L'Impero dei Fiori di lar185 (/viewuser.php?uid=28541)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
fioriprologo
- Viola, querida, buona
giornata!-
Viola alzò lo sguardo e un altro sorriso le apparve sul
volto quando incontrò gli occhi di zia Janine, in vestaglia, un pelo fuori dalla
porta di casa.
Janine aveva circa trentacinque anni ma sembrava molto
più giovane: era alta, snella, grandi occhi scuri e lunghi capelli ricci e
castani. La sua carnagione era abbronzata, cosa assai strana per chi ha sempre
vissuto a Clapham, e pure per chi vive a Brighton, doveva vivevano adesso. Ma
Janine, difatti, non aveva vissuto sempre lì con loro.
-
Buona giornata anche a te,
Janine - biascicò aprendo appena le labbra.
Janine sorrise accingendosi a rientrare, poi si arrestò
sentendo un rumore di tacchi provenire dall’interno della
casa.
La mamma corse fuori.
-
Viola, tesoro, ciao! Non
tornare tardi, d’accordo? Hai preso le chiavi di casa? Brava... e, Janine, non
dimenticarti del pranzo, okay? Diamine, ho fatto di nuovo tardi...un bacio,
amore, vieni qui tesoro! Ecco, brava...ehi, come sei carina! Salutami i tuoi
amici, okay? Ciao Viola!-
Viola avanzava il passo, come spesso faceva quando
camminava da sola, verso la scuola. Alzò la testa all’incrocio, dove di fronte a
se campeggiava il cartello indicante il nome della strada, e sotto di esso “City
of Brighton”.
Brighton, già. Viola Lens si era trasferita a Brighton
quando la zia Janine, misteriosa sorella di sua madre, era ricomparsa nelle loro
vite, dopo aver chiuso il matrimonio con uno studente spagnolo, di cui tempi
immemori si era innamorata. Viola non aveva mai conosciuto nessuno con tanto
spirito persuasivo quanto ne avesse la zia Janine: in quattro e quattr’otto
aveva convinto la mamma a mollare Clapham e a trasferirsi a Brighton, lontano da
papà.
Viola aveva vissuto bene la separazione dei suoi
genitori, specialmente perché nessuno dei due viveva nella sofferenza e
l’atmosfera che regnava tra loro non era pesante.
Brighton era più soleggiata rispetto a Clapham e
l’ambiente appariva quasi del tutto nuovo per Viola e mamma Marianne; ma
nonostante questo Viola imparò sin da subito ad amare il quartiere e i nuovi
punti di riferimento. Uno di questi era la Casa sulla Settima Strada: era la
casa più grande del quartiere; con un cortile ben curato, dipinta di un rosa
antico tendente all’arancione e la porta verde. Nel quartiere tutti conoscevano
quella casa come la Casa sulla Settima Strada, ma nessuno sapeva chi ci
abitasse. Era un pò una leggenda, tanto era bella e grande: Janine sosteneva che
soltanto un ricco uomo politico poteva permettersi una casa del genere, la mamma
credeva si trattasse di un imprenditore. Ad ogni modo, Viola non era mai
riuscita a capire chi effettivamente ci abitasse, lì.
A Viola piaceva Brighton, le piaceva davvero, anche se
di tanto in tanto si lasciava prendere dalla nostalgia pensando a Clapham, a suo
padre e a tutto quello che aveva lasciato in quella città.
Ma il tempo dei pensieri era finito, era arrivata a
scuola; due mani calde si poggiarono sulle sue spalle, cogliendola di sorpresa e
facendola sobbalzare.
-
Ho vinto!- gridò Luce, mentre
i capelli biondi, corti e scompigliati le coloravano il
viso.
-
Ma sei impazzita?- esclamò
Viola voltandosi verso l’amica mentre riprendeva fiato.
Luce scoppiò a ridere osservando l’espressione spaesata
della ragazza.
Viola spostò lo sguardo su Daniel, che, a pochi
centimetri da loro, teneva lo sguardo semi divertito su
entrambe.
-
Che le prende?- chiese poi
Viola rivolta verso l’amico, - cosa ha vinto?-
-
Una scommessa- rispose
Daniel, sfoderando uno dei suoi sorrisi simpatici, - una scommessa contro di me!
Abbiamo scommesso sul fatto che, anche oggi come gli altri giorni, saresti
arrivata a scuola esattamente alle otto e sei minuti ...e ha vinto
lei!-
Viola si fece scappare un sorrisetto, diede una pacca
sulla spalla a Luce.
-
Complimenti, conosci ogni mia
mossa! E sentiamo, cos’ hai vinto?-
Daniel sbuffò, i capelli scuri ondeggiarono sul viso e
sugli occhi neri, poi tirò fuori dalla tasca cinque sterline e li posò tra le
mani bianche di Luce.
-
Ecco cosa ho vinto! Cinque
sterline!-
Stavolta fu Viola a ridere, osservando l’espressione
contrariata di Daniel.
-
Beh, cos’é quella faccia?
Accetta le sconfitte!- lo prese in giro Viola, sorvolando sul fatto che avevano
giocato su di lei.
-
Già, Daniel, e la prossima
volta impara a scommettere su cose meno ovvie!- lo canzonò Luce mentre riponeva
le cinque sterline nel borsellino con assoluta
tranquillità.
-
Sto già pensando alla
prossima scommessa...- sentenziò Daniel con una punta di divertimento nella
voce.
-
E
sarebbe?-
-
La Casa sulla Settima Strada!
Sarai capace di scavalcare il muro ed entrare nel
cortile?-
-
Altroché!-
-
Non ci
credo!-
-
Solo perché tu sei troppo
fifone per farlo tu non vuol dire che non possa farlo
io...-
La discussione aveva ormai preso piede, Viola lanciò
loro un’occhiata divertita, Daniel poggiò le mani sulle spalle delle due ragazze
e si diressero verso il muretto alla loro destra, dove si sedevano sempre mentre
aspettavano il suono della campanella. Quel muretto vecchio e decadente era il
punto preferito di Daniel e Luce, era quel posto, in una moltitudine di altri
muretti e giacigli, che era soltanto loro. Un posto che anche tra un milione di
anni Viola avrebbe ricordato con il sorriso sulle labbra, con gioiosa
malinconia. Si sedette sul muretto, si poggiò la cartella sulle ginocchia e
rimase in silenzio a guardare i suoi amici che ridevano e scherzavano mentre
giocava distrattamente con i suoi braccialetti.
Stava passando in rassegna a tutti i ragazzi che si
trovavano davanti a lei quando d’improvviso i suoi occhi si fermarono
sull’angolo più lontano dello spiazzo, su un muretto tanto simile al suo. In
lontananza, tra un groviglio di persone, c’era un ragazzo, uno che non aveva mai
visto. Viola alzò leggermente la testa.
Era proprio in mezzo a quel groviglio, eppure sembrava
distante.
Era come la nota che si aggiunge ad un accordo per
renderlo dissonante.
Aveva un cappotto blu e le scarpe bianche con i lacci
neri, i capelli biondi...lunghi, un po’, forse, sugli occhi, le mani in tasca e
la cartella sulla spalla. Smettila di guardarlo, pensò Viola.
Ad un tratto lui si voltò verso di lei, si guardarono
per un attimo negli occhi. Aveva gli occhi azzurri come il cielo d’estate,
lucenti come il sole che illumina le gocce di rugiada sulle foglie degli
alberi.
Smetti di guardare la nota dissonante, si impose.
Ma non ci riusciva.
Lui d’un tratto sbiancò, fu come se fosse preso da uno
spasmo violento. Si voltò di scatto, Viola roteò gli occhi per lo spiazzo per
poi tornare un secondo a guardarlo.
Era sparito.
Suonò la campanella.
-
Diamine...già la
campanella!-
-
Avanti,
entriamo...-
-
Già...Viola?-
-
Viola?-
-
Ma che ha? Viola, ci
sei?-
-
Come é
buffa!-
Viola si risvegliò di scatto. Fu come se il mondo
riprendesse a girare.
-
Eh? Che
succede?-
-
Ci hanno attaccato gli
alieni!- scherzò Daniel.
-
Ma che spiritoso! E’ suonata
la campanella, non l’ hai sentita?
-
Io veramente
non...
-
Andiamo!-
Luce tirò Viola per un braccio, lei si alzò
malvolentieri dal muretto e perse lo sguardo tra la marea di studenti che
stavano per entrare a scuola.
Una musica così liscia, lineare, come una sequenza
perfetta di note.
I ragazzi che entrano a scuola non hanno quasi niente di
imperfetto.
Smetti di cercare la nota dissonante, si
impose.
Note:
Nuovo adattamento per la storia più
lunga che io abbia mai scritto. Ho ridotto in questo capitolo le dieci pagine
previste dalla versione “originale”, sperando di riuscire ad editare questo
racconto che significa tanto per me. Mi scuso per eventuali errori ed
incoerenze, farò del mio meglio e mi auguro che possiate seguire in tanti e
commentare. Questo primo capitolo è forse “floscio”, ma le cose prenderanno
velocità e consistenza con il tempo. Intanto, vi ringrazio per l’attenzione e vi
invito a seguirmi anche in “Calibri”, “Tutte le bugie di Lena” e “Bosikom
Lyubov’- Il beneficio del buio”
Grazie a tutti,
Lara
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Capitolo 2 *** 1. ***
fiori1
Nascosta sotto le scale, Viola stava conducendo la
giornata più strana della sua vita.
Il corridoio di fronte a lei, che scorgeva quasi con la
coda dell’occhio, era vuoto, non uno studente, non un professore. Nessuno.
D’altronde, neanche Viola avrebbe dovuto essere lì, ma in classe, a seguire la
lezione di letteratura. Ebbene, perché si trovava li? Per evadere dalla
distrazione, o forse, per esaudirla.
S’era quasi convinta a scendere al piano di sotto,
quando sentì dei leggerissimi passi provenire proprio dal corridoio, lanciò uno
sguardo furtivo stando bene attenta a non farsi scorgere, e bastò poco più di un
secondo a notare il ragazzo di quella mattina che era spuntato chissà da dove, e
adesso passeggiava a poca distanza da lei, come se scivolasse sul
pavimento.
Viola lo osservò incantata quasi stesse guardando
qualcosa di completamente fuori dall’ordinario e dall’umano, lui ad un certo
punto si fermò davanti alla panchina del corridoio, la vecchia panca di legno di
fronte agli armadietti. Restò fermò per qualche secondo, era come se i piedi gli
si fossero incollati al suolo. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto
di fazzolettini di carta, lo posò sulla panchina e fece retro front. Sparì, se
te tornò da dove era venuto. Viola lo vide scendere le scale che si trovavano
dall’altro lato del corridoio.
Un pacchetto di fazzoletti?
Mai vista una cosa del genere.
Viola sbucò fuori dal suo nascondiglio e osservò il
corridoio ora nuovamente vuoto. Sulla panchina marrone adesso c’era un pacchetto
di fazzoletti.
Assurdo.
Viola scosse la testa, si girò e prese a scendere le
scale fino a giungere al bagno
delle ragazze del piano di sotto.
Si guardò allo specchio fissandosi negli
occhi.
- Cosa stai guardando?-
Una simpatica voce le arrivò alle spalle, Viola si girò
e incontrò gli occhi di Mia.
- Oh,
Mia...sei tu-
Amelia Riles, meglio nota come Mia, comparve alle sue
spalle con un sorriso d’eccezione.
-
Certo, chi vuoi che
sia?-
-
Scusami. Ero sovrappensiero,
non ti ho vista-
Viola distolse lo sguardo dall’amica per fissare il
vuoto sotto i suoi piedi.
-
Si, me n’ero accorta. Cos’è
questa faccia?-
-
Niente
–
-
Ne sei sicura? Viola Lens, non me la conti
giusta!-
Viola alzò le spalle con aria
misteriosa.
-
Non è niente di che. Credo
avere le allucinazioni-
Mia assottigliò
gli occhi scuri, le sue labbra sottili si curvarono in un mezzo
sorriso.
-
Certo che tu sei strana, Viola Lens. Ma i tuoi misteri mi
incuriosiscono troppo-
-
Non ci sono misteri. O forse
si, io non lo so, - Viola parve riflettere, poi lanciò a Mia uno sguardo
curiosa, - ascolta, Mia, hai mai notato uno strano tipo, alto, dai capelli
biondi… un po’ silenzioso, sai, insomma, quei tipi che…-
Tentava di
spiegarsi, ma non ci riusciva. Il pensiero correva all’insensato evento di poco
prima.
-
Ehi, ehi, frena, okay? Non
saprei dirti. Ma perché?-
Già, perché?
Viola zittì improvvisamente.
-
Beh...-
Mia storse la bocca, poggiò una mano sulla spalla
dell’amica, poi si fece una risatina.
-
Facciamo così, non voglio
saperlo subito okay, Viola Lens? Ma
se casomai dovessi conoscerlo, te lo presenterò -
-
No, ma
io...-
-
Bla bla bla! Non importa!
Forza, usciamo da qui...devi salire al piano di sopra?-
-
Si -
-
Ti accompagno. Non voglio
ritornare in classe-
Viola sentiva la testa girarle, ma senza aggiungere
nient’altro si fece trascinare fuori dal bagno da Mia; dopo di che salirono
insieme le scale. Forse Mia parlò, iniziò a dire qualcosa, non lo sapeva. Si
trovarono così entrambe sul corridoio del terzo piano, vuoto come Viola l’aveva
lasciato. Sulla panchina, ancora quel pacco di fazzoletti. Perché diamine
l’aveva messo lì? Era fuori di testa, forse?
Mia aveva ripreso a parlare quando le sue parole furono
bloccate da un singhiozzo di pianto.
Viola di girò di scatto e dall’altro estremo del
corridoio vide arrivare nella loro direzione Tracy McBean. Era di un anno più
grande e abitava a due passi da casa sua. Ricordava che sua madre, il giorno nel
quale erano arrivate a Brighton, aveva preparato una torta di mele e l’aveva
mangiata quasi tutta Janine.
Mia e Viola si scambiarono un’occhiata e poi le corsero
incontro.
-
Oh mio Dio, Tracy, cosa ti é
successo?- le chiese Mia abbracciandola. Tracy aveva le guance rosse e grosse
lacrime le cadevano dagli occhi, ridotti a due fessure.
-
Mi...mi...ha...-
Non ci fu bisogno che finisse la frase, sia Viola che
Mia avevano già capito: Ben, il suo ragazzo, l’aveva mollata.
Come faceva ogni mese.
Viola era sicura che non sarebbero passate neanche due
settimane che sarebbero ritornati insieme. Loro erano sempre uguali, la loro
storia andava avanti a tira-e-molla da più di cinque mesi e non si erano mai
lasciati sul serio.
-
Oh, siediti, Tracy - Mia fece
sedere l’amica sulla panchina del corridoio e sia lei che Viola che si sedettero
accanto, - come é successo?- chiese di nuovo Mia, fingendo
disperazione.
Tracy attaccò a parlare bloccata ogni tanto dai
singhiozzi, le lacrime le cadevano sulle guance, suo collo e sulle mani,
bagnando anche la camicia di Mia. Distrattamente afferrò il pacchetto di
fazzolettini che era ancora poggiato proprio lì accanto a lei e ne tirò fuori
uno per asciugarsi il viso.
Viola osservò le mani della ragazza mentre afferravano
l’oggettino e lo riposava poi proprio dove l’aveva trovato.
Rimase sbigottita.
Nel suo cervello si susseguirono velocemente immagini e
pensieri contornati da una confusione enorme.
Oh, ma che strana e insignificante coincidenza. Era
quasi come se quei fazzolettini si fossero trovati lì apposta. Come se qualcuno, - e con qualcuno si intende
uno a caso, sapesse che Tracy, o chiunque altro,
sarebbe scoppiato in lacrime.
-
Devo tornare in classe -
disse d’improvviso Viola alzandosi.
-
Oh, d’accordo. Ci vediamo
all’uscita?- le chiese Mia lasciando per un secondo Tracy ad asciugarsi le
lacrime.
-
Certo, a dopo. E, Tracy, non
preoccuparti per la storia di Ben. Vedrai che si risolverà
-
Viola si allontanò nel corridoio, si trattenne dal
correre.
…
Il giorno
dopo
L’ora di matematica era saltata, un Daniel tutt’altro
che apatico aveva comunicato a Viola questa notizia saltellando per il
corridoio, mentre una composta e posata Luce sorrideva con un cipiglio annoiato,
sapendo che avrebbero dovuto passare l’ora in palestra, seduti sugli spalti ad
osservare il professor Steven, l’insegnante di educazione fisica, stressare
altre povere vittime. Ma mentre Viola e Luce erano contrariate a quell’idea,
Daniel sprizzava allegria da tutti i poveri.
Ma ad ogni modo, annoiata o contenta, la classe fu
accompagnata dal vicepreside Collins in palestra, dove il professor Steven
pareva starli ad aspettare.
- Sedetevi sugli spalti e fate i buoni, ragazzi- disse,
passando tra di loro e scompigliando i capelli a quelli che si trovavano sotto
tiro, come era abituato a fare. La particolarità di Steven era proprio quella,
li trattava come se fossero bambini. Viola non aveva mai capito perché, ma era
una cosa curiosa. Ad ogni modo, il professor Steven era un tipo allegro e
sveglio, faceva di tutto per farli divertire e non perdeva occasione per
prendere in giro quelli che, come Viola, odiavano la materia. “Pensa, é meglio
che stare chiusa tra quattro mura china su un libro, piccola” le diceva sempre.
E poi le scompigliava i capelli.
Luce trascinò Viola dietro di se e si sedettero vicine
sulla sinistra, seguite a loro volta da Daniel, che parlava animatamente con gli
altri compagni di classe.
Il suono del fischietto di Steven ruppe quell’atmosfera
di rilassamento e nonostante Viola avesse alzato la testa, si rese conto che il
fischietto non era rivolto a loro: una ventina di ragazzi uscirono dagli
spogliatoi e si sparsero velocemente per la palestra. Viola guardò velocemente i
ragazzi che vedeva dislocarsi e i suoi occhi furono attratti da lui come calamita.
Era un pelo più indietro di un gruppetto di cinque o sei
ragazzi che si dirigevano verso Steven, e accanto a lui c’era una ragazza dai
capelli ramati, legati in una coda, e un ragazzo di poco più basso di lui, con
corti capelli neri.
Aveva passo leggero, sembrava molto più rilassato del
giorno precedente e sorrideva amabilmente mentre parlava con i due ragazzi al
suo fianco.
Viola restò con gli occhi fissi su di lui e rimase
probabilmente in quella posizione per più di qualche secondo poiché sentì la
mano di Luce che la scuoteva.
-
Viola, ci sei? Perché non mi
rispondi?-
-
Eh?
Cosa?-
-
Ma che ti succede? Cosa stavi
guardando?-
-
Niente
-
-
Sicura?-
-
Si, si, ero solo distratta
-
-
Si, un bel po’
distratta!-
Viola abbozzò un sorriso, Luce sembrò non dar peso alla
cosa e tornò a parlare con Daniel, che l’aveva appunto coinvolta in una
discussione con gli amici con i quali stava precedentemente
parlando.
Viola lanciò un’altra occhiata verso il campo, adesso i
ragazzi erano radunati intorno a Steven, che sorridendo e scherzando, stava
spiegando loro probabilmente quello che avrebbero fatto durante quella lezione.
Viola poggiò il mento sul palmo della mano e per qualche altro momento osservò
la sua figura, - adesso con le braccia incrociate che fissava il vuoto, -
crogiolandosi nell’idea che lui non avesse la benché minima idea che una
sconosciuta lo stesse osservando.
Abbassò per un secondo gli occhi e quasi come se il
destino volesse invitarla a riprendere contatto con la realtà, Luce le rivolse
la parola.
-
Credo che giocheranno a
basket! É lo sport che a Steven piace di più!- disse.
-
Già, ed é l’unico a cui
piace!- sentenziò Ashlee, seduta di fianco a Daniel.
-
Non é vero, a me piace molto-
esclamò Sally, con un sorrisetto sulle labbra.
Luce rise.
-
Dici sul
serio?-
-
Certo che dico sul serio, -
affermò Sally, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, - non
sono come tutte voi ragazze che odiate lo sport!-
Luce alzò le spalle. Sally, capace di urlare se solo le
si spezzava un unghia, stava testé dichiarando di essere un’amante dello sport.
Luce era certa che lo stesse dicendo soltanto per vantarsi, non c’era dubbio,
eppure, se fosse stata solo un briciolo più intelligente, non l’avrebbe
provocata.
- Non mi risulta che a te sia mai piaciuto lo sport-
iniziò Luce, sporgendosi verso di lei.
Sally se ne uscì con una risatina
isterica.
-
Invece si, sono una vera
appassionata e il professor Steven mi adora per questo-
Gli angoli della bocca di Luce si curvarono per formare
un soddisfatto sorriso.
- Allora facciamo una scommessa- iniziò, mentre una luce
nuova le appariva negli occhi.
-
Oh, l’atmosfera si scalda!-
scherzò subito Daniel, poggiando le mani sulle spalle di
Ashlee.
-
Spara- rispose Sally,
irremovibile.
Luce abbozzò un nuovo sorriso, guardò Viola di sottecchi
per poi dire:
-
Se giocheranno a basket,
chiedi a Steven di poter partecipare, di giocare per tutta la durata della
partita e di inserirti nella squadra meno numerosa-
Ci fu un attimo di silenzio, poi Sally scoppiò a
ridere.
-
Tutto qui?-
sghignazzò.
-
Già. Tutto
qui-
Luce sembrava tranquilla e sicura, Daniel le lanciò
un’occhiata significativa.
-
Allora, ci stai?- riprese
Luce.
-
Certo-
Le ragazze si strinsero la mano, Ashlee le guardò
facendo una smorfia.
Avevano appena sciolto la stretta di mano quando,
alzando la testa verso il campo, videro Steven dare un pallone di basket ad uno
dei ragazzi.
-
Bene!- esclamò Luce, con un
sorriso rilassato e curioso allo stesso tempo.
Sally si limitò ad alzarsi e, dopo aver lanciato uno
sguardo a tutti loro, abbandonò gli spalti diretta verso il
professore.
-
Adesso guardiamola giocare,
la campionessa! - sentenziò Luce incrociando le braccia.
-
Credo che non si divertirà-
commentò Viola sottovoce, seguendo i movimenti di Sally che adesso parlava
animatamente con il professore.
-
Oh, ma ci divertiremo noi –
concluse Luce, guardando a turno gli amici che la
circondavano.
In men che non si dica il professor Steven formò le
squadre e Sally fu inserita in quella meno numerosa, le squadre si divisero e la
partita cominciò.
Lui si trovava
nella squadra più numerosa.
Tutto accadde molto velocemente.
Le azioni di gioco furono forse due o tre, poi la palla
colpì per sbaglio Sally alla testa e la ragazza cadde, perdendo completamente
l’equilibrio.
I ragazzi seduti sugli spalti si alzarono risvegliati
dalle sue urla, quelli che si trovavano in campo la circondarono.
Per un paio di secondi i primi non riuscirono a vedere
nulla se non un capannello di persone.
- Oh mio Dio!-
Viola e i ragazzi si guardarono preoccupati, scesero
velocemente dagli spalti e si fecero spazio tra la folla arrivando in
contemporanea al professore.
-
Ma cosa é successo?- chiese
Steven.
Lui
era inginocchiato accanto a Sally,
sostenendola.
-
Si é fatta male, é caduta per
terra!- esclamavano i ragazzi tutt’intorno.
Sally teneva il busto piegato su se stesso, le braccia
erano sostenute dalle mani di lui e dalla testa le usciva un filo di sangue.
Viola era a meno di un metro da lei.
Lui restava in silenzio, la sua espressione era
illeggibile. Era lì, era parte attiva di quel quadretto e non parlava. L’aiutava
solo a tenersi, per evitare di essere stesa completamente per
terra.
-
Si é ferita alla testa!-
esclamò Steven, - presto, chiamate qualcuno!-
Due ragazzi si allontanarono dal gruppo e corsero via
dalla palestra, Steven si inginocchiò accanto a lei.
-
Sally, come stai? Cosa ti fa
male?-
-
La mia... la mia...-
balbettava lei, in lacrime.
-
Ti fa male la testa, non é
vero?-
-
Le si é rotta una
gamba-
La voce era così flebile che nessuno lo sentì, nessuno
tranne Viola, che rimase a fissarlo inerme.
Gli occhi di lui erano ridotti a due fessure,
immobile, statuario.
-
Come dici?- chiese
Steven.
-
Niente-
La sua voce era spezzata da un qualcosa che non aveva
nome.
-
Professor Steven, sta
arrivando l’ambulanza!-
I ragazzi che poco prima si erano allontanati erano
adesso tornati.
- Oh, meno male... ragazzi, sgombrate la palestra,
presto! Aiutami a prenderla in braccio!- gli ordinò
Steven.
Il professore tentò di stendere le braccia verso Sally
ma lui la sollevò come se fosse un fuscello e mentre lei ancora si lamentava si
allontanarono.
Luce si portò una mano alla bocca, mortificata e
dispiaciuta, la palestra si stava svuotando.
-
Andiamo, su,
andiamo...-
La ragazza dai capelli ramati tirò per un braccio
l’amico dai capelli neri e si allontanarono in un istante.
Viola rimase ferma ancora per qualche momento mentre
davanti ai suoi occhi il grigio si ritrasformava di nuovo in colori e il brusio
ridiventava voci.
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Capitolo 3 *** 2. ***
fiori3
Viola si sedette con fare annoiato sul muretto appena
fuori dalla scuola, guardava Luce, che dal canto suo si nascondeva dagli occhi
indagatori di una Mia appena arrivata. Non si erano simpatiche, Viola lo sapeva,
e a peggiorare la situazione c’era Daniel, che certo non si poneva nel migliore
dei modi con chi Luce detestava.
-
Credo che tu debba andarle a
chiedere scusa, Luce- sentenziò poi, in un filo di voce.
Luce sospirò, guardò Daniel come se cercasse
approvazione.
-
Si, hai ragione. Beh, allora
andiamoci, non perdiamo altro tempo- concluse, risoluta.
Mia abbozzò un sorrisetto.
Di certo non era stata invitata esplicitamente da Luce e
Daniel a seguirli, ma lei l’avrebbe fatto ugualmente. Luce e Daniel avanzarono
il passo lasciando qualche metro dietro di loro Mia e
Viola.
-
Sai se s’é fratturata
qualcosa?- chiese d’improvviso Mia.
Viola la guardò in silenzio per qualche momento. Beh,
non lo sapeva. In teoria avrebbe potuto dirle “credo che si sia ferita alla
testa” ma avrebbe trascurato un particolare. Nonostante nessuno, in quei minuti,
avesse fatto accenno alla gamba di Sally, lui si. Ricostruendo l’accaduto nella
sua mente ( e l’aveva fatto già molte volte), aveva potuto constatare che Sally,
oltre a lamentarsi e a non dare segni di lucidità, non aveva affatto accennato
alla sua gamba destra e in più, l’unica parte del suo corpo che sembrava a tutti
fratturata era la testa. Certo, era caduta pericolosamente ed era possibile che
si fosse fatta male alla gamba, ma se l’era davvero rotta? Ammesso e non
concesso che se la fosse rotta davvero, non era la prima cosa che i presenti
erano andati a pensare. Forse Sally se n’era accorta, forse sentiva un
lancinante dolore alla gamba ma non riusciva ad esprimersi. Era tipico di Sally
lamentarsi senza concludere niente e senza lasciare agli altri lo spazio di
capire e poi, in quella situazione, era certa che nessuno sarebbe stato capace
di esprimersi. Quindi, anche se si fosse rotta una gamba, era una cosa che tutti
avrebbero scoperto solo dopo. Sapeva
di star lasciando troppo spazio alla sua fantasia, ma era successo di nuovo. Era
come se, - di nuovo- lui avesse saputo qualcosa ignara a tutti gli altri, o
meglio, quello che lui sapeva era
sempre qualcosa che tutti gli altri avrebbero saputo in un secondo momento. In
realtà, stava invertendo le cose: era assolutamente normale che le persone
venissero a conoscenza di una cosa nel momento in cui questa accade, era invece
alquanto strano che una persona conoscesse determinate cose prima che queste accadano, o nel nostro
caso, prima che fossero note a tutti.
-
Non saprei – rispose poi
infine a Mia, alzando le spalle. Mia storse la bocca, lanciò uno sguardo a Luce
e Daniel, a pochi passi da loro.
-
Cos’é che le ha fatto
precisamente, Luce?- chiese poi.
Viola storse il naso.
-
Niente, era una stupida
scommessa-
-
Oh,
capisco-
Mia strinse il braccio sinistro di Viola, poi finalmente
furono fuori dalla scuola. Daniel e Luce guardarono di sottecchi le due ragazze
fino alla fermata del pullman, e dopo, fino all’ospedale, parlavano fitto fitto
tra di loro mentre Mia a sua volta si perdeva in stupidi discorsetti solo per
non restare in silenzio. Chi si sentiva a disagio in queste situazioni era solo
Viola: sia Daniel e Luce che Mia erano amici importanti per lei, ed il fatto che
non si sopportassero a vicenda la teneva sempre sul filo del rasoio.
Il pullman li lasciò proprio di fronte all’ospedale e
nonostante si presentasse come una struttura bella, circondata da un giardino e
da un ampio parcheggio, era inevitabile che Viola scuotesse la testa. Era pur
sempre un ospedale, ed erano lì non certo per una gita.
Una volta entrati nel grande atrio bastarono poche
informazioni che la signorina dietro il bancone principale diede a Daniel per
sapere dove dovevano andare. Una
volta saliti al quarto piano si trovarono davanti un lungo corridoio con le
finestre sul lato destro e porte bianche sul lato sinistro. Se il corridoio
fosse stato vuoto ci avrebbero messo probabilmente una buona mezz’ora per
trovare la stanza di Sally, ma la prima persona che incontrarono sul piano fu il
coach Steven.
-
Ragazzi!- esclamò vedendoli,
con un sorrisino.
-
Buongiorno professore. Siamo
venuti qui a trovare Sally - iniziò Luce, con un velo di rossore sulle guance.
Il professore sorrise, un sorrisetto amaro.
-
É davvero un bel gesto da
parte vostra-
-
Come sta?- chiese
immediatamente Viola.
Il professore alzò le spalle.
-
I medici hanno detto che ha
battuto la testa, ma a parte un lieve taglio, quella é a
posto-
-
Oh, menomale!- esclamò
Luce.
-
Ma purtroppo si é fratturata
la gamba, - e qui fece un sospiro, - dovrà portare il gesso per quaranta
giorni-
I visi dei ragazzi si intristirono eccetto quello di
Viola, che barcollava tra la sorpresa e la confusione. Si era davvero rotta una gamba, non riusciva a
crederci. Proprio come aveva detto lui.
- Dice che possiamo entrare a darle un’occhiata?- chiese
poi Mia.
- Si, i medici hanno appena dato il via libera- rispose
Steven.
Luce lanciò un’occhiatina a Daniel che le sorrise; poi
avanzò per prima, bussò e spalancò la porta.
I quattro ragazzi si affacciarono all’entrata, Sally era
distesa su un letto, i capelli sparsi sul cuscino e l’espressione
ferma.
- Oh, siete voi!- esclamò.
- Ciao Sally - salutarono all’unisono, entrando. Luce si
avvicinò per prima al letto.
- Mi dispiace tanto, Sally - sentenziò tra i
denti.
Sally si fece una risatina.
-
Oh, ma dai. Sarebbe stata
colpa tua in ogni caso-
Luce alzò le spalle con un sorrisetto
forzato.
-
Come ti senti?- le chiese
Mia.
-
Mia, ci sei anche tu, che
bello vederti! Oh, sto benone, non preoccuparti...solo la gamba...beh, guarirà
prima o poi!-
-
La prossima volta pensaci due
volte prima di accettare una scommessa con Luce!- rise Daniel, dando una pacca
sulla spalla di Luce.
-
Intanto l’ho vinta io!-
sorrise Sally.
Anche Viola abbozzò un sorriso. Sally
tossì.
-
Comunque mi fa piacere che
siete venuti, - tossì di nuovo, - davvero, nonostante non siate i più popolari
della scuola, comunque...- ancora tosse, - é stato un gesto molto carino,
e...-
-
Vuoi un po’ d’acqua? Non la
smetti di tossire- disse d’un tratto Viola.
-
Oh,
grazie!-
-
Okay, ci metto un
attimo!-
Viola lasciò per un momento i ragazzi a discutere tra
loro e uscì fuori dalla stanza. I pensieri tornarono ad affollarsi precipitosi
nella testa, bastava un singolo momento di silenzio perché il mistero si
affacciasse di nuovo. Non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il
particolare della predizione di lui, su quello che lui aveva detto.
Ma forse non era ancora tempo di scoprire.
Doveva aspettare.
E intanto la sua mente non avrebbe fatto altro che
pensare a quella intera faccenda.
…
Viola osservò il pianoforte da lontano. Era ferma sulla
soglia del seminterrato, guardava con un sorriso quello che reputava essere il
suo migliore amico.
Il pianoforte a coda che campeggiava a pochi metri da
lei era il regalo che suo padre le aveva fatto quando si erano trasferite a
Brighton, e Viola continuava a prendere lezioni da quando era molto piccola.
Ogni mattino si svegliata all’alba per poter passare un po’ di tempo a suonare,
rinchiusa in un mondo silenzioso ed oscuro dove poteva dar vita a ogni sua
fantasia, ogni storia.
Lanciò un ultimo sorriso verso il pianoforte, poi chiuse
la porta e si avviò verso la scuola.
Con tutti i pensieri che aveva per la testa, non solo
non s’accorse di quando aveva fatto in fretta ad arrivare, ma non s’accorse
nemmeno che Mia le era venuta vicino per salutarla.
-
Hai dei seri problemi di
concentrazione, - stava dicendo, mentre con occhio critico la squadrava da capo
a piedi, - ti ho persino poggiato una mano sulla spalla e non ti sei accorta di
me se non dopo circa dieci secondi-
-
Li hai cronometrati?-
Viola sorrise,
Mia alzò le spalle.
-
Sei la persona più distratta
che conosco, Viola Lens, dico sul
serio, non ho mai conosciuti nessuno come te, oltre ad essere strana s’intende,
perché lo sei, è inutile negarlo…-
Mentre Mia però
s’imbarcava in quella strana discussione, Viola sentì di nuovo il respiro
bloccarle in gola quando, tra la folla di studenti che affollavano l’atrio della
scuola, scorse di nuovo lui.
Camminava a pochi metri di distanza da lei e Mia, aveva
lo sguardo tranquillo, le labbra serrate e le braccia distese lungo i fianchi.
Era come guardare una scia luminosa muoversi nel buio di una stanza, come
percepire le note che, al mattino, si fondono con il freddo della
strada.
Viola deglutì a vuoto.
Non capiva.
-
Mia -
-
Che
succede?-
-
É lui, guarda -
-
Lui
chi?-
-
Il ragazzo...quello di cui ti
parlai –
-
Quale
ragazzo?-
-
Guarda lì
-
Mia si alzò sulle punte per poter scorgere quello che
Viola stava fissando e lo guardò anche lei.
-
Quello, dici?
–
-
Come fai a non vederlo, Mia
-
-
Con i capelli
biondi?-
-
Si -
-
Mmh...é
carino-
Mia distolse lo sguardo dalla folla per posarlo su
quello dell’amica, che sembrava come paralizzata.
-
Viola? Ehi? Ci
sei?-
-
Si, é solo che,
io...-
Prima che potesse finire la frase Mia scoppiò a ridere.
Viola si voltò di scatto seria verso
l’amica.
-
Cosa c’é da
ridere?-
-
Secondo me hai battuto la
testa!-
-
Sai chi
é?-
Mia soffocò la risata colpita dal tono di
Viola.
-
No-
bisbigliò.
Viola si lasciò sfuggire un
sospiro.
-
Ieri era in palestra con noi
quando Sally si é fatta male – spiegò velocemente.
-
E tu ti sei presa una cotta
per lui-
-
No!-
Mia rise.
-
Avanti, vediamo dove va-
esclamò poi d’un tratto, afferrando Viola per un polso.
-
Cosa?-
-
Sta salendo le scale, non
vedi? Seguiamolo!-
-
Seguirlo?
Ma...-
-
Vuoi sapere qualcosa su di
lui?-
-
Si, ma…
-
-
Allora questo é il primo
passo da fare. Credimi, l’ho fatto un milione di volte!-
Mia si fece spazio tra la folla trascinandosi dietro una
Viola confusa e sbigottita.
-
Permesso! Scusate, permesso!-
continuava a ripetere Mia salendo velocemente le scale.
Non l’avevano perso di vista, stava salendo al secondo
piano, dove anche Viola aveva una lezione. Con il fiatone arrivarono alla soglia
del piano e alzarono lo sguardo.
Era sparito.
Di nuovo.
Mia si grattò la testa, aggrottò le sopracciglia e
storse il naso.
-
Eppure ero sicura che fosse
qui un secondo fa...- iniziò, fermandosi in mezzo al corridoio e guardando in
tutte le direzioni.
Viola sospirò mentre la confusione nella sua testa si
faceva sempre più evidente.
Le era passato davanti agli occhi esattamente come il
giorno prima, come un angelo che sfiora la terra e spicca di nuovo il volo verso
il cielo.
Un improvviso tremito le scosse il petto.
-
E’ sparito!- commentò infine
Mia allargando le braccia.
-
Forse sa
farlo-
-
Come
dici?-
-
Niente. Pensavo ad alta
voce-
-
Viola?
-
Si?
-
Come mai tutta questa
curiosità?-
Oh, bella domanda.
Viola abbassò lo sguardo, sentiva di star arrossendo.
Non era abituata a dire bugie, soprattutto a Mia, che insieme con Chris era una
delle poche persone con le quali sapeva di potersi aprire.
-
Non saprei dirtelo con
precisione. Però mi incuriosisce molto -
-
E
perché?-
Viola alzò la testa rendendosi conto di star correndo
troppo. Mia non sapeva ancora niente.
-
Te lo racconterò più
tardi-
...
Mia ascoltò parola per parola quello che Viola aveva da
dirle, intervallò l’ascolto da un’occhiatina obliqua, un sorrisetto e alcune
volte una vera e propria risata. C’é da ricordare che Mia era assai restia a
credere che esista qualcosa di leggermente fuori dal comune sulla faccia della
terra.
Erano appena uscite dalla lezione di storia e adesso camminavano per il corridoio,
aspettando che la campanella suonasse per andare a rintanarsi nel bagno delle
ragazze del terzo piano con l’intento di restarci per saltare la lezione di
matematica, che entrambe odiavano. Il bagno del terzo piano, piccolo e poco
accogliente, era il posto adatto dove nascondersi durante le lezioni. Nessuno ci
sarebbe mai andato, lo odiavano tutte.
-
Sai, credo che tu ti sia
impressionata, ma - iniziò Mia, - capisco come ci si sente quando hai un colpo
di fulmine! Vedi cose che non ci sono -
-
Non ho avuto nessun colpo di
fulmine!-
-
Ragiona Viola, non può aver
detto che Sally si era rotta una gamba -
-
Ma lo ha
detto!-
-
E come mai l’hai sentito solo
tu?-
-
Questo non lo so, però...
beh... i fazzoletti allora! Come te lo spieghi?-
-
Sicura che Tracy non li
avesse già con se?-
-
Ma no! C’eri anche tu Mia,
ricordi?-
-
Sinceramente non ricordo da
dove Tracy avesse preso quei fazzoletti -
-
Erano lì ti dico! E ce li
aveva messi lui!-
-
Tu vai semplicemente in trans
quando lo vedi, ecco tutto-
-
No, ma
io...-
-
Comunque cercherò di aiutarti
a conoscerlo. Credo che sia il caso di indagare. Io adoro
indagare!-
-
Indagare?- chiese sorpresa
Viola, con un’espressione strana in viso.
-
Si, certo, scoprire quanti
anni ha, cosa fa...insomma, scoprire chi é- spiegò tranquillamente Mia con un
sorrisetto malizioso sulle labbra.
-
E cosa intendi fare? Dove
pensi di cercarlo? Insomma, é sempre così nascosto da tutti gli altri, non
sappiamo quali lezioni frequenta e non...insomma, se fosse una persona come
Daniel, che si fa vedere in giro, sarebbe un gioco da ragazzi scoprire chi é e
cosa fa, ma di lui, come fai a scoprirlo?- domandava a raffica, il sangue le
ribolliva nelle vene e gesticolava esageratamente rischiando di far cadere tutti
i libri che aveva poggiati al petto; -...il fatto é che, Mia, non possiamo
sapere se...
-
Guarda
Viola!-
Mia strattonò l’amica per un braccio, indicandole con lo
sguardo lui, che camminava a pochi
metri di distanza da loro, accompagnato dal ragazzo con i capelli neri e la
ragazza dai capelli ramati. Viola arrossì immediatamente nonostante non avesse
fatto assolutamente niente di imbarazzante, ma il solo fatto che fosse
“comparso” così dal nulla la metteva automaticamente in
soggezione.
Lo osservò mentre, con un mezzo sorrisetto sulle labbra
attraversava il corridoio ascoltando i discorsi dei due ragazzi al suo fianco,
che da canto loro sembravano estremamente tranquilli e per nulla toccati dalla
sua presenza, proprio come il giorno prima.
Mia osservò con lo sguardo i tre ragazzi passarle
proprio accanto; camminavano lentamente, senza nessuna fretta, si mimetizzavano
in modo perfetto con gli altri studenti che si muovevano per il corridoio.
Corrugò le sopracciglia.
-
Adesso seguimi - ordinò poi
rivolta a Viola.
Viola piegò la testa da un lato, ma senza farsi pregare
una volta di più camminò lentamente dietro Mia che si teneva a distanza di
sicurezza dai soggetti del suo pedinamento seguendoli con il suo vigile
sguardo.
Salirono le scale insieme a loro nascondendosi dietro
altri studenti fin quando non lo videro entrare nell’aula del professor Joel,
inglese, e video i suoi amici salutarlo ed allontanarsi. Mia si bloccò a cinque
o sei metri dalla porta dell’aula poi si voltò verso Viola lanciandole uno sguardo
d’intesa.
-
Ecco, adesso abbiamo scoperto
qualcosa in più- sentenziò Mia incrociando le braccia, - terza ora, inglese,
professor Joel. Beh, mica male?-
Mia rise sotto i baffi, suonò la campanella. Viola si
risvegliò dalla trance di quei minuti, trascinò Mia verso il bagno delle
ragazze, intenta ad intavolare con lei una nuova
discussione.
Sedute entrambe sulle fredde mattonelle, Viola e Mia
discutevano sull’identità del ragazzo misterioso.
-
A me sembra più grande. Forse
è all’ultimo anno- diceva Mia, mentre alzava le spalle con
sospetto.
-
Non lo so, può darsi-
concordò Viola, mentre aveva la testa piena di troppi
pensieri.
D’improvviso la porta del bagno si aprì, Mia e Viola si
lanciarono uno sguardo pieno di paura. Chi poteva essere? Era di sicuro qualche
insegnante, nessuna delle ragazze si sarebbe mai sognata di entrare in quel
lurido postaccio. Viola stava già cercando di inventare qualche scusa da
rifilare a sua madre e al preside per aver saltato l’ora di matematica, il cuore
ricominciò a battere ad entrambe quando si videro davanti Tracy McBean. Il suo
sorriso malizioso e interrogativo fece tirare un sospiro di
sollievo.
-
Viola, Mia! Che ci fate qui?-
chiese, noncurante.
-
Noi? Niente, cioè,
insomma…
Viola non sapeva dire le bugie,e Tracy se ne accorse subito, perché rise
sotti i baffi guardando Viola con uno strano cipiglio.
-
Avanti, con me potete essere
sincere, - cinguettò, - l’ho capito che state saltando una lezione! Non c’è
niente di male, la noia è
sacra!-
Tracy chiuse
velocemente la porta alle sue spalle, Viola e Mia si lanciarono uno sguardo
eloquente..
-
E tu? Cosa fai qui?- chiese
poi Mia poggiandosi il mento tra le mani fingendo un’espressione
rilassata.
-
In primis, per saltare inglese, - iniziò Tracy, - e poi –
continuò, avvicinandosi alla finestra in alto sulla destra, - per prendere
questo- concluse, afferrando una barretta di cioccolata. Mia scosse
impercettibilmente la testa chiedendosi se esistesse qualcosa di più stupido che
nascondere la cioccolata nel bagno del terzo piano, Viola si era rizzata tutta
appena aveva udito che Tracy era appena uscita dall’aula di
inglese.
-
Inglese hai
detto?- ripeté Viola, dando una gomitata a Mia.
-
Si. Una tale noia!- mugugnò
Tracy scartando la sua barretta.
-
State studiando qualcosa di
noioso?- chiese nuovamente Viola, dando un particolare tono disinteressato alla
sua voce.
-
Oh, puoi dirlo forte! Sogno di una notte di mezz’estate,
quella noia di Shakespeare!- rispose Tracy con una risatina. Mia avrebbe
voluto alzarsi e dirgliene quattro su “quella noia di Shakespeare”, ma si
trattenne.
-
Chi é nella tua classe?-
chiese invece Mia, accogliendo un’occhiata di Viola.
Tracy diede un morso alla cioccolata e alzò le
spalle.
-
Nessuno di interessante. Io
neanche volevo frequentarlo, inglese, mi ci hanno letteralmente costretta!
Pensate, in classe siamo ventisette e io sono l’unica che non ha nessun
interesse per la materia!-
Mia arricciò il naso, immaginando che per Tracy essere
separata dalla sua solita schiera di amiche pettegole per entrare in una classe
dove si studiava qualcosa di importante doveva essere stato un
trauma.
-
Davvero?- domandò
Viola.
-
Assolutamente si! Nessuno
perde una parola, e poi, io, che non sono neanche tanto brava, mi sento talmente
in soggezione in una classe così, capite? Abbiamo anche il genio, pensate!-
-
Genio?-
Il tono di Viola tradiva una punta di
curiosità.
Tracy si fece una risatina.
-
Non mi dite che non ne avete
mai sentito parlare - disse, ingoiando velocemente il boccone di
cioccolata.
-
No -
-
Joel non vi ha mai parlato di
lui?-
-
Mmm...no-
-
Impossibile! Joel lo adora
come fosse suo figlio!
-
Mai sentito- sbottò fuori
Mia.
Tracy alzò gli occhi verso le due
ragazze.
-
Manuel Green-
sibilò, avvicinandosi alla scrivania – il miglior alunno del professor Joel
-.
Il cuore di Viola sembrò essersi fermato a sentir
pronunciare quel nome, sbiancò totalmente.
-
Chi é?- chiese poi con un
filo di voce.
Tracy rise di nuovo.
-
E’ un genio. O meglio, geniale. Così almeno crediamo noi! -
Rise di nuovo.
-
E’ molto bravo?- chiese
Mia.
-
Bravo? Lui é molto più che
solo bravo. Sai, se fosse solo così,
sarebbe soltanto un secchione. Ma lui ha un certo qualcosa, quando parla, li incanta i
professori! Joel, per esempio, lo guarda come se stesse dicendo chissà che cosa,
mentre magari sta solo ripetendo quello che ha detto un altro alunno prima di
lui. E’ questo lo rende diverso.
Chissà come fa, secondo me, anche se parlasse della cosa più stupida di questo
pianeta, lo ascolterebbero! Io davvero non capisco, eppure non sembra un tipo
così brillante. Cioè, voglio dire, é piuttosto solitario, timido direi...si,
credo sia abbastanza timido...e in classe é l’unico seduto da solo! Insomma, non
é niente di che. Eh, quando si dice avere
fortuna!-
-
Per niente interessante? Di
un tipo così, io sarei almeno curiosa!- intervenne Mia, rendendosi conto che
Viola era quasi andata in apnea.
-
Bah, non so cosa dirti,
guarda. Certamente non é un brutto ragazzo. Alto, capelli biondi...però...! Non
mi dice niente! E’ così riservato, non ha molti amici! Interessante, nah!
L’unica cosa che ha di interessante te l’ho già detta!-
Viola deglutì a vuoto.
Era lui, ne era certa. Era in classe con Tracy alla
terza ora.
-
Wow- disse infine, con un
filo di voce appena udibile.
D’improvviso di nuovo la
campanella.
-
La campanella! Che bello!-
Tracy saltellò allegra, - é stato un piacere chiacchierare con voi! A
presto!-
Così dicendo aprì la porta e uscì, allegra com’era
entrata.
-
Presto, andiamo via anche
noi- disse Mia.
Fuori dal bagno il corridoio si stava riempiendo di
nuovo di persone.
-
Viola, mio Dio, vuoi
riprenderti per favore?- chiese d’un tratto Mia
strattonandola.
-
Hai sentito anche tu tutto
quello che ha detto Tracy, vero?-
-
Si, ma non farti castelli in
aria okay? Non sai nemmeno se è lui, e Tracy esagera -
-
Però io dico
che...-
-
Viola!-
Viola smise di parlare sentendo la voce di Daniel
sovrastarla. Mia fece una smorfia.
-
Ciao Daniel
-
-
Ciao!- Daniel sorrise verso
Viola, poi voltò lo sguardo verso Mia, che gli offriva una smorfia tutt’altro
che amichevole.
-
Mia-
-
Daniel
-
Viola passò gli occhi su entrambi sentendo l’atmosfera
farsi pesante.
Daniel ritornò con gli occhi su
Viola.
-
Perché non eri a lezione
prima?- chiese.
Viola si morse la lingua.
-
Io? Ehm...avevo...una cosa
urgente da fare, davvero, credevo che sarebbero stati necessari solo cinque
minuti, ma mi ci é voluto di più -
-
Ti aspettiamo all’uscita
okay?- disse Daniel, guardando con disappunto Mia.
-
Si, si, d’accordo...ci
vediamo dopo-
-
Ciao
Viola-
-
Ciao Daniel
-
Ma era adesso che le cose divenivano
difficili.
Viola c’aveva pensato a lungo, e non aveva trovato
metodo migliore che quello.
Si portò una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio,
sospirò impaurita come se stesse per andare in guerra, ma fu un sospiro che le
dette forza e determinazione, perché sapeva quella essere la sua unica speranza
di conoscere Manuel Green.
Bussò alla porta, un tocco leggero e quasi stentato al
quale Viola tentò di infondere tutto il suo coraggio.
-
Avanti!- rispose la voce del
professore, calda ed accogliente.
Viola spinse leggermente la porta.
-
E’
permesso?-
-
Viola Lens! Prego,
accomodati!-
Viola entrò, chiuse la porta dietro di se e restò ferma
per qualche secondo come se il mondo si fosse bloccato. Una piccolissima e quasi
inudibile vocina nella sua testa le stava chiedendo “ti rendi conto di cosa diavolo stai
facendo?” ma non stette a sentirla, per lo più stette a guardare l’ufficio
di Joel, non ci entrava da un bel po’
Viola abbozzò un sorrisetto e si fece avanti mentre
nella testa ripeteva il discorso che si era preparata durante le precedenti due
ore. Si sedette di fronte al professore che le sorrideva intrecciando le mani
sulla scrivania.
Il professor Joel era un tipo alla mano, anziano ormai,
capelli brizzolati bianchi e un paio di baffetti dello stesso colore risaltavano
sulla sua carnagione piuttosto bianca. Gli occhi erano di un castano scuro molto
intenso e nel complesso aveva un’espressione simpatica e
rassicurante.
-
A cosa devo questa visita,
signorina?- le chiese.
-
Beh, ecco, in realtà, sono
qui per chiederle una cosa-
-
Prego!- la esortò Joel, con
un altro sorrisone.
Viola sospirò.
Adesso era
il momento di ripetere il discorso che aveva imparato a
memoria.
-
Ecco, vede, come lei sa, sono
sempre stata molto appassionata alla sua materia, e...-
-
Si, si, lo so. Sei un’ottima
studentessa-
-
La ringrazio. Ad ogni modo,
quest’anno avevo preso in considerazione di poter frequentare il suo corso
extrascolastico su Shakespeare -
-
Oh, ma é fantastico! – Joel
saltò letteralmente dalla sedia, - davvero fantastico! Sono molto contento di
questa tua decisione, Viola Lens, anche perché sai, di solito gli studenti del
terzo anno, avendo studiato ancora poco Shakespeare, non mi chiedono mai una
cosa del genere, ma tu, oh, questa si che é una notizia fantastica e fuori dal
comune -
Viola seguiva con lo sguardo i movimenti entusiasti del
professore, i suoi occhi farsi lucidi e la sua espressione rallegrarsi
tutta.
-
La ringrazio molto
professore. Il fatto é che...-
-
C’é
qualcos’altro?-
-
Beh, appunto perché io...sono
ancora al terzo anno...forse avrei bisogno di approfondire un po’ di più il
discorso su Shakespeare prima di entrare a far parte del corso, quindi, beh,
volevo chiederle se mi fosse possibile frequentare qualche lezione del corso
superiore -
Joel storse la testa da un lato.
-
Non so se ce ne sia bisogno
in verità - ragionò su lui, Viola spalancò tanto di occhi.
-
Professore, in realtà, le
chiedo questo perché...beh perché, avendo acquisito già materiale, avrei potuto
più velocemente integrarmi nel corso senza perdere molto più del tempo
necessario per recuperare ciò che non é ancora di mia competenza
-
Joel parve riflettere.
-
Beh, di certo non hai tutti i
torti -
-
Sarei davvero onorata di far
parte del suo corso, professore, e non mi costerebbe nulla frequentare delle
lezioni di preparazione- tentò Viola,
cercando di essere il più convincente possibile.
Joel sorrise.
-
Beh, se la metti in questi
termini, Viola Lens, non posso far altro che accettare la tua proposta! Questa
tua determinazione e passione mi colpiscono molto!-
Viola saltò dalla sedia.
-
La ringrazio infinitamente
professore!-
Un luminoso sorriso le comparve sul viso, Joel la guardò
tutto fiero.
-
Ci organizzeremo in questo
modo: prenderai parte alla lezione che impartisco alla terza ora agli studenti
del quarto anno per sei giorni, il tempo necessario perché io finisca di
spiegare completamente Sogno di una notte
di mezz’estate, l’argomento che sto attualmente trattando con i miei
ragazzi, dopo di che potrai iniziare a frequentare il mio corso extra e
preparare subito una relazione sulla commedia, che tratteremo poi in modo più
approfondito durante il corso. D’accordo?-
Viola era al settimo cielo.
-
D’accordo! Oh professore la
ringrazio tantissimo per questa occasione!-
-
É un piacere per me
assecondare una studentessa così brillante come te! E credo che ti troverai
molto bene con gli studenti del quarto anno...é un’ottima classe sai? – qui si
fece una risatina, - e, ora che ci penso, non ci sarà neanche bisogno di
aggiungere un banco, abbiamo già un banco vuoto in classe!- un’altra risatina,
guardò Viola simpaticamente – ti piacerà la mia classe, Viola Lens
-
Viola fremeva tutta.
-
Non vedo
l’ora!-
-
D’accordo! Ah, e non ti
preoccupare. Avvertirò io il tuo professore della terza ora che hai bisogno
frequentare la mia lezione per un po’! Non credo ci saranno grossi
problemi!-
-
Grazie
mille!-
-
Di niente! A domani allora!
Terza ora, secondo piano!-
-
A domani professore! E grazie
ancora!-
Viola uscì velocemente dall’ufficio di Joel con le
guance totalmente infuocate. Non riusciva ancora a credere che era riuscita ad
arrivare così velocemente al suo obbiettivo, eppure era così.
Il giorno dopo alla terza ora sarebbe entrata in quella
classe e avrebbe occupato il banco vuoto accanto a Manuel
Green.
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Capitolo 4 *** 3. ***
fiori4
E fu il giorno dopo.
Il rumore improvviso di un tuono fuori dalle finestre
risvegliò Viola dallo stato di totale confusione nel quale si trovava la sua
mente.
Quando pioveva il corridoio della scuola assumeva
un’aria tetra, camminare con i libri stretti al petto verso una qualsiasi classe
era un po’ come muoversi per i corridoi infiniti di un castello. Era questa
l’assurda impressione che dava - il corridoio - illuminato dal pallido chiarore
delle nuvole di pioggia.
La porta dell’aula di inglese era aperta e un raggio di
luce grigia proveniente dalla finestra di fronte alla porta giungeva fino ai
piedi di Viola, che protese la testa verso l’aula. Il professor Joel, seduto
dietro la cattedra, l’accolse con un luminoso sorriso e mentre la classe
continuava a riempirsi, l’avvicinò.
- Benvenuta, Viola- le disse, stendendo le braccia sulla
cattedra. Viola abbozzò un sorrisetto, le mancava il
respiro.
- Grazie ancora professore- sibilò tra i denti con tutta
la forza che le rimaneva.
Un tonfo improvviso la fece voltare di scatto. Oh, era
solo Tracy che chiudeva la porta. Certo, non si era meravigliata che Tracy fosse
arrivata per ultima, lei odiava inglese.
Fu in quel momento che Viola si girò verso la classe
intera e lo vide, seduto al penultimo banco.
Se prima aveva avuto respiro a sufficienza per
ringraziare il professore, adesso i polmoni erano completamente vuoti. Era a
pochi metri di distanza da lei, lo sguardo chino su qualcosa che in quel momento
non riuscì a comprendere.
Il professore si alzò e, indicandole proprio il posto
accanto a lui, disse:
- Ecco, vai pure a sederti lì!-
Viola deglutì a vuoto, sentiva su di lei gli occhi degli
alunni della classe che si stavano certamente chiedendo lei chi fosse, e bastò
alzare gli occhi per un secondo per rendersi conto che evidentemente tutti la
stavano fissando.
O meglio, tutti tranne lui.
Manuel Green era ancora seduto nella stessa posizione di
prima, con lo sguardo sempre chino su quel qualcosa. Sembrava non si fosse
neanche minimamente accorto che era entrata un’altra persona e che, a
piccolissimi passi, stava per sedersi accanto a lui. Quasi fosse
insensibile.
Viola si rese conto di essere impallidita, poteva
vederlo dalle sue mani che improvvisamente sembravano essere state del tutto
escluse dalla circolazione del sangue.
Finalmente gli arrivò di fronte e fissò il posto vuoto
accanto a Manuel Green. Ah, ecco cosa stava guardando…era il libro di
Shakespeare, quello che adesso il professor Joel aveva procurato anche a lei. La
sua espressione era rilassata, del tutto compatta, come se invece del vociare
tutto intorno ci fosse il più assoluto silenzio. Viola lanciò uno sguardo al
banco che avrebbe dovuto occupare e quasi con sorpresa notò che lui ci aveva
poggiato alcuni libri sopra. Oh, era comprensibile, quei due banchi erano sempre
stati solo ed esclusivamente suoi…poteva allargarsi, insomma, fare un po’ quello
che voleva.
Viola si portò una ciocca si capelli dietro l’orecchio e
poggiò con fermezza i suoi libri sul banco, accanto a quelli di
lui.
Nel momento preciso nel quale i suoi libri toccarono la
superficie del banco lui alzò gli occhi e si raddrizzò. Oh, adesso si era
accorto di lei.
I loro occhi si incontrarono per la seconda volta e la
sensazione di sfondo fu sempre la stessa, quella di essere penetrata.
L’espressione di lui, che per una frazione di secondo era stata seria e
confusionaria, mutò in un sorriso.
Un sorriso.
-
Scusami!- disse, e subito spostò i libri
sul suo banco. La sua voce era tranquilla, vellutata, perfetta, melodica come un
pianoforte. Era quel tipo di voce che, se parlasse, parlasse davvero, non ci si
stancherebbe mai di ascoltare. Non preoccuparti -
Viola si meravigliò di come le parole erano riuscite ad
uscirle dalle labbra. Era paralizzata, non riusciva a far altro se non
guardarlo. Anche se adesso aveva cambiato posizione, nella sua mente era rimasto
stampato il suo sorriso come una fotografia.
Si lasciò cadere sulla sedia solo perché sentiva le
forze venirle meno, ma se solo non fossero sopraggiunti i sensi, avrebbe potuto
rimanere in posizione statuaria per un bel po’ a fissarlo. Si raddrizzò solo nel
momento in cui il professore richiamò la classe all’attenzione. Manuel alzò gli
occhi solo per un momento verso la classe intera, poi poggiò le mani sul libro
che un momento prima stava guardando ( non era certa che stesse leggendo) e
sospirò.
Il professor Joel si appoggiò alla cattedra con il suo
libro tra le mani e disse:
-
Buongiorno ragazzi,
ricomponetevi per favore! Bene, mi preme molto continuare il discorso della
volta scorsa, seguitemi molto attentamente!-
Oh beh, seguirlo attentamente era l’ultima cosa che il
suo cervello era propenso a fare in quel momento! Viola scosse
impercettibilmente la testa, chinò gli occhi sul libro per un secondo per poi
alzare di nuovo la testa: il professor Joel aveva preso dalla sua borsa un
cappello rosso e una sciarpa dello stesso colore e li aveva indossati, così,
come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Viola strabuzzò gli occhi
quando lo vide camminare avanti e indietro dinanzi alla cattedra mentre leggeva
(probabilmente stava riprendendo proprio dal punto nel quale si era fermato la
volta precedente) una delle scene della commedia di Shakespeare che stavano
studiando.
La sua attenzione era stata per quell’attimo così
totalmente catturata da Joel chiedendosi cosa diavolo stesse facendo che non si
rese conto che lui si era voltato verso di lei e la stava guardando. Se
ne accorse solo nel momento in cui lo sentì ridere, sghignazzare sotto i baffi.
Allora si voltò di scatto.
-
Si vede che sei nuova in
questa classe-sussurrò, con un viso sorridente.
Viola si voltò verso di lui di scatto, ma non riusciva a
parlare. Davanti a quel viso le si bloccava letteralmente la lingua. Lui le lanciò un’altra occhiata da capo a
piedi, poi, quasi sapesse cosa Viola si stesse chiedendo,
disse:
-
Fa così per immedesimarsi. Secondo lui fingere di recitare ci aiuterà a capire ed assimilare meglio. E quel cappello e quella
sciarpa sono i suoi portafortuna. Dice che quando recitava li portava sempre. Se abbia mai recitato,
s’intende-
Viola guardò assorta il suo viso mentre parlava – troppe
erre, tutte insieme, adesso che aveva
parlato più piano e scandendo le parole avevano accentuato la sua leggera
carenza nel pronunciare quella lettera, appena udibile, come un leggero
solletico all’orecchio che rendeva il suo tono ancora più interessante, - e si era accorta di come i suoi
lineamenti fossero delicati e morbidi, di come i suoi occhi sembravano cambiare
sfumatura di colore ad ogni parola. La bellezza che si celava dietro la sua
espressone fredda sbocciava come un fiore dopo esser stato costretto a
nascondersi sotto i ghiacciai.
-
E’ sempre stato un po’
strano- commentò poi lei, riuscendo finalmente a trovare la forza di aprire
bocca. Lui sorrise di nuovo, una strana luce gli si accese per un millisecondo
negli occhi, - passò come un lampo.
-
Mi chiamo Viola – si decise
poi lei, puntando gli occhi in quelli di lui e porgendogli mano sotto il banco.
-
Io Manuel. Piacere- rispose
con un sorriso.
Lei avrebbe dovuto essere onesta e dirgli “ Si, lo so”,
ma non sarebbe stata per niente una buona mossa, perciò ricambiò il sorriso pur
sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo essere bello come il suo e gli
strinse la mano. Il contatto la fece sussultare.
-
Piacere- rispose lei, mentre
la voce era mossa da quello stesso qualcosa che aveva avuto la sensazione di
veder comparire nei suoi occhi poco prima. I sintomi della sua stranezza, così nel
suo cervello li stava denominando.
Si stava chiedendo perché gli desse l’impressione di
sapere le cose ancora prima che dicesse anche una singola sillaba.
-
Sei nuova a scuola?- le
chiese subito dopo lui.
-
No. Sono del terzo anno, sono
qui per...- si bloccò un attimo. Perché gli stava per dire perché era lì? Non
glie l’aveva mica chiesto? Eppure si sentiva quasi in dovere di dovergli dare
una spiegazione. Avrebbe avuto la stessa reazione se al posto di Manuel ci fosse
stato qualunque altra persona della classe? Comunque, aveva iniziato la frase e
adesso doveva finirla.
-
...un corso intensivo. É un
lavoro che sto facendo con il professor Joel - concluse, cercando di essere il
più convincente possibile. Lui assentì con un impercettibile movimento del capo,
poi tornò a guardare il libro come assorto, lanciando di tanto in tanto occhiate
al professore. La sua mano sinistra, quella che Viola vedeva meglio, era chiusa
a pugno accanto alla pagina del libro e a scatti pareva tremare. Era come se
scattasse in un movimento brevissimo e appena visibile, una specie di tic
fastidioso derivato dalla posizione sbagliata di un nervo.
Beh, stare lì a guardarlo quasi fosse una cavia da
laboratorio non era propriamente quello che era andata a fare lì... ad essere
sinceri, non sapeva con precisione ancora cosa ci facesse lì, ma l’unica cosa
che era riuscita a strappargli di bocca era il suo nome, e questo lo sapeva già.
Come avrebbe potuto chiedergli qualcosa di lui senza sembrare matta? Quando per
un impercettibile secondo smise di concentrare la sua attenzione su di lui e
lanciò uno sguardo intorno a se, si rese conto di avere tutti gli occhi puntati
addosso. La classe le lanciava occhiatine oblique, fugaci, alcuni avevano
persino bisbigliato qualcosa tra i denti. Si erano accorti che stava fissando
Manuel in modo alquanto strano? Si erano accorti di qualcos’altro? Viola alzò le
spalle assumendo l’aria più innocente possibile ma la situazione pareva non
cambiare. Si accorse, però, che gli sguardi non arrivavano soltanto a lei, ma
anche a Manuel. La sola, piccola, leggera differenza, era che nel suo cervello
giravano domande senza risposta riguardo tutto quello che le era intorno, mentre
Manuel pareva non curarsi di nulla. Passava come sempre gli occhi dal libro al
professore e dal professore al libro, incurante. Come ci riuscisse, Viola si
chiedeva.
-
Abiti da sempre qui?- sbottò
fuori all’improvviso.
Manuel si voltò e i suoi occhi scrutarono l’espressione
di Viola, che, pentitasi della domanda stupida, stava arrossendo. L’aria sul
viso di Manuel era quella di uno che stava per scoppiare a ridere dopo aver
visto qualcosa di tremendamente divertente.
-
Si- rispose infine con un
sorriso, - e tu vieni dal Nord scommetto-
Viola spalancò tanto d’occhi.
-
Si. La famiglia si é
trasferita qui quando avevo undici anni, e... ma come lo
sai?-
Manuel mosse impercettibilmente la testa mantenendo quel
sorriso obliquo e quell’espressione di chi sa perfettamente di cosa si sta
parlando.
-
Si vede dai tuoi lineamenti-
concluse poi. La sua voce era tranquilla quanto quella di Viola
tremava.
I suoi lineamenti. Oh, certo.
Abbassò la testa verso il banco, lasciò che i capelli le
coprissero gli occhi e per circa due minuti fu incapace di stare ferma,
cambiando posizione ad ogni respiro.
Manuel si voltò verso di lei e per circa mezzo minuto
l’osservò non trovare pace.
-
Toglimi una curiosità- iniziò
poi, la voce di nuovo segnata da quella punta di divertimento, - se ti piace
tanto inglese, perché non stai seguendo affatto la
lezione?-
Viola finalmente si fermò.
-
Ma io sto seguendo-
Manuel rise.
-
E poi, tu come sai che mi
piace inglese?-
-
Non fai un “lavoro con il
professor Joel” se non ti piace inglese-
-
Potrebbe servirmi ma non
piacermi-
-
Ma a te piace,
giusto?-
-
Si,
ma...-
-
Allora ho
ragione-
Lui si voltò dall’altro lato, soddisfatto come se avesse
conquistato una piccola vittoria.
-
Beh, neanche tu mi sembri
tanto attento-
Mentiva, ma doveva trovare un modo per continuare la
conversazione. Lui pareva attento a tutto in qualsiasi istante.
Rise di nuovo.
-
Io non
direi-
No, non se la sarebbe cavata così.
-
Non parli con il tuo vicino
di banco se segui la lezione-
-
Possiamo non parlare, se
vuoi-
-
Vuoi parlare con
me?-
-
Potrei farti la stessa
domanda-
I loro occhi si incrociarono, Viola storse la bocca.
Ecco, lo sapeva, era molto più difficile di quello che si
aspettava.
In quel momento, a rompere quell’atmosfera, suonò la
campanella.
La classe si mosse in un attimo.
Manuel si alzò di scattò, in un attimo raccolse tutte le
sue cose e si mise la cartella sulla spalla.
Viola raccattò tutto il più celermente possibile,
sgusciò via dal banco per superarlo.
-
Dimentichi questo-
Si fermò di scatto sentendo la sua voce risuonarle quasi
nella testa. Si voltò e lui le era davanti, tenendo nella mano il suo quaderno
degli appunti.
-
Grazie- rispose lei
afferrandolo sicura.
Chissà perché, lui aveva di nuovo l’espressione
divertita.
-
Ci vediamo alla prossima
lezione...-bisbigliò chinandosi verso di lei, - sempre se vorrai parlare con
me-
Non le lasciò il tempo di rispondere, con un sorriso
bellissimo e misterioso si allontanò e raggiunse la porta dove i due ragazzi con
i quali l’aveva visto il giorno prima lo aspettavano.
Viola non riuscì a smettere di fissarlo fin quando non
uscì dalla classe e sparì chissà dove. Aveva il suo sorriso stampato nel
cervello. Non ebbe neanche il tempo di respirare per ossigenare il sangue che si
ritrovò circondata da un bel po’ di persone, davanti a tutti, Tracy
McBean.
-
Come hai fatto?- chiese, a
nome suo e di tutte le persone che erano dietro di lui.
Viola divenne rossa in un istante.
-
Cosa?-
Voltò la testa in tutte le direzioni, tutti gli occhi
erano puntati su di lei.
-
A parlare con lui, intendo- precisò Tracy, con un
sorriso malizioso. Viola elaborò velocemente il valore di quella frase, nella
sua mente iniziarono ad affluire di nuovo mille domande.
-
Come...come sarebbe a dire?-
domandò, cercando di nascondere la curiosità che la
divorava.
Tracy si fece una risatina, lanciando occhiate alle
amiche intorno a lei.
-
Manuel Green non parla con
nessuno, di solito- disse, controllando il volume della
voce.
Viola rimase a bocca aperta.
-
Io
non...-
-
Non l’ho mai visto parlare
così tranquillamente con qualcuno a lezione prima di te oggi!- sghignazzò
Tracy.
Era imbarazzata, il rossore sulle guance era diventato
più evidente, avere gli occhi di tutti addosso non le piaceva affatto. Adesso la
cosa più utile e giusta che avrebbe potuto fare era dileguarsi, avrebbe così
evitato di essere al centro dell’attenzione, cosa che odiava, e avrebbe potuto
restare da sola per riflettere. Aveva urgente bisogno di riflettere, non avrebbe
potuto aspettare neanche un secondo.
Buttò lì due frasette di scuse e di saluti verso le sue
nuove compagne e si fece spazio tra la folla per uscire dalla
classe.
Uscì così velocemente che quasi non percepì il
cambiamento di temperatura tra la classe e il corridoio.
Come avrebbe mai potuto rispondere alla domanda di
Tracy? Lei non lo sapeva che Manuel Green non parlava con nessuno, avrebbe
potuto immaginarlo, ma sinceramente non ci aveva proprio pensato. Che motivo
avrebbe mai avuto per non parlare proprio con nessuno? O meglio, che motivo
aveva avuto invece per parlare con lei? Prima del suo arrivo era seduto in un
banco da solo, era quindi pensabile che se ne stesse sempre per i fatti suoi e
che non trovasse volontariamente il confronto con gli altri, ma da qui a dire
che davvero non parlava con nessuno le sembrava davvero esagerato. Eppure con
lei era stato così naturale...aveva continuato ad avere quell’espressione
rilassata, tranquilla, quella di una persona sicura di se, insomma. Nei suoi
gesti e nelle sue parole, sebbene si fosse persa in qualche frase da
interpretare, non aveva notato nulla che facesse pensare ad una persona
socialmente isolata. Oh, ma andiamo! C’era da aspettarselo che era un tipo
alquanto ombroso! Si, e Viola se l’era aspettato, ci aveva pensato per ore la
notte precedente al modo che avrebbe potuto adottare per rivolgere la parola ad
un tipo che sembrava così introverso. Ma adesso le cose erano cambiate. Adesso
sapeva qualcosa in più, ed era come arricchire il puzzle di tasselli.
Ricapitoliamo: lui si chiama Manuel Green, é al quarto anno, é così bravo a
scuola che lo chiamano genio,
solitario e introverso, con un sorriso enigmatico...intelligente, anche, le
aveva dato quest’impressione. Ma c’era qualcosa, qualcosa che sembrava mancare,
era come se tutte quelle informazioni potessero essere assimilate solo grazie ad
una colla...qual’era il collante tra quelle informazioni? Perché diavolo non
riusciva a togliersi dalla testa la convinzione che Manuel Green fosse qualcosa che non riusciva a
capire?
dal suo e anche il suo
respiro, sentiva.
suo corpo a pochi
centimentri nsi, avrebbe potuto rimanere in posizione statuaria per
u
...
La scena
sembrava essere la stessa, l’unica differenza stava nel fatto che tutta la
palestra era circondata da una fumeta verde. Viola non sapeva perché fosse
proprio verde, eppure in quel momento sentiva di non doverci ragionare sopra.
Fece qualche passo in avanti, sembrava scorgere qualcosa eppure non riusciva
ancora a vedere bene cosa fosse. Avanzò ancora, con le mani cercò di diradare la
fumeta verde fin quando non vide chiaramente cosa le era davanti. C’era un
gruppo di persone intorno a Sally, stesa per terra, con un filo di sangue che le
usciva dalla testa. I visi delle persone erano attoniti, Viola si guardava
intorno stranita. D’improvviso corse verso di loro il professor Steven, mosse le
labbra ma non uscì nessun suono dalla sua bocca.
I suoi occhi
erano pieni di paura.
Anche le
bocche di tutti gli altri ragazzi iniziarono a muoversi, forse bisbigliavano,
perché Viola non sentiva niente...
Poi comparve
lui, d’improvviso, eccolo al fianco di Sally, sembrava che fosse sempre stato lì
e lei non l’avesse visto. Impossibile, si disse. Se lui c’é, io lo vedo.
Costeggiò la cerchia di persone, tutti ormai muovevano le labbra. Ma nessuno
parlava.
-
Le si é rotta una gamba, le si é rotta una gamba! –
gridò d’un tratto Manuel Green.
Viola si voltò
di scatto, colpita dal tono della sua voce. La scena, nonostante questa frase,
rimase immobile. Le persone, una dopo l’altra, cominciarono a sfumare, tutte
sparirono.
Manuel Green
rimase, inginocchiato per terra, Viola avanzò verso di lui, stava per poggiargli
una mano sulla spalla, poi anche lui si dissolse e la fumeta verde iniziò a
farsi nera.
Poi suonò la sveglia, e capì che stava
sognando.
Aprì gli occhi e quasi si meravigliò di trovarsi nella
sua stanza, con gli occhi della mamma fissi sui suoi.
- Viola, ti senti bene tesoro?
Viola con un gesto deciso mise a tacere la sveglia e si
stropicciò gli occhi, poi si passò una mano tra i capelli.
-
Si...emh...si...-
-
Ti ho sentita urlare e sono
corsa immediatamente!-
-
U-urlare?-
-
Si...hai forse fatto un
brutto sogno, amore?-
-
Io...emh...no... cosa... cosa
urlavo?-
-
Non ho capito bene...ma
qualcosa riguardo a una gamba rotta!-
Viola sospirò.
Odiava sognare.
…
Come il giorno prima Manuel era già in classe, già
seduto, già con lo sguardo chino e isolato da tutti gli
altri.
Portava una sciarpa dai colori chiari e aveva poggiato
dietro la sedia una giacca blu scuro.
Appena entrata Viola fu salutata inaspettatamente da
alcune persone della classe, ricambiò il saluto con un timido sorriso e si
diresse verso il suo banco. Doveva essere la prima a salutarlo, questo si era
ripetuta negli ultimi minuti.
Camminò leggermente fino al suo banco e nel momento in
cui si sedette fece uscire dalle sue labbra un sottile e
soffuso:
-
Ciao-
Lui si voltò subito, sorrise. Era rilassato, molto più
del giorno prima, e sembrava anche molto più allegro del giorno
prima.
-
Ciao Viola- salutò, con la
voce ferma e calda.
Oh si, era decisamente di buon umore, aveva tutta l’aria
di una persona che ha passato una bella giornata, o, ancora meglio, di una
persona che sta aspettando che succeda qualcosa che lo renderà felice. Si,
esattamente così... un sorriso tranquillo, i tratti del viso rilassati. Era
bello quando era così. Più bello di quando era serio. La bellezza di Manuel
Green non era una bellezza standard, di quelle solite. Manuel era delicatamente bello. Non era una di
quelle persone che colpiscono
all’istante, che restano impresse nella mente sin da subito, lui no. Si doveva
stare a guardarlo un po’, nei suoi movimenti, e ci si poteva accorgere che era
davvero bello.
-
Come stai?- chiese subito
Viola, per non lasciar cadere subito il discorso.
Lui non rispose subito.
-
Bene, grazie.
Tu?-
-
Bene-
Viola abbassò per un attimo lo sguardo, deglutì a vuoto.
Sentì che lui si era di nuovo girato verso di lei, teneva le dita delle mani
incrociate sul banco e sorrideva.
-
Oggi...oggi ti va di
parlare?-
Viola rimase quasi sbigottita dal tono della sua voce,
tanto era intenso.
-
A te?-
-
Ah, ho chiesto prima
io-
-
Giusto...- Viola sospirò,
abbozzò un sorrisetto pensando a quello che avrebbe potuto dire. - ...beh si, mi
andrebbe- concluse, quasi arrossendo.
-
Non ti dispiace perdere
qualche passaggio della lezione?- chiese lui, quasi a prenderla in
giro.
Viola storse la bocca.
-
Ho studiato quest’opera per
metà già l’anno scorso. Non perderò molto- sentenziò,
convinta.
Manuel annuì, abbassò lo sguardo con un
sorrisino.
In quel momento iniziò la lezione, il professor Joel
sedeva alla cattedra più annoiato e meno entusiasta del giorno precedente,
giocherellava con il cappello rosso e aveva steso la sciarpa sotto il libro di
testo che si apprestava a leggere, fermandosi di tanto in tanto per spiegare
qualche passaggio o per dettare qualche appunto.
-
Ti piace Shakespeare?- le
chiese Manuel dopo qualche minuto, afferrando la matita che aveva sul banco e
iniziando a scarabocchiare qualcosa sul quaderno dinanzi a
lui.
-
Si. Molto. A
te?-
-
Abbastanza-
Abbassò leggermente la voce su questa risposta, quasi
fosse un sospiro, strinse la matita nella mano sinistra, poi la posò di nuovo
sul banco.
-
Quanti anni hai,
Manuel?-
-
Quasi
diciassette-
Rise sotto i baffi, si voltò verso di lei.
Rideva? Viola non riusciva a capire. Stava forse dicendo
qualcosa di sbagliato oppure...oppure era talmente abituato a starsene zitto che
adesso gli pareva strano parlare con qualcuno? Osservò il suo viso divertito
mentre dentro di se continuava a chiedersi da cosa fosse suscitato quel
riso.
-
Perché ridi?- chiese poi,
ancora più sottovoce.
-
Niente, niente- rispose lui,
voltando di nuovo la testa.
-
Ti faccio ridere?- chiese
Viola quasi spontaneamente.
-
Si-
Questa risposta la lasciò spiazzata. Arricciò il naso
non sapendo se doveva ritenersi offesa o fortunata di suscitare la sua
attenzione.
Manuel si voltò di nuovo verso di lei, l’espressione sul
suo viso cambiò ancora una volta.
-
Non ti sarai mica offesa?-
chiese, di nuovo con quell’aria di chi sa sempre tutto.
-
No, affatto- rispose Viola,
senza esitazione. Per una volta voleva provare a lasciarlo lei spiazzato, ma non
ci riuscì. L’espressione di lui non mutò, restò fermo per qualche secondo, poi
se ne uscì con un altro sorrisino.
Viola si rese conto che la loro conversazione non era
normale. Non erano riusciti né a dire qualcosa che avesse completamente
senso né a collegare due frasi e né
tantomeno a far finta che quel discorso potesse risultare normale in qualche
modo...del resto, c’era qualcosa di normale in lui?
Forse la normalità proprio non lo comprendeva.
O forse era lui a non comprendere la
normalità.
-
Perché ti faccio ridere?-
chiese dopo un attimo, con la tranquillità nella voce.
Manuel non osò guardarla, tenne gli occhi bassi verso il
banco.
-
Che razza di domanda é?-
chiese in tutta risposta, con un altro sorrisino.
Viola alzò le spalle.
-
Sono
curiosa-
-
Si, questo l’avevo
capito-
I loro occhi si incrociarono per un istante, Viola sentì
le sue guance arrossarsi, non riuscì a nascondere il sentimento fulmineo che le
stava attraversando gli occhi.
Manuel la scrutò per qualche secondo prima di
sorriderle, quasi dolcemente.
-
E tu quanti anni hai?- le
chiese poi, riconducendo il discorso sulla linea dell’apparente
normalità.
-
Sedici - rispose Viola, più
lentamente.
Manuel annuì, poggiò la guancia sul palmo della mano e
stette a guardarla per qualche secondo.
-
Tu fai...qualcosa...di particolare?-
Viola restò attonita di fronte a quella domanda.
Lo guardò, gli occhi come vuoti, lo sguardo immobile;
non riuscì a capire cosa ci fosse nella sua voce di tremendamente diverso da
tutto quello che aveva detto prima. D’improvviso era come se il tono fosse
completamente cambiato e le pareva di star parlando con una persona
completamente diversa.
Eccolo, eccolo il campanello
d’allarme.
Eccola la sua stranezza.
Da un momento all’altro era cambiato tutto tra di loro,
adesso lui la stava fissando quasi volesse scavare dentro di lei, era sparito
tutto il suo precedente divertimento e quello che le stava chiedendo, più che
uscire direttamente dalle sue labbra, era come se gli fosse stato infuso da un
qualcosa di sconosciuto.
Questo era un incanto.
Il suo sguardo pareva essere l’unica cosa esistente e
l’animo di Viola iniziò a distendersi morbosamente, - una parte di lei si
arrampicava sulla lucidità, tutto quello che li circondava pareva essere sparito
in una nebbia invisibile.
Fulminei, questi pensieri attraversarono la mente di
Viola per non più di tre secondi, doveva innanzitutto rispondere, anche se,
davanti ad una persona che ti parla in quel modo, non riesci a
pensare.
-
Cosa dovrei fare?- farfugliò
mentre non riusciva a smettere di fissarlo.
-
Non lo so...un’arte per
esempio...si, mi piacerebbe sapere...come trascorri il tuo
tempo?-
Mentre parlava le sue labbra si muovevano troppo
lentamente.
Non poteva aver detto tutte quelle parole in quella sola
emissione di voce.
-
Suono – rispose secca Viola
dopo qualche secondo.
-
Ah. Cosa
suoni?-
-
Il piano
–
L’incanto si
ruppe.
Manuel perse il suo tono di voce e la sua bellezza del
mistero. Sorrise, e il suo sorriso era lo stesso divertito di
prima.
Intorno a Viola fu come se il mondo avesse ripreso a
girare e tutto avesse ripreso un ordine, come se la bolla dentro la quale era
stata chiusa con Manuel per i precedenti minuti fosse scoppiata.
Come se non ci fosse mai stata.
-
E ti piace molto?- chiese di
nuovo lui.
-
Si. Moltissimo- rispose Viola
con un sospiro.
Si voltò verso di lui.
-
E tu cosa fai di
particolare?- chiese lei.
La domanda suonò ambigua, Manuel si voltò ad incrociare
il suo sguardo ma non lo sostenne neanche per un secondo.
-
Niente – rispose,
soffusamente.
-
Non ti piace la musica? –
-
Si, certo. Ma non so suonare.
Me la cavo di più a disegnare –
-
Mmh.
Capisco-
Per un minuto o due rimasero in silenzio, Viola
ragionando sulle rispose di lui.
Stava per aggiungere qualcosa ma suonò la
campanella.
L’incanto fu quindi spezzato del
tutto.
No, non poteva finire così, adesso che avevano iniziato
ad avere un dialogo!
Gli alunni iniziarono a raccattare velocemente le loro
cose, Manuel fu più lento del solito. Viola era decisa a salutarlo per bene,
stava già pensando alle parole da dire quando lui la spiazzò di nuovo, parlando
per primo.
-
Termini alla quinta ora?-
-
Si-
-
C’é una cosa che hanno
dimenticato in sala musica forse da anni. Non so perché nessuno se ne sia mai
curato. Vorrei dartela-
Le guance di Viola passarono dal pallido al rosso, e poi
di nuovo al pallido.
-
Beh
io…insomma…cos’é?-
-
Qualcosa che potrebbe
piacerti. Mi aspetteresti lì?-
-
Perché non fuori
scuola?-
-
Non...- si bloccò un attimo,
- beh sai, non mi piace tanto la folla -
Abbassò lo sguardo come se volesse evitare di
guardarla.
Claustrofobico,
pensò Viola.
-
Oh, nessun
problema-
-
Okay. Ti
aspetto-
-
Okay-
-
Ciao
Viola-
-
Ciao -
Se ne andò, uscì, e questa volta l’incanto finì davvero.
La campanella dell’ultima ora fece sussultare Viola. Non
aveva fatto altro che aspettare quella campanella dalla terza ora.
Si alzò e fu così rapida nel raccogliere la cartella e
la giacca e ad uscire dalla classe che riuscì benissimo ad evitare Daniel e Luce
che si stavano intrattenendo a parlare con altri ragazzi della classe. Il
corridoio della scuola si riempì in un attimo, Viola si fece spazio tra i mille
studenti che adesso affollavano ogni angolo di quello e scese le scale, o
meglio, si precipitò giù per di esse.
Mai aveva avuto tanta fretta di
uscire.
Scese le scale fino al seminterrato della scuola, dove
si trovava la sala musica, e prese a camminare più lentamente. Non voleva
arrivare in anticipo, voleva che quando arrivasse, lui fosse già lì ad
aspettarla. Era una bella immagine quella di lui che l’aspettava, vederlo lì,
fermo, a fissare il vuoto come sapeva fare bene, mentre l’aspettava...si, era
proprio un’immagine che calzava perfettamente nel suo cervello e si stava
divertendo a rigirarsela nella mente in tutte le direzioni.
Arrivata dinanzi alla sala di musica vide che la porta
era socchiusa.
Beh, lui forse era già dentro.
Afferrò la maniglia della porta e l’aprì, si affacciò
con la testa per constatare che ci fosse qualcuno.
Non vide nessuno.
Restò ferma per qualche secondo osservando la saletta
lunga, con le grandi finestre a vetri di fronte alla porta e il piccolo soppalco
sulla sinistra. Due chitarre, - una acustica ed una elettrica, erano poggiate al
muro sul soppalco e un vecchio pianoforte a muro in legno, invece, era disposto
di fronte alle finestre a ridosso dell’altra parete. Una grossa lavagna non
permetteva la visuale dell’ala destra della stanza.
Viola sentì un fruscio.
-
Manuel?- chiamò a bassa
voce.
-
Sono qui- rispose una voce
calda e tranquilla, quella di lui.
Viola entrò tirandosi dietro la porta e raggiunse Manuel
nell’ala destra della stanza, dietro la lavagna.
Lui era lì, davanti agli armadietti pieni di fogli e
testi di canzoni e aveva in mano un libricino sottile e largo, che a vederlo
pareva uno spartito. Viola si fermò a qualche metro di distanza quasi come se
avesse paura di avanzare.
O forse era solo rimasta a fissare come fosse
semplicemente perfetta l’immagine di lui in piedi con quello spartito,
illuminato da un raggio di luce giallastra che filtrava dalle
tendine.
Lui sorrise, nella sua espressione il solito cipiglio
che Viola non era ancora riuscita a decifrare.
-
Ecco, volevo darti questo –
disse poi, avvicinandosi. La mano destra le porgeva qualcosa che inizialmente
Viola non osservò.
Stava osservando la sua mano.
Alzò lo sguardo, poi prese il libricino e
l’osservò.
Era una raccolta dei migliori pezzi di
Bach.
Oh, lei aveva forse due o tre libri pieni di Bach, ma
quello, ne era certa, l’avrebbe amato più di tutti.
Restò ferma a fissare il libricino sentendo la presenza
di lui proprio accanto senza riuscire a parlare.
-
Non ti piace Bach?- chiese
d’improvviso.
Viola sobbalzò, si ridestò dall’estasi e alzò il viso
per guardarlo.
-
Oh no, mi piace molto,
davvero! É stato molto gentile da parte tua, ti ringrazio. Sicuro che non spunti
d’improvviso il proprietario?-
-
Sicuro. É più di tre anni che
é qui – rispose lui, con un sorriso.
Qualche secondo di silenzio bastò per far scendere
un’ombra di imbarazzo.
-
Beh, forse é meglio andare -
sentenziò lui, afferrando la cartella da un angolo della stanza e avviandosi
verso la porta.
-
Manuel!- chiamò lei, quando
lui pareva già essere sparito.
Lui si voltò, non disse niente. Ma il suo sguardo,
intenso, profondo, non necessitava di parole.
-
Beh, ci vediamo domani. E
grazie ancora-
Manuel l’osservò per qualche secondo per poi sorridere.
Era un sorriso divertito, di quelli che non si spiegavano.
-
Si, anche a me farà piacere
rivederti-
Non aggiunse altro, si allontanò velocemente lasciandola
lì, da sola, a fissarlo andar via. Era come veder volare via un sogno, era come
veder sfumare la più belle delle fantasie davanti alla realtà, come veder
passarti davanti la cosa reale più vicina ai tuoi sogni.
Viola si accorse solo dopo un pò essere ancora lì, ferma
– come un’imbecille-, uscì con la
speranza che in un modo o nell’altro lo potesse vedere mentre si allontanava,
invece non fu così.
Lui era già sparito.
Come avesse fatto, Viola non riusciva a dirlo, lo
spiazzo del seminterrato era vuoto.
Viola si guardò intorno più volte, ma niente. Ormai di
lui non era rimasta neanche l’atmosfera.
Strinse il libro di Bach tra le mani mentre le sue
ultime parole le risuonavano nella testa.
Si, anche a
me farà piacere rivederti.
Qualsiasi cosa quell’angelo incatenato al mondo voleva
lasciarle intendere, lei l’avrebbe capito.
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Capitolo 5 *** 4. ***
fiori 5
La situazione
era la stessa per la seconda volta. Stavolta le figure intorno al corpo di Sally
erano nere, mute, sembravano statue, tutte quante in piedi, senza un ordine.
Viola era troppo lontana da loro, seduta sullo sgabellino di un lungo pianoforte
a coda che assomigliava proprio a quello che aveva nel seminterrato. Stavolta
non c’era nessuna nebbia verdolina eppure l’atmosfera era tesa, il silenzio
struggente.
Sul leggio del
pianoforte brillava, quasi fosse avvolto da una luce, il libro di Bach che lui
le aveva dato quella stessa mattina.
Qualcosa
dentro di lei le diceva di mettersi a suonare eppure era come se le sue braccia
fossero bloccate da catene invisibili che non le permettevano di alzare le mani
sulla tastiera.
Poi qualcosa
cambiò.
Lui comparve
dal fondo della palestra e prese a camminare verso di lei.
La guardava,
senza espressione.
Aveva i
lineamenti distesi, la pelle rosea, candida, lucida, perfetta; gli occhi sembravano quasi brillare
sotto quella luce, occhi immobili, chiari, lucenti come la prima volta che li
aveva visti, perfetti, anche quelli.
- Suoneresti
qualcosa?- chiese d’improvviso.
La sua voce
echeggiò per l’ambiente e per la mente di lei.
Viola avrebbe
voluto parlare, rispondergli, ma non ci riuscì. Il respiro le mancava, eppure in
quel momento si sentì piena di forza.
Alzò le mani e
le poggiò sulla tastiera, stava per iniziar quando la mano di Manuel si poggiò su
quella di lei.
- E poi, -
aggiunse, - volevo chiederti scusa per avertelo chiesto solo adesso. Sono un po’
timido, - mentre diceva quest’ultima frase sorrise, sembrò anche che stesse per
arrossire.
Poi
delicatamente le lasciò la mano e lei iniziò a
suonare.
Il sogno finì subito dopo il
Minuetto.
…
Quella mattina era più turbata del solito. Non riusciva
a togliersi dalla testa quello che aveva sognato, ogni immagine le era rimasta
così nitidamente nel cervello che non riusciva a pensare ad altro, ogni cosa che
le era davanti era offuscata da quelle immagini, da quella musica, da quella
maledetta situazione…era così frastornata che arrivò a scuola alle otto e otto
minuti.
Due minuti di ritardo che, se fosse stata lucida, non
avrebbe concepito affatto, mentre adesso non aveva neanche la minima idea di che
ora fosse, neanche le importava. Attraversò con decisione il cortiletto esterno
ed oltrepassò la soglia dell’atrio, poi, inaspettatamente,una mano le toccò la
spalla.
In una manciata di secondi ebbe un gioioso sussulto e lo
placò, poi si voltò e il sussulto ricominciò. Era davvero lui, la sua mano,
l’aveva riconosciuta.
- Ciao. Scusa, non volevo spaventarti – disse con un
dolce sorriso.
Anche lei sorrise guardando l’espressione completamente
nuova di lui. Non era l’espressione del mistero e neanche quella di chi sa
sempre tutto quello che succede, era un’espressione molto più sentimentale rispetto a quelle
analizzate fino a quel momento. Era piena di dolcezza e tenerezza, qualcosa che
non riusciva a spiegarsi.
- Oh no, non mi hai spaventata- balbettò,
attonita.
Lui sorrise.
-
Volevo sapere…ehm…se ti é
piaciuto il libro di Bach. Cioè, lo hai suonato?-
-
Si, si, certo. É molto bello.
Ti ringrazio ancora tantissimo-
Il suo sorriso si colorò di una nuova luce per qualche
istante.
-
Sono contento che ti sia
piaciuto-
Restarono per qualche momento in silenzio, Viola teneva
gli occhi bassi per non fronteggiare uno sguardo che sapeva non l’avrebbe
lasciata indifferente eppure sentiva i suoi occhi addosso.
Stava succedendo qualcosa, eppure non sapeva ben dire
cosa.
-
Tu non hai…mai suonato qui a
scuola, vero?- chiese, mentre la voce diventava ad ogni parola più
soffusa.
Viola fu costretta ad alzare lo sguardo, lui la stava
ancora guardando con quella stessa dolcezza di prima, troppo leggera forse per
essere qualcosa in più ma troppo intensa per essere assimilata ad un semplice
sguardo.
Scosse la testa impercettibilmente mentre lo guardava
negli occhi.
-
No - rispose, senza smettere
di guardarlo.
Lui calò lo sguardo per un attimo come se si fosse
appena resto conto di aver chiesto una cosa davvero stupida, sorrise, - sembrava
un po’ imbarazzato.
-
Io…io non ti ho mai sentita
suonare-
Quella frase la paralizzò
letteralmente.
Era, nello stesso momento, il mistero e la delicatezza.
Non l’aveva mai sentita suonare.
Oh, ma certo, era ovvio. Non si erano mai incontrati
prima. Ma come gli era venuta in mente una cosa del genere? Diavolo, non era una
pensiero di quelli standard, non era una frase normale! Cosa gli frullava nel
cervello, insomma, come riusciva a rendere un’espressione completamente fuori
luogo una cosa così semplice?
Impose a se stessa di riprendersi.
Infondo – ma molto infondo – era solo una
frase.
-
Ci conosciamo solo da due
giorni – sussurrò.
Lui annuì, leggermente divertito.
-
Già - sentenziò, forse a voce
troppo bassa. Sospirò, per un attimo parve confuso.
Lui, confuso?
-
Ma stiamo diventando amici –
si affrettò a dire Viola, cercando i suoi occhi.
Manuel non rispose subito.
-
Certo- disse con uno strano
accento nella voce.
Poi suonò la campanella.
-
Oh, devo scappare!- esclamò
lui d’un tratto, rompendo l’incanto, - di nuovo.
Viola sospirò.
-
Si, anche io
–
-
Ci vediamo a inglese,
Viola!-
-
Si -
-
E..- si fermò, un luminoso
sorriso gli irradiò il volto, - scusami ancora –
-
Di
niente-
Non disse nient’altro, la guardò per qualche altro
secondo con quel suo sorriso – uno di quelli che comparivano inaspettatamente –
e sparì tra la folla, sparì, chissà dove.
…
La porta dell’aula di inglese era chiusa e dentro non
c’era nessuno.
-
Ma che succede?- chiese Tracy
McBean, avvicinandosi al gruppetto di studenti davanti alla
porta.
-
Sembra che il professor Joel
sia assente, oggi – rispose Trevor.
Tracy alzò le spalle con un sorrisetto
malizioso.
Manuel era poggiato con la schiena contro la parete di
fianco alla porta, in silenzio, ma nessuno l’aveva notato.
-
Ora libera, quindi?- chiese
di nuovo Tracy, con la voce più squillante del solito.
-
Beh, direi di sim - sentenziò
Ashley, accanto a Trevor.
-
Evviva!- esclamò Tracy
alzando le braccia.
In quel momento arrivò Viola ma tutti erano troppo
agitati e felici di saltare la lezione per accorgersi del suo
arrivo.
La ragazza osservò il tumulto, si fermò a qualche
centimetro di distanza da un’allegrissima Tracy.
-
A quanto pare é saltata l’ora
di inglese - sussurrò all’improvviso una voce calda al suo
orecchio.
Si voltò di scatto e lui era lì, non più poggiato al
muro.
-
Come sarebbe a dire?- chiese,
arricciando il naso.
-
L’hanno appena detto –
sentenziò a bassa voce Manuel, incrociando le braccia e accennando al gruppetto
alle spalle di Viola.
In quel momento arrivò Lisa, salendo le scale di
corsa.
-
Il vicepreside conferma, ora
libera!-
I ragazzi sorrisero, esultarono il più silenziosamente
possibile;. Viola non poté fare a meno di sorridere osservando tanta gioia.
In meno di cinque minuti il corridoio fu sgombro, Viola
neanche se ne rese conto ma erano rimasti soli.
-
Non sei contenta di avere
un’ora in meno?- chiese d’improvviso Manuel osservando la sua espressione
leggermente afflitta.
-
Oh, beh, dipende. La verità é
che ho solo sei ore nella vostra classe e ne sto appena perdendo una. Me ne
rimangono solo quattro – spiegò.
Lui rise, lei alzò un
sopracciglio.
-
In verità quest’ora potresti
anche non sprecarla- disse poi, sorridendo e alzando le
spalle.
Viola non disse nulla, lui le si avvicinò e d’improvviso
divenne serio. Sul suo volto comparve un alone di dolcezza, come quella che
aveva visto nel suo visto quella mattina.
-
Suoneresti qualcosa,
Viola?-
Era la stessa intonazione e la stessa voce di quella
mattina.
I suoi occhi erano intensi allo stesso modo, la guardava
nello stesso modo. Una parte di lei era persa in quel suo sguardo, sentiva di
star perdendo tutta la ragione che le era rimasta mentre la parte ragionevole
che sopravviveva le stava parlando, le stava dicendo che era questo, -
esattamente- una delle cose che lo rendevano così strano. Era questo suo modo di
fare, era questo suo modo di guardare le persone che forse…no, non poteva essere
quello, uno sguardo del genere – no, impossibile – Viola si rifiutava di credere
che potesse guardare tutti in quella
maniera.
Ad ogni modo, avrebbe mai potuto
rifiutare?
Manuel Green, l’unica persona sulla Terra per la quale
in quel momento sentiva di star esistendo, le stava chiedendo di mostrargli
quello che meglio sapeva fare, e avrebbe avuto anche la forza di
rifiutare?
No.
-
Certo- rispose,
arrossendo.
-
Grazie infinite- sussurrò
lui, guardandola ancora, - ti avverto che…beh, io non sono esperto di musica
classica. Anzi, in realtà non ne so assolutamente niente-
Stavolta fu Viola a ridere, abbassò lo sguardo, lui era
diventato rosso ma non la smetteva di sorridere.
-
Non preoccuparti. Suono
sempre davanti a persone per niente esperte- confessò, mentre gli occhi le
brillavano dalla gioia.
Nessuno dei due aggiunse altro, scesero silenziosamente
la scala deserta e arrivarono al seminterrato, alla sala
musica.
Come il giorno prima, la sala era vuota e sapeva di
antico. La luce che filtrava dalle finestre era sempre giallastra, adesso un po’
più luminosa del giorno prima.
Il vecchio pianoforte era illuminato da uno di quei
raggi, Viola entrò per prima nella stanza, Manuel la seguiva
silenzioso.
Si fermò davanti al piano, poggiò una mano sulla
tastiera mentre Manuel si sedette sul tavolino alla destra del pianoforte,
incrociò le braccia.
-
Prego, maestro! – scherzò, invitandola a
sedersi e a suonare.
Viola si sedette, sentì il peso del mondo caderle dalle
spalle nel momento in cui poggiò le mani sulla tastiera. Liberò la mente, chiuse
per un attimo gli occhi e le mani iniziarono a tremarle.
Non ci pensò un attimo, suonò un pezzo di Bach, uno di
quelli che aveva imparato a memoria durante l’estate per ingannare il tempo, uno
dei suoi preferiti.
Quel giorno fu la prima volta che non si astrasse
totalmente mentre suonava, stava tenendo bene a mente una cosa, - la sua presenza. Non poteva osservare il
suo viso, non poteva neanche cercare di capire cosa stesse pensando, se si stava
emozionando, che cosa stava percependo.
Questa era l’unica cosa incredibilmente
frustrante.
La musica sfumò, Viola alzò leggermente il piede dal
pedale – la sonata era finita – e per qualche momento restò ferma mentre sentiva
nel suo cervello le note dissolversi.
Avrebbe voluto avere il tempo di girarsi e di osservare
la sua espressione ma lui si alzò e le arrivò accanto, si inginocchiò dinanzi
alla tastiera tanto che il suo naso le sfiorava le mani e rimase lì per qualche
secondo.
L’espressione di quei secondi nel suo gesto totalmente
nuovo ed insolito la fecero quasi rabbrividire, la sua figura lì, inginocchiata,
con gli occhi fissi sulle sue mani si dipinse nella sua mente come un flash che
da quel momento in poi avrebbe sempre ricordato.
- E’ magnifico – disse infine,
alzandosi.
Viola osservò i suoi movimenti, poi si alzò anche
lei.
-
Oh no, ti prego, suona
ancora-
Lei rise.
-
No, per
favore…-
-
É fantastico,
davvero-
-
Questo era Bach
–
-
Sai suonarlo
magnificamente-
-
Grazie-
-
Ma ti prego, Viola, suona
ancora. Una cosa minuscola, la cosa più stupida che
conosci!-
Viola rise di nuovo, gli occhi di lui brillavano, era
bellissimo.
-
Non conosco nient’altro a
memoria come questo-
-
Non importa. Mi piace
guardare le tue mani mentre suoni-
Manuel chiuse le mani di Viola nelle sue – le mani di
lui erano calde – la guardò per
qualche altro attimo, nel suo viso brillava qualcosa, Viola non avrebbe saputo
dire con precisione di cosa si trattasse ma era un misto tra desiderio,
sorpresa, meraviglia, commozione.
Lentamente le lasciò le mani, Viola restò immobile per
qualche secondo, il tempo di lasciare che il sangue ricominciasse a scorrere
nelle vene.
-
Io ti ringrazio davvero,
Manuel. Mi stai riempiendo di complimenti-
-
O ti sto riempiendo di
verità. Mi piace davvero molto-
Lei sorrise, abbassò gli occhi.
-
Non vuoi suonarmi neanche una
nota?- chiese poi, ironico. Viola scoppiò a ridere, Manuel la invitò con un
gesto del braccio a sedersi di nuovo, Viola lo accontentò.
Posò il dito sul Do.
Manuel rise.
-
Una nota, avevi detto- lo
ammonì Viola.
-
Davvero ho detto
così?-
-
Si. E questa era una
nota-
-
Avresti potuto dirmi anche
che era un altro pezzo di Bach, ci avrei creduto-
Viola rise di nuovo, abbassò la testa lasciando che i
capelli le cadessero sul viso.
-
Qual é il vero motivo per il
quale non vuoi suonare un altro pezzo?-
Alzò lo sguardo.
-
Mentre suono non posso
guardarti. E non posso vedere qual é la tua espressione-
Ecco, ci era riuscita, l’aveva
spiazzato.
Manuel divenne serio per un attimo, il suo viso si
colorò di una nuova luce, qualcosa che per un brevissimo attimo le parve
addirittura timore. Avrebbe pagato
per sapere quello che gli stava passando per la testa.
Dopo un attimo si ricompose.
-
Sono incantato. Questa é la mia espressione
quando suoni-
-
Cambi espressione troppo
spesso per rimanere incantato durante tutta la durata della
sonata-
-
Tu sei un po’
strana-
-
Anche tu lo sei, Manuel
-
Rimasero in silenzio per un
momento.
-
Io non sono strano – concluse
poi lui, mentre sul suo viso si leggeva ora la confusione ora
l’indifferenza.
Viola arricciò il naso, gli lanciò
un’occhiata.
Non si aspettava una risposta del genere, eppure il suo
viso era rilassato. Ancora una volta era come se sapesse anche quello che lei
non aveva detto.
Poi rise.
-
Okay, forse un po’ lo sono.
Ma non come pensi tu-
-
Tu non sai quello che sto
pensando-
-
Ma di certo non é quello che
pensi-
-
E come fai a
saperlo?-
-
Cosa stai
pensando?-
-
Perché dovrei
dirtelo?-
-
Così ti dico se é
vero-
-
Non me lo
dirai-
-
Tu
provaci-
-
E chi mi garantisce che mi
dirai la verità?-
-
Devi
fidarti-
Lui le piantò gli occhi in faccia. Anche stavolta Viola
avrebbe dato tutto quello che aveva per sapere cosa pensava, che cosa mai lo
avesse indotto a fare questa domanda.
-
A me piace come sei. Questo é
quello che penso. -
Ecco. Questa era di sicuro una verità.
Manuel scosse il capo con un sorrisino,
sospirò.
-
Ti piace come
sono?-
-
Si-
-
E come
sono?-
-
Che razza di domanda é
questa?-
-
É una domanda
semplice-
-
Anche io potrei chiederti la
stessa cosa, sai-
Adesso doveva arrampicarsi sugli specchi, non poteva
rispondere a tutto quello che le chiedeva.
-
Cosa?-
-
Perché pensi che sono strana,
ecco, potrei chiedertelo-
-
Io posso
dirtelo-
-
Okay-
-
Perché a me piace come sei. E a me non
piacciono tutti-
-
Hai semplicemente ripetuto la
mia stessa risposta e non posso considerarla valida-
-
Si che é valida. E tu sei
davvero inusuale -
-
E sarebbe a
dire?-
-
Adesso vuoi
troppo-
-
Una parola, una
sola-
-
Una
sola?-
-
Si, una
sola-
-
Limpida-
Lo guardò negli occhi, sentì il cuore scoppiarle nel
petto.
L’aveva spiazzata - di nuovo -, e adesso non riusciva a
parlare e né a mettere i pensieri in ordine, lì, davanti ai suoi occhi, davanti
al suo sguardo.
Manuel le si avvicinò, sorrise, un sorriso
divertito.
-
Sicura che non vuoi suonare
niente davvero?- chiese, chinando il capo fino alla sua
fronte.
Adesso era troppo vicino.
-
Si,
sicura-
Viola si alzò, Manuel le scrutò il
volto.
In quel momento sentirono la porta della sala musica
aprirsi.
-
Manuel…?-chiamò una
vocina.
-
Candace!-
Manuel quasi saltò dalla sorpresa, si avvicinò alla
porta.
La ragazza dai capelli ramati e il ragazzo con i corti
capelli neri entrarono, quatti quatti, silenziosi, con l’espressione tranquilla.
Manuel sorrise ad entrambi.
-
Ciao
ragazzi!-
-
Scusaci se siamo venuti fin
qui, ma non sapevamo dove cercarti e…- cercò di spiegare il ragazzo con i
capelli neri.
-
No, non preoccupatevi!-
Manuel sorrise rilassato, la ragazza con i capelli
ramati si voltò verso Viola.
-
Ciao, io sono Candace!-
disse, avvicinandosi e porgendole la mano.
-
Piacere, Viola - disse lei a
sua volta, timidamente.
Manuel alzò le braccia.
-
Oh, stavo dimenticando le
presentazioni…beh, Viola, loro sono Candace e Joseph…ragazzi lei é Viola…é nel
mio corso di inglese- spiegò velocemente, mentre Viola osservava le sue guance
dipingersi di un leggero rossore.
-
Piacere di conoscerti, Viola-
disse Joseph avanzando e porgendole la mano come prima aveva fatto
Candace.
-
Il piacere é mio-
Candace e Joseph si scambiarono un’occhiata poco chiara,
poi Manuel intervenne:
-
Beh, ragazzi, perché mi
stavate cercando? É successo qualcosa?-
-
Oh, no, niente, davvero…solo
che siamo passati davanti all’aula di inglese e abbiamo visto che era vuota,
abbiamo pensato che forse avevi bisogno di compagnia ma… a quanto
pare…-
Candace guardò Viola.
-
Non c’é nessun problema,
io…stavo andando, davvero…ho un’altra lezione adesso, non vorrei arrivare in
ritardo!-
Viola si sentiva tremendamente in imbarazzo, era rossa
da capo a piedi e sentiva che da lì a poco si sarebbe sciolta se non fosse
uscita da quella stanza.
-
Ma puoi restare, davvero…-
iniziò a dire Joseph, ma un altrettanto imbarazzato Manuel gli diede una
gomitata.
Dal suo viso si capiva che anche lui si trovava
esattamente nella sua stessa situazione.
-
E’ stato un piacere
conoscerti Viola!-esclamò Candace.
-
Anche per me. Ciao Manuel, ci
vediamo…-
-
…all’uscita.
Aspettami-
-
Okay. Ciao
ragazzi!-
-
Ciao!-
Viola uscì precipitosamente raccogliendo in fretta le
sue cose, la porta della sala musica quasi sbatté.
Candace guardò di sottecchi
Manuel.
-
Allora?-
-
Allora
cosa?-
-
Non hai niente da
dirci?-
-
No-
Candace scoppiò a ridere.
-
Siete arrossiti come se vi
avessimo sorpreso a rubare in una banca!- esclamò.
-
Comunque lei é carina!-
esclamò a sua volta Joseph.
Manuel scosse la testa con un sorrisino che non riuscì a
nascondere.
-
Non é come pensate
-
-
Ma che c’é di male, dopo
tutto? Tu che te ne stai sempre da solo, senza nessuno…era ora che ti cercassi
una ragazza!- insistette Candace.
-
Ma Viola non é…la mia ragazza-
La sua voce era diventata soffusa.
-
Beh, non
ancora!-
-
Siamo amici, Candace. E non
credo di interessarle in quel
senso-
-
Scherzi? Ti guardava in un
modo!- disse Joseph.
-
Ti sarai impressionato. Lei
può trovare di meglio in giro-
Manuel poggiò le mani sul tavolino dando le spalle agli
amici. Improvvisamente si era oscurato.
Candace lanciò un’altra occhiata a Joseph, entrambi
capirono.
Era meglio non insistere.
Candace gli poggiò una mano sulla
spalla.
-
Hai la faccia di uno che non
ne vuole parlare-
-
Già-
Manuel chiuse per un secondo gli occhi,
sospirò.
-
Non preoccuparti. Ricordati
che ti vogliamo bene- intervenne Joseph avvicinandosi.
-
Grazie
ragazzi-
Manuel riaprì gli occhi, afferrò la
giacca.
-
Vi dispiace se mi avvio?
Vorrei stare un po’ da solo –
-
Okay. A
dopo-
-
A dopo-
Manuel abbozzò un sorrisetto ed uscì, Candace sospirò e
si sedette sul tavolino dove poco prima poggiava l’amico.
-
Che cos’ha secondo te?-
chiese d’improvviso Joseph, rompendo quegli attimi di
silenzio.
-
Sai com’é fatto Manuel,
Joseph - sentenziò Candace, - ogni tanto é così-
-
No, non intendo quello - insistette Joseph, - insomma,
non aveva mai parlato con una ragazza prima d’oggi! O meglio, io non l’avevo mai
visto!-
Joseph fissò con gli occhi spalancati l’amica per
qualche momento fin quando Candace non cambiò espressione e divenne pensierosa.
-
Credi che l’abbia ferito,
Joseph? Dicendogli che se ne sempre per conto suo?-
Candace alzò gli occhi scuri verso
l’amico.
-
No, Candy. Lui lo sa. Manuel
sa com’é fatto-
-
Sarà! Il problema é che
alcune volte proprio non lo capisco, Joseph -
-
Io non lo capisco mai, pensa
un po’!-
Candace soffocò un sorrisino.
-
Chi sarà questa Viola?-
-
Non lo so. Però mi é sembrato
che, insomma, stessero bene insieme-
-
In effetti lui aveva una
certa faccia-
-
Credi si sia innamorato di
lei?-
Candy rise, Joseph alzò le spalle.
-
Non credi che la conosce da
un po’ troppo poco tempo?-
-
Beh, non sarebbe la prima
volta che Manuel ci sorprende-
-
Già -
Candy sospirò arricciando il naso. In definitiva, le
risposte che Manuel le aveva dato poco prima non avrebbero dovuto sorprenderla
affatto, lui era sempre un po’ così, insomma, un po’ strano.
A Candace non erano mai piaciute le chiacchiere della
gente, aveva sempre fatto in modo di restarne fuori per la falsità con la quale
trattavano qualsiasi argomento, ma per quanto riguardava Manuel, beh, era stato
infelice constatare che le chiacchiere non dicevano niente di sbagliato, solo
l’oggettivo. Manuel era davvero
timido, introverso, isolato dalla società, si chiudeva nella sua espressione
fredda ed ermetica che se non lo si
conosceva ( e quasi nessuno lo conosceva) si pensava che avesse qualche
problema, un qualsiasi problema di comunicazione, ma non era così. Quando lei e
Joseph erano diventati suoi amici – circa due anni prima – Manuel aveva buttato
via la maschera del ragazzo chiuso e aveva iniziato ad essere affettuoso, dolce
e sorridente come sapeva essere. Era come se lui li trattasse da privilegiati, come se loro – Candace e
Joseph – fossero meritevoli di essere trattati bene a differenza della massa.
Una volta che lo conoscevi e ci passavi un po’ di tempo
insieme dimenticavi perché tutti lo reputavano strano, dimenticavi il suo viso
freddo e persino che in classe non spiccicava una parola se non interrogato dai
professori. Candace e Joseph avevano imparato a dimenticare tutte queste cose
anche se di tanto in tanto scendeva quell’ombra e succedeva qualcosa che nessuno
dei due capiva. Dall’espressione sul suo viso sembrava sempre qualcosa di
orribile, di tremendamente triste e senza speranza, ma non ne parlava mai.
Questo era Manuel, o almeno, questo era quello che loro
credevano lui fosse.
-
Candace? Hai sentito quello
che ho detto?-
Joseph le sventolò una mano davanti agli
occhi.
-
Scusami. Riflettevo. Cosa
dicevi?-
-
Dicevo che per passare il
tempo fino alla prossima lezione potremmo andare a compare qualcosa da mangiare
giù al bar…-
-
Ma é possibile che hai sempre
fame?-
-
Non ho sempre
fame!-
-
Si
invece…-
…
.
Viola era mimetizzata tra la folla, aveva le guance
rosee, gli occhi persi a guardare qualcosa impresso dentro di lei e le mani
stringevano le maniche della cartella.
Le stringeva così forte che le nocche erano
bianche.
Si fermò davanti a uno dei muretti che circondavano lo
spiazzo e si sedette lì con la cartella poggiata sui piedi ad aspettarlo, come
lui le aveva detto. Dalla scuola uscirono tantissimi ragazzi e lui fu uno degli
ultimi. Viola si stava già preparando a chiamarlo come se fosse sicura che
passando non l’avesse vista, ma lui la vide subito.
-
Grazie per avermi aspettato-
disse.
-
Niente. – rispose Viola,
guardandolo a stento.
Era come se l’imbarazzo che avevano sentito entrambi in
sala musica non fosse mai finito, ed erano entrambi troppo timidi per prendere
in mano la situazione.
-
Volevo chiederti scusa,
insomma, i miei amici si sono presentati così all’improvviso
e...-
-
No, non preoccuparti Manuel
-
-
Sicura?-
-
Si si, certo. E poi sono
simpatici-
Manuel la guardò, vide un sorriso tranquillo e
rassicurante sul suo volto.
Poi sorrise anche lui.
-
Beh...si, loro sono...sono i miei migliori
amici-
Il tono con il quale l’aveva detto aveva tutta l’aria di
una confessione: aveva gli occhi bassi, il rossore pallido sulle guance e i
capelli sugli occhi. Come se non avesse mai parlato a nessuno dei suoi
amici.
Viola sorrise.
Oh, aveva capito. Loro erano i suoi Daniel e Luce, con l’unica differenza,
loro erano più premurosi e meno curiosi.
-
Ehm, senti, ti va di fare
quattro passi? Hai da fare?- chiese poi lui, rompendo di nuovo il
silenzio.
Viola alzò gli occhi e incrociò i
suoi.
-
No, non ho da
fare-
Manuel sorrise, l’aiutò a scendere dal
muretto.
Il sole gli illuminava i capelli, li faceva quasi
splendere come se fossero fatti d’oro.
Si incamminarono lontano dalla scuola alla volta del
viale principale che mano mano si riempiva di studenti che tornavano a casa.
C’era una strana atmosfera in giro, per un momento sul volto di lui passarono
una centinaia di ombre diverse, nessuna delle quali Viola riuscì a percepire,
quasi come se stesse ragionando in solitudine.
Quando furono abbastanza lontani dalla folla e
costeggiarono gli alberi del parco i lineamenti di lui si
rilassarono.
Che non gli piaceva la folla era indubbiamente vero.
-
In realtà, ho riflettuto su
quello che hai detto- iniziò, con un’aria mista tra il serio e il confusionario,
- ...quando hai detto che sono strano-
Viola si voltò verso di lui.
-
Hai
riflettuto?-
-
Si-
-
E a cosa sei
arrivato?-
Manuel rise abbassando gli occhi.
-
Penso che per un lato siamo
simili, Viola-
Lui alzò gli occhi verso di lei per scrutare la sua
espressione.
-
L’unico problema é che –
continuò dopo un attimo, - non so quale sia questo lato-
Viola alzò le spalle.
-
Beh, non devi cercarlo per
forza. Beh, voglio dire, a me sta bene così...certo, non ci avevo mai pensato,
però...insomma, forse il fatto é che io non ti considero strano, o meglio, io
prendo la tua stranezza come normalità-
Non riusciva a credere di averlo davvero detto.
Si morse la lingua, con la coda dell’occhio osservò la
sua espressione. Si aspettava di vederlo confuso, magari anche deluso da quello
che aveva detto, ma lo trovò divertito.
Diamine, perché era divertito?
-
Con questo non voglio dire
che...cioé...insomma, io credo che tu...-
-
Okay, okay, ho capito-
Manuel rise di nuovo.
-
Tu mi fai davvero ridere-
sentenziò.
-
Si, me n’ero
accorta-
-
Il fatto é che sei alquanto
contraddittoria. Prima dici che sono strano, poi ti rimangi tutto dicendo che
accetti la mia stranezza come normalità. Insomma, é un concetto interessante,
ma...-
-
Non é difficile da spiegare,
sei tu che mi confondi-
-
Io ti
confondo?-
-
Si-
-
Non capisco come avrei potuto
farlo. Non ho detto neanche una sillaba, hai parlato da
sola-
-
Non sono le tue parole che mi
confondono-
-
E cosa
allora?-
Viola rimase in silenzio. Era in trappola stavolta, non
sapeva proprio cosa dire. Com’era possibile che riuscisse sempre a scamparla,
lui, sempre ad avere la risposta pronta?
Sospirò come per riuscire a tradurre in parole quello
che cercava di cogliere dal vorticoso caos di pensieri che lo
riguardavano.
-
Sono i tuoi silenzi,
ecco-
Manuel socchiuse gli occhi, parve rifletterci
su.
-
Quello che mi dice anche
Laney -
Viola voltò di scatto la testa verso di lui. Laney? E
chi era?
Un morsa le strinse forte il cuore, sospirò soffusamente
come per riprendere la calma che sapeva di star perdendo.
Oh mio Dio, stava perdendo la calma! Perché diavolo la
stava perdendo? Se pure fosse stata la sua...la sua...ragazza, si, ecco, se pure fosse stato
così, cosa mai avrebbe dovuto interessarle? Loro non stavano insieme, si
conoscevano solo da tre giorni e...insomma, era qualcosa di totalmente fuori dal
normale!
Eppure quello che sentiva in quel momento era una sorta
di morbosa gelosia.
-
Laney?- chiese, controllando
la voce.
-
Esattamente- rispose lui,
un’espressione alquanto seria.
Viola non aveva il coraggio di chiedere altro, non aveva
idea di quale reazione avesse potuto suscitare in lui eppure una parte di lei,
quella parte gelosa, quella che in un
remoto angolo della sua mente lo adorava come se fosse un angelo, prese il
sopravvento.
-
Chi é
Laney?-
La domanda era diretta, lo guardava negli occhi e un
tremolio innaturale le animava la voce.
Manuel sostenne il suo sguardo per un
attimo.
-
E’ mia sorella-
Il buco che c’era nello stomaco di Viola si chiuse, le
ritornò il colorito sulle guance e si trattenne dal sorridere – un sorriso che
sarebbe stato di gioia.
Sorella, aveva detto.
-
Oh, tua sorella- ripeté,
mentre la parte razionale di lei sbraitava contro quella che era stata gelosa anche se nello stesso tempo la
ringraziava perché aveva placato un dubbio che stava tormentando anche
lei.
-
Già. Chi credevi
fosse?-
-
Non lo
so-
-
Davvero?-
-
Si-
-
Non sarai stata mica...gelosa?-
Viola arrossì, quella parola fece crollare il muro di
indifferenza che aveva cercato di sorreggere.
Il tono di lui protendeva verso il divertito, - come
sempre.
-
Non dire
sciocchezze-
-
Non eri
gelosa?-
-
No-
-
Neanche un
po’?-
-
No-
-
Sicura?-
-
Si-
Manuel alzò le spalle divertito, ancora una volta
sembrava stesse ragionando e divertendosi su qualcosa che a lei restava
oscuro.
-
Bene...- iniziò, a
testimonianza che non era affatto stanco dell’argomento – visto che non eri gelosa... sarà ora che
ti parli di Lindsay -
Viola sentì un nuovo tuffo al cuore, stavolta non riuscì
ad impedire a quella parte di lei che inconsciamente lo desiderava di saltare
fuori e mostrare tutta la sua disperazione.
-
Perché mi guardi in quel
modo?- chiese lui.
-
Non ti sto guardando –
rispose lei freddamente.
-
Non vuoi
saperlo?-
-
Cosa?-
-
Chi é Lindsay
-
Oh certo, per romperle un osso magari!, pensò
Viola.
- Chi é?- chiese, con la voce tremante e mossa da un
qualcosa di tremendamente triste.
Manuel scoppiò a ridere.
-
E’ uno
scherzo!-
Viola si sentì quasi venir meno.
- Sei un’idiota!-
La frase le uscì quasi da sola.
-
Ah, non sono un’idiota, sei
tu che non sei
gelosa!-
-
Questo era un colpo basso,
non vale!-
-
A te non dovrebbe
interessare, tanto tu non sei gelosa...-
-
Io
non...-
-
Non dovresti tradire le tue
sensazioni così...-
-
Okay okay, vuoi sentirti dire
che sono gelosa? Bene, sono gelosa! E tanto anche!-
Viola quasi urlava, gli puntava il dito
contro.
Lui rise di nuovo.
-
Bene- sentenziò dopo un
attimo.
Viola si sentiva in imbarazzo. La parte razionale si
chiedeva se esistesse sulla Terra una persona più stupida di lei mentre quell’altra parte era
contenta.
Oh no, ma adesso doveva riconquistare
terreno.
-
E tu? Tu saresti geloso?- gli
chiese.
La domanda lo aveva spiazzato anche se questo non era
l’intento di Viola.
-
Geloso?-
-
Già-
-
Di
cosa?-
-
Beh, di me. Nei miei
confronti-
-
Dipende-
-
Dipende?-
-
Si-
-
Da
cosa?-
Manuel esitò per un attimo.
-
Se tu suonassi per un altro
ragazzo sarei geloso. Gelosissimo-
La parte che lo amava esultò; la parte razionale era un
po’ confusa.
-
Se suonassi per un altro
ragazzo?-
-
Già. Non credo riuscirei a
sopportarlo-
-
Quindi é un
si?-
-
Cosa?-
-
Saresti
geloso?-
-
Tu non darmi motivo per
esserlo-
Era rimasto fermo, tutto d’un pezzo, come se quello che
avesse detto non l’avesse toccato minimamente.
Viola aveva la testa nel pallone.
Erano arrivati all’incrocio e si stava facendo tardi.
Sarebbe stato meglio se fosse andata a casa, o, conoscendo Janine, avrebbe
iniziato a chiamarla preoccupata e non lo sopportava
affatto.
-
Beh, credo che sia meglio che
continui per di là, - disse, indicando la strada che si diramava alla sua
destra, - o arriverò tardi a casa-
-
É già
tardi?-
-
No, ma lo diventerà
-
-
Vuoi che ti
accompagni?-
La domanda la fece sorridere.
-
No, grazie. Non
preoccuparti-
-
Sicura?
-
Si,
davvero-
-
Okay...ci vediamo domani
allora-
-
Si.
Certo-
-
Ciao
Viola-
-
Manuel...-
-
Si?-
-
Ero davvero
gelosa-
Lui sorrise.
-
Non preoccuparti, non ne hai
affatto motivo-
E così dicendo si voltò e si incamminò
via.
La parte che lo amava cresceva, la parte razionale
moriva sempre più.
Note:
Approfitto per augurare a quanti leggeranno uno
splendido anno nuovo. Che un buon libro sia sempre con voi! Ne approfitto anche
per ringraziare le 12 persone che seguono questo racconto, e le invito come
sempre a commentare.
Grazie e a presto,
Lara
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Capitolo 6 *** 5. ***
fiori6
L’allegria che circondava quel momento era quasi
inesistente per Viola.
Luce poggiò un vassoio con tre tazze di té sul tavolino
basso della sua stanza, sorrise facendo ondeggiare i capelli e si sedette
accanto a lei mentre Daniel osservava le tazze di té con fare
indugiante.
-
Bene, veniamo al dunque-
Luce si sistemò con la sua tazza tra le mani, Daniel
afferrò la sua con fare esitante.
-
Al
dunque?-
Viola alzò la testa, la sua voce era tranquilla e pacata
come se il “dunque” di Luce non
intendesse premettere nulla di nuovo e strano anche se nel tono dell’amica c’era
qualcosa che lasciava prevedere appunto quello.
-
Già. In realtà noi ti
dovremmo parlare-
-
In realtà é Luce che vuole
parlarti, io glie l’avevo detto di...-
-
Non é vero! Daniel e io ci
abbiamo pensato a lungo e...-
-
A lungo? Ma se hai deciso
tutto da sola in meno di un quarto d’ora!-
-
Ma tu sei stato d’accordo con
me!-
-
Si ma io avevo suggerito di
aspettare un po’ prima di...-
Viola li osservava confusa, i loro visi erano agitati e
le tazze di té ballonzolavano tra
le loro mani.
-
Cosa sta succedendo?- chiese
poi, assalita dalla curiosità.
Luce sospirò, poi arricciò il
naso.
Viola conosceva quell’espressione.
Stava pensando ad un giro di parole, qualcosa che
l’aiutasse a rendere quello che voleva dire meno diretto.
Afferrò la tazza di té e ne bevve un sorso attendendo
che Luce parlasse.
-
Tu lo conosci, Manuel
Green?-
Il té le andò di traverso.
Iniziò a tossire, Luce le diede alcuni colpetti sulla
schiena, Daniel soffocò una risata.
-
Cosa?- chiese con la voce
strozzata appena le fu possibile parlare.
-
Manuel Green. Io non l’ho mai
sentito, eppure Tracy dice che voi siete...molto amici. Insomma, hai capito. É
vero?-
Luce la fissò con sguardo indagatore, Viola perse tempo
tossendo ancora.
Che ne sapevano loro di Manuel? E che ne sapeva Tracy?
Oh, quanto era stata stupida! Era certa che si fosse messa a spettegolare, si,
ne era certa, avrebbe dovuto capirlo sin dal primo giorno, sin da quando le
aveva chiesto come avesse fatto a parlare con lui.
-
Allora?- chiese di nuovo
Luce.
-
No, ragazzi, non stiamo insieme – e qui si fermò, il suo
sguardo tradì qualcosa, - e voi non
dovreste credere a quello che dice Tracy!- sbottò infine, quasi
arrabbiata.
Luce e Daniel si scambiarono uno
sguardo.
-
Noi non ci abbiamo creduto –
cercò di riparare Daniel.
-
Se non ci aveste creduto non
me l’avreste chiesto – sentenziò Viola, poggiando di nuovo la tazza di té sul
tavolino.
-
Ma lo conosci?- irruppe
Luce.
-
Chi?-
-
Questo Manuel
Green-
Viola esitò un attimo. Era il momento giusto per parlare
ai suoi amici di Manuel?
Aveva paura dei loro giudizi.
-
Beh si, lo conosco- confessò
infine.
Si guardarono di nuovo, Daniel e Luce, entrambi con
un’espressione stranita.
-
Come lo conosci? E perché
Tracy va in giro dicendo quelle cose? Vi ha visti parlare? Insomma, perché non
ci hai detto niente?-
Le domande a raffica di Luce misero Viola in
difficoltà.
-
Lo conosco da tre giorni,
Luce, é solo un amico, un compagno di scuola-
-
Dici sul
serio?-
-
Perché dovrei
mentirvi?-
-
Questo non lo
so-
Viola sospirò. Aveva capito che Luce non avrebbe
abboccato a questa storiella.
-
Tracy ci ha parlato un po’ di
lui – intervenne Daniel.
-
Parlato di
lui?-
Viola si drizzò sulla sedia, gli occhi curiosi.
-
Si. Ci ha detto che
é...insomma, un tipo un po’ strano, solitario, chiuso...introverso. E che invece
con te parla, a lezione, sorride e si apre-
Viola si sentiva come se avesse dei riflettori puntati
addosso. Non aveva mai pensato alle conseguenze che avrebbe potuto avere il suo
avvicinamento ad un ragazzo come Manuel, circondato dal mistero e chiuso agli
altri. No, davvero non ci aveva mai pensato.
-
Beh é timido, questo é vero.
Ma non é antipatico-
-
Lui ti
piace?-
Luce aveva placato il suo tono di voce aggressivo,
adesso era tranquilla e fissava con occhi vuoti la tazza di té che le era
davanti.
-
E’ un ragazzo interessante-
sibilò.
Ecco, lo sapeva che non sarebbe stata capace di
mentire!
Luce rise, Daniel abbassò gli occhi, una sorta di
imbarazzo gli coprì il volto.
-
Okay, abbiamo capito!- fece
Luce, quasi canzonandola.
-
Non ho detto che ci sposeremo
il prossimo mese, ho soltanto detto che é interessante, nel senso che...si, é
simpatico, e anche se é timido ha un bel carattere -
-
Siamo tuoi amici, Viola: a
noi puoi dire la verità-
Lo sguardo di Daniel puntato su di lei era come una pala
che scavava nella sua anima.
-
Questa é la
verità- disse infine, fingendo la più totale tranquillità.
-
Bene. Noi ci crediamo, perché
non dovremmo?, e...mi dispiace se sono apparsa aggressiva. Il fatto é che mi
sembrava strano che non ce ne avessi parlato- sentenziò Luce, portandosi la
tazza alle labbra.
-
Beh, in effetti é vero, non
ve ne avevo parlato, ma non ho mai pensato di nascondervi qualcosa, soprattutto
le cose importanti -
Viola abbassò gli occhi, sentiva lo stomaco
contorcersi.
Daniel ruppe quell’atmosfera di imbarazzante silenzio
scoppiando a ridere.
-
Perfetto! Tutto é bene quel
che finisce bene! Tornando a noi, Luce, ascolta, che ne dici di mettere la mia
tazza di té nel frigorifero?-
-
Frigorifero?-
-
Già. Non riesco a berlo così
caldo, mi disgusta-
-
Ma il té si beve
caldo!-
-
Si ma non riesco a berlo!
Avanti, portalo nel frigorifero, almeno fin quando non sarà sparito il
fumo...-
-
Sei
anormale!-
-
Okay, se non vuoi metterlo
nel frigorifero mettici almeno qualche cubetto di
ghiaccio...-
Viola sorrise osservandoli litigare bonariamente, le
tipiche scene che riguardavano solo loro, momenti magici che soltanto
un’amicizia fondata sulla sincerità poteva regalare.
Eppure dentro di lei cresceva il senso di colpa –
insieme con l’ansia.
Non aveva detto tutta la verità.
...
Il corridoio
era buio, lungo, c’era soltanto una luce, una luce lontana, sembrava provenisse
da una porta aperta. Non c’erano finestre né altre porte, il corridoio era
totalmente immerso nelle tenebre e sembrava stringersi ed allungarsi ad ogni
passo che faceva.
Il silenzio
regnava sovrano.
Poi,
d’improvviso, un fruscio, come un ticchettio di passi.
Si voltò di
scatto.
Fu inondata
dalla luce.
Adesso si
trovava nel salotto di casa sua, Daniel, Luce e Mia erano seduti, tutti e
quattro, sul suo divano rosso.
-
Viola, Viola! Dove sei stata? Perché non tornavi?-
esclamò Luce, alzandosi e andandole incontro.
-
Non lo so...io...non sono andata da nessuna parte, ero
qui!-
-
Dicci la verità, per una volta, Viola!- sbraitò lei, di
rimando.
Anche lei si era alzata, ma la guardava con uno
sguardo pieno d’odio.
-
Sei andata da lui, e non sei
più tornata!- gridò Daniel.
-
Non é vero! Non é vero!-
Gli occhi le
pizzicavano.
-
Allora, allora, hai scoperto di cosa si trattava?-
chiese Mia, con la voce più tranquilla e un sorrisetto
enigmatico.
Viola non ci
capiva nulla, sentiva il panico salirle lungo la
schiena.
Lo sguardo di
Luce la uccideva.
-
Cosa? Ma che succede?- chiese, con gli occhi pieni di
lacrime.
-
Cosa succede? Succede che non ci hai detto la verità, e
non l’hai detta a nessuno di noi! Chi é lui, Viola? Smettila di fingere! Sei
andata via con il primo che capita!-
Luce sembrava
non muovere le labbra, ma Viola sentiva risuonarle la voce nella
testa.
-
Smettila Luce! Non parlare così di
lui!-
Poi tutti
sparirono, lei iniziò a tremare, ricominciò il vuoto.
Era come se si
trovasse in un vortice senza fine, alzò gli occhi al cielo, un vento freddo le
raggiunse il viso, le scompigliò i
capelli; il vento la mise presto in ginocchio, la luce si stava affievolendo.
Adesso era da sola, nel buio più totale. Iniziò a piangere, le lacrime le
scendevano sulle guance come se fossero un fiume, la voce era soffocata
all’interno della gola e non riusciva ad
urlare.
-
Viola! Viola, calmati! Mio
Dio, non fare così!-
Il tremore si placò al suono di
una nuova voce.
Il vortice era sparito e con
lui la sensazione di precipitare nel vuoto. Adesso lui era lì, e la stringeva
tra le sue braccia.
-
Manuel...-
-
Viola, ma cosa ti
succede?-
-
Non...non lo so,
io...-
Lui sospirò, era un sospiro
diverso.
-
Sei sconvolta. Preferisci
restare sola?-
-
No! No, ti prego, non
andartene, resta solo un po’...-
-
Stai bene,
Viola?-
-
Io...non lo
so...-
-
Non ti succederà niente,
okay?-
-
Si,
okay...-
-
Hai discusso con loro?
Cosa ti hanno detto?-
-
Loro...loro...hanno...-
-
Hai solo paura, Viola.
Questa é solo una paura-
-
Una
paura...-
-
Mi capisci, Viola? Non ti
succederà niente-
-
Una
paura...-
Le accarezzò i
capelli.
Poi un
tuono.
...
La pioggia batteva sui
vetri delle finestre, il ticchettio che Viola sentiva nella sua testa a poco a poco si accorpò con la
pioggia e lei aprì gli occhi.
Di nuovo un
incubo.
Rimase con la testa sul
cuscino e le coperte tirate fin sopra il naso per circa cinque minuti. Osservava
le ombre che la luce del lampi disegnavano sul pavimento e riprendeva,
lentamente, il controllo delle sue azioni.
Era stato un incubo
orribile.
Eppure c’era stato un
momento, un solo momento, che avrebbe voluto non finisse mai. Quando era
arrivato lui.
Perché l’aveva sognato?
Perché aveva sognato il suo abbraccio e le sue mani tra i capelli? Era davvero,
ormai, così importante nella sua mente da oscurare qualsiasi altra
cosa?
Hai solo paura, Viola. Questa é
solo una paura.
Così aveva detto. Solo una
paura. Che razza di sogno era mai quello?
Chiuse gli occhi per un
altro attimo, poi si decise a venir giù dal letto.
Si alzò barcollando e
passandosi una mano sugli occhi, lanciò uno sguardo alla finestra chiusa dietro
la quale si stava scatenando un temporale.
Certo, adesso ci si metteva
anche il temporale!
Scosse la testa e scese in
cucina, orientandosi nel buio della casa.
La cucina era poco
illuminata, avvolta dal calore mattutino e da odore di
zucchero.
Janine era in piedi davanti
alla cucina che armeggiava con qualcosa e la mamma seduta al tavolo, con gli
occhi puntati sulla televisione e il telecomando poggiato sulle
ginocchia.
Nella mano destra teneva
una tazza di caffé.
Quando oltrepassò la porta,
Janine e la mamma le lanciarono uno sguardo
contemporaneamente.
-
Buongiorno tesoro, già in
piedi? Ti sarei venuta a svegliare tra una decina di minuti - sentenziò la
mamma, portandosi la tazza alla bocca.
-
Credo che il temporale mi
abbia svegliata - mugugnò lei, sedendosi accanto alla
mamma.
-
Ne sta venendo giù davvero
di brutto, querida- commentò Janine avvicinandosi al tavolo stringendo
tra le mani una tazza di té, - non sono quasi riuscita a chiudere
occhio-
Viola si passò una mano sul
volto e si scostò i capelli dagli occhi, poi la mamma alzò il volume della
televisione, Viola alzò lo sguardo. La conduttrice del telegiornale guardava
l’obbiettivo delle telecamera – uno sguardo freddo – mentre alle sue spalle
passavano immagini di alluvioni.
-
L’intera zona di Clapham é
ora in pieno delirio, la pioggia ha raggiunto livelli incontrollabili e proprio
ieri sera un fulmine ha colpito un
albero nella via principale. L’incidente conta tre morti e cinque
feriti-
Janine e la mamma si
scambiarono uno sguardo.
-
Sono contenta che tuo padre
sia a Londra in questo periodo, Viola. Non oso pensare cosa sarebbe potuto
succedere alla sua baracca - commentò la mamma. Poi la conduttrice
riprese:
-
Il temporale questa notte
si é spostato anche al Sud, a Brighton, allagando le strade di ogni quartiere
della città. Secondo le previsioni questo improvviso temporale si tratterrà
ancora per due giorni, continuando a spostarsi vero est-
La mamma abbassò la voce
della tv come se ne avesse abbastanza.
-
Odio i temporali e la città
bloccata! Viola, tesoro, che ne dici di restare a casa oggi? Ti inzupperai tutta
per andare a scuola -
Viola si drizzò sulla
sedia.
Saltare la scuola? No, non
se ne parlava.
-
Oh no, mamma, non posso
affatto!-
-
Ma non hai sentito la
televisione? Parla di allagamenti e pare che continuerà così per un bel
po’!-
-
Ma la vita non può
bloccarsi per un po’ d’acqua!-
Janine scoppiò a ridere, le
arrivò accanto scompigliandole i capelli.
-
Un po’ d’acqua...bella
questa, pequena –
La mamma storse la bocca,
poi sospirò.
-
Sei davvero sicura,
Viola?-
-
Si
mamma-
-
Okay, ma lascia che ti
accompagni in macchina. Non voglio che mia figlia arrivi a scuola come un
pulcino inzuppato!-
Detto questo si alzò e dopo
aver poggiato la tazza di caffé sul tavolo si avviò verso le
scale.
-
Sbrigati a prepararti,
tesoro- le disse, mentre si allontanava.
-
D’accordo!-
Anche Viola si
alzò.
-
Non vuoi fare colazione,
Viola?- le chiese Janine.
-
Oh no...magari mangio un
biscotto dopo-
-
E dove vai
adesso?-
-
A vestirmi. E poi nel
seminterrato-
-
Oh, credo che l’acustica
sarà peggiorata con questo tempo!-
-
Non importa. Nessuno deve
ascoltarmi-
Viola salì velocemente le
scale lasciando la cucina a Janine.
…
Il temporale era diventato
indomabile, in classe non si riusciva a prestare attenzione continua alla
lezione: un lampo, un tuono, o semplicemente il ticchettio insistente della
pioggia sui vetri distraeva gli alunni.
Viola da quella mattina non
l’aveva ancora visto.
E se non fosse venuto a
scuola per colpa della pioggia?
Quella mattina mancavano
tante persone, forse anche lui era rimasto a casa...
Cercò di scacciare quel
pensiero dalla mente. Non sapeva perché, eppure aveva la sensazione che lui ci
fosse. Cosa avrebbe mai potuto la pioggia contro di lui? Rise di se
stessa a questo pensiero, eppure non poté fare a meno di formularlo. Dentro di
lei non poteva fare a meno di pensarlo come qualcosa di superiore, celestiale,
perfetto. Non sapeva come le era venuta fuori questa considerazione,
forse era colpa del modo che aveva di incutere sicurezza, oppure da quel suo
sguardo misterioso che di tanto in tanto irrompeva nei loro discorsi, o forse
era di quell’aria divertita, quando sembrava che sapesse molto di più di quello
che la realtà poteva far intendere...
Dov’era la sua
introversione, quando erano insieme?
Dov’era la sua espressione
fredda?
Non riusciva a capirlo.
La campanella che
annunciava la fine della seconda ora suonò. Viola si alzò di scatto, raccattò
velocemente i suoi libri e fu più svelta degli altri alunni ad uscire dalla
classe avviandosi verso l’aula di inglese.
Appena fu davanti alla
porta lo vide arrivare.
Camminava elegantemente,
come sempre, eppure il suo viso esprimeva stanchezza: aveva gli occhi spenti e
un’espressione strana.
Viola rimase fuori dalla
porta ad aspettarlo.
Appena lui alzò gli occhi e
la vide sembrò rinvigorirsi sebbene i lineamenti del suo volto tradissero la sua
spossatezza, le arrivò accanto in un attimo.
-
Ciao Viola. Come stai? Stai
bene?-
Le due domande, una dietro
l’altra, con una certa apprensione nella voce, fecero sussultare Viola. C’era
qualcosa di nuovo del suo tono.
-
Si, sto bene. Tu
piuttosto...hai una faccia...non hai dormito?-
Manuel alzò le
spalle.
-
Soffro d’insonnia- butto
giù in un sussurro.
-
Mi dispiace. Sei
stanco?-
Lui
rise.
-
No, no...non preoccuparti,
ci sono abituato. Davvero. Entriamo?-
Manuel sorrise di nuovo,
aprì la porta e la fece entrare per prima per poi seguirla socchiudendo la
porta.
Camminarono uno dietro
l’altra fino al loro banco, Viola si sentiva ancora una volta gli occhi di tutti
addosso. Avrebbe voluto guardare Manuel in volto per capire se anche lui si
trovava nella sua stessa situazione ma non osava voltarsi.
Arrivati al loro banco il
professor Joel fece il suo ingresso e la classe fu costretta a distogliere lo
sguardo da loro.
-
Buona tempesta a tutti,
ragazzi!- esclamò Joel, - e scusatemi per l’assenza di
ieri!-
Alcuni risero sotto i
baffi, altri gli prestavano poca attenzione mentre preparavano i libri sul
banco.
Joel poggiò la sua borsa
sulla cattedra e prese a camminare avanti e indietro con le mani dietro la
schiena.
-
La psicologia del
personaggi, ragazzi, avete idea di cosa profondamente voglia significare?-
chiese.
I ragazzi si guardarono con
un’espressione tra il confuso e l’ignaro, Manuel aveva gli occhi
bassi.
Joel si fece una
risatina.
-
E’ una domanda retorica,
non preoccupatevi...- alzò le spalle, - non mi aspetto che tutti rispondiate
subito. Il fatto é che quasi tutti imparano queste nozioni a memoria senza
sapere minimamente che cosa significhino. Lo spessore psicologico di un
personaggio, ragazzi, é tanto complesso quanto può essere complessa un persona.
Un personaggio, come qualunque persona, può rispondere a domande del genere
“cosa ti piace di più della tua vita?”, poiché anche lui ha una vita, anche lui
é un essere vivente- qui fece una breve pausa, si schiarì la voce, - ma sono ben
certo che, anche se continuassi a parlare fino alla fine dell’anno di questo,
resterete con l’idea, nata chissà dove, che il personaggio di un’opera é una
pura invenzione dell’autore e che, come tale, esiste solo nella fantasia.
Quindi...! – ritornò dietro la cattedra, - adesso mi aspetto che sperimentiate
da soli cosa significa indagare sulla psicologia di una persona! – la classe
iniziò a rumoreggiare, Joel sorrise, - prendete foglio e penna e, a turno,
farete una domanda al vostro compagno di banco, domande da “spessore
psicologico”...fate uno sforzo e immaginate la vita della persona che vi é
affianco come lungo filo tessuto da un anonimo autore. Toglietevi dalla testa
che una tragedia, una commedia o semplicemente un romanzo sia una cosa estranea
dalla realtà!-
La classe aveva iniziato a
vociferare, erano tutti sorpresi.
Viola era
sbigottita.
Era come se il professore
le stesse offrendo l’opportunità su un piatto d’argento di scoprire qualcosa di
serio su Manuel.
-
Professore!- chiamò Tracy,
d’un tratto.
-
Dimmi, Tracy - rispose
gentilmente il professore.
-
Cosa c’entra questo con
Shakespeare?-
Alcuni non riuscirono a
trattenersi dal ridere, Joel assunse una strana
espressione.
-
Credo che ci sarà un
risvolto positivo da quest’esperimento di oggi, Tracy, da applicare alle nostre
prossime lezioni...e perché no, anche alle vostre vite. Su, prendete carta e
penna! -
Viola e Manuel si
scambiarono uno sguardo, lei aprì il suo quaderno degli appunti e lui afferrò la
matita continuando a tenere gli occhi bassi.
-
Sei mancino-
Manuel alzò lo sguardo
verso di lei, la sua espressione divenne illeggibile.
- Si- rispose poi,
spostando gli occhi da Viola alla sua mano.
Viola abbassò lo sguardo
sorridendo imbarazzata, stava già per riprendere a parlare ma lui la bloccò
prima che potesse iniziare.
-
Ah, non ci pensare, inizio
io- disse con un sorrisino obliquo.
-
Come sai che volevo
chiederti questo?- sussurrò Viola.
Lui
rise.
-
Era alquanto prevedibile-
-
Okay, allora inizia
tu-
Manuel sorrise di nuovo, un
sorriso divertito.
-
Quando sei
nata?-
Alzò lo sguardo verso di
lei, Viola quasi rise.
-
Questa non é una domanda da
“spessore psicologico”-
-
Si
invece-
-
No
invece-
-
Credi che un personaggio
non possa avere un compleanno?-
Viola alzò le
spalle.
-
Okay. Ventiquattro
giugno-
-
Ventiquattro
giugno...-
Manuel scrisse velocemente,
Viola osservò la sua mano muoversi leggiadra, la sua grafia chiara e
concisa.
-
Tocca a te- disse, con
tutta l’aria di una provocazione.
Viola esitò un attimo,
mille domande le affollarono la testa.
-
Quando sei nato?- chiese
infine.
-
Non puoi farmi la stessa
domanda-
-
Joel non l’ha mica
detto-
Manuel si oscurò per un
attimo.
-
Ventinove
febbraio-
Viola lo squadrò
curiosa.
-
Mi prendi in
giro?-
-
Perché?-
-
Non esiste il ventinove
febbraio-
-
Certo. Ogni quattro
anni-
-
Sei davvero nato il
ventinove febbraio?-
-
Si-
-
E quando
festeggi?-
-
Non mi piace festeggiare,
ma di solito il primo marzo-
-
Preferisci che scriva primo
marzo?-
-
No-
-
D’accordo. Ventinove
febbraio...-
Viola scrisse la data sul
suo quaderno, avrebbe voluto ridere.
Era nato in un giorno che
esisteva solo ogni quattro anni.
Una data di nascita
perfetta per uno come lui.
-
Okay, tocca a
te-
Viola gli rilanciò la
palla.
-
Preferisci il giorno o la
notte?-
-
Il
giorno-
-
Anche
io-
Sorrise, poi scrisse di
nuovo.
Toccava di nuovo a lei.
Per circa cinque secondi
cercò invano una domanda. D’improvviso fu lei a cercare
Viola.
- Cosa ti
emoziona?-
La domanda lo bloccò. Era
confuso, gli occhi passavano dal foglio alla matita a Viola a una velocità
impressionante.
-
Cosa mi emoziona?- chiese,
con un tremore nella voce, quasi non avesse capito.
-
Già-
Manuel evitò lo sguardo di
lei.
-
Tutto, - sibilò, - ma
soprattutto la musica. La tua-
Stavolta fu lei a
bloccarsi. Il cuore le martellava nel petto, era sicura di essere
arrossita.
-
Dico sul serio, Manuel...-
sussurrò, imbarazzata.
-
Già, anche
io-
-
Cosa ti aspetti che scriva?
“La mia musica”?-
-
Si. Infondo é la
verità-
Manuel era tornato
tranquillo, la confusione che Viola aveva scorso sul suo viso qualche secondo
prima era passata del tutto.
Toccava a
lui.
-
Allora, vediamo...di cosa
hai paura?-
Il suo tono era leggermente
mutato.
-
Ho paura di troppe cose per
elencarle tutte-
-
Allora dimmi la tua paura
più grande-
-
Perdere le cose alle quali
tengo-
-
Fantastico...-
Manuel sorrise, Viola
preparò la matita per la prossima domanda.
-
Qual’é il tuo più
importante desiderio?-
Manuel rise, nonostante il
tono serio e solenne della domanda.
-
Di solito non mi concentro
sui desideri- rispose, alzando le spalle.
-
Non ti concentri sui
desideri?-
-
Esatto-
-
E cosa
significa?-
-
Significa che... beh,
che…non ci penso, ecco-
-
Non puoi non pensarci. Un
desiderio ti arriva alla testa e devi dargli retta per
forza-
-
Non é necessariamente
così-
-
Ad ogni modo, devi aver pur
avuto un desiderio-
-
Forse-
Si bloccò, gli occhi
fissarono il vuoto per un secondo, languidamente, quasi nella sua mente stesse
ripercorrendo qualcosa.
Viola rimase tremendamente
affascinata da quell’espressione.
-
Possiamo cambiare
domanda?-
-
No-
-
A questa non posso
rispondere-
-
Perché?-
-
Perché
no-
-
Questa non é una
risposta-
-
Allora inventerò
qualcosa-
-
Non vuoi dirmi la
verità?-
-
Non credo di saper
rispondere-
Ci fu un attimo di
silenzio.
Viola avrebbe voluto
insistere, magari porgli una domanda simile, ma non lo
fece.
-
Allora scriverò che “credi
di non saper rispondere”-
-
D’accordo-
Manuel alzò le spalle,
Viola poggiò la matita sul foglio e scarabocchiò qualcosa.
Si guardarono per un attimo
negli occhi, lui piegò la testa.
-
Qual’é il tuo ricordo
più bello?-
chiese.
La domanda era profonda,
positiva, Viola sentì una scossa dentro di lei.
-
La sorpresa di mio padre, a
undici anni, quando dopo il trasferimento da Clapham mi ha regalato il
pianoforte-
Sorrise, un sorriso che
rievocava le passate emozioni e la gioia che quel regalo le donava ancora
oggi.
Manuel rimase a fissarla,
la sua espressione rimase ferma osservando il suo sorriso, poi
scrisse.
Viola lo osservò, la testa
china sul foglio e gli occhi che scorrevano sulle parole.
L’ora stava per concludersi
ma aveva tempo ancora per una domanda.
Una sola domanda per
scavare dentro di lui.
Quando Manuel alzò lo
sguardo, Viola seppe cosa chiedere.
-
Qual’é il tuo più grande
punto interrogativo?-
-
Noi-
La campanella
suonò.
La classe si mosse con
velocità, Viola era rimasta a guardare nei suoi occhi come se si fosse persa
chissà dove. Manuel abbassò lo sguardo, raccolse i suoi libri, poi si voltò
furtivamente verso di lei dandole una breve occhiata.
Viola afferrò poco convinta
il suo libro e lo ripose nella cartella, si alzò nello stesso istante nel quale
lo fece lui.
Un tuono risuonò nel cielo,
tutti si voltarono verso la finestra, tutti tranne Manuel.
Lui si girò dall’altro
lato, Viola non vide la sua espressione.
-
Ancora buona tempesta a
tutti, ragazzi!- augurò Joel, alzando le mani al cielo.
-
Spero che tu non l’abbia
presa male - disse voltandosi verso di lei, quasi
divertito.
-
Non la prendo a male-
sussurrò lei in risposta.
Lui sorrise, Viola alzò lo
sguardo verso di lui.
-
Spero solo che esista una
risposta a questo punto interrogativo -
Avrebbe voluto dire
qualcosa di profondo e poetico eppure quella stupida frase fu l’unica cosa che
le uscì dalla bocca.
Manuel la guardò con un sorriso
obliquo.
-
Per ogni domanda c’é una
risposta. O non ci sarebbe la domanda-
Fece per avvicinarsi a lei
ma si bloccò, come se qualcosa lo frenasse.
L’accarezzò con lo sguardo,
poi sorrise di nuovo.
-
Ci vediamo alla fine delle
lezioni-
-
Fine delle
lezioni?-
-
Vorresti andartene senza di
me?-
Rise, quasi la sua domanda
fosse stupida.
Viola si sentì piena di
gioia.
-
No...cioé...okay...va
bene...-
-
A
dopo-
-
A
dopo-
Lo guardò uscire, restò ad
osservare l’atmosfera che la sua assenza portava via. Come poteva non essere
innamorata di lui?
.
...
La pioggia pareva essersi
calmata, adesso scendeva leggermente dal cielo quasi fosse
invisibile.
Viola diede uno sguardo
alle grosse nuvole nere che coprivano ogni angolo del cielo, storse il naso.
Sarebbe stato forse meno bello del giorno prima camminare lungo il viale con
Manuel se avesse ricominciato a piovere come quella
mattina.
Arrivò nell’atrio e prima
che potesse voltare lo sguardo per cercare di scorgerlo, lui le arrivò
accanto.
Il suo viso era più
rilassato di quando l’aveva visto arrivare ad inglese, anche se l’espressione di
stanchezza permaneva.
-
Ho fatto tardi?- chiese lei
con una punta di preoccupazione nella voce.
-
No, affatto. Non sto
aspettando da molto-
-
Credi che pioverà di nuovo
così tanto?-
Manuel diede un’occhiata al
cielo.
-
Non lo so- fu la sua
risposta.
Si scambiarono uno sguardo
e uscirono velocemente dalla scuola, facendosi spazio tra la miriade di persone
che attraversavano la porta principale. Come il giorno prima imboccarono il
viale riparati entrambi sotto l’ombrello di Viola.
-
Non ti piace la pioggia?-
le chiese ad un tratto.
-
Cosa?-
-
La pioggia. Non ti
piace?-
-
Mi é
indifferente-
-
Sembra che non ti piaccia.
Hai il viso contrariato-
-
No, non é
vero-
-
Sicura di star
bene?-
-
É la seconda volta che me
lo chiedi oggi-
Manuel ammutolì, Viola gli
lanciò uno sguardo.
-
Comunque sto bene. Non
preoccuparti-
-
Scusami-
-
Io credo che tu non
stia tanto bene oggi-
-
Te l’ho detto é...é solo
l’insonnia-
-
Ti fa male
quest’insonnia-
-
Oh, non sempre. E poi...ci
sono abituato, davvero-
La sua voce era mutata,
cominciò a piovere più forte.
Un tuono echeggiò da
lontano.
Manuel chiuse per un attimo
gli occhi.
-
Perché hai quella
faccia?-
-
Niente-
-
Stai
impallidendo-
-
Non é
vero-
-
Si
invece-
Manuel sospirò, abbassò lo
sguardo. In un secondo le mani iniziarono a tremargli, sembrava che stesse
perdendo le forze eppure accelero il passo.
-
Manuel, perché vai così
veloce? Che succede? Cos’hai?-
Stava cambiando.
In un
istante.
La pioggia divenne ancora
più forte, le nuvole si intensificarono.
Viola chiuse l’ombrello
incurante della pioggia, gli poggiò le mani sulle spalle costringendolo a
fermarsi contro un albero del viale.
Aveva il viso pallido, gli
occhi vuoti, la bocca serrata.
La tensione di Viola
saliva.
Si stava
preoccupando.
-
Manuel?-
-
Viola...-
-
Stai bene? Che ti
succede?-
-
Niente...-
-
Non é
vero!-
-
Sta...sta...-
-
Cosa?-
-
Sta...arrivando...-
-
Arrivando?
Cosa?-
Manuel alzò la testa di
scatto, guardò verso il cielo, poi alle spalle di Viola.
Il suo sguardo tradiva
paura.
-
Dobbiamo spostarci da
qui!-
-
Cosa? E
perché?-
-
Fallo e
basta!-
-
Se non mi spieghi cosa sta
succedendo non faccio un passo!-
-
Non
posso!-
-
Perché?-
-
Devi
ascoltarmi!-
-
Cos’é che sta arrivando?
Cosa sta per succedere?-
-
Non costringermi a tirarti
via con la forza!-
-
Tu non vuoi dirmi la
verità! Ma sai che ti dico? Io lo so che c’é qualcosa sotto! Non pensare di
nascondermelo ancora!-
Lo sguardo di lui divenne
freddo.
Il tremore
aumentò.
-
Smettila-
-
No, non la smetto! Tu sai
fare qualcosa! Sai cose che nessuno immagina, come sapevi che la gamba di Sally
si era rotta prima di una diagnosi medica!-
Le parole erano uscite
fuori come un fiume.
Manuel la fissava
inespressivo.
-
Tu non sai quello che
dici-
-
Oh, lo so benissimo invece!
Ti ho sentito con le mie orecchie quando l’hai detto, in palestra! E ti ho visto
anche quando hai poggiato quel pacchetto di fazzoletti sulla panchina e sei
andato via, ho visto quando Tracy li ha presi piangente! Cos’é che fai? Prevedi
il futuro?-
Pioggia.
Il tremore aumentò, Viola
sentì un fuoco arderle dentro, nel petto, sentiva che ogni fibra del suo corpo
si stava consumando, infiammata dallo sguardo di lui.
In quel momento desiderò
non aver detto niente.
Un
tuono.
Pioggia.
Una forza incontrollabile. Una
fredda scossa.
Un fuoco che
ardeva.
-
Vieni via,
ADESSO!!-
Una
luce.
Viola sentì le sue braccia
stringerla, correre - caddero.
Un rumore violento e
improvviso invase le loro orecchie.
Confusione. Un fuoco che
ardeva.
La fiamma si era
spenta.
Viola non aveva il coraggio
di aprire gli occhi, aveva dolore all’anca destra e un fumo l’avvolgeva
tutta.
Urla.
Le sue braccia la
stringevano ancora.
Quando osò aprire gli
occhi, l’albero sotto il quale erano stati entrambi era stato spezzato e una parte di esso giaceva sul
suolo in fiamme, a qualche metro da lei, lungo la strada. La piccola chioma
minacciava un negozio alla sua sinistra.
Una
luce.
Un
fulmine.
Aveva paura, ma non aveva
senso ormai.
Era
sopravvissuta.
Lui lo sapeva. Sapeva che sarebbe
successo.
Non aveva il coraggio di
muoversi, le doleva l’anca e gli occhi le pizzicavano, colpa del fumo. Manuel
l’aiutò a reggersi e si allontanarono proprio quando tutti si
avvicinavano.
Tossiva.
-
Polizia, polizia! Un albero
é stato colpito da un fulmine!-
Persone parlavano al
cellulare, correvano via, uscivano dai
negozi. La scena era simile a quella di tante catastrofi che aveva visto
in televisione: persone che corrono e urlano, un’insistente pioggia che cade dal
cielo coprendo il terrore della gente e la paura incontrollabile che i danni
siano irreparabili.
Il tronco dell’albero, in
fiamme, era ancora disteso lungo la strada.
Fumo si alzava al
cielo.
Tossiva.
Manuel camminava al suo
fianco senza spiccicare una parola, ma non la lasciava
ancora.
Si allontanarono in fretta,
molto più in fretta di quanto la mente di Viola riuscisse a percepire, incontrò
lo sguardo delle persone spaventate che correvano via.
Camminarono lungo tutta la
strada, Viola non aveva più sensibilità alle gambe e ai piedi, l’unica cosa che
percepiva erano le mani di lui, strette contro le sue
spalle.
Quando si fermarono, sentì
il suo cuore cadere.
Si guardarono negli occhi,
un attimo che sembrò infinito.
Lui era ancora
inespressivo.
-
Manuel...-
-
Non
parlare-
-
No,
aspetta...-
-
Non cercarmi
più-
-
Cosa?-
-
Hai
capito-
-
Non volevo dire quelle
cose...hai salvato le nostre vite...-
-
Fa’ finta di non avermi mai
conosciuto-
-
Non dire
così...-
Non riusciva più a
controllarsi, sentiva gli occhi pizzicarle.
-
Devo andare
adesso-
-
Aspetta, Manuel, ti prego,
io...-
-
Devi dimenticarmi.
Dimentica quello che hai visto, dimentica tutto!-
Urlava, lo sguardo era
freddo e gli occhi erano iniettati di sangue. Viola sentì un
fremito.
-
Perché? Perché? Non voglio
che finisca così!-
-
É stato uno
sbaglio-
-
Non é vero!
Io...-
-
Vai a casa adesso- sembrava
più calmo, ma l’espressione nel suo volto non era cambiata, - e fa’ finta che
non sia successo niente-
-
Aspetta! Ti prego!-
Lui si voltò, velocemente
corse via.
Viola restò ferma sotto la
pioggia.
Sentì il rumore del suo
cuore mentre si spezzava.
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Capitolo 7 *** 6. ***
fiori6
Quando finalmente riuscì a
piangere, era passato un bel pò.
Giaceva stesa sul letto, la
testa affondata sul cuscino e il viso rosso e bagnato; il corpo privo di
qualsiasi forza, gli unici muscoli che parevano funzionare erano le palpebre,
che aprendosi e chiudendosi facevano cadere sul viso altre calde lacrime. Il
resto era inerme, le braccia e le mani erano bianche come se non scorresse più
sangue e un pizzicante e fastidioso dolore proveniva ancora dall’anca destra.
A piangere anche il corpo
si stanca.
Un attimo di silenzio la
avvolse.
Un rumore violento e improvviso invase le loro
orecchie.
Fa’ finta di non avermi mai
conosciuto.
Un pugno nello
stomaco.
Iniziò di nuovo a piangere
disperatamente, anche se non era in grado di ragionare. Tutto quello che sentiva
in quel momento era un dolore incontenibile e voci nella testa, immagini come
flash, che non smettevano di tormentarla.
Le lacrime continuarono a
cadere fin quando il corpo non smise di produrne, così, cullata da quel dolore,
cadde in un sonno tormentato.
…
Quando riaprì gli occhi era
passata circa un’ora e un quarto.
Viola sbatté lentamente le
palpebre degli occhi gonfi, la sua mente stava trasportando il fischio che aveva
sentito ululare nei suoi sogni alla realtà, e puntò lo sguardo verso la
finestra.
Oh, era solo il
vento. Dirigeva la tempesta come un maestro dirige la sua orchestra. La pioggia
cadeva fitta e stava scendendo la nebbia.
Per un paio di minuti
credette che fosse notte e che presto avrebbe dovuto alzarsi e prepararsi per
andare a scuola, ma bastò poco per far riaffiorare il
ricordo.
Cosa avrebbe fatto adesso?
Che cosa sarebbe successo?
Manuel le aveva detto di
non cercarlo più e di dimenticarsi di lui, ma questo era impossibile. Come prima
cosa, dopo tutto quello che era successo qualsiasi essere umano avrebbe
continuato a tenere il suo viso stampato nel cervello, ma poi si trattava una
questione molto più profonda. Da quando la sua parte razionale dormiva,
sotterrata chissà dove, non riusciva a pensare che dovesse passare giorno senza
stare un po’ con lui, senza parlargli, sentirlo ridere e sentirgli dire quelle
frasi un po’ misteriose.
Amava anche quelle.
Il problema era proprio
questo – lei amava tutto quello che lo riguardava. Se avesse voluto evitare di
vivere come un vegetale tra le lacrime avrebbe dovuto trovare un qualsiasi modo
per far si che quella sua frase non avesse più senso. Era una questione di
sopravvivenza.
Sospirò socchiudendo gli
occhi, la strana calma che l’aveva avvolta si trasformò in un sussulto al centro
del petto.
Era ora di alzarsi e di
riprendere il controllo delle cose, presto sarebbero tornate la mamma e Janine e
lei non avrebbe saputo cosa raccontare se l’avessero trovata lì, a letto, con
gli occhi gonfi.
Oh no, era meglio
alzarsi.
Tentò di muoversi, di
scostare le coperte per alzarsi, ma appena mosse un muscolo fitte di dolore la
sopraffarono da ogni parte.
Avrebbe tanto voluto
richiudere gli occhi ed addormentarsi nuovamente, ma non poteva. Resistendo ai
dolori che il movimento le provocava, scostò le coperte e si
alzò.
Erano le
cinque.
Si accorse improvvisamente
di avere fame.
Oh, giusto, non aveva
mangiato.
Proprio in quel momento la
porta di casa si aprì e Viola sentì a distanza il suono delle risate cristalline
della mamma e di Janine che rientravano.
-
Viola! Tesoro! Ci
sei?-
-
Sono
qui-
La mamma entrò in cucina e
la guardò con tanto d’occhi aperti.
-
Viola, stai bene? Hai
un’aria...e perché quei vestiti? Oh, non dirmelo! Ti sei bagnata per colpa della
pioggia...ma te l’avevo detto io oggi di saltare la scuola! Avresti fatto a meno
di beccare tutta quell’acqua...speriamo tu non abbia preso
l’influenza...!-
...
Quel giorno Viola non toccò
il pianoforte.
Aveva spiccicato così poche
parole con la mamma che questa si era preoccupata, le aveva chiesto più volte se
fosse successo qualcosa ma Viola, della sua giornata, aveva raccontato soltanto
che si era bagnata sotto la pioggia, ma nient’altro. Un gorgoglio proveniente
dal suo stomaco aveva fatto scambiare alla mamma e a Janine uno strano sguardo,
entrambe avevano capito che Viola non aveva toccato cibo e l’avevano così
costretta a mangiare una fetta di pane imburrato in attesa della cena mentre la
fissavano con occhi indagatori. Quando le avevano chiesto perché non aveva
consumato come ogni giorno il pranzo che Janine le aveva lasciato, non avevano
ricevuto risposta. La mamma aveva seriamente pensato che Viola avesse preso
l’influenza, poiché l’apatia presentatasi poteva essere associata soltanto ad
una malattia. Quando poi, alzandosi dalla tavola, emise un gemito di dolore e
iniziò a zoppicare, la mamma scoprì il grosso livido all’anca destra. Fece un
sacco di storie. Com’era successo? Quando? Dove? Le faceva molto male? Perché
non gliel’aveva detto subito? Viola spiegò che aveva sbattuto contro la sedia,
una botta forte. La mamma parve crederci, poiché l’apatia di Viola mascherava
persino la sua incompetenza nel dire la bugie. La mamma le passò una crema
antidolorifca sul livido e, accarezzandole le guance l’aveva accompagnata nella
sua stanza, invitandola a riposarsi. Viola non aveva obbiettato, riposare ancora
un po’ forse le avrebbe fatto bene. “La tempesta ti fa male, Viola” aveva detto,
“ho sentito per radio del fulmine che ha colpito quell’albero non molto lontano
da qui. Ho avuto paura che tu fossi per strada...non era molto lontano dalla tua
scuola”. Viola era impallidita. “Non so di cosa parli” sibilò. La mamma alzò le
spalle. “Beh, eri già a casa. Meglio così” Le raccomandò di stendersi e di
rilassarsi, ma quando la mamma chiuse la porta e lei si fu seduta sul letto con
fare annoiato, non riuscì né a stendersi né tanto meno a rilassarsi.
Un improvviso squillo la
risvegliò dall’apatia.
Aveva dei messaggi sulla
segreteria telefonica.
Guardò l’apparecchio sul
comodino che lampeggiava e storse la bocca.
L’ultima cosa che le andava
di fare in quel momento era avere a che fare con il mondo, eppure decise di
ascoltare quei messaggi.
Uno era di Mia, l’altro di
Daniel.
Entrambi dicevano più o
meno la stessa cosa.
“Perché non rispondi? É
successo qualcosa? Oggi ti ho visto poco. Chiamami quando hai tempo,
okay?”
Oh no. Non adesso. Dove
l’aveva il tempo per mettersi ad inventare scuse? Non l’aveva quel tempo.
L’unico tempo era quello che stava utilizzando per pensare a risolvere quei
problemi.
...
La
mattina dopo la tempesta era passata. Quella che era rimasta invece era la
nebbia e l’aria umida.
Viola aveva fatto un sogno
così bello che appena sveglia credette che fosse realtà.
Manuel l’abbracciava, lei
gli diceva che le dispiaceva tanto e lui le sorrideva. Non c’erano state molte
dinamiche, era stato un sogno lungo un abbraccio, o meglio, un abbraccio lungo
un sogno.
Solo ad un certo punto lui
le aveva accarezzato i capelli e aveva detto:
Un sogno non può farti del male,
vero?
E l’aveva ripetuto di tanto
in tanto. Poi il sogno era finito e lui aveva smesso di abbracciarla. Era finito
il sogno perché era finito l’abbraccio, non il contrario.
Nonostante la mamma avesse
di nuovo insistito perché restasse a casa, Viola non volle saperne. Non aveva
intenzione di perdere un giorno inutilmente, non sarebbe servito a nulla. E poi
aveva da fare.
Quella fu la prima volta,
forse in assoluto, che prese il giornale locale dal tavolo della cucina.
L’articolo in prima pagina parlava della tempesta del giorno prima e in
particolare del fulmine che aveva colpito Main Street. Il titolo dell’articolo
era “Miracolo a Brighton”, e il sottotitolo “Solo tre feriti dalla catastrofe di
ieri in Main Street”.
Fece scorrere velocemente
gli occhi sulla pagina, poi si sedette per poter prestare attenzione a quanto
c’era scritto.
Poche notizie riguardo
l’incidente effettivo, molti commenti sulle conseguenze. Un albero era stato
improvvisamente incendiato da un fulmine, il tronco infuocato era caduto sulla
strada e le fiamme si erano impossessate del primo edificio che si trovava
dinanzi ad esse, il negozio di scarpe. Le persone erano tutte scappate
velocemente, i pompieri erano già stati avvisati. Solo tre persone – il
proprietario e le sue figlie – non erano riusciti ad uscire dal negozio prima
che il fuoco bloccasse l’entrata, ma l’avvento dei pompieri aveva salvato loro
la vita. Quindi, a parte il negozio bruciato e la strada danneggiata, c’era
stato un lieto fine.
Avrebbero dovuto sapere,
invece, che se non ci fosse stato Manuel lei sarebbe stata la prima vittima di
quell’incidente.
Uscì di casa un quarto
d’ora prima e non passò neanche per il seminterrato, il che fece ulteriormente
preoccupare la mamma e Janine.
“Come mai non suoni?” aveva
chiesto quest’ultima.
“Oggi non mi va” aveva
risposto lei, con un filo di voce, stando attenta a non incrociare lo sguardo
della zia.
L’aria, fuori, era più
fredda del giorno prima.
Camminò svelta e a testa
bassa fino a scuola, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli che
quella mattina non aveva neanche pensato a legare e quando finalmente si ritrovò
dinanzi all’edificio scolastico il cuore iniziò a batterle pericolosamente. Lo
sentiva come un martello, per un momento ebbe paura che le uscisse dal petto. I
suoi occhi iniziarono a voltarsi in tutte le direzioni nervosamente, ma senza
nessun risultato. Di lui non c’era traccia.
Velocemente abbandonò il
cortiletto esterno ed entrò nell’atrio.
C’erano meno persone del
solito e quindi era anche più silenzioso del solito. Teneva i capelli davanti al
viso come se temesse che qualcuno la avvicinasse. Passò in rassegna alle persone
che c’erano, ma lui non era neanche lì. Una parte di lei non era sorpresa.
Credeva davvero che l’avrebbe trovato con tanta facilità? Oh, no. Era naturale
che lui volesse nascondersi. O forse non era ancora arrivato...probabile, anche
lei era in anticipo. Ma adesso dove l’avrebbe aspettato? Avrebbe dovuto
attendere fino alla terza ora?
Il cuore le cadde in una
pozza di impazienza.
Tentò di calmarsi. Era
oggettivamente poco probabile che riuscisse a scorgerlo prima della terza ora
quindi non poteva fare altro che starsene buona, con lo sguardo vigile,
attendendo inglese. Lui lì ci sarebbe stato di sicuro.
Continuò a pensare queste
cose fiquando non suonò la campanella e si dovette verso le
scale.
corse Daniel e Luce qualche
scalino davanti e anche loro la videro.
-
Ciao ragazzi- salutò per
prima, in un sibilo.
-
Viola, mio Dio...ma
cos’hai? Sei pallida! E come ti sei vestita? Ma hai acceso la luce stamattina?-
esclamò a raffica Luce.
Viola la fissò senza
capire.
Poi si
guardò.
Oh.
Beh, doveva ammettere di
non aver dato molta importanza al suo look quella mattina, ma non ci aveva fatto
caso prima che Luce glie lo facesse notare. Lei, abituata a non avere mai
neanche un capello fuori posto, adesso indossava dei vecchi jeans su delle
scarpe da ginnastica dai lacci violacei, una felpa grigia e non aveva neanche un
filo di trucco, né collana o accessori. Il viso, pallido, era contornato dai
capelli neri che scendevano scialbi sulle spalle.
Sospirò.
-
Io...beh, in realtà Luce,
sai...-
-
Ti sei vestita al buio-
insistette l’amica.
-
Una cosa del genere-
Viola alzò le spalle
fingendo tranquillità, Daniel le poggiò una mano sul
braccio.
-
Sei sicura di star bene?
Sembri appena uscita da una...lavatrice...-
Luce rise, scosse la
testa.
-
Daniel non ha tutti i
torti. Va tutto bene?-
Gli occhi dei ragazzi si
fecero improvvisamente seri.
Viola per un secondo ebbe
paura di quella serietà.
-
Sto bene- sentenziò,
abbassando lo sguardo.
Daniel e Luce si
scambiarono un’occhiata, poi la trascinarono in classe con
loro.
...
La sensazione del cuore che
saltava fuori dal petto fu così forte che stavolta si poggiò una mano sul
torace.
Guardò la classe di
inglese, i banchi e i fasci di luce provenire dalla finestra. Il tempo trascorso
fino a quel momento era come se fosse stato annullato.
Sentì un buco aprirsi sotto
i suoi piedi, la testa le girò, chiuse e aprì gli occhi forse più di cinque
volte per rendersi conto della realtà.
Non riusciva ancora a
crederci.
Il banco di Manuel Green
era vuoto.
...
Arrivare a lezione di
inglese era stato come correre verso l’orizzonte. Era stata certa che lui ci
fosse, certa che l’avrebbe trovato lì, quasi alzava lo sguardo e lo vedeva in
lontananza, sorriderle, così limpido e chiaro... allora si era messa a correre
verso di lui – verso l’orizzonte, ma tutti sanno che l’orizzonte é solo una
linea immaginaria. Più lei correva, più lui si allontanava, più allungava le
mani e più lui spariva...poi, quando finalmente era arrivata a destinazione,
l’orizzonte non lo vedeva neanche più. Era sparito nel nulla, come se durante
tutto quel tempo non avesse rincorso niente. Si era girata a destra e a manca,
affannosamente, ma non aveva visto niente che somigliasse a lui. Ma avrebbe
dovuto saperlo. Quello é solo un inganno. L’orizzonte non esiste nella realtà, e una volta raggiunta la tua
meta non lo vedi più.
Viola si sentiva proprio
come una bambina che ha corso ore ed ore sulle onde del mare allungando le
braccia verso l’orizzonte, che d’un tratto raggiunge un isolotto e si vede
sparire davanti quello che stava rincorrendo.
Beh? E dov’é?
Non c’é. Semplicemente, non
esiste.
Era stata la lezione di
inglese più brutta alla quale avesse mai assistito. Il banco vuoto al suo fianco
era peggio di una pallottola conficcata nel petto e gli occhi indagatori delle
persone la costringevano a non fare altro che tenere i suoi bassi, a fissare il
vuoto.
Il tempo non era mai
trascorso così lentamente.
Quando finalmente la
campanella era suonata, si era precipitata fuori dalla classe come se lì dentro
non ci fosse più aria e sarebbe potuta svenire da un momento all’altro.
Non era venuto a lezione.
Forse non era venuto neanche a scuola.
Sentiva il cuore bruciarle
come se fosse stato buttato in un incendio. Cosa l’aveva spinto a fare questo?
Forse era vero che non voleva rivederla? Avrebbe aspettato che le lezioni che le
rimanevano di frequentare nella sua classe fossero finite e poi sarebbe tornato?
Viola scosse la testa per
impedire a se stessa di formulare domande che le facevano solo male. Era
impossibile, doveva esserci un’altra spiegazione. Era stato assente a quella
lezione per qualcos’altro, non era il desiderio di non vederla che lo teneva
lontano e nemmeno il desiderio di mantenere una distanza eterna. No, non sarebbe
mai successo.
Alzò lo sguardo davanti a
se, inspirò profondamente e iniziò a decelerare il ritmo dei suoi
passi.
Poi una mano le toccò la
spalla.
Una scossa le attraversò
veloce il corpo, fu invasa da una nuova speranza.
Quando si voltò, Candace e
Joseph la fissavano intimiditi.
-
Ciao Viola- sussurrò la
ragazza, con un pizzico di imbarazzo, - disturbo?-
Viola rimase in silenzio a
guardarli. Erano lì di fronte a lei, lo sguardo alto e negli occhi una luce
silenziosa.
-
Oh no, affatto- si affrettò
a rispondere quando si rese conto che il silenzio si stava impossessando di
lei.
Candace le rivolse un
sorriso, Viola sentì il suo corpo cedere ad una sottospecie di
tranquillità.
-
Possiamo...ehm...scambiare
quattro chiacchiere? Noi dovremmo parlarti- disse dopo un attimo la ragazza,
fissando ancora Viola.
Lei ebbe un sussulto.
Candace e Joseph erano i
suoi amici. Era stato lui a mandarli? Era di lui che volevano parlare?
Cos’era successo?
- Si, certo- rispose in un
sibilo, continuando a passare gli occhi da Candace a Joseph, che se ne stava
ancora in silenzio alla destra dell’amica.
I due amici si scambiarono
uno sguardo, come se fino a quel momento fossero stati indecisi sul da farsi.
L’espressione sul volto dei due cambiò. Joseph si chinò leggermente verso di
lei.
- Riguarda Manuel –
sussurrò.
Sentire il suo nome fece
sobbalzare Viola.
-
Noi non sappiamo cosa sia
successo, - partì Joseph, - ma con noi non ha voluto parlarne. Ieri siamo andati
da lui e l’abbiamo trovato chiuso nella sua stanza a chiave. Laney ci ha detto
che era da ore chiuso lì dentro. Noi sappiamo che lui, beh, che gli capitano
momenti del genere, e per questo non siamo andati via. Quando dopo mezz’ora ha
aperto la porta, aveva il viso più sofferente che io abbia mai visto. Abbiamo
provato a chiedere, a farci spiegare, sappiamo che ci vuole pazienza con lui, ma
stavolta é stato tutto inutile. Non l’abbiamo mai visto così- fece una pausa,
Candace gli lanciò uno sguardo come per indurlo a continuare, - e non sappiamo
cosa fare. Non vogliamo impicciarci nelle cose che gli riguardano, o forse
dovrei dire le cose che vi riguardano, ma siamo davvero preoccupati. Gli
abbiamo chiesto se fosse successo qualcosa con te e lui si é voltato contro la
finestra e non ci ha più risposto. Alla fine ci ha chiesto di rimanere solo e
abbiamo dovuto farlo. Una volta fuori, Laney ci ha chiesto se avessimo scoperto
cosa avesse, ma non abbiamo saputo cosa dirle. Anche lei era preoccupata per suo
fratello. Ma...ecco, beh... noi non possiamo vederlo così. Vedi Viola, Manuel
non é un ragazzo che parla di se, forse te ne sarai accorta, ma noi siamo i suoi
migliori amici, abbiamo imparato ad entrare almeno un po’ nel suo mondo, lui si
fida di noi e lo conosciamo abbastanza da capire quando c’é qualcosa che non va,
- si fermò di nuovo, abbassò lo sguardo un po’ imbarazzato, - ma lui ci tiene a
te. Da quando ti ha incontrato lui é diventato un’altra persona, Viola. Sorride,
é più spensierato...ha una luce negli occhi, é così diverso con te da come si
comporta con gli altri...io credo che tu sia importante per
lui-
Gli occhi di Viola
continuavano a guardare ora Joseph ora Candace, nella mente risuonavano le
parole che aveva appena udito. Lui soffriva.
I ragazzi la guardavano con
un cipiglio di preoccupazione, Viola si rese conto che stavano aspettando che
lei parlasse.
Si schiarì la
voce.
-
Io...beh...in realtà...-,
sospirò, nella sua mente migliaia di frasi si accalcavano ma nessuna era così
veloce da arrivarle alle labbra.
-
É una situazione
imbarazzante, lo so, - l’interruppe Candace, - e non devi spiegarci se non vuoi.
Solo che...beh, noi ci tenevamo a dirti queste cose-
Viola deglutì a vuoto,
Candance le rivolse un timido sorriso.
-
Vi ringrazio per quello che
fate. E per me é molto importante quello che avete detto-
Joseph e Candace si
scambiarono un’occhiata. C’era ancora qualcosa che volevano dirle, Viola lo
capiva dalla tensione che traboccava dai loro occhi. Quando Candace le puntò
nuovamente gli occhi sul volto, Viola sentì un tremito scorrerle lungo la
schiena.
-
Beh, grazie a te che ci hai
ascoltato...sai, non é che si vede tutti i giorni che gli amici del tuo
ragazzo ti vengano a fare la morale...-
-
Oh, ma Manuel non é il
mio...-
-
Si, questo lo dice anche
lui-
A Viola era finito il
fiato.
Candace abbozzò una
risatina, poi ritornò improvvisamente seria.
-
Il punto é... insomma...non
lasciarlo, Viola-
Gli occhi erano puntati sul
suo viso, Viola sentì che stava impallidendo.
Non lasciarlo, aveva
detto.
-
Adesso dobbiamo proprio
andare- esclamò d’un tratto Joseph poggiando una mano sulla spalla di
Candace.
-
Già...grazie di averci
ascoltato, Viola-
-
Di
niente...-
-
Ci vediamo
presto-
-
Okay...-
I due ragazzi sparirono
lungo il corridoio, Viola rimase ferma nella sua posizione ancora per qualche
minuto.
Non lasciarlo.
Quelle due parole
continuavano a risuonarle nella testa senza acquisire un senso. Lasciarlo? Oh,
no, mai! Piuttosto, era stato lui a lasciarla, a dirle di non cercarlo
più...
Lui non si era fatto vivo.
Non era venuto ad inglese, non l’aveva incontrato ancora da nessuna parte. Dando
credito alle sue parole, la stava palesemente evitando.
Ma cosa voleva davvero?
Cosa stava succedendo?
Come ogni cosa che
riguardava Manuel, anche questa era priva di qualsiasi significato logico. Le
parole di Candace e Joseph erano state le apprensive parole di due amici
affettuosi che non sanno come comportarsi, ma Viola era certa che non le
avrebbero mai fatto quel discorso se loro avessero saputo.
Ma evidentemente loro
non sapevano.
Nessuno sapeva, e
lui voleva che neanche lei sapesse.
La confusione aveva preso
il pieno possesso della sua mente, il ragionamento iniziò a risultarle
difficile.
La giornata era quasi
finita e non l’aveva ancora incontrato.
...
...
La mattina dopo, nonostante
Janine continuava a fissarla come per chiederle perché ancora una volta saltava
la sonata mattutina, non scese nel seminterrato.
Più silenziosa ancora del
giorno prima uscì di casa e camminò così lentamente che arrivò a scuola proprio
nel momento in cui suonò la campanella. Si mescolò tra la folla per non farsi
vedere da nessuno e alzò lo sguardo quanto bastava per rendersi conto che lui
non era tra la folla. L’anima si stava agitando, tentò di placarla pensando che
ad inglese l’avrebbe incontrato di sicuro. Non poteva saltare tutte le lezioni,
sarebbe stato un ragionamento stupido e folle.
Mentre il giorno prima era
stata sicura di vederlo, adesso non lo dava tanto per
scontato.
Quando varcò la porta
dell’aula di inglese per ultima, dopo aver aspettato poggiata agli armadietti
che tutti entrassero, si rese conto che neanche quel giorno lui
c’era.
Un misto di rabbia,
delusione e dolore le strinsero il cuore.
La rabbia era il sentimento
più immediato. Perché non c’era? Perché diavolo non affrontava le situazioni di
petto? Avrebbe saltato inglese per il resto della sua vita o cosa? Perché si
comportava in quel modo? La rabbia faceva presto a sfumare in delusione, poi la
delusione si trasformava in dolore.
Dopo neanche cinque minuti
dall’inizio della lezione finse di star male e passò il resto del tempo seduta
in un angolo del corridoio vuoto con un bicchiere di
camomilla.
Okay, adesso c’era bisogno
di un po’ di man forte. Non veniva a scuola? Non veniva ad inglese? Bene.
Sarebbe andata lei a cercarlo.
Alzò la testa come se
invece di pensare stesse pronunciando quelle parole ad alta voce e avesse avuto
paura che qualcuno l’avesse sentita.
Cercarlo.
A scuola non ci era venuto,
questo era poco ma sicuro: era impossibile che non l’avesse scorto da nessuna
parte e che stesse saltando volontariamente soltanto la lezione di inglese, il
professor Joel non l’avrebbe permesso sapendolo presente.
Quindi non
c’era.
Ma
dov’era?
Forse a casa
sua.
Casa sua.
Dov’é che abitava? Questo
non lo sapeva, non ne avevano mai parlato. A dire il vero, lui non le aveva
raccontato niente del posto in cui viveva o della sua famiglia, se non il fatto
di avere una sorella che si chiamava Laney, approvato anche da Candace e Joseph.
Avrebbe dovuto chiedere a loro il suo indirizzo? Glie l’avrebbero dato?
Avrebbero chiesto spiegazioni?
Scosse la testa. No,
sarebbe stato troppo imbarazzante, non avrebbe saputo da dove cominciare e
avrebbe fatto di sicuro la figura della stupida.
Si alzò dalla panchina
dov’era seduta e, dopo aver lanciato uno sguardo nel corridoio assicurandosi che
non ci fosse nessuno e dopo aver buttato nel cestino il bicchiere semi vuoto di
camomilla, scese lentamente le scale diretta verso la segreteria del
pianterreno.
Lì dove aveva scoperto il
suo nome avrebbe scoperto anche dov’era la sua casa.
Si mosse con passi felpati
e dopo essersi guardata le spalle aprì lentamente la porta della segreteria,
stando attenta a non far troppo rumore.
Come sempre, alla terza ora
era vuota.
Trovò una cartella sul
computer della segreteria che conteneva i dati degli alunni del quarto anno,
fece scorrere il lungo elenco fino a giungere alla G, e cliccò sul nome che
cercava.
Ogni alunno aveva una
propria scheda sul computer della scuola, di questo era già precedentemente a
conoscenza, così la ricerca fu immediata senza alcuno
sforzo.
Le prime informazioni che
lesse sulla scheda che le si aprì davanti già le conosceva.
Manuel Green, diciassette
anni, quarto anno...residente al n 18 di Brownweek Avenue.
Viola si allontanò
bruscamente dal computer, ma i suoi occhi non riuscivano a smettere di leggere
quell’indirizzo.
Il numero 18 di Brownweek
Avenue.
La Casa sulla Settima
Strada.
...
La sua casa era
quell’enorme abitazione della Settima Strada, quella che era un punto di
riferimento per tutti, quella che tutti conoscevano almeno per sentito dire ma
di cui nessuno conosceva gli abitanti.
Adesso lei sapeva
finalmente chi ci abitava. Cosa avrebbero detto la mamma e Janine se avessero
saputo che non ci abitava né un politico e né un imprenditore ma un semplice
ragazzo? Beh, forse semplice non era proprio l’aggettivo adatto per
Manuel, ma era comunque meno famoso di un politico o di un
imprenditore.
Arrivò all’incrocio forse
troppo velocemente e restò ferma al lato della strada per qualche minuto, ma
ormai aveva deciso. Girò a sinistra verso la Settima Strada mentre la mente le
si affollava di pensieri. Un qualcosa di simile al dubbio la costrinse a
camminare più lentamente e quasi ad indietreggiare, ma la decisione
precedentemente presa padroneggiava ancora al centro tra i suoi pensieri. Doveva
vederlo, avere il coraggio di sbloccare quella situazione.
Accelerò il passo fin
quando non giunse alla casa numero 18, una di quelle alla sinistra del viale, la
più grande - la più bella - con il cancelletto nero, il vialetto di ghiaia e il
giardino ben curato ai lati di questo, che facevano risaltare il rosa antico
della casa. Viola alzò lo sguardo osservando la maestosità della villa, guardò
ad una ad una le finestre del secondo piano tutte coperte da tendine bianche,
poi avanzò lentamente.
Il cancelletto nero era
aperto e in un attimo fu davanti alla sua
porta.
Sospirò quasi come se una semplice espirazione potesse
darle la forza che stava cercando, ma anche se la mano continuava a tremarle,
suonò il campanello.
Il suono che emise era limpido.
Aspettò meno di mezzo minuto, poi sentì dei passi che
velocemente si avvicinavano alla porta. La tensione nel suo corpo saliva sempre
di più, poi la porta si aprì e Viola si trovò davanti una giovane ragazza. Gli
occhi azzurri della giovane squadrarono Viola da capo a piedi, lei rimase
paralizzata, proprio come si aspettava succedesse.
La ragazza con gli occhi azzurri poteva aver circa
vent’anni, era alta, esile, pelle bianca e lunghi capelli biondo scuro
scendevano sulle spalle e sulla schiena. Il viso era aperto e socievole, gli
occhi sorridenti e lentiggini rossastre sul naso e appena sotto gli occhi
coloravano il resto del viso.
L’espressione era la stessa che aveva spesso Manuel, ma
non solo l’espressione ricordava lui: il modo di stare dritta sulla schiena e la
forma del naso e degli zigomi erano i suoi.
Viola inspirò profondamente, sostenendo lo sguardo
stranito della ragazza.
-
Salve...ehm...io mi chiamo
Viola e...-
-
Viola...- la
ragazza la interruppe, una voce calda e melodiosa, anche questa che aveva
qualcosa che la riportava a Manuel, sussurrò il suo nome con una punta di
divertimento, - questo nome non mi é nuovo-
Viola sentì qualcosa contorcersi nello stomaco e le sue
guance arrossarsi.
La ragazza alzò le spalle con un
risolino.
-
Direttamente ho sentito poche parole su di
te, il resto l’ho dovuto origliare...- un’altra risatina, socchiuse gli
occhi, - io sono Laney. La sorella di
Manuel -
Laney le tese la mano, Viola passò gli occhi dal viso
alla mano tesa forse cinque volte prima di tendere timidamente la sua. Anche lei
non pronunciava la erre.
La stretta di Laney era più potente e più sicura di
quella di suo fratello, e la sua mano era più fredda.
Quando Laney lasciò la presa le sorrideva come se si
conoscessero da più che da solo mezzo minuto e Viola trovò in quel sorriso la
forza di continuare a parlare.
Forse non era stata del tutto una cattiva idea andare
lì.
-
Io stavo cercando Manuel -
sussurrò tutto d’un fiato, cercando di sorridere a sua
volta.
Laney assunse un’espressione divertita, ma non ebbe il
tempo di rispondere. Alle sue spalle Manuel si materializzò quasi come se fosse
uscito dal nulla.
Lo sguardo inespressivo e quasi freddo scatenò un
tremito di dolore nel corpo di Viola, ma il fatto di averlo rivisto - dopo quei due giorni di silenzio -
riuscì a trasmetterle una gioia incontenibile.
-
Che ci fai qui?- esclamò,
mentre la voce gli tremava di qualcosa di inconsueto.
Laney si voltò di scatto.
-
Stavo per
chiamarti!-
-
Sono già qui. Grazie Laney
-
-
Okay...- Laney lanciò uno
sguardo a Viola, poi riprese: - io ritorno a fare quello che facevo...ehm...ciao
Viola! E’ stato un piacere conoscerti! –
Viola salutò con la mano Laney che si allontanava non
riuscendo a slegare il nodo che le impediva di parlare.
Quando Laney fu sparita nel corridoio, Manuel uscì e si
chiuse la porta alle spalle.
-
Si può sapere che ci fai qui?
Chi ti ha detto dove abito?- sibilò lui tra i denti.
-
Lasciami
parlare...-
-
Oh, non dirmelo! Hai cercato
da sola, come hai fatto con tutto il resto! O sbaglio?-
-
Oh ti prego non dire
così...-
-
Ti avevo detto di non
cercarmi!-
-
Io non posso lasciar
perdere!-
-
Qui non c’é
alternativa!-
Manuel la fissava negli occhi, lo sguardo freddo e i
tratti del viso tesi.
Viola sentiva già gli occhi
pizzicarle.
-
Ma perché non possiamo
parlare?-
-
Io non ne voglio
parlare!-
-
Allora sei un bugiardo,
Manuel!-
La voce le si irrigidì, il dolore che provava si stava
trasformando in forza; forza per proteggere se stessa, forza per farsi ascoltare
e quella tanto decantata man forte che non aveva mai avuto il coraggio di
avere.
-
Cosa?-
L’espressione sul volto di lui
cambiò.
-
Niente di quello che mi hai
detto nei giorni scorsi é vero, non hai fatto altro che prendermi in
giro!-
-
Io ti avrei preso in giro? E
tu allora? Mi hai spiato!-
-
Non ti ho
spiato!-
-
Ah no? E cosa allora? Eri
solo curiosa!-
-
Non é vero! Io mi soni fidata
di te, ti ho mostrato quella parte di me che non mostro a nessuno mentre per te
io sono come qualsiasi altro!-
La contrazione sul viso di lui era forse di dolore.
Avanzò verso di lei.
-
Tu non sai-
sibilò quando si trovò a pochissima distanza dal suo volto. Ebbe l’impressione
che stesse iniziando di nuovo a tremare, ma il suo viso era così immobile che
era impossibile riuscire a tradurne qualcosa.
Viola abbassò la guardia, il respiro le si fece
corto.
-
Se solo tu mi spiegassi...-
mormorò alzando lo sguardo.
-
Non posso spiegarti
-
-
Ma
perché?-
-
Lo faccio per il tuo
bene-
La voce d’improvviso calò, Manuel abbassò gli occhi.
Viola sentì di nuovo quell’enorme peso sullo stomaco.
-
Il mio bene? Questo non é il
mio bene! Ascolta, non ho intenzione di lasciar perdere. Perché non vuoi dirmi la verità? Cos’é
che sai fare? Perché non posso saperlo? Hai salvato la mia vita Manuel,
io ho bisogno di sapere-
Manuel le diede le spalle, chiuse le mani a pugno e
abbassò la testa. Viola lo guardò immobilizzarsi come una statua, il silenzio
regnò tra loro per qualche secondo.
-
Non credo tu voglia saperlo-
disse d’improvviso, la voce ferma e fredda.
Viola alzò la testa.
-
Come sarebbe a
dire?-
-
Dovremmo non parlarne
più!-
Manuel si voltò di scatto verso di lei, gli occhi erano
immobili e gelati quasi avessero il potere di ghiacciare tutto quello che
avevano sotto tiro.
Viola sostenne il suo sguardo, dentro le cresceva una
forza che stava per farle scoppiare la testa. Gli occhi andavano facendosi
lucidi a ogni secondo che passava. Aveva di nuovo la sensazione di aver fin
troppe cose da dire ma neanche il fiato necessario per pronunciare una sillaba.
Il suo viso cambiò espressione cinque o sei volte, il rumore del suo respiro si
fece sempre più carico.
-
Se non hai altro da dire, é
meglio che tu vada -
Manuel distolse lo sguardo da lei, socchiuse gli
occhi.
-
Altro da dire? Credo tu
sappia se ho altro da dire…sai sempre quello che gli altri non dicono Manuel,
sai ciò che é nei loro pensieri e sai benissimo anche quello che sto
pensando in questo momento! -
sibilò Viola tra i denti, alzando gli occhi verso di
lui.
Le parole, anche questa volta, erano uscite fuori dalle
sue labbra senza comando, il viso di Manuel cadde nel buio per un momento. I
suoi occhi erano sovraccarichi di sentimenti contrastanti, abbassò la testa come
se dentro di se cercasse di placare una battaglia.
Alzò lo sguardo, adesso era ancora più vicino, le loro
mani quasi si toccavano e riusciva a sentire il rumore del suo respiro
difficile: in un attimo era come se
avesse perso tutta la sua forza e la sua freddezza, era come contornato da un
alone di fragilità che tradiva le sue vere intenzioni. Avrebbe voluto starle
ancora più vicino, ma qualcosa di indistinto lo
tratteneva.
-
Io non conosco ciò che
pensi…- le sfiorò il gomito, la voce iniziò a tremargli, - io conosco
le…emozioni…che provi mentre pensi…-
I loro occhi si incrociarono, Viola lesse terrore e
sconforto nello sguardo di lui mentre cercava nel suo cervello di realizzare
quanto appena sentito.
Manuel le lasciò lentamente il braccio, la sorpresa e la
meraviglia sullo sguardo di lei lo colpivano da tutte le parti, sentiva scorrere
dentro di se la stessa emozione che stava provando Viola in quel momento.
Perché era questo, che sapeva fare.
Lo sguardo di lei continuava ad essere perso, ma quello
che lui si aspettava Viola potesse provare, ad esempio la paura, fu l’unica cosa
che non comparve. Dentro di lei era come se si fosse d’improvviso mosso
qualcosa, quel qualcosa che aveva iniziato a tremare sin da quando si erano
conosciuti.
Per la prima volta Manuel fu davvero insicuro riguardo
ad un sentimento. Possibile che non provasse paura, ribrezzo per lui? Si stava
forse confondendo? Il suo desiderio che lei lo accettasse così com’era era
talmente forte da offuscare gli effluvi che sentiva provenire da lei? La stava
spaventando, ne era convinto. Non sentiva niente di somigliante alla paura, ma
era pressappoco impossibile che non la stessa provando.
Si allontanò, l’atmosfera svanì.
-
Manuel...-
-
Va’
via-
Non aggiunse altro, corse in casa e si chiuse la porta
alle spalle lasciando Viola nel
vento.
Salì le scale,
ma nonostante si stesse allontanando il più possibile da quella porta
sentiva la presenza di lei al suo fianco come se non se ne fosse mai
andato.
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Capitolo 8 *** 7. ***
fiori8
L’unico attimo che Viola
avrebbe voluto rivivere di quei momenti era la sua vicinanza. Avrebbe pagato oro
per vivere per sempre in quel momento, sentire il rumore del suo respiro e le
sue mani che le sfioravano le braccia.
Le emozioni.
Distesa sul letto, con i
capelli sparpagliati sul cuscino, si perdeva in lunghe fantasie. Oh beh, si
sentiva una stupida a non averlo capito prima: il suo sguardo sempre tra il
sicuro e il divertito, le sue frasi enigmatiche lasciate a metà...in realtà con
lui non c’era bisogno di parlare: sin dal primo momento aveva saputo quello che
provava.
Glie l’aveva letto
nell’anima.
Un sorriso tra lo spaesato
e il felice le colorò il viso.
Avrebbe voluto saperne di
più: com’é che succedeva? Era così che aveva saputo che Tracy avrebbe pianto? E
come aveva fatto precisamente a sapere che la gamba di Sally era rotta? E, soprattutto, cosa c’entrava il fulmine
con le emozioni? Cos’é che aveva sentito quando aveva saputo in anticipo che il
fulmine avrebbe colpito quell’albero?
Sembrava quasi che di
domande ne avesse più di prima, eppure un senso di pace e quiete colmava il suo
cuore.
Era innamorata della
persona più sensibile e nobile del pianeta.
Innamorata...
Oh, solo ora le veniva in
mente: lui l’aveva sempre saputo.
Istintivamente arrossì,
quasi come lui le fosse davanti e lei fosse stata costretta a dichiararsi.
C’erano molte cose che non aveva messo in conto e che adesso le arrivavano alla
mente: lui aveva sempre saputo che l’amava, sin dal momento in cui il suo cuore
aveva iniziato ad adorarlo, aveva sempre conosciuto la considerazione che aveva
di lui e aveva sempre saputo quanto avrebbe voluto che lui le parlasse più
apertamente di se.
Eppure aveva fatto
trasparire poco e niente di tutto quello che sapeva.
Beh, immaginava che doveva
esserci abituato: era forse una cosa che si portava dietro da tanto tempo e
che...beh, che aveva condizionato la sua vita.
Era per questo che se ne
stava sempre per conto suo, da solo, nascosto dietro la
timidezza.
Se solo tutti avessero
saputo, avrebbero smesso di giudicarlo strano e l’avrebbero chiamato
fantastico.
Sorrise fra se e se, poi
iniziò a pensare a cosa avrebbe dovuto dirgli quando sarebbe riuscita a
parlargli di nuovo. Avrebbe ascoltato? Sarebbe fuggito? Come si sarebbe
comportato stavolta nei suoi confronti?
Non riusciva ad immaginare,
l’unica cosa che le brillava in quel momento dentro era l’amore che provava per
lui.
L’avrebbe amato qualsiasi
cosa fosse, qualsiasi cosa sapesse fare o non fare, nella sua mente avrebbe
avuto sempre le fattezze di un angelo perfetto caduto da chissà
dove.
E un angelo non puoi far
altro che amarlo.
...
Il giorno successivo
brillava un sole tiepido,le strade erano illuminate dai raggi di questo e la
rugiada brillava sulle foglie degli alberi del viale.
L’animo di Viola era
proprio come quel sole: una luce tranquilla che illumina un po’ alla volte le
cose che incontra nella sua strada, e l’ansia che aveva tormentato i suoi sogni
adesso era un sottile filo sotto quel sole.
Riuscì a mantenere
quell’animo fin quando non giunse a scuola e iniziò a chiedersi dove fosse
Manuel.
Stava per avviarsi verso le
scale quando scorse Candace e Joseph accanto alla porta che dava sul
cortile.
Entrambi sorridevano e
parlavano con fare allegro, lei le guance rosee e non più il pallore che aveva
avuto quando aveva parlato il giorno prima, lui ugualmente colorito, gli occhi
di nuovo pieni.
Nel momento in cui quasi
sfiorò la spalla di Candace, entrambi la notarono e le
sorrisero.
-
Ciao ragazzi- salutò
infine, timidamente.
-
Ciao Viola- iniziò Candace,
voltandosi verso di lei con un ampio sorriso, - come
stai?-
Il “come stai” sostituito
al comune “come va” fece sentire Viola più a suo agio.
-
Bene.
Voi?-
-
Bene, grazie- rispose
stavolta Joseph, avanzando.
Viola passò gli occhi su
entrambi prima di sorridere timidamente.
-
Ho parlato con Manuel -
disse infine, chiedendosi se mai si sarebbe pentita di quella
frase.
Entrambi annuirono con un
sorriso.
-
L’avevamo intuito- spiegò
Candy, - oggi é tornato a scuola. Ci ha detto di aver avuto una forte emicrania,
quel giorno dopo la nostra visita, ma Manuel non soffre di emicrania, casomai di
insonnia, e comunque neanche quella lo blocca. L’unica cosa che lo mette a muro
é una brutta situazione, sempre quei misteriosi qualcosa che non sappiamo
mai decifrare - qui rise abbassando gli occhi, - ma avevamo capito che
probabilmente avevate parlato- concluse.
-
Davvero? Cioè, voglio dire,
come sta?- si precipitò a domandare Viola, sgranando gli
occhi.
Joseph accennò un
sorriso.
-
In realtà é più silenzioso
del solito, ma che la sua “emicrania” sia passata é un buon
segno-
Qui rise, Viola fu inondata
da un abbagliante senso di ammirazione verso i due.
Non sapevano la verità su
Manuel eppure erano diventati suoi amici senza chiedergli niente, senza
pretendere spiegazioni sulle sue stranezze che si manifestavano di tanto in
tanto ed avevano imparato a sorridere davanti ad ogni cosa. Forse la vera
amicizia era questa, non chiedere mai niente, ma amare l’altro e desiderare la
sua felicità e fare il possibile per contribuire a questa.
Forse Manuel li considerava
diversi da tutti gli altri perché non chiedevano, né indagavano. Semplicemente
lo accettavano senza chiedere mai nulla.
Sorrise
debolmente.
-
Sapete...sapete dove posso
trovarlo?-
I due si scambiarono
un’occhiata.
- Credo sia nella sala
musica- rispose Joseph.
Viola sorrise di
nuovo.
-
Vi
ringrazio-
Candy alzò le spalle con un
sorriso.
-
Di niente Viola. A
presto-
-
A
presto-
Candy e Joseph le rivolsero
un ultimo sorriso mentre si allontana, Viola cercò di impedire a se stessa di
correre almeno fin quando sarebbe stata nella loro visuale, ma appena fu
abbastanza lontana iniziò ad avanzare il passo. L’ansia cominciava a salirle di
nuovo lungo la schiena, per un momento la sensazione di star rincorrendo
l’orizzonte ricomparve al centro dei suoi pensieri.
Ogni passo che faceva sentiva gli occhi infiammarsi, quasi
ansimava, fu così che spalancò la porta della sala musica e lo vide, lì, seduto
su quel tavolino, con il viso basso.
Sarebbe stato impossibile leggere la sua espressione né
tantomeno desumere dalla sua figura cosa stesse pensando.
I capelli gli scendevano sulle fronte, le mani
giocherellavano tra loro sul grembo e gli occhi fissavano un punto indefinito
nel vuoto sotto di essi.
-
Manuel!-
Quasi gridò.
Lui si voltò, anche i suoi occhi erano in fiamme, ma era
un fuoco diverso. Il suo era il fuoco della sorpresa, dell’imbarazzo, della
meraviglia.
-
Viola... – sibilò
freddamente, stringendo in un pugno la mano destra, cercando di non far
trasparire quello che davvero provava nel vederla.
-
Manuel, ascoltami ti
prego...-
Manuel abbassò gli occhi, sul suo viso
contemporaneamente la durezza e la frustrazione, che gli occhi ciechi di Viola
quasi non percepirono.
Si alzò, cercò di andare via, Viola gli si pose davanti
poggiando la mano sul suo braccio.
-
Viola, per
favore...-
-
Ti prego
aspetta-
Manuel la guardò negli occhi. La sua espressione
supplichevole, i suoi occhi puntati dentro i suoi e la sua mano sulla sua pelle
gli sbriciolavano il cuore.
Sentiva tenerezza e insieme con essa un qualcosa che non
aveva nome – una sottospecie di passione – che cresceva nel corpo di
lei.
-
Perché diavolo rendi le cose
difficili?- mormorò evitando il suo sguardo.
-
Non é vero, sei tu a rendere
tutto difficile! Sarebbe semplice se mi parlassi, mi
spiegassi...-
-
Cosa c’é da
spiegare?!-
Urlavano entrambi, Manuel si era allontanato, gli occhi
di Viola erano lucidi, sentiva le lacrime pizzicarglieli e un nuovo dolore
perforarle il cuore.
- Okay, vuoi che pianga? Cosa vuoi che faccia, dimmelo!
Devo urlare? Non posso continuare così, Manuel, tu non puoi sparire da un
momento all’altro, non puoi farlo!-
Calde lacrime le caddero sulle guance, rendendo lucido
tutto il suo viso oltre che solo gli occhi.
Manuel strinse i pugni, il suo viso si intenerì a
vederla in quello stato. Lei stava
soffrendo. Soffriva a non poter parlare con lui, soffriva persino a non poterlo
guardare...e se non fosse stato quello a fargli sbriciolare il cuore, cosa,
allora? Perché era sempre tutto così difficile? Perché era sempre così difficile
fare la cosa giusta? Ma dopotutto, chi gli diceva che evitarla e far finta che
non si fossero mai conosciuti fosse la cosa giusta?
Oh, lo era di certo.
Come avrebbe potuto lei sopportare di sapere che lui
avrebbe sempre conosciuto ogni sua emozione?
Era insopportabile, nessuna persona sana di mente
avrebbe potuto sopportare una cosa del genere, prima o poi si sarebbe finiti
alla pazzia.
Eppure, perché non aveva la benché minima intenzione di
stare a sentire quello che la ragione gli suggeriva?
No, non poteva vederla soffrire in quel modo, non poteva
sentire le struggenti emozioni che le trapassavano il cuore, non poteva lasciare
che questo accadesse, non voleva che le venisse fatto del male, neanche da una
stupida emozione.
A passi veloci le si avvicinò e la strinse forte a se.
Chiuse la sua esile figura tra le sue braccia e serrò le labbra accarezzandole i
capelli. Viola bagnò la sua maglia con le proprie lacrime, si strinse a lui come
una bambina impaurita.
In quel momento la freddezza di quei giorni, il dolore e
tutte le lacrime di dolore sparirono.
L’unica cosa che sembrava essere sempre esistita era
quel momento.
-
Scusami Viola- sussurrò poi
lui, continuando ad accarezzarle i capelli, - scusami. Ti prego non soffrire.
Perdonami, Viola-
Viola soffocò i singhiozzi di pianto, niente doveva
coprire la sua voce mentre parlava.
-
Di’ che mi perdonerai, Viola.
Non volevo. Davvero. Il fatto é che...beh, te lo spiegherò. Ma non piangere,
okay?-
Manuel le prese il viso tra le mani, la guardò negli
occhi. Sembrava che adesso soffrisse di meno.
Viola avrebbe voluto dirgli che le scoppiava il cuore di
gioia per quell’abbraccio e per quelle parole, ma non riusciva a parlare per lo
stesso motivo. Ma ormai, l’aveva imparato, con Manuel non servivano parole.
Lui fece scorrere le dita sotto gli occhi di lei e
asciugò le lacrime, non smise di accarezzarle il viso.
-
Mi hai perdonato,
Viola?-
-
Non hai bisogno di
perdono-
Manuel abbozzò un sorrisetto, sentiva la pace e la
tranquillità diffondersi nel cuore di lei.
Non riusciva ancora a credere che qualcuno si potesse sentire in quel modo in sua
presenza.
-
Ti racconterò tutto per bene,
Viola. Promettimi solo una cosa-
-
Tutto quello che
vuoi-
-
Promettimi che...quando ti
avrò raccontato tutto, non sarai tu ad evitarmi-
-
Non lo farei
mai-
-
Non si incontra tutti i
giorni una persona come me-
-
Io non voglio
perderti-
-
Promettimi solo che non mi
eviterai. O sarò io a mettermi a piangere-
-
Te lo
prometto-
Un debole sorriso colorò il
viso di Viola, lui l’abbracciò di nuovo, stringendola più
forte.
Restarono a godere del
calore dei loro corpi e dei loro sentimenti per molto più che della normale
durata di un abbraccio mentre li circondava un silenzio carico di
parole.
Ma forse adesso avevano
bisogno del silenzio, silenzio per capirsi, silenzio per ritrovarsi, silenzio
per riuscire a sentire solo la flebile voce delle emozioni che sussurrava ai
loro orecchi quanto avevano sentito uno la mancanza dell’altra e
viceversa.
…
Sedevano uno di fronte all’altro, al tavolino di legno
del grande parco. Intorno a loro c’era la più assoluta tranquillità e il più
assoluto silenzio.
Il vento sferzava facendo danzare le chiome degli alberi
e i fili d’erba, alcuni raggi di sole, che riuscivano a farsi strada tra le
nuvole, irradiavano il prato.
-
Quello che ti ho detto é vero
- iniziò Manuel, socchiudendo gli occhi, timoroso di guardarla, - ...io sento le
emozioni degli altri. Non so come mi succeda, non so neanche perché, é una vita
che ci penso! Eppure mi succede con chiunque. Basta incontrare gli occhi di una
persona, sentire il suo profumo, sentire i suoi passi accanto ai miei...e allora
delle voci cominciano a parlarmi nella testa e sono assalito da forti
sensazioni: quelle sono esattamente le emozioni che sta provando la persona con
la quale sono a contatto. Ma non é tutto: quando ci ho salvato da quel fulmine,
non ho sentita propriamente un’emozione, quella era più una vibrazione della natura. Non mi succede
spesso di sentire l’arrivo di un fulmine e non capita spesso che rimanga sveglio
tutta la notte a causa delle vibrazioni della tempesta – era per quello che ero
stanco, non era vera e propria insonnia. Quando però si tratta dell’animo delle
persone, riesco a immergermi nella loro mente naturalmente. Non é una cosa che
scelgo di fare, succede e basta: io la chiamo semplicemente empatia, ma so che non é così semplice.
Di solito il contatto é solo a livello emozionale, ma nelle situazioni più
estreme sento anche dolori fisici, come é successo con Sally. Lei era lì a terra
con quel dolore lancinante alla gamba che non riusciva ad esprimere, ed io ero
il solo a poter immaginare che non era la ferita alla testa che le faceva male,
ma proprio quella frattura nascosta. Ma questo non accade sempre. Sono molto più
“bravo” con le semplici emozioni, come il caso di Tracy: sapevo che avrebbe pianto non perché l’avevo
“previsto”, ma perché sentivo quell’emozione, sentivo qualcosa muoversi dentro
la sua testa e ho capito che stava per piangere. Sapevo anche che sarebbe uscita
dalla classe, a Tracy non piace inglese, questa é una cosa risaputa. Così prima
che uscisse lei sono uscito io-
Alzò per un attimo gli occhi per scrutare il viso di
Viola.
Il vento le scompigliava i capelli, la costringeva a
socchiudere gli occhi e a tenere serrate le labbra, ma quasi sembrava che non
sentisse il freddo o il vento. Sentiva solo le sue parole.
-
Quando ti spavento dimmelo, e
smetto- sussurrò.
-
Non sono spaventata, affatto.
Continua-
Viola sorrise, poggiò il mento sulle mani come una
bambina che si prepara ad ascoltare una storia per l’ennesima
volta.
Manuel deglutì a vuoto, - ancora non ci credeva che lei
fosse così calma, se non fosse per il fatto che sentiva la sua tranquillità, che ne
fosse assolutamente certo, ne avrebbe dubitato.
-
In realtà per me questa é
diventata la normalità, anzi, lo é sempre stata. Sono nato così. Non é qualcosa
che é arrivato dopo, non mi é accaduto niente. Sai, di solito...di solito
immagino di parlare alle persone di questa mia...cosa...e immagino che loro pensino che
possa esser stato soggetto a qualche strano rito o cose del genere, ma ti
assicuro che non é così!...insomma, io non sono...diventato così...in quel caso, sarebbe
ancora più orribile, ma posso ritenermi fortunato. Ho sempre avuto questa
capacità. Ovviamente quando ero ancora piccolissimo questo non si notava, in
realtà non lo notavo neanche io, però poi, crescendo, é venuto tutto fuori
naturalmente. La prima a capirlo é stata mia sorella, insieme con mio fratello
maggiore, Peter -
Manuel fissò un punto nel vuoto, come se da quel vuoto
stessero salendo a galla i ricordi.
-
Mia sorella é più grande di
me di quattro anni, ma é stata sempre molto unita a me, mi ha sempre accudito,
coccolato più di tutti. Aveva sempre desiderato avere un fratellino per non
essere considerata la piccolina della famiglia. Perché sai, Laney odia questa
cosa, la odia ancora adesso...odiava quando permettevano a Peter di fare cose
che lei non poteva ancora fare, odiava quando le persone le scompigliavano i
capelli. Laney voleva essere trattata da adulta. In un certo senso, é come se
fosse nata adulta: é determinata,
perspicace, responsabile. Insomma, é una tipa in gamba. Pensa che é stata lei,
anche se aveva solo quattro anni, a suggerire ai miei genitori l’acquisto della
Casa sulla Settima strada. Erano tempi d’oro per mio padre – lui é un avvocato
importante da queste parti, un uomo tutto d’un pezzo, e aveva sempre desiderato
trasferirsi in un quartiere degno della sua posizione sociale. Mio padre é così, poco socievole, poco attivo,
dedito al lavoro e alle regole, preciso in qualsiasi cosa e orgoglioso di se,
forse é per questo suo carattere che il nostro rapporto non é mai stato un
granché...beh, ma questa é una storia successiva. Anche mia madre é un avvocato,
ma non assomiglia per niente a papà caratterialmente: lei é aperta ed
estroversa, ha sempre un sorriso ed una parola di conforto per tutti e non da’
così tanta importanza al suo lavoro come papà, anche se lo ama molto. Fu in
quell’anno che nacqui io, l’anno in cui la mia famiglia si trasferì in questo
quartiere. Io ho sempre vissuto lì, nella famosa Casa della Settima Strada. Ad
essere sincero non so come mai per tutti sia famosa, non é l’unica casa lussuosa
della Settima Strada, ma quando ho iniziato ad essere abbastanza grande per
iniziare a chiedermelo lo era già. Ad ogni modo, nonostante la maestosità della
casa, ho sempre amato particolarmente solo una cosa di essa, ed é una stanza
nell’ultimo corridoio del pianterreno, l’ultima sulla sinistra: era una delle
poche stanze della casa che non erano mai state riempite, così era tutta vuota e
quando ero ancora piccolissimo mi piaceva chiudermi lì e sedermi sul pavimento a
fissare il vuoto. Adesso quella stanza é mia, una sottospecie di stanza segreta
oltre quella che ho al secondo piano. E’ stata mia madre ad insistere perché la
riempissi con qualcosa di mio e perché ci restassi, se mi piaceva... nonostante
quello era palesemente un invito a trasferire la mia camera da letto di sotto -
se era quello che volevo - io non lo feci, lasciai che la mia camera da letto
restasse al secondo piano insieme a quella dei miei fratelli mentre la camera al
pianterreno l’ho personalizzata diversamente. Sai Viola, é una specie di
rifugio...la stanza che, da quando é stata ufficialmente mia, non ho mai fatto
vedere a nessuno, la stanza che rappresenta per me la quiete più totale. E’
stata di incredibile importanza per me negli anni dell’infanzia, quando ho
iniziato a scoprire...beh, ciò che so fare. Ma la storia di come é successo
precisamente é un’altra.
Era una sera d’inverno e Peter e Laney erano seduti sul
divano del salotto e stavano discutendo su quale cassetta vedere. Peter aveva
tredici anni, Laney nove ed io cinque. Laney insisteva perché vedessero qualcosa
che potessi vedere anche io, così piccolo, ma Peter non ne voleva sapere, non
voleva passare la serata a vedere un cartone animato, così fui accompagnato
nella stanza accanto dove la mamma preparava la cena e Peter optò per un horror.
In realtà non era un vero e proprio horror, mamma e papà non ne avevano in casa,
ma non era neanche così leggero per due ragazzini. Quando Peter mostrò la
cassetta a Laney lei disse che non aveva problemi a vedere qualcosa di
spaventoso, ma in realtà non era così. Voleva fare la dura, ma era una bambina
sensibile. Mia sorella si sedette sul divano stringendo le ginocchia al petto,
Peter non si curò di lei. Ad un certo punto del film, entrai nella stanza per
recuperare un giocattolo. Ricordo quel momento, lo ricordo come se fosse
accaduto ieri. Non mi curai della televisione e di quello che trasmetteva,
sentii soltanto il terrore, quello di mia sorella. Mi voltai per guardarla in
volto, ma lei nascondeva le sue emozioni in modo perfetto. Eppure dovevo far
smettere quel tormento, dovevo in qualche modo far si che quel mare di terrore
smettesse di invadermi. Tirai mio fratello per la camicia e gli dissi di
cambiare film, perché Laney si stava spaventando. In un primo momento entrambi
negarono, poi Laney confessò e quando mi chiesero come avevo fatto a sapere,
dissi che si sentiva. Peter scoppiò a
ridere, Laney rimase seria. Sapeva che avevo ragione, sapeva che avevo
indovinato perfettamente il suo stato d’animo e non riusciva a capire come
avessi fatto. Cercò di convincere Peter che in me c’era qualcosa di strano ma
Peter continuava a ridere, così Laney propose un gioco: lei e Peter avrebbero
inscenato un discorso, citando alcune persone di loro conoscenza che di sicuro
avrebbero suscitato sensazioni sia in uno che nell’altra. Se fossi riuscito a
indovinare come si sentivano stando girato di spalle, allora Laney avrebbe avuto
ragione. Beh, puoi immaginare come andò a finire...Laney ebbe ragione.
La cosa lasciò sconcertati i miei fratelli, mi dissero
di restare in silenzio e di non dire niente alla mamma o al papà fin quando non
avessero pensato loro a qualcosa, e io obbedii anche se non ne capivo all’epoca
il motivo. Perché non avrei dovuto parlare di una cosa così normale? Non
sapevano forse farlo tutti?
Dopo un paio di giorni Peter e Laney decisero di parlare
sia con mamma che con papà, a cena, quando c’era la famiglia al completo. Io
avevo un atteggiamento rilassato e normale, i miei fratelli tremavano. Quando
iniziarono a introdurre il discorso, sia mamma che papà smisero di fare quello
che stavano facendo e puntarono gli occhi su di me. Quando Laney smise di
raccontare, papà le disse di non dire sciocchezze e di smetterla di inventarsi
storie, ma Laney insistette e Peter l’appoggiò. La mamma rimase zitta, con il
viso basso, ricordo ancora il suo pallore e gli occhi che per qualche secondo
rimasero vuoti...e ricordo soprattutto la sensazione che provò, un enorme senso
di smarrimento interiore.
Peter e Laney raccontarono di nuovo l’accaduto di
qualche giorno prima e di come nei giorni precedenti io avessi continuamente
capito i loro stati d’animo, poi d’un tratto papà si mise ad urlare. I cuori di
Peter e Laney si riempirono di lacrime, la mamma continuava a stare in silenzio,
papà disse che non voleva più sentire una parola su quell’argomento e che se
avessero continuato ad inventarsi le cose li avrebbe puniti. Nessuno, però, osò
interpellarmi, chiedere, cercare di capire. La tensione in quei minuti salì così
tanto nei cuori della mia famiglia e soprattutto in mia madre che ad un certo
punto scoppiai a piangere. Mio padre mi prese in braccio dicendomi che non era
me che stava sgridando, ma i miei fratelli, per le frottole che raccontavano, ma
io non smisi. “Chiedigli cosa c’é davvero non va, papà!” disse Laney, puntando
il dito contro di me. “Smettila Laney!” gridò a sua volta papà, nascondendo il
mio viso sulla sua giacca, poi Peter si alzò e gridò: “Avanti, Manuel, dillo
anche a loro: cos’é che stai sentendo? Perché stai piangendo?”. Mia madre alzò
finalmente lo sguardo, incrociai i suoi occhi pieni di incomprensione. Non
ricordo con quali parole, ma spiegai che c’era qualcosa che batteva come un
martello e che faceva male, nella testa, che pizzicava, e che mi era venuta
voglia di piangere come se fossi triste, ma in realtà non ero io ad essere
triste...
La mia breve spiegazione lasciò tutti esterrefatti. Per
la prima volta nella mia vita riuscii a sentire perfettamente quello che mi
circondava, non come le volte precedenti, dove le vibrazioni erano state lievi,
facili da controllare, quelle volte dove la mia testa restava ancora abbastanza
grande per contenerle, adesso no, era cambiato tutto. Papà mi chiese se avessi
male da qualche parte, se mi fosse successo qualcosa, mi chiese persino se stavo
mentendo, ma io piansi di più e gli chiesi di non arrabbiarsi, non volevo che
mio padre si arrabbiasse con me, volevo solo che quel momento finisse, che il
martello la smettesse di battere e la testa smettesse di
pulsare.
La cena finì lì, mia madre si allontanò velocemente
senza dire una parola, mio padre ci disse di andare nelle nostre camere e di
restare buoni.
Non chiese scusa a Peter e Laney per non averli
creduti.
Dopo esser rimasto seduto sul pavimento a pensare a
quello che era successo, mi alzai e silenziosamente raggiunsi la stanza dei miei
genitori.
Mia madre era seduta sul letto con il viso lucido, mio
padre l’abbracciava. “Andremo da un dottore, Mary” lo sentii
dire.
Nel momento in cui entrai mi fissarono entrambi e mio
padre zittì.
“Cosa succede, Manuel? Non riesci a dormire?” mi chiese
poi lui alzandosi e avvicinandosi a me. Io rimasi in silenzio per qualche
momento, poi raggiunsi mia madre. “Adesso non mi volete più bene?” chiesi, con
un filo di voce. Mia madre mi rivolse un caldo sorriso, mio padre mi accarezzò
la testa. “Noi ti vorremo bene sempre, tesoro” disse infine lei,
abbracciandomi.
La sentii piangere sulla mia spalla, poi anche papà mi
abbracciò.
I giorni successivi passarono a chiedermi come mi
sentivo, cosa provavo e soprattutto, a provare a spiegare cosa sentivo mi
succedesse. Ad un certo punto iniziai a non rispondere più, qualsiasi risposta
sembrava non soddisfarli mai e sentivo che la cosa li turbava, quindi non volevo
parlarne neanche io.
Nonostante mio padre insisteva perché fossi sottoposto
ad una visita da uno specialista psichiatra, mia madre non voleva. Li sentivo
discutere ad alta voce con la porta chiusa, sentivo i miei fratelli origliare e
poi papà uscire con il viso arrossato.
Solo una volta, di nascosto, mio padre mi portò da un
dottore. Erano passate due settimane da quella sera e un pomeriggio mio padre
tornò prima dal lavoro e dopo aver accompagnato Peter e Laney a lezione di
tennis come ogni giorno, non tornammo subito a casa. Mi disse che saremmo andati
da un amico e che non dovevo avere paura, non mi sarebbe successo niente di
male. Io non ero spaventato, sentivo nell’animo di mio padre la tranquillità
quasi come se lui fosse sicuro che tutto sarebbe andato secondo i suoi progetti.
Lo studio dove mi portò si trovava a pochi isolati da casa nostra ed era lo
studio di un neurologo. Non so quale fosse il suo nome, mio padre non me lo
disse e io non sapevo leggere. Ricordo solo che era un uomo alto e snello,
nessun particolare sul suo viso o cose di altro genere...ero tanto piccolo
quando successe, ormai ho dimenticato. Ma se c’é una cosa che ricordo molto bene
é la nostra discussione: il dottore chiese a mio padre che ci lasciasse da soli,
lui insistette per rimanere ma il medico disse che era strettamente necessario
che il colloquio restasse una cosa privata tra me e lui. Quando mio padre fu
uscito, il dottore si sedette dietro la scrivania e iniziò a farmi domande
normali, come mi chiamavo, quanti anni avevo, qual’era il mio giocattolo
preferito...eppure, sebbene la sua voce fosse rilassata e i suoi occhi mi
sorridessero, io sentivo ansia dentro di lui. Era come se, mentre stesse
svolgendo il suo lavoro, pensasse completamente ad altro. Non so come, a cinque
anni, riuscissi già a capire certe cose in modo così specifico, ma probabilmente
la colpa é di questa mia capacità...leggere nell’animo delle persone in un certo
senso ti astrae un po’ dall’infanzia.
D’un tratto iniziai a guardare curioso le cose sulla sua
scrivania e persi completamente l’attenzione per sue domande. Dopo qualche
minuto fermai i miei occhi su una fotografia proprio sotto il mio naso: c’era il
dottore accanto ad una donna dai capelli rossi. “Che bella signora. Chi é?”
chiesi, mentre lui si stava preparando ad un’altra banale domanda. Mi guardò, il
suo sguardo non si indurì e nemmeno l’espressione dei suoi occhi. Quello che si
indurì fu il suo animo. Un distacco, un qualcosa di ostile aleggiava dentro di
lui. “Oh, quella é mia moglie” rispose poi, con un sorriso. “Oh, capisco. Ci
avete litigato” sentenziai. La sua espressione mutò radicalmente: il sorriso
scomparve, gli occhi divennero vuoti, il colorito spento. Rimase in silenzio a
fissarmi per qualche secondo. Dentro di lui tentava di riprendersi. “Come hai
detto, Manuel?” chiese dopo un attimo. “Ci avete litigato. Si sente” risposi.
Il dottore abbassò lo sguardo sempre più confuso, restò
così per più di qualche minuto mentre io restavo in silenzio sulla mia sedia a
fissarlo. Dentro di lui la confusione mano mano andò sfumando in qualcosa che
divenne una sorta di ammirazione. Ancora oggi non capisco come quella confusione
non si tramutò in orrore.
Dopo quei minuti si alzò con il viso rilassato e un
sorriso nuovo, stavolta sincero. Dentro di lui l’ammirazione era diventata
totale anche se la sua sagoma restava un punto interrogativo. “Sei un bambino
speciale” disse soltanto.
Poi mi riaccompagnò fuori da mio padre che aspettava
trepidante. Mi lasciarono sedere sulla poltroncina fuori dallo studio e si
allontanarono di qualche metro per parlare, e quando il loro colloquio finì mio
padre aveva cambiato completamente stato d’animo. Mentre prima era quasi
tranquillo e speranzoso, adesso era adirato e scontento. Per tutto il tragitto
in macchina non mi rivolse neanche un’occhiata e quando mi chiese di cosa
avessimo parlato, con voce rotta da un sentimento d’ira, io non ebbi il coraggio
di dirgli la verità. Avevo paura che si sarebbe arrabbiato o che di simile, così
gli raccontai solo delle semplici domande sulla mia vita. Per tutto il resto del
tempo rimase in silenzio.
Una volta a casa trovammo mia madre, rossa in viso e con
gli occhi fuori dalle orbite. Appena vide mio padre iniziò ad urlare, era
rincasata prima dal lavoro e si era spaventata a morte non trovandoci in casa.
Dov’eravamo stati? Dove mi aveva portato? Mio padre le intimò di non urlare
davanti a me, ma lei non smise, lui cercò di dirle qualche bugia ma la mamma non
ci cascò: fu costretto a dire la verità, la mamma riprese a sbraitare contro di
lui, io finii per piangere.
Quella fu l’ultima volta che li sentii urlare così
tanto.
Non so perché mia madre capì sin dal primo momento che
quello che mi succedeva non era una malattia e mio padre no, ma da quella volta
mia madre non permise più a mio padre di portarmi da un
medico.
Non parlai mai con nessuno di quello che successe
davvero con quel dottore e non seppi mai cosa lui avesse detto a mio padre per
farlo arrabbiare così tanto, nonostante glie l’avessi chiesto ripetutamente
anche negli anni successivi. Ma mio padre si chiuse nei miei confronti e non so
se abbia del tutto accettato l’idea che io non sia malato. Iniziò a passare
pochissimo tempo con me, ciò che sapevo fare lo rendeva nervoso nonostante abbia
cercato con tutto se stesso di non farmelo pesare. Ma io so che non voleva che
qualcuno potesse capire i suoi sentimenti...ma come poter dargli torto? Non é
bello sapere che davanti ad una persona come me sei completamente messo a nudo,
non hai più privacy né emozioni nascoste da condividere solo con te stesso.
Ancora adesso mio padre ha difficoltà ad avere un rapporto con me, e di questo
soffro molto.
Ad ogni modo, con il passare del tempo tutti iniziarono
ad abituarsi a questa mia cosa, e fu la mamma quella che si abituò di più: non
si arrabbiava quando le dicevo come si sentiva, quando piangevo perché Laney o
Peter erano di cattivo umore o subito prima di un temporale. Mia madre é stata
la persona che in assoluto mi é stata più vicina, soprattutto nel periodo più
brutto della mia vita, quando ho iniziato ad andare a scuola. Stando a casa fino
a quel momento non ero mai venuto a contatto con le emozioni di molte persone
insieme, e trovarmi d’improvviso in una classe con tanti bambini fu tragico per
me. La testa mi si riempiva di voci confuse, le tempie mi pulsavano, non
riuscivo a tenere gli occhi aperti e non facevo altro che piangere, così mia
madre era costretta a venirmi a riprendere ogni giorno. Una volta a casa
continuavo a piangere fin quando quelle voci non erano sparite del tutto, mentre
mia madre mi accarezzava i capelli e mi abbracciava tentando di farmi sentire
meglio. In realtà non c’era niente di concreto che lei potesse fare, dovevo
imparare da solo a tenere sotto controllo le emozioni, cosa che ancora non
sapevo fare, ma il saperla vicina mi calmava l’animo. Non fu facile riuscire a
convivere con tutte quelle difficoltà, ma non so neanche perché, lentamente ci
riuscii: credo che infondo fosse scritto nel mio destino che un giorno sarei
riuscito a non piangere davanti alla massa di pensieri che mi affollavano il
cervello, dopotutto sono nato in questo modo e tutto dentro di me é predisposto
perché io possa farlo, quindi non vedo il motivo per il quale non avrei dovuto
abituarmi. Ma mentre crescevo e mi abituavo, mi chiudevo sempre di più: non
poter parlare alle persone di questa mia cosa mi rendeva nervoso, triste,
lunatico, avrei tanto voluto dir loro tutto per smettere di fingere; ma nello
stesso tempo ero contento di mentir loro su qualcosa che probabilmente non
avrebbero mai concepito. Eppure una parte di me si sente in diritto di far parte
della vita degli altri: sento certe cose, delle persone, che sarebbe impossibile
comunicare a voce. Sono cose, forse, che le persone nascondono persino a loro
stesse. Quando parlo con qualcuno é come se naturalmente si attivasse un
meccanismo dentro di me che mi permettesse di leggere informazioni nascoste
nell’anima, come se avessi una sorta di radar nel cervello. Con il passare del
tempo ho iniziato a capire che gli altri riescono, anche se solo per un attimo,
a percepire questa cosa. E’ questo il motivo per il quale a scuola mi hanno
chiamato genio. Quando parlo a
qualche professore o quando semplicemente rispondo ad una loro domanda é come se
automaticamente, in un preciso attimo, catturassi l’attenzione di quell’animo. E
loro sono entusiasti di me, anche se alla fine non ho detto niente di speciale.
Ma questo non capita solo con i professori, capita con la mia famiglia ed é
capitato anche con Candace e Joseph, quando li ho conosciuti. E’ come se si
trattasse di una scintilla, una sorta di attrazione, e quello é l’unico momento
in cui una persona potrebbe riuscire a rendersi conto di cosa riesco a fare. Ma
le persone non riescono quasi mai a coglierlo, quell’attimo. Tutte rimangono un
po’ scosse, un po’ sotto tono - come se avvolte dal mistero - , ma nessuno ha
mai vissuto quel momento così infondo
per capire. Seppure sia nella mia natura essere così, ho sempre concepito tutto
in maniera negativa: avevo paura che gli altri potessero chiedersi se
evidentemente io fossi strano, e inoltre mi sentivo tremendamente in colpa. Non
é giusto sentire le emozioni degli altri, non é umano. É per questo che ancora adesso tento di
tenermi a distanza da tutti, di parlare poco, di non farmi mai notare: non
voglio instaurare rapporti che so di non poter mantenere, non voglio poter
riuscire a leggere troppe cose nell’animo delle persone...perché si, dipende
anche da questo. Più conosco una persona e più riesco a interpretare quello che
sento. Ad esempio, conosco ogni parte dell’animo di Laney e Peter, di mia madre,
un po’ meno di mio padre...e ovviamente molto di Candace e Joseph. Lo so, sono
ingiusto con loro: mi hanno accettato, voluto bene, sono pazienti con me quando
preferisco restare solo, eppure non ho avuto il coraggio di dir loro
niente...non so come potrebbero reagire, io non voglio perdere i miei due unici
amici, rovinare l’amicizia raccontando tutto di me. Tu sei la prima alla quale
racconto tutto questo, Viola-
Gli occhi di Manuel finalmente si alzarono, sfiorarono
quelli di lei in uno sguardo imbarazzato eppure tranquillo. Bastò uno sguardo di
Viola a fargli intendere che avrebbe voluto sentire ancora
qualcosa.
-
Negli anni della mia infanzia
ha giocato un ruolo molto importante la stanza al pianterreno, quella che ti ho
detto essere la mia stanza segreta. Andavo lì quando piangevo perché non
riuscivo a tenere sotto controllo tutto quello che sentivo, andavo lì quando
cercavo di isolarmi dalle persone e dai loro pensieri in continua successione,
quando volevo provare a capire che sensazione si provasse ad ascoltare solamente
quello che si prova all’interno della propria anima...andavo lì anche quando ho
iniziato ad avvertire le vibrazioni della natura, quando ho iniziato a percepire
quando avrebbe piovuto o nevicato, o cose del genere. É una cosa che é nata
quasi in contemporanea alla percezione delle emozioni, ed é esattamente come
sentire un’emozione: sentire una fitta attraversarti lo stomaco e poi il cuore, la testa girare e poi di nuovo il
cuore, che ti fa sentire quasi in
bocca il sapore della pioggia se pioverà, della neve se nevicherà...e la perdita
di qualsiasi facoltà fisica se si tratta di un fulmine. Sentire vibrazioni di
questo tipo é come rendersi conto che anche la natura ha un’anima che aleggia tutta intorno a noi e
manifesta le sue emozioni continuamente. Ho capito di averti spaventato quando
mi sono fermato d’improvviso in mezzo alla strada, quel giorno...speravo non mi
capitasse mai in un luogo pubblico, soprattutto davanti a te...eppure é
successo, ed é stata una cosa talmente forte che non sono riuscito a trattenermi
dall’esternarla. Come vedi, sto ancora imparando a controllare quello che
sento...certo, adesso non piango più ogni volta che mi trovo in pubblico, ma di
tanto in tanto, quando accade qualcosa di davvero forte, devo fare un enorme
sforzo per non piangere o sentirmi male. Chissà, forse un giorno tutto questo mi
sarà indifferente...vivrò sentendo le emozioni del mondo essendo insensibile a mia volta. Lo penso a
volte, sai? Quando sarò adulto e poi vecchio...quante cose avrò
imparato?-
Fece un’altra breve pausa, un sorriso, alzò lo sguardo
con la tranquillità stampata sul volto.
-
E poi...c’é un’altra cosa che
devo dirti-
Viola sentì una scossa salirle lungo la
schiena.
-
Cosa?- chiese, con voce
soffocata.
Manuel sospirò, il velo di una nuova ombra gli cadde
sugli occhi.
-
Si tratta...dei tuoi
sogni-
-
Sogni?-
-
Già -
Esitò per un attimo, socchiuse gli
occhi.
-
So che mi hai sognato molte
volte...cioè,in realtà...più che sognarmi, sono stato io a venire nei tuoi
sogni-
Il vento scompigliò i capelli di Viola in modo da
coprirle gli occhi, ma lei rimase impassibile. Tentava di parlare ma non ci
riusciva, fu assalita da un improvviso senso di vergogna e un’espressione
sconcertata, per un momento si sentì invasa dall’interno, - per un semplice
attimo, l’attimo relativo a quello che lui aveva detto, si era sentita
spaesata.
Manuel abbassò gli occhi con un
sospiro.
-
Sapevo che non avrei dovuto
dirtelo, - sussurrò, - ma voglio essere sincero davvero con te, Viola, non
voglio nasconderti niente e questa é una cosa che neanche la mia famiglia sa. So
che adesso ti senti preoccupata, un po’ inquieta...ma non lo farò più, davvero,
non ho intenzione di entrare ancora nel tuo inconscio- si affrettò a concludere,
con uno sguardo dolce e supplichevole allo stesso tempo.
Viola ancora non riusciva a parlare, eppure quel
sentimento che per un secondo le aveva attraversato il cuore era passato. Era
stato l’attimo, era stata la sorpresa, non avrebbe mai voluto avere quel momento
di diffidenza nei suoi confronti, non era questo che provava per
lui.
-
So che é una cosa orribile-
continuò Manuel, - so che non ho avuto nessun diritto di farlo... ma é solo in
parte colpa mia, é il rapporto che ho con te che mi mantiene in continuo
contatto con le tue emozioni e con quello che pensi, quindi anche con quello che
sogni. So di averti spaventata, ma ti prego, non guardarmi con quel viso, mi
sento male. Non lo farò più-
Sfiorò le dita di Viola con le sue, lei guardò le loro
mani, poi sospirò con un sorrisino.
-
Scusami, era solo...solo il
momento. Non m’importa che...sei venuto nei miei sogni, davvero...solo che
questo davvero mi ha spiazzato, non lo credevo possibile...ma non fartene
nessuna colpa, Manuel. Davvero. Scusami per quell’emozione, non volevo
ferirti-
Manuel fissò i suoi occhi, sentì che quello che diceva
era vero e il cuore gli si riempì di gioia.
-
Tu non dovresti chiedermi
scusa. É normale rimanere turbati da una cosa del genere...dovrei essere io a
chiedere in ginocchio il tuo perdono, Viola. Ma é stata una cosa
quasi...inevitabile-
-
Raccontami, - lo interruppe
Viola, - raccontami come é successo-
Manuel abbassò lo sguardo sulle loro mani ancora unite,
un lieve sorriso gli colorò il viso.
-
In realtà, la prima volta che
mi hai sognato la persona che hai visto era completamente frutto della tua
immaginazione. Dopotutto, non hai fatto altro che sognare una scena della tua
vita già vissuta, il momento dell’incidente di Sally. Eppure, nel momento in cui
il tuo inconscio mi ha ricordato, é stato come se le emozioni che ti provocava
il mio ricordo mi avessero evocato. Così sono entrato per la prima volta nei
tuoi sogni, come presenza astratta. Ho osservato per la prima volta chiaramente
il sentimento che ti stava nascendo dentro e lo vedevo molto più vivido di
quello che avevo sentito quando ci eravamo incontrati quella mattina. Sin dal
nostro primo incontro ho capito che eri rimasta colpita da qualcosa, sin da quel
giorno quando ci siamo guardati e poi io sono sparito...- sorrise, Viola si
sorprese che lui ricordasse e condividesse quel momento, - sin da lì io ho
capito che cercavi qualcosa in me, sebbene non sapessi cosa. Come ho già detto,
io non leggo nel pensiero, e quello che sento non é mai certo...i sentimenti
cambiano e le emozioni sono qualcosa di molto precario. Ad ogni modo, dopo quel
primo sogno ho iniziato a pensare a te molto più di quanto avrei dovuto. Una
parte di me si chiedeva qual’era il vero motivo per il quale tu stessi tentando
di avvicinarmi, un’altra parte stava ammirando il tuo modo di essere e di
pensare. Questa mia condizione finisce col condizionarmi completamente,
qualsiasi cosa faccia, ed é per questo che ti chiesi cos’é che facevi di
particolare...capivo che dentro di te c’era qualcosa di diverso dagli altri,
eppure non potevo leggertelo nel pensiero. Così tutto é diventato chiaro quando
mi hai detto che suonavi il pianoforte. In quel momento, con te, ci fu la
scintilla, l’attimo, quello in cui il tuo animo fu attratto dal mio. Era questo
che ti legava in modo profondo alla tua anima, era il tuo modo di essere in
relazione alla tua musica che mi piaceva assaporare di te...ed é stato per
questo che decisi di regalarti quel libro di Bach. Avrei tanto voluto chiederti
di suonare subito, così avrei visto diventare atto tutto quello che sentivo solo
come effluvi passivi, ma non ne ebbi il coraggio. Così quella sera fui io a
farmi sognare...sono stato davvero io a chiederti di suonare, fino al Minuetto,
quella notte-
Il ricordo di quel sogno fece arrossire Viola, Manuel le
strinse per un attimo la mano.
- Ed é stato così bello che il giorno dopo non vedevo
l’ora di vederti e di chiederti di suonare per davvero, anche se tu,
inconsapevolmente, l’avevi già fatto. Quando hai suonato per me nella sala
musica é stato come rivivere in maniera più vera e amplificata quello che avevo
sentito quella notte nei tuoi sogni. E non é mai stato così bello ascoltare
un’emozione come l’amore che suonare ti scatena dentro-
Quelle considerazioni, tutte vere, lasciavano Viola
senza fiato.
- E poi, si...anche le successive due volte che mi hai
sognato sono stato io, - continuò, - quando hai sognato i tuoi amici che ti
voltavano le spalle eri così impaurita che non ce l’ho fatta a rimanere una
presenza invisibile, volevo abbracciarti e dirti che era solo una paura, che non
sarebbe successo niente di male. Come vedi, le emozioni delle persone alla fine
finiscono col prendermi del tutto: ero consapevole che quello che stavi vivendo
non era reale ma solo una paura riflessa dal tuo inconscio, ma vederti piangere
é la cosa peggiore che mi sia mai capitata, - si fermò, la voce aveva sfumato
sull’ultima frase, - e avevo bisogno di vederti tranquilla. Così fu anche
l’ultima volta, tempo dopo, ormai dopo la storia del fulmine. Ero in collera con
me stesso per averti messo in pericolo, per non poterti dire la verità e anche
per averti trattato così freddamente quando non te lo meritavi e non era quello
che volevo. Sebbene a distanza, sentivo il tuo dolore, quasi sentivo le tue
lacrime sulle mie guance e mi mancavi. Mi mancavi tanto. Così ho avuto un
momento di debolezza...volevo un momento per stare con te, un momento che non
avrebbe condizionato il futuro, un momento che forse avresti dimenticato. Non so
se...ricordi...ti dissi...-
-
...un sogno non può farti male, vero?-
Viola interruppe il suo discorso, le parole da dire
stavolta non avevano avuto timore di uscire spedite, sicure di non
sbagliare.
Il volto di Manuel si illuminò, gli occhi divennero
lucidi.
-
...forse quel sogno non fece
male a te...ma fece male a me. Iniziai a pensarti ancora di più, a non voler più
nascondermi dietro la freddezza, mai come quella volta desiderai essere normale,
non aver niente da nasconderti...desiderai poterti rendere felice come avrebbe
potuto farlo qualsiasi altro...-
-
Ma solo tu puoi rendermi
felice, Manuel. Non un altro-
I loro occhi si incrociarono, Manuel strinse di più la
mano di lei.
- Viola...-
- Si?-
- Ti andrebbe di vedere quella stanza al
pianterreno?-
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Capitolo 9 *** 8. ***
fiori9
Lui le aveva detto che a quell’ora la casa era vuota,
Laney frequentava dei corsi pomeridiani, Peter era fuori città per i suoi studi
e i suoi genitori erano a lavoro.
Una volta sulla soglia di quella casa quasi non riusciva
a credere di essere lì, nella famosa Casa della Settima Strada, chissà cosa
avrebbero detto Daniel e Luce se l’avessero saputo...!
Davanti a se ora vedeva un enorme atrio, il pavimento
era grigio e lucido, le pareti ricoperte di velluto e sulla destra un salotto,
con un tavolo in vetro ed un divano in pelle grigio, proprio davanti ad
un’enorme vetrata coperta da una tenda bianca. Sulla sinistra un altro piccolo
ambiente, una pianta rigogliosa e verde accanto ad una lampada nera e un altro
paio di poltrone in pelle grigia. Anche qui, alle spalle delle poltrone c’era
una grande vetrata coperta dalla tenda.
Il tutto appariva misterioso e inquietante, eppure
nobile e principesco.
La Casa sulla Settima Strada si era rivelata quello che
tutti, compresa lei, credevano fosse: la casa di un
principe.
A qualche metro dalla porta d’ingresso c’erano delle
enormi scale a chiocciola di legno scuro e c’era un corridoio che si apriva
dietro quelle scale. Manuel chiuse la porta e prendendola per mano la condusse
verso quel corridoio, che, proprio come i corridoi nascosti dei castelli, aveva
porte a destra e a sinistra, tutte chiuse. Si fermarono davanti all’ultima porta
sulla sinistra, lui l’aprì, entrarono.
L’ambiente era confortevole, una grande finestra
lasciava entrare la luce illuminando un piccolo divano al centro della stanza,
unico accessorio che la riempiva. Quello che colpiva erano le pareti. Erano
piene di fogli e su ognuno c’era scritto qualcosa. Ogni scritta aveva un colore
diverso.
-
Queste sono le emozioni del
mondo- annunciò lui in un sussurro, invitandola ad entrare ed osservare.
Viola lo guardò negli occhi, lui abbassò lo sguardo e si
sedette sul divanetto con le mani sulle ginocchia, immobile come una
statua.
-
Le hai scritte tutte tu?-
domandò con un filo di voce, indicando tutti quei fogli.
-
Si- rispose lui, alzandosi e
seguendo lo sguardo spaesato e meravigliato di Viola.
Poi soffocò una risatina.
Viola si voltò verso di lui distogliendo lo sguardo da
quella meraviglia attaccata al muro.
-
Perché
ridi?-
-
Sei ammirata- rispose lui, e
non era una domanda. Viola alzò le spalle, abbozzò un
sorrisetto.
-
Cosa sono precisamente?-
chiese avvicinandosi di più alla parete.
Manuel esitò per qualche attimo.
-
Forse poesie. O simili. Sai,
ci sono volte in cui non riesco a tenermi tutto dentro, ho bisogno di scaricare
quello che sento...é difficile controllare tutto quello che mi succede nel corso
di una giornata, a volte temo di non farcela. Ma dopo aver scritto mi sento
molto meglio. E’ come se da dentro la mia testa venissero fuori tutte le cose
che ho sentito e sono tutte lì, in queste...poesie. Anche se a me piace chiamarle
con il loro nome. Emozioni -
-
Quante ne scrivi al giorno?-
chiese poi, distogliendo lo sguardo dalle pareti e avvicinandosi a
lui.
-
Dipende. In alcune giornate
basta una sola riga-
Viola osservò il suo sguardo, gli occhi di ghiaccio
immobili, i lineamenti rilassati e tranquilli.
-
Potresti mostrarmi...come
ascolti un’emozione?- chiese con un filo di voce.
Manuel staccò gli occhi dal vuoto e li posò su di lei.
Restò a guardarla per qualche secondo con un’espressione illeggibile, poi
abbozzò un sorriso.
-
Siediti qui- la esortò,
indicandole la sponda del divano dove anche lui si stava accomodando. Viola si
sedette lentamente, curiosa di sapere come avrebbe risposto. Lui sorrise di
nuovo divertito dalla curiosità di lei e curioso egli stesso della reazione che
avrebbe suscitato.
-
Adesso, dammi la tua
mano-
Viola gli tese leggermente la mano destra, lui la chiuse
tra le sue gentilmente, le dita bianche tastavano la pelle di lei, su e giù per
la mano, i suoi occhi seguivano i propri movimenti, l’espressione era di nuovo
illeggibile. Viola perdeva fiato e ogni respiro era più corto ogni volta che le
sue dita calde salivano e scendevano accarezzandole il dorso della mano.
Lui, lui era un angelo.
Manuel socchiuse gli occhi, la mano iniziò a
tremargli.
-
Sei...emozionata....e
curiosa...ti senti protetta e salva in questo momento...libera dalle
avversità...come...come una...melodia lineare...una sequenza
di...note...ordinate...come se avessero trovato un assetto dopo aver vagato a
lungo...-
Alzò gli occhi verso di lei, lesse nel suo sguardo che
non stava sbagliando. Ma su questo lui non poteva sbagliare. Viola era così
sorpresa da non riuscire a parlare né a muovere nessun altro muscolo del viso,
lui rise rompendo quell’atmosfera.
Lentamente liberò la sua mano dalle
sue.
-
E’ incredibile- sentenziò
poi, in un sussurro appena udibile.
-
Non te l’aspettavi,
eh?-
-
Io...in
realtà...-
-
Posso
capire-
Distolse lo sguardo da lei, fissò il vuoto sotto i suoi
piedi per qualche istante, sospirò.
-
Non ho mai visto una cosa del
genere in tutta la mia vita, é fantastico- continuò Viola, scuotendo la testa
come se cercasse di capire se era un sogno o stesse succedendo
davvero.
-
Non é così bello come sembra
- sussurrò lui, socchiudendo gli occhi.
Dopo un secondo alzò di nuovo lo sguardo da lei, che
sembrava aspettare di nuovo le sue parole.
- Viola, io so che nessuno si sentirebbe a suo agio con
me sapendo quello che posso fare e inoltre non é neanche giusto. Non ho nessun
diritto di entrare nella testa degli altri, di sapere quello che sentono, eppure
mi succede, eppure non posso farci niente. Sai, a volte...a volte credo che il
mio destino sia quello di restare solo per sempre. Non esiste nessuno di così
coraggioso capace di amarmi davvero sapendo chi sono -
Viola osservò il suo viso contratto dalla sofferenza che
gli aveva provocato rivelare quelle cose, i suoi occhi sembravano accecati da
una barriera invisibile, la bocca serrata.
-
Non devi pensare questo di
te. Non sei un essere negativo-
-
Viola, nessuno con me potrà
mai sentirsi libero-
-
Eppure io sono
qui-
Manuel ammutolì, i suoi occhi incrociarono quelli di
lei. Nel giro di qualche secondo la sua espressione si addolcì, sorrise
abbassando gli occhi.
-
Sei la prima persona alla
quale dico tutto questo, la prima che vede questa stanza, che vede questi fogli,
la prima che non mi considera...diverso...-
Stavolta fu Viola a ridere.
-
E tu sei la prima persona che
sa quello che sto provando risparmiandomi la fatica di parlare. Siamo pari, no?-
Si alzò dal divano, sorrise allargando le braccia. Lui
sorrise a sua volta, si alzò mentre dentro gli scoppiava la guerra.
-
Io non voglio farti del male,
Viola. In nessun modo-
-
Non mi fai del male, Manuel
-
-
Ma potrebbe succedere. Potrei
ferirti, in qualsiasi modo, con qualunque pensiero, con qualsiasi minimo
movimento, e non voglio. Non voglio che per colpa mia tu
debba...-
-
Non mi costringi a niente. Ti
ho chiesto io di mostrarmi il tuo mondo e non ho paura delle conseguenze, non ho
paura del fatto che tu possa guardare in me, sempre-
Manuel l’abbracciò, strinse le braccia intorno alla sua
vita e poggiò il mento nell’incavo del suo collo mentre le emozioni e i
sentimenti di lei si trasferivano sul suo corpo come se fossero le gocce che
compongono un lunghissimo fiume. Non avrebbe mai dovuto permettere che una cosa
del genere succedesse, non avrebbe dovuto permettere né a lei e né a se stesso
di far nascere sentimenti così profondi, era andato contro tutte le regole che
si era prefissato di rispettare. Che cosa ne sarebbe stato di lei, quando un bel
giorno avrebbe capito la condizione nella quale si era messa? Gli avrebbe
semplicemente spezzato il cuore? Una parte di lui voleva credere che questo non
sarebbe mai successo, poteva sentirlo dal fiume che sentiva scorrere su di
se.
-
Su Viola, adesso smettila di
essere felice. Non so come si fa a ricordare la felicità -
...
Il sole stava calando, ma
ci sarebbero state almeno un altro paio d’ore di luce.
La Settima Strada era
illuminata da quegli ultimi raggi e le ombre degli alberi e delle case si
allungavano sull’asfalto.
-
Non devi accompagnarmi a
casa, davvero- mormorò Viola mentre lui ormai le camminava già
affianco.
-
Ma io voglio farlo –
rispose con un sorriso, - e poi ho anche io qualcosa da
chiederti-
Viola piegò la testa da un
lato curiosa.
-
Cosa potresti mai
chiedermi?-
Manuel abbassò la testa con
una nota di imbarazzo, un leggero sorriso gli colorò il
viso.
-
Beh, ti ho raccontato tutte
quelle cose su di me ma adesso...perché non mi spieghi per bene come hai fatto a
scoprire chi ero? Perché hai notato me tra tanta gente?-
Viola non era brava con le
parole, o almeno, non brava quanto lui, e aveva paura di non riuscire a trovare
quelle adatte. Come gli avrebbe raccontato della nota dissonante o di tutti quei
ragionamenti sulla sua presunta perfezione?
-
Non imbarazzarti, - mormorò
Manuel, - la mia é semplice curiosità-
Viola si portò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio, sospirò.
-
La prima volta che ti ho
visto é stato quella mattina, quando ci siamo guardati. Non so precisamente cosa
mi colpì da te, ma qualcosa mi costrinse a guardarti per più di un istante.
Forse é questa tua aura un po’ strana che ti circonda, non lo so...ebbi
l’impressione che tu fossi come la nota che rende un accordo dissonante. Un
suono come tutti gli altri, eppure con una punta di diversità. Amai quel
qualcosa perché era fuori dalla mischia, ma un momento dopo tu sparisti e io
iniziai a pensare che presto avrei dimenticato tutto e che probabilmente non ti
avrei mai più rivisto. Invece quella stessa mattina ti vidi nel corridoio del
terzo piano, eri lì con quel pacchetto di fazzoletti...mi sono nascosta per non
farmi vedere e per osservare quello che facevi, poi, dopo essermi sorpresa
abbastanza, sono scesa al piano di sotto. Quando sono risalita ho incontrato
Tracy piangente, e quando si é seduta sulla panchina e ha afferrato i fazzoletti
ho fatto un collegamento immediato a te. Una parte di me iniziava a domandarsi
se fosse stata una cosa programmata oppure una semplice coincidenza, eppure non
era un gesto normale quello che avevi fatto. Fui tormentata da questo episodio
fin quando non fui colpita ancora di più da quello successivo, la gamba di
Sally. Quel giorno mi trovavo in palestra a causa dell’assenza della
professoressa di matematica e tu sei stato la prima persona che ho notato uscire
dagli spogliatoi. Ricordo che eri con Candace e Jospeh, e ricordo di essermi
chiesta chi fossero. Quando poi Sally cadde, accorsi insieme a tutti gli altri
per vedere quello che era successo, e quando hai parlato...forse sono stata
l’unica che ha continuato a sentire la tua voce anche dopo quel momento. Come
avrei voluto fermarti, chiederti perché avevi detto quella frase, come facevi a
saperlo! Ma non avrei avuto giustificazioni, e poi, in un secondo, anche quella
volta sparisti. Così rimasi con la tua frase in testa fin quando non mi accertai
che fosse vera, quella stessa mattina, quando andai a trovare Sally in ospedale,
- fece una pausa, Manuel teneva gli occhi bassi - , e così ebbi la certezza che
tu eri qualcosa di strano e speciale. Non sapevo neanche il tuo nome ma avrei
dato oro per conoscerti e per poter parlare con te...così, dopo averti visto
entrare a inglese alla terza ora ho fatto alcune ricerche. Tracy disse a me e
alla mia amica Mia che stava frequentando inglese, che era una materia noiosa e
che nella loro classe c’era un genio. Ci disse che tu eri molto più che
solo bravo, tu eri qualcosa di mai visto, un incanto vivente. Capii che ti
chiamavi Manuel Green perché eri l’unico in classe a star seduto da solo, –
abbozzò un sorrisetto, Manuel spostò gli occhi su di lei, - qualcosa mi diceva
che preferivi la solitudine ad un qualsiasi compagno di banco. Decisi che avrei
fatto qualsiasi cosa per entrare ad inglese alla terza ora e per sedermi a quel
banco vuoto, accanto a te. Quel giorno stesso andai dal professor Joel e gli
chiesi di poter prender parte a delle lezioni extra per poter entrare a far
parte del suo corso su Shakespeare e lui mi concesse sei lezioni nella sua
classe della terza ora. Il resto lo sai-
Gli occhi di Manuel la
fissavano ma quelli di Viola rimanevano bassi, imbarazzati, ancora increduli
dell’aver esternato tutto quello che era successo.
-
Dunque la tua amica é
coinvolta -
Manuel le si avvicinò di
più, sentì una strana tensione farsi strada dentro di lei.
-
Non ho detto niente, anche
se Mia è preoccupata per me -
-
Come sarebbe a
dire?-
La voce di lui si fece
preoccupata.
-
Mi hanno vista star male,
essere assente... -
Manuel abbassò gli
occhi.
-
Ascolta Viola...io capisco
il sentimento di amicizia che ti lega a lei, posso vederlo nei tuoi occhi e
sentirlo sulla mia pelle quando ne
parli. Ma non puoi dirle niente-
-
Ma
lei...-
-
No, Viola. Mi pesa
chiederti una cosa del genere, ma non devi dir niente-
Viola alzò gli occhi al
cielo per un attimo. Le stava chiedendo di mentire. Il problema della sua poca
attitudine alle bugie sparì in un attimo quando capì che era una bugia
inevitabile: era ovvio che non poteva dirle la verità, quello era un segreto che
riguardava Manuel, non lei. Non aveva il diritto di spiattellarlo in faccia alle
persone, non poteva, non doveva e non voleva farlo.
Essere sincera con lui
adesso era la sua priorità.
-
Va bene. Non dirò
niente-
Manuel alzò gli occhi su di
lei e dal suo sguardo, che traboccava di sentimenti, colse la sua
sincerità.
-
Ti
ringrazio-
-
Non devi ringraziarmi.
Questa cosa riguarda solo te e non lo dirò mai a nessuno a meno che non sia tu a
chiedermelo-
-
Forse cambieranno un po’ di
cose nella tua vita adesso...-
-
Non m’importa, non voglio
più pensare a com’era prima, mi interessa solo adesso-
-
Toglimi una curiosità,
Viola, ma non hai paura?-
Viola si
fermò.
-
Paura? E di
cosa?-
-
Di ciò che le tue emozioni
potrebbero dirmi. Potrei sempre sapere tutto, più di qualsiasi cosa tu
vorrai-
-
E
allora?-
-
Questo non ti da
fastidio?-
-
No-
-
Ne sei
sicura?-
-
Se non ne fossi stata
sicura non avrei continuato a cercarti-
Una folata di vento fece
volare le poche foglie caduta da un albero ormai già completamente spoglio,
Manuel le accarezzò il viso, Viola posò la guancia sulla sua mano. Il silenzio
sfiorò quel momento tanto da imprimerlo nella mente di Viola come se fosse di
vetro. Manuel abbozzò un sorriso, gli occhi erano lucidi e
lucenti.
-
Sarà meglio che ci
sbrighiamo, Viola. O arriverai davvero tardi a casa-
Manuel le prese la mano,
Viola poggiò la testa sulla sua spalla e ripresero a
camminare.
...
Mia era seduta sul letto di
Viola, giocherellava con i braccialetti del suo polso
destro.
Era stato strano per Viola
trovarla a casa appena tornata, quella sera, eppure da un lato forse era meglio
affrontare il discorso subito. Adesso che aveva appena parlato con Manuel di
tutta la vicenda si sentiva più forte seppure in totale dipendenza da lui: se un
altro litigio avesse rotto quell’idillio non avrebbe saputo più cosa
fare.
Le tazze di thé che Janine
gentilmente aveva offerto giacevano sul comodino di Viola, Mia finalmente smise
di guardare i braccialetti e alzò la testa.
-
Allora?- chiese
infine.
Viola alzò lo sguardo,
tentò la simulazione di un sorriso tranquillo. Nella sua testa aveva un discorso
elaborato, abbastanza logico, ma che sarebbe dovuta riuscire a render
vero.
-
Beh, in primis mi dispiace
per non aver parlato prima, - iniziò, guardandole a tratti, - ma il litigio che
c’era stato tra noi era stato davvero molto brutto e ci sono stata molto
male-
-
Perché avevate litigato?
Cos’é che hai saputo?- chiese a quel punto Mia.
Viola finse una
risatina.
-
Saputo? Beh, in realtà...in
realtà non é che ci fosse molto da scoprire, lui non é...-
-
Okay, okay, frena: per più
di due giorni sei sparita, ti ritrovo rinchiusa in casa come in preda ad una
crisi depressiva e solo questa mattina parevi coinvolta in un colpo di stato, e
adesso? Tutto magicamente sparito?-
-
Avevamo avuto un brutto
litigio, ve l’ho detto... e non ero in crisi depressiva, mi ero solo
ammalata-
-
Tutto
qui?-
-
Come sarebbe a
dire?-
-
E le cose che ti hanno
ossessionato fino ad oggi? Il pacchetto di fazzoletti, la gamba rotta...tutte
sparite? Cos’é che fa, i miracoli, questo ragazzo?- esclamò, mentre le
guance le si arrossavano.
Viola emise un sottile
sospiro. Sapeva che sarebbero giunti a questo punto, ma non aveva intenzione di
cedere neanche davanti all’evidenza.
-
Non era come
pensavo-
-
E com’era, allora?-
continuò Mia.
-
Tu neanche ci
credevi!-
-
Credo a ciò che vedo! E tu
non eri più la stessa, e sai meglio di me che non sai dire le
bugie!-
-
Non ti fidi di
me!-
-
Dovrei
fidarmi?-
-
Ti ho mai detto una
bugia?-
-
No, ma
adesso...-
-
Ecco, lo sapevo! Non hai
motivo per dubitare di quello che vi dico eppure lo stai facendo! Capita a tutti
di sbagliarsi, no? Bene, io ho sbagliato, lo ammetto, sono stata paranoica,
ossessiva, così come mi avevi detto tu, ma adesso so che ho sbagliato a pensare
quelle cose e ho conosciuto un ragazzo fantastico che mi vuole bene davvero e
tu, tu!...invece di sostenermi e dirmi che sei contenta per me cosa fai?
Esattamente il contrario, cercando non so cosa per rovinare
tutto!-
Stava urlando. Una parte di
lei si meravigliò di come in pochissimi secondi aveva imparato a mentire così
bene che quasi quello che diceva pareva essere vero anche a
lei.
Mia la fissava con un
cipiglio di preoccupazione.
-
Okay, forse é meglio
calmarci- sentenziò poi dopo un attimo, alzandosi.
Viola respirava ancora
affannosamente.
-
Era solo un brutto momento,
te l’ho detto- sibilò Viola abbassando lo sguardo.
-
Già...ma adesso ascolta.
Guardami negli occhi, Viola-
Viola alzò lo sguardo verso
Mia.
-
Io sono disposta a crederti
se giuri davvero che quello che hai appena detto é la verità. Non voglio
litigare con te, Viola, siamo amiche da sempre e non ci siamo mai dette
bugie...in definitiva é umano sbagliare, e non vedo il motivo per il quale
dovresti mentirmi...che poi, infondo, sono sempre stata io la prima a dirti che
eri paranoica...-
Viola ascoltava quelle
parole con un viso ancora contrariato mentre dentro di se era felice come se
avesse vinto una guerra.
-
Io non ti ho mai mentito e
non lo farò mai. Questa é la verità- sentenziò poi, con la convinzione
che traboccava da ogni sillaba.
-
Me lo giuri, Viola?- chiese
quest’ultima.
-
Te lo
giuro-
-
Tutto quello che hai visto
era tutto falso?-
-
Si-
-
Davvero?-
-
Si. Ad ogni modo mi
dispiace per essere stata scostante- riprese, per incentivare la sua sincerità,
- ma per me Manuel é davvero importante. Non voglio che la mia migliore amica mi
sia contro in qualcosa di così bello-
Mia
sorrise.
-
Non voglio esserti avversa,
Viola, sei mia amica –
Un altro abbraccio le
avvolse, e quando le ragazze lasciarono la stanza e finalmente l’ambiente si
riempì di vuoto e di silenzio, Viola poté capire e comprendere, almeno per quei
pochissimi istanti, ciò che realmente aveva fatto.
Ma anche Mia ebbe qualche
secondo di lucidità per comprendere ciò che aveva realmente fatto. Lanciò uno
sguardo alla borsa che portava a tracolla e si sentì morire.
Aveva rubato il diario di
Viola.
…
Le lezioni di inglese di
Viola alla terza ora erano ufficialmente finite, il professor Joel aveva letto
con entusiasmo quello che aveva scritto nella sua relazione ed era contento di
ammetterla al corso intensivo su Shakespeare. “Sei il mio vanto, Viola Lens”,
aveva detto, “sono fiero di te. Quando il mese prossimo ricomincerò a tenere il
corso, sarà un piacere averti nella mia classe”.
Viola aveva sorriso e
l’aveva ancora ringraziato: dopotutto, se lui non avesse acconsentito, non
avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere Manuel.
Quindi era anche un po’
merito del professore.
Con un sorriso Joel l’aveva
congedata dal suo ufficio e Viola, tranquilla che tutto fosse andato bene, uscì
e raggiunse Manuel all’angolo del corridoio, lì dove l’aveva
lasciato.
Forse era solo una sua
impressione, ma era da quando quella giornata era cominciata che le sembrava che
tutti li guardassero in modo strano, sin da quando aveva incontrato Manuel
quella mattina e non si erano lasciati un attimo.
Ogni persona che passava
lanciava loro uno sguardo furtivo, occhi e sorrisini che spuntavano da ogni
parte mettevano Viola in soggezione. Ma cos’é che guardavano? In un primo
momento non se n’era resa conto, pensava che ci fosse in lei qualcosa di strano,
poi si accorse che non era lei che guardavano.
Era
lui.
Manuel non si era mai fatto
vedere così tanto in giro, i suoi compagni di classe non l’avevano mai visto
sorridere.
Gli occhi erano tutti
puntati su di lui, sguardi divertiti e attoniti li
circondavano.
-
Mi sento al centro
dell’attenzione – disse d’un tratto, mentre scendevano le scale alla fine della
quinta ora.
Viola alzò le spalle, gli
lanciò uno sguardo.
-
E non ti piace?- lo
provocò.
Manuel storse il
naso.
-
Sono tutti molto
meravigliati. Si chiedono dove fossi stato fin’ora. E si chiedono chi sei
tu-
-
Quindi sto diventando
famosa-
Viola aveva un sorriso
divertito stampato sul volto.
-
Non avrei mai pensato che
farti vedere con me scaturisse questo effetto, io pensavo il contrario. Ed é
l’unica cosa che mi consola-
-
Cioè?-
Manuel rise, abbassò la
testa e i capelli gli caddero sugli occhi.
Stavano attraversando il
lungo corridoio del primo piano, la luce del sole filtrava dai vetri delle
finestre illuminando gli armadietti alla loro destra.
Manuel esitò per un
attimo.
-
Il fatto é che...anche
essendo non propriamente quello che si intende per “ragazzo normale”, chi mi
frequenta può, almeno apparentemente, continuare a svolgere una vita
normale. Tu, ad esempio: certo, sapere chi sono inevitabilmente ha
cambiato qualcosa in te, ma questo é tutto. Non é come sapere che Clark Kent é
Superman...lui era un supereroe e la sua vita era pericolosa, i nemici che si
trovava a fronteggiare avrebbero potuto in qualunque modo far del male alle
persone a lui care e mettere le loro vite in pericolo. Quante volte Clark Kent
ha salvato Lois Lane dalle calamità? Forse troppe...sai, lui era un supereroe, e
aveva un ruolo nella sua società. Se non ci fosse stato lui, tutto sarebbe
andato a rotoli. Io non so cosa sono e non ho un ruolo della società, ma le
persone che mi sono care non correranno mai pericoli del genere. Non ci saranno
alieni provenienti da Kripton che vorranno ucciderli, non ci saranno strani
mostri che cercheranno di rapirti per tenerti come
ostaggio-
Viola non smise di
guardarlo, lui abbassò gli occhi colpito dall’ammirazione per le sue
parole.
Dopo un attimo Viola
sorrise.
-
Stai cercando di dirmi che
Lois Lane era molto meno fortunata di me?-
-
In un certo
senso...-
-
Oh ma questo già lo
sapevo-
-
Lo
sapevi?-
-
Già. Tu sei migliore di
Superman-
-
Ti ricordo che non so
volare-
-
Potresti sempre
imparare-
-
E se non imparassi
mai?-
-
Saresti migliore comunque.
Non credo che Clark Kent sapesse quello che provava Lois Lane quando volavano o
anche quando semplicemente parlavano. Tu puoi saperlo-
-
E sei davvero sicura che
questo mi renda migliore di lui?-
-
Si-
-
Non preferiresti un Clark
Kent che ti prenda in braccio e ti faccia volare?-
-
No-
Manuel scoppiò a ridere, le
lanciò uno sguardo mentre gli occhi luccicavano di gioia.
Arrivarono finalmente
nell’atrio che si riempiva di persone, Viola lo guardò quasi volesse aggiungere
qualcosa, quando una voce dietro di lei fu più veloce nel
parlare.
-
Viola!-
Si fermò di scatto e Manuel con lei. L’espressione di
lui era quella che abitualmente assumeva quando incontrava una persona nuova:
automaticamente la stava conoscendo dentro, partendo da semplici dati come il
timbro della voce o il tono con il quale aveva parlato.
-
Daniel!- esclamò Viola,
incrociando lo sguardo dell’amico. Beh, sapeva che prima o poi questo momento
sarebbe arrivato, ma nella sua mente credeva di poterlo rimandare all’infinito.
Accanto a Daniel, con un sorriso equivoco, c’era Luce, con le braccia incrociate
sul petto. Entrambi passavano gli occhi da lei a Manuel
incuriositi.
-
Sembri stare meglio dei
giorni scorsi - disse subito Daniel, con il solito tono divertito. I suoi occhi
passarono su Manuel, il quale aveva la solita espressione illeggibile.
-
Oh si! Janine dice che é il
cambio di stagione che mi fa male-
Viola abbassò gli occhi, Luce lanciò un’occhiata curiosa
a Manuel. Viola seguì il suo sguardo, anche lei gli lanciò un’altra
occhiata.
-
Oh, ehm...lui é Manuel. Era
nel mio corso di inglese. Manuel, loro sono Luce e Daniel
-
Manuel abbozzò un sorrisetto, sembrava il solito timido
ma Viola riuscì a leggere nel suo sguardo qualcosa in più. Stava imparando a
conoscerlo, non c’é che dire.
-
Oh, Manuel! Tu devi essere
Manuel Green! Piacere, io sono Luce!-
Il viso di Luce si illuminò, tese per prima la mano
sotto lo sguardo divertito di Daniel e quello imbarazzato di
Viola.
Manuel lanciò uno sguardo interrogativo a Viola, poi
strinse la mano di Luce.
-
Piacere di conoscerti...-
bisbigliò, con un sorriso timido.
-
E io sono Daniel, piacere! Oh
ma tu di sicuro avrai sentito parlare di me! Tutta la scuola mi conosce, e...-
partì in quarta Daniel, porgendo la sua mano allontanando
Luce.
Viola lo fulminò con lo sguardo, Daniel alzò le spalle
con un sorriso.
- ... e sono davvero contento di conoscerti!- concluse
poi, stringendogli ancora la mano.
-
Ciao Daniel - rispose Manuel
con lo stesso sorriso.
Luce rivolse un luminoso sorriso all’amica, Viola non
poté fare a meno di arrossire.
-
State andando via, non é
vero? Io e Daniel abbiamo un corso adesso, che peccato...beh, non ci dispiace
lasciarvi da soli, vero Daniel?-
Luce diede una leggera gomitata all’amico continuando a
sorridere.
-
Cosa?-
-
Daniel, ho detto che non ci
dispiacerà lasciarli so...-
-
Oh certo! Ma
certamente!-
Viola sentiva le sue guance diventare sempre più rosse,
Manuel sembrava tranquillo e rilassato come se non si stesse in realtà rendendo
conto della condizione in cui lei si trovava.
Con un altro sorriso Daniel e Luce si dileguarono,
lasciando Viola nel più totale imbarazzo.
Fu necessario che si allontanassero di qualche metro
perché Viola iniziasse ad andare in iperventilazione.
-
Oh, scusami! Scusami, loro
sono...beh, Daniel e Luce sono...-
Manuel rise.
-
Ma dai, sono
simpatici-
-
Scusali, davvero, sono un po’
esuberanti, ma sono sempre così,
cioè, loro...-
-
Non devi
scusarti-
-
Sono imbarazzata, davvero,
sono stati un po’ precipitosi, in realtà io avevo parlato loro di te, e sai come
sono gli amici, beh...-
Manuel le prese il viso tra le mani,
sorrise.
-
Tranquilla, Viola. Va tutto
bene-
Avere i suoi occhi a pochissima distanza dai suoi le
provocava una sensazione di difficile descrizione.
Manuel lentamente fece scorrere le sue mani sulle guance
di lei, poi le lasciò il viso.
Viola abbassò gli occhi e poi li rialzò incontrò i suoi
sorridendo.
-
Sai, c’é una cosa che volevo
chiederti- disse poi lui, abbassando il volume della voce.
-
Cosa?-
-
Mi piacerebbe molto
risentirti suonare-
Viola sorrise.
-
Ti piacerebbe
davvero?-
-
Si-
-
Stavolta però sul mio pianoforte-
-
Il
tuo?-
-
Già-
-
A casa
tua?-
-
Non preoccuparti. A quest’ora
non c’é nessuno...e il pianoforte é recluso nel seminterrato. Lì ci entro solo
io-
-
Perché non qui a
scuola?-
-
Se vuoi ascoltare la mia musica stai alle mie condizioni-
Viola sorrise sapendo di essere uscita vittoriosa,
Manuel abbassò lo sguardo, ugualmente consapevole della sua
sconfitta.
-
D’accordo
allora-
...
Il seminterrato era illuminato da una luce perlata e il
pianoforte oggi sembrava sorridere più degli altri giorni.
Nonostante Viola avesse invitato Manuel a sedersi, lui
preferì restare in piedi, con la schiena poggiata al muro.
-
Come suono se mi sei alle
spalle?-
-
Ti da
fastidio?-
-
Non so.
Potrebbe-
-
Io sto molto bene
qui-
Viola gli lanciò uno sguardo e senza aggiungere altro
aprì il libro di Bach che lui le aveva regalato e suonò la prima sonata, quella
che già una volta aveva sognato di suonare davanti a lui. O meglio, quella che
già in un sogno lui aveva ascoltato.
Nel momento in cui suonava e sapeva di suonare per amore
suo, tutto il dolore e i rimasugli di sofferenza che si era portata dentro
svanirono quasi come se le note fossero più forti del vento, lasciò che il cuore
conducesse le sue mani attraverso la tastiera e suonò come se quella sonata
fosse il più grande gesto d’amore mai compiuto.
Quando anche l’ultima nota sfumò, Viola chiuse gli occhi
desiderando di poter almeno immaginare la sensazione che stava provando
lui.
-
E’ semplicemente
fantastico-
Viola tenne gli occhi ancora fermi sulla tastiera,
emozionata lei stessa.
-
Suonare per te é
fantastico-
-
Tu sei profondamente
innamorata del tuo pianoforte, Viola-
Viola si voltò di scatto verso di lui.
Era distante, eppure quasi sentiva i suoi respiri farsi
pesanti, e sebbene non riuscisse a vedere i suoi occhi era come se li vedesse
farsi lucidi come la prima volta.
-
Ed é molto strano amare
qualcosa come tu ami questa musica. L’amore é qualcosa di molto
incompleto-
Viola gli lanciò uno sguardo più profondo, curiosa di
leggere la sua espressione.
- Si, lo penso anch’io. Ma tu come fai a saperlo?-
chiese d’un tratto, alzandosi dallo sgabello del piano e raggiungendolo mentre,
ancora poggiato al muro, teneva le braccia incrociate.
Lui alzò le spalle.
-
Hai idea di quante persone
sono innamorate in giro?- fu la sua risposta, soffusa.
-
Già, giusto. Che domanda
stupida-
Manuel d’un
tratto rise, scrutò l’espressione enigmatica di lei.
-
E tu, come lo sai? Lo
conosci?-
Viola alzò gli occhi verso di lui, rimase in silenzio
per qualche secondo.
-
Mi prendi in
giro?-
-
Perché?-
-
Tu dovresti saperlo -
Manuel sostenne un sorrisetto,
sospirò.
-
Già, dovrei- bisbigliò, - ma non é detto che
io voglia credere alle cose che
sento-
Viola alzò le spalle.
-
Ti sei mai
sbagliato?-
-
No-
-
E
allora?-
-
C’é sempre una prima
volta-
-
Secondo me non sbagli
mai-
Manuel rise di nuovo, voltò lo sguardo per sfuggire alla
sua espressione.
-
Ad ogni modo...non hai
risposto alla mia domanda- disse con un filo di voce voltandosi di nuovo verso
di lei.
-
Cos’é che vuoi sentirti
dire?- sentenziò Viola in tutta risposta, sostenendo il suo
sguardo.
-
Niente
-
-
Mi stai chiedendo di dirti
una cosa già sai da un po’, Manuel -
-
Non so un bel niente-
-
Menti. Una parte di te non
vorrebbe parlare così, lo sento. Sei tremendamente conteso-
-
Io vorrei cercare di
proteggerti. E di proteggermi-
-
Oh, certo, e da cosa? Dalla
felicità?-
-
Esattamente il contrario.
Dalla sofferenza-
-
Non capisco in che modo
potremmo soffrire-
-
Hai idea dello stato di
totale incoscienza e insanità mentale nel quale cadrei l’ipotetico giorno in cui
mi lascerai?-
-
Questo non accadrà
mai-
-
Lo dici adesso. Ma quando
capirai che é umanamente impossibile sopportare di sapere che io conoscerò ogni
angolo della tua anima non vorrai vedermi mai più-
-
Non é vero, non potrei mai
desiderare questo-
-
Io ho paura di farti del
male, Viola-
I loro occhi si incrociarono per un
attimo.
Erano ad un palmo l’uno dall’altra, Viola si specchiava
nei suoi occhi pieni di qualcosa che somigliava al timore. Ma che senso aveva la
paura, adesso? Non gli aveva forse detto che in quella storia, ormai, c’erano
insieme?
-
Ma io ti amo – sibilò, gli occhi alti, la voce
esitante, - e non potrà mai esistere qualcosa in te che sia più grande di quello
che sento-
Gli occhi di lui tremavano come
infiammati.
- Ti sbagli. Dici di amarmi perché non riesci a vedere
quanto io ti ami di più-
Le mani di lei sfiorarono le sue guance, poggiò le
labbra sulle sue.
Era da tanto che voleva baciarlo.
Le emozioni erano come un treno ad alta velocità, vento,
fumo, suoni troppo distanti, alcuni troppo vicini, paesaggi che confondevano i
loro colori come se si specchiassero nell’acqua.
Manuel le accarezzò delicatamente le spalle e i fianchi
muovendo le mani come sentiva muovere le emozioni e i sentimenti dentro la sua
testa, cogliendo la dolcezza nella velocità, la morbidezza nella devastazione e
amando ogni singola scossa proveniente da lei come se appartenesse a se stesso.
Quando le mani le sfiorarono il viso, il bacio terminò lasciando lei nella più
totale estasi e lui nella felicità più strana e confusionaria. Le mani le
stringevano il viso caldo, sfiorando i capelli morbidi. Era come vivere
all’interno di un sogno, all’interno di qualcosa che é troppo bello per essere
vero, qualcosa destinato a spezzarsi e a non ricomporsi mai più se non
nell’istante nel quale il ricordo continua ad affiorare alla
mente.
Era da tanto che voleva baciarla.
Ma come avere il coraggio di lasciarsi andare
completamente? Come smettere di avere paura?
-
Non avrei il diritto di
sentire tutte le nobili emozioni che ti nascono dal cuore in questo momento
-
La voce gli tremava, gli occhi bassi temevano di
incontrare quelli di lei.
-
Se non potessi sentirle, te
le direi ugualmente-
-
Ma non sarebbe la stessa
cosa. E dire che non mi sento come te sarebbe una bugia,- le sfiorò le mani, -
le tue emozioni si fondono con ogni atomo del mio corpo e sono sovrapponibili ai
miei sentimenti come le nostre mani adesso, ma questo non mi da ugualmente il
diritto di...-
-
Tu ti prenderai cura delle
mie emozioni. Questa é una mia certezza-
-
Ti fidi così tanto di
me?-
-
Si-
Manuel sorrise, un sorriso malinconico e felice, le
accarezzò i capelli, le mani gli tremavano e la paura che quel momento potesse
finire lo divorava.
-
Viola,
io...-
-
Okay, basta con questa
sottospecie di sensi di colpa, va bene?- Viola rise, alzò le spalle, - per una
volta si fa a modo mio-
-
A modo
tuo?-
-
Si-
-
E
sarebbe?-
-
Tu non ti preoccupi più di
queste cose e viviamo normalmente-
-
Capisci che quello che mi
chiedi é contro natura?-
Manuel le puntò il dito contro mentre con l’altra mano
ancora stringeva la sua; Viola arricciò il naso.
-
Non é vero. E poi é tardi per
i moralismi, non credi? Non avresti dovuto parlare con me e passare insieme
tutto quel tempo, e...-
-
A onor del vero sei stata tu
a seguirmi e a fare indagini su di me-
-
Questa é un’altra
cosa-
Manuel rise, Viola arrossì.
-
Vuoi farmene una colpa?
Insomma, é vero, forse ho iniziato io, ma tu mi hai assecondato da
subito...-
-
Già, questo lo riconosco-
Manuel abbassò per un attimo lo sguardo, - ma é stato più forte di me, non
volevo farlo. Se tu non mi avessi trattato come se fossi normale, se non mi avessi parlato di te
e...-
-
Non ti ho parlato di me, sei
stato tu a chiedermi di suonare!-
-
L’avevo visto nei tuoi sogni,
non potevo non chiedertelo!-
-
Già, ma non ti ho invitato io
nei miei sogni-
-
Mi sognavi
comunque-
-
Ma non l’avresti saputo se
non fossi entrato nel mio inconscio!-
-
Non sarei entrato nel tuo
inconscio se tu non avessi fatto di tutto per conoscermi!-
-
Non avrei fatto di tutto per
conoscerti se non avessi visto quello che sai fare!-
-
Sono stato poco
attento...-
-
Okay, quindi é colpa
tua-
Viola alzò le spalle con un sorriso e Manuel scoppiò a
ridere, i suoi occhi si nascosero, Viola se ne accorse.
-
Cos’é che stai pensando?-
Iniziò di nuovo lei dopo qualche
momento.
Manuel alzò lo sguardo, gli occhi gli
brillavano.
- Cara la mia Viola, - sussurrò poi, abbassando lo
sguardo senza smettere di stringerle le mani, - sto imparando a conoscere il
labile limite tra amore e pazzia-
Viola incrociò i suoi occhi.
-
Stai dicendo che stai per
impazzire? Non mi ami quindi? Lo ammetti? Sei un folle? O mi ami o sei folle.
Non c’é un’alternativa, questo dovresti capirlo. Perché mi tieni le mani e mi
baci? O mi ami, o sei fuori. Si può impazzire per una persona?
–
-
Si-
-
D’accordo. Allora impazzisci
per me. Così staremo insieme anche se non mi ami-
-
Non ho detto che non ti
amo-
-
Hai detto che forse stai
impazzendo-
-
Una cosa del
genere-
-
Spiegami
allora-
-
E’ come sentire il folle
desiderio di…-
-
Oh no, - Viola lo interruppe,
- un desiderio non può essere folle. Il folle non desidera, si crogiola nel
vuoto credendo di avere ciò su cui fantastica-
-
Allora sono un folle
innamorato-
-
Giuralo che mi
ami-
Manuel alzò il viso verso quello di lei e fu colpito al
cuore come se al posto di quegli occhi ci fosse stato un dardo. Giurarlo?
Solo?
Lui l’avrebbe gridato al mondo che
l’amava.
Si sentiva contemporaneamente felice e stupido. Lui,
coinvolto in ogni minima sensazione delle persone, credeva davvero di riuscire a
far tacere anche tutto quello che aveva dentro? Avrebbe dovuto capirlo – lui
- avrebbe dovuto capirlo che non ci
sarebbe mai riuscito, avrebbe dovuto intuire che un giorno avrebbe incontrato
una persona che avrebbe amato con tutto se stesso, dal più superficiale tratto
alla più profonda emozione.
E per la prima volta nella sua vita, riusciva a capire quelle emozioni non solo perché
le sentiva.
Ma perché anche lui le provava.
-
Io ti amo-
-
Credi che potrei
abbracciarti?-
-
Devi-
Viola
gli lanciò le braccia al collo senza lasciarselo ripetere due volte, Manuel
chiuse gli occhi affondando la testa tra i suoi capelli.
Dopo un attimo scoppiò a ridere.
Viola si districò curiosa.
-
Che c’é da ridere,
adesso?-
-
Niente,
niente...-
-
Oh,
avanti!-
-
Oscilli tra la felicità e la
sovra eccitazione-
Viola alzò un sopracciglio.
-
Questo ti fa
ridere?-
-
Non riesco a credere che
qualcuno possa sentirsi così per me. Non l’avrei mai
pensato-
Viola sorrise.
-
Complimenti, Manuel Green,
hai appena scoperto di non essere onnisciente!-
Manuel rise di nuovo.
-
Già, ma guarda
che...-
-
Okay, non preoccuparti,
l’onniscienza non é tutto, e poi sai adesso che...-
Manuel le sfiorò le labbra impedendole di finire la
frase, un fremito partì dal corpo di lei.
-
Grazie Viola. Mi stai
regalando il mondo-
Viola socchiuse gli occhi e gli accarezzò il volto, gli
occhi lucidi di qualcosa che forse era gioia, o forse
commozione.
-
Tu lo stai regalando a
me-
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Capitolo 10 *** 9. ***
fiori9
Luce accolse Viola sulla soglia di casa con un sorriso a
trentadue denti. La giornata era particolarmente fredda, il cielo era coperto da
un manto di nuvole grigie e il vento sferzava facendo danzare le chiome degli
alberi al suo personale ritmo.
Luce aveva una lunga sciarpa rossa attorcigliata intorno
al collo e una tazza bianca tra le mani, incrociò lo sguardo di Viola facendo
brillare il suo viso chiaro con un altro sorriso.
-
Ti aspettavamo!- esclamò, con
l’allegria nella voce.
Viola trattenne una risatina, Luce le fece strada fino
al piano superiore, dove si trovava la sua stanza.
La casa di Luce assomigliava ad un castello vecchio
stile: era totalmente in legno, stretta e lunga, le stanze del piano inferiore
erano piccole e buie, mentre quelle del piano superiore erano più moderne e
larghe, anche se sempre in legno.
Viola entrò nella stanza dell’amica stando attenta a non
inciampare nel tappeto rosso che aveva elegantemente sistemato sul pavimento e
salutò entusiasta Daniel, seduto su un puffo marrone dall’altra parte della
stanza. Sul tavolino in vetro che si trovava al centro del tappeto c’era
poggiato un vassoio con una tazza rosa e un lungo bicchiere di
vetro.
-
Dio, Viola, non sai come
fremevo! – esclamò Luce sedendosi sul puffo accanto a
Daniel.
-
Già, sapessi come fremeva!
Non ha fatto altro che rigirare il cucchiaino in quella tazza di té per più di
un quarto d’ora...-
-
Sei il solito esagerato,
Daniel!-
-
Esagerato?-
Viola scoppiò a ridere.
-
Okay, va bene, adesso sono
qui- disse, sedendosi sul terzo puffo che Luce aveva posizionato accanto al
suo.
Luce sorrise nuovamente.
-
Allora? Non vuoi raccontarci
niente? Non posso credere che quello fosse Manuel Green! Non l’avevo mai visto!
E non mi avevi detto che era così carino...! Ma ti piace, allora? State insieme?
E poi cosa...-
-
Se non stai zitta non ci
racconterà niente!- esclamò Daniel, e poi, imitando i gesti delle mani di Luce,
- oh, raccontaci, ti prego! E’ davvero un
ragazzo carino!- agitava le braccia contro l’amica. Viola trattenne una
risata, Luce si limitò a lanciargli un’occhiatina che oscillava tra il divertito
e l’offeso, poi rivolse di nuovo le sue attenzioni a Viola.
-
Io mi sono innamorata di lui
- , iniziò, sottovoce, - non so neanche come sia successo e quando...solo che,
un giorno, ho perso la testa. Non so se succeda così, non so neanche come sia
potuto succedere così velocemente, ma é accaduto. Io e lui ci capiamo e lui é
molto dolce. Non é uno sbruffone, anzi, lui é...beh, abbastanza timido,
insomma...ma é davvero gentile, e dolce, e comprensivo...e molto sensibile...mi
fa sentire protetta e io sto molto bene con lui-
Viola abbassò la testa un tantino imbarazzata, Daniel e
Luce si scambiarono uno sguardo, Luce abbozzò una risatina, l’atmosfera si
smosse.
-
Oh, ma é fantastico! E ti
dirò, mi é anche simpatico! Non trovi, Daniel? Ha il fascino del mistero, il che
non guasta, e poi é indubbiamente carino, te l’ho già detto questo. Ma quanti
anni ha? É più grande? Oh, si vede! E poi, beh...-
Daniel scoppiò a ridere inaspettatamente, Viola lo
guardò di sottecchi, Luce si interruppe.
-
Che hai da
ridere?-
-
Ne parli come fosse un
prodotto pubblicitario, Luce- rispose, non smettendo di
ridere.
-
Cosa?-
-
Già! Ha il fascino del mistero!- le fece il
verso.
Viola rise, Luce arricciò il naso.
-
Sto solo facendo un
apprezzamento...-
-
Non preoccuparti, hai un
futuro nella televendita...-
-
Smettila!-
Luce afferrò un cuscino dal letto dietro di lei e glie
lo lanciò, Daniel lo schivò per un colpo e iniziò di nuovo a ridere.
-
Non dovresti cedere alle sue
provocazioni, Luce...sai com'é fatto Daniel...- scherzò su Viola, ponendosi in
mezzo a loro.
Daniel abbassò lo sguardo
divertito.
-
Vi ringrazio ragazzi- disse
poi Viola, con un filo di voce, rompendo l’atmosfera di gioco che si era
creata.
Luce e Daniel voltarono nello stesso istante lo sguardo
verso di lei.
- Oh, avanti, vieni qui- bisbigliò Daniel, invitandola
ad abbracciarlo.
Viola si rifugiò tra le braccia dell’amico, Luce le
poggiò una mano sui capelli e l’altra sulla spalla.
In un attimo il silenzio li avvolse.
- Noi ti vogliamo bene, Viola, te l’abbiamo già detto,
qualsiasi siano le tue scelte- disse Daniel, poggiando la testa sulla sua
spalla. Viola chiuse gli occhi, per un attimo si chiese cosa mai avrebbero
potuto dire se avessero saputo la verità su Manuel. Sarebbero stati ugualmente
contenti? Le avrebbero detto che si stava cacciando nei guai? O comunque, anche
loro, prima o dopo, sarebbero rimasti amareggiati come Mia davanti alle bugie
che avrebbe dovuto inevitabilmente dire? Un sospiro nascose i suoi pensieri e si
lasciò abbracciare dai suoi amici, contenta che le cose, una volta tanto,
sembravano star raggiungendo un ordine.
…
Entrare nell’aula di inglese alla quinta ora invece che
alla terza pareva strano adesso per Viola. La classe non era più quella al terzo
piano e i banchi non erano ventotto, ma solo venti. Le finestre erano
leggermente più piccole e la cattedra aveva una forma più allungata, i compagni
non erano più gli sconosciuti del quarto anno ma i suoi consueti compagni di
classe e persino il professor Joel pareva diverso, in quella
classe.
A passi lenti Viola si sedette al suo posto, al centro
tra Daniel e Luce nell’ultima fila, e quando il professore chiuse la porta e li
richiamò all’attenzione, le prese un incontrollato senso di noia.
Era tornata a frequentare la sua normale lezione di
inglese, insieme a Daniel, Luce e Mia, che sedeva qualche banco più avanti.
L
e pareva strano che Daniel e Luce avessero saputo tutto in maniera diversa mentre con Mia
aveva dovuto forzatamente mentire. Cosa pensava adesso veramente di lei? Una
parte di Viola credeva che Mia volesse darle fiducia, un’altra parte che Mia
fosse rimasta delusa e che avesse capito che aveva detto qualcosa di poco
chiaro. Ad ogni modo, anche se era così, non lo dava a vedere: si comportava
normalmente, parlavano, ridevano, - le aveva chiesto anche di Manuel una volta o
due.
Abbassò la testa in preda al ricordo della loro
conversazione, chiedendosi come fosse riuscita a mentire così bene, lei che con
le bugie non andava proprio d’accordo. Beh, di solito le bugie non sono un
qualcosa di positivo, ma qualche volta vanno dette anche a fin di bene. Se avesse detto loro la
verità avrebbe corso il rischio non solo di passare per pazza, ma anche di
tradire la fiducia di Manuel, e questo non poteva succedere. Non avrebbe
permesso a niente e a nessuno al mondo di portarle via quello che più amava e
desiderava, e forse era stato proprio questo amore che l’aveva portata ad essere
credibile dicendo quell’enorme menzogna. Solo adesso si stava rendendo conto di
quante cose era stata capace di fare solo per amore di
lui.
Il professor Joel entrò in classe sorridendo, poggiò la
valigetta sulla cattedra e senza perdere un attimo di tempo iniziò la
spiegazione.
Nonostante stesse seguendo i movimenti del professore
che camminava tra le file dei banchi e lo guardasse con aria interessata, i suoi
pensieri non riuscivano a staccarsi da Manuel. E pensare che anche in quel
momento, dovunque lui fosse, stava pensando a lei e forse anche se era lontano
percepiva le sue sensazioni. In quel preciso instante – proprio adesso – lui era dentro di lei, perché
lì aveva fatto il nido. Come il lungo peregrinare di un viandante che cerca la
sua casa, così il cuore di Manuel per troppo tempo forse aveva cercato un cuore
che potesse trovare in lui la normalità, adesso quel cuore era diventato la sua
casa, e lui viveva davvero dentro di lei. E sarebbe rimasto lì per
sempre.
-
Mi piacerebbe sapere...-, la
voce di Joel era infastidita e nervosa, Viola fu ripescata dai suoi pensieri e
voltò la testa verso l’altra parte della classe, dove sentiva provenire la voce,
- cosa c’é di così urgente e interessante da leggere che tu non possa fare in un
altro momento, Mia!-
La classe voltò gli occhi sull’accusata, che alzò la
testa con occhi colpevoli verso il professore. Con la mano coprì il foglio che
le era davanti, fissava il professore senza fiatare, come se non riuscisse a
trovare le parole da dire. Anche solo una parola di scusa, in quel caso, sarebbe
andata bene, ma Mia non parlava, restava ferma, come se in quel momento
qualsiasi cosa dicesse non l’avrebbe giustificata.
-
Non é niente...- biascicò,
abbassando per un momento lo sguardo e tentando di nascondere il foglio che
aveva ancora tra le mani.
-
Bene! Se non é davvero niente
di così importante, potrai di certo lasciarmi il tuo
foglio!-
Senza aggiungere altro Joel strappò dalle mani di Mia un
foglio bianco a righe, e senza degnarlo neanche di uno sguardo se lo mise in
tasca.
Mia sbiancò totalmente, come un ladro che viene sorpreso
mentre rapina una banca.
-
Oh no, per favore! Glie lo
giuro, non é niente!- esclamò, un misto tra un urlo e un
lamento.
-
Ne sono certo!- sentenziò Joel, e
lanciandole un ultimo sguardo severo si avvicinò alla cattedra e posò il foglio
incriminato nella sua borsa con fare annoiato. Gli occhi di Mia seguirono i suoi
movimenti come disperata, ma non aggiunse altro. Il professore continuò la sua
lezione e Viola, Daniel e Luce si scambiarono occhiate interrogative per tutto
il resto dell’ora.
-
Capisco la sua espressione, -
sibilò sottovoce Daniel, - sarei disperato anche io se rubassero la mia lettera
d’amore alla mia ragazza immaginaria...-
Luce rise sotto i baffi, Viola alzò le
spalle.
-
Avanti, non é carino. Può
darsi che stesse farneticando, ma a nessuno piacerebbe leggere le farneticazioni
altrui- mormorò a sua volta.
-
Già, ma non é pregata di
farlo nell’ora di inglese!- concluse Luce, lanciando a Mia uno sguardo
sdegnato.
Quando finalmente l’ora terminò, la classe sembrò
svuotarsi con un’incredibile dose di ansia, Viola si allontanò tra i primi
lasciando Daniel e Luce a guardare di sottecchi Mia, che lentamente prendeva le
sue cose e andava via.
-
Cos’ha perso secondo te?-
chiese Luce.
-
Non lo so, ma forse era
davvero qualcosa di importante-
-
Credi che possa avere davvero
qualche interesse importante, lei?-
-
L’unico modo per saperlo é
chiederglielo!-
-
E credi che te lo
dirà?-
-
No. Ma almeno la canzono un
po’ -
La classe era ormai quasi vuota, Mia uscì quasi
strisciando come se si stesse portando dietro il peso del mondo, Daniel la
raggiunse poggiandole una mano sulla spalla.
-
Allora, chi era lo sfortunato
che sarà privato della tua lettera d’amore?- iniziò, sibilando quasi nel suo
orecchio.
-
Smettila- fu la fredda
risposta di Mia, che senza badare a lui iniziava a camminare lungo il corridoio
seguita dall’altro lato da una silenziosa Luce.
-
Oh, avanti, cosa ti costa
dirmelo? Tanto lo saprà anche il professore quando la
leggerà!-
-
Finiscila di fare l’idiota,
Daniel!- ringhiò Mia, lanciandogli un’occhiataccia.
Daniel storse il naso colpito dalla sua ferocia, ma non
desistette.
-
Non era una lettera d’amore?
E cosa allora? Un segreto di stato?
Tu che ne dici Luce?-
Luce alzò le spalle con un
sorrisino.
-
Forse era la lista della
spesa!-
Entrambi risero, Mia lanciò loro un’occhiata cocente
senza scomporsi.
-
Se poteste almeno immaginare
le conseguenze di ciò che é successo la smettereste di sputare sentenze e
battute da idioti!- sibilò con un nuovo tono della voce. La sua espressione era
diventata più seria e fredda, Daniel e Luce smisero di ridere e la fissarono per
un secondo, titubanti se credere o no alle sue parole.
-
Cosa vuoi dire?- domandò
Luce.
-
Non sono affari che vi
riguardano!-
-
Non avresti dovuto accennarci
niente se non volevi incuriosirci. Adesso sei costretta a
parlare-
-
Io non ci parlo con voi. Ho
cose più importanti a cui pensare adesso-
-
Sarebbero?-
-
Devo uscire da questo guaio
prima che sia troppo tardi-
Daniel e Luce si scambiarono un’occhiata, Daniel fissò
lo sguardo freddo ed intimorito di Mia, le si avvicinò
leggermente.
-
Per cosa dovrebbe essere
troppo tardi?-
Mia sospirò, chiuse per un attimo gli occhi
abbandonandosi ad una momentanea angoscia che le attraversò il corpo come
un’onda.
-
Lascia perdere, Daniel. Devo
andare adesso-
-
Cosa c’era scritto su quel
foglio?-
-
Ci
vediamo-
-
Mi stai prendendo in giro,
vero?-
-
Ciao Daniel
-
Mia si allontanò lasciando dietro di se un confuso
Daniel e un’altrettanto stralunata Luce, colpiti dall’intensità e preoccupazione
delle sue parole.
Ma se solo avessero avuto idea della catastrofe alla
quale probabilmente stavano andando incontro avrebbero davvero smesso di fare
tante domande.
Quello che aveva tra le mani Joel era la pagina di
diario in cui Viola raccontava tutta la verità su Manuel.
...
Era quasi il tramonto.
Viola alzò la testa trovandosi di nuovo di fronte alla
Casa sulla Settima Strada. Davanti a quella casa si sentiva come una bambina di
fronte ad un gigante: la casa alta e imponente, che sembrava spadroneggiare in
quel quartiere di case lussuose come se fosse la più bella ed importante;,e lei,
piccola adolescente dai capelli neri ferma davanti a quel cancelletto che
cercava gli occhi del gigante per fissarli.
Manuel abbozzò un sorrisetto fissando lo sguardo di
Viola che era ancora impietrita, poi la tirò per la mano.
-
Avanti, andiamo- disse,
scuotendola leggermente.
Viola sembrò ridestarsi, lasciò che Manuel la
trascinasse fino alla porta e lo guardò prendere le chiavi e girarle con
sicurezza nella serratura.
Per la seconda volta si ritrovò nell’atrio della Casa
sulla Settima Strada, stavolta meno tetro della volta precedente. Il sole
giocava con le tende e con gli oggetti di vetro delle stanze e le scale di legno
parevano brillare illuminate da alcuni raggi di quella
luce.
Ancora una volta era una casa deserta. Viola iniziava a
capire perché nessuno aveva mai capito chi ci abitasse: erano silenziosi e quasi
sempre assenti.
-
C’é una cosa che devo ancora
farti vedere, Viola- sussurrò Manuel mentre la tirava dietro di se verso le
scale.
-
Cosa?-
-
É una...
sorpresa-
-
Sorpresa?-
-
Okay, non la definirei
proprio una sorpresa. Ma é una cosa insolita-
-
Dimmi se esiste qualcosa che
ti riguardi che non sia insolito,
Manuel -
Viola abbozzò una risatina, Manuel le lanciò uno sguardo
divertito, poi salirono le scale.
Man mano che salivano era come abbandonare sempre di più
i raggi di sole che avevano illuminato l’atrio, adesso un buio più diffuso
aleggiava per il lungo e largo corridoio del secondo piano. A destra e a
sinistra si alternavano porte chiuse, e infondo si apriva una grandissima
vetrata che affacciava sul terrazzo di mattonelle rosse. Quello che Viola riuscì
a vedere dalle scale erano fiori colorati in ogni angolo dell’enorme spiazzo e
le ringhiere bianche e lucide, che brillavano sotto il
tramonto.
Ancora stupita della bellezza ed eleganza della casa,
Viola non perdeva un particolare di quella enorme beltà: ad ogni passo osservava
le piante, i pomelli dorati delle porte e il legno lucido. Solo quando stavano
per voltare a destra, dove c’era un’alta porta bianca, l’attenzione di Viola fu
catturata da una foto infissa alla parete.
Si fermò istintivamente, Manuel puntò lo sguardo ora su
Viola ora sulla foto che stava guardando.
-
Questa é la mia famiglia –
sibilò, tenendo gli occhi bassi, - tanto tempo fa-
Viola lanciò un furtivo sguardo a Manuel, poi tornò con
gli occhi sulla fotografia.
Era stata scattata nel grande atrio, lo si poteva capire
dalla vetrata sullo sfondo.
C’erano proprio tutti, così come Viola li aveva sentiti
dal racconto di Manuel: sua madre, suo padre, suo fratello Peter e sua sorella
Laney, e infine lui.
Sua madre sembrava una modella d’altri tempi, busto
diritto e gambe snelle e lunghe. Viso affusolato, un sorriso rilassato e sereno,
grandi occhi verdi e capelli biondo scuro, mossi, che scendevano sulle spalle e
sulla schiena. Teneva la testa leggermente piegata a sinistra, dove c’era suo
marito. Lui era proprio come l’aveva descritto Manuel, un uomo tutto d’un pezzo.
Non sorrideva, ma la sua espressione non era neanche contrariata: un viso serio,
un po’ stanco. Sottili baffi neri coloravano il viso e gli occhi azzurri e
grandi come quelli di Manuel illuminavano il resto della sua figura. Laney, che
in quella foto doveva aver avuto circa undici anni, era posizionata dinanzi a
sua madre. Anche lei sorrideva, i grandi occhi azzurri erano semichiusi e
l’espressione divertita e decisa, che doveva essere tipica di una persona
sveglia quale Manuel l’aveva descritta. Peter aveva dovuto avere circa quindici
anni, portava i capelli biondi corti sopra il collo e l’espressione fiera ma
allo stesso tempo semplice, un misto tra la timidezza di Manuel e la vivacità di
Laney.
E per ultimo, davanti a Laney e Peter, c’era lui, - da
bambino.
Il viso sottile, piccolo e bianco, gli occhi azzurri
come due fari puntati sull’obbiettivo, le mani stette tra loro sul petto e i
capelli dorati sulla fronte e sul collo dipingevano un Manuel innocente, piccolo
e dolce. La sua espressione pareva essere la summa di quelle dei suoi familiari:
contesa tra il sorriso e la serietà. Dovunque si trovasse, la funzione di Manuel
era sempre la stessa: essere lo specchio delle emozioni
altrui.
-
Avevo sette anni- spiegò lui,
alzando finalmente gli occhi e incontrando quelli di
Viola.
-
É una bellissima foto-
commentò lei in un filo di voce, quasi con la paura che qualcuno potesse
sentirla.
-
Non so perché é ancora qui, -
riprese poi Manuel alzando le spalle, - é di tanto tempo fa e nessuno ci bada
più-
Viola abbassò lo sguardo divertita, Manuel le riprese la
mano e la condusse davanti alla porta della sua stanza, lì dove voleva
portarla.
Appena spalancò la porta, i raggi del sole che
provenivano dalla finestra di fronte a loro li costrinse a chiudere gli occhi,
Manuel l’invitò ad entrare e richiuse la porta.
Era una stanza abbastanza grande, forse quanto quella di
Viola: un letto sulla destra con le coperte bianche, una libreria con una
scrivania e un piccolo armadio accanto alla finestra. C’era anche una seconda
finestra di fronte al letto, con tendine azzurre.
-
Questa sarebbe la mia vera stanza – iniziò Manuel divertito, -
anche se quella che é davvero mia tu l’hai già vista –
-
E’ molto
bella-
-
Lo so cosa stai
pensando-
Viola si voltò di scatto per incontrare i suoi
occhi.
-
No, non lo sto
pensando-
-
Si, stai pensando che é un
po’ vuota-
-
Ma non avevi detto di non
leggere nel pensiero?-
-
Infatti-
-
E come fai a sapere che ho
pensato questo?-
-
Per il tuo senso di
smarrimento. Sai, di solito le stanze sono disordinate, piene di tante cose. Qui
non c’é quasi niente e le poche cose che ho sono tutte in ordine. Ma non ci
posso far niente, io ho poche cose... e poi, non mi piace il
disordine-
-
Non servono tante cose per
riempire questa stanza, basti tu- mormorò Viola dopo un attimo, - tu sei da solo
così tante cose che ti sentiresti stretto in una stanza piena di
cianfrusaglie... si, scommetto che non hai niente intorno perché sei troppo
pieno dentro-
Manuel sorrise, le accarezzò le braccia con le
dita.
-
C’é solo una cosa in questa
stanza che é fuori posto- disse poi, allontanandosi e dirigendosi verso la sua
scrivania. Aprì un cassetto e ne tirò fuori una cartellina color porpora, poi
gliela consegnò.
Viola la tenne tra le mani per qualche secondo, poi lo
guardò interrogativa.
-
Cos’é?- chiese, mentre la
voce iniziava a tremarle.
Manuel rise.
-
Aprila- la
invitò.
Viola si sedette sul letto e Manuel accanto a lei,
osservando ed assaporando il suo nuovo stupore.
Viola prese tra le mani i fogli che c’erano nella
cartellina, meravigliata. Come quelli della stanza al pianterreno, ognuno aveva
un colore diverso, ma a differenza di quelli, dove la grafia di Manuel era
elegante e precisa come sempre, qui decifrare cosa ci fosse scritto era
impossibile. O forse...forse non erano proprio parole, quelle scritte, parevano
più delle linea ricurve su loro stesse, che più che lettere formassero figure.
Ma di quali figure si trattava? No, erano troppo confuse per sembrare figure e
troppo diverse da lettere per sembrare parole.
Ogni foglio aveva uno schizzo del genere di un colore
diverso, che riempiva tutto il foglio.
-
Cosa...cosa sono questi?-
Manuel sorrise dolcemente,.
-
Beh, queste sono le tue
emozioni. Lo so, sono diverse da quelle che hai visto attaccate al muro, quelle
sono ordinate e leggibili, mentre qui sembra ci siano solo linee astratte che
riempiono il foglio...al primo sguardo sembra quasi una scrittura
incomprensibile, un attimo dopo é come se l’occhio inquadrasse il foglio nella
sua interezza e captasse figure che non realtà non ci sono, vero? Non so
spiegarti come ho fatto a farli, é la prima volta che davanti ad un’emozione non
scrivo un poesiola ma faccio una specie di...disegno...ne sono rimasto colpito
io stesso, eppure non ho potuto fermarmi. Mi accadono cose così nuove e strane
da quando ti conosco -
Viola passò gli occhi prima su Manuel e poi di nuovo sui
fogli, che adesso guardava ad uno ad uno facendo attenzione ad ogni piccola
curva, linea o sfumatura di colore.
Sembravano allo stesso tempo disegni di bambini e opere
d’arte.
-
E non hai mai scritto anche
poesie...per me?- chiese dopo un attimo, guardandolo.
Manuel divenne serio per un attimo, poi abbassò lo
sguardo con un sorriso obliquo.
-
No. Ma ci ho provato molte
volte. Se prendi uno di questi fogli, ad esempio questo, guarda, scritto in
azzurro, vedi che nell’angolo in alto a sinistra ci sono curve e linee che quasi
formano una parola? Subito dopo però, si perdono nel resto del foglio insieme
alle altre. Non é mai stato così difficile per me scrivere qualcosa, e questo é
quanto ne é uscito fuori-
Viola sorrise, strinse la mano di lui tra le sue mentre
continuava a guardare quelle emozioni.
-
E’ meraviglioso. Tutto questo
é davvero meraviglioso-
-
Già, é meraviglioso.
Meraviglioso che tu sia davvero qui adesso-
I loro occhi si incrociarono, Manuel le accarezzò il
viso e poggiò le labbra sulle sue.
- Dimmi una cosa, é la prima volta che ti succede?-
chiese d’improvviso Viola allontanandosi dal suo viso.
- Cosa?-
- Di fare questi disegni al posto di scrivere
poesie-
- Non puoi fermare un momento del genere per chiedermi
questo-
- Ma io voglio saperlo-
Manuel rise.
-
Si, é la prima volta nella
mia vita-
-
A cosa pensi sia
dovuto?-
-
Vuoi farmi da
psicologa?-
-
Non credo ne avresti bisogno.
Sono solo curiosa-
-
Ti
incuriosisco?-
-
Avanti, non puoi
semplicemente rispondermi?-
-
Okay. Mmh...qual’era la
domanda?-
-
Stupido!-
Entrambi risero, Manuel le accarezzò il
braccio.
-
E’ perché sono innamorato di
te, e quando ti penso tutte le emozioni, sensazioni e vibrazioni ci sono dentro
di me sono in subbuglio. Di solito quando penso di scrivere qualcosa, le idee é
come se fossero ordinate nella mia testa, una dopo l’altra, catalogate. Quando
penso invece a qualcosa che riguarda te...mi si confonde tutto nella testa come
se in un lampo non ci fosse più niente a cui pensare. E quando metto la penna
sul foglio, affiorano alla mia mente solo immagini di te e delle tue parole, non
ci sono più emozioni catalogate. Ecco perché non scrivo
niente-
Il tono della sua voce era basso, aveva guardato un
punto indefinito del braccio che continuava ad accarezzare mentre le parole
scorrevano leggere.
-
Hai mai pensato di essere
l’unica persona al mondo a non poter essere ingannata?- chiese d’un tratto
Viola.
Manuel alzò gli occhi stranito.
-
Oh, no é
vero-
-
Tu puoi conoscere
immediatamente come sono fatte le persone e non farti ingannare da quelle che
sono le apparenze-
Nonostante la serietà di Viola, Manuel sorrise
divertito.
-
Lo dici perché non sai quanto
é labile e fragile il nostro animo, - disse, guardandola, - e poi chi ti dice
che le apparenze esistano davvero?-
-
Lo so, - sentenziò Viola,
abbassando la voce, - o i rapporti con il mondo non sarebbero così difficili –
Manuel piegò la testa da un lato
sospirando.
-
Quelle non si chiamano
apparenze, si chiamano paure. Ma
l’uomo non vuole ammettere di averle e allora le chiama apparenze. Vedi Viola,
il fatto é che inconsciamente non esistono le apparenze. Tutti cerchiamo
l’essenza in chiunque incontriamo, é un fattore così naturale ed intrinseco in
noi che non ce ne accorgiamo e fingiamo di fermarci davanti alle apparenze. Nessuno si ferma davanti alle
apparenze, Viola, non ne siamo capaci, la nostra anima ce lo vieta
categoricamente. Riesci ad immaginare una vita senza stringere un legame con
qualcuno? Il problema della gente é che nessuno ci crede. Già, vallo a dire a
tutti quanti che le nostre anime hanno un modo di parlarsi che noi neanche
immaginiamo... loro non lo sanno, o meglio, hanno paura di lasciarsi andare a
quello che potrebbero essere se ascoltassero anche solo per la durata di una
notte quello che la loro anima ha appreso dal mondo. L’uomo ha paura di ciò che
non conosce, Viola, anche degli altri. É come nascondersi dietro un dito, come
fare del male a se stessi: ciò che reprimiamo nel momento in cui vogliamo
chiuderci allo sguardo degli altri é solo e soltanto la nostra anima, perché lei
cercherà sempre e comunque il contatto con i suoi simili. E ti assicuro che
questo é nella naturalità più completa, assoluta e perfetta delle
cose-
Viola osservò ammirata il suo viso, pendeva ancora dalle
sue labbra anche se non stava più parlando.
-
Come può succedere questo? -
chiese dopo un attimo, come se la sua mente stesse ancora elaborando quanto lui
aveva detto.
Manuel abbassò lo sguardo sorridendo, l’espressione era
quella di un adulto che spiega una cosa ovvia ad un bambino inesperto.
-
Dimmi una cosa,
Viola-
-
Si-
-
Qual é la prima cosa che
guardi in una persona?-
-
Cosa?-
-
Si,
rispondimi-
-
Beh, io... in realtà... non
lo so, non ci penso...-
-
Te la dico io
qual’é-
-
Qual’é?-
-
Gli
occhi-
-
E come fai ad esserne
certo?
-
Perché é così per tutti, é naturale. Vedi, nonostante oggi ci fanno
credere che quando incontriamo una persona possiamo scegliere se guardarle prima
le mani, il fisico, i capelli o altre cose, la prima cosa che noi guardiamo in
chiunque sono gli occhi. Facci caso,
Viola, i nostri occhi sono come calamite, si cercano sempre, hanno voglia di
specchiarsi, gli uni negli altri. Solo se guardiamo negli occhi una persona
riusciamo contemporaneamente ad avere una visione totale anche del suo viso e
della sua espressione, ma tutto parte dagli occhi. Non ci verrebbe mai in mente
di camminare per strada con la testa bassa per osservare le mani delle persone
che incontriamo, né di fissare i loro capelli. Quello che guardiamo sempre e in
ogni momento di una persona sono i suoi occhi. Dentro di essi c’é il carattere,
l’emozione, l’espressione del suo volto e il colore della sua mente. C’é chi ha
detto che gli occhi sono lo specchio dell’anima, beh, io credo che sia
esattamente così: calamite e specchi della nostra mente. Qualcuno si é mai
chiesto perché quando si parla é importante guardarsi negli occhi? Qualcuno ha mai
provato, anche solo per curiosità, a non guardare mai gli occhi degli altri? No,
mai nessuno. Eppure é questo gesto, quotidiano, intrinseco, reale e necessario
che testimonia il nostro bisogno di affetto e comprensione. La nostra anima é
dentro di noi e non ce ne accorgiamo-
Manuel
scrutò l’espressione meravigliata di Viola, sentiva come un tampone sulla fronte
mentre naturalmente si immergeva nella sua sensazione.
-
Perché mi guardi così?-
chiese poi, vedendo che ancora non parlava.
-
Non lo so...cioé, non so cosa
dire-
-
Potresti dire che ho
ragione-
-
O potrei dire che non mi
aspettavo un discorso del genere-
-
Anche-
-
Come le pensi queste
cose?-
-
Io non le penso, le vivo.
Tutti noi le viviamo, ma siamo così abituati a guardare ciò che ci é attorno che
trascuriamo le cose che dovrebbero interessarci maggiormente. Sai, se io fossi
normale eviterei il problema, o meglio, non me lo porrei neanche, come la
maggior parte delle persone. Ma essendo costretto e condannato a prestare
attenzione ad ogni piccola parola sibilata e sospirata dell’anima, non posso
fare a meno che accorgermene e a pensare a quanto é importante ascoltare cosa
vuole dirci quello spirito che aleggia dentro di noi-
-
Ascolta, visto che sai tutto
ciò che vuole l’anima...sai dirmi cosa vuole la mia
adesso?-
Manuel rise, Viola abbassò lo sguardo per un attimo, poi
tornò a guardarlo.
-
Vuole baciarmi- sibilò
lui.
-
No, quello lo vuoi
tu-
-
Fa lo stesso,
no?-
-
Perché
dovrebbe?-
-
Perché la mia anima si bagna
nella tua. E vogliono la stessa cosa-
-
Questa é un’ottima
argomentazione-
-
Grazie-
Viola gli accarezzò le guance e si lasciò baciare di
nuovo, sentendo il calore delle sue mani tra i suoi
capelli.
-
Farai un disegno anche di
questo?- sussurrò poi Viola, tenendo la fronte premuta contro la
sua.
-
Credo che un disegno non
basterebbe-
Viola lo strinse forte a se, poggiò la testa sulla sua
spalla e chiuse gli occhi con un sospiro.
Era bello, dopo aver attraversato sofferenze, dubbi e
problemi, chiudere gli occhi sereni tra le braccia della propria
casa.
...
-
Ascolta Daniel, sto
seriamente iniziando a preoccuparmi-
Luce si sedette di fronte all’amico puntandogli gli
occhi addosso.
-
Perché?- chiese lui in un
filo di voce appena udibile.
-
Perché a te non é mai
interessato un emerito nulla di Mia mentre adesso sembra che quello che é
successo ieri in classe ti stia perseguitando!-
-
Non me la conta giusta -
sentenziò Daniel, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra della camera
dell’amica.
-
Secondo me ti prendeva in
giro. Non aveva nessun motivo, se fosse stata davvero una cosa seria, di dircelo
così apertamente- commentò Luce, prendendo la sua tazza di té dal tavolino e
girando nervosamente il cucchiaino all’interno di essa.
-
Forse, - controbatté Daniel,
- ma aveva uno sguardo troppo spaventato. Non poteva essere una
bugia-
-
Okay, okay, e se pure non
fosse una bugia...cosa ti importa? Se ha combinato un guaio é un suo problema e
non un nostro!-
-
Vuoi calmarti Luce, per
favore?-
Daniel alzò leggermente la voce, Luce arricciò il naso
immusonita.
-
E’ che secondo me ci prende
in giro-
-
Ha parlato di conseguenze. Se fosse stata una cosa che
riguarda solo lei, che senso avrebbe avuto farla tanto
tragica?-
-
Non sai quant’é
egocentrica?-
-
Non c’entra. Sta succedendo
qualcosa-
-
A te piace darla vinta a lei,
Daniel -
-
Tu stai ignorando il
problema, Luce-
-
E cosa vorresti fare tu,
sentiamo! Pedinarla? Spiare i suoi discorsi, intaccare la sua linea telefonica
per scoprire i suoi inutili problemi?-
-
Niente di tutto
ciò-
-
E
cosa?-
-
Chiedere a Viola
magari-
Luce alzò le spalle e distolse lo sguardo da
Daniel.
-
Non credo ne sappia qualcosa.
Sono un paio di giorni che non si parlano con tanto entusiasmo e poi Viola vive
tra le nuvole, non la vedi? E poi da quando in qua ci dice cose che riguardano
Mia?-
-
Forse hai ragione. Non credo
sappia qualcosa di questa faccenda... ma proprio per questo dovremmo
coinvolgerla!-
-
Ma vuoi smetterla di giocare
a fare l’investigatore?-
-
Voglio solo cercare di
prevenire il peggio. Mia ha perso un qualcosa di importante e adesso é tra le
mani di una persona qualsiasi-
Luce scoppiò a ridere.
-
Credi che il professor Joel
dia così tanta importanza ad uno stupido bigliettino? L’avrà buttato senza
neanche leggerlo!-
-
E perché se l’é messo nella
borsa?-
-
Perché così Mia impara a non
leggere più sciocchezze mentre lui spiega!-
Daniel inarcò le sopracciglia, alzò le
spalle.
-
Spero che sia come dici e che
non lo legga davvero-
-
Adesso sembri stare quasi
dalla sua parte. Ma si può sapere cosa ti importa?-
-
Ho una strana sensazione,
tutto qui. E vorrei vederci chiaro-
-
Certo che é brava a
manipolare le situazioni, quella lì...-
Daniel soffocò una risatina, alzò gli
occhi.
-
Okay, se proprio vuoi non ne
parliamo più-
Luce parve rischiararsi, sorrise a sua volta finendo di
girare vorticosamente il cucchiaino nella sua tazza di té.
-
Finalmente!-
In quel momento qualcuno bussò alla porta della stanza
di Luce, entrambi voltarono la testa verso di essa.
-
Avanti!-
-
Luce, sono io, Viola! Tua
madre mi ha fatto salire, sono venuta a riportarti quel libro che...oh, Daniel,
anche tu qui! Ciao ragazzi, come state?-
Viola aveva spalancato la porta e adesso si dirigeva
verso i due amici stringendo tra le mani il libro di chimica di
Luce.
-
Oh si, sai com’é, Daniel
viene sempre a infastidirmi...- scherzò Luce prendendo dalle mani di Viola il
suo libro mentre Daniel iniziava già a ridere.
-
Spero di non avervi
disturbati. Stavate studiando?- chiese Viola rimanendo in
piedi.
-
Oh no, no, per niente. Io
prendevo il té e Daniel mi osservava- spiegò Luce ironica, sedendosi di nuovo
dopo aver posato il libro sulla libreria alle sue spalle.
-
Già, sono sempre io a
infastidirla, lei invece non lo fa mai...cosa mi racconti, Viola? Stai bene? E
Manuel?- ricominciò Daniel, sorridendole amichevolmente.
Viola arrossì istintivamente sentendo pronunciare il suo nome, sorrise.
-
Si, é tutto apposto- rispose
abbassando lo sguardo.
-
Ieri abbiamo provato a
chiamarti, ma non c’eri- mormorò Luce, avvicinando la bocca alla tazza di
té.
-
Sono stata a casa sua...oh!
Non vi ho detto dove abita!
-
Come sarebbe a dire?- Daniel
socchiuse gli occhi, fissò Viola curiosa.
-
Indovinate!-
-
Non capisco, dove potrebbe
abitare? In una casa, no?-
-
Già, ma non é una casa
qualsiasi...-
-
Oh
no...-
-
Oh
si...-
-
Non
dirmelo!-
-
É proprio
quella...-
-
Mio
Dio...-
-
La Casa Sulla Settima
Strada!-
Daniel
saltò dalla sedia, Luce per poco non sputò tutto il té che aveva in
bocca.
Iniziò a tossire pesantemente, Viola le diede alcuni
colpetti sulla schiena.
-
La Casa sulla Settima Strada!
Mio Dio, Luce, abbiamo svelato il mistero arcano di Brighton! Non posso
crederci, allora non é infestata dai fantasmi, é abitata
davvero!-
Daniel saltava tutto intorno a loro, Luce ancora
tossiva.
-
Si certo, é
abitata...-
Luce scosse la testa come per
riprendersi.
-
La Casa sulla Settima Strada,
ma stai scherzando?- sibilò poi, con la voce ancora roca.
-
No, é la verità. Quella é la
sua casa e ci abitano da diciassette anni-
-
Caspita...-
-
E tu ci sei entrata?- chiese
nuovamente Daniel.
-
Si-
-
E me lo dici così? Potrei
svenire, ti rendi conto? E com’é? Come
dice la leggenda? I corridoi
grigi e le stanze piccole e strette?-
-
Mmh no, i corridoi sono in
legno e le stanze sono di grandezza normale-
-
Oh mio Dio, non riesco ancora
a crederci! Il misero di tutta Brighton finalmente é arrivato alle mie
orecchie!-
Viola scoppiò a ridere, Luce si alzò per cercare di
calmare un euforico Daniel.
-
Di’ al tuo ragazzo che conto
preso di visitare la sua casa!- esclamò mentre ancora aveva le guance
infuocate.
-
Ma ti sembrano cose da dire?
Se non ha mai detto in giro che quella é casa sua ci sarà un motivo - sentenziò
Luce alzando le spalle.
-
Già...perché Viola?- chiese
Daniel.
-
Oh questo non lo so. Ma sono
dei tipi abbastanza riservati, potete immaginare che confusione se tutti
sapessero finalmente chi abita lì...sarebbe come scoprire che il tuo vicino é
George Clooney, ci sarebbe la folla che ti infesta
l’isolato-
Luce rise sotto i baffi, Daniel si risedette per
riprendere fiato.
-
Oggi é una grande giornata,
Viola, una grande giornata- commentò dopo un attimo mentre Luce ancora
ridacchiava.
-
Beh, mi fa piacere di aver
svelato il più grande mistero di tutti i tempi, Daniel... adesso devo proprio
andare-
-
Oh, di già?- domandò
Luce.
-
Si, Janine tra poco sarà a
casa e se non mi trova inizierà a dare di matto-
-
D’accordo. Salutacela,
okay?-
-
Certo!-
Viola si avviò verso la porta, Daniel e Luce la
guardarono sorridendo.
-
Oh, Viola! Salutaci anche
Manuel! Digli che se casomai decidesse di aprire la sua casa a visite guidate
Daniel si propone come organizzatore!
-
Solo organizzatore? No, Luce,
voglio fare anche la guida-
-
Non conosci la casa,
imbecille!-
-
Ma la conoscerei dopo
un’accuratissima introspezione-
Viola sorrise, abbassò lo sguardo per un
attimo.
-
Ciao ragazzi, a
domani!-
-
Ciao
Viola!-
Daniel e Luce videro la porta chiudersi e sentirono i
passi di Viola per le scale fino a sentire infine il tonfo della porta di
casa.
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Capitolo 11 *** 10 ***
fiori10
Sono
passate meno di quattro ore Viola,
si stava dicendo, dov’è finita la tua
naturale calma e la libertà che avevi promesso a te stessa di avere già da un
po’ di tempo? Beh, una calma apparente riusciva a simularla: non era mai
stata troppo impulsiva e neanche morbosamente fissata sulle cose, la calma
quindi risiedeva tranquillamente dentro di lei. La differenza con le altre volte
era che, adesso, la calma era un qualcosa che riguardava soltanto la sua sfera
sensoriale: la sua mente e il suo animo erano come impazienti e i secondi non
passavano mai. La libertà, poi, Viola credeva di aver completamente stravolto il
significato di quella parola.
Oh,
bando alle ciance, il problema era uno solo: tutto pareva silenzio senza di
lui.
Viola
si alzò di scatto dal letto e afferrò il telefono sul comodino.
Velocemente
compose un numero, poi aspetto con il telefono all’orecchio, risiedendosi sul
letto.
-
Viola-
La
sua voce metallizzata era meno bella, ma l’intensità era la stessa di quando si
trovava ad un passo da lei.
-
Come
sapevi che ero io?- chiese con un cipiglio di sorpresa.
-
Lo
sapevo-
-
Hai
tirato ad indovinare?-
-
Ti
sembro uno che tira a indovinare?-
-
Non
ci hai mai provato?-
-
Non
credo di averne bisogno-
-
Oh
già …-
-
E
poi sapevo che eri tu-
-
Davvero?-
-
Mi hai telefonato anche ieri sera-
Viola storse il naso.
-
Sono diventata un po’ prevedibile, vero?-
Lui rise.
-
Che c’é’, perché ridi?-
-
Niente-
-
Non capisco cosa ci trovi di divertente in tutto quello che
dico-
-
Sei tremendamente naturale-
-
É un difetto?-
-
É strano-
-
Perché?-
-
Mi sembra di conoscerti da una vita, Viola-
-
Per me non é la stessa cosa-
-
E com’é?-
-
Non so cos’ero prima di conoscerti-
-
Oh, io lo so. Eri una persona come tutte, con una
privacy-
-
E adesso cosa sarei?-
-
Contaminata da me-
-
Mi piace questa frase-
- Ascolta, avresti paura se qualcuno lanciasse sassolini alla
tua finestra?-
- Cosa?-
Un rumore sordo fece voltare di scatto Viola verso la
finestra, scattò in piedi.
Manuel rise.
- Che succede?-
- Allora avresti paura!-
- Sei tu?-
- Forse-
- Che vuol dire?-
- Forse, può darsi, é probabile...-
- Manuel! Avanti, dimmi cosa stai combinando-
- Apri la finestra-
Viola si allontanò dal letto e si avvicinò velocemente alla
finestra, poi con un movimento fulmineo la spalancò. Il freddo della sera
avvolse il suo volto, Viola ridusse gli occhi a due fessure per abituarsi al
buio, poi guardò in basso e lo vide, lì, con il telefono
all’orecchio.
- Lo sapevo!- sentenziò con un sorriso, scuotendo la
testa.
- Cosa?- domandò ridendo lui.
- Che eri tu!-
- Ah, stai mentendo!-
Entrambi risero, allontanarono il telefono dall’orecchio e
Manuel le sorrise avvicinandosi alla parete.
- Che ci fai qui?- le chiese poi lei, abbassando leggermente
il tono della voce.
- Volevo salutarti, e sembra banale a telefono - rispose lui,
tenendo lo sguardo alto.
- Ma anche se mi saluti adesso, poi andrai via. E dovrò
ritelefonarti prima di addormentarmi- mormorò lei, poggiando le guance sulle
mani e i gomiti sul davanzale.
- Ma ci siamo rivisti una volta in più prima di dormire
-
- Ma se ti vedo voglio abbracciarti, e baciarti, e vederti
soltanto non basta più-
Manuel socchiuse gli occhi, poggiò le mani
contro il muro dinanzi a lui.
- Credi che io non voglia?-
Viola alzò le spalle con un sorrisino, rise.
- Ci sono le scale del giardino dall’altra parte della casa.
Vieni di là, vado ad aprire la porta-
- Cosa?-
- Ormai sei qui, avanti-
Viola rientrò, silenziosamente uscì dalla sua stanza e
camminò svelta attraverso il corridoi. Arrivò dinanzi alla porta che dava sul
giardino e l’aprì lentamente guardandosi le spalle.
Lui aveva le mani poggiate sulla ringhiera bassa, Viola
sorrise, uscì fuori stando attenta a non lasciar sbattere la porta e poggiò le
mani sulle sue.
- Adesso va meglio - sussurrò poi, sorridendogli di
nuovo.
Manuel accarezzò i dorsi delle mani di lei con i pollici,
sorrise abbassando lo sguardo.
- Già...adesso forse non avrai bisogno di telefonarmi, più
tardi-
- Avrò sempre bisogno di sentire la tua voce prima di
addormentarmi-
- Ma adesso sei con me. E’ adesso che conta
-
Viola chinò la testa e gli sfiorò le labbra, Manuel le
poggiò le mani sulle guance.
- Mi mancherai quando rientrerai- mormorò poi accarezzandole
le guance.
- Entra-
- Entrare?-
- Così resti con me un altro po’ -
- Ma potrebbero scoprirci-
- Nessuno viene mai a disturbarmi di sera-
- Ma se poi...-
- Non preoccuparti, non succederà niente-
- Ne sei sicura?-
- Sicurissima-
Viola scese i gradini alla sua destra, gli prese la
mano.
- Fidati di me-
- D’accordo. Ma se succede qualcosa...-
- Non succederà niente-
Manuel sospirò, poi Viola lo condusse con se dentro, chiuse
la porta e dopo essersi assicurata che il corridoio fosse ancora immerso nel
silenzio, strinse di nuovo la mano di Manuel e gli fece strada fino alla sua
stanza.
Quando furono entrambi entrati, chiuse la porta a chiave e
gli sorrise.
Manuel restò fermo con le braccia distese lungo i fianchi a
guardare la stanza di Viola, l’arredamento, i colori, e la sola lampada accesa
ai piedi del letto.
- Che c’é?- chiese d’un tratto Viola con un cipiglio di
divertimento.
- Niente- rispose lui, alzando le spalle.
- Come niente? Cosa stai pensando?-
Manuel abbassò lo sguardo.
- Niente-
Viola rise, poggiò le mani sulle sue guance costringendolo
a guardarla, Manuel le lanciò un’occhiatina fugace, poi poggiò le mani sui suoi
fianchi.
- Non avevo mai immaginato la tua stanza- mormorò dopo un
attimo.
- Beh, neanche io avevo mai immaginato la tua-
- Quale delle due?-
- Entrambe, credo. Non sapevo ne avessi due-
- Nessuno ha due stanze, in definitiva-
- Io si. Ho anche il seminterrato-
- Ma qui fa meno freddo-
Viola abbozzò un sorrisetto, Manuel poggiò la schiena
contro il muro dietro di lui e l’ombra gli nascose il viso.
Per un attimo li avvolse il silenzio, Manuel socchiuse gli
occhi.
- L’avresti mai pensato?- chiese dopo un attimo, tenendo lo
sguardo basso osservando le mani di lei.
- Cosa?-
- Che sarebbe successo tutto questo. Che avessimo bisogno di
parlare così tanto, di stare vicini. L’avresti mai immaginato, il primo giorno
che ci siamo visti?-
Viola sorrise, alzò le spalle.
- No, forse no... ma non ne sono sicura. Forse mi sono
innamorata subito e neanche me n’ero accorta-
- Io mi sono innamorato subito-
- Come ne sei sicuro?-
- Perché quando ti ho conosciuto é stata la prima volta in
vita mia dove non ho avuto paura di me stesso. Lo sai Viola, forse é vero che
siamo nati per amare-
- Anche se a volte amare fa male?-
- Questo é incluso nel pacchetto, c’é sempre l’altra parte
della medaglia. Ma infondo io ci credo che siamo macchine dell’amore, Viola, o
la vita tutta non avrebbe senso. Perché soffrire e gioire per qualcosa che non
conta niente? Lascia che ti lasci questo di me, Viola, questa mia convinzione,
quello che ho creduto essere vero solo quando ho incontrato te: siamo nati per
amare, il nostro cuore non smetterà mai di produrre amore, ne può generare
quanto ne vuole e non c’é mai un limite. Eppure la sai una cosa? Tu hai ragione,
é proprio per questa nostra condizione che soffriamo. Ci hai mai pensato bene? É
una contraddizione bella e buona, come la clausola che nessuno di noi ha letto
prima di firmare il contratto che ci ha fa essere qui adesso, nel mondo. Per quanto siamo
capaci di amare e il nostro cuore produca amore come gli occhi tristi producono
lacrime, quell’amore sembra non bastarci mai. Sembra che abbiamo bisogno sempre
dell’amore degli altri per riempire il nostro cuore... per quanto ci struggiamo
di sentimento, ci sentiamo sempre incompleti se non siamo ricambiati. Non é
assurdo tutto ciò? Dovremmo bastare a noi stessi, non trovi? Potremmo amare il
mondo e amare gli altri e non pensare a nient’altro, mentre abbiamo
continuamente bisogno di certezze e approvazioni, abbiamo bisogno di sentire che
qualcuno ci ami, o l’amore che produce il nostro cuore sembra non avere alcun
senso. E quando questo non accade, soffriamo. Ti chiedi mai perché questo grande
apparecchio che abbiamo nel petto non provvede anche a saziare se stesso? Quanto é ingenuo il
nostro cuore, Viola, forse troppo. Si affida agli altri, a tutti, con una
tranquillità assurda...mi viene da ridere, sembra un gioco o un barzelletta,
invece la vita é proprio questo! Questo non può fare altro che dimostrare che
viviamo specchiandoci negli altri, viviamo grazie al collegamento tra le nostre
anime e viviamo sperando di essere abbracciati e avvolti da loro. É come una
catena, il mondo. Ognuno legato a qualcun altro, all’infinito... e ognuno si
chiede a quale anello della lunghissima catena universale é legato. Sappi che io
sono legato a te. Sappi solo questo-
Viola fissò i suoi occhi, il suo sguardo tremendamente
perfetto e dolce, poggiò la testa sul suo petto abbracciandolo e lasciandosi
abbracciare per un attimo, chiuse gli occhi mentre le tremava il
cuore.
-
Manuel, esiste l’amore vero?- chiese d’un tratto, come se
la domanda le fosse emersa direttamente dall’anima.
Manuel scoppiò a ridere.
-
Perché ridi?-
-
Sai cosa diceva Einstein?-
-
No, cosa diceva?-
-
Diceva: “Tutti credono che una cosa sia impossibile, poi
arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”. Le persone durante la loro
vita non fanno altro che chiedersi se il vero amore esiste, se esiste questo o se
esiste quell’altro…lo cercano in lungo e in largo con impazienza perché hanno
paura di non trovarlo mai, e se non lo trovano mai vuol dire che é impossibile
trovarlo e che quindi non esiste. Nessun esempio di felicità o amore può
convincere l’uomo che queste cose esistano davvero, deve essere lui a provarle
sulla propria pelle. E così si vive nell’ansia e nell’eterno dubbio, nell’eterna
sfiducia dei sentimenti propri e degli altri. Non hai mai pensato, Viola, -
Manuel abbassò lo sguardo e sfiorò la mano di Viola con le dita, - non hai mai
pensato che seppure l’amore vero non esistesse potremmo inventarlo?-
Viola guardò le sue dita accarezzarle il dorso della mano,
poi alzò lo sguardo verso i suoi occhi.
-
Inventarlo?-
Manuel sorrise.
-
Già. Fin quando ci ameremo e sapremo che sarà per sempre
non abbiamo da chiederci se il vero amore esiste. Io e te lo possiamo creare da
noi, il nostro vero amore-
-
Non…non c’avevo mai pensato…-
-
Così esisterà, ed esisterà per me e per te e per tutti
quelli che vorranno credere che noi l’abbiamo inventato-
-
Non l’avranno mica già inventato?-
-
Ognuno potrebbe inventare il suo e donarlo agli altri,
Viola. Noi creiamo il nostro, e non avremmo fatto altro che…beh…-
Manuel arricciò il naso, spostò lo sguardo altrove in cerca
di una risposta.
-
Che cosa?- chiese Viola.
Manuel si voltò nuovamente verso di lei con un
sorriso.
-
…che aumentare la percentuale di amore nel mondo! Sai
quante persone dicono “amore”, Viola?-
Manuel le accarezzò la punta del naso con il dito, Viola
sentiva il suo respiro addosso, la sua voce era soffusa, seria,
esitante.
- Non lo so, quante?-
- Troppe-
Viola gli sfiorò le labbra con le sue, e anche se intorno
c’era più buio che luce, non aveva bisogno di vederlo, le bastava sentirlo,
sentire la sua presenza e il suo respiro.
- E la cosa strana e che…- riprese, mentre respirare gli
riusciva sempre più difficile, - lo dicono con così tanta semplicità che forse
non se ne rendono conto, ed é diventato un processo così normale che ormai é
diventata una parola strausata, senza più nessuna identità...-
Le punta delle dita sfiorarono il viso di lei, socchiuse
gli occhi come per impedire a se stesso di piangere.
- …stai tremando…- sussurrò Viola, poggiandogli la mano sulla
guancia.
- Oh, non é un tremore. E’ una sottospecie di effetto
collaterale-
- Cosa?-
- É come se alcuni nervi del mio corpo impazzissero, e questo
mi provoca un leggero tremore. Alle mani, soprattutto-
La voce era rotta da qualcosa che Viola non riusciva a
percepire, eppure qualcosa di simile ad una tensione le saliva lungo la schiena
a vederlo così.
- Come potresti smettere?- chiese, lo sguardo apprensivo,
baciandogli il dorso di entrambe le mani.
Lui rise, incrociò le dita con quelle di lei.
- …dovresti smettere di amarmi per farmi smettere,
Viola…-
Un improvviso sussulto le partì dal petto e le irradiò il
corpo come una luce. La forza e l’impetuosità del suo sentimento era così
potente che lui lo avvertiva tremando, - il solo, piccolo, sentimento che le
partiva da ogni particella del corpo lo colpiva a tal punto da farlo tremare, la
sua vicinanza era tale che sentiva, quasi lei gli fosse entrata dentro, tutto
quello che stava provando.
Manuel le diede un leggero bacio sulla fronte, con la mano
seguì il movimento ondulato dei suoi capelli, nutrì la sua anima con gli effluvi
che sentiva provenire da lei. Si era rifiutato, fino a quel momento, di credere
che esistesse qualcuno che potesse amarlo, che qualcuno potesse avere il
desiderio di porsi nelle sue mani con la più completa fiducia, sapendo che non
ci sarà mai una fine. E se il sentimento di più completa donazione – se davvero
quello – era l’amore, quello di Viola cos’era precisamente? Come poteva
definirsi, il desiderio di qualcuno che era disposto a uccidere la nascita di
ogni emozione per donarla a lui, il desiderio innato di sacrificare ogni piccola
vibrazione derivante dall’anima? Era follia – forse - era follia.
Viola accarezzò i suoi capelli, gli regalò un bacio di
dolcezza e amore, si fece abbracciare, stringere, accarezzare, poggiò la testa
sul suo petto per sentire il suo cuore battere.
...
- Hai paura?
- Per te...sei pallido e tremi...la tua pelle é fredda...non
stai bene, vero? Oh Manuel, tu non stai bene...-
-
Sto bene...davvero...-
-
Ti fa stare male questo...le emozioni di adesso...-
-
Dimmi Viola, tu hai paura?-
-
No...tu lo sai...-
-
Le senti... le gocce...-
-
É la pioggia...-
-
Dentro di te...come un fiume...-
-
Abbracciami...-
-
Ansimi...-
-
E tu tremi...-
-
Perché ridi?-
-
Rido...non lo so...abbracciami ancora...-
-
Ti...ti faccio male, Viola?-
-
No...-
-
Mi gira la testa...-
-
Stai bene?-
-
Si...-
-
Stai piangendo...-
-
Io ti amo...-
-
Non piangere...-
-
Non sento più...l’aria...-
-
Stai tremando di più...-
-
Hai gli occhi lucidi...Viola...-
-
Anche io ti amo-
Luci.
Aghi - leggeri - sfiorano la pelle ... il freddo
avvolge gli aghi
Poi la luce avvolge il freddo
Una goccia.
Cade, poi é di nuovo su, ricade.
Tante gocce intorno agli occhi, corrono inseguite dal
tempo
Estasi.
L’aria si dissolve e tutto si annulla,
l’illusione di un attimo
poi tutto diventa anima
luce con risvolti oscuri,
completezza e mistero,
e l’amore che danza con la paura.
Occhi vuoti e pieni di buio,
terrore del corpo che cerca aria,
e l’anima si divide in voci,
Aria.
Luci, e sospiri.
Aghi soffici sfiorano la pelle, il respiro avvolge gli
aghi
poi il sonno avvolge il respiro.
Notte.
…
- Non dovrei essere qui-
Viola poggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e
sospirò.
- Se é per questo sei anche nel mio letto e non dovresti
esserci –
- E’ un’altra cosa…-
- Davvero?-
- Già. Ti avevo promesso che nei sogni non sarei più venuto
–
- Nessuno ti ha chiesto di
promettere-
- Mi dispiace, sono debole-
Viola scoppiò a ridere, lui la guardò con un cipiglio di
curiosità.
- Siamo in un sogno, Manuel, non sei distante da ciò nel
quale vivo ogni volta che sono con te-
- Qui ti sbagli di grosso-
Manuel cercò i suoi occhi, con la mano le accarezzò i
capelli e poi la guancia.
- Non sono un sogno, Viola, faccio parte della
realtà-
- Già. Un sogno diventato
realtà-
- Non mi hai mai sognato prima che ci
conoscessimo-
- Vivevo nella nostalgia di qualcosa che non avevo ancora
incontrato. Non so, è come essere nostalgici del futuro-
- Non siamo nostalgici forse anche qui?-
- Nostalgici, ma felici-
- Cos’é la felicità?-
- Perché me lo chiedi?-
- Perché so che puoi rispondermi-
- Non é vero-
- Si che é vero. Tu sai cos’é davvero la felicità, potresti
annunciarlo al mondo facendo di colpo crollare teorie su teorie, aprendo gli
occhi a tutti e risolvendo il più grande quesito dell’universo-
- Cosa ti fa pensare che io lo possa sapere?-
- Mi prendi in giro? La tua mente é in grado di analizzare
qualsiasi emozione concepibile, sai riconoscere gli stati d’animo più disparati
e sai entrare nell’inconscio. Vuoi farmi credere che tu non abbia mai visto la
felicità? Tu sai cos’é, Manuel, e forse il mondo sta aspettando la tua
risposta-
- La mia risposta non va bene-
- Allora la conosci!-
- Non ho detto questo-
- Si invece, confessalo: conosci la risposta alla più grande
domanda della storia e non vuoi ammetterlo-
- Tu hai una considerazione troppo alta di
me-
- E tu troppo bassa di te stesso-
- Non c’entra. Io non so un bel niente-
- E guarda caso sei sempre a parlare di teorie
filosofiche-
- Sono semplici idee. E non so se sono vere-
- Chi la stabilisce la verità?-
Manuel alzò lo sguardo sfuggendo agli occhi di
lei.
- Non posso crederci, sai anche questo!-
Viola rise puntandogli il dito contro, Manuel arricciò il
naso evitando di nuovo di guardarla negli occhi.
- Non é vero- mormorò poi.
- Tu sei incredibile-
- Sei tu a crederlo-
- Stai cambiando argomento, io ti avevo chiesto della
felicità-
- Ognuno vive la felicità a modo suo, Viola, e non cercare di
dire che non é così. Basterebbe poco per essere felici-
- Se tutti potessimo essere felici raggiungeremmo la pace?-
chiese poi, quasi in un sussurro.
- Beh si, credo di si-
Manuel abbassò il volto verso quello di Viola, sfiorò con
le dita la punta del suo naso, sorrise.
- Potresti scriverci un trattato, molta gente lo
comprerebbe-
- Io non ci conterei tanto-
- Perché?
- Perché é difficile da spiegare –
- Tutto é difficile-
- Già…-
Manuel accarezzò i suoi capelli.
- Forse dovresti dormire un po’- sussurrò dopo un
attimo.
- Perché, non sto forse dormendo?-
- Non so. Ho l’impressione di non sentirti
riposata-
- E tu, sei riposato?-
- Abbastanza. Su avanti, lasciati andare per un attimo. Così
dormirai davvero-
- Adesso neanche i sogni ci fanno più
dormire…-
...
Il vento le stava accarezzando il viso, Viola credeva fosse
un sogno. Nel dormiveglia si interrogava se fosse davvero il vento il soffio
freddo che sentiva sulla guancia, la fantasia viaggiava a più di mille miglia.
Il buio della sua mente si colorava, respirava tranquillamente, avrebbe voluto
continuare a dormire ancora un po’ ma quel qualcosa di freddo che continuava a
soffiarle sul volto stava per farle raggelare l’intero corpo. Lentamente aprì
gli occhi, vide un fascio di luce illuminare la stanza, proveniente dalla
finestra aperta.
Oh, ecco spiegato il vento.
Per un secondo fissò la luce del sole illuminare il
pavimento, poi abbassò lo sguardo fissando il braccio che teneva sotto la
guancia, si accorse di essere sulla sponda del letto, quasi in
bilico.
-
Scusa, hai freddo. Ora la richiudo, la
finestra-
Non fece neanche in tempo a girarsi, lui si era già alzato
e con un movimento fulmineo chiuse la finestra.
Avrebbe voluto parlare, dirgli che andava bene così, anche
con il vento, ma non ci riuscì. Guardò la sua figura che adesso si voltava, la
guardava, le sorrideva.
Aveva un viso tranquillo, riposato, leggermente pallido
forse, ma bello, gli occhi sorridenti parevano meno accesi del solito – un po’
arrossati, come dopo un pianto - ma erano sereni, lo sguardo trasmetteva pace e
sicurezza insieme con un inspiegabile cipiglio di felicità e totale
tranquillità.
A piccoli passi si avvicinò di nuovo al letto, si sedette
sulla sponda accanto a lei e le poggiò una mano sulla testa, accarezzandole
delicatamente i capelli.
- Poteva restare aperta- riuscì a dire lei dopo un attimo,
continuando a guardarlo.
- Certo, così ti prendi un malanno-
Il silenzio li avvolse per un altro momento.
-
Stai bene?- chiese dopo un attimo.
-
Si. Tu?-
-
Si-
-
Manuel...-
Viola cambiò espressione per un attimo, i loro occhi si
incontrarono per un secondo, Viola prese la sua mano tra le sue.
-
Cosa c’é?-
Lui cercò di nuovo il suo sguardo, fissandola con dolcezza
e tranquillità mentre la sua voce restava ferma, calda, soffice.
Viola osservò ancora il suo viso tranquillo, tentando
invano di leggerci quello che stava pensando.
-
Sei un po’…-
-
…strano?-
-
Sicuro di star bene?-
-
Si, sto bene. Sto solo recuperando i sensi-
-
Cosa?-
-
Sai, credo di essere sparito per un attimo-
Gli occhi di Manuel si persero nel vuoto, Viola puntò lo
sguardo su di lui.
-
Come…cosa significa?-
-
Non lo so, ma é come se fosse sparito tutto di me tranne la
capacità di sentire-
-
Sparito? Stai dicendo sul serio? Cioè, é stata una
sensazione, una tua emozione?-
-
Perché hai questo tono?-
-
Non ho un tono, nessun tono, sto solo chiedendo,
io…-
-
Sei preoccupata. Cosa c’é da preoccuparsi?-
-
Sei ancora pallido, Manuel -
-
Non sono fatto di pietra o ferro, cara-
Viola abbassò gli occhi, sospirò di nuovo.
-
Okay, adesso sono tranquilla. Dimmi, avanti-
Manuel abbozzò un sorrisetto, riprese ad accarezzarle i
capelli.
-
La chiamano estasi, quando lo spirito prende il sopravvento sul
corpo. In realtà non so se questa parola si addica a ciò che voglio dire. Mio
Dio, non ho mai visto tante emozioni tutte insieme!, correvano, si inseguivano
come fanno i bambini al parco… erano tante, tutte colorate, mi mancava il
respiro mentre cercavo di guardarle, loro si arrampicavano sulle mie spalle, sui
miei capelli, mi entravano negli occhi e nelle orecchie, e ognuna mi parlava di
te. Credo che questo mi abbia fatto perdere momentaneamente la sensibilità a
tutto il corpo, come se l’unico organo rimasto attivo fosse il cervello, capace
di percepire queste emozioni. Come un’anestesia totale: non sentivo di avere più
mani, braccia, testa, gambe, nulla più. Vedevo solo quelle emozioni colorate nel
cervello. Ma é durato un attimo, solo un attimo, dopo é passata. Ma sai, mi é
rimasto il sapore in bocca, adesso mi sembra strano avere un corpo, quasi
l’anima fosse la mia unica dimensione. Tu mi hai mostrato l’anima, Viola. Avevo
visto tante cose dell’anima, ma lei, non l’avevo mai vista –
Viola rimase immobile, fissava i suoi occhi vuoti che si
muovevano da un particolare all’altro del suo viso, della sua stanza, del suo
letto.
-
E’ incredibile- mormorò con un filo di voce, - tu sei
l’essere più straordinario che esiste sulla faccia della terra-
-
Sono ipersensibile. Forse troppo-
Manuel abbassò lo sguardo e il volume della
voce.
-
Credi che avrebbe potuto essere pericoloso?-
Viola poggiò la mano sulla sua spalla, lui alzò di scatto
la testa.
-
Cosa?-
-
Si, pensa se… se queste emozioni ti avessero preso per più
che un attimo. Cosa sarebbe successo? –
Manuel rimase un attimo in silenzio a fissare il pavimento
mentre le dita di Viola scivolavano sulla sua mano.
-
Non lo so cosa sarebbe successo, - mormorò dopo un attimo,
- ma forse non sarebbe potuto succedere. Forse non succederà mai-
-
Come fai a saperlo?-
-
Perché forse é solo così che può succedere. Stai tranquilla Viola. Avanti,
abbracciami-
Viola non lasciò ripeterselo due volte, si lasciò stringere
e poggiò la testa sulla sua spalla.
E non le aveva più detto cos’era la
felicità.
…
La luce del tramonto filtrava attraverso i pochi spiragli,
l’ambiente era abbastanza largo, un odore di carta e inchiostro aleggiava
tutt’intorno.
Il silenzio regnava sovrano, stendeva la sua ombra
invisibile sugli oggetti ridisegnando i loro contorni, aggiungendo sfumature
alla loro luce, liberando l’impressione più tetra che potessero suscitare. Le
ombre tratteggiavano gli odori dei sospiri sui muri, aloni di presenze immobili
si allungavano sulle pareti - una mano.
C’era una valigetta sul lungo tavolo. Era una valigetta
normale, come tante, con un manico di pelle e una tasca sul retro, il rumore che
faceva quando la si apriva era quel clic tipico di queste borse, un rumorino sordo eppure
quasi piacevole all’orecchio, - una mano.
Era divisa in tre, dentro, la valigetta: due libri nel
primo scomparto, un’agenda nel secondo, e altri due libri di più piccole
dimensioni nel terzo. E poi una tasca interna.
La mano si infilò nella tasca interna, ne estrasse
qualcosa, lasciò la borsa aperta mentre osservava ciò che aveva preso. Era un
foglio di piccole dimensioni, ripiegato su se stesso delicatamente.
Quella mano affianco l’altra, il foglio venne aperto
lentamente.
Un sorriso, quasi scontato, un’occhiata veloce
all’inchiostro nero, un nuovo sorriso.
Joel chiuse la valigetta, sorrise come soddisfatto e andò
via.
Mia osservò dalla finestra sull’esterno quel
gesto.
Impaurita e affranta si allontanò per la
strada.
…
Viola chiuse la finestra con un movimento veloce, lanciò
uno sguardo al sole che tramontava e poi uno alla scrivania, verso il libro di
matematica. Non aveva mai fatto tanta matematica in vita sua, mai avrebbe
creduto che il suo cervello avrebbe potuto reggere a tre ore consecutive di
numeri. Beh, normalmente non l’avrebbe mai sopportate, ma se era Manuel a
spiegargliela, avrebbe potuto continuare così per l’eternità. Il fatto era che
lui sapeva mantenere la calma davanti a qualsiasi cosa, persino davanti a quelle
equazioni che sembrano impossibili, quelle che anche dopo averle fatte e rifatte
il risultato non é mai giusto. Lui si siede, con calma, prende la penna e la fa,
semplicemente. Scrive lentamente, numero dopo numero, non sbaglia un calcolo, e
alla fine fa apparire tutto semplice. Come ho fatto a non pensarci prima, viene
da pensare.
Qualcuno bussò alla porta, Viola voltò la testa di scatto
svegliandosi dai suoi pensieri.
-
Chi é?-
-
Viola, sono Mia-
Viola restò sorpresa, deglutì.
-
Oh Mia! Su, entra - rispose, cercando di non far trasparire
la meraviglia nella sua voce.
La porta si aprì come se ad aprirla fosse stato un soffio
di vento, Mia infilò la testa nella stanza.
-
Ciao Mia, che bella sorpresa! Ma cosa fai ancora sulla
porta, avanti entra!-
Viola sorrideva, aveva superato la momentanea sorpresa del
vederla e si sentiva quasi in pace con se stessa, come se quella visita stesse a
significare che non era mai stata arrabbiata con lei e che dopotutto credeva a
quello che le aveva raccontato.
- Ciao Viola- salutò Mia, con uno strano tremore nella
voce.
- Mia, come stai? Tutto bene?-
Viola la guardava, lei era strana. Fissava ora gli occhi di
Viola ora il pavimento silenziosamente, quasi imbarazzata.
Bastò uno sguardo più accurato di Viola per rendersi conto
che stava succedendo qualcosa.
Mia aveva gli occhi spenti e il pallore sulle
guance.
-
Cosa…cosa succede?- chiese dopo un attimo, facendo sparire
il sorriso.
-
Avrei bisogno di parlarti, Viola- iniziò Mia con un filo di
voce.
-
Eccomi, sono qui. Parliamo- rispose lei, sedendosi sul suo
letto e continuando a fissarla con un cipiglio di preoccupazione.
Passò un altro secondo senza che Mia parlasse, Viola
iniziava seriamente a preoccuparsi.
-
Hai un viso strano. Cosa é successo? Qualcuno sta male? Ti
é accaduto qualcosa?-
Domandava a raffica, cercando di leggere nei suoi
occhi le risposte.
Mia alzò la testa.
-
Viola, ti ho mentito-
Gli occhi di Mia e quelli di Viola si incrociarono per un
breve istante. Un misto tra confusione e incredulità le possedeva lo sguardo,
cercava di capire a cosa si riferisse e a cosa era dovuta quella
frase.
-
Io non capisco…-
-
Ricordi l’ultima volta che ci siamo viste?-
Viola alzò lo sguardo verso l’amica.
-
Si- rispose in un sussurro.
-
Quando abbiamo parlato di Manuel,- continuò, - e tu mi
dicesti che lui era… normale?-
La sua voce era esitante, il cuore di Viola iniziava a
battere.
-
Si, certo- ribadì.
-
Io non ci ho creduto-
Il cuore le rimbombava nel cervello, Mia la
guardò.
-
Ho rubato il tuo diario-
Viola era paralizzata, sentiva il cuore batterle a mille.
Era vero, Viola aveva un diario, aveva iniziato ad averlo quando s’erano
trasferite a Brighton, amava raccontare di se e di quello che provava, ed aveva
raccontato anche di Manuel. Ma da quando lui era entrato nella sua vita, Viola
scriveva più raramente e per qualche settimana, - pensandoci bene, esattamente
da qualche giorno prima che Mia era venuta a trovarla, - non aveva più usato il
diario. Aprì con fragore il secondo cassetto del suo comodino, dove lo riponeva
sempre, e con orrore si accorse che quanto Mia diceva era la verità. Il diario
non c’era più, e l’aveva preso lei. Questo significava che aveva letto tutto
riguardo Manuel.
-
Ti eri comportata troppo stranamente nei giorni precedenti
e tu non sei mai stata una tipa misteriosa o problematica, non avresti avuto
problemi a dirmi le cose come stavano. La verità era che sotto c’era qualcosa, e
tu non volevi dirmelo, - Mia aveva iniziato a parlare con il tremore nella voce,
mentre non riusciva a decifrare lo sguardo di Viola, - ed eri stata molto male.
Tu non stai male facilmente, Viola, io ti conosco bene. L’unica spiegazione
possibile era che mi stavi mentendo -
Le parole di Mia fluivano leggere dalle sue labbra e
sembravano sbattere contro le pareti e ritornare al centro della stanza come
palline gommose.
-
Perché mi dici questo?-
La voce di Viola era rotta di pianto, eppure non
piangeva.
-
Ho avuto paura per te, Viola, - riprese Mia con un filo di
voce, - paura di questo tuo nuovo comportamento, paura per tutto…non eri mai
stata così, ed ero ancora più spaventata dal fatto che non mi stessi dicendo la
verità. Quello che ho letto su questo diario mi ha dato la conferma dei miei
dubbi. Tu mi hai mentito, Viola, ed io sono stata costretta a mentire a te. Ma
mi dispiace, insomma, per te, per Manuel, io non immaginavo che lui fosse… si
insomma… ne ero ossessionata, non riuscivo a smettere di leggere quelle
righe e tutto quello che hai scritto mi aiutava a capire i tuoi comportamenti,
tutto quello che era successo, era come la chiave di lettura di ogni cosa. Sono
arrivata perfino a strappare le pagine per potermele portare dietro, a scuola…-
-
Cosa? Ma perché? Perché hai fatto questo?-
-
Te l’ho detto, io, io…- Mia alzò lo sguardo timorosa,
- io avevo paura, non capivo…non volevo farti del male, Viola, ma poi è… è
successa una cosa-
-
Cosa é successo? Cosa hai fatto ancora?-
-
Le pagine del tuo diario. Sono quelle che Joel mi ha
sequestrato in classe -
I muscoli del corpo di Viola divennero di ghiaccio.
Lo sguardo era fisso su Mia senza che riuscisse a muoversi,
gli occhi spalancati, la bocca serrata, i pugni stretti sulle gambe. E il cuore
a mille.
-
Smettila di dire sciocchezze-
-
Non guardarmi così, ti prego-
-
Cos’é che vuoi da me?-
-
Viola…-
-
Stai mentendo-
-
E’ la verità…e mi dispiace molto…l’ho tenuto d’occhio dopo
la scuola, quando la sala professori é rimasta vuota ha tirato fuori il mio
foglio, l’ha letto e ha sorriso in un modo strano…-
-
Stai mentendo, si, tu menti -
-
Ti prego, non parlare così…-
Mia socchiuse gli occhi lucidi, fece per avvicinarsi, Viola
si scostò.
-
Viola, sono venuta qui per trovare una soluzione-
-
Una…una soluzione?-
La voce di Viola era soffusa.
-
Ti prego, dobbiamo parlarne con calma, e forse tu potresti
…-
-
No, per favore, non parlare!-
Viola alzò una mano verso l’amica che tentava di
avvicinarsi, tentò di controllare gli spasmi di sorpresa, dolore e paura che
sentiva nascere da dentro.
-
Viola, quanto é grave quello che é successo? Ti prego devi
dirmelo. Devi dirmi quanto di vero c’è in quello che ho letto -
Viola la fissò per qualche momento
inespressiva.
Già, adesso non poteva più mentire. Che senso avrebbe
avuto, adesso, continuare a dire bugie? Con il suo comportamento irresponsabile
ormai aveva già messo a repentaglio tutto, non poteva più permettersi di
mentire.
Deglutì a vuoto.
-
Non riesco a crederci…- sibilò tutto d’un fiato
Il telefono sul comodino prese a squillare, tutte e due
puntarono lo sguardo sull’apparecchio.
Con un movimento fulmineo Viola lo prese e se lo portò
all’orecchio.
-
Pronto?-
-
Che succede?-
-
Manuel?
-
Che succede Viola?-
Gli sguardi delle due ragazze si incrociarono.
-
Niente-
-
Non é vero. Sei in agitazione-
-
Tu come fai a saperlo?-
-
Lo so-
-
Già, questo lo vedo, - Viola lanciò un’altra occhiata a
Mia, - ma non sei qui adesso, come fai a saperlo?-
-
Pensi che il nostro stare vicini non abbia alcun
effetto?-
-
Ce l’ha?-
-
Si e molto-
-
Bene-
-
Non mi hai risposto. Cosa sta succedendo?-
-
Io, beh, niente, davvero…-
-
Tu non sai mentire. E anche se sapessi farlo sarebbe
comunque inutile-
-
Non ti capisco-
-
Sento la tua ansia nelle vene, Viola: dimmi cosa succede,
mi sto preoccupando-
-
Non preoccuparti-
-
Viola-
-
Ascolta, é successa una cosa-
-
Aspettami arrivo subito-
-
No, aspetta…-
-
Non se ne parla. Arrivo-
…
La luce era quasi calata del tutto, il silenzio avvolgeva
la stanza e i volti dei presenti.
Viola sedeva sul letto, lo sguardo basso, assente, era come
pietrificata da un sentimento che altalenava tra la non comprensione e il
rifiuto dell’evidenza, Mia era agghiacciata nel guardare il volto di
Manuel.
D’un tratto era come se il sangue avesse smesso di
circolare nelle sue vene, guance, fronte, braccia e mani erano diventate bianche
come le pagine di quei quaderni mai aperti, gli occhi sembravano aver ingoiato
ogni sua capacità di parlare o di muoversi. E in quell’ansia che lo consumava,
Mia era finalmente a conoscenza di quello che sapeva fare.
Manuel era arrivato subito come aveva promesso a Viola, il
suo sguardo aveva iniziato a diventare cereo già quando il suo corpo aveva
iniziato ad essere colpito dalle fortissime emozioni che attraversavano le due
ragazze. Le aveva guardate con aria interrogativa, poi aveva chiesto,
debolmente, cosa stesse succedendo. Viola aveva iniziato con un discorso
tranquillo, il dolore delle sue parole era mascherato da quell’apparente calma
che invade chi é senza speranza, lo sguardo di Manuel aveva scrutato Mia
leggendo la sua paura, il suo pentimento. La sua incoscienza.
Alla fine del discorso Viola era scoppiata a piangere,
Manuel non aveva parole, “perdonami, ti prego, perdonami” aveva sussurrato Viola
tra le lacrime mentre lui l’abbracciava. Manuel aveva sentito il cuore balzargli
nel petto come i singhiozzi di Viola, poi, mentre ancora la stringeva, aveva
guardato Mia, poggiata contro la parete. Uno sguardo contemporaneamente
interrogativo, triste, e una punta di comprensione. Oh, lui non poteva mai prescindere da
questa, la comprensione. C’era forse qualche sensazione, anche la più difficile
da perdonare, che lui non potesse comprendere e risparmiare?
La mente era piena di paura e domande, sentiva di non poter
riuscire a sopportare ben quattro dolori tutti insieme.
“Si, avevi ragione” aveva sussurrato dopo un attimo, “c’era
qualcosa che Viola non ti ha detto e che adesso sai”.
“Mi dispiace, Manuel …” aveva già iniziato a dire Mia in un
sibilo, Manuel
abbassò la testa come per farle capire che non voleva quelle
scuse.
“So che sei dispiaciuta. Lo sento nelle tue emozioni. É
questo che so fare, sento ogni tipo di emozione e sensazione. Proprio come avevi
letto nel diario”.
Viola aveva alzato la testa dalla sua spalla ignorando per
un attimo il dolore che sentiva stringerle il cuore e aveva guardato il viso di
Manuel.
Non si era arrabbiato, non si era rifiutato neanche di
abbracciarla e non aveva parlato in modo duro a Mia. La stava ancora
abbracciando, adesso, e stava rivelando tranquillamente il suo segreto alla sua
migliore amica.
“Non avere paura” aveva iniziato a dire poi, “ti prego non
avere paura”
“Io non…”
Mia aveva cercato parole che non esistevano.
“Ho chiesto io a Viola di mentire su questo segreto, é
colpa mia se vi ha mentito”.
Si era preso la colpa.
“Perdonami Manuel. Se riesci a sentire davvero quanto mi
dispiace, ti prego perdonami”.
…
-
Quindi Joel sapeva…? Sapeva già cosa c’era scritto in
quelle pagine?-
-
Questo non lo so-
-
Dalla reazione che mi descrivi, lui…-
Manuel non riuscì a terminare la frase. Sentiva il corpo in
fiamme e non riusciva a trovare senso in quello che gli veniva raccontato.
Mia gli lanciò un’occhiata.
-
Dobbiamo recuperare quei fogli- disse dopo un attimo,
incontrando gli occhi di Manuel, - non deve avere in mano nessuna prova sul tuo
conto-
Viola alzò finalmente lo sguardo seguendo il discorso dei
due.
-
E poi?- chiese Manuel.
-
Se gli portiamo via quelle pagine qualunque convinzione
sarà vana. Non avrà prove per nulla-
-
Prove per cosa?-
-
Non lo so. Ma qualsiasi cosa pensi non sarà
provabile-
-
Credi che possa averlo ancora nella borsa?-
-
Probabile. Se non é lì potremmo cercare nel suo ufficio a
scuola-
-
E nel caso non fosse neanche lì?-
-
Penseremo a qualcosa-
-
D’accordo. Ci andrò domani-
Viola alzò di scatto la testa.
-
Io ti accompagno-
-
No, non serve-
-
Si invece-
-
Se ci scoprono saremo nei guai in due ed é
peggio-
-
Ma non mi interessa-
-
Viola…-
-
Non cercare di tenermi fuori, io ti ho creato questo
guaio-
-
Non mi hai mai creato guai-
-
E questo come lo chiami?-
Manuel abbassò lo sguardo.
-
Manuel, credo che dovresti lasciarla venire con te, - disse
Mia, - sarete quattro mani, cercherete più in fretta, o se preferite, uno resta
a fare la guardia. Da solo non ci puoi andare, é da stupidi-
Manuel guardò Viola.
-
Faremo in fretta. Domani dopo le lezioni, quando tutti
saranno andati via- disse infine, deciso.
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Capitolo 12 *** 11 ***
fiori11
Le lezioni del
venerdì finivano alle quattro del pomeriggio per i corsi intensivi e Joel era
occupato più o meno fino alle quattro e mezza con le sue faccende.
Quando suonò la
campanella Viola si precipitò fuori dalla classe, attraversò il corridoio del
terzo piano fino a raggiungere Manuel, che l’aspettava accanto alle scale. Si
scambiarono poche parole, molto sguardi, Viola era tesa e Manuel inquieto. Non
sapevano a cosa stavano andando incontro e neanche se la loro idea avrebbe
fruttato qualcosa. Quello su cui si stavano basando erano pure supposizioni,
nessuno di loro – né Manuel, né Viola e né Mia, - avevano idea di dove fosse
quel biglietto e cosa potesse mai interessare davvero a
Joel.
Alle quattro e un
quarto la scuola era apparentemente vuota di alunni, il corridoio di mattonelle
rosse era occupato da segretari che con fogli tra le braccia si muovevano da un
ufficio all’altro. Dovettero aspettare che il viavai si placasse un po’ per
sgattaiolare velocemente fino alla porta dell’ufficio di Joel e infilarsi lì
dentro.
La porta
dell’ufficio era aperta.
Tutto era in
ordine, in particolare la scrivania: neanche un foglio fuori posto, i libri
erano allineati uno sull’altro con precisione impressionante e la sua valigetta
era poggiata sulla sedia.
Manuel e Viola si
scambiarono uno sguardo.
-
Tu guarda sulla
scrivania, io vedrò nella sua borsa- sibilò Manuel così velocemente che Viola
fece quasi fatica ad afferrare le parole.
Celermente si
allontanarono dalla porta e si avvicinarono alla scrivania, Viola iniziò
delicatamente a spostare i libri uno ad uno, sfogliò le loro pagine, fece
attenzione a riporre tutto come l’aveva trovato, aveva l’ansia fin sopra i
capelli. Le mani le tremavano quando toccava un foglio, un libro, una
cartellina, pensò che con quelle sensazioni non stava aiutando Manuel. Lui aveva
aperto la borsa, stava infilando le mani tra gli oggetti del professore e
guardava con occhio attento tutto quello che gli capitava di
toccare.
Stavano perdendo
solo tempo, in quel momento Viola ne fu certa.
Il silenzio di quei
momenti parve possederli, poi si ruppe tutto insieme, in un
attimo.
La porta si
spalancò con un cigolio tranquillo, Manuel e Viola alzarono gli occhi
atterriti.
-
Manuel,- sospirò
una voce tranquilla, la mano ancora poggiata sulla maniglia della porta, -
cercavi questo?-
…
Il foglio ondulava
tra le dita di Joel che continuava a muoverlo avanti e indietro. Il suo viso era
illeggibile, gli occhi fissi in quelli di Manuel e la mano ancora sulla maniglia
della porta.
La tensione di quei
momenti era alle stelle.
Joel abbassò la
testa con un movimento fulmineo, poi chiuse la porta alle sue spalle e fece
qualche passo verso i ragazzi.
-
Sarò sincero, non
credevo che sareste potuti venire qui- disse, lanciando uno sguardo anche a
Viola, - ma forse é stato meglio così-
La voce cambiò
intenzione nel pronunciare l’ultima frase.
Manuel non riusciva
a parlare, ma si sforzò di farlo.
-
Professore, lei
chi…-
-
Aspetta Manuel, non
parlare. Lascia che sia io a cominciare-
La sua voce era di
nuovo unita ad un sentimento di leggera malinconia eppure di
gioia.
-
Quel biglietto non
ha significato niente per me, se non la conferma di una cosa che già
pensavo-
-
Cosa? Di cosa sta
parlando?-
-
Sospettavo che
qualcun altro conoscesse il tuo segreto-
-
Ma lei
come…-
-
Noi ci siamo già
incontrati, Manuel -
Manuel restò
attonito fissando la sua espressione, Joel continuava a guardarlo
insistentemente, restando fermo nella sua posizione.
-
Guardami bene,
Manuel, proprio non mi riconosci?-
Gli occhi di Manuel
scrutarono il suo volto, non riusciva a fare altro se non tenere gli occhi fissi
sul suo sorrisino enigmatico.
Joel abbassò la
testa con un risolino, alzò le spalle e un senso di leggerissima delusione velò
il suo sguardo. Manuel tentò di scacciare quella sensazione scuotendo la testa,
ma sembrò che quel movimento animasse ancora di più la confusione che
sentiva.
-
Beh, dovevo pur
immaginarlo, scusami, - iniziò di nuovo Joel dopo un attimo, - é passato tanto
di quel tempo…-
La voce era
leggermente rauca, sembrava un sibilo nel vento.
Manuel fece un
passo indietro fiancheggiando Viola, Joel alzò lo sguardo.
-
Ma non guardarmi
così, voglio spiegarti tutto- ricominciò poi, vedendo un alone di paura
disegnarsi sul volto del ragazzo.
-
Chi é lei? Perché
non me lo dice subito?-
Finalmente un filo
di voce uscì dalle labbra di Manuel mentre iniziava ad agitarsi tutto e a
perdere colore sulle guance.
-
E’ meglio sederci e
parlare con calma, e forse sarebbe meglio
se da soli…-
Lo sguardo di Joel
cadde su Viola, che appena al fianco Manuel guardava la scena silenziosamente
con una punta di preoccupazione.
-
Non se ne parla, -
ribatté Manuel, - lei resta qui e non fa un passo senza di
me-
Joel si fece
un’altra risatina simpatica.
-
D’accordo, come
vuoi. Vuoi sederti Manuel? E anche tu Viola…avanti, sedetevi e state tranquilli.
Non voglio che mi guardiate in quel modo, non sono niente di quello che
pensate-
Le sue parole
avevano perso quella punta di ironia e quella sottospecie di emozione morbosa
che Manuel era riuscito a cogliere in tutto ciò che aveva detto precedentemente,
adesso era serio e il suo sguardo era divenuto mite.
Con un movimento
fulmineo entrambi si sedettero sulle sedie davanti alla sua scrivania
continuando a tenere gli occhi fissi su di lui mentre Joel si sedeva sulla sua
poltrona e tirava un grosso sospiro, poggiando il tanto incriminato biglietto
davanti a lui.
-
Non credevo che
sarebbe mai arrivato questo momento, - disse soffusamente, - a parte quegli
strani sogni dove venivo da te e ti raccontavo ogni cosa. Invece sei stato tu a
venire da me, Manuel, e forse é stato meglio così-
-
Continua a ripetere
che é stato meglio così. Ma lei conosce il mio segreto, come ha fatto a
scoprirlo?-
La voce di Manuel
era ferma, seria, imperativa. Joel sostenne il suo sguardo riuscendo a mantenere
la sua espressione dolce, poi lo riabbassò come se si
vergognasse.
-
Ricordi quando
avevi cinque anni, Manuel? Erano passate poche settimane da quando i tuoi
genitori avevano scoperto tutto e la vostra vita non sembrava più la stessa.
Così, un giorno, tuo padre decise di portarti da un neurologo…ti ricordi,
Manuel?-
Il viso del ragazzo
parve rabbuiarsi per un attimo.
-
Come fa a sapere
queste cose della mia vita?- sibilò, con la voce spezzata da lacrime che non
stava piangendo.
-
Quel neurologo ero
io, Manuel -
Lo sguardo dei due
si incrociò per un attimo, fu come se il tempo si fosse fermato e Manuel fosse
tornato bambino. Per un brevissimo attimo nella sua testa gli eventi andavano a
ritroso e il viso di Joel rimaneva fermo, lì davanti a lui, la stessa
espressione e gli stessi occhi miti.
La voce gli si bloccò nella gola, le
lacrime si muovevano con velocità estrema nel suo cuore senza
fuoriuscire.
-
Ma cosa sta
dicendo?-
-
So che potrà
sembrarti strano,- o meglio, forse impossibile- ma é così. Ero io quel
giorno, in quello studio, a porti domande sulla tua vita, ero io ad avere quella
foto sulla scrivania, era a me che hai letto nell’anima mentre io cercavo di
capire cosa ci fosse in te di diverso. Quando mi hai detto che avevo litigato
con mia moglie credevo di essere impazzito. Un qualunque bambino di cinque anni
non poteva sapere cose che riguardavano la mia vita, non riuscivo a capacitarmi
che tu avessi detto davvero “si sente”. Io non sentivo niente, mentre tu sentivi
il mondo. Nel tuo sguardo, per un attimo, io ho capito tutto. Per un semplice
momento – non so neanche come sia successo, io ho capito-
La pelle di Manuel
continuava ad impallidire, a Viola mancava il respiro.
L’attimo.
Un solo attimo, in
cui si potrebbe capire ogni cosa.
-
Mi sta dicendo la
verità? É la verità? Lei é davvero quel dottore?-
Manuel
si protese verso di lui, gli occhi pieni di sofferenza e la voce impastata di
titubanza.
Joel abbozzò un
timido sorriso senza smettere di guardarlo negli occhi.
-
Sono io, Manuel
Green. Sono proprio io-
C’era un’emozione
particolare nella sua voce, e fu grazie a quella Manuel capì che stava dicendo
la verità.
Si accasciò con la
schiena contro la sedia, abbassò lo sguardo e rimase in quella posizione per
qualche secondo, la pelle sempre più bianca, Viola rimaneva nervosamente in
silenzio.
-
So che sarai
confuso, ma voglio spiegarti tutto. Da cosa successe quella volta al perché sono
qui oggi. Adesso non voglio più nasconderti niente-
Manuel alzò gli
occhi verso la sua voce, gli lanciò uno sguardo
sofferente.
-
La mia vita é tutta
una bugia, non é vero? É questo che vuole dirmi? Ho vissuto tutto questo tempo
credendo di essere qualcuno e adesso lei arriva e mi dirà che é tutto diverso, é
questo che sta succedendo, non é vero? E’ stato qui durante tutti questi anni
per nascondersi dietro la mia bugia? Perché non é venuto prima a parlarmi?
Perché se non voleva mentirmi ha continuato a farlo? Quanto c’entra mio padre in
questa storia?-
Quasi urlava, le
guance si arrossarono.
L’ultima domanda
era la più importante.
Joel riconobbe la
confusione e l’altissima dose di sofferenza nel modo in cui quelle parole
vennero pronunciate, lo sguardo rimase fisso e serio su di lui aspettando che
smettesse di ansimare tanto e che cercasse di cogliere, nella calma che Joel
stesso stava coltivando dentro di se, la tranquillità adatta per prestare
ascolto al suo racconto.
Come conosceva lui
le qualità di Manuel Green forse non le conosceva nessuno.
Passò qualche
fulmineo secondo perché Manuel potesse naturalmente calmarsi percependo la calma
del professore.
-
Ti prego non
arrabbiarti, Manuel, e non dire queste cose, - sibilò, quasi come se il tono
aggressivo del ragazzo avesse potuto in qualche modo ferirlo, - non ti dirò
niente di tutto ciò. Ti va di ascoltare questa storia?-
Il tono che aveva
usato era stato oltremodo tranquillo e docile, quasi come se potesse bastare
quello per cessare la guerra nell’animo di Manuel, eppure almeno un po’ parve
funzionare.
Lui sapeva come
parlare con Manuel.
Manuel annuì con un
movimento impercettibile del capo.
Joel
sorrise.
-
Bene, - mormorò
abbassando per un attimo gli occhi, - non é facile per me parlarti di tutta una
vita, Manuel, ma voglio che tu sappia tutto di me e di cosa é successo davvero
dopo il nostro incontro-
Alzò gli occhi,
guardò per un attimo Manuel per poi spostare gli occhi su Viola, che sembrava
essere rapita dal suo nuovo tono di voce.
Joel si schiarì la
voce.
-
La scuola é la mia
dimensione. Non é mai esistito luogo dove io mi sentissi più me stesso, luogo in
cui sentissi di appartenere come la scuola. Sin da quando ero un ragazzo ho
amato studiare, preferivo di gran lunga restare a scuola per tutto il pomeriggio
piuttosto che svagarmi con gli altri ragazzi… il fascino che su di me aveva la
letteratura inglese e la poesia vinceva qualsiasi cosa. Così non ebbi dubbi e
una volta finito il liceo scelsi l’indirizzo che mi avrebbe permesso di
diventare un professore di inglese. La mia famiglia non aveva nulla in contrario
anche perché dei miei fratelli ero l’unico particolarmente studioso e vedermi
sistemato, con uno stipendio e un posto fisso era il sogno dei miei genitori,
inoltre conoscevano l’amore che avevo per questo tipo di studi e per questo
furono ulteriormente felici quando esposi le mie intenzioni. Passai
all’università tre dei cinque anni che mi avrebbero fatto laureare. Era quasi la
fine del terzo anno quando la mia vita subì il primo drastico cambiamento.
All’università avevo fatto amicizia con molte persone, ma più di tutti con il
mio compagno di stanza, si chiamava Jack. Era un tipo tranquillo, che si faceva
i fatti suoi, studiava quasi più di me e passava la maggior parte del suo tempo
chiuso in camera a preparare gli esami.
Lui non aveva molti
amici, era timido e restio alle nuove conoscenze ma con me riuscì ad aprirsi e a
differenza di come lo giudicavano gli altri, - troppo chiuso e per niente
divertente – scoprii il mondo che c’era in lui e la sua grandiosa umanità. Jack
sapeva dipingere e giocare benissimo ai videogames, conosceva tre lingue e aveva
perso la madre in un incidente d’auto quando aveva sette anni. Più passavano i
giorni e più facevamo amicizia, più facevamo amicizia e più lui mi raccontava
cose di se che non potevo far altro che apprezzare. Non era delle nostre parti,
lui veniva da Hove, dove suo padre faceva lo psicologo e viveva con il
fratellino minore. Le cose sembravano andare bene, io non potevo chiedere di
meglio dalla vita in quel periodo, ma un giorno, un giorno accadde una
cosa.
Ero tornato tardi
da una festa, avevo sonno e non vedevo l’ora di andarmene a dormire. Camminai
lentamente fino alla porta della mia camera, feci attenzione a non fare troppo
rumore per non svegliare Jack, - lui di solito non amava le feste e preferiva
non venire, - ma invece che trovarlo a dormire come mi immaginavo, lo trovai
sdraiato sul pavimento in preda a gravi convulsioni. I secondi che successero
quella visione furono tra i più brutti della mia vita, impiegai qualche momento
in più per capire che stava succedendo qualcosa di grave.
Atterrito chiamai i
soccorsi e Jack fu portato di corsa all’ospedale.
Tre dei miei amici
mi accompagnarono lì e due ore dopo il dottore ci disse che Jack era stato
vittima di un ictus, ma che per fortuna era sopravvissuto.
Non capii subito
quelle parole. Ictus? Di cosa stava parlando? Troppo scioccato per chiedere
qualsiasi cosa, passai la notte sulla sedia fuori dalla sua stanza nel
dormiveglia, senza riuscire a togliermi dalla testa le parole del dottore.
Mancavano forse poche ore all’alba quando arrivò suo padre, in piena crisi
isterica, urlando dove fosse suo figlio. Quando finalmente riuscì a vederlo ed
ebbe parlato con i medici si placò, venne a sedersi accanto a me e mi chiese chi
fossi e come mai ero ancora lì a poche ore dall’alba, e dopo avergli raccontato
dell’amicizia che mi legava a suo figlio mi ringraziò per averlo soccorso e mi
strinse la mano. Aspettammo insieme che il sole sorgesse, poi i medici vennero
di nuovo a parlare con noi. Ci dissero che Jack era vivo per miracolo e
che,quando si sarebbe risvegliato, non era sicuro che avrebbe riacquistato in
pieno le sue capacità.
Mi si aprì il vuoto
dentro.
Jack, il mio amico,
lui che era così intelligente, che conosceva più informazioni di quante avrei
potuto imparare io per tutta la vita, lui adesso stava rischiando di perdere la
capacità di poter dedicarsi di nuovo a ciò che amava. Avrebbe mai, in un angolo
del suo cervello, ricordato le ore che passava spiegandomi le cose che non
capivo? Dove sarebbero andate a finire tutte le cose che sapeva, - gettate via
come si fa con i vestiti vecchi?
Non sapevo un bel
niente di medicina e né di psichiatria.
Jack si svegliò
quella sera, e quando suo padre gli si avvicinò per primo, lui non mosse un
muscolo. Gli occhi spenti fissavano il viso di quell’uomo come se fosse uno
sconosciuto, e le parole che il padre gli rivolse non servirono a niente.
Sebbene più esperto in materia di me, tra i due fu lui a perdere subito la
calma. Ma come si poteva biasimarlo? Il figlio non parlava né dava segni di
comprensione. Mi avvicinai anche io a quel letto, lo guardai mentre gli occhi mi
si riempivano di lacrime. Dov’era il mio amico dagli occhi sempre accesi di
conoscenza? Perché mi fissava in quel modo?
Passarono due
settimane prima che iniziassi a farmene una ragione. Jack non sarebbe più
tornato quello di prima. Mai più.
Fu in quel periodo
che iniziò a frullarmi per la testa una feroce curiosità, quella di sapere che
cosa accadeva nel cervello umano e nel nostro animo, e ogni volta che ci pensavo
cresceva nella mia testa la voglia di imparare a capire.
Jack non poteva più
frequentare l’università adesso, e suo padre lo riportò a casa, a Hove. Li
seguii anche io per i primi giorni, suo padre mi fu davvero grato per continuare
a stare accanto a suo figlio nonostante quello che era successo.
Jack non faceva più
niente: non parlava, non camminava, non sorrideva più. Guardava solo fuori dalla
finestra della sua stanza con occhi spenti, e più lo guardavo e più
soffrivo.
Un mese dopo, in
seguito ad un secondo ictus, Jack morì.
Io ero tornato
all’università da due settimane e avevo ripreso svogliatamente a studiare quando
suo padre mi chiamò per darmi la brutta notizia. Era stato già difficile per me
perdere un amico da un momento all’altro senza neanche avere il tempo di
salutarlo, ma adesso se n’era andato per davvero. Il suo viso, quello neanche
avrei più rivisto.
Non so se più in
preda al dolore o a uno strano movimento dell’anima, ma decisi di cambiare
facoltà.
A due anni dalla
laurea in letteratura decisi di iscrivermi a medicina per diventare neurologo.
Avrei capito, avrei guardato in viso molte persone alle quali era capitato lo
stesso che a Jack e avrei saputo come comportarmi. Avrei potuto, almeno con
l’anima, entrare nei cuori di quelle persone che non possono più utilizzare il
proprio corpo per esprimersi, persone che sono costrette a giocare con la loro
vita solo all’interno della propria anima. Avevo paura, Manuel, avevo paura che
non sarei mai riuscito ad avere con nessun altro un’amicizia così grande come
quella con Jack, per la prima volta nella mia vita era stato come rendermi conto
che effettivamente dentro di noi ci sono delle cose inesprimibili, cose che
mandano avanti la nostra vita e delle quale purtroppo non siamo capaci di
parlare dettagliatamente: queste cose si chiamano emozioni. Io volevo provare a
scoprire di cosa si trattasse.
Quando il padre di
Jack, che come ti ho detto faceva lo psicologo, venne a sapere di questa cosa,
fece di tutto per aiutarmi negli studi e mi raccomandò ai più bravi professori
dell’università. Sua moglie era stata anche lei neurologa e adesso lui
conservava parecchie amicizie in quell’ambiente.
Fu per questo
motivo che presi subito lavoro appena fui ufficialmente
“dottore”.
Fu durante quegli
anni che conobbi Susan, mia moglie, quella della foto. Anche lei studiava lì per
diventare dottoressa e andammo d’accordo dal primo istante: entrambi energici e
determinati, ed entrambi orgogliosi di quello che facevamo. Ancora oggi ci
becchiamo di tanto in tanto, il nostro carattere tende a crearci dei piccoli
problemi, ma niente di insuperabile. Con lei decisi di stanziarmi qui a Brighton
dove il padre di Jack aiutò sia me che Susan a trovare posto in ospedale e ad
aprire uno studio, così iniziai da subito a lavorare. Mi ritrovai presto a
contatto con persone che avevano gravi malattie e gravi problemi e la mia mente
pareva essere vuota da tutto quello che avevo imparato negli anni precedenti,
tutto pareva non avere nessun senso davanti ad una persona in carne ed ossa. Mi
sentivo fuori posto. Avevo paura di non farcela, avevo paura che con tutti
quegli studi avessi tralasciato proprio quella che era la mia priorità: capire
cosa accade dentro ognuno di noi.
Poi un giorno la
mia vita cambiò, di nuovo.
Era inverno,
ricordo ancora il vento e la pioggia di Brighton sferzare violentemente sulla
finestra del mio studio quando telefonò tuo padre. Risposi al telefono così di
cattivo umore che credo di avergli fatto una brutta impressione. “Ha un po’ di
tempo per parlare?” mi chiese con la voce tremante. Io mi resi conto che
probabilmente il mio tono era stato eccessivamente annoiato e mi ripresi subito.
“Mi dica, ho tutto il tempo che vuole” risposi. Lui tirò un sospiro di sollievo
e iniziò a raccontarmi di te. Mi raccontò dettagliatamente di tutto quello che
era successo, dalla cena in famiglia e tutte le cose che avevi detto e
“indovinato”.Ti confesso di essere rimasto scettico davanti a tutte quelle cose.
Non avevi, almeno da quello che tuo padre mi stava raccontando, nessun sintomo
di qualche particolare malattia, anche se trovavo strano il fatto che piangessi
con tanta facilità… e poi, avevi solo cinque anni. Nel mio cervello c’era il più
totale vuoto. Decisi di prenotare un appuntamento, tanto per rendermi conto
della situazione e per non lasciare insoddisfatto tuo padre, che sembrava tanto
preoccupato per te.
Ricordi quel
giorno, Manuel?-
Quella domanda
risuonava nella sua testa in continuazione, come se non avesse fatto altro che
ripeterla fino a quel momento e adesso una fastidiosa eco ronzava nelle sue
orecchie.
-
Ricordo-
Joel
sorrise.
-
Tu mi hai cambiato
la vita Manuel. Tu eri la persona che io ho sempre cercato, la persona che
poteva capire tutto, la persona che poteva e sapeva donarti parole che non
sarebbero state mai sbagliate. Quel giorno, dopo il nostro incontro, io ho
capito che tu non eri malato, ma era il mondo che di fronte a te appariva malato
dalle paure, afflitto dalle troppe angosce, incapace di venire a capo persino
delle proprie sensazioni. Bastò che io la smettessi di farti stupide domande
cercando di capire dalle tue semplici risposte che cosa stava succedendo e ti
guardassi veramente negli occhi, e tu hai fatto tutto da solo.
–
Le parole
sembrarono sfumare nell’atmosfera che li circondava, Manuel percepiva la
fortissima emozione che provava Joel nel confessargli quelle
cose.
I loro occhi si
incontrarono per un attimo, negli occhi del ragazzo c’era ancora un alone di
preoccupazione, Joel sorrise.
-
So che é passato
molto tempo da quel giorno, e forse ti sarai fatto mille altre domande una volta
fuori da quello studio… ti sarai chiesto cosa avessi detto a tuo padre, cosa sia
successo dopo…te lo sei chiesto, Manuel?-
Viola osservò il
viso di Manuel diventare nuovamente pallido.
-
Ogni giorno della
mia vita- fu la sua risposta, soffusa e con voce
strozzata.
Joel abbassò gli
occhi per un attimo che per Manuel parve interminabile, poi incrociò di nuovo lo
sguardo del ragazzo.
-
Dissi a tuo padre
che in te non c’era niente che non andava, e che avrebbe fatto meglio a non
pensarci più. Lui tentò di rispiegarmi la cosa più volte, ma io scossi sempre la
testa. Tu non eri malato, ti avevo visitato e stavi bene, eri un bambino come
tutti gli altri. Mi guardò freddamente, forse intuì che stavo mentendo e non ne
capiva il motivo, e se ne andò via così velocemente che a stento ricordo il tuo
viso che mi fissava, quando eri ormai sulla porta –
Manuel sentì un
pugno nello stomaco.
Aveva mentito a suo
padre, Joel aveva detto a suo padre che lui era normale. Era questo il motivo
per il quale lui era stato arrabbiato durante il ritorno a casa, era stato per
questo che in tutti quegli anni non aveva mai detto una parola.
-
E’ questo che gli
ha detto? Che non avevo nessun problema?-
La voce adesso gli
tremava, riusciva a stento a trattenersi dal piangere.
-
Cosa avrei dovuto
dirgli, Manuel? Tu non sei malato. Quello che gli ho detto é la verità
–
-
Ma lei aveva capito
che io avevo…-
-
Ma questo lo sapeva
già anche lui, figliolo, e non é una malattia, te lo garantisco. Il tuo é un
dono, un dono straordinario che qualcuno ha voluto farti. Non pensar mai male di
te stesso, Manuel, sei un essere fantastico e perfettamente unico
–
Il tono che aveva
assunto era quello di un medico che comunica una diagnosi. Lo fissava dritto
negli occhi con i muscoli del viso contratti e la voce calma.
Manuel non riusciva
a credere che Joel l’ammirasse tanto.
-
Ma adesso se
permetti, - continuò Joel - vorrei raccontarti cosa é successo in seguito e cosa
mi ha portato qui-
Manuel lanciò uno
sguardo a Viola, lei deglutì a vuoto, confusa da tutto quello a cui stava
assistendo.
Joel li guardò,
sorrise e poi ricominciò.
-
Passarono giorni e
notti insonni dopo quel giorno. Non facevo altro che pensare a te e a quello che
era successo. Il lavoro di una vita, i dubbi che nutrivo erano tutti spariti in
un attimo, incontrando un piccolo bambino di cinque anni come ce ne erano tanti.
Tu sapevi, con il solo guardare una persona, entrare dentro la sua testa per
comprenderla. Questo era il fattore straordinario di te: quello che tu fai,
precisamente, non é solo sentire le emozioni degli altri, ma quanto capirle. É
una cosa straordinaria e impossibile. Mi presi una vacanza tanto ero sconvolto,
ma era come se fosse tutto inutile: Susan cercava di farmi distrarre, di capire
cosa mi fosse successo, ma tutte le volte che provavo a spiegarle più
dettagliatamente quello che mi era accaduto finivo col farmi venire un forte mal
di testa. Non c’era giorno, anche quando tornai a lavorare, che non pensassi a
te, e ogni volta che mi trovavo dinanzi ad un paziente pensavo sempre che tu, se
fossi stato lì, avresti capito immediatamente cosa c’era nella mente di quelle
persone e magari avresti potuto aiutarle. Io invece dovevo sottoporli a test,
medicinali e stupidi controlli. Cos’erano, i miei stupidi controlli medici
paragonati alla tua capacità? Sai, ho sempre pensato che se il mondo medico ti
conoscesse, farebbe in modo di clonarti, tanto ti considererebbero una risorsa
per l’umanità. Ma quello che pensavo durante quei giorni era che dovevo
ricominciare a condurre una vita normale, non più ossessionata da quel ricordo.
Mi chiedevo se tuo padre ti avesse sottoposto al altre visite, se era successo
qualcos’altro del quale ero all’oscuro… ero completamente fuori di testa.
Iniziai, giorno dopo giorno, a sentirmi sempre più incapace: non riuscivo a
concentrarmi sui miei pazienti, non riuscivo più a visitarli né a capire cosa
avessero. Ogni volta che stavo per dare una prognosi o un giudizio, pensavo che
non ero infallibile, che probabilmente sbagliavo e che forse, per riuscire a
guarire quella persona sarebbe stato necessario capire cosa c’era nella sua
testa. Io quello non potevo farlo, e ti assicuro Manuel, non c’é niente di più
orribile che il sentirsi sopraffatti da qualcosa di sconvolgente. Quando mi ero
laureato non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto prendere quella
decisione, ma lasciai il mio lavoro. Si, esatto, lo lasciai: un giorno diedi le
dimissioni dall’ospedale, lasciai lo studio a Susan e mi chiusi in casa. Non
volevo parlare con nessuno, né tantomeno uscire. Mia moglie pensava che stessi
cadendo in depressione, o peggio, che ci fossi già caduto, e tentò di aiutarmi
prescrivendomi anche alcuni anti-depressivi, ma io non volli prendere nulla.
Volevo solo un po’ di tempo per me stesso, e anche se sapevo che avevo
abbandonato del tutto la mia vita, non mi importava: avevo dentro di me un vuoto
più grande da colmare. Passavo le mie giornate a casa, nel mio studio privato,
pieno di librerie e cartine geografiche buttate negli angoli, con la vecchia
lampada ingiallita dal tempo e le finestre sempre chiuse che emanavano un forte
odore di pioggia. Sfogliavo le mie vecchie agende, leggevo i titoli dei libri
dell’università ad uno ad uno, allineati sugli scaffali, fin quando non imparai
l’ordine a memoria, poi un giorno, per caso, vidi nell’ultimo scaffale un libro
di Shakespeare, il Sogno di una notte di mezz’estate. Era da così tanto tempo
che non leggevo!, e soprattutto era così tanto tempo che non sorridevo
naturalmente guardando qualcosa. Salii velocemente sulla scaletta e afferrai il
libro, me lo rigirai tra le mani e soffiai via la polvere. Mi sedetti sulla
poltrona e lo aprii. Rilessi le prime righe e non riuscii più a fermarmi. Passai
lì tutto il pomeriggio a leggere, e quando girai l’ultima pagina e mi accorsi
che era finito, mi prese un grandissimo senso di vuoto. Avevo letto tutto il
libro, tutto d’un fiato, ed era stato come estraniarsi dalla realtà e da tutto
quello che mi stava succedendo. Avevo passato le ore precedenti a vivere in un
altro mondo, scoprendo quella parte di me che da tanti anni avevo seppellito,
quella che amava la letteratura, quella che aveva sempre guardato il mondo con
altri occhi.
Da quel momento fu
come se avessi ripreso a vivere. Posai quel libro e ne presi un altro, e così
feci per i successivi giorni. Quando ripresi a sorridere e a parlare Susan non
riusciva a credere ai suoi occhi. Mi chiedeva in continuazione cosa mi fosse
successo, ma io semplicemente le risposi che ormai mi ero lasciato alle spalle
tutto.
Certo, era vero,
non volevo più essere preoccupato, ma di te, Manuel, non mi ero dimenticato, e
non avrei mai potuto. Quello che feci fu semplicemente pensare a te in modo
diverso, ma ti
pensavo.
Decisi di
ricominciare l’università e di prendere quella tanto amata laurea in letteratura
che era stata il mio sogno di adolescente. Ero un uomo già adulto, ma cosa
importava? Faceva parte del mio programma per cambiare vita: non avrei mai più
rimesso piede in ospedale e non avrei più aperto un libro di medicina. Mi sarei
dedicato alla letteratura, quello che più avevo amato nella mia
vita.
Susan era felice
per me e del fatto che finalmente sembravo essere tornato l’uomo di prima, o
forse anche migliore, più rilassato e meno afflitto da problemi di lavoro.
Adesso studiavo, facevo esami, leggevo libri su libri e andavo a teatro ogni
volta che ce n’era l’occasione: apparentemente io ero tornato il ragazzo di una
volta, anche se facevo sempre di più sogni in cui c’eri tu. Sognavo l’unica
volta in cui ci eravamo incontrati, sognavo quello che eri potuto diventare. Mi
chiedevo se vi foste trasferiti o vivessimo sempre nella stessa città, mi
chiedevo se tuo padre ti avesse raccontato qualcosa del nostro incontro o se
qualche altro medico ti avesse visitato. Ma mi convinsi che era impossibile che
questo fosse potuto succedere: se fosse successo e se davvero qualcun altro
fosse venuto a conoscenza di cosa tu sapessi fare, saresti diventato un affare
di stato e nessuno si sarebbe fatto scrupoli a far diventare la tua una
situazione pubblica pur di incassare. Sai Manuel, il mondo é fatto così: quelle
che tu conosci molto bene, le emozioni, non sono per niente considerate, ma
credo che tu lo sappia meglio di me. Pensavo che tu forse stessi conducendo una
vita normale, ma morivo dalla voglia di sapere come si era sviluppata questa tua
capacità. Speravo, inconsciamente, che tu non te ne fossi mai andato da
Brighton.
Quando mi laureai
Susan mi organizzò una grandissima festa con tutti i nostri amici, rimasi
sorpreso eppure contento: sapevo che per mia moglie il periodo della mia
“depressione” era stato il più brutto che avesse mai passato, e che aveva temuto
di perdermi per sempre.
Adesso avevo il
titolo di insegnante, avrei potuto iniziare a cercarmi un lavoro, e così feci:
non ti nego, Manuel, che quando scelsi di venire in questa scuola fu perché
speravo di rincontrarti. Ovviamente non avevo detto niente a Susan e forse non
volevo ammetterlo neanche a me stesso, ma avevo calcolato che tu eri diventato
grande abbastanza da iniziare il liceo e che se fosti vissuto ancora a Brighton
c’era almeno il cinquanta per cento delle possibilità che tu frequentasti questa
scuola.
Non ci dormivo la
notte.
Dentro di me una
vocina mi diceva che stavo iniziando di nuovo ad andare in paranoia, di nuovo ad
impazzire, eppure la maschera che indossai era quella della calma e della
placidità: volevo convincere me stesso che di quel passato mi ero dimenticato
totalmente e che ormai non ti pensavo più. Ma nel momento in cui mi ripetevo
questo, mi riveniva tutto in mente.
Quando iniziai
finalmente a lavorare la scuola e le sue manovre mi distrassero dai miei
pensieri, almeno per qualche giorno: rimettere piede in un liceo per me era come
tornare ad essere giovane e non facevo altro che rapportarmi a qualunque cosa
vedevo e a qualunque persona incontravo, sembrava di essere in uno di quei mondi
fantastici che esistono solo nella nostra testa, li conosci Manuel? Quelli dove
tutto fa ridere, e tutto sembra essere palesemente concreto e presente! Quella
era la scuola per me, Manuel, era il mio habitat, quello che avevo abbandonato
tanti anni prima.
Un giorno mi
trovavo in segreteria, ero intento ad organizzare il mio materiale per la mia
prima lezione, guardavo entusiasta i libri che avevo scelto e pensavo al modo
più adatto con il quale presentarmi ai ragazzi, ora che ci penso forse ero un
po’ ridicolo, pareva che fossi io il ragazzo che entra per la prima volta in una
classe di liceo, diavolo, si, lo sembravo proprio! E lì, davanti a me, c’era la
lunghissima lista degli iscritti in quell’anno. Già per un paio di volte ci
avevo lanciato un’occhiata, ma mi ero imposto di non guardarla più, di starmene
buono e di smetterla di far rivivere ricordi di un passato fin troppo lontano,
ma alla fine fu più forte di me. Lessi in ordine i nomi di tutti i ragazzi, fin
quando il cuore non mi saltò in gola quando lessi il tuo nome in quella lista:
Manuel Green.
Credevo di star per
impazzire davvero. Rilessi due o tre volte quel nome, mi accertai che fossi
sveglio e che quella fosse la lista giusta. Iniziai a pensare che avessi un
omonimo, si certo, poteva di certo essere un omonimo, non pretendevo che
esistesse un solo Manuel Green sulla faccia della Terra, eppure dentro di me
sapevo che era proprio quello che volevo mi succedesse. Tu vivevi ancora nella
mia città, frequentavi la mia scuola, e ci saremmo incontrati a breve. Io, che
non avevo fatto altro che rimurginare sull’impossibilità del tuo essere diverso
e magnifico, stavo per rincontrarti, tu che avevi cambiato la mia vita. Ricordo
il momento nel quale entrai in classe e ti vidi, quasi come se i miei occhi
fossero attratti da te come una calamita: avevi gli stessi occhi da bambino, lo
stesso viso ingenuo, persino lo stesso modo di stare seduto. Mi chiesi se stavi
captando le mie emozioni di quel momento, mi chiesi se avessi capito qualcosa,
oh mio Dio ero pieno di domande fino al collo! Mi avevi riconosciuto? Qualcuno
ti aveva mai parlato di me?
Fu una lezione
tranquilla e serena per me, eppure il mio cuore non smetteva di battere a ritmo
frenetico. Credo che tu abbia scambiato quella mia palpitazione per semplice
emozione del primo giorno di lavoro, non é forse così? Oh, lo immaginavo: tutti
sapevano che ero nuovo dell’ambiente e il mio batticuore era più che normale e
comprensivo anche ai tuoi occhi.
Ma avevo bisogno di
sapere, adesso.
Non importava se
erano passati ben dieci anni, io avevo bisogno di sapere di nuovo di te, avevo
bisogno di sapere che cosa ti era successo in quegli anni.
In segreteria
recuperai il numero di tuo padre, gli telefonai.
Lui fu sorpreso nel
sentirmi, credo che fossi l’ultima persona che si aspettasse potesse chiamarlo.
“Si ricorda di me?” gli chiesi. Lo sentivo esitante, timoroso. “Si, certo. Mi
ricordo molto bene” rispose, cercando di mascherare la sorpresa. “Dovrei
parlarle” gli dissi, tentando di apparire anche io più rilassato di quanto in
realtà non fossi. Lui accettò, decidemmo di incontrarci nel mio vecchio studio,
che adesso apparteneva a Susan. Ricordo che era un pomeriggio senza pioggia, ma
l’aria era fredda e c’era molto vento. Io lo aspettavo alla finestra come un
bambino che aspetta un regalo, e quando arrivò raccolsi il mio coraggio e andai
ad aprirgli la porta. Avevo parlato di tutto a Susan e anche se lei non era
stata subito d’accordo per quell’incontro, alla fine acconsentì e mi lasciò
libero lo studio per quel pomeriggio. Tuo padre era di tanto invecchiato
dall’ultima volta che l’avevo visto, eppure il suo sguardo era più sereno: come
se dall’ultima volta che ci eravamo visti lui avesse fatto un cammino e avesse
capito cose che quel pomeriggio, in quello stesso studio, gli erano ignote.
Anche lui mi guardò un po’ stranito, forse mi aveva trovato diverso e
invecchiato, o forse fu solo una mia sensazione.
Pensai per un
attimo a te. Adesso che ti eri fatto grande assomigliavi di più a tuo
padre.
Ci stringemmo la
mano come due vecchi amici che non si vedono da una vita e ci sedemmo nello
studio, uno di fronte all’altro. “Mi ha molto sorpreso risentirla, sono passati
molti anni” disse subito tuo padre. Capii che non voleva chiedermi
immediatamente come mi fosse saltato in mente di chiamarlo, ma la domanda era
palesemente quella. Sorrisi, abbassai lo sguardo e iniziai a spiegargli tutto,
tutto dal giorno in cui ci eravamo visti dieci anni prima a quel momento. I suoi
occhi cambiarono espressione forse una decina di volte durante tutto il mio
racconto ma capii che la cosa che l’aveva scioccato di più era il fatto che io
avessi capito da subito cosa sapevi fare e che non l’avevo rivelato al mondo. E,
ancora di più, che da medico non l’avessi considerata una malattia. Terminai
raccontandogli che adesso ero diventato il tuo professore e che era stato forse
il destino a farci incontrare di nuovo. Gli chiesi se potevo entrare a far parte
della tua vita, se potessi rivelarti tutto e prendermi cura di te come se fossi
uno zio o un qualsiasi parente. Tuo padre abbassò gli occhi confuso. “Mio figlio
é molto fragile” rispose.
Quella frase
risuonò nelle mie orecchie come una campanella fastidiosa. Mi stava dicendo di
no.
Il mio viso
inevitabilmente deluso lo mise a disagio.
“Lui é molto
sensibile, dottore, non voglio far niente che possa farlo soffrire o turbare. A
quello ci pensa già il nostro rapporto difficile”.
I suoi occhi erano
quelli di una persona che soffriva. Capii che era meglio non insistere, anche se
mi sentivo morire dentro.
Alzai lo sguardo
verso di lui, sforzandomi di mascherare la mia delusione ancora una volta, lui
abbozzò un sorrisino.
“Sono contento che
lei abbia capito che persona é mio figlio, dottore. Ma proprio perché lo sa,
deve riuscire a capirmi: si intristisce e impensierisce con una facilità
impressionante, non riesco ad immaginare cosa potrebbe succedere se lui sapesse
di lei… lui ha bisogno solo di essere ascoltato e amato, dottore. Non ha bisogno
più di amare verità. La sua anima si nutre di ingiustizie già naturalmente”.
Stava per riprendere a parlare, ma io lo bloccai.
“La prego mi
racconti di lui. Di questi anni”.
Il suo sguardo
divenne nostalgico per un attimo ma stavolta non riuscì a dirmi di no. Mi
raccontò di come eri cresciuto, delle cose che sapevi fare e del rapporto
difficile che avevi con il mondo e con le persone: ti relazionavi difficilmente,
eri molto timido e non ti piacevano le confusioni e le folle. Stavi male ogni
volta che c’era un forte temporale e ti trovavi davvero a tuo agio solo con i
tuoi fratelli e con tua madre. Mi ha raccontato che tra di voi poi – tra te e
tuo padre – i rapporti erano un po’ diversi. Lui non era forse mai stato pronto
ad aprirsi con nessuno e con te invece ogni tentativo era vano: inizialmente non
aveva voluto accettare questa tua capacità come un dono, ed era per questo che
ti aveva portato da me. Con il tempo, poi, aveva imparato ad osservarti e ad
apprezzare la tua anima e la tua capacità di fonderti con le cose. Sapeva di
essere incapace di dimostrarti materialmente il suo amore ma desiderava per te
solo la pace. Era questo il motivo per il quale non voleva che ti parlassi
rivelandoti tutto: lui voleva che tu potessi vivere come qualunque ragazzo
normale, senza fare i conti con un passato di sentimenti e scoperte
inutili.
Avevi il diritto ad
una vita, Manuel, e lui aveva ragione.
Gli chiesi se
almeno potevo interessarmi a te e mantenere i rapporti con lui. Gli feci capire,
con semplici parole, che per me sarebbe stato sempre impossibile ignorarti e
trattarti come un qualsiasi altro alunno.
“Ne parlerò con mia
moglie” rispose, guardandomi di sottecchi. Era la prima volta che interpellava
tua madre. Mi feci promettere che mi avrebbe richiamato non appena avrebbe
parlato con tua madre e lui lo fece. Ci incontrammo di nuovo tutti e tre, nel
mio studio, tua madre sembrava una bambina spaesata in un’enorme casa di
sconosciuti. Mi guardava con occhi grandi e vuoti, e il viso era pallido. Da
quello che capii era stato molto difficile per lei essere lì ed incontrarmi.
Avevamo iniziato a parlare da poco, gli stavo raccontando quello che sapevo di
te e della mia vita, quando lei scoppiò in lacrime. Non so precisamente se
fossero lacrime di sfogo o rabbia, o che di simile, ma pianse. Tuo padre
l’abbracciò, la consolò, la consolai anche io. Le dissi che non doveva
preoccuparsi, io amavo te come fossi mio figlio, e che non avrei mai fatto
niente che lei e tuo padre non volessero io facessi. In quel momento si riaccese
la sottile speranza che avevo lasciato andare nel precedente incontro con tuo
padre, quello di venire subito a parlarti. Quando tua madre si fu calmata potei
ricominciare il mio racconto, poi toccò a lei. Tuo padre mi aveva detto che non
fu per niente contenta quando seppe del nostro incontro, ma dopo aver sentito
quello che avevo da dire fu come se si fosse liberata da un grosso peso sullo
stomaco. Smise di guardarmi in cagnesco e iniziò a parlare soffusamente di te,
con voce tremante. Lei parlò molto più di quanto aveva fatto tuo padre, ti
conosceva intimamente e io ascoltai rapito tutto quello che aveva da dirmi.
Passammo insieme due o tre ore, anche se ci conoscevamo pochissimo avevamo
tantissimo da dirci. Oh Manuel, vedere i tuoi genitori insieme, davanti a me,
era come vedere te! Si tenevano la mano, seduti lì davanti alla mia scrivania,
mi guardavano allo stesso tempo confusi, sorpresi e stranamente capiti.
Promisi
che non ti avrei detto niente, ma che avrei sempre avuto un occhio di riguardo
per te e avrei cercato di farti essere a tuo agio, al meglio che potevo. Così sono passati gli anni: sono stato
il tuo professore di inglese, ti ho osservato crescere e ho cercato di dare una
spiegazione ai tuoi atteggiamenti in base alle cose che sapevo. Quando hai
conosciuto Viola, - lo sguardo si posò per un attimo sulla ragazza, - come tutta
la scuola anche io non ho potuto fare a meno di notare il cambiamento di
comportamento che avevi con lei, mi chiedevo se le avresti rivelato il tuo
segreto o se avresti avuto paura. Quando ho sequestrato quel biglietto a Mia e
ci ho letto quanto c’era scritto, ho avuto solo paura per te. Non sapevo quante
persone stavano raccogliendo informazioni su di te e sono stato contento di
essere intervenuto indirettamente bloccando una qualsiasi ricerca. Ti prego di
credermi Manuel, e se non credi alle mie parole puoi leggerlo nelle mie
emozioni: ti voglio bene come ad un figlio e non avrei mai voluto farti del
male-
Lo sguardo di
Manuel pareva essersi perso aldilà del vuoto stesso. Sentiva sbuffi invisibili
riempirgli la testa e contornargli il volto, il lungo discorso di Joel sembrava
arrotolarsi e srotolarsi nella sua testa ad altissima
velocità.
-
Professore…-
-
No, per favore,
adesso non chiamarmi più professore. Dammi del tu e chiamami
Adam-
Manuel mosse
impercettibilmente la testa verso Viola, Adam sorrise.
-
Adam, io…
-
-
Sei confuso, lo
immagino-
-
Ma perché i miei
genitori non mi hanno detto niente? Avrebbero dovuto parlarmi, avrebbero dovuto
raccontarmi la verità!-
-
Non puoi biasimarli
Manuel. Sono dei genitori che amano il loro figlio-
Manuel abbassò la
testa controllando il suo respiro che iniziava a farsi
pensate.
-
…tu hai vissuto
all’ombra della mia vita per tutti questi anni e io non ne sapevo
niente…-
-
Già, proprio così.
Ma ti prego, lascia che passi un po’ di tempo per riacquistare la
calma-
D’un tratto gli
occhi di Manuel persero intensità e colore, le mani iniziarono a sudare, il viso
a sbiancare.
Adam gli lanciò uno
sguardo nell’insieme curioso, Viola iniziava a
preoccuparsi.
Quel comportamento
non le risultava nuovo.
-
Ti senti bene?-
chiese Viola
-
Si,
io…-
Manuel tentò di
alzarsi.
-
Manuel, aspetta…-
disse Adam alzandosi e tentando di trattenerlo.
-
No, ti prego, non…
parlare…-
Gli occhi gli si
fecero d’un colpo umidi, ora il viso era palesemente più bianco. Il cuore di
Viola batteva troppo velocemente, sapeva che quella tensione non lo
aiutava.
-
Ascolta figliolo…-
tentò di riprendere Adam, con voce soffusa.
-
No, ti prego, mi
scoppia la testa-
Uno sguardo tra
Adam e Viola bastò per intendersi: il sovraccarico di domande, sofferenza e
confusione non gli lasciavano facoltà di agire.
Nella mente di
Viola iniziarono a balenare flash incompleti, non era la prima volta che lo
vedeva sopraffatto dalle emozioni.
Manuel alzò lo
sguardo intendendo i loro pensieri.
-
Sto bene-
mormorò.
-
No, non stai bene.
Vuoi restare un po’ da solo? Capisco che queste parole ti possano far male tutte
insieme- disse con tono calmo Adam, sorridendogli.
-
No,
io…-
-
Non devi spiegarmi,
davvero. So che ti può accadere. Vado a prenderti un bicchiere d’acqua
okay?-
Manuel increspò le
labbra, Adam si alzò e continuando a sorridere si avviò verso la
porta.
Viola aspettò che
avesse chiuso la porta prima si alzarsi e avvicinarsi a lui, poggiandogli le
mani sulle guance.
-
Ti sta succedendo
di nuovo, non é vero?- chiese, riuscendo a mantenere un tono di voce abbastanza
rilassato.
-
Cosa…?-
-
Stai per sentirti
male-
-
No, é solo che…mio
Dio é solo che non riesco a controllare…-
-
Non devi
preoccuparti-
Le dita di Viola
scorrevano sulle sue guance.
-
Non riesco a
controllare la tensione…-
-
Cerca di stare
calmo, okay? Respira. Sono qui con te-
Manuel alzò gli
occhi verso di lei, si fissarono per un attimo lungo un infinito, Manuel
l’abbracciò.
Viola sentiva il
cuore di lui battere troppo celermente.
In quel momento
Adam rientrò con il bicchiere d’acqua in mano, silenziosamente si avvicinò ai
due. Viola si distaccò lentamente, Manuel guardò Adam.
-
G-grazie- sibilò
afferrando il bicchiere.
Bevve due o tre
piccoli sorsi, poi posò il bicchiere sulla scrivania dinanzi a
lui.
Adam gli
sorrise.
-
Ti senti un po’
meglio?-
-
Un
po’-
-
Scusami. Dovevo
immaginare che sarebbe stato un po’ difficile riuscire a sopportare tutto quello
che avevo da dirti-
Manuel abbassò lo
sguardo.
-
Credo
che…-
-
Cosa,
figliolo?-
Manuel incontrò lo
sguardo di Viola.
-
…che dovrei parlare
con i miei genitori-
-
No Manuel, ci
parleremo insieme-
-
Allora andiamoci
subito-
-
Subito?-
Manuel lesse lo
smarrimento negli occhi di Adam, ma nonostante la nuova tensione che la sua
frase aveva provocato sentiva che il suo malessere stava velocemente scemando.
Del resto, come accadeva ogni volta.
-
Si, adesso. Sono
passati dodici anni -
-
Ma sei
sicuro?-
-
Certo-
Manuel si alzò
lentamente, prese per mano Viola. Adam li guardò, poi si alzò anche
lui.
-
Manuel ne sei
davvero sicuro? Hai appena rischiato di sentirti male e…-
-
Mi capita
spesso-
-
Quanto
spesso?-
-
Abbastanza-
-
Ascolta, capisco
che tu voglia parlare con loro, ma forse é meglio aspettare che tu metabolizzi
almeno qualcosa di quanto…-
-
Adam…- Manuel alzò
gli occhi verso di lui, - ho bisogno di parlare con loro, e con te insieme.
Voglio che loro mi raccontino e mi spieghino-
Adam fu colpito
dall’improvvisa calma di Manuel.
-
Se é davvero questo
che vuoi…-
-
Si, é questo che
voglio-
Si scambiarono
un’altra occhiata significativo, Adam abbassò lo sguardo. Un misto di felicità e
paura lo pervadeva, Manuel finse di non accorgersene. Aveva paura della reazione
dei suoi genitori, ma era felice di aver scoperto finalmente le
carte.
-
Vado a prendere la
macchina. Aspettami qui fuori-
Adam si allontanò
celermente, la porta che si apriva fece scivolare aria fredda sul viso di Viola,
rimasero da soli.
-
Forse é meglio che
io non ci sia- sibilò Viola stringendogli ancora la mano.
Manuel l’abbracciò,
affondò il viso tra i suoi capelli. Viola strinse la sue spalle nelle mani e gli
baciò le guance e i capelli.
-
Io invece vorrei
che tu ci fossi-
La sua voce, come
un sibilo, aveva cambiato intonazione.
Viola si districò
dall’abbraccio per guardarlo negli occhi.
-
Ma tu
sei…-
-
Ascolta, io ti
voglio vicina a me. Sempre. La mia vita é cambiata nell’ultima mezz’ora e tu sei
l’unico punto fermo che mi é rimasto-
-
Manuel,
io…-
-
Ti prego
Viola-
-
Ne sei
sicuro?-
-
Si,
certo-
-
Non voglio vederti
soffrire-
-
Con te io potrò
superare ogni sofferenza-
Sentirono il rombo
di un’auto, si scambiarono un’occhiata e silenziosamente uscirono dall’ufficio
dirigendosi verso la macchina di Adam. Salirono entrambi sul sedile posteriore,
Manuel non smetteva di stringerle la mano, Viola teneva lo sguardo basso, Adam
sorrise.
-
Possiamo andare-
disse poi Manuel, fissando gli occhi di Adam nello specchietto
retrovisore.
Lui sorrise di
nuovo.
-
Sei
tranquillo?-
-
Abbastanza-
-
Non ti arrabbierai
con loro, vero?-
-
Voglio solo
parlare-
-
D’accordo
allora-
Adam mise di nuovo
in moto la macchina, lanciò uno sguardo ai due ragazzi.
-
Non esiste anima
che non si venderebbe per non morire davanti alla bellezza del vero amore. Non é
forse così, Viola?-
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Capitolo 13 *** 12. ***
fiori13
Manuel chiuse con
un gesto deciso la portiera della macchina, Viola non riusciva ad alzare lo
sguardo. Adam diede un’occhiata alla casa, i pochi raggi del sole lo costrinsero
a socchiudere gli occhi.
I tre si
scambiarono una veloce occhiata, Manuel senza dire una parola fece strada ai due
dietro di lui. Giunsero dinanzi alla porta verde, Manuel suonò il campanello
della sua stessa casa come se invece di trovarsi dinanzi a casa sua si trovasse
dinanzi a un qualcosa di totalmente sconosciuto. La sua espressione era
illeggibile, Viola sentiva l’ansia salirle lungo la
schiena.
Fu Laney ad aprire
la porta, con il solito sorriso sulle labbra. Appena però vide i visi bui e
preoccupati dei tre, gli angoli della bocca curvarono verso il
basso.
-
Ciao Manuel…-
sibilò, non sapendo dove guardare e cosa dire.
-
So cosa ti stai
chiedendo, - ruppe l’atmosfera Manuel, - adesso però ho bisogno di sapere dove
sono mamma e papà-
Laney lanciò un
altro sguardo sconcertato a Viola e Adam, deglutì a vuoto.
-
Sono in salotto.
Papà é appena rincasato-
-
Bene-
Manuel entrò
facendo strada ai due che lo seguivano, Adam teneva lo sguardo arrossato basso,
Viola incrociò gli occhi di Laney per un attimo senza riuscire ad assumere
un’espressione che potesse almeno in minima parte spiegare quello che stava
succedendo.
La casa come sempre
era illuminata da fasci di luce obliqui, le ombre dei loro passi li seguivano
come segugi, eppure le scarpe sul legno parevano non far
rumore.
-
Laney, hai aperto
la porta?- gridò una voce
femminile.
Laney rimase in
silenzio.
-
Laney! Laney, chi
ha bussato?-
Stavolta era una
voce maschile.
Sentirono un rumore
di passi, erano passi che andavano incontro ai loro.
Ombre in quei fasci
di luce grigia che stavano per incrociarsi.
Una donna dai
capelli biondi uscì fuori dal salotto, i suoi occhi incrociarono quelli di
Manuel, in un attimo cadde un diverso silenzio e quegli occhi furono pieni di
sorpresa e paura. Subito dietro di lei comparve un uomo alto, dai capelli scuri.
La sua espressione fredda e indecifrabile nascondeva la sorpresa e la confusione
che solo Manuel riusciva a cogliere.
Adam fece un passo
avanti, tentò di esprimersi, Manuel gli lanciò uno
sguardo.
-
Dobbiamo parlare-
sibilò.
Gli occhi della
donna si fecero lucidi, quelli dell’uomo erano
interrogativi.
-
Manuel,
noi…-
Mary stese il
braccio verso la spalla del figlio.
-
Non mi avete detto
la verità-
Il tono di Manuel
era pacato.
-
Manuel tesoro non é
come tu pensi…-
-
Voi dovreste sapere
che io non penso
–
Philip fissò Adam
impietrito e impaurito.
-
Come lo hai saputo?
Adam tu…- cercò di dire, con la voce che gli tremava.
-
Non é stata colpa
sua. É una storia lunga- si affrettò a dire Manuel non permettendo a suo padre
di terminare la frase.
Philip e Mary si
scambiarono uno sguardo, Viola aveva voglia di piangere.
-
Dobbiamo sederci e
parlare- disse poi di nuovo Manuel, mentre stringeva le mani in pugni tentando
di soffocare in quei pugni la tensione che saliva lungo la sua
schiena.
Un’espressione
sofferente attraversò i visi di Philip e Mary. Laney, in un angolo del
corridoio, osservava in silenzio con il cuore pieno di
paura.
In un attimo i
raggi del sole furono coperti da una nuvola grigia, avvertirono appena la luce
obliqua di un fulmine illuminare per un momento la stanza.
Manuel abbassò la
testa.
-
Presto. Prima che
inizi un altro temporale-
…
Non era mai stato
così difficile guardare negli occhi i suoi genitori come in quell’occasione. Le
lacrime di sua madre e le spiegazioni di suo padre coincidevano con il racconto
di Manuel, raccontavano accalorati come se potessero essere le parole a
convincere Manuel, come se esistessero parole in grado di toccargli il cuore,
come se le parole contassero qualcosa. Manuel non leggeva nei loro animi lo
spettro di un raggiro, ma soltanto la volontà di proteggerlo e di amarlo, per
quanto questo potesse essere difficile. Aveva tentato di sorridere per calmare
gli spasmi di sua madre, alla fine s’era convinto ad abbracciarla, a dirle che
andava tutto bene e che non importava se avevano mentito, adesso lui sapeva
tutta la verità. Quando si alzò per andar via, il cuore stava per scoppiargli
dal dolore e dalle lacrime, ma riuscì a sentire Adam che sussurrava ai suoi
genitori: “Siete fortunati. Manuel è l’antitesi di ogni cattiveria”. Ma non era
così. lui non era l’antitesi della cattiveria, lui era semplicemente
impossibilitato a non comprendere.
..
Viola accese le
luci del seminterrato e poi, con un movimento fulmineo, chiuse per bene le finestre lasciando
aperte le tende bianche.
Manuel
silenziosamente attraversò la stanza costeggiando il pianoforte e si sedette sul
divano dietro di questo, mentre Viola ancora armeggiava con le
tende.
-
Non preoccuparti
Viola. Se vuoi puoi lasciarle chiuse-
Viola si voltò
verso di lui.
-
Vuoi che le chiuda?
Ti da fastidio la luce?-
La sua voce era
esitante, apprensiva. Lo guardava con gli occhi spalancati, il cuore continuava
a batterle a mille.
Manuel tentò di far
placare quella sua sensazione con un sorriso dolce.
-
No, non mi da
fastidio niente. Ti prego, vieni qui-
Viola lasciò
immediatamente le tende così com’erano e andò a sedersi accanto a
lui.
La pioggia cadeva
fitta e leggera, il ticchettio sulla strada faceva da sottofondo candido e dolce
al silenzio di quei secondi.
-
Vuoi un po’
d’acqua?- chiese poi Viola.
-
No-
-
Posso…fare qualcosa
per te?-
-
Stai qui, questo mi
basta-
-
Forse
potrei…-
-
Viola, ascoltami, -
Manuel le prese le mani, la guardò negli occhi, - ho solo bisogno di te.
Nient’altro, nessun’altra cosa potrebbe calmarmi come la tua presenza, qui,
adesso-
Il suo tono era
tranquillo e placido, eppure dentro i suoi occhi c’era un alone di
sofferenza.
Viola abbassò per
un attimo lo sguardo.
-
Ti va di sfogarti?-
chiese in un sussurro.
Manuel la guardò
come se avesse parlato in cinese. Lo sguardo cambiò espressione, fece ciondolare
la testa.
-
Sfogarmi…- ripeté,
come per capire meglio il significato di quella parola, - nessuno mi ha mai
chiesto niente del genere-
-
Dici sul
serio?-
-
Già-
-
Oh-
Viola gli accarezzò
una guancia, poggiò la testa sulla sua spalla.
-
Tu ne avresti
bisogno Manuel. Potresti parlare di quello che senti. Di tutto quello che hai
dentro-
Manuel le poggiò
una mano sulla testa, le accarezzò i capelli.
-
Tu ti sfoghi
mai?-
-
Si,
certo-
-
E con
chi?-
-
Con Janine, o con
Mia. Ma anche con Daniel e Luce quando é il caso-
-
Persone di
fiducia-
-
Si, é
così-
Manuel le baciò la
fronte.
-
Non so come si fa a
sfogarsi. Ho la testa così piena di sfoghi degli altri che forse non so
farlo. Non ricordo di essermi mai sfogato-
-
É impossibile.
Tutti devono sfogarsi ogni tanto-
-
Quand’é che ci si
sfoga?-
Viola gli lanciò
uno sguardo.
-
Quando é successo
qualcosa che ci ha scosso, o quando siamo tristi. Abbiamo un cumulo di
sensazioni e parole dentro di noi e abbiamo bisogno di cacciarle tutte fuori.
Ecco-
Manuel abbozzò un
sorrisetto.
-
Secondo te perché
nessuno mi ha mai chiesto di sfogarmi?-
-
Non lo so,
Manuel-
-
Io credo di
saperlo-
-
Davvero?-
-
Si. Forse avevano
paura che il mio sfogo fosse diverso. Forse che, esprimendo quello che avevo
dentro, sarei impazzito. Potrei impazzire?-
-
No, assolutamente.
Anzi, dopo ti sentirai meglio-
Manuel la fissò
stranito per un attimo, Viola si sedette con le gambe incrociare di fronte a lui
e gli prese le mani.
-
Avanti, adesso
guardami negli occhi e prova a parlare di tutto quello che
senti-
Manuel abbassò lo
sguardo leggermente imbarazzato.
-
Non so da dove
cominciare…-
-
La prima cosa che
ti viene in mente-
-
Sono
confuso-
-
E
poi?-
-
Stranito. So che ci
sarà tensione a casa mia nei prossimi giorni, io non voglio che sia
così-
-
E cosa
vorresti?-
-
Vorrei che
continuassimo a vivere normalmente, questa cosa non deve condizionarci la vita…
sento che tra e i miei genitori c’é un rapporto di fiducia, io voglio che questa
fiducia possa unirci tutti insieme-
-
Bene-
-
E poi, poi vorrei
conoscere meglio Adam, non so se fidarmi però, oh Viola, avresti dovuto sentire
le sue emozioni, era così contento di parlarmi, non riesco a credere che in
tutto questo tempo sia stato in silenzio dietro le
quinte!-
-
Continua-
-
Voglio bene ai mie
genitori… la nostra vita potrebbe migliorare adesso… ma voglio che passi il
temporale, passi la confusione… ho la testa che mi scoppia di
emozioni…-
-
Come ti senti
adesso?-
-
Un po’
meglio-
-
Questo vuol dire
sfogarsi-
-
É una bella
sensazione-
-
Te l’avevo
detto-
Viola sorrise,
Manuel le accarezzò le guance e poggiò le labbra sulle
sue.
-
Grazie
Viola-
-
Non devi
ringraziarmi. Dovrei essere io a ringraziare te per ogni singolo istante della
mia vita-
-
Non dire
sciocchezze-
-
Tu sai perdonare,
Manuel, sai cosa vuol dire? Sai capire cosa sentono le persone, sai interpretare
le loro parole ancora prima che le dicano. I tuoi genitori ti hanno mentito –
seppur a fin di bene – per tutto questo tempo e tu in un attimo li hai perdonati
sentendo il loro amore per te. Non porti rimorsi, non covi vendetta, non ti
arrabbi mai. Ti rendi conto di quanto sei fantastico?-
Manuel lesse
l’infinita gioia e ammirazione con la quale Viola stava
parlando.
-
Forse é come dici,
- mormorò Manuel, - eppure io mi sento sempre troppo
piccolo-
Viola lo abbracciò
forte e lo baciò.
-
E’ perché tu hai
sempre vissuto così e non sai vivere diversamente-
-
No, forse non
saprei-
Viola giocava con i
suoi capelli, lo sguardo di Manuel era più tranquillo.
-
Hai mai pensato a
come sarebbe vivere senza sentire le emozioni del mondo?- chiese poi in un
sussurro.
Manuel alzò le
spalle con un sorrisino.
-
Certo che ci ho
pensato. Ma non sono proprio riuscito ad immaginare niente. Per me é tutto così
naturale…-
Alzò per un attimo
gli occhi verso un punto indefinito della stanza, poi tornò a guardare
Viola.
-
E’ come vivere in
una solitudine popolata da pensieri che si animano. Immagina che lentamente
tutti gli oggetti presenti in questa stanza iniziassero a muoversi e a parlare e
tenessero sveglio il tuo cervello. Se un giorno smettessero di far baccano,
moriresti di solitudine. Penso che é così che funzioni nella mia
testa-
Manuel stava di
nuovo fissando il vuoto, aveva gli occhi stanchi. Viola gli accarezzò il volto,
poi lo abbracciò di nuovo.
-
Secondo me sei
molto stanco-
-
Si,
forse-
-
Vuoi andare a
casa?-
-
No-
La sua voce era
inquieta.
-
Ti dispiace se
rimaniamo un altro po’ qui?- continuò poi.
-
No,
affatto-
-
Usciremo quando
smetterà di piovere-
-
D’accordo-
Manuel affondò la
testa tra i suoi capelli, Viola lo strinse forte a se respirando lentamente la
sua confusione.
I giorni passavano
come foglie che cadono da un albero spinte dal vento. C’era tanto che Adam
avrebbe voluto fare sin da quello stesso giorno in cui Manuel aveva saputo ogni
cosa, ma non aveva ancora tutto il coraggio necessario. Era come se in quegli
anni non avesse fatto altro che mettere da parte paure, invece che coraggio e
forza. Cosa dirgli? Come parlargli? E, soprattutto, sarebbe servito a qualcosa?
E se si, a cosa precisamente?
Ma adesso non c’era
tempo per quelle domande, adesso si trovavano entrambi nella stessa stanza, e
benché Manuel preferisse guardarlo solo di tanto in tanto, impegnato ad
inseguire i raggi di luce fuori dalla finestra, era arrivato il momento. Il
momento che forse entrambi aspettavano sin da quella piovosa giornata di dodici
anni prima.
C’era un filo
sottilissimo di tensione che avvolgeva i loro corpi e i loro silenzi, Adam
sapeva che se voleva metterlo a suo agio sarebbe stato meglio farla cadere
subito. E dunque parlarne subito.
-
L’ho capito
sai-
Manuel voltò lo
sguardo stranito verso Adam, la luce che proveniva dalla finestra illuminava il
suo volto.
-
Cosa?-
Adam sorrise
abbassando gli occhi.
-
La storia della
tensione. Che non la sopporti, ecco, che ti é molto difficile
sopportarla-
Manuel sentì una
vibrazione salirgli lungo la schiena, non sostenne lo sguardo di
Adam.
La tensione
cadde.
-
E’ stata Laney a
dirtelo?-
Adam
rise.
-
Oh no, Manuel, lei
non lo sapeva-
-
Non lo
sapeva…?-
-
No-
-
Oh-
Manuel voltò il
viso confuso, Adam gli lanciò uno sguardo interrogativo.
-
Che succede?-
chiese con un filo di voce.
-
Credevo lei
l’avesse capito- sussurrò Manuel abbassando lo sguardo.
Adam gli sorrise,
Manuel incrociò i suoi occhi per un attimo.
-
E’ che davvero non
riesco a restare calmo quando c’é troppa tensione, - prese a dire dopo un
attimo, - riconosco di poter diventare intrattabile-
-
Oh, non lo sei mai
diventato, Manuel -
-
Ho imparato a
trattenermi e a nascondere. A nascondermi.-
-
Capisco-
Manuel stava
guardando di nuovo fuori dalla finestra, Adam osservò il suo viso illuminarsi
sotto i raggi pallidi.
-
Ma con Viola non
succede così, non é vero?-
La domanda fece
trasalire Manuel.
Si voltò verso
Adam, gli occhi brillarono; era imbarazzato.
-
Beh,
no…-
Adam
sorrise.
-
Con lei non ti
nascondi-
-
No-
-
Dì la verità, non
ti sei mai nascosto con lei-
-
No, questo non é
vero-
-
Beh, sei stato
formale. Ma non avresti mai voluto-
-
Ci sono molte
persone con le quali non avrei mai voluto nascondermi, Adam, eppure ho dovuto
farlo-
I loro occhi si
incrociarono per un breve attimo, Adam avvicinò la sedia a
Manuel.
-
Come hai imparato a
controllare le emozioni, Manuel?-
Gli occhi del
ragazzo fissarono Adam per qualche istante, poi abbozzò un
sorrisino.
-
Questa domanda a
cosa ti serve?-
Adam alzò le
spalle.
-
A
conoscerti-
-
Nessuna
ricerca?-
-
Tua madre ti ha
passato il terrore per i neurologi-
-
Forse-
-
Manuel, non serve
che io ne parli. Tu sai quello che sento, perché dovrei sprecare parole per
convincerti che voglio solo far parte della tua vita?-
Adam portò le mani
dietro la nuca a fissò il soffitto tranquillamente. Manuel si morse le labbra,
abbassò lo sguardo e poi tornò a guardarlo.
-
Scusami-
-
Fa
niente-
-
Volevo
provocarti-
Adam
rise.
-
Provocarmi?-
-
Già. Di solito le
persone cercano di trovare mille giustificazioni alle loro azioni anche se si
stanno comportando bene. Tu non l’hai fatto-
-
Sei
simpatico-
Manuel gli lanciò
un’occhiata, sorrise.
-
Comunque, per
quello che mi hai chiesto, beh…-
-
No, se non ti va
non devi dirmelo-
-
Ma voglio
dirtelo-
Adam gli lanciò
un’occhiata obliqua, abbozzò un sorriso, Manuel sospirò.
-
Ho imparato con il
tempo. Prima stando in una stanza con due persone, poi con tre, poi con
quattro…mano mano ho imparato a controllare sempre più emozioni, ma non é stato
facile. Per questo non amo i luoghi affollati e preferisco la
solitudine-
Adam
annuì
-
E non hai mai
pensato di andar via?-
-
Via?-
-
Già, per capire
come ti sentiresti in un posto lontano da questo-
-
Credo che
all’inizio starei molto male-
-
Molto
male?-
-
Sai, sono abituato
a Brighton ormai, vivo qui da sempre. Ho immagazzinato nella mente i mutamenti
climatici, l’aria, la pioggia, le persone, ho trovato una sorta di
equilibrio-
-
Oh-
-
A questo non
c’avevi mai pensato, vero?-
-
No, devo essere
sincero. Non pensavo che avessi questo collegamento con l’ambiente così
forte-
-
Beh, forse
crescendo cambierà. Sono cambiate così tante cose da quando ero
bambino-
Adam sorrise di
nuovo, Manuel guardò di nuovo fuori dalla finestra.
-
Adesso devo proprio
andare-
Adam si alzò,
Manuel lo guardò mentre prendeva la sua giacca.
-
Vai già
via?-
-
Si-
-
Oh-
-
Mia moglie partirà
stasera-
-
Partirà?-
-
Già. Va in Francia,
e ci resterà per un bel po’-
Manuel
annuì.
-
Perché va in
Francia?-
Adam alzò le
spalle.
-
C’é una clinica
specializzata nella periferia di Parigi, una delle più prestigiose del mondo. E’
molto poco conosciuta, ma Susan é amica di uno dei medici che lavorano lì e lui
l’ha invitata per una specie di corso-
-
Di che clinica si
tratta?-
-
É un ambiente molto
tranquillo. Si studia, si studia moltissimo la mente umana e tutte cose di
grandissima rilevanza scientifica-
-
Non ci sono
pazienti?-
-
Solo in alcuni
periodi dell’anno, ma non sono mai tanti-
-
Se é così
specializzata perché non ce ne sono tanti?-
Adam scoppiò a
ridere, Manuel abbassò lo sguardo.
-
Ecco guarda, - Adam
tirò fuori dal portafoglio una foto che rappresentava una grande struttura
bianca immersa nel verde, - é qui che andrà.-
-
Se sono così bravi
dovrebbero curare le persone-
-
Lo dici perché tu
saresti capace di capirle, quelle persone, Manuel. Ma nessuno é come
te-
Manuel afferrò la
foto e la guardò con occhio critico.
-
Non ho mai pensato
di fare quel lavoro- biascicò dopo un attimo.
-
Invece dovresti
pensarci. Potresti far davvero del bene a moltissime
persone-
-
Potrei entrare
nella loro testa ma non curarli-
-
Potresti capirli e
questo sarebbe già abbastanza per farli stare meglio-
Manuel storse la
bocca, Adam sorrise.
-
Cos’é che va a fare
precisamente?- chiese dopo un attimo.
-
Beh, stanno facendo
alcune ricerche riguardanti i sogni-
-
I
sogni?-
Manuel sembrò
interessato, Adam si accostò a lui.
-
Vedi, é capitato ad
Annie, una ragazza autistica. Una notte non ha fatto altro che agitarsi nel
sonno e appena sveglia é stata a piangere per tutto il giorno. Sai Manuel, é
molto difficile che queste persone riescano a comunicare, anche con il riso o il
pianto. Questa cosa le é capitata già un paio di volte, e stanno cercando di
capire cosa le succede. Susan é una specialista e va a dare una
mano-
Manuel abbassò lo
sguardo. Aveva paura di dire ad Adam della sua capacità di entrare nei sogni,
non aveva idea di cosa avrebbe potuto dirgli.
-
Capisco- commentò
soltanto, tenendo gli occhi bassi.
Adam gli
sorrise.
-
Ad ogni modo,
adesso devo andare. Ci vediamo presto Manuel, d’accordo?-
-
Si, a
presto-
Il cielo era
sereno, eppure qualche nuvoletta dispettosa già si faceva strada in quella
serenità.
Manuel camminava
lentamente, quasi come se avesse paura di arrivare alla meta, teneva le braccia
stese lungo i fianchi e per distrarsi stava ricordando l’ultimo discorso con
Viola.
“Stavo pensando una
cosa”, aveva detto lei mentre giocava con le dita delle sue mani, “qualche volta
potremmo andare a mangiare qualcosa fuori. O al cinema. Non ci siamo mai
andati”. A lui inizialmente gli era venuto da ridere, era una cosa che non aveva
mai detto, poi aveva sentito le sue
emozioni. Lei voleva un po’ di normalità, sincera e tastabile normalità. Le
ultime cose successe non avevano lasciato nessuno indifferente, ed era stato lui
stesso il primo a dire di voler ritornare alla classica regolarità, - o meglio,
riscoprirla. Infondo, a pensarci bene, lui e Viola non erano per niente la
“classica” coppia e ad essere sinceri tra di loro non c’era stato mai niente di
“classico”. Sin da quando si erano conosciuti tra di loro non c’era mai stato
traccia di un amore normale e semplice e le cose che erano capitate loro avevano
sempre un non so che di tetro e malinconico. Ma forse, anche se lei l’amava con
tutta se stessa, non era questo che aveva immaginato. Le sarebbe piaciuto
uscire, andare al cinema, al luna park, in gita, ad un concerto
magari.
Alzò le spalle
sorridendo teneramente pensando alle emozioni di lei.
“Certo, certo che
possiamo farlo” aveva risposto sorridendole e accarezzandole la guancia, “noi
possiamo fare tutto quello che ti va”.
C’erano molte cose
alle quali lui stesso avrebbe dovuto abituarsi, ad esempio lo stare di più in
mezzo alla gente. Non era abituato ad andare al cinema o al ristorante, a stento
era abituato ad andare al parco. Ma per lei, oh, per lei avrebbe presto
quest’abitudine. Qualsiasi cosa lei avrebbe voluto fare l’avrebbero fatta, così
che lei sarebbe stata felice ed entrambi avrebbero ritrovato e riscoperto la
normalità. Non gli sarebbe dispiaciuto scoprire com’era la vita del comune
adolescente, no, sarebbe stato divertente. Magari avrebbe potuto conoscere altre
persone, magari Joseph e Candace sarebbero usciti con loro qualche volta e si
sarebbero divertiti insieme. Magari avrebbe imparato ad essere più espansivo, e
adesso, con l’aiuto di Adam, avrebbe imparato a controllare meglio le sue
capacità in modo da poter essere sempre più normale. E un giorno avrebbe
raggiunto la vetta, sarebbe stato un perfetto ragazzo normale e non ci sarebbe
stato più nulla di tetro e misterioso nel suo comportamento.
Oh si, avrebbe
fatto di tutto per Viola, bastava che lei parlasse, lui avrebbe tentato di
esaudire ogni suo desiderio.
I pensieri lo
avevano avvolto per tutta la strada che doveva percorrere, adesso si trovava
davanti al cancello della casa di Adam, lì dove doveva
andare.
“Ti racconterò cosa
mi dice. Magari mentre andiamo al cinema” aveva detto a Viola. Lei aveva riso,
poi l’aveva abbracciato. Era intenerita dal suo comportamento e piena di
gioia.
Si stavano
avvicinando a piccolissimi passi alla normalità, anche Adam doveva diventare
parte di essa.
Bussò al citofono e
la porta fu aperta in un batter d’occhio.
La casa di Adam era
silenziosa e piccola, c’era una modesto salotto sulla sinistra e una cucina dopo
il corridoio principale.
-
Vieni, figliolo,
sono di qua- lo chiamò una voce dalla parte destra della
casa.
Manuel seguì la
voce fino a giungere nel suo studio.
Era proprio come
lui l’aveva descritto.
Una grossa libreria
sulla sinistra e una vetrata sulla destra. Infondo c’era una scrivania di legno
antico e dietro di essa c’era seduto Adam, con il telefono in
mano.
Sorrise.
-
Ciao Manuel,
benvenuto. Ho appena finito di parlare con Susan!-
annunciò.
Manuel avanzò di
qualche passo, sorrise.
-
Oh. Come
sta?-
-
Molto bene, grazie.
Ha fatto amicizia con l’equipe con la quale lavorerà nei prossimi
mesi-
Manuel abbassò la
testa con un altro sorrisino, Adam lo invitò a sedersi con un gesto della
mano.
-
E con Annie come
va?- chiese d’improvviso Manuel.
Adam fu sorpreso da
quella domanda, sorrise compiaciuto.
-
Niente di nuovo per
il momento- rispose, abbassando leggermente gli occhi.
Manuel poggiò le
mani sulle ginocchia, si guardò intorno incuriosito ed
intimidito.
-
Dev’essere molto
brava Susan per essere andata lì- continuò poi, quasi in un
sussurro.
-
La nostra é una
vera passione,- spiegò Adam, - del resto, nessuno si butterebbe a capofitto in
studi come questo se non ne é davvero ammaliato. Alcune persone potrebbero
trovare tremendamente triste avere a che fare con persone che, beh, non hanno
capacità di esprimersi, eppure per noi é interessante cercare di capirle e di
aiutarle-
-
Non ho mai
conosciuto una persona autistica- disse Manuel quasi come se le parole fossero
uscite da sole.
Adam lo fissò per
qualche momento.
-
Forse sarebbe
un’esperienza che dovresti fare. Io sono certo che se tu diventassi medico
potresti…-
-
Questo l’hai già
detto. Ma io non ne sono sicuro. Creerei soltanto molta più confusione nella
mente di quelle persone-
-
Questo non puoi
dirlo se non ci provi-
-
Non ho neanche
diciassette anni, non credo di poter decidere adesso del mio
futuro-
-
Non hai mai pensato
di fare il medico? Neanche una volta?-
Manuel scosse la
testa, Adam abbozzò un sorrisetto.
-
Beh, forse ne
riparleremo tra un po’ di tempo. Ad ogni modo non voglio annoiarti con queste
questioni, parliamo d’altro, ti va? –
-
Si,
d’accordo-
La voce di Manuel
era esitante, una parte di lui avrebbe voluto continuare con quel discorso su
Annie.
Adam iniziò a
chiedergli di Viola, di Laney, di come stesse trascorrendo le sue giornate e
qualche altra piccola e criptica domanda sulle sue capacità. Sembrava tutto così
normale, era come dialogare con un amico che ti conosce da secoli e secoli, una
persona che é entrata nel tuo mondo per caso e non é stata più capace di
uscirne.
Adam mostrò a
Manuel i suoi libri e gli offrì una tazza di té, gli fece leggere le lettere
d’amore che scriveva a Susan quando erano fidanzati e quando finalmente per caso
ricominciarono a parlare della lontananza di Susan Manuel riacquistò tutta la
sua attenzione. Adam parve accorgersi di questo suo nascosto interesse, gli
sorrise come per incoraggiarlo a parlarne apertamente ma Manuel non lo
fece.
Sapeva che era
tutto quello che Adam voleva sentirsi dire.
Iniziò a sentirsi
in imbarazzo, guardò l’orologio e il sole che tramontava.
-
Forse é meglio che
io vada a casa adesso – disse poggiando la sua tazza di té sul
tavolo.
Adam sorrise
rilassato.
-
Oh si, capisco, si
sta facendo buio. Ad ogni modo, Manuel, non aver timore a parlare con me,
d’accordo?-
Quella frase
intimidì ulteriormente Manuel, il ragazzo fissò il vuoto per qualche
momento.
-
Non ho nessun
timore. É solo che sai, é la prima volta che qualcuno mi parla di…beh, di rami
della vita reale che sono compatibili con me-
-
Intendi la
medicina? Il caso di Annie?-
La domanda fece
alzare le spalle a Manuel.
-
Oh beh, mi
piacerebbe sapere se riescono a capire cos’ha Annie. Se riescono a curarla
almeno un po’-
-
Chiederò a Susan
informazioni-
Manuel abbozzò un
sorrisetto, Adam si protese verso di lui.
-
Sai, forse é
l’unica cosa che davvero potrei fare nella vita- biascicò Manuel dopo un attimo,
- forse potrei dar loro una mano. Forse, se potessi incontrare una di queste
persone, come ad esempio Annie, potrei capire cosa desidera fare, cosa desidera
vedere. Magari capirei che anche a lei piacerebbe andare al cinema come a
Viola-
Abbassò lo sguardo,
Adam sospirò, gli sorrise di nuovo.
-
Questo é un
atteggiamento molto nobile da parte tua, Manuel-
Manuel rimase in
silenzio per qualche attimo, poi si alzò.
-
E’ stato bello
parlare con te, Adam. Adesso devo proprio andare-
-
Oh, si. Ti
accompagno alla porta-
Adam guidò Manuel
fino alla porta anche se lui ricordava perfettamente la strada. Una volta sulla
porta Manuel si voltò verso di lui per un ultimo saluto ma Adam fu più
svelto.
-
Allora, porterai
Viola al cinema?-
-
La porterei in capo
al mondo se me lo chiedesse-
Adam rise, gli
poggiò una mano sulla spalla.
-
Tutti e due avete
bisogno di vivere come normali adolescenti. Non preoccuparti del resto, Manuel,
non preoccuparti di niente. Questa potrebbe essere la tua normalità, e io sono
felice di farne parte-
-
A presto,
Adam-
-
A presto
Manuel-
Adam osservò Manuel
allontanarsi verso il cancelletto poco distante, lo scorse fin quando non voltò
l’angolo e sparì sotto il cielo rosso. Sospirò pensando a quale magnifica
esperienza sarebbe potuta essere per Manuel quella di entrare a far parte del
mondo della medicina. Avrebbe incontrato mille e mille persone e avrebbe capito
i loro sentimenti, avrebbe trovato un ordine nella loro confusione. Nessun
dottore sarebbe più stato capace di chiamarsi tale se Manuel avesse davvero
voluto perseguire quella strada. Beh, ma forse era meglio dargli ancora del
tempo: era scettico, lo capiva dal suo atteggiamento scostante, dal fatto che
aveva timore di chiedere cosa succedesse ad Annie ma allo stesso tempo ne era
curioso. Per il momento forse era meglio non pensarci: lasciamolo andare al
cinema, pensava, lasciamolo fare la vita dell’adolescente dalla quale si é
sempre recluso. Incontrare Viola era stata davvero una benedizione per lui:
adesso poteva aprirsi di più, conoscere più cose, vivere una vita come l’aveva
sempre voluta.
Sorrise, poi chiuse
la porta e rientrò in casa.
…
C’era
un grande prato verde inondato di luce del sole, un venticello fresco allietava
la moltitudine di persone sedute su quel prato. C’erano tovaglie colorate,
bambini che correvano e giocavano insieme e rumori di ogni genere. Risate, urla,
bicchieri e posate, musiche…la gioia pulsava e faceva male nella sua testa, ma
era un sentimento che si arrotolava su se stesso e gli occhi non avevano la
forza di chiudersi. Gli occhi di Manuel si voltavano in continuazione, ma più
cercava di placare le pulsazioni più tutto girava e il sole gli mandava in fumo
il cervello. Si tenne la testa tra le mani, in un attimo tutto gli fu chiaro. Il
mondo andò a rallentatore e lui entrò nella sua
testa. Le pulsazioni diminuirono sempre di più.
Aprì gli occhi di
scatto, si poggiò una mano istintivamente sul cuore e si rassicurò quando lo
sentì battere nel petto normalmente. Socchiuse gli occhi per un attimo e
sospirò, poi lentamente si alzò.
Restò in piedi
illuminato da un raggio lunare per qualche minuto, poi silenziosamente aprì la
porta della sua stanza e facendo attenzione a non fare rumore scese le scale e
si diresse verso la sua stanza al pianterreno.
Sentiva i suoi
passi scricchiolare leggermente sul legno e tratteneva il respiro per cercare di
raggiungere il silenzio di cui aveva bisogno. Aprì con un gesto deciso la porta
della camera e si chiuse lì dentro. Anche lì dalla finestra chiusa entravano
pochi raggi lunari, Manuel si affrettò ad aprire tutte le imposte e a dar un po’
di luce all’ambiente, poi alzò il cuscino del divano e tirò fuori da lì sotto un
foglio bianco e alcune penne.
Si sedette sul
pavimento e iniziò a scrivere qualcosa di confuso.
Una goccia fredda
cadde sulla sua mano, in un secondo si asciugò portata via da un vento gelido.
Il cielo era nero, le nuvole si addensavano sempre di più e quella dannata
goccia continuava a cadere ad intervalli regolari nel perfetto centro della sua
mano sinistra.
Manuel sentì una
cristallina risata sovrastarlo, alzò gli occhi guardandosi intorno spaventato.
Sospirò, poi fece un passo in avanti attraverso l’erba bagnata e
morbida.
Un’altra
goccia.
Sentiva il battito
del suo stesso cuore nella testa, poi di nuovo quella
risata.
Un vento giocoso
gli scompigliò i capelli, Manuel fu preso da un incredibile senso di calma.
Quella improvvisa risata continuava a risuonare nella sua testa avvolgendolo da
capo a piedi.
Scorse un’ombra
sopra di lui, non riusciva a spiegarsi come riuscisse a percepirla nonostante il
cielo fosse completamente nero.
Sentì il cuore
sobbalzargli nel petto fino a salire in gola.
Poi si svegliò di
nuovo di soprassalto.
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Capitolo 14 *** 13. ***
fiori13
Una pioggerellina
leggera cadeva dal cielo, gli alunni entravano uno dopo l’altro nell’atrio
parlando tra loro, confondendo le loro voci con il ticchettio della pioggia
sull’asfalto.
-
Manuel-
Manuel, Manuel,
Manuel.
Una fastidiosa eco
risuonava nel suo cervello, Manuel si voltò verso Viola tentando di
sorridere.
Il viso di Viola
era preoccupato.
-
Cosa succede? Non
ti senti bene?- chiese, poggiandogli una mano sulla spalla. Manuel abbozzò un
sorrisetto, ogni singola parola che Viola aveva pronunciato gli risuonava nella
testa.
-
A dire il vero non
tanto…- confessò, tenendosi la testa con le mani.
Viola osservò il
suo viso più pallido del solito, gli occhi stanchi.
-
Non hai dormito
molto, non é vero?-
-
Non ho dormito per
niente-
-
Perché?-
Manuel sospirò, il
tono di Viola iniziava a mutare.
-
Credo che sia
successa una cosa-
-
Cosa?-
-
Beh non lo so
ancora con precisione-
-
Una cosa
brutta?-
-
No, no, non
credo…-
-
Se non stai bene
forse é meglio che vai a casa…-
-
No, devo parlare
con Adam -
Viola si irrigidì
tutta, abbassò lo sguardo cercando di mascherare la brutta sensazione che
l’aveva attraversata nel sentire quel nome.
Manuel le lanciò
uno sguardo interrogativo non appena si rese conto della sensazione che aveva
provato, alzò le spalle.
-
C’entra lui con il
tuo malessere?-
La domanda di Viola
sembrava ambigua, Manuel sorrise.
-
Oh Viola, tutti e
nessuno c’entrano nei miei malesseri. Il mondo interviene nella mia testa ma
allo stesso tempo non é assolutamente colpa sua. Come poter dare la colpa solo
ad Adam?-
-
Avanti, smettila
con questi giri di parole. Sai cosa voglio dire-
Manuel alzò le
spalle divertito.
-
Beh si, forse
c’entra lui. Ma non é un vero e proprio malessere-
-
Sei bianco come un
cadavere e sono certa che potresti addormentarti da un momento all’altro tanto
del sonno che hai!-
-
Non é vero. E
comunque soffro d’insonnia, so sopportare bene il sonno-
-
Stanotte non ha
piovuto, non hai sofferto di insonnia. Di cos’hai
sofferto?-
-
Di mal di
sogni-
Viola arricciò il
naso alla sua risposta credendo che la stesse prendendo in giro, gli lanciò
un’occhiata furtiva.
-
Già, certo. E io
sono la regina Elisabetta -
-
Ti dico che é così.
E non mi é mai successo prima-
-
Come può venirti il
mal di sogni?!-
-
Non si tratta dei
miei sogni. Erano i sogni di un’altra persona-
-
E chi é questa
persona? É Adam?-
-
Oh
no-
-
E chi
allora?-
-
Beh, non ne sono
ancora sicuro, - Manuel si guardò attorno, poi abbassò lo sguardo verso Viola, -
ma credo siano di una persona molto molto distante da noi-
Viola lo guardò
interrogativa, Manuel scosse la testa come per liberarsi da alcuni pensieri che
lo infastidivano.
-
Manuel, sei peggio
di un rebus-
-
Te ne parlerò più
tardi, d’accordo?-
Manuel sorrise, si
fermarono entrambi davanti agli armadietti del secondo
piano.
-
Sei sicuro che non
sia niente di grave?-
-
Oh no. Queste cose
non devono mai spaventarti-
-
Devo spaventarmi se
tu stai male, Manuel -
-
Ma io non sto male.
Al massimo ho l’insonnia, e neanche in quel caso dovresti
spaventarti-
-
Se dici di aver
avuto mal di sogni ed é la prima volta che ti capita sono preoccupata, Manuel,
oltre ad essere oltremodo sconvolta-
-
Ma sei brava.
Dall’esterno non sembri sconvolta-
-
Prima di conoscerti
io mascheravo bene le mie emozioni-
-
Anche adesso le
mascheri bene. E’ solo che con me non vale –
Viola abbassò la
testa con un risolino, Manuel le accarezzò i capelli.
-
Non preoccuparti,
d’accordo?-
-
Se lo dici
tu…-
Manuel avvicinò le
labbra al suo orecchio, le accarezzò i capelli e poi
sussurrò:
-
Stasera ti porto al
cinema-
Viola abbozzò un
sorriso scostandoti dal suo viso.
-
Non avevi detto di
voler andarci?- domandò dolcemente lui con un sorriso.
-
Beh
si…-
-
D’accordo allora!
Ora vado a parlare con Adam del mal di sogni, dopo ti racconterò
tutto-
-
Si,
ma…-
-
Non preoccuparti
okay?-
-
Ascolta,
io…-
-
Ricordati Lois
Lane!-
Manuel si allontanò
verso l’aula di inglese con un sorriso divertito nonostante l’espressione
dell’intero viso contrastasse con esso.
Viola lo guardò
andare via, camminare delicatamente come solo lui sapeva fare tra tutta la folla
di persone e sparire dopo qualche attimo.
Oh certo, Lois
Lane.
Non aveva motivo di
stare in ansia perché tanto non ci sarebbe mai stato nessun mostro alieno che
avrebbe voluto rapirla, certo, era questo che intendeva. Non importava se lui
arrivava a scuola stralunato e pieno di sonno confabulando qualcosa sul mal di
sogni, lei non doveva per niente preoccuparsi. Era tutto nella
norma.
Il mal di
sogni?
Alzò le spalle con
un risolino, chiedendosi chi mai sulla faccia della Terra soffrisse di una
malattia del genere. Come veniva il mal di sogni? E di cosa si trattava
specificamente? Che cosa, stavolta, la sua fantastica mente era riuscita a
raggiungere?
Era certa che era
stato Adam a far scaturire tutto, era stato lui che gli aveva forse detto
qualcosa o esortato a fare qualcosa. Sembrava che lo trattasse come una cavia da
laboratorio, altro che ammirazione!
-
Viola!-
Viola si voltò di
scatto sentendosi chiamare, vide Luce e Daniel correre verso di
lei.
-
Ciao ragazzi-
salutò con un sorrisone.
-
Viola, Viola,
guardati! Come sei felice! Tutto bene?- chiese Luce poggiandole un braccio
intorno alle spalle.
-
Si, certo.
Voi?-
-
Benissimo- rispose
Daniel raggiungendo Viola dal lato opposto a quello dove stava
Luce.
-
Oh già! Ascolta,
oggi pomeriggio vieni a prendere un té?- chiese poi Luce con un altro sorriso, -
non ci vediamo da un po’…-
-
Si, e mi dispiace,
ho avuto molto da studiare…!-
-
Studiare, che
brutto verbo!- intervenne Daniel con una smorfia.
Luce si scostò i
capelli dal viso, alzò le spalle.
-
Allora, ti va di
passare un pomeriggio con i tuoi vecchi amici o ti sei completamente dimenticata
di noi?-
Luce finse una
smorfia di tristezza, Daniel rise.
-
Oh, ma certo.
Volevo appunto chiederti di prestarmi uno dei tuoi
vestiti-
-
Un vestito?- chiese
Luce stranita.
-
Oh si. Questa sera
devo uscire-
Daniel e Luce si
scambiarono un’occhiata.
-
Una serata
romantica!- esclamò Daniel.
-
Beh, non direi
proprio romantica ma…-
-
Oh, d’accordo
d’accordo! Metterò il mio armadio a tua disposizione!-
Viola sorrise,
Daniel e Luce fecero altrettanto.
-
Anche se io
un’uscitina romantica la farei alla Casa sulla Settima
Strada…-
-
Daniel vuoi
smetterla con questa storia? Viola si pentirà di avertelo
detto!-
-
Cosa ho detto di
male? Insomma, non dirmi che tu non sei curiosa neanche un
po’…-
-
É solo una casa, e
adesso che sappiamo chi ci abita ha perso il suo fascino!-
-
Scommettiamo allora
che…-
-
Prova a scommettere
e perderai mio caro…-
…
-
E’ stata ad un
pic-nic in un enorme prato-
Adam si voltò verso
Manuel che si era affacciato alla porta dell’aula di inglese completamente vuota
e aveva sussurrato quelle parole.
Inizialmente non
capì di cosa stesse parlando, socchiuse gli occhi e la sua espressione divenne
interrogativa.
Manuel entrò nella
classe e si chiuse la porta alle spalle, si avvicinò alla cattedra non smettendo
di fissare Adam.
-
Era in quel prato,
ogni tanto la portano lì- continuò Manuel.
Adam si tolse gli
occhiali e lo fissò sconvolto.
-
Tu come fai a
saperlo?-
-
Dimmi, é la
verità?-
-
Si-
Manuel abbassò lo
sguardo, sembrò ragionare con se stesso per un attimo.
-
Come fai a sapere
queste cose di Annie?- chiese Adam quasi balbettando.
Manuel alzò le
spalle.
-
Questo non posso
dirtelo- rispose in un sussurro, - ma so che é quel prato-
-
Cosa?-
-
Ogni volta che
decidono di portarla in quel prato enorme a fare il pic-nic, -magari é un parco,
non so,- lei ha quegli incubi-
-
Io non so
se…-
-
Oh si, te lo dico
io, é solo in quei giorni. Devono smettere di portarla lì. Quella confusione le
da alla testa. Le fa paura-
Adam si alzò
lentamente dalla sua cattedra e si avvicinò a Manuel.
-
Non guardarmi in
quel modo, Adam,- chiese Manuel, - solo, chiedi a quelle persone di smettere di
portarla lì. Così non avrà più incubi-
-
Manuel, io non
riesco a capire…-
Manuel
rise.
-
Neanche io se
proprio lo vuoi sapere, ma so che é così. Lo dirai a
Susan?-
-
Oh si, certo, lo
dirò a Susan, ma…-
-
No, no, non devi
farmi nessuna domanda-
-
Ma…-
-
No-
Manuel fece per
allontanarsi, Adam si poggiò alla cattedra.
-
Non riesco a
credere che tu l’abbia capito, Manuel -
-
Adesso devo andare
a lezione, Adam -
-
Come hai
fatto?-
-
Ci vediamo più
tardi-
-
Aspetta, aspetta
solo un attimo…-
-
Fammi sapere cosa
ti dirà Susan -
Manuel aprì la
porta della classe e sgattaiolò via prima che Adam potesse aggiungere qualsiasi
altra cosa. Era lecito, molto più che lecito che Adam fosse sconvolto e sorpreso
di quella notizia, lo era stato anche lui quella stessa notte, quando si era
svegliato di soprassalto. Non aveva idea di come avesse fatto ad entrare nei
sogni di una persona che non aveva mai visto in vita sua e che abitava a
chilometri e chilometri di distanza, eppure era successo. Con la semplice forza
della sua mente era riuscito a capire il perché del malessere di Annie, lui,
dall’Inghilterra, lui, diciassettenne anonimo, aveva capito cos’é che tormentava
i sogni di una autistica ragazza francese senza neanche incontrarla, senza
neanche vedere una sua fotografia. Il fatto che ci fossero medici esperti, lì in
quella clinica, che probabilmente lavoravano già da un po’ a quel caso, lo
faceva rabbrividire. Per un attimo ebbe paura di se stesso, poi sospirò e quella
paura passò. Normalità, questo gli aveva detto Adam il giorno prima. Oh certo,
normalità. Sarebbe stato più difficile del previsto, adesso che era entrato
nella mente di Annie. Ma no, si doveva impegnare. Entrare nei sogni e leggere le
emozioni delle persone faceva parte della sua normalità, doveva solo conciliare
quei due mondi, attingere a piene mani da
entrambe le vite.
Scese
velocemente le scale chiedendosi cosa avrebbe dovuto dire ad Adam. Non se ne
parlava di confessargli della questione dei sogni, quella era una cosa che
nessuno sapeva e nessuno doveva sapere, eppure non avrebbe saputo cos’altro
inventare. Sarebbe stato meglio forse se non avesse detto niente e se ne fosse
restato zitto, ma no, non ce l’avrebbe mai fatta. Quando si trattava di
emozioni, sogni o cose del genere, per Manuel era praticamente impossibile non
agire. Come avrebbe potuto restare zitto? E cosa se ne sarebbe fatto lui di
quelle informazioni su Annie? Niente, era quindi palese che le aveva ottenute
per riferirle ad Adam.
E Adam le avrebbe
riferite a Susan. E Susan avrebbe fatto in modo che nessuno portasse più Annie a
fare quel maledetto pic-nic.
Sorrise per un
attimo immaginando la tranquillità dei sogni di quella ragazza quando avrebbe
finalmente smesso di andare lì.
…
Il cielo era rosato
quando Manuel e Viola uscirono dal cinema, sorridendo si allontanarono verso la
strada che conduceva al parco, ridevano e scherzavano scambiandosi opinioni sul
film. Viola ancora rimurginava su tutto quello che Manuel gli aveva raccontato
su Adam, Annie e la clinica in Francia.
-
Com’é stato entrare
nei sogni di Annie?- gli chiese ad un certo punto, quando si sedettero entrambi
sotto un albero del parco.
Manuel le lanciò
un’occhiata.
-
Non so descriverlo.
E’ stato come ruotare in un vortice e poi cadere su un altro
pianeta-
-
Come hai fatto a
finire lì?- chiese Viola con un sorriso quasi divertito.
Manuel alzò le
spalle con un sorriso.
-
Io credo che ci sia
stato un certo qualcosa che mi ha permesso di farlo. Un qualcosa che é difficile
incontrare-
Viola si voltò di
scatto verso di lui, i suoi occhi fissavano un punto indefinito
all’orizzonte.
-
Un…qualcosa?-
chiese con un filo di voce.
Manuel
girò la testa verso di lei, incontrò i suoi occhi.
-
Quella cosa dalla
quale nascono i nostri sentimenti. Forse é mischiato all’anima, non lo so. O
forse é a capo anche di questa. Da dove nascono i
sentimenti?-
-
Non lo so, Manuel.
E’ così strano. Non credevo che loro
potessero d’improvviso prendere vita al di fuori di qualsiasi nostro
controllo-
La voce di Viola
era diventata più sottile, sfiorò le nocche bianche della sua mano stretta a
pugno.
-
I sentimenti
intendi? Oh, si. Ne sono certo. Quello che ho visto non era una semplice
un’emozione, o l’avrei capito, e anche se fosse stata anima. Ma non é ne una e né l’altra. Non
posso vederla. É il Re-
Manuel alzò lo
sguardo al cielo per un attimo.
-
Il
Re?-
Viola alzò di
scatto la testa dalla sua mano.
-
Il Re. Lo immagino
su un trono, sopra l’anima. Lui decide tutto, tutto quello che un secondo dopo
sparge nell’anima, soffiando su una Girandola. E’ il Re sul grande Impero
dell’anima-
-
Allora dovrebbe
essere un Imperatore-
-
No, mi piace di più
il Re-
-
D’accordo. Un Re
Girandola-
-
Si, una specie. E
se ne sta lì, e nessuno sa che c’é, ma regna sulla nostra anima. Sull’Impero dei
Fiori-
-
Impero dei
Fiori?-
-
Le emozioni. I
Fiori. Ascolta, chiudi gli occhi e immagina, - Manuel poggiò delicatamente le
mani sugli occhi di Viola, e quando li ebbe chiusi prese ad accarezzarle i
capelli e la fronte, - il Re, seduto su un trono d’oro su un enorme prato, ha in
mano una Girandola colorata. Quel prato é l’anima, ed é luccicante e tutta
verde. Quando nasce un sentimento, il Re sorride e la girandola inizia a girare
vorticosamente, poi si sprigiona un forte vento freddo e sul prato iniziano a
nascere fiori di tutti i colori. Le emozioni-
-
Wow-
-
Li stai vedendo? I
Fiori?-
-
Si. Sono molto
belli-
-
Bene. Adesso puoi
aprire gli occhi-
Viola leggermente
alzò le palpebre e Manuel fece scivolare via le mani dal suo volto, poi si
guardarono negli occhi mentre Viola sorrideva.
-
Ho immaginato il
Re- mormorò guardandolo.
-
Certo. E’ facile
immaginarlo-
Manuel sorrise a
sua volta, la sua espressione era dolce e pacata.
-
Facile immaginarlo,
ma non vederlo-
-
Già-
-
Perché tu non
riesci a vederlo?-
Ancora una volta la
domanda di Viola parve turbarlo, ma un attimo dopo era di nuovo
tranquillo.
-
Beh, non posso- rispose.
-
Secondo me
puoi-
-
Se avessi potuto
l’avrei già fatto, Viola. Evidentemente non é…visibile-
-
E credi che l’anima
sia visibile?-
-
Nell’anima ci sono
le emozioni -
-
Beh, forse un
giorno riuscirai a vedere anche il Re. E’ lui che ha deciso di noi,
vero?-
-
In che
senso?-
-
Lui ha deciso che
noi dovevamo innamorarci. Un giorno ci ha guardati e poi…poof! La Girandola ha
iniziato a ruotare. Sarebbe un modo carino per spiegare la nascita
dell’amore-
-
Oh, ma di sicuro é
così! Lui ha deciso che noi ci saremmo innamorati, e qualsiasi cosa succederà
lui resterà fermo sulla sua decisione-
-
Non c’entrano
niente gli eventi della vita con lui, Manuel?-
-
Oh no. Anche se
vivessimo a chilometri di distanza ci ameremmo comunque. E sai perché? Perché é
il Re che lo ha deciso. E lui non potrebbe mai permettere una nostra
separazione-
-
Sarà fantastico
quando lo incontrerai, allora-
-
Ho visto la sua
ombra, credo che possa bastarmi-
-
Oh, ma io sono
certa che lo incontrerai. Ti inginocchierai davanti a lui e poi il Re con la sua
spada luccicante ti proclamerà Principe dell’Impero dei
Fiori-
Manuel rise
abbassando lo sguardo.
-
E magari mi darà la
sua Girandola-
-
Oh già,
dimenticavo!, - Viola si alzò e poggiò la mano sulla spalla di Manuel con
atteggiamento solenne, - Manuel Green!,- esclamò controllando il tono di voce, -
ti proclamo ufficialmente Principe Indiscusso ed Eterno dell’Impero dei Fiori! E
come dono per dimostrarti la fiducia che ripongo in te, ti regalo la Girandola
delle Emozioni!-
Manuel prese la
mano che Viola teneva poggiata sulla sua spalla e la baciò, Viola sorrideva
mentre divertita lo osservava.
-
Sono lusingato Sua
Maestà, - mormorò guardandola di sottecchi, - ma non mi sento affatto un
Principe-
-
Oh no, Manuel
Green, tu non puoi discutere con il sovrano, - Viola scosse la testa con fare
severo, - tu sei il mio inviato nel mondo, incontrerai tutte le emozioni che
nascono dal mio trono e le condurrai alla felicità-
Viola si
inginocchiò di fronte a lui, la punta del suo naso sfiorava il volto di
lui.
-
Lei mi sta
chiedendo di essere fedele, Sua Maestà, ma c’é una sola Regina alla quale posso
essere fedele-
Manuel accarezzò il
volto di Viola con la punta delle dita.
-
Non ci sono regine,
Manuel Green- sussurrò Viola.
-
Oh, lei non la
conosce, Sua Altezza. Lei é una Regina, ed é bellissima-
-
Allora voglio
incontrarla, Manuel Green-
Manuel socchiuse gli occhi
sorridendo.
-
Oh, non può
incontrarla, Sua Altezza, non può-
-
E perché
mai?-
-
Lei vive solo nella
mia testa, e io sono rapito dalla sua luce. Mi dispiace Sua Maestà, ho già un
regno al quale appartengo-
-
Stai rifiutando il
tuo Re, Manuel Green?-
-
Sarò un suo umile
paladino, Sua Maestà, ma non posso allontanarmi dalla mia
Regina-
-
Ami la tua
regina?-
-
Certo, Sua Altezza.
Lei é la mia vita –
-
Sai Manuel, anche
lei ti ama. Più di ogni altro regno –
Manuel rise, Viola
accarezzò i suoi capelli.
-
Non credere che io
stia scherzando, Viola- disse dopo un secondo, mentre ancora
sorrideva.
-
In che senso?-
domandò Viola, allontanandosi curiosa.
-
Risponderei davvero
così al Re, se lo dovessi incontrare-
-
Non ci
credo-
-
Amo più te che
qualsiasi altra cosa. Tu questo devi saperlo-
Manuel le prese le
mani, Viola abbassò lo sguardo.
-
Ma lui é il Re. Io
cosa sono?-
-
Ma io amo te, non
un’essenza con in mano una Girandola-
-
Lui non é
un’essenza. Lui é il Re, ed é l’incipit di tutti i nostri
sentimenti-
-
Per nessun motivo
al mondo potrei venir risucchiato nel mondo dell’anima, Viola. Non
preoccuparti-
La frase suonava
ironica e sarcastica.
-
É un modo come un
altro per chiederti se mi amerai per sempre-
-
Non hai da
chiedere-
Manuel le baciò la
fronte, gli occhi e le guance fino a scendere alle labbra.
-
Manuel?-
Viola allontanò
d’improvviso il viso da quello di lui.
-
Cosa direbbe il
mondo se sapesse dell’esistenza della Girandola, Manuel? Nessuno ci crederebbe
-
-
Beh, ma la
Girandola esiste-
-
Già, ma lo sappiamo
solo noi due-
-
Ci sono troppe cose
che sappiamo solo noi due-
-
Allora dobbiamo
scriverci delle lettere. Un giorno le ritroveranno e diventeremo famosi.
Pubblicheranno un libro con le nostre ricerche e scoperte. Dopotutto, non si
scrivono lettere solo a persone lontane. Tu vuoi scrivermi delle
lettere?-
-
Ti scrivo
continuamente lettere-
-
Dici sul
serio?-
-
Si, sul
serio-
-
E perché non me le
fai leggere?-
-
Voglio dartele
quando sarà il momento giusto-
-
E quando sarà il
momento giusto?-
-
Non lo so. Ma
arriverà. Arriva sempre un momento, Viola, un momento
giusto-
-
Mi sono sempre
chiesta come fanno i momenti ad essere giusti-
…
Era quasi
completamente notte quando Manuel infilò le chiavi nella serratura di casa ed
entrò. Aveva fatto così poco rumore che le sommosse voci che parlavano in cucina
non si accorsero del suo rientro. Manuel si tolse la giacca e con passi felpati
si avvicinò alla cucina, dalla quale sentiva provenire le voci. Parlavano così
piano che sembrava stessero sussurrando, Manuel socchiuse gli occhi e sentì un
senso di sorpresa, indecisione e confusione sovrastarlo.
Poi riconobbe la
voce di Adam.
Fece capolino in
cucina e osservò i suoi genitori e Adam che parlavano seduti al tavolo, con una
tazza di caffé tra le mani.
-
Oh ciao Manuel!-
salutò Adam per primo, con un grosso sorriso.
-
Ciao tesoro!-
salutò sua madre, con lo stesso sorriso.
Philip era l’unico
che non sorrideva, il suo viso sembrava contrariato.
-
Ciao Manuel- salutò
cercando di non apparire nervoso.
Manuel deglutì a
vuoto prima di parlare.
-
Ciao a tutti. Adam,
cosa ci fai qui?-
La domanda apparve
tranquilla anche se dentro di se Manuel sentiva uno strano sentimento crescere.
Perché era a casa sua a quell’ora della sera? Cosa stava dicendo ai suoi
genitori? Anche questo rientrava nella normalità?
Adam
sorrise.
-
Hai dimenticato a
casa mia il portachiavi quando sei venuto ieri- disse, indicando a Manuel il suo
portachiavi che giaceva sul tavolo della cucina.
Manuel lo guardò
sorpreso, per un attimo si sentì in colpa per aver dubitato della buona fede di
Adam. Per un attimo aveva pensato che fosse lì per parlare ai suoi genitori
della storia di Annie e di quello che gli aveva detto quella mattina a
scuola.
-
Oh- disse,
scostandosi i capelli dal viso, - ti ringrazio-
-
Di niente. Pensavo
di trovarti in casa, poi mi sono ricordato che avevi da fare. I tuoi hanno
insistito perché rimanessi e così ho preso un caffé con
loro-
La mamma abbassò lo
sguardo dolcemente, papà abbozzò un altro sorrisetto. Manuel avanzò verso il
tavolo e afferrò il suo portachiavi.
Era un normale
ferro di cavallo, glie lo avevano regalato quando aveva compiuto undici anni.
Senza sapere perché gli era diventato subito un oggetto familiare e se lo
portava sempre dietro.
-
Grazie ancora Adam
-
-
Prego,
figliolo-
Manuel abbozzò un
sorrisetto.
-
Adesso se
permettete andrei nella mia stanza. Sono un po’ stanco-
-
Oh ma certo-
rispose prontamente la mamma, Adam sorrise.
-
Si, vai pure, non
intendevo in nessun modo disturbarti-
Manuel avrebbe
voluto chiedergli se avesse ricevuto conferma di quello che lui aveva visto nei
sogni di Annie ma non sapeva se fosse il caso di parlarne davanti ai suoi.
Dopotutto neanche loro sapevano nulla della faccenda dei sogni e sarebbe bastato
pochissimo ad incuriosirli o a farli preoccupare.
Adam lesse nello
sguardo di Manuel la sua curiosità ma non disse niente.
Manuel notò che
rispetto a come l’aveva lasciato quella mattina in classe Adam si era oltremodo
calmato, e adesso gli sorrideva con la stessa tranquillità di
sempre.
-
D’accordo. A
domani-
-
A
domani-
Manuel andò via a
passi veloci e salì le scale fino a giungere alla sua
camera.
Sentì Laney che
ascoltava la musica.
Chiuse la porta
della sua stanza e strinse tra le mani il portachiavi che Adam gli aveva
riportato. Era stato gentile da parte sua riportarglielo, anche se in definitiva
avrebbe potuto aspettare fino al giorno dopo, ormai era sera. Poi pensò che il
vero motivo per il quale Adam era venuto era per parlare con lui, cercare di
farsi spiegare meglio com’é che aveva saputo quelle cose su Annie senza che
nessuno glie le avesse dette. Oh si, doveva pur essere così. Poi però, una volta
sulla porta di casa, si era ricordato che lui quella sera aveva portato Viola al
cinema, ma ormai era troppo tardi e aveva già suonato il campanello. Così si era
scusato per il disturbo, ma la mamma, alla quale Adam fa tanta tenerezza,
l’aveva fatto entrare e così si erano messi tutti e tre a bere il caffé.
Dopotutto cosa c’era di male?
Niente, solo una
strana sensazione.
Le voci soffuse,
che parlavano come se stesse succedendo qualcosa. No, no, impossibile, si stava
solo impressionando. Che cos’altro poteva star succedendo?
Manuel sospirò e
abbozzò un sorriso a se stesso per convincersi che si stava solo suggestionando
e che non stava succedendo proprio niente.
Dopo un momento
sentì la porta di casa chiudersi.
Adam era andato
via.
Dopo un altro
momento il suo telefono prese a squillare. Lo afferrò prontamente convinto che
fosse Viola, ma quando lesse il nome di Adam sul display rimase attonito e
stranito.
-
Pronto?- rispose
esitante.
-
Ciao Manuel.
Scusami ancora per essere piombato in casa tua senza avvisare- disse subito la
voce di Adam, resa metallica dal telefono.
-
Oh non
preoccuparti-
-
Ad ogni modo,
volevo dirti che mi dispiace per stamattina. Non avrei dovuto insistere quando
mi hai detto che non potevi parlare di quello che…beh, di quello che sapevi,
avrei dovuto capire che forse sono cose di cui…di cui non vuoi ancora parlarmi,
fa sempre parte della tua capacità, questo va bene. E inoltre volevo dirti che
ho parlato con Susan e che é vero che Annie é stata molte volte su quel prato a
fare un pic-nic con la sua famiglia-
Adam s’interruppe,
Manuel alzò le spalle.
Ne era
convinto.
-
Hai detto a Susan
di non farla più portare lì?-
-
Si-
-
Vedranno che adesso
non farà più quegli incubi-
-
Ne sei così sicuro
Manuel?-
-
Oh si, devi
credermi-
-
Io ti credo. So che
quello che mi dici é sempre la verità-
Manuel non rispose,
sentì che Adam stava pensando a qualcosa che non voleva
dirgli.
-
Ad ogni modo, ci
vediamo domani Manuel. Buonanotte- disse dopo un attimo.
-
Ciao Adam,
buonanotte-
Manuel attaccò
velocemente il telefono e lo posò sul comodino.
Per quasi tutta la
notte quella strana sensazione lo invase.
…
Manuel sedeva sullo
sgabellino del pianoforte di Viola, lei gli sedeva accanto su una normale
sedia.
-
Stai sbagliando di
nuovo- disse Viola dopo un attimo fissando le mani di lui sulla
tastiera.
Manuel fece una
smorfia e cercò di correggersi, poi Viola spostò le sue dita sui tasti
giusti.
Manuel
suonò.
Viola
sorrise.
-
Questo é l’accordo
che ho suonato appena tornata a casa dopo averti conosciuto!- annunciò Viola
come se stesse parlando di chissà che cosa. Lui rise, suonò due o tre volte
quell’accordo dissonante e poi alzò le mani dalla
tastiera.
-
Che dici, sono
bravo?- chiese guardandola.
Viola alzò le
spalle.
-
Beh, contando che
hai iniziato le lezioni di pianoforte da beh, circa cinque secondi, sei davvero
un prodigio-
Entrambi
scoppiarono a ridere, Manuel si alzò dallo sgabellino.
-
Oh no, perché ti
sei alzato? Posso farti vedere qualche altra cosa!-
-
Oh no, lasciamo
perdere per favore! So di essere un totale disastro. Suona tu,
piuttosto!-
-
Nell’ultima ora ti
avrò suonato due o tre pezzi- controbatté lei alzandosi dalla sedia e
raggiungendolo dall’altro lato del piano.
-
Si, ma io non sono
mica stanco!-
Risero di nuovo,
Manuel le baciò i capelli.
Questa era una vera
normalità.
Erano passati
quattro giorno dal suo sogno su Annie e Adam aveva avuto la conferma di quello
che lui aveva detto. Annie non stava più andando a fare quel pic-nic e gli
incubi erano finiti. Nonostante lo guardasse come se gli chiedesse di spiegargli
come avesse fatto a capire quelle cose, Adam non glie l’aveva più chiesto.
Manuel era stato contento di questo, e proprio per questa sua sincerità e per
questo suo rispetto aveva pensando di, beh perché no, di raccontargli la
faccenda dei sogni, ma poi si era ricreduto. Anche se poteva leggergli
nell’anima, non lo conosceva abbastanza e non sapeva quale reazione avrebbe
potuto suscitare in lui.
Dunque si era
limitato ad essere contento del suo atteggiamento e si era completamente dato
alla normalità: aveva portato Viola al ristorante, avevano fatto più di una
passeggiata in centro e avevano pranzato una volta con Joseph e Candace e
un’altra volta con Daniel e Luce. Nonostante Viola fosse imbarazzata dalle
continue battute dei due ragazzi, Manuel li trovava incredibilmente divertenti e
tra di loro c’era una sincera simpatia. La sera precedente invece, mentre
stavano ritornando a casa, avevano incontrato Mia di ritorno da una giornata di
shopping e avevano fatto la strada insieme, parlando del più e del
meno.
Manuel non riusciva
a credere che quando era al fianco di Viola lo stare con le persone non gli
recava alcun peso. Tornava a casa con il sorriso sulle labbra tutti i giorni e
non era restio a raccontare a Laney, che gli scodinzolava intorno come un
cagnolino, tutto quello che aveva fatto e le cose di cui avevano parlato. Anche
con Adam parlava delle cose che stava facendo e lui sorrideva dolcemente, nei
suoi occhi una leggera malinconia che Manuel non riusciva a spiegarsi. “Questa
normalità ti fa bene, figliolo” aveva detto molte volte, con la voce rotta da
qualcosa di strano. Era in quei momenti, e solo in quei momenti, che la
normalità che stava vivendo lo abbandonava e Manuel cadeva per un attimo
all’indietro, nella vecchia vita, dove le cose erano sempre poco
chiare.
Manuel fissò il
pianoforte, poi guardò Viola.
-
Ti sei mai seduta
qui sopra?- chiese poggiando la mano sul piano.
Viola scosse la
testa.
-
No-
rispose.
-
Avanti,
provaci-
-
Non si
romperà?-
-
Ma cosa
dici?-
-
Salici prima tu
allora. Così saremo seduti insieme-
Manuel la fissò per
un momento, poi senza aggiungere altro avvicinò lo sgabellino e si sedette sul
lucido piano, poi con un gesto della mano invitò Viola a
imitarlo.
Viola
salì sullo sgabellino, Manuel le poggiò le mani sulla vita e la sollevò
facendola sedere accanto a lui. Il pianoforte non si mosse neanche di un
millimetro, Viola sfiorò con la punta delle dita il nero lucido sotto di se,
espirò come se fosse salita in cima al mondo: per un momento fu come se la
grandezza delle emozioni che provava ogni volta si trovava contatto con quello
strumento l’avvolgesse, si sentì leggera come una piuma e abbracciata dal
morbido silenzio.
-
Sapevo che ti
sarebbe piaciuto- sussurrò d’un tratto Manuel, guardandola
sorridere.
-
Non avevo mai
pensato di sedermi sul pianoforte- mormorò lei, dondolando le gambe, - é come
essere seduti sulla montagna più alta del mondo...come un gioco!...é divertente,
sai? E’ davvero divertente...-
Manuel sorrise,
poggiò la mano sulla sua.
-
Adesso potremmo
immaginare di essere su una montagna altissima e di guardare tutto il mondo- le
disse lui fissando il muro come se guardasse un vastissimo
orizzonte.
-
O potremmo
immaginare di essere sul trono del Re!- suggerì Viola.
-
Oh si, certo.
Allora immagina quel lungo prato. Te lo ricordi?-
-
Si
certo-
-
Okay. Adesso alza
la mano, e inizia a muoverla nell’aria, ecco così…soffia, soffia! La Girandola
si sta muovendo!-
Viola rise, Manuel
alzò le braccia con lei.
-
Ora non ti resta
che immaginare i Fiori che nascono sotto i nostri piedi- concluse, fissando il
pavimento.
-
Di che colore
saranno quei Fiori?- chiese Viola poggiando la testa sulla sua
spalla.
-
Oh beh, dipende
dall’emozione. O dalle persone-
-
Mmh. C’é un fiore
anche per noi?-
-
Certo. Oh si, di
sicuro-
-
Che fiore ti
piacerebbe avere in quel prato?-
-
Non lo so. Va bene
quello che piace a te-
-
Oh no, adesso
dobbiamo deciderlo insieme-
-
D’accordo. Deve
essere di un bel colore-
-
Bianco. O
blu-
-
Azzurro
allora-
-
Va bene. Azzurro.
Ma che tipo di fiore?-
-
Oh, non sono
esperto in fiori-
-
Allora sceglieremo
un fiore semplice. Una rosa-
-
Una rosa
azzurra-
-
Non credo esista in
natura-
-
Non fa niente.
Nell’Impero esiste di sicuro-
-
Oh, e quello sarà
il nostro fiore allora!-
-
Certo. E si trova
proprio al centro del prato, dove il vento soffia più forte, in modo che sia
sempre rigogliosa e fresca-
-
É la più bella del
giardino-
-
Oh, di certo. Non
esistono altre rose azzurre-
Manuel e Viola
fissarono il pavimento come se al centro di esso ci fosse davvero quella rosa
azzurra che stavano immaginando.
Dietro di loro il
pomeriggio sfumava e alcune nuvole nere stavano per riempire il
cielo.
Sarebbe arrivata
una forte tempesta.
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Capitolo 15 *** 14. ***
fiori15
Uscì di casa di
corsa, non importava che stesse per iniziare di nuovo a piovere.
Che senso ha la
luce del tramonto se il sole é coperto dalle nuvole?
Di nuvole ce ne
erano parecchie e per strada non c’era nessuno. La sensazione che Manuel sentiva
crescere nel suo corpo era più o meno la stessa di quel giorno di tante
settimane prima, il giorno in cui quel fulmine aveva colpito l’albero di fianco
a Viola, il giorno in cui tutto era veramente cominciato.
Ma adesso non aveva
tempo per i ricordi, non ne aveva proprio tempo. Non servono i ricordi, quando
stai correndo contro il tempo che racchiude anche quegli
stessi.
Un tuono risuonò
dietro le nubi, uno squarcio di luce inondò il cielo e i suoi pensieri. Strinse
gli occhi come se qualcosa gli avesse dato tremendamente fastidio ma non si
fermò, continuò a camminare a passo spedito, - attraversava la Settima Strada
allontanandosi sempre di più da casa sua e quando giunse all’angolo iniziò a
correre. Corse a più non posso per le strade deserte della città fin quando non
giunse a casa di Viola.
Si fermò per
qualche secondo a guardare la finestra della sua camera, lì in alto, - la luce
era spenta. Tutto era silenzioso e tranquillo, d’un tratto Manuel fu preso da
un’insensata impressione di solitudine. Squadrò la casa come se la guardasse per
la prima volta, gli occhi d’un tratto parvero farsi lucidi. Più lentamente
raggiunse il retro della casa, si calò verso le finestre del seminterrato per
assicurarsi che quello che pensava fosse vero.
Oh si, Viola era
lì.
Avrebbe voluto
rimanere qualche altro momento lì a contemplarla, fuori da quella finestra, ma
lei si accorse immediatamente che lui era lì. Oh certo, era comprensibile, le
finestre del seminterrato lanciavano una luce diretta nella stanza, e chiunque
si fosse posto dinanzi ad esse avrebbe inevitabilmente squilibrato i giochi di
luce.
Viola lo guardò
dapprima sorridendo, poi colse uno strano cipiglio di preoccupazione nel suo
volto. Si avvicinò alla finestra, l’aprì con uno scatto
rapido.
-
Manuel…-
Lui non la fece
parlare, la baciò delicatamente mentre sentiva gli occhi divenire sempre più
umidi.
-
Che…succede?-
-
Viola,
io…-
La sua voce
tremava, un altro fulmine illuminò quello sfondo grigio. Viola guardò il cielo
quasi con occhi di rimprovero, tornò a guardare Manuel.
-
Forza, vieni
dentro- disse, tirandolo per un braccio.
Manuel non oppose
resistenza, entrò.
Il temporale non ci
voleva proprio.
Viola lo guardò da
capo a piedi per un momento, si accorse che c’era qualcosa in più oltre al
temporale che lo rendeva così strano.
-
Manuel, cosa
succede?-
Lui fu come
risvegliato dalla sua voce, la abbracciò forte senza dire una
parola.
-
Manuel…vuoi dirmi
cosa sta succedendo?-
-
Viola,
ascolta…-
-
Mi sto
preoccupando…-
Viola si districò
dall’abbraccio per poterlo guardare negli occhi, gli occhi di lui erano lucidi
come specchi d’acqua, le labbra tremavano.
-
Mio Dio, Manuel,
perché hai quella faccia? Stai per piangere! Cosa é successo? Stanno tutti bene,
Adam sta bene?-
Viola gli poggiò
una mano sulla guancia, Manuel chiuse per un attimo gli
occhi.
Iniziò a
piovere.
-
Oh si…stanno tutti
bene…- sussurrò dopo un attimo.
Viola lo abbracciò
di nuovo, il cuore iniziò a batterle più velocemente.
-
E cosa succede
allora?-
-
Viola…-
-
Se c’é qualcosa che
non va devi dirmelo-
Si guardarono negli
occhi, Manuel lesse la paura nel suo sguardo e la sentì scorrere da quegli
stessi occhi. Le accarezzò le guance e le baciò la fronte, mentre le mani
passavano a coprirle i capelli.
-
Non avere
paura…-
La sua voce era
soffusa, quasi come se volesse rassicurarla.
Viola alzò di nuovo
il viso, Manuel sospirò.
-
Lascia che…lascia
che io riesca a trovare le parole…- bisbigliò dopo un attimo, mentre iniziava a
baciarla.
Viola socchiuse gli
occhi, strinse le braccia intorno al suo collo mentre un sentimento che
oscillava tra una perforante paura e la totale tranquillità spirava dentro di
lei.
Le mani di lui
passarono ad accarezzarle le braccia, i fianchi e la schiena, - un nuovo fulmine
illuminò il cielo.
-
Sta piovendo…-
sussurrò lei dopo un attimo.
-
Viola, ti prego,
dimmi che mi ami-
-
Lo sai che ti
amo-
-
Ma oggi é
diverso-
-
Perché é
diverso?-
-
Perché non so più
niente, oggi-
-
Manuel, ma
cosa…-
-
Ti prego non
parlare…-
Viola non replicò,
lasciò che lui l’abbracciasse e le baciasse il corpo.
Il temporale era
cominciato.
Le gocce facevano
rumore nella testa di Manuel come se ogni goccia colpisse una parte del suo
corpo procurandogli dolore. L’aria fredda sembrava entrargli nelle ossa e
impedirgli di respirare, tanto che era fredda quell’aria che il pavimento gelido
del seminterrato dov’era sdraiati sembrava bruciasse.
Ma il pavimento non
bruciava, era il suo cuore ad essere in fiamme, e quella sarebbe stata l’ultima
volta.
Lentamente iniziò a
piangere.
Adesso le gocce di
pioggia erano lontane, così lontane che a nessuno dei due sembrava che stesse
davvero piovendo.
-
Mi portano via
domani-
Il cuore di Viola
cadde in un abisso.
Era notte inoltrata
quando Viola aprì di scatto gli occhi e quasi saltò in
piedi.
Guardò il buio del
seminterrato inizialmente chiedendosi dove si trovasse e cosa stesse succedendo,
ma un momento dopo tutto le ritornò alla memoria.
Un sottile sospiro
di Manuel bastò per farle capire che anche lui era
sveglio.
Voltò la testa
verso di lui, il cuore iniziò a pulsare più velocemente.
Manuel era steso al
suo fianco, gli occhi vuoti fissavano un punto indefinito del soffitto, tristi e
ancora lucidi. Il corpo di Viola era bagnato dalle sue lacrime, adesso quelle
scie sulle sue braccia sembravano scintillare sotto la soffusa luce della
luna.
La pioggia cadeva
ancora fitta e silenziosa, ma non c’era più lampi, né tuoni. Il solo rumore
udibile era il ticchettio della pioggia sulla strada, trasparente ed
invisibile.
-
Era…era solo un
sogno, non é vero?- mormorò Viola, con la voce impastata di
paura.
Manuel non si
mosse, non parlò, restò lì, fermo, con gli occhi fissi al
soffitto.
-
Manuel…- Viola lo
scosse mentre la voce diveniva più ferma, Manuel chiuse gli occhi e nuove
lacrime coprirono le sue guance.
Oh no, non era un
sogno.
Era
vero.
Lo portavano
via.
-
Non…può…essere…-
Gli occhi di Viola
si riempirono di lacrime, il corpo iniziò a tremarle.
Lentamente Manuel
si mise seduto come lei, chiuse per un attimo il viso tra le mani controllando
il suo respiro.
-
E’ una bugia! E’
una bugia, non é vero?-
Viola gli poggiò
una mano sulla guancia, Manuel si voltò verso di lei.
-
No, Viola, non é
una bugia. Adam mi porta via dall’Inghilterra domani-
Quelle parole
lacerarono il cuore di Viola come se fossero taglienti. Un dolore impetuoso la
prese al petto, sentì il respiro bloccato in gola e le lacrime iniziarono a
scendere sul viso.
-
Non é possibile…non
può farlo… perché, Manuel? Dove ti porta? Non può farlo, lui
non…-
-
Erano tutti
d’accordo…i miei genitori…lui, e anche Susan…sua moglie…lei é già lì,
in…Francia…-
-
Cosa stai dicendo?
E’ una follia! Ti rendi conto di quello che dici? Non é possibile che succeda
una cosa del genere…-
-
Non mi danno scelta
-
-
Ma tu non puoi
andartene…Manuel, mio Dio, perché vuole farlo? Cosa vogliono
fare…?-
-
Ricordi la storia
del viaggio di Susan, e quella di Annie?
-
Si
-
-
Era lì che stava
andando, già, proprio lì -
-
Cosa…? Io non
capisco…cosa c’entri tu in tutto questo? Perché Adam vuole portarti
lì?-
-
Da quando é…é
successa la storia di Annie lui…lui ha parlato con Susan, adesso…adesso vogliono
che io vada lì, dicono che mi farà bene, non so altro, io…non sono riuscito ad
ascoltare, non voglio ascoltarli…-
-
É impazzito! Come
gli viene in mente una cosa del genere? Ma non ci pensa alla tua vita? Eh? Non
ti ha neanche interpellato nella decisione! Ma che razza di uomo é questo? E
cosa mi dici dei tuoi genitori? Anche loro hanno detto di si? I tuoi genitori ti
mandano in Francia con lui?-
Manuel si coprì gli
occhi cercando di far cessare le lacrime dal suo viso.
-
Io non voglio
andarmene…non ti voglio lasciare…-
-
Manuel…-
Viola lo abbracciò,
Manuel affondò il viso tra i suoi capelli.
Per momenti che
parvero interminabili continuarono a stringersi.
-
Perché non me l’hai
detto subito…?- sussurrò Viola mentre le lacrime continuavano a sgorgarle dagli
occhi.
Manuel le accarezzò
il volto tentando di portar via le lacrime, abbassò lo
sguardo.
-
Come potevo dirlo a
te se non volevo dirlo neanche a me stesso…-
-
Ma abbiamo fatto
l’amore…-
-
E tu eri
felice-
-
Ma se me l’avessi
detto sarei stata consapevole che é stata l’ultima volta-
-
Ma saresti stata
così felice? No, avresti pianto –
-
Tu hai
pianto-
-
Lo sai che avrei
pianto comunque,- Viola abbassò lo sguardo tentando di smettere di piangere,
Manuel cercò di abbozzare un sorriso, sfiorò con la punta delle dita le guance
di lei, - e poi non é stata l’ultima volta-
Manuel le baciò la
fronte, Viola chiuse gli occhi mentre stringeva ancora le sue
mani.
-
Quanto tempo ci
resta da passare insieme?-
Lei alzò lo
sguardo, la voce le tremava.
Gli occhi di Manuel
parevano vuoti, Viola vedeva scorrere in quegli occhi momenti e situazioni
appartenenti al loro passato. Non era cosciente, sapeva di non esserlo. Una
parte di se continuava a ripeterle di star vivendo in un incubo, presto si
sarebbe svegliata e avrebbe scoperto che non stava succedendo davvero. Come
poteva succedere così, tutto da un momento all’altro? Era così che doveva andare
a finire? La scoperta più grande della sua vita, la persona più importante della
sua vita se ne sarebbe presto andata?
E cosa ne sarebbe
stato di loro? Di tutto quello che avevano condiviso?
Una leggera musica
iniziò a suonare nel cervello di Viola, ad allietare i suoi ricordi come una
mamma che culla un bambino che piange e non la smette. Perdeva coscienza ad ogni
minuto che passava, perdeva voglia di vedere la realtà ad ogni secondo che
attraversava il buio di quella stanza.
-
Questa é l’ultima
notte. Domani mattina partirò-
Le parole di Manuel
erano di nuovo come lame taglienti nel suo petto.
La musica nella sua
testa aumentò di volume, adesso anche Manuel la sentiva. Mentre nella testa di
Viola la musica si comportava come unica componente capace di rallegrare un
povero matto rinchiuso in una stanza da anni ed anni, nella testa di Manuel la
musica cullava la sua impotenza.
Non c’erano state
lacrime o preghiere che avevano fatto cambiare idea ai suoi genitori o a Adam.
Desiderava con tutto se stesso non aver mai scoperto niente, esser rimasto
nell’oscurità di quel segreto che gli aveva cambiato la
vita.
-
Sento la tua
musica, Viola- sussurrò Manuel, avvicinando le labbra alle sue
guance.
-
Significa che sto
per impazzire-
Non era una
domanda, e non era neanche una frasetta esitante. La musica cullava la lucidità
di Viola attraverso la sua agonia.
-
Sto pensando…sto
pensando che…ci sono moltissime cose che vorrei ancora
dirti…-
Le parole di Viola
sorvolavano la sua anima, correvano attraverso il suo corpo. Manuel chiuse gli
occhi e sospirò.
-
Per favore,
abbracciami. Abbracciami, pensa che questa notte sarà
infinita-
-
Infinita…-
-
Già,
infinita-
Viola poggiò stanca
la testa sulla sua spalla, Manuel prese ad accarezzarle i capelli lentamente.
Dalle nuvole si facevano largo alcuni raggi di luna; cadevano sull’asfalto e
colpivano i vetri delle finestre del seminterrato.
Manuel prese a
muoversi leggermente come per cullarla, Viola teneva gli occhi chiusi e le
lacrime bagnavano le sue spalle.
-
Guarda, Viola, le
nuvole hanno fatto spazio alla luna…-
-
Non voglio
vederla…-
-
Significa che
domani ci sarà il sole-
-
Sole?-
-
Già. Domani ci sarà
il sole-
…
Era stato
esattamente il ventiquattro novembre. O no, forse era qualche giorno prima… oh
si, di certo. Forse il venti. Venti novembre, doveva essere stato uno di quei
giorni. Di sicuro intorno quella data, si, di certo, non poteva essere stato più
tardi, quando era iniziato dicembre Viola ricordava di amarlo
già.
Che giorno era
oggi?
Oh, non lo sapeva.
Numeri scorrevano nella sua testa, non aveva la prontezza di prenderne neanche
uno.
Iniziò a sospirare
rumorosamente, dondolò la testa avanti e indietro quasi come se quel movimento
l’aiutasse a familiarizzare col silenzio nel quale era
avvolta.
Quella notte si era
riaddormentata cullata dalle lacrime e dalle braccia di lui, ma quando si era
svegliata il sole era già alto nel cielo di quello squallido primo giorno di
vacanze natalizie e lui non c’era. Al suo posto c’era un foglio bianco piegato
in due parti, lei lo aveva immediatamente aperto con le mani
tremanti.
“C’é
il sole, come ti avevo detto. Ci vediamo a mezzogiorno all’incrocio della
Settima Strada. E so che ti stanno tremando le mani, ti prego, non
tremare.”
Il
biglietto non era firmato ma Viola avrebbe riconosciuto la sua grafia ovunque.
Era la solita serpentiforme ma elegante, e non c’era neanche una sbavatura.
Aveva stretto il biglietto al petto come se potesse contenere un pezzo di lui,
sfiorò e baciò quelle parole. Si sentiva prossima a perdere la ragione.
Si
era alzata mentre le gambe quasi non la reggevano e silenziosamente aveva salito
le scale lasciando i vecchi vestiti sul pavimento del seminterrato, aveva fatto
attenzione a non farsi scorgere né da sua madre e né da Janine e si era chiusa a
chiave nella sua camera. L’odore di pulito della stanza sembrava più forte del
solito, Viola aveva iniziato a sentire la testa girarle, ma sapeva che non
c’entrava niente l’assente odore della sua camera. Aveva posato delicatamente il
biglietto sulla scrivania e aveva aperto l’armadio con decisione. Era stata lì
per più di qualche minuto come se si trovasse di fronte all’armadio di una
sconosciuta, fissando i vestiti come se non fossero i suoi e come se non sapesse
cosa farsene, poi una lampadina parve accendersi nella sua mente e iniziò a
scavare tra gli abiti avidamente. Nel giro di pochi secondi il pavimento era
ricoperto di indumenti e Viola continuava a buttarli tutti fuori come se niente
di quello che toccava appartenesse a lei. D’un tratto afferrò uno dei suoi jeans
e lo guardò con soddisfazione. Lo strinse tra le mani, una smorfia che voleva
essere un sorriso comparve sulla sua faccia e posò il pantalone sulla scrivania
accanto al biglietto delicatamente. Poi la luce sparì dai suoi occhi e
ricominciò a buttar via tutte le maglie dai cassetti dell’armadio. Ci mise forse
una manciata di secondi per svuotare tre cassetti, fin quando non trovò quello
che cercava, un golfino azzurro. Lo guardò con la stessa smorfia con la quale
aveva guardato il pantalone e poi lo poggiò accanto ad
esso.
Guardò
con soddisfazione il completo che aveva davanti agli occhi non curandosi della
situazione di totale disordine nella quale aveva lasciato la
stanza.
Erano
quelli i vestiti che aveva il giorno in cui si erano parlati per la prima
volta.
Sorrise,
stavolta il sorriso sembrava più reale eppure gli occhi continuavano ad essere
vuoti.
Con
morbosa delicatezza afferrò gli abiti prescelti e li indossò velocemente, poi
facendosi largo tra i vestiti sparsi sul pavimento si guardò allo
specchio.
Il
riflesso aveva righe lucide sulle guance, i capelli spettinati che scendevano
sulle spalle e le labbra pallide.
Viola
si guardò per qualche minuto non riconoscendosi, tentò di associare l’immagine
nello specchio alla ragazza che aveva parlato con Manuel per la prima volta
intorno al venti novembre, piegò la testa da un lato e con un risolino
fastidioso si voltò e tornò alla scrivania per prendere il suo biglietto.
Afferratolo, non si curò affatto di rimettere in ordine la stanza e così come
era salita in camera riscese di nuovo nel seminterrato, - in casa non c’era
nessun rumore, era certa che la mamma e Janine fossero
uscite.
Chiuse
a chiave la porta del seminterrato e si avvicinò strisciando i piedi per terra
fino al pianoforte, lanciò uno sguardo severo ai vestiti sul pavimento come se fossero
rifiuti da buttare e si mise a sfogliare velocemente tutti i libricini allineati
sul pianoforte. Oh, ma sfogliandoli ordinatamente non avrebbe mai trovato quello
che cercava! Così come era accaduto con i vestiti accadde anche con gli
spartiti: in meno di un minuto erano tutti sparpagliati sul
pavimento.
Quando
finalmente afferrò quello che stava cercando con foga, si appropinquò al divano
e si accoccolò su di esso non curandosi affatto di aver calpestato ogni altro
libro di musica.
Adesso
stringeva tra le mani il libro di Bach e tentava di ricordare ogni attimo
passato con lui.
Dopo
circa un quarto d’ora, la follia iniziò a scemare e si preparò a ritornare la
disperazione.
Nuove
lacrime stavano già per farsi strada nei suoi occhi quando il telefono poggiato
sul piano iniziò a suonare.
Viola
lo guardò inespressiva per la durata di tre squilli, come se si trattasse di un
oggetto alieno messo lì per caso, poi si alzò e lo
raggiunse.
Lo
prese nella mano destra e se lo portò all’orecchio.
-
Chi
é?- chiese, con la voce roca di chi non parla da secoli.
Una
voce molto più tranquilla e molto meno roca rispose dall’altro
lato.
-
Ciao
Viola. Sono Adam -
Viola
abbassò lo sguardo e tentò di controllare la rabbia che le faceva ribollire il
sangue.
-
Adam…-
biascicò con la stessa voce roca di prima.
Sentì
un sospiro dall’altra parte del filo.
-
Capisco
che forse non sono la prima persona che tu voglia sentire adesso,
però…-
-
Oh
si sbaglia, Adam, - lo interruppe Viola addolcendo la voce, - avrei trovato io
il modo di parlarle. Per dirle che é la persona più spregevole che sia mai
esistita-
La
voce di Viola era ferma, si sentì un nuovo sospiro.
-
Non parlare in
questo modo per favore-
La voce di Adam era
soffusa.
-
Ah no? E cosa
dovrei fare? Ringraziarla? Lei non si rende conto di quello che sta
facendo-
-
Viola, tu dovresti
capire …-
Lo sguardo di Viola
si sollevò leggermente.
-
Lei me lo sta per
portare via! Questa é l’unica cosa che riesco a capire!-
-
Lui ha bisogno di
questo-
-
No, lui ha bisogno
di stare qui e vivere una vita normale, la vita che
vuole!-
-
Io ho parlato con
sua madre e…-
-
Non mi interessa!
Avete preso delle decisioni senza interpellarlo e senza rendervi conto delle
conseguenze!-
-
Tu sei sconvolta
Viola,- sussurrò, tentando di farla calmare, - sei fuori di testa, per questo
parli così-
-
Non provi a darmi
della matta! Parli con Manuel, e se ha davvero il coraggio di rivolgergli la
parola gli chieda come si sente a lasciare l’Inghilterra! Lo porterete via da me
per sempre, io vi odio! La odio, Adam, mi ha sentita bene? Io la
detesto!-
-
Viola…-
-
Come ha osato
telefonarmi?-
-
Non potevo non
farlo, Viola-
-
Finirò con
l’impazzire. Senza di lui é come se non esistessi. Me lo porti pure via se ne ha
il coraggio, lo faccia Adam. Avanti, sto aspettando. Lo prenda e se lo porti
via, prendete un aereo e volate a Parigi, é lì che vuole andare vero? Non
importa, fosse anche in Kenya, se ne vada via davvero. Attacchi questo dannato
telefono, vada a prendere Manuel e partite-
Un sussulto partì
dal corpo di Adam, gli occhi gli si fecero lucidi.
-
Sei un’anima
innamorata, io non posso farti guarire, - mormorò quasi come se parlasse a se
stesso, - ma io devo fare la cosa giusta. E anche tu sai che questa é la cosa
più giusta-
Una nuova ondata di
lacrime rigò il viso di Viola.
- Non piangere ti
supplico,- riprese a dire lui dopo un attimo, - ti prometto che oggi, quando
verrò a prenderlo, non uscirò neanche dalla macchina. Resterò lì, con i fari
spenti, aspettando che lui possa passare gli ultimi attimi con
te-
-
La smetta, Adam
-
-
Un giorno mi
capirai-
-
Lei non ha un
cuore-
Viola non aspettò
neanche che Adam potesse replicare, chiuse la telefonata e piangendo buttò il
telefono a terra e si chiuse il viso tra le mani.
…
Nessuno avrebbe mai
detto che fosse davvero mezzogiorno.
Il sole era stato
oscurato da qualche nuvola passeggera, tirava un vento freddo e le foglie degli
alberi danzavano qua e la portate dalla gelida brezza; la strada era deserta e
tutto taceva.
Manuel alzò gli
occhi verso la strada di fronte a lui e la vide arrivare.
Gli parve che il
cuore avesse cessato di battere, lo stesso cuore che aveva avuto la sensazione
iniziasse a vivere solo dopo averla incontrata.
Si avvicinava a
piccoli passi, aveva la lunga giacca grigia che ridisegnava il suo corpo, le
mani stese lungo i fianchi e i capelli al vento, che si sottraevano alla lunga
sciarpa rossa per danzare insieme alle foglie.
Manuel non riusciva
a vedere i suoi occhi, ma non aveva bisogno di vederli per capire cosa stava
provando. Più si avvicinava, più la lama penetrava in profondità nel suo
cuore.
Stava succedendo
tutto troppo velocemente.
Quando finalmente
Viola fu ad un solo passo da lui, gli lanciò le braccia al collo e restò in
silenzio per qualche minuto mentre lui la stringeva a se e la cullava
lentamente.
-
Viola…-
Viola sciolse
l’abbraccio e lo guardò negli occhi.
-
Non dovevano fare
questo, Manuel, non dovevano- mormorò lei mentre sentiva gli occhi
pizzicarle.
Manuel abbassò la
testa, le strinse le mani.
-
Tu sai che non
potrebbe mai finire così-
-
Lui ti porta via,
Manuel, questo lo sappiamo entrambi-
Una lacrima scese
sul viso di Viola.
-
Ti prego, Viola…, -
Manuel scrutò il suo sguardo sofferente, le strinse di più le mani, - voglio che
tu sappia che…-
-
…questo é il nostro
addio...-
Viola chiuse gli
occhi lasciando che calde lacrime scendessero sulle guance, Manuel scosse la
testa come in preda ad un aggressivo spasmo.
-
No, Viola, non é un
addio –, le prese il viso tra le mani e portò via le lacrime che bagnavano le
sue guance, - noi non ci diremo mai addio-
Viola alzò lo
sguardo verso di lui, vide i suoi occhi vuoti, lo sguardo estraniato eppure
apparentemente placido.
-
Tu te ne stai
andando, Manuel, e chissà se ci vedremo di nuovo, chissà dove andrai, e io sarò
qui, da sola, e...-
-
Viola, mio Dio, non
dire queste cose-
Il tono della sua
voce era rotto dal pianto. In un attimo anche gli occhi di lui furono pieni di
lacrime e mentre queste scendevano rigandogli il volto arrossato, non smetteva
di tenere le guance di lei nelle sue mani e a mantenere l’espressione
impassibile.
-
Noi non ci diremo
mai addio, Viola, anche se saremo lontani, tu non dovrai fare altro che
pensarmi, e sarà come se fossi sempre stato con te-
-
Cosa direbbe il Re
adesso?-
Manuel la fissò per
qualche secondo, gli occhi gli si riempirono nuovamente di
lacrime.
-
Piange come noi -
mormorò, in un sussurro appena udibile.
-
Sta odiando Adam,
ecco cosa sta facendo. Lui aveva ordinato che noi potessimo stare insieme per
sempre, e Adam gli sta disubbidendo. Inizio a credere che il Re non abbia più il
suo potere-
-
Oh no, questo non é
vero, - Manuel le strinse le mani, le avvicinò a se, - il Re ha deciso che noi
ci ameremo per sempre e così sarà, Viola. Non ci credi più? Non credi più che
sia lui a decidere di noi? Ricordi quel che ti dissi? Anche se saremo lontani,
il Re non torna indietro nella sua decisione. Devi fidarti, lui lo sa, e lo so
anche io-
Socchiuse gli occhi
come un tentativo di fermare le lacrime; sospirò, passò una mano tra i capelli
di lei.
-
Io non posso vivere
senza di te, Manuel –
-
Neanche
io-
Viola iniziò di
nuovo a singhiozzare, poggiò la testa sul suo petto e lo strinse forte, come se
quell’abbraccio avesse potuto avere la forza di non lasciarlo partire
mai.
Le lacrime parvero
calmarsi per un istante, la vicinanza del calore del suo corpo ebbe per qualche
attimo la forza di far cessare il fuoco che le stava divorando il cuore e le
lacrime persero la loro intensità. Iniziò a parlare con voce sommossa,
sospirata, con gli occhi chiusi, strofinando la testa contro il suo petto.
-
Non andare via,
allora, resta qui. Non succederà niente se resti, non puoi fare una cosa se non
vuoi farla, vero? Nessuno deve costringerti, neanche i tuoi, Manuel, neanche
loro... cosa mi succederà? E cosa succederà a te? Perché ci succede questo...?
Io non sono niente senza di te, sarebbe inutile la vita, e
tutto...-
-
Viola...-
Viola alzò lo
sguardo, lo sguardo di lui era di nuovo apparentemente tranquillo, con gli occhi
che bruciavano di dolore.
-
Ascoltami Viola, io
ti amo. D’accordo? Io ti amo, e amo tutto di te... molto più che il tuo sorriso,
la tua pelle, del tuo modo di ridere, di tutto quello che qualunque persona
potrebbe amare nell’altro. Io amo tutto quello che pensi, tutto quello che
provi, la tua anima, amo il movimento dei tuoi pensieri quando colpiscono il mio
corpo, amo le luci che si sprigionano dalla tua mente, amo la tua anima quando
parla l’amore in una lingua che non può essere né spiegata e né tradotta...tu mi
hai fatto capire cosa sono davvero io, tu mi hai fatto rinascere e accettare
tutto di me solo e semplicemente esistendo. Potrebbero passare mille o duemila
anni, io non amerò mai un’altra, non desidererò mai di stringere un’altra, di
baciare un’altra, di guardare negli occhi un’altra, e devi credermi, - sospirò,
abbassò lo sguardo, poi le accarezzò le guance, - da quando ci siamo conosciuti
vivo solo per te e non rimpiango niente-
Le lacrime di Viola
cadevano leggere sulle mani di lui senza più un gemito.
Erano soltanto
l’espressione della sofferenza del corpo, espressione del dolore che provava la
sua anima al solo pensiero della loro separazione. E quel dolore invadeva anche
tutti i loro ricordi; il tempo che avevano passato insieme, i momenti che
avevano condiviso, le emozioni di cui lo aveva sentito parlare, il modo in cui,
diversamente dal mondo, si erano guardati dentro.
I loro occhi si
incrociarono, il vento soffiò più forte.
- Fare l’amore con
te é stato bellissimo- mormorò dopo un attimo stringendole ancora il viso, - non
lo dimenticherò mai-
Manuel socchiuse
gli occhi per un istante, sentì le lacrime che affioravano di nuovo nell’anima
di Viola e nei suoi stessi occhi.
-
Ma io...io voglio
fare di nuovo l’amore con te, - prese a dire lei di nuovo tra i singhiozzi, -
tante volte, per sempre, voglio restare accanto a te per
sempre...-
Manuel le sfiorò le
labbra con le sue.
-
Guardami,
Viola-
Viola socchiuse gli
occhi, Manuel le alzò il volto verso il suo; i loro occhi si incrociarono di
nuovo. Le lacrime di Viola continuavano a rigarle il viso, parevano essere un
tutt’uno con quel volto.
-
Non piangere ti
prego-
-
Come faccio a
smettere? Come posso fermarmi se so che questa é l’ultima volta che ci
vedremo?-
-
Non é
così-
-
Stai mentendo a te
stesso, lo sai che non ti faranno più tornare!-
Manuel fu preso da
un spasmo di dolore. Il cuore gli si riempì di risentimento, paura, sofferenza,
strinse gli occhi come per impedire a se stesso di tremare, eppure non ci riuscì
del tutto. Le mani iniziarono lentamente a vibrare, il pianto di Viola era come
un vento dentro il suo corpo che faceva dondolare quei sentimenti.
Non sarebbe più
tornato a Brighton, forse era vero. Nonostante sia sua madre che Adam gli
avevano promesso che avrebbe fatto ritorno, c’era dentro di loro qualcosa che li
tradiva. Avrebbero dovuto imparare che con lui le bugie non valgono niente. Sua
madre viveva da sempre con lui, non aveva forse capito che ormai lui poteva
capirle, certe cose? E Adam, che lo studiava addirittura, neanche lui era stato
così intelligente da capire che le bugie erano da elidere?
Manuel aveva capito
che l’istinto di mentire era più forte di qualsiasi
consapevolezza.
Avevano mentito per
farlo star meglio, per illuderlo che l’avrebbero riportato da Viola un giorno,
ma neanche loro ne erano sicuri. Dentro di loro aleggiava l’amarezza, la pena.
Forse avevano capito che lui l’amava, l’amava veramente. Avrebbero mai avuto il
brutale coraggio di separarlo da lei per sempre? Sentiva il cuore
scoppiargli.
Viola lo fissava,
aveva gli occhi appannati ancora dalle lacrime e il viso
rosso.
-
Stai tremando-
mormorò, prendendogli le mani.
-
Ti amo, Viola.
Qualsiasi cosa succeda-
-
Non tremare ti
prego-
-
Ecco guarda, -
Manuel prese un piccolo contenitore rosso dalla tasca, - queste sono le lettere
che ti ho scritto, ti ricordi?-
-
Manuel…-
-
É arrivato il
momento giusto, amore, eccolo…siamo insieme, non vedi? Prendi queste
lettere-
Viola afferrò il
contenitore dalle mani tremanti di Manuel, non smetteva di
piangere.
- Oh, ma non
preoccuparti, amore, non preoccuparti, ti scriverò altre lettere. Sei mai stata
in Francia? Ti racconterò ogni cosa-
-
Perché non smetti
di tremare?-
-
E ti penserò in
ogni momento. Non dimenticherò niente-
-
Mi stai dicendo
addio non é vero? Adesso me lo stai dicendo davvero-
-
No-
-
Si-
-
Credimi non é
così-
-
Stai tremando
ancora-
-
Io non smetterò mai
di amarti, Viola-
Viola osservò nuove
lacrime scendere sul volto di lui, poggiò le mani sulle sue guance e lo baciò
con delicatezza, assaporando quelle
lacrime.
-
Anche io ti amo,
Manuel. E tu lo sai. Ti ho affidato le mie emozioni una volta e sono tue per
sempre-
Si abbracciarono,
Manuel affondò la testa tra i suoi capelli, lei chiuse gli occhi sulla sua
spalla, respirando il calore del suo corpo e la dolcezza del suo
abbraccio.
Il vento accarezzò
le loro figure e i loro capelli ondeggiavano con esso, le foglie secche degli
alberi si muovevano leggiadre intorno ai loro corpi e le nuvole iniziavano a
diradarsi. Dal fondo della strada apparve una macchina, i fari colpirono gli
occhi di Viola, lei si scansò; si coprì questi con il braccio, Manuel si
voltò.
I fari colpirono
anche i suoi occhi, poi la macchina si fermò a qualche metro da
loro.
I fari si spensero,
ma nessuno scese.
Dal vetro davanti a
loro entrambi riconobbero la figura di Joel, che teneva gli occhi bassi,
fissando qualcosa di indefinito. Fermo lì in quella macchina sembrava che stesse
aspettando l’avvento di qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita, con
l’espressione impassibile e gli occhi pieni di sofferenza.
Invece stava solo
aspettando che Manuel lo raggiungesse.
Come aveva promesso
a Viola, non scese e non parlò nemmeno. Restò lì, fermo come se non li avesse
visti, fermo come se fosse tutto normale.
Viola e Manuel si
guardarono, lui sfregò le mani sulle sue braccia, lei stringeva le sue come se
non volesse per niente al mondo lasciarlo andare.
Manuel lanciò
un’occhiata alla macchina, poi un’altra a Viola.
-
Adesso
é...-
-
Manuel...-
-
Devo
andare-
-
Ti
prego...-
Manuel le accarezzò
il viso e la baciò, scostandole i capelli dal viso.
-
Posso chiederti una
cosa, Viola?-
-
Tutto-
-
Ti prego,
sorridimi. Non ti chiedo altro, sorridi, che sei così bella quando sorridi! So
che con queste lacrime sul viso…beh, non é tanto facile…però sei bella lo
stesso…te l’ho mai detto che sei bella? Sei bellissima. E quando sorridi tutto
si illumina. Oh ecco, così…-, Manuel le alzò il mento con le dita, Viola abbozzò
un sorriso, - vorrei farti vedere quanto sei bella! Non smettere mai di
sorridere, amore, non piangere, okay? Ti fa male. Tu devi essere felice, noi ci
amiamo. Perché sei triste se ci amiamo? Non voglio vederti piangere amore mio.
Ti scriverò davvero. Te lo prometto –
Viola sospirò
dimenticando per un attimo tutte le lacrime che stava piangendo, lo guardò con
dolcezza lasciando cadere la sua angoscia.
-
Giurami che questa
non é la fine Manuel -
-
Non é la
fine-
-
Me lo
giuri?-
-
Ti
amo-
Viola ingoiò saliva
a vuoto, Manuel le baciò la fronte.
Il corpo di Viola
era come pietrificato, quello di lui era come la nebbia che lentamente spariva,
lasciando dietro di se l’ombra e l’atmosfera.
A piccoli passi
Manuel iniziò ad allontanarsi non smettendo di guardarla, le loro mani furono
costrette a lasciarsi.
Il cuore batteva
così velocemente che pareva fermo. Il dolore perforava i tessuti degli organi,
intrecciava pensieri e ricordi con le corde dell’anima, tirava i nervi del
cervello e pizzicava agli occhi, pungeva come spilli – il respiro diminuiva,
l’aria si appesantiva e solidificandosi non si lasciava afferrare; il petto
continuava a gonfiarsi e sgonfiarsi troppo velocemente, gli occhi erano
appannati, la bocca asciutta e le orecchie fischiavano.
Viola non ricordò
più niente di quel momento.
I ricordi
affievoliti della concretezza vissuta diventò solitudine, e la solitudine
diventò il suo diritto: malinconica condizione dell’essere a corto di se
stessi.
Il rombo di
un’auto.
“Ti
amo”
Fine.
Note:
Giungo dunque alla fine di questo
racconto, non avrei mai pensato di riuscire a racchiuderlo in quindici capitoli,
originariamente era molto più lungo. Manuel e Viola sono stati i compagni della
mia adolescenza, il primo racconto al quale ho dedicato anima e corpo e spero
davvero che questo finale “amaro” non vi abbia deluso, ma vi faccia sperare di
leggere dell’altro (non sono sicura, ma potrei scrivere anche un continuo).
Ringrazio con tutto il cuore le 27 persone che hanno seguito questo
racconto, le 7 che l’hanno inserita
nelle preferite, le 3 che l’hanno inserita tra le ricordate, e tutti quelli che
occasionalmente hanno commentato. Vi invito dunque ad esprimere infine il vostro
ultimo commento a questo capitolo, ditemi tutto quello che ne
pensate, sarebbe graditissimo. Vi invito inoltre a leggere altri miei
racconti.
A presto e grazie
infinite,
Lara
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