L'Impero dei Fiori

di lar185
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


fioriprologo

 

 

 

- Viola, querida, buona giornata!-

Viola alzò lo sguardo e un altro sorriso le apparve sul volto quando incontrò gli occhi di zia Janine, in vestaglia, un pelo fuori dalla porta di casa.

Janine aveva circa trentacinque anni ma sembrava molto più giovane: era alta, snella, grandi occhi scuri e lunghi capelli ricci e castani. La sua carnagione era abbronzata, cosa assai strana per chi ha sempre vissuto a Clapham, e pure per chi vive a Brighton, doveva vivevano adesso. Ma Janine, difatti, non aveva vissuto sempre lì con loro.

-         Buona giornata anche a te, Janine - biascicò aprendo appena le labbra.

Janine sorrise accingendosi a rientrare, poi si arrestò sentendo un rumore di tacchi provenire dall’interno della casa.

La mamma corse fuori.

-         Viola, tesoro, ciao! Non tornare tardi, d’accordo? Hai preso le chiavi di casa? Brava... e, Janine, non dimenticarti del pranzo, okay? Diamine, ho fatto di nuovo tardi...un bacio, amore, vieni qui tesoro! Ecco, brava...ehi, come sei carina! Salutami i tuoi amici, okay? Ciao Viola!-

 

 

 

Viola avanzava il passo, come spesso faceva quando camminava da sola, verso la scuola. Alzò la testa all’incrocio, dove di fronte a se campeggiava il cartello indicante il nome della strada, e sotto di esso “City of Brighton”.

Brighton, già. Viola Lens si era trasferita a Brighton quando la zia Janine, misteriosa sorella di sua madre, era ricomparsa nelle loro vite, dopo aver chiuso il matrimonio con uno studente spagnolo, di cui tempi immemori si era innamorata. Viola non aveva mai conosciuto nessuno con tanto spirito persuasivo quanto ne avesse la zia Janine: in quattro e quattr’otto aveva convinto la mamma a mollare Clapham e a trasferirsi a Brighton, lontano da papà.

Viola aveva vissuto bene la separazione dei suoi genitori, specialmente perché nessuno dei due viveva nella sofferenza e l’atmosfera che regnava tra loro non era pesante.

Brighton era più soleggiata rispetto a Clapham e l’ambiente appariva quasi del tutto nuovo per Viola e mamma Marianne; ma nonostante questo Viola imparò sin da subito ad amare il quartiere e i nuovi punti di riferimento. Uno di questi era la Casa sulla Settima Strada: era la casa più grande del quartiere; con un cortile ben curato, dipinta di un rosa antico tendente all’arancione e la porta verde. Nel quartiere tutti conoscevano quella casa come la Casa sulla Settima Strada, ma nessuno sapeva chi ci abitasse. Era un pò una leggenda, tanto era bella e grande: Janine sosteneva che soltanto un ricco uomo politico poteva permettersi una casa del genere, la mamma credeva si trattasse di un imprenditore. Ad ogni modo, Viola non era mai riuscita a capire chi effettivamente ci abitasse, lì.

A Viola piaceva Brighton, le piaceva davvero, anche se di tanto in tanto si lasciava prendere dalla nostalgia pensando a Clapham, a suo padre e a tutto quello che aveva lasciato in quella città.

Ma il tempo dei pensieri era finito, era arrivata a scuola; due mani calde si poggiarono sulle sue spalle, cogliendola di sorpresa e facendola sobbalzare.

-         Ho vinto!- gridò Luce, mentre i capelli biondi, corti e scompigliati le coloravano il viso.

-         Ma sei impazzita?- esclamò Viola voltandosi verso l’amica mentre riprendeva fiato.

Luce scoppiò a ridere osservando l’espressione spaesata della ragazza.

Viola spostò lo sguardo su Daniel, che, a pochi centimetri da loro, teneva lo sguardo semi divertito su entrambe.

-         Che le prende?- chiese poi Viola rivolta verso l’amico, - cosa ha vinto?-

-         Una scommessa- rispose Daniel, sfoderando uno dei suoi sorrisi simpatici, - una scommessa contro di me! Abbiamo scommesso sul fatto che, anche oggi come gli altri giorni, saresti arrivata a scuola esattamente alle otto e sei minuti ...e ha vinto lei!-

Viola si fece scappare un sorrisetto, diede una pacca sulla spalla a Luce.

-         Complimenti, conosci ogni mia mossa! E sentiamo, cos’ hai vinto?-

Daniel sbuffò, i capelli scuri ondeggiarono sul viso e sugli occhi neri, poi tirò fuori dalla tasca cinque sterline e li posò tra le mani bianche di Luce.

-         Ecco cosa ho vinto! Cinque sterline!-

Stavolta fu Viola a ridere, osservando l’espressione contrariata di Daniel.

-         Beh, cos’é quella faccia? Accetta le sconfitte!- lo prese in giro Viola, sorvolando sul fatto che avevano giocato su di lei.

-         Già, Daniel, e la prossima volta impara a scommettere su cose meno ovvie!- lo canzonò Luce mentre riponeva le cinque sterline nel borsellino con assoluta tranquillità.

-         Sto già pensando alla prossima scommessa...- sentenziò Daniel con una punta di divertimento nella voce.

-         E sarebbe?-

-         La Casa sulla Settima Strada! Sarai capace di scavalcare il muro ed entrare nel cortile?-

-         Altroché!-

-         Non ci credo!-

-         Solo perché tu sei troppo fifone per farlo tu non vuol dire che non possa farlo io...-

La discussione aveva ormai preso piede, Viola lanciò loro un’occhiata divertita, Daniel poggiò le mani sulle spalle delle due ragazze e si diressero verso il muretto alla loro destra, dove si sedevano sempre mentre aspettavano il suono della campanella. Quel muretto vecchio e decadente era il punto preferito di Daniel e Luce, era quel posto, in una moltitudine di altri muretti e giacigli, che era soltanto loro. Un posto che anche tra un milione di anni Viola avrebbe ricordato con il sorriso sulle labbra, con gioiosa malinconia. Si sedette sul muretto, si poggiò la cartella sulle ginocchia e rimase in silenzio a guardare i suoi amici che ridevano e scherzavano mentre giocava distrattamente con i suoi braccialetti.

Stava passando in rassegna a tutti i ragazzi che si trovavano davanti a lei quando d’improvviso i suoi occhi si fermarono sull’angolo più lontano dello spiazzo, su un muretto tanto simile al suo. In lontananza, tra un groviglio di persone, c’era un ragazzo, uno che non aveva mai visto. Viola alzò leggermente la testa.

Era proprio in mezzo a quel groviglio, eppure sembrava distante.

Era come la nota che si aggiunge ad un accordo per renderlo dissonante.

Aveva un cappotto blu e le scarpe bianche con i lacci neri, i capelli biondi...lunghi, un po’, forse, sugli occhi, le mani in tasca e la cartella sulla spalla. Smettila di guardarlo, pensò Viola.

Ad un tratto lui si voltò verso di lei, si guardarono per un attimo negli occhi. Aveva gli occhi azzurri come il cielo d’estate, lucenti come il sole che illumina le gocce di rugiada sulle foglie degli alberi.

Smetti di guardare la nota dissonante, si impose.

Ma non ci riusciva.

Lui d’un tratto sbiancò, fu come se fosse preso da uno spasmo violento. Si voltò di scatto, Viola roteò gli occhi per lo spiazzo per poi tornare un secondo a guardarlo.

Era sparito.

Suonò la campanella.

-         Diamine...già la campanella!-

-         Avanti, entriamo...-

-         Già...Viola?-

-         Viola?-

-         Ma che ha? Viola, ci sei?-

-         Come é buffa!-

Viola si risvegliò di scatto. Fu come se il mondo riprendesse a girare.

-         Eh? Che succede?-

-         Ci hanno attaccato gli alieni!- scherzò Daniel.

-         Ma che spiritoso! E’ suonata la campanella, non l’ hai sentita?

-         Io veramente non...

-         Andiamo!-

Luce tirò Viola per un braccio, lei si alzò malvolentieri dal muretto e perse lo sguardo tra la marea di studenti che stavano per entrare a scuola.

Una musica così liscia, lineare, come una sequenza perfetta di note.

I ragazzi che entrano a scuola non hanno quasi niente di imperfetto.

Smetti di cercare la nota dissonante, si impose.

 

 

Note:

Nuovo adattamento per la storia più lunga che io abbia mai scritto. Ho ridotto in questo capitolo le dieci pagine previste dalla versione “originale”, sperando di riuscire ad editare questo racconto che significa tanto per me. Mi scuso per eventuali errori ed incoerenze, farò del mio meglio e mi auguro che possiate seguire in tanti e commentare. Questo primo capitolo è forse “floscio”, ma le cose prenderanno velocità e consistenza con il tempo. Intanto, vi ringrazio per l’attenzione e vi invito a seguirmi anche in “Calibri”, “Tutte le bugie di Lena” e “Bosikom Lyubov’- Il beneficio del buio”

Grazie a tutti,

 

Lara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1. ***


fiori1

 

 

 

 

 

Nascosta sotto le scale, Viola stava conducendo la giornata più strana della sua vita.

Il corridoio di fronte a lei, che scorgeva quasi con la coda dell’occhio, era vuoto, non uno studente, non un professore. Nessuno. D’altronde, neanche Viola avrebbe dovuto essere lì, ma in classe, a seguire la lezione di letteratura. Ebbene, perché si trovava li? Per evadere dalla distrazione, o forse, per esaudirla.

S’era quasi convinta a scendere al piano di sotto, quando sentì dei leggerissimi passi provenire proprio dal corridoio, lanciò uno sguardo furtivo stando bene attenta a non farsi scorgere, e bastò poco più di un secondo a notare il ragazzo di quella mattina che era spuntato chissà da dove, e adesso passeggiava a poca distanza da lei, come se scivolasse sul pavimento.

Viola lo osservò incantata quasi stesse guardando qualcosa di completamente fuori dall’ordinario e dall’umano, lui ad un certo punto si fermò davanti alla panchina del corridoio, la vecchia panca di legno di fronte agli armadietti. Restò fermò per qualche secondo, era come se i piedi gli si fossero incollati al suolo. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di fazzolettini di carta, lo posò sulla panchina e fece retro front. Sparì, se te tornò da dove era venuto. Viola lo vide scendere le scale che si trovavano dall’altro lato del corridoio.

Un pacchetto di fazzoletti?

Mai vista una cosa del genere.

Viola sbucò fuori dal suo nascondiglio e osservò il corridoio ora nuovamente vuoto. Sulla panchina marrone adesso c’era un pacchetto di fazzoletti.

Assurdo.

Viola scosse la testa, si girò e prese a scendere le scale  fino a giungere al bagno delle ragazze del piano di sotto.

Si guardò allo specchio fissandosi negli occhi.

- Cosa stai guardando?-

Una simpatica voce le arrivò alle spalle, Viola si girò e incontrò gli occhi di Mia.

-  Oh, Mia...sei tu-

Amelia Riles, meglio nota come Mia, comparve alle sue spalle con un sorriso d’eccezione.

-         Certo, chi vuoi che sia?-

-         Scusami. Ero sovrappensiero, non ti ho vista-

Viola distolse lo sguardo dall’amica per fissare il vuoto sotto i suoi piedi.

-         Si, me n’ero accorta. Cos’è questa faccia?-

-         Niente –

-         Ne sei sicura? Viola Lens, non me la conti giusta!-

Viola alzò le spalle con aria misteriosa.

-         Non è niente di che. Credo avere le allucinazioni-

Mia assottigliò gli occhi scuri, le sue labbra sottili si curvarono in un mezzo sorriso.

-         Certo che tu sei strana, Viola Lens. Ma i tuoi misteri mi incuriosiscono troppo-

-         Non ci sono misteri. O forse si, io non lo so, - Viola parve riflettere, poi lanciò a Mia uno sguardo curiosa, - ascolta, Mia, hai mai notato uno strano tipo, alto, dai capelli biondi… un po’ silenzioso, sai, insomma, quei tipi che…-

Tentava di spiegarsi, ma non ci riusciva. Il pensiero correva all’insensato evento di poco prima.

-         Ehi, ehi, frena, okay? Non saprei dirti. Ma perché?-

Già, perché?

Viola zittì improvvisamente.

-         Beh...-

Mia storse la bocca, poggiò una mano sulla spalla dell’amica, poi si fece una risatina.

-         Facciamo così, non voglio saperlo subito okay, Viola Lens? Ma se casomai dovessi conoscerlo, te lo presenterò -

-         No, ma io...-

-         Bla bla bla! Non importa! Forza, usciamo da qui...devi salire al piano di sopra?-

-         Si -

-         Ti accompagno. Non voglio ritornare in classe-

Viola sentiva la testa girarle, ma senza aggiungere nient’altro si fece trascinare fuori dal bagno da Mia; dopo di che salirono insieme le scale. Forse Mia parlò, iniziò a dire qualcosa, non lo sapeva. Si trovarono così entrambe sul corridoio del terzo piano, vuoto come Viola l’aveva lasciato. Sulla panchina, ancora quel pacco di fazzoletti. Perché diamine l’aveva messo lì? Era fuori di testa, forse?

Mia aveva ripreso a parlare quando le sue parole furono bloccate da un singhiozzo di pianto.

Viola di girò di scatto e dall’altro estremo del corridoio vide arrivare nella loro direzione Tracy McBean. Era di un anno più grande e abitava a due passi da casa sua. Ricordava che sua madre, il giorno nel quale erano arrivate a Brighton, aveva preparato una torta di mele e l’aveva mangiata quasi tutta Janine.

Mia e Viola si scambiarono un’occhiata e poi le corsero incontro.

-         Oh mio Dio, Tracy, cosa ti é successo?- le chiese Mia abbracciandola. Tracy aveva le guance rosse e grosse lacrime le cadevano dagli occhi, ridotti a due fessure.

-         Mi...mi...ha...-

Non ci fu bisogno che finisse la frase, sia Viola che Mia avevano già capito: Ben, il suo ragazzo, l’aveva mollata.

Come faceva ogni mese.

Viola era sicura che non sarebbero passate neanche due settimane che sarebbero ritornati insieme. Loro erano sempre uguali, la loro storia andava avanti a tira-e-molla da più di cinque mesi e non si erano mai lasciati sul serio.

-         Oh, siediti, Tracy - Mia fece sedere l’amica sulla panchina del corridoio e sia lei che Viola che si sedettero accanto, - come é successo?- chiese di nuovo Mia, fingendo disperazione.

Tracy attaccò a parlare bloccata ogni tanto dai singhiozzi, le lacrime le cadevano sulle guance, suo collo e sulle mani, bagnando anche la camicia di Mia. Distrattamente afferrò il pacchetto di fazzolettini che era ancora poggiato proprio lì accanto a lei e ne tirò fuori uno per asciugarsi il viso.

Viola osservò le mani della ragazza mentre afferravano l’oggettino e lo riposava poi proprio dove l’aveva trovato.

Rimase sbigottita.

Nel suo cervello si susseguirono velocemente immagini e pensieri contornati da una confusione enorme.

Oh, ma che strana e insignificante coincidenza. Era quasi come se quei fazzolettini si fossero trovati lì apposta. Come se qualcuno, - e con qualcuno si intende uno a caso,  sapesse che Tracy, o chiunque altro, sarebbe scoppiato in lacrime.

-         Devo tornare in classe - disse d’improvviso Viola alzandosi.

-         Oh, d’accordo. Ci vediamo all’uscita?- le chiese Mia lasciando per un secondo Tracy ad asciugarsi le lacrime.

-         Certo, a dopo. E, Tracy, non preoccuparti per la storia di Ben. Vedrai che si risolverà -

Viola si allontanò nel corridoio, si trattenne dal correre.

 

 

 

 

Il giorno dopo

 

 

L’ora di matematica era saltata, un Daniel tutt’altro che apatico aveva comunicato a Viola questa notizia saltellando per il corridoio, mentre una composta e posata Luce sorrideva con un cipiglio annoiato, sapendo che avrebbero dovuto passare l’ora in palestra, seduti sugli spalti ad osservare il professor Steven, l’insegnante di educazione fisica, stressare altre povere vittime. Ma mentre Viola e Luce erano contrariate a quell’idea, Daniel sprizzava allegria da tutti i poveri.

Ma ad ogni modo, annoiata o contenta, la classe fu accompagnata dal vicepreside Collins in palestra, dove il professor Steven pareva starli ad aspettare.

- Sedetevi sugli spalti e fate i buoni, ragazzi- disse, passando tra di loro e scompigliando i capelli a quelli che si trovavano sotto tiro, come era abituato a fare. La particolarità di Steven era proprio quella, li trattava come se fossero bambini. Viola non aveva mai capito perché, ma era una cosa curiosa. Ad ogni modo, il professor Steven era un tipo allegro e sveglio, faceva di tutto per farli divertire e non perdeva occasione per prendere in giro quelli che, come Viola, odiavano la materia. “Pensa, é meglio che stare chiusa tra quattro mura china su un libro, piccola” le diceva sempre.

E poi le scompigliava i capelli.

Luce trascinò Viola dietro di se e si sedettero vicine sulla sinistra, seguite a loro volta da Daniel, che parlava animatamente con gli altri compagni di classe.

Il suono del fischietto di Steven ruppe quell’atmosfera di rilassamento e nonostante Viola avesse alzato la testa, si rese conto che il fischietto non era rivolto a loro: una ventina di ragazzi uscirono dagli spogliatoi e si sparsero velocemente per la palestra. Viola guardò velocemente i ragazzi che vedeva dislocarsi e i suoi occhi furono attratti da lui come calamita.

Era un pelo più indietro di un gruppetto di cinque o sei ragazzi che si dirigevano verso Steven, e accanto a lui c’era una ragazza dai capelli ramati, legati in una coda, e un ragazzo di poco più basso di lui, con corti capelli neri.

Aveva passo leggero, sembrava molto più rilassato del giorno precedente e sorrideva amabilmente mentre parlava con i due ragazzi al suo fianco.

Viola restò con gli occhi fissi su di lui e rimase probabilmente in quella posizione per più di qualche secondo poiché sentì la mano di Luce che la scuoteva.

-         Viola, ci sei? Perché non mi rispondi?-

-         Eh? Cosa?-

-         Ma che ti succede? Cosa stavi guardando?-

-         Niente -

-         Sicura?-

-         Si, si, ero solo distratta -

-         Si, un bel po’ distratta!-

Viola abbozzò un sorriso, Luce sembrò non dar peso alla cosa e tornò a parlare con Daniel, che l’aveva appunto coinvolta in una discussione con gli amici con i quali stava precedentemente parlando.

Viola lanciò un’altra occhiata verso il campo, adesso i ragazzi erano radunati intorno a Steven, che sorridendo e scherzando, stava spiegando loro probabilmente quello che avrebbero fatto durante quella lezione. Viola poggiò il mento sul palmo della mano e per qualche altro momento osservò la sua figura, - adesso con le braccia incrociate che fissava il vuoto, - crogiolandosi nell’idea che lui non avesse la benché minima idea che una sconosciuta lo stesse osservando.

Abbassò per un secondo gli occhi e quasi come se il destino volesse invitarla a riprendere contatto con la realtà, Luce le rivolse la parola.

-         Credo che giocheranno a basket! É lo sport che a Steven piace di più!- disse.

-         Già, ed é l’unico a cui piace!- sentenziò Ashlee, seduta di fianco a Daniel.

-         Non é vero, a me piace molto- esclamò Sally, con un sorrisetto sulle labbra.

Luce rise.

-         Dici sul serio?-

-         Certo che dico sul serio, - affermò Sally, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, - non sono come tutte voi ragazze che odiate lo sport!-

Luce alzò le spalle. Sally, capace di urlare se solo le si spezzava un unghia, stava testé dichiarando di essere un’amante dello sport. Luce era certa che lo stesse dicendo soltanto per vantarsi, non c’era dubbio, eppure, se fosse stata solo un briciolo più intelligente, non l’avrebbe provocata.

- Non mi risulta che a te sia mai piaciuto lo sport- iniziò Luce, sporgendosi verso di lei.

Sally se ne uscì con una risatina isterica.

-         Invece si, sono una vera appassionata e il professor Steven mi adora per questo-

Gli angoli della bocca di Luce si curvarono per formare un soddisfatto sorriso.

- Allora facciamo una scommessa- iniziò, mentre una luce nuova le appariva negli occhi.

-         Oh, l’atmosfera si scalda!- scherzò subito Daniel, poggiando le mani sulle spalle di Ashlee.

-         Spara- rispose Sally, irremovibile.

Luce abbozzò un nuovo sorriso, guardò Viola di sottecchi per poi dire:

-         Se giocheranno a basket, chiedi a Steven di poter partecipare, di giocare per tutta la durata della partita e di inserirti nella squadra meno numerosa-

Ci fu un attimo di silenzio, poi Sally scoppiò a ridere.

-         Tutto qui?- sghignazzò.

-         Già. Tutto qui-

Luce sembrava tranquilla e sicura, Daniel le lanciò un’occhiata significativa.

-         Allora, ci stai?- riprese Luce.

-         Certo-

Le ragazze si strinsero la mano, Ashlee le guardò facendo una smorfia.

Avevano appena sciolto la stretta di mano quando, alzando la testa verso il campo, videro Steven dare un pallone di basket ad uno dei ragazzi.

-         Bene!- esclamò Luce, con un sorriso rilassato e curioso allo stesso tempo.

Sally si limitò ad alzarsi e, dopo aver lanciato uno sguardo a tutti loro, abbandonò gli spalti diretta verso il professore.

-         Adesso guardiamola giocare, la campionessa! - sentenziò Luce incrociando le braccia.

-         Credo che non si divertirà- commentò Viola sottovoce, seguendo i movimenti di Sally che adesso parlava animatamente con il professore.

-         Oh, ma ci divertiremo noi – concluse Luce, guardando a turno gli amici che la circondavano.

In men che non si dica il professor Steven formò le squadre e Sally fu inserita in quella meno numerosa, le squadre si divisero e la partita cominciò.

Lui si trovava nella squadra più numerosa.

Tutto accadde molto velocemente.

Le azioni di gioco furono forse due o tre, poi la palla colpì per sbaglio Sally alla testa e la ragazza cadde, perdendo completamente l’equilibrio.

I ragazzi seduti sugli spalti si alzarono risvegliati dalle sue urla, quelli che si trovavano in campo la circondarono.

Per un paio di secondi i primi non riuscirono a vedere nulla se non un capannello di persone.

- Oh mio Dio!-

Viola e i ragazzi si guardarono preoccupati, scesero velocemente dagli spalti e si fecero spazio tra la folla arrivando in contemporanea al professore.

-         Ma cosa é successo?- chiese Steven.

Lui era inginocchiato accanto a Sally, sostenendola.

-         Si é fatta male, é caduta per terra!- esclamavano i ragazzi tutt’intorno.

Sally teneva il busto piegato su se stesso, le braccia erano sostenute dalle mani di lui e dalla testa le usciva un filo di sangue. Viola era a meno di un metro da lei.

Lui restava in silenzio, la sua espressione era illeggibile. Era lì, era parte attiva di quel quadretto e non parlava. L’aiutava solo a tenersi, per evitare di essere stesa completamente per terra.

-         Si é ferita alla testa!- esclamò Steven, - presto, chiamate qualcuno!-

Due ragazzi si allontanarono dal gruppo e corsero via dalla palestra, Steven si inginocchiò accanto a lei.

-         Sally, come stai? Cosa ti fa male?-

-         La mia... la mia...- balbettava lei, in lacrime.

-         Ti fa male la testa, non é vero?-

-         Le si é rotta una gamba-

La voce era così flebile che nessuno lo sentì, nessuno tranne Viola, che rimase a fissarlo inerme.

Gli occhi di lui erano ridotti a due fessure, immobile, statuario.

-         Come dici?- chiese Steven.

-         Niente-

La sua voce era spezzata da un qualcosa che non aveva nome.

-         Professor Steven, sta arrivando l’ambulanza!-

I ragazzi che poco prima si erano allontanati erano adesso tornati.

- Oh, meno male... ragazzi, sgombrate la palestra, presto! Aiutami a prenderla in braccio!- gli ordinò Steven.

Il professore tentò di stendere le braccia verso Sally ma lui la sollevò come se fosse un fuscello e mentre lei ancora si lamentava si allontanarono.

Luce si portò una mano alla bocca, mortificata e dispiaciuta, la palestra si stava svuotando.

-         Andiamo, su, andiamo...-

La ragazza dai capelli ramati tirò per un braccio l’amico dai capelli neri e si allontanarono in un istante.

Viola rimase ferma ancora per qualche momento mentre davanti ai suoi occhi il grigio si ritrasformava di nuovo in colori e il brusio ridiventava voci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 2. ***


fiori3

 

Viola si sedette con fare annoiato sul muretto appena fuori dalla scuola, guardava Luce, che dal canto suo si nascondeva dagli occhi indagatori di una Mia appena arrivata. Non si erano simpatiche, Viola lo sapeva, e a peggiorare la situazione c’era Daniel, che certo non si poneva nel migliore dei modi con chi Luce detestava.

-         Credo che tu debba andarle a chiedere scusa, Luce- sentenziò poi, in un filo di voce.

Luce sospirò, guardò Daniel come se cercasse approvazione.

-         Si, hai ragione. Beh, allora andiamoci, non perdiamo altro tempo- concluse, risoluta.

Mia abbozzò un sorrisetto.

Di certo non era stata invitata esplicitamente da Luce e Daniel a seguirli, ma lei l’avrebbe fatto ugualmente. Luce e Daniel avanzarono il passo lasciando qualche metro dietro di loro Mia e Viola.

-         Sai se s’é fratturata qualcosa?- chiese d’improvviso Mia.

Viola la guardò in silenzio per qualche momento. Beh, non lo sapeva. In teoria avrebbe potuto dirle “credo che si sia ferita alla testa” ma avrebbe trascurato un particolare. Nonostante nessuno, in quei minuti, avesse fatto accenno alla gamba di Sally, lui si. Ricostruendo l’accaduto nella sua mente ( e l’aveva fatto già molte volte), aveva potuto constatare che Sally, oltre a lamentarsi e a non dare segni di lucidità, non aveva affatto accennato alla sua gamba destra e in più, l’unica parte del suo corpo che sembrava a tutti fratturata era la testa. Certo, era caduta pericolosamente ed era possibile che si fosse fatta male alla gamba, ma se l’era davvero rotta? Ammesso e non concesso che se la fosse rotta davvero, non era la prima cosa che i presenti erano andati a pensare. Forse Sally se n’era accorta, forse sentiva un lancinante dolore alla gamba ma non riusciva ad esprimersi. Era tipico di Sally lamentarsi senza concludere niente e senza lasciare agli altri lo spazio di capire e poi, in quella situazione, era certa che nessuno sarebbe stato capace di esprimersi. Quindi, anche se si fosse rotta una gamba, era una cosa che tutti avrebbero scoperto solo dopo. Sapeva di star lasciando troppo spazio alla sua fantasia, ma era successo di nuovo. Era come se, - di nuovo- lui avesse saputo qualcosa ignara a tutti gli altri, o meglio, quello che lui sapeva era sempre qualcosa che tutti gli altri avrebbero saputo in un secondo momento. In realtà, stava invertendo le cose: era assolutamente normale che le persone venissero a conoscenza di una cosa nel momento in cui questa accade, era invece alquanto strano che una persona conoscesse determinate cose prima che queste accadano, o nel nostro caso, prima che fossero note a tutti.

-         Non saprei – rispose poi infine a Mia, alzando le spalle. Mia storse la bocca, lanciò uno sguardo a Luce e Daniel, a pochi passi da loro.

-         Cos’é che le ha fatto precisamente, Luce?- chiese poi.

Viola storse il naso.

-         Niente, era una stupida scommessa-

-         Oh, capisco-

Mia strinse il braccio sinistro di Viola, poi finalmente furono fuori dalla scuola. Daniel e Luce guardarono di sottecchi le due ragazze fino alla fermata del pullman, e dopo, fino all’ospedale, parlavano fitto fitto tra di loro mentre Mia a sua volta si perdeva in stupidi discorsetti solo per non restare in silenzio. Chi si sentiva a disagio in queste situazioni era solo Viola: sia Daniel e Luce che Mia erano amici importanti per lei, ed il fatto che non si sopportassero a vicenda la teneva sempre sul filo del rasoio.

Il pullman li lasciò proprio di fronte all’ospedale e nonostante si presentasse come una struttura bella, circondata da un giardino e da un ampio parcheggio, era inevitabile che Viola scuotesse la testa. Era pur sempre un ospedale, ed erano lì non certo per una gita.

Una volta entrati nel grande atrio bastarono poche informazioni che la signorina dietro il bancone principale diede a Daniel per sapere dove dovevano andare.  Una volta saliti al quarto piano si trovarono davanti un lungo corridoio con le finestre sul lato destro e porte bianche sul lato sinistro. Se il corridoio fosse stato vuoto ci avrebbero messo probabilmente una buona mezz’ora per trovare la stanza di Sally, ma la prima persona che incontrarono sul piano fu il coach Steven.

-         Ragazzi!- esclamò vedendoli, con un sorrisino.

-         Buongiorno professore. Siamo venuti qui a trovare Sally - iniziò Luce, con un velo di rossore sulle guance. Il professore sorrise, un sorrisetto amaro.

-         É davvero un bel gesto da parte vostra-

-         Come sta?- chiese immediatamente Viola.

Il professore alzò le spalle.

-         I medici hanno detto che ha battuto la testa, ma a parte un lieve taglio, quella é a posto-

-         Oh, menomale!- esclamò Luce.

-         Ma purtroppo si é fratturata la gamba, - e qui fece un sospiro, - dovrà portare il gesso per quaranta giorni-

I visi dei ragazzi si intristirono eccetto quello di Viola, che barcollava tra la sorpresa e la confusione. Si era davvero rotta una gamba, non riusciva a crederci. Proprio come aveva detto lui.

- Dice che possiamo entrare a darle un’occhiata?- chiese poi Mia.

- Si, i medici hanno appena dato il via libera- rispose Steven.

Luce lanciò un’occhiatina a Daniel che le sorrise; poi avanzò per prima, bussò e spalancò la porta.

I quattro ragazzi si affacciarono all’entrata, Sally era distesa su un letto, i capelli sparsi sul cuscino e l’espressione ferma.

- Oh, siete voi!- esclamò.

- Ciao Sally - salutarono all’unisono, entrando. Luce si avvicinò per prima al letto.

- Mi dispiace tanto, Sally - sentenziò tra i denti.

Sally si fece una risatina.

-         Oh, ma dai. Sarebbe stata colpa tua in ogni caso-

Luce alzò le spalle con un sorrisetto forzato.

-         Come ti senti?- le chiese Mia.

-         Mia, ci sei anche tu, che bello vederti! Oh, sto benone, non preoccuparti...solo la gamba...beh, guarirà prima o poi!-

-         La prossima volta pensaci due volte prima di accettare una scommessa con Luce!- rise Daniel, dando una pacca sulla spalla di Luce.

-         Intanto l’ho vinta io!- sorrise Sally.

Anche Viola abbozzò un sorriso. Sally tossì.

-         Comunque mi fa piacere che siete venuti, - tossì di nuovo, - davvero, nonostante non siate i più popolari della scuola, comunque...- ancora tosse, - é stato un gesto molto carino, e...-

-         Vuoi un po’ d’acqua? Non la smetti di tossire- disse d’un tratto Viola.

-         Oh, grazie!-

-         Okay, ci metto un attimo!-

Viola lasciò per un momento i ragazzi a discutere tra loro e uscì fuori dalla stanza. I pensieri tornarono ad affollarsi precipitosi nella testa, bastava un singolo momento di silenzio perché il mistero si affacciasse di nuovo. Non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il particolare della predizione di lui, su quello che lui aveva detto.

Ma forse non era ancora tempo di scoprire.

Doveva aspettare.

E intanto la sua mente non avrebbe fatto altro che pensare a quella intera faccenda.

 

 

 

 

Viola osservò il pianoforte da lontano. Era ferma sulla soglia del seminterrato, guardava con un sorriso quello che reputava essere il suo migliore amico.

Il pianoforte a coda che campeggiava a pochi metri da lei era il regalo che suo padre le aveva fatto quando si erano trasferite a Brighton, e Viola continuava a prendere lezioni da quando era molto piccola. Ogni mattino si svegliata all’alba per poter passare un po’ di tempo a suonare, rinchiusa in un mondo silenzioso ed oscuro dove poteva dar vita a ogni sua fantasia, ogni storia.

Lanciò un ultimo sorriso verso il pianoforte, poi chiuse la porta e si avviò verso la scuola.

Con tutti i pensieri che aveva per la testa, non solo non s’accorse di quando aveva fatto in fretta ad arrivare, ma non s’accorse nemmeno che Mia le era venuta vicino per salutarla.

-         Hai dei seri problemi di concentrazione, - stava dicendo, mentre con occhio critico la squadrava da capo a piedi, - ti ho persino poggiato una mano sulla spalla e non ti sei accorta di me se non dopo circa dieci secondi-

-         Li hai cronometrati?-

Viola sorrise, Mia alzò le spalle.

-         Sei la persona più distratta che conosco, Viola Lens, dico sul serio, non ho mai conosciuti nessuno come te, oltre ad essere strana s’intende, perché lo sei, è inutile negarlo…-

Mentre Mia però s’imbarcava in quella strana discussione, Viola sentì di nuovo il respiro bloccarle in gola quando, tra la folla di studenti che affollavano l’atrio della scuola, scorse di nuovo lui.

Camminava a pochi metri di distanza da lei e Mia, aveva lo sguardo tranquillo, le labbra serrate e le braccia distese lungo i fianchi. Era come guardare una scia luminosa muoversi nel buio di una stanza, come percepire le note che, al mattino, si fondono con il freddo della strada.

Viola deglutì a vuoto.

Non capiva.

-         Mia -

-         Che succede?-

-         É lui, guarda -

-         Lui chi?-

-         Il ragazzo...quello di cui ti parlai –

-         Quale ragazzo?-

-         Guarda lì -

Mia si alzò sulle punte per poter scorgere quello che Viola stava fissando e lo guardò anche lei.

-         Quello, dici? –

-         Come fai a non vederlo, Mia -

-         Con i capelli biondi?-

-         Si -

-         Mmh...é carino-

Mia distolse lo sguardo dalla folla per posarlo su quello dell’amica, che sembrava come paralizzata.

-         Viola? Ehi? Ci sei?-

-         Si, é solo che, io...-

Prima che potesse finire la frase Mia scoppiò a ridere.

Viola si voltò di scatto seria verso l’amica.

-         Cosa c’é da ridere?-

-         Secondo me hai battuto la testa!-

-         Sai chi é?-

Mia soffocò la risata colpita dal tono di Viola.

-         No- bisbigliò.

Viola si lasciò sfuggire un sospiro.

-         Ieri era in palestra con noi quando Sally si é fatta male – spiegò velocemente.

-         E tu ti sei presa una cotta per lui-

-         No!-

Mia rise.

-         Avanti, vediamo dove va- esclamò poi d’un tratto, afferrando Viola per un polso.

-         Cosa?-

-         Sta salendo le scale, non vedi? Seguiamolo!-

-         Seguirlo? Ma...-

-         Vuoi sapere qualcosa su di lui?-

-         Si, ma… -

-         Allora questo é il primo passo da fare. Credimi, l’ho fatto un milione di volte!-

Mia si fece spazio tra la folla trascinandosi dietro una Viola confusa e sbigottita.

-         Permesso! Scusate, permesso!- continuava a ripetere Mia salendo velocemente le scale.

Non l’avevano perso di vista, stava salendo al secondo piano, dove anche Viola aveva una lezione. Con il fiatone arrivarono alla soglia del piano e alzarono lo sguardo.

Era sparito.

Di nuovo.

Mia si grattò la testa, aggrottò le sopracciglia e storse il naso.

-         Eppure ero sicura che fosse qui un secondo fa...- iniziò, fermandosi in mezzo al corridoio e guardando in tutte le direzioni.

Viola sospirò mentre la confusione nella sua testa si faceva sempre più evidente.

Le era passato davanti agli occhi esattamente come il giorno prima, come un angelo che sfiora la terra e spicca di nuovo il volo verso il cielo.

Un improvviso tremito le scosse il petto.

-         E’ sparito!- commentò infine Mia allargando le braccia.

-         Forse sa farlo-

-         Come dici?-

-         Niente. Pensavo ad alta voce-

-         Viola?

-         Si?

-         Come mai tutta questa curiosità?-

Oh, bella domanda.

Viola abbassò lo sguardo, sentiva di star arrossendo. Non era abituata a dire bugie, soprattutto a Mia, che insieme con Chris era una delle poche persone con le quali sapeva di potersi aprire.

-         Non saprei dirtelo con precisione. Però mi incuriosisce molto -

-         E perché?-

Viola alzò la testa rendendosi conto di star correndo troppo. Mia non sapeva ancora niente.

-         Te lo racconterò più tardi-

 

 

 

 

 

 

 

...

 

 

Mia ascoltò parola per parola quello che Viola aveva da dirle, intervallò l’ascolto da un’occhiatina obliqua, un sorrisetto e alcune volte una vera e propria risata. C’é da ricordare che Mia era assai restia a credere che esista qualcosa di leggermente fuori dal comune sulla faccia della terra.

Erano appena uscite dalla lezione di storia e  adesso camminavano per il corridoio, aspettando che la campanella suonasse per andare a rintanarsi nel bagno delle ragazze del terzo piano con l’intento di restarci per saltare la lezione di matematica, che entrambe odiavano. Il bagno del terzo piano, piccolo e poco accogliente, era il posto adatto dove nascondersi durante le lezioni. Nessuno ci sarebbe mai andato, lo odiavano tutte.

-         Sai, credo che tu ti sia impressionata, ma - iniziò Mia, - capisco come ci si sente quando hai un colpo di fulmine! Vedi cose che non ci sono -

-         Non ho avuto nessun colpo di fulmine!-

-         Ragiona Viola, non può aver detto che Sally si era rotta una gamba -

-         Ma lo ha detto!-

-         E come mai l’hai sentito solo tu?-

-         Questo non lo so, però... beh... i fazzoletti allora! Come te lo spieghi?-

-         Sicura che Tracy non li avesse già con se?-

-         Ma no! C’eri anche tu Mia, ricordi?-

-         Sinceramente non ricordo da dove Tracy avesse preso quei fazzoletti -

-         Erano lì ti dico! E ce li aveva messi lui!-

-         Tu vai semplicemente in trans quando lo vedi, ecco tutto-

-         No, ma io...-

-         Comunque cercherò di aiutarti a conoscerlo. Credo che sia il caso di indagare. Io adoro indagare!-

-         Indagare?- chiese sorpresa Viola, con un’espressione strana in viso.

-         Si, certo, scoprire quanti anni ha, cosa fa...insomma, scoprire chi é- spiegò tranquillamente Mia con un sorrisetto malizioso sulle labbra.

-         E cosa intendi fare? Dove pensi di cercarlo? Insomma, é sempre così nascosto da tutti gli altri, non sappiamo quali lezioni frequenta e non...insomma, se fosse una persona come Daniel, che si fa vedere in giro, sarebbe un gioco da ragazzi scoprire chi é e cosa fa, ma di lui, come fai a scoprirlo?- domandava a raffica, il sangue le ribolliva nelle vene e gesticolava esageratamente rischiando di far cadere tutti i libri che aveva poggiati al petto; -...il fatto é che, Mia, non possiamo sapere se...

-         Guarda Viola!-

Mia strattonò l’amica per un braccio, indicandole con lo sguardo lui, che camminava a pochi metri di distanza da loro, accompagnato dal ragazzo con i capelli neri e la ragazza dai capelli ramati. Viola arrossì immediatamente nonostante non avesse fatto assolutamente niente di imbarazzante, ma il solo fatto che fosse “comparso” così dal nulla la metteva automaticamente in soggezione.

Lo osservò mentre, con un mezzo sorrisetto sulle labbra attraversava il corridoio ascoltando i discorsi dei due ragazzi al suo fianco, che da canto loro sembravano estremamente tranquilli e per nulla toccati dalla sua presenza, proprio come il giorno prima.

Mia osservò con lo sguardo i tre ragazzi passarle proprio accanto; camminavano lentamente, senza nessuna fretta, si mimetizzavano in modo perfetto con gli altri studenti che si muovevano per il corridoio. Corrugò le sopracciglia.

-         Adesso seguimi - ordinò poi rivolta a Viola.

Viola piegò la testa da un lato, ma senza farsi pregare una volta di più camminò lentamente dietro Mia che si teneva a distanza di sicurezza dai soggetti del suo pedinamento seguendoli con il suo vigile sguardo.

Salirono le scale insieme a loro nascondendosi dietro altri studenti fin quando non lo videro entrare nell’aula del professor Joel, inglese, e video i suoi amici salutarlo ed allontanarsi. Mia si bloccò a cinque o sei metri dalla porta dell’aula poi si voltò verso  Viola lanciandole uno sguardo d’intesa.

-         Ecco, adesso abbiamo scoperto qualcosa in più- sentenziò Mia incrociando le braccia, - terza ora, inglese, professor Joel. Beh, mica male?-

Mia rise sotto i baffi, suonò la campanella. Viola si risvegliò dalla trance di quei minuti, trascinò Mia verso il bagno delle ragazze, intenta ad intavolare con lei una nuova discussione.

 

 

 

 

Sedute entrambe sulle fredde mattonelle, Viola e Mia discutevano sull’identità del ragazzo misterioso.

-         A me sembra più grande. Forse è all’ultimo anno- diceva Mia, mentre alzava le spalle con sospetto.

-         Non lo so, può darsi- concordò Viola, mentre aveva la testa piena di troppi pensieri.

D’improvviso la porta del bagno si aprì, Mia e Viola si lanciarono uno sguardo pieno di paura. Chi poteva essere? Era di sicuro qualche insegnante, nessuna delle ragazze si sarebbe mai sognata di entrare in quel lurido postaccio. Viola stava già cercando di inventare qualche scusa da rifilare a sua madre e al preside per aver saltato l’ora di matematica, il cuore ricominciò a battere ad entrambe quando si videro davanti Tracy McBean. Il suo sorriso malizioso e interrogativo fece tirare un sospiro di sollievo.

-         Viola, Mia! Che ci fate qui?- chiese, noncurante.

-         Noi? Niente, cioè, insomma…

Viola non sapeva dire le bugie,e  Tracy se ne accorse subito, perché rise sotti i baffi guardando Viola con uno strano cipiglio.

-         Avanti, con me potete essere sincere, - cinguettò, - l’ho capito che state saltando una lezione! Non c’è niente di male, la noia è sacra!-

Tracy chiuse velocemente la porta alle sue spalle, Viola e Mia si lanciarono uno sguardo eloquente..

-         E tu? Cosa fai qui?- chiese poi Mia poggiandosi il mento tra le mani fingendo un’espressione rilassata.

-         In primis, per saltare inglese, - iniziò Tracy, - e poi – continuò, avvicinandosi alla finestra in alto sulla destra, - per prendere questo- concluse, afferrando una barretta di cioccolata. Mia scosse impercettibilmente la testa chiedendosi se esistesse qualcosa di più stupido che nascondere la cioccolata nel bagno del terzo piano, Viola si era rizzata tutta appena aveva udito che Tracy era appena uscita dall’aula di inglese.

-         Inglese hai detto?- ripeté Viola, dando una gomitata a Mia.

-         Si. Una tale noia!- mugugnò Tracy scartando la sua barretta.

-         State studiando qualcosa di noioso?- chiese nuovamente Viola, dando un particolare tono disinteressato alla sua voce.

-         Oh, puoi dirlo forte! Sogno di una notte di mezz’estate, quella noia di Shakespeare!- rispose Tracy con una risatina. Mia avrebbe voluto alzarsi e dirgliene quattro su “quella noia di Shakespeare”, ma si trattenne.

-         Chi é nella tua classe?- chiese invece Mia, accogliendo un’occhiata di Viola.

Tracy diede un morso alla cioccolata e alzò le spalle.

-         Nessuno di interessante. Io neanche volevo frequentarlo, inglese, mi ci hanno letteralmente costretta! Pensate, in classe siamo ventisette e io sono l’unica che non ha nessun interesse per la materia!-

Mia arricciò il naso, immaginando che per Tracy essere separata dalla sua solita schiera di amiche pettegole per entrare in una classe dove si studiava qualcosa di importante doveva essere stato un trauma.

-         Davvero?- domandò Viola.

-         Assolutamente si! Nessuno perde una parola, e poi, io, che non sono neanche tanto brava, mi sento talmente in soggezione in una classe così, capite? Abbiamo anche il genio, pensate!-

-         Genio?-

Il tono di Viola tradiva una punta di curiosità.

Tracy si fece una risatina.

-         Non mi dite che non ne avete mai sentito parlare - disse, ingoiando velocemente il boccone di cioccolata.

-         No -

-         Joel non vi ha mai parlato di lui?-

-         Mmm...no-

-         Impossibile! Joel lo adora come fosse suo figlio!

-         Mai sentito- sbottò fuori Mia.

Tracy alzò gli occhi verso le due ragazze.

-         Manuel Green- sibilò, avvicinandosi alla scrivania – il miglior alunno del professor Joel -.

Il cuore di Viola sembrò essersi fermato a sentir pronunciare quel nome, sbiancò totalmente.

-         Chi é?- chiese poi con un filo di voce.

Tracy rise di nuovo.

-         E’ un genio. O meglio, geniale. Così almeno crediamo noi! -

Rise di nuovo.

-         E’ molto bravo?- chiese Mia.

-         Bravo? Lui é molto più che solo bravo. Sai, se fosse solo così, sarebbe soltanto un secchione. Ma lui ha un certo qualcosa, quando parla, li incanta i professori! Joel, per esempio, lo guarda come se stesse dicendo chissà che cosa, mentre magari sta solo ripetendo quello che ha detto un altro alunno prima di lui. E’ questo lo rende diverso. Chissà come fa, secondo me, anche se parlasse della cosa più stupida di questo pianeta, lo ascolterebbero! Io davvero non capisco, eppure non sembra un tipo così brillante. Cioè, voglio dire, é piuttosto solitario, timido direi...si, credo sia abbastanza timido...e in classe é l’unico seduto da solo! Insomma, non é niente di che. Eh, quando si dice avere fortuna!-

-         Per niente interessante? Di un tipo così, io sarei almeno curiosa!- intervenne Mia, rendendosi conto che Viola era quasi andata in apnea.

-         Bah, non so cosa dirti, guarda. Certamente non é un brutto ragazzo. Alto, capelli biondi...però...! Non mi dice niente! E’ così riservato, non ha molti amici! Interessante, nah! L’unica cosa che ha di interessante te l’ho già detta!-

Viola deglutì a vuoto.

Era lui, ne era certa. Era in classe con Tracy alla terza ora.

-         Wow- disse infine, con un filo di voce appena udibile.

D’improvviso di nuovo la campanella.

-         La campanella! Che bello!- Tracy saltellò allegra, - é stato un piacere chiacchierare con voi! A presto!-

Così dicendo aprì la porta e uscì, allegra com’era entrata.

-         Presto, andiamo via anche noi- disse Mia.

Fuori dal bagno il corridoio si stava riempiendo di nuovo di persone.

-         Viola, mio Dio, vuoi riprenderti per favore?- chiese d’un tratto Mia strattonandola.

-         Hai sentito anche tu tutto quello che ha detto Tracy, vero?-

-         Si, ma non farti castelli in aria okay? Non sai nemmeno se è lui, e Tracy esagera -

-         Però io dico che...-

-         Viola!-

Viola smise di parlare sentendo la voce di Daniel sovrastarla. Mia fece una smorfia.

-         Ciao Daniel -

-         Ciao!- Daniel sorrise verso Viola, poi voltò lo sguardo verso Mia, che gli offriva una smorfia tutt’altro che amichevole.

-         Mia-

-         Daniel -

Viola passò gli occhi su entrambi sentendo l’atmosfera farsi pesante.

Daniel ritornò con gli occhi su Viola.

-         Perché non eri a lezione prima?- chiese.

Viola si morse la lingua.

-         Io? Ehm...avevo...una cosa urgente da fare, davvero, credevo che sarebbero stati necessari solo cinque minuti, ma mi ci é voluto di più -

-         Ti aspettiamo all’uscita okay?- disse Daniel, guardando con disappunto Mia.

-         Si, si, d’accordo...ci vediamo dopo-

-         Ciao Viola-

-         Ciao Daniel -

 

 

 

 

Ma era adesso che le cose divenivano difficili.

Viola c’aveva pensato a lungo, e non aveva trovato metodo migliore che quello.

Si portò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio, sospirò impaurita come se stesse per andare in guerra, ma fu un sospiro che le dette forza e determinazione, perché sapeva quella essere la sua unica speranza di conoscere Manuel Green.

Bussò alla porta, un tocco leggero e quasi stentato al quale Viola tentò di infondere tutto il suo coraggio.

-         Avanti!- rispose la voce del professore, calda ed accogliente.

Viola spinse leggermente la porta.

-         E’ permesso?-

-         Viola Lens! Prego, accomodati!-

Viola entrò, chiuse la porta dietro di se e restò ferma per qualche secondo come se il mondo si fosse bloccato. Una piccolissima e quasi inudibile vocina nella sua testa le stava chiedendo “ti rendi conto di cosa diavolo stai facendo?” ma non stette a sentirla, per lo più stette a guardare l’ufficio di Joel, non ci entrava da un bel po’

Viola abbozzò un sorrisetto e si fece avanti mentre nella testa ripeteva il discorso che si era preparata durante le precedenti due ore. Si sedette di fronte al professore che le sorrideva intrecciando le mani sulla scrivania.

Il professor Joel era un tipo alla mano, anziano ormai, capelli brizzolati bianchi e un paio di baffetti dello stesso colore risaltavano sulla sua carnagione piuttosto bianca. Gli occhi erano di un castano scuro molto intenso e nel complesso aveva un’espressione simpatica e rassicurante.

-         A cosa devo questa visita, signorina?- le chiese.

-         Beh, ecco, in realtà, sono qui per chiederle una cosa-

-         Prego!- la esortò Joel, con un altro sorrisone.

Viola sospirò.

 Adesso era il momento di ripetere il discorso che aveva imparato a memoria.

-         Ecco, vede, come lei sa, sono sempre stata molto appassionata alla sua materia, e...-

-         Si, si, lo so. Sei un’ottima studentessa-

-         La ringrazio. Ad ogni modo, quest’anno avevo preso in considerazione di poter frequentare il suo corso extrascolastico su Shakespeare -

-         Oh, ma é fantastico! – Joel saltò letteralmente dalla sedia, - davvero fantastico! Sono molto contento di questa tua decisione, Viola Lens, anche perché sai, di solito gli studenti del terzo anno, avendo studiato ancora poco Shakespeare, non mi chiedono mai una cosa del genere, ma tu, oh, questa si che é una notizia fantastica e fuori dal comune -

Viola seguiva con lo sguardo i movimenti entusiasti del professore, i suoi occhi farsi lucidi e la sua espressione rallegrarsi tutta.

-         La ringrazio molto professore. Il fatto é che...-

-         C’é qualcos’altro?-

-         Beh, appunto perché io...sono ancora al terzo anno...forse avrei bisogno di approfondire un po’ di più il discorso su Shakespeare prima di entrare a far parte del corso, quindi, beh, volevo chiederle se mi fosse possibile frequentare qualche lezione del corso superiore -

Joel storse la testa da un lato.

-         Non so se ce ne sia bisogno in verità - ragionò su lui, Viola spalancò tanto di occhi.

-         Professore, in realtà, le chiedo questo perché...beh perché, avendo acquisito già materiale, avrei potuto più velocemente integrarmi nel corso senza perdere molto più del tempo necessario per recuperare ciò che non é ancora di mia competenza -

Joel parve riflettere.

-         Beh, di certo non hai tutti i torti -

-         Sarei davvero onorata di far parte del suo corso, professore, e non mi costerebbe nulla frequentare delle lezioni di preparazione- tentò Viola, cercando di essere il più convincente possibile.

Joel sorrise.

-         Beh, se la metti in questi termini, Viola Lens, non posso far altro che accettare la tua proposta! Questa tua determinazione e passione mi colpiscono molto!-

Viola saltò dalla sedia.

-         La ringrazio infinitamente professore!-

Un luminoso sorriso le comparve sul viso, Joel la guardò tutto fiero.

-         Ci organizzeremo in questo modo: prenderai parte alla lezione che impartisco alla terza ora agli studenti del quarto anno per sei giorni, il tempo necessario perché io finisca di spiegare completamente Sogno di una notte di mezz’estate, l’argomento che sto attualmente trattando con i miei ragazzi, dopo di che potrai iniziare a frequentare il mio corso extra e preparare subito una relazione sulla commedia, che tratteremo poi in modo più approfondito durante il corso. D’accordo?-

Viola era al settimo cielo.

-         D’accordo! Oh professore la ringrazio tantissimo per questa occasione!-

-         É un piacere per me assecondare una studentessa così brillante come te! E credo che ti troverai molto bene con gli studenti del quarto anno...é un’ottima classe sai? – qui si fece una risatina, - e, ora che ci penso, non ci sarà neanche bisogno di aggiungere un banco, abbiamo già un banco vuoto in classe!- un’altra risatina, guardò Viola simpaticamente – ti piacerà la mia classe, Viola Lens -

Viola fremeva tutta.

-         Non vedo l’ora!-

-         D’accordo! Ah, e non ti preoccupare. Avvertirò io il tuo professore della terza ora che hai bisogno frequentare la mia lezione per un po’! Non credo ci saranno grossi problemi!-

-         Grazie mille!-

-         Di niente! A domani allora! Terza ora, secondo piano!-

-         A domani professore! E grazie ancora!-

Viola uscì velocemente dall’ufficio di Joel con le guance totalmente infuocate. Non riusciva ancora a credere che era riuscita ad arrivare così velocemente al suo obbiettivo, eppure era così.

Il giorno dopo alla terza ora sarebbe entrata in quella classe e avrebbe occupato il banco vuoto accanto a Manuel Green.

 

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Capitolo 4
*** 3. ***


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fiori4

 

 

 

 

 

 

E fu il giorno dopo.

Il rumore improvviso di un tuono fuori dalle finestre risvegliò Viola dallo stato di totale confusione nel quale si trovava la sua mente.

Quando pioveva il corridoio della scuola assumeva un’aria tetra, camminare con i libri stretti al petto verso una qualsiasi classe era un po’ come muoversi per i corridoi infiniti di un castello. Era questa l’assurda impressione che dava - il corridoio - illuminato dal pallido chiarore delle nuvole di pioggia.

La porta dell’aula di inglese era aperta e un raggio di luce grigia proveniente dalla finestra di fronte alla porta giungeva fino ai piedi di Viola, che protese la testa verso l’aula. Il professor Joel, seduto dietro la cattedra, l’accolse con un luminoso sorriso e mentre la classe continuava a riempirsi, l’avvicinò.

- Benvenuta, Viola- le disse, stendendo le braccia sulla cattedra. Viola abbozzò un sorrisetto, le mancava il respiro.

- Grazie ancora professore- sibilò tra i denti con tutta la forza che le rimaneva.

Un tonfo improvviso la fece voltare di scatto. Oh, era solo Tracy che chiudeva la porta. Certo, non si era meravigliata che Tracy fosse arrivata per ultima, lei odiava inglese.

Fu in quel momento che Viola si girò verso la classe intera e lo vide, seduto al penultimo banco.

Se prima aveva avuto respiro a sufficienza per ringraziare il professore, adesso i polmoni erano completamente vuoti. Era a pochi metri di distanza da lei, lo sguardo chino su qualcosa che in quel momento non riuscì a comprendere.

Il professore si alzò e, indicandole proprio il posto accanto a lui, disse:

- Ecco, vai pure a sederti lì!-

Viola deglutì a vuoto, sentiva su di lei gli occhi degli alunni della classe che si stavano certamente chiedendo lei chi fosse, e bastò alzare gli occhi per un secondo per rendersi conto che evidentemente tutti la stavano fissando.

O meglio, tutti tranne lui.

Manuel Green era ancora seduto nella stessa posizione di prima, con lo sguardo sempre chino su quel qualcosa. Sembrava non si fosse neanche minimamente accorto che era entrata un’altra persona e che, a piccolissimi passi, stava per sedersi accanto a lui. Quasi fosse insensibile.

Viola si rese conto di essere impallidita, poteva vederlo dalle sue mani che improvvisamente sembravano essere state del tutto escluse dalla circolazione del sangue.

Finalmente gli arrivò di fronte e fissò il posto vuoto accanto a Manuel Green. Ah, ecco cosa stava guardando…era il libro di Shakespeare, quello che adesso il professor Joel aveva procurato anche a lei. La sua espressione era rilassata, del tutto compatta, come se invece del vociare tutto intorno ci fosse il più assoluto silenzio. Viola lanciò uno sguardo al banco che avrebbe dovuto occupare e quasi con sorpresa notò che lui ci aveva poggiato alcuni libri sopra. Oh, era comprensibile, quei due banchi erano sempre stati solo ed esclusivamente suoi…poteva allargarsi, insomma, fare un po’ quello che voleva.

Viola si portò una ciocca si capelli dietro l’orecchio e poggiò con fermezza i suoi libri sul banco, accanto a quelli di lui.

Nel momento preciso nel quale i suoi libri toccarono la superficie del banco lui alzò gli occhi e si raddrizzò. Oh, adesso si era accorto di lei.

I loro occhi si incontrarono per la seconda volta e la sensazione di sfondo fu sempre la stessa, quella di essere penetrata. L’espressione di lui, che per una frazione di secondo era stata seria e confusionaria, mutò in un sorriso.

Un sorriso.

-          Scusami!- disse, e subito spostò i libri sul suo banco. La sua voce era tranquilla, vellutata, perfetta, melodica come un pianoforte. Era quel tipo di voce che, se parlasse, parlasse davvero, non ci si stancherebbe mai di ascoltare. Non preoccuparti -

Viola si meravigliò di come le parole erano riuscite ad uscirle dalle labbra. Era paralizzata, non riusciva a far altro se non guardarlo. Anche se adesso aveva cambiato posizione, nella sua mente era rimasto stampato il suo sorriso come una fotografia.

Si lasciò cadere sulla sedia solo perché sentiva le forze venirle meno, ma se solo non fossero sopraggiunti i sensi, avrebbe potuto rimanere in posizione statuaria per un bel po’ a fissarlo. Si raddrizzò solo nel momento in cui il professore richiamò la classe all’attenzione. Manuel alzò gli occhi solo per un momento verso la classe intera, poi poggiò le mani sul libro che un momento prima stava guardando ( non era certa che stesse leggendo) e sospirò.

Il professor Joel si appoggiò alla cattedra con il suo libro tra le mani e disse:

-         Buongiorno ragazzi, ricomponetevi per favore! Bene, mi preme molto continuare il discorso della volta scorsa, seguitemi molto attentamente!-

Oh beh, seguirlo attentamente era l’ultima cosa che il suo cervello era propenso a fare in quel momento! Viola scosse impercettibilmente la testa, chinò gli occhi sul libro per un secondo per poi alzare di nuovo la testa: il professor Joel aveva preso dalla sua borsa un cappello rosso e una sciarpa dello stesso colore e li aveva indossati, così, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Viola strabuzzò gli occhi quando lo vide camminare avanti e indietro dinanzi alla cattedra mentre leggeva (probabilmente stava riprendendo proprio dal punto nel quale si era fermato la volta precedente) una delle scene della commedia di Shakespeare che stavano studiando.

La sua attenzione era stata per quell’attimo così totalmente catturata da Joel chiedendosi cosa diavolo stesse facendo che non si rese conto che lui si era voltato verso di lei e la stava guardando. Se ne accorse solo nel momento in cui lo sentì ridere, sghignazzare sotto i baffi. Allora si voltò di scatto.

-         Si vede che sei nuova in questa classe-sussurrò, con un viso sorridente.

Viola si voltò verso di lui di scatto, ma non riusciva a parlare. Davanti a quel viso le si bloccava letteralmente la lingua. Lui  le lanciò un’altra occhiata da capo a piedi, poi, quasi sapesse cosa Viola si stesse chiedendo, disse:

-         Fa così per immedesimarsi. Secondo lui fingere di recitare ci aiuterà a capire ed assimilare meglio. E quel cappello e quella sciarpa sono i suoi portafortuna. Dice che quando recitava li portava sempre. Se abbia mai recitato, s’intende-

Viola guardò assorta il suo viso mentre parlava – troppe erre, tutte insieme, adesso che aveva parlato più piano e scandendo le parole avevano accentuato la sua leggera carenza nel pronunciare quella lettera, appena udibile, come un leggero solletico all’orecchio che rendeva il suo tono ancora più interessante, -  e si era accorta di come i suoi lineamenti fossero delicati e morbidi, di come i suoi occhi sembravano cambiare sfumatura di colore ad ogni parola. La bellezza che si celava dietro la sua espressone fredda sbocciava come un fiore dopo esser stato costretto a nascondersi sotto i ghiacciai.

-         E’ sempre stato un po’ strano- commentò poi lei, riuscendo finalmente a trovare la forza di aprire bocca. Lui sorrise di nuovo, una strana luce gli si accese per un millisecondo negli occhi, - passò come un lampo.

-         Mi chiamo Viola – si decise poi lei, puntando gli occhi in quelli di lui e porgendogli mano sotto il banco.

-         Io Manuel. Piacere- rispose con un sorriso.

Lei avrebbe dovuto essere onesta e dirgli “ Si, lo so”, ma non sarebbe stata per niente una buona mossa, perciò ricambiò il sorriso pur sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo essere bello come il suo e gli strinse la mano. Il contatto la fece sussultare.

-         Piacere- rispose lei, mentre la voce era mossa da quello stesso qualcosa che aveva avuto la sensazione di veder comparire nei suoi occhi poco prima. I sintomi della sua stranezza, così nel suo cervello li stava denominando.

Si stava chiedendo perché gli desse l’impressione di sapere le cose ancora prima che dicesse anche una singola sillaba.

-         Sei nuova a scuola?- le chiese subito dopo lui.

-         No. Sono del terzo anno, sono qui per...- si bloccò un attimo. Perché gli stava per dire perché era lì? Non glie l’aveva mica chiesto? Eppure si sentiva quasi in dovere di dovergli dare una spiegazione. Avrebbe avuto la stessa reazione se al posto di Manuel ci fosse stato qualunque altra persona della classe? Comunque, aveva iniziato la frase e adesso doveva finirla.

-         ...un corso intensivo. É un lavoro che sto facendo con il professor Joel - concluse, cercando di essere il più convincente possibile. Lui assentì con un impercettibile movimento del capo, poi tornò a guardare il libro come assorto, lanciando di tanto in tanto occhiate al professore. La sua mano sinistra, quella che Viola vedeva meglio, era chiusa a pugno accanto alla pagina del libro e a scatti pareva tremare. Era come se scattasse in un movimento brevissimo e appena visibile, una specie di tic fastidioso derivato dalla posizione sbagliata di un nervo.

Beh, stare lì a guardarlo quasi fosse una cavia da laboratorio non era propriamente quello che era andata a fare lì... ad essere sinceri, non sapeva con precisione ancora cosa ci facesse lì, ma l’unica cosa che era riuscita a strappargli di bocca era il suo nome, e questo lo sapeva già. Come avrebbe potuto chiedergli qualcosa di lui senza sembrare matta? Quando per un impercettibile secondo smise di concentrare la sua attenzione su di lui e lanciò uno sguardo intorno a se, si rese conto di avere tutti gli occhi puntati addosso. La classe le lanciava occhiatine oblique, fugaci, alcuni avevano persino bisbigliato qualcosa tra i denti. Si erano accorti che stava fissando Manuel in modo alquanto strano? Si erano accorti di qualcos’altro? Viola alzò le spalle assumendo l’aria più innocente possibile ma la situazione pareva non cambiare. Si accorse, però, che gli sguardi non arrivavano soltanto a lei, ma anche a Manuel. La sola, piccola, leggera differenza, era che nel suo cervello giravano domande senza risposta riguardo tutto quello che le era intorno, mentre Manuel pareva non curarsi di nulla. Passava come sempre gli occhi dal libro al professore e dal professore al libro, incurante. Come ci riuscisse, Viola si chiedeva.

-         Abiti da sempre qui?- sbottò fuori all’improvviso.

Manuel si voltò e i suoi occhi scrutarono l’espressione di Viola, che, pentitasi della domanda stupida, stava arrossendo. L’aria sul viso di Manuel era quella di uno che stava per scoppiare a ridere dopo aver visto qualcosa di tremendamente divertente.

-         Si- rispose infine con un sorriso, - e tu vieni dal Nord scommetto-

Viola spalancò tanto d’occhi.

-         Si. La famiglia si é trasferita qui quando avevo undici anni, e... ma come lo sai?-

Manuel mosse impercettibilmente la testa mantenendo quel sorriso obliquo e quell’espressione di chi sa perfettamente di cosa si sta parlando.

-         Si vede dai tuoi lineamenti- concluse poi. La sua voce era tranquilla quanto quella di Viola tremava.

I suoi lineamenti. Oh, certo.

Abbassò la testa verso il banco, lasciò che i capelli le coprissero gli occhi e per circa due minuti fu incapace di stare ferma, cambiando posizione ad ogni respiro.

Manuel si voltò verso di lei e per circa mezzo minuto l’osservò non trovare pace.

-         Toglimi una curiosità- iniziò poi, la voce di nuovo segnata da quella punta di divertimento, - se ti piace tanto inglese, perché non stai seguendo affatto la lezione?-

Viola finalmente si fermò.

-         Ma io sto seguendo-

Manuel rise.

-         E poi, tu come sai che mi piace inglese?-

-         Non fai un “lavoro con il professor Joel” se non ti piace inglese-

-         Potrebbe servirmi ma non piacermi-

-         Ma a te piace, giusto?-

-         Si, ma...-

-         Allora ho ragione-

Lui si voltò dall’altro lato, soddisfatto come se avesse conquistato una piccola vittoria.

-         Beh, neanche tu mi sembri tanto attento-

Mentiva, ma doveva trovare un modo per continuare la conversazione. Lui pareva attento a tutto in qualsiasi istante.

Rise di nuovo.

-         Io non direi-

No, non se la sarebbe cavata così.

-         Non parli con il tuo vicino di banco se segui la lezione-

-         Possiamo non parlare, se vuoi-

-         Vuoi parlare con me?-

-         Potrei farti la stessa domanda-

I loro occhi si incrociarono, Viola storse la bocca. Ecco, lo sapeva, era molto più difficile di quello che si aspettava.

In quel momento, a rompere quell’atmosfera, suonò la campanella.

La classe si mosse in un attimo.

Manuel si alzò di scattò, in un attimo raccolse tutte le sue cose e si mise la cartella sulla spalla.

Viola raccattò tutto il più celermente possibile, sgusciò via dal banco per superarlo.

-         Dimentichi questo-

Si fermò di scatto sentendo la sua voce risuonarle quasi nella testa. Si voltò e lui le era davanti, tenendo nella mano il suo quaderno degli appunti.

-         Grazie- rispose lei afferrandolo sicura.

Chissà perché, lui aveva di nuovo l’espressione divertita.

-         Ci vediamo alla prossima lezione...-bisbigliò chinandosi verso di lei, - sempre se vorrai parlare con me-

Non le lasciò il tempo di rispondere, con un sorriso bellissimo e misterioso si allontanò e raggiunse la porta dove i due ragazzi con i quali l’aveva visto il giorno prima lo aspettavano.

Viola non riuscì a smettere di fissarlo fin quando non uscì dalla classe e sparì chissà dove. Aveva il suo sorriso stampato nel cervello. Non ebbe neanche il tempo di respirare per ossigenare il sangue che si ritrovò circondata da un bel po’ di persone, davanti a tutti, Tracy McBean.

-         Come hai fatto?- chiese, a nome suo e di tutte le persone che erano dietro di lui.

Viola divenne rossa in un istante.

-         Cosa?-

Voltò la testa in tutte le direzioni, tutti gli occhi erano puntati su di lei.

-         A parlare con lui, intendo- precisò Tracy, con un sorriso malizioso. Viola elaborò velocemente il valore di quella frase, nella sua mente iniziarono ad affluire di nuovo mille domande.

-         Come...come sarebbe a dire?- domandò, cercando di nascondere la curiosità che la divorava.

Tracy si fece una risatina, lanciando occhiate alle amiche intorno a lei.

-         Manuel Green non parla con nessuno, di solito- disse, controllando il volume della voce.

Viola rimase a bocca aperta.

-         Io non...-

-         Non l’ho mai visto parlare così tranquillamente con qualcuno a lezione prima di te oggi!- sghignazzò Tracy.

Era imbarazzata, il rossore sulle guance era diventato più evidente, avere gli occhi di tutti addosso non le piaceva affatto. Adesso la cosa più utile e giusta che avrebbe potuto fare era dileguarsi, avrebbe così evitato di essere al centro dell’attenzione, cosa che odiava, e avrebbe potuto restare da sola per riflettere. Aveva urgente bisogno di riflettere, non avrebbe potuto aspettare neanche un secondo.

Buttò lì due frasette di scuse e di saluti verso le sue nuove compagne e si fece spazio tra la folla per uscire dalla classe.

Uscì così velocemente che quasi non percepì il cambiamento di temperatura tra la classe e il corridoio.

Come avrebbe mai potuto rispondere alla domanda di Tracy? Lei non lo sapeva che Manuel Green non parlava con nessuno, avrebbe potuto immaginarlo, ma sinceramente non ci aveva proprio pensato. Che motivo avrebbe mai avuto per non parlare proprio con nessuno? O meglio, che motivo aveva avuto invece per parlare con lei? Prima del suo arrivo era seduto in un banco da solo, era quindi pensabile che se ne stesse sempre per i fatti suoi e che non trovasse volontariamente il confronto con gli altri, ma da qui a dire che davvero non parlava con nessuno le sembrava davvero esagerato. Eppure con lei era stato così naturale...aveva continuato ad avere quell’espressione rilassata, tranquilla, quella di una persona sicura di se, insomma. Nei suoi gesti e nelle sue parole, sebbene si fosse persa in qualche frase da interpretare, non aveva notato nulla che facesse pensare ad una persona socialmente isolata. Oh, ma andiamo! C’era da aspettarselo che era un tipo alquanto ombroso! Si, e Viola se l’era aspettato, ci aveva pensato per ore la notte precedente al modo che avrebbe potuto adottare per rivolgere la parola ad un tipo che sembrava così introverso. Ma adesso le cose erano cambiate. Adesso sapeva qualcosa in più, ed era come arricchire il puzzle di tasselli. Ricapitoliamo: lui si chiama Manuel Green, é al quarto anno, é così bravo a scuola che lo chiamano genio, solitario e introverso, con un sorriso enigmatico...intelligente, anche, le aveva dato quest’impressione. Ma c’era qualcosa, qualcosa che sembrava mancare, era come se tutte quelle informazioni potessero essere assimilate solo grazie ad una colla...qual’era il collante tra quelle informazioni? Perché diavolo non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione che Manuel Green fosse qualcosa che non riusciva a capire?

 

dal suo e anche il suo respiro, sentiva.

suo corpo a pochi centimentri nsi, avrebbe potuto rimanere in posizione statuaria per u 

 

...

 

 

 

La scena sembrava essere la stessa, l’unica differenza stava nel fatto che tutta la palestra era circondata da una fumeta verde. Viola non sapeva perché fosse proprio verde, eppure in quel momento sentiva di non doverci ragionare sopra. Fece qualche passo in avanti, sembrava scorgere qualcosa eppure non riusciva ancora a vedere bene cosa fosse. Avanzò ancora, con le mani cercò di diradare la fumeta verde fin quando non vide chiaramente cosa le era davanti. C’era un gruppo di persone intorno a Sally, stesa per terra, con un filo di sangue che le usciva dalla testa. I visi delle persone erano attoniti, Viola si guardava intorno stranita. D’improvviso corse verso di loro il professor Steven, mosse le labbra ma non uscì nessun suono dalla sua bocca.

I suoi occhi erano pieni di paura.

Anche le bocche di tutti gli altri ragazzi iniziarono a muoversi, forse bisbigliavano, perché Viola non sentiva niente...

Poi comparve lui, d’improvviso, eccolo al fianco di Sally, sembrava che fosse sempre stato lì e lei non l’avesse visto. Impossibile, si disse. Se lui c’é, io lo vedo. Costeggiò la cerchia di persone, tutti ormai muovevano le labbra. Ma nessuno parlava.

-         Le si é rotta una gamba, le si é rotta una gamba! – gridò d’un tratto Manuel Green.

Viola si voltò di scatto, colpita dal tono della sua voce. La scena, nonostante questa frase, rimase immobile. Le persone, una dopo l’altra, cominciarono a sfumare, tutte sparirono.

Manuel Green rimase, inginocchiato per terra, Viola avanzò verso di lui, stava per poggiargli una mano sulla spalla, poi anche lui si dissolse e la fumeta verde iniziò a farsi nera.

 

 

Poi suonò la sveglia, e capì che stava sognando.

Aprì gli occhi e quasi si meravigliò di trovarsi nella sua stanza, con gli occhi della mamma fissi sui suoi.

- Viola, ti senti bene tesoro?

Viola con un gesto deciso mise a tacere la sveglia e si stropicciò gli occhi, poi si passò una mano tra i capelli.

-         Si...emh...si...-

-         Ti ho sentita urlare e sono corsa immediatamente!-

-         U-urlare?-

-         Si...hai forse fatto un brutto sogno, amore?-

-         Io...emh...no... cosa... cosa urlavo?-

-         Non ho capito bene...ma qualcosa riguardo a una gamba rotta!-

Viola sospirò.

Odiava sognare.

 

 

 

 

 

 

                                                              

 

Come il giorno prima Manuel era già in classe, già seduto, già con lo sguardo chino e isolato da tutti gli altri.

Portava una sciarpa dai colori chiari e aveva poggiato dietro la sedia una giacca blu scuro.

Appena entrata Viola fu salutata inaspettatamente da alcune persone della classe, ricambiò il saluto con un timido sorriso e si diresse verso il suo banco. Doveva essere la prima a salutarlo, questo si era ripetuta negli ultimi minuti.

Camminò leggermente fino al suo banco e nel momento in cui si sedette fece uscire dalle sue labbra un sottile e soffuso:

-         Ciao-

Lui si voltò subito, sorrise. Era rilassato, molto più del giorno prima, e sembrava anche molto più allegro del giorno prima.

-         Ciao Viola- salutò, con la voce ferma e calda.

Oh si, era decisamente di buon umore, aveva tutta l’aria di una persona che ha passato una bella giornata, o, ancora meglio, di una persona che sta aspettando che succeda qualcosa che lo renderà felice. Si, esattamente così... un sorriso tranquillo, i tratti del viso rilassati. Era bello quando era così. Più bello di quando era serio. La bellezza di Manuel Green non era una bellezza standard, di quelle solite. Manuel era delicatamente bello. Non era una di quelle persone che  colpiscono all’istante, che restano impresse nella mente sin da subito, lui no. Si doveva stare a guardarlo un po’, nei suoi movimenti, e ci si poteva accorgere che era davvero bello.

-         Come stai?- chiese subito Viola, per non lasciar cadere subito il discorso.

Lui non rispose subito.

-         Bene, grazie. Tu?-

-         Bene-

Viola abbassò per un attimo lo sguardo, deglutì a vuoto. Sentì che lui si era di nuovo girato verso di lei, teneva le dita delle mani incrociate sul banco e sorrideva.

-         Oggi...oggi ti va di parlare?-

Viola rimase quasi sbigottita dal tono della sua voce, tanto era intenso.

-         A te?-

-         Ah, ho chiesto prima io-

-         Giusto...- Viola sospirò, abbozzò un sorrisetto pensando a quello che avrebbe potuto dire. - ...beh si, mi andrebbe- concluse, quasi arrossendo.

-         Non ti dispiace perdere qualche passaggio della lezione?- chiese lui, quasi a prenderla in giro.

Viola storse la bocca.

-         Ho studiato quest’opera per metà già l’anno scorso. Non perderò molto- sentenziò, convinta.

Manuel annuì, abbassò lo sguardo con un sorrisino.

In quel momento iniziò la lezione, il professor Joel sedeva alla cattedra più annoiato e meno entusiasta del giorno precedente, giocherellava con il cappello rosso e aveva steso la sciarpa sotto il libro di testo che si apprestava a leggere, fermandosi di tanto in tanto per spiegare qualche passaggio o per dettare qualche appunto.

-         Ti piace Shakespeare?- le chiese Manuel dopo qualche minuto, afferrando la matita che aveva sul banco e iniziando a scarabocchiare qualcosa sul quaderno dinanzi a lui.

-         Si. Molto. A te?-

-         Abbastanza-

Abbassò leggermente la voce su questa risposta, quasi fosse un sospiro, strinse la matita nella mano sinistra, poi la posò di nuovo sul banco.

-         Quanti anni hai, Manuel?-

-         Quasi diciassette-

Rise sotto i baffi, si voltò verso di lei.

Rideva? Viola non riusciva a capire. Stava forse dicendo qualcosa di sbagliato oppure...oppure era talmente abituato a starsene zitto che adesso gli pareva strano parlare con qualcuno? Osservò il suo viso divertito mentre dentro di se continuava a chiedersi da cosa fosse suscitato quel riso.

-         Perché ridi?- chiese poi, ancora più sottovoce.

-         Niente, niente- rispose lui, voltando di nuovo la testa.

-         Ti faccio ridere?- chiese Viola quasi spontaneamente.

-         Si-

Questa risposta la lasciò spiazzata. Arricciò il naso non sapendo se doveva ritenersi offesa o fortunata di suscitare la sua attenzione.

Manuel si voltò di nuovo verso di lei, l’espressione sul suo viso cambiò ancora una volta.

-         Non ti sarai mica offesa?- chiese, di nuovo con quell’aria di chi sa sempre tutto.

-         No, affatto- rispose Viola, senza esitazione. Per una volta voleva provare a lasciarlo lei spiazzato, ma non ci riuscì. L’espressione di lui non mutò, restò fermo per qualche secondo, poi se ne uscì con un altro sorrisino.

Viola si rese conto che la loro conversazione non era normale. Non erano riusciti né a dire qualcosa che avesse completamente senso  né a collegare due frasi e né tantomeno a far finta che quel discorso potesse risultare normale in qualche modo...del resto, c’era qualcosa di normale in lui?

Forse la normalità proprio non lo comprendeva.

O forse era lui a non comprendere la normalità.

-         Perché ti faccio ridere?- chiese dopo un attimo, con la tranquillità nella voce.

Manuel non osò guardarla, tenne gli occhi bassi verso il banco.

-         Che razza di domanda é?- chiese in tutta risposta, con un altro sorrisino.

Viola alzò le spalle.

-         Sono curiosa-

-         Si, questo l’avevo capito-

I loro occhi si incrociarono per un istante, Viola sentì le sue guance arrossarsi, non riuscì a nascondere il sentimento fulmineo che le stava attraversando gli occhi.

Manuel la scrutò per qualche secondo prima di sorriderle, quasi dolcemente.

-         E tu quanti anni hai?- le chiese poi, riconducendo il discorso sulla linea dell’apparente normalità.

-         Sedici - rispose Viola, più lentamente.

Manuel annuì, poggiò la guancia sul palmo della mano e stette a guardarla per qualche secondo.

-         Tu fai...qualcosa...di particolare?-

Viola restò attonita di fronte a quella domanda.

Lo guardò, gli occhi come vuoti, lo sguardo immobile; non riuscì a capire cosa ci fosse nella sua voce di tremendamente diverso da tutto quello che aveva detto prima. D’improvviso era come se il tono fosse completamente cambiato e le pareva di star parlando con una persona completamente diversa.

Eccolo, eccolo il campanello d’allarme.

Eccola la sua stranezza.

Da un momento all’altro era cambiato tutto tra di loro, adesso lui la stava fissando quasi volesse scavare dentro di lei, era sparito tutto il suo precedente divertimento e quello che le stava chiedendo, più che uscire direttamente dalle sue labbra, era come se gli fosse stato infuso da un qualcosa di sconosciuto.

Questo era un incanto.

Il suo sguardo pareva essere l’unica cosa esistente e l’animo di Viola iniziò a distendersi morbosamente, - una parte di lei si arrampicava sulla lucidità, tutto quello che li circondava pareva essere sparito in una nebbia invisibile.

Fulminei, questi pensieri attraversarono la mente di Viola per non più di tre secondi, doveva innanzitutto rispondere, anche se, davanti ad una persona che ti parla in quel modo, non riesci a pensare.

-         Cosa dovrei fare?- farfugliò mentre non riusciva a smettere di fissarlo.

-         Non lo so...un’arte per esempio...si, mi piacerebbe sapere...come trascorri il tuo tempo?-

Mentre parlava le sue labbra si muovevano troppo lentamente.

Non poteva aver detto tutte quelle parole in quella sola emissione di voce.

-         Suono – rispose secca Viola dopo qualche secondo.

-         Ah. Cosa suoni?-

-         Il piano –

L’incanto si ruppe.

Manuel perse il suo tono di voce e la sua bellezza del mistero. Sorrise, e il suo sorriso era lo stesso divertito di prima.

Intorno a Viola fu come se il mondo avesse ripreso a girare e tutto avesse ripreso un ordine, come se la bolla dentro la quale era stata chiusa con Manuel per i precedenti minuti fosse scoppiata.

Come se non ci fosse mai stata.

-         E ti piace molto?- chiese di nuovo lui.

-         Si. Moltissimo- rispose Viola con un sospiro.

Si voltò verso di lui.

-         E tu cosa fai di particolare?- chiese lei.

La domanda suonò ambigua, Manuel si voltò ad incrociare il suo sguardo ma non lo sostenne neanche per un secondo.

-         Niente – rispose, soffusamente.

-         Non ti piace la musica? –

-         Si, certo. Ma non so suonare. Me la cavo di più a disegnare –

-         Mmh. Capisco-

Per un minuto o due rimasero in silenzio, Viola ragionando sulle rispose di lui.

Stava per aggiungere qualcosa ma suonò la campanella.

L’incanto fu quindi spezzato del tutto.

No, non poteva finire così, adesso che avevano iniziato ad avere un dialogo!

Gli alunni iniziarono a raccattare velocemente le loro cose, Manuel fu più lento del solito. Viola era decisa a salutarlo per bene, stava già pensando alle parole da dire quando lui la spiazzò di nuovo, parlando per primo.

-         Termini alla quinta ora?-

-         Si-

-         C’é una cosa che hanno dimenticato in sala musica forse da anni. Non so perché nessuno se ne sia mai curato. Vorrei dartela-

Le guance di Viola passarono dal pallido al rosso, e poi di nuovo al pallido.

-         Beh io…insomma…cos’é?-

-         Qualcosa che potrebbe piacerti. Mi aspetteresti lì?-

-         Perché non fuori scuola?-

-         Non...- si bloccò un attimo, - beh sai, non mi piace tanto la folla -

Abbassò lo sguardo come se volesse evitare di guardarla.

Claustrofobico, pensò Viola.

-         Oh, nessun problema-

-         Okay. Ti aspetto-

-         Okay-

-         Ciao Viola-

-         Ciao -

Se ne andò, uscì, e questa volta l’incanto finì davvero.

 

 

 

 

La campanella dell’ultima ora fece sussultare Viola. Non aveva fatto altro che aspettare quella campanella dalla terza ora.

Si alzò e fu così rapida nel raccogliere la cartella e la giacca e ad uscire dalla classe che riuscì benissimo ad evitare Daniel e Luce che si stavano intrattenendo a parlare con altri ragazzi della classe. Il corridoio della scuola si riempì in un attimo, Viola si fece spazio tra i mille studenti che adesso affollavano ogni angolo di quello e scese le scale, o meglio, si precipitò giù per di esse.

Mai aveva avuto tanta fretta di uscire.

Scese le scale fino al seminterrato della scuola, dove si trovava la sala musica, e prese a camminare più lentamente. Non voleva arrivare in anticipo, voleva che quando arrivasse, lui fosse già lì ad aspettarla. Era una bella immagine quella di lui che l’aspettava, vederlo lì, fermo, a fissare il vuoto come sapeva fare bene, mentre l’aspettava...si, era proprio un’immagine che calzava perfettamente nel suo cervello e si stava divertendo a rigirarsela nella mente in tutte le direzioni.

Arrivata dinanzi alla sala di musica vide che la porta era socchiusa.

Beh, lui forse era già dentro.

Afferrò la maniglia della porta e l’aprì, si affacciò con la testa per constatare che ci fosse qualcuno.

Non vide nessuno.

Restò ferma per qualche secondo osservando la saletta lunga, con le grandi finestre a vetri di fronte alla porta e il piccolo soppalco sulla sinistra. Due chitarre, - una acustica ed una elettrica, erano poggiate al muro sul soppalco e un vecchio pianoforte a muro in legno, invece, era disposto di fronte alle finestre a ridosso dell’altra parete. Una grossa lavagna non permetteva la visuale dell’ala destra della stanza.

Viola sentì un fruscio.

-         Manuel?- chiamò a bassa voce.

-         Sono qui- rispose una voce calda e tranquilla, quella di lui.

Viola entrò tirandosi dietro la porta e raggiunse Manuel nell’ala destra della stanza, dietro la lavagna.

Lui era lì, davanti agli armadietti pieni di fogli e testi di canzoni e aveva in mano un libricino sottile e largo, che a vederlo pareva uno spartito. Viola si fermò a qualche metro di distanza quasi come se avesse paura di avanzare.

O forse era solo rimasta a fissare come fosse semplicemente perfetta l’immagine di lui in piedi con quello spartito, illuminato da un raggio di luce giallastra che filtrava dalle tendine.

Lui sorrise, nella sua espressione il solito cipiglio che Viola non era ancora riuscita a decifrare.

-         Ecco, volevo darti questo – disse poi, avvicinandosi. La mano destra le porgeva qualcosa che inizialmente Viola non osservò.

Stava osservando la sua mano.

Alzò lo sguardo, poi prese il libricino e l’osservò.

Era una raccolta dei migliori pezzi di Bach.

Oh, lei aveva forse due o tre libri pieni di Bach, ma quello, ne era certa, l’avrebbe amato più di tutti.

Restò ferma a fissare il libricino sentendo la presenza di lui proprio accanto senza riuscire a parlare.

-         Non ti piace Bach?- chiese d’improvviso.

Viola sobbalzò, si ridestò dall’estasi e alzò il viso per guardarlo.

-         Oh no, mi piace molto, davvero! É stato molto gentile da parte tua, ti ringrazio. Sicuro che non spunti d’improvviso il proprietario?-

-         Sicuro. É più di tre anni che é qui – rispose lui, con un sorriso.

Qualche secondo di silenzio bastò per far scendere un’ombra di imbarazzo.

-         Beh, forse é meglio andare - sentenziò lui, afferrando la cartella da un angolo della stanza e avviandosi verso la porta.

-         Manuel!- chiamò lei, quando lui pareva già essere sparito.

Lui si voltò, non disse niente. Ma il suo sguardo, intenso, profondo, non necessitava di parole.

-         Beh, ci vediamo domani. E grazie ancora-

Manuel l’osservò per qualche secondo per poi sorridere. Era un sorriso divertito, di quelli che non si spiegavano.

-         Si, anche a me farà piacere rivederti-

Non aggiunse altro, si allontanò velocemente lasciandola lì, da sola, a fissarlo andar via. Era come veder volare via un sogno, era come veder sfumare la più belle delle fantasie davanti alla realtà, come veder passarti davanti la cosa reale più vicina ai tuoi sogni.

Viola si accorse solo dopo un pò essere ancora lì, ferma – come un’imbecille-, uscì con  la speranza che in un modo o nell’altro lo potesse vedere mentre si allontanava, invece non fu così.

Lui era già sparito.

Come avesse fatto, Viola non riusciva a dirlo, lo spiazzo del seminterrato era vuoto.

Viola si guardò intorno più volte, ma niente. Ormai di lui non era rimasta neanche l’atmosfera.

Strinse il libro di Bach tra le mani mentre le sue ultime parole le risuonavano nella testa.

Si, anche a me farà piacere rivederti.

Qualsiasi cosa quell’angelo incatenato al mondo voleva lasciarle intendere, lei l’avrebbe capito.

 

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Capitolo 5
*** 4. ***


fiori 5

 

La situazione era la stessa per la seconda volta. Stavolta le figure intorno al corpo di Sally erano nere, mute, sembravano statue, tutte quante in piedi, senza un ordine. Viola era troppo lontana da loro, seduta sullo sgabellino di un lungo pianoforte a coda che assomigliava proprio a quello che aveva nel seminterrato. Stavolta non c’era nessuna nebbia verdolina eppure l’atmosfera era tesa, il silenzio struggente.

Sul leggio del pianoforte brillava, quasi fosse avvolto da una luce, il libro di Bach che lui le aveva dato quella stessa mattina.

Qualcosa dentro di lei le diceva di mettersi a suonare eppure era come se le sue braccia fossero bloccate da catene invisibili che non le permettevano di alzare le mani sulla tastiera.

Poi qualcosa cambiò.

Lui comparve dal fondo della palestra e prese a camminare verso di lei.

La guardava, senza espressione.

Aveva i lineamenti distesi, la pelle rosea, candida, lucida, perfetta;  gli occhi sembravano quasi brillare sotto quella luce, occhi immobili, chiari, lucenti come la prima volta che li aveva visti, perfetti, anche quelli.

- Suoneresti qualcosa?- chiese d’improvviso.

La sua voce echeggiò per l’ambiente e per la mente di lei.

Viola avrebbe voluto parlare, rispondergli, ma non ci riuscì. Il respiro le mancava, eppure in quel momento si sentì piena di forza.

Alzò le mani e le poggiò sulla tastiera, stava per iniziar  quando la mano di Manuel si poggiò su quella di lei.

- E poi, - aggiunse, - volevo chiederti scusa per avertelo chiesto solo adesso. Sono un po’ timido, - mentre diceva quest’ultima frase sorrise, sembrò anche che stesse per arrossire.

Poi delicatamente le lasciò la mano e lei iniziò a suonare.

 

 

Il sogno finì subito dopo il Minuetto.

 

 

 

 

 

Quella mattina era più turbata del solito. Non riusciva a togliersi dalla testa quello che aveva sognato, ogni immagine le era rimasta così nitidamente nel cervello che non riusciva a pensare ad altro, ogni cosa che le era davanti era offuscata da quelle immagini, da quella musica, da quella maledetta situazione…era così frastornata che arrivò a scuola alle otto e otto minuti.

Due minuti di ritardo che, se fosse stata lucida, non avrebbe concepito affatto, mentre adesso non aveva neanche la minima idea di che ora fosse, neanche le importava. Attraversò con decisione il cortiletto esterno ed oltrepassò la soglia dell’atrio, poi, inaspettatamente,una mano le toccò la spalla.

In una manciata di secondi ebbe un gioioso sussulto e lo placò, poi si voltò e il sussulto ricominciò. Era davvero lui, la sua mano, l’aveva riconosciuta.

- Ciao. Scusa, non volevo spaventarti – disse con un dolce sorriso.

Anche lei sorrise guardando l’espressione completamente nuova di lui. Non era l’espressione del mistero e neanche quella di chi sa sempre tutto quello che succede, era un’espressione molto più sentimentale rispetto a quelle analizzate fino a quel momento. Era piena di dolcezza e tenerezza, qualcosa che non riusciva a spiegarsi.

- Oh no, non mi hai spaventata- balbettò, attonita.

Lui sorrise.

-         Volevo sapere…ehm…se ti é piaciuto il libro di Bach. Cioè, lo hai suonato?-

-         Si, si, certo. É molto bello. Ti ringrazio ancora tantissimo-

Il suo sorriso si colorò di una nuova luce per qualche istante.

-         Sono contento che ti sia piaciuto-

Restarono per qualche momento in silenzio, Viola teneva gli occhi bassi per non fronteggiare uno sguardo che sapeva non l’avrebbe lasciata indifferente eppure sentiva i suoi occhi addosso.

Stava succedendo qualcosa, eppure non sapeva ben dire cosa.

-         Tu non hai…mai suonato qui a scuola, vero?- chiese, mentre la voce diventava ad ogni parola più soffusa.

Viola fu costretta ad alzare lo sguardo, lui la stava ancora guardando con quella stessa dolcezza di prima, troppo leggera forse per essere qualcosa in più ma troppo intensa per essere assimilata ad un semplice sguardo.

Scosse la testa impercettibilmente mentre lo guardava negli occhi.

-         No - rispose, senza smettere di guardarlo.

Lui calò lo sguardo per un attimo come se si fosse appena resto conto di aver chiesto una cosa davvero stupida, sorrise, - sembrava un po’ imbarazzato.

-         Io…io non ti ho mai sentita suonare-

Quella frase la paralizzò letteralmente.

Era, nello stesso momento, il mistero e la delicatezza.

Non l’aveva mai sentita suonare.

Oh, ma certo, era ovvio. Non si erano mai incontrati prima. Ma come gli era venuta in mente una cosa del genere? Diavolo, non era una pensiero di quelli standard, non era una frase normale! Cosa gli frullava nel cervello, insomma, come riusciva a rendere un’espressione completamente fuori luogo una cosa così semplice?

Impose a se stessa di riprendersi.

Infondo – ma molto infondo – era solo una frase.

-         Ci conosciamo solo da due giorni – sussurrò.

Lui annuì, leggermente divertito.

-         Già - sentenziò, forse a voce troppo bassa. Sospirò, per un attimo parve confuso.

Lui, confuso?

-         Ma stiamo diventando amici – si affrettò a dire Viola, cercando i suoi occhi.

Manuel non rispose subito.

-         Certo- disse con uno strano accento nella voce.

Poi suonò la campanella.

-         Oh, devo scappare!- esclamò lui d’un tratto, rompendo l’incanto, - di nuovo.

Viola sospirò.

-         Si, anche io –

-         Ci vediamo a inglese, Viola!-

-         Si -

-         E..- si fermò, un luminoso sorriso gli irradiò il volto, - scusami ancora –

-         Di niente-

Non disse nient’altro, la guardò per qualche altro secondo con quel suo sorriso – uno di quelli che comparivano inaspettatamente – e sparì tra la folla, sparì, chissà dove.

 

 

 

                                                         

 

La porta dell’aula di inglese era chiusa e dentro non c’era nessuno.

-         Ma che succede?- chiese Tracy McBean, avvicinandosi al gruppetto di studenti davanti alla porta.

-         Sembra che il professor Joel sia assente, oggi – rispose Trevor.

Tracy alzò le spalle con un sorrisetto malizioso.

Manuel era poggiato con la schiena contro la parete di fianco alla porta, in silenzio, ma nessuno l’aveva notato.

-         Ora libera, quindi?- chiese di nuovo Tracy, con la voce più squillante del solito.

-         Beh, direi di sim - sentenziò Ashley, accanto a Trevor.

-         Evviva!- esclamò Tracy alzando le braccia.

In quel momento arrivò Viola ma tutti erano troppo agitati e felici di saltare la lezione per accorgersi del suo arrivo.

La ragazza osservò il tumulto, si fermò a qualche centimetro di distanza da un’allegrissima Tracy.

-         A quanto pare é saltata l’ora di inglese - sussurrò all’improvviso una voce calda al suo orecchio.

Si voltò di scatto e lui era lì, non più poggiato al muro.

-         Come sarebbe a dire?- chiese, arricciando il naso.

-         L’hanno appena detto – sentenziò a bassa voce Manuel, incrociando le braccia e accennando al gruppetto alle spalle di Viola.

In quel momento arrivò Lisa, salendo le scale di corsa.

-         Il vicepreside conferma, ora libera!-

I ragazzi sorrisero, esultarono il più silenziosamente possibile;. Viola non poté fare a meno di sorridere osservando tanta gioia.

In meno di cinque minuti il corridoio fu sgombro, Viola neanche se ne rese conto ma erano rimasti soli.

-         Non sei contenta di avere un’ora in meno?- chiese d’improvviso Manuel osservando la sua espressione leggermente afflitta.

-         Oh, beh, dipende. La verità é che ho solo sei ore nella vostra classe e ne sto appena perdendo una. Me ne rimangono solo quattro – spiegò.

Lui rise, lei alzò un sopracciglio.

-         In verità quest’ora potresti anche non sprecarla- disse poi, sorridendo e alzando le spalle.

Viola non disse nulla, lui le si avvicinò e d’improvviso divenne serio. Sul suo volto comparve un alone di dolcezza, come quella che aveva visto nel suo visto quella mattina.

-         Suoneresti qualcosa, Viola?-

Era la stessa intonazione e la stessa voce di quella mattina.

I suoi occhi erano intensi allo stesso modo, la guardava nello stesso modo. Una parte di lei era persa in quel suo sguardo, sentiva di star perdendo tutta la ragione che le era rimasta mentre la parte ragionevole che sopravviveva le stava parlando, le stava dicendo che era questo, - esattamente- una delle cose che lo rendevano così strano. Era questo suo modo di fare, era questo suo modo di guardare le persone che forse…no, non poteva essere quello, uno sguardo del genere – no, impossibile – Viola si rifiutava di credere che potesse guardare tutti in quella maniera.

Ad ogni modo, avrebbe mai potuto rifiutare?

Manuel Green, l’unica persona sulla Terra per la quale in quel momento sentiva di star esistendo, le stava chiedendo di mostrargli quello che meglio sapeva fare, e avrebbe avuto anche la forza di rifiutare?

No.

-         Certo- rispose, arrossendo.

-         Grazie infinite- sussurrò lui, guardandola ancora, - ti avverto che…beh, io non sono esperto di musica classica. Anzi, in realtà non ne so assolutamente niente-

Stavolta fu Viola a ridere, abbassò lo sguardo, lui era diventato rosso ma non la smetteva di sorridere.

-         Non preoccuparti. Suono sempre davanti a persone per niente esperte- confessò, mentre gli occhi le brillavano dalla gioia.

Nessuno dei due aggiunse altro, scesero silenziosamente la scala deserta e arrivarono al seminterrato, alla sala musica.

Come il giorno prima, la sala era vuota e sapeva di antico. La luce che filtrava dalle finestre era sempre giallastra, adesso un po’ più luminosa del giorno prima.

Il vecchio pianoforte era illuminato da uno di quei raggi, Viola entrò per prima nella stanza, Manuel la seguiva silenzioso.

Si fermò davanti al piano, poggiò una mano sulla tastiera mentre Manuel si sedette sul tavolino alla destra del pianoforte, incrociò le braccia.

-         Prego, maestro! – scherzò, invitandola a sedersi e a suonare.

Viola si sedette, sentì il peso del mondo caderle dalle spalle nel momento in cui poggiò le mani sulla tastiera. Liberò la mente, chiuse per un attimo gli occhi e le mani iniziarono a tremarle.

Non ci pensò un attimo, suonò un pezzo di Bach, uno di quelli che aveva imparato a memoria durante l’estate per ingannare il tempo, uno dei suoi preferiti.

Quel giorno fu la prima volta che non si astrasse totalmente mentre suonava, stava tenendo bene a mente una cosa, - la sua presenza. Non poteva osservare il suo viso, non poteva neanche cercare di capire cosa stesse pensando, se si stava emozionando, che cosa stava percependo.

Questa era l’unica cosa incredibilmente frustrante.

La musica sfumò, Viola alzò leggermente il piede dal pedale – la sonata era finita – e per qualche momento restò ferma mentre sentiva nel suo cervello le note dissolversi.

Avrebbe voluto avere il tempo di girarsi e di osservare la sua espressione ma lui si alzò e le arrivò accanto, si inginocchiò dinanzi alla tastiera tanto che il suo naso le sfiorava le mani e rimase lì per qualche secondo.

L’espressione di quei secondi nel suo gesto totalmente nuovo ed insolito la fecero quasi rabbrividire, la sua figura lì, inginocchiata, con gli occhi fissi sulle sue mani si dipinse nella sua mente come un flash che da quel momento in poi avrebbe sempre ricordato.

- E’ magnifico – disse infine, alzandosi.

Viola osservò i suoi movimenti, poi si alzò anche lei.

-         Oh no, ti prego, suona ancora-

Lei rise.

-         No, per favore…-

-         É fantastico, davvero-

-         Questo era Bach –

-         Sai suonarlo magnificamente-

-         Grazie-

-         Ma ti prego, Viola, suona ancora. Una cosa minuscola, la cosa più stupida che conosci!-

Viola rise di nuovo, gli occhi di lui brillavano, era bellissimo.

-         Non conosco nient’altro a memoria come questo-

-         Non importa. Mi piace guardare le tue mani mentre suoni-

Manuel chiuse le mani di Viola nelle sue – le mani di lui erano calde –  la guardò per qualche altro attimo, nel suo viso brillava qualcosa, Viola non avrebbe saputo dire con precisione di cosa si trattasse ma era un misto tra desiderio, sorpresa, meraviglia, commozione.

Lentamente le lasciò le mani, Viola restò immobile per qualche secondo, il tempo di lasciare che il sangue ricominciasse a scorrere nelle vene.

-         Io ti ringrazio davvero, Manuel. Mi stai riempiendo di complimenti-

-         O ti sto riempiendo di verità. Mi piace davvero molto-

Lei sorrise, abbassò gli occhi.

-         Non vuoi suonarmi neanche una nota?- chiese poi, ironico. Viola scoppiò a ridere, Manuel la invitò con un gesto del braccio a sedersi di nuovo, Viola lo accontentò.

Posò il dito sul Do.

Manuel rise.

-         Una nota, avevi detto- lo ammonì Viola.

-         Davvero ho detto così?-

-         Si. E questa era una nota-

-         Avresti potuto dirmi anche che era un altro pezzo di Bach, ci avrei creduto-

Viola rise di nuovo, abbassò la testa lasciando che i capelli le cadessero sul viso.

-         Qual é il vero motivo per il quale non vuoi suonare un altro pezzo?-

Alzò lo sguardo.

-         Mentre suono non posso guardarti. E non posso vedere qual é la tua espressione-

Ecco, ci era riuscita, l’aveva spiazzato.

Manuel divenne serio per un attimo, il suo viso si colorò di una nuova luce, qualcosa che per un brevissimo attimo le parve addirittura timore. Avrebbe pagato per sapere quello che gli stava passando per la testa.

Dopo un attimo si ricompose.

-         Sono incantato. Questa é la mia espressione quando suoni-

-         Cambi espressione troppo spesso per rimanere incantato durante tutta la durata della sonata-

-         Tu sei un po’ strana-

-         Anche tu lo sei, Manuel -

Rimasero in silenzio per un momento.

-         Io non sono strano – concluse poi lui, mentre sul suo viso si leggeva ora la confusione ora l’indifferenza.

Viola arricciò il naso, gli lanciò un’occhiata.

Non si aspettava una risposta del genere, eppure il suo viso era rilassato. Ancora una volta era come se sapesse anche quello che lei non aveva detto.

Poi rise.

-         Okay, forse un po’ lo sono. Ma non come pensi tu-

-         Tu non sai quello che sto pensando-

-         Ma di certo non é quello che pensi-

-         E come fai a saperlo?-

-         Cosa stai pensando?-

-         Perché dovrei dirtelo?-

-         Così ti dico se é vero-

-         Non me lo dirai-

-         Tu provaci-

-         E chi mi garantisce che mi dirai la verità?-

-         Devi fidarti-

Lui le piantò gli occhi in faccia. Anche stavolta Viola avrebbe dato tutto quello che aveva per sapere cosa pensava, che cosa mai lo avesse indotto a fare questa domanda.

-         A me piace come sei. Questo é quello che penso. -

Ecco. Questa era di sicuro una verità.

Manuel scosse il capo con un sorrisino, sospirò.

-         Ti piace come sono?-

-         Si-

-         E come sono?-

-         Che razza di domanda é questa?-

-         É una domanda semplice-

-         Anche io potrei chiederti la stessa cosa, sai-

Adesso doveva arrampicarsi sugli specchi, non poteva rispondere a tutto quello che le chiedeva.

-         Cosa?-

-         Perché pensi che sono strana, ecco, potrei chiedertelo-

-         Io posso dirtelo-

-         Okay-

-         Perché a me piace come sei. E a me non piacciono tutti-

-         Hai semplicemente ripetuto la mia stessa risposta e non posso considerarla valida-

-         Si che é valida. E tu sei davvero inusuale -

-         E sarebbe a dire?-

-         Adesso vuoi troppo-

-         Una parola, una sola-

-         Una sola?-

-         Si, una sola-

-         Limpida-

Lo guardò negli occhi, sentì il cuore scoppiarle nel petto.

L’aveva spiazzata - di nuovo -, e adesso non riusciva a parlare e né a mettere i pensieri in ordine, lì, davanti ai suoi occhi, davanti al suo sguardo.

Manuel le si avvicinò, sorrise, un sorriso divertito.

-         Sicura che non vuoi suonare niente davvero?- chiese, chinando il capo fino alla sua fronte.

Adesso era troppo vicino.

-         Si, sicura-

Viola si alzò, Manuel le scrutò il volto.

In quel momento sentirono la porta della sala musica aprirsi.

-         Manuel…?-chiamò una vocina.

-         Candace!-

Manuel quasi saltò dalla sorpresa, si avvicinò alla porta.

La ragazza dai capelli ramati e il ragazzo con i corti capelli neri entrarono, quatti quatti, silenziosi, con l’espressione tranquilla. Manuel sorrise ad entrambi.

-         Ciao ragazzi!-

-         Scusaci se siamo venuti fin qui, ma non sapevamo dove cercarti e…- cercò di spiegare il ragazzo con i capelli neri.

-         No, non preoccupatevi!-

Manuel sorrise rilassato, la ragazza con i capelli ramati si voltò verso Viola.

-         Ciao, io sono Candace!- disse, avvicinandosi e porgendole la mano.

-         Piacere, Viola - disse lei a sua volta, timidamente.

Manuel alzò le braccia.

-         Oh, stavo dimenticando le presentazioni…beh, Viola, loro sono Candace e Joseph…ragazzi lei é Viola…é nel mio corso di inglese- spiegò velocemente, mentre Viola osservava le sue guance dipingersi di un leggero rossore.

-         Piacere di conoscerti, Viola- disse Joseph avanzando e porgendole la mano come prima aveva fatto Candace.

-         Il piacere é mio-

Candace e Joseph si scambiarono un’occhiata poco chiara, poi Manuel intervenne:

-         Beh, ragazzi, perché mi stavate cercando? É successo qualcosa?-

-         Oh, no, niente, davvero…solo che siamo passati davanti all’aula di inglese e abbiamo visto che era vuota, abbiamo pensato che forse avevi bisogno di compagnia ma… a quanto pare…-

Candace guardò Viola.

-         Non c’é nessun problema, io…stavo andando, davvero…ho un’altra lezione adesso, non vorrei arrivare in ritardo!-

Viola si sentiva tremendamente in imbarazzo, era rossa da capo a piedi e sentiva che da lì a poco si sarebbe sciolta se non fosse uscita da quella stanza.

-         Ma puoi restare, davvero…- iniziò a dire Joseph, ma un altrettanto imbarazzato Manuel gli diede una gomitata.

Dal suo viso si capiva che anche lui si trovava esattamente nella sua stessa situazione.

-         E’ stato un piacere conoscerti Viola!-esclamò Candace.

-         Anche per me. Ciao Manuel, ci vediamo…-

-         …all’uscita. Aspettami-

-         Okay. Ciao ragazzi!-

-         Ciao!-

Viola uscì precipitosamente raccogliendo in fretta le sue cose, la porta della sala musica quasi sbatté.

Candace guardò di sottecchi Manuel.

-         Allora?-

-         Allora cosa?-

-         Non hai niente da dirci?-

-         No-

Candace scoppiò a ridere.

-         Siete arrossiti come se vi avessimo sorpreso a rubare in una banca!- esclamò.

-         Comunque lei é carina!- esclamò a sua volta Joseph.

Manuel scosse la testa con un sorrisino che non riuscì a nascondere.

-         Non é come pensate -

-         Ma che c’é di male, dopo tutto? Tu che te ne stai sempre da solo, senza nessuno…era ora che ti cercassi una ragazza!- insistette Candace.

-         Ma Viola non é…la mia ragazza-

La sua voce era diventata soffusa.

-         Beh, non ancora!-

-         Siamo amici, Candace. E non credo di interessarle in quel senso-

-         Scherzi? Ti guardava in un modo!- disse Joseph.

-         Ti sarai impressionato. Lei può trovare di meglio in giro-

Manuel poggiò le mani sul tavolino dando le spalle agli amici. Improvvisamente si era oscurato.

Candace lanciò un’altra occhiata a Joseph, entrambi capirono.

Era meglio non insistere.

Candace gli poggiò una mano sulla spalla.

-         Hai la faccia di uno che non ne vuole parlare-

-         Già-

Manuel chiuse per un secondo gli occhi, sospirò.

-         Non preoccuparti. Ricordati che ti vogliamo bene- intervenne Joseph avvicinandosi.

-         Grazie ragazzi-

Manuel riaprì gli occhi, afferrò la giacca.

-         Vi dispiace se mi avvio? Vorrei stare un po’ da solo –

-         Okay. A dopo-

-         A dopo-

Manuel abbozzò un sorrisetto ed uscì, Candace sospirò e si sedette sul tavolino dove poco prima poggiava l’amico.

-         Che cos’ha secondo te?- chiese d’improvviso Joseph, rompendo quegli attimi di silenzio.

-         Sai com’é fatto Manuel, Joseph - sentenziò Candace, - ogni tanto é così-

-         No, non intendo quello - insistette Joseph, - insomma, non aveva mai parlato con una ragazza prima d’oggi! O meglio, io non l’avevo mai visto!-

Joseph fissò con gli occhi spalancati l’amica per qualche momento fin quando Candace non cambiò espressione e divenne pensierosa.

-         Credi che l’abbia ferito, Joseph? Dicendogli che se ne sempre per conto suo?-

Candace alzò gli occhi scuri verso l’amico.

-         No, Candy. Lui lo sa. Manuel sa com’é fatto-

-         Sarà! Il problema é che alcune volte proprio non lo capisco, Joseph -

-         Io non lo capisco mai, pensa un po’!-

Candace soffocò un sorrisino.

-         Chi sarà questa Viola?-

-         Non lo so. Però mi é sembrato che, insomma, stessero bene insieme-

-         In effetti lui aveva una certa faccia-

-         Credi si sia innamorato di lei?-

Candy rise, Joseph alzò le spalle.

-         Non credi che la conosce da un po’ troppo poco tempo?-

-         Beh, non sarebbe la prima volta che Manuel ci sorprende-

-         Già -

Candy sospirò arricciando il naso. In definitiva, le risposte che Manuel le aveva dato poco prima non avrebbero dovuto sorprenderla affatto, lui era sempre un po’ così, insomma, un po’ strano.

A Candace non erano mai piaciute le chiacchiere della gente, aveva sempre fatto in modo di restarne fuori per la falsità con la quale trattavano qualsiasi argomento, ma per quanto riguardava Manuel, beh, era stato infelice constatare che le chiacchiere non dicevano niente di sbagliato, solo l’oggettivo. Manuel era davvero timido, introverso, isolato dalla società, si chiudeva nella sua espressione fredda ed ermetica che se non  lo si conosceva ( e quasi nessuno lo conosceva) si pensava che avesse qualche problema, un qualsiasi problema di comunicazione, ma non era così. Quando lei e Joseph erano diventati suoi amici – circa due anni prima – Manuel aveva buttato via la maschera del ragazzo chiuso e aveva iniziato ad essere affettuoso, dolce e sorridente come sapeva essere. Era come se lui li trattasse da privilegiati, come se loro – Candace e Joseph – fossero meritevoli di essere trattati bene a differenza della massa.

Una volta che lo conoscevi e ci passavi un po’ di tempo insieme dimenticavi perché tutti lo reputavano strano, dimenticavi il suo viso freddo e persino che in classe non spiccicava una parola se non interrogato dai professori. Candace e Joseph avevano imparato a dimenticare tutte queste cose anche se di tanto in tanto scendeva quell’ombra e succedeva qualcosa che nessuno dei due capiva. Dall’espressione sul suo viso sembrava sempre qualcosa di orribile, di tremendamente triste e senza speranza, ma non ne parlava mai.

Questo era Manuel, o almeno, questo era quello che loro credevano lui fosse.

-         Candace? Hai sentito quello che ho detto?-

Joseph le sventolò una mano davanti agli occhi.

-         Scusami. Riflettevo. Cosa dicevi?-

-         Dicevo che per passare il tempo fino alla prossima lezione potremmo andare a compare qualcosa da mangiare giù al bar…-

-         Ma é possibile che hai sempre fame?-

-         Non ho sempre fame!-

-         Si invece…-

 

 

 

 

                                                          

 

.

Viola era mimetizzata tra la folla, aveva le guance rosee, gli occhi persi a guardare qualcosa impresso dentro di lei e le mani stringevano le maniche della cartella.

Le stringeva così forte che le nocche erano bianche.

Si fermò davanti a uno dei muretti che circondavano lo spiazzo e si sedette lì con la cartella poggiata sui piedi ad aspettarlo, come lui le aveva detto. Dalla scuola uscirono tantissimi ragazzi e lui fu uno degli ultimi. Viola si stava già preparando a chiamarlo come se fosse sicura che passando non l’avesse vista, ma lui la vide subito.

-         Grazie per avermi aspettato- disse.

-         Niente. – rispose Viola, guardandolo a stento.

Era come se l’imbarazzo che avevano sentito entrambi in sala musica non fosse mai finito, ed erano entrambi troppo timidi per prendere in mano la situazione.

-         Volevo chiederti scusa, insomma, i miei amici si sono presentati così all’improvviso e...-

-         No, non preoccuparti Manuel -

-         Sicura?-

-         Si si, certo. E poi sono simpatici-

Manuel la guardò, vide un sorriso tranquillo e rassicurante sul suo volto.

Poi sorrise anche lui.

-         Beh...si, loro sono...sono i miei migliori amici-

Il tono con il quale l’aveva detto aveva tutta l’aria di una confessione: aveva gli occhi bassi, il rossore pallido sulle guance e i capelli sugli occhi. Come se non avesse mai parlato a nessuno dei suoi amici.

Viola sorrise.

Oh, aveva capito. Loro erano i suoi Daniel e Luce, con l’unica differenza, loro erano più premurosi e meno curiosi.

-         Ehm, senti, ti va di fare quattro passi? Hai da fare?- chiese poi lui, rompendo di nuovo il silenzio.

Viola alzò gli occhi e incrociò i suoi.

-         No, non ho da fare-

Manuel sorrise, l’aiutò a scendere dal muretto.

Il sole gli illuminava i capelli, li faceva quasi splendere come se fossero fatti d’oro.

Si incamminarono lontano dalla scuola alla volta del viale principale che mano mano si riempiva di studenti che tornavano a casa. C’era una strana atmosfera in giro, per un momento sul volto di lui passarono una centinaia di ombre diverse, nessuna delle quali Viola riuscì a percepire, quasi come se stesse ragionando in solitudine.

Quando furono abbastanza lontani dalla folla e costeggiarono gli alberi del parco i lineamenti di lui si rilassarono.

Che non gli piaceva la folla era indubbiamente vero.

-         In realtà, ho riflettuto su quello che hai detto- iniziò, con un’aria mista tra il serio e il confusionario, - ...quando hai detto che sono strano-

Viola si voltò verso di lui.

-         Hai riflettuto?-

-         Si-

-         E a cosa sei arrivato?-

Manuel rise abbassando gli occhi.

-         Penso che per un lato siamo simili, Viola-

Lui alzò gli occhi verso di lei per scrutare la sua espressione.

-         L’unico problema é che – continuò dopo un attimo, - non so quale sia questo lato-

Viola alzò le spalle.

-         Beh, non devi cercarlo per forza. Beh, voglio dire, a me sta bene così...certo, non ci avevo mai pensato, però...insomma, forse il fatto é che io non ti considero strano, o meglio, io prendo la tua stranezza come normalità-

Non riusciva a credere di averlo davvero detto.

Si morse la lingua, con la coda dell’occhio osservò la sua espressione. Si aspettava di vederlo confuso, magari anche deluso da quello che aveva detto, ma lo trovò divertito.

Diamine, perché era divertito?

-         Con questo non voglio dire che...cioé...insomma, io credo che tu...-

-         Okay, okay, ho capito-

Manuel rise di nuovo.

-         Tu mi fai davvero ridere- sentenziò.

-         Si, me n’ero accorta-

-         Il fatto é che sei alquanto contraddittoria. Prima dici che sono strano, poi ti rimangi tutto dicendo che accetti la mia stranezza come normalità. Insomma, é un concetto interessante, ma...-

-         Non é difficile da spiegare, sei tu che mi confondi-

-         Io ti confondo?-

-         Si-

-         Non capisco come avrei potuto farlo. Non ho detto neanche una sillaba, hai parlato da sola-

-         Non sono le tue parole che mi confondono-

-         E cosa allora?-

Viola rimase in silenzio. Era in trappola stavolta, non sapeva proprio cosa dire. Com’era possibile che riuscisse sempre a scamparla, lui, sempre ad avere la risposta pronta?

Sospirò come per riuscire a tradurre in parole quello che cercava di cogliere dal vorticoso caos di pensieri che lo riguardavano.

-         Sono i tuoi silenzi, ecco-

Manuel socchiuse gli occhi, parve rifletterci su.

-         Quello che mi dice anche Laney -

Viola voltò di scatto la testa verso di lui. Laney? E chi era?

Un morsa le strinse forte il cuore, sospirò soffusamente come per riprendere la calma che sapeva di star perdendo.

Oh mio Dio, stava perdendo la calma! Perché diavolo la stava perdendo? Se pure fosse stata la sua...la sua...ragazza, si, ecco, se pure fosse stato così, cosa mai avrebbe dovuto interessarle? Loro non stavano insieme, si conoscevano solo da tre giorni e...insomma, era qualcosa di totalmente fuori dal normale!

Eppure quello che sentiva in quel momento era una sorta di morbosa gelosia.

-         Laney?- chiese, controllando la voce.

-         Esattamente- rispose lui, un’espressione alquanto seria.

Viola non aveva il coraggio di chiedere altro, non aveva idea di quale reazione avesse potuto suscitare in lui eppure una parte di lei, quella parte gelosa, quella che in un remoto angolo della sua mente lo adorava come se fosse un angelo, prese il sopravvento.

-         Chi é Laney?-

La domanda era diretta, lo guardava negli occhi e un tremolio innaturale le animava la voce.

Manuel sostenne il suo sguardo per un attimo.

-         E’ mia sorella-

Il buco che c’era nello stomaco di Viola si chiuse, le ritornò il colorito sulle guance e si trattenne dal sorridere – un sorriso che sarebbe stato di gioia.

Sorella, aveva detto.

-         Oh, tua sorella- ripeté, mentre la parte razionale di lei sbraitava contro quella che era stata gelosa anche se nello stesso tempo la ringraziava perché aveva placato un dubbio che stava tormentando anche lei.

-         Già. Chi credevi fosse?-

-         Non lo so-

-         Davvero?-

-         Si-

-         Non sarai stata mica...gelosa?-

Viola arrossì, quella parola fece crollare il muro di indifferenza che aveva cercato di sorreggere.

Il tono di lui protendeva verso il divertito, - come sempre.

-         Non dire sciocchezze-

-         Non eri gelosa?-

-         No-

-         Neanche un po’?-

-         No-

-         Sicura?-

-         Si-

Manuel alzò le spalle divertito, ancora una volta sembrava stesse ragionando e divertendosi su qualcosa che a lei restava oscuro.

-         Bene...- iniziò, a testimonianza che non era affatto stanco dell’argomento –  visto che non eri gelosa... sarà ora che ti parli di Lindsay -

Viola sentì un nuovo tuffo al cuore, stavolta non riuscì ad impedire a quella parte di lei che inconsciamente lo desiderava di saltare fuori e mostrare tutta la sua disperazione.

-         Perché mi guardi in quel modo?- chiese lui.

-         Non ti sto guardando – rispose lei freddamente.

-         Non vuoi saperlo?-

-         Cosa?-

-         Chi é Lindsay -

Oh certo, per romperle un osso magari!, pensò Viola.

- Chi é?- chiese, con la voce tremante e mossa da un qualcosa di tremendamente triste.

Manuel scoppiò a ridere.

-         E’ uno scherzo!-

Viola si sentì quasi venir meno.

- Sei un’idiota!-

La frase le uscì quasi da sola.

-         Ah, non sono un’idiota, sei tu che non sei gelosa!-

-         Questo era un colpo basso, non vale!-

-         A te non dovrebbe interessare, tanto tu non sei gelosa...-

-         Io non...-

-         Non dovresti tradire le tue sensazioni così...-

-         Okay okay, vuoi sentirti dire che sono gelosa? Bene, sono gelosa! E tanto anche!-

Viola quasi urlava, gli puntava il dito contro.

Lui rise di nuovo.

-         Bene- sentenziò dopo un attimo.

Viola si sentiva in imbarazzo. La parte razionale si chiedeva se esistesse sulla Terra una persona più stupida di lei mentre quell’altra parte era contenta.

Oh no, ma adesso doveva riconquistare terreno.

-         E tu? Tu saresti geloso?- gli chiese.

La domanda lo aveva spiazzato anche se questo non era l’intento di Viola.

-         Geloso?-

-         Già-

-         Di cosa?-

-         Beh, di me. Nei miei confronti-

-         Dipende-

-         Dipende?-

-         Si-

-         Da cosa?-

Manuel esitò per un attimo.

-         Se tu suonassi per un altro ragazzo sarei geloso. Gelosissimo-

La parte che lo amava esultò; la parte razionale era un po’ confusa.

-         Se suonassi per un altro ragazzo?-

-         Già. Non credo riuscirei a sopportarlo-

-         Quindi é un si?-

-         Cosa?-

-         Saresti geloso?-

-         Tu non darmi motivo per esserlo-

Era rimasto fermo, tutto d’un pezzo, come se quello che avesse detto non l’avesse toccato minimamente.

Viola aveva la testa nel pallone.

Erano arrivati all’incrocio e si stava facendo tardi. Sarebbe stato meglio se fosse andata a casa, o, conoscendo Janine, avrebbe iniziato a chiamarla preoccupata e non lo sopportava affatto.

-         Beh, credo che sia meglio che continui per di là, - disse, indicando la strada che si diramava alla sua destra, - o arriverò tardi a casa-

-         É già tardi?-

-         No, ma lo diventerà -

-         Vuoi che ti accompagni?-

La domanda la fece sorridere.

-         No, grazie. Non preoccuparti-

-         Sicura?

-         Si, davvero-

-         Okay...ci vediamo domani allora-

-         Si. Certo-

-         Ciao Viola-

-         Manuel...-

-         Si?-

-         Ero davvero gelosa-

Lui sorrise.

-         Non preoccuparti, non ne hai affatto motivo-

E così dicendo si voltò e si incamminò via.

La parte che lo amava cresceva, la parte razionale moriva sempre più.

 

 

Note:

Approfitto per augurare a quanti leggeranno uno splendido anno nuovo. Che un buon libro sia sempre con voi! Ne approfitto anche per ringraziare le 12 persone che seguono questo racconto, e le invito come sempre a commentare.

Grazie e a presto,

Lara

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Capitolo 6
*** 5. ***


fiori6

L’allegria che circondava quel momento era quasi inesistente per Viola.

Luce poggiò un vassoio con tre tazze di té sul tavolino basso della sua stanza, sorrise facendo ondeggiare i capelli e si sedette accanto a lei mentre Daniel osservava le tazze di té con fare indugiante.

-         Bene, veniamo al dunque-

Luce si sistemò con la sua tazza tra le mani, Daniel afferrò la sua con fare esitante.

-         Al dunque?-

Viola alzò la testa, la sua voce era tranquilla e pacata come se il “dunque” di Luce non intendesse premettere nulla di nuovo e strano anche se nel tono dell’amica c’era qualcosa che lasciava prevedere appunto quello.

-         Già. In realtà noi ti dovremmo parlare-

-         In realtà é Luce che vuole parlarti, io glie l’avevo detto di...-

-         Non é vero! Daniel e io ci abbiamo pensato a lungo e...-

-         A lungo? Ma se hai deciso tutto da sola in meno di un quarto d’ora!-

-         Ma tu sei stato d’accordo con me!-

-         Si ma io avevo suggerito di aspettare un po’ prima di...-

Viola li osservava confusa, i loro visi erano agitati e le tazze di té  ballonzolavano tra le loro mani.

-         Cosa sta succedendo?- chiese poi, assalita dalla curiosità.

Luce sospirò, poi arricciò il naso.

Viola conosceva quell’espressione.

Stava pensando ad un giro di parole, qualcosa che l’aiutasse a rendere quello che voleva dire meno diretto.

Afferrò la tazza di té e ne bevve un sorso attendendo che Luce parlasse.

-         Tu lo conosci, Manuel Green?-

Il té le andò di traverso.

Iniziò a tossire, Luce le diede alcuni colpetti sulla schiena, Daniel soffocò una risata.

-         Cosa?- chiese con la voce strozzata appena le fu possibile parlare.

-         Manuel Green. Io non l’ho mai sentito, eppure Tracy dice che voi siete...molto amici. Insomma, hai capito. É vero?-

Luce la fissò con sguardo indagatore, Viola perse tempo tossendo ancora.

Che ne sapevano loro di Manuel? E che ne sapeva Tracy? Oh, quanto era stata stupida! Era certa che si fosse messa a spettegolare, si, ne era certa, avrebbe dovuto capirlo sin dal primo giorno, sin da quando le aveva chiesto come avesse fatto a parlare con lui.

-         Allora?- chiese di nuovo Luce.

-         No, ragazzi, non stiamo insieme – e qui si fermò, il suo sguardo tradì qualcosa, -  e voi non dovreste credere a quello che dice Tracy!- sbottò infine, quasi arrabbiata.

Luce e Daniel si scambiarono uno sguardo.

-         Noi non ci abbiamo creduto – cercò di riparare Daniel.

-         Se non ci aveste creduto non me l’avreste chiesto – sentenziò Viola, poggiando di nuovo la tazza di té sul tavolino.

-         Ma lo conosci?- irruppe Luce.

-         Chi?-

-         Questo Manuel Green-

Viola esitò un attimo. Era il momento giusto per parlare ai suoi amici di Manuel?

Aveva paura dei loro giudizi.

-         Beh si, lo conosco- confessò infine.

Si guardarono di nuovo, Daniel e Luce, entrambi con un’espressione stranita.

-         Come lo conosci? E perché Tracy va in giro dicendo quelle cose? Vi ha visti parlare? Insomma, perché non ci hai detto niente?-

Le domande a raffica di Luce misero Viola in difficoltà.

-         Lo conosco da tre giorni, Luce, é solo un amico, un compagno di scuola-

-         Dici sul serio?-

-         Perché dovrei mentirvi?-

-         Questo non lo so-

Viola sospirò. Aveva capito che Luce non avrebbe abboccato a questa storiella.

-         Tracy ci ha parlato un po’ di lui – intervenne Daniel.

-         Parlato di lui?-

Viola si drizzò sulla sedia, gli occhi curiosi.

-         Si. Ci ha detto che é...insomma, un tipo un po’ strano, solitario, chiuso...introverso. E che invece con te parla, a lezione, sorride e si apre-

Viola si sentiva come se avesse dei riflettori puntati addosso. Non aveva mai pensato alle conseguenze che avrebbe potuto avere il suo avvicinamento ad un ragazzo come Manuel, circondato dal mistero e chiuso agli altri. No, davvero non ci aveva mai pensato.

-         Beh é timido, questo é vero. Ma non é antipatico-

-         Lui ti piace?-

Luce aveva placato il suo tono di voce aggressivo, adesso era tranquilla e fissava con occhi vuoti la tazza di té che le era davanti.

-         E’ un ragazzo interessante- sibilò.

Ecco, lo sapeva che non sarebbe stata capace di mentire!

Luce rise, Daniel abbassò gli occhi, una sorta di imbarazzo gli coprì il volto.

-         Okay, abbiamo capito!- fece Luce, quasi canzonandola.

-         Non ho detto che ci sposeremo il prossimo mese, ho soltanto detto che é interessante, nel senso che...si, é simpatico, e anche se é timido ha un bel carattere -

-         Siamo tuoi amici, Viola: a noi puoi dire la verità-

Lo sguardo di Daniel puntato su di lei era come una pala che scavava nella sua anima.

-         Questa é la verità- disse infine, fingendo la più totale tranquillità.

-         Bene. Noi ci crediamo, perché non dovremmo?, e...mi dispiace se sono apparsa aggressiva. Il fatto é che mi sembrava strano che non ce ne avessi parlato- sentenziò Luce, portandosi la tazza alle labbra.

-         Beh, in effetti é vero, non ve ne avevo parlato, ma non ho mai pensato di nascondervi qualcosa, soprattutto le cose importanti -

Viola abbassò gli occhi, sentiva lo stomaco contorcersi.

Daniel ruppe quell’atmosfera di imbarazzante silenzio scoppiando a ridere.

-         Perfetto! Tutto é bene quel che finisce bene! Tornando a noi, Luce, ascolta, che ne dici di mettere la mia tazza di té nel frigorifero?-

-         Frigorifero?-

-         Già. Non riesco a berlo così caldo, mi disgusta-

-         Ma il té si beve caldo!-

-         Si ma non riesco a berlo! Avanti, portalo nel frigorifero, almeno fin quando non sarà sparito il fumo...-

-         Sei anormale!-

-         Okay, se non vuoi metterlo nel frigorifero mettici almeno qualche cubetto di ghiaccio...-

Viola sorrise osservandoli litigare bonariamente, le tipiche scene che riguardavano solo loro, momenti magici che soltanto un’amicizia fondata sulla sincerità poteva regalare.

Eppure dentro di lei cresceva il senso di colpa – insieme con l’ansia.

Non aveva detto tutta la verità.

 

 

                                                                 ...

 

Il corridoio era buio, lungo, c’era soltanto una luce, una luce lontana, sembrava provenisse da una porta aperta. Non c’erano finestre né altre porte, il corridoio era totalmente immerso nelle tenebre e sembrava stringersi ed allungarsi ad ogni passo che faceva.

Il silenzio regnava sovrano.

Poi, d’improvviso, un fruscio, come un ticchettio di passi.

Si voltò di scatto.

Fu inondata dalla luce.

Adesso si trovava nel salotto di casa sua, Daniel, Luce e Mia erano seduti, tutti e quattro, sul suo divano rosso.

-         Viola, Viola! Dove sei stata? Perché non tornavi?- esclamò Luce, alzandosi e andandole incontro.

-         Non lo so...io...non sono andata da nessuna parte, ero qui!-

-         Dicci la verità, per una volta, Viola!- sbraitò lei, di rimando.

Anche lei  si era alzata, ma la guardava con uno sguardo pieno d’odio.

-         Sei andata da lui, e non sei più tornata!- gridò Daniel.

-         Non é vero! Non é vero!-

Gli occhi le pizzicavano.

-         Allora, allora, hai scoperto di cosa si trattava?- chiese Mia, con la voce più tranquilla e un sorrisetto enigmatico.

Viola non ci capiva nulla, sentiva il panico salirle lungo la schiena.

Lo sguardo di Luce la uccideva.

-         Cosa? Ma che succede?- chiese, con gli occhi pieni di lacrime.

-         Cosa succede? Succede che non ci hai detto la verità, e non l’hai detta a nessuno di noi! Chi é lui, Viola? Smettila di fingere! Sei andata via con il primo che capita!-

Luce sembrava non muovere le labbra, ma Viola sentiva risuonarle la voce nella testa.

-         Smettila Luce! Non parlare così di lui!-

Poi tutti sparirono, lei iniziò a tremare, ricominciò il vuoto.

Era come se si trovasse in un vortice senza fine, alzò gli occhi al cielo, un vento freddo le raggiunse il viso,  le scompigliò i capelli; il vento la mise presto in ginocchio, la luce si stava affievolendo. Adesso era da sola, nel buio più totale. Iniziò a piangere, le lacrime le scendevano sulle guance come se fossero un fiume, la voce era soffocata all’interno della gola e non riusciva ad urlare.

-         Viola! Viola, calmati! Mio Dio, non fare così!-

Il tremore si placò al suono di una nuova voce.

Il vortice era sparito e con lui la sensazione di precipitare nel vuoto. Adesso lui era lì, e la stringeva tra le sue braccia.

-         Manuel...-

-         Viola, ma cosa ti succede?-

-         Non...non lo so, io...-

Lui sospirò, era un sospiro diverso.

-         Sei sconvolta. Preferisci restare sola?-

-         No! No, ti prego, non andartene, resta solo un po’...-

-         Stai bene, Viola?-

-         Io...non lo so...-

-         Non ti succederà niente, okay?-

-         Si, okay...-

-         Hai discusso con loro? Cosa ti hanno detto?-

-         Loro...loro...hanno...-

-         Hai solo paura, Viola. Questa é solo una paura-

-         Una paura...-

-         Mi capisci, Viola? Non ti succederà niente-

-         Una paura...-

Le accarezzò i capelli.

 

Poi un tuono.

 

 

 

 

                                                               ...

 

 

La pioggia batteva sui vetri delle finestre, il ticchettio che Viola sentiva nella sua  testa a poco a poco si accorpò con la pioggia e lei aprì gli occhi.

Di nuovo un incubo.

Rimase con la testa sul cuscino e le coperte tirate fin sopra il naso per circa cinque minuti. Osservava le ombre che la luce del lampi disegnavano sul pavimento e riprendeva, lentamente, il controllo delle sue azioni.

Era stato un incubo orribile.

Eppure c’era stato un momento, un solo momento, che avrebbe voluto non finisse mai. Quando era arrivato lui.

Perché l’aveva sognato? Perché aveva sognato il suo abbraccio e le sue mani tra i capelli? Era davvero, ormai, così importante nella sua mente da oscurare qualsiasi altra cosa?

Hai solo paura, Viola. Questa é solo una paura.

Così aveva detto. Solo una paura. Che razza di sogno era mai quello?

Chiuse gli occhi per un altro attimo, poi si decise a venir giù dal letto.

Si alzò barcollando e passandosi una mano sugli occhi, lanciò uno sguardo alla finestra chiusa dietro la quale si stava scatenando un temporale.

Certo, adesso ci si metteva anche il temporale!

Scosse la testa e scese in cucina, orientandosi nel buio della casa.

La cucina era poco illuminata, avvolta dal calore mattutino e da odore di zucchero.

Janine era in piedi davanti alla cucina che armeggiava con qualcosa e la mamma seduta al tavolo, con gli occhi puntati sulla televisione e il telecomando poggiato sulle ginocchia.

Nella mano destra teneva una tazza di caffé.

Quando oltrepassò la porta, Janine e la mamma le lanciarono uno sguardo contemporaneamente.

-         Buongiorno tesoro, già in piedi? Ti sarei venuta a svegliare tra una decina di minuti - sentenziò la mamma, portandosi la tazza alla bocca.

-         Credo che il temporale mi abbia svegliata - mugugnò lei, sedendosi accanto alla mamma.

-         Ne sta venendo giù davvero di brutto, querida- commentò Janine avvicinandosi al tavolo stringendo tra le mani una tazza di té, - non sono quasi riuscita a chiudere occhio-

Viola si passò una mano sul volto e si scostò i capelli dagli occhi, poi la mamma alzò il volume della televisione, Viola alzò lo sguardo. La conduttrice del telegiornale guardava l’obbiettivo delle telecamera – uno sguardo freddo – mentre alle sue spalle passavano immagini di alluvioni.

-         L’intera zona di Clapham é ora in pieno delirio, la pioggia ha raggiunto livelli incontrollabili e proprio ieri sera  un fulmine ha colpito un albero nella via principale. L’incidente conta tre morti e cinque feriti-

Janine e la mamma si scambiarono uno sguardo.

-         Sono contenta che tuo padre sia a Londra in questo periodo, Viola. Non oso pensare cosa sarebbe potuto succedere alla sua baracca - commentò la mamma. Poi la conduttrice riprese:

-         Il temporale questa notte si é spostato anche al Sud, a Brighton, allagando le strade di ogni quartiere della città. Secondo le previsioni questo improvviso temporale si tratterrà ancora per due giorni, continuando a spostarsi vero est-

La mamma abbassò la voce della tv come se ne avesse abbastanza.

-         Odio i temporali e la città bloccata! Viola, tesoro, che ne dici di restare a casa oggi? Ti inzupperai tutta per andare a scuola -

Viola si drizzò sulla sedia.

Saltare la scuola? No, non se ne parlava.

-         Oh no, mamma, non posso affatto!-

-         Ma non hai sentito la televisione? Parla di allagamenti e pare che continuerà così per un bel po’!-

-         Ma la vita non può bloccarsi per un po’ d’acqua!-

Janine scoppiò a ridere, le arrivò accanto scompigliandole i capelli.

-         Un po’ d’acqua...bella questa, pequena

La mamma storse la bocca, poi sospirò.

-         Sei davvero sicura, Viola?-

-         Si mamma-

-         Okay, ma lascia che ti accompagni in macchina. Non voglio che mia figlia arrivi a scuola come un pulcino inzuppato!-

Detto questo si alzò e dopo aver poggiato la tazza di caffé sul tavolo si avviò verso le scale.

-         Sbrigati a prepararti, tesoro- le disse, mentre si allontanava.

-         D’accordo!-

Anche Viola si alzò.

-         Non vuoi fare colazione, Viola?- le chiese Janine.

-         Oh no...magari mangio un biscotto dopo-

-         E dove vai adesso?-

-         A vestirmi. E poi nel seminterrato-

-         Oh, credo che l’acustica sarà peggiorata con questo tempo!-

-         Non importa. Nessuno deve ascoltarmi-

Viola salì velocemente le scale lasciando la cucina a Janine.

 

 

 

                                                       

 

Il temporale era diventato indomabile, in classe non si riusciva a prestare attenzione continua alla lezione: un lampo, un tuono, o semplicemente il ticchettio insistente della pioggia sui vetri distraeva gli alunni.

Viola da quella mattina non l’aveva ancora visto.

E se non fosse venuto a scuola per colpa della pioggia?

Quella mattina mancavano tante persone, forse anche lui era rimasto a casa...

Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente. Non sapeva perché, eppure aveva la sensazione che lui ci fosse. Cosa avrebbe mai potuto la pioggia contro di lui? Rise di se stessa a questo pensiero, eppure non poté fare a meno di formularlo. Dentro di lei non poteva fare a meno di pensarlo come qualcosa di superiore, celestiale, perfetto. Non sapeva come le era venuta fuori questa considerazione, forse era colpa del modo che aveva di incutere sicurezza, oppure da quel suo sguardo misterioso che di tanto in tanto irrompeva nei loro discorsi, o forse era di quell’aria divertita, quando sembrava che sapesse molto di più di quello che la realtà poteva far intendere...

Dov’era la sua introversione, quando erano insieme?

Dov’era la sua espressione fredda?

Non riusciva a capirlo.

La campanella che annunciava la fine della seconda ora suonò. Viola si alzò di scatto, raccattò velocemente i suoi libri e fu più svelta degli altri alunni ad uscire dalla classe avviandosi verso l’aula di inglese.

Appena fu davanti alla porta lo vide arrivare.

Camminava elegantemente, come sempre, eppure il suo viso esprimeva stanchezza: aveva gli occhi spenti e un’espressione strana.

Viola rimase fuori dalla porta ad aspettarlo.

Appena lui alzò gli occhi e la vide sembrò rinvigorirsi sebbene i lineamenti del suo volto tradissero la sua spossatezza, le arrivò accanto in un attimo.

-         Ciao Viola. Come stai? Stai bene?-

Le due domande, una dietro l’altra, con una certa apprensione nella voce, fecero sussultare Viola. C’era qualcosa di nuovo del suo tono.

-         Si, sto bene. Tu piuttosto...hai una faccia...non hai dormito?-

Manuel alzò le spalle.

-         Soffro d’insonnia- butto giù in un sussurro.

-         Mi dispiace. Sei stanco?-

Lui rise.

-         No, no...non preoccuparti, ci sono abituato. Davvero. Entriamo?-

Manuel sorrise di nuovo, aprì la porta e la fece entrare per prima per poi  seguirla socchiudendo la porta.

Camminarono uno dietro l’altra fino al loro banco, Viola si sentiva ancora una volta gli occhi di tutti addosso. Avrebbe voluto guardare Manuel in volto per capire se anche lui si trovava nella sua stessa situazione ma non osava voltarsi.

Arrivati al loro banco il professor Joel fece il suo ingresso e la classe fu costretta a distogliere lo sguardo da loro.

-         Buona tempesta a tutti, ragazzi!- esclamò Joel, - e scusatemi per l’assenza di ieri!-

Alcuni risero sotto i baffi, altri gli prestavano poca attenzione mentre preparavano i libri sul banco.

Joel poggiò la sua borsa sulla cattedra e prese a camminare avanti e indietro con le mani dietro la schiena.

-         La psicologia del personaggi, ragazzi, avete idea di cosa profondamente voglia significare?- chiese.

I ragazzi si guardarono con un’espressione tra il confuso e l’ignaro, Manuel aveva gli occhi bassi.

Joel si fece una risatina.

-         E’ una domanda retorica, non preoccupatevi...- alzò le spalle, - non mi aspetto che tutti rispondiate subito. Il fatto é che quasi tutti imparano queste nozioni a memoria senza sapere minimamente che cosa significhino. Lo spessore psicologico di un personaggio, ragazzi, é tanto complesso quanto può essere complessa un persona. Un personaggio, come qualunque persona, può rispondere a domande del genere “cosa ti piace di più della tua vita?”, poiché anche lui ha una vita, anche lui é un essere vivente- qui fece una breve pausa, si schiarì la voce, - ma sono ben certo che, anche se continuassi a parlare fino alla fine dell’anno di questo, resterete con l’idea, nata chissà dove, che il personaggio di un’opera é una pura invenzione dell’autore e che, come tale, esiste solo nella fantasia. Quindi...! – ritornò dietro la cattedra, - adesso mi aspetto che sperimentiate da soli cosa significa indagare sulla psicologia di una persona! – la classe iniziò a rumoreggiare, Joel sorrise, - prendete foglio e penna e, a turno, farete una domanda al vostro compagno di banco, domande da “spessore psicologico”...fate uno sforzo e immaginate la vita della persona che vi é affianco come lungo filo tessuto da un anonimo autore. Toglietevi dalla testa che una tragedia, una commedia o semplicemente un romanzo sia una cosa estranea dalla realtà!-

La classe aveva iniziato a vociferare, erano tutti sorpresi.

Viola era sbigottita.

Era come se il professore le stesse offrendo l’opportunità su un piatto d’argento di scoprire qualcosa di serio su Manuel.

-         Professore!- chiamò Tracy, d’un tratto.

-         Dimmi, Tracy - rispose gentilmente il professore.

-         Cosa c’entra questo con Shakespeare?-

Alcuni non riuscirono a trattenersi dal ridere, Joel assunse una strana espressione.

-         Credo che ci sarà un risvolto positivo da quest’esperimento di oggi, Tracy, da applicare alle nostre prossime lezioni...e perché no, anche alle vostre vite. Su, prendete carta e penna! -

Viola e Manuel si scambiarono uno sguardo, lei aprì il suo quaderno degli appunti e lui afferrò la matita continuando a tenere gli occhi bassi.

-         Sei mancino-

Manuel alzò lo sguardo verso di lei, la sua espressione divenne illeggibile.

- Si- rispose poi, spostando gli occhi da Viola alla sua mano.

Viola abbassò lo sguardo sorridendo imbarazzata, stava già per riprendere a parlare ma lui la bloccò prima che potesse iniziare.

-         Ah, non ci pensare, inizio io- disse con un sorrisino obliquo.

-         Come sai che volevo chiederti questo?- sussurrò Viola.

Lui rise.

-         Era alquanto prevedibile-

-         Okay, allora inizia tu-

Manuel sorrise di nuovo, un sorriso divertito.

-         Quando sei nata?-

Alzò lo sguardo verso di lei, Viola quasi rise.

-         Questa non é una domanda da “spessore psicologico”-

-         Si invece-

-         No invece-

-         Credi che un personaggio non possa avere un compleanno?-

Viola alzò le spalle.

-         Okay. Ventiquattro giugno-

-         Ventiquattro giugno...-

Manuel scrisse velocemente, Viola osservò la sua mano muoversi leggiadra, la sua grafia chiara e concisa.

-         Tocca a te- disse, con tutta l’aria di una provocazione.

Viola esitò un attimo, mille domande le affollarono la testa.

-         Quando sei nato?- chiese infine.

-         Non puoi farmi la stessa domanda-

-         Joel non l’ha mica detto-

Manuel si oscurò per un attimo.

-         Ventinove febbraio-

Viola lo squadrò curiosa.

-         Mi prendi in giro?-

-         Perché?-

-         Non esiste il ventinove febbraio-

-         Certo. Ogni quattro anni-

-         Sei davvero nato il ventinove febbraio?-

-         Si-

-         E quando festeggi?-

-         Non mi piace festeggiare, ma di solito il primo marzo-

-         Preferisci che scriva primo marzo?-

-         No-

-         D’accordo. Ventinove febbraio...-

Viola scrisse la data sul suo quaderno, avrebbe voluto ridere.

Era nato in un giorno che esisteva solo ogni quattro anni. 

Una data di nascita perfetta per uno come lui.

-         Okay, tocca a te-

Viola gli rilanciò la palla.

-         Preferisci il giorno o la notte?-

-         Il giorno-

-         Anche io-

Sorrise, poi scrisse di nuovo.

Toccava di nuovo a lei.

Per circa cinque secondi cercò invano una domanda. D’improvviso fu lei a cercare Viola.

- Cosa ti emoziona?-

La domanda lo bloccò. Era confuso, gli occhi passavano dal foglio alla matita a Viola a una velocità impressionante.

-         Cosa mi emoziona?- chiese, con un tremore nella voce, quasi non avesse capito.

-         Già-

Manuel evitò lo sguardo di lei.

-         Tutto, - sibilò, - ma soprattutto la musica. La tua-

Stavolta fu lei a bloccarsi. Il cuore le martellava nel petto, era sicura di essere arrossita.

-         Dico sul serio, Manuel...- sussurrò, imbarazzata.

-         Già, anche io-

-         Cosa ti aspetti che scriva? “La mia musica”?-

-         Si. Infondo é la verità-

Manuel era tornato tranquillo, la confusione che Viola aveva scorso sul suo viso qualche secondo prima era passata del tutto.

Toccava a lui.

-         Allora, vediamo...di cosa hai paura?-

Il suo tono era leggermente mutato.

-         Ho paura di troppe cose per elencarle tutte-

-         Allora dimmi la tua paura più grande-

-         Perdere le cose alle quali tengo-

-         Fantastico...-

Manuel sorrise, Viola preparò la matita per la prossima domanda.

-         Qual’é il tuo più importante desiderio?-

Manuel rise, nonostante il tono serio e solenne della domanda.

-         Di solito non mi concentro sui desideri- rispose, alzando le spalle.

-         Non ti concentri sui desideri?-

-         Esatto-

-         E cosa significa?-

-         Significa che... beh, che…non ci penso, ecco-

-         Non puoi non pensarci. Un desiderio ti arriva alla testa e devi dargli retta per forza-

-         Non é necessariamente così-

-         Ad ogni modo, devi aver pur avuto un desiderio-

-         Forse-

Si bloccò, gli occhi fissarono il vuoto per un secondo, languidamente, quasi nella sua mente stesse ripercorrendo qualcosa.

Viola rimase tremendamente affascinata da quell’espressione.

-         Possiamo cambiare domanda?-

-         No-

-         A questa non posso rispondere-

-         Perché?-

-         Perché no-

-         Questa non é una risposta-

-         Allora inventerò qualcosa-

-         Non vuoi dirmi la verità?-

-         Non credo di saper rispondere-

Ci fu un attimo di silenzio.

Viola avrebbe voluto insistere, magari porgli una domanda simile, ma non lo fece.

-         Allora scriverò che “credi di non saper rispondere”-

-         D’accordo-

Manuel alzò le spalle, Viola poggiò la matita sul foglio e scarabocchiò qualcosa.

Si guardarono per un attimo negli occhi, lui piegò la testa.

-         Qual’é il tuo ricordo più  bello?- chiese.

La domanda era profonda, positiva, Viola sentì una scossa dentro di lei.

-         La sorpresa di mio padre, a undici anni, quando dopo il trasferimento da Clapham mi ha regalato il pianoforte-

Sorrise, un sorriso che rievocava le passate emozioni e la gioia che quel regalo le donava ancora oggi.

Manuel rimase a fissarla, la sua espressione rimase ferma osservando il suo sorriso, poi scrisse.

Viola lo osservò, la testa china sul foglio e gli occhi che scorrevano sulle parole.

L’ora stava per concludersi ma aveva tempo ancora per una domanda.

Una sola domanda per scavare dentro di lui.

Quando Manuel alzò lo sguardo, Viola seppe cosa chiedere.

-         Qual’é il tuo più grande punto interrogativo?-

-         Noi-

La campanella suonò.

La classe si mosse con velocità, Viola era rimasta a guardare nei suoi occhi come se si fosse persa chissà dove. Manuel abbassò lo sguardo, raccolse i suoi libri, poi si voltò furtivamente verso di lei dandole una breve occhiata.

Viola afferrò poco convinta il suo libro e lo ripose nella cartella, si alzò nello stesso istante nel quale lo fece lui.

Un tuono risuonò nel cielo, tutti si voltarono verso la finestra, tutti tranne Manuel.

Lui si girò dall’altro lato, Viola non vide la sua espressione.

-         Ancora buona tempesta a tutti, ragazzi!- augurò Joel, alzando le mani al cielo.

-         Spero che tu non l’abbia presa male - disse voltandosi verso di lei, quasi divertito.

-         Non la prendo a male- sussurrò lei in risposta.

Lui sorrise, Viola alzò lo sguardo verso di lui.

-         Spero solo che esista una risposta a questo punto interrogativo -

Avrebbe voluto dire qualcosa di profondo e poetico eppure quella stupida frase fu l’unica cosa che le uscì dalla bocca.

 Manuel la guardò con un sorriso obliquo.

-         Per ogni domanda c’é una risposta. O non ci sarebbe la domanda-

Fece per avvicinarsi a lei ma si bloccò, come se qualcosa lo frenasse.

L’accarezzò con lo sguardo, poi sorrise di nuovo.

-         Ci vediamo alla fine delle lezioni-

-         Fine delle lezioni?-

-         Vorresti andartene senza di me?-

Rise, quasi la sua domanda fosse stupida.

Viola si sentì piena di gioia.

-         No...cioé...okay...va bene...-

-         A dopo-

-         A dopo-

Lo guardò uscire, restò ad osservare l’atmosfera che la sua assenza portava via. Come poteva non essere innamorata di lui?

.

 

 

 

 

 

 

                                                    ...

 

La pioggia pareva essersi calmata, adesso scendeva leggermente dal cielo quasi fosse invisibile.

Viola diede uno sguardo alle grosse nuvole nere che coprivano ogni angolo del cielo, storse il naso. Sarebbe stato forse meno bello del giorno prima camminare lungo il viale con Manuel se avesse ricominciato a piovere come quella mattina.

Arrivò nell’atrio e prima che potesse voltare lo sguardo per cercare di scorgerlo, lui le arrivò accanto.

Il suo viso era più rilassato di quando l’aveva visto arrivare ad inglese, anche se l’espressione di stanchezza permaneva.

-         Ho fatto tardi?- chiese lei con una punta di preoccupazione nella voce.

-         No, affatto. Non sto aspettando da molto-

-         Credi che pioverà di nuovo così tanto?-

Manuel diede un’occhiata al cielo.

-         Non lo so- fu la sua risposta.

Si scambiarono uno sguardo e uscirono velocemente dalla scuola, facendosi spazio tra la miriade di persone che attraversavano la porta principale. Come il giorno prima imboccarono il viale riparati entrambi sotto l’ombrello di Viola.

-         Non ti piace la pioggia?- le chiese ad un tratto.

-         Cosa?-

-         La pioggia. Non ti piace?-

-         Mi é indifferente-

-         Sembra che non ti piaccia. Hai il viso contrariato-

-         No, non é vero-

-         Sicura di star bene?-

-         É la seconda volta che me lo chiedi oggi-

Manuel ammutolì, Viola gli lanciò uno sguardo.

-         Comunque sto bene. Non preoccuparti-

-         Scusami-

-         Io credo che tu non stia tanto bene oggi-

-         Te l’ho detto é...é solo l’insonnia-

-         Ti fa male quest’insonnia-

-         Oh, non sempre. E poi...ci sono abituato, davvero-

La sua voce era mutata, cominciò a piovere più forte.

Un tuono echeggiò da lontano.

Manuel chiuse per un attimo gli occhi.

-         Perché hai quella faccia?-

-         Niente-

-         Stai impallidendo-

-         Non é vero-

-         Si invece-

Manuel sospirò, abbassò lo sguardo. In un secondo le mani iniziarono a tremargli, sembrava che stesse perdendo le forze eppure accelero il passo.

-         Manuel, perché vai così veloce? Che succede? Cos’hai?-

 Stava cambiando.

In un istante.

La pioggia divenne ancora più forte, le nuvole si intensificarono.

Viola chiuse l’ombrello incurante della pioggia, gli poggiò le mani sulle spalle costringendolo a fermarsi contro un albero del viale.

Aveva il viso pallido, gli occhi vuoti, la bocca serrata.

La tensione di Viola saliva.

Si stava preoccupando.

-         Manuel?-

-         Viola...-

-         Stai bene? Che ti succede?-

-         Niente...-

-         Non é vero!-

-         Sta...sta...-

-         Cosa?-

-         Sta...arrivando...-

-         Arrivando? Cosa?-

Manuel alzò la testa di scatto, guardò verso il cielo, poi alle spalle di Viola.

Il suo sguardo tradiva paura.

-         Dobbiamo spostarci da qui!-

-         Cosa? E perché?-

-         Fallo e basta!-

-         Se non mi spieghi cosa sta succedendo non faccio un passo!-

-         Non posso!-

-         Perché?-

-         Devi ascoltarmi!-

-         Cos’é che sta arrivando? Cosa sta per succedere?-

-         Non costringermi a tirarti via con la forza!-

-         Tu non vuoi dirmi la verità! Ma sai che ti dico? Io lo so che c’é qualcosa sotto! Non pensare di nascondermelo ancora!-

Lo sguardo di lui divenne freddo.

Il tremore aumentò.

-         Smettila-

-         No, non la smetto! Tu sai fare qualcosa! Sai cose che nessuno immagina, come sapevi che la gamba di Sally si era rotta prima di una diagnosi medica!-

Le parole erano uscite fuori come un fiume.

Manuel la fissava inespressivo.

-         Tu non sai quello che dici-

-         Oh, lo so benissimo invece! Ti ho sentito con le mie orecchie quando l’hai detto, in palestra! E ti ho visto anche quando hai poggiato quel pacchetto di fazzoletti sulla panchina e sei andato via, ho visto quando Tracy li ha presi piangente! Cos’é che fai? Prevedi il futuro?-

Pioggia.

Il tremore aumentò, Viola sentì un fuoco arderle dentro, nel petto, sentiva che ogni fibra del suo corpo si stava consumando, infiammata dallo sguardo di lui.

In quel momento desiderò non aver detto niente.

Un tuono.

Pioggia.

 

Una forza incontrollabile. Una fredda scossa.

Un fuoco che ardeva.

 

 

-         Vieni via, ADESSO!!-

Una luce.

Viola sentì le sue braccia stringerla, correre - caddero.

Un rumore violento e improvviso invase le loro orecchie.

 

Confusione. Un fuoco che ardeva.

La fiamma si era spenta.

 

Viola non aveva il coraggio di aprire gli occhi, aveva dolore all’anca destra e un fumo l’avvolgeva tutta.

Urla.

Le sue braccia la stringevano ancora.

Quando osò aprire gli occhi, l’albero sotto il quale erano stati entrambi era stato  spezzato e una parte di esso giaceva sul suolo in fiamme, a qualche metro da lei, lungo la strada. La piccola chioma minacciava un negozio alla sua sinistra.

Una luce.

Un fulmine.

Aveva paura, ma non aveva senso ormai.

Era sopravvissuta.

Lui lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo.

Non aveva il coraggio di muoversi, le doleva l’anca e gli occhi le pizzicavano, colpa del fumo. Manuel l’aiutò a reggersi e si allontanarono proprio quando tutti si avvicinavano.

Tossiva.

-         Polizia, polizia! Un albero é stato colpito da un fulmine!-

Persone parlavano al cellulare, correvano via, uscivano dai  negozi. La scena era simile a quella di tante catastrofi che aveva visto in televisione: persone che corrono e urlano, un’insistente pioggia che cade dal cielo coprendo il terrore della gente e la paura incontrollabile che i danni siano irreparabili.

Il tronco dell’albero, in fiamme, era ancora disteso lungo la strada.

Fumo si alzava al cielo.

Tossiva.

Manuel camminava al suo fianco senza spiccicare una parola, ma non la lasciava ancora.

Si allontanarono in fretta, molto più in fretta di quanto la mente di Viola riuscisse a percepire, incontrò lo sguardo delle persone spaventate che correvano via.

Camminarono lungo tutta la strada, Viola non aveva più sensibilità alle gambe e ai piedi, l’unica cosa che percepiva erano le mani di lui, strette contro le sue spalle.

Quando si fermarono, sentì il suo cuore cadere.

Si guardarono negli occhi, un attimo che sembrò infinito.

Lui era ancora inespressivo.

-         Manuel...-

-         Non parlare-

-         No, aspetta...-

-         Non cercarmi più-

-         Cosa?-

-         Hai capito-

-         Non volevo dire quelle cose...hai salvato le nostre vite...-

-         Fa’ finta di non avermi mai conosciuto-

-         Non dire così...-

Non riusciva più a controllarsi, sentiva gli occhi pizzicarle.

-         Devo andare adesso-

-         Aspetta, Manuel, ti prego, io...-

-         Devi dimenticarmi. Dimentica quello che hai visto, dimentica tutto!-

Urlava, lo sguardo era freddo e gli occhi erano iniettati di sangue. Viola sentì un fremito.

-         Perché? Perché? Non voglio che finisca così!-

-         É stato uno sbaglio-

-         Non é vero! Io...-

-         Vai a casa adesso- sembrava più calmo, ma l’espressione nel suo volto non era cambiata, - e fa’ finta che non sia successo niente-

-         Aspetta! Ti prego!-

Lui si voltò, velocemente corse via.

Viola restò ferma sotto la pioggia.

Sentì il rumore del suo cuore mentre si spezzava.

 

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Capitolo 7
*** 6. ***


fiori6

Quando finalmente riuscì a piangere, era passato un bel pò.

Giaceva stesa sul letto, la testa affondata sul cuscino e il viso rosso e bagnato; il corpo privo di qualsiasi forza, gli unici muscoli che parevano funzionare erano le palpebre, che aprendosi e chiudendosi facevano cadere sul viso altre calde lacrime. Il resto era inerme, le braccia e le mani erano bianche come se non scorresse più sangue e un pizzicante e fastidioso dolore proveniva ancora dall’anca destra.

A piangere anche il corpo si stanca.

Un attimo di silenzio la avvolse.

 

Un rumore violento e improvviso invase le loro orecchie.

 

Fa’ finta di non avermi mai conosciuto.

 

Un pugno nello stomaco.

Iniziò di nuovo a piangere disperatamente, anche se non era in grado di ragionare. Tutto quello che sentiva in quel momento era un dolore incontenibile e voci nella testa, immagini come flash, che non smettevano di tormentarla.

Le lacrime continuarono a cadere fin quando il corpo non smise di produrne, così, cullata da quel dolore, cadde in un sonno tormentato.

                                                           

 

Quando riaprì gli occhi era passata circa un’ora e un quarto.

Viola sbatté lentamente le palpebre degli occhi gonfi, la sua mente stava trasportando il fischio che aveva sentito ululare nei suoi sogni alla realtà, e puntò lo sguardo verso la finestra.

Oh, era solo il vento. Dirigeva la tempesta come un maestro dirige la sua orchestra. La pioggia cadeva fitta e stava scendendo la nebbia.

Per un paio di minuti credette che fosse notte e che presto avrebbe dovuto alzarsi e prepararsi per andare a scuola, ma bastò poco per far riaffiorare il ricordo.

Cosa avrebbe fatto adesso? Che cosa sarebbe successo?

Manuel le aveva detto di non cercarlo più e di dimenticarsi di lui, ma questo era impossibile. Come prima cosa, dopo tutto quello che era successo qualsiasi essere umano avrebbe continuato a tenere il suo viso stampato nel cervello, ma poi si trattava una questione molto più profonda. Da quando la sua parte razionale dormiva, sotterrata chissà dove, non riusciva a pensare che dovesse passare giorno senza stare un po’ con lui, senza parlargli, sentirlo ridere e sentirgli dire quelle frasi un po’ misteriose.

Amava anche quelle.

Il problema era proprio questo – lei amava tutto quello che lo riguardava. Se avesse voluto evitare di vivere come un vegetale tra le lacrime avrebbe dovuto trovare un qualsiasi modo per far si che quella sua frase non avesse più senso. Era una questione di sopravvivenza.

Sospirò socchiudendo gli occhi, la strana calma che l’aveva avvolta si trasformò in un sussulto al centro del petto.

Era ora di alzarsi e di riprendere il controllo delle cose, presto sarebbero tornate la mamma e Janine e lei non avrebbe saputo cosa raccontare se l’avessero trovata lì, a letto, con gli occhi gonfi.

Oh no, era meglio alzarsi.

Tentò di muoversi, di scostare le coperte per alzarsi, ma appena mosse un muscolo fitte di dolore la sopraffarono da ogni parte.

Avrebbe tanto voluto richiudere gli occhi ed addormentarsi nuovamente, ma non poteva. Resistendo ai dolori che il movimento le provocava, scostò le coperte e si alzò.

Erano le cinque.

Si accorse improvvisamente di avere fame.

Oh, giusto, non aveva mangiato.

Proprio in quel momento la porta di casa si aprì e Viola sentì a distanza il suono delle risate cristalline della mamma e di Janine che rientravano.

-         Viola! Tesoro! Ci sei?-

-         Sono qui-

La mamma entrò in cucina e la guardò con tanto d’occhi aperti.

-         Viola, stai bene? Hai un’aria...e perché quei vestiti? Oh, non dirmelo! Ti sei bagnata per colpa della pioggia...ma te l’avevo detto io oggi di saltare la scuola! Avresti fatto a meno di beccare tutta quell’acqua...speriamo tu non abbia preso l’influenza...!-

 

 

                                                                 ...

 

Quel giorno Viola non toccò il pianoforte.

Aveva spiccicato così poche parole con la mamma che questa si era preoccupata, le aveva chiesto più volte se fosse successo qualcosa ma Viola, della sua giornata, aveva raccontato soltanto che si era bagnata sotto la pioggia, ma nient’altro. Un gorgoglio proveniente dal suo stomaco aveva fatto scambiare alla mamma e a Janine uno strano sguardo, entrambe avevano capito che Viola non aveva toccato cibo e l’avevano così costretta a mangiare una fetta di pane imburrato in attesa della cena mentre la fissavano con occhi indagatori. Quando le avevano chiesto perché non aveva consumato come ogni giorno il pranzo che Janine le aveva lasciato, non avevano ricevuto risposta. La mamma aveva seriamente pensato che Viola avesse preso l’influenza, poiché l’apatia presentatasi poteva essere associata soltanto ad una malattia. Quando poi, alzandosi dalla tavola, emise un gemito di dolore e iniziò a zoppicare, la mamma scoprì il grosso livido all’anca destra. Fece un sacco di storie. Com’era successo? Quando? Dove? Le faceva molto male? Perché non gliel’aveva detto subito? Viola spiegò che aveva sbattuto contro la sedia, una botta forte. La mamma parve crederci, poiché l’apatia di Viola mascherava persino la sua incompetenza nel dire la bugie. La mamma le passò una crema antidolorifca sul livido e, accarezzandole le guance l’aveva accompagnata nella sua stanza, invitandola a riposarsi. Viola non aveva obbiettato, riposare ancora un po’ forse le avrebbe fatto bene. “La tempesta ti fa male, Viola” aveva detto, “ho sentito per radio del fulmine che ha colpito quell’albero non molto lontano da qui. Ho avuto paura che tu fossi per strada...non era molto lontano dalla tua scuola”. Viola era impallidita. “Non so di cosa parli” sibilò. La mamma alzò le spalle. “Beh, eri già a casa. Meglio così” Le raccomandò di stendersi e di rilassarsi, ma quando la mamma chiuse la porta e lei si fu seduta sul letto con fare annoiato, non riuscì né a stendersi né tanto meno a rilassarsi.

Un improvviso squillo la risvegliò dall’apatia.

Aveva dei messaggi sulla segreteria telefonica.

Guardò l’apparecchio sul comodino che lampeggiava e storse la bocca.

L’ultima cosa che le andava di fare in quel momento era avere a che fare con il mondo, eppure decise di ascoltare quei messaggi.

Uno era di Mia, l’altro di Daniel.

Entrambi dicevano più o meno la stessa cosa.

“Perché non rispondi? É successo qualcosa? Oggi ti ho visto poco. Chiamami quando hai tempo, okay?”

Oh no. Non adesso. Dove l’aveva il tempo per mettersi ad inventare scuse? Non l’aveva quel tempo. L’unico tempo era quello che stava utilizzando per pensare a risolvere quei problemi.

 

 

                                                               ...

 

La mattina dopo la tempesta era passata. Quella che era rimasta invece era la nebbia e l’aria umida.

Viola aveva fatto un sogno così bello che appena sveglia credette che fosse realtà.

Manuel l’abbracciava, lei gli diceva che le dispiaceva tanto e lui le sorrideva. Non c’erano state molte dinamiche, era stato un sogno lungo un abbraccio, o meglio, un abbraccio lungo un sogno.

Solo ad un certo punto lui le aveva accarezzato i capelli e aveva detto:

Un sogno non può farti del male, vero?

E l’aveva ripetuto di tanto in tanto. Poi il sogno era finito e lui aveva smesso di abbracciarla. Era finito il sogno perché era finito l’abbraccio, non il contrario.

Nonostante la mamma avesse di nuovo insistito perché restasse a casa, Viola non volle saperne. Non aveva intenzione di perdere un giorno inutilmente, non sarebbe servito a nulla. E poi aveva da fare.

Quella fu la prima volta, forse in assoluto, che prese il giornale locale dal tavolo della cucina. L’articolo in prima pagina parlava della tempesta del giorno prima e in particolare del fulmine che aveva colpito Main Street. Il titolo dell’articolo era “Miracolo a Brighton”, e il sottotitolo “Solo tre feriti dalla catastrofe di ieri in Main Street”.

Fece scorrere velocemente gli occhi sulla pagina, poi si sedette per poter prestare attenzione a quanto c’era scritto.

Poche notizie riguardo l’incidente effettivo, molti commenti sulle conseguenze. Un albero era stato improvvisamente incendiato da un fulmine, il tronco infuocato era caduto sulla strada e le fiamme si erano impossessate del primo edificio che si trovava dinanzi ad esse, il negozio di scarpe. Le persone erano tutte scappate velocemente, i pompieri erano già stati avvisati. Solo tre persone – il proprietario e le sue figlie – non erano riusciti ad uscire dal negozio prima che il fuoco bloccasse l’entrata, ma l’avvento dei pompieri aveva salvato loro la vita. Quindi, a parte il negozio bruciato e la strada danneggiata, c’era stato un lieto fine.

Avrebbero dovuto sapere, invece, che se non ci fosse stato Manuel lei sarebbe stata la prima vittima di quell’incidente.

Uscì di casa un quarto d’ora prima e non passò neanche per il seminterrato, il che fece ulteriormente preoccupare la mamma e Janine.

“Come mai non suoni?” aveva chiesto quest’ultima.

“Oggi non mi va” aveva risposto lei, con un filo di voce, stando attenta a non incrociare lo sguardo della zia.

L’aria, fuori, era più fredda del giorno prima.

Camminò svelta e a testa bassa fino a scuola, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli che quella mattina non aveva neanche pensato a legare e quando finalmente si ritrovò dinanzi all’edificio scolastico il cuore iniziò a batterle pericolosamente. Lo sentiva come un martello, per un momento ebbe paura che le uscisse dal petto. I suoi occhi iniziarono a voltarsi in tutte le direzioni nervosamente, ma senza nessun risultato. Di lui non c’era traccia.

Velocemente abbandonò il cortiletto esterno ed entrò nell’atrio.

C’erano meno persone del solito e quindi era anche più silenzioso del solito. Teneva i capelli davanti al viso come se temesse che qualcuno la avvicinasse. Passò in rassegna alle persone che c’erano, ma lui non era neanche lì. Una parte di lei non era sorpresa. Credeva davvero che l’avrebbe trovato con tanta facilità? Oh, no. Era naturale che lui volesse nascondersi. O forse non era ancora arrivato...probabile, anche lei era in anticipo. Ma adesso dove l’avrebbe aspettato? Avrebbe dovuto attendere fino alla terza ora?

Il cuore le cadde in una pozza di impazienza.

Tentò di calmarsi. Era oggettivamente poco probabile che riuscisse a scorgerlo prima della terza ora quindi non poteva fare altro che starsene buona, con lo sguardo vigile, attendendo inglese. Lui lì ci sarebbe stato di sicuro.

Continuò a pensare queste cose fiquando non suonò la campanella e si dovette verso le scale.

corse Daniel e Luce qualche scalino davanti e anche loro la videro.

-         Ciao ragazzi- salutò per prima, in un sibilo.

-         Viola, mio Dio...ma cos’hai? Sei pallida! E come ti sei vestita? Ma hai acceso la luce stamattina?- esclamò a raffica Luce.

Viola la fissò senza capire.

Poi si guardò.

Oh.

Beh, doveva ammettere di non aver dato molta importanza al suo look quella mattina, ma non ci aveva fatto caso prima che Luce glie lo facesse notare. Lei, abituata a non avere mai neanche un capello fuori posto, adesso indossava dei vecchi jeans su delle scarpe da ginnastica dai lacci violacei, una felpa grigia e non aveva neanche un filo di trucco, né collana o accessori. Il viso, pallido, era contornato dai capelli neri che scendevano scialbi sulle spalle.

Sospirò.

-         Io...beh, in realtà Luce, sai...-

-         Ti sei vestita al buio- insistette l’amica.

-         Una cosa del genere- 

Viola alzò le spalle fingendo tranquillità, Daniel le poggiò una mano sul braccio.

-         Sei sicura di star bene? Sembri appena uscita da una...lavatrice...-

Luce rise, scosse la testa.

-         Daniel non ha tutti i torti. Va tutto bene?-

Gli occhi dei ragazzi si fecero improvvisamente seri.

Viola per un secondo ebbe paura di quella serietà.

-         Sto bene- sentenziò, abbassando lo sguardo.

Daniel e Luce si scambiarono un’occhiata, poi la trascinarono in classe con loro.

 

 

                                                                 ...

 

La sensazione del cuore che saltava fuori dal petto fu così forte che stavolta si poggiò una mano sul torace.

Guardò la classe di inglese, i banchi e i fasci di luce provenire dalla finestra. Il tempo trascorso fino a quel momento era come se fosse stato annullato.

Sentì un buco aprirsi sotto i suoi piedi, la testa le girò, chiuse e aprì gli occhi forse più di cinque volte per rendersi conto della realtà.

Non riusciva ancora a crederci.

Il banco di Manuel Green era vuoto.

 

 

                                                                  ...

 

Arrivare a lezione di inglese era stato come correre verso l’orizzonte. Era stata certa che lui ci fosse, certa che l’avrebbe trovato lì, quasi alzava lo sguardo e lo vedeva in lontananza, sorriderle, così limpido e chiaro... allora si era messa a correre verso di lui – verso l’orizzonte, ma tutti sanno che l’orizzonte é solo una linea immaginaria. Più lei correva, più lui si allontanava, più allungava le mani e più lui spariva...poi, quando finalmente era arrivata a destinazione, l’orizzonte non lo vedeva neanche più. Era sparito nel nulla, come se durante tutto quel tempo non avesse rincorso niente. Si era girata a destra e a manca, affannosamente, ma non aveva visto niente che somigliasse a lui. Ma avrebbe dovuto saperlo. Quello é solo un inganno. L’orizzonte non esiste nella  realtà, e una volta raggiunta la tua meta non lo vedi più.

Viola si sentiva proprio come una bambina che ha corso ore ed ore sulle onde del mare allungando le braccia verso l’orizzonte, che d’un tratto raggiunge un isolotto e si vede sparire davanti quello che stava rincorrendo.

Beh? E dov’é? 

Non c’é. Semplicemente, non esiste.

Era stata la lezione di inglese più brutta alla quale avesse mai assistito. Il banco vuoto al suo fianco era peggio di una pallottola conficcata nel petto e gli occhi indagatori delle persone la costringevano a non fare altro che tenere i suoi bassi, a fissare il vuoto.

Il tempo non era mai trascorso così lentamente.

Quando finalmente la campanella era suonata, si era precipitata fuori dalla classe come se lì dentro non ci fosse più aria e sarebbe potuta svenire da un momento all’altro.

Non era venuto a lezione. Forse non era venuto neanche a scuola.

Sentiva il cuore bruciarle come se fosse stato buttato in un incendio. Cosa l’aveva spinto a fare questo? Forse era vero che non voleva rivederla? Avrebbe aspettato che le lezioni che le rimanevano di frequentare nella sua classe fossero finite e poi sarebbe tornato?

Viola scosse la testa per impedire a se stessa di formulare domande che le facevano solo male. Era impossibile, doveva esserci un’altra spiegazione. Era stato assente a quella lezione per qualcos’altro, non era il desiderio di non vederla che lo teneva lontano e nemmeno il desiderio di mantenere una distanza eterna. No, non sarebbe mai successo.

Alzò lo sguardo davanti a se, inspirò profondamente e iniziò a decelerare il ritmo dei suoi passi.

Poi una mano le toccò la spalla.

Una scossa le attraversò veloce il corpo, fu invasa da una nuova speranza.

Quando si voltò, Candace e Joseph la fissavano intimiditi.

-         Ciao Viola- sussurrò la ragazza, con un pizzico di imbarazzo, - disturbo?-

Viola rimase in silenzio a guardarli. Erano lì di fronte a lei, lo sguardo alto e negli occhi una luce silenziosa.

-         Oh no, affatto- si affrettò a rispondere quando si rese conto che il silenzio si stava impossessando di lei.

Candace le rivolse un sorriso, Viola sentì il suo corpo cedere ad una sottospecie di tranquillità.

-         Possiamo...ehm...scambiare quattro chiacchiere? Noi dovremmo parlarti- disse dopo un attimo la ragazza, fissando ancora Viola.

Lei ebbe un sussulto.

Candace e Joseph erano i suoi amici. Era stato lui a mandarli? Era di lui che volevano parlare? Cos’era successo?

- Si, certo- rispose in un sibilo, continuando a passare gli occhi da Candace a Joseph, che se ne stava ancora in silenzio alla destra dell’amica.

I due amici si scambiarono uno sguardo, come se fino a quel momento fossero stati indecisi sul da farsi. L’espressione sul volto dei due cambiò. Joseph si chinò leggermente verso di lei.

- Riguarda Manuel – sussurrò.

Sentire il suo nome fece sobbalzare Viola.

-         Noi non sappiamo cosa sia successo, - partì Joseph, - ma con noi non ha voluto parlarne. Ieri siamo andati da lui e l’abbiamo trovato chiuso nella sua stanza a chiave. Laney ci ha detto che era da ore chiuso lì dentro. Noi sappiamo che lui, beh, che gli capitano momenti del genere, e per questo non siamo andati via. Quando dopo mezz’ora ha aperto la porta, aveva il viso più sofferente che io abbia mai visto. Abbiamo provato a chiedere, a farci spiegare, sappiamo che ci vuole pazienza con lui, ma stavolta é stato tutto inutile. Non l’abbiamo mai visto così- fece una pausa, Candace gli lanciò uno sguardo come per indurlo a continuare, - e non sappiamo cosa fare. Non vogliamo impicciarci nelle cose che gli riguardano, o forse dovrei dire le cose che vi riguardano, ma siamo davvero preoccupati. Gli abbiamo chiesto se fosse successo qualcosa con te e lui si é voltato contro la finestra e non ci ha più risposto. Alla fine ci ha chiesto di rimanere solo e abbiamo dovuto farlo. Una volta fuori, Laney ci ha chiesto se avessimo scoperto cosa avesse, ma non abbiamo saputo cosa dirle. Anche lei era preoccupata per suo fratello. Ma...ecco, beh... noi non possiamo vederlo così. Vedi Viola, Manuel non é un ragazzo che parla di se, forse te ne sarai accorta, ma noi siamo i suoi migliori amici, abbiamo imparato ad entrare almeno un po’ nel suo mondo, lui si fida di noi e lo conosciamo abbastanza da capire quando c’é qualcosa che non va, - si fermò di nuovo, abbassò lo sguardo un po’ imbarazzato, - ma lui ci tiene a te. Da quando ti ha incontrato lui é diventato un’altra persona, Viola. Sorride, é più spensierato...ha una luce negli occhi, é così diverso con te da come si comporta con gli altri...io credo che tu sia importante per lui-

Gli occhi di Viola continuavano a guardare ora Joseph ora Candace, nella mente risuonavano le parole che aveva appena udito. Lui soffriva.

I ragazzi la guardavano con un cipiglio di preoccupazione, Viola si rese conto che stavano aspettando che lei parlasse.

Si schiarì la voce.

-         Io...beh...in realtà...-, sospirò, nella sua mente migliaia di frasi si accalcavano ma nessuna era così veloce da arrivarle alle labbra.

-         É una situazione imbarazzante, lo so, - l’interruppe Candace, - e non devi spiegarci se non vuoi. Solo che...beh, noi ci tenevamo a dirti queste cose-

Viola deglutì a vuoto, Candance le rivolse un timido sorriso.

-         Vi ringrazio per quello che fate. E per me é molto importante quello che avete detto-

Joseph e Candace si scambiarono un’occhiata. C’era ancora qualcosa che volevano dirle, Viola lo capiva dalla tensione che traboccava dai loro occhi. Quando Candace le puntò nuovamente gli occhi sul volto, Viola sentì un tremito scorrerle lungo la schiena.

-         Beh, grazie a te che ci hai ascoltato...sai, non é che si vede tutti i giorni che gli amici del tuo ragazzo ti vengano a fare la morale...-

-         Oh, ma Manuel non é il mio...-

-         Si, questo lo dice anche lui-

A Viola era finito il fiato.

Candace abbozzò una risatina, poi ritornò improvvisamente seria.

-         Il punto é... insomma...non lasciarlo, Viola-

Gli occhi erano puntati sul suo viso, Viola sentì che stava impallidendo.

Non lasciarlo, aveva detto.

-         Adesso dobbiamo proprio andare- esclamò d’un tratto Joseph poggiando una mano sulla spalla di Candace.

-         Già...grazie di averci ascoltato, Viola-

-         Di niente...-

-         Ci vediamo presto-

-         Okay...-

I due ragazzi sparirono lungo il corridoio, Viola rimase ferma nella sua posizione ancora per qualche minuto.

Non lasciarlo.

Quelle due parole continuavano a risuonarle nella testa senza acquisire un senso. Lasciarlo? Oh, no, mai! Piuttosto, era stato lui a lasciarla, a dirle di non cercarlo più...

Lui non si era fatto vivo. Non era venuto ad inglese, non l’aveva incontrato ancora da nessuna parte. Dando credito alle sue parole, la stava palesemente evitando. 

Ma cosa voleva davvero? Cosa stava succedendo?

Come ogni cosa che riguardava Manuel, anche questa era priva di qualsiasi significato logico. Le parole di Candace e Joseph erano state le apprensive parole di due amici affettuosi che non sanno come comportarsi, ma Viola era certa che non le avrebbero mai fatto quel discorso se loro avessero saputo.

Ma evidentemente loro non sapevano.

Nessuno sapeva, e lui voleva che neanche lei sapesse.

La confusione aveva preso il pieno possesso della sua mente, il ragionamento iniziò a risultarle difficile.

La giornata era quasi finita e non l’aveva ancora incontrato.

 

 

                                                             ...

 

 

                                                             ...

 

 

La mattina dopo, nonostante Janine continuava a fissarla come per chiederle perché ancora una volta saltava la sonata mattutina, non scese nel seminterrato.

Più silenziosa ancora del giorno prima uscì di casa e camminò così lentamente che arrivò a scuola proprio nel momento in cui suonò la campanella. Si mescolò tra la folla per non farsi vedere da nessuno e alzò lo sguardo quanto bastava per rendersi conto che lui non era tra la folla. L’anima si stava agitando, tentò di placarla pensando che ad inglese l’avrebbe incontrato di sicuro. Non poteva saltare tutte le lezioni, sarebbe stato un ragionamento stupido e folle.

Mentre il giorno prima era stata sicura di vederlo, adesso non lo dava tanto per scontato.

Quando varcò la porta dell’aula di inglese per ultima, dopo aver aspettato poggiata agli armadietti che tutti entrassero, si rese conto che neanche quel giorno lui c’era.

Un misto di rabbia, delusione e dolore le strinsero il cuore.

La rabbia era il sentimento più immediato. Perché non c’era? Perché diavolo non affrontava le situazioni di petto? Avrebbe saltato inglese per il resto della sua vita o cosa? Perché si comportava in quel modo? La rabbia faceva presto a sfumare in delusione, poi la delusione si trasformava in dolore.

Dopo neanche cinque minuti dall’inizio della lezione finse di star male e passò il resto del tempo seduta in un angolo del corridoio vuoto con un bicchiere di camomilla.

Okay, adesso c’era bisogno di un po’ di man forte. Non veniva a scuola? Non veniva ad inglese? Bene. Sarebbe andata lei a cercarlo.

Alzò la testa come se invece di pensare stesse pronunciando quelle parole ad alta voce e avesse avuto paura che qualcuno l’avesse sentita.

Cercarlo.

A scuola non ci era venuto, questo era poco ma sicuro: era impossibile che non l’avesse scorto da nessuna parte e che stesse saltando volontariamente soltanto la lezione di inglese, il professor Joel non l’avrebbe permesso sapendolo presente.

Quindi non c’era.

Ma dov’era?

Forse a casa sua.

Casa sua.

Dov’é che abitava? Questo non lo sapeva, non ne avevano mai parlato. A dire il vero, lui non le aveva raccontato niente del posto in cui viveva o della sua famiglia, se non il fatto di avere una sorella che si chiamava Laney, approvato anche da Candace e Joseph. Avrebbe dovuto chiedere a loro il suo indirizzo? Glie l’avrebbero dato? Avrebbero chiesto spiegazioni?

Scosse la testa. No, sarebbe stato troppo imbarazzante, non avrebbe saputo da dove cominciare e avrebbe fatto di sicuro la figura della stupida.

Si alzò dalla panchina dov’era seduta e, dopo aver lanciato uno sguardo nel corridoio assicurandosi che non ci fosse nessuno e dopo aver buttato nel cestino il bicchiere semi vuoto di camomilla, scese lentamente le scale diretta verso la segreteria del pianterreno.

Lì dove aveva scoperto il suo nome avrebbe scoperto anche dov’era la sua casa.

Si mosse con passi felpati e dopo essersi guardata le spalle aprì lentamente la porta della segreteria, stando attenta a non far troppo rumore.

Come sempre, alla terza ora era vuota.

Trovò una cartella sul computer della segreteria che conteneva i dati degli alunni del quarto anno, fece scorrere il lungo elenco fino a giungere alla G, e cliccò sul nome che cercava.

Ogni alunno aveva una propria scheda sul computer della scuola, di questo era già precedentemente a conoscenza, così la ricerca fu immediata senza alcuno sforzo.

Le prime informazioni che lesse sulla scheda che le si aprì davanti già le conosceva.

Manuel Green, diciassette anni, quarto anno...residente al n 18 di Brownweek Avenue.

Viola si allontanò bruscamente dal computer, ma i suoi occhi non riuscivano a smettere di leggere quell’indirizzo.

Il numero 18 di Brownweek Avenue.

La Casa sulla Settima Strada.

 

 

                                                           ...

 

 

La sua casa era quell’enorme abitazione della Settima Strada, quella che era un punto di riferimento per tutti, quella che tutti conoscevano almeno per sentito dire ma di cui nessuno conosceva gli abitanti.

Adesso lei sapeva finalmente chi ci abitava. Cosa avrebbero detto la mamma e Janine se avessero saputo che non ci abitava né un politico e né un imprenditore ma un semplice ragazzo? Beh, forse semplice non era proprio l’aggettivo adatto per Manuel, ma era comunque meno famoso di un politico o di un imprenditore.

Arrivò all’incrocio forse troppo velocemente e restò ferma al lato della strada per qualche minuto, ma ormai aveva deciso. Girò a sinistra verso la Settima Strada mentre la mente le si affollava di pensieri. Un qualcosa di simile al dubbio la costrinse a camminare più lentamente e quasi ad indietreggiare, ma la decisione precedentemente presa padroneggiava ancora al centro tra i suoi pensieri. Doveva vederlo, avere il coraggio di sbloccare quella situazione.

Accelerò il passo fin quando non giunse alla casa numero 18, una di quelle alla sinistra del viale, la più grande - la più bella - con il cancelletto nero, il vialetto di ghiaia e il giardino ben curato ai lati di questo, che facevano risaltare il rosa antico della casa. Viola alzò lo sguardo osservando la maestosità della villa, guardò ad una ad una le finestre del secondo piano tutte coperte da tendine bianche, poi avanzò lentamente.

Il cancelletto nero era aperto e in un attimo fu davanti alla sua porta.

Sospirò quasi come se una semplice espirazione potesse darle la forza che stava cercando, ma anche se la mano continuava a tremarle, suonò il campanello.

Il suono che emise era limpido.

Aspettò meno di mezzo minuto, poi sentì dei passi che velocemente si avvicinavano alla porta. La tensione nel suo corpo saliva sempre di più, poi la porta si aprì e Viola si trovò davanti una giovane ragazza. Gli occhi azzurri della giovane squadrarono Viola da capo a piedi, lei rimase paralizzata, proprio come si aspettava succedesse.

La ragazza con gli occhi azzurri poteva aver circa vent’anni, era alta, esile, pelle bianca e lunghi capelli biondo scuro scendevano sulle spalle e sulla schiena. Il viso era aperto e socievole, gli occhi sorridenti e lentiggini rossastre sul naso e appena sotto gli occhi coloravano il resto del viso.

L’espressione era la stessa che aveva spesso Manuel, ma non solo l’espressione ricordava lui: il modo di stare dritta sulla schiena e la forma del naso e degli zigomi erano i suoi.

Viola inspirò profondamente, sostenendo lo sguardo stranito della ragazza.

-         Salve...ehm...io mi chiamo Viola e...-

-         Viola...- la ragazza la interruppe, una voce calda e melodiosa, anche questa che aveva qualcosa che la riportava a Manuel, sussurrò il suo nome con una punta di divertimento, - questo nome non mi é nuovo-

Viola sentì qualcosa contorcersi nello stomaco e le sue guance arrossarsi.

La ragazza alzò le spalle con un risolino.

-         Direttamente ho sentito poche parole su di te, il resto l’ho dovuto origliare...- un’altra risatina, socchiuse gli occhi, - io sono Laney. La sorella di Manuel -

Laney le tese la mano, Viola passò gli occhi dal viso alla mano tesa forse cinque volte prima di tendere timidamente la sua. Anche lei non pronunciava la erre.

La stretta di Laney era più potente e più sicura di quella di suo fratello, e la sua mano era più fredda.

Quando Laney lasciò la presa le sorrideva come se si conoscessero da più che da solo mezzo minuto e Viola trovò in quel sorriso la forza di continuare a parlare.

Forse non era stata del tutto una cattiva idea andare lì.

-         Io stavo cercando Manuel - sussurrò tutto d’un fiato, cercando di sorridere a sua volta.

Laney assunse un’espressione divertita, ma non ebbe il tempo di rispondere. Alle sue spalle Manuel si materializzò quasi come se fosse uscito dal nulla.

Lo sguardo inespressivo e quasi freddo scatenò un tremito di dolore nel corpo di Viola, ma il fatto di averlo rivisto -  dopo quei due giorni di silenzio - riuscì a trasmetterle una gioia incontenibile.

-         Che ci fai qui?- esclamò, mentre la voce gli tremava di qualcosa di inconsueto.

Laney si voltò di scatto.

-         Stavo per chiamarti!-

-         Sono già qui. Grazie Laney -

-         Okay...- Laney lanciò uno sguardo a Viola, poi riprese: - io ritorno a fare quello che facevo...ehm...ciao Viola! E’ stato un piacere conoscerti! –

Viola salutò con la mano Laney che si allontanava non riuscendo a slegare il nodo che le impediva di parlare.

Quando Laney fu sparita nel corridoio, Manuel uscì e si chiuse la porta alle spalle.

-         Si può sapere che ci fai qui? Chi ti ha detto dove abito?- sibilò lui tra i denti.

-         Lasciami parlare...-

-         Oh, non dirmelo! Hai cercato da sola, come hai fatto con tutto il resto! O sbaglio?-

-         Oh ti prego non dire così...-

-         Ti avevo detto di non cercarmi!-

-         Io non posso lasciar perdere!-

-         Qui non c’é alternativa!-

Manuel la fissava negli occhi, lo sguardo freddo e i tratti del viso tesi.

Viola sentiva già gli occhi pizzicarle.

-         Ma perché non possiamo parlare?-

-         Io non ne voglio parlare!-

-         Allora sei un bugiardo, Manuel!-

La voce le si irrigidì, il dolore che provava si stava trasformando in forza; forza per proteggere se stessa, forza per farsi ascoltare e quella tanto decantata man forte che non aveva mai avuto il coraggio di avere.

-         Cosa?-

L’espressione sul volto di lui cambiò.

-         Niente di quello che mi hai detto nei giorni scorsi é vero, non hai fatto altro che prendermi in giro!-

-         Io ti avrei preso in giro? E tu allora? Mi hai spiato!-

-         Non ti ho spiato!-

-         Ah no? E cosa allora? Eri solo curiosa!-

-         Non é vero! Io mi soni fidata di te, ti ho mostrato quella parte di me che non mostro a nessuno mentre per te io sono come qualsiasi altro!-

La contrazione sul viso di lui era forse di dolore.

Avanzò verso di lei.

-         Tu non sai- sibilò quando si trovò a pochissima distanza dal suo volto. Ebbe l’impressione che stesse iniziando di nuovo a tremare, ma il suo viso era così immobile che era impossibile riuscire a tradurne qualcosa.

Viola abbassò la guardia, il respiro le si fece corto.

-         Se solo tu mi spiegassi...- mormorò alzando lo sguardo.

-         Non posso spiegarti -

-         Ma perché?-

-         Lo faccio per il tuo bene-

La voce d’improvviso calò, Manuel abbassò gli occhi. Viola sentì di nuovo quell’enorme peso sullo stomaco.

-         Il mio bene? Questo non é il mio bene! Ascolta, non ho intenzione di lasciar perdere.  Perché non vuoi dirmi la verità? Cos’é che sai fare? Perché non posso saperlo? Hai salvato la mia vita Manuel, io ho bisogno di sapere-

Manuel le diede le spalle, chiuse le mani a pugno e abbassò la testa. Viola lo guardò immobilizzarsi come una statua, il silenzio regnò tra loro per qualche secondo.

-         Non credo tu voglia saperlo- disse d’improvviso, la voce ferma e fredda.

Viola alzò la testa.

-         Come sarebbe a dire?-

-         Dovremmo non parlarne più!-

Manuel si voltò di scatto verso di lei, gli occhi erano immobili e gelati quasi avessero il potere di ghiacciare tutto quello che avevano sotto tiro.

Viola sostenne il suo sguardo, dentro le cresceva una forza che stava per farle scoppiare la testa. Gli occhi andavano facendosi lucidi a ogni secondo che passava. Aveva di nuovo la sensazione di aver fin troppe cose da dire ma neanche il fiato necessario per pronunciare una sillaba. Il suo viso cambiò espressione cinque o sei volte, il rumore del suo respiro si fece sempre più carico.

-         Se non hai altro da dire, é meglio che tu vada -

Manuel distolse lo sguardo da lei, socchiuse gli occhi.

-         Altro da dire? Credo tu sappia se ho altro da dire…sai sempre quello che gli altri non dicono Manuel, sai ciò che é nei loro pensieri e sai benissimo anche quello che sto pensando in questo momento! -  sibilò Viola tra i denti, alzando gli occhi verso di lui.

Le parole, anche questa volta, erano uscite fuori dalle sue labbra senza comando, il viso di Manuel cadde nel buio per un momento. I suoi occhi erano sovraccarichi di sentimenti contrastanti, abbassò la testa come se dentro di se cercasse di placare una battaglia.

Alzò lo sguardo, adesso era ancora più vicino, le loro mani quasi si toccavano e riusciva a sentire il rumore del suo respiro difficile: in  un attimo era come se avesse perso tutta la sua forza e la sua freddezza, era come contornato da un alone di fragilità che tradiva le sue vere intenzioni. Avrebbe voluto starle ancora più vicino, ma qualcosa di indistinto lo tratteneva.

-         Io non conosco ciò che pensi…- le sfiorò il gomito, la voce iniziò a tremargli, - io conosco le…emozioni…che provi mentre pensi…-

I loro occhi si incrociarono, Viola lesse terrore e sconforto nello sguardo di lui mentre cercava nel suo cervello di realizzare quanto appena sentito.

Manuel le lasciò lentamente il braccio, la sorpresa e la meraviglia sullo sguardo di lei lo colpivano da tutte le parti, sentiva scorrere dentro di se la stessa emozione che stava provando Viola in quel momento.

Perché era questo, che sapeva fare.

Lo sguardo di lei continuava ad essere perso, ma quello che lui si aspettava Viola potesse provare, ad esempio la paura, fu l’unica cosa che non comparve. Dentro di lei era come se si fosse d’improvviso mosso qualcosa, quel qualcosa che aveva iniziato a tremare sin da quando si erano conosciuti.

Per la prima volta Manuel fu davvero insicuro riguardo ad un sentimento. Possibile che non provasse paura, ribrezzo per lui? Si stava forse confondendo? Il suo desiderio che lei lo accettasse così com’era era talmente forte da offuscare gli effluvi che sentiva provenire da lei? La stava spaventando, ne era convinto. Non sentiva niente di somigliante alla paura, ma era pressappoco impossibile che non la stessa provando.

Si allontanò, l’atmosfera svanì.

-         Manuel...-

-         Va’ via-

Non aggiunse altro, corse in casa e si chiuse la porta alle  spalle lasciando Viola nel vento.

Salì le scale,  ma nonostante si stesse allontanando il più possibile da quella porta sentiva la presenza di lei al suo fianco come se non se ne fosse mai andato.

 

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Capitolo 8
*** 7. ***


fiori8

L’unico attimo che Viola avrebbe voluto rivivere di quei momenti era la sua vicinanza. Avrebbe pagato oro per vivere per sempre in quel momento, sentire il rumore del suo respiro e le sue mani che le sfioravano le braccia.

Le emozioni.

Distesa sul letto, con i capelli sparpagliati sul cuscino, si perdeva in lunghe fantasie. Oh beh, si sentiva una stupida a non averlo capito prima: il suo sguardo sempre tra il sicuro e il divertito, le sue frasi enigmatiche lasciate a metà...in realtà con lui non c’era bisogno di parlare: sin dal primo momento aveva saputo quello che provava.

Glie l’aveva letto nell’anima.

Un sorriso tra lo spaesato e il felice le colorò il viso.

Avrebbe voluto saperne di più: com’é che succedeva? Era così che aveva saputo che Tracy avrebbe pianto? E come aveva fatto precisamente a sapere che la gamba di Sally era rotta? E,  soprattutto, cosa c’entrava il fulmine con le emozioni? Cos’é che aveva sentito quando aveva saputo in anticipo che il fulmine avrebbe colpito quell’albero?

Sembrava quasi che di domande ne avesse più di prima, eppure un senso di pace e quiete colmava il suo cuore.

Era innamorata della persona più sensibile e nobile del pianeta.

Innamorata...

Oh, solo ora le veniva in mente: lui l’aveva sempre saputo.

Istintivamente arrossì, quasi come lui le fosse davanti e lei fosse stata costretta a dichiararsi. C’erano molte cose che non aveva messo in conto e che adesso le arrivavano alla mente: lui aveva sempre saputo che l’amava, sin dal momento in cui il suo cuore aveva iniziato ad adorarlo, aveva sempre conosciuto la considerazione che aveva di lui e aveva sempre saputo quanto avrebbe voluto che lui le parlasse più apertamente di se.

Eppure aveva fatto trasparire poco e niente di tutto quello che sapeva.

Beh, immaginava che doveva esserci abituato: era forse una cosa che si portava dietro da tanto tempo e che...beh, che aveva condizionato la sua vita.

Era per questo che se ne stava sempre per conto suo, da solo, nascosto dietro la timidezza.

Se solo tutti avessero saputo, avrebbero smesso di giudicarlo strano e l’avrebbero chiamato fantastico.

Sorrise fra se e se, poi iniziò a pensare a cosa avrebbe dovuto dirgli quando sarebbe riuscita a parlargli di nuovo. Avrebbe ascoltato? Sarebbe fuggito? Come si sarebbe comportato stavolta nei suoi confronti?

Non riusciva ad immaginare, l’unica cosa che le brillava in quel momento dentro era l’amore che provava per lui.

L’avrebbe amato qualsiasi cosa fosse, qualsiasi cosa sapesse fare o non fare, nella sua mente avrebbe avuto sempre le fattezze di un angelo perfetto caduto da chissà dove.

E un angelo non puoi far altro che amarlo.

 

 

                                                              ...

 

 

Il giorno successivo brillava un sole tiepido,le strade erano illuminate dai raggi di questo e la rugiada brillava sulle foglie degli alberi del viale.

L’animo di Viola era proprio come quel sole: una luce tranquilla che illumina un po’ alla volte le cose che incontra nella sua strada, e l’ansia che aveva tormentato i suoi sogni adesso era un sottile filo sotto quel sole.

Riuscì a mantenere quell’animo fin quando non giunse a scuola e iniziò a chiedersi dove fosse Manuel.

Stava per avviarsi verso le scale quando scorse Candace e Joseph accanto alla porta che dava sul cortile.

Entrambi sorridevano e parlavano con fare allegro, lei le guance rosee e non più il pallore che aveva avuto quando aveva parlato il giorno prima, lui ugualmente colorito, gli occhi di nuovo pieni.

Nel momento in cui quasi sfiorò la spalla di Candace, entrambi la notarono e le sorrisero.

-         Ciao ragazzi- salutò infine, timidamente.

-         Ciao Viola- iniziò Candace, voltandosi verso di lei con un ampio sorriso, - come stai?-

Il “come stai” sostituito al comune “come va” fece sentire Viola più a suo agio.

-         Bene. Voi?-

-         Bene, grazie- rispose stavolta Joseph, avanzando.

Viola passò gli occhi su entrambi prima di sorridere timidamente.

-         Ho parlato con Manuel - disse infine, chiedendosi se mai si sarebbe pentita di quella frase.

Entrambi annuirono con un sorriso.

-         L’avevamo intuito- spiegò Candy, - oggi é tornato a scuola. Ci ha detto di aver avuto una forte emicrania, quel giorno dopo la nostra visita, ma Manuel non soffre di emicrania, casomai di insonnia, e comunque neanche quella lo blocca. L’unica cosa che lo mette a muro é una brutta situazione, sempre quei misteriosi qualcosa che non sappiamo mai decifrare - qui rise abbassando gli occhi, - ma avevamo capito che probabilmente avevate parlato- concluse.

-         Davvero? Cioè, voglio dire, come sta?- si precipitò a domandare Viola, sgranando gli occhi.

Joseph accennò un sorriso.

-         In realtà é più silenzioso del solito, ma che la sua “emicrania” sia passata é un buon segno-

Qui rise, Viola fu inondata da un abbagliante senso di ammirazione verso i due.

Non sapevano la verità su Manuel eppure erano diventati suoi amici senza chiedergli niente, senza pretendere spiegazioni sulle sue stranezze che si manifestavano di tanto in tanto ed avevano imparato a sorridere davanti ad ogni cosa. Forse la vera amicizia era questa, non chiedere mai niente, ma amare l’altro e desiderare la sua felicità e fare il possibile per contribuire a questa.

Forse Manuel li considerava diversi da tutti gli altri perché non chiedevano, né indagavano. Semplicemente lo accettavano senza chiedere mai nulla.

Sorrise debolmente.

-         Sapete...sapete dove posso trovarlo?-

I due si scambiarono un’occhiata.

- Credo sia nella sala musica- rispose Joseph.

Viola sorrise di nuovo.

-         Vi ringrazio-

Candy alzò le spalle con un sorriso.

-         Di niente Viola. A presto-

-         A presto-

Candy e Joseph le rivolsero un ultimo sorriso mentre si allontana, Viola cercò di impedire a se stessa di correre almeno fin quando sarebbe stata nella loro visuale, ma appena fu abbastanza lontana iniziò ad avanzare il passo. L’ansia cominciava a salirle di nuovo lungo la schiena, per un momento la sensazione di star rincorrendo l’orizzonte ricomparve al centro dei suoi pensieri.

Ogni passo che faceva sentiva gli occhi infiammarsi, quasi ansimava, fu così che spalancò la porta della sala musica e lo vide, lì, seduto su quel tavolino, con il viso basso.

Sarebbe stato impossibile leggere la sua espressione né tantomeno desumere dalla sua figura cosa stesse pensando.

I capelli gli scendevano sulle fronte, le mani giocherellavano tra loro sul grembo e gli occhi fissavano un punto indefinito nel vuoto sotto di essi.

-         Manuel!-

Quasi gridò.

Lui si voltò, anche i suoi occhi erano in fiamme, ma era un fuoco diverso. Il suo era il fuoco della sorpresa, dell’imbarazzo, della meraviglia.

-         Viola... – sibilò freddamente, stringendo in un pugno la mano destra, cercando di non far trasparire quello che davvero provava nel vederla.

-         Manuel, ascoltami ti prego...-

Manuel abbassò gli occhi, sul suo viso contemporaneamente la durezza e la frustrazione, che gli occhi ciechi di Viola quasi non percepirono.

Si alzò, cercò di andare via, Viola gli si pose davanti poggiando la mano sul suo braccio.

-         Viola, per favore...-

-         Ti prego aspetta-

Manuel la guardò negli occhi. La sua espressione supplichevole, i suoi occhi puntati dentro i suoi e la sua mano sulla sua pelle gli sbriciolavano il cuore.

Sentiva tenerezza e insieme con essa un qualcosa che non aveva nome – una sottospecie di passione – che cresceva nel corpo di lei.

-         Perché diavolo rendi le cose difficili?- mormorò evitando il suo sguardo.

-         Non é vero, sei tu a rendere tutto difficile! Sarebbe semplice se mi parlassi, mi spiegassi...-

-         Cosa c’é da spiegare?!-

Urlavano entrambi, Manuel si era allontanato, gli occhi di Viola erano lucidi, sentiva le lacrime pizzicarglieli e un nuovo dolore perforarle il cuore.

- Okay, vuoi che pianga? Cosa vuoi che faccia, dimmelo! Devo urlare? Non posso continuare così, Manuel, tu non puoi sparire da un momento all’altro, non puoi farlo!-

Calde lacrime le caddero sulle guance, rendendo lucido tutto il suo viso oltre che solo gli occhi.

Manuel strinse i pugni, il suo viso si intenerì a vederla in quello stato.  Lei stava soffrendo. Soffriva a non poter parlare con lui, soffriva persino a non poterlo guardare...e se non fosse stato quello a fargli sbriciolare il cuore, cosa, allora? Perché era sempre tutto così difficile? Perché era sempre così difficile fare la cosa giusta? Ma dopotutto, chi gli diceva che evitarla e far finta che non si fossero mai conosciuti fosse la cosa giusta?

Oh, lo era di certo.

Come avrebbe potuto lei sopportare di sapere che lui avrebbe sempre conosciuto ogni sua emozione?

Era insopportabile, nessuna persona sana di mente avrebbe potuto sopportare una cosa del genere, prima o poi si sarebbe finiti alla pazzia.

Eppure, perché non aveva la benché minima intenzione di stare a sentire quello che la ragione gli suggeriva?

No, non poteva vederla soffrire in quel modo, non poteva sentire le struggenti emozioni che le trapassavano il cuore, non poteva lasciare che questo accadesse, non voleva che le venisse fatto del male, neanche da una stupida emozione.

A passi veloci le si avvicinò e la strinse forte a se. Chiuse la sua esile figura tra le sue braccia e serrò le labbra accarezzandole i capelli. Viola bagnò la sua maglia con le proprie lacrime, si strinse a lui come una bambina impaurita.

In quel momento la freddezza di quei giorni, il dolore e tutte le lacrime di dolore sparirono.

L’unica cosa che sembrava essere sempre esistita era quel momento.

-         Scusami Viola- sussurrò poi lui, continuando ad accarezzarle i capelli, - scusami. Ti prego non soffrire. Perdonami, Viola-

Viola soffocò i singhiozzi di pianto, niente doveva coprire la sua voce mentre parlava.

-         Di’ che mi perdonerai, Viola. Non volevo. Davvero. Il fatto é che...beh, te lo spiegherò. Ma non piangere, okay?-

Manuel le prese il viso tra le mani, la guardò negli occhi. Sembrava che adesso soffrisse di meno.

Viola avrebbe voluto dirgli che le scoppiava il cuore di gioia per quell’abbraccio e per quelle parole, ma non riusciva a parlare per lo stesso motivo. Ma ormai, l’aveva imparato, con Manuel non servivano parole.

Lui fece scorrere le dita sotto gli occhi di lei e asciugò le lacrime, non smise di accarezzarle il viso.

-         Mi hai perdonato, Viola?-

-         Non hai bisogno di perdono-

Manuel abbozzò un sorrisetto, sentiva la pace e la tranquillità diffondersi nel cuore di lei.

Non riusciva ancora a credere che qualcuno si  potesse sentire in quel modo in sua presenza.

-         Ti racconterò tutto per bene, Viola. Promettimi solo una cosa-

-         Tutto quello che vuoi-

-         Promettimi che...quando ti avrò raccontato tutto, non sarai tu ad evitarmi-

-         Non lo farei mai-

-         Non si incontra tutti i giorni una persona come me-

-         Io non voglio perderti-

-         Promettimi solo che non mi eviterai. O sarò io a mettermi a piangere-

-         Te lo prometto-

Un debole sorriso colorò il viso di Viola, lui l’abbracciò di nuovo, stringendola più forte.

Restarono a godere del calore dei loro corpi e dei loro sentimenti per molto più che della normale durata di un abbraccio mentre li circondava un silenzio carico di parole.

Ma forse adesso avevano bisogno del silenzio, silenzio per capirsi, silenzio per ritrovarsi, silenzio per riuscire a sentire solo la flebile voce delle emozioni che sussurrava ai loro orecchi quanto avevano sentito uno la mancanza dell’altra e viceversa.

 

                                                                  

 

 

Sedevano uno di fronte all’altro, al tavolino di legno del grande parco. Intorno a loro c’era la più assoluta tranquillità e il più assoluto silenzio.

Il vento sferzava facendo danzare le chiome degli alberi e i fili d’erba, alcuni raggi di sole, che riuscivano a farsi strada tra le nuvole, irradiavano il prato.

-         Quello che ti ho detto é vero - iniziò Manuel, socchiudendo gli occhi, timoroso di guardarla, - ...io sento le emozioni degli altri. Non so come mi succeda, non so neanche perché, é una vita che ci penso! Eppure mi succede con chiunque. Basta incontrare gli occhi di una persona, sentire il suo profumo, sentire i suoi passi accanto ai miei...e allora delle voci cominciano a parlarmi nella testa e sono assalito da forti sensazioni: quelle sono esattamente le emozioni che sta provando la persona con la quale sono a contatto. Ma non é tutto: quando ci ho salvato da quel fulmine, non ho sentita propriamente un’emozione, quella era più una vibrazione della natura. Non mi succede spesso di sentire l’arrivo di un fulmine e non capita spesso che rimanga sveglio tutta la notte a causa delle vibrazioni della tempesta – era per quello che ero stanco, non era vera e propria insonnia. Quando però si tratta dell’animo delle persone, riesco a immergermi nella loro mente naturalmente. Non é una cosa che scelgo di fare, succede e basta: io la chiamo semplicemente empatia, ma so che non é così semplice. Di solito il contatto é solo a livello emozionale, ma nelle situazioni più estreme sento anche dolori fisici, come é successo con Sally. Lei era lì a terra con quel dolore lancinante alla gamba che non riusciva ad esprimere, ed io ero il solo a poter immaginare che non era la ferita alla testa che le faceva male, ma proprio quella frattura nascosta. Ma questo non accade sempre. Sono molto più “bravo” con le semplici emozioni, come il caso di Tracy: sapevo che  avrebbe pianto non perché l’avevo “previsto”, ma perché sentivo quell’emozione, sentivo qualcosa muoversi dentro la sua testa e ho capito che stava per piangere. Sapevo anche che sarebbe uscita dalla classe, a Tracy non piace inglese, questa é una cosa risaputa. Così prima che uscisse lei sono uscito io-

Alzò per un attimo gli occhi per scrutare il viso di Viola.

Il vento le scompigliava i capelli, la costringeva a socchiudere gli occhi e a tenere serrate le labbra, ma quasi sembrava che non sentisse il freddo o il vento. Sentiva solo le sue parole.

-         Quando ti spavento dimmelo, e smetto- sussurrò.

-         Non sono spaventata, affatto. Continua-

Viola sorrise, poggiò il mento sulle mani come una bambina che si prepara ad ascoltare una storia per l’ennesima volta.

Manuel deglutì a vuoto, - ancora non ci credeva che lei fosse così calma, se non fosse per il fatto che sentiva la sua tranquillità, che ne fosse assolutamente certo, ne avrebbe dubitato.

-         In realtà per me questa é diventata la normalità, anzi, lo é sempre stata. Sono nato così. Non é qualcosa che é arrivato dopo, non mi é accaduto niente. Sai, di solito...di solito immagino di parlare alle persone di questa mia...cosa...e immagino che loro pensino che possa esser stato soggetto a qualche strano rito o cose del genere, ma ti assicuro che non é così!...insomma, io non sono...diventato così...in quel caso, sarebbe ancora più orribile, ma posso ritenermi fortunato. Ho sempre avuto questa capacità. Ovviamente quando ero ancora piccolissimo questo non si notava, in realtà non lo notavo neanche io, però poi, crescendo, é venuto tutto fuori naturalmente. La prima a capirlo é stata mia sorella, insieme con mio fratello maggiore, Peter -

Manuel fissò un punto nel vuoto, come se da quel vuoto stessero salendo a galla i ricordi.

-         Mia sorella é più grande di me di quattro anni, ma é stata sempre molto unita a me, mi ha sempre accudito, coccolato più di tutti. Aveva sempre desiderato avere un fratellino per non essere considerata la piccolina della famiglia. Perché sai, Laney odia questa cosa, la odia ancora adesso...odiava quando permettevano a Peter di fare cose che lei non poteva ancora fare, odiava quando le persone le scompigliavano i capelli. Laney voleva essere trattata da adulta. In un certo senso, é come se fosse nata adulta: é determinata, perspicace, responsabile. Insomma, é una tipa in gamba. Pensa che é stata lei, anche se aveva solo quattro anni, a suggerire ai miei genitori l’acquisto della Casa sulla Settima strada. Erano tempi d’oro per mio padre – lui é un avvocato importante da queste parti, un uomo tutto d’un pezzo, e aveva sempre desiderato trasferirsi in un quartiere degno della sua posizione sociale. Mio padre é così, poco socievole, poco attivo, dedito al lavoro e alle regole, preciso in qualsiasi cosa e orgoglioso di se, forse é per questo suo carattere che il nostro rapporto non é mai stato un granché...beh, ma questa é una storia successiva. Anche mia madre é un avvocato, ma non assomiglia per niente a papà caratterialmente: lei é aperta ed estroversa, ha sempre un sorriso ed una parola di conforto per tutti e non da’ così tanta importanza al suo lavoro come papà, anche se lo ama molto. Fu in quell’anno che nacqui io, l’anno in cui la mia famiglia si trasferì in questo quartiere. Io ho sempre vissuto lì, nella famosa Casa della Settima Strada. Ad essere sincero non so come mai per tutti sia famosa, non é l’unica casa lussuosa della Settima Strada, ma quando ho iniziato ad essere abbastanza grande per iniziare a chiedermelo lo era già. Ad ogni modo, nonostante la maestosità della casa, ho sempre amato particolarmente solo una cosa di essa, ed é una stanza nell’ultimo corridoio del pianterreno, l’ultima sulla sinistra: era una delle poche stanze della casa che non erano mai state riempite, così era tutta vuota e quando ero ancora piccolissimo mi piaceva chiudermi lì e sedermi sul pavimento a fissare il vuoto. Adesso quella stanza é mia, una sottospecie di stanza segreta oltre quella che ho al secondo piano. E’ stata mia madre ad insistere perché la riempissi con qualcosa di mio e perché ci restassi, se mi piaceva... nonostante quello era palesemente un invito a trasferire la mia camera da letto di sotto - se era quello che volevo - io non lo feci, lasciai che la mia camera da letto restasse al secondo piano insieme a quella dei miei fratelli mentre la camera al pianterreno l’ho personalizzata diversamente. Sai Viola, é una specie di rifugio...la stanza che, da quando é stata ufficialmente mia, non ho mai fatto vedere a nessuno, la stanza che rappresenta per me la quiete più totale. E’ stata di incredibile importanza per me negli anni dell’infanzia, quando ho iniziato a scoprire...beh, ciò che so fare. Ma la storia di come é successo precisamente é un’altra.  

Era una sera d’inverno e Peter e Laney erano seduti sul divano del salotto e stavano discutendo su quale cassetta vedere. Peter aveva tredici anni, Laney nove ed io cinque. Laney insisteva perché vedessero qualcosa che potessi vedere anche io, così piccolo, ma Peter non ne voleva sapere, non voleva passare la serata a vedere un cartone animato, così fui accompagnato nella stanza accanto dove la mamma preparava la cena e Peter optò per un horror. In realtà non era un vero e proprio horror, mamma e papà non ne avevano in casa, ma non era neanche così leggero per due ragazzini. Quando Peter mostrò la cassetta a Laney lei disse che non aveva problemi a vedere qualcosa di spaventoso, ma in realtà non era così. Voleva fare la dura, ma era una bambina sensibile. Mia sorella si sedette sul divano stringendo le ginocchia al petto, Peter non si curò di lei. Ad un certo punto del film, entrai nella stanza per recuperare un giocattolo. Ricordo quel momento, lo ricordo come se fosse accaduto ieri. Non mi curai della televisione e di quello che trasmetteva, sentii soltanto il terrore, quello di mia sorella. Mi voltai per guardarla in volto, ma lei nascondeva le sue emozioni in modo perfetto. Eppure dovevo far smettere quel tormento, dovevo in qualche modo far si che quel mare di terrore smettesse di invadermi. Tirai mio fratello per la camicia e gli dissi di cambiare film, perché Laney si stava spaventando. In un primo momento entrambi negarono, poi Laney confessò e quando mi chiesero come avevo fatto a sapere, dissi che si sentiva. Peter scoppiò a ridere, Laney rimase seria. Sapeva che avevo ragione, sapeva che avevo indovinato perfettamente il suo stato d’animo e non riusciva a capire come avessi fatto. Cercò di convincere Peter che in me c’era qualcosa di strano ma Peter continuava a ridere, così Laney propose un gioco: lei e Peter avrebbero inscenato un discorso, citando alcune persone di loro conoscenza che di sicuro avrebbero suscitato sensazioni sia in uno che nell’altra. Se fossi riuscito a indovinare come si sentivano stando girato di spalle, allora Laney avrebbe avuto ragione. Beh, puoi immaginare come andò a finire...Laney ebbe ragione.

La cosa lasciò sconcertati i miei fratelli, mi dissero di restare in silenzio e di non dire niente alla mamma o al papà fin quando non avessero pensato loro a qualcosa, e io obbedii anche se non ne capivo all’epoca il motivo. Perché non avrei dovuto parlare di una cosa così normale? Non sapevano forse farlo tutti?

Dopo un paio di giorni Peter e Laney decisero di parlare sia con mamma che con papà, a cena, quando c’era la famiglia al completo. Io avevo un atteggiamento rilassato e normale, i miei fratelli tremavano. Quando iniziarono a introdurre il discorso, sia mamma che papà smisero di fare quello che stavano facendo e puntarono gli occhi su di me. Quando Laney smise di raccontare, papà le disse di non dire sciocchezze e di smetterla di inventarsi storie, ma Laney insistette e Peter l’appoggiò. La mamma rimase zitta, con il viso basso, ricordo ancora il suo pallore e gli occhi che per qualche secondo rimasero vuoti...e ricordo soprattutto la sensazione che provò, un enorme senso di smarrimento interiore.

Peter e Laney raccontarono di nuovo l’accaduto di qualche giorno prima e di come nei giorni precedenti io avessi continuamente capito i loro stati d’animo, poi d’un tratto papà si mise ad urlare. I cuori di Peter e Laney si riempirono di lacrime, la mamma continuava a stare in silenzio, papà disse che non voleva più sentire una parola su quell’argomento e che se avessero continuato ad inventarsi le cose li avrebbe puniti. Nessuno, però, osò interpellarmi, chiedere, cercare di capire. La tensione in quei minuti salì così tanto nei cuori della mia famiglia e soprattutto in mia madre che ad un certo punto scoppiai a piangere. Mio padre mi prese in braccio dicendomi che non era me che stava sgridando, ma i miei fratelli, per le frottole che raccontavano, ma io non smisi. “Chiedigli cosa c’é davvero non va, papà!” disse Laney, puntando il dito contro di me. “Smettila Laney!” gridò a sua volta papà, nascondendo il mio viso sulla sua giacca, poi Peter si alzò e gridò: “Avanti, Manuel, dillo anche a loro: cos’é che stai sentendo? Perché stai piangendo?”. Mia madre alzò finalmente lo sguardo, incrociai i suoi occhi pieni di incomprensione. Non ricordo con quali parole, ma spiegai che c’era qualcosa che batteva come un martello e che faceva male, nella testa, che pizzicava, e che mi era venuta voglia di piangere come se fossi triste, ma in realtà non ero io ad essere triste...

La mia breve spiegazione lasciò tutti esterrefatti. Per la prima volta nella mia vita riuscii a sentire perfettamente quello che mi circondava, non come le volte precedenti, dove le vibrazioni erano state lievi, facili da controllare, quelle volte dove la mia testa restava ancora abbastanza grande per contenerle, adesso no, era cambiato tutto. Papà mi chiese se avessi male da qualche parte, se mi fosse successo qualcosa, mi chiese persino se stavo mentendo, ma io piansi di più e gli chiesi di non arrabbiarsi, non volevo che mio padre si arrabbiasse con me, volevo solo che quel momento finisse, che il martello la smettesse di battere e la testa smettesse di pulsare.

La cena finì lì, mia madre si allontanò velocemente senza dire una parola, mio padre ci disse di andare nelle nostre camere e di restare buoni.

Non chiese scusa a Peter e Laney per non averli creduti.

Dopo esser rimasto seduto sul pavimento a pensare a quello che era successo, mi alzai e silenziosamente raggiunsi la stanza dei miei genitori.

Mia madre era seduta sul letto con il viso lucido, mio padre l’abbracciava. “Andremo da un dottore, Mary” lo sentii dire.

Nel momento in cui entrai mi fissarono entrambi e mio padre zittì.

“Cosa succede, Manuel? Non riesci a dormire?” mi chiese poi lui alzandosi e avvicinandosi a me. Io rimasi in silenzio per qualche momento, poi raggiunsi mia madre. “Adesso non mi volete più bene?” chiesi, con un filo di voce. Mia madre mi rivolse un caldo sorriso, mio padre mi accarezzò la testa. “Noi ti vorremo bene sempre, tesoro” disse infine lei, abbracciandomi.

La sentii piangere sulla mia spalla, poi anche papà mi abbracciò.

I giorni successivi passarono a chiedermi come mi sentivo, cosa provavo e soprattutto, a provare a spiegare cosa sentivo mi succedesse. Ad un certo punto iniziai a non rispondere più, qualsiasi risposta sembrava non soddisfarli mai e sentivo che la cosa li turbava, quindi non volevo parlarne neanche io.

Nonostante mio padre insisteva perché fossi sottoposto ad una visita da uno specialista psichiatra, mia madre non voleva. Li sentivo discutere ad alta voce con la porta chiusa, sentivo i miei fratelli origliare e poi papà uscire con il viso arrossato.

Solo una volta, di nascosto, mio padre mi portò da un dottore. Erano passate due settimane da quella sera e un pomeriggio mio padre tornò prima dal lavoro e dopo aver accompagnato Peter e Laney a lezione di tennis come ogni giorno, non tornammo subito a casa. Mi disse che saremmo andati da un amico e che non dovevo avere paura, non mi sarebbe successo niente di male. Io non ero spaventato, sentivo nell’animo di mio padre la tranquillità quasi come se lui fosse sicuro che tutto sarebbe andato secondo i suoi progetti. Lo studio dove mi portò si trovava a pochi isolati da casa nostra ed era lo studio di un neurologo. Non so quale fosse il suo nome, mio padre non me lo disse e io non sapevo leggere. Ricordo solo che era un uomo alto e snello, nessun particolare sul suo viso o cose di altro genere...ero tanto piccolo quando successe, ormai ho dimenticato. Ma se c’é una cosa che ricordo molto bene é la nostra discussione: il dottore chiese a mio padre che ci lasciasse da soli, lui insistette per rimanere ma il medico disse che era strettamente necessario che il colloquio restasse una cosa privata tra me e lui. Quando mio padre fu uscito, il dottore si sedette dietro la scrivania e iniziò a farmi domande normali, come mi chiamavo, quanti anni avevo, qual’era il mio giocattolo preferito...eppure, sebbene la sua voce fosse rilassata e i suoi occhi mi sorridessero, io sentivo ansia dentro di lui. Era come se, mentre stesse svolgendo il suo lavoro, pensasse completamente ad altro. Non so come, a cinque anni, riuscissi già a capire certe cose in modo così specifico, ma probabilmente la colpa é di questa mia capacità...leggere nell’animo delle persone in un certo senso ti astrae un po’ dall’infanzia.

D’un tratto iniziai a guardare curioso le cose sulla sua scrivania e persi completamente l’attenzione per sue domande. Dopo qualche minuto fermai i miei occhi su una fotografia proprio sotto il mio naso: c’era il dottore accanto ad una donna dai capelli rossi. “Che bella signora. Chi é?” chiesi, mentre lui si stava preparando ad un’altra banale domanda. Mi guardò, il suo sguardo non si indurì e nemmeno l’espressione dei suoi occhi. Quello che si indurì fu il suo animo. Un distacco, un qualcosa di ostile aleggiava dentro di lui. “Oh, quella é mia moglie” rispose poi, con un sorriso. “Oh, capisco. Ci avete litigato” sentenziai. La sua espressione mutò radicalmente: il sorriso scomparve, gli occhi divennero vuoti, il colorito spento. Rimase in silenzio a fissarmi per qualche secondo. Dentro di lui tentava di riprendersi. “Come hai detto, Manuel?” chiese dopo un attimo. “Ci avete litigato. Si sente” risposi.

Il dottore abbassò lo sguardo sempre più confuso, restò così per più di qualche minuto mentre io restavo in silenzio sulla mia sedia a fissarlo. Dentro di lui la confusione mano mano andò sfumando in qualcosa che divenne una sorta di ammirazione. Ancora oggi non capisco come quella confusione non si tramutò in orrore.

Dopo quei minuti si alzò con il viso rilassato e un sorriso nuovo, stavolta sincero. Dentro di lui l’ammirazione era diventata totale anche se la sua sagoma restava un punto interrogativo. “Sei un bambino speciale” disse soltanto.

Poi mi riaccompagnò fuori da mio padre che aspettava trepidante. Mi lasciarono sedere sulla poltroncina fuori dallo studio e si allontanarono di qualche metro per parlare, e quando il loro colloquio finì mio padre aveva cambiato completamente stato d’animo. Mentre prima era quasi tranquillo e speranzoso, adesso era adirato e scontento. Per tutto il tragitto in macchina non mi rivolse neanche un’occhiata e quando mi chiese di cosa avessimo parlato, con voce rotta da un sentimento d’ira, io non ebbi il coraggio di dirgli la verità. Avevo paura che si sarebbe arrabbiato o che di simile, così gli raccontai solo delle semplici domande sulla mia vita. Per tutto il resto del tempo rimase in silenzio.

Una volta a casa trovammo mia madre, rossa in viso e con gli occhi fuori dalle orbite. Appena vide mio padre iniziò ad urlare, era rincasata prima dal lavoro e si era spaventata a morte non trovandoci in casa. Dov’eravamo stati? Dove mi aveva portato? Mio padre le intimò di non urlare davanti a me, ma lei non smise, lui cercò di dirle qualche bugia ma la mamma non ci cascò: fu costretto a dire la verità, la mamma riprese a sbraitare contro di lui, io finii per piangere.

Quella fu l’ultima volta che li sentii urlare così tanto.

Non so perché mia madre capì sin dal primo momento che quello che mi succedeva non era una malattia e mio padre no, ma da quella volta mia madre non permise più a mio padre di portarmi da un medico.

Non parlai mai con nessuno di quello che successe davvero con quel dottore e non seppi mai cosa lui avesse detto a mio padre per farlo arrabbiare così tanto, nonostante glie l’avessi chiesto ripetutamente anche negli anni successivi. Ma mio padre si chiuse nei miei confronti e non so se abbia del tutto accettato l’idea che io non sia malato. Iniziò a passare pochissimo tempo con me, ciò che sapevo fare lo rendeva nervoso nonostante abbia cercato con tutto se stesso di non farmelo pesare. Ma io so che non voleva che qualcuno potesse capire i suoi sentimenti...ma come poter dargli torto? Non é bello sapere che davanti ad una persona come me sei completamente messo a nudo, non hai più privacy né emozioni nascoste da condividere solo con te stesso. Ancora adesso mio padre ha difficoltà ad avere un rapporto con me, e di questo soffro molto.

Ad ogni modo, con il passare del tempo tutti iniziarono ad abituarsi a questa mia cosa, e fu la mamma quella che si abituò di più: non si arrabbiava quando le dicevo come si sentiva, quando piangevo perché Laney o Peter erano di cattivo umore o subito prima di un temporale. Mia madre é stata la persona che in assoluto mi é stata più vicina, soprattutto nel periodo più brutto della mia vita, quando ho iniziato ad andare a scuola. Stando a casa fino a quel momento non ero mai venuto a contatto con le emozioni di molte persone insieme, e trovarmi d’improvviso in una classe con tanti bambini fu tragico per me. La testa mi si riempiva di voci confuse, le tempie mi pulsavano, non riuscivo a tenere gli occhi aperti e non facevo altro che piangere, così mia madre era costretta a venirmi a riprendere ogni giorno. Una volta a casa continuavo a piangere fin quando quelle voci non erano sparite del tutto, mentre mia madre mi accarezzava i capelli e mi abbracciava tentando di farmi sentire meglio. In realtà non c’era niente di concreto che lei potesse fare, dovevo imparare da solo a tenere sotto controllo le emozioni, cosa che ancora non sapevo fare, ma il saperla vicina mi calmava l’animo. Non fu facile riuscire a convivere con tutte quelle difficoltà, ma non so neanche perché, lentamente ci riuscii: credo che infondo fosse scritto nel mio destino che un giorno sarei riuscito a non piangere davanti alla massa di pensieri che mi affollavano il cervello, dopotutto sono nato in questo modo e tutto dentro di me é predisposto perché io possa farlo, quindi non vedo il motivo per il quale non avrei dovuto abituarmi. Ma mentre crescevo e mi abituavo, mi chiudevo sempre di più: non poter parlare alle persone di questa mia cosa mi rendeva nervoso, triste, lunatico, avrei tanto voluto dir loro tutto per smettere di fingere; ma nello stesso tempo ero contento di mentir loro su qualcosa che probabilmente non avrebbero mai concepito. Eppure una parte di me si sente in diritto di far parte della vita degli altri: sento certe cose, delle persone, che sarebbe impossibile comunicare a voce. Sono cose, forse, che le persone nascondono persino a loro stesse. Quando parlo con qualcuno é come se naturalmente si attivasse un meccanismo dentro di me che mi permettesse di leggere informazioni nascoste nell’anima, come se avessi una sorta di radar nel cervello. Con il passare del tempo ho iniziato a capire che gli altri riescono, anche se solo per un attimo, a percepire questa cosa. E’ questo il motivo per il quale a scuola mi hanno chiamato genio. Quando parlo a qualche professore o quando semplicemente rispondo ad una loro domanda é come se automaticamente, in un preciso attimo, catturassi l’attenzione di quell’animo. E loro sono entusiasti di me, anche se alla fine non ho detto niente di speciale. Ma questo non capita solo con i professori, capita con la mia famiglia ed é capitato anche con Candace e Joseph, quando li ho conosciuti. E’ come se si trattasse di una scintilla, una sorta di attrazione, e quello é l’unico momento in cui una persona potrebbe riuscire a rendersi conto di cosa riesco a fare. Ma le persone non riescono quasi mai a coglierlo, quell’attimo. Tutte rimangono un po’ scosse, un po’ sotto tono - come se avvolte dal mistero - , ma nessuno ha mai vissuto quel momento così infondo per capire. Seppure sia nella mia natura essere così, ho sempre concepito tutto in maniera negativa: avevo paura che gli altri potessero chiedersi se evidentemente io fossi strano, e inoltre mi sentivo tremendamente in colpa. Non é giusto sentire le emozioni degli altri, non é umano.  É per questo che ancora adesso tento di tenermi a distanza da tutti, di parlare poco, di non farmi mai notare: non voglio instaurare rapporti che so di non poter mantenere, non voglio poter riuscire a leggere troppe cose nell’animo delle persone...perché si, dipende anche da questo. Più conosco una persona e più riesco a interpretare quello che sento. Ad esempio, conosco ogni parte dell’animo di Laney e Peter, di mia madre, un po’ meno di mio padre...e ovviamente molto di Candace e Joseph. Lo so, sono ingiusto con loro: mi hanno accettato, voluto bene, sono pazienti con me quando preferisco restare solo, eppure non ho avuto il coraggio di dir loro niente...non so come potrebbero reagire, io non voglio perdere i miei due unici amici, rovinare l’amicizia raccontando tutto di me. Tu sei la prima alla quale racconto tutto questo, Viola-

Gli occhi di Manuel finalmente si alzarono, sfiorarono quelli di lei in uno sguardo imbarazzato eppure tranquillo. Bastò uno sguardo di Viola a fargli intendere che avrebbe voluto sentire ancora qualcosa.

-         Negli anni della mia infanzia ha giocato un ruolo molto importante la stanza al pianterreno, quella che ti ho detto essere la mia stanza segreta. Andavo lì quando piangevo perché non riuscivo a tenere sotto controllo tutto quello che sentivo, andavo lì quando cercavo di isolarmi dalle persone e dai loro pensieri in continua successione, quando volevo provare a capire che sensazione si provasse ad ascoltare solamente quello che si prova all’interno della propria anima...andavo lì anche quando ho iniziato ad avvertire le vibrazioni della natura, quando ho iniziato a percepire quando avrebbe piovuto o nevicato, o cose del genere. É una cosa che é nata quasi in contemporanea alla percezione delle emozioni, ed é esattamente come sentire un’emozione: sentire una fitta attraversarti lo stomaco e poi il cuore, la testa girare e poi di nuovo il cuore, che ti fa sentire quasi in bocca il sapore della pioggia se pioverà, della neve se nevicherà...e la perdita di qualsiasi facoltà fisica se si tratta di un fulmine. Sentire vibrazioni di questo tipo é come rendersi conto che anche la natura ha un’anima che aleggia tutta intorno a noi e manifesta le sue emozioni continuamente. Ho capito di averti spaventato quando mi sono fermato d’improvviso in mezzo alla strada, quel giorno...speravo non mi capitasse mai in un luogo pubblico, soprattutto davanti a te...eppure é successo, ed é stata una cosa talmente forte che non sono riuscito a trattenermi dall’esternarla. Come vedi, sto ancora imparando a controllare quello che sento...certo, adesso non piango più ogni volta che mi trovo in pubblico, ma di tanto in tanto, quando accade qualcosa di davvero forte, devo fare un enorme sforzo per non piangere o sentirmi male. Chissà, forse un giorno tutto questo mi sarà indifferente...vivrò sentendo le emozioni del mondo essendo insensibile a mia volta. Lo penso a volte, sai? Quando sarò adulto e poi vecchio...quante cose avrò imparato?-

Fece un’altra breve pausa, un sorriso, alzò lo sguardo con la tranquillità stampata sul volto.

-         E poi...c’é un’altra cosa che devo dirti-

Viola sentì una scossa salirle lungo la schiena.

-         Cosa?- chiese, con voce soffocata.

Manuel sospirò, il velo di una nuova ombra gli cadde sugli occhi.

-         Si tratta...dei tuoi sogni-

-         Sogni?-

-         Già -

Esitò per un attimo, socchiuse gli occhi.

-         So che mi hai sognato molte volte...cioè,in realtà...più che sognarmi, sono stato io a venire nei tuoi sogni-

Il vento scompigliò i capelli di Viola in modo da coprirle gli occhi, ma lei rimase impassibile. Tentava di parlare ma non ci riusciva, fu assalita da un improvviso senso di vergogna e un’espressione sconcertata, per un momento si sentì invasa dall’interno, - per un semplice attimo, l’attimo relativo a quello che lui aveva detto, si era sentita spaesata.

Manuel abbassò gli occhi con un sospiro.

-         Sapevo che non avrei dovuto dirtelo, - sussurrò, - ma voglio essere sincero davvero con te, Viola, non voglio nasconderti niente e questa é una cosa che neanche la mia famiglia sa. So che adesso ti senti preoccupata, un po’ inquieta...ma non lo farò più, davvero, non ho intenzione di entrare ancora nel tuo inconscio- si affrettò a concludere, con uno sguardo dolce e supplichevole allo stesso tempo.

Viola ancora non riusciva a parlare, eppure quel sentimento che per un secondo le aveva attraversato il cuore era passato. Era stato l’attimo, era stata la sorpresa, non avrebbe mai voluto avere quel momento di diffidenza nei suoi confronti, non era questo che provava per lui.

-         So che é una cosa orribile- continuò Manuel, - so che non ho avuto nessun diritto di farlo... ma é solo in parte colpa mia, é il rapporto che ho con te che mi mantiene in continuo contatto con le tue emozioni e con quello che pensi, quindi anche con quello che sogni. So di averti spaventata, ma ti prego, non guardarmi con quel viso, mi sento male. Non lo farò più-

Sfiorò le dita di Viola con le sue, lei guardò le loro mani, poi sospirò con un sorrisino.

-         Scusami, era solo...solo il momento. Non m’importa che...sei venuto nei miei sogni, davvero...solo che questo davvero mi ha spiazzato, non lo credevo possibile...ma non fartene nessuna colpa, Manuel. Davvero. Scusami per quell’emozione, non volevo ferirti-

Manuel fissò i suoi occhi, sentì che quello che diceva era vero e il cuore gli si riempì di gioia.

-         Tu non dovresti chiedermi scusa. É normale rimanere turbati da una cosa del genere...dovrei essere io a chiedere in ginocchio il tuo perdono, Viola. Ma é stata una cosa quasi...inevitabile-

-         Raccontami, - lo interruppe Viola, - raccontami come é successo-

Manuel abbassò lo sguardo sulle loro mani ancora unite, un lieve sorriso gli colorò il viso.

-         In realtà, la prima volta che mi hai sognato la persona che hai visto era completamente frutto della tua immaginazione. Dopotutto, non hai fatto altro che sognare una scena della tua vita già vissuta, il momento dell’incidente di Sally. Eppure, nel momento in cui il tuo inconscio mi ha ricordato, é stato come se le emozioni che ti provocava il mio ricordo mi avessero evocato. Così sono entrato per la prima volta nei tuoi sogni, come presenza astratta. Ho osservato per la prima volta chiaramente il sentimento che ti stava nascendo dentro e lo vedevo molto più vivido di quello che avevo sentito quando ci eravamo incontrati quella mattina. Sin dal nostro primo incontro ho capito che eri rimasta colpita da qualcosa, sin da quel giorno quando ci siamo guardati e poi io sono sparito...- sorrise, Viola si sorprese che lui ricordasse e condividesse quel momento, - sin da lì io ho capito che cercavi qualcosa in me, sebbene non sapessi cosa. Come ho già detto, io non leggo nel pensiero, e quello che sento non é mai certo...i sentimenti cambiano e le emozioni sono qualcosa di molto precario. Ad ogni modo, dopo quel primo sogno ho iniziato a pensare a te molto più di quanto avrei dovuto. Una parte di me si chiedeva qual’era il vero motivo per il quale tu stessi tentando di avvicinarmi, un’altra parte stava ammirando il tuo modo di essere e di pensare. Questa mia condizione finisce col condizionarmi completamente, qualsiasi cosa faccia, ed é per questo che ti chiesi cos’é che facevi di particolare...capivo che dentro di te c’era qualcosa di diverso dagli altri, eppure non potevo leggertelo nel pensiero. Così tutto é diventato chiaro quando mi hai detto che suonavi il pianoforte. In quel momento, con te, ci fu la scintilla, l’attimo, quello in cui il tuo animo fu attratto dal mio. Era questo che ti legava in modo profondo alla tua anima, era il tuo modo di essere in relazione alla tua musica che mi piaceva assaporare di te...ed é stato per questo che decisi di regalarti quel libro di Bach. Avrei tanto voluto chiederti di suonare subito, così avrei visto diventare atto tutto quello che sentivo solo come effluvi passivi, ma non ne ebbi il coraggio. Così quella sera fui io a farmi sognare...sono stato davvero io a chiederti di suonare, fino al Minuetto, quella notte-

Il ricordo di quel sogno fece arrossire Viola, Manuel le strinse per un attimo la mano.

- Ed é stato così bello che il giorno dopo non vedevo l’ora di vederti e di chiederti di suonare per davvero, anche se tu, inconsapevolmente, l’avevi già fatto. Quando hai suonato per me nella sala musica é stato come rivivere in maniera più vera e amplificata quello che avevo sentito quella notte nei tuoi sogni. E non é mai stato così bello ascoltare un’emozione come l’amore che suonare ti scatena dentro-

Quelle considerazioni, tutte vere, lasciavano Viola senza fiato.

- E poi, si...anche le successive due volte che mi hai sognato sono stato io, - continuò, - quando hai sognato i tuoi amici che ti voltavano le spalle eri così impaurita che non ce l’ho fatta a rimanere una presenza invisibile, volevo abbracciarti e dirti che era solo una paura, che non sarebbe successo niente di male. Come vedi, le emozioni delle persone alla fine finiscono col prendermi del tutto: ero consapevole che quello che stavi vivendo non era reale ma solo una paura riflessa dal tuo inconscio, ma vederti piangere é la cosa peggiore che mi sia mai capitata, - si fermò, la voce aveva sfumato sull’ultima frase, - e avevo bisogno di vederti tranquilla. Così fu anche l’ultima volta, tempo dopo, ormai dopo la storia del fulmine. Ero in collera con me stesso per averti messo in pericolo, per non poterti dire la verità e anche per averti trattato così freddamente quando non te lo meritavi e non era quello che volevo. Sebbene a distanza, sentivo il tuo dolore, quasi sentivo le tue lacrime sulle mie guance e mi mancavi. Mi mancavi tanto. Così ho avuto un momento di debolezza...volevo un momento per stare con te, un momento che non avrebbe condizionato il futuro, un momento che forse avresti dimenticato. Non so se...ricordi...ti dissi...-

-         ...un sogno non può farti male, vero?-

Viola interruppe il suo discorso, le parole da dire stavolta non avevano avuto timore di uscire spedite, sicure di non sbagliare.

Il volto di Manuel si illuminò, gli occhi divennero lucidi.

-         ...forse quel sogno non fece male a te...ma fece male a me. Iniziai a pensarti ancora di più, a non voler più nascondermi dietro la freddezza, mai come quella volta desiderai essere normale, non aver niente da nasconderti...desiderai poterti rendere felice come avrebbe potuto farlo qualsiasi altro...-

-         Ma solo tu puoi rendermi felice, Manuel. Non un altro-

I loro occhi si incrociarono, Manuel strinse di più la mano di lei.

- Viola...-

- Si?-

- Ti andrebbe di vedere quella stanza al pianterreno?-

 

 

 

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Capitolo 9
*** 8. ***


fiori9

Lui le aveva detto che a quell’ora la casa era vuota, Laney frequentava dei corsi pomeridiani, Peter era fuori città per i suoi studi e i suoi genitori erano a lavoro.

Una volta sulla soglia di quella casa quasi non riusciva a credere di essere lì, nella famosa Casa della Settima Strada, chissà cosa avrebbero detto Daniel e Luce se l’avessero saputo...!

Davanti a se ora vedeva un enorme atrio, il pavimento era grigio e lucido, le pareti ricoperte di velluto e sulla destra un salotto, con un tavolo in vetro ed un divano in pelle grigio, proprio davanti ad un’enorme vetrata coperta da una tenda bianca. Sulla sinistra un altro piccolo ambiente, una pianta rigogliosa e verde accanto ad una lampada nera e un altro paio di poltrone in pelle grigia. Anche qui, alle spalle delle poltrone c’era una grande vetrata coperta dalla tenda.

Il tutto appariva misterioso e inquietante, eppure nobile e principesco.

La Casa sulla Settima Strada si era rivelata quello che tutti, compresa lei, credevano fosse: la casa di un principe.

A qualche metro dalla porta d’ingresso c’erano delle enormi scale a chiocciola di legno scuro e c’era un corridoio che si apriva dietro quelle scale. Manuel chiuse la porta e prendendola per mano la condusse verso quel corridoio, che, proprio come i corridoi nascosti dei castelli, aveva porte a destra e a sinistra, tutte chiuse. Si fermarono davanti all’ultima porta sulla sinistra, lui l’aprì, entrarono.

L’ambiente era confortevole, una grande finestra lasciava entrare la luce illuminando un piccolo divano al centro della stanza, unico accessorio che la riempiva. Quello che colpiva erano le pareti. Erano piene di fogli e su ognuno c’era scritto qualcosa. Ogni scritta aveva un colore diverso.

-         Queste sono le emozioni del mondo- annunciò lui in un sussurro, invitandola ad entrare ed osservare.

Viola lo guardò negli occhi, lui abbassò lo sguardo e si sedette sul divanetto con le mani sulle ginocchia, immobile come una statua.

-         Le hai scritte tutte tu?- domandò con un filo di voce, indicando tutti quei fogli.

-         Si- rispose lui, alzandosi e seguendo lo sguardo spaesato e meravigliato di Viola.

Poi soffocò una risatina.

Viola si voltò verso di lui distogliendo lo sguardo da quella meraviglia attaccata al muro.

-         Perché ridi?-

-         Sei ammirata- rispose lui, e non era una domanda. Viola alzò le spalle, abbozzò un sorrisetto.

-         Cosa sono precisamente?- chiese avvicinandosi di più alla parete.

Manuel esitò per qualche attimo.

-         Forse poesie. O simili. Sai, ci sono volte in cui non riesco a tenermi tutto dentro, ho bisogno di scaricare quello che sento...é difficile controllare tutto quello che mi succede nel corso di una giornata, a volte temo di non farcela. Ma dopo aver scritto mi sento molto meglio. E’ come se da dentro la mia testa venissero fuori tutte le cose che ho sentito e sono tutte lì, in queste...poesie. Anche se a me piace chiamarle con il loro nome. Emozioni - 

-         Quante ne scrivi al giorno?- chiese poi, distogliendo lo sguardo dalle pareti e avvicinandosi a lui.

-         Dipende. In alcune giornate basta una sola riga-

Viola osservò il suo sguardo, gli occhi di ghiaccio immobili, i lineamenti rilassati e tranquilli.

-         Potresti mostrarmi...come ascolti un’emozione?- chiese con un filo di voce.

Manuel staccò gli occhi dal vuoto e li posò su di lei. Restò a guardarla per qualche secondo con un’espressione illeggibile, poi abbozzò un sorriso.

-         Siediti qui- la esortò, indicandole la sponda del divano dove anche lui si stava accomodando. Viola si sedette lentamente, curiosa di sapere come avrebbe risposto. Lui sorrise di nuovo divertito dalla curiosità di lei e curioso egli stesso della reazione che avrebbe suscitato.

-         Adesso, dammi la tua mano-

Viola gli tese leggermente la mano destra, lui la chiuse tra le sue gentilmente, le dita bianche tastavano la pelle di lei, su e giù per la mano, i suoi occhi seguivano i propri movimenti, l’espressione era di nuovo illeggibile. Viola perdeva fiato e ogni respiro era più corto ogni volta che le sue dita calde salivano e scendevano accarezzandole il dorso della mano.

Lui, lui era un angelo.

Manuel socchiuse gli occhi, la mano iniziò a tremargli.

-         Sei...emozionata....e curiosa...ti senti protetta e salva in questo momento...libera dalle avversità...come...come una...melodia lineare...una sequenza di...note...ordinate...come se avessero trovato un assetto dopo aver vagato a lungo...-

Alzò gli occhi verso di lei, lesse nel suo sguardo che non stava sbagliando. Ma su questo lui non poteva sbagliare. Viola era così sorpresa da non riuscire a parlare né a muovere nessun altro muscolo del viso, lui rise rompendo quell’atmosfera.

Lentamente liberò la sua mano dalle sue.

-         E’ incredibile- sentenziò poi, in un sussurro appena udibile.

-         Non te l’aspettavi, eh?-

-         Io...in realtà...-

-         Posso capire-

Distolse lo sguardo da lei, fissò il vuoto sotto i suoi piedi per qualche istante, sospirò.

-         Non ho mai visto una cosa del genere in tutta la mia vita, é fantastico- continuò Viola, scuotendo la testa come se cercasse di capire se era un sogno o stesse succedendo davvero.

-         Non é così bello come sembra - sussurrò lui, socchiudendo gli occhi.

Dopo un secondo alzò di nuovo lo sguardo da lei, che sembrava aspettare di nuovo le sue parole.

- Viola, io so che nessuno si sentirebbe a suo agio con me sapendo quello che posso fare e inoltre non é neanche giusto. Non ho nessun diritto di entrare nella testa degli altri, di sapere quello che sentono, eppure mi succede, eppure non posso farci niente. Sai, a volte...a volte credo che il mio destino sia quello di restare solo per sempre. Non esiste nessuno di così coraggioso capace di amarmi davvero sapendo chi sono -

Viola osservò il suo viso contratto dalla sofferenza che gli aveva provocato rivelare quelle cose, i suoi occhi sembravano accecati da una barriera invisibile, la bocca serrata.

-         Non devi pensare questo di te. Non sei un essere negativo-

-         Viola, nessuno con me potrà mai sentirsi libero-

-         Eppure io sono qui-

Manuel ammutolì, i suoi occhi incrociarono quelli di lei. Nel giro di qualche secondo la sua espressione si addolcì, sorrise abbassando gli occhi.

-         Sei la prima persona alla quale dico tutto questo, la prima che vede questa stanza, che vede questi fogli, la prima che non mi considera...diverso...-

Stavolta fu Viola a ridere.

-         E tu sei la prima persona che sa quello che sto provando risparmiandomi la fatica di parlare. Siamo pari, no?-

Si alzò dal divano, sorrise allargando le braccia. Lui sorrise a sua volta, si alzò mentre dentro gli scoppiava la guerra.

-         Io non voglio farti del male, Viola. In nessun modo-

-         Non mi fai del male, Manuel -

-         Ma potrebbe succedere. Potrei ferirti, in qualsiasi modo, con qualunque pensiero, con qualsiasi minimo movimento, e non voglio. Non voglio che per colpa mia tu debba...-

-         Non mi costringi a niente. Ti ho chiesto io di mostrarmi il tuo mondo e non ho paura delle conseguenze, non ho paura del fatto che tu possa guardare in me, sempre-

Manuel l’abbracciò, strinse le braccia intorno alla sua vita e poggiò il mento nell’incavo del suo collo mentre le emozioni e i sentimenti di lei si trasferivano sul suo corpo come se fossero le gocce che compongono un lunghissimo fiume. Non avrebbe mai dovuto permettere che una cosa del genere succedesse, non avrebbe dovuto permettere né a lei e né a se stesso di far nascere sentimenti così profondi, era andato contro tutte le regole che si era prefissato di rispettare. Che cosa ne sarebbe stato di lei, quando un bel giorno avrebbe capito la condizione nella quale si era messa? Gli avrebbe semplicemente spezzato il cuore? Una parte di lui voleva credere che questo non sarebbe mai successo, poteva sentirlo dal fiume che sentiva scorrere su di se.

-         Su Viola, adesso smettila di essere felice. Non so come si fa a ricordare la felicità -

 

                                                            ...

 

 

Il sole stava calando, ma ci sarebbero state almeno un altro paio d’ore di luce.

La Settima Strada era illuminata da quegli ultimi raggi e le ombre degli alberi e delle case si allungavano sull’asfalto.

-         Non devi accompagnarmi a casa, davvero- mormorò Viola mentre lui ormai le camminava già affianco.

-         Ma io voglio farlo – rispose con un sorriso, - e poi ho anche io qualcosa da chiederti-

Viola piegò la testa da un lato curiosa.

-         Cosa potresti mai chiedermi?-

Manuel abbassò la testa con una nota di imbarazzo, un leggero sorriso gli colorò il viso.

-         Beh, ti ho raccontato tutte quelle cose su di me ma adesso...perché non mi spieghi per bene come hai fatto a scoprire chi ero? Perché hai notato me tra tanta gente?-

Viola non era brava con le parole, o almeno, non brava quanto lui, e aveva paura di non riuscire a trovare quelle adatte. Come gli avrebbe raccontato della nota dissonante o di tutti quei ragionamenti sulla sua presunta perfezione?

-         Non imbarazzarti, - mormorò Manuel, - la mia é semplice curiosità-

Viola si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sospirò.

-         La prima volta che ti ho visto é stato quella mattina, quando ci siamo guardati. Non so precisamente cosa mi colpì da te, ma qualcosa mi costrinse a guardarti per più di un istante. Forse é questa tua aura un po’ strana che ti circonda, non lo so...ebbi l’impressione che tu fossi come la nota che rende un accordo dissonante. Un suono come tutti gli altri, eppure con una punta di diversità. Amai quel qualcosa perché era fuori dalla mischia, ma un momento dopo tu sparisti e io iniziai a pensare che presto avrei dimenticato tutto e che probabilmente non ti avrei mai più rivisto. Invece quella stessa mattina ti vidi nel corridoio del terzo piano, eri lì con quel pacchetto di fazzoletti...mi sono nascosta per non farmi vedere e per osservare quello che facevi, poi, dopo essermi sorpresa abbastanza, sono scesa al piano di sotto. Quando sono risalita ho incontrato Tracy piangente, e quando si é seduta sulla panchina e ha afferrato i fazzoletti ho fatto un collegamento immediato a te. Una parte di me iniziava a domandarsi se fosse stata una cosa programmata oppure una semplice coincidenza, eppure non era un gesto normale quello che avevi fatto. Fui tormentata da questo episodio fin quando non fui colpita ancora di più da quello successivo, la gamba di Sally. Quel giorno mi trovavo in palestra a causa dell’assenza della professoressa di matematica e tu sei stato la prima persona che ho notato uscire dagli spogliatoi. Ricordo che eri con Candace e Jospeh, e ricordo di essermi chiesta chi fossero. Quando poi Sally cadde, accorsi insieme a tutti gli altri per vedere quello che era successo, e quando hai parlato...forse sono stata l’unica che ha continuato a sentire la tua voce anche dopo quel momento. Come avrei voluto fermarti, chiederti perché avevi detto quella frase, come facevi a saperlo! Ma non avrei avuto giustificazioni, e poi, in un secondo, anche quella volta sparisti. Così rimasi con la tua frase in testa fin quando non mi accertai che fosse vera, quella stessa mattina, quando andai a trovare Sally in ospedale, - fece una pausa, Manuel teneva gli occhi bassi - , e così ebbi la certezza che tu eri qualcosa di strano e speciale. Non sapevo neanche il tuo nome ma avrei dato oro per conoscerti e per poter parlare con te...così, dopo averti visto entrare a inglese alla terza ora ho fatto alcune ricerche. Tracy disse a me e alla mia amica Mia che stava frequentando inglese, che era una materia noiosa e che nella loro classe c’era un genio. Ci disse che tu eri molto più che solo bravo, tu eri qualcosa di mai visto, un incanto vivente. Capii che ti chiamavi Manuel Green perché eri l’unico in classe a star seduto da solo, – abbozzò un sorrisetto, Manuel spostò gli occhi su di lei, - qualcosa mi diceva che preferivi la solitudine ad un qualsiasi compagno di banco. Decisi che avrei fatto qualsiasi cosa per entrare ad inglese alla terza ora e per sedermi a quel banco vuoto, accanto a te. Quel giorno stesso andai dal professor Joel e gli chiesi di poter prender parte a delle lezioni extra per poter entrare a far parte del suo corso su Shakespeare e lui mi concesse sei lezioni nella sua classe della terza ora. Il resto lo sai-

Gli occhi di Manuel la fissavano ma quelli di Viola rimanevano bassi, imbarazzati, ancora increduli dell’aver esternato tutto quello che era successo.

-         Dunque la tua amica é coinvolta -

Manuel le si avvicinò di più, sentì una strana tensione farsi strada dentro di lei.

-         Non ho detto niente, anche se Mia è preoccupata per me -

-         Come sarebbe a dire?-

La voce di lui si fece preoccupata.

-         Mi hanno vista star male, essere assente... -

Manuel abbassò gli occhi.

-         Ascolta Viola...io capisco il sentimento di amicizia che ti lega a lei, posso vederlo nei tuoi occhi e sentirlo sulla mia pelle quando  ne parli. Ma non puoi dirle niente-

-         Ma lei...-

-         No, Viola. Mi pesa chiederti una cosa del genere, ma non devi dir niente-

Viola alzò gli occhi al cielo per un attimo. Le stava chiedendo di mentire. Il problema della sua poca attitudine alle bugie sparì in un attimo quando capì che era una bugia inevitabile: era ovvio che non poteva dirle la verità, quello era un segreto che riguardava Manuel, non lei. Non aveva il diritto di spiattellarlo in faccia alle persone, non poteva, non doveva e non voleva farlo.

Essere sincera con lui adesso era la sua priorità.

-         Va bene. Non dirò niente-

Manuel alzò gli occhi su di lei e dal suo sguardo, che traboccava di sentimenti, colse la sua sincerità.

-         Ti ringrazio-

-         Non devi ringraziarmi. Questa cosa riguarda solo te e non lo dirò mai a nessuno a meno che non sia tu a chiedermelo-

-         Forse cambieranno un po’ di cose nella tua vita adesso...-

-         Non m’importa, non voglio più pensare a com’era prima, mi interessa solo adesso-

-         Toglimi una curiosità, Viola, ma non hai paura?-

Viola si fermò.

-         Paura? E di cosa?-

-         Di ciò che le tue emozioni potrebbero dirmi. Potrei sempre sapere tutto, più di qualsiasi cosa tu vorrai-

-         E allora?-

-         Questo non ti da fastidio?-

-         No-

-         Ne sei sicura?-

-         Se non ne fossi stata sicura non avrei continuato a cercarti-

Una folata di vento fece volare le poche foglie caduta da un albero ormai già completamente spoglio, Manuel le accarezzò il viso, Viola posò la guancia sulla sua mano. Il silenzio sfiorò quel momento tanto da imprimerlo nella mente di Viola come se fosse di vetro. Manuel abbozzò un sorriso, gli occhi erano lucidi e lucenti.

-         Sarà meglio che ci sbrighiamo, Viola. O arriverai davvero tardi a casa-

Manuel le prese la mano, Viola poggiò la testa sulla sua spalla e ripresero a camminare.

 

 

 

                                                       ...

 

Mia era seduta sul letto di Viola, giocherellava con i braccialetti del suo polso destro.

Era stato strano per Viola trovarla a casa appena tornata, quella sera, eppure da un lato forse era meglio affrontare il discorso subito. Adesso che aveva appena parlato con Manuel di tutta la vicenda si sentiva più forte seppure in totale dipendenza da lui: se un altro litigio avesse rotto quell’idillio non avrebbe saputo più cosa fare.

Le tazze di thé che Janine gentilmente aveva offerto giacevano sul comodino di Viola, Mia finalmente smise di guardare i braccialetti e alzò la testa.

-         Allora?- chiese infine.

Viola alzò lo sguardo, tentò la simulazione di un sorriso tranquillo. Nella sua testa aveva un discorso elaborato, abbastanza logico, ma che sarebbe dovuta riuscire a render vero.

-         Beh, in primis mi dispiace per non aver parlato prima, - iniziò, guardandole a tratti, - ma il litigio che c’era stato tra noi era stato davvero molto brutto e ci sono stata molto male-

-         Perché avevate litigato? Cos’é che hai saputo?- chiese a quel punto Mia.

Viola finse una risatina.

-         Saputo? Beh, in realtà...in realtà non é che ci fosse molto da scoprire, lui non é...-

-         Okay, okay, frena: per più di due giorni sei sparita, ti ritrovo rinchiusa in casa come in preda ad una crisi depressiva e solo questa mattina parevi coinvolta in un colpo di stato, e adesso? Tutto magicamente sparito?-

-         Avevamo avuto un brutto litigio, ve l’ho detto... e non ero in crisi depressiva, mi ero solo ammalata-

-         Tutto qui?-

-         Come sarebbe a dire?-

-         E le cose che ti hanno ossessionato fino ad oggi? Il pacchetto di fazzoletti, la gamba rotta...tutte sparite? Cos’é che fa, i miracoli, questo ragazzo?- esclamò, mentre le guance le si arrossavano.

Viola emise un sottile sospiro. Sapeva che sarebbero giunti a questo punto, ma non aveva intenzione di cedere neanche davanti all’evidenza.

-         Non era come pensavo-

-         E com’era, allora?- continuò Mia.

-         Tu neanche ci credevi!-

-         Credo a ciò che vedo! E tu non eri più la stessa, e sai meglio di me che non sai dire le bugie!-

-         Non ti fidi di me!-

-         Dovrei fidarmi?-

-         Ti ho mai detto una bugia?-

-         No, ma adesso...-

-         Ecco, lo sapevo! Non hai motivo per dubitare di quello che vi dico eppure lo stai facendo! Capita a tutti di sbagliarsi, no? Bene, io ho sbagliato, lo ammetto, sono stata paranoica, ossessiva, così come mi avevi detto tu, ma adesso so che ho sbagliato a pensare quelle cose e ho conosciuto un ragazzo fantastico che mi vuole bene davvero e tu, tu!...invece di sostenermi e dirmi che sei contenta per me cosa fai? Esattamente il contrario, cercando non so cosa per rovinare tutto!-

Stava urlando. Una parte di lei si meravigliò di come in pochissimi secondi aveva imparato a mentire così bene che quasi quello che diceva pareva essere vero anche a lei.

Mia la fissava con un cipiglio di preoccupazione.

-         Okay, forse é meglio calmarci- sentenziò poi dopo un attimo, alzandosi.

Viola respirava ancora affannosamente.

-         Era solo un brutto momento, te l’ho detto- sibilò Viola abbassando lo sguardo.

-         Già...ma adesso ascolta. Guardami negli occhi, Viola-

Viola alzò lo sguardo verso Mia.

-         Io sono disposta a crederti se giuri davvero che quello che hai appena detto é la verità. Non voglio litigare con te, Viola, siamo amiche da sempre e non ci siamo mai dette bugie...in definitiva é umano sbagliare, e non vedo il motivo per il quale dovresti mentirmi...che poi, infondo, sono sempre stata io la prima a dirti che eri paranoica...-

Viola ascoltava quelle parole con un viso ancora contrariato mentre dentro di se era felice come se avesse vinto una guerra.

-         Io non ti ho mai mentito e non lo farò mai. Questa é la verità- sentenziò poi, con la convinzione che traboccava da ogni sillaba.

-         Me lo giuri, Viola?- chiese quest’ultima.

-         Te lo giuro-

-         Tutto quello che hai visto era tutto falso?-

-         Si-

-         Davvero?-

-         Si. Ad ogni modo mi dispiace per essere stata scostante- riprese, per incentivare la sua sincerità, - ma per me Manuel é davvero importante. Non voglio che la mia migliore amica mi sia contro in qualcosa di così bello-

Mia sorrise.

-         Non voglio esserti avversa, Viola, sei mia amica –

Un altro abbraccio le avvolse, e quando le ragazze lasciarono la stanza e finalmente l’ambiente si riempì di vuoto e di silenzio, Viola poté capire e comprendere, almeno per quei pochissimi istanti, ciò che realmente aveva fatto.

Ma anche Mia ebbe qualche secondo di lucidità per comprendere ciò che aveva realmente fatto. Lanciò uno sguardo alla borsa che portava a tracolla e si sentì morire.

Aveva rubato il diario di Viola.

 

                                                                

 

 

Le lezioni di inglese di Viola alla terza ora erano ufficialmente finite, il professor Joel aveva letto con entusiasmo quello che aveva scritto nella sua relazione ed era contento di ammetterla al corso intensivo su Shakespeare. “Sei il mio vanto, Viola Lens”, aveva detto, “sono fiero di te. Quando il mese prossimo ricomincerò a tenere il corso, sarà un piacere averti nella mia classe”.

Viola aveva sorriso e l’aveva ancora ringraziato: dopotutto, se lui non avesse acconsentito, non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere Manuel.

Quindi era anche un po’ merito del professore.

Con un sorriso Joel l’aveva congedata dal suo ufficio e Viola, tranquilla che tutto fosse andato bene, uscì e raggiunse Manuel all’angolo del corridoio, lì dove l’aveva lasciato.

Forse era solo una sua impressione, ma era da quando quella giornata era cominciata che le sembrava che tutti li guardassero in modo strano, sin da quando aveva incontrato Manuel quella mattina e non si erano lasciati un attimo.

Ogni persona che passava lanciava loro uno sguardo furtivo, occhi e sorrisini che spuntavano da ogni parte mettevano Viola in soggezione. Ma cos’é che guardavano? In un primo momento non se n’era resa conto, pensava che ci fosse in lei qualcosa di strano, poi si accorse che non era lei che guardavano.

Era lui.

Manuel non si era mai fatto vedere così tanto in giro, i suoi compagni di classe non l’avevano mai visto sorridere.

Gli occhi erano tutti puntati su di lui, sguardi divertiti e attoniti li circondavano.

-         Mi sento al centro dell’attenzione – disse d’un tratto, mentre scendevano le scale alla fine della quinta ora.

Viola alzò le spalle, gli lanciò uno sguardo.

-         E non ti piace?- lo provocò.

Manuel storse il naso.

-         Sono tutti molto meravigliati. Si chiedono dove fossi stato fin’ora. E si chiedono chi sei tu-

-         Quindi sto diventando famosa-

Viola aveva un sorriso divertito stampato sul volto.

-         Non avrei mai pensato che farti vedere con me scaturisse questo effetto, io pensavo il contrario. Ed é l’unica cosa che mi consola-

-         Cioè?-

Manuel rise, abbassò la testa e i capelli gli caddero sugli occhi.

Stavano attraversando il lungo corridoio del primo piano, la luce del sole filtrava dai vetri delle finestre illuminando gli armadietti alla loro destra.

Manuel esitò per un attimo.

-         Il fatto é che...anche essendo non propriamente quello che si intende per “ragazzo normale”, chi mi frequenta può, almeno apparentemente, continuare a svolgere una vita normale. Tu, ad esempio: certo, sapere chi sono inevitabilmente ha cambiato qualcosa in te, ma questo é tutto. Non é come sapere che Clark Kent é Superman...lui era un supereroe e la sua vita era pericolosa, i nemici che si trovava a fronteggiare avrebbero potuto in qualunque modo far del male alle persone a lui care e mettere le loro vite in pericolo. Quante volte Clark Kent ha salvato Lois Lane dalle calamità? Forse troppe...sai, lui era un supereroe, e aveva un ruolo nella sua società. Se non ci fosse stato lui, tutto sarebbe andato a rotoli. Io non so cosa sono e non ho un ruolo della società, ma le persone che mi sono care non correranno mai pericoli del genere. Non ci saranno alieni provenienti da Kripton che vorranno ucciderli, non ci saranno strani mostri che cercheranno di rapirti per tenerti come ostaggio-

Viola non smise di guardarlo, lui abbassò gli occhi colpito dall’ammirazione per le sue parole.

Dopo un attimo Viola sorrise.

-         Stai cercando di dirmi che Lois Lane era molto meno fortunata di me?-

-         In un certo senso...-

-         Oh ma questo già lo sapevo-

-         Lo sapevi?-

-         Già. Tu sei migliore di Superman-

-         Ti ricordo che non so volare-

-         Potresti sempre imparare-

-         E se non imparassi mai?-

-         Saresti migliore comunque. Non credo che Clark Kent sapesse quello che provava Lois Lane quando volavano o anche quando semplicemente parlavano. Tu puoi saperlo-

-         E sei davvero sicura che questo mi renda migliore di lui?-

-         Si-

-         Non preferiresti un Clark Kent che ti prenda in braccio e ti faccia volare?-

-         No-

Manuel scoppiò a ridere, le lanciò uno sguardo mentre gli occhi luccicavano di gioia.

Arrivarono finalmente nell’atrio che si riempiva di persone, Viola lo guardò quasi volesse aggiungere qualcosa, quando una voce dietro di lei fu più veloce nel parlare.

-         Viola!-

Si fermò di scatto e Manuel con lei. L’espressione di lui era quella che abitualmente assumeva quando incontrava una persona nuova: automaticamente la stava conoscendo dentro, partendo da semplici dati come il timbro della voce o il tono con il quale aveva parlato.

-         Daniel!- esclamò Viola, incrociando lo sguardo dell’amico. Beh, sapeva che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, ma nella sua mente credeva di poterlo rimandare all’infinito. Accanto a Daniel, con un sorriso equivoco, c’era Luce, con le braccia incrociate sul petto. Entrambi passavano gli occhi da lei a Manuel incuriositi.

-         Sembri stare meglio dei giorni scorsi - disse subito Daniel, con il solito tono divertito. I suoi occhi passarono su Manuel, il quale aveva la solita espressione illeggibile.

-         Oh si! Janine dice che é il cambio di stagione che mi fa male-

Viola abbassò gli occhi, Luce lanciò un’occhiata curiosa a Manuel. Viola seguì il suo sguardo, anche lei gli lanciò un’altra occhiata.

-         Oh, ehm...lui é Manuel. Era nel mio corso di inglese. Manuel, loro sono Luce e Daniel -

Manuel abbozzò un sorrisetto, sembrava il solito timido ma Viola riuscì a leggere nel suo sguardo qualcosa in più. Stava imparando a conoscerlo, non c’é che dire.

-         Oh, Manuel! Tu devi essere Manuel Green! Piacere, io sono Luce!-

Il viso di Luce si illuminò, tese per prima la mano sotto lo sguardo divertito di Daniel e quello imbarazzato di Viola.

Manuel lanciò uno sguardo interrogativo a Viola, poi strinse la mano di Luce.

-         Piacere di conoscerti...- bisbigliò, con un sorriso timido.

-         E io sono Daniel, piacere! Oh ma tu di sicuro avrai sentito parlare di me! Tutta la scuola mi conosce, e...- partì in quarta Daniel, porgendo la sua mano allontanando Luce.

Viola lo fulminò con lo sguardo, Daniel alzò le spalle con un sorriso.

- ... e sono davvero contento di conoscerti!- concluse poi, stringendogli ancora la mano.

-         Ciao Daniel - rispose Manuel con lo stesso sorriso.

Luce rivolse un luminoso sorriso all’amica, Viola non poté fare a meno di arrossire.

-         State andando via, non é vero? Io e Daniel abbiamo un corso adesso, che peccato...beh, non ci dispiace lasciarvi da soli, vero Daniel?-

Luce diede una leggera gomitata all’amico continuando a sorridere.

-         Cosa?-

-         Daniel, ho detto che non ci dispiacerà lasciarli so...-

-         Oh certo! Ma certamente!-

Viola sentiva le sue guance diventare sempre più rosse, Manuel sembrava tranquillo e rilassato come se non si stesse in realtà rendendo conto della condizione in cui lei si trovava.

Con un altro sorriso Daniel e Luce si dileguarono, lasciando Viola nel più totale imbarazzo.

Fu necessario che si allontanassero di qualche metro perché Viola iniziasse ad andare in iperventilazione.

-         Oh, scusami! Scusami, loro sono...beh, Daniel e Luce sono...-

Manuel rise.

-         Ma dai, sono simpatici-

-         Scusali, davvero, sono un po’ esuberanti, ma sono sempre così,  cioè, loro...-

-         Non devi scusarti-

-         Sono imbarazzata, davvero, sono stati un po’ precipitosi, in realtà io avevo parlato loro di te, e sai come sono gli amici, beh...-

Manuel le prese il viso tra le mani, sorrise.

-         Tranquilla, Viola. Va tutto bene-

Avere i suoi occhi a pochissima distanza dai suoi le provocava una sensazione di difficile descrizione.

Manuel lentamente fece scorrere le sue mani sulle guance di lei, poi le lasciò il viso.

Viola abbassò gli occhi e poi li rialzò incontrò i suoi sorridendo.

-         Sai, c’é una cosa che volevo chiederti- disse poi lui, abbassando il volume della voce.

-         Cosa?-

-         Mi piacerebbe molto risentirti suonare-

Viola sorrise.

-         Ti piacerebbe davvero?-

-         Si-

-         Stavolta però sul mio pianoforte-

-         Il tuo?-

-         Già-

-         A casa tua?-

-         Non preoccuparti. A quest’ora non c’é nessuno...e il pianoforte é recluso nel seminterrato. Lì ci entro solo io-

-         Perché non qui a scuola?-

-         Se vuoi ascoltare la mia musica stai alle mie condizioni-

Viola sorrise sapendo di essere uscita vittoriosa, Manuel abbassò lo sguardo, ugualmente consapevole della sua sconfitta.

-         D’accordo allora-

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                           ...

 

 

Il seminterrato era illuminato da una luce perlata e il pianoforte oggi sembrava sorridere più degli altri giorni.

Nonostante Viola avesse invitato Manuel a sedersi, lui preferì restare in piedi, con la schiena poggiata al muro.

-         Come suono se mi sei alle spalle?-

-         Ti da fastidio?-

-         Non so. Potrebbe-

-         Io sto molto bene qui-

Viola gli lanciò uno sguardo e senza aggiungere altro aprì il libro di Bach che lui le aveva regalato e suonò la prima sonata, quella che già una volta aveva sognato di suonare davanti a lui. O meglio, quella che già in un sogno lui aveva ascoltato.

Nel momento in cui suonava e sapeva di suonare per amore suo, tutto il dolore e i rimasugli di sofferenza che si era portata dentro svanirono quasi come se le note fossero più forti del vento, lasciò che il cuore conducesse le sue mani attraverso la tastiera e suonò come se quella sonata fosse il più grande gesto d’amore mai compiuto.

Quando anche l’ultima nota sfumò, Viola chiuse gli occhi desiderando di poter almeno immaginare la sensazione che stava provando lui.

-         E’ semplicemente fantastico-

Viola tenne gli occhi ancora fermi sulla tastiera, emozionata lei stessa.

-         Suonare per te é fantastico-

-         Tu sei profondamente innamorata del tuo pianoforte, Viola-

Viola si voltò di scatto verso di lui.

Era distante, eppure quasi sentiva i suoi respiri farsi pesanti, e sebbene non riuscisse a vedere i suoi occhi era come se li vedesse farsi lucidi come la prima volta.

-         Ed é molto strano amare qualcosa come tu ami questa musica. L’amore é qualcosa di molto incompleto-

Viola gli lanciò uno sguardo più profondo, curiosa di leggere la sua espressione.

- Si, lo penso anch’io. Ma tu come fai a saperlo?- chiese d’un tratto, alzandosi dallo sgabello del piano e raggiungendolo mentre, ancora poggiato al muro, teneva le braccia incrociate.

Lui alzò le spalle.

-         Hai idea di quante persone sono innamorate in giro?- fu la sua risposta, soffusa.

-         Già, giusto. Che domanda stupida-

Manuel  d’un tratto rise, scrutò l’espressione enigmatica di lei.

-         E tu, come lo sai? Lo conosci?-

Viola alzò gli occhi verso di lui, rimase in silenzio per qualche secondo.

-         Mi prendi in giro?-

-         Perché?-

-         Tu dovresti saperlo -

Manuel sostenne un sorrisetto, sospirò.

-         Già, dovrei- bisbigliò, - ma non é detto che io voglia credere alle cose che sento-

Viola alzò le spalle.

-         Ti sei mai sbagliato?-

-         No-

-         E allora?-

-         C’é sempre una prima volta-

-         Secondo me non sbagli mai-

Manuel rise di nuovo, voltò lo sguardo per sfuggire alla sua espressione.

-         Ad ogni modo...non hai risposto alla mia domanda- disse con un filo di voce voltandosi di nuovo verso di lei.

-         Cos’é che vuoi sentirti dire?- sentenziò Viola in tutta risposta, sostenendo il suo sguardo.

-         Niente -

-         Mi stai chiedendo di dirti una cosa già sai da un po’, Manuel -

-         Non so un bel niente-

-         Menti. Una parte di te non vorrebbe parlare così, lo sento. Sei tremendamente conteso-

-         Io vorrei cercare di proteggerti. E di proteggermi-

-         Oh, certo, e da cosa? Dalla felicità?-

-         Esattamente il contrario. Dalla sofferenza-

-         Non capisco in che modo potremmo soffrire-

-         Hai idea dello stato di totale incoscienza e insanità mentale nel quale cadrei l’ipotetico giorno in cui mi lascerai?-

-         Questo non accadrà mai-

-         Lo dici adesso. Ma quando capirai che é umanamente impossibile sopportare di sapere che io conoscerò ogni angolo della tua anima non vorrai vedermi mai più-

-         Non é vero, non potrei mai desiderare questo-

-         Io ho paura di farti del male, Viola-

I loro occhi si incrociarono per un attimo.

Erano ad un palmo l’uno dall’altra, Viola si specchiava nei suoi occhi pieni di qualcosa che somigliava al timore. Ma che senso aveva la paura, adesso? Non gli aveva forse detto che in quella storia, ormai, c’erano insieme?

-         Ma io ti amo – sibilò, gli occhi alti, la voce esitante, - e non potrà mai esistere qualcosa in te che sia più grande di quello che sento-

Gli occhi di lui tremavano come infiammati.

- Ti sbagli. Dici di amarmi perché non riesci a vedere quanto io ti ami di più- 

Le mani di lei sfiorarono le sue guance, poggiò le labbra sulle sue.

Era da tanto che voleva baciarlo.

Le emozioni erano come un treno ad alta velocità, vento, fumo, suoni troppo distanti, alcuni troppo vicini, paesaggi che confondevano i loro colori come se si specchiassero nell’acqua.

Manuel le accarezzò delicatamente le spalle e i fianchi muovendo le mani come sentiva muovere le emozioni e i sentimenti dentro la sua testa, cogliendo la dolcezza nella velocità, la morbidezza nella devastazione e amando ogni singola scossa proveniente da lei come se appartenesse a se stesso. Quando le mani le sfiorarono il viso, il bacio terminò lasciando lei nella più totale estasi e lui nella felicità più strana e confusionaria. Le mani le stringevano il viso caldo, sfiorando i capelli morbidi. Era come vivere all’interno di un sogno, all’interno di qualcosa che é troppo bello per essere vero, qualcosa destinato a spezzarsi e a non ricomporsi mai più se non nell’istante nel quale il ricordo continua ad affiorare alla mente.

Era da tanto che voleva baciarla.

Ma come avere il coraggio di lasciarsi andare completamente? Come smettere di avere paura?

-         Non avrei il diritto di sentire tutte le nobili emozioni che ti nascono dal cuore in questo momento -

La voce gli tremava, gli occhi bassi temevano di incontrare quelli di lei.

-         Se non potessi sentirle, te le direi ugualmente-

-         Ma non sarebbe la stessa cosa. E dire che non mi sento come te sarebbe una bugia,- le sfiorò le mani, - le tue emozioni si fondono con ogni atomo del mio corpo e sono sovrapponibili ai miei sentimenti come le nostre mani adesso, ma questo non mi da ugualmente il diritto di...-

-         Tu ti prenderai cura delle mie emozioni. Questa é una mia certezza-

-         Ti fidi così tanto di me?-

-         Si-

Manuel sorrise, un sorriso malinconico e felice, le accarezzò i capelli, le mani gli tremavano e la paura che quel momento potesse finire lo divorava.

-         Viola, io...-

-         Okay, basta con questa sottospecie di sensi di colpa, va bene?- Viola rise, alzò le spalle, - per una volta si fa a modo mio-

-         A modo tuo?-

-         Si-

-         E sarebbe?-

-         Tu non ti preoccupi più di queste cose e viviamo normalmente-

-         Capisci che quello che mi chiedi é contro natura?-

Manuel le puntò il dito contro mentre con l’altra mano ancora stringeva la sua; Viola arricciò il naso.

-         Non é vero. E poi é tardi per i moralismi, non credi? Non avresti dovuto parlare con me e passare insieme tutto quel tempo, e...-

-         A onor del vero sei stata tu a seguirmi e a fare indagini su di me-

-         Questa é un’altra cosa-

Manuel rise, Viola arrossì.

-         Vuoi farmene una colpa? Insomma, é vero, forse ho iniziato io, ma tu mi hai assecondato da subito...-

-         Già, questo lo riconosco- Manuel abbassò per un attimo lo sguardo, - ma é stato più forte di me, non volevo farlo. Se tu non mi avessi trattato come se fossi normale, se non mi avessi parlato di te e...-

-         Non ti ho parlato di me, sei stato tu a chiedermi di suonare!-

-         L’avevo visto nei tuoi sogni, non potevo non chiedertelo!-

-         Già, ma non ti ho invitato io nei miei sogni-

-         Mi sognavi comunque-

-         Ma non l’avresti saputo se non fossi entrato nel mio inconscio!-

-         Non sarei entrato nel tuo inconscio se tu non avessi fatto di tutto per conoscermi!-

-         Non avrei fatto di tutto per conoscerti se non avessi visto quello che sai fare!-

-         Sono stato poco attento...-

-         Okay, quindi é colpa tua-

Viola alzò le spalle con un sorriso e Manuel scoppiò a ridere, i suoi occhi si nascosero, Viola se ne accorse.

-         Cos’é che stai pensando?-

Iniziò di nuovo lei dopo qualche momento.

Manuel alzò lo sguardo, gli occhi gli brillavano.

- Cara la mia Viola, - sussurrò poi, abbassando lo sguardo senza smettere di stringerle le mani, - sto imparando a conoscere il labile limite tra amore e pazzia-

Viola incrociò i suoi occhi.

-         Stai dicendo che stai per impazzire? Non mi ami quindi? Lo ammetti? Sei un folle? O mi ami o sei folle. Non c’é un’alternativa, questo dovresti capirlo. Perché mi tieni le mani e mi baci? O mi ami, o sei fuori. Si può impazzire per una persona? –

-         Si-

-         D’accordo. Allora impazzisci per me. Così staremo insieme anche se non mi ami-

-         Non ho detto che non ti amo-

-         Hai detto che forse stai impazzendo-

-         Una cosa del genere-

-         Spiegami allora-

-         E’ come sentire il folle desiderio di…-

-         Oh no, - Viola lo interruppe, - un desiderio non può essere folle. Il folle non desidera, si crogiola nel vuoto credendo di avere ciò su cui fantastica-

-         Allora sono un folle innamorato-

-         Giuralo che mi ami-

Manuel alzò il viso verso quello di lei e fu colpito al cuore come se al posto di quegli occhi ci fosse stato un dardo. Giurarlo? Solo?

Lui l’avrebbe gridato al mondo che l’amava.

Si sentiva contemporaneamente felice e stupido. Lui, coinvolto in ogni minima sensazione delle persone, credeva davvero di riuscire a far tacere anche tutto quello che aveva dentro? Avrebbe dovuto capirlo – lui -  avrebbe dovuto capirlo che non ci sarebbe mai riuscito, avrebbe dovuto intuire che un giorno avrebbe incontrato una persona che avrebbe amato con tutto se stesso, dal più superficiale tratto alla più profonda emozione.

E per la prima volta nella sua vita, riusciva a capire quelle emozioni non solo perché le sentiva.

Ma perché anche lui le provava.

-         Io ti amo-

-         Credi che potrei abbracciarti?-

-         Devi-

Viola gli lanciò le braccia al collo senza lasciarselo ripetere due volte, Manuel chiuse gli occhi affondando la testa tra i suoi capelli.

Dopo un attimo scoppiò a ridere.

Viola si districò curiosa.

-         Che c’é da ridere, adesso?-

-         Niente, niente...-

-         Oh, avanti!-

-         Oscilli tra la felicità e la sovra eccitazione-

Viola alzò un sopracciglio.

-         Questo ti fa ridere?-

-         Non riesco a credere che qualcuno possa sentirsi così per me. Non l’avrei mai pensato-

Viola sorrise.

-         Complimenti, Manuel Green, hai appena scoperto di non essere onnisciente!-

Manuel rise di nuovo.

-         Già, ma guarda che...-

-         Okay, non preoccuparti, l’onniscienza non é tutto, e poi sai adesso che...-

Manuel le sfiorò le labbra impedendole di finire la frase, un fremito partì dal corpo di lei.

-         Grazie Viola. Mi stai regalando il mondo-

Viola socchiuse gli occhi e gli accarezzò il volto, gli occhi lucidi di qualcosa che forse era gioia, o forse commozione.

-         Tu lo stai regalando a me-

 

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Capitolo 10
*** 9. ***


fiori9

Luce accolse Viola sulla soglia di casa con un sorriso a trentadue denti. La giornata era particolarmente fredda, il cielo era coperto da un manto di nuvole grigie e il vento sferzava facendo danzare le chiome degli alberi al suo personale ritmo.

Luce aveva una lunga sciarpa rossa attorcigliata intorno al collo e una tazza bianca tra le mani, incrociò lo sguardo di Viola facendo brillare il suo viso chiaro con un altro sorriso.

-         Ti aspettavamo!- esclamò, con l’allegria nella voce.

Viola trattenne una risatina, Luce le fece strada fino al piano superiore, dove si trovava la sua stanza.

La casa di Luce assomigliava ad un castello vecchio stile: era totalmente in legno, stretta e lunga, le stanze del piano inferiore erano piccole e buie, mentre quelle del piano superiore erano più moderne e larghe, anche se sempre in legno.

Viola entrò nella stanza dell’amica stando attenta a non inciampare nel tappeto rosso che aveva elegantemente sistemato sul pavimento e salutò entusiasta Daniel, seduto su un puffo marrone dall’altra parte della stanza. Sul tavolino in vetro che si trovava al centro del tappeto c’era poggiato un vassoio con una tazza rosa e un lungo bicchiere di vetro.

-         Dio, Viola, non sai come fremevo! – esclamò Luce sedendosi sul puffo accanto a Daniel.

-         Già, sapessi come fremeva! Non ha fatto altro che rigirare il cucchiaino in quella tazza di té per più di un quarto d’ora...-

-         Sei il solito esagerato, Daniel!-

-         Esagerato?-

Viola scoppiò a ridere.

-         Okay, va bene, adesso sono qui- disse, sedendosi sul terzo puffo che Luce aveva posizionato accanto al suo.

Luce sorrise nuovamente.

-         Allora? Non vuoi raccontarci niente? Non posso credere che quello fosse Manuel Green! Non l’avevo mai visto! E non mi avevi detto che era così carino...! Ma ti piace, allora? State insieme? E poi cosa...-

-         Se non stai zitta non ci racconterà niente!- esclamò Daniel, e poi, imitando i gesti delle mani di Luce, - oh, raccontaci, ti prego! E’ davvero un ragazzo carino!- agitava le braccia contro l’amica. Viola trattenne una risata, Luce si limitò a lanciargli un’occhiatina che oscillava tra il divertito e l’offeso, poi rivolse di nuovo le sue attenzioni a Viola.

-         Io mi sono innamorata di lui - , iniziò, sottovoce, - non so neanche come sia successo e quando...solo che, un giorno, ho perso la testa. Non so se succeda così, non so neanche come sia potuto succedere così velocemente, ma é accaduto. Io e lui ci capiamo e lui é molto dolce. Non é uno sbruffone, anzi, lui é...beh, abbastanza timido, insomma...ma é davvero gentile, e dolce, e comprensivo...e molto sensibile...mi fa sentire protetta e io sto molto bene con lui-

Viola abbassò la testa un tantino imbarazzata, Daniel e Luce si scambiarono uno sguardo, Luce abbozzò una risatina, l’atmosfera si smosse.

-         Oh, ma é fantastico! E ti dirò, mi é anche simpatico! Non trovi, Daniel? Ha il fascino del mistero, il che non guasta, e poi é indubbiamente carino, te l’ho già detto questo. Ma quanti anni ha? É più grande? Oh, si vede! E poi, beh...-

Daniel scoppiò a ridere inaspettatamente, Viola lo guardò di sottecchi, Luce si interruppe.

-         Che hai da ridere?-

-         Ne parli come fosse un prodotto pubblicitario, Luce- rispose, non smettendo di ridere.

-         Cosa?-

-         Già! Ha il fascino del mistero!- le fece il verso.

Viola rise, Luce arricciò il naso.

-         Sto solo facendo un apprezzamento...-

-         Non preoccuparti, hai un futuro nella televendita...-

-         Smettila!-

Luce afferrò un cuscino dal letto dietro di lei e glie lo lanciò, Daniel lo schivò per un colpo e iniziò di nuovo a ridere.

-         Non dovresti cedere alle sue provocazioni, Luce...sai com'é fatto Daniel...- scherzò su Viola, ponendosi in mezzo a loro.

Daniel abbassò lo sguardo divertito.

-         Vi ringrazio ragazzi- disse poi Viola, con un filo di voce, rompendo l’atmosfera di gioco che si era creata.

Luce e Daniel voltarono nello stesso istante lo sguardo verso di lei.

- Oh, avanti, vieni qui- bisbigliò Daniel, invitandola ad abbracciarlo.

Viola si rifugiò tra le braccia dell’amico, Luce le poggiò una mano sui capelli e l’altra sulla spalla.

In un attimo il silenzio li avvolse.

- Noi ti vogliamo bene, Viola, te l’abbiamo già detto, qualsiasi siano le tue scelte- disse Daniel, poggiando la testa sulla sua spalla. Viola chiuse gli occhi, per un attimo si chiese cosa mai avrebbero potuto dire se avessero saputo la verità su Manuel. Sarebbero stati ugualmente contenti? Le avrebbero detto che si stava cacciando nei guai? O comunque, anche loro, prima o dopo, sarebbero rimasti amareggiati come Mia davanti alle bugie che avrebbe dovuto inevitabilmente dire? Un sospiro nascose i suoi pensieri e si lasciò abbracciare dai suoi amici, contenta che le cose, una volta tanto, sembravano star raggiungendo un ordine.

 

 

                                                             

 

Entrare nell’aula di inglese alla quinta ora invece che alla terza pareva strano adesso per Viola. La classe non era più quella al terzo piano e i banchi non erano ventotto, ma solo venti. Le finestre erano leggermente più piccole e la cattedra aveva una forma più allungata, i compagni non erano più gli sconosciuti del quarto anno ma i suoi consueti compagni di classe e persino il professor Joel pareva diverso, in quella classe.

A passi lenti Viola si sedette al suo posto, al centro tra Daniel e Luce nell’ultima fila, e quando il professore chiuse la porta e li richiamò all’attenzione, le prese un incontrollato senso di noia.

Era tornata a frequentare la sua normale lezione di inglese, insieme a Daniel, Luce e Mia, che sedeva qualche banco più avanti. L

e pareva strano che Daniel e Luce avessero saputo tutto in maniera diversa mentre con Mia aveva dovuto forzatamente mentire. Cosa pensava adesso veramente di lei? Una parte di Viola credeva che Mia volesse darle fiducia, un’altra parte che Mia fosse rimasta delusa e che avesse capito che aveva detto qualcosa di poco chiaro. Ad ogni modo, anche se era così, non lo dava a vedere: si comportava normalmente, parlavano, ridevano, - le aveva chiesto anche di Manuel una volta o due.

Abbassò la testa in preda al ricordo della loro conversazione, chiedendosi come fosse riuscita a mentire così bene, lei che con le bugie non andava proprio d’accordo. Beh, di solito le bugie non sono un qualcosa di positivo, ma qualche volta vanno dette anche a fin di bene. Se avesse detto loro la verità avrebbe corso il rischio non solo di passare per pazza, ma anche di tradire la fiducia di Manuel, e questo non poteva succedere. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno al mondo di portarle via quello che più amava e desiderava, e forse era stato proprio questo amore che l’aveva portata ad essere credibile dicendo quell’enorme menzogna. Solo adesso si stava rendendo conto di quante cose era stata capace di fare solo per amore di lui.

Il professor Joel entrò in classe sorridendo, poggiò la valigetta sulla cattedra e senza perdere un attimo di tempo iniziò la spiegazione.

Nonostante stesse seguendo i movimenti del professore che camminava tra le file dei banchi e lo guardasse con aria interessata, i suoi pensieri non riuscivano a staccarsi da Manuel. E pensare che anche in quel momento, dovunque lui fosse, stava pensando a lei e forse anche se era lontano percepiva le sue sensazioni. In quel preciso instante – proprio adesso – lui era dentro di lei, perché lì aveva fatto il nido. Come il lungo peregrinare di un viandante che cerca la sua casa, così il cuore di Manuel per troppo tempo forse aveva cercato un cuore che potesse trovare in lui la normalità, adesso quel cuore era diventato la sua casa, e lui viveva davvero dentro di lei. E sarebbe rimasto lì per sempre.

-         Mi piacerebbe sapere...-, la voce di Joel era infastidita e nervosa, Viola fu ripescata dai suoi pensieri e voltò la testa verso l’altra parte della classe, dove sentiva provenire la voce, - cosa c’é di così urgente e interessante da leggere che tu non possa fare in un altro momento, Mia!-

La classe voltò gli occhi sull’accusata, che alzò la testa con occhi colpevoli verso il professore. Con la mano coprì il foglio che le era davanti, fissava il professore senza fiatare, come se non riuscisse a trovare le parole da dire. Anche solo una parola di scusa, in quel caso, sarebbe andata bene, ma Mia non parlava, restava ferma, come se in quel momento qualsiasi cosa dicesse non l’avrebbe giustificata.

-         Non é niente...- biascicò, abbassando per un momento lo sguardo e tentando di nascondere il foglio che aveva ancora tra le mani.

-         Bene! Se non é davvero niente di così importante, potrai di certo lasciarmi il tuo foglio!-

Senza aggiungere altro Joel strappò dalle mani di Mia un foglio bianco a righe, e senza degnarlo neanche di uno sguardo se lo mise in tasca.

Mia sbiancò totalmente, come un ladro che viene sorpreso mentre rapina una banca.

-         Oh no, per favore! Glie lo giuro, non é niente!- esclamò, un misto tra un urlo e un lamento.

-          Ne sono certo!- sentenziò Joel, e lanciandole un ultimo sguardo severo si avvicinò alla cattedra e posò il foglio incriminato nella sua borsa con fare annoiato. Gli occhi di Mia seguirono i suoi movimenti come disperata, ma non aggiunse altro. Il professore continuò la sua lezione e Viola, Daniel e Luce si scambiarono occhiate interrogative per tutto il resto dell’ora.

-         Capisco la sua espressione, - sibilò sottovoce Daniel, - sarei disperato anche io se rubassero la mia lettera d’amore alla mia ragazza immaginaria...-

Luce rise sotto i baffi, Viola alzò le spalle.

-         Avanti, non é carino. Può darsi che stesse farneticando, ma a nessuno piacerebbe leggere le farneticazioni altrui- mormorò a sua volta.

-         Già, ma non é pregata di farlo nell’ora di inglese!- concluse Luce, lanciando a Mia uno sguardo sdegnato.

Quando finalmente l’ora terminò, la classe sembrò svuotarsi con un’incredibile dose di ansia, Viola si allontanò tra i primi lasciando Daniel e Luce a guardare di sottecchi Mia, che lentamente prendeva le sue cose e andava via.

-         Cos’ha perso secondo te?- chiese Luce.

-         Non lo so, ma forse era davvero qualcosa di importante-

-         Credi che possa avere davvero qualche interesse importante, lei?-

-         L’unico modo per saperlo é chiederglielo!-

-         E credi che te lo dirà?-

-         No. Ma almeno la canzono un po’ -

La classe era ormai quasi vuota, Mia uscì quasi strisciando come se si stesse portando dietro il peso del mondo, Daniel la raggiunse poggiandole una mano sulla spalla.

-         Allora, chi era lo sfortunato che sarà privato della tua lettera d’amore?- iniziò, sibilando quasi nel suo orecchio.

-         Smettila- fu la fredda risposta di Mia, che senza badare a lui iniziava a camminare lungo il corridoio seguita dall’altro lato da una silenziosa Luce.

-         Oh, avanti, cosa ti costa dirmelo? Tanto lo saprà anche il professore quando la leggerà!-

-         Finiscila di fare l’idiota, Daniel!- ringhiò Mia, lanciandogli un’occhiataccia.

Daniel storse il naso colpito dalla sua ferocia, ma non desistette.

-         Non era una lettera d’amore? E cosa allora? Un segreto di stato? Tu che ne dici Luce?-

Luce alzò le spalle con un sorrisino.

-         Forse era la lista della spesa!-

Entrambi risero, Mia lanciò loro un’occhiata cocente senza scomporsi.

-         Se poteste almeno immaginare le conseguenze di ciò che é successo la smettereste di sputare sentenze e battute da idioti!- sibilò con un nuovo tono della voce. La sua espressione era diventata più seria e fredda, Daniel e Luce smisero di ridere e la fissarono per un secondo, titubanti se credere o no alle sue parole.

-         Cosa vuoi dire?- domandò Luce.

-         Non sono affari che vi riguardano!-

-         Non avresti dovuto accennarci niente se non volevi incuriosirci. Adesso sei costretta a parlare-

-         Io non ci parlo con voi. Ho cose più importanti a cui pensare adesso-

-         Sarebbero?-

-         Devo uscire da questo guaio prima che sia troppo tardi-

Daniel e Luce si scambiarono un’occhiata, Daniel fissò lo sguardo freddo ed intimorito di Mia, le si avvicinò leggermente.

-         Per cosa dovrebbe essere troppo tardi?-

Mia sospirò, chiuse per un attimo gli occhi abbandonandosi ad una momentanea angoscia che le attraversò il corpo come un’onda.

-         Lascia perdere, Daniel. Devo andare adesso-

-         Cosa c’era scritto su quel foglio?-

-         Ci vediamo-

-         Mi stai prendendo in giro, vero?-

-         Ciao Daniel -

Mia si allontanò lasciando dietro di se un confuso Daniel e un’altrettanto stralunata Luce, colpiti dall’intensità e preoccupazione delle sue parole.

Ma se solo avessero avuto idea della catastrofe alla quale probabilmente stavano andando incontro avrebbero davvero smesso di fare tante domande.

Quello che aveva tra le mani Joel era la pagina di diario in cui Viola raccontava tutta la verità su Manuel.

 

 

 

                                                               ...

 

 

Era quasi il tramonto.

Viola alzò la testa trovandosi di nuovo di fronte alla Casa sulla Settima Strada. Davanti a quella casa si sentiva come una bambina di fronte ad un gigante: la casa alta e imponente, che sembrava spadroneggiare in quel quartiere di case lussuose come se fosse la più bella ed importante;,e lei, piccola adolescente dai capelli neri ferma davanti a quel cancelletto che cercava gli occhi del gigante per fissarli.

Manuel abbozzò un sorrisetto fissando lo sguardo di Viola che era ancora impietrita, poi la tirò per la mano.

-         Avanti, andiamo- disse, scuotendola leggermente.

Viola sembrò ridestarsi, lasciò che Manuel la trascinasse fino alla porta e lo guardò prendere le chiavi e girarle con sicurezza nella serratura.

Per la seconda volta si ritrovò nell’atrio della Casa sulla Settima Strada, stavolta meno tetro della volta precedente. Il sole giocava con le tende e con gli oggetti di vetro delle stanze e le scale di legno parevano brillare illuminate da alcuni raggi di quella luce.

Ancora una volta era una casa deserta. Viola iniziava a capire perché nessuno aveva mai capito chi ci abitasse: erano silenziosi e quasi sempre assenti.

-         C’é una cosa che devo ancora farti vedere, Viola- sussurrò Manuel mentre la tirava dietro di se verso le scale.

-         Cosa?-

-         É una... sorpresa-

-         Sorpresa?-

-         Okay, non la definirei proprio una sorpresa. Ma é una cosa insolita-

-         Dimmi se esiste qualcosa che ti riguardi che non sia insolito, Manuel -

Viola abbozzò una risatina, Manuel le lanciò uno sguardo divertito, poi salirono le scale.

Man mano che salivano era come abbandonare sempre di più i raggi di sole che avevano illuminato l’atrio, adesso un buio più diffuso aleggiava per il lungo e largo corridoio del secondo piano. A destra e a sinistra si alternavano porte chiuse, e infondo si apriva una grandissima vetrata che affacciava sul terrazzo di mattonelle rosse. Quello che Viola riuscì a vedere dalle scale erano fiori colorati in ogni angolo dell’enorme spiazzo e le ringhiere bianche e lucide, che brillavano sotto il tramonto.

Ancora stupita della bellezza ed eleganza della casa, Viola non perdeva un particolare di quella enorme beltà: ad ogni passo osservava le piante, i pomelli dorati delle porte e il legno lucido. Solo quando stavano per voltare a destra, dove c’era un’alta porta bianca, l’attenzione di Viola fu catturata da una foto infissa alla parete.

Si fermò istintivamente, Manuel puntò lo sguardo ora su Viola ora sulla foto che stava guardando.

-         Questa é la mia famiglia – sibilò, tenendo gli occhi bassi, - tanto tempo fa-

Viola lanciò un furtivo sguardo a Manuel, poi tornò con gli occhi sulla fotografia.

Era stata scattata nel grande atrio, lo si poteva capire dalla vetrata sullo sfondo.

C’erano proprio tutti, così come Viola li aveva sentiti dal racconto di Manuel: sua madre, suo padre, suo fratello Peter e sua sorella Laney, e infine lui.

Sua madre sembrava una modella d’altri tempi, busto diritto e gambe snelle e lunghe. Viso affusolato, un sorriso rilassato e sereno, grandi occhi verdi e capelli biondo scuro, mossi, che scendevano sulle spalle e sulla schiena. Teneva la testa leggermente piegata a sinistra, dove c’era suo marito. Lui era proprio come l’aveva descritto Manuel, un uomo tutto d’un pezzo. Non sorrideva, ma la sua espressione non era neanche contrariata: un viso serio, un po’ stanco. Sottili baffi neri coloravano il viso e gli occhi azzurri e grandi come quelli di Manuel illuminavano il resto della sua figura. Laney, che in quella foto doveva aver avuto circa undici anni, era posizionata dinanzi a sua madre. Anche lei sorrideva, i grandi occhi azzurri erano semichiusi e l’espressione divertita e decisa, che doveva essere tipica di una persona sveglia quale Manuel l’aveva descritta. Peter aveva dovuto avere circa quindici anni, portava i capelli biondi corti sopra il collo e l’espressione fiera ma allo stesso tempo semplice, un misto tra la timidezza di Manuel e la vivacità di Laney.

E per ultimo, davanti a Laney e Peter, c’era lui, - da bambino.

Il viso sottile, piccolo e bianco, gli occhi azzurri come due fari puntati sull’obbiettivo, le mani stette tra loro sul petto e i capelli dorati sulla fronte e sul collo dipingevano un Manuel innocente, piccolo e dolce. La sua espressione pareva essere la summa di quelle dei suoi familiari: contesa tra il sorriso e la serietà. Dovunque si trovasse, la funzione di Manuel era sempre la stessa: essere lo specchio delle emozioni altrui.

-         Avevo sette anni- spiegò lui, alzando finalmente gli occhi e incontrando quelli di Viola.

-         É una bellissima foto- commentò lei in un filo di voce, quasi con la paura che qualcuno potesse sentirla.

-         Non so perché é ancora qui, - riprese poi Manuel alzando le spalle, - é di tanto tempo fa e nessuno ci bada più-

Viola abbassò lo sguardo divertita, Manuel le riprese la mano e la condusse davanti alla porta della sua stanza, lì dove voleva portarla.

Appena spalancò la porta, i raggi del sole che provenivano dalla finestra di fronte a loro li costrinse a chiudere gli occhi, Manuel l’invitò ad entrare e richiuse la porta.

Era una stanza abbastanza grande, forse quanto quella di Viola: un letto sulla destra con le coperte bianche, una libreria con una scrivania e un piccolo armadio accanto alla finestra. C’era anche una seconda finestra di fronte al letto, con tendine azzurre.

-         Questa sarebbe la mia vera stanza – iniziò Manuel divertito, - anche se quella che é davvero mia tu l’hai già vista –

-         E’ molto bella-

-         Lo so cosa stai pensando-

Viola si voltò di scatto per incontrare i suoi occhi.

-         No, non lo sto pensando-

-         Si, stai pensando che é un po’ vuota-

-         Ma non avevi detto di non leggere nel pensiero?-

-         Infatti-

-         E come fai a sapere che ho pensato questo?-

-         Per il tuo senso di smarrimento. Sai, di solito le stanze sono disordinate, piene di tante cose. Qui non c’é quasi niente e le poche cose che ho sono tutte in ordine. Ma non ci posso far niente, io ho poche cose... e poi, non mi piace il disordine-

-         Non servono tante cose per riempire questa stanza, basti tu- mormorò Viola dopo un attimo, - tu sei da solo così tante cose che ti sentiresti stretto in una stanza piena di cianfrusaglie... si, scommetto che non hai niente intorno perché sei troppo pieno dentro-

Manuel sorrise, le accarezzò le braccia con le dita.

-         C’é solo una cosa in questa stanza che é fuori posto- disse poi, allontanandosi e dirigendosi verso la sua scrivania. Aprì un cassetto e ne tirò fuori una cartellina color porpora, poi gliela consegnò.

Viola la tenne tra le mani per qualche secondo, poi lo guardò interrogativa.

-         Cos’é?- chiese, mentre la voce iniziava a tremarle.

Manuel rise.

-         Aprila- la invitò.

Viola si sedette sul letto e Manuel accanto a lei, osservando ed assaporando il suo nuovo stupore.

Viola prese tra le mani i fogli che c’erano nella cartellina, meravigliata. Come quelli della stanza al pianterreno, ognuno aveva un colore diverso, ma a differenza di quelli, dove la grafia di Manuel era elegante e precisa come sempre, qui decifrare cosa ci fosse scritto era impossibile. O forse...forse non erano proprio parole, quelle scritte, parevano più delle linea ricurve su loro stesse, che più che lettere formassero figure. Ma di quali figure si trattava? No, erano troppo confuse per sembrare figure e troppo diverse da lettere per sembrare parole.

Ogni foglio aveva uno schizzo del genere di un colore diverso, che riempiva tutto il foglio.

-         Cosa...cosa sono questi?-

Manuel sorrise dolcemente,.

-         Beh, queste sono le tue emozioni. Lo so, sono diverse da quelle che hai visto attaccate al muro, quelle sono ordinate e leggibili, mentre qui sembra ci siano solo linee astratte che riempiono il foglio...al primo sguardo sembra quasi una scrittura incomprensibile, un attimo dopo é come se l’occhio inquadrasse il foglio nella sua interezza e captasse figure che non realtà non ci sono, vero? Non so spiegarti come ho fatto a farli, é la prima volta che davanti ad un’emozione non scrivo un poesiola ma faccio una specie di...disegno...ne sono rimasto colpito io stesso, eppure non ho potuto fermarmi. Mi accadono cose così nuove e strane da quando ti conosco -

Viola passò gli occhi prima su Manuel e poi di nuovo sui fogli, che adesso guardava ad uno ad uno facendo attenzione ad ogni piccola curva, linea o sfumatura di colore.

Sembravano allo stesso tempo disegni di bambini e opere d’arte.

-         E non hai mai scritto anche poesie...per me?- chiese dopo un attimo, guardandolo.

Manuel divenne serio per un attimo, poi abbassò lo sguardo con un sorriso obliquo.

-         No. Ma ci ho provato molte volte. Se prendi uno di questi fogli, ad esempio questo, guarda, scritto in azzurro, vedi che nell’angolo in alto a sinistra ci sono curve e linee che quasi formano una parola? Subito dopo però, si perdono nel resto del foglio insieme alle altre. Non é mai stato così difficile per me scrivere qualcosa, e questo é quanto ne é uscito fuori-

Viola sorrise, strinse la mano di lui tra le sue mentre continuava a guardare quelle emozioni.

-         E’ meraviglioso. Tutto questo é davvero meraviglioso-

-         Già, é meraviglioso. Meraviglioso che tu sia davvero qui adesso-

I loro occhi si incrociarono, Manuel le accarezzò il viso e poggiò le labbra sulle sue.

- Dimmi una cosa, é la prima volta che ti succede?- chiese d’improvviso Viola allontanandosi dal suo viso.

- Cosa?-

- Di fare questi disegni al posto di scrivere poesie-

- Non puoi fermare un momento del genere per chiedermi questo-

- Ma io voglio saperlo-

Manuel rise.

-         Si, é la prima volta nella mia vita-

-         A cosa pensi sia dovuto?-

-         Vuoi farmi da psicologa?-

-         Non credo ne avresti bisogno. Sono solo curiosa-

-         Ti incuriosisco?-

-         Avanti, non puoi semplicemente rispondermi?-

-         Okay. Mmh...qual’era la domanda?-

-         Stupido!-

Entrambi risero, Manuel le accarezzò il braccio.

-         E’ perché sono innamorato di te, e quando ti penso tutte le emozioni, sensazioni e vibrazioni ci sono dentro di me sono in subbuglio. Di solito quando penso di scrivere qualcosa, le idee é come se fossero ordinate nella mia testa, una dopo l’altra, catalogate. Quando penso invece a qualcosa che riguarda te...mi si confonde tutto nella testa come se in un lampo non ci fosse più niente a cui pensare. E quando metto la penna sul foglio, affiorano alla mia mente solo immagini di te e delle tue parole, non ci sono più emozioni catalogate. Ecco perché non scrivo niente-

Il tono della sua voce era basso, aveva guardato un punto indefinito del braccio che continuava ad accarezzare mentre le parole scorrevano leggere.

-         Hai mai pensato di essere l’unica persona al mondo a non poter essere ingannata?- chiese d’un tratto Viola.

Manuel alzò gli occhi stranito.

-         Oh, no é vero-

-         Tu puoi conoscere immediatamente come sono fatte le persone e non farti ingannare da quelle che sono le apparenze-

Nonostante la serietà di Viola, Manuel sorrise divertito.

-         Lo dici perché non sai quanto é labile e fragile il nostro animo, - disse, guardandola, - e poi chi ti dice che le apparenze esistano davvero?-

-         Lo so, - sentenziò Viola, abbassando la voce, - o i rapporti con il mondo non sarebbero così difficili –

Manuel piegò la testa da un lato sospirando.

-         Quelle non si chiamano apparenze, si chiamano paure. Ma l’uomo non vuole ammettere di averle e allora le chiama apparenze. Vedi Viola, il fatto é che inconsciamente non esistono le apparenze. Tutti cerchiamo l’essenza in chiunque incontriamo, é un fattore così naturale ed intrinseco in noi che non ce ne accorgiamo e fingiamo di fermarci davanti alle apparenze. Nessuno si ferma davanti alle apparenze, Viola, non ne siamo capaci, la nostra anima ce lo vieta categoricamente. Riesci ad immaginare una vita senza stringere un legame con qualcuno? Il problema della gente é che nessuno ci crede. Già, vallo a dire a tutti quanti che le nostre anime hanno un modo di parlarsi che noi neanche immaginiamo... loro non lo sanno, o meglio, hanno paura di lasciarsi andare a quello che potrebbero essere se ascoltassero anche solo per la durata di una notte quello che la loro anima ha appreso dal mondo. L’uomo ha paura di ciò che non conosce, Viola, anche degli altri. É come nascondersi dietro un dito, come fare del male a se stessi: ciò che reprimiamo nel momento in cui vogliamo chiuderci allo sguardo degli altri é solo e soltanto la nostra anima, perché lei cercherà sempre e comunque il contatto con i suoi simili. E ti assicuro che questo é nella naturalità più completa, assoluta e perfetta delle cose-

Viola osservò ammirata il suo viso, pendeva ancora dalle sue labbra anche se non stava più parlando.

-         Come può succedere questo? - chiese dopo un attimo, come se la sua mente stesse ancora elaborando quanto lui aveva detto.

Manuel abbassò lo sguardo sorridendo, l’espressione era quella di un adulto che spiega una cosa ovvia ad un bambino inesperto.

-         Dimmi una cosa, Viola-

-         Si-

-         Qual é la prima cosa che guardi in una persona?-

-         Cosa?-

-         Si, rispondimi-

-         Beh, io... in realtà... non lo so, non ci penso...-

-         Te la dico io qual’é-

-         Qual’é?-

-         Gli occhi-

-         E come fai ad esserne certo?

-         Perché é così per tutti, é naturale. Vedi, nonostante oggi ci fanno credere che quando incontriamo una persona possiamo scegliere se guardarle prima le mani, il fisico, i capelli o altre cose, la prima cosa che noi guardiamo in chiunque sono gli occhi. Facci caso, Viola, i nostri occhi sono come calamite, si cercano sempre, hanno voglia di specchiarsi, gli uni negli altri. Solo se guardiamo negli occhi una persona riusciamo contemporaneamente ad avere una visione totale anche del suo viso e della sua espressione, ma tutto parte dagli occhi. Non ci verrebbe mai in mente di camminare per strada con la testa bassa per osservare le mani delle persone che incontriamo, né di fissare i loro capelli. Quello che guardiamo sempre e in ogni momento di una persona sono i suoi occhi. Dentro di essi c’é il carattere, l’emozione, l’espressione del suo volto e il colore della sua mente. C’é chi ha detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima, beh, io credo che sia esattamente così: calamite e specchi della nostra mente. Qualcuno si é mai chiesto perché quando si parla é importante guardarsi negli occhi? Qualcuno ha mai provato, anche solo per curiosità, a non guardare mai gli occhi degli altri? No, mai nessuno. Eppure é questo gesto, quotidiano, intrinseco, reale e necessario che testimonia il nostro bisogno di affetto e comprensione. La nostra anima é dentro di noi e non ce ne accorgiamo-

 Manuel scrutò l’espressione meravigliata di Viola, sentiva come un tampone sulla fronte mentre naturalmente si immergeva nella sua sensazione.

-         Perché mi guardi così?- chiese poi, vedendo che ancora non parlava.

-         Non lo so...cioé, non so cosa dire-

-         Potresti dire che ho ragione-

-         O potrei dire che non mi aspettavo un discorso del genere-

-         Anche-

-         Come le pensi queste cose?-

-         Io non le penso, le vivo. Tutti noi le viviamo, ma siamo così abituati a guardare ciò che ci é attorno che trascuriamo le cose che dovrebbero interessarci maggiormente. Sai, se io fossi normale eviterei il problema, o meglio, non me lo porrei neanche, come la maggior parte delle persone. Ma essendo costretto e condannato a prestare attenzione ad ogni piccola parola sibilata e sospirata dell’anima, non posso fare a meno che accorgermene e a pensare a quanto é importante ascoltare cosa vuole dirci quello spirito che aleggia dentro di noi-

-         Ascolta, visto che sai tutto ciò che vuole l’anima...sai dirmi cosa vuole la mia adesso?-

Manuel rise, Viola abbassò lo sguardo per un attimo, poi tornò a guardarlo.

-         Vuole baciarmi- sibilò lui.

-         No, quello lo vuoi tu-

-         Fa lo stesso, no?-

-         Perché dovrebbe?-

-         Perché la mia anima si bagna nella tua. E vogliono la stessa cosa-

-         Questa é un’ottima argomentazione-

-         Grazie-

Viola gli accarezzò le guance e si lasciò baciare di nuovo, sentendo il calore delle sue mani tra i suoi capelli.

-         Farai un disegno anche di questo?- sussurrò poi Viola, tenendo la fronte premuta contro la sua.

-         Credo che un disegno non basterebbe-

 

Viola lo strinse forte a se, poggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi con un sospiro.

Era bello, dopo aver attraversato sofferenze, dubbi e problemi, chiudere gli occhi sereni tra le braccia della propria casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                     ...

 

 

-         Ascolta Daniel, sto seriamente iniziando a preoccuparmi-

Luce si sedette di fronte all’amico puntandogli gli occhi addosso.

-         Perché?- chiese lui in un filo di voce appena udibile.

-         Perché a te non é mai interessato un emerito nulla di Mia mentre adesso sembra che quello che é successo ieri in classe ti stia perseguitando!-

-         Non me la conta giusta - sentenziò Daniel, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra della camera dell’amica.

-         Secondo me ti prendeva in giro. Non aveva nessun motivo, se fosse stata davvero una cosa seria, di dircelo così apertamente- commentò Luce, prendendo la sua tazza di té dal tavolino e girando nervosamente il cucchiaino all’interno di essa.

-         Forse, - controbatté Daniel, - ma aveva uno sguardo troppo spaventato. Non poteva essere una bugia-

-         Okay, okay, e se pure non fosse una bugia...cosa ti importa? Se ha combinato un guaio é un suo problema e non un nostro!-

-         Vuoi calmarti Luce, per favore?-

Daniel alzò leggermente la voce, Luce arricciò il naso immusonita.

-         E’ che secondo me ci prende in giro-

-         Ha parlato di conseguenze. Se fosse stata una cosa che riguarda solo lei, che senso avrebbe avuto farla tanto tragica?-

-         Non sai quant’é egocentrica?-

-         Non c’entra. Sta succedendo qualcosa-

-         A te piace darla vinta a lei, Daniel -

-         Tu stai ignorando il problema, Luce-

-         E cosa vorresti fare tu, sentiamo! Pedinarla? Spiare i suoi discorsi, intaccare la sua linea telefonica per scoprire i suoi inutili problemi?-

-         Niente di tutto ciò-

-         E cosa?-

-         Chiedere a Viola magari-

Luce alzò le spalle e distolse lo sguardo da Daniel.

-         Non credo ne sappia qualcosa. Sono un paio di giorni che non si parlano con tanto entusiasmo e poi Viola vive tra le nuvole, non la vedi? E poi da quando in qua ci dice cose che riguardano Mia?-

-         Forse hai ragione. Non credo sappia qualcosa di questa faccenda... ma proprio per questo dovremmo coinvolgerla!-

-         Ma vuoi smetterla di giocare a fare l’investigatore?-

-         Voglio solo cercare di prevenire il peggio. Mia ha perso un qualcosa di importante e adesso é tra le mani di una persona qualsiasi-

Luce scoppiò a ridere.

-         Credi che il professor Joel dia così tanta importanza ad uno stupido bigliettino? L’avrà buttato senza neanche leggerlo!-

-         E perché se l’é messo nella borsa?-

-         Perché così Mia impara a non leggere più sciocchezze mentre lui spiega!-

Daniel inarcò le sopracciglia, alzò le spalle.

-         Spero che sia come dici e che non lo legga davvero-

-         Adesso sembri stare quasi dalla sua parte. Ma si può sapere cosa ti importa?-

-         Ho una strana sensazione, tutto qui. E vorrei vederci chiaro-

-         Certo che é brava a manipolare le situazioni, quella lì...-

Daniel soffocò una risatina, alzò gli occhi.

-         Okay, se proprio vuoi non ne parliamo più-

Luce parve rischiararsi, sorrise a sua volta finendo di girare vorticosamente il cucchiaino nella sua tazza di té.

-         Finalmente!-

In quel momento qualcuno bussò alla porta della stanza di Luce, entrambi voltarono la testa verso di essa.

-         Avanti!-

-         Luce, sono io, Viola! Tua madre mi ha fatto salire, sono venuta a riportarti quel libro che...oh, Daniel, anche tu qui! Ciao ragazzi, come state?-

Viola aveva spalancato la porta e adesso si dirigeva verso i due amici stringendo tra le mani il libro di chimica di Luce.

-         Oh si, sai com’é, Daniel viene sempre a infastidirmi...- scherzò Luce prendendo dalle mani di Viola il suo libro mentre Daniel iniziava già a ridere.

-         Spero di non avervi disturbati. Stavate studiando?- chiese Viola rimanendo in piedi.

-         Oh no, no, per niente. Io prendevo il té e Daniel mi osservava- spiegò Luce ironica, sedendosi di nuovo dopo aver posato il libro sulla libreria alle sue spalle.

-         Già, sono sempre io a infastidirla, lei invece non lo fa mai...cosa mi racconti, Viola? Stai bene? E Manuel?- ricominciò Daniel, sorridendole amichevolmente.

Viola arrossì istintivamente sentendo pronunciare il suo nome, sorrise.

-         Si, é tutto apposto- rispose abbassando lo sguardo.

-         Ieri abbiamo provato a chiamarti, ma non c’eri- mormorò Luce, avvicinando la bocca alla tazza di té.

-         Sono stata a casa sua...oh! Non vi ho detto dove abita!

-         Come sarebbe a dire?- Daniel socchiuse gli occhi, fissò Viola curiosa.

-         Indovinate!-

-         Non capisco, dove potrebbe abitare? In una casa, no?-

-         Già, ma non é una casa qualsiasi...-

-         Oh no...-

-         Oh si...-

-         Non dirmelo!-

-         É proprio quella...-

-         Mio Dio...-

-         La Casa Sulla Settima Strada!-

 Daniel saltò dalla sedia, Luce per poco non sputò tutto il té che aveva in bocca.

Iniziò a tossire pesantemente, Viola le diede alcuni colpetti sulla schiena.

-         La Casa sulla Settima Strada! Mio Dio, Luce, abbiamo svelato il mistero arcano di Brighton! Non posso crederci, allora non é infestata dai fantasmi, é abitata davvero!-

Daniel saltava tutto intorno a loro, Luce ancora tossiva.

-         Si certo, é abitata...-

Luce scosse la testa come per riprendersi.

-         La Casa sulla Settima Strada, ma stai scherzando?- sibilò poi, con la voce ancora roca.

-         No, é la verità. Quella é la sua casa e ci abitano da diciassette anni-

-         Caspita...-

-         E tu ci sei entrata?- chiese nuovamente Daniel.

-         Si-

-         E me lo dici così? Potrei svenire, ti rendi conto? E com’é? Come  dice la leggenda? I corridoi grigi e le stanze piccole e strette?-

-         Mmh no, i corridoi sono in legno e le stanze sono di grandezza normale-

-         Oh mio Dio, non riesco ancora a crederci! Il misero di tutta Brighton finalmente é arrivato alle mie orecchie!-

Viola scoppiò a ridere, Luce si alzò per cercare di calmare un euforico Daniel.

-         Di’ al tuo ragazzo che conto preso di visitare la sua casa!- esclamò mentre ancora aveva le guance infuocate.

-         Ma ti sembrano cose da dire? Se non ha mai detto in giro che quella é casa sua ci sarà un motivo - sentenziò Luce alzando le spalle.

-         Già...perché Viola?- chiese Daniel.

-         Oh questo non lo so. Ma sono dei tipi abbastanza riservati, potete immaginare che confusione se tutti sapessero finalmente chi abita lì...sarebbe come scoprire che il tuo vicino é George Clooney, ci sarebbe la folla che ti infesta l’isolato-

Luce rise sotto i baffi, Daniel si risedette per riprendere fiato.

-         Oggi é una grande giornata, Viola, una grande giornata- commentò dopo un attimo mentre Luce ancora ridacchiava.

-         Beh, mi fa piacere di aver svelato il più grande mistero di tutti i tempi, Daniel... adesso devo proprio andare-

-         Oh, di già?- domandò Luce.

-         Si, Janine tra poco sarà a casa e se non mi trova inizierà a dare di matto-

-         D’accordo. Salutacela, okay?-

-         Certo!-

Viola si avviò verso la porta, Daniel e Luce la guardarono sorridendo.

-         Oh, Viola! Salutaci anche Manuel! Digli che se casomai decidesse di aprire la sua casa a visite guidate Daniel si propone come organizzatore!

-         Solo organizzatore? No, Luce, voglio fare anche la guida-

-         Non conosci la casa, imbecille!-

-         Ma la conoscerei dopo un’accuratissima introspezione-

Viola sorrise, abbassò lo sguardo per un attimo.

-         Ciao ragazzi, a domani!-

-         Ciao Viola!-

Daniel e Luce videro la porta chiudersi e sentirono i passi di Viola per le scale fino a sentire infine il tonfo della porta di casa.

 

 

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Capitolo 11
*** 10 ***


fiori10

Sono passate meno di quattro ore Viola, si stava dicendo, dov’è finita la tua naturale calma e la libertà che avevi promesso a te stessa di avere già da un po’ di tempo? Beh, una calma apparente riusciva a simularla: non era mai stata troppo impulsiva e neanche morbosamente fissata sulle cose, la calma quindi risiedeva tranquillamente dentro di lei. La differenza con le altre volte era che, adesso, la calma era un qualcosa che riguardava soltanto la sua sfera sensoriale: la sua mente e il suo animo erano come impazienti e i secondi non passavano mai. La libertà, poi, Viola credeva di aver completamente stravolto il significato di quella parola.

Oh, bando alle ciance, il problema era uno solo: tutto pareva silenzio senza di lui.

Viola si alzò di scatto dal letto e afferrò il telefono sul comodino.

Velocemente compose un numero, poi aspetto con il telefono all’orecchio, risiedendosi sul letto.

-         Viola-

La sua voce metallizzata era meno bella, ma l’intensità era la stessa di quando si trovava ad un passo da lei.

-         Come sapevi che ero io?- chiese con un cipiglio di sorpresa.

-         Lo sapevo-

-         Hai tirato ad indovinare?-

-         Ti sembro uno che tira a indovinare?-

-         Non ci hai mai provato?-

-         Non credo di averne bisogno-   

-         Oh già …-

-         E poi sapevo che eri tu-

-         Davvero?-

-         Mi hai telefonato anche ieri sera-

Viola storse il naso.

-         Sono diventata un po’ prevedibile, vero?-

Lui rise.

-         Che c’é’, perché ridi?-

-         Niente-

-         Non capisco cosa ci trovi di divertente in tutto quello che dico-

-         Sei tremendamente naturale-

-         É un difetto?-

-         É strano-

-         Perché?-

-         Mi sembra di conoscerti da una vita, Viola-

-         Per me non é la stessa cosa-

-         E com’é?-

-         Non so cos’ero prima di conoscerti-

-         Oh, io lo so. Eri una persona come tutte, con una privacy-

-         E adesso cosa sarei?-

-         Contaminata da me-

-         Mi piace questa frase-

-      Ascolta, avresti paura se qualcuno lanciasse sassolini alla tua finestra?-

-      Cosa?-

Un rumore sordo fece voltare di scatto Viola verso la finestra, scattò in piedi.

Manuel rise.

-      Che succede?-

-      Allora avresti paura!-

-      Sei tu?-

-      Forse-

-      Che vuol dire?-

-      Forse, può darsi, é probabile...-

-      Manuel! Avanti, dimmi cosa stai combinando-

-      Apri la finestra-

Viola si allontanò dal letto e si avvicinò velocemente alla finestra, poi con un movimento fulmineo la spalancò. Il freddo della sera avvolse il suo volto, Viola ridusse gli occhi a due fessure per abituarsi al buio, poi guardò in basso e lo vide, lì, con il telefono all’orecchio.

-      Lo sapevo!- sentenziò con un sorriso, scuotendo la testa.

-      Cosa?- domandò ridendo lui.

-      Che eri tu!-

-      Ah, stai mentendo!-

Entrambi risero, allontanarono il telefono dall’orecchio e Manuel le sorrise avvicinandosi alla parete.

-      Che ci fai qui?- le chiese poi lei, abbassando leggermente il tono della voce.

-      Volevo salutarti, e sembra banale a telefono - rispose lui, tenendo lo sguardo alto.

-      Ma anche se mi saluti adesso, poi andrai via. E dovrò ritelefonarti prima di addormentarmi- mormorò lei, poggiando le guance sulle mani e i gomiti sul davanzale.

-      Ma ci siamo rivisti una volta in più prima di dormire -

-      Ma se ti vedo voglio abbracciarti, e baciarti, e vederti soltanto non basta più-

 Manuel socchiuse gli occhi, poggiò le mani contro il muro dinanzi a lui.

-      Credi che io non voglia?-

Viola alzò le spalle con un sorrisino, rise.

-      Ci sono le scale del giardino dall’altra parte della casa. Vieni di là, vado ad aprire la porta-

-      Cosa?-

-      Ormai sei qui, avanti-

Viola rientrò, silenziosamente uscì dalla sua stanza e camminò svelta attraverso il corridoi. Arrivò dinanzi alla porta che dava sul giardino e l’aprì lentamente guardandosi le spalle.

Lui aveva le mani poggiate sulla ringhiera bassa, Viola sorrise, uscì fuori stando attenta a non lasciar sbattere la porta e poggiò le mani sulle sue.

-      Adesso va meglio - sussurrò poi, sorridendogli di nuovo.

Manuel accarezzò i dorsi delle mani di lei con i pollici, sorrise abbassando lo sguardo.

-      Già...adesso forse non avrai bisogno di telefonarmi, più tardi-

-      Avrò sempre bisogno di sentire la tua voce prima di addormentarmi-

-      Ma adesso sei con me. E’ adesso che conta -

Viola chinò la testa e gli sfiorò le labbra, Manuel le poggiò le mani sulle guance.

-      Mi mancherai quando rientrerai- mormorò poi accarezzandole le guance.

-      Entra-

-      Entrare?-

-      Così resti con me un altro po’ -

-      Ma potrebbero scoprirci-

-      Nessuno viene mai a disturbarmi di sera-

-      Ma se poi...-

-      Non preoccuparti, non succederà niente-

-      Ne sei sicura?-

-      Sicurissima-

Viola scese i gradini alla sua destra, gli prese la mano.

-      Fidati di me-

-      D’accordo. Ma se succede qualcosa...-

-      Non succederà niente-

Manuel sospirò, poi Viola lo condusse con se dentro, chiuse la porta e dopo essersi assicurata che il corridoio fosse ancora immerso nel silenzio, strinse di nuovo la mano di Manuel e gli fece strada fino alla sua stanza.

Quando furono entrambi entrati, chiuse la porta a chiave e gli sorrise.

Manuel restò fermo con le braccia distese lungo i fianchi a guardare la stanza di Viola, l’arredamento, i colori, e la sola lampada accesa ai piedi del letto.

-      Che c’é?- chiese d’un tratto Viola con un cipiglio di divertimento.

-      Niente- rispose lui, alzando le spalle.

-      Come niente? Cosa stai pensando?-

Manuel abbassò lo sguardo.

-      Niente-

Viola rise, poggiò le mani sulle sue guance costringendolo a guardarla, Manuel le lanciò un’occhiatina fugace, poi poggiò le mani sui suoi fianchi.

-      Non avevo mai immaginato la tua stanza- mormorò dopo un attimo.

-      Beh, neanche io avevo mai immaginato la tua-

-      Quale delle due?-

-      Entrambe, credo. Non sapevo ne avessi due-

-      Nessuno ha due stanze, in definitiva-

-      Io si. Ho anche il seminterrato-

-      Ma qui fa meno freddo-

Viola abbozzò un sorrisetto, Manuel poggiò la schiena contro il muro dietro di lui e l’ombra gli nascose il viso.

Per un attimo li avvolse il silenzio, Manuel socchiuse gli occhi.

-      L’avresti mai pensato?- chiese dopo un attimo, tenendo lo sguardo basso osservando le mani di lei.

-      Cosa?-

-      Che sarebbe successo tutto questo. Che avessimo bisogno di parlare così tanto, di stare vicini. L’avresti mai immaginato, il primo giorno che ci siamo visti?-

Viola sorrise, alzò le spalle.

-      No, forse no... ma non ne sono sicura. Forse mi sono innamorata subito e neanche me n’ero accorta-

-      Io mi sono innamorato subito-

-      Come ne sei sicuro?-

-      Perché quando ti ho conosciuto é stata la prima volta in vita mia dove non ho avuto paura di me stesso. Lo sai Viola, forse é vero che siamo nati per amare-

-      Anche se a volte amare fa male?-

-      Questo é incluso nel pacchetto, c’é sempre l’altra parte della medaglia. Ma infondo io ci credo che siamo macchine dell’amore, Viola, o la vita tutta non avrebbe senso. Perché soffrire e gioire per qualcosa che non conta niente? Lascia che ti lasci questo di me, Viola, questa mia convinzione, quello che ho creduto essere vero solo quando ho incontrato te: siamo nati per amare, il nostro cuore non smetterà mai di produrre amore, ne può generare quanto ne vuole e non c’é mai un limite. Eppure la sai una cosa? Tu hai ragione, é proprio per questa nostra condizione che soffriamo. Ci hai mai pensato bene? É una contraddizione bella e buona, come la clausola che nessuno di noi ha letto prima di firmare il contratto che ci ha fa essere qui adesso, nel mondo.  Per quanto siamo capaci di amare e il nostro cuore produca amore come gli occhi tristi producono lacrime, quell’amore sembra non bastarci mai. Sembra che abbiamo bisogno sempre dell’amore degli altri per riempire il nostro cuore... per quanto ci struggiamo di sentimento, ci sentiamo sempre incompleti se non siamo ricambiati. Non é assurdo tutto ciò? Dovremmo bastare a noi stessi, non trovi? Potremmo amare il mondo e amare gli altri e non pensare a nient’altro, mentre abbiamo continuamente bisogno di certezze e approvazioni, abbiamo bisogno di sentire che qualcuno ci ami, o l’amore che produce il nostro cuore sembra non avere alcun senso. E quando questo non accade, soffriamo. Ti chiedi mai perché questo grande apparecchio che abbiamo nel petto non provvede anche a saziare se stesso?  Quanto é ingenuo il nostro cuore, Viola, forse troppo. Si affida agli altri, a tutti, con una tranquillità assurda...mi viene da ridere, sembra un gioco o un barzelletta, invece la vita é proprio questo! Questo non può fare altro che dimostrare che viviamo specchiandoci negli altri, viviamo grazie al collegamento tra le nostre anime e viviamo sperando di essere abbracciati e avvolti da loro. É come una catena, il mondo. Ognuno legato a qualcun altro, all’infinito... e ognuno si chiede a quale anello della lunghissima catena universale é legato. Sappi che io sono legato a te. Sappi solo questo-

Viola fissò i suoi occhi, il suo sguardo tremendamente perfetto e dolce, poggiò la testa sul suo petto abbracciandolo e lasciandosi abbracciare per un attimo, chiuse gli occhi mentre le tremava il cuore.

-         Manuel, esiste l’amore vero?- chiese d’un tratto, come se la domanda le fosse emersa direttamente dall’anima.

Manuel scoppiò a ridere.

-         Perché ridi?-

-         Sai cosa diceva Einstein?-

-         No, cosa diceva?-

-         Diceva: “Tutti credono che una cosa sia impossibile, poi arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”. Le persone durante la loro vita non fanno altro che chiedersi se  il vero amore esiste, se esiste questo o se esiste quell’altro…lo cercano in lungo e in largo con impazienza perché hanno paura di non trovarlo mai, e se non lo trovano mai vuol dire che é impossibile trovarlo e che quindi non esiste. Nessun esempio di felicità o amore può convincere l’uomo che queste cose esistano davvero, deve essere lui a provarle sulla propria pelle. E così si vive nell’ansia e nell’eterno dubbio, nell’eterna sfiducia dei sentimenti propri e degli altri. Non hai mai pensato, Viola, - Manuel abbassò lo sguardo e sfiorò la mano di Viola con le dita, - non hai mai pensato che seppure l’amore vero non esistesse potremmo inventarlo?-

Viola guardò le sue dita accarezzarle il dorso della mano, poi alzò lo sguardo verso i suoi occhi.

-         Inventarlo?-

Manuel sorrise.

-         Già. Fin quando ci ameremo e sapremo che sarà per sempre non abbiamo da chiederci se il vero amore esiste. Io e te lo possiamo creare da noi, il nostro vero amore-

-         Non…non c’avevo mai pensato…-

-         Così esisterà, ed esisterà per me e per te e per tutti quelli che vorranno credere che noi l’abbiamo inventato-

-         Non l’avranno mica già inventato?-

-         Ognuno potrebbe inventare il suo e donarlo agli altri, Viola. Noi creiamo il nostro, e non avremmo fatto altro che…beh…-

Manuel arricciò il naso, spostò lo sguardo altrove in cerca di una risposta.

-         Che cosa?- chiese Viola.

Manuel si voltò nuovamente verso di lei con un sorriso.

-         …che aumentare la percentuale di amore nel mondo! Sai quante persone dicono “amore”, Viola?-

Manuel le accarezzò la punta del naso con il dito, Viola sentiva il suo respiro addosso, la sua voce era soffusa, seria, esitante.

-      Non lo so, quante?-

-      Troppe-

Viola gli sfiorò le labbra con le sue, e anche se intorno c’era più buio che luce, non aveva bisogno di vederlo, le bastava sentirlo, sentire la sua presenza e il suo respiro.

- E la cosa strana e che…- riprese, mentre respirare gli riusciva sempre più difficile, - lo dicono con così tanta semplicità che forse non se ne rendono conto, ed é diventato un processo così normale che ormai é diventata una parola strausata, senza più nessuna identità...-

Le punta delle dita sfiorarono il viso di lei, socchiuse gli occhi come per impedire a se stesso di piangere.

-      …stai tremando…- sussurrò Viola, poggiandogli la mano sulla guancia.

-      Oh, non é un tremore. E’ una sottospecie di effetto collaterale-

-      Cosa?-

-      É come se alcuni nervi del mio corpo impazzissero, e questo mi provoca un leggero tremore. Alle mani, soprattutto-

La voce era rotta da qualcosa che Viola non riusciva a percepire, eppure qualcosa di simile ad una tensione le saliva lungo la schiena a vederlo così.

-      Come potresti smettere?- chiese, lo sguardo apprensivo, baciandogli il dorso di entrambe le mani.

Lui rise, incrociò le dita con quelle di lei.

-      …dovresti smettere di amarmi per farmi smettere, Viola…-

Un improvviso sussulto le partì dal petto e le irradiò il corpo come una luce. La forza e l’impetuosità del suo sentimento era così potente che lui lo avvertiva tremando, - il solo, piccolo, sentimento che le partiva da ogni particella del corpo lo colpiva a tal punto da farlo tremare, la sua vicinanza era tale che sentiva, quasi lei gli fosse entrata dentro, tutto quello che stava provando.

Manuel le diede un leggero bacio sulla fronte, con la mano seguì il movimento ondulato dei suoi capelli, nutrì la sua anima con gli effluvi che sentiva provenire da lei. Si era rifiutato, fino a quel momento, di credere che esistesse qualcuno che potesse amarlo, che qualcuno potesse avere il desiderio di porsi nelle sue mani con la più completa fiducia, sapendo che non ci sarà mai una fine. E se il sentimento di più completa donazione – se davvero quello – era l’amore, quello di Viola cos’era precisamente? Come poteva definirsi, il desiderio di qualcuno che era disposto a uccidere la nascita di ogni emozione per donarla a lui, il desiderio innato di sacrificare ogni piccola vibrazione derivante dall’anima? Era follia – forse - era follia.

Viola accarezzò i suoi capelli, gli regalò un bacio di dolcezza e amore, si fece abbracciare, stringere, accarezzare, poggiò la testa sul suo petto per sentire il suo cuore battere.

                                                                 ...

-      Hai paura?

-      Per te...sei pallido e tremi...la tua pelle é fredda...non stai bene, vero? Oh Manuel, tu non stai bene...-

-         Sto bene...davvero...-

-         Ti fa stare male questo...le emozioni di adesso...-

-         Dimmi Viola, tu hai paura?-

-         No...tu lo sai...-

-         Le senti... le gocce...-

-         É la pioggia...-

-         Dentro di te...come un fiume...-

-         Abbracciami...-

-         Ansimi...-

-         E tu tremi...-

-         Perché ridi?-

-         Rido...non lo so...abbracciami ancora...-

-         Ti...ti faccio male, Viola?-

-         No...-

-         Mi gira la testa...-

-         Stai bene?-

-         Si...-

-         Stai piangendo...-

-         Io ti amo...-

-         Non piangere...-

-         Non sento più...l’aria...-

-         Stai tremando di più...-

-         Hai gli occhi lucidi...Viola...-

-         Anche io ti amo-

                      

Luci.

Aghi - leggeri - sfiorano la pelle   ... il freddo avvolge gli aghi

Poi la luce avvolge il freddo

Una goccia.

Cade, poi é di nuovo su, ricade.

Tante gocce intorno agli occhi, corrono inseguite dal tempo

Estasi.

L’aria si dissolve e tutto si annulla,

l’illusione di un attimo

poi tutto diventa anima

luce con risvolti oscuri,

completezza e mistero,

e l’amore che danza con la paura.

Occhi vuoti e pieni di buio,

terrore del corpo che cerca aria,

e l’anima si divide in voci,

Aria.

Luci, e sospiri.

Aghi soffici sfiorano la pelle, il respiro avvolge gli aghi

poi il sonno avvolge il respiro.

Notte.

-         Non dovrei essere qui-

Viola poggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e sospirò.

-         Se é per questo sei anche nel mio letto e non dovresti esserci –

-         E’ un’altra cosa…-

-         Davvero?-

-         Già. Ti avevo promesso che nei sogni non sarei più venuto –

-          Nessuno ti ha chiesto di promettere-

-         Mi dispiace, sono debole-

Viola scoppiò a ridere, lui la guardò con un cipiglio di curiosità.

-         Siamo in un sogno, Manuel, non sei distante da ciò nel quale vivo ogni volta che sono con te-

-         Qui ti sbagli di grosso-

Manuel cercò i suoi occhi, con la mano le accarezzò i capelli e poi la guancia.

-         Non sono un sogno, Viola, faccio parte della realtà-

-          Già. Un sogno diventato realtà-

-         Non mi hai mai sognato prima che ci conoscessimo-

-         Vivevo nella nostalgia di qualcosa che non avevo ancora incontrato. Non so, è come essere nostalgici del futuro-

-         Non siamo nostalgici forse anche qui?-

-         Nostalgici, ma felici-

-         Cos’é la felicità?-

-         Perché me lo chiedi?-

-         Perché so che puoi rispondermi-

-         Non é vero-

-         Si che é vero. Tu sai cos’é davvero la felicità, potresti annunciarlo al mondo facendo di colpo crollare teorie su teorie, aprendo gli occhi a tutti e risolvendo il più grande quesito dell’universo-

-         Cosa ti fa pensare che io lo possa sapere?-

-         Mi prendi in giro? La tua mente é in grado di analizzare qualsiasi emozione concepibile, sai riconoscere gli stati d’animo più disparati e sai entrare nell’inconscio. Vuoi farmi credere che tu non abbia mai visto la felicità? Tu sai cos’é, Manuel, e forse il mondo sta aspettando la tua risposta-

-         La mia risposta non va bene-

-         Allora la conosci!-

-         Non ho detto questo-

-         Si invece, confessalo: conosci la risposta alla più grande domanda della storia e non vuoi ammetterlo-

-         Tu hai una considerazione troppo alta di me-

-         E tu troppo bassa di te stesso-

-         Non c’entra. Io non so un bel niente-

-         E guarda caso sei sempre a parlare di teorie filosofiche-

-         Sono semplici idee. E non so se sono vere-

-         Chi la stabilisce la verità?-

Manuel alzò lo sguardo sfuggendo agli occhi di lei.

-         Non posso crederci, sai anche questo!-

Viola rise puntandogli il dito contro, Manuel arricciò il naso evitando di nuovo di guardarla negli occhi.

-         Non é vero- mormorò poi.

-         Tu sei incredibile-

-         Sei tu a crederlo-

-         Stai cambiando argomento, io ti avevo chiesto della felicità-

-         Ognuno vive la felicità a modo suo, Viola, e non cercare di dire che non é così. Basterebbe poco per essere felici-

-         Se tutti potessimo essere felici raggiungeremmo la pace?- chiese poi, quasi in un sussurro.

-         Beh si, credo di si-

Manuel abbassò il volto verso quello di Viola, sfiorò con le dita la punta del suo naso, sorrise.

-         Potresti scriverci un trattato, molta gente lo comprerebbe-

-         Io non ci conterei tanto-

-         Perché?

-         Perché é difficile da spiegare –

-         Tutto é difficile-

-         Già…-

Manuel accarezzò i suoi capelli.

-         Forse dovresti dormire un po’- sussurrò dopo un attimo.

-         Perché, non sto forse dormendo?-

-         Non so. Ho l’impressione di non sentirti riposata-

-         E tu, sei riposato?-

-         Abbastanza. Su avanti, lasciati andare per un attimo. Così dormirai davvero-

-         Adesso neanche i sogni ci fanno più dormire…-

                                                            ...

Il vento le stava accarezzando il viso, Viola credeva fosse un sogno. Nel dormiveglia si interrogava se fosse davvero il vento il soffio freddo che sentiva sulla guancia, la fantasia viaggiava a più di mille miglia. Il buio della sua mente si colorava, respirava tranquillamente, avrebbe voluto continuare a dormire ancora un po’ ma quel qualcosa di freddo che continuava a soffiarle sul volto stava per farle raggelare l’intero corpo. Lentamente aprì gli occhi, vide un fascio di luce illuminare la stanza, proveniente dalla finestra aperta.

Oh, ecco spiegato il vento.

Per un secondo fissò la luce del sole illuminare il pavimento, poi abbassò lo sguardo fissando il braccio che teneva sotto la guancia, si accorse di essere sulla sponda del letto, quasi in bilico.

-         Scusa, hai freddo. Ora la richiudo, la finestra-

Non fece neanche in tempo a girarsi, lui si era già alzato e con un movimento fulmineo chiuse la finestra.

Avrebbe voluto parlare, dirgli che andava bene così, anche con il vento, ma non ci riuscì. Guardò la sua figura che adesso si voltava, la guardava, le sorrideva.

Aveva un viso tranquillo, riposato, leggermente pallido forse, ma bello, gli occhi sorridenti parevano meno accesi del solito – un po’ arrossati, come dopo un pianto - ma erano sereni, lo sguardo trasmetteva pace e sicurezza insieme con un inspiegabile cipiglio di felicità e totale tranquillità.

A piccoli passi si avvicinò di nuovo al letto, si sedette sulla sponda accanto a lei e le poggiò una mano sulla testa, accarezzandole delicatamente i capelli.

- Poteva restare aperta- riuscì a dire lei dopo un attimo, continuando a guardarlo.

- Certo, così ti prendi un malanno-

Il silenzio li avvolse per un altro momento.

-         Stai bene?- chiese dopo un attimo.

-         Si. Tu?-

-         Si-

-         Manuel...-

Viola cambiò espressione per un attimo, i loro occhi si incontrarono per un secondo, Viola prese la sua mano tra le sue.

-         Cosa c’é?-

Lui cercò di nuovo il suo sguardo, fissandola con dolcezza e tranquillità mentre la sua voce restava ferma, calda, soffice.

Viola osservò ancora il suo viso tranquillo, tentando invano di leggerci quello che stava pensando.

-         Sei un po’…-

-         …strano?-

-         Sicuro di star bene?-

-         Si, sto bene. Sto solo recuperando i sensi-

-         Cosa?-

-         Sai, credo di essere sparito per un attimo-

Gli occhi di Manuel si persero nel vuoto, Viola puntò lo sguardo su di lui.

-         Come…cosa significa?-

-         Non lo so, ma é come se fosse sparito tutto di me tranne la capacità di sentire-

-         Sparito? Stai dicendo sul serio? Cioè, é stata una sensazione, una tua emozione?-

-         Perché hai questo tono?-

-         Non ho un tono, nessun tono, sto solo chiedendo, io…-

-         Sei preoccupata. Cosa c’é da preoccuparsi?-

-         Sei ancora pallido, Manuel -

-         Non sono fatto di pietra o ferro, cara-

Viola abbassò gli occhi, sospirò di nuovo.

-         Okay, adesso sono tranquilla. Dimmi, avanti-

Manuel abbozzò un sorrisetto, riprese ad accarezzarle i capelli.

-         La chiamano estasi, quando lo spirito prende il sopravvento sul corpo. In realtà non so se questa parola si addica a ciò che voglio dire. Mio Dio, non ho mai visto tante emozioni tutte insieme!, correvano, si inseguivano come fanno i bambini al parco… erano tante, tutte colorate, mi mancava il respiro mentre cercavo di guardarle, loro si arrampicavano sulle mie spalle, sui miei capelli, mi entravano negli occhi e nelle orecchie, e ognuna mi parlava di te. Credo che questo mi abbia fatto perdere momentaneamente la sensibilità a tutto il corpo, come se l’unico organo rimasto attivo fosse il cervello, capace di percepire queste emozioni. Come un’anestesia totale: non sentivo di avere più mani, braccia, testa, gambe, nulla più. Vedevo solo quelle emozioni colorate nel cervello. Ma é durato un attimo, solo un attimo, dopo é passata. Ma sai, mi é rimasto il sapore in bocca, adesso mi sembra strano avere un corpo, quasi l’anima fosse la mia unica dimensione. Tu mi hai mostrato l’anima, Viola. Avevo visto tante cose dell’anima, ma lei,  non l’avevo mai vista –

Viola rimase immobile, fissava i suoi occhi vuoti che si muovevano da un particolare all’altro del suo viso, della sua stanza, del suo letto.

-         E’ incredibile- mormorò con un filo di voce, - tu sei l’essere più straordinario che esiste sulla faccia della terra-

-         Sono ipersensibile. Forse troppo-

Manuel abbassò lo sguardo e il volume della voce.

-         Credi che avrebbe potuto essere pericoloso?-

Viola poggiò la mano sulla sua spalla, lui alzò di scatto la testa.

-         Cosa?-

-         Si, pensa se… se queste emozioni ti avessero preso per più che un attimo. Cosa sarebbe successo? –

Manuel rimase un attimo in silenzio a fissare il pavimento mentre le dita di Viola scivolavano sulla sua mano.

-         Non lo so cosa sarebbe successo, - mormorò dopo un attimo, - ma forse non sarebbe potuto succedere. Forse non succederà mai-

-         Come fai a saperlo?-

-         Perché forse é solo così che può succedere. Stai tranquilla Viola. Avanti, abbracciami-

Viola non lasciò ripeterselo due volte, si lasciò stringere e poggiò la testa sulla sua spalla.

E non le aveva più detto cos’era la felicità.

                                                            

La luce del tramonto filtrava attraverso i pochi spiragli, l’ambiente era abbastanza largo, un odore di carta e inchiostro aleggiava tutt’intorno.

Il silenzio regnava sovrano, stendeva la sua ombra invisibile sugli oggetti ridisegnando i loro contorni, aggiungendo sfumature alla loro luce, liberando l’impressione più tetra che potessero suscitare. Le ombre tratteggiavano gli odori dei sospiri sui muri, aloni di presenze immobili si allungavano sulle pareti - una mano.

C’era una valigetta sul lungo tavolo. Era una valigetta normale, come tante, con un manico di pelle e una tasca sul retro, il rumore che faceva quando la si apriva era quel clic tipico di queste borse, un rumorino sordo eppure quasi piacevole all’orecchio, - una mano.

Era divisa in tre, dentro, la valigetta: due libri nel primo scomparto, un’agenda nel secondo, e altri due libri di più piccole dimensioni nel terzo. E poi una tasca interna.

La mano si infilò nella tasca interna, ne estrasse qualcosa, lasciò la borsa aperta mentre osservava ciò che aveva preso. Era un foglio di piccole dimensioni, ripiegato su se stesso delicatamente.

Quella mano affianco l’altra, il foglio venne aperto lentamente.

Un sorriso, quasi scontato, un’occhiata veloce all’inchiostro nero, un nuovo sorriso.

Joel chiuse la valigetta, sorrise come soddisfatto e andò via.

Mia osservò dalla finestra sull’esterno quel gesto.

Impaurita e affranta si allontanò per la strada.

                                                        

Viola chiuse la finestra con un movimento veloce, lanciò uno sguardo al sole che tramontava e poi uno alla scrivania, verso il libro di matematica. Non aveva mai fatto tanta matematica in vita sua, mai avrebbe creduto che il suo cervello avrebbe potuto reggere a tre ore consecutive di numeri. Beh, normalmente non l’avrebbe mai sopportate, ma se era Manuel a spiegargliela, avrebbe potuto continuare così per l’eternità. Il fatto era che lui sapeva mantenere la calma davanti a qualsiasi cosa, persino davanti a quelle equazioni che sembrano impossibili, quelle che anche dopo averle fatte e rifatte il risultato non é mai giusto. Lui si siede, con calma, prende la penna e la fa, semplicemente. Scrive lentamente, numero dopo numero, non sbaglia un calcolo, e alla fine fa apparire tutto semplice. Come ho fatto a non pensarci prima, viene da pensare.

Qualcuno bussò alla porta, Viola voltò la testa di scatto svegliandosi dai suoi pensieri.

-         Chi é?-

-         Viola, sono Mia-

Viola restò sorpresa, deglutì.

-         Oh Mia! Su, entra - rispose, cercando di non far trasparire la meraviglia nella sua voce.

La porta si aprì come se ad aprirla fosse stato un soffio di vento, Mia infilò la testa nella stanza.

-         Ciao Mia, che bella sorpresa! Ma cosa fai ancora sulla porta, avanti entra!-

Viola sorrideva, aveva superato la momentanea sorpresa del vederla e si sentiva quasi in pace con se stessa, come se quella visita stesse a significare che non era mai stata arrabbiata con lei e che dopotutto credeva a quello che le aveva raccontato.

- Ciao Viola- salutò Mia, con uno strano tremore nella voce.

- Mia, come stai? Tutto bene?-

Viola la guardava, lei era strana. Fissava ora gli occhi di Viola ora il pavimento silenziosamente, quasi imbarazzata.

Bastò uno sguardo più accurato di Viola per rendersi conto che stava succedendo qualcosa.

Mia aveva gli occhi spenti e il pallore sulle guance.

-         Cosa…cosa succede?- chiese dopo un attimo, facendo sparire il sorriso.

-         Avrei bisogno di parlarti, Viola- iniziò Mia con un filo di voce.

-         Eccomi, sono qui. Parliamo- rispose lei, sedendosi sul suo letto e continuando a fissarla con un cipiglio di preoccupazione.

Passò un altro secondo senza che Mia parlasse, Viola iniziava seriamente a preoccuparsi.

-         Hai un viso strano. Cosa é successo? Qualcuno sta male? Ti é accaduto qualcosa?-

Domandava a raffica, cercando di leggere nei suoi occhi le risposte.

Mia alzò la testa.

-         Viola, ti ho mentito-

Gli occhi di Mia e quelli di Viola si incrociarono per un breve istante. Un misto tra confusione e incredulità le possedeva lo sguardo, cercava di capire a cosa si riferisse e a cosa era dovuta quella frase.

-         Io non capisco…-

-         Ricordi l’ultima volta che ci siamo viste?-

Viola alzò lo sguardo verso l’amica.

-         Si- rispose in un sussurro.

-         Quando abbiamo parlato di Manuel,- continuò, - e tu mi dicesti che lui era… normale?-

La sua voce era esitante, il cuore di Viola iniziava a battere.

-         Si, certo- ribadì.

-         Io non ci ho creduto-

Il cuore le rimbombava nel cervello, Mia la guardò.

-         Ho rubato il tuo diario-

Viola era paralizzata, sentiva il cuore batterle a mille. Era vero, Viola aveva un diario, aveva iniziato ad averlo quando s’erano trasferite a Brighton, amava raccontare di se e di quello che provava, ed aveva raccontato anche di Manuel. Ma da quando lui era entrato nella sua vita, Viola scriveva più raramente e per qualche settimana, - pensandoci bene, esattamente da qualche giorno prima che Mia era venuta a trovarla, - non aveva più usato il diario. Aprì con fragore il secondo cassetto del suo comodino, dove lo riponeva sempre, e con orrore si accorse che quanto Mia diceva era la verità. Il diario non c’era più, e l’aveva preso lei. Questo significava che aveva letto tutto riguardo Manuel.

-         Ti eri comportata troppo stranamente nei giorni precedenti e tu non sei mai stata una tipa misteriosa o problematica, non avresti avuto problemi a dirmi le cose come stavano. La verità era che sotto c’era qualcosa, e tu non volevi dirmelo, - Mia aveva iniziato a parlare con il tremore nella voce, mentre non riusciva a decifrare lo sguardo di Viola, - ed eri stata molto male. Tu non stai male facilmente, Viola, io ti conosco bene. L’unica spiegazione possibile era che mi stavi mentendo -

Le parole di Mia fluivano leggere dalle sue labbra e sembravano sbattere contro le pareti e ritornare al centro della stanza come palline gommose.

-         Perché mi dici questo?-

La voce di Viola era rotta di pianto, eppure non piangeva.

-         Ho avuto paura per te, Viola, - riprese Mia con un filo di voce, - paura di questo tuo nuovo comportamento, paura per tutto…non eri mai stata così, ed ero ancora più spaventata dal fatto che non mi stessi dicendo la verità. Quello che ho letto su questo diario mi ha dato la conferma dei miei dubbi. Tu mi hai mentito, Viola, ed io sono stata costretta a mentire a te. Ma mi dispiace, insomma, per te, per Manuel, io non immaginavo che lui fosse… si insomma… ne ero ossessionata,  non riuscivo a smettere di leggere quelle righe e tutto quello che hai scritto mi aiutava a capire i tuoi comportamenti, tutto quello che era successo, era come la chiave di lettura di ogni cosa. Sono arrivata perfino a strappare le pagine per potermele portare dietro, a scuola…-

-         Cosa? Ma perché? Perché hai fatto questo?-

-         Te l’ho detto, io, io…- Mia alzò lo sguardo timorosa, - io avevo paura, non capivo…non volevo farti del male, Viola, ma poi è… è successa una cosa-

-         Cosa é successo? Cosa hai fatto ancora?-

-         Le pagine del tuo diario. Sono quelle che Joel mi ha sequestrato in classe -

I muscoli del corpo di Viola divennero di ghiaccio.

Lo sguardo era fisso su Mia senza che riuscisse a muoversi, gli occhi spalancati, la bocca serrata, i pugni stretti sulle gambe. E il cuore a mille.

-         Smettila di dire sciocchezze-

-         Non guardarmi così, ti prego-

-         Cos’é che vuoi da me?-

-         Viola…-

-         Stai mentendo-

-         E’ la verità…e mi dispiace molto…l’ho tenuto d’occhio dopo la scuola, quando la sala professori é rimasta vuota ha tirato fuori il mio foglio, l’ha letto e ha sorriso in un modo strano…-

-         Stai mentendo, si, tu menti -

-         Ti prego, non parlare così…-

Mia socchiuse gli occhi lucidi, fece per avvicinarsi, Viola si scostò.

-         Viola, sono venuta qui per trovare una soluzione-

-         Una…una soluzione?-

La voce di Viola era soffusa.

-         Ti prego, dobbiamo parlarne con calma, e forse tu potresti …-

-         No, per favore, non parlare!-

Viola alzò una mano verso l’amica che tentava di avvicinarsi, tentò di controllare gli spasmi di sorpresa, dolore e paura che sentiva nascere da dentro.

-         Viola, quanto é grave quello che é successo? Ti prego devi dirmelo. Devi dirmi quanto di vero c’è in quello che ho letto -

Viola la fissò per qualche momento inespressiva.

Già, adesso non poteva più mentire. Che senso avrebbe avuto, adesso, continuare a dire bugie? Con il suo comportamento irresponsabile ormai aveva già messo a repentaglio tutto, non poteva più permettersi di mentire.

Deglutì a vuoto.

-         Non riesco a crederci…- sibilò tutto d’un fiato

Il telefono sul comodino prese a squillare, tutte e due puntarono lo sguardo sull’apparecchio.

Con un movimento fulmineo Viola lo prese e se lo portò all’orecchio.

-         Pronto?-

-         Che succede?-

-         Manuel?

-         Che succede Viola?-

Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono.

-         Niente-

-         Non é vero. Sei in agitazione-

-         Tu come fai a saperlo?-

-         Lo so-

-         Già, questo lo vedo, - Viola lanciò un’altra occhiata a Mia, - ma non sei qui adesso, come fai a saperlo?-

-         Pensi che il nostro stare vicini non abbia alcun effetto?-

-         Ce l’ha?-

-         Si e molto-

-         Bene-

-         Non mi hai risposto. Cosa sta succedendo?-

-         Io, beh, niente, davvero…-

-         Tu non sai mentire. E anche se sapessi farlo sarebbe comunque inutile-

-         Non ti capisco-

-         Sento la tua ansia nelle vene, Viola: dimmi cosa succede, mi sto preoccupando-

-         Non preoccuparti-

-         Viola-

-         Ascolta, é successa una cosa-

-         Aspettami arrivo subito-

-         No, aspetta…-

-         Non se ne parla. Arrivo-

 

 

 

 

 

La luce era quasi calata del tutto, il silenzio avvolgeva la stanza e i volti dei presenti.

Viola sedeva sul letto, lo sguardo basso, assente, era come pietrificata da un sentimento che altalenava tra la non comprensione e il rifiuto dell’evidenza, Mia era agghiacciata nel guardare il volto di Manuel.

D’un tratto era come se il sangue avesse smesso di circolare nelle sue vene, guance, fronte, braccia e mani erano diventate bianche come le pagine di quei quaderni mai aperti, gli occhi sembravano aver ingoiato ogni sua capacità di parlare o di muoversi. E in quell’ansia che lo consumava, Mia era finalmente a conoscenza di quello che sapeva fare.

Manuel era arrivato subito come aveva promesso a Viola, il suo sguardo aveva iniziato a diventare cereo già quando il suo corpo aveva iniziato ad essere colpito dalle fortissime emozioni che attraversavano le due ragazze. Le aveva guardate con aria interrogativa, poi aveva chiesto, debolmente, cosa stesse succedendo. Viola aveva iniziato con un discorso tranquillo, il dolore delle sue parole era mascherato da quell’apparente calma che invade chi é senza speranza, lo sguardo di Manuel aveva scrutato Mia leggendo la sua paura, il suo pentimento. La sua incoscienza.

Alla fine del discorso Viola era scoppiata a piangere, Manuel non aveva parole, “perdonami, ti prego, perdonami” aveva sussurrato Viola tra le lacrime mentre lui l’abbracciava. Manuel aveva sentito il cuore balzargli nel petto come i singhiozzi di Viola, poi, mentre ancora la stringeva, aveva guardato Mia, poggiata contro la parete. Uno sguardo contemporaneamente interrogativo, triste, e una punta di comprensione. Oh, lui non poteva mai prescindere da questa, la comprensione. C’era forse qualche sensazione, anche la più difficile da perdonare, che lui non potesse comprendere e risparmiare?

La mente era piena di paura e domande, sentiva di non poter riuscire a sopportare ben quattro dolori tutti insieme.

“Si, avevi ragione” aveva sussurrato dopo un attimo, “c’era qualcosa che Viola non ti ha detto e che adesso sai”.

“Mi dispiace, Manuel …” aveva già iniziato a dire Mia in un sibilo, Manuel  abbassò la testa come per farle capire che non voleva quelle scuse.

“So che sei dispiaciuta. Lo sento nelle tue emozioni. É questo che so fare, sento ogni tipo di emozione e sensazione. Proprio come avevi letto nel diario”.

Viola aveva alzato la testa dalla sua spalla ignorando per un attimo il dolore che sentiva stringerle il cuore e aveva guardato il viso di Manuel.

Non si era arrabbiato, non si era rifiutato neanche di abbracciarla e non aveva parlato in modo duro a Mia. La stava ancora abbracciando, adesso, e stava rivelando tranquillamente il suo segreto alla sua migliore amica.

“Non avere paura” aveva iniziato a dire poi, “ti prego non avere paura”

“Io non…”

Mia aveva cercato parole che non esistevano.

“Ho chiesto io a Viola di mentire su questo segreto, é colpa mia se vi ha mentito”.

Si era preso la colpa.

“Perdonami Manuel. Se riesci a sentire davvero quanto mi dispiace, ti prego perdonami”.

                                                         

 

 

 

-         Quindi Joel sapeva…? Sapeva già cosa c’era scritto in quelle pagine?-

-         Questo non lo so-

-         Dalla reazione che mi descrivi, lui…-

Manuel non riuscì a terminare la frase. Sentiva il corpo in fiamme e non riusciva a trovare senso in quello che gli veniva raccontato.

Mia gli lanciò un’occhiata.

-         Dobbiamo recuperare quei fogli- disse dopo un attimo, incontrando gli occhi di Manuel, - non deve avere in mano nessuna prova sul tuo conto-

Viola alzò finalmente lo sguardo seguendo il discorso dei due.

-         E poi?- chiese Manuel.

-         Se gli portiamo via quelle pagine qualunque convinzione sarà vana. Non avrà prove per nulla-

-         Prove per cosa?-

-         Non lo so. Ma qualsiasi cosa pensi non sarà provabile-

-         Credi che possa averlo ancora nella borsa?-

-         Probabile. Se non é lì potremmo cercare nel suo ufficio a scuola-

-         E nel caso non fosse neanche lì?-

-         Penseremo a qualcosa-

-         D’accordo. Ci andrò domani-

Viola alzò di scatto la testa.

-         Io ti accompagno-

-         No, non serve-

-         Si invece-

-         Se ci scoprono saremo nei guai in due ed é peggio-

-         Ma non mi interessa-

-         Viola…-

-         Non cercare di tenermi fuori, io ti ho creato questo guaio-

-         Non mi hai mai creato guai-

-         E questo come lo chiami?-

Manuel abbassò lo sguardo.

-         Manuel, credo che dovresti lasciarla venire con te, - disse Mia, - sarete quattro mani, cercherete più in fretta, o se preferite, uno resta a fare la guardia. Da solo non ci puoi andare, é da stupidi-

Manuel guardò Viola.

-         Faremo in fretta. Domani dopo le lezioni, quando tutti saranno andati via- disse infine, deciso.

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Capitolo 12
*** 11 ***


fiori11

Le lezioni del venerdì finivano alle quattro del pomeriggio per i corsi intensivi e Joel era occupato più o meno fino alle quattro e mezza con le sue faccende.

Quando suonò la campanella Viola si precipitò fuori dalla classe, attraversò il corridoio del terzo piano fino a raggiungere Manuel, che l’aspettava accanto alle scale. Si scambiarono poche parole, molto sguardi, Viola era tesa e Manuel inquieto. Non sapevano a cosa stavano andando incontro e neanche se la loro idea avrebbe fruttato qualcosa. Quello su cui si stavano basando erano pure supposizioni, nessuno di loro – né Manuel, né Viola e né Mia, - avevano idea di dove fosse quel biglietto e cosa potesse mai interessare davvero a Joel.

Alle quattro e un quarto la scuola era apparentemente vuota di alunni, il corridoio di mattonelle rosse era occupato da segretari che con fogli tra le braccia si muovevano da un ufficio all’altro. Dovettero aspettare che il viavai si placasse un po’ per sgattaiolare velocemente fino alla porta dell’ufficio di Joel e infilarsi lì dentro.

La porta dell’ufficio era aperta.

Tutto era in ordine, in particolare la scrivania: neanche un foglio fuori posto, i libri erano allineati uno sull’altro con precisione impressionante e la sua valigetta era poggiata sulla sedia.

Manuel e Viola si scambiarono uno sguardo.

-         Tu guarda sulla scrivania, io vedrò nella sua borsa- sibilò Manuel così velocemente che Viola fece quasi fatica ad afferrare le parole.

Celermente si allontanarono dalla porta e si avvicinarono alla scrivania, Viola iniziò delicatamente a spostare i libri uno ad uno, sfogliò le loro pagine, fece attenzione a riporre tutto come l’aveva trovato, aveva l’ansia fin sopra i capelli. Le mani le tremavano quando toccava un foglio, un libro, una cartellina, pensò che con quelle sensazioni non stava aiutando Manuel. Lui aveva aperto la borsa, stava infilando le mani tra gli oggetti del professore e guardava con occhio attento tutto quello che gli capitava di toccare.

Stavano perdendo solo tempo, in quel momento Viola ne fu certa.

Il silenzio di quei momenti parve possederli, poi si ruppe tutto insieme, in un attimo.

La porta si spalancò con un cigolio tranquillo, Manuel e Viola alzarono gli occhi atterriti.

-         Manuel,- sospirò una voce tranquilla, la mano ancora poggiata sulla maniglia della porta, - cercavi questo?-

 

 

 

                                                              

 

Il foglio ondulava tra le dita di Joel che continuava a muoverlo avanti e indietro. Il suo viso era illeggibile, gli occhi fissi in quelli di Manuel e la mano ancora sulla maniglia della porta.

La tensione di quei momenti era alle stelle.

Joel abbassò la testa con un movimento fulmineo, poi chiuse la porta alle sue spalle e fece qualche passo verso i ragazzi.

-         Sarò sincero, non credevo che sareste potuti venire qui- disse, lanciando uno sguardo anche a Viola, - ma forse é stato meglio così-

La voce cambiò intenzione nel pronunciare l’ultima frase.

Manuel non riusciva a parlare, ma si sforzò di farlo.

-         Professore, lei chi…-

-         Aspetta Manuel, non parlare. Lascia che sia io a cominciare-

La sua voce era di nuovo unita ad un sentimento di leggera malinconia eppure di gioia.

-         Quel biglietto non ha significato niente per me, se non la conferma di una cosa che già pensavo-

-         Cosa? Di cosa sta parlando?-

-         Sospettavo che qualcun altro conoscesse il tuo segreto-

-         Ma lei come…-

-         Noi ci siamo già incontrati, Manuel -

Manuel restò attonito fissando la sua espressione, Joel continuava a guardarlo insistentemente, restando fermo nella sua posizione.

-         Guardami bene, Manuel, proprio non mi riconosci?-

Gli occhi di Manuel scrutarono il suo volto, non riusciva a fare altro se non tenere gli occhi fissi sul suo sorrisino enigmatico.

Joel abbassò la testa con un risolino, alzò le spalle e un senso di leggerissima delusione velò il suo sguardo. Manuel tentò di scacciare quella sensazione scuotendo la testa, ma sembrò che quel movimento animasse ancora di più la confusione che sentiva.

-         Beh, dovevo pur immaginarlo, scusami, - iniziò di nuovo Joel dopo un attimo, - é passato tanto di quel tempo…-

La voce era leggermente rauca, sembrava un sibilo nel vento.

Manuel fece un passo indietro fiancheggiando Viola, Joel alzò lo sguardo.

-         Ma non guardarmi così, voglio spiegarti tutto- ricominciò poi, vedendo un alone di paura disegnarsi sul volto del ragazzo.

-         Chi é lei? Perché non me lo dice subito?-

Finalmente un filo di voce uscì dalle labbra di Manuel mentre iniziava ad agitarsi tutto e a perdere colore sulle guance.

-         E’ meglio sederci e parlare con calma, e forse sarebbe meglio  se da soli…-

Lo sguardo di Joel cadde su Viola, che appena al fianco Manuel guardava la scena silenziosamente con una punta di preoccupazione.

-         Non se ne parla, - ribatté Manuel, - lei resta qui e non fa un passo senza di me-

Joel si fece un’altra risatina simpatica.

-         D’accordo, come vuoi. Vuoi sederti Manuel? E anche tu Viola…avanti, sedetevi e state tranquilli. Non voglio che mi guardiate in quel modo, non sono niente di quello che pensate-

Le sue parole avevano perso quella punta di ironia e quella sottospecie di emozione morbosa che Manuel era riuscito a cogliere in tutto ciò che aveva detto precedentemente, adesso era serio e il suo sguardo era divenuto mite.

Con un movimento fulmineo entrambi si sedettero sulle sedie davanti alla sua scrivania continuando a tenere gli occhi fissi su di lui mentre Joel si sedeva sulla sua poltrona e tirava un grosso sospiro, poggiando il tanto incriminato biglietto davanti a lui.

-         Non credevo che sarebbe mai arrivato questo momento, - disse soffusamente, - a parte quegli strani sogni dove venivo da te e ti raccontavo ogni cosa. Invece sei stato tu a venire da me, Manuel, e forse é stato meglio così-

-         Continua a ripetere che é stato meglio così. Ma lei conosce il mio segreto, come ha fatto a scoprirlo?-

La voce di Manuel era ferma, seria, imperativa. Joel sostenne il suo sguardo riuscendo a mantenere la sua espressione dolce, poi lo riabbassò come se si vergognasse.

-         Ricordi quando avevi cinque anni, Manuel? Erano passate poche settimane da quando i tuoi genitori avevano scoperto tutto e la vostra vita non sembrava più la stessa. Così, un giorno, tuo padre decise di portarti da un neurologo…ti ricordi, Manuel?-

Il viso del ragazzo parve rabbuiarsi per un attimo.

-         Come fa a sapere queste cose della mia vita?- sibilò, con la voce spezzata da lacrime che non stava piangendo.

-         Quel neurologo ero io, Manuel -

Lo sguardo dei due si incrociò per un attimo, fu come se il tempo si fosse fermato e Manuel fosse tornato bambino. Per un brevissimo attimo nella sua testa gli eventi andavano a ritroso e il viso di Joel rimaneva fermo, lì davanti a lui, la stessa espressione e gli stessi occhi miti.

 La voce gli si bloccò nella gola, le lacrime si muovevano con velocità estrema nel suo cuore senza fuoriuscire.

-         Ma cosa sta dicendo?-

-         So che potrà sembrarti strano,- o meglio, forse impossibile- ma é così. Ero io quel giorno, in quello studio, a porti domande sulla tua vita, ero io ad avere quella foto sulla scrivania, era a me che hai letto nell’anima mentre io cercavo di capire cosa ci fosse in te di diverso. Quando mi hai detto che avevo litigato con mia moglie credevo di essere impazzito. Un qualunque bambino di cinque anni non poteva sapere cose che riguardavano la mia vita, non riuscivo a capacitarmi che tu avessi detto davvero “si sente”. Io non sentivo niente, mentre tu sentivi il mondo. Nel tuo sguardo, per un attimo, io ho capito tutto. Per un semplice momento – non so neanche come sia successo, io ho capito-

La pelle di Manuel continuava ad impallidire, a Viola mancava il respiro.

L’attimo.

Un solo attimo, in cui si potrebbe capire ogni cosa.

-         Mi sta dicendo la verità? É la verità? Lei é davvero quel dottore?-

Manuel si protese verso di lui, gli occhi pieni di sofferenza e la voce impastata di titubanza.

Joel abbozzò un timido sorriso senza smettere di guardarlo negli occhi.

-         Sono io, Manuel Green. Sono proprio io-

C’era un’emozione particolare nella sua voce, e fu grazie a quella Manuel capì che stava dicendo la verità.

Si accasciò con la schiena contro la sedia, abbassò lo sguardo e rimase in quella posizione per qualche secondo, la pelle sempre più bianca, Viola rimaneva nervosamente in silenzio.

-         So che sarai confuso, ma voglio spiegarti tutto. Da cosa successe quella volta al perché sono qui oggi. Adesso non voglio più nasconderti niente-

Manuel alzò gli occhi verso la sua voce, gli lanciò uno sguardo sofferente.

-         La mia vita é tutta una bugia, non é vero? É questo che vuole dirmi? Ho vissuto tutto questo tempo credendo di essere qualcuno e adesso lei arriva e mi dirà che é tutto diverso, é questo che sta succedendo, non é vero? E’ stato qui durante tutti questi anni per nascondersi dietro la mia bugia? Perché non é venuto prima a parlarmi? Perché se non voleva mentirmi ha continuato a farlo? Quanto c’entra mio padre in questa storia?-

Quasi urlava, le guance si arrossarono.

L’ultima domanda era la più importante.

Joel riconobbe la confusione e l’altissima dose di sofferenza nel modo in cui quelle parole vennero pronunciate, lo sguardo rimase fisso e serio su di lui aspettando che smettesse di ansimare tanto e che cercasse di cogliere, nella calma che Joel stesso stava coltivando dentro di se, la tranquillità adatta per prestare ascolto al suo racconto.

Come conosceva lui le qualità di Manuel Green forse non le conosceva nessuno.

Passò qualche fulmineo secondo perché Manuel potesse naturalmente calmarsi percependo la calma del professore.

-         Ti prego non arrabbiarti, Manuel, e non dire queste cose, - sibilò, quasi come se il tono aggressivo del ragazzo avesse potuto in qualche modo ferirlo, - non ti dirò niente di tutto ciò. Ti va di ascoltare questa storia?-

Il tono che aveva usato era stato oltremodo tranquillo e docile, quasi come se potesse bastare quello per cessare la guerra nell’animo di Manuel, eppure almeno un po’ parve funzionare.

Lui sapeva come parlare con Manuel.

Manuel annuì con un movimento impercettibile del capo.

Joel sorrise.

-         Bene, - mormorò abbassando per un attimo gli occhi, - non é facile per me parlarti di tutta una vita, Manuel, ma voglio che tu sappia tutto di me e di cosa é successo davvero dopo il nostro incontro-

Alzò gli occhi, guardò per un attimo Manuel per poi spostare gli occhi su Viola, che sembrava essere rapita dal suo nuovo tono di voce.

Joel si schiarì la voce.

-         La scuola é la mia dimensione. Non é mai esistito luogo dove io mi sentissi più me stesso, luogo in cui sentissi di appartenere come la scuola. Sin da quando ero un ragazzo ho amato studiare, preferivo di gran lunga restare a scuola per tutto il pomeriggio piuttosto che svagarmi con gli altri ragazzi… il fascino che su di me aveva la letteratura inglese e la poesia vinceva qualsiasi cosa. Così non ebbi dubbi e una volta finito il liceo scelsi l’indirizzo che mi avrebbe permesso di diventare un professore di inglese. La mia famiglia non aveva nulla in contrario anche perché dei miei fratelli ero l’unico particolarmente studioso e vedermi sistemato, con uno stipendio e un posto fisso era il sogno dei miei genitori, inoltre conoscevano l’amore che avevo per questo tipo di studi e per questo furono ulteriormente felici quando esposi le mie intenzioni. Passai all’università tre dei cinque anni che mi avrebbero fatto laureare. Era quasi la fine del terzo anno quando la mia vita subì il primo drastico cambiamento. All’università avevo fatto amicizia con molte persone, ma più di tutti con il mio compagno di stanza, si chiamava Jack. Era un tipo tranquillo, che si faceva i fatti suoi, studiava quasi più di me e passava la maggior parte del suo tempo chiuso in camera a preparare gli esami.

Lui non aveva molti amici, era timido e restio alle nuove conoscenze ma con me riuscì ad aprirsi e a differenza di come lo giudicavano gli altri, - troppo chiuso e per niente divertente – scoprii il mondo che c’era in lui e la sua grandiosa umanità. Jack sapeva dipingere e giocare benissimo ai videogames, conosceva tre lingue e aveva perso la madre in un incidente d’auto quando aveva sette anni. Più passavano i giorni e più facevamo amicizia, più facevamo amicizia e più lui mi raccontava cose di se che non potevo far altro che apprezzare. Non era delle nostre parti, lui veniva da Hove, dove suo padre faceva lo psicologo e viveva con il fratellino minore. Le cose sembravano andare bene, io non potevo chiedere di meglio dalla vita in quel periodo, ma un giorno, un giorno accadde una cosa.

Ero tornato tardi da una festa, avevo sonno e non vedevo l’ora di andarmene a dormire. Camminai lentamente fino alla porta della mia camera, feci attenzione a non fare troppo rumore per non svegliare Jack, - lui di solito non amava le feste e preferiva non venire, - ma invece che trovarlo a dormire come mi immaginavo, lo trovai sdraiato sul pavimento in preda a gravi convulsioni. I secondi che successero quella visione furono tra i più brutti della mia vita, impiegai qualche momento in più per capire che stava succedendo qualcosa di grave.

Atterrito chiamai i soccorsi e Jack fu portato di corsa all’ospedale.

Tre dei miei amici mi accompagnarono lì e due ore dopo il dottore ci disse che Jack era stato vittima di un ictus, ma che per fortuna era sopravvissuto.

Non capii subito quelle parole. Ictus? Di cosa stava parlando? Troppo scioccato per chiedere qualsiasi cosa, passai la notte sulla sedia fuori dalla sua stanza nel dormiveglia, senza riuscire a togliermi dalla testa le parole del dottore. Mancavano forse poche ore all’alba quando arrivò suo padre, in piena crisi isterica, urlando dove fosse suo figlio. Quando finalmente riuscì a vederlo ed ebbe parlato con i medici si placò, venne a sedersi accanto a me e mi chiese chi fossi e come mai ero ancora lì a poche ore dall’alba, e dopo avergli raccontato dell’amicizia che mi legava a suo figlio mi ringraziò per averlo soccorso e mi strinse la mano. Aspettammo insieme che il sole sorgesse, poi i medici vennero di nuovo a parlare con noi. Ci dissero che Jack era vivo per miracolo e che,quando si sarebbe risvegliato, non era sicuro che avrebbe riacquistato in pieno le sue capacità.

Mi si aprì il vuoto dentro.

Jack, il mio amico, lui che era così intelligente, che conosceva più informazioni di quante avrei potuto imparare io per tutta la vita, lui adesso stava rischiando di perdere la capacità di poter dedicarsi di nuovo a ciò che amava. Avrebbe mai, in un angolo del suo cervello, ricordato le ore che passava spiegandomi le cose che non capivo? Dove sarebbero andate a finire tutte le cose che sapeva, - gettate via come si fa con i vestiti vecchi?

Non sapevo un bel niente di medicina e né di psichiatria.

Jack si svegliò quella sera, e quando suo padre gli si avvicinò per primo, lui non mosse un muscolo. Gli occhi spenti fissavano il viso di quell’uomo come se fosse uno sconosciuto, e le parole che il padre gli rivolse non servirono a niente. Sebbene più esperto in materia di me, tra i due fu lui a perdere subito la calma. Ma come si poteva biasimarlo? Il figlio non parlava né dava segni di comprensione. Mi avvicinai anche io a quel letto, lo guardai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. Dov’era il mio amico dagli occhi sempre accesi di conoscenza? Perché mi fissava in quel modo?

Passarono due settimane prima che iniziassi a farmene una ragione. Jack non sarebbe più tornato quello di prima. Mai più.

Fu in quel periodo che iniziò a frullarmi per la testa una feroce curiosità, quella di sapere che cosa accadeva nel cervello umano e nel nostro animo, e ogni volta che ci pensavo cresceva nella mia testa la voglia di imparare a capire.

Jack non poteva più frequentare l’università adesso, e suo padre lo riportò a casa, a Hove. Li seguii anche io per i primi giorni, suo padre mi fu davvero grato per continuare a stare accanto a suo figlio nonostante quello che era successo.

Jack non faceva più niente: non parlava, non camminava, non sorrideva più. Guardava solo fuori dalla finestra della sua stanza con occhi spenti, e più lo guardavo e più soffrivo.

Un mese dopo, in seguito ad un secondo ictus, Jack morì.

Io ero tornato all’università da due settimane e avevo ripreso svogliatamente a studiare quando suo padre mi chiamò per darmi la brutta notizia. Era stato già difficile per me perdere un amico da un momento all’altro senza neanche avere il tempo di salutarlo, ma adesso se n’era andato per davvero. Il suo viso, quello neanche avrei più rivisto.

Non so se più in preda al dolore o a uno strano movimento dell’anima, ma decisi di cambiare facoltà.

A due anni dalla laurea in letteratura decisi di iscrivermi a medicina per diventare neurologo. Avrei capito, avrei guardato in viso molte persone alle quali era capitato lo stesso che a Jack e avrei saputo come comportarmi. Avrei potuto, almeno con l’anima, entrare nei cuori di quelle persone che non possono più utilizzare il proprio corpo per esprimersi, persone che sono costrette a giocare con la loro vita solo all’interno della propria anima. Avevo paura, Manuel, avevo paura che non sarei mai riuscito ad avere con nessun altro un’amicizia così grande come quella con Jack, per la prima volta nella mia vita era stato come rendermi conto che effettivamente dentro di noi ci sono delle cose inesprimibili, cose che mandano avanti la nostra vita e delle quale purtroppo non siamo capaci di parlare dettagliatamente: queste cose si chiamano emozioni. Io volevo provare a scoprire di cosa si trattasse.

Quando il padre di Jack, che come ti ho detto faceva lo psicologo, venne a sapere di questa cosa, fece di tutto per aiutarmi negli studi e mi raccomandò ai più bravi professori dell’università. Sua moglie era stata anche lei neurologa e adesso lui conservava parecchie amicizie in quell’ambiente.

Fu per questo motivo che presi subito lavoro appena fui ufficialmente “dottore”.

Fu durante quegli anni che conobbi Susan, mia moglie, quella della foto. Anche lei studiava lì per diventare dottoressa e andammo d’accordo dal primo istante: entrambi energici e determinati, ed entrambi orgogliosi di quello che facevamo. Ancora oggi ci becchiamo di tanto in tanto, il nostro carattere tende a crearci dei piccoli problemi, ma niente di insuperabile. Con lei decisi di stanziarmi qui a Brighton dove il padre di Jack aiutò sia me che Susan a trovare posto in ospedale e ad aprire uno studio, così iniziai da subito a lavorare. Mi ritrovai presto a contatto con persone che avevano gravi malattie e gravi problemi e la mia mente pareva essere vuota da tutto quello che avevo imparato negli anni precedenti, tutto pareva non avere nessun senso davanti ad una persona in carne ed ossa. Mi sentivo fuori posto. Avevo paura di non farcela, avevo paura che con tutti quegli studi avessi tralasciato proprio quella che era la mia priorità: capire cosa accade dentro ognuno di noi.

Poi un giorno la mia vita cambiò, di nuovo.

Era inverno, ricordo ancora il vento e la pioggia di Brighton sferzare violentemente sulla finestra del mio studio quando telefonò tuo padre. Risposi al telefono così di cattivo umore che credo di avergli fatto una brutta impressione. “Ha un po’ di tempo per parlare?” mi chiese con la voce tremante. Io mi resi conto che probabilmente il mio tono era stato eccessivamente annoiato e mi ripresi subito. “Mi dica, ho tutto il tempo che vuole” risposi. Lui tirò un sospiro di sollievo e iniziò a raccontarmi di te. Mi raccontò dettagliatamente di tutto quello che era successo, dalla cena in famiglia e tutte le cose che avevi detto e “indovinato”.Ti confesso di essere rimasto scettico davanti a tutte quelle cose. Non avevi, almeno da quello che tuo padre mi stava raccontando, nessun sintomo di qualche particolare malattia, anche se trovavo strano il fatto che piangessi con tanta facilità… e poi, avevi solo cinque anni. Nel mio cervello c’era il più totale vuoto. Decisi di prenotare un appuntamento, tanto per rendermi conto della situazione e per non lasciare insoddisfatto tuo padre, che sembrava tanto preoccupato per te.

Ricordi quel giorno, Manuel?-

Quella domanda risuonava nella sua testa in continuazione, come se non avesse fatto altro che ripeterla fino a quel momento e adesso una fastidiosa eco ronzava nelle sue orecchie.

-         Ricordo-

Joel sorrise.

-         Tu mi hai cambiato la vita Manuel. Tu eri la persona che io ho sempre cercato, la persona che poteva capire tutto, la persona che poteva e sapeva donarti parole che non sarebbero state mai sbagliate. Quel giorno, dopo il nostro incontro, io ho capito che tu non eri malato, ma era il mondo che di fronte a te appariva malato dalle paure, afflitto dalle troppe angosce, incapace di venire a capo persino delle proprie sensazioni. Bastò che io la smettessi di farti stupide domande cercando di capire dalle tue semplici risposte che cosa stava succedendo e ti guardassi veramente negli occhi, e tu hai fatto tutto da solo. –

Le parole sembrarono sfumare nell’atmosfera che li circondava, Manuel percepiva la fortissima emozione che provava Joel nel confessargli quelle cose.

I loro occhi si incontrarono per un attimo, negli occhi del ragazzo c’era ancora un alone di preoccupazione, Joel sorrise.

-         So che é passato molto tempo da quel giorno, e forse ti sarai fatto mille altre domande una volta fuori da quello studio… ti sarai chiesto cosa avessi detto a tuo padre, cosa sia successo dopo…te lo sei chiesto, Manuel?-

Viola osservò il viso di Manuel diventare nuovamente pallido.

-         Ogni giorno della mia vita- fu la sua risposta, soffusa e con voce strozzata.

Joel abbassò gli occhi per un attimo che per Manuel parve interminabile, poi incrociò di nuovo lo sguardo del ragazzo.

-         Dissi a tuo padre che in te non c’era niente che non andava, e che avrebbe fatto meglio a non pensarci più. Lui tentò di rispiegarmi la cosa più volte, ma io scossi sempre la testa. Tu non eri malato, ti avevo visitato e stavi bene, eri un bambino come tutti gli altri. Mi guardò freddamente, forse intuì che stavo mentendo e non ne capiva il motivo, e se ne andò via così velocemente che a stento ricordo il tuo viso che mi fissava, quando eri ormai sulla porta –

Manuel sentì un pugno nello stomaco.

Aveva mentito a suo padre, Joel aveva detto a suo padre che lui era normale. Era questo il motivo per il quale lui era stato arrabbiato durante il ritorno a casa, era stato per questo che in tutti quegli anni non aveva mai detto una parola.

-         E’ questo che gli ha detto? Che non avevo nessun problema?-

La voce adesso gli tremava, riusciva a stento a trattenersi dal piangere.

-         Cosa avrei dovuto dirgli, Manuel? Tu non sei malato. Quello che gli ho detto é la verità –

-         Ma lei aveva capito che io avevo…-

-         Ma questo lo sapeva già anche lui, figliolo, e non é una malattia, te lo garantisco. Il tuo é un dono, un dono straordinario che qualcuno ha voluto farti. Non pensar mai male di te stesso, Manuel, sei un essere fantastico e perfettamente unico –

Il tono che aveva assunto era quello di un medico che comunica una diagnosi. Lo fissava dritto negli occhi con i muscoli del viso contratti e la voce calma.

Manuel non riusciva a credere che Joel l’ammirasse tanto.

-         Ma adesso se permetti, - continuò Joel - vorrei raccontarti cosa é successo in seguito e cosa mi ha portato qui-

Manuel lanciò uno sguardo a Viola, lei deglutì a vuoto, confusa da tutto quello a cui stava assistendo.

Joel li guardò, sorrise e poi ricominciò.

-         Passarono giorni e notti insonni dopo quel giorno. Non facevo altro che pensare a te e a quello che era successo. Il lavoro di una vita, i dubbi che nutrivo erano tutti spariti in un attimo, incontrando un piccolo bambino di cinque anni come ce ne erano tanti. Tu sapevi, con il solo guardare una persona, entrare dentro la sua testa per comprenderla. Questo era il fattore straordinario di te: quello che tu fai, precisamente, non é solo sentire le emozioni degli altri, ma quanto capirle. É una cosa straordinaria e impossibile. Mi presi una vacanza tanto ero sconvolto, ma era come se fosse tutto inutile: Susan cercava di farmi distrarre, di capire cosa mi fosse successo, ma tutte le volte che provavo a spiegarle più dettagliatamente quello che mi era accaduto finivo col farmi venire un forte mal di testa. Non c’era giorno, anche quando tornai a lavorare, che non pensassi a te, e ogni volta che mi trovavo dinanzi ad un paziente pensavo sempre che tu, se fossi stato lì, avresti capito immediatamente cosa c’era nella mente di quelle persone e magari avresti potuto aiutarle. Io invece dovevo sottoporli a test, medicinali e stupidi controlli. Cos’erano, i miei stupidi controlli medici paragonati alla tua capacità? Sai, ho sempre pensato che se il mondo medico ti conoscesse, farebbe in modo di clonarti, tanto ti considererebbero una risorsa per l’umanità. Ma quello che pensavo durante quei giorni era che dovevo ricominciare a condurre una vita normale, non più ossessionata da quel ricordo. Mi chiedevo se tuo padre ti avesse sottoposto al altre visite, se era successo qualcos’altro del quale ero all’oscuro… ero completamente fuori di testa. Iniziai, giorno dopo giorno, a sentirmi sempre più incapace: non riuscivo a concentrarmi sui miei pazienti, non riuscivo più a visitarli né a capire cosa avessero. Ogni volta che stavo per dare una prognosi o un giudizio, pensavo che non ero infallibile, che probabilmente sbagliavo e che forse, per riuscire a guarire quella persona sarebbe stato necessario capire cosa c’era nella sua testa. Io quello non potevo farlo, e ti assicuro Manuel, non c’é niente di più orribile che il sentirsi sopraffatti da qualcosa di sconvolgente. Quando mi ero laureato non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto prendere quella decisione, ma lasciai il mio lavoro. Si, esatto, lo lasciai: un giorno diedi le dimissioni dall’ospedale, lasciai lo studio a Susan e mi chiusi in casa. Non volevo parlare con nessuno, né tantomeno uscire. Mia moglie pensava che stessi cadendo in depressione, o peggio, che ci fossi già caduto, e tentò di aiutarmi prescrivendomi anche alcuni anti-depressivi, ma io non volli prendere nulla. Volevo solo un po’ di tempo per me stesso, e anche se sapevo che avevo abbandonato del tutto la mia vita, non mi importava: avevo dentro di me un vuoto più grande da colmare. Passavo le mie giornate a casa, nel mio studio privato, pieno di librerie e cartine geografiche buttate negli angoli, con la vecchia lampada ingiallita dal tempo e le finestre sempre chiuse che emanavano un forte odore di pioggia. Sfogliavo le mie vecchie agende, leggevo i titoli dei libri dell’università ad uno ad uno, allineati sugli scaffali, fin quando non imparai l’ordine a memoria, poi un giorno, per caso, vidi nell’ultimo scaffale un libro di Shakespeare, il Sogno di una notte di mezz’estate. Era da così tanto tempo che non leggevo!, e soprattutto era così tanto tempo che non sorridevo naturalmente guardando qualcosa. Salii velocemente sulla scaletta e afferrai il libro, me lo rigirai tra le mani e soffiai via la polvere. Mi sedetti sulla poltrona e lo aprii. Rilessi le prime righe e non riuscii più a fermarmi. Passai lì tutto il pomeriggio a leggere, e quando girai l’ultima pagina e mi accorsi che era finito, mi prese un grandissimo senso di vuoto. Avevo letto tutto il libro, tutto d’un fiato, ed era stato come estraniarsi dalla realtà e da tutto quello che mi stava succedendo. Avevo passato le ore precedenti a vivere in un altro mondo, scoprendo quella parte di me che da tanti anni avevo seppellito, quella che amava la letteratura, quella che aveva sempre guardato il mondo con altri occhi.

Da quel momento fu come se avessi ripreso a vivere. Posai quel libro e ne presi un altro, e così feci per i successivi giorni. Quando ripresi a sorridere e a parlare Susan non riusciva a credere ai suoi occhi. Mi chiedeva in continuazione cosa mi fosse successo, ma io semplicemente le risposi che ormai mi ero lasciato alle spalle tutto.

Certo, era vero, non volevo più essere preoccupato, ma di te, Manuel, non mi ero dimenticato, e non avrei mai potuto. Quello che feci fu semplicemente pensare a te in modo diverso, ma ti pensavo.

Decisi di ricominciare l’università e di prendere quella tanto amata laurea in letteratura che era stata il mio sogno di adolescente. Ero un uomo già adulto, ma cosa importava? Faceva parte del mio programma per cambiare vita: non avrei mai più rimesso piede in ospedale e non avrei più aperto un libro di medicina. Mi sarei dedicato alla letteratura, quello che più avevo amato nella mia vita.

Susan era felice per me e del fatto che finalmente sembravo essere tornato l’uomo di prima, o forse anche migliore, più rilassato e meno afflitto da problemi di lavoro. Adesso studiavo, facevo esami, leggevo libri su libri e andavo a teatro ogni volta che ce n’era l’occasione: apparentemente io ero tornato il ragazzo di una volta, anche se facevo sempre di più sogni in cui c’eri tu. Sognavo l’unica volta in cui ci eravamo incontrati, sognavo quello che eri potuto diventare. Mi chiedevo se vi foste trasferiti o vivessimo sempre nella stessa città, mi chiedevo se tuo padre ti avesse raccontato qualcosa del nostro incontro o se qualche altro medico ti avesse visitato. Ma mi convinsi che era impossibile che questo fosse potuto succedere: se fosse successo e se davvero qualcun altro fosse venuto a conoscenza di cosa tu sapessi fare, saresti diventato un affare di stato e nessuno si sarebbe fatto scrupoli a far diventare la tua una situazione pubblica pur di incassare. Sai Manuel, il mondo é fatto così: quelle che tu conosci molto bene, le emozioni, non sono per niente considerate, ma credo che tu lo sappia meglio di me. Pensavo che tu forse stessi conducendo una vita normale, ma morivo dalla voglia di sapere come si era sviluppata questa tua capacità. Speravo, inconsciamente, che tu non te ne fossi mai andato da Brighton.

Quando mi laureai Susan mi organizzò una grandissima festa con tutti i nostri amici, rimasi sorpreso eppure contento: sapevo che per mia moglie il periodo della mia “depressione” era stato il più brutto che avesse mai passato, e che aveva temuto di perdermi per sempre.

Adesso avevo il titolo di insegnante, avrei potuto iniziare a cercarmi un lavoro, e così feci: non ti nego, Manuel, che quando scelsi di venire in questa scuola fu perché speravo di rincontrarti. Ovviamente non avevo detto niente a Susan e forse non volevo ammetterlo neanche a me stesso, ma avevo calcolato che tu eri diventato grande abbastanza da iniziare il liceo e che se fosti vissuto ancora a Brighton c’era almeno il cinquanta per cento delle possibilità che tu frequentasti questa scuola.

Non ci dormivo la notte.

Dentro di me una vocina mi diceva che stavo iniziando di nuovo ad andare in paranoia, di nuovo ad impazzire, eppure la maschera che indossai era quella della calma e della placidità: volevo convincere me stesso che di quel passato mi ero dimenticato totalmente e che ormai non ti pensavo più. Ma nel momento in cui mi ripetevo questo, mi riveniva tutto in mente.

Quando iniziai finalmente a lavorare la scuola e le sue manovre mi distrassero dai miei pensieri, almeno per qualche giorno: rimettere piede in un liceo per me era come tornare ad essere giovane e non facevo altro che rapportarmi a qualunque cosa vedevo e a qualunque persona incontravo, sembrava di essere in uno di quei mondi fantastici che esistono solo nella nostra testa, li conosci Manuel? Quelli dove tutto fa ridere, e tutto sembra essere palesemente concreto e presente! Quella era la scuola per me, Manuel, era il mio habitat, quello che avevo abbandonato tanti anni prima.

Un giorno mi trovavo in segreteria, ero intento ad organizzare il mio materiale per la mia prima lezione, guardavo entusiasta i libri che avevo scelto e pensavo al modo più adatto con il quale presentarmi ai ragazzi, ora che ci penso forse ero un po’ ridicolo, pareva che fossi io il ragazzo che entra per la prima volta in una classe di liceo, diavolo, si, lo sembravo proprio! E lì, davanti a me, c’era la lunghissima lista degli iscritti in quell’anno. Già per un paio di volte ci avevo lanciato un’occhiata, ma mi ero imposto di non guardarla più, di starmene buono e di smetterla di far rivivere ricordi di un passato fin troppo lontano, ma alla fine fu più forte di me. Lessi in ordine i nomi di tutti i ragazzi, fin quando il cuore non mi saltò in gola quando lessi il tuo nome in quella lista: Manuel Green.

Credevo di star per impazzire davvero. Rilessi due o tre volte quel nome, mi accertai che fossi sveglio e che quella fosse la lista giusta. Iniziai a pensare che avessi un omonimo, si certo, poteva di certo essere un omonimo, non pretendevo che esistesse un solo Manuel Green sulla faccia della Terra, eppure dentro di me sapevo che era proprio quello che volevo mi succedesse. Tu vivevi ancora nella mia città, frequentavi la mia scuola, e ci saremmo incontrati a breve. Io, che non avevo fatto altro che rimurginare sull’impossibilità del tuo essere diverso e magnifico, stavo per rincontrarti, tu che avevi cambiato la mia vita. Ricordo il momento nel quale entrai in classe e ti vidi, quasi come se i miei occhi fossero attratti da te come una calamita: avevi gli stessi occhi da bambino, lo stesso viso ingenuo, persino lo stesso modo di stare seduto. Mi chiesi se stavi captando le mie emozioni di quel momento, mi chiesi se avessi capito qualcosa, oh mio Dio ero pieno di domande fino al collo! Mi avevi riconosciuto? Qualcuno ti aveva mai parlato di me?

Fu una lezione tranquilla e serena per me, eppure il mio cuore non smetteva di battere a ritmo frenetico. Credo che tu abbia scambiato quella mia palpitazione per semplice emozione del primo giorno di lavoro, non é forse così? Oh, lo immaginavo: tutti sapevano che ero nuovo dell’ambiente e il mio batticuore era più che normale e comprensivo anche ai tuoi occhi.

Ma avevo bisogno di sapere, adesso.

Non importava se erano passati ben dieci anni, io avevo bisogno di sapere di nuovo di te, avevo bisogno di sapere che cosa ti era successo in quegli anni.

In segreteria recuperai il numero di tuo padre, gli telefonai.

Lui fu sorpreso nel sentirmi, credo che fossi l’ultima persona che si aspettasse potesse chiamarlo. “Si ricorda di me?” gli chiesi. Lo sentivo esitante, timoroso. “Si, certo. Mi ricordo molto bene” rispose, cercando di mascherare la sorpresa. “Dovrei parlarle” gli dissi, tentando di apparire anche io più rilassato di quanto in realtà non fossi. Lui accettò, decidemmo di incontrarci nel mio vecchio studio, che adesso apparteneva a Susan. Ricordo che era un pomeriggio senza pioggia, ma l’aria era fredda e c’era molto vento. Io lo aspettavo alla finestra come un bambino che aspetta un regalo, e quando arrivò raccolsi il mio coraggio e andai ad aprirgli la porta. Avevo parlato di tutto a Susan e anche se lei non era stata subito d’accordo per quell’incontro, alla fine acconsentì e mi lasciò libero lo studio per quel pomeriggio. Tuo padre era di tanto invecchiato dall’ultima volta che l’avevo visto, eppure il suo sguardo era più sereno: come se dall’ultima volta che ci eravamo visti lui avesse fatto un cammino e avesse capito cose che quel pomeriggio, in quello stesso studio, gli erano ignote. Anche lui mi guardò un po’ stranito, forse mi aveva trovato diverso e invecchiato, o forse fu solo una mia sensazione.

Pensai per un attimo a te. Adesso che ti eri fatto grande assomigliavi di più a tuo padre.

Ci stringemmo la mano come due vecchi amici che non si vedono da una vita e ci sedemmo nello studio, uno di fronte all’altro. “Mi ha molto sorpreso risentirla, sono passati molti anni” disse subito tuo padre. Capii che non voleva chiedermi immediatamente come mi fosse saltato in mente di chiamarlo, ma la domanda era palesemente quella. Sorrisi, abbassai lo sguardo e iniziai a spiegargli tutto, tutto dal giorno in cui ci eravamo visti dieci anni prima a quel momento. I suoi occhi cambiarono espressione forse una decina di volte durante tutto il mio racconto ma capii che la cosa che l’aveva scioccato di più era il fatto che io avessi capito da subito cosa sapevi fare e che non l’avevo rivelato al mondo. E, ancora di più, che da medico non l’avessi considerata una malattia. Terminai raccontandogli che adesso ero diventato il tuo professore e che era stato forse il destino a farci incontrare di nuovo. Gli chiesi se potevo entrare a far parte della tua vita, se potessi rivelarti tutto e prendermi cura di te come se fossi uno zio o un qualsiasi parente. Tuo padre abbassò gli occhi confuso. “Mio figlio é molto fragile” rispose.

Quella frase risuonò nelle mie orecchie come una campanella fastidiosa. Mi stava dicendo di no.

Il mio viso inevitabilmente deluso lo mise a disagio.

“Lui é molto sensibile, dottore, non voglio far niente che possa farlo soffrire o turbare. A quello ci pensa già il nostro rapporto difficile”.

I suoi occhi erano quelli di una persona che soffriva. Capii che era meglio non insistere, anche se mi sentivo morire dentro.

Alzai lo sguardo verso di lui, sforzandomi di mascherare la mia delusione ancora una volta, lui abbozzò un sorrisino.

“Sono contento che lei abbia capito che persona é mio figlio, dottore. Ma proprio perché lo sa, deve riuscire a capirmi: si intristisce e impensierisce con una facilità impressionante, non riesco ad immaginare cosa potrebbe succedere se lui sapesse di lei… lui ha bisogno solo di essere ascoltato e amato, dottore. Non ha bisogno più di amare verità. La sua anima si nutre di ingiustizie già naturalmente”. Stava per riprendere a parlare, ma io lo bloccai.

“La prego mi racconti di lui. Di questi anni”.

Il suo sguardo divenne nostalgico per un attimo ma stavolta non riuscì a dirmi di no. Mi raccontò di come eri cresciuto, delle cose che sapevi fare e del rapporto difficile che avevi con il mondo e con le persone: ti relazionavi difficilmente, eri molto timido e non ti piacevano le confusioni e le folle. Stavi male ogni volta che c’era un forte temporale e ti trovavi davvero a tuo agio solo con i tuoi fratelli e con tua madre. Mi ha raccontato che tra di voi poi – tra te e tuo padre – i rapporti erano un po’ diversi. Lui non era forse mai stato pronto ad aprirsi con nessuno e con te invece ogni tentativo era vano: inizialmente non aveva voluto accettare questa tua capacità come un dono, ed era per questo che ti aveva portato da me. Con il tempo, poi, aveva imparato ad osservarti e ad apprezzare la tua anima e la tua capacità di fonderti con le cose. Sapeva di essere incapace di dimostrarti materialmente il suo amore ma desiderava per te solo la pace. Era questo il motivo per il quale non voleva che ti parlassi rivelandoti tutto: lui voleva che tu potessi vivere come qualunque ragazzo normale, senza fare i conti con un passato di sentimenti e scoperte inutili.

Avevi il diritto ad una vita, Manuel, e lui aveva ragione.

Gli chiesi se almeno potevo interessarmi a te e mantenere i rapporti con lui. Gli feci capire, con semplici parole, che per me sarebbe stato sempre impossibile ignorarti e trattarti come un qualsiasi altro alunno.

“Ne parlerò con mia moglie” rispose, guardandomi di sottecchi. Era la prima volta che interpellava tua madre. Mi feci promettere che mi avrebbe richiamato non appena avrebbe parlato con tua madre e lui lo fece. Ci incontrammo di nuovo tutti e tre, nel mio studio, tua madre sembrava una bambina spaesata in un’enorme casa di sconosciuti. Mi guardava con occhi grandi e vuoti, e il viso era pallido. Da quello che capii era stato molto difficile per lei essere lì ed incontrarmi. Avevamo iniziato a parlare da poco, gli stavo raccontando quello che sapevo di te e della mia vita, quando lei scoppiò in lacrime. Non so precisamente se fossero lacrime di sfogo o rabbia, o che di simile, ma pianse. Tuo padre l’abbracciò, la consolò, la consolai anche io. Le dissi che non doveva preoccuparsi, io amavo te come fossi mio figlio, e che non avrei mai fatto niente che lei e tuo padre non volessero io facessi. In quel momento si riaccese la sottile speranza che avevo lasciato andare nel precedente incontro con tuo padre, quello di venire subito a parlarti. Quando tua madre si fu calmata potei ricominciare il mio racconto, poi toccò a lei. Tuo padre mi aveva detto che non fu per niente contenta quando seppe del nostro incontro, ma dopo aver sentito quello che avevo da dire fu come se si fosse liberata da un grosso peso sullo stomaco. Smise di guardarmi in cagnesco e iniziò a parlare soffusamente di te, con voce tremante. Lei parlò molto più di quanto aveva fatto tuo padre, ti conosceva intimamente e io ascoltai rapito tutto quello che aveva da dirmi. Passammo insieme due o tre ore, anche se ci conoscevamo pochissimo avevamo tantissimo da dirci. Oh Manuel, vedere i tuoi genitori insieme, davanti a me, era come vedere te! Si tenevano la mano, seduti lì davanti alla mia scrivania, mi guardavano allo stesso tempo confusi, sorpresi e stranamente capiti.

Promisi che non ti avrei detto niente, ma che avrei sempre avuto un occhio di riguardo per te e avrei cercato di farti essere a tuo agio, al meglio che potevo.  Così sono passati gli anni: sono stato il tuo professore di inglese, ti ho osservato crescere e ho cercato di dare una spiegazione ai tuoi atteggiamenti in base alle cose che sapevo. Quando hai conosciuto Viola, - lo sguardo si posò per un attimo sulla ragazza, - come tutta la scuola anche io non ho potuto fare a meno di notare il cambiamento di comportamento che avevi con lei, mi chiedevo se le avresti rivelato il tuo segreto o se avresti avuto paura. Quando ho sequestrato quel biglietto a Mia e ci ho letto quanto c’era scritto, ho avuto solo paura per te. Non sapevo quante persone stavano raccogliendo informazioni su di te e sono stato contento di essere intervenuto indirettamente bloccando una qualsiasi ricerca. Ti prego di credermi Manuel, e se non credi alle mie parole puoi leggerlo nelle mie emozioni: ti voglio bene come ad un figlio e non avrei mai voluto farti del male-

Lo sguardo di Manuel pareva essersi perso aldilà del vuoto stesso. Sentiva sbuffi invisibili riempirgli la testa e contornargli il volto, il lungo discorso di Joel sembrava arrotolarsi e srotolarsi nella sua testa ad altissima velocità.

-         Professore…-

-         No, per favore, adesso non chiamarmi più professore. Dammi del tu e chiamami Adam-

Manuel mosse impercettibilmente la testa verso Viola, Adam sorrise.

-         Adam, io… -

-         Sei confuso, lo immagino-

-         Ma perché i miei genitori non mi hanno detto niente? Avrebbero dovuto parlarmi, avrebbero dovuto raccontarmi la verità!-

-         Non puoi biasimarli Manuel. Sono dei genitori che amano il loro figlio-

Manuel abbassò la testa controllando il suo respiro che iniziava a farsi pensate.

-         …tu hai vissuto all’ombra della mia vita per tutti questi anni e io non ne sapevo niente…-

-         Già, proprio così. Ma ti prego, lascia che passi un po’ di tempo per riacquistare la calma-

D’un tratto gli occhi di Manuel persero intensità e colore, le mani iniziarono a sudare, il viso a sbiancare.

Adam gli lanciò uno sguardo nell’insieme curioso, Viola iniziava a preoccuparsi.

Quel comportamento non le risultava nuovo.

-         Ti senti bene?- chiese Viola

-         Si, io…-

Manuel tentò di alzarsi.

-         Manuel, aspetta…- disse Adam alzandosi e tentando di trattenerlo.

-         No, ti prego, non… parlare…-

Gli occhi gli si fecero d’un colpo umidi, ora il viso era palesemente più bianco. Il cuore di Viola batteva troppo velocemente, sapeva che quella tensione non lo aiutava.

-         Ascolta figliolo…- tentò di riprendere Adam, con voce soffusa.

-         No, ti prego, mi scoppia la testa-

Uno sguardo tra Adam e Viola bastò per intendersi: il sovraccarico di domande, sofferenza e confusione non gli lasciavano facoltà di agire.

Nella mente di Viola iniziarono a balenare flash incompleti, non era la prima volta che lo vedeva sopraffatto dalle emozioni.

Manuel alzò lo sguardo intendendo i loro pensieri.

-         Sto bene- mormorò.

-         No, non stai bene. Vuoi restare un po’ da solo? Capisco che queste parole ti possano far male tutte insieme- disse con tono calmo Adam, sorridendogli.

-         No, io…-

-         Non devi spiegarmi, davvero. So che ti può accadere. Vado a prenderti un bicchiere d’acqua okay?-

Manuel increspò le labbra, Adam si alzò e continuando a sorridere si avviò verso la porta.

Viola aspettò che avesse chiuso la porta prima si alzarsi e avvicinarsi a lui, poggiandogli le mani sulle guance.

-         Ti sta succedendo di nuovo, non é vero?- chiese, riuscendo a mantenere un tono di voce abbastanza rilassato.

-         Cosa…?-

-         Stai per sentirti male-

-         No, é solo che…mio Dio é solo che non riesco a controllare…-

-         Non devi preoccuparti-

Le dita di Viola scorrevano sulle sue guance.

-         Non riesco a controllare la tensione…-

-         Cerca di stare calmo, okay? Respira. Sono qui con te-

Manuel alzò gli occhi verso di lei, si fissarono per un attimo lungo un infinito, Manuel l’abbracciò.

Viola sentiva il cuore di lui battere troppo celermente.

In quel momento Adam rientrò con il bicchiere d’acqua in mano, silenziosamente si avvicinò ai due. Viola si distaccò lentamente, Manuel guardò Adam.

-         G-grazie- sibilò afferrando il bicchiere.

Bevve due o tre piccoli sorsi, poi posò il bicchiere sulla scrivania dinanzi a lui.

Adam gli sorrise.

-         Ti senti un po’ meglio?-

-         Un po’-

-         Scusami. Dovevo immaginare che sarebbe stato un po’ difficile riuscire a sopportare tutto quello che avevo da dirti-

Manuel abbassò lo sguardo.

-         Credo che…-

-         Cosa, figliolo?-

Manuel incontrò lo sguardo di Viola.

-         …che dovrei parlare con i miei genitori-

-         No Manuel, ci parleremo insieme-

-         Allora andiamoci subito-

-         Subito?-

Manuel lesse lo smarrimento negli occhi di Adam, ma nonostante la nuova tensione che la sua frase aveva provocato sentiva che il suo malessere stava velocemente scemando. Del resto, come accadeva ogni volta.

-         Si, adesso. Sono passati dodici anni -

-         Ma sei sicuro?-

-         Certo-

Manuel si alzò lentamente, prese per mano Viola. Adam li guardò, poi si alzò anche lui.

-         Manuel ne sei davvero sicuro? Hai appena rischiato di sentirti male e…-

-         Mi capita spesso-

-         Quanto spesso?-

-         Abbastanza-

-         Ascolta, capisco che tu voglia parlare con loro, ma forse é meglio aspettare che tu metabolizzi almeno qualcosa di quanto…-

-         Adam…- Manuel alzò gli occhi verso di lui, - ho bisogno di parlare con loro, e con te insieme. Voglio che loro mi raccontino e mi spieghino-

Adam fu colpito dall’improvvisa calma di Manuel.

-         Se é davvero questo che vuoi…-

-         Si, é questo che voglio-

Si scambiarono un’altra occhiata significativo, Adam abbassò lo sguardo. Un misto di felicità e paura lo pervadeva, Manuel finse di non accorgersene. Aveva paura della reazione dei suoi genitori, ma era felice di aver scoperto finalmente le carte.

-         Vado a prendere la macchina. Aspettami qui fuori-

Adam si allontanò celermente, la porta che si apriva fece scivolare aria fredda sul viso di Viola, rimasero da soli.

-         Forse é meglio che io non ci sia- sibilò Viola stringendogli ancora la mano.

Manuel l’abbracciò, affondò il viso tra i suoi capelli. Viola strinse la sue spalle nelle mani e gli baciò le guance e i capelli.

-         Io invece vorrei che tu ci fossi-

La sua voce, come un sibilo, aveva cambiato intonazione.

Viola si districò dall’abbraccio per guardarlo negli occhi.

-         Ma tu sei…-

-         Ascolta, io ti voglio vicina a me. Sempre. La mia vita é cambiata nell’ultima mezz’ora e tu sei l’unico punto fermo che mi é rimasto-

-         Manuel, io…-

-         Ti prego Viola-

-         Ne sei sicuro?-

-         Si, certo-

-         Non voglio vederti soffrire-

-         Con te io potrò superare ogni sofferenza-

Sentirono il rombo di un’auto, si scambiarono un’occhiata e silenziosamente uscirono dall’ufficio dirigendosi verso la macchina di Adam. Salirono entrambi sul sedile posteriore, Manuel non smetteva di stringerle la mano, Viola teneva lo sguardo basso, Adam sorrise.

-         Possiamo andare- disse poi Manuel, fissando gli occhi di Adam nello specchietto retrovisore.

Lui sorrise di nuovo.

-         Sei tranquillo?-

-         Abbastanza-

-         Non ti arrabbierai con loro, vero?-

-         Voglio solo parlare-

-         D’accordo allora-

Adam mise di nuovo in moto la macchina, lanciò uno sguardo ai due ragazzi.

-         Non esiste anima che non si venderebbe per non morire davanti alla bellezza del vero amore. Non é forse così, Viola?-

 

 

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Capitolo 13
*** 12. ***


fiori13

Manuel chiuse con un gesto deciso la portiera della macchina, Viola non riusciva ad alzare lo sguardo. Adam diede un’occhiata alla casa, i pochi raggi del sole lo costrinsero a socchiudere gli occhi.

I tre si scambiarono una veloce occhiata, Manuel senza dire una parola fece strada ai due dietro di lui. Giunsero dinanzi alla porta verde, Manuel suonò il campanello della sua stessa casa come se invece di trovarsi dinanzi a casa sua si trovasse dinanzi a un qualcosa di totalmente sconosciuto. La sua espressione era illeggibile, Viola sentiva l’ansia salirle lungo la schiena.

Fu Laney ad aprire la porta, con il solito sorriso sulle labbra. Appena però vide i visi bui e preoccupati dei tre, gli angoli della bocca curvarono verso il basso.

-         Ciao Manuel…- sibilò, non sapendo dove guardare e cosa dire.

-         So cosa ti stai chiedendo, - ruppe l’atmosfera Manuel, - adesso però ho bisogno di sapere dove sono mamma e papà-

Laney lanciò un altro sguardo sconcertato a Viola e Adam, deglutì a vuoto.

-         Sono in salotto. Papà é appena rincasato-

-         Bene-

Manuel entrò facendo strada ai due che lo seguivano, Adam teneva lo sguardo arrossato basso, Viola incrociò gli occhi di Laney per un attimo senza riuscire ad assumere un’espressione che potesse almeno in minima parte spiegare quello che stava succedendo.

La casa come sempre era illuminata da fasci di luce obliqui, le ombre dei loro passi li seguivano come segugi, eppure le scarpe sul legno parevano non far rumore.

-         Laney, hai aperto la porta?- gridò una voce  femminile.

Laney rimase in silenzio.

-         Laney! Laney, chi ha bussato?-

Stavolta era una voce maschile.

Sentirono un rumore di passi, erano passi che andavano incontro ai loro.

Ombre in quei fasci di luce grigia che stavano per incrociarsi.

Una donna dai capelli biondi uscì fuori dal salotto, i suoi occhi incrociarono quelli di Manuel, in un attimo cadde un diverso silenzio e quegli occhi furono pieni di sorpresa e paura. Subito dietro di lei comparve un uomo alto, dai capelli scuri. La sua espressione fredda e indecifrabile nascondeva la sorpresa e la confusione che solo Manuel riusciva a cogliere.

Adam fece un passo avanti, tentò di esprimersi, Manuel gli lanciò uno sguardo.

-         Dobbiamo parlare- sibilò.

Gli occhi della donna si fecero lucidi, quelli dell’uomo erano interrogativi.

-         Manuel, noi…-

Mary stese il braccio verso la spalla del figlio.

-         Non mi avete detto la verità-

Il tono di Manuel era pacato.

-         Manuel tesoro non é come tu pensi…-

-         Voi dovreste sapere che io non penso

Philip fissò Adam impietrito e impaurito.

-         Come lo hai saputo? Adam tu…- cercò di dire, con la voce che gli tremava.

-         Non é stata colpa sua. É una storia lunga- si affrettò a dire Manuel non permettendo a suo padre di terminare la frase.

Philip e Mary si scambiarono uno sguardo, Viola aveva voglia di piangere.

-         Dobbiamo sederci e parlare- disse poi di nuovo Manuel, mentre stringeva le mani in pugni tentando di soffocare in quei pugni la tensione che saliva lungo la sua schiena.

Un’espressione sofferente attraversò i visi di Philip e Mary. Laney, in un angolo del corridoio, osservava in silenzio con il cuore pieno di paura.

In un attimo i raggi del sole furono coperti da una nuvola grigia, avvertirono appena la luce obliqua di un fulmine illuminare per un momento la stanza.

Manuel abbassò la testa.

-         Presto. Prima che inizi un altro temporale-

 

 

 

 

 

Non era mai stato così difficile guardare negli occhi i suoi genitori come in quell’occasione. Le lacrime di sua madre e le spiegazioni di suo padre coincidevano con il racconto di Manuel, raccontavano accalorati come se potessero essere le parole a convincere Manuel, come se esistessero parole in grado di toccargli il cuore, come se le parole contassero qualcosa. Manuel non leggeva nei loro animi lo spettro di un raggiro, ma soltanto la volontà di proteggerlo e di amarlo, per quanto questo potesse essere difficile. Aveva tentato di sorridere per calmare gli spasmi di sua madre, alla fine s’era convinto ad abbracciarla, a dirle che andava tutto bene e che non importava se avevano mentito, adesso lui sapeva tutta la verità. Quando si alzò per andar via, il cuore stava per scoppiargli dal dolore e dalle lacrime, ma riuscì a sentire Adam che sussurrava ai suoi genitori: “Siete fortunati. Manuel è l’antitesi di ogni cattiveria”. Ma non era così. lui non era l’antitesi della cattiveria, lui era semplicemente impossibilitato a non comprendere.

 

 

 

..

 

 

 

Viola accese le luci del seminterrato e poi, con un movimento fulmineo,  chiuse per bene le finestre lasciando aperte le tende bianche.

Manuel silenziosamente attraversò la stanza costeggiando il pianoforte e si sedette sul divano dietro di questo, mentre Viola ancora armeggiava con le tende.

-         Non preoccuparti Viola. Se vuoi puoi lasciarle chiuse-

Viola si voltò verso di lui.

-         Vuoi che le chiuda? Ti da fastidio la luce?-

La sua voce era esitante, apprensiva. Lo guardava con gli occhi spalancati, il cuore continuava a batterle a mille.

Manuel tentò di far placare quella sua sensazione con un sorriso dolce.

-         No, non mi da fastidio niente. Ti prego, vieni qui-

Viola lasciò immediatamente le tende così com’erano e andò a sedersi accanto a lui.

La pioggia cadeva fitta e leggera, il ticchettio sulla strada faceva da sottofondo candido e dolce al silenzio di quei secondi.

-         Vuoi un po’ d’acqua?- chiese poi Viola.

-         No-

-         Posso…fare qualcosa per te?-

-         Stai qui, questo mi basta-

-         Forse potrei…-

-         Viola, ascoltami, - Manuel le prese le mani, la guardò negli occhi, - ho solo bisogno di te. Nient’altro, nessun’altra cosa potrebbe calmarmi come la tua presenza, qui, adesso-

Il suo tono era tranquillo e placido, eppure dentro i suoi occhi c’era un alone di sofferenza.

Viola abbassò per un attimo lo sguardo.

-         Ti va di sfogarti?- chiese in un sussurro.

Manuel la guardò come se avesse parlato in cinese. Lo sguardo cambiò espressione, fece ciondolare la testa.

-         Sfogarmi…- ripeté, come per capire meglio il significato di quella parola, - nessuno mi ha mai chiesto niente del genere-

-         Dici sul serio?-

-         Già-

-         Oh-

Viola gli accarezzò una guancia, poggiò la testa sulla sua spalla.

-         Tu ne avresti bisogno Manuel. Potresti parlare di quello che senti. Di tutto quello che hai dentro-

Manuel le poggiò una mano sulla testa, le accarezzò i capelli.

-         Tu ti sfoghi mai?-

-         Si, certo-

-         E con chi?-

-         Con Janine, o con Mia. Ma anche con Daniel e Luce quando é il caso-

-         Persone di fiducia-

-         Si, é così-

Manuel le baciò la fronte.

-         Non so come si fa a sfogarsi. Ho la testa così piena di sfoghi degli altri che forse non so farlo. Non ricordo di essermi mai sfogato-

-         É impossibile. Tutti devono sfogarsi ogni tanto-

-         Quand’é che ci si sfoga?-

Viola gli lanciò uno sguardo.

-         Quando é successo qualcosa che ci ha scosso, o quando siamo tristi. Abbiamo un cumulo di sensazioni e parole dentro di noi e abbiamo bisogno di cacciarle tutte fuori. Ecco-

Manuel abbozzò un sorrisetto.

-         Secondo te perché nessuno mi ha mai chiesto di sfogarmi?-

-         Non lo so, Manuel-

-         Io credo di saperlo-

-         Davvero?-

-         Si. Forse avevano paura che il mio sfogo fosse diverso. Forse che, esprimendo quello che avevo dentro, sarei impazzito. Potrei impazzire?-

-         No, assolutamente. Anzi, dopo ti sentirai meglio-

Manuel la fissò stranito per un attimo, Viola si sedette con le gambe incrociare di fronte a lui e gli prese le mani.

-         Avanti, adesso guardami negli occhi e prova a parlare di tutto quello che senti-

Manuel abbassò lo sguardo leggermente imbarazzato.

-         Non so da dove cominciare…-

-         La prima cosa che ti viene in mente-

-         Sono confuso-

-         E poi?-

-         Stranito. So che ci sarà tensione a casa mia nei prossimi giorni, io non voglio che sia così-

-         E cosa vorresti?-

-         Vorrei che continuassimo a vivere normalmente, questa cosa non deve condizionarci la vita… sento che tra e i miei genitori c’é un rapporto di fiducia, io voglio che questa fiducia possa unirci tutti insieme-

-         Bene-

-         E poi, poi vorrei conoscere meglio Adam, non so se fidarmi però, oh Viola, avresti dovuto sentire le sue emozioni, era così contento di parlarmi, non riesco a credere che in tutto questo tempo sia stato in silenzio dietro le quinte!-

-         Continua-

-         Voglio bene ai mie genitori… la nostra vita potrebbe migliorare adesso… ma voglio che passi il temporale, passi la confusione… ho la testa che mi scoppia di emozioni…-

-         Come ti senti adesso?-

-         Un po’ meglio-

-         Questo vuol dire sfogarsi-

-         É una bella sensazione-

-         Te l’avevo detto-

Viola sorrise, Manuel le accarezzò le guance e poggiò le labbra sulle sue.

-         Grazie Viola-

-         Non devi ringraziarmi. Dovrei essere io a ringraziare te per ogni singolo istante della mia vita-

-         Non dire sciocchezze-

-         Tu sai perdonare, Manuel, sai cosa vuol dire? Sai capire cosa sentono le persone, sai interpretare le loro parole ancora prima che le dicano. I tuoi genitori ti hanno mentito – seppur a fin di bene – per tutto questo tempo e tu in un attimo li hai perdonati sentendo il loro amore per te. Non porti rimorsi, non covi vendetta, non ti arrabbi mai. Ti rendi conto di quanto sei fantastico?-

Manuel lesse l’infinita gioia e ammirazione con la quale Viola stava parlando.

-         Forse é come dici, - mormorò Manuel, - eppure io mi sento sempre troppo piccolo-

Viola lo abbracciò forte e lo baciò.

-         E’ perché tu hai sempre vissuto così e non sai vivere diversamente-

-         No, forse non saprei-

Viola giocava con i suoi capelli, lo sguardo di Manuel era più tranquillo.

-         Hai mai pensato a come sarebbe vivere senza sentire le emozioni del mondo?- chiese poi in un sussurro.

Manuel alzò le spalle con un sorrisino.

-         Certo che ci ho pensato. Ma non sono proprio riuscito ad immaginare niente. Per me é tutto così naturale…-

Alzò per un attimo gli occhi verso un punto indefinito della stanza, poi tornò a guardare Viola.

-         E’ come vivere in una solitudine popolata da pensieri che si animano. Immagina che lentamente tutti gli oggetti presenti in questa stanza iniziassero a muoversi e a parlare e tenessero sveglio il tuo cervello. Se un giorno smettessero di far baccano, moriresti di solitudine. Penso che é così che funzioni nella mia testa-

Manuel stava di nuovo fissando il vuoto, aveva gli occhi stanchi. Viola gli accarezzò il volto, poi lo abbracciò di nuovo.

-         Secondo me sei molto stanco-

-         Si, forse-

-         Vuoi andare a casa?-

-         No-

La sua voce era inquieta.

-         Ti dispiace se rimaniamo un altro po’ qui?- continuò poi.

-         No, affatto-

-         Usciremo quando smetterà di piovere-

-         D’accordo-

Manuel affondò la testa tra i suoi capelli, Viola lo strinse forte a se respirando lentamente la sua confusione.

 

 

 

 

I giorni passavano come foglie che cadono da un albero spinte dal vento. C’era tanto che Adam avrebbe voluto fare sin da quello stesso giorno in cui Manuel aveva saputo ogni cosa, ma non aveva ancora tutto il coraggio necessario. Era come se in quegli anni non avesse fatto altro che mettere da parte paure, invece che coraggio e forza. Cosa dirgli? Come parlargli? E, soprattutto, sarebbe servito a qualcosa? E se si, a cosa precisamente?

Ma adesso non c’era tempo per quelle domande, adesso si trovavano entrambi nella stessa stanza, e benché Manuel preferisse guardarlo solo di tanto in tanto, impegnato ad inseguire i raggi di luce fuori dalla finestra, era arrivato il momento. Il momento che forse entrambi aspettavano sin da quella piovosa giornata di dodici anni prima.

C’era un filo sottilissimo di tensione che avvolgeva i loro corpi e i loro silenzi, Adam sapeva che se voleva metterlo a suo agio sarebbe stato meglio farla cadere subito. E dunque parlarne subito.

-         L’ho capito sai-

Manuel voltò lo sguardo stranito verso Adam, la luce che proveniva dalla finestra illuminava il suo volto.

-         Cosa?-

Adam sorrise abbassando gli occhi.

-         La storia della tensione. Che non la sopporti, ecco, che ti é molto difficile sopportarla-

Manuel sentì una vibrazione salirgli lungo la schiena, non sostenne lo sguardo di Adam.

La tensione cadde.

-         E’ stata Laney a dirtelo?-

Adam rise.

-         Oh no, Manuel, lei non lo sapeva-

-         Non lo sapeva…?-

-         No-

-         Oh-

Manuel voltò il viso confuso, Adam gli lanciò uno sguardo interrogativo.

-         Che succede?- chiese con un filo di voce.

-         Credevo lei l’avesse capito- sussurrò Manuel abbassando lo sguardo.

Adam gli sorrise, Manuel incrociò i suoi occhi per un attimo.

-         E’ che davvero non riesco a restare calmo quando c’é troppa tensione, - prese a dire dopo un attimo, - riconosco di poter diventare intrattabile-

-         Oh, non lo sei mai diventato, Manuel -

-         Ho imparato a trattenermi e a nascondere. A nascondermi.-

-         Capisco-

Manuel stava guardando di nuovo fuori dalla finestra, Adam osservò il suo viso illuminarsi sotto i raggi pallidi.

-         Ma con Viola non succede così, non é vero?-

La domanda fece trasalire Manuel.

Si voltò verso Adam, gli occhi brillarono; era imbarazzato.

-         Beh, no…-

Adam sorrise.

-         Con lei non ti nascondi-

-         No-

-         Dì la verità, non ti sei mai nascosto con lei-

-         No, questo non é vero-

-         Beh, sei stato formale. Ma non avresti mai voluto-

-         Ci sono molte persone con le quali non avrei mai voluto nascondermi, Adam, eppure ho dovuto farlo-

I loro occhi si incrociarono per un breve attimo, Adam avvicinò la sedia a Manuel.

-         Come hai imparato a controllare le emozioni, Manuel?-

Gli occhi del ragazzo fissarono Adam per qualche istante, poi abbozzò un sorrisino.

-         Questa domanda a cosa ti serve?-

Adam alzò le spalle.

-         A conoscerti-

-         Nessuna ricerca?-

-         Tua madre ti ha passato il terrore per i neurologi-

-         Forse-

-         Manuel, non serve che io ne parli. Tu sai quello che sento, perché dovrei sprecare parole per convincerti che voglio solo far parte della tua vita?-

Adam portò le mani dietro la nuca a fissò il soffitto tranquillamente. Manuel si morse le labbra, abbassò lo sguardo e poi tornò a guardarlo.

-         Scusami-

-         Fa niente-

-         Volevo provocarti-

Adam rise.

-         Provocarmi?-

-         Già. Di solito le persone cercano di trovare mille giustificazioni alle loro azioni anche se si stanno comportando bene. Tu non l’hai fatto-

-         Sei simpatico-

Manuel gli lanciò un’occhiata, sorrise.

-         Comunque, per quello che mi hai chiesto, beh…-

-         No, se non ti va non devi dirmelo-

-         Ma voglio dirtelo-

Adam gli lanciò un’occhiata obliqua, abbozzò un sorriso, Manuel sospirò.

-         Ho imparato con il tempo. Prima stando in una stanza con due persone, poi con tre, poi con quattro…mano mano ho imparato a controllare sempre più emozioni, ma non é stato facile. Per questo non amo i luoghi affollati e preferisco la solitudine-

Adam annuì

-         E non hai mai pensato di andar via?-

-         Via?-

-         Già, per capire come ti sentiresti in un posto lontano da questo-

-         Credo che all’inizio starei molto male-

-         Molto male?-

-         Sai, sono abituato a Brighton ormai, vivo qui da sempre. Ho immagazzinato nella mente i mutamenti climatici, l’aria, la pioggia, le persone, ho trovato una sorta di equilibrio-

-         Oh-

-         A questo non c’avevi mai pensato, vero?-

-         No, devo essere sincero. Non pensavo che avessi questo collegamento con l’ambiente così forte-

-         Beh, forse crescendo cambierà. Sono cambiate così tante cose da quando ero bambino-

Adam sorrise di nuovo, Manuel guardò di nuovo fuori dalla finestra.

-         Adesso devo proprio andare-

Adam si alzò, Manuel lo guardò mentre prendeva la sua giacca.

-         Vai già via?-

-         Si-

-         Oh-

-         Mia moglie partirà stasera-

-         Partirà?-

-         Già. Va in Francia, e ci resterà per un bel po’-

Manuel annuì.

-         Perché va in Francia?-

Adam alzò le spalle.

-         C’é una clinica specializzata nella periferia di Parigi, una delle più prestigiose del mondo. E’ molto poco conosciuta, ma Susan é amica di uno dei medici che lavorano lì e lui l’ha invitata per una specie di corso-

-         Di che clinica si tratta?-

-         É un ambiente molto tranquillo. Si studia, si studia moltissimo la mente umana e tutte cose di grandissima rilevanza scientifica-

-         Non ci sono pazienti?-

-         Solo in alcuni periodi dell’anno, ma non sono mai tanti-

-         Se é così specializzata perché non ce ne sono tanti?-

Adam scoppiò a ridere, Manuel abbassò lo sguardo.

-         Ecco guarda, - Adam tirò fuori dal portafoglio una foto che rappresentava una grande struttura bianca immersa nel verde, - é qui che andrà.-

-         Se sono così bravi dovrebbero curare le persone-

-         Lo dici perché tu saresti capace di capirle, quelle persone, Manuel. Ma nessuno é come te-

Manuel afferrò la foto e la guardò con occhio critico.

-         Non ho mai pensato di fare quel lavoro- biascicò dopo un attimo.

-         Invece dovresti pensarci. Potresti far davvero del bene a moltissime persone-

-         Potrei entrare nella loro testa ma non curarli-

-         Potresti capirli e questo sarebbe già abbastanza per farli stare meglio-

Manuel storse la bocca, Adam sorrise.

-         Cos’é che va a fare precisamente?- chiese dopo un attimo.

-         Beh, stanno facendo alcune ricerche riguardanti i sogni-

-         I sogni?-

Manuel sembrò interessato, Adam si accostò a lui.

-         Vedi, é capitato ad Annie, una ragazza autistica. Una notte non ha fatto altro che agitarsi nel sonno e appena sveglia é stata a piangere per tutto il giorno. Sai Manuel, é molto difficile che queste persone riescano a comunicare, anche con il riso o il pianto. Questa cosa le é capitata già un paio di volte, e stanno cercando di capire cosa le succede. Susan é una specialista e va a dare una mano-

Manuel abbassò lo sguardo. Aveva paura di dire ad Adam della sua capacità di entrare nei sogni, non aveva idea di cosa avrebbe potuto dirgli.

-         Capisco- commentò soltanto, tenendo gli occhi bassi.

Adam gli sorrise.

-         Ad ogni modo, adesso devo andare. Ci vediamo presto Manuel, d’accordo?-

-         Si, a presto-

 

 

 

Il cielo era sereno, eppure qualche nuvoletta dispettosa già si faceva strada in quella serenità.

Manuel camminava lentamente, quasi come se avesse paura di arrivare alla meta, teneva le braccia stese lungo i fianchi e per distrarsi stava ricordando l’ultimo discorso con Viola.

“Stavo pensando una cosa”, aveva detto lei mentre giocava con le dita delle sue mani, “qualche volta potremmo andare a mangiare qualcosa fuori. O al cinema. Non ci siamo mai andati”. A lui inizialmente gli era venuto da ridere, era una cosa che non aveva mai detto,  poi aveva sentito le sue emozioni. Lei voleva un po’ di normalità, sincera e tastabile normalità. Le ultime cose successe non avevano lasciato nessuno indifferente, ed era stato lui stesso il primo a dire di voler ritornare alla classica regolarità, - o meglio, riscoprirla. Infondo, a pensarci bene, lui e Viola non erano per niente la “classica” coppia e ad essere sinceri tra di loro non c’era stato mai niente di “classico”. Sin da quando si erano conosciuti tra di loro non c’era mai stato traccia di un amore normale e semplice e le cose che erano capitate loro avevano sempre un non so che di tetro e malinconico. Ma forse, anche se lei l’amava con tutta se stessa, non era questo che aveva immaginato. Le sarebbe piaciuto uscire, andare al cinema, al luna park, in gita, ad un concerto magari.

Alzò le spalle sorridendo teneramente pensando alle emozioni di lei.

“Certo, certo che possiamo farlo” aveva risposto sorridendole e accarezzandole la guancia, “noi possiamo fare tutto quello che ti va”.

C’erano molte cose alle quali lui stesso avrebbe dovuto abituarsi, ad esempio lo stare di più in mezzo alla gente. Non era abituato ad andare al cinema o al ristorante, a stento era abituato ad andare al parco. Ma per lei, oh, per lei avrebbe presto quest’abitudine. Qualsiasi cosa lei avrebbe voluto fare l’avrebbero fatta, così che lei sarebbe stata felice ed entrambi avrebbero ritrovato e riscoperto la normalità. Non gli sarebbe dispiaciuto scoprire com’era la vita del comune adolescente, no, sarebbe stato divertente. Magari avrebbe potuto conoscere altre persone, magari Joseph e Candace sarebbero usciti con loro qualche volta e si sarebbero divertiti insieme. Magari avrebbe imparato ad essere più espansivo, e adesso, con l’aiuto di Adam, avrebbe imparato a controllare meglio le sue capacità in modo da poter essere sempre più normale. E un giorno avrebbe raggiunto la vetta, sarebbe stato un perfetto ragazzo normale e non ci sarebbe stato più nulla di tetro e misterioso nel suo comportamento.

Oh si, avrebbe fatto di tutto per Viola, bastava che lei parlasse, lui avrebbe tentato di esaudire ogni suo desiderio.

I pensieri lo avevano avvolto per tutta la strada che doveva percorrere, adesso si trovava davanti al cancello della casa di Adam, lì dove doveva andare.

“Ti racconterò cosa mi dice. Magari mentre andiamo al cinema” aveva detto a Viola. Lei aveva riso, poi l’aveva abbracciato. Era intenerita dal suo comportamento e piena di gioia.

Si stavano avvicinando a piccolissimi passi alla normalità, anche Adam doveva diventare parte di essa.

Bussò al citofono e la porta fu aperta in un batter d’occhio.

La casa di Adam era silenziosa e piccola, c’era una modesto salotto sulla sinistra e una cucina dopo il corridoio principale.

-         Vieni, figliolo, sono di qua- lo chiamò una voce dalla parte destra della casa.

Manuel seguì la voce fino a giungere nel suo studio.

Era proprio come lui l’aveva descritto.

Una grossa libreria sulla sinistra e una vetrata sulla destra. Infondo c’era una scrivania di legno antico e dietro di essa c’era seduto Adam, con il telefono in mano.

Sorrise.

-         Ciao Manuel, benvenuto. Ho appena finito di parlare con Susan!- annunciò.

Manuel avanzò di qualche passo, sorrise.

-         Oh. Come sta?-

-         Molto bene, grazie. Ha fatto amicizia con l’equipe con la quale lavorerà nei prossimi mesi-

Manuel abbassò la testa con un altro sorrisino, Adam lo invitò a sedersi con un gesto della mano.

-         E con Annie come va?- chiese d’improvviso Manuel.

Adam fu sorpreso da quella domanda, sorrise compiaciuto.

-         Niente di nuovo per il momento- rispose, abbassando leggermente gli occhi.

Manuel poggiò le mani sulle ginocchia, si guardò intorno incuriosito ed intimidito.

-         Dev’essere molto brava Susan per essere andata lì- continuò poi, quasi in un sussurro.

-         La nostra é una vera passione,- spiegò Adam, - del resto, nessuno si butterebbe a capofitto in studi come questo se non ne é davvero ammaliato. Alcune persone potrebbero trovare tremendamente triste avere a che fare con persone che, beh, non hanno capacità di esprimersi, eppure per noi é interessante cercare di capirle e di aiutarle-

-         Non ho mai conosciuto una persona autistica- disse Manuel quasi come se le parole fossero uscite da sole.

Adam lo fissò per qualche momento.

-         Forse sarebbe un’esperienza che dovresti fare. Io sono certo che se tu diventassi medico potresti…-

-         Questo l’hai già detto. Ma io non ne sono sicuro. Creerei soltanto molta più confusione nella mente di quelle persone-

-         Questo non puoi dirlo se non ci provi-

-         Non ho neanche diciassette anni, non credo di poter decidere adesso del mio futuro-

-         Non hai mai pensato di fare il medico? Neanche una volta?-

Manuel scosse la testa, Adam abbozzò un sorrisetto.

-         Beh, forse ne riparleremo tra un po’ di tempo. Ad ogni modo non voglio annoiarti con queste questioni, parliamo d’altro, ti va? –

-         Si, d’accordo-

La voce di Manuel era esitante, una parte di lui avrebbe voluto continuare con quel discorso su Annie.

Adam iniziò a chiedergli di Viola, di Laney, di come stesse trascorrendo le sue giornate e qualche altra piccola e criptica domanda sulle sue capacità. Sembrava tutto così normale, era come dialogare con un amico che ti conosce da secoli e secoli, una persona che é entrata nel tuo mondo per caso e non é stata più capace di uscirne.

Adam mostrò a Manuel i suoi libri e gli offrì una tazza di té, gli fece leggere le lettere d’amore che scriveva a Susan quando erano fidanzati e quando finalmente per caso ricominciarono a parlare della lontananza di Susan Manuel riacquistò tutta la sua attenzione. Adam parve accorgersi di questo suo nascosto interesse, gli sorrise come per incoraggiarlo a parlarne apertamente ma Manuel non lo fece.

Sapeva che era tutto quello che Adam voleva sentirsi dire.

Iniziò a sentirsi in imbarazzo, guardò l’orologio e il sole che tramontava.

-         Forse é meglio che io vada a casa adesso – disse poggiando la sua tazza di té sul tavolo.

Adam sorrise rilassato.

-         Oh si, capisco, si sta facendo buio. Ad ogni modo, Manuel, non aver timore a parlare con me, d’accordo?-

Quella frase intimidì ulteriormente Manuel, il ragazzo fissò il vuoto per qualche momento.

-         Non ho nessun timore. É solo che sai, é la prima volta che qualcuno mi parla di…beh, di rami della vita reale che sono compatibili con me-

-         Intendi la medicina? Il caso di Annie?-

La domanda fece alzare le spalle a Manuel.

-         Oh beh, mi piacerebbe sapere se riescono a capire cos’ha Annie. Se riescono a curarla almeno un po’-

-         Chiederò a Susan informazioni-

Manuel abbozzò un sorrisetto, Adam si protese verso di lui.

-         Sai, forse é l’unica cosa che davvero potrei fare nella vita- biascicò Manuel dopo un attimo, - forse potrei dar loro una mano. Forse, se potessi incontrare una di queste persone, come ad esempio Annie, potrei capire cosa desidera fare, cosa desidera vedere. Magari capirei che anche a lei piacerebbe andare al cinema come a Viola-

Abbassò lo sguardo, Adam sospirò, gli sorrise di nuovo.

-         Questo é un atteggiamento molto nobile da parte tua, Manuel-

Manuel rimase in silenzio per qualche attimo, poi si alzò.

-         E’ stato bello parlare con te, Adam. Adesso devo proprio andare-

-         Oh, si. Ti accompagno alla porta-

Adam guidò Manuel fino alla porta anche se lui ricordava perfettamente la strada. Una volta sulla porta Manuel si voltò verso di lui per un ultimo saluto ma Adam fu più svelto.

-         Allora, porterai Viola al cinema?-

-         La porterei in capo al mondo se me lo chiedesse-

Adam rise, gli poggiò una mano sulla spalla.

-         Tutti e due avete bisogno di vivere come normali adolescenti. Non preoccuparti del resto, Manuel, non preoccuparti di niente. Questa potrebbe essere la tua normalità, e io sono felice di farne parte-

-         A presto, Adam-

-         A presto Manuel-

Adam osservò Manuel allontanarsi verso il cancelletto poco distante, lo scorse fin quando non voltò l’angolo e sparì sotto il cielo rosso. Sospirò pensando a quale magnifica esperienza sarebbe potuta essere per Manuel quella di entrare a far parte del mondo della medicina. Avrebbe incontrato mille e mille persone e avrebbe capito i loro sentimenti, avrebbe trovato un ordine nella loro confusione. Nessun dottore sarebbe più stato capace di chiamarsi tale se Manuel avesse davvero voluto perseguire quella strada. Beh, ma forse era meglio dargli ancora del tempo: era scettico, lo capiva dal suo atteggiamento scostante, dal fatto che aveva timore di chiedere cosa succedesse ad Annie ma allo stesso tempo ne era curioso. Per il momento forse era meglio non pensarci: lasciamolo andare al cinema, pensava, lasciamolo fare la vita dell’adolescente dalla quale si é sempre recluso. Incontrare Viola era stata davvero una benedizione per lui: adesso poteva aprirsi di più, conoscere più cose, vivere una vita come l’aveva sempre voluta. 

Sorrise, poi chiuse la porta e rientrò in casa.

 

 

                                                          

 

C’era un grande prato verde inondato di luce del sole, un venticello fresco allietava la moltitudine di persone sedute su quel prato. C’erano tovaglie colorate, bambini che correvano e giocavano insieme e rumori di ogni genere. Risate, urla, bicchieri e posate, musiche…la gioia pulsava e faceva male nella sua testa, ma era un sentimento che si arrotolava su se stesso e gli occhi non avevano la forza di chiudersi. Gli occhi di Manuel si voltavano in continuazione, ma più cercava di placare le pulsazioni più tutto girava e il sole gli mandava in fumo il cervello. Si tenne la testa tra le mani, in un attimo tutto gli fu chiaro. Il mondo andò a rallentatore e lui entrò nella sua testa. Le pulsazioni diminuirono sempre di più.

 

Aprì gli occhi di scatto, si poggiò una mano istintivamente sul cuore e si rassicurò quando lo sentì battere nel petto normalmente. Socchiuse gli occhi per un attimo e sospirò, poi lentamente si alzò.

Restò in piedi illuminato da un raggio lunare per qualche minuto, poi silenziosamente aprì la porta della sua stanza e facendo attenzione a non fare rumore scese le scale e si diresse verso la sua stanza al pianterreno.

Sentiva i suoi passi scricchiolare leggermente sul legno e tratteneva il respiro per cercare di raggiungere il silenzio di cui aveva bisogno. Aprì con un gesto deciso la porta della camera e si chiuse lì dentro. Anche lì dalla finestra chiusa entravano pochi raggi lunari, Manuel si affrettò ad aprire tutte le imposte e a dar un po’ di luce all’ambiente, poi alzò il cuscino del divano e tirò fuori da lì sotto un foglio bianco e alcune penne.

Si sedette sul pavimento e iniziò a scrivere qualcosa di confuso.

 

 

 

Una goccia fredda cadde sulla sua mano, in un secondo si asciugò portata via da un vento gelido. Il cielo era nero, le nuvole si addensavano sempre di più e quella dannata goccia continuava a cadere ad intervalli regolari nel perfetto centro della sua mano sinistra.

Manuel sentì una cristallina risata sovrastarlo, alzò gli occhi guardandosi intorno spaventato. Sospirò, poi fece un passo in avanti attraverso l’erba bagnata e morbida.

Un’altra goccia.

Sentiva il battito del suo stesso cuore nella testa, poi di nuovo quella risata.

Un vento giocoso gli scompigliò i capelli, Manuel fu preso da un incredibile senso di calma. Quella improvvisa risata continuava a risuonare nella sua testa avvolgendolo da capo a piedi.

Scorse un’ombra sopra di lui, non riusciva a spiegarsi come riuscisse a percepirla nonostante il cielo fosse completamente nero.  

Sentì il cuore sobbalzargli nel petto fino a salire in gola.

 

 

 

Poi si svegliò di nuovo di soprassalto.

 

 

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Capitolo 14
*** 13. ***


fiori13

Una pioggerellina leggera cadeva dal cielo, gli alunni entravano uno dopo l’altro nell’atrio parlando tra loro, confondendo le loro voci con il ticchettio della pioggia sull’asfalto.

-         Manuel-

Manuel, Manuel, Manuel.

Una fastidiosa eco risuonava nel suo cervello, Manuel si voltò verso Viola tentando di sorridere.

Il viso di Viola era preoccupato.

-         Cosa succede? Non ti senti bene?- chiese, poggiandogli una mano sulla spalla. Manuel abbozzò un sorrisetto, ogni singola parola che Viola aveva pronunciato gli risuonava nella testa.

-         A dire il vero non tanto…- confessò, tenendosi la testa con le mani.

Viola osservò il suo viso più pallido del solito, gli occhi stanchi.

-         Non hai dormito molto, non é vero?-

-         Non ho dormito per niente-

-         Perché?-

Manuel sospirò, il tono di Viola iniziava a mutare.

-         Credo che sia successa una cosa-

-         Cosa?-

-         Beh non lo so ancora con precisione-

-         Una cosa brutta?-

-         No, no, non credo…-

-         Se non stai bene forse é meglio che vai a casa…-

-         No, devo parlare con Adam -

Viola si irrigidì tutta, abbassò lo sguardo cercando di mascherare la brutta sensazione che l’aveva attraversata nel sentire quel nome.

Manuel le lanciò uno sguardo interrogativo non appena si rese conto della sensazione che aveva provato, alzò le spalle.

-         C’entra lui con il tuo malessere?-

La domanda di Viola sembrava ambigua, Manuel sorrise.

-         Oh Viola, tutti e nessuno c’entrano nei miei malesseri. Il mondo interviene nella mia testa ma allo stesso tempo non é assolutamente colpa sua. Come poter dare la colpa solo ad Adam?-

-         Avanti, smettila con questi giri di parole. Sai cosa voglio dire-

Manuel alzò le spalle divertito.

-         Beh si, forse c’entra lui. Ma non é un vero e proprio malessere-

-         Sei bianco come un cadavere e sono certa che potresti addormentarti da un momento all’altro tanto del sonno che hai!-

-         Non é vero. E comunque soffro d’insonnia, so sopportare bene il sonno-

-         Stanotte non ha piovuto, non hai sofferto di insonnia. Di cos’hai sofferto?-

-         Di mal di sogni-

Viola arricciò il naso alla sua risposta credendo che la stesse prendendo in giro, gli lanciò un’occhiata furtiva.

-         Già, certo. E io sono la regina Elisabetta -

-         Ti dico che é così. E non mi é mai successo prima-

-         Come può venirti il mal di sogni?!-

-         Non si tratta dei miei sogni. Erano i sogni di un’altra persona-

-         E chi é questa persona? É Adam?-

-         Oh no-

-         E chi allora?-

-         Beh, non ne sono ancora sicuro, - Manuel si guardò attorno, poi abbassò lo sguardo verso Viola, - ma credo siano di una persona molto molto distante da noi-

Viola lo guardò interrogativa, Manuel scosse la testa come per liberarsi da alcuni pensieri che lo infastidivano.

-         Manuel, sei peggio di un rebus-

-         Te ne parlerò più tardi, d’accordo?-

Manuel sorrise, si fermarono entrambi davanti agli armadietti del secondo piano.

-         Sei sicuro che non sia niente di grave?-

-         Oh no. Queste cose non devono mai spaventarti-

-         Devo spaventarmi se tu stai male, Manuel -

-         Ma io non sto male. Al massimo ho l’insonnia, e neanche in quel caso dovresti spaventarti-

-         Se dici di aver avuto mal di sogni ed é la prima volta che ti capita sono preoccupata, Manuel, oltre ad essere oltremodo sconvolta-

-         Ma sei brava. Dall’esterno non sembri sconvolta-

-         Prima di conoscerti io mascheravo bene le mie emozioni-

-         Anche adesso le mascheri bene. E’ solo che con me non vale –

Viola abbassò la testa con un risolino, Manuel le accarezzò i capelli.

-         Non preoccuparti, d’accordo?-

-         Se lo dici tu…-

Manuel avvicinò le labbra al suo orecchio, le accarezzò i capelli e poi sussurrò:

-         Stasera ti porto al cinema-

Viola abbozzò un sorriso scostandoti dal suo viso.

-         Non avevi detto di voler andarci?- domandò dolcemente lui con un sorriso.

-         Beh si…-

-         D’accordo allora! Ora vado a parlare con Adam del mal di sogni, dopo ti racconterò tutto-

-         Si, ma…-

-         Non preoccuparti okay?-

-         Ascolta, io…-

-         Ricordati Lois Lane!-

Manuel si allontanò verso l’aula di inglese con un sorriso divertito nonostante l’espressione dell’intero viso contrastasse con esso.

Viola lo guardò andare via, camminare delicatamente come solo lui sapeva fare tra tutta la folla di persone e sparire dopo qualche attimo.

Oh certo, Lois Lane.

Non aveva motivo di stare in ansia perché tanto non ci sarebbe mai stato nessun mostro alieno che avrebbe voluto rapirla, certo, era questo che intendeva. Non importava se lui arrivava a scuola stralunato e pieno di sonno confabulando qualcosa sul mal di sogni, lei non doveva per niente preoccuparsi. Era tutto nella norma.

Il mal di sogni?

Alzò le spalle con un risolino, chiedendosi chi mai sulla faccia della Terra soffrisse di una malattia del genere. Come veniva il mal di sogni? E di cosa si trattava specificamente? Che cosa, stavolta, la sua fantastica mente era riuscita a raggiungere?

Era certa che era stato Adam a far scaturire tutto, era stato lui che gli aveva forse detto qualcosa o esortato a fare qualcosa. Sembrava che lo trattasse come una cavia da laboratorio, altro che ammirazione!

-         Viola!-

Viola si voltò di scatto sentendosi chiamare, vide Luce e Daniel correre verso di lei.

-         Ciao ragazzi- salutò con un sorrisone.

-         Viola, Viola, guardati! Come sei felice! Tutto bene?- chiese Luce poggiandole un braccio intorno alle spalle.

-         Si, certo. Voi?-

-         Benissimo- rispose Daniel raggiungendo Viola dal lato opposto a quello dove stava Luce.

-         Oh già! Ascolta, oggi pomeriggio vieni a prendere un té?- chiese poi Luce con un altro sorriso, - non ci vediamo da un po’…-

-         Si, e mi dispiace, ho avuto molto da studiare…!-

-         Studiare, che brutto verbo!- intervenne Daniel con una smorfia.

Luce si scostò i capelli dal viso, alzò le spalle.

-         Allora, ti va di passare un pomeriggio con i tuoi vecchi amici o ti sei completamente dimenticata di noi?-

Luce finse una smorfia di tristezza, Daniel rise.

-         Oh, ma certo. Volevo appunto chiederti di prestarmi uno dei tuoi vestiti-

-         Un vestito?- chiese Luce stranita.

-         Oh si. Questa sera devo uscire-

Daniel e Luce si scambiarono un’occhiata.

-         Una serata romantica!- esclamò Daniel.

-         Beh, non direi proprio romantica ma…-

-         Oh, d’accordo d’accordo! Metterò il mio armadio a tua disposizione!-

Viola sorrise, Daniel e Luce fecero altrettanto.

-         Anche se io un’uscitina romantica la farei alla Casa sulla Settima Strada…-

-         Daniel vuoi smetterla con questa storia? Viola si pentirà di avertelo detto!-

-         Cosa ho detto di male? Insomma, non dirmi che tu non sei curiosa neanche un po’…-

-         É solo una casa, e adesso che sappiamo chi ci abita ha perso il suo fascino!-

-         Scommettiamo allora che…-

-         Prova a scommettere e perderai mio caro…-

 

 

 

                                                                

 

 

                                                       

 

 

-         E’ stata ad un pic-nic in un enorme prato-

Adam si voltò verso Manuel che si era affacciato alla porta dell’aula di inglese completamente vuota e aveva sussurrato quelle parole.

Inizialmente non capì di cosa stesse parlando, socchiuse gli occhi e la sua espressione divenne interrogativa.

Manuel entrò nella classe e si chiuse la porta alle spalle, si avvicinò alla cattedra non smettendo di fissare Adam.

-         Era in quel prato, ogni tanto la portano lì- continuò Manuel.

Adam si tolse gli occhiali e lo fissò sconvolto.

-         Tu come fai a saperlo?-

-         Dimmi, é la verità?-

-         Si-

Manuel abbassò lo sguardo, sembrò ragionare con se stesso per un attimo.

-         Come fai a sapere queste cose di Annie?- chiese Adam quasi balbettando.

Manuel alzò le spalle.

-         Questo non posso dirtelo- rispose in un sussurro, - ma so che é quel prato-

-         Cosa?-

-         Ogni volta che decidono di portarla in quel prato enorme a fare il pic-nic, -magari é un parco, non so,- lei ha quegli incubi-

-         Io non so se…-

-         Oh si, te lo dico io, é solo in quei giorni. Devono smettere di portarla lì. Quella confusione le da alla testa. Le fa paura-

Adam si alzò lentamente dalla sua cattedra e si avvicinò a Manuel.

-         Non guardarmi in quel modo, Adam,- chiese Manuel, - solo, chiedi a quelle persone di smettere di portarla lì. Così non avrà più incubi-

-         Manuel, io non riesco a capire…-

Manuel rise.

-         Neanche io se proprio lo vuoi sapere, ma so che é così. Lo dirai a Susan?-

-         Oh si, certo, lo dirò a Susan, ma…-

-         No, no, non devi farmi nessuna domanda-

-         Ma…-

-         No-

Manuel fece per allontanarsi, Adam si poggiò alla cattedra.

-         Non riesco a credere che tu l’abbia capito, Manuel -

-         Adesso devo andare a lezione, Adam -

-         Come hai fatto?-

-         Ci vediamo più tardi-

-         Aspetta, aspetta solo un attimo…-

-         Fammi sapere cosa ti dirà Susan -

Manuel aprì la porta della classe e sgattaiolò via prima che Adam potesse aggiungere qualsiasi altra cosa. Era lecito, molto più che lecito che Adam fosse sconvolto e sorpreso di quella notizia, lo era stato anche lui quella stessa notte, quando si era svegliato di soprassalto. Non aveva idea di come avesse fatto ad entrare nei sogni di una persona che non aveva mai visto in vita sua e che abitava a chilometri e chilometri di distanza, eppure era successo. Con la semplice forza della sua mente era riuscito a capire il perché del malessere di Annie, lui, dall’Inghilterra, lui, diciassettenne anonimo, aveva capito cos’é che tormentava i sogni di una autistica ragazza francese senza neanche incontrarla, senza neanche vedere una sua fotografia. Il fatto che ci fossero medici esperti, lì in quella clinica, che probabilmente lavoravano già da un po’ a quel caso, lo faceva rabbrividire. Per un attimo ebbe paura di se stesso, poi sospirò e quella paura passò. Normalità, questo gli aveva detto Adam il giorno prima. Oh certo, normalità. Sarebbe stato più difficile del previsto, adesso che era entrato nella mente di Annie. Ma no, si doveva impegnare. Entrare nei sogni e leggere le emozioni delle persone faceva parte della sua normalità, doveva solo conciliare quei due mondi, attingere a piene mani da entrambe le vite.

Scese velocemente le scale chiedendosi cosa avrebbe dovuto dire ad Adam. Non se ne parlava di confessargli della questione dei sogni, quella era una cosa che nessuno sapeva e nessuno doveva sapere, eppure non avrebbe saputo cos’altro inventare. Sarebbe stato meglio forse se non avesse detto niente e se ne fosse restato zitto, ma no, non ce l’avrebbe mai fatta. Quando si trattava di emozioni, sogni o cose del genere, per Manuel era praticamente impossibile non agire. Come avrebbe potuto restare zitto? E cosa se ne sarebbe fatto lui di quelle informazioni su Annie? Niente, era quindi palese che le aveva ottenute per riferirle ad Adam.

E Adam le avrebbe riferite a Susan. E Susan avrebbe fatto in modo che nessuno portasse più Annie a fare quel maledetto pic-nic.

Sorrise per un attimo immaginando la tranquillità dei sogni di quella ragazza quando avrebbe finalmente smesso di andare lì.

 

 

 

                                                         

 

 

 

Il cielo era rosato quando Manuel e Viola uscirono dal cinema, sorridendo si allontanarono verso la strada che conduceva al parco, ridevano e scherzavano scambiandosi opinioni sul film. Viola ancora rimurginava su tutto quello che Manuel gli aveva raccontato su Adam, Annie e la clinica in Francia.

-         Com’é stato entrare nei sogni di Annie?- gli chiese ad un certo punto, quando si sedettero entrambi sotto un albero del parco.

Manuel le lanciò un’occhiata.

-         Non so descriverlo. E’ stato come ruotare in un vortice e poi cadere su un altro pianeta-

-         Come hai fatto a finire lì?- chiese Viola con un sorriso quasi divertito.

Manuel alzò le spalle con un sorriso.

-         Io credo che ci sia stato un certo qualcosa che mi ha permesso di farlo. Un qualcosa che é difficile incontrare-

Viola si voltò di scatto verso di lui, i suoi occhi fissavano un punto indefinito all’orizzonte.

-         Un…qualcosa?- chiese con un filo di voce.

Manuel girò la testa verso di lei, incontrò i suoi occhi.

-         Quella cosa dalla quale nascono i nostri sentimenti. Forse é mischiato all’anima, non lo so. O forse é a capo anche di questa. Da dove nascono i sentimenti?-

-         Non lo so, Manuel. E’ così strano. Non credevo che loro potessero d’improvviso prendere vita al di fuori di qualsiasi nostro controllo-

La voce di Viola era diventata più sottile, sfiorò le nocche bianche della sua mano stretta a pugno.

-         I sentimenti intendi? Oh, si. Ne sono certo. Quello che ho visto non era una semplice un’emozione, o l’avrei capito, e anche se fosse stata anima. Ma non é ne una e né l’altra. Non posso vederla. É il Re-

Manuel alzò lo sguardo al cielo per un attimo.

-         Il Re?-

Viola alzò di scatto la testa dalla sua mano.

-         Il Re. Lo immagino su un trono, sopra l’anima. Lui decide tutto, tutto quello che un secondo dopo sparge nell’anima, soffiando su una Girandola. E’ il Re sul grande Impero dell’anima-

-         Allora dovrebbe essere un Imperatore-

-         No, mi piace di più il Re-

-         D’accordo. Un Re Girandola-

-         Si, una specie. E se ne sta lì, e nessuno sa che c’é, ma regna sulla nostra anima. Sull’Impero dei Fiori-

-         Impero dei Fiori?-

-         Le emozioni. I Fiori. Ascolta, chiudi gli occhi e immagina, - Manuel poggiò delicatamente le mani sugli occhi di Viola, e quando li ebbe chiusi prese ad accarezzarle i capelli e la fronte, - il Re, seduto su un trono d’oro su un enorme prato, ha in mano una Girandola colorata. Quel prato é l’anima, ed é luccicante e tutta verde. Quando nasce un sentimento, il Re sorride e la girandola inizia a girare vorticosamente, poi si sprigiona un forte vento freddo e sul prato iniziano a nascere fiori di tutti i colori. Le emozioni-

-         Wow-

-         Li stai vedendo? I Fiori?-

-         Si. Sono molto belli-

-         Bene. Adesso puoi aprire gli occhi-

Viola leggermente alzò le palpebre e Manuel fece scivolare via le mani dal suo volto, poi si guardarono negli occhi mentre Viola sorrideva.

-         Ho immaginato il Re- mormorò guardandolo.

-         Certo. E’ facile immaginarlo-

Manuel sorrise a sua volta, la sua espressione era dolce e pacata.

-         Facile immaginarlo, ma non vederlo-

-         Già-

-         Perché tu non riesci a vederlo?-

Ancora una volta la domanda di Viola parve turbarlo, ma un attimo dopo era di nuovo tranquillo.

-         Beh, non posso- rispose.

-         Secondo me puoi-

-         Se avessi potuto l’avrei già fatto, Viola. Evidentemente non é…visibile-

-         E credi che l’anima sia visibile?-

-         Nell’anima ci sono le emozioni -

-         Beh, forse un giorno riuscirai a vedere anche il Re. E’ lui che ha deciso di noi, vero?-

-         In che senso?-

-         Lui ha deciso che noi dovevamo innamorarci. Un giorno ci ha guardati e poi…poof! La Girandola ha iniziato a ruotare. Sarebbe un modo carino per spiegare la nascita dell’amore-

-         Oh, ma di sicuro é così! Lui ha deciso che noi ci saremmo innamorati, e qualsiasi cosa succederà lui resterà fermo sulla sua decisione-

-         Non c’entrano niente gli eventi della vita con lui, Manuel?-

-         Oh no. Anche se vivessimo a chilometri di distanza ci ameremmo comunque. E sai perché? Perché é il Re che lo ha deciso. E lui non potrebbe mai permettere una nostra separazione-

-         Sarà fantastico quando lo incontrerai, allora-

-         Ho visto la sua ombra, credo che possa bastarmi-

-         Oh, ma io sono certa che lo incontrerai. Ti inginocchierai davanti a lui e poi il Re con la sua spada luccicante ti proclamerà Principe dell’Impero dei Fiori-

Manuel rise abbassando lo sguardo.

-         E magari mi darà la sua Girandola-

-         Oh già, dimenticavo!, - Viola si alzò e poggiò la mano sulla spalla di Manuel con atteggiamento solenne, - Manuel Green!,- esclamò controllando il tono di voce, - ti proclamo ufficialmente Principe Indiscusso ed Eterno dell’Impero dei Fiori! E come dono per dimostrarti la fiducia che ripongo in te, ti regalo la Girandola delle Emozioni!-

Manuel prese la mano che Viola teneva poggiata sulla sua spalla e la baciò, Viola sorrideva mentre divertita lo osservava.

-         Sono lusingato Sua Maestà, - mormorò guardandola di sottecchi, - ma non mi sento affatto un Principe-

-         Oh no, Manuel Green, tu non puoi discutere con il sovrano, - Viola scosse la testa con fare severo, - tu sei il mio inviato nel mondo, incontrerai tutte le emozioni che nascono dal mio trono e le condurrai alla felicità-

Viola si inginocchiò di fronte a lui, la punta del suo naso sfiorava il volto di lui.

-         Lei mi sta chiedendo di essere fedele, Sua Maestà, ma c’é una sola Regina alla quale posso essere fedele-

Manuel accarezzò il volto di Viola con la punta delle dita.

-         Non ci sono regine, Manuel Green- sussurrò Viola.

-         Oh, lei non la conosce, Sua Altezza. Lei é una Regina, ed é bellissima-

-         Allora voglio incontrarla, Manuel Green-

 Manuel socchiuse gli occhi sorridendo.

-         Oh, non può incontrarla, Sua Altezza, non può-

-         E perché mai?-

-         Lei vive solo nella mia testa, e io sono rapito dalla sua luce. Mi dispiace Sua Maestà, ho già un regno al quale appartengo-

-         Stai rifiutando il tuo Re, Manuel Green?-

-         Sarò un suo umile paladino, Sua Maestà, ma non posso allontanarmi dalla mia Regina-

-         Ami la tua regina?-

-         Certo, Sua Altezza. Lei é la mia vita –

-         Sai Manuel, anche lei ti ama. Più di ogni altro regno –

Manuel rise, Viola accarezzò i suoi capelli.

-         Non credere che io stia scherzando, Viola- disse dopo un secondo, mentre ancora sorrideva.

-         In che senso?- domandò Viola, allontanandosi curiosa.

-         Risponderei davvero così al Re, se lo dovessi incontrare-

-         Non ci credo-

-         Amo più te che qualsiasi altra cosa. Tu questo devi saperlo-

Manuel le prese le mani, Viola abbassò lo sguardo.

-         Ma lui é il Re. Io cosa sono?-

-         Ma io amo te, non un’essenza con in mano una Girandola-

-         Lui non é un’essenza. Lui é il Re, ed é l’incipit di tutti i nostri sentimenti-

-         Per nessun motivo al mondo potrei venir risucchiato nel mondo dell’anima, Viola. Non preoccuparti-

La frase suonava ironica e sarcastica.

-         É un modo come un altro per chiederti se mi amerai per sempre-

-         Non hai da chiedere-

Manuel le baciò la fronte, gli occhi e le guance fino a scendere alle labbra.

-         Manuel?-

Viola allontanò d’improvviso il viso da quello di lui.

-         Cosa direbbe il mondo se sapesse dell’esistenza della Girandola, Manuel? Nessuno ci crederebbe -

-         Beh, ma la Girandola esiste-

-         Già, ma lo sappiamo solo noi due-

-         Ci sono troppe cose che sappiamo solo noi due-

-         Allora dobbiamo scriverci delle lettere. Un giorno le ritroveranno e diventeremo famosi. Pubblicheranno un libro con le nostre ricerche e scoperte. Dopotutto, non si scrivono lettere solo a persone lontane. Tu vuoi scrivermi delle lettere?-

-         Ti scrivo continuamente lettere-

-         Dici sul serio?-

-         Si, sul serio-

-         E perché non me le fai leggere?-

-         Voglio dartele quando sarà il momento giusto-

-         E quando sarà il momento giusto?-

-         Non lo so. Ma arriverà. Arriva sempre un momento, Viola, un momento giusto-

-         Mi sono sempre chiesta come fanno i momenti ad essere giusti-

 

 

 

                                                         

 

 

Era quasi completamente notte quando Manuel infilò le chiavi nella serratura di casa ed entrò. Aveva fatto così poco rumore che le sommosse voci che parlavano in cucina non si accorsero del suo rientro. Manuel si tolse la giacca e con passi felpati si avvicinò alla cucina, dalla quale sentiva provenire le voci. Parlavano così piano che sembrava stessero sussurrando, Manuel socchiuse gli occhi e sentì un senso di sorpresa, indecisione e confusione sovrastarlo.

Poi riconobbe la voce di Adam.

Fece capolino in cucina e osservò i suoi genitori e Adam che parlavano seduti al tavolo, con una tazza di caffé tra le mani.

-         Oh ciao Manuel!- salutò Adam per primo, con un grosso sorriso.

-         Ciao tesoro!- salutò sua madre, con lo stesso sorriso.

Philip era l’unico che non sorrideva, il suo viso sembrava contrariato.

-         Ciao Manuel- salutò cercando di non apparire nervoso.

Manuel deglutì a vuoto prima di parlare.

-         Ciao a tutti. Adam, cosa ci fai qui?-

La domanda apparve tranquilla anche se dentro di se Manuel sentiva uno strano sentimento crescere. Perché era a casa sua a quell’ora della sera? Cosa stava dicendo ai suoi genitori? Anche questo rientrava nella normalità?

Adam sorrise.

-         Hai dimenticato a casa mia il portachiavi quando sei venuto ieri- disse, indicando a Manuel il suo portachiavi che giaceva sul tavolo della cucina.

Manuel lo guardò sorpreso, per un attimo si sentì in colpa per aver dubitato della buona fede di Adam. Per un attimo aveva pensato che fosse lì per parlare ai suoi genitori della storia di Annie e di quello che gli aveva detto quella mattina a scuola.

-         Oh- disse, scostandosi i capelli dal viso, - ti ringrazio-

-         Di niente. Pensavo di trovarti in casa, poi mi sono ricordato che avevi da fare. I tuoi hanno insistito perché rimanessi e così ho preso un caffé con loro-

La mamma abbassò lo sguardo dolcemente, papà abbozzò un altro sorrisetto. Manuel avanzò verso il tavolo e afferrò il suo portachiavi.

Era un normale ferro di cavallo, glie lo avevano regalato quando aveva compiuto undici anni. Senza sapere perché gli era diventato subito un oggetto familiare e se lo portava sempre dietro.

-         Grazie ancora Adam -

-         Prego, figliolo-

Manuel abbozzò un sorrisetto.

-         Adesso se permettete andrei nella mia stanza. Sono un po’ stanco-

-         Oh ma certo- rispose prontamente la mamma, Adam sorrise.

-         Si, vai pure, non intendevo in nessun modo disturbarti-

Manuel avrebbe voluto chiedergli se avesse ricevuto conferma di quello che lui aveva visto nei sogni di Annie ma non sapeva se fosse il caso di parlarne davanti ai suoi. Dopotutto neanche loro sapevano nulla della faccenda dei sogni e sarebbe bastato pochissimo ad incuriosirli o a farli preoccupare.

Adam lesse nello sguardo di Manuel la sua curiosità ma non disse niente.

Manuel notò che rispetto a come l’aveva lasciato quella mattina in classe Adam si era oltremodo calmato, e adesso gli sorrideva con la stessa tranquillità di sempre.

-         D’accordo. A domani-

-         A domani-

Manuel andò via a passi veloci e salì le scale fino a giungere alla sua camera.

Sentì Laney che ascoltava la musica.

Chiuse la porta della sua stanza e strinse tra le mani il portachiavi che Adam gli aveva riportato. Era stato gentile da parte sua riportarglielo, anche se in definitiva avrebbe potuto aspettare fino al giorno dopo, ormai era sera. Poi pensò che il vero motivo per il quale Adam era venuto era per parlare con lui, cercare di farsi spiegare meglio com’é che aveva saputo quelle cose su Annie senza che nessuno glie le avesse dette. Oh si, doveva pur essere così. Poi però, una volta sulla porta di casa, si era ricordato che lui quella sera aveva portato Viola al cinema, ma ormai era troppo tardi e aveva già suonato il campanello. Così si era scusato per il disturbo, ma la mamma, alla quale Adam fa tanta tenerezza, l’aveva fatto entrare e così si erano messi tutti e tre a bere il caffé. Dopotutto cosa c’era di male?

Niente, solo una strana sensazione.

Le voci soffuse, che parlavano come se stesse succedendo qualcosa. No, no, impossibile, si stava solo impressionando. Che cos’altro poteva star succedendo?

Manuel sospirò e abbozzò un sorriso a se stesso per convincersi che si stava solo suggestionando e che non stava succedendo proprio niente.

Dopo un momento sentì la porta di casa chiudersi.

Adam era andato via.

Dopo un altro momento il suo telefono prese a squillare. Lo afferrò prontamente convinto che fosse Viola, ma quando lesse il nome di Adam sul display rimase attonito e stranito.

-         Pronto?- rispose esitante.

-         Ciao Manuel. Scusami ancora per essere piombato in casa tua senza avvisare- disse subito la voce di Adam, resa metallica dal telefono.

-         Oh non preoccuparti-

-         Ad ogni modo, volevo dirti che mi dispiace per stamattina. Non avrei dovuto insistere quando mi hai detto che non potevi parlare di quello che…beh, di quello che sapevi, avrei dovuto capire che forse sono cose di cui…di cui non vuoi ancora parlarmi, fa sempre parte della tua capacità, questo va bene. E inoltre volevo dirti che ho parlato con Susan e che é vero che Annie é stata molte volte su quel prato a fare un pic-nic con la sua famiglia-

Adam s’interruppe, Manuel alzò le spalle.

Ne era convinto.

-         Hai detto a Susan di non farla più portare lì?-

-         Si-

-         Vedranno che adesso non farà più quegli incubi-

-         Ne sei così sicuro Manuel?-

-         Oh si, devi credermi-

-         Io ti credo. So che quello che mi dici é sempre la verità-

Manuel non rispose, sentì che Adam stava pensando a qualcosa che non voleva dirgli.

-         Ad ogni modo, ci vediamo domani Manuel. Buonanotte- disse dopo un attimo.

-         Ciao Adam, buonanotte-

Manuel attaccò velocemente il telefono e lo posò sul comodino.

Per quasi tutta la notte quella strana sensazione lo invase.

 

 

 

                                                              

 

 

Manuel sedeva sullo sgabellino del pianoforte di Viola, lei gli sedeva accanto su una normale sedia.

-         Stai sbagliando di nuovo- disse Viola dopo un attimo fissando le mani di lui sulla tastiera.

Manuel fece una smorfia e cercò di correggersi, poi Viola spostò le sue dita sui tasti giusti.

Manuel suonò.

Viola sorrise.

-         Questo é l’accordo che ho suonato appena tornata a casa dopo averti conosciuto!- annunciò Viola come se stesse parlando di chissà che cosa. Lui rise, suonò due o tre volte quell’accordo dissonante e poi alzò le mani dalla tastiera.

-         Che dici, sono bravo?- chiese guardandola.

Viola alzò le spalle.

-         Beh, contando che hai iniziato le lezioni di pianoforte da beh, circa cinque secondi, sei davvero un prodigio-

Entrambi scoppiarono a ridere, Manuel si alzò dallo sgabellino.

-         Oh no, perché ti sei alzato? Posso farti vedere qualche altra cosa!-

-         Oh no, lasciamo perdere per favore! So di essere un totale disastro. Suona tu, piuttosto!-

-         Nell’ultima ora ti avrò suonato due o tre pezzi- controbatté lei alzandosi dalla sedia e raggiungendolo dall’altro lato del piano.

-         Si, ma io non sono mica stanco!-

Risero di nuovo, Manuel le baciò i capelli.

Questa era una vera normalità.

Erano passati quattro giorno dal suo sogno su Annie e Adam aveva avuto la conferma di quello che lui aveva detto. Annie non stava più andando a fare quel pic-nic e gli incubi erano finiti. Nonostante lo guardasse come se gli chiedesse di spiegargli come avesse fatto a capire quelle cose, Adam non glie l’aveva più chiesto. Manuel era stato contento di questo, e proprio per questa sua sincerità e per questo suo rispetto aveva pensando di, beh perché no, di raccontargli la faccenda dei sogni, ma poi si era ricreduto. Anche se poteva leggergli nell’anima, non lo conosceva abbastanza e non sapeva quale reazione avrebbe potuto suscitare in lui.

Dunque si era limitato ad essere contento del suo atteggiamento e si era completamente dato alla normalità: aveva portato Viola al ristorante, avevano fatto più di una passeggiata in centro e avevano pranzato una volta con Joseph e Candace e un’altra volta con Daniel e Luce. Nonostante Viola fosse imbarazzata dalle continue battute dei due ragazzi, Manuel li trovava incredibilmente divertenti e tra di loro c’era una sincera simpatia. La sera precedente invece, mentre stavano ritornando a casa, avevano incontrato Mia di ritorno da una giornata di shopping e avevano fatto la strada insieme, parlando del più e del meno.

Manuel non riusciva a credere che quando era al fianco di Viola lo stare con le persone non gli recava alcun peso. Tornava a casa con il sorriso sulle labbra tutti i giorni e non era restio a raccontare a Laney, che gli scodinzolava intorno come un cagnolino, tutto quello che aveva fatto e le cose di cui avevano parlato. Anche con Adam parlava delle cose che stava facendo e lui sorrideva dolcemente, nei suoi occhi una leggera malinconia che Manuel non riusciva a spiegarsi. “Questa normalità ti fa bene, figliolo” aveva detto molte volte, con la voce rotta da qualcosa di strano. Era in quei momenti, e solo in quei momenti, che la normalità che stava vivendo lo abbandonava e Manuel cadeva per un attimo all’indietro, nella vecchia vita, dove le cose erano sempre poco chiare.

Manuel fissò il pianoforte, poi guardò Viola.

-         Ti sei mai seduta qui sopra?- chiese poggiando la mano sul piano.

Viola scosse la testa.

-         No- rispose.

-         Avanti, provaci-

-         Non si romperà?-

-         Ma cosa dici?-

-         Salici prima tu allora. Così saremo seduti insieme-

Manuel la fissò per un momento, poi senza aggiungere altro avvicinò lo sgabellino e si sedette sul lucido piano, poi con un gesto della mano invitò Viola a imitarlo.

Viola salì sullo sgabellino, Manuel le poggiò le mani sulla vita e la sollevò facendola sedere accanto a lui. Il pianoforte non si mosse neanche di un millimetro, Viola sfiorò con la punta delle dita il nero lucido sotto di se, espirò come se fosse salita in cima al mondo: per un momento fu come se la grandezza delle emozioni che provava ogni volta si trovava contatto con quello strumento l’avvolgesse, si sentì leggera come una piuma e abbracciata dal morbido silenzio.

-         Sapevo che ti sarebbe piaciuto- sussurrò d’un tratto Manuel, guardandola sorridere.

-         Non avevo mai pensato di sedermi sul pianoforte- mormorò lei, dondolando le gambe, - é come essere seduti sulla montagna più alta del mondo...come un gioco!...é divertente, sai? E’ davvero divertente...-

Manuel sorrise, poggiò la mano sulla sua.

-         Adesso potremmo immaginare di essere su una montagna altissima e di guardare tutto il mondo- le disse lui fissando il muro come se guardasse un vastissimo orizzonte.

-         O potremmo immaginare di essere sul trono del Re!- suggerì Viola.

-         Oh si, certo. Allora immagina quel lungo prato. Te lo ricordi?-

-         Si certo-

-         Okay. Adesso alza la mano, e inizia a muoverla nell’aria, ecco così…soffia, soffia! La Girandola si sta muovendo!-

Viola rise, Manuel alzò le braccia con lei.

-         Ora non ti resta che immaginare i Fiori che nascono sotto i nostri piedi- concluse, fissando il pavimento.

-         Di che colore saranno quei Fiori?- chiese Viola poggiando la testa sulla sua spalla.

-         Oh beh, dipende dall’emozione. O dalle persone-

-         Mmh. C’é un fiore anche per noi?-

-         Certo. Oh si, di sicuro-

-         Che fiore ti piacerebbe avere in quel prato?-

-         Non lo so. Va bene quello che piace a te-

-         Oh no, adesso dobbiamo deciderlo insieme-

-         D’accordo. Deve essere di un bel colore-

-         Bianco. O blu-

-         Azzurro allora-

-         Va bene. Azzurro. Ma che tipo di fiore?-

-         Oh, non sono esperto in fiori-

-         Allora sceglieremo un fiore semplice. Una rosa-

-         Una rosa azzurra-

-         Non credo esista in natura-

-         Non fa niente. Nell’Impero esiste di sicuro-

-         Oh, e quello sarà il nostro fiore allora!-

-         Certo. E si trova proprio al centro del prato, dove il vento soffia più forte, in modo che sia sempre rigogliosa e fresca-

-         É la più bella del giardino-

-         Oh, di certo. Non esistono altre rose azzurre-

Manuel e Viola fissarono il pavimento come se al centro di esso ci fosse davvero quella rosa azzurra che stavano immaginando.

Dietro di loro il pomeriggio sfumava e alcune nuvole nere stavano per riempire il cielo.

Sarebbe arrivata una forte tempesta.

 

 

 

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Capitolo 15
*** 14. ***


fiori15

Uscì di casa di corsa, non importava che stesse per iniziare di nuovo a piovere.

Che senso ha la luce del tramonto se il sole é coperto dalle nuvole?

Di nuvole ce ne erano parecchie e per strada non c’era nessuno. La sensazione che Manuel sentiva crescere nel suo corpo era più o meno la stessa di quel giorno di tante settimane prima, il giorno in cui quel fulmine aveva colpito l’albero di fianco a Viola, il giorno in cui tutto era veramente cominciato.

Ma adesso non aveva tempo per i ricordi, non ne aveva proprio tempo. Non servono i ricordi, quando stai correndo contro il tempo che racchiude anche quegli stessi.

Un tuono risuonò dietro le nubi, uno squarcio di luce inondò il cielo e i suoi pensieri. Strinse gli occhi come se qualcosa gli avesse dato tremendamente fastidio ma non si fermò, continuò a camminare a passo spedito, - attraversava la Settima Strada allontanandosi sempre di più da casa sua e quando giunse all’angolo iniziò a correre. Corse a più non posso per le strade deserte della città fin quando non giunse a casa di Viola.

Si fermò per qualche secondo a guardare la finestra della sua camera, lì in alto, - la luce era spenta. Tutto era silenzioso e tranquillo, d’un tratto Manuel fu preso da un’insensata impressione di solitudine. Squadrò la casa come se la guardasse per la prima volta, gli occhi d’un tratto parvero farsi lucidi. Più lentamente raggiunse il retro della casa, si calò verso le finestre del seminterrato per assicurarsi che quello che pensava fosse vero.

Oh si, Viola era lì.

Avrebbe voluto rimanere qualche altro momento lì a contemplarla, fuori da quella finestra, ma lei si accorse immediatamente che lui era lì. Oh certo, era comprensibile, le finestre del seminterrato lanciavano una luce diretta nella stanza, e chiunque si fosse posto dinanzi ad esse avrebbe inevitabilmente squilibrato i giochi di luce.

Viola lo guardò dapprima sorridendo, poi colse uno strano cipiglio di preoccupazione nel suo volto. Si avvicinò alla finestra, l’aprì con uno scatto rapido.

-         Manuel…-

Lui non la fece parlare, la baciò delicatamente mentre sentiva gli occhi divenire sempre più umidi.

-         Che…succede?-

-         Viola, io…-

La sua voce tremava, un altro fulmine illuminò quello sfondo grigio. Viola guardò il cielo quasi con occhi di rimprovero, tornò a guardare Manuel.

-         Forza, vieni dentro- disse, tirandolo per un braccio.

Manuel non oppose resistenza, entrò.

Il temporale non ci voleva proprio.

Viola lo guardò da capo a piedi per un momento, si accorse che c’era qualcosa in più oltre al temporale che lo rendeva così strano.

-         Manuel, cosa succede?-

Lui fu come risvegliato dalla sua voce, la abbracciò forte senza dire una parola.

-         Manuel…vuoi dirmi cosa sta succedendo?-

-         Viola, ascolta…-

-         Mi sto preoccupando…-

Viola si districò dall’abbraccio per poterlo guardare negli occhi, gli occhi di lui erano lucidi come specchi d’acqua, le labbra tremavano.

-         Mio Dio, Manuel, perché hai quella faccia? Stai per piangere! Cosa é successo? Stanno tutti bene, Adam sta bene?-

Viola gli poggiò una mano sulla guancia, Manuel chiuse per un attimo gli occhi.

Iniziò a piovere.

-         Oh si…stanno tutti bene…- sussurrò dopo un attimo.

Viola lo abbracciò di nuovo, il cuore iniziò a batterle più velocemente.

-         E cosa succede allora?-

-         Viola…-

-         Se c’é qualcosa che non va devi dirmelo-

Si guardarono negli occhi, Manuel lesse la paura nel suo sguardo e la sentì scorrere da quegli stessi occhi. Le accarezzò le guance e le baciò la fronte, mentre le mani passavano a coprirle i capelli.

-         Non avere paura…-

La sua voce era soffusa, quasi come se volesse rassicurarla.

Viola alzò di nuovo il viso, Manuel sospirò.

-         Lascia che…lascia che io riesca a trovare le parole…- bisbigliò dopo un attimo, mentre iniziava a baciarla.

Viola socchiuse gli occhi, strinse le braccia intorno al suo collo mentre un sentimento che oscillava tra una perforante paura e la totale tranquillità spirava dentro di lei.

Le mani di lui passarono ad accarezzarle le braccia, i fianchi e la schiena, - un nuovo fulmine illuminò il cielo.

-         Sta piovendo…- sussurrò lei dopo un attimo.

-         Viola, ti prego, dimmi che mi ami-

-         Lo sai che ti amo-

-         Ma oggi é diverso-

-         Perché é diverso?-

-         Perché non so più niente, oggi-

-         Manuel, ma cosa…-

-         Ti prego non parlare…-

Viola non replicò, lasciò che lui l’abbracciasse e le baciasse il corpo.

Il temporale era cominciato.

Le gocce facevano rumore nella testa di Manuel come se ogni goccia colpisse una parte del suo corpo procurandogli dolore. L’aria fredda sembrava entrargli nelle ossa e impedirgli di respirare, tanto che era fredda quell’aria che il pavimento gelido del seminterrato dov’era sdraiati sembrava bruciasse.

Ma il pavimento non bruciava, era il suo cuore ad essere in fiamme, e quella sarebbe stata l’ultima volta.

Lentamente iniziò a piangere.

 

 

Adesso le gocce di pioggia erano lontane, così lontane che a nessuno dei due sembrava che stesse davvero piovendo.

-         Mi portano via domani-

 

Il cuore di Viola cadde in un abisso.

 

 

 

Era notte inoltrata quando Viola aprì di scatto gli occhi e quasi saltò in piedi.

Guardò il buio del seminterrato inizialmente chiedendosi dove si trovasse e cosa stesse succedendo, ma un momento dopo tutto le ritornò alla memoria.

Un sottile sospiro di Manuel bastò per farle capire che anche lui era sveglio.

Voltò la testa verso di lui, il cuore iniziò a pulsare più velocemente.

Manuel era steso al suo fianco, gli occhi vuoti fissavano un punto indefinito del soffitto, tristi e ancora lucidi. Il corpo di Viola era bagnato dalle sue lacrime, adesso quelle scie sulle sue braccia sembravano scintillare sotto la soffusa luce della luna.

La pioggia cadeva ancora fitta e silenziosa, ma non c’era più lampi, né tuoni. Il solo rumore udibile era il ticchettio della pioggia sulla strada, trasparente ed invisibile.

-         Era…era solo un sogno, non é vero?- mormorò Viola, con la voce impastata di paura.

Manuel non si mosse, non parlò, restò lì, fermo, con gli occhi fissi al soffitto.

-         Manuel…- Viola lo scosse mentre la voce diveniva più ferma, Manuel chiuse gli occhi e nuove lacrime coprirono le sue guance.

Oh no, non era un sogno.

Era vero.

Lo portavano via.

-         Non…può…essere…-

Gli occhi di Viola si riempirono di lacrime, il corpo iniziò a tremarle.

Lentamente Manuel si mise seduto come lei, chiuse per un attimo il viso tra le mani controllando il suo respiro.

-         E’ una bugia! E’ una bugia, non é vero?-

Viola gli poggiò una mano sulla guancia, Manuel si voltò verso di lei.

-         No, Viola, non é una bugia. Adam mi porta via dall’Inghilterra domani-

Quelle parole lacerarono il cuore di Viola come se fossero taglienti. Un dolore impetuoso la prese al petto, sentì il respiro bloccato in gola e le lacrime iniziarono a scendere sul viso.

-         Non é possibile…non può farlo… perché, Manuel? Dove ti porta? Non può farlo, lui non…-

-         Erano tutti d’accordo…i miei genitori…lui, e anche Susan…sua moglie…lei é già lì, in…Francia…-

-         Cosa stai dicendo? E’ una follia! Ti rendi conto di quello che dici? Non é possibile che succeda una cosa del genere…-

-         Non mi danno scelta -

-         Ma tu non puoi andartene…Manuel, mio Dio, perché vuole farlo? Cosa vogliono fare…?-

-         Ricordi la storia del viaggio di Susan, e quella di Annie?

-         Si -

-         Era lì che stava andando, già, proprio lì -

-         Cosa…? Io non capisco…cosa c’entri tu in tutto questo? Perché Adam vuole portarti lì?-

-         Da quando é…é successa la storia di Annie lui…lui ha parlato con Susan, adesso…adesso vogliono che io vada lì, dicono che mi farà bene, non so altro, io…non sono riuscito ad ascoltare, non voglio ascoltarli…-

-         É impazzito! Come gli viene in mente una cosa del genere? Ma non ci pensa alla tua vita? Eh? Non ti ha neanche interpellato nella decisione! Ma che razza di uomo é questo? E cosa mi dici dei tuoi genitori? Anche loro hanno detto di si? I tuoi genitori ti mandano in Francia con lui?-

Manuel si coprì gli occhi cercando di far cessare le lacrime dal suo viso.

-         Io non voglio andarmene…non ti voglio lasciare…-

-         Manuel…-

Viola lo abbracciò, Manuel affondò il viso tra i suoi capelli.

Per momenti che parvero interminabili continuarono a stringersi.

-         Perché non me l’hai detto subito…?- sussurrò Viola mentre le lacrime continuavano a sgorgarle dagli occhi.

Manuel le accarezzò il volto tentando di portar via le lacrime, abbassò lo sguardo.

-         Come potevo dirlo a te se non volevo dirlo neanche a me stesso…-

-         Ma abbiamo fatto l’amore…-

-         E tu eri felice-

-         Ma se me l’avessi detto sarei stata consapevole che é stata l’ultima volta-

-         Ma saresti stata così felice? No, avresti pianto –

-         Tu hai pianto-

-         Lo sai che avrei pianto comunque,- Viola abbassò lo sguardo tentando di smettere di piangere, Manuel cercò di abbozzare un sorriso, sfiorò con la punta delle dita le guance di lei, - e poi non é stata l’ultima volta-

Manuel le baciò la fronte, Viola chiuse gli occhi mentre stringeva ancora le sue mani.

-         Quanto tempo ci resta da passare insieme?-

Lei alzò lo sguardo, la voce le tremava.

Gli occhi di Manuel parevano vuoti, Viola vedeva scorrere in quegli occhi momenti e situazioni appartenenti al loro passato. Non era cosciente, sapeva di non esserlo. Una parte di se continuava a ripeterle di star vivendo in un incubo, presto si sarebbe svegliata e avrebbe scoperto che non stava succedendo davvero. Come poteva succedere così, tutto da un momento all’altro? Era così che doveva andare a finire? La scoperta più grande della sua vita, la persona più importante della sua vita se ne sarebbe presto andata?

E cosa ne sarebbe stato di loro? Di tutto quello che avevano condiviso?

Una leggera musica iniziò a suonare nel cervello di Viola, ad allietare i suoi ricordi come una mamma che culla un bambino che piange e non la smette. Perdeva coscienza ad ogni minuto che passava, perdeva voglia di vedere la realtà ad ogni secondo che attraversava il buio di quella stanza.

-         Questa é l’ultima notte. Domani mattina partirò-

Le parole di Manuel erano di nuovo come lame taglienti nel suo petto.

La musica nella sua testa aumentò di volume, adesso anche Manuel la sentiva. Mentre nella testa di Viola la musica si comportava come unica componente capace di rallegrare un povero matto rinchiuso in una stanza da anni ed anni, nella testa di Manuel la musica cullava la sua impotenza.

Non c’erano state lacrime o preghiere che avevano fatto cambiare idea ai suoi genitori o a Adam. Desiderava con tutto se stesso non aver mai scoperto niente, esser rimasto nell’oscurità di quel segreto che gli aveva cambiato la vita.

-         Sento la tua musica, Viola- sussurrò Manuel, avvicinando le labbra alle sue guance.

-         Significa che sto per impazzire-

Non era una domanda, e non era neanche una frasetta esitante. La musica cullava la lucidità di Viola attraverso la sua agonia.

-         Sto pensando…sto pensando che…ci sono moltissime cose che vorrei ancora dirti…-

Le parole di Viola sorvolavano la sua anima, correvano attraverso il suo corpo. Manuel chiuse gli occhi e sospirò.

-         Per favore, abbracciami. Abbracciami, pensa che questa notte sarà infinita-

-         Infinita…-

-         Già, infinita-

Viola poggiò stanca la testa sulla sua spalla, Manuel prese ad accarezzarle i capelli lentamente. Dalle nuvole si facevano largo alcuni raggi di luna; cadevano sull’asfalto e colpivano i vetri delle finestre del seminterrato.

Manuel prese a muoversi leggermente come per cullarla, Viola teneva gli occhi chiusi e le lacrime bagnavano le sue spalle.

-         Guarda, Viola, le nuvole hanno fatto spazio alla luna…-

-         Non voglio vederla…-

-         Significa che domani ci sarà il sole-

-         Sole?-

-         Già. Domani ci sarà il sole-

 

 

                                                       

 

Era stato esattamente il ventiquattro novembre. O no, forse era qualche giorno prima… oh si, di certo. Forse il venti. Venti novembre, doveva essere stato uno di quei giorni. Di sicuro intorno quella data, si, di certo, non poteva essere stato più tardi, quando era iniziato dicembre Viola ricordava di amarlo già.

Che giorno era oggi?

Oh, non lo sapeva. Numeri scorrevano nella sua testa, non aveva la prontezza di prenderne neanche uno.

Iniziò a sospirare rumorosamente, dondolò la testa avanti e indietro quasi come se quel movimento l’aiutasse a familiarizzare col silenzio nel quale era avvolta.

Quella notte si era riaddormentata cullata dalle lacrime e dalle braccia di lui, ma quando si era svegliata il sole era già alto nel cielo di quello squallido primo giorno di vacanze natalizie e lui non c’era. Al suo posto c’era un foglio bianco piegato in due parti, lei lo aveva immediatamente aperto con le mani tremanti.

“C’é il sole, come ti avevo detto. Ci vediamo a mezzogiorno all’incrocio della Settima Strada. E so che ti stanno tremando le mani, ti prego, non tremare.”

Il biglietto non era firmato ma Viola avrebbe riconosciuto la sua grafia ovunque. Era la solita serpentiforme ma elegante, e non c’era neanche una sbavatura. Aveva stretto il biglietto al petto come se potesse contenere un pezzo di lui, sfiorò e baciò quelle parole. Si sentiva prossima a perdere la ragione.

Si era alzata mentre le gambe quasi non la reggevano e silenziosamente aveva salito le scale lasciando i vecchi vestiti sul pavimento del seminterrato, aveva fatto attenzione a non farsi scorgere né da sua madre e né da Janine e si era chiusa a chiave nella sua camera. L’odore di pulito della stanza sembrava più forte del solito, Viola aveva iniziato a sentire la testa girarle, ma sapeva che non c’entrava niente l’assente odore della sua camera. Aveva posato delicatamente il biglietto sulla scrivania e aveva aperto l’armadio con decisione. Era stata lì per più di qualche minuto come se si trovasse di fronte all’armadio di una sconosciuta, fissando i vestiti come se non fossero i suoi e come se non sapesse cosa farsene, poi una lampadina parve accendersi nella sua mente e iniziò a scavare tra gli abiti avidamente. Nel giro di pochi secondi il pavimento era ricoperto di indumenti e Viola continuava a buttarli tutti fuori come se niente di quello che toccava appartenesse a lei. D’un tratto afferrò uno dei suoi jeans e lo guardò con soddisfazione. Lo strinse tra le mani, una smorfia che voleva essere un sorriso comparve sulla sua faccia e posò il pantalone sulla scrivania accanto al biglietto delicatamente. Poi la luce sparì dai suoi occhi e ricominciò a buttar via tutte le maglie dai cassetti dell’armadio. Ci mise forse una manciata di secondi per svuotare tre cassetti, fin quando non trovò quello che cercava, un golfino azzurro. Lo guardò con la stessa smorfia con la quale aveva guardato il pantalone e poi lo poggiò accanto ad esso.

Guardò con soddisfazione il completo che aveva davanti agli occhi non curandosi della situazione di totale disordine nella quale aveva lasciato la stanza.

Erano quelli i vestiti che aveva il giorno in cui si erano parlati per la prima volta.

Sorrise, stavolta il sorriso sembrava più reale eppure gli occhi continuavano ad essere vuoti.

Con morbosa delicatezza afferrò gli abiti prescelti e li indossò velocemente, poi facendosi largo tra i vestiti sparsi sul pavimento si guardò allo specchio.

Il riflesso aveva righe lucide sulle guance, i capelli spettinati che scendevano sulle spalle e le labbra pallide.

Viola si guardò per qualche minuto non riconoscendosi, tentò di associare l’immagine nello specchio alla ragazza che aveva parlato con Manuel per la prima volta intorno al venti novembre, piegò la testa da un lato e con un risolino fastidioso si voltò e tornò alla scrivania per prendere il suo biglietto. Afferratolo, non si curò affatto di rimettere in ordine la stanza e così come era salita in camera riscese di nuovo nel seminterrato, - in casa non c’era nessun rumore, era certa che la mamma e Janine fossero uscite.

Chiuse a chiave la porta del seminterrato e si avvicinò strisciando i piedi per terra fino al pianoforte, lanciò uno sguardo severo ai  vestiti sul pavimento come se fossero rifiuti da buttare e si mise a sfogliare velocemente tutti i libricini allineati sul pianoforte. Oh, ma sfogliandoli ordinatamente non avrebbe mai trovato quello che cercava! Così come era accaduto con i vestiti accadde anche con gli spartiti: in meno di un minuto erano tutti sparpagliati sul pavimento.

Quando finalmente afferrò quello che stava cercando con foga, si appropinquò al divano e si accoccolò su di esso non curandosi affatto di aver calpestato ogni altro libro di musica.

Adesso stringeva tra le mani il libro di Bach e tentava di ricordare ogni attimo passato con lui.

Dopo circa un quarto d’ora, la follia iniziò a scemare e si preparò a ritornare la disperazione.

Nuove lacrime stavano già per farsi strada nei suoi occhi quando il telefono poggiato sul piano iniziò a suonare.

Viola lo guardò inespressiva per la durata di tre squilli, come se si trattasse di un oggetto alieno messo lì per caso, poi si alzò e lo raggiunse.

Lo prese nella mano destra e se lo portò all’orecchio.

-         Chi é?- chiese, con la voce roca di chi non parla da secoli.

Una voce molto più tranquilla e molto meno roca rispose dall’altro lato.

-         Ciao Viola. Sono Adam -

Viola abbassò lo sguardo e tentò di controllare la rabbia che le faceva ribollire il sangue.

-         Adam…- biascicò con la stessa voce roca di prima.

Sentì un sospiro dall’altra parte del filo.

-         Capisco che forse non sono la prima persona che tu voglia sentire adesso, però…-

-         Oh si sbaglia, Adam, - lo interruppe Viola addolcendo la voce, - avrei trovato io il modo di parlarle. Per dirle che é la persona più spregevole che sia mai esistita-

La voce di Viola era ferma, si sentì un nuovo sospiro.

-         Non parlare in questo modo per favore-

La voce di Adam era soffusa.

-         Ah no? E cosa dovrei fare? Ringraziarla? Lei non si rende conto di quello che sta facendo-

-         Viola, tu dovresti capire …-

Lo sguardo di Viola si sollevò leggermente.

-         Lei me lo sta per portare via! Questa é l’unica cosa che riesco a capire!-

-         Lui ha bisogno di questo-

-         No, lui ha bisogno di stare qui e vivere una vita normale, la vita che vuole!-

-         Io ho parlato con sua madre e…-

-         Non mi interessa! Avete preso delle decisioni senza interpellarlo e senza rendervi conto delle conseguenze!-

-         Tu sei sconvolta Viola,- sussurrò, tentando di farla calmare, - sei fuori di testa, per questo parli così-

-         Non provi a darmi della matta! Parli con Manuel, e se ha davvero il coraggio di rivolgergli la parola gli chieda come si sente a lasciare l’Inghilterra! Lo porterete via da me per sempre, io vi odio! La odio, Adam, mi ha sentita bene? Io la detesto!-

-         Viola…-

-         Come ha osato telefonarmi?-

-         Non potevo non farlo, Viola-

-         Finirò con l’impazzire. Senza di lui é come se non esistessi. Me lo porti pure via se ne ha il coraggio, lo faccia Adam. Avanti, sto aspettando. Lo prenda e se lo porti via, prendete un aereo e volate a Parigi, é lì che vuole andare vero? Non importa, fosse anche in Kenya, se ne vada via davvero. Attacchi questo dannato telefono, vada a prendere Manuel e partite-

Un sussulto partì dal corpo di Adam, gli occhi gli si fecero lucidi.

-         Sei un’anima innamorata, io non posso farti guarire, - mormorò quasi come se parlasse a se stesso, - ma io devo fare la cosa giusta. E anche tu sai che questa é la cosa più giusta-

Una nuova ondata di lacrime rigò il viso di Viola.

- Non piangere ti supplico,- riprese a dire lui dopo un attimo, - ti prometto che oggi, quando verrò a prenderlo, non uscirò neanche dalla macchina. Resterò lì, con i fari spenti, aspettando che lui possa passare gli ultimi attimi con te-

-         La smetta, Adam -

-         Un giorno mi capirai-

-         Lei non ha un cuore-

Viola non aspettò neanche che Adam potesse replicare, chiuse la telefonata e piangendo buttò il telefono a terra e si chiuse il viso tra le mani.

 

                                                             

 

 

Nessuno avrebbe mai detto che fosse davvero mezzogiorno.

Il sole era stato oscurato da qualche nuvola passeggera, tirava un vento freddo e le foglie degli alberi danzavano qua e la portate dalla gelida brezza; la strada era deserta e tutto taceva.

Manuel alzò gli occhi verso la strada di fronte a lui e la vide arrivare.

Gli parve che il cuore avesse cessato di battere, lo stesso cuore che aveva avuto la sensazione iniziasse a vivere solo dopo averla incontrata.

Si avvicinava a piccoli passi, aveva la lunga giacca grigia che ridisegnava il suo corpo, le mani stese lungo i fianchi e i capelli al vento, che si sottraevano alla lunga sciarpa rossa per danzare insieme alle foglie.

Manuel non riusciva a vedere i suoi occhi, ma non aveva bisogno di vederli per capire cosa stava provando. Più si avvicinava, più la lama penetrava in profondità nel suo cuore.

Stava succedendo tutto troppo velocemente.

Quando finalmente Viola fu ad un solo passo da lui, gli lanciò le braccia al collo e restò in silenzio per qualche minuto mentre lui la stringeva a se e la cullava lentamente.

-         Viola…-

Viola sciolse l’abbraccio e lo guardò negli occhi.

-         Non dovevano fare questo, Manuel, non dovevano- mormorò lei mentre sentiva gli occhi pizzicarle.

Manuel abbassò la testa, le strinse le mani.

-         Tu sai che non potrebbe mai finire così-

-         Lui ti porta via, Manuel, questo lo sappiamo entrambi-

Una lacrima scese sul viso di Viola.

-         Ti prego, Viola…, - Manuel scrutò il suo sguardo sofferente, le strinse di più le mani, - voglio che tu sappia che…-

-         …questo é il nostro addio...-

Viola chiuse gli occhi lasciando che calde lacrime scendessero sulle guance, Manuel scosse la testa come in preda ad un aggressivo spasmo.

-         No, Viola, non é un addio –, le prese il viso tra le mani e portò via le lacrime che bagnavano le sue guance, - noi non ci diremo mai addio-

Viola alzò lo sguardo verso di lui, vide i suoi occhi vuoti, lo sguardo estraniato eppure apparentemente placido.

-         Tu te ne stai andando, Manuel, e chissà se ci vedremo di nuovo, chissà dove andrai, e io sarò qui, da sola, e...-

-         Viola, mio Dio, non dire queste cose-

Il tono della sua voce era rotto dal pianto. In un attimo anche gli occhi di lui furono pieni di lacrime e mentre queste scendevano rigandogli il volto arrossato, non smetteva di tenere le guance di lei nelle sue mani e a mantenere l’espressione impassibile.

-         Noi non ci diremo mai addio, Viola, anche se saremo lontani, tu non dovrai fare altro che pensarmi, e sarà come se fossi sempre stato con te-

-         Cosa direbbe il Re adesso?-

Manuel la fissò per qualche secondo, gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime.

-         Piange come noi - mormorò, in un sussurro appena udibile.

-         Sta odiando Adam, ecco cosa sta facendo. Lui aveva ordinato che noi potessimo stare insieme per sempre, e Adam gli sta disubbidendo. Inizio a credere che il Re non abbia più il suo potere-

-         Oh no, questo non é vero, - Manuel le strinse le mani, le avvicinò a se, - il Re ha deciso che noi ci ameremo per sempre e così sarà, Viola. Non ci credi più? Non credi più che sia lui a decidere di noi? Ricordi quel che ti dissi? Anche se saremo lontani, il Re non torna indietro nella sua decisione. Devi fidarti, lui lo sa, e lo so anche io-

Socchiuse gli occhi come un tentativo di fermare le lacrime; sospirò, passò una mano tra i capelli di lei.

-         Io non posso vivere senza di te, Manuel –

-         Neanche io-

Viola iniziò di nuovo a singhiozzare, poggiò la testa sul suo petto e lo strinse forte, come se quell’abbraccio avesse potuto avere la forza di non lasciarlo partire mai.

Le lacrime parvero calmarsi per un istante, la vicinanza del calore del suo corpo ebbe per qualche attimo la forza di far cessare il fuoco che le stava divorando il cuore e le lacrime persero la loro intensità. Iniziò a parlare con voce sommossa, sospirata, con gli occhi chiusi, strofinando la testa contro il suo petto.

-         Non andare via, allora, resta qui. Non succederà niente se resti, non puoi fare una cosa se non vuoi farla, vero? Nessuno deve costringerti, neanche i tuoi, Manuel, neanche loro... cosa mi succederà? E cosa succederà a te? Perché ci succede questo...? Io non sono niente senza di te, sarebbe inutile la vita, e tutto...-

-         Viola...-

Viola alzò lo sguardo, lo sguardo di lui era di nuovo apparentemente tranquillo, con gli occhi che bruciavano di dolore.

-         Ascoltami Viola, io ti amo. D’accordo? Io ti amo, e amo tutto di te... molto più che il tuo sorriso, la tua pelle, del tuo modo di ridere, di tutto quello che qualunque persona potrebbe amare nell’altro. Io amo tutto quello che pensi, tutto quello che provi, la tua anima, amo il movimento dei tuoi pensieri quando colpiscono il mio corpo, amo le luci che si sprigionano dalla tua mente, amo la tua anima quando parla l’amore in una lingua che non può essere né spiegata e né tradotta...tu mi hai fatto capire cosa sono davvero io, tu mi hai fatto rinascere e accettare tutto di me solo e semplicemente esistendo. Potrebbero passare mille o duemila anni, io non amerò mai un’altra, non desidererò mai di stringere un’altra, di baciare un’altra, di guardare negli occhi un’altra, e devi credermi, - sospirò, abbassò lo sguardo, poi le accarezzò le guance, - da quando ci siamo conosciuti vivo solo per te e non rimpiango niente-

Le lacrime di Viola cadevano leggere sulle mani di lui senza più un gemito.

Erano soltanto l’espressione della sofferenza del corpo, espressione del dolore che provava la sua anima al solo pensiero della loro separazione. E quel dolore invadeva anche tutti i loro ricordi; il tempo che avevano passato insieme, i momenti che avevano condiviso, le emozioni di cui lo aveva sentito parlare, il modo in cui, diversamente dal mondo, si erano guardati dentro.

I loro occhi si incrociarono, il vento soffiò più forte.

- Fare l’amore con te é stato bellissimo- mormorò dopo un attimo stringendole ancora il viso, - non lo dimenticherò mai-

Manuel socchiuse gli occhi per un istante, sentì le lacrime che affioravano di nuovo nell’anima di Viola e nei suoi stessi occhi.

-         Ma io...io voglio fare di nuovo l’amore con te, - prese a dire lei di nuovo tra i singhiozzi, - tante volte, per sempre, voglio restare accanto a te per sempre...-

Manuel le sfiorò le labbra con le sue.

-         Guardami, Viola-

Viola socchiuse gli occhi, Manuel le alzò il volto verso il suo; i loro occhi si incrociarono di nuovo. Le lacrime di Viola continuavano a rigarle il viso, parevano essere un tutt’uno con quel volto.

-         Non piangere ti prego-

-         Come faccio a smettere? Come posso fermarmi se so che questa é l’ultima volta che ci vedremo?-

-         Non é così-

-         Stai mentendo a te stesso, lo sai che non ti faranno più tornare!-

Manuel fu preso da un spasmo di dolore. Il cuore gli si riempì di risentimento, paura, sofferenza, strinse gli occhi come per impedire a se stesso di tremare, eppure non ci riuscì del tutto. Le mani iniziarono lentamente a vibrare, il pianto di Viola era come un vento dentro il suo corpo che faceva dondolare quei sentimenti.

Non sarebbe più tornato a Brighton, forse era vero. Nonostante sia sua madre che Adam gli avevano promesso che avrebbe fatto ritorno, c’era dentro di loro qualcosa che li tradiva. Avrebbero dovuto imparare che con lui le bugie non valgono niente. Sua madre viveva da sempre con lui, non aveva forse capito che ormai lui poteva capirle, certe cose? E Adam, che lo studiava addirittura, neanche lui era stato così intelligente da capire che le bugie erano da elidere?

Manuel aveva capito che l’istinto di mentire era più forte di qualsiasi consapevolezza.

Avevano mentito per farlo star meglio, per illuderlo che l’avrebbero riportato da Viola un giorno, ma neanche loro ne erano sicuri. Dentro di loro aleggiava l’amarezza, la pena. Forse avevano capito che lui l’amava, l’amava veramente. Avrebbero mai avuto il brutale coraggio di separarlo da lei per sempre? Sentiva il cuore scoppiargli.

Viola lo fissava, aveva gli occhi appannati ancora dalle lacrime e il viso rosso.

-         Stai tremando- mormorò, prendendogli le mani.

-         Ti amo, Viola. Qualsiasi cosa succeda-

-         Non tremare ti prego-

-         Ecco guarda, - Manuel prese un piccolo contenitore rosso dalla tasca, - queste sono le lettere che ti ho scritto, ti ricordi?-

-         Manuel…-

-         É arrivato il momento giusto, amore, eccolo…siamo insieme, non vedi? Prendi queste lettere-

Viola afferrò il contenitore dalle mani tremanti di Manuel, non smetteva di piangere.

- Oh, ma non preoccuparti, amore, non preoccuparti, ti scriverò altre lettere. Sei mai stata in Francia? Ti racconterò ogni cosa-

-         Perché non smetti di tremare?-

-         E ti penserò in ogni momento. Non dimenticherò niente-

-         Mi stai dicendo addio non é vero? Adesso me lo stai dicendo davvero-

-         No-

-         Si-

-         Credimi non é così-

-         Stai tremando ancora-

-         Io non smetterò mai di amarti, Viola-

Viola osservò nuove lacrime scendere sul volto di lui, poggiò le mani sulle sue guance e lo baciò con delicatezza, assaporando  quelle lacrime.

-         Anche io ti amo, Manuel. E tu lo sai. Ti ho affidato le mie emozioni una volta e sono tue per sempre-

Si abbracciarono, Manuel affondò la testa tra i suoi capelli, lei chiuse gli occhi sulla sua spalla, respirando il calore del suo corpo e la dolcezza del suo abbraccio.

Il vento accarezzò le loro figure e i loro capelli ondeggiavano con esso, le foglie secche degli alberi si muovevano leggiadre intorno ai loro corpi e le nuvole iniziavano a diradarsi. Dal fondo della strada apparve una macchina, i fari colpirono gli occhi di Viola, lei si scansò; si coprì questi con il braccio, Manuel si voltò.

I fari colpirono anche i suoi occhi, poi la macchina si fermò a qualche metro da loro.

I fari si spensero, ma nessuno scese.

Dal vetro davanti a loro entrambi riconobbero la figura di Joel, che teneva gli occhi bassi, fissando qualcosa di indefinito. Fermo lì in quella macchina sembrava che stesse aspettando l’avvento di qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita, con l’espressione impassibile e gli occhi pieni di sofferenza.

Invece stava solo aspettando che Manuel lo raggiungesse.

Come aveva promesso a Viola, non scese e non parlò nemmeno. Restò lì, fermo come se non li avesse visti, fermo come se fosse tutto normale.

Viola e Manuel si guardarono, lui sfregò le mani sulle sue braccia, lei stringeva le sue come se non volesse per niente al mondo lasciarlo andare.

Manuel lanciò un’occhiata alla macchina, poi un’altra a Viola.

-         Adesso é...-

-         Manuel...-

-         Devo andare-

-         Ti prego...-

Manuel le accarezzò il viso e la baciò, scostandole i capelli dal viso.

-         Posso chiederti una cosa, Viola?-

-         Tutto-

-         Ti prego, sorridimi. Non ti chiedo altro, sorridi, che sei così bella quando sorridi! So che con queste lacrime sul viso…beh, non é tanto facile…però sei bella lo stesso…te l’ho mai detto che sei bella? Sei bellissima. E quando sorridi tutto si illumina. Oh ecco, così…-, Manuel le alzò il mento con le dita, Viola abbozzò un sorriso, - vorrei farti vedere quanto sei bella! Non smettere mai di sorridere, amore, non piangere, okay? Ti fa male. Tu devi essere felice, noi ci amiamo. Perché sei triste se ci amiamo? Non voglio vederti piangere amore mio. Ti scriverò davvero. Te lo prometto –

Viola sospirò dimenticando per un attimo tutte le lacrime che stava piangendo, lo guardò con dolcezza lasciando cadere la sua angoscia.

-         Giurami che questa non é la fine Manuel -

-         Non é la fine-

-         Me lo giuri?-

-         Ti amo-

Viola ingoiò saliva a vuoto, Manuel le baciò la fronte.

Il corpo di Viola era come pietrificato, quello di lui era come la nebbia che lentamente spariva, lasciando dietro di se l’ombra e l’atmosfera.

A piccoli passi Manuel iniziò ad allontanarsi non smettendo di guardarla, le loro mani furono costrette a lasciarsi.

Il cuore batteva così velocemente che pareva fermo. Il dolore perforava i tessuti degli organi, intrecciava pensieri e ricordi con le corde dell’anima, tirava i nervi del cervello e pizzicava agli occhi, pungeva come spilli – il respiro diminuiva, l’aria si appesantiva e solidificandosi non si lasciava afferrare; il petto continuava a gonfiarsi e sgonfiarsi troppo velocemente, gli occhi erano appannati, la bocca asciutta e le orecchie fischiavano.

 

 

Viola non ricordò più niente di quel momento.

I ricordi affievoliti della concretezza vissuta diventò solitudine, e la solitudine diventò il suo diritto: malinconica condizione dell’essere a corto di se stessi.

 

 

Il rombo di un’auto.

 

 

“Ti amo”

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

Note:

Giungo dunque alla fine di questo racconto, non avrei mai pensato di riuscire a racchiuderlo in quindici capitoli, originariamente era molto più lungo. Manuel e Viola sono stati i compagni della mia adolescenza, il primo racconto al quale ho dedicato anima e corpo e spero davvero che questo finale “amaro” non vi abbia deluso, ma vi faccia sperare di leggere dell’altro (non sono sicura, ma potrei scrivere anche un continuo). Ringrazio con tutto il cuore le 27 persone che hanno seguito questo racconto,  le 7 che l’hanno inserita nelle preferite, le 3 che l’hanno inserita tra le ricordate, e tutti quelli che occasionalmente hanno commentato. Vi invito dunque ad esprimere infine il vostro ultimo commento a questo capitolo, ditemi tutto quello che ne pensate, sarebbe graditissimo. Vi invito inoltre a leggere altri miei racconti.

A presto e grazie infinite,

Lara

 

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