We're not the ones who meant to follow. di DK in a Madow (/viewuser.php?uid=152458)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm a son of a gun. ***
Capitolo 2: *** How do you get your sleep at night? ***
Capitolo 3: *** I got a rock'n roll life. ***
Capitolo 4: *** My future's aim... ***
Capitolo 5: *** While I'm young and while I'm able all I wanna do is... ***
Capitolo 6: *** I think I can do Who. ***
Capitolo 7: *** Walkin' shooting stars across the earth. ***
Capitolo 8: *** Here comes the rain again. ***
Capitolo 9: *** I'm thinking...where'd you go? ***
Capitolo 10: *** So get off of my case. ***
Capitolo 11: *** In the end. ***
Capitolo 1 *** I'm a son of a gun. ***
I’m a son of a gun.
23.50
I denti stretti, il
controllo concentrato sui nervi per quanto mi è possibile
mentre a fatica mi
sistemo sul sedile anteriore dell’auto.
23.53
Cazzo! Vedo il tempo
scorrere veloce sull’orologio al polso di mio marito alla
guida. Cerco di
mantenere ancora una volta la calma, ma questa mi sfugge dal corpo,
mentre
sento scorrere caldo il sangue tra le gambe. Mi è
impossibile non urlare.
-Tesoro, siamo quasi
arrivati. Respira, resisti!
La voce di mio marito è
flebile tra le mie urla, mentre parcheggia velocemente e, come se fossi
di
piuma, mi prende in braccio, sporcando il cappotto pesante e portandomi
in
pronto soccorso.
- Hey voi! Aiutatemi! Mia
moglie sta partorendo, cazzo!
Qualcuno ha risposto, ma
per me non c’è altro che il dolore. Mio figlio si
fa strada fuori di me ed io
non riesco a pensare a lui. Sento che mi hanno stesa su una barella, le
gambe
vestite solo di sangue, spalancate davanti al dottore.
- Amore, spingi! Forza!
-NON CE LA FACCIO!
-Signora spinga, la testa
è uscita!
Cerco di trovare la forza
in quelle poche parole. “La testa è
uscita!”.
Mio figlio!
Solo ora realizzo la cosa
e con tutta l’energia che riesco a trovare in corpo, urlo al
mondo che mio
figlio sta nascendo e le mie urla si confondono con le sue.
- Amore mio è fatta!
È
fatta finalmente!!
- Signora suo figlio è
nato! È un maschietto! Complimenti!
Sorrido fra le lacrime,
girando la testa per cercare lo sguardo di mio marito. Lo trovo,
commosso come
mai lo era stato, raggiante di gioia.
-Tesoro, sei stata forte,
davvero!- dice, stampandomi un bacio a fior di labbra, delicato come
sempre.
-Ti amo- la mia voce è
un
soffio.
Mio marito stava per
rispondermi, quando il dottore lo interrompe: - Signore, vuol prendere
lei il
nuovo arrivato?
-Certo! Datemi il mio campione!
E’ l’entusiasmo
fatto
persona, mentre allarga le braccia enormi per accogliere un fagottino
avvolto
in un asciugamano azzurrino.
-Signora, lei ha un
bisogno urgente d’esser medicata. Mi dispiace,
vedrà suo figlio appena avremo
finito.
-Cosa? D-dove la
portate??- il panico nella voce di mio marito, mentre io venivo
spostata a
bordo della barella.
-Signore, stia tranquillo.
E’ solo un’operazione di routine.- cercava di
rincuorare il dottore.
-E va bene, va bene! Fate
presto!
-Sarà fatto …
signor??
-Armstrong.
-Armstrong, le riporto sua
moglie tra pochi minuti!
E quelle furono le ultime
parole che io ascoltai prima di entrare in una stanza del reparto di
ginecologia dell’Ospedale di Oakland.
Mi volto lento verso
l’orologio del corridoio del reparto di ginecologia, dove mia
moglie riceve le
medicazioni post-parto.
00.15
Solo cinque minuti fa ero
in pronto soccorso. E’ stato un parto veloce, ma lei ha
sofferto molto.
Eppure, se potesse avere
ora tra le mani la meraviglia che ho io tra le mie, qualunque traccia
del
dolore svanirebbe. Un ometto, il mio
“piccolo-senza-nome”. Chissà a cosa
avrà
pensato lei? Non m’importa. Qualunque sarà il nome
di questo piccolo dalle
guance tonde e pallide, sarà un nome degno di lui,
dell’eccezionalità che porta
in sé. Lo avverto nel suo respiro lento, l’ho
avvertito prima nel suo urlo
acuto pieno di vita, lo sento, proprio sotto la mia mano tremante, nel
suo
cuore che batte sereno, il suo petto una scatolina piccola e fragile.
Dorme.
Il mio
“piccolo-senza-nome”.
-Signor Armstrong? Può
andare da sua moglie!
-Arrivo!
Lentamente entrai nella
stanza candida come la neve e lei, il mio amore, era distesa su un
letto.
Pallida, ma felice.
-Hey voi due! Vi divertite
senza di me, vero??
-Ma non dire stronzate,
vero mamma?- dissi, guardando quel piccoletto addormentato.
Lei ride, la voce roca. Le
porgo suo figlio, con la delicatezza che si potrebbe avere con un
foglio di
carta velina.
-Hey piccolo! Benvenuto!
Sono la tua mamma!
-Grande donna, posso
assicurartelo!
-Haha, smettila di fare
l’idiota Armstrong! Non è mica la prima volta che
diventi padre!
-Lo so! Ma quel piccoletto
mi ha conquistato. Ha qualcosa di … diverso!
Lei torna a guardare il
“piccolo-senza-nome”, probabilmente riflettendo
sulle mie parole. Sorride,
incantata, come lo ero io pochi minuti prima!
-Amore, ma … che ore
sono?
-Mezzanotte e venti,
perché??
- Quindi è nato a
mezzanotte?
- Minuto più, minuto
meno.
Di nuovo silenzio. La vedo
mentre fissa quel piccolino, quel concentrato di amore catapultato
nella nostra
vita pochi minuti prima! Un tesoro, grande più di qualunque
cosa! Lei sorride
e, con occhi lucidi, pronuncia: -17 febbraio 1972. Billie Joe Armstrong
è
venuto a render speciale questa famiglia!-
Rimasi a bocca aperta.
Billie Joe?
-Che diavolo di nome è?
Vuoi dire William Joseph, vero?
-No! Billie Joe. Un po’
come Billy Joel!
-Ma … - non sapevo che
dire. Non c’erano parole. D’altronde non
m’importa molto, ora che il piccolo
Billie Joe si è svegliato e cerca affamato il seno della
madre.
-Andy, guardalo, ha già
fame!
Secondo me ha preso da te!
-Hey, cosa vorresti dire
Ollie?- dico sorridendo.
-È speciale, come te!
Non posso resistere a
queste parole. La felicità è troppa da contenere
e decido di inciderla sulle
labbra asciutte di mia moglie, mentre con una mano accarezzo la fronte
a Billie
Joe.
Il
nostro piccolo miracolo.
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Capitolo 2 *** How do you get your sleep at night? ***
How do you get your sleep at
night?
Gli occhi si aprirono
all'improvviso. Un dolore atroce, proprio sotto l'ombelico,
come se l'inferno si fosse aperto sotto il tuo letto. Era notte fonda.
Peggio
di qualunque droga sparata in vena, anzi, magari quella dopo un po' ti
faceva
dormire. Quello che provavi, invece, sembrava una lunga discesa verso
l'inferno.
Le doglie erano iniziate.
Con la poca forza che ti rimaneva
nelle gambe doloranti, provasti ad
alzarti, ma inciampasti nel vuoto, sbattendo contro il muro. Anche quel
giorno
eri completamente fatta. Lentamente ti trascinasti lungo la tua stanza,
afferrasti il telefono e facesti il numero dell'ospedale.
-Pronto, ospedale di Rodeo, mi dica.
-Aiutatemi...aiutatemi vi
prego...s-sto partorendo.
-Signora dove si trova?
-Quattordicesima ad ovest, numero
quattro.
-Arriviamo subito.
-FATE PRESTO!!!
Cadde la linea. Eri da sola in
casa, abbandonata a te stessa. Rotolasti sul
pavimento, stesa sulla schiena. Inchiodata al suolo dal dolore.
Provasti a
respirare, ma era del tutto impossibile a causa dell'eroina. Stupida.
Stronza.
Non ti bastava rovinare la tua vita, ma anche quella della creatura che
ti
portavi in corpo.
Un'altra ondata di dolore,
più forte delle prime.
Quando cazzo arriva l'ambulanza??
Per il dolore, per la frustrazione,
i sensi di colpa e la disperazione
URLASTI. Con tutto il fiato che avevi in gola. Sentivi il sangue
scorrere
bollente fuori dal tuo corpo, un fiume in piena. Avresti voluto morire,
eppure
proprio sotto il tuo ventre c'era qualcuno che lottava per vivere.
Ad un tratto sentisti un suono
sordo, proprio fuori dalla finestra. Una
luce bluastra.
-SONO QUI!!! AIUTATEMI!!! SONO
QUI!!!
Un rumore secco, la porta era
spalancata.
-Eccoci signora.
-Aiutatemi, vi prego!
Tu, che non avevi mai pregato
nessuno, a meno che non si trattasse di
eroina. Tu che per la prima volta piangevi da quando avevi scoperto di
portare
una creatura in grembo. Diventavi madre, eppure era di te che
t'importava. Volevi
che cessasse il dolore.
-Signora, la testa è
già uscita, cerchi di spingere.
La testa? Ah si, quel mostro sta
uscendo fuori. Raccogliesti un po' di
forze e spingesti, cacciandoti il cuore in gola e sparando le tue urla
fuori
dalla bocca e dal petto.
Ad un tratto, un suono squillante.
Come un gatto che sta per essere
strozzato.
-Signora, suo figlio è
nato. E' un bel bambino! Sta bene!
-Chi?...-Non sapevi nemmeno dove
fossi.
-Eccolo guardi!
I tuoi occhi riuscirono a delineare
una specie di bambino completamente
sporco di sangue che piangeva.
Prima di crollare nell'abisso,
decidesti di fare la cosa più sensata della
tua vita.
-Salvatelo, prendetevi cura di lui.
Io non ne sono capace...
-Signora non si preoccupi, appena
sarà in ospedale potrà occuparsi di su...
-HO DETTO PRENDETEVI CURA DI LUI!
Un'eroinomane non può fare
da...da...."
Giù, in un sonno profondo
I tuoi occhi si aprirono,
dolcemente. Una luce bianca inondò il tuo viso.
Un letto morbido, caldo, che sapeva di pulito.
Avevi degli aghi al braccio, ma non
di quelli che usi tu.
Realizzasti di essere in ospedale.
Voltasti la testa. Un'infermiera.
-Signorina, che ci faccio qui?
-Signora, ha partorito circa otto
ore fa, ricorda?
Pensasti. Sangue. Dolore. Ti veniva
da vomitare.
-Si, mi ricordo. Dov'è?
-E' nel nido, insieme ad altri
bambini.
-Posso vederlo?
-Certo. Però signora la
devo avvertire. Dalle sue analisi è risultato che
fa uso di droghe. Abbiamo presentato i risultati al tribunale dei
minori. Suo
figlio sarà affidato con urgenza ad una famiglia idonea a
curarsi di lui.
Non replicasti, avevi capito. Ed
era meglio così.
Lentamente ti trascinasti nel
corridoio. Al termine vi era il nido.
Guardasti. Tra i tanti, c'era un fagottino con le mani chiuse a pugno,
incollate al visino. La testolina sembrava d'oro. Aveva i capelli di
suo padre.
Era l'unico a non avere un cartellino azzurro posto sulla culla. Non
aveva
ancora un nome.
"Michael!"
Lacrime di ghiaccio strisciarono
sul tuo viso. La vergogna ti mangiava il
cuore. Voltasti le spalle a quello spettacolo così bello, ma
così
insopportabile per i tuoi occhi. Quella fu l'ultima volta che vedesti
tuo
figlio. Alzasti lo sguardo sul corridoio; di fronte stava per
raggiungerti un
dottore.
-Signora, le avranno già
dett...
-Si
-Però non ha ancora un
nome.
-Chiamatelo Michael! Michael Ryan!
Il giorno dopo, uscendo
dall'ospedale, t'informarono dell'adozione del tuo
bambino. Era al sicuro, lontano da te. Quel giorno il sole splendeva
raggiante
sulla California. Era maggio e la primavera iniziava a farsi sentire.
Senza
fiatare, andasti dritta per la tua strada, continuando lentamente la
tua
discesa all'inferno.
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Capitolo 3 *** I got a rock'n roll life. ***
I
got a rock’n roll life.
Viaggiavo tra le montagne al
confine tra Svizzera e Germania. La neve aveva
ormai ricoperto quelle cime spigolose che, alla debole luce del
tramonto,
avevano assunto delle sfumature rosa pallido. Ricordavo ancora la prima
volta
che sono arrivato in Germania, appena tornato dalla guerra in Vietnam.
Non
volevo ricordare la morte, il cielo che ho attraversato,
quell’aereo che puzzava
di benzina. Volevo una famiglia, una casa, un lavoro onesto e pulito.
Nient’altro.
Tornavo in quella casa dopo tre
mesi che ero in giro per lavoro, a zonzo
tra l’Italia e la Francia. Tornavo dalla mia famiglia, da mia
moglie, incinta
per la seconda volta, e dalla piccola Lori. Chissà se
sarebbe stato un
maschietto? Lo desideravo da tempo ad esser sincero!
All’arrivo mancava solo
mezz’ora e finalmente avrei riabbracciato tutti e avrei fatto
in tempo per
veder nascere il nuovo arrivato!
Mi fermai un attimo in un
autogrill; avevo sete, così scesi dall’auto e
chiesi al grassone dietro il bancone di darmi una birra e un gettone
per
telefonare a casa. Volevo che sapessero che stavo arrivando. Composi il
numero.
-Pronto?
La voce non mi era nuova, ma non la
riconobbi.
-Sono Frank! Tu chi sei?
- Zio!!! Sono Bex!
- Hey Bex! Dolcezza, passami la zia!
- Ma, la zia è in
ospedale! Le si sono rotte le acque!
- Cosa??
- Si, zio sbrigati! Lori
è andata con lei e mia mamma!
Riattaccai velocemente,
abbandonando la birra sul primo tavolino che trovai
davanti a me, prima di fiondarmi fuori per poi accendere con mano
ansiosa la
mia auto. Nemmeno sul mio aereo ero stato così veloce.
Langen, Dreieich, Neu Isenburg. Le
città e i loro nomi bruciavano via sotto
le gomme. Mio figlio nasceva ed io ero ancora troppo lontano. Calde
lacrime
percorsero le guance e la frustrazione scandiva i battiti del mio
cuore. Poi,
finalmente, Francoforte si dipinse di fronte a me, bianca di neve e
rossa di
luci natalizie che già decoravano le facciate delle case.
Nel giro di cinque
minuti mi ritrovai davanti all’entrata
dell’ospedale, a tentar di masticare il
tedesco come meglio potevo per saper dove si trovava il reparto di
ginecologia.
Appena entrato nel corridoio del
reparto vidi una piccoletta bionda che
stava di fronte al vetro che mostrava le culle del nido, dove bambini e
bambine
venivano accuditi nei primi giorni di vita.
- LORI!
- Papà!!!
La piccoletta dai boccoli dorati mi
saltò in braccio, mentre col ditino
indicava il nido.
- E’ lì!
Riesci a vedere papino?? È proprio davanti a tutti!
Seguendo il consiglio di Lori, mi
affacciai sul vetro dove un’esserino
dalle guancie rosa dormiva beatamente. Guardai con attenzione e mi
accorsi che
molto probabilmente era una femminuccia, con dei piccoli boccoli biondi
come la
sorella, le labbra a forma di cuore e gli occhi dal taglio elegante.
- Hai visto
com’è bello il mio fratellino??
La voce acuta di Lori mi
riportò alla realtà. Fratellino?
- Hai detto fratellino??
- Si, e ha il tuo nome, Frank!
Fu una voce più calda a
rispondermi. Mi voltai e vidi mia moglie in una
vestaglia rossa, i capelli raccolti in una coda e un sorriso raggiante
stampato
sulle labbra. Feci scendere Lori dalle mie braccia e andai a grandi
passi verso
mia moglie, abbracciandola forte.
- Hai detto davvero? Si chiama come
me?
- Si – Mi prese per mano
e mi portò di nuovo di fronte al vetro – Lui
è
Frank Edwin Wright III.
Frank, il mio desiderio si era
avverato. Lo vedevo arruffare il naso nel
sonno e muovere i piedini sotto la coperta. Il mio cuore traboccava di
gioia,
mentre abbracciavo le donne più importanti della mia vita.
Improvvisamente, la
porta del nido si aprì e ne uscì una donna,
probabilmente l’ostetrica, che
aveva un’aria stanca ed infastidita. Tentai di parlarle.
- Scusi, signora, potrei prendere
mio figlio?
- Signorina. Comunque si, qual
è?
- Frank Edwin.
- Oh, ho capito. Ho messo un secolo
a farlo dormire! Vi darà del filo da
torcere, sa?
- Ho affrontato di peggio
– risposi freddo, mentre lei rientrava per
prendere il piccolo Frank e usciva di nuovo portandolo tra le braccia.
Appena
me lo porse, lui si svegliò, svelando degli occhi blu
intenso, ma ancora ciechi
e velati. Anche da sveglio, però, non aveva perso la sua
tenerezza e ancora mi
chiedevo perché quella zitella infastidita
l’avesse descritto come una peste.
- Ciao Frank! Io sono il tuo
papà.
- Papà, posso prenderlo
in braccio?? – chiese Lori con voce squillante.
- Per ora no Lori, ma ti prometto
che appena torniamo a casa lo tieni per
tutto il tempo che vuoi!
Lei annuì
silenziosamente, mentre Frank continuava a fissare il vuoto con
quegli occhietti appannati e due labbra calde mi posavano un bacio sul
collo.
Il profumo di mia moglie invase le mie narici e le sue braccia si
strinsero
intorno a me come una cinghia.
Quella è
felicità.
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Capitolo 4 *** My future's aim... ***
My
future's aim...
16 Febbraio 1990.
Grattavo nervosamente la matita su
un foglio che avrebbe dovuto ricevere la
sua dose di appunti sulla rivoluzione francese, ma in quel momento mi
era
persino difficile capire dove fosse la Francia.
“A
meno che un giorno non ci sarei
andato per fare un concerto … o per baciarla sotto la Tour
Eiffel!”
- Sogna – sussurrai a me
stesso, mentre l’ennesimo nome andava a colmare
quel foglio dilaniato.
AMANDA.
Un sorriso ebete si
affacciò sulla mia faccia arrossata, mentre i suoi
occhi si dipingevano nella mia mente.
- Signor Armstrong!
- Che vuoi?
- Mi chiedevo se la sua
maleducazione potesse aiutarla a dirmi quando
avvenne la presa della Bastiglia, dato che l’ho appena
spiegato.
- Non credo che la mia
maleducazione sia interessata a questo genere di
cose – risposi, continuando a fissare il foglio.
- Ah no? E a cosa allora?
- Lo so io professore! A fare
concertini nei garage puzzolenti con davanti
tre persone ubriache.
Rickie parlò.
Quell’idiota figlio di papà mi stava sul cazzo
peggio di
qualunque professore. Era dal primo anno che sfotteva, ma a quanto pare
le
parole con lui non servivano, anche se non gli avrei mai dato la
soddisfazione
di picchiarlo nonostante l’idea di farlo fosse allettante.
- Mash, non metterti anche tu a dar
fastidio – risposi con tutta la calma
che potevo, troppa per quel coglione presuntuoso.
- Uh, si, dimenticavo Shakespeare
probabilmente è impegnato a scrivere per la sua
Amanda!
Tutto, ma non lei!
- Hey, amico! Ti rode tanto il culo
perché io scopo e tu sei lì a spaccarti
di seghe?
- Che cosa hai detto?
- Signor Armstrong, questo
è troppo! Io la sospendo di nuovo e vado a
chiamare il preside!
-Oh si, mi faccia questo favore, la
prego! – risposi io cantilenando,
mentre quella sottospecie di professore usciva dall’aula,
completamente fuori
di sé.
- Senti coglione cantastorie, vedi
di controllarti prima che io ti apra il
culo più di quanto non faccia già quel frocio del
tuo amico!
Preferì non rispondere,
quando l’avrei raccontato a Mike ci avrebbe pensato
lui e la cosa mi provocò una risata fragorosa.
- Tu sei tutto idiota! Ti sei
fumato anche il cervello.
- Tu invece non puoi fumarti un
cazzo perché se mammina viene a saperlo non
ti fa uscire per un mese, vero?
- Invece tu sei tanto sfigato che
secondo me tuo padre si sta rivoltando
nella tomba!
A quelle parole, i miei occhi
divennero ciechi, o più probabilmente stavano
sanguinando perché vedevo rosso. All’improvviso mi
sentì stanco, i nervi a
pezzi, mi mancava la forza per reagire.
Billie,
tu sei forte!
L’eco di quella voce
rimbombò nella mia testa svuotata dal dolore. La voce
dei ricordi cercava di parlare, mentre intorno a me le risate acute di
una
ventina di bastardi pungevano il cuore.
-Ma la vuoi smettere?
Una voce isterica, mai sentita
prima, mi riportò in classe. Mi voltai e
vidi dietro di me Frances, la secchiona della classe, in piedi e rossa
in viso.
- E tu che vuoi cesso? Lo difendi?
Tanto nemmeno uno sfigato come lui ti
vorrebbe. Risparmiati la scenata.
- Invece tu sei talmente uomo che
l’unica donna che riesci ad amare è tua
madre! - silenzio intorno, ma lei continuò: - Io non parlo
mai, ma ora sono
davvero stufa! Ma credi davvero che i tuoi soldi bastino a comprarti il
mondo e
le persone?? Ma se hai perso anche quel poco di dignità che
avevi, coglione!
Potete prendermi per il culo quanto volete e fare la stessa cosa con
Billie. Ma
sapete qual è la differenza tra lui e noi? Lui ha un sogno!
Qualcosa in cui
credere, da coltivare giorno per giorno! Noi invece? Stiamo qui tutti i
giorni
a farci riempire il cervello di merda!
Riprese fiato, mentre la classe la
fissava a bocca aperta senza fiatare.
- Ah, un’altra cosa!
Billie ha ragione! Forse tu non te ne sei mai accorto,
riccone del cazzo, ma abito proprio vicino a casa tua! E io sento
sempre tua
madre che urla per farti uscire dal bagno perché ti smanetti
per ore!
Frances, cazzo, quella ragazza
aveva un cervello enorme, un genio in
confronto a me. Eppure dalle sue parole sembrava che mi adorasse. O mi
amasse.
In cuor mio sperai di no. Per quanto apprezzassi ciò che
stava facendo in quel
momento, non avrei mai potuto amarla, anche se aveva coraggio da
vendere!
Nel momento esatto in cui lei
finì di parlare, quello di storia era di
ritorno con il preside, il quale, sentendo le parole di Frances, non si
limitò
a sospendere me, ma anche lei. Fu allora che scattai.
- Come potete sospenderla? Che ha
fatto di male?
- Sta diventando
un’impertinente come lei, Arm…
- NO CAZZO! Lei qui si fa il culo
per studiare, non merita questo! Sapete
che c’è? Io me ne vado! Fanculo voi,
l’educazione, il futuro che ci promettete
e tutte le stronzate che ci dite ogni giorno.
Feci per alzarmi e andarmene, ma il
professore mi fermò mettendomi le mani
sulle spalle.
- Lo lasci stare! –
Frances lo ammonì con fare minaccioso e lui tolse le
mani, mentre io e lei uscivamo fuori dalla classe. Percorremmo il
corridoio in
silenzio e quando io lo ruppi parlando eravamo già di fronte
all’uscita.
- Grazie, ma non dovevi!
- Figurati! Sono cose che penso
davvero su di te! E soprattutto sono stufa
di tutta questa merda.
- Si ma ti sei beccata una
sospensione per colpa mia!
- Non me ne fotte più di
tanto, sai? Anche io ho un sogno, proprio come te!
Vorrei scrivere, vendere libri e non credo che la scuola possa
aiutarmi, semmai
il contrario.
Ecco perché mi aveva
difeso; non era innamorata, era semplicemente accesa
da una passione, da un sogno, esattamente come me. Non seppi come
risponderle.
- Va beh, io me ne vado a casa!
Grazie, Billie Joe!
- E di cosa?
- Di avermi insegnato che vale la
pena lottare per ciò in cui si crede.
- Oh, beh, non so che dire! Grazie
a te! Soprattutto per prima!
- E’ stato un piacere.
Ciao Bill!
- Ciao Frances!
Fece per uscire, ma si
voltò prima di varcare la soglia.
- Ah, un’ultima cosa! Son
sicura che un giorno prenderò tra le mani un tuo
CD e che tuo padre è fiero di te!
E lei se ne andò,
portando via con sé anche le mie parole.
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Capitolo 5 *** While I'm young and while I'm able all I wanna do is... ***
While I’m young and
while I’m able all I wanna
do is...
La
campanella suonò con qualche minuto d’anticipo, ma
lo zaino era pronto già da
mezz’ora, così raccolsi il quaderno pieno
d’appunti e decorato con parecchi
accordi e mi fiondai giù per le scale, cercando
d’indossare il cappotto e di
trasportare lo zaino contemporaneamente.
“Chissà
dov’è!?” pensai, eppure quella chioma
riccia e castana non spuntò fuori.
“Sarà
già uscito!” così, mi diressi verso la
porta d’uscita e in effetti lo trovai
lì, imbambolato, che fissava un punto nel vuoto.
-
Billie! – urlai, mentre un’intera scolaresca gli
passava di fianco ignorandolo,
ma non si voltò. Così mi avvicinai e, dandogli
una pacca sulla spalla, dissi: -
Ma sei sordo??
-
Hey Mike! – disse sognante.
-
Che hai? Stai bene? – dissi, cercando di decifrare il suo
sguardo.
-
Si, sto bene! È solo che … - si fermò.
-
Che?
-
… stavo pensando che probabilmente questo è
l’ultimo giorno che passo in questo
posto di merda!
-
Cosa?
Mi
rivolse lo sguardo, gli occhi sgranati e le labbra assottigliati, il
volto
della rabbia.
-
Io sono stufo di questa merda, Mike! – disse, un nodo nella
voce, e mentre ci
allontanavamo dalla scuola per poi arrivare alla fermata
dell’autobus, mi
raccontò ciò che gli era accaduto, di Rikie, di
Frances e di quanto fosse
convinto che sforzarsi per un pezzo di carta fosse inutile. Lo ascoltai
senza
fiatare, ma si accorse della mia preoccupazione.
-
Senti! So a cosa stai per dirmi! Che devo
pensare a me stesso, al mio bene, che la musica non è una
garanzia, che a mia
madre le si spezzerà il cuore dopo tutti i sacrifici che ha
fatto per me! Ma
questa è la mia vita, cazzo! La musica è la mia
vita!
Lo
fissavo sconvolto, mentre l’autobus si fermava di fronte a
noi. Salendo,
prendemmo posto nell’ultima fila di sedili, come sempre, lui
dal lato del
finestrino, io da quello del corridoio. Calò il silenzio e
nessuno di noi lo
ruppe fino a quando non ci trovammo di fronte a casa di Billie. Decisi
che
dovevo dirgli qualcosa e, prima che inserisse la chiave nella toppa,
parlai: -
Billie?
Volse
quegli occhi smeraldini verso di me come se fosse sorpreso di vedermi
lì: -
Dimmi!
-
Senti, io non sono nessuno per giudicarti o per dirti che fare della
tua vita!
Io so perfettamente cosa voglio! Voglio quel diploma, ma allo stesso
tempo far
si che il mio sogno … il nostro
sogno
… - mi si seccò la gola, mentre i suoi occhi si
illuminavano – Si, beh. Voglio
che diventi realtà! Qualunque cosa farai, io ci
sarò!
Per
un attimo temetti che mi ridesse in faccia o collassasse,
perché le sue guance
erano infuocate, invece tirò col naso, ingoiando
rumorosamente, prima di
avvicinarsi a me stampandomi un bacio sulla guancia e buttandomi le
braccia al
collo. Io lo cinsi alla vita con le mie, mentre sentivo dei piccoli
sussulti
all’altezza del suo sterno. Piangeva.
-
Dai Bill, credevi davvero che ti avrei abbandonato?
-
Tutti lo hanno fatto con me!
-
Ma io non sono “tutti”. Io sono Mike e se dovrai
sbagliare, lo faremo in due!
-
Me lo prometti?
-
Lo prometto!
Lo
promisi col cuore che mi pulsava sulle labbra, mentre dolcemente la
neve iniziò
a cadere silenziosa su di noi. Billie sciolse l’abbraccio.
- Forse
è meglio che entriamo in casa – disse,
asciugandosi una lacrima e accennando un
sorriso – Le prossime ore non saranno facili.
All’improvviso
ricordai che avevo un impegno e che se avessi mancato mi sarei mangiato
le mani
per le prossime ore!
-
Che fai? Vuoi diventare un pupazzo di neve per caso??
-
Ehm … no! È che mi sono ricordato che dovevo
passare da Mary … hai presente
quella rossa, che va in classe con John?
-
No.
-
Vabbè … le ho promesso i miei appunti.
Chissà magari mi sgancia il suo numero!
– dissi, facendo l’occhiolino.
-
Ah, va bene! – disse lui, non proprio convinto e parecchio
confuso.
Lo
abbandonai lì, che metteva in ordine i pensieri
sull’uscio di casa, mentre gli
urlavo un “Ci vediamo dopo” e iniziando a correre a
perdifiato fin quando, dopo
un paio di isolati, mi
ritrovai di
fronte alla casa di Mary. Bussai forte, sperando che fosse lei ad
aprire. Dopo
una manciata di secondi, una chioma rossa spuntò dalla porta.
-
Hey Pritchard. Sei vivo allora!
-
Poco la spiritosa Mary! Sgancia ciò che hai promesso!
-
Hey, calmo biondone! Hai parlato di me a Bill, vero? –
domandò, gli occhi
marroni pieni di malizia. Povera illusa!
-
Si che gli ho parlato di te! Ha detto che vuole vederti domani a scuola
al
cambio della seconda ora vicino allo sgabuzzino dei bidelli!
– dissi
ammiccando.
-
Oh! Va bene! Digli che non mancherò! – disse con
le gote in fiamme – Aspetta
qui, vado a prendere il tuo regalo. Te lo sei meritato.
Scomparve
per mezzo minuto per poi tornare indietro raggiante stringendo tra le
mani un
vinile.
“ROCKET
TO RUSSIA – THE RAMONES”
Me
lo porse come fosse una reliquia ed io, con altrettanta delicatezza, lo
presi e
lo nascosi nello zaino.
-
Beh, grazie mille, Mary!
-
Grazie a te, capellone! Dì al tuo amico di esser puntuale e
di non darmi
bidone, ok?
-
Contaci – dissi io in tono rassicurante e mi voltai verso la
strada, mentre lei
chiudeva la porta. Appena ebbi svoltato l’angolo di casa sua,
dovetti
appoggiarmi al primo muro che trovai per non ridere. Ci era cascata con
tutte
le scarpe, mentre io, finalmente, avevo ottenuto il regalo per il
compleanno di
Billie.
-Menomale
che ha abbandonato la scuola – sussurrai a me stesso, mentre
a grandi passi
tornavo a casa di Billie.
23.55
“Niente,
gli occhi non vogliono chiudersi!”. Ero troppo preso
dall’idea del regalo, di
vedere la faccia che avrebbe fatto Billie nel riceverlo. Fu
così che aspettai
che l’orologio nel soggiorno di casa Armstrong segnasse la
mezzanotte, per poi
alzarmi dal divano e dirigermi verso la stanza di Billie. Abbassai
piano la
maniglia, mentre l’altra mano stringeva il regalo.
Aprì la porta e m’infilai
nella penombra della stanza. Il volto di Billie, illuminato dalla luce
dei
lampioni che
s’intrufolava dalla
finestra, era bianco come la neve sui marciapiedi fuori, il suo respiro
dolce,
di chi dorme sonni tranquilli.
Mi
dispiaceva svegliarlo, ma lo feci comunque: - Billie?
Nessuna
risposta, alzai un po’ la voce: - Billie?
Questa
volta socchiuse gli occhi.
-
C-che c’è? È già mattina?
-
No Bill, tranquillo, sono io!
-
Mike? Ma … che ore sono?
-
Mezzanotte!
-
M-ma … tu sei tutto idiota, lasciami dormire!
Cristo,
che persona complicata! Accesi l’abat-jour, sul comodino,
costringendolo così a
svegliarlo del tutto.
-
Dirnt, si può sapere cosa cazzo ti dice il cervello?
– chiese stizzito,
mettendosi a sedere sul letto.
-
Hey, volevo solo farti gli auguri!
-
Che?
-
Il tuo compleanno, idiota!
Spalancò
la bocca, incredulo.
-
Grazie! … sai che me n’ero dimenticato?
– disse, gracchiando una risata.
-
Beh, allora sei proprio idiota! – dissi, scompigliandogli la
chioma ribelle.
-
Tanto tu sei insuperabile – disse con uno sguardo che non
riuscì a decifrare,
tra il dolce e il malinconico. Improvvisamente, mi sentì
arrossire.
-
Beh? Non mi chiedi cosa ho concluso con Mary? – dissi con un
sorriso a
trentadue denti.
-
Cosa hai concluso con Mary? – cantilenò lui.
-
Questo! – e così dicendo, gli misi in grembo il
regalo, mentre i suoi occhi si
allargavano per lo stupore.
-
Che caz…? –
-
Aprilo! – ordinai.
Lui
aprì senza fiatare e quasi potei sentire il suo cuore
fermarsi per un attimo
alla vista del vinile.
- M-ma
… non capisco!
Fu
allora che gli raccontai tutto di Mary, della bugia che le avevo
appioppato e
fui quasi certo che lui mi avrebbe odiato per questo.
-
Wow! – fu l’unica cosa che disse.
-
Davvero non t’importa di cosa ho combinato?
-
No!
-
Ah! – che sollievo.
-
Grazie Mike! – la sua voce rotta dalla commozione.
-
Figurati – dissi, fissando l’orlo del lenzuolo. Con
Mary avrei inventato
qualcos’altro, ora contava vedere Billie felice. Poi non so
come accadde. Sentì
solo la mano di Billie scivolare sotto la mia nuca e la mia testa che
viaggiava
rapida verso le sue labbra. Un lampo, forse più veloce.
Non
avevo mani, non un cervello, né un corpo. Solo battiti
accelerati che
contribuivano a confondere i miei confini con quelli di Billie. Ci
staccammo,
non so quando, fissandoci negli occhi, il fiato corto.
-
Resti con me stanotte?
Quella
fu la prima e l’ultima
notte che me lo chiese.
|
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Capitolo 6 *** I think I can do Who. ***
I think I can do Who.
“È di nuovo in
ritardo”
pensai, mentre guardavo per l’ennesima volta
l’orologio. Che esasperazione!
John mi aveva chiesto d’incontrarci nella mia cantina, che
aveva bisogno di
parlarmi. Sinceramente avrei preferito godermi il sole della California
in un
pomeriggio d’agosto, ma erano le quattro e quel demente mi
aveva costretto ad
aspettarlo. Poi qualcuno, finalmente, bussò alla porta.
- John, sei tu?
- Si, sono io, Frank!
Corsi ad aprirgli sperando
che si sbrigasse a raccontarmi tutto e a non lasciarmi marcire qui
dentro.
Quando entrò era la faccia della preoccupazione, cazzo! Se
era venuto a
sfogarsi perché gli era morto il cane o perché la
ragazza lo ha mollato, io n…
- Mollo la band, Frank.
Rimasi a bocca aperta, le
mie supposizioni evaporate nel nulla.
- Haha, certo, come no!
- Dico sul serio Frank, ho
già parlato con loro.
Non riuscivo a crederci.
Uno sfigato come lui aveva avuto la fortuna di entrare in un gruppo di
diciannovenni come me che si erano già girati mezza America
dopo aver
pubblicato il primo album e ora li abbandonava. Era
l’occasione della sua vita.
Certo, non era un granché come batterista, infatti veniva
una volta a settimana
da me per prendere lezioni, dato che ero iscritto al conservatorio.
Cazzo,
però, certe occasioni non si perdono così.
- Perché lo fai?
- Frank, la mia vita fa
schifo! Ho già ventidue anni suonati, un corso di
giornalismo in sospeso, Greta
che vuole sposarmi e non posso permettermi di rincorrere un sogno che
non so
nemmeno se mi darà sicurezze. Io voglio continuare a
studiare, guardarmi allo
specchio ed esser fiero di me stesso!”
Ad ogni sua parola la mia
bocca non faceva che aprirsi. Certo, non m’importava di
perdere un allievo come
lui, ma quello che diceva era troppo per le mie orecchie. Se
immaginassi un
giorno senza musica … beh, probabilmente sarebbe quello
della mia morte.
- Fai il cazzo che ti
pare, John.
Forse aveva capito,
nonostante i suoi occhi neri fossero privi di emozioni. Si
lisciò i capelli con
le mani, si voltò verso la porta e, senza fiatare, se ne
andò.
- Certo che è proprio
coglione.
- Lori?
- Eh?? – la voce
scoglionata di mia sorella arrivava flebile dalla cucina.
- Io esco! Vado al Gilman.
- Va bene Frank!
Saltai sulla vecchia
Mercedes di mio padre e mi precipitai a tutto gas verso il Gilman. In
meno di
una decina di minuti mi ritrovai di fronte all’entrata del
locale, il suono
della musica arrivava fino in strada. Parcheggiai nel primo buco che
riuscì a
trovare e mi diressi verso la porta del locale, ma
all’improvviso una figura
snella mi si parò davanti.
- Heeeey, che ca…
- Trè sono io.
- Ancora ci vedo Larry!
- Trè devo assolutamente
parlarti. Hai saputo di John??
- Si, è venuto oggi a
darmi il “lieto” annuncio.
- Ecco, vedi, gli altri
due del gruppo … non so, mi sono caduti in depressione e non
possono farlo
proprio ora che c’è in cantiere del nuovo
materiale, non so se mi spiego.
- E che vuoi da me,
Livermore??
- Senti, fanculo me e i
Lookouts. Perché non suoni con loro?
- Eh? Ma che cazzo, sei
ubriaco??
- Entriamo dentro!
Lo seguì sbuffando,
entrando nel locale già pieno della puzza di birra e fumo.
Mi condusse sul lato
destro del locale, dove, appoggiati al muro, vi erano due ragazzi; uno
biondo,
intento a limonare con una dai capelli neri, e uno moro e riccio che
stringeva
tra due dita uno spinello, nell’altra mano una Corona e lo
sguardo perso nel
vuoto.
- Ragazzi! –
esordì
Livermore.
- Ciao – rispose il moro.
- Vi ho trovato un nuovo
batterista!
Il biondo, a quelle
parole, si staccò dalla morona tutta tette e la spinse via,
mentre il nano moro
continuava a tenere lo sguardo nel vuoto.
- Dici davvero Larry? –
disse il biondone.
- Non vi dico puttanate,
Mike!
- Beh, allora portacelo
qui! – disse con voce monocorde il nano.
- Sono già qui,
piccoletto! – M’intromisi, con voce
tutt’altro che amichevole, ma quello alzò
lo sguardo e fui investito dalla luce dei suoi occhi, verdi come i
prati in
primavera. Scattò in piedi e mi tese la mano.
- Billie Joe.
- Trè Cool. – gli strinsi la mano e i
suoi occhi si
allargarono dallo stupore.
- Che diamine di nome è??
-
“Très” in francese
significa “molto” e Cool perché sfido
chiunque a trovare un batterista più figo
di me!
Il nanetto Billie Joe si
mise a ridere sfoderando una dentatura sgangherata. Poi si fece avanti
il
biondone, altissimo e con gli occhi azzurro cielo.
- Mike. – e mi strinse la
mano - Ma qual è il tuo vero nome??
- Frank Edwin Wright III,
ma se non volete mettermi in ridicolo e risparmiare tempo, chiamatemi
“Trè”.
- Ti va di suonare
stasera? – disse improvvisamente Billie.
- Che problema
c’è? –
dissi sorridendo.
- Bene, fate amicizia
ragazzi, io vado a prendere da bere! – disse Larry, ma
nessuno gli rispose.
- Seguitemi! – disse
Mike,
che si avvicinò al palco del Gilman, dove stava suonando una
band composta da
quattro ragazzi sui diciassette anni. Il biondone si
avvicinò al cantante, gli
disse qualcosa nell’orecchio, mentre il sorriso di Billie si
allargava sempre
di più. Poi Mike tornò verso di noi.
- Ok, saliamo! Si suona,
ma solo una canzone!
- Perfetto! – esclamai,
in
preda all’entusiasmo – M-ma che suoniamo??
Panico.
- Tranquillo, conosci “My
generation” degli Who? – chiese Billie.
- E me lo chiedi pure??
- e così
dicendo, saltai sul palco,
strappando le bacchette di mano al batterista dell’altra
band. Nel frattempo,
salirono gli altri due che, tra le urla del pubblico, avevano preso in
prestito
dall’altra band la chitarra e il basso. Billie
parlò al microfono.
- Ehm, ok, sapete, questa
sera i Green Day non erano previsti, ma volevamo presentarvi il nostro
nuovo
batterista. Signore e signori … TRE’ COOL!
Alzai le braccia al cielo.
Adoravo già quel nano.
- Ok ragazzi – riprese
–
questa è “My generation” e voglio che
alziate quelle fottute mani al cielo,
ok??
Mi fece cenno e iniziai a
suonare. Cristo, eravamo perfetti. Fino a pochi minuti prima eravamo
dei
perfetti sconosciuti e ora, in quella serata così strana,
suonavamo insieme
come se lo avessimo fatto ogni giorno negli ultimi diciannove anni.
Billie era
un mostro, mangiava il palco anche stando fermo, mentre Mike era
preciso e
secco col suo basso, fottutamente coordinato, maledettamente a ritmo
con me.
Quei due minuti di canzone passarono veloci come un fulmine, ma la
risposta del
pubblico che si dimenava sotto di noi era impressionante!
Quando finimmo, Billie si
voltò verso di me, facendo cenno di avvicinarmi. Mi fiondai verso di lui,
seguito a ruota da
Mike che mi cinse la vita, mentre Billie buttava un braccio intorno al
mio
collo. Io misi entrambe le braccia intorno ai loro fianchi e,
così come
stavamo, facemmo un caloroso inchino al piccolo ma elettrizzante
pubblico
subito sotto di noi.
Eravamo una band. Eravamo
già amici. Eravamo i Green Day.
|
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Capitolo 7 *** Walkin' shooting stars across the earth. ***
Walkin' shooting stars across
the earth.
Due settimane. Ero lì da
due fottutissime settimane.
Mi guardai allo specchio,
le mani tremanti. La testa girava velocemente mentre cercavo di
trattenere
quanta più aria possibile nei polmoni, il mio corpo
completamente nudo.
- Ok! – sussurrai tra me
e
me: - Niente paura, passerà in fretta.
Lentamente iniziai a
vestirmi; avevo calcolato il tempo che mi mancava prima di uscire da
quella
porta e dare un nuovo inizio alla mia vita. Appena ebbi finito di
vestirmi,
andai alla ricerca delle scarpe e non trovando niente di particolare,
indossai
quelle nere che portavo tutti i giorni. Poi qualcuno bussò
alla porta chiusa a
chiave.
- Chi è??
- Sono io tesoro! – mia
madre, che piaga!
- Mamma, vai via, non
voglio vedere nessuno!
- Come vuoi! – disse,
scoraggiata, allontanandosi.
Tornai a fissare lo
specchio. Due settimane e la mia pelle abbronzata sembrava dare
testimonianza
del mio cambiamento repentino. Due settimane e il ricordo di una notte
di
stelle cadenti. Il cielo, qui, è diverso da quello che ho
lasciato dietro alle
mie spalle, forse perché qui lo guardo attraverso i suoi occhi. Due settimane e la mia mano
scivolò sul mio ventre
fasciato di bianco, un brivido lungo le vertebre sembrò
volesse spezzarle.
- Cazzo, non adesso! –
imprecai, mentre le lacrime scorrevano via senza ritegno: - Ok, devo
calmarmi!
Uscì di corsa dalla
stanza
di Anna e mi fiondai in cucina, ormai deserta, ma stranamente ordinata
e
splendente, così come il resto della casa, anche quella
insolitamente deserta.
Senza nemmeno riflettere su ciò che facevo, aprì
il frigorifero e afferrai
cinque bottiglie di birra. Le poggiai sul tavolo e mi sedetti per non
svenire
per la nausea. Maledetta ansia, o forse …?
- Entrambe le cose –
risposi ad alta voce ai miei pensieri, prima di mandar giù
un generoso sorso di
birra. Si, avevo intenzione di ubriacare i sensi, perché se
quelli fossero
rimasti vigili, i miei nervi sarebbero crollati per le troppe emozioni.
Tristezza, felicità, preoccupazione, ansia, euforia e
batticuore. Bevvi, il più
che potevo, ponendo finalmente fine alle mie sensazioni, lasciandomi
solo un
piacevole stato di leggerezza, il sorriso che tornava a incresparmi le
guance.
Tornai in camera di Anna con uno spirito nuovo, sorrisi al mio riflesso
e
iniziai a sistemarmi la criniera di capelli che mi ritrovavo. Impresa
difficile, data la sbronza! Iniziai a litigare con le mie stesse mani,
fin
quando non riuscì a trovare un acconciatura decente,
indossando finalmente il
diadema floreale che Ollie mi aveva regalato.
Sorrisi compiaciuta
davanti al riflesso dei miei occhi marroni, resi lucidi
dall’alcool, il vestito
bianco un po’ stropicciato, ma anche un tantino fuori luogo.
- Se tua madre sapesse che
sei incinta ti prenderebbe a calci in culo, Adie! – dissi al
mio clone nello
specchio, scoppiando in una risata.
Due settimane e ho ancora
la voce di Billie che mi rimbomba nelle orecchie, mentre al telefono
ripeteva
“Non è possibile”, le parole che gli si
ghiacciavano in gola. Era successo
all’improvviso, tutta la nostra storia, fin qui, sembra uno
strano scherzo del
caso. Ed io che volevo solo un loro album e ora porto in grembo il
figlio del
loro cantante. Tre anni son bastati a farci perdere la testa; ho
ricucito le
ferite sul suo cuore lasciate dalla fuga di Amanda e lui ha raccolto
ogni
singola lacrima che ho versato per Billy. Il ricordo di quei momenti
lasciò la
traccia di un sorriso sulla mia faccia, mentre cercavo di mettere un
po’ di
nero sugli occhi senza accecarli.
- 80
please take me away! – canticchiai, mentre davo un
ultimo
sguardo alla mia figura: - Cazzo, sembro una meringa!
Eppure non ero impaurita e
ciò non era dettato dal fatto che fossi ubriaca.
È vero, incontrare Billie
mentre entrambi non eravamo nel pieno delle nostre facoltà
non era stata una
buona idea e il mio grembo all’opera ne era la testimonianza.
Eppure non ero
triste, piuttosto preoccupata, impegnata a farmi seghe mentali su come
avremmo
cresciuto un figlio e se fossimo stati all’altezza di un tale
compito. Non ero
ancora pronta ad esser madre, ma ero sicura che Billie mi avrebbe
aiutata. Ci
saremmo aiutati a vicenda.
A volte mi chiedevo se
questo fosse un matrimonio riparatore; poi incontravo il verde del suo
sguardo
e tutto diventava più semplice. Nella coppia era lui il
più piccolo, eppure mi
lasciavo guidare ciecamente.
- Io lo amo. – sussurrai,
mentre afferravo il bouquet e mi affrettavo ad uscire di casa. Era un
matrimonio d’amore, era un gesto d’amore far
crescere nuova vita nel mio grembo
e, mentre salivo a bordo della macchina dei miei genitori, sapevo che
sull’altare avrei detto “si”
all’uomo che amavo. L’uomo della mia vita!
In meno di cinque minuti,
la macchina accostò vicino al parco dove si sarebbe tenuta
la cerimonia. Ognuno
con la sua religione, ma non era sarebbe stato Dio ad unirci, quello
l’avevamo
fatto già da soli.
- Sicura che non vuoi che
ti accompagni?? – la voce di mio padre pose fine ai miei
pensieri.
- Più che sicura!
– dissi,
mentre stringevo con forza il bouquet. Per quanto il mio stato
d’ebbrezza
cercasse d’impedirmelo,
iniziai a
sfilare lungo il vialetto che portava al centro del parco, dove mi
aspettavano,
sotto gli occhi curiosi dei pochi invitati, Billie e un prete. Non so
se fosse
per l’effetto della birra o per il cuore impazzito, ma a me
sembrò che il parco
fosse deserto, mentre alla fine del mio cammino vedevo solo una chioma
bionda
sparata nell’aria, occhi verdi e uno smoking di fortuna.
Billie!
Lui mi vide e iniziò a
sorridere e per me fu come veder sorridere il cielo. Affrettai il passo
che
rimase fin troppo lento rispetto al ritmo del cuore e quando lo
raggiunsi fu
come aver posato il piede sulla terra ferma dopo aver nuotato in alto
mare.
Al sicuro. A casa.
Quando lo ebbi di fronte
notai la rosa rossa ad occhiello e avvertì, senza stupore,
che anche il suo
alito aveva l’odore forte dell’alcool. Cercai di
trattenere una risata, mentre
lui sussurrava un flebile “Wow!”.
Qualche parola buttata nel
vento, i nostri si sgangherati e le facce esaltate, un anello al dito e
in
cinque minuti eravamo ufficialmente sposati. Marito e moglie.
L’uno la perfetta
metà dell’altro.
- Beh, direi che lo sposo
può baciare la sposa. – solo allora mi accorsi del
prete e degli invitati, ma
Billie m’impedì di realizzare la cosa,
trascinandomi con sé verso un mondo
diverso, mentre le nostre labbra si muovevano affamate una
sull’altra.
- È il giorno
più bello
della mia vita – dissi quando ci staccammo.
- No, questo è il primo
giorno del resto della nostra vita! – disse lui e la mia
felicità si sciolse in
pianto.
Fu allora che mi prese per
mano e mi condusse verso l’uscita del parco, dove ci
aspettava la vecchia
Mercedes del padre di Frank con la quale saremmo andati al Claremont
Hotel a
consumare la nostra prima notte di nozze, o almeno così
dicevano in giro.
Appena fummo vicini alla macchina, però, Billie si
arrestò di colpo. Sul lato
sinistro del vialetto Mike e Frank ci guardavano con facce diverse.
Frank
l’esaltazione fatta persona, Mike serio e muto come sempre.
- Vado un attimo da loro!
– disse Billie al mio orecchio.
- Ti aspettiamo! – dissi,
facendo un occhiolino e i suoi occhi s’illuminarono. Poi si
avviò a grandi
passi verso le braccia di Frank che lo aspettavano aperte.
- Haha nano!!! E fu così
che decidesti di scopare per tutta la vita sempre con la stessa donna!
– urlò
forte, mentre lo abbracciava. Io non feci altro che ridere, non tanto
per la
battuta, quanto per la faccia scandalizzata di mia madre e quella
scoraggiata
di Ollie che apparvero a qualche metro di distanza dal punto in cui
Frank stava
stritolando il mio sposo.
Quando sciolsero
l’abbraccio, Billie si voltò raggiante verso Mike,
il quale non accennò a
cambiare espressione. Anzi, non lo guardava nemmeno in faccia.
- Guardami in faccia,
cazzo! – urlò Billie, ma gli invitati non si
accorsero di nulla. Solo io vidi
una mano di Billie stringere il mento di Mike, costringendolo a
guardarlo negli
occhi e in quel momento capì cosa stesse provando il
basettone. Vuoto allo
stomaco, lo stesso che provavo io ogni volta che fissavo gli occhi
smeraldini
di Billie. Infatti, improvvisamente le nuvole che attraversavano il
cielo degli
occhi di Mike scomparvero, lasciando solo uno sguardo limpido, bagnato
dall’amore che Mike, ne ero sicura, provava per Billie. Fu
allora che, con la
commozione che lo assaliva, Mike lo strinse forte a sé,
nascondendo il viso
nell’incavo del collo del mio sposo.
Non ero gelosa, non lo
sarei mai stata! Per lui che non aveva avuto una famiglia, Billie e la musica erano
diventati un punto di
riferimento per ogni cosa, gli unici veri motivi che lo tenevano
aggrappato
alla vita e riuscivano a fargliela amare.
Si staccarono, mentre
Billie, che teneva le mani intorno al collo di Mike, gli
stampò un bacio a fior
di labbra, facendolo sorridere.
Mike disse qualcosa
sottovoce e poi Billie corse dritto verso di me, raggiante di gioia.
- Beh, io vado via eh! –
disse quando mi fu vicino.
- Ok, allora ti seguo. –
dissi, mentre entrambi ridevamo.
Salimmo in macchina ma,
prima che mettesse a moto, gli chiesi: - Cosa ti ha detto Mike?
Si fece serio: - Che se
son felice io, lo è pure lui, perché mi ama.
– disse con tono nostalgico.
- E sei felice?
Mi guardò negli occhi ed
ecco la sensazione di vuoto.
- Molto, molto di più!
Mi stampò un breve bacio
sulle labbra e mise a moto.
Eravamo già lontani
2,000
anni luce.
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Capitolo 8 *** Here comes the rain again. ***
Here comes the rain again!
16 Settembre
2003
- Porca puttana, ora si mette
anche a piovere!
Imprecare non avrebbe
certo contribuito a far andare la mia vecchia Ford più
veloce, né tanto meno
avrebbe impedito al cielo di piangere acqua a cascate. Mancavano pochi
metri
per arrivare a destinazione eppure sembrava come se fossi ancora fin
troppo
lontana da quella villetta così famigliare. Poi la vidi,
parcheggiai come
meglio potevo e mi fiondai a piedi, sotto la pioggia, verso il grande
portone
di legno.
Citofonai due volte, fino
a quando qualcuno non rispose: - Anna, sei tu??
- Si Adie, apri!
La porta si spalancò e
mi
si parò di fronte la figura di Adrienne, la mia dolce
cognata. Era passato solo
un mese dall’ultima volta che l’avevo vista eppure
non sembrava la stessa.
Dimagrita, i capelli sciolti e completamente arruffati, gli occhi gonfi
di
pianto.
- Che succede qui, Adie??
Al telefono mi hai fatto prendere un colpo!
- Andiamo in salotto e
parliamo lì. Vuoi qualcosa da bere?
- No Adie, grazie! Voglio
solo capire cosa diamine sta succedendo tra te e Bill!
Mi guardava con quei suoi
occhi color cioccolato e mi si strinse il cuore quando
incominciò a piangere.
- È per quel diavolo di
album! Prima dice che vuole mollare il gruppo e rimanere da solo, poi
ricomincia a scrivere e in casa è come se non ci fosse.
Provo a rivolgergli la
parola, ma niente! Sempre a fissare il vuoto. È da mesi che
ormai dorme accanto
alle sue chitarre. Joey e Jake, oh cazzo…
Esplose nuovamente,
buttando il viso tra le mani. Non sapevo che dire. Certo, Bill
è stato sempre
fin troppo immerso nella sua ispirazione, il chiodo fisso di comporre,
di
superare se stesso, di dimostrare a chi lo criticava quanto in
realtà lui
continuasse ad amare la musica e che ciò che faceva era
arte, qualcosa di
simile ad una ferita aperta sul cuore che invece di bruciare ti fa
viver
meglio.
- Ascoltami Adie, ora devi
essere forte! – lei alzò lo sguardo bagnato di
lacrime – Quando hai conosciuto
Billie sapevi perfettamente quanto per lui fosse importante la musica.
- L’HO CAPITO QUANTO
FOSSE
IMPORTANTE, MA NON FINO AD ARRIVARE A QUESTO! – e con un
gesto veloce scostò i
capelli dalla tempia sinistra, dove vi era un livido violaceo.
- T-te l’ha fatto lui?
Lei annuì.
- Oh, cazzo Adie. Mi
dispiace! Mio fratello è fuori. Quando è successo?
- Ieri sera. –
iniziò a
raccontare – Sono andata nella sua cantina come ogni sera per
dargli qualcosa
da mangiare. Lui era lì, seduto sul solito sgabello con un
foglio in mano, lo
stesso da giorni, sempre bianco perché le parole non gli
arrivano. Ero stufa di
vederlo così e allora ho iniziato ad urlargli in faccia per
vedere se riuscivo
ad ottenere una reazione. – si bloccò.
- E poi??
- Poi ha iniziato a dire
che non capisco quanto quello che sta facendo sia importante per lui,
per me e
per il gruppo. Si è messo a piangere iniziando a tirare
calci ad ogni cosa che
incontrava. Non l’ho mai visto così. –
piangeva, non faceva altro.
- Infine si è seduto a
terra, le mani nei capelli e…
- Cosa Adie, cosa??
- Io gli ho detto che
avevo intenzione di lasciarlo. A quel punto è scattato in
piedi e mi ha
colpita, dicendo che ero pazza e che se non capivo è
perché non lo amavo
davvero!
Non sapevo cosa dirle, ero
come paralizzata, la voce mi si era ghiacciata in petto. Poi ebbi
un’idea.
- Sentimi, Adie, aspettami
qui. Vado a parlarci io, ok?? – improvvisamente avevo ben
chiaro cosa avrei
detto a mio fratello.
- Ok – disse, tirando col
naso e mettendosi a sedere su una poltrona del salotto. La lasciai
lì, mentre
si asciugava il viso con le mani. Iniziai a correre attraverso la casa
il più
che potevo, fin quando non mi trovai di fronte alla porta che si apriva
sulla
cantina. Stavo per mettere una mano sulla maniglia quando una melodia
m’invase
completamente, accompagnata dalla voce di mio fratello.
“Here comes the rain again,
falling from the stars! Drenched my pain again, becoming who we are! As
my
memory rest, but never forgets what I lost, wake me up
when…”
-…September ends!
–
conclusi io sottovoce, mentre un nodo mi si incastrava tra la gola e il
cuore.
Frenare le lacrime mi era impossibile, mentre la voce di Billie,
stranamente
roca, cantava quella melodia dolce come una ninna nanna, dolorosa come
un
ricordo. Il suo ricordo. Erano
passati vent’anni esatti, eppure quella canzone dimostrava
come il dolore per
perdita di nostro padre fosse così vivida nel suo cuore, nel
mio cuore.
Billie, il piccolo Billie.
Era lui ad avere sempre il sorriso sulle labbra, i riccioli biondi
costantemente arruffati, gli occhi verdi brillanti di vita. Il mio
piccolo
Billie, il preferito di papà, il preferito di tutti. Era
impossibile non amare
Billie perché lui amava tutti, indifferentemente. Noi
sapevamo perfettamente
quanto lui fosse debole, come quell’aria sfacciata fosse
stata sempre e solo un
modo per proteggersi il cuore.
“Billie,
tu sei forte”. Ho ancora la voce di mio padre
nelle orecchie.
Glielo disse quel giorno di fine estate quando uscì da casa
nostra per andare,
come sempre da un mese a quella parte, verso quell’ospedale
da cui non sarebbe
mai uscito. “Wake me up when
september
ends!”. Furono le uniche parole che quelle labbra
di rosa riuscirono a
tirar fuori, tra le lacrime sue e di mia madre, dopo un funerale
immerso nel
silenzio.
La musica finì e io
trovai
il coraggio per abbassare quella maledetta maniglia che mi separava da
lui.
Quando aprì, lo trovai di spalle, chino sulla sua chitarra
classica, il
pavimento coperto da fogli scarabocchiati.
- Se sei venuta a portarmi
le carte del divorzio, puoi andare via! Io…
- Billie, sono Anna. –
gli
dissi, la voce spezzata da qualche singhiozzo.
Lui lasciò cadere la
chitarra a terra e si voltò verso di me, pallido in volto,
la barba folta e
grandi occhiaie a segnargli il viso, eppure i suoi occhi erano gli
stessi, la
solita luce, il solito calore.
- Oh! Ciao sorellina! Che
ci fai qui?
- Beh, ecco, Adie mi ha
telefonato. So tutto quello che è successo.
Fece una risata vuota di
ogni sentimento: - Beh, allora ti avrà detto che sono un
pazzo violento e che
vuole lasciarmi, vero?
- Non ha detto questo,
Bill! Sai che non direbbe mai una cosa del genere. – dissi,
mentre lui
sbuffava: - Solo che tu non riesci a capire quanto lei sia preoccupata
per te!
- Davvero? – disse
sarcastico.
- Lo sai Billie! Lei ti
ama e detesta il fatto che tu stia perdendo cervello ed energia per un
album.
Cristo, Bill, non è la pr…
- Non venirmi a dire
queste puttanate, Anna! – scattò in piedi urlando
– Questa è la prima volta in
cui mi ritrovo di fronte ad un progetto vero! Non è semplice
ispirazione Anne,
è la mia vita! La musica è la mia vita! E se Adie
non riesce a capirlo, beh,
può anche preparare le carte del divorzio! Se mi amasse
dovrebbe amare anche
quello che faccio! Quest’album mi sta impegnando in tutti i
sensi, anima e
corpo non mi appartengono più! Ma, credimi Anne,
è la prima volta dopo anni in
cui mi sento davvero felice senza fingere di essere qualcun altro.
Riesci a capire
Anna??
Si che riuscivo a capirlo,
soprattutto dopo la meraviglia che avevo ascoltato pochi minuti prima.
Il suo
poteva sembrare il discorso di una persona egoista e stacanovista, ma
io che lo
conoscevo sapevo che quelle parole erano la più grande
dichiarazione d’amore
che ogni giorno faceva in ginocchio di fronte alla musica.
- Si, si che ti capisco
Billie. Ma prova a capire, per un secondo, Adie. Lei ti ama e sai
quanto! Però
so cosa ho visto sul suo volto e non c’era solo il livido che
le hai fatto ieri,
ma c’era la frustrazione di una donna che ti ama come il
primo giorno e che
crede di non essere più ricambiata perché meno
importante della musica!
Mi fissava a bocca aperta
e il silenzio cadde su di noi. Solo il rumore della pioggia che batteva
sulla
strada segnava il passare del tempo.
- Io l’amo quanto la
musica. – disse improvvisamente – Dal primo giorno
fino ad oggi e anche se ero
ubriaco quel giorno, io l’ho sposata perché ci
credevo davvero e ci credo
ancora!
Era sincero, me n’ero
accorta perché era diventato rosso in viso e aveva abbassato
lo sguardo a
terra, come faceva fin da piccolo quando confessava qualcosa che aveva
tenuto
per troppo tempo nascosta. Sorrisi al quel ricordo e rapida mi
avvicinai verso
di lui, lo strinsi forte, passandogli una mano tra i capelli corvini,
ricci e
morbidi come sempre.
- Ti voglio bene, Anna.
- Anche io fratellino!
Ci staccammo, sorridenti.
- Credo che dovrò
parlare
con Adie. – disse serio.
- Si, ma prima mi fai un
favore?
- Certo! – disse
sfoderando il suo dolce e crudele sorriso.
- Mi ricanti la canzone di
prima?
Il sorriso si trasformò
in
una smorfia di dolore, ma nonostante ciò afferrò
la chitarra e cominciò a
cantare lentamente, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Un angelo
crocifisso alla chitarra. Quando finì, alzò gli
occhi e sembrò che il dolore
stesse andando via poco a poco.
- Non mi sorprende che tu
l’abbia scritta proprio oggi.
- Beh, sai che odio andare
al cimitero, ma… - si fermò per colpa di un
singhiozzo. Sapevo che voleva dire.
- Billie, papà sa che ti
ricordi di lui e lui si ricorderà sempre di te! Per sempre.
A quelle parole, mi
buttò
un braccio al collo, nascondendo il viso nell’incavo, mentre
gli sfioravo la
schiena.
- Ok, ora basta piangere
fratellino! C’è Adie che ti aspetta.
Mi guardò in faccia: -
Si,
vado! Grazie Anna! Mi chiedo che farei senza di te!
Non feci in tempo a
trovare una risposta, mi stampò un breve bacio sulla guancia
e andò via,
scomparendo nell’ombra del corridoio che portava verso il
salotto. Io feci lo
stesso percorso silenziosamente e loro due non si accorsero nemmeno che
uscivo
di casa. Billie era in ginocchio, di fronte a Adie che rimaneva seduta
in
poltrona, ma che sembrava aver cambiato espressione, la luce della
felicità in
arrivo.
Uscì sul vialetto della
villetta, mentre la pioggia accennava a frenare il ritmo. Guardai il
cielo
sfumato di grigio e azzurro, mentre le gocce mi pungevano il viso.
- Ci manchi, papà!
Il sole comparve tiepido da
dietro quelle nuvole
bianche di paradiso e asciugarono quelle poche lacrime di pioggia
rimaste sul
mio viso.
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Capitolo 9 *** I'm thinking...where'd you go? ***
I’m thinking
… where’d you go?
- Pronto?
- Bill? Dove sei?
- Ma che domande sono,
Mike? Sono a casa!
- Potresti correre a casa
mia? Devo farti vedere una cosa.
- Ma è così
indispensabile?
- Bill, cazzo, alza quelle
chiappe! Ti voglio a casa mia tra cinque minuti!
- E … e va bene!
–
sbadigliai, prima che lui mi riattaccasse il telefono in faccia.
Detesto quando
fa così. Tutto e subito. Svogliato mi voltai verso il
comodino dove era
poggiata la radiosveglia e notai, con immensa irritazione, che erano le
due di
notte.
- Adie? Amore? –
sussurrai
nel buio.
- Mmmh??
- Sto andando da Mike. Mi
ha chiesto di andare da lui, anche se non conosco il perché.
- Tranquillo, vai! –
disse, mentre la sentivo rigirarsi sotto le coperte, i suoi riccioli
che mi
solleticavano il viso e le sue labbra che alla cieca cercavano le mie.
- Va … va bene, Adie.
Non
farmi cambiare idea però!
Lei soffocò una risata,
mentre accendevo l’abatjour e mi vestivo velocemente.
- Quando torni?
- Non ne ho la più
pallida
idea, anche se era parecchio scazzato… - non avevo
assolutamente idea di cosa
stesse passando Mike, alle prove era sempre lo stesso, ma ogni tanto
aveva
degli sbalzi d’umore e il suo tono mi aveva fatto preoccupare.
- Ok, ci vediamo domani,
allora. ‘Notte Billie! – disse lei, sorridendo
dolcemente e sistemandosi per
dormire. Finalmente tra me e lei le cose stavano andando bene, il nuovo
album
era quasi completo, ma mancava ancora qualcosa.
- ‘Notte, amore.
Finì di vestirmi, andai
verso l’abatjour e dopo averla spenta, mi fiondai fuori dalla
camera da letto.
Attraversai il corridoio, soffermandomi un minuto sull’uscio
della stanza di
Joey e Jake. Spiai dentro la stanza buia, sentendo solo il respiro
dolce di
Jake e quello pesante di Joey. Non so perché, ma ogni volta
che uscivo di casa
volevo vederli almeno una volta, come se fosse l’ultima.
Cercai di non dare spazio
a miei pensieri lugubri e mi fiondai veloce verso il garage, entrai
nella mia
BMW e misi a moto.
- Quell’idiota mi
farà
prendere un colpo prima o poi, ne sono certo.
- Ce l’hai fatta!
- Hey! Normalmente un
uomo, alle due di notte, dorme o tromba con sua moglie, sai?
- E cosa vorresti dire,
Armstrong? Che tu sei normale? – disse, ridendo rumorosamente.
- Simpatico – dissi
sussurrando.
- Perché sussurri?
- Sbaglio o hai una figlia
in casa che dorme??
- Ah, no. Stella è a
casa
di una sua amica.
- Ah – dissi, mentre un
fastidioso prurito iniziava a farsi strada nel mio stomaco –
C-che cosa devi
mostrarmi?
- Andiamo in salotto.
Lo seguì senza
replicare,
anche perché all’improvviso era ritornato serio.
Entrai nel salotto, riscaldato
dal camino acceso, e mi accomodai sul divano, mentre lui si sistemava
sulla
poltrona di fronte.
- Devo farti ascoltare una
cosa – annunciò, mentre stendeva un braccio dietro
lo schienale della poltrona
e afferrando la sua chitarra classica. Improvvisamente sentì
le mie guance
andare a fuoco. Non ero abituato a vederlo con una chitarra, anche se
sapevo
perfettamente che sapeva suonarla, ma ogni volta che lo faceva provavo
una
strana sensazione, la stessa che avvertì la prima volta che
assaggiai le sue
labbra. Prese
fiato.
I feel asleep while watching
Spike TV, after ten cups of coffee and you’re still not here!
Dreaming of a song when
something went wrong, but I can’t tell anyone ‘cuz
you’re not here!
Left me here alone, when I
should stayed home. After ten cups of coffee I’m
thinking…
Fece una pausa e piantò
i
suoi occhi blu nei miei. Trattenevo il fiato.
… where’d you go?
Nobody likes you, everyone
left you, they’re all out without you, havin’ fun!
Everyone left you, nobody
likes you, they’re all out without you, havin’ fun!
Where’d
you go?
Cantò questi ultimi
versi
ad occhi chiusi, stretti, mentre la sua voce urlava quelle parole. La
mia gola
era secca e improvvisamente lo vidi diverso. Anzi, lo rividi,
com’era un tempo.
Rividi quel caschetto dorato che brillava come oro al sole, la sua
maglietta
bianca e i calzoncini di jeans, mentre mi saltellava incontro
sorridente.
Diceva solo “Andiamo Billie”, mentre entrambi
pregustavamo un pomeriggio
passato in cantina a imparare qualche accordo, a cercar di buttar
giù qualche
canzone.
Eravamo solo dei bambini,
magari un giorno avremmo potuto prenderci a cazzotti e andare ognuno
per la sua
strada. Invece quei pomeriggi che per gli altri erano compiti e
impegni, per
noi due erano duro lavoro.
Michael, il mio migliore
amico. Quant’era stata dura la vita con lui! Sua madre
evaporò nel nulla dopo
il parto, i suoi genitori adottivi che prendevano a morsi quel poco che
era
rimasto del loro matrimonio e, dopo averlo masticato per bene, hanno
preso a
mordere i loro figli. Mike sembrava forte, anche se con molta
probabilità lo
era molto più di me, ma sapere che io ero tutto
ciò che aveva, mi aveva portato
ad amarlo, più di qualunque amico. Lui era stato come un
padre, io la sua
famiglia.
Sentir quelle parole mi
aveva fatto male; ripensai al periodo in cui Anastasia lo
abbandonò e tutta la
lotta che ne era seguita per l’affidamento di Estelle. In
quel periodo si era
aggrappato a me come un naufrago in alto mare si aggrapperebbe ai resti
della
nave. “Nessuno mi ama”, questo ripeteva tra i
singhiozzi e il ricordo mi riaprì
una fitta al cuore, la stessa che provavo ogni notte della mia
infanzia, quando
lui si svegliava dai suoi incubi urlando “mamma”.
- Bill? – la sua voce mi
riportò al presente facendomi sobbalzare, il cuore che mi
rimbombava nelle
orecchie.
- È perfetta.
- Dici davvero?
- Hey Dirnt! Ancora devi
prendere coscienza delle tue capacità? – dissi
abbozzando una risata.
- Billie – aveva
abbassato
la voce.
- S-si?
- Dimmi cosa ne pensi.
- Te l’ho detto,
è
perfetta – dissi tutto d’un fiato –
è…
Mi guardò con aria
interrogativa e, come al solito, abbassai lo sguardo dicendo: - Come te.
Era sempre così. Erano
passati più di vent’anni da quando ci siamo
conosciuti, ma ogni volta che
dovevo manifestargli i miei sentimenti non riuscivo a guardarlo in
faccia. Non
era timidezza, solo insicurezza, come se le parole che dicevo non
rendessero
abbastanza l’idea di quello che provavo e che, magari,
potesse rimanerne
deluso.
Ero ancora lì, a
fissarmi
le unghie mangiucchiate, quando sentì una mano posarsi sulla
mia spalla. Alzai
il viso e incontrai il suo, splendente di gioia, disegnato dalle ombre
e dalle
luci create dal fuoco scoppiettante del camino.
- Per me è importante!
–
disse.
- Lo so! In quelle parole
ci sei tu, la tua vita e… - ripresi fiato – e
comunque non è vero che non piaci
a nessuno, lo sai perfettamente. – lo dissi con fermezza,
inchiodando il mio
sguardo nel suo! Per anni avevo nascosto nelle canzoni un po’
di lui, l’amore
che provavo e ciò che avevamo vissuto, ma in quel momento
lui aveva bisogno di
certezze ed io ero lì per dargliele.
Continuava a guardarmi,
inginocchiato di fronte a me, la chitarra ancora in mano. Se ne
liberò con un
gesto veloce, poi tornò a guardarmi, mentre con le mani mi
slacciava le scarpe
e me le sfilava via insieme ai calzini.
- Mike? – avevo la gola
secca, ma non ottenni risposta dal mio interlocutore, impegnato a farmi
alzare
le braccia e a sfilarmi il maglione nero che avevo indossato
mezz’ora prima.
Nonostante il fuoco acceso, un brivido tagliò in due la mia
schiena, mentre con
cura mi liberava lentamente dei pantaloni. Tornò a guardarmi.
- Sai che mi fai paura
quando fai così? – dissi. Il cervello era andato
già a farsi fottere.
- Si, come no! – sorrise,
prima di prendere le mie labbra tra le sue, ponendo fine alla mia
capacità
d’intendere e di volere. Poi si staccò, mentre con
il suo corpo mi sovrastava
completamente, le mani appoggiate sui braccioli della poltrona.
Lentamente
ripresi le mie capacità, mentre gli sfilavo la felpa e
tiravo giù i suoi
pantaloni. Eravamo pari. Fece per fiondarsi nuovamente verso il mio
viso, ma
con un gesto veloce, lo afferrai per la vita e lo spinsi sul tappeto di
fronte
al camino.
La luce del fuoco dava ai
nostri corpi un’intensa tonalità di rosso, mentre
ci liberavamo a vicenda dei
nostri boxer. Mike, il mio Mike, tornò a guardarmi, gli
occhi resi stranamente
scuri dalla luce del fuoco. Le sue mani iniziarono a viaggiare su di
me, ormai
esperte, mentre con le labbra iniziava a disegnare sul mio petto un
percorso
tortuoso di cui conoscevo già la meta.
Perché chiedersi se era
normale?
Perché preoccuparsi di
chi
ci poteva giudicare?
- Billie – ogni, lettera
un affanno, mentre si faceva strada dentro di me, dolce e prepotente
come solo
lui riusciva ad essere. Sentivo che le mie dita affondavano nei suoi
fianchi,
mentre le sue tessevano ragnatele con i miei capelli, i suoi denti che
affondavano nella mia spalla sinistra.
- Fanculo, strappami anche
il cuore se riesci. – sentì la mia voce lontana,
come se non fosse mia. Lui
alzò la testa, mentre ancora ci muovevamo, sincronia
perfetta. Mi baciò,
schiacciando la mia testa sul pavimento, mentre venivamo insieme.
Vuoto e completezza
insieme.
- È amore –
sussurrai,
l’affanno che sollevava il mio petto e quello di Mike, che si
stringeva forte a
me tremante.
- Che cazzo stai dicendo?
– disse sorridendo, baciandomi il petto.
- È amore –
ripetei beato
– Ci svuota e ci completa.
- Wow, ti ho proprio
mandato in pappa il cervello, eh? – rise.
- Grazie, eh!
- Perché?
- Perché sai rovinare
tutto – dissi sorridente, mentre gli tiravo uno schiaffo su
una chiappa.
- Sei troppo romantico e
sdolcinato per i miei gusti – disse sereno, appoggiando il
mento all’altezza
del mio diaframma, mentre io incrociavo le braccia dietro la testa per
poterlo
vedere meglio. Lo fissai e, dopo pochi secondi, parlai: - Tanto te lo
dirò
comunque.
Lui distolse lo sguardo
con una faccia da schiaffi, guardandosi attorno, facendo finta di nulla.
- Ti amo. – dissi.
Mi rivolse il suo sguardo
ancora una volta, sospirò, appoggiò una guancia
sul mio petto e fissando il
fuoco, canticchiò: - Just keep
saying my
love is true!
Morfeo era lì e ci
abbracciò senza esitare.
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Capitolo 10 *** So get off of my case. ***
So
get off of my case.
- Mamma muoviti o perdiamo
l’aereo!
- Un attimo, tu scendi in
macchina intanto!
- Va bene! – la voce di
mia figlia era pregna d’impazienza, mentre io guardavo
riluttante i due
biglietti che stringevo in mano.
“Dai Lisea, puoi
farcela”.
Afferrai la macchina fotografica appoggiata sul letto, la misi con cura
nel suo
astuccio e mi fiondai giù per le scale, per poi arrivare
nell’ingresso dove
Ramona mi aspettava impaziente. Aveva gli occhi grigi fuori dalle
orbite e il
sorriso tirato che mostrava tutti e trentasei i denti. Il ritratto di
suo
padre, ma al femminile e rimpicciolito di parecchie taglie.
- Ce l’hai fatta eh?
Andiamo dai o vedremo papà arrivare qui da un momento
all’altro perché sua
figlia, cioè IO, non è ancora a casa sua!
- Hai finito? – dissi,
senza
entusiasmo.
- No!
- Dai Ramona, esci e
andiamo in macchina!
- Prima fammi un sorriso!
– ordinò ammiccante.
Alzai gli occhi al cielo e
le sorrisi, sforzandomi di sembrare convincente.
- Ok, adesso sembri meno
disgustata! Andiamo!
Così dicendo, si
fiondò
verso la nostra macchina, mentre il sole si addormentava lento dietro i
grattacieli e le luci di Natale di New York. Direzione: Oakland,
California.
- Papà!!!
In un attimo gli occhi
delle persone presenti all’uscita dell’aeroporto
erano incollati su me, Ramona
e Frank, che l’aspettava a braccia spalancate e il sorriso
illuminato dalla
gioia. Ramona, alla fine della sua corsa, si gettò contro il
petto del padre e,
anche a distanza di anni, potevo immaginare cosa stesse sentendo; il
petto
morbido e le spalle potenti, quel calore che farebbe sentire a casa
anche uno
sconosciuto, il profumo di muschio bianco della sua pelle.
Io, Frank e Ramona. Una
famiglia nata ancor prima del matrimonio. Già, il
matrimonio. Un legame
inutile. Perché giurarsi l’eternità
quando poi niente è destinato ad essere
immortale? Portai Ramona in grembo per nove mesi quasi da sola, periodo
in cui
constatai che l’unico amore eterno della mia vita si muoveva
dentro di me.
Ricordo ancora quando avvicinavo il pancione allo stereo per farle
ascoltare i
Green Day e lei che iniziava a rotolare come impazzita. Frank sempre in
giro,
tornò in tempo giusto per vederla nascere.
Due mesi dopo ero
sull’altare, con Ramona che strillava nella culla durante la
cerimonia, quasi
come se volesse avvisarci di cosa stavamo facendo. Certo, la mia
immaginazione
viaggia sempre in maniera smisurata, eppure non riesco a fare a meno di
considerare mia figlia una specie di veggente. Guardava me e Frank
sempre con
aria sospettosa, come se si aspettasse di vederci scattare da un
momento
all’altro. Successe, ma solo una volta. Ero stanca, vedevo
quel matrimonio come
una casa senza fondamenta: Frank che volava da una parte
all’altra del mondo
per suonare, io che continuavo col mio lavoro da fotografa. Rari, i
momenti con
Ramona. Rari quelli tra me e lui, ma indimenticabili.
- Giura! –
urlò Ramona e
quasi stavo per risponderle, come se lei potesse ascoltare i miei
pensieri.
- Te lo giuro!
T’insegnerò
a suonare la batteria. Ormai sei grande, devi imparare! –
disse, facendole
l’occhiolino, mentre lei saltellava sul posto.
- Ricordati i compiti
delle vacanze, però! – dissi io.
- COSA? – risposero in
coro padre e figlia.
- Lisea, Lisea. Non cambi
mai, vero? – disse lui, allontanandosi da Ramona e
stringendomi delicatamente.
Tremai, ma il freddo non c’entrava. Si allontanò
da me di pochi centimetri e
col suo sguardo intenso riprese a parlare: - Come stai?
- Bene! – dissi,
sorridendo tranquilla. Nonostante io e Frank fossimo divorziati
già da qualche
anno, non riuscivo ad odiarlo. Se non volevo vederlo era solo
perché ogni volta
che incontravo i suoi occhi i ricordi mi assalivano.
- Zio Mike!!!!! – Ramona
mi riportò nuovamente sulla terra, mentre si metteva
nuovamente a correre verso
due “nuove” figure; quella di Mike che
l’aspettava con una risata e quella di
Billie che osservava entrambi sorridente.
- Bentornata, eh! – disse
Mike, mentre afferrava Ramona e se la teneva in braccio.
- Mamma vuol farmi fare i
compiti! Io invece voglio suonare la batteria con papà!
– disse lei decisa,
mentre tutti scoppiavamo a ridere. Frank si voltò verso di
me raggiante di
felicità e disse: - Perché non resti qui da noi?
Passiamo il Natale insieme.
Beh, sai, ci sono regali, Babbo Natale e tutte queste cose...
– stranamente non
sapeva che dire, a parte il fatto di chiedermi di restare.
- Io non credo a Babbo
Natale! – disse Ramona – Però
papà ha ragione, resta con noi!
- Eh, ho ragione! – disse
lui, incoraggiato.
Io guardai esasperata ed
implorante Mike e Billie, i quali non fecero altro che fare una faccia
d’incoraggiamento. Alzai gli occhi al cielo e sconfitta
dissi: - Ok, rimango,
ma solo fino al ventisei, chiaro?
Ramona, a quelle parole,
saltò giù dalle braccia di Mike e corse verso di
me abbracciandomi. Vederla
felice, rendeva felice anche me.
- Ehm, scusami un attimo
Ramona, ma non mi saluti?? – disse Billie cantilenando.
Quando lui e Ramona
iniziavano a sfottersi, i bambini diventavano due. Lei senza staccarsi
da me,
fece un sorrisetto malizioso e disse a denti stretti: - Che vuoi nano??
Lui spalancò la bocca e
disse: - Ma senti chi parla! Non superi nemmeno il metro!
- Ma io ho otto anni! Tu
ne hai trenta! Sei tu il nano!
- Eh va bene, per questa
volta hai vinto! – disse, alzando le mani in aria in segno di
sconfitta. Lei si
staccò da me e andò ad abbracciare anche lui.
Questo era uno di quei momenti in
cui mi rendevo conto di quanto i Green Day fossero davvero una
famiglia. Hanno
superato davvero un sacco di difficoltà, sia artistiche che
personali. Billie
preoccupato di non essere un buon padre e marito, Mike che ha lottato
per avere
l’affidamento di Estelle dopo il divorzio con Anastacia e
infine Frank, che
dopo di me ha sposato Claudia. Altro fallimento. Lo guardavo negli
occhi e
vedevo ancora la stanchezza e la tristezza del divorzio, accaduto
proprio in
quell’anno. Era anche per quello che avevo acconsentito
affinché Ramona
trascorresse il Natale con suo padre, perché in quel momento
lui aveva bisogno
delle persone che amava. Non ero egoista, non potevo permettermi di
fargli del
male.
- Va bene! – dissi,
mentre
quei tre si divertivano con Ramona come se fossero anche loro alle
elementari:
- Stringetevi tutti quanti, voglio farvi una foto! – e
così dicendo estrassi la
macchina fotografica dal mio astuccio. Loro tre si strinsero intorno a
Ramona,
piegandosi sulle gambe, mentre Frank la stringeva forte stringendole la
vita,
sorridendo.
- Fatto! – dissi, dopo
aver scattato.
- Bene! Allora tutti a
casa Wright! C’è Lori che sta preparando la cena e
se facciamo tardi ci mette a
friggere insieme alle patate. – disse Frank,
l’entusiasmo fatto persona.
- Zia sta facendo le
patatine fritte?? – disse Ramona quasi commossa. Nonostante
avesse un fisico
snello e asciutto, era una gran mangiona. Mentre ci avvicinavamo alla
BMW di
Billie, Frank e Ramona si investivano a vicenda con valanghe di parole,
mentre
Billie prendeva i nostri bagagli e li sistemava nel cofano e Mike che
si
metteva al posto di guida.
Io, Frank e Ramona ci
sistemammo sui sedili posteriori, mentre Billie saltava sul sedile
accanto a
Mike. Potevamo partire.
- Lori?? Siamo a casa! –
annunciò Frank appena ebbe varcato la soglia di quella che
un tempo era la
nostra casa.
- Va bene! –
urlò lei
dalla cucina – Ma se non hai portato mia nipote in questa
casa, ti metto ad
arrostire sullo spiedo.
- Zia Lori!!! – Ramona
iniziò a correre verso la cucina il più veloce
che poteva, mentre Frank, con la
solita galanteria, mi toglieva il cappotto.
- Accomodati – disse
pacato, mentre mi aggiravo in quella casa così famigliare
eppure così
sconosciuta. Avevo perso anche il conto di quanti anni fossero passati
dall’ultima volta che ci avevo messo piede. Nel frattempo
entrarono anche Mike
e Billie, quest’ultimo che trascinava i bagagli di Ramona.
- Hey nano! E le valigie
di Lisea?
- Allora, punto numero
uno. Non sono un fattorino. Due: Lisea non dorme in albergo?
– disse col fiato
corto per via delle valigie di Ramona.
- Ah, già –
disse Frank
con amarezza.
“Ok, basta con
l’imbarazzo” pensai e subito mi affrettai a
sistemare le cose: - Beh, ci sarà
ancora la stanza degli ospiti in questa casa vero? – dissi,
mentre il viso di
Frank tornava ad illuminarsi. – Almeno Ramona avrà
la famiglia al completo la
mattina di natale, o no?
- Va bene! Vado a prendere
le valigie allora! – disse Frank raggiante, mentre Billie
tirava un sospiro di
sollievo per non dover trascinare altri pesi e Mike si ritirava in
cucina.
Stavo per imitarlo, quando sentì picchiettarmi sul fianco.
- Ciao Lis!
- Hey, ciao Frankito! –
quel ragazzino era un amore! Aveva solo due anni e le poche volte in
cui
l’avevo visto, ci avevo fatto amicizia.
- Ramona è qui?
– chiese
con una voce che somigliava a uno squittio.
- Si, certo tesoro, vai in
cucina! – dissi con dolcezza e, mentre si allontanava,
sentì qualcuno
avvicinarsi dietro di me. Mi voltai e incontrai gli occhi smeraldini di
Billie,
il quale sembrava il volto della serenità.
- Era da tempo che non
vedevo Frank così felice! Davvero! Ha bisogno di qualcuno
che gli stia accanto,
il divorzio con Claudia l’ha distrutto. Grazie, Lisea!
– disse, gli occhi che
esprimevano tutta la sincerità delle sue parole. Detto
questo, si allontanò ed
arrivò al tavolo dove si sarebbe consumata la cena,
sedendosi accanto a Mike.
Lori apparve
all’improvviso dalla cucina, la chioma bionda liscia e
perfetta e le labbra
iniettate di rosso. Spalancò il suo sorriso così
simile a quello di Frank e
venne ad abbracciarmi: - Ciao Lis!
- Ciao Lori, son contenta
di vederti!
- Anche io! Scusami ma
devo correre, prima che quei due marmocchi si facciano male vicino ai
fornelli!
– e detto ciò tornò in cucina. Io mi
voltai lentamente verso le scale che
portavano alle stanze da letto e sentì i passi pesanti di
Frank che le saliva.
Decisi di raggiungerlo e in breve mi ritrovai di fronte al corridoio
del primo
piano. Ma invece di entrare nella stanza degli ospiti,
l’ultima in fondo al
corridoio, fui attratta da quella che un tempo era la mia camera da
letto. La
porta era socchiusa e mi bastò spingere leggermente per
entrare. Era il caos.
Vestiti sparsi ovunque, mozziconi di sigarette e parecchie bottiglie di
birra
vuote, ma la cosa che mi sorprese fu il letto, completamente disfatto e
pieno
di fogli accartocciati. Solo uno era perfettamente liscio e ricamato
dalla
scrittura sottile di Frank. Lo presi e
incominciai a leggere:
[Part 4: Rock
and roll girlfriend]
I
got a rock and roll band.
I got a rock and roll life.
I got a rock and roll girlfriend.
And another ex-wife.
I got a rock and roll house.
I got a rock and roll car.
I play the shit out the drums
And I can play the guitar.
I got a kid in New York.
I got a kid in the bay.
I haven't drank or smoked nothin' in over 22 days!
So
get off of my case.
Sembrava una delle sue
tante canzone demenziali, che a prima vista sembrano senza significato.
Invece
quelle poche righe erano il breve racconto della sua vita, del suo
carattere,
dei calci in culo che aveva ricevuto e la forza che aveva ritrovato per
rialzarsi e riprendersi.
- Che ci fai qui? – la
voce sorpresa di Frank mi fece sobbalzare e il foglio che avevo in mano
cadde a
terra, proprio vicino ai piedi di lui.
- Ehm … sinceramente non
lo so! – avevo le guance in fiamme per l’imbarazzo.
Quella non era la mia
stanza già da un pezzo, eppure sembrava che quelle pareti in
quel momento
stessero sussurrando alla mia mente ogni cosa che era successa al loro
interno.
- Tranquilla, non me la
sono presa. È solo che … mi ha fatto uno strano
effetto vederti qui. – disse.
Lo guardai negli occhi. Brillavano di nostalgia.
- Non ho dimenticato
niente di quello che è successo qui, sai? – dissi
con un nodo in gola.
- Nemmeno io! – disse
tranquillo e lentamente mi posò una mano sulla guancia.
Istintivamente chiusi
gli occhi e mi abbandonai a quel tocco, prima di sentire il calore
delle sue
labbra sulle mie. Fui sorpresa e riaprì gli occhi. Piangeva.
Fui io ad
interrompere il bacio e mi aggrappai al collo della sua camicia.
- Frank, devi esser forte!
Lo sei!
- Non lo so più!
- Si che lo sai!
Non rispose.
- Senti, ti prometto che
questo sarà un Natale fantastico, ok? – promisi
felice. – Ora siamo amici e io
starò accanto a te! E poi …
c’è Ramona!
- Si! Lei è tutta la mia
vita. Grazie per quello che stai facendo. – disse
costringendosi a non
piangere. Ci riuscì, sfoderò il suo brillante
sorriso e mettendomi un braccio
intorno alle spalle mi accompagnò sulle scale. Una volta
arrivati a tavola, già
imbandita, esordì dicendo: - Ok!!! Apro subito le danze
… ma! LOOOOOORI!!! LE
BIRRE!!!!
- UN ATTIMO!!! NON SONO LA
TUA SERVA!!!
Scoppiammo tutti a ridere,
la famiglia finalmente riunita. Guardai il volto felice di Ramona e mi
sentì al
settimo cielo.
New
York poteva aspettare.
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Capitolo 11 *** In the end. ***
In the end.
13 Febbraio
2005
- Perché vederti
arrivare
con un’ora di ritardo non mi sorprende?
- Senti chi parla! Nano,
ricordati che sei sbrigativo solo perché non ti lavi mai e
dei capelli non te
ne fotte un cazzo. Hai dimenticato come ci si pettina, Bill?
– disse Frank con
calma e un sorriso abbagliante.
- Tu invece sei passata a
restaurarti, dolcezza? – disse Billie con sarcasmo.
- Oooh si! – disse Frank
sbattendo le ciglia velocemente.
- Ragazzi, basta, vi
prego! Non è passata nemmeno un’ora e
già mi avete sfracassato i coglioni!
- Sei nervoso, Mikey? –
parlò ancora Frank con una vocina da perfetta puttanella
– Se vuoi ti rilasso
io!
Gli tirai un’occhiataccia
e lui zittì senza dire altro. Cazzo se ero nervoso. I nervi
pungevano nella
carne come il freddo di quella serata invernale, così
limpida eppure ventosa,
di quel vento che taglia la faccia.
- Dai su Mikey, non fare
così! È tutto ok!
Riconobbi subito quella
parlantina veloce e acuta, mi voltai e incontrai il volto luminoso di
Brit.
Aveva indossato solo un paio di pantaloni e una giacca, eppure era
bellissima,
come sempre, i capelli biondi perfettamente lisci, come fili
d’oro.
- Si, tutto ok! – risposi
io – che sarà mai? Ci andiamo tutti gli anni a
ritirare un Grammy, vero
ragazzi? – ero ancora nervoso, ma la presenza di Brit sa
sollevarmi sempre e
comunque.
- No, ma questo potrebbe
essere l’inizio di una lunga serie … spero!
– disse Billie sognante, lo sguardo
perso. Poi all’improvviso scattò con la testa e
guardò l’orologio appeso nel
suo salotto.
- ADIEEEE, AMOREEE??
SBRIGATI O FACCIAMO TARDI! – Strillava. Era nervoso anche
lui, lo conosco
troppo bene.
- Arrivo! – rispose lei
per quella che doveva essere la quinta volta.
- Vengo a darti una mano
Adie? – disse Frank con voce sensuale.
- Fatti una sega
piuttosto, Wright! – rispose lei ed era in quei momenti che
io capivo davvero
che lei e Bill si completavano alla perfezione. Billie ed io scoppiammo
a
ridere, mentre Brit era impegnata a ricontrollare il trucco.
- Perché siete tutti
cattivi con me oggi? –
- Perché stai rimediando
da scopare da quando sei arrivato – dissi io.
- Beh, è il modo
migliore
per scaricare la tensione! Ma tu hai rifiutato, Adie pure, a Brit non
oso
chiedere … - disse cauto mentre lo scrutavo con attenzione
– quindi nano,
stasera tocca a te! – disse sorridente.
- Se permetti, il nano è
mio! – la voce di Adie era più vicina. Ci voltammo
verso le scale e la vedemmo
lì, ferma e sorridente, fasciata in un bel vestito nero e
corto, con delle
bretelle a forma di gilet. Con le labbra increspate da un sorriso mi
voltai
verso Billie, che aveva spalancato la bocca, mentre il suo viso si era
colorato
di rosso. Passavano gli anni, eppure la sua reazione alla vista di
Adrienne era
la medesima.
- Wow! – fu
l’unica cosa
che seppe dire.
- Sei favolosa Adie! –
cinguettò Brit correndo ad abbracciarla.
- Anche tu Brit! –
sorrise
lei.
- A me nessuno fa i
complimenti, viene a darmi un abbraccio, una carezza …
niente? – cantilenò
Frank.
- Trè, ti supplico, stai
zitto! – dissi io esasperato.
- Ma io … - non
finì la
frase perché Billie, molto delicatamente, si
fiondò a tappargli la bocca con la
sua.
- Che tu sia benedetto
Billie! – dissi io, mentre Adie e Brit ridevano a crepapelle.
- Ora sei apposto! Non
voglio sentirti per il resto della serata, chiaro? – Billie
si staccò da Frank
e lo ammonì con un tono di voce che non ammetteva repliche.
- Okeeey! –
sospirò Frank,
apparentemente più tranquillo.
-
Perfetto, andiamo! – disse Billie con voce distesa, mi fece
l’occhiolino e poi
andò verso Adrienne, cingendole la vita con un braccio. Io
mi diressi a grandi
passi verso Brit e, dandole un bacio a fior di labbra, uscimmo da casa
Armstrong diretti verso una serata imprevedibile. Verso i Grammy.
- ECCO LA
47^ EDIZIONE DEI GRAMMY AWARDS!!! PER VOI I … GREEN
DAY!–
Attaccammo con “American Idiot”. La voce di
Billie tremava
dall’emozione e Frank batteva il tempo con forza. Io ero
costretto a mantenere la
calma, sia per loro che per me. Sotto di noi si ripeteva la stessa
diapositiva:
facce sorridenti, altre che piangono, mani che si tendono, sguardi
languidi e
grida eccitate.
Per noi, solo per noi, da
sedici anni a quella parte. Ricordo ancora la prima volta che suonammo
con
Frank al Gilman. Cazzo, sembrava un’eternità fa!
Per non parlare della volta in
cui Billie mi annunciò che abbandonava la scuola. Il ricordo
mi arricciò le
labbra in una specie di sorriso. Non eravamo cambiati di molto. Certo,
eravamo
più incazzati e paranoici a vent’anni, ma adesso.
Adesso? Siamo nei trenta,
proprio Bill ne compie trentatré tra quattro giorni. Eppure
ai miei occhi è
sempre giovane, forse bambino. E Frank? È semplicemente
insostituibile e non
una ruota di scorta come in molti hanno pensato. No. Siamo una band e
prima
ancora siamo amici, fratelli, amanti. Tutto. E quella sera non
calpestavamo un
palco, ma coglievamo l’occasione per dimostrare che noi siamo
una cosa sola, la
vittoria non era importante. La nostra musica rispecchiava
semplicemente il
nostro crescere, la nostro voler fare ancora musica significava
mantener fede a
quella promessa che, silenziosamente, avevamo fatto a noi stessi e ai
fan, cioè
restare uniti. Sempre.
- We’re not the ones who mean to
follow for that’s enough to argue!
Stavamo per finire, Billie
ormai urlava davanti al microfono, gli occhi scintillanti
d’eccitazione. Ok, è
finita. Scendiamo giù e ci fiondiamo nei camerini per
indossare di nuovo i
nostri abiti da sera, ma io e Frank venimmo fermati nel corridoio da un
Billie
Joe in delirio.
- Ragazzi, io … ecco
…
Io e Frank lo guardavamo
con gli occhi sgranati in attesa che completasse la frase.
- Ecco, non so, vabbè
…
grazie! Davvero! Non ve lo dico mai abbastanza o forse non ve lo dico
mai, ma
sappiate che senza di voi io non sarei qui e la mia vita sarebbe
probabilmente
una merda. Io … vi amo, grazie!
Si sciolse in lacrime di
commozione. Lui i sentimenti li incastra nelle canzoni, eppure con le
parole
non ci sa fare fino in fondo. Impacciato, come sempre, come da bambino,
faceva
il primo passo solo se qualcosa doveva farla il cuore al posto suo.
Quando
esprimeva i suoi sentimenti lo faceva davvero col cuore tra i denti.
Io e Frank ci scambiammo
un breve sguardo di intesa, probabilmente legati dagli stessi pensieri,
e senza
nemmeno parlare ci fiondammo su Billie stringendolo tra le braccia. Non
c’erano
i Grammy Awards, le signore potevano aspettare e così anche
i nostri vestiti
costosi di merda che mettiamo una volta l’anno. Cosa
t’importa del mondo e del
tempo che passa quando tutto ciò di cui hai bisogno si
intreccia contro il tuo
petto? Quando senti che tre cuori battono all’unisono,
riusciresti a immaginare
un concerto migliore? No! Quello era uno spettacolo che accadeva
raramente e
perderlo era un delitto.
Ci dividemmo dopo qualche
minuto, mentre Billie iniziava a ridere senza motivo e ci contagiava in
una
risata ignorante senza precedenti.
- Credo sia ora di andare.
– dissi dopo aver controllato l’orologio. Quindi
corremmo verso i camerini, ci
cambiammo il più velocemente possibile per poi uscire dieci
minuti dopo vestiti
da damerini.
- Pronti? – la tensione
nella voce di Billie.
- Ovvio Armstrong, che
è?
Ti stai cagando addosso? – disse Frank con una mezza risata.
- Se è per questo, ti
stai
cagando anche tu! – risposi io con sarcasmo, mentre lui mi
guardava con uno
sguardo del tipo “Ti pare che Trè Cool si caghi
sotto?”.
- Andiamo dai! – Bill era
la tensione fatta persona, iniziò a camminare
frettolosamente mentre io e Frank
lo seguivamo a ruota. Io non ero da meno. Ero talmente teso che sentivo
il cuore
saltellarmi nello stomaco. Finalmente raggiungemmo la platea e quindi i
nostri
posti dove Adie e Brit ci aspettavano con ansia.
- Ce l’avete fatta!
–
esclamò Brit, contenta del nostro arrivo.
- Credevi ti avrei
abbandonata qui? – dissi io, improvvisamente calmo.
- Oh, è probabile!
– disse
lei con un sorriso disteso, mentre le stampavo un bacio delicato sulle
labbra. Mi
voltai stranamente sereno verso il palco proprio mentre Penelope Cruz
sfilava
in completo bianco verso il microfono e annunciava le nomination per il
Miglior
Album Rock. Cazzo, addio serenità! Noi eravamo in
nomination, ma insieme con
noi c’erano quei figli di puttana dei Killers che in quel
periodo andavano
forti. Mentre riprendevo fiato, sul maxi schermo sfilavano i nomi dei
candidati.
“The Delivery Man – Elvis Costello
& The Imposters”
Elvis porca troia, come
avremmo fatto a vincere? Era stato un viaggio a vuoto, lo sapevo!
“American
Idiot – Green Day”
Tuffo al cuore, mentre il
pubblico urlava in risposta al nostro nome. Doveva venirmi proprio in
quel
momento un infarto? Istintivamente mi voltai verso Billie alla mia
destra e,
mentre stringeva la mano di Adie seduta accanto a me, incontrai i suoi
occhi
verdi. Un nanosecondo. Avrei potuto morire. Non avevo visto Billie,
avevo visto
solo la felicità e la speranza dentro le sue iridi.
“
The Reason – Hoobastank”
Alla mia sinistra, Frank,
seduto di fianco a Brit, aveva gli occhi spalancati e i denti stretti
mentre
fissava lo schermo con l’affanno.
“Hot
Fuss - The Killers”
I miei battiti acceleravano
in maniera assurda. Tra poco avremmo saputo il vincitore.
“Contraband
– Velvet Revolver”
Ecco i nomi. Vedevo
Penelope muoversi a rallentatore mentre pronunciava la frase:
“And the Grammy
goes to …”. Aprì la busta e, senza
aspettare un secondo di più, disse: “Green
Day!”.
Gettai la testa indietro.
Era fatta. Non potevo crederci davvero! Era tutto fin troppo perfetto
quella
sera. Comandato e trascinato dalle mie gambe, mi alzai dalla sedia e
feci per
andare verso Billie, ma quest’ultimo stava già
festeggiando baciando Adie.
Improvvisamente mi accorsi che la mia mano sinistra ne stringeva
un’altra.
Brit. Sorrideva raggiante.
- Congratulazioni amore!
–
disse, mentre mi stampava un bacio sulla guancia. Ero completamente
intontito,
mi muovevo come in un sogno, il sorriso stampato sulle labbra.
Abbracciai Rob,
Trè, diedi un bacio sulla guancia a Adie. Mentre seguivo
Billie verso il palco,
due mani afferrarono le mie e mi ritrovai faccia a faccia con Stevie
Tyler che
si complimentava con me. Lo ricambiai con un sorriso per poi saltare
sul palco,
raggiungendo Billie, Penelope, Mark McGrath e Williams Pharrell.
Billie si avvicinò con
mani tremanti a Pharrell che gli porgeva il premio, lo prese saldamente
e lo
alzò al pubblico annuendo in segno di vittoria, mentre Frank
salutava gli altri
tre. Billie mi farfugliò qualcosa e poi prese a parlare al
microfono.
- Oh, mio Dio. Bene, ci
sono davvero tante persone da ringraziare e spero ricordarle tutte!
Ehm, Rob
Cavallo per aver prodotto l’album insieme a noi! Ti
ringraziamo! E’ da molto
tempo che sei insieme a noi e ti amiamo per questo. Poi …
Pat Magnarella, tutte
le persone della Reprise ehm… - disse guardandomi e dandomi
un colpetto sul
braccio – Mike Dirnt!
- Beh, voglio ringraziare
tutti coloro che hanno lavorato con noi! – cazzo, stavo
blaterando - Tutti
i fans, tutti quelli delle radio che
continuano a mandare musica rock’n roll ehm…-
Oh cazzo, cazzo, cazzo.
- EBPM – Billie suggeriva
alle mie spalle.
Cazzo, vero, la East Bay
Punk Mafia!
- I componenti della EBPM
e tutti coloro che hanno lavorato per tutto il tempo al 880 Studios ehm
… -
Lei non poteva mancare.
- E il mio amore, Estelle.
Ti amo, Estelle!
Fu la volta di Frank.
- Ramona, Frankito,
Billie, Mike. Tutti i fans. Grazie!
Sintetico come sempre,
complimenti Frank. Billie tornò a parlare.
- Adrienne, Joey e Jakob,
grazie davvero! Ehm…
Ecco che spara qualche
cazzata. Quando riflette ne dice sempre una!
- Ehm, sapete, il rock’n
roll può essere divertente e pericoloso allo stesso tempo!
Grazie mille!
Beh,
ero d’accordo. Si era salvato in calcio d’angolo.
Uscimmo fuori dal Staples
Center di Los Angeles, stretti nei nostri cappotti. Si tornava a casa.
- Ehm, scusate? –
Una voce femminile ci
chiamò alle nostre spalle.
- Si? – disse Billie con
voce stanca.
Ci voltammo e incontrammo,
sull’uscio dell’edificio, una donna sulla trentina,
i capelli rossi raccolti in
una coda e un paio di occhiali troppo grandi per il suo visino minuto.
- Ehm … ecco, sono una
giornalista, vorrei solo farvi due domande! – disse
timidamente, mentre tremava
dal freddo … o dall’emozione?
- Va bene, ma in fretta,
la prego! – disse Billie supplicando.
- D’accordo! Ok, come ci
si sente a vincere un Grammy?
Cazzo, originalità da
vendere, eh? Era tutta una perdita di tempo e mentre Frank blaterava
cose sul
sesso, soldi e droga, io iniziai a sbuffare fissando il cielo.
- Ma, scusi, non prende
appunti? – la voce di Adie mi riportò alla
realtà.
- Oh, ecco, ho dimenticato il mio Moleskine in macchina, ma ho una buona memoria. A proposito, signor Armstrong.
Lei ha
buona memoria?
- Che razza di domande
sono? Vuole farci perdere tempo? – dissi io irritato.
- Calmo Mike, non
c’è
bisogno di agitarsi. – mi disse Brit stringendomi un braccio.
- Beh, diciamo che non
ricordo quante volte vado a pisciare, ma le cose importanti le ricordo,
perché?
– disse Bill sarcastico. Lui si stava divertendo come un
matto. Beato lui.
- Perché volevo
chiederle
se ricorda cosa accadde il 16 febbraio del 1980. – disse lei,
accesa da una
strana gioia. Ma che cazzo stava succedendo? Cosa sapeva quella
lì? Il giorno a
cui si riferiva era quello in cui Bill aveva lasciato la scuola e in
cui avemmo
la nostra …
- … prima volta che ebbi
il coraggio di prendere per mano la mia vita e mandare a cagare la
scuola! Ma
cosa cazzo c’entra? – si stava irritando e mi
lanciò un’occhiata di supplica.
- Se le dicessi, signor
Armstrong, che la
differenza tra lei e me è che lei ha un sogno, qualcosa in
cui credere,
da coltivare giorno per giorno e che io, invece, mi faccio riempire il
cervello
di merda, lei cosa mi risponderebbe?
Sentivo quelle parole nel mio
cervello come una eco. I ricordi si
rincorrevano nella mia mente, eppure ricordavo quelle parole sulla
bocca di
Bill e di nessun altro. Lui, intanto, aveva arricciato la fronte,
probabilmente
investito anche lui dalla memoria. Poi, improvvisamente, si
illuminò, il
sorriso di chi rivede se stesso da piccolo.
- Frances? – disse con un
filo di voce, mentre Adie lo guardava
interrogativo.
- Si, Bill, sono io! –
disse la rossa, col sorriso sulle labbra.
- Oh, porca puttana, da dove salti
fuori, secchiona?? – disse Bill
andandole incontro e abbracciando la sua vecchia compagna di classe. Io
tornai
a guardare Adie, mi avvicinai e le accennai un “compagna di
scuola”. Lei
rilassò i nervi e si avvicinò anche lei a Frances
e Bill che chiacchieravano a
ruota.
- Ehm, piacere, io sono Adie.
- E chi non ti riconoscerebbe?
– rispose Frances sorridente e stringendole
una mano.
- Vedi tesoro? Lei è
quella che mi ha salvato da un coglione che tentava di
insegnare storia e mi ha aperto gli occhi sul mondo e su me stesso!
- Addirittura! … ciao
Mike! – disse, rivolgendosi a me.
- Ciao Frances, ricordo ancora quel
giorno sai? Il nostro amico aveva
iniziato a farsi seghe mentali e mi son dovuto impegnare parecchio per consolarlo.
Bill mi gettò
un’occhiataccia per poi mettersi a ridere. Quel ricordo era
intenso per entrambi.
- Beh? Qui non si fanno
presentazioni? – urlò Frank, spingendo via Billie
e
prendendo la mano destra di Frances, ci schioccò un bacio
sopra dicendo: - Enchante!
Frances rise, facendo scivolare via
la mano destra, sostituendola con
quella sinistra dove scintillava una fede.
- Oh cazzo! – disse Frank
ridendo – Beh, fortunato lui!
Si, Frances era davvero una bella
donna, totalmente diversa dalla ragazzina
brutta e impacciata del liceo. Mi allontanai dal gruppo pensando, fin
quando
una mano non mi ridestò. Brit.
- Tesoro, io chiamo un taxi e vado
in albergo. Sto crollando. Ti raggiungo
domani a Berkeley, ok?
- Va bene amore! A domani
– la baciai a lungo, prima che lei se ne andasse
via lasciandomi da solo con i miei pensieri ingarbugliati. Tornai alla
realtà
dopo molti minuti, quando sentì la voce di Frances che
annunciava la propria
partenza verso casa. Mi avvicinai giusto in tempo per salutarla e
vederla andar
via.
-
Dov’è Brittney, Mike? – chiese Adie.
- In albergo, cadeva giù
dal sonno. Mi raggiungerà domani.
- Oh capisco. Beh, allora vado a
farle compagnia. Per voi tre c’è una notte
di festeggiamenti che vi aspetta! Ora è meglio che io vada!
– e così dicendo
fece l’occhiolino a Billie e schioccandogli un bacio a
stampo. Ci salutò e si
allontanò velocemente dirigendosi verso la strada. Billie
rimase imbambolato a
guardarla per qualche secondo, poi tornò a guardare me e
Frank.
- Cazzo, che serata! –
disse.
- Fottutamente bella! –
esclamò Frank.
- Fottutamente stancante!
– aggiunsi io.
Durante la serata avevo tentato di
capire cosa cazzo mi aveva reso teso
come una corda di violino, eppure dopo la vittoria non ero riuscito a
controllarmi o a trovare una risposta. Senza un motivo ben preciso,
guardai
l’orologio che avevo al polso.
02.01
Era passato un altro giorno.
Momento, ma quel giorno era San
Valentino. Cazzo, non avevo nemmeno pensato
a un regalo per Brit. Facevo schifo.
- Beh, andiamo a festeggiare?
– disse Frank con una luce particolare negli
occhi, come un’insegna luminosa con su scritto
“Adesso ci si ubriaca”.
- Si, andiamo. Anche
perché dobbiamo tirare il morale al nostro bassista.
–
disse Bill sarcastico.
- Ma sto bene!
- Vai a raccontarle a qualcun altro
le puttanate, Dirnt!
Tacqui. Non potevo fare altro.
- Va bene, aspettatemi qui voi due!
Io vado a recuperare l’auto.
- Okeeey – rispondemmo in
coro io e Bill.
- Che hai?
- Niente.
- Forza parla!
- Solo un po’ di
stanchezza e scoraggiamento perché oggi andrò a
zonzo per
San Francisco per rimediare un cazzo di regalo per Brit. E’
già San Valentino.
- Oh … è
vero! Cazzo, nemmeno io ho niente per Adie …
- Ma non farmi ridere nano, dove le
metti le montagne di canzoni scritte
per lei?
- E chi lo dice che siano tutte per
lei?
Mi guardava con uno di quei sguardi
accesi di passione e timidezza al tempo
stesso. Distolsi lo sguardo, fissandomi le punte delle scarpe
accennando un
sorriso. Nel frattempo sentii uno scatto, alzai lo sguardo e una nuvola
di fumo
mi incipriò il volto.
- Che fai? Non offri? –
dissi io, strappando la sigaretta dalle labbra
carnose di Bill e portandola alle mie sottili e lunghe. Feci un tiro,
poi lui
si avvicinò e sostituì la sigaretta con le sue
labbra, calde nonostante il
freddo polare. Era un bacio casto, di quelli teneri. Alla fine, mi
cinse con le
sue braccia e appoggiò il mento sulla mia spalla sinistra.
- I don't
wanna go back home, I don't wanna kiss goodnight! Let us
paralyze this moment til it dies! – sussurrò le
parole di “Cigarettes and
Valentines” nel mio orecchio, mentre alle mie
spalle
si avvicinava un’auto.
- HEEEEY PICCIONCINI. GUARDATE CHE
FUORI FA FREDDO E COMUNQUE IN TRE CI SI
SCALDA DI PIU’, SAPETE?? – urlò Frank
dopo aver abbassato il finestrino.
Io e Bill ci staccammo ridendo e
raggiungemmo l’auto sollevati e sereni.
Appena fummo dentro, Frank ci rivolse un sorriso a tremila denti e,
prima di
mettere a moto, disse: - Pronti?
- Cazzo, si! –
rispondemmo in coro io e Billie.
E così partimmo, verso
quella serata che prometteva sbronze e qualche
pazzia. O, chissà, magari qualche canzone improvvisata o
qualche gesto di
troppo nasceranno nella penombra di quest’auto che viaggia
veloce sotto la
guida di Frank.
Sotto i miei pensieri che hanno la
voce di Billie, o forse è proprio la sua
voce che, dal sedile posteriore o in qualche angolo nascosto continua a
cantare
…
So come away with me tonight
with cigarettes and Valentines! Cigarettes and Valentines!
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