Dysturbia____ di Dadasopher (/viewuser.php?uid=70856)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il preludio con stile: La costellazione dei Personaggi. ***
Capitolo 2: *** Perditempo ***
Capitolo 3: *** Tra Diletti e Inganni congetturati. ***
Capitolo 4: *** Fatalità avverse o forse no ? ***
Capitolo 5: *** Kunstwerk ***
Capitolo 6: *** La pantomima della sublimazione amorosa ***
Capitolo 7: *** Vecchi parrucconi in potenza ***
Capitolo 8: *** Il dilemma del Porcospino ***
Capitolo 1 *** Il preludio con stile: La costellazione dei Personaggi. ***
dYSTURBIA____
{Una Tragedia Semiseria
in numerosi e confusi atti.}*
Rating:
giallo.
Pairing: ruki x ................. ???
Genere: introspettivo,
romantico, erotico
Disclaimer:
I personaggi di questa fan fiction non
mi
appartengono e tutto quello che ho scritto è
frutto della mia
mente. Tuttavia se ci dovessero essere delle minime somiglianze ai
personaggi reali questo non può che essere un fattore
estremamente
positivo, non vi pare?
«...lottammo
a denti stretti entrambi, lei contro il pavimento e
io contro
la perdizione, due “p” , principio
comune per futuri
fallimenti...».
Aggiungeteci pure un altro personaggio (in cerca di autore) a vostra
scelta. Bene, sappiate che non sarà mai in grado di battere
il terzo prescelto,
integrante della storia.
Buona
Lettura.
Il
preludio con stile: La
costellazione dei Personaggi.
Giunse sino alle mie
delicate narici un intenso puzzo di bruciato, spezzando l'equilibrio
mattutino della mia stanza dormiente: oltre che a coprire la costante
presenza di polvere accumulata sulle tende broccate (dalle fantasie
piuttosto pacchiane, per via della bassa qualità del
prodotto, dato
che la mamma le aveva prese in fretta e furia in un posto anonimo tra
una cicca e l'altra, pagando il meno possibile), questo nauseabondo
odoraccio interruppe e surclassò pure il ticchettio ameno
della
pioggia contro il vetro, ingrassato dai miei continui tentativi di
ricalcare il moto degli uccelli nel cielo. Nonostante il puzzo di
stantio fosse elevato lì dentro, quel nuovo odore
riuscì
inspiegabilmente a sovrastare il tutto; La sua natura era
inconfondibile, dato che potevo distinguerlo tra la mistura
indefinita di sapori/odori che mi si erano appiccicati su labbra e
dita.
Così alzai metà busto,
giusto per coglierlo totalmente e arricchire il mio panorama della
sfera olfattiva. Era caramello fuso, probabilmente sgocciolato
chissà
da quale tegame; l'unica cosa certa era che adesso mi arrivava
direttamente in viso, impregnandolo di uno schifoso appiccicume. Lo
sentivo posarsi sulla mia pelle, invaderla ed ungerla fino alle
clavicole, con un tocco di indecenza.
Strofinati gli occhietti
scuri con le mie ditina grassottele mi diressi verso la fonte, che
credevo essere erroneamente mia madre. E come ho sottolineato
poc'anzi, il fautore di tutto quel susseguirsi di travasamenti/
rumori molesti non era una figura piacevole alla vista,
bensì
qualcuno di cui non conoscevo proprio nulla.
Se lo avessi analizzato
con gli occhi di un moralista, ve lo avrei descritto come un burbero
quarantenne incline all'indecenza, e qui metterei sotto la vostra
attenzione i boxer cadenti e una pelle flaccida e antiestetica sul
punto vita, ma siccome mi ritengo tutt'altro che tale, preferisco
darne un ritratto ancor più pittoresco, quasi sfociando nel
blasfemo.
Apparte il fatto che
ancora non mi capacito come mia madre riesca a portare in casa certi
elementi sbagliati, e poi diamine, non ti accorgi che quel diavolo di
un codino è passato di moda tra i "vecchi" della tua
età?
Questa proprio a mia madre non gliela passo! E poi guardate un po'
come impugna quella povera creatura, una volta conosciuta come
"tegame" e mi riferisco in particolare all'altro giorno
quando aveva ancora un sesso definito (sempre considerando il fatto
che i tegami ne abbiano uno), vogliamo poi osservare con quanta non
chalance porta le sue mani sulla parte posteriore e trae conforto da
una grattatina? Insomma mai gli avrei dato un centesimo a quel tipo
lì.
- Lascia qui-
commento dall'enormità della XL , che tra l'altro mi arriva
ai
piedi, parendo un piccolo uomo abbandonato al suo mondo di stoffa
nero; Ma se vogliamo fare una storia di quell'indumento potrei pure
dirvi che apparteneva a mio padre.
-Mmm ?- mi squadrò
dalla testa ai piedi, con la tipica aria dei conquistadores spagnoli
alla vista di un indigeno di colore. E notare qui l'indignazione
dipingersi sul suo volto. Ah cari e vecchi vincoli sociali ormai
surclassati! Aggiunse una frase sconnessa a quel mugolio scocciato di
un attimo fa - Che cosa vuoi moccioso?- da notare
è con quale
amorevole tono ha interpellato la mia persona, voglio dire, neanche
di fronte a un imperatore ci si rivolge con tanta sopraffina
gentilezza!
In risposta mi venne
naturale uno sbuffo altrettanto reale, seguito da un discorso
interrotto sul più bello dalla voce stridula di un terzo
cortigiano.
E qui la situazione rasentò il paradossale.
-Senta signore, non so
chi l'abbia invitata qui dentro, ma è cortesemente pregato
di non
appiccare incendi, uno per la convivenza pacifica e due
perché non
si trova in casa sua. E detto in parole meno composite, MOLLA QUEL
DANNATO TEGAME E VATT...-
-Sono
pronte le crepes? Insomma quanto ti ci ...- un
altro
individuo si parò con l'imponenza di un metro e
sessantasette
davanti ai nostri occhi allibiti, e anch'egli sembrò reagire
allo
stesso modo nostro. Subito dopo usò l'arma dei dilettanti:
un dito
puntato contro di noi e la domanda retorica, come se fosse il padrone
di casa
-E voi chi diamine
siete?-
A questo punto credo che
sia naturale porsi degli interrogativi circa la provenienza di certi
elementi, e visto che siamo in tema riflessione, perché non
interrogarsi pure sul motivo di tale parata dell'idiozia? Non mi
soffermerò sulla descrizione vivida dell'ultimo giunto,
anche perché
è meno pittoresca dell'uomo al mio fianco.
Ovviamente tre presenze
maschili in un campo così ristretto a rigore di logica
richiede una
presenza femminile, da ritrovarsi possibilmente nei paraggi o
comunque non molto distante dal baccano sollevato.
-T A K A N O R I !-
urlò la paladina al sentore di una lite piuttosto vicina e
si fiondò
nella cucina lillà, anch'essa scelta per la convenienza e
non per il
gusto comune, che l'avrebbe senz'altro catalogata come kitsch e
annoverata tra le serie più anti estetiche dell'arredamento
anni 70.
Certo, mica potevamo permetterci qualcosa di economico risalente alla
nostra epoca super tecnologica! Ci si doveva ridurre al mobilio
retrò
e poco comodo di un'epoca ormai superata da un buon ventennio.
Comunque sia, torniamo
alla nostra scena buffonesca, che vede nel suo fulcro tre attori
principali, con un intervento posteriore della bellissima signora
"ciabattona so tutto io" e della sua amabile vestaglia rosa
confetto ( oddio almeno quella è guardabile ).
Come da copione l'attrice
recitò la sua grande sorpresa nel vedere tre individui
girovagare
per la cucina a un'ora tanto strana ( perché le signore
della sua
classe ritengono le nove del mattino un orario inaccettabile per quel
baccano) nel piccolo e ristretto spazio della cucina. Indignata ci
guardò uno alla volta, pretendendo di rimetterci in riga
sempre
nell'ordine precedente.
-Tu, piccolo
stronzetto non dovresti essere a scuola già da un'ora?
Muoviti e
vatti a vestire! Facciamo i conti dopo!-
con quale
dolcezza materna mi aveva suggerito di prepararmi, senza negarmi la
prima colazione.
Il tono si fece più
grave nei confronti dei due uomini, giusto perché erano
conoscenti
di un certo rilievo. Gli altri dialoganti così chiamati al
dibattito, espressero il loro stupore e disapprovazione nei confronti
della rispettabile signora, ripetendo pedantemente come non sapessero
della mia esistenza e di come l'accordo fosse stato preso in
principio.
Ora pretendevo uno
sviluppo interessante e uso quel verbo per esprimere il mio desiderio
profondo, perché una storia che inizia in un certo modo,
necessita
di sviluppi altrettanto stravaganti.
Questa è una delle
motivazioni per cui non sono mai scappato da qui per cercare una vita
migliore altrove. Il discorso sarebbe veramente lungo,
poiché dovrei
innanzitutto spiegarvi qual è la mia storia e poi date le
dovute
premesse munite di esempi, inoltrarmi nel vivido della vicenda. Ma
detto tra me e voi, non ho assolutamente voglia di ricordare lo
squallore dei vecchi tempi, anche se ci sono stati dei momenti
"indimenticabili".
Spiando la vicenda da un
angolo del salotto, nascosto dietro la poltrona verde bile dalla
fantasia interpretabile a seconda dell'umore (e quindi di dubbio
gusto), seguii lo svolgersi fino alla sua fine.
Non mi dilungo sui
particolari della scenografia e tanto meno sugli indumenti rimasti
addosso ai protagonisti, giusto per lasciarvi il beneficio del dubbio
in testa, e giungo direttamente alla fine.
So solamente che su quel
tavolo non ci mangerò più. Parola di Matsumoto
Takanori.
Fui attento a non farmi
vedere mentre me ne fuggivo da quel manicomio variopinto, sapete non
vorrei beghe e rimproveri per quello che si è consumato la
dentro, e
giunsi nella mia adorabile stanzetta di figlio "dedito e
amorevole". In realtà questa è tutta una
copertura per
apparire a voi, miei cari ascoltatori o lettori o sventurati che
siate (perché per fermarvi a sentire le mie storie dovete
essere
anche voi dello stesso calibro di quelli lì di cui prima
avete avuto
l'onore di conoscere gli intrighi oppure non avete nulla da fare), il
soggetto più "integro" di tutti, per quanto possa esserlo
in realtà.
Il caso ha voluto che
quello fosse il momento della verità.
NdA:
- Tragedia Semiseria:
solitamente si è soliti trovare l'espressione cristallizzata
“Opera Semiseria”, riferendoci al genere d'opera
tra il serio e il buffo molto in auge in Francia, Italia e Germania a
partire dalle ultime decadi del'700. Ho mantenuto la struttura: un
personaggio buffo, un intreccio quasi patetico e il finale dovrebbe
essere lieto...vedremo qui come andrà a finire, niente
spoilers ù.ù”
**
Una ulteriore
precisazione: ho iniziato questo pseudo racconto un po' di mesetti
fa, prendendo spunto dall'esperienza personale e adesso che ci sto
ancora lavorando continuo a sentirlo mio (il che è un fattore positivo, visto che ogni mia long fic mi schifa nell'animo ahhahaah)
Anche se non è ancora finita
(seppure abbia la trama già scritta in mente) ci tenevo a
pubblicarla oggi, data importantissima
per me.
Questo primo capitolo non
è niente in confronto a ciò che
verrà... aspettate e vedrete :D
Valja.
PS: [Дуроку поэту] è dedicata a te,
stupido Pseudo poeta, te la sei proprio meritata.
Con affetto,
"quella" che usi chiamare "Valjushka".
|
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Capitolo 2 *** Perditempo ***
Perditempo.
15
Maggio XXXX*
«Benedetto
sia 'l giorno e'l mese e l'anno
e
la stagione e'l tempo e l'ora e'l punto
e'l
bel paese e'l loco ov'io fui giunto
da'duo
begli occhi che legato m'ànno
»*¹
Nonostante odiassi quei
piccoli spazi, terribilmente stretti e angusti, continuavo a
infilarci le dita insistentemente. Era uno spasso pregustarsi il
sapore dolce tra le labbra mentre ti affannavi tra i bordi ristretti
con il ditino grassottello per prendere il meglio. Chi di voi non ha
mai preso la parte più gustosa, insomma, il meglio del
meglio? Non
fate i furbi, tutti siete stati piccolini un tempo immemore,
probabilmente è un ricordo troppo lontano e disperso per
poterlo
ricordare chiaramente. Selezionare il “buono” e il
“cattivo”
direi che è naturale, specialmente quando ci si trova
davanti un bel
problema come il mio, voglio dire, chi mai non cercherebbe di avere
nella bocca calda tutto quel succo prelibato, che solo delle pareti
linde e accuratamente conservate possono contenere?
-E ora a noi due mio
barattolino di cioccolato!- avidamente passavo i polpastrelli
entro la concavità ripiena di quella dolce scioglievolezza
cioccolatosa, notando che non c'era nessuno avversario pericoloso di
fronte a me. Potevo tranquillamente starmene seduto lì a
quel tavolo
di granito grattato e sbizzarrirmi nei graffi sulla sua superficie,
tanto non poteva diventare più brutto di quello che in
realtà era.
“Traballava tutto,
era instabile come i nervi della mamma”
constatò la mia indole
ribelle al tatto contro quelle porosità sgradevoli e ruvide.
Ovviamente non potevamo permetterci di meglio di uno stupido tavolo
comprato in qualche improbabile discount, di luglio, per gli sconti
estivi. Il tipico giorno in cui la gente senza il becco di un
quattrino, come si dice nel gergo comune, faceva le file
chilometriche sotto il sole cocente e te lì, un puntino in
mezzo a
donne di mezza età scalmanate, ne uscivi con qualche livido
-se ti
andava bene- in caso contrario ti ritrovavi in scontri corpo a corpo
senza neanche volerlo. (E poi le senti lamentarsi dal medico per il
fatto che siano acciaccate!TSK!)
La mamma ripeteva sempre
che non c'erano abbastanza soldi nel suo portafogli, ormai era una
litania costante la sua. Tre parole messe in croce, che solitamente
assumevano la forma del rimprovero infondato, ogni volta che i miei
lineamenti femminei gli ricordavano la sua giovinezza o i miei occhi
profondi richiamavano ai suoi pensieri i problemi con papà.
Lo
sapevo troppo bene che invidiava la mia freschezza giovanile e
scommetto che avrebbe perfino venduto l'anima al diavolo per essere
gradevole alla vista quanto me!
Non accettava le profonde
"scavature" nel suo viso ai lati della bocca e intorno agli
occhi, non sosteneva la secchezza dei capelli tinti fino allo
sfinimento, come non tollerava la mia somiglianza congenita all' ex
marito. E soprattutto non aveva mai accettato che io fossi il figlio
di primo letto di una donna che non fosse lei. Ogni qual volta che mi
guardava, ci imprimeva disprezzo profondo rimarcando il suo concetto
di obbligo nei miei confronti. Da qui ne derivano una svariata serie
di conseguenze: non si è mai sprecata in cucina, tanto che
al
supermercato sceglie i prodotti surgelati in base al prezzo,
ficcandoli velocemente nel carrello senza verificare la
qualità;
preferisce concedersi più tempo nel reparto di cosmetica,
dove
conosce a menadito le ultime novità per ottimi risultati.
Ovviamente
il rifiuto per la cucina deriva da una serie di motivi frivoli, come
"mi si spezzano le unghie" oppure "mi si
impuzzoliscono i capelli"; passa ore di fronte alla televisione
seguendo quei programmi stupidi che ti inculcano idiozie nel capo
riguardo certe diete dimagranti, oppure esercizi di fitness per
rimuovere completamente in due settimane gli inestetismi della
cellulite.
Sapete, a volte credo di
recitare in una sit com americana, quelle in cui ci sono i soliti
personaggi sommersi da disavventure quotidiane-per colpa di emeriti
idioti- che quando arrivano alla fine non credono di aver vissuto
tanto intensamente. A un tratto, quando le distrazioni sono
diminuite, ti rendi conto che nella tua vita tra una scena e l'altra
non ci sono pause pubblicitarie ed è una scoperta nociva,
insomma è
la botta finale, sì, proprio quella che ti catapulta nel
mondo
crudo e nudo.
Apparte queste
constatazioni piuttosto deprimenti, sulle quali credo che sia meglio
sorvolare, pena uno stato acuto di isolamento da depressione, infilo
un'ultima volta il cucchiaino entro quel delizioso spazietto
limitato, gustandomi nuovamente il suo contenuto.
Questo è uno dei modi in
cui solitamente passo i lunghi pomeriggi piovosi, segregato in casa,
diviso tra l'aritmetica e un cucchiai di schifezze indefinite.
Naturalmente tutti gli
altri compiti per casa, che non riguardano la matematica e affini,
rimangono vuoti fino alla mattina dopo, tanto sono troppo stupidi per
me e non mi ci vuole mica tanto a riempirli con sgraziata grafia,
proprio per sottolineare che "il qui presente Takanori Matsumoto
li fa per grazia divina e con svogliatezza e non tanto
perché siano
un obbligo morale!"
L'unica materia altamente
degna di mia nota era l'aritmetica con le sue formule chiare e
concise. Ti presenta un quesito basilare e tu, con tutto il tuo
ingegno da bravo ometto, ti cerchi le tue soluzioni che ti porteranno
solo a una sola scelta giusta. Ora che ci penso, papà mi
diceva a
proposito delle scelte che un tizio, il cui nome ora mi sfugge, ma
pare fosse uno importante nell'Occidente (tipo Kierkegaard? **
*Kieerkegart? qualcosa di assurdo) che parlava sempre di scelte
giuste o sbagliate, poiché nella vita siamo posti sempre di
fronte
al bivio e una scelta è inevitabile "aut aut" , nevvero?
Fatto sta che questo
aveva già capito tutto della vita! è
terribilmente vero, anche io
nella mia condizione di minuscolo bipede insignificante so che quando
avrò una certa età, esattamente tra dodici anni
(oddio sembra
un'eternità!) sarò destinato a qualcosa e lo vedo
come un "mondo"
introiettato in uno più grande fatto di lavoro, una gentile
compagna e amici.
Sì, la prospettiva è
allettante!
-Ops!- una
gocciolina di cioccolata mi era caduta sulla equazione appena
ricopiata sul quaderno. Ci passai diligentemente la lingua sopra in
modo da portare via tutto quel ben di Dio di lì! Secondo me
la
diarrea non me la avrebbe tolta nessuno!
Comunque sia,
l'aritmetica a dirla tutta non mi entusiasmava più di tanto,
anche
perché le maestre dicevano sempre che ero un piccolo
genietto per le
cose di logica, anche se avevo la sufficienza tirata, il che
dipendeva dall'impegno che impiegavo durante le lezioni. Non era
colpa mia se trovavo tutte le lezioni noiose, insulse, banali e
finivo con l'addormentarmi oppure con il completare sudoku. E anche
le maestre si erano stancate di riprendermi, lasciavano perdere me,
il mio angolino solitario e le mie attività "illegali". Se
così mi catalogavano le maestre, chissà come mi
vedevano i bimbi.
Di certo non brillavo per "socializzazione".
Cosa dovevo dire a quegli
stupidi bambini? Non me ne fregava niente del calcio, delle figurine
da scambiare e nemmeno di altri argomenti allo stesso modo
stra-quotati tra uomini in potenza "comuni". A parte il
fatto che ci avevo provato a giocare a calcio, davvero, ed ero
piuttosto bravo a dirla tutta, però mi stava immensamente
fatica
rincorrere una palla. Diventava in un certo qual senso ripetitivo,
allora decisi di mollare tutto per rimanermene rintanato in casa, tra
le quattro mura di cemento armato (che di certo mi faceva poco bene)
e immaginarmi come fosse il mondo al di fuori del mio piccolo paesino
sperduto. Di come ad esempio si vivesse in una grande città,
di come
la gente potesse tirare avanti. Ma tutto mi appariva oscuro da quella
stanza obsoleta, dimenticata dal resto del mondo (e al contrario di
qualche decennio più tardi, non disponevo del potente mezzo
di
comunicazione chiamato internet né tanto meno del pc, quindi
ero
propriamente tagliato fuori).
Giorno per giorno il mio
pallore aumentava e non si trattava semplicemente di una gradazione
più chiara dell'incarnato, bensì di quel
inconfondibile segnale di
"inquinamento" spirituale derivato sia dalle mie deleterie
abitudini sia dalle sostanze nocive provenienti dai muri. [ Maggiore
imputato? La carta da rivestimento di bassa qualità,
acquistata
dalla mamma ovviamente al solito discount. Ragazzi, mia madre
è
sempre stata una donna dall' estremo savour-fair e a caccia perpetua
di sconti, anche del più piccolo centesimo
Che amarezza.
T A C C A G N A .]
Trovai successivamente un
rifugio sicuro nei libri di mio padre, seppure fossero molto
complessi. Sapete lui è laureato in Fisica quantistica e
nella
veloce fuga di casa si è dimenticato qualche manuale, a cui
la mamma
affibbia il nome di "libracci puzzolenti". Per me sono
l'unica prova di un mondo migliore, un mondo dove posso rifugiarmi
quando sono solo -sempre- anche se ci sono scritte cose piuttosto
incomprensibili per un bamboccio come me. Eppure tutte queste lunghe
espressioni fatte di numeri e lettere non mi urtano, né mi
mettono
rabbia per il fatto che non le capisco, anzi, mi rassicurano
perché
penso che un tempo molto lontano anche mio papà ha sfogliato
queste
pagine.
[L'unico contatto fisico
che ho con lui. Quando sento gli occhi bruciarmi con quel
senso
di oppressione pazzesco, afferro uno di quei manuali. Al solo
contatto con quella carta pregiata sto meglio, perché la
celluloide
è impregnata delle nostre ditate e so che in qualche modo ci
unisce]
D'altra parte come dovevo
riempire i miei pomeriggi inconsistenti?
Con quei filmetti
insulsi? Con le soap opera spazzatura alla TV? Mannò. Sapete
in un
certo senso odiavo quei film, allo stile di "Mamma ho perso
l'aereo", perché mostravano solo bimbi agiati e
viziati,
zucconi con una "Happy ending" assicurata. Probabilmente li
mandano in onda perché vanno incontro ai gusti del grande
pubblico
consumatore e soprattutto per ostentare la vita dei ricconi al
sottoproletariato che sopravvive con questi stipendi da cani; o
peggio : è la proiezione delle persone frustrate che
desidererebbero
vivere in quegli agi, ignorando l'aridità e la
falsità di quelle
pellicole.
Noterete che sono un
grande chiacchierone, ma se non lo faccio qui nella mia
pseudo-confessione dove è che dovrei raccontare le mie cose?
A chi?
preferisco di gran lunga il lettore casuale a qualche confessore con
la lingua lunga.
Passiamo oltre, oh,
discorrendo non mi ero accorto che le lancette segnassero le sei.
è
proprio vero che quando qualcosa ti prende non ti rendi minimamente
del tempo che scivola e ti strappa minuti di giovinezza. [Qui il
taccagno sono io, mi pare.]
Sfoggio una risata amara
per quello che ho pensato e che ovviamente si ripete per la stanza,
facendomi apparire come un ipotetico malato di mente (sottolineo il
fatto che fossi solo io lì dentro).
-TAKANORI!- un
urlo selvaggio squarciò il rilassante silenzio creatosi
intorno,
segnale che saremmo stati in principio due, ma che poi si sarebbe
formata una allegra combriccola di ubriaconi e donne di mezza
età
-con problemi ad accettare le righe d'espressività intorno a
occhi e
labbra.
-Seh, dimmi- mi
limitai a rispondere con uno pseudo-grugno, tenendo tra i molari il
matitone ormai sbucciato alle estremità per i continui morsi
a cui
era sottoposto quotidianamente. Ero ormai conscio di come sarebbe
finita la serata. La vecchia mi avrebbe detto col suo tono acido
"tieni, compratici la cena e esci con gli amici invece di tenere
il culo in casa tutto il giorno" mentre estraeva quei soldacci
dal portafogli pitonato, sempre di quel dubbio gusto ormai
caratteristico dei "Matsumoto" (cognome che peraltro non
aveva cambiato anche se era divorziata da papà), con l'aria
profondamente stizzita e quella perenne
disgustosa
sigaretta
in bocca.
-Takanori caro, senti
la mamma stasera ha organizzato una cena con delle amiche, vai a
comprarmi delle cose che mi sono dimenticata al supermercato per
cortesia-
rimasi sconvolto per quel
tono affettuoso che stava usando nei miei confronti.
Se avere due uomini al
proprio servizio per soddisfare "appetiti" maligni portava
a questo, allora per me se ne poteva fare anche dieci su quel lurido
tavolo.
-Sì, vado a cambiarmi
in fretta, tu lasciami un post it con quello che ti serve-
per la
prima volta fui anche io gentile con lei.
Fece bene a entrambi.
Infatti, mi sorrise.
Tuta sportiva fuori moda
di un bluastro appositamente sbiadito, infradito nere e t-shirt
contro la deforestazione. Che nerd ragazzi. Camminavo pacatamente per
i vialetti silenziosi della cittadina, illuminata da flebili raggi
pomeridiani ricordando al passante che stava giungendo sera, quando
la mia attenzione fu rapita dagli elementi tipici del paesaggio.
Certo che i miei
compaesani sono stravaganti nella loro piccolezza provinciale! Hanno
le villette a schiera alla maniera americana, muniti di non so quanti
metri quadrati di verde circostante senza farsi mancare barbecue,
gazebo e compagnia bella, e in giornate come queste, quelle che
staresti spaparazzato in spiaggia porcinamente, non organizzano
nemmeno cene all'aperto. Blasfemia, blasfemia oh miei lettori!
Io invece mi ci vedrei
tra qualche annetto dedito alla preparazione del barbecue, regalatoci
ovviamente dai genitori di lei, così perso ed entusiasta di
fare una
bella cena fuori con gli amici o in famiglia; lei che si occupa di
altre piccolezze domestiche e un pargoletto che scorrazza per il
giardino chiamandomi per mostrarmi come va in bici.
Divagando tra quelle
proiezioni future da grande bambinone, non mi accorsi proprio della
macchina (e neanche del suo conducente) che sfrecciava a grande
velocità per la carreggiata, anche se era impossibile non
farlo dato
che era un veicolo straniero e non la solita utilitaria triste.
Si fermò proprio qualche
metro più indietro di me e di conseguenza decisi di
arrestare il mio
moto per volgermi, curioso, e strappare delle scene di vita a questi
strani abitanti marziani. Dalla targa capii che era un forestiero:
veniva dalla grande metropoli, Tokyo.
Convenni che sarebbe
stato meglio nascondersi dietro l'albero appena poco più a
destra
rispetto alla posizione attuale che occupavo e così feci. Da
lì
scorgevo tranquillamente il tutto con la comodità di non
essere
visto da terzi occhi.
Con uno slancio vitale si
catapultò fuori dal macchinone notte un bel fanciullo, al
massimo
con venti anni sulla schiena, reso ancora più affascinante
dal
portamento austero e dignitoso unito all'inconfondibile camminata
sicura di ogni uomo che si rispetti.
Certamente qualsiasi
donna avrebbe fatto follie per un tipo apposto come quello, e deduco
che dal mazzo di rose bianche, ne aveva
già conquistata una,
magari della sua stessa portata.
Incrociai il suo sguardo
solo per un istante quando si era voltato nella mia direzione alla
ricerca di qualcosa. Ancora più determinato mi parve dagli
occhi
caliginosi e impenetrabili: vi rifulgeva una forza inaudita, una
temerarietà congenita di poche persone, forse lui era
l'unico a cui
appartenesse propriamente e sapeva esserle fedele. Non riuscii a fare
più inferenze di quelle che suggerivano i pochi elementi
raccolti
nell'osservazione e del resto non ne avevo neppure il tempo.
Poi conoscerete
l'evolversi a menadito: scese la ragazza, ci fu lo scambio di un
bacio e bla bla bla.
Ripresi il cammino
contrariato.
Non li invidio affatto
questi "ricconi". [Bugiardo] Ebbene sì, abitare in questo
viale che sto finendo di percorrere equivale ad avere nella busta
paga annuale molti soldini, non so di preciso quanti mila di yen
possano essere, però immagino che siano tanti. I poveri
sfigati come
noi, vivono nell'aria periferica fiancheggiata dagli inseparabili
casermoni industriali, estremamente antiestetici. Comincio a credere
che alla parola "Matsumoto" non possa associarsi niente di
positivo.
L'appartamento al mio
ritorno era invaso da una inaspettata e diffusa aria gioiosa: luci
pirotecniche nel soggiorno accompagnate da una musica ascoltabile
solo per le vecchie generazioni, palloncini sparsi qua e là,
gambe
diversissime calpestavano il pavimento ormai lurido e sorrisetti
maliziosi scambiati furtivamente da partner già impegnati,
ma non
per questo meno temerari nell'approccio.
Mi ci vollero quindici
minuti per giungere in cucina con quelle buste, in questo caso non
vanto le dimensioni della stanza che a dirla tutta sono modestissime,
bensì il caos che vi regnava dentro. Non sapevo che a madre
piacessero i luoghi affollati e pieni di tanta ilare
superficialità.
Ivi c'era il biondone
inciabattato, che per l'occasione s'era buttato addosso un vestito di
un arancio inguardabile tanto che a prima vista la scambiai per parte
dell'arredamento tipicamente matsumotiano (massì ormai ho
forgiato
pure l'aggettivo). La regina delle feste mi venne incontro tirandomi
le guance (cosa che odio) e ripetendo, per farsi sentire dagli altri,
che ero un bimbo così adorabile e carino, e mi prese le
buste dalle
mani. Gli altri approvarono in coro e mi riempirono di sguardi
compassionevoli e disgustosi. Sono sempre stato allergico a questa
attenzione falsa e pertanto salutati i convitati mi ritirai nelle mie
stanze.
Mia madre non si
preoccupò più di tanto, motivando quel mio
ingiustificato
comportamento spocchioso come un fattore di timidezza estrema. Ci fu
una seconda approvazione collettiva. Al che presi e alzai i tacchi
definitivamente.
Che carnevalata
irriverente si stava perpetuando in quel appartamento chiassoso.
Vanità straboccante
di vita,
Luci e rossetti ,
Rumori di tacchi
unicamente tirati fuori per l'occasione, e forse indossati per
qualche ricorrenza passata,
Risate risate risate
...
...
e
silenzio
notturno.
NdA:
*¹
Prima strofa di “Benedetto
sia ’l giorno, et ’l mese, et l’anno”,
del Canzoniere, (61) di Francesco Petrarca.
*15 maggio XXXX : Una
data che non ha scadenza temporale negli anni (XXXX) ma ha un limite
nei giorni. Maggio non è forse un mese perfetto per
innamorarsi?
**Kierkegaard:
Takanori ovviamente essendo un bamboccio nel capitolo non sa quale
sia lo spelling più adeguato, perciò per indicare
l'agrammaticalità
del significante ho posto un * antecedente alla parola errata.
Attraverso un
pallosissimo monologo interiore abbiamo conosciuto il nostro Takanori
preadolescente, preso da mille dubbi esistenziali e osservatore della
realtà circostante. È cinico e distaccato per
alcuni versi (e chi
non lo sarebbe in una situazione analoga?) ma estremamente sognatore
dall'altra (vedi pensieri sul futuro).
C'è già citato il terzo
personaggio (in cerca di autore). Non sottovalutato l'intreccio della
storia, non è così banale come può
sembrare ;D quindi...non vi
resta che seguire!
Dunque come avrete notato
il setting della storia è il Giappone, seppure non sia
calcato di
citazioni dotte dell'ambiente né di riferimenti di
vita/paesaggistici precisi. In primis, è una scelta legata
alle mie
conoscenze del Giappone (che non vanno oltre 4 o 5 cose a riferimento
storico, culturale note a tutti); pertanto preferivo non avere la
presunzione di descrivere il tutto in maniera realistica, dato che
non ci vivo e non conosco approfonditamente le cose/luoghi per farlo.
In secondo luogo, i personaggi hanno un legame particolare col posto
in cui vivono, che viene esplicitato dal punto di vista di Taka
(qui).
Bene, tengo a ringraziare
Guren che mi ha fatto dei bellissimi commenti :D sono curiosa di
sapere cosa pensi di questo piccolo frammentuccio di storia.
Alla prossima!
Valja.
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Capitolo 3 *** Tra Diletti e Inganni congetturati. ***
Tra Diletti e Inganni
congetturati.
***
Nessun anima può
realmente tangere la terra fertile, inumidita dalle macchie
grossolane sgocciolate dal cielo sgozzato.
Si è tinto tutto di
un rosso intenso, come se fosse stata combattuta una battaglia
strenua tra le forze antiche.
Una cesoia ha aperto
un taglio ben definito nella carne non ancora stellata, un tempo
celeste e armoniosa,
vi ha conficcato le
sue punte malvagiamente e ha continuato a strappare via i fili
tinteggiati di un antico armonioso colore.
Osservazione
del cielo in
una notte invernale solitaria,
Takanori.
***
Scattata la maggiore età
era praticamente scontato che tu fossi: cauto, consapevole,
coscienzioso, credente e quante altre belle parole seguivano a questa
breve elencazione. Il fatto è che decidono tutto loro per
te, fin da
l'inizio. Ma chi sono in realtà loro? Eh, bella domanda.
Non hanno né indirizzo,
né identità accreditata eppure li cerchi
accanitamente per
reclamare la tua singolarità. Ah certo, sono i fatti. Eccoli.
Gli stessi che hanno
cresciuto fin dalle fasce quelli che consideri genitori e che a loro
volta hanno operato nello stesso modo con te. Ad alcuni regalano una
vita modesta ad altri donano la stupidità.
Ed è qui che inizia la
storia mia.
Inizia dai turbamenti di
una donna che si è ritrovata con un figliastro sulle spalle,
dopo
che l'uomo della sua vita l'aveva miseramente lasciata
perché stanco
di lei e dei suoi interminabili vizi. Però non "li" aveva
abbandonati, arrivava sempre quell'assegno mensile a ricordargli che
un tal dei tali, residente in un posto migliore del loro ammetteva di
avere un figlio (anche se non era mai più stato a trovarlo
da quel
giorno) e gli cedeva la sua parte giuridica per vivere.
Imparai a capire il
valore del denaro quando l'assegno cessò di arrivare,
esattamente il
giorno in cui avevo raggiunto la maturità.
Avevamo cambiato paese e
casa, rimanendo sempre fedeli alla zona spostandoci solo di qualche
chilometro, con la prospettiva che anche il futuro mutasse. Ed era
quell'insignificante cambiamento, che credevamo essere una svolta, a
darci la forza di vivere ancora e di sorridere alla misera vita.
Eravamo cresciuti
entrambi, con la differenza che io avevo una testa sulle spalle e lei
no. A dire la verità era invecchiata terribilmente con lo
svantaggio di non attrarre più come prima gli uomini e per
questo
s'era rinchiusa in un silenzio inquietante. Almeno aveva preservato
la sua rispettabilità; erano stati gli stessi fatti a farla
diventare così.
Sentivo di doverla
proteggere per quanto poco la stimassi e fossi ricambiato dallo
stesso sentimento. Chissà com'era atroce per una donna
ottusa come
lei non avere avuto un proprio figlio e non essere riuscita a fare
nulla della propria vita, a differenza dell'uomo che le era stato
accanto.
Per qualche strano motivo
avevo un ritratto ideale di mio padre glorioso, forgiato in tal modo
solo da ricordi confusi e da qualche dialogo infantile. Insomma il
quadro finale era il seguente: lui era un uomo eccezionale con
qualche piccolo difettuccio e quella sbagliata era
sempre
stata lei.
E adesso com'è che mi
ero messo a riflettere tanto tristemente sul trascorso? Non c'era
tempo, dovevo uscire tra una ventina di minuti e non perdere tempo a
osservarmi a vuoto nello specchio del bagno. Finii di passarmi
l'eyeliner sugli occhi stando attento alle rifiniture. Ero d'una
calma spaventosa se mi ci mettevo, ma stranamente ora la mano mi
tremava e mi era venuto fuori un enorme schifezza.
Afferrai l'asciugamano,
mi strofinai via il trucco portando via quel mascherone tremendo che
rimase stampato esattamente sul giallo canarino; con quell'atto avrei
mostrato la mia vera faccia da schiaffi al mondo.
Tanto non avrei di certo
rimorchiato stasera se non c'ero riuscito in mesi e mesi di trucco e
tiratura.
Prima di evadere andai a
salutare la donna in salotto e la trovai addormentata sulla sedia,
come l'avevo lasciata prima. Al mio tocco si ridestò e mi
guardò
-Taka che ore sono?-
-Sono le nove e mezza
esatte esatte e ti eri addormentata al tavolo- aggiunsi un
po'
preoccupato. Ultimamente capitava troppo spesso che la trovassi a
giro in stati del genere.
-Non fare troppo
tardi, d'accordo? Domani devi andare a lavoro...- si mosse
dalla
sedia dirigendosi al divano.
-Veramente domani è
domenica-
-Ah, giusto...- si
dimostrò imbarazzata per l'errore grossolano che aveva
commesso.
-Non aspettarmi
alzata, ho intenzione di fare tardi- pronunciate queste
parole
feci per andarmene
-Taka- invocò il
mio nome
-Uhm?- mi girai di
scatto già sulla soglia
-Quando me la presenti
la tua ragazza?- in quell'istante le brillavano gli occhi.
-Ciao-e richiusi
la porta dietro di me.
Probabilmente ora
piangeva, sola su quel divano con la coperta tirata fin sopra le
cosce ricordandosi di come si era conosciuta con papà.
Le faceva compagnia il
tic tac dell'orologio.
Finii nel ritrovarmi in
un pub irlandese con quei vecchiacci dei miei amici, diviso trai fumi
delle nostre sigarette intellettuali, birre medie doppio malto e le
battute scadenti della Feccia Sedicente.
Lui si spacciava per il
duro della situazione. E tutti lo detestavamo. Quando se ne
andò, a
detta sua per incontrare la sua donna, fummo tutti enormemente
sollevati.
Eravamo rimasti in
quattro, il vero fulcro vivente e compatto della nostra compagnia
sgangherata. Si passavano le serate inneggiando quegli ultimi mesi
tra vissuti e scorribande, le cretinate che facevamo sempre
dichiarandoci aderenti al culto del bello e immorale, un po'
futuristi per l'approccio col mondo circostante. Non mancavano di
certo gli sfoggi di poesie lascive antiche che avevamo imparato,
sfoggiate sempre con le immancabili labbra cariche di risate e
divertimento. Io e l'altro cretino laggiù, il
Buddha Illuminato,
eravamo i due più esaltati del gruppo per queste cose
semiserie,
seppure la nostra cultura non terminasse solo in versi licenziosi.
Eravamo ragazzi
tranquilli alla fine e le droghe del momento poco ci interessavano,
preferivamo di gran lunga “sballarci” rincorrendo
con uova marce
i punk (o come il Buddha li chiama
“pAnchettoni”) oppure
andare a prendere una birra al pub, il solito ormai da anni e anni.
A proposito di ragazze.
Chissà perché a me
tutte finivano con non darmela mai, mentre gli altri invece
riscuotevano enorme successo. La scusa era sempre la solita "Sì,
sei carino ma vedi...sono uscita da una storia triste e non me la
sento e BLA BLA BLA".
Ci intrippammo troppo nel
guardare l'approccio di Pisello con una piuttosto
carina, che
aveva visto in pista pochi minuti prima. Ed erano partite le
scommesse sul tempo che sarebbe trascorso prima che gli avrebbe
aperto le gambe.
"Che animali
ragazzi, che animali!" commentavano due tipe dietro a noi
mentre ci guardavano schifate, o almeno così volevano farci
credere.
Gli altri due si alzarono e andarono a conversare con le finte
pudiche per convincerle del fatto che tutti quei ragazzi là
dentro
erano animali e da lì uscirono discorsi interessanti, mentre
io me
rimasi con la birra seduto da solo.
Stufo della mia posizione
solitaria presi il bicchiere e me ne andai a giro per il locale,
pronto ad attaccare bottone col primo stronzo che mi capitasse sotto
mano. Ne avevo bisogno, diavolo se ne necessitavo. E mi sarei scelto
qualcuno di interessante, purché vi fosse realmente stato
lì
dentro.
Casualmente in un
angolino scuro del locale c'era un uomo molto familiare a me, seppure
non ricordassi a quale situazione avrei dovuto associarlo per farmi
venire in mente chi egli fosse. A volte quei casi determinano
radicalmente le ore della nostra esistenza in modo irreversibile e
così fu per noi due.
-Per caso è occupato
qui?- posai la mano sulla sedia proprio di fronte a lui. In
un
primo momento non si era mica accorto della mia presenza e non a caso
avevo approfittato della sua distrazione per agire.
-No, prendila pure-
ancora quello sguardo intenso.
"è lui, è lui
non c'è dubbio". Riavvolsi il nastro indietro a
molti anni
prima ed effettivamente i due combaciavano alla perfezione. Pieno di
esaltazione immotivata riempii lo spazio con la mia presenza fisica.
Attesi qualche secondo di imbarazzo per pronunciare qualcosa. Lui
s'era acceso una sigaretta non lasciando trapelare nessuna emozione
dal suo viso stanco.
E sì, rispetto a qualche
tempo prima il suo volto appariva mutato, ma non per questo meno
rispettabile.
-Insomma quale buon
vento ti manda qui da me?- teneva la Gitanes tra le dita
sottili
col solito sguardo intenso appeso
-Eri l'unico in mezzo
a tanta gente che mi ispirava fiducia- mi
accesi pure io una sigaretta.
-Fiducia eh?-fece
un sorrisetto riprendendo a fumare non togliendomi
però gli
occhi di dosso
-Ho come l'impressione
di averti visto altrove, sai? Ma dimmi sei sempre così
solitario
tu?- bevvi l'ultimo sorso della mia Du demon.
Non fece allusioni alla
mia osservazione, si limitò a un monosillabo
-Nah-
Per lui probabilmente il
dialogo era finito lì e io ero uno scocciatore dell'ultima
ora. Ma
data la mia indole dispettosa mi divertii a dialogare con quell'uomo
-Ah beh, sei di poche
parole e solitario. Un uomo Byroniano-
allusi alla
figura del bello e dannato per vedere fin dove arrivasse. Almeno
avrei potuto valutare se ne fosse realmente valsa la pena di
perderci del tempo oppure se sarebbe stato meglio ricercare i
ragazzi.
-Invece a te noto che
piace fare domande- rispose con un velo di sarcasmo senza
essere
maleducato- Mi vedi tanto maledetto solo perché
una sera mi
becchi appartato in un pub? Sei affrettato tu nelle conclusioni-
stava al mio gioco e mi piaceva assurdamente la piega della nostra
non-conversazione.
-Non è detto che
siano conclusioni, erano supposizioni...ehm....come posso chiamarti?
Piacere io sono Takanori- sorrisi molto dolcemente
porgendogli la
mano.
-Oh Takanori, che bel
nome. Bah io sono L'uomo Byroniano, no?- rise ricambiando la
stretta. L'avevo colto un po' alla sprovvista
-No seriamente, dai,
dammi un nome da associare alla tua figura- lo supplicai
-E va bene va
bene...Sono Ryo- aveva spento la Gitanes nel portacenere,
rificcandosi il pacchetto in tasca.
-Ryo...Uhm...-finsi
di pensare volgendo gli occhi al cielo.
-Mentre tu pensi io
vado un attimo in bagno- si alzò poco dopo e
scomparve lasciando
solo una scia di profumo dietro di sé.
Non è che voleva
lasciarmi lì solo perché lo avevo seccato con la
mia presenza? Fu
la prima cosa che mi balenò nella testa e stavo per
convincermene se
non fu per il tocco gentile che mi riportò alla
realtà. Mi aveva
poggiato una mano sulla spalla destra e chiamato, così mi
girai.
-Pensato
abbastanza?- rise nuovamente.
Sussultai.
-Che c'è?- mi si
avvicinò un poco per fare passare una tipa, approfittando
dell'occasione per guardarle il fondo schiena disinvolto.
Io allora pensai che non
era poi così rispettabile. Beh, era naturale per un ragazzo
guardare
una ragazza, allora perché sul momento mi aveva tanto
lasciato
attonito? Quel ragazzo trasformato dal tempo in uomo non doveva
essere ora molto più serio di quella volta?
Riflettei, giungendo alla
conclusione che se fosse realmente stato tale, non si troverebbe in
un pub pullulante di single di notte e per giunta da solo.
Probabilmente era successo qualcosa tra di loro.
-Poi dai a me del
pensieroso eh-constatò e si riappoggiò
sulla sedia
-Scusami stavo solo
riflettendo- ero leggermente imbarazzato. Capii che era lui a
farmi sentire così.
-E su che cosa?-
-Bah, sull'oziare. A
volte vorrei essere un panda-
-Un panda? Scherzi?-
-No, affatto. Loro sì
che si godono la vita. Mangiano e dormono, basta. Pensa che gli sta
pure fatica riprodursi- giocherellavo nervoso col tappetino
del
bicchiere.
-Ahaahah- era
divertito - Hai ragione, però che buffo pensarci
di sera.
Solitamente i ragazzi giovani come te sono a rimorchiare...-
notò
giustamente
-Si vede che stasera
non mi sento tanto animale come gli altri. Poi mi passa la voglia,
insomma mi sento "passivo"-
commentai ironico sulla natura degli uomini
-Così giovane e
passivo? Maddai- si allungò per darmi una pacchina
fraterna
sulla solita spalla.
-E tu com'è che sei
qui solo soletto?- ribattei guardandolo. Volevo sapere
più cose
su di lui.
-Bah sono uscito tardi
da lavoro e volevo bere- non aggiunse altro e io non chiesi
di
più. Compresi immediatamente che quell'uomo era consumato da
qualcosa e non glielo volli far pesare ulteriormente. Lui parve
ringraziarmi per questo, almeno con lo sguardo. Preso alla sprovvista
da questo silenzio imbarazzante non fui in grado di girarmi verso il
locale e commentare come avrei fatto al mio solito se mi fossi
trovato in una situazione analoga. Fu lui piuttosto a ridare una
piega al nostro "conoscerci". Riportò con la destra il
bicchiere al centro del tavolo abbastanza vicino a sé
cosicché
potesse giocherellarci e mentre fissava il vetro scheggiato su un
bordo mi chiese, con un tono singolare e curioso
-Com'è che i giovani
di oggi amano farsi le body modification?-
probabilmente si riferiva al mio dilatatore sul lobo destro
-Ti stai
autoescludendo dalla categoria forse?- la buttai sull'ironia
-Beh non mi sembra di
essere così giovane, caro Takanori. Ormai faccio parte della
frangia
di quei trentenni che si distacca dall'uomo
casa&chiesa&famiglia-
commentò la mia osservazione e chiamò la
cameriera. Rimasi senza
parole di fronte a tanta amarezza velata in una risposta dettata
più
dallo sconforto del momento che da un reale convincimento personale.
No, si vedeva dai suoi
occhi caparbi e brillanti, lui aveva le carte giuste per essere uno
di quelli ai vertici, lui era intelligente abbastanza per ottenere
quello che voleva. E tutto ciò mi disarmava e incuteva
terrore allo
stesso tempo.
Osservai come occupava
quello spazio durante la conversazione con la cameriera per
informarsi degli ultimi cambiamenti riguardo le bevute: occhi rivolti
al bicchiere sul tavolo e orecchie concentrate sulle parole della
ragazza ed estrema educazione nel chiederle di specificare i nomi
delle birre che servivano. Prese una rossa media e io gli feci
compagnia allo stesso modo.
-Ah sei uno della Old
School, Red Dragon Ale- la
buttò lì per obliare la
battuta precedente.
-Seh anche io amo le
"bibite forti"-risi
un poco- dunque caro Ryo di cosa ti occupi?-
mi venne
spontaneo chiederglielo
-Lavoro nel campo del
Marketing da qualche mesetto e non dirlo a nessuno -si
avvicinò
a me con aria furtiva-...detesto quelle risciacquature mentali
che
facciamo alla gente. Sai tutta quella "propaganda" mentale,
studiamo la gente e decidiamo cosa fargli comprare in base alle
nostre esigenze economiche. Fecce dell'umanità stampate su
billboards e mandati in onda in TV. *Woland
sarebbe felice del nostro operato-scoppiò in una
risata
spontanea.
Da tutti quei riferimenti
criptati a cui mi sottopose intuii che egli era molto acculturato o
quanto meno amava leggere, anche se le sue letture non erano
propriamente cosine "leggere". Tutto ciò me lo faceva
apparire ancora più intrigante. Quando ci fu portata la
birra ebbi
modo di constatare che aveva delle movenze alquanto buffe: afferrava
il bicchiere tenendo il polso piegato in modo che la mano lo
prendesse da sopra e non lo sostenesse dal basso, come un saccente
bevitore; poi portava alle labbra l'imboccatura del vetro e tirava
due sorsetti ascoltandomi.
-Vuoi?- mi offrì
una Gitanes prolungando il braccio
-No, grazie. Ma come
sono codeste sigarette?- chiesi curioso
-Hanno un tabacco
particolare, nero. Sono molto pesanti ma buone, sì
sì. Le marche
comuni non mi soddisfano così tanto...- si
rigirò il pacchetto
tra le dita- e poi le fumavano dei grandi, sai?-
glorificò ancora una
volta la marca nominandomi Morrison e altri
illustri signori.
-Sei un raffinato
fumatore, credi poco nel merchandising, bevi birre forti...poi
cos'altro ti distingue dalla massa grigia?-
-Esagerato adulatore-
sorrise a mo' di gentiluomo- Non sono molto diverso da questi
qui
che ci circondano sai? Sono un uomo comune senza
particolarità-
alzò un sopracciglio fissando il rosso spento della bevanda.
-Gli uomini
intelligenti parlano così, mi sembra un punto a tuo
vantaggio
-contro
ribattei- su
non fare il modesto...oltre al marketing tendi verso qualche altra
professione? Immagino di sì per come mi hai descritto
entusiasticamente le prospettive lavorative-
-Takanori sei molto
acuto- ricalcò il concetto guardandomi dal basso
con occhi
vispi- Ho studiato legge e ho provato a lavorare in qualche
studio
ma non era proprio per me quell'ambiente, anche se si fanno bei
soldi. A me manca la voglia di stare dietro all'amministrazione e
nemmeno il penale è in grado di darmi grandi emozioni, ma
preferisco
non dilungarmi sui dettagli. In compenso sono un appassionato
dell'elettronica e sto vedendo di prendere dei titoli in ingegneria
informatica per trovare un lavoro che faccia al mio caso-
straordinario come stesse iniziando ad aprirsi con me. Non lo avrei
mai detto da uno come lui.
-Ah e quindi lavori e
studi?- piegai leggermente la testa a sinistra dopo aver
bevuto
-Esattamente-stavolta
mandò giù un bel sorso di birra, come per
scrollarsi di dosso una
idea che non gli piaceva. Vedevo il suo pomo di Adamo rigonfiarsi per
l'azione e tornare al suo posto. Con la testa gettata leggermente
all'indietro era esattamente il simbolo della virilità, solo
per
quello scorcio che offriva sotto una luce diffusa.
Attesi da lui una contro
domanda, simile ai miei toni, ma questa non ci fu e lo attribuii alla
sua estrema riservatezza.
Finimmo le nostre
compagne notturne di bevuta scambiandoci ancora qualche battuta
insensata riguardante le persone circostanti e venne poi il momento
in cui c'era da congedarsi, perché era tardi. Giusto, la
famosa
scusa del tempo che ricorre spesso e in questa evenienza, troppo
presto. A volte la santifico e prego che mi salvi specialmente nelle
situazioni imbarazzanti.
Chissà se quella era una
situazione da cui dovevo essere salvato...
-Beh Takanori, ti
auguro buon proseguimento e mi raccomando vedi di essere meno
passivo!-mollò una pacchina sulla mia spalla, la
solita di tutta
la serata.
-Ma come, mi abbandoni
così su due piedi?- lo fermai prima che si alzasse
dal tavolo.
-Come ti abbandono
scusami?- chiese interrogativamente sbalordito
-Insomma.... non
sappiamo se ci rincontreremo mai più...e
pensavo
che...beh...- l'estrema sicurezza che sfoderavo dimostrava
quanto
fossi a mio agio con lui (sono ovviamente ironico)
-Massì Taka, la
città
è piccola, vedrai. Poi sono all'unico edificio di Marketing
qui in
zona, quindi...-fece spallucce
-Ma che ne so io che
abiti qui, potresti esserci capitato e...-non feci in tempo a
concludere
-Scusami devo andare,
stammi bene- e con ciò mi lasciò
lì.
Io? Per l'eccitazione non
dormii quella notte, né quella dopo né tanto meno
le seguenti.
Continuavo a ripetermi mentalmente quello strampalato dialogo.
Ero dannatamente stupido
e convinto che l'avrei rivisto. La malvagia idea che se
incontri
qualcuno non è certamente per caso me l'aveva inculcata la
mia
matrigna e io ero stata pure a sentirla mentre me lo diceva. Ma ero
troppo piccolo e ingenuo per capire se fosse o no qualcosa di serio;
però sono quelle cose che ti rimangono dentro e che ti
ripeti per
trovare un appiglio, anche se sai essere fallaci.
NdA:
- Woland:
è il nome che si da al diavolo nella tradizione tedesca. Io
l'ho ripreso dal “Maestro e Margherita”
di Bulgakov.
- Faccio riferimenti alla cultura
occidentale non a caso, per due motivi che vi spiegherò: la
mia elementare conoscenza della cultura nipponica e specialmente della
letteratura, che non mi permette citazioni dotte da lì.
Perciò ho trovato più prolifero usare dei modelli
che conosco.
In secondo luogo i personaggi non si sentono radicati nelle loro
tradizioni, non a caso escono nel pub Irlandese e “parlano
del mondo che sta di qua e non del mondo che sta di la” da
loro. Forse sono delusi o amareggiati dalla rigidità della
società giapponese, chissà...
- Il registro del capitolo è
volutamente basso, perché necessitavo di esprimere il mondo
di Takanori con i suoi coetanei, mentre invece con Ryo riacquista un
tono più elevato.
[ E alla fine
arriva...LUI. ] E così si sono conosciuti
ufficialmente i nostri due protagonisti della Romance, anche se
per Taka era stato amore a prima vista anni e anni prima, inconsapevole
della propria sessualità. Beh se fosse solo così
sarebbe un'altra fan fiction di amore&sesso, ma io non voglio
che la mia fic "odori di
sperma" (citaz. Sanguineti su D'annunzio, il piacere)
bensì voglio che presenti un modo di vedere la vita diverso,
di intepretare l'amore più complessamente di un rapporto
sessuale o di uno scambio di effusioni unito a parole d'amore.
Ad ogni modo vedremo se sono riuscita nel mio intento solo a storia
finita.
Grazie per l'attenzione,
Valja.
|
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Capitolo 4 *** Fatalità avverse o forse no ? ***
Fatalità
avverse
o
forse no ?
Missione
compiuta.
Alla
fine Pisello aveva fatto colpo e oggi sono tre mesi che stanno
assieme, pensate un po' che malvagità nell'approccio deve
essere
insita in un tale individuo! Quando ci annunciò
ufficialmente la
relazione ci furono le congratulazioni dalla combriccola e le
relative domande. Il guru del gruppo, che si era guadagnato
ammirazione da parte di tutti per le imprese impossibili,
raccontò
sorvolando i dettagli piccanti, di come era riuscito ad attirarla a
sé con facilità; in sostanza se l'era lavorata
pian pianino. Tutti
sapevamo che gliene importava poco e anche lui ne era consapevole.
Era una scopata facile, come del resto lo era per gli altri un
qualsiasi rapporto, seppure si dimostrassero carini e gentili sul
momento. L'unico cretino ero io lì dentro, ma non tanto da
rivelare
le mie posizioni "puriste" in fatto d'amore.
Se
una donna avesse approfondito il rapporto con me ero sicuro che si
sarebbe innamorata immediatamente.
Io ero la controprova della bastardaggine maschile, del tipico
modello a cui basta avere un rapporto "che tutto fila liscio".
Deprimeva pure me, che ero uomo, sapere che a quell'età
l'unico
scopo della nostra vita era soddisfare solo
i nostri bisogni fisiologici. Un ventenne è fallocentrico,
non c'è nulla da fare.
Do la colpa di questo mio distaccamento
dalla massa dei caproni alle letture che mi venivano imposte
nell'età
della ribellione dalla mia matrigna, dai, almeno per questo era stata
utile. All'epoca ero un ragazzotto che dava i primi segni di
trasgressione, si sentiva figo rispetto al mondo. Ricordo bene che fu
un evento a scatenare la dura repressione della donna. Un pomeriggio
presi dall'armadietto del bagno il rasoio elettrico per la barba che
mio padre aveva lasciato e deciso lo passai sulla testa. Ero un punk
pure io adesso: un bel crestone storto verde. Uscii dal bagno tutto
contento, con un sorriso a trentadue denti, pronto a fare la vita del
duro, di quello che vuole spaccare tutto, di quello che ha vissuto la
miseria.
A mia madre caddero le braccia quando mi vide e io con
quel sorriso sornione sbandieravo il mio “no netto”
al vissuto
travagliato del passato, sfoggiavo l'assoluta contestazione a tutto,
non rendendomi conto di essere più conformista degli altri.
La
scoperta dei Sex
Pistols mi
aveva reso “grande e indipendente” oltre che
tremendamente
incazzato
(permettetemelo, sto spiegando quella che era la mia filosofia pAnC).
Insomma da quel dì, dopo una chiacchierata di due ore con la
ciabattona, fui costretto o meglio accompagnato ogni giorno in
biblioteca comunale per prendere dei libri da leggere e indovinate?
La mia matrigna avendo sentito come ripetevo fedelmente la frase
più quotata di Rotten, omettendo il figlio
di madre ignota
(mi sembra ovvio) «uno
che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una
patria giubilata dalla vergogna della
Monarchia,
senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole
prossimo
»,
volle farmi provare a tutti i costi cosa volesse dire essere punk,
tanto da mandarmi a pulire “le latrine” e i
marciapiedi. Mi servì
veramente da lezione. Imparai, seppure in modo diverso, cosa volesse
dire “essere il padrone del marciapiede”.
Da
allora tutte quelle ideologie rivoluzionarie quanto anarchiche se ne
andarono a farsi friggere e il vecchio Takanori rinacque dalle
ceneri, seppure in altre vesti, ma di questo avremo tempo di parlarne
poi.
Dicevo, la colpa del mio romanticismo, si fa per dire,
risiedeva in tutti quei i libri che avevo preso in prestito dalla
biblioteca. Leggendo un po' di narrativa europea mi appassionai
delittuosamente ai grandi romanzi russi e francesi, però la
mia
moralità era sempre legata alle grandi lezioni che attingevo
da
Musashi. Takezo e Osho erano da sempre il mio modello puro da seguire
per la via dell'amore casto, beh, loro erano per me la massima
autorità che si potesse venerare, oltre che alle
sregolatezze
europee dal fascino direi quasi delittuoso agli occhi di un
ragazzetto coi primi ormoni che spuntano fuori.
Concretizzai fin
da subito questa mia diversità da altri ragazzi, che
grossomodo
andavano dietro alla carnalità, e convenni di non rivelare a
nessuno
questo lato "intimo" e sconveniente, specialmente di fronte
agli occhi spietati delle nuove generazioni.
Mi trovavo a
rispondere al guru onnipotente con le frasi che voleva sentirsi dire
cercando di non andare mai contro gli altri, malgrado venissero fuori
discorsi da tratti misogini e detestabili. Insomma quelli che
declamavano di non essere "animali" in conclusione finivano
per esserlo nel peggior modo possibile. Che stupidi eravamo, davvero!
Eppure era divertente starsene a parlare in quel modo, ti sembrava
che fosse perfino naturale l'argomento della conversazione. Senza
nemmeno accorgercene sfociavamo alle prime esperienze sensuali per
arrivare addirittura alla primordiale scoperta di quel oggetto comune
al sesso maschile, e spesso ricordavamo le facce delle nostre madri
sconvolte o soltanto sorprese che tale comportamento si fosse
presentato tanto prematuramente nei loro piccoli e indifesi bimbi.
Almeno così dicevamo e io raccontavo con molta inventiva
storie
analoghe alle loro; in realtà le mie scoperte furono
semplicemente
individualistiche e casuali.
Ma la copertura di tua madre
scandalizzata al sentore che il proprio figlio abbia scoperto
l'utilizzo del diletto sensuale, beh, ti rendeva figo di fronte a
quegli occhi illusi e creduloni perfino di più del guru
incontrastato del sesso.
Contemporaneamente a queste mille parole
scambiate tra ormai veterani dell'approccio, pensavo che non avevo
più rivisto il tizio, Ryo, da quella serata giù
al pub; strano che
il mio incontro combaciasse nel tempo con il semi rapporto amoroso
tra pisello e la sua dolce metà.. E più tempo che
passava e più
beh, ero meno convinto che provassi semplicemente
una
modesta simpatia per quel buzzurro. Non dilunghiamoci troppo
però su
questo mio monologo interiore oh lettori appassionati perché
è più
importante portare alla luce i fatti e non le catene mentali che mi
si perpetuano continuamente nell'animo.
Eravamo a cinque
passi dalla stazione della metrò in uno di quei giardinetti
ben
ordinati e curati padroneggiato, nei pomeriggi primaverili, dal
binomio madre (o padre che sia) e figlioletto.
I fanciullini, li
vedevi correre maestosamente su quei prati con la purezza dipinta
negli occhi ed era bello che almeno loro potessero mantenerla
inalterata.
Chissà se anche io nei tempi d'oro sarei parso a un
passante come tutti gli altri bambini, considerando che non avevo
nessuno a lodare le mie prodezze. Andare ai giardinetti voleva dire
spezzare quel rapporto matematico a 3 insito nelle famiglie "normali"
e come avrete capito noi Matsumoto eravamo l'eccezione universale a
qualsiasi regola comune. Forse per questo senso la nostra
originalità
poteva essere vantata, anche se, analizzando più a fondo non
ne
rimarrebbe che putredine indistinta.
Era una tranquilla
serata di estate e noi la trascorrevamo nel modo più
anticonformista
del mondo, lontano dallo sfarzo e ostentazione dei locali fighetti,
posto in cui si riunivano quei tipi che come unico denominatore
comune avevano la "sbruffonaggine". Non dilunghiamoci a
lungo su spiegazioni dettagliate, comprendete soltanto il principio
che regola le nostre scelte di "alternativi" e imparate a
farne uso e consumo quando poi penserete alle nostre avventure,
ammesso che io ve le descriva in dettaglio tutte quante.
Per
qualche assurdo motivo dovevamo separarci prima quella sera e non
trascorrerla fino a notte fonda divisi tra chiacchiere giovanili col
pretesto che fossero pseudointelletuali. Ovviamente, e lo sottolineo
con enfasi, Takanori aveva dimenticato il suo fidato ombrello a casa
e sempre rientrando nei puri casi della normalità qualcuno
di
imprecisato aveva deciso di prendersi beffa delle sue dimenticanze,
tanto da mandare un nuvolone nero sopra il paesino provinciale tanto
cupo e minaccioso da coprire la volta stellata.
I ragazzi alle
prime gocce risero ignari, poi quando esse si fecero sempre
più
fitte, quasi da essere un manto indistinto di acqua, scherzarono
meno. Sfrecciarono via in direzioni diverse e io come loro accorrevo
a un riparo sicuro. Completamente mezzo da capo a piedi attesi
solitario l'arrivo della metro, diviso tra pensieri poco piacevoli e
la paura più totale che ci fosse qualche poco di buono a
importunarmi. Fortunatamente ero l'unico a viaggiare in ore tanto
bizzarre e con premesse della stessa sfumatura. Quello che destava in
me più perplessità era il tragitto del ritorno,
piuttosto
lunghetto, senza la possibilità di evitare un altro
inzuppamento
completo e quindi di buscarmi tremendi raffreddori seguiti da
broncopolmoniti durature. Mi viene spontaneo domandarmi fino a quando
il caso mi verrà incontro tanto
“piacevolmente”.
Sorpreso mi
girai indietro notando di come una grossa macchina nera stava
rallentando e ormai mi era praticamente di lato. Si abbassò
un
finestrino et
voilà!
Inconfondibile, curato come sempre c'era l'uomo che aveva attirato la
mia attenzione tanto egoisticamente, vantando un certo fascino
recondito.
-Posso
darti un passaggio?-
chiese gentilmente mettendo in folle.
-Oh
Ryo- sorpreso
per l'incontro borbottai- Non
ti preoccupare,
sono
quasi arrivato grazie
-Uhm,
dai sei fradicio di certo anche per pochi metri ti farà bene
stare
al calduccio-
sorrise amabilmente.
Come potevo rifiutare una cortesia così
sincera? Nemmeno il tempo di replicare ed ero seduto al suo fianco
nella mia timidezza estrema, seppure l'atto del salire mi fosse
venuto spontaneo. Il desiderio che lui sopraggiungesse dal nulla e ci
rincontrassimo si era realizzato, finalmente.
-Dove
siamo diretti?-
domandò ancora fermo al lato della strada.
Gli spiegai con poche
parole il tragitto che ci avrebbe condotti alla divin
dimora ospitante il degenero regale firmato da Moi
e Miss Ciabattona, attuale detentrice del titolo mondiale di trash.
Non importa che mi dilunghi sul come finì, nevvero? Sarebbe
una
sequenza di azioni piuttosto deducibili e meccaniche, se non fosse
che il bellimbusto
ben vestito e dalla tinta anticonformista mi avesse posato
gentilmente la mano sulla spalla per fermarmi e affermare
immancabilmente con la luce sibillina negli occhi
-Ora
sei tu che mi abbandoni senza un motivo, Taka-
aggiunse un sorriso pacato per rafforzare quella immagine che ormai
aveva voluto impormi fin da subito ostentando estrema sicurezza.
Non
risposi preso alla sprovvista da quella battuta che sembrava essere
stata detta fuori luogo o al massimo anticipata dal maldestro attore,
il quale evidentemente nel proprio cervellino aveva già
superato di
fantasia da un pezzo la contro risposta dell'interlocutore, ovvero
io.
-Non
mi guardare perplesso, piuttosto dettami il tuo numero di telefono
biondo-
estrasse dalla tasca dei pantaloni in rapida sequenza pacchetto di
sigarette e telefono
-Ahh
sì, okay, come vuoi...-risposta
denotante una estrema e imbarazzante ebetaggine del sottoscritto.
Imbambolato attendevo che digitasse i numeretti sui tasti e non davo
minimo accenno di volermi alzare da lì.
-Beh...AUG-
alzò la mano per accennarmi un saluto e ripartì
subito dopo, rapido
e impercettibile lungo quei vialoni svuotati di vita.
Contemplai
quei fasci di luce camaleontici riflessi sull'asfalto sudicio in
pozzangherette distribuite senza logica, giungendo poco a poco a un
grande
perché.
A rendere particolarmente memorabile la chiusura di un giorno
tanto bislacco fu il rientro trionfale nella casa dell'Eroe dei
giorni nostri. Non solo l'atmosfera cupa lo precedette subito dopo
l'ingresso, determinando un Blackout senza precedenti, forse lo
stesso qualcuno di qualche ora prima dalla postazione della sua regia
trovava divertente stuzzicare quel poveretto sempre più
frequentemente, ma ci s'era messo anche l'umore della donna ad
alimentare l'angoscia domestica del suddetto. Tal donna, di cui il
nome non ci è ancora stato svelato, credendo quei movimenti
sospetti, aveva prontamente pensato di accogliere l'ospite con
“una
grande sorpresa”.
Allo stato attuale si contano un paio di bernoccoli, di cui
il più grosso sulla fronte, e vari ematomi sparsi per il
corpo.
Di
certo l'Eroe, made in Japan, si sarebbe aspettato di tutto tranne che
ricevere pesanti scopate sul corpo slombato ed estremamente provato.
Il colpo di grazia (fisico) non c'era mancato. Solo dei lamenti
tardi seppero far desistere la donna, -intontita da dei
tranquillanti- dai propri intenti omicidi nei confronti del
nuovo“visitatore”.
-Ma
sei pazza dico io!?!-
urlai isterico facendo luce con l'accendino.
Non dimenticherò
mai quelle pupille perse,
inumane,
opache
che aveva sovrapposto al complesso vitalistico quotidiano. In
più
aveva appeso un viso arso dalla paura.
[Un tonfo risonante e
inquieto - Fu così che cadde esanime a terra - e mi
salutò per
dieci minuti.]
L'aiutai a vomitare quel mix di pasticche,
lottammo a denti stretti entrambi, lei
contro il pavimento e io contro la perdizione, due “p”
,
principio
comune per futuri fallimenti.
NdA:
Come
ho pure scritto nella mia BREVE presentazione, amo
la provocazione.
Ho detto che sarebbe stata una storia diversa perché
così è,
ma vorrei che si evitasse di pensare che io lo dica vantando la mia
scrittura o chissà che sia. Lo dico semplicemente per
provocarvi,
per avere una reazione da voi. Non mi piace peccare di superbia, ci
mancherebbe altro.
Nel prossimo capitolo scopriremo più a
fondo dei lati di Takanori bizzari ;D
Ah, colgo l'occasione
per darvi Buon
Natale a
tutti e ringraziare GurenSuzuki
per le sue recensioni <3
Valja.
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Capitolo 5 *** Kunstwerk ***
KUNSTWERK*.
Fui tormentato per interi
giorni, mesi (che dico, anni) dall'immagine di LUI che entra dal
fioraio per comprarle i fiori.
Per voi sarà pure una
superflua fantasia, però sappiate che dal modo in cui un
uomo
sceglie il fiore da portare in dono alla propria dolce metà,
si
capisce quanto sia in realtà coinvolto nella liaison.
[Scordatevi che io vi
riveli la top ten dei tipi di fiori più significativi, mica
voglio
avere altri potenziali rivali nel mio lavoro!]
C'è però una cosa che
mi sono sempre chiesto durante quel periodo tormentoso, e che forse
mi domando ancora. A quale categoria appartiene LUI?
Baldanzoso gentleman?
(che Dio ce ne liberi!) Timido conquistatore? Cacciatore esperto?
Oppure l'individuo indifferente? (Mi si gela il sangue al sol
pensiero!)
All'epoca confidavo nel
fatto che quel mazzo di rose non rientrasse in nessuna di queste
categorie. Solo con l'esperienza avrei scoperto la risposta esatta al
mio quesito. E poi...
LUI ERA LUI. Fine.
Da quel mondo
“visionario” partì l'idea di vendere
fiori e ci ricamai sopra
altrettante fantasie, sapete i sognatori spesso hanno progetti futuri
ancora più elaborati e precisi rispetto a quelli dei
realisti.
Quando mi chiedevano cosa
sarei voluto diventare usavo la copertura efficace del
“pompiere”
cosicché nessuno mettesse in dubbio la mia
virilità. E poi avrebbe
fatto colpo sulle donne, non vi pare? Ebbeh si sa che l'uomo
impegnato nel sociale (stile super eroe) e al servizio dei
più
deboli è sempre piaciuto e sempre piacerà!
E invece mi ritrovo a
ventun anni immerso le camaleontiche manifestazioni della natura.
Pompiere, Fioraio,
Studente, Ingegnere della NASA qualunque ruolo avessi scelto potevo
stare certo che nessuna donna avrebbe mai fatto a cazzotti per me.
Nonostante tutto questo
vaneggiare inutile, nel mio piccolo mi ritengo un ragazzo
estremamente generoso: ogni giorno regalo sorrisi
disinteressati alle persone che incontro nel mio cammino- o almeno a
me piace metterla così- ed è bello pensare a se
stessi in termini
tanto alti, considerando il negativismo diffuso in questi tempi.
So perfettamente che a
destare nella gente quel moto d'animo, riconducibile talvolta allo
stupore o alla semplice ilarità dello spirito, sono i
graziosi
colori del mondo che io coltivo tanto
amorevolmente.
Ebbene sì, oltre a
essere estremamente geloso del primordiale stupore di certi clienti
alla vista dei fiori, io coltivo come se fossi una madre
amorosa quei colori che piacciono tanto e che continuano a fare
breccia in molti cuori.
E mentre loro esprimono
la gioia che li pervade (suscitata dalla vista di una gradazione
cromatica differente rispetto a quel loro opaco grigiastro
quotidiano) io fotografo avidamente nella mia mente le loro facce o
meglio tutto ciò che possa essere ricondotto lontanamente
alla
felicità, vantando un bel album di “foto
ideali”. Sfogliandolo
mentalmente arrivo perfino a sognare la coesione famigliare che mi
è
sempre parsa un orizzonte irraggiungibile.
Da Takanori non troverete
solamente uno scambio di cordialità e di merci reperibili in
ogni
angolo della terra, ma un amico e chi è disposto a coccolarvi
con
i suoi “frutti della natura”. Vicendevolmente io
otterrò di più
che le solite mascherate quotidiane, quelle dei posti ove la gente
predilige freddezza e furia. I miei clienti infatti oltrepassano la
soglia il più delle volte portando un pezzo nuovo di mondo
qua
dentro e te lo mostrano coi loro mezzi più svariati usando
tutta la
calma immaginabile; tu, dietro a quel bancone circondato da mille
mila particolarità arboree, aggiungi al tuo catalogo
giornaliero una
nuova gradazione vitalistica dell' esistere nel mondo.
Pertanto se siete
indecisi da quale fioraio recarvi venite da me e vi assicuro che non
ve ne pentirete affatto.
Sapete cosa da veramente
soddisfazione a fine giornata? Avere incartato tanti mazzi di fiori
per qualche d'uno di speciale, un tal dei tali che
accoglierà quella
meraviglia nel suo privato e la contemplerà innalzandone la
bellezza, come del resto succede a me quando ripenso al dì
che i
miei occhi furono onorati di incrociare una bellezza non meno
dignitosa di queste specie floreali.
E come lui aveva
varcato la soglia di un qualsiasi altro negozio di fiori dedicando
una mezz'oretta alla sua dolce metà, altrettanti innamorati
si
addentrano qui per dedicarsi anima e corpo alla persona amata. Quanto
sono leziose queste creature! Come non poterne studiare – e
caso
mai invidiare- gli sguardi persi d'amore! Amo servire quelle
solitudini isolate graziose e distinte dall'immensa spazzatura del
mondo. Essere a tu per tu con spiriti spontanei come questi ti porta
irrimediabilmente a sentirti sereno, quasi ti rigenerassi
semplicemente grazie al loro amorevole sguardo. Invece, non suscitano
in me molte simpatie quelli che entrano con passo prepotente o
affrettato nel negozio e ti chiedono disinteressati “il primo
fiore
che hai sotto mano, tanto è indifferente”. Questi
sempliciotti
qui, che comprano un mazzo di fiori solo per adempiere a un obbligo
sociale di cortesia, ignorando il complesso linguaggio floreale, sono
i più disperati di tutti e lo leggi dai loro occhi aridi,
dai loro
volti stanchi e cadenti. Immersi nella materialità pura,
incapaci di
dedicarsi spontaneamente a un ambiente così rilassante e
scambiare
due chiacchiere amichevoli, non pretendo di certo da tutti un dialogo
impegnativo, ma almeno un poco di educazione sì.
Pensandoci su sono una
genitrice con dei principi sani anche se mi piange
il cuore
nel momento in cui debbo strappare i miei adorati figli
dalle
loro culle, recidere
i
loro legami-radici, vestirli affinché
possano attrarre
l'attenzione dei passanti e divenire merce di
guadagno. Mi
sento in qualche modo un traditore, un puttaniere
della
peggiore specie.
Ma in fondo in fondo,
cosa potevo farci se amavo così tanto le mie creature? Ero
pazzo
d'amore per loro, calcavo in loro il rapporto ideale che fin da
piccolo immaginavo d'avere con la mia mamma naturale. Ai miei occhi
ella era qualcosa di assolutamente puro, benché fosse fatta
di carne
e passioni terrene, e quindi veniva associata alle cose pristine
circostanti. Tutti i bambini considerano le loro madri qualcosa di
“bello”, anzi, la cosa più meravigliosa
che c'è nel mondo. Io
non ero convinto del fatto che quella singolare dolcezza
potesse ricondursi in qualche modo a me, essendo frutto del suo seno,
strasicuro che Takanori e graziosità dimorassero in due
luoghi ben
diversi. Tuttavia avevo continuato a cercare attorno segnali della
sua presenza e non mi davo mai per vinto, ancora non ero esausto di
tutte quelle ricerche infondate.
La disperazione ti porta
a fare queste stronzate.
Forse è questo il motivo
per cui mi ostinavo a recitare e ad assumere il ruolo
asimmetrico-genitore nei confronti dei miei prodotti di lavoro.
Naaaa, se fossero stati semplicemente merce mi sarei sentito
alienato pure nel mio lavoro. Invece per me il
lavoro da
sempre equivale alla parola orgoglio, non tanto di ciò che
si
guadagna, bensì delle proprie capacità.
Com'è ovvio che sia di
tutta questa concezione del mio lavoro non ne avevo mai parlato a
nessuno, figurarsi a quegli imbecilli dei miei amici, mi avrebbero
preso in giro per tutta la vita. Quando eravamo in tema, dicevo che
era stato il primo buco che avevo trovato e allora Pisello
ci
scherzava su dicendo che forse era l'unico buco che
avrei mai
trovato. La Sedicente Feccia dunque stava al gioco
e iniziava
a prendermi per il culo a ruota. Cercavo di evitare l'argomento a
priori con loro, tanto non avrebbero mai capito nulla dei miei
sentimenti e sinceramente poco me ne importava.
Una sera, quando abbassai
il bandone del negozio segnalando così il cambio ruolo da
Fioraio a
Takanori, mi successe la cosa più bella del mondo, e non
scherzo
quando lo dico.
Ora, vorrei vedere le
vostre facce, per capire a cosa state pensando. Fosse per me, vi
terrei sulle spine sadicamente e solamente alla fine vi rivelerei
questo evento eccezionale...ma in via del tutto straordinaria
farò
un eccezione per voi. Ecco, dicevo, presente quando si è
stanchi, un
po' mesti e terribilmente scocciati di tornare in un posto che non ci
piace tanto? Bene, io mi sentivo decisamente a quel modo, e non avrei
desiderato altro che un letto bello comodo per le seguenti tredici
ore con tanto di addio in gran stile al pianeta.
Finalmente qualcuno era
venuto a cercarmi, nel momento e luogo più inaspettato. Mi
brillarono gli occhi d'un bagliore intenso e esclamai tutto
intenerito
-Ma ciau come sei
cariiiiiiiiinoooooooooo tuuuu!- era stato amore a prima vista.
Una piccola palla di pelo
nera mi guardava con due occhioni grandissimi da sotto e chiedeva
attenzioni, possibilmente differenti dalle brutte
“carezze”. Era
un randagio abbandonato al suo destino che di certo non avrebbe avuto
un avvenire felice se non mi avesse incontrato.
Ammaccato ovunque,
piuttosto malnutrito visto che gli si vedevano le costole e di sicuro
prossimo alla morte.
Io dove potevo metterlo
questo nanetto tanto simpatico? La mia coscienza mi impediva di
abbandonarlo lì, cavoli, mi sarei sentito complice di un
delitto
assieme a chi l'aveva lasciato in quello stato di degrado assoluto
(era impossibile che fosse nato sulla strada, qualcuno doveva averlo
barbaramente gettato fuori dalle loro esistenze). Sentivo una certa
affinità a questa bestiolina, sia per la nostra statura
(entrambi
siamo dei bei nanetti a quanto pare eh!) sia per la simpatia che
suscitava col suo musino tenero tenero, specie per quelle
sopracciglia marroncine che davano la parvenza di un omettino tanto
fedele. Ragazzi il mio compagno a quattro zampe era un indifeso
chihuahua nero focato col pelo lungo lungo, così mi disse il
veterinario sotto casa mia dopo avergli fatto non so quante punture
contro potenziali malattie killer. Si faceva fare di tutto la palla
di pelo, a patto che sentisse di potersi fidare, e infatti si
mostrò
collaborativo con entrambi; aveva compreso di poter morire se avesse
agito diversamente. Mi furono raccomandate una sfilza di tipi di
alimento e una dieta equilibrata per far sì che la sua
infiammazione
al colon venisse a scomparire; probabilmente nel periodo randagio si
era accontentato di qualsiasi schifezza avesse trovato arrivando a
infiammarsi prontamente l'intestino.
Quando uscimmo dall'amico
dottore degli animali, provai ad affibbiargli un nome, tanto per
distinguerlo dal gatto bastardo Rossano, quel obeso
felino
fulvo regnante tirannicamente in casa Matsumoto ,appropriatosi della
poltrona verde che nessuno voleva. Altro problema: come potevano
andare d'accordo quei due in una casa minuscola come la nostra? Il re
dei Felini aveva marcato il suo territorio con le “pisciate a
dispetto”(come amo chiamarle io) in segno di protesta contro
me e
la mia matrigna quando lo sgridavamo. Ebbene sì, avevamo
pure il
gatto anarchico noi, non ci facevamo mancare proprio nulla.
Intanto al simpatico
musino affibbiai il soprannome di Koron, giusto per
gradire,
dati i suoi problemini. Piccolino lui, era condannato all'eterna
infelicità intestinale! Lo pensai con una punta di sarcasmo
mentre
il peluche animato continuava a guardarmi con chissà quale
pensiero
per la testa.
Perfino lui si era fatto
una idea del sottoscritto. Almeno spero che mi consideri un padrone
in grado di amarlo e di dargli una esistenza migliore.
Adesso avevo un altro
figlioletto acquisito da accudire. Questo il mio
apprendistato sociologico
in vista di una futura famiglia felice.
NdA:
*das Kunstwerk (n): dal
tedesco kunst = arte e werk =
lavoro; quindi “opera
d'arte”.
Qui inizia già a
disvelarsi il leitmotiv di tutta la storia che sto
provando a
raccontarvi e devo ammettere che è stato piuttosto difficile
esprimere tutto questo. Non saprei nemmeno dire perché, ma
penso che
manchi qualcosa ancora, in sostanza non sono totalmente soddisfatta
di com'è venuto fuori il capitolo. Sì, sono una
perfezionista,
forse come la maggior parte di voi.
Ho ricambiato per
l'ennesima volta la presentazione perché ero ancora alla
ricerca
della frase essenziale che potesse presentare la fiction e questa,
estratta da questo capitolo, mi sembra quella più ideale e
reale. Ho
deciso che terrò questa, a meno che non mi prenda lo
sghiribizzo o
il genio artistico e riesca a trovare qualcosa di meglio (ma non
penso).
Questo è il capitolo che
vi lascio da leggere per adesso, prima di scomparire tra i libri.
Tornerò probabilmente
tra un mesetto con un capitolo nuovo, per adesso gustatevi questo
;D
Valja.
|
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Capitolo 6 *** La pantomima della sublimazione amorosa ***
La
Pantomima della
Sublimazione Amorosa.
Lui era il tipico
stronzo mozzafiato, dall'incedere audace e lentissimo, pronto a
toglierti minuti preziosi della tua esistenza
soltanto
sfoderando quel sorriso serrato, anche se il più era giocato
dal suo
sguardo impenetrabile, che a sua volta era capace di paralizzarti e i
sensi. Non saprei dire se fosse più pericolosa la
dimostrazione di
onnipotenza generata dalle sue pupille nere o quella scaturita
dall'impostazione di tutta la sua figura longilinea. Di sicuro quello
lo avresti notato ovunque, anche nei paesi in cui il canone orientale
non è considerato (e qui aggiungo erroneamente) parte
integrante del
concetto di bellezza. Avevamo deciso di
frequentarci nella
stagione invernale. Solitamente lo aspettavo alla stazione del metro,
ovviamente quella ubicata nelle vicinanze del plesso dove egli
spendeva la propria interessante giornata lavorativa; lo attendevo
anche intere ore con le cuffie nelle orecchie ascoltandomi canzoni
melense,visto che ero tutto preso dalla parola “noi”,
a
tal punto da non poter perdere un briciolo di tempo nell'osservare i
passanti. Per la prima volta mi sentivo fortunato di fronte alla mia
misera vita, per una volta il fato aveva baciato la mia fronte
amorevolmente come sogliono fare le madri amorose coi propri figli
prediletti. Avevo una possibilità di uscire da tutto questo schifo.
Ryo era la mia porta di accesso secondario al grande mondo della
felicità, non che mi figurassi grandi cose, sono sempre
stato un
tipo a cui basta poco per considerarsi
“soddisfatto” (preferisco
non alludere alla gioia totale dei sensi, onde evitare la chiamata
della sfiga in anticipo). Quando l'ora dell'appuntamento si
avvicinava NON facevo altro che cercarlo tra la massa, il mio
Ryo, e già il suo nome mi arrivava dalle labbra alle
orecchie con
suono ameno (avrei scoperto più tardi che suddetto nome mi
sarebbe
perfino giunto al cuore). Da qui si capisce quanto fosse vitale anche
solo il fatto di sentire un qualsiasi schioccar di labbra pronunciare
un suo omonimo, ed ecco che mi separavo (nemmeno sapendo come) dal
tutto e diventavo un automa Ryo-dedicato. Tanto
più lo
guardavo giungere da me con quel suo passo elegante e distaccato,
mentre spuntava lentamente fuori da quel tunnel fuligginoso, tanto mi
convincevo della sua unicità, associandolo alla figura del
cavaliere
senza macchia e paura, fautore di un amore sincero. E mentre lui
avanzava, NON riuscivo a NON pensare che alle sue piccole
particolarità, dallo sguardo che mi rivolgeva per salutarmi,
da
come si muoveva in mezzo alla gente, NON riuscivo a staccargli gli
occhi di dosso. Era difficile dimenticarsi del suo essere
Ryo
con tutti quei richiami circostanti e mille riferimenti. Mi sembrava
che in quel periodo le cose più contingenti assumessero
connotati in
qualche modo coinvolti con lui o col suo modo di vivere. Finalmente
sapevo che esisteva pure lui nel mondo, l'uomo dei
miei sogni.
Potrei dilungarmi per ore a spiegarvi di come mi porgeva il saluto o
con quale disinvoltura mi cingeva le spalle e ci avviavamo da qualche
parte. Forse tutto questo NON denota che il sottoscritto è
totalmente devoto alla sua figura di Gentleman? Nel momento in cui
sono al suo fianco mi permetto di NON rimuginare troppo, ma so
perfettamente che quell'angolo dove lui ha detto
questo e
quest'altro in futuro avrà un significato diverso, magari
pure
malinconico; Ho costantemente quel vago presentimento che prima o poi
ripasserò per quel posto sacro senza di lui, magari
ripensandolo
mestamente ...Oddio
Ryo mi manda
in tilt il cervello. Lui
è anche quel tipo di
persona che ti fa sminuire involontariamente, mi chiedo se vicino a
lui così bello e alto potessi parere un incidente
della natura,
io che di grazioso ho ben poco nel mio essere minuto, benché
tenti
di esternare cotanta sicurezza additatami più d'una volta.
Certamente ero invidiato moltissimo, vista la mia posizione
privilegiata al suo fianco e il senso di possessione inconscio
dimostrato da lui in rare occasioni (seppure
illuminanti
riguardo a certi suoi atteggiamenti). A Ryo potevi perdonare tutto,
anche quel suo lato nevrotico spiacevole che spesso allontanava tutti
gli altri tranne me (a dire la verità
compresi di avere
davanti un soggetto un poco nevrastenico solo molto dopo, all'inizio
notavo solo sprazzi non diffusi di malessere). Dopo qualche mesetto
conoscevo molto di lui e lui credo che mi considerasse una sorta di
psicoterapeuta, tanto si spingeva a confidarmi i suoi segreti e
pensieri, anche i più indicibili per la stupidità
di fondo.
Nonostante tutto, rimaneva nella mia testa materializzato sempre come
l'ideale degli ideali e sotto l'etichetta “pregevole
e d'ottima
forgiatura”. Anzi, mi ero perfino convinto
della strampalata
idea che la sua agitazione determinasse il mio acceso interesse nel
scoprire cosa ci fosse in fondo al pozzo. D'altro canto come avrei
potuto motivare questa mia tendenza a cercarmi dei malati?
Se
lui era malato io sicuramente lo ero più di lui.
Secondo voi, e
qui interpello la vostra sensibilità, uno che prima di ogni
appuntamento ritaglia attentamente dal giornale il riquadro contente
il proprio oroscopo e quello di Ryo e li attacca sulla bacheca
personale di camera in modo ordinato e cronologico, non è
forse più
MALATO del tipo a cui va dietro?
[Oltretutto pecco di
prolissità, perdonatemi]
Tutto questo fine
collegamento di pensieri sparpagliati si dissolveva all'improvviso
non appena lui intrecciava le sue dita calde alle mie ghiacciate e mi
faceva notare, con una certa insistenza, quanto fosse inquietante
quel particolare su un nanetto come me. Allora mi staccavo dal suo
corpo protettivo e mi fingevo indiavolato proseguendo di qualche
passo da solo, lasciandomelo alle spalle. Al massimo resistevo
qualche secondo, poi sentivo la necessità di voltarmi (e
cedergli),
cercarlo con lo sguardo e pensare che fosse di mia appartenenza.
Quella sera che mi portò
a cena fuori, reagii allo stesso modo. A dire la verità ero
solito
farlo quando il signorino si divertiva a notare quanto fossimo strani
insieme, il gigante e il nano. Allora rideva divertito, riprendendomi
tra le sue braccia come se fossi una trottolina, impedendomi
così di
scappare dal suo dominio incontrastato.
Mica si era accorto che
quello strampalato era solo lui [TSK. Permettetemi qualche rivincita
personale ogni tanto].
Dicevo, passato il
momento di ilarità, Ryo si fermò d'un tratto come
colto da un'idea,
forse una delle sue solite stramberie solipsistiche e mi disse con
tono secco
-Bello che sei- e
togliendosi un guanto di pelle mi afferrò il viso,
respirandomi
praticamente sul viso- Una volta mangiato potremmo pure
chiuderci
in bagno e fare l'amore- ed ecco che la sua sfera animale era
giunta alla rivelazione. Non appena vide il mio viso attonito
lasciò
la presa, pronto a fumarsi l'ennesima sigaretta col solito volto
serio appeso.
Chiacchierammo tutta la
sera piacevolmente e io al solito pendevo dalle sue labbra sapienti,
conoscitrici di ogni anfratto e porzione di pelle, quelle labbra
così
cariche d'esperienza che cercavano solamente carne nuova per
ripetersi dal principio nella loro ricerca affamata.
Avevo intuito che a Ryo
non potevo dare segni di attaccamento evidenti, quali i nomignoli che
ci si è soliti scambiare tra innamorati, oppure qualsiasi
altra
frase struggente. La parola con lui doveva essere abolita,
taciuta. Al riguardo mi illuminò sia quella serie
di racconti
che mi fece del suo passato amoroso sia la sua intrinseca paura ad
attaccarsi alle novità. Lui tanto forte, tanto indipendente
dal
mondo infondo infondo sapeva benissimo il pericolo che avrebbe corso
seguendo il sentimento. Mi domandai se a trentanni fosse ancora
legittimo scappare.
Venivo puntualmente
tradito nel mio intento di distacco dal modo in cui lo guardavo. Gli
occhi trasudavano l'amore che non potevo donargli se non con languidi
e taciti sguardi.[ Soffocavo sempre di più quell'istinto
amoroso
latente in me, quel desiderio profondo di chiamarlo Amore mio
]
Devo ammettere che la
consapevolezza di non potergli dire quanto lo
amassi mi
destabilizzava. Allo stesso tempo, sembrava frenarmi quella freddezza
creata da Ryo nei momenti deliranti in cui mi raccontava di come
delle tipe si fossero innamorate di lui in pochi mesi e gli avessero
detto
-TI AMO- rigirava
l'accendino tra le dita allungate e aggiungeva- Ma come potevano
amarmi in realtà dopo due mesi? Scopavamo e basta. Come potevano
amarmi?-
e non pareva
accorgersi di quali pugnalate mi stesse tirando. Non perché
fossimo
andati a letto o chissà cosa, ma per il semplice motivo che
a un
uomo come quello non potrai mai dichiararti e vi assicuro che
realizzarlo fa molto più male di quanto non sembri. Mi
sentivo
annullato. Ciò
nonostante mi
imposi un obiettivo nei confronti suoi, sarei stato io a farlo
cambiare, a non farlo più fuggire dalla coppia.
Studiandolo mi accorsi
che non aveva certe finezze del fin amator e qui mi
riferisco
alle due o tre tattiche seduttive che si imparano uscendo con
qualcuno; anzi a volte mi sembrava perfino più impacciato di
me
nell'approcciarsi col mio corpo. Mi chiedo a questo punto come
interagisse con le donne durante il
“corteggiamento”, se così
si fosse potuto chiamare. Io invece lo stuzzicavo come potevo.
Sarà
per quello che finimmo la serata a casa sua. Fu la prima volta che
andai a letto con Ryo.
Contrariamente a quello
che mi aspettavo il suo piccolo appartamento era molto pulito, non
mancando di splendore neanche negli angoli più nascosti.
Indice di
un uomo attento, amante dell'ordine e forse più complessato
delle
casalinghe doc.
-WOW come sei
ordinato- esclamai passando un dito sopra al ripiano pulito
della
cucina per saltellare successivamente vicino al tavolo.
Sorrideva e mi guardava
mentre finiva la tediosa operazione di rimozione della scarpa destra
sulla soglia di casa, ovviamente mantenendo il più assoluto
silenzio. L'attimo successivo mi dava le spalle, seduto sullo
scalino, forse avendo convenuto che appoggiato avrebbe fatto meno
fatica in quell'atto meccanico. Ed eccomi a coglierlo dolcemente di
sorpresa con le dita insinuate al di sotto della camicia, che tentoni
cercavano di liberarlo dal raso nero. Mentre ero dedito a quella
attività piuttosto singolare giunse alle mie delicate narici
un
intenso odore di maturità, per lo più
rappresentato dal forte aroma
sprigionato dalla sua pelle lasciva e da quell'acqua di colonia tanto
audace quanto penetrante. Mi eccitai.
Cominciai a mordergli
delicato il lobo salendo fino alla cartilagine e lui sotto il mio
dominio farfugliava qualcosa tenendo gli occhi chiusi.
-Taka questi sono
giochetti pericolosi-
Non mi interessava se
fossero realmente tali o cosa, avevo voglia. Evitai di rispondergli
concentrandomi meglio su altri dettagli. Certo che stentavo a
rendermi conto di essere nella casa di quell'uomo affascinante che
molti anni prima avevo timidamente sognato al mio fianco. Se non
fosse stato per l'olfatto, mica ci avrei creduto che quello era
veramente il biondo mozzafiato e tanto meno di starlo toccando tanto
famelicamente. Ancora i respiri erano regolari ma gli animi in
fiamme.
Lasciai che si alzasse,
seppure in quel modo avessi un vantaggio di altezza non del tutto
sottovalutabile.
-Insomma non me la
mostri la tua cameretta Boy?- incalzai per spezzare
l'atmosfera
creatasi.
Lui mi guardò come per
sottolineare che avevo fatto una emerita stronzata a parlare in quel
momento, e io sapendolo misi un visetto divertito.
-Beh se sei proprio
così impaziente di fare un giro turistico della casa...ti
accontento- e si mise bellamente a mostrarmi veramente tutte
le
stanze, enumerandole e aggiungendo ai loro nomi alcuni dettagli
bizzarri. Mi rilassai e feci male, perché questa volta fu
lui a
cogliermi alla sprovvista buttandomi sul suo letto.
-Sottomesso, Sir-
mi leccò la guancia giusto quel poco, come se fosse un
gattino
Risi, risi e risi. Certo
che solleticandomi non poteva farmi venire fuori altre reazioni, mi
sembra scontato. Era stupido, come piaceva a me, e io ero ingenuo,
come faceva comodo a lui.
Finì
per essere la
solita cosa meccanica.
[ Era sesso]
In quelle scene confuse
sentii solo il richiamo della carne.
[Era stupido
sesso]
In un attimo mi fu chiaro
che non avevo bisogno di lui,
[ Era sesso scontato
]
Esattamente quando con
aria distaccata mi aprì le gambe e cercò la mia
via di accesso.
[Era solo sesso]
Accanto a lui mi sentivo
morto dentro.
Finì
che la cosa più dolce del mondo mi fece ribrezzo.
...
Io non me lo ero mica
immaginato così...Nelle mie fantasie lo volevo coinvolto,
volevo più
carezze, volevo più impeto animalesco, volevo sentirlo mio
tutto...volevo che fosse indimenticabile la prima volta con
lui...insomma lo volevo totalmente innamorato.
-Ti prego smettila, mi
fai male- mi dimenai conficcando le dita nelle lenzuola.
-Per carità, se deve
farti male...non voglio che tu soffra- mi richiuse le gambe
di
scatto e mi portò al suo petto. Aveva un non so che di
patetico e
schifoso tutto questo.
Andai a fumarmi una
sigaretta in cucina, dopo le mie constatazioni.
Patetico, veramente.
Altro che la durata erculea e dimensioni spropositate che
vantava ogni volta nei messaggi o direttamente nel mio orecchio. Ero
invelenito, ferito ma tremendamente innamorato. Tanto lo sapevo che
gli avrei perdonato pure l'evidenza, e come se lo avrei fatto.
Cercavo di convincermi del fatto che non si fosse totalmente eccitato
perché il profilattico davvero gli dava qualche problema e
non si
sentisse a suo agio indossandolo [Me lo aveva detto subito, quasi
cercando di difendersi o meglio di difendere il suo orgoglio ferito
di uomo].
Lo trovai disteso a letto
con lo sguardo nel vuoto. Fu così che, impietosito, gli misi
la
sigaretta in bocca
-Dai fumaci sopra-
lui fu catturato dalla turgidezza del mio sesso imponente ancora
insoddisfatto, che gli era praticamente di fronte al naso.
Mentre gli accendevo la
cicca mi teneva la mano sul gluteo infreddolito, quasi per non farmi
andare via. Dovevo ammetterlo, aveva lo sguardo da cane bastonato.
-Ryo sono io che non
ti piaccio forse?- glielo chiesi spontaneamente
-No, Taka. Anche ad
altri glielo fa...davvero. Mi spiace...-
Non gli proposi neanche
altre soluzioni alternative, tanto farsi dominare da me non era
nemmeno da pensarlo.
Però un piccolo
capriccio personale volevo togliermelo, non ero del resto in grado di
prendermi cosa volevo? Se non fosse stato il suo cuore mi sarei preso
altro.
Lo riscaldai a modo mio,
come potevo far meglio. Lui ne fu felice e apprezzò molto le
doti
della mia bocca.
-Notte- dormimmo
dandoci le spalle.
L'indomani mi alzai molto
presto, per un fattore di abitudine non per altro, e felicemente
constatai che Ryo dormiva profondamente. Ero sollevato, la notte era
passata velocemente.
Afferrai il cardigan e
tutto ciò che avevo scaraventato a terra, perché
mica mi aveva
spogliato il signorino -avevo dovuto fare da solo quella parte- e me
ne andai via.
Di me rimasero solo
saluti freddi impressi in un bigliettino sul tavolo,
e quel “CRETINO”
scritto sulla pancia del biondo con l'eyeliner.
Evitai di pensarci
ancora, preferivo concentrarmi su cosa mi avrebbe atteso a casa;
ormai era tutto un programma “la nostra famiglia”.
Girai la chiave nella
toppa due volte prima di accedere nel caos. E, davvero, stavolta lo
era. C' era una indescrivibile quantità di roba in terra,
scaraventata con una indicibile rabbia contro il pavimento e pezzi
disseminati di cotto rotto, di sicuro per l'urto. Subito pensai ai
ladri e mi precipitai dentro a ogni stanza chiamando mia madre; e qui
farei notare il dubbio mestolo che impugnavo come difesa e la paura
che mi era entrata addosso. Il fatto più inusuale era che
neanche
Koron si vedeva a giro; di solito i cani sentono
sempre se c'è
un intruso. Beh Rossano il gatto bastardo
è un capitolo a
parte, lui vive nel suo mondo obeso isolato da tutto.
Quando arrivai in camera
la trovai a letto con Koron ringhiante vicino.
-Mamma! mamma!- la
strattonai due o tre volte, ma non mi rispose. Continuai a chiamarla
disperato tenendomela stretta tra le braccia. Finalmente dette un
segno di vita
-Takanori...ma che ore
sono?- era leggermente assente.
-Sono le sei. Cosa è
successo? Cos'è quel caos giù? Diavolo! Pensavo
fossero entrati i
ladri!-
-No, nessun ladro-fece
segno di mettermi seduto- è tornato tuo padre...-
E sentii tutta la
pesantezza del mondo gravarmi sulle spalle.
NdA:
La tragedia si è
compiuta del tutto o quasi.
Questa è forse la parte
che più può risultare banale rispetto al resto,
me ne rendo conto,
ma è fondamentale per la coppia. Del resto si tratta di una
tragicommedia no? Quindi bisogna soffrire prima o poi, come nella
vita di tutti i giorni.
Non aggiungo altro in
merito, oltre alla spiegazione doverosa del titolo. Scusate la mia
frammentarietà e ermetismo, non sono in vena di dire di
più, anche
perché sarebbe un puro spoiler aggiungere altro materiale
integrativo.
Come vi sarà ben noto la
Pantomima è la rappresentazione muta di un'azione scenica,
che viene
espressa mediante movimenti corporei e gesti. Va detto che è
utilizzata prevalentemente nel balletto e quasi elude il teatro
d'opera, se non per rappresentare scene di particolare suggestione.
Se portiamo su un piano
pratico ciò che esprime la teoria, e ivi specificatamente la
fiction, avremo che la scena di suggestione e tensione
è
rappresentata dall'atto sessuale. Tuttavia ho voluto riprendere
l'abolizione della parola anche per dare un ulteriore senso al
rapporto creatosi tra i due uomini.
La sublimazione
amorosa è invece riferita al monologo, quasi
delirante e con
toni patetici, di Takanori che fa nella prima parte e che ci spiega
irrazionalmente, perché è il sentimento che
parla, la visione che
ha del rapporto amoroso.
Grazie per aver letto,
Valja.
|
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Capitolo 7 *** Vecchi parrucconi in potenza ***
Vecchi
parrucconi in potenza.
«
Viviamo in un mondo regolato da precisi ingranaggi,
assemblati
complessamente tra di sé affinché possano
controllare un intero
sistema evitando difformità, stranezze di qualsiasi genere e
natura.
Io non sono un ingranaggio né tanto meno vivo sotto il giogo
di un
razionale macchinario; allora che qualcuno mi spieghi perché
si
pretenda che reagisca meccanicamente anche ai sentimenti, perfino
quando è in ballo l'amor puro. Io non ho fili elettrici
capaci di
alimentarmi finché arriva la corrente, tanto meno vanto di
bulloni
disseminati nel corpo né reagisco agli stimoli con un
linguaggio
predefinito. Sono fatto di ossa, legamenti, pelle e sentimenti. Non
posso essere riaggiustato con le pinze, tenaglie o pappagallo, le mie
ferite si cicatrizzano solo dopo aver versato sangue. E non sono
nemmeno da rottamare quando il mio hardware si fonde, tutt'altro. Se
il cervello mi si crasha non esiste nessun tecnico
che possa
ripararmi, sarebbe come dire che un chirurgo riassembli parti
meccaniche delle persone. »
Certe persone
proprio non possono essere salvate.
Si impara a nostre
spese.
Papà e Ryo erano due
esempi lampanti di questo insieme disgiunto dal
resto del
mondo.
Chissà se vuoti o
no, almeno loro speriamo che siano coincidenti tra
di loro.
Molto molto complessi.
Almeno ora riesco a
spiegarmi perché tutti e due hanno scelto percorsi
matematici, i
numeri complessi devono stare da sé, in un universo
parallelo con le
loro coordinate, benché contengano tutti gli altri. Questi
numeri
non esistono, sono immaginari.
Specialmente nella vita
di tutti giorni essi sembrano dissolversi tra i loro calcoli astrusi
e lasciare tutto il resto sotto chili di polvere. Questo volevo
provare a spiegarlo a mia madre, con semplici parole, perché
ero
sicuro che mi avrebbe capito, in fondo non eravamo nella stessa
situazione sentimentale? Abbandonati, usati, lacerati senza nessun
motivo apparente. E io mi riconoscevo nella follia albergante dei
suoi occhi, come lei poteva rispecchiarsi in quella che i miei
emanavano in risposta alla sua. Per la prima volta sentivo di doverle
riconoscere almeno qualcosa, l'umanità del dolore. La
rassicurai
prima che cadesse nuovamente nel sonno più assoluto, quello
che la
strappava da settimane dal ritmo folle della vita. Stringendola tra
le braccia mi sentivo pure io nelle fila dei traditori, sapevo che
col mio atteggiamento solipsistico l'avevo ignorata da sempre,
offuscato dall'odio represso e considerandola inferiore in tutto,
senza mai averla ascoltata realmente.
Io questa donna
l'amavo e fu quell'attimo evanescente a farmelo capire,
quando
colsi l'odore delicato di una madre venirmi a cercare mentre la
stringevo.
-Mamma svegliati che
dobbiamo andare...- in realtà non saprei dirvi se
mi sono mai
rivolto a lei così, ma stavolta c'era tutto il sentimento
d'amore
che le avevo negato fin da quando aveva varcato la porta di casa.
Ricordo benissimo che
quando mi fu presentata come “madre” io la
rinnegai, non la
volevo nella mia casa, nella mia intimità quella
sconosciuta, non
l'avrei mai potuta accettare. Io volevo solo la mia
mamma, la
donna che mi aveva portato in grembo tanto amorevolmente per sette
mesi.
Lei non pareva neanche
rendersi conto di dove fossimo non appena le mie parole la toccarono
dolcemente. Aiutai a farla alzare, ma la sua debolezza fece
sì che
il suo peso gravasse su di me.
Fui uomo, l'uomo che
aveva sempre sognato in quei momenti e che ahimè non era mai
stato
capace di esserci. La lasciai in ottime mani, sicuro che i medici si
sarebbero presi cura di lei mentre io ero via a rimettere apposto la
nostra vita.
Stringendo il volante
della mia piccola utilitaria non mi ero mai sentito tanto motivato
nel fare qualcosa, solitamente ero ucciso nei miei intenti
vitalistici dal dolore o dalla quotidianità del circostante.
In
qualche modo era come se un tubo invisibile mi risucchiasse tutto
l'entusiasmo per vivere, per riuscire a essere felice provocandomi la
sensazione sgradevole di stare in un posto schifoso. Scattai al
verde fluorescente e giù per la via che mi avrebbe condotto
verso
l'inizio della fine.
Era uno splendido mattino
di un tanto anonimo giorno di febbraio, fatto di luci soavi e
lampadine spente della cittadina, ricordando che c'era da risparmiare
in quel periodo di crisi nazionale. Evidentemente però a
casa di
quel simpatico signore si trasgrediva alla grande quello
sforzo
unanime per avere energie da sfruttare in un futuro venturo. Non ci
fu nemmeno bisogno che l'attesa durasse a lungo perché mi
venne
subito incontro il diretto interessato al primo toc sulla
porta.
-Buon giorno, cosa
posso fare per lei?- in un formale giapponese col solito
sorrisetto di circostanza a ricordarti che sei totalmente un estraneo
e tale rimarrai
-Potresti comportarti
da persona seria, papà- controribattei invelenito
in uno slang
periferico.
-Takanori...-parvero
mancargli le frasi di effetto sfoggiate poco prima.
-Fammi entrare,
dobbiamo parlare- feci segno di farmi spazio. Di sicuro non
mi
sarei comportato così in altre situazioni, ma lui se lo
meritava
eccome.
Fui accontentato, almeno
si sarebbe risparmiato che il vicinato lo sentisse discutere con me.
-Vedo che tuo
figlio è stata la priorità assoluta una volta
rientrato in città,
vero? Forza da quanto è che sei qui?- inveii subito
-Takanori calmati un
attimo e ne parliamo da persone civili- mi zittì
con la sua
freddezza.
Cercai di trattenere
tutta la rabbia accumulata dentro, ricordandomi che lui era l'unico a
cui potevo chiedere qualcosa di più, l'unico che mi era
rimasto in
famiglia. Non vi sorprenderebbe affatto sapere che l'albero
genealogico dei Matsumoto vanta di molte diramazioni, perfino
straniere e intricate, ma al suo interno sembrano esserci motivi
oscuri, talmente tanto oscuri da separare segretamente buona parte
degli appartenenti, o meglio noi. Il primo ricordo
familiare
che ho è piuttosto bizzarro e lo ammetto qui, dove nessuno
di loro
può rintracciarmi o controribattere. Fin da quando ero molto
piccolo
associo con estrema fatica una faccia al ruolo di zio, mi era
più
congeniale immaginarmelo con i volti proposti dai libri per bimbi,
dove ci sono raffigurate le famiglie felici e con delle belle facce.
Disteso sulla moquette, in quei pomeriggi fanciulleschi
interminabili, mi chiedevo dal cantuccino mio se anche i miei avi o
parenti avessero bei visi come quelli che vedevo, sognavo.
Sorridenti, amichevoli, gioiosi. Io a differenza degli altri bambini
non lo sapevo affatto cosa fosse il regalo di Natale dei nonni ed
essendomi abituato alla totale mancanza di certe figure di
riferimento, ignoravo completamente la loro importanza. In me era
maturata la stessa freddezza di mio padre, quella che ricordo gli
leggevo sempre sul viso scuro alla fatidica domanda “ma i
nonni
quando li andiamo a trovare?”
Conoscere i suoi tabù e
accettarli mi aveva reso esattamente il riflesso della sua
aridità
umana, un robot incapace di amare. Poi ruppi questi vincoli, stufo di
essere legato da troppe regole a un mondo che mai mi era appartenuto
e tornai finalmente a vivere. In un certo modo sapevo di avere dentro
qualcosa di speciale tramandatomi da mia madre, la
donna che
mi aveva concepito. Ancora oggi mi chiedo se quando la sua pancia fu
feconda fosse stata sola, e lo sguardo distaccato di questo uomo me
lo conferma. Lui c'era solo per donarle il suo seme, per darle me e
poi abbandonarci.
-E va bene, ma vedi di
girarci poco intorno- lanciai una occhiata bigia contro la
sua
persona calma e posata.
-Posso capire che tu
sia arrabbiato, ma vedi ho le mie buone motivazioni per aver fatto le
mie scelte- prese una tazza e mi indicò il
tè. Feci un cenno
di diniego, al che si versò lentamente il liquido verdastro
nella
tazzona. La sua lentezza mi innervosì a tal punto che
sbottai in una
romanzina piuttosto sentita
-Avrai pure le tue
motivazioni ma ti sei comportato da cane, non ci hai lasciato un
centesimo per condurre una vita decente. A fine mese ci arriviamo a
stento e tu intanto vai a giro con le tue puttanelle...-
-Avrò pure sbagliato
come padre, ma si può sempre rimediare...-ribatté
estraendo un
libretto degli assegni dai pantaloni
-E ora intendi
rimediare coi tuoi sporchi soldi la presenza che non ci hai mai
dato?- aggiunsi velenoso
-Di
altri rimedi non mi pare che ce ne siano, figliolo, al momento. Sai
che ho molto da fare per lavoro ma che ti ho sempre voluto bene-
strappò quell'assegno dal blocchetto porgendomi una
possibilità
nuova. Al principio non avrei accettato, ma quei soldi mi servivano
per curare mia madre.
-Li prendo solo per
curare tua ex moglie, non perché voglio l'elemosina da te-continuai
sulla linea dell'acidezza.
-Perché che cosa
ha?-parve volersi informare riguardo alla sua salute,
lasciando
passare le mie risposte
-è ricoverata in una
clinica...Pare che sia affetta da demenza senile- osservai il
bordo del centrino sul tavolino tra di noi come se fosse qualcosa di
estremamente interessante.
-Oh, mi spiace-si
interruppe dopo questa frase convenzionalizzata e adatta a tutti i
nomi e sessi che ci si volevano mettere- Takanori aspettami
qui,
vado a prendere una cosa- si alzò di scatto come
se fosse stato
illuminato da qualcosa di detto.
Non sapevo minimamente
cosa fare, chi odiare, cosa pensare di tutto questo. Ero
terribilmente confuso e affranto da un dolore tanto profondo da
essere incapace di muovermi, perfino da quella poltrona dove avevo
trovato un momentaneo riposo.
Tornò da me con una
scatola tra le mani, sapete una scatola normalissima da scarpe
però
elegantemente decorata con fiorellini laccati sopra ad arte. Quando
tolse il coperchio mi mostrò implicitamente un mondo nuovo,
costruito con la stessa minuziosità del suo
“guscio”, tra
scatoline e quadernetti color pastello.
-Questa scatola era
della tua vera
madre. Mi ha chiesto di
fartene dono solamente quando avresti raggiunto ventuno anni,
l'età
in cui morì di parto- me la posò sulle
ginocchia fragili, che
in quella rivelazione avevano trovato un ulteriore peso da sostenere
oltre quello dell'anima e del corpo.
Il mondo non mi era mai
gravato così tanto sulle spalle. Caddi in un fosso
profondo non
so nemmeno lungo quanti chilometri, consapevole solamente del fatto di
essere anonimamente solo. [Lei non se ne era andata come mi era stato sempre detto, lei era morta per darmi alla luce]
Passarono forse le ore
più tragiche della mia inconsistente vita attraverso le
spiegazioni
dettagliate di alcuni ritagli di esistenza che avrei dovuto accettare
e integrare nei miei ricordi inaccessibili. Di sicuro quegli occhi
stanchi aggiunsero molte emozioni al non detto, implicito pure in
modi di porsi e gestualità confusa. Sottovalutai il dolore
che ci
avrebbe provocato rievocare vivamente tutta la nostra storia
escludendo la possibilità di un pianto silenzioso quanto
sincero.
Finii ancora di cercare
mia madre nel corpo di Ryo, illudendomi che il suo amore materno
potesse coesistere con quello carnale di un uomo, poco incline ad
aprirsi a me. Nonostante non capissi più chi fosse quel uomo
per me,
precipitai sotto casa sua, mi feci aprire e gli caddi tra le braccia
ancora una volta, più indifeso della volta precedente.
Mi accolse stupito con la
mente lontana, forse pensando a quei calcoli astrusi che da diverso
tempo lo impegnavano in nottate intere senza la più remota
possibilità di vedersi. Che razza di uomo
è uno come lui?
Non riuscivo a realizzarlo al momento e nemmeno pareva tangermi
più
di tanto.
-Ryo facciamo
sesso-fui lapidario e irremovibile nella mia richiesta,
già
occupandomi della sua maglia.
Lui rimasto di sasso
dalla mia frettolosità si fece spogliare benché
con lo sguardo
cercasse di mettermi in soggezione, come suo sovente faceva quando
qualcosa non gli quadrava.
Io non mi feci
intimorire, perché quella volta lo avrei usato io ai miei
scopi il
suo corpo e non viceversa.
Fu una notte dove
infiammai pure il suo spirito dormiente e dall'oscurità di
un animo
inaccessibile estrassi sentimento vivo, rimanendo nella forma dei
gesti e non in quella delle parole.
Lui era disposto a darmi
solo un sentimento intransitivo, incapace di farlo passare insieme ai
baci dalle labbra.
Certe persone non possono
essere salvate dal loro avvenire e neanche vogliono che nessuno lo
faccia. Sono i peggiori di tutti. Pensate che anche quando
trovano
l'Amore della loro vita, per quello strafottutissimo orgoglio, sono
disposti a rinunciare a un futuro certamente felice. Ryo era parte di
questi, vero mamma?
NdA:
Eccoci al punto cruciale di tutto, annunciatore della fine imminente.
Nel prossimo capitolo, quello che chiuderà questa long fic,
capiremo quale sia l'elemento innovatore e se effettivamente ci sia
qualcosa di differente dalle altre storie ReitaxRuki. Un piccolo
assaggio c'è, ma non credo che sia possibile immaginarne lo
sviluppo, perché davvero è una via piuttosto
inusuale.
Mi ha fatto molto male scrivere il capitolo precedente e questo,
vedendomi talvolta riflessa in uno dei personaggi di cui ho parlato.
Fortunatamente non sono (ancora) così sfigata come il
piccolo Taka, però ognuno ha la sua storia bella da
raccontare, e sicuramente per uno di loro ci sarà...
Alla prossima,
Valja
|
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Capitolo 8 *** Il dilemma del Porcospino ***
Atto
Finale.
Il
dilemma del Porcospino.
(3.)
«Oggi,
appena entrato nella tua casa,
mi
sono sentito
a
disagio.
Tu
celavi qualcosa nell'abito di seta
e
s'effondeva nell'aria un profumo di incenso.
Sei
felice?
Hai
risposto un freddo:
“molto”
[…]
Lo
so,
ormai
l'ha consunto l'amore.
Da
tanti segni indovino la noia.
Fammi
tornare giovane nell'anima.
La
gioia del corpo fa di nuovo conoscere al cuore.
[...]
Gioisci,
gioisci
d'avermi
finito!
Ora
è tale l'angoscia che desidero
soltanto
fuggire al canale
e
il capo cacciare nell'acqua digrignante
[...]
Oh,
questa
che
notte!
Ho
spremuto a non finire la mia disperazione.
Al
mio pianto e al mio riso
il
muso della stanza s'è torto in una smorfia di orrore.
[…]
Tu
che hai saccheggiato il mio cuore,
privandolo
di tutto,
e
nel delirio, m'hai lacerato l'anima,
accogli,
il mio dono,
forse
più nulla io potrò inventare.
[…]
»*
L'albeggiare
filtrava
cautamente attraverso gli spifferi della tapparella mettendo in
rilievo il disordine che io e il signorino avevamo
creato
artisticamente giusto un po' di ore prima: svariati calzini spaiati
pendenti pericolosamente dallo schienale bluastro della sedia e
disseminati sulla sua scrivania (superficie piana sulla quale mi ero
adagiato durante le ore della passione), la sua camicia inamidata
gettata frettolosamente all'estremità del letto e salendo da
lì,
procedendo vertiginosamente nella nostra direzione, c'erano vari
indumenti spiegazzati dal nostro impeto animalesco, ora sparpagliati
chissà come ovunque. La stanza era così animata
da Ryo, da me e
tutti i nostri stracci quotidiani ingarbugliati in modo inspiegabile
tra e intorno a noi.
Tanto improvvisamente mi
aveva colto il sonno -rivelando peraltro le mie attitudini
bambinesche- che mi ero addormentato stringendo la sua maglia di pile
tra le braccia esili.
Un tempo questo pezzetto
di stoffa scadente usava essere di un colore tendente al blu
oltremare; poi da quella luminosità e intensità
tipica dei capi
freschi di negozio si era fatto piuttosto sbiadito nei risvolti delle
maniche, per non parlare delle fodere delle tasche completamente
sdrucite e rattoppate alla bell'e meglio. Così
quell'acquisto,
vantato più volte come a buon mercato, aveva finito
irrimediabilmente nel trasformarsi in una fregatura. Tant'è
che lo
usava solamente per scopi domestici e se gli capitava anche di
uscirci per sbaglio se ne vergognava. Eppure era comodissimo,
abbondante sui fianchi, tutto dimesso e in netto contrasto con le
camicie da impiegato che soleva tenere al di sotto per pigrizia in
alcune sere, anche dopo essere uscito dall'ufficio. “Le
cose
vecchie e lacere sono sempre le migliori!” Pensai
scherzosamente. Tenendomelo stretto sentivo il profumo penetrante di
Ryo impresso in quelle fibre semplici; non era sgradevole come uno
potrebbe immaginarsi, tutt'altro. All'odore balsamico di fondo
dell'ammorbidente e del bagnoschiuma al sandalo si aggiungeva
timidamente quello della sua pelle matura che manteneva ancora una
leggera punta di latte, come se il bambino in lui fosse sempre
presente per giunta nella fragranza della sua persona. Io di
caratteristico avevo tutte le mie stramberie modaiole matsumotiane di
una raffinata pacchianeria domestica e non, mentre Suzuki in ambienti
intimi vestiva di una semplice straccionaggine cucitagli alla
perfezione addosso, quasi egli fosse un ordito di stracci e
depressione.
Alla fine il manufatto
tessuto con quel binomio particolare – e poi ribattezzato da
sua
madre al momento della creazione-nascita “modello Ryo”–
una volta tanto resistente quanto il fustagno, si era evidentemente
lacerato troppo da lasciare in alcuni punti dei buchi notevoli. Allo
stesso modo aveva fatto lui ultimamente, aveva permesso che le tarme
affamate gli divorassero poco a poco la maglia che indossava
quotidianamente, lasciandolo inerme nei confronti del mondo con dei
vuoti nell'anima.
Mi carezzò il viso un
leggero anelito o forse ebbi soltanto l'impressione del suo ricordo e
spezzò la salda catena di pensieri del dormiveglia. Non
saprei dire
se questo piccolo segnale sia stato frutto della mia mente fantasiosa
o cosa. Davvero. Decisi. Indagai.
Aprii gli occhi su quello
scenario di giacente irrequietudine, sicuro di
trovarmi di
fronte le sue spalle tornite e glabre accompagnate dal odore di
nicotina, impregnatosi già nelle tende e federe. Invece a
darmi il
buongiorno fu la delicatezza del suo respiro e le sue mani possenti,
che ricalcavano, non senza qualche incertezza, le linee del mio viso
imberbe soffermandosi sulle imperfette estremità quadrate
del mio
mento.
-Buongiorno- disse
carezzevole, scostando un ciuffo dai miei occhi cosicché
potesse
osservarmi in toto.
Nel tepore del risveglio
mi sentii di commentare ingenuamente quel gesto piuttosto contrario
alla sua natura coriacea.
-Non credevo che ti
piacesse guardare le persone dormire- scossi il capo per fare
tornare i ciuffi davanti al mio viso, mi vergognavo a mostrarmi
così
nudo a lui.
-Non è che ti guardo
da ore eh. È solo che mi hai fatto il solletico coi capelli
svegliandomi!- rise dando baci al mio collo mentre il suo
corpo,
sovrastandomi, cercava di bloccarmi contro il materasso.
-Dai Ryo!-
strillai- Puzzi di animale. Vatti a lavare e dopo ti
abbraccio
quanto vuoi!- volevo una scusa per scrollarmelo di dosso.
-Gne gne gne-
prese possesso delle mie labbra per qualche secondo- Tra
poco...Bah profumato te allora!- iniziò a
spettinarmi
-Sei un disturbatore
della quiete, Puzzola- e come tutta risposta mi rigirai a
pancia
all'ingiù.
Cadde a sua volta accanto
a me, intontito più del solito dal sonno.
Uno scatto repentino di
molla e il materasso finalmente era diventato un territorio di mia
appartenenza. In uno scambio di battute veloce ero riuscito a
conquistarmi la morbidezza incontrastata, il giaciglio d'amore ancora
caldo dove rotolarsi senza alcun ostacolo!
Tutto ciò che animava
l'appartamento era lo scorrere dell'acqua, poi regnava la calma
incontrastata.
Eppure c'era qualcosa che
stonava in quella situazione, lo percepivo distintamente sebbene mi
fosse impossibile delineare la semplice idea di cosa si trattasse.
Vagliai accuratamente le varie ipotesi del caso, attento a non cadere
in ragionamenti troppo scontati o animati da interesse personale. Il
risultato fu assolutamente deludente, del resto cosa avrei potuto
pretendere da me stesso a quell'ora? E poi....che ore erano? Da
lì
iniziò una travagliata ricerca del mio orologio entro le
pareti di
cartongesso della stanza precarie quanto noi due; Scossi il
materasso, alzai i cuscini, poi pensai addirittura che potesse essere
finito tra le federe e il cuscino tanto che vi indagai, irrequieto
cercai sotto le lenzuola, tra il piumone ed esse, sotto il letto, sui
tappetti gattonando disperato, sotto ai calzini, gettando occhiate
sui mobili, e di nuovo giù in terra per finire sul letto, ma
qui per
scopi di comodità. Tutto a un tratto la gelida stretta di
lui si era
impossessata del mio bacino, serrando la mia virilità tra le
sue
dita.
-Cosa stai andando a
cercare così pazzamente? Ti ho osservato sai?-bisbigliò
rapace
all'orecchio
Incapace di rispondergli
qualcosa, mugugnai andando a sovrapporre le mie mani sulle sue.
Passò un attimo di
silenzio, in cui si divertì come un sadico a tormentare il
mio lato
perverso, passando poi a palpare le mie cosce provando un certo gusto
sopraffino.
-Sa Matsumoto lei ha
delle cosce così morbide...com'è morbido Lei...uhm-cambiava
registro qualora volesse delineare un qualcosa di strano oppure
apprezzabile. Era uso tra noi due dire di queste sciocchezze nei
nostri discorsi. Era il
feeling che avevamo costruito io e lui. Per
concludere in
bellezza, naturalmente aggiungeva sovente delle piccole onomatopee
delineanti gaudio.
Posi fine violentemente a
quel contatto, spingendolo pochi passi più distante da me.
-Smettila Ryo,
smettila di farmi male così...-avevo
la voce spezzata da un profluvio di lacrime.
Evitò
di chiedermi cosa mi stesse succedendo, sapendo preventivamente che
sarei esploso come una pentola a pressione surriscaldata. Girandomi
verso di sé fu mosso a compassione e si mise ad asciugarmi
il viso
con le dita
-Perché
stai piangendo?-
almeno quella
volta fu affabile.
-So
che mi vuoi bene, ma non mi sento amato da te. Mi sento così
morto
–
ecco un anno e mezzo di
tribolazioni silenziose confessato.
-Takanori...lo
sai che ti voglio tanto bene, che tu ne sia convinto o no
sinceramente, ma sai che non sono ancora pronto...-
tutto d'un tratto assunse un atteggiamento compassato.
-Ryo
è passato più di un anno. Io voglio darti amore,
ho tanto bisogno
di amarti, di farti credere che c'è qualcosa di migliore. Tu
hai
costruito un muro di fronte a me, tu non mi
permetti
di amarti!-
il tono crescente
finale venne da sé.
-Takanori
lo sai che sono uscito da una storia difficile. Perché
dobbiamo
sempre parlare delle solite cose? Viviamo così come viene la
cosa...e poi...guardiamo-
rispose piuttosto seccato, come se la “cosa”
non lo toccasse.
-Forse
intendi storia per cosa. Diamo un nome alle
“cose”.E poi... Ti ho
aspettato per un anno, ti sono stato accanto SEMPRE, mi sono donato a
te...e tu perché non me l'hai detto subito chiaramente che
non te la
sentivi? Hai sempre cercato di eludere dal discorso con tutte quelle
tue chiacchiere.-
-E
va bene. Io però mai ti ho detto “mettiamoci
insieme”, ti ho
sempre detto chiaramente che non volevo una cosa
seria...Lo sai il motivo comunque...-
-RYO
CAZZO è PASSATO UN ANNO E MEZZO!-ridimensionai
il mio tono, accorgendomi di essermi fatto prendere dalla furia del
momento- Io ti ho aspettato per tutto questo
tempo, non ho
mai avuto occhi se non per te, per le tue pene e dolori. E sono stato
felice di averti aiutato, credimi. Ma potevi spezzare subito le mie
illusioni. Ed evitami la storia dei sei anni e mezzo passati con
quella...tutto ciò fa parte del passato ormai, che tu lo
voglia o
no-
-Takanori...-mi
afferrò le mani- Come devo
spiegartelo che non ho da
donarti nulla? Io tengo a te e tenevo sinceramente a lei...ma non
posso rendervi felici-
-Tu sei un codardo! Te
lo dico io cosa...Tu a trenta e passa anni hai paura di amare! Di
legarti a qualcuno!-inveii.
Lui non ammise apertamente che avevo perfettamente ragione,
probabilmente l'avrebbe confermato a se stesso tacitamente tra
qualche annetto, dandosi di stupido per aver perso un'occasione d'oro
nella sua vita. Badate, di questo ne sono sicuro.
Afferrai
furioso le mie cose disseminate per terra e mi vestii come meglio
potevo, nonostante le mie mani tremassero per la rabbia. L'ultima
possibilità la riposi in un tentativo da parte sua di
fermarmi, di
ribellarsi alle mie parole, di dimostrarmi che tutto ciò non
era
stato vano. Ma come ogni ottimista che convinto potrebbe morire per
le sue aspettative, io attesi invano, vedendo la sua mollezza e
fiaccaggine rimanere le solite e anzi aumentare portandolo a sedere
sul letto con lo sguardo perso nel vuoto.
-Ciao
Ryo- sbattei
la porta dietro di
me.
Lui
era convinto che me ne sarei tornato da lui con la coda tra le gambe
in un batter d'occhio; ed effettivamente fui tentato molte volte di
ripetere i miei errori del passato, di continuare a fingere di stare
bene, di tralasciare quel implicito problema che ci trascinavamo
dietro da mesi a questa parte.
Tanto
più alto è il dolore tanta più
è la dignità.
Fu la massima tramutatasi in imperativo categorico con la quale mi
imposi di affrontare il dolore soffocante che mi toglieva la forza,
la vitalità, la mia dimensione personale. Mi ero annullato.
Adesso
apparivo come un coacervo inanimato di più istinti
contrastanti e
vivevo quella futile esistenza per inerzia, perché di
privare quel
piccolo corpo della sua singolarità non ne avevo il
coraggio.
Ripensando alla mia condizione infelice ero devastato dal pensiero di
essere in qualche modo simile a
lui,
sgomentato dal fatto che
ancora
qualcosa mi
legava alla sua parallela esistenza, sebbene fossero delle
coincidenze generiche e non più articolate come quelle
passate.
Inutile dire come mi sentissi straziato e anche se provassi con la
massima precisione a descrivervi gli stati d'animo e sofferenze con
le quali convivevo allora, non riuscirei nel mio intento dandovi solo
parole vacue, troppo generiche, usate spesso pure dagli altri e
sfruttate senza criterio. Non era mica per lo smacco subito, ho
imparato da tempo a lasciare l'orgoglio da parte, ritengo
maggiormente verosimile che sia stata spezzata quella riposta fiducia
negli altri, l'impossibilità di fare del bene a farmi
precipitare
tanto a fondo.
Se
davvero avessi potuto avrei sacrificato la mia intera esistenza per
renderlo felice; poi ho realizzato che non è necessario
mettersi in
gioco a tal punto affinché qualcuno a noi caro trovi la propria
felicità, d'altra parte essa è personale.
Sì ognuno è capace di
conquistarla anche se sul momento sembra un'impresa ardua e
irraggiungibile. Alla fine non è questa la bellezza del
nostro stare
al mondo? Sorrido al pensiero di aver formulato in un tempo non tanto
remoto un pensiero tanto sciocco. Con questo non intendo dire che sia
sbagliato sacrificarsi per gli altri, per il semplice motivo che
sarei un ingrato verso la fonte della mia vita, la mia vera
genitrice. Però comprendo l'importanza della conquista
individuale,
in quanto aiuta a districarsi nel complicato labirinto della vita.
Amavo così inconsciamente questo uomo accanto a me, da non
rendermi
conto di essere stato coinvolto in qualcosa di più grande.
Adesso
non dico di non provare nulla, la differenza delle due condizioni
sentimentali giace nella lucidità con cui ho vissuto la cosa
e ne
fui consapevole solamente l'ultima
volta
che lo vidi.
Dall'angolo
della strada proveniva un piacevole odore di caffè misto a
paste
appena sfornate, calde di quelle che mangeresti senza pietà
per ore
di seguito, senza il minimo ritegno e autocontrollo. Ricordai della
mia golosità congenita, di quando assaporavo la favolosa
cioccolata
a cucchiaiate sentendomi improvvisamente meglio e questo era uno dei
miei numerosi episodi fanciulleschi di ghiottoneria.
Entrai
guidato là dentro più dal fiuto che dai miei
piedi, bisognoso di un
break
prima di rigettarmi a capo fitto nella vita di sempre, pieno come ero
di visite ospedaliere e problemi molte volte originali. Al di
là
del bancone se ne stava una ragazza sulla ventina, non
particolarmente avvenente, in attesa di avventori fortuiti e io ero
uno di quelli. Rimasi fedele alla brioche riempita con gustosa
cioccolata accompagnata da un cappuccino; per l'appunto lo stupido
mi aveva raccontato che qui si fanno ottimi espressi perciò
mi era
sempre rimasta la voglia di venirci e tra una cosa e l'altra non
avevo mai avuto l'occasione di farci un giro.
-Buongiorno
Matsumoto-
una voce stranamente
allegra mi sorprese alle spalle.
-Buongiorno
a Lei- fui
altrettanto cordiale
nel salutare.
-Un
caffè per favore- chiese espressamente quando fu
accanto a me-
Anche lei a prendersi un bel caffè per iniziare al
meglio?-
sorrise squisitamente.
-Ebbeh
mi pare d'obbligo, no? Lei ha finito i turni oppure attacca adesso?-
era più carina del solito senza l'uniforme bianco, nei suoi
panni
privi di etichettatura professionale.
-Ah
io ho finito il turno di notte proprio una trentina di minuti fa!
Stanotte sua madre è stata più brava del solito
sa?-la sua voce
si fece più sommessa e riservata- L'ha chiamata
solo un paio di
volte, pensi voleva solo lei! Poi le abbiamo spiegato che sarebbe
venuto l'indomani a trovarla-
-Mi
spiace che vi disturbi così tante volte durante la notte,
davvero.
Immagino che con tutto lo sgambare che abbiate sia un po' noioso
stare dietro alle sue “bambinate”. Non so veramente
come
ringraziarvi di tutto...-fui intimamente grato alla ragazza
per
le parole che stava spendendo con me, ne avevo veramente bisogno. E
forse ella lo aveva capito solo guardandomi, comprendendo il motivo
della mia stanchezza.
-Matsumoto
via non mi ringrazi! Questo è il mio lavoro e lo faccio
volentieri!-
mi fece un occhiolino- Vedo che sua madre è molto
attaccata a
lei, deve essere un figlio d'oro. Non tutti se ne prenderebbero cura
come fa lei!- pareva molto affascinata dal mio operato
paziente e
scrupoloso. Spesso evitavo a Lei e alle sue colleghe di spendere
molto tempo dietro a ogni esigenza di mia madre, che purtroppo ne
aveva tante, occupandomi delle sue abluzioni mattutine, dei suoi
pasti e delle piccole cose. Adesso ero io il genitore e lei la
creatura da accudire; ma forse era sempre stato così e non
mi faceva
particolarmente effetto né mi destava alcuna fatica.
-
Vedi, ti do del tu- una luce strana mi si accese
negli occhi-
io cerco di darle il meglio non per scrupolo di coscienza, ma
perché ho bisogno di vederla stare bene...-lasciai
in sospeso la
frase sicuro che altre parole sarebbero state superflue. Lei parve
capire ciò a cui alludessi e non commentò se non
con uno sguardo
comprensivo.
Alla
fine quel viavai era servito a farmi ricordare da Lei.
***
-Papà,
papà!-urlava correndo verso di me, con quel
vestitino di velluto
rosso tutto gonfio, con le maniche a sbuffo sembrando una minuta e
graziosa fragolina matura. Un sorrisetto furbastro, i piccoli
dentini da latte sulle labbra altrettanto rosse e gli occhietti da
cerbiatta posati su di me
-Papà
la nonna mi ha rubato le caramelle! Diglielo che sono mie!-si
aggrappò ai miei jeans da dietro cercando un appoggio nella
sua
piccola lotta fanciullesca.
-Oh,
ci sono tante caramelle nel barattolo! Dividetele su Ayumi!-
lasciai la brace per un attimo concentrandomi su di lei, in
ginocchioni- Amore mio, la nonna vuole giocare con te. Vai su
e
offrigliele da brava bimba, come ti ha insegnato tuo papà.
Te ne
compro quante ne vuoi...però non dirlo a mamma eh!-
le baciai
amorevolmente la fronte e poi via, libera nel praticello a correre.
Era
tutta sua madre non c'è che dire e di mio, beh apparte il
cognome,
aveva la vitalità fanciullesca e lo sguardo curioso verso i
misteri
del mondo. Ayumi era la mia certezza inconfondibile da ormai quattro
anni e mi era parso che le nostre esistenze fossero sempre state
collegate in qualche modo, solo che non lo avevamo mai saputo prima.
Succedeva che la spiassi a lungo dalla fessura, senza essere visto e
ogni volta venivo colto dall'idea di essere sempre vissuto per
concepirla, perché lei era stata realmente la gioia
più grande che
avessi avuto. E non parlo solo della contentezza di poterti donare
liberamente a qualcuno, ma anche della condizione di farlo privo di
interessi. Quell'amore incondizionato, puro mai datomi dai due uomini
più importanti della mia vita.
Dopo
il biondo a essere sincero credevo di non riuscire più a
vivere
l'innamoramento spensierato, dato che tutti i miei sforzi erano stati
abbattuti deplorevolmente dall'egoismo di una certa persona malata.
Invece trovai il modo di costruirmi una mia piccola oasi di
felicità
con tanta semplicità e sforzi, ma non era forse quello
l'obiettivo
di Takanori Matsumoto?
Avere
una famiglia, un lavoro modesto e vivere. Ora potevo
aggiungerci
pure la modalità: felicemente.
In
mia moglie avevo trovato la complementarità, se non
perfetta, almeno
coincidente con i miei lati più nobili e vi avevo lasciato
tutto ciò
che avrei amato alla follia, Ayumi. Maggio non era
stato
semplicemente il mese più caldo e adatto ad innamorarsi ma
aveva
dato i suoi frutti: avrebbe portato una nuova meravigliosa vita tra
di noi. E più mi spingevo dentro e verso
il grembo di mia
moglie, consapevole del mio atto di creazione, tanto più
raggiungevo
quello spazio dove un tempo anche io avevo dormito tanto tempo prima.
Finalmente avevo riabbracciato mia madre.
Ayumi
era stata voluta tra le nostre lacrime di gioia,
predestinata
a una famiglia “originale” e di sicuro non si
sarebbe mai
annoiata tra le birichinate di sua nonna e i baci dolci di suo padre.
Se
ci penso adesso, neppure in condizione stessa di padre comprendo il
coraggio che ebbe a sua volta quell'uomo ad
abbandonarmi in un
così malo modo. Che essere abietto!
Voglio
raccontarvi anche questa: ogni sera io e la piccola guardiamo dalla
finestra-oblò il mantello blu incantato ricamato di stelle e
impreziosito dalle luci della città. Spesso mi chiede se la sua
nonna brilla con loro e io le do la conferma, sussurrandole cose
dolci. Lei allora mi abbraccia e mi dice che sono il papà
più bravo
del mondo e a me scappano due lacrime.
Dopo
che le ho rimboccato le coperte e lei si è addormentata
volgo sempre
uno sguardo al cielo, proiettandomi a quell'ultima volta.
Rividi
per caso Ryo molto tempo dopo dalla nostra frequentazione
pretenziosamente intellettuale in uno di quei bar in fondo alla
città. Parlammo, ma soprattutto lui riversò tutto
quello che aveva
passato durante quella lunga separazione, mantenendo l'impeto e la
convinzione di un tempo. Fu meraviglioso constatare che mi ero
finalmente liberato dai suoi flussi logorroici. Ormai non l'ascoltavo
con quella rapita attenzione amorosa di un tempo. Era tutto finito.
Il fantasma di Ryo Sukuzi non mi tormentava più.
Sai
mamma,
avevo
ragione...“Certe persone non possono essere salvate
dal loro
avvenire e neanche vogliono che nessuno lo faccia.”
Io e te
siamo stati molto sfortunati nella nostra vita fino ad adesso
incontrando delle persone che ci hanno ferito così
profondamente da
farci credere di aver perso ogni speranza. Senza di te è
stata
veramente dura, avrei tanto voluto avere qualcuno con cui confidarmi
quando soffrivo, avrei voluto condividere con te le piccolezze della
vita, ti avrei voluta accanto nel giorno del mio matrimonio o quando
Ayumi ha perso il primo dentino.
Eppure
so che tu mi tieni sempre per mano o che mi carezzi il viso con
l'impeto del vento ricordandomi di essere come te.
Mamma
ti voglio bene,
il
tuo bambino Takanori.
FINE.
Note
dell'autrice:
Sono realmente emozionata, sono tantissimi anni
che scrivo (e poi
puntualmente cancello con costanza ciò che creo) ed
è la prima long
fic che finisco. In tutto questo tempo molte persone sono
andate,
venute nella mia vita e mi sento un po' come Takanori, deluso da
quello che la vita gli ha dato ma desideroso di trovare la sua pace.
E a lui l'ho fatta trovare sul serio, come mai nessuno gli ha
permesso- o almeno da quello che leggo io nelle fiction e se sbaglio
vi prego di correggermi. Ho voluto regalargli la gioia di essere
padre, dato che anche il vero pare amare i bambini e in più
ho fatto
riferimento al rapporto femmina-madre che si viene a completare
nell'ultimo pezzo.
Riguardo al titolo di questo capitolo “Il
dilemma del
Porcospino” ho preso ispirazione dalla teoria
Freudiana (in
“Psicologia delle masse e analisi dell'Io”)
e poi
Schopenaueriana (in “Parerga und
Paralipomena”)
dell'amore. Questa teoria compara l'amore di due persone a quella dei
porcospini in quanto più questi si avvicinano tanto
più si
feriscono tra di sé per gli aculei. Se poi si estende al
rapporto di
coppia, Schopenauer dice che quando si inizia a prendersi cura l'uno
dell'altro e a fidarsi qualsiasi cosa di spiacevole che accade a uno
ferisce irrimediabilmente anche l'altro, causando incomprensioni ben
maggiori e problemi. Pertanto è importante trovare la giusta
distanza per vivere e non farsi del male a vicenda. Quindi diventa un
amore masochista (e si entra nel cerchio del conte Masoch ) e
strumento di tortura autoinflitta dal quale è impossibile
scampare.
Riguardo al titolo della fan fiction l'ho
ripreso con la variazione
ortografica della y, dal film “Disturbia”
(2007) diretto
da Caruso per le analogie tra i due riguardanti l' “osservazione
della vita” degli altri e del vivere apatico in una
situazione
famigliare difficile (anche se la mia fan fiction è
contraddistinta
da una diversa reazione vitalistica).
*Questi
pezzi di poesia sono ripresi dal “Flauto di Vertebre”
di
Vladimir Majakovskij, tradotti da Guido Carpi,edito da BUR, 2010.
Mi
sembra scontato il motivo per cui abbia deciso di metterli qui.
Riassumono un po' tutta la storia anche se ovviamente gli sviluppi
della poesia e della mia storia sono diversissimi. Ricordo a chi
leggerà le mie note che Majakovskij dedicò questa
poesia alla femme
fatale Lilicka della quale era follemente innamorato, invece
nella mia storia fa riferimento al rapporto omosessuale , sempre
travagliato ma più fortunato nella fine rispetto alle
vicende del
poeta russo. Vi consiglio comunque di leggerla integralmente se avete
voglia e curiosità, perché è di una
bellezza unica. Capirete il
motivo per cui egli è diventato tanto famoso e la sua
bravura e
originalità scrittoria.
Oltretutto
l'ho scelto tra molte poesie (anche perché di poesie d'amore
ce ne
sono a bizzeffe!) perché lui è l'autore preferito
della persona a
cui ho dedicato questa storia e che mai (forse) leggerà
questa
semplice fiction.
Ci
terrei a ringraziare particolarmente GurenSuzuki
per i suoi
commenti splendidi che mi hanno dato la forza di continuare e coloro
che l'hanno messa tra le seguite, quindi BlackSwan,
Kinokochan,
momo89,Pad_foot e
fantasy_40 che addirittura l'ha messa tra le preferite. Certo
non
vi nascondo che mi piacerebbe sapere il motivo per il quale avete
deciso di seguirla o addirittura l'abbiate messa tra le preferite.
Se
volete rendermi felice sapete come fare ;D
Grazie
di tutto e alla prossima!
Essì
ho in progetto un'altra long fic con i gaze...mooooolto particolare
;D niente spoilers però!
Valja.
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