Pericolo Imminente

di Angels Island
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Then... Goodbye. Or maybe not...? ***
Capitolo 2: *** Don’t Look For Me. ***
Capitolo 3: *** Night Call ***
Capitolo 4: *** His Letter ***
Capitolo 5: *** The Pursuit ***
Capitolo 6: *** Likeness ***
Capitolo 7: *** We Have To Escape. Now. But You... ***
Capitolo 8: *** Unexpected Run&Flight ***
Capitolo 9: *** Farewell... ***
Capitolo 10: *** Awakening ***



Capitolo 1
*** Then... Goodbye. Or maybe not...? ***


THRILLER - CAPITOLO UNO

 

 

….

 

 

 

 

 

 

Mi fisso allo specchio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un po’ mi dispiace per quello che sto per fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                    Di quello che sto per farMI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sospiro e infilo dei guanti in lattice.

 

 

 

Rivolgo un ultimo sguardo rassegnato verso la mia immagine riflessa e resto per qualche istante a contemplarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se gli eventi vogliono che le cose vadano in questo modo… D’accordo, che così vadano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                   D’altronde non ho molta scelta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                               E ormai ho deciso.              

 

                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                E sono pronto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Addio, Hanamichi Sakuragi...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Don’t Look For Me. ***


THRILLER CAPITOLO 2

 

-Non ne ho la più pallida idea. Ehi, Rukawa, tu sai che cavolo di fine ha fatto?-.

Fisso, senza metterlo a fuoco, Mitsui che mi ha appena interpellato.

No.

Mi chiudo la porta della palestra alle spalle mentre usciamo.

Oggi Hanamichi non c’era.

E io non l’ho cercato, esattamente come mi aveva chiesto.

Sono tre giorni che non lo vedo agli allenamenti.

Stamattina neanche era a scuola.

 

 

Che diavolo gli sta succedendo…?

 

 

-Beh, almeno gli allenamenti filano lisci come l’olio e senza intoppi!-.

-Sarà pur vero, Miyagi, tuttavia… beh… senza offesa Akagi,  ma mi sembrano diventati anche improvvisamente… come dire… noiosi, monotoni-.

-Non posso contraddirti, Kogure. Su questo hai ragione-, risponde Akagi assorto, -Non ci resta che sperare che torni  il più presto possibile.  Chissà in che disastri si è cacciato quell’imbecille-.

-E quello chi è?-.

Seguo lo sguardo di Ryota.

C’è un tizio che ci sta fissando.

-Che tipo!-, commenta Mitsui.

Strano.

Non è una faccia nuova.

 

 

 

 

Eppure non riesco a ricordare chi sia

 

 

 

 

È poggiato al di là della ringhiera della scuola.

È un ragazzo dall’aria cupa e stravagante allo stesso tempo.

Deve avere all’incirca una manciata di anni più di noi, ed è alto quanto me. Credo.

                                                                                                                 Forse un po’ di più.

 

Mentre ci avviciniamo al cancello noto che, benché sia strano,  ha un che di affascinante e seducente.

È un po’ pallido anche se non si avvicina nemmeno lontanamente alla mia carnagione chiarissima.

Sicuramente nordico. Non di origine giapponese.

-Hei, Ryota! Quello ha un taglio di capelli che è più originale del tuo!!-, dice Mitsui assestando un pugno contro un tricipite del diretto interessato.

                                 Già, è vero. È alquanto eccentrico.

Di un castano medio dai riflessi ramati, sul medio-corto in alto, ma con ciocche più lunghe e irregolari procedendo via via verso il basso.

In altre parole,  sembra un selvaggio dal sangue nobile. O forse è l’esatto opposto.

Difficile dirlo.

Indossa un gilet di un ormai sbiadito verde scuro e sprovvisto di maniche, che lascia scorgere un torace forte e muscoloso.

I  pantaloni, tra il beige e il nocciola, sono larghi  e pieni di tasche, taschini e tasconi.

Chi diavolo …

Ha un fisico perfetto, atletico,   sembra un modello dall’aria strafottente e angelica al contempo.

Sollevo lo sguardo e i miei occhi si incatenano ai suoi.    Verdi.

Mi si contorce lo stomaco.

 

 

 

 

Chi diavolo è…?

 

 

 

 

Una folata di vento gli scompiglia i capelli. Lisci. Sciolti. Fluenti…

                                        Sembra un diavolo paradisiaco.          L’ho detto, è strano.

Si passa le dita fra i capelli sistemandoli senza fretta.

Dove cavolo l’ho già visto…??

 

 

 

 

Perché quegli atteggiamenti mi sembrano così familiari..??

 

 

 

 

Socchiude gli occhi e mi fa un sorriso triste.

                                                  Ha delle labbra stupende.

Lo stomaco si contrae di nuovo.

La coscienza mi suggerisce che mi sta sfuggendo qualcosa.

È primavera, ma sento un brivido scorrermi lungo la schiena.

 

 

 

 

Cos’è che non mi è chiaro..?!

                            Cosa non riesco ad afferrare..!?

 

 

 

 

-Oi, Rukawa, non vieni?-, Miyagi distoglie la mia attenzione dal giovane.

Ah, già, il bar…

Con un braccio mi fa cenno di seguirli e rispondo con un lieve movimento del capo.

Arrivo.

Mi volto un’ultima volta verso il ragazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

E mi sento perso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È scomparso.

 

 

 

 

 

 

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Mi dirigo a piedi verso casa, la scuola per oggi è finita.

Fisso il cielo mentre il vento mi soffia nei capelli e s’infila sotto la camicia.

Ancora due giorni e inizieranno le vacanze estive.

Ma credo che le passerò nella solitudine più completa, visto che Hanamichi è dato per semidisperso.

 

 

 

Resto a guardare la costa più in basso, ipnotizzato dai riverberi dei tiepidi raggi del sole che si rincorrono sulla superficie dell’acqua marina.

Sorrido debolmente. Hn, mi viene in mente una malinconica melodia accompagnata dalle note di un pianoforte, dalle voci dei delfini e dal suono di onde che s’ infrangono contro scogli ammassati su un litorale.

 

 

 

 

E il mio fragile sorriso si spegne del tutto.  

 

 

 

 

Il sole mi ricorda così tanto  lui…

 

 

 

 

Perché mi ha lasciato in quel  modo…? Dove ho sbagliato… .

Ormai la mia non è più neanche una domanda. Perché trovare una risposta non è servito a nulla.   Perché è proprio quella… che non sono riuscito a darmi.

 

 

 

 

 

Mi manca…

 

 

 

 

 

E sto male.            Sto male come mai avevo pensato di potermi sentire.

 

 

 

 

 

 

 

Il fresco vento estivo mi sferza il viso e mi abbraccio per riscaldarmi, mentre cerco di ricordare tutte le note della musica che sa tanto di quella pace e serenità che io non riesco a trovare.

 

 

“Senti, Kae…”  no, non ci voglio pensare.

Gli occhi mi si fanno lucidi e i riflessi del mare si riducono a bagliori confusi.

 

 

 

     “Forse… Forse è meglio se non ci vediamo per un po’…”.

 

 

 

Perché? Perché, Hanamichi, PERCHÉ ?

Avvinghiato a lui nell’appagamento dell’amore, mi sono improvvisamente sentito nudo, vulnerabile…

 

 

 

 

e solo.

 

 

 

 

 

“Credimi.., ha continuato scivolando via da me, “.Non vorrei, davvero devi credermi, io  non…”

 

 

 

Sono rimasto immobile, forse tremante, a guardarlo per quella che sarebbe stata l’ultima volta, senza essere in grado di chiedergli alcun chiarimento riguardo i motivi della sua decisione.

Ho continuato a fissarlo smarrito mentre raccattava i vestiti disseminati per la stanza, incapace di accettare le sue parole.

 

 

 

                                                   “Non avrei mai voluto  … lasciarti.”

 

 

 

Indugiava, cercando di fissarmi negli occhi.

E intanto si appallottolava i jeans tra le mani, cercando, forse, le parole più giuste che riuscisse a trovare.

 

 

 

Avrei voluto stare con te per sempre.”

 

 

 

La sua voce s’incrinava…

E io sentivo un nodo alla gola… e gli occhi riempirsi di lacrime.

 

 

 

 

 

                            “…Ma non posso”.

 

Non è riuscito ad andare avanti, ha preferito bloccare i singhiozzi che cercavano di risalire dalla sua gola. 

Se non avrebbe mai voluto allontanarsi da me… Allora perché lo stava facendo…?

 

 

 

 

Si è rivestito e ha fatto per uscire.

“Hana…”.        Non so come, ma sono riuscito a richiamarlo ed ho potuto raggiungerlo, abbracciandolo da dietro.

“Non farlo ti prego…”.   Mi sono stretto a lui, strofinando la fronte contro il suo collo rovente.

Le  mie  mani  percepivano  il  profondo  e  lento  battere del  suo  cuore.

 

 

 

 

 

Non avevo mai pregato nessuno in tutta la mia vita…

 

 

 

 

 

Ma lui si è scostato dopo un istante di titubanza.  E mi ha afferrato  le spalle. Serio.

Forse arrabbiato.

 

 

 

“Stammi lontano.”

Perch…”

“STAMMI LONTANO!!!”.

 

 

Ho scosso la testa, mentre mi si annebbiava la vista.

 

 

 

“Mai.”

 

 

 

 

Ho rialzato lo sguardo, sperando che lui capitolasse. Ma ho compreso di aver sperato invano.

Non mi era mai sembrato più deciso di quanto non lo fosse quel momento.

 

 

 

 

“Vuoi morire?”

 

 

 

 

L’ho guardato senza capire.   Perché quella non era una delle sue abituali minacce.

 

 

 

“Rispondimi, Kaede,  VUOI   MORIRE?”.

Ho scosso piano il capo.

“No.”  Dove voleva arrivare?

 

 

 

 

“Allora devi starmi lontano.”      

 

 

 

 

Aveva anche lui gli occhi lucidi.

 

 

 

Ma perché? Io non vogl…”

“Stammi a sentire, ora, perché non mi ripeterò più e il tempo stringe.

Me ne vado, Kaede, me ne vado da qui. E andrò dove tu non potrai mai raggiungermi.

 

 

 

 

Mi ha lasciato andare le spalle  e una lacrima gli è scesa lungo una guancia.

 

 

 

 

 

Quindi non cercarmi”

 

 

 

 

 

Poi si è voltato ed è scappato correndo.  Ed io sono rimasto nudo  a guardare quella goccia di pianto librarsi nell’aria e cadere in silenzio nel vuoto, terminando il suo volo davanti ai gradini di casa.

 

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Capitolo 3
*** Night Call ***


Pov ru 3

 

 

 

Sono stupendo, lo so… O,  se non altro,  è questo  ciò che ho capito da come mi fissava quel come-si-chiama davanti al suo liceo, questo pomeriggio.  Ah, sì.  Rukawa.

Mi guardo allo specchio e indosso una catena a girocollo, a maglia grossa e appiattita, e due fasce  di un verde militare a entrambe le braccia, appena sotto il muscolo deltoide.

Così va meglio.

Ero troppo angelico, per i miei gusti.

 

Mi contemplo mentre assumo una  perfetta aria da duro-indifferente.

Sì, direi che può andare.

Arraffo lo zaino dal colore mimetico e vi insacco l’indispensabile, stipandoci dentro un’infinità di roba che varia dai viveri  ad un armamentario degno di far invidia all’equipaggiamento di un soldato.

Esco dalla camera chiudendomi la fusuma alle spalle,  fermandomi  sul pianerottolo in cima alle scale per staccare  la spina dello stereo e quella della fontanella di luce blu.

Non vorrei che scoppiasse un temporale durante la mia assenza.

Agguanto le chiavi ed esco di casa.

Ad aspettarmi c’è il mio nuovo mezzo di trasporto, una 4X4 piuttosto vistosa e dal design ricercato.

No, mi domando…

Ma una leggermente più anonima no, vero?? Almeno non è di un colore sgargiante! Ancora un po’ e me la sbolognavano di un verde fosforescente o smeraldino…

Passo un dito sulla superficie del cofano, poi apro la portiera e nel sedermi getto lo zaino sul sedile di fianco a quello del conducente.

Quest’auto sa di nuovo.

Volgo un ultimo sguardo verso la casa, poi metto in moto il veicolo e mi allontano.

 

 

 

 

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Un' auto mi passa a fianco strombazzando energicamente.

Maledizione, ho troppo sonno!

Ho passato una settimana d’inferno!  Heizo mi ha costretto a sottopormi a un duro allenamento.

Sette giorni di pura tortura!

Ancora non riesco a capacitarmi di essere stato in grado di uscirne vivo e completamente indenne…

Ah, giusto! Cerrrto! MA PERCHÈ SONO UN GENIO!

Tzè, un’ immaaansa divinità guida dell’intera stella errante come me non avrebbe neanche  il benché  minimo bisogno di esercitarsi!

Ma di che mi lamento… Una settimana di corse ed esercizi ginnici non possono che far bene alla salute!

Ad ogni modo ho trascorso sette giorni allenandomi al tiro con le armi corte  e lunghe, ad imparare qualche mossa di arti marziali, kung-fu e karate e  ad acquisire le informazioni base della guida e i significati dei più importanti segnali stradali (tanto per poter guidare in un modo decente)  col risultato che il mio cervello è momentaneamente fuori uso…

 

Ma almeno adesso il livello della mia impareggiabile genialità non conosce rivali in assoluto, perciò non ho di che preoccuparmi…! ^________________________________________^

Sorrido strizzando gli occhi e rischio pertanto di tamponare un veicolo che mi precede.

Beh, preoccuparmi un pochettino… magari sì….   Ma  poco-poco….

 

 

Aaahhhh, ragassi, è una giornata fantastica! Guidare diventa pure piacevole!

Mi rilasso appoggiandomi contro lo schienale e lanciando di tanto in tanto un’occhiata all’immensa (come me,d’altronde)  volta celeste, di un bell’azzurro puro e saturo, incorniciato da una lontana coltre di nubi.

Sono quasi le otto di sera eppure il sole è ancora abbastanza alto nel cielo, che si colora a poco a poco di sfumature d’arancio.

Chissà che staranno facendo LORO… gli allenamenti pomeridiani saranno già terminati da un pezzo. Scommetto che Kaede si è fermato più a lungo come suo solito..!

 

Davvero un cielo stupendo!

Non posso far altro che sorridere osservando le nuvole bianche rincorrersi instancabili mutando continuamente forma: un coniglio…una patata…una giraffa… un opossum…  un fiore… un rastrello… una bistecca… una… una…una………

 

 

 

 

 

 

 

 

Lapide…

 

 

 

 

 

 

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FLASHBACK

 

DRIIINNN……… lo squillo del telefono mi aveva  risvegliato da un piacevole sonno ristoratore. 

DRIIIIIIINNNN…… DRIIINNN………DRIIIIIIINNNN…… Stavo sognando.

DRIIINNN……DRIIIIINNN…… ma non ricordavo più che cosa.

DRII-click.

-Chi.. Sì..pront..?-   “chi diavolo è a quest’ora?!” è ciò che avrei voluto sbraitare.

Ma non ne ho avuto il tempo perché una voce concitata mi ha travolto con un fiume di parole senza logica.

-AIUTAMI! Ti prego aiutami, DEVI aiutarmi! Sono IO, Hacchan, non sono balle, mi dispiace di averti mentito, ma sono nei guai fino al collo!-

-Cos..-

-Mi hanno rinchiuso, Hanamichi, RINCHIUSO! Non riesco a scappare, da soli è impossibile!-  quella voce…

-Il codice,Hana, IL CODICE! Ti serve! Scappa, nasconditi, cambia identità! Renditi IRRICONOSCIBILE, cercheranno anche  TE!-

QUELLA voce…

-TI UCCIDERANNO, Hanamichi, MI STAI  A SENTIRE! Fuggi finché sei in tempo!-

-…PAPÀ..?!!???-

-T… brzzz..GLIO BENE HANAMICHI! TIRAMI FUORI DI QU… brzz- crrrr… CODICE L’HAI T…. sss… MERD… svvvvsss….  LA TOMBA, HACCHAN, LA TOMBcrrr…FOTO!....brzzz-crrrr-vrrr…-

-PAPÀ, NON RIESCO A SENTIRE! CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO? DOVE SEI!??!? PAPÀ?!!??!-

-…OTO-crrrrGIRAL-vrrrr  Hei !   VA’ AL DIAVOLO, NON L’AVRETE VINTA!-

Rumori che ricordavano troppo una colluttazione mi hanno fatto salire un groppo in gola.

- AAAH!   Che cazzo pensavi di fare, FOTTUTO PEZZO DI MERDA TRADITORE, EH?!   Crrr-bzzzz-LA FOTO, HANA!!! LA FO-CRASCH-TUMP-BANG!!!Tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-t….-

-PAPÀ… PAPÀÀÀÀÀ!!!!!!!!!!!!!!!!-

 

 

 

 

END OF FLASHBACK

 

 

 

 

 

 

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Inutile dire che sono rimasto immobile, seduto sul mio letto, in completo stato di shock e senza la benché minima capacità di pensare per almeno una buona mezz’ora.

Sudavo freddo senza essere neanche in grado di deglutire, nonostante l’aria che soffiava languida dalla finestra aperta fosse fresca.

 

Ricordo di aver guardato l’orologio alle quattro e mezza di mattina.

Erano passati duecentosette minuti da quella telefonata fatta in piena notte.

Dodicimilaquattrocentoventi secondi da quando avevo sentito di nuovo le SUE parole dopo così tanto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                     Papà…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Possibile che quella voce concitata e nervosa fosse proprio quella di mio padre?

Possibile che tutto questo non sia stato altro che in semplice incubo?

Possibile che non mi sia immaginato tutto….?

 

 

No…

 

 

Il  ricevitore del telefono penzolava ancora,ondeggiando impercettibilmente, lungo un fianco del comodino.

Ho allungato piano un braccio e ho rimesso con sgomento malcelato la cornetta al suo posto, temendo che il telefono squillasse  di nuovo.   Ma per fortuna non è stato così.

 

Mi sono alzato tremando e mi sono addossato al muro di fianco alla finestra, incapace di reggermi in piedi da solo.

Mio padre.

Era davvero mio padre. Mio padre non era morto. Mi aveva mentito per più di un anno, ma non era morto.

C’era ancora. Vivo, da qualche parte.    Forse.

I suoni che avevo sentito prima che la comunicazione si troncasse non mi sono piaciuti affatto.

Ho ascoltato i rumori del debole traffico per un tempo indefinito, fissando il buio.

                                                                                                                                      Poi la sveglia.

Le cinque.

 

Non avevo capito.   Non avevo capito che cosa dovevo fare.

Mio padre mi voleva bene.   Ma dovevo scappare.   Perché mi cercavano.   E forse perchè mi volevano morto.

Come lui.

Un codice.    MA  QUALE?   E dove diavolo lo trovavo?   Al supermercato no di certo!

E poi la tomba. E di nuovo mi sono posto la medesima domanda. QUALE. Quale tomba? La sua, forse? Ma l’avevo guardata mille e mille volte.

E non ci avevo mai visto nulla di speciale.

                                                          Tranne il fatto che  fosse   QUELLA  DI  MIO  PADRE.

 

Non avevo capito, non avevo capito.  NON  AVEVO  CAPITO!

 

 

 

E dovevo parlare con lui.

 

 

 

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Il cancello era chiuso. Era  ancora troppo presto.

L’ho scavalcato e mi sono avviato nella sua direzione camminando sul cemento, per evitare di fare rumore.

 

E poi l’ho visto.

 

Nella penombra, illuminato dalla debole luce dei lumini, che mi sorrideva dolce.

 

Lo stesso sorriso che mi aveva accolto ogni giorno da quasi due anni.

 

 

 

 

 

 

-Che cosa devo fare, papà?-.

 

Mi sono accovacciato al suo fianco, scaricando il peso sui talloni.

Un gomito poggiato sul ginocchio, le dita della mano che sfioravano il cemento freddo.

I polpastrelli dell’altra toccavano fuggevolmente i caratteri dorati fissi sulla pietra, che assumevano contorni sinistri, al debole tremore delle fiammelle delle candele.

Ho posato sulla nuda pietra un solitario iris, uno dei fiori nazionali del Giappone nonché uno tra i preferiti di mio padre.

Mia madre glieli regalava spesso.

 

 

 

 

 

Mio padre seguitava a sorridermi,

                                              e io continuavo a non capire.

 

 

 

 

 

-Parlami, papà. Da solo non capisco. Parlami. Ti prego, PARLAMI! Cosa… Che  cosa devo fare…?-

Era strano ascoltarmi parlare senza ricevere risposte.

Ho sfiorato, trascinando le dita, il viso sorridente di quella fotografia intrappolata dal vetro, lasciando la scia delle mie impronte sulla lastra.

Ed è stato allora che è successo.

 

 

 

Che ho capito.

 

 

 

Si è staccata.

Ho visto la fotografia cadere  sul marmo in un suono metallico che era nuovo alle mie orecchie.

 

Ma certo! LA fotografia!

 

 

 

 

 

LA foto… LA FOTO,HANA! LA FOTO!    Gi…Gi GIRALA!

 

 

 

 

 

 

Ho trattenuto  il  portafoto tra le  mani,  incerto sul da farsi.   Poi ho deciso.

 

Dovevo aiutare mio padre. E salvare me stesso.

 

Sul retro vedevo solo nero. Plastica. Ma che intendeva dire, mio padre?

Girandomi e rigirandomi la foto tra le mani, alla fine mi sono accorto che era chiusa male.

Come se la foto fosse troppo spessa.

 

 

O come se ci fosse stato  dentro qualcosa…

 

 

 

Ho cercato di aprirla.  Col risultato che mi sono ritrovato il portafoto in brandelli. 

La mia finezza,  a volte,  è davvero insuperabile.

                                                     Dentro, solo un foglietto spiegazzato.

 

“Cerca nella Stanza.

Non ho tempo per scrivere

 o spiegare. Ma LÀ capirai. 

Vai alla casa. Alla Nostra casa.

Le chiavi sono incastonate nel legno

del tavolo in cucina. Presto tutto ti

sarà chiaro. Ti voglio bene.

Papà.

p.s.: sta’ attento.”

 

 

 

 

 

 

Ho fatto  esattamente  quello  che era scritto nel foglio.   Ho lasciato il cimitero e  ho corso  senza  fermarmi fino alla Casa.

La Vecchia Casa in cui non ho più messo piede dal giorno della sua presunta morte.

Ho scavalcato il cancellino  e mi sono avviato verso l’ ingresso.

Ma sulla soglia mi sono bloccato.

 

La porta era socchiusa. La serratura scardinata.

 

Merda. Qualcosa mi diceva che la faccenda era in qualche modo collegata a mio padre.

L’ho aperta con cautela e ho visto l’inferno.

L’ingresso, e avanzando ho capito  non  solo quello, era interamente a soqquadro.  Mobili,mensole, libri, scaffali, lampade, televisione… tutto  rovesciato, gettato a terra con lampante meschinità e violenza.  E scartoffie ovunque.  Fogli a palate, a quintali.  Fascicoli, dossier, appunti…  Vi ho rovistato freneticamente per chiarirmi le idee, ma senza risultato. 

 

 

 

 

Poi, un rumore.

 

 

 

Ho aguzzato i sensi, restando nel buio.

-Niente, non so dove possa essere.-  Una pausa. Poi ancora:   

-Hn. Beh, torturatelo di nuovo. Confesserà, lo sai. È un osso duro, Sakuragi, ma diventerà  malleabile molto presto… Eh…? ….Allora manda quei due cercare il figlio.-

 Ho avvertito il rumore di un accendino.

-No, torno. Arriverò fra tre ore….. Ha!ha! Certo, teppista! Ma non martoriarmelo troppo, mi serve VIVO….-.

L’uomo a cui apparteneva quella voce, era senza dubbio un pazzo.

Il capo, presumibilmente.

L’unico in grado di passare in un solo istante da un tono di voce all’altro, da quello dettato da una gioia dovuta ad un vaneggiamento insensato a quello più gelido della morte.

L’unico che può permettersi di impartire ordini.  Di sogghignare in quel modo.  Di fumarsi tranquillamente una paglia dopo aver messo a soqquadro una casa alle cinque e mezzo del mattino, senza il  benché  minimo timore  di lasciare qualche indizio. Uno che ha un bel po’ di esperienza alle spalle, per farla breve.    Un professionista. Uno da temere.

O da affrontare.

Non lo so.

 

Ho resistito alla tentazione di chiamarlo per pestarlo dopo avergli visto quella sua cazzo di faccia. POTEVA essere armato.  

E io volevo, DOVEVO vivere.

 

Ho aspettato che uscisse e atteso qualche altro minuto, immobile.    Poi mi sono mosso.

 

 

 

 

 

Le chiavi. Nel tavolo.

 

 

 

 

 

La parte inferiore del ripiano presentava una sagoma quadrata che pareva restaurata. Ma con un semplice tocco ho capito che era vuota. Un colpo secco e l’ho sfondata. E dentro...

 

Ho afferrato il piccolo mazzo e  in sala ho spostato il divano ed  aperto la botola che nascondeva. Sono sceso nervoso lungo i gradini sconnessi e mi sono trovato nel buio.

Ed è questo punto che non ero mai riuscito ad oltrepassare. Mio padre mi richiamava sempre rimproverandomi come un invasato.

Per entrare ho dovuto spingere la porta sfruttando tutto il mio peso. Cosa temeva, quand’ero bambino, che fossi Ercole?

 

 

 

 

 

Dunque era quella, la Stanza.

C’era un silenzio surreale e tutto era immerso nella penombra.    Era interamente in legno, le pareti tappezzate di foto in bianco e nero  e fogli di carta.     Le foto avevano quasi tutte come sfondo  una montagna e mio padre non era mai solo, ma sempre immortalato con qualcun altro.

Che in tutte le foto sembrava essere più felice di lui.

 

 

 

 

                                                                    Mio padre non si trovava in sintonia, con gli Altri… ?

 

 

 

 

Su un lungo tavolo da laboratorio erano sparsi alcuni articoli.

“RICERCA SUL CERVELLO -   Alcuni studiosi hanno fatto importanti progressi nel tentativo di preparare una composto che permetta al corpo di generare cellule in grado di conferirgli nuove abilità.  I ricercatori sono riusciti ad identificare tipi di cellule capaci di rendere l’uomo telepatico.

La loro scoperta potrà essere importante nel…”

Ho smesso di leggere, mi sembravano cavolate e mi sono limitato a soffermarmi sui titoli:

“L’orribile verità”,   “ anticorpi killer”,    “ vittime radioattive”…

 

 

No, no! Aspetta un attimo! Aaaaaaaalt! Frena!

In che diavolo di roba era coinvolto mio padre?!?? “Anticorpi Killer”? “vittime radioattive”?? “L’orribile Verità”??? MA CHE STORIA È  QUESTA?!??!!!?

Mi sono accasciato su uno sgabello imbrattato di polvere.

Ecco, lo sapevo.

Adesso viene fuori che mio padre faceva parte di una setta di mentecatti esaltati che se l’erano squagliata da un manicomio d’imbecilli per rimpiattarsi in montagna placidi placidi a fare esperimenti  scientifici in compagnia degli orsi!

 

Ho gettato la testa all’indietro e mi sono cascate le chiavi mano.

Fissando il mazzo ho notato che una non l’avevo ancora utilizzata. L’ho scrutata. Piccola e arrugginita.

Hn.

E che cacchio ci aprivo con quel ferrovecchio?!? Sui ripiani non vedevo niente che potesse suggerirmi una risposta.

Ho aperto tutti i cassetti, esaminato ognuno di essi dopo averli svuotati, guardato sotto i tavoli alla ricerca di indizi.

 

Niente.

 

Dunque l’avevo sotto il naso.   Il problema era capire dove.     Ma non perché avevo un naso mastodontico,  sia chiaro.

Mi sono guardato intorno.

….

Boh!

 

 

Foto, incartamenti, calcolatrici, un vecchio computer, portamatite, un telefono…

Poi mi sono visto. Da piccolo, insieme a mia madre. E pochi anni fa, al diploma di terza media.

Dunque mio padre era tornato, se aveva questa foto…

 

E l’ho trovata.

 

La risposta, intendo.

Ci avrei aperto un cofanetto grigio simile a un rudimentale portagioie, nascosto dall’ombra delle mie foto.

Il metallo era ossidato in alcuni punti e la chiave si adattava perfettamente alla serratura.

Dentro ci ho trovato gli occhiali di mio padre, un iris disseccato ed un foglio.

 

 

 

 

Una volta emerso dalla lettura, avrò letto e riletto quel pezzo di carta infinite volte.  Avevo i lucciconi agli occhi.

Era una lettera di mio padre.

E mi sono messo a piangere.

Perché nulla, in tutta la mia vita, mi era mai sembrato più importante di quelle frasi scritte con quell’inconfondibile grafia decisa di mio padre.

Nulla.

Erano i pensieri di mio padre, quelli.

Erano tutto ciò che non era mai riuscito a dirmi.

E benché me le avesse rivelate in quel modo indiretto e forse un po’ banale, che svelava quella debolezza che lui si accaniva a nascondere buttandosi a capofitto nel lavoro, quelle parole  mi erano sembrate le frasi più importanti che avessi mai letto in tutta la mia insulsa esistenza.

 

Mi sono asciugato le lacrime e ho telefonato alla polizia di Kanagawa, chiedendo di Heizo Tsumuji.

 

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I miei occhi rimettono a fuoco la strada.

Il sole, all’orizzonte, ha smesso di ardere già da un bel pezzo, e al suo posto hanno preso ad addensarsi ciuffi di nuvole di un grigio plumbeo.

Kami, ma quanto tempo sono rimasto a perdermi nei ricordi?!? Lancio un’occhiata distratta all’orologio che porto al polso e trasalisco: le nove meno un quarto?!?

Aumento la velocità quando noto di essere sorpassato da un considerevole numero di veicoli.

Mi passo una mano sugli occhi ancora umidi e mi riconcentro sulla strada.

La prima goccia d’acqua colpisce il parabrezza nuovo di zecca. Che tempo balordo…!

Accelero ulteriormente in preda alla noia.

Settanta…

Ottanta…

Novanta…

Novantacinque…

Sto giusto pensando che più tardi dovrò fermarmi a fare il pieno quando la  mia attenzione è catturata da una figura immobile, che se ne sta sul ciglio della strada con uno zaino ai piedi a fare l’autostop sotto l’acqua.

Appena ne identifico i lineamenti, prima sussulto, poi mi incazzo e infine mi viene un demone per capello.

  

 

 

 

 

 

Che diavolo ci fa LUI… QUI ???!!?!?

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** His Letter ***


Lo sapevo

 

 

 

 

 

Lo sapevo. Lo sapevo, io. E pensare che mi ero preoccupato  parecchio…

Beh, non che ora sia esentato dal dovere di farlo. Anzi.   A maggior ragione, forse dovrei impensierirmi ancor di più.  Meglio, senza “forse”.     Kami solo può sapere in che razza di guai può cacciarsi un mentecatto del suo calibro.

 

 

 

Sapevo che c’era sotto qualcosa. Qualcosa che non quadrava per niente.

Mi era parso troppo strano che mi lasciasse così.  Non era da Hanamichi Sakuragi comportarsi in quel modo. Assolutamente.

Avrebbe voluto restare con me, giusto? Eppure. Eppure mi ha allontanato dalla sua vita. Se ne è andato. Escludendomi.  Senza la più piccola intenzione di ritornare sui suoi passi.

Ma se mi ha mollato… Se ha troncato con me non l’ ha fatto di certo per un’inezia.

 

 

 

-Mi lasci pure giù in quel punto-. 

E quindi ho provato a chiamarlo. Però. Però a casa non rispondeva. E a scuola ,   di lui ,   nessuna traccia.   Ho resistito un giorno, è vero.   Due. Mi sono impegnato.   Tre. Ho dovuto sforzarmi.  

Ma i giorni sono diventati quattro. Ed  io non resistevo.

 

 

 

 

 

Come potevo sperare di sopravvivere… lontano dalla mia vita?

 

 

 

 

 

Il quinto l’ho chiamato sul portatile. Avevo un’impellente bisogno di sentire la sua voce. Ero troppo smarrito, lontano da lui.  SENZA lui.  Mi sentivo un’anima che volava senza meta.  E benché tornare ai ricordi o evocarlo quando più avevo bisogno di lui fosse tutto quello che potevo fare, ciò non mi bastava. E ho composto il suo numero.

 

 

 

-Sicuro, ragazzo? Se l’esperienza non mi tradisce, tra poco verrà giù un bel diluvio! Rischi di beccarti una magnifica polmonite!-.

E mi ha risposto. Non me lo sarei mai aspettato.  Certo, sarà stata la telefonata più corta di tutta la mia esistenza (sebbene io non sia tanto prolisso) , ma quei SEI secondi in cui ho potuto risentire il calore della sua voce mi hanno fatto rinascere.

 

 

 

-Sì…   Non si preoccupi, resisterò.-  

E cccerto che resisteresti, volpaccia! Un clima del genere per te non è che una piccolezza, giuuuusssccchto…????       

Hn. Sì.   Credo che, se fosse qui, commenterebbe qualcosa di simile. E altrettanto stupido.  E privo di senso.

 

 

- Aha, okay! Come vuoi, giovanotto.   Ehhehhe, ce n’è di gente rimbambita in giro!-.

Al cellulare solo un Ciao! Ti avevo detto di non cercarmi…  Ora perdonami, ma, davvero,  sono impegnatissimo e non posso stare al telefono. Scusami. Ti amo, Kits. …E  NON  CERCARMI!”.

Ma mi è bastato.    Eccome se mi è bastato.

 

 

Le sue parole sono state sufficienti per farmi capire che Hanamichi non ce l’aveva con me. Per farmi capire che era costretto a tenermi lontano, nonostante mantenesse il solito tono da spaccone. Avevo percepito una nota malinconica e più seria del solito, nella sua voce.

E sono stato al telefono abbastanza da capire che lui non si trovava in un posto QUALSIASI.

Perché, se non sbagliavo, quei suoni erano proprio degli spari.

Ma non come quelli dei film. Oh, no.

Erano talmente assordanti che sei secondi sono bastati a rintronarmi per un quarto d’ora.

Forse è anche per questo che ho desistito a richiamarlo.

 

 

-Dunque ti faccio scendere qui, su un’extraurbana del genere?-

E poi, non so come mi sono ritrovato alla Loro Casa in cui Hacchan si è sempre rifiutato di entrare.

Perché gli ricordava cose brutte, diceva.

Immagino si sia sempre riferito alla morte di suo padre. Di cui non mi aveva mai parlato, tra l’altro.  So solo che non è riuscito a superare un infarto  un anno e mezzo fa.  O giù di lì, forse un po’ meno.

 

 

 

-Nhn-.

Come mi sono ritrovato alla Loro Casa, dite? Beh, ero andato a far visita al padre di Hanamichi come facevo ogni settimana. Prima di tutto ho notato che la sua fotografia era scomparsa, la cornice a pezzi.  Inoltre, cincischiando con un iris fresco che ho trovato sulla sua tomba, ho posato l’occhio su un foglietto un po’ accartocciato, costretto sotto il peso di una piccola pietra.

Sapendo a quale casa si riferiva la scritta e senza dimenticare lo “stai attento” ,  ho fatto due più due.

E siccome sono migliorato in matematica, ho ben pensato di farci un salto, in quella casa. 

Kami, mi sto rincretinendo come Hanamichi, in quanto a logici ragionamenti…

 

 

 

 

-Beh, allora buona fortuna, giovanotto!-.

L’auto si ferma e scendo, non prima di aver recuperato lo zaino dal sedile posteriore.

-Hn, la ringrazio infinitamente, signore-, dico caricandomelo in spalla.

Lo zaino, non il signore.

-E di cosa, è stato un piacere! E non prendere troppa acqua, mi raccomando!-,   una sgommata e il vecchio dai capelli canuti è già lontano.

 

 

 

Comincio a camminare e mi perdo di nuovo nelle mie  riflessioni.

Hn, dire che quella casa era disastrata era dire poco.  Neanche con gli effetti speciali si poteva ottenere un macello del genere.

Era tutto distrutto. Come se in quell’abitazione fosse passato un branco di rapinatori  prima, e una mandria di elefanti poi.

Ho avuto paura. Ho avuto seriamente paura.

Ero convinto di trovarlo morto. Di vedermelo lì, riverso a terra in un lago di sangue a fissarmi con uno sguardo vitreo, vuoto.

 

 

 

 

 

 

Spento.

 

 

 

 

 

 

E mi sono ritrovato a tremare, a piangere in silenzio, ad essere scosso da singhiozzi che cercavo di soffocare, rendendomi conto, ancor di più in quegli istanti che in altri, di quanto mi mancasse e di quanto mi fossi legato indissolubilmente a lui. E avanzavo, avanzavo e avanzavo… e il corridoio mi sembrava non finire mai.   Ma ero solo io che non riuscivo a muovermi.

 

 

 

 

Alla fine non c’era nessuno. Ma, giuro, non ho mai avuto così tanta paura di quanta non ne abbia provata in quel momento.

E mentre scendevo a tentoni delle strette scale che terminavano nel buio più completo, sono stato nuovamente attanagliato dal terrore.

 

 

 

 

Quella stanza…

Quella stanza era… era… Kami, non sono nemmeno in grado di definirla.

In quelle quattro pareti tappezzate di foto buie e di articoli, immerse nella semioscurità, le mie paure e i fantasmi della mia mente si sono centuplicati.

 

 

 

 

Volevo Hanamichi.

Volevo Hanamichi che alleviasse il mio stato d’animo consolandomi con le parole più adatte.

Volevo Hanamichi perché lui sapeva sempre come farmi sentire bene.

Lo volevo perché lo amavo. E perché avevo paura per lui.  Per me. Per Noi.

 

 

 

 

Ed ecco che ricominciavo a piangere cercando in tutti i modi di trattenere quelle cazzo di lacrime.

Non c’era niente di interessante in quella stanza. Niente che potesse dirmi qualcosa. Ma nell’uscire…

 

 

 

Nell’uscire ho visto un foglio piegato.    Per terra.

Una semplice pagina di carta che ancora non sapevo sarebbe stata quella che mi avrebbe chiarito ogni cosa.  L’ho presa, ancora scosso, e ho cominciato a leggere.  Ma dopo qualche frase  ho dovuto sedermi e ricominciare daccapo.

Perché quella che tenevo tra le mani non era una lettera qualunque.

 

 

 

 

Era una lettera indirizzata ad Hana-chan.

E l’aveva scritta suo padre.

 

 

 

 

 

Mi sono passato una mano sul viso,  ho scosso la testa per darmi una svegliata e ho ripreso la lettura dall’inizio.

 

 

 

 

“Ciao, Hanamichi.

Immagino che tu ti sia già domandato che razza di persona è un uomo che accatasta in una stanza del genere documenti e foto simili.

A volte me lo sono chiesto anch’io…sai? È… è che è successo tutto così rapidamente…

È difficile da spiegare, credimi. Cercherò di essere il più chiaro possibile, ma so già che sarà un’impresa ardua…!

Da dove posso cominciare…

Da piccolo il mio più grande desiderio era entrare a far parte della Polizia.  E 19 anni fa, quel desiderio a cui tanto anelavo si è avverato: ho cominciato a lavorare nel dipartimento di polizia, qui, a Kanagawa. Ma, col tempo, ho capito che quella vita non mi bastava. Non riuscivo ad accontentarmi, a sentirmi soddisfatto. Ero sempre irrequieto, alla ricerca di fatti nuovi, di emozioni sconosciute, di qualcosa che desse uno scossone alla mia vita. Non mi accontentavo di fare un’ esistenza anonima con una bella famiglia, una moglie  e un figlio stupendi. So che sembra un discorso alquanto egoistico, ma è la verità.  Non amavo la monotonia e non riuscivo a stare in un luogo preciso troppo a lungo. Avevo bisogno di viaggiare, di sentirmi vivo, di sentire l’adrenalina scorrermi in corpo, di avvertire il pericolo e la morte ad un soffio di distanza e di uscirne indenne. Non so se riesco a spiegarmi.  Ad ogni modo, due anni dopo sono entrato nella polizia militare e in seguito nella polizia investigativa di Tokyo.

Beh, che tu ci creda o no, dopo pochi anni mi ero stancato anche di quello stile di vita.

Sono stato arruolato nei corpi speciali. E mi sentivo realizzato. Poi ho conosciuto tua madre.  E mi sono ritrasferito a Kanagawa,  riuscendo a diventare   comandante di polizia della prefettura di Yokohama.

Ho lavorato anche nella sezione anticrimine, e fui costretto a fare numerosi viaggi. Mi spiace di essere stato poco presente negli ultimi quattro anni.

È stato in quel periodo che tua madre ci ha lasciati per trasferirsi in America. Cercava il successo, voleva sentirsi viva. Importante.

Come me.

Per questo la capivo. E l’ho lasciata andare.

Mi manca, sai…?  Mi manca davvero  tanto.  La  amavo,  tua madre.   Da morire.

Avevo rinunciato ai miei desideri giovanili per restare al suo fianco, perché avevo capito che una vita senza amore non significava niente.

Ma lei, forse, non abbastanza amava me. Anzi, indubbiamente.

E mi ha lasciato. CI ha lasciati.

Un bel giorno ha fatto le valigie e ha preso il primo aereo che, il pomeriggio, partiva per l’America.

Sola andata.

Voglio sentirmi viva, ha detto.   Non si trovava bene abbastanza, ripeteva. Voleva lasciare il Giappone, sfondare nel lavoro, godersi la vita, divertirsi. Era ciò che aveva sempre voluto fare.

E in parte l’ho capita. E mi sono ritrovato solo all’aeroporto, a fissare l’aereo sui era salita diventare sempre più piccolo e perdersi nel cielo.

Da allora non ho più avuto sue notizie. Ho cercato di rintracciarla, invano.

Ma non voglio parlare di lei, ora.

Sei diventato autosufficiente presto. In seconda media sapevi già fare tutto e di tutto da solo. 

Per questo, quando quelli  della sezione anticrimine mi hanno chiesto di lavorare come infiltrato, non mi sono fermato a pensarci due volte. Non volevo lasciarmi sfuggire l’occasione, capisci?

Ma qui, sono iniziati a sorgere i primi problemi.

Ho sempre avuto un’enorme fiducia nelle mie capacità. Ho sempre creduto in me stesso al centodieci per cento. Ma     ho capito che spesso la mia sopravvivenza era appesa ad un filo. Non sono mai stato troppo gentile, né tanto meno socievole. Ed un membro schivo e facilmente irritabile non era molto ben visto in un gruppo che doveva restare compatto e nascosto sulle montagne.

Ma non ti ho ancora spiegato il motivo per cui ti sto scrivendo. Quindi vedo di arrivare subito al punto.

Avevo voglia di tornare da te, per un po’. Volevo rivederti, dopo tanto tempo. L’unica cosa che sapevo di te era che riuscivi a tirare avanti grazie al sostegno di Youhei, il figlio del mio migliore amico d’infanzia.

E cinque mesi fa, infatti, sono tornato.

E ti ho visto rinascere. Ho potuto rivedere il mio stupendo, sfrontato, ingenuo, irruente, megalomane, istintivo, spassosissimo,unico e insostituibile figlio.

Ti voglio bene, Hanamichi, ti voglio bene con tutto me stesso. E mi spiace non riuscire mai a fartelo capire. Non  come vorrei.

E ora ho paura di perderti, Hacchan.

Perché l’aria, lassù in montagna, sta diventando bollente. Sta succedendo qualcosa di grosso. Qualcosa tipo esperimenti scientifici su persone rapite dai poveri villaggi delle zone circostanti.

E mi hanno imposto di tornare. Perché sono l’unico che potrebbe infiltrarsi nuovamente, nel modo più discreto ed innocente possibile.

Perché sono l’unico uomo “giusto”, secondo loro.

Ma io la penso diversamente. Ora sto cominciando a cambiare idea.

Sarà perché sto diventando decrepito, sarà perché comincio a sentire il desiderio di invecchiare da uomo comune guardandoti diventare sempre più bello ,adulto e maturo giorno dopo giorno, sarà che solo ora voglio cominciare a vivere una vita normale e tranquilla… fatto sta che parto lasciando il cuore e la mente qui a Kanagawa, in questa casa.

E so pertanto che non riuscirò a svolgere il mio lavoro come dovrò. Perché già in partenza  mi manca la voglia assoluta di volermi buttare nei  casini.

Voglio stare con te, voglio essere tuo padre.

Non voglio trovarmi coinvolto in una spirale di giochi pericolosi tentando di portare avanti un’indagine impossibile.

Perché non posso nascondermi dove di nascondigli non v’è neppure l’ ombra.

Stanno diventando forti, lassù.

Sai perché parto di nuovo? Per ricevere uno stipendio che ti permetta di vivere una vita migliore di quella che sei costretto a sopportare in questo tugurio.

Ma ho paura di non riuscire a tornare.  Sto parlando di “tornare” Hana-chan, non di “riuscire a vivere ancora a lungo”. Quello ci riuscirò, stanne certo. Sono un genio, cosa credi? Quindi ricordati di non sottovalutare mai le mie ineguagliabili doti, è chiaro, genietto?

Non ho ancora molto tempo per scrivere. Domattina partirò di nuovo e devo preparare ancora tutto.  Me ne andrò per un bel po’, credo.

Ma ho paura di non riuscire a liberarmi di quei pazzi criminali come voglio.

Ho paura di ritrovarmi troppo immischiato.

Penso che per eliminare le tracce delle loro folli  ricerche l’unica soluzione sia quella di far saltare tutto l’impianto. Stanno distruggendo gente, là dentro. E questo non posso accettarlo.

L’ edificio è iper protetto. E sicuro… ancor di più. Dire che ogni centimetro quadrato di quel posto è controllato per almeno venti ore al giorno è dire poco. E là non c’è che una dozzina di individui.

Il Luogo ha un’estensione di circa tre o quattro chilometri quadrati. E la costruzione è all’esatto centro.

Se gli studi si spingeranno troppo oltre,  farò saltare tutto sul serio.

Il fabbricato è sempre stato dotato di un impianto esplosivo, da attivare in caso di pericolo. Innescherò quello. 

Se non mi avranno ancora scoperto.

Voglio che tu sappia un cosa, Hanamichi: mi fido di te.

E vedo in te capacità degne di un genio. Hn. Mi vedo costretto a cederti il titolo, per questo!

Hai talento in molte cose, Hacchan.

O quasi. Anche un genio ha i suoi limiti… e lo dico sorridendo, sappilo.

Ma so che sei un tipo sveglio. So che hai il mio temperamento. E che sai essere noncurante del pericolo.

Perciò, presta molta attenzione a queste ultime righe.

Esiste un codice per attivare l’impianto autodistruttivo di Quell’edificio.

E quel codice lo possiede il capo dell’organizzazione.

Ma io ne ho fatto una copia.

Qualcosa mi dice che già l’avevi intuito leggendo… siamo entrambi dei geniacci, no? Io perché l’ho duplicato, tu perché hai intuito che io dovevo aver fatto qualcosa del genere.

Tuttavia ad avere il codice non siamo in due.

Siamo in tre.

Indovina chi è il terzo. Proprio così.

Sei tu.

È iniettato appena sotto la pelle, come un tatuaggio, all’interno del tuo braccio sinistro. Più o meno di fianco al gomito. È visibile se esposto ad una luce particolare. Non posso specificare dettagli, mi dispiace. Questa lettera potrebbe finire in mani sbagliate.

Se sarò morto, morto per poter continuare la mia missione senza troppe complicazioni, vuol dire che l’aria lassù si è fatta ardente. È aria che brucia, Hanamichi.

E se riceverai mie notizie, è perché da solo non riuscirò più ad andare avanti.

Perché mi servirà un aiuto.

Il tuo.

Se pensi di farcela, chiama Heizo Tsumuji, uno dei miei vecchi amici più fidati.

È un ex-ufficiale dei corpi speciali dell'esercito, ora è felicemente sposato ed è passato nei ranghi della Polizia cittadina di Kanagawa.

Il mio sogno attuale, per farla breve. Vedi di non recargli troppi problemi o di non stressarlo oltre il limite…capito Genio?

Non esigo il tuo aiuto. Ma ci spero.

Ora ti devo lasciare. Le valigie mi aspettano.

Purtroppo.

Ti voglio un mondo di bene, Hanamichi. Anzi, dire questo non è abbastanza …

Devo proprio andare, ora. Spero di rivederti presto.

Non dimenticarmi.

                                         Un bacio,

                                                                                                                       Papà.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa mi bagna il viso e torno improvvisamente alla realtà.  Hn.   Pioggia. 

All’inizio sono solo poche gocce. Poi, il diluvio.  Quel vecchio aveva ragione.   Aveva maledettamente ragione.   Sono già un quarto alle nove, e il cielo si sta facendo buio molto prima di quanto avessi immaginato, visto il tempo da ladri.   I capelli mi si incollano alla testa e scuoto il capo per scrollarmi di dosso più acqua possibile.

Ancora un minuto e mezzo e mi ritroverò inzuppato fradicio.

 

 

Quando il primo tuono della sera si schianta a pochi chilometri di distanza, noto un fuoristrada rallentare a fermarsi esattamente di fronte a me.

Nel momento in cui il riflesso della luce dei lampioni mi permette di scorgere il volto del conducente, resto sconcertato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                    È il ragazzo che mi ha sorriso davanti alla scuola la settimana scorsa.

                                                                                                                E mi fa cenno di salire.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** The Pursuit ***


Alla fine mi decido e accosto

 

 

 

 

 

Alla fine mi decido e accosto, abbassando il finestrino.

Lo osservo e non posso far altro che sorridere. 

                                                         È uno spettacolo, quand’è bagnato come un pulcino…!

 

 

 

Sembra sorpreso.  Quel sopracciglio rialzato è la conferma che mi ha riconosciuto, identificandomi  come quello-che-ha-visto-l’altro-giorno.

-Che vuoi-.

Ecco, sempre il solito!   Che anche quando ha bisogno di un aiuto, anche del più banale, fa di tutto per evitare di ottenerlo.

-Mah, passavo di qui e ho pensato di fermarmi ad ammirare ‘sta meraviglia di panorama in un giorno di pioggia…-.   Ma che domande fa?!?   –E visto che guido da ore, avevo giusto considerato di fermarmi a riposare…-.

-A venti metri c’è una piazzola…-, mi fa notare volgendo lo sguardo in un punto alla sua destra.

Non cambierà mai.   Senso dell’umorismo: meno di zero.

 

 

 

-Vuoi un passaggio?-,   domando sporgendomi verso la sua direzione,  -O tu avevi solo pensato di farti una doccia fredda all’aperto?-.

Mi fulmina con lo sguardo e si ferma a riflettere.

-Dove sei diretto-.

Indico l’orizzonte lontano che mi sta di fronte.

-Di là-,  rispondo sul vago.  Non mi viene in mente altro.

Kaede non sembra convinto e continua a fissarmi strano.

 

 

 

-Allora, lo vuoi,sto passaggio, o no? Non dirmi che preferisci farti tutto il tragitto a piedi sotto un diluvio simile…!  Avanti, sali.  Lo zaino puoi buttarlo dietro-.

-E chi ti ha detto che ho deciso di accettare il passaggio?-.    A volte è esasperante, il ragazzo.

-Senti, Rukawa, vedi di darti una mossa perché mi si sta allagando la macchina!!! Appena diminuisce di piovere ti sbatto fuori da questa carretta e puoi andartene dove cazzo ti pare, okay?!?-

-Come sai il mio nome?!- mi domanda con espressione accigliata.  Ecco. Ti pareva. Maquantosonoidiota.   Poi il lampo di genio.

 

 

 

-Non è così che ti hanno chiamato quei tuoi amici? Se ho sbagliato ti chiedo scusa, non ho  molta memoria…-,  mi giustifico ridendo imbarazzato.

-A me sembra l’esatto contrario-, dice abbozzando l’ombra di un sorriso che sa tanto di furbo, mentre apre la portiera.

Deve trovarmi terribilmente simpatico, se mi sorride in quel modo.

Nh, non vorrei diventare geloso di me stesso…

 

 

 

 

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La radio suona ‘Stay di Sash!’ ed io mi perdo in quelle note sparate ad alto volume dai diffusori, godendo della potenza dei bassi.   Pazzesco!  Quest’auto sembra un  night club!

-Allora?-,  domando abbassando la musica ad un volume ragionevole,  -Dove sei diretto?-.

Costretto a viaggiare a velocità moderata a causa del maltempo, posso permettermi di sbirciare frequentemente Kaede che mi sta di  fianco senza spiccicare parola.

-In un posto come un altro-.

-Uh… Ma come siamo misteriosi…- lo canzono.

La pioggia che picchia il parabrezza scende in tanti piccoli rivoletti lungo il vetro.

-Tu non mi sembri da meno-, ribatte.

 

 

 

 

 

-Sei di Kanagawa?-,  mi chiede dopo una dozzina di minuti.     Uh..   Kaede che avvia un discorso… Incredibile…

Sorrido  continuando a fissare la strada (che non si vede) ,  poi lo scruto con la coda dell’occhio, senza mutare espressione.

                              E Kaede mi fissa la bocca schiudendo le sue labbra succulente.

Lo so.    Lo so di avere un sorriso bellissimo, quando lo mostro in un  modo così sincero e profondo.

-È… È  un sì…?-, chiede con una voce inaspettatamente bassa.

-È un   non  proprio … -  rispondo con tono vellutato e stranamente intenso. Cavoli devo darmi un contegno! Possibile che Rukawa debba sempre ed ovunque farmi questi effetti…???

 

 

Lo sbircio di nuovo. La sua maglietta è inzuppata d’acqua e ciocche di capelli fradici gli ricadono sugli occhi.   Dio, è irresistibile….!

Contegno, bello.   Contegno!!!

-Prendi lo zaino che tengo dietro il mio sedile.  Nella tasca anteriore c’è un asciugamano. Usalo-.

-Non ne ho bisogno-.

-Rischi di ammalarti, conciato così…-,  lo ammonisco.

-Non importa, l’asciugamano non mi serv-

-SEH, VABBÈH, HO CAPITO! TAGLIA CORTO! Avanti,  prendilo! … T’ho detto  prendilo… PREN-DI-LO!   MA CHE È  ?!    SEISSCEMO ?!?-,   Kami sama, mi fa saltare i nervi quando si ostina a comportarsi così!!!

 

 

 

Con un sonoro sbuffo obbedisce e lo osservo di sottecchi mentre si sfila la maglietta e resta a torso nudo, mostrando il suo torace abbastanza muscoloso e lucido d’acqua.

Dio, che spettacolo…

Cooooooooonnnnnnnnnnnnnnnnnntegggggnnnnnnnooooo………………………………

Ma perché cavolo gli ho detto di asciugarsi..!    Forse era meglio lasciare che si beccasse una broncopolmonite!!

Quando ha finito ripiega l’asciugamano e si infila di nuovo  la maglietta umida.

-Getta pure dietro l’ asciugamano. Lascia che si asciu…-.

 

 

 

Non faccio in tempo a finire che sento un rumore assordante.

Non mi ci vuole tanto per capire che ci hanno sparato addosso.

Rukawa,  se possibile,  sbianca voltandosi di scatto a fissare senza parole il lunotto posteriore che presenta, come decoro, un bel buco rotondo..

 

 

 

-PORCA PUTT… LA MIA MACCHINA NUOOOVAAAAAA!  PEEZZEEEEEEENNNTI!!! MA IO VI SPEZZO! VI DISINTEGRO!!!!!!!     E tu legati,  imbecille! -.

Riprendo il controllo dell’auto e riparto a tavoletta.

-Dannata pioggia del cazzo…. MA PROPRIO OGGI, DOVEVA DILUVIARE?!?!???-,  sbraito mezzo imbestialito.

Le ruote divorano l’asfalto mentre zigzago fra le auto in corsa.

-Chi… chi cavolo sono…?-, mi chiede un Kaede terrorizzato.

-E  CHECCCAZZO  NE  SO!!!?!-, rispondo mentre taglio la strada ad un autobus e imbocco una via d’uscita.

Un altro sparo. Ecco, adesso posso dire addio allo specchietto retrovisore.

-IO LI AMMAAAAAAAAZZO! GIURO, ADESSO MI FERMO E LI RIDUCO IN ATOMI!!!-

-Stai scherzando, vero..?-,

Lo  incenerisco con lo sguardo.

-CERTO!!! Checcredi!  Che io mi faccia impallinare così facilmente? Ma per chi mi prendi?!? CRETINETTI???!!?!?!-

-Ma va’ a cagare.  Era solo una domanda. Non c’è bisogno di scaldarsi tanto!-

-Oh, già, certo! Perché tanto ci pensano  QUELLI,  a farlo, giusto?-,   ringhio indicando alle mie spalle.

 

 

 

Dopo una manciata di secondi la mia mano finisce sui suoi pantaloni.

Lo sento sussultare.   E io che volevo solo richiamarlo…!

-Guarda che mica ti mangio!-.

-Mpf!-.

-Senti… Scusa . -,   dico,   -….… Come hai detto che ti chiami?-

-Kaede.   E comunque non te l’avevo detto-.   Fantastico, l’ho fatto incazzare!

-Beh, KAEDE… li vedi? Dove stanno, ci sono vicini?-

-Attaccati alle chiappe-.  Ma tu guardalo! Adesso si mette pure a usare le mie stesse battute! E poi mi critica perché uso sempre un linguaggio da contadino!!!

-Beh, allora tieniti-.

Sterzo bruscamente a sinistra e imbocco un viottolo buio.

-Strada fantastica! Complimenti per la scelta-.

-Non ti ci mettere anche tu!-, replico centrando  in pieno due bidoni di latta.

-Merda, la mia bellissima macchina…-

-Ma tu non fai che pensare alla macchina?-

-E tu non puoi startene un po’ zitto? Mi disconcentri-.

-DE-concentri-.

-Eh?-

-DE-concentri. Si dice deconcentri-.

-BEH,   QUELLO  CHE  È, SIGNOR  ESPERTO!!-. Cavoli, a volte sembra quattrocchi!!! Lo sento ridacchiare.    Miracolo dei miracoli.

-CHE CCC’ È?!-

-Sembri…-, ha gli occhi che ridono  ma non continua la frase.

-Sembro ..cosa?!?-

-Hn.- e il suo volto si fa improvvisamente triste,  -No, niente.   Nessuno.-

Volto a destra e mi avvio verso il centro di un paese.

 

 

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-E tu?-.

Stiamo procedendo ad una velocità elevata ma costante.

-Io cosa?-, domando.

-Non so il tuo nome- mi risponde Kaede  sbuffando come se fosse ovvio.

-Danjuro- è la risposta,  -Danjuro Genjo Makihara-, continuo stando attento alla guida.

Ma puoi chiamarmi Genio”, vorrei potergli dire. Poi lo guardo.

-Ma puoi chiamarmi come v..-

-Attento!-

Seguo il suo sguardo e noto due gatti che stanno in mezzo alla strada.

E lui adora i gatti.

Merda.

Devio il mio percorso rovinando la fiancata dell’auto contro un muro e mi ritrovo senza anche lo specchietto retrovisore di destra.

-MA  BENE!   FANTASTICO!-,  sbraito incazzato nero,     UNA  SETTIMANA  CHE  HO  ‘STA  MACCHINA  ED  È   GIÀ  SFASCIATA!   MAGNIFICO!   DAVVERO  MAGNIFICO!!    MA   VAFFANCULO!!!!-, continuo fulminando la macchina che ci segue guardandola dall’ultimo specchietto che rimane.

-Guarda che sei tu quello che non sa guidare…-

-MA VUOI CHIUDERE QUELLA CAZZO DI FOGNA?!?!?-, urlo esasperato.

Peccato che ho staccato gli occhi dalla strada per troppi secondi e mi accorgo all’ultimo minuto di un gruppo di persone che se ne sta ad ascoltare un vecchio che strimpella, in mezzo alla piazza e purtroppo anche lungo il mio percorso.

-Frenafrenafreenaaa!-, mi implora Rukawa senza rendersene conto.

Comincio a strombazzare il clacson come un invasato e la gente si volta di scatto con espressione basita e poi terrorizzata.

 

 

 

-LEVAAAAAAAAATEVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!-.

Perdo il controllo dell’auto e tento di frenare cambiando direzione.

-MERDAMERDAMERDA!!!! SE  STERZO  ANCORA  UN  PO’  RISCHIO   DI   RITROVARMI  CON  IL  VOLANTE  IN   MANO !!!-, urlo in preda al panico.

-Ma se ce l’hai GIÀ in mano, IDIOTA!-, interviene Rukawa mentre strizza gli occhi per non guardare.

-…BEH, HAI CAPITO CHE INTENDEVO!!!! Ma tu senti che imbecille di uno!!!-.

Sto per riprendere il controllo del veicolo quando sento due raffiche di spari.

Quelle fatali.

 

 

 

Due pneumatici devono essersi bucati (‘annaggia alla mira di quegli stronzi!) e tutti i tentativi che faccio per non sbandare risultano vani.

-Adesso ci ammazzano-. Non ho capito se la sua era una domanda o un’affermazione.  Faccio per rispondergli con un “è stato bello conoscerti” quando sento una scarica di revolverate provenire da una  direzione differente.

Prima di andare a schiantarci contro una parete faccio giusto in tempo a distinguere uno di quegli uomini che avevo appena rischiato di investire, aprire il fuoco verso la berlina nera che ci segue.

Poi il frastuono dello schianto e la potenza devastante dell’urto.

 

 

 

Appena riapro gli occhi, la prima cosa che metto a fuoco è l’air-bag  che mi sta sulla faccia.

Poi mi concentro immediatamente su Rukawa che , con mio grande sollievo, è indenne all’infuori di un piccolo taglio poco sopra il sopracciglio destro.

-Tutto bene, Ru?-

-Hn-. Controllo la situazione in piazza e noto che dell’auto nera non v’è la minima traccia.

-Avanti, usciamo di qui-.

Mi liscio i vestiti e poi mi volto verso la gente che ci fissa ancora incredula.

E poi lo vedo.

 

 

 

L’uomo che ci ha involontariamente difeso è riverso a terra con gli occhi sbarrati.

-Noooo!!!!!-

 

Corro da lui e lo sostengo per la schiena.

-Resista, mi sente?  Dica qualcosa, avanti! No, non chiuda gli occhi,  guardi me! GUARDI  ME !!! Quanti  sono?  QUANTI  SONO ???-,  cerco di tenerlo cosciente  mostrandogli un numero con  le dita.

Ma capisco che è messo peggio di quanto pensassi.

-CHIAMATE  UN’ AMBULANZA !   QUALCUNO  CHIAMI  UN’ AMBULANZA !!!!!!-

Al mio richiamo di soccorso  dei passanti fanno finta di nulla.

Infami…  Sembrano tutti imbalsamati!

 

 

Alla fine è Rukawa a fare la telefonata.

Ma l’uomo tra le mie braccia non fa che peggiorare,  percorso da fremiti sempre più violenti.

-Quanti sono? Come si chiama? Riesce a stringermi la mano?-, cerco di chiedere nel modo più calmo che posso avere in un momento simile.

 

 

Ma l’uomo continua a tremare.  Emette un rantolo cercando di parlare, ma  dalla bocca gli fuoriesce un fiotto di sangue scuro  misto  a saliva, che lo costringe a tossire e a soffrire ulteriormente.

-Resti calmo, ora, l’ambulanza sarà qui a momenti. Cerchi di respirare nel modo più regolare possibile-.

Ma lui scuote piano la testa. In preda a convulsioni che vanno affievolendosi attimo dopo attimo mi sorride triste e  gli occhi gli si riempiono di pianto.

-No…-

Comincia a respirare affannosamente in preda a spasmi probabilmente indotti alla fibrillazione e io prego Kami con tutto me stesso, sperando che i soccorsi giungano presto.

Mi sento stringere convulsamente una mano e torno a fissare l’uomo che ho tra le braccia, cercando di infondergli coraggio.

Ma tutte le mie speranza sono vane, perché mi rendo conto che, dal sangue che dalla sua bocca cola a fiotti scuri e densi sulla sua maglia,  sta rischiando di soffocare nel suo stesso sangue.

 

 

 

Quando l’ambulanza arriva,     l’ uomo è già morto.   

                                                                                                                   L’avevano colpito ai polmoni.

 

 

 

 

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-Le ho già detto che non l’ho ucciso io!!!-, insisto per l’ennesima volta.

-Kuma-.

Ad un cenno dell’inquisitore, un poliziotto che mi sta di lato mi pianta una manganellata in un fianco.   E fa male.  Fa dannatamente   male.

-Devo andare al bagno-, interviene Rukawa per concentrare l’attenzione su di sé.  O forse in bagno ci deve andare sul serio.  È difficile capirlo.

L’uomo  che se ne sta placidamente seduto in poltrona dall’altro lato della scrivania si accende in tutta calma un sigaro dall’aria antiquata e gli soffia in faccia.  Kaede trattiene a stento i colpi di tosse.  Non ha mai sopportato il fumo.  E nemmeno io.

-Ci andrai quando lo dirò io…-.

-Se entro cinque minuti non vado in bagno, la faccio qui nella sala-.

Poi capisco.  Altro che attirare l’attenzione su di sé… questo vuole svignarsela senza il sottoscritto…!

-Pezzo di bastardo…-, mi lascio sfuggire sorridendo incredulo.  Kaede mi lancia uno sguardo indifferente e inclina la testa assumendo un’espressione alla beh-ora-son-cazzi-tuoi  mentre una guardia, all’assenso del suo superiore, lo trascina fuor dalla sala.

Ora sono  solo.   Fantastico.   Uno contro tre.    Tutti poliziotti.      Una  meraviglia…!

 

 

-È bene che tu sappia una cosa… So fiutare una carogna a venti chilometri di distanza…-, comincia il capo  aspirando dal suo sigaro, -E tu sei a meno di un metro da me…-.

-Ah, si? Beh, sai perché riesci sempre a fiutare l’odore di una carogna? Perché è il fetore che emani…-.

-So benissimo che l’hai ucciso tu…-, il tizio mi ignora e mi soffia del fumo addosso.

-MA  SE  IO  NON  HO  FATTO  NIENTE!!!!  IN  CHE  LINGUA  GLIELO  DEVO  DIRE,  EH?!?!?!! IN  BURUNDI?!!?!??!?-.

-Ah, davvero…?-, mi dice con un tono canzonatorio, -E allora tutta quella roba  che è contenuta negli zaini che abbiamo trovato nell’auto?-.

-SONO AUTORIZZATO AD AVERL…-

Un’ altra  sua occhiata e il giovane di fianco a me  mi regala un destro coi fiocchi.

-Credo di non aver capito bene… Scusa, puoi ripetere?-.  Fottuto bastardo ….

-Ho il permesso di tenerle…-, cerco di dire scandendo le parole mentre Kuma,  che  mi sta di lato,  mi tiene la testa schiacciata contro il tavolo,  -E se non ci credete chiamate Heizo Tsumuji. Lavora nella polizia di Kanagawa-.

Ad un suo gesto l’omaccione mi lascia andare. L’altro poliziotto, alla mia sinistra prende il telefono e compone un numero.

 

 

Nel mentre, si spalanca la porta.     Ecco.   Adesso qualcuno dirà che Rukawa se l’è svignata. 

Ma nel voltarmi capisco di essermi sbagliato.

Kaede si dimena inutilmente, placcato da tre uomini.  Per di più è ammanettato.   E incazzato nero.

-Cos’ è ‘sta storia-. Sbuffa il tizio che  mi sta di fronte.

-Ha tentato di fuggire, capo -, risponde uno.

-L’ho bloccato alla porta-, spiega un altro.

-E io ero giusto qui fuori. Fortuna che avevo un paio di manette-.

 

 

-Lo sapevo… Non vali niente.  Ti conosco da meno di un’ora, ma vedo che l’impressione che mi sono fatto di te   ti calza a pennello-, lo stuzzico.

-Vai al diavolo…-, m’insulta Kaede ansimando.

-Quindi voi due non vi conoscete?-.  l’inquisitore sembra improvvisamente attento.

-No-,   e guardo Rukawa in cagnesco,   -Gli ho dato un passaggio, prima, solo perché  mi faceva pena vederlo là sotto la pioggia-.

-Crepa-.

-Fottiti-. 

Quanto ci vogliamo bene…

Il tizio al telefono parla col capo per qualche istante.

 

 

-Hm. Quel che hai raccontato è vero, dunque-, dice l’indagatore.

-È ciò che le sto dicendo da mezz’ora…!-.

-Ma vedi, le vostre facce non mi piacciono per niente…-,   seh! Di’ pure che sei solo invidioso…

-In Particolare la tua- , ed indica me. 

Brutto figlio di…

-Quindi vi tratterremo ancora un altro po’… intanto che facciamo luce sull’accaduto-.

-Non siete  ancora convinti della nostra innocenza?!?-,  chiedo incredulo. Ma quello m’ignora.

-Potrete alloggiare nell’albergo che sta a cento metri da qui, ma sarete sempre sorvegliati-.

-Una stanza sola o due, capo?-.

-Una. Tanto quelli non si conoscono e si detestano abbastanza, non vedo qual è il problema. In più potrete controllarli più facilmente. …Ora andate, ho da fare, io!-.  Seh, come no… Pezzo di merda.

 

 

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Mi accosto alla finestra e mi metto a guardare fuori nella notte, tra le stecche della persiana.

Abbiamo finito da poco di cenare con gamberetti piccanti e riso bianco  e il pesante silenzio che si è creato tra me e Rukawa da quando siamo usciti dal distretto di polizia comincia a darmi fastidio.  Mi rende inquieto.  Sembra che sia arrabbiato con me,  ma non ne afferro il motivo.

 

 

È seduto sul letto a gambe incrociate e sta giocherellando con i lacci delle scarpe che tiene in mano e che ammira palesemente.

È bellissimo… in questo momento sembra un bambino un po’ cresciutello…!

Vorrei gattonare sul letto e andargli vicino…

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            …Stringerlo a me…

Ma io… non sono io.     Quindi non posso premettermi di farlo.    Non posso fare la mamma chioccia che lo va a coccolare,  come  mio solito.

No.

Devo fare quel cazzo di Makihara dal nome insopportabile  che lo tratta  in modo  amichevole   ma distaccato e strafottente allo stesso tempo.  E non so se ci riuscirò ancora a lungo.  Perché  sono insieme a lui da quasi tre ore.  E già non ce la faccio più.  È un’agonia.   Una terribile agonia.

 

 

Per distrarmi mi concentro sulla stanza. È essenziale.

Il solito tavolino con la sedia, un letto, un mobile… il bagno, le luci e un corridoio cortissimo che conduce alla porta.

Ah, e una radio! Cavoli, sono proprio avanti, qui…! L’apparecchio è acceso e Rukawa sta facendo roteare i lacci seguendo il ritmo.  Uff, ecco che ritorno sempre su di lui!

Mi concentro sul movimento del suo polso e mi perdo nella mia fantasia, immaginando Kaede muoversi al ritmo delle percussioni o palleggiare e compiere acrobazie sul campo battendo inesistenti avversari, sempre seguendo il tempo.

 

-Ti piace la musica?-,  la mia è più una domanda,  che una constatazione.  Un tentativo per instaurare un dialogo.

Ma Ede fa una smorfia,   sprezzante ,   alla dio-ma-che-domanda-idiota, senza nemmeno voltarsi.

E continua imperterrito a giocare con le scarpe da basket  muovendole impercettibilmente al ritmo di quei suoni ancestrali e moderni al contempo.

 

-Senti un po’, ma che cazzo ti ho fatto?!-,  gli domando un po’ esasperato. D’altronde non so darmi una risposta.  Kae non si volta neppure adesso. Risponde solo dopo una manciata di secondi.

-Se ti facevo così pena potevi anche evitare di offrirmi un passaggio-.

Ci resto di sasso.

 

Non tanto perché se l’è presa male per ciò che gli ho detto al distretto, quanto per il fatto stesso che lui si sia offeso.

E sono allibito perché lui se la prende solo in due casi:  o nel momento in cui viene ferito nell’orgoglio,  o quando ad offenderlo è qualcuno a cui tiene. E, quando capita,  lui se la prende male sempre e solo con   me.

Mi auguro che stavolta non sia per il secondo caso.

Perché se no,

                   giuro,

                           finirò sul serio col diventare invidioso di me stesso.

-È per questo che ce l’hai con me?-.

Ma lui rimane muto, ignorandomi volutamente e tenendo lo sguardo fisso sulle sue scarpe.

-Ti ho fatto una domanda-. Gli faccio notare.  Al che lui posa il suo sguardo torvo su di me, senza dire niente.  Limitandosi a fissarmi negli occhi.

-Hn-.

 

Non è possibile… Se l’è presa proprio per questo!

Okay, adesso mi pianto un cazzotto in faccia.  Ma come cavolo  può essersi legato, anche di poco, a.. me, se non mi conosce neppure da tre ore??? Kami, che nervi! 

Gli sorrido dolce,  cercando di placare la mia lotta interiore.

-E tu credi che se avessi detto  che  a te ci tenevo,  o qualcosa di simile,  ci avrebbero lasciati insieme? Credimi, ci  avrebbero  separati   e ritrovarti  sarebbe stata una vera impresa.  È molto più complicato  fuggire da soli e cercare di ritrovarsi..  Che fuggire insieme-.   Merda.  La mia sembrava quasi una dichiarazione d’amore…

Rukawa mi fissa strano, schiudendo le labbra come fa tutte le volte che gli sorrido in questo modo, e la sua espressione si ammorbidisce. Poi, però, aggrotta le sopracciglia:

-Che intendi dire?-

-Che io, qui,  fino a domattina non ci resto manco morto!-, gli rispondo come se fosse ovvio, -Vieni con me?-, la mia sarebbe una proposta di fuga, ma la cosa suona un po’ strana, troppo… dolce, credo,  -O preferisci rimanere in balia di questi invasati?-,  concludo guardandolo con espressione furba.

Il suo volto si distende in un sorriso aperto e felice.   Ed io muoio e rinasco.   E comprendo che ha accettato di seguirmi.

 

Cerco invano di nascondere uno sbadiglio.  Ormai è mezzanotte  e, visto come ho passato la giornata di oggi, realizzo che forse è meglio se tra un po’ mi metto a letto.

-Senti, io mi faccio una doccia poi vado  a dormire.  Tu che fai?-

-Hn. Ti seguirò a ruota-.

Lo fisso strano mentre nella testa mi si formano pensieri arditi in merito a questo  ti seguirò a ruota,  ma Kaede si chiarisce all’istante aggiungendo un   più tardi.

-Sì, certo. L’avevo capito!-, gli sorrido   mentre mi spoglio restando in boxer e poi mi sgattaiolo  nel bagno  passandogli davanti.

Scosto la tenda,  entro nel torrente d’acqua e  mi faccio una doccia bollente :   ciò di cui avevo bisogno.

 

 

 

Quando esco e vedo Rukawa in mutande,  non riesco più a resistere.

Mi avvicino a lui bloccandolo contro una parete e appoggio tutto il mio corpo al suo,  tenendo le mani sui suoi fianchi, per creare un contatto.

Lui non si muove né   mi respinge e ciò mi permette di bearmi  ascoltando il suono del suo respiro, come se fosse la cosa più importante del mondo.

Poi lo spingo piano sul letto senza interrompere il contatto e mi sdraio piano su di lui, schiacciandolo sotto il mio peso. Allora lui reagisce, risvegliandosi dalla trance temporanea e cerca di sgusciare via.  Ma io gli blocco senza fretta i polsi appena sopra la testa e affondo il viso tra i suoi capelli che sanno di pioggia. Il silenzio è tale che sento il ticchettare delle lancette del mio orologio.

 

Resto su di lui per cinquantotto secondi, poi sollevo il capo senza però arrivare ad incrociare il suo sguardo.

Gli mormoro un flebile ‘scusa’ sfiorando con le labbra i suoi capelli d’ebano e poi rotolo di lato, scivolando via dal letto.

Mi arrampico sul davanzale della finestra e mi siedo poggiandovi anche i piedi scalzi, cercando di calmarmi,  di non ascoltare il mio petto che sta per esplodere e di resistere alla sete incontenibile che ho di lui .

Tiro su le persiane e mi abbraccio le gambe osservando Kaede che si rialza per entrare in bagno. Forse non avrei dovuto lasciarmi andare.   Rivolgo lo sguardo fuori dai vetri appannati e trapasso la mia immagine che si riflette, opaca.

Cerco di  concentrarmi sul buio, provando a distinguere gli oggetti che nasconde.

È l’unico modo che conosco per distrarmi, in questo momento.

 

 

Quando più tardi esce dal bagno, sto ancora fissando la notte al di là dei vetri.

Lo sento  vestirsi e sedersi sul letto.  Allora mi giro e  mi accorgo che mi sta fissando.

Gli sorrido in modo incerto, tanto per scongiurare un’altra possibile incomprensione e lui contrae un angolo della bocca.  Ho capito.  Scuse accettate,  eh?

Poi sorride sbuffando, si allunga a spegnere  la lampada e si mette a letto voltandomi le spalle, raggomitolato.

Io resto alla finestra per qualche altro minuto, ancora stordito dall’acqua calda e indolenzito dalle membra distrutte.

Alla fine mi decido e mi ficco tra le lenzuola ruvide.

Mi addormento quasi subito.  Una notte senza sogni né  pensieri.

Non male, dopotutto.

 

 

 

 

 

 

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Allora? Come vi sembra fino ad ora?  Spero non sia troppo scadente… ^_____^’’’’

Ad ogni modo, UN MEGA GRAZIE ad  asami, Shak4, Uriko, foglia e satin,  per aver commentato i miei primi quattro capitoli! ^_^

A presto!     _=Angel’s Island=_

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Likeness ***


Quando mi sveglio non sento il bisogno di aprire gli occhi per guardarlo…

 

 

 

 

Ed eccomi qui con il sesto capitolo di questa ficci ^___^! 

u___u   Chiedo scusa a chi ha apprezzato, fino ad ora, la mia fiction, per non averla aggiornata per quasi ben due mesi, ma cercate di comprendermi… stramaledettissimi compiti, uno stage insopportabile e  – per fortuna –  delle (meritatissime) vacanze mi hanno tenuta lontana dalla mia adoratissima tastiera…!  ^__^’’’’’

Questo è un capitolo molto breve, giusto per  non lasciare la storia troppo a lungo in sospeso…! D’altronde, il tempo libero che vorrei… non vuole me! Vabbèh, bando alle ciance!

Prima di augurarvi buona lettura, un bel  “GRASSSIE! ^_^  ” va anche a Sakura, per aver gradito e commentato la mia fic! Spero continui a piacervi, tenetemi aggiornata e, se volete, contattatemi.

Ed ora, finalmente, BUONA LETTURA!!! ^__________________^

   

                                                                                            Baci8i,

                                                                                                   _= Angel’s Island =_

                                                                                                                                                   ‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando mi sveglio non sento il bisogno di aprire gli occhi per guardarlo…

 

                                                                                           SO che lui è qui.  Così. Semplicemente.

 

 

 

Il respiro lento e profondo che sento fendere il silenzio è… Inconfondibile. Unico.

                                                                                                   Come lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Hanamichi…-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Schiudo piano gli occhi per osservarlo.

 

E le mie certezze crollano come castelli di carte, spazzate via da un folata di vento invernale. 

 

 

 

 

 

 

È…     Come se mi mancasse improvvisamente… L’aria.

 

Come se l’ossigeno non fosse più sufficiente da un istante all’altro.

 

Ed io non sono pronto ad un cambiamento simile, no.  Non lo sono affatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Resto a guardarlo…  Così   Incapace di pensare…   Né di provare emozioni…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero… Ero convinto di trovarmi sopra il mio Do’aho

Ma mi sbagliavo.

Mi trovo su un corpo che non è il suo.

 

 

 

 

 

Eppure… KamiGli somiglia così tanto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero sicuro di essere accanto a lui… Avvolto nel calore del suo abbraccio…

Come posso…? Come posso aver confuso…

Come posso aver scambiato un tipo qualsiasi che nemmeno conosco per…

Per Hanamichi…?

 

 

 

 

Gli sfioro un braccio, con estrema lentezza.    Come facevo con Hana ogni volta che mi svegliavo prima di lui…

Resto qualche minuto ad osservarlo nella penombra.

È rilassato e russa lievemente, le labbra socchiuse. Una mano è nascosta dietro la nuca, mentre l’altro braccio è abbandonato mollemente sul materasso.

È simile a lui anche durante il sonno.   E non riesco a capire se questo mi rende felice o mi fa soffrire dentro.

 

 

Senza soffermarmi sui perché, mi vedo percorrere, con le dita, la pelle di Genjo, che graffio piano con le unghie, lasciando che i palmi sfiorino i muscoli del suo petto.

Chiudo gli occhi e faccio scorrere i polpastrelli sulle sue guance, riappoggiandomi sulla sua spalla, attento a non svegliarlo.

Ha perfino il suo stesso odore… Com’è possibile…?

Che…

 

 

 

Che sia LUI…?

 

 

 

Seguo con l’indice la curva delle sue sopracciglia… E mi perdo nelle carezze ascoltando una vecchia melodia che mi riecheggia nella mente.

 

 

No… non credo che questa sia un’eventualità da considerare seriamente.

Sì, beh, ci avevo già pensato. Però…

Però c’è qualcosa di diverso… Peccato che questo qualcosa non riesca a definirlo in modo concreto.

 

 

Mi soffermo sulla morbidezza della pelle sulle tempie e scendo sulla linea del naso, scivolando sulle sue labbra socchiuse.

È come…

Come se percepissi tante piccole e deboli sfumature di un’immagine rimasta esposta a milioni di gocce di pioggia autunnale.

Poche tinte di un disegno in cui io sono stato aggiunto in seguito, con pochi tratti in matita, stesi rapidamente. Un disegno che ha deciso di includere anche me stesso, ma di cui riesco a distinguere solo qualche ombra e qualche colore ormai sfocato e senza forma.

 

 

Kami, come potrebbe… essere Lui?

È… è così…

Cioè… Voglio dire… Lui… Hanamichi..? Ma andiamo..!

Certo, avrà dei lineamenti molto simili ai suoi, però…

Lo stesso profumo della sua pelle è diverso. Non so in cosa.

 

 

Ma ciò che importa è che lo sia.

 

 

E inoltre, pensandoci…

Anche il suo modo di camminare è differente. Più rigido, direi. E decisamente non ciabattante!

 

E la sua voce… è più profonda… Più ferma.

 

Senza considerare il suo aspetto, poi.   Così  terribilmente… Trasandato. Così in contrasto con tutto il resto…

Un mix davvero… insolitamente singolare, insomma.

 

Ma… singolare  e basta,  intendo.

Certo.

Solo quello.

Sicuro.

Nient’altro.

Indubitabile. Assolutamente.

Ma perché diavolo sto tentando di convincermi di una cosa che è ovvia per principio!?

 

 

 

 

Uffa……… sono solo le tre e due minuti del mattino…

È strano, per me svegliarmi a quest’ora.  Sarà senz’altro un fatto dovuto alla lontananza da Hacchan, a cui lui stesso mi ha costretto.

Una settimana e mezza che non lo vedo… Dio, che patema d’animo…

 

Ecco, adesso penso pure in modo teatrale come lui…!

Beh, almeno PENSO e basta! Ma forse è meglio cominciare a preoccuparsi… Non vorrei ritrovarmi a parlare a vanvera urlando di tutto e di più ai quattro venti come un imbecille!

 

 

Hn. Conoscere Genjo ha alleviato le mie sofferenze, comunque.. In qualche modo… Lui…

Con quei suoi modi di fare… che lo rendono così permaloso e bisbetico

Con quei suoi sorrisi… così splendidi ed irresistibilmente dolci…

Con quei suoi movimenti… a volte ferini, altre goffi, impulsivi oppure decisi   ma così   inspiegabilmente  familiari…

In qualche modo mi ricordano quello che fino alla settimana scorsa era il mio ragazzo...

 

 

 

 

-Hanamichi…-.

 

 

 

 

Lo dico piano, il suo nome.

Un prezioso  sussurro mormorato senza fretta per farlo danzare fra le mie labbra il più a lungo possibile.

 

Ma che cavolOuff!

 

 

Kami, ma quanto pesa! Ma perché diamine si è girato?!? Mi sta schiacciando, maledizione!

Sono letteralmente bloccato sotto di lui. E siamo a due. Fantastico. E mugugna, pure. Manco l’avessi chiamato.

Questa me la lego al dito.

 

 

 

 

 

 

 

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Mi sveglio esattamente due minuti prima delle sei e mezzo, riprendendo coscienza e restando immobile ascoltando il silenzio.      

La luce lunare che piove attraverso le persiane scrostate rischiara la stanza al punto che tutto è visibile.

Chiudo gli occhi e faccio il resoconto della situazione, evitando di chiedermi che cavolo ci faccia io su Rukawa e che carota ci facciano le sue mani sulla MIA schiena.

Li riapro sei minuti dopo, deciso a darmi una mossa. È tempo di agire. Stare fermi a poltrire è del tutto inutile.

Muovermi è però un’impresa ardua, dato che il respiro caldo di Kaede sul mio collo ha gli stessi effetti di una potente dose di narcotico somministrata ad un leone  marino.

Quant’è carino il mio Kacchan quando dorme…!

Gli rubo un bacio leggerissimo a fior di labbra, scostandogli piano la frangia dalla fronte  illuminata dalla luce diafana della luna.

Alla fine mi decido e mi alzo dal letto, dirigendomi in bagno per darmi una bella svegliata.

Una volta strigliato a dovere, mi accosto alla finestra spostando, con due dita, due stecche delle persiane.

Fuori non c’è nessuno.

Scommetto che stanno controllando la nostra stanza dall’interno.  D’altronde siamo al secondo piano.  A chi verrebbe in mente che ho tutta l’intenzione di buttarmi proprio da qui?

Abbandono la finestra e  mi volto verso Kaede, ora girato su un fianco e ancora profondamente addormentato.

-Ehi..  Kae..?-, lo chiamo a bassa voce per non svegliarlo bruscamente.

-Kae, svegliati…-, gli tocco un braccio appoggiandomi al letto con una mano ed un ginocchio.

-KaeKae, sono le sei meno un quarto…-.

Nulla. Questo se la dorme della grossa.

-RU… vuoi svegliarti? È ora di ANDARE…-. Niente.

-EDE… TI DECIDI UNA BUONA VOLTA…? Morfeo può aspettarti,  IO NO…-

Nisba. Le pacche oggi non funzionano. E non posso svegliarlo come faccio DI SOLITO.

Sono quasi tentato di lanciargli una secchiellata d’acqua gelata addosso, quando mi ricordo della radio.

Kaede adora la musica, no? E allora perché infradiciarlo di nuovo? Di acqua ne ha sopportata anche fin troppa, ieri…

Vèbbèèène, coscienza cara, questa volta sarò magnanimo…

Vado a prendere la radio, la sintonizzo sul brano migliore e gliela poso sul cuscino.

 

 

 

 

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Apro la finestra e l’aria umida che entra nella stanza ridesta definitivamente i miei sensi, dopo un dolce risveglio.

Hn, non immaginavo che Genjo potesse essere… 

                                                          Così

 

 

 

Il cielo è di un tetro blu notte, coperto di nuvole di un grigio plumbeo, per niente rassicuranti.

 

 

L’orizzonte ad est si sta lentamente schiarendo.

 

 

 

 

 

Fa freddo questa mattina.

 

 

 

 

 

Danjuro sta guardando attraverso lo spioncino della porta.

-Allora?-, sussurro.

-Qui fuori ce ne sono due. Com’è, lì?-

-Non c’è anima viva. Ma che vuoi fare?-

-Andarmene-, bisbiglia con voce strozzata mentre si infila la maglia.

 

 

-Questo l’avevo capito-.

Il suo portatile sul tavolo si illumina. Genjo lo recupera e si avvicina a sua volta alla finestra senza distogliere lo sguardo dal display.

Cammina come se conoscesse questa stanza da una vita. Ed è silenzioso come un felino. Quando è così, scollargli gli occhi di dosso diventa impossibile…

 

 

-Abbiamo la macchina-.

-Non ti seguo-.

-Un’altra, intendo. Quella di ieri è sfasciata ed è nelle mani della polizia, ricordi?-.  Il suo tono è ironico, eppure ha la mente altrove. Tira su le persiane e si affaccia.

 

 

 

 

 

 

Il suo gomito mi sfiora gli addominali.

 

 

 

 

 

-Hm…Mmm…-.

Fissa verso il basso, poi a destra, a sinistra e infine punta lo sguardo davanti a sé.

-Hm. La distanza non mi sembra eccessiva. La luce è poca, ma comunque sufficiente. Direi che possiamo farcela-.

-…Non ho capito niente-.

 

 

Makihara si raddrizza e mi guarda esasperato.

-Non dirmi che devo pure spiegarti tutto…-, sospira incredulo.

Sollevo un sopracciglio alla beh-mi-sa-prorprio-che-ti-toccherà-farlo e aspetto che cominci  a parlare.

Si riappoggia al davanzale della finestra e mi fa cenno di avvicinarmi.

Ma non devo aver preso bene le misure perché la mia spalla si scontra con la sua.

Al che Danjuro, per completare l’opera, mi posa una mano alla base della schiena ed io non ci capisco più niente davvero.

 

 

-La prossima volta dormirai di più, promesso-, mi rassicura sorridendo senza guardarmi.

Non è possibile… non si è accorto di nulla…! È convinto che stia barcollando perché sto dormendo in piedi…

Mi ricorda qualcuno…

 

 

-Lo vedi quell’albero?-, domanda senza allontanare la mano.

Mi concentro su una pianta che sta a circa quattro metri da noi.

-S..sì-.

Sembriamo una coppietta che sta guardando il panorama. Peccato che quello è pessimo…

 

 

-Scenderemo da lì. Capito adesso?-

-Che sei un idiota? Sì.-

 

 

-Ehi! Come osi?-

-E come diavolo facciamo ad andare fino lì? Rischieremo di farci del male! Ma sei impazzito?!?-

-Paura di slogarti una caviglia, Kaede? O di graffiarti le braccina?-, mi canzona Genjo. Poi mi guarda e il suo volto si fa serio.

-Senti, fa’ come ti pare, okay? Io qui non ci sto un minuto di più. Se non ti vuoi muovere, Affari tuoi. Buona fortuna-.

-No, io…-

-TU …salterai dopo di me-.

 

 

 

 

Oh… Bene. Okay.

 

 

 

 

 

-E poi di che hai paura…-, dice mentre si arrampica sulla finestra, -Durante le partite fai di quei balzi…-

-E tu come lo sai?-

-Certo, mai come quelli di Sakuragi o di… com’è che si chiama?-

-Senti, come fai a…-

-Akagi, giusto? Comunque non hai niente da temere, in questo caso-

Si concentra sulla pianta e noto che, alternativamente, solleva di poco i talloni dei piedi.

Destro..sinistro….destro,sinistro…destro……………sinistro, destro.

Sta calcolando le misure.  Credo.

-Sì, ma…-

Una sua mano alzata mi zittisce all’istante.

-E taci una buona volta. Parli troppo-.

-In genere non lo faccio mai…-.

-Hah, davvero?!?-, sfotte, pure…  Ma decido di non aggiungere altro.

 

 

Lo osservo addossando una spalla al muro e incrocio le braccia. Voglio proprio vedere come farà ad arrivare fino a quell’albero.

 

 

Intorno a noi cala un silenzio irreale. Sembra una quiete minacciosa, una di quelle che si percepiscono giusto prima di una tempesta.

Guardare, da qui, Danjuro in piedi sulla finestra   mi fa sentire una nullità.

 

 

 

 

 

 

Una formica.

 

 

 

 

 

Un comunissimo insetto che osserva la sagoma di un predatore dalla rara bellezza che si staglia contro un cielo ricoperto di

nuvole nottilucenti.

E, come un felino, si accovaccia, pronto ad un agguato notturno.

Si muove piano, apparentemente senza la minima fretta.

Intravedo i muscoli delle gambe contrarsi con lentezza sotto la stoffa dei vestiti.

Lo sguardo fisso sulla pianta, in questa atmosfera così  surreale, Danjuro è pronto a saltare.

L’assenza di rumori è totale, la concentrazione al massimo.

Il minimo fruscio e...

 

 

 

Per riflesso guardo un attimo alle nostre spalle. Se dovessero entrare proprio in questo istante, Genjo correrebbe un grosso

pericolo davvero. Rischierebbe di cad…

Ehi! Ma che fine ha…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è possibile…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ditemi che non è vero…

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** We Have To Escape. Now. But You... ***


Ditemi che non è vero…

 

 

 

 

 

 

 

 

Ditemi che non è vero…

 

 

 

                         Ditemi che sto sognando…

 

 

 

 

 

          

 

 

 

 

 

 

           È…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                        È…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                          Incredibile…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lui…

 

 

         Lui sta…

                                

 

 

 

 

 

 

 

                                 

                           

 

 

 

                                                 Volando…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo guardo sospeso nell’aria, in quell’istante che segue il balzo.

                                                           Ha fatto uno scatto così fulmineo…

 

 

E nella velocità… quella grazia impeccabile, come se lui ci fosse da sempre abituato, a buttarsi così.

 

 

 

 

 

Si è lanciato nel vuoto senza esitazione.

 

                                      E quel vuoto io l’ho sentito nello stomaco.

 

                                                                        Perché in quel salto io ho visto Sakuragi.

 

 

 

 

 

Ho visto lampi di luce squartare il buio della notte, ho visto la grinta e la sua decisione.

Il numero dieci e una palla arancione.

I suoi capelli fluttuare nell’aria, le sue braccia e il suo sudore luccicargli sulla pelle dorata.

Ho sentito la sua voce, percepito la sua sicurezza, ammirato la sua forza contagiosa.

Ho visto un suo splendido slam dunk, le sue mani stringersi al ferro del canestro, i suoi piedi tornare a terra in una silenziosa fluidità di movimenti da fare invidia ad un felino.

L’ho visto chiudere gli occhi e sorridere  ascoltando le urla dei tifosi, apprezzando le pacche dei compagni.

Ho seguito la sua mano, al di sopra di tutto, stringersi a pugno in segno di vittoria.

Ho sentito i suoi occhi su di me ed ho sostenuto lo sguardo.

Mi sono incantato sulle sue labbra che si schiudevano e cominciavano a muoversi, dando forma alla sua voce che si trasformava in parole.

 

 

 

 

 

 

 

-Avanti sbrigati! SALTA!-

Il sussurro che percepisco, però, non porta la sua voce.

È Danjuro, in piedi, le mani aggrappate ai rami dell’albero per mantenersi più saldo.

Ma almeno il mio cuore riprende a battere, il ritmo accelerato.

 

 

Come diavolo ha fatto a saltare così?

 

 

-Cazzo, datti una mossa! Non abbiamo tutto il tempo che vogliamo a nostra disposizione!!!-

 

 

Riuscirò, io, ad essere al suo livello…?

 

 

-Kaede…!-

 

 

No… come posso saltare compiendo un movimento altrettanto sicuro e preciso come quello di Genjo? Lui…

Lui sa fondersi con ciò che lo circonda, sa come entrare a farne parte, sa come diventare un tutt’uno quello che gli sta intorno. E si comporta di conseguenza.

 

-Okay, okay. Immagina di essere alle finali del campionato nazionale.-

 

Il campionato nazionale

 

-Ci sei? Ci sei, Ru?-

 

Il campionato nazionale… Il campionato nazionale… Il campionato nazionale… Sì.

 

-Con un sacco di avversari stronzi, scorretti e troppo sicuri di sé… che meritano una bella lezione… perché  devono capire… quel è la vera squadra, quella davvero imbattibile… ci sei, Ede, mi segui? Li vedi?-

 

Sì…

 

 -E adesso salta! Fammi vedere quello che sai fare! Una bella schiacciata da manuale, Ru! SALTA E VA’ A CANESTRO! SEGNA!!!-

 

Il campionato… le finali… gli avversarsi…schiacciata… canestro…   Salto.

 

                                                                    Ma non sarò mai come lui… 

 

                                                                                            E il canestro si sdoppia.            Scivolo.                                                                                            

 

 

 

 

 

Spalanco gli occhi quando manco di una spanna scarsa i rami che avrei dovuto afferrare. Sono troppo shockato, incredulo all’inverosimile. Sono così rare le volte in cui mi capita di sbagliare…

Proprio ora, dovevo commettere un errore simile…?

Proprio adesso?

 

 

Hanamichi… Basket… Vita… Come posso perdere tutto? Annaspo, e mi sfugge un gemito: mi mancano appigli sotto i piedi da troppo tempo!   Merda, sto andando giù !!

Le pupille mi si dilatano, e sono attanagliato dal terrore, totalmente bloccato.

 

 

Non voglio cadere, non voglio farmi del male. Non voglio morire!

Qualcuno mi aiuti! Hanamichi! Hanamichi! Hanamichi! Hanamichi!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due mani mi passano sotto le braccia e la mia caduta s’interrompe. Poi mi sento tirare su, e la mia fronte s’appoggia contro un collo caldo e pulsante. Le braccia di Genjo si piegano per aderire alla mia schiena e stringermi a lui.

 

Nel silenzio della notte si sente solo il mio respiro affannato.

-È tutto a posto, adesso, calmati. Ssshhh… rilassati, con me sei al sicuro…-

Sono ancora sconvolto, ma le sue mani che mi accarezzano la schiena e il suo tentativo di tranquillizzarmi, cullandomi dondolando, lentamente funzionano, e, da lì a tre minuti, la respirazione torna ad essere regolare.

Sto così bene, tra le sue braccia… Ou! No, aspet. Ma che diavolo sto pensando? E poi… questo chi cavolo è, in fondo? Ho appena rischiato la vita, per colpa sua…!!! Al sicuro… tzè!

 

 

 

-Sarebbe stato tutto a posto anche se tu non mi avessi aiutato. Me la sarei cavata ugualmente-.

 Cristo, non voglio che mi prenda per uno smidollato rammollito.

-Hah, davvero? E dove? Al fresco?-

-Non mi avrebbero preso-.

-Ah, no? Con le gambe rotte e un polso slogato, come pensavi di scappare? Volando?-.

-Sarei atterrato in modo impeccabile, idiota.-

-Oh,certo. Come mia nonna quando ruzzolava giù per le colline, con tanto di gonnelloni e grembiulone!-.

-Crepa-.

-PREGO, comunque-, mi dice con tono schivo –amareggiato…forse..?- mentre scende dalla pianta con un balzo,

-Se non fosse stato per me, saresti ancora là dentro-, conclude accennando col mento alla finestra della nostra ormai ex-stanza, dopo essersi ripulito le mani dal terriccio umido.

-…-

 

 

Mi siedo su un ramo massiccio e faccio per scendere, quando vedo le sue braccia tendersi verso di me.

Mi sa che questo mi ha scambiato davvero per sua nonna.

-Guarda che ce la faccio anche da solo. Ma per chi mi hai preso?-, sbuffo.

-Avanti scendi, poche balle-.

Dopo un altro inutile battibecco, mi ritrovo a terra, di nuovo tra le sue braccia. Dopo che le sue mani mi sono strisciate lungo i fianchi e sulla schiena. Sotto la maglia.

 

 

 

Mi stacco da lui e mi rassetto i vestiti. Poi lo fisso.

Con un cenno del  capo mi invita a seguirlo, ma io lo blocco, una mano sulla sua spalla.

-…’azie per prima. E per… p…- ,  Kami, quant’è difficile ringraziare. Alla fine cedo e indico tutt’intorno a noi, la pianta e l’albergo con un  ampio gesto del braccio. Grazie per aver fatto in modo che ci tenessero in camera insieme. Grazie per avermi tenuto compagnia, stanotte. Mi ero sentito solo troppo a lungo. Grazie per ricordarmi così tanto Lui. Grazie per avermi preso al volo, prima. E grazie per avermi tirato fuori da quel buco. Grazie per tutto, davvero. Glielo dico (evitando di accennare ad Hanamichi e al mio senso di solitudine) e lo osservo strascicare un piede sul terreno sterrato, lasciando un piccolo arco, mentre parlo.

 

 

 

Mi sorride e il suo sguardo, da me, si alza un po’ più in alto.

-Merda-.

-Cosa-.

-La finestra-.

-Che c’ha ‘a finestra…?!?-

-L’abbiamo lasciata aperta!-

 

 

 

-…Qqqquindi…?-, alzo un sopracciglio con l’aria stupita di un bambino. Sto cercando di leggergli nella mente, tanto per fare più in fretta, ma dev’essere tutta un groviglio pure lì, perché proprio non ci riesco.

-Quindi sospetteranno da subito la nostra fuga! Cazzo, Kae,-, e comincia a correre trascinandomi per un braccio, -possono vedere la nostra finestra direttamente dal distretto, capisci?-

-..Credo di sì.-, rispondo cercando di non badare al mio povero arto strattonato ogni volta che Danjuro rallenta per leggere il nome delle vie per poi ripartire a razzo, -…Quanto tempo abbiamo?-.

 

 

 

-La controllano ogni quarto d’ora, e sono le…- mi torce il braccio per guardare il mio orologio -… sei e otto minuti.-

-E allora?-, spero con tutto il cuore che questo bovino non mi abbia rovinato l’articolazione.

-Allora la macchina dista una ventina di minuti da qui!-.

Gira improvvisamente a destra e rischio di sbucciarmi un ginocchio.

 

 

 

-Ah…Perciò dobbiamo muoverci, giusto?-

-Esatto! Brillante deduzione!-

-Beh. Ma non possono sapere in che direzione siamo andati, né che abbiamo una macchina che ci aspetta!-

-A meno che non abbiano un elicottero sotto mano…- mi ricorda Makihara.

 

 

 

Libero con uno scatto il polso dalla stretta e accelero la mia corsa, superandolo.

-Rukawa…   ….Rukawa…    …KAEDE!-.  Uffa! E adesso perché cavolo rompe?!?

-Stai andando dalla parte sbagliata!-

 

 

 

 

 

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-Ci siamo, dovrebbe essere questa!-.

Dobbiamo sbrigarci, ci stiamo mettendo più del previsto, maledizione! Il sole sta sorgendo troppo in fretta per i miei gusti, un fattore che avevo stupidamente trascurato. Presto ci sarà troppa luce, e per loro sarà un gioco da ragazzi, individuarci.

D’accordo, correndo stiamo recuperando tempo, ma non è comunque abbastanza. E non lo sarà mai.

-Ore?-, chiedo a fiato corto.

-Sei e un quarto-.

-Hm. Staranno dando l’allarme, al distretto. Probabilmente le guardie della nostra stanza non avevano ancora notato nulla di strano. Ma dobbiamo fare in fretta. MOLTO in fretta!-

-Credi che presto verranno a cercarci?-

-Ci stanno GIÀ  dando la caccia, Kaede. E noi non abbiamo ancora trovato la m…ECCOLA!!!!-

In una rientranza nascosta da rami di piante, scorgo una splendida gemella dell’invidiabilissima carretta di ieri. Oh, gioia immensa! Dei del cielo, come vi ringrassio! Vi sarò devoto per tutto il resto della mia esistenza!

 

-Carrettina cara…! Ma quanto sei bella…! Visto, Kae? È pure uguale all’altra!-

-A quella che hai sfasciato ieri, intendi? Vedo. Così ci beccheranno prima-.

Ma che ingrato. E si lamenta pure…!

Mi fermo un attimo a riprendere fiato, le mani poggiate sulle ginocchia per sorreggermi.

 Scorgo Rukawa muoversi verso l’auto, raggiungendola in cima alla piccola altura. Mi raddrizzo e, per un istante, per un solo istante,  resto incantato a guardarlo.

 

Kaede si staglia davanti ad un cielo illuminato dal chiarore delle prime luci del mattino, le mani affondate nelle tasche, dandomi le spalle. Il vedere in trasparenza tutti i momenti che abbiamo passato insieme mi porta un grande senso di nostalgia.

La voglia di correre da lui e abbracciarlo forte forte in cerca di coccole è grandissima…

 

 

 

 

 

-Dio, quanto ti amo…-

 

 

 

 

 

Rukawa si volta di scatto, perplesso.

E le sue iridi brillano al chiarore lunare che sta fuggendo alle mie spalle, mentre l’aria frizzante gli arruffa i capelli.      Ma è solo un attimo.

 

 

 

 

-C… cosa..?-

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi manca tantissimo…

              Ce l’ho a due metri di distanza e mi manca tantissimo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi manca da morire…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okay, Hanamichi, riprenditi. Inventati qualcosa.  Improvvisa…!

-Eh? Ah,  mi riferivo alla macchina!  Non è un vero gioiello?-, dico in modo teatrale, -Eh, sì. È proprio fantastica! Tesoro mio, vieni dal tuo amoruccio adorato! Pciù! Pciù! Smack! Pciù!-, e mi spalmo sul cofano abbracciandolo come un idiota, accarezzandolo come un imbecille e riempiendolo di baci come un cretino.

 

-Giuro che non lo conosco…-

 

 

 

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-Dunque tu giochi a basket..-, butto lì, tanto per dire qualcosa.

Siamo partiti da cinque minuti e il silenzio in questo trabiccolo è a dir poco snervante.

Mi fa pensare troppo al momento in cui ci beccheranno. Perché ci beccheranno, eccome se lo faranno. E non voglio pensarci, cazzo. Devo levarmi di torno Rukawa, prima.

Poi potrò terrorizzarmi finché mi pare e piace.  Ma Kaede deve andarsene. O intralcerà i miei piani.

 

-Hn. Già-, madonnina,  quant’ è  loquace! Forse sta recuperando il fiato perso. L’ho già fatto parlare anche fin troppo, questa mattina. Ma non m’è parso che si stesse sforzando.

A lui, Makihara deve stare davvero molto simpatico…! Io invece lo detesto, ogni secondo  di più.

Il problema è che non posso nemmeno prenderlo a pugni…

-E com’è?-, accendo la radio. Pubblicità.

-Cosa, giocare a basket?-

-Mhm-, cambio stazione.

-Lascia-

Obbedisco.

 

-Questa canzone l’ho già sentita. È “Traveling”, vero?-

-Mh-, Kaede si rilassa e si appoggia allo schienale.

-È della.. Come cavolo  si chiama, Hikaru?-

-Utada Hikaru, sì-, risponde ad occhi chiusi, -È… Esaltante-.

-Chi, quella befana?!

-Giocare a BASKET, idiota!-.

-Ah,scusa-,  mi gratto la nuca e constato che dovrò spazzolarmi bene le extensions o mi ritroverò presto un groviglio di capelli di plastica in testa. –Avrei dovuto  capirlo-.

 

 

-…Per me è davvero importante. Stare lontano da una palla e da un canestro troppo a lungo diventa una tortura-.

-Quindi adesso stai soffrendo atrocemente…-, lo canzono.  Ma quello m’ignora, sembra in uno  stato di trance.

-Non riesco a farne a meno. Come tu continui a sentire l’impellente bisogno di parlare, io sento il bisogno di giocare-

-Stai insinuando che sono logorroico…?-

-Per me è importante come respirare-

-Mi rispondi?-

-Anzi. No. Non è il basket ad essere importante come l’aria che respiro-.

-Oi, ci sei o ci fai?-

-…Non è il basket…-, seh, vabbèh.

-E cosa, allora?-

-Non è una cosa-

-Un animale?-

-Una persona-. Kae

-Tuo nonno?-

-MA SEISSSCCEMO ?!?-

-MA COME CACCHIO FACCIO A SAPERLO, IO ?!?-

-Dio, che razza di IDOTA…!-

-CI SONO: È LA TUA RAGAZZA !-

-Hn… Più o meno-.

-Eeehehee… Sei tutto rooossso…!-,  quant’è dolsce..!

-Dan…?-

-Cosa-

-…Va’ al diavolo-.

 

 

 

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È passato un quarto d’ora e non è ancora successo niente.

Ma ci troveranno presto, questo lo so.

 

 

-Devo farti i miei complimenti, comunque-, dico  mentre  inizio ad accelerare vistosamente,

-Giochi bene…-, glielo dico o non glielo dico? Glielo dico o non glielo dico..? Ok, glielo dico.

-…Sei un vero fuoriclasse..!-

-Hm. Lo so.-

-Che modestia! Hai intenzione di diventare il numero uno del Giappone?-, chiedo scherzando.

-Andrò in America-.

A momenti sbando.

-Diventerò il migliore del Giappone, sì. E debutterò nell’NBA-.

 

 

C…che cosa..?

 

 

-Stai scherzando, vero…?!-

-…Ti sembro uno che scherza? Voglio  che sia così. E  SARÀ così-.

 

 

Non è possibile…

 

 

-E… hai intenzione di lasciare il Giappone… così? Di lasciare la tua squadra..?-

 

 

Cos’è questo nodo che sento in gola…?

 

 

-Quando partirò, la squadra si sarà già sciolta da un pezzo. Non sto parlando di domani-

-…Non capisco per quale ragione tu abbia tanta voglia di andartene tutto solo in America. Là è tutto così diverso…-, dico cercando di sondare il terreno.

-C’è il Basket. È questa la ragione.  E c’è l’occasione di poter migliorare ancora-

 

 

-E non ho la nessunissima intenzione di andarci da solo. Se poi lo sarò, non dipenderà da me-.

-…La tua anima gemella?-

-…Mhm-.

Okay. Adesso gli salto addosso e lo bacio.

 

 

 

 

 

 

-Comunque, è un’ottima squadra, la vostra-.

-Già-.

-Akagi mi sembra un perfetto capitano…-

-Hn, anche a me. Ryota sarà bassino, ma corre come una scheggia ed ha una buona elevazione. È agile e ultimamente con Mitsui fa delle acrobazie notevoli, devi vedere che passaggi…-

-Li vedo, li vedo. Guardo tutte le vostre partite. Anche se a volte non dall’inizio alla fine… Quei due hanno una grandissima intesa, mi pare. A volte sembra si leggano nel pensiero…-

-Vero. È difficile pensare che quei due un tempo si odiassero…-

-Mi domando se  quello fosse vero odio…-

-Scusa..?-

-Ooouh, niente, niente..!-.

Magari erano semplicemente come noi… la differenza è che loro sono delle vere teste calde.

Un semplice litigio e insieme, quei due, creano un mix esplosivo.

 

 

-E che  mi dici di Sakuragi? Secondo me ha fatto un mucchio di progressi, se si conta che fino a poco tempo fa era un principiante…-, avanti, dimmi, dimmi,  elòòògiami…!  Cèèèèlebrami,  esaaaaltami!  Sono un gèèènio, vero?  L’arma segreta della ssscchcquadra,  quello che frega scièmpre tuuuutti…!  Eh? Lo sono, vero?  E    ammmmèèèèèèttilooo

-Hanamichi è un imbecille-.

AAAAARRGHHH !!  MA CCCOME OSA?!?  Il sottoscritto,  re dei rimbalzi,  un IMBECILLE?  MA CHE È ?   S’ È  RINCITRULLITO ?!?  

 

 

-Quel bamboccio decerebrato non capisce un tubo-   ANCORA !?!

-È un pagliaccio. Si gasa per delle cazzate e perde tempo-.

Adesso mi fermo e lo scaravento giù dal ponte.

Dannazione, ma perché queste cose non me le dice in faccia? E chissssenefrega se questa sembra una contraddizione! Non mi dice mai quello che pensa e poi si lamenta, pure! Ma grazie!

Grazie, Rukawa, davvero! Ma vaffanculo!

-E a volte spreca le sue capacità, e questo mi manda in bestia-.

Ca..Capacità……?

-Si sottovaluta troppo, a volte. Ha un talento incredibile, lo invidiano in tanti e quello neanche se ne accorge!! Ogni giorno mi chiedo come faccia ad essere così cieco come una talpa-

-…-

-Certo, sarà un deficiente perché si lascia mettere spesso i piedi in testa dagli avversari e perché non usa mai la testa tranne che per rovinare i parquet, ma… È un elemento importante.

Senza di lui non saremmo più lo Shohoku.  Sa incoraggiarci tutti,  sa come  scatenarci quando dobbiamo ribaltare i risultati di una partita. E non lo fa con le parole. Lo fa attraverso il suo carisma. Sa trasmetterci energia. Sa come farci rinascere con una nuova forza.

In più è abbastanza forte, è rapido ed ha un ottimo palleggio. Corre veloce come nessun altro, ed ha un’elevazione incredibile. Non ho ancora visto qualcuno che salti più in alto di lui.-

 

 

-Non credi di stare esagerando?-.

Parla di me con tanta sicurezza,  senza soffermarsi nemmeno un attimo a riflettere,   che mi nasce il sospetto che ci abbia pensato così tante volte da aver  imparato tutto a memoria.

-No, credimi. L’avrai visto anche tu,no? Vabbeh, farà sempre di testa sua, ma quando vuole sa essere molto furbo e sa come bloccare gli avversari. All’inizio non si impegna mai molto. Il meglio di sé lo dà a partire dall’inizio della seconda frazione di gioco fino al termine della partita. E si impegna solo se viene provocato o  se ha di fronte avversari che riescano a stimolare la sua competitività. Ha grinta da vendere e non viene mai intercettato facilmente. Sakuragi sa essere velocissimo nelle azioni, è imprevedibile. Non è uno qualunque. Farà molta strada, se continua così…-.

-In poche parole…-, suggerisco.

-Quel ragazzo è fantastico…-.

Lo sbircio sorridendo e lui sembra rendersi conto della gaffe appena fatta.

-C-cioè… v-voglio dire…-

-Che è un ottimo giocatore, no?-

-Sì, giusto! Un ottimo giocatore, certo! Non è ciò che detto finora?-.

Dio… mi sono drogato della sua voce… Kami, devo riprendermi.

 

 

 

 

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Le sei e 29.  Ancora niente.

Sto andando a 135 chilometri orari e sto consumando troppo i copertoni, con il mio fine  modo di guidare .

L’occhio mi cade sulla luce giallo ambra di una spia che s’accende.

-Merda-.

-Cosa-, mi chiede Rukawa riscuotendosi dal torpore.

-Temo di avere poco carburante nel serbatoio…-

-Questa non ci voleva-

-Già, non possiamo andare molto lontano.  Dovrò fare benzina al più presto. O ci ritroveremo nei guai-

 

 

 

 

 

La strada davanti a noi scorre ad una velocità sempre più folle. È strano come non mi dia più fastidio, il silenzio, ora che ho spento la radio per fare dormire Rukawa.

-Forse… cioè. Magari non hanno ancora sospettato che possiamo essere scappati-.

 Ecco, come non detto.

-..Eh?-,  com’è che con Makihara non è ancora precipitato in un letargo comatoso…?

 

-Beh, …pensaci: ho solo lasciato la finestra aperta…  Voglio dire, non si può avere caldo, dormendo? Potrebbero aver pensato che uno di noi due si sia svegliato per aprire un po’ i vetri, non per fuggire. La pianta non era molto vicina alla parete dell’edificio, se ricordi. Cioè, guardiamoci: siamo due ragazzi alti e di una settantina di chili ciascuno…-

-Un metro, novantatre centimetri e quattro millimetri, Ottanta chili. Tu, al mio fianco sei un nanerottolo. E poi sei troppo magro, tu. Mangia-.

-...Sei centimetri in meno di te… e sarei un “Nanerottolo”…..?-

-Certo, tappo anoressico! Ti porterò uno dei miei piatti, un giorno o l’altro… vedrai come ti rimpinzi…!-

-………Dicevo… siamo due ragazzi DI UN’ALTEZZA CHE NON PASSA DI CERTO INOSSERVATA e di un PESO NOTEVOLE… cosa vuoi che sospettino? Che siamo AGILI come LEOPARDI?-

-Hai raggggiòòòòòòòòne…! ...... STUPIDO IMBECILLE,  MA  PERCHÉ CAVOLO  NON ME L’HAI DETTO PRIMA !?!-

-Tu mica me l’hai chiesto-.

-HO MESSO A REPENTAGLIO LE NOSTRE VITE PER NIENTE,  E  QUESTO  SOLO PERCHÉ TU NON ME L’HAI DETTO!?!!!-

-Ecco, adesso è pure colpa mia…-

 

 

 

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Sei e trentotto. La polizia non si è ancora fatta vedere.

Forse Rukawa aveva ragione. Il controllo l’avranno fatto otto minuti fa, senza dubbio.

Insomma, siamo ragazzi, no? Perché dovremmo svegliarci all’alba e fuggire, quando ci avevano detto di trattenerci solo per poco?

Perciò, certo, la nostra fuga l’avranno appena scoperta. Le sette sarebbe stato troppo tardi.

O magari la scopriranno fra dodici minuti.

Un quarto alle sette: l’orario perfetto per disturbare dei ragazzi che se ne stanno in piedi fino a tardi a malmenarsi di santa ragione perché si detestano.

 

 

 

 

-Senti, …Ru, dove è che devi andare?-, sono le sei e quarantasei.

-Perché?-

-Beh, mica potrò darti il passaggio fino all’infinito..!-,  ma che scroccone!

-Non sono stato di certo io a cercarmi questa situazione-,  ma sentitelo!

-Certo, invece! E poi come potevo sapere che mi stavano seguendo? Mica sono telepatico!-

-Ah, no?-

-No! E non ho neppure un radar! E adesso mi vuoi dire dove diamine sei diretto?-

-Tz..!-

 

 

 

Okay, Hanamichi, adesso caaaaaaaaalmati… calmati.. così, bravo…

E adesso chiudi gli occhi..Anzi, no. Non chiuderli, che  forse è meglio…   Bene, e adesso conta lentamente fino a diec..Facciamo Cento…      Perfetto…   E adesso mantieni la calma… Mannnnnnnntienila….

 

 

 

 

Sei e cinquantuno.

-Ascolta, dovrò lasciarti pur giù, da qualche parte. No?- , perfetto, Hana, stai andando alla grande! Innnsssssspira……Espira…

-Dan…?-

-Ti sei arreso, eh? Hai finalmente deciso di dirmi dove sei diretto?-

-Dan…!-

-Lo sapevo! È inutile cercare di fare resistenza, con me! E in fondo, prima o poi avresti dovuto dirmelo!-

-DAN! MI STAI SENTIRE, CAZZO!-

-CHECC’È!??!!?!-

-La polizia-

-CHECCCOOSA?!?!??-

-Cinque macchine dietro la nostra. Si sta avvicinando-.

-Merda! E ora che faccio? Fuggo a razzo o faccio finta di non averli notati?-

-Prova ad aspettare, magari non ci hanno visti…-

-Mh, non sarei così ottimista. Maledizione! Possibile che debba esserci sempre qualcosa che non va?!?-

-Dove? Nel tuo cervello o ti riferisci agli agenti?-

-Fottiti, Kaede, fottiti!-

-Scusa. Cercavo solo di allentare la tensione…-.

Rukawa che chiede scusa…a Lui-Me??? GggnnnnrrrrrrCaaaaalmaaa

-Apprezzo il tentativo, ma…-

L’urlo inconfondibile della loro sirena che si avvicina non mi fa terminare  la frase.

-Maledetti…Ci hanno beccati!-

 

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Affondo l’acceleratore e sorpasso la lumaca che ci sta davanti, poi aumento la velocità fino ad aver l’impressione di bruciare l’asfalto al mio passaggio.

-Non ci prenderanno, stavolta, no-, dico con un tono gelido e deciso parlando più a me che a Rukawa.

-E se a loro si aggiunge la berlina di ieri?-

-Senti, fammi il santissimo favore di NON PORTARE SFIGA!!!-, Rukawa ha lo straordinario potere di farmi incazzare in un nanosecondo. E nei momenti peggiori, tra l’altro!

-E comunque quelli di ieri non possono sapere dove siamo-

-Come puoi esserne certo?-

-Si sarebbero già fatti vivi, se fosse stato diversamente. Questi,  con quelli di ieri non hanno alcun legame, credimi.  Altrimenti saremmo già morti-,  mi viene la pelle d’oca solo a dirlo senza pensarci, dannazione!

-Morti?!?-.

 

 

-Sì. Quelli della berlina vogliono me, da quel che ho capito. E, con me, ci sei anche tu. Non ti risparmierebbero di certo, questo è sicuro-.

Sento Rukawa dimenarsi sul sedile ed addossarsi alla portiera al suo fianco.

-Per quale motivo ti vogliono uccidere-

-NON LO SO, Rukawa, non lo so-, devio a destra e riprendo ad accelerare. La polizia continua a starci alle calcagna. È peggio di una sanguisuga, accidenti a lei! Ma come diavolo ha fatto a trovarci?

-Non lo sai, eh? Ma a chi vuoi darla a bere?-

 

-Tu… tu non mi credi!? Quelli mi vogliono MORTO e tu NON MI CREDI ?!?-

-Io mi fido di te, Genjo. Ma credo ce tu non mi stia raccontando  tutto-.

-SE NON LO FACCIO È PERCHÉ NON SO CHE COSA DIRTI!   IO NON HO FATTO NIENTE!   ED È  PROPRIO PER QUESTO CHE MI VOGLIONO IMPALLINARE!   PERCHÉ TEMONO CHE IO POSSA FARE QUALCOSA!

-Che genere di “qualcosa”?-

-È qui che sta il problema: non lo so nemmeno io!-

 

 

 

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-Monte Fuji-.

-Che cosa…?-

-Monte fuji.  È dove sono diretto.  Devo andare là-.

-E che ci vai a fare, in montagna?-,  la polizia sta rimanendo indietro. Questa jeep è un portento.

-Beh…-

… Si ferma a pensare. Forse non vuole parlarmene.

-..Ecco, io… Io sto cercando un amico-. Per fortuna l’ho scoperto prima, altrimenti sarei andato dritto nel fosso.

-…“Cercando”?-, chiedo corrugando la fronte.   

-Lui… Beh, è scomparso da oltre una settimana, e… Sì, insomma, credo che non si trovi in ottime condizioni. Penso sia in una situazione simile alla tua. …Se non… Peggiore…-.

La polizia non si vede più.

Non so per quanto potrò ancora fuggire.     Credo sia il momento.

 

 

Accelero un’ultima e volta e sterzo bruscamente a destra, uscendo dalla strada scavalcando un fosso.

L’impatto col terreno non è affatto dolce, ma cerco comunque di mantenere il controllo del veicolo, riuscendovi alla perfezione.

È una fortuna che non abbiano ancora arato il campo lasciato incolto.

Non si noterà molto la scia dei pneumatici.

-Ma si può sapere che ti salta in mente?!? Almeno avvisami,no?-, mi ringhia Rukawa, dopo essersi ripreso.

Un’inversione e  torno indietro, viaggiando parallelamente alla strada appena percorsa.

Accelero come un pazzo, viaggiando nascosto dalle piante al di là delle quali immagino passare la polizia.  Alla fine del campo piego a sinistra e ritorno in carreggiata, avanzando ancora per poche centinaia di metri ed arrestandomi a fianco di un grosso cespuglio.

-Scendi-.

 

 

 

-C..che cosa?!?-

-SCENDI!-

-M.. ma perché…!?-

-HO DETTO SCENDI! Avanti sbrigati-

-Si può sapere che ti prende?-

-Non farmi perdere tempo, Rukawa, perché potrei diventare cattivo-

-Ma che paura…-

-Non provocarmi…-

-Io da qui non mi muovo-

-Torneranno presto, vuoi farti beccare di nuovo?-

-È proprio quello che accadrà se esco  questa macchina-

-Non se ti nascondi là-, e gli indico il campo alla nostra destra, -Dietro quella pianta-.

-Beh, io da qui non scendo proprio-.

-Oh, tu lo farai, invece…-

-Non ci penso nemmeno!-

 

 

-…So dove stai andando-,   dallo specchietto, la polizia non si vede ancora…

-Lo so, te l’ho appena detto-

-No. So CHI stai cercando. E DOVE andrai a cercarlo-,   probabilmente avranno creduto di averci ancora davanti a loro.

-Scusa..?-

-Sakuragi, non è così..?-.

Rukawa mi fissa sbalordito e confuso.

-È lui che cerchi, vero? Sul monte Fuji. Dove si trova suo padre-.

-Come… lo sai?  Chi diavolo te l’ha detto?!?-.   Uh, si sta incazzando…

-Questo-, e la lettera di mio padre piegata in quattro, nella mia mano, stretta tra indice e medio, gli fa spalancare gli occhi per mezzo secondo buono.

-Maledetto… Ridammela!-

-L’ho trovata per terra, dev’esserti scivolata dalla tasca dei pantaloni-, gli dico mentre lottiamo per il possesso del foglio, -E comunque NO, non te la darò affatto. Non è TUA!-

-Se è per questo non è nemmeno tua!-

-Dettaglio irrilevante, visto che  posso darla al diretto interessato!-

-Ch.. Che cosa? Puoi arrivare ad Hanamichi…?-

-Sì-, la rissa si ferma, -Ma tu resterai qui-

-Mai-

-T u    r e s t e r a i   q u i – gli scandisco lentamente per inculcarglielo nella testaccia vuota.

-Neanche morto-.

Alle nostre spalle ancora nessuno.

 

 

-Adesso stammi a sentire. Non ti permetterò di andare fin lassù, è troppo pericoloso-, comincio.

-C’ è il rischio di imbattersi in un orso bruno! Capisci? Anni fa ne hanno trovato uno alto due  metri e di quattrocento chili, sai? Credi riuscire a batterlo?-

Rukawa fissa incazzato il cruscotto.

-E agli orsi dal collare? A quelli ci hai pensato? Saranno molto più piccoli degli altri,  ma sono terribilmente irritabili. Incrociarne uno sarebbe PERICOLOSO!-

-È stato pericoloso anche incontrare TE-.

Lo ignoro. Anche se quel te sibilato mi ha fatto venire i brividi.

 

 

-Rischi di non avere ossigeno sufficiente per continuare l’ascesa, durante il cammino. Saresti costretto a fermarti per un giorno. Ma sai quanto tempo perderesti??-

-Con te ne ho perso un casino. Adesso sarei già là-.  Vai al diavolo, Rukawa, grazie per avermelo ricordato!

- Senti, ti uccideranno, okay? Hana ti aveva detto di non seguirlo! Ci sarà stata una ragione valida, no?-

-Tu come lo sai-

-Hn, ci conosciamo molto bene, io e lui…-

-Che intendi dire…!?-

-Quello che ho detto. Niente di più, niente di meno.  So che ti ha intimato di non cercarlo. Quindi non farlo-

-Io lo farò. Non prendo ordini da nessuno-

-Io non sono Nessuno, infatti. E nemmeno Lui. …Ma ti rendi conto che  te l’ha detto per non metterti in pericolo?-

-Non farmi prediche e ramanzine, perché proprio non ne ho bisogno! Specialmente da te-.

Mi fa paura quando sibila.

 

 

-Senza di me, non può farcela-

-Ma quanta fiducia che hai in lui…-, adesso mi sto irritando anch’io.

-Avanti, riparti-.

-Se scendi lo faccio-

-Mai-

-Mi sto incazzando, Ru. Odio perdere tempo ed ODIO DOVERMI  RIPETERE!!!-

Kaede fissa incredulo la canna del silenziatore della pistola che gli ho puntato alla fronte.

 

 

-Carina, vero? È una ventidue millimetri. Un colpo e sei morto-.

Mi gratto distratto il mento, sbirciando nello specchietto retrovisore: ancora nessuno.

Kaede sembra sotto shock.

-Non mi ucciderai-.

-Certo, che lo farò.  Se non levi quelle tue luride chiappe dal mio sedile lo farò senza tanti problemi.   Non sono uno che si fa tante pare come te, che credi?-

-Sei uno di loro… Tu sei uno di loro…! HAI FATTO QUALCOSA CHE NON DOVEVI E ADESSO TI VOGLIONO MORTO, VERO?-

-MA SEISSSCCCEMO? CERTO CHE NE SPARI, DI CAZZAT… !!!-

 

 

Un suo sputo colmo di disprezzo mi schiaffeggia una  guancia, restandoci incollato.

-Mi fai schifo…-

Ma non sto a sprecare tempo tirandomelo via. Perché abbassarsi a tanto?

 

 

-Se credi che io abbia paura della tua stupida bava TI SBAGLI DI GROSSO!-.

Gli colpisco la gola con la canna del silenziatore e resto ad ascoltarlo, soffrendo,  mentre tossisce senza fiato.

 

 

 

 

 

-…Ti… Chough!    TI ODIO… -, mi ringhia ancora mezzo soffocato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Lo so-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E mi fa male dirlo.

Tolgo la sicura e gli punto nuovamente la pistola in faccia. Stavolta miro dritto in mezzo agli occhi.

 

 

 

-E adesso scendi. La corsa è finita-.

Kaede è ancora riluttante a scendere.  Ma sembra stia cominciando a cedere.

 

 

 

Poi mi avvicino al suo viso assumendo un’espressione ancor più minacciosa,

-O ti faccio esplodere il cranio. BUM!-,  ringhio . E scimmiotto il suono di ossa e sangue  che sbattono contro i vetri e i sedili della mia auto.

 

 

 

-A te la scelta-.

Ma Kaede mi coglie alla sprovvista. Scatta in avanti e cerca di fregarmi la lettera. La lettera di mio padre.

 

 

 

Ma io sono più veloce di lui. Come  sempre. Scatto all’indietro per schivarlo e gli spingo bruscamente la testa contro il finestrino  –senza romperlo, e che cacchio!-   facendo forza sulla canna della pistola. Poi gliela conficco di nuovo contro la gola e Rukawa strabuzza gli occhi per cercare di respirare. Fisso lo specchietto retrovisore per evitare di guardarlo. La polizia non si  vede ancora.

 

 

 

 

-Mi costringi a ripetere? Lo sai che non mi piace…-, sorrido gelido.   Sembro un pazzo.

-Allora facciamo così… Eviterò di farlo.  …Passerò direttamente  alla fase successiva…  …Ti piace, l’idea, eh…?-

 

 

Premo leggermente il grilletto schiacciando la nuca di Kaede contro il finestrino.

Strizza gli occhi.  Gli sto facendo male.

 

 

 

 

 

-Tre...-.

Kaede trema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-…Due…-

Suda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-…Uno…-

Sono un pazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Clunk.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaede ha aperto la portiera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La spalanca di più e scivola giù dalla macchina con gli occhi lucidi per la frustrazione.

 

 

Ricomincio a respirare e gli ordino di richiudere il portellone. Lo sbatte con rabbia e io riparto.

 

 

 

A trecento metri mi fermo e torno indietro. 

Kaede non si è ancora mosso.

 

Abbasso il finestrino e gli sorrido da stronzo.

-Era scarica sai…?-

Le pupille di Rukawa si dilatano per la sorpresa.  Poi si riducono a fessure.   Freme di rabbia.

 

Non la pianto di ghignargli contro e comincio a dare gas.

-Torna dalla mamma. È un consiglio…-.  Poi sgommo.

Lo sento urlare di tornare indietro, se ne ho il coraggio. Ma non lo faccio.

Troppo tardi,Kaede, ormai sono lontano.

 

 

Guardo il polverone che ho sollevato,  distinguendo la sagoma di Kae rimpicciolirsi sempre più.

 

 

 

 

 

Hn, ormai non mi ferma più nessuno.   Ah, no.

Devo andare a far benzina, cazzo.

 

 

 

 

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E anche il settimo capitolo è concluso… Fatemi sapere che ne pensate!

Un caloroso “ GRAZIE..!!!”  va alle persone che hanno commentato la fic fino ad ora! A presto!

                                                                                         Kisses

                                                                                        =Angel’ s Island=

 

 

 

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Capitolo 8
*** Unexpected Run&Flight ***


Le sette e sette

 

 

 

 

 

 

Le sette e sette.

Svolto a destra e do un morso alla barretta al cioccolato che ho acquistato in un bar sgangherato vicino al benzinaio.

Spero che Kaede si sia nascosto in tempo. Non ci avranno  messo di certo molto, i poliziotti,  a capire che non eravamo più davanti a loro.

Raggiungo una bicicletta e passo oltre, levando lo sguardo verso il cielo che si sta impercettibilmente rannuvolando.

 

 

 

Kami, che noia… è palloso viaggiare da soli. 

Mi sento… Solo.  

Se potessi Tornerei indietro.

È incredibile come mi fossi subito abituato ad avere Kaede al mio fianco. Certo, litigavamo in continuazione, però…

 

Però, almeno, avevo qualcuno, con me.    Avevo  LUI,  con me...

 

Tracanno qualche sorso di acqua fresca, lasciando che una goccia  mi scivoli curiosa lungo il collo, poi ributto la bottiglia sotto il sedile.

 

 

“Vulnerabilità”...

 

 

Arraffo una manciata di patatine da un sacchetto e me la infrogno  in bocca in tutta fretta per cambiare marcia in tempo.

 

 

Ora so cosa significa.  …..Avrei voluto non capirlo.

 

 

Senza smettere di lavorare di ganasce,  sorpasso una macchina  agricola  ed evito giusto per un pelo un cane sta attraversando la strada.

 

 

Vulnerabilità ed Insicurezza.

Le mie due nuove compagne di viaggio.  Nemiche impalpabili, ma che… Insieme… Sono in grado di schiacciarti...  Qui, sotto la pelle…  Dietro lo sterno.    Ed anche  qui. Nella mia mente.   E non mi lasceranno mai, lo so.    Non fino a quando tutto non sarà finito.

 

 

Ma adesso basta rattristarsi, penso affondando le zanne in un caldo trancio di pizza,  se non la pianto prima di subito andrà a finire che perderò la fiducia in me stesso.

Nh… Mi sto rovinando lo stomaco già di primo mattino…

 

 

 

 

 

Un secco suono metallico mi fa corrugare la fronte.

Che diavolo è stato..?

Guardo nello specchietto retrovisore di destra e trasalisco: rotto.

Fisso nell’altro e mi viene un infarto.

                                                        La berlina.

                                                               La berlina di ieri!

 

 

 

 

-MERDA! MERDA! MERDA!-

Getto il cartoccio della pizza sul sedile di fianco e aumento di scatto la velocità  stringendo convulsamente il volante  e  superando un motorino semidistrutto.    Quelli mi stanno dietro.

-MA CHE CAPPERI VOGLIONO DA ME ???? NON HO ANCORA FATTO NIENTE E  GIÀ MI VOGLIONO AMMAZZARE ?!?  MA SONO TROPPO GIOVINCELLO PER TIRARE LE  CUOIA,  KAMI SAMA !!!!-

 

 

 

Mi abbasso il più possibile, per evitare di essere colpito e accelero    mentre allungo un braccio per accendere la radio.  È impensabile che io riesca a fare cose simili in un momento del genere… Ma il fatto è che la solitudine si fa sentire.  Ed io non posso ascoltarla.   Non devo.     Non ora.

 

 

Sintonizzo la radio sulla frequenza nazionale   –“AVEX-Club Beatfreak”, leggo di sfuggita sul display–,  e dalle casse si diffonde una canzone che adoro.

È una ragazza a cantare.  È una melodia dolce,   ma animata da un ritmo rapido,   uno di quelli che ti fanno sentire forte,  come se esplodessi dentro.

Di quelli che ti fanno ribollire nel sangue una gran voglia di correre veloce,  veloce come non mai,   su una strada,   lungo i sentieri,   nell’acqua o in cima alle montagne…   In mezzo ai boschi e nelle praterie… Lungo i margini dei laghi oppure verso il sole…   Verso la luna e le stelle e ancora,  ancora,  ancora,  da solo…  Tu e nessun altro,   tu e il mondo,   tu e l’universo,   tu e tutto…   Di giorno e di notte,   all’alba e al tramonto,   correndo,  correndo e correndo…   Sull’asfalto e in mezzo ai prati,   creando una scia d’erba,  di fiori,  di steli e di foglie che si scatenano al  tuo passaggio,   che ondeggiano e giocano…  E l’aria ti scompiglia i capelli,   ti accarezza la pelle,   ti sferza il viso…   Ma tu non ci badi perché corri,  corri, e corri senza fermarti…  Sfrecci, tu e  la tua ombra,  mentre il sole ti gira intorno…  E voli, voli, voli senza riposarti mai,  non finché durerà la canzone,   perché è quella a darti energia,  la stanchezza non conta,   corri e corri fin sopra le nuvole, verso la luce,  e lo farai per sempre,   perché la musica non finirà mai…

 

 

 

Rinsavisco dal mio delirio giusto un attimo prima di sentire uno sparo  seguito da altri, i cui fragori si confondono con una serie di tonfi secchi mai sentiti prima d’ora.

Resto in ascolto, la concentrazione al massimo, accelerando  impercettibilmente  sotto l’influenza contagiosa della canzone.

Poi capisco.

Sono  frastuoni di revolverate  misti ai rumori di  proiettili che non giungono a destinazione.

E le mie labbra si deformano in un ghigno: quest’auto non è uguale alla precedente.  E non lo è perché di colpi non ne incassa neanche uno.

Rido, incredulo, a labbra chiuse.  È troppo bello per essere vero… Grazie, Heizo.  Grazie davvero. 

E la mia risata si fa fragorosa, per sfogare tutta la tensione delle ultime ore.  Sono felice.

Pur avendoli alle calcagna,  posso trascorrere qualche minuto lontano dalle preoccupazioni.

Perché finché resto qui dentro…

 

 

 

                                                             Finché resto qui dentro…

                                                                                           … La mia vita è al sicuro.

 

 

 

 

 

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V e n t i    m i n u t i.

No, dico.    Venti minuti!    SONO  VENTI  DANNATISSIMI  MINUTI  CHE  QUEGLI  STRONZI  SE  NE  STANNO  APPICCICATI  AL  CULO !!!!

E non hanno la  benché minima intenzione di scollarsi! GGGNNNNRRRRR….

Sto cominciando a perdere la pasiensaUffffffaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa…….!!!!

E non c’è neanche Rukawa a farmi sbollire la rabbia.  Porca paletta!

 

 

 

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Sette e mezzo.    Adesso mi sono rotto.  Mi sono VERAMENTE  rotto!

Ragassi miei…, è ora che rimaniate indietro.

 

Accelero come un matto, superando un camioncino che avrà almeno vent’anni. Voglio proprio vedere se la loro strafottutissima auto riuscirà  a tenermi testa!

Dopo due chilometri lascio la strada principale, dirigendomi verso un paesucolo  che neanche sapevo esistesse. La distanza che mi separa dalla berlina è minore di quella che  speravo.

 

 

-Pezzi di mentecatti…!-

Devio a destra, ma a quanto pare oggi la sfiga deve volermi davvero tanto bbbèène, perché  quasi non inchiappetto un veicolo strascassato che procede alla velocità di una carriola.

La via è troppo stretta, e mi cresce un demone per capello perché, costretto a svoltare in un sentiero sterrato, finisce che mi riporto sulla strada principale.

E, come se non bastasse, quelli della berlina sembrano delle ventose con tanto di bostik! Fortuna che “I like big butts” di Sir Mix A Lot o qualcosa-del-genere che mi sta assordando le orecchie mi tiene sveglio e con i sensi iper all’erta.

 

 

 

Davanti nessuno. Perfetto.

Affondo il piede sull’acceleratore fino ad andare a tutta birra, arrivando a viaggiare così rapido che i pali dei lampioni mi scorrono a fianco ad una velocità indicibile.

Sorpasso un vecchio catorcio color cacca d’oca, rischiando per un soffio una frontale con un povero disgraziato (!) che proviene dal senso opposto  e,   non so come né perché,   ma,   mentre guardo il sole,   mi ritrovo a desiderare Kaede.  Qui.  Accanto a me. 

-Kami, quanto vorrei che fosse quaaaaaaaaaaaaaAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!!!!!!!-

 

 

 

H….H… hhhopppporcamiseria…!

-BRUTTO  BASTARDO !!! MA CHI DIAVOLO TI HA DATO LA PATENTE , EH ??!? SI PUÒ SAPERE ?!?  CHE CAZZO VIENI FUORI DA QUELLA STRADA,  CHE STAVO PASSANDO IO!!?! CAMION DI MERDA !!! ma io ti riduco a PEZZEEEEEEEEEEEEEEEEETTI!!!-

Hn, sì.   …Forse avete ragione. 

È inutile sgolarsi contro il proprio parabrezza.  Tanto quel demente rimbecillito non mi riesce a sentire.

Ouff…! Stavolta mi è andata bene,  ho sfiorato solo il suo paraurti.

Mi getto in  un sorpasso azzardato alla sinistra del veicolo e quasi non gli taglio la strada svoltando a folle velocità in una strada secondaria.  Devo seminare quei dannati.  E speriamo che questa sia la volta buona. 

 

 

 

Poco prima del centro giro di nuovo rischiando di tirar sotto una vecchietta sdentata  come il baciapiselli, poi devio a destra in una strada sterrata, sfrecciando a fianco di un campo coltivato.

La berlina resta indietro.

Ottimo.

 

In paese schivo per miracolo un pulmino col giallo vomito che si mette a lampeggiare e strombazzare come un forsennato. La padella bianca al volante doveva essere la faccia sconvolta dell’autista.

 

 

Faccio uno slalom da guinness dei primati zigzagando tra la gente in giro per il borgo notando come  i vecchi che oltrepasso sbraitino  sputando peggio del Gori quando diventa una bestia (cioè sempre).

Mentre le donne starnazzano come galline, un carabiniere si sbraccia a tal punto da farmi temere che perda gli arti da un momento all’altro e la berlina continua a farsi  strada tra le persone che si spostano al mio passaggio. Maledizione!

 

 

Dopo aver sorpassato un furgoncino alla velocità del pensiero,  svolto a destra, ritrovandomi a cento metri da un vecchio rincretinito che mi fissa con la stessa espressione di Fuku-verme.

 

-LévatilévatiLEEEEVATIIII !!!!-.

Facendo acrobazie tali da auto-convincermi ad intraprendere la carriera di circense,  riesco ad evitare l’infrollito vegliardo,  lodandomi delle mie grandi abilità di genio.

Schivo due anatre, un cane, uno su una bici con le ruote ovali (toh, sembra quella di Rukawa…!) e alla fine giro a des..traaaaaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!!!!!!

 

 

 

KRASCHHH!!!!

 

 

 

Azzardatevi a fare qualche commento e vi spacco la faccia.

PORRRRCAMISERIAMASONOUNIDIOOOOOOOOOOOOOOOTA ! ! ! ! ! ! !

Visto? Ci penso io a urlarmi dietro.  Che imbecille decerebrato.

 

Arraffo il portatile ed esco dall’auto scansando con le  mani l’air-bag che velocemente si affloscia.

Salgo sul cofano e salto, arrampicandomi come un impedito sul muro in pietra in cui sono ACCIDENTALMENTE  incappato.

 

 

Una volta sceso dall’altra parte con l’agilità di un gatto (veramente sono cascato come un sacco di patate lesse, ma questa è una quisquilia assolutamente IRRILEVANTE),  mi metto a correre come  un invasato tra la folla (ma proprio oggi doveva esserci il MERCATO?!?)  facendomi largo a gomitate. Nel girarmi un istante vedo quattro uomini vestiti di nero scendere dal muro.

 

 

Quando mi accorgo che mi stanno raggiungendo riesco a trovare il modo per correre più veloce.

No,  non sto immaginando di raggiungere il Porcospino durante una partita per piazzarmi in difesa; sto pensando a qualcos’altro. 

Avete mai  provato con un cane mastino, un pitbull con la bava alla bocca, un alano, un elefante e  un facocero,  tutti che sbuffano come rinoceronti  incazzati come delle vipere? Provare per credere, funziona alla grande…

- LLLLLAAAARGOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! –

 

 

 

 

-Oh, scusami tanto!-, dico ad un fruttivendolo mentre faccio cadere alcune casse dietro di me per far rallentare la corsa a quei bastardi.

Corro basso per nascondermi alla bell' e meglio e, una volta fuori da quest’ammasso di persone vedo un bimbetto che sta togliendo la catena ad una bici.

-Ohmachebellllllla, questa la prendo io, grazie! Te la lascio più avanti,eh? Promesso!-, e  monto in sella sfrecciando come un matto fino ad aver l’impressione di dar fuoco alle ruote.

Saetto a casaccio per le vie scansando per miracolo la gente ed accertandomi di non essere seguito.

Quando torno a fissare davanti a me, mi viene un infarto.

-MERDA, LA POLIZIA!!!!-

 

 

La evito girando a sinistra, con la fortuna che quella è a piedi.

Dopo due vie la mia corsa s’interrompe. 

Una ruota finisce in una buca e io mi ritrovo per aria, stile Rukawa, ad urlare qualcosa tipo  “sto volaaaaaaaando!!”  finché non m'incastro con le spalle in una macchina.  Ma che scalogna iettatrice..!

Fortuna che il finestrino era abbassato…! Beh, almeno ho mantenuto la promessa appena fatta.

 

 

 

Puntandomi con i talloni e venendo indietro di culo riesco a liberarmi da ‘sta disgraziata de ‘na carretta e me la svigno a gambe levate giusto  in tempo.

Filo come un forsennato lungo altre vie, ma la sfiga vuole che io mi ritrovi in un vicolo cieco.

-MALEDIZIONE!-

Mi guardo intorno e vedo una scala a pioli in metallo: ottimo!

-Scaletta mia, quanto te vojo bbbèène!-.

 

 

Salto, mi tiro su (cristo, ma quanto peso!) e mi ritrovo sul tetto. Più che tetto sembra una terrazza, ma ora come ora non ho molto il tempo di osservare ogni dettaglio di ciò che mi sta intorno, quindi….  QUINDI SCAPPO, NO????  SVEGLIA HANAMICHI,  DATTI UN MOSSA!!!!!!

Okay. Respira profondamente e concentrati, bello mio. Stavolta si fa come nei film. E niente controfigure, purtroppo! Perciò, o la va, o la va lo STESSSSOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO ! ! ! ! ! ! !

 

 

 

 

Wow, ce l’ho fatta! Roba da matti.

Corro sul tetto della casa di fronte  e torno nel viottolo  attaccandomi alla ringhiera del balcone  su cui mi sono gettato. Un bel balzo, non c'è che dire! Se non altro ci sono abituato.

Mi precipito come una scheggia nella via successiva, ma la polizia  mi blocca la strada  costringendomi a tornare alla svelta sui miei passi e proseguire dritto.

Le cose si complicano, però. Non avevo contato i cittadini.

Adesso sono dalla loro parte, e i più grandi e grossi hanno la maledettissima idea di unirsi a loro per la caccia del sottoscritto.

 

 

 

Uno mi si para davanti, ma riesco a scansarlo con uno scatto improvviso. 

Non ho mai corso così a lungo e veloce in tutta la mia vita.

Le gare  che facevo a scuola, al confronto non sono niente.  Qui è tutto diverso.

C'è la tensione dettata dalla paura, adesso.   Serve una perfetta lucidità e dei  riflessi prontissimi.

E c'è la  mia  libertà in gioco.

La milza si fa sentire, ma devo continuare a correre.   O per me sarà finita.

 

 

 

 

Via chiusa pure questa.  Porca puttana.  Non ho scelta.

Mi arrampico su un davanzale e do una spallata alla finestra, gettandomi nello stanzone in cui mi ritrovo.  Lo attraverso alla velocità della luce e guardo fuori da un'altra apertura: una strada, perfetto.

Mi lancio dalla finestra infrangendo i vetri in mille pezzi, rotolo sui sassi e rialzandomi di scatto riprendo a correre.   Mi sono tagliato un braccio, maledizione!

 

 

 

 

Ma porca miseria, non è possibile!

Un'altra strada senza uscita! Mi rigetto in un altro edificio, salgo una rampa al lato opposto dello stanzone e mi ritrovo fuori dalla porta.

Sono  su un pianerottolo striminzito che dà su dei gradini formato mignon, e la scalinata è priva sia di ringhiera sia di corrimano.

La cosa non mi darebbe il benché  minimo fastidio, se non fosse che mi ritrovo davanti tre energumeni che sembrano desiderarmi nello stesso modo in cui un branco di Piranha attende  che una scimmia piova dal  cielo cascando da un albero che  sporge su un fiume...

 

Il primo lo stendo al primo colpo, con una delle mie craniate micidiali.

Ma  aveva la pellaccia dura e alla mia stanchezza si aggiunge il mal di testa.

È solo per un istante, ma basta a distrarmi e a costringermi ad incassare un forte pugno nello stomaco.

Questa volta la fortuna è dalla mia: la mia colazione finisce in faccia al mio aggressore, e il chick-boxer da quattro soldi in questione  piomba giù dal pianerottolo con l'osso del collo spezzato.

 

 

 

Pulendomi il mento, fisso in cagnesco l'ultimo che rimane.   Uno scatto fulmineo e il mio pugno gli spacca il setto nasale facendolo rotolare giù dalla gradinata in preda al dolore.

Mi riprendo un attimo poi mi butto nella piazza, fra la gente ancora troppo sconcertata per reagire.

 

 

 

 

 

 

 

All'inizio di una strada mi trovo di fronte uno dei tipi della berlina.  

Ho il fiato corto e sono a pezzi, ma mi basta ricordare cos'hanno fatto alla mia "vecchia" auto per farmi uscire nuovamente  dai gangheri.

Noto una cassetta di bottiglie di vetro  all'angolo della strada e, approfittando del fatto che lui è disarmato, ne agguanto una e gliela frantumo dritta sulla faccia, proprio mentre un secondo uomo in nero arriva in aiuto dell'altro.

Estrae qualcosa dalla tasca della giacca, ed io intercetto l'oggetto facendoglielo volare di mano con una pedata: una pistola.

Il tizio si getta sull'arma per afferrarla, ma io, grande genio insuperabile quale sono, con un piede gli schiaccio la  mano giusto in tempo, assestandogli poi un potente calcio in faccia.

 

 

Fuggo in fondo alla via e ne imbocco altre due, scaraventando contro un muro un uomo che mi si è parato davanti.  Poi… Poi mi trovo  davanti il terzo tipo della berlina.

 

 

Impugna saldamente un coltello con il quale sferza l'aria a grande arcate, quasi fosse una scimitarra, ed io non esito a saltare e ad assestargli un bel calcio nei paesi bassi.

Gli pianto un cazzotto sul mento scaraventandolo contro la parete e mi fermo cercando di riprendere fiato.

I polmoni mi bruciano, stanno letteralmente esplodendo. Kami, non ce la faccio più, sono distrutto.

Lo stronzo si riprende in un attimo, ma io non sono da meno.   La mia testata parte come un proiettile, e il naso di quel gran pezzo di merda rientra in quella  faccia da culo che si ritrova. L'uomo si piega in due dal dolore ed io ruoto su me stesso sferrandogli un calcio sul collo.

Heizo, devo proprio darti ragione: le tue tecniche sono  infallibili!

 

 

 

 

Riprendo a correre ormai col fiatone e dopo due minuti mi trovo faccia a faccia col quarto uomo. 

Nel pugno stringe una semiautomatica e non sembra farsi tanti problemi a sparare.

Impallidisco cercando di farmi venire qualche idea, ma il tizio si accorge di qualcosa e schizza via come una scheggia.

La via intorno a me comincia ad oscillare e a sfuocarsi e mi volto barcollando in preda alla confusione,  sforzandomi di resistere per vedere cosa lo ha indotto alla fuga.

Peccato che mi ritrovi la canna di un'arma d'ordinanza puntata giusto in mezzo agli occhi.

MERDA.      MERDA!!!!!!

 

 

 

-SE  MI  AMMAZZI, cosa che ritengo alquanto impossibile, TI  BECCHI  L’ERGASTOLO.  E se provi a fuggire  TI  AMMAZZO  IO, chiaro? Sono un POLIZIOTTO, frocio fottuto!

Un POLIZIOTTO, HAI  CAPITO ?!?-.

 

 

 

 

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TUTTO, giuro. Posso sopportare tutto, ma non questo.  Non un altro.

Non un altro interrogatorio, dannazione, questo no!

-Senta, io..-

-No-

-No cosa?!-

-Non fare tanto lo strafottente con me, tu! Non è giornata di rompere i marroni, questa- . Appunto…   

-NO non ti lascerò andare, NO non ti considero innocente e NO, non me ne frega un cazzo di quello che hai da dire. Ci siamo capiti? Spero di sì-.

-Ma io non ho fatto nient…-

-Allora non ci siamo capiti-, fisso i suoi baffi neri screziati di grigio vibrare ad ogni sua parola, -Ho detto che NON ME NE FREGA UN CAZZO, te lo sei già scordato?-

Questo sgabello è strascomodo. E dondola, anche. Non è giusto che  quello stronzo ben vestito se ne stia spaparanzato su una sedia in pelle!

E continua a fumare come un turco, pure! È un’ora e mezza che  mi tiene qui dentro e  mi sta venendo la nausea. 

 

 

-Hai ucciso UN UOMO, ricordi…?-

-…Scusi?-

-È stato trovato nella piazza grande, in paese. Morto.  A causa tua.  E le persone che possono testimoniarlo non sono poche…-

Poi ricordo.

-Mi stia a sentire signore.  Dei tizi mi stanno dando la caccia per non so quale motivo. E  sembra che la gente faccia di tutto per fermarmi e farmi ammazzare. Io non l’ho neanche toccato quell’uom…-

-Ah, no?-

-NO! Mi ha piantato un cazzotto nello stomaco e gli ho vomitato addosso! Se poi lui si è lanciato all’indietro, questi saranno affaracci suoi! Se l’è cercata da solo, la colpa non è mia!!!-

-Cristo, non ho mai sentito dire delle simili sciocchezze…-

-MA  È  LA  VERITÀ..!!!-

L’agente sembra sul punto di ribattere, ma qualcuno bussa alla porta, e la sua attenzione si concentra all’entrata alle mie spalle. Abbasso gli occhi, intreccio le dita delle mani e  mi curvo in avanti,  i gomiti poggiati alle ginocchia,  in ascolto.

Il poliziotto non dice nulla, aspettando semplicemente che la porta si apra.  Poi una voce che non ho ancora sentito.

-Mi perdoni per l’interruzione, signore, ma ho qui il rapporto del medico legale..-

Un tizio magro come uno stuzzicadenti mi passa a fianco e gli si avvicina ad un suo cenno.

 

 

-Che cosa dice?-

-..Non ha riscontrato alcun segno di colluttazione, all’infuori della frattura di due vertebre del collo e ovviamente del cranio, a causa dell’impatto col terreno-.

-Visto? Io quell’uomo non l’ho neanche toccato!-

-Primo:  nessuno ti ha interpellato.  Secondo:  per ucciderlo bastava una semplice spinta.  Terzo:  sta’ zitto o quella tua faccia da schiaffi si ritroverà con un bel buco fumante in testa-.

Hn. C’è puzza di piscio, qui dentro.

 

 

 

 

 

 

 

-Per quale motivo ti trovavi in questo paese…?-

-Per puro caso-

-“Puro caso”…? Aahhh… E  magari t’aspetti anche ch’io ti creda…-

-È quello che dovrebbe fare, sì-.

C’è qualcosa che mi sfugge…

-Puro caaaaaaso… Dio…!- .  

Ora che lo guardo…

-È la verità, signore. Se poi lei non mi crede, vuol dire che come poliziotto fa davvero  schifo-.

                                 Quest’uomo l’ho già visto… ! 

                                                                      Ma DOVE…?

 

 

Quello si alza  ignorando la mia provocazione   e  mi gira intorno, fermandosi alle mie spalle, la sua bocca deformata in un ghigno. 

 

 

                                                                       Non riesco a ricordalo… Maledizione!  Il Tensai non sbaglia, mai! Com’è possibile…? Avanti Sak, spremiti le meningi!!! Dove cavolo hai già visto questo gran pezzo di merda?!??  Eh?    Dove?        Dove??       DOVE?!?!?!?

 

 

Resto a fissare, ipnotizzato, la sua sigaretta che è rimasta poggiata al bordo del portacenere, a fumarsi da sola.

-Sei cocciuto, ragazzo…! Non demordi, eh?-

 

Sento frusciare la sua divisa. Poi percepisco con disgusto il suo alito e il suo tanfo sul mio collo, mentre con le manacce grassocce mi artiglia le spalle stringendole in una salda e sgradevole morsa.

-Sei testardo come un mulo, vedo…-,   mi sibila in un orecchio,   -Un vero osso duro deciso a non parlare…-.

Guardo la cenere cadere in silenzio e sorrido gelido, tanto per ricordargli che non ho assolutamente paura di lui.

Quest’uomo mi irrita.   E  basta.   Mi fa saltare i nervi.

 

-…Ma sai… Posso farti diventare docile in poco tempo… Sarai mite come un agnellino… molto presto…-.

Un ricordo mi balena nella mente.  Ma è solo un istante, ed io non riesco ad afferrarlo.

Questa  voce …    Queste  parole …

 

-Con tutto il rispetto, signore, ma credo che questo sarà difficile. Io   sono  come sono. E resterò tale-.

-Come vuoi, ragazzo. Ma non resterai Qui…-

Finalmente l’ha capito!

-Un arresto provvisorio non te lo risparmia nessuno, visto che non ti decidi a vuotare il sacco…-

 

-CHECCOSA?!?! Ma perché?!?  Non ho fatto niente! Devo andare da mio padre! Ha bisogno di me!!! Lei così mi mette nella merda!!!!-

-Sono spiacente, ma il termine non mi è famigliare…-

-Beh, allora dovrebbe viaggiare di più,sa? O sennò perché non si guarda allo specchio?!? Capirà immediatamente che voglio dire!!!!-

 

L’uomo torna dietro la scrivania, e resta a guardarmi con aria di sfida.

-Ragazzi,-, chiama. E i due agenti che  erano rimasti a sorvegliarmi stando vicini alla porta vengono verso di me, fermandosi al mio fianco.

-…Voglio che  sia  trasferito al carcere di Fukuoka. Qualche giorno là dentro non può fargli che bene…Io devo proseguire con le indagini, in centro-,  e  mi rivolge uno di quei ghigni che mi fanno ribollire il sangue nelle vene.

E il ricordo di prima riemerge per riaffondare subito  nella confusione che mi mareggia in testa.

 

 

-No… Per favore NO!!!-, mi dimeno inutilmente, bloccato dai due poliziotti che mi tengono fermo, -DEVO ANDARE DA MIO PADRE!    LUI HA BISOGNO DI ME!!!  MIO PADRE  HA BISOGNO DI ME!!!!!!!!!!!!!-, 

Mi è tornato in mente Quel giorno di due anni fa.  E gli occhi mi bruciano insopportabilmente.

 

 

-Certo, certo… E dimmi, di grazia… Dove si trova, tuo padre? In un ospizio per  pazzi furiosi come te…?-

-In montagna… Si trova in montagna, sul Fujiyama…-, cerco di riprendere fiato calmandomi un attimo.

-Ah,si..?  Non so perché,  ma lo sospettavo… Beh, non andrai fin là, ma starai ugualmente al fresco… Non hai di  che lamentarti… No?-

 

 

                                  Ancora quella voce… 

 

 

-Avanti, portatelo via-.

-NO!  MIO PADRE STA MORENDO!  HA BISOGNO DI ME! HA BISOGNO DI ME!!!!!!!!!!!!!!  LASCIATEMI ANDARE!!!  È MIO PADRE, DANNAZIONE! LASCIATEMI ANDARE!!!  VI PREGO, SI STRATTA DI MIO PADRE!!! MOLLATEMI, MALEDIZIONE!  LASCIATEMI STARE!!!!-

 

-Oh, dimenticavo…-, la sua voce mi costringe a calmarmi una seconda volta per stare ad ascoltarlo mentre vengo trascinato verso la porta.

Lo fisso torvo stando ad un metro da terra, ormai quasi parallelo al pavimento, a furia di dimenarmi.

-…Bei capelli… SAKURAGI….-     e  , mentre i poliziotti mi portano via dal suo ufficio,  il suo ghigno muta in una grassa risata colma di cattiveria.

 

E poi… Poi il ricordo torna a galla.

E stavolta lo vedo. Limpido come la neve sotto un sole invernale in una giornata senza nuvole.

E le mie urla di frustrazione servono solo a farmi stare ancora più male.

Quell’uomo… Sapeva chi ero.

 

Era lo stesso individuo che avevo trovato in casa mia…

 

 

 

 

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-A che ora hai detto che arriva, l’aereo?-

-C’è ancora tempo, c’è ancora tempo-.

Osservo due dei quattro agenti che mi scortano parlare fra di loro.

-Merda, dovrei andare in bagno-, dice quello alto.

Si voltano verso di me e mi fissano strano. Hn, se credono che scappi si sbagliano di grosso. Mi stanno sopravvalutando.  In questo caso. 

Tentare una fuga sarebbe da stupidi, adesso.  Specialmente perché con le manette sarei costretto a correre come una papera.  E il genio non si abbasserà mai a tanto. Storco il naso in una smorfia sprezzante e mi volto  sullo sgabello girevole, poggiando i gomiti sul bancone  del bar.

Se solo scivolassi mi sarebbero addosso in un baleno;  la mia corsa sarebbe vana. E poi c’è troppa gente. Devo aspettare, è l’unica soluzione.

-Vai pure. Sbrigati-, concede il tappo accompagnando il suo discorso con un cenno della testa.

 

Uffa.

 

 Che noia…       

 

Questo aeroporto fa schifo. Definirlo improvvisato è a dir poco perfetto. Le indicazioni sono assenti e comunque difficilmente rintracciabili. Se ci sono. E le poche botteghe striminzite che vedo  sembrano vecchie di cent’anni. Altro che aeroporto… questa è una catapecchia! La cosa più bella che c’è.. È  questo bancone in granito blue cristal.  Che non ho ancora capito che diavolo ci faccia in Giappone.   In un posto simile, tra l’altro.    Bah, che mondo anomalo.

 

 

Tutt’intorno lo spazio è affollato di gente che si dimena, urla, impreca… Eppure, tutto questo brusio  non mi mette addosso alcuna agitazione.

Credo che questo piacevole vantaggio sia dovuto al fatto che  ho  capito di dovermi aspettare di tutto, da adesso in avanti.   Sorrido  rilassato.  È  bello starsene in uno stato catatonico, ogni tanto.  Non ho voglia di sentirmi teso né di percepire l’adrenalina scorrermi nelle vene. No… Per quello c’è tempo…

Distensione totale: è questo, quello che ci vuole.  Me lo merito.      Ero esausto.

 

 

Appoggio il mento su una mano e  mi guardo intorno.  A quanto pare oggi è il giorno in cui i piloti hanno scelto di scioperare…! Tutti i voli interni sono stati sospesi, e la compagnia giapponese assicura unicamente saltuari collegamenti con la capitale. Beh, questo, comunque, non è un problema mio.   L’uomo che piloterà l’aereo che mi porterà dritto in carcere, a quanto pare, vuole fare gli straordinari.

 

 

Lo stangone è già di ritorno e si rimette a parlare fitto fitto con il collega nano lanciando, di tanto in tanto, un’occhiata nella mia direzione.

-Il suo volo parte fra due ore…  Ha fame…?-

Trasalisco e sono costretto ad uscire dal mio torpore. Un’agente mi si è seduta di fianco e ha ordinato da bere.

 

-Oh, vedo che qualcuno si interessa a me…-, constato ironico con un debole sorriso.

La ragazza ride con gli occhi che brillano. Quando la sua risata si affievolisce, il suo volto resta gioioso, le iridi blu screziate di verde fisse nelle mie.

-Un bel pezzo di pizza non mi farebbe male, in effetti…-, rispondo in un soffio  sorridendo a mia volta.

Lei assume un’aria imbarazzata e si porta una ciocca di capelli dietro un orecchio.  Ha un solo orecchino, al lobo destro,  che termina con un piccolo pendente a forma di croce.

-Non ho tanti spiccioli con me… Credo proprio che dovrai accontentarti di un tramezzino…-.  

C’è ilarità sul suo viso e i suoi modi di fare fini e decisi al contempo mi attirano. Non si direbbe che lavora nella Keisatsu.

-Vada per il tramezzino, allora-, accetto ricordandomi poi di ringraziare.

La osservo parlare con il barman e resto incantato a guardare la sua pelle da bambola di porcellana,

le guance imporporate di una lieve sfumatura rosea.

 

 

-Buono?-, mi  chiede  sorridendo.

-MmmmmScì!-, ho la bocca piena e mi sto divorando il panino come se non mangiassi da una settimana. 

-Sono passate solo alcune ore da quando mi sono ingozzato di schifezze, ma è bastato addentare un boccone di questa delizia per ricordarmi quanta fame avessi.  Di buono c’è anche il cibo, in questo tugurio. Dovrò ricordarmelo…!-

La ragazza scoppia a ridere, ma non riesco a capire se è per ciò che ho detto o se la divertono le mie smorfie mentre mangio.

-Ouh… Agente Hoshi, non mi ero ancora presentata..!-

Faccio un lieve inchino,  stupito della sua gentilezza. E di nuovo vengo rapito dal suo sguardo.

Ha occhi intriganti …magnetici, incorniciati  da lunghe ciglia nere che danno un che di seducente a qualsiasi espressione assuma.

-Sono Genjo Makihara, lieto di conoscerti..-

-Oh, lo so. Ho visto la tua carta d’identità! Oh, giusto. Ecco…Tieni-,  e me la porge,  -Ormai  a noi non serve più, abbiamo già i dati che ci servono!-

-Ah, sì.  Grazie-.

Non riesco più a capire se continua a fissarmi così perché mi trova simpatico o se mi sta prendendo in giro  perché mi trova ridicolo.

 

 

-Allora, che hai fatto di così tremendo per meritarti un soggiorno al fresco?-

Torno a sbirciarla.   Mi sta guardando in attesa, un sopracciglio alzato, una guancia appoggiata ad una mano, per sostenersi. E ancora quel sorriso che le increspa le labbra umide e carnose…

-Niente…-

-Niente???-, la Hoshi è chiaramente  sorpresa, poi scettica.

-Sono partito per andare in montagna…-

-Quando?-

-Kesa-, mento,   -Sarò partito alle..  Boh, alle sei e venti, credo… E dopo un po’ ho visto che eravamo seguiti dalla macchina di ieri e…-

-Ieri?-, mi volto verso il quarto collega, due metri suonati per almeno un quintale e venti di peso, che si è seduto sullo sgabello dall’altro lato, facendolo scricchiolare.  Un tipo dall’aria bonaria, ma decisamente forte, sicuro di sé e orgoglioso del suo lavoro. 

-Già…-,  e va bene non ce la faccio a mentire.

  cominciato tutto ieri sera. Sono uscito di casa e lungo la strada ho dato un passaggio a uno perché  mi faceva pena vederlo mentre s’inzuppava di pioggia…-

-Hm…-, la ragazza mi fa cenno di continuare, come a farmi capire che mi sta seguendo. Non che ci voglia tanto…

-Dopo cinque minuti la mia macchina è stata impallinata di proiettili. Eravamo seguiti da una berlina nera… Siamo riusciti a seminarla per un breve tratto, poi ho deviato in una strada che ci ha portati in un paesino. Là ho perso il controllo del veicolo e un cittadino, un poliziotto anche lui, ha aperto il  fuoco a quelli della berlina.  Lo  hanno  ammazzato.-

-Dici sul serio?- Le rispondo con un cenno affermativo.

-Allora so com’è andata. È l’articolo che abbiamo letto sul giornale…-, accenna all’amico.

-Cristo…-, mi giro verso il gigante e mi mostro pienamente d’accordo con lui.

 

-La polizia di quel borgo ci ha tenuti sotto sorveglianza in un albergo… Ma ho preferito scappare… Dovevo andare da mio padre. Quelli mi avrebbero fatto perdere del tempo troppo prezios…-

Le dita fresche di una mano affusolata che si appoggia al mio polso mi bloccano,  in preda ai brividi.

-Aspetta, aspetta… Tuo padre..? Perché tuo padre?-

-Racconta con ordine e dall’inizio per favore. Era da lui che stavi andando?-, mi chiede il collega. 

-Mh.  È stato nella polizia per molti anni, poi è passato nella sezione anticrimine e infine  ha anche lavorato come infiltrato,  per la sicurezza. Lo è tutt’ora.-

-Wow…-, sussurra la Hoshi.

-Continua-, mi ordina l’altro.

-Sì. È  stato in montagna, in un posto dove… Beh, ci facevano esperimenti anche sulla gente, là dentro e…-

-Sì, ne ho sentito parlare spesso…-, ricorda l’omaccione pacioccone. E io mi ritrovo a sorridere per questa rima strampalata.

  ancora là. Non lo vedo da quasi due anni. Ho scoperto il lavoro che faceva solo due settimane fa, capite?  Lui… lui era morto! Due anni fa lui era morto!!!-, incrino le sopracciglia con voce tremula, ancora incapace di credere al gran casino in cui mi sono ritrovato da un giorno all’altro.

-In che senso “morto”… Se è ancora là?!?-

  morto due anni fa sotto i miei occhi. Poi, una dozzina di giorni fa, ho ricevuto una telefonata.  Ed era lui.…-.   Resto un attimo in silenzio, intrecciando le dita delle mani mentre nella testa scorrono ricordi confusi.

Spiego vagamente come si sia conclusa la telefonata e della sua lettera che ho trovato.

-Hm… Bella storia!-, commenta il poliziotto alla fine.

-Già. Peccato  che  non lo è-

-Bella, eh?-

-No, una storia-.

L’energumeno mi fissa impassibile. Deve aver pensato che stavo raccontando una gran balla…

-Il vostro capo è coinvolto in tutto questo, comunque-

-Che dici!?!-, ora è la  Hoshi, ad essere scettica.

Allora decido di accennare vagamente al tizio che avevo visto in casa mia e del fatto che l’ho riconosciuto poco fa, in questura.

-Lui sapeva chi ero, capite? Sapeva che  ero il figlio di mio padre…!-

-Beh, ovvio……-.

Sbirciando di sottecchi la ragazza al mio fianco, capisco che mi sta prendendo per i fondelli.

-Beh, era chiaro cosa intendevo!!!-

-Si, scusa,- , ride, poi si rivolge al collega:   -Io avvierei qualche indagine, su quello…-

-Ehi.  Il capo è il capo…-, la frena lui. –Se lo scopre ci riduce sul lastrico in un battibaleno, lo sai..-

-Si può ugualmente agire con molta discrezione…-,  suggerisce la collega socchiudendo gli occhi con fare da micia.

L’altro arrossisce leggermente e bofonchia un ‘vedremo’ allontanandosi dal bar.

La conversazione si chiude lì. Ed io torno a fissare le luci colorate delle lampadine che si rispecchiano sul granito lucido del bancone.

 

 

 

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L’aero arriverà a momenti. Il volo è previsto per le due. Passiamo accanto a freeshop chiusi, attraversando l’intero salone e gli agenti mi portano fuori, lungo la pista principale. Vedere come la gente mi fissa le manette è terribilmente irritante.

-Allora, sei pronto?-

-A dir la verità non ho mai viaggiato, in aereo…-, com’è piacevole il calore del sole che trapassa le nuvole e ti scalda la pelle… Dovrò imprimermi questa sensazione, perché temo che non la proverò più per un bel pezzo.

 

 

-Ouh, non parlavo di quello..!  Mi riferivo alla tua villeggiatura in una cella…-

Mi volto impercettibilmente verso la ragazza: sta fissando con sguardo assente la torre di controllo.  Sembra si stia annoiando.

Poi si volta verso di me con un sorriso, e capisco di essermi sbagliato. 

-No.. Per quella non sono preparato. E credo proprio che non lo sarò mai…!-

Ha dei denti perlacei e le si illuminano gli occhi.    Sorrido a mia volta.  Nonostante il contegno a cui è costretta, il buonumore che emana è contagioso.

-Com’è, là dentro?-, domando.  Osservo i suoi capelli nero blu fluttuare al vento e scoprire sottili ciocche di un viola intenso.

-Non so risponderti con certezza. Io mi limito a lavorare all’esterno… Della vita in carcere non ne so molto, mi dispiace-, dice  mentre arrotola fino al gomito una manica della sua camicia, -Ma dubito che lo troverai di tuo gradimento… Ho sentito dire che quel posto è un inferno…-

-Sul serio?-, un aereo rulla lungo la pista fino a decollare.

-Mh…Da quel che ne  so le stanze sono davvero molto piccole, arredate  solo di una branda, uno sgabello e un tavolino, tutti fissati alle pareti-

-Dimentichi le lenzuola di carta e gli agenti penitenziari che ti fissano di continuo, Sakiko-, interviene il suo collega gigante.

-Hai ragione, Shun’-, gli risponde lei, poi torna a rivolgersi a me, -Quel carcere è orrendo, credimi. Spero solo che tu non debba restarci a lungo…-

Ragàs, loro sì che sanno come tirarmi su di morale………!

 

 

 

All’una e cinquantasette distinguo la sagoma di un aereo che si avvicina all’aeroporto.

-È quello?-

L’agente tappo fissa l’orizzonte e sembra illuminarsi, poi, senza nemmeno rispondermi si rivolge a Shunsuke per avvisarlo dell’arrivo del nostro velivolo.    Stronzo.

Resto a guardare il trabiccolo allinearsi alla pista, accendere il faro di atterraggio e ridurre la velocità.  Il carrello principale tocca terra, seguito dal ruotino anteriore, e  l’aereo comincia a rallentare a tutta manetta accarezzando l’asfalto fino a fermarsi a cento metri da noi.  Non ne avevo mai visto uno così da vicino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci voglio andare, non ci voglio andare, non  ci voglio andare, NON CI VOGLIO ANDARE!!!

È curioso come io mi svegli quando ormai è troppo tardi.

Avrei dovuto tentare  di fuggire.  Chi se ne frega se mi avrebbero beccato. Almeno non sarei rimasto col rimpianto di non averci neppure provato.

 

 

L’aereo non è molto grande.  Ci saranno sì e no quaranta posti a sedere. Sono costretto a piazzarmi in uno dei primi,  e  mi ci stravacco senza tanta finezza. I sedili sono blu e di un viola che tende al lilla, mentre le pareti in metallo sembrano di un bianco sporco, probabilmente grigio oppure azzurro.

O forse è tutto solo un effetto ottico dovuto alle luci verdognole che fanno tanto ospedale antiquato.  Difficile dirlo.  

Sono stanco.  

Ma voglio andarmene da qui.

Incollo la faccia ad uno degli oblò circolari che si affacciano alle pareti e guardo all’esterno.  C’è poca gente fuori  e,   sporgendomi da un lato,   scorgo un uomo, vicino ad una carretta alta e senza portiere,  che aggancia al  veicolo la scaletta  sulla quale siamo appena saliti,  per portarla via. La ricetrasmittente della Hoshi si mette improvvisamente a gracchiare e la voce sorpresa della ragazza  mi spinge inconsciamente  a prestarle attenzione.

-…Ma capo… Siamo già su, partiremo a momenti..!-

 

Mi volto verso di lei con espressione interrogativa.  Lei sostiene lo sguardo, stupita e corrucciata, ascoltando parole che non riesco a decifrare.

-Ma per quale motivo dovrei…Certo.. Sissignore. D’accordo, sarà fatto-.

-Problemi?-

-Vuole che ti riporti indietro-

-E perché!?!?-

-Dice che gli saresti più utile così-

Sakiko non sorride più.   È seria e guarda alternativamente me e i suoi colleghi.  Poi si sporge in avanti e mi ritrovo il suo collo a pochi centimetri dalle mie labbra.  Ha un buon profumo, deciso, ma non forte  che mi fa sentire sicuro e potente.

-Ha nominato una settimana bianca.    Tu e lui.   Credo voglia portarti su-

-Merda, no! Ricatterebbe mio padre, mi userebbe come ostaggio per… Per… Aaah, non so per cosa, cazz..-

-Fammi finire! Adesso ascoltami bene: ti toglierò le manette, poi mi metterò ad urlare. I miei colleghi sono armati, quindi fa molta attenzione. Tu spintonami e scappa. La mia macchina è nel parcheggio dell’aeroporto. Tu sai dove. Tieni, sono le chiavi-.

Poi il gran casino. 

 

 

Sento i miei polsi liberi, le sue urla e la gente  che comincia a gridare  in una reazione a catena. 

La spintono contro Shunsuke e, mentre lei mi fa da scudo senza darlo a vedere, mi faccio largo tra i passeggeri, rapido come una saetta.

Il microbo e la pertica restano bloccati da alcune persone ed io posso dileguarmi senza troppe difficoltà.  Ho la fortuna dalla mia parte:  non possono aprire il fuoco, o rischierebbero di ferire anche altri, oltre a me.

Al portellone, un assistente di volo mi fissa come se fossi un marziano e, scimmiottando una mossa degna di un judoka professionista, lo incollo  al muro.

Un balzo e sono fuori.  Forse ha ragione: sono un alieno sul serio.

Atterro malamente sulla scaletta che sta venendo trainata via   storcendomi  una caviglia e salgo fino all’ultimo gradino per poi buttarmi sul tettuccio del veicolo.  Mi ci appiccico effetto polipo  e, sfidando la forza d’inerzia ogni volta che sbanda,  scivolo all’interno della vettura scaraventando fuori l’uomo, che ruzzola e rotola sull’asfalto per alcuni metri.

Spero di non avergli fatto troppo male, dannazione.

Accelero a tavoletta zigzagando tra le persone e prendo la direzione dell’aeroporto. 

Ripercorro la strada di prima con un solo pensiero nella testa.

 

Non ho tempo da perdere, devo sbrigarmi!   Kami, se devo sbrigarmi!!! 

 

 

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Ed ecco che ho portato a termine anche l’ottavo capitolo (spero vi sia piaciuto)! ^___^   Ma.. a questo punto 9__9 … Sorge una tentazione a cui non so se cedere oppure  se fare l’esatto contrario…

 

Eh, questa Sakiko ammaliata da Hanamichi…  ˘˛__˘     Potrebbe arrivare a creare un po’ di scompiglio tra Hana e Ru… O no…?  Basta Genjo stesso a confondere Kaede o…?  Voi che dite…? Si accettano consigli!    

 

Un ringraziamento va anche a Kiba91 per aver lasciato un commento alla  mia fic!   See you soon!  ^_____^

                                                                                             Kisses

                                                                                                       =Angels’ Isl@nd=

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Farewell... ***


L’auto della Hoshi è quasi a secco

 

 

 

L’auto della Hoshi è quasi a secco.  Fantastico!

A soli quattro minuti dalla mia fuga le sirene della polizia si fanno già sentire.

Accendo la radio, mi scarto una caramella trovata sul cruscotto e mi infilo in fretta nel traffico.

Peccato che mi ritrovi in colonna dopo solo un centinaio di metri!

 

SI PUÒ SAPERE CHE CAZZO CI FA IN GIRO A QUEST’ORA TUTTA ‘STA GENTE?!?!??!!!?? 

MA NON PUÒ STARSENE A CASA A RONFARE BEATAMENTE SU UNO STRASACROSANTO FUTÒÒÒÒNNN?!?!?!?!?!?!?????

Ma non è ppposiiiiiibileeee..

 

 

Sono intento a tamburellare  nervoso le dita sul volante fissando i semafori,   ansioso di ripartire,  quando un tizio su una moto mi supera sulla destra bruciando come una scheggia il semaforo rosso.

Quanto vorrei poter fare come lui…. Ehi! Aspetta un attimo….. Sono o non sono su un’auto della polizia…?!?

-Sccchhgreanzààààdòòò!!! Come osi, ville marrano!?!-, impreco tra me gettandomi all’inseguimento.

 

 

Mi serve assolutamente la sua moto.  

 

                   È l’unico mezzo con cui potrei  seminare quegli agenti del cavolo..

 

 

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La distanza che mi separa dal motociclista, però, rimane sempre la stessa.

Gli tengo testa ma sperare di raggiungerlo è una cosa impensabile.

Questa carretta da quattro soldi non reggerà ancora a lungo. Sarò costretto a fermarmi, maledizione!

Come se non bastasse, gli sbirri non demordono e se rimarrò a secco dovrò per forza accostare. E loro potrebbero fare altrettanto.

Cazzo.

 

 

 

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Ovviamente mi tocca anche rallentare vistosamente a causa della corsia ridotta per  rifacimento del manto stradale…!

CI SI METTONO ANCHE I LAVORI STRADALI, ADESSO??!? PORCA PUTTANA, MA PROPRIO ALLE DUE E UN QUARTO DEL POMERIGGIO DEVONO RIFARE L’ASFALTO?!?!?!???!??

Kami, che nerrrvi!

Prendo a pugni il volante,  rabbioso,  ulteriormente irritato dai clacson suonati a manetta e dal brulicare della gente che,  scesa dalle auto,  si mette ad imprecare contro la fila e a mettersi le mani nei capelli.

Quando un uomo mi sbatte le sue manacce sul cofano lamentandosi per il mega ingorgo che si è venuto a formare mi girano del tutto le balle.

Al diavolo il proposito di fare il buon poliziotto!

 

Gli regalo il migliore dei saluti internazionali che riesco a sfornare, poi sterzo a destra ed esco dalla fila ritrovandomi sul pietrisco della banchina. Avanzo a folle velocità distruggendo tutti i paletti segnaletici che mi trovo davanti e una volta superato il punto critico torno in corsia.

L’uomo imbufalito di prima non ha apprezzato il mio saluto e mi sento profondamente offeso: mi domando perché non gli sia piaciuto… Il mio dito medio è bellllissimo..!

 

 

 

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Oh, non so se è l’auto che porta sfiga o se sono io che attiro tutti gli automobilisti più rincoglioniti del mondo, fatto sta che uno di questi si sposta improvvisamente contro mano sulla mia stessa corsia avvicinandosi pericolosamente al motociclista che stavo inseguendo.
Lampeggio coi fari abbaglianti per rinsavirlo ma niente, non se ne accorge.

 

Mi rimetto a lampeggiare e suono il clacson. Nada.   Quello continua sulla nostra corsia avvicinandosi rapidamente.  Per il ragazzo sulla moto la vedo davvero brutta:  gli sta arrivando dritto contro.

Cazzo, sta succedendo tutto nel giro di pochi secondi e mi sembrano istanti senza fine!

 

In preda al panico, il ragazzo frena cercando di sterzare. La moto, però, si blocca di colpo  e si impunta, sbalzandolo dalla sella.   Lo vedo volare in avanti per alcuni metri e cadere pesantemente a terra sul fianco sinistro    picchiando il casco sul suolo dopo aver mancato l’auto contromano  per un soffio.   Cristo santo, l’ha scampata per un pelo! Inchiodo di fianco a lui e abbandono la macchina.

 

La sua moto è leggera e mi lascio eccitare dal ruggito del suo motore mentre vedo il ragazzo muoversi piano, più o meno ancora tutto intero. Poi mi riprendo, balzo in sella e schizzo via.

Alle mie spalle un’auto della polizia si è fermata sul luogo dell’incidente, altre due avanzano nella mia direzione.  Porcaccia…

 

 

 

Lascio subito la strada principale e imbocco una via laterale dal fondo pietroso. 

Essendo abituato alla guida sull’asfalto con la moto di Mitsui e lo scooter di Yohei, ci metto un po’ ad adeguarmi al nuovo veicolo. Sono un po’ scomodo a stare in piedi sulle pedane, in più ho braccia e polsi indolenziti.    Ma almeno riesco ad avanzare sicuro tra solchi e pietre, aumentando così il distacco dai poliziotti, che sono costretti a rallentare.

 

Devio a destra e, con il sole negli occhi, mi dirigo ad Ovest per un breve tratto, verso il centro di un piccolo borgo.

 

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Sto costeggiando un marciapiede lungo il quale si ammassano diverse botteghe d’artigiani, quando all’improvviso un idiota mi taglia la strada. D’istinto metto il piede sul freno ed inchiodo. Sbando verso sinistra e riesco ad evitarlo. Per un attimo mi domando se il mio oroscopo avesse previsto tutto questo…

 

 

Contro le mie aspettative, anche in questa frazione il traffico è spaventoso:  auto, furgoncini, gente a piedi,  ma specialmente biciclette che brulicano ovunque.

Imbocco una via che però è senza uscita.  Merda.   Anziché rallentare, però,  accelero. 

Salgo sul bordo di un muretto,  la moto che ruggisce in modo tremendo,  dopodichè balzo nel vuoto e finisco con un clangore metallico sui cofani di un pick-up e di un’automobile, parcheggiati l’uno a fianco dell’altra. 

Prima che la  moto si distrugga contro un palo, riesco a saltare e ad afferrare quest’ultimo a mo’ di Tarzan,  atterrando al suolo come un felino.   Sì, beh.  Più o meno.

 

 

In questo  istante mi sento da Dio, come prima di una partita.

Sento il silenzio,  sento la canzone del vento sul mio viso e tra i capelli.

Sento la concentrazione,  l’adrenalina che risale lungo la schiena e serpeggia sulle spalle, lungo le braccia e nel torace.   Sento l’ossigeno bruciare nei polmoni e i muscoli pronti a scattare.

Apro gli occhi e vedo una stradina dissestata.   I poliziotti sono alle mie spalle.   La moto è distrutta, ancora gorgogliante.

 

                     Basta esitare!

 

                                         Scatto di lato e sparisco nel vicolo.

 

 

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La strada è davvero strettissima, tanto che mi sto scorticando le braccia. In più mi sto facendo un pranzo a base di muffa e ragnatele. Scommetto che di qui non ci passano nemmeno gli scarafaggi!

Ad un tratto sento dei passi confusi alle mie spalle.

-L’hai beccato?-

-No! È qui dietro l’angolo!-  Toh, è il tappo bastardo!

-…Non riesco a raggiungerlo!-  Eccecredo

-Lascia, ci penso io.-  I passi diventano distinti:  da due, i poliziotti sono diventati uno solo.  E  questo è molto più veloce.

-Polizia!-,  Ma va?

-Ti ordino di fermarti!-,  Col cazzo!   Anzi no, neanche con quello.  D’accordo che sono un genio superdotato, ma non ce l’ho così lungo!

-Ho detto fermati!-  Ma cheppalle!!!

-Fermati o sparo!-   , questo no!

Il vicolo sbuca su un vialetto alberato e mi sposto dalla strada, proseguendo parallelo a fianco ad essa, nascosto dalle piante.

                       La fatica della salita si fa sentire…

 

 

 

 

 

Il viale dà su una piazzola deserta, popolata da qualche veicolo sgangherato, parcheggiato lungo inesistenti marciapiedi.  

Continuo a correre basso, la milza che va in fiamme, protetto dai veicoli;  alla fine mi rialzo, sicuro di averlo distanziato,  e attraverso la piazza dirigendomi verso un altro vicolo.

 

 

Poi un dolore lancinante.

 

 

 

 

 

 

 

 

Così improvviso che non riesco nemmeno ad urlare.

 

Le pupille mi si dilatano, le orecchie mi ronzano e la mia corsa si blocca, facendomi ruzzolare per diversi metri sull’asfalto ruvido, sbucciandomi la pelle e lacerandomi i vestiti. 

 

 

 

Provo a muovermi ma sento un dolore atroce alla gamba e a un fianco. Mi fa male una mano. Non la guardo.

Non posso restare qui.

Cerco di rialzarmi ma il cuore mi si contrae in uno spasmo e mi si blocca il respiro.

Non posso restare qui!

Riesco a girarmi e ad appoggiare la schiena a terra, cercando di riprendere fiato. Il cielo è così azzurro… 

 

Dei passi!  Dei passi, merd…Devo arrivare…   Devo arr… Là…

 

 

Non poss.. mollare…  Non ora…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                  Ma la vista mi si annebbia e tutto si scurisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci devo..riusc 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                           Io…  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       Però  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                È  tutt.. ..sì buio…    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                          No, io…     

                                                    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                        Io dev

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-L’hai trovato?-

-No, sembra svanito nel nulla…-

-Ho le braccia piene di graffi, maledizione!-

-…Eppure,  cavoli, era davanti a me fino ad un attimo fa...-

-Mi sono tagliato anche io, Sakiko.-

-Era davanti a me…-

-Nulla di grave?-

-Com’è possibile che sia sparito..?!-

-No.-

-L’ho anche colpito…Ne sono certo…-

--

--

-Non…Deve pur essere da qualche parte…-, ripetendo quella frase sommessamente, come una litania infinita, l’agente si sporge sul ponte.

Shunsuke lo imita. Nessuno.   Eppure… se era ferito non può essere andato lontano. 

 

-Non può essersi buttato. Si sarebbe sfracellato di sotto.-

-Io. L’ho. Beccato. …-

-E non c’è nemmeno lungo la strada…-,  sbuffa.  Corre il ragazzo…

-…Ne sono sicuro. Non posso aver sciupato tre munizioni così!-

-Va bene. Facciamo così: tu, tu e tu .. di là,-,  Sakiko accenna con il capo ad un vialetto su un angolo della piazza,  -mentre tu cercherai lassù,-   una strada in salita,   -siamo intesi?-

Tre degli agenti obbediscono. Uno lo trattiene ancora un attimo.

 

-Shun’ ,-

-Sì?-

-…Tutto okay?-

La fissa.

 

-Si. Non è niente, sto bene-.

-Shun’-

 

Allora abbassa lo sguardo sulle esili dita che circondano il suo polso.

Un brivido gli saetta lungo la schiena.

 

-È tutto a posto, dico davvero.- 

-D’accordo. Sai cosa devi fare.-

-…Portarli lontano da qui?-

 

-Lontano da qui…- Sakiko sorride.   E Shunsuke corre via, lasciandola sola.

 

 

 

 

 

 

-Saku’!-, la Hoshi ripone la pistola nella fondina e si guarda intorno con circospezione.

-Sakuragi, dove diavolo sei!?-, ma niente. 

Le rispondono soltanto il silenzio e una folata di vento  che le scompiglia i capelli.

Avanza lungo il ponte muovendosi di lato, lentamente,  rimane in ascolto, attenta ad ogni rumore.

Poi inciampa e impreca contro il sasso, preoccupata. E poi lo vede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sangue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sangue ovunque, che si rifugia tra steli d’erba sul bordo della strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È fresco, lucido. D’un rosso vivo. Arterie.

 

Poi nota macchie più larghe, più scure. Sono tante.  Merda.

-Sakuragi!-

 

 

Distingue l’impronta rossa di una scarpa da ginnastica.

Delle nuvole oscurano il sole e in lei comincia a farsi strada la paura.

-Sakuragi!-

 

 

Segue la scia per alcuni metri, poi si arresta: al bordo del ponte, la traccia sparisce.

-CAZZO, RISPONDIMI!!!-

 

 

 

 

E finalmente la sente.

-Sak…-  la sua voce è debole, ma è già qualcosa.

-Sak, qui…-,  dove? Dove, maledizione?!?

-‘akiko…-, un gemito più potente le permette di localizzarlo.

 

 

Ma ciò che vede non fa altro che preoccuparla ulteriormente: una mano coperta di sangue  aggrappata al bordo esterno del ponte che sta per mollare la presa.

-Hanamichi!!-, cerca di afferrarla al volo, invano.

-Hanamichi, no!!!-, non è possibile, non può…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Più giù…Sono… solo più giù…-

 

Sakiko si sporge dal ponte e le si riempiono gli occhi di lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sakuragi si sta sorreggendo con le sole dita delle mani, le dita infilate nei solchi formati dalle file di pietre  che compongono l’antico ponte del borgo.

Le sue unghie sono rotte  e una mano presenta un leggero squarcio di carne viva.  Il suo collega deve avergli sparato a bruciapelo.

-Hana…-

 

 

Poi scorge dell’altro. Una macchia scura e umida gli imbratta un fianco della maglia, e il sangue gli scorre lungo la pelle e i pantaloni.

-Hana, dammi la mano…-, dice a mezza voce sporgendosi in avanti.

 

 

Ma il ragazzo non si muove. Rimane aggrappato alle pietre, in uno stato di semi-trance, dando segni di cedimento.

-Hanamichi, muoviti!-

 

 

 

Lui allora obbedisce meccanicamente, allungando un braccio. Le sue dita raggiungono quelle fresche di Sakiko, sfiorandole più e più volte, lasciando leggere scie rossastre sulle punte dei suoi polpastrelli e sulle sue unghie laccate di smalto lucido.

 

 

 

-Non ce la faccio.. Non ci arrivo!-

-Riprovaci, Hana, riprovaci!-

La ragazza si sporge ulteriormente, spalancando la mano, pronta a prenderlo.

Ma Hanamichi non riesce a raggiungerla e,  agitandosi per riuscirci,  perde la presa e scivola ancora più in basso,  tagliandosi le dita.

-Hana!-

Sakuragi le sorride a denti  stretti, serrando violentemente le labbra violacee per trattenere una fitta di dolore.

 

 

La Hoshi non riesce ad accettare quel sorriso amaro che ha preso forma sulla sua bocca. Non vuole. Non deve.

Si sporge più che può mentre le lacrime le scivolano lungo le ciglia.

 

-Avanti sbrigati! Afferra la mia mano! Afferra la mia mano!-

 

Lo guarda annaspare boccheggiando, cercando ossigeno.

 

Il sangue gli scorre lungo le gambe e  sgocciola ritmicamente dai piedi, frammentandosi in mille gocce di vita che muoiono schizzando sul terreno pietroso diversi metri più in basso.

Perché non la ascolta? Perché?

 

 

I suoi capelli le ondeggiano davanti al viso scompigliati dal vento, sfiorandole le braccia esili e pallide e nascondendo fino all’ultimo le lacrime che le bagnano le guance. Non deve piangere… È così bella…

Sembra…

 

Un’altra fitta improvvisa gli fa perdere la presa e scivolare più in basso. Comincia ad essere stanco. Lei se ne accorge, eppure non si arrende  e continua a dirgli di afferrare la sua mano, ad allungarsi verso di lui più che può.

Hanamichi le sorride triste, ma pieno di riconoscenza.

 

 

-Datti una mossa!  Puoi farcela, lo sai!  Avanti!-

Ma lui scuote piano la testa. Si sente troppo debole. Non ce la farebbe mai…

Gli manca l’ossigeno e respira affannosamente cercando di ottenerne il più possibile.

-Maledizione, muoviti!-

 

 

Ma Sakuragi non ce la fa, ormai sente male dappertutto e le dita non riescono più a reggerlo…

-Allora vuoi morire?  È questo che vuoi?-

 

 

Allora lui solleva lo sguardo, ma non riesce a vedere altro che una macchia indistinta. Ha la vista offuscata. E si chiede se non siano lacrime anche le sue…

No che non vuole morire… Anzi…forse sì… Niente più fughe continue, niente più pericoli… Niente sofferenze…

 

Guarda in basso oltre i suoi piedi che scalciano l’aria ormai senza troppa determinazione, e non vede altro che tenebre.

La morte è lì che lo attende a braccia aperte,  sogghignando,   avvolta nel suo saio nero fumo che si confonde nella nebbia che aleggia pigra sotto di lui. A che serve lottare per sfuggirle, quando già sa che sarebbe tutto inutile?

 

 

-Hanamichi, cazzo, molla quelle pietre e afferra la mia mano!-

E lui ci prova, ma non appena allenta una presa si sente scivolare  ed è costretto a desistere.

-Hana, ti prego…-

 

 

 

Ma Hanamichi non vuole sentirla parlargli così… Lui ormai sta cedendo e sa che questo l’ha capito anche lei…

 

              È  stufo,   stufo,   stufo…   Non  ce  la  fa  più….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È  troppo stanco…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stanco di continuare a combattere…

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                      E poi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che importa se un insignificante puntino nell’intero universo scompare?  Che differenza fa…? 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuna.

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

    

                                            

 

                                                                                                                     Nessuna…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le palpebre gli diventano pesanti e la voce di Sakiko si fa sempre più lontana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                Sente una lacrima scivolargli pigra su una guancia,  e  morire  lentamente  lungo il collo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

               Le dita ormai non le sente più.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                        Basta…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                   Basta…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiude gli occhi e molla la presa,  precipitando nel vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E il suo ultimo pensiero è uno solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Papà…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗‗

 

 

 

Mi scuso tantissimo per il mostruoso ritardo con cui ho aggiornato la fic,  ma purtroppo il tempo che riesco ad avere a disposizione è ormai diventato scarsissimo…! ^__^’   Inoltre mi ci è voluto un po’ per riprendermi dallo shock avuto quando mi si è bruciato l’Hard Disk del computer  ed ho perso completamente tutti i dati, quindi cerate di capirmi…! Ho finalmente riscritto il nono capitolo di questa ficcy, anche se purtroppo non è come quello che avevo fatto originariamente… Eh, pasiensa..

Ringrazio di cuore asami, Shak4, Uriko, foglia, satin, sakura, kiba91, NohaIjiachi, NaughtyDia e Yumi per aver lasciato qualche commento! Recensite ancora  e fatemi sapere come vi è sembrato questo capitolo!

                                                           Baci8i,

                                                                      =Angels’ Isl@nd=

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Awakening ***


…uuaaaaauummm

 

Pericolo Imminente

          + Awakening +

 

 

 

Temevo di non riuscire più a tornare su questa vecchia fic… Ma finalmente, dopo più di sei mesi, ce l’ho fatta e ho trovato il tempo per scrivere…^^ Oddio, rileggendola mi rendo conto di come scrivessi in modo diverso (argh!), rispetto le ultime storie… -___- Ma non mi va di sistemarla… Mi piace lasciarla così com’è, per ricordare i miei ‘vecchi’ modi di scrivere… Ciò che volevo era solo proseguirla, portandola sempre più vicino alla ormai incombente conclusione… Non mi va di lasciare le cose a metà… Credo che quando si inizia un lavoro sia bene portarlo anche a termine…^^  Approfittandone per ringraziare tutte coloro che avevano commentato fino allo scorso capitolo, vi auguro una buona lettura… Un bacio…!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                             uuaaaaauummm..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                    eeeerrreeee..?

 

 

 

 

 

 

Òòòuuuummmmuuaaaazieeennnnn

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                 Ommmmuuòòòòi

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                   Aaannnnmmaaaai?...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                           Nnnnnòòòuuummmm

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le voci giungono alle sue orecchie  confuse, lontane, sovrastate da un profondo silenzio surreale.

 

 

Si sente terribilmente stanco, fatica pure a respirare.  Ammesso sia respiro, quello.

 

 

Provare a muovere le dita delle mani si rivela un’inutile tentativo. Hanamichi non riesce a spostare un muscolo. Non ha nemmeno la forza di schiudere le palpebre. Le sente così pesanti…    Solamente i suoi occhi riescono a puntare nella direzione che vuole. Non che serva a molto, avendoli chiusi.   Ma per Hana quello è già un piccolo passo avanti.   Eppure inizia a domandarsi perché diavolo non riesca a muoversi.    Che sia…

 

 

 

                                                                                                                                                Che sia… Morto?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questo pensiero le sue dita scattano.  Il suo corpo si rifiuta di accettare una simile sorte.  No.  Lui non è morto.       

 

 

 

 

 

 

                                                                                                            Non può   essere morto !!!

 

 

 

Lui è  Hanamichi Sakuragi, il genio indiscusso del basket e di qualsiasi altra cosa!  Il genio più genio di qualsiasi altro genio,  l’unico,  imbattibile, insuperabile e megagalattico Tensai!  E non può essere morto.   Non può e basta.  Perché lui è lui.    È  nato per essere  lui.   

È nato per salvare suo padre, ora che è in pericolo.   E si augura che lo sia ancora.   Che non sia troppo tardi,  almeno.

 

 

 

 

E il suo corpo dà un secondo, iniziale segno di  vita.  Un sussulto impercettibile della gamba.  Hanamichi è vivo.  E questo basta e avanza per rinvigorirlo di una piccola dose di energia completamente nuova.   Apre piano gli occhi, stupendosi dell’oscurità che gli dà il benvenuto. Si era immaginato di trovarsi in un rinomato ospedale,  circondato di medici riuniti attorno al suo letto per cercare di capire i suoi problemi, l e sue condizioni.  Invece nulla.

                                                                                                                                                                                         .                     Buio.

 

 

 

 

 

 

Respira lentamente   osservando la stanza immersa nella penombra.   Pare sia fatta quasi interamente di legno.   Non sa quale, però.   Non è che se ne intenda, lui.

 

 

 

 

 

Dunque non si trova a casa.

 

                                             È solo.

 

 

 

 

 

Riprende conoscenza in pochi istanti e capisce che dev’esserci comunque stato qualcuno, con lui.

 

 

 

Il profumo che riesce ad avvertire non è un aroma tipico di una camera.   È un profumo artificiale.   Un profumo femminile.   Buono.   Seducente.   Gli piace.

 

 

                                               E molto anche.

 

 

 

 

Resta in ascolto.  Dev’esserci un orologio da qualche parte, appeso a una parete.   Percepisce l’inconfondibile ticchettio che scandisce ogni singolo secondo  del tempo che passa.   Vorrebbe tanto sapere che ore sono.  È stanco, certo.  Ma ha la certezza di avere dormito molto.  Perché la spossatezza è mentale.  E non fisica.  E capisce che il suo organismo ha smesso di restarsene in stand-by.  Sarebbe il momento di darsi una mossa.  Ma un rumore lo blocca all’istante.

 

 

 

 

 

 

Lui rimane immobile.

 

 

 

 

 

 

 

La porta della stanza si apre in un lieve cigolio. È una ragazza di bassa statura ad entrare,  facendosi strada con i gomiti e camminando all’indietro per un breve tratto.  Poi si volta e si concentra sul ragazzo steso a letto.  Le sfugge un sospiro.

 

 

 

 

 

È tanto che non dà un segno di vitalità.

 

Teme sia in coma.

 

 

 

 

 

 

Maledetto quel suo collega del cazzo.  Ha una gran voglia di sparargli alla testa, così da fargli fuoriuscire l’eccessivo accumulo di pura anidride carbonica che si ritrova in quella sua merda di scatola cranica…!

Posa il vassoio su un angolo del comodino al lato del letto e si siede sul bordo di una sedia, lontana dallo schienale.  Osserva il viso rilassato di Sakuragi, ancora immerso in un sonno profondo dal quale pare non volersi più svegliare.   Gli sfiora una guancia con le dita,  senza pensare alle sue azioni.   È caldo.   E non solo a livello corporeo.  Quel ragazzo emana un calore incredibile.  Lei stessa non riesce a scollargli gli occhi di dosso.   Non è bello oltremisura.   Ma ha un fisico forte, atletico, perfetto e incantevole al contempo.  Incantevole per lei, almeno.  Che proprio non riesce mai ad evitare di guardarlo ammirata  ogniqualvolta ha a che fare con lui.

-Eddai, Hanamichi, svegliati…-, sussurra piano.

 

 

 

 

 

Non vuole più vederlo costretto in quel letto.  Non riesce ad accettare che quel ragazzo sia il giovane che ha conosciuto poche ore prima.  Il vero Hanamichi è un ragazzo pieno di energia,  un ragazzo che non conosce la paura,  un ragazzo con un sacco di coraggio da vendere.

 

 

Ha fegato, lui.  È capace di sfuggire alla polizia meglio di chiunque altro.  Ha la voglia di andare avanti ogni volta,  di superare ogni ostacolo che gli si para di fronte.  Ha un obiettivo da raggiungere e tutta la decisione e la fermezza che occorrono  per poterlo concretizzare davvero.   E il vero Hanamichi non starebbe in un letto così.   Non in queste condizioni, dannazione.

-Sono sveglio-

 

 

 

 

 

Sakiko salta sulla sedia lanciando un urlo,  seguito un attimo dopo da una serie di imprecazioni alquanto insolite,  secondo il parere del giovane sdraiato di fianco a lei.

 

-Vaffanculo, mi hai fatto venire un infarto, stronzo!-

-Uehi… Il linguaggio scurrile proprio non ti si addice, Saki-

 

 

 

 

 

La ragazza si rende conto di come Hanamichi fatichi a parlare.

-Bevi un po’ di tè,  devi lubrificarti le corde vocali…-

Parla in tono sommesso  per non infrangere una seconda volta la tranquillità  che regna da un tempo infinito fra quelle quattro pareti.

-Non mi piace il tè-

 

 

 

-Poche balle, bevi.  L’avevo portato per me, ma vedo che tu ne hai molto più bisogno-

Hanamichi desiste.  Le sue calde dita avvolgono quelle fresche e sottili della ragazza mentre cerca di stringere la tazza.  La sua presa è però ancora troppo debole  e una piccola quantità di bevanda si rovescia sul lenzuolo.

-Porca putt…-

-Lascia, faccio io-

 

 

 

Sakiko gli appoggia con dolcezza la tazza alle labbra.  E Hanamichi prova a bere.  Nh, si sente un po’ un’idiota.  Ma il tè è davvero buono, e sentirlo scivolare in gola  gli sembra la sensazione più bella che riesca ricordare in quel momento.

-Credevo non ti svegliasti più…-

 

 

 

 

 

Hana solleva lo sguardo. La ragazza ha nascosto il viso fra ciocche di lucenti capelli corvini.  Gli riesce difficile capire se è rossore quello che colora le sue guance di una dolce sfumatura o se è solo il riflesso del legno che riveste le pareti della stanza.

-Credevo che saresti morto…-

Sakuragi sorride allontanando da sé la tazza.

-Un genio non muore maaahh…!-

 

 

 

 

 

Il dolore fortissimo che sente al fianco gli fa capire che qualcosa non quadra.      Che diavolo si è perso…?

 

 

 

 

 

 

 

-Maledizione… Ma che diamine…?-

-Non muoverti così, Hana, fa’ piano…-

-Ma che è successo…?!?-,  domanda non riuscendo a trattenere una smorfia sofferente.

-Cos’è, non dirmi che non ricordi più niente…-

 

 

 

Sakiko gli passa una pezza umida sulla fronte,  strappandogli un gemito di apprezzamento che le provoca un inatteso, singolo spasmo fra le gambe. Deglutisce nervosa.

-Hm…Mh, se me lo ricordi tu credo che faremmo decisamente prima…-

Riesce solo a vedere dell’asfalto, il selciato ad un palmo di naso.   Null’altro.

 

 

 

 

-Ehi, è tutto a posto? T’ho sentita urlare-

Sakuragi guarda di scatto in direzione della porta, preso alla sprovvista da quell’entrata improvvisa e inaspettata.

-Non preoccuparti, ma’, è tutto a posto…-

-Ah, ma s’è svegliato.-

-Lei chi è, Sak?-

-Mia madre…-

-Ou, salve-

-Beh, per parlare parli… I muscoli li sai usare.. Perciò non è niente di grave, vedo.  Era ora che ti svegliassi,  così puoi anche andartene e io posso tornare a dormire sul morbido-

 

 

 

 

 

Hanamichi è sorpreso. La madre di Saki è un tantino scorbutica…  Fissa sorpreso la porta che la donna s’è chiusa energicamente alle spalle.

Poi torna a guardare la ragazza.  Scuote un attimo il capo con un’espressione che la invita a rispondergli.  Lui sta ancora aspettando.

-Ti hanno sparato Hana…-

-CHECCOS…AH?!?!?-

-Ma vuoi smetterla di dimenarti così…?-, lo rimprovera lei.  Vorrebbe tanto che si dimenasse in un modo diverso…  Ma  si riscuote subito da quel pensiero assurdo.

-Non credere di poter fare il contorsionista fin da ora, cacchio, pure tu! Ma sta’ un po’ fermo!-  Gli sussurra rivelando una certa apprensione mista al nervosismo.

-Sono… grave?-

-Credevo di sì… Non ti svegliavi più…-

-Perché, quanto ho dormito?-

 

 

 

-Beh, no, due giorni, però ero preoccupata, ecco…-

-DUE GIORNI???? Ma porca troia, non ho altro tempo da paaahhh…!-

 

 

 

 

-Ma statti fermo, cazzo! Hai bisogno di tempo per riprenderti!  Che credi di fare, ah?-

Hanamichi le si avvicina di scatto, fermandosi solo a pochi   troppo pochi–   centimetri dal suo viso.

-Stammi a sentire. Non so chi tu sia, ma voglio ricordarti che non sono né tuo figlio,  né tuo nipote,  né tuo fratello    tanto meno tuo padre.  Ergo, faccio-quello-che-mi-pare.  È chiaro?-

Sakiko rimane senza parole.  Una reazione simile non se l’aspettava affatto.  Non era da lui.

 

 

 

Ma deve ammettere che in fondo quel ragazzo ha ragione. Le dispiace di averlo fatto arrabbiare. E più di tutto le dispiace che sia stata unicamente lei ad esserci rimasta male così.

 

 

 

-Okay, ma…-

-Ma niente, cazzo! Mio padre ha bisogno di me e non aspetterò un minuto di più a muovermi. Quanto meno tua madre sarà contenta!-

Sakuragi scosta le coperte e allunga le gambe verso il pavimento. Cerca di ignorare il fatto che sia totalmente nudo e si alza piano celando il più possibile l’atroce dolore che gli divora il fianco.  Ma guarda te se deve pure sprecare tempo così…

-Si riaprirà la ferita,  se ti sforzi fin da subito…-

Il tono della giovane è seriamente preoccupato, ma cerca di nasconderlo in tutti i modi.

 

 

 

 

 

-Non importa. Per mio padre questo ed altro-

-Se schiatti non riuscirai a fare molto per lui…-

 

 

 

 

 

 

Hanamichi si volta verso di lei con l’aria di ribattere.

-Ah, non vi fermerete per pranzo, mi augur  Urca che bel maschione…  Uei, giovanotto, fatti impallinare più spesso, così potrò lustrarmi la vista per bene! Hai delle gran belle ch…-

-MAMMA!!!-

-Ohssaaantocieeelo, adesso non si può neanche più commentare…-

 

 

 

 

 

Hanamichi fissa la porta per altri venti secondi tenendosi il lenzuolo intorno alla vita. Una volta accertatosi che quella donna assetata di sesso non accenna ad entrare  lo rigetta sul letto.

 

 

 

 

 

-Non mi avete risposto!-

Hanamichi bestemmia mentalmente mentre riacciuffa un lembo di stoffa con cui coprirsi.

-No, signora. Io almeno non ho intenzione di stare qui un minuto di più. Ho altre cose urgenti da fare-

-Devi andare in bagno?-

-NO!  Hm. No, signora.  Ho altro da fare e basta-

-Non sei messo bene, giovanotto…-

 

 

 

-Lo so, ha perfettamente ragione.  Ma non posso aspettare oltre.  Forse è già troppo tardi.  Io devo andare-

-Quindi niente pranzo?-

-Niente pranzo, ma la ringrazio per avermi ospitato qui.  …Non è che lei sa dove siano finiti i miei abiti…?-

 

 

 

-Ho saputo che devi andare in montagna.  Di quei vestiti non te ne fai niente lassù, ragazzo.  Ti serve ben altro in questo caso.  Vedrò di portarti qualcosa di idoneo-

-Gra…-

Ma la donna ha già lasciato la camera.

 

 

 

-Tua madre non sta mai ferma…-

-Hm. Avete qualcosa in comune-

Hanamichi si siede a bordo del letto  facendo attenzione a non compiere movimenti bruschi.

Per un po’ nessuno parla.   Poi è lei a rompere il silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

-…Sei sicuro di ciò che fai?-

-No, Sak. Non sono sicuro di niente-, le risponde fissando oltre la finestra, verso la cima del monte seminascosta da un largo anello di nubi, 

-Ma non posso starmene qui con le mani in mano mentre lassù stanno uccidendo mio padre.  Devo pur fare qualcosa, no?  Tentarci almeno-

 

 

 

 

La ragazza annuisce in silenzio e si appoggia al bordo del materasso.   Poi sale sul letto, restando in ginocchio alle spalle di Hanamichi.   Le sue dita gli sfiorano la schiena, il suo sguardo assente  intento a seguirne il percorso.  Ha un dorso da favola…   -Farò il possibile per darti una mano…-

 

 

 

 

-Ti ringrazio…-

 

 

 

Le sue mani scivolano in alto, stringendosi in un massaggio deciso alla base del collo.

 

 

 

 

-Mmmmhhh……-

 

 

 

 

La Hoshi sorride socchiudendo gli occhi. Dunque ha trovato un suo punto debole…

 

-Dovere… Ti piace…?-

-Hm… Continua… Fallo ancora…-

 

 

 

 

Sente i suoi muscoli tremare sotto le sue mani, quella pelle calda contrarsi in preda ai  brividi, rilassarsi dopo ogni suo preciso massaggio.

-Così…?-

-Mh…… Oohhhkkkami…-

 

 

 

La soddisfa sentirlo gemere con un’irresistibile voce roca, sentirlo inclinare il capo in avanti, vedere quella schiena forte drizzarsi ad ogni movimento delle sue mani.

-Vado avanti…?-

-No………Va’ più giù…-

 

 

 

 

 

E lei obbedisce mentre le sue dita si muovono decise su quella schiena stupenda, a dir poco perfetta. Percepiscono ogni forma dei suoi  tonici muscoli e scivolano in movenze mirate, volte a farlo sentire meglio, ad allontanare ogni pensiero dalla sua mente.

 

 

 

Le mani le scivolano sempre più in basso, poi lentamente di lato, fino all’inizio delle cosce. Continuano a massaggiare  scorrendo sempre più verso l’interno, sempre più vicino a qualcosa che fino a pochi minuti prima pensava fosse proibito raggiungere.

 

 

 

Una mano si posa sulle sue. Prova a fare resistenza. Prova a fermarla. Ma lei non vuole e si avvicina di più al ragazzo, aderendo coi suoi piccoli seni alla schiena di lui, baciandolo con le umide labbra alla base del collo,   aderendo con le cosce alle sue,  bloccandolo in una dolce morsa da cui lo invita a non allontanarsi. 

E la stretta della mano di Hanamichi si allenta,  permettendole di continuare le sue audaci ed inimitabili movenze anche nelle sue zone più sensibili.

 

 

 

 

 

 

 

Lui le sfiora le cosce accettando i suoi umidi e morbidi baci, piegando il collo da un lato per facilitarle il piacevole lavoro.  Se potesse la fermerebbe.  Ma non ha voglia di farlo.  Le sue mani minute sanno come risvegliargli i sensi in una miriade di movimenti innocenti e al contempo terribilmente sensuali  a cui non riesce a resistere.

 

 

 

La sua eccitazione è ormai evidente e lascia che quelle dita curiose e affamate la raggiungano, facendola crescere ancora di più.  La sente aumentare in pochissimo tempo  e si permette di rilassarsi appoggiandosi leggermente contro la ragazza che gli bacia le spalle seguendo ogni curva dei suoi muscoli.

 

 

 

Lascia che le sue poche energie fluiscano in un unico punto, che la sua mente si annebbi, che il collo e l’interno cosce si coprano di una sottile patina di sudore mentre trattiene il respiro a intervalli irregolari.  Giunto il limite però si sposta alzandosi, sopportando il dolore al fianco e  un bruciore alla mano fasciata, avvicinandosi contro una parete.

 

 

 

 

La Hoshi lo raggiunge leggera e sicura come una gatta, gli si avvicina fissandolo dritto negli occhi allungando una mano verso il suo sesso voglioso delle ultime, fondamentali attenzioni.

-Saki, no…-

-Sta’ zitto…-

 

 

 

 

E Hana resta immobile, stupito del cambiamento repentino della ragazza che, di fronte a lui, si china in ginocchio per donargli decise lappate, saggiando il suo membro e succhiandolo  continuando a fissarlo negli occhi.   Si sente esposto, fragile.   Eppure non riesce a muoversi. 

Sente solo il caldo,  il fiato che si blocca nei polmoni per l’eccitazione,  le gambe sudate,  il desiderio di trovare un appiglio alle sue spalle che non sia soltanto una parete.

 

 

 

 

La bocca di Sakiko lo sta facendo impazzire. O forse è lui ad essere impazzito.  Ma resta il fatto che rimane immobile a godere.   Godere come un matto del pompino paradisiaco che la Hoshi gli sta facendo.  La fissa.

 

 

 

 

 

Adesso si sente diverso. Si sente stanco, quello è vero.  Ma il piacere che lei sa dargli riesce a fargli dimenticare tutto il resto.  E si addossa al muro concentrandosi sulle sensazioni che la sua lingua, le sue labbra, il suo fiato, i suoi denti e le sue mani sanno dargli.

 

Gli piace vedere il suo viso deformato per riuscire ad accogliere la sua pienezza in bocca,  gli piace sentire quella lingua scorrere seducente  per il suo cazzo sciolta e decisa,  sentirla leccarlo in lungo e in largo,  quei denti bastardi che gli creano un leggero fastidio di gran lunga compensato da quelle piccole e carnose labbra che lo spompinano con un lavoro da maestri tendendo aritmicamente la pelle del suo sesso arrapato a dismisura.

 

 

 

 

Oltre non resiste ed emettendo un ringhio eccitato si scioglie nella sua bocca,  mentre la ragazza continua a succhiare e a ingoiare tutto ciò che riesce, pulendolo alla perfezione, come se nulla fosse successo.  Poi si alza, e Hanamichi le sorride.  Restano così a fissarsi, allontanandosi solamente quando sentono i passi della madre di lei avvicinarsi alla loro stanza.

-Ho trovato un bel po’ di roba! Era di mio marito, forse ti andrà un po’ stretta. Però magari qualcosa di adatto lo trovi, qui in mezzo… Tipo questo… E questo…-

 

 

 

-Mill…-, ma Sakuragi ha ancora la voce arrochita, segnata dall’eccitazione di pochi istanti prima.

-Hm, mille grazie signora.  La ringrazio ancora infinitamente!  Lei è una donna da sposare…!-

-Quando vuoi io sono qui, bel giovanotto!  Ti aspetto, guarda che ci conto-

Hana sogghigna, poi si concentra sui vestiti.

Quella donna è fuori di testa.  È fortunata, Sakiko, ad avere una madre così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Ecco… ci sarebbe un’ultima cosa che vorrei chiederle, se possibile…-

-Ossia…?-

Hanamichi la guarda di sottecchi. Visto il tono con cui gli ha risposto sembra aspettarsi chissà che cosa…

 

 

 

-Ha qualche antidolorifico che potrei portare con me…? Non credo di poter resistere altrimenti…-

La donna lo fisa lievemente contrariata, poi recupera qualche medicinale da una vetrinetta.

-Toh, c’è un po’ di tutto-

-Grazie…-

 

 

 

-Non esagerare con quella roba, mi raccomando.  Mica voglio averti sulla coscienza!-

-Non si preoccupi, starò attento, promesso!-

Il suo sguardo incrocia quello della Hoshi.  È ora che vada, e sia lui che lei lo sanno benissimo.

Il saluto però gli muore in gola-

-Aspetta, ti raggiungo fuori-, lo precede lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Dunque ci salutiamo qui…?-

-Credo sia così.   Si.  Direi di sì-

-È proprio necessario?-

-Senti Sak…-

 

 

 

 

-Okay, okay. Quello che è successo oggi devo dimenticarmelo, giusto?-

-…Sì-

 

 

 

 

-E… Proprio non posso sperar…-

-No, Saki. Non ci  sarà un bis. Né ora né mai-

- …………… Capisco -

 

 

 

 

-E poi credo che tu sia fatta per qualcun altro-

-Qualcun altro…?-

-Me la spieghi una cosa?-

-……-

-Ma se io sono caduto dal ponte…  Come diavolo faccio ad essere ancora vivo?-

 

 

 

 

Shun’ che devi ringraziare, per questo. Non sai che numeri…-

-È di lui che parlo-

-…Scusa?-

-Il qualcun altro-

 

 

 

 

La Hoshi lo fissa basita.   Poi arrossisce.

 

 

 

 

 

-Comunque lasciami dire che sei un ragazzo fantastico…-

-Di’ pure che sono un’incomparabile genio…-

 

 

 

 

 

Le si avvicina e lei ne approfitta per cingergli il collo con le braccia e sollevarsi fino a baciarlo.  Un bacio veloce, deciso, fatto di poche lappate, alcune fuggevoli, altre più profonde.

-Ti avevo detto ch…-

 

 

 

-Era il primo e l’unico-,   sbuffa lei,    -E poi,  scusami tanto,  ma tu hai contraccambiato…-

 

 

 

 

 

Hanamichi le sorride e la bacia a sua volta, facendo scivolare una mano sui suoi piccoli seni e l’altra in mezzo alle sue toniche gambe, stimolandola per qualche secondo fino a strapparle un gemito di apprezzamento.

Poi si allontana e le sorride di nuovo.   Non è che gli piacciano le donne.   Ma adora sapere che ci sa fare e che oltre che genio è anche un tipo che sa piacere.

 

 

 

 

 

 

-Grazie, Sak… Senza il tuo aiuto ora non sarei qui…-

-Probabilmente non saresti nemmeno in queste disastrose condizioni… Comunque prego…-

-Sono libero, Sak. Ed è questo ciò che conta per me. Grazie. Dico davvero-

 

 

 

-Va’ adesso, prima che mi venga  voglia di saltarti addosso di nuovo …-

Lui incurva un angolo della bocca per un istante.

-Ci rivedremo?-

 

 

 

 

 

-Non credo… Ma puoi star sicuro che io e Shunsuke faremo il possibile per aiutarti. Collaboreremo con il poliziotto di cui mi hai parlato, quindi…-

-Okay…-

-Vattene, dai…-

-Hm. Allora ciao…-

 

 

 

 

 

 

 

 

-Ciao…-

Le loro dita intrecciate si sciolgono.

E Hanamichi si volta, allontanandosi da quella casa. 

 

 

 

 

Da ora le cose si faranno più impegnative, ci scommette le palle.

Si carica meglio il peso dello zaino sul dorso e si avvia lungo il viale cercando di celare al meglio la sua andatura zoppicante.

 

 

 

 

E nelle sue iridi color delle mandorle si riflette un’unica immagine ben precisa: la vetta del monte Fuji, quella fottuta vetta dove lo aspetta suo padre.

 

 

 

 

 

 

E ha tutta l’intenzione di raggiungerla al più presto…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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