La setta dei Ganad

di _Luna_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il vento dell'ovest ***
Capitolo 2: *** Doni dal cielo ***
Capitolo 3: *** In cerca di guai ***
Capitolo 4: *** Le ali del destino ***
Capitolo 5: *** Nuove regole ***
Capitolo 6: *** Carta vincente ***
Capitolo 7: *** Partenze ***
Capitolo 8: *** Kamensal ***
Capitolo 9: *** Gana ***
Capitolo 10: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Il vento dell'ovest ***


Le tende appese alla finestra si muovevano avanti e indietro come se fossero un mare in tempesta ma senz’acqua. Non c’erano nuvole nel cielo blu della valle di Hvitr e il sole sorgente cacciava via ogni dubbio: moltissimo vento che scompigliava tutto ma niente pioggia torrenziale. Era da parecchi giorni che andava avanti e inizialmente sembrò normale, però poi divenne strano l’avanzare e l’aumentare del flusso d’aria.
La pianura, sebbene sempre fertile, assumeva, verso il tramonto, uno strano colore, molto tendente al bianco, sebbene con qualche sfumatura grigia così quand’erano arrivati avevano deciso di chiamarla in tal modo. Eppure quel vento era troppo anormale, troppo forte per essere considerato privo di significato. Lì per lì nessuno c’aveva dato peso ma sentiva dentro la sua pelle una strana sensazione, quasi una premonizione. Era diventato troppo scettico o troppo stupido per ignorare i segni di un evidente richiamo?
Si alzò dal suo letto, sapendo che non sarebbe riuscito più a dormire e si affacciò alla finestra per scrutare il paesaggio circostante, anche se ormai lo conosceva a memoria. I lavori erano quasi ultimati e si poteva ritenere soddisfatto dell’esito: sul lato occidentale della valle sorgeva una montagna dove erano riusciti a creare delle nicchie abbastanza grandi per i draghi, mentre, più a nord, c’era l’arena dove si sarebbero allenati i Cavalieri; infine, una fortezza inespugnabile, se non lo fossero state abbastanza tutte le misure di sicurezza poste attorno all’area.
Si, era stato un buon lavoro, lungo ed estenuante ma infine ce l’avevano fatta. Non avevano neppure dovuto aspettare troppo per il primo Cavaliere libero: un ragazzo di una ventina d’anni, dai capelli rossi e uno sguardo furbo e attento, era arrivato dopo un mese che Eragon si era stabilito lì assieme agli elfi.
Quel umano si chiamava Kateld, veniva da Gil’ead ed erano scaturiti non pochi ricordi dolorosi nel Cavaliere ma non lo diede a vedere.
Portava con sé, un drago di una quindicina di giorni, di un bell’arancione iridescente. Aveva ricevuto precise istruzioni dalla regina degli elfi, Arya, che era subito accorsa per indirizzare il ragazzo verso la strada giusta. Durante i primi giorni si era sentito completamente impotente e fuori luogo, guardando quasi con astio il gedwey ignasia ma infine Rateger, il suo drago, l’aveva aiutato e sostenuto. Data la sua natura umana, aveva iniziato a guardare con diffidenza gli elfi, quegli esseri così diversi da lui ma aveva accettato anche quello, per amore di Rateger, nonostante ci volle una buona settimana per fargli cambiare opinione.
Ad Eragon parve molto strano che fossero passati ben nove mesi dalla morte di Galbatorix e la sua partenza. Non si era mai fermato a pensare a Roran o a Nasuada o ad Arya. Specialmente ad Arya. Gli allenamenti, la costruzione del castello di Oromis ( al Cavaliere era apparso giusto dare alla fortezza il nome del suo maestro, anche se sarebbe stato in ogni caso ricordato ), la ripresa di tutte le sue forze e la conoscenza degli Eldunarì lo avevano completamente preso, contento anche di non dover pensare al resto. Gli provocava ancora troppa nostalgia, troppo dolore per pensarci. Pensava di essersi ormai rassegnato al suo destino, non c’era nulla da fare, Angela l’aveva predetto moltissimi mesi prima e sapeva di potersi fidare dell’erborista: non sarebbe tornato mai più in Alagaesia.
Eppure, quel vento che continuava a spirare non poteva essere completamente ignorato: c’era qualcosa, qualcosa di sottile o di invisibile che continuava a sfuggire ad Eragon. Non aveva mai provato a parlare con il vento, dopotutto era una cosa immateriale, qualcosa di inesistente, un anonimo spostamento d’aria verso zone più calde o più fredde, nulla più. Mormorò qualche parola ma senza intenzione di provare a parlare con il vento proveniente da ovest. Per un momento, sorrise tra sé. Quanto era sciocco, comunicare con il vento, che idea balzana e stupida, sarebbe stato come voler dialogare con il mare o con il fuoco. Perché non accettava l’idea che era un semplice vento?
Improvvisamente, la sua mente venne sfiorata dolcemente da Saphira Qualcosa ti turba, piccolo mio?
Il vento. ammise Eragon, aspettandosi la risata della dragonessa.
Lei in tutta risposta, disse: Cos’ha di inquietante?
Con la testa accennò al cielo.Sta diventando, giorno dopo giorno, più forte, più veloce, senza andarsene.
Cosa credi che voglia dire?
Scrollò le spalle, anche se sapeva che Saphira non poteva vederlo. Non lo so. Forse ho solo voglia di mettermi nei guai.
Si, bhe, in questi mesi hai un po’ trascurato la tua attività preferita. Lo prese in giro lei.
Già.Sentì i pensieri della sua compagna ritirarsi, poiché  aveva capito che voleva stare un po’ da solo. In realtà Eragon non sapeva bene davvero cosa voleva. Avventura? Rivedere i suoi cari? Andarsene? Tutte cose impossibili e inattuabili. Avrebbe dovuto abbandonare Kateld e il drago, abbandonare il suo compito e coloro che gliel’avevano assegnato, anche se indirettamente. I suoi pensieri arrivarono anche a Murtagh, ma preferì fermarsi al solo ricordo del fratellastro. Aveva promesso di tornare, di farsi vivo ma non aveva mai avuto sue notizie. Forse avrebbero dovuto fare come loro, abbandonare tutto e tutti, vivere da soli e stare con se stessi. Ma sarebbe stato un atto egoista: Murtagh doveva liberarsi, purificarsi dalla presenza di Galbatorix, aveva bisogno di allontanarsi. Lui, Eragon, aveva degli obblighi a cui attenersi e, sebbene gli gravassero tanto, non si sarebbe tirato indietro. Diede un ultimo sguardo trasognante verso ovest e chiuse meglio che poté la finestra.
Qualsiasi messaggio portasse il vento dell’ovest, non era affar suo.



N.d.A. Massssalve, anima pia che ha voluto leggere questa storia! Ti ringrazio se recensirai e mi lascerai consigli o critiche preziose! Ammetto di non aver mai pensato ad una  fanfiction su Eragon, ma dopo aver letto Inheritance, ho pensato che fosse inevitabile, quindi eccomi qua :D Ti ringrazio se vorrai lasciare una recensione :D Oooooora, passando ad altre cose... il nome Hvitr esiste davvero, l'ho trovato nel dizionario della lingua elfica... Poooi, Kateld è un nuovo personaggio e non so quanto spazio occuperà... forse minimo forse no, non so ancora dirvelo! Mi è sembrato inoltre doveroso dare al castello il nome di Oromis, visto che mi è dispiaciuto tantissimo per la sua morte, anche se non tanto quanto per quella di Brom! Comunque, spero che vogliate lasciare una recensione! Ciaaao ciaaao e al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Doni dal cielo ***


Chiuse gli occhi, aspirando l’aria con il naso lentamente. Sentiva l’insistente sibilio del vento tra gli alberi, il respiro flebile degli elfi e quello più profondo di Saphira che si fondeva a quello di Rateger. Non accennava a muoversi per primo e passarono cinque minuti buoni prima che Kateld accennasse a fare qualche passo. Tentò di sorprenderlo con  un attacco frontale ma fallì miseramente, subendo anche un fendente da Brisingr. Eragon si sforzò di non guardarlo con troppa severità: da qualche giorno stava sfogando la sua nostalgia sul suo allievo troppo deliberatamente.
« Non ci siamo… non ci siamo proprio… allenati ancora… con lui » indicò Blodhgarm, che fece un cenno d’assenso con la testa. I due non si sopportavano facilmente ed Eragon pensava che fosse un buon incentivo per incoraggiarlo a sforzarsi per batterlo. Rimase fermo ad osservare i due muoversi ma ancora una volta il suo allievo fu battuto, anche se in qualche minuti in più rispetto a lui « Vedi… il tuo schema sta diventando chiaro, facilmente prevedibile » Non si aspettava che Kateld riuscisse a battere lui o gli elfi, nonostante venisse dall’esercito dei Varden, aveva combattuto solo nell’ultima guerra, quella contro Uru’baen o, come preferiva chiamarla il cavaliere, Ilirea. Osservò silenziosamente un altro tentativo da parte di Kateld che fallì miseramente.
« Saphira vuole fare un volo… sarò di ritorno tra un’ora. Va’ a riflettere » ordinò, prendendo ad esempio ciò che gli aveva insegnato Oromis. Quanto avrebbe voluto che fosse ancora lì, a dirgli di saper essere comprensivo o anche a consolarlo. Avrebbe anche voluto Brom, accanto a se, per ricevere qualche sonora bastonata per essere troppo mollaccione e nostalgico.
Montò sulla dragonessa che condivideva completamente i suoi stati d’animo e si librò nel cielo con grazia, sotto gli occhi invidiosi del drago arancione.
Uscirò pazzo. Pensò Eragon, amareggiato. In poche ore, il suo umore era completamente cambiato: si sentiva tremendamente limitato, oppresso; oltretutto vedeva lo sguardo duro e severo degli elfi, che lo ritenevano chiaramente troppo giovane per quel compito, nonostante tutti gli Eldunarì e le sue numerosissime vittorie, che però sparivano di fronte all’esperienza centenaria dei suoi compagni.
Ma no, piccolo mio. Ci sono io!Replicò Saphira, ripercorrendo con la mente tutto quello che avevano passato, da quando l’uovo si era schiuso a quando avevano combattuto una vera battaglia per l’ultima volta. E non ti abbandonerò mai… staremo insieme per sempre.
Era proprio quel “ per sempre” che spaventava il cavaliere. Non tanto per la compagnia della sua amica, ma per le altre creature con cui sarebbe convissuto, senza un supporto veramente amichevole.
Volarono per una buona ora e si fermarono vicino ad un lago abbastanza profondo. Mentre la dragonessa si rinfrescava, Eragon si stese sulla riva a pensare. Volse lo sguardo verso ovest, per tornare in Alagaesia ci sarebbe voluta una settimana di volo, o anche di più… si, forse una decina di giorni. Ma tanto era inutile rimuginarci ancora: non sarebbe tornato.
Si accorse però che c’era qualcosa di strano, anche Saphira aveva smesso di nuotare e odorava nervosamente l’aria.
Gli elfi? Domandò, non riuscendo a capire cosa lo rendesse tanto inquieto.
No.
E allora chi…
Monta, subito, dai Eragon!
Ma cosa…
Sali!
Senza farselo ripetere due volte, il cavaliere salì sulla sella di Saphira, che spiccò immediatamente il volo. Tentò di chiederle cosa fosse successo ma lei aveva chiuso completamente la mente e così si ritrovò solo con i suoi pensieri. Voleva sapere dove stavano andando ma non ci fu modo di comunicare. Era certo che si dirigevano verso ovest, ma non ci credé finché non riconobbe una torre diroccata che aveva scoperto nel suo viaggio d’andata senza ritorno. Infine si arrese a penetrare nella mente di Saphira e gli venne in mente il suo primo viaggio in groppa alla dragonessa. Per descriverlo usò un solo aggettivo: traumatico. Avrebbe voluto che la sua avventura sulle ali di un possente drago leggendario fosse diversa, ma si sapeva accontentare.
Dopo altri dieci minuti di volo sfrenato, senza sapere né la meta né il motivo, Saphira atterrò su una piccola piana che riusciva ad ospitarla, riaprendo finalmente la mente.
Mi devo preoccupare?
No.
E allora perché sei partita così velocemente e non mi hai voluto spiegare?
Volevo che fosse una sorpresa.
Che genere di sorpresa?
Una di quelle sorprese che ti lasceranno senza fiato. Commentò lei, vivacemente, e sottolineò il concetto ruggendo forte. Non seppe dire se era di felicità o di paura, ma in fin dei conti, lì niente li avrebbe attaccati.
Per qualche istante pensò che Saphira era diventata più pazza di lui, invece una macchia rossa indistinta volava proprio verso di loro. E non gli ci volle molto, ad Eragon, per capire quale fosse la sorpresa.
La macchia rossa si fece sempre più distinta e appena riconobbe Castigo, cacciò un urlo di gioia che gli si spense in gola  quando vide le condizioni in cui il drago era giunto: aveva enormi ferite ancora aperte e probabilmente infettate, lividi e bruciature su tutto il corpo, qualche scaglia rotta. Risalì sulla sua groppa e lì, svenuto e ridotto peggio del drago, c’era Murtagh.

N.d.A. Saaaalve! Scusate l'attesa ma altre fanfiction mi reclamavano e purtroppo solo ora ho avuto il tempo di scrivere a computer quello che avevo scritto a penna. Cosa dire... ci riserva nuove sorprese, il vento dell'ovest! E c'ha portato un regalo che forse è conciato un po'  male. A voi giudicare! Mi farebbe davvero piacere leggere qualche vostra recensione! A presto!

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Capitolo 3
*** In cerca di guai ***


Quando finalmente la creatura atterrò in una radura adatta ad ospitare entrambi i draghi, Eragon disse a Saphira di abbassarsi. Fortunatamente Murtagh non scivolò dalla sella perché era attaccato saldamente con dei legacci. Si accucciò per permettere al cavaliere di soccorrere il suo compagno-di-cuore-e-di-mente. Era stato un lungo viaggio e la stanchezza acuiva il dolore delle ferite. Annusò l’aria e, sicuro che Murtagh non avrebbe corso pericoli, si concentrò su qualche possibile preda assieme alla dragonessa.
« Cosa ti hanno fatto…» domandò il cavaliere all’aria, visto che il fratellastro non accennava a svegliarsi. Tentando di non esagerare troppo con l’uso di energia, guarì le ferite che gli sembravano più gravi ma il ragazzo ancora non rinvenne. Disperato, provò ad entrare nella mente di Murtagh, almeno per capire cosa gli fosse successo. L’altro, però, doveva aver fatto qualche magia, probabilmente appresa da Galbatorix, affinché, se fosse svenuto, nessuno sarebbe riuscito a controllarlo. Probabilmente, era proprio quella magia ad impedirgli di risvegliarsi. Se non fosse riuscito a recidere il flusso di magia, l’avrebbe consumato.
Chiamò Saphira e subito i due draghi lo raggiunsero. Dobbiamo portarlo dagli elfi! Pensò, sempre più agitato.
Castigo, che aveva espanso la sua mente anche al cavaliere, sbuffò. Pensavo saresti stato in grado di guarirlo tu.
La dragonessa si intromise. Castigo, gli elfi sapranno guarirlo, devi fidarti. Nel suo tono si intuiva sia autorità, essendo comunque più grande dell’altro, sia preoccupazione per le ferite di entrambi.
Issarono Murtagh su Saphira ed Eragon lo tenne stretto per non farlo cadere. Durante il volo, il ragazzo si domandò quale grande minaccia lo avesse costretto a compiere un gesto così avventato da rischiare di morire.
Non facendosi sentire dal drago rosso, disse a Saphira: Vola più veloce o non ce la farà.
Come risposta, lei aumentò lo sbattito d’ali. Ci misero quasi la metà del tempo a tornare e, quando gli elfi videro il drago rosso, tranne un breve e quasi impercettibile sussulto, rimasero impassabili. Il giovane cavaliere, Kateld, si nascose vicino al suo drago, visibilmente più piccolo rispetto a Saphira e a Castigo. Infatti, Rateger soffiava come un gatto, ma non si azzardò ad avvicinarsi. Eragon intanto aveva spiegato cos’era successo poco prima e cosa aveva scoperto. Così, quattro elfi si staccarono dal gruppo degli undici e trasportarono Murtagh dentro il palazzo. Castigo li osservò con occhio vigile e attento, agitando la coda avanti e indietro. Il suo sguardo cadde anche sul timido drago arancione che se ne stava in disparte. Mentre Saphira faceva le presentazioni, Eragon parlò con Blodhgarm « E’ successo qualcosa! Non posso stare qui! Devo andare a vedere chi ha ridotto così Murtagh! »
L’elfo soppesò le sue parole e commentò, secco « Non è in cerca della causa che vuoi andare, ma in cerca di guai » poi si rivolse a Castigo « Venerabile drago, permetti a Samantel » indicò un elfa dai lunghi capelli biondi « di guarire le tue ferite?  » Il cavaliere di Saphira era abituato ai cerimoniali della leggiadra razza e sorrise quando Castigo, imbarazzato, disse di si, d’altronde Galbatorix non gli aveva certamente riservato questi trattamenti.
« Voglio solo sapere chi gli ha  fatto una cosa del genere! » replicò, appena l’attenzione dell’elfo tornò su di lui « Castigo non vuole dirmelo » durante il viaggio aveva provato anche a prendere qualche informazione dal drago ma quello non gli aveva risposto.
« Non è questo il tuo compito, devi rimanere qui, allenare Kateld…»
« Ma qualunque cosa abbia ridotto Murtagh così, potrebbe venire qui, ucciderci tutti! Meglio essere preparati! »
Ancora una volta, Blodhgarm rimase zitto, forse per cercare una scusa più solida « Non tornerai, non tornerai più » era uno dei pochi a conoscere la profezia di Angela.
« Lo so » 
« Allora perché ostinarti? »
Fece per rispondere, ma si fermò.
Intanto, uno degli elfi che era andato al castello, li interruppe « Siamo riusciti ad aggirare le sue difese, ma non si fida di noi. Però alcune ferite avranno bisogno di qualche tempo per guarire »
« Grazie, vengo subito allora » prima di andare, disse a Kateld « Per oggi basta, vai a leggere quel libro che ti ho detto »
Piegò la testa in avanti « Si, Maestro »  Era ancora parecchio strano sentirsi chiamare così, soprattutto da una persona più grande di lui.
Arrivò nella stanza dove avevano portato il ferito e si scoprì quasi disgustato a guardarlo: le contusioni sulle braccia erano numerose, così come i lividi sul resto del corpo. Tre erano ferite enormi, una sul petto, che avevano subito fasciato, una sulla spalla che stavano ancora disinfettando e una alla gamba destra, molto profonda. Il volto, inoltre, era sfregiato da tagli e graffi, come se avesse dovuto attraversare una foresta di rovi « Tornerà come prima, vero? »
« Si, ma tra qualche settimana… non riusciamo a far abbassare la febbre, ma non c’è da preoccuparsi, finchè non sale; deve però interrompere il flusso di magia. Anche se siamo riusciti ad entrare, la magia crea sempre nuovi muri, anche se non duri come prima » lo guardò con molta serietà « deve smetterla, o morirà »
« Ci riuscirò » si sedette accanto a Murtagh e, non badando agli occhi angosciati di Castigo, che aveva sentito tutto, tentò di penetrare nell’anima di Murtagh prima che fosse troppo tardi.


N.d.A. Cos'è successo al nostro povero Murtagh? Ce la farà, Eragon, a spezzare il flusso di magia oppure Murtagh verrà consumato? Tutto è da scoprire nel prossimo capitolo! Intanto, vi ringrazio per aver letto questo capitolo e vi prego di recensire, perchè mi fa davvero taaaaanto piacere! A presto!

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Capitolo 4
*** Le ali del destino ***


Arya si guardò attorno con circospezione ma la stanza dove era stata sistemata era completamente silenziosa. In effetti, era comprensibile, doveva essere notte fonda e tutto taceva. Forse, in fondo, era meglio così. Si sarebbe preoccupata a sentire dei rumori e i suoi sensi, sempre in allerta, desideravano distrarsi per qualche minuto. La giornata era stata un avanti e indietro continuo, aveva proprio bisogno di riposarsi almeno per qualche ora. Non ce la faceva davvero più. I suoi sottoposti l’avevano aiutata, certo, ma non quanto aveva voluto. Dopotutto, essere la regina degli elfi comportava qualche problema e anche di più. Aveva passato gli ultimi mesi a riparare ai danni della guerra, con l’aiuto di Fìrnen. Stava facendo anche parecchi progressi con lui ma era sempre insofferente: sentiva la mancanza di Saphira. Inoltre, poiché il nuovo cavaliere non accennava a tornare, doveva essere lei a portare la pace tra la sua gente e qualche volta tra gli umani. Le altre uova che giravano tra gli Urgali e tra i nani non volevano schiudersi, provocando frustrazione generale e qualche scaramuccia. Tutti stavano iniziando ad alimentare i vecchi rancori, guardando con diffidenza le altre razze.
Non aveva mai capito quanto fosse difficile il compito di Saphira come unico drago in tutta Alagaesia.
Si fermò.
I suoi pensieri avevano iniziato a vagare troppo per i suoi gusti. Non era da lei, no.
In quei mesi si era sforzata, si era detta che era sbagliato essere egoisti, pensare ad Eragon solamente come un elfo qualsiasi e non come il cavaliere. Un elfo qualsiasi per cui provare dei sentimenti più profondi di semplice affetto. Un elfo qualsiasi che si era abbandonato quasi subito ad una debolezza umana. Un elfo maledettamente testardo.
Si zittì da sola « Arya. Basta »
Riassunse la solita aria vispa ma indifferente e iniziò a sistemarsi i capelli che erano andati un po’ fuori posto con l’allenamento.
Sei inquieta. Sentì la presenza lieve di Fìrnen e non ne fu affatto infastidita. Era sempre piacevole parlare con lui, aveva la mentalità di un elfo, ma la fierezza e l’orgoglio di un drago selvaggio.
Cosa vuoi dire?
Niente. Era una semplice constatazione. Si ritirò nella sua mente, lasciandola sola per qualche istante, a riflettere. Forse lui sapeva meglio di lei stessa come si sentiva. Forse si sentiva anche peggio di lei. La sua compagna era andata via per sempre, non si sarebbero più rivisti e forse aveva avuto un cucciolo da Saphira. Si domandò se Eragon l’avrebbe avvisata in quel caso. Probabilmente si, le avrebbe mandato una lettera o qualcosa per avvisarla.
« Devo smetterla » si provò a dire. Quei mesi senza far nulla di emozionante o pericoloso la stavano facendo diventare nostalgica ed era una cosa che non poteva sopportare. Ma aveva notato molti altri cambiamenti: un po’ più di arroganza e di orgoglio, meno freddezza e indifferenza. Era il legame con Fìrnen ad aver trasformato la sua natura. In quanto elfa, non aveva subito nessun cambiamento fisico, ma mentale.
Doveva uscire da quelle quattro mura per una buona volta ma se avesse solamente osato mettere il naso fuori dalla porta della stanza, un battaglione di elfi l’avrebbe trattenuta fino a tarda notte per decidere questo e quello. Non poteva nemmeno evadere dalla stanza volando o scivolando giù dal primo piano, sarebbe stato troppo indecoroso. Si rassegnò a rimanere lì.
Chiuse gli occhi, non per dormire, ma per riflettere. Aveva tanto agognato la calma, la tranquillità, ma allora perché si sentiva così inquieta, come aveva detto il suo drago? Basta ambascerie, basta lotte, basta viaggi lunghi ed estenuanti. Ma era proprio quello a mancarle. Si era abituata talmente tanto che ora si sentiva inadeguata al mondo degli elfi. Manteneva la sua freddezza ma  non come prima. Si scopriva con sorpresa a divertirsi per cose di non tanto conto, a sorridere per un nonnulla, a rattristarsi per la nostalgia.
Ho bisogno di respirare.
Andiamo.
Dopo soli pochi secondi, intravide la figura verde smeraldo  di Fìrnen e si sentì già meglio. Quando montò in groppa, passando per la finestra, non gli chiese dove avesse intenzione di andare. Poteva portarla anche nel Surda o in qualche paese lontano o sulla luna, in quel momento non le importava. E allora si rese conto di cosa avesse realmente bisogno, di cosa voleva parlare e di cosa voleva pensare. Ma non poteva, ancora una volta, si fermò nel pensare a lui. Possibile che il legame con il suo drago l’avesse cambiata a tal punto da pensare a lui con più dolcezza?
Ti posso portare da lui. Pensò Fìrnen, con orgoglio. Ma non era solo per la sua compagna che voleva portarla da lui,voleva anche rivedere Saphira.
No.
Ma…
No.
Perché…
No. Voliamo solamente, amico mio, sulle ali del vento e del nostro destino, senza cambiare la rotta.E la conversazione terminò lì.


N.d.A. Salve amici! Scusate se vi ho fatto attendere un po' per questo quarto capitolo e scusate anche per il cambiamento improvviso: invece di sapere che fine farà Murtagh, sono passata ad Arya... cosa succederà alla nostra bella elfa? Perchè si sente così inquieta? Dovrete aspettare il prossimo capitolo per saperlo :D Intanto, se non vi scoccia o se non vi fa troppo schifo la storia, potete recensire? Grazie e alla prossima :3
_Luna_

 

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Capitolo 5
*** Nuove regole ***


Arrivarono fino al limitare della foresta, accarezzando le nuvole rosee della prima mattina per non essere visti dal basso. Il drago era facilmente riconoscibile considerando le squame di quel verde brillante, smeraldo, così avevano optato per una corrente più alta. Quando decisero di fermarsi, planarono piano verso sinistra e con estrema eleganza atterrarono in una radura, sgombra da alberi e cespugli di qualsiasi tipo. Arya balzò di sotto, liberandosi dai legacci. Appena mise piede a terra, si accorse subito di qualcosa che non andava: la foresta era silenziosa, non si muoveva un’anima e si sentiva come oppressa da una forza ingombrante. Riusciva a praticare la magia, ma non con libertà e spensieratezza.
« Fìrnen… dobbiamo tornare indietro »
Cosa succede?
Niente di buono…Fece qualche passo in avanti ma fu un errore fatale. Un borbottio insistente di voci risuonò fastidiosamente nell’aria, rivelando tre figure incappucciate.
« Chi siete? » sibilò la regina, estraendo prontamente la spada.
Ancora un vociare indistinto riempì le orecchie di Arya. Con un gesto fulmineo, più velocemente di un elfo, una delle tre figure si posizionò alle spalle della giovane, buttandola a terra. Fìrnen accorse subito, gettando a terra a sua volta, le altre due persone che stavano osservando la scena. Iniziò ad eruttare fuoco ma erano troppo veloci per lui, non completamente a suo agio con le zampe per terra. Per quanto si sforzasse, i nemici si muovevano troppo agilmente e riuscivano a sfuggire dalle sue fiammate. Intanto il Cavaliere si era rialzato prontamente, invitando l’altro a combattere.
« Vediamo quanto sei bravo » gli occhi di Arya erano illuminati da un barlume estraneo per Fìrnen, non aveva mai visto la sua compagna così eccitata ed euforica. Eppure, stava per scontrarsi con qualcuno, poteva essere in pericolo, non era più fredda e distaccata, un elemento importante durante un combattimento. Era in pericolo. Tentò di avvicinarsi a lei, ma i due che stava tentando di bruciare gli si pararono davanti. In risposta ringhiò e con una zampata provò ad acchiapparne uno, ma gli scivolò via come un’anguilla. Si sentiva terribilmente impotente. Com’era possibile che quei due lo tenessero nel sacco? Si erano anche avvicinati ad Arya quindi non poteva più sputare fuoco, altrimenti avrebbe colpito anche lei. Non gli rimaneva che la forza bruta.
« Non te lo consiglio, elfa » gracchiò lui di rimando. Arya non riusciva a vedergli il volto ma dalla voce aveva una ventina d’anni o un po’ di più. Era un umano o un elfo? Sicuramente non era un umano vero poiché era rapido nei movimenti.
« Vedremo »
Disegnando un cerchio, si studiarono attentamente. Lo straniero era alto e snello, si muoveva con facilità nonostante il lungo mantello. Aveva una spada abbastanza lunga che teneva con una mano, mentre con l’altra manteneva l’equilibrio, giocando sui piedi. Ogni tanto dava un’occhiata ai suoi due compagni che riuscivano sempre ad ostacolare il drago verde. Solo due persone riuscivano a fermarlo ma non erano persone qualsiasi. Erano furbe e scaltre, veloci e scattanti.
Infine, Arya decise di attaccare l’avversario, sicura dell’effetto sorpresa ma ogni tentativo si rivelò vano, con un movimento scattante, si piegò sulla schiena. Provò quindi una finta a destra ma quello scartò ancora una volta. Era come se sapesse quale mossa stava per fare ancora prima che lei l’avesse pensata… che dannata magia usava? Non osava voltarsi indietro per constatare come stesse Fìrnen, così gli domandò: Stai bene?
Si…Non mi fanno avvicinare a te, non riesco a prenderli… cosa devo fare?
Allibita, spalancò gli occhi. Cosa? Non riesci a prenderli? Poi ripensò alla velocità del suo avversario. Si, era abbastanza difficili prenderli. Alla fine, sull’orlo dell’irritazione, sferrò un ultimo attacco, muovendosi come una farfalla assassina, il suo obiettivo era staccare la testa con la spada, con una semplice mossa, forse anche troppo semplice. Ma ancora una volta, l’attacco andò a vuoto. Frustrata, ringraziò almeno che i nemici non stavano attaccando, ma solo giocando con lei. Dal punto di vista della sopravvivenza era una cosa buona, ma dal punto di vista dell’orgoglio, ciò la irritava. Era un’elfa. Era la regina degli elfi. Non potevano trattarla così. Abbassò la spada e comunicò al suo drago di smetterla.
« Che cosa volete? » domandò perentoriamente, sempre all’erta.
Anche il suo avversario si fermò, poi si fece raggiungere dai suoi compari « Siamo stati scortesi, mi spiace, spero vorrai perdonarci » diversamente dalla sua velocità in combattimento, fu molto lento ad abbassarsi il cappuccio, così come gli altri due. Lo sguardo di Arya si fermò prima sul giovane in mezzo, con cui aveva combattuto. Era umano, a quanto sembrava dall’aspetto, ma lo strano sorriso, perfido e inquietante, lo trasformava quasi in un animale che aveva appena lacerato la sua preda. Aveva gli occhi neri, Arya li paragonava solamente al buio della prigione di Gil’ead. I capelli erano neri anch’essi, ma con una strana sfumatura di grigio, come se gli avessero sparso sopra della cenere. Era… attraente. Ma subito la risata gelida riportò la giovane alla realtà. Accanto, i due compagni erano un po’ più grandi di lui, uno di venticinque anni e uno di trenta all’incirca. Entrambi stavano fermi e in silenzio. Il più anziano aveva dei lineamenti duri e taglienti. Gli occhi non li riuscì a vedere perché erano puntati verso il basso, ma i capelli si, erano biondi, quasi bianchi. Infine, quello di venticinque aveva… non era un lui, si accorse, era una lei. Una ragazza dai capelli corti e tagliati tutti storti, male, che sembrava quasi un uomo per la sua stazza e altezza, stava silenziosa accanto agli altri due.
« Ma cosa volete? » richiese Arya, dopo aver smesso di esaminare gli avversari.
Lo straniero arricciò le labbra in un sorriso perverso, malsano.


N.d.A. Hello! Scusate l'attesa! Ho avuto problemi vari - computer rotto, compiti accumulati dopo totale nullafacenza - e solo ora ho trovato il tempo di aggiornare. Alloooora, bhè. Ci sono dei nuovi nemici sulla strada di Arya? Ebbene si. Chi saranno? E Murtagh che fine avrà fatto? E tutti gli altri? Lasciando perdere tutti gli altri interrogativi, lasciate una recensione, perchè mi fa tanto piacere :3 Alla prossima!
P.s. Ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite e tra le seguite e tutti coloro che hanno recensito e recensiranno :3
Luna

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Capitolo 6
*** Carta vincente ***



Nasuada alzò gli occhi al cielo pur di non guardare la terra smossa. Erano passate due lunghe settimane da quando avevano scoperto i corpi morti alle porte di Ilirea. Inizialmente stentava a crederci perché il generale di cui si era tanto fidata e che riteneva invincibile non poteva morire in una missione del genere. Invece il corpo freddo di Jormundur era stato trovato quell’orribile mattina. Era stato molto difficile riconoscerlo: c’erano evidenti segni di battaglia sul volto e sulle gambe, ma quello che aveva colpito di più la regina erano stati i colpi nel ventre, posizionati secondo uno schema preciso che nessuno sapeva decifrare. Eppure lei sapeva che voleva significare qualcosa la disposizione dei colpi ma nemmeno Trianna era riuscita a capirci qualcosa. Così, dopo alcune analisi, aveva deciso che era il momento di seppellirlo, non avrebbe permesso ai maghi di violare il corpo del suo amico ancora di più di quanto non avessero già fatto. Era stato seppellito fuori da Ilirea, in un piccolo boschetto di faggi che lo proteggevano dalle intemperie. Accanto a lui c’era un suo amico fidato che l’aveva accompagnato nell’ultima avventura.
« Non corrucciarti, Nasuada, sono morti combattendo » la voce dell’indovina la riscosse dai suoi pensieri, riportandola sotto i rami del faggio scossi dal vento insistente  « Io vorrei morire facendomi il bagno in una tinozza  » si avvicinò per metterle una mano sulla spalla « sicuramente sarebbe rilassante, con le bollicine, i profumi e le ninfee »
« Ma non ci entrano le ninfee in una tinozza d’acqua » replicò Nasuada, smarrita dai discorsi di Angela.
La guardò, smarrita « Non capisco »
« Bhè… le ninfee sono troppo grandi e… si, sarebbe bellissimo »
Compiaciuta dalla risposta di Nasuada, Angela imboccò la via verso la città, fischiettando una ballata degli elfi. La regina rimase qualche altro momento a riflettere poi rincorse la giovane per chiederle la sua opinione « Credi che abbia fatto male a mandare Murtagh? »
Arricciò il naso e storse le labbra « Se non sono riusciti ad arrivare due uomini abbastanza scaltri, come vuoi che arrivino uno zuccone a bordo di una grande zucca? » scosse la testa più volte per enfatizzare quello che aveva detto « Passeranno inosservati, secondo te? Insomma, Nasuada, pensavo ci tenessi a chiedere aiuto ad Eragon… invece non ti sei sforzata minimamente »
Il rimprovero diretto di Angela la colpì più forte di quanto avesse pensato « Credevo… chi altri potevo mandare? Murtagh ha insistito per recuperare Eragon e Castigo non voleva abbandonarlo e sono un drago e un cavaliere… riusciranno in un impresa impossibile per gli uomini »
« Ne sei davvero sicura? Ti ritenevo una persona abbastanza assennata » si avvicinarono alla scorta di Nasuada che le attendeva poco lontano dalla tomba « Spero che tu sia più riflessiva per quanto riguarda gli elfi »
Salì sul suo destriero « Cosa vorresti dire? » 
 « Che se… » pronunciò con astio il nome « Trianna non riesce a contattare gli elfi da svariate settimane, ci sarà un motivo » il tono distaccato e freddo era evidente e Nasuada non ne capiva il motivo. Angela alla fin fine era più stramba e singolare di Trianna e non si metteva certamente a fare paragoni perché era indubbiamente superiore a certe cose. Invece, da parecchio tempo la disprezzava e tentava di ridicolizzare qualsiasi suo tentativo di parlare con gli elfi. Era un comportamento molto infantile ma Nasuada non aveva osato dirle nulla: sicuramente c’era qualcosa sotto e non stava a lei giudicare, anche perché era troppo curiosa di sapere cosa stava architettando Angela.
« Lo so… ma Eragon è sempre stata la carta vincente e voglio avvisare lui prima di tutto »
In risposta, fece una smorfia sprezzante « Carta vincente? Il fratello di uno zuccone su un’altra zucca? No, Nasuada. Gli elfi ti possono aiutare molto più velocemente di Eragon, lo sai, e la loro indifferenza, o meglio, la loro totale incomunicabilità mi lascia allibita. Nessuno è riuscito a contattarli tramite la magia, devi inviare qualcuno » spostò lo sguardo sulla strada, assorta nei suoi pensieri « Il loro silenzio dura da settimane, è chiaro che sia successo qualcosa e so che non vuoi rischiare di inviare qualcuno nella Du Weldenvarden, ma ti devi decidere, non possiamo rimanere soli troppo a lungo »
« Ma come posso fare? Volevo aspettare Eragon per risolvere quest’altro problema… e ora che Jormondur è morto, nessuno vorrà muoversi dalla propria casa » replicò lei, in preda allo sconforto. Aveva sbagliato a scegliere prima Eragon, doveva parlare con Arya ma non aveva preso con troppa serietà il problema che gli elfi erano diventati improvvisamente irraggiungibili. Qualsiasi magia Trianna provasse, non riusciva a divinare nessuno. Non  era sembrato molto preoccupante, anche perché il silenzio era stato attribuito a qualche complesso incantesimo innalzato dagli elfi, così Nasuada aveva concentrato tutta la sua attenzione sul cavaliere. A nulla erano servite le repliche di Angela, non sarebbe tornato in Alagaesia. La regina non aveva voluto sentire ragioni.
« Oh, Nasuada, tanto valeva far regina Trianna! » chiuse gli occhi e fece avanzare il suo cavallo, costringendo la regina ad aumentare il passo. Appena la raggiunse, le chiese la sua soluzione che non tardò ad arrivare « Manda me »
« Te? »
« Si, me. Voglio tornare nella foresta degli elfi… devo incontrare Kamensal Asead Manela Jinau – Elda, è da tempo che non parlo con lui » disse l’intero nome senza respirare e alla fine emise un flebile sospiro. Nasuada non aveva mai sentito nominare una persona del genere ma pensò che si trattasse di un elfo anche se aveva dei dubbi. Riusciva difficilmente a distinguere tra ciò che c’era di vero nelle sue frasi e ciò che c’era di falso « O detto Asak, per gli amici… o almeno per me »
« Non saprei… si, certo tu passeresti inosservata »
Rimbeccò subito lei « Sicuramente più di due zucconi »
« Si, sicuramente più di Murtagh e Castigo…» mormorò piano, riflettendo. Non sapeva se poteva resistere giorni senza di lei. Era diventata un’ottima guardia del corpo, anche se non l’aveva mai chiamata così. Aveva capito almeno una cosa di Angela: non sopportava “appartenere” a qualcuno. Non sopportava essere associata a qualcuno. Inoltre, odiava che le si domandasse dove andava e così Nasuada aveva imparato – a sue spese – che il posto dove Angela andava quando spariva per alcuni giorni, era segreto.
« E io cosa ho detto? » subito dopo tacque, in attesa della risposta di Nasuada.
Infine, disse, sottovoce « Va bene, ma ti accompagnerà qualcuno »
« No »
« Angela, puoi andare, ma alle mie condizioni » odiava imporre la sua volontà, ma la situazione stava diventando davvero troppo drastica « Ti accompagnerà Dormand »
Aguzzò l’udito e ripeté « Dormand »
« Era amico di Brom, ha preso parte all’ultima battaglia e si sta facendo strada, voglio sapere se può cavarsela in una situazione così  »
« Tu hai la mania di mettere alla prova la gente »
« Io ho la mania di non fidarmi subito della gente, Angela, vorrei che te lo ricordassi » il tono autoritario non spaventò affatto l’indovina, che replicò, fredda « Se non ti fidi, manda solo Dormand »
« E’ proprio che mi fido che ti affianco Dormand » si fece improvvisamente più calma « So che posso fidarmi del tuo giudizio, saprai ben capace di riferirmi tutto ciò che fa nei minimi dettagli »
« Hai anche la mania di persuadere, Nasuada… e va bene, presentami quell’uomo e vedremo che si può fare »
Si morse le labbra e aggiunse « Un’altra cosa… tu sai cosa significa quella runa? » accennò al boschetto appena lasciato e ritornò a guardare avanti ma non ottenne nessuna informazione perché l’indovina scosse la testa, sconsolata per la prima volta « So che significa qualcosa… l’ho già vista » aveva un ricordo confuso, una grotta vicino al mare, ma le parve impossibile, lei non era mai stata vicino al mare. Cosa stava tentando di ricordare?



N.d.A. Hmhm, hello! Non sono morta, non ancora! Prima di tutto, vorrei provi le mie scuse per l'attesa D: E' stato un mesetto pieno di catastrofi e non ho potuto scrivere e aggiornare. Quindi, mi scuso anche con le persone che aspettano la mia recensione, sto cercando di recuperare tutte le storie che seguo ma è un lavoro difficile u.u Comunque, ecco qui il sesto capitolo! Ancora una volta, sono passata ad altri personaggi, lasciando Arya in balia dei nemici ( causando anche parecchia felicità tra alcuni lettori ) e ho ritrovato Nasuada e Angela ( un personaggio che ho sempre ammirato e stimato molto! ). Sono molto curiosa di sapere cosa che pensate, perchè credo di essere sfociata un po' nell'OOC con Angela... comunque, a voi la parola! Ci vediamo al prossimo capitolo :3
Luna

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Capitolo 7
*** Partenze ***


Angela controllò in ogni cantuccio nascosto ma aveva preso tutto. Per “tutto” intendeva solo lo stretto necessario per il viaggio: alcune delle sue erbe, un antico amuleto dall’aspetto misterioso e arcaico, un bracciale d’argento dal motivo complicato, con una pietra incastonata nel mezzo. Scostò i capelli corvini e si asciugò la fronte, sudata per aver tolto e rimesso le cose nel sacco che si sarebbe portata. Finalmente, però, aveva deciso cosa lasciare lì ed era pronta. Quel nuovo viaggio la eccitava molto e non vedeva l’ora di scoprire cosa fosse successo agli elfi. Avvertì un lieve formicolio sulle gambe coperte dai larghi pantaloni. Solembum soffiò, infastidito.
« Si può sapere perché non vieni, Solembum? » domandò, allontanandosi cautamente: da un paio di giorni il gatto era diventato stranamente intrattabile e poco disponibile « Dopotutto qui non abbiamo nulla da fare, vieni con me »
Un ringhiò poco prolungato che veniva dal fondo della gola uscì dal gatto mannaro « Ho altro da fare »
Angela, sebbene fosse un po’ restia a non partire assieme al gatto mannaro, si accontentò della spiegazione e lo salutò con un cenno della mano. Aveva imparato a non contraddire troppo Solembum, specialmente in  momenti del genere. Scese le scale e si ritrovò in un lungo corridoio che percorse tutto, per poi entrare nella stanza di Nasuada. Prima di farla entrare le guardie umane, che avevano sostituito quelle della guerra precedente, le dissero di attendere perché la regina era impegnata. All’erborista irritò parecchio quell’ordine, così bofonchiò « Non sarà un energumeno come te ad impedirmi di vedere Nasuada! » non aveva tempo da perdere, lei « Vuoi che ti trasformi in una rana? O in un rospo, ma allora non esisteresti »
L’uomo tarchiato la guardò stranito ma non la fece passare comunque « Non puoi entrare ora e non farei comunque entrare una stramba come te »
Era evidente che non conosceva affatto Angela, era uno dei nuovi acquisti della regina « Senti stupido embrione uscito dalla pancia di una scrofa, fammi entrare » si stava molto innervosendo: il tempo passava e lei doveva partire il prima possibile. Non aveva certamente bisogno di uno stupido come lui per farle perdere tempo. Nasuada doveva darle le ultime raccomandazioni per il viaggio e una lettera per la Arya, quindi non poteva certo farsi intralciare da una guardia senza cervello « O vogliamo rimanere qui tutta la giornata? »
Anche le altre guardie intervennero, per calmare Angela ma non ci fu verso, l’indovina si mise a sbraitare e ad urlare così tanto da far uscire Nasuada dalla sua stanza « Cosa sta succedendo? » Aveva un’aria stanza e gli occhi cerchiati da profonde occhiaia. Dopo aver squadrato l’ottusa guardia, fece entrare Angela nella stanza e si sedette sulla sedia in legno intarsiato accanto alla scrivania, piena di carte e mappe srotolate « Ti chiedo scusa per lui, è nuovo e ancora non sa chi deve far passare subito… da quando hanno tentato di uccidermi, sono ancora più severi »
Angela la guardò attentamente e commentò « Dovresti mangiare il latte degli scoiattoli delle isole Manaus, ti potrebbe fare bene, hai proprio una brutta cera. Un mio amico, dopo averlo bevuto, ha iniziato a camminare a testa in giù proclamando un sonetto degli elfi che non aveva mai saputo. Non mi preoccuperei troppo, però, potrei allungarlo con delle ali di libellula maculata che vive a nord della Du Weldenvarden e staresti meglio di me! »
« No, ti ringrazio di cuore, ma hai ben altro da fare » sospirò l’altra, sorridendo piano. Aveva anche gli occhi gonfi e lucidi, allora l’indovina le domandò se avesse pianto. A quelle parole, sembrò riprendere un po’ di colore e di fierezza  « Basta. Non mi sembra il momento per simili quisquilie »
Leggermente impettita, Angela si sedette accanto alla regina, spostando la seda e le altre carte ammucchiate e spiegazzate. Con estrema serietà, le consegnò una lettera sigillata « Questa è per Arya, non perderla d’occhio per nessuna ragione » Si mise la missiva tra le pieghe del vestito, nascosta tra il petto e l’abito, poi Nasuada continuò a parlare « Le provviste per il viaggio sono sul cavallo, dammi tue notizie ogni due giorni, appena tramonta il sole, non aspettare. A occhio e croce dovresti metterci quattro giorni… » la guardò fissa negli occhi « sicura di non volere qualcuno accanto a te? Sarei più tranquilla io e tu correresti meno rischi »
« No »
« Potrebbe venire Trianna! » insistette ancora una volta Nasuada ma non ci fu verso, Angela voleva partire da sola. Scesero nella scuderia, seguite dalle guardie vigili e salì in groppa ad un destriero anonimo baio.
« Chiama Elva » propose Angela, poco prima di far partire il cavallo « Ti aiuterà lei mentre io non ci sono »
Nasuada negò con la testa, preoccupata « E’ scomparsa » Aveva dimenticato di dire all’indovina quello che era successo in quei giorni.
« Scomparsa? »
« Si… mi è passato per la testa… da un paio di giorni… la donna che l’aiutava è stata trovata assassinata nella casa che le avevo dato… » era visibilmente scossa da quell’evento, ma tentò di non farlo troppo vedere. Purtroppo, però, Angela rimase ancora più sconvolta di lei e chiese che provvedimenti aveva preso al riguardo « Nulla »
« Nulla? »
« Nulla »
Ad Angela parve molto strano, ma le parole di Nasuada si tradivano da sole. Aveva avuto una qualche missione anche per Elva, sicuramente, e non voleva farlo sapere in giro « Riguardati, Nasuada » proferì quelle poche parole senza crederci troppo e lanciò il destriero al galoppo.


N.d.A. Ecco ancora una volta Angela, un personaggio parecchio complesso! Metto questo capitolo anche per augurarvi Buona Pasqua :D Fatemi sapere cosa ne pensate :3 A presto!
Luna

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Capitolo 8
*** Kamensal ***


L’indovina fece fermare il cavallo in una radura completamente deserta, neppure gli animali ci passavano. Ciò la preoccupava parecchio perché più si avvicinava alla Du Weldenvarden più notava quella solitudine. Non era affatto normale, specialmente vicino alla foresta degli elfi, da sempre interessati e amici degli animali, tranne dei rospi, ovviamente. Quella desolazione le metteva anche molta ansia addosso, sembrava che da qualche parte ci fosse un nemico pronto ad attaccare. Si guardò intorno con circospezione ma non trovò null’altro di anomalo, così inizio a raccogliere alcune erbe che le sarebbero servite durante l’ultima parte del viaggio. In fin dei conti non doveva mancare molto, forse ancora un giorno. Non vedeva l’ora di scoprire cosa stava succedendo. La situazione generale era diventata drastica e il nemico sconosciuto che agiva nell’ombra la inquietava. Il popolo di Alagaesia lo chiamava Sesat, era un antichissimo nome delle leggende che indicava appunto qualcosa di sconosciuto di cui avere paura. In realtà, Angela aveva la sensazione che si trattasse di qualcosa di più mistico, qualcosa di più astratto e mirato a distruggere tutto. Quella runa sul corpo del soldato significava certamente qualcosa e Angela sapeva a chi chiedere ma era un problema secondario. Prima di tutto, doveva contattare Arya. Era anche vero, però, che gli elfi se la potevano cavare da soli. Forse quella runa era un messaggio, un avvertimento e loro lo stavano ignorando.
« Yamè » Era proprio la sua voce? « Stavo inseguendo un rospo e ho sentito un cavallo. Sapevo che eri tu »
Si, era decisamente lui « Sai che i rospi non esistono. Era una rana » Si volto e lo vide. Era uno strano elfo con tratti umani. Per certi aspetti assomigliava ad Eragon, ma Kamensal aveva più tratti elfici rispetto al cavaliere. Le orecchie a punta erano molto accentuate, così come il naso all’insù che regnava sul viso chiaro dell’elfo. I capelli spettinati erano ricci e disordinati, cosa inusuale per un elfo. Gli occhi azzurri si muovevano velocemente per osservare tutto ciò che gli stava intorno, senza fermarsi un momento.  Indossava abiti spartani per combattere, infatti portava una spada abbastanza lunga e un pugnale dall’altro lato della cintura. Fece scivolare le mani pallide su un rametto accanto a lui che si trasformò in un fiore strano, tutto azzurro con strisce bianche e blu. Lo porse con un movimento sicuro all’erborista, che lo guardò impettita.
« Yamè » ripetè l’elfo, osservando il fiore poi Angela « E’ un nome che ti si addice »
Angela prese il fiore con mano incerta e guardò fisso negli occhi la persona che era appena apparsa « Che non mi è mai piaciuto »
La risata dell’elfo risuonò cristallina nella radura e si buttò a terra, porgendo la mano all’indovina che però non la prese, preferendo rimanere in piedi « A me piace. Sei tu. E’ quel fiore. Siamo noi. Yamè è tutto e niente » mentre diceva questo, il suo sguardo diventò serio all’improvviso « So perché sei qui »
« Non è per una visita di piacere, Kamensal »
Le sopracciglia sottili dell’elfo si inarcarono « E’ una battaglia persa. Non farlo » Come Angela aveva ipotizzato, il suo vecchio amico sapeva qualcosa di vitale importanza sulla faccenda. Non si sorprese, era sempre stato così. In effetti le dava anche un po’ fastidio perché aveva una reputazione di indovina ed erborista da difendere.
« Cos’è successo? »
« Rinchiusi. Presi. Indifferenti » quelle tre parole fecero rabbrividire Angela « Non si sono accorti di nulla ma non possono uscire da una sfera invisibile che si è formata attorno alla foresta. Arya è stata ferita ma hanno imputato i suoi lividi ad una caduta dal suo drago. Non è così. Ha combattuto ed ha perso. E’ incosciente da qualche giorno e il suo drago è appollaiato su un ramo, come se aspettasse qualcosa »
« Non capisco »
Kamensal tentò di essere più esplicito « Li hanno tagliati fuori, Yamè. Non vi possono aiutare. Non sanno nemmeno di essere prigionieri, almeno finchè Arya non si risveglierà, ma anche allora, sarà troppo tardi »
Angela assunse un’aria più preoccupata del solito « Perché? »
L’elfo si alzò in piedi « La cappa che li rinchiude si nutre di tutte le vite degli elfi. Finchè loro vivono, anche la prigione rimarrà in piedi, quando tutti gli elfi moriranno, si spezzerà »
Quella realtà frastornò l’erborista « Ci deve essere un modo »
Scosse la testa, serio in volto « No, non c’è »
« Non me lo farò dire da uno che crede nell’esistenza dei rospi. C’è solo una persona che può aiutarmi » alla fine aveva ragione, doveva tornare da Tenga. Era lui l’unico a poterle dire cosa significasse la runa e come spezzare quella prigione. Certamente non sarebbe stato facile, ma doveva farlo per Nasuada. In fin dei conti, la sua missione era quella di contattare gli elfi e poteva farlo solamente se riusciva ad entrare nella foresta e per entrare nella foresta doveva chiedere aiuto a Tenga.
Kamensal però la guardò sbigottito « Yamè, è diventato pazzo. Non puoi  andare da lui. Potrebbe non riconoscerti e i Ganad sono dovunque »
« Ganad? » era un nome quasi del tutto sconosciuto per Angela. Ricordava solamente di aver letto che si trattava di alcuni fanatici religiosi che credevano in un dio innominabile. Ma erano spariti moltissimi anni prima, secoli prima.
Il moro abbassò gli occhi poi li rialzò per continuare a fissare Angela « Penso sia ora che tu sappia ciò che ho scoperto » temporeggiò qualche secondo « Prometti che non andrai da Tenga, promettilo »
« Dimmi quello che sai »
« Fammi venire con te allora »
« Prima parla, poi deciderò »
Kamensal sospirò e si risedette a terra « Mettiti seduta e ascoltami. Ci sono troppe orecchie in questa foresta » Angela si sedette accanto a lui, pronta ad ascoltare.


N.d.A. Salve lettore che sei giunto fin qui! Lo so, non mi facevo sentire da qualche mese ma purtroppo ho avuto da fare D: Ecco un nuovo personaggio! Sarà lui a darci qualche notizia in più su Angela, assieme a Tenga, il suo maestro. Per qualche capitolo ancora, la storia si concentrerà su Angela e sul suo viaggio per scoprire cosa sta succedendo ad Alagaesia! Ora  posso concentrarmi su tutte le mie fanfiction, quindi prometto un aggiornamento sicuro entro due settimane, intanto, fammi sapere che ne pensi e alla prossima :D Un du evarínya ono varda!( Che le stelle ti proteggano! )
Luna

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Capitolo 9
*** Gana ***


piani, chiaro? » la voce di Kamensal era seria e Angela si mise ad ascoltare, nonostante inizialmente era stata un po’ scettica. Dopotutto, era difficile credere a qualcuno che credeva nell’esistenza dei rospi. Lui riportò l’attenzione a ciò che stava dicendo « Secoli fa, esisteva un tiranno, molto simile a Galbatorix ma tremendamente più spietato. Faceva continue rappresaglie nelle città, uccideva qualcuno per il semplice gusto di farlo, di possedere quella vita, di fare ciò che voleva. L’unica che si interpose tra il popolo e questo tiranno senza nome fu una ragazza, Gana. Per contrastare il potere del sovrano studiò per anni, per secoli perché essi non morivano mai. Gana riuscì infine a trovare un modo per sconfiggerlo ma solo sacrificando se stessa e tutta la popolazione, il re finalmente morì ma a caro prezzo.»
« Non credo più alle favole per bambini, Kamensal »
« Non è una favola per bambini, Yamè. Io non so i particolari di questa storia, non posso dirti di più… » si morse le labbra, come se volesse aggiungere qualcosaltro, poi chiuse la bocca, mentre metteva le redini del cavallo nelle mani dell’indovina « Gana consumò anima e corpo pere questa missione che si era imposta e arrivò alla conclusione che solo attraverso la distruzione si può creare qualcosa di diverso, di giusto, un mondo senza malvagi. Ma lei stessa era malvagia: era arrivata ad uccidere la sua stessa famiglia che voleva impedirle di combattere contro il sovrano per proteggerla. Quando finalmente trovò la giusta combinazione di magia, richiese del sangue. Tanto sangue.  Nessuno sopravvisse. Solo qualche secolo dopo arrivarono gli elfi, gli uomini e i nani » Salì in groppa al cavallo assieme ad Angela e aggiunse « Io so solo questo. Purtroppo, non so cosa vogliano i suoi seguaci che la venerano come una dea, non so come agiranno. So solo che dobbiamo andarcene da qui »
Finalmente, pensò Angela, si iniziava ad intravedere qualcosa del loro nemico. A quanto aveva capito, stavano combattendo contro una setta. A dirla tutta, però, non le sembrava qualcosa di troppo pericoloso o preoccupante, ne avevano viste di peggiori « Dove stiamo andando? »
« Ad est, a casa mia, al limite della foresta e della barriera »
« Non verrò con te » fece fermare il cavallo e senza troppe cerimonie costrinse l’amico a scendere « Io andrò da Tenga, tu tenta di capire che esistono solo le rane »
Kamensal la guardò dritto negli occhi « No. Parliamo di assassini, di folli che seguono chissà quale pazza dea. Non ti lascerò andare via »  Angela non lo ascoltò minimamente ma spronò il cavallo e lasciò il suo amico nella foresta. L’elfo si guardò attorno, con occhi attenti finché non raccolse qualche erba e si mise in cammino verso casa. La storia che aveva raccontato ad Angela era completamente vera, aveva però omesso di dirle che, da qualche parte, ignaro della propria origine, viveva uun discendente di Gana e, forse proprio in quel momento, la setta lo stava cercando con l’unico modo possibile per trovarlo.




N.d.A. AHAHAHAH. Ok, che schifezza che ho scritto questa volta, davvero. Non penso di aver mai scritto un capitolo così brutto :D In ogni caso, finalmente, qualche dubbio viene scacciato per far posto ad altri. Nel prossimo capitolo sarò ancora più esauriente, perchè introdurrò il personaggio di Tenga. Fatemi sapere cosa ne pensate <3

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Capitolo 10
*** Risveglio ***


Eragon si buttò sul letto, sfinito. Finalmente, dopo parecchi giorni e notti insonni era riuscito a recidere il flusso di magia che si stava esaurendo così come la vita di Murtagh. Era ancora troppo presto per dormire sonni tranquilli anche perché ancora non si era svegliato ma almeno la sua vita non dipendeva più dalla magia che lo stava uccidendo. Saphira si fece largo tra i suoi pensieri e lo avvertì che lei, Castigo e il cucciolo di drago sarebbero andati a caccia. Per Eragon fu una buona notizia perché aveva bisogno di schiarirsi i pensieri e rimanere da solo. Non sapeva ancora nulla di ciò che aveva ridotto Murtagh in quel modo e ciò lo turbava profondamente. Proprio quando stava per addormentarsi, Blodhgarm lo scosse, mettendogli una mano sulla spalla. Da quando vivevano tutti assieme, erano riuscito ad instaurare un rapporto abbastanza buono con l’elfo, tale da farsi anche toccare e svegliare da lui « Sta meglio, si è svegliato » tirò un sospiro di sollievo e si buttò giù dal letto, giù dalle scale, fino ad arrivare nella stanza spaziosa e ben curata dove avevano alloggiato Murtagh. Appena lo vide, non ci fu bisogno di parole affinché gli elfi uscissero. Era sveglio ma aveva gli occhi chiusi. Si avvicinò a lui e bastò un solo passo per far aprire gli occhi al Cavaliere.
« Fratello » a stento riuscì a sentire la parola appena sussurrata da Murtagh ma quando riuscì a coglierne il senso, provò l’istinto di abbracciarlo ma non lo fece, le ferite erano ancora troppo recenti e ancora pericolose « Castigo sta… »
« E’ con Saphira, sta bene » si mordicchiò le labbra, indeciso. Era curioso di sapere ciò che era successo ma non voleva far sforzare troppo il fratello « Murtagh… che cosa sta succedendo? »
Lo sguardo di Murtagh si fece improvvisamente serio e disse, con il pochissimo fiato che aveva nei polmoni « La situazione è disperata, Eragon. Strani omicidi, tentati omicidi contro Nasuada, avvelenamenti, misteriosi crimini, gli elfi non rispondono. Stiamo per soccombere » in un ultimo, breve, rantolo, mormorò « Mi hanno attaccato, erano uomini ma… correvano veloci e sapevano usare la… magia » perse i sensi, ma Eragon non se ne preoccupò, considerando le ferite e le contusioni varie. Era già tanto che si fosse ristabilito così in fretta, non poteva desiderare di più. Uscì dalla stanza senza nemmeno rivolgersi agli elfi e si recò da solo nella foresta. Appena arrivò in una pianura, sgombra da alberi e cespugli, si sedette giusto nel centro. Sebbene Oromis non fosse lì a dirgli di farlo, aveva conservato quel abitudine. Liberò la mente da ogni pensiero e si concentrò unicamente su ciò che c’era attorno a lui. Quando le sue riflessioni terminarono, si concentrò sulle domande che lo assalivano. C’era un modo per tornare? Angela si sbagliava? Eppure, da quando la conosceva, non aveva mai fallito le sue predizioni, anzi, si erano avverate una dopo l’altra. Ma ci doveva essere un modo per tornare ad Alagaesia dopotutto, se Murtagh era arrivato, Eragon poteva andarsene. Tentava di convincersene ma le parole dell’indovina risuonavano nella sua testa più duramente che mai. Involontariamente, la colpa era di Murtagh, gli aveva dato una speranza, gli aveva riaperto la ferita causata dalla nostalgia, dal distacco, dalla sicurezza di non rivedere né lui né Roran né Nasuada. Ma qualsiasi cosa sarebbe successa, era il momento di pulire la spada anche se non ne aveva il bisogno. La estrasse dal fodero, scintillante e blu come il mare, e iniziò a passarla con un panno. Avanti e indietro, avanti e indietro. Quel gesto ripetitivo lo rassicurò e donò altra pace al suo cervello, dopo la riflessione in mezzo alla natura.  Per un’ora buona, nessuno venne a cercarlo. Fu Saphira la prima a richiamare la sua attenzione.
« Eragon »
« Si? » domandò, alzandosi in piedi istintivamente.
Sentì l’aria smossa dalle gigantesche ali di Saphira. Era incredibile quant’era cresciuta in così poco tempo « Murtagh vuole parlarti, corri, prima che sia di nuovo incosciente »
Eragon non se lo fece ripetere due volte e fortunatamente arrivò in tempo, una decina di minuti prima che Murtagh si riaddormentasse « Poco dopo che sei partito, degli strani attacchi ci hanno spaventati. Erano inquietanti » marcò molto su questo termine « poi, assassini, omicidi senza alcun nesso, senza alcuna logica, sparizioni insipiegabili. Infine, hanno anche tentato di uccidere Nasuada ma non ci sono riusciti per puro caso. Non si sa chi si cela nell’ombra. Alcuni sostengono che sia ancora il vecchio Galbatorix ma non è possibile. E’ morto e non tornerà indietro, lo sappiamo bene. Quando abbiamo deciso di venire a cercare il tuo aiuto, eravamo davvero disperati. Quando però sono arrivato al punto più ad est del desrto di Hadarac, sono stato attaccato da alcuni uomini ma non erano tali. Correvano più veloci di elfi, usavano la magia meglio di te e me messi assieme, sembravano quasi creature ultraterrene. Non ho mai visto nessuno maneggiare la spada in quel modo… devi tornare, Eragon… » guardò fuori dalla finestra, prima di socchiudere gli occhi, sfinito.
Lo sguardo di Eragon si spostò da lui alla finestra. Era davvero l’ora di tornare.




N.d.A. Eccoci giunti. Lo so, per l'ennesima volta ho cambiato personaggio ma troppi mi stavano chiedendo che fine avesse fatto Murtagh ( non vi preoccupate, non lo farò morire :D Lo aaaamo troppo <3 ). In ogni caso, se mi volete lasciare una recensione, mi fa molto piacere! Anche se purtroppo, io parto per una decina di giorni, quindi non vi risponderò subito!
A presto!
Luna

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