Il nuovo Semidio.

di Heavenly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzioni e premesse. ***
Capitolo 2: *** Incontro la mia pseudo gemella. ***
Capitolo 3: *** Leggere troppo mi fa andare via di testa. ***
Capitolo 4: *** Mia madre programma il mio matrimonio. ***
Capitolo 5: *** Il mio pseudo-gemello è uno psicologo. ***
Capitolo 6: *** Un libro viola la mia privacy. ***
Capitolo 7: *** Cenerentola mi fa un baffo. ***
Capitolo 8: *** La mia pseudo-gemella spacca tutto e tutti. ***
Capitolo 9: *** Mia madre mi attacca la crisi di nervi. ***
Capitolo 10: *** Non sono più figlio unico. ***
Capitolo 11: *** Mi preparano a morire. ***
Capitolo 12: *** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 1. ***
Capitolo 13: *** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 2. ***
Capitolo 14: *** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 3. ***



Capitolo 1
*** Introduzioni e premesse. ***


-Introduzioni e premesse-
 
Salve a tutti! Beh, direi che per prima cosa mi presento.
Sono Heavenly, e sono iscritta qui da un anno, ma questa è la mia prima long fic. Questo è il mio debutto su questo fandom, spero di non fare disastri come il mio solito.
 
Ora, passiamo alla storia.
 
Beh, sembra ovvio che parlerà di Percy Jackson. Ma se avete letto bene, ci sarà un nuovo personaggio. Maschio, femmina? Starà a voi scoprirlo. Sappiate però che il suo arrivo sconvolgerà ogni cosa: il destino dei semidei cambierà, la profezia potrebbe essere sostituita da qualcos'altro. 
Come reagiranno Percy, Annabeth, Grover e company?
Che ne sarà del patto di sicurezza fra Dei?
Scopritelo, leggendo la mia storia.
 
 
 
BREVI ANNOTAZIONI.
 
-La storia ce l'ho in mente da quando il primo libro di Percy è uscito, e si è sviluppata nel corso dei libri. Quindi, non è assolutamente copiata.
-La storia è ambientata appena dopo la fine del primo libro. Collocarla è stato difficile, spero di non confondervi troppo.
-Alcune cose potrebbero non coincidere perfettamente. Ma che ne sappiamo noi di quel che succede tra un libro e l'altro? Crono potrebbe anche essere già morto u.u
 
-Fine-

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Capitolo 2
*** Incontro la mia pseudo gemella. ***


Non ho mai amato la campanella come in quel momento.
Era martedì, e stavo per soccombere ad un'interrogazione di Matematica. 
Non che la Meriwether sia un inferno; cioè, è sempre scuola, ma immaginatevi un Inferno alternativo, con comodi puff, computer, niente punizioni e cose varie.
Ecco, vi presento la Meriwether. 
Ma come dicevo prima, sempre scuola è; perciò, non esitai due secondi ad uscire dall'aula con lo zaino in spalla, pronto a filarmene a casa. 
«A domani, Jackson!» mi gridò nell'orecchio Matt Sloan, dandomi una forte pacca sulla schiena. Non feci in tempo ad alzare lo sguardo che si era già defilato.
Matt Sloan non è un energumeno, chiariamoci. Ma diciamo che, dato il fatto che mi sia proibito usare Vortice su di lui, faccio meglio a stare zitto e imprecargli contro sottovoce. 
Stavo proprio sussurrando qualche piccola maledizione in greco antico, quando sbattei violentemente contro qualcosa. Retifico: qualcuno mi arrivò addosso all'improvviso. E finii per terra.
«Ma che diamine...?!» provai a biascicare, massaggiandomi la schiena.
Alzai lo sguardo rabbioso verso chi mi si era scaraventato contro: ammutolii.
Di fronte a me c'era una ragazza. Non credo avesse avuto la mia età, probabilmente era di un anno più giovane o giù di lì. Ma la cosa stupefacente, era che mi sembrava di avere la mia fotocopia al femminile davanti.
«Io... Oh, cavolo, scusa! Davvero! Non volevo, è che ero di corsa, mia madre... Io...» balbettò dispiaciuta.
«Fa niente, tranquilla.» la rassicurai. 
Mentre mi rialzavo, la osservai meglio, cercando di capire se la mia dislessia potesse trasformarsi in un problema di vista.
Era alta, quasi come me, e magra al punto giusto. Non prendetemi per maniaco, era per precisare. Comunque, la ragazza aveva grandi occhi verdi, come gli smeraldi; capelli neri, lunghi e mossi; carnagione chiara.
Se non fosse stato per quelle lentiggini spruzzate sul naso, avrei potuto pensare che un me stesso venuto dal futuro si fosse messo una gonna e fosse venuto a trovarmi.
Anche lei mi squadrò un attimo, e capii che aveva avuto il mio stesso pensiero: il che non è un bene. Non posso definirmi un essere troppo intelligente; magari la botta l'aveva contagiata.
«Allora, cosa ti spinge ad intraprendere la carriera di bulldozer umano?» chiesi, sapendo che non avrebbe riso.
Mi sorpresi infatti, quando una risata cristallina uscì dalla sua bocca. 
«Il capo del mio cantiere vuole vedermi subito, oppure mi sa che verrò licenziata!» disse ridendo. 
Risi anchio: riusciva a cogliere il mio stesso senso dell'umorismo. 
«Se è così, non ti trattengo oltre!» sorrisi, alzando le mani in segno di arresa.
«Oh beh, tanto prima o poi se non mi licenzia come bulldozer mi licenzia come figlia...» borbottò pensierosa. 
Rimanemmo in silenzio un attimo, fino a quando un clacson non iniziò a strombazzare fuori.
«Arrivo! Santo cielo, arrivo! Beh senti... Em, nome?» chiese velocemente.
«Percy, Percy Jackson.» Rimase paralizzata un attimo, con gli occhi spalancati; evidentemente si ricordò che là fuori una macchina stava dando un concertino, perché tornò subito alla realtà.
«Percy, ci vediamo in giro magari! Devo proprio scappare!» 
«Corri, altrimenti l'esibizione diventerà noiosa!» sorrisi di rimando. 
Anche lei mi sorrise, agitò la mano e scappò via, alla stessa velocità con cui mi aveva sbattuto a terra.
Quando la sua sagoma sparì fuori dalla porta centrale, abbassai lo sguardo verso il mio zaino, ancora per terra. Notai che di fianco a quello c'era un piccolo quaderno: lo raccolsi e lo sfogliai, ma era completamente bianco.
Controllai se c'era qualche nome sopra, e finalmente trovai la scritta:"Proprietà di Hilary G.
Sorrisi, infilandomi il quadernetto nella tasca dei jeans, vicino a Vortice, avviandomi verso l'uscita. 
Dopotutto, dovevamo rivederci, o sbaglio?

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Capitolo 3
*** Leggere troppo mi fa andare via di testa. ***


 
Leggere troppo mi fa andare via di testa.
 
«Ciao mamma!» dissi, esasperata dal fatto che non la smettesse di suonare quel maledetto clacson. Se continuava in questo modo, avrebbe dovuto pagare un apparecchio acustico a tutti i cittadini di New York.
«Facciamo un applauso ad Hilary, che dopo mille avventure è riuscita a salire in macchina!» esclamò mia madre, battendo le mani e alzando gli occhi al cielo.
«Sì mamma, anche io ti voglio bene...» borbottai. 
«Come mai ci hai messo così tanto? Sono 10 minuti che ti aspetto qui fuori!» 
La voglia improvvisa di sbatterle in faccia l'orologio mi salì in gola: lei e i suoi orari del cavolo, che quando sono passati sì e no quattro minuti, diventano inspiegabilmente cinque.
Sto seriamente pensando di sottoporla ad un controllo medico, magari il suo orologio interiore è rimasto indietro all'ora legale. 
«Grazie alle mie fantastiche abilità motorie, sono riuscita a rovesciare un pacco di fogli, sbattere contro un armadietto e catapultare a terra un ragazzo!» le spiegai, guardando fuori dal finestrino le mille persone che tutti i giorni avanzavano velocemente per le strade della Grande Mela.
«Elegante come un elefante in una vetreria, scommetto» replicò con aria assente mia mamma, impegnata a fare manovra per entrare nel parcheggio davanti casa nostra.
Non abitavamo in una reggia: era uno di quegli appartamenti fatti di mattoni, a schiera, con delle scale che conducevano alla porta principale.
Non era molto, ma a me piaceva un sacco, soprattutto rispetto a quegli appartamenti scoloriti che stavano in centro.
Appena entrata in casa, andai subito in camera mia; buttai la borsa sul letto e mi distesi accanto ad essa.
Avevo troppi pensieri per la testa, e cercare di dividerli non mi creava altro che una confusione peggiore. 
Il primo giorno di scuola non era stato malaccio. Pensavo sarebbe andato molto peggio: ero arrivata piena di speranze, e alla vista dei puff colorati della mia classe i miei occhi avevano avuto un luccichio.
La gente della 2°B non è affatto male: per quel che ne so io, sono tutti simpatici e gentili; e sono soprattutto curiosi di sapere com'è l'Italia. 
Sì, io vengo dall'Italia.
Mi sono trasferita quando avevo un anno, ed ero rimasta lì fino ad una settimana fa, quando avevo detto ciao allo Stivale ed ero salita sull'aereo. 
Inoltre, a scuola mi avevano anche dato un computer: lo sfilai dalla mia borsa, e lo osservai attentamente, da vera intenditrice.
Era un computer di ultima generazione, completamente bianco, portatile.
Stetti a fissarlo ancora un po', poi lo presi in mano ed andai alla mia scrivania, dove se ne stava spento il mio computer fisso, anche quello di ultima generazione.
Lo accesi, e per prima cosa andai nella mia cartella preferita, riservata ai libri.
Presi la chiavetta e passai un libro dentro quel piccolissimo aggeggio dalla memoria fenomenale.
Se solo sapesse parlare, mi potrebbe infondere un po' del suo "cervello". 
Inserii la chiavetta nel mio nuovo portatile, e aspettai che finisse la procedura di Download. 
Mi incantai davanti al titolo del libro:"Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo".
La mia mente corse a ritroso, e mi figurai davanti la faccia del ragazzo che avevo incontrato in corridoio.
Dei, era davvero uguale a come immaginavo il protagonista del libro; e in più aveva lo stesso nome e lo stesso cognome.
Come poteva essere? Mio zio aveva appena finito di scrivere quel libro, e doveva ancora trovare una casa che glielo pubblicasse. 
«Deve. Deve per forza essere una coincidenza. Figuriamoci se esistono veramente cose come Dei, Semidei e Satiri... Anche se sarebbe tremendamente bello... No, Hil! Ti stai facendo scombussolare. Ritorna in te» mi dissi, cercando di sembrare sicura di me stessa.
«Tesoro, è pronto il pranzo!» urlò mia madre dalla cucina.
«Arrivo!» le gridai di rimando. Staccai la chiavetta appena vidi che il file era stato scaricato, chiusi lo schermo e uscii dalla camera.
Mi avviai in cucina, ancora pensando a quegl'occhi verde smeraldo come i miei che avevo incontrato quella mattina.
 
 
 
 
Ma salve!
Sono tornata, molto prima di quanto mi aspettassi! Lo so, il capitolo di ieri era corto, e non mi sono nemmeno ricordata di fare i saluti °-°
Beh, comunque!
In questo capitolo si spiegano una cosa in particolare: lo sguardo sorpreso di Hilary quando Percy le disse il suo nome. 
So che fa schifo, ma è il meglio che sono riuscita a tirar fuori dalla mia intricata mente. 
Abbiate pietà! D:
 
Con taanto amore, Heavenly.

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Capitolo 4
*** Mia madre programma il mio matrimonio. ***


Mia madre programma il mio matrimonio.

«Come mai così pimpante, questa mattina?» chiese curiosa mia madre.
Probabilmente era scioccata: lo sarei stato anche io, se mio figlio si fosse alzato dal letto con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro.
«Niente, mamma, davvero...» addentai un biscotto al cioccolato blu. 
Mia madre ha questa mania del blu: tutte le cose belle per lei sono di quel colore. 
Perciò, anche il cibo può essere blu, perché no?
Comunque, ero deciso a non dirle nulla del mio incontro del giorno prima.
Sfortunatamente, sono figlio di un radar scova-bugie.
«Allora, chi hai conosciuto?» Lo domandò con noncuranza, ma ero certo che non vedeva l'ora di saperne di più.
«Una... Una ragazza» borbottai, sapendo di non poter mentire. 
Mi imbarazzava parlare di queste cose. Con mia madre, poi.
E facevo bene ad aver timore di quel che avrebbe detto, perché mollò i piatti che stava lavando e corse ad "abbracciarmi".
Anche se in realtà, sarebbe più adatto strozzarmi.
«Oh Percy! E com'è? Suppongo sia carina!»
Dopodiché avvenne una fase della serie "me-lo-avresti-potuto-dire-prima-potevamo-invitarla-a-casa-nostra-a-prendere-qualcosa-quando-uscite-voglio-una-sua-foto".
È incredibile quanto mia madre possa essere veloce nel parlare.
«Mamma, mettiti in standby! È solo un'amica, anzi, neanche tanto... È solo una conoscente». 
Era la verità: oltre al suo nome, non sapevo niente sul suo conto.
«Ma... Vi incontrerete, no?» chiese con sguardo deluso.
Non potei resistere al suono bisognoso della sua voce: mia madre voleva più di ogni altra cosa che io avessi un amico; figuriamoci una ragazza.
Sarebbe stata così felice che avrebbe regalato i dolci del negozio in cui lavorava ai clienti.
«Sì... Credo di sì» sorrisi debolmente.
Seguì un attimo di silenzio imbarazzato; nessuno dei due sapeva cosa dire.
Allora, presi lo zaino, diedi un bacio sulla guancia a mia madre e feci per uscire.
«Perc... Stai attento. Non si sa mai che qualcosa...» sussurrò mia madre.
«Tranquilla. Starò bene» la rassicurai.
Sfoggiai il mio migliore sorriso ed uscii.
"Vi prego. Niente attacchi. Niente guai."
Pregai gli dei mille volte, sperando di re-incontrare quella ragazza.
 
***
Arrivai a scuola in anticipo per la prima volta nella mia vita.
E ovviamente, da cosa buona si trasformò in catastrofe.
Nel corridoio, incrociai il direttore della Meriwether.
È un uomo grande e grosso, alto come una porta. 
Non sembra cattivo al primo colpo.
Ma se le cose che mi hanno raccontato su di lui sono vere, meglio fare i bravi bambini.
«Buongiorno Jackson! Come mai questo anticipo?» chiese.
Piccolo avvertimento: se provate a condurre un discorso serio con lui, ricordate che non vi lascerà spiccicare parola.
Infatti, non riuscii nemmeno a rispondere che riprese.
«Ah, lo so io! Qualcuno ti ha detto che oggi avresti fatto da guida ad una nuova alunna! Vieni avanti, tesorino!» Si voltò a chiamare qualcuno.
Dal corridoio, sbucò fuori la ragazza. Hilary.
Mi guardò con la stessa faccia con cui la guardai io, della serie "Ma mi stai perseguitando?"
«Ti spiego come funzionerà. Le mostrerai le aule, i laboratori, il giardino e la mensa. Le farai fare un giro turistico della scuola,per così dire. Bene, arrivederci, Jackson! E a te, Grandess!» Se ne andò fischiettando.
Hilary mi guardò e abbozzò un sorriso.
«Beh, vogliamo... andare?» chiese timidamente.
Non so perché, ma sentivo che quella ragazza sarebbe stata una parte importante della mia vita. 
«Certo!» 
E avevo ragione.

Saalve! Sono tornata!
Questo capitolo è più lungo degli altri, ma forse è un po' povero. 
Però, ho introdotto Sally!
Mi scuso per questi saluti, ma sono di fretta °-°
Alla prossima, belli! :D

Ringrazio Moody per l'appoggio <3

Heavenly

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Capitolo 5
*** Il mio pseudo-gemello è uno psicologo. ***


Il mio pseudo-gemello è uno psicologo.

Camminammo in silenzio per un po'.
Probabilmente era in imbarazzo quanto me.
Povero Percy, in fondo era lui che aveva il compito più difficile.
In quel momento, mi accorsi che lui non sapeva il mio nome.
«Oh, un momento! Ieri non mi sono neanche presentata! Piacere, Hilary Grandess» Mi fermai e gli tesi la mano.
Un lampo attraversò i suoi occhi, ed un sorriso scaltro gli si dipinse sul volto.
«Cosa faresti se ti dicessi che io lo sapevo già?» chiese.
«Probabilmente ti direi che sei un maniaco che mi ha pedinato tutto il giorno» dissi, stupita.
Rise, ma non parlò, mentre continuò a fissarmi. 
Ci trovava gusto nel mettermi in difficoltà?
«Avanti Percy, come fai a saperlo?» Morivo di curiosità. 
E sicuramente lo si poteva vedere, anche dal Monte Everest.
«Ieri, mentre scappavi fuori, ti è caduto questo» spiegò.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni la mia agenda azzurra e verde, con sopra scritto il mio nome.
«Ah, cavolo! Non mi ero accorta di non averla nello zaino. Beh, grazie mille!» esclamai sorridendo.
Presi l'agenda e la riposi nella tasca dei jeans.
«Figurati. Allora, dove vogliamo andare?» chiese.
«Ehi, la guida sei tu! Sono nella tua mani!» risposi.
«Te ne pentirai!» confessò.
Mi guidò attraverso i corridoi della scuola, a vedere le aule, i laboratori di chimica e di arte, la stanza della musica -piena di strumenti sconosciuti all'uomo- e la palestra. 
Avevo voglia di prendere una boccata d'aria, così mi portò nel giardino della scuola. 
Era un immenso prato verde, con dei giochi da bambini e varie panchine con tavoli, dove sedersi.
Ovviamente, ci sedemmo per terra. 
Iniziai ad accarezzare l'erba, più verde che mai quella giornata. 
«Sai, non è male come scuola» Alzai gli occhi, e feci fatica a distinguere quelli di Percy, dello stesso colore vivo del prato.
Siccome se ne stava zitto, decisi di continuare.
«Mi hanno detto che ha una biblioteca grandissima; è vero?»
Sapevo che i miei occhi stavano luccicando; succede sempre, quando si parla di libri in mia presenza.
«Ecco... Diciamo che non sono una persona a cui vanno a genio i libri. Ma se vuoi ti ci porto» rispose.
«Oh, sì! Ti prego! Sono a corto di libri!» Mi sentivo come una disperata.
Probabilmente c'ero vicina, perché guardandomi Percy rise. 
«Va bene, seguimi!» Si alzò, e mi aiutò a mettermi in piedi.
In quel mentre, suonò la campanella. Guardai l'orologio, e notai che era già mezzogiorno.
«Oh, beh. Rimanderemo a dopo. Ora dobbiamo andare in mensa. Oggi ci sono i burritos!» esclamò.
«Stai sbavando» commentai divertita.
Rise; aveva davvero una risata magnifica.
Io però non ero molto in vena di ridere.
Infatti, durante il tragitto stetti zitta.
A quanto pare Percy notò che avevo qualcosa di strano, perché mi guardò corrugando la fronte.
«Tutto bene? Sembri... Nervosa»
«Ehm... È che...» balbettai.
Rimase in silenzio, aspettando che continuassi.
«Sono la nuova, capisci? Tutte queste persone insieme... Ho paura» sbottai.
Non mi aspettavo nessun gesto particolare.
Figuriamoci sentirmi prendere la mano.
«Stai tranquilla. Forse ti guarderanno, forse no. Anche io ci sono passato, credimi: domani sarai una normale alunna» Sorrise incoraggiante.
Sentivo appena il discorso che mi faceva, impegnata ancora a cercare di calmarmi.
Ma la mia ansia funziona in modo diverso. Se io provo a calmarmi, l'ansia aumenta. 
Alla fine, annuii, facendo un respiro profondo.
Entrammo.
Molti ragazzi erano in coda per prendere il pasto, con i vassoi fra le braccia. Altri ancora erano già seduti, e mangiavano allegramente parlando con gli amici.
Piano piano, ci mettemmo in fila. 
Mi accorsi solo in quel momento di avere la mano ancora agganciata a quella di Percy.
Probabilmente se ne accorse anche lui: ci guardammo sgranando gli occhi e staccammo subito la mano. 
Tenni lo sguardo basso, cercando di non far notare il mio rossore sulle guance.
Dopo aver preso il pranzo, cercammo un posto a sedere.
Percy scovò un tavolo libero e ci dirigemmo verso quello.
Quando ci sedemmo e cominciammo a mangiare, notai che un gruppo di ragazzi ci stavano fissando: erano dei ragazzoni, ben piazzati. 
I tipici bulli, per intendersi.
Avevano uno sguardo curioso, come se si meravigliassero di vedermi lì insieme a Percy.
Guardai anche lui: siccome non sembrava aver notato nulla di sospetto, tornai al mio burrito.
Non sapevo che quello sarebbe stato l'ultimo pranzo normale della mia vita.

Buon salve! (?)
Sono ancora qui, non sono morta, purtroppo per voi! :D
Beh, questo capitolo mi pare un po' povero; ma non sapevo come andare avanti.
Dal prossimo sarà tutto più avvincente, promessa!

Ringrazio come sempre Moody e la mia nuova recensitrice, albyyy_black!
Grazie anche a coloro che leggono la mia storia!
Biscotti blu a tutti! *lancia*

Con taaanto amore, Heavenly.

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Capitolo 6
*** Un libro viola la mia privacy. ***


Un libro viola la mia privacy.
Ci defilammo subito dopo aver finito di mangiare.
Forse, eravamo i primi ad uscire.
Sapevo che qualcuno ci aveva fissato, e con 'qualcuno' mi riferisco a Sloan ed alla sua banda.
Secondo me aveva avuto uno shock nel vedermi con una ragazza, mano nella mano. 
Ah, già. Dei, che vergogna. Non mi ero mai sentito così in imbarazzo in vita mia; voglio dire, sapevo di essere stato bravo ad incoraggiarla, ma quando in mensa mi ero accorto di essere ancora legato a lei, ero sicuro di essere diventato un peperone con gambe e braccia in fila per il pranzo. Eppure qualcosa, dentro, mi diceva di starle vicino.
«È lontana questa biblioteca?» Hilary mi svegliò dai miei pensieri. «Ehi, tutto ok?» chiese, squadrandomi. 
«Eh... Sì. Cioè, no... Cioè... La biblioteca è dietro quella porta» Ci misi un bel pezzo per rispondere, ancora scombussolato dai miei stessi pensieri.
Hilary mi guardò un attimo, ma distolse lo sguardo quando le aprii la porta della biblioteca.
Bene, provate ad immaginare una pizza gigantesca, solo per voi, con tutti i condimenti possibili. Ora, scommetto che i vostri occhi si sgranerebbero e comincereste a correre incontro alla pizza, come le persone innamorate nei film sdolcinati.
Ecco, prendere tutto questo, sostituire la pizza con una montagna di libri e al vostro posto mettere Hilary. Agitare bene e avrete la scena di quel momento.
Hilary rimase a bocca aperta per alcuni minuti. Poi mi guardò scioccata.
«Non mi avevi detto che c'erano così tanti»
«Ehi!» protestai «Sarò entrato sì e no una volta qui!»
Non so se mi ascoltò, perché prese a correre attraverso gli scaffali, guardando i libri, fermandosi ogni tanto e prendendoli, per poi rimettersi ad esplorare.
Ad un certo punto, mi ritrovai a vagare da solo per il reparto storico. 
«Perfetto, ho perso la mia turista» borbottai nervoso. 
Cercai per quella che sembrò mezz'ora. C'era uno strano silenzio in quella enorme stanza, quasi surreale. Eppure lei era lì da qualche parte, sentivo la sua presenza.
La trovai seduta nell'angolo lettura, sul tappeto. Perché non usava le sedie come tutti?
Stava sfogliando un libro sicuramente pesava più di me.
«Ho un dubbio. Ti piace leggere?» scherzai.
«Si nota tanto?» Sorrise, guardandomi negli occhi.
«Nah, solo un pochetto...» 
Rise, ma non come al solito. Aveva lo sguardo assente, come se fosse proiettata in un altro mondo: quello dei cervelloni.
«Hai un libro preferito?» chiese.
"No" sarebbe stata la risposta migliore. Io non leggo: in più, ci si mette anche la dislessia. 
Invece, la mia risposta fu qualcosa del genere: "Conta Winnie the Pooh?"
Ovviamente, le mie risposte erano come sempre le migliori.
 
***
 
Restammo seduti su quel tappeto per un'oretta, chiaccherando sommessamente qua e là.
Mi sorprese, quando di colpo Hilary chiuse il libro che stava sfogliando e si rivolse a me.
«Io invece ho un libro preferito, sai?»
Ecco. Non glielo avevo chiesto, prima. Sono un portento nelle buone maniere.
«Ah... sì? Come si chiama?» chiesi.
Scoppiò a ridere; ora, non capivo: o il libro si chiamava "Ha-ha" o aveva degli attacchi di isteria.
«Non ci crederai...» Aprì la borsa e tirò fuori il computer che la scuola forniva a tutti gli alunni. 
Lo accese e andò in una cartella. Era una scritta piccola e io sono dislessico, ma ero abbastanza sicuro che quella si chiamasse 'Libri'.
Ero curioso: sapevo che esistevano cose come e-book, ma quando aprì un  file intitolato 'Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo', rimasi paralizzato.
«Che... Di cosa parla?» deglutii.
«Sapevo che avresti reagito così!» rise «Beh, la storia si concentra su Percy Jackson- già, proprio come te!- e sull'Antica Grecia. In pratica, gli Dei dell'Olimpo esisterebbero ancora, e starebbero a New York, sull'Empire State Building! Comunque, c'è questo Percy che scopre di essere figlio di Poseidone, il Dio del mare, e di conseguenza anche un semidio. Allora va a questo Campo Mezzosangue , dove si allenano i semidei. E poi ovviamente ci sono le varie avventure...» concluse.
Credo sembrassi un pesce mentre boccheggiava. E me la cavo, a fare il pesce.
Non poteva essere. Qualcuno aveva scritto un libro su di me. E aveva azzeccato anche i nomi, i luoghi... tutto! Probabilmente sapeva pure se mi piacevano di più i boxer o gli slip!
Dovevo fare qualcosa, dovevo chiedere aiuto.
Decisi di chiamare Chirone. Non potevo aspettare di tornare a casa; se era vero che in quel libro c'erano scritti la mia vita e il mio destino, il nostro capo campo doveva saperlo.
«Chi... Chi ha scritto il libro?» Tremavo mentre frugavo in tasca, in cerca di qualche dracma.
"Sia lodato Poseidone" pensai, quando finalmente tirai fuori una moneta dalla tasca.
«Mio zio... Perché?» aveva corrugato la fronte.
Le presi la mano e la costrinsi a seguirmi nel bagno della biblioteca. 
«Percy, ma che succede?!» 
Non avevo tempo di spiegare. 
«Ora vedrai una cosa che potrebbe sconvolgerti» dissi, mentre aprivo le finestre per far entrare la luce del sole nella stanza.
«Adesso, apri tutti i rubinetti e mettili alla temperatura più calda che c'è» ordinai.
«Percy, non ci capisco più niente...» sussurrò, ma obbedì comunque.
Il vapore si alzò poco dopo, e ringraziando gli dei, un arcobaleno si era creato grazie alla combinazione luce-acqua.
«Oh, dea, accetta la mia offerta!» esclamai, gettando la moneta nel vapore.
Hilary la guardò paralizzata, mentre si dileguava nel fumo.
«Non.. Non può essere... Percy, parla chiaro!»
Mi stava supplicando, e nei suoi occhi si leggeva la disperazione.
«Vuoi sapere perché mi interessa l'autore? Beh, eccoti accontentata» dissi.
Sapevo che aveva capito quello che stava succedendo. Ma sapevo anche che la follia era una delle prime cose che impedivano di crederci.
La guardai ancora un attimo, poi mi voltai verso il vapore, dove uno spazio argenteo si era creato.
«Mostrami Chirone, al Campo Mezzosangue».


Sono viva, ritirate le squadre di rinforzi!
Sono finalmente tornata con un capitolo tutto nuovo e lungo, davvero lungo!
Ora capite perché ci ho messo tanto, eh?
Scriverlo è stato una faticaccia. Mi ci sono volute per 3 ore di lezioni a scuola.

Spero vi piaccia, le cose come promesso si fanno più intricate.

Ringrazio Moody, Alby, e la mia nuova recensitrice khyhan, che mi sostengono passo passo :3
Che gli dei le benedicano u.u

Pace&amore a tutti, Heavenly.

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Capitolo 7
*** Cenerentola mi fa un baffo. ***


Cenerentola mi fa un baffo.
 
Vidi chiaramente delle vallate verdi e grandi campi di fragole. Poi  un'arena si materializzò nello schermo creato dal vapore.
Un uomo stava insegnando ad alcuni ragazzi come tirare con l'arco.
Un momento. Quello non era un uomo. Aveva il torso di un uomo, ma il resto era...
«È un cavallo!» esclamai.
Doveva avermi sentita, perché si voltò verso di noi, insieme agli allievi.
«Come prego?» chiese il centauro, alzando un sopracciglio.
Percy mi spinse di fianco e iniziò a parlar con il centauro, come se fosse la cosa più normale del mondo. 
Insomma, chi non ha mai visto un centauro per strada?
«Percy? Cos'è successo? Chi era quella ragazza?» le  domande arrivarono una dietro l'altra, costringendo Percy ad interrompersi ogni due secondi.
«Salve, Chirone. Va tutto bene... O forse no. Lei è...» fece per presentarmi.
«Io sono Hilary Grandess, molto lieta» precedetti Percy «E lei è un centauro. Che si chiama Chirone. Beh, ora mi dica pure che quelli sono Figli di Apollo e completiamo il quadretto!» sbottai.
«Beh, in effetti hai ragione... Hilary, giusto?» domandò «Percy, cosa diamine succede? Non sarà mica...» La sua voce era carica di speranza.
«Non lo so. Però c'è di mezzo altro. Hil, mi passi il computer?» si rivolse a me.
Annuii e glielo porsi con mani tremanti. 
«Leggi.» Era una specie di ordine, ma era ovvio che era intesa come necessità.
«Percy Jackson e gli... Dii immortales!» Gli occhi del centauro, che prima scrutavano il titolo del libro sullo schermo, si sgranarono. 
«Cos... Cos'è?» Era irrequieto, spostava il peso da uno zoccolo all'altro molto velocemente; intanto, i ragazzi dietro di lui assumevano espressioni della serie: "Che succede?", "Quello non è il Testa d'Alghe Junior?" e "Ho dimenticato di dare da mangiare al mio criceto".
«È un libro. L'ha scritto lo zio di Hilary. E...» esitò.
«E...?» lo incitò Chirone.
«E parla di noi. Di tutti noi» sottolineò il tutti come se dicesse "La CIA ci ha scoperti".
Io ero rimasta inebetita a fissare lo schermo vaporoso, spostando lo sguardo da Percy a Chirone.
Come poteva essere?! Quel mondo, che mio zio aveva creato... Beh, non era stato creato da lui! 
Non poteva metterci nemmeno i copyright, ora.
Fissai il Chirone, che nel libro era ritratto come un saggio vecchio centauro, in cerca di una risposta.
Potevo sentire la sua mente lavorare. Mi immaginavo tanti cavallini liberi che correvano per il suo cervello e lui che cercava di radunarli in maniera logica.
«Arrivo» disse «Portala a casa tua. Sarò lì fra poco.»
Percy annuì, mentre il centauro dissolveva l'immagine. Probabilmente, si vedeva che ero al limite dell'isteria, perché Percy mi prese le spalle.
«Ce la fai a camminare?» chiese. Era preoccupato.
«Credo...» mossi impercettibilmente il capo.
«Allora seguimi.»
E iniziammo a correre.
Sfrecciammo per i corridoi della scuola e infine ne uscimmo.
Corremmo, senza dire una parola, attraverso i marciapiedi e le strade di Manhattan, ignorando le proteste delle persone che urtavamo; avevo il fiatone e non riuscivo a pensare.
In quel momento, la missione era arrivare a casa di Percy.
Dopo dieci minuti di corsa -mi sorpresi delle mie capacità- Percy si fermò davanti ad un appartamento grigio, aprì la porta velocemente e mi trascinò dentro. 
Non riuscivo a stare in piedi, le gambe tremavano per lo sforzo; stavo per cadere, ma Percy mi afferrò in tempo da dietro.
«Mamma!» urlò.
«Percy! Che ci fai già a ca...» Una donna dai capelli castani arrivò dalla cucina.
«Aiutami a portarla sul divano» implorò Percy.
La donna scattò verso di me, mi afferrò un braccio e madre e figlio mi portarono nel salotto del loro appartamento.
«Stenditi, cara.» Aveva una voce gentile.
Obbedii meccanicamente.
«Tesoro, vai a prendere il ghiaccio; io porto da mangiare».
Uscirono tutti e due, diretti alla cucina, mentre io cercavo di dare un senso a quello che stava accadendo.
Ecco, il mio sogno si era avverato. Il libro che avevo sperato fosse reale, lo era davvero, e io sarei dovuta essere al massimo della felicità.
Ma allora perché il mio sogno stava diventando tutto nero?
L'ultima cosa che vidi e sentii su un ragazzo correre verso di me, chiamando sua madre.
 
***
 
Era una sensazione piacevole.
Sentivo qualcosa di morbido sotto il mio corpo. "Coperte" pensai "E un cuscino".
Probabilmente ero ancora stesa sul divano di casa Jackson.
Appena lo pensai, mi tornò in mente tutto: Percy, il libro, il centauro, la folle corsa per le strade New York, il buio.
Aprii gli occhi di scatto, ma me li coprii subito dopo: la luce era abbagliante. 
Chissà per quanto tempo avevo dormito.
Allora socchiusi gli occhi piano: mi trovavo in una stanza piena di lettini e comodini, colmi di bottigliette e ciotole varie; delle colonne sostenevano il tetto, candido come la stanza. Era tutto deserto, nemmeno un'anima viva tranne me.
"L'infermeria". Già, non me l'ero immaginata così, ma quello non era il problema top sulla mia scala dei problemi.
Provai ad alzarmi dal lettino: le gambe erano un po' inferme, ma non tanto da impedirmi di andare verso la porta.
Infatti, appoggiandomi ai mobili, riuscii ad arrivarci e ad aprirla.
«Oh, santo Apollo».
Davanti ai miei occhi si apriva lo stesso paesaggio che avevo visto nel messaggio Iride: vallate verdi, campo di fragole in lontananza, un'arena, dei bersagli per il tiro con l'arco sulla mia sinistra, un grande padiglione bianco sulla destra.
Provai a fare un passo fuori, ma...
«Ehi, dove credi di andare?» Una voce senza corpo parlò dal nulla.
«Già, non puoi uscire senza il nostro permesso!» Un'altra voce ancora, simile a quella di prima.
«Em... Sto parlando con l'aria?» chiesi.
«Giudica tu!» Due ragazzi sbucarono dal nulla, facendomi fermare i battiti cardiaci per qualche secondo.
«Ma che... Sono appena rinvenuto da uno stato di coma apparente che mi ha fatto sembrare un cactus per chissà quanto, vediamo di non farmici tornare?»
I due risero. Gli osservai meglio: erano alti, avranno avuto circa 16-17 anni. Avevano capelli marrone chiaro, corti e un po' riccioluti. Occhi azzurri, molto chiari. Un sorriso scaltro sul volto. 
Opinione di una ragazza normale: che gran fighi!  
Opinione di una ragazza andata come me: «Voi siete gli Stoll!» esclamai.
«In carne ed ossa, solo per voi, alla modica cifra di cinque dollari l'uno!» ribatté... Travis? O Connor?
«Cavolo, non è possibile. Non ci posso credere!» Moto istintivo nei miei momenti di massima felicità: abbracciai entrambi nello stesso istante.
«Woh! Ferma i tuoi spiriti semidivini, ragazza!» disse quello che credevo fosse Connor; sembrava stupito. 
Chissà perché. 
Poi rimasi un momento scioccata.
«Avete... Avete detto semidivini?» Dentro di me stava avvenendo un incontro di wrestling:"Attenzione, nell'angolo destro, la speranza! Nell'angolo sinistro, la paura! Niente colpi bassi, mi raccomando!"
«Sì, semidivini. Altrimenti, come avresti fatto ad entrare qui?» Travis corrugò la fronte.
«E l'ambrosia? Anche quella ti sarebbe stata letale» aggiunse Connor.
«Ma... Questo vuol dire... Che io... Che sono...» balbettai.
«Sei una SEMIDEA! Complimenti, hai fiuto per queste cose!» Applaudirono.
Il duello dentro di me intanto era alla pari: non sapevo più cosa dire.
Probabilmente, i gemelli se ne accorsero, perché risero. 
Dovevo sembrare un pesce lesso.
«Dai, su! Lo sappiamo che può sembrare una cosa impossibile, ma è la verità! Di solito non siamo noi a dare la notizia, ma Chirone è impegnato in questo momento» disse Travis.
«Chirone? Dov'è? Devo parlare con lui!» 
«È nella Casa Grande... Si sta facendo dire da Percy cosa è accaduto. Ma come fai a sapere chi è?» chiese Connor, sospettoso.
«Già, volevo chiedertelo anche io. E i nostri nomi? Come fai a conoscerli? Non ti abbiamo mai incontrato!» sottolineò Travis.
«Ora non c'è tempo. Portatemi da lui, subito!» Avevo fretta.
I due però rimanevano fermi sul posto, così iniziai a pregarli.
«Per favore!» 
Alla fine sbuffarono e assentirono. 
Soddisfatta, li seguii camminando. Dentro me, l'incontro di wrestling aveva avuto un vincitore: "E il campione è la speranza!"

Ebbene sì, sono tornata!
Fermate la spedizione di ricerca. 
Mi scuso per il ritardo ç_ç  Ma non so come non riuscivo a caricare il capitolo! È stato terribile! D:
Comunque, sono arrivata lo stesso, con un capitolo lungo lungo. 
Ah, il titolo del capitolo. Provate ad indovinare perché proprio quel titolo? Voglio sentire le vostre teorie u.u

Ringrazio come sempre coloro che mi seguono: Moony, albyyy, tarya e khyhan! Taanto amore a loro :D
E come le avevo promesso....
RINGRAZIO ANNABETH CHASE CHE MI SEGUE SEMPRE!
Amore incondizionato anche per lei! :D

Beh, hope you enjoy it! :D
Taanto amore pure a voi, Heavenly.

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Capitolo 8
*** La mia pseudo-gemella spacca tutto e tutti. ***


La mia pseudo-gemella spacca tutto e tutti. 


«E poi lei ha iniziato a parlarmi del libro... Così l'ho chiamata.» Stavo finendo di raccontare ciò che era accaduto.
Dopo che Hilary era svenuta, io e mamma avevamo fatto del nostro meglio per provare a farla rinvenire, ma senza successo. Fortunatamente, Chirone aveva mantenuto la sua promessa: cinque minuti dopo, era già lì e ci aiutava a caricare Hilary nella macchina, guidata da Argo.
Chirone l'aveva capito al volo: Hilary era una semidea, che probabilmente era ancora viva perché fino a poco prima  abitava in Italia, lontana dai mostri e dal suo vero destino.
Ma perché era tornata in America?! Perché ora doveva fare questa vita?!
Capitemi.  So com'è la vita di un semidio, ed è tutt'altro che rose e fiori. Bisognava essere forti. E lei era... così fragile. Come poteva combattere giorno per giorno contro la morte certa?
Dopo quel che era accaduto, non avevo dubbi: dovevo proteggerla. Era una... una parte di me, in fondo. 
Chirone era rimasto zitto per tutto il racconto, a riflettere. Mi sorprese infatti quando parlò.
«Bisogna chiarire la faccenda. Se quel libro è vero e racchiude il futuro dell'Olimpo, Hilary deve essere dalla nostra parte. Dobbiamo sapere se il nostro futuro è nelle sue mani.»
«Perfetto. Il destino del Merlot è nelle mani di una ragazzina. Farò meglio a prepararmi al peggio.» disse con voce stanca Dioniso.
Repressi un moto di rabbia. Quello sfaticato non riusciva a capire nulla! Perfino il gatto di mia zia aveva più cuore di lui! Il mondo per lui poteva andare letteralmente giù per il water, e lui avrebbe continuato a sfogliare tranuillamente riviste con poster di bottiglie di vino danzanti.
In quel momento, metre progettavo vari modi di buttare Dioniso giù per il water al posto del mondo, qualcuno bussò.
«Chirone, ti chiedono udienza.» Era uno dei fratelli Stoll, l'avevo riconosciuto. 
La porta si aprì e mostrò i fratelli Connor e Travis sulla soglia, con dietro qualcun'altro. Qualcuno di molto familiare.
«Hilary!» esclamai. 
Le corsi incontro; lei ricambiò con un grande sorriso. 
«Buondì, Percy!» mi salutò.
Chirone si alzò e si avvicinò a noi, sorridendo leggermente. 
«E così tu sei Hilary. Piacere di conoscerti e benvenuta.» Le tese la mano. 
«È un piacere, davvero!» rispose lei, e strinse felice la mano al centauro. 
Non sembrava nemmeno un po' stupita dell'aspetto molto equino del capo campo; nemmeno un fremito, come se si conoscessero da una vita. 
«Ti senti bene?» chiesi. 
«Ah, niente di che. Sono abituata a molto peggio... » boffonchiò.
«Ragazzi, voi potete andare. Quanto a voi due» Chirone indicò me e Hilary «dobbiamo parlare.»
Connor e Travis ci lasciarono senza troppe proteste, e io e Hilary ci sedemmo sulle sedie.
«Allora. Percy mi ha raccontato tutto» iniziò Chirone «Prova a dirmi tutto ciò che sai di... del nostro mondo.» «E spiegami anche la tua storia» aggiunse. 
Lei sospirò e iniziò a raccontare.
«Sono nata qui, a New York. Non avevo padre. All'età di un anno, mi sono trasferita in Italia con mia madre, il suo Paese di orgine. Immagino che l'abbia fatto per proteggermi. Comunque, sono rimasta laggiù fino a due settimane fa, quando sono ritornata qua perché lo avevo chiesto espressamente a mia madre. Ci misi un po' a convincerla, e ora capisco perché. Deve averla convinta il fatto che probabilmente ora ero fuori pericolo.»

«Qui ci vive anche mio zio, fratello di mia madre. Vuole diventare uno scrittore. Ha scritto questo libro, sugli dei, perché sono la sua passione. L'ha fatto leggere solo a me, per avere un parere generale. L'ho letto tutto d'un fiato, e mi sono fissata con voi. Specilamente con te.» e mi indicò.
Credo di essere arrossito di botto. 
«Poi, beh... La storia la sapete.» concluse, alzando le spalle. 
Il silenzio regnò per qualche minuto nella stanza. Poi Chirone prese la parola. 
«E così tu non hai un padre.»
«Sì, cioè, no. Insomma... Il mio patrigno... È italiano, lui e mamma si sono sposati quando io era piccola. L'ho sempre considerato un vero padre...»
«Beh, sappi che tu hai un padre vero. Dobbiamo solo scoprire su quale divino pesa la tua nascita.»
«Sicuramente, non io.» sentenziò Dioniso, riemerso dalla lettura.
«Divino Dioniso, è un onore conoscerla anche per me.» ribattè Hilary.
Trattenni un sorriso.
«Italia, eh? Patria del vino.» annuì vigorosamente.
«Proprio così. Le regalerò una bottiglia di Prosecco, a Natale.» 
«Tsk...» sbuffò il divino, e ritornò ai suoi grappoli d'uva sorridenti.
Un'aria soddisfatta apparve sul viso di Hilary.
«Allora... Adesso che si fa?» chiesi io.
«Beh, per prima cosa Hilary vorrà parlare con sua madre, credo. Poi provvederemo ad avvisare i piani alti.» disse Chirone.
Io e Hilary annuimmo.
«Percy, perché non mostri ad Hilary  il campo, mentre io preparo alcune cose?» chiese Chirone.
«Va bene.» assentii, e dopo esserci congedati io e Hilary uscimmo dalla Casa Grande.
Nonostante tutto, lei sembrava serena: sorrideva e parlava allegramente. Anzi, retifico. Era un uragano.
Appena messo piede fuori iniziò a tempestarmi di domande, ogni cinque secondi mi trascinava verso un luogo diverso, e io venivo sballottato da una parte all'altra del Campo come una pallina nel flipper. Sprizzava gioia da tutti i pori, guardava una foglia e rideva. E io ridevo con lei; devo ammetterlo, la sua felicità era contagiosa.
Arrivammo poi all'arena. Alcuni ragazzi si stavano allenando; quando entrammo, tutti si voltarono a guardare Hilary.
Alzai la mano in segno di saluto, e loro fecero lo stesso. Hilary agitò la mano più volte sorridendo.
Un ragazzone alto e muscoloso si avvicinò a noi.  Era difficile non riconoscerlo: era Charles Beckendorf, figlio di Efesto; era il miglior fabbro del Campo, e se la cavava pure con la spada.
«Percy! Sei tornato! E con qualcuno, direi...» disse «Chi è l'ospite?»
«Hilary Grandess» presentai «la nuova arrivata. È ancora temporanea.» 
«Ah sì, ricordo. Piacere, Charles Beckendorf.» tese la mano.
«Piacere» disse Hilary.
«Allora, Percy. La facciamo allenare un po'?» chiese.
«Non so se...» borbottò lei.
«Oh, avanti Hil! Ce la puoi fare!» la incitai. La sentii borbottare qualcosa che somigliava molto a "Certo, e io posso trasformarmi in un ornitorinco".
Alla fine Hilary acconsentì allo scontro. Lei e Charlie si misero uno davanti all'altra, con le spade pronte. A lei era toccata una spada da allenamento: non ne poteva avere una, appena arrivata; ciò però non sembrava darle fastidio.
Iniziarono a combattere al mio fischio. 
Charlie, ovviamente, prevaleva su Hilary sia per forza che per bravura. Lei però riusciva a mantenere posizione. Parava e schivava, saltellando da un piede all'altro. 
In un attimo però Charlie le aveva piegato il braccio dietro la schiena, così che lei dovette fermarsi.
«Credo di aver vinto.» sentenziò Charlie.
«Questo lo dici tu, caro.» sussurrò Hilary, con un ghigno in volto.
Con un gesto fulmineo, Hilary passò la spada da una mano all'altra e, con un poderoso calcio degno di Cerbero, colpì Charlie agli stinchi, liberandosi dalla sua stretta. 
Nonostante il dolore, Charlie continuò a battersi, ma era sopraffatto dai colpi improvvisamente precisi di Hilary.
Mi guardai attorno e mi accorsi di non essere l'unico a guardarli: i ragazzi che prima combattevano avevano smesso, e guardavano la scena concitati.
Fu un secondo: sentii un gemito e quando mi voltai Charlie era a terra, con Hilary che gli puntava la spada alla gola.
Con il respiro affannato, Hilary buttò a terra la spada e tese la mano a Charlie, aiutandolo ad alzarsi. 
In quel momento, arrivò Chirone.
«Hilary, vieni. Tua madre ti sta aspettando.» disse. 
Lei annuì, salutò me e Charlie e corse da Chirone. 
Quando uscì, Charlie si girò verso di me.
«E questa dove l'hai pescata?» chiese; nella sua voce c'era qualcosa di sconvolto, misto ad ammirazione verso colei che lo aveva battuto.
Guardai l'entrata, da dove poco prima Hilary era scomparsa.
«Credimi» confessai «non ne ho la minima idea.»




SONO TORNATA, SONO DAVVERO TORNATA!
FERMATE SPEDIZIONI, STOOP! SONO VIVA E VEGETA!
Quanto è passato? Settimane? Due, mi sembra. Scusateee ç-ç Sono stata leggermete impengata.
Comunque, eccomi tornata. Questo capitolo è lungo, ispirato dalle canzoni dei One Direction. Sì, li amo. 
Ok, sono di fretta come sempre, scusate ç-ç
Hope you enjoy it!

Love, Heavenly.

 

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Capitolo 9
*** Mia madre mi attacca la crisi di nervi. ***


Mia madre mi attacca la crisi di nervi.

 

Arrivai alla Casa Grande in cinque minuti circa, al fianco di Chirone. 

Per tutto il breve tragitto eravamo rimasti in silenzio. Però mi stava bene così; la verità più grande della mia vita stava per essermi rivelata, e io ero alquanto agitata. 

Non si vedeva, ma solo perché sono un'attrice provetta. Sotto la mia maschera di felicità, ero in subbuglio. 

«Vuoi andare da sola? O preferisci che io sia lì con te?» mi chiese Chirone quando fummo davanti alla porta. 

Scossi la testa, ancora incapace di parlare. Lui annuì e mi aprì la porta. Entrai e la porta si chiuse alle mie spalle.

Nel mezzo della stanza riluceva uno schermo simile a quello che avevo visto la prima volta nel bagno della biblioteca della scuola.

Solo che stavolta mostrava l'immagine di mia madre di spalle. 

Non la chiamai subito. Non avevo ancora idea di cosa dirle; non provavo niente: né odio, né felicità. Il vuoto più totale.

Poi la mia bocca si mosse da sola. 

«Mamma…?» sussurrai.

Nonostante il tono molto basso della mia voce, lei si voltò e mi guardò. 

Era ridotta male. Aveva gli occhi cerchiati da profonde occhiaie; si capiva anche che doveva aver pianto molto: dietro le occhiaie stavano due iridi verdi in uno sfondo rosso. Anche i capelli erano messi male: tutti scompigliati, erano sciupati e le ricadevano malamente sul volto.

Mi si strinse il cuore; non avevo mai visto mia madre in quelle condizioni, nemmeno quando mia nonna era morta.

«Hil…» biascicò, non troppo convinta.

Sorrisi forzatamente. Dovevo mostrarmi forte con lei in quella situazione.

«Ciao.» dissi, con tono pressoché convincente. 

«Oh, Hilary. Mi dispiace tanto di non avertelo detto prima. Ma tuo padre mi aveva detto di nasconderti, di tenerti al sicuro. E io sono stata così idiota a ritornare… e…» scoppiò in lacrime.

«No, no… Non piangere. Non è colpa tua; sono io la responsabile. Ti ho rotto così tanto le scatole che non hai potuto fare altro.» Non volevo che piangesse, in fondo avevo ragione io. Era solo colpa mia. 

Lei non rispose e mi guardò. Almeno aveva smesso di piangere. 

«Comunque, davvero, stai tranquilla. Io sto benissimo. Insomma, questo è il mio sogno, non ti ricordi? Ti ho parlato tanto di questo posto… Del libro…» 

«Forse ora non saresti lì se non ti avessi permesso di leggerlo.» sbottò mia madre. 

Rimasi paralizzata. Sapevo che non approvava molto la scelta di mio zio, ma non credevo fosse proprio per il libro.

«Non… non è dello zio la colpa. Se io sono nata non è di certo per causa sua! Sei tu mia madre!» urlai. 

'Merda' pensai. Cosa avevo detto?! Le avevo appena detto che era solo colpa sua se io ero nata. 'Sono la più grande idiota del mondo. Voglio un Nobel per questa categoria'.

Mia madre aveva sgranato gli occhi ed era sul punto di crollare di nuovo. 

«No! No, scusa. Non volevo dire che… quello che ho detto; sono solo sconvolta. Questo non è colpa di nessuno. Se sono nata è perché doveva accadere.» mi affrettai a dire.

Mia madre non disse ancora niente. Speravo di averla convinta.

«Davvero, stai tranquilla. Qui sono tutti gentili. Si risolverà tutto. Ora però devo andare.» Non era vero; nulla poteva risolversi. Non è che con un puff io non sarei più stata una Semidea. Ma era il meglio che per il momento potevo dire.

Mia madre annuì, poco convinta.

«Ciao, tesoro. Fai la brava.» un debole sorriso comparve sulle labbra di mia madre.

«E me lo dici anche? Io sono un angelo.» scherzai. «Ci vediamo, mamma.» 

Agitai la mano, e sorrisi. Dissolsi l'immagine con la mano, e l'ultima cosa che vidi fu mia madre che, finalmente, sorrideva.

 

***

 

Uscii dalla Casa Grande di corsa. Non volevo parlare di ciò che era appena successo.

Chirone non si fece vedere, perciò andai avanti per la mia strada senza intoppi. Aggirai l'arena, sapendo che lì dentro doveva ancora esserci Percy. 

Chissà che ore si erano fatte. Doveva essere circa l'una del pomeriggio. 

Volevo un luogo tranquillo, dove poter stare tranquilla a pensare per conto mio. 

Misi a frutto ciò che avevo imparato su quel posto tramite il libro: quale luogo poteva fare al caso mio? 

Scartai da subito l'arena e la Casa Grande. Anche il campo di fragole e il campo di tiro con l'arco dovevano essere popolati, perciò li esclusi. Pensai al bosco; lì scuramente non c'era nessuno. Poi però mi ricordai delle ninfe che lo abitavano e delle strane creature che ci vivevano. Declinai anche quell'opzione. 

Sbuffai, scocciata. 'Ma non esiste un posto in cui si possa stare in santa pace qui dentro?!' pensai.

Mi voltai e l'illuminazione venne a me: la spiaggia! Perché non ci avevo pensato prima? 

'Perché hai il cervello di una banana masticata.' 

'Grazie, voce interiore'. 

Mi avviai verso il mare, dove le onde arrivavano leggere sulla spiaggia, creando appena appena della schiuma bianca. 

Arrivata sulla spiaggia, mi tolsi le scarpe e i calzini; volevo sentire la sensazione della sabbia scorrere sotto le mie dita. 

Camminai lentamente, fino al limitare della costa. Lì mi sedetti e iniziai a rimuginare. 

E così, io ero una Semidea. Punto per me. 

Mia madre aveva una crisi di nervi. Punto a sfavore. 

Avevo incontrato Percy. Punto per me. 

Potevo morire ogni secondo di ogni minuti di ogni ora di ogni giorno della mia vita. Settantordici punti in meno a me. 

Perfetto, stavo perdendo contro me stessa. 

Misi la testa fra le ginocchia e continuai a pensare. 

Perché il mio vero padre, chiunque egli fosse, non mi aveva riconosciuta? Ero davvero un peso? 

Ma certo. Era ovvio. Soprattutto ora, che esisteva il libro. 

Io ero solo di intralcio, ero nata per un errore. Io ero un errore.

Mi ritrovai a piangere. 

E mi detti pure della stupida, perché io non piangevo mai. Non ero un tipo emotiva; non piangevo da anni, ormai. Per questo iniziai anche a singhiozzare. 

«Hilary Grandess, sei la persona più stupida che io abbia mai conosciuto. Il che è tutto dire» dissi a me stessa.

«Hilary Grandess, questa è la più grande idiozia che io abbia mai sentito. Il che è tutto dire» disse qualcuno a me, stavolta. 

Mi girai di scatto, anche se sapevo chi avesse parlato. 

Percy stava lì in piedi, con le mani nelle tasche e una faccia seria. Quella faccia seria si distese in un sorriso, che io però ingnorai voltandomi e continuando a versare lacrime. 

Percy sospirò e si sedette accanto a me, guardando il mare.

«Sai, anche io vengo spesso qui. Mi aiuta a calmarmi e a riflettere.» disse «Allora,  mi vuoi dire cosa c'è?» chiese, voltandosi verso di me. 

«Cosa c'è?! C'è che io non dovrei essere nata! C'è che io qui non ci dovrei nemmeno essere! Che sono un niente! Che… che…» tentennai. 

Scoppiai di nuovo in lacrime. 

«Ehi, calmati. Guardami.» Non gli diedi retta. «Guardami, ho detto.» Obbedii e lo guardai dritto negli occhi, in quel mare verde smeraldo tanto simile al mio. 

«Tu non sei nulla di tutto ciò. Se sei nata, ci sarà un motivo. Qui tutto è governato dal Fato. Perciò vuol dire che il Fato ha voluto la tua nascita.» 

«È vero, a volte ti senti uno schifo. Perché in fondo hai ragione, non sempre siamo i ben voluti dai nostri genitori. Però possiamo essere ben voluti da qualcun'altra. » Sorrise. 

Annuii, e tornai a guardare il mare. Mi asciugai le lacrime, e presi coraggio.

«Se questa è davvero la mia vita, voglio viverla al meglio.» dissi, più a me stessa che a Percy.

Sorrisi, insieme a Percy. 

«Ora è meglio andare. Chirone vorrà sapere come è andata…» fece per alzarsi, ma lo afferrai per la maglietta e lo tirai seduto.

«Oh no. Adesso tu resti qui con me ancora un po'.» ordinai assumendo un espressione da professoressa. 

Percy scosse la testa divertito, ma non oppose resistenza.

Restammo lì per tutto il pomeriggio, parlando e scherzando. Dovevano averci dati per dispersi, perché quando fu il tramonto, una voce risuonò alle nostre spalle. 

«Em, ragazzi. È ora di cena, venite?» A parlare era stata una ragazza molto carina, dal viso angelico e dai profondi occhi azzurri. 

«Va bene, Silena. Arriviamo.» disse Percy.

Si alzò e mi alzai anche io. 

Ci incamminammo verso il padiglione, mentre il mio stomaco implorava per qualcosa da mangiare. 

«Un momento! Mi sono dimenticata di chiedere a mia madre di portarmi i miei libri!»

Percy scosse la testa, esasperato, mentre io gli davo una leggera pacca sulla nuca e gli elencavo tutti i lati positivi dei libri. In fondo, stressarlo un po' non faceva male a nessuno, no?

 

***

YEAH! Ve l'avevo detto che non vi avrei fatto aspettare! 

Ecco il capitolo :3 Dopo solo 2 giorni! Mi sono fatta perdonare, sì? 

Speriamo! Comunque, Percy fa lo psicologo e la madre di Hilary ha una crisi di nervi. Felicità!

Comunque, nel prossimo capitolo ci sarà un colpo di scena scenoso! (?) 

Ed entreranno in gioco altri personaggi u.u 

L'altra volta non ho fatto i ringraziamenti. 

Quindi grazie a tutti voi! :D Per seguirmi e recensirmi. 

 

Oh, e Buon Natale! A voi e alle vostre famiglie :)

Ohohoh, Heavenly.

 

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Capitolo 10
*** Non sono più figlio unico. ***


Non sono più figlio unico.

Quella sera eravamo molto pochi.
Probabilmente, era perché l'estate era finita da un pezzo, e mancava poco perché arrivasse Ottobre. 
Non erano molti i semidei che si fermavano al Campo tutto l'anno, perché non avevano una casa o perché la loro famiglia non li voleva. 
Di solito, io non facevo parte di quel gruppo. Ma data la situazione, io e Hilary saremo rimasti lì fino a che Chirone non avesse fissato la data per andare sull'Olimpo e parlare di quella situazione complicata.
Nonostante la poca gente, le regole del Campo vigevano tutto l'anno: anche quel giorno infatti, cenai al tavolo di Poseidone da solo; Hilary, non ancora riconosciuta, stava al tavolo di Hermes, con i fratelli Stoll, chiacchierando di tanto in tanto. 
Mentre addentavo una salsiccia, ripensai a quel pomeriggio: erano accadute tantissime cose, e non sapevo più cosa pensare. 
Prima di tutto, non sapevo che idea farmi di Hilary: l'avevo vista battere Charlie, uno dei più forzuti ragazzi del campo, a duello; ma l'avevo vista piangere poche ore dopo, presa dallo sconforto. 
Sicuramente, era una persona dalle molte facce. Restava da capire se ci avrebbe voltato la faccia cattiva o quella di angelo.
Lanciai uno sguardo agli altri tavoli; tutti più o meno lanciavano occhiate sfuggenti a Hilary. Lei probabilmente non voleva darlo a vedere, ma ero sicuro che non fosse arrossita per il calore provocato dal falò.
Clarisse, una ragazzona tutta muscoli figlia di Ares, dio della guerra, la studiava con occhi corrucciati. Sembrava volesse capire se quella ragazza fosse una pappamolle o fosse una tosta.
La voce della sua vittoria su Charlie era circolata, e molti la consideravano già una grande spadaccina. 
Che Clarisse avesse paura? No, impossibile. Clarisse faceva paura alla Paura stessa. 
Alzai le spalle, rassegnandomi. Non ero il tipo che si sprecava a capire l'animo umano; o lo capivo al primo colpo, o niente. Eppure, prima, con Hilary, ero riuscito a comprenderla… 
Anche questo era un bel mistero.
Finimmo di cenare, e poi ci riunimmo tutti attorno al falò, come ogni sera, per cantare alcune canzoni. 
Hilary si diresse dritta verso di me, sorridendo. Io le risposi. 
«Allora, come è stata la prima cena?» chiesi. 
«Uhm, bene! I fratelli Stoll sono proprio come li avevo immaginati: simpaticissimi, furbi e…» borbottò qualcosa che assomigliava alquanto a "molto fighi". 
Cercai di non fare vedere la mia faccia divertita davanti all'espressione di Hilary, che guardava a terra. 
In quel momento, Chirone venne da noi.
«Buone notizie! Domani andremo sull'Olimpo! Gli Dei si sono allarmati in una maniera incredibile. Sarà presente anche Ade!» esclamò Chirone.
«Se anche Ade esce dagli Inferi per me…» mormorò Hilary.
«Allora siamo tutti in un bel casino, sì.» affermò Chirone.
«Preparati: proveranno a farti ammazzare. Stai tranquilla che lo faranno.» dissi, molto ottimista.
«Come siamo ottimisti, Jakcson!» rispose lei, come avevo previsto.
«Io mi definisco realista tendente al pessimismo.» ribattei io, con un tono da "sotuttoio". 
Lei rise e scosse la testa. Quella risata mi ricordava qualcuno… Ma chi? 
Forse Annabeth. No, lei non rideva così. Aveva una risata molto diversa. 
Mentre cantavamo la prima canzone, accompagnati con gli strumenti dai Figli di Apollo, mi misi a pensare a lei.
Non vedevo la mia migliore amica da solo un mese, ma già mi mancava tantissimo.
Mi mancavano persino le sue espressioni da sapientona, i suoi occhi che mandavano scintille e le sue continue battutine su di me.
Pensai a come avrebbe reagito Annabeth se avesse saputo che era successo. 
Non l'avevo nemmeno avvisata, e lei si sarebbe sicuramente infuriata con me. 
E chissà come avrebbe reagito ai confronti di Hilary. Per me, le avrebbe tirato un sasso in testa. 
Erano l'opposto: Hilary era… come me, diciamo. Annabeth era anni luce lontana dal mio io interiore. 
In effetti, io ed Annabeth però andavamo d'accordo… 
Mi arresi ai miei stessi pensieri, chiusi gli occhi e continuai a cantare.
Fino a che un tratto mi accorsi che la musica si era stoppata e che nessuno cantava più. 
Aprii un occhio, e mi accorsi che tutti spostavano lo sguardo da me a Hilary. 
Mi voltai verso di lei, e ammutolii.
Lei sembrava non essersi accorta di niente, e continuava a cantare. Probabilmente, mi sarei accorto molto di più della sua bravura se non avessi visto quella cosa.
Hilary si riscosse e aprì gli occhi di colpo, sperando di capire che cosa era successo. 
Quando si accorse che tutti la fissavano, in un punto sopra la sua testa, alzò di scatto lo sguardo, e rimase a bocca aperta, con uno sguardo terrorizzato negli occhi.
«Non è possibile. Tu… tu…» mormorai, ma nel silenzio colossale mi udirono tutti.
Guardai il simbolo verde a forma di tridente che volteggiava sopra il suo capo. E non potei crederci.
 
------------------------
Buonasera! Sono tornata :3
Dopo molto, ma sono tornata. 
Mi era venuto il blocco dello scrittore, non c'è cosa peggiore ç-ç
Ah, questo capitolo è BOOM BABY! 
Colpo di scena, yeah! 
Beh, avrete capito la situazione, no? 
Comunque, alcuni annunci: 
1. Ho modificato la grafica, questa mi piace di più :3
2. Ho un buco in pagella, lo so anche se non ce le hanno date. Non so perciò se ritornerò presto al computer D:
3. Solo 2 recensioni? ç-ç Mi avete abbandonato, ho capito. Lo so che fa schifo, però ci rimango male comunque ç-ç
Ecco, fine. Ora scappo. Ma ringrazio tutti coloro che mi seguono e stanno nel loro angolino senza recensire e coloro che invece lo fanno.
Tanto amore, Heav.

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Capitolo 11
*** Mi preparano a morire. ***


Mi preparano a morire.

 

 

Correvo, correvo più che potevo.

Dovevo scappare, da tutto e da tutti: dalla mia vita, dai miei amici, dalla mia famiglia…

Ma poi mi accorgevo di stare con i piedi nel cemento armato, e di non riuscire a muovermi.

E una buia figura avanzava, e io mi sentivo lasciare il mio corpo…

 

Mi svegliai di soprassalto, sudata dopo aver fatto l'ennesimo incubo di quella notte. 

Respirai a fondo cercando di calmarmi, e mi misi una mano sul cuore.

Sembrava stesse facendo un incontro di box, da quanto forte vibrava.

Incrocia le gambe e mi presi tra le mani il viso.

Lo avrete capito anche voi, immagino: io, una Figlia di Poseidone.

Sorrisi: avevo sempre desiderato esserlo, e ora nei miei sogni fuggivo dal mio destino.

Coerenza, mode-on.

Ripensai a quello che era accaduto la sera prima; dopo che il tridente era apparso sulla mia testa, Percy aveva assunto un'espressione tanto intelligente quanto quella di un opossum a cui mostri un MP3.

Io avevo cercato appoggio da Chirone, pur sapendo quello che era appena accaduto. Quando rivolsi lo sguardo intorno a me, si erano inchinati tutti.

«Ave, Hilary Grandess, figlia del dio del mare.» 

La frase di Chirone mi echeggiava ancora nelle orecchie.

«Tutto a posto?» sentii borbottare, alle mie spalle.

Mi voltai, e vidi che Percy si era tirato su a sedere sul letto, stropicciandosi gli occhi.

«Ah-ah. Tutto a posto.» sorrisi, cercando di rassicurarlo.

«Ok. Allora torniamo a dormire.» disse, prima di sprofondare nuovamente nel cuscino.

Annuii, e mi distesi sulle coperte, ma non chiusi gli occhi.

L'indomani, sarei dovuta andare sull'Olimpo, e la cosa non prometteva nulla di buono.

Dopo che ero stata riconosciuta, era successo un putiferio: grandi lampi avevano squarciato il cielo, e la terra aveva tremato.

Tutti avevano preso uno spavento tremendo, perché erano corsi ognuno alle proprie case, sperando di mettersi al riparo.

Io invece ero rimasta piantata al mio posto, incapace di muovermi o di proferire parola.

Quando tutto si era riassestato, poi, la gente era uscita impaurita dalle case, e aveva continuato a fissarmi; fino a quando era arrivato Chirone, che mi aveva accompagnato nella capanna.

Chiusi gli occhi: non volevo nessun altro ricordo, bello o brutto che fosse; volevo solo addormentarmi per quel che restava della notte, e svegliarmi rinvigorita.

Mi girai di lato, verso il letto di Percy; mi sorpresi e sbarrai gli occhi quando vidi che mi guardava. 

«Ci stavo pensando. Non sarò una cima, ma a conti fatti a noi figli di Poseidone piace dormire, e non ci svegliamo facilmente.» disse, con sguardo curioso.

«Quindi» disse, con sguardo misto tra il severo e il divertito, quando io non risposi «prova a mentirmi un'altra volta e ti diseredo.»

«Oh, mi scusi, fratello onnipotente!» risi, e lui si unì a me.

«Buonanotte, fratellone.» gli augurai, quando finimmo.

«Buonanotte sorellina.» disse lui.

Mi accoccolai meglio, e venni avvolta presto dalle braccia di Morfeo.

 

***

 

«Hilary, sveglia.» mi sentii scuotere il braccio.

«Mgh…» mugugnai.

«In quanto tuo fratello ora potrei farti una doccia istantanea, se non ti alzi, lo sai?» chiese Percy.

«Uff, e va bene.» mi tirai su dal letto, e un'emicrania improvvisa mi attanagliò la testa.

E io avrei dovuto affrontare una dozzina e più di Dei in quello stato? 

«Coraggio, è un giorno importante! Magari da oggi sarò di nuovo figlio unico!» disse Percy, stuzzicandomi.

«Ah, ah. Volermi morta non è il migliore dei modi per iniziare una giornata, non trovi?» domandai sarcastica.

«Mm, sì. Su, vestiti, che andiamo a fare colazione!» mi incitò, e uscì fuori dalla casa.

Sospirai, presi dei pantaloncini corti -era settembre inoltrato, ma faceva ancora un gran caldo- e mi accorsi che ai piedi del letto avevo una maglietta arancione fiammante.

La afferrai con mani tremanti, per poi indossarla in fretta e furia e precipitarmi fuori.

«Come sto, eh? Come sto?» tartassai Percy, saltandogli addosso.

«Ehi, calma! Stai bene, sì! Vogliamo andare?» chiese, massaggiandosi la testa.

«Oh sì!» annuii con vigore, gli afferrai il polso e marciai fino al padiglione immacolato, dove già qualche ragazzo stava facendo colazione.

Appena arrivammo, tutti si voltarono a guardarci.

Salutai tutti con la mano, con aria da finta ingenua.

Alcuni ridacchiarono, compreso un certo fratello di mia conoscenza.

Ci sedemmo al nostro tavolo, finalmente occupato da due persone. Il cibo comparve subito, e presi a mangiare il mio croissant allegramente.

«Non sembri per niente nervosa.» mi disse Percy, sorseggiando il suo succo d'arancia.

«In questo momento no. E lo sarò fino a quando, più o meno, non saremo sull'Olimpo, diciamo!» ribattei io.

«Guardala come un quiz a risposta multipla. O decidono di ucciderti, o decidono di spedirti nel Tartaro, o di segregarti da qualche parte.» Percy alzò le spalle.

«L'aiuto del pubblico qui in America non ce lo avete proprio?» chiesi, divertita.

 

***

 

«Percy, Hilary!» 

Ci sentimmo chiamare da una voce familiare.

Smettemmo di fare esercizio con la spada e ci voltammo, per vedere Chirone galoppare verso di noi.

«Vi ho trovati. Allora, tutti e due pronti per oggi?» chiese, con un sorriso; peccato che sembrasse volesse dire "Se morite non è colpa mia!".

«C-come, anche io devo venire?!» esclamò Percy.

«Ovvio Testa d'Alghe. Chi mi fa da supporto morale sennò?» chiesi innocentemente.

Emise un suono misto tra uno sbuffo e un'opposizione, ma non disse nulla.

«Comunque, Hilary… Devi lasciarli parlare. Non provare nemmeno a starnutire se non ti danno il permesso; e non te lo daranno, credimi.» disse Chirone, in modo molto incoraggiante.

«Ma non voglio finire fulminata senza nemmeno avere detto la mia!» protestai, accaldandomi.

«Hilary.» Chirone mi puntò un dito contro «Fai come ti ho detto. Niente obiezioni.» 

«Io… E va bene. Mi adeguo alle regole…» concessi, alzando gli occhi al cielo.

«Lo spero per voi. Si partirà stasera, alle sette. Puntuali!» 

«Ok, a dopo!» salutò Percy, e Chirone galoppò via.

Io ripresi la mia spada in mano e iniziai a colpire forte un povero manichino che mi era capitato sotto mano.

«Woh, calma sorellina!» esclamò Percy, fermandomi il braccio in aria.

Sbuffai e misi giù la spada, incrociando le braccia e guardandolo corrucciata.

«Faresti meglio a seguire quello che ti ha detto Chirone, o i guai saranno ancora più grossi.» sospirò, raccogliendo la mia spada.

«Uhm-uhm.» mugolai, guardandolo andare a mettere via l'arma.

Avrei dovuto dirgli che avevo tenuto le dite incrociate qualche secondo prima?

 

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CHIEDO PERDONOOOOOO!
Non sono morta a quanto pare, solo non riuscivo ad andare avanti!
E in più il capitolo fa schifo. Ma è solo un capitolo connettore. Il prossimo sarà BOOM BABY!, promesso.
Devo scappare, sono sempre di fretta >.<
A presto con il prossimo, 
Heav.

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Capitolo 12
*** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 1. ***


Gita fuori porta sull'Olimpo - parte 1.

 

Erano quasi le sette, ed eravamo in tremendo ritardo.

Per più di un'ora, avevo visto Hilary cambiarsi magliette e pantaloni, dato che era andata in crisi.

«Ma come diavolo ci si veste davanti a degli Dei?!» continuava a borbottare, tirando fuori cose alla rinfusa dal suo baule.

«Oh, guarda! Questo, ti piace?» chiese, mostrandomi un maglietta leggermente a palloncino bianca, e degli shorts neri.

«Sì, Hil, sì.» sbuffai.

«Ma la smetti di sbuffare? Io sono in piena crisi e tutto quello che fai è stare lì a lamentarti!» mise le mani sui fianchi.

«Ehi, io non centro! Sei tu che non riesci a decidere cosa mettere! E poi, scusami tanto se la mia presenza ti turba! Se vuoi me ne vado subito…» sbottai.

«Non provare a muoverti di lì.» si girò, camminò verso lo specchio della camera, si diede un'ultima occhiata e alla fine sospirò.

«Ma sì, hai ragione tu. Non sarà quello che indosserò a impedirmi la morte certa…» 

«Proprio così.» sorrisi, soddisfatto della mia vittoria.

Mentre osservavo Hilary rimettere tutte le cose "a posto", sentii bussare alla porta.

Mi alzai dal mio letto, avendo paura che Chirone fosse venuto a darci una strigliata per il nostro ritardo; ma quando aprii la porta, quella che vidi non era affatto Chirone.

«Testa d'Alghe!» mi urlò nell'orecchio Annabeth.

«Ahi!» esclamai, tappandomi le orecchie, ancora assordato.

«Annabeth, che ci fai qui?» chiesi.

«Ciao anche a te Percy! Sì, tranquillo, va tutto bene. No, pure io sono contenta di rivederti!» alzò un sopracciglio, scettica.

«Scusa…» sbuffai, l'ennesima vota in quella giornata.

«Che ci fai tu qui?» domandò lei, imitandomi.

«Io…» 

«TROVATA! AHAH!» mi voltai di scatto, per trovarmi davanti un Hilary trionfante con in mano una spazzola, brandita a mo' di trofeo.

Annabeth mi spostò un po' di lato per vedere quello che succedeva, e quando vide Hilary si raggelò.

Intanto, mia sorella era tornata alla realtà. O meglio, lo era tornata per un millisecondo; infatti, imitò a sua volta Annabeth, e diventò di ghiaccio.

«Lei…» Annabeth e Hilary pronunciarono insieme la stessa parola.

«Chi sei?» chiese Annabeth.

«MA TU SEI ANNABETH CHASE!» gridò Hilary.

Anche l'altro mio orecchio era andato al Tartaro.

Annabeth si voltò a guardarmi.

«Percy? Credo che tu mi debba alcune spiegazioni.» ordinò, incrociando le braccia.

Le donne, prima o poi mi avrebbero ucciso.

 

***

 

Come reagì Annabeth? 

Se la conosceste, non vi meravigliereste della sua totale impassibilità durante tutto il racconto.

Insomma, i Figli di Atena sono così: riflessivi, calmi e cervelloni.

«Insomma, tu sei la sorella di Percy?» concluse Annabeth, guardando Hilary.

Hilary annuì, sorridendo lievemente. 

Avevo paura di quel che poteva succedere fra le due: insomma, già Annabeth aveva impiegato mesi per mandarmi giù del tutto; ora che avevo una sorella, non sapevo proprio cosa aspettarmi.

Annabeth annuì, poi tornò a guardare le scalinate.

«E ora?» chiese.

«E ora noi dovremmo andare sull'Olimpo.» decretai.

«Cavolo! Che ore sono?!» Hilary venne presa dal panico.

«Sono le 18.55. Abbiamo cinque minuti netti.» disse Annabeth, controllando il suo orologio.

«Abbiamo?» chiesi, curioso.

«Non ti aspetterai che mi perda il momento che deciderà il vostro futuro, Testa d'Alghe!»

«Io… No, non credo…» farfugliai.

Mi alzai con le due, e mi diressi a passo spedito verso la Casa Grande, dove Chirone ci stava aspettando.

«Era anche ora!» esclamò, quando ci vide arrivare.

«Scusa, Chirone! Ma abbiamo raccontato gli ultimi atti ad Annabeth…» spiegò mia sorella.

«E ci posso scommettere tutte le dracme del mondo che ora lei vuole venire con noi, vero?» chiese, rivolto ad Annabeth.

Lei fece spallucce, e Chirone sospirò.

«E va bene, se proprio ci tieni. Sappi però che dovrai supportare Hilary. Lo sai, vero?» Chirone la guardò, dubbioso.

«Mmh-mmh.» mugugnò Annabeth, e annuì.

Chirone sembrò convinto, mentre Hilary non molto. A dire il vero, guardava Annabeth molto preoccupata.

«È ora. Forza, andiamo!» ci incitò Chirone, e spinse tutti e tre su per il monte, verso la macchina guidata da Argo.

Mentre Annabeth andava avanti, per discutere con Chirone, io e Hilary rimanemmo indietro.

«Ma ce l'ha con me?» chiese, mordendosi il labbro.

Non ci voleva molto per capire di chi stava parlando.

«Ma no, tranquilla. Solo che non è mai stata il massimo dell'ospitalità, all'inizio…» rammentai il mio arrivo al campo.

"Quando dormi, sbavi." Quello sì che era un bel ricordo di benvenuto.

«Oh, lo so!» Hilary sorrise beffarda, e seppi che pensava alla stessa cosa che pensavo io.

Le tirai un pugnetto sulla spalla, per dirle di smetterla.

«Non è bello essere presi per i fondelli, sai?» 

 

***

 

«Empire State Building. Piano 600. Siamo arrivati.» annunciò Chirone.

Guardai i miei compagni: Annabeth aveva ancora addosso quell'aria di perfetta serietà, ma si poteva scorgere nel suo volto un po' di agitazione. Chirone spostava il peso da una zampa all'altra, come faceva sempre quando era nervoso.

E mia sorella… Diciamo che era diventata una fontanella: aveva la fronte imperlata di sudore, e anche la mano che mi aveva afferrato durante la salita cominciava a farsi scivolosa.

La porta dell'ascensore si aprì, e rivelò il panorama mozzafiato che si vedeva dal Monte Olimpo. 

Sotto di noi e la stradina acciottolata, si stendeva Manhattan insieme a tutte le sue luci.

Davanti a noi, il monte, con inerpicati sopra i palazzi bianchi appartenenti agli dei. Era uno spettacolo davvero stupendo, anche io che l'avevo già visto una volta ne rimasi di nuovo colpito. 

Non parliamo di mia sorella: era in iperventilazione, diciamo.

«Woh, devi camminare, lo sai come si fa no?» chiesi, cercando di rianimarla.

«Certo che lo so, Testa d'Alghe!» Come mi aspettavo, assunse un'aria da sotuttoio incredibilmente simile a quella di Annabeth.

Le feci la linguaccia, e ci incamminammo per la stradina acciottolata. Annabeth mi affiancò, mentre Hilary stava parlando di Chirone. Probabilmente lui le stava dicendo cose come: "Occhio alla Folgore di Zeus", "Non offendere Afrodite con qualcosa riguardante il suo aspetto" e "Sorridi e annuisci anche se decretano la tua morte". 

«Senti, Percy… Siamo sicuri che ci possiamo fidare di lei? Insomma…»

«Annabeth, mi stai dicendo che non ti fidi di lei?» bloccai Annabeth prima che finisse.

«No! Cioè, voglio dire, non è un po' azzardato? Insomma, è impossibile che sia tutta una coincidenza…» insitette.

«Senti, se credi che mio padre l'avrebbe riconosciuta perché quel giorno gli girava, allora mi dispiace dirtelo, ma non dovresti fidarti nemmeno di me!» sbottai.

«Non volevo dire questo…» 

«Dimmi un po', credi che dovremmo mettere un sensore a tutti i nuovi semidei? Così, per sapere!» esclamai, e accelerai il passo, avvicinandomi a Chirone e lasciando indietro Annabeth. 

Ero furioso, ma anche soddisfatto. Quella era la prima volta in cui riuscivo a rispondere per le rime ad Annabeth; allo stesso tempo, desiderai che non avesse detto nulla. Se non si fidava di Hilary, allora non si fidava nemmeno di me. 

Continuammo a camminare per un po', salendo il monte, fino a che non ci trovammo davanti al grande palazzo bianco marmoreo. Avanzammo su per le scalinate, per poi sbucare nel giardino interno. Dopo di questo, c'era la sala del trono. 

Mi sentii per la seconda volta sperduto nell'immensità di quel posto, con il soffitto altissimo a volta. Hilary guardava meravigliata tutto: spostava lo sguardo dalle stelle in movimento sopra di noi, ai grandissimi troni che erano disposti di fronte al braciere, a forma di U.

Erano tutti occupati; e quando intendo tutti, intendo davvero tutti. A quanto pare anche Mr. Sonoilredelsottosuolo era stato invitato alla riunione di famiglia.

Vidi alcuni dei per la prima volta, e devo dire che incutevano terrore tutti, anche un bel ragazzo dall'aspetto affabile, che se ne stava stravaccato sul suo trono.

"Comodo, mi dicono." pensai.

«Chirone, mio fedele amico!» Zeus si era alzato dal suo posto, e troneggiava con i suoi sei metri e più di altezza su di tutti.

«Ave, Zeus, re degli Dei!» Chirone si inchinò, e noi lo imitammo.

«Potete alzarvi. Sbaglio o siamo qui per una certa ragazzina?» chiese Zeus.

Spostò lo sguardo su Annabeth e Hilary, ma quando si accorse dell'aspetto di quest'ultima fu chiaro che aveva capito quale delle due fosse la Figlia di Poseidone.

Hilary provò ad aprire bocca, ma non uscì alcun suono. La guardai preoccupato: non era da lei; rispondeva a tutto e a tutti, di solito.

«Avanza.» Zeus si voltò e tornò a sedersi.

Hilary guardò Chirone e Annabeth, che le fecero segno di andare. Poi guardò me, e fu davvero strano; era come riuscire a leggerle dentro. Sapevo cosa stava pensando, sapevo quali paure aveva. Sorrisi, incoraggiante, sperando che il mio pensiero le fosse arrivato.

Sembrò di sì, perché mi rivolse uno sguardo pieno di gratitudine e poi camminò davanti a sé.

 

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SONO VIVA, SONO SONO VIVA, SONO VIVA, SONO VIVA SI'! 
Ammettilo che l'hai letto cantando. No? Ok. çç
SCUSATEMIII se vi ho fatto aspettare così a lungo! Non ho scuse. Comunque, sappiate che il capitolo dopo è già in fase di costruzione ;D
Almeno quello vi consola? No? Ok çç
Vorrei ringraziare chi mi segue ancora, chi è nuovo -perché ce ne sono, WOHO!- e per chi si ricorda ancora che esisto :'3
Grassie mille dell'attenzione u.u 
I commenti sul capitolo nel prossimo capitolo (?)
Adieu, 
Heav.

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Capitolo 13
*** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 2. ***


Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 2.




Passò quasi tutti gli Dei, e si fermò davanti ad un uomo alto, dai capelli mossi e neri come il carbone, e occhi profondi e innaturalmente verdi-blu. Come l'oceano.

Quello era mio padre, Poseidone.

«Salve, Padre.» Hilary si inchinò davanti a lui. 

«Alzati, figlia mia.» disse lui, e mi accorsi che la sua voce era tranquillissima. 

«Allora è davvero tua figlia, Poseidone?» a parlare era stato Ade.

«Non mentirei mai su questo.» rispose lui.

«Hai rotto il nostro giuramento! E per ben due volte!» sbottò Zeus. Se prima era sembrato cordiale e gentile con Chirone, ora era su tutte le furie.

«Fratello, pace. Sono ben cosciente delle mie azioni. Ammetto che ho fatto un errore…» 

Immaginai cosa provò in quel momento mia sorella: un errore? Solo un misero errore? Ma poi…

«…Ma non me ne pento. Come non l'ho fatto l'altra volta.» concluse Poseidone.

«Lo sai vero che significa? Che ora c'è una possibilità in più che il regno di pace che abbiamo costruito vada distrutto!» 

«Per la prima volta mi ritrovo d'accordo con nostro fratello. Sei sempre azzardato! Non pensi mai agli errori che puoi fare?» disse Ade.

Iniziò una gran confusione: tutti gli dei si erano uniti nella discussione tra fratelli, e tutti avevano pareri differenti.

Probabilmente, avrei potuto dire anche qualcosa come "Il ketchup sul gelato fa schifo, ma lo mangio lo stesso" e mi avrebbero considerato come si considera un granello di sabbia nel deserto.

«Ehm-ehm.» qualcuno tossicchiò. Non so come, ma tutti lo sentimmo.

Hilary si spostò velocemente una ciocca dal volto, e prese parola senza permesso. 

«Mi dispiace interrompervi, ma vorrei dire anche la mia. È di me che si sta parlando, no?»

«Non so se ne avete idea, ma io mi sono considerata spesso uno sbaglio. Percy ve lo può confermare.» 

Avvampai.

«Ma insomma, mio padre non è stato così sciocco. Ha preso delle precauzioni, e avrebbero funzionato, se io non avessi una testa calda incredibile e avessi obbligato mia madre a trasferirsi qui. Sapeva quello che faceva… Non dico che per questo non dovete uccidermi. Vi capirei, a dire il vero; c'è in rischio l'intero mondo! Volevo solo farvi riflettere, tutto qua.» Hilary finì il suo monologo.

Mi guardai intorno: Chirone si stava mangiando le mani; Annabeth guardava Hilary apprensiva, come se credesse che fosse spacciata dopo quell'intervento; mezzi dei squadravano Hilary stupiti, altri la osservavano e tacevano. E poi, c'era Poseidone; che le sorrideva. Sorrisi anche io.

«Visto, fratello? Deve avere preso dalla madre: io non credo di essere capace di fare un discorso così convincente.» lo disse come se la questione fosse chiusa lì.

Sentii Hilary fare un suono strano, come una specie di risata trattenuta.

«Sentiamo, ragazza» disse Zeus, rivolto a lei «Perché dovremmo lasciarti vivere, rischiando la vita del pianeta?» 

«Em… Chiedo l'aiuto del pubblico?» mormorò, ma tutti la sentimmo. Il Dio giovane e bello di prima diede in una risata sommessa.

«Se posso…» Annabeth si era fatta avanti, come se avesse preso sul serio quello che aveva detto mia sorella. «Hilary è una persona coscienziosa, per quanto io possa aver capito. Non vedo perché dovrebbe allearsi con Crono, e i suoi seguaci!»

«Ma è ovvio, per ottenere potere!» sbottò una donna dalla sguardo di ghiaccio.

«Madre. Ti prego, so che non ammiri molto Percy, e di conseguenza sua sorella… Ma pensaci un attimo. Davvero la ritieni degna di morire?» Annabeth guardò negli occhi Atena. 

È incredibile come quella donna possa essere così enigmatica. Si fa prima a finire un puzzle da 2000 pezzi, che tentare di leggere dentro.

Atena non rispose, ma continuò a fissare la figlia, in modo strano; forse non si aspettava questa specie di attacco.

«Vedo che le donne si danno da fare!» pigolò allegramente un'altra donna; era una delle più belle che avessi mai visto. Retifico, la più bella. Aveva grandi occhi azzurri e lunghi capelli biondi leggermente arricciati. Sembrava una di quelle modelle da copertina di riviste di moda.

«Afrodite, tu lasceresti questa giovane in vita?» chiese Zeus.

«Ma certo! Andiamo, è una ragazzina così dolce… Glielo si legge in faccia che non farebbe male ad una mosca. Certo, potrebbe farsi un taglio di capelli nuovo… Ma è pur sempre innocua.» la dea scrutò con dolcezza Hilary, la quale assunse un'espressione mista tra "Afrodite mi salva, grazie al cielo" e "Ehi, come ti permetti di insultare i miei capelli?".

Seguì un breve silenzio, in cui notai che Hilary aveva stretto la mano di Annabeth, la quale ricambiava.

«Ebbene, Zeus?» disse Poseidone.

«Io… Ah, e va bene! La ragazza vivrà!» esclamò, alzando le braccia a mo' di resa.

Saltai sul posto, sorridente come non mai, e raggiunsi Hilary e Annabeth al centro della sala, abbracciando mia sorella. 

«Ma dobbiamo ancora discutere del libro.» Zeus smorzò la felicità.

Chirone, che ci aveva raggiunti, guardava attentamente il Dio.

«Questo… è davvero incredibile. Ci vorresti spiegare bene la sua storia?» chiese Zeus, guardando Hilary.

Mia sorella prese a raccontare per filo e per segno di suo zio, di come un giorno aveva avuto questa improvvisa idea di scrivere un libro su delle avventure fantastiche sui miti greci; di quando anche lei iniziò ad appassionarsi alla Grecia e di quando costrinse suo zio a farle leggere per prima i suoi manoscritti; di come suo zio stava per finire di scrivere un altro libro, il secondo della sua possibile saga. 

«Ma come è possibile che solo tu sia a conoscenza del libro? Perché non è stato diffuso?» Annabeth rimpianse ciò che aveva detto.

«Già, perché?» chiese Zeus.

«In questo periodo è molto difficile far valere le proprie idee culturali… Molte persone ignorano i libri.» Atena precedette Hilary.

«Si vede, infatti…» borbottò una dea dai capelli ramati.

«Non siamo qui per discutere dell'intelligenza umana!» sbottò Ares; era proprio come me lo ricordavo, alto, grosso e con un cipiglio aggressivo.

«Stai forse sostenendo che la cultura non è importante, cugino?» chiese il ragazzo dai capelli biondi, assumendo un espressione tra lo stupito e il minaccioso.

«Sto solo dicendo che…» 

«LA VOLETE PIANTARE?!» sbottò Dioniso «Lo capite o no che il nostro futuro è racchiuso nelle mani di una semplice ragazzina? Grazie a quel coso i Titani potrebbero risorgere, se solo lei si lascia scappare qualcosa!» si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi.

«Siete peggio dei Semidei. E io ci convivo.» sibilò.

«Dioniso ha ragione: e se questa fanciulla si lasciasse scappare qualcosa? Potrebbe anche farci cadere in rovina…» un altro uomo, molto nerboruto, parlò.

Ci furono alcuni scambi di 'Sì, ha ragione.', 'Potrebbe essere rischioso' ecc.

«E allora mettiamola sotto giuramento.» propose… mio padre?

«Pa-papà?» Hilary lo guardò scioccata.

«Vieni avanti, Hilary.» Poseidone fece un gesto con la mano «Siamo tutti d'accordo, me compreso, che potresti creare molti guai; saresti disposta, perciò, ad andare sotto giuramento?» 

«Io… Non so se ce la posso fare, a mantenerlo…» farfugliò lei.

«Sono sicuro che potrai compiere quest'impresa egregiamente.» mio padre sorrise.

Dopo qualche istante, Hilary annuì. 

«Bene!» esclamò allora lui «Zeus, le condizioni?» 

«Hilary Grandess, ti sarà imposto un sigillo, che farà da sensore. Se solo rivelerai qualsiasi cosa in modo esplicito, che non sia già accaduta nel libro, subirai… Cose non molto belle; se invece ti permetterai di rivelare cose già accadute, non ti succederà nulla. E non provare a ingannare il sigillo: lui sa sempre tutto.» si pronunciò Zeus, dopo qualche attimo di riflessione.

«Accetto.» rispose Hilary. 

«Davanti a tutti gli Dei dell'Olimpo, tu hai promesso di onorare questo sacro vincolo. Se proverai a tradirci, potrai incorrere in gravissime pene, le quali al limite estremo includeranno…»

«…La morte.» concluse Ade.

Volevo gridare. "Che stai facendo?! È solo un modo più lento per ucciderti! Non farlo, non avvicinarti!

«Che il sigillo cali su di te.» disse infine Zeus.

In quel momento accadde una cosa che non avevo mai visto: tutti gli dei alzarono le loro mani e le sfregarono; su di esse si formò una specie di polverina bianca. Insieme, le divinità soffiarono su di essa. Da ogni palmo diverso sgorgarono polveri trasportate da venti di colori diversi. Volteggiarono per la stanza, illuminando e dipingendo tutto e tutti di arcobaleno.

Si unirono poi, tutti insieme sopra il capo di Hilary, fondendosi in un cono di luce bianca accecante.

Esso, infine, precipitò dentro Hilary. E quando dico dentro, intendo davvero dentro; sembrava una lampada chiusa da cui riluceva un bagliore etereo.

Di colpo, la luce si spense, gli dei abbassarono le mani, e Hilary si accasciò a terra.

Mi precipitai su di lei, prendendole la mano per aiutarla a rialzarsi.

Quando lo fece, incontrai i suoi occhi nei miei e lo vidi: un luccichio sinistro, dove il fato era stato rinchiuso.

Ora, era marchiata a vita.

 

 

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Soooooo. 
Sono risorta :3 Yeee :3 
Beh, BUM BABY! Il capitolo me gusta assai.
Mi sono accorta che se mettevo anche il resto che volevo aggiungere, sarebbe venuto stile Divina Commedia.
Perciò a quanto pare, ci sarà una parte 3 :'D
Poi, vi annuncio che d'ora in poi esigo le 5 recensioni per continuare. Altrimenti, nada de nada (?)
Mi dispiace ma a mali estremi, estremi rimedi u.u
Ringrazio poi tutti quelli che hanno la pazienza di seguirmi :) Grazie mille *w*

Boh, credo di aver finito. Ok, mi eclisso.
Heav.

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Capitolo 14
*** Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 3. ***


Gita fuoriporta sull'Olimpo - parte 3.

 

«Va tutto bene, Hil?» chiesi, timoroso.

«Ah-ah. Tutto a posto.» disse lei, tastandosi il corpo per controllare che ci fosse ogni cosa.

«Hilary.»

Mia sorella si voltò verso mio padre, che l'aveva chiamata.

«Ora sai a cosa andrai incontro. Mi aspetto che tu sia coscienziosa quanto basta per onorare questo patto.» si raccomandò lui in modo solenne.

«Penso di avere abbastanza cervello; a meno che qualcuno non me lo faccia sparire…» Hilary calcò molto su quel qualcuno, e fu palese di chi stesse parlando; anche per il soggetto preso in causa.

Infatti, Atena alzò un sopracciglio e assunse una posa scettica. O forse era un'espressione più alla "Prega davvero, piccola ingrata a cui ho risparmiato la vita sebbene ti possa schiacciare come un moscerino in un nanosecondo"; non so.

«Bene, abbiamo finito?» domandò Dioniso. «Ho una certa fretta di… No, aspettate, non ho nessuna fretta di tornare in quel campo. Continuiamo, su!» incitò, muovendo le mani.

«Dioniso ha ragione. Dichiaro questa riunione conclusa.» annunciò Zeus.

«Oh, finalmente!» esclamò il giovane dio biondo, stiracchiandosi.

«Apollo, per carità, abbi un po' di decenza! E non mancare di rispetto a tutti noi!» borbottò la dea dai capelli ramati.

«Andiamo, sorellina! Rilassati! Vivi il momento. A proposito di questo, volevo un vostro parere su il mio ultimo Haiku…» 

«Direi che è meglio andare, eh? Devo scappare, ci sono un sacco di messaggi da recapitare oggi, guarda un po'…» un dio dai capelli brizzolati lo sovrastò alzando la voce, e quando tutti annuirono animatamente, capii che era meglio non sentire nessun Haiku, qualunque cosa fosse. Forse era una maledizione, o una cosa simile.

«Beh, è stato bello rivedervi.» disse Ade, alzandosi dal trono in più, anche se la sua espressione faceva trasparire tutt'altro. «Ma ora è meglio che me ne vada… Sapete, anime da punire, morti da verificare, Furie nevrotiche da controllare…»

Una luce iniziò a irradiarsi dal punto in cui si trovava Ade, e dissolsi lo guardo chiudendo gli occhi; costrinsi anche Hilary a fare lo stesso. Quando da sotto le palpebre vidi che la luce si era estinta, riaprii gli occhi e scoprii che gli dei se n'erano andati; tutti, meno Zeus e Poseidone. 

«Fratello, puoi lasciarci un minuto?» chiese quest'ultimo.

«Cacciato dal mio stesso palazzo…» borbottò l'altro, ma uscì comunque dalla sala del trono.

«Percy, dovrei parlarti. Posso rubarti un attimo?» disse Poseidone.

«Oh, ehm… ok.» risposi, sorpreso da quella gentilezza.

Poi, mio padre spostò lo sguardo sui miei amici; capirono solo dopo un po' che desiderava privacy, perciò Chirone si affrettò a farli uscire dalla porta principale. 

Hilary si girò un'ultima volta, e mio padre le sorrise, un'aria affranta negli occhi.

Quando furono usciti, mio padre si rivolse a me.

«Mi dispiace, Percy» disse.

"Cosa?" mi chiesi. Che voleva dire con 'mi dispiace'?

«So che non è facile accettare l'idea di non esserne stato al corrente fin da subito, ma speravo che almeno lei…»

«Avesse una vita normale, lo so.» dissi, storcendo la bocca. 

«Già.» ammise lui. «Senti Percy, non ho molto tempo. Fra non molto sarai di nuovo messo alla prova; e se il fato lo vuole, nulla dovrebbe andare storto.». 

«Che genere di prova, precisamente?» chiesi, aggrottando le sopracciglia e aspettandomi il peggio.

«Non ne sono ancora sicuro; e anche se lo fossi, sai bene che non potrei rivelarti alcunché.» disse mio padre.

«Oh, giusto…» dissi, non del tutto convinto.

«Ora è meglio che tu vada: ti staranno aspettando. Oh, un'ultima cosa: prenditi cura di lei.». La tristezza ritornò nei suoi occhi color del mare.

«Lo farò.» annuii.

Poi diedi le spalle a mio padre, incamminandomi verso l'uscita del palazzo. Ad un tratto, un dubbio invase la mia mente.

Mi voltai verso il trono su cui solitamente sedeva lui: «Aspetta, padre…» 

Ma Poseidone era già scomparso, ancora un leggero bagliore dove prima stava la sua figura.

 

***

 

«Sono viva!» esclamai, ancora stupefatta per quel che era successo.

Chirone rise. «A quanto pare sì, piccola lingua biforcuta.»

«Se non avessi parlato, ora probabilmente non avrei le gambe, o le braccia, o magari anche peggio…» ribattei.

«Già, chissà cosa sarebbe accaduto.» disse lui, pensieroso. 

Mi astenni dall'immaginare cosa stava succedendo nella mente di Chirone -anche se sono sicura che comprendesse una serie di morti da Oscar- e affiancai Annabeth, che fino a quel momento se n'era rimasta distante, in silenzio.

Mi schiarii la gola. «Beh, grazie per prima.»

«Di nulla…» mormorò, la voce un po' incrinata. Mi chiesi cosa ci fosse di strano.

«Sì, insomma… Senza di te non ce l'avrei mai fatta.»

«A me sembra che tu abbia fatto un discorso convincente, invece.»

«Trovi?» Ridacchiai. «Sarà, ma tu e Percy, e anche Chirone, avete fatto moltissimo per me!»

Silenzio. Mi sentii leggermente a disagio per qualche minuto. Incapace di sopportare il silenzio, come mio solito, parlai di nuovo.

«Comunque, sono contenta che stiamo diventando amiche.» dissi, sorridendole.

Ora, sapevo che i figli di Atena e i figli di Poseidone non andavano proprio "d'accordo" tra di loro; probabilmente perché i loro genitori divini si odiano a morte con tutta la loro anima immortale. Ma sapendo che Percy ed Annabeth erano comunque riusciti ad installare quella che sembrava un'amicizia, pensavo che anche per me non potesse essere così difficile. Ma…

«Da quando noi saremmo diventate amiche?» chiese Annabeth, con sguardo freddo. 

«Beh, io pensavo che… prima, tu…» balbettai, presa in contropiede da quella risposta inaspettata.

Lei sospirò. «Senti, mettiamola così. Mia madre e tuo padre si odiano. Di conseguenza, io e te non dovremmo proprio essere amiche. E sì, lo so che sono amica di Percy» Annabeth mi lesse praticamente nel pensiero, «ma è alquanto… complicato. Inoltre, mi stupisco che Atena non mi abbia già diseredato.»

Si mise seduta su un masso, le gambe accavallate. «In udienza ti ho difeso, è vero, ma solo perché potresti essere la nostra arma più vincente per l'avvenire. E standomene zitta, oltre a non aver ottenuto niente, avrei avuto anche una possibilità di offendere il Signore del Mare per non aver preso le parti di sua figlia. Mi segui?» chiese.

Annuii, anche se le sue ragioni mi sembravano un tantino ridicole. Avevo per caso la peste addosso?

«Non è nulla di personale, davvero. Solo, non sei proprio colei che dovrei definire "mia amica".» concluse, sospirando.

La mia mente era in un vuoto completo, il che è tutto dire, dato che non ho mai avuto tutto questo cervello. Mi sentivo una perdente, sinceramente; nessuno aveva mai rifiutato la mia amicizia, e sentirmi dire quelle cose mi faceva davvero male. L'unica cosa che riuscii a dire, con voce strozzata, fu: «Come facciamo con Percy? Lui pensa che andiamo d'accordo come burro d'arachidi e marmellata.»

«Suppongo che ci toccherà comportarci come tali in sua presenza, allora. Ciò non vuol dire che non possiamo parlarci quando lui non c'è, affatto! Farsi la guerra è troppo alla Ares; Atena predilige un rapporto… diplomatico.» aggiunse, ma sospettai fortemente che fosse più per me e la mia faccia desolata.

Annuii di nuovo e mi sforzai di sorridere. Le tesi una mano. «Affare fatto?» 

Lei fece un cenno e me la strinse, stirando le labbra in quello che doveva essere un sorriso "diplomatico", come lo chiamava lei.

«Ehi, che state facendo voi due?»

Percy sbucò in quel mentre dal nulla. Noi sciogliemmo le mani in fretta e iniziammo con la nostra sceneggiata.

«Oh, nulla, stavo ringraziando Annabeth per prima!» risposi, sorridendo. Stavo mentendo a mio fratello, ma in fondo non era poi così falso quello che avevo detto; o almeno, ero partita con il ringraziare la figlia di Atena. Il resto l'avevo temporaneamente cancellato.

La bionda annuì e sorrise a sua volta. 

«Ah, d'accordo.» disse lui, e con un gesto della mano ci invitò a seguirlo. 

Chirone, che per tutto il dialogo tra me e Annabeth era andato a parlare con alcune divinità di case vicine a dove noi ci trovavamo, ci raggiunse dopo averle salutate; insieme ci dirigemmo di nuovo verso l'ascensore, per ritornare nel mondo mortale. 

«Che ti ha detto papà?» chiesi a Percy.

«Nulla di importante, solo che devo tenere gli occhi aperti. Come se già non lo facessi…» borbottando, alzò gli occhi al cielo.

Ridacchiai. «Coraggio, ce la faremo!» 

«A fare cosa?»

«A non farci ammazzare dai mostri, ovviamente!»

«Già, speriamo. Comunque, per ora non è andata male, no?»

Riflettei: avevo appena scoperto di essere una semidea, oltretutto figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi; ero salita sull'Olimpo e avevo sottoscritto un patto che avrebbe potuto uccidermi da un momento all'altro; in più, la figlia di Atena, che avevo precedentemente immaginato diventare la mia migliore amica, mi aveva chiaramente detto che non potevamo quasi parlarci.

«No» ammisi, «non va affatto male.»

 

***

 


Arrivammo alla Collina Mezzosangue quando ormai calava la notte: doveva essere sera inoltrata, probabilmente le otto e mezza o le nove. Scendemmo dall'auto che Argo aveva guidato sia all'andata che al ritorno del nostro viaggetto e risalimmo la collina.
Quando arrivammo alla sua sommità, mi fermai ad ammirare il panorama. E ragazzi, che panorama: dall'alto di lì si poteva scorgere tutto ciò di cui il Campo era costituito.
La più vicina era la Casa Grande, che al chiarore della luna risultava ancora più bianca e brillava nella notte come una stella caduta a terra; un po' più distanti, si potevano vedere le capanne delle diverse Case, disposte a forma di ferro di cavallo, e al centro di esse stava il falò, che in quel momento scoppiettava allegramente, ravvivato continuamente dai canti dei nostri compagni ed amici: infatti, in quel momento tutti erano riuniti attorno il fuoco, per intonare qualche canzone e passare la serata insieme. 

Le risa e il vociare dei semidei si sentivano fin da lassù, e con un grande sorriso spostai lo sguardo più in là dei campi di fragole e quelli di pallavolo, passai l'arena di allenamento ed infine scorsi, seppure vagamente, il luccichio intermittente del mare illuminato dalla luce lunare. Chiusi gli occhi, e mi concentrai sulle onde e il loro rumore calmante. 

Era una sensazione stupenda: mi sentivo a casa, felice, con gente che mi capiva e che mi offriva la sua disponibilità. Beh, magari la Casa di Ares non era proprio delle più amichevoli, e la mia "amica" Annabeth ed la sua diplomazia non si potevano ritenere proprio un rapporto fraterno…

«Percy chiama Hil, Percy chiama Hil! Sei qui con noi o ti abbiamo lasciato lassù sull'Olimpo?» la voce ironica di mio fratello mi risvegliò dai miei pensieri.

«Certo che sono sveglia, idiota! Solo che io, a differenza tua, faccio pensieri profondi e filosofici.» risposi, alzando il mento. 

«Sai, la filosoficità…» 

«Filosofia.»

«…dicevo, la filosofia» e marcò la parola, rivolgendomi uno sguardo annoiato « è più una cosa da Figlia di Atena, non di Poseidone.»

«L'avevo notato…» risposi, alzando gli occhi al cielo.

«Ecco, vedi? Un momento, ehi!» Percy si rimangiò ciò che aveva detto e mi gettò un'occhiata offesa, a cui io risposi ridendo.

«Io non sarò una cima, ma tu sei sempre mia sorella, ricordatelo!» disse lui, alzando le sopracciglia e sorridendomi spavaldo.

«Appunto: la seconda volta è quella buona!» dissi, e tirai fuori la lingua nella sua direzione.

Percy non poté fare altro che aprire la bocca a forma di O, cercando di sillabare qualcosa per rincarare la dose di frecciatine che ci stavamo lanciando, ma proprio in quel momento Chirone e Annabeth ci interruppero. 

«Ehm-ehm.» Annabeth si schiarì la gola.

«Smettetela di bisticciare, voi due. Non voglio che inizino altri intrighi tra fratelli: ne abbiamo già abbastanza…» disse, accennando al cielo. «Unitevi ai vostri amici attorno al falò, piuttosto.» 

«Sì, credo sarà meglio.» Percy annuì «Ma prima la faccio pagare a questa linguetta biforcuta…» 

«Come?» chiesi, confusa.

«Oh, ti conviene correre, sorellina!» mi sorrise malvagiamente.

«Ah!» cacciai un urletto e mi precipitai giù per la collina che avevamo quasi completamente percorso prima con Percy alle calcagna, lasciando gli altri due indietro, sospiranti e rassegnati, mentre noi ridavamo divertiti. 

 

 

In fondo, Percy aveva ragione: la mia vita da semidea non era iniziata affatto male. 
 

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BOOM BABY! 

Guardate chi è tornata dall'Ade? Proprio io!

No, in effetti non ero nell'Ade, ed in effetti non ho nemmeno una buona scusa da darvi per non aver postato per circa... un anno?!

Mi vergogno di me stessa. Il che non è nemmeno difficile, lol

So di avervi abbandonato, ma davvero, è stato un anno un po' così. 

In questo periodo va molto meglio, ed infatti i risultati sono arrivati: ecco il capitolo che mancava!

Sono abbastanza soddisfatta, anche se questo capitolo era solo un piccolo finale per questa prima parte della long.

Mi serviva principalmente per introdurre il rapporto che ci sarà tra Hil, Percy, Annie (non dei migliori con lei, eh?) ecc. 

Spero che la decisione che ho preso riguardo queste due ragazze sia statan inaspettata, e abbia ribaltato le carte in tavola.

Ve lo avevo detto: nulla è mai come sembra! 

Ok, sto blaterando, non è vero? Il fatto è che mi mancate tutti tantissimo, accidenti. 

Vi lascio, credo sia meglio. 

Oh, spero che il capitolo vi piaccia e se volete, lasciate una recensioncina! 


Spariscoooo *puff*
Heav.

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