Take It or Leave it!

di Ronnie02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un disastro con boccoli di rame ***
Capitolo 3: *** Sinapsi ***
Capitolo 4: *** Ammettere il problema ***
Capitolo 5: *** Messer Jasper Withlock! ***
Capitolo 6: *** Spiegazioni ***
Capitolo 7: *** La sera della vendetta... forse ***
Capitolo 8: *** Come essere perdonata? ***
Capitolo 9: *** Prendere O Lasciare? (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve bei lettori! Sono contenta che l'introduzione vi sia piaciuta e abbiate guardato questa OOC, che mi è venuta in mente mentre ciarlavo con la mia migliore amica. Bella come ispirazione, no?! hahah
Comunque volevo anticiparvi che questo è SOLO il prologo, perciò, visto il mio stile, è breve. Sono fatta così non mi uccidete xD 
Ma vi prometto che tra qualche giorno, non più di tre giorni, avrete già il vostro primo bel capitolo. 
Quindi, ora vi lascio alla breve lettura e spero vi abbia incuriosito!


Take it or Leave it!




Prologo



Eravamo io e la mia piccolina e non mi serviva altro. Non avevo bisogno di lussi, di soldi… di lei.
La mia piccola donna dai capelli ramati mi bastava e non desideravo altro.
Avrebbero potuto offrirmi qualunque cosa, anche il mondo, ma avrei declinato il dono. La mia vita andava bene così com’era e non mi interessava cambiarla.
Ma ovviamente le cose non vanno mai come ti aspetti, non seguono mai la strada che hai fissato. E prima che tu te ne accorga, il tuo più grande problema sta suonando il tuo campanello e vuole portarti via ciò che più ti è caro solo per un capriccio.
Bella merda!

 

Spero vi sia piaciuto! 
VampireMusic

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Capitolo 2
*** Un disastro con boccoli di rame ***


Ed eccoci finalmente con il primo capitolo! Grazie per chi ha recensito, chi ha letto, chi ha inserito la storia tra le preferita/seguite/da ricordare!
Avete fatto bene xD

Ora vi lascio alla lettura





Capitolo 1- Un disastro con boccoli di rame

 


“Ti prego, basta! Ti supplico!”, continuava a lamentarsi mia sorella Alice mentre il mio disastro con i boccoli ramati le cantava da mezz’ora la canzone che oggi le avevano insegnato a scuola di canto.
Quando lo faceva una volta era fantastico, mi rendeva davvero orgoglioso, quando erano due era okay e così alla terza volta che la sentivi cantare, ma dalla quarta in poi ti chiedi per quanto tempo ne avrà ancora.
A che punto eravamo ora?
Alla decima e Alice stava impazzendo sul serio.
“Papà perché non canti con me?”, mi propose la mia piccolina smettendo di torturare mia sorella per qualche secondo.
“Sì, Edward, vieni qui anche tu!”, disse Alice pregandomi di lasciarla andare con lo sguardo. Le sorrisi in risposta.
“Va bene, arrivo Nessie”, dissi. Ma fu lei a correre sorridente verso di me, lasciando zia Alice in pace.
Così aprii le braccia, in modo che riuscisse a tuffarsi nel mezzo quando sarebbe arrivata.
Nessie. Renesmèe Carlie Cullen.
Mia figlia. Il mio orgoglio dalle guance rosee.
Aveva da poco compiuto dieci anni, il 10 di settembre, e come regalo le avevo donato un piccolo microfono, vista la sua già sfrenata passione per il canto. Lo usava tantissimo, anche troppo e toccava a me e ad Alice sopportarla.
Già, perché quella santa donna di mia sorella, da quando la madre di Renesmèe se n’era andata dopo ventiquattro ore dalla nascita della piccola, mi aveva offerto di vivere con lei per tenere d’occhio la peste e aiutarmi. Un uomo da solo era ovvio che non sarebbe stato in grado di occuparsi di pannolini e piagnistei notturni. Soprattutto se aveva diciannove anni e la donna che credeva la ragione della sua vita è fuggita.
Alice, per lei, si era comportata meravigliosamente, l’aveva cresciuta con me come una sua figlia ed era stata davvero come una mamma.
Ma non lo era. La sua mamma era una stronza che aveva preferito andarsene a recitare davanti ad una cazzo di telecamera, invece di prendersi le proprie responsabilità da madre.
Nessie lo sapeva, conosceva il nome di sua madre, anche se aveva mantenuto il segreto. Le lo riferii appena fu abbastanza sveglia da notare la somiglianza fra lei e la donna che il cartello pubblicitario al cinema mostrava.
Come l’aveva presa? Reagiva sempre in base all’umore alla conoscenza di avere una mamma attrice e fuggitiva.
Se era felice se ne stava davanti al pc, sulla pagine di Google con le foto della madre e si chiedeva se un giorno sarebbe tornata per portarla in qualche set cinematografico.
Ma quando la tristezza s’impossessava di lei, cosa più comune, si rannicchiava sul letto, giurando che se l’avesse vista, in qualsiasi contento fosse, le avrebbe gridato quando fosse stata una tremenda madre, perché non era con lei.
Perché c’ero io quando faceva i primi passi, la cullavo io quando piangeva di notte a sei mesi, la faceva divertire Alice quando io cercavo di darle da mangiare lavorando come un matto. C’eravamo io e mia sorella, non lei.
E questo a volte Nessie non lo capiva. Una notte la tenni abbracciata per ore, cantandole dolci canzoni per cercare di fermare gli spasmi del pianto.
Quella figlia di puttana non avrebbe dovuto andarsene, facendola soffrire così, e forse quella notte non pensava nemmeno a sua figlia che mai aveva visto, ma stava scopando con il nuovo sex simbol del  momento, tanto per accrescere la sua popolarità.
“Ti voglio bene, papà”, mi sussurrò Nessie, baciandomi la guancia mentre stava comoda tra le mie braccia.
“Anch’io tesoro”, rispose sorridendole. Era per quello che vivevo. Per lei e per nessun altro.
Per la mia Nessie!
 
“Sei bellissima”, le disse mentre si pettinava i capelli i una lunga treccia, già vestita con la sua divisa scolastica. Lei si voltò, illuminò la mia giornata con il suo sorrisone dolce e, dopo aver chiuso la treccia con un bel elastico blu elettrico, mi corse incontro.
La presi in braccio come il giorno prima, deciso, per non farmi prendere dal suo peso da decenne e non più da neonata, e le baciai i capelli di rame.
Perché crescevano così in fretta? Già mi mancava imboccarla con le pappette preparate che Alice andava a comprarle. Mi faceva così ridere vederla sbrodolare perché non voleva le verdure. Con le sue piccole manine che mi chiamavano quando tornavo a casa.
“Che fai oggi?”, le chiesi mettendola giù e portandola mano nella mano in cucina, per fare colazione insieme.
“Josh mi dedicherà la sicura vittoria della partita di football”, mi rispose tranquilla.
“Aspetta, chi è Josh? Quale partita di football?”, chiesi già traumatizzato. Era arrivata la fatidica ora del discorso? A dieci anni? Oddio…
“Tranquillo papà, è il mio migliore amico e vincerà la solita mezza partita che fanno durante l’intervallo tutti i giorni. E’ molto bravo, ma non è il mio tipo”, disse decisa con quella sua voce bianca.
Alice, prepara il divanetto: mi serve uno psicologo!
“E vediamo... chi sarebbe il tuo tipo?”.
“Tu!”, rispose dolce baciandomi la guancia, alzandosi anche con le punte dei piedi.
Nessie, la mia ancora fortunatamente piccola tenerona!
Così si sedette sul tavolo, aspettò che le dessi il suo solito bicchiere di succo e la sua solita brioche alla crema e intanto giocherellò con la sua treccia.
Preparata la colazione le la porsi e lei cominciò a mangiare tranquilla, agitando le gambine che non raggiungevano da sedute il pavimento, con un modo molto infantile.
“Ehilà”, tuonò Alice entrando in casa mentre io bevevo il mio solito caffè. “Ciao bellimbusto!”, disse salutandomi e scompigliandomi i capelli rossi come quelli di mia figlia, “E ciao anche a te, tesoro!”.
“Zia Alice, oggi mi accompagni a scuola?”, chiese Nessie mettendo giù la sua brioche per bere un po’ di succo.
“Certo, va bene”, rispose Alice felice. Lei adorava mia figlia! “A meno che quel possessivo di tuo padre non ti voglia portare lui”.
Renesmèe allora, per colpa del dono di sua madre del perfetto labbruccio da cane bastonato, mi «convinse» a lasciarla andare con la zia.
L’avrei lasciata andare comunque, non ero davvero così possessivo, ma mi piaceva restare al gioco.
Renesmèe corse ad abbracciare sua zia e, quando entrambe ebbero finito di mangiare, uscirono di casa.
Alice era la proprietaria della mente più acclamata al mondo, e infatti era la direttrice dell’ospedale più famoso di Chicago, dove vivevamo ora. Mi ricordo ancora che, quando era uscita dal master e aveva cominciato la solita gavetta ad inizio carriera, continuava a fissare male quel pezzo di carta che testimoniava laurea di cento e lode in medicina.
“Che cazzo ho studiato a fare per tutta la metà della mia vita se mi ritrovo a fare l’assistente di una mezza scema che non distingue un tumore da una polmonite?!”, si lamentava. Poi andava da Nessie e si distraeva coccolandola.
Ma poi qualcuno aveva capito il suo genio e a trentaquattro anni, cinque anni in più di me, era una celebrità assoluta nel mondo medico.
Io invece?
Io mi ero solo diplomato, avevo avuto una mezza storia fortunatamente non gossippata con una stella nascente di Hollywood, l’avevo messa incinta e mi ero ritrovato solo e con una figlia di un giorno.
Non potevo permettermi, né per tempo né per denaro, l’università e così andai nel liceo locale ad insegnare musica.
La mia passione per il piano e la mia bravura li avevano convinti ad assumermi meglio di quella carta straccia che anche un’università come la Julliard avrebbe potuto darmi.
Forse Alice non aveva così torto agli inizi…
Così, visto che oggi il mio orario da professore prevedeva la prima ora libera, feci con comodo. Finii il mio caffè, mi sistemai per bene e poi uscii di casa, passando dal bar di Emmett McCarty, mio ex compagno di liceo nonché mio migliore amico.
“Ehilà, bellissimo”,mi disse vedendomi arrivare. “Il mio tesorino come sta?”.
“Ciao Emm. Va bene, ma lunedì pomeriggio è crollata un’altra volta”, gli rivelai sedendomi nel mio solito posto al bancone, davanti a lui.
“Figlia di puttana”, commentò. Anche lui adorava Nessie e da piccola, ma anche adesso, la portavo sempre a giocare qui con Emmett. Era ormai la mascotte del bar!
“Hai sentito? Nel prossimo film sarà la madre più buona del mondo”, mi rivelò ancora tirando fuori un giornale.
 
Bella Swan al lavoro per il suo prossimo Oscar!
Da quando sabato pomeriggio abbiamo fotografato Bella mentre arrivava all’aeroporto di Toronto con la sua nuova fiamma Riley Biers, conosciuto sul set di Dark Night, ha riposato un giorno ed ora è all’azione. Oggi ha cominciato le riprese di Better Late Than Never, nuovo film dalle alte aspettative. La storia narra di una madre sola con due gemelli, Cloe e Fin, in attesa che l’amore la colpisca di nuovo per dare finalmente un padre ai bambini. Con lei, come coprotagonista maschile, reciterà il nuovo Don Giovanni di Hollywood, Noah Midlight, divenuto famoso per il suo ruolo del bel mago in Magic Night. Riley infatti ha rinunciato a tutti i suoi impegni per i prossimi mesi per restare con Bella durante le riprese. Che sia nato un triangolo amoroso tra Bella, Riley e Noah?
 
“Si vede che sa recitare”, dissi buttando il giornale fuori dalla mia portata per evitare che la curiosità mi spingesse a guardare anche le foto. Vederla sarebbe stato fatale, anche solo per immagini sfuocate.
Poi salutai Emmett ed uscii, per dirigermi alla scuola.
Parcheggiai l’auto davanti all’entrata, nel momento esatto in cui suonò la campanella. Perciò corsi verso l’aula di musica, dove già mi attendevano diciotto ragazzi, tra i quali due su cui contavo davvero. Liam e Maggie, di provenienza irlandese, erano i miei più bravi studenti e stavano già progettando, come me alla loro età, il loro provino per la Julliard. Quanti ricordi vagavano nella mia mente mentre mi spiegavano il motivo delle loro scelte musicali.
Soprattutto un particolare flashback si stagnò nella mia testa.
 
“Quando hai il provino?”, mi chiese Bella mentre camminavamo verso l’aula di teatro, guardati da tutti, per andare alle sue prove di Romeo e Giulietta. Lei ovviamente faceva la protagonista.
“A luglio. Spero che vada tutto bene, sono così teso”, dissi io stringendomela contro per rilassarmi. “Penso alla Julliard da quando sono nato e non posso sbagliare”.
“Vedrai che farai un figurone”, mi sorrise entrando nella stanza e salutando la professoressa di teatro. Era alta, con lunghi capelli biondi e gli occhi marroni ma colorati di azzurro grazie alle lenti a contatto dipinte.
“Grazie”, le dissi baciandola prima che entrasse nello spogliatoio per vestire i panni di Giulietta.
“Che cosa porterai?”, mi chiese finito il bacio.
“Penso Rossini”, dissi spostando la ciocca marrone che copriva il suo bel viso con i suoi occhi di cioccolato. “I maggiori autori italiani mi piacciono tantissimo”, risposi immaginando quale opera fare.
“Sì lo so”, rispose salutandomi sul serio, stavolta. “E spero che mi dedicherai la riuscita della tua ammissione, vero?”.
“Ma certo”, dissi baciandole la guancia e lasciandola andare a cambiarsi. Io la Julliard, lei i provini per un’opera teatrale a New York. Saremmo stati felici, no?
 
La lezione finì in fretta ed era meglio che mi assentassi un attimo a bere o sarei svenuto sul colpo. Ricordarla era come una bomba a mano, ma il mio cuore mi obbligava a non dimenticarla.
Ormai era parte di me, maledizione!
Uscii un secondo, lasciando gli alunni del primo alle prese dei tasti d’avorio del piano. Alla fine me ne andai dal bagno, dove mi lavai la faccia diverse volte per portare via il ricordo di lei. Chiamarla così mi faceva sentire meglio. Il suo nome era meglio che restasse un tabù.
Andai a prendere le fotocopie che avevo fatto giorni prima per i nuovi alunni e le riportai in classe, sfoderando il mio sorriso va sempre tutto alla grande.
La mattina passò così, tranquillamente, tra canzoni facilissime a più complesse, in base alla classe che trovavo in aula. L’ultima ora mi toccava il secondo anno, perciò mi preparai alla noia.
Non erano molto incapaci dopo un anno di pianoforte, ma di certo non erano come Liam o Maggie.
Passando un ora con canzoni facili e accordi da primo anno, visto che l’estate aveva portato via anche gli ultimi ricordi delle lezioni precedenti, arrivò il suono della fatidica campanella e di conseguenza e i sospiri felici dei miei alunni.
“Professor Cullen?”, mi chiamò Sarah Floh, mentre stavo portando via le mie cose.
“Si Sarah?”, chiesi vedendo che non diceva più niente. Sembrava imbarazzata.
“Liam mi ha detto che andrà alla Julliard. Com’è andarci?”, mi chiese sedendosi davanti a me.
Stavolta ero io che diventavo imbarazzato. “Non sono mai andato alla Julliard. Problemi... personali”.
“E’ sposato signor Cullen?”, mi chiese con occhi strani, come se volesse indagare sul mio passato.
“No… ma non credo sia affari suoi, signorina Floh”, la ripresi mettendo la mia borsa a tracolla sulla spalla e chiudendo la tastiera del piano vicino a me.
“Mi dispiace… non volevo metterla in imbarazzo. Volevo solo sapere perché un pianista come lei non sia andato alla Julliard”, disse alzandosi veloce con occhi di scusa.
“La vita è imprevedibile, miss Floh. Puoi immaginarla, puoi organizzarla, puoi decidere tutto il tuo futuro… ma alla fine niente va come vorresti”, le dissi andando via.
Parlare del motivo per cui non ero andato all’università artistica e musicale più famosa del mondo mi faceva male, troppo male.
Uscii dalla scuola, presi la macchina e tornai a casa. Appena notai la bambola di Nessie sul comodino all’entrata, la bambola che Alice le aveva regalato anni fa e che era diventata la sua preferita, mi sentii meglio. L’elemento lei e Julliard sparirono subito quando pensai a Nessie. Lei era la sola unica cosa che mi teneva il sorriso sulla faccia.
E il telefono squillò.
“Pronto?”.
“Lei è il signor Cullen? Il padre di Renesmèe Carlie Cullen?”, mi chiese la voce roca e incomprensibile di quel fumatore del preside della scuola di Nessie.
“Certo, che succede?”, mi preoccupai.
“Sua figlia è al pronto soccorso con sua sorella Mary Alice Cullen”, mi informò facendomi cadere retoricamente in un buco nero. “E’ meglio che la venga a prendere, vuole lei”.
Merda!
Che era successo? Cosa aveva fatto la mia bambina? Chi l’aveva toccata?
Non c’era bisogno di dire niente, perciò buttai il telefono sul tavolo della cucina e mi lanciai letteralmente fuori dalla casa. Presi la macchina e volai verso l’ospedale di Alice.
E’ con lei, Edward, è con Alice, pensavo cercando di pensare al meglio per la mia piccola.
Parcheggiai l’auto, la chiusi di fretta e corsi verso l’ospedale, dirigendomi verso il settore pedagogia. Mille colori e mille disegni rendevano il luogo meno traumatico, ma sempre un reparto ospedaliero rimaneva.
“Ha bisogno di aiuto?”, mi chiese un’infermiera che passava, con un bimbo di pochi mesi in braccio.
“Dov’è Renesmèe Carlie Cullen?”, chiesi veloce ma sillabando bene il nome, sapendo che non era molto facile.
“Oh, la piccola Renesmèe! È arrivata stamattina ed è già diventata l’idolo del reparto”, disse ridacchiando con lo sguardo sul bimbo, facendogli moine. “E’ nella camera 18”.
La ringraziai e salutai quel piccoletto con un sorriso – mi ricordava tanto la mia piccina – e tornai indietro verso la stanza che mi aveva indicato.
21, 20, 19… 18!
Spinsi piano la porta, in caso stesse dormendo, e guardai dentro. Era una piccola cameretta, divisa in due, ma ora c’era solo mia figlia ad occuparla.
E lei era lì, seduta sul letto, che sorrideva e parlava con Alice come quella mattina. Era così bella, così pura, così dolce…
“Papà!”, gridacchiò quando si accorse di me, spingendo le sue mani verso di me come faceva da piccola nella culla.
Le andai incontro di fretta e, arrivato lì, la strinsi forte. avevo avuto paura di perderla da quando era nata, ma per ora con me. La mia piccina dai boccoli di rame era qui con me.
“Che hai fatto? Che ti è successo?”, la interrogai guardando i suoi profondi occhi scuri, come cioccolato al latte.
“Stavano giocando a football, come ti ho detto stamattina, ed io ero entrata nel piccolo campo per incoraggiare Josh e non mi sono accorta che la palla stava già volando per aria”, spiegò facendomi maledettamente immaginare la scena di lei colpita da una palla.
“Il pallone era poco gonfio perciò non ha fatto molti danni, a parte lo svenimento che l’ha portata qui. Ma si è subito ripresa, tranquillo”, mi disse mia sorella calmandomi. “Non ha niente, è solo un po’ stordita, quindi domani la potrei tenere qui con me”.
“Ok, va bene, dai”, accettai anche se non troppo felicemente. Una giornata senza Nessie era come una giornata con gli spettri del mio passato.
Ma a distrarmi immediatamente da quel pensiero arrivò il preside, il fumaiolo che mi aveva chiamato.
“Allora miss Cullen, come si sente?”, le chiese sorridendole. Sentivo l’odore di fumo fin dalla parte opposta del lettino bianco, dove si era posizionato.
“Meglio, infatti non capisco perché non posso tornare a casa!”, li lamentò Nessie. Lei era uno spirito libero, non amava molto gli spazi chiusi.
“Uscirai di qui quando tuo padre ti porterà a casa. L’ho chiamato apposta per questo”, rispose il preside guardandomi. Già, e anche per farmi prendere un colpo dicendomi che la mia bambina era all’ospedale!
Nessie afferrò al volo e mi guardò con il suo solito e intollerabile sguardo da cucciolo per obbligarmi a farla tornare a casa, nella sua cameretta.
“Bene, allora possiamo andare”, decretai porgendole la mano e prendendola in braccio. Messa giù la feci camminare, guardando se Alice mi faceva dei segnali.
Mi sorrise, segno che la sua andatura andava bene.
“Alice, resti qui?”, chiesi prendendo la mano di mia figlia per cominciare ad uscire.
“Sì, aspettami pure a casa, fratellone”, mi disse dandomi un piccolo abbraccio. Mi mancavano i giorno adolescenziali dove ridevamo e scherzavamo insieme…
Nessie mi tirò la mano, segno che mi ero imbambolato nei ricordi, e l’accompagnai alla macchina, per poi tornare a casa.
Arrivato lì mangiammo qualcosa di preparato al momento e poi ci sedemmo insieme sul divano a guardare la tv.
Passò una mezz’ora strana. Nessie di solito, al pomeriggio dopo la scuola, adorava vedere un po’ di televisione per rilassarsi, ma stavolta aveva lo sguardo fisso su di me.
Mi voltai, cercando di farla parlare visto che si morde il labbro inferiore con i piccoli denti bianchi.
“Sei arrabbiato con me?”, mi chiese alla fine agitando le gambine, tesa.
“Cosa?”.
“Sei arrabbiato con me? Per quello che è successo oggi”, mi spiegò meglio.
“No, non sono per niente arrabbiato con te. Perché dovrei esserlo?”, chiesi stupito. Non era nella mia natura essere in collera con la mia piccola. “Certe cose possono capitare. E sai una cosa?”.
“Che cosa?”, rispose guardando il mio sorriso.
“Ci hai guadagnato una giornata libera con zia Alice domani!”, le dissi dandole in bacio e facendole il solletico.
“Papà!”, urlò ridendo con la sua voce armoniosa e ripentendo le parole di Alice. “Ti prego, basta!  Ti supplico!”.
 



Vi è piaciuto? E' un bell'inizio?

Bacioni a tutti i lettori, VampireMusic

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Capitolo 3
*** Sinapsi ***


Ciao gente! Come state? 
E dopo una settimana sono ancora qui, con Take it Or Leave it! Che bello <3
News del momento: ho creato un blog dove posterò news, info e spoiler delle mie storie. si chiama
Welcome to The Universe, se vi interessa *.*

Sono felicissima delle precedenti 3 recensioni e delle numerose persone che hanno inserito la storia nelle preferite/seguite/da ricordare. Mi fa sempre piacere <3

Ora vi lascio alla buona lettura!




Capitolo 2- Sinapsi



Appena tornò Alice, alle sei di pomeriggio, Nessie cominciò a giocare con lei, mentre io andai a sistemare un po’ la camera di mia figlia.
Era un totale caos!
Il letto era disfatto, torturato dalle mille giravolte che Nessie faceva prima di addormentarsi, le bambole erano un po’ a posto e un po’ sparse per il pavimento, il microfono era sul letto, insieme ad un quaderno.
Sistemai tutto e poi presi quel libretto che non mi sembrava di aver mai visto.
 
Renesmèe’s memory.
 -Oggi papà è rimasto con me tutto il giorno, siamo andati al parco e ci siamo divertiti a vedere le farfalle. Papà conosce un sacco di specie di insetti e me li ha insegnati!
È il migliore!
-Sono stata con Josh a giocare a nascondino ieri. Ci siamo divertiti tanto, anche se vinceva sempre lui. I maschi sono molto competitivi.
-Ieri sono stata con Alice nel suo ufficio e l’ho aiutata a sistemare tutte le scartoffie che c’erano in giro. A quanto pare ha conosciuto un certo Jasper…
-Zia Alice no torna più sull’argomento maschida quando mi ha fatto il discorso. Sono felice che non l’abbia fatto papà… si sarebbe vergognato da morire!
 
Chiusi di botto il quadernetto, ringraziando e maledicendo allo stesso tempo mia sorella per quello che aveva fatto.
Insomma, l’età era arrivata ed io mi ero complicato la vita a pensarci su, mentre la mia dolce sorellina aveva già sistemato tutto. E poi era un medico, meglio di così!
Lasciai il quaderno sul letto e tornai di sotto. Alice aveva portato Nessie in cucina e stavano cominciando a cucinare.
“Alì, ti posso parlare?”, chiesi entrando e notando i loro sorrisi. Mia sorella diede un bacio sulla guancia a mia figlia e le disse di chiamarla se sarebbe successo qualcosa.
“Che succede?”, mi chiese quando ci sedemmo sul divano.
“Ho letto per caso il diario di Nessie e ho saputo che…”.
“Oh, non ti preoccupare. Non ci sono andata pesante e sapevo che prima dei sedici anni tu ne avresti fatto un tabù. Ti conosco Edward”, disse ridendo e abbracciando le mie spalle.
“Già”, sorrisi. Poi ricordai un’altra nota di Nessie. “Chi è Jasper?”.
“Cosa?”, chiese spaventata.
“Nessie ne ha scritto sul libretto. Ha scritto «A quanto pare ha conosciuto un certo Jasper»”, dissi ripetendo testuali parole.
“Edward… io… ecco”, balbettò.
“Alice, non ti voglio costringere, ma da come lo escludi dal discorso sembra che hai paura”, sussurrai guardandola negli occhi.
“E’ un nuovo dottore, è arrivato da poco”, mi cominciò a raccontare. “Io stavo facendo il turno di notte ed ero andata a prendere un caffè. È arrivato anche lui e in mano aveva un giornaletto con l’immagine di lei. Ho quasi ringhiato vedendola, anche se mi faceva male, e lui…”.
“E lui?”.
“E’ il figlio del suo manager, Edward”, confessò. “E’ il figlio di Martin Withlock!”. Si interruppe in attimo, facendomi ingoiare la notizia. piangeva, quasi nervosa. “Mi sono imposta il divieto di rincontrarlo, ho cambiato i suoi orari di lavoro facendo in modo che la maggior parte non coincidessero con i miei… ma sa che sono una Cullen e ho paura che lo dica a suo padre e che lui lo dica a Bella!”.
Cavolo, merda!
“Non… non puoi… licenziarlo?”.
“Edward non funziona così. Non puoi licenziare un medico, così qualificato poi, solo perché è il figlio del manager della tua ex migliore amica che se n’è andata lasciando tuo fratello da solo con la loro bambina”, mi fece capire.
“E in più ti piace”, conclusi per lei.
“Cosa? Io non ho mai detto che…”.
“Alice… così qualificato. Lo dicono già soltanto i tuoi occhi e mi sento uno schifo pensando che lo stai evitando solo per me”.
“Edward, è già un miracolo che non sia ancora arrivata. E’ già un miracolo che nessuno abbia notato Nessie con la loro somiglianza. E’ già un miracolo che tua figlia non voglia scappare da lei”, mi disse con voce convinta. “Non manderò tutto all’aria perché un dottore sexy mi piace”.
La guardai, mimando un grazie, per poi scoppiare con lei a ridere a causa della sua ultima frase.
Era la migliore. L’avevo sempre saputo.
“Alice… qui si sta bruciando tutto”, ci interruppe Nessie con la sua vocina. Alice la guardò, cercando di capire che diavolo stava dicendo e poi arrivò alla giusta conclusione: la cena!
“Oddio, è vero!”, disse ridendo. “Arrivo!”.
Ma alla fine si era davvero bruciato tutto, perché Nessie non voleva chiamarci mentre ciarlavamo, e Alice decise di ordinare la pizza.
E figurarsi se Renesmèe diceva di no alla pizza!
 
Camminare nel corridoi durante le pause delle lezioni è un inferno. Ci sono ragazzi ovunque e tutti appiccicati agli armadietti grigi.
“Oh, professor Cullen!”, mi chiamò una voce. Maggie.
“Buongiorno  signorina Byer. Cosa c’è?”.
“Ho deciso la sinfonia per il provino che avrò a luglio per la Julliard. Volevo che lo sentisse per sapere cosa ne pensava”, mi rispose con gli occhi luccicanti. Li avevo anche io quando mi ero deciso per la composizione da presentare al provino, alla mia età.
“Certo… facciamo dopo pranzo nell’aula di musica, prima dell’ora successiva?”, chiesi.
“Va benissimo”, disse per poi tornare al suo gruppo di amiche. Maggie aveva i capelli rossi, ma più scuri dei miei, gli occhi azzurro oceano e una pelle davvero pallida e leggera. Le sue mani, lunghe e affusolate, erano una benedizione per il pianoforte.
La lasciai andare e mi diressi verso la sala insegnanti, dove presi un caffè. C’era Victoria.
“Ehi Edward!”, mi salutò alzando il viso verso di me. “Come stai oggi?”.
“Bene, che stai facendo?”, notando un foglio dai mille tratti rossi e dai pochi schizzi neri.
“Correggo questo schifo. Fa davvero così pena la letteratura?”, mi chiese tornando a guardare il compito.
Io le sorrisi e mi sedetti di fianco a lei. Victoria era la donna più vicina a me oltre a mia sorella e mia figlia.
Aveva divorziato dal suo precedente marito, James Stone, ed ora viveva sola nella periferia di Chicago e insegnava Inglese dove insegnavo io. Non so esattamente se fosse la mia fidanzata. Uscivamo spesso insieme da qualche mese, l’avevo già baciata e se non fosse per Nessie a casa, saremmo già andati oltre. Quindi lo era? Non ce lo eravamo mai detti, ma credo di sì.
“Oggi che fai?”, mi chiese buttando i compiti dall’altra parte della scrivania e mi guardò negli occhi. Un blu mare mi colpì in pieno.
“Nessie è da Alice, perciò ho casa libera fino alle sei. Ieri è stata male ed è finita all’ospedale”.
“O mio dio! Che ha avuto? Sta bene?”, mi chiese preoccupata. Non aveva ancora visto Nessie, ma aveva uno strano sguardo materno quando ne parlavo.
Non poteva avere figli e perciò quando io le raccontavo di mia figlia lei aveva sempre gli occhi a cuoricino.
Mille volte mi aveva chiesto chi fosse la madre, e mille volte le avevo detto che era un segreto che mi sarei portato nella tomba. Nessuno doveva saperlo. All’inizio si era arrabbiata, molte volte ancora si imbronciava, ma aveva capito che non avrei mai ceduto.
“Sì, solo un incidente da bambini, mentre giocavano. Sta benissimo ma Alice voleva tenersela all’ospedale per coccolarsela un po’ con la scusa di tenerla d’occhio”.
“Tua sorella dev’essere davvero un mito. Insomma, con Renesmèe, con te e con la sua vita propria”, mi disse carezzandomi il viso. “ E tu non sei da meno”.
“Grazie Victoria”, le risposi baciandole dolcemente le labbra.
“Allora, visto che sei solo, stasera dobbiamo festeggiare”, disse ritraendosi dopo qualche secondo.
Prese la borsetta, frugò tra i mille congegni che tutte le donne nascondono nelle borse e ne tirò fuori due biglietti.
“Al cinema vicino a casa mia danno ancora quel film, Dark Night, con Bella Swan. L’ho adorato e visto che tu non l’hai ancora visto ho preso l’occasione al volo”, disse sorridente. “Insomma, non hai mai visto un suo film! È la mia attrice preferita!”.
Merda.
“Vic… pensavo di restare a casa. Cioè, non ho proprio voglia di vedere un film stasera”, dissi baciandola ancora, cercando di far capire il messaggio.
“Potremmo concludere in bellezza dopo il film. Sono certa che ti piacerà”, rispose convinta ancora con le labbra attaccate alle mie.
“Nessie potrebbe arrivare prima”, sussurrai prendendole dal fondo la camicetta.
“Edward”, si staccò. “Mi vuole dire che diavolo succede? L’altra volta abbiamo visto un film e non hai fiatato. E tua figlia non era in casa!”.
“Mi dispiace, è che non ho voglia di vedere un film stasera”, cercai una scusa. Poi, un lampo di genio. “In fondo ogni volta che ci vediamo guardiamo un film, per poi salutarci e tornare alle proprie case quando finisce. Non vuoi salire di livello?”.
“No. No, io non voglio salire di livello. L’ultima volta ho avuto un falso positivo e mi sono dovuta sposare James e poi, scoperto che in verità non ero incinta dopo tre mesi, abbiamo divorziato”, mi ricordò. “Io non voglio farlo”.
“Io non sono James, e non succederà di nuovo”.
“Non mi importa”, disse mettendo una certa distanza da noi, per poi andare via quando la campanella suonò.
Cazzo! Ora rischiavo di perdere pure Victoria. L’unica fortuna è che non aveva incontrato la mia piccola o Nessie non ci avrebbe più capito niente della figura femminile in casa nostra.
Guardai la porta chiusa, sapendo che dovrei essere a lezione.
Io non amavo Victoria, non ancora almeno. Ma volevo dare una madre a mia figlia, qualcuno che le volesse bene, che la crescesse, che le desse consigli quando diventerà grande. Soprattutto qualcuno che non fosse sua zia.
Scossi la testa, prendendo le mie cose e andando in classe.
I venti ragazzi del terzo anno mi guardarono stupiti controllando l’orologio e mi scusai del ritardo prendendo come scusa le fotocopie che avrei dovuto fare a quelli del quarto anno.
“Ragazzi, oggi volevo proporvi una cosa. Un piccolo compito teorico, visto che ne do sempre pochissimi”, dissi portandomi dietro i lamenti degli alunni. “Dovrete scegliere uno specifico compositore e portarmi un saggio sulle sue opere e del perché, secondo voi, le ha scelte e le ha scritte in quel determinato modo. Non è difficile”.
“Quando tempo abbiamo?”, chiese Joe Fieldlight.
“Avete a disposizione ben tre settimane perciò voglio dei capolavori”, decretai facendo scemare i lamenti. Avere più tempo li rendeva più tranquilli.
“Bene, ora torniamo al lavoro”.
Si sistemarono ognuno al proprio pianoforte, anche se qualcuno si scambiava ogni tot tempo visto che non ce n’erano abbastanza, e cominciarono a ripetere la composizione che li aveva assegnato la scorsa volta.
Al suono della campanella si alzarono, mi salutarono e uscirono dalla classe e, prima che arrivassero quelli del quarto anno, corsi a fare quelle fotocopie che mi avevano salvato il ritardo di prima.
Tornato indietro i ragazzi non erano ancora al completo, perciò nessuno disse nulla.
Appena tutti fossero al loro posto consegnai la nuova opera e loro cominciarono a strimpellare.
Era la classe di Liam e Maggie e loro erano più concentrati che mai. Era molto importante saper suonare qualsiasi cosa, perché non era detto che ti facessero suonare solo quello che avevi scelto, per il provino alla Julliard.
Suonò di nuovo la campanella prima che io me ne rendessi conto e così in fretta passarono le altre ore prima della pausa pranzo. Dio, oggi avevo proprio la testa per aria.
I ragazzini del primo anno se ne andarono dopo che diedi loro il permesso e sfilarono uno ad uno fuori dalla classe, prima che entrasse la chioma rossastra di Victoria.
“Edward…”, cominciò, con voce di scusa.
“Devo andare a pranzo di fretta, la signorina Byre deve suonarmi qualcosa per il provino”, andai di fretta, prendendo la mia borsa e uscendo dalla classe.
“Edward…”, mi chiamò di nuovo, ma ormai ero lontano.
Non avevo voglia di sentirla parlare di quanto lei fosse brava, bella e buona o di come recitava bene. E sapevo che Victoria ne avrebbe parlato per convincermi ad andare al cinema con lei.
Uscii dalla scuola e andai al bar di Emmett per sgranocchiare qualcosa mentre Maggie mangiava alla mensa con le sue compagne.
Quando entrai mi stupii: non c’era nessuno, tranne Emmett.
“Ehi, che succede?”, dissi sedendomi al mio solito posto. Emmett alzò lo sguardo e poggiò i gomiti sul bancone.
“E’ pranzo Edward. Non tutti fuggono da ogni essere umano a pranzo”, sorrise gentile, spostando lo sguardo e prendendomi qualche snack. “Che succede?”.
“Victoria mi ha invitato a vedere un film”.
“E…?”.
“Ti dice niente Dark Night? Con…”, lascia in sospeso la frase guardando in basso.
“Cavolo”, rispose Emmett.
“Ovviamente non potevo dirle la verità, quindi ho preferito metterla sul piano c’è casa vuota e lei si è arrabbiata tirando fuori il divorzio con il suo ex”, raccontai. “E ora non volevo risentirla parlare delle meravigliose abilità di…”.
“Bella?”.
“Non dire il suo nome”, ringhiai.
“Edward è ridicolo! Non puoi continuare a pensarla senza dire il suo nome”, mi rimproverò Emmett. “Lo so che ti ha fatto e ti fa soffrire anche oggi, ma non puoi nemmeno ancora odiarla. Tu l’amavi. Ci hai fatto una figlia con lei!”.
“Una figlia che per lei poteva morire grazie all’aborto!”.
“Che cosa?”, si stupì il mio amico.
“Chi credi che abbia lottato fin dall’inizio? Chi credi che l’abbia convinta a mandare avanti la gravidanza dopo il provino a New York, dopo che l’hanno presa?”, gli domandai urlando. “Io! Sempre io! Solo io mi sono fatto il mazzo fin dall’inizio per Nessie. Io l’amavo, è vero, ma lei se n’è andata”.
“E questo ha cambiato i tuoi sentimenti?”, mi chiese lui di conseguenza.
“Che intendi dire?”.
“Intendo dire che non vuoi… tu non riesci a dire il suo nome, non riesci a guardare negli occhi tua figlia senza vedere i suoi, nuoti negli spettri dei ricordi di quando stavate insieme. Edward, tu l’ami ancora”, mi disse cercando di convincermi.
Io amavo ancora Bella. No,no, no.
“No! Io la odio. La odio per quello che mi ha fatto, la odio per come si è comportata. La odio, Emmett. E non riesco a fare quelle cose perché mi ha fatto male, perché credevo di amarla… invece mi ha sempre e solo usato. Non ricordi Emmett? Non ricordi come ci siamo conosciuti?”.
Io sì, io lo ricordavo…
 
Era il ballo di Halloween organizzato dal liceo e tutti erano vestiti nei modi più orripilanti possibili. La musica era forte e il cibo anche. Avevano fatto le cose in grande stavolta.
Ma la cosa divertente è che potevi notare benissimo chi fossero i single, le coppie e persino i ricchi e i semplici ragazzi comuni.
I single erano in piedi, ballavano sfrenati, cercando di fare colpo su tutti. Le coppie erano ballavano lentamente, abbracciate, e non si toglievano ma lo sguardo di dosso, se non per sorridere imbarazzati.
I ricchi avevano i vestiti decorati nel modo più sfarzoso possibile e rovinati nello stesso modo. Erano dei capolavori della moda horror.
I ragazzi comuni avevano di certo vestiti usati, o fatti in casa con qualunque cosa avessero trovato.
Io ed Alice eravamo seduti su una panchina, al lato della sala da ballo dove avevano organizzato il tutto. Noi eravamo i single ricchi.
Carlisle ed Esme, i nostri genitori, ci avevano comprato dei fantastici abiti. Erano il massimo.
Io avevo uno smoking nero, elegante, con la camicia bianca, aperta. Ma lo smoking era stracciato in modo perfetto sui polpacci, sul torace, sulla schiena e ai piedi, ed anche la camicia non era da meno.
Alice invece aveva un vestito nero con strascichi mezzi distrutti di pizzo rosa. Aveva il corpetto stretto e la gonna lunga, con degli stivali con il tacco a spillo ai piedi. In testa invece aveva un piccolo cappello nero.
“Edward, andiamo a ballare!”, mi invitò mia sorella alzandosi con entusiasmante equilibrio.
Mi porse la mano e decisi di farla ballare un po’. Tanto dopo trenta secondi un ragazzo con degli occhi funzionanti l’avrebbe invitata a fare lo stesso. Alice non era affatto brutta, anzi.
Ci addentrammo nella pista e cominciai a farla danzare. Sapevamo ballare entrambi; Esme ce lo aveva insegnato qualche mese fa.
“Mi concede questo ballo, Mary Alice?”, sentimmo una voce decisa dietro di noi. Era Emmett che voleva fare lo spiritoso.
Avevamo fatto una scommessa e aveva intenzione di vincerla: non sarei dovuto stare con mia sorella ma fare colpo su qualcuna.
Da quando avevo mollato Jessica Stanley e lei si era messa con quell’imbecille di Mike Newton, io ed Emmett eravamo delle anime libere, perciò voleva che rimorchiassi un po’. Solito Emm.
Andai verso le casse e il dj, che stava mettendo una nuova canzone, più movimentata, ma sentii delle voci.
“Provaci, che ti costa?”, diceva una ragazza.
“Dite sul serio? Ma mi dispiace”, rispose una voce melodiosa.
“Vedrai che funzionerà. Tanto non è importante quando David”, disse ancora la prima voce.
“E va bene, va bene”.
Continuai a sentire la musica, lasciando stare le ragazze alla loro conversazione, mentre fissavo Emmett che lasciava Alice ad un ragazzino del secondo anno. Wow, Alice si faceva sempre più tollerante!
“Ehi, bello smoking”, mi sentii chiamare dalla stessa voce melodiosa di prima.
Mi voltai e due occhi color del cioccolato al latte si posizionarono davanti a me e un ciuffo scuro copriva la pelle chiara che attorniava gli occhi. Un sorriso smagliante si aprì sul viso della ragazza.
“Ciao”, la salutai.
“Sono Bella Swan, ma credo che tu lo sappia già”, mi disse con un po’ di superbia. Certo che lo sapevo, era la ex caposquadra delle cheerleader che ora stava mollando per entrare nel corso di teatro. Ma non essendo del tutto fuori era ancora la ragazza più sexy e popolare della scuola. Io, per lei, ero uno sconosciuto, anche se per gli altri io e mia sorella eravamo abbastanza popolari.
“Edward Cullen”, mi presentai porgendole la mano.
“Oh, niente strette di mano, non siamo nel medioevo, Edward Cullen. Ti va di ballare?”, mi chiese prendendo la mia mano e portandomi in centro pista. Vidi Emmett che strabuzzava gli occhi.
“Ecco, qui è perfetto”, disse per poi abbracciare il mio collo e stringersi a me, mettendo la testa sulla mia spalla. Mille facce cominciarono a fissarci, ma tra quelle vidi soprattutto quella del capitano della squadra di football, David Loon. Era davvero così banale?
Ma anche se forse non voleva davvero ballare con me, almeno avevo la famosa Bella Swan tra le braccia, e facevo felici Emm e Alice anche solo per una sera.
 
“Professore? Professore si sente bene?”, mi chiese una voce portandomi via dalla sala di ballo del più bel hotel di Chicago.
Era Maggie, che si era fermata dal suonare vedendomi bianco come un lenzuolo mentre le dicevo che aveva sbagliato una nota.
Come ci ero finito lì? Dov’era Emmett?
“Professore?”.
“Sì, sì signorina Byre. Devo andare un attimo, lei resti qui e continui a suonare”, dissi poggiandole una mano sulla spalla, per poi alzarmi e dirigermi verso il bagno.
Perché continuavo a ricordare? Soprattutto quella sera… e il motivo per cui lei mi aveva parlato.
No, no, fermi spettri. Non potevo andare in trance un’altra volta. Magari dopo, non ora.
Maggie mi aspettava e non potevo deluderla mettendomi a piangere come una bambina perché la mamma non le prendeva il gelato.
La mamma… no, basta!
Tornai indietro, sorrisi a Maggie e la invitai a continuare. Aveva scelto una melodia stupenda ma anche un po’ complessa: una delle musiche dell’opera teatrale Le nozze di Figaro di Mozart.
La suonava in maniera impeccabile, anche se sbagliava sempre un pezzo, ma corretto quello ero certo che la Julliard l’avrebbe accolta a braccia aperte.
La campanella suonò, lei si alzò ringraziandomi e io la invitai a tornare anche domani alla stessa ora. Accettò.
E mentre lei se ne andava, un'altra classe entrò nell’aula. Il secondo anno, birbante e menefreghista, aveva lezione. Sospirai e passai dalle note di Le nozze di Figaro alle filastrocche dai più complessi accordi.
Era giovedì e quindi, appena suonò anche questa campanella, uscii per tornare a casa, essendo il mio orario terminato.
Ma anche quello di Victoria finiva adesso e la vidi uscire dalla sua classe nel mio stesso momento. Cazzo!
“Edward, ti prego ascoltami”.
“Che vuoi, Victoria?”, la pregai esasperando la situazione.
“Dammi solo un motivo perché non vuoi venire con me a vedere Bella Swan. Ti prego, solo uno. E’ così brava!”.
E me ne andai.
Jasper Withlock che faceva la corte ad Alice, Victoria che adorava lei, Emmett che mi convinceva del fatto che fossi ancora innamorato di lei… erano sinapsi troppo forti per il mio cervello.
Se continuavo non avrei retto. 



*le sinapsi sono dei collegamenti celebrali e volevo inserirle per la sensazione quasi elettrica, e forse per lui dolorosa, che Edward prova ad ogni collegamento  con Bella. In più mio cugino ha una band che si chiama così =D  *

Piaciuto? 
VampireMusic

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Capitolo 4
*** Ammettere il problema ***


eccomi tornata, tesori!! Scusate per il ritardo, scusate davvero, sul serio, vi supplico, scusate!! xD
Spero che con questo capitolo mi perdoniate! <3



Capitolo 3- Ammettere il problema
 


Alla fine il pomeriggio lo passai rovinandomi gli occhi stando davanti alla televisione. Non mi ero permesso ricordi e nemmeno avevo voglia di farmi venire un colpo seguendo Victoria.
Così, quando la porta si aprì mostrando il faccino di Nessie e  il sorriso di Alice mi resi conto che fossero già le otto e non avevo ancora preparato niente.
“Tesoro, vai di sopra. Io e tuo padre intanto cuciniamo qualcosa”, disse Alice, prendendomi il braccio e portandomi in cucina.
“Victoria la adora ed Emmett crede che io la ami ancora”, mi sfogai appena chiuse la porta. Sapeva che c’era qualcosa che non andava.
“Che cosa? Voglio dire, Victoria la adora?”, chiese sgranando gli occhi.
“Già… ed Emmett..”
“Lo so”, concluse svelta. “E lo credo anche io”.
No, no, non poteva essere. Ma stavano creando una congiura contro di me? Che volevano che facessi?
“Che cavolo…? Come lo credi anche tu?!”.
“Edward, come io so che una parte di me la considera ancora la mia migliore amica, so che una parte di te ancora la ama”, mi disse toccandosi il suo cuore. Poi mi toccò la fronte. “Il nostro cervello è strano, lo so, ma funziona così e nessuno può farci niente. Né io, né te e nemmeno lei”.
“Lei non mi ha mai amato, lei non ha mai voluto Nessie”, urlai cercando di respingere quella scusa.
“Edward, ero la sua migliore amica, certe cose le conosco meglio di te. All’inizio ha sbagliato, è vero. Ti ha agganciato solo per fare colpo su quel ragazzo, ma poi ti ha davvero amato”, sussurrò prendendo le mie braccia, che tremavano, mentre i miei occhi si stavano bagnando. “La sentivo quando mi parlava di te con quella voce persa e gli occhi innamorati e avevi anche tu. E il giorno in cui avete deciso di provarci, lei era nervosa, preoccupata, ma sapeva che voleva farlo. Voleva farlo perché c’eri tu con lei. E tu pensavi lo stesso”.
Le lacrime ormai scendevano e la mia mente ritornava a quei momenti felici. “E allora perché mi ha mollato con una figlia? Perché è fuggita? Perché non tornare?”.
“La paura fa brutti scherzi e, avendo avuto paura, ha preferito la strada più facile: andarsene e dimenticare tutto. Non le parlo dallo stesso tempo da cui non le parli tu, Edward. Non so cosa pensa ora, ma in quel momento aveva paura”, disse tenendomi ancora stretto.
“Non… non è un buon motivo! Alice, lo sai che è un buon motivo!”, gridai, anche se avevo paura che Nessie mi sentisse.
“Lo so, infatti non la sto scusando. La odio per quello che ha fatto, come te. Ma non puoi negare che l’ami ancora. Lo sai tu e lo so anche io”.
“E quindi che dovrei fare?”, chiesi senza più voce.
“Non te lo posso dire io. E nemmeno lo puoi fare tu. Devi vivere la tua vita come viene, per Nessie. E soprattutto, viverla nel presente!”, mi disse mollandomi e abbracciandomi veloce.
Le misi le braccia attorno alla vita, coprendo il mio viso nelle sue spalle, asciugando le mie lacrime nel suo tailleur bianco.
“Che sta succedendo? Ho sentito urlare e… papà!”, gracchiò il mio tesoro, sulla porta, vedendomi piangere.
Mi staccai da mia sorella e andai a prenderla in braccio, a stringermela contro per sentirla vicino. Per sentirla mia. Era la mia bambina!
“Ti voglio bene, tesoro. Va tutto bene”, le sussurrai carezzandole i capelli rossi e boccolosi.
“Ti voglio bene anche io, papà”, mi disse lei stringendosi al mio collo.
Alice ci sorrise, anche lei con gli occhi lucidi, e poi tornò alla cucina, forse per non pensare a… Bella.
Stavo guarendo? Sarebbe ora dopo dieci anni. E come dicono in molti: ammettere il problema è il grande passo per superarlo. E forse ero davvero ancora innamorato di Bella, ma questo non cambiava le cose.
“Sedetevi a tavola. Ci metto pochissimo”, ci disse con voce roca Alice, mandandoci fuori dalla cucina.
E in quel momento capii che ero stato un egoista. Credevo che Bella avesse fatto male solo a me, che solo io soffrisse per lei. Nessie in fondo era avvantaggiata perché non l’aveva mai conosciuta ed Alice…
Mi sbagliavo. Io soffrivo come un cane, certo, ma Nessie aveva un dolore quasi simile al mio, provocato dalla mancanza di una vera madre, ed Alice aveva perso la sua migliore amica quel giorno, la persona a cui poteva dire tutto.
Come avevo fatto a non vederlo?
“Papà?”, mi chiese Renesmèe guardandomi negli occhi, ancora tra le mie braccia.
“Sì, tesoro?”.
“Perché piangevi? E perché zia Alice è triste?”, mi domandò mentre la facevo scendere e si sedeva a tavola. Io intanto cominciai ad apparecchiare.
“A volte ci sono dei ricordi che ci fanno soffrire e…”.
“Parlavate di mamma, non è vero?”, chiese senza troppi preamboli.
“Sì, parlavamo di mamma, Nessie”, dissi guardandola negli occhi, per la prima volta senza morire dentro. Perché lei non era Bella, lei era Nessie e quegli occhi erano di Nessie non di Bella.
“Non dovresti soffrire per lei, papà. Non dovresti soffrire per la mamma”, mi disse muovendo le gambine come al solito e notando che Alice apriva la porta con in mano la cena.
“E’ pronto! Tutti a… oh, siete già a tavola”, disse mettendo il vassoio sul tavolo e mettendosi ironicamente una mano sulla fronte, facendo scoppiare a ridere Renesmèe.
La studiai meglio. Aveva il dito rosso, segno che si era bruciata, cosa rara in Alice. Le guance e gli occhi rossi, segno che aveva pianto e che si era strofinata gli occhi per non farlo vedere. La manica destra era aggiustata sul braccio in modo perfetto, mentre l’altra era stropicciata, segno che era nervosa o  si era distratta.
Alice soffriva molto a causa di Bella. Perché diamine non me n’ero accorto prima?!
“Alice… mi dispiace…”, cerca di dire sussurrandole all’orecchio mentre l’aiutavo a mettere tutti in tavola.
“Tu non hai colpa”, la finì sedendosi e sorridendo a Nessie che ci guardava.
Già, io non avevo mai colpa, ma intanto non mi ero accorto che soffriva, non mi ero accorto che ero un egoista e non mi ero accorto che ogni volta che ricordavo facevo ricordare e soffrire pure le mie adorate ragazze.
No, ma io non avevo mai colpa di niente!
 
Ero entrato nell’aula insegnanti e mi ero stupito. Era vuota.
Non era una novità, visto che molti insegnanti erano già in classe ad aspettare con occhiate malandate gli alunni o molti arrivavano in ritardo peggio che i ragazzi, ma di solito Victoria era l’unica, con me, che rispettava gli orari normali. Ora però non c’era.
Al suo posto entrò Dafne Bright, professoressa di trigonometria.
“Ciao Edward. Qualcosa non va?”, mi chiese notando che la stavo guardando.
“Victoria?”.
“Oh, è in ferie per una settimana. Infatti mi tocca sostituirla, insieme a Gloria e Hope. Sarà un lavoraccio”, mi rispose andando via.
Victoria non aveva mai preso delle ferie in vita sua. Mai.
Feci passare in fretta la giornata, evitando ogni secondo di ozio, per fare in modo che la mente non pensasse troppo. Infatti mi ritrovai alla fine della giornata scolastica a pensare dove fosse Vic, come all’inizio.
Presi la macchina e chiamai Alice, chiedendole di passare a prendere Nessie a scuola se visto che accettò mi diressi verso casa sua, per vedere cosa non andava.
Arrivai dopo una decina di minuti e suonai subito al campanello, dopo aver attraversato il vialetto e chiuso la macchina.
“Edward?”, si stupì quando aprì la porta.
“Che succede? Perché oggi non sei venuta?”, le chiesi di fretta.
“Non volevo vederti, Edward. Ho bisogno di pensare, di capire, di sapere tante cose. Forse non sono la donna adatta a te”, disse quasi a se stessa giocherellando tesa con le mai. “E come se tu volessi che io diventassi un’altra persona. Ma io sono io, e non sarò mai chi tu vuoi che sia”.
“E tu pensi questo solo perché non sono voluto andare con te al cinema?”, chiesi stupito. “Sai che facciamo allora? Andiamo ora”.
Le presi le mani e la trascinai fuori dal vialetto.
“Che diavolo…? Edward, fermati!”, urlò. Mollai la presa e la guardai cercando di capire cosa volesse da me, visto che tutto ciò che facevo non andava bene. “Non voglio venire con te. Non voglio te. A volte credevo di conoscere James e poi…”.
“Victoria che cazzo stai dicendo?! Non me ne frega niente del tuo ex marito! Io non sono quel fottuto James, chiaro?”, urlai guardando i suoi occhi abbassarsi.
“Invece lo sei. I tuoi gesti, i tuoi modi di fare… sei come James e io non voglio James, io voglio un uomo che mi renda felice”, sussurrò.
Okay, era ora di prendere posizione e decidere cosa fare, decidere se finirla o continuare sopportando questi stupidi confronti da bambini dell’asilo. Era l’ora della verità.
“Ieri ho capito una cosa. Ho capito che una parte di me ama ancora la madre di Nessie. È così, non ci posso fare niente”, rivelai senza vergognarmi di sembrare uno stupido, anche se lei mi guardò disgustata. “Ma è una parte minima in me. Invece tu parli solo e sempre di James, di cosa faceva James, di come si comportava James! Anche lui è ancora parte di te… ma la differenza sta nel fatto che tu lo ami davvero ancora e tanto anche. Tu vuoi lui, molto più di quanto tu voglia me. Perciò torna da lui”.
“Edward io non…”, disse guardandomi andar via.
“Accettare il problema è il grande passo per affrontarlo. E tu devi solo andare da lui e dirgli che lo ami ancora. I figli potete adottarli, se è questo il problema”, dissi entrando in macchina e tornando a casa.
Era finita anche con Victoria? Sì, era finita.
Tornai a casa e mi trovai Nessie, da sola, a scrivere sul suo quaderno. Mi fissò, facendomi capire che Alice aveva avuto un’emergenza in ospedale.
“Io torno di sopra, papà. Vado a farmi la doccia prima che torni zia e mangiamo”, mi avvisò Nessie, sorridendomi ancora e lasciando il quaderno sul divano.
Mi avvicinai, appena lei scomparve al paino di sopra, dove si trovava la zona notte.
 
Renesmèe’s memory
-Josh ha chiesto a Sheryl di uscire. Non  mi piace quella tipetta, mi prende in giro.
-Papà ha pianto con Alice per mamma… non mi piace vederlo soffrire, non se lo merita
-Alice era un po’ strana… evitava di parlare e se ne andata subito per tornare in ospedale. Ho paura che c’entri con ieri
 
“Ragazzi! Sono a casa”, urlò Alice entrando in salotto e facendomi cadere il quaderno di mia figlia dalle mani. “Edward? Dove sei?”.
“Sono qui”, dissi andandole incontro per abbracciarla.
“Oh, come siamo teneri oggi”, disse abbracciandomi e poi guardandosi in giro. “E la mia bellissima nipotina dov’è? E dove sei stato tu?”.
“Nessie è di sopra e… ho lasciato Victoria”, dissi veloce. “Ama ancora il suo ex, ma non esattamente come me”.
“Oh, alleluia!”, sorrise saltellando felice. “Sono davvero contenta”.
“Non ti è mai andata a genio, non è vero?”, ridacchiai ricordando la sua faccia quando parlavo di lei.
“Insegna Inglese… è ovvio che non mi vada a genio”, rise ancora andandosi a sdraiare sul divano. “E poi con James ho fatto un errore, non voglio ripeterlo con te, anche James me lo diceva, e dove siamo finiti?... James, James, James! Che palle!”.
Risi e mi stesi acconto a lei. Ma un uragano con un asciugamano bianco in testa si fiondò in fondo alla scala.
“Zia Alice!”, sorrise felice buttandosi tra le braccia della zia.
“Vai subito ad asciugarti i capelli che ti prendi qualcosa, pazza!”, disse Alice alzandosi e portando Nessie di nuovo.  “Edward prepara tu… anzi telefona per la pizza, va”.
 
“Allora che succede?”, chiesi ad Alice dopo che il fattorino ci portò le pizze che avevo ordinato, mangiammo e misi a letto Nessie, che si era addormentata sul divano mentre guardava Notting Hill con Alice.
“Dovresti smetterla di guardare il diario di tua figlia”, commentò non staccando gli occhi dalla porta della camera di mia figlia. “E dovrebbe smetterla di studiarmi”.
“Allora che succede?”, ripetei non sentendo nemmeno ciò che mi aveva detto.
“Jasper Withlock mi ha beccata nella pausa prima che tu mi chiamassi per prendere Nessie e mi ha chiesto di uscire”, confessò girandosi e dirigendosi verso la sua camera. “Ho detto di no, essendo lui di grado minore a me, ma il pensiero di Bella mi ha colpita”.
“Di quando siete diventate amiche?”.
“Sì”, annuì cominciando a singhiozzare e ad avere di sicuro gli occhi lucidi. “Edward io… a volte la rivorrei davvero indietro, anche solo per spaccarle la faccia, ma la rivorrei con me”.
“Anche io”, rivelai andandola ad abbracciare, facendola girare verso di me. Sentii le sue lacrime bagnare la mia maglietta leggera con cui andavo a dormire.
Le accarezzai i corti capelli neri, presi dal fratello di Esme, che abitava in Canada. Poi le alzai il mento e fissai quegli occhi azzurri presi da papà Carlisle, dolci e decisi insieme, e le sorrisi.
“Tu lo ricordi, Edward?”, mi chiese sorridendo. “Ricordi che era…
 
…una giornata di fresca primavera. Io e Bella stavamo insieme da qualche mese, dopo litigi e abbracci di perdono a causa della storia David sono il figo capitano della squadra di football Loon, e sentivo che era ora di presentarla alla famiglia.
Partii da mia sorella, Alice. Lei era la migliore e avrebbe capito che ora amavo Bella e non importava cosa ci aveva spinti a parlarci la prima volta.
Così la portai al parco vicino alla scuola, dove avevo chiesto a mia sorella di fermarsi prima di uscire con Emmett per fare una ricerca per Spagnolo. Anche loro erano diventati come fratello e sorella.
“Ho paura”, mi confessò Bella prima di attraversare l’entrata del parco.
“Di cosa?”.
“Di essere giudicata”, mi guardò e si strinse ancora di più al mio braccio, come se qualcuno la inseguisse. “Di non piacerle, di doverti lasciare”.
“Alice è la ragazza migliore del mondo, dopo di te”, scherzai. “Non giudicherebbe nemmeno il suo peggior nemico, se volesse”.
Così si tranquillizzò con una risata e camminammo attraverso il boschetto fino ad arrivare al punto in cui una panchina era occupata da un piccolo folletto con un vestito di seta rossa. Alice.
“Alice”, la chiamai sorridente, vedendo che al suono della mia voce si voltò e sorrise nel vederci arrivare.
Quando fummo a pochi centimetri di distanza dal suo corpo decise di prendere la parola. “E tu dovresti essere la Isabella che l’ha portato via di casa tutti i pomeriggi tanto da fare impazzire nostra madre”.
Bella arrossì, dolce e impaurita allo stesso tempo, senza sapere come cavolo rispondere a mia sorella.
“Finalmente qualcuno lo sbatteva fuori di casa!”, rise Alice toccandole il braccio amichevolmente. “Erano mesi che si chiudeva in camera con quel suo maledetto piano!”.
“Grazie Alice”, commentai io, facendole ridere entrambe.
“Comunque puoi chiamarmi Bella, come tutti del resto”, concesse Bella sorridendo ad Alice, porgendole la mano. “A quanto pare mia madre non conosce nomi più moderni!”.
“Moderni come una stretta di mano!”, disse Alice stringendo la mano e poi avvicinandosi ad abbracciarla. Bella, schioccata, la lasciò fare, guardandomi stralunata. “Io non stringo mani, do abbracci”.
Bella rise e Alice la portò verso di lei, prendendole la mano e trascinandola verso una scultura in mezzo al parco e raccontandole tutto ciò che le passava per la testa.
Sarebbero diventate grandi amiche, me lo sentivo. Alice era la davvero la migliore.
 
“Si lo ricordo”, dopo che la nostra mente vagò nel passato per qualche minuto.
“Ma è giusto così, no?”, chiese retorica sposando la faccia dal mio petto, dove si era accucciata mentre ricordava, nelle piccole lacrime. “Se tornasse potrebbe portarsi via Renesmèe e non voglio”.
“Lei non ha più alcuna podestà su mia figlia”, conclusi senza pensare alla frase che aveva detto. Non volevo che si realizzasse anche solo pensandola. “La bambina è mia, l’ho cresciuta io e lei non me la porterà mai via. Nessun avvocato può negarlo”.
Alice annuì, si staccò dandomi la buona notte e io andai nella terza stanza, ovvero la metà di quella originale di Nessie, ma divisa con un muro di cartongesso. Alice non aveva una villa, anche se avrebbe potuto averla visto quanto guadagnasse, ma non la voleva proprio. Avevamo sempre vissuto nella norma, visto che Esme insegnava e Carlisle era un semplice medico ospedaliero, e volevamo continuare a vivere così. Non ci serviva niente di più.
Quella notte dormì bene, dopo tanti anni. Ormai per me il sonno vero era un miraggio o un miracolo se accadeva. Quando Nessie era piccola io o Alice ci svegliavamo talmente spesso che le occhiaie erano diventate parte permanente del nostro viso, tanto da farla preoccupare se non fossero più sparite. Una volta cresciuta, tonarono i miei incubi a tormentarmi e io rimanevo sveglio per notti intere, piangendo nel modo più silenzioso che potevo.
Odiavo piangere; mi faceva sentire un idiota, un ragazzino, uno stupido… ma non potevo evitarlo. E mi arrabbiavo ancora di più.
Ma ora era diverso, avevo ammesso il problema, ero più lucido e, finalmente, tranquillo. Sognai perfino i dolci di Esme, le filastrocche di Carlisle, cercando di tenerle a mente per cantarle a Renesmèe, e mi ripromisi di tornare a Forks per andarli a trovare.
“Edward, Edward svegliati”, mi disse una voce che riconobbi come quella della mia sorellina.
“Che c’è?” chiesi con la voce bloccata dal risveglio. Aprii gli occhi e vidi Alice, già vestita con il suo vestito blu elettrico con le maniche lunghe e la giacca bianca, mettere una mano sul cuscino.
“Io sto andando, porto Nessie con me”, mi avvisò veloce sapendo che sarei caduto nel sonno dopo poco. “Svegliati prima che esca da scuola”.
Poi sorridendo, uscii dalla mia camera e la sentii scherzare con mia figlia mentre usciva di casa, sicuramente per prendere l’auto e andare a scuola e poi all’ospedale.
Era sabato e nella scuola dove insegnavo era giorno libero, ma Nessie aveva i corsi di canto al sabato mattina a scuola e alle dieci dovevo portarla a casa.
Mi riaddormentai un poco, mettendo la sveglia sulle nove e mezza, così mi riposai di nuovo e al risveglio ero tranquillo e riposato come lo ero di rado.
Feci una breve colazione, mi vestii con indumenti più decenti per uscire di casa e, appena l’orologio scoccò stavo prendendo le chiavi della macchina per prendere Nessie.
Per esigenze lavorative io ed Alice dovemmo spendere il doppio per comprare due macchine, ma per lei non era un problema. In più decidemmo di non prendere le solite macchinone che potevi benissimo vedere in giro per le autostrade, ma due semplici autoritarie per muoverci meglio.
“Papà!”, esultò la  mia piccola mentre correva verso di me, vedendomi arrivare. Chiusi la macchina e le andai incontro, per prenderla in braccio appena fosse stata abbastanza vicina. “Oggi Alice non la smetteva di parlare!”.
“Sarà stata felice”, supposi sorridendo per la mia sorellina. “Che ne dici di andare a fare un piccolo spuntino da zio Emmett?”.
“Certo!”, esultò saltando giù dalle mie braccia per fiondarsi in macchina. Lei adorava suo zio. Ormai era più un amico di famiglia, su lui potevo contare davvero come un fratello.
Salii in macchina, facendo attenzione a fare sedere bene Nessie e a metterle la cintura, visto che voleva stare davanti con me, e partii verso il bar di Emm.
Ricordai quando lo aveva aperto; quante risate quel giorno! Io e… Bella, in procinto di partorire il mio angelo ramato, eravamo andati all’apertura e ci eravamo divertiti molto.
Anche lui aveva rinunciato alla scuola per avvocati che i suoi continuavano a proporgli. Lui era fatto per stare con la gente, per bere con gli amici e un bar era la cosa migliore che potesse fare. Dopo dieci anni direi che è abbastanza conosciuto e se la cava abbastanza bene. Ci sa fare.
“Papà?”, mi chiamò quel mio angioletto di fianco a me.
“Sì, tesoro?”.
“Zia Alice è innamorata?”, mi chiese guardando il paesaggio fuori dal finestrino passare veloce, con una manina che sosteneva la testa appoggiata alla portiera.
“Perché lo pensi, tesoro?”, chiesi stupito. Sapevo che lo era, anche se lo negava per cercare di proteggere me e  mia figlia. Quel Jasper Withlock l’aveva davvero impressionata.
“La nostra maestra qualche mese fa continuava a canticchiare felice e non ci sgridava più, anche quando non eravamo bravi”, cominciò a spiegarmi. “E poi ci disse che stava per sposare il suo principe moro e che l’avrebbe portata su un isola per festeggiare il loro amore”.
E consumare la prima notte di nozze, immaginai. Ma che diavolo di discorsi facevano le maestre alle classi di mia figlia?!
“E oggi Alice canticchiava felice e continuava a farmi i complimenti”, continuò convinta della sua deduzione. “Perciò o sta male, cosa poco probabile, o si sta per sposare, cosa ancora meno probabile, o è innamorata”.
Ridacchiai della sua logica infallibile e parcheggiai all’uscita del bar di Emmett. Nessie però non si scostava dal finestrino.
“Che c’è, amore? Siamo arrivati”, chiesi togliendomi la cintura e muovendomi verso di lei per fare lo stesso.
“Tu non canticchi mai, papà”, convenne. Oh, ci siamo, l’ora è arrivata. La fatidica domanda del tu perché non ti sei innamorato di nuovo dopo mamma?
“Perché la ragazza che amo sa già cosa provo per lei”, dissi prendendola un po’ in giro. Lei si voltò, sgranando gli occhi.
“E chi è? Chi è?”, chiese svelta. Non so se la fame di gossip l’avesse presa da sua madre o anche da mia sorella. Erano impressionanti.
“Fammi pensare… ha un nome particolare ma bellissimo, stupendi capelli rosso rame”, feci il misterioso vedendo con che voglia di sapere mi fissava. “Gli occhi marroni cioccolato e sorprendentemente il mio stesso DNA. Non è che per caso la conosci?”.
Lei perse ogni interesse e aprì la portiera sbuffando. Io risi e uscii dalla macchina, per poi ricontrarla e prenderle la piccola manina pallida.
“Io stavo parlando sul serio”, sbuffò con quella piccola voce bianca.
“Ma anche io!”, continuai a prenderla sul ridere.
Lei si accontentò e seguii il mio passo, per entrare nel bar. Erano le dieci perciò i clienti erano pochi, solo qualcuno per la colazione. Emm era dietro il bancone, seduto tranquillo a messaggiare visto che nessuno gli chiedeva niente.
“Un tavolo per due, grazie!”, chiesi andando al mio solito posto.
“Ormai non mi freghi più, Edward”, disse non staccando gli occhi dal telefono che smanettava. Probabilmente era nuovo e non aveva ancora capito come funzionasse. “Riconosco la tua voce lontano un chilometro”.
Presi in braccio Nessie e aspettai che si decidesse a guardarmi, prima che obbligassi mia figlia a prenderlo per i capelli.
“E la mia la riconosci?”, borbottò Nessie mettendo i gomiti sul bancone, poggiando la testolina sulle mani e facendo gli occhi dolci. In più una ciocca ramata a boccolo le cadde sul viso, rendendola ancora più perfetta.
Non ero uno sprovveduto o un illuso, sapevo che con una figlia del genere i ragazzi sarebbero arrivati presto. E non ero solo il solito padre troppo orgoglioso, era davvero così. A volte mi chiedevo come mai non l’avessero già contattata per metterla “sul mercato”  delle celebrità.
Ma d'altronde ero fiero di averla per me e di farla sentire una bimba normale, figlia di un normale insegnate. L’altra parte della sua vita era un’area chiusa, un campo che pochi avevano superato incolumi.
“Tesoro!”, disse Emmett appena sentii la voce di mia figlia risuonargli nell’orecchio. Si porse dal bancone, la prese da sotto le ascelle e se la mise in testa, facendola giocare come quando aveva quattro anni. Ormai non era più così piccina, ma il muscoloso zio Emmett riusciva sempre avere la forza necessaria per prenderla in braccio senza spaccarsi schiena o collo.
“Senza la nostra mascotte questo locale fa schifo!”, disse Emmett ridendo e facendola volare tra i tavoli, provocando una risata vera e cristallina dalla gola di Nessie. Dovresti venire più spesso, lo sai”.
“Dillo a papà”, mi richiamò mia figlia, come se fosse tutta colpa mia.
“Giusto… colpa tutta di papà!”, concluse Emmett come se leggesse nei miei pensieri, guardandomi fiero e sorridente.
Poi la mise giù, per farla giocare con i giocattolini che aveva lì apposta per lei. Segno che voleva parlarmi.
“Che c’è?”, chiesi sapendo che se non avessi detto niente l’avrebbe fatto lui.
“E’ davvero una bambina meravigliosa, Edward”, commentò senza farmi capire il centro della questione. “E non dovrebbe soffrire”.
“Non sono io il suo problema”.
“Sì, invece”, mi fece presente guardandomi negli occhi. “Alice non può fargli da madre per tutta la vita, ed ora hai pure mollato Victoria… sì me l’ha detto tua sorella! Ha bisogno di una madre!”.
“Ce l’ha una madre, non è colpa mia se lei però se ne frega di sua figlia”, risposi freddo, infastidito che Alice raccontasse in giro i fatti miei. Anche se sapevo che se non glielo avesse detto lei, l’avrei fatto io più avanti.
“Se la montagna non va da Maometto…”.
“Che vuoi dire?”, chiesi stupito della frase e del senso che trascinava con sé.
“Edward, una figlia del genere è un tesoro!”, mi disse indicando Nessie che andava in giro a canticchiare la nuova canzone che aveva imparato tra i tavoli pieni. “Vai da lei, falle prendere le sue responsabilità, falla vergognare di non essere colei che ha cresciuto una figlia così”.
“Dovrei usare mia figlia per vendicarmi di quella stronza? Dovrei andare da quella stronza?!”, gridai senza però scaldarmi troppo, per non far preoccupare nessuno. “Stai male?”.
“Non devi usarla. Le presenti sua madre e poi la riporti a casa con te, lasciandole l’amaro in bocca invece che l’eccitazione dell’attore coglione e figo di turno che la scopa solo perché è famosa”, disse forse esagerando con le parole in un luogo pubblico e con una bambina presente. Infatti si scusò con un sorriso, ma lui era fatto così.
“Non lo so, Emmett”, la finii. “Non voglio portarla da lei. Se le scattassero qualche foto mi ucciderebbe e vorrebbe la bambina solo per ripicca. So che lo farebbe, non ha scrupoli”.
“Non la ricordavo così sfacciata”.
“Non con me. Ma a quanto pare il parto ha riportato a galla la Bella stronza che era prima di quel ballo”, sputai fuori le parole come se fossero il pasto più schifoso del mondo.
“Ricordi il giorno della sua nascita? Ricordi quando eravamo andata a vedere? Aveva già qualche ciuffetto rosso e la boccuccia rossa rossa”, disse con la voce più dolce e tenera che gli avessi mai sentito.
“Sì, sì lo ricordo”.
Chiusi gli occhi, sia per la felicità sia perché non volevo che il dolore non mi colpisse troppo, e ricordai quella notte di terrore e gioia.
 
“Porca puttana, Edward!”, urlò Bella, mentre stavamo dormendo nel mio letto, come sempre negli ultimi mesi, visto che i suoi l’avevano quasi diseredata per la gravidanza. “Edward, mi si sono aperte le acque o qualcosa del genere”.
Mi svegliai, intontito come sempre, senza capire una parola di quello che aveva detto. “Che succede amore?”.
“Fanculo all’amore. Edward, sto per partorire cazzo!”, urlò, mandandomi a chiamare Carlisle… e mandandomi anche da qualche altra parte!
Dio mio, che linguaggio colorito!
Carlisle arrivò subito e insieme la mettemmo in macchina, mentre Alice le stava a fianco per incoraggiarla. Bella nel panico mostrava la parte peggiore di sé, con parolacce e gesti inaspettati. Ma non credevo così inaspettati…
Erano le tre del mattino e arrivammo all’ospedale dopo una decina di minuti, in cui quella santa donna di Alice riuscì a calmare la mia ragazza mentre mandava a farsi fottere il mondo intero perché avrebbe dovuto far uscire un esserino grande come un cocomero da un buco grande quanto una gomma per cancellare!
Però appena arrivammo la ginecologa e un altro medico chiamato da Carlisle la portarono via, cercando l’ostetrica, mentre obbligarono noi tre a rimanere fuori finchè non ci avessero detto altro.
“Edward Cullen, può venire a calmarla?”, mi chiamarono disperati dopo una manciata di secondi. Salutai Alice e mio padre e corsi nella sala parto, dove Bella era stesa a gambe aperte e aveva la faccia rossa come un peperone. Era quasi tenera se non stesse urlando come un’ossessa.
“Tu, figlio di buona donna, non osare mai più a mettermi qualcos’altro nella mia pancia o ti uccido!”, urlava stringendomi la mano così forte da aver paura che me la staccasse.
Io, con la mano libera, le accarezzai i capelli e cominciai a cantarle la canzone che più di tutte la calmava. Quella che avevo dovuto presentare due mesi prima alla Julliard se Bella non fosse rimasta incinta…
E dopo qualche parolaccia e qualche maledizione alla madre di chissà chi, cominciò a calmarsi e fare quello che i dottori le dicevano di eseguire. Urlò parecchio quella notte, molto di più di quello che pensavo potesse mai fare, in effetti, ma alla fine arrivò.
Era nata. Una femminuccia con piccoli ciuffetti rossi in testa e due occhi color del cioccolato. E cominciò anche ad urlare.
Ma mentre io la guardavo, già innamorato perso di quella creatura meravigliosa che non credevo possibile fosse mia figlia, Bella annunciò già la sua futura scelta.
“Dio mio, no… non cominciare con i pianti, ti prego!”. 
 
“Se non ci fosse stata Alice, non so che avrei fatto”, dissi bevendo il secondo bicchierino di schock che Emmett mi aveva passato.
“Certo che a dire una cosa del genere devi avere fegato”, commentò guardando quella furia di Nessie  correre in giro per divertire i clienti del mio migliore amico.
“Ho urlato quella frase per intere notti di un intero decennio, Emmett… a volte non ce la faccio”, dissi buttando giù il liquido amarognolo e pretendendone un altro po’.
“Ti ubriacherai, Edward”.
“Sì, ubriachiamoci Emmett! Così magari vado a segno di nuovo e dopo aver avuto il secondo figlio anche la seconda troia se ne andrà per recitare in un fottuto film!”, urlai quasi in lacrime.
“Che cosa? Eri ubriaco?”.
“Non io… era fuori di sé, secondo me anche un po’ fumata, e mi è saltata addosso, entrando in camera mia e buttandomi sul letto”, dissi ricordando la sera in cui credevo avessimo concepito mia figlia.
“Ma non vi eravate dati appuntamento per una cosa… seria e decisa?”, mi ricordò arcuando le sopracciglia.
“Infatti… ma lei si presentò all’appuntamento ubriaca e con della coca nello zaino. Che dovevo fare? Avevo diciannove anni, alle prime esperienze, e la mia ragazza mi si era buttata addosso, togliendosi i vestiti”, spiegai meglio. “Dimmi Emmett, che avresti fatto?”.
“Esattamente quello che avrai fatto tu”.
“No, tu te la saresti fatta, io invece l’ho respinta... all’inizio”, confessai, sussurrando l’ultimo pezzo quasi vergognandomi. “Non volevo che succedesse così, non volevo che Nessie nascesse così, non volevo…”.
“Che se ne andasse la mattina dopo lasciandoti  solo?”, concluse per me.
“Per il provino”, conclusi di nuovo io.
Lui scosse la testa e mi diede il mio adorato bicchierino di schock senza fiatare. Ne avevo bisogno, lo sapeva.
“Ubriacati pure, al massimo la piccola la porto a casa io”, acconsentì per poi ridere un po’, vedendo che non  accettavo più l’alcolico.
“No, tranquillo, ce la porto io”, dissi chiamando Nessie e mettendola comoda sulle mie ginocchia, per farla giocare n po’. “Devo anche parlare con quella ficcanaso di mia sorella”.
 

Piaciuto!?
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Capitolo 5
*** Messer Jasper Withlock! ***


Ciao Gente!!! cOme state? 
Io sono troppo felice! Ho passato l'esame di matematica, ho preso un anello strafigo e ho passato il pomeriggio con la mia migliore amica, la ragione del mio sorriso xD
Ora, data la mia felicità vi ho voluto donare il capitolo, anche se ormai non conto più i giorni che sono passat dallo scorso aggiornamento. Perdonatemi immensamente!

Buona lettura!


Capitolo 4- Messer Jasper Withlock!

 


 Edward 

“Che devi dire a zia Alice?”, chiese Nessie mentre stava seduta in macchina per tornare a casa.
“Che ti importa, piccola ficcanaso?”, scherzai facendole il solletico con una mano e guidando con l’altra. Lei rise e tornò a canticchiare guardando fuori dal finestrino. Era bellissima.
Dopo qualche minuto arrivammo a casa e lei andò subito in camera sua a disegnare o a scrivere sul suo quaderno, forse. Io aspettai mia sorella, che mi aveva già chiamato dicendomi che stava per arrivare.
“Ciao bellissimi!”, salutò urlando a nessuno, vestita ancora da lavoro con la sua solita eleganza.
“Alice”, la chiamai dal divano con un tono di voce che di certo non le infondeva fiducia. “Vieni qui, forza”.
Lei mi guardò storto, come una ragazzina che non sa perché il padre la sta rimproverando. E in un certo senso era così.
“Che c’è?”.
“So benissimo che oggi Withlock ti ha ancora chiesto di uscire, lo vedo dal tuo sguardo e oggi Nessie mi ha detto che canticchi come un’adolescente in amore”, le dissi mettendomi anche a ridere dalla sua faccia colpita.
“Maledetta bambina impertinente!”, borbottò venendosi a sedere di fianco a me, e non esattamente nel modo più delicato di cui era capace.
“Va bene”.
“Cosa?”, chiese Alice, non capendo. In effetti nessuno avrebbe potuto capire, nemmeno una mente come quella di Alice.
“Va bene”.
“Va bene cosa, Edward?”, continuò mentre io ridacchiavo sentendomi, per una volta, più intelligente di lei. Cosa rara, dovevo dire.
“Va bene, puoi accettare il suo invito. E non voglio come risposta un no, Edward, davvero, non serve perché non me la bevo”, le dissi guardandola negli occhi. “Non eri così felice dal liceo e il lavoro ti sta uccidendo. E questo non era un permesso o un consiglio: era un ordine”.
“Ma…”.
“Niente ma, ora chiami l’ospedale, chiedi di lui e senza fregartene un cazzo di Bella, accetterai il suo invito. E se lei verrà qui, avrò un motivo in più per spaccarle quel bel visino che si ritrova”, conclusi alzandomi, prendendo il telefono dal tavolino e passandolelo.
“Tu sei un pazzo, ma…”.
“Lo chiamerai, uscirai con lui, ti divertirai e tornerai a casa. Non è difficile, Alice! E se succedesse qualcosa te ne devi fregare di me e mia figlia”, dissi facendole l’occhiolino. “Questa è la tua vita e devi viverla tu”.
“Farà un intervista qui a Chicago nei giorni in un cui il film sarà in pausa per problemi tecnici già annunciati, la prossima settimana. Tre giorni le basteranno per rovinarci la vita”, m’informò facendomi sbiancare. Cazzo!
“Oh… ma… ma questo non importa. No, Alice tu andrai a quell’appuntamento. Che arrivi!”, le risposi facendomi coraggio. Era ora di tirare fuori le unghie e graffiare la bella micina che mi aveva fatto male! Era ora di guarda in faccia alla realtà.
Lei sbuffò, fece il numero e andò in cucina, facendomi pensare un attimo.
La prossima settimana Bella… Isabella Marie Swan sarebbe venuta a Chicago e visto che di sicuro Withlock farà il gentiluomo portando mia sorella a casa, le basterà un semplice telefonata per sapere dove ci può trovare. Avrei potuto portare Nessie da Emmett, o perfino a Seattle da Esme e Carlisle, ma lei avrebbe fatto storie e combinato tanti di quei guai che me l’avrebbero ridata indietro. Ormai conoscevo mia figlia come se fossi io.
Quella piccola peste mi avrebbe fatto disperare!
Ma era anche giusto, e mi sarei divertito parecchio nel vedere Nessie guardare sua madre sulla porta e cominciare a urlarle dietro per cacciarla via. Sì, mi sarei potuto divertire!
“Domani sera non mi aspettare sveglio”, disse Alice sorridendo con le guance rosse mentre usciva dalla cucina, mi lanciava il telefono e andava in camera sua. Come una perfetta liceale in amore.
Bene, ora dovevo badare a due pesti!
 
 
Alice
 
Mi rintanai in camera mia, sorridente, come avessi sedici anni. Ma che diavolo mi stava succedendo?!
Jasper non aveva perso un secondo in questa settimana per chiedermi di uscire e sembrava scoppiare di gioia quando aveva sentito la mia voce al telefono chiedergli se era ancora libero.
Solo per lavoro, avevo specificato ma sapevo che lui, e forse nemmeno io, ci era cascato.
Jasper era bellissimo, con i capelli biondi e gli occhi marroni, alto e muscoloso. La sua voce era sempre dolce, non urlava mai e aveva il sorriso stampato sulla faccia ogni volta che lo incontravo.
Unico difetto: aveva un legame con quella stronza della mia ex migliore amica di Bella Swan.
Si vantava di conoscerla e diceva che era una delle donne più sagge e dolci che avesse mai conosciuto, ma io sapevo che era solo una delle tante facciate della Swan.
Bella… che le avrei detto se ci avesse trovato? Di sicuro non l’avrei abbracciata o chiesto scusa come quelle volte che litigavamo al liceo. Oh no, stavolta il perdono se lo doveva guadagnare.
Una chiamata arrivò sul mio telefono e mi preoccupai. Ero a casa perciò le uniche persone che di solito mi chiamavano sul telefono erano vicino a me. E Emmett non mi chiamava quasi mai.
Un numero sconosciuto. Che strano.
“Pronto?”.
“Sì, ciao Alice, sono Jasper”, mi disse una voce al telefono. Jasper? E che mi chiamava a fare qui se esisteva il cercapersone medico per le emergenze?
“Oh, è successo qualcosa? Devo arrivare?”, chiesi preoccupata.
“No, no tranquilla. Volevo chiederti solo delle cose… sai per domani”, mi disse quasi timido ed ero sicura che le sue guance si stavano imporporando.
“Oh, certo. Va bene”.
“Ok, allora… mangi la carne?”, mi chiese. Uh, un bravo detective.
“No, sono vegetariana Jasper”, risposi e sentendo una risata capii che aveva afferrato il motivo per cui io e la mia famiglia eravamo abbastanza pallidi. Perfino Nessie mangiava solo vegetariano ed ero fiera di lei.
“Poi… cinema o teatro?”.
“Teatro”. Amavo il teatro, era la mia vita. Certo al cinema gli effetti speciali erano migliori, le performance perfette, ma il talento di un attore si può provare solo con il teatro.
“Mangiare all’aperto o al chiuso?”.
“Al chiuso”. Quei terribili insettini sarebbero stati la mia rovina e mi facevano davvero schifo. Bleah!
“Bene. Giro in città o serata in casa?”. Uh, le cose si facevano interessanti.
“Assolutamente in casa”, specificai. Se la serata prevedeva cena vegetariana, spettacolo teatrale in tv e dolce nottata, la cosa poteva essere più che gradita.
Voglio dire, non ero una di quelle donne che sono in crisi di astinenza e pur di andare a letto con un uomo ruberebbero in grandi gioiellerie, ma non stavo con qualcuno da circa tre anni e la cosa era andata oltre l’inverosimile. Pure Edward mi aveva superato con le poche ragazze che aveva avuto in dieci anni prima di Victoria.
“Perfetto direi”, disse implicando che non gli servivano altre informazioni. “E scusa se ti ho disturbato, non ne avevo l’intenzione”.
E potevo sciogliermi come una ragazzetta inesperta? Sì, potevo. “Oh, ma figuarati…  ero proprio qui a fare niente aspettando sera per fare da mangiare…”.
“Alice?”, mi chiamò.
“Sì”.
“Guarda che sono le nove”, mi disse facendomi svegliare e, quando guardai l’ora per poco non svenni. “Oh, mio dio, Nessie!”.
“Chi?”.
“Mia nipote. Devo fare da mangiare… sai vivo con lei e mio fratello, suo padre e… o cazzo!”, urlai quando capii che gli avevo dato troppe informazioni. Cazzo, cazzo, cazzo! “Devo andare, ciao!”.
Misi giù il telefono e mi scaraventai in cucina, sotto lo sguardo stupito di Edward che, tranquillo, stava apparecchiando.
Se Bella gli avesse chiesto qualcosa, Jasper le avrebbe saputo dire dove abitavamo e soprattutto che il suo ex e la piccola vivevano qui.
 Merda!
“Alì, come mai così di fretta?”, mi chiese Edward ridendo.
“Sono le nove, emerito idiota!”, gli lanciai un occhiataccia. “Se Nessie non mangia entro le nove e un quarto sviene!”.
“Gli ho dato un pezzo di cioccolato prima perché aveva fame”, mi rispose tranquillo, andandola a chiamare.
Fiù! Meno male che esisteva Edward!
Tornai ai miei intrugli sui fornelli e lasciai che Edward e Nessie, entrando scherzando in cucina, si sedessero dove volevano. Poi terminai la cena e misi in tavola tutto.
Renesmèe non aveva fame, no… era semplicemente come un orso a cui avevano tolto la pappa da mesi! Un uragano che si spazzava via tutto in trenta secondi!
Quando finimmo lei se ne tornò in camera, per continuare ciò che stava disegnando prima, e io ed Edward sistemammo la cucina.
“Farai un figurone”, mi sorrise. Poi mi guardò maligno e capii che ciò che stava per dire non era, come prima, un semplice consiglio, ma un ordine. “Perciò metti il vestito rosso”.
Io arrossì e me ne andai, lasciandolo a sistemare da solo con un ghigno divertito. Non poteva farmi questo! Tutto, ma non quel vestito! Edward Cullen arriverà il giorno in cui mi pagherai tutte le malefatte che mi hai combinato!
 
Stare solo davanti allo specchio vestita così mi faceva impallidire. figuriamoci davanti a Jasper!
Il vestito che Edward mi aveva “consigliato” era un miniabito con una sola manica lunga, che era oltretutto aperta sulla spalle. La fine era oltremodo troppo vicina alla zona intoccabile e mi faceva sembrare un idiota. Perché mai un folletto come me doveva indossare una roba del genere!
Le scarpe poi erano nere con il tacco alto rosso come il vestito e la borsa era coordinata con le scarpe, visto che era nera e un po’ ribelle per le piccole borchie che aveva sui lati.
Ero orribile e mai mi sarei sognata di andare in giro così!
“Ti ci obbligo ad uscire così, ricordatelo”, mi disse Edward dalla porta, come se leggesse i miei pensieri. “Sei stupenda”.
“Sembro una troia”, protestai.
“Non dire cazzate, Alice, stai benissimo. Ora esci da questa camera e fatti vedere dal biondino che è fuori dalla porta ad aspettarti”.
“E’ già arrivato?”, mi stupii. Oddio, oddio, oddio! Non avrei mai fatto in tempo a cambiarmi.
Arrendendomi, misi anche il braccialetto che avevo posato di fianco alla borsa, presi un respiro profondo e uscii dalla camera, seguita da mio fratello.
Giù c’era Nessie, che mi guardava come se fossi un angelo vestito da bel diavoletto. “Zia, sei meravigliosa!”.
Oddio, oddio! Troppi complimenti mi avevano sempre mandato in ansia e ora dovevo pure aprire a Jasper. Maledetto Edward, questa me l’avrebbe pagata.
Andai alla porta e aprii. E bè… se io ero bella come dicevano, lui era un dio. Non era vestito elegante, ma solo con un maglioncino beige e dei jeans che lo rendevano stupendo.
Non avrei mai rivelato ad Edward di Jasper se quella piccola investigatrice dai capelli rossi non glielo avesse detto.  Credevo non mi capisse, che mi avrebbe detto che ero una pazza a tenere Jasper all’ospedale, ma dopo un attimo di panico mi aveva perfino obbligata ad uscire con lui.
Era un santo mio fratello, ci avrei giurato pure l’anima!
“Sei… bellissima”, balbettò Jasper facendo ridere Edward e sua figlia, ma arrossire me.
Uscii di fretta, per chiudere la porta, e lui mi fece salire elegantemente in macchina. Non so che macchina fosse, ma di sicuro era da riccastri fanatici. Magari gliel’aveva regalata il padre.
“Mettiamo un po’ di musica?”, chiese. Casa nostra non era lontano dal centro e di solito la musica si mette durante un lungo viaggio, no?
“Come vuoi”.
Mi sorrise, mettendo una mano sulla radio per accenderla, e una canzone totalmente pop si diffuse nell’aria. Non ne sapevo molto di musica, ma ero sicura che fosse una hit famosa, visto che dieci minuti dopo la rimandarono in un’altra stazione.
“Quanto manca?”, chiesi visto che il silenzio si stava facendo pesante e non volevo rovinare il vestito a furia di toccarlo, nervosa.
“Siamo arrivati”, parcheggiando davanti ad un ristorante che di romantico aveva ben poco, lasciandomi spiazzata. Che cazzo…?
“Vieni”, disse prendendomi per mano e trascinandomi dentro il locale, nel quale una bionda mozzafiato mi fece un cenno di saluto. O lo fece a Jasper?
“Tesoro!”, disse con un vocina da bambina che mi irritava alquanto, scostandosi i lisci capelli d’oro con una mano perfetta. Troppo perfetta.
“Rose! Come stai, sorella?”, la salutò lasciando la mia mano per baciarla sulla guancia.
“Bene, ma non ci intratteniamo troppo”, disse mandandolo via con la mano, scherzosamente. “Vedo che hai ospiti”.
“Sì, lei è Alice Cullen, una mia collega”, mi presentò. Collega… capo semmai. Withlock, stai perdendo punti.
“Piacere di conoscerti, Alice”
“Piacere mio”.
Lei sorrise, senza che ne capissi il motivo e poi ci spinse in fondo alla sala, dove c’era una porta stupenda, ricamata nel legno. Ci fece entrare e lì dentro c’era una sala completamente vuota, con pochi tavoli e una pista da ballo. Che cavolo…?
“Vi lascio soli”, disse sorridendo sotto i baffi andandosene.
Jasper la guardò male e mi fece sedere su uno dei primi tavoli vicino alla pista e accese la musica su una lenta melodia, che riconobbi come qualcosa di Debussy. Edward era così fissato con quell’autore che se fosse per lui avrebbe insegnato solo le sue musiche.
“Mi spiace, ma mia sorella è molto diffidente”.
“Che intendi dire, scusa?”, gli chiesi alzando un sopracciglio.
“Che di solito porto ragazze di altro genere qui, ma essendo l’unico posto che conosco in cui si fa buon cibo vegetariano non avevo scelta”, mi spiegò vergognandosi.
“Se un don Giovanni, Withlock?”, dissi chiamandolo per cognome, facendolo ridere.
“No, per niente. Anche perchè a volte non sono io quello che loro vogliono”, disse mettendo casualmente in un angolo della tavola il portafoglio. Bè… era bello pieno! “Mio padre mi ha viziato così tanto che anche se sono cambiato non riesce a capire che non voglio i suoi soldi. Ormai ci ha fatto l’abitudine e non gliene importa nemmeno tanto visto quelli che guadagna. Soprattutto da Bella Swan”.
Rabbrividì e lui mi guardò curioso. “Ordiniamo?”, chiesi evitando che mi chiedesse qualcosa in proposito. Ero brava a mentire, ma non si poteva mai sapere.
Annuì e richiamò sua sorella, prendendo da mangiare e da bere. Ordinò tutto lui, chiedendomi sempre con gli sguardi se andava bene e io accettai sempre.
Non ero molto esperta di cucina, mi ero dovuta arrangiare di fretta quando Edward e Nessie si trasferirono con me e non avevo mai provato a fare chissà che cosa. Era già tanto che non mangiassimo pizza ordinata tutti i giorni. Perciò lo lasciai fare.
Appena arrivarono le ordinazioni, guardandolo strano visto il poco tempo che avevano impiegato, cominciammo a mangiare e l’unica cosa di cui potevo parlare fu lavoro.
“Allora, ti trovi bene?”, gli chiesi mentre bevevo il vino che aveva ordinato.
“Sì, molto. È un buon posto di lavoro e finalmente sono fuori dalle grinfie dello spettacolo che mi volevano manager”, spiegò. “Ma a me la fama non è mai importata”.
“Ti capisco, sai? Tutti pensano che io adori essere la mente medica più acclamata al mondo, e invece a me importa solo dei miei pazienti”, risposi cercando di non farmi insultare visto che sembravo tutto tranne che non famosa. “Non sai quante volte ho pensato di abbassarmi perfino di livello”.
Lui rise, come se fosse una cosa molto stupida, ma io ci avevo pensato sul serio un sacco di volte.
“E così vivi con tuo fratello e sua figlia”, cominciò, facendomi andare in panico. “Non ha una famiglia? Deve stare da te?”.
“No, la madre della piccola l’ha abbandonato dopo il parto per… ecco per… problemi che non credo bene di aver capito. In fondo non sono affari miei, no?”, dissi nervosa. Lui lo notò e fece una faccia confusa.
“Come si chiama tuo fratello?”, chiese.
“Cosa?”.
“No, voglio dire... mi piacerebbe conoscere un po’ di più la tua famiglia, per conoscere meglio te”, si giustificò, ma non me la raccontava giusta.
“Bè, mio padre fa anche lui il medico, mentre mia madre insegna. O meglio, prima lo facevano, visto che ora sono in pensione. Li adoro”, feci la furba. “Mentre mio fratello è più piccolo di me di qualche anno, ma un tesoro. Infatti non mi capacito di come quella donna possa averlo lasciato”.
“La conoscevi?”.
“Non molto”, dissi sapendo di dire una mezza verità. Perché io non conoscevo più Bella Swan. Lei aveva lasciato Edward in un modo che non avevo mai capito, perciò non era vero che la conoscevo bene.
“So che a Bella piacerebbe avere figli”, mi raccontò facendo quasi sputare il poco vino che avevo ripreso a bere. Ma che cazzo stava dicendo? “Sai con questo ultimo film sta molto spesso con i piccoli attori ed è sempre con loro. Ce la vedrei bene come mamma”.
“Io per niente”, mi lasciai sfuggire a bassa voce. Ma Jasper mi aveva sentito perciò dovetti dare un motivo. “Voglio dire… la vedrei meglio in altri ruoli sociali… non so, come… bè, ce la vedrei bene come la donna di affari. Fredda e concentrata sui suoi ruoli”.
“Non so, sai?”.
“Oh, fidati. È un ruolo che le calzerebbe a pennello”, dissi fregandomene se avesse ricevuto la nota di amarezza e vendetta che avevo messo nella frase.
  Riprendemmo a mangiare, senza più dire una parola e alla fine lui si alzò e accese la musica.
“Mi concede questo ballo, direttrice?”, mi chiese divertito porgendomi la mano. Io sorrisi imbarazzata, ma alla fine accettai e mi alzai con lui per ballare un lento.
Era molto bravo a ballare, non c’è che dire, e mi faceva volare sulla pista con una grazia che poche volte avevo avuto.
Non che non fossi brava o aggraziata, ma il mio ruolo era sempre distaccato da ogni tipo di divertimento eccessivo. Non amavo andare in discoteca, fare shopping o uscire con mille uomini come a certe donne piaceva fare.
Ero sempre stata concentrata nello studio per la medicina e preferivo stare a casa che uscire a divertirmi o ubriacarmi. Tutto il contrario di quel pazzo del nostro amico Emmett.
“Che ti prende?”, mi chiese Jasper svegliandomi dai miei pensieri.
“Niente, lascia perdere”, dissi abbassando lo sguardo.
“Sei bellissima stasera, sai?”, si complimentò facendomi arrossire e diventare rossa come il mio vestito.
“Non c’era una fermata a teatro?”, chiesi curiosa, entrando in un campo minato. Se sospetti sul programma di un appuntamento, non farlo mai sapere a chi lo ha organizzato.
“Nah, quella era solo un’informazione a caso”, sorrise. “Sai, per il futuro, non si può mai sapere”.
“Oh”, annuii. Voleva una seconda uscita…
“Ti va di venire da me?”, chiese all’improvviso lasciandomi sorpresa e ferma sul posto.  Non che non me l’aspettassi, ma c’erano cose da definire, come il lavoro. Se fossi andata a letto con lui che ne sarebbe rimasta della mia autorità da direttrice e la mia credibilità verso gli altri impiegati?
“Io non so, Jasper… ecco…”.
“Non lo dirò a nessuno, lo giuro”, promise. “E non cambierà niente. O almeno al lavoro”.
“Va bene”.
Così mi fece fare un’altra capriola e mi fece segno di prendere i miei oggetti per uscire da quel posto. Era ovvio che non pagasse, visto che era di sua sorella il ristorante.
Uscimmo, salutando quella modella seduta all’entrata, e entrammo nella sua macchina. Il caldo che emanava riscaldatore dell’auto mi prese di sorpresa, ma vista la temperatura esterna evitai di chiedere a Jasper di abbassarlo.
Lui guidò senza dire una parola, ma tanto non bastarono cinque minuti che arrivammo a destinazione. Una casetta bianco-giallina vicino al verde parco di Chicago, con le inferiate in legno.
“Che carina”, commentai.
“Grazie”, disse aprendomi la portiera e facendomi scendere dall’auto, per poi accompagnarmi dentro casa.
Se fuori poteva sembrare una bella casina, dentro era decisamente una casa da ricchi. Mobili moderni fino al midollo ad un sicurissimo elevato prezzo erano posizionati in modo perfetto in tutta la casa.
“Ti piace?”.
“Oh, sì, molto graziosa”.
“Ti va qualcosa da bere?”.
“Ok”.
Mamma mia, un discorso meno imbarazzato non esisteva! Mi fece vedere la cucina, mentre lui si avvicinava al frigo per estrarre due birre fresche. No, non era il mio genere.
“Va bene anche l’acqua”, specificai.
“Acqua”, rise mettendo via la seconda birra per prendere una bottiglietta di acqua naturale. Perfetta.
La presi, ringraziandolo, e mentre ci sedevamo attorno al tavolo cominciammo a bere.
“Mi piacerebbe fartela conoscere, sai? So che andreste d’accordo”, mi disse ad un tratto.
“Cosa?”.
“Con Bella. In più lei mi aveva accennato di una sua vecchia amica di nome Alice. Sei sicura di non conoscerla?”, mi chiese stupito.
“Ci sono molte Alice al mondo, sai?”, ridacchiai, ma dentro stavo per dare di matto. Gli aveva parlato di me… e forse questa era solo una sua tattica per arrivare a Nessie.
Dovevo andarmene!
“Senti, Jasper è meglio che torni a casa, okay? Non mi sento molto bene”, finsi mentre prendevo il telefono per chiamare Edward.
“No, tranquilla, ti porto a casa io”, mi sorrise senza dire niente.
Bene, ero salva. Volevo solo andare a casa!
La tortura era finita.
 

...
Nota dell'autrice:
Il vestito rosso di cui tanto Edward è innamorato l'ho immaginato così! Alice in Red ---: 
http://www.polyvore.com/alice_for_jazz/set?id=35169143
 
  
vi piace? 
Il capitolo vi è piaciuto? come vi sembra questo Jazz? E Rose proprietaria di un ristorante vegetariano?

Baci, 
VampireMusic

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Capitolo 6
*** Spiegazioni ***


ehilà donne!
Ok, vado a nascondermi prima che mi uccidiate, lo so sono in un estremo ritardo e mi scuso!! vi supplico non lasciatemi qui da sola, parlatemi anche solo per dirmi quanto sono stupida ad aver aspettaato ad aggiornare! Mi perdonate? (occhioni dolci da gatto di Shreck xD)

Ok, Ronnie, bando alle ciance e lasciale leggere visto che le hai fatte aspettare per settimane! (Sorry ç_ç) 
Buona lettura!








Capitolo 5- Spiegazioni

 
 
Edward
 
Era tornata a casa di fretta con uno sguardo stanco che mi obbligava a non fermarla dallo andare a dormire. Erano mezzanotte e mezza e avevo deciso di restare in sala ad aspettarla solo fino a che non avrei ceduto al sonno, ma questo non si era ancora fatto sentire.
Sapevo che non sarebbe rimasta a “dormire” dal biondino. Era la prima volta dopo anni che usciva e Alice non era il tipo, ma forse nascondeva qualcosa.
Ci avrei pensato la mattina seguente, così andai a dormire, salutando prima con un bacio sulla fronte mia figlia, nel mezzo dei suoi sogni. Le sorrisi e poi andai nel mio letto, prima di cadere in un sonno profondo.
La mattina dopo non ci volle molto per alzarmi, ma solo la mia stupida sveglia che mi diceva che dovevo muovermi o sarei arrivato tardi per le lezioni.
Mi alzai controvoglia, spensi la sveglia che suonava note di sicuro conosciute in un momento meno impacciato e cercai dei vestiti decenti che non fossero i pantaloni della tuta con cui dormivo.
Trovati quelli andai da Renesmèe e la chiamai dolcemente, prima di lasciarla alzare con calma per andare a fare colazione. Andai in cucina per preparare da mangiare, ma vidi già Alice all’azione.
“Ehi, com’è andata ieri sera?”, le chiesi sorridendo dopo averle dato un bacio sulla guancia per salutarla.
“Bene fino a che non ne è uscito con «Bella mi ha parlato di una sua vecchia amica di nome Alice… sei sicura di non conoscerla?»”, mi disse facendomi rabbrividire. “Ma cosa crede? Che dopo quello che ha fatto le andrei incontro abbracciandola?”.
Così era la mia Alice! Decisa e senza scrupoli!
“Lasciala stare, Alice, tanto non sarà di certo stato l’unico argomento della serata. È stata così male?”, la consolai.
“No, mi sono divertita. Ma se intendevi se ci sono andata a letto grazie al vestito, no ti devo dare dispiacere dicendoti che non ha svolto il suo dovere”, ridacchiò prima di tornare alla colazione visto che mia figlia era appena entrata.
“Tesoro!”, la salutai prendendola in braccio e dandole un bacio sulla guancia rossina. Era già tutto in tiro per la scuola e sorrideva mentre la rimettevo giù per farla sedere. “Oggi riuscirai a non prendere una pallonata in testa?”.
Alice scoppiò a ridere e per qualche minuto Nessie mise il broncio, ma poi cedette e rise anche lei. Ci sedemmo in tavola e mangiammo la nostra colazione.
Se nessuno avesse sospettato niente del nostro passato e si fosse messo a guardare dalla nostra finestra, avrebbe detto che eravamo una famigliola felice, ma io non potrei essere più in disaccordo. Prima di tutto perché non eravamo una famiglia.
“Cos’hai oggi, tesoro?”, chiese mia sorella a Nessie, che stava mangiucchiando la sua brioche.
“Niente di che, la solita giornata noiosa a scuola, perché zia?”, le rispose mia figlia.
“Non posso sapere ora?”, ridacchiò felice continuando la colazione.
Appena ebbe finito di bere il suo caffè però Alice scappò via, salutandoci tutti, per un’emergenza in ospedale e così toccò portare Nessie a scuola. Finimmo di mangiare, mettemmo le scarpe e uscimmo di casa.
“Papà, e se oggi mi prendono in giro?”, sussurrò mia figlia con lo sguardo basso mentre saliva in macchina.
“E perché dovrebbero?”, chiesi stupito.
“Perché mi sono ritrovata con un pallone sulla testa! I miei compagni sanno essere molto cattivi a volte”, continuò a borbottare.
“Renesmèe Carli Cullen”, dissi chiamandola per nome e cognome, cosa che accadeva di rado. “Tu sei una Cullen e perciò non cadrai negli stupidi scherzi dei tuoi compagni. Sei bellissima e molto più intelligente di loro. Non avere paura”.
Lei mi guardò e poi sorrise, per poi darmi un bacio sulla guancia prima di uscire dalla macchina e salutarmi.
Mia figlia era straordinaria, lo sapevo già. Aveva una forza interiore da uccidere anche un leone, ma fuori era fragile come il cristallo. I suoi occhi erano il libro della sua anima, ma dalla sua bocca potevano anche uscire bugie belle e buone e non te ne saresti accorto.
Era la mia piccola peste, e l’adoravo.
Con questo pensiero arrivai a scuola, uscii dall’auto, la chiusi, e andai dritto nell’aula di musica. Ad aspettarmi però c’era una sorpresa. Non lo avrei mai creduto possibile che arrivasse fino a lì. Tutto, ma non anche questo. Perché ad aspettarmi non c’era la mia classe, non Liam o Maggie per chiedermi della Julliard, ma una persona che non mi sarei mai aspettato di vedere.
Merda!
 
 
Alice
 
“Signora Cullen, c’è una donna dall’aria abbastanza altezzosa nel suo ufficio”, mi disse Colin, la mia segretaria, quando arrivai di corsa. “Per ora c’è lì con lei il dottor Withlock”.
“Ok, grazie Colin”, dissi andando nel mio ufficio.
Ma appena entrai mi bloccai sulla porta, immobile come se mi avessero pietrificata. E non fu traumatico vederla, ma sentirla parlare.
“Ciao sorellina”, mi sorrise… Bella. Era seduta sulla mia sedia, con le gambe accavallate, fasciate da lunghi stivali neri e una piccola minigonna viola. Al petto aveva una camicetta violetta e sopra la giacca di pelle. Molto rock Bella, devo ammetterlo.
“Non chiamarmi così, traditrice”, sputai mentre Jasper se la dava a gambe con uno sguardo preoccupato, deluso e terrorizzato insieme. Non ci stava capendo più niente, ne ero certa.
“Da quanto tempo, Alice Cullen”, riprese la donna davanti a me, con fare vip che mi stava alterando. “Eri brava in biologia, devo ammetterlo, ma mai avrei pensato che saresti finita come direttrice di ospedale”.
“Che vuoi da me?”, dissi con uno sguardo accusatorio.
“Rivoglio mia figlia”, pretese dandomi ancora più sui nervi.
“Chi cazzo credi di essere per prenderti Renesmèe come se fosse un giocattolino da usare con il prossimo figo che ti vorrai scopare?”, le urlai chiudendo la porta. Era tutto insonorizzato, per fortuna.
“Alice, non parlarmi così”, disse un po’ confusa.
“Renesmèe è tua figlia, idiota! Non sai nemmeno come cazzo si chiama?”, dissi sbattendo le mie cose sul tavolo e andandole di fronte, quasi a pretendere la mia sedia. “Che cazzo ci fai qui, stronza?”.
“Interviste… ma come mai tutto questo affetto?”.
“Bella non provocare se no ti faccio portare via dalla polizia. Lo sai che non solo tu sei brava a mentire”, le ricordai facendola anche impallidire.
“Alice, voglio solo vedere mia figlia”.
“Non puoi”, risposi fredda. “Ora muovi il tuo culo e torna dove da dove cazzo sei venuta e non mettere più piede a Chicago”.
“Alice, ne ho tutto il diritto, è mia figlia!”.
“No, no Renesmèe non è tua figlia! La figlia è di chi la cura e la cresce, di chi sopporta i suoi piagnistei notturni a tre mesi o chi la veste per il suo primo giorno di scuola o chi le da conforto quando prende un pallone in testa e crede di venir presa in giro. E questo tu non l’hai fatto”, sputai falciandola con lo sguardo. Lei abbassò gli occhi. “L’abbiamo fatto io e mio fratello. E sai una cosa? Quelle tue cazzo di parole di addio le sogna ancora di notte, le urla nel sonno e fino a una settimana fa viaggiava nei ricordi del passato perché gli avevi rovinato la vita”.
“Io…”.
“Tu hai pensato a te stessa, quindi non dire che ti importa di Nessie perché non è così”, continuai più tranquilla. “Vattene, Isabella”.
“Alice, ti prego, non volevo farlo… ero nel panico…”, si giustificò.
“E lo sei stata fino a ieri? Cos’è, hai visto la Madonna e hai capito che sei stata una madre di merda e hai voluto riparare?”, le rinfacciai. “Eri la mia migliore amica, ma da quel giorno mi fai schifo. Non hai nessun diritto di vedere sua figlia, la figlia di Edward. Tu non hai una figlia”.
“Andrò da lui allora”, disse togliendosi dai piedi e andandosene dal mio ufficio dopo aver sentito la mia predica.
E ora?
“JASPER!”, urlai uscendo dal mio ufficio per farmi sentire da lui, che preoccupato arrivò subito. Bene, iniziava un nuovo interrogatorio.
 
 
 
Bella
 
Sì, aveva ragione Alice. Io non avevo una figlia e non mi meritavo nemmeno il suo perdono o quello di Edward, ma da mesi non dormivo pensando al passato.
Da quando mi avevano comunicato il mio nuovo ruolo, quello della madre protettiva, ero stata male. Madre… io non potevo essere una madre, nemmeno nella finzione. Prima avrei dovuto sistemare le cose.
Perché me n’ero andata? Ero ancora una rimbambita che credeva che la celebrità fosse tutto, essere ricordata per sempre fosse la meta e una figlia era di troppo. Mollata quella, io sarei stata libera.
Ma Edward aveva deciso di portare avanti la gravidanza, come se fosse stato lui ad avere in pancia un esserino che avrebbe divorato la sua vita con i suoi problemi, visto che lui non ne aveva abbastanza.
Almeno così credevo fosse la vita con un figlio. E invece mi sbagliavo. Anche solo recitando avevo capito che la gioia che un figlio ti può dare è inestimabile e per capirlo ci avevo messo dieci secondi nei dieci anni in cui lui aveva continuato ad odiarmi.
Perché me n’ero andata? Perché non avevo vissuto con lui, felice, e con la piccola, vedendola crescere, prendendola in braccio e giocandoci insieme?
Perché ero stata una stupida.
E Alice aveva ragione, anche se non capiva. Lei di certo era stata una mamma per mia figlia, Renesmèe a quanto pare, e una sorta di moglie per Edward, anche se erano fratelli.
Cazzo, nemmeno sapevo il nome della piccola e credevo che appena mi avesse visto mi avrebbe chiamato mamma?
Edward di certo le doveva aver detto la verità e se non mi avesse ucciso lui lo avrebbe fatto lei.
Perché doveva essere tutto così difficile? Perché avrei dovuto lottare con le unghie e con i denti per avere il perdono? Perché le cose non erano facili?
Perché ero stata una stupida.
E ora lo ero ancora di più, visto che ero uscita dall’ospedale di Alice e mi ero fiondata dove Withlock mi aveva detto che lavorava Edward. Non so come avesse fatto a scoprirlo, ma ci era arrivato.
Ero nella sua aula di lezione, ovviamente insegnava Musica, non c’era da aspettarselo. Poteva fare solo quello con una famiglia a carico.
Ecco, ecco la sua figura aprire la porta.
Eccolo. Mi era mancato… era bellissimo.
 
 
Edward
 
Ditemi che è un incubo, vi supplico.
Bella mi stava fissando nostalgica seduta su un seggiolino da pianoforte come se non ci vedessimo da anni e gli mancassi da morire. Bè, non era ricambiata se era quello che pensava.
“Mi dispiace”, sbottò di colpo mentre la campanella suonava. “Ti posso parlare un attimo?”.
I ragazzi cominciarono ad entrare, ma visto che era la menefreghista seconda decisi che un po’ di tempo sprecato l’avrebbero apprezzato come una moto nuova a Natale.
“Arrivo ragazzi”, dissi prendendo Bella e portandola nei corridoi. La mia aula era abbastanza estranea dai soliti corridoi pieni di studenti casinisti e così potevamo “parlare” in santa pace. Sfortunatamente non potevo urlare.
“Che cosa vuoi?”, chiesi non capendo perché fosse qui e come avesse fatto a trovarmi.
“Mi dispiace”, rispose soltanto, abbassando lo sguardo che assomigliava maledettamente a quello di mia figlia. No, lei non era Nessie, era Bella e non mi dovevo far incantare.
“Non voglio le tue scuse, Isabella, voglio che tu te ne vada”, dissi fermo, come se stessi parlando ad uno studente ribelle che era appena stato espulso o sospeso.
“Voglio solo vedere mia figlia, solo per un attimo”, mi chiese quasi con le lacrime agli occhi.
“Sei una brava attrice, ma non me la bevo, sai? L’hai già fatta soffrire troppo, non ti permetterò di rovinarle ulteriormente la vita”, dissi facendo per andarmene.
“Ti prego Edward!”, urlò prendendomi il braccio. “Lo so, sono stata un’idiota, ma ero una bambina incosciente e tu sei sempre stato più maturo di me.  Tu sapevi cos’era la cosa giusta da far, io no, non lo sapevo e non l’avevo capito fino a qualche mese fa. Mi sono sempre buttata nel lavoro per dimenticarti… ma non ce l’ho fatta”.
“Vattene da Riley Biers, Bella. Qui non sei gradita”, continuai come se non l’avessi sentita.
“Non rivoglio la tua fiducia o quella di Alice, so che non me la merito e mai potrò riaverla, ma voglio almeno quella di mia figlia… ti supplico”, mi scongiurò non mollando il braccio.
“Tu non hai una figlia! E non provare a mettere la cosa in tribunale, la tua reputazione ne rimarrebbe sconvolta. Bella Swan madre!... è l’unico ruolo che non dovresti MAI interpretare”, le gridai togliendo il mio braccio dalla sua presa. “Tu non vedrai mai Renesmèe, non illuderti”.
La lasciai lì e rientrai in classe. I ragazzi mi guardarono stralunati, ma appena diedi loro un nuovo compito si svegliarono subito e cominciarono a suonare per evitare di farmi arrabbiare. Intanto, evitando che loro mi vedessero, mandai un messaggio ad Alice.
“Prendi Nessie a scuola ora e tienila lì con te! Trova una scusa, non voglio che lei la trovi. È stata qui, muoviti!”.
Poi alzai lo sguardo, ma nessuno mi guardava, intenti com’erano a suonare per evitare di fare ricerche aggiuntive per casa.
Dopo poco arrivò la risposta.
“Sono partita appena ho finito di fare la ramanzina a Jasper. Sapevo che c’entrava qualcosa, ma lui non ne poteva sapere niente. È qui in macchina, tranquillo. Se serve le farò venire un influenza tale che starà a casa per settimane”.
Risi alla risposta e, più calmo, tornai ai miei studenti, che ancora stavano lavorando. Avevo una voglia matta di uscire da scuola e darmi per malato pure io, ma non potevo. Dovevo affrontare anche le prossime tre ore e poi avrei riabbracciato Nessie.
Per ammazzare il tempo mi concentrai su ogni mio alunno, dalla prima all’ultima ora che avevo in orario, e quando suonò la mia ultima campanella scolastica, tirai un sospiro di sollievo.
O almeno fino a quando non uscii dalla classe e me la ritrovai ancora davanti.
“Miss Swan se ne vada”, dissi freddo, chiamandola pure per cognome.
“Edward, ti prego!”, mi supplicò ancora. Quegli occhi… cazzo!
“Facciamo una cosa: Nessie ti odia perché l’hai abbandonata, quindi è un punto per me, ma ti vuoi la sua fiducia, quindi un punto va a te. Io le dirò che la sua tanto odiata madre è in città e vuole vederla. Deciderà lei”, dissi e, vedendola annuire, sorrisi. “Ma non credere che le dirò belle cose sul tuo conto, Miss Abbandono tutti”.
E detto fatto tornai a casa.
E ora? Ora sperai che la mia bambina abbia ancora qualche neurone funzionante dopo la pallonata e dica di no a Bella.
 
 

 
 ...Nota dell'autrice:
allora? piaciuto?
Mi uccidete? Spero di no o le mie fan vi uccideranno perchè non aggiornerò più! :P ....come se fossero tante poi xD
Ok, vi lascio.. devo andare a farmi curare da uno psicologo per farmi evitare di diventare più pazza di così xD

Spero di vederci presto! 

Ronnie02

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Capitolo 7
*** La sera della vendetta... forse ***


ciao ragazze! oh, ma quanto tempo è passato?! Scusate ma sto traslocando e sono un pò - anche troppo - fusa, in più la scuola sta diventando massacrante xD
Bene, come informazione di servizio vi dico che ci stiamo avvicinando alla fine. Lo so, sembra impossibile ma è così. Ho finito i capitoli sul pc quindi la cosa si velocizzerà per quelli finali. 
Ok, ora vi lascio leggere!

 




Capitolo 6- La sera della vendetta… forse

 
 

Edward
              
Alice aveva portato Nessie a casa con sé, fingendo un’emergenza in casa e si era presa libera i tre giorni in cui Bella sarebbe stata in città. Mi ero arrabbiato mentre me lo riferiva, perché non poteva influenzare anche il suo lavoro per colpa di una squilibrata che grazie ad allucinazioni voleva portare via mia figlia e tenersela per sé.
No, non l’avrei permesso!
E Nessie ora era a casa, che mi fissava curiosa di sapere perché per i prossimi tre giorni non poteva andare a scuola e doveva stare con zia Alice a casa.
“Tesoro… è... è complicato”, cercai di dire, mentre Alice non aveva nemmeno più le parole. La sfuriata con Bella non l’aveva del tutto calmata ed ora era arrabbiata anche con me visto l’opportunità che le avevo dato. Maledetti occhi cioccolato!
“E’ tornata, non è vero?”, prese lei la situazione. Aveva dieci anni ma era più sveglia di me, questo era certo. Mia figlia era la migliore!
“Vorrebbe vederti e le ho detto che sarà una tua scelta”, conclusi annuendo. “Io non voglio più niente a che fare con lei, ma Bella è tua… madre e vorrebbe conoscerti”.
“Bè ma io non voglio”, disse lei come fosse ovvio. Bene, il neurone era sopravvissuto. “Io non voglio mia madre, io voglio stare con te e zia Alice”.
“Non devi scappare con lei Nessie. Vorrebbe solo passare una giornata con te. Poi tornerai a casa”, le spiegò meglio Alice, stranamente calma.
“Non voglio stare sola con lei…”, sussurrò quasi paurosa. In fondo non la conosceva e passare un’intera giornata con una sconosciuta non era una cosa allettante per una bimba di dieci anni.
“Ho un’idea, se per voi va bene”, disse Alice, sorridente. “La invitiamo a cena”.
“Ma sei matta?”, urlai, ma lei mi fece segno di aspettare.
“Non ti scaldare”, mi fermò. “Noi potremmo rinfacciarle una figlia perfetta, lei la conosce e Bella torna a casetta delusa e di umore ancora peggiore di come era arrivata”.
“Sei vendicativa, zia”, sorrise mia figlia. “Ma la cosa mi piace”.
Dio, se amavo quella peste!
“E’ andata!”.
 
Jasper, tramite Alice, comunicò a Bella di venire a cena da noi, la stessa sera. Alice, vendicativa fino al midollo, aveva preparato il piatto che Bella odiava di più con la scusa di non ricordarselo. Io avevo preparato Nessie come un principessina e lei aveva fatto di tutto per sembrare una bambina perfetta.
Non so come facesse a non volerla incontrare fino a questo punto, ma in un certo senso ero fiero di lei.
L’idea di Alice non era molto complicata da attuare: dovevamo solo vedere Bella verde d’invidia fino ai capelli.
“Papà, ho paura”, mi sussurrò mia figlia quando la strinsi attorno al mio petto, prendendola in braccio.
“Andrà tutto bene, non mi perderai mai”, le promisi scendendo in sala, dove trovai una Alice meravigliosa.
Aveva indossato il vestito blu elettrico, senza spalline e abbastanza corto, con ai piedi dei tacchi alti neri, in tono con i suoi capelli. Stava benissimo e sapevo che voleva farle vedere che non era solo una brava direttrice, ma anche una bella ragazza.
Nessie invece aveva un abitino chiaro, con ai polsi i braccialetti che Alice le aveva regalato tempo addietro. Erano il suo orgoglio.
Io… io avevo una camicia bianca, di cui poi mia sorella sbottonò i primi due bottoni facendomi un vendicativo occhiolino, e dei semplici jeans.
“Dio, morirà verde!”, esultò felice tornando in cucina. Che diavolo di intruglio stava preparando quel folletto malefico?
Io e Nessie ridemmo e cominciammo a preparare la tavola con le stoviglie più belle che avevamo, sotto ordine di mia sorella. Voleva proprio vederla invidiosa, eh? Anche se non sapevo se avrebbe fatto l’effetto sperato… in fin dei conti lei era un’attrice e chissà che casa aveva e che cosa aveva dentro di essa.
Appena finimmo, qualcuno bussò alla porta e Alice uscì di corsa dalla cucina mentre io mi posizionai davanti a mia figlia, quasi non volessi che la vedesse.
Alice aprì la porta e notai Bella guardare stupita il suo splendore. Ma anche lei non era da meno.
Indossava un abito lungo: con leggere spalline di brillanti, con un corpetto grigio chiaro e alcuni brillanti ai lati e, sotto la piccola cinturina dello stesso colore,  una lunga gonna e fasciarle le gambe.
“Benvenuta”, disse orgogliosa Alice, senza vedere o notare il mio sguardo rapito. Mi ridestai un momento e sorrisi senza gioia. “Questa è cosa nostra e, come hai potuto vedere, qui ci sono Edward e sua figlia, Renesmèe”.
“Sapevo che alla fine avresti scelto quel nome”, sbottò quasi amareggiata cercando di vedere Nessie. Sì, l’avevo scelto io perché lei non aveva nemmeno preso in considerazione la cosa.
Nessie si scostò da me, timida e tenendo le manine attorno alle mie gambe. I suoi occhi si scontrarono con altri dello stesso colore e un ciuffo rosso le cadde sul viso pallido, facendola sembrare ancora più bella.
“Ciao splendore”, sussurrò Bella avvicinandosi. “Tu devi essere Renesmèe, giusto?”.
Lei annuì, senza dire di chiamarla solo Nessie, come faceva di solito con chiunque incontrasse. Bene, distacco assoluto.
“Forse è meglio che andiamo a tavola”, sussurrò seguendo Alice che portava da mangiare.
“Sai, sono passati anni e non sapevo cosa preparare e ad un punto mi sono illuminata e ho pensato: ricordo che mi diceva sempre qualcosa sulla pasta la pesto”, sorrise mostrando il contenuto della grande ciotola che si era portata. “E visto che tutti qui siamo vegetariani ho pensato di farla!”.
Il sorriso era entusiasta e appena notò la smorfia quasi indecifrabile sul volto di Bella, ridacchiò felice.
“Pesto… oh, e da quando siete vegetariani?”, chiese stupita.
“Da quando è nata Nessie più o meno. Però devo dire che non mi viene sempre bene questa pasta… ma spero che ti piaccia comunque”.
Pasta al pesto con qualche difetto made in Alice… una bomba per Bella, ne ero sicuro.
Così, mi mettemmo a mangiare. Io e Nessie ad un lato, con di fronte rispettivamente Bella e Alice.
“E così sei un insegnante”, iniziò Bella, appena la sua pasta fu nel suo piatto. La guardò male, ma poi prese una forchetta e afferrò il boccone mentre Alice la guardava compiaciuta.
“Già. Sai, senza Julliard non ho potuto fare niente di più, ma ti assicuro che anche un lavoro del genere mi porta felicità”, dissi con voce sprezzante. “Soprattutto perché finisco alla stessa ora di Renesmèe e quindi passò sempre tutti i pomeriggi con lei”.
Lei sorrise, nervosa e capì il concetto. Meno celebrità, ma più tempo con i figli uguale felicità doppia. Cominciava a piacermi l’idea di Alice su questa cena.
“E tu piccola, che classe fai?”, chiese gentile sporgendosi verso mia figlia, ma fu bloccata da Alice che prese un po’ d’acqua dalla brocca in tavolo.
“Al quinto anno di primaria. Ho dieci anni”, sbottò come se fosse quasi ovvio.
 “E bè, certo, dovevo aspettarmelo”, sussurrò sua madre nervosa. “E come vai a scuola?”.
“E’ la più brava”, intervenne Alice. “A volte non c’è da aspettarselo che sia figlia di Edward. È un genio nella trigonometria principiante”.
Cullen 1 – Swan 0
“E come corsi extrascolastici?”, chiese Bella speranzosa. Ovvero non fai la cheerleader o l’attrice come la mamma?
“No, niente. Oh, bè a parte canto. Ma per quello è stata Alice a convincermi quando ho cominciato al primo anno. Cantavo sempre con lei da piccola le filastrocche!”, rispose decisa mia figlia.
Cullen 2 – Swan 0.
“E canti bene?”, chiese Bella sorridendo. Si vedeva che faceva l’attrice, ma io la conoscevo bene e sapevo che dentro era molto invidiosa.
“Sì, ma ora non ho voglia”, continuò mia figlia altezzosa continuando a mangiare. Nessie che si rifiutava di cantare era un miracolo, ma di quelli maledetti.
“Non fare la timida tesoro, fa sentire quanto sei brava”, la convinsi facendole l’occhiolino e lei capì al volo. “In fondo Alice si è data così da fare per farti imparare quella canzone”.
E quella canzone era ovviamente quella che le riusciva meglio, quella che ci cantava ogni giorno senza tregua per ore e ore.
Lei sorrise, si alzò dalla sedia e, fatto un respiro profondo, cominciò a cantare. I nostri sguardi facendo uno più ridere dell’altro.
Io ero fiero della mia piccola, e forse anche troppo visto che non era la regina del pop.
Alice saltellava con gli occhi tra me, mia figlia e Bella, per vedere le nostre reazioni e per riderci sopra forse.
E Bella era assolutamente stupefatta dalla performance e molto irritata. Sapeva che non era merito suo e le rodeva.
Finito di cantare, Nessie si sistemò i boccoli e tornò a mangiare, dandomi prima un bacio sulla guancia e prendendo la mia mano. Se una cosa aveva preso da Bella, oltre agli occhi e l’espressione da cucciolo, era la determinatezza. La vendetta, invece, era tutta da Alice, ci avrei giurato. Oh, la mia piccola peste.
 Mi dispiace, ma il conteggio da… Cullen 3 – Swan 0.
 
 
 
Bella
 
Renesmèe era una bambina stupenda, con i riccioli di mio padre, i miei occhi ma con il colore dei capelli e il viso tutto di Edward. Era come la sua fotocopia.
L’unica cosa che non aveva preso da lui era quell’atteggiamento serio e da hai visto come sono brava di sua sorella Alice. E la voce di certo non l’aveva presa da me.
Solo un mio aspetto lo vedevo riflesso nel suo corpo: essere determinata per arrivare all’obiettivo.
E qual’era l’obiettivo di questa serata? Farmi uscire di matto e mandarmi via a calci in culo, ci avrei giurato.
Già con il cibo eravamo partite male. Sapevo benissimo che Alice l’aveva fatto apposta ma me l’ero aspettata. Lei era la vendetta fatta a persona ed era il modo giusto per farmi vedere di cosa era capace.
Stavano vincendo loro e non avevo intenzione di ribaltare la situazione, in fondo me l’ero meritata.
Volevo solo che capissero, ma evidentemente non era possibile. Ero stata una stupida e ora mi toccava la punizione.
“Bella, ti va ancora qualcosa?”, mi chiese stranamente gentile Alice dopo che ebbi finito anche la seconda portata di qualcosa di inspiegabile. Roba vegetariana, pensai. Ecco perché erano tutti più pallidi di quanto ricordassi, anche la piccola.
La piccola… la figlia di Edward, continuavano a dire. Non era mia, non lo sarebbe mai stata.
“No, grazie, va bene così”.
“Allora passerei subito al dolce: la preferita di Renesmèe, la torta allo yogurt con sopra le ciliegie”, esultò Alice mentre la piccola batteva le mani.
La sua torta preferita era la stessa di suo padre… ricordavo quando l’avevo preparata con lui e di certo anche nel suo sguardo c’era lo stesso ricordo.
 
“Bella, non ci sai proprio fare con i fornelli”, mi prese in giro Edward abbracciandomi da dietro, dolce come sempre. “Nemmeno una torta allo yogurt sai fare”.
“Lo so, sono una frana”, feci l’arresa per finire nel suo abbraccio e prendere un suo bacio, che non tardò ad arrivare.
Mi baciò veloce e poi si staccò per vedere l’intruglio mezzo disfatto che c’era sul tavolo, tutto sporco anche quello.
“Ora il tuo bel ragazzo sexy di nome Edward ti mostrerà come fare la torta allo yogurt e tu la saprai rifare alla perfezione essendo la sua preferita”, disse prendendomi i fianchi e facendomi vedere tutto ciò che dovevo fare.
Mi aiutò in tutto e per tutto e alla fine, quando la mettemmo in frigo per poi tirarla fuori pronta, mi sporcò il naso con lo yogurt. Era un cliché, ma in fondo era divertente.
“Oh, ma come siamo belle!”, mi prese in giro.
“Sul serio Edward, siamo alla parte in cui ci sporchiamo tutti e poi facciamo la doccia insieme?”, feci la maliziosa sporcandogli la camicia azzurra.
“Perché non saltiamo la prima parte e passiamo subito alla doccia?”, mi rispose baciandomi con vigore.
“Io direi che togliamo anche la doccia”, dissi spingendolo sul divano e ritrovandomi sopra di lui. “Qui è molto più comodo e stavolta tocca a me comandare”.
“Oh, fai la cattiva, Bella?”, disse cominciandomi a togliere la maglietta. “E se entrasse tuo padre?”.
“E’ a pesca, lo sai”, conclusi baciandolo ancora. “E non mi sembra che a te piacciano le brave ragazze perbeniste”.
Lui rise tra le mie labbra e mi sfilò anche i pantaloni, facendomi restare mezza nuda nel salotto di casa mia. Eccitante…
 
Fermai il ricordo prima che mi pentissi di averlo ricordato del tutto e sentii le mie guance infiammarsi per l’imbarazzo.
Intanto Alice aveva messo in tavola il dolce e Edward e sua figlia se lo stavano già mangiando felici e contenti.
“Non ti piace?”, mi chiese la piccola con un sopracciglio alzato, come se fosse una cosa impossibile.
“No, no… ero persa nei ricordi”, dissi mangiandone subito un pezzetto. Di sicuro era opera di Edward, solo lui era capace di farla così e pensare a lui mi faceva male.
Riley era un passatempo, bravo sotto le lenzuola, non c’è che dire, ma non lo amavo. Molte volte pensavo che si fosse avvicinato a me per fare pubblicità solo a Dark Night, ma poi ci ripensavo solo nel vederlo accompagnarmi sui miei set e passare i pomeriggi con me. Era dolce e sapeva farsi amare.
Ma io non lo amavo, io volevo ancora Edward, ancora dopo dieci anni. Appena l’avevo visto, a scuola, il cuore era partito per conto suo e nessuno lo aveva più fermato. Quando poi lo avevo toccato non mi reggevo quasi in piedi.
Stasera poi era bellissimo e se non avessi capito il senso della serata gli sarei fiondata addosso implorando perdono. Non l’avevo mai dimenticato e non l’avrei mai fatto.
“Come va il film?”, mi chiese Alice appena finì la sua fetta, mentre io guardavo la mia persa nei pensieri e ne mangiavo un boccone ogni dieci minuti.
“Oh, bè, ci sono dei problemi e molti attori hanno lasciato il cast, ma credo che riprenderemo bene. È una storia molto reale e vorrei portarla a termine”, dissi convinta quasi fossi in un’intervista. Ma dai loro sguardi capivo che quel film non gli piaceva affatto, soprattutto riguardo il mio ruolo. La madre.
“La mamma di Caroline fa la parrucchiera e le fa sempre delle treccine perfette”, disse Renesmèe all’improvviso. Merda… “Alice mi ha insegnato a farmele ma non sono molto brava”.
Chi era brava a fare le treccine? Io! Io ero brava a fare le treccine. Tra le cheerleader e tutto le trecce erano diventate parte del mio essere.
“Io sono abbastanza brava, se vuoi proviamo a farle insieme, ti va?”, chiesi speranzosa, ma quando notai lo sguardo di Edward capii che la piccola aveva sbagliato esempio di mamma.
Cullen 3 – Swan 1. Si rimontava!
“Okay, ma solo una volta”, disse Renesmèe andando di sopra, forse a prendere gli elastici. Bene, era fatta.
“Sarai contenta adesso”, mormorò Edward, mentre Alice se la filò in cucina con i piatti in mano, tranne il mio ancora mezzo pieno. Mi affrettai a finire per poi rispondergli.
“Non posso fare le trecce a tua figlia? Non lo faccio per farmi vedere sotto un’altra luce”, mentii in parte. “Voglio solo che sappia che io ci sono. Anche una sua amica potrebbe farle imparare a fare le treccine”.
Lui sbuffò e andò ad aiutare Alice. E perché mi faceva così male vederlo andarsene mentre io mi relazionavo con sua… nostra figlia? Perché lo amavo ancora.
 
 
 
Alice
 
La serata era andata alla grande finchè Nessie non aveva parlato di trecce. Bella non era abbastanza brava… lei era una maga nel farle e avrebbe attirato tutta la sua attenzione.
“Alice… non so che fare”, sussurrò Edward mentre entrava in cucina, visibilmente preoccupato mentre dalla sala arrivavano risate di Bella. Di certo si sarebbe divertita con Nessie, lei era un uragano.
“E’ sua madre, è ovvio che alla fine avrebbe trovato qualcosa che piacesse a sua figlia”. Sua figlia… per la prima volta capii che in fondo Bella rimaneva sua madre e né io, né Edward, né Bella e nemmeno Nessie potevamo cambiare la cosa. “Va da loro e stai a guardare. È la cosa più giusta per tua figlia vedere una sorta di famiglia”.
“Non posso farlo”, sbottò di colpo, abbassando lo sguardo.
“Se l’ami, perdonala Edward”, conclusi sorridente. Potevo essere cattiva, vendicativa, arrabbiata… ma sapevo che una parte di me, quella del liceo, voleva andarla ad abbracciare.
“No, se lo deve meritare. Poi la perdonerò”, decise aiutandomi con i piatti, portandomi anche quello di Bella. Sapevo che ci avrebbe messo tanto: la torta di yogurt aveva sempre fermato anche Edward nel passato.
“Prima o poi doveva succedere”, conclusi guardando Nessie entrare sorridente per mostrarci le sue treccine, dicendo comunque che anche io le avevo spiegato la stessa cosa e che forse era lei che non capiva.
Io. Adoro. Mia. Nipote!
 

Piaciuto?
Ronnie02

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Capitolo 8
*** Come essere perdonata? ***


Ehi gente!!! No, non sono morta, sono viva e vegeta e siamo al PENULTIMO CAPITOLO!!!! Mamma mia, mi macherà questa storia devo dire <3

Va be, facciamo che Ronnie ora sta zitta e vi fa leggere <3 ahah






Capitolo 7- Come essere perdonata?

 
 
Edward
       
Dopo che misi mia figlia a letto, Alice ci lasciò soli per parlare, facendomi sprofondare nell’ansia, non sapendo cosa dire.
Come si fa ad essere arrabbiati con la ragazza della tua vita che vuoi perdonare ma non prima di avergliela fatta pagare? Si prega il Signore di venire qui a darmi una mano.
“Sei un bravissimo padre, Edward”, se ne uscii quando scesi in sala mentre lei era ancora seduta sulla sedia e mi guardava. Avrei dovuto metterle una benda su quegli stupidi occhi!
“Grazie”.
“Ho sbagliato ad andarmene, sono una stupida idiota ed è da mesi che ormai me lo ripeto, giorno e notte”, continuò rendendomi curioso. E di grazia, cosa o chi gli aveva messo questi giusti pensieri in testa?  “Da quando sono nel cast di questo film e me ne sto tutto il giorno con bambini dai sorrisi stampati in faccia o dalle lacrime negli occhi in base se gli dai il gelato o no, ho capito cosa ho perso. E cosa hai dovuto affrontare! Da quanto tempo non dormi?”.
“Troppo, ma questo a te ovviamente non importa. A te frega solo delle tue battute e di chi ti scopa per essere più famoso!”, gli urlai sottovoce, cercando di non svegliare Nessie.
“Che cosa?”, rispose Bella, quasi offesa. “Credi che io ti abbia dimenticato il giorno dopo il parto? Che non abbia mai pensato a te, solo, con una bambina? A come fosse quel piccolo essere che mi ero portata dietro per nove mesi e che tu già adoravi solo perché era nostra?”.
“Allora perché non sei tornata?”.
“Non ne avevo il coraggio”, confessò con le lacrime agli occhi. “Tu lo sai che sono una vigliacca, Edward! Dillo a tutti, urlalo perché lo sai. Io non sono coraggiosa e invece che affrontare i problemi preferisco scappare o fare la saputella”.
“Allora perché sei venuta?”, ribaltai la domanda precedente.
“Perché non ne potevo più di fingere anche nella vita reale. Mi ero stufata di saltellare da un set all’altro con mille personaggi diversi da interpretare”, continuò la confessione guardandomi negli occhi. “Io non so più chi sono, Edward… io non so più chi sono…”.
“Sei una brava attrice”, dissi freddo, anche se non era quello che volevo davvero fare. Ma dovevo provocarla per estorcerle la verità e farla non solo pentire, ma  affliggersi amaramente perciò che aveva fatto.
“Non mi credi, eh?”, disse ancora con la voce roca. Poi si alzò, si avvicinò pericolosamente a me e mi guardò per qualche minuto, prima di toccare le mie labbra con le sue. Solo uno sfioro di labbra, niente di che, ma il pensiero non mi avrebbe lasciato presto. “Questo non lo farei a nessuno, se non lo amassi, Edward. Hai ragione, forse il sesso per me è solo fonte di celebrità, ma non lo farei mai con te. Prima cercherei il tuo perdono, poi la tua fiducia e solo allora, quando potrai sinceramente amarmi ancora andrei oltre a questo solo tocco. Non prima”.
Restai immobile, senza fissare il nulla a parte i suoi occhi, cercando uno spazio che indicasse menzogna… ma non c’era.
“Ora è meglio che vada”, sussurrò allontanandosi. “Se hai bisogno di me fammi chiamare da Jazz”.
Poi mi salutò con la mano e uscì di casa, lasciandomi solo con ancora il suo odore sulle labbra. Merda!
 
Bella
 
Ero scema? Sì, lo ero e anche tanto.
Come avevo fatto a baciarlo e dirgli tutte quelle cose. Vere certo, ma non mi sarei mai, mai e poi mai immaginata di dirgliele in quel momento e subito. Insomma, alla prima uscita dopo che l’avevo mollato per dieci anni?
Ero scema? Sì lo ero e anche tanto.
Continuai a pensarlo per tutta la durata del viaggio e appena entrai in albergo mi fiondai in camera, senza passare come sempre dal bar come mia abitudine per bere qualcosa, anche se sarebbe servita un’ubriacata in questo momento.
Salii in camera e alla vista di Riley rabbrividì. Non era l’uomo che volevo accanto a me, nel mio letto, che mi baciava sfiorandomi la pelle e aprendo la cerniera dal mio vestito nuovo.
“Fermo”, sussurrai allontanandomi. “Non toccarmi”.
“Che hai Bella?”, chiese offeso.
“Non voglio, Riley… non posso, io…”.
“C’è un altro? Ancora?”, chiese ancora. Detta così sembrava una brutta cosa, ma desideravo fosse vera. Desideravo averlo fatto con Edward per dire a Riley di togliersi dai piedi.
Ma potevo farlo anche senza il sesso.
“No, Ley te lo giuro, non c’è nessuno, ma io non so se voglio mandare avanti questa cosa”, dissi carezzandogli una guancia, come se fosse un fratello. Ma io non avevo fratelli.
L’unico che ci era avvicinato era Emmett, quell’amico di Edward, mentre stavamo ancora insieme. “Non voglio continuare a mentire e stare con te dicendoti di amarti sarebbe una bugia”.
“Tu… tu non mi ami?”.
“No”.
“Bene… bene a sapersi, no?”, disse arrabbiato prendendo le sue cose e rimettendosele in borsa. “Torno a LA, e non farti più vedere. E sai una cosa? Prima di prendere in giro qualcun altro pensaci, perché sei brava a fare male quanto a recitare, Miss Premio Recitazione Dell’Anno”.
“Lo so”, sussurrai triste mentre lui se ne andava. “Lo so”.
Poteva andare peggio la mia vita?
No, ormai era meglio che mi spiaccicassero sotto un tir e il mondo sarebbe stato più felice.
Le attrici concorrenti si sarebbe levate un peso per i premi migliori, Riley ne sarebbe rimasto felice, il nuovo regista avrebbe smesso di lamentarsi perché quando guardavo gli attori bambini non capivo più niente, Edward e la sua famiglia non mi avrebbero avuto più fra i piedi e i miei genitori se ne sarebbero fatti una ragione.
Chi altri avevo? Nessuno… ero sola, completamente sola…
 
La mattina dopo mi svegliai confusa e anche un po’ persa. Cosa era successo la sera prima? Dov’era Riley?
Mi alzai e andai a farmi una doccia cercando di ricordare. Sapevo solo che quella bimba, Renesmèe, si era divertita con me a fare le trecce e che Riley si era arrabbiato con me.
Lo stress mi faceva brutti scherzi.
Uscii dal bagno e misi una maglietta e dei pantaloncini della tuta, per stare comoda in camera.
Due giorni e sarei tornata sul set, a meno che il regista mi avesse chiamato dicendomi che chiudeva la produzione.
Me l’aveva già detto che sarebbe stato probabile, ma con un po’ di speranza saremmo ritornati a recitare presto. Era un bel film, ci tenevo parecchio e speravo che non lo cancellassero.
Andai vicino al letto, di nuovo, e sulla sedia accanto alla porta finestra che dava sul piccolo balcone vidi un abito elegante.
La mia mente a quel punto si aprì, facendomi ricordare ogni singolo istante, ogni singola emozione, ogni singolo pensiero di quella sera, passata a cercare il perdono.
Edward mi avrebbe mai dato un’altra chance? Non ne ero certa, visto tutte le possibilità che mi aveva offerto in passato e pure ora, facendomi conoscere la bambina.
Ma l’altra sera ero stata brava, non avevo detto o fatto niente di male, a parte quel piccolo sfioro di labbra. Le toccai, per cercare di ricordare la sensazione.
Mi mancava averlo vicino, averlo accanto a me, averlo dentro di me, averlo sempre come punto di riferimento.
Lo volevo mio, mio e basta, una volta per tutte, per sempre. Ma potevo farlo davvero?
Bè, volevo farmi perdonare? Voleva una scusa in bella mostra? Voleva che morissi dal dolore?
Bene, gli avrei dato tutto questo.
Mi sarei fatta passare per un’idiota, per una vigliacca, per un cattivo esempio. Avrei pure mandato a puttane il film… ma avrei avuto il suo perdono. Ma come avrei fatto?
…E un idea mi venne in mente. Niente di più facile!
 
Edward
 
La mattina arrivò presto e così  svegliai Nessie per vestirla, farle fare colazione e accompagnarla a scuola. Alice, quando io mi alzai, era già in cucina a mangiare, tutta agitata. Jasper la stava davvero mandando in crisi adolescenziale e io non sapevo quanto avrei potuto risopportarlo. Non bastava la prima volta? No anche a trent’anni doveva riaccendere gli ormoni pazzi!
“Papà, oggi mamma ha l’intervista, vero?”, mi chiese la piccola quando le preparai da mangiare. Bene, ora la chiamava pure mamma!
“Credo di sì, perché?”, risposi un po’ freddo, facendomi osservare per bene da Nessie mentre Alice scosse la testa e se ne andò con un sarebbe successo lo sapevi muto.
“Volevo vedere come se la cava a mentire”, sbuffò lei, ma sapevo che non era vero. Lei voleva vederla per esserne fiera, per sapere e credere che Bella fosse davvero la sua mamma.
“Tesoro, non ti devi vergognare se le vuoi bene”, gli dissi sedendomi accanto a lei. “Forse io ho bisogno di una conferma per fidarmi di lei, o di più tempo. O forse niente di tutto ciò, forse non è solo quella giusta.
“Ma tu non hai nessun obbligo di odiarla o di comportarti nel mio stesso modo. So che ci tieni a lei e in un certo modo lei tiene a te. Perciò se vuoi vederla per sapere che lei c’è… non dirmi una bugia”.
“Papà?”.
“Sì?”, risposi senza sapere più cosa mi avrebbe risposto.
“Tu lo sai che sono brava negli indovinelli, vero?”, mi chiese con un sorrisone che era troppo sveglio per essere collegato ad un cervellino da decenne.
“Certo, non sbagli mai!”.
“Io conto su mamma. È lei quella giusta”, disse dandomi un bacio sulla guancia e andandosene in camera sua per prendere lo zaino.
Sospirai e mi promisi di vedere l’intervista con Renesmèe. Poteva davvero essere quella giusta?
 
Bella
 
Ero pronta. Mancavano pochi minuti.
E tutti erano in delirio dopo la comunicazione che avevo dato tramite agente che questa volta avrei stupito tutti con una scioccate rivelazione.
Carmen, la mia agente canadese, aveva apprezzato la mia onestà e aveva detto che era ora di vedermi davvero felice e me stessa. Bella, senza trucchi o maschere.
Bene, almeno avevo il suo appoggio.
“Mancano quaranta secondi all’inizio, sedetevi”, disse un cameraman, facendomi segno di accomodarmi nella sedia davanti alla scrivania di Renata Volta, un’intervistatrice italiana di MTV, che grazie a me avrebbe ricevuto un aumento e anche una promozione.
Felice di esserle d’aiuto!
“In onda!”, urlò il tecnico di prima facendoci spuntare i sorrisi come siamo fighi noi di Hollywood finti.
“Allora, siamo qui con una delle più grandi stelle del cinema Isabella Swan, che ora sta lavorando su un nuovo film dal titolo Better Late Than Never. Ce ne parli?”, cominciò Renata.
“Certo. Questo film è nato dall’idea di un diverso modo di madre. Una madre persa, senza nessuno e con la voglia di ricominciare. Molte donne non sono capaci di guardare la realtà e prendere in mano la situazione, me compresa, ma a volte è l’unica via di uscita”, commentai senza sorridere. Basta menzogne, questa ero io: se non vi piace fatti vostri!
“Credo che tu abbia ragione”, sorrise Renata, sapendo che prima o poi saremmo arrivate ad un determinato punto. Ma meglio allontanarlo per ora, creando maggior suspense. “E tu, come ti sei trovata in questo set? Sei riuscita ad ambientarti?”.
“Il cast è favoloso, ho un sacco di nuovi amici”, scherzai ridendo. “A volte mi meraviglio di come sia fare amicizia su un set di un film. Sono persone che potresti non rivedere mai più, ma in quel determinato periodo sono tutta la tua vita. Direi ogni cosa a Katrina, la mia nemica sul set, e sono felice che lei mi sia stata sempre vicina. È un’ottima persona”.
“Ma so che con lei hai già fatto un film, non è così?”.
“Sì, infatti mi sono sorpresa a vederla ancora. Ci siamo abbracciate per  tipo un quarto d’ora sotto gli occhi stupiti di tutti! Non ero al corrente del cast il primo giorno. Ho creato la storia e i personaggi proprio mentre recitavamo”, risposi con tranquillità. “Con Katrina avevo girato Dammi il cinque!, uno dei miei primi film”.
“Lo ricordo, era una commedia, no?”.
“Sì, esatto! Mi sono divertita un mondo a recitare in quel set e con Katrina avevo stretto un legame forte. Sono felice che ora rivivo con lei quest’altra esperienza”, conclusi.
“Parlaci di Noah, il tuo coprotagonista”, mi chiese facendomi sorridere sul serio. Ci avrei giurato. “E’ il playboy del momento, credo che tu lo sappia”.
“Oh certo! E non fa altro che ricordarmelo!”, esclamai facendo ridere anche Renata. In effetti Noah se la tirava da matti, manco fosse il re dell’universo. Non mi stava nemmeno così tanto simpatico… “Con lui ho un rapporto normale, niente di speciale. Non ho avuto il tempo di conoscerlo davvero bene, credo”.
“E riguardo i piccoli?”.
“Oh, sono meravigliosi! Non credevo che bambini così piccolini sapessero imparare così tante battute a memoria tanto da fare un intero film! Sono fantastici!”, dissi sorridendo e facendo gli occhi dolci. Non per attirare l’attenzione, ma perché ora rivedevo in loro Renesmèe. Chissà se mi stavano guardando…
“Hai già qualche progetto futuro?”, mi chiese cercando di evitare l’argomento ancora per un po’.
“No, ci penserò più tardi, credo che per ora sia meglio focalizzarci su questo film e poi si vedrà”, dissi io, cercando di essere più professionale possibile invece ora. “Molti mi chiedono se mai farò un disco, visto che molte volte certi attori invadono anche il campo nella musica, ma vi assicuro che per le vostre orecchie è un bene che mi trattenga nel cinema!”.
Renata rise. “Davvero, non sai cantare?”.
“No, per niente! Infatti nella mia prima parte  a teatro fui scartata appena aprii bocca per cantare! Mamma mia, non fatemelo ricordare!”, ridacchiai mettendomi una mano sulla faccia, come a coprire l’imbarazzo. “Spero di non fare più film con musica o dovrebbero doppiarmi e non credo apprezzerei”.
“Non ti piace che qualcuno prenda il tuo posto?”, mi chiese curiosa di scoop.
“No, non intendevo quello”, riparai. “Il problema è che non mi piace iniziare una cosa che so di non poter portare a termine. Se cominciassi a fare un film in cui so di dover cantare e poi gli altri dovrebbero sbattersi per cercarmi una sostituta mi sentirei in colpa. Credo non mi piacerebbe vedere allungare i tempi solo per un mio difetto. Meglio prendere altre attrici”.
“Quindi anche la perfetta Bella Swan ha dei piccoli difetti”, disse esultando. Bene, cominciavano ad entrare nel territorio proibito.
“Oh, credimi sono tutt’altro che perfetta!”, m’umiliai. “Credo che potrei essere definita la persona più egoista che esista”.
“Che vuoi dire?”, fece la faccia stupita, Renata. A volte penso che gli intervistatori  siano più bugiardi che gli attori.
Presi un respiro, cercando di sorridere. “Voglio dire che sono la madre naturale di una fantastica bimba di dieci anni che vive qui a Chicago e l’ho abbandonata con suo padre, un uomo stupendo, il giorno dopo il parto solo per intraprendere questa carriera.
“ Io non sono perfetta, non voglio nemmeno esserlo. Vorrei solo avere il loro perdono, perché so di volere loro un mondo di bene. Sono stata cattiva, egoista e sono scappata via per dieci anni. So che non è una notizia strabiliante e piena di gioia, come molti di voi credevano, forse ora perderò un sacco di fan.
“Ma sapete una cosa? Anche noi vip siamo persone, e come persone facciamo errori. Sia non del tutto inammissibili sia assolutamente insensati o fuori di testa. Avevo diciannove anni, credevo nella celebrità. Ora ne ho ventinove e credo nella famiglia. Sono una Bella diversa e vorrei essere solo perdonata”.
“Grazie mille della sincerità, Bella”, disse Renata facendomi per la prima volta un sorriso sincero. “Ed ora una breve clip di Better Late Than Never che il regista ci ha felicemente concesso”.
“Arrivederci e grazie”, salutai.
La luce si spense e tutti si rilassarono, spegnendo le videocamere per qualche secondo. Ma nessuno smise di fissarmi. E così, con Carmen che mi consolava, sperai di aver fatto la cosa giusta.
 
Edward
 
Ero rimasto immobile, a fissare le immagini del suo nuovo film comparire davanti a me senza nemmeno vederle davvero. E così mia figlia.
Non sapevo cosa dire, cosa fare, come comportarmi.
“Papà… io te l’avevo detto che era quella giusta!”, disse Nessie sorridendomi e abbracciandomi.
E così era l’ora di perdonarla? Dopo nemmeno ventiquattro ore da quando avevo specificamente dichiarato di odiarla?
…perché il cuore fa questi brutti scherzi?
“Credo che tu abbia ragione”, sussurrai.

 



Vi piace?! 
Domani aggiorno The White Rose, per chi legge anche quella mia storia. Spero di non avervi fatto aspettare troppo <3

Bacioni, Ronnie02

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Capitolo 9
*** Prendere O Lasciare? (Epilogo) ***


Oh mio Dio! Ragazzi non ci credo e mi viene da piangere!!
E' finita, è l'ultimo capitoloooooo! Mi mancherai tesoro, davvero! Ok, Ronnie non parlare da sola con la storia che poi il tuo cervello già mezzo andato va in pappa del tutto. Bene, evitando di scelrare ancora, BUONA (ULTIMA) LETTURA <3

Ci vediamo giù per i saluti <3






Capitolo 8- Prendere o lasciare (Last Chapter)

 
Edward
 
L’aveva davvero fatto. Si era messa sul ridicolo davanti a tutti, e tutti volevo dire tutti! Tutto il mondo ora lo sapeva.
Aveva superato la prova di fiducia? L’avevo fatta umiliare abbastanza da capire come mi ero sentito io in questi dieci anni senza di lei? Aveva imparato finalmente la lezione? Era pronta a prendersi le sue responsabilità con mia… nostra figlia?
Sì.
Nessie andò di sopra, dicendo che stasera ci sarebbero stati ospiti a cena, di nuovo, e che voleva sembrare ancora più perfetta di quanto già non lo fosse stata la volta precedente. Aveva preso dalla zia la capacità di vedere qualcosina nel futuro.
Chiamai Alice, che aveva visto pure lei tutto, visto che Jasper l’aveva pregata di farlo. Un certo merito lo aveva anche lui, in fondo. E lei allora invitò Bella a casa nostra, tornando prima per sistemare casa.
Io mi sentivo elettrizzato, come se fossi tornato indietro di dodici anni quasi, quando ci eravamo messi insieme. Avevo voglia di abbracciarla da dieci anni, dal mattino in cui era scappata via, e tenerle il muso non mi veniva affatto bene.
Credevo che sarei stato arrabbiato con lei a vita, che non c’erano più speranze o che lei non fosse degna di niente, se non del suo egoismo. La odiavo, ma come avevano detto Emm e Alice, la amavo anche. E stavolta, quella piccola parte che aveva fatto in modo che lasciassi Victoria, ora di sicuro felice con il suo James, si era così tanto ingrandita che aveva occupato tutto, senza fare più spazio a niente. Mi ero innamorato di nuovo, e sfortunatamente non sarei più sopravvissuto in caso se ne fosse andata un’altra volta.
Ma non sarebbe successo. Ero felice, le cose sarebbero finite bene. L’aveva detto Nessie, era quella giusta. E se lo diceva lei, la garanzia era assicurata!
 
Bella
 
Non era più una cena di odio, ma di perdono. Ce l’avevo fatta!
Il regista mi aveva chiamato, dicendomi che ero fuori dal cast, la mia agente faceva una fatica assurda a trovarmi un lavoro nuovo, la mia reputazione sociale era finita sotto le scarpe, molti dei fan erano misteriosamente scomparsi e non commentavano sulla cosa.
Quindi avrei dovuto deprimermi alla massima potenza? No. Non questa nuova Bella.
Piuttosto avrei pure mollato la recitazione, avrei fatto quello che avrei dovuto fare anni prima. La mamma.
Non dovevo più intristirmi al pensiero che mi sarei ritrovata sola in un futuro. Sapevo che accanto a me ci sarebbero stati Edward e Renesmèe. Non volevo affrettare le cose, ma lo sentivo. Mi volevano di nuovo nella loro vita e ce l’avevo fatta a farmi perdonare.
Mi odiavo ancora per quello che avevo fatto, ma come avevo detto nell’intervista, bisogna guardare in faccia alla realtà e ricominciare.
Non dimenticherò certo quello che ho fatto, ho imparato la lezione e non sarò mai più così infantile e stupida. Non l’avrei più permesso. La nuova Bella era matura e… felice.
Si per la prima volta ero felice.
“Tesoro, finalmente ti sei liberata della vigliaccheria”, mi disse Carmen quando mi portò il vestito per quella sera. Un semplice vestito verde, corto, con mille balze. L’aveva scelto lei. “Sei tu, Bella. Come quando ti avevo conosciuto su quel palco scolastico, e poi con il pancione. Quando ti ho sgridato per essertene andata e quanti ti ho fatto i complimenti per aver riparato al danno. Mi eri mancata!”.
“Anche io mi ero mancata”, ridacchiai andandola ad abbracciare svelta. “Grazie per tutto quello che hai fatto e che fai per me. Mi dispiace solo che questo porterà un mare di guai”.
“Solo per ora”, sorrise con un mezzo sorriso sghembo, da donna furbetta che non si lascia abbindolare. “La Bella versione mamma potrebbe evocare parecchio successo. Lascia il tempo al tempo bambolina”.
“Ti voglio bene”, sussurrai.
“Anche io”, mi carezzò la guancia come una mamma protettiva. “Ma ora cambiati piccola Cenerentola. Gli ospiti ti aspettano!”.
Sorrisi e quando lei uscii mi feci la doccia e andai a cambiarmi.
Era l’ora della verità.
Era l’ora della felicità.
 
Alice
 
E alla fine ce l’avevano fatta. Avevano fatto pace.
Era abbastanza presto, dovevo ammetterlo; credevo ci avrebbero messo di più. Credevo ci avessi messi di più, a ricredermi ancora una volta sul conto di Bella Swan.
Ma quell’intervista… non era finta come le altre che Edward guardava di nascosto, credendo di non essere visto. Non era finta, non recitava più.
Era lei, senza veli o maschere. Come l’avevo conosciuta al liceo, come credevo che fosse e che è davvero.
Jasper mi aveva chiesto di metterci davvero insieme e appena me lo disse lo abbracciai. Ero felice per mio fratello e senza quel sexy biondino non ci saremmo mai trovati questa situazione, a parer mio.
Certo, in ospedale faranno problemi, ma non credo che me li creerò se mi declasseranno. Era una cosa che avevo già voluto in fondo, no?
Il futuro non è inciso su una pietra, muta continuamente cambiando direzione ogni volta. È come una foglia, che quando in autunno cade dall’albero, vola via. E il vento la trascina dove vuole.
Non è più padrona di se stessa, ma si lascia comandare.
Il futuro lo decidiamo noi ora, non ci comanda lui.
Lui è la foglia, noi il vento. Noi vinciamo su di lui ed è stupido ed infantile averne paura. Come puoi avere paura di una cosa che domini?
Nessie era brava quanto me a carpire qualcosa su questo animale feroce che teniamo tutti legato stretto. Sapeva già che Bella era quella giusta, l’unica davvero adatta a suo padre. Se così non fosse non sarebbero ancora single, anche se per poco tempo ora.
Ecco perché aveva accettato la serata “vendicativa” con lei, ecco perché non aveva mai dichiarato di odiarla dopo averla conosciuta, ecco perché ora sorrideva mentre la vedevo prepararsi dopo che ero tornata a casa.
Lei sapeva.
“La vita è troppo imprevedibile”, commentò mio fratello, dietro di me. Era impeccabile, semplice ma altamente perfetto.
Non fossi stata sua parente non ci avrei pensato due volte a saltargli addosso! Ma ovviamente non era così, visto che era dna del mio dna e sangue del mio sangue. Più o meno…
“Davvero?”, ridacchiai guardando sua figlia. “Io non credo. Sapevamo fin dall’inizio come sarebbe finita, Edward”.
Lui rise e mi disse di andarmi a cambiare. La volta precedente mi ero attillata per benino per farla morire di invidia, ora perché veniva accompagnata da Jasper, il mio…  ragazzo.
A volte era così facile volerle bene, se sapeva farsi perdonare. E sì, stavolta ci era riuscita ancora meglio del solito.
 
Nessie
 
Mamma. Finalmente nessuna barriera tra lei e papà. Lo avevo capito dal suo sguardo troppo preso mentre accendeva la televisione mi chiamava, per vedere la speciale intervista di mamma.
Aveva deciso lui di vederla, senza che io lo costringessi e di questo ero molto felice. Ma non lo ero come lo sono ora.
Appena mamma si accusò di tutto papà cominciò a sgranare gli occhi e stare attento ad ogni singola parola proferita da mia madre, senza realmente capire che lo stavo fissando.
Sembrava così felice e finalmente a suo agio! Non lo avevo mai visto così, con quel sorrisone che gli illuminava il volto. E mi piaceva tanto.
Lo adoravo e sapevo che mamma era quella giusta, non l’avrebbe mai perdonata se così non fosse. Non le avrebbe nemmeno dato una seconda possibilità.
Invece si erano innamorati di nuovo e avevano fatto la cosa giusta: stavano per tornare insieme.
Tutto era finalmente al loro posto, e ora non avevo più solo una mezza famiglia, ma anche una mamma e una nuova vita piena di possibilità.
 Grazie alla sua nuova possibilità.
Edward
 
Era arrivata con uno stupendo vestito verde-acqua che risaltava le sue meravigliose gambe e i capelli legati che mostravano il suo meraviglioso viso a forma di cuore. Il sorriso invadeva i suoi tratti, illuminandole la faccia.
Aveva mangiato tra me e Nessie, come una normale famiglia, e continuava a fare complimenti su complimenti a nostra figlia, cercando di risultare il più normale possibile.
Potevo capirla stavolta, non era facile.
E Renesmèe non era più competitiva o vendicativa e cercava di farle capire ogni più piccolo dettaglio su di lei e come doveva comportarsi con lei. Cose che io sapevo bene, ma lei no, dovendo recuperare dieci anni.
Finita la cena Jasper ed Alice andarono a sistemare in cucina, per stare anche un po’ da soli, mentre Renesmèe si mise davanti alla televisione per vedere i suoi soliti cartoni.
“Allora… ce l’ho fatta?”, mi chiese quando l’invitai a andare in giardino, che avevamo davanti a casa. Fuori c’erano le stelle ed era una bellissima sera.
“Mi hai stupito sai?”, dissi ridendo, mentre lei si avvicinava. “Non credevo lo avresti fatto, ma come al solito non devo mai sottovalutarti”.
“Mi mancano i tuoi abbracci”, commentò e subito la presi fra le braccia. Non mancavano solo a lei, fosse per me l’avrei stretta dal primo momento che l’avevo vista, al liceo. Mi piaceva la sensazione di averla vicino a me, di sentirla mia.
Però prima avevo bisogno di una prova, prova che ora avevo ottenuto.
“Meriti un perdono pieno, lo sai? Nessie era davvero colpita, Alice non ci avrebbe mai creduto e…”.
“E tu?”.
“Io sapevo che non sarebbe finita. Come poteva finire se continuiamo a ricordarci fra di noi?”, mi chiesi, più a me stesso che a lei. “Se il tuo ricordo rimane impresso nella mia mente, come potrei pensarti con un altro, o viceversa? Finchè uno ricorda l’altra, quel legame non si spezzerà mai”.
“E io non ho mai smesso di ricordarti Edward? Mai!”, mi confessò sorridendo, e veramente stavolta. “Ne ho fatti di errori, molti… troppi! Ma ora so che cosa davvero conta, e questo sei tu e la piccola”.
“Ho sempre sognato questo momento, sai? Mi sembra di essere in quei film da adolescenti dove il ragazzo è una pappamolla assurda, ma è così che mi sento”.
“Tu sei l’uomo perfetto. Non sei una pappamolla e non lo sarai mai”, disse avvicinandosi al mio viso. “E oltre ad essere un uomo perfetto sei un fidanzato perfetto”, continuò toccando le mie labbra con le sue, come la sera precedente insieme. “Ma soprattutto sei un padre perfetto, e sono stata una stupida a non capirlo prima. Ma ora che lo so, e so cosa davvero è importante, non ti lascerò più. Accada quel che accada”.
“Me lo giuri?”, chiesi io toccando le sue labbra per pochi secondi.
“Che Dio mi fulmini… lo giuro! Non ti lascerò mai più”, rispose lei in un sorriso prima di azzerare finalmente ogni millimetro di distanza e lasciarci nel nostro secondo primo bacio.
 
 
 
***
Quattro anni dopo
 
 
Bella
 
“Ti prego Bella, devi stare tranquilla. Ti prego”, mi cercò di calmare quello stronzo di Edward.
“Guarda, te l’ho detto la prima volta, ma evidentemente non ti era bastato: non provarci mai più, chiaro?!”, gli urlai in faccia per il dolore che in quel momento stavo provando, anche se vista la sua faccia mi venne da ridere, provocando una mia risata isterica.
“Ma non mi avevi pregato tu, scusa?”, si difese lui. Vero, non potevo negarlo, ma forse mi ero illusa che la seconda volta sarebbe stato meglio. E invece no.
“Forza, signora Cullen, ci siamo”, disse quello stronzo di un dottore. Ma perché non lo faceva lui?!
Lasciai perdere come mi aveva chiamata; in teoria la cosa mi mandava in estasi e mi piaceva da morire, ma questo non era il momento.
“Giusto signora Cullen, forza”, puntualizzò Edward… mio marito.
Ci eravamo sposati due anni fa, con una cosa abbastanza in grande e qualche fan scatenato all’esterno. Non avevo perso il mio lavoro, anzi, dopo tre mesi di vuoto assoluto ero stata chiamata per vari film importanti.
Ma la cosa che di quel giorno mi rimase impressa fu vedermi finalmente occupare il posto ch mi era stato destinato. Con Edward al mio fianco, in tutte le maniere possibili, e la mia piccola Nessie vestita in blu per essere la testimone.
Io amavo la mia famiglia.
E ora si stava per allargare. Ci ero quasi. Forza Bella, forza!
Un pianto. Eccolo, finalmente. E stavolta non mi fece rabbrividire, ma mi fece piangere di gioia. Stavolta era mio… per sempre.
“Come avevamo già pronosticato… è un maschietto, ragazzi!”, ci disse l’ostetrica tutta esaltata per via di avere in braccio il bambino che tutto il mondo di Hollywood, dove ora abitavamo noi tre – ora in quattro– aspettava. Alice e Jasper si erano sposati tre mesi fa, invece, ed erano appena tornati dalla luna di miele.
Ci venivano a trovare spesso, ma erano rimasti a Chicago, come giusto per tutti.
Emmett si stava per sposare pure lui, e Rosalie, la sua ragazza, attendeva da due mesi. Anche loro sarebbero rimasti a Chicago, ma ogni volta che li andavamo a trovare – ovvero quasi tutti i week end se potevamo – ci rintanavamo come al liceo nel suo bar.
Eravamo felici, finalmente tutti.
“Eccolo qui”, ci disse la ragazza mettendomi mio figlio sul petto. Edward era commosso, e se le lacrime non erano ancora scese era perché si ostinava di lasciarle sul bordo. Infatti le palpebre erano piene zeppe d’acqua.
“Tu sarai il mio piccolo Eros… l’amore che ci ha sempre unito”, commentai. Era il nome che avevamo scelto pochi giorni prima, dopo che avevamo visto un film con Nessie sugli antichi miti greci.
“Eros… amore che dai e amore che ricevi”, riprese lui.
“Ti amo”, dicemmo insieme e poi, come ogni volta che ci guardavamo o parlavamo così, ci baciammo dolcemente.
Finalmente e per sempre insieme.
 
A volte la vita ti chiede di prendere o di lasciare, ma non devi mai abbatterti. Predi ciò che ti offre, perché è il regalo più bello che possa esistere!

The End




...Note dell'Autrice:

Non ho mai detto che questa sarebbe stata una storia lunga, ho sempre detto che la Bella di questa storia non vi sarebbe mai andata a genio, ero sicura che finirla mi sarebbe dispiaciuto, sono certa che questa sia la fine che ho sempre voluto per lei. 
So che i pareri saranno contrastanti ma io la storia l'ho sognata così, l'ho scritta così, l'ho sempre immaginata finire così. La adoro per come è venuta, non la rimpiango minimamente <3

In quanto a voi: GRAZIE!
Grazie a chi ha recensito, anche se la storia non è delle più famose e scritte bene; Grazie a chi l'ha inserita nelle preferite/scelte/ricordate, mi avete dato la forza di andare avanti; Grazie a chi solo leggeva o sbirciava perchè mi fate capire che qualcosa di buono l'ho fatto.
Grazie per tutto e a tutti, che siete i milgiori!
GRAZIE

con tutto l'affetto che vi posso trasmettere, Ronnie02

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