzio, di quel mio bisogno di distrarmi, per toccare un argomento che mi creava parecchia curiosità e parecchie domande.

Klaus si accorse che lo stavo osservando da diversi attimi, si voltò verso di me e mi inchiodò con lo sguardo. “Che diavolo vuoi, Irina?” mi chiese, con tono rabbioso.

Parlami.

Volevo scacciare quel peso che aveva deciso di stringermi il cuore, volevo che il mio obiettivo nel salvare Katerina restasse ma che l'ansia venisse smorzata via in qualche modo. E l'unico che poteva rendere possibile una cosa simile era lui, non poteva mettere da parte la rabbia che nutriva nei miei confronti e parlare con me?

Klaus osservò a lungo il mio viso immobile e scosse la testa confuso. “Tua sorella è scomparsa e tu te ne stai lì a fissarmi come un'ebete...non ti sembra un po' fuori luogo?” mi rimproverò, ma la sua espressione si rilassò di fronte alla consapevolezza nel mio sguardo.

Spostò gli occhi da me e li rivolse verso un punto di fronte a noi, dove il cielo bianco e il terreno innevato si univano in un tutt'uno, come un orizzonte bianco stagliato dagli alberi che si paravano di fronte a noi.

Disegni?” gli posi quella domanda, muovendo le labbra lentamente e in modo che lui cogliesse il quesito che gli stavo rivolgendo.

Klaus osservò le mie labbra a lungo, fino a quando la parola che avevo silenziosamente pronunciato prese forma nella sua mente. Lo guardai allontanare di nuovo lo sguardo da me e serrare la mascella, come per trattenere la rabbia che quelle poche e semplici lettere gli avevano procurato.

Non era mio intento farlo andare in collera, ma la mia curiosità poteva essere colmata in quel silenzio, mentre la mia mente cercava un appiglio per non pensare solo al nome di Katerina.

Ogni volta che quel nome si faceva largo nella mia mente, mi sentivo come pugnalare al petto.

Tu non vuoi distrarti, vuoi solo mandarmi in bestia come al solito.” rispose secco, lasciandomi intendere che non avrebbe affrontato l'argomento per nessun motivo. Ripensai a quei disegni, quando mi tornavano in mente le immagini che avevano seguito quella mia scoperta, mi ritrovai a rabbrividire. Proseguimmo il cammino, Klaus avanzava più spedito di me, che invece facevo fatica a farmi largo in quello spesso strato di neve dove i miei piedi affondavano.

Perché?” Toccandogli il braccio con la mano, feci in modo che la sua attenzione tornasse ferma su di me. Il suo sguardo era, come al solito,freddo e penetrante: era ovvio che fosse infastidito dal mio modo di comportarmi, ma lui mi doveva per forza delle risposte.

Si fermò di colpo accanto a me, le sue mani mi cinsero le spalle e le strinse con forza, bloccando il tremore causato dal freddo ma provocandomi dolore sulla pelle.

Perché cosa? “ mi chiese scuotendomi, mi sentii diventare piccola come non lo ero mai stata, mentre quegli occhi mi penetravano dentro e mi immobilizzavano nella paura.

Klaus era molte cose per me: era stato odio, era stato rabbia, ma tutte quelle forme che aveva assunto si erano affievolite molto velocemente con il tempo, diventando quasi ricordi lontani.

Ma Klaus restava paura per me, sempre.

Come potevo superare quell'immagine che avevo di lui? Avvicinò di più il viso al mio, il suo respiro si congelò prima che potesse giungere a me e i suoi occhi continuavano a fissare i miei con rabbia. “Perché cosa, Irina?” mi chiese di nuovo e con fermezza.

Lui sapeva benissimo il perché.

Non riuscivo nemmeno a dare un senso ai pensieri che avevo in quel momento perché quello che avevo visto in quella stanza mi aveva disorientata. Non capivo proprio il perché: comprendere Klaus era impossibile, ma con quell'avvenimento aveva superato sé stesso. Mi rilasciò con irruenza, quando si accorse che nessuno di noi due era intenzionato a rivelare il significato di quel interrogativo che si era instaurato tra di noi.

Per poco persi l'equilibrio tanto mi ero affidata alla forza della sua rabbia per rimanere in piedi e lo guardai allontanarsi di qualche passo da me. Si passò una mano sulle labbra e alzò lo sguardo verso il cielo. Era la prima volta che lo trovai senza una battuta pronta, sembrava come se stesse elaborando in quel momento una possibile risposta da darmi.

Ho molto tempo libero, sai? Non passo tutto il tempo ad ammazzare le persone e quindi cerco un modo per passare le giornata. Ora riprendiamo il cammino?” disse, si voltò di scatto verso di me e mi guardò con freddezza.

Klaus che evitava il vero perché che gli avevo posto, mi lasciò senza parole.

Ripresi a camminare, facendo sempre una grande fatica per superare gli ostacoli della neve, ma lui restò immobile, seguendomi con lo sguardo mentre proseguivo lungo quel ripido terreno.

Cosa credi Irina, eh?” La rabbia che trasparì in quel grido che mi rivolse era diversa da come l'avevo sempre conosciuta. Era più controllata, più umana e la paragonai a quell'ira che si prova verso sé stessi, quando si è ormai consapevoli di una sconfitta.

Mi voltai verso di lui e lo guardai confusa, Klaus mi stava fissando con le braccia spalancate e un'espressione incomprensibile sul volto.

Perché è così difficile comprenderti?

Quello che hai visto...cosa ti fa pensare, Petrova?” mi chiese di nuovo, come se dovessi trovare io la risposta alla domanda che io stessa gli avevo posto. Ma io non avevo una risposta chiara, continuavo a brancolare nel buio e a rifiutarmi di fondere nella mia mente un chiaro pensiero al riguardo. Volevo da Klaus quella risposta, perché quella che avevo io voleva restare nascosta nell'ombra. Si fece di nuovo vicino a me, quella volta fu lui a cercare me e non il contrario, come era successo poco prima.

Scossi la testa, per dirgli che non conoscevo la risposta a quella domanda così semplice.

Lui l'aveva, ma voleva sentire a che conclusione fossi arrivata io. Cioè nessuna.

Non farti strane idee, sicuramente la risposta che quella tua piccola testolina ha elaborato è sbagliata.” Klaus si fece sempre più vicino, si parò davanti a me e si mise al mio stesso livello, in modo che i nostri occhi si guardassero a fondo. Ci stavamo di nuovo sfidando, era sempre così ormai e l'abitudine mi aveva quasi portato alla noia. Tanto in quel gioco che mettevamo sempre in atto tra di noi, era lui quello che in un modo o nell'altro vinceva sempre.

Sì, ti ho dipinta, ma non sei l'unica come hai ben notato.” disse, annuì lentamente e serrò le labbra con rabbia, mentre io restavo a guardarlo in silenzio. Una vampata di calore m'investì, al ricordo di quei disegni e per un attimo la sensazione di freddo che mi stava attanagliando da quando eravamo usciti sembrò attenuarsi. “Mi piacciono le espressioni che assumi in volto, tutto qui. Essendo muta probabilmente esterni tutto ciò che provi sul tuo viso: quando sorridi, quando pensi, quando scrivi su quel maledetto diario è come se i tuoi pensieri vengono disegnati su di esso.” Il modo in cui parlò fu più pacato, era in quei momenti che si mostrava quasi sincero, quando non mascherava la sua voce con ostinata rabbia o freddezza.

Analizzai le sue parole a lungo e avvertì una strana sensazione che non avevo mai provato prima e che mi confondeva ancora di più. “E mentre dormi il tuo viso diventa il quadro dei tuoi sogni.” concluse, continuando a guardarmi negli occhi, a quelle parole seguì un lungo silenzio, rotto unicamente dalla folate di vento che avevano ripreso a soffiare su di noi.

Ma io non le sentivo, mi ero talmente persa nei miei pensieri e nello studiare il viso di Klaus che mi parve di non sentire più nulla. Quando lui ruppe il filo che univa i nostri sguardi, mi sembrò di tornare a respirare e tutto il mondo attorno a me, riprese forma.

Continuavo a non capire.

Sei solo un ottimo soggetto per la mia noia e basta. Ti ripeto che, come hai ben visto, non sei l'unica ragazza che abbia rappresentato. Non credere chissà cosa quindi...”

Abbassai lo sguardo sulla neve ai nostri piedi, continuavo a non sapere cosa pensare al riguardo ma il pensiero di Katerina tornò velocemente a torturarmi.

Una distrazione era un breve attimo che volava via, la realtà e le sue preoccupazioni tornavano sempre a bruciare dentro e a strapparmi l'anima pezzo per pezzo.

E ora muoviti, se non vuoi che tua sorella diventi mangime per i lupi.”

Klaus pose fine al suo monologo, mi superò dandomi una spallata e riprendemmo a camminare, lui davanti a me di pochi passi e io più indietro.

Passarono altri interminabili minuti, senza che trovassimo alcunché che potesse servirci da indizio per trovare mia sorella. La disperazione tornò a farsi largo dentro il mio cuore, scacciò il coraggio e iniziò a soffocare la speranza, buttandola in un profondo vuoto da cui era impossibile risalire.

Ogni tanto le lacrime tornavano a bagnare i miei occhi e volevo gridare a gran voce il nome di Katerina: lei doveva sapere che ero lì, dovevo sapere che l'avrei portata a casa a qualsiasi costo.

Ad un certo punto guardai la pietra e una sensazione di tranquillità sembrò risollevarmi dal vuoto in cui ero caduta: Katerina era stata ritrovata, il colore scarlatto era scomparso simbolo che Elijah e Rebekah erano giunti a lei.

Che hai?” Klaus si fermò a pochi passi da me e gli mostrai la pietra con un sorriso.

Lo osservai prendere un sospiro di sollievo, ma che durò un solo attimo. Lui corrugò la fronte confuso e scosse la testa subito dopo, spegnendo anche quel mio momento di gioia. “Però è strano...possibile che l'abbiano già ritrovata con questa facilità? Il nostro nemico dev'essere proprio un'idiota.” disse e non potevo dargli torto. Diana non era riuscita a localizzarla e pensavamo quindi che le ricerche sarebbero perdurate per tutta la notte. Possibile quindi che fossimo giunti alla conclusione di quella faccenda così in fretta?

Non m'importava rimuginare, volevo subito tornare a casa e rivedere mia sorella. Mi portai la pietra dentro la tasca del mantello, ma Klaus mi fermò appena cercai di compiere un movimento.

Adagiò la sua mano sopra il mio braccio sinistro e il suo tocco mi immobilizzò.

Lo guardai fissare il vuoto in silenzio, con l'orecchio ben teso a captare suoni che solo il suo udito poteva cogliere. “Sta ferma. Ci sta seguendo da troppo tempo.” sussurrò e il mio cuore sobbalzò a quelle parole.

Di cosa stava parlando? Io non sentivo nulla.

Feci per girarmi, ma il suo respiro me lo impedì.

Non guardarti intorno, stupida.” Klaus pronunciò quelle parole a denti stretti, inchiodandomi con lo sguardo affinché tenessi gli occhi sempre rivolti verso di lui. Il suo tocco si trasformò in una presa, le sue dita avvolsero il mio braccio con forza. Mi tirò a sé con poca grazia, le sue labbra sfiorarono il mio orecchio e il suo respiro soffiò sulla base del mio collo.

Era stranamente caldo, attraversava il tessuto del cappuccio e sembrava sciogliere il ghiaccio che la mia pelle sembrava essere diventata sotto quel vento.

Quando te lo dico io, scappa il più lontano possibile.” sussurrò. Corrugai la fronte confusa, la sua presa si allentò sempre di più, fino a trasformarsi in un lieve tocco sulla mia pelle. Volsi la testa verso di lui, eravamo così vicini che i nostri respiri entrarono in contrasto come se fossero due onde pronte a schiantarsi l'una nell'altra. Gli occhi di Klaus però erano fissi su un punto dietro le mie spalle, come se scrutassero qualcosa tra gli alberi. Seguii la linea del suo sguardo e la vidi anche io: quell'ombra che nascosta tra gli alberi sembrava voler venire allo scoperto.

Vai, ora!!” gridò Klaus, prendendomi di nuovo il braccio e tirandomi dietro di lui, mentre sembrava prepararsi ad attaccare, come un falco che aveva puntato la sua preda.

Obbedii al suo volere e iniziai a correre più veloce che potei, dalla parte opposta alla sua. Rumori di lotte dietro di me rompevano il silenzio, i miei passi affondavano sempre di più sulla neve e ogni tanto mi ritrovavo perdere quasi l'equilibrio e finire a terra. Non so per quanto corsi, avevo il fiatone e sentivo un crescere di gelidi tremori corrermi dentro il petto.

Ma cosa stavo facendo?

Mi fermai di colpo, quando mi resi conto che stavo scappando. Posai la mano sulla corteccia dell'albero che trovai al mio fianco e ripresi lentamente fiato, il petto si alzava e abbassava velocemente e il tremore sembrava accompagnare ogni mio singolo respiro. Mi guardai indietro, Klaus doveva essere ancora oltre quella neve, magari a lottare con quella strana figura che avevamo visto tra gli alberi.

Anche se era un vampiro, un originale non potevo semplicemente scappare e lasciarlo solo. Mi voltai, come se volessi tornare da lui, ma poi il suo ordine tuonò nuovamente nella mia testa e mi ritrovai a sentire le gambe impossibilitate a muoversi.

Cosa dovevo fare? Dove potevo andare?

Un grido agghiacciante.

Alzai di scatto la testa, quando quel suono tremendo si espanse nell'aria attorno a me, per poi riecheggiare tra quegli alberi silenziosi, lungo il flusso del vento che soffiava sulla terra. Quel grido pervase poi i miei pensieri, lo sentii ripetersi nella mia mente e fermare il mio cuore.

Klaus?

Era la sua voce, ne ero sicura e quello che era giunto a me era un grido di dolore.

Klaus.

Ripetei il nome che la mia mente aveva dettato e ripresi a correre, diretta verso il punto da cui avevo sentito provenire la sua voce. Corsi più veloce, sfidando il vento e la neve che sembravano volermi ostacolare, afferrai il pugnale che avevo sempre con me, nascosto sotto la gonna, e lo strinsi in una mano con tutta la forza che avevo.

Mi ero persa dopo la fuga, eppure qualcosa dentro di me mi diceva che la strada che stavo prendendo era quella giusta e mi stava guidando verso lui. Ne ero certa, mi fidai del mio istinto e lo seguii senza timore, mentre dentro di me cresceva la consapevolezza di voler combattere ad ogni costo.

Li vidi: Klaus era inginocchiato a terra e stava strisciando all'indietro mentre si portava una mano alla testa, come se stesse per scoppiare. Sembrava fosse sotto l'effetto di qualche sorta di incantesimo che gli stava facendo scoppiare quasi la testa.

Una figura incappucciata avanzava verso di lui lentamente, ogni parte del suo corpo era nascosta da pesanti indumenti tanto che non riuscii nemmeno a definire se fosse un uomo o una donna.

Beh, non m'importava.

Continuai a correre verso quell'ombra, mentre dentro di me una rabbia crescente sembrava infiammarmi sempre di più il petto. Strinsi i denti e mi feci più vicina, mentre quella figura sembrava non accorgersi di me e avanzava verso la figura di Klaus.

Non gli avrei permesso di toccarlo, ero sicura che fosse stata proprio quella figura ad avermi portato via mia sorella, non avrebbe fatto lo stesso con Klaus.

Gli saltai sulla schiena,cingendogli il collo con entrambe le braccia e cercando di graffiarlo, soffocarlo o semplicemente farlo barcollare e allontanarlo dal vampiro.

In quel momento, Klaus alzò debolmente lo sguardo e lo posò su di me. “Irina?” disse incredulo.

Quella figura si divincolò, mentre con tutta la forza che avevo continuavo a tenermi attaccata a lui o a lei, chiunque fosse. Mi colpì con una gomitata in pieno viso, che mi fece cadere all'indietro nella neve. Avvertii un fortissimo dolore al naso e lo sentii sanguinare sotto le mie dita, quando le avvicinai ad esso. La figura si voltò verso di me, con una lentezza spettrale che mi fece tremare: anche quell'ombra aveva tra le mani un pugnale ma era diverso dal mio, aveva una punta più fine ma tremendamente più affilata.

Cercai di strisciare all'indietro per recuperare il mio, che era caduto nella neve dopo lo scontro di poco prima ma quella figura me lo impedì: mi prese per i capelli e mi tirò su, spingendomi di schiena contro un albero alle mie spalle. Klaus aveva ancora le mani alla testa e combatteva con il dolore che sembrava lo stesse logorando. Distolsi lo sguardo da lui e lo posai sulla figura di fronte a me: rimase a pochi passi dal mio corpo e si avvicinò lentamente, impugnando saldamente il pugnale. Lo alzò accanto alla sua testa, come se volesse colpirmi con esso in pieno petto.

Stava per uccidermi.

Chiusi gli occhi e ascoltai la voce della realtà intorno a me, mentre mi disperdevo nell'oscurità: un grido, un rumore di qualcosa che sembrava tagliare il vento, un gemito e poi la voce che nella mia testa mi gridava di guardare.

Appena aprii le palpebre, sussultai: Klaus era di fronte a me, le sue mani erano posate accanto alle mie spalle, sopra la ruvida corteccia dell'albero su cui mi trovavo. I suoi occhi blu erano fissi su di me e le sue labbra sembravano cercare disperatamente il respiro. La sua pelle assunse un colorito grigiastro e delle piccole venature scure apparvero sul suo viso e sulle sue mani. Distogliemmo entrambi lo sguardo l'una dall'altra e lo posammo su un punto nel centro del petto di Klaus: la punta del pugnale fuoriusciva da esso, aveva perforato la schiena del vampiro dopo che quest'ultimo si era parato davanti a me per proteggermi.

Era successo tutto così velocemente che nemmeno me ne accorsi. Cadde di peso su di me, esalando il suo ultimo respiro tra i miei capelli e farfugliando qualche parola che non compresi. Lo strinsi tra le braccia, cadendo insieme a lui e scuotendolo ripetutamente affinché riprendesse a vivere.

Ma Klaus restò immobile, con il viso sulla mia spalla e le braccia che ciondolavano accanto al suo corpo. Sentii il cuore stringersi in una presa, continuando ad avvertire il peso del corpo di Klaus su di me.

Era morto?

Tutti i miei pensieri si tramutarono in rabbia, mentre guardavo la figura incappucciata avanzare verso di me. Con un ringhio, estrassi il pugnale dalla schiena di Klaus e adagiai il suo corpo accanto a me, scattai in piedi e strinsi l'arma nella mia mano, preparandomi ad affrontare il nemico.

Quello scattò velocemente verso di me, tanto che nemmeno mi accorsi di come la sua mano raggiunse i miei capelli e mi spinse a terra. Cercai subito di rialzarmi in piedi, ma lui me lo impedì, chinandosi su di me e posandomi una mano sul collo.

Strinse la presa con forza e procurandomi un intenso dolore sulla pelle, approfittai però di un suo insensato momento di titubanza per spingerlo via con un calcio e farlo cadere di schiena all'indietro. Fui io a prevalere quella volta, gli strinsi il collo con entrambe le mani usando tutta la rabbia che avevo in corpo e gli tolsi il cappuccio.

Era Daniel.

Lo guardai incredula e lui ricambiò il mio sguardo, approfittando di quel mio momento di smarrimento, si liberò violentemente della mia presa e scattò in piedi. Sentii i suoi passi allontanarsi sempre di più, mi misi velocemente a sedere ma lui era già scomparso tra gli alberi.

Presi dei lunghi respiri, il cappuccio aveva abbandonato i miei capelli che si mossero con il vento. Provai un intenso dolore alla caviglia, probabilmente me l'ero slogata quando Daniel mi aveva colpito poco prima e la sentivo pulsare con forza sotto lo scarpone.

Poi mi ricordai di Klaus.

Il suo corpo giaceva ancora immobile vicino al tronco dell'albero dietro di me, era rigido come una statua di pietra. Strisciai verso di lui, ignorando i dolori che mi stavano paralizzando il corpo.

Klaus?

Avrei voluto chiamare il suo nome, sentire la mia voce rompere il silenzio glaciale che ci circondava e far sì che si risvegliasse.

Posai le mani sul suo petto e lo mossi, perché pretendevo che lui mi sentisse.

Ma Klaus non riaprì gli occhi, rimasero chiusi e continuammo a rimanere fermi nel gelo del silenzio. Lo scossi di nuovo, muovendolo per le spalle e sperando il più possibile che mi guardasse, che il suo respiro riprendesse a circolare e che il suo corpo si muovesse.

Ma lui era ancora immobile, come morto.

No.

Ripetei quella parola all'infinito, non poteva essere morto.

Mi guardai attorno, il vento aveva ripreso a soffiare fortissimo e a tagliarmi la pelle con quei fiocchi di neve che sembravano armi nelle mani del cielo. Quest'ultimo si stava facendo più scuro, simbolo che la notte sarebbe scesa su di noi di lì a poco e non potevamo restare in quella bufera di neve.

Mi feci forza, alzandomi in piedi. Ripresi i due pugnali, poi afferrai Klaus per le mani e lo trascinai lungo il terreno, in cerca di un posto sicuro.

* * * *

Trovai una specie di piccola grotta, nascosta tra quella moltitudine di giganti alberi che ci attorniavano.

Klaus era magro, eppure io ero così debole da non riuscire a trasportare il suo corpo sulla neve, se non con estrema fatica.

Un ultimo sforzo e riuscii a portarlo dentro quel piccolo e angusto spazio roccioso, dove il gelo era sovrano, ma il vento non poteva penetrarvi.

Sentivo che ogni parte del mio corpo era stata immobilizzata dal freddo. Nella lotta con l'uomo incappucciato avevo perso anche un guanto e la pelle della mia mano si era fatta violacea, ma non smisi di stringere quella di Klaus mentre lo trascinavo lungo la neve.

Quando fummo ormai dentro, usai la poca forza che mi era rimasta, per metterlo seduto, con la schiena poggiata sulla parete rocciosa dietro di lui.

Mi sentii una stupida, mentre gli prendevo il viso tra le mani e cercavo di tenere la sua testa dritta sopra il collo. Ma quella cadeva sempre da un lato, come se fosse morto.

Scacciai di nuovo quel pensiero, scuotendo la testa e mordendomi le labbra, ormai secche per il freddo. Guardai il volto di Klaus, era ancora di quel colorito grigiastro che mi faceva rabbrividire e immobile come solo la morte poteva renderlo.

Ma perché pensavo sempre a quella parola?

Klaus svegliati!

Posai le mani sulle sue spalle, tremavano così forte che strinsi con fatica i lembi del tessuto del suo mantello. Lo scossi, una volta un pò più delicatamente, quella dopo più forte.

E se non si fosse mai svegliato? Scossi la testa, ordinando ai miei pensieri di smetterla di giungere a conclusioni così drastiche. Klaus non era morto, si sarebbe di certo risvegliato di lì a poco e magari mi avrebbe pure fatto uno di quei suoi soliti sorrisi beffardi che tanto amava rivolgermi.

Luce.

Pensai che forse aveva bisogno di un po' di luce. Quella grotta era troppo scura e fredda, magari accendere un piccolo fuoco gli avrebbe solo giovato. Mi armai di tutta la forza che avevo e sfidai il gelo, la mia mente ordinò al mio corpo tremante di resistere e cercare di far risvegliare Klaus.

Il vento tornò ad investirmi con tutta la sua forza e nel giro di pochi minuti trovai abbastanza rami per poter raggiungere il mio obiettivo. Tornai alla grotta, quasi sperando che Klaus fosse già in piedi e pronto a rimproverarmi della mia innata stupidità per non aver obbedito al suo ordine.

Ma lui era ancora immobile, come una statua perfetta che ci si poteva solo soffermare ad ammirare, quasi nello stupido desiderio di vederla parlare. Non avevo mai fatto caso a come il suo viso assumesse un aspetto angelico, quando non era rovinato dalla maschera di rabbia e odio che sembravano ricoprirlo. Gettai quei rami davanti ai suoi piedi e usai una pietra per poter accendere il fuoco, ci provai un'infinità di volte prima di riuscirci e mi ferii ad una mano. Gemendo di dolore, osservai quella chiazza scura colorarsi sul mio palmo, divenendo sempre più grande, mentre una fiamma iniziò a danzare davanti ai miei occhi. Il suo calore sembrò bruciarmi la pelle fredda, mentre la luce allontanava sempre di più l'oscurità attorno a me.

Sangue.

Forse sarebbe riuscito a destare Klaus dal sonno in cui era caduto.

Camminai verso di lui, zoppicando per il forte dolore alla caviglia e mi inginocchiai di fronte alla sua figura immobile. Feci scorrere la mano davanti al suo volto, ma senza ottenere alcun risultato. Poi posai la mano sulle sue labbra, lasciando che il mio sangue le colorasse di nuovo di rosso ma lui rimase fermo.

Privo di vita. Freddo.

Perché non si risvegliava? Dentro di me iniziò di nuovo a crescere la disperazione, mi strinse il collo impedendomi di respirare e portò gocce di lacrime a salire agli occhi. Mi guardai attorno allora e studiai i riflessi di luce che si allungavano su quelle pareti scure: notai dei graffi su di esse, come se un animale dai possenti artigli si fosse accanito su di esse. Ce n'erano diversi che le fiamme mi permettevano di vedere, ne sfiorai una vicina alla testa di Klaus, ma non mi ci soffermai troppo a lungo perché il mio sguardo cadde di nuovo su di lui e tutti i miei pensieri riguardo quei segni si annullarono.

Un grido.

Forse quello poteva riportarlo indietro, forse l'unica cosa che non mi era concessa nella vita mi avrebbe permesso di farlo svegliare da quel terribile sonno che lo aveva allontanato dalla realtà. Trasformai la violenza che sarebbe risuonata nella mia voce attraverso uno schiaffo, lo colpii in pieno viso e sperando che i suoi occhi si spalancassero su di me, preparandomi anche alla rabbia che avrei potuto scatenare in lui.

Ma nulla, la sua testa si spostò da un lato e rimase immobile in quella posizione, com'era sempre stata.

Svegliati!

Mi ritrovai a gridare senza voce, a chiamare il suo nome e a sperare quasi che lui mi sentisse e tornasse. Ma non ottenni niente, Klaus rimase addormentato in quel mondo in cui era caduto e sperai non fosse quello della morte. Amareggiata, mi sedetti accanto a lui e fissai quella fiamme che bruciavano davanti a noi. Il crepitio dei rami bruciati sfidava il silenzio, il fuoco sfidava il calore e io sfidai le mie lacrime che bagnavano gli occhi, sfidai il mio corpo che tremava intensamente e sfidai il mio cuore, il cui battito risuonava nella mia mente.

Fuori il sole era ormai spento da un pezzo, riuscivo a scorgere la mezzaluna che illuminava l'oscurità e la cui luce pallida mi parve appartenere ad un sogno.

Mi stavo addormentando? No, dovevo resistere.

Battei più volte le palpebre, per sfuggire a Morfeo e restare in quella fredda realtà che mi circondava. Erano passate ore, lo capii dal fatto che le fiamme erano meno imponenti e la luna era più alta nel cielo e sembrava un sorriso rivolto verso di me, come per dirmi che sarebbe andato tutto bene.

Ma non era così. Katerina mi stava ancora aspettando e Klaus era ancora morto. Non ce la facevo proprio a togliermi quella parola dalla mente, ormai non riuscivo a definire in altro modo quel corpo freddo che era al mio fianco. Volsi la testa verso di lui, continuando a tremare e battendo i denti con forza.

Klaus aveva la testa rivolta verso di me, i suoi occhi ancora chiusi e le labbra semi aperte in un respiro che non accennava ad uscire.

Sembrava un angelo, solo in quella immobilità, quando il suo volto non lasciava trasparire tutto l'odio che aveva dentro me ne resi conto. Quel pomeriggio mi aveva detto che il mio viso era lo specchio dei miei sogni mentre dormivo, lui in quel momento che stava sognando?

Forse stava sognando il suo passato, magari quelle terre lontane in cui aveva vissuto quando era umano e in cui era solito camminare insieme ai suoi fratelli. Tirai su con il naso, quando scoppiai di nuovo in lacrime mentre fissavo Klaus.

Perché non si svegliava? Avevo bisogno di lui per ritornare e inoltre non volevo che morisse.

Ma cosa avevo in mano per poterlo riportare indietro? Avevo usato il fuoco, il sangue e la violenza: tutto quello che lui conosceva meglio, ma non era servito.

Cosa avrebbe potuto risvegliarlo allora?

Me.

Quella voce giunse nella mia testa, alleviò la disperazione e assopì improvvisamente tutti i miei pensieri. Forse avevo sbagliato a cercare di svegliare Klaus facendo leva sulla sua forza, forse dovevo puntare su una debolezza. Lui aveva paura di restare solo, se gli avessi fatto capire che non lo era, forse sarebbe tornato.

Allungai la mia mano priva di guanto verso la sua, era fredda e rigida ma intrecciai le mie dita tra le sue, in modo che lui potesse sentirmi vicina a lui.

Non sei solo Klaus, io ci sono.

Quindi torna, ti prego.

Chissà quanto tempo era ancora passato: lui era immobile, io lo ero con lui, ma tutto intorno a noi andava avanti. Solo noi eravamo fermi nel tempo, mentre tutto là fuori continuava a muoversi.

Perché non si svegliava?

Singhiozzai, sentendomi inabilitata a trattenerli troppo a lungo e posai la testa sulla spalla di lui. La colpì con delle piccole testate, sperando che lui mi sentisse.

Ma rimase congelato, non si mosse e non ascoltò le parole che volevo trasmettergli attraverso le nostre mani congiunte. Strinsi più forte la presa, perché avevo ancora l'insano desiderio che lui potesse sentirmi.

Ma non fu così, lentamente il sonno vinse sul mio corpo.

Klaus.

Era finita, ero rimasta sola e probabilmente sarei morta assiderata quella notte. I miei occhi si chiusero sulle mie ultime lacrime, le lasciarono scorrere lungo la mia pelle, mentre lentamente lasciavo la realtà e raggiungevo i miei sogni.

La mia mano però non abbandonò mai quella di Klaus.

* * * *

Luce.

Il sole brillava oltre quella grotta, illuminava il cielo bianco con la sua tenue luce e si rifletté nei miei occhi appena liberi dalle catene del sonno.

Sbattei più volte le palpebre, cercando di riprendere contatto con la realtà e di abituarmi a quella luminosità che faceva capolino dall'esterno. Mi parve di essere svuotata di qualsiasi ricordo, corrugai la fronte e mi stropicciai gli occhi, lasciandomi andare ad un lungo sbadiglio. Portai quella mano, quella che aveva accompagnato i sogni di qualcuno che era stato accanto a me per tutta la notte.

Velocemente, i ricordi di quella giornata passata tornarono e volsi lo sguardo verso il mio fianco.

Klaus non c'era.

Sobbalzai, guardai il vuoto che aveva preso il posto del suo corpo e sentii il respiro mancarmi. Forse si era svegliato, forse qualcuno aveva approfittato della mia condizione per portarlo via.

Cercai di alzarmi in piedi, ma la caviglia mi faceva ancora male e mi sentivo terribilmente indebolita dal freddo. Fui costretta così a restare immobile al mio posto.

Ogni mio muscolo era intorpidito e sembrava non voler rispondere ai comandi del mio cervello.

Dove sei, Klaus? “ pensai, guardandomi attorno disperata.

Era ora che ti svegliassi, dobbiamo tornare subito a casa.”

Alzai lo sguardo di scatto verso l'ingresso della grotta: Klaus era in piedi di fronte a me, oltre il mucchio di arbusti bruciati che si trovavano tra di noi.

Il suo viso aveva ripreso il solito colorito e dalle sue labbra mi parve di sentire uscire il respiro che quella notte lo aveva abbandonato. I suoi occhi erano fissi su di me, erano come al solito freddi ma non m'importava.

Lui era vivo.

Pensai un attimo che stessi sognando, probabilmente mi stavo immaginando tutto e da qualche parte, lui era ancora al mio fianco. Morto.

Mi si avvicinò e si chinò su di me, posando i gomiti sopra le sue ginocchia e guardandomi infastidito.

Sei sorda per caso? Non ho voglia di perdere tempo con te e...”

Si bloccò, quando compii quel gesto che sorprese sia me che lui.

Gli gettai le braccia al collo, gettandomi in avanti per poterlo raggiungere. Lo strinsi più forte che potei, affondando il viso nella sua spalla e lasciando che le lacrime gonfiassero i miei occhi. Le sentii scorrere lungo le mie guance e chiusi le palpebre per bloccare la loro caduta, ma invano.

Quelle scesero a bagnare la spalla di Klaus che restò immobile, stupito da quell'abbraccio inaspettato che gli avevo rivolto.

Era vivo.

Il suo corpo restò rigido, sentivo il suo respiro tra i capelli e compresi che mi stava guardando, magari con confusione.

Piantala Irina, non sono un cucciolo. Lasciami.” disse, posò le sue mani sopra le mia spalle e mi allontanò da sé, non usò troppa forza e si limitò solo a far sì che la mia schiena aderisse alla parete alle mie spalle. Lo guardai, sul suo viso vennero ritratte una miriade di emozioni e riconobbi la confusione, la sorpresa ma anche un profondo fastidio.

Non m'importava però, ero contenta che lui fosse tornato indietro e che fosse vivo.

Che pensavi che fossi morto? Tu sei proprio stupida, nessuna arma può ucciderci. Se il pugnale viene rimosso dal petto, noi torniamo a vivere. Elijah non te ne ha parlato per caso?” disse ancora, restando chinato davanti a me e guardando il pugnale che lo aveva colpito la sera prima, rimasto adagiato accanto a me insieme a quello che già possedevo.

Elijah me ne aveva parlato, ma io ero stata così presa dalla disperazione che me n'ero dimenticata.

Guardando Klaus mi parve provato: i suoi occhi erano quasi spenti e prendeva lunghi respiri, come se avesse bisogno di aria. O di sangue magari, la sua era la tipica espressione di una persona affamata e i vampiri per nutrimento potevano intendere solo quello di sangue.

Dobbiamo tornare, qualcuno potrebbe preoccuparsi per te.” disse, con tono affannato, ma appena provò ad alzarsi in piedi, si portò una mano al petto e si sedette pesantemente sul terreno sottostante. Mi chinai preoccupata verso di lui, sfiorandogli la spalla per chiedergli cosa avesse.

Mi guardò di nuovo sorpreso, continuò a prendere dei lunghi respiri e deglutì. “Ho solo troppa fame, ma nei dintorni non ho trovato nulla. Tu invece?” mi chiese poi.

Ci guardammo a lungo e in silenzio, la luce bianca del cielo retrostante sembrava circondare i suoi capelli e risaltarne il colore dorato. Ero ancora così abituata all'oscurità che fui costretta a sbattere più volte le palpebre, per riprendere contatto con quella debole luce.

Gli indicai la mia caviglia, che la sentivo dolorante sotto il tessuto della gonna e lui seguì il movimento dei miei occhi. Guardò i miei piedi, posati vicino alle ginocchia di lui e, delicatamente, passò le mani sopra gli scarponi. Sempre adagio mi tolse quello che conteneva la caviglia gonfia e le sue mani fredde circondarono la mia pelle.

Rabbrividii e gemetti di dolore, malgrado lui toccasse la mia pelle sempre con estrema delicatezza. Avvertivo delle piccole dolorose vibrazioni lungo la pelle, mentre la sua mano fredda scorreva sulla mia.

Improvvisamente la sua stretta si fece più forte e un ondata di dolore mi attraversò tutta la gamba, cercai di ritrarmi ma Klaus continuò a stringere la mia caviglia con forza.

Stai ferma, sto cercando di vedere quanto è grave!” mi ringhiò contro, infastidito dalla mia reazione impaurita.

Guardai i suoi occhi blu fissi nei miei e riconobbi gli intensi sintomi della fame. Quei pugnali dovevano farne venire davvero molta, perché le iridi di Klaus mi trasmisero tutto il disagio fisico che provava. Deglutii quando smettemmo di guardarci, era come se mi fossi aggrappata ai suoi occhi e un attimo mi ritrovai disorientata, ad osservare le sue mani che massaggiavano la mia caviglia quasi dolcemente.

Non avrei mai pensato di usare un termine simile nei suoi confronti.

Hai bisogno di sangue?

Allungai il braccio verso di lui e rivolsi l'interno del mio polso in modo che lui capisse il mio intento. Osservai lo sguardo di Klaus rivolgersi verso le vene bluastre che si vedevano sotto la mia pelle bianca. Seguii il movimento delle sue pupille, mentre scorrevano su quelle linee di sangue sotto la mia pelle. “Non mi nutrirò di te in queste condizioni. Non sono così infimo.” mi disse, serrando le labbra per resistere alla brama di afferrare quel polso e portarselo alle labbra come aveva fatto il giorno prima. Ma non demorsi, avvicinai di più il mio braccio a lui e lo obbligai con lo sguardo a prendere il mio sangue.

Klaus alzò il braccio e strinse il mio nella sua mano, le sue dita affusolate cinsero il polso con rudezza e storsi la bocca per il dolore che quel gesto mi provocò. Lo guardai osservare a lungo il mio arto, respirandovi sopra come la tentazione di morderlo fosse troppa.

Se dobbiamo proprio farlo, facciamolo per bene.” disse, la sua voce roca ruppe il silenzio di quella grotta.

Le sue parole riecheggiarono prima tra quelle pareti di pietra, per poi rimbombare nella mia testa prima che potessero assumere un senso. Stava cedendo alla bramosia del mio sangue, ma non avrei mai inteso che se lo sarebbe preso a modo suo.

Sussultai, quando lo vidi scattare verso di me, lasciò lentamente il mio polso e io tirai a me le ginocchia, in modo che non venissero avvolte dalle sue. Successe tutto così lentamente che sentivo il cuore martellarmi forte nel petto, mentre il respiro di Klaus si fondeva con il mio e i suoi occhi fissarono i miei con intensità. Il blu del suo sguardo si fece più scuro, delle piccole venature nere apparvero accanto alle fessure dei suoi occhi mentre li lasciava scorrere lungo il mio viso. Sussultai nuovamente quando lo vidi alzare la mano e posarla sul colletto del mio mantello, il flusso della paura prese velocemente a scorrere in me attraverso delle scariche, con cui il mio corpo parve incapace di muoversi e reagire. La zona sinistra del mio collo venne scoperta e il gelido della grotta la investì, facendovi scorrere sopra degli intensi brividi freddi. Klaus l'accarezzò con le dita fredde, le fece scorrere lungo di essa e sembrava disegnarvi delle linee di ghiaccio.

Continuai a restare immobile ma tremante, mentre con lo sguardo fissavo le labbra di Klaus che vennero sfiorate dai canini sporgenti. Piegò la testa da un lato, sentii il suo respiro spostarsi dalle mie labbra, poi sulla mia guancia e infine sopra il mio collo. Un'ondata di calore si schiantò contro la pelle fredda, fino a farsi sempre più vicina e forte. Poi le sue labbra sfiorarono la pelle delicatamente, l'accarezzarono a lungo e salirono a toccare il lobo del mio orecchio, provocandomi un ulteriore e nuova immobilità del corpo.

Si abbassarono poi nuovamente sul mio collo, adagiandosi sopra come se volessero baciarmi la pelle.

Ma un lieve pizzicore mi fece gemere di dolore.

I suoi denti perforarono lentamente la mia carne, le sue mani salirono alle mie spalle per placare il tremore che le muoveva e per rendermi più vicina a lui. Deglutii, gettando la testa all'indietro verso la parete alle mie spalle per non farmi prendere dal panico. Mi morsi le labbra il più forte possibile, mentre Klaus si nutriva di me.

Tutto si attenuò lentamente: paura, terrore, preoccupazione sembrarono fluire via insieme al mio sangue. Il cuore smise di battere all'impazzata e pensai che Klaus non riuscisse più a sentirlo, tanto era preso dalla sua fame. Fu in quel momento, quando mi parve di essere leggera e priva di pensieri che Klaus morse per un solo, lungo attimo con più forza la mia pelle.

Come se non volesse permettermi di scappare e come se volesse cibarsi di me fino all'ultima goccia. Mi strinse in una specie di abbraccio, sentii indistintamente le sue braccia scorrere lungo la mia schiena e avvolgermi in esse, tirandomi di più verso di loro.

Così mi uccidi.

Alzai lentamente un braccio e feci salire la mia mano ai suoi capelli, tirandoglieli debolmente e in modo che capisse che doveva fermarsi. E se non voleva farlo? Se ormai avesse deciso di bere il mio sangue fino all'ultima goccia? Tirai debolmente due ciuffi e poi affondai la mano tra essi. A quel punto Klaus si ritrasse, aveva il respiro affannato e il petto si abbassava e alzava rapidamente in preda a forti tremori. Continuò a cingermi i fianchi con le sue braccia e gettò la testa all'indietro, come se volesse riprendere il controllo di sé. Osservai il suo volto smarrita, i suoi occhi erano completamente neri e accanto ad essi quelle piccole venature scure sembravano essersi accentuate.

Le labbra erano spalancate, i canini macchiati di rosso vennero riflessi alla debole luce del sole e le sue labbra e il suo mento erano intrisi di denso color rosso.

Per un attimo dimenticai che si trattasse del mio sangue.

Lui abbassò di nuovo la testa, prendendo lunghi respiri e fissando i suoi occhi scuri su di me, chiuse un po' le labbra e allora studiai a lungo il rosso che le bagnava.

Volevo togliere quella macchia, pulirla via e ridonare a quelle labbra il loro colore naturale. Era uno spettacolo terribile per i miei occhi, non mi capacitavo di pensare che avessi preso parte anche io a quella scena. Posai le dita della mia mano destra sulle sua labbra, il suo respiro si arrestò di fronte al mio tocco e macchiai la mia pelle del mio stesso sangue, pur di non vederlo sulla bocca di Klaus.

Lui restò immobile, con lo sguardo basso sulle mie dita che scendevano a pulire sempre di più quel rosso.

Mi cinse il polso, impedendomi di continuare a scacciare il sangue che colorava la sua pelle. Il suo viso tornò lentamente alla sua forma normale e io ritornai in me, sentivo la pelle del collo bruciare intensamente e il freddo sembrò congelare l'interno della ferita che mi era stata appena procurata. Presi dei lunghi respiri, continuando a guardare Klaus e i suoi occhi su di me.

Andiamo, è ora di tornare.” annunciò, rompendo quell'assurdo silenzio che aveva preso parte alla nostra scena. Si pulì le labbra con il dorso della mano, ma si cibò del rivolo di sangue che era rimasto lungo il suo mento. Sembrava quasi che si fosse pentito di aver quasi perso il controllo, ma forse era solo una mia impressione.

A lui che doveva importare in fondo?

Sempre con la mente in confusione, mi sistemai il colletto del mantello e lui mi porse la mano, per aiutarmi ad alzarmi in piedi. Appena strinsi le dita della sua mano, la mia testa venne presa da un forte capogiro e per poco mi ritrovai a terra.

Era come se il mio corpo fosse sorretto da una piramide di carta, che si distruggeva facilmente di fronte al primo spiffero di vento.

Fu Klaus a sorreggermi, mi cinse i fianchi con entrambe le braccia e posai le mani sulle sue spalle per trovare un sostegno. Il freddo, la caviglia, il sangue erano tutti fattori avversi al mio equilibrio, la testa vorticava in mille colori e sensazioni in cui mi parve di non scorgere più me stessa. Stavo per perdere i sensi da un momento all'altro.

Chiusi gli occhi, sforzandomi di trovare in quella confusione qualcosa che mi permettesse di restare in piedi.

Klaus sospirò, il suo respiro soffiò tra i miei capelli e la sua presa restò ferma attorno ai miei fianchi. “Te l'avevo detto che bere il tuo sangue non era una buona idea.” disse, scuotendo la testa. “Ora sono costretto a fare una cosa che non voglio fare.”

Alzai lentamente lo sguardo su di lui e il suo sguardo non mi piacque.

* * * *

Lo sapevo. Sei piccola, ma non per questo leggera.”

La voce, quasi squillante in quel caso, di Klaus giunse ai miei pensieri.

Davanti ai miei occhi si susseguivano rapidamente la serie di alberi accanto a noi, dietro le loro cortecce riuscivo a scorgere il cielo bianco che emetteva dei leggeri bagliori di luce candida che andava poi a riflettersi sulla neve.

O forse erano diventati un tutt'uno?

Non lo capivo, non riuscivo più a riconoscere nulla di ciò che mi circondava.

Mi sembrava di sognare la realtà e che tutto intorno a me non fosse concreto. I passi di Klaus risuonavano nell'aria mentre affondavano nella neve sotto i suoi piedi, il suo respiro stranamente affaticato interrompeva a tratti il silenzio e ogni tanto le sue parole mi portavano fuori da quello strano stato di dormiveglia in cui ogni tanto cadevo.

Non ti addormentare, Iry.” Klaus scosse le mani che teneva sotto le mie ginocchia, mentre la mia testa aveva preso a ciondolare sopra la sua spalla sinistra. Avevo chiuso per un attimo le palpebre, in preda all'opprimente bisogno di dormire. Ma con quel gesto lui scacciò nuovamente tutto l'offuscamento causato dal sonno. “Non sei messa bene e io non ho voglia di sentirmi in colpa se schiatti in questo momento, sulla mia schiena poi.”

Mi venne da sorridere nonostante tutto, o magari nemmeno ero consapevole di farlo. Continuai a tenere le braccia strette attorno al suo collo e le gambe a penzoloni attorno ai suoi fianchi. Non dovevamo essere molto lontani da casa, era quasi un ora che camminavamo e Klaus non stava usando la sua velocità da vampiro per non farmi investire ancora di più dal freddo tagliente. Da come mi parlava, sembrava quasi che stessi per morire assiderata.

Hai una mano viola.” mi fece notare, parlava probabilmente con la chiara intenzione di tenermi le orecchie occupate, perché se sollecitate dal silenzio, mi avrebbero catapultato nel mondo dei sogni. “Perché non te ne sei semplicemente andata e non mi hai lasciato lì? Anche se mi credevi morto, cosa pensavi di fare?”

Abbassai leggermente le palpebre, la serie di alberi accanto a noi si arrestarono per un attimo. Ma non perché Klaus si fosse fermato, bensì perché si era aperto un grande spazio che lasciava affacciare sull'orizzonte bianco latte. I rumori dei nostri respiri, dei passi di Klaus e di quello strano brusio che sentivo nella mia testa continuarono a farmi compagnia.

Come potevo rispondere alla sua domanda? Tanto non avrebbe mai creduto che ero rimasta per non lasciarlo solo. Lui non pensava mai che qualcuno potesse fare solo del bene per lui. La sua presa sotto le mia ginocchia si fece per qualche istante più forte ma non servì a molto, avevo troppo sonno e sentivo le palpebre troppo pensanti per poterle sopportare. Rimasi in quello stato di dormiveglia per diversi minuti, mentre davanti a me il cielo bianco sembrava muoversi e gli alberi erano tornati a fare da contorno a quello spettacolo.

Irina? Se sei sveglia, muovi una mano.” La voce di Klaus era irreale, troppo lontana e onirica per poterla riconoscere, eppure la voce era la sua.

L'avrei riconosciuta tra milioni.

Mi sforzai di muovere la mano, ma qualcosa bloccava le mie dita e impediva loro di eseguire i comandi del mio cervello. Però un lieve movimento riuscii comunque a compierlo e Klaus ne sembrò sollevato.

Vuoi che parlo con te?” mi chiese poi.

Klaus che mi chiedeva di parlare mi fece sorridere, dovevo fargli davvero molta pietà in quel caso. Cinsi di più il suo collo, avvicinando le braccia alla sua pelle e sfiorando i suoi capelli.

Seguì un lungo attimo di silenzio, avvertivo il lieve rumore del suo respiro che aveva una strana musicalità, si fondeva con il suono del vento e sembrava prendervi parte.

Va bene...quel maledetto Daniel era uno stregone sicuramente. È riuscito ad immobilizzarmi con uno di quei suoi odiosi trucchetti magici, però è strano...e questo non ci fa capire per chi dei due lavora.” disse, rifiutandosi di pronunciare i nomi dei nostri due incubi. Mi ero dimenticata di avergli fatto capire di Daniel poco prima, quando con un gesto poco gentile mi aveva preso sulle spalle.

Gli darò la caccia per tutto il villaggio e gli staccherò la testa. Si pentirà di essere venuto al mondo.” disse poi, ma avrei voluto chiedergli di placare la sua ira.

Ma Katerina era salva.

Lui era salvo.

Daniel sarebbe stato un problema a cui avremmo pensato dopo. Aprii di nuovo le palpebre, i raggi solari si fecero un attimo più intensi e penetrarono il terreno innevato con la loro luce.

Durò però pochissimo, le nuvole soffocarono di nuovo quei raggi con la loro consistenza e chiusi di nuovo gli occhi, sentendomi abbandonare al potere di Morfeo o chiunque si fosse adagiato sul mio animo stanco.

Una voce lontana accompagnò l'oscurità in cui mi fiondai, tutte le mie forze, sia fisiche che mentali, si annullarono lentamente ma qualcosa mi spinse ad udire quella frase, forse appartenente ad un sogno.

Grazie.”

* * * *

Calore.

Ne ero pervasa.

Aprii lentamente gli occhi e scorsi subito la fiamma che crepitava nel camino di fronte a me, riconobbi anche il bordo del mio letto e una mano che giaceva adagiata sotto la mia. Malgrado fossi intontita nell'essere stata appena abbandonata dal sonno, la riconobbi subito. Lasciai le mie dita sulle sue e ne sfiorai il dorso, quasi con paura che la potessi rompere.

Ti sei svegliata.”

Una presenza alle mie spalle ruppe il silenzio, il suo respiro penetrò tra i miei capelli e mi sentii improvvisamente bene.

La sua voce riportò tutto al suo aspetto reale: la mia camera, il camino, il mio letto e sopratutto il mio corpo riacquistarono di nuovo la loro concretezza.

Volsi la testa verso un punto dietro di me: Elijah era disteso al mio fianco, con un braccio che scorreva sopra il mio fianco e l'altro che teneva stretto al suo petto. Io ero coperta, lui no: era come se fosse stato pronto a lasciare il mio letto da un momento all'altro, eppure non avesse avuto alcuna intenzione di farlo.

Arrossii violentemente in volto, malgrado i pensieri riguardanti la giornata precedente tornarono in me. Lui rimase lì al mio fianco, si mise a sedere e mi sfiorò la guancia con dolcezza, usando la mano che aveva lasciato accanto al mio corpo.

Sì, tranquilla. È tutto finito.” mi tranquillizzò.

Guardai i suoi occhi neri a lungo e mi lasciai immergere in essi, come facevo sempre.

La sua mano scese poi, raggiungendo il mio collo e sfiorandovi una parte che ancora bruciava: il morso di Klaus, lui lo aveva visto.

Mi aspettai che dicesse qualcosa al riguardo, ma così non fu. Mi guardò in silenzio e aspettandosi magari che dicessi o facessi io qualcosa.

Katerina.

Mi rizzai velocemente a sedere ma il mio corpo venne attraversato da mille dolori. Il gonfiore della caviglia si scontrò con la morbidezza del mio materasso come se fosse fatto di pietra e di fronte a quel bruciore, mi lasciai andare ad un gemito.

Irina, stai ferma. Non ti sei ancora ripresa da...”

Katerina?

Elijah si interruppe quando mi vide muovere le labbra in quel nome, studiò la mia espressione preoccupata e sospirò. “Lei sta bene, sembra però che non ricordi nulla di quello che è successo. È stata addormentata per tutto il tempo e ora sta riposando.” mi spiegò.

A quelle parole, tirai un sospirò di sollievo ma non mi bastò comunque a tenermi ferma. Scesi dal letto velocemente e provai a dirigermi verso la porta, un solo passo zoppicante e le lacrime mi salirono agli occhi.

Dove pensi di andare? Irina, devi restare a letto. Sei ancora ferita!” Elijah apparì velocemente di fronte a me, mi posò le mani sulle spalle e mi guardò con aria preoccupata.

Ma io dovevo andare da Katerina, l'avevo abbandonata per troppo tempo e volevo che sapesse che da allora in poi non l'avrei più lasciata sola. Elijah guardò la mia ostinazione, mentre cercavo di superarlo per avvicinarmi alla porta.

Ma ero così debole che non ce la feci nemmeno a provare a respingerlo. Caddi così contro il suo petto e lui mi sorresse per i fianchi, in modo che non raggiungessi il pavimento. Sentii il suo respiro tra i capelli e le sue mani forti che continuavano a farmi da sostegno, mentre la debolezza prendeva possesso di me. “Vuoi andare da tua sorella? Ti ci porto io allora.” sussurrò e mi prese tra le braccia per condurmi alla sua stanza.

Attraversammo il corridoio, restai abbandonata tra le sue braccia.

Venni pervasa dal loro calore, fino a quando Elijah aprì la porta della camera di Katerina.

E la vidi.

Lei dormiva tranquillamente nel suo letto, i boccoli scuri erano sparsi sul cuscino candido e ne stringeva un altro tra le braccia, mentre il suo viso sembrava rilassato mentre la sua mente viaggiava verso i sogni che la stavano accompagnando nel sonno. Elijah mi lasciò andare a terra, quando gli feci segno che potevo farcela da sola. Mi mossi così verso il letto e mi accoccolai accanto a lei, le cinsi i fianchi con un braccio. Lanciai poi un'occhiata verso Elijah che restò sulla soglia della porta, sorridendomi dolcemente. Gli feci segno di restare, non volevo che se ne andasse.

Non voglio rovinare questo momento, Irina.” mi disse, ma era turbato per qualcosa.

Qualcosa molto simile a quei due puntini rossi sul mio collo. Lo guardai sorridermi e chiudersi la porta alle spalle.

Lei continuava a dormire beatamente, sentivo il suo respiro soffiare lento vicino a me e il suo petto alzarsi e abbassarsi sotto le coperte.

Era viva.

Mi sentii quasi in colpa nell'aver pensato per un solo istante che fosse morta. Mi strinsi a lei e affondai il viso tra i suoi capelli, mentre sentivo le lacrime salirmi agli occhi.

Un po' per felicità. Un po' per senso di colpa. Un po' perché volevo piangere.

Non l'avrei più abbandonata.

Avrei protetto lei e tutti coloro che amavo a qualsiasi costo, quella mia consapevolezza mi rendeva stranamente forte e pronta a qualsiasi cosa pur di riuscire a proteggerli. Tirai su con il naso e scacciai le lacrime, restando comunque accanto a lei.

Ti proteggerò io Katerina. Sempre.

E lentamente, mi abbandonai al sonno e al mio bisogno di riposare. Ora che lei era al mio fianco, potevo davvero farlo.


Ok, il capitolo è chilometrico come al solito. scusate!

Spero che vi sia piaciuto!

Riguardo questo capitolo, volevo scusarmi per aver apportato qualche modifica a quei famosi pugnali che “uccidono” gli Originali. So che non avrebbero effetto su Klaus, data la sua natura in parte da licantropo, ma in questa storia ho deciso di fare finta che il pugnale avesse effetto lo stesso, almeno solo ora che il suo lato da lupo mannaro è ancora assopito. Sinceramente non ricordo se questa immunità dai poteri del pugnale valesse anche prima del rituale, ma spero che comunque abbiate apprezzato questo piccolo cambiamento che ho fatto a fin di trama.

Mi rendo anche conto che ciò che si nasconde dietro il rapimento di Katerina è un po' confuso ora, ma nel prossimo capitolo verranno spiegate molte cose al riguardo. Scusate come al solito se sono lentissima in tutto!

Volevo concludere dedicando questo capitolo a tutte le meravigliose persone che leggono questa storia, sia chi recensisce, che i lettori silenziosi di cui mi piacerebbe sentire la voce, per sapere se continuano ad apprezzare la storia!

Ringrazio anche infinitamente chi ha inserito questa storia tra le seguite, preferite e ricordate!

La smetto di assillarvi ora!

Alla prossima, ciao a tutti! ^^

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Capitolo 20
*** Hurt ***


-Hurt-

What have I become
My sweetest friend
Everyone I know goes away
In the end
And you could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt

(Nine Inch Nails-Hurt)

Più la guardavo, più non la riconoscevo.

La trovavo spesso a fissare il vuoto, come in quel momento. I suoi occhi neri stavano attraversando i bianchi orizzonti che si stagliavano fuori dalla finestra della mia camera.

Si stringeva le ginocchia al petto, mentre restava seduta sul davanzale, e sembrava non aver avvertito la mia presenza, malgrado stessi in camera con lei da diversi minuti.

Il fatto che non ricordasse nulla dell'accaduto mi preoccupava: poteva aver perso i sensi per tutto il tempo in cui era stata rapita, ma poteva anche essere stata soggiogata a dimenticare. Erano tante le opzioni in ballo e non riuscivo a capire quale fosse.

Quando la tua caviglia sarà guarita, dovremmo andare nella foresta come facevamo da piccole.” La sua voce, così irreale per poterla riconoscere, ruppe il silenzio della nostra camera. La guardai confusa, restando in piedi accanto al letto e ricordando con una strana malinconia i momenti della nostra infanzia. Gli unici momenti felici che ricordavo erano quelli con lei e la mamma. “Ci sono fiori che crescono anche di inverno, potremmo trovarne qualcuno che ne dici?”

Si voltò verso di me, rivolgendomi un timido sorriso che mi congelò il cuore.

Non capii perché mi fece quell'effetto, provai una strana sensazione di freddo dentro che mi fece rabbrividire.

Stai bene?” le chiesi.

Lei mi guardò confusa. “Quante volte me lo hai chiesto in questi giorni? Sì, sto benissimo. Non preoccuparti.” rispose divertita e tornò a guardare fuori dalla finestra.

Rimasi a guardarla poco convinta, perché nei suoi occhi mi pareva di scorgere il contrario?

* * * *

Avevo bisogno di parlare con Elijah, non solo perché volevo chiedergli di Katerina ma anche perché mi era sembrato parecchio distante e freddo in quei giorni con me. Il motivo per cui si comportasse così con me mi era abbastanza chiaro, ma non lo comprendevo.

Quella mattina non lo trovai, probabilmente era da Diana oppure alla ricerca di Daniel che sembrava bello che scomparso: casa sua era vuota, come se avesse deciso di scappare via il più lontano possibile. Lo avrei fatto anche io, sapendo che Klaus aveva minacciato di strappargli letteralmente viscere e altri parti del corpo che nemmeno sapevo esistessero.

Zoppicando lungo il corridoio, mi fermai proprio di fronte alla porta della sua camera.

Non avevo modo di parlare nemmeno con lui in quei giorni, tanto era stato preso dagli affaracci suoi, ma doveva pur arrivare il momento in cui avremmo parlato di quello che era successo.

Mi fermai di fronte alla porta e presi un lungo respiro.

Bastava bussare, eppure non ci riuscivo.

Alzai il pugno e lo avvicinai alla superficie in legno, ma non osai muoverlo contro la porta. Non riuscivo a comprendere il perché di quel mio blocco, avevo quasi paura che quei brevi attimi in cui eravamo stati uniti nello sfidare il mondo intero fossero solo una breve parentesi che non si sarebbe mai ripetuta. Probabilmente, Klaus avrebbe ripreso a comportarsi come prima facendo finta di nulla e non me ne sarei stupita.

Perché mi ostinavo sempre a pretendere un cambiamento?

Decisi di lasciar perdere e di trovarmi qualcosa da fare insieme a Katerina e Rebekah, già stavo pregustando una bella passeggiata con loro tra le bancarelle del villaggio.

Entra pure, Iry.”

Appena feci per voltarmi e tornare nella mia stanza, udii la voce di Klaus chiamare il mio nome. Proveniva da un punto oltre quella porta, anche se le sue parole mi parvero troppo lontane per provenire dalla camera. Trattenni il fiato, chiedendomi come avesse fatto ad avvertire la mia presenza oltre quella porta. Spesso dimenticavo che era un vampiro.

Solo tu hai questo fastidioso odore primaverile in pieno inverno, ti riconoscerei tra milioni.” continuò a dire la voce di Klaus, parlava con tono così alto che non riuscii a cogliere l'emozione che si nascondeva in essa. “Andiamo, entra. Dobbiamo parlare.”

Presi un lungo respiro e posai la mano sul pomello della porta, entrando lentamente nella stanza di Klaus. Definirla una stanza principesca era ben poco: le finestre erano il doppio più ampie delle mie e affacciavano su un punto aperto della foresta dove il cielo era ben più visibile. Il letto era a due ante, ricoperto con lenzuola di seta bianca e decorazioni dorate. Accanto ad esso vi era un comodino per lato, sulle superficie di entrambi vi erano posati del fogli ingialliti che mi soffermai ad osservare a lungo.

Alle pareti erano affissi diversi dipinti, alcuni mi parvero esser nati dalla mano di Klaus mentre in altri non riconobbi lo stile che avevo associato a lui.

Un'ampia libreria pendeva sulla parete alla mia sinistra ed era ricolma di libri e oggetti di valore che sembravano molto fragili e preziosi, era meglio quindi che stessero lontani dalla mia portata.

Sotto i miei piedi si estendeva un grande tappeto persiano color rosso ed oro, che rendeva quella stanza ancora più lussuosa di quanto fosse.

Sono qui.” La voce di Klaus ruppe il silenzio facendomi sobbalzare.

Volsi lo sguardo verso il punto da cui proveniva, una porta socchiusa sulla parete sinistra da cui filtrava una debole luce bianca. Mi avvicinai lentamente e con titubanza, cercando di capire se Klaus aveva in mente di fare qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. Dall'interno mi parve di sentire il rumore dell'acqua che scrosciava ma non ne ero certa, forse mi stavo solo facendo troppi problemi come al solito.

Armata di tutto il coraggio possibile, entrai in quella stanza.

Tutti gli scherzi che Klaus mi aveva giocato, erano nulla in confronto a quello a cui mi aveva sottoposto quel giorno: lo trovai beatamente seduto in una vasca, con le braccia allungate verso i bordi e un sorriso beffardo rivolto verso un punto davanti a sé. I capelli biondi erano bagnati e tirati all'indietro, la luce che brillava dalla finestre sulla parete accanto alla vasca mettevano in risalto la pelle diafana del suo petto.

Non osai guardare di più, poiché mi voltai rapidamente dall'altra parte, con la mano sulle labbra e gli occhi sbarrati per quanto ero sconvolta. Fortunatamente non mi ero avvicinata molto, altrimenti avrei visto anche altro.

Klaus rise di me, la sua risata cristallina risuonò tra le pareti della stanza e giocò con il rumore dell'acqua che veniva mossa da un lato e dall'altro della vasca. “Come siamo timide, Petrova.” disse poi, divertito come non mai.

Una vampata di calore mi salì al volto, si espanse lungo le mie guance e raggiunse poi la mia testa che sembrò andare a fuoco. Non potevo credere che mi fossi fatta prendere in giro in quel modo come una stupida.

È stato un colpo di fortuna che tu sia passata, little sweetheart.” disse ancora lui. “Mi passi per piacere il panno accanto a te?”

Stavo per mandarlo a farsi benedire, guardai l'ampio panno bianco che se ne stava adagiato sullo schienale di una sedia in legno. Lo presi con una mano, mentre con l'altra mi coprii gli occhi e iniziai ad arretrare verso di lui per porgerglielo e scappare via il più lontano possibile. Tesi il braccio verso di lui, Klaus mi stava sicuramente fissando intensamente e mi parve di udire il suono del suo ghigno silenzioso che mi scherniva.

Molto gentile.” disse poi, sempre con quella punta di provocazione nella voce.

Un movimento del tessuto che tenevo in mano mi fece capire che Klaus lo stava sfiorando, ma non accennava a prenderlo. Quel piccolo movimento si arrestò ancor prima che potessi capire cosa stava elaborando la mente malata di Klaus e sentii una mano stringermi il polso e tirarmi con forza verso il basso.

Caddi dentro la vasca con un tonfo, tutto il mio corpo venne circondato dall'acqua e prima che potessi accorgermene, Klaus mi strinse entrambi i polsi per impedirmi di muovermi.

Cosa che non volevo affatto fare vista la mia imbarazzante condizione, se avessi compiuto anche un solo movimento ero certa che avrei visto qualcosa che non dovevo vedere. Tenni gli occhi fissi in quelli di Klaus, mentre mi accoccolavo sempre più su me stessa. Un lato della gonna fluttuava nell'acqua, coprendo così parte del corpo di Klaus.

Lui mi sorrideva, mentre il mio viso si faceva sempre più rosso per l'imbarazzo.

Come non avevo messo in conto che quello scherzetto sarebbe finito pure peggio?

Sei troppo divertente quando fai quella faccia, Irina.” mi prese in giro, continuando a stringermi i polsi per impedirmi di sgattaiolare fuori da quella vasca e correre via, cosa che dovevo fare molto prima di quell'episodio.

Che cosa vuoi?

Dobbiamo parlare.” Klaus rispose alla mia domanda silenziosa, il suo ghigno si spense per un attimo e lasciò posto ad un sorrisetto più trattenuto, mentre i suoi occhi restavano fissi sul mio viso.

Non mi sembra il momento adatto.

La verità deve sempre essere limpida e trasparente. Nuda, Irina.” mi rispose lui. “E poi smettila di scandalizzarti, è solo un gioco.”

Trattenni il respiro quando lui mi tirò di più verso di sé, il suo fiato soffiò sulla punta del mio naso mentre le sue mani salivano al mio viso e lo circondavano con esse. Colsi l'occasione per provare a scappare, ma lui me lo impedì.

Io ti ho fatto solo del male, ti ho sempre e solo abbandonata. Non ho fatto nulla per meritarmi il tuo comportamento dell'altro giorno...e sinceramente nemmeno mi interessa meritarlo.” mi interruppe lui, uccidendo ogni mio tentativo di fuga. “Quindi rispondi alla domanda che hai lasciato in sospeso l'altra volta...perché sei rimasta con me?”

Lo guardai sconcertata, i nostri sguardi continuarono a rimanere fissi l'uno nell'altra mentre il rumore dell'acqua che si muoveva attorno a noi rompeva il silenzio.

Come poteva pretendere che in quel momento avessi la testa di rispondergli? Ero completamente zuppa dalla testa ai piedi per colpa sua e stavo cercando di non pensare al fatto che lui fosse nudo. Continuavo a tenere gli occhi fissi sul suo viso, mentre le sue mani continuavano a stringere il mio. Stava attendendo una risposta, mentre sulle sue labbra si allargava un ghigno divertito che però mi parve alquanto forzato.

Ero rimasta perché non volevo abbandonarlo, era così difficile da comprendere?

Non ti comprendo. Possibile che tu non sappia odiare?”

Klaus scosse la testa incredulo e mi ritrovai nella condizione in cui era lui a non capirmi. Eppure non ero così complicata, ai suoi occhi dovevo essere un libro aperto visto che aveva vissuto ben cinquecento anni di umanità. Doveva aver imparato a conoscere noi comuni mortali, ma poi pensai che Klaus l'umanità l'aveva conosciuta nel peggiore dei modi quando era vivo e l'aveva denigrata fino a rifiutare di conoscerla davvero quando era poi morto. Non aveva mai conosciuto, quindi, la vera umanità.

Io ti ho fatto tutto il male possibile, eppure tu hai combattuto per me lo stesso. È un atteggiamento stupido, non ti pare?” mi chiese ancora, sembrava quasi che volesse affermassi la mia innata stupidità. Forse perché gli conveniva, se accettava che fossi rimasta al suo fianco perché lo volevo, probabilmente un po' di gratitudine nei miei confronti l'avrebbe provata. O mi sbagliavo?

Le sue mani mi accarezzarono i capelli, scesero dolcemente sopra di loro e li bagnarono in modo che si attaccassero al mio viso. Brividi intesi mi corsero lungo la schiena e mi ritrovai a chiudere gli occhi, contando nella mia testa fino ad un numero che mi avrebbe dato il coraggio necessario per alzarmi e correre via. Ma lui mi immobilizzava.

E mi hai offerto il tuo sangue senza problemi...” disse ancora, mi fece scivolare un po' più verso di lui e il calore mi salì alle gote con estrema rapidità, le sue dita fredde sfiorarono i due puntini rossi che erano rimasti sulla mia pelle e rabbrividì di nuovo.

Provai a tirarmi indietro, ma Klaus volle a tutti i costi continuare quel giochino perverso che aveva messo in atto. Aprii di nuovo gli occhi, mi stava sorridendo in una maniera talmente provocatoria che mi trattenni a fatica per non dargli uno schiaffo.

Non è che ti sei innamorata di me, piccoletta?”

Inarcai le sopracciglia incredula di fronte a quel quesito, avvampai ancora di più e sul mio viso parve scoppiare un incendio. Klaus era il solito idiota, non avrebbe mai smesso di giocare con me, nemmeno dopo quello che era accaduto giorni prima.

Non mi stupirei, la linea che divide odio e amore è più sottile di quanto pensi. Un attimo prima vorresti strapparmi il cuore, quello dopo vorresti donarmi il tuo...”

Provai a divincolarmi e a liberarmi dalla sua presa ma lui mi trattenne, avvicinò di più il viso al mio in modo che il suo sguardo si incatenasse ai miei occhi e li rendessero prigionieri di quella gabbia invisibile che rinchiudeva i nostri pensieri, facendoli scontrare nel silenzio.

Perché allora, Irina? Rispondi.” disse ancora, abbassando la voce sempre di più in modo che le sue parole mi rimbombassero nella testa e mi immobilizzassero sempre più.

Deglutii rumorosamente, il groppo che avevo in gola scomparve e calò un innaturale silenzio rotto unicamente dallo scrosciare dell'acqua. L'unica arma che avevo per tirarmi fuori da quella imbarazzante situazione era dire la verità.

Non volevo lasciarti solo.

Gesticolai quel poco che mi era consentito e lui seguì i movimenti delle mie mani. Ne tradusse il significato solo pochi istanti dopo, quando delle rughe apparvero sulla sua fronte, segno che stava riflettendo sul loro significato.

Non ci credeva, per lui era davvero troppo irreale che si nascondesse una cosa così semplice dietro il mio comportamento. “Non ti credo.” mi disse, scuotendo la testa per un istante e serrando la mascella.

Non mi andava più di discutere con lui in quella situazione e decisi di tirarmene fuori anche se lui sembrava volermelo impedire.

Appena compii un movimento per alzarmi in piedi, lui mi tirò di più a sé: tirai un po' la testa all'indietro quando il suo petto nudo entro in contatto con il mio. Avvertii il suo respiro sopra il mio mento, mentre lui rideva dell'imprecazione che, spontaneamente, uscì silenziosa dalle mie labbra.

Lo sai che quando beviamo il sangue possiamo sentire il vostro battito cardiaco?” mi domandò, tenni lo sguardo basso sui suoi e in quel momento il mio cuore iniziò a battere troppo forte affinché il suo udito non lo percepisse. Infatti lo vidi sorridere di più, divertito da quella reazione che io non potevo placare. “Tutte le volte che mi sono nutrito di una fanciulla, il suo cuore batteva all'impazzata...non mi piace ammaliare le mie vittime per tenerle ferme, sai?”

Non volevo sapere i dettagli macabri delle sue uccisioni, volevo solo uscire da quella vasca e non sentire più le sue mani umide sul mio viso. “Vuoi sapere come batteva il tuo cuore?” Klaus mi trattenne il viso con più forza, quando mi dibattei di nuovo per liberarmene.

No.” dissi, scuotendo la testa ripetutamente.

Ha battuto all'impazzata solo all'inizio...poi si è abbandonato a me. Strano non trovi?” mi rispose lui, ignorando la risposta che avevo usato di fronte alla sua domanda.

Lo guardai confusa, chiedendomi dove volesse arrivare con quei soliti giochi di parole a cui mi sottoponeva sempre. Il nostro gioco di sguardi andò avanti per altri secondi: lui si aspettava una risposta, io una spiegazione. Non saremmo giunti da nessuna parte.

Lentamente mi fece scivolare ancora più vicino a lui, le mie mani si posarono sulla sue spalle rigide e fredde e le ginocchia nascoste sotto il tessuto del mio vestito sfiorarono il suo gomito. Trattenni il respiro imbarazzata, non volevo che finisse a schiantarsi con il suo. Le sue mani tornarono sui miei capelli, le dita sfiorarono la zona dietro le orecchie con delicatezza. Le mosse sopra la pelle, piccole goccioline scivolarono tra i miei capelli e mi sentii di nuovo paralizzare per la vergogna.

Quando si accostò di più a me, ne approfittai per liberarmi: lo colpii con uno schiaffo e balzai fuori dalla vasca. Per colpa della caviglia malandata, inciampai sul bordo di essa e caddi distesa a terra. Klaus se la rideva alle mie spalle, mentre mi rimettevo malamente in piedi e tremavo per il freddo che passava attraverso i miei vestiti. Ero completamente zuppa, i capelli non erano più raccolti ma sciolti sulle spalle su cui ricadevano pesantemente. Mi tolsi il fermaglio a forma di farfalla, ignorando quelle odiose risate alle mie spalle.

E andiamo...stavo solo giocando un po'. Quando imparerai a divertirti un po' pure tu?”

Avrei tanto voluto voltarmi e lasciargli un'occhiataccia, ma la paura di un altro scherzetto ben peggiore di quello di prima mi bloccò.

Idiota.

Balzai in piedi ignorando il dolore e scappai fuori dal bagno il più veloce possibile che potei.

* * * *

Me la chiusi alle spalle con rabbia.

Ma perché doveva sempre fare così? Se non mi metteva in imbarazzo o se non mi provocava come solo lui sapeva fare, la sua giornata probabilmente avrebbe perso senso.

Gocciolando sul pavimento in legno e con le braccia strette al petto, camminai lentamente verso la porta quando qualcosa sul comodino accanto al letto attirò la mia attenzione: un foglio ingiallito che avevo notato subito appena entrata, ma a cui non mi ero avvicinata.

Se la curiosità era un demone, io ne ero davvero posseduta.

Mi avvicinai ad esso lentamente e con le mani umide lo presi tra le mani: rappresentava due mani, calcate con il colore grigio di una matita che ne metteva in risalto i tratti. Cinque dita sottili stringevano altre cinque dita più lunghe e grandi, in una specie di candido abbraccio che sembrava voler sconfiggere la solitudine.

Allora lo sapeva che ero rimasta con lui perché non volevo abbandonarlo?

Possibile che devi sempre essere così impicciona?” Klaus apparve alle mie spalle, mi strappò il foglio di mano allungando il braccio accanto a me.

Mi voltai per guardarlo interrogativa, ma mi portai prontamente una mano agli occhi quando scorsi la pelle bianca del suo petto nudo di fronte a me. Fortunatamente aveva almeno avuto la decenza di indossare un lungo panno bianco che lo coprisse dalla vita in giù.

Restando nell'oscurità sentii il rumore del foglio che veniva appallottolato, un lievissimo suono mi fece comprendere che era anche stato gettato a terra.

Poi un sospiro, di qualcuno che davvero non ne poteva più di me. “Smetti di fare la bambina.” Klaus allungò la mano verso quella che tenevo sugli occhi, la staccò da essi ma io con ostinazione ce la riportai. Lui però voleva avere la vittoria in pugno, così scostò nuovamente la mia mano e la strinse nella sua, in modo che non potesse più fare ritorno sopra i miei occhi.

Ma non l'ebbe vinta: tenni le palpebre serrate più forte che potei in modo da non guardarlo, anche se non era più completamente nudo.

Sempre perdendomi nel buio che i miei occhi vedevano, sentii un movimento di fronte a me e un caldo respiro soffiarmi sulla fronte. Sentivo anche un'altra forza, quella che gli occhi di Klaus stavano esercitando sul mio viso in quel momento. La sua mano stringeva ancora la mia. “Sei venuta qui per dirmi qualcosa, vero?” mi chiese la sua voce, maledettamente vicina ai miei occhi. Come se volesse spingerli ad aprirsi.

Annuii lentamente, facendo un passo indietro ma non troppo, visto che lui me lo impediva. Deglutii di nuovo troppo rumorosamente, il cuore batteva all'impazzata per l'imbarazzo e il viso bruciò di nuovo come se fosse in fiamme. Klaus continuava a soffiarci sopra, non capivo se per attenuare o accrescere l'incendio sulla mia pelle.

Grazie.” dissi.

Seguì un lungo attimo di silenzio, il respiro di Klaus smise di scontrarsi con il mio viso e il suo corpo parve farsi un po' più lontano da me. “Mi stai ringraziando?” mi domandò, le sue dita attorno al mio polso strinsero con più vigore, ma senza farmi male.

Scossi la testa. “Tu mi hai ringraziata?” chiesi, muovendo le labbra e l'altra mano per compiere qualche segno significativo, che potesse fargli comprendere.

Calò il silenzio, più profondo e intenso di quello che lo aveva anticipato.

Il mio respiro non divenne l'unico ad essere trattenuto, la presa sul mio polso si allentò lentamente e la mia mano cadde affianco alla mia gamba. In quel momento, mi ritrovai costretta a vedere: aprii gli occhi, ignorando le gocce d'acqua che bagnavano la sua pelle chiara, quelle che cadevano dai suoi folti capelli biondi per scendere lungo il suo viso e quelle che continuavano a cadere come pioggia lungo il suo petto. Mi soffermai a lungo a guardare i tratti del suo volto: era rigido, come se quella mia domanda lo avesse in qualche modo sorpreso. “Quella parola non mi appartiene.” rispose, in un filo di voce per non profanare il silenzio che faceva spettatore alla nostra strana conversazione. “Eri mezza moribonda, di sicuro te lo sei immaginata.”

Era una bugia.

Anche se quella parola, quella voce mi era parsa così irreale che sembrava appartenere ad un sogno ero certa che lui l'avesse pronunciata. Perché non lo ammetteva e basta? Gli pesava tanto ammettere di non essere solo il cattivo della situazione?

Ci guardammo a lungo, come al solito ci aspettavamo altre reazioni l'uno dall'altra: lui voleva che desistessi e io volevo che lui ammettesse di avermi ringraziata.

Sussultai quando lui fece un passo verso di me, in quel momento tutta la situazione parve riacquistare il suo aspetto imbarazzante, mentre il suo petto si faceva vicino al mio. Prese qualcosa da sopra il letto accanto a noi e mi avvolse le spalle in un panno scuro che per un solo attimo placò i tremori che mi stavano scuotendo da un paio di minuti.

Invece che fare queste domande sciocche, cerca di non farti prendere dal raffreddore.”

Le sue labbra si allargarono in un sorrisetto di divertito, mentre stringevo i lembi del panno per ripararmi ancora di più. I capelli continuarono a fare scendere delle gocce fredde lungo il mio viso, che scorsero su di esso come lacrime di ghiaccio.

Un altro movimento di Klaus mi fece sussultare, la sua mano accorse a scostare un ciuffo che ricadeva sopra il mio occhio sinistro. Chiusi gli occhi, mentre le sue dita lo portavano dietro il mio orecchio. Nel movimento di ritrarle, Klaus sfiorò la mia guancia delicatamente per poi riportarla a sé. “Sembri un pulcino bagnato, ragazzina.”

Aprii gli occhi per freddarlo con un'occhiataccia, la lucentezza dei suoi capelli biondi venne messa in risalto dalla luce pallida che penetrava dalla finestra accanto a noi.

Era ora che me ne andassi, ero stata ai giochetti di Klaus anche troppo a lungo e non vedevo l'ora di spegnere quella fiamma calda che bruciava sul mio viso.

Mi avvicinai alla porta lentamente, ma quella si aprii da sola: rimasi paralizzata, quando vidi la figura di Elijah apparire sulla soglia, la sua espressione era fredda ancor prima che i suoi occhi vedessero la mia figura bagnata e quella di Klaus a petto nudo.

Se la freddezza della rabbia la si poteva ritrarre, lui poteva essere il soggetto perfetto.

Lascia perdere, Elijah. Io e la piccola Petrova ci siamo fatti un bagnetto insieme.” gli disse Klaus, con fare beffardo. Non mi voltai verso di lui, solo perché la sua espressione mi avrebbe di certo fatto innervosire solo di più.

Elijah lo guardò con rabbia, come una fiamma imprigionata tra pareti di ghiaccio che, prima o poi, si sarebbero sciolte. “Vatti a cambiare, Irina.” la sua voce era dura, come un prezioso diamante che nessun'arma poteva scalfire.

Provai a replicare, ma lui mi blocco con rabbia. “Subito.” mi ordinò, paralizzandomi con quella semplice parola. Deglutii quasi spaventata e lentamente lasciai la stanza, la porta venne chiusa alle mie spalle e io rimasi immobile di fronte ad essa per qualche secondo.

Era la prima volta che vedevo una freddezza simile negli occhi di Elijah.

E, come ogni prima volta, mi ritrovai ad aver paura di affrontarla.

* * * *

Lo raggiunsi subito in salotto, dopo essermi cambiata velocemente d'abito ed essermi sistemata i capelli in una coda e lasciandoli umidi come Klaus si era divertito a renderli.

Elijah stava sistemando diversi fogli sulla scrivania e riponendo altri libri negli appositi scaffali della libreria.

Malgrado fosse sempre elegante, riconobbi del nervosismo nei suoi movimenti: era chiaro che fosse irritato e non era nemmeno difficile capire il perché.

Lui si voltò verso di me, aveva già avvertito la mia presenza ma fece lo stesso finta di nulla, mentre io restavo immobile sulla soglia della porta del salotto e lo guardavo preoccupata.

Devo andare da Diana, aveva detto di avere delle notizie importanti e non vorrei farla attendere troppo.” disse, dopo aver messo a posto altri volumi.

Sembrava più che stesse parlando a sé stesso, come se io fossi parte delle pareti.

Non sopportavo quel suo comportamento di quel momento, mi dava sui nervi.

Lo guardai passarmi accanto, ma lo raggiunsi prontamente e con la velocità che la caviglia gonfia riusciva a concedermi. Mi parai di fronte a lui, gli posai le mani sulle spalle e lo implorai di fermarsi e spiegarmi.

Elijah era freddo, i suoi occhi scuri erano fissi su di me ma sembravano non vedermi. Non avevo mai fatto caso a quanto fossero davvero intensi di fronte a qualsiasi sentimento egli provava. In quel momento sembrava di leggere la parola rabbia nelle sue iridi nere.

Sei arrabbiato?

Domanda sciocca, ma necessaria per avere una risposta chiara in quel momento.

Era arrabbiato per il morso, ma avevo donato il mio sangue a Klaus non per gioco o per chissà cosa ma perché ne necessitava. La scenetta di poco prima poi non era molto equivoca, si capiva che era stato uno dei soliti giochetti che il fratello amava fare.

La collera di Elijah si divideva infatti tra me e lui, ma su chi si concentrava di più, non riuscivo a capirlo.

Non mi va di parlarne.” rispose lui, provando di nuovo a superarmi.

Mi parai ancora di fronte a lui e il vampiro si arrestò nuovamente per non finire contro il mio corpo. Tenne lo sguardo fisso su un punto sopra la mia testa e prese un lungo respiro, come se volesse non perdere la calma.

Ti prego, spiegami.

La mia richiesta giunse comunque alle sue orecchie, nonostante il mio solito silenzio.

Lui abbassò gli occhi su di me e li sentì penetrare nel mio sguardo, come mai avevano fatto prima. Mi ritrovai incatenata ad essi, in una prigionia da cui non mi sarei liberata se non fosse stato lui a decidere di sciogliere quella invisibile schiavitù.

Mi aspettai di sentire la sua voce rispondermi, di sentire le sue parole mentre mi diceva che era chiaro il motivo per cui fosse arrabbiato.

Ma lui aveva deciso di far parlare il silenzio.

Lo vidi avanzare verso di me, con lo sguardo ancora legato al mio.

Mostrandomi confusa di fronte a quel gesto, mi ritrovai ad arretrare. Occhi dentro occhi, ci muovevamo in una sincronia che faceva risultare i nostri movimenti come passi di un ballo. Il cuore mi batteva all'impazzata, mentre rimanevo totalmente dipendente da quei pezzi di cielo notturno che mi stavano fissando, il respiro rimase bloccato in gola e gridava di essere liberato al più presto prima che fosse tardi.

Finii contro una poltrona, ci caddi seduta sopra in una posizione che di composto aveva ben poco. Elijah si fermò, in piedi davanti a me, e rimase così per qualche misero secondo.

Poi mi tolse il respiro.

Si chinò rapidamente su di me, i suoi occhi continuavano a tenere legati i miei mentre il suo viso si faceva più vicino al mio.

Mi tolse così il respiro, donandomi il suo.

Soffiando sulle mia guance rosse a causa di quella vicinanza che trovai a dir poco soffocante. Il cuore aveva battuto così forte in poche e rare occasioni e se sarebbe scoppiato nel mio petto, non me ne sarei affatto stupita.

Ma che stava facendo Elijah? Non era da lui comportarsi in quel modo. Malgrado la sua espressione era sempre la stessa, c'era della freddezza in essa che quasi mi spaventava.

Il suo viso scese sul mio collo, scostò i capelli bagnati che lo coprivano e vi respirò sopra.

I miei pugni affondarono nella stoffa della poltrona, usando tutta la forza che potessero avere, mentre intensi e lunghissimi brividi caldi attraversavano il mio corpo.

Stava per mordermi?

Quel pensiero balenò nella mia testa, nel momento in cui la punta del suo naso disegnò una linea sulla mia guancia sinistra. Una scia di fuoco bruciò sulla pelle, mentre il respiro di Elijah restava vicino alla base del mio collo. Qualche centimetro più in basso e i suoi denti avrebbero potuto perforare quei puntini rossi che ricordavano il morso di Klaus.

Sai quante volte ho pensato di bere il tuo sangue? Sono un vampiro anche io, Irina.” La sua voce era un sussurro, parole che bisognava ascoltare nel buio per esserne pervasi. Chiusi un attimo le palpebre, cercando di ritrovare l'ossigeno necessario di cui avevo bisogno. Avevo trattenuto il respiro anche troppo a lungo. “In questo momento, potrei prenderlo...senza che tu nemmeno te ne accorgessi. Sentiresti solo un lieve pizzicore, mentre me ne nutro.”

Deglutii, erano tutte sensazioni che conoscevo perché le avevo provate giorni prima.

Quindi perché Elijah mi stava dicendo delle cose del genere? Le sue mani si posarono sulle mie, quasi immobilizzandole mentre io tiravo la testa all'indietro perché mi bruciava troppo la pelle sotto il suo respiro.

Avevo paura, ma era quel tipo di paura che non faceva correre via a gambe levate: era quella che ti immobilizzava, ti faceva tremare e che volevi a tutti i costi sapere dove ti avrebbe portata. Ma io sapevo quale sarebbe stato l'epilogo di quella faccenda, quindi perché non scappavo?

Le dita di Elijah si intrecciarono alle mie, riconobbi le sue labbra che sfioravano delicatamente le due piccole ferite alla base del mio collo. Il respiro, il battito del cuore si fece tutto più veloce, anche troppo e io non ero capace di tollerarlo.

Ma non lo farò mai.”

Elijah allontanò velocemente il viso dal mio collo e ripresi subito controllo delle mie sensazioni. I polmoni ripresero aria, mentre lo sguardo tornava lentamente a guardare il volto di marmo di fronte a me. Lui mi fissava con freddezza, quello che stava cercando di fare era impartirmi una lezione che io, francamente, non avevo ancora ben compreso.

È questa la differenza tra me e lui: io ho rispetto di te, del tuo corpo e della tua anima a differenza sua. Io non avrei mai e poi mai bevuto il tuo sangue, nemmeno se stessi per abbandonare questo mondo.” disse, le parole rinchiuse tra quelle labbra quasi serrate.

Abbassai lo sguardo, sentendo il cuore battere davvero troppo forte dentro il mio petto. Riascoltai quelle parole nella mia mente, ma non seppi cosa pensare al riguardo.

Come puoi farti così tanto male per una persona che non se lo merita?”

Mi morsi le labbra, mentre il petto si alzava e abbassava in maniera troppo evidente e veloce sotto il tessuto del mio vestito. Mi misi a sedere in una posizione più composta e distolsi lo sguardo da lui, sentendomi in imbarazzo completo.

Klaus aveva bisogno di sangue quel giorno se volevamo sopravvivere entrambi,quindi non c'era bisogno di comportarsi in quella maniera folle.

Folle. Non avrei mai pensato di usare un termine simile per Elijah, ma in quel momento proprio non lo capivo. Era arrabbiato perché avevo offerto di spontanea volontà il mio sangue a Klaus, ma non capiva che ne ero stata obbligata?

Mi alzai lentamente in piedi, volevo solamente uscire da quella stanza e riprendere il respiro che lui mi stava togliendo in quel momento.

Ma lui me lo impedì.

Si parò davanti a me, senza toccarmi ma semplicemente guardandomi in quella maniera che avrebbe paralizzato chiunque. Non mi aveva mai rivolto quello sguardo, ma lo sentii passarmi sotto pelle e immobilizzare ogni singolo muscolo del mio corpo.

Mi faceva paura e quella cosa non la sopportavo.

Che cosa vuoi?

Quella domanda rimase nascosta nei miei passi che retrocedevano di fronte ai suoi. Elijah non smise un secondo di guardarmi, l'unico movimento che notai sul suo viso fu quello della mascella che venne serrata per qualche istante.

Non sto rinunciando a te, per permetterti di avvicinarti a lui.” disse. “Klaus mi ha portato via tante cose in questi secoli. Non gli permetterò di fare lo stesso con te.”

La sua voce era più che profonda, parve scaraventarmi in un abisso profondo da cui non sarei potuta risalire, se avessi continuato a ostinarmi e fissarlo così intensamente.

Non lascerò che tu ti faccia del male e nutra qualcosa nei suoi confronti che ti porterà solo dolore.” disse ancora, facendomi comprendere che non avrebbe detto altro dopo quelle ultime parole.

Serrai i pugni accanto alle gambe, la sua forza nel volermi difendere dal mondo intero, da sé stesso e persino da me stessa in quel momento, scatenò in me diversi e contrastanti sentimenti.

Lo odiavo.

Rabbia incandescente bruciava sul mio viso mentre continuavo a sostenere il suo sguardo.

Lui lo mantenne saldo a sé, lasciando che l'ira incendiasse i miei occhi.

Poi mi ritrovai ad amarlo.

Perché era sempre pronto a proteggermi in tutti i modi, a non permettere che venissi ferita da terze persone oppure dalla mia stessa anima, che spesso mi aveva fatto più male di qualsiasi altro.

Non era normale che emozioni così in contrasto tra loro mi disorientassero in quel modo.

Fu lui ad andarsene, portandosi dietro tutta quella palpabile tensione che aveva pesato su di noi fino ad allora. . L'aria tornò a circondarmi e mi sembrò di non aver respirato per troppo tempo. Mi chiesi perché, in un modo o nell'altro, fossi capace di ferirmi con qualsiasi arma, anche quello che provavo per Elijah si era tramutato in un pugnale pronto a colpirmi.

Prima o poi, o ne sarei scampata o quella lama mi avrebbe trafitto il cuore.

Quale dei due destini mi sarebbe spettato, non lo sapevo nemmeno io.

* * * *

Irina?

Una voce che conoscevo bene si fece largo tra i miei sogni, allontanò la foschia irreale che li circondava e mi fece ritornare nel vero mondo. Spalancai gli occhi, ritrovandomi di fronte l'oscurità che faceva padrona alla mia stanza. Una mano toccava i miei capelli dolcemente e mi voltai rapidamente dal lato opposto dove trovai Katerina.

Mi stava fissando, il suo pallido volto era illuminato dalla luce della luna che brillava fuori dalla finestra e mise in risalto i suoi occhi scurissimi. C'era qualcosa di insolito in loro, sembravano due buchi vuoti in cui la sua anima era sprofondata per non risalire più.

Sbattei più volte le palpebre per scacciare quella strana sensazione di inquietudine che mia sorella mi causava. “Vieni con me.” mi disse.

Mi misi a sedere sul letto e la guardai interrogativa. Lei si alzò dal bordo del mio letto senza rispondere alla domanda silenziosa che le avevo rivolto, si diresse a passo deciso fuori dalla stanza e mi rivolse un'ultima lunga occhiata prima di sparire dietro l'angolo. Restai per qualche istante sul letto, cercando di comprendere cosa si nascondesse dietro la richiesta di Katerina ma, per paura che uscisse da sola, presi il mantello e la raggiunsi.

Fu lei a segnare il percorso da intraprendere, i nostri piedi affondavano pesantemente nel manto di neve che si era fatto ancora più alto dopo l'ultima precipitazione di quel giorno. Il vento era tagliante e graffiava i nostri volti con i suoi artigli invisibili, mi strinsi di più le braccia al petto per placare il tremore che mi attanagliava e guardai le spalle di mia sorella. Lei sembrava non temere il freddo, era come se lo stesse sfidando a viso aperto mentre lui le sollevava i lunghi ricci scuri sulle spalle e il tessuto del mantello che si gonfiava accanto al suo esile corpo.

Katerina?

Ma cosa aveva? Mi avvicinai a lei il più rapidamente che potei, ignorando il dolore lancinante che la caviglia stava procurandomi sotto lo scarpone, e mi fermai al suo fianco.

In quel momento mia sorella si fermò, il suo volto era rivolto verso il cielo oscuro e il suo sguardo sembrava riflettere la miriade di luci che brillavano in esso, oltre il candore che ricopriva i rami degli alberi oltre le nostre teste.

È bellissima la notte, non trovi? La prima musica suonata al mondo proviene dal suo silenzio, la sua melodia fa da sottofondo ai nostri sogni e accompagna i nostri corpi verso mondi che possiamo conoscere solo attraverso le nostre illusioni notturne...la mamma diceva sempre così, ricordi?” disse, la sua voce sembrava spenta e priva di qualsiasi emozione. Continuai ad osservare il suo profilo, illuminato dalla pallida luce della luna e mi sembrò di avere accanto una statua: perfetta, da ammirare ma vuota.

Seguii la linea del suo sguardo e lo volsi verso il cielo,parte della luna era nascosta dagli alberi e quindi ammirai quelle piccole luci che si perdevano nel buio. M voltai verso mia sorella, chiedendomi perché avesse deciso di uscire: faceva troppo freddo e inoltre era buio pesto. Le presi il polso, facendole segno che dovevamo rientrare ma lei mi ignorò.

Tu che cosa sogni, Irina?” mi chiese ancora Katerina, restando immobile mentre la mia mano stringeva il suo polso freddo. La guardai confusa, mentre il suo sguardo si rivolgeva lentamente verso di me e le sue labbra si allargarono in un sorrisetto malinconico.

La sua voce mi spaventava, aveva un suono che non poteva appartenere a lei: qualcosa di oscuro e terrificante.

Io stanotte ho sognato che ero in Bulgaria, con mia figlia e un uomo al mio fianco che mi avrebbe amata per il resto della mia vita...non ho chiesto tanto vero?”

Guardai il suo volto impassibile e lo vidi trattenere un dolore e una tristezza che erano sempre rimasti ben nascosti dietro esso, ma che in quel momento divennero molto evidenti.

Katerina si comportava in modo strano per via di quel sogno? Presi un lungo respiro e la strinsi a me, posandole una mano sulla nuca e cingendole i fianchi con l'altro braccio.

Mi fece così male vederla soffrire, che mi dimenticai per un secondo della paura che quegli alberi attorno a noi mi provocavano.

Lei ricambiò lentamente il mio abbraccio, le sue dita giocarono con alcuni ciuffi dei miei capelli che il vento ogni tanto spostava attraverso il suo flusso. Il respiro freddo di mia sorella venne soffocato dal modo in cui il suo mento affondò nella mia spalla.

Io ho sempre sognato una cosa simile eppure...mi è stata portata via. Non potrò più avere una cosa simile, Irina.” disse poi, alzando il mento e posandolo sopra la spallina del mio mantello. La strinsi più forte, come per arrestare il dolore che la stava attraversando in quel momento e farlo trasportare via dal vento che soffiava imperterrito.

Ma forse non lo merito, forse ho commesso errori nella mia vita di cui non mi rendo conto...”

Non dire così.

Chiusi gli occhi e continuai a stringerla sempre con forza, volevo che capisse tutto quello che volevo dirle attraverso quell'abbraccio e continuavo a desiderare di far sparire la sofferenza che le stava arrecando quella notte.

Non sentii più la sua mano tra i miei capelli, le sue dita li abbandonarono e il braccio le cadde accanto al corpo. Alzò il mento poi, come se non volesse più sentire il contatto con la mia spalla. Calò di nuovo il silenzio, rotto unicamente dal verso di qualche rapace appollaiato tra i rami sopra di noi e dal fischiare del gelido vento.

È tutta colpa tua, Irina.”

Aprii lentamente gli occhi, mentre il cuore parve arrestarsi per qualche secondo nel mio petto.

Mi ero immaginata quelle parole? Erano forse state trasportate dal vento?

No, nella mia mente quelle parole si ripeterono e le loro lame si scagliarono furiosamente contro il mio cuore. Mi allontanai lentamente da Katerina, guardai il suo volto freddo e i suoi occhi spenti che mi osservavano mentre un sorriso disegnato dall'odio si allargava sulle sue labbra.

È solo colpa tua se non sono felice, Irina.” ripeté, mentre io mio cuore incassava con dolore tutti i colpi che quella voce, che non poteva essere di Katerina, stava infierendomi.

Mi parve di vivere un incubo, uno di quei terribili sogni da cui ci si vorrebbe destare subito, prima che si giungesse al loro doloroso epilogo. Ma era tutto maledettamente reale, il cuore che stava iniziando a sanguinare troppo forte ne era la prova.

Nostro padre ti odia. Ada ti odia. Ma loro non hanno grandi sofferenze da patire, eccetto la loro profonda ignoranza.” Katerina fece un passo verso di me, mentre io ne feci diversi indietro. I nostri occhi continuarono a rimaner legati, i suoi erano vuoti e i miei erano pieni di lacrime pronte ad attraversare il mio viso. “Nostra madre ti ama ed è costretta a vivere con un uomo che la odia da quando tu sei nata....io ti amo, sorella mia, e la felicità mi è stata negata.”

Ti prego, basta.

Scossi la testa, mentre le lacrime iniziavano a bagnare la mia pelle e a congelarsi sotto il vento gelido. Più la guardavo e più non vedevo la mia Katerina dietro quello sguardo: quello era il suo corpo, ma la sua anima era stata imprigionata in qualche luogo oscuro in cui si era persa.

Ti rendi conto che tutto riconduce a te? Sei tu il demonio delle nostre vite, Irina!” continuò a dire, la sua voce si fece più alta e le ultime parole riecheggiarono tra gli alberi attorno a noi.

No Katerina...

Continuavo ad arretrare, senza sapere come difendermi dalle crude parole di colei che era stata il mio angelo custode per un'intera vita. Ma le sue ali bianche sembravano esser state strappate via, sostituite da ali nere che mi avrebbero soffocato nel loro odio. Inciampai sulla neve, quando vidi mia sorella estrarre un pugnale dal suo mantello. La sua lama sembrava sorridermi sotto la luce della luna, brillava e scintillava un ultima volta, poi probabilmente sarebbe stata colorata dal rosso del mio sangue.

Perché Katerina voleva uccidermi.

Non c'era luce nei suoi occhi, non c'era sorriso sulle sue labbra e il suo viso sembrava aver scacciato i colori di qualsiasi emozione che l'avesse pervasa fino ad allora.

Quella non era Katerina, era l'odio.

Tu hai ucciso i miei sogni. Mi hai tolto la vita, sorellina” iniziò a dire, facendo altri passi verso di me, mentre io strisciavo indietro spaventata e priva di forze per rialzarmi. Piangevo disperata, allungando la mano verso di lei e implorandola di fermarsi, ma lei non mi stava ascoltando. Nel silenzio della notte, lei stava ascoltando solo la voce del suo odio.

Ora io la toglierò a te.” concluse con quelle parole e compresi che era soggiogata.

Non poteva essere altrimenti, le sue labbra si muovevano in parole che un'altra mente aveva imposto loro di dire.

Mikael ti manda i suoi ultimi saluti.” disse poi, confermandomi che dietro quel rapimento c'era lui. Ma la mia mente non poteva concedersi di pensare troppo a quel maledetto e a ciò che aveva messo in atto.

Katerina, no!

Si scagliò su di me, provando a pugnalarmi in pieno petto ma raccolsi l'agilità necessaria per ritrarmi velocemente e scappare via. Corsi verso la parte opposta a quella di Katerina, ma la caviglia non mi permise di andare molto lontano e inciampai sulla neve cadendo di faccia sopra di essa, continuando a piangere e sforzandomi di rimettermi presto in piedi.

Lei fu subito alle mie spalle.

Mi fece voltare a pancia in su, posando una mano sulla mia spalla e spingendomi a guardarla. Le lacrime mi offuscarono la vista, mentre rumorosi singhiozzi si liberavano dalle mie labbra e il mio cuore batteva ad un ritmo frenetico e doloroso dentro il mio petto. Quell'ombra davanti a me si chinò, la sua mano mi strinse il collo mentre l'altra innalzava la mia morte accanto alla sua testa.

Vieni a raccogliere dei fiori insieme a me, sorellina?

Katerina mi aveva sorpreso ponendomi quella domanda quel giorno: avevo circa sei anni e me ne stavo da sola seduta al tavolo della nostra cucina, guardando la mamma che cucinava per noi. Era il periodo in cui mi resi conto che non avrei mai potuto chiamarla mamma e che non avrei mai potuto ascoltare la mia voce perché non l'avevo.

Ecco perché gli altri bambini non volevano giocare con me, perché non ero come loro.

Ho bisogno di te per scegliere i più belli. Dai, vieni.

Katerina aveva allungato la mano verso di me e aveva stretto le mie dita tra le sue, prima di condurmi nella foresta. Raccogliemmo fiori e giocammo a rincorrerci per tutto il tempo.

Fu la prima volta in cui sentii la mia voce ridere e gioire dell'affetto che mia sorella mi regalava. Mia madre mi diede respiro donandomi la vita, Katerina mi diede il primo sorriso, donandomi un'anima.

Il mio angelo stava per diventare il mio carnefice.

L'arresa si prese il mio corpo: le lacrime, il cuore, i singhiozzi si arrestarono improvvisamente mentre guardavo Katerina che mi stava fissando, priva di emozione.

Lei non aveva colpe se quella lama si sarebbe macchiata del mio sangue, lei sarebbe stata sempre la sorella maggiore che io avevo sempre amato.

Ti voglio bene, Katerina.

Ero certa che una parte di lei mi avesse sentito, mentre la lama scendeva sempre più a fendere l'aria, prima di raggiungere il mio petto. Chiusi gli occhi, l'ultima immagine che volevo di mia sorella era del suo sorriso dolce che sempre mi rivolgeva.

Addio, piccolo demonio.”furono le ultime parole di quella Katerina.

Ti voglio bene anche io, Irina.” furono le parole della mia Katerina.

Ma il dolore che porta la morte con sé non giunse mai, il silenzio tetro dell'oscurità venne rotto da un ringhio feroce e tutto successe troppo rapidamente.

La mano sul mio collo si allontanò. Un urlo di dolore di Katerina riecheggiò nella notte e diversi versi animaleschi lo seguirono.

Sbarrai lo sguardo e lo volsi verso il punto da cui provenivano quei rumori.

La mia vita finì in quel momento, malgrado la lama del pugnale giacesse pulita accanto a me: un enorme lupo dal manto scurissimo aveva azzannato mia sorella alla spalla, il suo sangue scuro macchiava il candore della neve accanto a lei e il suo viso, sotto la luce della luna, si fece più pallido. Il lupo mi stava dando le spalle, ma separò prontamente le fauci della pelle di mia sorella che stava annaspando per il dolore.

No! lo sentii il mio grido, prendere largo dentro il mio petto e espandersi dentro di esso mentre guardavo il volto morente di mia sorella.

L'animale volse lo sguardo verso di me, mentre i miei occhi lo fissavano. Mi sentii pervadere da una rabbia che non pensavo di avere, iniziai a tremare e a stringere i pugni nella neve mentre fissavo quegli occhi che avevano qualcosa di familiare.

Volevo morisse in quel momento.

Il lupo arretrò di fronte al mio sguardo, con la coda tra le zampe e il muso abbassato, come non riuscisse a sostenere il mio sguardo. Scappò via, velocissimo e scomparendo tra gli arbusti innevati vicino agli alberi.

Non mi soffermai troppo a lungo a guardare il punto dove il licantropo mi stava fissando fino a pochi istanti prima. Strisciai verso Katerina più veloce che potei, pregando il vasto cielo sopra le nostre teste che fosse viva. I suoi occhi sembravano fissare con dolore la luna piena che brillava nel cielo, ero stata così presa dal suo dolore che non mi ero accorta di come splendesse in cielo.

Era tutta colpa mia quello che era successo, solo colpa mia.

Prendi quel fiore, Irina. È il più bello di tutti.

Solo quella notte colsi il fiore più bello che la terra aveva mai fatto nascere. Piangendo disperatamente presi Katerina tra le braccia, il sangue macchiava la neve, le mie mani e la sua pallida pelle, mentre il suo sguardo vagava sul mio viso e sembrava accarezzarlo dolcemente. “Irina...” sussurrò il mio nome, con voce flebile che la morte stava lentamente soffocando. Gridai di nuovo, ma quell'urlo soffocò nuovamente tra le pareti del mio corpo mentre stringevo Katerina a me e speravo che qualcuno giungesse in mio aiuto.

Katerina, non lasciarmi!

Doveva sentire quelle ultime parole, doveva leggerle nei miei occhi e sapere che non poteva abbandonarmi. Non poteva farlo, non doveva.

Ero così presa dal voler tenere in vita quegli occhi scuri attraverso i miei, che non mi accorsi di un rumore che giunse alle mie spalle.

Volsi lo sguardo verso Elijah, lo vidi rapidamente portarsi il polso alla bocca e poi posare il suo sangue sulle labbra di Katerina. Lei si divincolò, appena sentì il sapore del sangue attraversarle le labbra ma le feci segno di non muoversi.

Elijah continuava a tenere saldamente il polso sopra le sue labbra, Katerina lentamente si arrese e le sue palpebre iniziarono a chiudersi sulle ultime lacrime che quella notte le avrebbe regalato. Quando perse i sensi, la strinsi a me più forte e le baciai i capelli in cui soffocarono i miei singhiozzi. Elijah restò inginocchiato accanto a me e mi posò una mano sulla schiena. “Andiamo via, è troppo pericoloso stare qui.” disse, ma la sua voce mi parve troppo lontana per poterla sentire. Nella mia mente udivo solo la vocina di quella bambina che anni prima era stata la mia ancora di salvezza.

Ti voglio bene, sorellina. Te ne vorrò sempre.

* * * *

Sentii i suoi singhiozzi ancor prima che raggiungessi la sua camera.

Mi affacciai sulla soglia della porta e guardai la sua figura accoccolata su sé stessa, come se stesse cercando in quell'abbraccio su di sé un po' di conforto. Il viso era nascosto tra le ginocchia, i piedi nudi giacevano sulle lenzuola bianche e le sue spalle venivano scosse dai tremori che quei singhiozzi le stavano provocando.

Provai ad avvicinarmi senza fare rumore, ma la mia caviglia gonfia purtroppo non mi fece riuscire nell'intento. Le suole delle mie scarpe strisciarono sul pavimento e Katerina alzò di scatto la testa di fronte a quel rumore. Il suo viso era rigato dalle lacrime, gli occhi scuri avevano assunto una profonda lucentezza a causa di quelle gocce che li bagnavano e le labbra tremolanti sembravano cercare lunghi respiri che non riuscivano a trovare.

Era uno spettacolo terribile per i miei occhi, l'immagine della sofferenza era rappresentata sul viso della persona che amavo di più al mondo.

Volevo essere di conforto, ma mi ritrovai solo a implorare me stessa di resistere alla vista della sue lacrime. Dopo che Elijah ci aveva condotte a casa, Katerina si era lentamente ripresa ma ricordava tutto: il suo tentativo di uccidermi, il licantropo e il sangue di Elijah che bagnava le sue labbra e la strappavano con ferocia dalle braccia della morte che stava giungendo. Si era resa conto di molte cose quella sera, ma forse non riusciva a definirle.

Spettava a me farlo.

Ero decisa a renderla partecipe della vera realtà che ci circondava. Non le avrei più mentito: per colpa delle mie bugie, l'avevo quasi perduta per ben due volte in due giorni.

E non era giusto che fosse all'oscuro dei pericoli che ci circondavano, lei doveva sapere.

Mi sedetti accanto al suo letto e le presi il viso tra le mani, non sapevo come affrontare però il discorso: avevo troppe cose da dire ma dovevo farlo in silenzio e con la figura piangente di mia sorella di fronte a me.

Ho...ho bevuto il suo sangue, Irina...” disse singhiozzando, le luce delle candele sul comodino illuminavano il suo viso cereo. Le dita salirono alle labbra e le toccarono delicatamente, come se avessero paura di sentire di nuovo il sapore del sangue di Elijah su di loro. Le strinsi il polso e lo allontanai dal suo viso, gli occhi scuri di mia sorella tornarono a posarsi su di me e delle lacrime scesero lungo le sue gote.

Aprii la bocca come per parlare, dimenticandomi che non potevo farlo, ma rimasi immobile. Come potevo spiegarle tutto quanto senza spaventarla ulteriormente? Mi sembrava terrorizzata da Elijah, se le avessi detto che anche Klaus e Rebekah erano vampiri, come avrebbe reagito?

Stavo per ucciderti Irina, ti rendi conto?” singhiozzò poi disperata, anticipando uno dei gesti che stavo per rivolgerle per poter parlare. Corrugai la fronte, mentre le lacrime sul viso di mia sorella scendevano sempre più copiose. “Tu sei tutto per me e io stavo per ucciderti...e non so perché! Volevo fermarmi ma il mio corpo seguiva i comandi di..quella voce. Voleva che uccidessi te..poi me.”

Mi morsi le labbra, mai come allora desiderai che Mikael morisse nella maniera più atroce possibile. Perché ordinare a Katerina di uccidere me e poi togliersi la vita? Per colpire Klaus? Mi sembrava alquanto strano come piano, poteva uccidere Katerina il giorno del rapimento, se veramente c'era lui dietro tutta quella storia. Era tutto troppo strano.

Io ho paura, Irina. Non riesco a credere di aver quasi fatto una cosa simile...ti vedevo piangere perché avevi paura di me.” Katerina singhiozzò più forte, mentre le sue lacrime divennero fiumi per il suo volto. “Stavo per pugnalarti e guardarti morire.”

Ti voglio bene, Irina.

Quella vocina proveniente dal mio passato tornò tra i miei pensieri.

Come potevo lasciare che convivesse con una cosa simile per il resto della sua vita? Il senso di colpa l'avrebbe logorata troppo a lungo e l'avrebbe portata sempre di più verso l'oscurità in cui io stessa mi trovavo da mesi ormai. Non potevo lasciarla vivere nella paura per tutta la vita, era egoista da parte mia coinvolgerla in quel mondo solo perché volevo condividere con lei il terrore che avevo sempre con me da quando avevo scoperto la verità.

Noi staremo sempre insieme, vero sorellina?

La voce di quella bambina che sarebbe poi diventato il mio angelo custode risuonò dentro la mia mente. Gettai le braccia al petto e la strinsi a me più forte che potei, mentre lei piangeva sopra la mia spalla e le sue lacrime bagnavano la spallina del mio vestito.

Chiusi gli occhi piangendo con lei, mi chiesi se prima o poi Katerina mi avrebbe mai perdonata per quello che stavamo per fare.

La sentii sussultare, mentre dei passi alle mie spalle si facevano sempre più vicini, la tenni stretta a me, mentre un corpo si sedeva sul letto, in un punto dietro di me.

Le mani di Katerina salirono alle mie spalle, le sue dita affondarono nella stoffa del mio abito e i suoi respiri si fecero più profondi.

È stato tutto solo un brutto sogno, Katerina. Domani ti sveglierai e dimenticherai tutto quello che è successo questa notte, sarà stato solo un terribile incubo notturno.”

Singhiozzai, mentre sentivo il corpo di mia sorella rilassarsi lentamente tra le mie braccia. Mi avrebbe mai perdonata per quello che stavo facendo? Non ne ero certa.

Non hai mai aggredito tua sorella. Non sei mai stata morsa da quel lupo. Non hai mai bevuto sangue. Domani ti sveglierai e sarai di nuovo Katerina Petrova, una ragazza che,come tutti, è stata vittima di un brutto incubo.”

Quelle mani che si stavano aggrappando alle mie spalle mi lasciarono lentamente, il suo cuore rallentò il battito e il suo respiro si fece più regolare mentre si addormentava tra le mia braccia. Tirai su con il naso e piansi più forte, avvertivo dietro di me il respiro di Elijah mentre osservava il nostro abbraccio, mentre mia sorella dormiva sulla mia spalla.

La adagiai sul letto, come se fosse una preziosa bambola da trattare con cura, e le rimboccai le coperte come faceva la mamma quando eravamo in Bulgaria. Dentro di me, diversi perché si susseguivano rapidamente in un vortice di domande senza risposta che si abbatterono poi sul mio cuore. Avrei tanto voluto dimenticare anche io tutto, avrei tanto voluto che la mia vita tornasse ad essere quella che Katerina conosceva, non quella che le stavo nascondendo.

Stai bene?”

Elijah mi pose quella domanda quando fummo fuori dalla stanza di Katerina, la mia mano stringeva ancora il pomello e lo sguardo era fisso su un punto tra i nostri piedi, illuminato dalla debole luce delle candele che splendevano alle pareti del corridoio.

Alzai lo sguardo su di lui, i suoi occhi neri mi stavano scrutando con attenzione e il viso era fermo in una espressione che non riuscivo a decifrare. Annuì lentamente, asciugandomi le ultime gocce di lacrime che erano scese sul mio viso.

Hai fatto la cosa giusta, non devi sentirti in colpa solo perché proteggi tua sorella.” disse ancora lui, con voce bassa. Sembrava non volesse violare il silenzio di quell'oscurità che ci stava avvolgendo. Ascoltai le vibrazioni nascoste nella sua voce, era sempre fredda come quel pomeriggio malgrado lui stesse cercando di confortarmi.

Grazie.”

Aveva salvato la vita di mia sorella, tutto il resto non contava. Per quanto potesse essere arrabbiato con me, lui aveva impedito che Katerina morisse. Gli potevo essere solo riconoscente.

Qualsiasi cosa Mikael abbia in mente, lo fermeremo.” disse ancora lui, in risposta alla mia parola. “Non verrai più ferita in questo modo.”

Malgrado fosse freddo, era evidente che stava ancora cercando di tutelarmi da tutto il male che mi aveva circondato quel giorno. Era il suo modo di replicare al mio ringraziamento e io lo accettai lo stesso, perché lui per me aveva sempre fatto tanto. Avremmo superato i nostri più ordinari disguidi la mattina successiva, quando quella notte sarebbe finalmente giunta al termine e il pensiero di ciò che avevo fatto a Katerina sarebbe passato.

Ora, non preoccuparti e fatti una bella dormita. Ne hai davvero bisogno.” Elijah mi posò una mano sulla spalla e una sensazione di calore mi pervase. Abbozzai un sorriso di ringraziamento e lo guardai poi allontanarsi lungo il corridoio.

Rimasi per qualche secondo immobile davanti alla porta di Katerina, mentre la figura di lui diventava sempre di più parte delle ombre che abitavano la fine di quel corridoio.

E sperai che, dopo l'incubo di quella notte, mi spettassero un po' di bei sogni.

* * * *

Un rumore alle mie spalle mi destò dal sonno.

Aprii rapidamente le palpebre, i miei occhi si incontrarono con il raggio di luna che stava attraversando parte della mia stanza. Rimasi distesa sul fianco, tendendo l'orecchio verso quel movimento che stava avendo luogo dietro di me e feci scorrere la mano sotto il cuscino.

Strinsi il manico del pugnale, che da diverse notti a quella parte accompagnava i miei sonni e lo avvicinai lentamente al petto. Quell'ombra che si nascondeva nel buio compì un altro movimento: sentii l'aria muoversi vicino a me, come se la sua mano stesse cercando di toccarmi.

A quel punto mi voltai rapidamente: la lama del pugnale fendette l'aria davanti a me, ma una mano serrò il mio polso. Un'altra mi strinse il collo e mi spinse contro lo schienale del letto, provocandomi una fitta di dolore sulla spina dorsale. Il cuore prese a battere fortissimo per la paura, la mia mano perdette il pugnale che cadde sul materasso.

Non riuscivo a scorgere quella figura persa nel buio, ma mi sembrò di riconoscere quel respiro.

Ma sei impazzita? Perché invece che un pugnale, non metti una bibbia sotto quel cuscino, come fanno tutte le santarelline come te?”

Il cuore rallentò il battito, quando riconobbi quella voce inconfondibile nel silenzio.

Ma una parte di me aveva compreso si trattasse di lui: il suo respiro e il magnetismo che quegli occhi sapevano esercitare anche nell'oscurità potevano solo appartenere a Klaus.

La sua mano lasciò il mio collo, non sapevo definire quanto fosse vicino o lontano. Il suo respiro aveva soffiato sul mio viso per pochi secondi, poi era improvvisamente sparito.

Che ci fai qui?

Mi chiesi se avesse imparato a bussare in tutti quegli anni di vita, ma ne dubitavo. Lasciai vagare lo sguardo nel buio, cercando di scorgerlo dietro di esso ma fu tutto inutile. La luce della luna giungeva ad illuminare solo una parte della camera e del mio letto, io e lui invece eravamo nascosti nella parte oscura di essa, dove non potevamo essere colpiti dal suo chiarore.

Eravamo come il lato oscuro della luna, quello nascosto che nessuno avrebbe mai visto.

Non riesco a dormire.” rispose Klaus, continuando ad essere parte di quella oscurità. “E la colpa è solo tua, i tuoi singhiozzi giungono fino alla mia camera.”

Non capivo, io non stavo piangendo e prima che lui venisse a farmi prendere un colpo, stavo dormendo. Mi portai una mano alle guance e sfiorandole, sentii il calore della pelle riscaldata dalle lacrime ormai asciutte. Avevo pianto nel sonno, senza nemmeno accorgermene.

Presi un lungo respiro e abbassai lo sguardo in un punto in cui dovevano trovarsi le mie mani, adagiate sul grembo.

Che cosa vuoi allora?

Se era venuto a passare la nottata prendendomi in giro, poteva anche tornarsene in camera.

Ma lui non rispose. Mentre io continuavo a cercarlo nel buio, mi ritrovai ad assaporare quell'improvviso silenzio che era calato su di noi. Forse se n'era andato?

Perché soffri così?”

La sua domanda mi fece sobbalzare, poiché la consapevolezza di essere rimasta sola si era fatta largo dentro di me. Non ne capii però il significato: forse mi sbagliavo, ma non mi ero mai sentita rivolgere così tante domande da lui come in quel giorno.

Stava cercando di comprendermi forse?

Katerina starà sicuramente meglio senza certi ricordi, eppure tu hai portato le sue pene ad arricchire il tuo vasto impero di dolore. Perché ti addossi tutto questo? Hai fatto solo quello che era meglio per lei.” chiese ancora Klaus, la sua voce era bassa e trovai difficile capire se fosse vicina o lontana a me. Non potendo trovare la sua figura, provai a cercare il suo respiro ma anche quello parve essersi perso nel buio. Non mi chiesi nemmeno come avesse saputo di mia sorella, mi ero abituata al fatto che fosse sempre a conoscenza di tutto.

Perché non la smetti di far soffrire il tuo cuore, Irina? Non puoi portare i pesi di tutti noi su di esso, finirai per farlo morire.”

Non era Klaus.

La voce era la sua, il profumo era il suo, quegli occhi che sconfiggevano l'oscurità erano i suoi, ma lui non avrebbe mai pronunciato parole del genere. Stavo forse sognando? Pensai che fosse così, magari ero così immersa nelle mie illusioni che stavo solo immaginando che Klaus fosse lì davanti a me, seduto su un punto lontano o vicino del mio letto.

Perché mi dici queste cose?

Volevo la prova che stessi sognando: allungai la mano verso il buio, lasciai il braccio sospeso nel vuoto ma la mia mano parve toccare solo l'aria. Il silenzio continuò a circondarci, mentre spostavo il braccio verso la mia sinistra e toccai la spalla di Klaus.

Non era molto lontana da me.

Feci scorrere lentamente la mano sopra il tessuto della sua maglia, lasciandola quasi fluttuare sopra di essa e mi apprestai a raggiungere il suo volto. Sfiorai i lunghi capelli biondi e poi arrivai a toccargli la guancia, il mento...

Ritrassi subito la mano.

Klaus era a pochi centimetri da me. Il suo viso doveva trovarsi proprio di fronte al mio, ma era come se stesse trattenendo il respiro per non riversarlo sul mio volto. I miei occhi vagavano ancora nell'oscurità, ma ero certa che probabilmente in quel momento stessero fissando i suoi.

Non rispose alla mia domanda, lo sentii scomparire e una leggera ventata fredda mi investì. Mi ritrovai a respirare per davvero, come se Klaus non mi avesse permesso di farlo poco prima.

Mi portai le ginocchia al petto e vi posai il mento sopra, fissando il vuoto con aria pensierosa.

Aspettavo di risvegliarmi da un momento all'altro, ma così non fu.

Non potevo trasformare in illusione, qualcosa che invece era stato reale.


Ciao a tutti! :D

Spero che abbiate gradito il capitolo!

Eh lo se...la scena della vasca è davvero molto, molto, molto scema, ma la mia mente ogni tanto elabora diverse mal sanità come questa e la parte sana di me spera che vi sia comunque piaciuta questa parte molto, molto, molto stupida....

Non voglio annoiarvi oltre dopo questo capitolo che in lunghezza fa paura a “I promessi sposi”, vi anticipo però che nel prossimo capitolo ci sarà un'altra piccola svolta riguardante una delle domande irrisolte che si nascondo dietro questa storia. Mi merito di essere mandata a quel paese, lo so, ma spero che continuiate ad avere pazienza e pietà per questo bradipo che si potrebbe quasi definire un' autrice! :P

Ringrazio tutti coloro che leggono i miei capitoli, sia chi lo fa in silenzio che chi recensisce!

Ringrazio anche tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le preferite/ ricordate e seguite e coloro che mi hanno inserito tra gli autori preferiti!

Vi auguro una buona serata, ciao! ^^




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Capitolo 21
*** Devil Wouldn'T Recognize You ***


-Devil Wouldn't Recognize You-

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Era quasi tutto il giorno che me ne stavo là, a guardare fuori dalla finestra.

Stava scendendo il buio, il chiarore pallido dell'orizzonte stava lentamente scomparendo, lasciando posto ad un lungo lenzuolo nero che sembrava volesse ricoprire il cielo nella sua oscurità. Era così tanto tempo che stavo osservando quei cambiamenti naturali, seduta sul davanzale della finestra in salotto, che avevo perso la cognizione del tempo.

Tutti gli altri erano usciti e io avevo deciso di restarmene a casa perché non avevo alcuna voglia di fare nulla, se non stare a guardare le pagine del mio diario vuote, come se la mia mano non voleva scrivere alcun ricordo su di esso. L'ultima pagina scritta parlava di ciò che Mikael aveva cercato di fare a Katerina e di come Elijah era palesemente freddo con me. Volevo un diario che, rileggendolo, mi avrebbe portato ricordo di momenti felici, non di sciagure che volevo dimenticare.

Ero così pensierosa e persa nei colori contrastanti del cielo, che nemmeno mi accorsi di quella presenza che stava avvicinandosi a me, ricordandomi che dalla porta d'ingresso avevo visto uscire solo Elijah, Katerina e Rebekah ma non lui.

Caro diario.” disse, restando nascosto dietro le mie spalle ma accostandosi al mio orecchio in modo che le sue parole, sussurrate in quel modo che faceva rabbrividire anche se nascevano da un gioco, scansassero ferocemente i pensieri che turbinavano nella mia mente in quel momento.

Un brivido mi corse lungo la schiena e mi ritrovai ad irrigidire ogni muscolo del mio corpo, mentre le sue parole soffiavano sulla mia pelle. “Sono terribilmente attratta da lord Niklaus, ma lo nego persino a me stessa perché lui è cattivo e io sono buona. Poi mi verrà negato il paradiso se cedo le mie labbra al diavolo, quindi che devo fare?”

Presi un lungo, solo Klaus era capace di farmi innervosire con una semplice provocazione. Quando si annoiava era davvero pericoloso. La sua mente pensava tutte le diavolerie più impossibili per importunarmi e farmi saltare i nervi. Guardai la sua figura spostarsi dalle mie spalle e sedersi davanti a me, sul davanzale della finestra.

Tirai un po' indietro i piedi, forse per fargli posto o forse perché erano troppo vicini alle sue ginocchia, non sapevo spiegarlo nemmeno io.

Klaus mi sorrise, inarcò le sopracciglia e attese che la mia espressione seccata sparisse dal viso per lasciare posto a qualcosa che lui forse pretendeva.

Quel giorno avevo meno voglia del solito di giocare con lui, non facevo altro che pensare al fatto che Elijah si comportava in maniera davvero fredda con me e non sapevo come risolvere la cosa.

Sei triste? Che novità.” ridacchiò Klaus, mentre lo fissavo incuriosita, infatti stavo aspettando che pronunciasse una frase del genere così avevo la scusa per andare in camera e starmene davvero da sola. Chiusi il diario di colpo e mi alzai in piedi, avvicinandomi alla soglia della porta.

Mi annoio.”

Sussultai, quando me lo ritrovai improvvisamente di fronte. Con le braccia strette al petto e gli occhi che sorridevano divertiti insieme alle labbra, costrinse il mio sguardo a fissare il suo. Mi immobilizzai di nuovo, tenendo la testa alzata verso la sua figura e trattenendo il respiro.

Quella frase così banale mi spaventò più di tutte le minacce che tempo prima mi aveva rivolto. Perché la noia era capace di spingere gli uomini alle azioni più irrazionali, figurarsi uno come Klaus che faceva cose irrazionali persino quando era impegnato.

E tutto lasciava presupporre che io dovevo essere coinvolta in ciò che aveva in mente.

Usciamo.” esordì pochi secondi dopo, scavalcando il rumore delle fiamme che bruciavano nel camino sulla parete alla nostra destra. Era stato l'unico suono che aveva accompagnato il nostro improvviso silenzio.

Quella proposta mi fece innalzare le sopracciglia per la sorpresa: doveva essere parecchio annoiato se era disposto a chiedermi una cosa del genere.

Non ero il tipo con cui passare una bella serata di divertimento, sopratutto quel giorno.

Allora?” Klaus fece un passo verso di me, continuando a sorridermi come solo lui sapeva fare e piegando la testa da un lato, in attesa di una mia risposta.

Scossi la testa, sapevo di risultare antipatica ma non ero proprio in vena di “uscire” con lui.

Poi non avevo la minima idea di cosa avesse intenzione di combinarmi.

Provai a superarlo, ma lui si parò nuovamente di fronte a me per impedirmi di proseguire. “Andiamo...un'uscita tra amici intimi non fa male a nessuno.” disse ancora, spalancando le braccia come per sottolineare che quella frase nascondeva una battuta che solo lui divertiva.

Amici intimi? Quelle due parole le trovavo alquanto irreali per la nostra situazione, dove non si capiva nemmeno se ci sopportavamo o meno.

Dipendeva dai momenti, quando Klaus decideva di comportarsi normalmente oppure meno.

Beh, mi hai visto nudo...penso che abbiamo raggiunto quasi il massimo dell'intimità.” ridacchiò Klaus, divertendosi nel guardare salire il rossore lungo le mie guance al ricordo di quell'avvenimento che, ero certa,non avrei dimenticato per tutto il resto della vita.

Se si poteva fare una scaletta delle situazioni più imbarazzanti della mia vita, quella era in cima.

Seguita da altri avvenimenti di cui Klaus mi aveva reso protagonista.

Provai di nuovo ma inutilmente a lasciare la stanza: Klaus si era spostato dietro di me, mi aveva posato le mani sulle spalle e costretta a fare una giravolta, per voltarmi verso di lui.

Lo sai che bisogna anche divertirsi nella vita? È breve e sprecarla in un musone come il tuo è un po' stupido.” disse lui, facendosi pure serio. Abbassai le spalle stancamente e lo guardai, speranzosa che mi lasciasse in pace ma non era sua intenzione.

Fece un passo verso di me, facendosi talmente vicino che sentivo il suo respiro soffiare sulla mia fronte. La sua presenza mi privò della capacità di muovermi, riducendo il mio corpo ad un blocco di ghiaccio, pronto a sciogliersi di fronte al fuoco delle sue parole.

Alzò l'indice e, contemporaneamente, le sopracciglia, come se stava per dire qualcosa che lo divertiva. “Una serata insieme io e te e ti assicuro che nemmeno il diavolo ti riconoscerebbe.” disse.

Possibile che tutte le frasi che mi diceva, sapevano colpire nel mio profondo? Sempre in senso negativo, perché suscitava in me un fastidio che mi spingeva quasi ad accettare le sue stupide, inutili provocazioni.

Un giorno avrebbe dovuto spiegarmi perché lo divertivo così tanto.

Vedendomi distogliere lo sguardo, Klaus sorrise di nuovo. “Allora, ci stai?”mi chiese.

Gli sorrisi con sfida, nella maniera che meglio mi riuscì in quel momento.

No!

* * * *

E invece accettai la sfida.

Il suono che proveniva da oltre quella porta si fece più vicino.

Il silenzio, il buio, la tranquillità della notte vennero rapidamente sostituite da quel vociare fastidioso e dal rumore cristallino di bicchieri che si scontravano tra loro.

Quando Klaus spalancò la porta, guardò quegli uomini come se fossero vermi, come se la loro sola vista creasse in lui un senso di ripugnanza e fastidio.

Seguimi.” mi disse solo, lanciandomi un'occhiata fugace e proseguendo verso l'interno del locale. Rimasi per un attimo ferma sulla soglia, nascosta ancora nel buio che ci aveva avvolto fino a pochi istanti prima e guardando la sua figura muoversi nella luce che rischiarava l'interno della locanda.

Sul bancone alla mia destra, sedevano un gruppo di uomini visibilmente ubriachi, mentre i tavoli alla mia sinistra erano stranamente vuoti, come se nessuno volesse sedervici.

Presi coraggio, cercando di ignorare quella voce nella mia testa che ripetutamente mi chiedeva perché avessi accettato e seguii Klaus. Diversi occhi, vittime del piacere che quelle bevande nei bicchieri regalavano loro, si rivolsero verso di me.

Un uomo fischiettò qualcosa alla mia vista, qualcosa che fece ridere i suoi compagni e li spinse ad unirsi a lui in diverse battute poco eleganti.

Mi sforzai di ignorarli, guardando Klaus che si era già seduto al bancone e stava rivolgendo loro uno sguardo omicida che non prometteva nulla di buono. Appena giunsi da lui, la sua mano tamburellò sullo sgabello accanto a sé, per invitarmi a sedermici sopra. “Che ti hanno detto?” mi chiese poi, quando riuscii a trovare l'equilibrio necessario per salire su quella postazione alto quasi quanto me.

Mi posizionai sopra di esso e posai i gomiti sul bancone, cercando con i piedi un punto di appoggio sulle zampe in legno dello sgabello. Mi volsi verso Klaus, i suoi occhi più grigi del solito sembravano brillare di una strana luce che sarebbe prima o poi divampata in un incendio.

Non capivo se il suo era senso di protezione o semplicemente voglia di staccare qualche testa, ma conoscendolo ero certa fosse la seconda opzione. Scossi la testa, per dirgli che non avevano detto nulla, anche se avevo udito commenti poco carini riguardo diverse parti del mio corpo.

L'arrivo di Diana gli impedì di farmi un altro interrogatorio: una parte di me fu lieta che non fossi l'unica donna presente in quel locale, l'altra invece non gioiva per nulla della sua presenza.

Anche se aveva comunque contribuito al salvataggio di mia sorella, Diana non mi era per nulla simpatica.

Lei sorrise, le sue labbra si allargarono lentamente e lasciarono trasparire i suoi denti chiari e perfetti mentre gli occhi da gatta passavano da me a Klaus. “Ecco qui la coppia più mal assortita del mondo. Come mai siete qui piccioncini?” ci chiese.

La guardai infastidita, mi sbagliavo riguardo la capacità di Klaus di farmi innervosire con una semplice battuta. Lei era peggio.

Se può farti piacere, siamo qui per divertirci e non per spremerti un po' riguardo il lavoro che non sei capace di svolgere.” Klaus sorrise beffardo, lasciando però intendere nella sua voce un fastidio che non era stato capace di sopprimere e che Diana percepì inevitabilmente. La sua espressione si contrasse e si portò le braccia al petto, mentre delle rughe di disappunto apparvero sul viso. “Ti ricordo che non ti ho mai deluso, caro il mio Nik.” disse, piegando la testa da un lato. “E tu lo sai bene.”

No che non lo so, visto che non ho ancora la mia pietra.” rispose lui, riservandole uno di quei sorrisi pericolosi che un secondo dopo potevano mutare in un gesto di rabbia. Pensai che quella pietra c'entrasse qualcosa con la storia dell'incantesimo per fermare Mikael, quella storia su cui avevo smesso di indagare da tempo ma che ancora mi incuriosiva parecchio.

Klaus spense quel sorriso, portando al suo viso un'espressione più serena che rivolse verso di me. “Portaci due boccali di birra.” le ordinò poi, facendole ben intendere che non era dell'umore di sentir replicare in alcun modo.

Diana colse l'antifona e si allontanò sinuosamente verso la credenza piena di bicchieri e bevande alle sue spalle.

Guardai Klaus, sperando di aver intuito male ciò che aveva appena detto. Il suo divertimento consisteva nel farmi bere?

Ma perché lo avevo seguito?

Oh andiamo, sweetheart, non guardarmi con quell'espressione da martire.” cantilenò, spalancando le mani sopra il bancone e volgendomi uno sguardo fintamente irritato. “Voglio solo insegnarti un po' i piaceri della vita, tutto qui! Mi fai un po' pena, sempre a fare la brava ragazza...”

Distolsi lo sguardo irritata e mi strinsi le braccia al petto.

Una mano di Klaus si allungò verso di me, mi sfiorò il mento e mi spinse a voltare la testa verso di lui.

Le sue labbra erano innalzate verso sinistra,due piccole fossette si creavano ai lati di esse mentre i suoi occhi mi fissavano intensamente. Mi chiesi se avrei mai visto un sorriso innocente sul suo volto, un sorriso spontaneo che scaturiva da un emozione reale che lo attraversava lentamente dentro e lo spingeva a concedersi ad un attimo di gioia.

Sarebbe stato un sorriso bellissimo.

Poi, sai come si dice? In vino veritas.” mi disse poi, si accostò lentamente a me e raccolsi lo sguardo di sfida nei suoi occhi. “Mi piacerebbe vedere la Irina che vuole andare all'inferno, quella che vuole scottarsi per sentirsi più viva perché una parte di te che lo vuole ci deve essere.”

Trattenni il respiro, mentre quegli occhi mi impalavano i miei, trafiggevano i miei pensieri e impedivano loro di continuare a vagare nella mia mente. In quel momento solo le sue parole fluttuavano tra loro, li assorbivano con la loro forza e li facevano soccombere, così che il mio unico pensiero fosse rivolto a loro. Parole per confondere e per soggiogare il mio volere, affinché si uniformasse al suo.

Spesso pensavo che la mia immunità da quei poteri non funzionasse con lui, come se Klaus fosse capace comunque di plasmare la mia mente alla sua con delle parole all'apparenza semplici, ma davvero ben studiate.

Fai finta che sono il tuo veleno: pronto a correrti sotto pelle mentre lo senti scorrere lungo il tuo sangue.” La sua mano si posò sulla mia, le punte delle dita camminarono velocemente sulla manica del mio abito, provocando una scossa sotto la mia pelle.

Per poi fluire nella tua mente e dominarla con il suo inebriante tocco di morte.”

La mano giunse vicino al mio viso, le dita attraversarono parte del mio collo nascosto sotto i capelli e la scansai con una manata. Klaus sorrise, ritraendo la mano e divertendosi a vedere il rossore colorare le mie gote.

Non tutti i veleni sono fatti per uccidere. Alcuni fanno male, ma sono fatti per curare.” mi disse ancora, posando il gomito sul bancone e restando rivolto verso di me. Io fissai un punto di fronte a me, perso tra quei bicchieri che decoravano le mensole del mobile oltre il bancone. “E io sarò la cura che ti farà scoprire davvero te stessa, quella parte di te che rifiuti di conoscere perché sai che ne rimarrai spaventata e affascinata.”

Un po' come te allora.

Volsi lentamente la testa verso Klaus, piegandola dal lato in modo che lui comprendesse il significato di quel mio sguardo. Il suo sorriso lentamente sparì, quando si accorse che il suo obiettivo non era poi diverso dal mio, da quello che mi ero posta da tempo ormai: lui voleva il mio lato oscuro, io il suo lato luminoso, quello che aveva diverse volte mostrato ma la cui luce era stata poi soffocata dalla paura di mostrarsi troppo umano.

Avevamo entrambi paura di quello che poteva celarsi davvero dentro di noi, era questa la vera cosa che avevamo in comune.

Paura di un padre.

Paura di amare.

Paura di soffrire.

Paura di noi stessi.

Ecco qua.” Diana giunse da noi con due boccali di birra enormi, la loro schiuma faceva capolino dal bordo di essi e gocce scapparono a quella prigionia di vetro, scorrendo lungo i lati.

Mi ritrassi quasi intimorita, quando la donna posò quei boccali di fronte a noi e che Klaus stava già pregustando con lo sguardo.

Bene, bene...qui ci si diverte.” disse con un sorriso, si voltò verso di me e rise del mio sguardo fisso su quel liquido dorato.

Diana sembrava divertita quanto lui.

Prima tu.” Klaus allungò la mano, come se mi stesse offrendo il privilegio di bere prima di lui.

Scossi la testa ripetutamente, non avevo mai bevuto in vita mia e non avevo voglia di cominciarlo a fare quella sera con lui.

Andiamo Iry, non cominciare con quel broncio odioso e goditi un po' la vita!” ridacchiò Klaus, alzando la voce come se temesse non potessi udirlo.

Lo guardai infastidita, mentre lui si scambiava occhiate complici con la sua degna compagna di provocazioni. “Poi...quale modo migliore per soffocare la noia, la paura e la disperazione se non nell'alcool?” chiese ancora lui.

Sapevo dove voleva arrivare, voleva che mi convincessi a far passare la mia tristezza dovuta al comportamento di Elijah in quel modo che, di giusto, aveva ben poco.

Ma non sarei uscita facilmente da quella situazione se non lo avessi accontentato.

Mi concessi un unico sorso, stringendo i lati del boccale in modo che lo alzassi verso le mie labbra.

Klaus sorrise mentre trangugiavo quella bevanda amara, il suo sapore fastidioso mi si incollò al palato e mi provocò un senso di disgusto che poi si trasformò in un pizzicore in gola.

Chiusi gli occhi e storsi la bocca, lasciando il boccale sul bancone e tirando fuori la lingua, sperando che l'ossigeno cancellasse via quel saporaccio da essa.

Tesoro, bevila tutta. Anche se sono un vampiro, la devo pagare quella birra, sai?” mi sfidò di nuovo Klaus, facendomi venir voglia di prenderlo a pugni. Guardai il suo sorriso beffardo, tramutarsi poi nell'ennesima provocazione. “Ti sfido.”

Due semplici parole, per spingermi ad accettare di raggiungere quella vittoria nei suoi confronti.

Bevvi un altro sorso, promettendo a me stessa che sarebbe stato l'ultimo.

* * * *

Erano belli.

Quei fiori mossi dal vento, che trasportavano il loro profumo fino a noi, erano davvero stupendi. Ma mi sembrava un peccato fossero intrappolati in quella cornice dorata, ero tentata dall'allontanarla da loro e permettere così che quei fiori fossero liberi come lo era la mia mente in quel momento.

Priva di pensieri, leggera e libera come non lo era mai stata in sedici anni di vita.

Nemmeno pensai che quella “prigione” di quei bei fiori fosse un quadro affisso ad una parete. Posai il mento sulla superficie del tavolo, il mondo attorno a me continuava stranamente a muoversi senza che potessi controllarlo e venni invasa dalle troppe luci e colori che lo dominavano.

Restando quasi distesa sul tavolo, allungai la mano verso il bicchiere di fronte a me e rimasi estremamente amareggiata quando lo trovai vuoto.

1367”

Volsi la testa verso Klaus, seduto accanto a me. Aveva le gambe distese sul tavolo e stava ammirando il proprio riflesso sul vetro del bicchiere che teneva in mano.

Il suo era ancora pieno, lo trovai ingiusto.

Si chiamava Elisabetta, aveva gli occhi verdi, delle labbra da divorare ed era....fuoco. A volte mi scandalizzavo persino io quando passavamo la notte insieme.”

Quel nome fu l'ennesimo che mi passò da un orecchio per poi uscire dall'altro. Avevo posto a Klaus una specifica domanda e lui mi aveva iniziato a parlare delle innumerevoli donne che avevano allietato con la passione le sue notti nel corso di quei secoli.

Quella Elisabetta non mi stava meno antipatica delle altre che avevo sentito nominare e Klaus non si rendeva nemmeno conto di quanto mi desse fastidio sentirlo parlare in quei termini di altre donne.

Mi alzai in piedi, ma per poco perdi l'equilibrio e dovetti chiudere gli occhi per arrestare il girotondo di quel mondo attorno a me. Mi sorressi al tavolo e cercai di avvicinarmi a lui, facendo strisciare le mani lungo la superficie circolare in legno.

Mi è quasi dispiaciuto dissanguarla quella notte, era davvero stupenda e diabolica.” Klaus si portò il bicchiere alle labbra, fissandone l'interno con aria pensierosa. Ripose la sua attenzione su di me solo quando gli fui abbastanza vicina, alzò la testa e io gli posai una mano sulla bocca, in modo che capisse che la doveva smettere di parlare di quelle ragazze che gli aveva donato il cuore per poi non ritrovarselo più nel petto. Sentii Klaus ridere sotto il palmo della mia mano, il suo respiro mi soffiò sulla pelle mentre gli occhi quasi si riducevano a due fessure per il divertimento.

Che hai? Sei gelosa?” mi chiese poi, quando gli gettai le braccia al collo senza che potessi fermarmi. Quella improvvisa vicinanza lo sconvolse e mi resi conto che, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, fui io quella a sorprenderlo in quel modo.

Le sue labbra si allargarono in un sorriso, che avrei quasi definito timido, e portò le mani dietro la mia schiena, intrecciando le dita e adagiandole su un punto sopra il mio abito, che fece correre dei brividi lungo la mia schiena.

Sbaglio, o sto corrompendo Irina Petrova?” mi domandò, quasi ammiccante.

Ma io non ero Irina Petrova in quel momento.

Lei era assopita da qualche parte dentro di me, io non ero altro che il lato oscuro che si era liberato dalle catene della sua mente e del suo cuore ed era divenuto libero.

Ignorando lo sguardo languido di Klaus, presi il bicchiere che aveva lasciato e bevvi l'ultima goccia. Il suo sapore amaro mi faceva ancora ribrezzo, ma lo lasciai scorrere lungo la gola per portare via un altro pezzo della mia razionalità.

Mi piaceva non avere pensieri per la mente, non ero mai stata così libera come lo ero in quel momento.

Stavamo parlando di amore.” gli ricordai.

Io volevo solo sapere se era mai esistito un Klaus che si sentiva mancare il respiro di fronte all'amore, se aveva mai desiderato sentir battere il cuore dell'amata in simbiosi con il suo, se aveva mai voluto stringere tra le sue braccia il centro del suo amore e proteggerla ad ogni costo.

Perché non riuscivo proprio ad immaginare un Klaus innamorato?

Forse perché avevo ancora tanta umanità da scoprire prima di giungere a lui.

Era incredibile: anche nel vino, Irina Petrova continuava a voler ostinatamente arrivare al cuore di Klaus.

Il volto del vampiro si era irrigidito, lo vidi abbassare lo sguardo su un punto dietro di me, dove alcuni ubriachi stavano cantando una volgare canzoncina, per poi posarlo di nuovo sul mio viso. “Ho già risposto alla tua domanda.” mi disse.

Lo fissai quasi dispiaciuta, perché la mia curiosità si era terribilmente amplificata sotto gli effetti dell'alcool e Irina Petrova continuava a ruggire dentro di me la sua volontà di voler tornare a comandare il nostro corpo. Spinsi via le braccia di Klaus e mi voltai verso la sedia alle mie spalle, la trascinai di fronte a lui in modo che fossimo occhi dentro occhi, mentre lo costringevo a rispondere alle mie domande.

Klaus si mostrò incuriosito da quel mio comportamento, seguì in silenzio ogni mio movimento e mi guardò sedermi con le braccia strette al petto e un'espressione che doveva rispecchiare un insensato miscuglio di emozioni. Non riuscivo a controllarle, si erano ormai fuse tra loro e dividerle mi parve impossibile.

Cos'è per te l'amore, Klaus?

Lui mi sorrise divertito, si distese sulla sedia e allungò le gambe lungo il pavimento, portandole quasi fino a me. Le punte dei suoi piedi sfiorarono gli orli della mia gonna.

L'amore? Solo uno stupido sentimento che rende deboli. Niente più.” rispose, con voce roca.

Quella frase fu terribile da sentire: un sentimento è qualcosa di così potente, che non lo si può associare con la parola solo. Poi perché dovrebbe indebolire? L'amore rende solo più forti, crea delle difese attorno al proprio cuore con la quale è possibile sfuggire ai dolori che la vita cerca sempre di infliggere.

L'amore è la nostra più grande forma di resistenza, senza di esso la morte sarebbe giunta a noi più rapidamente.

L'amore ha ucciso molte più persone di quanto abbiano fatto le malattie. Dimmi perché dovrei credere in qualcosa che nuoce solamente, Irina.” Klaus divenne quasi arrabbiato, la sua espressione si fece corrugata e il suo sguardo parve sfidarmi a dargli una risposta. Irina Petrova parve destarsi dal sonno in cui era caduta, mi spinse a piegarmi in avanti per essere più vicina a lui e dargli un sorriso che voleva infondere serenità. Klaus rimase di nuovo stupito da quel gesto che nasceva però da Irina, non da me, e lasciò scorrere lo sguardo lungo il rossore che doveva colorare le mie gote.

Perché l'amore rende davvero liberi.

E tu non lo sei, Klaus. Perché ti aggrappi alla convinzione di non voler più credere nell'amore, quando in realtà è la prima cosa che desideri al mondo.

Interdetto.

Fu così che rimase Klaus di fronte a quelle mie parole silenziose.

Divertito.

Fu così che si mostrò subito dopo, quando si piegò in avanti in modo che il suo viso fosse vicino al mio.

Irina Petrova tornò prepotentemente in me in quel momento. La vicinanza del respiro del vampiro la spingeva a ritrarsi indietro, ma io la costringevo a restare immobile, a lasciare che quegli occhi blu le trapassassero lo sguardo. La bocca di Klaus si allargò in un sorriso, mentre continuava con il respiro a baciarmi la pelle.

Smettila con questi giochetti, io non sono più un uomo. Non posso amare di nuovo.” disse, la sua espressione era provocatoria eppure riconobbi della malinconia in quegli occhi. Poteva indossare tutte le maschere che voleva, ma il suo sguardo non mentiva.

Allungò la mano verso la mia e la portò lentamente al suo petto, sulla scollatura aperta della sua camicia. Irina venne presa da un profondo senso di pudore quando sfiorammo la pelle marmorea del petto del ragazzo, ma io la trattenni perché volevo davvero vedere a cosa sarebbe arrivato lui.

Senti? Non c'è nulla qui dentro. Il mio petto è vuoto, privo di quel patetico muscolo che batte nel vostro e che vi fa provare amore. Il cuore prima o poi si spegne, Irina, e con esso la capacità di amare...quindi, perché dovrei credere in qualcosa che è destinato finire?”

E tu perché continui a pormi domande sul perché non credere nell'amore?

Perché lui lo aveva provato, una parte di sé continuava a ricordare cosa fosse l'amore, ma probabilmente l'averlo perso per sempre lo stava rendendo così chiuso a quel sentimento che, però, bramava ancora.

Irina mosse la mano sul petto di Klaus, tamburellando su di esso come se volesse riattivare quel cuore che non batteva da secoli. Il vampiro mi guardò sorpreso mentre sentivo la mente di Irina riprendere man mano controllo di me, man mano che quella mano continuava a battere sul petto di Klaus.

Come se fosse il suo cuore.

Piano piano ripresi controllo del mio corpo.

Lui non voleva un petto vuoto, lo sapevo, così cercai di riempirlo io stessa con quel gesto.

Non seppi cosa successe: mi sentivo ancora la mente pervasa da troppo caos, tutti i sensi si mescolarono in una specie di turbine che quasi mi fece cadere.

Ma mi accorsi di lui.

Di come si era tremendamente piegato su di me, di come le sue mani avevano preso il mio viso tra le sue e di come le sue labbra si erano pericolosamente avvicinate alle mie, quasi sfiorandole con il fiato. La mano aveva preso a battere più forte sul petto di Klaus, come se il suo battito cardiaco, mai ci fosse stato, sarebbe aumentato sempre di più.

Le distanze si annullarono.

Il controllo ritornò in me.

Non potevo.

Ritrassi la testa, prima che ci baciassimo e abbassai lo sguardo imbarazzata, Klaus mi fissò in silenzio mentre io mi alzavo lentamente in piedi, ancora stordita dall'alcool ma abbastanza lucida per capire che dovevo andarmene. Dovevo farlo.

Adesso te ne vai?” mi chiese lui con sfida, quando gli voltai le spalle.

Presi il mantello dallo schienale della sedia su cui ero seduta e rimasi immobile. Nella voce del vampiro, scorsi una profonda rabbia che mi parve quasi troppo concreta per non poterla fronteggiare.

La sua mano accorse a stringere il mio gomito, mi costrinse a voltarmi verso di lui e venni pietrificata dal suo sguardo.

Perché mi chiedi sempre dell'amore allora se non lo vuoi da me?” mi domandò.

Quella questione mi lasciò confusa, pensai subito che Klaus stesse parlando per gli effetti della birra ma qualcosa in lui mi lasciava cogliere della delusione troppo sincera, per essere frutto di una illusione. O mi sbagliavo?

Lasciala stare.”

Una voce ruppe l'innaturale silenzio che si era creato attorno a noi, riconobbi subito il suo suono malgrado tutto attorno a me si fosse troppo confuso. Mi voltai di scatto verso Elijah, la sua figura immobile di fronte a noi e lo sguardo truce che si posava in particolar modo sul fratello.

Questi rise, come se la vista di Elijah adirato in quel modo lo divertisse solamente. O era troppo ubriaco per rendersene conto, oppure era davvero troppo folle per sostenere quegli occhi. “È arrivato il guastafeste...” cantilenò fastidiosamente.

Elijah lo ignorò, si avvicinò rapidamente a me e la vista offuscata mi regalò solo una immagine distorta della sua immagine. Lo sentii prendermi il polso con forza, una forza che non aveva mai usato prima, e mi tirò a sé. “Torniamo a casa, sei ubriaca.” mi disse solamente e mi avvicinò di più al suo corpo. I suoi occhi neri sembravano pezzi di carbone ardente, ero certa di non averlo mai davvero visto così arrabbiato.

Provai a fare qualcosa, a dirgli qualcosa, ma era tutto inutile: Elijah non voleva ascoltarmi.

Camminammo lungo il corridoio centrale della locanda, quando la voce di Klaus interruppe la nostra avanzata. “Tu lo sai di essere patetico, vero fratello?”

Come buttare altra carne alla brace, solo lui era capace di farlo.

Sentendomi ancora troppo disorientata per cercare di porre rimedio a quella strana situazione, sentii i muscoli delle braccia di Elijah irrigidirsi e il suo busto girarsi lentamente verso il fratello.

Klaus gli sorrideva con sfida, malgrado anche lui stesse barcollando, con la mano adagiata sul tavolo. “Te l'ho detto l'altro giorno e te lo ripeto: mi fai pena.” disse.

Elijah stava per esplodere, lo capii da come il suo sguardo si era fatto più affilato e da come la sua mascella si era fatta serrata. Continuò a tenermi per il polso e pensai che Klaus doveva riferirsi alla discussione che era scoppiata dopo la faccenda della vasca.

Chissà cosa si erano detti.

Non penso ti convenga ripetere quella discussione, Niklaus.” lo intimò Elijah, come se volesse sottolineare che non era andata molto bene per lui. Klaus assunse un'espressione infastidita, mentre lui mi tirava di nuovo verso la porta, senza permettermi di opporre resistenza.

È colpa tua, Irina.” esclamò Klaus, arrestando di nuovo la nostra avanzata. Lo guardai senza capire, ci fermammo vicino al gruppo di ubriaconi al bancone che stavano parlottando con Diana e notai che i loro sguardi erano fissi su di noi, per quanto Klaus aveva alzato la voce. I suoi occhi grigio blu sembravano carichi di fuoco, pronto a divampare rapidamente intorno a noi. “È solo per colpa tua se diamo il peggio di noi sempre.”

Parla per te, Niklaus. Qui l'unico che da davvero il peggio di sé, sei tu. Con le bugie che dici sempre a te stesso.” precisò Elijah, con voce fredda e spaventosa.

Beh, Irina non ti ha detto del bacio alla festa di qualche sera fa. Io dirò a me stesso le bugie, ma lei le dice a te.”

Lo guardai incredula: come un bambino capriccioso e che desiderava vendicarsi di aver perso un gioco, Klaus aveva tirato fuori la faccenda del bacio che Elijah non sapeva.

Perché non glielo avevo detto, dato che non significava nulla.

Elijah lo guardò a lungo e in silenzio, mentre attorno a noi l'attenzione si era focalizzata sopratutto sui due vampiri. Ero talmente confusa, che non mi accorsi di come Elijah si era avvicinato pericolosamente, ma lentamente, al fratello e lo aveva colpito con un pugno in viso, facendolo ribaltare sul tavolo dietro di sé.

Si era mosso con eleganza, ma aveva usato una forza che trovai disumana.

Ehi, qui non ammetto risse, signori fusti!” esclamò Diana, parlando con voce gracchiante e portandosi i pugni sui fianchi, mentre alcuni uomini ridevano di quella scena.

Klaus restò a terra, massaggiandosi la mascella colpita e alzando lo sguardo sul fratello con un'espressione infastidita. Voleva forse replicare, ma le parole di Elijah gli impedirono di fare nulla. “Sapevi sarebbe finita così.” disse e si allontanò da lui.

Quando si voltò verso di me, ritrovai il mio senso di colpa così amplificato che uscii dalla locanda rapidamente, barcollando visibilmente. Quando mi scontrai con l'aria gelida della notte, mi portai il mantello alle spalle e mi sorressi alla parete esterna della locanda.

Dove pensi di andare? Ti accompagno io.”

No!

Mi liberai della presa di Elijah, quando scorsi di nuovo quel tono arrabbiato nella sua voce.

Mi sentivo già abbastanza in colpa per quello che era successo poco prima là dentro, non volevo sorbirmi anche la sua rabbia.

Volevo tornare a casa. Da sola.

Elijah mi strinse le spalle e mi spinse a guardarlo, esercitava una forza non troppo potente sulla mia pelle ma che comunque mi faceva venire i brividi. “Sei tu quella arrabbiata adesso? Non vedi come ti ha ridotto?” mi domandò e capii che il “bacio” nascosto non era il solo motivo che lo mandava in collera. Lui non riusciva a vedermi ridotta in quello stato e io la pensavo allo stesso modo. “Non ti riconosco nemmeno più.”

Nemmeno il diavolo ti riconoscerebbe.

E non volevo che lui mi guardasse in quel modo.

Mi liberai dalla sua presa e mi allontanai rapidamente, sperando che l'equilibrio non mi abbandonasse. Percorsi la stradina di fronte alla locanda e ignorai il suo sguardo su di me.

* * * *

Presa dal senso di colpa, decisi di tornare a casa da sola ma, come una stupida, fui capace di perdermi anche in quel piccolo villaggio.

Mi fermai, quando riconobbi quella casa, le cui inconfondibili pareti rosse si erano stagliate davanti al mio sguardo per ben tre volte, mentre camminavo lungo le strade.

Sbuffai amareggiata, alzai lo sguardo verso il cielo scuro e guardai la mezza luna che brillava in cielo. Un rumore dietro di me mi destò da quella immagine, per un attimo pensai che me lo fossi immaginata e che fosse solo una illusione causata dalla mia spossatezza, ma voltandomi scorsi un uomo che camminava lungo quella stradina. Aveva in mano una bottiglia e riconobbi in lui, uno di quegli energumeni che stavano bevendo al bancone della locanda di Diana. Cercai di non fissarlo troppo e proseguii lungo la strada opposta alla sua, sperando di non perdermi ancora.

Buonasera bellezza!” mi richiamò lui, ma lo ignorai.

Malgrado sentissi le gambe tremarmi per il panico, malgrado lo sentivo farsi sempre più vicino. Quello arrivò subito a me, mi strinse i fianchi con le braccia e mi costrinse a voltarmi verso di lui.

Il suo viso divenne più visibile alla luce della luna, aveva più o meno trent'anni ma la sua pelle sembrava aver conosciuto da troppo tempo i primi sintomi della vecchiaia. Aprì la bocca in un ghigno orribile e venni inondata dall'odore acre del suo alito, provai a divincolarmi ma fu tutto inutile. Eravamo entrambi storditi, ma lui era più forte di me.

E dai tesoro, non avere paura. Sei davvero troppo carina, sai?” Tremai più forte di fronte a quelle parole, provai a divincolarmi, ma fu tutto inutile.

Quell'uomo agiva in balia dell'alcool e la sua forza era quindi il doppio meno controllata del solito. Le sue mani cominciarono a scendere lungo il mio corpo, provando a passare sotto il tessuto del mio abito e allora provai davvero un profondo senso di paura.

Lacrime di terrore scorsero lungo le mie guance, mentre la forza di quell'uomo si faceva sempre più pressante sul mio corpo, cercando di violare la mia pelle.

Ma durò poco: il tempo di aprire la bocca in un grido silenzioso e l'uomo era a terra sulla neve. Caddi anche io in quell'oceano bianco, allungando le mani in avanti per non cadere di faccia sul terreno.

Quando mi voltai, mi si bloccò il respiro in gola.

Nemmeno il diavolo ti riconoscerebbe.

L'uomo gridava, la sua voce si riduceva sempre di più ad un debole sussurro della notte mentre Elijah affondava i denti sempre di più nella carne del suo collo. La luce della luna illuminò quelle linee di sangue che scendevano lungo la pelle pallida dell'ubriaco che provava a divincolarsi ma inutilmente. Elijah continuò a strappare via la sua vita, la sua forza attraverso quel morso, mentre i miei occhi fissavano la scena increduli.

Durò tutto molto poco, eppure mi parve di aver assistito per un'eternità a quella scena: Elijah lasciò il corpo a terra, si portò le mani sulle labbra come per constatare che fossero sporche di sangue. Il respiro affannato muoveva il suo petto rapidamente e i suoi occhi erano più neri del solito, mentre la luna faceva scendere la sua luce su di loro.

Poi volse lo sguardo verso di me, tremavo visibilmente e non riuscivo distogliere lo sguardo dalle sue labbra sporche di sangue.

Quello non era Elijah. Non poteva esserlo.

O ero troppo ubriaca per rendermene conto? O magari troppo ubriaca che mi stavo immaginando tutto.

Irina?” lui fece un passo verso di me, la sua voce era intrisa di senso di colpa ma mi parve di non riconoscerla.

Quella bocca sporca di sangue non era la sua.

Strisciai un po' all'indietro, presa dalla paura di averlo troppo vicino e lui si arrestò. Mi guardo con occhi confusi e allo stesso tempo increduli, non credeva forse che lo avrei mai guardato in quel modo.

E lo pensavo anche io.

Mi alzai in piedi e corsi via, lontano da lui.

Fu la paura a guidarmi.

* * * *

Non avevo dormito quella notte.

Appena i miei occhi si chiudevano alle porte del sogno, mi sembrava di rivivere l'attimo in cui Elijah affondava i denti nella carne di quell'energumeno, succhiandogli via la vita fino a prosciugarlo di essa. Ma di cosa mi stupivo? Elijah era un vampiro, nel corso della sua vita doveva aver strappato la vita di molte persone in quel modo.

Eppure, io non volevo accettarlo.

Volevo rimanere aggrappata all'immagine di lui che avevo conosciuto fino ad allora, quella maschera umana di cui mi ero innamorata e che ancora volevo tenere viva.

Una parte di me sapeva anche che avrei scoperto quella parte molto presto, perché nascondere la propria natura non era facile, non si poteva indossare una maschera e coprire le apparenze per sempre, ma non potevo comunque non trattenere la mia paura.

Quella mattina la volli passare da sola, la testa stava ancora pagando per i colpi subiti la notte prima e ogni tanto un senso di nausea mi saliva alla gola. Decisi così di andare a fare una passeggiata nei boschi, in sola compagnia di me stessa.

Indossai un lungo abito blu notte e mi accinsi ad uscire dalla porta della mia camera.

Nemmeno il diavolo ti riconoscerebbe.

Me lo ritrovai di fronte, come un profumo portato dal vento e che assumeva una forma davanti ai miei occhi. Mi sentii pietrificare, i muscoli si irrigidirono e il cuore batté un ultima volta, rimbombandomi nel petto e lasciando riecheggiare il suo suono tra le pareti del mio corpo.

Quegli occhi neri mi scrutarono dentro, immobilizzarono la mia anima e la resero priva di consistenza e forza. Per la prima volta non furono le farfalle nello stomaco ad accompagnare la sua immagine, ma una lunga serie di brividi che correvano lungo la mia schiena e che avevano il nome del terrore.

Dobbiamo parlare.” Due semplici parole, per gelarmi il cuore e impedirgli di riprendere a battere regolarmente.

Possibile che si fosse fermato davvero? Sentivo solo silenzio, dentro e fuori di me.

Nessun suono parve interrompere quel viaggio nei suoi occhi scuri.

Ma io non volevo parlare, volevo solo stare il più lontana possibile da lui almeno fino a quando l'immagine delle sue labbra sporche di sangue non si sarebbe affievolita sempre di più.

Non sopportavo pensare le sue mani sporche di sangue, era più forte di me e volevo preservare l'illusione di un Elijah umano.

Provai ad allontanarmi, ma non mi fu concesso.

La sua mano.

Si allungò davanti al mio sguardo e batté sulla parete alle mie spalle e sembrò quasi farlo tremare.

E io con lui. Mi sentii percuotere dal tremito di quel rumore, che parve espandersi dentro di me e portarmi tra le braccia della paura.

Volsi lo sguardo verso Elijah, i suoi occhi neri continuavano a tenere legati i miei ad i suoi e sembrarono perforare la mia anima e renderla sua succube.

Smettila.

Mi faceva paura, ma non se ne rendeva conto? O ero io che sbagliavo e pretendevo che lui fosse buono? Guardai il suo viso e il ricordo delle sue labbra colorate di rosso mi costrinsero a distogliere lo sguardo e portalo altrove.

Irina, guardami. Sono sempre io.” disse la voce di Elijah, quasi irriconoscibile e con un suono duro che avrebbe fatto tremare anche l'animo del più impavido degli animi.

No, non era sempre lui. Lui era ira, furia devastante che bruciava qualsiasi cosa toccava e io non volevo bruciarmi in quel momento.

Lasciami andare.

Provai di nuovo ad allontanarmi, fuggendo al suo braccio, ma un'altra mano giunse ad arrestare il mio cammino. Tremai di nuovo con la superficie e mi ritrovai intrappolata tra gli arti di Elijah, vittima di quegli occhi che erano carnefici della mia pena.

Serrai le labbra e mi voltai completamente verso di lui, posando la schiena sul muro e sforzandomi di risultare tranquilla anche se il mio corpo, vittima dei tremori, mostrava il contrario.

Elijah era ancora arrabbiato, vedevo la luce dell'ira illuminare le sue iridi scure e incendiare la mia paura.

Ho perso il controllo, è vero, e mi dispiace.” disse, fece un passo verso di me e mi costrinse a rannicchiarmi sempre di più in me stessa, pur di sfuggire a quel tocco che una stupida parte di me giungeva comunque a bramare. La testa alta verso di lui, il respiro trattenuto per non arrivare al suo e il cuore che batteva talmente forte che quasi mi perforava le costole. “Ma io sono un vampiro, non devi dimenticarlo. Ho sentito il tuo corpo tremare e si è accesa la mia ira, ho sentito il tuo cuore battere all'impazzata per la paura e la prima catena che tratteneva la mia furia si è sciolta, ho visto le sue mani su di te e tutte le altre catene si sono sciolte e hanno fatto divampare l'incendio...e ho portato morte, ho portato quel viscido verme all'inferno che meritava.”

Ogni parola mi provocava un blocco in gola, che arrestava il mio fiato e mi faceva vibrare il petto in preda a piccoli spasmi causati dalla paura.

Elijah tenne di nuovo gli occhi su di me, l'espressione tesa in una freddezza che continuava a spaventarmi. “Ho perso il controllo ma è perché ho sentito nascere tutto questo in te. Non è una giustificazione, non voglio difendermi, ma è questo che sono: un vampiro.”

Deglutii, rendendomi conto che non potevo trattenere troppo a lungo i miei respiri in quel modo. Le parole di Elijah mi confondevano, mi rasserenavano in parte e mi turbavano in altra maniera. Mi ritrovai divisa in due, perché volevo essere debole e accettare ciò che era successo mentre l'altra parte di me, quella un po' più forte, preferiva aspettare ancora che quell'immagine di morte avrebbe abbandonato i miei ricordi.

Come puoi avere paura di me dopo tutto quello che è successo?” mi chiese, scuotendo la testa.

Non volevo arrivare a quel punto, cercai di superarlo passando sotto il suo braccio destro e dirigendomi lungo il corridoio ma lui si parò di nuovo di fronte a me.

Mi scontrai con la sua figura e il cuore che si era un attimo tranquillizzato, riprese a battere troppo velocemente in preda ad una folle paura. “Puoi provare ad ascoltarmi almeno per favore?” mi chiese duramente, facendo trapassare le sue parole attraverso i denti, come in un sibilo.

Non in quel momento, non volevo comprenderlo in quel momento.

Mi irrigidii, stringendo i pugni lungo le gambe e serrando la mascella per non mostrare che potevo mettermi a piangere di rabbia, tristezza, malinconia da un momento all'altro.

Lasciami andare.

Avrei tanto voluto calcare quelle parole, far sì che lo facessero rabbrividire ma non fu così.

Rimasi io quella che tremava di fronte a lui.

Lasciò che lo superassi,quella volta non mi fermò, e sentii i suoi occhi seguire i miei movimenti.

Non respirai per tutto il tempo in cui li avvertii sulla mia schiena.

* * * *

Si diceva che nella solitudine si era davvero capaci di trovare sé stessi.

Si scoprivano di avere domande irrisolte, si trovavano risposte che mai e poi mai si pensava di trovare e molto spesso ci si ritrovava faccia a faccia con sé stessi.

Era forse quello che stava accadendo a me, mentre vagavo silenziosamente in quella foresta innevata, sfidando il vento che mi stava tagliando la pelle e ascoltando tutti i suoni che il mio udito era capace di cogliere. Il verso di qualche uccello che si librava per aria, il rumore del fiume che scorreva oltre quella rupe.

Non mi ero nemmeno accorta di averla raggiunta, tanto ero presa dai miei pensieri. Mi fermai a pochi passi da quella punta che sembrava volersi tuffare nel vuoto e lasciai che il vento muovesse la mia gonna, insieme al mio sguardo che si allungava verso l'orizzonte.

Fu lì che trovai una risposta.

Stavo sbagliando tutto.

Perché spaventarmi così per aver visto il vero Elijah, quando già sapevo che quella era la sua natura?

Avevo già accettato di essere innamorata di un vampiro, sapevo che lui aveva comunque bagnato le proprie labbra di sangue umano e allora perché prendermela?

Perché sei un'ipocrita.

Mi sembrò di sentire di nuovo l'irrazionalità farsi largo nella mia mente, mentre chiudevo gli occhi e stringevo i pugni. Quella voce si fece largo tra i miei pensieri, annullò tutto il resto e mi ritrovai a prendere lunghi respiri per tranquillizzarmi.

Mi hai fatto male, Irina.”

Quella voce non proveniva dai miei pensieri.

Sbarrai lo sguardo e mi voltai verso Daniel: i suoi occhi scurissimi erano fissi su di me, la sua espressione fredda e impassibile e i muscoli del corpo visibilmente tesi sotto i pesanti vestiti che indossava. Mi trattenni dall'arretrare, sapendo che dietro di me c'era il vuoto, e lo guardai con aria spaventata.

Pensavo che se ne fosse andato, che avesse lasciato il villaggio dopo il rapimento di Katerina, ma era ovvio che non era così. Rimase fermo davanti a me, trafiggendomi con lo sguardo.

Adesso capisco perché lui ti stia cercando. Devi essere qualcosa di strano per avermi fatto una cosa simile.” continuò a dire Daniel, un sorrisetto amaro apparve sulle sue labbra e fece un passo verso di me.

Era lui il lupo.

Stava sicuramente parlando di come avevo causato la sua fuga, dopo l'aggressione a Katerina. Perché sapevo che, in qualche modo, ero stata io a spaventarlo, anche se non mi ero posta molte domande al riguardo.

La paura oscura le risposte, non ti permette di trovarle perché sa che ne rimarresti sconvolto. E con me, la paura si era permessa di nascondere molte cose.

Deglutii, passai una mano accanto alla gonna ma mi dimenticai di non essermi portata il pugnale con me. Ero nel pieno della mia debolezza, incapace in alcun modo di difendermi.

Mikael?

Era quel bastardo il lui di cui Daniel stava parlando? Perché era chiaro che Katerina fosse stata rapita per suo conto e il licantropo aveva aggredito me e Klaus mentre la cercavamo.

Non credevo nelle coincidenze.

Ma poi mi ricordai che Klaus era stato indebolito da un incantesimo proprio per mano di Daniel, ma quest'ultimo non poteva essere un licantropo e uno stregone allo stesso tempo.

Oppure, c'era qualcun'altro quel giorno che agiva nell'ombra e che aveva lanciato quell'incantesimo su Klaus. Magari proprio Bell.

Daniel sorrise, avanzò di nuovo verso di me perché sapeva mi sarei fermata. “Prova ancora.” mi disse in un sussurro.

Bell.

Era per lui che lavorava.

Non capivo più nulla, lo guardai con aria interrogativa ma sapevo che non potevo ricevere risposte, non essendo capace di formulare tutte quelle domande.

Dovresti essermi grata, ti ho salvato la vita l'altra notte.” continuò lui, fece uno scatto verso di me e mi strinse il polso con rudezza.

Mi tirò poi a sé e provai a divincolarmi inutilmente, lui era troppo forte e la sua presa era ben salda sulla mia pelle, impedendomi di compiere alcun movimento. Iniziai a provare paura, un terrore profondo mi pervase mentre lui continuava a perforarmi l'anima con il suo sguardo.

Ho provato anche a salvarti da quel bastardo di vampiro con cui vai in giro, ma tu dovevi proprio metterti in mezzo, eh?” Daniel serrò le labbra e mi tirò più vicino a sé. Mi sembrò di rivivere i momenti con Micah, lui aveva la sua stessa espressione di ostinazione sul viso.

Di qualcuno che era disposto a tutto pur di liberarsi di Bell.

E io ero il loro obiettivo, per motivi ancora troppo inspiegabili.

Katerina?

Non sono stato io a rapire tua sorella, abbiamo solo approfittato della situazione per provare a portarti via...ma hai mandato tutto all'aria.” disse prontamente lui, come se avesse letto le mie labbra. Allora era vero che qualcun'altro stava tramando nell'ombra quella sera, ma chi?

Provai di nuovo a liberarmi, ma inutilmente: Daniel mi strattonò a sé, mi ritrovai con un centimetro dal suo viso e i suoi occhi sembrarono volermi incendiare, i denti fermi sopra le sue labbra e un lieve tremore che gli scuoteva il viso. “Belial ha promesso la mia incolumità se ti portò da lui viva e vegeta.” disse in un ringhio. “Non posso permetterti di scappare, ragazzina. Sono costretto a farlo.”

Belial?

Smisi un attimo di divincolarmi, appena la mia mente elaborò quel nome e lo ripeté più e più volte, come se volesse cogliervi in esso un qualche ricordo, nascosto in un angolo buio della mia testa. Perché mi era così familiare quel nome? Di chi si trattava?

Tu non sai cosa è capace di fare...tu non sai chi è veramente.” disse ancora Daniel, scuotendo lentamente la testa e facendomi capire che stava parlando di Bell.

Era quello il suo vero nome? Avevo troppa confusione in testa e mi parve quasi che questa stesse per scoppiare.

Provò a tirarmi via, ma combattei con tutta me stessa per opporre resistenza. Puntai i piedi sul terreno e mi piegai su me stessa per non farmi trascinare da lui. Ma Daniel era troppo forte: nel vano tentativo di liberarmi della sua presa, caddi a terra e lui non lasciò mai il mio polso.

Mi dispiace, Irina. Ma sono costretto a portarti da lui se voglio salva la vita...” Lui parve quasi scusarsi, mentre continuava a volermi tirare a sé ma lo ignorai. Lo colpì con un calcio alle ginocchia che gli fece quasi perdere l'equilibrio e strisciai all'indietro per allontanarmi.

Lui fu subito in piedi e fu di nuovo su di me. Presi così la prima roccia che trovai vicino a me e lo colpì in viso, usando tutta la forza che potei.

Lui cadde accanto a me, gemendo di dolore e toccandosi il lato destro del viso, mentre io balzavo in piedi e cercavo di scappare. La sua mano però giunse a stringere la mia caviglia, caddi di nuovo a terra e lo colpii con un calcio in pieno viso che gli fece perdere l'equilibrio.

Non mi ero accorta di quanto fossimo vicini alla punta della rupe: scattai in piedi e iniziai a correre nel momento in cui lui gridò qualcosa alle mie spalle, il suo della sua voce si propagò nell'aria e riecheggiò in quella fredda foresta.

Mi fermai.

Smisi di correre e mi girai verso la rupe, dove riuscivo a scorgere solo le dita di Daniel che ne stringevano la punta. Gridava disperato, mentre con l'altra mano provava a cercare un altro appiglio.

Corsi verso di lui, mi inginocchiai alla punta della rupe e gli tesi la mano, sperando di avere abbastanza forza per riuscire a tirarlo su. Il corpo di Daniel sembrava oscillare come una fogliolina mossa dal vento, sotto di lui il rumore del fiume che scorreva impetuoso riempiva l'aria circostante. Sembrava essere più attenuato, ora che mi ero così affacciata alla rupe.

I suoi occhi mi guardarono stupiti, mentre gli facevo segno di prendere la mia mano. Si stava sicuramente chiedendo perché stessi cercando di aiutarlo, ma non potevo lasciarlo morire: era Bell colui che doveva pagare, era lui che muoveva i fili di tutta quella brutta faccenda.

Daniel era come Micah, solo un'altra pedina sacrificabile.

Si decise finalmente ad allungare la mano verso di me, ma le nostre dita arrivarono solo a sfiorarsi: l'altra mano, quella che stringeva la punta della rupe, cedette.

Aprii la bocca in un grido silenzioso, che si unì a quello di Daniel e guardai il suo corpo farsi sempre più lontano insieme alla sua voce, per poi scomparire nella nebbia sottostante.

Rimasi con il braccio teso nell'aria fredda, il respiro bloccato in gola e il cuore che martellava dentro il mio petto.

Non ebbi però il tempo di dire o fare nulla, che un rumore alle mie spalle mi costrinse a voltarmi: una figura incappucciata si trovava dietro di me, le sue mani si allungarono rapidamente verso le mie spalle e tutto finì.

La terra sotto i miei piedi mi abbandonò, l'aria si tramutò in una veloce serie di scariche ghiacciate che attraversavano il mio corpo e mi sentii leggera come mai lo ero stata.

Forse perché il mio corpo era nulla, in confronto al vento che stava accompagnandomi verso la fine in quel momento.

Non ebbi il tempo di fare nulla: piangere, aprire la bocca per gridare e nemmeno pensare a tutti coloro che avrei perso, dopo che avrei raggiunto la fine di quella mia corsa.

Katerina.

Klaus.

Elijah.

Elijah.

Il mio corpo poi si infranse, come un'onda sopra uno scoglio e mi ritrovai a galleggiare nel nulla. Gli occhi rivolti verso l'alto, colsero gli ultimi bagliori di luci che mi vennero concessi, mentre l'aria lasciava i miei polmoni sempre di più.

E quando chiusi gli occhi, giunse la fine.


Ciao a tutti! :)

Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto!

Mi rendo conto che potevo fare molto di meglio, ma purtroppo ho scritto questo capitolo in un periodo un po' “incasinato” dato che avevo l'esame della patente martedì e quindi sono stata parecchio impegnata con lo studio...

Ringrazio infinitamente Elyforgotten per l'immagine all'inizio e per i suoi utilissimi consigli, dato che avevo davvero pochissime idee su questo capitolo. (e infatti si vede xD)

Ci tengo anche a consigliarvi le sue fanfic che meritano davvero molto: My story with an original...with Elijah.” e il suo continuo “Over the deception of life” che è davvero una bellissima storia, con una protagonista fantastica e una storia d'amore intensa e da brividi.

Inoltre dedico questo capitolo a tutti voi che leggete, chi recensisce e chi legge in silenzio. Spero di sentire le vostre voci nelle recensioni, perché mi piacerebbe conoscere il vostro parere riguardo questa storia,al fine anche di migliorarmi. :)

Ringrazio anche quelle splendide persone che hanno inserito questa storia tra le seguite/preferite e ricordate. Siete davvero uno stimolo per me e non smetterò mai di dedicarvi un grazie (anche se uno non basta) in ogni capitolo.

Come ben vedete le mie note d'autrice sono sempre molto originali xD perciò passo e chiudo e auguro a tutti voi buone vacanza di pasqua!

Alla prossima ^^


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Capitolo 22
*** Elegantly Broken ***


-Elegantly Broken-

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Elijah! Elijah, non respira!”

No, no...respira ancora.”

Voci lontane giunsero a me, penetrarono nell'oscurità che stava avvolgendomi nel suo abbraccio.

Ma di chi erano? Mi sembravano irreali, oniriche, appartenenti ad un sogno. La prima aveva parlato più forte, quasi come se stesse gridando mentre la seconda era più pacata, profonda, indimenticabile.

Elijah.

Sì, era lui. Era nascosto in quel buio da qualche parte vicino a me, ma non ne avvertivo la presenza. Era come se il mio corpo si fosse dissolto in quella nebbia scura, come se non avessi più occhi, come si fossero persi in quell'abisso profondo in cui sembravo essere stata risucchiata.

Provai a muovermi, a guardare a fondo in quella oscurità ma mi sembrava di non riuscire a fare nulla, il mio corpo non era più con me. Mi aveva abbandonato, lasciandomi sola in quel nero.

Resisti Irina, sono qui.”

Diverse pressioni sembrarono esercitarsi in un punto sul mio petto, se ancora ne avevo uno.

Erano forti, intense e servirono a muovere un po' il buio che mi circondava. Ma non riuscivo lo stesso ad aprire gli occhi, una forza mi impediva di sbarrare le palpebre e guardare Elijah.

Dobbiamo darle del sangue o morirà!”

La prima voce che avevo udito si ripeté: mi parve familiare, ma un'emozione di disperazione la storceva in maniera che mi sembrasse irriconoscibile. Non sapevo a chi apparteneva, ma ero certa di averla udita prima. E odiavo sentire quel dolore tingergli le parole.

Lascia Elijah, ci penso io.” Quella voce stridula la riconobbi invece: era Diana.

Qualcosa di freddo si posò sulla mia tempia sinistra e parole in latino seguirono i brividi di freddo che quell'oggetto sulla mia pelle mi causò.

Poi la vita.

Sentii un forte peso che gravava sul mio petto, come un macigno che mi impediva di respirare, e tossii ripetutamente. Mi girai su un fianco, chiudendo gli occhi e sputando tutta l'acqua che mi ostruiva i polmoni. Riconobbi il gelo che pungeva sul mio corpo, mentre tremavo con troppa forza per poterlo fermare. Delle braccia accorsero a me e mi avvolsero in uno scuro mantello di lana, che mi circondò le spalle con il suo calore.

Irina?”

Mi girai verso Elijah: era completamente zuppo, i capelli castani ricadevano pesantemente ai lati del suo viso, lasciando scorrere delle gocce lungo i suoi zigomi. Gli indumenti erano totalmente bagnati, mentre restava in ginocchio davanti a me e mi regalava un sorriso tranquillo. La sua mano accorse a posarsi sulla mia guancia, come ghiaccio bollente e mi resi conto di essere nelle sue stesse condizioni: i capelli gravavano pesantemente sulla mia testa, gocce gelide scorrevano tra essi e sotto il mio abito che aderiva perfettamente al mio corpo.

Ma cosa era successo? Allora mi ricordai di quella figura incappucciata, delle sue mani che si allungavano verso di me e che mi spingevano nell'abisso del nulla.

Elijah mi aveva salvata? Doveva essere così, visto che entrambi eravamo fradici dalla testa ai piedi. Solo che io tremavo, lui no. Ma sicuramente nessuno di noi due aveva idea di chi fosse quella figura mascherata.

Guardai il cielo pieno di nuvole bianche che sembravano correre velocemente a coprire l'orizzonte, il vento fischiava attorno a noi e oltre le fronde degli alberi, scorsi la punta della rupe che aveva quasi segnato la mia fine. Poi decisi di fare scendere lo sguardo su un punto davanti a me.

E vidi Klaus.

No, non era lui. Non era possibile. Diana stava ponendosi al suo fianco, mentre lui mi guardava. Il suo viso era quello che conoscevo, ma attraversato da troppe emozioni. Tristezza? Paura? Disperazione?

Sì era lei, la disperazione. Marchiava il suo viso, tingeva i suoi occhi blu e arrestava il suo respiro che sembrava esser rimasto imprigionato tra le labbra schiuse.

Non la smetteva di fissarmi, come se la mia immagine servisse a lenire il suo dolore. Anche lui sembrava completamente bagnato, i capelli biondi gli circondavano il viso e mi parve di scorgere diverse gocce che scendevano lungo la sua pelle.

Si era preoccupato per me? Stavo per morire quel giorno.

Tremai più forte, presa dal panico quando quei pensieri giunsero rapidamente a me. Lacrime intollerabili scorsero lungo la mia pelle e buttai le braccia al collo di Elijah, come se volessi sconfiggere la paura che stavo vivendo.

Lui ricambiò il mio abbraccio, facendo scorrere le mani sotto il mantello, lungo la mia schiena.

Va tutto bene, siamo qui ora.” sussurrò al mio orecchio, sfiorandolo con le labbra. Serrai le labbra e chiusi con forza le palpebre, per far scorrere le lacrime che rimasero intrappolate dietro di esse.

Poi guardai verso Klaus, lui assisteva immobile al nostro abbraccio e, quando questo si sciolse, tesi la mano verso di lui. Come per cercare un contatto al fine di cancellare quell'emozione dai suoi occhi.

Klaus guardò le mie dita muoversi nell'aria e sembrò titubante nel volerle stringere. Dopo diversi secondi, fece un passo verso di me e ricambiò la presa, circondando il mio palmo con le sue dita fredde.

Ci guardammo e gli sorrisi nel tentativo di rimuovere quell'emozione dal suo volto. Elijah volse lo sguardo verso di lui per qualche istante, continuando però a stringermi per trasmettermi calore.

La mano mia e di Klaus ancora unite nel gelo del vento.

Dobbiamo tornare ora, il cristallo l'ha strappata dalla morte ma non la difende mica da colpi di freddo futuri.” ridacchiò Diana, mostrandoci fieramente un cristallo che stringeva tra le mani. “Poi credo che la signorina debba raccontarci cosa è successo.”

* * * *

Silence is broken
Empty words arc licking the layers of sin from our skin
We realize happy endings are not for everyone, they're not for us
Break of dawn let us lay down our arms in the end of the day we can savour our loss
But I never stopped trying and I never said I wasn't up for

Dovevo sapere che la fortuna non mi era amica.

Subito dopo il “miracolo” attuato dall'incantesimo di Diana, venni colta da una febbre violenta ed improvvisa. I tremori scuotevano continuamente il mio corpo, tanto che il solo respirare sembrava impossibile per il mio corpo. Il cuore che batteva nel mio petto valeva come un pugno sotto pelle, mi provocava dolore solo sentirlo. Malgrado gli sforzi che impiegavo per non mostrarmi debole e affaticata, non riuscii a non far preoccupare Katerina. Erano poche le volte in cui non la trovavo accanto al mio letto, ad osservare il pallore cereo del mio volto e il sudore che ogni tanto bagnava la mia fronte.

Vederla con le lacrime agli occhi mi faceva ancora più male, ma non potevo dirglielo in alcun modo.

Solo quella mattina, quando Rebekah la portò via da me per condurla da Diana e prendere delle erbe mediche per curarmi, restai sola: distesa sul letto, avevo la testa affondata nel cuscino e lo sguardo rivolto verso quelle nuvole violacee che tingevano quel giorno il cielo fuori dalla mia stanza.

Non aveva mai piovuto così tanto come in quei giorni.

Ehi.” Qualcuno bussò delicatamente alla porta aperta della mia stanza e mi voltai verso Elijah. Se ne stava sulla soglia della stanza, con un pugno elegantemente adagiato sul legno della porta e gli occhi scuri e visibilmente preoccupati rivolti verso di me. “Come stai?”

Volevo cancellare la preoccupazione dal suo viso, perciò mi rizzai a sedere sul letto e mi sforzai di sorridere. Ma persino i polsi non riuscivano a sostenere il peso del mio corpo e così mi sfuggì un gemito di dolore mentre provavo a mostrarmi forte. Cosa che non ero e non sarei mai stata purtroppo.

Non ti sforzare, resta distesa.” Elijah camminò lentamente verso di me, il rumore lieve dei suoi passi sembrava troppo rumoroso per la mia testa che sembrava voler scoppiare da un momento all'altro. Ostinatamente decisi di restare in quella posizione, mentre lui mi guardava con quell'espressione tesa e si sedeva sul bordo del mio letto. Posai la schiena sui cuscini dietro di me e lo guardai, sentendo una vampata di calore incendiarmi le gote. Ma non era solo a causa della sua vicinanza, colpa di quella febbre maledetta che sembrava volermi mandare a fuoco.

Lui allungò la mano verso di me, sfiorandomi la fronte con il suo solito tocco delicato. Riconobbi i brividi che mi correvano sul corpo in sua presenza e chiusi gli occhi mentre le sue dita scorrevano sulla mia pelle bollente. “Mi sa che è salita.” dedusse lui, ritraendo la mano mentre io respiravo troppo rumorosamente, rovinando quel silenzio tranquillo che pervadeva la mia stanza. Mi rimboccò le coperte, vedendo che il mio corpo tremava troppo forte e le sue mani sfiorarono il mio mento, causandomi un intenso brivido freddo che mi attraversò con corrente gelida in un mare di fuoco.

Mi sentii meglio per un solo istante, merito della sua presenza vicino a me.

Belial? Gli chiesi e osservai la sua espressione indurirsi sempre di più.

Non ci devi pensare adesso, Irina.” mi disse, con un tono che non ammetteva repliche ma che mi fece comprendere che aveva scoperto qualcosa. Provai a sedermi e porgli domande al riguardo, ma lui mi posò le mani sulle spalle per impedirmi di compiere qualsiasi gesto.

Va bene, va bene ti dirò quello che mi ha detto Diana.” sussurrò, come se sapesse che ogni singolo rumore era un omicidio per le vibrazioni dentro il mio cranio. “Sembra che...nostra madre conoscesse qualcuno con un nome simile. Diana si è mostrata preoccupata quando le ho detto di questo Belial e ha sostenuto di averlo già sentito, mentre lavorava al ciondolo di nostra madre. Purtroppo non sa altro, ci deve lavorare su ancora.”

Rimasi incredula. La loro madre era morta secoli or sono, quindi quel Belial aveva almeno cinquecento anni? Non era possibile, nemmeno lo stregone più potente al mondo poteva sconfiggere il tempo in quel modo.

Ma allora che cos'è?

Lo scopriremo.” rispose prontamente lui, cercando di nascondere il fatto che fosse preoccupato quasi quanto me. “Non devi affaticarti a pensare troppo ora e riposati. Penseremo noi a questo e troveremo anche chi ti ha ridotto così.”

Quella volta non ammise davvero repliche, lasciò scendere il silenzio su di noi e mi portai una mano sugli occhi, stropicciandomeli e cercando di sconfiggere il sonno che voleva portarmi con sé.

Non ora. Prima devo fare una cosa.

Alzai lo sguardo su Elijah e gli chiesi scusa.

Scusa per cosa?” mi domandò.

Per essermi comportata come una stupida.

Per essere fuggita da lui, per averlo fatto sentire sporco quando invece non lo era. Non capivo nemmeno io perché avessi reagito in quel modo, era solo che vedevo e continuavo a vedere sempre Elijah come un umano, non come un vampiro. Spesso mi dimenticavo persino della sua vera natura. Ma quel giorno, quando avevo visto le sue labbra macchiate di sangue, quando lo avevo visto cedere al suo lato immortale...avevo avuto paura.

Di errori ne avevo commessi tanti nella mia vita, ma quello di fuggire da lui fu di certo il peggiore.

Elijah mi guardò a lungo, si accorse che il senso di colpa aveva oscurato il mio viso e pensai che, in qualche modo, volesse scacciarlo accarezzandomi il viso come fece in quell'istante.

Non ce l'ho con te.” continuò a sussurrare, come se le sue parole appartenessero ad una realtà lontana da me. Le sua dita scorsero poi lungo la mia guancia per infine fermarsi. “Tu mi vedi come umano e, anche se sbagli perché io non sono tale, ti devo solo ringraziare per questo. Tu non vedi il mostro in me.”

Ma qui non ci sono mostri.

Calò il silenzio, sembrava che la mia testa fosse troppo pesante anche solo per elaborare una risposta alle sue parole. Posai così una mano sul suo polso e lo strinsi con delicatezza, avvertendone il calore sotto il palmo. Un gesto che lo fece immobilizzare per qualche attimo.

Ed essendo un vampiro, ho anche io le mie debolezze.” continuò lui, ritraendo lentamente la mano dal mio volto e portandola a stringere la mia, che avevo posato sul suo polso. “Sono egoista. Per questo voglio che tu sappia che, in caso dovessi....” si arrestò, ma la morte aleggiava già tra noi, come uno spirito oscuro pronto a colpire. Anche se non l'aveva nominata, lei era apparsa.

Non esiterò a trasformarti.” disse. “Ed è questo che mi fa più male, perché sono disposto a dannarti per l'eternità pur di non farti morire, pur di non...non perderti.”

Mi morsi le labbra, colpita da quella luce che apparve nei suoi occhi scuri come la notte. Sembrava quasi che si aspettasse che me la prendessi con lui per ciò che mi stava dicendo, ma perché dovevo?

Perché mi parlava come se avesse colpe?

Non devi sentirti in colpa.

Sono egoista, Irina. Professo così tanto le mie virtù ma con te mi sembra quasi che tutti si annulli, che diventi un'altra persona che non conoscevo...” mi rispose lui, incrociando le dita e piegando la testa da un lato mentre mi osservava. “Quasi non ricordavo che...questo significa amare.”

Il cuore smise di battermi nel petto, il dolore che il suo muoversi sotto pelle mi procurava si arrestò improvvisamente mentre guardavo il viso di Elijah. Un intenso calore mi salì al volto, incendiò le mie gote e parve offuscarmi la mente, lo sguardo, tanto che vedevo solo lui.

I suoi occhi che arrivavano ai miei, le sue mani che sfioravano il mio mento e le sue labbra che si posavano delicatamente sulle mie. Mi ero dimenticata di cosa causasse in me il sapore di un suo bacio, di come mi rinvigorisse e mi distruggesse allo stesso tempo. Allungai le mani dietro le sue spalle, sfiorandogli con le dita i capelli e lasciando che quel bacio diventasse più intenso, che mi travolgesse sempre di più fino a scacciare l'intera realtà: non c'era febbre, non c'era corpo, non c'era dolore ma solo un anima che cercava lui. Sentii le sue mani accarezzare i miei fianchi, circondarmi la vita e rendermi più vicina a sé.

Poi tutto terminò, lentamente e dolcemente come era iniziato, ma lasciando uno strano senso di amarezza dentro di me. Solo allora mi resi conto di quanto fosse stupido pensare di volere una voce per lui, tanto tutte le parole del mondo non sarebbero bastate per descrivere quello che sentivo quando lui mi era accanto.

Ora devo davvero lasciarti dormire.” mi disse, in un flebile sussurro dove parole venivano soffiate sulle mie labbra. Un battito di ciglia e lui era scomparso, lontano. Malgrado sentissi ancora la sua presenza in qualche modo, racchiusa in quel profumo che mi aveva inondato poco prima.

Presi un lungo respiro, sentendolo sbattere negli angoli dei miei polmoni e causandomi un dolore intenso, che fino a poco prima avevo smesso di provare. Guardai di nuovo verso il cielo e sperai che quelle nuvole nere non oscurassero la luce ancora per molto.

* * * *

You were always so much stronger than me now your pain has made you beautiful

But inside your armour is you heart still open, for here i stand still trapped in my solitary shell

Reaching out you with my aching thoughts

Hear me now, please don't tell me that you're too proud for

I giorni passavano, ma la febbre non mi abbandonava.

Le mie giornate trascorrevano sotto le coperte, nella speranza che esse potessero placare i tremori i quali, regolarmente, mi scuotevano sempre. Katerina era disperata, non lasciava mai il ciglio del mio letto e la colsi diverse volte, quando la mia mente tornava abbastanza vigile per potersi definire sveglia, a guardarmi con occhi lucidi. Ogni volta la rassicuravo, dicendole che mi sarei ripresa presto da quella febbre, ma il mio ottimismo spesso scemava in terrore. Terrore che la mia fosse solo una bugia.

Quella mattina ero sola e pioveva.

Strano, perché avevo visto solo neve scendere in quel posto da quando eravamo giunti là.

Significava forse qualcosa?

Ne approfittai per alzarmi un po' da quel letto, che parve essere divenuto ormai parte del mio corpo, e lentamente mi diressi alla finestra. Le gocce venivano portate sul vetro dalla forza del vento, che le faceva schiantare su esso. Queste poi scivolavano sempre più in basso, lasciando strisce trasparenti davanti al mio sguardo.

Posai una mano sul vetro e lasciai che il freddo della sua superficie si scontrasse con la mia pelle. Volsi lo sguardo verso il cielo scurissimo, le nuvole ogni tanto venivano attraversate da lampi violenti, il cui suono ruppe il silenzio attorno a me. Sussultai appena, ma rimasi immobile davanti al vetro osservando il quadro della natura che si stagliava di fronte ai miei occhi.

Che ci fai in piedi? Torna a letto.”

Una voce bassa strappò via il mio sguardo dal paesaggio oltre la finestra e mi costrinse a voltarmi.

Mi chiesi come mai, ogni volta che credevo di esser sola, Klaus arrivava e mi faceva scoprire il contrario.

Lo guardai sulla soglia della porta, le braccia immobili accanto al suo corpo e gli occhi fissi su di me. Mi fu difficile cogliere l'emozione, o qualsiasi cosa li accendesse in quel modo, che li attraversava in quel momento. Era come se ci stesse mettendo tutto sé stesso per nasconderla, ma la sua maschera si stesse comunque sciogliendo e cadendo a pezzi.

Non farmi ripetere, Irina. Non ti reggi in piedi, torna a letto.” ripeté lui, indicando il letto con un cenno della testa. Non seppi perché ma obbedii: le ginocchia stavano cedendo e la testa mi vorticava vertiginosamente, tamburellando pensieri che parvero quasi volessero farla scoppiare.

Mentre mi avvicinavo al letto, mi accorsi che Klaus si era quasi voltato, come per andarsene. Probabilmente era passato solo per caso davanti alla mia stanza e, vedendomi ferma davanti alla finestra, aveva deciso di ricordarmi che dovevo tornare a letto.

Non ci pensai più di tanto, mi rintanai sotto le coperte e cercai in loro l'abbraccio di cui avevo bisogno per trovare calore. Ma i brividi si fecero più intensi, il corpo si era ormai abituato alla temperatura che vigeva fuori quel letto e ne pagò i colpi appena cercai di trovare conforto sotto quelle lenzuola.

Chiusi gli occhi, cercando di trattenere i gemiti che fuggivano dalle mie labbra a causa di quei scossoni nel mio corpo.

Lui si avvicinò a me.

Mi ero preparata al fatto che avesse lasciato la stanza, che se ne fosse andato lungo quel corridoio e invece me lo trovai seduto accanto al mio letto. Posò una mano sul materasso con delicatezza e mi guardò attentamente, mentre cercavo imbarazzata di nascondere i miei muscoli che tremavano davvero troppo forte. Ma anche un cieco si sarebbe accorto di quello che mi stava succedendo.

La febbre non accenna a diminuire ancora?” mi chiese, inarcando le sopracciglia mentre nascondevo metà del mio viso sotto il lenzuolo.

Scossi la testa lentamente, cercando di trattenermi dal fargli capire che probabilmente la febbre era aumentata. Klaus non aggiunse nient'altro, lasciò scorrere lo sguardo lungo le pareti della mia camera per poi posarlo sul comodino accanto a me, dove si trovava il piatto ancora leggermente fumante della zuppa che Katerina aveva preparato. Non l'avevo mangiata, perché la mano tremava così forte da non reggere il cucchiaio e perché ogni boccone che buttavo giù era una lenta agonia per la mia gola.

Sembrava come se il mio corpo fosse totalmente pieno di lei, di quella maledetta febbre che succhiava via la mia forza rendendomi alla stregua di un vegetale.

Volevo alzarmi, volevo combattere, volevo vivere ma lei me lo stava impedendo, inondandomi la mente come nebbia che oscura il cammino.

Per mia sorpresa, Klaus prese il piatto con delicatezza, cercando di non rovesciarne il contenuto, e se lo portò alle ginocchia. Guardò l'interno, di un color verde scuro, e prese un sospiro. Non l'avrei mai detto, ma mi parve che le sue gote si tinsero di un leggero rosso, mentre prendeva il cucchiaio e lo avvicinava alle mie labbra.

Restammo a guardarci in silenzio, mentre il cucchiaio restava sospeso tra me e lui.

Avanti, apri la bocca.” mi disse, sempre con un tono di voce roca e quasi impercettibile.

Klaus voleva imboccarmi la zuppa? Quel pensiero mi fece ridere, mi sentii quasi in colpa quando mi portai una mano alle labbra e mi lasciai andare ad una risata divertita, che però fece divenire Klaus ancora più rosso di rabbia e imbarazzo.

È già abbastanza deprimente per me fare una cosa simile, puoi almeno non ridermi in faccia?” mi rimproverò, parlando a denti stretti e osservando la mia espressione che doveva essere gioviale in quel momento. La rabbia che Klaus provava allora non era quel tipo di rabbia che sarebbe esplosa in violenza, era quel tipo di rabbia che divertiva, quella che si provava verso sé stessi quando non ci si rendeva conto di quello che si stava compiendo.

Era divertente vedere Klaus in quelle vesti.

Quel momento di normalità durò poco, perché anche ridere sembrava esser diventato una pena. Tossii ripetutamente e mi misi a sedere in posizione composta sul letto, posando la schiena sull'enorme massa di cuscini che Rebekah e Katerina avevano apposto dietro di me.

La rabbia che provava Klaus si tramutò in altro, un'altra sensazione che non aveva nome perché non ero capace di riconoscerla. Portai il mio volto all'altezza del cucchiaio e aprii la bocca per prenderne il contenuto, lui alzò un po' il braccio in modo che mi venisse più facile lasciar scorrere la zuppa per la gola.

Ma qualcosa andò storto: le tonsille pizzicarono troppo forte e mi costrinsero a tossire, prima che potessi ingerirla. Mi portai una mano sulle labbra prima di sputarla, ma quella scorse lungo il mio mento e per poco invase le mie cavità nasali.

Klaus si mosse rapido: lasciò il piatto sul comodino e prese un tovagliolo, con cui giunse prontamente ad asciugarmi il viso. La sua mano sinistra si posò sui miei capelli, mentre l'altra rimase adagiata sul tovagliolo che mi asciugava il volto. Alzai lo sguardo su di lui, entrambi stupiti per via di quel gesto così umano che nessuno dei due si aspettava nascesse da lui. Dopo quegli attimi di completa sorpresa, Klaus si ritrasse, lasciando il tovagliolo sporco sul comodino vicino al piatto, mentre io mi tiravo lentamente indietro. Sembrava che la mia schiena non riuscisse proprio a stare dritta senza un appoggio.

Il licantropo è morto.” disse lui, fissando un punto accanto a sé.

Corrugai la fronte confusa, mentre una serie di tuoni si susseguì in rapida successione dopo l'affermazione del ragazzo. Ci guardammo e capii che lui doveva averlo trovato e ucciso: quello era scritto nei suoi occhi blu, eppure pensai che mi stesse nascondendo qualcosa. Mi era parso alquanto pensieroso quando gli fu chiaro che Daniel era un lupo mannaro, come se la cosa dovesse tornargli utile in un modo o nell'altro.

Ma forse mi sbagliavo.

Non dovevi. Daniel era uno delle vittime di Bell, era solo lui quello che doveva pagare.

Smettila di fare così, non penso che quel tipo meriti la tua compassione.” mi anticipò lui, guardandomi con un'espressione fredda. “E riserverò lo stesso destino al bastardo che ha agito con lui il giorno del rapimento di Katerina e su quello che ti ha spinto giù dalla rupe. Su questo non ho dubbi.”

Non dissi nulla, perché in quel momento non ero nel pieno delle mie facoltà mentali per pensare a quella storia.

Calò il silenzio, rotto solo dai singhiozzi del cielo nero, che lasciava ancora cadere le sue lacrime sulla terra. Entrambi distogliemmo lo sguardo dall'altro, fino a quando Klaus allungò la mano verso il fermaglio che portavo sempre tra i capelli. Le sue dita lo sfiorarono, con una grazia che si usa verso qualcosa di troppo prezioso e fragile, qualcosa che si potrebbe rompere con un solo sguardo.

Lo sai che ti sta davvero bene?” mi disse gentilmente, sembrava quasi si stesse rivolgendo ad una bambina.

Klaus così gentile me lo stavo sicuramente immaginando.

Abbozzai un sorriso, quello più sincero che potesse riuscirmi, ma persino muovere le labbra mi sembrava tragicamente doloroso. Chiusi gli occhi e me li stropicciai, cercando di scacciare l'offuscamento che mi impediva di vedere per davvero.

Klaus lasciò ancora la mano sul fermaglio e prese un sospiro, leggero ma che parve valicare il crepitio della legna nel camino accanto a noi. “Posso farti una domanda?” mi chiese e lo fece quasi con timidezza.

Annuii senza pensarci troppo e continuai a tenere gli occhi socchiusi, con le dita apposte sopra la fronte bollente. Attesi un paio di istanti, che lui spese nel silenzio per poter formulare una frase.

Cosa siamo noi?” mi domandò lui, con voce soffusa.

Quelle parole mi sorpresero e mentre lo guardavo, mi accorsi che lo stupore non aveva colto solo me.

Corrugai la fronte, perché per la prima volta mi parve quasi che Klaus fosse più confuso di me. Alzai le spalle e gli feci comprendere che, almeno in quel momento, non avevo una risposta da dargli.

Quasi amici?

Posi quel quasi davanti, perché non riuscivo proprio a definirci “amici”, era una parola lontana anni luce e di cui, magari, Klaus nemmeno ne conosceva il vero valore.

Potevamo esserlo stati solo da ubriachi, quando il mondo era distorto insieme a noi.

Amici? “ Quella parola parve divertirlo, tanto che ne rise. “Io e te siamo quel genere di persone che non proveranno mai amicizia nei confronti dell'altro. O ci odiamo o ci amiamo. E noi non stiamo facendo nessuna delle due cose attualmente.”

Ciondolai un po' con la testa. In effetti, io non lo odiavo più da tempo e una parte di me sapeva che per lui era lo stesso. Il fattore amore poi era ben lontano da essere preso in considerazione per entrambi.

Cos'eravamo allora? Bella domanda.

Tossii di nuovo e con più forza, avvertendo un intenso pizzicore all'altezza della gola. Mi portai la mano sulle labbra e cercai di soffocarla il prima possibile, Klaus mi guardò combattere in silenzio fino a quando finalmente quell'ennesimo attacco terminò. Mi accasciai nuovamente contro i cuscini e ripresi lentamente a respirare con regolarità, guardando il cielo scuro fuori dalla finestra e ordinandomi di non prendere sonno.

Lui continuava a fissarmi immobile, come se non volesse violare un profondo sonno che mai mi avrebbe colta. Ma in realtà stava solo elaborando le parole che avrebbe pronunciato dopo.

Devo ucciderti, Irina.”

La sua voce giunse come un tuono alla mia mente: rapido, inaspettato, spaventoso.

Mi voltai verso di lui e lo guardai portarsi rapidamente il polso alla bocca, affondando i denti nella propria carne e lasciando scorrere il sangue lungo la sua pelle diafana. Il panico che provai in un primo momento si attenuò, lasciando posto ad un'espressione sorpresa, mentre lui avvicinava il polso a me.

Non sappiamo se sopravvivrai a questa febbre, meglio non rischiare.” mi disse lui, quando vide il mio sguardo interrogativo posarsi sul suo sangue.

Allungò l'altro braccio verso di me, mi circondò la schiena con esso e mi tirò a sé con delicatezza. Sentii il suo respiro tra i capelli, il mio braccio destro si schiacciò contro il suo petto e un ciuffo ribelle sulla mia fronte dovette solleticargli il mento. I nostri volti erano rivolti a quella chiazza rossa che bagnava la sua pelle, mentre i nostri respiri sembravano alternarsi in una strana sinfonia.

Trattenni il mio, assaporando però quello strano profumo che lui emanava.

Un profumo di pericolo e morte.

Bevi Irina. Coraggio.” insistette lui, avvicinando lentamente il polso al mio viso, mentre non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo sangue.

Perché? Innalzai lo sguardo verso di lui, Klaus chinò il viso su di me e lesse l'interrogativo che si disegnava sulle mie labbra.

Perché sei disposto a questo? Perché sei disposto a donarmi il tuo sangue? Perché vuoi che io viva?

Era strano, ma non credevo davvero possibile che lui volesse, in qualche modo, salvarmi. Anche se avevamo imparato a conoscerci, anche se ci eravamo inevitabilmente avvicinati, Klaus era pur sempre il vampiro sanguinario che disprezzava le vite umane.

Lui soffocava vite, non le salvava. Allora perché a me voleva dare un nuovo respiro?

So riconoscere la morte.” mi rispose lui, in un flebile e quasi inudibile sussurro. “Ne so riconoscere le linee negli sguardi delle persone, poiché molte volte l'ho portata io a loro. E ora la vedo..nei tuoi occhi.”

Fu quella la sua risposta, ma non era alla domanda che gli avevo posto.

Mi aveva solo ulteriormente confermato che non voleva che io morissi, ma perché?

Abbassai lo sguardo sul suo sangue, alcune gocce fendettero l'aria per poi schiantarsi sulle lenzuola candide.

Elijah aveva detto che mi avrebbe trasformata pur di non lasciarmi morire e una parte di me gli fu grata nell'averlo sentito pronunciare quelle parole.

Klaus mi stava offrendo il suo sangue e un'altra parte di me sapeva che aveva visto qualcosa nei miei occhi che lo aveva spinto a compiere quel gesto. Ma non lo accettai.

Posai la mano sul suo pugno chiuso, stretto con forza affinché il sangue uscisse in un maggior flusso e mi separai da lui. Mi alzai poi in piedi, ignorando il suo sguardo interrogativo che seguiva la mia figura instabile mentre mi dirigevo verso la porta.

Stai scherzando spero....”

Klaus fu dietro di me, come un lampo nel buio, e mi sorressi allo stipite della porta, per non cadere e perdere i sensi da un momento all'altro. Mi portai una mano sugli occhi, al fine di fermare quel mondo che non la smetteva di vorticare e affogarlo nell'oscurità. Non mi reggevo in piedi, non avevo bisogno di sentire pure la sua furia che faceva peso sulla mia schiena.

Mi strinse le spalle e mi fece voltare verso di lui, i suoi occhi blu saettavano fiamme. Mi parve di sentirmi incendiare da loro, mentre le sue mani premevano con forza sulla mia pelle.

Devi bere il mio sangue, Irina. O vuoi morire per caso?”

No.

Allora bevilo. Ora!” gridò Klaus, alzando nuovamente il polso ferito e avvicinandolo pericolosamente alle mie labbra. Mi tirai indietro, ma lui mi trattenne con l'altro braccio.

No!

Ma lui volle dominare il mio volere, voleva che seguissi il suo e che mi piegassi ad esso, come se fosse lui colui che possedeva la mia vita. Mi tenne ferma con una mano mentre posava con irruenza il polso sulle mie labbra. Provai a divincolarmi, ma fu tutto inutile: il sapore metallico del sangue incontrò il mio palato, mentre il polso di Klaus continuava a premere con troppa forza sulle mie labbra. Provai a liberarmi e stranamente ci riuscii, perché lui me lo concesse: caddi a terra, mi portai una mano sulle labbra e mi lasciai andare ad una forte tosse, dovuta al mal di gola e al fastidioso sapore di sangue che ancora avvertivo nella mia bocca.

Poi guardai Klaus.

La sua espressione era glaciale, gli occhi affilati come lame pronte a colpire e i suoi zigomi sembravano ritratti nella rabbia. Non potevo credere che lo avesse fatto, non potevo credere che avesse preso lui in mano le redini della mia vita. Mi aveva privato della possibilità di scegliere o meno l'immortalità, aveva fatto tutto da solo.

Come hai potuto?

Lui camminò verso di me, mentre io strisciavo indietro come un serpente in fuga dagli artigli di un'aquila. Allungai la mano verso di lui, come per impedirgli di avvicinarsi.

Sta lontano da me!

La sua avanzata si arrestò: i suoi piedi si fermarono a pochi centimetri dai miei, lo sguardo fisso su di me mutò in qualcos'altro e riconobbi i primi segni della rabbia marcare il suo volto.

Avevo visto rare volte quello sguardo in lui, quando qualcosa non andava secondo i suoi piani.

E, stranamente, ero io quella volta il suo piano mal riuscito e la rabbia profonda che provavo verso di lui doveva alimentare la sua, come una fiamma mossa dal vento.

Voleva salvarmi e gliene ero grata, ma non volevo che lui quella notte mi uccidesse per farmi diventare un vampiro, se avevo ancora la speranza di vivere da umana.

Lui però era egoista, aveva deciso di farmi bere il suo sangue contro la mia volontà e lo aveva fatto. Ignorando il mio volere.

Come puoi essere così egoista, eh?!” sbottò Klaus dopo la mia esclamazione, facendo un passo verso di me e facendomi rabbrividire di terrore. Mi strinsi in me stessa, come un topolino in preda al terrore. “Fai tanto la brava per difendere coloro che ami ma sei disposta ad abbandonare tutti, pur di mantenere integra la tua umanità. Non sei disposta a rinunciarci per coloro che ami. Sei solo una piccola egoista.”

Strinsi i pugni, non riuscivo a credere che potesse dirmi delle cose del genere. Sperai che si arrestasse, che la sua bocca di fuoco la smettesse di bruciarmi ma Klaus aveva solo iniziato: lui voleva ferirmi, voleva farlo e sarebbe andato fino in fondo pur di farmi sempre più male. Sempre più.

Sei disposta a lasciare sola tua sorella che tanto adori. Sei disposta a lasciare sola Rebekah, quando ti professi essere sua amica. Sei disposta a lasciare solo Elijah,...di cui affermi di essere innamorata.” disse ancora, spalancando le braccia. A quelle parole abbassai lo sguardo e sentii le lacrime pungermi gli occhi.

Calò il silenzio ed entrambi ci rendemmo conto che mancava una persona all'appello, un'altra persona che sarebbe probabilmente rimasta sola con la mia ipotetica dipartita ma lui non la nominò.

Mi portai le mani a pulirmi il sangue che bagnava le mie labbra e un nuovo brivido mi corse lungo la schiena. Io non volevo lasciare tutti coloro che amavo, non volevo. Ma l'immortalità mi spaventava, mi disorientava e oscurava il mio futuro...non volevo pensare alla morte, volevo ancora sperare che potessi decidere della mia vita, quando la morte non era sulla soglia di essa, ad attendere che la mia anima si arrendesse a lei.

Ma ormai era stato tutto deciso, da Klaus: se fossi morta, sarei tornata una vampira.

Allora sai che ti dico? Tu non meriti di vivere.” disse Klaus, con le labbra tremanti per la rabbia.

Il cuore non aveva mai battuto così forte da fare male come in quel momento. Alzai lo sguardo su di lui, osservai i suoi lineamenti modificati dalla rabbia e vidi che lui credeva in quelle parole, mi voleva davvero morta. Per punirmi, per farmi capire che avrei dovuto solamente piegarmi al suo potere senza combattere.

Mi alzai in piedi e lui fece un passo verso di me, con sfida,abbassando la testa per guardarmi. “Avrei voluto esserci sul tuo letto di morte, quando ti saresti resa conto che hai perso tutto per colpa del tuo egoismo, perché sei solo una vigliacca. Voglio vedere i tuoi occhi mentre si soffermano sui volti di coloro che ami e a cui tu hai causato quel dolore....ti meriti tutto questo, Irina. Meriti questo e altro.”

Tremavo, ma non per il freddo.

Annaspavo, ma non perché non riuscivo a respirare.

Piangevo, ma non perché non stavo bene.

Il mio corpo reagiva al dolore che lui mi stava procurando. Incurante della pessima figura che stavo facendo, tirai su con il naso e lasciai che le lacrime scorressero lungo le mie guance, in grande abbondanza.

Ora piangi eh?” Klaus ridacchiò, cibandosi della mia tristezza per accrescere la sua rabbia. “Piangi perché sai che meriti questo?”

No, piango perché tu mi stai augurando tutto questo.

Ma perché ci restavo così male? Perché mi sentivo morire guardandolo odiarmi in quel modo? Aveva rivolto molte volte quegli occhi verso di me, ma non mi avevano fatto mai tanto male quanto in quel momento.

Non sei molto diversa dagli altri, anche tu sei disposta ad abbandonare coloro che ami.” disse ancora Klaus.

Alzò lo sguardo sul fermaglio che portavo tra i capelli e lo strappò da essi senza che me ne accorgessi.

I lacrimoni che offuscavano il mio sguardo colsero però il movimento della sua mano, mentre lo lanciava contro la parete e lo riduceva in diversi frantumi. Non mi ero mai sentita ridicola come in quel momento, mentre seguivo i movimenti dei vari pezzi di quella farfalla argentata che cadevano sul pavimento mentre portavo una mano sulle mie labbra a trattenere i singhiozzi che, imperterriti, volevano liberarsi dal mio corpo. Era un dolore troppo grande da sopportare, mi sembrava impossibile sorreggere il peso del suo odio.

Vattene!

Venni presa dalla follia, mista a quel briciolo di tristezza e agonia che mi stava pervadendo e lo spintonai con la poca forza che avevo. Klaus non distolse il suo sguardo da me, però qualcosa mutò: fu come se solo allora si fosse accorto delle mie lacrime, come se si fosse reso conto solo in quel momento che stavo soffrendo come non mai per quello che mi aveva detto.

La sorpresa si dipinse sul suo volto ma non m'importava. Se stava soffrendo per quello che mi aveva detto, se lo meritava. Lo superai rapidamente e mi chinai sul fermaglio, ormai distrutto e lo sentii andare via rapidamente. Continuai a piangere, mentre raccoglievo quei piccoli frantumi sul palmo della mia mano.

Era finita. Tutto quello che credevo di aver costruito con Klaus, quello che avevo scoperto in lui era solo una menzogna. Lui continuava ad odiarmi e il fatto che volesse farmi soffrire in quel modo ne era la prova.

Mi piegai verso il pavimento e posai la fronte su di esso, mentre portavo il fermaglio all'altezza del mio petto. Il dolore mi posò una mano sulla spalla e cantò con me la sua disperazione.

* * * *

Irina?”

Scacciai quella voce lontana con una mano, voltandomi verso l'altro lato del cuscino e cercando di riprendere sonno in esso, il custode delle mie lacrime notturne. Ma quella presenza si fece di nuovo insistente, una mano si adagiò sulla mia spalla destra e la scosse con delicatezza.

Irina? Svegliati.”

Era Katerina. La trovai seduta accanto al mio letto, tra le mani una tazza che lasciava libera una scia di fumo la quale si innalzava verso l'alto. La sua immagine mi giunse distorta, come se il suo volto fosse riflesso in una superficie d'acqua mossa dal vento. Dovetti sbattere più volte le palpebre per assicurarmi che fosse mia sorella. “Finalmente ti sei svegliata. Sono tre giorni filati che dormi...” mi disse lei.

Tre giorni.

Erano passati tre giorni spesi in quel letto? Non riuscivo a crederlo, mi sembrava ieri di aver litigato con Klaus e di aver deciso di non dire nulla ad Elijah. Ero certa che non l'avrebbe presa bene e io non volevo inoltre causare un'ulteriore lite tra di due. Anche se lui doveva essersi accorto che qualcosa non andava in me.

Mi portai una mano sulla fronte bollente e mi rizzai lentamente a sedere, ogni fibra del mio corpo sembrava intorpidita e per un attimo temetti di aver perso qualche arto, per quanto li sentivo lontani da me.

Katerina allungò la tazza verso di me. “Diana ha preparato questo per te. Dice che ti farà riprendere presto.”

Abbassai lo sguardo sul quel contenuto scuro e storsi il naso disgustata, chiedendomi quale diavoleria avesse utilizzato la strega per creare quella cosa poco invitante. Come ogni medicina del resto.

La presi tra le mani e ne bevvi un lungo sorso, ignorando l'amaro che invase il mio palato e mi costrinse a storcere il naso disperata, per non sputarlo sulle coperte.

No, Irina. Devi finirlo. Quella mi ha assicurato che ti farà davvero stare bene e , viste le tue condizioni, voglio proprio crederlo.” mi bloccò Katerina, quando mi vide allungare la tazza ancora piena verso di lei. Guardai i suoi occhi carichi di determinazione e presi forza per mandare giù quella cosa davvero disgustosa. Lo feci tutto d'un fiato, senza respirare e senza stare a pensare troppo.

Quando l'ultima goccia fluì in me, finalmente potei respirare e lasciarmi andare a versi di disgusto che fecero sorridere mia sorella.

Prendere medicine ti rende sempre troppo buffa!” mi prese in giro lei, con il chiaro intento di sdrammatizzare la situazione. Le risposi sorridendo e stropicciandomi gli occhi gonfi per il sonno.

Quando smise di parlare, mi resi conto che la casa era troppo silenziosa: non sentivo il vociare di Rebekah dal salotto e nemmeno la voce profonda di Elijah. Neppure quella di Klaus, ma dopo quello che era accaduto pensai malignamente che non mi importava nulla di lui.

Poteva anche sparire.

Chiesi a mia sorella dove si trovassero Elijah e Rebekah e notai subito la sua espressione farsi preoccupata, abbassò gli occhi sulle sue mani che avvolgevano la mia e prese un lungo respiro. “Sono andati a cercare lord Niklaus.” mi rispose. “È...è scomparso da quando hai preso sonno. Da ben tre giorni.”

Sentii il cuore battermi nel petto all'impazzata, al pensiero che, forse, qualcuno lassù aveva ascoltato i miei stupidi pensieri. Klaus era davvero scomparso.

Per colpa mia forse, di quello che gli avevo involontariamente fatto capire, quando reagii con terrore alla vista del suo sangue. Solo colpa mia.

Ehi! Irina, che stai facendo?” mi chiese Katerina, quando mi vide balzare giù dal letto con uno scatto quasi felino e camminare verso l'armadio. Presi il primo mantello che riuscii a scorgere,portandomelo sulle spalle alla meglio e lasciando i capelli rinchiusi dentro di esso.

Irina, torna a letto. Quella medicina non fa miracoli e non hai forze per...” Katerina mi strinse le spalle e mi costrinse a voltarmi verso di lei, ma si bloccò quando mi vide dire ostinatamente due parole.

Dobbiamo trovarlo.

Se ne stanno già occupando lord Elijah e Rebekah, tu in queste condizioni non vai da nessuna parte!” mi rispose lei, con quella durezza quasi materna di chi mi avrebbe rinchiuso in una teca di cristallo pur di tutelarmi. Ma io avrei distrutto quelle barriere: Klaus era scomparso e io non potevo starmene in quel letto sapendo che poteva essergli successo qualcosa di brutto. Non potevo farlo.

Vedendomi ignorarla, leggendo la determinazione nel mio viso smorto mentre mi avvicinavo alla porta, Katerina giunse di nuovo davanti a me a intralciarmi il cammino. “Tu...tu sei pazza! Non ti reggi in piedi, non lo vedi? Vuoi morire proprio, per caso?” mi chiese duramente, quasi arrabbiata.

Ma non potevo permettere alla sua preoccupazione di fermarmi. Niente poteva fermarmi in quel momento, io volevo andare e nessuno doveva ostacolarmi.

Allora vieni con me.

No, tu resti con me. Qui.” precisò Katerina, cercando di prendermi per una mano ma mi ritrassi.

Sembravo folle, ne ero certa, ma io sarei uscita da quella casa anche in punto di morte e lei non poteva, non doveva, fermarmi.

Ti prego.

Katerina mi guardò sorpresa, vide qualcosa nei miei occhi che la convinse a cedere alla mia follia. Qualcosa che non aveva mai visto prima e che la confondeva non poco. “Perché Irina?” mi chiese.

Domanda più che giusta da rivolgere a qualcuno che non ci stava capendo più nulla. Mi stava chiedendo perché fossi disposta a sfidare il mio corpo pur di andare a cercare Klaus? Bene, nemmeno io avevo la risposta. Sapevo solo che volerlo trovarlo, assicurarmi che stesse bene e magari mandarlo poi a farsi benedire.

Katerina sapeva che non avrei risposto, sapeva che anche io ero priva di quella risoluzione al mio enigma e così prese un lungo respiro. “Va bene. Ma io verrò con te.”

* * * *

Irina, non ce la fai più! Dobbiamo tornare a casa!”

No.

Mi ero fatta largo tra la folla, per raggiungere la parete di una delle tante case a schiera lungo il villaggio e posarmi su di essa con la schiena. Il vociare della gente intorno a me era troppo forte, le goccioline di pioggia che cadevano da quel cielo nero erano troppo pesanti sul mio cappuccio, il freddo troppo intenso e i boati che ci annunciavano l'arrivo di un temporale rimbombavano nella mia testa troppo violentemente.

Non sopportavo il mondo. Ma dovevo combatterlo per ritrovare Klaus. Voci nella mia testa mi incitavano a resistere, perché alcune di loro mi ricordavano persino che potesse essere successo qualcosa al vampiro.

Presi lunghi respiri, gridando al mio corpo di non abbandonarmi proprio in quel momento e mandando al diavolo le mani della febbre che artigliavano tutti i miei sensi.

Irina, ti prego! Non ti reggi in piedi, non lo vedi? Lord Niklaus starà bene, ne sono sicura.” insistette Katerina, ma non le diedi retta. Al solo sentire il nome di Klaus, mi rimisi subito in sesto e ripresi a camminare con ostinazione tra la folla. Mia sorella mi seguì e camminò con me per altri diversi minuti in cui vagammo praticamente a vuoto. Non ce la feci più e mi accorsi di essere pure affamata, quei piccoli crampi che contraevano il mio stomaco erano troppo intensi per poterli sopportare.

Non ce la facevo, quasi piansi di rabbia di fronte a quell'evidenza.

Katerina mi fece sedere su uno scalino davanti ad una locanda e mi disse di attenderla lì, mentre andava a comprarmi qualcosa da mangiare. Chiusi gli occhi e presi dei lunghi respiri, guardandomi intorno presa da una rabbia cieca che rivolsi verso me stessa.

Perché non potevo essere forte? Mi dicevo mentre scrutavo una buia stradina accanto alla locanda dietro di me, dove due ombre si stavano velocemente allontanando. Perché ero sempre così...

Klaus.

Trattenni il fiato quando riconobbi una delle due ombre: quella più slanciata, quella più alta era sicuramente di Klaus. La sua ombra era legata ad una più piccola, sicuramente di una ragazza, che lo stava seguendo mentre attraversavano quella stradina battuta dalla pioggia. Katerina non si apprestava a tornare e Klaus si stava facendo sempre più lontano, non potevo perderlo di vista.

Mi alzai di scatto e seguii quelle due figure lentamente. Le scorsi in fondo alla stradina, ferme di fronte a quello che sembrava un piccolo albergo e poi entrarono. Non si accorsero di me.

Accelerai il passo, cercando di non scivolare sul ghiaccio sotto i miei piedi e giunsi di fronte a quella porta ormai chiusa, decisa ad aprirla senza troppi pensieri: mi resi conto che non era un albergo, ma uno di quei luoghi di piaceri dove gli uomini bevevano e passavano la serata in compagnia di ragazze poco vestite.

Diversi tavoli erano disposti lungo quella sala: alcune ragazze ridevano sguaiatamente insieme ad uomini visibilmente ubriachi, preda dell'alcool che li stava soffocando con il loro potere. Sul bancone alla mia destra vi erano altre persone, sempre folli per via della birra e di quelle ragazze che regalavano loro sorrisi maliziosi e adulanti. Non mi soffermai molto a guardarli: le due ombre si stavano allontanando lungo una scalinata che portava ai piani superiori e, quando passarono accanto alla finestra che lasciava filtrare la luce grigia del cielo, ebbi la conferma che si trattava di Klaus. Insieme a lui vi era una ragazza bionda che lo seguiva priva di espressione, mentre lui le stringeva il polso. Mi morsi il labbro con rabbia e camminai lungo il centro della sala, in quel piccolo spazio libero tra i tavoli e il bancone.

Nessuno si accorse di me, mentre salivo rapidamente le scale e raggiungevo il piano superiore dove mi ritrovai in un lungo corridoio. Solo delle porte sembravano decorare quelle pareti buie, una di loro si aprì e lasciò uscire un uomo e una donna che si tenevano per mano: lei poco vestita, lui completamente ubriaco.

Mi superarono, guardandomi come se fossi una bambina in un posto proibito e raggiunsi la fine del corridoio. Non capivo perché ma sapevo di trovarlo là, nell'ultima stanza vicino alla finestra.

Bussai ripetutamente e con forza, desiderando con tutta me stessa di sfondare quella porta. Non venni aperta subito, così dovetti esercitare maggior forza sul pugno per spingere Klaus ad aprirmi. Lo fece pochi istanti dopo, quando la mia mano restò sospesa nell'aria prima di giungere a colpire il suo petto nudo.

Era irriconoscibile: il volto pallido e scavato, un'espressione mista a divertimento e dolore sul viso e la camicia aperta sul petto. Era ubriaco ma non solo, era succube del sangue.

Quella fanciulla che era con lui, doveva trattarsi di una prostituta, non doveva servire per soddisfare i suoi piaceri fisici, doveva averla condotta là per nutrirsene.

Le sue labbra bagnate di sangue e troppo scarlatte ne erano la prova.

Che ci fai all'inferno, little sweetheart?” mi chiese, con un sorriso inquietante che mi fece rabbrividire.

Non gli risposi, entrai nella stanza e guardai la bionda seduta ai piedi del letto, con un espressione persa sul volto. Il collo scoperto, due puntini rossi ben visibili sulla sua carnagione pallida.

Mandala via.

Mi rivolsi a Klaus che era rimasto dietro di me sulla soglia della porta, con un sorrisetto inflessibile sul suo volto e gli indicai la bionda. Piegò la testa da un lato e mi guardò interrogativo. “Perché dovrei?” mi chiese, con voce profonda.

Non gli risposi, mi avvicinai rapidamente a quella ragazza e la presi per mano. Lei si lasciò guidare dai miei movimenti immobile, mentre la conducevo verso la soglia della porta per liberarla dalla prigione di rabbia e furore in cui Klaus l'aveva condotta.

Lui mi impedì di proseguire: si parò davanti a me, facendomi blocco con entrambe la braccia, le mani strette agli stipiti e lo sguardo penetrante fisso su di me. “Scusa, ma quella è la mia cena.” mi disse, con un sorrisetto maligno sul volto.

Non mi feci intimorire, malgrado venni attraversata da altri scossoni interni dovuti alla febbre. Lo affrontai avvicinando il viso al suo e i nostri occhi parvero inseguirsi in una specie di duello da cui nessuno dei due riusciva ad uscirne vincitore.

Lasciala andare.

Era con me che ce l'aveva, quella ragazza non c'entrava nulla: se doveva prendersela con qualcuno, quella ero io. Klaus piegò la testa da un lato, guardò le mie labbra muoversi e poi sorrise.

Va bene...va bene.” ripeté, mi diede una spallata e si avvicinò alla ragazza, prendendole il viso tra le mani e soggiogandola affinché dimenticasse tutto e lasciasse la stanza.

Quando quella se ne andò lentamente, come una marionetta priva d'anima, restammo solo io e lui.

Ero stupita dal modo in cui si era arreso, tanto che mi convinsi per un attimo che volesse tornare subito a casa insieme a me.

Stupida.

Appena feci un passo verso la porta, Klaus se la chiuse alle spalle con con colpo secco e restò in piedi di fronte a me, con quel suo solito inquietante sorriso sulle labbra.

Ebbi paura di lui, come mai ne avevo avuta da troppo tempo. Fece un passo verso di me, io ne feci diversi indietro ma i nostri occhi non smisero per un istante di restare legati. Quando mi fermai, lui fece lo stesso rimanendo a pochi centimetri di distanza dal mio corpo pietrificato.

Hai ragione a pensarlo: bisogna prendersela sempre con i veri colpevoli, non con altri.” disse, facendomi comprendere che ero io la causa di tutto quel buio che vedevo sul suo volto. Io e solo io.

E malgrado la paura, non potei che sentirmi in colpa.

Poi, successe tutto velocemente: Klaus mi afferrò per le spalle e mi spinse contro la parete alla mia sinistra. Mi tenne ferma, mentre ignoravo il dolore e cercavo di divincolarmi, provando a respingerlo con le mani che spingevano contro il suo petto.

Ma lui non desistette, rideva. Prendeva forza dal terrore stampato sul mio viso, si cibava di esso e ne godeva fino a sentirsi quasi vivo. Per lui era quella la vita in quel momento, l'odore del mio panico che giungeva a lui e offuscava tutti i suoi sensi.

È tutta colpa tua.” mi disse in un sussurro. “Guarda cosa mi hai fatto.”

Era impazzito. Guardavo i suoi occhi, il suo sorriso e non vidi niente di razionale in essi. Solo il manto della follia che era sceso su di lui, soffocando ogni minimo sprazzo di ragione che potesse esserci.

L'oscurità di quella stanza era nulla in confronto a quello che mi stava portando lui.

Si dice che spesso la cura è veleno. Se mi cibo di te, forse la ferita che mi hai causato guarirà, non credi?”

Klaus, no!

Lui mi guardava, la sua espressione si addolcì per un solo istante mentre mi strappava il mantello dalle spalle, con esso strappò anche parte del mio vestito che copriva il collo nudo. Le sue mani scorsero in esso, passando sulle linee scure sotto pelle e che lui sembrava già pregustare con gli occhi.

No!

Scoppiai in lacrime, quando il suo viso si accostò a me rapidamente e sentii le sue labbra posarsi sul mio collo. Le lasciò scorrere lungo la pelle, disegnando scie di calore lungo di essa e scelse il punto in cui affondarvi i denti attraverso un bacio. Lasciò le labbra posate su quell'angolo del mio collo a lungo, come se volesse prepararsi al morso attraverso il calore della mia pelle.

Mi avrebbe uccisa. Non era in sé e non aveva controllo delle sue azioni, per lui in quel momento ero solo la causa del suo male e voleva punirmi. Lasciò scorrere i denti lungo la pelle, provocandomi una serie infinita di brividi lungo la mia schiena e portando al massimo il mio livello di panico.

Intanto piangevo, piangevo perché non volevo fosse lui il carnefice della mia morte. Non volevo che fosse proprio lui ad uccidermi, così come non volevo fosse Katerina tempo prima. Aprii la bocca e mi lasciai andare a diversi singhiozzi, mentre premevo le mani contro i suoi pettorali per allontanarlo via da me.

Ma ero debole, inutile, piccola e lui era tutto l'opposto.

Portò di nuovo le labbra al mio orecchio, soffiò in esso e lasciò che i brividi corressero lungo la mia schiena mentre sembrava voler baciare la pelle vicino al mio orecchio. “Durerà poco, non avere paura. Tanto poi tornerai.” disse sghignazzando.

No, ti prego!

Urlai.

Mai come allora mi resi conto di aver urlato, di aver lasciato che la mia voce rompesse il silenzio attorno a noi. E lui mi sentì, volse lentamente la testa verso di me, lasciando però le nostre guance a contatto. Io non lo guardai, non direttamente, e continuai a piangere disperata, perché avevo paura di lui.

Piano piano, sentii i suoi muscoli rilassarsi, la testa si adagiò delicatamente sull'incavo del mio collo, la fronte che sfiorava la spalla e il respiro che soffiava basso, sul tessuto squarciato del mio vestito.

Questi divenne lentamente più regolare, sempre di più, fino a diventare quasi impercettibile.

No..” sussurrò, con voce flebile, come un lamento di morte. “No.” ripeté.

Cadde sulle ginocchia, lasciando le mani scorrere lungo le mie braccia fino ad incontrare le mie mani e posò la fronte sul mio ventre. Io restai immobile: avevo ancora il respiro affannato, la paura che scorreva nelle mie vene e gli occhi che lacrimavano per un motivo che non mi pareva più chiaro.

Il terrore si stava lentamente estinguendo, come una fiamma in procinto di spegnersi, mentre abbassavo lo sguardo sulla figura di Klaus: ancora inginocchiato a terra, guardava un punto sul pavimento e tremava, tremava come foglia al vento e stringeva le mie mani, quasi con rabbia.

Cosa era successo? Cosa aveva fermato la sua follia, tanto che si stava pugnalando da solo in quel modo?

Perché lo vedevo, vedevo come si stava ferendo sempre di più, come stava sanguinando per sentirsi di nuovo vivo, cosa che non era stato più fino a poco prima.

Lasciai scorrere lo sguardo lungo la stanza, mentre Klaus si girava su un fianco e si metteva a sedere accanto a me, con le gambe distese lungo il pavimento e le mani congiunte in mezzo ad esse.

L'espressione spenta, lo sguardo vuoto fisso in un punto imprecisato della stanza.

Restammo fermi in quel modo per diversi secondi, fino a quando il mio corpo si mosse. La febbre offuscava i comandi del mio cervello e le mie gambe si muovevano da sole verso un punto lontano da Klaus, verso la scrivania spoglia sulla parete di fronte a me, dove vidi dei pezzi di tessuto.

Ne presi uno, il più candido e grande e giunsi al fianco di Klaus. Lui sembrava ancora perso, con gli occhi fissi in un punto nel vuoto e il corpo che veniva solo mosso dal respiro regolare. Sembrava una statua abbandonata, una di quelle statue perfette che però erano rimaste dimenticate nel tempo malgrado la loro integra perfezione.

Mi chinai su di lui, restando però distante di pochi centimetri e con titubanza allungai il panno verso il suo viso. Come aveva fatto lui quella mattina di quel giorno, come lui era accorso a pulire la macchia che bagnava le mie labbra, io feci lo stesso. Cercai di togliere il sangue che le colorava, di scacciare quella colpa che le sporcava mentre il cuore mi batteva nel petto con troppa forza.

Klaus si voltò lentamente verso di me, i suoi occhi mi trafissero come lame e la fronte si corrugò, mentre mi osservava. Un brivido di paura mi corse lungo la schiena e, istintivamente, abbassai la mano che stringeva il panno.

Non pulirai mai tutto il sangue che le macchia. E io non dovrei sentirmi in colpa nel volere il tuo sangue.” mi disse, rompendo il silenzio attraverso quella frase. Affilò lo sguardo, mentre mi sembrava di rivedere la luce della follia accendersi dentro i suoi occhi. “Tu...che cosa mi hai fatto?

Prima che potessi dare un senso a quella domanda, lui mi spinse nuovamente contro la parete: provai a divincolarmi, mentre le mie ginocchia arrivarono a stringergli i fianchi e con le mani cercavo di allontanarlo da me, tenendo le mani sul suo petto. Klaus mi serrava il collo con la mano, tenendomi ferma contro il muro e osservando le mie lacrime scendere repentinamente sul viso.

Basta, per favore!

Che cosa mi hai fatto, Irina? Che cosa mi hai fatto per farmi perdere così il controllo? Che cosa mi hai fatto per farmi perdere ciò che avevo fatto di me stesso?” gridò lui furiosamente, mentre io chiudevo gli occhi per trattenere le lacrime che continuavano a scendere. Fermarle mi parve impossibile, loro nascevano da qualcosa di molto forte come la paura, che macchiava il mio animo e mi impediva da pulirlo via da essa.

Cosa ti ho fatto Klaus? Lo avevo reso io così...folle. Ma cosa avevo fatto?

Sei solo una bugiarda! Tutto quello che fai, tutto il bene che compi è solo una bugia!” Continuò a gridare Klaus, mi prese i polsi che stavo usando per combattere contro di lui e li spinse contro la parete, in un punto sopra le nostre teste. Accostò il viso al mio e mi costrinse a guardarlo: i suoi occhi avevano ripreso il loro colorito naturale, quel blu-grigio che ogni tanto si illuminava e oscurava a seconda delle emozioni che li attraversavano. “Dici di voler scoprire la mia umanità, per poi decidere di pugnalarla di nuovo alle spalle, preferendo morire e lasciarmi solo piuttosto che trasformarti. Come hai potuto essere così meschina?!”

Smisi di divincolarmi e alzai lo sguardo su di lui.

Quindi era quello il vero problema? Era quella la fiamma che alimentava la sua follia? Era quello che lo aveva spinto a compiere quelle nefandezze? Io. Il fatto che avevo rinnegato il suo sangue, il fatto che avessi quasi chiamato la morte piuttosto che trasformarmi in un vampiro.

Il fatto che avrei rischiato di perdere la vita e lasciarlo solo.

Solo. Come se lui avesse perso il significato di quella parola in tutto quel tempo, come se io avessi cancellato quella bestemmia dalla sua bocca. Le lacrime si asciugarono, mentre guardavo i suoi occhi e mi lasciavo andare al senso di colpa, non credevo di aver causato tutto quello in lui con quel semplice rifiuto dell'altra sera.

Io quasi pensavo...ho quasi pensato che a te importasse qualcosa.” continuò Klaus, a denti stretti e con voce stranamente tremante. Non lo avevo mai visto così indifeso, così inerme, così umano.

Aveva paura, come tutti gli umani del resto, della solitudine. Io lo sapevo, eppure avevo dato per scontato che lui non potesse subire i colpi che alcune parole, che il silenzio lasciava parlare, perché lo vedevo come vampiro. Così come vedevo Elijah solo umano.

Tirai su con il naso e lo guardai, Klaus lasciò lentamente i miei polsi mentre abbassava gli occhi su un punto in basso, dove le mie ginocchia stringevano sui suoi fianchi.

Si allontanò di pochi centimetri, ma rimase inginocchiato davanti a me.

Mi venne di nuovo da piangere, quando una forza mi spinse in avanti verso di lui e mi fece prendere il suo viso tra le mani. Klaus volse lo sguardo verso di me, i suoi occhi lucidi fissarono i miei e, tra le lacrime, gli sorrisi.

Io ci tengo a te.

Lui le sentì quelle parole, così come sentì il mio urlo di poco prima, quello che gli trasmise tutta la mia paura. Parve non crederci, un'espressione stupefatta apparve sul suo volto mentre scuoteva la testa.

Non è vero.” disse.

Sì, invece.

Perché continui a mentirmi? Come puoi tenere ad un abominio come me?! Tu che sei così pura, tu che scappi davanti all'orrore, tu che mi hai...” si bloccò, interruppe la frase con un morso di labbra e abbassò lo sguardo. Mi misi in ginocchio davanti a lui, tenendo ancora il suo viso tra le mani e cercando di non tremare, di scacciare il demone della paura mentre lo guardavo.

Tu non sei un abominio.

Avevo fatto sentire così Elijah quando ero fuggita da lui, perché non accettavo ancora il suo lato da vampiro.

Non volevo nemmeno che lui si sentisse così, perché non era vero. Lui non era un abominio.

Lui era...

Mi morsi il labbro, vedendo che lui ancora non mi credeva. Allora qualcosa scattò in me, qualcosa che si era destato dal sonno solo in quel momento, qualcosa che sapevo era rimasto nascosto per troppo tempo e che venne violentemente a galla in me.

Io ti voglio bene, Klaus.

Lui bloccò il respiro, quando sentì quella parole, quando avvertì la loro forza farsi largo dentro di lui.

Era come se il cuore avesse ripreso a battere, come se quella parole avessero risvegliato in lui Niklaus.

Quello che si era parato davanti a me per salvarmi la vita.

Quello che mi aveva parlato nel buio per consolarmi.

Quello che aveva paura che morissi.

Quello che poco prima aveva arrestato la sua follia pur di non togliermi la vita.

Sì, io gli volevo bene. Ci sarei sempre stata per lui ormai, era diventato parte della mia vita e io non volevo lasciarlo solo.

Sconfissi la sua immobilità, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo. Lui restò però fermo, come aveva fatto al mio precedente abbraccio. Ma in quel momento lo bloccava altro, non l'orgoglio ma qualcosa simile al senso di colpa che sentivo muoversi nel suo petto.

Klaus abbassò la testa verso la mia, sentii la sua mano posarsi sulla mia nuca e accarezzarmi i capelli con delicatezza, come se temesse di rompermi. “Perché? Perché provi questo per me?” disse.

Il bene era una cosa che non si poteva spiegare, nasceva e basta. E in me era nato per lui, da troppo tempo.

Solo che me n'ero accorta davvero troppo tardi, tanto che per poco lo persi.

Ciò che successe dopo mi stupii: le sue braccia mi cinsero lentamente, il suo corpo si fece più vicino al mio mentre avvertivo il suo respiro soffiare tra i miei capelli. Mi stava abbracciando.

Non mi domandai nemmeno perché lo stesse facendo, perché quella sera nessuno dei due era davvero in sé.

Stavamo solo combattendo la pioggia, il mondo, noi stessi.

Irina e Niklaus. In quel momento non c'era nessun vampiro in quella stanza, solo due ragazzi umani che volevano sconfiggere il mondo. Nient'altro.

* * * *

Pochi giorni dopo mi ripresi quasi completamente. La mente non era più offuscata, il corpo non sembrava voler cedere ogni volta che mi muovessi e finalmente mi sembrò di riuscire a camminare. Rimasi seduta su quell'altalena, a guardare la bellissima quiete della foresta di fronte a me e serrando con le mani protette dai guanti le catene accanto alla mia testa. Dietro di me si susseguirono i rumori di bambini del villaggio che correvano e giocavano, le loro voci divertite si mescolavano al fischio del vento che soffiava imperterrito e che inesorabilmente scacciava il calore di quella debole luce solare che faceva capolino dalle nuvole grigie.

Aveva smesso di piovere da un paio di giorni, significava forse qualcosa?

La neve era ancora presente sulle strade, in alcuni tratti si erano solo formati strati di ghiaccio su cui ero caduta un paio di volte ma in altri la sua candida presenza era ancora così presente, tanto che i bambini la usarono per giocare e lanciarsi delle palle di neve.

Volsi lo sguardo verso il cielo, vidi apparire oltre quelle nuvole grigie dei pezzi di azzurro che inevitabilmente mi fecero sorridere. Il maltempo era quasi passato probabilmente, sia sulla terra e su di me.

Poi mi feci più vicina al cielo.

Strinsi di più alle catene dell'altalena, mentre delle mani posavano delicatamente sui miei fianchi spingendoli in avanti, per poi lasciarli andare ogni volta che le mie labbra sembravano volessero baciare il cielo. Quando girai la testa verso un punto dietro di me, rimasi sorpresa nel vedere che era Klaus a spingermi sull'altalena: il suo sguardo era fisso verso il cielo, le braccia tese verso di me e le mani aperte verso la mia schiena, per poi chiudersi un attimo sui miei fianchi quando doveva spingermi.

Ti sei ripresa da nemmeno un giorno e già sei sgattaiolata via a far preoccupare tutti.” mi rimproverò, abbassando poi lo sguardo su di me mentre continuavo a dondolare su quell'altalena. “La prossima volta ti lego da qualche parte. Così almeno stai ferma.”

Trattenni una risata, abbassai il capo e chiusi gli occhi. Io e Klaus non ci eravamo più parlati da quando eravamo tornati a casa giorni prima e sinceramente mi era andata bene così, visto che non avevo idea di come affrontare qualsiasi argomento dopo ciò che gli avevo detto.

Klaus smise di spingere l'altalena, in quell'ultimo mio movimento finii con la schiena contro il suo petto e il suo respiro che attraversava i miei capelli. Una sua mano si adagiò sulla mia mentre l'altro braccio mi sfiorò la spalla, mentre si accingeva a portare il pugno chiuso davanti al mio sguardo.

Tieni.” mi disse, con un tono di voce basso, e aprì il pugno: all'interno sembrava stesse proteggendo il fermaglio a forma di farfalla che temevo fosse andato distrutto. Quella mattina lo avevo cercato per tutto il tempo senza trovarne alcun frammento ma, malgrado l'amarezza, decisi di non ostinarmi tanto a rimanerci male. Perché probabilmente Klaus si sarebbe sentito in colpa nel vedermi dispiaciuta per la distruzione del suo regalo. Forse sbagliavo, ma credevo davvero che un po' si sarebbe sentito in colpa.

E lui lo aveva riparato. Era quasi perfettamente intatto, la piccola crepa sull'ala destra non la vidi nemmeno perché era tutto il resto che importava.

Un sorriso mi sfuggì dalle labbra senza che potessi controllarlo e presi il fermaglio tra le mani.

Non fare quella faccia. Ci ho messo due minuti per ripararlo, non c'è nulla che io non sappia fare, ragazzina.” mi disse lui, ritraendo il braccio e allontanandosi dalla mia schiena. “E l'ho fatto solo perché l'ho pagato un mucchio di soldi quell'affare. E a me non piace sprecare così il denaro.”

Scossi la testa incredula, ignorando quell'ultima affermazione e mi girai verso di lui per ringraziarlo. Dovetti alzare il viso per farlo, mentre lui mi fissava con un'espressione indecifrabile sul volto. Gli occhi erano fissi su di me, ma sembravano non mi stessero guardando: come se stessero cercando qualcosa al mio interno, trapassandomi lo sguardo e giungendo in un punto più profondo di me stessa.

Tornai a guardare davanti a me verso il fermaglio e continuai a sorridere sollevata.

Ah c'è una cosa che devo dirti, Iry.” aggiunse poi lui. La sua voce era velata di uno strano senso di serietà, ma mi convinsi che stesse per giungere una delle sue tante provocazioni o magari qualche semplice frecciatina.

Quando mi girai verso di lui, il sorriso si spense: era scomparso, al posto della sua immagine vidi solo i bambini in lontananza che ridevano e giocavano tra loro.

Stupita, lo cercai ancora in qualche punto dietro di me, ma sembrava davvero scomparso.

Quando tornai a guardare di fronte a me, lo vidi: inginocchiato davanti a me, con i piedi che affondavano nella neve, il viso all'altezza del mio e una maschera fredda che copriva il suo volto.

La cosa che mi colpì di più furono, come al solito, i suoi occhi: non erano freddi, ma pieni carichi di troppe emozioni di cui non ne riconobbi nemmeno una.

Trattenni il fiato per tutto il tempo necessario affinché il senso di sorpresa si dileguasse.

Deglutii e rimasi a guardare il suo volto, chiedendomi cosa volesse dirmi.

Sperai per lui che non volesse farmi qualche battuta con quell'espressione sul viso.

So cosa sei per me.” mi disse, inarcando le sopracciglia e lasciando poi posto al silenzio che ci pervase. “Qualcosa che mi sorprende sempre e sempre più. In tutti questi anni, avevo perso persino il significato della parola stupirsi.”

Calò nuovamente il silenzio, ma entrambi attendemmo la fine di quel discorso. Lui abbassò lo sguardo e prese un lungo respiro. “Tu sei...” disse ancora e tornò a fissarmi. “la mia meraviglia.”

Strinsi più forte le catene dell'altalena quando pensai che quello non poteva essere Klaus. No, la mia mente mi stava solo giocando un brutto scherzo, tendendomi una trappola in cui stavo per cadere.

Eppure lui era lì, mi stava guardando e le sue parole erano rimaste sospese tra noi.

Non diventarmi rossa.” ridacchiò lui e solo allora mi accorsi del bruciore che sentivo all'altezza delle gote. “Te lo devo, in pochi riescono a prendermi in contropiede e tu lo fai sempre. Per questo ho trovato solo quel termine troppo...lusinghiero evidentemente, per poterti definire. Ancora non capisco come fai ad essere sempre diversi passi davanti a me, piccola umana.”

Ma sei sempre tu quello diversi passi davanti a me, grande vampiro.

Restammo a fissarci in silenzio per qualche istante, fino a quando lui mi posò una mano tra i capelli e li scombinò con il suo gesto. “Ora torna a casa, mocciosa.” mi disse, serio e provocatore al tempo stesso.”Hai ancora il mio sangue in circolo e sappiamo tutti che sei una calamita per la morte. Se ti dovesse succedere qualcosa, poi torneresti vampira e dovrei patirti per l'eternità.”

La provocazione arrivò, ma troppo tardi affinché potesse avere effetto su di me. Lo guardai alzarsi in piedi e dirigersi verso un punto dietro di me, il rumore dei suoi passi che affondavano nelle neve fu l'unica cosa che percepii, mentre guardavo il vuoto che avevo davanti.

Anche lui era una sorpresa continua, era quello che eravamo l'uno per l'altra allora? Scoperte inaspettate che lasciano di stucco e senza parole. Quando mi girai per guardarlo, lui sembrava essere scomparso.

Prego, Niklaus.

Fu quello il mio pensiero di risposta alle sue parole.

Guardai il fermaglio sul palmo della mia mano e rimasi ancora ad ascoltare il silenzio.

Just give yourself to me, together we will be so elegantly broken


Ehilà! :D

Sono stata bravissima ad uscire dal personaggio di Klaus in questo capitolo, davvero -.-'' l'ho reso un incrocio tra Winnie the pooh e Jack Nicholson in “Shining”, che bello! xD

Malgrado questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)

La canzone presente all'interno del capitolo e in quella roba...ehm immagine all'inizio (sì, quell'immagine terribile è opera mia, perciò preparatevi una doppia porzione di pomodori marci da lanciarmi!) è “Elegantly broken” dei Cain's Offering.

Ringrazio tutti voi che leggete la mia storia, sia chi legge in silenzio che chi recensisce. E ringrazio infinitamente coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite/ricordate e seguite!

Alla prossima e buona serata! ^^



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Capitolo 23
*** Living In A Lie ***


-Living In A Lie-

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Non riuscivo a credere che avremmo lasciato quella casa sulla collina entro un paio di settimane.

Mi sarebbe mancato quel cielo bianco che lottava con i raggi del sole, i quali si insinuavano tra le nuvole per poter raggiungere la terra. Mi sarebbero mancati quei fiocchi di neve che cadevano incessantemente fuori dalla finestra ma sopratutto mi sarebbero mancati i ricordi che quelle pareti in legno mi regalavano.

Ero giunta fin là disperata, credendo di aver perso tutto e in quel momento invece, mi ritrovavo a dovermene andare, ma con un sorriso sulle labbra.

Sorridevo anche in quel momento, guardando la neve cadere sulla foresta, mentre Katerina preparava i suoi bagagli. Notai che parlò pochissimo, sistemava alla rinfusa i suoi abiti dentro le valigie e ogni tanto si lasciava andare a lunghi e sonori sospiri che rompevano il silenzio.

Sai, mi mancherà questo posto.” disse ad un certo punto, traducendo i pensieri che mi attraversarono la mente in quel momento. “Era così bello e rilassante, ma quando torneremo alla vecchia dimora, ci sarà sicuramente una festa in grande stile.”

Lo disse sorridendo. Avevo sentito Klaus e Rebekah parlare già di organizzare un evento simile e entrambi ne parvero già alquanto eccitati.

Doveva essergli davvero mancato molto, il non poter organizzare feste e divertirsi.

Mi voltai a guardarla, quando mi accorsi che si era ammutolita e quando sentii il suo sguardo posarsi su di me. Mi fissò, come se volesse chiedermi qualcosa ma non avesse il coraggio di farlo, perché reputava quella domanda imbarazzante.

Scossi la testa per chiederle cosa avesse e lei abbassò per un istante lo sguardo, prendendo un lungo respiro.

Devo chiedertelo e non fraintendermi. Cosa...cosa provi per lord Niklaus?” mi chiese, abbozzando un sorriso che però non mi evitò di avvampare come una sciocca. “Insomma, io non salto giù dal letto con la febbre da cavallo per andare a cercare qualcuno che non sopporto, no?”

Parlò così veloce, che non mi diede nemmeno il tempo di metabolizzare il mio imbarazzo e di trovare una sana risposta a quella domanda.

Scesi dal davanzale della finestra su cui ero seduta e mi portai le mani sui fianchi.

Non potevo mica spiegarle che era in parte colpa mia se Klaus era sparito quei tre giorni, dopo che avevo praticamente rifiutato l'idea di diventare un vampiro. E non potevo di certo dirle tutto quello che era accaduto dopo. Avrei voluto raccontarle la verità, ma allo stesso tempo non potevo farlo.

E lei avrebbe di certo frainteso il motivo per cui ero corsa a cercare Klaus, lo stava già facendo in quel momento mentre mi guardava in quel modo.

Non ti sarai mica..?”

No.

Non le diedi nemmeno il tempo di formulare quell'assurda ipotesi, che la interruppi e avvampai velocemente, sentendo il fuoco bruciarmi la pelle. Katerina mi guardò, mi parve poco convinta ma feci finta di nulla: non potendole spiegarle la verità, quasi preferì che galleggiasse in quei suoi infondati dubbi.

Non te lo chiedo per gelosia, Irina.” disse poi scuotendo la testa e muovendo i ricci castani attorno al suo viso ovale. La guardai di nuovo, colpita dal tono carico di malinconia con cui pronunciò quelle parole. “Da..quando vi siete avvicinati, ti sento ancora più lontana. Forse è stupido da pensare ma è come se..lui ti portasse via da me.”

Corrugai la fronte, quando la vidi rabbrividire.

Mi aveva già espresso un concetto simile tempo prima, quando era venuta fuori la storia dei vampiri e io avevo deciso di non dirle nulla. E ancora una volta provai un immenso dispiacere, nell'averla trascurata in quel modo. Ma non capivo perché Klaus scaturisse quella insicurezza in lei.

Mi avvicinai a Katerina e le presi le mani tra le mie, muovendole nell'aria e sorridendo.

Nessuno mi porterà via da te.

Le dissi, cercando di infonderle un po' di sicurezza riguardo l'affetto che provavo per lei.

Anche se enormi bugie ci avevano divise, io non l'avrei mai abbandonata e lei aveva bisogno di saperlo. E quella sua continua paura era infondata, nessuno ci avrebbe mai separate: eravamo state sempre insieme e sarebbe stato così per sempre.

Un sorriso da bambina si allargò sulle labbra di Katerina. “Noi due ci facciamo troppe paranoie, eh?” mi chiese poi, quando il mio sorriso la convinse.

In effetti, eravamo sempre state molto paranoiche e insicure su tutto, ma cosa potevamo farci?

Poco dopo, le dissi che dovevo andare in camera a prendere una cosa, avevo deciso di scrivere un po' sul mio diario mentre lei faceva i bagagli, visto che non avevo alcuna voglia di fare i miei.

Ma appena varcai la soglia della mia stanza, notai subito che qualcosa non andava. Era tutto in ordine: la finestra chiusa, il letto ben fatto ma il cassetto del comodino era aperto. All'interno doveva esserci il mio diario, ma invece quello era aperto sul pavimento, circondato da una miriade di pagine che erano state visibilmente strappate da esso.

No...

Mi chinai su di esso e lo guardai, era quasi praticamente distrutto e i miei ricordi erano tutti riversi a terra, come se qualcuno avesse voluto distruggere le mie memorie. Trattenendo lacrime di rabbia per il fatto che quel diario mi era stato regalato da Elijah e ci tenevo troppo, mi resi subito conto di una cosa: mancavano diverse pagine.

* * * *

Non potevo credere una cosa simile.

Chi poteva essere entrato in casa per distruggermi il diario?

Provavo una rabbia immane che però non potevo rivolgere verso nessun individuo concreto, dato che non avevo idea di chi potesse essere stato. Sistemai le pagine che riuscii a recuperare dal pavimento dentro ciò che restava del diario e rimasi inginocchiata a sospirare per non scoppiare in lacrime di rabbia.

Quel diario che Elijah mi aveva dato in dono era una delle cose a cui tenevo maggiormente e qualcuno si era divertito a ridurmelo a pezzi.

Inoltre, diversi ricordi mi erano stati rubati e il perché non mi poteva certo essere chiaro.

Cos'è successo qui?”

Nulla.

Nemmeno mi voltai verso Elijah, quando sentii la sua voce rompere il silenzio dentro la mia stanza.

Se mi fossi voltata, se avessi guardato verso la soglia della porta dove lui doveva trovarsi in quel momento, di sicuro si sarebbe accorto che il diario era stato praticamente distrutto. Non volevo che lui sapesse cos'era successo al dono che mi aveva fatto e quindi lo nascosi velocemente sotto il letto.

Come un'attrice che entra in scena, mi preparai a sfoggiare il sorriso più sereno che potessi delineare sulle mie labbra e mi girai verso lui. Me lo ritrovai ad un centimetro di distanza dal corpo, tanto che il fiato mi si arrestò in gola per la sorpresa, appena scorsi il suo volto così vicino al mio, che mi sembrava di percepire il suo lieve respiro passarmi tra i capelli. Mi posò la mano sulla fronte, in un gesto che mi fece chiudere gli occhi: il suo tocco era bollente, eppure fu il ghiaccio ad attraversarmi la pelle in quel momento.

Non uscire ancora. Potresti avere una ricaduta.”disse in un sussurro e ritraendo la mano con lentezza.

Quelle parole mi fecero venire i brividi, perché mi rammentarono che Elijah era all'oscuro di molte cose: non sapeva che io ero uscita anche prima di riprendermi, per andare a recuperare suo fratello dopo la nostra litigata. Come non sapeva nemmeno che Klaus mi aveva fatto bere il suo sangue.

Non dovevo sentirmi in colpa nel tenergli nascosti quegli equivoci, visto che si erano risolti tutti per il meglio, eppure mentirgli mi faceva davvero male.

Elijah corrugò la fronte. “Tutto bene?” mi domandò, con una punta di sospetto che dissolse tutti i miei pensieri. Alzai di nuovo lo sguardo su di lui, chiedendomi se fossi un libro troppo aperto e se lui percepisse che gli stavo nascondendo qualcosa.

Il cuore mi tuonava dentro il petto, in un moto troppo forte e violento che lui non poteva non sentire.

Annuii, sforzandomi di mostrarmi piuttosto sicura di quel gesto e ordinando al mio cuore di smetterla di battere così forte. Ma quello ascoltava i comandi della colpa, non della mia mente.

Il tuo cuore sta battendo ad una velocità assurda. C'è qualcosa che ti preoccupa?” Elijah andò a sedersi sulla poltrona accanto al mio letto, come se aspettasse che gli parlassi da un momento all'altro e gli esternassi ciò che mi stava tormentando. Oramai aveva capito tutto, ma io non potevo di certo dirgli cosa nascondevo.

Mi portai le mani sui fianchi e mi avvicinai a lui, pensai ad uno stratagemma che non lo preoccupasse in quel modo e che mi cavasse fuori da quell'impiccio. Ma questo implicava dirgli un'ennesima bugia e io non avevo alcuna voglia di prenderlo in giro ulteriormente.

No, nulla.

Irina? Tu mi stai nascondendo qualcosa.” mi disse, guardandomi negli occhi.

No, non è vero.

E ora mi stai mentendo.”

Strinsi i pugni sopra i fianchi, pensando che gli stavo nascondendo così tante cose che non avrei saputo nemmeno da dove partire. Ma anche se mi pesava tenerlo all'oscuro di tutte quelle cose, non avrei parlato mai e poi mai. Non volevo che lui si arrabbiasse, sopratutto con Klaus: non volevo rendermi colpevole anche di una loro ennesima lite. Nessuno dei due lo meritava.

Ti sbagli.

Fu quella l'unica cosa che riuscì a dirgli, anche se lui sembrava non sbagliare mai. Sapeva leggere pensieri ed emozioni in un semplice battito cardiaco e il mio cuore stava parlando troppo in quel momento.

Il tuo cuore non dice questo.” mi disse, sorridendo quasi vittorioso.

Forse lo ascolti male allora.

Sorrise, come se la mia fosse una colossale baggianata “Lo pensi davvero?” disse.

No che non lo pensavo, era assurdo dirgli una cosa simile. Ma non potevo fare altrimenti, visto che ero costretta a recitare la mia parte.

Non mi accorsi nemmeno di come lui tese le mani verso di me, afferrò con delicatezza i polsi e mi tirò a sé, senza che potessi compiere alcun gesto: portò delicatamente le mani dietro la mia schiena e posò l'orecchio sul mio petto, proprio nel punto in cui stava battendo il mio cuore.

Le fiamme dell'imbarazzo divamparono sul mio viso, quello batteva così forte nel petto che per un attimo pensai potesse addirittura infastidire l'udito di Elijah. Mi sembrò di sciogliermi, mentre lo avevo così troppo vicino.

Elijah?

Posai le mani sulle sue spalle, ma applicandovi poca forza perché volevo capire cosa stesse facendo.

Così sei sicura che non sto sbagliando.” sussurrò lui, abbassai gli occhi sul suo capo e mi accorsi che aveva gli occhi chiusi, come per cogliere appieno ciò che il mio cuore stava dicendo. “Ora lui batte fortissimo, perché la mia vicinanza ti provoca mille emozioni. Imbarazzo in primis.”

Ma non lo sapeva? Dubitavo ormai che il mio cuore battesse ad un ritmo regolare quando ero in sua presenza.

Ma prima...prima sembrava che lui dicesse altro, rispetto a quello che invece stavi provando a trasmettermi tu.” disse poi, alzò la testa su di me allontanandosi dal mio petto e ci guardammo, il senso di colpa tornò prepotentemente ad accogliermi nella sua dimora scura e il respiro parve bloccarsi all'altezza del petto. “Come se tu stessi mentendomi e il tuo cuore, invece, voleva gridare la verità.”

Si alzò poi in piedi, il mio sguardo seguì i suoi occhi per tutto il tempo e restammo l'uno di fronte all'altra mentre le cose che stavo trattenendo, mi spinsero a deglutire.

In questi secoli ho imparato..che un battito cardiaco non mente mai.” aggiunse poi, sorridendo ma come se con quelle parole volesse incitarmi a parlare.

Ma continuai a negare, scuotendo la testa e abbozzando un sorriso fintamente sincero.

Poi mi voltai, storcendo la faccia per cancellare quella bugia dalle mie labbra e cercare di riprendere un po' il controllo delle mie emozioni.

Si tratta di Niklaus?” mi chiese lui e a quel punto mi arrestai.

Mi girai a guardarlo, il suo viso assunse un espressione piuttosto sospetta, come se nel mio cuore avesse letto il nome di suo fratello. Spalancai le braccia e negai.

Te lo chiedo perché mentire non è nella tua indole e quelle poche volte che lo hai fatto, è stato per coprire lui.” mi chiese ancora, facendo un passo verso di me e quasi non sbattendo mai le palpebre, pur di mantenere il contatto visivo con il mio. Percepii una punta di fastidio mentre parlava del fratello e del fatto che mi spingesse a mentirgli, come era successo con la storia del bacio per gioco.

Klaus non ha fatto nulla.

Gli feci comprendere quel concetto mostrandomi più che risoluta.

Per come era Elijah, se avesse saputo che il fratello mi aveva fatto bere il suo sangue contro il mio volere, sarebbe di certo andato dritto sparato da lui. Avrebbe tralasciato il fatto che Klaus aveva comunque compiuto quel gesto per il mio bene, anche se in modo sbagliato. Non lo avrebbe mai perdonato.

Mi guardò a lungo, poi sembrò accettare la realtà dei fatti.

O che gli stavo mentendo, o che Klaus non aveva davvero fatto nulla.

Visto il suo sguardo, optai per la prima.

Va bene.” disse solo, annuendo.

Provai sollievo e amarezza quando lo vidi dirigersi verso la porta: sollievo perché sembrava non mi fossi fatta scoprire e amarezza perché lui se ne stava andando, dopo che gli avevo deliberatamente mentito.

Guardai verso il mio letto, sotto cui era nascosto ciò che restava del mio diario, quando la sua voce mi richiamò. “Io so che tu mi menti al suo riguardo perché non vuoi farci litigare.” disse.

Mi accinsi ad ascoltare il resto della frase, senza però voltarmi verso di lui.

Ma se lui sbaglia con te, sono costretto a litigare con lui e la colpa non è tua. Ma sua.” disse. “La tua unica colpa è forse fidarti così tanto di lui.”

A quelle parole, mi girai verso la soglia della porta e lui era scomparso.

Dopo quella frase, l'amarezza e il sollievo sparirono come neve al sole e rimasi sola con lui: il senso di colpa.

* * * *

Erano le pagine che narravano i giorni della mia febbre ad essere scomparse e io stavo elaborando mille e mille teorie per capire che fine avessero fatto e sopratutto perché avessero fatto quella fine.

Sospirai e continuai a cercare di sistemare le restanti pagine dentro il diario, seduta sulla scrivania di fronte alla finestra in salotto. Fuori la mezza luna brillava nel blu della notte, donando quasi un sorriso a quel cielo scuro e puntellato di stelle.

Rimasi concentrata sui fogli e provai a sistemarli all'interno in maniera che quello tornasse a sembrare un diario ma gemetti di dolore quando mi provocai un taglio sul dito attraverso uno di quei fogli.

Ritrassi velocemente la mano e guardai quelle piccole gocce di sangue scorrere lungo il mio indice, lasciando un leggera scia rossa lungo la mia pelle. Accorsi subito a bloccare la fuoriuscita del sangue, alzandomi in piedi e avvolgendomi il dito in un pezzo di stoffa che presi sempre dalla scrivania.

Che stai facendo?”

La voce di Klaus mi colse di sorpresa.

Mi voltai di scatto verso di lui e i suoi occhi saettarono prontamente al mio dito insanguinato, il pezzo di stoffa bianca si stava lentamente tingendo di rosso e lui trattenne per qualche istante il respiro, come per assaporare a pieno l'odore del mio sangue. Mi strinsi il dito al petto, avvolgendolo anche nel palmo della mia mano e scossi la testa, per fargli capire che non stavo facendo nulla, tanto non sarei mai riuscita a sistemare quel diario. Lo nascosi subito sul sedile della sedia, in modo che lui non lo vedesse.

Anche se non lo avrebbe mai visto, il suo sguardo era fisso su altro.

Lascia, faccio io.” disse, allungando la mano verso di me e invitandomi così a porgergli la mia. Ma non lo feci subito, lo guardai interrogativa e rimasi con la schiena adagiata sul bordo della scrivania, mentre le candele illuminavano l'interno della stanza, oscurata dal cielo notturno.

Andiamo, non avere paura.” Klaus fece un passo verso di me, tenendo ancora il palmo della sua mano aperto verso di me e muovendo le dita affinché gli cedessi la mia.

Presi un lungo respiro, chiedendomi perché provassi quella strana sensazione nei suoi confronti in quel momento, e gli porsi la mano. Lui tolse lentamente il panno dal mio dito insanguinato e guardò quelle gocce color cremisi bagnarmi la pelle, come se fossero pioggia su di essa.

E mi sembrò di rivivere un vecchio ricordo, quello in cui Klaus medicò una piccola ferita, che mi ero procurata con la spina di una rosa, attraverso le sue labbra. Trattenni il fiato e sussultai silenziosamente, quando lo vidi portarsi il mio dito tra le labbra.

Lui chiuse gli occhi, mentre avvolgeva la mia mano tra le sue e circondava il dito ferito con le labbra.

Rivissi quel momento di mesi prima con un solo cambiamento: la vecchia Irina non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi allora, il timore che nutriva nei confronti di quell'uomo era troppo forte.

La nuova Irina invece non aveva più paura di lui invece e riusciva a guardarlo negli occhi senza tremare.

Anche se, in quel momento, provai comunque un profondo timore mentre lo vedevo bere il mio sangue.

Le sue labbra smisero di avvolgermi il dito e lo vidi riaprire gli occhi, il respiro che accarezzava la pelle del dorso della mia mano e lo sguardo che si focalizzava in un punto sospeso tra noi.

Le sue labbra scorsero poi lungo la pelle, con una lentezza e leggerezza nei movimenti che mi immobilizzò ulteriormente. La morbidezza delle sue labbra raggiunse un punto vicino al mio pollice, rimase fermo su di esso e piano piano le labbra si schiusero lentamente. Allora mi accorsi di come i suoi occhi erano mutati: divenendo più scuri e mostrando delle venature scure accanto ad essi.

La fame stava per prendere il sopravvento, lo compresi quando sentii qualcosa di pungente sfiorarmi la pelle, ma senza penetrare in essa.

Klaus, no.

Gli posai la mano sulle sue che stringevano ancora il mio dorso e Klaus alzò lo sguardo su di me.

Sembrò scrutarmi a lungo, come se non mi avesse riconosciuto subito e poi lasciò lentamente la mia mano. “Sì, giusto.” sussurrò, rimase in silenzio fino a quando la sua presa abbandonò completamente la mia pelle. Prese un altro pezzo di stoffa dalla scrivania accanto a noi e me lo porse, facendomi segno di avvolgervi dentro il dito. “La ferita sanguinerà ancora per un po'.”

Lo guardai come ipnotizzata per qualche altro istante, ripensando al momento in cui le sue labbra erano accorse a sopprimere il sangue che bagnava la mia pelle. E a soddisfare la sua fame.

Poi mi avvolsi il dito nel pezzo di stoffa che lui mi aveva dato.

Sai, il tuo sangue ha un sapore ...irresistibile.” Klaus tornò a parlare con un tono di voce alto, distruggendo le barriere del silenzio che era sceso su di noi e avvicinandosi ad un tavolino vicino alla libreria alle mie spalle, quello che conteneva bicchieri di vetro e una bottiglia di liquore.

Mi voltai lentamente verso di lui e lo vidi riempire due bicchierini, il liquido cantò tra le pareti di vetro e oscillò come mare in tempesta dentro quella piccola prigione.

Nel senso che ha un sapore...troppo dolce, almeno per me. Delle volte faccio fatica a trattenermi dal morderti...non so Elijah come faccia.” disse poi.

Si girò verso di me e mi porse uno dei due bicchierini, quello meno pieno ma rifiutai, scuotendo la testa. Non mi andava di ripetere il momento in cui cercavo di prendere i fiori da un quadro, avevo preso la saggia decisione di non bere più.

Va bene, come vuoi.” Klaus se lo portò alle labbra e lo bevve tutto d'un sorso, prese anche l'altro e andò a sedersi sul davanzale della finestra accanto alla libreria. Non capivo se voleva semplicemente bere o se voleva scacciare in qualche modo il sapore del mio sangue dal suo palato.

Ero troppo confusa dal suo discorso riguardo il mio sangue: doveva essere una specie di complimento, quello che era tentato dal mordermi? Era strano che un vampiro vecchio secoli fosse solo tentato dal farlo, credevo che avesse più controllo di sé.

Ti piace il mio sangue quindi?

Gli chiesi sospetta, lo aveva definito irresistibile e la cosa un po' mi sembrava strana.

Klaus alzò lo sguardo su di me, quel pensiero balenò anche nella sua mente, tanto che lo vidi subito abbassare lo sguardo quasi imbarazzato. “Si dice che le vergini abbiano il sangue più buono.” si giustificò.

Inarcai le sopracciglia ma lui sembrò voler subito cambiare argomento.

A proposito...perché non hai detto a mio fratello quello che ti ho fatto?” mi chiese poi, allungando le gambe sul pavimento e posando una mano sul suo ginocchio sinistro.

Posò gli occhi su di me, mentre trangugiava quel liquido marroncino che occupava il suo bicchiere.

Mi avvicinai a lui lentamente, trattenendomi dal sedermi al suo fianco e tenendo il dito ferito ancora stretto nella mano, adagiata sul mio petto. Provai di nuovo un profondo senso di colpa nel mentire ad Elijah.

Ma lo stavo facendo perché, sicuramente,lui non l'avrebbe presa bene.

Klaus aveva pur sempre imposto il suo volere con la forza, ma lo aveva fatto perché ero in pericolo di vita.

Elijah non avrebbe perdonato una cosa simile e non volevo che i due fratelli litigassero per una cosa che, alla fine, non era tanto grave quanto potesse sembrare.

A me non piaceva litigare con Katerina e lo stesso doveva valere per loro.

Alzai le spalle e scossi la testa, perché non avevo parole per dirglielo e perché lui comunque ne conosceva il motivo. Mi poneva quella domanda solo perché voleva mettermi alla prova.

Klaus non rispose, girò la testa verso il cielo scuro oltre la finestra e guardò la luna piena brillare in cielo.

La sua luce investì il suo pallido viso, i suoi occhi sembrarono quasi vitrei visti in quella maniera.

Ed è vero?” mi chiese poi, volse lo sguardo nuovamente su di me, quando si rese conto che non avevo compreso quella domanda. “Ciò che mi hai detto...”

A quel punto avvampai, distolsi lo sguardo e serrai le labbra.

Stranamente, quel discorso metteva in imbarazzo anche lui.

Però annuii perché, anche se mi vergognavo a pronunciare di nuovo quelle parole, non gli avevo mentito quel giorno. Provavo davvero quel bene per lui.

Klaus sorrise e tornò ad osservare il cielo fuori dalla finestra. “Irina, a me non si può voler bene. È impossibile volermi bene.” disse, quasi divertito. “È più facile voler bene a qualcuno come mio fratello: l'erede perfetto per i nostri genitori, il fratello perfetto per Rebekah...”

Tornò poi a guardarmi e abbozzò un sorriso sghembo. “L'uomo perfetto per Irina Petrova..” disse e un lieve rossore mi salì alle gote, tanto che dovetti distogliere lo sguardo anche se sapevo che Klaus avrebbe comunque notato quelle fiamme che bruciavano sul mio viso, malgrado la debole luce che illuminava quella stanza.

Non parlare così di lui.

Provai un leggero fastidio dopo aver udito quelle parole: sembrava quasi che Klaus dicesse che Elijah era scontato, perché lui era più facile da amare grazie al suo carattere virtuoso. Non era così: era difficile rimanere onesti come lo era lui, in un mondo dove regnavano oscurità, bugie e dolore. E dubitavo che Elijah si sentisse perfetto, perché avevo visto spesso una luce carica di tristezza nel suo sguardo.

Non ti alterare.” Klaus mi lanciò un'occhiata di fuoco, che mise a tacere la mia rabbia. “Non volevo offenderlo. Dico solo che è più facile apprezzare...le cose che non dobbiamo cambiare perché sono già perfette come sono. Ma spesso, non sono le cose più facili quelle di cui abbiamo davvero bisogno.”

Lo guardai interrogativa, sperando che lui non volesse chiudere lì il discorso e mi strinsi le braccia al petto. Klaus distolse lo sguardo da me, bevve ancora un sorso del suo bicchiere e pensai che quello non doveva essere solo il secondo che aveva bevuto quella sera.

Probabilmente ce n'erano stati altri prima, quando non era con me.

E, in quel momento, compresi quanto fossi stata sciocca a prendermela poco prima. Probabilmente quel discorso nasceva dal fatto che Klaus si era sempre sentito escluso nella sua vita, forse perché reputato così difficile da capire da risultare sbagliato agli occhi di tutti.

Forse quello voleva dirmi, quelle parole su Elijah significavano che lo ammirava in realtà? Non riuscivo a capirlo, Klaus restava spesso un punto interrogativo, impossibile da risolvere.

Nei cammini privi di ostacoli arrivi soddisfatto e senza fatica alla meta...sai che la fine del percorso non può che essere migliore di ciò che si è appreso per arrivarvi. Nei cammini tortuosi invece, arrivi stremato, ferito, perduto alla meta e puoi provare solo due cose alla fine: sollievo, se scopri che la meta raggiunta compensa la fatica che hai fatto per raggiungerla o delusione se scopri con amarezza che la meta raggiunta è peggiore del cammino intrapreso.”

Piegai la testa da un lato, Klaus ricambiò il mio sguardo e in quella quiete che ci univa, mi parve che stessimo rivolgendoci più parole di quanto avessimo mai fatto. E in effetti quella era la discussione più strana e lunga che avessimo mai avuto, esclusa ovviamente l'allegra chiacchierata avuta quando eravamo ubriachi.

Mi sedetti accanto a lui, sistemandomi le gonne in modo che non coprissero le sue ginocchia e lui volse lo sguardo verso di me.

Tu pensi di essere così sbagliato? Gli chiesi, perché era quello il vero nocciolo della questione.

Lo feci ridere. “Tesoro, io non penso di essere sbagliato. Non prendere le mie parole come autocommiserazione perché non è così.” mi disse, guardando dritto di fronte a sé e portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra. “Io sono giusto, perché sono me stesso. Se il mondo mi reputa sbagliato, non posso farci niente e non mi interessa.”

Ma stava mentendo. In parte gli interessava.

Aveva detto che il mondo lo reputava sbagliato, ma da quelle parole trapelava il suo desiderio di venir apprezzato per davvero da qualcuno così com'era. Io ad Elijah avevo imparato a voler bene praticamente da subito, perché si era mostrato per ciò che realmente era e io non avevo potuto non nutrire subito affetto nei suoi confronti. Klaus anche era stato sé stesso, ma solo in parte poiché lui tendeva a mostrare più i suoi difetti che i suoi pregi.

Mostrare le proprie virtù, come faceva Elijah, non era per niente facile come lui diceva. Era più semplice cedere ai propri sbagli, mostrare i propri difetti e adeguarsi ad un mondo in cui violenza e oscurità regnavano. Ma Klaus aveva mostrato anche i suoi pregi, altrimenti non mi avrebbe salvato la vita così tante volte.

Dico solo che trovo alquanto irreale quello che mi hai detto. Visto tutto quello che ti ho fatto in questi mesi...e non voglio qualcuno che mi menta, credendo di farmi sentire bene.”

No, tu vuoi qualcuno che ti apprezzi così come sei. Non nasconderlo. E io ti apprezzo così come sei.

Klaus abbassò gli occhi, era come se avesse sentito i miei pensieri e ne fosse rimasto alquanto...basito.

Ma perché non comprendeva ancora ciò che gli avevo detto giorni prima? Era così difficile per lui arrendersi all'evidenza che non era poi così sbagliato sentirsi legato a qualcuno da un sentimento umano?

Deve essere difficile per te...vero? Avere così tante cose da dire...ma non poterlo fare?” mi chiese.

Alzai le spalle e continuai a sorridere.

Ma io posso parlare.

Non c'era bisogno di parole per trasmettere pensieri, per dire ciò che si provava, per dimostrare ciò che si sentiva dentro. E non c'era nemmeno bisogno di un cuore che batteva per provare sentimenti.

Come io potevo parlare, lui poteva amare e provare affetto.

Anche senza voce e cuore, potevamo farlo lo stesso. Ma lui sembrava non capirlo.

Tu hai la tua forza.

Comincia a mimargli quelle parole, nella speranza che comprendesse ciò che stavo per dirgli e lui mi guardò attentamente, mentre iniziavo a elencargli tutto ciò che lui possedeva.

Tu hai me. Forse valevo poco, ma ero uno dei tanti ostacoli del suo tortuoso cammino per capire che non era solo e sbagliato come pensava di essere.

Ma sopratutto hai i tuoi fratelli. Elijah e Rebekah gli sarebbero sempre stati accanto, solo lui non lo capiva.

La famiglia non lo avrebbe mai abbandonato, i suoi fratelli non erano come Mikael ed ero certa che sarebbero sempre stati con lui. Always and forever, come mi disse una volta Elijah.

Come io ho te, loro e mia sorella. Non sono sola nemmeno io.

A quelle parole Klaus mi guardò a lungo, affondando il suo sguardo nel mio e arrivando in profondità di domande e risposte che avevo nascoste nella mia anima.

Parole che non avrei mai pensato, ma che lui volle cogliere.

Tu e Katerina...” ripeté. “Io uno dei miei fratelli l'ho perso. Chi ti dice che non te la porteranno via?”

Non lo permetterò.

Anche se quella domanda mi aveva un po' destabilizzata, la risposta la diedi subito: Katerina non me l'avrebbero mai portata via, l'avrei difesa da qualsiasi forza avesse cercato di farlo.

Klaus allungò la mano verso di me, cogliendomi di sorpresa, e posò il palmo sulla mia guancia sinistra.

Le sue dita accarezzarono la pelle dietro i miei capelli e chinò il viso su di me per guardarmi meglio.

Non mi ritrassi subito, perché i suoi occhi mi parvero racchiudere qualcosa nel loro blu, che mi faceva quasi male al cuore. Cos'era?

Tu...moriresti per lei, vero?” mi chiese, con una punta di amarezza nella voce.

Non compresi il perché mi parlasse in quel modo di mia sorella, ma la mia risposta arrivò subito, senza troppi ripensamenti perché avrei raggiunto volentieri la morte pur di salvarla.

Sarei morta per Katerina.

Annuii per rispondergli e lui lasciò la mano adagiata sulla mia guancia, fredda e immobile.

Non la scacciai via, perché quello sguardo con cui mi stava fissando in quel momento restava alquanto insolito persino per lui.

Mi sembrava fosse colto dal senso di colpa, l'espressione era tipica di chi non si aspettava quella risposta, anche se era chiaramente scontata. Mi ritrassi lentamente, nello stesso momento in cui lui allontanò la sua mano dal mio viso e abbassò lo sguardo.

Ma che gli era preso? Dubitavo fosse già ubriaco, sembrava come se fosse stato colto da mille pensieri in quel momento e che tutti, tutti, lo stessero logorando dentro.

Qualcosa non va?

Gli chiesi posandogli una mano sulla spalla. Lui sembrò ricordarsi allora della mia presenza, voltò nuovamente la testa verso di me e abbassò lo sguardo sulla mano che tenevo sopra la sua spalla. Sembrò voler rimettere in ordine la sua espressione, come per riprendere controllo delle sue emozioni.

O meglio, delle catene che le bloccavano e che gli assicuravano di mostrarsi sempre freddo e impassibile, cose che lui non era.

No, va tutto bene.” rispose solo, distogliendo lo sguardo.

Ma mentiva di nuovo.

Non ebbi tempo di chiedergli altro, che una voce troppo vicina giunse a noi.

Irina?”

Elijah pronunciò il mio nome, come fosse una lama di ghiaccio giunta a rompere il silenzio.

Mi voltai verso di lui di scatto: era accanto a noi, l'espressione era seria, fissa sul fratello e il suo viso sembrava essere una maschera di freddezza, che congelava tutte le sue emozioni.

Di certo la rabbia era tra queste, quegli occhi scuri fermi su Klaus non trasmettevano altro.

Mi alzai in piedi lentamente e mi avvicinai a lui, sembrava però che non mi vedesse: gli occhi erano fermi su Klaus che, invece, continuava a bere incurante di quello sguardo tagliente che lo stava inchiodando.

Elijah era furioso, lo capivo da come i suoi occhi sembravano più penetranti del solito.

Cercai di toccargli la spalla, ma lui si scansò mostrandomi dei fogli ingialliti piagati in quattro parti.

Non mi guardò nemmeno, mentre li prendevo tra le mani e riconobbi lo spessore delle pagine del mio diario.

Li aprii lentamente e il cuore prese a battere forte in preda al terrore. Strinsi con forza i bordi dei fogli, mentre leggevo quella parole che la disperazione mi aveva spinto a scrivere sul mio diario, l'unico che poteva davvero ascoltarmi in quel momento e l'unico in cui pensavo di trovare delle risposte al perché Klaus mi avesse ferito in quel modo sere prima, quando ero vittima della mia febbre. I fogli scomparsi.

No.

Elijah mi passò accanto con passo elegante e si avvicinò lentamente al fratello, mentre Klaus sembrava non curarsi di quello che stava per accadere. Lo raggiunsi prontamente, muovendomi con l'agilità necessaria affinché non inciampassi sui bordi della mia gonna, e mi parai davanti a Klaus guardando Elijah con aria supplichevole.

Elijah, ti prego. Stai calmo.

Ma lui mi ignorò, guardò oltre la mia spalla e tenne gli occhi fissi su Klaus, che sembrava essersi accorto solo allora che il fratello si era avvicinato in quel modo.

Cosa ho combinato, stavolta?” chiese, quasi innocentemente. Non capivo come gli riuscisse facile sfidare quello sguardo. Lo sentii alzarsi in piedi e ricambiare lo sguardo del fratello.

Mi sembrava di essere uno scoglio in balia di due onde mosse dalla tempesta, vittima della loro forza.

Hai anche il coraggio di chiederlo?”esclamò Elijah.

Elijah, ti prego!

Irina. Tu stanne fuori.”

La sua voce era durissima, tanto che mi sentii tremare dentro come mai mi era successo prima.

Ma era normale che provasse una tale collera: gli avevo di nuovo mentito e, per i valori che aveva, non gradiva affatto ciò che Klaus aveva cercato di fare giorni prima. “Hai...davvero cercato di ucciderla?”

Klaus scoccò la lingua. “Non ti devo alcuna spiegazione.” disse, passandomi accanto e così vicino che i nostri vestiti si sfiorarono. Elijah non distolse lo sguardo dal fratello nemmeno per un istante, lo guardò allontanarsi verso il tavolino dei liquori e versarsi un altro bicchiere.

Quello che avevo cercato di evitare stava per accadere ed, essendone la causa, dovevo in qualche modo impedire che l'incendio divampasse. Elijah si avvicinò lentamente al fratello che gli dava le spalle, con quella grazia felina di un predatore che si nutre del silenzio attorno a sé prima di aggredire la preda.

Solo che Klaus mi sembrava voler accettare quella sfida, o era troppo ubriaco e forse...era ciò che voleva?

Sembrava troppo tranquillo di fronte allo sguardo di Elijah, uno sguardo che avrebbe davvero fatto rabbrividire chiunque. Ma non lui, si girò verso il fratello e, per provocarlo, bevve un lungo sorso di liquore.

Sei il solito egoista, pensi solo a te stesso e non ti importa nulla degli altri. Non hai alcun onore.” ripeté Elijah, parlando a denti stretti e tenendo quasi le labbra serrate. “Mi disgusti.”

Cercai di prendergli il polso, quando lo vidi farsi più vicino a Klaus ,che per poco gli scoppiò a ridere in faccia, ma Elijah mi scansò, non degnandomi nemmeno di uno sguardo.

Mi sembrava di essere il nulla, in mezzo ad oceano troppo vasto, non potevo nemmeno gridare e dubitavo che la mia voce si sarebbe comunque fatta largo tra i loro pensieri di sfida.

Non si può piacere a tutti, fratello. E, ribadisco, non ho nulla da dirti al riguardo.” ripeté Klaus, levando il bicchiere verso Elijah come per brindare a qualcosa.

Forse al pugno che lo colpì pochi istanti dopo.

Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi perché Klaus lo stesse provocando in quel modo, che lo vidi rotolare diversi passi indietro, con una velocità che l'occhio umano non avrebbe potuto cogliere.

Il bicchiere volò contro la parete alle sue spalle, infrangendosi in mille piccole schegge e bagnando il muro con il liquido denso e chiaro che si espanse come una pozzanghera.

Hai ragione, non hai nulla da dirmi. Il fatto che hai cercato di ucciderla mentre era così debole, dice tutto!” ringhiò di nuovo Elijah, avanzando verso Klaus che si stava rialzando in piedi, facendo leva sulle caviglie. Rimase inginocchiato con lo sguardo carico di rabbia fisso sul fratello. “E no! Ora hai proprio esagerato, Elijah.” ringhiò.

Ma c'ero anche io in quella stanza? Mi sembrava che la testa mi scoppiasse, mentre cercavo di farli smettere.

Elijah gli sorrise, in una maniera che mi fece quasi rabbrividire. “Voglio proprio vedere se riesci a prendertela con qualcuno alla tua altezza.” lo sfidò.

Klaus non se lo fece ripetere due volte e si preparò a colpirlo. Ma prima che potesse scattare verso Elijah, alzando un pugno, mi parai tra i due finendo quasi nella traiettoria del colpo di Klaus.

Lui si arrestò di colpo, il suo pungo fendette l'aria tra noi e si fermò a pochi millimetri dal mio viso, tanto che per un attimo venni presa dal panico di essere davvero colpita: chiusi gli occhi e tremai visibilmente. Elijah scattò rapido, prendendomi per le spalle per spostarmi dalla traiettoria , ma si fermò quando vide che il fratello si era fermato giusto in tempo per non spendere il suo colpo su di me.

Presi dei lunghi respiri, aprendo gli occhi e guardando Klaus che stava ricambiando, sconvolto, il mio sguardo, ritirando lentamente il pugno per allontanarlo dal mio viso.

Il suo volto parve assumere un'espressione più rilassata, mentre ripetevo una sola parola.

Smettetela.

I due si guardarono nello stesso momento in cui pronunciai quelle parole.

Mi girai verso Elijah e cercai di prendergli la mano e farlo tranquillizzare, ma lui si scostò bruscamente e si allontanò senza degnarmi di uno sguardo. Lanciai un'occhiata veloce a Klaus e lo seguii rapidamente, mentre lui si dirigeva all'esterno della nostra casa.

Non presi il mantello, ignorai il vento che portò i capelli a coprirmi il viso, il gelo che attraversò il mio abito e mi strinsi le braccia al petto.

Elijah?

Lo volli quasi chiamare, come se potesse sentirmi, ma lui continuò ad allontanarsi sulla neve, con indosso un mantello scuro, verso un punto davanti a sé e mi ignorò.

Elijah!

Allora mi guardò: mentre spalancavo le labbra come per poter gridare e mi piegavo in avanti per dare più enfasi al suo nome. Fu come se mi avesse sentito, come se avessi realmente urlato il suo nome e avessi così portato la sua attenzione su di me.

Non lo avevo mai visto così arrabbiato: sembrava stesse prendendo rapidamente fiato per calmarsi, mentre questo, quando abbandonava le sue labbra, si tramutava in piccole nuvolette bianche che si innalzavano nell'aria per poi dileguarsi nella notte.

Sperai di fare lo stesso con la sua rabbia, ma lo trovai davvero improbabile.

Irina, lasciami stare. Ne ho abbastanza per oggi.” mi disse solo, come se sapesse che la rabbia sarebbe stata pure riversata su di me se non avessi acconsentito al suo volere.

Inoltre il suo sguardo scorse per un attimo lungo il mio abito che si muoveva nel vento, come se si stesse comunque preoccupando che potessi prendere freddo.

Devi calmarti.

Mi avvicinai rapidamente a lui, parandomi di fronte al suo corpo in tutta la mia piccola statura e cercando di catturare nel mio il suo sguardo. Ma Elijah mi stava evitando, i suoi occhi cercarono un punto lontano dal mio viso, un punto che potesse lenire tutta l'ira che, in quel momento, lo stava logorando.

Calmarmi? Mi sembrava di sentirti singhiozzare mentre leggevo quelle parole, te ne rendi conto?” esclamò lui, furibondo. “Hai la minima idea di quello che vorrei fargli in questo momento, per averti fatto provare un terrore simile?”

Ma non è successo nulla. Gli mimai a gesti, nella speranza che potessi in qualche modo porre un freno a quell'ondata di rabbia che si era abbattuta su di lui.

Ma mi sembrò di peggiorare la situazione: Elijah abbassò lo sguardo su di me, le sue iridi scure immobilizzarono il mio sguardo e un lungo brivido mi scorse sotto pelle.

Fece un passo verso di me, ma io non mi ritrassi.

Mi strinsi ancora di più nelle spalle, e non potei fare a meno di distogliere lo sguardo. Era impossibile non sostenerlo, obbligava gli occhi di chi lo stava guardando a fuggire e rintanarsi in un punto lontano da lui.

Come puoi avergli perdonato una cosa simile? Sei corsa a salvarlo, dopo quello che ha cercato di farti!” disse, tenendo quasi le labbra serrate e indicando con la mano la casa alle mie spalle che, in quel momento, doveva rappresentargli Klaus.

Chiusi le palpebre e scossi la testa.

Lo ha fatto solo perché preoccupato, gli feci capire sempre a gesti e, di nuovo, compii il gesto più sbagliato in quella situazione. Elijah sembrò alterarsi ulteriormente, il modo in cui affilò lo sguardo ne era la prova.

E continui a giustificarlo...” disse, con voce dura.

Sto solo cercando di mantenere la calma tra voi!

Possibile che non lo capisse? Klaus aveva davvero sbagliato, non potevo negarlo, ma a fin di bene.

E comunque si era risolto tutto per il meglio: avevo smaltito il suo sangue dal corpo e non ero morta quella notte. Non ci si poteva mettere sopra una pietra e andare avanti? Poteva non prendersela in quel modo?

Irina, la tua bontà arriva a dei livelli assurdi. Sarà proprio lei ad ucciderti alla fine, se continui di questo passo....”

Questo è assurdo.

Ci tenni a precisare.

Strinsi i pugni sopra le mia braccia e distolsi nuovamente lo sguardo, un vento gelido si levò su di noi e mi costrinse a rabbrividire. Elijah abbassò lo sguardo sul mio corpo tremante, si tolse il mantello e me lo posò sulle spalle in un gesto delicato che però trapelava freddezza.

Guardami.” mi disse solo, con voce lieve, mentre sistemava il mantello sulle mie spalle e il calore iniziò a pervadermi. Ma lo ignorai malgrado la sua voce mi stava quasi obbligando a seguire il suo volere.

Ho detto..guardami.”

Poi mi tirò di più a sé, tanto che fui costretta ad alzare la testa per guardarlo e finii contro il suo petto.

Lo stavo guardando, era ciò che voleva e lo aveva ottenuto. Quegli occhi neri sembrarono volermi scavare dentro sempre più, ponendo un freno al mio volere ma accrescendo la paura che essi mi procurarono.

Ho letto anche quello che è successo dopo, Irina. Ti ha quasi morsa...per la terza volta e tu, invece di scappare via appena avuta l'opportunità, sei rimasta là e lo hai pure perdonato.”

Scossi la testa, senza sapere cosa rispondere.

Non capivo dove volesse arrivare, per caso voleva che odiassi suo fratello? Le sue mani strinsero ancora lembi del mantello, così che restassi vicina a lui il minimo indispensabile, affinché non perdessimo il contatto visivo. “Ti ha fatto versare più lacrime di quanto abbiamo fatto altri in tutta la tua vita. Ti ha fatto soffrire, ti ha spaventata a morte, ti ha abbattuta più e più volte ma tu sei rimasta al suo fianco. Perché?”

Strinsi di nuovo i pugni, con più forza, tanto che per poco le unghie si conficcarono nella mia pelle. Guardavo Elijah, lui sembrava conoscere la risposta a quel quesito mentre io invece brancolavo nel buio. Non si poteva spiegare né a parole, né a gesti quello che mi aveva spinta a perdonare Klaus: come quando lui mi aveva chiesto perché gli avessi detto di volergli bene, anche in quel caso non avevo una risposta da dare ad Elijah.

Mi spiace averti mentito.

So che non mi hai detto nulla perché volevi tutelare il nostro rapporto fraterno. Ma sopra delle cose come queste, io non posso passarci sopra.” disse lui scuotendo la testa. “Lui ha abusato della tua fragilità, quando non potevi difenderti...quando io non potevo difenderti. Lo ha fatto perché non voleva farti morire, va bene, ma devi sempre porre in primo piano te stessa e non l'egoismo, anche se a fin di bene, degli altri. Sopratutto se si tratta del suo.”

Abbassai lo sguardo, quando lui accostò di più il viso al mio. “Il fatto che tu stia volendo bene ad una persona che ti ha fatto tutto questo...non lo considero ammirevole, ma stupido.” disse ancora.

Lasciò poi il mantello e si allontanò da me, con indosso quei semplici abiti di lana che non potevano difendere dal freddo un qualsiasi umano. Mi sembrò di non saper respirare, come se fino ad allora mi fossi aggrappata alle sue parole e con esse avessi riempito i miei polmoni, il mio cuore e sopratutto la mia mente.

E un altra cosa...chi può averti distrutto il diario che ti ho regalato e portarci a questo punto, Irina?”mi chiese poi, voltandosi rapidamente verso di me e puntando lo sguardo sul mio viso.

Capii subito dove volesse arrivare, accusando l'unica persona che, oltre me, era a conoscenza di quello che era successo. Ma non ebbi il tempo di dire nulla, che lui riprese ad allontanarsi.

Elijah?

Quasi volli chiamarlo, ma lui ovviamente non mi udì. O meglio, fece finta che il mio richiamo non fosse giunto alle sue orecchie e si incamminò verso la foresta, mentre restavo sola sotto la neve.

Non mi persi in solo attimo della sua figura che spariva nell'oscurità, come se si stesse unendo al buio della notte. Rimasi immobile per altri interminabili istanti e strinsi i pugni. Non avrei mai creduto che, quasi alla fine di quel soggiorno, lo avrei perso di nuovo.

* * * *

Si è calmato?”

Quando rientrai sbattendo la porta e tenendomi addosso il mantello che emanava il suo profumo, mi voltai verso il corridoio che portava al salotto.

Klaus era in piedi sulla soglia della stanza, con lo sguardo rivolto verso di me e un bicchierino di vetro mezzo vuoto. O mezzo pieno, ma in quel caso vedevo solo il vuoto.

La sua espressione era strana, come pacata e fredda allo stesso tempo. Proprio come lo era stato di fronte allo sguardo carico di collera che Elijah gli aveva rivolto pochi attimi prima.

Chi può averti distrutto il diario e averci portato a questo punto, Irina?

Le parole che Elijah mi aveva rivolto riecheggiarono nelle pareti della mia mente, ma non gli diedi molto credito. Cercai di dirigermi verso le scale che portavano al piano di sopra, ma la voce di Klaus ruppe il silenzio.

Glielo hai detto quindi....” disse poi, con una punta di accusa che proveniva dalle sue parole.

Mi sembrò di aver capito male, tanto che mi fermai a metà della scalinata e strinsi i pugni sotto il mantello, fissando un vuoto davanti a me, sperando che in esso trovassi la certezza di captato male le sue parole.

Scusa?

Mi voltai verso di lui, Klaus se ne stava ai piedi della scalinata e mi guardava con sospetto. Quello sguardo mi fece scoppiare quasi di rabbia, la sentii crescere dentro di me sempre più, invadendo lentamente il mio corpo. Cercai di fermarla prima che giungesse ai miei pensieri e che li incendiasse, rendendomi incapace di pensare lucidamente.

Mi sembrava strano che tu non fossi andata a raccontargli tutto, visto che quasi pendi dalle sue labbra...e sappiamo entrambi quanto ti piaccia fare la sua principessa e lui il tuo cavaliere.” disse ancora, piegando la testa da un lato e quasi sibilando.

Sperai per lui che stesse parlando perché aveva bevuto troppo, poiché se realmente pensava che io avessi messo in moto tutto quanto per farli litigare e se pensava che io fossi anche così stupida da finire per litigare io stessa con Elijah, allora Klaus era davvero fuori di testa.

Scesi gli scalini quasi per sfidarlo e mi fermai sul secondo, in modo che il mio viso fosse all'altezza del suo.

Come puoi pensare una cosa simile?

Sto andando ad esclusione.”

Accusando me? Quanto poteva essere bastardo e puntarmi il dito contro con quella facilità dopo ciò che era successo?

Eri l'unica a saperlo, chi altri poteva farlo?” disse ancora.

Tu.

Allora andai anche io ad esclusione. Eravamo in due a sapere quello che era accaduto, solo noi.

Non gli avevo detto nulla riguardo le pagine strappate del mio diario e lui sembrava non sapere nulla al riguardo, ma chi mi diceva che non stava mentendo? Perché eravamo in cinque in quella casa e solo in due sapevamo quello che era successo, io e lui. E io ero certa di essere innocente al riguardo.

Klaus restò stupito nel vedere le mie labbra muoversi in quell'unica parola, mentre mi perdevo nel suo sguardo, alla ricerca di qualche conferma alla mia stupida accusa.

Perché di stupida accusa si trattava.

La definii subito tale quando nei suoi occhi mi parve di scorgere quella che sembrava essere innocenza. Mi morsi il labbro, sforzandomi di non distogliere lo sguardo e di affrontare Klaus, anche se ormai ero certa di aver detto una stupidaggine.

Ma lui aveva puntato il dito contro di me con una facilità assurda, perché io non potevo fare lo stesso?

Klaus non si fidava dell'umanità in generale, perché fidarsi di me dopo quello che era successo giorni prima? Più che giusto ovviamente, accusare qualcuno che era disposto a fare tutto per lui.

Io? Iry, ma per chi mi hai preso? Il mio mondo non ruota attorno a te e a mio fratello.” mi disse e capii che anche lui stava per cedere alla rabbia.

Sembrava che lei avesse deciso di guidare le nostre azioni quel giorno.

E il mio mondo non ruota attorno a te!

Non voleva essere accusato, quando lui prima aveva fatto la stessa cosa con me e senza batter ciglio.

Ipocrita.

Feci un altro passo verso di lui e gli mostrai le pagine strappate del mio diario, lui le guardò con aria confusa e poi alzò nuovamente lo sguardo verso di me, quando cercai di fargli capire che qualcuno mi aveva distrutto il diario.

Chi poteva esser stato a fare una cosa simile? Se non colui che era sempre stato un bambino capriccioso?

Adesso dimmi perché avrei dovuto distruggerti quell'affare e far capire ad Elijah ciò che è successo giorni fa.” mi disse, quasi ringhiando e accostando il volto al mio come per sfidarmi.

Come se fossi al suo livello, cosa che io ovviamente non ero e lui lo sapeva.

Lui abusa della tua fragilità per vincere sempre.

E io non volevo essere fragile in quel momento, provavo una rabbia assurda che dovevo in qualche modo sfogare. Era lui che doveva dirmi perché avesse deciso di giocarmi un colpo basso come quello, io sinceramente non ne avevo alcuna idea. Dentro di me venti avversi parvero scontrarsi: una parte di me mi diceva che negli occhi di Klaus vi era sincerità, mentre l'altra parte, quella più forte in quel momento e quella che nutriva rancore per essere stata accusata ingiustamente, mi ricordava che Klaus era bravissimo a mascherare le sue bugie.

Vedendo che non aveva una risposta, gli diedi le spalle e salii le scale lentamente, sentendo la fiamma della sua rabbia bruciare sulle mie spalle.

Non darmi le spalle e guardami. Non abbiamo finito di parlare.” mi richiamò lui, ma lo ignorai.

Poco prima non avevo esitato ad obbedire ad Elijah, quando mi aveva detto di guardarlo, ma con Klaus mi sentii quasi in diritto di poterlo ignorare.

Cosa che lui, decisamente, non voleva permettermi: lo vidi pararsi davanti a me, tendendo il braccio contro la parete alla mia destra e battendo la mano sul muro con una forza inaudita, che quasi poteva creare un buco nel legno della parete.

Mi fermai di colpo e guardai il suo volto corrugato dalla rabbia, io dovevo avere la stessa medesima espressione. “Rispondi: perché dovrei aver fatto una cosa simile?”

Perché io avrei dovuto fare una cosa simile?

Replicai, indicando me stessa in modo che lui comprendesse quella mia domanda.

Klaus ridacchiò. “Perché tu non sai mentire, di sicuro ti sei lasciata sfuggire questa storia.”

Tu invece sei bravo a mentire.

Klaus mi guardò di nuovo con rabbia, passai sotto il suo braccio per potermi allontanare ma lui mi bloccò: il braccio che teneva contro la parete lo usò per cingermi i fianchi e voltarmi verso lui, mentre ci ritrovavamo a pochi centimetri di distanza.

Guardami negli occhi e dimmi che pensi sul serio sia stato io.” mi disse, sembrava quasi che mi stesse soggiogando affinché obbedissi alle sue parole. Guardai i suoi occhi blu, senza distogliere mai lo sguardo ignorando il fatto che stavamo litigando quasi come bestie e i nostri respiri si distanziavano pochi millimetri. Io non lo credevo realmente colpevole, più lo guardavo e più me ne convincevo, ma poi ricordavo sempre che lui sapeva davvero mentire. Lo aveva fatto troppe volte con me e non potevo aggrapparmi a quella, forse vana, speranza che invece potesse essere il contrario.

Penso che sia stato tu.

Dissi e quasi subito mi pentii di aver detto una cosa simile, anche se ero terribilmente confusa.

Il volto di Klaus si irrigidì, mi ero mostrata così determinata dell'accusarlo che lui aveva creduto alle mie parole. Ne era certo, io invece non lo ero pienamente.

Io ora ti sto guardando negli occhi, Irina.” disse poi, fece un ulteriore passo verso di me, tanto che mi ritrovai sovrastata dalla sua figura. Continuammo a guardarci e un brivido mi corse lungo la schiena. “Non penso sia stata tu.”

Lo guardai sorpresa, ma perché mi stupivo ancora del suo essere così lunatico? Però mi fece rendere conto che stavo mentendo a me stessa, perché anche io, in quel momento, non vedevo colpevolezza nel suo sguardo.

Klaus scattò di nuovo verso di me, il suo viso venne corrugato dalla rabbia mentre parve volermi immobilizzare con i suoi occhi, piccoli oceani in una tempesta di collera.

La via più facile, Irina. Accusare il cattivo della situazione perché lui sa essere colpevole.” Klaus parlò a denti stretti, soffiando quella parole rabbiose sul mio viso.

Distolsi lo sguardo, perché in quel caso non riuscii a sostenere nemmeno il suo.

Ma stavolta...io non c'entro nulla. Eppure tu non hai potuto non dubitare davvero di me, non è vero?”

Mi superò dandomi quasi una spallata e chiusi gli occhi, lasciandomi prendere dallo sconforto del momento. Mi portai i capelli dietro le orecchie e presi un lungo respiro.

E quella sera, sentii di aver perso anche una seconda cosa che ritenevo troppo importante.

E solo per colpa mia.

* * * *

Eccoti, honey.

Diana venne ad aprirmi poco dopo che la mia mano bussò, per l'ennesima volta, sulla sua porta.

Perfetta come al solito, gli occhi erano velati di un leggero trucco scuro e sulle labbra abbondava un intenso colore rosso. Indossava un vestito nero, con un'abbondante scollatura sul petto, segno che si aspettava di trovarmi o con Klaus o con Elijah. Non si sarebbe mai aspettata che mi fossi presentata da sola, dopo aver ricevuto un suo biglietto in cui mi diceva che aveva delle risposte su Belial da darmi.

I due vampiri non erano in casa in quel momento e quindi preferii andare sola.

Era riconoscibile della preoccupazione nei tratti felini del volto di Diana, eppure lasciava pendere quel finto sorriso malizioso sulla sua bocca, come se non potesse fare a meno di farlo.

Mi fece entrare, allungando il braccio dietro di sé e facendomi segno di sedermi al tavolo in cucina. Quando si chiuse la porta alle spalle, mi sedetti su una delle due sedie e lei fece il giro del tavolo, per potersi accomodare di fronte a me.

Sulla superficie, vi era una teiera, da cui si innalzava del fumo che poi scompariva nell'aria. Ne avevo davvero bisogno, dopo quella passeggiata sulla neve che aveva lasciato su di me una profonda sensazione di freddo.

Non sei venuta con il tuo fidanzato?” mi chiese, fermandosi davanti a me prima di sedersi. Ma prima che potessi persino arrossire, lei piegò la testa da un lato e si portò una mano sul fianco. “Ah giusto, tu ne hai due...”

Cercai di reprimere la rabbia fomentata da quella battutina e dal risolino che ne seguì, prendendo un lungo respiro e sforzandomi di non arrossire troppo. Se Diana si riteneva spiritosa, era davvero fuori strada.

Ero ancora così adirata per quello che era successo la sera prima, che non avrei esitato ad alzarmi in piedi e prenderla a schiaffi. Almeno mi sarei sfogata.

Lascia stare.” mi disse poi, alzando la mano come se volesse scacciare una mosca che la importunava e si sedette con eleganza.“Vuoi qualcosa di caldo da bere? Perché dobbiamo farci una lunga chiacchierata che ti riguarda.”

La guardai confusa, tutta l'ombra della provocazione abbandonò il suo viso riducendolo ad una maschera di preoccupazione che mi fece rabbrividire.

Annuii, avevo bisogno di un po' di thé. Diana prese la teiera in mezzo al tavolo e andò a prendere due tazze dal mobile alle sue spalle.

Mettiti comoda, non so se ti piacerà ciò che sentirai. mi disse poi, quando si fu nuovamente

seduta al tavolo, mentre versava il thé. Il suo calore insieme al suo profumo pervasero l'aria, mentre nel silenzio iniziavo a sentire la consapevolezza che stavo per giungere alla verità.

Guardai Diana che lasciava cadere il thé dentro le nostre tazze e deglutii.

Era davvero giunto il momento.

Mi accorsi che avevo un blocco in gola, che impediva all'ossigeno di fluire liberamente dentro di me e il cuore iniziò a battere così forte che per poco temetti avrebbe perforato il petto.

Ero sempre stata una persona così ansiosa? Nemmeno me ne ero mai resa conto.

La luce pallida del sole nascosto tra le nuvole penetrava dal vetro della porta della cucina, che affacciava sul piccolo inutilizzato giardino accanto alla casa. Le mie mani vennero colpite da quella tenue luminosità, rendendo la pelle ancora più pallida di quanto non fosse.

Sembravo una bambina che attendeva nervosamente l'arrivo del suo regalo di compleanno, iniziai a scrocchiarmi le dita con agitazione e tamburellavo con la punta dei piedi sul pavimento.

Vuoi anche dei biscotti?” mi chiese poi Diana,sorseggiando il thé.

Biscotti? Ero così appesa alle sue parole, al suo respiro che per un attimo mi chiesi persino cosa fossero i biscotti. Non riuscivo a credere che mi ponesse una domanda simile proprio in quel momento.

Scossi la testa, l'unica cosa di cui avevo bisogno era sentire la sua voce che mi dava delle risposte.

Io volevo sapere. Ma allo stesso tempo non volevo.

Belial era stato il mio incubo per tutto quel tempo, quasi quanto Mikael. E sapere la sua identità, chi fosse, cosa volesse da me...mi faceva sospirare di sollievo ma, allo stesso tempo, mi faceva tremare di puro terrore.

Ti conviene stare calma, non ho ancora parlato” mi disse lei, con quella calma pacata che però mi diede di più sui nervi.

Cercai di riprendere controllo di me, tremando come una stupida e tenendo gli occhi sbarrati fissi su di lei. Tornai a torturarmi freneticamente le mani e a guardare le sue labbra che si accingevano a muoversi.

Se ami così tanto tua sorella, se vuoi così bene ad Elijah, Klaus e Rebekah...devi andare il più lontano possibile da loro.”

Furono quelle le sue prime parole, parole che avvolsero il mio cuore in una stretta violenta e arrestarono il suo battito, facendo calare un silenzio di tomba dentro il mio petto. Sentii i muscoli del mio viso rilassarsi, come se in esso non vi fosse nessuna emozione in quel momento. Come se fossi stata svuotata di tutto.

Devi andare il più lontano possibile da loro.

Quelle parole si ripeterono nella mia mente, come un eco nel buio che interrompe la quiete della notte. Scossi la testa con aria interrogativa, mentre Diana mi guardava seria come mai lo era stata.

Ti assicuro che è la cosa migliore. Se li ami così tanto, devi portare Belial il più lontano da loro.”

Iniziai a scuotere la testa più velocemente e per tranquillizzarmi bevvi un lunghissimo sorso di thé. Ma nemmeno il suo calore servì a placare il gelo che portavo dentro.

P-perché?

Diana mi guardò a lungo, con la tazza sospesa davanti al suo mento mentre l'alone del fumo che saliva da esso sembrò riflettersi nelle sue iridi scure. Rimase in silenzio per due o massimo tre secondi, eppure mi parve di essere rimasta un'intera vita a guardarla.

Hai mai pensato...da dove nasce la magia? Quella vera intendo.” Diana posò la tazza sul tavolo e mi guardò attentamente. “Quella nera, profonda e che è stata radicata agli inizi dei tempi? Quella che dà vita, quella che uccide.”

Scossi la testa, chiedendomi dove volesse arrivare perché, con un solo altro giro di parole, io sarei potuta morire di crepacuore in quell'istante.

Bevvi un altro sorso, più lungo, ma non smisi di tremare e di provare quella fastidiosa sensazione al petto.

Esther, la madre di Klaus, Elijah e Rebekah, fu la prima strega. Secoli fa, lei e la sua famiglia vivevano in un villaggio del nuovo mondo dove erano costretti a convivere con dei licantropi.”

Diana iniziò a parlare, come se stesse raccontando un fiaba appartenente a tempi lontani. Ma che temevo non avesse un lieto fine come le fiabe che ero solita conoscere.

Ma un giorno, uno dei più giovani dei fratelli, venne ucciso durante una notte di luna piena. Klaus portò il suo corpo privo di vita dalla madre...”

Ripensai al giorno in cui venne rapita Katerina, quando Elijah disse a Klaus che anche lui, come me, aveva pianto per uno dei suoi fratelli. Doveva essere quello l'avvenimento di cui stavano parlando quel giorno.

Ma non erano solo i licantropi la minaccia che tormentava Esther: nelle foreste di quel villaggio girava voce che abitasse un uomo bellissimo, con l'aspetto d'angelo ma un sorriso diabolico. Un uomo così potente...che persino la natura sembrava temerlo.”

Tremai visibilmente, stringendo i pugni sul tavolo e attendendo con ansia, in quei lunghi secondi, che lei riprendesse il racconto. Ci fu persino una parte di me che non volle più sapere nulla, perché già troppo spaventata, ma la misi a tacere senza troppo problemi e senza distogliere gli occhi da lei.

Esther però all'inizio ignorò la sua minaccia. Si rivolse a lui per accingere ai poteri necessari per poter trasformare i propri figli in vampiri e proteggerli dalla minaccia dei licantropi, facendo un patto con lui: lui le diede il potere necessario e lei gli promise i suoi servigi e la sua anima.” continuò Diana e mi resi conto che aveva volontariamente lasciato a tacere la parte in cui mi dice cosa era Belial.

Perché non si parlava in quei termini di una persona, ma di un mostro.

Ma la strega fece un grave errore e cercò di uccidere Belial, perché anche lui si rivelò essere una grave minaccia per la sua famiglia. E ammetto che quasi ci riuscì ma....lui la privò di tutti i suoi poteri, così che lei venisse poi uccisa successivamente senza che potesse difendersi. La sua anima ora è sospesa in una specie di limbo, dannata per l'eternità.”

Continuai a tremare e sentii la testa vorticarmi, troppo forte.

Chiusi un attimo gli occhi, perché vidi tutto quanto troppo ondulato e troppo mosso affinché potessi tenerli aperti. Durò solo pochi attimi e poi tornai a guardare Diana, la cui espressione gelida sul viso mi fece rabbrividire.

Si dice che la magia di noi streghe nasca dall'inferno, Irina. Hai capito chi è Belial?” mi chiese poi. Una parola si delineò nella mia mente, ma rimase così a lungo nascosta in quella scura foschia che non volli nemmeno realmente pensarla. Ma anche se era lontana, anche se mi sforzavo di non vederla, la natura di Belial divenne sempre più chiara.

Patti, anima, dannazione. Mi veniva in mente solo quella parola.

Un demone, Irina.” mi disse e mi sembrò di sentirmi congelare dentro di fronte a quella parola che era sospesa nell'aria da troppo. “Così lo chiamiamo noi, è stato colui che ha donato la magia alle prime streghe chiedendo in cambio le loro anime. Ha usato un nome fittizio perché sapeva che, qualcuno con dei poteri magici, poteva giungere facilmente a lui. Solo che sembrava scomparso con la morte di Esther, nello scontro con lei ha perso anche lui gran parte dei poteri....e ora vuole te. Perché, Irina?”

Presi a respirare troppo velocemente, ma l'aria mi mancava. Mi sembrava di non riuscire più a pensare razionalmente, come se la paura avesse invaso la mia testa. Questa mi girava troppo forte e lo sguardo si fece offuscato, appannandomi l'immagine della strega di fronte a me.

Stava sorridendo?

Non ne ero certa. Però quel male fisico che stavo provando era strano, non potevano essere state quelle parole a causarmi quello stordimento.

Stai bene?” mi chiese, la sua voce troppo lontana ma il suo volto distorto di fronte a me.

No, ho bisogno d'aria.

Mi alzai in piedi, ma la testa mi vorticò più velocemente, mentre mi dirigevo verso il corridoio che portava alla porta d'uscita. Serrai le palpebre e scossi la testa per fermare il mondo, mentre i piedi strisciavano lungo il pavimento.

Diana mi seguì, come un corvo che vola nella notte più buia, mentre arrancavi per poter trovare un appiglio, una luce che ti potesse condurre alla fine di quel sentiero.

Almeno...te ne andrai sapendo questa storia.”

La voce camuffata di Diana pronunciò quelle parole e mi fermai in mezzo al corridoio, mentre il mio corpo barcollava oppure il mondo attorno a me lo faceva.

Allora mi resi conto che quella storia, per quanto inquietante, non era la causa di quello stordimento.

Il thé. La risata che avevo udito poco prima, uscire dalle labbra di Diana.

Mi aveva drogata.

Provai a girarmi verso di lei, ma non ci riuscì. Caddi rovinosamente a terra in preda al vorticare dei miei pensieri, ma rimasi abbastanza sveglia per vederla avvicinarsi lentamente a lei, con passo elegante e le braccia strette al petto. Con la grazia di un felino, la ragazza si portò le mani sui fianchi e mi guardò.

Tenevo le mani sul pavimento mentre tremavo e mi sforzavo in tutti i modi di alzare lo sguardo verso di lei e guardare il suo viso.

Stava sorridendo, era chiaro. Sentivo il peso del suo scherno gravare su di me, come se fossi un misero insetto in procinto di essere schiacciato da un gigante.

Tu.

Come avevo potuto non pensarci prima? Era stata lei ad usare quella magia su Klaus, il giorno in cui Katerina scomparve. Era stata lei a spingermi giù dal dirupo giorni prima, per uccidermi.

Ed ero certa che fosse stata anche lei a distruggere il mio diario, a far trovare quelle pagine ad Elijah e a provocare quella spaccatura tra noi. E io, stupida, ero caduta nella sua trappola con una facilità immane, presentandomi sola da lei.

Aveva previsto tutto.

Perché? Volevo sapere perché avesse tramato alle nostre spalle in quel modo, ma lei non volle rispondere.

Ogni cosa a tempo debito.” mi disse e tremai.

La sua risata cristallina giunse a me, come lame pronte a penetrarmi nella pelle e a farmi sanguinare. La vidi voltarsi verso un punto dietro di lei.

Vieni. È pronta.”

Mi sembrò di non aver ben capito o almeno sperai immensamente che così fosse. Caddi distesa a terra, con il volto rivolto verso i piedi di Diana, mentre prendevo lunghi respiri affinché resistessi. Ma il mio corpo era privo di forza, il cuore mi martellava nel petto e nella testa rimbombavano i miei pensieri di quel momento.

Riuscii a mettermi a sedere, anche se il mio intento era quello di mettermi in piedi ma mi fu impossibile. La mia schiena finì contro il muro alle mie spalle e presi lunghi respiri per poter restare sveglia.

Poi lo vidi.

I suoi piedi, coperti da due pesanti scarponi neri, superarono Diana e si avvicinarono a me. Volevo gridare per la paura, scattare in piedi e fuggire via, ma il mio corpo non obbediva più ad alcun comando che le mia mente gli diceva.

Lui si chinò su di me, poi le sue mani, mi presero il viso con rudezza e mi costrinsero a guardarli.

Due occhi azzurri.

Scavarono nei miei in profondità, mentre le sue mani avvolsero il mio viso in modo che non distogliessi lo sguardo. Mi ritrovai a tremare e lui avvicinò il suo viso al mio, il suo respirò mi inondò il volto privandomi della facoltà di pensare, la paura aveva preso il sopravvento, ma lo stordimento la teneva lontana dal mio volto.

Irina...” la sua voce rude pronunciò il mio nome e dentro di me iniziai a tremare ancora più forte. Volevo chiudere gli occhi, non vedere quel volto segnato dalle rughe del tempo, non guardare quei capelli biondi che lo circondavano, non guardare quei maledetti occhi che mi incatenavano ai loro, in una prigione di agonia. “Non ti ucciderò, non ora. Ma prima devi fare una cosa per me.”

Le sue parole poi inondarono la mia mente, soffocarono i miei pensieri, mi privarono della libertà e della paura e mi obbligarono a seguirle e a fare ciò che lui mi diceva.

Mentre una lacrima scendeva sul mio viso, qualcosa dentro di me decise di abbassarsi al suo volere.

Lentamente mi abbandonai ad esso, priva di forza e sua completa succube.

Come vuoi, Mikael. Lo farò.


Ciao! ^^

Parto con il ringraziare la bravissima Elyforgotten per l'immagine ad inizio capitolo!

E poi...spero che questo noiosissimo capitolo vi sia piaciuto!

È indubbiamente noioso, perché è uno di quei tipici capitoli in cui non succede quasi nulla, ma che anticipano il finimondo che ci sarà nel prossimo. Mi auguro di non avervi comunque fatto sbadigliare! xD

Grazie a tutte quelle splendide persone che sopportano la mia storia, sia chi legge in silenzio e sia chi recensisce.

Ringrazio anche tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite/ricordate e seguite.

Alla prossima!

Buona serata a tutti voi! :D





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Capitolo 24
*** Break The Spell ***


-Break the spell-

Like a moth into a flame

I'm hypnotized and like a stone

I'm paralyzed 'cause i can't look away

You found your way under my skin

And trying not to love you

But i hate the way i keep on giving in to you

Like i always do

No matter how i try

Or maybe it could it be that you're the part of me

thats' keeping me alive

Svegliati!”

Sbarrai lo sguardo quando udii pronunciare ad alta voce quell'ordine.

Non fui molto sorpresa, quando riconobbi subito a chi apparteneva: Klaus se ne stava in piedi accanto al divano su cui ero comodamente rannicchiata.

Mi guardava torvo, come se la mia immagine gli desse quasi fastidio. Gli occhi socchiusi erano fissi sul mio volto e le braccia strette al petto gli conferivano un'aria di autorità che quasi mi mandò sui nervi.

Da quando il divano del salotto è diventato di tua proprietà?” mi chiese con sfida, quando mi misi a sedere. In quel movimento, la coperta a scacchi che copriva le mie spalle, scivolò lungo la schiena. Abbassai lo sguardo sul cuscino dove avevo adagiato il capo e mi guardai attorno: eravamo a casa nostra, non di Diana. La luce del sole penetrava dalle finestre sulle pareti, filtrando dagli alberi innevati oltre quel vetro ed estendendo il suo pallore lungo il pavimento.

Tutto mi parve avere un aspetto alquanto irreale, come se la mia mente stesse vivendo in un illusione.

Rammentai diversi frammenti di ciò che mi restava della scorsa giornata: Diana, il thé, la storia di Belial,quella...voce.
Ma tutte quelle immagini mi parvero così sfocate, che le associai immediatamente ad un incubo.

Nemmeno mi soffermai a realizzare che potessero essere invece state reali, che le avessi realmente vissute: la mia mente decise per me, mi impose di segnalarle come resti di un brutto sogno notturno.

Non poteva essere altrimenti, si giustificavano i miei pensieri, altrimenti non mi sarei trovata là.

Al sicuro.

Con Klaus.

Lui sbuffò, infastidito dall'espressione persa che dovevo avere sul viso. “Se devi dormire, vattene in camera tua.” mi disse poi, grattandosi la fronte e indicando il corridoio dietro di sé, dove era ben visibile la scalinata che conduceva alle camere.

Lo guardai incredula e ricordai che la sua antipatia doveva essere dovuta al litigio del giorno prima.

Mi alzai in piedi lentamente e lo scrutai, sentendo che dovevo dirgli qualcosa ma non sapevo nemmeno io cosa. Ero succube della mia mente e attendevo che lei mi desse compiti da eseguire, che lei guidasse le prossime mosse che avrei compiuto.

Klaus fece per voltarsi e allora scattai in piedi, protendendomi verso di lui: con le mani presi il suo polso e lo tenni saldamente, tanto che lui arrestò la sua avanzata per guardarmi sorpreso. Abbassò gli occhi sulle mie mani adagiate sulla sua pelle, poi li alzò nuovamente sul mio sguardo. “Ora che vuoi?”

Passeggiata.

Gli mimai quella parola velocemente. Non l'avevo mai stupito così tanto con un semplice gesto.

E in effetti una parte di me mi ricordava che dovevo essere in collera con lui per essere stata accusata ingiustamente per la storia del diario. Eppure non mi importava, io volevo, dovevo, averlo vicino.

Klaus ritrasse la mano con rudezza, tanto che nemmeno mi accorsi che le mie mani non erano più avvolte attorno al suo polso ma erano scese di nuovo vicino i miei fianchi.

Con chi credi di avere a che fare? Con un cucciolo da compagnia? Vai da sola.” mi disse con sfida, accostandosi a me in modo che percepissi la rabbia insita nella sua voce.

Lo guardai voltarsi di nuovo, ma fui così rapida nel pararmi davanti a lui che quasi mi finì addosso.

Per favore.

Lo pregai, congiungendo le mani e sorridendo nella maniera più convincente possibile.

Una voce nella mia testa diceva che, quel gesto, avrebbe funzionato su Klaus, che lo avrebbe colpito.

Gli avrebbe fatto abbassare la guardia.

E infatti così parve: i suoi occhi accesi dalla sorpresa rimasero fissi nei miei, come in cerca di una razionale spiegazione al mio comportamento.

Va bene.” si arrese poi, scuotendo la testa e abbassando lo sguardo. “Conoscendoti saresti capace di incontrare il diavolo in persona se vai da sola. Andiamo.”

* * * *

Alzai lo sguardo su quei graffi sulle pareti.

La mia mano scorse sulla ruvida pietra, sfiorando quei segni rimasti indelebili sulla roccia. Uno di essi era talmente grosso, che la mia mano sembrava aderire perfettamente ad esso. Pensai alle notti di luna piena che Daniel doveva aver passato là dentro e un po' mi dispiacque che fosse morto, per colpa mia poi. Ma non era il momento di dispiacersi per una morte ormai lontana.

Senti Irina, perché siamo qui?” Klaus rimase dietro di me, con le braccia aperte e lo sguardo fisso su di me.

Durante tutto il tragitto, nessuno dei due aveva mai parlato. Ogni tanto ci lanciavamo un'occhiata fugace, mentre i nostri piedi affondavano nella neve e il vento, stranamente poco gelido quel giorno, soffiava su di noi. Non sapevo nemmeno io perché, ma volli condurlo in quella grotta, dove ci trovavamo da pochissimi minuti, in balia del silenzio di tomba che sembrava circondarsi nella sua morsa.

Mi girai verso di lui lentamente e ritirando la mano dalla parete, la nascosi sotto il mantello quando la sentii rabbrividire e restai immobile.

La luce bianca del cielo che sbucava dall'apertura della grotta mi permetteva di scorgere la figura di Klaus davanti a me: una parte del suo viso era illuminata, l'altra invece era leggermente immersa nell'oscurità. Anche la mia immagine doveva essere divisa in quel modo, innanzi ai suoi occhi.

Riconosci questo posto?

Gli domandai a gesti, lasciando scorrere lo sguardo sulle pareti attorno a noi.

Klaus sbuffò, i suoi occhi si posarono in un preciso angolo sul terreno e mi chiesi come avesse fatto a riconoscere con quella facilità l'esatto punto dove io e lui eravamo stati seduti tempo prima.

Sì, qui mi sono nutrito del tuo sangue.” mi disse, con sfida. “Cosa stai cercando di fare? Farmi sentire in colpa dopo la litigata di ieri? Non funziona.”

Non gli risposi, rimasi a guardare i suoi occhi blu, così pieni di risentimento, che avrebbero dovuto farmi rabbrividire.

Invece non provai nulla di fronte ad essi, eccetto un desiderio: volevo averlo più vicino.

Feci diversi passi verso di lui, sentendomi leggera e agile come non lo ero mai stata.

Ogni mio movimento era sempre stato pura goffaggine, ma in quel momento invece mi parve di essere stata quasi elegante. Fu un aspetto che Klaus notò, lasciò scorrere lo sguardo sulla mia figura e poi tornò a guardare il mio viso.

No, qui è dove la mia mano ha stretto la tua.

Gli trasmisi quella frase, prendendo lentamente la sua mano e intrecciando le mie dita alle sue, come avevo fatto tempo addietro. Per un attimo, mi sembrò di sentire nuovamente i miei singhiozzi risuonare tra le mura di quella grotta, oppure era qualcuno nella mia mente che singhiozzava altro dolore?

Klaus guardò le nostre mani congiunte per un istante, poi sciolse la loro unione con molta rapidità.

Te lo dico il più gentilmente possibile: mi stai urtando, Irina.” mi disse. “Ti sei svegliata con tutti i buoni propositi per farmi imbestialire?”

Rimasi immobile, a farmi colpire dalle fiamme che quegli occhi blu stavano lanciando su di me.

Come era bravo a legarsi al dito le cose, era capace di ricordare un torto anche dopo secoli.

So che sei arrabbiata con me per quello che ci siamo detti ieri.” Klaus pronunciò quelle parole con un sorrisetto sulle labbra, come se avesse smascherato una messinscena che credeva avessi messo in atto. “Se questo è il tuo modo di fare finta di nulla, puoi anche andare al diavolo...”

Abbasserà la guardia...

La sua voce si spense, il suo sguardo mutò in pura sorpresa e il suo petto parve muoversi al ritmo del mio cuore, quando la mia mano giunse ad accarezzare il suo viso. Mi ero fatta più vicina a lui, alzandomi sulla punta dei piedi per poter raggiungere prima la sua fronte, per poi accarezzare con le dita i suoi zigomi, la sua guancia, il suo mento e poi risalire alle sue labbra. Klaus bloccò il suo respiro, quando le mia dita si adagiarono su di esse, come se non volesse sfiorarmi la pelle con il tocco del suo fiato.

I suoi occhi erano fissi su di me, mentre io invece non li distoglievo dalle sue labbra. Il mio lieve respiro dovette soffiare sul suo mento, mentre lasciavo scorrere le dita lungo le sue labbra, il polpastrello dell'indice si adagiò sul suo labbro inferiore e, a quel punto, Klaus mi strinse i polsi e mi allontanò da sé.

Che stai facendo?” mi domandò, freddo e rude allo stesso tempo, mentre le sue dita circondavano con forza la mia pelle.

Sbattei più volte le palpebre, scrutando ogni minimo centimetro del suo viso che esternava solo rabbia e fastidio. Scossi la testa e mossi le labbra nella parola nulla mentre i suoi occhi blu continuavano a fissare il mio sguardo. Calò di nuovo il silenzio e restammo in quelle posizioni per diversi istanti, fino a quando le sue mani lasciarono la presa sui miei polsi. “Ti comporti in maniera strana.”

Abbasserà la guardia, Irina...

Quella voce si ripeté nelle mia testa e mi portai le mani alle tempie, come per arrestarla e metterla a tacere. Mi sembrò che mille pensieri stessero affollando la mia mente, pensieri però che non mi appartenevano e che, comunque, mi abbattevano e vincevano su di me senza che potessi combatterli.

Klaus fece un passo verso di me. “Irina?” ripeté più volte il mio nome con preoccupazione, posando le mani sulle mie spalle e scuotendomi affinché alzassi lo sguardo su di lui.

Una baraonda di parole scoppiò dentro me, mentre cercavo in tutti i modi di controllarle, di sopprimere quelle che non appartenevano alla mia voce. Ma non ci riuscii, dovevo seguirle.

Alzai lo sguardo su Klaus, visibilmente preoccupato, e il mio corpo parve cedere.

Anche se quel frastuono nei miei pensieri si era arrestato, fu come se le mie gambe non fossero uscite illese da quello scontro.

Ehi, ehi siediti.” Klaus mi posò le mani sotto le braccia e mi fece sedere sul freddo terreno roccioso della grotta. Rimase inginocchiato su di me, mentre io prendevo lunghi e sonori respiri necessari per poter controllare il mio corpo. “Non vorrai svenirmi proprio ora che mi ha portato fin qui. Non ti prendo di nuovo in braccio, sappilo.” Mi prese il viso tra le mani, in modo che potessi guardarlo negli occhi. Anche se aveva lanciato un'ennesima provocazione, una battuta che doveva avere del pungente, non poteva nascondere la preoccupazione che stava provando in quel momento. Lo seguii con lo sguardo, mentre si sedeva accanto a me, osservando ancora il mio volto come se vi trovasse qualcosa di insolito.

Lentamente, mi sembrò di riuscire a controllare di nuovo i miei pensieri e gli ordini che mi stava impartendo. Il mio respiro svanì in una nuvoletta di ghiaccio davanti al mio sguardo, mentre lo tenevo rivolto verso Klaus al mio fianco.

Allora, mi spieghi cos'hai o no?” mi domandò.

Abbasserà la guardia, Irina, con te...

Quella voce giunse di nuovo a me, tanto che ignorai il suono delle parole di Klaus.

Le lasciai riecheggiare per qualche istante tra quelle nude pareti e mi avvicinai a lui.

Vidi la sua espressione farsi, di nuovo, carica di sorpresa, quando mi mossi verso di lui e avvicinai il viso al suo: Klaus non si mosse, lasciò che il mio respiro soffiasse sulle sue labbra, mentre le mie mani salivano ad adagiarsi sul suo petto.

Le lasciai scorrere sul tessuto del suo mantello, per poi posarle sulle spalle, come per esplorare centimetro per centimetro ciò che era nascosto sotto quella stoffa.

Lui era ancora troppo lontano.

Mi misi sulle ginocchia, in modo che potessi facilmente aderire al suo petto. Le mani salirono dietro la sua nuca, intrecciandosi tra loro mentre intrappolavano dolcemente tra le dita i suoi capelli biondi. I nostri visi ancora molto vicini, le nostre labbra potevano raggiungersi con un solo singolo movimento. “Irina, che cosa stai combinando?” mi chiese Klaus, con un filo di voce mentre i suoi occhi erano fissi sulle mie labbra.

Abbasserà la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...

Non era ancora giunto il momento di baciarlo, mi avrebbe sicuramente respinta.

Come fece lui in quel preciso punto giorni prima, abbassai il colletto del suo mantello in modo che le mie labbra potessero raggiungere la pelle nuda del suo collo.

Klaus si irrigidì, restando spalle al muro mentre facevo scorrere le mie labbra lungo la sua pelle. Il suo profumo mi spinse a compiere di più quella strana danza, dove le mie mani giocavano tra i suoi capelli e la mia bocca respirava sulla sua pelle, come vento estivo.

Sorrisi, quando cercai di raggiungere il suo mento e Klaus deglutì, il suo pomo di Adamo si mosse sotto pelle e il respiro, per quanto cercasse di trattenerlo, gridava di essere liberato.

Come se avesse bisogno di ossigeno.

Le mie labbra salirono al suo mento, rimasero adagiate su di esse e i miei occhi si alzarono per guardare i suoi. Klaus sembrava combattuto: voleva respingermi, eppure non lo faceva, come se quel gioco di seduzione a cui lo stavo sottoponendo gli stesse, in qualche modo, piacendo.

Era giunto il momento.

Mi misi di nuovo dritta sulla schiena, in modo che il mio viso fosse di fronte al suo, e guardai le sue labbra scarlatte, decisa ad unirle alle mie il prima possibile.

Klaus non me lo permise: mi strinse con forza le spalle e mi allontanò da sé, come se il suo spirito fosse tornato a controllare il suo corpo in quel preciso momento. “A che gioco stai giocando?” mi domandò, calcando ogni singola parola nel suono della rabbia.

Perché pensi che stia giocando?

Perché, se non ti conoscessi bene, direi quasi che tu stia cercando di sedurmi in una grotta. Se vuoi fare un dispetto ad Elijah, io...”

Elijah.

A quella parola, qualcosa scattò di nuovo in me, ma la voce soppresse subito l'immagine di lui che si era disegnata nella mia mente, cancellò ogni singola lettera del suo nome e inabissò le emozioni che stavo di nuovo provando in quel momento.

Alzai lo sguardo su Klaus, lui si era accorto che qualcosa era di nuovo cambiato in me, ma non disse nulla al riguardo. Entrambi respiravamo profondamente, il suono dei nostri sospiri risuonarono in quella grotta.

Io voglio te.

Non mi resi nemmeno conto di aver pronunciato silenziosamente quella parole, gli occhi di Klaus si spalancarono per la sorpresa, come se le avesse realmente udite e gli fossero entrate sotto pelle, come un veleno di cui sarebbe divenuto succube.

Abbasserà la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta.

Il controllo abbandonò le nostre menti, ancor prima che i nostri corpi si avvicinassero.

Klaus mi attirò a sé, affondò la mano tra i miei capelli, lambendone qualche ciuffo, e posò le labbra sulle mie. Iniziò tutto con un lento rincorrersi, i nostri respiri che si raggiungevano e si cercavano fino a ritrovarsi, per poi scontrarsi ed iniziare quella lenta lotta a cui le nostre labbra diedero inizio.

Quello che era cominciato quasi dolcemente, divenne violento, travolgente, inarrestabile.

C'era quella voce dentro di me che mi ricordava quanto fosse ingiusto quello che stavo facendo, quanto fosse sbagliato il motivo per cui lo stessi facendo, ma non m'importava.

Sentimenti, pensieri, dolori vennero assopiti in un angolo della mia mente, mentre il mio corpo si abbandonava a quel volere che non era il mio.

Klaus mi tirò a sé, mi baciava con tale veemenza che mi privava del respiro, che quasi mi sembrava di soffocare nelle sue labbra, mentre affondavo le mani tra i suoi capelli e li trattenevo tra le mie dita.

Si gettò con la schiena all'indietro, tirandomi a sé tanto che mi ritrovai con le ginocchia a cingergli il bacino. Le sue mani superarono il tessuto della mia gonna, innalzandolo lentamente per poter sfiorare la pelle nuda del mio polpaccio, che a contatto con il suo tocco e con il gelo di quella grotta, venne attraversata da lunghi ed intensi brividi.

Continuammo a baciarci, ma io non riuscivo più a respirare.

Mi ritrassi un attimo dal bacio e Klaus portò le labbra al mio collo, come se avesse il fortissimo bisogno di sentire il calore della mia pelle. Le sue braccia mi strinsero di più a sé, cingendomi i fianchi mentre le sue labbra scorrevano lungo il mio collo, in una serie di lunghi, interminabili baci.

Non dovevi cedere, Klaus. Perché lo stai facendo?

Quella voce venne subito messa in silenzio nella mia mente, mentre cercavo di riprendere il controllo delle mie facoltà mentali, malgrado le labbra di Klaus stessero mettendo in atto quel dolce supplizio con le pelle del mio collo. Poi la sua bocca salì sempre più a raggiungere il mio orecchio, la passione per un attimo svanì e prese il posto della dolcezza, mentre le sue labbra scorrevano lungo la mia guancia. Lentamente, ripresi il respiro e spalancai gli occhi puntandoli verso l'alto, Klaus aveva una mano sulla mia guancia destra e l'altra che accarezzava la pelle della mia gamba.

Irina...” pronunciò il mio nome come se fosse una tortura, un agonia, un male che lo stava lentamente portando via.

Abbasserà la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta. E allora...

Le lacrime mi salirono agli occhi, senza che potessi controllarlo. Non dovevo farlo, dannazione, non potevo piangere. Klaus prese lunghi respiri, mentre le sue labbra respiravano ancora sulla mia guancia. Le gocce dei miei occhi scesero lungo di lui, solcandogli il viso con il mio dolore.

Ehi.” Klaus mi prese il viso tra le mani, mi guardò attentamente e cercando di tradurre la pena che risiedeva nei miei occhi.

Ti prego non guardarmi così.

Lo imploravo di scappare, di non essere umano con me, non in quel momento quando il mostro ero io. “Cos'hai? Dimmi. Ti senti in..colpa?”

Scossi la testa per scacciare quella paura, era l'unica cosa che mi era possibile in quel momento, mentre guardavo il blu dei suoi occhi che mi fissavano in quella maniera.

Mi dispiace.

Piansi più forte, portandomi le mani alla testa e cercando di arrestare quella maledetta voce che mi ordinava di andare avanti, di cedere sempre più all'ingiuria che stavo per compiere.

Dondolai un poco la testa, cercando di farla stare zitta in tutti i modi ma senza riuscirci.

Irina? Che stai...”

Alzai la testa di scatto, interrompendo il flusso delle sue parole.

Presi dei lunghi respiri, abbassando lo sguardo sulle sue labbra e sentendo di nuovo quel pressante bisogno di... averlo. Scossi la testa, per dirgli che non avevo nulla e ripresi a baciarlo, lui non si arrese subito a me. Una mano strinse la mia coscia e io accorsi a posarvi sopra la mia, mentre mi propendevo sempre di più verso lui, come se volessi che quel contatto si facesse più forte.

Poi ribaltammo velocemente le posizioni: finii io contro la schiena, mentre lui premeva sul mio corpo e mi strappava via il respiro dalla bocca con i suoi baci. Chiusi gli occhi, quando le sue labbra scesero a torturare dolcemente il mio collo e le sue mani slacciarono il mantello che gli impediva di godere appieno del calore della mia pelle.

Gettai la testa all'indietro e pensai che volevo più violenza in quel bacio, qualcosa che mi permettesse di fare quello che la mente mi stava ordinando di fare.

Lo spinsi un po' indietro, in modo che mi guardasse mentre pronunciavo quella parola, Klaus parve un po' infastidito da come avevo interrotto quel gioco pericoloso a cui ci eravamo sottoposti.

Mordimi.

Klaus guardò le mie labbra muoversi, il suo respiro restò sospeso in gola e posò le mani sulle mie ginocchia, che cingevano ancora il bacino. Scostai i capelli che coprivano il lato sinistro del mio collo e piegai la testa da un lato, in modo da facilitargli quell'azione. Lui lasciò correre le dita lungo le venature sotto la pelle diafana, per poi scendere su un punto sul mio petto, fermandosi poco sopra la scollatura. Avvicinò il viso rapidamente al mio e mi rubò un lunghissimo bacio sulle labbra, la dolcezza che anticipa la violenza, poi mosse le labbra vicino al mio collo, lo attraversò con la propria passione e poi trafisse la carne con i suoi denti.

Un po' di dolore, un po' di piacere mi costrinsero ad aprire la bocca nel silenzio, mentre sentivo il mio sangue fluire, di nuovo, in lui. Non mi ero mai accorta di quanto fosse stranamente piacevole, sentirlo abbandonare il mio corpo per attraversare il suo.

Lo abbracciai, nello stesso momento in cui lui cinse i miei fianchi con le sue braccia, per bere sempre di più. Mi sembrava di non respirare più, ero completamente soggetta a lui, alle sue labbra che sui erano sicuramente tinte del mio sangue, delle sue mani che mi stringevano le gambe.

Abbasserà la guardia, Irina, con te. E quando lo farà...tu sarai pronta. E allora...

La mia mano raggiunse la manica del braccio opposto, le dita cercarono quella lama fredda di cui avevo bisogno e la estrassi lentamente, senza farmi scoprire da Klaus.

Ma lui era troppo preso dal bere il mio sangue per rendersene conto.

Mi mancò di nuovo il respiro, quando la sua mano accorse a stringere con più forza i miei capelli, muovendo le dita in lenta carezze mortali sulla pelle sotto di essi.

E allora...colpiscilo.

Volsi la punta del pugnale verso il punto della sua schiena, dove potevo coprire il suo cuore.

Intanto il mio corpo rimase suo succube, vittima di quel doloroso piacere che il suo cibarsi mi provocava.

Feci per colpirlo.

Ma non potevo. No.

La mia mano iniziò a tremare forte, mentre lacrime di disperazione inondavano il mio sguardo.

Volevo gridargli di scappare via da me, ma era tutto inutile: lui aveva abbassato la guardia e il mio colpo partì ancor prima che potessi compiere alcun gesto.

Klaus stava per perdere la vita, attraverso la mia mano.

No!

Quello che venne dopo fu un dolore lancinante, che partì dalla mano e giunse fino alla mia mente.

Klaus si ritrasse di colpo, con le labbra ancora scarlatte, mentre io lasciavo cadere il pugnale a terra, il suo suono cristallino si ripeté tra quelle pareti di pietra e mi portai la mano insanguinata al petto.

Non ero riuscita a fermare il colpo, ma ad attutirlo sì: avevo mosso la mano libera lunga la schiena di Klaus, adagiandola nel preciso punto in cui lo avrei colpito.

Klaus si voltò a guardare il pugnale a terra, poi la mia mano grondante sangue e un'espressione confusa si dipinse sul suo volto. “Irina, ma cosa...”

Sapevo che non ce l'avresti fatta.”

Ancor prima che realizzassi che quella era la voce di Diana, Klaus lanciò un grido di dolore.

Si portò una mano alla fronte, gemendo e tremando mentre cercava di bloccare il dolore alla sua testa.

La strega se ne stava sull'entrata della grotta, con le mani sui fianchi e la luce del sole che disegnava della linee luminose accanto alla sua esile figura.

Tese la mano verso di me appena mi vide cercare di soccorrere Klaus. “Prendi il pugnale e vieni qui, ragazzina.” mi ordinò.

No!

Eppure mi stavo avvicinando da lei.

Mi allontanai lentamente da Klaus, presi il pugnale alle sue spalle e feci per dirigermi verso Diana, malgrado non avessi alcuna intenzione di raggiungerla. Ma qualcosa nella mia mente mi ricordava che io ero obbligata a seguire il volere della strega.

Iry, no!” Klaus mi afferrò il polso, la tentazione di voltarmi a guardarlo fu tanta, ma Diana artigliò ulteriormente il suo dolore e lo costrinse ad abbandonare la presa.

Quando la raggiunsi e fui al suo fianco, Klaus parve liberarsi dal dolore e lo vidi scattare verso di noi.

Si scontrò con una specie di parete invisibile, appena compì quel gesto: dalla risata di Diana, compresi che si trattava di uno dei suoi giochetti.

Ma cosa mi impediva di colpirla? Di cancellarle quel sorrisetto compiaciuto dalle labbra?

Restavo immobile, forzando la presa sul manico del pugnale e osservavo il suo profilo, lei mi ignorava categoricamente, perché sapeva che non ero una minaccia.

Una voce mi diceva che non dovevo far altro che seguire gli ordini silenziosi della strega.

Diana...” ringhiò Klaus, prendendo lunghi respiri per allontanare il dolore che fino a poco prima lo aveva bruciato. “Dovevo immaginare che c'eri tu dietro tutto questo.”

La strega sorrise, dondolando la testa con fare provocatorio. “Bel fusto, devi sapere che tutti ti odiano.” gli disse, come se fosse una cosa ovvia e scontata. “Non sono mai stata dalla tua parte. Stupido tu che non te ne sei accorto.” e gli rise in faccia.

Spavalda, perché lui era in trappola e non poteva strapparle il cuore dal petto, cosa che meritava.

Il vampiro volse lo sguardo verso di me, pensai di leggere collera, disprezzo, delusione per ciò che era appena successo, per averlo...preso in giro, mentre il mio corpo era vincolato a quella voce che mi ordinava di spingermi a quel punto. Invece lessi solo preoccupazione, più per me che per sé stesso.

Che cosa le hai fatto?” chiese poi rivolto alla strega. “Eri tu che hai cercato più volte di ucciderla, non è vero? Adesso perché le hai fatto una cosa simile?”

Diciamo che, visto che questa ragazzina è molto fortunata e la morte la evita come la peste, abbiamo deciso di usarla contro di te. Conosco diverse pozioni che possono soggiogare tipi come lei per un breve lasso di tempo...doveva sedurti e pugnalarti.” disse Diana, stringendomi il braccio con una mano, anche se sapeva che non potevo fuggire.

Provai un profondo senso di vergogna e di rabbia, quando rammentai ciò che stavo per fare poco prima. Un brivido mi percorse, mentre abbassavo gli occhi e avvampavo in volto, senza che potessi realmente sfogare la mia vergogna.

Ma avevamo previsto che avrebbe fallito, quindi...piano b: ora sei chiuso lì dentro e magari ti pugnalerò io di persona.”

Trattenni il fiato, volgendo lo sguardo prima verso lei e poi verso Klaus, scuotendo la testa e muovendo le labbra in due sole parole: Mi dispiace. Era colpa mia se eravamo giunti a quella conclusione, era colpa della mia inutile debolezza che Klaus stava rischiando così tanto.

Era colpa della mia stupidità se lui avrebbe incontrato quella voce.

Klaus mi lanciò una lunga occhiata, gli occhi socchiusi fissi sul mio volto e il respiro trattenuto tra le labbra. Non era arrabbiato con me, ma sapeva che cosa stava per succedere, perché quei verbi coniugati al plurale non gli erano sfuggiti. Come non erano sfuggiti a me.

Ti ucciderò prima che tu possa provarci.” la minacciò, lanciandole uno sguardo di fuoco.

E io ucciderò la tua ragazzina.”

La sua voce.

Servì a cancellare l'espressione dura sul viso di Klaus: i suoi occhi si sgranarono mentre si muovevano verso il punto da cui provenivano quelle parole, il suo corpo tremò mosso dalla paura.

Quell'ombra che io seguii con la coda dell'occhio si pose al mio fianco, prendendo forma e una figura: indossava un ampio mantello scuro che veniva mosso dal vento ghiacciato, i capelli biondi ondeggiavano ai lati del suo viso dai tratti duri, gli occhi azzurri sorridevano di quella paura, che aveva pervaso il volto di Klaus di fronte a noi.

Mikael...” Klaus pronunciò il suo nome in un lieve sussurro che venne scacciato dal vento, mi parve di rivedere antichi dolori susseguirsi dentro il suo sguardo. Cose che credeva di aver assopito, relegato in un angolo del proprio animo e che credeva non sarebbero più riemersi.

Ma lui avrebbe sempre ricordato. Avrebbe sempre ricordato di come l'uomo che lo aveva cresciuto aveva distrutto la sua vita e stava provando a fare lo stesso anche dopo cinque secoli, rincorrendo la sua morte per distruggergli anche quella.

Tremò di nuovo come un bambino, per un attimo Klaus non riuscì nemmeno a sostenere il suo sguardo.

Niklaus...che piacere rivederti.” rispose ironico Mikael, mi lanciò un'occhiata che mi fece rabbrividire e mi prese il braccio con rudezza.

Klaus seguì il movimento dei nostri corpi, mentre mi avvicinavo a Diana, la strega mi tolse il pugnale di mano e lo strinse tra le dita, con un sorriso divertito sulle labbra.

Sai, non avrei mai pensato che sarebbe stato così facile colpirti. Con una semplice piccola umana? I miei complimenti! La tua debolezza ha raggiunto davvero il suo abisso..”

Mikael si mostrò divertito, ma le sue parole erano così cariche di un odio covato per secoli di vita e di morte che facevano tremare sia me che Klaus. Guardai il ragazzo, i suoi occhi fissavano quelli del padre con la mascella serrata e temetti che potesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro.

Io...ti ucciderò.” lo minacciò, con voce tremante.

E come? Sei chiuso lì dentro come un topolino in trappola, mio caro.” gli ricordò Mikael, piegando il capo da un lato. “Posso entrare lì dentro e Diana poi mi farà uscire. Potrei farti a pezzi in questo istante: rinchiuderò il tuo misero corpo in una bara e lo farò marcire per secoli...finché non troverò la vera arma che possa ridurti in cenere!”

Klaus non smetteva un attimo di guardarlo, in tutto quel tempo non lo avevo mai visto spaventato in quel modo. Il terrore aveva posseduto il suo corpo, tanto che ogni parte di lui tremava al cospetto di Mikael. Diana se la rideva sotto i baffi, malgrado fosse, come me, una comparsa in quel teatro di paura e rancori che si era creato attraverso gli sguardi di Mikael e Klaus.

Una folata di vento gelido soffiò su di noi, provocandomi ulteriori tremiti che scossero il mio corpo. Il gelo e il panico si fondevano sotto la mia pelle, gelandomi il sangue che scorreva nelle vene e arrestando il battito del cuore che, ogni tanto, sembrava volesse scoppiare di paura.

Mikael poteva davvero entrare e fare a pezzi Klaus.

Sarebbe poi uscito, perché Diana avrebbe potuto rompere l'incantesimo una volta attuato il loro piano. Ma cosa gli diceva che poteva fidarsi di lei?

Ho un'idea migliore.” Mikael alzò l'indice, muovendolo nell'aria e girandosi lentamente verso di me. Tese la mano verso Diana per farsi rendere il pugnale, e mi alzò il mento con le dita dell'altra mano.

I suoi occhi premettero di nuovo nella mia volontà, scacciando via come polvere al vento ogni mio possibile tentativo di lotta nei loro confronti. “Irina, entra là e pugnalalo al cuore.”

No...” sussurrò Klaus, lo vidi scuotere la testa con la coda dell'occhio e una parte di me, quella che ancora era mia, si chiese che emozione lo stesse attraversando in quel momento.

Mikael non si fidava di Diana, era chiaro, e per quel motivo voleva mandare me...anche perché voleva giocare con Klaus, divertirsi con il suo terrore e vedere fino a che punto sarebbe stato capace di portare la sua sofferenza.

Irina, non farlo.” ripeté ancora Klaus, mentre allungavo la mano a prendere il pugnale che lui stringeva nella mano. Il dolore bruciante che avvertivo al palmo ferito era ancora vivo, eppure lo ignorai perché avevo altri ordini da seguire, altre pene a cui cedere.

Perché no, Niklaus? Puoi sempre spezzarle il collo per impedirle di farlo..” li provocò Mikael, lanciandogli una lunga occhiata di fuoco.

Prima che le mie mani circondassero il manico del pugnale, lo spirito che si era assopito in me, si liberò dai vincoli di Mikael e trovai la forza di ribellarmi ai suoi comandi e riprendere possesso del mio corpo e della mia mente. Ritrassi la mano, ignorando il dolore alla testa che martellava ripetutamente e la scossi con decisione, sforzandomi anche di non lasciarmi abbattere dal terrore che quegli occhi di ghiaccio mi procuravano.

No.

Ti ordino...di prendere il pugnale e colpire Niklaus.” insistette Mikael, digrignando i denti e piegandosi di più verso me, per mostrarmi ulteriormente la sua rabbia manifesta.

Un atteggiamento che anche Klaus aveva spesso, perché la sua parte negativa, la sua rabbia nascosta, l'odio che pensava di saper covare, non erano altro che i risultati di comportamenti che per secoli gli avevano deteriorato l'animo. Se Klaus era distrutto, era solo colpa di Mikael.

Non seppi nemmeno da dove nacque il mio coraggio nel farlo, ma per risposta alla sua rabbia, gli sputai in faccia, con tutto il disprezzo possibile che potessi nutrire nei suoi confronti.

Dentro di me era scoppiato l'inferno, sembrava come se la testa potesse esplodere da un momento all'altro, in balia dei miei pensieri che non sapevano più verso che parte andare.

Guardai Mikael e mi ritrovai ad essere io con lui protagonista di quella scena da incubo: Diana rimase solo una comparsa, Klaus lo divenne quando suo padre chiuse gli occhi, asciugandosi lo sputo che aveva raggiunto il suo viso.

Alzò poi lo sguardo su di me, ma non mi lasciai intimorire.

Se quel giorno dovevamo morire, almeno lo avrei fatto togliendomi quel sassolino dalla scarpa: cercando di umiliarlo, come lui aveva fatto per intere esistenze con Klaus, Elijah e Rebekah, dando loro la caccia come un segugio rincorre delle lepri. Trovai in lui anche la forza di dire a me stessa che non ero debole, anche se poi mi avrebbe potuta uccidere un istante dopo: stavo combattendo lui, la figura di mio padre e persino la morte.

Con quel semplice e banale gesto, mi sentii quasi vittoriosa.

No!” gridò Klaus, quando Mikael allungò la mano verso di me per stringermi il collo con forza.

La sua presa fu così stretta, che pensai potesse spezzarmelo con estrema facilità. Tossii più e più volte, sentendo l'ossigeno dileguarsi sempre di più, fino a divenire nullo e strinsi il polso dell'uomo, come per scacciarlo.

Smettila, lasciala stare!” gridò ancora Klaus.

Sei patetico, ragazzo.” Mikael lo schernì, volgendo lo sguardo verso di lui ma non lasciando mai il mio collo. “Sei sempre stato un ottimo attore, ma mai come adesso. Fingi di preoccuparti di questa fanciulla ora?”

Non ci fu risposta, chiusi gli occhi cercando di afferrare con le labbra un po' del mio respiro, che stava lentamente abbandonando il corpo. Quando gli occhi del nostro incubo saettarono verso di me, qualcosa si accese in loro, come se avesse appena messo in atto un nuovo piano per colpire suo figlio.

Tu ci tieni veramente a lui, non è vero Irina?” mi chiese.

Mi lasciò di colpo, tanto che per poco caddi a terra, se Diana non mi avesse sorretta. Presi lunghissimi respiri, colsi tutta l'aria possibile e mi massaggiai il collo che fino a poco prima era stato stritolato dalla sua presa e il vampiro tornò a guardare Klaus, il cui silenzio si era fatto sempre più pressante.

È questa la tua debolezza e la tua forza, vero ragazzo? Il suo affetto per te?”

Chiusi gli occhi, guardando verso Mikael che si stava avvicinando sempre di più verso il figlio, sfidandolo attraverso quello specchio invisibile che li divideva e impediva loro di entrare davvero in contatto. Klaus non rispose, serrò nuovamente la mascella e il suo corpo tremò in balia dei brividi.

La domanda del padre restò priva di risposta, non voleva in alcun modo dirgli nulla.

Glielo lessi negli occhi.

Cibati della sua presenza fino a quando puoi....tanto la perderai, Niklaus.” Mikael scosse la testa, convinto di quelle parole. “Quando vedrà ciò che le farai, morirai del suo odio.”

Klaus tremò più forte, quasi come se quelle parole gli fossero entrate sotto pelle come un veleno letale. L'ultima parola, le lettere che segnavano il male dell'oscurità, lo avevano terribilmente scosso.

Perché lui credeva di voler odio, di poterlo gestire e di saperlo plasmare nella sue mani, ma in realtà non era così. Non era mai stato così: lui riceveva odio, nascondendo dolore, quando in realtà la cosa che bramava di più era qualcuno che lo facesse sentire bene.

Qualcuno che gli facesse comprendere che non era nell'oscurità che lui voleva davvero abbandonarsi.

Mikael tornò a guardarmi. “La vuoi sapere, Irina, una storia sul tuo Klaus?” mi chiese, parlandomi come se fossi una bambina che voleva sentire una favola per dormire. Una terribile favola per dormire.

Stai zitto...” Quella parole uscirono come un ringhio dalle labbra di Klaus, pronunciate a bassa voce ma con una brutalità che quasi sembrò distruggerle.

Guardai Mikael confusa, chiedendomi cosa stesse dicendo. Lui si accostò ulteriormente a me, sfiorandomi di nuovo il mento con le dita. “Sai che cosa ha in mente di fare? Lo vuoi sapere?”

Ho detto di smetterla!” gridò ancora Klaus, con una rabbia che gli crebbe dentro così velocemente da scoppiare nell'aria. Le sue parole rimbalzarono nei meandri della grotta, della foresta, dell'aria, tanto che la natura quasi ne parve spaventata. Il vento si abbassò per un istante e alcuni uccelli nascosti tra gli alberi, volarono via facendo risuonare i loro versi nell'aria.

Sia io che Mikael ci voltammo a guardarlo. Eravamo confusione io e divertimento lui.

Cosa aveva in mente di fare Klaus tanto che mi avrebbe indotto ad odiarlo? Lui intanto prendeva lunghissimi respiri e deglutiva così rumorosamente che mi parve di sentire quel suono.

Mi stava guardando, un profondo senso di colpa tingeva le sue iridi, rendendole quasi lucide alla luce del debole sole.

La perderai, Niklaus.” gli ricordò nuovamente Mikael, in un lieve sussurro. “Ma voglio farti un dono, prendilo come il mio unico e ultimo atto di bontà nei tuoi confronti, prima di ucciderti.”

Calò il silenzio, il vento si alzò nuovamente impetuoso e mosse i nostri abiti che ondeggiarono nell'aria. Io e Klaus ci guardammo a lungo. L'ultima sguardo prima della fine.

Anticiperò allora il momento.”

Quelle parole non assunsero subito significato nella mia mente, perché Mikael si mosse veloce.

Troppo veloce.

Un dolore lancinante mi pervase, come una fiamma che cresceva e bruciava sempre di più il mio corpo, quando qualcosa di freddo e tagliente trafisse la mia pelle.

Quella sensazione venne poi sostituita da un freddo intenso, mentre un grido lontano, quello di Klaus, si espanse attorno a me. Sentii il sangue salirmi alla bocca, senza che potessi gridare o piangere per l'agonia che mi stava attanagliando e abbassai lo sguardo sulla mano di Mikael, che stringeva il pugnale conficcato nel mio addome.

Tossii, cercando di combattere quell'agonia in cui ero caduta mentre gli occhi guardavano quelle gocce rosse che lasciavano il mio corpo per infrangersi nella neve.

Alzai poi lo sguardo verso Klaus, fui costretta a muovermi lentamente perché la testa parve farsi così pesante che il collo non poté sorreggerla.

Incontrai i suoi occhi sbarrati, le sue labbra spalancate in un respiro sospeso e il suo corpo che tremava in preda al terrore.

Un altro grido e caddi di faccia nelle neve.

La morbidezza del suo candore mi parve letale per la mia pelle.

Prendevo lunghi respiri, cercavo di muovermi per poter riafferrare la mia vita ma quella fiamma che stava divampando sull'addome, si fece sempre più larga, fino ad investire completamente il mio corpo. Si fece sempre più freddo, il sangue abbandonava lentamente il mio corpo, per violare la neve con il suo colore rosso cremisi.

Qualcuno rise, qualcuno gridò, non riuscivo nemmeno più a riconoscere i suoni attorno a me.

Solo il fischio del vento, come se sapessi che attraverso lui sarebbe giunta a prendermi la morte.

Irina, no!”

Ti ringrazio per avermi permesso di ferirti in questo modo. Lei è solo la tua debolezza...innamorarti di lei è stato il tuo più grande errore, Niklaus.”

Ti farò pentire di questo, Mikael.”

Fuori due scherzi della natura in un colpo solo.”

Quelle voci si susseguirono rapidamente, malgrado dovessero esserci degli spazi di silenzio tra loro. Tutte parole prive di senso, che la mia mente non riusciva a comprendere.

Il dolore che il mio corpo stava vivendo era così devastante, che bruciò anche la mia razionalità.

Si fece sempre più freddo, sempre più.

Vedevo solo la mia mano che si muoveva davanti ai miei occhi, scavando con le dita nella neve come per trovare un appiglio che mi permettesse di alzarmi in piedi e andare a salvare Klaus.

Ma la vita mi stava abbandonando, come potevo anche solo pensare di riuscire a salvare la sua?

Poi calò il silenzio, tanto che per un attimo credetti di essere davvero morta, di aver raggiunto l'aldilà ma un gemito troppo vicino a me, mi fece capire che non era così.

Un tonfo, qualcosa di pesante cadde vicino a me e riuscii ad alzare lentamente la testa per vedere cosa fosse successo.

Elijah.

Aveva ucciso Diana, il cui corpo era caduto a pochi centimetri da me: il collo spezzato e gli occhi socchiusi nel loro ultimo sguardo. I miei occhi cercarono poi quelli scuri di Elijah, li trovai nella nebbia che mi offuscava lo sguardo e scorsi la rabbia e colsi la preoccupazione che li macchiavano.

Gemetti di dolore, tanto che un suono roco parve attraversare il mio corpo mentre allungavo la mano verso lui, come per raggiungerlo.

Ma Elijah non poté muoversi verso me: suo padre gli si parò davanti, prima che potesse farlo.

Si dissero qualcosa, parole che non potei sentire perché il mio udito sembrava essersi paralizzato nella morte. Klaus cercava ancora di uscire dalla grotta, senza però riuscirci in alcun modo.

Intanto Elijah e Mikael lottarono: erano però troppo veloci, oppure i miei occhi erano ormai troppo lenti per seguire i loro movimenti. La fiamma che bruciava sull'addome divampò sempre più, arrivando però quasi a spegnersi, lasciando posto solo ad un profondo vuoto in cui la morte mi avrebbe spinta.

Mikael paralizzò il figlio, stringendogli il collo e spingendolo contro la corteccia di un albero.

Elijah volse un attimo lo sguardo verso me, mentre il padre gli diceva qualcosa e alzava il pugnale come per colpirlo al petto.

Allora una nuova lotta, forse l'ultima, si liberò in me.

La rabbia di veder Elijah colpito da quel pugnale,di vedere i suoi occhi fissare quelli di uno dei suoi peggiori incubi, vederlo lottare ma perdere per colpa mia, fece nascere in me una profonda e devastante rabbia, talmente forte che per un attimo sconfisse le braccia della morte che stava giungendo a prendermi.

Non toccarlo!

Quell'urlo si scatenò nella mia testa.

E Mikael si fermò: lo vidi piegarsi in due per il dolore e portarsi una mano alla bocca, mentre un qualcosa di denso e rosso sfuggiva alle sue labbra. Stava come sputando...sangue.

Si portò una mano al petto, come se vi avvertisse dentro una lama che lo colpiva sempre più, poi non riuscii a vedere altro.

Due mani mi afferrarono per le spalle, facendomi voltare verso l'alto.

Il cielo bianco, diversi rapaci che volavano in esso lasciando gli alberi, due occhi blu che mi fissavano preoccupati....

Klaus mi strinse a sé, come se fossi una neonata bisognosa di protezione e mi trovai accoccolata al suo petto, mentre si portava il polso alle labbra. Come aveva fatto a liberarsi della prigionia attuata da Diana? Forse con la morte della strega, anche l'incantesimo era giunto al termine poco dopo.

Lui mi diceva diverse parole, ma non ne colsi nemmeno una, e portò il suo sangue alle mie labbra. Chiusi gli occhi, disgustata dal sapore metallico che aveva mentre fluiva in me. Scorse lungo la mia lingua, scendendo nella mia gola e facendomi quasi tossire.

Quando li riaprii per un attimo, Elijah era sano e salvo accanto al fratello e mi guardava con un'espressione preoccupata, mentre continuavo a bere. Dov'era Mikael?

Shh, siamo qui. Bevi.” Klaus mi ordinò di farlo, con una prepotenza che aveva della dolcezza, appena cercai di allontanare il suo polso con un gemito e stringendogli la mano del polso con le mie dita.

Con lo sguardo scorsi i tratti del suo viso, quelli del viso di Elijah e poi, inevitabilmente, li alzai verso il cielo.

Fu lui l'ultima cosa che vidi, mentre i miei occhi iniziarono a cedere all'oscurità.

Poi, il nulla.

* * * *

I could fight you 'til the end
But I would lose you if I win
So I guess I'll just keep on giving
In to you like I always do, no matter how I try
Or maybe could it be that you're the part of me
That's keeping me alive!


Com'era possibile che il dolore fosse già giunto al termine?

Non sentivo più freddo, non sentivo più la sensazione del sangue che abbandonava il mio corpo, non avvertivo più l'aleggiare della morte che stava venendo a prendermi.

No.

Mi sentivo al caldo, al sicuro: il mio corpo era leggero, svuotato da tutta quella pena che avevo sentito quando Mikael mi aveva colpita, ma la mente era ancora frastornata. Pensieri e ricordi balzavano da un lato all'altro della mia testa, facendola rimbombare in una maniera che mi stava distruggendo.

Mi portai una mano alla fronte, tenendo ancora le palpebre socchiuse in modo che potessi bloccare quel frastuono dentro la mente. Il palmo era bendato e un intenso rosso ne tingeva il tessuto bianco, ricordai allora che, in quel preciso punto, mi ero ferita.

Irina?”

Quella voce, così reale e vicina, mi costrinse ad aprire gli occhi: Klaus era seduto al bordo del mio letto e mi guardava con fare preoccupato. I suoi occhi blu erano lo specchio di stanchezza, stanchezza di chi ha lottato con il suo peggiore nemico, per poi non uscirne né vinto, né vincitore.

Strinsi le palpebre più forte, per mettere a fuoco il suo viso, ma quasi mi risultò impossibile.

I ricordi di quello che era successo secondi, minuti o ore prima invasero la mia mente, come un fiume in piena, e non potei che sentirmi in colpa. Perché la mia debolezza aveva fatto sì che lui ed Elijah affrontassero un nemico da cui fuggivano da secoli, qualcuno che era capace di portare loro via la vita.

Era colpa mia.

Avevo quasi ucciso Klaus, lo avevo quasi gettato tra le grinfie di suo padre, solo perché ero inutile.

Scesero le lacrime, ogni volta che attraversavano il mio viso per abbandonarsi alla morte, mi sembrava di essere più leggera e libera. Come se loro facessero scivolare via il mio dolore, la mia pena, la mia colpa.

Mi dispiace.

Klaus fece un passo verso di me, mi fu così vicino che dovetti alzare la testa, in cerca del suo sguardo. Pensai che fosse arrabbiato, deluso, seccato e lo era, ma nei confronti di sé stesso.

Non devi scusarti di nulla. Stavolta sei stata tu a salvarmi la vita, quindi non vedo perché dovrei prendermela con te.” disse, parlò con tale freddezza nei toni che mi lasciò intendere non voleva aggiungere altro, chiudere lì la questione e andare avanti.

Voleva provare a lenire il mio dolore, ma chi ha troppe ferite da curare sul proprio corpo, non può medicare quelle degli altri.

Calò un profondo silenzio, perché sapevamo che saremmo giunti a discutere di altro, di parole che avevano bisogno di essere provate, frasi che dovevamo capire fossero veritiere o meno.

Vuoi sapere la verità, piccola Petrova?”

Alzai lo sguardo su Klaus, allontanandomi dal cuscino su cui le mie spalle stavano comodamente affondando e lo guardai attentamente.

Il vampiro piegò la testa da un lato, anche se sapeva cosa stavo per chiedergli.

Perché Mikael sosteneva che io, prima o poi, lo avrei odiato? Ne era certo, come se sapesse che suo figlio avrebbe compiuto un atto così atroce da impedirmi di stargli mai più vicino.

Gli posi quella domanda a gesti, lenti e decisi, malgrado la testa mi stesse scoppiando.

Mio padre farneticava. Voleva solo separarci, perché sa che....” si bloccò di scatto, rendendosi conto che, involontariamente, stava arrivando ad un altro quesito che Mikael aveva posto in me con le sue parole, altre frasi che trovavo insensate e che non credevo fossero vere. Era impossibile.

Non dovevi innamorartene.

Come non credevo che Klaus potesse farmi del male, non credevo nemmeno in quelle tre parole, che si susseguirono nella mia mente, la quale le elaborava e le rielaborava ancora per trovarne un significato alternativo.

Klaus non mi diede il tempo nemmeno di pensare ad altro, che si accostò al mio viso e lo strinse tra le mani, incatenando lo sguardo al mio e affondando il blu delle sue iridi in quelle dei miei occhi.

Ora mi ascolterai attentamente.”

Quelle parole trapassarono il mio sguardo come lame, raggiunsero poi i miei pensieri e li soffocarono in maniera che mi piegassi completamente ad esse.

Potevo ancora essere soggiogata per via della pozione di Diana.

Ma non capivo perché Klaus lo stesse facendo. Lo guardai, il terrore mi pervase lo stesso, anche se il mio corpo non poteva rispondervi ed esternarlo.

Klaus si fece ancora più vicino a me, tanto che il suo respiro si abbatté sulla mia pelle, come un uragano di fuoco.

Stai per perdere la memoria su quello che è accaduto, Irina.”

Klaus alzò il capo, ma non smise di tenere il contatto con i miei occhi.

Cosa voleva cancellare dalla mia mente? Io non volevo dimenticare, non volevo scordare quello che era successo in quella giornata.

Non volevo dimenticare ciò che avevo visto in lui. Non volevo dimenticare quello che avevo sentito.

Anche se ero in balia del suo potere, ero libera di piangere e scuotere la testa per implorare di non farlo, di non fare quello che aveva in mente di compiere, anche se non avevo ancora ben capito di cosa si trattasse.

Sai, quando ti ho fatta venire qui dalla Bulgaria, non sapevo cosa avresti portato. I guai, i problemi che mi avresti causato in questi mesi...se potessi tornare indietro, non avrei mai fatto spedire quella lettera a Katerina per farti venire qui da noi.”

Tirai su con il naso, le lacrime continuavano a scendere lungo il mio viso nell'udire quelle parole, perché Klaus stava parlando di me come se fossi una maledizione.

Ma come dargli torto? Avevo causato così tanti danni a lui, Elijah e gli altri che forse veramente lo ero.

Tu sei una maledizione, Irina. Sei la mia maledizione.” Klaus pronunciò quelle parole con rabbia, non potendo abbassare lo sguardo, fui costretta a chiudere le palpebre un istante, per non vederlo guardarmi in quel modo. Si fece più vicino, percepii i suoi occhi attraversarmi il viso e scrutare ogni singola emozione che lo attraversava, poi qualcosa cambiò.

La sua...rabbia parve trasformasi in altro, in qualcosa di diverso.

Sei una maledizione che non potrò mai spezzare, la debolezza che non potrò mai sconfiggere.” disse ancora. Il viso del vampiro si rilassò, tanto che mi parve assumere un aspetto così umano che mi sconvolse, mi disorientò proprio come era successo quel pomeriggio.

Non sapevo, non potevo sapere cosa sarebbe successo....non potevo sapere che tu saresti stata la parte di me a farmi sentire di nuovo...vivo!”

Parlò in un ringhio, la sua voce venne spezzata dalle parole che uscivano dalle sue labbra e i suoi occhi si fecero stranamente lucidi. Il cuore mi batteva all'impazzata mentre lo guardavo lottare con sé stesso.

Non con me, con sé stesso.

Tu sei l'aria che non potrò mai respirare. Il veleno che non potrà mai uccidermi. La cura che non potrà mai guarirmi....” disse ancora, affilando lo sguardo e abbassando gli occhi nei miei, ancora più in profondità. Non potevo fare nulla: pensare, rispondere...potevo solo ascoltarlo, con le lacrime che sfuggivano al suo controllo mentale.

Il cuore però parlava da sé: lui era libero, privo di catene e poteva gridare e parlare quanto volesse.

Non me ne sono nemmeno reso conto, non so dire nemmeno io quando sia stato il momento in cui non ho più desiderato le tue lacrime, ma il tuo sorriso.” continuò Klaus, scuotendo la testa. “Ma è successo...e non doveva succedere. Non con te. Non con quello che c'è in ballo. Non con quello che dovrò fare e a cui non posso rinunciare. Se ti sconfiggo, ti perdo. Se ti lascio vincere, perdo me stesso. E io non so come comportarmi.”

Klaus lasciò il mio volto e spalancò le braccia, mentre io lo guardavo in silenzio. Non avevo parole da dire, occhiate da lanciare, ma continuavo solo a sentire il mio cuore battere all'impazzata nel petto.

Sono una bastardo egoista, chi lo dice ha ragione.” Klaus scosse la testa e si morse il labbro. “Non voglio rinunciare al mio futuro, ma non voglio nemmeno rinunciare al mio presente...anche se so che si tramuterà presto in odio. Voglio, ma non posso combatterlo ormai..ci ho provato e ho fallito. E sono così vigliacco che nemmeno ho voglia di dirti quelle parole che definiscono ciò che tu hai fatto nascere in me.”

Volevo muovermi, fare qualcosa, magari fuggire come una vigliacca da quella stanza perché quello che Klaus mi stava dicendo mi faceva star male dentro.

Mi provocava un dolore immane, riconobbi la disperazione che voleva farsi largo dentro me e liberarsi, perché lei solo poteva permettermi di rispondere alle parole di Klaus. Ma ero vincolata ai suoi occhi blu.

Ed essendo un bastardo egoista e vigliacco, ho deciso di abusare di nuovo della tua momentanea debolezza...per cavarmi in parte da questo impiccio.”

Klaus scattò verso di me, facendomi rabbrividire e prendendomi nuovamente il viso tra le mani.

I nostri occhi si persero l'uno nell'altra e mi trovai in completa balia di quella prigionia blu in cui ero rinchiusa.

Cancella il dolore che hai provato nell'essere stata soggiogata a farmi del male. Dimentica i dubbi che Mikael ti ha fatto nascere. Dimentica tutte quelle frasi che dimostrano che tu sei la mia debolezza. Dimentica che...”

Si bloccò, mentre quelle parole si abbatterono su di me come un fiume in piena, ne venni invasa e pian piano la mia anima venne ricoperta di esse. Ma una parte di me, il vero ricordo di quel momento, causò la discesa di un'ultima, sola lacrima lungo il mio viso.

Klaus l'asciugò con il pollice che teneva sulla mia guancia e sorrise.

Mi accorsi in quel momento, che due lacrime abbandonarono anche i suoi occhi, nel dolore di poter parlare per davvero per la prima volta, ma essere costretti a rendere vane e vuote quelle parole.

E io, inconsciamente, mi liberai dalle catene con cui Klaus mi stava obbligando a pendere dal suo volere.

Alzai le mani e gli asciugai quelle gocce di agonia che stavano scendendo lungo il suo viso.

Klaus deglutì e chiuse gli occhi, mentre le mie dita scorrevano sulla linea invisibile di quelle lacrime. Abbassò la testa per un attimo, in modo da tornare in sé e nascondere l'umanità che era fuggita al suo controllo in quel momento.

Tanto so chi ami. Tanto so che, prima o poi, mi odierai...eppure non voglio che tu dimentichi i momenti che abbiamo passato insieme, i momenti in cui mi sono sentito umano al tuo fianco.”

Klaus pronunciò quelle parole, poi ridacchiò. “Sono così bastardo, vigliacco ed egoista che non voglio quindi cancellare quei ricordi dalla tua mente.”

Non sapevo cosa pensare, come agire, come guardarlo....Klaus stava esercitando un potere così forte in me che parve quasi la mia volontà fosse stata affogata nel mare delle sue parole.

Non ragionavo più, ero completamente soggetta alla sua voce, alla sua espressione, a quelle lacrime che cercava di cacciare indietro.

E sono anche masochista. Perché non voglio perderti, almeno finché posso ancora averti affianco. Ma voglio davvero...che dimentichi di essere la mia debolezza, voglio che dimentichi di avere questo potere su di me. Dimentica...ciò che io purtroppo non posso dimenticare e che devo continuare a combattere.”

Il mio respiro si fece lentamente più regolare, il battito cardiaco ritornò pian piano alla normalità e parole, frasi, sguardi, lacrime si tramutarono in antichi ricordi.

Ricordi vicini, poi sempre più lontani e che vennero circondati da una leggera foschia.

Che si fece poi sempre più spessa...

Stavo per dimenticare tutto.

Non volevo però, volevo provare a fronteggiare quell'uragano che voleva trasportare via tutti i miei ricordi, tutte le sensazioni di quel momento.

Cancellando la memoria di quel viso.

Vorrei tanto sfuggire all'incantesimo che mi hai involontariamente lanciato. Ma la magia deve finire, devo provare a romperla e a tornare in me.” continuò Klaus.

Le sue parole riportarono a galla immagini e parole passate, che lentamente stavano diventando sempre più irraggiungibili.

No, quelli non erano ricordi, ma immagini di un dolce sogno, di un bellissimo incubo.

Non appartenevano a me, ma a qualcosa di immaginario e che aveva accompagnato una delle mie notti, illudendomi a tal punto che mi era quasi parso reale.

Svegliati, Irina. Ricorda il meglio che mi hai dato, ricorda ciò che sei...ma non dimenticare il peggio di me, quello che hai imparato a non disprezzare e domani mattina, ti prego, ricorda il mio viso e il mio nome. E non piangere...sorridi.”

Klaus concluse con quella frase e chiusi gli occhi di colpo.

Come una dolce ninnananna che giunge al termine, mi parve di uscire dalla realtà, per balzare nel sogno che avrei vissuto una volta addormentatami.

Prima di perdere tutto, prima di abbandonarmi a Morfeo, prima di cedere all'illusione che avrei provato quella notte, caddi in avanti, finendo contro qualcosa.

O qualcuno.

Doveva essere un corpo quello con cui mi ero scontrata, il mio viso dovette finire sopra la sua spalla e quel tocco tra i miei capelli doveva essere una mano, che li accarezzava dolcemente mentre l'altra rimaneva adagiata sulla mia schiena.

Un sospiro, il rumore di qualcuno che tirava su con il naso, il suono di una lacrima che scendeva, mi fece capire che quel qualcuno stava soffrendo. E anche se sapevo di non poter muovere il mio corpo, provai un fortissimo rammarico per non poter curare il suo dolore.

Perché quel qualcuno non volevo che piangesse.

Poi persi anche contatto con il mio corpo, il sonno stava portandomi via sempre più e alla fine giunsi nella completa oscurità.

E tutto quello che volevo ricordare, svanì dalla mia mente.

* * * *

This feeling is far from sober
There's beauty buried deep inside
You're the only one who gets me high
And I know it's far from over
As you can see, you're the part of me that's keeping me alive

Il crepitio della legna che bruciava mi destò dal sonno.

Spalancai lo sguardo e la prima cosa che scorsi fu la finestra chiusa.

Il vento ghiacciato ne colpiva il vetro, fischiando contro di esso con le sua voce e trasportando fiocchi di neve che si schiantarono su di esso.

Provai un senso di stordimento così intenso, che dovetti stringere più volte le palpebre per rendermi conto che ero distesa nel mio letto e che quelle pareti di legno appartenevano alla mia camera. Mi sembrò di avere la mente sgombra di qualsiasi pensiero.

Alzai il capo, in direzione di quel rumore di legna che bruciava e vidi Elijah chinato sul camino.

Con un attizzatoio in mano, cercava di far bruciare sempre di più il pezzo di legno che aveva introdotto nel fuoco, il quale stava giocando con le sue luci dorate sopra il volto del vampiro.

Mi misi a sedere sul materasso, stropicciandomi gli occhi e scendendo poi velocemente dal letto, con un balzo così rumoroso che Elijah si voltò di scatto verso me.

I suoi occhi scuri mi scrutarono mentre mi facevo sempre più vicina, lasciò l'oggetto che teneva in mano sul pavimento e si mise in piedi, portandosi le mani sui fianchi. “Stai bene?” mi domandò.

Perché, non dovevo? Mi grattai la nuca, cercando di trovare un nesso logico tra me e la preoccupazione che Elijah stava provando.

Poi diverse immagini si susseguirono: io e Klaus nella grotta, Mikael, la morte di Diana, Elijah e Mikael che lottavano....ma mancava qualche frammento di quei ricordi, ne ero certa. Serrai le palpebre fissando un punto nel vuoto e cercando di capire cosa mancasse, o almeno perché io avessi la sensazione che qualcosa mancasse. Tipo, cos'era successo in quella grotta? Mi pareva di non avere ricordi di quel momento. Magari ero ancora troppo stordita per ricordare.

Tu...stai bene? Ignorai il tutto, soffermandomi solo su di lui: ricordavo con che occhi mi aveva guardata quando ero stata ferita, con quale rabbia ma anche timore si era rivolto poi a quel padre che era solo in un mostro per lui.

Elijah annuì. “Io sto bene....ora.” disse in un sospiro e volgendo lo sguardo verso un punto dietro di me. “Fortunatamente, vi ho trovati in tempo e l'incantesimo che tratteneva Klaus si è spezzato dopo la morte di Diana. Grazie a lui sei salva, altrimenti...”

Ripensai al momento in cui suo fratello si era avvicinato a me e mi aveva salvata, appena lui interruppe la frase per non formulare un ipotetico continuo. Si sentiva in colpa, forse per non essere riuscito lui a salvarmi, ma non doveva: era solo colpa di Mikael, se eravamo stati gettati tutti in quella situazione.

Ripensando a lui, avvertii come dei buchi nella mia memoria, come se ci fossero stati altri momenti, magari legati a Klaus, che non riuscivo proprio a ricordare.

Mi portai di nuovo la mano alla fronte e chiusi per un'istante gli occhi, cercando di rimettere a posto tutti i miei ricordi.

Mikael?

Elijah alzò le sopracciglia. “Bella domanda.” disse, con aria leggermente inquieta. “Ha iniziato a sputare sangue, a perdere colorito della pelle...ma è riuscito a scappare, prima che potessi colpirlo una volta per tutte. E sembra sia scomparso, almeno per ora.”

Non sapeva come spiegarsi ciò che era successo, ma io temevo di poterlo fare: quella rabbia, quella furia che avevo sentito crescere dentro di me quando Mikael stava per ucciderlo...e se fosse, in qualche modo, “esplosa” e avesse colpito il vampiro?

Era un'ipotesi assurda che scartai subito, magari Diana aveva giocato a Mikael qualche giochetto che lo aveva fregato. Non potevo aver fatto una cosa simile, non potevo.

Forse hai ancora bisogno di riposo, Irina.” mi disse Elijah, trovandomi persa nei miei pensieri, ma scossi la testa.

Stavo bene, troppo bene per essere stata pugnalata all'addome e per essere stata soggiogata. Non avevo necessità di tornare a letto. Alzai lo sguardo su di lui, quando ricordai la storia di Belial, del demone dall'aspetto d'angelo, ma non trovai la forza di parlargliene. Non in quel momento, non dopo che entrambi avevamo rischiato di morire quel giorno. Forse presi quel pretesto, perché non avevo coraggio, in quell'istante, di ricordare ciò che Diana mi aveva detto riguardo quell'uomo che mi stava cercando.

Mi dispiace.

Per cosa?” Elijah corrugò la fronte confuso, quando mi vide muovere le mani in quei gesti veloci.

Per averlo messo di nuovo in pericolo, sia lui che Klaus.

Se fossi stata più forte, più scaltra, meno insignificante, forse lo avrei evitato.

Non risposi però, Elijah mantenne lo sguardo sul mio viso e, lentamente, notai che i suoi piedi si erano mossi nella mia direzione e lui si era fatto più vicino. “Devo dirti una cosa.” mi disse.

Come di consueto, il cuore iniziò a volermi scoppiare nel petto, mentre lui mi guardava intensamente con quegli occhi neri che sembravano potessero arrivare nel profondo del mio animo.

Mesi fa, ho rinunciato a te perché stavo per compiere qualcosa di terribile, qualcosa che...non volevo più fare.” iniziò a dire e non seppi come, ma mi parve di aver provato anche prima una sensazione simile di fronte a quelle parole. Come se qualcuno me le avesse rivolte, ma non riconoscevo chi.

Ma ora ho trovato un modo per cancellare, in parte, colpe che non avrei potuto sostenere.” Elijah si fece più vicino a me, tanto che una vampata di calore mi salì al viso. Quello sprigionato dal fuoco alle sue spalle era nulla a confronto di quello che io stavo provando dentro di me.

Non meritavi le bugie che ti dicevo...e forse non meriti nemmeno quello che sto facendo adesso, perché sto continuando a nasconderti l'oscurità che ci circonda.”

Ma di che stava parlando?

Che colpa aveva deciso di cancellare, tanto che non sarebbe più riuscito a sostenerla?

Tanto che aveva preso una decisione che aveva fatto del male ad entrambi?

Mi prese il viso tra le mani, in modo che i nostri occhi non la smettessero mai di fissarsi. Il cuore continuava a battermi all'impazzata, preda di troppe emozioni che lo stavano sconvolgendo.

Adesso però mi sento libero...di combattere per te.” sussurrò, muovendo lentamente le dita sulla pelle delle mie guance.

E, sarò egoista, ma...” Elijah sorrise, in una maniera che scacciò tutto il buio che aveva pesato su di noi in quella giornata. “Farò di tutto per averti di nuovo. Sarò al tuo fianco sempre, in ogni occasione...e affronteremo insieme tutte le difficoltà che incontreremo.”

Abbassai gli occhi, non riuscendo più a sostenere i suoi occhi scuri, mentre il calore mi saliva alle guance per l'emozione.

Notai poi che stava per andarsene, allontanando le mani dal mio viso e continuando a sorridere, mentre si dirigeva verso la porta. Perché credeva che io non stessi aspettando quel momento, che avessi abbandonato la speranza di riaverlo, ma in realtà non era così.

E lui doveva saperlo.

Doveva sapere che avevo sognato di rivivere quella realtà insieme a lei, di non dovermici più aggrappare nelle mie notti, come se fosse un sogno che non avrei mai potuto raggiungere.

Prima che aprisse la porta e che se ne andasse con quella infondata convinzione, corsi a pararmi davanti a lui.

Elijah mi guardò sorpreso, ma non ebbe tempo di fare nient'altro che mi alzai sulla punta dei piedi e posai le labbra sulle sue.

Il respirò si arrestò, il battito del mio cuore divenne sempre meno regolare, man mano che i nostri corpi si muovevano. Crebbe sempre più, mentre le mie braccia accorsero a circondare il suo collo e le sue mani salivano a raggiungere un punto dietro la mia schiena, in modo che fossimo più vicini.

Poi il bacio divenne più intenso, più passionale.

Scacciammo la dolcezza, come se non fosse abbastanza in quel momento, perché avevamo troppo bisogno l'uno dell'altra per poter andare avanti. Indietreggiai diversi passi, mentre lui ne fece diversi in avanti e mi ritrovai con la schiena sulla porta. Le mie dita raccolsero diversi ciuffi dei suoi capelli, come per aggrapparsi ad essi mentre un inarrestabile fiamma bruciava dentro il mio petto.

Le labbra di Elijah si spostarono verso la mia guancia, ricoprendola di lenti baci che mi bloccarono il respiro, per poi raggiungere un punto alla base destra del mio collo, sopra cui affondò il viso.

Chiusi gli occhi, trovandomi intrappolata tra la porta e il suo corpo e sentendo il respiro troppo affrettato, mentre attraversava i suoi capelli, a cui le mie dita stavano ancora aggrappandosi.

Quando baciò la pelle del mio collo, provai un lungo brivido che corse lungo la mia spina dorsale.

Il cuore batteva così forte da farmi scoppiare la testa, priva di qualsiasi razionale pensiero potessi avere in quel momento.

Elijah sorrise, alzò la testa e posò il viso davanti al mio, mentre le sue mani salirono nuovamente ad accarezzare le mie guance, accaldate e sicuramente rosse. “Stavo per chiederti se ne sei sicura, ma il tuo cuore ha già risposto a quanto pare.” mi disse, un po' divertito, mentre io iniziai a rimproverare quel muscolo logorroico che non la smetteva di gridare tutto ciò che provavo.

Sorrisi imbarazzata e distolsi lo sguardo, le sue dita rimasero ancora sulle mie guance, delineando strisce di calore su di esse. “Ti proteggerò io da qualsiasi cosa, Irina.” sussurrò, come se quelle parole gli facessero male.

Trattenni il fiato. Non volevo che lui mi proteggesse, l'ultima volta che lo aveva fatto ci eravamo fatti entrambi del male: preferivo l'ipotesi che, magari, avremmo combattuto tutto insieme. Qualsiasi cosa.

Le mie mani presero il suo viso e gli sorrisi, nella maniera più rincuorante possibile.

Combattere. Insieme.

Non potevo dirgli che quelle due parole, per fargli capire che avevamo bisogno solo di quello.

Gli gettai di nuovo le braccia al collo, più lentamente rispetto a come lo feci poco prima, e lo strinsi forte a me. Sorridevo mentre rimanevo avvinghiata a lui e fui felice che, quella casa, avrebbe intrappolato tra le sue pareti un ultimo bellissimo ricordo.

Forse un epilogo migliore non potevo chiederlo.

* * * *

Muoviti nanetta! O Elijah ci lascia entrambe qui!”

La voce di Rebekah mi richiamò alla realtà, strappandomi via dal mare di ricordi che mi inondò mentre lasciavo scorrere lo sguardo lungo quelle pareti ormai spoglie.

La nostalgia mi avvolse nel suo abbraccio. Risa, lacrime, dolori, gioie che quella casa mi aveva regalato si sarebbero tramutate in ricordi che io avrei tenuto per sempre con me, mentre quelle pareti le avrebbero racchiuse e protette in loro fino all'eternità.

Rebekah apparve sulla soglia della porta d'uscita, con il cappuccio che le copriva i capelli dorati e un'espressione da bambina sul viso. “Allora, ti muovi oppure ti faccio portare in braccio da mio fratello?” mi domandò, mostrandosi pungente ma ridendo divertita.

Non risposi subito, rimasi immobile al centro del corridoio con lo sguardo che solcava ogni centimetro di quelle pareti.

Quanto mi sarebbe mancato quel posto...avrei tanto voluto rimanervici per sempre, per quante cose mi aveva dato.

Rebekah lesse la malinconia nel mio sguardo, fece diversi passi verso di me e abbozzò un sorrisetto nella mia direzione. “Mancherà anche a me questo posto.” mi disse, cercando di unire le mie sensazioni alle sue, in maniera che non fossi sola ad affrontarle. “Ma ci torneremo un giorno, che ne dici? Tanto Nik l'ha pagata un sacco di soldi questa casa e quindi non l'abbandonerà mica...”

Dovevo sorridere ma non ci riuscivo, quella casa mi sarebbe davvero mancata troppo.

Non avrei mai creduto che avrei potuto affezionarmici in quella maniera, ma era inevitabile: lì dentro avevo scoperto le cose più belle che mi legavano ad altre persone, ma lo avevo fatto affrontando le più brutte. Era come se quella casa mi aveva permesso di combattere, di crescere e di trovare quanto di migliore ci potesse essere in coloro che amavo.

Si diceva che anche le case avevano un cuore, mai come allora ne fui d'accordo.

Rebekah batté le mani. “Dai, non fare quella faccia.” disse, cercando di non mostrami la malinconia che aveva inumidito i suoi occhi. “Quando torneremo alla vecchia dimora, ci saranno feste e balli. Non è poi così male, no?” Il suo tentativo di risollevarmi il morale in parte funzionò,il sorriso da bambina che le illuminava il volto avrebbe contagiato chiunque.

Su andiamo, Elijah e Katerina sono giù in carrozza ad aspettarci.” disse poi e si allontanò elegantemente oltre la porta, la sua figura si mosse tra gli ultimi fiocchi di neve che avrei visto cadere da quel cielo per poi farsi sempre più lontana.

Sospirai facendomi forza per varcare quella soglia. Ma appena mi mossi, passai davanti alla porta socchiusa della camera dei dipinti. Sentivo dei rumori provenienti dall'interno, come di fogli che venivano mossi tra le dita.

Presa dalla curiosità, aprii la porta e vi trovai dentro Klaus: mi dava le spalle, indossava il mantello per uscire e aveva il capo chino su qualcosa davanti ai suoi occhi.

Malgrado ero stata attenta a non compiere alcun rumore, lui parve percepire la mia presenza: alzò la testa e poi la voltò verso di me, guardandomi sulla soglia della porta e ricambiando il mio sguardo.

In mano aveva dei fogli rappresentanti dei volti, ma li piegò subito in quattro parte in modo che non ne riconoscessi il soggetto. “Che vuoi?” mi chiese pungente.

Scrollai le spalle, guardandolo sentivo come se qualcosa fosse nascosto ed invisibile.

Era una strana sensazione che non sapevo spiegare, sembrava che un pezzo di noi fosse stato cancellato dalla mia mente, che arrancava alla ricerca di esso ma non riusciva a trovarlo.

Klaus sbuffò. “Quando ti toglierai il vizio di fissare le persone in quel modo e senza motivo?” mi domandò. Ma si stava sforzando di essere rude, una parte di me riusciva a scorgere altro sotto quell'espressione seccata. Non la sapevo definire però, forse...tristezza?

Magari la stava provando anche lui nell'abbandonare quella casa, o forse si trattava di altro.

Non piangere...sorridi.

Quelle parole si fecero largo nella mia mente, come il risuono di vecchie e dolorose parole che qualcuno doveva avermi rivolto tempo addietro, ma il cui volto mi parve offuscato.

Però inspiegabilmente, seguii il suo volere e..sorrisi.

Forse verso Klaus, forse verso me stessa o forse verso un'altra parte di futuro che avrebbe atteso tutti noi. Non lo sapevo nemmeno io in realtà, ma sentivo che dovevo farlo.

Lui guardò le mie labbra allargarsi in quel sorriso e la sua espressione si fece più rilassata, quasi come se aspettasse quel momento, come se si fino ad allora si fosse arrampicato ad esso.

Ma non sapevo spiegare il motivo per cui provassi quelle assurde sensazioni.

Mi voltai indietro e mi avviai verso l'uscita di casa, scrutando per l'ultima volta quelle pareti che avrebbero per sempre racchiusi rimembranze di lacrime, sorrisi, gioie e dolori.

Appena raggiunsi la neve fuori dalla casa e scorsi la carrozza in fondo alla collina, sentii Klaus apparire alle mie spalle. Proseguii il cammino, mentre sentivo il vampiro chiuderci la porta alle spalle a chiave.

In quel modo, aveva deciso di proteggere tutta la vita che avevamo vissuto là dentro.

Ed era ora di tornare a casa.

How am I supposed to break this spell you got me under?
I'm so addicted to the pain
Got your poison running through my veins
The way you pull me in
The way you chew me up
The way you spit me out
I keep coming back
I can't get enough
I can't go without you


Buon pomeriggio a tutti! :D

Mi auguro che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! :)

Allora, ci tenevo a fare alcune precisazioni al riguardo: mi rendo conto che la parte in cui Irina sta per perdere la vita è un po' confusa e magari anche frettolosa, ma è un elemento che ho deciso appositamente di fare perché, dovendo o almeno cercando di immedesimarmi nella protagonista, non sarebbe stato realistico riportare tutto in maniera dettagliata. Spero comunque che questa parte sia stata comprensibile.

Ora vi do una bella notizia: preparate trombette e cappellini, perché questa fanfic è quasi giunta al termine! Mancano solo 4/5 capitoli (la storia era già bella che pronta ma siccome vi ho apportato alcune modifiche, non so dire di preciso se ne mancano 4 o 5) però comunque pochini e tra un po' mi levo dalle scatoline! XD in questi ultimissimi capitoli verrà risolta del tutto la faccenda di Belial ma inoltre ci saranno anche dei “confronti” tra Irina e Klaus...malgrado quello che è successo in questo capitolo, penso sia normale che i due affrontino la loro...situazione,diciamo. :)

Inoltre la fanfic è in revisione, anche se ora ho corretto solo il prologo, poiché mi sono accorta di diversi orrori grammaticali e sintattici per cui i miei insegnanti di italiano mi verrebbero a cercare con la mazza!

Ok, la smetto di dilungarmi più di tanto e passo ai ringraziamenti: grazie a tutti coloro che leggono la mia storia, sia chi lo fa in silenzio e sia chi recensisce. Un grazie di cuore anche a chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate e seguite.

Alla prossima, ciao! ^^

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Capitolo 25
*** What Kind Of Love ***


Dedicato ad Elisabetta che sopporta sempre questa croce umana di pseudo autrice :P

-What Kind Of Love-

Image and video hosting by TinyPic What If Love will leave your heart an open sore

and i can't reveal what even i don't know

The love you feel you waste away on me

What kind of love will let us bleed away?

No kind of love will make us bleed away

(Avantasia- What Kind Of Love)

Irina?” Mi voltai di scatto, ma scorsi solo l'oscurità della notte circondarmi.

Tirava un fresco venticello che muoveva le gonne del mio vestito, i capelli sciolti si muovevano nell'aria e giunsero a coprire il mio volto. Attorno a me solo un vasta distesa di erba che ballava con il vento, alcuni alberi si trovavano distanti da me e le loro fronde causavano una lieve melodia che giunse fino a me. Ma non trovai nessuno che avesse pronunciato il mio nome in quel roco ed inquietante sussurro.

Irina?” Quella voce lo ripeté, ma in quel caso era più profonda e penetrante rispetto a poco prima.

Mi sentii terribilmente attratta da essa, come se quel richiamo fosse un aroma irresistibile a cui non potevo resistere.

E, quando mi voltai, lo vidi.

* * * *

Irina?!”

Sobbalzai sulla poltrona e spalancai gli occhi, quando quella voce mi urlò nelle orecchie.

Chinate su di me vi erano Rebekah e Katerina, ma la voce squillante che aveva chiamato il mio nome doveva essere quella della bionda. Entrambe avevano tra le mani i vestiti che avremmo indossato per quella sera e mi guardavano come se trovassero assurdo che mi fossi addormentata nel bel mezzo delle prove d'abito.

Sbattei più volte le palpebre, cercando di riprendere contatto con la realtà e scacciare la foschia che offuscava il mio sguardo, appena destatosi dal sonno da cui ero stata strappata via.

Non mi trovavo in un prato e non era notte: il tempo era soleggiato, il cielo terso e limpido e una leggera brezza mattutina portava un po' di fresco dentro la stanza di Katerina, muovendo la tenda bianca che rimaneva sospesa nell'aria. Il cinguettio di qualche uccello tra i rami degli alberi rendeva più tangibile l'aria di tranquillità che aleggiava tra noi.

Si può sapere cosa stavi sognando? Ti lamentavi nel sonno.” mi chiese Katerina preoccupata, mentre io cercavo di rimettermi composta sulla poltrona dove ero seduta.

Dovevo essere in completo disordine, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi per il sonno, chissà quanto tempo quelle due erano state ad osservarmi in quel modo.

Scossi la testa, portandomi la mano alla fronte e lasciandomi andare ad un lungo sbadiglio. Non sapevo nemmeno io cosa avessi sognato e nemmeno volevo darci tanto peso, era solo uno stupido sogno.

Va bene. Alzati nanetta, che dobbiamo prepararci per stasera!” Rebekah era tutta brio e allegria quei giorni, batté le mani entusiasta e distese il suo abito color porpora sul letto. Da come si comportava, era chiaro che non avesse apprezzato la solitudine che la casa sulla collina ci aveva regalato per tutto quel tempo, cosa che invece avevo fatto io: lei adorava le feste, adorava organizzarle e prendervi parte, mentre io avevo già un groppo in gola al pensiero che sarei di nuovo stata circondata da tutte quelle eleganti persone che, malgrado tutto, riuscivano ancora ad imbarazzarmi come non mai.

Mi alzai in piedi e mi stropicciai gli occhi, guardando Katerina che invece stava ammirando il suo abito color ambra. Mi posizionai accanto a loro, attraversando il fascio di luce che si estendeva lungo il pavimento e lasciandomi attraversare dal suo calore.

Cercai il mio abito, quello che Rebekah mi avrebbe di certo fatto indossare per quella festa, ma non lo trovai. Guardai le due con aria interrogativa, ma loro erano così prese dall'ammirare le stoffe dei vestiti che nemmeno si accorsero del mio sguardo.

Nik non ti ha mandato il tuo vestito?” mi domandò Rebekah, quando si accorse che mi stavo guardando attorno troppo, quasi come se temessi che il vestito fosse fuggito via.

Scossi la testa, erano giorni che Klaus mi sembrava...freddo. Era distante e delle volte sembrava quasi evitarmi, non ci parlavamo da quando avevamo lasciato l'altra dimora e non riuscivo proprio a comprendere il motivo per cui si comportasse così.

Rebekah non parve molto sorpresa della mia espressione, sembrava aspettarsi un comportamento simile dal fratello, a differenza mia invece.

Presi un lungo respiro, cercando di non rimanerci troppo male sul perché non fosse arrivato un vestito anche a me. Visti gli ultimi atteggiamenti, non dovevo nemmeno stupirmi di una cosa simile.

Forse è rimasto dal sarto. Vado a sentire io.” Katerina mi sorrise, come per rincuorarmi, e mi passò accanto, dirigendosi verso la porta.

Io e Rebekah restammo sole e in silenzio, lei aveva le mani sui fianchi e faceva scorrere lo sguardo lungo ogni centimetro di stoffa del suo abito. I suoi occhi erano inquisitori, come se cercasse in quelle pieghe una qualche imperfezione che avrebbe usato poi contro il fratello.

Io mi sedetti al margine del letto di Katerina, sforzandomi in tutti i modi di non pensare al plausibile motivo per cui non mi fosse giunto il vestito. Del vestito non mi interessava nulla, era il gesto che mi faceva alquanto restare male. Ma forse era davvero rimasto dal sarto, poteva anche essere così.

Ti vedo più radiosa.” Rebekah mi lanciò un sorrisetto amichevole, avvicinandosi al mobile dove si trovava il portagioie di Katerina. Cercò tra i vari orecchini, alla ricerca di quello che meglio poteva abbinarsi al suo vestito, mentre io continuavo a guardarla interrogativa. “Presumo che...è finita la bufera?”

Mi lanciò un'occhiata che lasciava intendere tutto, mentre con le dita giocherellava con gli orecchini. Come al solito, dovetti diventare rossa come un peperone e impedire il flusso di quel calore salirmi alle gote fu davvero impossibile. Distolsi lo sguardo e lo posai altrove, magari verso la finestra aperta da cui entrava quel leggero e fresco venticello mattutino.

Rebekah non era stupida, doveva essersi accorta che ero più serena perché io ed Elijah ci eravamo riavvicinati. Anche se stavamo andando pianissimo nel ricostruire il nostro rapporto, doveva essere chiaro che stavo meglio da diversi giorni per quel motivo. Però la ragazza sembrava pensierosa, i suoi occhi blu erano fissi su di me e un mezzo sorriso illuminava il suo volto. Ma era il tipico sorriso di qualcuno che stava cercando le parole giuste da dire, quelle con cui avrebbe rivelato un qualcosa che avrebbe potuto turbarmi.

Devo dirtelo però, mi hai sorpresa...” disse poi, parlando talmente veloce che quasi si mangiò le parole.

La scrutai a lungo e chiedendomi che cosa intendesse dire. Era a conoscenza di ciò che sentivo per suo fratello, eppure sembrava che il nostro riavvicinamento la preoccupasse. Non capivo perché.

Ci sono già passata in una situazione simile...” Rebekah abbassò lo sguardo timidamente, quasi non riuscisse a sostenere il mio di sguardo. “E non voglio che si ripeta.”

Quando i nostri sguardi si incontrarono nuovamente, non riuscii a cogliere il vero significato nascosto in quelle parole. Sembrava volesse trasmettermi qualcosa, ma tenerlo nascosto allo stesso tempo. Doveva riferirsi ad un avvenimento del suo passato che aveva cercato di cancellare ma che io avevo in qualche modo riportato a galla.

Di cosa stai parlando? Mi sarebbe tanto piaciuto poterle riferire quelle parole, comprendere il motivo per cui i suoi occhi chiari fossero velati di malinconia, paura ma anche accusa nei miei confronti.

Forse sbagliavo.

Rebekah abbassò lo sguardo. “Non voglio che nessuno dei due soffra, Iry.” disse, scuotendo la testa. “E so quello che Nik ti ha detto quella sera, anche se con me non si è confidato per nulla.”

E mi guardò di nuovo, aspettandosi una mia reazione.

Quale sera? Riflettei sulle sue parole, su ciò che mi aveva appena detto e provai a rammentare il momento a cui doveva riferirsi.

Ma non c'era stata alcuna sera in cui Klaus era venuto a dirmi qualcosa negli ultimi giorni, non che io ricordassi almeno.

Scossi la testa interrogativa, facendole capire che non avevo idea di cosa stesse parlando.

Non c'è bisogno di fare finta di nulla, Irina.” continuò Rebekah, mostrando parecchio fastidio. “Io so che...”

Si bloccò, quando vide la confusione apparire sul mio volto e sbatté più volte le palpebre, come se lei stessa non capisse più quello che stava accadendo.

Io non avevo mai parlato con Klaus dopo ciò che ci era accaduto, l'ultima volta era stata la mattina in cui partimmo per tornare in quella dimora e già da quel momento si era mostrato parecchio freddo.

Prima che potessi chiedere dell'altro, sentimmo bussare alla porta della camera. Rebekah diede il permesso di entrare e Klaus si affacciò sulla soglia della porta;con lo sguardo basso e la mano che circondava il pomello della porta. La sua espressione era rigida e gli occhi si alzarono lentamente, per posarsi su Rebekah, che invece lo guardava con una severità, che quasi mi pare fosse adirata con lui.

C'è...una lettera per te.” Klaus volse lo sguardo verso di me, ma parve non vedermi.

O non volesse vedermi; la mia figura davanti a lui venne trafitta da quegli occhi blu e gelidi.

Provai uno strano senso di turbamento, mentre mi alzavo in piedi e mi chiesi cosa avessi fatto di così male da averlo urtato in quel modo: perché quella freddezza che ostentava la utilizzava solo con me, con Katerina, Rebekah e gli altri era tranquillo e sereno.

Torno...torno subito.” Rebekah gettò gli orecchini sul suo vestito e si allontanò rapidamente, superando il fratello e lanciandogli una lunga occhiata che lui ignorò.

Mi sembrava arrabbiata con lui, quasi indispettita e doveva essere per qualcosa collegato al suo discorso di prima. Ma perché si comportavano tutti in quella maniera così assurda?

Io e Klaus restammo soli e tesi la mano per prendere la lettera che lui mi stava porgendo.

Fui molto attenta a non sfiorare le sue dita mentre lo facevo, quasi sapessi che un mio contatto avrebbe potuto infastidirlo. Aprii la busta rapidamente e lessi il contenuto, mentre lui sembrava scrutare il mio volto per vedere che emozioni lo potessero attraversare.

Ma prima che potessi permettere a quelle parole così dure di avere effetto su di me, presi un lungo respiro e piegai di nuovo il foglio dentro la busta.

Che cos'era?” mi chiese Klaus, con voce fredda.

Alzai lo sguardo su di lui e mi parve parecchio distaccato mentre mi poneva quella domanda, come se non gli interessasse molto sapere la risposta. Eppure, mi aveva comunque posto la questione.

Per un istante quelle parole che avevo letto e quasi rifiutato di comprendere per davvero, mi provocarono un forte dolore al petto. Ma scossi la testa, non volevo affatto pensarci.

Ci guardammo a lungo, in un silenzio che sembrava accogliere più parole di quanto realmente potessimo fare attraverso le nostre voci e presi, nuovamente, un lunghissimo respiro. Quando vide che stavo per cercare di rompere quell'immobilità dei nostri volti, lui si voltò e io sfiorai il suo polso con un lungo tocco per impedirgli di proseguire.

Come stai?

Gli posi a gesti quella domanda, mentre lui mi guardava con la coda dell'occhio e sembrava essersi irrigidito talmente tanto da sembrare un blocco di ghiaccio. Non voleva guardarmi, sembrava quasi che la mia sola vista gli desse talmente fastidio da non volerci nemmeno provare.

Come dovrei stare?” mi chiese, lanciandomi un'occhiata talmente fredda che mi fece rabbrividire. Una morsa mi avvolse il cuore, mi sembrò di rivedere lo sguardo che tempo prima mi aveva sempre rivolto, quello pieno di disprezzo e rancore che nutriva verso la mia figura.

In un secondo mi balenarono alla mente tutti i ricordi che avevo con lui e non trovai nessun mio atteggiamento che potesse averlo indisposto.

Tu sei la mia maledizione.

Mentre la mia mente vagava, mentre tutti i miei pensieri si raggruppavano nella mia testa, sentii quella voce giungere a me, facendosi largo tra tutti i suoni che i miei ricordi avevano riportato a galla.

Ma quella voce, quelle parole, non ricordavo nemmeno che qualcuno me le avesse rivolte.

Ora posso andare o mi devi rivolgere qualche altra assurda domanda?” mi chiese ancora Klaus, facendosi più pungente.

Sì, avevo un'altra assurda domanda da rivolgergli. Appena cercai di chiedergli se era stato in camera mia ultimamente e avevamo parlato, lui distolse lo sguardo.

Ho da fare.” disse solo e si allontanò verso la porta, ignorando il mio sguardo.

E sbattendo la porta.

* * * *

I giardini erano rimasti verdi e ben curati come li avevamo lasciati. I fiori che ricordavo aver visto crescere non erano appassiti, i loro colori ancora arricchivano quelle distese di verde che tanto mi erano mancate. Diversi profumi venivano trasportati dal venticello fresco che soffiava sulla terra, il sole ancora alto irradiava calore che si disperdeva in quella brezza leggera e quasi impercettibile.

Rimasi diverso tempo a fissare i giardini dal cornicione della finestra nei corridoi, ignorando le diverse figure che camminavano velocemente dietro di me nei preparativi della festa di quella sera. I loro passi che interrompevano quel mio silenzioso contatto con la natura all'esterno.

Avevo troppi pensieri per la testa, mentre le parole di Rebekah e Klaus tornavano a preoccuparmi, ogni volta che non mi soffermavo troppo a lungo a pensare alla bellezza di quei fiori. Più le ricordavo, più sentivo le rimembranze delle loro voci nella mia mente e mi rendevo conto che qualcosa non tornava.

Tutte le mie preoccupazioni si arrestarono, quando udii altri passi dietro di me.

Non mi voltai nemmeno che lo riconobbi subito: Elijah stava camminando nella mia direzione, con in mano dei fogli ingialliti e un sorriso gentile sulle labbra. Era incredibile come la sua presenza bastasse a tranquillizzarmi e ad allontanare tutti i cattivi pensieri che sempre mi avevano trovato in quella mattinata.

Buongiorno.” mi salutò, portandosi poi le mani dietro la schiena e continuando a concedermi quel sorriso a cui non avrei mai potuto resistere. Però mi parve di cogliere della preoccupazione anche nei suoi tratti:era bravissimo a nasconderla, come al solito, ma non mi sfuggii comunque quell'ombra che lui cercava di celare in ogni modo.

Feci un passo verso di lui, posandogli una mano sulla spalla e guardandolo con aria interrogativa.

Elijah comprese subito l'interrogativo che stavo rivolgendogli e distolse lo sguardo. “Vieni.”

Mi condusse nella sua stanza, dove non saremmo stati interrotti dal via vai delle persone nei corridoi.

Si chiuse la porta alle spalle, mentre io mi avvicinavo al centro della stanza e mi guardavo attorno: era come l'avevamo lasciata, odorava di antico e la luce del sole entrava dalla finestra aperta, allungandosi lungo il pavimento.

Tenni le braccia ai lati del mio corpo e posai lo sguardo verso la finestra aperta.

Elijah si parò davanti a me, con una espressione visibilmente preoccupata in volto.

Perdonami, ma non mi sembrava il caso di parlare di Belial in mezzo agli altri.” mi disse, posandomi delicatamente una mano sulla spalla e sorridendomi.

Un sorriso per non farmi agitare, ma che non bastò comunque a non farmi rabbrividire nel sentire quel nome. Lo guardai con occhi sbarrati e deglutii.

Cos'hai trovato? Mi limitai a trasmettergli a gesti solo l'ultima parola, sperando che comprendesse la mia domanda.

Lui sospirò, si sedette su una delle due poltrone vicino alla scrivania sulla parete destra e mi fece segno di sedermi accanto a lui. “Non ho trovato nulla di importante.” mi rispose, mentre mi avvicinavo alla poltrona. “Come non ho capito cosa sia successo a Mikael giorni fa e sopratutto che fine lui abbia fatto.”

Mi fermai di colpo.

Quando Elijah pronunciò quelle parole, rammentai subito quella rabbia che avevo provato nei confronti di suo padre nel momento in cui aveva cercato di ucciderlo. Era stata devastante, mi era scoppiata dentro come un urlo che non si poteva trattenere, per poi dilagarsi nel silenzio più profondo.

Ogni tanto, un brivido mi correva lungo la schiena quando ci pensavo ma dicevo a me stessa che non potevo essere stata io a compiere una cosa simile. L'ipotesi che Diana avesse giocato un brutto scherzo al vampiro era ancora la prima spiegazione razionale e meno spaventosa che sceglievo per definire ciò che era successo.

Irina? A che stai pensando?” Elijah si accorse subito di come mi ero immobilizzata e di come stavo fissando il vuoto, mi osservò con attenzione e mi resi conto che dovevo avere un'espressione sconvolta in viso.

Scossi la testa come per cancellarla e decisi di non dirgli nulla riguardo quella faccenda. Perché avevo paura di cosa avrebbe pensato e temevo allo stesso tempo di scoprire che ero davvero stata io a compiere quella cosa.

Elijah non si bevve il mio finto sorriso e affilò lo sguardo per studiarmi ulteriormente. “Vieni qui.” mi disse, facendomi segno di avvicinarmi a lui.

Non capii perché me lo chiedesse, ma lo feci senza esitazioni. Allungò lentamente la mano verso di me e mi prese il polso, mi tirò delicatamente verso sé e in pochi istanti mi ritrovai seduta sulle sue ginocchia.

Era inutile dire che il mio pallore venne nascosto dal rossore che salì prontamente al mio viso. Elijah ne sorrise per diversi istanti.

Come te lo devo dire che con me puoi parlare di tutto?” mi disse, scostandomi gentilmente una ciocca di capelli dal viso e portandola dietro le orecchie. Ma non potevo parlargli di quello che temevo di aver fatto, volevo averne delle prove prima e non basarmi unicamente su quella rabbia incendiante che mi aveva colta giorni prima.

Abbassai lo sguardo e decisi di scacciare la mia paura per affrontarne un'altra. Gli chiesi con pochi gesti, perché Mikael avesse cercato di ucciderlo: era Klaus il suo obiettivo, era lui quello che “odiava”, ma Elijah e Rebekah non sembravano essere al centro del suo odio.

Lui voleva solo distruggere Klaus, per chissà quale vero e folle motivo.

Elijah sospirò, distolse un attimo lo sguardo e i suoi occhi si riempirono di una profonda malinconia. “Perché ho scelto i miei fratelli invece che lui.” mi rispose. “Loro sono la mia famiglia. Lui ha deciso di non farne più parte quando ha deciso di darci la caccia...non mi considera più il suo figlio... “modello” diciamo.”

Scacciò subito quell'espressione tra il nostalgico e il malinconico dovuto a momenti passati che si erano rivelati solo illusioni, perché aveva creduto di avere un padre, ma si era ritrovato ad avere solo un mostro. Abbassò lo sguardo pensieroso, come se parlare di quella faccenda lo facesse stare male.

Mi rivolse poi un sorriso, con cui cercò di cancellare la tristezza che aveva colto anche me.

Perché parlare di suo padre, mi fece inevitabilmente pensare al mio.

Strinsi i pugni, dimenticando che in uno di esso stringevo la lettera che Klaus mi aveva portato quella mattina. Il rumore del foglio che veniva accartocciato ruppe il silenzio e Elijah abbassò lo sguardo su di esso, lo aveva già notato prima ma non aveva chiesto nulla al riguardo.

Che cos'è?” mi domandò, indicandola con un cenno della testa.

Gliela porsi, in modo che lui la leggesse. L'avevo portata con me perché sapevo di aver bisogno di parlarne con qualcuno, affrontare un problema che sembrasse normale e non inquietante come quello di Mikael e di ciò che gli era successo quel giorno.

Elijah mi guardò confuso, aprì lentamente il foglio piegato in quattro parti e ne lesse il contenuto, facendo scorrere velocemente lo sguardo su ogni singola parola vi era scritta all'interno.

Mi fece sorridere il modo in cui si fermò: non terminò nemmeno di leggere la lettera, che la appallottolò in una mano. Cosa che io non avevo avuto il coraggio di fare, quasi come se temessi di mancare di rispetto a mio padre. Atteggiamento che, in effetti, lui meritava però.

Lo sai che tuo padre può andare all'inferno, no?” mi chiese, inarcando le sopracciglia e sorridendomi divertito. Ancora non mi rendevo conto di come riuscisse a sdrammatizzare le cose con un semplice sorriso e uno sguardo.

Guardai la lettera, ridotta ad una pallina di carta,nascosta nella sua mano e abbozzai un sorriso. Forse mi stavo solo facendo troppi problemi per nulla, mio padre e quella faccenda di Mikael potevo tranquillamente nasconderli in un cassetto e fare finta di nulla. Ma potevo davvero?

Elijah mi diede un bacio sulla spalla e posò la mano sul mio ginocchio. “Tu sei libera qui, Irina.” mi disse e avvicinò lentamente le labbra alle mie.

Mi diede un leggero bacio, con cui riuscì a scacciare le ultime preoccupazioni che erano rimaste in lontananza.“Voglio che tu ti goda la festa stasera. Ci sarà anche una bella sorpresa per te.”

* * * *

Klaus e Rebekah avevano organizzato le cose in grande.

Non mi ero ancora riabituata a trovarmi circondata da tutte quelle persone e un po' sentivo la mancanza del piccolo salotto della casa sulla collina che mi regalava solitudine e tranquillità.

Il salone era gremito di gente: lunghi tavoli ricolmi di cibarie e bevande erano stati posti nelle vicinanze delle pareti, in modo che il centro della sala fosse libero per le danze, sotto la musica del clavicembalo.

L'atmosfera era soffusa, i candelabri illuminavano l'ambiente attraverso delle candele accese e la cui fiamma era mossa dal vento fresco che soffiava dalle finestre aperte.

Scesi lentamente la scalinata, l'abito bianco che indossavo era di Rebekah ma non era della mia taglia. Perciò rischiai di inciampare sulla gonna diverse volte, ma il mio equilibrio, fortunatamente, non vacillò.

Quando raggiunsi l'ultimo scalino, venni accolta da diversi sorrisi e saluti, di volti che ricordavo di aver visto, ma a cui non sapevo dar nome.

Oltre allo scarso equilibrio, dovevo riconoscere di essere alquanto smemorata.

Venni per un attimo presa dal panico, quando non trovai né Elijah e nemmeno Katerina e Rebekah.

Mi sentivo un po' a disagio a stare da sola in mezzo a quella folla, dovevo assolutamente riprendere l'abitudine di non poter mai essere davvero sola.

Mi guardai attorno e scorsi solamente la figura di Klaus alla mia destra, oltre diverse teste: aveva la mano sinistra posata su uno dei tavoli e stava parlando con due ragazze. Sorrideva, in una maniera che mi parve quasi irreale, visto che non si era più rivolto a me in quel modo, da un'eternità.

In qualche modo, lui si accorse di come lo stavo guardando e volse la testa nella mia direzione. I nostri sguardi si incrociarono per un breve lasso di tempo, quanto bastasse per farmi perdere contatto con la realtà. Quando ripresi controllo di me, una vampata di calore mi salì al viso e distolsi prontamente lo sguardo.

Ciao, ragazzina.”

Quella voce sovrastò tutti i rumori in quella sala, riportandomi con la mente a vecchi ricordi di quella persona, che non avevo di certo dimenticato. Come potevo dimenticare chi mi aveva insegnato la parola amicizia?

Mi girai lentamente verso di lei e incrociai subito il suo sorriso radioso.

Rose.

Non era cambiata di una virgola in quei mesi in cui non l'avevo più vista. I capelli rossi le ricadevano dolcemente sulle spalle, gli occhi erano verdi e luminosi come li avevo sempre ricordati, il sorriso carico di spontaneità che avrebbe contagiato chiunque. Indossava un semplice abito azzurro, con un lievissimo scollo sul petto e, anche se non portava gioielli addosso, era davvero elegantissima.

Presa da un'irrefrenabile gioia, le gettai le braccia al collo facendo quasi un salto per potervi riuscire. Non m'importava di sembrare una bambina o di non comportarmi adeguatamente in pubblico, ero troppo felice di rivederla dopo tutto quel tempo, dopo che non le avevo potuto spedire altre lettere e mi dimenticai che forse, quel gesto, poteva arrecarle disagio.

Me ne resi conto troppo tardi, quando ormai avevo compiuto quell'azione affrettata, istintiva ed infantile. Rose però non si era irrigidita, non aveva spento il suo sorriso e non aveva mostrato altro che non fosse gioia nel rivedermi. Me ne resi conto subito, mentre mi allontanavo lentamente da lei e la guardavo con aria colpevole.

Mi ero dimenticata che non era più la Rose umana che conoscevo, ma la Rose vampira che avevo creato.

Che io avevo creato.

Il dispiacere scacciò una gioia che pensavo di non meritare, lo sentii lentamente salire in me e incendiarmi il petto e la mente.

Lei rise della mia espressione, come se volesse cancellarla e ricostruirla con un semplice sorriso. “Non fare quella faccia. Non mordo mica.” disse, ironica e divertente come la ricordavo.

Sorrisi anche io di quella battuta, chiedendomi come avesse gestito in quei mesi la sua nuova vita: ricordavo ancora quando Elijah mi aveva detto che il periodo subito dopo la trasformazione era il più difficile da gestire. Perché ci si trovava di fronte ad un cambiamento troppo repentino e violento, dove tutto veniva terribilmente amplificato e resistere ai propri impulsi diveniva estremamente difficile.

Per non parlare poi del sole: Rose amava il sole, ne ero certa, perché amava la natura quanto me. Doveva essere difficile per lei vivere perennemente in un eterna oscurità.

Come stai? Le chiesi, sempre facendo leva sul mio linguaggio dei segni, che dubitavo lei ricordasse alla fine.

Io sto bene.” Rose rispose rapidamente, senza troppi preamboli e sempre con quel sorriso gioviale sulle labbra. Rispose con una tale prontezza che mi lasciò di stucco, come se stesse preservando la sua umanità. Fu una cosa che apprezzai, io al suo posto sarei rimasta terrorizzata per secoli dalla mia nuova natura, anche se avevo ormai accettato di doverla accogliere in un prossimo futuro. “La sete e..tutto il resto. Riesco a gestirli grazie all'aiuto di Trevor.”

Attesi un attimo in silenzio, aspettandomi altre parole dopo quella frase ma così non fu. Era per colpa mia che Rose era divenuta un vampiro, pensavo di non meritare quello sguardo carico di gioia che mi stava rivolgendo.

Rose sospirò, piegando la testa da un lato. “Tu invece sei sempre la stessa, eh? Ti fai sempre problemi...”

Cercò di curare la mia preoccupazione, facendomi quella battuta e scuotendo la testa. E in parte ci riuscì: forse perché la musica, le danze, il vociare attorno a me, il suo sorriso creavano quell'atmosfera di serenità di cui sentivo di aver bisogno.

Rose fece un passo verso di me e mi posò le mani sulle spalle. Mi guardò fisso negli occhi, ma non lasciò mai fuggire il sorriso dalle sue labbra. “Non è colpa tua, va bene? È successo e basta. E io mi sto abituando a...questo. Se non fosse per te, sarei sepolta sotto terra e il che non mi avrebbe fatto piacere.” disse e alla fine della frase mi fece un leggero occhiolino con il quale riuscì a rubarmi un sorriso.

Subito dopo, mi strinse a sé in un delicato abbraccio. Compresi subito che, con quel gesto, non voleva solo mostrarmi affetto, ma anche sussurrarmi qualcosa all'orecchio. “Tu..stai bene, vero?” mi domandò.

La sua domanda aveva un significato retorico, me lo fece intendere solo una volta separate e quando con un lievissimo movimento del capo, mi indicò Klaus.

In quel modo mi voltai a guardarlo nuovamente: lui continuava a sorridere e a dialogare con quelle due ragazze, gesticolando con eleganza mentre loro lo ascoltavano affascinate. Rose si era persa il pezzo in cui io e lui ci eravamo avvicinati, anche se quegli attimi sembravano essere stati cancellati dal suo nuovo modo di comportarsi.

Guardai Rose che lo stava osservando con la coda dell'occhio e lessi ancora del timore nel suo viso. Anche se era una vampira, continuava a temere Klaus e di conseguenza anche Elijah. Avevo paura che quella sarebbe stata una delle paure che mai avrebbe potuto cancellare così facilmente.

Annuii, poiché stavo davvero benissimo. Eccetto il suo comportamento inspiegabile e che mi faceva davvero male, non consideravo Klaus il mio problema peggiore. Ne avevo altri da affrontare, ma non volevo farlo quella sera e non allora che avevo ritrovato la mia amica.

Rose mi lanciò una lunga occhiata e tornò a sorridere. I suoi occhi verdi mi scrutarono con attenzione, scorrendo sul mio viso e sul mio corpo. “Lo sai che mi sembri...diversa?” mi disse.

Le sue parole mi lasciarono leggermente basita. Pensai subito che doveva riferirsi al fatto che mi fossi ingrassata: nell'altra dimora, per combattere il freddo, ero stata costretta a cambiare le mie abitudini alimentari e qualcuno non si era astenuto dal farci battute al riguardo. Almeno, prima che iniziasse ad evitarmi in quel modo.

Iry, non intendevo in quel senso.” ridacchiò Rose, quando scorse il mio sguardo inquisitore viaggiare tra le pieghe del vestito. Alzai lo sguardo su di lei. “Intendevo dire che sembri...più sicura di te. Più forte. Non so come spiegarlo sinceramente, ma prima sembravi davvero più fragile.”

Se le avessi raccontato tutto ciò che mi era successo nell'altra abitazione, avrebbe capito perché sembravo più forte. Mi sembrava di essere tornata da un campo di guerra e che dovessi curarmi tutte le ferite riportate dalla battaglia.

Mi prese il viso tra le mani e continuò a sorridermi gioiosamente.“Sono davvero felice che tu stia bene.” concluse, annuendo e regalandomi uno sguardo carico di affetto.

Ricambiai, ma in quello stesso momento il suo sorriso si spense: lo sguardo si posò su un punto dietro di me, verso qualcosa che doveva essere in procinto di avvicinarsi a noi. Da come i suoi occhi si erano illuminati di quella luce di paura, compresi che doveva trattarsi di Elijah, visto che Klaus era dall'altra parte della sala. E infatti, appena mi voltai, lo vidi avvicinarsi elegantemente a noi, con le mani dietro la schiena e un sorriso gentile sulle labbra. Ma Rose non vedeva quell'espressione, i suoi occhi l'avevano trapassata per giungere a quella natura che l'aveva coinvolta ma che sembrava comunque spaventarla.

Buonasera Rose, sono lieto di rivedervi.” le disse gentilmente, affiancandomi.

Rose rimase un attimo in silenzio, la tensione si fece palpabile e quasi mi tolse il respiro.

Non sapevo nemmeno se guardare lei oppure se guardare Elijah, optai così per il pavimento.

Vi ringrazio molto, Lord Elijah.” rispose la ragazza, con fare educato ma palesemente distaccato. “E vi chiedo scusa se non posso trattenermi molto a questa festa, ero passata solo per salutare Irina.”

Fu molto veloce, trasportò il suo sguardo da Elijah a me e mi regalò un ultimo sorriso, prima di passarmi accanto e posarmi la mano sulla spalla per dirmi che ci saremo riviste nei giorni seguenti.

Elijah la seguì con lo sguardo per pochi istanti, mentre io mi girai subito verso di lui per vedere la sua espressione. Dubitavo fortemente che si fosse offeso o peggio che si fosse arrabbiato, ma di sicuro il comportamento di Rose non lo faceva saltare di gioia. Anche se ne era abituato.

Lui e i suoi fratelli erano i vampiri più antichi al mondo, un certo effetto era normale che lo facessero.

Mi dispiacque però che Rose avesse deciso di andarsene così presto, anche se non la biasimavo affatto.

Elijah mi sorrise. “Ti è piaciuta la sorpresa?” mi domandò, con un leggero senso di colpa perché la sorpresa era praticamente fuggita via.

Lo guardai stupita e un sorriso incontrollabile si allargò sulle mie labbra. Avevo intuito che fosse stato lui a invitarla alla festa e non sapevo proprio come ringraziarlo per questo.

Sì, grazie.

Gli dissi, annuendo e muovendo mani e labbra all'unisono per dirgli quelle due parole.

Elijah continuò a sorridere, poi lanciò uno sguardo verso un punto dietro di sé da cui Rose era scomparsa. La musica si fermò e cambiò velocemente, lui allora tese la mano verso me per invitarmi a ballare. “Un ballo?” mi chiese elegantemente e continuando a sorridere.

* * * *

Odiavo ballare. Ne presi consapevolezza in quel momento.

Tutti attorno a me sembravano personificare l'eleganza, io invece ero la più pura e profonda rappresentazione della goffaggine. Le ragazze attorno a me, Rebekah e Katerina incluse, si muovevano in una sincronia così perfetta con i loro compagni di ballo che fui certa Elijah quasi li invidiò.

Io ancora facevo pena nel ballo e quella dannata gonna troppo lunga non mi permetteva nemmeno di poter anche solo provare a muovere dei movimenti che risultassero aggraziati.

Irina?” Elijah mi richiamò all'attenzione, quando tradusse il broncio sul mio viso. “Ancora ti stai facendo problemi che non ci sono?”

Guardai le sue labbra allargarsi in un sorriso, poi i suoi occhi scuri e profondi e mi sembrò che tutto il mondo attorno a me venisse avvolto dalla nebbia. Come se ci fosse solo lui, tutto il resto si era scomparso nel nulla insieme alle mie inutili e stupide preoccupazioni.

Elijah accostò il viso al mio orecchio, mentre la mia mano strinse più forte la sua e il respiro mi morì tra le labbra. Anche la presa che avevo sulla sua spalla, si fece leggermente più forte.

Non so se te l'ho detto, ma sei bellissima stasera.” sussurrò, soffiando quelle parole sulla mia pelle e provocandomi diversi brividi lungo la schiena.

Il cuore batteva all'impazzata e ovviamente lui poteva sentirlo.

Non riuscii a trattenere né un sorriso timido e nemmeno il solito rossore che veniva a trovarmi ogni volta che mi trovavo in una situazione simile con lui.

Lentamente girammo su noi stessi e lui alzò il viso dal mio orecchio per guardarmi in volto e lo ringraziai. Volevo dire lo stesso di lui, ma temevo di risultare più sciocca e banale di quanto già non sembrassi.

Per un istante non riuscii a sostenere il suo sguardo, così lo spostai in un punto oltre la sua spalla.

E vidi Klaus.

Stava ballando con Katerina, le sorrideva mentre le sue labbra si muovevano in parole che la musica soffocava. Anche lei stava sorridendo e abbassava timidamente lo sguardo, mentre i loro corpi continuavano a muoversi aggraziati in mezzo alle altre coppie. I loro profili si mossero, tanto che vidi la schiena di Katerina e il volto di Klaus rivolto nella mia direzione.

I suoi occhi si posarono su di me.

Io li distolsi subito.

Elijah si accorse subito del mio improvviso cambiamento di espressione e per un istante ci fermammo.

Qualcosa non va?” mi domandò preoccupato.

Alzai lo sguardo su di lui, sentendomi quasi in colpa nell'aver spento il suo sorriso, solo perché il comportamento assurdo di Klaus mi stava mandando fuori di testa. Mi sarebbe davvero piaciuto capire perché si comportasse in quella maniera, ma era così lunatico che di sicuro non mi avrebbe spiegato nulla.

Scossi la testa per dirgli che stavo bene, ma lui si voltò per vedere cosa avesse causato quella reazione in me. Quando il suo sguardo incontrò la figura di Klaus, la sua espressione si irrigidì velocemente.

È..successo qualcosa?” mi chiese poi, riprendendo la posizione da ballo.

Presi un lungo respiro, i nostri corpi ripresero a muoversi lentamente e trovai una punta di fastidio nel suo sguardo, mentre lo guardavo. Era inutile che nascondessi di essere rimasta parecchio male per il comportamento di Klaus, era più che evidente.

Ti sei molto legata a lui, Irina.” Elijah pronunciò quelle parole con durezza, quasi il mio potesse essere un errore doloroso. Non era la prima volta che sentivo parlare in quel modo del nostro “rapporto”. “Ma...dovrei parlarti di una cosa.”

Quella frase mi lasciò leggermente sorpresa, alzai lo sguardo su di lui chiedendomi cosa gli facesse così male dentro, da aver quasi paura di volermene parlare.

Cercò di dirmi dell'altro, ma la musica improvvisamente cambiò e le danze si interruppero per un istante.

Scusa nanetta, ti posso rubare mio fratello?” Rebekah apparve al nostro fianco, con un sorriso sulle labbra e uno sguardo furbo negli occhi.

Ero così presa dal discorso con Elijah, che nemmeno mi accorsi della sua figura che si era avvicinata a noi. Eravamo gli unici che non avevamo mai cambiato compagno di ballo, era difficile schiodarsi dalla sua voce e dal magnetismo del suo sguardo. Erano capaci di portarti via dalla realtà.

Sbattei più volte le palpebre, mettendo a fuoco l'immagine di Rebekah, che quasi mi parve irreale e lanciai un'occhiata ad Elijah che sembrava divertito da ciò che stava succedendo.

Non dovreste fare gli asociali, sapete?” ci rimproverò Rebekah, usando quella come scusa per mascherare il fatto che aveva ballato con tutti gli uomini della sala e che le mancavano solo i suoi fratelli.

Però mi sembrava distaccata quando mi guardava, come se la mia vista gli procurasse qualche pensiero. Ricordai allora il discorso di quella mattina, come aveva cambiato rapidamente espressione quando aveva nominato quella chiacchierata con Klaus che non c'era mai stata e un altro pensiero negativo mi tornò in mente.

Faccio la figura del bastian contrario se dico che questa usanza è alquanto noiosa?” chiese Elijah, tra l'interdetto e il divertito, ma sentivo anche io il bisogno di interrompere le danze per un po' e di andarmi a sedere magari. Tanto gli altri avevano formato già nuove coppie e io sarei sicuramente rimasta sola.

Poi, non volevo di certo “obbligare” Elijah a dover ballare sempre con me, la regina della goffaggine, e ballare con Rebekah doveva essere un sollievo per i suoi piedi.

Sorrisi così verso lui, dicendogli con uno sguardo che andava tutto bene; interrompere il ballo mi permetteva un po' di concentrarmi su quei troppi pensieri che, prepotentemente, mi impedivano di godermi realmente la festa. Elijah non parve però molto convinto di quella mia espressione, ma non ebbe tempo di replicare, poiché la musica ripartì.

Mi allontanai lentamente tra le varie coppie che danzavano, nessuno era solo nei balli tranne me, una piccola figura in bianco che camminava tra loro.

Ma non ero davvero l'unica.

Trovai un'altra anima isolata nella folla e il cui sguardo freddo vagava tra le diverse figure danzanti attorno a noi.

Mi fermai di colpo, quando i nostri occhi si incontrarono.

Eravamo gli unici immobili in quelle danze, in quegli eleganti movimenti. Stonavamo con l'ambiente che ci circondava.

Lui mi guardò un po' di traverso, io invece scrutai ogni minimo centimetro del suo volto, cercandovi il motivo per cui ostentasse quella freddezza nei miei confronti. Cosa gli avevo fatto?

Provai un'improvvisa rabbia nei suoi confronti, perché non vedevo proprio il motivo per cui lui dovesse atteggiarsi a quella maniera. Non dopo ciò che era successo, non dopo quello che avevamo passato.

Mi sembrava di essere tornata al punto di partenza: non a quello in cui lo temevo, non a quello in cui ci odiavamo, ma a quello che era stato il punto di inizio di tutto. Quello in cui non lo comprendevo.

Distolsi lo sguardo imbarazzata, battendo le mani nervosamente ai lati delle cosce e cercando uno spazio che mi permettesse di fuggire da quella folla improvvisamente soffocante.

Ma l'unico spazio possibile era vicino a lui.

Mi feci largo tra alcune coppie, sforzandomi di non muovere lo sguardo verso lui. Intravidi subito la sedia su cui mi sarei seduta, per dare spago a tutti i miei pensieri, per non pensare a ciò che mi aveva detto Elijah, per non pensare a come Klaus si stava comportando, per non pensare...

Balliamo?”

Mi bloccai di colpo.

Alzai lentamente lo sguardo verso Klaus, il quale stava elegantemente tendendo una mano verso di me.

La sua espressione era ancora fredda, gli occhi fissi nei miei e il corpo immobile, mentre la sua mano rimaneva sospesa tra di noi.

Definirmi sorpresa era ben poco, mi ero quasi dimenticata come fosse la sua voce per quanto poco l'avevo sentita in quei giorni. Guardai la sua mano, chiedendomi perché fosse così dannatamente lunatico. Mi aveva evitato per giorni e in quel momento mi stava chiedendo di ballare?

Siamo gli unici senza un compagno di ballo. Siamo un po' obbligati.” disse allora lui, alzando delicatamente la mano, come per farmi segno di prenderla subito oppure andarmene.

Trattenni il fiato, forse con quel ballo avrei finalmente capito cosa diavolo lo spingeva a trattarmi in quel modo.

Presi la sua mano lentamente, il mio palmo venne lentamente circondato dalle sue dita e solo l'indice rimase libero dalla prigionia della sua pelle. Ci guardammo, lui mi tirò delicatamente verso sé e ci ritrovammo nella posizione da ballo.

Solo che era diverso.

Solo in quel caso mi accorsi, che lui non si poneva in quel modo in un ballo con Katerina o con le altre ragazze con cui danzava.

Con loro, non posava la mano dietro la schiena ma sul fianco.

Non stringeva la mano della compagna in quel modo, alzandola al livello della sua spalla.

Non accostava il viso al lato di quello di colei con cui ballava, sfiorandone l'orecchio con i capelli e respirando sulla sua spalla. Mi parve di sentire la pelle del collo farsi fredda, di fronte a quel contatto.

Iniziammo a muoverci a suon di musica, anche se a me parve di sentire solo silenzio circondarci. Silenzio, perché quella melodia che suonava era inudibile di fronte alle domande che avevo in quel momento.

Sai che si dice che il bianco sia il colore del demonio?” disse lui, leggermente divertito. “Sei la prova provata che queste inutili credenze sono solo baggianate.”

Continuammo a muoverci: lui con estrema eleganza, io invece seguendo i suoi movimenti con la mia terribile goffaggine. Malgrado avessi appreso da troppo tempo la necessità di guardare negli occhi il mio compagno di ballo, in quel momento non ci riuscii.

Sentivo che se lo avessi guardato negli occhi avrei potuto solo provare due cose: rabbia, perché non comprendevo il suo comportamento, oppure dispiacere, sempre per lo stesso motivo che avrebbe fatto esplodere la mia rabbia. In ogni caso, volevo evitarlo.

Mi morsi il labbro, fissando lo sguardo verso un punto oltre la sua spalla, anche se non vedevo nulla di quello che si trovava in quella sala. Ero troppo focalizzata sulle mie domande e sui miei pensieri per poter realmente vedere qualcosa.

Presi coraggio, mi tirai leggermente indietro, quanto bastasse per non interrompere il nostro ballo e lo guardai negli occhi.

Non doveva essere difficile sostenere uno sguardo, eppure con lui, in quel momento, lo era. Mi ero illusa di riuscire oramai a capirlo, ma in realtà, da un diversi giorni a quella parte, tutte le mie convinzioni su di lui erano crollate.

Era di una freddezza unica, anche se stavamo ballando, e il motivo non mi era chiaro.

Ho fatto qualcosa di sbagliato?

Cercai di trasmettergli quel concetto con un'espressione dura e con pochi semplici gesti, con cui fui costretta a lasciare un attimo la sua mano. Klaus arrivò subito al succo della mia domanda, ma rimase comunque a fissarmi a lungo e senza proferire alcuna parola.

La musica era ancora lontana, le voci delle coppie attorno a noi solo flebili ed inudibili rumori, le altre presenze attorno a noi divennero invisibili: c'eravamo solo io e il suo sguardo.

No.” Risposta secca. Bugia.

Klaus parve non aggiungere altro, come se tutto quello che avevo bisogno di sapere fosse rinchiuso in quelle due lettere. Ma mentire non gli riusciva affatto bene, tanto i suoi occhi parlavano da soli.

Qualcosa per farlo comportare così dovevo averla pur fatta.

...sei il veleno che non potrà mai uccidermi....

Parole martellarono dentro la mia testa, mi portai una mano sulla fronte e strinsi le palpebre, cercando di scacciare quei suoni che rimbombarono prepotentemente nei miei pensieri.

Rimasi in quell'oscurità per diversi istanti, fino a quando quelle parole si arrestarono completamente.

Tutto bene?” La voce di Klaus si fece largo nei miei pensieri, riportò a galla la musica che suonava tra le pareti e fece riaffiorare la presenza di tutte quelle persone nella sala.

Lo guardai, aveva l'espressione corrugata e lo sguardo fisso su di me. In quel caso mi accorsi, che la sua voce sembrava stranamente simile a quella che avevo sentito nella mia mente: solo che quella era più lontana, più grave, più irreale. Come se appartenesse ad un passato che avevo rimosso.

Annuii, provando a ricompormi e a riprendere la posizione del ballo. Ripensai alle parole di Rebekah di quella mattina, quando mi aveva detto che Klaus e io avevamo parlato qualche sera fa.

Perché non lo ricordavo affatto? Forse mi sbagliavo.

Possibile che..no, non poteva essere.

Sicura di stare bene?”

Sì. Mi limitai ad annuire, continuando a tenere lo sguardo lontano dal suo viso e dando sempre più importanza ai miei contorti pensieri. Restammo in silenzio, continuando a muoverci lentamente insieme alla musica e mi inumidii le labbra, in preda al nervosismo che provavo in quel momento.

Dovevo chiederglielo.

Mi allontanai leggermente da lui, senza farlo però troppo, e lo guardai interrogativa.

Mi hai detto qualcosa di importante?

Non seppi perché gli trasmisi quella domanda a gesti, non seppi perché scelsi proprio quelle parole per iniziare il discorso, ma vidi qualcosa accendersi nel suo sguardo, quando comprese ciò che gli stavo chiedendo.

No.” Altra risposta secca. Ennesima bugia.

Rebekah..

Delle volte, dalla bocca di Rebekah escono solo delle sciocchezze.”

Pronunciò quella parole con una freddezza unica, che quasi mi lasciò di stucco. Distolse poi lo sguardo, chiudendo gli occhi per un istante e riprendendo a muoversi lentamente con me.

Decise di cambiare discorso.

Ho letto...la lettera di tuo padre.” mi disse poi, quasi in un sussurro che però riuscii a cogliere lo stesso malgrado la musica attorno a noi.

La mia espressione si fece improvvisamente più dura, quando il mio cuore riprese a battere gravemente sotto pelle al ricordo di quelle parole che mi avevano riportato ad una vita da cui ero fuggita per troppo tempo. Dovevo essere arrabbiata con lui per ciò che aveva fatto, eppure trepidavo nell'attesa di sapere qual'era la sua conclusione, perché stesse ammettendo così apertamente di averlo fatto.

E penso che...tu debba davvero tornare a casa.”

Un dolore sordo al petto.

Mi fermai di scatto, sentendo quel dolore crescere sempre più dentro me, mentre non staccavo mai gli occhi dai suoi. Per un attimo sperai che stesse scherzando, che la sua fosse solo una battuta con cui voleva cercare di rovinare la serata, un gioco perverso dei suoi...ma era serio, terribilmente serio.

Lasciai la sua mano e feci un passo indietro, mentre un groppo mi saliva in gola e mi impediva di respirare come dovevo.

Come poteva chiedermi una cosa simile? Come poteva definire casa, quel luogo che mi aveva provocato solo sofferenza e pena? In Bulgaria non avevo nessuno, eccetto mia madre: non avevo amici, non avevo persone che mi amavano, non avevo nessuno che mi capisse. Non avevo una famiglia.

E lui, proprio lui che forse doveva capirmi meglio di chiunque altro, mi stava dicendo che dovevo davvero seguire il volere di mio padre, tornare subito in Bulgaria, sposare Vladimir e vivere una vita che non volevo.

Detto da lui, non me l'aspettavo proprio.

Strinsi i pugni con una tale forza che quasi mi feci male, le unghie si conficcarono nei palmi delle mani e non smisi mai di guardarlo.

Klaus abbassò lo sguardo, non volle nemmeno avere la decenza di spiegarmi subito il motivo per cui mi stesse dicendo quelle parole. Il suo silenzio fu l'ultima cosa che riuscii a sentire.

Lo superai rapidamente, dirigendomi verso la balconata per prendere un po' d'aria e superando alcune coppie, con cui quasi inevitabilmente mi scontrai. Raggiunsi finalmente l'esterno e volsi lo sguardo verso il cielo buio, mentre posavo i pugni sopra la pietra della balconata e prendevo lunghi respiri.

Mi piegai in avanti, cercando di riprendere controllo di me, attraverso l'ossigeno che affluiva dentro me, ma non bastò.

Lui fu alle mie spalle.

Adesso calmati e lasciami spiegare.” disse, usando quelle parole quasi come giustificazioni, ma pronunciandole con una rabbia che lasciarono trasparire la sua convinzione nell'aver ragione.

Calmarmi? Non bastavano i miei dubbi al riguardo, le mie paure, le mie consapevolezze...ma doveva mettercisi anche lui a riportare a galla ciò che cercavo in tutti i modi di tener lontano da me stessa.

Mi voltai verso di lui, decisa ad ascoltare le sue spiegazioni, giusto per arrabbiarmi e vedere se erano compatibili con quelle che mi ero data io, leggendo le parole di mio padre.

Lui restò a diversi passi da me, sulla soglia della porta e con una postura rigida che quasi lo faceva sembrare una statua. L'espressione ormai permanentemente fredda quando si trovava con me, lo sguardo carico di quel qualcosa che non aveva nome, un misto di diversi emozioni che scaturivano in lui di fronte alle parole che stava per rivolgermi.

È la cosa migliore.” disse solo, spalancando le braccia. “Per te, per tutti noi.”

Per lui. Era la cosa migliore per lui.

Klaus era egoista e quando parlava o prendeva decisioni lo faceva solo per sé stesso, parlando però a nome di altri. Lui voleva che me ne andassi e mi sarebbe tanto piaciuto sapere il perché volesse una cosa simile, cosa avevo fatto per far sì che non mi volesse più tra i piedi.

A lui non piacque lo sguardo che stavo rivolgendogli, perciò si avvicinò repentinamente a me e mi guardò fisso negli occhi. Nonostante l'oscurità che ci circondava, riuscii a scorgere la luminosità del suo sguardo. “Pensaci bene.” mi disse, con una calma glaciale. “Da quando sei venuta qui, la tua vita è sempre stata in pericolo.”

E non potevo negarlo, anche se mi importava ben poco dei pericoli che correvo, visto che avevo vicino persone che amavo e di cui non potevo più fare a meno. Ma Klaus sapeva sempre dove colpire, quella fu solo una breve parentesi che aveva usato per aprire un discorso che sicuramente mi avrebbe fatto male.

E da quando sei venuta qui, portandoti dietro i tuoi demoni, siamo stati anche noi in pericolo.”

Ma non era quello il motivo per cui mi stava letteralmente ordinando di lasciare il suo paese, c'era dell'altro che lui non voleva dirmi e che era la verità che stava nascondendo.

Che futuro vedi qui, sentiamo? Non ti ci vedo nelle vesti di vampira ed Elijah non acconsentirebbe facilmente a trasformarti.” aggiunse ancora.

Eppure lui non si era fatto molti problemi a cercare di trasformarmi giorni prima, quando la mia vita era in serio pericolo. Il discorso di Klaus faceva acqua da tutte le parti, come se stesse trovando tutte le giustificazioni possibili per convincermi ad andarmene, per motivi suoi però.

E io volevo la verità.

Volevo che per una volta la dicesse e non si nascondesse dietro frasi fatte o finti giochi di parole.

Klaus restò ulteriormente infastidito dal mio sguardo, fece un altro passo verso di me e avvicinò il viso al mio. “Elijah non te lo ha detto per proteggerti, ma molto spesso la verità è ciò di cui si ha davvero bisogno, no?” disse con voce quasi impercettibile, sbattei più volte le palpebre di fronte al suo sguardo freddo e per un istante arretrai. Come se sapessi che ciò che stavo per sentire non mi sarebbe piaciuto.

Belial...se è davvero ciò che Diana ti ha detto, sarebbe capace di uccidere un vampiro originario.” disse lentamente, in modo che ogni parola potesse essere un duro colpo per il mio cuore.

E infatti lo sentii sussultare quando quella frase terminò, voleva scoppiarmi nel petto pur di non sostenere più la paura che quelle parole avevano appena procurato in me. Per un solo misero istante, quasi sperai che lui stesse scherzando, che fosse solo uno dei suoi sadici giochetti con cui voleva provocarmi...ma non era così: Klaus era serio, dannatamente serio. E ricordavo ancora l'espressione di Elijah quando gli avevo chiesto di Belial quella mattina, come se non volesse dirmi qualcosa di terribile.

Ma Klaus aveva rimediato.

Ha perso potere, almeno così pare da quei pochi libri che sono riuscito a trovare sull'argomento, ma se lo riacquistasse...io, il tuo amato Elijah la tua cara Rebekah potremmo morire. È questo che vuoi?”

No.

Non avrei mai voluto che succedesse, non avrei mai voluto che loro fossero in pericolo per causa mia.

Diana mi aveva detto una cosa simile prima di drogarmi, prima che succedesse...quello che non ricordavo poi così bene. E se anche Klaus mi stava dicendo quelle parole, come potevo non crederci?

Dovevo allora davvero andarmene.

Mi portai le mani tra i capelli e abbassai lo sguardo, Klaus rimase a scrutarmi a lungo, come se quella mia reazione non lo sorprendesse in alcun modo, come se ne volesse in realtà vedere un'altra.

Forse non voleva vedere rassegnazione, anche se ci sperava, ma un qualche tipo di lotta.

Perché io lì in Inghilterra avevo tutto.

Katerina. Elijah. Rebekah. Rose. Lui.

E dovevo rinunciare a tutto, solo perché quel demonio che mi ero davvero portata dietro poteva far loro del male. Il mio egoismo quasi mi spinse a ignorare tutto e a godermi la rinnovata serenità che da qualche giorno a quella parte era tornata a far parte della mia vita.

Ma non potevo farlo.

Pensaci Irina, è la cosa migliore per tutti.” disse Klaus. Ma come poteva parlarmi senza provare il minimo dispiacere? Ero così folle che, in quel momento di tremenda confusione, desideravo che qualcuno mi dicesse “Combatteremo insieme tutto questo, ma voglio che tu resti.” e io avevo davvero bisogno di una persona del genere in quel momento.

Non di qualcuno che parlava come se non vedesse l'ora di liberarsi di me. Ma cosa gli avevo fatto di male?

Cacciai indietro le lacrime; non volevo mostrarle a me stessa e nemmeno a Klaus. Lo guardai con un po' di rabbia, di malinconia, di dispiacere...ma davvero non gli importava nulla che avevo appena deciso di seguire il suo volere?

Mi guardava, freddo e distante, ma senza proferire nessuna parola. Non gli importava. Era davvero così. E non gli bastò mostrarmelo con un solo sguardo: si voltò e fece per andarsene, regalandomi come ultimo possibile ricordo di lui le sue spalle.

Volevo raggiungerlo, dargli uno schiaffo oppure pregarlo di non comportarsi in quel modo con me, ma ero pietrificata. Le mie gambe immobili, il respiro che si liberava con troppa ferocia dalla mia bocca, il battito del cuore era sempre dolore.

Lo guardai rientrare, senza poterlo nemmeno fermare perché non riuscivo a muovermi.

Ma riuscii a correre in camera mia.

* * * *

Le mani tra i capelli.

Gli occhi che combattevano per non piangere.

Il mio corpo immobile.

Il bagaglio vuoto e aperto sul mio letto.

La disperazione che rideva sulla mia spalla mentre me ne stavo là ferma, nell'oscurità della mia stanza.

Dannazione, dovevo andarmene di là e tornare in Bulgaria.

Rinunciare a Katerina per Ada, rinunciare all'amicizia di Rose e Rebekah per la mia futura solitudine, rinunciare a Klaus per non lottare più per nulla di buono, rinunciare ad Elijah per sposare Vladimir e un amore che non avrei mai provato per lui...

Dio, non ci riuscivo.

Abbassai la testa e lasciai scorrere le lacrime lungo le mie guance; non era giusto che io perdessi tutto quello che avevo trovato solo perché un mostro aveva deciso di mettersi alle mie calcagna.

Ma non meritavo anche io un po' di felicità? Non meritavo anche io di non dover vivere sempre con un groppo in gola? Perché doveva andare tutto a rotoli? Perché?

Mi ritrovai a gridare con tutta me stessa, dentro la mia mente urla di pura disperazione ed isteria si susseguirono nel silenzio.

Che stai facendo?”

Non mi voltai nemmeno a guardarlo, rimasi immobile vicino al letto e lo sentii chiudersi la porta alle spalle per poi venirmi più vicino. Mi fece voltare verso di lui rapidamente, costringendomi a guardarlo negli occhi e, quando mi vide in lacrime, la sua espressione non si addolcì comunque.

Vuoi andartene? Per la lettera di tuo padre?”

Scossi la testa. Belial; pronunciai quel nome muovendo le labbra nel silenzio, ma lui non mutò espressione. Mi guardò a lungo, con estrema attenzione e comprese chiaramente ciò che era successo e perché improvvisamente il nome di quel demone era tornato sulle mie labbra.

Te lo ha detto Niklaus, vero?” mi domandò e un lampo di rabbia balenò nel suo sguardo. “Quello che dice lui, non è legge per te!”

Ma doveva essere legge. Perché se davvero erano in pericolo, se davvero quel demonio aveva il potere di ucciderli e voleva me...io dovevo rinunciare a tutti loro.

Non sei tu che devi proteggere nessuno, Irina.” continuò lui, scuotendo la testa.

Come no? Dovevo davvero andarmene se in ballo c'erano le loro vite e lui non poteva tenermi nascosta una cosa simile, solo perché sapeva che avrei preso la decisione migliore. Klaus aveva ragione.

Scossi la testa, in preda alla follia che quel dolore stava causandomi e mi avvicinai rapidamente all'armadio, nell'intento di prendere le mie cose e gettarle alla rinfusa dentro la valigia.

Elijah non me lo permise, si parò davanti a me e mi strinse i polsi con entrambe le mani, applicandovi una forza con cui quasi mi fece male.

Fuggire non è mai la soluzione migliore, Irina.” mi disse, mentre cercavo di liberarmi. “Non servirà a nulla!”

Ma io non stavo fuggendo perché volevo proteggere me, era loro che volevo proteggere. Tutti loro.

E lui non poteva impedirmi di andarmene, non doveva. Era costretto a farlo.

Non gli davo altra scelta.

Provai a liberarmi e ci riuscii superandolo per dirigermi verso l'armadio.

Ma lui mi fermò con più forza.

Mi spinse contro l'anta dell'armadio, su cui finii di schiena, e un dolore parve passarmi sotto pelle.

Chiusi gli occhi per affrontarlo, sentendomi mancare il respiro per la botta subita e per la sorpresa di quel gesto. Quando riaprii gli occhi, Elijah stava osservandomi con un espressione durissima sul volto, tanto che per poco ne rimasi spaventata.

Posò entrambe le mani ai lati della mia testa, come se volesse impedirmi di fuggire. Il fiume di lacrime ormai stava per scendere, quella mia debolezza non mi avrebbe mai e poi mai abbandonata.

Nessuno deve permetterti di pensare a rinunciare alla tua vita, per la nostra.” disse, facendosi lentamente più calmo. Prendeva lunghissimi respiri, proprio come stavo facendo io, poi le sue mani strinsero il mio viso. “Lo hai detto tu stessa. Serve lottare nella vita, non scappare...e non posso credere che tu lo stia davvero facendo.”

Allora, dovevo lottare e mettere a repentaglio tutto coloro che amavo? Lui non l'avrebbe fatto, lui avrebbe annullato tutto sé stesso per proteggere la sua famiglia, i suoi cari, me...e io lo avrei fermato.

Riprendendo fiato, mi accorsi che a situazioni inverse, anche io avrei reagito alla stessa maniera.

Lo avrei spronato a combattere insieme, non ad andarsene.

Ma non ero certa che lui avrebbe davvero ceduto all'egoismo, cosa che stavo facendo io per paura.

Scuotevo la testa, mentre pensieri avversi si scontravano dentro la mia testa. Il cuore mi batteva talmente forte che volevo quasi smettesse di farlo, il respiro sempre più accelerato ed irregolare, la confusione che pervadeva la mia mente...

Arrendersi è più facile, combattere invece non lo è. E tu devi smetterla di farti piegare da ogni avversario...” continuò Elijah, definendo probabilmente avversario ciò che Klaus mi aveva detto poco prima. “Tu credi di essere debole?”

Non capivo perché mi ponesse quella domanda, ma non potei non rispondere: io ero debole, ma mi sarebbe tanto piaciuto non esserlo per una volta. La mia risposta rimase comunque silenziosa.

Tu non sei debole, giochi la parte della debole perché credi di non avere forza.” continuò Elijah. “Ma sei più forte di quanto tu creda e devi smetterla di pensare il contrario. Se fuggi, Belial non sparisce e il problema persiste...ma se rimani, qui ci sono persone che combatteranno con te.”

Le frasi che volevo sentirmi dire.

Mi morsi le labbra, sempre più forte, fino a farmi male, pur di trattenere i singhiozzi che stavano per liberarsi dalla mia gola. Scuotevo la testa, come per non lasciarmi convincere da quelle parole, perché andarmene era la scelta meno egoista e più giusta.

Solo che ero stanca di dover soffrire in quel modo. Ero stanca di vivere nella paura, nel terrore di poter perdere tutto da un giorno all'altro. E lui doveva dirmi di andarmene, non di restare perché lui non aveva paura di ciò che potevo causargli. Io non riuscivo ad essere forte in un mondo del genere.

Mi scosse di nuovo, ma con meno forza rispetto a prima, perché sapeva che lentamente mi stavo calmando. Lo sentiva.

Ora...calmati.” mi sussurrò,

Un ultimo eco della mia voce mi disse che dovevo andarmene di là, ma fu così lontano che a malapena lo percepii. Istintivamente, abbracciai forte Elijah, affondando il viso contro il suo petto e lasciandomi andare alle lacrime.

Bagnarono la stoffa della sua maglia, affondarono quella forza che tanto avrei voluto avere e rigarono il mio volto come troppe volte avevano fatto nella mia vita. Elijah mi strinse a sé, circondandomi i fianchi con le braccia e lasciando che io combattessi il mio dolore contro il suo petto.

Quando alzai la testa, le nostre labbra si sfiorarono dolcemente in un bacio, un bacio in cui cercavo il suo respiro perché non trovavo più il mio, strappato via dalla disperazione. Restammo uniti attraverso di esso per diversi istanti, sentendo il cuore cambiare battito, come se non stesse più battendo per la paura e la tristezza, ma per le emozioni che lui riusciva a causare in me.

Quando ci separammo, le sue mani salirono nuovamente sul mio viso e i suoi occhi incatenarono i miei.

È passato?” mi domandò, quasi come se si stesse riferendo ad un malore fisico che mi aveva colpita.

Annuii, sentivo che il peso che gravava sul mio petto stava letteralmente scomparendo. Ed era bastato il suo sguardo, le sue parole ad infondermi un po' di coraggio.

Elijah scosse la testa e un sorriso apparve sulle sue labbra. “La festa è già finita e credo che tu abbia bisogno di riposare.” mi disse e mi baciò sulla fronte con delicatezza, chiusi gli occhi quando sentii il calore della sue labbra posarsi sulla mia pelle.

Fece per allontanarsi ma io glielo impedii, prendendogli il polso tra le mani. Lui si voltò a guardarmi confuso e io abbozzai un sorriso terribilmente imbarazzato, mentre gli chiedevo di restare quella notte.

Dovevo essere diventata terribilmente rossa, nella speranza di non essere risultata...audace.

Ma non volevo stare sola quella notte, perché sapevo che nella solitudine avrei di nuovo combattuto con me stessa e l'unica persona che poteva risollevarmi da quelle paure era lui.

Elijah abbassò un attimo gli occhi, ma non mi parve affatto imbarazzato. “Va bene.” disse, ci avvicinammo al letto e ci distendemmo l'uno accanto all'altra. Posai la testa sopra il suo petto e chiusi gli occhi, mentre il suo profumo mi accompagnava verso il mondo dei sogni.

E mi addormentai.


* * * *

Irina?”

Una voce nel buio ruppe il silenzio.

Aprii gli occhi di colpo e mi trovai in una vasta distesa di verde.

Il cielo nero, le poche stelle nascoste sotto delle nuvole e il vento gelido che muoveva i miei capelli, la stoffa del mio vestito, i fili d'erba che sfioravano la mia pelle.

Mi alzai in piedi, chiedendomi come fossi finita là fuori, quando ricordavo di essere in camera mia. Con Elijah.

Guardandomi attorno, cercai la figura che doveva aver pronunciato il mio nome ma non trovai nulla.

Iry?” cantilenò un'altra voce, diversa da quella di poco prima.

Mi girai con uno scatto, alle mie spalle trovai la figura di Klaus.

Era...diverso.

Malgrado il buio, riuscivo a scorgere una sorta di differenza nel suo viso, nel suo sguardo.

Mi faceva quasi paura.

Arretrai di qualche passo, lui stava tenendo le mani dietro la schiena e mi stava guardando con un sorriso inquietante sulle labbra. Dentro di me, sentivo il panico farsi sempre più crescente: vibrare in ogni cellula del mio corpo, spingere il mio cuore a battere sempre più forte e stringeva il mio respiro in una morsa.

Klaus scattò verso me, con una rapidità che mi sconvolse. La paura continuava ad attanagliarmi, non riuscivo a muovermi da dove mi trovavo ma le ginocchia tremavano visibilmente sotto la gonna.

Lui rise del mio terrore, mi prese il viso tra le mani e avvicinò così tanto il volto al mio, che per un attimo credetti volesse baciarmi.

Il suo sorriso si fece più ampio.

Addio, little sweetheart.” sussurrò, pronunciando quella parole come in un canto di morte.

E aprii la bocca in un grido, quando lui affondò la mano nel mio petto.

* * * *

Mi svegliai praticamente in un grido silenzioso.

Era ancora buio, la luna penetrava dalla mia finestra ma sua la luce sembrava talmente lontana, che mi parve di essere avvolta completamente nell'oscurità.

Tremavo fortissimo, davvero troppo, sotto le lenzuola che mi coprivano e mi portai una mano al petto, come se mi aspettassi di trovarvi un abisso, dove il mio cuore era stato strappato via.

Da Klaus.

Cos'è successo?”domandò una voce accanto a me.

Arrivò così inaspettata, che sobbalzai quando la udii vicina a me. Elijah era ancora disteso accanto a me, ma si rizzò a sedere per scrutarmi. I suoi occhi scurissimi quasi si confondevano con il buio della notte e il pallore della luna illuminava tratti della sua pelle marmorea.

Respiravo così profondamente, che vedevo il mio petto alzarsi e abbassarsi con una tale velocità, che l'ossigeno sembrava volermi uccidere.

Ripensai a Klaus, al suo sorriso, alla sua mano che mi toglieva la vita per regalarmi la morte.

Un incubo.

Era solo un terribile, maledettissimo incubo che non sarebbe mai successo.

Ultimamente ne stavo facendo troppi e uno più spaventoso e reale dell'altro.

Stai bene?” Elijah posò la mano sopra la mia nuca, come per infondermi un po' di tranquillità. “Era solo un brutto sogno.”

Lo guardai di nuovo, sentendo la sensazione di terrore affievolirsi sempre più, trovandomi finalmente libera di quelle catene infuocate in cui ero stata legata. Abbassai poi gli occhi, annuendo lentamente e vedendo l'immagine di Klaus che mi uccideva farsi sempre più lontana.

Quando scomparve totalmente, mi sembrò quasi assurdo essermi spaventata così tanto solo per un incubo. Chiusi gli occhi per un attimo e tutto tornò alla tranquillità, mi avvicinai ad Elijah e mi strinsi a lui, circondandogli i fianchi con entrambe le braccia e affondando la fronte nell'incavo del suo collo.

La sua mano rimase tra i miei capelli, le sue dita ne intrecciavano diversi ciuffi.

Cos'hai sognato?” mi chiese, un po' preoccupato.

Si tirò indietro, posandosi sullo schienale del letto e trascinandomi così con sé. Mi ritrovai distesa al suo fianco, le mie gambe che sfioravano le sue e con il volto sopra il suo petto e gli occhi chiusi.

Scossi la testa, come per dire che non era nulla. Vicino a lui sentivo di poter dormire di nuovo.

Niente, solo un incubo che non si realizzerà mai.


Buongiorno a tutti! :D

Allora so che il capitolo fa veramente pietà, so che Elijah è stato troppo dolce, so che Klaus è apparso poco, so che Irina è un po' tanto schizzata, so che state sbadigliando anche leggendo tutti questi so....ok, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

È un capitolo di passaggio (l'ultimo visto che d'ora in poi accadrà sempre qualcosa) e siccome io odio scriverli, ma ne introduco sempre qualcuno, so che non è il massimo. Se vi siete addormentati sul pc, sapete di chi è la colpa. u.u

I sogni che fa Irina li ho introdotti per un semplice motivo, che sarà chiaro già dal prossimo capitolo, ma è stato qualcosa che è accaduto ultimamente a farli scattare....per chi ha sentito la “mancanza” di Klaus, nel prossimo capitolo avrà mooolto più spazio.

La smetto di annoiarvi e ringrazio Elyforgotten per tutto l'aiuto che mi ha dato e di cui vi consiglio vivamente le sue storie:

  • My story with an original...with Elijah”

  • e il suo continuo “Over the deception of life” un ottima storia che merita di essere lette, con una stupenda protagonista e una fantastica ed emozionante storia d'amore che la lega al nostro Elijah.

Ringrazio tutti coloro che leggono (o meglio, che ancora sopportano) la mia storia, sia chi lo fa in silenzio e sia che recensisce.

Ringrazio anche infinitamente chi ha inserito la mia storia tra le preferite/ ricordate e seguite! ^^

Vi auguro buona giornata e buon fine settimana! :D

Alla prossima, ciao! ^^

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Capitolo 26
*** Remember Everything ***


*le frasi in inglese presenti nel capitolo appartengono alla canzone “Remember Everything” dei Five Finger Death Punch. La loro traduzione è stata leggermente modificata e riadattata al capitolo.

-Remember Everything-

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Vergogna.

Rabbia.

Disprezzo.

Dolore.

Nel buio di quella stanza, io non ero sola. Loro erano con me, ad accompagnarmi nel silenzio di quel profondo abisso in cui ero ormai solita precipitare da un'intera vita.

La piccola finestrella alle mie spalle lasciava entrare un leggerissimo fascio di luce, quasi impercettibile. Cercava di raggiungermi, ma poi sembrava disperdersi nell'oscurità che avvolgeva quelle spoglie pareti e veniva quindi soppresso prima che potesse toccarmi.

Non osai nemmeno voltarmi a cercarla, quella luce, per sentirla sulla mia pelle, quasi temessi di essere un fastidio anche per lei. Tenevo gli occhi bassi, fissi sulle mani congiunte sopra le ginocchia e diverse gocce caddero da essi, giungendo a bagnare la pelle delle mie dita.

Quelle lacrime pesavano tutto il male che mi portavo dentro in quel momento; ero certa che, sentendole scorrere lungo la mia pelle ormai priva di forza, mi avrebbero procurato un forte dolore. Era una fortuna che loro decidessero di cadere e lasciarsi morire nel vuoto, la via più gentile per non procurarmi altre pene.

Cos'è successo?” La voce di Katerina s'insinuò nel silenzio della mia vergogna e per un attimo osai alzare lo sguardo verso un punto davanti a me.

Perché, dopo quello che era successo quel pomeriggio, reputavo ogni mio gesto, ogni mio movimento, ogni mio singolo respiro solo un oltraggio al mondo intero. Mia sorella non poteva vedermi in viso, i capelli coprivano i segni del mio disonore, ma tra i ciuffi scuri riuscii a scorgere il suo pancione, su cui sopra vi era posata la sua mano. Volevo dirle di tornare a letto, che con la gravidanza ormai molto avanzata doveva stare tutto il giorno a riposo e non a preoccuparsi per me.

Ma anche compiere quel misero gesto mi parve impossibile.

Trovai il suo sguardo tra i ciuffi dei miei capelli, i suoi occhi preoccupati scrutavano attentamente la mia figura ma tornai prontamente ad osservare il vuoto.

Mia sorella non si arrese. “Che cosa ti ha fatto?” mi domandò.

Giunse con grandi falcate fino a me e pregai con tutto il cuore che non facesse ciò che stava per fare.

Mi mossi troppo tardi per sfuggire al suo sguardo.

La mano di Katerina era già arrivata a scostarmi i capelli, mentre cercavo di voltare completamente il viso dall'altra parte, per nascondere lo scempio che dovevo essere, il risultato di una vergogna che mi aveva segnato, come un marchio di fuoco sulla pelle.

Lei sussultò, si portò le mani alle labbra e guardò attonita il mio volto.

Ero così orribile? Non lo potevo sapere.

Dopo che papà si era arrabbiato con me, non avevo nemmeno avuto il coraggio di andare a guardarmi allo specchio. Ma se mi faceva così male tutto il viso, se mia sorella aveva quella faccia mentre mi guardava, voleva dire che dovevo essere ridotta davvero male.

Un abominio.

Per poco Katerina scoppiò in lacrime, si sedette vicino a me e mi accarezzò dolcemente il viso; ogni carezza un dolore che mi faceva sussultare. Non la guardai, tenni il più possibile lo sguardo basso per la vergogna di essere vista in quello stato e trattenni il fiato mentre le sue dita scorrevano su quelli che dovevano essere i lividi.

Probabilmente avevo anche un occhio gonfio, perché mi sembrava di non vedere bene.

Le lacrime che mi appannavano lo sguardo non erano gli unici ostacoli alla mia vista.

Katerina stava piangendo in silenzio. “Perché ti ha fatto di nuovo questo?” mi chiese, con voce rotta.

Non sapevo risponderle, non ricordavo nemmeno cosa avessi fatto per far arrabbiare così papà ma forse lo meritavo. Non mi avrebbe mai dato le botte, se non avessi fatto nulla di male.

Mi aveva chiamata mostro, disonore, sangue maledetto. Quelle ultime due parole furono quelle che mi erano rimaste più impresse, perché il mio sangue era il suo.

Allora, anche lui si considerava cattivo come me?

Katerina, ci penso io.” la voce di mamma ruppe il silenzio che di nuovo era piombato tra quelle pareti, come ad avvolgerci nel suo freddo abbraccio.

Volsi lo sguardo verso di lei sulla soglia della porta, ma quella volta lo feci senza vergogna.

Perché ,con la mia mamma, non sentivo il bisogno di nascondere le mie ferite; lei le avrebbe curate.

In mano teneva una piccola bacinella in legno piena d'acqua e un panno sotto braccio.

I suoi occhi erano velati di malinconia mentre ci guardava e sembrava anche lei sul punto di piangere da un momento all'altro.

Katerina si alzò lentamente in piedi e con le lacrime agli occhi. “Deve smetterla di farle questo, madre!” esclamò, la voce più incrinata rispetto a poco prima. Ma aveva una forza nascosta in essa che mi colse di sorpresa. “Non ha fatto nulla di male, è solo una bambina!”

Volevo dissentire; avevo tredici anni e non ero una bambina.

Io ero grande, ma si diceva che i grandi non sbagliavano mai e che sapevano difendersi.

E io invece sbagliavo sempre e non sapevo né combattere e né tanto meno proteggermi.

Ci sarei riuscita una volta cresciuta? Quel pensiero mi risollevò un poco il morale.

Mamma non disse nulla, prese un lungo respiro e la superò avvicinandosi a me. Mi si sedette accanto, portò i miei capelli dietro le orecchie e per un attimo i suoi occhi seguirono le linee dei lividi che io non riuscivo a vedere. E che non volevo vedere.

Katerina restò immobile, in piedi vicino alla porta e guardava quello spettacolo con lacrime ormai evidenti. Nostra madre bagnò leggermente il panno e lo portò al mio viso, posandolo delicatamente sopra la cute, con l'intento di curare le mie ferite.

Il panno si muoveva gentilmente, quasi non volesse violare la mia pelle oramai già violata, ma il dolore giunse comunque troppo forte. Le carezze che lei e Katerina mi avevano rivolto divennero macigni, a causa dell'odio che mio padre mi aveva marchiato sul corpo.

Volsi lo sguardo verso di lei e la vidi piangere.

Era colpa mia se piangeva. Lei piangeva sempre per me e così valeva lo stesso per Katerina.

Forse papà aveva ragione quando diceva che ero cattiva, altrimenti non avrei fatto soffrire le persone che amavo più della mia stessa vita in quella maniera.

Oh dear mother, i love you. I'm sorry, i wasn't good enough

Cara mamma, ti voglio bene. Mi dispiace, non sono brava abbastanza.

Era quello che volevo dirle in quel momento, mentre mi regalava le sue cure, mentre quasi silenziosamente si accusava di non essere riuscita a proteggermi. Ma lei non aveva alcuna colpa.

Scese di nuovo il silenzio, ma le lacrime in quella stanza gridavano talmente forte che distrussero il suo abbraccio.

* * * *

Gli incubi continuavano a tormentarmi.

Erano sogni terribili, tetri ma privi di logica: notti in un prato verdeggiante, figure nell'ombra, Klaus che mi uccideva...erano senza senso, eppure venivano a soffocare i miei sogni con le loro inquietanti illusioni tutte le notti. Come se la realtà non fosse stata già inquietante di per sé.

Mi sforzai di non pensarci; avanzai rapidamente lungo il corridoio in direzione della camera di Elijah, che trovai aperta. Quella mattina il tempo era a dir poco brutto: nuvoloni neri sembravano rincorrersi velocemente nel cielo, accompagnati dal forte vento. Ogni tanto si sentiva un tuono in lontananza, l'aria voleva avvisarci che un violento temporale avrebbe potuto investire la terra da un momento all'altro.

Elijah era in piedi vicino alla finestra, da dove quelle nuvole nere si affacciavano. Stava preparando una sacca da viaggio e teneva lo sguardo fisso su di esso, mentre lo riempiva di effetti personali.

Mi aveva detto che sarebbe partito con Rebekah per qualche giorno, per motivi a me ignoti, ma vederlo prepararsi per quel “viaggio” mi provocò un tuffo al cuore e un vuoto all'altezza dello stomaco.

Bussai docilmente sulla porta, per attirare la sua attenzione e i suoi occhi neri si alzarono rapidamente verso me. L'espressione era stranamente dura, come se, fino a poco prima, la sua mente stesse conversando con pensieri talmente preoccupanti che lo avevano strappato dalla realtà.

Alzai la mano, come per salutarlo e poi gli mostrai il diario che ero riuscita miracolosamente a riportare quasi all'aspetto originario. Le pagine ancora sembravano voler scappare dai bordi e la forma non era più propriamente rettangolare, ma mi accontentavo.

Non volevo un altro diario; quel dono era troppo importante per me.

Lo hai sistemato?” mi chiese. Non sorrise e nemmeno distrusse quell'espressione fredda che mascherava il suo viso, ne rimasi così sorpresa che il sorriso sulle mie labbra divenne uno sforzo. “Ne sono contento.”

Tornò poi a guardare la sacca che aveva tra le mani.

Qualcosa lo turbava, ma cosa? Sembrava quasi arrabbiato, ma allo stesso tempo combatteva con quella sua rabbia, come se ci fosse altro di più importante da fronteggiare dentro di lui.

Feci un passo per avvicinarmi, abbassando il diario accanto alla mia gamba sinistra e lo scrutai attentamente. Elijah aveva di nuovo rivolto lo sguardo verso il sacco e lo stava chiudendo con un gesto rapido e deciso; sentiva i miei occhi interrogativi su di sé eppure li stava ignorando.

Decisi che era solo una mia impressione e gli chiesi a gesti dove stesse andando insieme alla sorella. Non me lo aveva detto; la meta verso cui erano diretti sembrava dovesse restare nascosta.

Dobbiamo svolgere...delle commissioni.” rispose, sempre con voce fredda e dopo avermi lanciato un'occhiata. Si girò poi verso me, portandosi la sacca sulla spalla. “Saremo di ritorno entro un paio di giorni.”

Calò un silenzio profondo, che parve circondare noi ma sopratutto i nostri sguardi.

Loro non si separarono mai, come se si stessero studiando così in profondità da non potersi perdere nemmeno per un istante.

Non era solo arrabbiato; era stanco, preoccupato, infastidito, nervoso...era troppe cose e tutte si mescolavano sulla sua espressione. Non capivo se ero io a causargli quella reazione o altro.

Che hai?

Quando mi vide porgli quella domanda, scosse un attimo la testa ma non rispose subito.

Temetti non volesse darmi una vera risposta, ma lui non era il tipo da nascondere la verità.

Rebekah mi ha detto una cosa..” disse solamente, dandomi solo quelle sei parole come spiegazione al suo comportamento. Quando sentii nominare Rebekah, corrugai la fronte confusa: ultimamente sembrava che tutto ruotasse attorno alle sue parole o ai suoi sguardi.

Quasi fosse la custode di un segreto importante, ma era indubbio che io dovevo starne fuori.

Non è questo che mi preoccupa però.” Elijah parlò rapidamente, prima che potessi elaborare un benché solo minimo gesto per potergli chiedere ulteriori spiegazioni. Distolse per un istante lo sguardo, volgendolo verso un punto dietro di me e poi abbassò nuovamente gli occhi sul mio viso. “Quando tornerò, devo assolutamente dirti una cosa. È troppo importante affinché tu non la sappia.”

Ma perché ultimamente tutti parlavano per enigmi? Ogni parola sembrava celare un mistero, quasi volessero dirmi delle verità ma allo stesso tempo volessero tenermele nascoste. Era un atteggiamento che mi infastidiva, perché mi faceva sentire completamente tagliata fuori dal loro mondo.

E comunque, Elijah stava in parte mentendo; quello che Rebekah gli aveva detto doveva essere comunque responsabile di quell'espressione dura sul suo volto.

Come lui poteva sentire il mio cuore, anche io ogni tanto potevo leggere i suoi occhi.

Passa più tempo possibile con Katerina. Niklaus sarà impegnato per altre sue faccende e dubito possa stare molto tempo con voi.” Elijah fece un passo verso di me, parlandomi con fredda premura.

Abbassai gli occhi, incapace di sorreggere i suoi. “E stai attenta, mi raccomando.”

Dovevo alzare lo sguardo su di lui, un'ultima volta, prima che lasciasse quella stanza.

Non lo avrei più visto per un po' di giorni, quindi dovevo per forza imprimermi un'immagine del suo volto, prima che se ne andasse. Appena lo feci, lui fissò gli occhi nei miei e poi mi superò, sfiorandomi delicatamente la spalla con la sua.

Non osai voltarmi, restai con le braccia lungo i fianchi e gli occhi che fissavano il vuoto, fuori dal vetro della finestra. Lui però si era fermato sulla soglia della porta, il suo profumo era ancora fortemente troppo vicino a me e non percepirlo era impossibile.

C'è molto altro che devi affrontare, Irina.” disse, con voce dura. Le sue parole mi colsero così di sorpresa, che lentamente mi voltai a guardarlo. Era immobile vicino alla porta, con la testa leggermente piegata nella mia direzione e lo sguardo fisso sul mio volto. “Meriti di sapere la nostra verità, ma anche di ricordare la tua.”

Era inutile dire che non capivo di cosa stesse parlando, ma i suoi occhi erano così profondi che comunque annuii, malgrado non avessi la benché minima idea di cosa mi stesse chiedendo.

Mi concesse un ultimo sorriso.

Un battito di ciglia e poi era scomparso.

Mi ero così aggrappata alla sua immagine che, per poco, mi ritrovai stordita mentre fissavo il vuoto.

Uscii rapidamente dalla stanza, fermandomi nel corridoio vuoto ma senza trovare la figura di Elijah.

Per diversi secondi, rimasi immobile nel silenzio che mi circondava, mentre la mia testa tuonava mille pensieri. Ma perché non mi aveva detto chiaramente cosa era successo? Perché ogni cosa mi sembrava turbarlo?

Una presenza dietro di me mi destò da quei pensieri.

Ma non era di Elijah.

Guardai alle mie spalle, con la coda dell'occhio e scorsi Klaus che stava fermo a pochi passi da me, con il busto rivolto verso il corridoio che svoltava alla mia sinistra, ma lo sguardo fisso su di me.

La sua espressione era sempre fredda, come lo era stata in quegli ultimi e lunghi giorni e sinceramente ne fui stanca.

Serrai le labbra; lui abbassò lo sguardo.

E mi allontanai velocemente, scomparendo dietro l'angolo.

* * * *

Acceleriamo o ci coglierà il temporale.” disse Katerina, allungando i suoi passi.

Il vento si alzò imponente, attraversando i tessuti dei nostri abiti mentre camminavamo lungo il prato. La villa era ancora lontana, ma riuscivano a scorgerne le pareti chiare oltre gli alberi.

Il tempo non era migliorato dalla mattina precedente; le nuvole nere avevano soffocato l'azzurro con il loro colore tendente al violaceo e ogni tanto un tuono li divideva a metà, rimbombando tra le pareti del creato in tutta la sua potenza.

Katerina mi stringeva la mano saldamente, non l'aveva lasciata nemmeno un attimo da quando eravamo uscite quella mattina, come se avesse percepito le mie preoccupazioni e cercasse di scacciarle via con la sua presenza. Stavo sforzandomi di non pensare più alle parole di Elijah, a Belial, al comportamento di Klaus....ma i miei pensieri si soffermavano sempre e comunque su di loro. La mie mente si era ormai abituata a rivivere le immagini e le parole che li riguardavano, senza poterli combattere.

Ho saputo che nostro padre vuole che tu torni a casa.” Katerina attirò la mia attenzione, senza rendersi conto di aver portato a galla un altro dei miei numerosi problemi. Volsi lo sguardo verso di lei, i suoi occhi scuri sembravano rispecchiare l'oscurità del cielo sopra le nostre teste. I

l vento le scompigliò i ricci scuri, muovendo anche i ciuffi ribelli, che erano sfuggiti dalla mia coda di cavallo, e stavano danzando sul mio volto.

Sarei una bugiarda se ti dicessi che non dovremmo tornare mai più in Bulgaria.” disse ancora lei, abbozzando poi un sorriso malinconico. Le sue dita strinsero più forte il mio palmo, tanto che le unghie quasi affondarono nella mia carne. “Ma se lui vuole rovinarti nuovamente la vita, se vuole di nuovo strapparti il sorriso dalle labbra...sappi che io non glielo permetterò. Non più. Non ora che hai conosciuto la vera felicità.”

Parlò con fermezza e decisione, come quella volta in cui disse a nostra madre che papà doveva smetterla di arrabbiarsi con me. Ma nessuno le aveva dato ascolto; purtroppo era lui che comandava e decideva per noi, io, come Katerina ed Ada, potevo solo sottomettermi al suo volere.

In quel momento però, Katerina parlava con una sicurezza nei toni e con un evidente forza d'animo che mi sembrò quasi di sentirmi protetta, al sicuro di fronte ad un ipotetico futuro in Bulgaria che avremmo dovuto vivere insieme.

Peccato che non ci sarebbe mai stato, né per lei e nemmeno per me.

Io non avrei permesso che tornasse a soffrire tra i pregiudizi e le credenze fasulle della gente del nostro villaggio e io...io avevo già deciso cosa fare del mio futuro.

Anche se era una scelta egoista, perché avrei ottenuto l'eternità, ma avrei perso mia sorella.

Dissi a me stessa di nuovo di non pensare a nulla: ogni pensiero negativo ne chiamava un altro e ne ero davvero stanca.

Le sorrisi di rimando, per ringraziarla di essere sempre così protettiva nei miei confronti.

Accelerammo ulteriormente il passo, quando ormai era evidente che un forte acquazzone sarebbe scoppiato di lì a poco.

Quasi corremmo lungo quella vasta distesa di verde e la villa si fece sempre più vicina.

C'è...una carrozza.” Katerina si fermò per un istante, alzai lo sguardo su di lei confusa, per poi rivolgerlo rapidamente verso l'ingresso della villa, dove si trovava ferma una carrozza scura di cui riuscivamo a scorgerne solo la parte posteriore dalla nostra posizione.

I cavalli sbuffavano rumorosamente, nitrendo di tanto in tanto, mentre una figura con indosso un mantello scuro e degli abiti pesanti ci dava le spalle. La sua testa si muoveva da un lato e dall'altro, sembrava si stesse guardando attorno alla ricerca di qualcosa.

Noi eravamo ancora troppo lontane per poterne davvero cogliere la figura, ma mi parve avesse i capelli bianchi e lunghi, che si muovevano sopra le spalle in balia del vento. Quest'ultimo si era fatto più freddo e tagliente; appena avrebbe abbandonato la terra, la pioggia ci avrebbe sicuramente raggiunto.

Katerina sorrise, mentre io scrutavo con attenzione quella figura sempre più vicina. “Lord Niklaus deve aver invitato qualche nuovo ospite.” disse tranquillamente, mentre quella figura si voltava. “Magari è...”

Ci fermammo di colpo, quando quella figura si voltò verso di noi.

Le nostre mani si separarono.

Il panico attraversò i miei muscoli come una violenta scarica che li immobilizzò e il mondo attorno smise di essere vivo, mentre qualcosa dentro mi moriva. I miei occhi non riuscivano a distaccarsi da quelli scuri dell'uomo che ci stava fissando, con i lineamenti delineati dalla rabbia e la postura talmente rigida ed immobile da farmi venire i brividi.

Nostro padre.

Dovevo svegliarmi.

Doveva trattarsi di un incubo, un terribile incubo. Non poteva essere altrimenti. Gridavo a me stessa di svegliarmi, di destarmi da quel sonno e di correre via il più lontano possibile, di tornare nella realtà.

Ma era quella la realtà e non potevo semplicemente scappare in un sogno in quel momento.

Lui guardava solo verso me, tutta la sua collera era focalizzata sulla mia immagine, mentre Katerina prese a respirare in maniera troppo accelerata facendo scorrere lo sguardo da lui a me.

Sapeva che il vero temporale stava per scoppiare, quello che davvero ci avrebbe coinvolto entrambe, in una spirale di dolore e paura che ci avrebbe solamente fatto del male.

Conoscevo quegli occhi carichi di odio che avevo sempre desiderato donarmi un po' di affetto.

Conoscevo quelle labbra serrate che avevo sempre voluto vederle sorridermi.

Conoscevo quei pugni serrati da cui avrei tanto voluto avere anche solo una carezza.

Conoscevo tutto. Tutto quello che lui mi aveva dato, al posto di ciò che desideravo.

Si avvicinò a noi velocemente e ogni suo passo in avanti, ne valeva due miei indietro.

Volevo scappare. Dovevo farlo, se volevo sfuggire alla sua rabbia, quella che stava per esplodere ed investirmi con la sua violenza.

Irina? Irina, calmati.” Katerina cercò di infondermi un po' di coraggio, mentre mi voltavo e cercavo di allontanarmi, quasi correndo. Ma la ignorai: dovevo andarmene,perché non ce la facevo ad affrontarlo.

Avevo troppa paura.

Irina!” gridò mio padre, subito dopo che un lampo tagliò il cielo in due. “Irina, fermati subito!”

Obbedii, senza che realmente volessi farlo.

Poiché l'ubbidienza che mi era stata imposta nei suoi confronti tornò prepotentemente a farsi sentire. Mi pietrificò il corpo ma non lo sguardo, che vagava nello spazio, pur di non posarsi su di lui.

Anche lui si fermò; Katerina rimase tra noi ma la sua figura divenne solo una comparsa in un scena che avrebbe di certo avuto un epilogo drammatico.

Guardami.” Nostro padre pronunciò quella parola con rudezza, facendomi intendere che dovevo fare ciò che mi chiedeva. Ma rimasi immobile, scossa dai tremori.

Ho detto...di guardarmi quando ti parlo, ragazzina.” urlò poi, la sua voce diveniva più alta ad ogni parola.

Se non mi fossi voltata, lui mi avrebbe costretto a farlo con la forza. Tanto valeva farlo da sola.

Mi girai lentamente, ogni fibra del mio corpo tremava al pensiero che stavo di nuovo per incontrare quegli occhi scuri che sempre mi avevano trafitta, superando le barriere del mio sguardo per giungere a martoriare la mia anima con il loro disprezzo.

Lui era il solo ad esserci sempre riuscito.

Mi fermai, quando ormai fummo l'uno di fronte all'altra, i suoi occhi si legarono ai miei.

Quest'ultimi volevano tanto abbassarsi, fuggire lontano per non dover fronteggiare l'odio che tingeva quelle iridi scure.

Ma non riuscivo a muovermi: ogni singolo muscolo del mio corpo era paralizzato, anche se intensi tremori lo scuotevano con una forza tale, che provai dolore ad ogni brivido.

Katerina combatteva con la paura e pareva volesse dire qualcosa in mia difesa, qualcosa che non avrebbe impedito a mio padre di dare sfogo alla sua rabbia.

Ma non poteva fare nulla: lui, in quel momento, non la vedeva. C'ero solo io, io dovevo essere punita.

Tu ora torni a casa con me senza fare troppe storie, sono stato chiaro?” Nostro padre calcò ogni singola parola che le sue labbra lasciarono andare. Mi puntò il dito contro, come per sottolineare l'obbligo a cui dovevo sottopormi, se non volevo fare fronte alla sua rabbia. “Mi hai già disonorato scappando in quel modo e coinvolgendo tua madre. Non ti permetterò di farlo ancora.”

Alzò il mento, spalancò leggermente gli occhi e mi rivolse contro uno sguardo talmente carico di ribrezzo che fece nascere in me talmente tante emozioni contrastanti tra loro che non sapevo come gestirle. Fuori ero immobile, rigida, fissa in quella posizione, ma dentro di me era scoppiato l'inferno.

La paura l'avevo sempre provata per mio padre, così come il dispiacere di non essere mai stata abbastanza per lui e il dolore di non aver mai ricevuto ciò che una figlia doveva avere dal padre.

Dear father, forgive me 'cause in your eyes, i just never added up.

Caro papà, perdonami perché ai tuoi occhi non sono mai andata bene.

Rabbia.

Quel sentimento non l'avevo mai provato prima.

Ogni volta che lui si arrabbiava con me, o mi picchiava, quel sentimento era stato subito soppresso, perché sentivo di meritare tutto: il suo disprezzo, le sue mani che mi colpivano o i suoi occhi che mi guardavano come se fossi un abominevole scempio che aveva distrutto la sua famiglia.

Ma non era così.

In my heart i know i failed you, but you left me here all alone.

Nel mio cuore so di averti deluso, ma tu mi hai lasciata sempre sola.

Strinsi i pugni, facendomi più rigida mentre la rabbia attraversava il mio corpo, partendo dal mio cuore e giungendo al mio cervello. Mio padre la vide, i suoi occhi si sgranarono per la sorpresa di essere sfidato, di non poter vincere con la facilità con cui poteva farlo prima.

No.

Forse lui riuscì anche a sentire la mia voce, perché mai come allora mi ero resa conto che uno sguardo, un'espressione, potevano davvero permettermi di combatterlo come mai avevo fatto prima.

Io non mi sarei mossa di là.

Poteva anche picchiarmi così forte da frantumarmi le ossa, ma io sarei rimasta ferma dov'ero.

Non gli avrei permesso di vincermi di nuovo. Elijah aveva ragione, bisognava combattere nella vita.

Sempre.

E, in quel momento, con lui dovevo assolutamente farlo.

Mi stai sfidando, ragazzina?” Si avvicinò a grandi passi verso me, nell'intento di farmi più paura possibile. Ma non ci riuscì, era la rabbia a dominarmi e lui non sarebbe mai riuscito a sconfiggerla.

Sapeva benissimo che era un nemico troppo forte da battere, quando si era in sua completa balia.

Padre, vi prego non lo fate...” Katerina cercò di impedire la sua avanzata, ma lui la ignorò.

Aveva già rinunciato a lei, aveva già accettato il disonore che lei gli aveva arrecato avendo un figlio fuori dal matrimonio. Era stata esiliata e stava pagando ciò che, secondo lui, doveva pagare.

Io invece avevo disobbedito: ero andata contro i suoi piani per il mio futuro ed ero fuggita, oltraggiando il suo volere. Dovevo pagare l'affronto che gli avevo arrecato.

Katerina lo seguì, quando lui si parò di fronte a me e mi trafisse con lo sguardo. Fortunatamente non vi era nessuno là fuori insieme a noi, eccetto i nuvoloni che assistevano alla scena, mentre altri lampi li squarciavano con le loro urla. La pioggia attendeva di cadere, come se non volesse attendere la mia rabbia che stava per divampare. Oppure quella di mio padre.

Sali subito su quella carrozza senza fare storie, le poche cose che hai qui rimarranno con tua sorella.” Indicò il carro dietro di sé, accostando il viso al mio, per imprimermi ancora di più l'idea che non potevo scappare al suo volere.

Scossi la testa così lentamente, affilai lo sguardo così tanto e mi morsi le labbra così forte che lo sconfissi. Forse lo avevo sempre fatto, ecco perché ricorreva alle mani per mostrare la sua superiorità.

No, padre!”

La voce di Katerina si fece troppo lontana, quando lo schiaffo di mio padre colpì la mia guancia destra.

Il colpo arrivò tremendamente forte e il dolore si espanse lentamente sulla pelle quando caddi a terra. Le sue dita erano giunte anche a colpire il mio orecchio, tanto che per un istante mi parve di sentire tutto rimbombare attorno a me: ogni parola di Katerina, ogni tuono nel cielo, ogni soffio di vento che mi attraversava...era tutto, tutto, un insieme di suoni troppo forti che facevano solo male.

Il mio abito si macchiò di terra, mentre tentavo di rialzarmi in piedi. Portai la mano sulla guancia, sentendola bollente sotto il mio tocco e sforzandomi di non piangere per la rabbia e il dolore.

Sei sempre stata una palla al piede, una macchia da cancellare dalla mia vita....” Mio padre diede inizio al suo soliloquio, in cui cercava di gettarmi nell'abisso del suo odio, dove sarei giunta alla mia più profonda sofferenza. Mi voltai verso di lui, restando però seduta sul terreno. “Mi hai arrecato solo infamia e disonore. Non sei mai stata degna di vivere.”

Fece un altro passo verso di me, spingendo via Katerina quando cercò di ostacolare la sua avanzata.

La sua spinta fu così rude, che quasi la fece capitolare a terra.

La rabbia che provai in quel frangente fu nulla in confronto al dolore al viso che sentivo.

La sua mano afferrò i miei capelli, con una forza che mi costrinse a chiudere gli occhi per non piangere. Mi tirò su da terra e diede uno scossone alla mia testa, mentre iniziava a trasportarmi verso la carrozza.

Quando andiamo a casa...” disse, in un fastidioso sibilo. “Ti farò pentire di aver...”

Non terminò la frase che la sua mano abbandonò velocemente i miei capelli.

Caddi a terra in un tonfo, facendomi male al braccio che, nell'impatto, finì sotto la schiena.

Non compresi subito ciò che stava succedendo perciò alzai la testa verso un punto alle mie spalle.

Scorsi allora quelle di Klaus.

Mio padre lo guardava con occhi sbarrati, mentre il vampiro gli stringeva il colletto della camicia con forza e lo spingeva contro il lato della carrozza.

Per la prima volta in tutta la mia vita, vidi mio padre avere paura di qualcuno.

Il suo sguardo, la sua bocca serrata, il suo respiro accelerato giunsero come una novità ai miei occhi, una cosa che non avevo mai visto prima.

Ma Klaus tremava visibilmente, non riuscivo a scorgere la sua espressione, ma ero certa che doveva essere distorta dalla rabbia. Lo avrebbe ucciso.

Katerina assisteva ormai impotente alla scena e, quando cercò di avvicinarsi a me per aiutarmi ad alzarmi, io ero già corsa verso Klaus. Gli presi il braccio sinistro con entrambe le mani e cercai di tirarlo via, ma lui oppose leggermente resistenza per poi arrendersi.

Mi parai tra loro due, posando le mani sul petto di Klaus e spingendolo lentamente via da mio padre.

Non lo avevo mai visto con quell'espressione sul volto, sembrava stesse guardando papà, ma che nella sua figura vedesse ben altro. Come se la scena di poco prima, lo avesse riportato indietro di secoli, quando anche lui era umano e l'unico incubo che aveva era quello della figura paterna.

Un padre che non aveva mai potuto definire tale, perché l'affetto che avrebbe dovuto ricevere da lui si era tramutato in odio e violenza.

Klaus era furioso: ero certa che sarebbe saltato alla gola di mio padre in quel preciso istante, davanti a Katerina, se non avessi cercato di calmarlo. Prendeva lunghissimi respiri, inspirando ed espirando con velocità e puntando lo sguardo contro il punto focale del mio dolore.

Non del suo, del mio.

Non doveva vedere Mikael in mio padre. Non doveva soffrire in quel modo attraverso lui.

Prova a toccarla di nuovo, stupido vecchio, e ti giuro che te ne pentirai molto amaramente!” Klaus gli puntò contro il dito, accompagnando ogni parola di quella minaccia ad uno sguardo penetrante.

Vedeva solo lui: mio padre, Mikael.

Tutto il mondo intorno a lui doveva essersi annullato, tanto che non vedeva nemmeno me, che gli ero di fronte in quel momento. Per farmi guardare da lui, per dileguare il suo odio, gli presi il viso tra le mani. Lui però mantenne lo sguardo fisso su mio padre ancora, malgrado stessi cercando in tutti i modi di fargli distogliere la figura da lui.

Lo scossi allora con più forza e finalmente riuscii ad ottenere il suo sguardo.

I suoi occhi blu si posarono nei miei, mentre cercavo di tranquillizzarlo con un sorriso, per dirgli che andava tutto bene. La sua espressione allora si rilassò sempre più, i suoi occhi persero quel barlume di follia che poco prima li aveva oscurati e mi guardò per davvero.

Mi vide; vedeva che stavo cercando di tranquillizzarlo, facendogli capire che quello non era suo padre. Non doveva ricordare, non doveva lasciare che quei ricordi dolorosi tornassero alla sua mente, di fronte all'immagine di mio padre. Sbatté più volte le palpebre, come per mettere a fuoco la mia immagine.

Tenevo ancora le mani sul suo viso, le dita accarezzavano i suoi zigomi e il mio sorriso divenne ciò che realmente vedeva in quel momento.

Come vi permettete, signore? Non avete alcun diritto di aggredirmi in quel modo!” Mio padre parlò a gran voce, con un inglese a dir poco stentato, e l'espressione di Klaus si tese nuovamente, quando il suo sguardo saettò su di lui.

Anche io mi voltai a guardarlo, Katerina si pose al mio fianco e adagiò le sue mani sulle mie spalle.

Nostro padre si stava ricomponendo, sistemandosi la camicia sgualcita e sforzandosi di regolare il respiro sempre più. Non guardava Klaus, ma un punto tra me e lui, perché dubitavo sarebbe riuscito a sostenere gli occhi del vampiro.

Tu la chiami aggressione quella, vecchio?” Klaus lo sfidò, dandogli del tu e nominandolo in quella maniera che non si dovrebbe utilizzare nei confronti di qualcuno che, teoricamente, doveva essere più vecchio di lui. Parlò in bulgaro, per dimostrargli la differenza che vigeva tra loro. “Non mi conosci affatto.”

Questi sono affari tra me e mia figlia, voi non c'entrate nulla!” Mio padre fece un passo verso noi, Klaus quasi volle raggiungerlo ma le mie mani ancora posate sul suo petto non glielo permisero. Avrebbe potuto spingermi via subito, ma non lo fece. “Perciò, non vi permettete di ostacolarmi.”

Klaus s'irrigidì ulteriormente, sembrava un predatore che attendeva il momento giusto per aggredire la sua preda. I suoi occhi erano ricolmi di odio e rabbia e si spostarono un istante su di me e sulle mani con cui stavo ancora cercando di impedirgli di avanzare verso mio padre.

La guardi.” Klaus ruppe il silenzio con quelle parole, non compresi subito che stava chiedendo a mio padre di guardare me, fino a quando lo vidi superarmi e avvicinarsi a lui. Non lo ostacolai più, perché il suo passo fu lento e leggero, non quello di una persona che stava per aggredire qualcun'altro.

Mi indicò con la mano, mio padre ancora non riusciva a guardare in volto il vampiro. “Guardi sua figlia!” gridò ancora Klaus, facendo sobbalzare me e Katerina.

Persino mio padre rabbrividì, di fronte a quella voce quasi gutturale.

Posò gli occhi su di me e per la prima volta furono diversi: per la prima volta in sedici anni di vita, mi guardavano per davvero. Non ero un mostro, un abominio, un disonore, una macchia nella famiglia Petrova da pulir via: ero semplicemente Irina.

Sua figlia è una delle persone più belle che abbia mai conosciuto in vita mia e non ha mai meritato la vita di inferno che gli hai regalato. Ed è difficile rimanere così puri, di fronte ad intemperie simili, ma lei ci è riuscita benissimo...nonostante tu abbia sempre cercato di sopprimerla.” Klaus teneva lo sguardo puntato sul viso di mio padre, il quale abbassò prontamente gli occhi nell'udire quelle parole.

Katerina mi strinse le spalle, ascoltando attentamente insieme a me le parole del ragazzo. Il cuore mi batteva troppo forte nel petto mentre guardavo il suo profilo, la sua postura rigida, la mascella serrata.

Come se stesse pronunciando parole che avrebbe davvero tanto voluto sentire rivolgere a sé stesso, quando era lui vittima di quel padre che lo aveva sempre buttato a terra. La mano era ancora puntata verso di me, perché voleva a tutti i costi che mio padre trovasse il coraggio di guardarmi di nuovo in viso.

Bontà. Altruismo. Coraggio. Forza d'animo. Bellezza. Io non ho visto nient'altro che questo in tua figlia, la ragazza che hai cercato in tutti i modi di spegnere per un'intera vita. E voglio che tu sappia che qui ci sono persone che non ti permetteranno più di toccarla anche solo come un dito. Io non ti permetterò più neanche solo di guardarla.”

Calò il silenzio, persino il cielo aveva smesso di tuonare, come se volesse ascoltare la voce di Klaus.

Io sentivo di non avere più respiro, mi sembrava che tutto l'ossigeno del mondo non fosse abbastanza per i miei polmoni. I miei occhi fermi, fissi su Klaus e la mente che ricordava quelle parole che poco prima aveva pronunciato, parlando di me, come se non fossi lì.

Lei non merita...di soffrire.” disse, concedendosi una pausa che non compresi. “Quindi, lascia subito questo paese, oppure ti farò pentire di averci messo piede. Fossi in te non oserei sfidarmi.”

Mio padre lo guardò di sbieco e lo vidi tremare sotto i suoi abiti. Intanto, alcune gocce di pioggia segnarono l'epilogo di quella scena, di cui non mi sarei aspettata un finale del genere.

Klaus si allontanò da mio padre, si avvicinò a noi e mi posò una mano sulla spalla, facendoci segno di rientrare in casa.

Mio padre fu l'unico a restare sotto la pioggia.

* * * *

Cadevano fortissimo.

Quelle gocce scendevano rapidamente sulla terra, spinte dalla forza del vento che le portava ad infrangersi sul vetro della finestra accanto a me.

Ero seduta su una delle panche nel salone che sere prima era stato teatro della nostra festa di ritorno, solo che in quel momento era avvolto nel silenzio e nel buio. Fissavo il vuoto, i miei occhi erano fermi sul pavimento e le mie orecchie captavano ogni singolo richiamo che quelle gocce di pioggia stavano lanciandomi.

Irina?” Katerina era seduta accanto a me, mi scuoteva delicatamente le spalle, cingendole con il suo braccio. Mi guardava amorevolmente, sentivo i suoi occhi sul mio volto, però non riuscivo a voltarmi per accertarmi di quello sguardo.

Mi sembrava di essere tornata alla scena di qualche anno prima, quando io ero seduta in quelle condizioni sul letto della nostra camera, con il volto martoriato dalle percosse subite e Katerina che piangeva per me, perché doveva combattere con me una lotta che non potevamo vincere.

Ma allora l'avevamo vinta.

Grazie al coraggio che avevo imparato ad avere grazie ad Elijah. Grazie alle parole di Klaus.

Ma allora perché non mi sentivo bene? Perché non sorridevo e non gioivo per l'espressione che mio padre aveva avuto poco prima?

Irina? Guardami. È finita.” Katerina mi parlò in bulgaro, soffiando dolcemente quelle parole sulla mia guancia. “Se ne andrà e resterai qui con me. Non ti porterà via, non dopo che Lord Niklaus lo ha minacciato in quella maniera.”

Non riuscii a sentire le sue parole, tanto ero focalizzata sul motivo per cui non mi sentissi bene.

Perché mi sentivo ancora così male? Lo compresi quando vidi un figura avvicinarsi a noi, i miei occhi non si ritrovarono più a fissare un punto sul pavimento ma il volto di qualcuno che si inginocchiò davanti a me.

Alzai lo sguardo dalla bocca di Klaus per cercare i suoi occhi blu che mi osservavano in silenzio. Non riuscii a decifrare la sua espressione: si manteneva freddo, ma non troppo, come se volesse assicurarsi che non rimanessi ferita anche dal suo sguardo.

Guardandolo, mi resi davvero conto del perché stessi ancora male: io non volevo lottare con mio padre. Non volevo vincerlo, proprio come non volevo perdere perché non era la lotta ciò che desideravo da lui.

No, io volevo semplicemente che fosse mio padre.

Che mi volesse bene, che fosse fiero di me, che desiderasse vedermi felice e invece avevo ottenuto tutto il contrario. Ecco perché stavo male lo stesso, se si combatte una guerra che non si vuole combattere, se ne esce sempre sconfitti.

E chi meglio di Klaus poteva saperlo?

Katerina, potete lasciarci soli per un attimo, per favore.” Klaus parlò con un sussurro, volgendo lo sguardo verso mia sorella che non si aspettava minimamente una richiesta simile. Ma acconsentì, sembrava presagire che avevo bisogno di rapportarmi con una persona che davvero poteva capirmi.

Lui.

Katerina scomparve oltre la porta, lanciandoci un'ultima lunga occhiata prima di svoltare l'angolo.

Fammi vedere.”Klaus tese le mani verso il mio viso, posò delicatamente le dita sotto il mio mento e scrutò con attenzione i segni che mio padre doveva avermi lasciato con lo schiaffo di poco prima. Mi alzò lentamente il viso e chiusi gli occhi lasciandomi andare ad un gemito di dolore, quando le sue dita strisciarono lentamente sulla mia pelle.

Lo guardai storcere il naso, come se quei segni facessero male anche a lui. “Bastardo...” ringhiò, con una tale rabbia che pensai sarebbe scattato in piedi per andare ad uccidere mio padre.

Ma non lo fece; allontanò le mani dal mio viso e mi guardò negli occhi.

Rimase inginocchiato davanti a me, il suo viso di fronte al mio e le mani adagiate sulle ginocchia, quasi sfiorando le mie. “Non devi preoccuparti, non ti porterà via.” disse poi, con voce carezzevole.

La dolcezza che impiegò nelle sue parole mi sconvolse dentro, riportandomi con la memoria al discorso che poco prima aveva fatto a mio padre. E pensare che lui stesso, giorni prima, mi aveva detto che dovevo lasciare l'Inghilterra per tornare in Bulgaria. Aveva cambiato idea?

No...” Klaus pronunciò quelle due lettere, cogliendomi di sorpresa. Allungò la mano verso il mio viso per bloccare l'avanzata di una lacrima che, solitaria, stava avanzando lungo la mia guancia. Il suo pollice la schiacciò sotto il polpastrello, per poi asciugarla via con la sua pelle. Non mi ero nemmeno accorta che quella era scappata via dalla prigione di finta soddisfazione in cui avevo rinchiuso i miei occhi.

Non c'è bisogno di piangere. Non renderà quell'uomo il padre che desideri.”

Serrai le labbra, in preda alla vergogna.

Klaus però non sembrava deridere le mie lacrime, era come se non volesse vederle. Magari, in quel frangente, gli sembrava di trovarsi di fronte ad uno specchio e di vedere il sé stesso di secoli prima.

Lui non lo merita, Irina.” Scosse la testa e mi guardò fisso negli occhi. “Il tuo affetto, intendo. Lui non lo merita.”

Ma lui lo aveva comunque il mio affetto, malgrado tutto. Ero così attaccata al desiderio di sentirmi amata da lui che, anche se mi detestava, io gli volevo bene lo stesso.

Ed era quella la cosa che faceva più male, desiderare amore ma ricevere invece odio. Era un dolore intollerabile.

Abbassai lo sguardo e intrecciai le dita tra loro e fissandole, perché mi sembrava di non riuscire a sostenere gli occhi di Klaus.

Calò un silenzio di tomba che perdurò per qualche secondo, un tuono infranse quelle barriere che si erano innalzate attorno a noi e la sua luce invase la sala, tanto che per un secondo i nostri visi dovettero essere scomparsi dallo sguardo dell'altro.

Quello non è tuo padre, il fatto che ti abbia messa al mondo non lo rende per forza tale.” disse poi Klaus, riprendendo equilibrio sulle ginocchia e continuando a fissarmi negli occhi, io feci lo stesso. “Tu sei perfetta così come sei; lui vuole solo soffocare la tua luce e spegnere il tuo animo come è spento il suo. E tu non devi farlo mai.”

Quelle parole restarono sospese nell'aria, come una nube di fumo che lentamente si sarebbe dileguata. Le parole che stava rivolgendo a me dovevano essere le stesse che avrebbe tanto voluto sentirsi rivolgere tempo addietro, quando lui era quello spinto a terra dal padre da cui desiderava solo essere capito.

Mi chiesi se, in vita sua, avesse mai ricevuto un abbraccio: non nella sua vita immortale, ma in quella umana che aveva vissuto e perduto secoli prima.

Quella in cui un abbraccio poteva valere più di mille parole.

Avevo sempre pensato che la sua freddezza, il suo cinismo e il suo risentimento verso l'umanità fossero frutto di quello che aveva patito in vita. Mai come in quel momento ne fui certa.

Io ho sempre avuto paura di mio padre. Sempre.” continuò poi, abbozzando un sorriso che aveva del malinconico e dell'imbarazzato. “Non ho mai avuto il coraggio di affrontarlo, malgrado fossi un uomo e il coraggio doveva essere una mia virtù.” Distolse lo sguardo posandolo verso il soffitto e strinse le labbra, per trattenere altre parole che avrebbe tanto voluto pronunciare, ma che avrebbero reso la sua confessione troppo umana. “Ma tu sei così piccola. Ed è da vigliacchi...distruggere i tuoi sogni, le tue speranze e il tuo spirito in quel modo.”

Non riuscii a trattenere le lacrime.

Scossi la testa, come per negare a me stessa di credere a quelle parole, e abbassai di nuovo gli occhi. Perché diavolo dovevo piangere sempre? Per una volta in vita mia, non potevo affrontare le cose a viso duro, senza che quelle maledette decidessero di scorrere lungo il mio viso?

Il problema era che le parole di Klaus stavano guarendo le mie ferite, ma allo stesso tempo stavano portando a galla il vero dolore che da una vita mi portavo dentro: io volevo bene al mio papà, gliene volevo tanto. Ma lui mi aveva sempre fatto sentire sbagliata, ma cosa avevo fatto di sbagliato in realtà?

Era giusto considerare un errore il semplice fatto di esistere?

Tirai su con il naso, una lacrima pesantissima cambiò il suo tragitto giungendo alla punta di esso, per poi decidere di schiantarsi sul palmo della mia mano.

Ma anche in quel caso, il suo destino cambiò: Klaus prese le mie mani tra le sue e quella lacrima andò a schiantarsi sul suo dorso. Alzai lo sguardo di nuovo su di lui, su quell'espressione che avevo visto così poche volte sul suo viso ma che sempre mi lasciava di stucco.

Le sue dita mi strinsero con estrema delicatezza le mani e il calore della sua pelle sembrò farsi largo tra le tenebre fredde che mi attanagliavano il cuore in una morsa.

Allora, come vuoi che lo uccida?” disse poi.

Non compresi subito le sue parole, fino a quando la sua espressione seria venne infranta da un sorrisetto furbo che per poco mi fece ridere. Stava scherzando. “La mia specialità è staccare la testa ed è da un po' che non lo faccio. A strappare cuori è più bravo Elijah, però io non sono da meno sai? Oppure posso bere ogni goccia del suo sangue, ma il sangue umano non segue la regola del vino e lui è molto vecchio...potrei stare male poi.”

Malgrado stesse parlando di tutte cose che facevano impressione, mi fece sorridere l'espressione con cui pronunciò quelle frasi. Voleva farmi ridere, con il suo solito poco tatto, ma ci stava riuscendo.

Mi asciugai le lacrime con un dorso della mano e gli sorrisi, l'altra mano restò nascosta sotto le sue, mentre anche lui rideva.

Poi abbassò lo sguardo, ricordandosi che si era lasciato andare troppo a lungo a quell'attimo troppo umano.

S'inumidì le labbra e posò gli occhi sulle sue mani, ritraendole lentamente. “Perciò, smettila di frignare e lascia perdere quell'idiota. Che andasse all'inferno, no?” abbozzò un ultimo sorriso e sembrò volerla chiudere là.

Ma non glielo permisi.

Aveva parlato lui per tutto il tempo, io non avevo potuto dirgli nulla di quello che davvero avrei voluto trasmettergli. Compii allora il solito gesto che lo disarmò come era successo settimane prima: mi protesi verso di lui e lo abbracciai, in modo che capisse che lo stavo ringraziando per quello che aveva appena fatto per me. Era chiaro che si fosse sforzato; odiava davvero tanto far emergere un lato di sé stesso che per secoli aveva represso, ma con me aveva adempito a quello sforzo moltissime volte. Per aiutarmi.

Posai il mento sulla sua spalla, i nostri petti non si incontrarono e sentivo il suo respiro attraversarmi i capelli. Chiusi gli occhi, mentre le mie ginocchia sfioravano le sue e lui restava immobile: non ricambiò, non mosse un muscolo e nemmeno respirò più ad un certo punto. Allora era proprio vero che aveva ricevuto pochissimi gesti come quello, perché sembrava quasi non fosse capace di rispondervi.

Va bene...” Tamburellò con la mano sulla mia schiena, dandovi due colpetti secchi. “Ora staccati per favore.”

Parlò con durezza, ma non m'incantò. Voleva solo preservare il suo orgoglio, da vampiro cattivo e vecchio secoli. Obbedii, ritraendomi un poco e lanciandogli una lunga occhiata, quando i nostri volti tornarono a trovarsi l'uno di fronte all'altro.

...non doveva succedere. Non con te....

Di nuovo quelle parole.

Rimbombarono con troppa violenza dentro la mia testa, costringendomi a stringerla tra le mani.

Chiusi gli occhi gemendo di dolore, come se il loro eco stesse graffiando sulle pareti della mia mente.

Ehi? Che ti prende?” Klaus mi strinse le spalle, mentre restavo rannicchiata su me stessa, nell'intento di sopprimere quella voce che si ripeteva di continuo.

Finalmente scomparvero, quelle parole e il loro eco, lasciandomi nel silenzio di poco prima.

Ma perché erano giorni che mi succedeva una cosa simile? E perché mi succedeva...sempre quando ero con Klaus? Prendendo un lungo respiro, alzai la testa di scatto ma commisi un grave errore: il viso di Klaus si era avvicinato alla mia nuca, mi reso conto solo dopo che ciò che soffiava tra i miei capelli era il suo respiro. Lui allontanò il volto prima che lo colpissi con la testa, ma non si allontanò molto: ci guardammo a lungo, mentre i nostri respiri si scontravano sulle labbra dell'altro, respiri troppo accelerati affinché riuscissimo a controllarli.

...Tu sei una maledizione...

Altre parole si ripeterono nella mia mente, ma non mi fecero male.

Mi diedero solo la conferma che era lui a causarle. E quelle voce era la...

Quando ci allontanammo rapidamente, una figura apparve sulla soglia della porta: Katerina era dietro di essa e la guardava con aria impaurita.

Era nostro padre.

Ci guardava gravemente, con una strana espressione sul volto. Non era odio, risentimento, rabbia o tutto ciò che lui era stato sempre bravo a mostrare: era serio, freddo, come se stesse trattenendo dentro qualcosa che gli faceva male.

Klaus scattò in piedi furiosamente. “Non ti ho detto di sparire?” gli chiese in bulgaro, con una parvenza di minaccia nella voce.

Si avvicinò rabbiosamente a lui, tanto che mi alzai anche io in piedi, con la paura che lo aggredisse di nuovo. Katerina diceva qualcosa a mio padre, cercando di tirarlo via ma lui non l'ascoltava.

Devo parlare con lei.” disse semplicemente, lanciandomi una lunga occhiata che non compresi.

Tu non devi parlare proprio con nessuno. Ora vattene, questa è casa mia.” Klaus gli posò le mani sulle spalle, cercando di farlo uscire dal salone. Katerina si tirò indietro, per scansarsi dalla traiettoria dei due uomini che iniziarono a gridarsi addosso parole. Parole talmente cariche di rabbia, che si intrecciarono tra loro divenendo solo un ammasso di lettere e suoni che si frapponevano tra loro.

Urla, solo urla.

Rimasi a fissare la scena inebetita, cercando di cogliere almeno qualche parola in quelle grida.

Deve sapere la verità.”

Tu non le dirai proprio nulla.”

No, dovete permettermi di dirle perché...”

Vattene.”

I toni di voce si smorzarono lievemente, ma Klaus continuò a spingere lentamente mio padre. Quest'ultimo si ammutolì un attimo, comprendendo che affrontare Klaus gli avrebbe procurato solo una sonora sconfitta. E chi sa di perdere, è costretto a gridare la sua sconfitta.

Lei non è mia!”

Silenzio.

Klaus si fermò. Katerina volse lo sguardo verso mio padre. Lui guardava fisso verso di me.

Io non provai nulla.

Provai solo un senso di attonito sgomento, mentre ripetevo quelle quattro parole nella mia mente, canalizzandole tra i miei pensieri per cogliervi un vero significato.

Un significato che io non volevo vedere.

Klaus lasciò il colletto della camicia di mio padre e mi lanciò un'occhiata veloce e confusa, lo stupore era dipinto sul suo viso e sul suo sguardo incredulo.

Che...che significa?” domandò Katerina, scuotendo la testa confusa.

Io ero sola davanti a loro; temetti che se la domanda di mia sorella avesse avuto risposta, sarei crollata in quel preciso istante.

Quell'uomo, l'uomo da cui avevo per sedici anni desiderato affetto, l'uomo che mi aveva regalato solo il suo odio, prese un lungo respiro. “Tu non sei mia figlia, Irina.” disse.

Arretrai di un passo e lo guardai, quasi pregandolo di rimangiarsi ciò che stava dicendo. “Non ti ho mai odiata perché sei muta o per le dicerie che giravano nel villaggio sul tuo conto...ti ho sempre odiata, perché sei il frutto di un adulterio di tua madre.”

Le ultime lettere della sua frase vennero soffocate dal silenzio.

Silenzio in cui riuscivo solo a sentire il rumore del mio cuore che batteva sempre più veloce, lo sguardo divenne tremante e la gambe molli.

Katerina si portò una mano alle labbra. Klaus abbassò lo sguardo quasi sbarrato, sbattendo poi più volte le palpebre, mentre rielaborava le parole di mio padre. Di quell'uomo. Di quell'estraneo.

Qualcuno doveva dirmi che era una bugia, uno scherzo di cattivo gusto, ma tutti tacerono.

Era la verità, lo era stata per ben sedici anni ma era venuta a galla solo dopo tutto quel tempo.

Strinsi i pugni, il petto mi faceva male davvero troppo forte.

L'estraneo fece un passo verso di me, né Klaus e nemmeno Katerina lo fermarono. “Mi dispiace.” disse.

Mi dispiace? Scossi la testa sconvolta, perché non erano quelle le parole che volevo sentirmi dire da lui.

Volevo sapere chi era il mio vero padre, chi mi aveva dato una vita a cui non ne aveva mai preso parte.

Meritavo di sapere, dopo che lui aveva osato prendersi il diritto di umiliarmi come se fossi sua.

Quell'uomo comprese ciò che volevo sapere, prese un lungo respiro e abbassò un istante gli occhi.

Un forestiero apparve nel nostro villaggio sedici anni fa. Io ero via per lavorare nei campi, tua madre era sola...e hanno passato una notte insieme. Lei me lo confessò subito, quando scoprì di essere incinta di te.”

Si zittì qualche istante, mentre ripensavo al volto della mia mamma. Quell'estraneo la odiava per colpa mia, ma non perché fossi soggetto di mille e mille pregiudizi, ma perché lo aveva tradito e aveva avuto me. In un modo o nell'altro, ero comunque stata la sua sciagura.

Deglutii, sentendo che mio padre doveva dire dell'altro.

E malgrado la vista offuscata dalle lacrime, non distolsi lo sguardo da lui nemmeno per un istante.

Era alto, biondo e con gli occhi blu come i tuoi. Di una bellezza disarmante, dicevano, con un viso d'angelo e un sorriso demoniaco.” continuò.

Di nuovo silenzio.

Mi sentii pietrificare mentre sentivo quelle parole, parole che avevo già ascoltato tempo prima e che sapevo non avrei mai dimenticato.

Si faceva chiamare Bell.”

No.

Un epilogo causa sempre più dolore di un inizio, in quel caso già di per sé troppo doloroso.

Il cuore si fermò nel petto, ne fui certa. Mi portai le mani tra i capelli, scuotendo la testa sconvolta e negando a me stessa tutto quello che avevo sentito.

Bugia. È solo una sporca bugia.

Non poteva essere vero, non potevo essere davvero figlia di quel demonio.

Ma tutto aveva senso: non potevo essere soggiogata e avevo...inutile negarlo, avevo fatto io qualcosa a Mikael quando questi aveva aggredito Elijah. Quella rabbia si era tramutata in una violenta scarica che io avevo creato. Perché, dentro di me, scorreva del sangue...malvagio.

L'uomo che in quel momento desiderai fosse davvero mio padre stava dicendo dell'altro, altre parole che però non giunsero nemmeno alla mia mente.

Non avevo pensieri in quel momento, non avevo nemmeno un'anima che potesse guidare il mio corpo.

Ero solo lacrime, il martellare di un cuore in procinto di spegnersi che stava e sangue marcio.

Sangue sporco.

Ecco perché quell'estraneo mi aveva chiamato in quel modo tempo prima.

Avevo davvero del sangue sporco in corpo, sangue marcio che non meritava di vivere. Ero un mostro.

Gridavo a me stessa di svegliarmi, perché era solo un incubo. Doveva essere altrimenti, no? Non poteva essere il contrario. Tutto quello che avevo sentito non poteva essere vero.

Qualcuno si avvicinò a me e cercò di parlarmi; Katerina mi prese le spalle e mi scosse, come se volesse riportarmi alla vita.

Le sue labbra si muovevano in parole leggermente gridate, gli occhi lucidi fissi su di me.

La sua immagine traballava, ogni tanto si faceva più vicina, poi più lontana.

Suo padre era dietro di lei e mi guardava fisso in volto.

Klaus ancora più indietro, aveva gli occhi sbarrati fissi sul pavimento e una mano sulle labbra.

Silenzio, ancora silenzio.

Il cuore che gridava dentro il mio petto sovrastava tutti i rumori che dovevano circondarmi.

Ma era troppo pesante da sopportare, così come trovai opprimenti quegli sguardi che Katerina e quell'uomo mi regalavano e quello che Klaus invece mi negava.

Non ce la feci più, non potevo restare là nemmeno per un istante.

Mi liberai della mani di Katerina e corsi fuori dalla stanza.

Nessuno provò a fermarmi.

* * * *

If i could hold back the rain, would you numb the pain?

'Cause i remember everything

If i could help you forget, would you take my regrets?

'Cause i remember everything.

Il temporale si fece meno violento, mentre correvo verso nessun luogo.

Sembrava che avessi spaventato anche le nuvole con la mia presenza, che correvano nel cielo verso la parte opposta alla mia. Il vento invece sembrava spingermi più lontano, indicandomi la via da prendere per finire nel nulla. Sentivo le sue mani posarsi sulla mia schiena, mentre accelerava la mia corsa e mi spingeva sempre più. Le fronde degli alberi si muovevano con insana rapidità, alcune foglie vennero strappate dalle loro braccia e corsero via insieme al vento, insieme a me.

I capelli mi si appiccicarono al viso, pesanti e bagnati, e il vestito era completamente zuppo, tanto che ostacolava i miei passi veloci.

Non sapevo nemmeno io perché stessi correndo in quel modo, con il cuore in gola e il respiro che ormai era diventato troppo corto. I miei piedi schiacciavano il terriccio di quella stradina, setacciata dalla pioggia, mentre fuggivo via da un nemico chiamato verità.

Una verità intrisa in quel dolore logorante che mi stava bruciando dentro.

Bell, Belial, il mio incubo era mio padre. E da un incubo, non può che nascere un altro incubo.

Sangue sporco.

Dentro le mie vene scorreva sangue maledetto.

Inciampai sui miei piedi, finendo di faccia sul terreno e sporcandomi il vestito di fango. La forza che mi aveva spinto a correre fino a qual momento, non mi aiutò a rialzarmi da terra. Affondai le dita nella terra, mentre le gocce di pioggia continuavano a cadere sul mio corpo sconfitto.

Piansi più forte, sentendo il tremore scuotere le mie membra insieme ai singhiozzi che non volevano restare assopiti tra le mie labbra. Il terreno sotto il mio viso accolse le mie lacrime, le lasciò riposare in esso mentre il vento portava via le mia silenziose grida di dolore.

Ma niente; in quella vasta natura poteva permettere di rialzarmi. Ero stata sconfitta dal mondo intero, ormai non c'era più vittoria per me ed ero destinata a restare a terra per tutta la vita.

Ma qualcuno, qualcuno che aveva sconfitto la natura ancor prima di non farvi più parte, mi fece rialzare.

Trovai due piedi di fronte a me, due scarponi sporchi di pioggia e fango e una mano tesa verso il mio volto.

Alzai lo sguardo, i capelli mi ricadevano pesantemente sopra il viso, ma l'immagine di quel ragazzo non mi sfuggii: un'espressione seria mascherava quel volto, gli occhi erano puntati su di me, sul verme che strisciava dopo l'ennesima sconfitta, e la mano restava sospesa tra il mio e il suo sguardo.

Non mi chiesi nemmeno perché mi avesse seguita, sentivo solo il bisogno di provare a rialzarmi da quella terra che si era offerta di raccogliere il mio corpo distrutto.

Alzai la mano per prendere la sua, le sue dita avvolsero le mie e mi tirarono in piedi con forza.

Mi sostenni fortemente ad esse, per non cadere di nuovo e mi strinsi poi le braccia al petto.

Io e Klaus ci guardammo a lungo, il vento che soffiava gelido su di noi e le gocce di pioggia che si gettavano sui nostri corpi e sulla natura che ci circondava furono gli unici rumori che rompevano il silenzio che ci legava.

Mi aspettai che dicesse qualcosa riguardo quello che aveva sentito poco prima, che magari mi dicesse che dovevo davvero andarmene il più lontano possibile allora. Ma Klaus non parlò, i suoi occhi erano fissi sul mio viso, scindendo le lacrime dalle gocce di pioggia che lo bagnavano.

Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, sentivo il bisogno di starmene per conto mio, sola con i soli miei pensieri a farmi compagnia. Pensieri che ovviamente non avevano pietà di me e che continuavano ad infierire su quelle ferite appena aperte.

Lo superai, trattenendo le lacrime e alzando le spalle per bloccare il freddo che soffiava sul mio collo nudo. I miei passi si muovevano goffamente sul terreno, strisciando quasi sopra di esso, mentre i capelli danzavano attorno al mio viso, lasciandovi scorrere sopra diverse gocce umide.

Dove stai andando?” mi gridò Klaus, per sovrastare la potenza della pioggia e restando immobile dietro di me. La distanza tra noi doveva farsi sempre più ampia, la sua voce mi sembrava così lontana che quasi non mi pareva nemmeno la sua.

Ma era solo smorzata dalla forza del vento e della pioggia, che la soffocavano con le sue grida.

Non lo so.

Se ci fosse stato un posto fuori dal mondo, fuori dalla realtà, un piccolo angolo privo di spazio e tempo in cui andare, sarebbe stata la meta perfetta da raggiungere.

Meritavo la mia paura, quella di essere completamente sola.

Mi ero illusa di non meritare la solitudine, di avere il diritto di cercare la felicità e di costruirmi un futuro, ma così non era. Non meritavo nulla di ciò che volevo, perché ero un solo affronto alla natura, viste le mie origini.

Fermati subito.”

Klaus pronunciò quella parole, quando oramai mi aveva fermata: si era parato di fronte a me in tutta la sua altezza, le sue spalle coprivano la visuale dell'orizzonte nero che si stagliava davanti a me e che sapevo non avrei mai veramente raggiunto.

Non osai alzare lo sguardo su di lui; volevo che il suo viso restasse lontano dai miei occhi, come se non meritassi nemmeno di guardarlo. Provai a superarlo, ma lui si mosse rapido e giunse a bloccarmi il cammino con il suo petto.

Vattene!

Smettila di fare la sciocca e torniamo a casa, se non vuoi farti venire un colpo.”

Quando il pensiero di volerlo mandare via balenò nella mia mente, lui pronunciò invece quelle parole con estrema calma. Io ero fuori di me, sarei potuta scoppiare in un'altra crisi isterica o di pianto da un momento all'altro, mentre lui, l'irascibile e lunatico Klaus, sembrava la tranquillità fatta a persona.

Si stava rendendo la parte di cui avevo bisogno in quel momento.

Provai nuovamente a superarlo, con l'ostinazione di voler davvero restare da sola per qualche minuto, per qualche ora, per sempre.

Ma Klaus non accettò obiezioni; mi strinse le spalle tra le mani e provò ad impedirmi di avanzare.

Lasciami.

Smettila, Iry.”

Le mie mani cercavano di respingerlo, le sue di trattenermi.

Andammo avanti in quel modo per pochi istanti, fino a quando, troppo improvvisamente, tutto sembrò tornare al proprio posto.

I colori scuri del cielo, quelle pesanti gocce di pioggia, il vento tagliente, l'abisso del mio dolore...tutto ciò che fino a pochi istanti prima sembrava essere solo la parte di una realtà lontana e di cui non potevo più far parte, tornò a circondarmi.

Per colpa o grazie a Klaus, che mi gridò di smetterla.

Quando le mani di Klaus mi strattonarono con rudezza, non per farmi del male, ma per riportare indietro qualcuno che lui conosceva, ma che non era mai esistito.

Io ormai ero solo il residuo di quel qualcuno, che pochi attimi prima si era spento nella sala di casa sua.

Indossavo il suo volto, il suo corpo ma non possedevo più la sua anima.

Non avevo mai avuto la sua anima.

Però, quando Klaus mi strinse più forte le spalle, mi sembrò che quell'anima che credevo di avere stesse tornando prepotentemente a galla, facendosi sentire con tutta la sua forza.

Ora falla finita!” esclamò, le dita che premevano così forte sulle mie braccia da farmi male.

Mi diede un altro scossone, non troppo violento, per avvicinarmi ancora di più al suo viso, come se volesse che lo guardassi negli occhi, che mi perdessi in quelle iridi chiare per trovare la forza di combattere quella nuova realtà che si era posta davanti ai miei occhi.

Non penserai davvero di scappare come una vigliacca! Tanto le cose non cambieranno, Irina...e tu hai già un luogo dove stare, non dove fuggire.”

Ma aveva sentito ciò che aveva detto il padre di Katerina?

Ero figlia di un mostro e dentro le mie vene scorreva il suo sangue. Come potevo oramai vivere con loro, dopo aver saputo che un loro ipotetico pericolo potevo essere proprio io?

Provai a liberarmi dalla sua presa, ma fu tutto inutile.

Non riuscivo nemmeno a distogliere lo sguardo dal suo, perché era l'unico appiglio che riuscivo a trovare in quel momento, quando tutto il mondo sembrava andare a rotoli.

Io capisco come ti senti.”

No, non puoi. Lui era figlio di un adulterio, come me, e suo padre lo odiava per quel motivo.

Ma lui non era figlio di un mostro come Belial: lui aveva potuto godere della sua umanità quando l'aveva posseduta, lui davvero non meritava l'odio che Mikael gli aveva donato quando era in vita.

Io, invece, dovevo meritarlo.

Cosa ne poteva sapere lui?

Il mio vero padre era un licantropo.”

Dopo lunghi attimi di silenzio, in cui la pioggia batteva su di esso, Klaus pronunciò quella parole con profonda serietà. La smisi di divincolarmi e piantai i miei occhi nei suoi, trovandovi unicamente qualcosa che fino a poco prima stavo combattendo, ma di cui in quel momento sentivo davvero il bisogno.

Klaus sapeva benissimo di avermi rivelato qualcosa che mi coinvolgeva, qualcosa che mi facesse sentire meno lontana dal mondo in cui avevo vissuto fino ad allora. Venni un attimo colta dal dubbio che mi stesse mentendo, ma i suoi occhi trapelavano talmente tanta sincerità, che soffocai rapidamente quel dubbio. Serrai le labbra, anche l'interrogativo su quale fosse la vera natura di Klaus venne subito assopito, e le lacrime ripresero a scendere sul mio viso, unendosi alle fredde gocce di pioggia che già lo solcavano.

Klaus piegò la testa da un lato, fiero di essere riuscito a reprimere la parte irrazionale di me, troppo intenta ormai ad ascoltarlo. “Quindi so come ti senti, so cosa stai provando in questo momento...io l'ho scoperto quando ormai ero morto, quindi ho vissuto nell'illusione di essere umano per tutti gli anni in cui il cuore mi ha battuto nel petto.”

Allora, se sai benissimo come mi sento, devi lasciarmi andare.

Era evidente ormai, non potevo più scappare alla realtà e rifugiarmi nell'illusione: io non potevo più stare là, uno dei loro peggiori incubi ero proprio io.

Provai ad aprire bocca, quasi volessi dirgli tutto ciò che mi portavo dentro, ma come al solito mi uscì unicamente un profondo silenzio. Un silenzio solcato dalle mie lacrime, che oramai seguivano sempre lo stesso tragitto lungo le mie guance.

Klaus continuò a stringermi le spalle, la mascella era serrata e lo sguardo fisso sui miei occhi che cercavano di sfuggire alla sua vista. “Tu mi hai fatto sentire ciò che non sono, Irina.” disse, attirando la mia attenzione su di sé, quando uno strano sorriso apparve sulle sue labbra.

Mi hai fatto sentire pulito, quando in realtà sono davvero sporco dentro.”

Le sue parole giunsero incomprensibili a me, tanto ero assorta nei miei pensieri, sempre collegati a ciò che avevo appena scoperto riguardo la mia natura.

Tu invece ti senti immeritevole della vita che hai vissuto, quando non è così. È una cosa che mi hai insegnato tu, sbagliando ma quasi ci ho creduto...non puoi essere così sciocca da lasciar andare via tutto quanto solo per questa storia.”

Non seppi cosa rispondere e lo lasciai continuare, Klaus avvicinò di più il viso al mio, per legare sempre più le mie iridi alle sue. “È ora la tu la finisca di cedere alla tua paura. Nelle vene ti scorre il suo sangue, ma nell'animo tu non hai nulla a che fare con lui ed è questo che conta.”

No.

Gli sforzi di Klaus non potevano avere davvero effetto, convincendomi di una cosa che non esisteva più ormai. Non aveva nemmeno osato definire Belial per ciò che era, perché voleva mostrarmi quanto fossi lontana dalla natura che mi legava a lui.

Perché mi dici queste cose? Che ti importa?

Gli posi quella domanda, semplicemente scuotendo delicatamente la testa e guardandolo con aria interrogativa.

Lui capì subito cosa stavo chiedendogli, oramai ero come un libro aperto ai suoi occhi che avevano visto secoli e secoli di umanità, umanità che aveva odiato ma da cui si era lo stesso fatto circondare.

La sua spiegazione giunse prontamente.

Non seppi nemmeno definire il secondo in cui le sue labbra si adagiarono sulle mie.

Le sue dita premettero con meno forza sulla pelle delle spalle, le gocce di pioggia che colavano dalla sua fronte e dai suoi capelli bagnati caddero sulle mie guance, mentre quel bacio sembrava durare in eterno.

Un eternità in cui i nostri respiri si arrestarono.

Un eternità in cui il mio cuore sembrava battere troppo forte nel petto.

Un eternità in cui lontani ricordi perduti affollarono la mia mente.

Chiusi gli occhi, mentre immagini, parole, sguardi, lacrime tornavano a farsi largo tra i miei pensieri, come parti di un sogno che erano andate perdute. Ma non erano un sogno, bensì la realtà: una realtà che Klaus mi aveva fatto dimenticare ma che era comunque completamente riaffiorata attraverso il suo bacio.

Lui si ritrasse lentamente e aprimmo nello stesso istante gli occhi, scrutandoci con attenzione.

Tutta la realtà riprese il proprio ordine nel mondo: ero tornata a sentire la pioggia cadere, il vento soffiare, il suo flebile respiro che si faceva sempre più lontano dal mio, i suoi occhi che incatenavano i miei nella sua morsa.

Lui non lo sapeva.

Non sapeva che avevo ricordato tutto.

Ti odio, Irina.” disse in un sussurro, pensando di cogliermi di sorpresa quando, in realtà, non ci riuscì affatto. “Ti ho odiata dalla prima volta che ti ho vista, piccola ed ingenua ragazzina che non sa fare del male ad una mosca. Ho anche pensato di ucciderti, di strapparti via la vita, di toglierti il diritto di farmi sentire così legato a te. Ma io e te siamo legati, siamo pezzi di uno specchio ridotto in frammenti e che non aspetta altro che essere completato. Ora so perché.”

Le sue mani restarono sulle mie spalle, mentre continuavamo a guardarci e le sue parole s'innalzavano nell'aria intorno a noi. “Ti odio per questo...perché mi hai fatto sentire appartenente ad una realtà che non volevo, non cercavo ma che forse desideravo dal più profondo del cuore.”

Strinsi le labbra con forza, così forte che quasi mi feci male.

Lui non sapeva, non aveva capito cosa aveva fatto riaffiorare in me con quel semplice bacio di pochi istanti prima.

E io..io non riuscivo...non sapevo cosa...

Io non sono buono come credi tu, eppure non hai esitato a vedere quel lato di me che non esiste.” continuò lui, un sorriso malinconico, molto simile a quello che mi aveva rivolto quella sera, si disegnò sulle sue labbra. “Io invece ti vedo per quello che sei...e malgrado il dolore che hai vissuto, malgrado il sangue che ti scorre nelle vene...posso dirti che tu sei davvero una delle persone più belle che ho conosciuto in questi secoli. E non devi, non puoi scappare da te stessa. Non te lo permetto, così come tu non lo hai permesso a me.”

Quando le sue parole si arrestarono, quando solo la pioggia era rimasta a riempire quel silenzio che scendeva a circondarci nel suo freddo abbraccio, persi completamente il poco controllo che potevo avere di me stessa.

Klaus rimase completamente, totalmente stupito, quando posai la mano sulla sua guancia e le mie labbra incontrarono di nuovo le sue. Non chiuse gli occhi subito, come feci io, poiché non avvertii la delicatezza delle sue ciglia che si abbassavano e che mi accarezzavano la pelle con il loro lieve tocco.

Poi lo fece: schiuse le labbra, avvolgendo completamente le mie tra le sue e concedendosi un ultimo, lungo respiro che sentii affluire in me. Mi sembrava di non essere nemmeno consapevole di quello che stavo facendo; tutta me stessa, tutta la realtà attorno a me sembravano solo un'immagine appannata, che presto sarebbe stata completamente nascosta dalle gocce della pioggia.

Il bacio sfidò la dolcezza e la purezza di quel tocco solo per un secondo, facendosi leggermente più spinto quando Klaus mi cinse i fianchi per tirarmi di più verso sé, come se sentisse il bisogno di avermi più vicina, per avvertire il mio cuore battere forte nel petto per via di quel bacio.

Poi tornai in me e lui fece lo stesso.

Le nostre labbra ancora si sfioravano, i respiri si schiantavano tra loro come onde in balia del vento, i nostri occhi incatenati e uniti insieme mentre i nostri corpi iniziarono ad allontanarsi di più, sempre più. Fino a quando l'ultima cosa che ci univa si ridusse alla linea invisibile che univa i nostri occhi e le gocce di pioggia che la saldava.

Abbassai lo sguardo, il battito cardiaco si fece sempre meno accelerato nel momento in cui cercai di reprimere le emozioni che quelle parole, quei ricordi, quelle sensazioni che tutte insieme erano riemerse e mi avevano scosso dentro, travolgendomi in un arrestabile uragano.

Klaus mi guardava in silenzio, il rumore del suo respiro si faceva largo tra i vari tuoni che rimbombavano in lontananza e il fischio del vento di cui eravamo vittime.

Io...non riuscivo a definire ciò che era successo, ciò che aveva spinto il mio cuore a battere a quella velocità assurda per poi spingere le mie labbra a cercare le sue. Non poteva essere.

Klaus capì che avevo ricordato tutto, ma non seppi definire se quella sul suo viso, insieme alla sorpresa, fosse la gioia oppure una profonda tristezza. Sentivo che mancavano altri pezzi di quella trama che era stata rimossa dalla mia mente, ma in quel momento ero così confusa che davvero non riuscivo a rimettere a posto gli ultimi pezzi di quei ricordi perduti.

Prefazione ed epilogo sono la stessa cosa per noi.” Lui aveva abbozzato un sorriso sghembo, con cui cercava di mascherare l'imbarazzo, il dispiacere, ma anche la gioia di potersi essere concesso di non essere ciò che tutti credevano per una sola volta.

Cancellando quel momento, ma poi riportandolo in vita senza accorgersene.

Tenevo ancora gli occhi bassi, in preda a mille emozioni tutte legate a quel momento di poco prima.

Io non potevo, pensai quando oramai il senso di colpa e la confusione iniziarono a prevalere, non potevo tacere su quello che avevo appena scoperto.

Non con lui, quella persona di cui non riuscivo nemmeno a pronunciare il nome, per quanto mi facesse male essermi concessa quell'unico, ultimo, momento con Klaus.

Ero troppo confusa, troppo persa in quella marea di pensieri ed emozioni che non sapevo più cosa pensare. Ma di una cosa ero certa; era una cosa che andava affrontata e da cui non potevamo scappare in eterno. Nessuno dei due poteva farlo.

Grazie.

Lo ringraziai per essermi stato vicino, per avermi aiutato ad affrontare un problema più grande di me e lui messi insieme.

E lo ringraziai anche per tutto l'affetto che mi aveva dimostrato, che aveva esternato e nascosto, ma che comunque nutriva nei miei confronti. Come io ne nutrivo nei suoi, sempre se di affetto si poteva parlare.

In realtà era altro, ma entrambi lo stavamo combattendo per motivi più grandi di noi.

Io i miei li conoscevo, i suoi non li potevo sapere invece.

Klaus mi rispose con un sorriso palesemente sincero, una sincerità che annegava però in un mare di emozioni difficili da riconoscere. “No, grazie a te.” rispose solo.

Restammo a guardarci per altri lunghissimi istanti, tanto che persino il silenzio parve allontanarsi da noi. “Ora...torniamo a casa.” disse poi lui e mi superò, sfiorando la spalla con la mia.

Il dolore che portavo dentro si stava lentamente spegnendo, ma continuava a bruciare con forza dentro il mio petto, perché la realtà continuava a farmi male.

Chiusi gli occhi, gridando al mio cuore di stare in silenzio, ma senza riuscirci.

Quando mi voltai per seguire Klaus, lui era già lontano.

It all went by so fast.

I still can't change the past, i always will remember everything

If we could start again, would that change the end?

We remember everything, everything.

* * * *

Prima di addormentarmi, avevo preso tante, troppe decisioni.

Avrei affrontato Katerina l'indomani, quando la ferita aperta da nostro padre si sarebbe un po' rimarginata.

Avrei affrontato sopratutto Elijah, gli avrei parlato di ciò che ero, di quello che mi portavo dentro e di quell'inizio e quella fine che avevo avuto con Klaus.

Sapevo che, probabilmente, lo avrei perso per sempre, ma meritava la verità e io non gliela avrei negata.

Ma quella notte, il destino sembrava avere altri piani per me.

Il sonno mi portò verso un'oscurità ancora più vasta, che si stagliò davanti al mio sguardo appena spalancai gli occhi.

Era un sogno, eppure percepivo ogni suono di quell'oscurità in maniera talmente nitida che mi sembrava reale. Ero distesa sopra l'erba, che mi accarezzava la pelle del viso con i suoi steli umidi, mentre mi rizzavo di scatto a sedere sopra essa. Intorno a me vi erano solo altissimi alberi, che sfioravano il cielo buio con le loro foglie, mosse dal vento tagliente che soffiava imperterrito.

Mi alzai in piedi con un balzo che non avrei mai compiuto così bene nella realtà. Perché quella non era la realtà, dove ero addormentata nel letto della mia camera: quello era solo un sogno.

Non poteva essere altrimenti.

Irina.”

Una voce chiamò il mio nome, la stessa voce che sogni prima mi era apparsa così roca da non sembrare nemmeno umana. Sembrava l'eco di un tempo perduto, in quel momento invece era una voce calda e carezzevole, di qualcuno che si trovava dietro di me.

Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte un uomo.

Era bellissimo, forse uno degli uomini più belli che avessi mai visto.

Alto, con un'elegante e fiera postura, le spalle larghe nascoste sotto un mantello scuro, le mani congiunte sul grembo e le dita affusolate che si intrecciavano tra loro.

Ma il suo viso...era da esso che non si poteva scappare.

Era perfetto; circondato da corti capelli biondi che lo incorniciavano come se fosse un quadro, le labbra carnose e perfettamente modellate, gli zigomi alti ma spigolosi, la fronte né molto né troppo poco ampia e gli occhi.

Blu.

Dello stesso colore dei miei.

Demonio.

Belial.”

Padre.

Non mi accorsi nemmeno che, in quel sogno, ero stata capace di parlare.

La sorpresa mi immobilizzò per un istante e mi portai le dita alle labbra, come per assicurarmi che il respiro che aveva donato voce a quella parola fosse il mio.

L'uomo bellissimo sorrise, rimanendo però a debita distanza da me. “Piacere di rivederti, figlia mia.” disse. “Finalmente possiamo incontrarci per davvero. Abbiamo così tante cose da dirci.”


Ciao a tutti! :D

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Prima di iniziare con la mia tiritera di parole, chiedo umilmente scusa se ho urtato la sensibilità di qualcuno nella prima scena di questo capitolo. Il tema della violenza domestica è molto delicato e difficile da affrontare, spero vivamente di averlo fatto usando il giusto tatto.

Finalmente l'”arcano” mistero che lega Irina a Belial è stato chiarito, anche se molti dettagli devono ancora venir spiegati.

Inoltre, verrà chiarito anche il motivo per cui il demone riesce a comunicare con la protagonista attraverso un suo sogno, visto che fino a poco tempo prima non poteva avvicinarsi a lei....Belial lo immagino con il volto dell'attore Jude Law. Per chi non lo conoscesse, vi posto una sua immagine nel link sottostante.

http://tinypic.com/r/ix6wt5/6

Parlando di...ehm Irina e Klaus; ho quasi paura a parlarne...ma che lei fosse leggermente “incasinata”, diciamo, era ben chiaro. Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà quasi tutto interamente su Irina e...Katerina.

Dicendo così mi sa che vi ho rivelato parte del macello che succederà nel prossimo capitolo.

Ringrazio tutti coloro che leggono la mia storia, sia chi lo fa in silenzio e sia chi recensisce regalandomi un bel sorriso a 152 mila denti.:D

Ringrazio anche infinitamente chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate e seguite e anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti. Grazie davvero di cuore, tutti voi avrete i veri e degni ringraziamenti che meritate quando la storia sarà giunta al termine.

Mi levo dalle scatole e vi auguro un buon fine settimana!

Alla prossima, ciao! ^^



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Capitolo 27
*** I am the only one ***


-I am the only one-


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Mio padre.

Più lo guardavo e più mi sentivo una stolta nel pensare quelle due parole, mentre quegli occhi blu, così simili ai miei, mi fissavano con attento interesse. Lasciai scorrere lo sguardo lungo il suo viso perfetto; gli zigomi pronunciati, le labbra carnose e allargate in un sorriso ipnotico, le lievi rughe che si creavano accanto ai suoi occhi, mentre tendeva il viso in un'espressione apparentemente serena.

Aveva l'aspetto di un angelo, ma in realtà nascondeva il diavolo dentro sé.

Rabbrividii. Malgrado mi trovassi nel pieno di un sogno, quelle folate di vento ghiacciato che soffiavano su di noi sembravano davvero fin troppo reali. Passavano sotto i tessuti della mia leggera camicia da notte e accarezzavano la pelle con il loro freddo tocco.

Sei più piccola vista da vicino, Irina.” Belial ruppe le barriere invisibili che ci avevano rinchiuso nel loro silenzio. La sua voce era calda, profonda, entrava sotto pelle come un letale veleno da cui era impossibile salvarsi. Tremai più forte e distolsi lo sguardo, facendolo scivolare lungo le diverse serie di alberi che ci circondavano. Il vento attraversava le loro foglie, dando vita ad una specie di melodia che si liberava nel cielo scuro di quella glaciale e buia notte.

Come...” Mi bloccai di colpo portandomi una mano sulle labbra, quando mi accorsi di aver di nuovo parlato. Era una strana sensazione, quella di aver voce: sentire il respiro salire in gola, trasformarsi in suoni, sentirli mutarsi in parole pronte a liberarsi nell'aria...era una sensazione stupenda.

Mi sentivo come se avessi udito la musica per la prima volta.

Sbattei più volte le palpebre, pensai che la mia voce non era delle migliori: era leggermente acuta, ma soffice e delicata. Avrei preferito averla più dura, sarebbe stata più utile per difendersi da Belial.

Appena superai la sorpresa di quel momento, mi decisi a concludere la frase. “Come puoi esserti avvicinato a me?”

Diana aveva detto che lui non poteva farlo, per chissà quale motivo. Aveva provato a comunicare con me attraverso un corvo e un lupo e mandando i suoi sicari soprannaturali a darmi la caccia.

Allora, perché in quel momento era là, di fronte a me, anche se in un sogno?

Perché non lo aveva fatto prima?

Belial sorrise, con le mani ancora congiunte davanti a sé. “Il sangue di Klaus è maledetto, Irina. La prossima volta, per salvarti la vita, bevi quello di uno dei suoi fratelli. È meglio.” disse, con aria quasi divertita.

Non riuscivo a comprendere il motivo per cui il sangue, anche se maledetto come lo definiva lui, di Klaus gli avesse consentito di avvicinarsi a me. Non la smisi mai di guardarlo, prestando attenzione ad ogni singolo movimento che avrebbe compiuto.

Ma lui restava immobile, fermo, come una statua bellissima e perfetta.

Che intendi dire?” domandai, ancora stranamente incapace di controllare il tono della mia voce.

I tuoi poteri erano come sigillati in una parte buia del tuo animo e mi impedivano così di comunicare con te di persona. Tutto questo a causa di tua madre; quando scoprì la mia vera natura e che era rimasta incinta di te, si rivolse ad una strega di un villaggio vicino per impedire che il tuo lato oscuro venisse fuori e che io potessi incontrarti di persona. Ma il sangue impuro di Klaus ha iniziato a sciogliere questo sigillo, permettendomi così di poterti finalmente parlare faccia a faccia.”mi spiegò, abbozzando un sorriso che trovai davvero fuori luogo, malgrado il fascino che trasmetteva.

Il fatto che mia madre fosse coinvolta più del dovuto mi fece sussultare il cuore nel petto.

Non avrei mai pensato che lei fosse a conoscenza di quei fenomeni paranormali e che avesse così impedito il crescere della mia...natura.

Tornai a guardare Belial.

Lui continuava a restarsene immobile in quella postura di malefica eleganza.

Gli orli del suo lungo mantello nero venivano mossi dal vento e sfioravano quasi con delicatezza i fili d'erba ai nostri piedi. Essi si piegavano a quel tessuto e al vento, come sottomessi.

Ma allora io...sono un demone?” chiesi, spaventata dalla possibile risposta.

La mia voce si era leggermente incrinata, tanto che temetti il demone non mi avesse sentita.

Ma così non fu: lui sorrise, mostrando i denti bianchi e perfetti, come se la mia fosse una sciocca battuta. “No, tesoro.” disse. “I demoni non sono mica umani. Per noi è impossibile procreare con voi...anche se ci piace provarci.”

Mi fece l'occhiolino e io serrai con forza la mascella, per non lasciarmi andare ad un impeto di rabbia.

Lui tornò rapidamente serio. “Tu sei umana. La tua vita ha un termine come quella di tutti gli altri, puoi morire per una semplice malattia e puoi anche trasformarti in un vampiro, volendo. Ma l'unica cosa che hai in più sono una piccola parte dei miei poteri che Mikael può ben provare.”

Ripensai a ciò che era successo al vampiro, a come la mia rabbia era esplosa in quella maniera a dir poco tremenda quando aveva provato ad uccidere Elijah.

E avevo bevuto il sangue di Klaus giorni prima; ecco perché ero riuscita a fare una cosa simile. Sapermi umana, anche se in possesso di poteri del genere, mi rassicurò solo per qualche misero istante.

Ma allora come è possibile che io sia nata, se voi non potete avere figli con gli esseri umani?” chiesi confusa.

Perché ero in possesso di un corpo umano quando ti ho concepita con tua madre. Quello che vedi adesso...” Belial indicò il proprio corpo, aprendo i palmi delle mani. “È il mio vero aspetto, quello con cui sono nato. Dato che sono nella tua mente, posso assumere qualsiasi aspetto io voglia. Ma a causa dell'incantesimo di Esther, per vivere nella realtà, sono costretto ad impossessarmi di corpi umani per poter sopravvivere. Come quello di tuo padre, un bel ragazzone biondo parecchio somigliante a me e a cui tua madre non seppe resistere. L'ho scelto apposta perché era bello quasi quanto me.”mi regalò un sorriso sornione.

Era divertito, e io mi chiesi perché visto che, da come parlava, era in fin di vita.

Quindi, io sono stata nata per puro caso?” domandai, pronunciando la parola “errore” con una punta di malinconia. Entrambi i miei padri mi consideravano qualcosa di sbagliato, dovevo farci il callo.

Il demone non rispose, ma la sua espressione si fece improvvisamente seria. “Non proprio.” mi disse e non capii perché stesse facendo l'evasivo. “Ponimi un'altra domanda, per favore.”

Voleva sviare l'argomento e io decisi, per allora, di accontentarlo e porgli un'altra delle tante domande che avevo in mente.

Ce ne sono altri...come te?” domandai allora, guardandolo fisso e pronunciando quelle parole con estrema velocità.

Quella domanda lo fece rabbuiare un attimo. “Non molti. Le streghe e gli stregoni sono diventati sempre di più e sempre più forti. Come voi umani vi rivoltate spesso a Dio, loro hanno fatto lo stesso con noi. Molti di noi sono stati uccisi.”

Parlava con un avversione profonda nei confronti di coloro che avevano sterminato la sua specie. Quasi pensai amaramente che fosse colpa loro se erano stati uccisi a gran numero dalle streghe, potevano evitare di dannare anime.

Ma era il ruolo dei demoni; esistevano per lo scopo di fare del male.

Lui abbassò un attimo lo sguardo, i lineamenti delicati del suo viso vennero deformati dall'odio.

Quasi mi fece paura.

E io sono l'unica...così?” azzardai timidamente quell'ipotesi, stringendomi nelle spalle quando sentii le mani del vento accarezzarmi la pelle, con fastidiosa forza. Stavo parlando di me stessa, ma non avevo nemmeno il coraggio di indicarmi per quanto ero tremante e spaventata.

Quella domanda divertì Belial. La sua risata aveva un qualcosa di inquietante, era sommessa ma non la si poteva non ascoltare; quasi fosse una melodia ipnotica da si veniva soggiogati. “ Sì, sei la sola. Noi demoni poi ci consideriamo superiori a voi...anche se potessimo procreare con voi, non ci sogneremo mai di farlo. Sarebbe come accoppiarsi con insetti.” Storse il naso quando parlò dell'umanità.

Se ti facciamo così ribrezzo, potevi anche farmi uccidere da uno dei tuoi sottoposti e liberarti di me. Perché non l'hai fatto?” La domanda giunse talmente rapida, che neanche gli permisi di terminare la frase.

Belial abbassò un istante lo sguardo, i suoi occhi blu attraversarono i fili d'erba ai nostri piedi e si morse un attimo il labbro. “Perché sto morendo Irina.” rispose, come se quella misera risposta di cui già ero al corrente bastasse.

Il demone sbarrò lo sguardo e lo posò su di me.

La sua espressione era completamente diversa rispetto a poco prima; solcata dal terrore, dal panico e dalla paura della morte che doveva essere imminente. Aspettai la conclusione della frase, ma lui sembrò non voler aggiungere altro, come se la questione fosse chiara già di per sé.

E allora volevi provare l'ebrezza di diventare padre prima di morire? Sempre se tale ti si può definire...” dissi, non sapendo in che modo gestire le emozioni di rabbia che stavano pervadendomi. Quelle divenivano estremamente opprimenti, si legavano alla mia voce con prepotenza e attraverso di essa si liberavano nell'esterno. Era una cosa confortante ma allo stesso tempo fastidiosa, quella di non saper controllare la propria emotività.

Belial abbozzò un sorriso. “Volevo una famiglia. È così sbagliato?” mi chiese, parlando con voce profonda.

Scossi la testa confusa; qualcosa dentro di me mi diceva di non credere alle parole di quell'essere, perché mentire, fare del male era insito nella sua natura. Quindi anche nella mia.

Eppure, qualcos'altro mi diceva che era sincero. Le sue parole erano state pronunciate in maniera diversa in quel caso, come se le emozioni le avessero pervase con il loro dolce abbraccio.

Com'era successo a me poco prima, solo che le mie emozioni erano state negative.

E il desiderio di avere una famiglia era una cosa talmente naturale, che riguardava qualsiasi essere. Cattivo o buono che fosse.

Rabbrividii più forte. “Cosa vuoi davvero da me?” domandai, puntando lo sguardo sull'orizzonte buio alle spalle dell'uomo.

Non era possibile che fosse apparso nel mio sogno solamente per dirmi che voleva una famiglia: in quei mesi, voleva comunicarmi qualcosa che non avevo compreso e lo aveva fatto attraverso i suoi sottoposti o attraverso i suoi inquietanti incantesimi. Se era là, un motivo più valido doveva esserci.

Belial si mostrò nuovamente divertito da quella domanda, anche se in maniera diversa rispetto a poco prima. Era come se aspettasse quelle parole dall'inizio della nostra conversazione.

Fece diversi passi verso me, lasciando abbondare quel sorriso sulle sue labbra. “Credo che tu debba sapere la mia storia, Irina.” disse.

Mi feci indietro.

Non volevo averlo vicino, volevo che stesse lontano da me il più possibile.

Fui tentata dal mettermi a gridare, in modo che la mente mi facesse uscire da quel terribile incubo, ma dubitavo che Belial me lo avrebbe permesso. E poi, quel perché meritava risposta da tempo.

Non è di me che devi aver paura, piccola.” disse il demone, affilando lo sguardo e riservandomi un'occhiata truce che portò il mio cuore a battere più forte rispetto a poco prima. Non seppi dire il motivo, ma quelle parole non sembravano promettere nulla di buono, come se presto mi avrebbe rivelato qualcosa che non mi sarebbe piaciuto sentire.

Mi fermai e lui allora prese fiato, fermandosi a pochi centimetri da me e riprendendo a sorridermi.

Noi demoni bazzichiamo su questa terra de millenni, quasi dall'inizio dei tempi diciamo. La magia non nasce dalle streghe, quella vera intendo ovviamente, quella nera...siamo stati noi a crearla e donarla loro. Abbiamo poteri molto simili a quelli degli stregoni e delle streghe solo che noi siamo immortali...e usiamo quelle piccole creature solamente come burattini per i nostri scopi. Errore madornale..visto che molti di loro ci hanno uccisi, no?

Le nostre vite si basano su patti con le streghe dove possiamo ottenere i loro servigi e la loro anima per poter accrescere anche i nostri poteri. Secoli fa, conobbi una strega potentissima già di per sé di nome Esther, la madre dei vampiri Originali. Uno dei suoi figli era stato massacrato dai licantropi del villaggio vicino e lei voleva avere il potere necessario per difendere i figli sopravvissuti dagli attacchi dei lupi, trasformandoli in vampiri. E si rivolse a me.

Stringemmo un patto, in cui lei mi vendeva la sua anima, promettendomi anche di mettersi al mio servizio e io in cambio...le ho ceduto il potere necessario per poter compiere quell'incantesimo.”

Calò un attimo il silenzio, mentre io canalizzavo informazioni di cui ero già al corrente.

Guardai fisso Belial, chiedendomi perché dalla mia richiesta nel sapere il motivo per cui si trovasse nel mio incubo, fosse giunto a raccontarmi la storia della sua vita.

So già il legame che hai con Esther. Dimmi quello che devi dirmi e facciamola finita.”

Lui riprese a parlare, compiendo un altro passo verso me.

Esther usò i poteri acquisiti anche per risolvere un'altra faccenda. Come si suol dire, due piccioni con una fava. Usò il sangue di una graziosa fanciulla del suo villaggio per poter trasformare i suoi figli.”

Scese di nuovo quel gelido silenzio e un brivido mi corse lungo la schiena quando riconobbi la scintilla di un profondo divertimento, dovuto alle nefandezze di un'altra persona. Le sue labbra si mossero, in un ghigno che aveva dell'affascinante ma anche dell'intimidatorio. Lo lasciai continuare.

Questa ragazza era bellissima e aveva ai suoi piedi molti uomini. Ma accettava la corte e le attenzioni solo di due aiutanti giovanotti: Niklaus ed Elijah.”

Rise, quando vide la sorpresa disegnarsi sul mio viso.

Klaus ed Elijah avevano davvero amato la stessa donna, come sospettavo da tempo.

La cosa mi avrebbe probabilmente infastidito in altre circostanze, se non mi fossi trovata davanti un demone che sembrava volermi lentamente trasportare nell'abisso dell'inferno. Perché ero certa che la fine di quel racconto mi avrebbe scossa nel profondo, dato che lui sembrava volerci arrivare con quella lentezza che poteva uccidere.

Diciamo che è un vizio di famiglia.” rise della sua stessa battuta, che io invece non compresi.

Distolsi lo sguardo, e lo posai in un punto distante dalla sua figura, verso l'orizzonte più buio. Mi tornò in mente il ciondolo che Klaus mi aveva regalato tempo prima e che mai aveva abbandonato il mio collo. Rebekah mi aveva, in parte, raccontato la storia e solo allora collegai il fatto che potesse essere appartenuto a quella ragazza.

I due fratelli vissero una specie di faida per molto tempo, per ottenere il suo amore. Ed Esther non lo sopportava, la famiglia era una cosa troppo importante per lei e doveva restare unita. Così decise di usare questa ragazza come vittima sacrificale per trasformare i suoi prediletti in vampiri. La poveretta si è trovata ammazzata senza nemmeno accorgersene e i due giovani spasimanti bevvero il suo sangue senza saperlo.”

Definirmi disgustata era ben poco. Mi portai una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi e provando un forte dispiacere per quella povera ragazza. La madre di Elijah e Klaus non meritava certo la medaglia di miglior genitore, proprio come Belial.

Perché...mi stai dicendo queste cose?” gli chiesi,non trovando il nesso logico tra l'inizio della nostra conversazione e il suo proseguimento.

Calò il silenzio, ma l'espressione sul viso di Belial si fece leggermente più serena. Un altro inquietante e spaventoso sorriso si allargò poi sulle sue labbra e gli occhi si puntarono di nuovo nei miei.

Fammi arrivare al succo della questione, piccola Iry.” disse.

E provai un profondo senso di inquietudine, come se sapessi che quello che sarebbe uscito dalle sue labbra mi avrebbe davvero sconvolta. Era giunto il momento.

Quella ragazza, la donna che Klaus ed Elijah tanto amarono, è stata la primissima doppelganger si può dire.”

Doppelganger.

Ripensai a quella parola, quella che il lupo aveva impresso sulla mia pelle tempo prima e che doveva trovarsi sul foglio di pergamena che Micah mi aveva fatto recapitare prima di venir ucciso.

Ero sempre stata convinta che fosse un oggetto; Klaus mi aveva detto che gli serviva per completare l'incantesimo che gli avrebbe permesso di uccidere Mikael. E, invece, era una persona.

Continuavo a non capire.

Quella ragazza si chiamava Tatia Petrova.” disse Belial, guardandomi serio e alzai lo sguardo su di lui in preda alla sorpresa. Era una nostra antenata: sapere che la mia famiglia e quella degli Originali fosse legata mi faceva stranamente venire i brividi.

Era davvero stranissimo che fossimo così legati. Il racconto proseguì.

Ogni cinquecento anni circa però, nasce un'altra doppelganger identica nell'aspetto a Tatia Petrova.” continuò Belial. “Tua sorella Katerina è il suo ritratto sputato.”

Un lunghissimo brivido mi corse lungo la schiena; la testa mi vorticava in preda a mille e mille pensieri contrastanti e inspiegabili, a cui non riuscivo proprio a dare un senso.

Che significava? Non mi piacque il modo in cui il cuore stava martellando nel petto.

Mi portai una mano sulla fronte e deglutii, mentre la mia mente iniziò a collegare il tutto.

Cosa...cosa stai cercando davvero di dirmi?” gli chiesi, con voce tremante, tanto che qualche parola assunse una tonalità talmente bassa che nemmeno io riuscii ad udirla.

Belial si prese un attimo di pausa, prima di continuare il suo discorso. “La doppelganger deve essere sacrificata affinché si rompa la maledizione che pende su Klaus, quella che libererà il suo lato da licantropo e lo renderà un ibrido.”

Il silenzio scese di nuovo su di noi, e in quel momento mi parve persino più gelido di quanto fosse mai stato. Quelle parole rimasero sospese nell'aria per troppo tempo, sembrò che neanche la tetra quiete che ci aveva circondato potesse soffocarle.

Il cuore mi batté nel petto con più forza, tanto che temetti potesse bucarmi il torace e abbandonare il mio corpo. Mi parve di non respirare, che ogni leggera brezza che abbandonava le mie labbra non fosse altro che un tormento troppo duraturo.

Ma allora...voleva dire che Klaus....

Non...non ti credo.” biascicai, mentre il respiro si faceva sempre più corto.

Per il rituale non deve sacrificare solo tua sorella. Gli serve un vampiro e ne ha a bizzeffe intorno. Gli serve un licantropo e Elijah e Rebekah sono andati a recuperare Daniel che, mia cara, ti hanno fatto credere fosse morto ma in realtà è prigioniero di Klaus da tempo, dopo l'incidente della rupe. Gli serve una strega e anche quelle non gli mancano. Ha bisogno della pietra di luna, che è sempre stata in mano a Diana e che lui ha recuperato dopo la sua...” Belial iniziò a parlare a raffica, ma io non volli più udirlo.

Smettila!” gridai.

L'eco della mia voce seguì quella parola,mi rimbombò nella mente e nelle pareti di quell'onirica notte che avrei tanto voluto finisse al più presto.

Non volevo più ascoltare. Belial stava solamente rifilandomi delle sporche bugie con cui confondermi; Klaus, Rebekah e sopratutto Elijah non avrebbero mai architettato un orrore simile.

Eravamo stati tutti vicini per così tanto tempo, che trovai impossibile potessero aver mentito così a lungo.

Mi portai le mani tra i capelli, in prossimità delle orecchie, come se volesse impedir loro di ascoltare le altre parole che Belial stava cercando di dirmi.

Mi sono rimasti pochi complici, Irina. Micah e Daniel erano tra questi e con loro ho cercato di portarti alla verità ma....” iniziò a dire lui.

Basta! Ti ho detto di smetterla!”

Il mio grido si espanse nuovamente in quell'aria notturna, soffocandone il silenzio con la sua disperazione e propagandosi nell'oscurità. Allontanai le mani dai capelli e chiusi gli occhi, sperando di potermi svegliare da un momento all'altro e scacciare il dolore che quelle parole stavano procurandomi.

Era una bugia, una terribile bugia.

Ripetei quelle parole dentro la mia testa, cercando di farmi convincere da esse.

Klaus.

Rebekah.

Elijah....

No, loro non erano come lui li dipingeva, non potevano aver mentito per tutto quel tempo con noi, provando il solo desiderio di sacrificare mia sorella per rompere una sciocca maledizione.

Bugiardo. Belial era solo uno sporco bugiardo.

Lui fece un altro passo verso me, fu così vicino che dovetti alzare la testa verso la sua direzione per poterne incontrare lo sguardo. Stavo piangendo, il dolore e le lacrime erano state capaci di raggiungermi anche in un sogno, un incubo che però era avvolto da elementi troppo reali. Sarei anche potuta svenire in quel momento per quanto le parole di Belial mi stavano distruggendo dentro.

Non ti sto mentendo, Irina. È la pura e semplice verità.”

Ma perché mi fai questo?!” Ero fuori di me, puntai gli occhi nei suoi e la sua immagine divenne offuscata a causa delle lacrime che bagnavano il mio sguardo.

Non riuscivo a riconoscere l'emozione che gli mascherava il viso in quel momento, per quanto la sua immagine mi giunse distorta, ma mi sembrava preoccupato. O forse perplesso.

Stava di fatto che voleva farmi del male, era l'unica spiegazione logica.

Loro non ci farebbero mai del male. Non con tutto quello che abbiamo passato!”

Cosa avete passato, Irina?” Belial mi rivolse quella domanda con tono pungente, come se volesse andare a colpire su una ferita aperta.

Tacetti, trattenevo persino il respiro pur di non violare il silenzio di tomba che ci circondava.

Erano tutte menzogne. Quello che provi per Elijah, quello che stai iniziando a provare per Klaus, l'amicizia che ti lega a Rebekah...sono tutte bugie.”

No...” iniziai a scuotere la testa lentamente, sentendo di non riuscire più a convincere nemmeno me stessa, quando mi imponevo di pensare che ciò che Belial mi stava dicendo non fosse la realtà.

Abbassai lo sguardo e lui posò le mani sulle mie spalle; erano calde ma mi provocarono un violento e freddo tremore a contatto con la pelle che mi spinse a stringermi di più in me stessa. Sentivo gli occhi di Belial cercare i miei e li lasciai vincere, facendo in modo che si incontrassero di nuovo.

Era pure ora che la smettessi di vivere una finta favola. Devi andare via..”

No...”

Scappare con tua sorella il più lontano possibile, se non vuoi che venga sacrificata da Klaus e dai suoi fratelli.”

Nel silenzio, rivissi tutti i ricordi che mi legavano ad ognuno di loro.

Avevamo intrapreso cammini che non erano stati facili viste le circostanze e le differenze che c'erano tra noi.

Con Rebekah, che prima sembrava nutrire una profonda ostilità nei miei confronti, per poi divenirmi amica.

Con Klaus, con cui avevo intrapreso il cammino più difficile probabilmente, iniziato con l'odio e finito con quell'affetto troppo profondo che sembrava legarci e che da poco avevamo scoperto.

Con..lui.

Appena la mia mente pronunciò il suo nome, smisi di scuotere la testa.

Con lui avevo intrapreso un cammino che poteva risultare semplice, ma non era così.

Era stato un evolversi di emozioni, sensazioni sia positive che negative e il cammino si era rivelato pieno di ostacoli. Ostacoli come quello che era successo con Klaus quel giorno e per cui sapevo che lo avrei perduto.

Delle persone che condividono dei legami simili, allora, potevano davvero farmi del male in quella maniera?

Guardai Belial, ma i suoi occhi, così simili ai miei, erano talmente sinceri che non potei non credervi.

Voglio...voglio che tu mi provi che stai dicendo la verità.” dissi con decisione, stringendo poi le labbra per impedire l'avanzata di un singhiozzo disperato.

Belial non si lasciò cogliere di sorpresa da quella richiesta e mi guardò a lungo, con un lieve sorriso che sapeva di malinconia sulle labbra. “Quando ti sveglierai, avrai la mia prova di fiducia.” disse solo.

E quasi pensai di non volermi più svegliare.

Almeno mi sarei evitata un dolore troppo grande da tollerare e avrei posto fine alle sofferenze che quel sogno di morte mi stava causando. Ma poi, chi avrebbe aiutato Katerina a fuggire?

Non dovevo arrendermi, dovevo combattere per lei, per noi. Per restare per sempre unite.

Ancora...” Deglutii, quando un singhiozzò mi smorzò la voce sul nascere. Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano e guardai in viso Belial. “Ancora non mi hai detto perché mi stai aiutando.”

Belial lasciò crescere tra noi il silenzio, come se volesse elaborare le parole migliori con cui rispondermi. Abbozzò un sorriso, che doveva trasmettere qualcosa di umano ma che mi fece però venire i brividi. “Perché sei mia figlia. E l'unica cosa che accomuna mostri e non, è l'amore per la propria famiglia.” disse.

Non seppi cosa rispondere, ma di certo non ribattei. Non ne avevo alcuna voglia e io e Katerina e Klaus e i suoi fratelli eravamo la prova che, per la propria famiglia, si sarebbe fatto davvero qualsiasi cosa. Anche la più sbagliata.

Abbassai lo sguardo, concedendomi un'unica ultima lacrima, che Belial asciugò con delicatezza.

E ora, piccola....segui il mio consiglio e scappa con Katerina!”

Irina!”

Una voce disperata mi strappò via dalle mani di Belial.

Spalancai gli occhi e mi ritrovai distesa supina sul mio letto, stretta al cuscino che sembravo quasi voler artigliare con le mie dita e con la luce del sole nascente che entrava dalla finestra della camera, investendo con la sua luce il volto in lacrime della persona davanti a me.

Katerina.

Piangeva disperatamente, trattenendo i singhiozzi con una tale fatica che pensai potessero scoppiarle nel petto. Le lacrime attraversavano il suo viso ovale, solcandone le guance con le loro calde linee invisibili.

Per un attimo non capii cosa stesse succedendo, fino a quando le immagini di quel bellissimo uomo che mi donava le verità di un inferno nascosto, tornarono prepotentemente a farsi sentire nella mia mente.

Quando ti sveglierai, avrai la tua prova.

E infatti, appena mi rizzai nel letto, Katerina tese un foglio di pergamena verso me, con mano tremante. Lo guardai un attimo titubante, prima di prenderlo tra le mani.

Quando lo aprii, all'interno scorsi diverse figure in rilievo: un sole, una luna, tre cerchi di fuoco su cui erano rinchiuse tre figure. Le scritte in corsivo che attraversavano la parte alta del foglio fornivano una descrizione abbastanza veloce ma dettagliata del rituale.

Allora era tutto vero.

Stavo per disperarmi di nuovo, ma Katerina me lo impedì, lasciandosi andare ad un lungo singhiozzo che cercò inutilmente di reprimere, portandosi una mano sulle labbra.

Vogliono uccidermi, Irina.” disse, poi mi gettò le braccia al collo, tremando e piangendo per la paura.

Rimasi immobile, muovendomi insieme ai tremiti di mia sorella e presi un lungo respiro, mentre il cuore gridava dolore dentro il petto, ormai provato dalla pena di sentirlo soffrire in quella maniera.

Mi veniva da piangere, ma non lo feci.

Non serviva a nulla e l'unica cosa che davvero mi premeva in quel momento era salvare mia sorella.

A qualsiasi costo.

* * * *

Ever after never came,

And I'm still waiting for a life that never was,

And all the dreams I lay to rest

The ghost that keeps me, after all that i've become

I am the only one

Katerina aveva trovato quel foglio di pergamena sotto il letto e ne comprese subito il significato. Non seppi come, ma sembrava che Belial fosse riuscito anche a parlare a lei in sogno, facendole più o meno lo stesso discorso che aveva fatto a me e rivelandole così la cruda verità.

La verità.

Obbligai la mia mente a non pensare ad Elijah,Klaus e Rebekah, ma a concentrarsi sopratutto su un possibile piano per far fuggire Katerina. Non avevo tempo per dispiacermi nell'aver nutrito affetto per delle persone che lo ricambiavano con la finzione. Volevano uccidere un'innocente in quella maniera, come se la sua vita fosse un misero numero di anni da distruggere per soddisfare il bisogno di Klaus di sentirsi...cosa? Più forte? Non gli bastava essere un vampiro?

Strinsi i pugni con rabbia, quasi facendomi male, quando pensai che il giorno prima avevo baciato qualcuno che voleva strapparmi la vita in quel modo.

Il sogno che Belial mi aveva fatto avere notti prima, non era casuale.

Mia sorella passò sopra il fatto che sapessi loro fossero dei vampiri. Belial le aveva detto che le avevo tenuto nascosto tutto per proteggerla e perciò non se la prese, anche perché non avevamo tempo di litigare tra noi. Una volta a casa, al sicuro, avremmo potuto litigare quanto volevamo.

Dobbiamo fuggire lontano, facendo in modo che lui lo scopra troppo tardi per poterci fermare.” Katerina camminava avanti e indietro, mentre io restavo seduta ai piedi del letto con lo sguardo fisso sulle mani, che tenevo posate sulle ginocchia.

Mi stuzzicavo le dita in tutti i modi possibili, affinché non pensassi a quei tre nomi che, continuamente, balenavano nella mia mente. “Ma come? Siamo sole contro di loro...”

Alzai rapidamente lo sguardo su di lei; quello di Katerina era distante e si spostava da un punto all'altro delle pareti che ci circondavano. Continuava a sussurrare parole soffocate dal terrore, temeva che Klaus potesse sentirla, ma sapevamo entrambe che lui era lontano in quel momento, perso nei preparativi dell'ennesima festa che si sarebbe tenuta l'indomani.

L'ultima festa.

La notte di luna piena era tra meno di una settimana e in quella notte si sarebbe dovuto tenere il sacrificio di Katerina. Avevamo pochissimo tempo.

Ed eravamo prive di idee di fuga, se non quella di scappare in quel momento a gambe levate.

Ma Klaus ci avrebbe scoperto, ed era pieno di uomini ai suoi piedi pronti a scattare ad un suo segnale e venirci a cercare per tutto il paese. Dovevamo elaborare un piano di fuga migliore, che avrebbe potuto prenderlo in contropiede.

Ma come si potevano prendere in giro tre vampiri vecchi di secoli?

Mi portai le dita alle tempie, massaggiandole con delicatezza quasi volessi, con quei movimenti, mettere in moto il cervello e far sì che qualche geniale idea nascesse dalla mia mente. Ma mi sentivo come svuotata di tutto: mente, cuore,anima. Ero un contenitore vuoto a cui era stato strappato via tutto.

Non riuscivo ancora a credere che loro fossero quei mostri. Che avrebbero potuto davvero distruggerci. Non volevo immaginarmeli nelle vesti di predatori e noi di prede.

Non ce la facevo.

Ma dovevo.

Katerina si fermò improvvisamente, puntò i suoi occhi sul mio viso e una leggera scintilla le illuminò le iridi scure. “Trevor...” sussurrò e quando vide che non riuscivo proprio a comprendere dove volesse arrivare, si sedette accanto a me, prendendomi le mani tra le sue.

Lui mi ha detto che anche Trevor è un vampiro. Ed è innamorato di me. Farebbe qualsiasi cosa io gli chieda..” disse, parlando quasi come se i sentimenti che il ragazzo nutriva nei suoi confronti fossero un arma a doppio taglio da utilizzare. “Potrebbe aiutarci a distrarre Klaus e a procurarci il denaro necessario per lasciare il paese nel cuore della notte. È un suo subordinato, quindi Klaus non nutrirà sospetti su di lui.”

Ma coinvolgere lui, significava coinvolgere anche Rose e noi non potevamo mettere a repentaglio anche le loro vite, oltre le nostre già in pericolo. Ma Katerina era risoluta e la comprendevo; la paura della morte era troppo pesante da sopportare e si era sempre disposti a tutto pur di scamparla.

Ma io non potevo permettere che anche loro pagassero...dovevamo trovare un altro modo.

Non essere sciocca, Irina!” Katerina quasi urlò quando mi vide cercare di dissentire. Resasi conto di aver alzato la voce, riprese fiato e si guardò attorno, come temesse di trovarsi alle spalle Klaus. “Sono gli unici che possano aiutarci e Trevor è così preso da me che non potrà rifiutarsi di aiutarci..”

E se Klaus facesse loro del male?

Cercai di trasmetterle quell'ipotesi e il suo viso si incupì, in una maniera che mai avevo visto prima. L'abisso scuro dei suoi occhi si fece più profondo, e un sorriso disegnato dalle mani della paura della morte si allargò sulle sue labbra. Più che un sorriso, sembrava una smorfia che spingeva la bocca di Katerina a sollevarsi verso destra.

Meglio loro che noi.” Quelle parole mi fecero venire i brividi.

* * * *

I close my eyes and plead this empty heart

Of all that longs to die

When faces lie and love will falter

I'm left with only time

And time will break the dreams that take

The pain away

Continua a fare finta di nulla. Loro non devono sapere che noi sappiamo.

Così mi aveva detto Katerina, dopo che avevamo deciso di andare a casa di Trevor e Rose quella mattina. Mi chiesi se davvero ci sarei riuscita, perché fingere di essere serena e tranquilla con persone che volevano rovinarci la vita mi parve impossibile.

Elijah e Rebekah non erano ancora tornati dal loro viaggio. Ogni volta che pensavo a loro, in particolar modo a lui, avvertivo indistintamente una morsa all'altezza del petto che mi sembrava privarmi di vita e respiro.

Camminavo lungo i giardini, diretta verso il punto in cui dovevo incontrarmi con Katerina per raggiungere la piccola dimora dei due vampiri.

Tenevo gli occhi bassi, socchiusi sul terreno come se in esso stessi di nuovo rivivendo quei bellissimi momenti che avevo trascorso con i nostri aguzzini.

Con Rebekah.

Con Elijah. Il mio cuore si arrestò per il troppo dolore.

Con Klaus....

Mi fermai di colpo.

Quando pensai a lui, me lo ritrovai fermo a pochi metri di distanza mentre discuteva con due uomini. Stava indicando loro dei punti in un foglio ingiallito, come se stesse dando predisposizioni per organizzare qualche evento. Una delle tante menzogne che lui era solito regalare.

Lo guardai.

Il suo volto era sempre bellissimo, con gli zigomi pronunciati e la pelle chiarissima. I capelli biondi ravviati all'indietro la incorniciavano con i loro ciuffi chiari, illuminati dal sole alle sue spalle.

I suoi occhi blu scorrevano dal foglio ai volti dei due uomini al suo fianco e le labbra rosse si muovevano mentre parlava con loro.

Era uguale a come lo conoscevo fino al giorno prima, ma i miei occhi sembravano vedere la vera immagine nascosta dietro la bugia. Dietro quell'apparenza d'angelo che possedeva, dietro quegli occhi a cui mi ero aggrappata giorni prima, sotto la pioggia, quando avevo più bisogno di loro che del mio respiro, si nascondeva un vero demonio, pronto a strappare via la vita di mia sorella per una stupida maledizione.

Quello che provava per me, l'affetto che io nutrivo per lui...erano solo illusioni, falsi sentimenti.

Voleva uccidere Katerina, come poteva sentire quindi qualcosa per me?

Dobbiamo continuare a fare finta di nulla, Irina.

Non ci riuscivo.

Dovevo prendere un'altra strada per poter raggiungere il punto d'incontro con mia sorella, senza che incrociassi in alcun modo Klaus. Ma ero stata così intenta ad osservarlo per quei pochi secondi, che lui si accorse subito di me.

Tremai, quando i nostri occhi s'incontrarono e la sua espressione si fece più dolce, in confronto alla rudezza che aveva mostrato ai due uomini che gli stavano ancora accanto.

Bugiardo.

Quella singola parola tuonava con rabbia dentro me, mentre fissavo i suoi occhi aprirsi e chiudersi nello scrutare la mia figura.

Vedeva che tremavo? Vedeva che le lacrime di rabbia per aver vissuto mesi di bugia con lui stavano quasi bagnando il mio sguardo? Vedeva che io riuscivo a scorgere la sua vera natura sotto quella maschera? Sperai che non volesse dirmi nulla, che magari si limitasse ad un unico cenno di saluto e che mi lasciasse proseguire.

Ma così non fu.

Disse qualcosa ai due uomini, che annuirono e si allontanarono rapidamente con il foglio tra le mani.

E camminò verso di me.

Il cuore iniziò ad intonare un tormento di paura e terrore dentro il petto, ad ogni passo che lui faceva più vicino a me. Mi sentii pietrificare, senza sapere come e dove muovermi.

Ero come un topolino in trappola, tremante e spaventato, che non poteva sfuggire alle fauci del suo predatore. Klaus mi sorrise, un sorriso radioso che avrebbe potuto anche rasserenarmi, se non avessi saputo che si stava allargando sulle labbra del diavolo.

Buongiorno, Iry.” disse, con voce profonda che parve penetrarmi dentro e giungere nell'abisso della mia anima. Quella voce, che tante volte avevo udito, studiato, in cui avevo sempre cercato le emozioni che potessero attraversarla e che sapevo dovevano esserci. Ma che, invece, non c'erano.

Erano solo patetiche speranze a cui io mi ero appigliata per tutto quel tempo.

Klaus era la nostra fine.

E io odiavo vederlo in quelle vesti, malgrado non dovessi nemmeno dare retta ai sentimenti che nutrivo nei suoi confronti. Non avevano mai avuto nome e, vista la verità, mai li avrebbero avuti.

Tutto bene?”

La sua voce mi riportò alla realtà e mi accorsi di essermi soffermata ad osservarlo in quella maniera per troppo tempo. Sbattei più volte le palpebre, mettendo a fuoco la sua figura; il suo viso si era leggermente oscurato, in preda alla preoccupazione che la mia espressione doveva procurargli in quel momento.

Un'altra menzogna dipinta sul suo volto.

Stavo per mandare a monte tutto. Dovevo continuare a fare finta di nulla, a credere nella maschera che Klaus indossava e non al vero volto che riuscivo a scorgere sotto di essa.

Ma non ci riuscivo. Perché, guardandolo, non potevo fare a meno di pensare a tutti i momenti passati insieme e in cui credevo fosse sincero, in cui credevo fossi davvero riuscita a portare qualcosa di positivo in lui.

E invece, era tutta una bugia. E, ancora adesso, non riuscivo proprio a riconoscerla.

Annuii lentamente, deglutendo rumorosamente e abbassando lo sguardo, ma non il viso che invece lo tenni alto nella sua direzione. Ero pronta a cogliere ogni suo singolo movimento, ogni singolo sguardo che poteva mutare in altro, come se potesse uccidermi in quel preciso istante, in mezzo a quel giardino.

Ne sarebbe stato capace? Probabilmente sì.

Ne sei sicura? Mi sembri...”

Scattai all'indietro, quando notai la sua mano alzarsi nella mia direzione per toccarmi la guancia. Le sue dita sfiorarono lievemente la pelle del mio viso, con una dolcezza nei movimenti che però mi fece rabbrividire. Perché, quella dolcezza poteva celare ben altro.

Alzai lentamente lo sguardo su di lui, cogliendo i tratti della sorpresa sul suo viso. Gli occhi blu si legavano ai miei, in un contatto che quasi trovai letale per quanto mi sembrò impossibile fuggirne.

Lo avevo forse ferito, ma non m'importava più ormai.

Lui mi aveva sempre e solo ferita, ma non me ne ero mai accorta.

Stupida.

Iry, ma che hai?” Klaus sussurrò quelle parole, come se volesse accarezzarmi il viso con le sue parole, visto che la sua mano non aveva potuto compiere quel gesto.

In realtà non sapeva cosa tutto di lui fosse capace di far scattare in me: rabbia, dispiacere, paura, delusione. Tutte insieme nella sua figura, che avevo imparato a conoscere e ad amare.

Ma dovevo mascherare il mio viso, come lui faceva con il suo.

Se avesse scoperto che io e Katerina sapevamo la verità, sarebbe stata la fine.

Scossi la testa, abbozzando il miglior sorriso che potessi sfoderare in quella situazione.

I miei occhi restavano fermi nei suoi con difficoltà, anche se volevano liberarsi da quel contatto.

Stavo bene. Lui doveva crederlo.

Klaus però non mi parve convinto, i suoi occhi scorsero lungo il mio viso, cercando di cogliervi ciò che causava la mia evidente preoccupazione. “Va bene...” disse solo, alzando le spalle e sorridendomi di rimando. Fu la prima volta in cui mi rivolse un sorriso del genere, dovuto forse all'imbarazzo causato dal bacio che c'era stato tra noi il giorno prima.

Abbassò gli occhi, sentendo quasi le lacrime bagnare i miei. Perché una cosa come quella doveva essere una menzogna? Serrai le labbra; se reagivo in quel modo con Klaus, non riuscivo ad immaginare la reazione che avrei avuto nei confronti di Elijah.

Il solo pensiero, il solo ricordo di lui mi struggeva dentro.

Calò un profondo silenzio, che però non parve avvolgermi. Dentro la mia testa, si stavano scontrando così tante parole che mi sembrava l'intero mondo stesse urlandovi dentro.

Vai...vai da qualche parte?”mi chiese poi Klaus, sembrava quasi un bambino che non sapeva come atteggiarsi di fronte ad una persona sconosciuta.

In effetti, in quel momento, eravamo entrambi due persone che non eravamo.

Recita, la mia mente mi ordinò di farlo.

Così annuii, facendogli poi segno che io e Katerina andavamo a fare una passeggiata.

La cosa non doveva insospettirlo, eravamo solite fare delle passeggiate da sole nella giornata e quindi non c'era ragione che lui potesse pensare ci fosse qualcosa sotto.

Quando capì ciò che stavo dicendogli, Klaus annuì e abbozzò un altro sorriso. “Allora, state attente, mi raccomando.” disse, chinando la testa e puntando i suoi occhi blu nei miei.

Un sorriso fintamente sincero si allargò sulle sue labbra e lo fissai un attimo assorta.

Staremo attente al lupo cattivo, non temere. Pensai tristemente e continuando a guardare il nemico con indosso la veste d'angelo da cui i miei occhi erano stati, tempo prima, ingannati. Avrei tanto voluto che quell'inganno fosse stato invece qualcosa di reale, qualcosa che davvero nascondeva del positivo in sé, ma non era così.

La delusione che provavo in quel momento, ero certa si sarebbe presto tramutata in rabbia.

Trattenni il fiato per qualche istante, poi lo ringraziai e mi accinsi ad allontanarmi, mostrandomi tranquilla. Lo superai, sentendo i suoi occhi sul mio viso.

Tremai quando la sua mano prese la mia.

Fu come se il mondo intero si fosse arrestato e l'unico rumore che riuscivo ad udire fosse quello del mio cuore che batteva troppo forte nel petto. Puntai gli occhi verso l'orizzonte davanti a me, dove alcuni alberi si aprivano sul cielo azzurro e circondavano la stradina illuminata dal sole che avrei dovuto percorrere per raggiungere Katerina. La presa di Klaus alle mie spalle era ferma, decisa ma non dura, sembrava quasi volesse solo impedirmi di allontanarmi da lui. Non c'era violenza in quel gesto. Ma se era un altro inganno? Non potevo nemmeno accertarmene, perché non riuscivo a voltarmi.

So perché ti comporti così con me.” disse Klaus.

E tremai più forte.

Chiusi gli occhi, mordendomi le labbra talmente forte che il dolore fu così intenso da soffocare la paura che mi stava divorando.

Klaus sapeva? Se era così, era davvero finita per noi.

Le sue dita si intrecciarono alle mie, mentre continuavo a dargli le spalle e a sentire la sua presenza dietro di me. Una strana sensazione di calore mi attraversò la pelle, mentre le sue dita accarezzavano con delicatezza il palmo della mia mano.

La mia mano era unita a quella del nostro carnefice, in una stretta innocente con le dita del diavolo.

È per quello che è successo ieri, vero?” mi chiese. Si fece più vicino, tanto che sentii quasi il suo petto posarsi sulla mia schiena. Non riuscivo a voltarmi, le nostre mani erano ancora unite in quell'abbraccio che sapeva di fine e di morte, malgrado la dolcezza che le legava.

Il suo respiro soffiò tra i miei capelli, lo sentii attraversarli con leggerezza, passando attraverso di essi e mi irrigidii ancora di più. Era un respiro fresco, come una brezza che attraversa il deserto e scaccia il calore bruciante sulla pelle. Peccato che, il deserto, era ciò che mi circondava in realtà.

Ascolta, abbiamo già detto che si è trattato...di un solo momento.” Klaus parlò con una nota di rammarico, che trovai incomprensibile, visto quello che aveva in mente. Le sue dita non smisero di rimanere unite alle mie, ne sfioravano la pelle con la sua e un intenso brivido caldo mi corse lungo la schiena.

Ma perché continuava a fingere di nutrire qualcosa nei miei confronti?

Quindi, non c'è bisogno che tu mi tratti con freddezza. Non è necessario e tu lo sai.” Klaus mi stava guardando mentre pronunciava quelle parole, con un volume di voce talmente basso che quasi venne scacciato dal soffio del vento. Ogni singola parola, ogni singolo suono che usciva fuori dalle sue labbra mi passava sotto pelle e sembrava volermi uccidere dall'interno sempre più.

Pregai con tutta me stessa che lasciasse la mia mano, che mi permettesse di andare via, perché non ce la facevo.

Non ce la facevo a stargli vicina.

Non ce la facevo a guardarlo.

Non ce la facevo nemmeno ad odiarlo. L'astio e il rancore che mi portavo dentro divennero pesanti macigni sul petto, dai quali il mio cuore venne sempre più schiacciato.

Dovevo odiarlo. Lo odiavo. Lo avrei odiato per sempre. Eppure stavo male per questo.

Ancora speravo che fosse tutto un incubo, che fossi addormentata e che loro non volessero uccidere Katerina. Ma quella era vita, e io la dovevo affrontare se volevo uscirne viva.

Klaus sospirò, doveva aver mosso la testa, poiché il suo respiro parve scontrarsi sulla mia spalla. “Elijah non la prenderà bene, e tu lo sai. Potremmo anche...mettere a tacere tutto. Tanto non si ripeterà.” disse.

Allora era chiaro il motivo per cui mi parlasse in quel modo, forse aveva dei rimorsi di coscienza anche lui? O forse temeva che ciò che sentiva per me potesse distoglierlo dal suo intento?

Ne dubitavo fortemente. Stavo dubitando persino che lui fosse capace di nutrire un vero sentimento.

Ma perché mi sentivo così male a pensarla in quella maniera?

Mi voltai lentamente verso Klaus, i nostri occhi si incontrarono, o meglio si scontrarono, come due onde in piena tempesta che si schiantavano l'una con l'altra, fino ad infrangersi.

Non mentirò ad Elijah.

Incredibile, stavo davvero affrontando quella questione.

Non capivo se lo stavo facendo per mandare avanti quella recita, oppure perché mentire ad Elijah mi faceva rabbia, sopratutto dopo ciò che era successo. Mi comportavo come se non avessi scoperto nulla, tanto ero aggrappata alla folle illusione che potesse trattarsi tutto di un brutto sogno.

Klaus guardò la durezza della mia espressione, forse ne rimase sconvolto o forse turbato. Non seppi dirlo, intanto rimasi ad osservare il vento che muoveva i suoi ciuffi biondi vicino al viso, mentre gli occhi si abbassavano su un punto sul terreno. Annuì, con lentezza e stringendo le labbra tra loro, riducendole quasi ad un linea retta. “Hai ragione.” disse e finalmente lasciò la mia mano.

Era rimasta così rigida, vittima di un intenso calore nella sua che quando il vento la investì mi sembrò di rinascere. La strinsi in un pugno, portandomela accanto alla gamba e senza smettere di guardare Klaus.

Lui sembrò non riuscire a sostenere il mio sguardo, tanto che continuava a tenere gli occhi puntati sul terreno. “Però, smettila di essere fredda. Non serve a nulla.” mi disse, per poi ascoltare il silenzio che ci pervase. “Ti auguro una buona giornata.”

Presi un lunghissimo respiro, mentre fissavo il suo sorriso farsi per un istante più largo, mentre si allontanava lentamente verso la sua abitazione.

Mentre lo guardavo andare via, per poco scoppiai a piangere.

Sotto il sole, lui restava comunque una bugia purtroppo.

* * * *

Cosa mi state chiedendo di fare, Katerina?”

Le parole che mia sorella e Trevor si stavano scambiando sembravano echi lontani nella mia mente, suoni solo lievemente percettibili, probabilmente appartenenti ad una realtà al di fuori di me.

Ancora stavo aspettando di destarmi da un incubo, ma ogni mia speranza restava sempre vana.

Ero viva, sveglia, circondata da un mondo che apparentemente era pieno di colori, ma in realtà era solo un groviglio di ombre perfettamente celate dietro dolci illusioni.

Guardavo Trevor e nei suoi occhi vedevo tutto l'amore che nutriva per mia sorella.

Non era un amore completo, ma una potente infatuazione che lo avrebbe spinto a compiere qualsiasi folle gesto per lei. Katerina un po' ne stava approfittando, ma per aver salva la vita qualsiasi azione, qualsiasi parola poteva essere ben giustificata.

Anche se mi dispiaceva quasi pensarla in quei termini.

Restai seduta come una bambola priva di anima e vita sul pavimento. Con le ginocchia strette al petto e il mento posato sopra di esse, non riuscivo a smettere di fissare lo sguardo di Trevor.

Amore.

Era tutto ciò che riuscivo a scorgere nel suo sguardo, malgrado un lungo tremito gli avesse attraversato il corpo dopo aver saputo da Katerina la storia del rituale. Mettersi contro Klaus lo terrorizzava a morte; a quanto pareva solo io non ero più riuscita a vedere il mostro in lui da qualche tempo a quella parte, però c'era un barlume nelle sue iridi blu che lasciava intendere che, comunque, avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa per mia sorella. Tentennava, solo perché il suo coinvolgimento implicava anche quello di Rose e lui, ovviamente, voleva evitarlo in tutti i modi.

Volsi lo sguardo proprio verso lei.

Rose se ne stava chinata sul caminetto acceso, cercando di riscaldare del tè, ma teneva comunque l'orecchio teso, per ascoltare ciò che Katerina e Trevor stavano dicendosi. Cercai di cogliere un qualche brivido attraversarle la pelle, ma non lo trovai: era immobile, attenta, con il corpo davanti al camino ma la mente vicina a noi.

Klaus non lo scoprirà.” stava dicendo Katerina, che sembrava avere ormai il cuore in gola da quella mattina. “Dovete solo....vi prego, dateci solo una mano nell'ottenere i soldi necessari per tornare a casa. E aiutateci a fare in modo che Klaus non se ne accorga subito.”

La disperazione si nascondeva in ogni sua singola parola, Trevor e Rose erano le nostre uniche speranze per poter lasciare il paese il più presto possibile, senza avere Klaus subito alle calcagna.

O almeno, così speravamo.

Me lo immaginai mentre ci dava la caccia come un segugio, poi pensai all'immagine di quella mattina.

Possibile che fossero la stessa persona?

Trevor sospirò e abbassò lo sguardo, si passò una mano tra i lunghi capelli castani e rimase diversi attimi in silenzio. Mentre osservava gli angoli del pavimento, riuscii di nuovo a scorgere quella luce da innamorato che sarebbe morto per colei di cui era invaghito.

Era un immagine di pura umanità, malgrado riguardasse un vampiro.

Ormai, dopo ciò che avevo scoperto, non riuscivo nemmeno più ad associare la parola umano con quella di vampiro. Era una cosa terribile.

Pensai ad Elijah, che avevo il terrore di incontrare di nuovo, e mi chiesi come proprio lui potesse essere coinvolto in una cosa simile. Lui che mi aveva dato così tanto...

Forse il mio comportamento del giorno prima con Klaus doveva essere punito in quella maniera.

Ma non era troppo come punizione? Ormai ogni pensiero più folle attraversava la mia mente.

Io...non penso di potere.” Trevor alzò gli occhi pochi istanti dopo, posando lo sguardo sul volto pallido di Katerina, che sembrava essere sbiancata di colpo. “Se vi aiutassi, Klaus non avrà pietà di me...e nemmeno di Rose...”

Spostò un attimo lo sguardo su di me, accorgendosi solo in quel momento che anche io ero presente in quella stanza. In effetti, ero talmente silenziosa e pensierosa che nemmeno mi sentivo respirare. La mia mente era ferma su ricordi di quei mesi in cui pensavo di aver conosciuto il paradiso, senza rendermi conto che ero stata più vicina all'inferno di quanto pensassi.

Sorrisi. Parole. Lacrime. Affetto. Amore.

Non erano altro che inganni di quell'inferno in cui avevamo vissuto per mesi.

Katerina si portò le mani tra i capelli, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare a lunghi respiri trattenuti, con la forza del suo fiato stava cercando di fermare i singhiozzi di puro terrore che, probabilmente, stavano per nascere in lei.

Eravamo sole. Contro il mondo intero.

A me non interessa. Voglio aiutarle.” La voce di Rose ci colse di sorpresa.

Si avvicinò a noi con in mano due tazze di tè caldo. Il suo sguardo era fermo su Trevor, ma i suoi piedi sembravano essere volti verso me, come se ero io colei che voleva raggiungere. Mia sorella la guardò con leggera freddezza, mentre Trevor si voltava verso di lei, stringendosi le braccia al petto.

Lo faresti davvero?” chiese Katerina, guardandola con aria sorpresa e sbattendo più volte le palpebre.

Rose non le rispose subito. Si chinò su di me e mi regalò un sorriso di conforto, mentre mi tendeva la tazza di tè fumante. La guardai per diversi istanti, quasi confusa nell'incontrare il suo sguardo e quel sorriso. Mi sembrava come se fossi stata per decenni lontana dall'umanità e non ricordassi quindi più la bellezza che risiedeva nella semplicità di gesti come quelli che lei stava rivolgendomi.

Mi ero ritrovata priva di capacità di comprendere quelle emozioni e sensazioni, dopo che avevo scoperto che quelle che avevo vissuto ultimamente erano state solo un'illusione.

Presi la tazza, le mani mi tremavano leggermente, e ne guardai l'interno.

Il liquido verde acqua rinchiuso tra quelle pareti di legno lasciava salire una leggera scia di fumo verso l'alto, che mi investì il viso con il suo calore.

Per un attimo, venni pervasa da un leggero senso di serenità.

Ma durò pochissimo, quel breve lasso di tempo in cui non mi ero soffermata a pensare all'inferno che ci circondava.

Rose tornò a guardare Katerina con serietà, Trevor intanto si stringeva le braccia al petto e guardava l'amica senza capire. “Io temo Klaus, temo la sua collera e temo ciò che sarebbe capace di fare se i suoi piani andassero in fumo...ma tu ed Irina non meritate di soffrire in questo modo.” spiegò lei, riuscendo persino a bloccare il tremore che stava cercando di liberarsi nella sua voce.

Alzai lo sguardo su di lei, nello stesso istante in cui lei lo volse verso me.

Un sorriso si allargò sulle sue labbra, un sorriso che trasmetteva paura ma anche un profondo desiderio di lotta per difendere delle persone a cui teneva.

Katerina ed io. Allora esisteva davvero l'amicizia? Non era solo un illusione.

Distolsi lo sguardo, sbattendo più volte le palpebre. Quasi mi sentii in colpa al pensiero che loro due si erano offerti di aiutarci davvero. Perché era pericoloso.

Se Klaus era davvero il mostro senza pietà come ormai lo dipingevo, l'avrebbe fatta pagar loro molto cara. E magari anche Elijah gli avrebbe fatto pentire di averci aiutate.

Mi portai le mani tra i capelli disperatamente, cercando di non pensare a quelle nuove immagini che avevo di loro due. Non avevo tempo di disperarmi, era arrivato il momento di combattere.

Perciò potete contare su di noi. Potremmo aiutarvi senza che Klaus ci scopra.” Rose tornò a guardare verso Katerina e Trevor, parlando con una sicurezza nei toni che mi colpì, anche se me ne stavo con la testa sulle ginocchia e gli occhi completamente chiusi, quasi sigillati di fronte a ciò che avevo davanti.

Nessuno osò dirmi nulla, quasi volessero lasciarmi nel mio silenzioso dolore.

Mi immaginai Katerina annuire, quasi speranzosa, per poi guardare i due, sempre con quel barlume di paura nel suo sguardo. “Dobbiamo prendere la pietra di luna prima di lasciare il paese, almeno avremo un vantaggio in più. Ma non ho idea di dove la possa tenere.” disse, dopo lunghi attimi di silenzio.

Sentivo i suoi occhi scuri su di me, quasi mi stessero implorando ad essere forte insieme a lei, e quindi decisi di alzare la testa lentamente e di prendere un lungo respiro, con cui infondermi coraggio.

Non dovevo arrendermi, non dovevo farlo.

Io so dove si trova.” intervenne Trevor,restando in piedi davanti a Katerina e guardandola con determinazione. Entrambe lo guardammo stupite e lui annuì di rimando. “Ne ho sentito parlare giorni fa, alla festa del vostro ritorno, ma non avevo capito che servisse per una cosa simile. Ma...prenderla senza destare sospetti è praticamente impossibile, visto che Klaus sembra tenerla nella sua camera.”

Katerina si mostrò leggermente amareggiata, mentre Rose si portò le mani al volto, posando le dita ai lati del naso e prendendo un lungo respiro, mentre ragionava.

E allora, come facciamo a prenderla?” domandò. “Nessuno di noi può entrare in camera sua senza destare sospetti!”

Spalancò le braccia, mentre Katerina si portava le mani tra i capelli e si voltava verso la finestra alle sue spalle, cercando aiuto nella luce del sole che brillava alto.

Nacque una discussione sul come riuscire ad arrivarci.

Formularono così tante ipotesi che mi sembrarono una più assurda dell'altra. L'unico modo per arrivare alla pietra di luna senza che Klaus si insospettisse era probabilmente quello che loro consideravano talmente evidente e semplice da scartarlo.

Vado io.

Mi alzai in piedi lentamente, con le gambe deboli ed intorpidite, tanto che per un attimo pensai di cadere a terra. Loro volsero lo sguardo verso me, zittendosi all'istante.

Non mi servirono gesti o parole da compiere per dirgli quello che volevo fare.

Bastò il mio sguardo spento, la mia espressione decisa e i pugni che si stringevano con forza accanto alle gambe.

Katerina e Rose scossero la testa in maniera diversa, ma nello stesso medesimo istante.

No, Irina. Non ti lascerò rischiare così tanto!” esclamò mia sorella, avvicinandosi rapidamente a me e stringendomi le spalle tra le mani.

Si aspettava che desistessi, che mi facessi indietro per il terrore che Klaus potesse farmi del male ma non lo feci. Io volevo salvare Katerina e, probabilmente, ero l'unica persona che poteva metter piede nella stanza di Klaus senza che lui pensasse ci fosse qualcosa sotto.

Lui abbassava la guardia con me, lo aveva detto anche Mikael, e sarei stata la sua debolezza per salvare Katerina. Pensare a quelle parole, aggrappandomi all'immagine di quel Klaus che credevo di aver conosciuto, mi fece sentire un verme.

Ma lui non era così, meritava di essere abbattuto.

E se ti scoprisse? Irina, quello che lui...può provare per te non basterà. Lui purtroppo non è come hai creduto fino ad ora, potrebbe farti del male.” disse ancora Rose, affiancando mia sorella.

Non m'importava.

Non c'era più senso in nulla di ciò che mi circondava in quel momento e io volevo solo proteggere Katerina dal destino terribile che le era stato dato.

E Klaus poteva farmi del male quanto voleva, non avrebbe cambiato il mio volere di salvarla a tutti i costi.

Guardai Trevor, lui fu l'unico che sembrava accettare con determinazione la mia ipotetica prova di coraggio. “Irina non ha tutti i torti. Se Klaus non sospetta nulla, lei potrebbe entrare indisturbata nella sua camera e prendere la pietra.”

Ma se lui la cogliesse con le mani nel sacco? La ucciderà!” esclamò Katerina, voltandosi con estrema rapidità verso il ragazzo, tanto che la gonna sembrò sollevarsi nell'aria per qualche istante.

Mi sarei inventata qualcosa.

Dovevamo essere ottimiste e piene di speranza, era l'unica cosa che ci avrebbe potuto spingere ad avere la forza necessaria per scappare via da quell'orrore.

Rose mi guardava fisso, sperando quasi che desistessi dal mio intento, ma ormai la decisione era stata presa. Anche Katerina tornò a guardarmi, quando capì che Trevor non le avrebbe dato alcuna risposta. Tenne le labbra leggermente dischiuse per la sorpresa nel vedermi così risoluta, così decisa, così combattiva come mai ero stata.

Ma era necessario, affinché lasciassimo quell'inferno sane e salve.

Bene, è deciso.” disse Trevor, come se avesse preso lui in mano le redini della situazione. “Ora, dobbiamo elaborare un piano.”

* * * *

Come potevamo passare un altra giornata come quella?

Io non potevo resistere, non ce la facevo proprio e non vedevo l'ora di fuggire il più lontano possibile insieme a Katerina. Mentre mi dirigevo verso camera mia, fissavo il pavimento sotto i piedi con ferma decisione, nel tentativo quasi impossibile di non scoppiare in lacrime da un momento all'altro.

Tenevo sempre i pugni chiusi, con estrema forza, sentendo le unghie penetrarmi nella carne quasi fino a farla sanguinare. Non c'era tempo per la disperazione, quelle parole continuavano a ripetersi nella mia mente con ferma decisione, ma solo tempo per agire.

Raggiunsi la porta della mia camera, ringraziando il cielo che fosse notte e che quindi domani fosse più vicino.

Posai la mano sul pomello ed entrai velocemente dentro la stanza.

Continua a fingere.

Quelle tre parole si ripeterono nella mia testa, diventando sempre più forti, talmente forti da farla quasi scoppiare. Elijah era nella mia stanza, mi dava le spalle e teneva le mani dietro la schiena in un'elegantissima postura. Stava fissando il paesaggio notturno fuori dalla finestra con aria attenta e io riuscivo a scorgere i suoi occhi scuri che attraversavano l'orizzonte lentamente.

Anche se era buio, vedevo tutto di lui.

I capelli sciolti sulle spalle, il profilo del suo viso, gli abiti scuri in cotone e quella postura rigida ma estremamente elegante che solo lui riusciva ad assumere.

Era la stessa persona che avevo avuto accanto per troppo tempo, eppure non riuscivo a rivedere in lui nulla di ciò che avevo conosciuto. La verità aveva permesso ai miei occhi di vederlo per davvero.

E vedere quello che stavo osservando in quel momento, mi fece male.

Quando lui volse lo sguardo verso di me, mi sentii tremare dentro.

Il respiro mi si bloccò in gola e le gambe quasi vollero spingermi a voltarmi e scappare via il più lontano possibile. Era tornato con un altro povero innocente da sacrificare, come potevo fingere?

Continua a fingere.

Ma, davvero, come potevo?

Elijah si voltò completamente verso me e notai subito la freddezza nel suo sguardo.

Che avesse scoperto che io sapevo? Ne dubitavo, dentro di me era ancora viva la convinzione che lui non mi avrebbe mai fatto del male. La mia doveva essere pura follia.

Come stai?” Elijah ruppe il silenzio con quelle parole, pronunciate con una lieve tonalità roca che mi sconvolse nel profondo.

Dovevo chiudere la porta, ma non ci riuscivo.

Perché lui era preoccupato, era arrabbiato, era ferito, era tante cose e io non potevo rimediare a nessuna di esse, poiché mi sembrava di vedere il fantasma di un'altra persona davanti a me.

Eppure, la recita doveva andare avanti e quindi dovevo per forza fingere che i mille ed inutili problemi che mi logoravano dentro, prima di scoprire la verità, fossero fondamentali.

Stava parlando della faccenda di mio padre, perciò mi limitai ad annuire.

Mi chiusi la porta alle spalle, molto, troppo, lentamente.

Quella cigolò, mentre chiudeva sempre di più l'ultimo spiraglio di luce che penetrava dall'esterno del corridoio. Ci ritrovammo così avvolti nell'oscurità, ma mi mossi rapidamente verso il comodino per poter accendere una candela.

Una debole luce illuminò i nostri volti e alzai lo sguardo su Elijah, di lui riuscivo a vedere solo le labbra e la mascella visibilmente serrata.

Mi dispiace che tu abbia scoperto una cosa simile. Dev'essere dura per te.” aggiunse poi lui, mentre mi avvicinavo ad accendere un altro paio di candele che potessero illuminarci completamente.

Piano piano, la stanza venne pervasa dalle luci tremolanti delle fiamme, che crearono una specie di giochi di ombra sul pavimento, sulle pareti e sui nostri corpi.

Restai in piedi, di fronte ad Elijah, e continuammo a guardarci in silenzio per alcuni istanti. Guardavo il suo viso e provai dentro di me un profondo senso di vuoto, era davvero una maschera quella che indossava?

Gli feci segno che stavo bene, quando in realtà non era così.

Stavo male per troppe cose, per troppi errori commessi e per troppe bugie a cui avevo creduto.

Riuscivo a stare male persino per il bacio di Klaus, perché pensavo ancora che Elijah non meritava quello che era accaduto.

Poi, dentro di me, qualcosa mi ricordò che lui era un bugiardo.

Incredibile, quanto il suo nome e quell'aggettivo stonassero vicini. Ma la verità poche volte aveva una bella melodia.

Non stai bene, Irina. Si vede lontano un miglio che sei distrutta.” Elijah si alzò in piedi, avvicinandosi a me con elegante compostezza.

I suoi movimenti erano lenti, quasi fui tentata dall'arretrare, ma non lo feci.

Purtroppo, però, abbassai lo sguardo e lui capì che qualcosa non andava. Sperai che associasse a quel mio atteggiamento ad altro, a quell'altra cosa che mi faceva sentire davvero male. Mi morsi le labbra, intrecciando le dita tra loro e obbligando me stessa ad immergermi in un mare di finta calma.

Lui restò per un istante in silenzio, scrutando con estrema attenzione il mio viso e catturando in essi l'emozione che doveva essersi dipinto in esso. Emozioni che mi stavano divorando l'anima e che lui poteva persino sentire attraverso il mio cuore impazzito.

Devi dirmi qualcosa?” mi domandò con tono quasi apatico, privo di sentimenti che potessi riconoscere.

Si fermò a pochi passi da me, sentii il suo lieve respiro soffiarmi sulla fronte, mentre fissavo un punto sul suo petto. Dove pensavo si trovasse il suo cuore, anche se spento da tempo. Ma probabilmente anche quello non era altro che un fantasma ormai, una bellissima illusione che non era mai esistita. Ma perché mi sentivo in colpa nel pensare a quei termini di Elijah? Perché non lo odiavo e basta? Non ci riuscivo con nessuno di loro, era quello il danno.

Annuii, anche se immaginavo lui fosse già a conoscenza di quello che era successo con Klaus.

E, conoscendolo, non mi avrebbe mai perdonata.

Il pensiero che lo avrei perso comunque tornò a farmi male, troppo male.

Elijah sospirò e attese che mi muovessi in qualche modo. Alzai lentamente gli occhi verso i suoi, soffermandomi ad osservarli con estrema attenzione, e mossi lentamente le mani in un unico gesto.

Bacio. Klaus.

Gli bastò. Comprese con estrema facilità ciò che gli avevo detto e socchiuse le palpebre senza distogliere mai lo sguardo dal mio. Io però non ce la feci a sostenere i suoi occhi, li abbassai così con estrema vergogna verso me stessa, dimenticandomi solo per un attimo della storia del rituale.

Se quella faccenda non fosse mai esistita, se Elijah era l'uomo che credevo di aver conosciuto, io lo avrei perso per sempre. I miei pensieri erano fissi su quella convinzione.

Il dolore tornò prepotentemente a stringermi il cuore nella sua morsa.

Continuai ad osservarlo, lui nemmeno sbatteva le palpebre mentre mi osservava con accurata freddezza.

Una parte di me voleva che se ne andasse al più presto possibile, perché affrontare la faccenda del bacio di Klaus, dopo tutto ciò che avevo scoperto, non mi sembrava affatto il caso. Ma un'altra parte di me, quella folle che ancora sperava non ci fossero problemi più grandi di quello, voleva che parlasse, che mi dicesse qualcosa.

Elijah socchiuse lo sguardo e si inumidì le labbra, sembrò non riuscire più a sostenere il mio sguardo.

Dopo quello che mi ha detto Rebekah, non mi stupisco nemmeno.” disse, in un lievissimo sussurro.

Nel buio, desiderai quasi scomparire, dileguarmi nell'oscurità come fumo spazzato dal vento, ma sarebbe stato davvero vigliacco aggrapparsi a quella folle quanto fantasiosa speranza.

Dovevo affrontare la questione, come avevo deciso di fare prima che venisse fuori la faccenda del rituale. Ma perché mi risultava impossibile riuscirci? Strinsi le labbra e puntai gli occhi su un punto alle spalle del vampiro, rendendomi conto che non ce la facevo proprio a sopportare la mancanza del suo sguardo. “Provi qualcosa per lui?” mi chiese poi, sapeva la risposta ma voleva sentirsela dire.

E io non potevo essere così bugiarda da negare che qualcosa avevo sentito per Klaus.

Parlavo al passato, perché oramai tutti i sentimenti che potevo nutrire nei loro confronti si erano ridotti in cenere, di ricordi bruciati dalla verità.

Aspettai che dicesse qualcosa, che magari infierisse su di me, che mi desse della stupida o che magari mi chiamasse con un'altra parola, con cui meritavo maggiormente di essere appellata probabilmente.

Ma Elijah rimase freddo, impassibile, evitava di guardarmi a lungo perché la mia vista doveva procurargli qualcosa di negativo e se, ogni tanto, il suo sguardo si posava su di me, mi sembrò come trafiggermi.

Probabilmente ora sarai stanca, ma domani ti devo parlare con urgenza di una cosa.” disse solo e mi passò accanto, senza nemmeno permettermi di ingranare il fatto che si stava allontanando.

Non stava sviando il discorso, non era un suo tipico atteggiamento, ma stava solo trattenendo la rabbia, il disappunto e la delusione di ciò che aveva appena saputo per non riversarla su di me.

Doveva pensare che fossi sconvolta per la storia di Belial, e quindi non voleva avere la rudezza di arrabbiarsi con me in quel momento.

Ma io non volevo che se ne andasse in silenzio; ero così egoista da pretendere che mi dicesse qualcosa, che sfogasse la sua indubbia rabbia, malgrado non dovessi preoccuparmi di come lui doveva sentirsi al riguardo. Io avevo commesso uno sbaglio, era vero, ma quello che nascondevano lui e la sua famiglia non era nulla in confronto a quello che avevo fatto io. Eppure, io volevo affrontare l'Elijah che avevo creduto di conoscere fino ad allora e...fare cosa non lo so, il mio comportamento non aveva giustificazioni probabilmente.

Mi voltai e cercai di prendergli il polso, come per fermarlo. Nemmeno mi accorsi di come rapido fu il suo movimento, quando le mie mani sfiorarono la sua pelle. Ritirò il polso, quasi con rudezza, portandoselo al petto e si voltò verso me, lanciandomi un'occhiata fredda che mi fece venire i brividi.

Mi dispiace.

Scusami.

Perdonami.

Cosa potevo dirgli se non quelle parole? Ma non lo feci. Non me la sentivo di recitare ulteriormente con lui, non dopo quello che sapevo. Elijah mi stava guardando, tenendo ben dritte le spalle mentre quasi sembrava che il respiro muovesse il suo petto. Il silenzio ci circondava, un profondo, freddo, doloroso silenzio che mi sembrava non riuscire a sopportare.

Non sapendo come comportarmi, non sapendo come sostenere quelle ombre che offuscavano il suo sguardo, mi decisi a dirgli di parlarmi. Di dirmi qualcosa, qualsiasi cosa, che almeno mi destasse dal torpore del dolore che sembrava aver privato di ogni cosa il mio corpo.

Senti, Irina...sto rispettando il tuo dolore per la faccenda di Belial e devi sapere che io ti starò sempre vicino. Sempre.” disse, alzò la mano con estrema eleganza muovendola verso me come se volesse respingere il mio respiro. “Ma...adesso, non riesco. Non riesco a tollerare ciò che è successo e tu lo sai.”

Lo sapevo, non doveva nemmeno interessarmi, e allora perché ci stavo male lo stesso?

Era semplice il motivo, era perché ero talmente sciocca dal sentirmi in colpa per un unico bacio che era scattato con Klaus e perché ferire Elijah non era mai stata mia intenzione.

Ma gli avevo detto la verità e ne ero soddisfatta. Mentirgli non sarebbe stato corretto, anche se ero certa che avrebbe posto una fine a noi due.

Ma tanto, la fine doveva proprio essere scritta nel mio destino.

Non seppi cosa dirgli, non lasciai nemmeno che i miei occhi si gonfiassero di quelle infide lacrime che erano pronte a scendere lungo il mio viso. Sarebbe stato sciocco, come se volessi impietosirlo, ma io sapevo di meritare la sua rabbia e quindi non potevo fare altro che tacere e basta.

Elijah fece un altro passo verso di me. “Io so che hai iniziato a provare qualcosa per lui, quando ci siamo allontanati. L'ho visto.” disse, le sue parole erano taglienti come lame. “E so che non ci saremmo mai riavvicinati probabilmente, se tu avessi ricordato la conversazione con Klaus. Ma reprimere ciò che provi, anche se probabilmente si è trattato di un solo momento, è altamente stupido non trovi?”

Non compresi subito quello che mi stava dicendo. Ma i suoi occhi mi stavano trasmettendo una profonda delusione e non lo stava nemmeno negando, perché gli dava fastidio che io avevo trattenuto troppi sentimenti che nutrivo nei confronti di Klaus.

Penso che tu non abbia bisogno della mia freddezza ora, ma solo di te stessa.” disse solo e con estrema freddezza.

Fece per allontanarsi e allora non ce la feci.

Non ce la feci a trattenere la mostruosità di ciò che avevo scoperto, non ce la feci a reprimere la rabbia che la delusione faceva nascere in me, di fronte alla verità che era nascosta attorno a noi.

E non ce la facevo proprio a credere che Elijah fosse davvero uno degli artefici del futuro assassinio di mia sorella. Mi avvicinai, con passi pesanti sul pavimento, al comodino e aprii un cassetto, prendendo dall'interno la pergamena che Belial aveva fatto recapitare a Katerina la sera prima.

Elijah, prima di giungere alla porta, si fermò e si girò verso me, con la mano ben stretta al pomello. Doveva essere rimasto sorpreso dai miei movimenti rapidi e decisi, mentre con la mano stringevo il foglio e lo tendevo verso lui.

Stavo segnando la nostra fine? No, qualcosa mi diceva che la fine non era ciò che avrei trovato, quando Elijah avrebbe posato i suoi occhi su quel foglio.

La speranza mi faceva quasi credere che si trattasse tutto di un gioco perverso uscito dalla mente di Belial e che magari Elijah, Klaus e Rebekah non avessero minimamente intenzione di uccidere Katerina.

La ragione soppresse la speranza, rammentandomi che Belial non aveva alcun interesse nell'inventarsi una fandonia simile e che la storia del sacrificio era veritiera.

La ragione si unì alla follia di quel gesto, con cui volevo appurare la reazione che Elijah avrebbe avuto. Lui guardò i disegni sul foglio, i suoi occhi scorsero lungo le varie linee disegnate su di esso poi alzò gli occhi su di me.

Conferma. Stava confermando che era tutto vero.

E tutta la preparazione che avevo fatto per prepararmi a quel momento andò in fumo. Volevo scappare, il più lontano possibile, accorgendomi solo in quell'attimo del grave errore a cui ero andata incontro.

Però rimasi immobile, paralizzata dalla paura, ad osservare gli occhi scuri di Elijah che mi fissavano quasi con paura.

Dove...dove l'hai trovata?” mi chiese.

Ulteriore conferma. Iniziai a scuotere la testa, trovando irrilevante spiegargli che era stato Belial a portarmi sulla retta via per la verità, perché il fatto che lui stava davvero affermando che era tutto vero, quasi mi spinse a crollare in quel momento.

Elijah vide il terrore che prendeva largo dentro me, con il cuore impazzito e gli occhi che si allargavano sempre più per la paura.

Irina, aspetta. Posso spiegarti.” Elijah scattò rapido verso me, appena mi mossi per raggiungere la porta, cingendomi le spalle tra le mani e impedendomi di compiere un altro passo. La sua presa non era rude, non era violenta, voleva solamente impedirmi di andarmene prima di sapere una sua verità.

Non..non volevo lo scoprissi in questa maniera. Ero disposto a dirti tutto prima che accadesse.”

Quando? Quando ormai tutto era stato predisposto affinché mia sorella venisse sacrificata?

Cercai di divincolarmi, sentendo l'odio scorrermi lungo le vene, per giungere alla mia testa e sopprimere ogni barlume di razionalità che mi permettesse di pensare al comportamento più giusto da assumere.

Ma nulla. Io volevo solo scappare, il più lontano possibile e mi sentii libera di dare libero sfogo all'odio che dovevo nutrire nei confronti di tutti loro.

Elijah mi trattenne, continuando a cingermi le spalle con più rudezza. Tanto che le sue dita affondarono nella mia carne, mentre continuavo a divincolarmi con forza.

Ho trovato il modo per salvarla!”

La lotta terminò.

Alzai lo sguardo su Elijah, sui suoi occhi neri che stavano cercando i miei per legarli ai loro e lessi un profondo dispiacere in essi.

E sincerità. Era una cosa che la si poteva indistintamente riconoscere.

Quando vide che stavo lentamente iniziando a riprendere fiato, a rilassare i muscoli e a trattenere il battito del mio cuore impazzito, Elijah ammorbidì la presa sulle mie spalle. “Diana mi ha detto che c'è una maniera per far sì che tua sorella non muoia nel rituale. E le streghe che prenderanno parte al sacrificio sono disposte ad attuarlo.”

Aveva trovato un modo per salvarla? Improvvisamente mi sembrò di ritornare a guardare l'uomo che avevo conosciuto tempo prima, quello che mi era sempre stato vicino e che mai mi aveva abbandonata, nemmeno quando aveva rinunciato al nostro rapporto. Voleva salvare mia sorella.

Un inaspettato sollievo mi pervase, quasi mi sentissi meglio nel non aver l'obbligo di odiarlo. Serrai le labbra, e per poco mi lasciai andare ad un pianto liberatorio. Riuscii a trattenermi per puro miracolo.

Devi fidarti di me. Katerina non morirà.” Le sue mani mi salirono al viso, in un gesto in cui cercava di confortarmi.

Nei suoi occhi lessi tante richieste.

Non dirlo a Katerina.

Non avere paura.

Fidati di me.

La terza fu subito accolta, ma per le altre due era troppo tardi. Scossi la testa, quando una lacrima sfuggì alla forza di volontà che l'aveva trattenuta fino a poco prima e abbassai lo sguardo.

Klaus?

Chi diceva che lui avrebbe acconsentito al piano del fratello?

Elijah tacette un attimo, serrò le labbra con una tale forza che sembrava volesse bloccare il proprio respiro. “Gli farò accettare la proposta, te lo prometto.” mi disse.

Non fidarti. Katerina me lo aveva detto poche ore prima e io non seppi come rispondere al loro ricordo che prendeva largo nella mia mente.

Io di Elijah mi fidavo, perché lo avevo affrontato, ma Klaus?

Lui non riuscivo ad affrontarlo, il sacrificio era una cosa che lo interessava direttamente e se non avesse voluto accettare la proposta del fratello, per paura che la salvezza di mia sorella non garantisse la riuscita del suo piano? Non sapevo cosa pensare, avevo così tante voci nella mia testa che non sapevo come interpretare la questione di Klaus.

Anche se non lo meritavo, anche se era finito tutto, anche se la paura mi stava attanagliando, gettai le braccia al collo di Elijah, come per ringraziarlo. Lui restò un attimo immobile, come sorpreso da quel gesto, e poi posò le mani sulla mia schiena.

Non temere, andrà tutto bene.” mi disse.

Lui non sapeva che, con quell'abbraccio, volevo dirgli anche scusa per quello che stavo per fare. Restammo uniti in quella maniera per diversi secondi, assaporando ogni singolo attimo che ci legò.

Gli ultimi attimi.

* * * *

Questo non cambia nulla.”

Lo so.

Abbassai lo sguardo sul pavimento, congiungendo le mani davanti al grembo e tenendo la testa bassa.

Chiusi un attimo gli occhi, ripensando al volto di Elijah che mi diceva che aveva trovato un modo per salvare Katerina. E io mi fidavo di lui, mi fidavo di ciò che mi aveva detto eppure sapevo che le cose non si sarebbero placate.

Perché la soluzione di Elijah comportava comunque che Katerina morisse, e io non potevo lasciarle affrontare un orrore simile.

E, inoltre, non eravamo affatto certe che Klaus accettasse di acconsentire al piano del fratello, per paura che il rituale potesse non sortirgli il giusto effetto.

Katerina si avvicinò a me.

Quando ero andata in camera sua a dirle ciò che Elijah mi aveva rivelato, l'avevo trovata sveglia, malgrado l'ora davvero tarda. Se ne stava in piedi, davanti la finestra, ad osservare il cielo scuro e privo di stelle. Immobile come una statua e pallida come un fantasma.

Sembrava che la morte fosse già giunta a prenderla e portarla via.

Solo in quel momento, quando lesse il mio dispiacere nell'andare contro la fiducia di Elijah, si era decisa a guardarmi e ad avvicinarsi a me. Prese le mie mani tra le sue, dopo aver attraversato velocemente lo spazio che ci separava. Nel buio, le sue mani mi sembravano bianche come la porcellana mentre stringevano le mie. Il loro calore doveva infondermi coraggio, eppure provai comunque un profondo senso di colpa nel confronti dell'uomo che aveva fatto di tutto, in quei mesi, per poter salvare Katerina.

Non abbandonarmi, Irina.” sussurrò lievemente, tanto che la sua voce mi parve appartenere al buio che ci circondava. “Ti prego, non fidarti di lui. Ci ha solo mentito.”

No, non era proprio così. Avevo visto gli occhi di Elijah, avevo sentito le sue mani stringermi le spalle e avevo sentito la sua voce. Non mentiva.

Ma Katerina era terrorizzata dall'idea della morte ed era normale che non si fidasse.

Aveva paura di morire e io non lo avrei comunque permesso, malgrado tutto.

Sospirai e annuii, chiudendo gli occhi e stringendo con forza le dita di mia sorella.

Mi era comunque rimasta solo lei.

Katerina rabbrividì, forse per il freddo in quella stanza oppure perché la morte aleggiava su di noi da tempo ormai. Mi abbracciò con forza e io ricambiai subito la sua presa, posando le mani sopra la sua schiena e cercando in quella maniera di bloccare il tremore che la scuoteva da un giorno a quella parte.

Dobbiamo restare unite, Irina.” parve supplicarmi, soffiando parole nel mio orecchio. “Non abbandonarmi, ti prego.”

Stava per scoppiare in lacrime, la paura che potessi lasciarla combattere da sola quella battaglia, in quel momento, la stava lentamente logorando. Ma io non l'avrei abbandonata mai, lei doveva saperlo.

Mi dispiace Elijah.

Ma avrei trovato il modo di ripagarlo per l'aiuto che ci aveva dato, nonostante la fuga fosse imminente. Lo meritava.

Domani sera scapperemo, Irina.” disse ancora Katerina, mentre una lacrima di dolore, l'unica che volli concedermi nel buio, scendeva lungo il mio viso. “E saremo insieme sempre.”

Per sempre.

Sì, sarebbe stato davvero così.

L'indomani sarebbe tutto finito.

I'm on my own here

No one's left to be the hero

This fairytale's gone wrong as

Night will fall, my heart will die alone.

(We are the fallen- I am the only one)


Ciao a tutti! :D

Prima di iniziare a tartassarvi con le mie cavolate, mi scuso immensamente per il ritardo con cui ho pubblicato il capitolo, ma è stato un periodo molto pieno. So che non mi perdonerete, perché il capitolo, oltre che ad arrivare in ritardo, fa orrore per quanto è brutto....quindi scusate di nuovo. ç.ç

Come avete ben visto, in questo capitolo è successo un bel macello e io ho odiato con tutto il cuore scriverlo e sono certa che, probabilmente, anche voi dovete averlo odiato mentre lo leggevate. La faccenda di Belial nasconde ancora diversi aspett che verranno chiariti nel corso degli ultimissimi capitoli. Inoltre la storia dei demoni è molto ispirata a quelli del telefilm “Supernatural” per cui io vado matta...eh lo so, sono una copiona. :P

Per quanto riguarda Irina, beh...so che in questo capitolo è sembrata un po' bipolare, dato che è passata dal disperarsi al voler combattere. Ma è umana, è imperfetta e renderla improvvisamente forte sarebbe stato come uscire dal personaggio.

Katerina è apparsa molto Katherine vampira in alcuni atteggiamenti probabilmente, ma di fronte alla morte penso che chiunque non veda l'ora di scappare a gambe levate, arrivando anche ad “usare” delle persone che possano correre dei rischi. Nel telefilm poi, lei lo ha fatto. Premetto anche che so che Katerina non si messa ad elaborare piani ma che è scappata come una furia appena scoperto la verità, ma in questa fanfic ho pensato di farla agire in questa maniera, visto che ha anche il desiderio di tutelare la sorellina. Spero abbiate gradito.

Parlando di Elijah...beh, su di lui non ho nulla da dire. Il fatto che abbia cercato di salvare Katerina lo commenta per ciò che è *-*

Io chiedo in anticipo perdono se cambierò anche altri elementi riguardanti la fuga di Katerina, della doppelganger, e di Klaus sopratutto ecc...non posso propriamente attenermi a ciò che è successo nel telefilm per seguire la linea di questa fanfic. Come sempre, mi auguro che gradiate i futuri cambiamenti. :)

Ah inoltre, mi rendo conto che i “confronti” di Irina (sia con Elijah che con Klaus) non sono stati dei migliori, ma perché ho preferito riservarli per il prossimo capitolo. In questo Irina era troppo sconvolta e dubbiosa per via della storia del rituale, nel prossimo sarà meno dubbiosa ma diciamo che avrà più “testa” per confrontarsi con loro. Non so se mi sono spiegata bene, sono un disastro -.-''

Ok, volete spararmi per quanto parlo? Vi capisco. u.u

Ringrazio coloro che leggono questa storia, sia chi lo fa in silenzio e sia chi recensisce.

Grazie anche di cuore a chi ha aggiunto questa storia tra le preferite/ ricordate e seguite e chi mi ha aggiunta agli autori preferiti.

Spero di leggere i vostri commenti, positivi e negativi che siano, anche per dirmi di abbandonare e di darmi all'ippica o di andare a lavorare la terra, il che, dopo questo capitolo, ci starebbe pure....

Alla prossima e buona serata, ciao! :D

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Capitolo 28
*** The Beautiful Ones ***


-The beautiful ones-

Il momento era giunto.

Mi ero svegliata quella mattina sentendola attorno a me, avvertendo la fine di tutto mentre l'ossigeno affluiva nei miei polmoni, ricordandomi che avrei respirato quell'aria per l'ultima volta.

Quella notte, sapevo che il mio solo fiato non sarebbe bastato a sostenere la furia della corsa verso la salvezza che avrei intrapreso insieme a Katerina.

Verso casa.

Verso quel luogo che non avremmo mai creduto potesse essere il nostro riparo dal mondo intero. Probabilmente, per noi, non ci sarebbe mai stato un vero posto da poter definire casa, un luogo che ci avrebbe regalato affetto e protezione. Un luogo simile, per me e Katerina, non era mai esistito.

Era stato solo un miraggio a cui ci eravamo appigliate per tutto quel tempo. Niente più.

Mi mossi con rapidità lungo il terreno, i miei piedi calpestavano rumorosamente i fili d'erba sotto di me, ancora bagnati dalle gocce di pioggia che erano scese per tutto la notte.

Il cielo non era stato clemente con la terra e aveva riversato su di essa tutta la furia, come se volesse punirla per i misfatti di cui essa si era macchiata.

Dovevo raggiungere casa di Trevor e Rose, avevo deciso di non svegliare Katerina quella mattina e lasciare che ci occupassimo noi di tutto. Dovevamo affinare al meglio il piano per ottenere la pietra di luna, anche se il solo pensiero di entrare nella stanza di Klaus mi faceva tremare di paura.

Presa dai miei pensieri, tutti quanti privi di logica a causa dell'ansia che mi attanagliava nella sua morsa, non mi accorsi di una sagoma, di qualcuno che era nascosto dietro un albero che stavo accingendomi a superare.

Alzai lo sguardo allarmata e vidi un uomo che non avevo mai visto prima. Aveva più o meno sui trent'anni, era biondo e aveva profondi occhi verdi. Era di bell'aspetto, alto ma con indosso abiti da agricoltore sporchi di terra. Non ero un genio, ma non ci misi molto a fare due più due e a capire chi realmente mi trovavo di fronte.

L'uomo piegò la testa da un lato, quasi stesse scrutandomi con estrema attenzione, e un sorriso ,più simile ad un ghigno divertito, si allargò sulle sue labbra. Ennesima conferma che si trattava di lui.

Sei più carina dal vivo, piccola Iry.” mi disse.

La voce non era lontanamente paragonabile all'eleganza nei suoni che aveva avvolto ogni singola parola pronunciata da Belial nel mio sogno. Quella era roca, dura e troppo incisiva, quasi fastidiosa.

Senza contare che in un corpo umano il demone perdeva davvero molto del suo fascino.

Mi guardai attorno, assicurandomi che nessuno stesse assistendo alla scena.

Ma se anche così fosse stato? Quello sembrava tutto fuorché un demone vecchio di secoli e secoli.

Eravamo completamente soli, il cielo ancora velato di grigio lasciava trasparire dei leggeri raggi di sole attraverso le sue nuvole e questi investivano i capelli dorati dell'uomo.

Lui sorrise più largamente, quando mi vide rabbrividire per qualche istante.

Quante volte devo dirtelo che non sono io quello che devi temere?” mi chiese, lasciando trapelare del leggero sarcasmo e fastidio dalle sue parole. Non mi lasciai intimidire.

Perché sei qui? Gesticolai, anche se pensai non fosse necessario, visto che mi trovavo di fronte ad un demone e non ad un contadino appena tornato dal lavorare la terra.

Lui fece un passo verso me, facendo scorrere la sua spalla lungo la corteccia dell'albero alla mia destra.

Voglio aiutarti.” disse solo. E chissà per quale insolito motivo, pensai di non fidarmi. Quel ghigno inquietante che aveva assunto sul viso non prometteva nulla di buono. “Il vostro patetico piano di fregare l'ibrido in quel modo andrà a farsi benedire, lo sai no?”

Sì, lo sapevo. Ma ero così disperata che sperai potesse davvero funzionare un piano del genere. Distolsi lo sguardo imbarazzata e sentendo l'ansia serrare sempre di più il mio cuore nella sua presa.

Belial mi mostrò una pietra che aveva nascosto nel palmo e sorrise. “È un falso. Klaus non dovrebbe accorgersene subito perché la magia che ho usato su di essa potrebbe ingannarlo per un po'.” disse, quasi fiero di aver messo appunto un piano quasi migliore del nostro. Il suo uso del condizionale non mi convinceva molto.

Allungai la mano per prendere la pietra, ma lui ritrasse la sua cogliendomi di sorpresa. Lo guardai in malo modo, come per dirgli che non avevo altro tempo da perdere con lui e con i suoi capricci.

Katerina ti ha svegliata troppo presto l'altra sera.” disse, alzando l'indice e puntandolo sulla punta del mio naso. Mi ritrassi. “C'è un'altra cosa che devi assolutamente sapere...”

Detto ciò, il suo sorriso si spense lentamente.

* * * *

Flies with a broken wing, she's ever so graceful, so like an angel

But i see, tears flow quietly.

Bussai con forza e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, in modo che Trevor, e sopratutto Rose, non si accorgessero che avevo pianto per tutto il tragitto percorso per giungere a casa loro.

La vampira venne ad aprirmi quasi subito, quando la pelle della mia mano aveva asciugato via giusto in tempo l'ultima striscia di lacrime disegnata sulla mia pelle.

Irina, che ci fai qui?” mi chiese, aveva gli occhi sbarrati, come se fosse un cerbiatto che stava fuggendo dal cacciatore. Si accorse subito che qualcosa non andava in me; anche se il sole alle mie spalle doveva rendermi il viso una specie di ombra, Rose colse prontamente quelle gocce che erano state malamente e frettolosamente cancellate via dal mio volto.

Trevor.

Era l'unica parola che volevo pronunciare nel silenzio, l'unica che forse sarei riuscita a dire.

E l'unica di cui avevo bisogno.

Come se mi avesse udito, Trevor apparve alle spalle di Rose e mi guardò con aria confusa. Probabilmente, avevano entrambi il terrore di trovarsi Klaus alla porta, pronto a staccar loro la testa appena scoperto che Katerina stava per fuggire grazie al loro aiuto.

Irina?” chiese confuso, mentre Rose gli lanciava un'occhiata veloce, trovando complicità nella perdizione del suo sguardo. “Perché sei qui? Non avevamo detto...”

Presi un lunghissimo respiro, scuotendo lievemente la testa e mordendomi la lingua per non scoppiare di nuovo in lacrime.

Il piano è cambiato.

* * * *

The struggle she's seen this spring, when nothing comes dancing

paying a handsome fee, and she still smiles at me.

Calma e sangue freddo.

Ero sempre stata una persona che non si faceva prendere dal panico o dal nervosismo, o almeno lo ero prima che giungessi in Inghilterra e scoprissi quante spaventose realtà esistessero nel mondo.

Mi trovavo in camera di Klaus, come il piano richiedeva.

Era tardo pomeriggio, lui era impegnato negli ultimi preparativi della festa di quella sera e, secondo i nostri calcoli, non sarebbe tornato così presto da cogliermi con in mano la pietra di luna.

Belial mi era stato di grande aiuto, permettendomi di attuare un piano migliore di quello confuso e probabilmente destinato al fallimento che avevamo ideato noi.

Sapeva il posto preciso dove si trovava la pietra, così che avrei impiegato pochi minuti per prenderla, sostituirla con la falsa pietra e lasciare la stanza. Mentre la stringevo tra le mani, guardando i suoi bordi bianchi che nel giro di pochi giorni sarebbero stati macchiati del sangue di Katerina, mi chiesi come potesse un oggetto così piccolo poter essere fonte di così tanti problemi.

Il pugno si strinse con forza su di essa, mentre restavo inginocchiata davanti all'armadio in cui Klaus aveva nascosto l'oggetto, sul suo doppiofondo.

Ripensai a ciò che Belial mi aveva detto.

Il pugno strinse con più forza, con talmente tanta forza che il dolore si espanse con rapidità lungo i muscoli delle dita. Eppure non riuscii a distogliermi dal tremore e dalla forza che applicavo su di essa.

Non potevo credere di aver fatto una cosa simile.

Mi sforzai di non pensarci, perché se lo avevo fatto una ragione c'era.

Ed era la cosa più giusta che avessi fatto in sedici anni di vita.

Poi non sarei potuta tornare indietro, quindi ripensarci era inutile. Mi alzai in piedi, lentamente, sentendo il tessuto della gonna scivolare nuovamente lungo le mie gambe e mi voltai verso la porta. Lasciai tutto come avevo trovato quando ero entrata e corsi ad aprire la finestra che avevo chiuso al mio arrivo. Venni investita dalla leggera brezza serale che soffiava quel giorno e che prometteva solo ulteriore pioggia. Sperai vivamente che non ci si mettesse anche lei a voler ostacolare il mio piano.

Klaus si sarebbe accorto troppo tardi che la pietra di luna era scomparsa, quando Katerina sarebbe già scappata lontana con essa. O almeno, era quella la mia speranza e ciò che Belial mi aveva garantito.

Nascosi la pietra nella piega della scollatura sul mio vestito, in modo che se avessi incontrato qualcuno in corridoio prima di raggiungere Katerina, non si sarebbe accorto che l'avevo con me.

Proseguii rapidamente verso la porta, quando la serratura scattò.

Mi arrestai di colpo, puntando gli occhi sul legno in mogano della sua superficie, mentre il battito cardiaco aumentava sempre più e sempre più a dismisura. Strinsi con forza i pugni, restando immobile nel centro della stanza e riuscendo a percepire unicamente il cuore che martellava con forza violenta contro le costole.

Bum bum. La porta si aprì lentamente, lasciandomi scorgere una mano dalle dita affusolate che ne stringeva il pomello.

Bum bum. Quella mano spinse ancora e più lentamente la porta, in maniera che la figura nascosta dietro di essa divenne chiaramente visibile ai miei occhi.

Bum bum. I suoi occhi blu incontrarono i miei e il sangue mi si gelò nelle vene, immobilizzandomi i muscoli del corpo che parvero non ascoltare più i miei comandi.

Era finita? Fu la prima cosa che pensai, quando vidi Klaus sulla soglia della camera.

Se avesse scoperto il motivo per cui ero là, era davvero la fine per me e Katerina.

Il cuore batteva come impazzito, quasi volesse fuggire in quel preciso istante. La mia mente, invece, mi ricordò che avevamo già tenuto conto della probabilità che Klaus entrasse nella stanza proprio in quel preciso momento e che avevamo già preso in considerazione un ipotetico comportamento da assumere per quell'eventualità.

Il cuore si calmò, molto lentamente, tanto che insieme a lui sentii anche rilassarsi i muscoli del mio corpo. Sbattei più volte le palpebre, lasciando gli occhi puntati sull'immagine di Klaus che si chiudeva la porta alle spalle, con un'espressione di pura sorpresa ma anche fastidio sul volto.

Iry, che ci fai qui?” mi domandò.

La sua voce lasciava trapelare durezza, malgrado i suoi occhi mostrassero ben altro. Deglutii, sentendo quel groppo scendere rumorosamente in gola e distogliendo per un attimo lo sguardo. Ancora mi sembrava impossibile che Klaus fosse veramente quella persona che mi era stato descritta.

Avanzò verso me, continuando a tenere in mano dei fogli e senza distogliere mai lo sguardo dal mio. I suoi occhi sembravano trafiggermi il volto, giungendo a riconoscere la sensazione di panico che stavo inutilmente cercando di nascondere.

L'attrice non era il lavoro più adatto a me, era ovvio.

Allora?” insistette il vampiro, fermandosi a pochi centimetri dal mio viso. Trovai la forza necessaria per poter alzare lo sguardo su di lui e trovare il suo, ancora intento a cercare di capire cosa scatenava il tremore che mi correva lungo le membra.

Come...

La mano mi si bloccò a mezz'aria, quando mi resi conto che non riuscivo a portare avanti quella recita, senza lasciarmi andare alla rabbia o all'odio. Mi parve impossibile.

Klaus attese in silenzio che continuassi a parlargli e io ricordai a me stessa che mentire significava salvare Katerina. Allora mi rivestii di tutte le menzogne che ero pronta ad usare per ingannarlo.

Come stai?

Domanda sciocca, innocua ma che poteva comunque servirmi per poter “ingannare” Klaus. O almeno così credevo. Klaus affilò lo sguardo, lasciando scorrere le sue iridi blu lungo il mio viso e mostrandosi relativamente poco convinto. Cedetti nuovamente al panico, ricredendomi su quella sottospecie di piano che avevo messo in atto.

Poi, improvvisamente, lui alzò le sopracciglia e la sua espressione passò dal tranquillo, al sarcastico. “Sei venuta in camera mia per chiedermi come sto?” mi domandò.

Era buffo come trovassi ancora inspiegabile il modo in cui lui rimaneva sorpreso in situazioni semplici come quella. Anche se quella situazione non aveva nulla di semplice poiché anche io stavo facendo il doppio gioco. Provai uno strano senso di colpa nel prendere il giro il prossimo, ma rammentai che quel prossimo voleva squarciare la gola a mia sorella.

Il mio cuore passò dal piangere per il senso di colpa, allo urlare di rabbia.

Klaus sorrise, quasi divertito dalla mia mancanza di risposta. “Ti prego, non te ne approfittare.” disse, portandosi le mani ai lati della bocca e lasciandovi scorrere le dita. “Non ho bisogno della tua compassione.”

Usò quelle ultime quelle parole, unendole all'evidente fastidio che la mia semplice domanda gli aveva causato. Mi superò, i nostri vestiti si sfiorarono delicatamente quando mi passò accanto e un'ondata di calore si espanse lungo il mio corpo, unita ad una lunga scia fredda che mi attraversò la schiena.

Stavo per sospirare di sollievo, poiché potevo andarmene da quella stanza prima di quanto pensassi. Potevo far sembrare terminata lì la conversazione, visto che non volevo ulteriormente infastidirlo.

O forse avrei destato sospetti?

Trattenni il fiato. Odiavo complottare ed elaborare piani per fregare il prossimo, perché non mi riusciva.

Decisi così di muovermi verso la porta, fingendomi come afflitta dall'atteggiamento di Klaus. Ma...

Elijah mi ha detto tutto.”

Mi bloccai.

La mano tremò, fermandosi tra me e il pomello della porta che volevo le mie dita raggiungessero.

Giurai di stare tremando come una foglia, sbarrai lo sguardo e lo tenni fermo sul legno della porta. Poi li chiusi e mi morsi le labbra presa dal panico.

Te l'avevo detto che se la sarebbe presa e che era meglio non gli dicessi nulla.” continuò Klaus.

Si era seduto sul letto, lo compresi dal rumore delle aste in legno sotto il materasso, che cigolarono sotto il suo peso.

Stavo di nuovo per sospirare di puro sollievo, sentendomi una sciocca per aver pensato al peggio.

Mi girai verso Klaus e mi chiesi quanti secondi, o minuti, fossero passati dal momento in cui ci eravamo incontrati in quella stanza.

Non pochi come credevo, dato che lui aveva avuto il tempo di lasciare i fogli sul comodino accanto al letto, di riempirsi un bicchiere con del liquore preso dal tavolino vicino alla finestra e sedersi ai piedi del letto. Klaus fissò con disinteresse il contenuto color ambra che ballava all'interno di quelle pareti in vetro, tenendo gli occhi socchiusi.

Alzò poi lo sguardo su di me, come se volesse dirmi che la discussione non era affatto finita lì.

E io tremai.

Tremai perché sapevo non sarei riuscita a sostenere una finta conversazione pacifica con l'angelo dalle ali di diavolo. Ma dovevo, o probabilmente sarei risultata troppo sospettosa.

Asciugai le mani sudate sulla gonna e mi avvicinai verso lui.

Non troppo, perché poi mi avrebbe vista rabbrividire. Che ti ha detto?

Klaus scosse la testa e storse le labbra, posando lo sguardo in un punto verso la finestra. “Elijah non è uno che si spertica in molte parole. Mi ha semplicemente detto di andare all'inferno con uno sguardo.” disse e si portò il bicchiere alle labbra, come se volesse rimuovere il residuo di quelle parole dal suo palato “Ma non ha tutti i torti, stavolta. Non dovevo baciarti per l'ennesima volta, non con ciò che...”

Si bloccò, abbassando lo sguardo e rendendosi improvvisamente meno enigmatico di quanto stesse facendo prima.

Senso di colpa.

Allora sai che cos'è, vero Klaus?

Non seppi come e nemmeno perché, ma vedendo quell'espressione trovai il coraggio e la forza di mettere in atto quella messinscena che tanto difficile mi risultava portare avanti. Feci un altro passo verso lui e Klaus alzò di poco lo sguardo posandolo su un punto sul mio vestito bianco.

Che?

Che t'importa?” Lui rispose prontamente, posando rabbiosamente gli occhi nei miei. Lunatico come al solito. “Non dovevamo baciarci e basta,non dovevamo concedercelo. Punto.”

E gli diedi più che ragione. Viste le circostanze, visto tutto quello che si nascondeva dietro le sue intenzioni, concederci quel momento era stato davvero assurdo e irreale. A me faceva male pensare che fosse stato tutto una menzogna, ma a lui? Sembrava logorato dal senso di colpa, ma pensai che stesse mentendo. Altrimenti avrebbe desistito fin da subito dall'intento di uccidere Katerina.

Strinsi i pugni, pensai che potevo fingermi imbarazzata da quella discussione e lasciare la stanza.

Sì, potevo farlo. Sarebbe stato da me.

Cercai di voltarmi verso la porta, procedendo a grandi falcate verso essa e sentendomi più rilassata man mano che la vedevo più vicina. Sentivo Klaus che mi stava guardando, poi non avvertii più la pressione dei suoi occhi sulle mie spalle.

Perché me lo ritrovai di fronte.

Sussultai, pensando subito che avesse scoperto stessi nascondendo qualcosa, ma poi mi rasserenai. Klaus restò davanti a me, con il bicchiere imprigionato nelle dita della sua mano e gli occhi fermi sul mio volto. Non aveva espressione, solo una maschera di pura freddezza che non mi permetteva di ipotizzare ciò che stava per dirmi. Malgrado sapessi che non aveva intuito nulla, mi sentii tremare per quella vicinanza così troppo improvvisa e difficile da sopportare. Mi si bloccò il respiro in gola...

L'amore è dolore.”

Sobbalzai, quando Klaus ruppe il silenzio che aleggiava su noi con quelle tre semplici parole che mi entrarono dentro con violenza. Socchiusi lo sguardo confusa, colpita da come i suoi occhi si fossero stranamente illuminati mentre le aveva pronunciate.

L'amore uccide. Strappa tutto ciò che racchiudi dentro di te: forza, pensieri, cuore. Tutto. Ti soffoca, ti ferisce, ti fa sanguinare...l'amore fa solo ed esclusivamente male.”

Mi mancava l'aria, poiché Klaus parlava con una tale enfasi che mi trovai aggrappata ai suoi occhi, mentre aspettavo concludesse quel discorso di cui non capivo l'origine e non prevedevo la fine.

Un sorriso, velato di profonda malinconia, si allargò sulle sue labbra, tanto che per uno stupido istante dimenticai di trovarmi di fronte l'uomo che voleva uccidere mia sorella.

L'amore è tutto ciò che sento mi lega a te.”

Si bloccò e io mi bloccai con lui.

Il respiro sembrò non voler più avere nulla a che fare con i miei polmoni e si liberò dalle catene che lo legavano ad essi, mentre fissavo confusa Klaus.

Tutto in me scoppiò con troppa violenza, perché non mi rendevo capace di capire come potesse farmi un discorso simile sapendo che il suo unico obiettivo era quello di uccidere mia sorella, divenire più forte e lasciarmi sola per l'intera esistenza.

Non era forse quello, il suo obiettivo?

Iniziai a sentirmi gli occhi pungermi per le lacrime di rabbia; quelle volevano liberarsi repentinamente dal mio sguardo e potersi così sfogare.

O forse erano lacrime di dispiacere, perché avrei anche potuto apprezzare quel discorso in una situazione reale? Non lo sapevo nemmeno io.

Ma ci sono troppe variabili in gioco e non parlo solo del fatto che tu ami lui...” continuò Klaus e pensai amaramente che sapevo non si trattava di Elijah. Mi trattenni dallo scoppiare per rabbia, odio e disperazione e abbassai lo sguardo. “E ho imparato una lezione in questo tempo che mai avrei pensato di poter apprendere, perché se c'è una cosa che odio...sono gli sciocchi sentimentalismi che voi mortali amate con tutto il cuore.” Storse il naso pronunciando le ultime parole, mostrando il suo più totale ribrezzo per la nostra specie. Non mi spiegò di cosa si trattava, come se non volesse dirmelo o semplicemente stesse aspettando che gli facessi io stessa un segnale affinché mi spiegasse.

Non doveva importamene, eppure volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivato.

Cosa?

Klaus abbassò lentamente lo sguardo, facendolo scivolare su di me fino a quando non si posò sul pavimento. Si cibò del silenzio che ci pervadeva, per fare in modo che potesse trovare la forza di continuare.

Augurarsi il meglio per chi si ama, anche se questo comporta soffrire.” disse. “E il meglio per te, è stare lontano da me. Il più possibile...visto il male che potrei arrecarti.”

Il cuore ebbe un singulto, mentre guardavo gli occhi di Klaus penetrare nei miei in quella maniera, quasi volessero cercare le mie lacrime per poter nascondere quelle che avrebbero potuto essere le sue.

Ma come poteva farmi un discorso simile, con la storia del rituale che incombeva?

Si sentiva in colpa? Allora perché non rinunciarvi?

Pensai di fare come avevo fatto con Elijah, di affrontarlo, ma poi mi diedi della stupida per aver avuto anche solo per un secondo l'idea di potergliene parlare.

Klaus era irascibile, era lunatico ed era egoista, non lo si poteva negare.

Anche se con me, in quel momento, non lo era affatto.

E io non sapevo come combattere quella nascente sensazione che lui, probabilmente, avrebbe salvato mia sorella seguendo il piano di Elijah.

Ma questo non cambiava il mio piano purtroppo.

Sono da secoli che non ho sentito qualcosa di simile per una persona, per una ragazzina come te poi.” ridacchiò, quasi il suo sentimento per me lo divertisse. “Hai riacceso una fiamma che doveva restare spenta, assopita nell'oscurità di una vita in cui non ci doveva essere amore. A noi vampiri basta un soffio per spegnerla...una cosa semplicissima. Eppure, io non riesco a farlo...non ora che ho incontrato te.”

Parlava con una tale enfasi che provai uno strano ed inspiegabile senso di dispiacere per lui, nel sentirlo parlare in quel modo del suo rifiuto nell'amare, per poter adempiere a qualcosa che considerava più grande di quello stesso sentimento.

Ma sacrificare mia sorella non aveva scusanti. Quello non era amore, non quello vero almeno.

Che dovevo fare quindi? Mostrarmi colpita dalle sue parole o uscire da quella stanza non mostrando alcun interesse per ciò che avevo udito? Una Irina tranquilla, serena e per nulla sospettosa avrebbe reagito solo in una maniera a quelle parole.

Tesi la mano verso il suo volto, lentamente e alzandomi sulla punta dei piedi per poterlo raggiungere, sentii la pelle del viso di Klaus tendersi sotto i miei polpastrelli quando gli sfiorai una guancia.

Io tremai, lui rabbrividii per un attimo.

Come potevo recitare in quella maniera? Semplicemente, sentii di fare molta leva sulla parte di me, quella più debole e più fiacca, che si era sentita colpita da quella parole.

La parte di me che stava inesorabilmente morendo in quel giorno.

Non dissi nulla, nessun gesto o nessun movimento di labbra che potesse darmi voce. Nulla.

Quel gesto così poco spontaneo mi era bastato.

Klaus chiuse gli occhi quando lo superai e dentro di me, malgrado tutto, pensai due parole.

Addio Klaus.

Dissi addio al Klaus che avevo conosciuto, al Klaus che avrei creduto di poter scoprire sempre più, a quello che avevo conosciuto in tutto quel tempo. Quello che purtroppo non era mai esistito.

Klaus non si trattenne, alzò la mano libera e sfiorò delicatamente la mia con le sue dita.

Trattenni il fiato, mentre le sue labbra si posavano sul palmo della mia mano, baciandone con delicatezza la pelle. Il calore che mi trasmise attraverso quel gesto mi privò di tutto quello che stava muovendomi in quel momento. Paura, odio, rabbia...

Ora vai. O farai tardi.” mi disse.

Tardi per la festa. Non seppe nemmeno che, con quelle parole, stava ricordandomi che stavo facendo tardi per la fine di tutto.

Abbozzai un sorriso e mi allontanai a passo svelto, sfiorandogli involontariamente la spalla e avvicinandomi alla porta. I suoi occhi mi seguirono, fino a quando non scomparvi dietro l'angolo.

And i can't take it, i can't help but wonder

Why do we sacrifice the beautiful ones?

How do you break a heart of gold?

Why do we sacrifice our beautiful souls?

Heroes of tales unsung, untold.

* * * *


Pensavo che i piani consistessero in fasi diverse.

C'era la parte facile, quella risolvibile con estrema semplicità, e quella più difficile, quella che faceva tremare il corpo e battere forte il cuore nel petto, in preda all'ansia di non poter riuscire a portarlo a termine. Allora perché il mio piano consisteva solo ed unicamente in parti estremamente ardue?

Dallo scontro con Klaus, che miracolosamente era finito bene, alle fasi del piano che mi stavo accingendo ad eseguire era tutto troppo difficile.

Ce l'avrei fatta? Mentii così tante volte a me stessa, mentre camminavo nel buio della foresta, che riuscii persino a convincermi di essere realmente forte abbastanza da sostenere da sola il peso di quel piano.

La villa di Klaus era ancora in festa.

Malgrado mi fossi allontanata parecchio, malgrado tutto il mondo attorno a me si fosse improvvisamente arrestato per lasciarmi ascoltare in pace i miei pensieri, mi sembrava ancora di udire il vociare delle persone che ne avevano preso parte.

Nessuno si sarebbe accorto della nostra mancanza, vista la folla di persone che si trovava all'interno dell'abitazione. Almeno non troppo presto, Katerina sarebbe sicuramente stata già lontana, una volta che Klaus si fosse accorto della sua assenza. Io avrei permesso una cosa simile.

Eccola finalmente!”

Alzai di scatto lo sguardo e lo puntai sulle tre figure che, nel buio, si trovavano a pochi passi da me. Riconobbi il volto di Trevor, il quale teneva in mano una torcia fiammeggiante che illuminava anche i volti delle due ragazze accanto a sé. Katerina sorrideva rincuorata nel vedermi sana e salva mentre procedevo verso lei; sorrideva ma il corpo era talmente teso che riconobbi i brividi del panico e della tensione che le attraversavano la pelle. Rose invece era seria, troppo seria, e temetti potesse mandare a monte ciò che le avevo detto quel pomeriggio, cosa che sicuramente avrebbe provato a fare.

La fiamma che illuminava i loro visi venne mossa dal leggero vento che soffiava quella notte. L'odore di pioggia era ancora nell'aria, ma sembrava che almeno il cielo mi fosse favorevole quel giorno e volesse attendere un po' prima di gettare le sue gocce contro la terra.

Tutto bene? Klaus ti ha fatto del male?” Katerina si mosse rapida verso me, per incontrarmi a metà strada nel tragitto che ci separava. Continuava a sorridere, ma avendola più vicina mi accorsi che tremava più di quanto sembrasse da lontano.

Persino le sue labbra sembravano non riuscire a smettere di tremolare.

Mi fermai, guardando i suoi occhi scurissimi e sentendomi pervadere da un'altra sensazione che non avevo mai provato in quella giornata. Quella malinconia crescente che mi saliva nel petto ricordandomi che dovevo avere il potere di farlo...

Tesi la mano verso lei, quella che stringeva la pietra di luna, e la posai sul palmo della sua. Katerina sorrise sollevata, senza domandarsi nemmeno come mai il nostro piano avventato e destinato a finire in malo modo fosse, invece, così ben riuscito. Non le importava, le importava solo che noi, insieme, avremmo lasciato quella terra degli orrori per correre via, il più lontano possibile, in un posto in cui avremmo potuto portare avanti le nostre vite.

Un posto in cui nasconderci.

Ma un tale posto non esisteva.

Bene. Ora partiamo subito...non c'è tempo da perdere.” Katerina perse il sorriso, strinse la pietra con entrambe le mani, continuando a tremare, e voltandosi verso i due cavalli che, immobili, assistevano alla scena, restando alle spalle di Trevor e Rose.

Non si accorse che io era rimasta immobile, guardando la sua figura allontanarsi velocemente e sentendola già così distante che quasi mi sentii male.

Volsi lo sguardo verso Trevor che comprese prontamente che era arrivato il turno di intervenire e mettere in atto il mio piano.

Rose chiuse gli occhi, notai i suoi pugni serrarsi con forza accanto alle gambe, mentre Trevor si avvicinava rapidamente a mia sorella, bloccandole il passaggio.

Lei alzò lo sguardo su di lui, i suoi ricci scuri si mossero nel vento mentre mi immaginai i suoi occhi innocenti fissare con aria interrogativa il volto del vampiro.

Trevor si mosse rapido; le prese il viso tra le mani e puntò gli occhi nei suoi.

Katerina oppose un attimo resistenza, stringendogli i polsi, cercando di allontanarlo e gridandogli di lasciarla andare. Rose fu tentata dal muoversi verso di lui, ma il mio sguardo parve impedirglielo.

Ora, Katerina, tu lascerai il paese. Da sola.” Trevor iniziò a parlare e mia sorella si bloccò, smettendo di divincolarsi e di gridare e ascoltando attentamente le parole del vampiro. Mi parve di vedere le lame nella voce di Trevor penetrarle nello sguardo, per giungere alla sua mente e offuscarne il volere, sopprimendo tutti i pensieri che doveva avere in quel momento ad aleggiarle dentro.

Strinsi i pugni, sforzandomi di non scoppiare in lacrime in quel momento.

Non potevo permettermelo. Katerina sarebbe stata salva grazie a me, la mia futura solitudine non contava nulla. Lei avrebbe vissuto libera per il resto della sua vita.

Scapperai il più lontano possibile, sempre da sola, raggiungerai il confine a cavallo e ti metterai in salvo. Irina ti raggiungerà appena possibile e starete insieme per sempre.”

Trevor parlò in altri termini rispetto a quelli che gli avevo chiesto, elaborando però sempre lo stesso concetto, come se volesse convincere anche se stesso, mentre imprimeva quei pensieri nella mente di mia sorella. Peccato che probabilmente, quell'imposizione di volontà celava una menzogna.

Appena tutto terminò, appena Katerina si volse verso me, con le lacrime che le avevano rigato il viso, quando era ancora libera di avere i suoi pensieri e il suo volere, compresi che non c'era potere migliore, potere più grande di quello di sapere dire addio.

E io dovevo dirle addio. Dovevo riuscire a dirle addio.

Perché la probabilità che non l'avrei più rivista c'era.

E per quanto mi risultasse difficile farlo, dovevo accettare il fatto che dovevo lasciarla andare. Era la cosa migliore e dovevo frenare il mio innato egoismo che mi spingeva quasi a mandare a monte tutto e fuggire insieme con lei, come doveva essere. Ma poi l'avrei persa probabilmente.

E io preferivo averla lontana ma in vita, invece che averla vicina e sempre prossima alla morte.

Katerina mi sorrise, le labbra si allargarono in un sorriso malinconico che probabilmente apparteneva alla parte di lei che combatteva contro la voce di Trevor dentro la sua testa, quasi volesse liberarsi da quel volere e costringermi a seguirla come doveva essere. Ci mancò poco che scoppiassi a piangere.

A presto, sorellina.” disse, con un filo di voce.

Le sue parole parvero disperdersi nella notte, nell'oscurità più buia che in quel giorno ci aveva strette nel suo freddo abbraccio. Mi consolò il fatto che, almeno per lei, potermi dire addio risultò più facile di quanto potesse esserlo per me. Anche se il suo non era un addio, ma un arrivederci, perché io volevo continuasse a sperare che ci saremmo rincontrate un giorno. Poteva anche essere così.

Spero un giorno tu possa perdonarmi, lo sto facendo per te.

Trevor e Rose rimasero muti spettatori di quell'addio annunciato nel silenzio, poi mia sorella si allontanò e Trevor la seguì, prendendo le redini del cavallo su cui lei sarebbe partita.

Nel mio piano anche Rose avrebbe dovuto seguirla, ma lei non si mosse.

Mi guardò fisso negli occhi e si avvicinò con rapidi passi verso me. Le gambe che si muovevano sotto la gonna provocarono uno strano rumore scontrandosi con la stoffa del suo abito.

Rose?” la richiamò Trevor, voltandosi un attimo verso di lei, ma la vampira lo ignorò, continuando a guardarmi fisso in volto. Cercai di non farmi intimidire dalla sua espressione dura, di non farmi convincere dalla durezza delle parole che mi avrebbe rivolto, di non farmi sopratutto commuovere dall'amicizia che mi aveva mostrato in tutto quel tempo e che avrebbe ulteriormente dimostrato in quel frangente.

Perché lo stai facendo, Irina? Perché stai praticamente compiendo questo suicidio?!” mi chiese, con un tono di voce leggermente alzato. Trevor la richiamò, ma lei continuò a non curarsi di lui.

Guardai le spalle di mia sorella, mentre procedeva accanto al vampiro, quest'ultimo, fortunatamente, non si era fermato malgrado Rose stesse quasi mandando a monte il piano.

Non gliene diedi una colpa però, io probabilmente avrei fatto lo stesso per lei. Comunque decisi di non darle alcuna risposta, mi girai verso la strada che avevo intrapreso per giungere fino a là e mi preparai a proseguirla nuovamente.

Rose non mi permise di compiere nessun'altro passo.

Mi ritrovai scaraventata a terra senza nemmeno rendermene conto. Nell'impatto con il terreno, avevo sbattuto violentemente il braccio che iniziò subito a pulsare di dolore. Gemetti, guardando la vampira in piedi accanto a me che respirava velocemente, troppo velocemente, tanto che non riuscì a trattenere le lacrime che volevano scenderle lungo il viso.

Se le asciugò con il palmo della mano, mentre io restavo distesa a terra.

Perché diavolo piangeva? Non capiva che così mi rendeva tutto più difficile?

Non volevo le lacrime, volevo solo comprendesse che quello che stavo facendo era la cosa più giusta. Ma come poteva farlo, non sapendo la verità?

Io non ti lascerò tornare indietro.” Rose scosse la testa, tremando di rabbia. “Non ti lascerò mettere in atto questo folle piano e adesso tu te ne andrai con Katerina. Non m'importa nulla di quello che stai nascondendo, non lascerò che tu lo faccia!” La vampira serrò le labbra, sentiva persino i denti batterle in preda alla rabbia. Le sue parole uscirono perciò trattenute, probabilmente niente le avrebbe impedito di urlarmi in faccia in quel momento.

Perché?

Mi alzai in piedi lentamente, chiedendole perché doveva mettermi i bastoni tra le ruote.

Quello che stavo facendo non era solo per salvare Katerina, ma anche lei e Trevor.

Possibile che non se ne rendesse conto?

Perché sei mia amica.” Rose non mi sorprese con quella risposta, sapevo già che avrebbe replicato in quella maniera. “E so che sei così pazza da poter credere di salvare tutti quelli che ami, ma non te lo permetterò. Mi dispiace.” Scosse la testa e io con lei.

Riuscii a non piangere di fronte a quelle parole per puro miracolo, perché la forza di riuscire a dire addio era l'unica volontà che mi ritrovavo a possedere in quel momento.

Tutto il resto, era solo da ignorare.

Le sorrisi. Grazie.

Rose mi guardò atterrita, senza capire. Il gesto che avvenne dopo la stupì.

Non seppi come, ma riuscii a prendere in mano la forza dei miei poteri con estrema facilità e spinsi a terra la vampira. Sentirla gemere di dolore fu una pena per le mie orecchie, un segno di via libera per le mie lacrime che scorsero lungo le guance mentre un sorriso malinconico si allargava sulle mie labbra.

Sì, piangevo e sorridevo. Perché stavo dicendo addio ad un'amica, sicura che lei mi avrebbe odiata per aver utilizzato la mia forza contro di lei, ma perché dentro di me sapevo lo stavo facendo per il suo bene. Lei cadde a terra distesa, tossendo per il dolore causato dall'impatto con il terreno e la guardai cercare di rialzarsi in piedi a fatica.

Poi volsi un'ultima occhiata verso Katerina e Trevor.

Lui mi guardava quasi incollerito, lei invece continuava a darmi le spalle, guardando fisso davanti a sé, quasi sapesse che il suo futuro fosse il guardare avanti, non indietro. Rose alzò lo sguardo verso me, continuando a piangere in silenzio perché era così orgogliosa da lasciarsi andare ad un muto dolore, senza però vergognarsi di dimostrarlo.

Non avrei mai pensato potesse essere così difficile dire addio a loro. Era un dolore insostenibile.

Chiusi gli occhi e intrapresi la strada che mi avrebbe condotta di nuovo alla villa di Klaus.

Dentro la mia testa, solo dei saluti di addio.

Addio Rose. Amica mia.

Addio Katerina. Sei la mia vita.

* * * *

Sweet as an angel sings, she gives though she has none left

but the last one, free, unhesitatingly.

Tenevo tutto a mente, come se fossi diario.

Il mio piano consisteva in tre fasi, una più complicata dell'altra.

Le prime due erano state superate, mancava solo la terza e sperai con tutto il cuore che sarebbe andata a buon fine. E dopo...dopo non sapevo cosa mi aspettava, se non la consapevolezza di essere riuscita a proteggere tutti coloro che volevo fossero al sicuro.

La festa era finita da poco. Camminavo per i corridoi, ignorando le persone gioiose che stavano abbandonando la villa per poter raggiungere le loro carrozze e tornare a casa.

Quel posto in cui si era al sicuro. Quel posto in cui ci si poteva nascondere dalla paura.

Quel posto che io non avevo mai avuto.

Continuai a camminare, invisibile come un fantasma, e tenendo il mantello che avevo indossato stretto contro il mio petto. Passai davanti alla camera dei libri e la trovai socchiusa; dall'interno sembrava provenire la luce delle candele accese che rischiaravano l'oscurità all'interno della stanza.

Non mi sorpresi di trovarlo là, seduto sulla poltrona con un libro aperto tra le mani.

L'espressione era assorta nei suoi pensieri, mentre gli occhi scuri, che scorrevano lungo le parole scritte su quelle pagine ingiallite, lasciava trasparire parecchia preoccupazione e rammarico.

Per cosa era più che evidente, almeno per me. Chi non fosse stato a conoscenza di quello che era successo, non avrebbe mai davvero potuto tradurre quell'espressione sul volto di Elijah.

Mi chiesi perché volevo andare da lui. Parlargli non era nel piano.

Ma in ogni piano, c'era sempre un inaspettato contrattempo da affrontare e io volli farlo.

Entrai lentamente nella stanza, provando uno strano senso di inquietudine. Come se nemmeno più a lui riuscissi ad avvicinarmi naturalmente, malgrado sapessi che aveva in mente di salvare mia sorella.

Lui alzò lentamente lo sguardo su di me e capii che doveva già essersi accorto da molto prima della mia presenza, ma non aveva voluto in alcun modo forzarmi ad entrare.

Scorsi la mia ombra allungarsi sul pavimento, privandolo in parte della luce che si diradava sopra di esso e rimasi a debita distanza. Continuai a stringere il mantello al mio ventre, sentendo le mani sudare sotto il suo pesante tessuto e tenendo lo sguardo fisso sulla copertina scura del libro che lui stava leggendo. Non capivo perché ero entrata, sentivo solo che avevo avuto il bisogno di farlo.

Elijah mi guardò in silenzio, mi parve impossibile identificare i suoi pensieri in quel momento.

Ruppe il silenzio. “Hai lasciato presto la festa.”disse; più che un appunto, mi sembrò che si trattasse di una semplice constatazione. Aveva messo in conto che non avrei preso parte alla festa, ma non seppi dire con certezza se sospettava quello che era successo. Per come mi conosceva, non mi sarei stupita di scoprire che sapeva della fuga di Katerina ma preferiva tacere al riguardo.

Vedendo che non rispondevo, e non avendo lui stesso bisogno di una risposta, distolse lo sguardo e chiuse il libro con lentezza. Il rumore delle pagine che si scontravano fra loro fu l'unico rumore che s'insinuò in quell'assurdo silenzio. Non sentivo nemmeno il mio respiro, tanto ero assorta nella sua espressione e nei miei pensieri, ridotti ad essere sempre gli stessi.

Elijah schioccò la lingua, poi alzò nuovamente lo sguardo verso me. I suoi occhi erano ermetici, non riuscivo proprio a comprendere cosa stesse provando in quel momento. Mi parve di vedere delle rabbia, ma non rivolta verso me, della malinconia, della lotta con se stesso e del senso di colpa, tante cose ben distinte tra loro ma che seguivano la stessa linea: quella del dolore.

Perché sei qui? Volevi dirmi qualcosa?” mi domandò poi, con fare apprensivo.

Non doveva aspettarsi che lo avrei raggiunto quella sera, né mai.

Forse perché era convinto non gli avrei più rivolto la parola dopo aver scoperto del sacrificio, cosa che, effettivamente, avrei fatto se lui non avesse cercato di impedirlo.

Se avesse saputo...

Sospirai e gli dissi che avevo alcune domande da fargli, alcune così assurde che persino mi vergognai a porgliele vista la nostra situazione. Ma il tempo doveva pur scorrere in qualche modo.

Lui mi guardò in attesa, trattenendo ancora lo stupore che si stava disegnando sul suo volto.

Mi sedetti nella poltrona alla sua destra, restando comunque distante da lui e stringendomi sempre il mantello contro il petto, per far sì che lui non mi vedesse tremare.

Perché?

Fu quella la domanda che avevo in mente da un giorno a quella parte, da quando Belial mi aveva rivelato la verità che li riguardava. Elijah mi guardò a lungo, per assicurarsi che desiderassi davvero la risposta a quella domanda.

Perché Klaus è disposto a fare...una cosa simile?” mi domandò e io annuii con estrema prontezza.

Mi sembrò facesse troppo caldo in quella stanza. Le finestre erano chiuse e le candele illuminavano completamente la stanza con le loro fiamme, ogni tanto queste ballavano, per colpa di uno spiffero magari, e così si creavano delle zone d'ombra sui nostri volti.

Quasi non volli più sapere la risposta, quando abbassai lo sguardo.

Perché il fatto che Klaus fosse davvero disposto a fare una cosa simile mi bastava per provare un dolore immenso che mi soffocava il respiro e mi strappava via il cuore e l'anima. Non c'era giustificazione al suo comportamento, ma io ero così stupida da voler sapere cosa c'era di così importante nel rompere quella maledizione.

Cosa fosse più importante della vita di mia sorella.

Cosa fosse più importante del mio affetto.

Deglutii, cancellando via quell'ultimo pensiero dalla mia mente.

Per diventare più forte. Per poter avere finalmente il potere necessario per sconfiggere Mikael. Per crearsi una sua stirpe di simili.” Elijah fece l'elenco delle motivazioni che si potevano nascondere dietro il volere di Klaus, ma anche lui mi parve non comprenderle appieno.

Scossi la testa incredula, chiudendo gli occhi e portandomi le mani al volto, per mascherare con i miei palmi lo stupore che doveva essere apparsa su di esso.

E io? Domandai poi, battendo i palmi delle mani sulle ginocchia.

Bella questione quella; che voleva fare di me Klaus? Dopo la morte di Katerina, cosa ne sarebbe stato di me? Non che la cosa m'importasse, visto che avevo già risolto la cosa, ma ero davvero curiosa di sapere fino a che punto Klaus era disposto a spingersi con me, pur di compiere quello stupido rituale.

E volevo sapere perché farmi giungere in Inghilterra, sapendo che voleva ammazzarmi la sorella.

Elijah abbassò di nuovo gli occhi, posando con lentezza il libro che stava leggendo sul tavolino in legno accanto a sé, dove una candela ci separava attraverso la sua fiamma.

All'inizio, quando Katerina sentì il bisogno di averti accanto, Klaus la prese come un gioco. Pensò di uccidere anche te facendoti venire qui. Una vita in più, una in meno, non gli importava.” rispose Elijah.

Il cuore si fermò nel petto, improvvisamente. Mi parve di non sentirlo più battere, che avesse perso la forza di continuare a pompare sangue dentro il mio corpo, dopo aver udito quelle parole.

Distolsi lo sguardo, posandolo sui miei piedi e trattenendo le lacrime causate da cosa nemmeno sapevo dirlo. Forse rabbia, forse tristezza di non contare davvero così tanto per lui.

Ma di che mi stupivo dopo tutto?

Poi, con il tempo, è passato a voler far passare la morte di Katerina per un incidente, così che tu non saresti mai venuta a scoprire la verità.” aggiunse poi Elijah, parlando con un leggero pizzico di colpa, perché probabilmente non se la sentiva di parlare di suo fratello in quei termini, ma non voleva comunque negarmi di nuovo la verità. Si sentiva colpevole come lui.

Lo guardai attentamente, trattenendo il respiro.

E tu?

Elijah mi guardò a lungo, quando mossi le mani in quella domanda. Socchiuse lo sguardo e lo abbassò su un punto tra me e lui. “Io non ho mai voluto che tu venissi qui.” mi disse, più sincero che mai.

Strinsi i pugni sopra il mantello sulle ginocchia. “Perché non trovavo giusto che anche tu pagassi con la vita per questa maledizione...conoscendoti poi mi sono quasi dimenticato di quello che ci sarebbe stato in futuro.” I suoi occhi mi scrutarono a lungo e io avvampai. “Ma ora rimango ancora di questo parere, visto che da quando sei giunta qui non hai fatto altro che soffrire.”

E far soffrire. Ero stata molto brava a fare anche quello, non lo potevo nascondere.

Tenni la testa alta, nella sua direzione, ma gli occhi decisi di lasciarli fissi sul pavimento, perché mi sembrava di non farcela a sostenere i suoi.

Intanto il tempo passava, inesorabilmente, e il momento si avvicinava.

Calò un profondo silenzio, rotto unicamente dal leggero rumore delle fiamme che bruciavano sulle candele. “Ora devo farti io una domanda.” Elijah si fece improvvisamente più serio e deciso, mettendo da parte la colpa e la malinconia che aveva macchiato la sua voce poco prima.

Alzai lo sguardo stupita e il cuore ebbe un sussulto nel petto.

Non riuscivo proprio ad ipotizzare cosa stesse per chiedermi.

Perché sei qui adesso?” Lasciò che il silenzio ci circondasse di nuovo, mentre i secondi battevano sempre più e il cuore accelerava il suo movimento dentro il mio petto. “Perché ti sei fidata di me ieri, dicendomi di sapere del rituale? Io non sono poi tanto diverso da Klaus, avrei lasciato morire tua sorella se non ti avessi mai incontrata. Senza contare che, per te, ieri dovevo essere sullo stesso piano di mio fratello, eppure non hai esitato a dirmi di sapere la verità.”

Portai lo sguardo altrove, su un punto sulla libreria alla parete di fronte a noi, la porta era ancora socchiusa e riconobbi il movimento di alcune ombre che si muovevano rapidamente fuori dal corridoio.

Trattenni il respiro, rendendomi conto di non avere una risposta che risuonasse logica a quella domanda. Ero stata stupida a rivelarglielo così apertamente la sera prima, era quello ciò che lui voleva farmi capire, ma il problema era che una cosa del genere mi sembrava troppo inverosimile e sentivo che l'unico che non mi avrebbe mentito al riguardo era lui.

Su Klaus non sapevo proprio dirlo. Lui era il diretto interessato in quella faccenda e rivelarglielo...mi avrebbe spaventato. Proprio come era successo pochissime ore prima.

Mi fido di te. Era l'unica risposta che seppi dargli.

Beh, fidarti di tutti è sempre stato il tuo più grande errore.” Elijah quasi mi stava rimproverando, ma la durezza delle sue parole veniva soffocata dalla delicatezza con cui voleva rivolgersi a me in quella data situazione. Sentivo i suoi occhi fissi su di me, come se stessero in qualche modo richiamando il mio sguardo, ma li ignorai. Non ce la facevo a ricambiarlo in quel momento. “Avrei potuto ucciderti pur di mantenere il segreto. Niente poteva farti credere il contrario.”

So che non l'avresti mai fatto.

Ma non gli dissi quelle parole, a cui preferii rimanere immobile e in silenzio.

Elijah si protese verso me, tanto che sentii il suo respiro caldo soffiarmi sulle guancia sinistra.

Un lungo brivido mi corse lungo la spina dorsale, diradandosi poi in tutto il corpo.

Potrei anche aver recitato ieri sera e potrei ucciderti in questo preciso istante. Nessuno se ne accorgerebbe.” mi disse ancora, parlando con una tonalità più bassa, tanto che la sua voce divenne talmente profonda da risultare spaventosa.

Deglutii e mi voltai con sicurezza verso di lui. So che non lo farai. Le mie mani si mossero di nuovo.

Elijah abbozzò un sorrisetto. “Ora lo sai, ma ieri no.” ripeté, facendo così in modo che distogliessi di nuovo lo sguardo e lo posassi su un punto lontano dal suo volto.

Con la coda dell'occhio, mi accorsi che la sua espressione era mutata e che aveva interrotto per un istante il contatto visivo con il mio volto, abbassando le palpebre. Calò il silenzio, ma io sentivo tutti i rumori con cui il mio petto e la mia testa mi riempivano il corpo.

E Klaus? Perché di lui non ti sei fidata? Con quello che è successo tra voi, dopo quello che hai scoperto di provare...” Elijah abbassò lo sguardo, della lieve irritazione mascherò le sue parole e mi voltai nuovamente a guardarlo e ancora arrossii. Sbattei più volte le palpebre, ritrovandomi nuovamente senza risposta. Il fatto era che, dopo che Belial mi aveva rivelato la verità, avevo di nuovo provato paura per lui, quella paura primordiale che era stata all'origine del nostro rapporto. E, dopo quello che era successo, non credevo di riuscire a sostenere il crollo di quelle barriere, fatte però di menzogne, che avevano solidificato il nostro legame.

Elijah sospirò, rinunciando ad ottenere una risposta che doveva aver trovato da solo.

Klaus potrebbe accettare la mia proposta, lo potrebbe fare davvero.”

No, non lo farà mai. Da come parlava quella mattina, da come mi diceva che mi avrebbe fatto davvero male, avevo ben capito che avrebbe ucciso mia sorella senza ripensamenti.

Elijah mi posò una mano sulla spalla, facendo in modo che lo guardassi. “Devi fidarti di me. Ce la farò a convincerlo.” disse.

Mi voltai verso di lui, di nuovo, e ritrovandomi improvvisamente armata del coraggio necessario per poter sostenere il suo sguardo. Lui era freddo, impassibile come al solito, ma per come lo conoscevo, riconobbi in quello sguardo il senso di colpa che condivideva con me. Non sapeva cosa avevo appena fatto...

Perché dici così? Gli chiesi, muovendo lentamente le dita.

Lui abbassò lo sguardo e prese un lungo respiro. “Perché voglio sperare che quello che nutre per te lo spinga a desistere.” mi spiegò e non riuscii a dirgli che pensavo il contrario, che non credevo che Klaus sarebbe disposto a rinunciare a una cosa così grande per me.

Lo guardai a lungo, trattenendo il fiato e contando i secondi che si rincorrevano tra loro in quel silenzio.

Scossi la testa. Mi dispiace.

Non seppi dire come aveva fatto a comprendere ciò che stavo dicendogli, perché non usai né gesti e nemmeno movimenti delle labbra per potergli trasmettere il mio dispiacere. Ma lui mi conosceva bene, e sapeva tradurre benissimo la voce del mio cuore e le parole scritte nel mio sguardo.

Ti dispiace? Per cosa?” mi domandò.

Per tutto. Per averlo deluso troppe volte, per averlo ferito come mai avrei dovuto, per avergli fatto del male. Lui non lo meritava.

Elijah abbozzò un sorriso, con cui parve volermi un po' rincuorare, malgrado la brutta atmosfera che sembrava circondarci, anche se non per colpa nostra. “Non importa più ormai.” disse e abbassò lo sguardo. “Le cose hanno preso ormai la piega che non volevo prendessero. Dobbiamo preoccuparci di questo e mettere da parte ciò che è successo in passato. Quello che ci circonda adesso è ben più grande, Irina.”

Abbassai di nuovo lo sguardo,stringendomi di più il mantello contro il petto e ascoltando il rumore del silenzio che ci pervadeva. Era strano quanto potesse risultare assordante una quiete del genere, quando non si era capace di mettere a tacere i sentimenti che muovevano i nostri animi. La discussione del bacio era scemata solo perché c'era qualcosa di ben più grande in ballo; se così non fosse stato, ero certa che avrei davvero perso Elijah per sempre. E lui non meritava una persona sbagliata come me.

Chiusi gli occhi, prendendo un lunghissimo respiro che fece male, mentre giungeva al mio petto.

Mi alzai in piedi, dicendo a me stessa che era ora di andare e mi diressi verso la porta, rammentando a me stessa che il piano doveva proseguire. Muovendomi però verso l'uscita di quella stanza, colsi un veloce rumore alle mie spalle, come di qualcuno che era scattato in piedi e si era avvicinato rapidamente alle mie spalle.

Io ti conosco, Irina.” disse la voce profonda di Elijah, mentre le mie dita circondarono il pomello della porta. Il respiro mi si bloccò in gola, appena avvertii la sua presenza così vicina alla mia schiena.

Dovevo voltarmi a guardarlo, ma non ce la feci per paura di scoppiare di nuovo in lacrime, cosa che non potevo assolutamente permettermi viste le circostanze. Perciò chiusi gli occhi, immaginandomi la sua espressione mentre mi rivolgeva parole che non ero in grado di prevedere. La mano tremò sul pomello.

So cosa avresti fatto se non ci fosse stata questa storia del rituale a sconvolgerti la vita....” disse ancora e sorrisi al pensiero che mi conoscesse così bene. “Per il bacio con Klaus, per la faccenda di Belial, sono sicuro che avresti preso quella decisione.”

Sì, quella di andarmene.

Lo avrei fatto, perché ero un pericolo per loro, perché avevo un potere dentro me che poteva diventare ingestibile man mano che cresceva. E perché non avevo alcun diritto di far soffrire in quella maniera due persone a cui tenevo così tanto. Lui in particolar modo.

Fece un passo verso me, lo sentii più vicino alla mia schiena. “Ci sarebbe stato comunque un addio tra noi, per come sono andate le cose. Era destino purtroppo.” disse ancora.

E pensai che il destino fosse un bel bastardo.

Aveva giocato con noi come fossimo dadi, facendoci credere nel risultato di una partita che sarebbe finita nel peggiore dei modi: con troppi vinti e nessun vincitore. Sospirai amareggiata, ogni singolo respiro che passava dentro il mio corpo era diventato un puro tormento.

Purtroppo delle volte, i sentimenti non sono abbastanza forti per cambiare le cose. Doveva finire così...ci saremmo persi comunque.” compresi che Elijah aveva terminato il suo discorso, con una punta di rammarico nella voce. Lui stesso sapeva che, anche se Katerina fosse sopravvissuta al rituale, avremmo comunque poi lasciato il paese per sempre.

E io pensai che non sarebbe finita così. No, io avevo in qualche modo cambiato il sentiero del fato.

Per quel motivo ero lì.

Mi voltai verso lui, non riuscendo a capire come fossi capace di trattenere le lacrime che mi stavano fastidiosamente pungendo gli occhi. La sua espressione era fredda come sempre, impassibile, ma i suoi occhi parlavano chiaramente.

Grazie. Fu tutto ciò che potevo dirgli per quello che aveva fatto per me. Al diavolo il destino e tutto ciò che era successo, in quell'istante il mondo doveva essere rinchiuso in quella parola.

Elijah non rispose, come se avesse in parte capito che dietro quelle singole e mute lettere si nascondesse ben altro. Ma prima che lo lasciassi accorgere di ciò che stava per accadere, lasciai la stanza.

In qualche modo sarei anche riuscita a ripagarlo per tutto.

And i'm humbled, I'm a broken mirror and i can't help but wonder

Why do we sacrifice the beautiful ones?

How do you break a heart of gold?

Why do we sacrifice our beautiful souls?

Heroes of tales unsung, untold.


* * * *

Mi mancava il respiro.

Non avrei mai creduto che sarebbe stato così difficile farlo; eppure mi ero mostrata parecchio risoluta nel prendere quella decisione, quando Belial me l'aveva posta. Mi sedetti ai piedi del mio letto, immerso nell'oscurità, e volsi lo sguardo verso la finestra alla mia sinistra, dove una mezzaluna brillava alta in mezzo al cielo nero.

Katerina doveva essere già lontana. Lontana.

Quell'ultima parola sembrò strapparmi via un pezzo del corpo quando attraversò la mia mente e nel giro di pochi secondi mi ritrovai con il volto tra le mani e piegata su me stessa, in preda ai singhiozzi.

Continuavo a ripetere a me stessa che stavo facendo solo ciò che era più giusto, ma questo non bastò a placare la pena che si era espansa dentro il mio petto.

Il battito divenne angoscia, il respiro puro tormento, il mondo attorno a me solo dolore.

Poi la porta si spalancò di colpo e il ricordo del piano balenò di nuovo alla mia mente.

Sapevo nascondevi qualcosa.” La voce di Klaus era carica di rabbia, in alcune note tremava così forte che pensai stesse per avere uno scatto d'ira da un momento all'altro.

Io avevo ancora il viso tra le mani, ma ricacciai indietro le lacrime di cui non avevo necessità in quel momento. Alzai lentamente lo sguardo su un punto davanti a me e con la coda dell'occhio scorsi la sua immagine accanto al letto. Mi stava fissando, le braccia erano tese accanto al corpo e il viso nascosto nell'oscurità doveva essere una maschera di pura collera.

Stringeva qualcosa in un pugno, aveva scoperto che la pietra era un falso.

Sei entrata in camera mia per fregarmi....” mi mostrò la pietra falsa. “Dimmi perché.”

Lo guardai incredula, davvero non credeva possibile che io sarei venuta a conoscenza del rituale prima o poi? Si credeva davvero così furbo, che pensava gli altri fossero sempre dieci passi dietro lui.

Non in quel caso, però.

Presi un lungo respiro. So tutto, gli dissi.

Il silenzio che scese su di noi, e dopo che ebbi gesticolato quelle parole, divenne più pesante di quello che lo aveva preceduto. Klaus quasi sussultò quando riconobbe i segni di quelle parole e osservai con estrema attenzione il suo volto carico di sorpresa, mentre mi paravo davanti a lui con un coraggio che non mi apparteneva. Klaus fece un passo verso me e io mantenni gli occhi fissi su di lui, sulla sua espressione divenuta improvvisamente dura e sulla sua postura rigida, di chi potrebbe attaccare da un momento all'altro.

E io avevo paura.

Paura di colui che mi aveva insegnato ad averla e a reprimerla poi con il tempo, paura di colui per cui non avrei mai più voluto nutrire quel terrore. Malgrado il poco coraggio che ero riuscita a raccogliere dentro di me, mi ritrovai a tremare e a distogliere lo sguardo dal volto di Klaus.

Di che parli?” mi domandò, malgrado avesse capito benissimo poco prima. Eppure, continuava a negare malgrado l'evidenza. Era davvero incredibile.

Abbassai gli occhi, mordendomi il labbro e cercando di placare il tremore che muoveva il mio corpo.

So tutto, Klaus, ripetei e alzai gli occhi lucidi sui suoi.

Si era ancora di più avvicinato a me e io restai immobile armata di audacia. I nostri visi erano separati solo da pochissimi centimetri. Le labbra carnose di Klaus erano strette tra loro e gli occhi ridotti a due singole fessure in cui riconobbi la luce della paura e della sorpresa.

Probabilmente, quello era un momento che lui non avrebbe mai avuto voluto affrontare, un momento che gli sarebbe davvero piaciuto tanto evitare e coprirlo con una menzogna. Ma era troppo tardi ormai.

Rituale. Morte. Katerina. Sperai che quei pochi gesti gli bastassero.

Non capisco di cosa tu stia parlando...” m'interruppe lui prontamente, affilando ancora di più lo sguardo. Continuava ancora a negare.

Aveva così tanta paura ad affrontarmi per quella questione, che andava avanti a recitare la sua parte anche di fronte all'evidenza. Scossi la testa incredula.

Basta mentire. Odiavo non poter parlare, avrei tanto voluto mettermi a gridare come una pazza contro di lui e fargli presente tutto il dolore che mi era stato arrecato. Ma non avrei mai potuto farlo, purtroppo, su quello Belial non aveva potuto fare nulla.

Sentivo la rabbia crescermi sempre di più dentro, in ogni pensiero, in ogni battito, in ogni singolo respiro che abbandonava le mie labbra. Tesi le braccia accanto al mio corpo, tanto che quasi parvero non tremare più. Il battito del cuore si fece sempre più doloroso, stretto dalla morsa di quella che doveva essere isteria, oltre che rabbia e desiderio di poter finalmente sfogare ed affrontare la mia più grande paura. Quella che non avrei mai più voluto avere. Quella che nutrivo per lui.

Klaus restò in silenzio, osservando attentamente il mio viso che doveva aver assunto un'espressione che mai prima il mio volto aveva conosciuto nel corso della vita che avevo vissuto.

Klaus fece un altro passo verso me, non mi mossi. “Che cosa hai fatto, Irina?”

Alzai le spalle. L'ho fatta scappare.

Mossi le dita in quelle parole, che piombarono su Klaus come inaspettati macigni.

Lo vidi rabbrividire e fermarsi per un secondo, quando il concetto che tutti i suoi piani erano stati spazzati via come cenere al vento attraversò la sua mente.

Scossi la testa di nuovo. Mi dispiace, Klaus.

Anche se non mi dispiaceva per nulla. Se non per il fatto che lui non era la persona che avevo creduto, la persona che pensavo non mi avrebbe mai fatto del male. Klaus continuò a guardarmi.

Stai mentendo.” disse e i suoi occhi divennero talmente stretti che non riuscii nemmeno più scorgere il loro colore. Scossi la testa per negare e lui, allora, rimase a fissarmi come se volesse rimangiassi ciò che gli avevo fatto comprendere.

Poi si mosse.

Fece un passo verso me.

La fine si fece più vicina.

E il freddo che sentivo dentro non faceva che confermarlo.

Come hai potuto...” Klaus sussurrò, parole che sembravano essere uscite dalla bocca della morte.

E io non volevo avere paura, non dovevo e sopratutto non potevo. Continuammo con quella strana danza di puro terrore, che consisteva nei nostri movimenti sincronizzati.

Un suo passo avanti, un passo indietro mio.

La rabbia cresceva in lui, la paura saliva in me.

Finii di schiena contro la parete alle mie spalle, mi scontrai con la sua superficie dura con forza, tanto che quasi mi si bloccò il respiro.

Le lacrime scesero. Maledette....

Si erano sentite troppo trattenute, non avevo permesso loro di abbandonare i miei occhi almeno fino a quando Katerina non sarebbe stata al sicuro. Ma in quel momento, di fronte alla mia paura, di fronte a colui che sarebbe stata la mia fine concessi loro di scendere. Tanto non sarei riuscita a fermarle.

È finita, gli feci capire e mi pentii di averlo fatto, visto il tremore insito nei miei movimenti.

Klaus scattò rapido e io non aprii la bocca in un grido solamente perché sapevo di non poterlo fare.

Chiusi gli occhi, le mani di Klaus strinsero il mio viso tra le loro e il suo respiro si fece più vicino al mio. Lo sentii scontrarsi con la pelle delle mie guance, caldo e veloce come il soffio di vento che avrebbe portato via la vita. Il suo tocco era delicato, ma poteva trasformarsi in violenza da un momento all'altro.

Riaprii gli occhi.

Klaus mi stava guardando, stringendo le labbra con evidente forza e guardandomi con odio.

Sì, mi stava odiando e io non riuscivo comunque a guardarlo in quella maniera nonostante tutto.

O almeno non riuscivo a farlo con l'intensità che stava usando lui. La presa sul mio viso si fece leggermente più forte, non mi sarei stupita se in quel momento mi avrebbe staccato la testa.

E piangevo.

Silenziose, quelle lacrime scorrevano lungo la mia pelle, felici di potersi liberare finalmente dalla prigionia in cui le avevo rinchiuse per un'intera giornata. Erano finalmente libere di poter mostrare il dolore che tutta quella situazione stava causandomi, ricordandomi con la loro pesantezza quanto avrei desiderato farla finita, se non avessi dovuto proteggere Katerina.

Klaus mi odiava. E mi amava così tanto che mi avrebbe probabilmente uccisa in quel momento.

Era quello, l'amore?

Come hai potuto fare una cosa simile?!” Klaus ringhiò, a denti stretti, come una bestia che ha perso la più prelibata della sue vittime. Come un uomo a cui è stato strappato un futuro già deciso, anche se basato sul dolore altrui e su terribili menzogne. Le sue dita tremarono sul suo viso, oscurato in parte dalla luce della luna che brillava fuori dalla finestra accanto a noi. Non voleva uccidermi, non brutalmente almeno, ma sembrava non riuscire nemmeno più a tenere il peso della mia testa tra le sue mani. Involontariamente, le sue dita asciugarono alcune delle mie lacrime.

Allora trovai la forza di far uscire dal mio corpo la disperazione che mi immobilizzava come una statua priva di vita e lo respinsi, posando le mani sul suo petto e spingendolo.

Lui lasciò che la mia innocua, patetica forza lo allontanasse da me, perché aveva bisogno unicamente dei suoi occhi per volermi uccidere. Dovevo proteggere mia sorella, era assurdo che credesse davvero me ne sarei rimasta buona con le mani nelle tasche.

Klaus rimase immobile di fronte a me, poi si mosse, quando la rabbia continuò a crescergli dentro, come una fiamma che sarebbe cresciuta fino a divampare in un incendio. “Non dovevi farlo....non dovevi.” disse minaccioso.

L'ho fatto, precisai.

Rimasi con la schiena sulla parete, mentre lui si muoveva nervosamente, portandosi le mani tra i capelli e chiudendo di tanto in tanto gli occhi,come se volesse in qualche modo trattenere la rabbia che stava ancora e ancora crescendo dentro di lui.

E io trepidavo nell'attesa di vederla esplodere, soddisfacendo così la mia ira.

È finita. Lui non mi vide muovere le mani in quei gesti, però parve come percepire ciò che stavo pensando.

Lui scattò di nuovo e con lui la mia paura.

Le sue mani cinsero il mio collo, troppo grandi e forti affinché potessi combatterle.

Vi esercitò della forza con le dita, le sentii premere sulla mia pelle e bloccare così il flusso del sangue che mi parve non sentirlo più giungere alla mia testa. Pensai mancasse poco alla fine della mia vita.

Chiusi gli occhi, le lacrime che rimasero incastrati in essi scesero lungo le mie guance, in maniera che lui non vedesse la paura nei miei occhi. Non volevo dargliela vinta anche in quel caso.

Come hai potuto farlo?!” gridò di nuovo, le sue parole si schiantarono sul mio viso come pioggia di tempesta.

Uccidimi.

La mia giunse come una supplica, malgrado non volessi affatto renderla in quella maniera.

E le sue mani smisero di stringere sul mio collo, rilassandosi sempre più e sempre più lentamente.

Il suo respiro si fece più regolare, meno mosso dalla collera che lo mandava avanti.

Riaprii gli occhi e i suoi mi fissavano lucidi, quasi sbarrati, come se quella mia parola lo avesse spaventato. Ripresi lentamente a respirare, fissando il suo volto paonazzo.

Uccidimi. Fallo.

Quasi lo sfidai con il mio solo pensiero, continuando a piangere. Il suo pollice si mosse sulla base del mio collo, donandogli un'involontaria carezza che mi fece tremare.

Klaus guardava le mie lacrime, non riuscendo però a reprimere la rabbia che nutriva dentro.“Sai che non lo farei mai.” disse solo, come un bambino che non accoglie l'assurda provocazione di un amichetto.

Non voleva uccidermi...però avresti ucciso mia sorella.

Scossi la testa in preda al fastidio, trasmettendogli quel concetto e Klaus ci mise un po' per rispondere, i suoi occhi si accesero di una strana luce e si abbassarono un istante, lontani dal mio viso. Le mani lasciarono il mio collo, tremando, come se non riuscissero più a toccarlo. “Lei non è te.” rispose.

Sbuffai incredula, scuotendo la testa e guardandolo fisso negli occhi. E io che fino all'ultimo avevo sperato che avesse almeno preso in considerazione l'idea di poterla salvare. Sciocca.

Piansi ancora e con più intensità rispetto a poco prima, ma trattenendo il dolore che si stava manifestando nei muscoli del mio viso. Trattenni i singhiozzi, perché non volevo lui li sentisse.

Poteva vedere il mio dolore, gioirne o soffrirne, ma non volevo che lo sentisse.

Mia sorella è tutto per me. È la mia famiglia e tu, proprio tu, saresti stato disposto a portarmela via. Mi avresti lasciato sola!

Avrei esclamato furiosamente quelle parole se avessi avuto voce. Sentii crescere dentro me quella marea bruciante di rabbia che investì completamente il mio corpo.

Stavo per perdere il controllo, lo avvertivo.

Klaus mi guardò fisso in volto, senza pronunciare alcuna parola. Mi sembrava quasi provasse sintonia con il mio dolore, malgrado sarebbe stato lui la lama che me lo avrebbe causato.

Continuavo a piangere, odiandomi per non essere capace di trattenere quelle lacrime.

Io ti pensavo diverso. Gesticolai con vergogna e con rabbia.

Klaus mi guardò a lungo, quasi quelle parole gli stessero facendo male perché lui era felice che io avessi creduto per così tanto tempo in tutte le sue bugie, in qualcosa che non esisteva. Lui poteva essere come io avevo creduto per tutto quel tempo, ma anteponendo i suoi interessi aveva solo mostrato la sua vera natura.

Errare è umano.” Mi rispose freddamente, perché non aveva alcuna voglia di arrabbiarsi con me, non ora che la sua vittima sacrificale si stava allontanando sempre più da lui e dal suo sogno di divenire un ibrido.

La rabbia crebbe sempre più, la avvertivo in ogni fibra del mio corpo, in ogni battito del mio cuore, in ogni respiro che abbandonava le mie labbra. Una fiamma ardeva dentro il mio petto, alimentata dal vento di quella crescente ira.

Già, questa è la lezione che ho dovuto imparare da te.

Lo feci sorridere di puro odio, quando mi vide disperarmi ancora di più.

E perseverare è diabolico.” aggiunse, si avvicinò a me e il suo rancore si schiantò su di me, investendomi con la sua onda. “Non preoccuparti, ritroverò in un modo o nell'altro tua sorella. E la ucciderò lo stesso.”

Si fermò ad un passo da me, avvicinando il viso al mio, come se volesse donarmi un bacio letale.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

La rabbia scoppiò, le barriere del mio corpo non furono più abbastanza forti per poterla contenere e questa si scagliò invisibilmente su Klaus in tutta la sua potenza.

Lui tossì, piegandosi in due e portandosi le mani al ventre, in preda a degli spasmi di dolore.

Si portò una mano alle labbra e continuò a tossire. Vidi il sangue macchiarle.

Stringevo con forza i pugni e non mi accorsi che stavo sanguinando anche io.

Guardavo Klaus, lo vedevo contorcersi dal dolore e dovevo compiacermi di fargli così male, dovevo essere felice di vederlo piegato su sé stesso, nell'attesa che la morte lo raggiungesse.

E invece no,ne soffrivo come un cane.

E ne piangevo disperata.

Klaus alzò di scatto la testa verso me. “Uccidimi! Coraggio!” gridò con tutta la voce che aveva in corpo. Il sangue continuava a scivolargli lungo il mento, in rivoli densi e rossi e gli occhi si fecero neri, vuoti, privi di una vita che avrei voluto strappargli ma che non sarei mai riuscita a farlo.

Infatti non ci riuscii.

Non riuscii ad accogliere quella sfida che mi aveva lanciato e la rabbia si spense con le mie lacrime.

Mi portai il palmo della mano sinistra sulle labbra, sopprimendo i singhiozzi che velocemente stavano attraversando la gola e guardando Klaus con la vista offuscata dalle lacrime, mentre lui riprendeva a respirare con regolarità e a riacquistare colorito della pelle.

Perché mi ero fermata? Perché non ero riuscita a portare a termine quel dolore?

Non...non ce la faccio.

Klaus alzò gli occhi su di me con stupore, passandosi una mano sulle labbra e togliendo via il sangue che le bagnava. Mi parve di vedere della sorpresa nelle sue iridi chiare ma non sapevo dirlo, visti che i miei occhi erano investiti dalle lacrime.

Avrebbe dato la caccia a mia sorella, avrebbe potuto trovarla ed ucciderla e io mi ero fermata.

Caddi sulle ginocchia, continuando a piangere e tenendo ancora la mano sulla bocca, per impedire ad altri singhiozzi di uscire dalle mie labbra. Lentamente mi piegai in due per il dolore, sentendo il peso di una vita che era andata in pezzi gravare sulle mie deboli membra. Tutto quello che ero quasi riuscita a trattenere in quella lunghissima giornata ricadde sulle mie spalle e io non riuscii a sostenerne il fardello.

Sentivo gli occhi di Klaus correre lungo il mio corpo in preda ai tremori. “Perché...perché non lo hai fatto?” mi domandò, con voce tremante. Continuai a tenere gli occhi chiusi, avvertendo la freddezza del pavimento contro la mia fronte. Venni colta anche dai brividi di freddo e le labbra presero a tremare a causa del pianto che stava guidando il mio corpo. Rimasi immobile.

Klaus si fece più vicino, perché il suo respiro soffiò sui miei capelli. Stava scivolando sempre più verso me, come se volesse appesantire ancora di più il carico di agonia sul mio corpo.

Perché non mi hai ucciso?!” gridò di nuovo, folle di rabbia e sorpresa.

Perché sentiva di meritare la morte, sentiva di meritare il mio odio, e non capiva perché mi fossi fermata. Come aveva fatto lui pochi istanti prima.

Presi fiato, i singhiozzi finalmente soffocarono dentro il mio corpo e ritornai a controllare le mie lacrime.

Lo sai perché. Non seppi che altra risposta pensare e un mio pugno batté sul pavimento.

Perché io non ero un assassina come lo era lui e l'affetto che nutrivo nei suoi confronti era sincero, talmente sincero che non riuscivo ad ucciderlo nemmeno in quell'occasione. Ero proprio folle.

Klaus tacque, la sua mano si era avvicinata al mio viso e non trovai la forza di scacciarla via. La sentii tremare, e la mia folle mente ideò l'immagine di lui che piangeva perché soffriva del mio dolore.

Sciocca. Tremava solo perché avevo mandato a monte il suo piano e perché non riusciva ad uccidermi come avrebbe tanto voluto fare. Era quello che scatenava il suo tremore.

Il respiro tra i miei capelli si fece più vicino.

Perché non sei scappata anche tu, allora?” sussurrò, le sue parole erano così soffuse che quasi non le associai alla sua voce. A quella domanda non risposi, ma mi sembrò di smettere di respirare.

Ero rimasta perché volevo in qualche modo che Katerina prendesse tempo, insieme a Rose e Trevor.

Ero rimasta perché non volevo che per la nostra fuga venisse accusato Elijah.

Ero rimasta perché ero così pazza da aver deciso di...

Ora basta.”

Una voce ruppe il silenzio e avvertii così la presenza di altre persone in quella stanza. Doveva trattarsi di due figure sulla soglia della porta, una delle due si stava avvicinando a me e stava posandomi le mani sulle spalle. Non avevo bisogno della vista, per sapere che si trattava di Elijah: la sua voce chiara e forte aveva sconfitto i miei respiri, i sussurri di Klaus e il silenzio che ci imprigionava nella sua morsa.

Alzai la testa,quando le dita di Elijah premettero con decisione sulle mie spalle e mi spinsero ad alzarmi.

Incrociai il suo sguardo, sentendomi una stupida nell'avere il volto completamente rigato dalle lacrime. Lui mi guardava con dispiacere, ma anche con severità, come volesse rimproverarmi di essere rimasta là a rischiare così tanto. O per non essermi fidata abbastanza di lui, da adempiere al suo piano.

Rebekah era sulla soglia della stanza, con entrambe le mani sulle labbra e gli occhi bagnati dalle lacrime. Voleva accorrere dal fratello, il cui volto era ancora macchiato di sangue, ma voleva anche venire da me. Il mio viso era ancora bagnato dalle troppe lacrime che poco prima lo avevano inondato.

Non sapeva come muoversi, perciò preferì rimanere distante da noi, ad assistere al nostro dolore.

Il silenzio scese su di noi e volsi lo sguardo verso Klaus. I suoi occhi erano ancora iniettati di sangue per ciò che gli avevo fatto e la sue labbra erano schiuse, in respiri che si muovevano silenziosi.

Chiuse gli occhi per un lungo attimo, come se stesse per spegnere quella fiamma di cui mi aveva parlato quel pomeriggio. Quella che aveva acceso per me e che, sempre per me, avrebbe nuovamente spento.

Riaprì gli occhi. Solo il buio vi era in essi.

Si alzò lentamente in piedi, notai che Elijah lo guardava vigile, quasi temesse potesse di nuovo scattare verso me.

Tu ora...” Klaus mi guardò fisso, scavando in profondità del mio sguardo e puntandomi il dito contro. “Non andrai più da nessuna parte.”

Elijah lo guardò con rabbia, mordendosi le labbra e affilando lo sguardo. “Non puoi farlo, non te lo permetto.” gli disse.

Klaus gli rise in faccia. “Invece lo sto proprio facendo. Troverò Katerina e farò quello che dovevo fare senza problemi...e tu sarai prigioniera qui dentro.” Aveva spento la fiamma, i suoi occhi erano carichi di odio nei miei confronti che si affievolì nello stupore quando mi vide annuire lentamente, come se mi fossi arresa a quella decisione. Elijah mi guardò incredulo, Rebekah lasciò scorrere lo sguardo da me a Klaus, quest'ultimo non la smetteva di fissarmi.

Non sapeva che la sua maligna decisione era un'altra parte del mio piano.

Why do we sacrifice the beautiful ones?

Why when they walk with love alone?

Why do we sacrifice our beautiful souls?

Just trying to find their way home.

(The beautiful ones- Poets Of The Fall)


Ciao a tutti! ^^

Mi auguro di cuore che il capitolo vi sia piaciuto!

So che le intenzioni che si nascondono dietro la decisione di Irina nel rimanere nella dimora di Klaus non sono molto chiare, ma verrà tutto ben chiarito nel prossimo capitolo. Diciamo che questo capitolo apre le porte per il finale.

Riguardo la scena finale tra Klaus ed Irina...non so se sia stata troppo cruda o no, sta di fatto che io ho odiato scriverla e quindi ho un po' paura delle vostre reazioni al riguardo!

Ah e non detestatemi Klaus, vi prego...anche se so per certo che non me lo odierete manco se vi pago tutto l'oro del mondo, ma comunque ve lo dico lo stesso. u.u

Comunque, volevo avvisarvi che mancano due capitoli più l'epilogo alla conclusione della storia, ma saranno tutti e tre relativamente molto più brevi rispetto a questi già pubblicati, quindi spero di essere puntuale le prossime settimane. Resistete ancora un po'!!

Passo ai ringraziamenti: ringrazio tutti tutti tutti coloro che leggono la mia storia.

Ringrazio chi l'ha inserita tra le preferite/seguite e ricordate e chi mi ha inserita tra gli autori preferiti...non mi stancherò mai di ripeterlo, ma è sopratutto grazie a voi se questa storia va avanti!

Volevo anche consigliarvi alcune bellissime storie che si trovano in questa sezione:

  • My story with an original...with Elijah.” e il suo continuo “Over the deception of life” di Elyforgotten, una bellissima ed emozionante storia su Elijah e un nuovo fantastico personaggio di nome Briony con cui il nostro vampirozzo vivrà una coinvolgente storia d'amore.

  • He's my only saviour” di debby_88 un'altra stupenda ed originale storia su Elijah ed una nuova protagonista.

Ne approfitto inoltre anche per ringraziare Elyforgotten per tutto l'aiuto che mi sta dando con questa storia.

Ok, la smetto di rompervi le balline come al solito, e vi auguro un buon fine settimana!

Ciao a tutti e alla prossima! :D








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Capitolo 29
*** Unchain The Rain ***


-Unchain the rain-

Quando Belial terminò di parlare, mi sembrò che il mondo fosse più orribile di quanto mi era fosse mai apparso.

Un altro spiraglio di luce si era spento, un'altra lama aveva affondato nel mio cuore ,altre lacrime bagnarono i miei occhi. La mente venne invasa da tutte le parole che il demone aveva appena finito di pronunciare; prima si presentarono solo come semplici e lontani echi della sua voce poi divennero il tuonare di una nuova verità, appena affiorata inanzi a me. Abbassai gli occhi e iniziai a scuotere la testa, prima lentamente e poi sempre più velocemente.

Non potevo crederci. Non poteva essere....

Le mani salirono a stringere i miei lunghi capelli corvini, diversi ciuffi mi rimasero avvolti tra le dita mentre pregavo il cielo che fosse tutta un'altra menzogna, che Belial mi stesse mentendo quella volta.

Ma il ghigno sul suo viso confermava l'esistenza di un ennesima fiamma dell'inferno pronta a bruciare le vie della mia esistenza. Fece un passo verso me; anche se avevo chiuso gli occhi, avevo captato quel suo movimento attraverso il rumore dei suoi passi che schiacciavano l'umida erba sotto di noi. Non riuscivo ad aprire gli occhi e nemmeno ad alzare lo sguardo nella sua direzione.

Se lo avessi fatto, ero certa che sarei crollata a terra in quel preciso istante.

Puoi fermarlo prima che accada, Irina.” disse lui ancora, la sua voce sempre terribilmente profonda e penetrante.

Tenendo ancora il capo chino, trovai il coraggio di aprire le palpebre e osservare le punte dei nostri piedi che quasi si sfiorarono. La mano di lui si allungò nella mia direzione e mi sfiorò il mento con le dita. Venni obbligata a guardarlo e mi ritrovai ad affondare nelle sue iridi chiare; mi parve di scorgere il buio che avevo colto in quelle di mio padre, anche se in realtà quegli occhi appartenevano al corpo di una sua povera vittima.

Si stava prendendo gioco di me, non poteva essere altrimenti; come poteva pensare che fossi in grado di fare una cosa del genere? Ero solo una disastrosa ragazzina di sedici anni nel cui corpo scorreva del sangue maledetto. Come poteva anche solo farsi beffe di me, facendomi credere di poter fermare una cosa del genere?

Belial mi sorrise, le sue dita solleticarono dolcemente la punta del mio mento.

Io posso aiutarti ad impedirlo.” disse ancora, inclinando leggermente il viso nella mia direzione, tanto che la sua fronte arrivò quasi a sfiorare la mia. Lo guardai confusa, mentre il mio respiro si faceva sempre più irregolare e il petto iniziava ad alzarsi e abbassarsi, appena il cuore percepì l'esistenza di una possibile speranza.

E Belial mi diede il suo aiuto.

* * * *

Ore bagnate di pioggia si susseguirono fin troppo lentamente.

Mi sentivo un involucro vuoto, privo di vita e anima e abbandonato in una realtà senza più spazio e tempo. Intorno a me sembrava non esserci nulla; non vedevo nient'altro che il vuoto, dove le ore, i minuti e i secondi sembravano essersi fermati. Fissavo imbambolata un punto di fronte a me, immerso nel buio che regnava in quella stanza e dove il rumore della pioggia continuava a rompere il silenzio che gravava sul mio corpo oramai privo di forze.

E io ascoltavo in silenzio la furia della tempesta, sperando che in quel modo il tempo riprendesse velocemente il suo corso. Forse il motivo per cui pioveva così tanto in quei giorni era perché c'era fin troppo da pulire su quella terra: troppi misfatti, troppo sangue e troppo dolore da cancellare via. Se tutte le mie lacrime avessero potuto sortire lo stesso effetto, ero certa che quella realtà sarebbe stata ripulita di tutto.

Tieni.” Rebekah allungò il braccio verso me, restandomi seduta accanto.

Non mi mossi, la guardai con la coda dell'occhio e vidi che stava allungando verso me un tozzo di pane. Girai completamente la testa nella sua direzione e incontrai il suo timido sorriso, mentre continuava a tenere il braccio teso verso me.

Mi resi conto solo allora che mi era stata accanto per tutto il tempo, ma era come se il mio sguardo non avesse mai potuto scorgere la sua immagine. Per tutto il tempo, i miei occhi erano stati offuscati dalla nube di pensieri e dolore che si erano impadroniti della mia mente e del mio corpo, piegandoli sotto il suo potere. I miei pensieri non seguivano più una logica, il mio cuore non batteva più a ritmo regolare nel petto e ogni tanto il respiro sembrava fermarsi improvvisamente. Non avevo realmente più controllo del mio corpo, quello era divenuto una marionetta in balia dell'agonia.

Scossi la testa e guardai il tozzo di pane nella mano di Rebekah.

Lo stomaco mi brontolò per la fame, rammentandomi che non mangiavo da troppo tempo e, il fatto che la pancia mi si contraesse in quelle fitte, non fece altro che accrescere il male di cui ero già vittima.Rifiutai l'idea di mangiarlo, poiché il solo pensiero di sentire il suo sapore mi diede il voltastomaco.

Ero troppo nervosa, agitata, impaurita e addolorata per aver forza di mangiare.

Girai la testa verso la finestra; il cielo si era fatto più denso di nuvole e un lampo ne squarciò il manto scuro con la sua improvvisa e violenta luce. La pioggia stava iniziando a cadere più fitta e un forte vento si era alzato, investendo con la sua ferocia la natura.

Rebekah sospirò, arrendendosi all'evidenza che avevo perso lo spirito che animava il mio corpo.

Posò il pane sul tavolo a cui eravamo sedute e sentii il suo sguardo posarsi sulla mia nuca. Anche lei non era poi diversa dai suoi fratelli: i loro occhi erano capaci di farsi sentire anche se non li si guardava direttamente. Erano troppo magnetici ed intensi per non poterne sentire la forza sulla propria pelle. “Senti, devi mangiare.” La vampira assunse il tipico tono di una sorella maggiore che doveva proteggere la più piccola ed indifesa della famiglia. Proprio come faceva Katerina.

Mi posò una mano sulla spalla, come per trasmettermi un po' di calore ma ottene l'effetto contrario. Ricordare mia sorella non fu una buona idea e il dolore dentro me si amplificò.

Vedendo che non rispondevo, la mia mente sembrava rifiutarsi di accettare qualsiasi messaggio proveniente dalla realtà al di fuori di lei, Rebekah sospirò di nuovo e lasciò che il silenzio inondasse la stanza. Poi decise, o capì, che anche lei aveva bisogno di sfogarsi un po', parlandomi e permettendomi così di distrarmi.

Sempre se esisteva un argomento valido per potermi distrarre.

Sai, ti ho odiata...” Iniziò a dire, strappandomi un sorriso dalle labbra nonostante avesse pronunciato quelle parole con gravità. Non era il modo migliore per iniziare un discorso a qualcuno che doveva avere il mio aspetto; mi immaginai pallida e smunta, con gli occhi cerchiati dalle profonde occhiaie scure e i capelli scompigliati che mi circondavano il viso.

Dovevo essere orribile, quanto lo era stato il mondo con me.

Abbassai di nuovo lo sguardo, rendendomi conto che il mio sorriso era fuori luogo e sopratutto non era una cosa che mi ero davvero sentita di fare. Era nato spontaneamente, senza che potessi in alcun modo controllarlo. Corpo, cuore e testa erano così sconnessi tra loro, che prendevano vie differenti e in contrapposizione tra di essi.

Invece che lottare con ciò che ci avrebbe atteso, quegli stolti si facevano guerra tra di loro, malgrado fossero sullo stesso fronte.

Rebekah si umettò le labbra. “Quando ho saputo del bacio con Klaus, ti ho odiata. Perché con la tua debolezza hai ferito entrambi i miei fratelli e vederli soffrire è una cosa che non tollero.” disse, la rabbia crebbe velocemente nelle sue parole, tanto che le ultime vennero pronunciate sotto forma di ringhio.

Rebekah si ricompose, quando mi vide rabbrividire.

Pensò che fosse a causa del sentimento con cui mi aveva rivolto quella parole, ma in realtà mi ero sentita scuotere dentro a causa dei sensi di colpa ma anche dei crampi dovuti alla fame.

Guardai il tozzo di pane con tentazione, poi mi rifiutai di mangiarlo quando avvertii una fitta allo stomaco dovuta al pensiero di doverne sentire il sapore.

Ti avrei presa a schiaffi, ma poi...ora so che non lo meriti.” continuò Rebekah, volse la testa nella mia direzione e io feci lo stesso. Ci guardammo in silenzio mentre la pioggia batteva la sua forza contro il silenzio. In quel preciso istante mi accorsi che anche fuori, nei corridoi della villa, sembrava non esserci anima viva. Avevo saputo che Klaus stava pensando di traslocare e, inevitabilmente, mi domandai quale sarebbe stato il mio destino a quel punto. Anche se poco mi interessava in realtà.

Insomma, guarda.” La vampira si guardò intorno, come se tutto il marcio del mondo potesse essere riassunto nell'oscurità in quella sala. “Guarda che sta succedendo. Era da ipocriti prendersela con te per un bacio, quando c'era tutto questo in gioco, non trovi?”

Rebekah mi guardò con intensità, sembrava non riuscire a trovare le parole più giuste per rivolgermi ciò che realmente sentiva dentro e, perciò, si ritrovò a trasmettermi tutto quello che provava dentro attraverso i suoi bellissimi occhi chiari.

Era combattuta, tra l'affetto che la legava a Klaus e quello che provava per me.

Ricordavo tempo prima, quando eravamo ancora nella casa sulla collina, mi aveva detto che sperava che Elijah trovasse il modo per salvare Katerina. All'epoca non avevo capito fosse quello il vero significato delle sue parole, ma adesso che sapevo la verità, rimisi diversi pezzi a posto.

Sembrava che solo Klaus non fosse d'accordo a prendere parte a quel piano.

Rebekah abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro e lasciando di nuovo che quella fredda quiete scendesse su di noi. Non sapevo se preferire il silenzio o il rumore; mi sembrava che entrambi stessero divertendosi nel vedermi patire quelle insostenibili pene.

Perché sei rimasta?”La sua domanda giunse rapida e, stranamente, inaspettata.

Guardai Rebekah. Il suo volto perfetto si era fatto improvvisamente serio e i suoi occhi scavavano nei miei come se volessero arrivare alla verità.

Una verità che io non le avrei fatto presente, perché non potevo rivelarla.

A quest'ora saresti stata già lontana con tua sorella e non dovresti affrontare...Klaus.” Rebekah mostrò titubanza nel definire suo fratello il mostro della situazione, ma era normale che parlasse in quella maniera. “Non ha senso, perché lo hai fatto?”

Parlò con molto più animo rispetto a poco prima. Aveva girato il busto verso me e spalancato il palmo della mano destra sul tavolo mentre mi fissava con aria interrogativa.

Io l'avevo di nuovo privata dei miei occhi, abbassando la testa e lasciando che i capelli avvolgessero il mio volto.

Pensai di dover piangere, ma in realtà non riuscivo a farlo.

Per la prima volta in vita mia, mi resi conto che era inutile che le lacrime vincessero. Loro non potevano cambiare il passato e né tanto meno potevano cambiare il corso del futuro.

Perciò, presi la saggia e più razionale decisione di non farle scorrere lungo il mio viso.

Vorrei tanto saperlo anche io.”

Alzai di scatto la testa appena riconobbi quella voce; sulla soglia della porta vi era Elijah, con un braccio distese accanto al corpo e lo sguardo puntato nella mia direzione. Definirlo infuriato era ben poco: i suoi occhi nerissimi erano più profondi del solito e sembravano racchiudere in loro tutta la rabbia che quella situazione doveva causargli. Aveva la mano sul pomello della porta semi aperta, da essa riuscivo a scorgere l'esterno, dove il cielo riusciva ad essere persino più nero di quanto sembrasse da oltre il vetro della finestra. Quello scenario devastante faceva da contorno alla sua figura rigida ed immobile.

Mentre lo osservavo, sentivo quasi di potermi lasciare andare e di far sì che la debolezza vincesse su di me. Quasi possedesse lui la forza necessaria per poter impedire al mio corpo e alla mia anima di cadere nel baratro.

Elijah si chiuse lentamente la porta alle spalle, senza mai distogliere l'attenzione da me.

Lanciò poi un'occhiata in direzione di Rebekah, mentre si avvicinava con passo lento a noi.

La sorella restò immobile, aveva compreso in anticipo cosa stava per chiederle il vampiro.

Certi sguardi non erano difficili da tradurre.

Lasciaci soli per favore.” la pregò Elijah, con una combinazione nella voce di freddezza e gentilezza.

Era ghiaccio e fuoco insieme.

Rebekah annuì con prontezza, mi lanciò un'occhiata consolatoria e mi posò una mano sulla spalla per infondermi un po' di coraggio. Sapeva che ne avrei avuto bisogno per affrontare Elijah.

Lei si alzò e io la seguii con lo sguardo, mentre si dirigeva velocemente verso la porta. Non potei fare a meno di notare che Elijah non fece lo stesso; lui, i suoi occhi, li tenne puntati sul mio viso per tutto il tempo e solo quando Rebekah ci lasciò completamente soli, mi decisi a ricambiarli.

Deglutii, mandare giù quel pesante groppo incastrato nella gola mi risultò estremamente difficile vista la gola secca e i brontolii nello stomaco che continuava a reclamare il suo bisogno di cibo.

Elijah fece un altro passo verso me e distolsi lo sguardo, la sua mano posata sulla gamba arrivò quasi a sfiorarmi la spalla e un brivido mi corse lungo la schiena.

Mi domandai se fosse arrabbiato per non essermi fidata abbastanza di lui da lasciarlo mandare avanti il suo piano, anche se non era proprio così che erano andate la cose. Poi pensai che, onorevole com'era, in quel momento non doveva avercela che con suo fratello e con la mia decisione che doveva sembrare parecchio stupida. Mi chiesi come avrebbe reagito, una volta saputa la verità.

Elijah sospirò, come infastidito dal modo in cui stavo evitando il suo sguardo. “Non mi importa nulla di quello che hai in mente.” mi disse, giurai di non aver mai sentito il suo tono così deciso come in quel momento. Se avessi avuto voce, ero certa che non sarei stata capace di replicare.

Io ora ti porto via di qui.”

No.

Scattai in piedi con estrema rapidità e lo guardai, tirandomi leggermente indietro per sfuggire al magnetismo del suo sguardo. Avevo reagito con quella rapidità, perché ero certa che Elijah avrebbe davvero fatto di tutto per portarmi via. Combatterlo sarebbe stato impossibile nella mia condizione. Lui restò sorpreso dalla mia reazione, quasi mi credesse totalmente priva di forza e animo per poter scattare con quella rapidità.

E, effettivamente, forza non ne avevo.

Avevo compiuto quel gesto con tale velocità, che la testa mi vorticò per un istante e fui costretta a chiudere le palpebre per permettere agli occhi di trovare il coraggio necessario per poter guardare il mondo nel suo giusto ordine.

Non seppi dire se Elijah se ne fosse accorto, ma attento com'era, ero certa che il mio evidente stordimento non gli fosse sfuggito.

No?” ripeté, la voce così alta da arrivare ad essere quasi un urlo. “Ma sei impazzita per caso?”

Mentre si muoveva nella mia direzione, mi ritrovai ad arretrare lentamente e la testa riprese a vorticare. Mi sembrava di essere su una barca abbandonata in un mare in tempesta, vedevo tutto distorto e appannato e non avevo forza ed equilibrio per rimanere perfettamente in piedi.

Fui costretta a fermarmi.

Essendo stata seduta per tutto il tempo, non avevo previsto che un singolo e semplice movimento come quello del passo potesse risultarmi così difficoltoso. Non seppi dire se stessi barcollando o meno, ma mi portai una mano alla fronte per fare in modo che la testa smettesse di distorcere il mondo.

Elijah fu più vicino, riuscii a sentire la sua presenza davanti a me e il suo respiro soffiarmi tra i capelli. Non avevo la forza di togliere la mano dalla mia fronte e di aprire gli occhi, rimasi perciò immobile aspettando che lui facesse qualche gesto.

Ti ribadisco che non mi importa ciò che stai tramando o se la tua è semplice idiozia, ma sappi che non mi faccio problemi a caricarti in spalla con la forza e portarti via di qui in questo momento, chiaro?” mi disse, quasi sibilando. In quel momento riaprii gli occhi e li puntai su di lui, il suo volto sembrava il suo stesso riflesso in uno specchio bagnato.

Non riuscivo a scorgere il suo mento, le sue labbra, i suoi zigomi, ma riuscivo a vedere solo l'oscurità dei suoi occhi e capelli scuri.

I crampi per la fame si fecero più intensi e mi fecero quasi piegare in due.

Io non vado da nessuna parte.

Scossi la testa e così lui comprese.

Elijah fece un passo verso me, un altro ancora, e fu tremendamente vicino al mio viso.

Non riuscivo nemmeno ad alzare il mio per incontrare i suoi occhi, tanto mi sembrava di cadere a terra da un momento all'altro.

Mi ero illusa di potermi cibare di dolore e paura, ma in realtà in mio corpo aveva bisogno anche di vero e proprio nutrimento se volevo andare avanti.

Mi serviva anche per il mio piano, a dire il vero.

Elijah si accorse di ciò che stava succedendo e preferì non infierire, o almeno il suo sospiro mi fece intendere questo. Chiusi di nuovo gli occhi, posando la nuca sulla parete dietro me e prendendo dei respiri lunghissimi, confidando nel fatto che potessero farmi stare meglio.

Ma ormai mentivo a me stessa nei modi più assurdi.

Stavo male, l'agonia causata da un mondo che aveva perso tutti quanti i suoi colori mi stava ormai strappando via la vita ed ero così stupida da credere che, senza di essa, potessi lo stesso fronteggiare quel dolore che mi aveva pervasa.

Siediti. Coraggio.” Elijah ammorbidì i toni, ma solo di poco.

Continuai a tenere gli occhi chiusi, sentendolo più vicino. Aveva posato la mano sulla mia spalla,dandomi così il via libera per far cedere le mie ginocchia.

Mi sedetti a terra lentamente, facendo scorrere la schiena lungo la parete su cui mi ero praticamente arresa. Continuai a tenere le palpebre serrate e distesi lentamente le gambe sul pavimento, la cui freddezza attraversò il tessuto della gonna.

Prendevo dei respiri lunghissimi, cercando di placare il tremore che scuoteva il mio corpo. I crampi allo stomaco si erano fatti sempre più opprimenti e le gambe sembravano essere diventate troppo deboli per poter sorreggere il resto del corpo. Elijah si era piegato accanto a me, sentivo il suo respiro caldo soffiarmi sulla guancia destra mentre combattevo quella lotta con il mio corpo.

Tieni. Devi mangiare.”

Aveva allungato il braccio verso il tavolo, stringendo nella mano quel tozzo di pane che stavo iniziando ad odiare con tutta me stessa. Poiché lo desideravo, ma allo stesso tempo lo respingevo; l'idea di mangiare in un momento come quello, con ciò che stava per accadere, mi faceva venire da vomitare.

Riaprii gli occhi, puntandoli verso la mano di Elijah.

Trattenni a lungo il fiato, quando l'acquolina mi salì alla bocca al pensiero di poter mangiare. Il vampiro distese il braccio verso me, con l'altra mano poi mi strinse i polsi con estrema delicatezza e posò il pezzo di pane tra le mie dita.

Non vorrai mica morire di fame, spero?” mi domandò, tornando a posare i gomiti sulle sue ginocchia e rimanendo in perfetto equilibrio sulla punta dei piedi.

Abbozzò un sorriso, in forte contrapposizione con la sua espressione di poco prima, e io presi a far passare da una mano all'altra quel pezzo di pane. Feci scorrere le dita lungo la sua crosta, quasi volessi assaporarla in anticipo, attraverso la pelle delle mie dita.

Elijah si sedette poi accanto a me, sul pavimento umido e sporco.

L'assordante melodia della tempesta faceva da sottofondo al nostro innaturale silenzio, la pioggia prese a cadere più fitta e un fortissimo lampo squarciò il cielo in due parti.

Sobbalzai impaurita per un solo secondo, lanciando uno sguardo veloce verso il cielo, poi mi portai il pane alle labbra. Era duro e di certo doveva risalire a diversi giorni prima ma non importava, lo stomaco iniziò a smettere di contrarsi, rilassandosi sempre più mentre iniziava a sentirsi soddisfatto.

Il corpo iniziò a riprendere vigore. Per l'anima, invece, non c'era nulla da fare.

Restammo ancora in silenzio, ascoltando i suoni del cielo. Gli occhi di Elijah non abbandonarono mai il mio viso, li sentivo scorrere sulla mia pelle e una vampata di calore mi incendiò le gote.

Sei rimasta perché Katerina prendesse tempo...e perché non volevi la colpa della sua fuga ricadesse su di me, non è così?” mi domandò.

A quel punto mi voltai a guardarlo e solo allora riuscii a vedere per davvero il suo viso in quella giornata.

I capelli erano visibilmente umidi, segno che era stato sotto la pioggia fino a poco prima. Lo sguardo era serio, gli occhi socchiusi nel tentativo di scrutare la mia espressione e le labbra erano strette tra loro. Mandai giù un pesante groppo e annuii.

Sì, lui era uno dei motivi per cui ero rimasta là nonostante i pericoli che potevo correre.

Ma, la verità, era che c'era qualcosa di più grande di me e lui messi insieme che stavo per fare. Qualcosa che lui avrebbe certamente provato a impedire, se avesse saputo.

Mentirgli ulteriormente, mi sembrò una cosa oscena ma strettamente necessaria.

Dovevo farlo.

Elijah annuì, serrando la mascella e piegando la testa da un lato.

I suoi occhi scuri si alzarono verso il cielo grigio oltre la finestra e ne riflesse le deboli luci. Fissai meravigliata quello spettacolo di luce e ombra nel suo sguardo, poi abbassai la testa e osservai il pane tra le mie mani. Era quasi finito e la testa aveva smesso finalmente di vorticare.

So difendermi da solo, Irina. E comunque, ora che hai compiuto il tuo folle gesto di coraggio, puoi lasciare che ti porti via da Klaus.” aggiunse Elijah, totalmente intenzionato a cavarmi fuori la verità, malgrado avessi imposto a me stessa di non rivelarla nemmeno sotto tortura.

Anche se sopportare il magnetismo del suo sguardo mi parve quasi impossibile.

Scossi la testa, mostrandomi forte e risoluta come dovevo essere.

Elijah continuò a guardarmi, il mio viso venne completamente nascosto dalla cascata di capelli corvini e pensai fosse meglio così. Almeno, non avrebbe visto il dolore disegnarsi nelle mie iridi.

La sua mano si fece largo tra di essi, le sue dita si posarono delicatamente sotto il mio mento e mi spinsero a voltare il volto nella sua direzione.

Quando lui mi guardò, penetrando nei miei occhi, venni invasa da un profondo senso di calore.

Mi sembrò di non essere più sola, priva di uno scudo in grado di proteggermi da quella oscurità senza nome. Elijah mi infuse forza, semplicemente guardandomi.

Cosa sta succedendo, Irina?” mi chiese, in un sussurro talmente lieve che si unì al silenzio del buio. Le sue parole erano avvolgenti, vennero iniettate nel sangue come un antidoto pronto a guarirmi dal veleno che mi scorreva nelle vene.

Sbattei le palpebre più volte, destandomi da quella sensazione di pace e quiete che mi avvolse in quei pochi attimi. La mano di Elijah salì alla mia guancia, il pollice passò lentamente sul mio zigomo e lo accarezzò con estrema delicatezza, quasi temesse potessi rompermi in quel momento.

Me la dici la verità o no?” mi incalzò, tenendo comunque la voce tanto bassa da essere ancora un sussurro.

Silenzio. Un altro tuono lo squarciò con il suo boato.

E mi resi conto che stavo per dirgli quanta paura avevo riguardo ciò che stava per succedere,riguardo ciò che avevo fatto e che non potevo più cambiare.

Avevo paura e volevo dirglielo, perché sapevo che lui mi avrebbe donato la forza necessaria per affrontarla.

No, no, no, non potevo cedere. Dovevo...dovevo fare in modo che lui non lo scoprisse.

Dovevo smetterla di correre dietro quegli occhi scuri, sperando che potessero proteggermi dal mondo. Ripresi controllo di me, deglutendo e sbattendo le palpebre così tante volte che ne persi il conto.

Alzai lo sguardo su di lui e scossi la testa. Gli feci capire che non potevo dirglielo, perché non avevo modo di spiegargli tutto nemmeno volendo e perché era troppo tardi.

Non doveva preoccuparsi per me, tanto non poteva fare nulla.

La testa mi girò di nuovo e persi il controllo dei suoi movimenti, quella cadde quasi in avanti e mi accorsi di avere terribilmente sonno. Quella notte mi ero rifiutata di chiudere occhio, nonostante fossi stanca e provata, perché avevo paura che, in quel modo, il momento sarebbe arrivato troppo presto.

Ma potevo continuare ad ignorare i bisogni del mio corpo in quel modo?

Elijah posò delicatamente le mani sulle mie spalle, per impedirmi di cadere in avanti come stavo per fare. Le sue dita tremavano, come se stesse reprimendo con estrema fatica la rabbia dovuta alla mia ostinazione. Ma la presa fu comunque delicata, con un pizzico di forza necessaria per non farmi crollare.

Irina, c'è qualcos'altro sotto. Non puoi nasconderlo e lo sai che con me puoi parlare di qualsiasi cosa, no?” Elijah tenne i denti stretti tra loro, reprimendo l'ira nelle sue parole in quella maniera, ma i suoi occhi valsero più di mille parole.

Non volevo mi guardasse in quella maniera, perché così avrebbe potuto abbattere tutte le deboli difese che ero riuscita ad innalzare per difendermi da colpi esterni.

Chiusi gli occhi, portandomi una mano per coprirli quando sentii che stavo per scoppiare in lacrime. Avevo resistito fino ad allora, ma con Elijah che mi guardava e parlava in quel modo non riuscivo proprio ad essere forte.

Che cosa hai in mente di fare? Devi smetterla di combattere da sola questa battaglia, Irina.” insistette Elijah, volendo proteggermi ad ogni costo perché pensava di poterlo fare.

Ma, in realtà, persino lui non ne era in grado. Nessuno poteva farlo.

Dovevo allontanarlo, era il modo migliore per non cedere alla tentazione di sfogare tutto ciò che mi portavo dentro e mandare avanti quel piano che, solo allora, mi resi conto fosse più difficile da sostenere di quanto pensassi. Era lui a farmene rendere conto, standomi vicino.

Ripresi controllo di me, del ruolo di cui mi dovevo rivestire per poter mandare avanti quella scena e deglutii. Puntando poi gli occhi in un punto davanti a me, allontanai le mani dai capelli e ripresi lentamente fiato.

Vattene.

Mi alzai in piedi, stranamente ebbi la forza necessaria per farlo, e lentamente mi mossi verso la finestra, quasi preferissi il cielo in tempesta che rumoreggiava all'esterno, piuttosto che lo sguardo di Elijah.

Lui restò stupito dal mio improvviso ed inspiegabile cambio di umore, ma non si fece prendere in giro. Non era stupido, prenderlo per i fondelli come dovevo fare era davvero difficile.

Chiusi le palpebre, cercai di mettere di nuovo in correlazione il mio corpo con la mente e in questa maniera trovai il vigore necessario per poter rimanere perfettamente in piedi e restare di fronte alla finestra.

L'aria si mosse,venne tagliata da un rapido movimento, e in un secondo compresi che Elijah doveva essere proprio dietro di me. Le sue mani strinsero le mie spalle, mi fece voltare verso di lui e i suoi occhi neri scavarono in profondità nei miei. Erano ricolmi di rabbia e fastidio, perché sapeva benissimo che lui poteva aiutarmi ma io mi stavo comunque rifiutando di accettarlo.

Perché lo volevo davvero, ma non potevo proprio accoglierlo.

Non funziona con me.” Elijah scosse la testa. “Non fare la dura adesso per mandarmi via. Tu nascondi qualcosa che, sicuramente, potrà metterti in pericolo...e io non ti permetterò di rischiare.”

Che cosa dovevo fare per farlo desistere? Ogni sua parola, ogni suo respiro sul mio viso, ogni suo sguardo che affondava sempre più nel mio faceva quasi esplodere il mio desiderio di richiedere aiuto.

Non sapevo come comportarmi, come fargli capire che non doveva insistere perché non poteva vincere su di me...non con ciò che c'era in gioco.

Scossi la testa, Elijah mosse le mie spalle. “Smettila Irina, smettila di mandare avanti qualsiasi cosa tu stia facendo e lascia che ti aiuti!” disse, quasi gridando.

Presa da una cocente rabbia nei confronti di me stessa, della debolezza che con troppa irruenza veniva esternata in sua presenza lo colpii lievemente. Elijah si portò una mano alla fronte, strinse le palpebre e le labbra, come se avesse una violenta emicrania.

Mi fermai subito, appena mi resi conto di aver perso il controllo proprio con lui.

Presa dal panico,arrestai subito il flusso dei miei poteri, per non fargli ulteriormente male. Il cuore martellò nel petto e il respiro scappava frettoloso dalle mie labbra, mentre mi avvicinavo a lui per vedere come stava. Elijah si tirò leggermente indietro, quando sentì le mie mani posarsi sul suo braccio.

Mi guardò a lungo, serrando la mascella e affilando lo sguardo, intanto che riprendeva lentamente fiato.

Mi venne da piangere al pensiero che avevo dovuto ferirlo di nuovo, per mandare avanti tutta quella maledetta storia. Ritrassi le mani, sapendo che non meritavano di posare sulle sue spalle e abbassai gli occhi, velati di lacrime.

Non dovevo sentirmi in colpa. Però il pensiero che lo avevo fatto per mandare avanti il piano non mi consolava. Non lo avevo già ferito abbastanza?

Elijah mi guardò a lungo, quasi attendesse una spiegazione al mio comportamento ma non gliela diedi. “Tu lo sai che questo...atteggiamento non mi incanta, vero?” mi chiese, malgrado fosse ancora lievemente provato dal mio colpo di poco prima.

Soffocai il senso di colpa, mi limitai a indossare di nuovo la maschera per mandare avanti il piano, quella di completa apatia verso il mondo che mi circondava. Lui compreso.

Scossi la testa.

Vai via. Possibile che non riuscissi a dire altro di più credibile?

Tornai a guardare fuori dalla finestra, mentre sentivo gli occhi di Elijah puntare sulla mia schiena. Non avrebbe desistito dal suo intento, dubitavo persino credesse alla mia freddezza, e chiusi gli occhi quando non avvertii più la sua presenza dietro me.

Se n'era andato.

E, ancora una volta, non ero riuscita a dirgli addio.

Forse perché avevo così tante colpe nei suoi confronti, che avevo bisogno di più forza per farlo. Forse perché lui mi era stato sempre vicino, malgrado i miei errori, e non potevo dirgli quella parola.

Guardando il mio riflesso sul vetro, non potendo scorgere su di esso le lacrime che stavano scendendo sul mio viso provai a dirlo.

Addio...le mie labbra si mossero, ma nel silenzio non conclusi nemmeno quel pensiero.

* * * *

Anche Morfeo ebbe la meglio su di me, solo che lui fu un vincitore silenzioso e vinse, senza che potessi nemmeno accorgermene.

Quando riaprii gli occhi, dovetti sbattere più volte le palpebre per rendermi conto di essere viva. Dovevo aver dormito troppo a lungo, tanto che quasi considerai i miei sogni la vera realtà in cui vivevo, un'illusione più dolce di quella in cui, in verità, vivevo.

Il paesaggio apocalittico oltre quella finestra dimostrava che doveva esser passato diverso tempo: il cielo era più nero rispetto a poche ore prima e diversi, sottili lampi di luce squarciavano le nuvole e diversi boati si susseguirono.

Sbadigliai, stropicciandomi gli occhi e alzando la testa.

Mi ero assopita da seduta, con la testa tra le braccia posate sul tavolo e una coperta sulle spalle. Qualcuno doveva averla posta su di me per ripararmi dal profondo freddo che risiedeva tra quelle mura.

Elijah.

Doveva esser stato lui a coprirmi, malgrado quello a cui ero dovuta ricorrere per impedirgli di scoprire la verità. L'accarezzai con le dita e un lieve sorriso di nostalgia si disegnò sulle mie labbra.

Durò relativamente poco,il tempo necessario affinché i pensieri si facessero largo nella nube del sonno e mi rammentassero solo una cosa.

Che il momento era quasi giunto.

I miei pensieri vennero però nuovamente soppressi.

Un respiro si fece largo tra di loro, un profumo che avrei riconosciuto anche tra mille penetrò nelle mie narici e uno sguardo premette sul mio corpo, quasi potesse dolorosamente attraversarlo.

Non ero sola in quella oscurità.

Volsi di scatto la testa verso un preciso punto vicino alla porta e scorsi una figura; aveva la schiena posata sulla parete dietro sé, le braccia strette al petto gli conferivano un aspetto autoritario e i suoi occhi erano chiaramente visibili malgrado l'oscurità regnante tra quelle pareti. Erano più grigi quel giorno, probabilmente a causa del brutto tempo, e brillavano nel buio come piccoli diamanti di luce.

Sporchi di sangue però.

Era Klaus.

Presa dal panico, cercai di scattare in piedi come per voler fuggire, ma il mio corpo e la mia mente non furono abbastanza rapidi per vincere su di lui. Con velocità disumana, il vampiro si parò davanti a me, strinse le mie mani e le posò sui braccioli della sedia. Le dita affusolate circondarono i miei polsi, divenendo catene con cui mi ritrovai immobilizzata su quella sedia. La coperta cadde sul pavimento dietro le mie spalle.

Guardavo Klaus spaventata, sentendomi tremare in tutto il corpo.

Lui mi vedeva: vedeva come stringevo le spalle per nascondere il tremore dovuto alla paura, vedeva come le mie ginocchia, strette tra loro, non la smettevano di vibrare sotto la gonna, vedeva come i miei occhi erano diventati lucidi di fronte alla paura della morte.

Deglutii, distogliendo poi lo sguardo dal suo volto e lasciandolo vagare nell'oscurità.

Klaus sghignazzò, il verso che abbandonò le sue labbra aveva ben poco di umano.

Hai paura, piccola Petrova?” mi domandò, malgrado vedesse la risposta nel mio corpo tremante. Accostò il viso al mio e io mi ritrassi leggermente. “Fai bene ad averne.”

Un sussurro di morte soffiò sul mio orecchio.

Rimasi immobile, chiudendo le palpebre e ordinando al mio corpo di vincere il terrore e di smetterla. Volevo mostrasse un po' di coraggio di fronte al nostro aguzzino, che non gli desse la soddisfazione di avere la meglio. Mi morsi il labbro, quando l'interrogativo per cui Klaus mi avesse tenuta prigioniera balenò nella mia mente. Non che mi importasse, visto quello che stava per succedere, ma non potei fare a meno di avvertire la fiamma di paura bruciare con più insistenza in me.

Uccidermi? Torturarmi? Parlarmi? Che diavolo aveva in mente di fare con me Klaus?

Lui ammorbidì lentamente la sua presa sui miei polsi; le dita sfiorarono delicatamente la pelle e, nel giro di pochi secondi, mi ritrovai libera, ma comunque inchiodata alla sedia dal suo sguardo.

Alzai di nuovo gli occhi nella sua direzione e Klaus si strinse ancora una volta le braccia al petto, piegando la testa da un lato e posando la schiena sul bordo del tavolo dietro di sé.

Era a pochi centimetri dal mio corpo.

Lasciò che il silenzio ci pervadesse di nuovo, anche se ogni tanto un lampo in lontananza decideva di romperlo, e mi ritrovai a guardarlo. Presi a tremare sempre meno, mentre osservavo i suoi occhi magnetici e il cuore mi ricordò quanta rabbia nutrivo nei suoi confronti.

Che cosa vuoi da me?

Gli chiesi con lo sguardo, lui lo seppe prontamente tradurre.

Klaus posò i palmi delle mani sulla superficie dietro di sé. Guardò un punto davanti a sé, fece spallucce e mise un finto broncio sul viso. “Ancora non lo so.” disse, quasi stesse parlando di un normale impegno da programmare per il futuro. “Sono molto impulsivo, sai? Per questo ti ho tenute prigioniera qui, perché in quel momento mi andava. Ma non so ancora come fartela pagare.”

Mi sentii tremare dentro e Klaus sembrava quasi divertirsi nel spaventarmi in quella maniera.

Era diverso da quello che avevo conosciuto, diverso sia dal suo miraggio e sia dal suo vero aspetto: i suoi occhi erano spenti, vuoti, privi di sentimenti ed emozioni. Sembrava non guardare il mondo che lo circondava, quasi non ne sopportasse la vista malgrado ci vivesse.

Qualcosa si era spento in lui.

Mentre studiavo con paura il suo volto, Klaus perse la voglia di giocare con me.

Il sorriso scomparì lentamente dalle sue labbra e i suoi occhi rimasero fissi sul mio viso.

Non avevo la forza per sostenerli troppo a lungo e così mi ritrovai ad abbassarli con estrema rapidità.

Katerina è morta.”

A quelle parole sobbalzai.

Pensai subito che fosse una menzogna, o che avessi udito male, ma Klaus non era in grado di mentire su qualcosa che interessava direttamente anche lui. Voltai la testa nella sua direzione, molto lentamente, sentendo il cuore martellarmi nel petto con sempre più forza.

Lui era serissimo, mi fissava con le labbra schiuse e lo sguardo gelido ed affilato.

Il respiro mi si arrestò in gola e una pesante oscurità parve avvolgermi nel suo abbraccio, quando ripetei le parole da lui pronunciate dentro la mia testa.

No, no, no...Katerina non poteva essere morta. Non doveva esserlo, io non avevo fatto tutto quello per...

Si è trasformata in un vampiro.” Klaus sembrò aver sentito la voce dei miei pensieri e la interruppe prontamente. Trattenni il fiato, ma il cuore non si placò. “La tua cara sorellina si è approfittata di Rose e del suo aiuto per sfuggire ai miei scagnozzi e...ora è una succhia sangue.”

Parlava con evidente fastidio e notai che i pugni nascosti sotto le sue braccia si erano fatti più stretti.

Il fatto che Katerina fosse divenuta un vampiro doveva essere un altro duro colpo per lui, visto che mia sorella serviva umana per essere sacrificata. Sapere che non era propriamente morta mi rincuorava, ma non mi rendeva nemmeno felice il fatto che si fosse trasformata, mettendo in pericolo anche Rose e Trevor. Non volevo che si dannasse ad un'eternità di sangue e dolore, non in quella maniera almeno.

Si era uccisa solo perché impaurita, perché l'immortalità le garantiva di essere un leggero passo avanti a Klaus e perché la vedeva come l'unica possibilità di salvarsi da morte certa.

Niente stava andando come previsto.

Venni quasi presa dallo sconforto nell'immaginare mia sorella che affrontava un tale cambiamento nella sua esistenza da sola, senza che io potessi in alcun modo aiutarla.

Era rimasta senza nessuno su cui contare per colpa mia e io non potevo fare nulla per esserle d'aiuto.

Klaus continuava a fissarmi, mentre mi portavo le mani tra i capelli e chiudevo gli occhi per trattenere le lacrime. Si piegò su di me, posando le mani sullo schienale della mia sedia per farmi avvertire più da vicino la sua collera. “Sai che hai appena condannato a subire la mia ira altre due persone?” disse, la sua voce era vittima di quell'anima nera di odio ed ira che manovrava il suo corpo.

Distorta, quasi irriconoscibile o perlomeno non associabile a nessuno dei Klaus che avevo conosciuto.

Avevo un altro Klaus di fronte a me.

No, ti prego.

Patetica come solo io potevo essere, scattai in piedi e rimasi poi immobile.

Tenni le braccia accanto alle gambe, gli occhi erano velati di lacrime che mi sforzavo in tutti i modi di non lasciarle cadere sul mio viso, le labbra tremavano nel vano tentativo di trattenere i singhiozzi.

Ma che stavo facendo? Imploravo Klaus come se lui conoscesse la pietà verso il prossimo?

Il vampiro, infatti, mi guardò sorpreso; non capivo se perché non si aspettava un simile gesto da parte mia oppure perché, in qualche maniera, la mia supplica riusciva in parte a smuoverlo.

Rimossi subito la seconda opzione, quando lui si mise dritto sulla schiena e si avvicinò a pochi centimetri da me, come per sfidarmi.

Mi pentii prontamente del gesto che avevo compiuto; le lacrime scorsero solitarie lungo la pelle, ma caddero comunque in numero minore rispetto a quelle che gli occhi stavano accogliendo in loro.

Alcune gocce si limitarono a scendere lungo le guance, per poi unirsi all'altezza del mento e cadere sul pavimento. A Klaus, del mio pianto breve e silenzioso, durò ben poco. Lui fu la tempesta sul mio dolore.

Non sei più nella posizione di pretendere qualcosa da me. Dovevi pensarci prima.” mi rimproverò e trovai assurda la sua pretesa nell'aver tanto desiderato che non mettessi i bastoni tra le ruote al suo piano. “Hai mandato a monte qualcosa che ho pianificato da secoli....lo capisci o no?”

Scossi la testa incredula, mordendomi le labbra e avvicinandomi a lui con sfida. Non ero in grado di spiegare perché stessi compiendo un gesto simile, vista la fifa che nutrivo nei suoi riguardi, ma mi ritrovai ad affrontarlo con il coraggio che avrebbe avuto un coniglio nello sfidare un'aquila.

Volevi uccidere Katerina.

E pretendeva che rimanessi ferma e buona in un angolo, a lasciare che lui continuasse il suo giochetto?

Klaus abbozzò un sorrisetto provocatore. “Non è colpa mia se è lei la doppelganger.” disse, quasi quella fosse una scusante. “E non è nemmeno colpa mia se tu hai avuto la sfortuna di averla come sorella.”

Strinsi i pugni, il suo sguardo fomentò la rabbia che continuava a bruciarmi con insistenza sotto pelle.

Potevi salvarla. Poteva comunque accettare il piano di Elijah, perché quindi non farlo?

Klaus mosse gli occhi, seguii il movimento delle sue iridi che sembravano unirsi violentemente alle mie, come incatenate a guardarsi per sempre. La sua espressione mutò un'istante, in qualcosa che non seppi definire, poi ritornò la maschera di rabbia ed odio che fino a poco prima l'aveva animata.

La patetica vita di Katerina per me non contava nulla, è solo un'umana...le avrei strappato il respiro senza pormi il benché minimo problema!” parlò con un tale odio, con un tale disprezzo nei confronti della vita di mia sorella che non riuscii a sopportarlo.

Lo colpii in pieno viso con uno schiaffo.

Il rumore del mio palmo che si scontrava con la sua guancia schernì la voce del silenzio.

Klaus si era stranamente lasciato guidare dal movimento della mia mano e la sua testa venne girata verso un punto alla sua destra,dove fissava il pavimento come sorpreso. Ripresi lentamente fiato, alzando e abbassando rapidamente le spalle e sentendomi incendiare il viso dalla collera.

Quanto lo odiavo.

Odiavo ormai tutto di lui: il suo viso, i suoi occhi, le sue movenze, il modo in cui mi parlava, la maniera in cui mi toccava. Sembrava che quel Klaus che mi ero illusa di aver vissuto non l'avessi mai realmente conosciuto, ma che fino ad allora mi fossi solamente rapportata con il suo demone mascherato da essere umano.

E io odiavo me stessa per aver creduto che fosse diverso.

Klaus si massaggiò la guancia, girò lentamente lo sguardo verso me e fui solo in grado di scorgere i suoi occhi grigiastri che mi fissavano con disprezzo. Il resto del volto venne coperto dal palmo della sua mano e dai capelli biondi scompigliati attorno ad esso.

Ti odio. Ti odio. Ti odio.

Quante volte avrei voluto gridargli quelle parole. Quante volte avrei voluto fargli presente l'astio e il rancore che nutrivo nei suoi confronti. Quante volte avrei voluto ferirlo, ancora e ancora, per fargli provare anche solo un briciolo di quello che stavo sentendo io in quel momento.

Klaus si scricchiolò il collo con un rapido gesto, sembrava stesse sforzandosi di restare calmo e non colpirmi. “So che mi odi.” disse solo, con un filo di voce. Questa era fredda e tagliente come il vento che torturava gli alberi all'esterno. “E non me ne importa più.”

Ed era vero.

Klaus sembrava davvero non curarsi del mio odio; tempo prima mi aveva ferita e colpita più e più volte quando gli avevo rivolto quelle parole, ma in quel momento non gliene importava nulla.

La cosa più importante per lui era solo la mancata riuscita del suo diabolico piano.

Era come se avesse spento la fiamma.

Come se ciò che avevo fatto gli avesse permesso di soffiare su di essa e spegnerla definitamente.

Continuavo a respirare profondamente, ma persino il mio stesso fiato sembrò capace di ferirmi in quel momento. Continuammo a guardarci, lui non sbatteva nemmeno le palpebre pur di non perdere il contatto visivo con i miei occhi, mentre io sembravo non riuscire a sostenerlo.

Più lo guardavo e più volevo colpirlo con tutte le mie forze.

Ma non ti dispiace nemmeno un po'? Non provava nemmeno a scusarsi?

Pensavo che, almeno dopo ciò che mi aveva rivelato il giorno prima, provasse almeno un po' di ribrezzo per se stesso, per quello che avrebbe fatto a mia sorella. Aveva detto di provare qualcosa per me, che avevo risvegliato quel sentimento in lui, eppure voleva portarmi via la persona che tenevo di più al mondo.

Se davvero sentiva, perché non rinunciare al rituale, sapendo che mi avrebbe fatto male?

Come poteva aver anche solo menzionato l'esistenza di quei sentimenti, quando nascondeva un orrore come quello?

Quello non era amore, era solo una pallida illusione di quel sentimento, pronto ad essere soffocato dal suo innato egoismo. A lui non importava nulla di me, non importava nulla del male che mi avrebbe e mi stava facendo. Non capivo come faceva a guardare il riflesso di se stesso senza odiarsi nemmeno un po'.

Klaus fece spallucce. “Niente più conta per me adesso. Ho perso il doppelganger, ho perso te...odiami quanto di pare, non puoi ferire un uomo che non ha più debolezze.” disse solo, senza sorridere e senza mostrare alcuna emozione nella sua voce.

Mi sembrava davvero di trovarmi di fronte ad un mostro. E io non volevo nemmeno essere considerata un qualcosa che lui aveva perso, non mi aveva mai avuta perché non era mai stato sincero.

Lo detestavo.

In un baleno, Klaus mi spinse nuovamente contro la sedia con un gesto violento. Quella quasi si ribaltò nell'impatto in cui finii su di essa, ma lui impedì che si ribaltasse: posò la mani sui braccioli della sedia e si piegò su me, incatenando i miei occhi ai suoi per impedir loro di fuggire a quella prigionia. Il respiro mi si fermò a metà, tra la gola e il petto, serrai le labbra per non permettergli di fuggire dalle mie labbra e incontrare il volto di Klaus.

Per paura, i miei occhi decisero di restare succubi di quella gabbia.

Elijah non è nei dintorni in questo momento.” mi disse, restandomi vicino. Sembrava quasi godesse del fatto che lui non potesse intervenire. “Ora spiegami perché non lo fai, perché non fuggi come lui vuole che tu faccia. Non ti rimane più nulla, Irina, hai perso tutto...vuoi per questo perdere anche la tua vita? Proprio non capisco.”

Il respiro si mutò in tormento, tenni gli occhi fissi su Klaus e sul modo in cui aveva accostato il viso al mio per impedirmi di sfuggirgli.

Il suo discorso avrebbe potuto ferirmi, se non fossi rimasta per mio volere.

In realtà ero là per uno scopo per cui valeva davvero la pena vivere, ma lui non poteva saperlo. Preferii che credesse fossi così sciocca da aver deciso di rimanere per chissà quale decisione.

Sorrise, traducendo la tristezza del mio sguardo, dovuto a ciò che stava per succedere, in malinconia e nostalgia dovuta al fatto che avessi perso tutto in pochissimi giorni.

Se vuoi, potrei essere buono con te e ucciderti in questo istante. Che ne dici?” mi domandò, sadico e bastardo come solo lui poteva essere. Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che avvicinò lentamente il viso alla base del mio collo e vi soffiò sopra.

Restai immobile e rigida, chiudendo gli occhi quando sentii le sue labbra sfiorarmi quasi la pelle del collo. Avrebbe potuto mordermi in quel preciso istante, eppure sapevo che non lo avrebbe fatto. Non sapevo cosa me lo faceva pensare, ma lo sapevo. Sarebbe stato troppo semplice per lui.

Volsi la testa dall'altra parte quando il suo naso scorse lungo la pelle della guancia, mi costrinse a guardarlo allungando la mano verso la mia guancia destra. Le sue dita premettero con forza sulla pelle e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. Ogni tentativo di allontanarlo fu vano ed inutile.

Prima però...ti obbligo a rivelarmi il vero motivo per cui sei rimasta.” mi disse, portando poi il viso all'altezza del mio.

La sua non era una richiesta bensì un'imposizione di volere; voleva davvero capire il motivo per cui non fossi fuggita insieme a Katerina e mi domandai, ingenua come sempre, se sapere il motivo lo avrebbe in qualche modo distolto dai suoi sanguinosi propositi di vendetta.

Le sue dita scesero a stringermi il mento, in una presa leggermente più delicata ma sempre mortale. Socchiusi le palpebre, fissando le sue iridi chiare e ascoltando il rumore della pioggia che continuava a battere sulla realtà all'esterno.

Un tuono si aggiunse a quei suoni.

Sentii le lacrime pungermi gli occhi, mentre lo guardavo e scossi lentamente la testa, arrendendomi a quella debolezza.

L'amore...Iniziai a dire, muovendo lentamente le labbra. Klaus affilò lo sguardo confuso.

Non è solo dolore...non capivo da dove nascessero quelle mute parole; le trovai inappropriate e inutili.

L'amore...e continuavo, continuavo a muovere le labbra mentre Klaus traduceva il mio silenzio, malgrado desiderassi con tutta me stessa che quelle smettessero di muoversi.

È essere disposti a morire per coloro che si ama.

L'amore è un campo di battaglia; molti soldati ne escono con il cuore infranto, altri invece, con un sorriso sulle labbra. Si curano le ferite causate dalla battaglia combattuta per poterlo ottenere e si preparano a vivere l'amore per cui hanno lottato. Che vincano o perdano, i soldati hanno in comune la guerra, la lotta con la vita e con il dolore per far prevalere il loro amore e proteggere a tutti i costi coloro che tenevano a cuore. Klaus non amava, era un soldato che aveva abbandonato la battaglia e aveva preferito nascondersi nel proprio egoismo per paura di poterla perdere.

Quindi non poteva capire una cosa del genere.

Il vampiro sbatté le palpebre, non riuscendo a comprendere il messaggio nascosto nei miei occhi. Ma restò colpito dalle parole che le mie labbra si erano concesse; sospirò e abbassò lo sguardo sul mio corpo ancora in preda ai tremori.

Elijah, Katerina....Vuoi dunque dirmi che sei rimasta solo per loro, giusto?” constatò.

Non risposi in alcuna maniera, il silenzio diceva tutto.

Vuoi farti perdonare il fatto che li hai traditi entrambi per caso?” ridacchiò poi, con l'intento di ferirmi. Chiusi gli occhi e deglutii, mandando giù un pesante groppo che mi bloccava il respiro.

Improvvisamente, Klaus mi guardò di nuovo e qualcosa nei suoi occhi era cambiato. Come se nei miei occhi lucidi, avesse trovato una risposta che cercava da tempo.

Come poteva capire? Non sospettava nulla.

Sei libera di andare.” disse, dopo un po' di silenzio e si allontanò rapidamente verso la porta.

Non compresi subito, quelle parole mi sembrarono troppo inverosimili. Sbattei più volte le palpebre, seguendo la sua figura che si faceva sempre più lontana nell'oscurità e rimasi immobile.

Klaus aprì la porta, inumidendosi le labbra e volgendo lo sguardo verso l'esterno. Si accorse che stavo scuotendo la testa, come per chiedergli a cosa fosse dovuto quel cambiamento d'idea. Era assurdo come cambiasse nel giro di pochi secondi, come un pensiero mutasse in altro in un singolo momento, a causa di qualcosa che poteva risultare una cosa piccola e banale per qualcuno ma non per lui.

A lui bastava una sola parola, un solo gesto, una sola lacrima per passare dall'antipodo di un'emozione all'altra.

Ti stai chiedendo perché ti sto lasciando andare, vero?” mi domandò, traducendo in quella maniera il mio sguardo interrogativo. I nostri sguardi si incontrarono, malgrado l'oscurità sembrava largamente distanziarci. “Semplice; non c'è soddisfazione migliore per me che dare la caccia a te e tua sorella insieme. La trovo più gratificante come punizione da assegnarti.”

L'odio riprese a farmi battere con forza il cuore, strinsi i denti con rabbia e i pugni sopra le ginocchia. Mi feci male, ma poco importava: le parole che Klaus stava pronunciando accrebbero così tanto la mia rabbia che il dolore fisico passò in secondo piano. Ma se non fosse stato così? Se lo stesse facendo perché....no, impossibile.

Klaus abbozzò un sorriso. “Non ti amo più Irina. Non è per quello che lo sto facendo.” aggiunse poi, per donare un epilogo ben peggiore a quelle sue frasi.

Mi morsi il labbro furiosa, ma non ebbi tempo di fare altro che un grido femminile ruppe il silenzio.

Proveniva dal corridoio esterno, ed era così vicino e così familiare che sia io che Klaus ci voltammo a guardare il pavimento oltre la porta per poi lanciarci un'occhiata complice.

Rebekah.

Era iniziato tutto.

Klaus uscì all'esterno, camminando con passi decisi e veloci e io scattai in piedi, pronta a seguirlo. Appena fummo fuori, nel lungo corridoio circondato dalle colonne bagnate della pioggia, la prima cosa che attirò il nostro sguardo fu lui.

Mikael.

Teneva Rebekah tra le sue braccia in una specie di stretta fatale, l'abbraccio che non si donerebbe mai ad una figlia che piangeva in quella maniera. Le teneva i polsi stretti in un palmo, all'altezza della spalla destra di lei, e con l'altra mano teneva un pugnale dalla punta nera puntato contro il cuore di lei.

Pronto a colpirlo in qualsiasi istante per toglierle la vita.

Li aveva di nuovo trovati; compresi che Klaus aveva deciso di abbandonare, insieme ai suoi fratelli, la villa in quei giorni proprio perché temeva quel momento. Ma, ormai, non vi poteva più sfuggire.

Klaus restò immobile; malgrado mi trovassi dietro di lui vidi indistintamente i suoi pugni stringersi, i muscoli irrigidirsi sotto i vestiti e il respiro che soccombeva dentro il suo corpo. La paura s'impossessò del suo spirito, mentre fissava la figura del suo peggiore incubo che teneva tra le mani la vita di sua sorella.

Mikael fece slittare lo sguardo nella mia direzione, un sorriso provocatore gli si disegnò sulle labbra quando i nostri occhi entrarono in contatto. Non doveva aver dimenticato lo scherzetto che gli avevo giocato, sempre se era consapevole che ne fossi io la colpevole.

Felice di rivedervi, ragazzi.” disse Mikael con voce profonda, quasi solenne. “Non vedevo l'ora di vedere dal vivo anche questa bella casetta.”

Alzò il mento in direzione di Klaus e spalancò leggermente gli occhi. Il ragazzo rabbrividì in quel preciso istante e mi immaginai la sua espressione impaurita, mentre affilava lo sguardo e stringeva con forza le labbra tra loro, nel tentativo di farle smettere di tremare. “È passato troppo tempo, non trovate? E l'ultima volta ci siamo lasciati così male...”

Rebekah continuava a piangere, chiuse gli occhi e trattenne a stento i singhiozzi che le scoppiavano nel petto. Sembrava una bambina in balia del mostro che divorava i suoi sogni notturni; il viso di porcellana era solcato da lunghe scie di lacrime che scorrevano più lentamente rispetto alla pioggia.

Ma le gocce che cadevano dai suoi occhi erano certamente più rumorose.

Sentivo il suo panico e il suo terrore persino dal punto lontano in cui mi trovavo.

Klaus s'irrigidì di più, i pugni si serrarono con maggior forza e il corpo venne scosso da un lungo tremore. Mi chiesi se stesse guardando con profondo terrore suo padre, oppure con tenerezza l'immagine di sua sorella in lacrime. Era così spaventato che non credevo fosse capace di muoversi da quella posizione per correre in aiuto di Rebekah.

Lasciala stare.” disse solo, con voce roca che venne sfidata dalla violenza di un tuono in lontananza.

Il vento aveva preso a soffiare con forza e, malgrado ci trovassimo in un punto coperto, trasportò a noi le gocce di pioggia che continuavano incessantemente a bagnare la terra.

Mikael chiuse gli occhi, scosse la testa e assunse la tipica espressione di qualcuno che non poteva soddisfare la richiesta di un altro. Solo che la sua era ovvia finzione per burlarsi di Klaus.

Certo. Se ti consegni a me, la lascerò certamente andare.” gli propose, ma pensai fosse una bugia. Mikael voleva farla pagar loro per essere fuggiti per tutto quel tempo, per aver mantenuto la promessa che si erano fatti secoli prima, quella di rimanere sempre insieme.

Dovevano pagare tutti loro, anche se Elijah e Rebekah non erano nel mirino del suo disprezzo.

Strinsi i pugni.

Rebekah riaprì gli occhi e li puntò sul fratello; la sua espressione addolorata sembrava implorarlo di salvarla ma, al tempo stesso, di non acconsentire al volere del padre.

Non voleva morire, ma non voleva nemmeno restare da sola senza il suo amato fratello.

Vedendo che Klaus rimaneva rigido in un blocco di paura, feci un passo verso Mikael e Rebekah, credendo di poter fermare in qualche modo quella tragedia. Ma Klaus tese il braccio per impedirmi di proseguire e mi fermai prima che il mio volto finisse contro il suo gomito.

Volsi lo sguardo verso lui, confusa. Lui non mi rivolse alcuna occhiata e si limitò a tenere il braccio teso.

Tu torna in sala e non immischiarti.” mi ordinò, con voce dura ma che vibrava leggermente nelle note della paura. Non distolse mai lo sguardo dal volto di suo padre e un altro brivido lo scosse.

Mikael sorrise, mantenni il volto in direzione di Klaus ma volsi lo sguardo verso il suo nemico. “Andiamo Niklaus....” ridacchiò. “Ora che non hai più il tuo prezioso doppelganger sei piccolo, inerme e patetico come lo eri quando il cuore ti batteva nel petto. Ma sono certo che non avresti lo stesso avuto il coraggio di affrontarmi una volta divenuto un ibrido.”

La punta del pugnale affondò maggiormente nel petto di Rebekah, che prese a piangere più intensamente, trattenendo i suoi singhiozzi con fatica. Klaus fece un passo in avanti ma poi si fermò.

Se ami così tanto tua sorella, perché non vieni qui e mi affronti da uomo, eh?” Il tono di Mikael si era fatto autoritario, simile a quello che doveva usare quando era umano e ricordava a suo figlio quanto indegno per il mondo fosse, secondo la sua logica contorta di padre.

Ebbene, Klaus si era adattato fin troppo bene al mondo, facendosi immergere dall'oscurità in cui questo era piombato dall'inizio dei tempi, ma di fronte a Mikael non vi era oscurità che potesse renderlo più forte.

Klaus tacque e io strinsi i pugni rendendomi conto che stava per avere tutto inizio. Avevo aspettato così a lungo quel momento, che sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene, mentre assistevo a quella scena.

Coraggio Niklaus!” Mikael urlò, la sua voce assunse la stessa tonalità e la stessa brutalità di uno dei tuoni che stavano squarciando il cielo nero.

Klaus sobbalzò sul posto, come un bambino spaventato dal rimprovero del padre.

I miei pugni si strinsero con più forza.

Vieni qui e salva tua sorella! Sii uomo per una volta nella tua miserabile esistenza!” Mikael gridò di nuovo, la sua voce riecheggiò tra le pareti spoglie della villa e Rebekah si lasciò sfuggire un singhiozzo.

Klaus non riusciva a muoversi; immobilizzato come una statua, guardava il suo incubo con impotenza.

I miei pugni si strinsero ancora di più, le unghie affondarono nella carne.

Mikael scosse la testa, quando nell'oscurità prese atto del terrore del figlio che lui doveva considerare vigliaccheria.

Non sei disposto a morire per la tua famiglia. Non sei disposto a rinunciare a te stesso per la donna che ami...” Fece un cenno nella mia direzione, il rancore che nutrivo nei suoi confronti mi incendiò il petto e Klaus mi guardò con la coda dell'occhio. “Non hai mai meritato di vivere.”

Volsi lo sguardo verso Klaus, i miei pugni iniziarono a rilassarsi.

Il vampiro stava ancora rabbrividendo, ma ascoltava le parole del padre senza replicare in alcun modo.

Forse perché pensava che una parola avrebbe potuto far scattare il suo nemico, oppure perché, dentro sé, credeva davvero in ciò che lui gli stava dicendo. Non potevo permettermi di rimuginarci su.

Mikael sorrise. “Sarò felice di ucciderti quest'oggi.” concluse. “E con te, magari, la tua bella amata. Magari un po' ti ferisco...chissà!”

Era il momento di agire. Lo capii nel momento in cui vidi Klaus provare a reagire.

Pensai fosse più difficile, invece accadde tutto con estrema rapidità.

Mikael che sbarrava gli occhi per la sorpresa.

Rebekah che lanciava un urlo disperato.

La mia mano che rimaneva tesa verso Klaus.

Il suo corpo che cadeva di schiena a terra, privo di vita.

Seguii il movimento della sua figura che si riversava a terra, con le braccia aperte, la testa che dondolava sul pavimento per l'impatto della caduta e le gambe leggermente piegate.

Sembrava si fosse addormentato, il suo viso assunse un aspetto angelico mentre il sonno della morte lo attanagliava.

Credevo sarebbe stato più difficile usare i miei poteri, invece avevo già imparato a dominarne la forza quasi con maestria. Presi dei lunghi respiri, fissando Klaus a terra e sbarrando lo sguardo.

No! Che cosa hai fatto?!” gridava Rebekah, cercando di dimenarsi dalla stretta del padre, per correre in aiuto di suo fratello.

Avevo ucciso Klaus. Ecco cosa avevo fatto.

Guardai ancora il suo corpo, le palpebre chiuse al mondo e il corpo abbandonato su quelle fredde mattonelle. Avevo proprio io strappato la vita da lui?

Mikael, dopo un lunghissimo attimo di sorpresa, iniziò a ridere come divertito da quello spettacolo. Continuai a fissare Klaus, sentendo una strana sensazione crescere dentro di me mentre guardavo il suo viso, mascherato da una espressione innocente, posta su esso dalla mia mano di morte.

Irina, che cosa hai fatto?!” continuava a gridare Rebekah, con pura isteria nei toni della voce.

Il suo grido, poi, mutò in un rantolo di dolore.

Mi decisi a guardarla; Mikael l'aveva pugnalata al petto con forza, ma la teneva tra le braccia con delicatezza, mentre la vita scorreva via dal suo corpo. Non voleva farla cadere a terra quando sarebbe tutto finito, quasi volesse accompagnarla per mano verso il buio della morte.

Quasi volesse sentirsi padre in quel frangente.

Rebekah mi guardò fino alla fine, boccheggiando nel tentativo di assorbire ossigeno mentre la pelle le diveniva lentamente grigiastra. Il petto sembrava tremarle, scosso nei suoi ultimi respiri, e i suoi occhi divennero lentamente spenti e vitrei.

Ma con una domanda ben riposta in essi, mentre mi fissava nei suoi ultimi attimi di agonia.

Mi stava chiedendo perché lo avessi fatto. E non avrebbe mai potuto avere la risposta.

Abbassai gli occhi, nel momento in cui la vita l'abbandonò e il suo corpo si abbandonò completamente tra le braccia del padre.

Mikael la osservò a lungo, con un velato senso di tristezza nello sguardo mentre lo faceva scorrere lungo il volto della ragazza. L'adagiò poi con delicatezza sul ruvido e freddo pavimento.

Malgrado si trattasse dell'assassino e della sua vittima, quella scenetta mi trasmise una momentanea sensazione di tenerezza, come se mi trovassi di fronte ad un tipico quadretto familiare.

Scacciai quella sbagliata sensazione scuotendo la testa e tornando a guardare Klaus; il suo volto era rivolto verso il cielo, ancora nero di tempesta, e il candore della pelle venne illuminato dalla luce di un lampo. Mentre lo guardavo, mi ritrovai a non avere emozioni né pensieri.

Fissavo indifferente il suo cadavere, rammentando i momenti passati che consideravo bugia e i momenti attuali che invece erano stati segnati da un dolore troppo grande.

Malinconia e dolore.

Avrei dovuto provare quelle due cose, fissando il suo corpo privo di vita, e invece mi ritrovavo a sentire il nulla dentro me.

La mia umanità era appena caduta in un precipizio e da esso non sarebbe più potuto risalire.

Mikael si rivestì della propria perfidia, appena Rebekah fu distesa sul pavimento. Alzai lo sguardo nella loro direzione, il manico del pugnale conficcato nel petto della vampira era esposto in bella vista.

E io che ti facevo stupida, piccola Petrova.” ridacchiò il vampiro, camminando verso me con estrema ed elegante sincronia nei movimenti.

Batteva le mani, il rumore dei suoi palmi che lentamente si scontravano tra loro ruppe l'innaturale silenzio sceso sopra di noi. Persino i tuoni sembravano aver perso la loro voce, in confronto a quel gesto.

Quando ho visto che eri rimasta con loro, credevo lo avessi fatto per qualche stupido motivo di cuore.”

Mi si fermò accanto, nel momento stesso in cui ero tornata a guardare Klaus.

I capelli mi coprivano completamente il volto, li sentivo aderire perfettamente alle guance mentre il mio sguardo fissava intensamente le palpebre chiuse della mia vittima.

E, invece, lo hai preso per i fondelli e vuoi consegnarlo a me? Sei davvero degna di tuo padre, ragazza.” concluse Mikael, con un'ultima risatina gutturale, che venne seguita da un lampo in lontananza. Trattenni il fiato di fronte a quelle parole, poiché la mancanza di sentimenti in me, e il fatto che il mio cuore battesse silenzioso nel petto dopo ciò che avevo fatto, era la prova che non ero poi diversa dal demonio che era mio padre.

Un tempo, sapermi così maligna, mi avrebbe fatto male ma in quel momento non me ne importava.

Mikael si schiarì la voce, mettendosi ad osservare anche lui con indifferenza la morte che si trovava ai nostri piedi. Mi chiesi come si dovesse sentire lo spirito di Klaus, se avesse potuto assistere all'indifferenza in cui stavamo reagendo alla vista del suo cadavere.

Così mi fai sentire in colpa...” parlò ancora il vampiro con fare divertito.

In quel preciso istante, rammentando ciò che Belial mi aveva detto riguardo ciò che Mikael aveva fatto, alzai lo sguardo su di lui e un sentimento riaffiorò in me. Il sentimento più buio e pericoloso che il mio corpo potesse accogliere dentro sé: quello dell'odio e della rabbia più profonda.

Mikael pensò che non sapessi la verità.

Comunque...con i tuoi poteri, hai solo spezzato il collo al tuo fidanzato....ma questo non lo uccide mica!” disse, aprendo i palmi delle mani verso l'alto e lanciandomi un'occhiata, come se pensasse fossi così stupida da non saperlo.

Per tutta risposta, piegai la testa da un lato e tesi il braccio verso Klaus, quasi per dare il permesso a Mikael di prenderne il corpo.

Dai miei occhi dovette trapelare tutta la freddezza che ero capace di ostentare.

Mikael rabbrividì un istante, colpito dalla lentezza dei miei movimenti e dai miei occhi ridotti a due oceani notturni senza fondo. Il suo sguardo si fece inquisitore, scorrendo sul mio viso e sul mio corpo, come se volesse provare la fiducia che aveva nutrito senza difficoltà nei miei confronti poco prima.

C'è qualcosa di strano in te, ragazzina.” disse e fece un passo verso me, allungò la mano verso il mio viso e lasciai le sue dita libere di spostare i capelli che mi coprivano le guance e gli occhi.

Sentire la sua pelle fredda toccare la mia, mi provocò un lungo brivido di paura che mi percorse la spina dorsale.

Ora che ci penso..” Mikael portò i capelli dietro le mie orecchie e inclinò leggermente il viso.“Mi risulta difficile che tu sia davvero capace di una cosa simile, malgrado la vendetta e il sangue che ti scorre nelle vene...”

Un altro brivido. Un altro tuono ruppe il silenzio. E rimase solo il rumore della pioggia.

Quella continuava ancora e ancora a cedere senza sosta oltre le colonne, i fiori e le piante in giardino continuarono a venir mosse dal violento vento che soffiava sulla terra.

Sia io, che Mikael, che il corpo di Klaus venimmo bagnati dalle gocce scagliate da esso contro di noi.

Lo faccio per Katerina.

Gli feci intendere, anche se dubitai fortemente che Mikael fosse stato capace di capirmi. La sua mano restò sui miei capelli, in una presa che poteva divenire mortale da un momento all'altro, e parve capire ciò che stavo trasmettendogli. Uccidendo Klaus, consegnandolo a lui, potevo garantire la salvezza di mia sorella....come poteva dubitare di ciò che avevo appena fatto?

Mikael non disse altro, strinse le labbra e abbassò lo sguardo sul mantello che portava indosso.

Staccò la mano dal mio viso, la fece scorrere sotto il tessuto scuro del mantello e estrasse un altro pugnale, destinato al petto di Klaus. Probabilmente ne aveva anche un terzo, lo guardai con odio.

Beh allora...grazie per l'aiuto, cara.” Mikael provò ad abbassarsi su Klaus, lo vidi inginocchiarsi e osservare a lungo il volto del figlio. Era uno sguardo diverso da quello che aveva usato per guardare Rebekah, era carico di astio, ribrezzo, un odio che non si era spento nemmeno dopo secoli.

Sai di cosa è colpevole?” mi domandò, non degnandomi di un'occhiata.

Rimasi immobile, poiché ne ero già a conoscenza. Belial mi aveva detto di come Klaus aveva strappato il cuore dal petto della madre, una volta scoperta la verità sulla sua natura, ma non era lui l'unico colpevole di quella morte. Lo scontro con Belial l'aveva indebolita quasi a ridurla in fin di vita ed era per colpa del demone se Esther non era stata capace di difendersi dalla furia del figlio.

Distolsi lo sguardo quando Mikael lanciò un'occhiata verso me, quasi avesse captato i miei pensieri.

Mi asciugai le mani sudate sulla gonna.

Coraggio, fallo. Uccidi Klaus. Erano solo quelli i miei pensieri.

Lo vidi alzare le mani, strette attorno al manico del pugnale, pronto a colpire il petto del figlio.

Mi preparai ad agire.

Ma qualcosa andò diversamente da come avevo pianificato.

Un'ombra spinse via Mikael da me e da Klaus; il vampiro perse il pugnale che cadde in un punto vicino ai miei piedi e il suo corpo venne scagliato lontano, in un punto alle mie spalle dove rimase disteso a terra, gemendo di dolore. Lanciai un'occhiata nella sua direzione, per poi tornare a guardare l'ombra che aveva preso forma davanti a me.

Elijah.

Aveva velocemente strappato dal petto di Rebekah il pugnale che l'aveva colpita al cuore e poi si era fiondato su Mikael come una furia, per salvare me e Klaus.

I suoi occhi neri guardarono il corpo di Rebekah alle mie spalle poi mi fissarono intensamente, le spalle si alzavano e abbassavano in preda a profondi respiri, stringeva in una mano il pugnale che aveva infierito su sua sorella mentre guardava il mio volto, scoprendo la maschera di cinismo che lo copriva. Aveva pensato per un attimo che fossi anche io vittima di Mikael; in quel momento invece si rese conto che ero invece carnefice come lui.

Non disse nulla, serrò la mascella e mi superò, parandosi davanti a Mikael che si stava alzando a fatica da terra. Rimasi immobile vicino al corpo di Klaus, il piano stava sfumando.

Mikael si alzò in piedi, perse il tipico sorriso sornione che era solito regalare a chi gli piaceva far tremare. Ma con Elijah era diverso; sembrava quasi che fosse lui quello a tremare di fronte al suo cospetto.

Ci fu un breve momento di intesa tra i loro sguardi, come se i due stessero rivivendo il loro legame affettivo, che doveva essere stato saldo, ma comunque conflittuale, quando erano stati umani.

Elijah aveva sempre protetto Klaus dalle sue angherie.

Elijah doveva essere l'unica vera figura maschile da cui Rebekah doveva essersi sentita davvero protetta.

Elijah doveva essere l'unica figura della sua famiglia, che Mikael doveva temere perché era l'unico a non nutrire davvero paura nei suoi confronti.

Quel momento di sguardi durò pochissimo, strinsi i pugni e abbassai di nuovo gli occhi su Klaus. Dovevo agire, ma come? Guardai il pugnale, non potevo usarlo contro di lui...

Guardai padre e figlio nell'intento di sfidarsi, mentre, immobile, elaboravo un piano nella mia testa.

Non ho mai voluto che arrivassimo a questo punto, Elijah. Non con te, figlio mio.” disse Mikael, stringendo il pugnale nella mano.

Bugiardo, non voleva arrivare a quel punto perché aveva paura di lui.

Elijah non rispose; lo guardò con disprezzo, dovuto al fatto che aveva colpito i propri figli in quella maniera brutale. Erano suoi fratelli, malgrado con Klaus fosse evidentemente in conflitto per la storia di Katerina, ed era normale che li volesse difendere da colui che aveva dato inizio alla distruzione della sua famiglia. Perché Mikael era il vero colpevole dell'oscurità che aleggiava su di loro.

Non ti permetterò di distruggere questa famiglia, padre. Non di nuovo.” rispose Elijah.

Mikael lo guardò in silenzio, quasi infastidito dal tono duro e tagliente che il figlio aveva usato nei suoi confronti. “È stato tuo fratello a distruggere tutto. Te ne accorgerai molto presto.” disse. “Ma visto che avete scelto lui...pagherete entrambi la vostra innata stupidità!”

A quelle parole si scagliò su di lui e la lotta ebbe inizio: erano così rapidi e precisi nei movimenti che non riuscivo nemmeno a dire chi stesse per avere la meglio. Elijah tagliò l'aria più volte con la lama del pugnale, ma Mikael scansò diverse volte il colpo con estrema velocità e rudezza nei movimenti.

Rimasi immobile, assistendo a quella lotta furiosa che stava avendo luogo innanzi ai miei occhi. Strinsi i pugni, lanciai un'occhiata alle mie spalle verso Rebekah e accanto a me su Klaus.

Stava andando tutto a monte. Elijah non doveva essere presente per...

Mi bloccai, quando vidi Mikael riuscire a strappare il pugnale in mano ad Elijah con un colpo basso, per poi colpirlo alle spalle, in un punto vicino al cuore.

No...

Guardai Elijah piegarsi in due per il dolore, portandosi la mano dove la punta del pugnale fuoriusciva dalla sua pelle. Aveva mancato il cuore, ma quell'arma sembrò voler bruciargli in quel punto più in basso nel petto. Mikael lo guardava indifferente, riprendendo fiato mentre il figlio si piegava in due in preda agli spasmi di dolore.

Vigliacco. Mikael lo aveva colpito alle spalle ed Elijah non era stato capace di difendersi.

Strinsi i pugni, volevo agire.

Io...io dovevo assolutamente portare avanti il piano nonostante tutto.

Persa nella poca lucidità dei miei pensieri, rimasi a fissare la scena inebetita, con il respiro improvvisamente troncato quando vidi Elijah cadere a terra. Gemeva continuamente di dolore e si piegò a terra, chiudendo gli occhi e cercando con le braccia tremanti di strapparsi via dal petto quell'arma.

Mi mordicchiai nervosamente un labbro, guardando lui, poi il cadavere di Klaus e il corpo ancora privo di vita di Rebekah. Stavo di nuovo perdendo il controllo della situazione, trovandomi di fronte a tre scene che mi stringevano il cuore in una morsa.

Mikael se ne stava in piedi davanti al figlio, affaticato dalla dura lotta che aveva intrattenuto con lui poco prima. Elijah avrebbe vinto, se lui non fosse ricorso a quell'atto così villano.

Maledetto.

Venni tentata dall'accorrere in suo aiuto, ma la mente ordinò ai piedi di non muoversi perché il piano doveva andare avanti. O sarebbe stata la fine.

Non potevo cedere, non potevo mandare a monte tutto, dovevo portarlo avanti fino alla fine.

Scusami Elijah, sarò subito da te non appena avrò finito con tuo fratello.” gli disse Mikael, con tono ancora affaticato.

Si sistemò il mantello sgualcito e il colletto di stoffa scura che si era piegato sotto il suo mento.

Poi si avvicinò a me lentamente, lanciandomi diverse e veloci occhiate.

Non si curò dello sguardo che tenevo rivolto verso Elijah, della sofferenza che provavo nel vederlo in quello stato agonizzante, del desiderio di correre da lui e togliergli quel pugnale che penava sul suo corpo. Ma non potevo fare nulla.

Mikael si accorse dei miei occhi sgranati quando mi fu accanto e allora mi ricomposi.

Come un'attrice pronta a mandare avanti la sua parte, sbattei più volte le palpebre per riportare sul mio viso l'espressione fredda di cui avevo bisogno.

Mikael riprese il pugnale di poco prima e mi guardò divertito. “Spero non ti dispiaccia.” disse, riferendosi alla figura di Elijah che mi guardava, ancora inginocchiato a terra in preda agli spasmi di dolore.

Sai...affari di famiglia.” ammiccò nella mia direzione e pensai di dovermi sentir invadere dalla rabbia o dal disappunto, ma in realtà non riuscivo a sentire altro se non il dolore nel vedere quello spettacolo.

Lanciai un'occhiata verso Elijah, lui mi guardava incredulo, confuso, stupito, ferito...deluso.

Perché non avrebbe mai pensato che la fine della sua famiglia sarebbe stata segnata proprio per mano mia, di colei che troppe e troppe volte lo aveva colpito in così poco tempo.

La mia mano era brava a ferire sempre più in profondità ormai, abituatasi a stringere nel suo palmo armi pronte a colpire alle spalle. Sopratutto spalle di persone a cui non avrei mai voluto fare del male.

Diavoletto?” Mikael mi richiamò, pronunciando quel nomignolo come se stesse rivolgendosi ad un bambino. Tornai a guardarlo, la maschera mi era di nuovo caduta dal viso.

Scossi la testa, facendogli capire che non m'importava nulla di Elijah.

Quest'ultimo lo capì, continuò a tenere lo sguardo puntato nella mia direzione e pronunciò il mio nome.

Chiusi gli occhi quanto sentii la sua voce chiamarmi, con quel punto interrogativo alla fine di esso. Come se non mi riconoscesse, come se volesse rivedere la persona che pensava di aver conosciuto, come se invocasse un angelo, guardando però un diavolo.

Mikael si chinò su Klaus, riprese il pugnale accanto al suo corpo e quella volta non prese tempo a rammentargli il suo odio attraverso lo sguardo.

Si accinse a colpirlo in pieno petto, condannandolo ad un destino di eterna morte.

I secondi passarono inesorabili.

Le mani di Mikael si innalzarono vero l'alto, pronte a colpire.

Elijah, a diversi passi da noi, combatté con la sua agonia per alzarsi in piedi e fermare il padre.

Io volsi la testa nella sua direzione.

Lo sguardo di Elijah catturò il mio.

Un tuono ruppe il silenzio.

Elijah lesse il dolore sul mio volto, assaporò l'attimo che anticipa la fine di tutto.

E io gli sorrisi.

Il tempo parve fermarsi, ed Elijah guardò quel sorriso sulle mie labbra, senza capirne il significato.

Ma davvero pensava che avrei lasciato morire lui e la sua famiglia? Credeva potessi arrivare a tanto?

Mi fece sorridere il modo in cui ero riuscita ad “imbrogliarlo”, cosa che non ero quasi riuscita a fare quella mattina. Presi atto del fatto che fossi divenuta davvero una brava attrice.

Per confermargli il tutto, gli feci un leggero occhiolino ma dubitai che ne avesse capito il vero significato, visto il dolore che lo faceva piegare in quel momento.

Il pugnale nelle mani di Mikael si abbassò lentamente, la punta arrivò quasi a penetrare nel petto di Klaus.

Ma io lo fermai.

Il vampiro lanciò quasi un grido e si ritrovò con la schiena contro la parete alle mie spalle. Il pugnale che teneva in mano era caduto accanto al corpo del figlio, dopo che lo avevo scaraventato lontano da lui e lo tenni il più possibile contro il muro, con il palmo della mano tesa nella sua direzione. Mi avvicinai lentamente, mantenendo dentro me la forza necessaria per impedirgli di muoversi: spezzare il collo a Klaus con il pensiero risultò più semplice, vista la breve durata di quell'attimo, invece tenere Mikael attaccato alla parete risultò essere molto più difficile, visto che era un gesto in cui dovevo impiegare più energia.

Irina?” Elijah chiamò il mio nome e gli lanciai un'occhiata veloce, volevo rendermi coraggiosa, audace e anche provocatoria, visto che ero riuscita a prendere per i fondelli persino lui.

Ma il dolore che mi stava crescendo dentro mi impediva di fare altro, sentii il sangue colarmi dal naso e lo rimossi con il palmo della mano libera.

Mikael cercava di divincolarsi dalla mia presa invisibile, ma inutilmente. Sentivo l'odore della sua paura.

Tu...piccola sgualdrinella!” ringhiò Mikael, calcando ogni parola con profondo astio. Stava tremando, nel vano tentativo di combattere con il mio potere e io avrei riso di disprezzo, se non mi fossi sentita così male. Mentre mi facevo più vicina, quasi le ginocchia cedettero e vidi Elijah cercare di alzarsi in piedi per accorrere in mio aiuto. “Che stai facendo?!”

Stavo salvando tutti coloro che amavo.

Tossii, cercando di mantenere l'equilibrio sulle gambe e combattendo con la vista offuscata. Mi sentivo svenire, ma non potevo permettermelo visto che ormai ero sul punto di portare a termine il piano. Arrivai vicinissima a Mikael, prendendo lunghi respiri e mantenendo il controllo del mio potere.

Quello andò quasi a farsi benedire, quando lo scorrere del sangue dal naso mi solleticò la pelle e bagnò le mie labbra. Il suo sapore ferroso sembrò strapparmi via ancora di più la forza, tanto che per poco Mikael riuscì quasi a liberarsi della mia presa.

Ne rise. “Sei rimasta perché sapevi li avrei uccisi oggi, vero? Sei rimasta perché sapevi anche che sarei venuto a cercarti per toglierti dalla faccia della terra, abominio?” gridò, quasi divertito da quelle motivazioni.

Sì, ero rimasta per loro.

Perché Belial mi aveva detto che Mikael stava arrivando per sterminare la sua famiglia.

E perché Mikael voleva uccidere anche me, essendo la figlia di colui che era causa della morte di sua moglie ed essendo un demonio capace di ucciderlo. Dovevo morire anche io secondo lui.

Non potevo quindi fuggire con Katerina, mettendola di fronte ad un tale pericolo.

Ecco perché ero rimasta.

Hai ucciso Klaus...solo per distrarmi e salvarli...” continuò a dire Mikael mettendo al giusto posto tutti i frammenti di quello specchio. Il trucchetto con Klaus non nasceva da un mio desiderio di vendetta, ma lo usai per distrarre Mikael e poterlo colpire con più facilità.

Anche se, alla fine, Klaus il collo spezzato lo meritava eccome.

L'arrivo di Elijah aveva mandato quasi a monte il piano, perché non volevo fosse presente. Avrebbe potuto cercare di cambiare il finale del mio piano ma ferito com'era, malgrado la cosa mi facesse male, sentivo che il piano sarebbe andato a buon fine.

Sei davvero patetica, ragazzina! Ti sacrifichi per coloro che volevano uccidere tua sorella su un altare di fuoco!” mi provocò Mikael, scuotendo lievemente la testa.

Forse ero davvero ridicola, forse qualsiasi altra persona razionale sarebbe fuggita via non curandosi del loro destino, forse una qualsiasi persona umana avrebbe potuto lo stesso approfittare di quella situazione per uccidere Klaus, forse una qualsiasi persona razionale non sarebbe stata così sciocca da accettare le condizioni di Belial. Ma, in realtà, io ero fiera di essere patetica, se questo significava fare tutto l'opposto di quello che una persona razionale avrebbe fatto.

Avevo salvato Katerina. Avevo salvato Elijah. Avevo salvato Rebekah. Avevo salvato persino Klaus e mi dispiaceva persino essere ricorsa a metodi così estremi con tutti loro per poterlo fare.

Elijah continuava a lottare con il suo stesso corpo per potersi alzare in piedi e accorrere da me, ma anche per lui il dolore pesava con gravità sulla sua volontà e sulla sua forza fisica.

Giunsi più vicina a Mikael, sforzandomi di non voltarmi in direzione di Elijah.

Non potevo permettermelo. Non ora.

Non puoi farmi troppo male, Irina. Sei umana! Non hai poteri per potermi uccidere!” mi gridò Mikael ,restando contro la parete e ormai preda della paura, mentre il palmo della mia mano continuava ad avvicinarsi al suo petto. “Mi riprenderò, ucciderò tua sorella sotto i tuoi occhi e ti porterò via tutto ciò che ti è rimasto!”

Non ci riuscirai. Ero lì apposta per non permetterglielo, avevo accettato le condizioni di Belial per avere il potere necessario per impedire che lui strappasse la vita a Katerina e ai suoi stessi figli.

Avrei salvato tutti loro.

Fui più vicina a Mikael, la mia mano ormai aderì perfettamente al punto in cui il cuore doveva avergli battuto in vita. Sempre se ne avesse avuto uno, visto tutto il male che aveva portato nella sua famiglia.

Stranamente, comprese ciò che stava per succedere e i suoi occhi si sgranarono, illuminati da un barlume di paura. Un tuono risuonò in lontananza.

T-tu non puoi farlo...non ne hai il potere!”

Mikael l'aveva riconosciuta, la morte.

Gli sorrisi con sfida, perché, in realtà, quel potere io lo avevo. Belial me lo aveva dato.

Lo sguardo di Mikael non mutò, scosse lievemente la testa e trattenne il respiro quando capì che io avevo l'arma per vederlo soccombere. “Ma questo potere...ti ucciderà!” mi disse in un sussurro.

Tentennai nel sentire quelle parole che, fino a poco prima, mi sembrarono prive di significato

Feci lentamente slittare lo sguardo verso Elijah, il cui sguardo era ancora fisso su di noi.

Ci guardammo a lungo, lui doveva aver udito le parole di suo padre e mi fissava con occhi sbarrati, quasi sperasse di aver sentito male.

Un sorriso mi si allargò sulle labbra. In quel preciso istante, mentre il tempo sembrava fermarsi attorno a noi, trovai la forza di pensarlo, di dirglielo guardandolo negli occhi.

Addio Elijah.

Grazie per essermi stato vicino per tutto questo tempo, grazie per essere la magnifica persona che sei.

Scusami per tutto.

Addio.

Lui mi sentì. Udì il mio ultimo saluto, lesse la fine nel mio sguardo e io non ce la feci più a sostenerlo, senza scoppiare in lacrime.

Volsi lo sguardo poi verso Rebekah e infine verso Klaus, i cui corpi giacevano ancora alle mie spalle.

Un altro sorriso mi si allargò sulle labbra mentre li guardavo e, in quel momento, la mano di Klaus si mosse. Pochi attimi dopo, lui volse lentamente la testa verso me. Strizzò gli occhi per un attimo, come stesse destandosi da un lungo sonno, e il suo sguardo perso incontrò il mio.

Sbatté poi più volte le palpebre, prima di riconoscermi.

Lo distolsi prontamente.

Portai la mia attenzione su Mikael, riempendolo di tutto l'odio che avevo nascosto poco prima in me, e presi dal suo volto spaventato la forza necessaria per poter porre fine al mio piano.

Elijah lanciò un grido, implorando di fermarmi.

Mikael rantolò di dolore.

Qualcuno alle mie spalle smise di respirare.

La mia mano premette con forza sul petto del mio nemico.

Ci ero riuscita.


Ciao a tutti ^^

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Mi spiace aver reso anche questo molto lungo, ma spero che non vi abbia annoiato. Mi rendo anche conto che probabilmente potevo fare molto meglio e che probabilmente non ho trasmesso come volevo le emozioni della protagonista. Vabbè, eccetto questo, spero che vi sia comunque piaciuto. :)

Allora, finalmente si è capito il piano che Irina aveva in mente e non era quello di uccidere Klaus come avete pensato tutti (mandandole dei colpi, vero? xD) bensì quello di salvare la famiglia degli Originals e anche Katerina, visto che Belial ha rivelato alla ragazza i propositi di vendetta del vampiro nei confronti della protagonista. Quindi, il suo allontanamento da Katerina dipende anche da questo.

Ci tengo a precisare che Irina è rimasta per salvare Katerina, Elijah, Rebekah e sì, anche Klaus ma questo non vuol dire che abbia dimenticato la faccenda del rituale e che lo abbia perdonato. È normale che sia ancora in collera con lui nonostante tutto, non penso sarebbe stato verosimile perdonarlo così facilmente. Anche quando ha “ferito” lievemente Elijah, lo ha fatto solo per portare avanti il suo piano, non perché voleva fargli davvero del male. Perciò...non abbiatene a male con Irina! XD

Ok, taccio e vi lascio.

Grazie a tutti coloro che leggono questa storia, sia chi lo fa e sia chi recensisce. Sono arrivata a ben 200 recensioni (siete troppo buoni!), e sinceramente un misero grazie per ripagarvi tutti del sostegno che mi avete dimostrato non basta.

Grazie anche di cuore a chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite e ricordate.

Alla prossima e vi auguro un buon fine settimana!

Ciao ^^

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