CATS - Another Jellicle Night

di Laura Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***



Capitolo 1
*** I ***


Questa per un rapido "Chi è chi" musicale.



Another Jellicle Night

I


(Colonna sonora!)


Are you blind when you’re born?
Can you see in the dark?
Can you look at a king?
Would you sit on his throne?

Because Jellicles are and Jellicles do
Jellicles do and Jellicles would
Jellicles would and Jellicles can
Jellicles can and Jellicles do
(Jellicle Songs for Jellicle Cats - CATS)



Tre quarti di luna splendevano nel cielo, bagnando di luce argentata il familiare spiazzo della discarica abbandonata. La gatta dal pelo nero e dorato scese con un elegante balzo dal cofano dell’auto sfasciata, per atterrare nel mezzo della piazzola.
Se non fosse bastato l’odore dei suoi simili, che si annusava ad ogni angolo, a darle il benvenuto ci pensò il coro di miagolii eccitati delle più piccole.
- Demeter! Demeter!- tre gattine dal manto variopinto si precipitarono fuori dai loro nascondigli, per correre incontro alla Regina nera e dorata. Con un sorriso, Demeter abbandonò per qualche istante la sua naturale riservatezza per lasciarsi avvicinare dalle gattine, strofinando i musi e stringendo loro le zampe.
Electra, Etcetera e Jemima erano decisamente cresciute. Se ne accorse subito, ascoltando i loro miagolii di benvenuto, che suonavano molto meno come gli squillanti richiami dei cuccioli e molto più come i pieni, morbidi miagolii di Regine adulte. A Demeter sfuggì un altro sorriso, mentre strofinava il muso contro la testolina rossa e bruna di Jemima: la prossima luna sarebbe sorta per loro, e al Ballo Jellicle sarebbero stati i raffinati balzi di quelle tre ad attirare per la prima volta i giovani maschi.
- Ti stavamo aspettando!- le disse Jemima in tono vivace, scrutandola con i suoi tondi occhi castani. – Dove sei stata tutto questo tempo?-
- Qua e là. – rispose evasivamente la Regina, mentre si piegava sulle zampe anteriori per stiracchiarsi voluttuosamente. Aveva appena finito di dirlo che, con la coda dell’occhio, si accorse di un’ombra che era appena spuntata in cima ad un cumulo di rifiuti solo a pochi passi da loro.
Electra ed Etcetera si scambiarono un’occhiata, col sorrisetto di chi la sa lunga, e si defilarono in fretta ai bordi della piazzola per fare largo al nuovo arrivato: Jemima si limitò ad accucciarsi e seguire con gli occhi la direzione dello sguardo della Regina.
Munkustrap, stagliato fieramente contro la luna, sorrise ad entrambe.
Poi scese con tre balzi aggraziati dalla pila di rifiuti, e Demeter gli si precipitò incontro per tuffarsi tra le sue braccia. Quasi ridendo al suono rombante delle sue fusa, Munkustrap strofinò dolcemente il muso contro il suo.
- Bentornata. – le sussurrò.

*

C’erano molti Jellicle in giro per la discarica, malgrado mancassero ancora alcune notti alla luna piena. Demeter era stata via solo per tre settimane, ma c’erano già molte novità: prima fra tutte, le tre gnaulanti palle di pelo che giocavano accanto a Victoria. Quando la Regina aveva lasciato la discarica, i piccoli non erano altro che vocine provenienti dal fondo di un container metallico che i neogenitori avevano scelto come tana. Ora erano tre gattini grassocci, a macchie bianche e marroni, che si azzuffavano tra le zampe della loro candida mamma.
Tristemente, quell’anno non c’erano state altre coppie con cuccioli nel branco, salvo due gattini di padre ignoto, già grandicelli, dei quali chiunque avrebbe saputo a chi dare la colpa semplicemente guardando la loro rigogliosa pelliccia dorata.
Jemima si accoccolò nell’imboccatura di un tubo per l’acqua in disuso, mentre restava a guardare il resto del branco che usciva per salutare il ritorno di Demeter: anche se erano tutti molto felici di rivederla, lei sembrava diventare più imbarazzata ad ogni nuovo saluto. Quando la vide incontrare lo sguardo di Bombalurina, a Jemima sembrò perfino di notare un sorriso di sufficienza sul muso della sensuale gatta rossa. Probabilmente non se l’era affatto immaginato, perché perfino Demeter abbassò il capo, ma l’attimo dopo Bombalurina strusciò la testa contro quella dell’amica come se nulla fosse cambiato.
C’era un’atmosfera strana nell’aria. Le due Regine si appartarono per dividere una preda che Bombalurina aveva appena catturato, e il resto del branco tornò alle sue solite occupazioni. Munkustrap, insolitamente silenzioso, camminò fino al tubo dove se ne stava Jemima, e vi si fermò con aria meditabonda.
- Non sei felice di rivederla?- domandò la gattina rossa e nera, sporgendo fuori il muso.
Munk si strinse nelle spalle. – Certo che sono felice. Sono sempre felice di vederla tornare. – lanciò uno sguardo alla Regina intenta a mangiare in disparte. – Però mi preoccupo tutte le volte che si allontana senza un motivo… e questo lei lo sa. –
- Lo sai com’è fatta. – replicò Jemima, con una risatina gentile. – Non puoi chiederle di essere diversa. Ha sempre amato la solitudine, anche se di certo ci vuole bene… e vuole bene a te, soprattutto. -
- Smettila di parlare come se non fossi una Principessina mai uscita dalla discarica. – ribatté il gatto striato, ma sorrise, furbo, mentre lo diceva.
- Da quando è un segreto, quello che c’è tra voi due?- scherzò la gattina, stuzzicando la coda di Munkustrap con una zampa. – O magari non vi siete dati poi così tanta pena a mantenerlo… -
Il gatto striato si voltò di scatto verso di lei come se volesse farle paura: Jemima arretrò, ma poi scoppiarono a ridere entrambi, e la giovane rossa e nera gli saltò affettuosamente al collo, strofinandogli la testa contro il mento e facendo le fusa. Mukustrap strinse la piccola in un rapido abbraccio, poi però sgusciò via dalla sua stretta con una certa fretta, scostandogli gentilmente le zampe con le sue.
- Anche di questo volevo parlarti, Jemima. – le disse, in tono più serio. – Forse non c’è neanche bisogno che te lo dica, però è ora che tu cominci a limitarti un po’ in certe… ehm… dimostrazioni di affetto, capisci? Non sei più una cucciolotta, ormai, e non dimenticare che la prossima luna è la tua. Ci saranno molti giovani Jellicle che prenderanno ogni moina da parte tua come un preciso invito. -
- E allora? Tu non hai intenzione di corteggiarmi al Ballo Jellicle, no?- rispose Jemima, con leggerezza. L’espressione attonita di Munkustrap alle sue parole, però, la sorprese così tanto che non seppe se ridere o preoccuparsi.
- Jemima… - fece lo striato, in tono eloquente.
- Scusami, scusami Munk. – si affrettò a correggersi. – Non volevo che pensassi che la sto prendendo alla leggera… so perfettamente come stanno le cose, e non sono una stupida. È solo che… - si strinse nelle spalle. - …Tu, fra tutti, dovresti essere il primo a non poter fraintendere, se ti abbraccio!-
Era la verità: Jemima provava un affetto particolare per il Protettore del branco, quel gatto carismatico che aveva vegliato su di lei e su tutti gli altri da quando lei era ancora una palla di pelo, e sapeva che Munkustrap le era altrettanto affezionato. Ma solo di questo si trattava: affetto. E dopotutto, lui era di Demeter. Era sempre stato di Demeter, e Jemima non vedeva come potesse essere altrimenti.
- Occhi aperti, piccola Jemima… e risparmiati per il Ballo Jellicle!- rise lo striato. – Voglio vederti splendente come Victoria l’anno scorso. -
- Non sarò l’unica a ballare… e come Protettore, non dovresti fare preferenze!-
Munk le fece l’occhiolino, e con un salto si allontanò da lei per arrampicarsi di nuovo sulla collina dei rifiuti. Jemima si stiracchiò e si sporse dalla tubatura, osservando cosa combinavano i suoi compagni di gioco. Electra ed Etcetera si stavano divertendo a fare capriole nella piazzola, in compagnia di due dei giovani gatti maschi e dei gemelli maculati.
Questi ultimi si esibirono in una perfetta piroetta e poi atterrarono sulle quattro zampe, inarcandosi e dimenando la coda in un modo che fece venire a Jemima una voglia matta di unirsi a loro. In un attimo, gli altri giovani gatti erano tutti dietro a Coricopat e Tantomile, piroettando, facendo capriole e intonando un coro di miagolii melodiosi.
Jemima balzò in mezzo alle sue coetanee, e le tre giovani gattine si alzarono, stringendosi le zampe, e facendosi fare una piroetta a vicenda.
- Fino alla prossima luna!- esclamò Etcetera, facendosi trascinare dal girotondo.
- Fino alla prossima luna!- ripeterono le altre due.
E, al culmine del loro scatenato girotondo, i loro compagni di gioco si fermarono di botto, quasi congelati a metà di un balzo o di una giravolta, perché “qualcuno” aveva scelto proprio quel momento per fare uno dei suoi rinomati ingressi.
In effetti, una delle cose che non si potevano proprio dire, era che il Rum Tum Tugger non sapesse fare un ingresso.
L’imponente Maine Coon dalla criniera dorata scese nella piazzola a grandi passi, come sempre apparentemente spuntato dal nulla: subito, un gruppetto di gatti più giovani corsero dietro di lui, anche solo per l’orgoglio personale di farsi vedere in sua compagnia, e due Regine particolarmente svelte si avvicinarono per strofinarsi rapidamente contro i suoi fianchi, strappandogli un sorriso compiaciuto. Il trio delle giovani Principesse ebbe un attimo di esitazione, come se le tre non sapessero bene se correre ai piedi della loro superstar come al solito, o se restare lì dov’erano: ma ci penso Tugger stesso a togliere ogni dubbio, raggiungendole a braccia aperte.
- Mi sembrava di sentire odore di Principesse da queste parti!- scherzò, posando le mani sulla testa di Electra ed Etcetera, le quali si raggomitolarono felici sotto la carezza. Poi si accostò a Jemima, rimasta un po’ sperduta presa nel mezzo, e si affacciò da sopra la sua spalla. – Oh, aspetta, mi sbagliavo. – si corresse in tono accattivante, annusando l’aria a pochi centimetri dal collo di Jemima. – Qui c’è odore di Regina. -
La gattina si sentì improvvisamente arrossire e, senza sapere che rispondere, si accucciò con le orecchie basse a fissarsi le zampe, mentre la sua coda si dimenava, tradendo il suo nervosismo. Tugger ridacchiò e le diede un colpetto allusivo con l’anca, prima di voltarsi e dedicarsi ad Etcetera con una grattatina tra le orecchie: lei fece le fusa, e prese a strusciarsi contro il fianco del Maine Coon con più entusiasmo di quanto Jemima si fosse mai azzardata a fare.
Electra si face avanti per reclamare la sua parte, facendo le fusa contro le gambe di Tugger. Vedendo che nessuno badava più a lei, Jemima batté in ritirata, sperando che nessuno pensasse che si stava comportando in modo strano.
Di colpo era così tesa che le si arricciava la coda. Non era la prima volta che arrossiva di piacere alle moine del bel Rum Tum Tugger, ma stavolta l’aveva… presa alla sprovvista. Era per via del discorso fatto con Munkustrap, solo poco prima?
Tuttavia, quando si voltò indietro, non mancò di notare che il gatto nero e dorato si guardava attorno con attenzione, osservando ben oltre la sua folla di ammiratori. In un angolo della piazzola, Bombalurina se ne stava languidamente sdraiata a leccarsi una zampa. Demeter era scomparsa nel momento stesso in cui il Maine Coon si era fatto vivo.



(Colonna sonora di chiusura ^^)


ANNOTAZIONI:

- Scrivere una fan fiction su uno spettacolo teatrale è complicato. Molto più complicato del solito: sono fermamente convinta che il teatro sia un mondo a sé, così come il musical, che si esprime secondo regole soltanto sue. Ecco: scrivere una ff su uno spettacolo teatrale che è anche un musical è decisamente complicato. Tuttavia, mi sono talmente affezionata ai personaggi di quel musical strano e affascinante che è CATS, che l’idea della fan fiction si è presentata da sola e non ho voluto dirle di no.
Una parola sulle annotazioni: Movieverse e AU (Alternative Universe). Mi baso sul musical e sui suoi personaggi come sono rappresentati nella versione dvd dello spettacolo. L’universo è quello dei Jellicle, quindi mi riferisco a loro immaginandoli esattamente come li vediamo sul palco: gatti antropomorfi, sebbene abbia conservato in loro tutti i comportamenti più paradossalmente “gatteschi”. La storia si svolge come se la vedeste sul palcoscenico di CATS, anche se ho cercato di dare una certa tridimensionalità ai luoghi che vengono descritti. AU perché è ambientata un anno dopo gli eventi del musical.

- Ho usato la terminologia che viene usata in inglese: gatte femmine e gatti maschi vengono chiamati rispettivamente Queens e Toms (la seconda è intraducibile). Le femmine vengono comunemente divise per età e distinte in Princesses e Queens.

- Il tempo: la vita dei Jellicle sembra regolata dalla luna e dalle sue fasi. Il Jellicle Ball si svolge una volta all’anno durante una notte di luna piena (io ho immaginato che fosse nel mese di marzo, in primavera) e deve essere la loro festa più importante. Per questo, con il termine “una luna Jellicle” non intendo un mese, bensì un anno: da un Jellicle Ball all’altro.

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Capitolo 2
*** II ***


II



La Regina nera e dorata sedeva su di un basso tetto di lamiera, lo sguardo fisso sul cielo e la coda che frustava l’aria con irritazione. Quei giorni passati per conto suo l’avevano inselvatichita ancora di più, se ora non riusciva neanche a sopportare la presenza di Rum Tum Tugger. Non che quel gatto sbruffone le fosse mai piaciuto particolarmente: non gli aveva mai nascosto la sua palese antipatia, e non aveva mai trovato divertenti i suoi modi… al contrario di Bombalurina, di quasi tutte le gatte della discarica, e di buona parte dei giovani maschi che addirittura aspiravano a diventare come lui.
Certo, anche lei era diventata suscettibile. Il fatto era che sapeva che il curioso Maine Coon non si sarebbe certo fatto sfuggire il suo ritorno, e presto se lo sarebbe trovato tra i piedi a farle domande. Domande a cui non aveva minimamente voglia di rispondere, né di liquidare col silenzio. Era tornata lì per ritrovare il suo branco, la sua famiglia… eppure, ora come ora, voleva solo essere lasciata in pace.
Era così immersa nei suoi pensieri, che si accorse solo all’ultimo momento di non essere sola.
Le si rizzò tutto il pelo, e già si era voltata di scatto con le fauci spalancate in un sibilo feroce, quando riconobbe il gatto immobile alle sue spalle, e il soffio le morì in gola.
Asparagus, il gatto del teatro, la fissava con aria assente. Demeter non avrebbe saputo dire come il vecchio gatto fosse arrivato su quel tetto, visto quanto tremavano le sue zampe anteriori. Ciononostante, Gus se ne stava lì, fermo a parte il tremito involontario, con la sua consueta espressione benevola e un po’ sciocca dipinta sul muso. La Regina non era sicura se la stesse guardando o fosse semplicemente perso nelle sue visioni.
- Buonasera, Gus. – lo salutò a voce alta, sperando che non fosse rimasto spaventato dal suo scatto di poco prima. – Non c’è Jellylorum?- la vecchia Regina, di solito, badava di non lasciare mai girare da solo il suo anziano compagno, visto come era ridotto.
Gus batté le palpebre con aria smarrita, dando un vago segno di averla sentita. Proprio quando Demeter si rassegnava al fatto che il vecchio fosse di nuovo perso nel suo mondo, Gus le domandò, con voce sommessa: - Non ti piace la folla?-
Era talmente sorpresa di sentirlo parlare che ci mise qualche istante a rispondere. – Io… No. In effetti, non molto. –
Gus rimase a fissare il vuoto, poi continuò, quasi parlando più con se stesso che con lei. – Hm. Panico da palcoscenico. Sai, io ne so qualcosa. –
- Non è proprio la stessa cosa, Gus… -
- Ti dico che è solo panico da palcoscenico. – spostò lo sguardo: ancora non riusciva a mettere a fuoco esattamente lei, ma guardava un punto imprecisato oltre la sua spalla. – Ma, se hai paura, la folla poi se ne accorge. –
- Già… - mormorò la Regina, come se dentro di sé capisse il discorso di Gus molto più di quanto non desse a vedere.
- Non devi avere paura della folla, sai… è tua amica. Se non ci fosse la folla lì, a guardarci, noi per chi lavoreremmo? Devi volere bene alla folla. Così lei ne vorrà a te. E poi… non è che può farti del male. –
- Ne sei sicuro?-
- Certo. Loro sono laggiù e tu sei quassù, no? Possono anche fare dei gran fischi, ma alla fine non ti fanno mai veramente del male. Certo, è più divertente quando alla folla piaci… -
- Qualche suggerimento?- fece lei, con l’ombra di un sorriso sarcastico.
Gus invece ci pensò sopra molto a lungo. – Farli ridere funziona. È molto meglio quando ridono con te, e non “di” te… Ma non è facile. –
I due Jellicle restarono a lungo in silenzio, l’una accanto all’altro, a fissare il vuoto e a rimuginare, poi una folata di vento arruffò il pelo di Demeter, che fissò preoccupata il vecchio gatto tremante.
- Vieni, Asparagus. – gli fece, circondandogli le spalle con un braccio. – Torniamo a casa. –

*

- Non hai nient’altro da fare?- sbottò Jennyanydots, arrivando perfino ad interrompere la sua accurata sessione di pulizia per lanciare un’occhiata storta a Tugger. Il gatto si era appollaiato sul cofano dell’automobile insieme alle due Regine anziane –lei e Jellylorum- e al momento se ne stava mollemente sdraiato a guardare le giovani Principesse che facevano la loro toeletta.
- No. – rispose lui, candidamente, rivolgendo alla decana un sorriso innocente.
Jemima aveva appena finito di pulirsi, e si strofinò un orecchio con la zampa. Cominciava a sentirsi un po’ troppo osservata, così fece come per andare a cercarsi un posto più confortevole: quando passò sotto alla macchina sfasciata, però, Tugger si sdraiò sulla pancia, lasciando penzolare gambe e braccia dal cofano, e le fece: - Che cosa ti avrà mai detto Munkustrap, per turbarti così tanto?-
La gattina si voltò, perplessa, per incontrare lo sguardo del Rum Tum Tugger. – Perché me lo chiedi?-
- Be’, non ho potuto fare a meno di notarvi, prima. – incrociò le braccia per appoggiare il mento sulle zampe. Jemima si accigliò. Quando li aveva visti, e dove se ne era stato appostato tutto il tempo, per vederli senza essere notato da loro? – E adesso, giusto dopo la vostra chiacchierata, tu sembri avere il fuoco sotto le zampe. Qualcosa non va? Oppure dovrò pensare che il nostro Protettore mette in giro cattive voci sul mio conto. -
- Tu non c’entri. – replicò Jemima, ma non appena l’ebbe detto sentii che sapeva di bugia.
- Oh. – studiata smorfia delusa sul muso striato di Tugger. – Peccato. –
Allora quale poteva essere il problema? Probabilmente era talmente abituata ad avere un debole per Tugger che non ci aveva mai riflettuto seriamente. Dopotutto, chi non aveva un debole per Tugger? Da sempre lei e le Principesse più giovani si erano litigate il privilegio di stare vicino all’ancheggiante e irresistibile Maine Coon, ed era un piacevole passatempo a cui tutte loro avevano sempre preso parte più che volentieri. Ma adesso, dopo che Munk le aveva raccomandato prudenza e le aveva ricordato della sua luna imminente… adesso la sua testa era rimasta al pensiero di Tugger che le sfiorava il collo col muso e diceva che aveva l’odore di una Regina.
Sì, la cosa era andata decisamente e precipitosamente oltre il suo controllo.
Tugger si alzò sulle quattro zampe scivolò giù dal cofano, curandosi di sferzare Jenny con la coda, guadagnandosi in risposta un sibilo irritato.
- Allora c’entra Demeter, per caso?- domandò, sedendosi accanto a Jemima. La gattina lo scrutò con un sopracciglio alzato: era già abbastanza strano, per lei, trovarsi impegnata in una conversazione seria con Tugger. Era sempre ben disposto nei confronti delle Principesse che cercavano la sua compagnia, ma si limitava a chiacchiere e scherzi; più che fare domande, spesso preferiva farsi ascoltare. E invece, adesso parlavano anche di Demeter?
- Anche. – ammise alla fine, decidendo di concedergli un pizzico di verità. – Perché ti interessa tanto? Non mi sembra che tu sia mai stato molto interessato agli affari di Demeter, o di Munkustrap. O dei miei. –
Oh, accidenti. L’ultima frase non intendeva davvero dirla ad alta voce.
A Tugger sfuggì uno sbuffo che assomigliava ad una risata, e allungò una zampa per dare alla gattina una distratta grattatina sulla testa: Jemima incassò, imponendosi di non mettersi a fare le fusa.
- Sono solo interessato al bene delle nostre future Regine, come tutti. Puoi biasimarmi?-
- Grazie per l’interessamento, Tugger, ma io sto bene. Con Munkustrap ho solo fatto due chiacchiere… anche lui pensa solo al nostro bene. – si impettì mentre lo diceva, inorgogliendosi. – E ovviamente lui è felice che Demeter sia tornata. Tutto qui. –
- Hm-mh. – rispose distrattamente il Maine Coon. – Sinceramente, mi stupisco che non abbia ancora cercato di scoprire dove se la svigna la sua Regina tutte le volte. –
- E perché dovrebbe?-
- Non so. Semplice curiosità? Gelosia? Fatto sta che, ora come ora, abbiamo un Protettore col mal d’amore e una Regina che ci tiene dei segreti. –
Alle loro spalle si era sollevato un certo trambusto: Jellylorum non aveva trovato Gus nel suo posto preferito, accucciato su di un secchio rovesciato dove amava riposare, e ora stava chiedendo a tutti –e con una certa apprensione- se l’avessero visto. Per qualche minuto la sua agitazione sembrò contagiare tutto il branco, con un passaparola sempre più preoccupato di “Dov’è Gus? Qualcuno ha visto Gus?” quando, dal fondo della discarica, risuonò forte e chiara la voce di Demeter.
- È qui!-
La Regina si fece largo tra i suoi compagni di branco, tenendo il vecchio gatto del teatro sottobraccio: l’espressione del vecchio Gus era più assente del solito, e i suoi passi erano ancora più tremanti e incerti; probabilmente quella passeggiata fuori programma gli era costata più di quanto pensasse. Jellylorum si precipitò da loro e ringraziò Demeter con un cenno del capo, poi si mise all’altro fianco di Gus per scortarlo. Il vecchietto ebbe bisogno del sostegno di entrambe le Regine per essere portato fino alla buca dove dormiva l’anziana coppia, e anche Munkustrap arrivò per unirsi ai soccorsi e adagiare Gus nel suo rifugio.
Quando il gatto del teatro si fu raggomitolato nel suo giaciglio, in silenzio Munkustrap strofinò la testa contro la sua spalla, con infinita delicatezza. Asparagus già dormiva. Il Protettore, Demeter e Jellylorum si guardarono in silenzio per un momento, poi l’anziana Regina si accoccolò accanto al compagno, e gli altri due li lasciarono soli.
Uno strano silenzio era calato sulla piazzola, come ormai capitava quasi sempre quando passava il vecchio Gus. Era come se il vecchietto fosse fatto di vetro: tutti i Jellicle si protendevano verso di lui, preoccupati e desiderosi di dargli una mano, ma era così piccolo e fragile che solo pochi avevano il diritto di stargli accanto per sostenerlo.
Jemima inghiottì un groppo in gola, mentre guardava Jellylorum che lisciava il pelo ingrigito del compagno: ad un tratto si sentiva triste, e non sapeva neanche il perché.
- È quasi l’alba. – mormorò, alzando gli occhi al cielo, che da blu intenso aveva cominciato a schiarirsi.
- Oh, è vero. – Tugger seguì il suo sguardo, poi fece un sorrisetto. – Una notte di meno alla tua luna, giusto?-
- Immagino di sì. – rispose lei, soprapensiero, prima di alzarsi e stiracchiarsi. – Ciao, Tugger. –
Il Maine Coon le rivolse un cenno di saluto, mentre lei si arrampicava sulla collina di rifiuti per osservare l’alba. Per la maggior parte dei cuccioli, quella era l’ora in cui si andava a dormire dopo aver giocato per tutta la notte; per i Jellicle che avevano una casa e degli umani, quello era il momento in cui facevano ritorno. A lei però piaceva starsene a guardare il cielo che si rischiarava, e la città che si svegliava poco a poco: solo quando il sole era alto cominciava a sbadigliare, e se ne tornava nella piazzola per andare a dormire insieme agli altri.
Anche quella mattina vi rimase a lungo, finché le palpebre non le si fecero così pesanti che fu quasi tentata di accucciarsi lì dov’era e cedere al sonno. La fermò il pensiero che tra poche notti non avrebbe mai più dormito nella nursery, e una fitta di nostalgia la fece girare sui tacchi e correre a rintanarsi tra le sue amiche addormentate.



ANNOTAZIONI:
- I personaggi: cominciamo con le note interessanti. La cosa più divertente di loro è che non esiste uno “schema” o un “canon” ufficiale: le relazioni e perfino le parentele tra i personaggi sono assolutamente libere, e per di più tendono anche a cambiare a seconda di chi produce lo spettacolo. Per stavolta ho deciso di semplificare le cose ed evitare intrecci di parentele: le ipotesi più gettonate di solito sono sul presunto trio di fratelli Munkustrap/Tugger/Macavity, quelle che vedono Mistoffelees e Victoria come fratelli (o compagni), e Munk e Jemima come padre e figlia. Dato che nessuna di queste ipotesi mi ispirava particolarmente, ho conservato solo l’evidente coppia Munkustrap/Demeter, sorvolando sulle altre numerose possibilità. Jemima è tra i protagonisti di questa storia, ma proprio per questo ho preferito rendere lei e Munkustrap legati da semplice affetto e non da parentela. Prima di scrivere, mi sono immersa un po’ nel fandom di CATS su internet alla ricerca di spunti interessanti, e ho avuto modo di vedere i più bizzarri accostamenti. Mungojerry e Rumpelteazer: gemelli o compagni? Dopo averci pensato a lungo, ho scelto la prima ipotesi. E come non notare la coppia che sul web va per la maggiore: Tugger/Mistoffelees. Preferisco pensarli entrambi etero, anche per via del ruolo importante che ho dato a Tugger in questa storia.

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Capitolo 3
*** III ***


III



Dopo aver lasciato Munkustrap profondamente addormentato nel suo rifugio, Demeter si era allontanata di nuovo dalla discarica ed era rimasta via tutto il giorno.
Tornò soltanto al calare della notte, in tutta fretta, con l’aria di chi avrebbe avuto un gran bisogno di dormire di più. Se si sbrigava, forse avrebbe fatto in tempo ad arrivare prima che tutti si svegliassero, e avrebbe potuto fare come se nulla fosse successo.
Aveva appena aggirato una pila di pneumatici, che una figura balzò dall’alto e le piombò davanti con un gran tonfo. - MACAVITY!- gridò l’aggressore, facendole fare un balzo indietro per la paura.
Demeter sguainò le unghie e soffiò forte, ma l’ombra che le era piombata davanti stava già ridendo a crepapelle, felice di averla giocata.
- Però, è proprio vero che quel nome ti fa un brutto effetto!- rise Tugger, senza riuscire più a trattenersi davanti all’espressione inferocita della Regina.
- Tu! Brutto…!- Demeter soffiò di nuovo, irritata, e dovette fare del suo meglio per non balzare addosso al Maine Coon e dargli una lezione. – Non sei divertente!-
- Questo lo dici tu. – Tugger si sedette davanti a lei e tornò ad occuparsi di quello che aveva in mano prima di spaventarla: Demeter la riconobbe come una scatoletta di cibo per gatti.
- Sbaglio, o qualche settimana fa non facevi che snobbarlo, il cibo lasciato dagli umani?-
- Hm?- Tugger continuò a leccare con gusto il fondo della scatoletta, rivolgendole uno sguardo ad occhi sgranati come se non avesse idea di che cosa stesse parlando.
- Lascia perdere… - sospirò la Regina, e fece per aggirare il gatto e tornare sui suoi passi. Tugger però allungò una gamba a tagliarle la strada, impedendole di passare oltre.
- Dove sei stata tutto il giorno?-
- Non sono affari tuoi. –
- Così mi inviti a nozze… -
La Regina soffiò ancora più forte, e i suoi occhi gialli mandarono lampi. Tugger restò a fissarla per un attimo, poi buttò via la scatoletta vuota, forse decidendo che quella conversazione meritava una discreta attenzione da parte sua.
- Si può sapere perché fai così?- sibilò Demeter, sprezzante.
- E io posso sapere perché tu sembri odiarmi così tanto?- replicò Tugger, in tono fin troppo serio per lui.
- Perché? Ti dai tante arie, Tugger, ma la verità è che qui non servi a nessuno. Non ci sei mai quando qualcuno ha bisogno di te. Non c’eri quando Munkustrap ha affrontato Macavity, l’anno scorso!-
- Una mia mancanza, lo ammetto. – concesse Tugger, con un cenno del capo. – Potrei anche ribattere che, se non sono io il protettore del branco, un motivo ci sarà. Ma non mi sembra giusto che proprio tu mi venga a parlare di responsabilità di branco, vista la tua tendenza a sparire. –
- Ti ho detto che non sono affari tuoi!- scattò Demeter, risolvendosi a scostare il gatto con una spallata e a passargli oltre.
- Ma di Munk sì. – le disse dietro Tugger, riuscendo nel suo scopo: la Regina si bloccò lì dov’era, e si girò a guardarlo.
- Adesso vorresti anche farmi credere che sei preoccupato per Munkustrap?-
Lui incrociò le braccia e la fissò, con un’alzata di sopracciglia, ma qualche attimo dopo Demeter scosse il capo con aria infastidita e ricambiò con un’occhiata di sufficienza. – Figuriamoci. Non vuoi far altro che dare fastidio, come al solito. –
- Devi considerarmi proprio pessimo. – protestò Tugger, con aria quasi offesa. – Se posso saperlo, quando mai ho fatto qualcosa di male a te o al tuo amato Protettore?-
Demeter lo squadrò dall’alto in basso, sospirando. – Proprio non concepisci l’idea di non piacere a qualcuno, eh?-
- Oh, puoi scommetterci. Non hai idea di quanto la cosa mi ferisca. Ma Munkustrap ci resta molto male tutte le volte che tu sgattaioli via lasciandolo tutto solo, e poi me lo devo sorbire io. -
La Regina avvertì una fitta di senso di colpa, cosa che lasciò sconcertata. Tugger stava riuscendo a farla sentire in colpa? Tugger?!? Il fatto che le sue accuse non fossero del tutto infondate non gli dava certo il diritto di giudicarla, tantomeno di farla sentire in quel modo.
- Non credo proprio che, tra tutti, sia tu ad avere il diritto di rimproverarmi per la mia condotta sentimentale. -
- No, certamente. Ma ti faccio notare che, al momento, nessuno sta soffrendo per la mia condotta sentimentale. –
- Scusate se vi interrompo. – la voce che piovve dal cielo fece sobbalzare ad entrambi, e il cuore di Demeter fece a sua volta un triplo salto mortale quando lei alzò gli occhi e vide niente meno che Munkustrap, appollaiato in cima alla pila di copertoni, che guardava verso di loro. La sua espressione non tradiva nulla, ma Demeter avrebbe voluto sotterrarsi. Da quanto tempo era lì?
Evidentemente, il suo arrivo era una sorpresa anche per Tugger, perché si allontanò di qualche passo dalla Regina e mise le mani dietro la schiena, rivolgendo al Protettore un sorriso tutto denti.
- Non c’è bisogno di fare gli spiritosi. – replicò Munk, in tono terribilmente serio. – È meglio che veniate con me. Asparagus è morto. -

*

Una cerimonia funebre per un gatto Jellicle non era cosa da prendere alla leggera. L’estremo saluto del branco a Gus durò quasi l’intera notte, e i gatti presenti piansero anche per coloro che non sarebbero tornati alla discarica fino alla notte del Ballo Jellicle, e quindi non avrebbero potuto salutare di persona il vecchio gatto del teatro.
Per ore e ore, i gatti del branco si susseguirono attorno al corpo senza vita del loro compagno, miagolando e strofinando tristemente i musi contro il pelo freddo del vecchio. Poi fu Jellylorum stessa a scavare la fossa per il suo compagno, e a spingercelo dentro con estrema attenzione, con la stessa cura di quando lo aiutava a sedersi.
Munkustrap si alzò in piedi in cima alla collina dei rifiuti, sentendosi il cuore pesante. – Stanotte, i gatti Jellicle danno l’ultimo saluto ad un fratello Jellicle: il caro Asparagus… - parlava, parlava, e sentiva che non c’era niente di più triste di dover commemorare un amico alla sua ultima notte. I Jellicle lo ascoltavano in silenzio, con le code basse e i musi tra le zampe. Quando ebbe finito, Munk abbassò lo sguardo sul tumulo di Gus.
- E così, addio Gus. Addio, Firefrorefiddle, demone della brughiera. – sperava che il vecchio gatto del teatro avrebbe apprezzato quest’ultimo tributo.
Dai Jellicle riuniti si alzò un coro di miagolii addolorati, un lamento funebre talmente rumoroso e prolungato che tutto il vicinato se ne sarebbe ricordato per mesi. Nelle prime ore dopo la mezzanotte il corteo si sciolse, ma pochi quella notte avevano voglia di fare altro se non radunarsi a gruppetti e darsi un po’ di conforto l’un l’altro.
Jemima vagava per la piazzola, alla ricerca di Electra ed Etcetera: le aveva perse di vista al culmine della cerimonia funebre, e adesso l’ultima cosa di cui aveva voglia era restare da sola. Superò altri gatti già riuniti in piccoli gruppi, e ad un tratto incappò anche in Victoria, raggomitolata a terra con Plato e i tre cuccioli: la gatta bianca si alzò e strinse l’amica in un abbraccio, che Jemima ricambiò. Poi le fece un cenno come per invitarla ad unirsi a loro, ma lei declinò l’invito: Victoria era stata la prima a staccarsi dal gruppo delle giovani Principesse l’anno prima, ed ora, per quanto la sua offerta fosse stata gentile, Jemima si sarebbe sentita solo di troppo in mezzo alla sua nuova famiglia.
Finalmente individuò le sue amiche, ma fu solo un’altra delusione. Etcetera ed Electra erano già in compagnia, raggomitolate una su Admetus e una su Tumblebrutus, e anche da lontano sentiva il quartetto bisbigliare animatamente e fare le fusa. Era già arrivata la notte del Ballo Jellicle e lei non era stata avvisata? Di colpo sembravano avere tutte una gran fretta di mettersi a coppie…
Ecco un’altra cosa che la angustiava: alla sua prima luna piena, se qualcuno dei maschi si fosse proposto a lei, sinceramente non aveva idea di come avrebbe potuto rispondere.
Voltò le spalle alla piazzola e si arrampicò sulla collina dei rifiuti, con la luna che faceva capolino dalle nuvole sopra la sua testa; come se dire addio ad Asparagus non fosse stato abbastanza triste, ora ci si metteva anche la solitudine.
Si stava incamminando verso la cima della collina, quando si accorse che qualcuno aveva avuto la sua stessa idea.
Per un attimo si fermò, incerta se farsi notare o meno.
Lassù con lei c’era niente meno che Tugger: le dava le spalle, sdraiato lungo sul fianco; non poteva vederlo in faccia, ma probabilmente stava guardando fisso davanti a sé con aria assorta. Agitava la coda mollemente, in modo quasi svogliato. In punta di piedi, Jemima cominciò a girarli intorno. Anche se non si poteva dire che il Maine Coon fosse un amante della compagnia, perché mai avrebbe dovuto voler stare da solo in un momento del genere?
Tugger si accorse di lei e gettò un’occhiata nella sua direzione, ma non sembrò particolarmente sorpreso del suo arrivo. Dopo averla squadrata per un momento, incuriosito, le fece un cenno col capo per invitarla a venire avanti, come a dire “C’è posto”.
In fondo, perché no? Victoria aveva Plato e la sua famiglia, e le sue amiche erano troppo prese dai loro potenziali pretendenti per pensare a lei, in quel momento. Almeno Tugger c’era, quando lei aveva urgente bisogno di non essere lasciata sola. Si fece avanti e si accucciò accanto a lui, appoggiando la schiena contro il suo petto, e in segno di ringraziamento strofinò la testa contro il mento di lui, cosa resa un tantino difficoltosa dalle borchie appuntite del suo collare.
Tugger iniziò a fare le fusa come Jemima non l’aveva mai sentito fare prima di allora: aveva la nuca premuta contro la sua gola, perciò le sentiva ancora più chiare e rombanti, direttamente dal centro del suo petto.
La cosa non era sgradevole. Adesso capiva cosa volesse dire Munkustrap quando le aveva raccomandato di limitarsi nelle sue dimostrazioni d’affetto… tuttavia, non sentiva affatto di stare facendo qualcosa di sbagliato o poco prudente. Era più che consapevole delle rombanti fusa di apprezzamento di Tugger, così come del suo ventre praticamente appiccicato al suo fondoschiena, e non le dispiaceva. Stavano davvero flirtando? Il pensiero la lasciava sorpresa, ma di certo non spaventata.
Jemima appoggiò il muso sulle zampe, e per un po’ riuscì anche a fingere di sonnecchiare al fianco del Maine Coon: di prendere sonno per davvero, ovviamente, non se ne parlava neanche. Tugger si rivelò sorprendentemente paziente anche in questo, e la gattina si riscosse dal suo sonnellino simulato soltanto più tardi, quando lui cominciò a cercare di metterle un braccio attorno alla vita per stringerla contro di sé.
Cercando un modo discreto per svincolarsi dall’abbraccio, sbadigliò, si stiracchiò, e solo allora sgusciò via dal fianco di Tugger come se niente fosse.
- Fatto buon riposo?- le domandò lui, squadrandola, senza neanche cercare di dissimulare la nota ironica nella sua voce.
- Sì. – rispose lei, ignorandolo di proposito. Poi, più sincera, gli disse: - Grazie per… be’, per essere rimasto con me. È stato molto gentile da parte tua. –
Il Maine Coon la scrutò pigramente per qualche lungo istante, poi si rialzò a sua volta, scrollandosi e scuotendo vistosamente la criniera dorata, e fiutò l’aria come per tornare sui suoi passi.
- E tu, invece, dove te ne vai quando sparisci dalla discarica?- non poté trattenersi dal chiedere Jemima, ricordandosi del loro discorso della notte prima, mentre guardava il gatto che si preparava al alzare i tacchi. Quello la fissò con un sopracciglio inarcato, per un momento, poi di colpo sembrò cambiare idea.
- Perché non vieni a vedere di persona?-
La gattina sgranò gli occhi, e Tugger rispose al suo stupore con una risata divertita. – Fammi indovinare… ancora non sei uscita dalla discarica?-
- Ehm… in effetti non proprio. -
- Che terribile mancanza. Stammi dietro!-
La coda vaporosa di Tugger le sfiorò il naso, e in un attimo il gatto nero e dorato era già partito di buon passo giù per la collina dei rifiuti: Jemima dovette balzare in piedi e raggiungerlo di corsa, e ancora faticava a tenere il suo passo.
Mentre il sole sorgeva, Jemima si accorse improvvisamente di avere raggiunto i limitari della discarica, e che davanti a lei si stendeva lo sconfinato nastro di asfalto grigio che era la Strada. La gattina ebbe un sussulto e un attimo di esitazione: non era mai andata oltre qualche fugace perlustrazione della Strada di notte, o qualche scorribanda in cima ai tetti, e sempre e solo insieme ai suoi compagni di gioco. Adesso tutta la Strada si stava risvegliando: udiva di tanto in tanto delle voci, rumori sconosciuti, e il fracasso di pesanti saracinesche che venivano sollevate, al di là del nastro d’asfalto.
Si guardò attorno, e si accorse di avere esitato un attimo di troppo: la coda vaporosa del Maine Coon stava già sparendo dietro un angolo.
- Tugger!- lo chiamò, improvvisamente spaventata, facendo un gran scatto per corrergli dietro. – Tugger, aspetta, per favore!-
Svoltò precipitosamente l’angolo, certa di averlo già perso, e invece andò a sbattere il naso dritta contro la schiena del gatto dorato, che si era appostato là dietro ad aspettarla con tutta la calma del mondo. Prima ancora che avesse modo di protestare, lui ripartì, invitandola a modo suo a stargli dietro.
Insieme continuarono a percorrere la Strada, e Jemima non riusciva a decidere se tutto quello che stava vedendo fosse affascinante o terrorizzante. Una moltitudine di odori le solleticava il naso, e la luce del sole dava a tutto quanto un’aria diversa. Ad un tratto, la Strada finì in una piccola piazza lastricata, deserta, salvo che per uno stormo di piccioni che razzolava a terra, becchettando e tubando stupidamente.
Davanti a quello spettacolo, la gattina non riuscì più a trattenersi: si piegò sulle zampe anteriori, dimenò la coda e poi sfrecciò sotto il naso di un attonito Tugger, per balzare dritta in mezzo ai piccioni.
Lo stormo si disperse facendo un gran baccano, in una nuvola di penne e polvere, con Jemima al centro che rideva come una matta e rimbalzava come una pallina impazzita dietro agli uccelli schiamazzanti. Tugger ridacchiò e si sedette per gustarsi lo spettacolo, mentre Jemima rincorreva lo storno in tondo per tutta la piazza.
Quando agli impauriti volatili venne la brillante idea di prendere quota, la gattina rimase sola in mezzo alla piazza, ancora in preda alla frenesia del gioco, che le faceva fare capriole e piroette, spargendo dappertutto le penne rimaste sul selciato. Era così felice che, quando Tugger le tornò accanto, cercò perfino di mettersi a giocare con la sua coda, ma il Maine Coon fu lesto a metterla fuori dalla sua portata e a schiarirsi la gola in modo eloquente.
- Speravo che ne prendessi uno. Non hai fame?- commentò, scrollando la criniera dorata.
Jemima si guardò le zampe, imbarazzata. – In effetti… non mangio niente da ore. Mi dispiace!-
- Figurati!- Tugger scoppiò in una potente risata. – Ti pare che mi metterei a mangiare quegli uccellacci? Seguimi, piccola, e impara. -
Con un salto elegante –e una studiata mossa del fondoschiena dritta verso di lei, che non doveva essere affatto casuale- Tugger riprese la sua corsa, e alla gattina non restò altro da fare se non seguirlo. Ad un certo punto, i due arrivarono nei pressi di un bar, dove un gatto corpulento dal lucido pelo bianco e nero se ne stava seduto in paziente attesa sul marciapiede.
Jemima lo riconobbe come niente meno che l’aristocratico –e pasciuto- Bustopher Jones, e stava per correre a salutarlo, quando Tugger la fermò con un braccio, facendole segno di restare in silenzio.
Qualche momento dopo, qualcuno spinse fuori dalla porta una ciotola piena fino all’orlo di latte fresco: il gatto nero e panciuto miagolò di contentezza, affondando il muso nella sua colazione. Davanti a quello spettacolo, Jemima sentì il proprio stomaco che brontolava rumorosamente. Solo allora Tugger le diede una spintarella e uscì allo scoperto insieme a lei, andando incontro a Bustopher Jones, che era ancora completamente concentrato sul suo pasto.
- Bustopher! Buongiorno!- lo salutò, nel tono più affabile che poté.
Il gatto grasso alzò gli occhi dalla scodella, il muso bianco e nero zuppo di latte, e non nascose il suo stupore nel vedere la bizzarra accoppiata che gli veniva incontro.
- Oh… buongiorno a voi!- rispose, raddrizzandosi in tutta la sua considerevole stazza e ripulendosi con una zampa, cercando di mantenere un certo sussiego. Tugger si impettì almeno quanto lui e gli fece il saluto militare, Jemima non capì se per vero rispetto o per pura burla, anche se scommetteva sulla seconda. Le sue narici erano piene del buon odore del latte, e il suo stomaco si stava lamentando.
- Puntuale come sempre per il vostro giro mattutino? Davvero non perdete mai un colpo, vecchio mio!-
- Eh già!- esclamò Bustopher, gongolando. – È un peccato che l’ultimo raduno si sia svolto in circostanze tanto tristi, un vero peccato… ma confido che col Ballo Jellicle l’atmosfera sarà tutta diversa!-
- Senz’altro. – replicò Tugger con un sorriso da squalo.
- E questa piccola bellezza? Spero ci onorerai della tua presenza anche quest’anno!- Bustopher fece a Jemima un elegante baciamano, e la gattina gli sorrise, lusingata e anche un po’ imbarazzata da tutte quelle attenzioni.
- Non può mancare. – aggiunse Tugger, appoggiandole le mani sulle spalle e chinandosi con fare cospiratore, cosa che fece rizzare la coda alla giovane Principessa. – La piccina, qui, è in procinto di festeggiare la sua prima luna. –
Ora il Maine Coon le era decisamente più vicino di quanto fosse consigliabile, e il suo tono era più che malizioso. Né lui né Bustopher sembrarono però accorgersi della sua agitazione, anzi, il gatto grasso le fece i più sentiti complimenti. Ad un tratto la conversazione cadde in un istante di imbarazzante silenzio e, con l’odore del latte che ancora aleggiava, Jemima non riuscì a trattenere un lieve miagolio affamato.
Bustopher tentennò, poi, con un’espressione che rivelava appieno quanto gli costasse la cosa, le fece: - Ehm… ho l’impressione che tu abbia un certo appetito, sbaglio? Nel caso… ehm… sono incline ad offrirti di favorire, se vuoi. –
- Grazie!- esclamò la gattina, rivolgendogli un’occhiata riconoscente. Si chinò sulla ciotola e cominciò a lappare di gusto; poi si accorse che anche Tugger si era sdraiato sul fianco accanto alla ciotola, e si era sfacciatamente messo a mangiare anche lui. Bustopher Jones era troppo beneducato per protestare, e si rassegnò a vedersi finire la colazione dai due… perché, se Jemima bevve solo finché non ebbe placato il buco allo stomaco, Tugger vuotò la ciotola.
- È stato un piacere, Bustopher. – fece quando ebbe finito, leccandosi voluttuosamente le labbra. – Ora dobbiamo proprio andare… il tempo è tiranno!- prese per mano Jemima, fece al gatto grasso un inchino tutto svolazzi, e poi filò via tirandosi dietro la gattina.
- Non sei stato molto gentile. – commentò poi Jemima, mentre si arrampicavano in cima ad un tetto, ma non riuscì a non sorridere sotto i baffi. Era sleale? Forse un po’.
- Forse no, ma di sicuro qualche chilo in meno non farà male al caro Bustopher!-
Saltellarono per un po’ fra i tetti alla ricerca di qualcosa di interessante, poi, ad un tratto, Tugger si fermò sull’orlo di una grondaia e rimase lì ad osservare la strada sotto di lui. Jemima lo raggiunse e si sporse per vedere che cosa stesse guardando.
- Ehi! Quella è Demeter!- esclamò, riconoscendo dall’alto la Regina gialla e nera che camminava lungo il marciapiede diversi metri sotto di loro.
- Già. – replicò Tugger, in tono molto interessato, senza perderla d’occhio. Mentre entrambi la guardavano, la gatta si infilò in uno scantinato apparentemente abbandonato, e anche se la aspettarono per qualche minuto, non la videro riemergerne. Alla fine Tugger, con un sorriso soddisfatto dipinto sul muso, si rialzò in piedi e si stiracchiò.
- Vieni, piccola. È ora di tornare alla discarica. –

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Capitolo 4
*** IV ***


IV



Munkustrap stava dormendo saporitamente nel suo rifugio, quando udì qualcuno schiarirsi rumorosamente la gola proprio di fianco a lui.
Aprì gli occhi e le fauci, sbadigliando lungamente prima di convincersi a svegliarsi del tutto. Com’era prevedibile, Demeter non si era fermata a dormire neanche quella volta. E quello seduto di fianco a lui in quel momento non era di certo Demeter.
- Come mai sei qui?- domandò a Tugger, stiracchiandosi e notando con disappunto che il sole era alto nel cielo: odiava svegliarsi a quell’ora. Il gatto avrebbe fatto meglio ad avere un ottimo motivo per averlo svegliato.
- Ho pensato che magari potesse interessarti qualche novità. – il Maine Coon se ne stava stravaccato contro una parete del suo rifugio, in una studiata posa strafottente.
- Che tipo di novità non può aspettare il calare del sole?-
- Saint James, al numero 34, nello scantinato. –
Il gatto striato inclinò il capo, corrucciandosi. – Cosa?-
- Saint James, numero 34, nello… -
- Ho sentito!- scattò, spazientito. – Quello che non capisco è cosa vorresti dire con questo. –
- È lì che la tua affascinante Regina passa le sue giornate. – terminò il gatto nero e dorato, arruffando la pelliccia. – Nel caso ti interessi. –
Munkustrap ebbe un sussulto e, per un istante, sembrò quasi combattuto tra la curiosità e l’irritazione, poi continuò in tono severo: - Tugger, ti ho già detto che questi non sono… -
- …affari miei. Lo so, lo so. – Tugger sfoggiò un sorriso innocente per niente credibile. – Prova a convincermi che non ti interessa, però. -
- Senti, non importa che cosa fa Demeter: non mi va che tu la segua!- scattò il gatto dal pelo argentato, scoccando a Tugger un’occhiata più che infastidita: il fatto che loro due fossero stati sempre in buoni rapporti –più o meno- di certo non gli dava il diritto di ficcare il naso in cose che non lo riguardavano. Come, del resto, faceva sempre. Ma se c’era un posto dove non avrebbe dovuto ficcanasare, quello era proprio tra lui e Demeter.
- Non la stavo seguendo. – assicurò Tugger, alzando le mani.
- Sì, certo. –
- Ho un alibi rossa, nera e piuttosto carina. –
Lì per lì, Munkustrap stava per rispondergli che le sue fughe con Bombalurina non era una scusa sufficiente, quando ad un tratto ebbe come un’illuminazione fulminante, e realizzò meglio di chi si stesse parlando. Alzò gli occhi al cielo, emettendo un sibilo esasperato. – Tugger, per favore, dimmi che non stai combinando niente con Jemima. –
- …Oops. -
Il gatto argentato non riuscì più a trattenersi: saltò in piedi e lanciò al Maine Coon la più severa delle occhiate, chiedendosi quanti danni poteva riuscire a combinare in una sola nottata. – Si può sapere che cos’hai in testa? È piccola! Non rovinarle il suo Ballo Jellicle solo perché vuoi essere il primo a marcare il territorio!-
Tugger sembrò quasi offeso dalle sue parole, e si alzò in piedi a sua volta per squadrarlo dall’alto in basso, incrociando le braccia con gesto stizzoso. – Perché dai per scontato che voglia rovinare qualcosa? Non dovresti essere così preoccupato per lei. – si stiracchiò, alzando il mento in un ulteriore gesto sprezzante. – E poi scusami, perché non dovrei? È carina. Ha tutte le carte in regola per far girare la testa a diversi maschi, quando ballerà per la sua prima luna piena. –
- Allora lasciala in pace, no? Dovresti lasciarla libera di scegliersi il compagno che preferisce, invece di darle false speranze. -
- Senti un po’ chi dice a chi di “lasciarla libera”. E poi, quando una Regina, di sua spontanea volontà, mi viene a cercare… -
- È una Principessa. –
- Una giovane Regina. – Tugger scrollò le spalle. – Non nascondiamoci dietro alle parole. Quando è la suddetta giovane Regina a cercarmi, non sono solito dire di no. Quindi fammi il favore personale di risparmiarmi le prediche. –
Munkustrap sbuffò e voltò le spalle all’altro, frustando nervosamente l’aria con la coda. Non aveva niente da rispondergli, e sentirlo parlare di Jemima a quel modo gli faceva saltare i nervi: possibile che fosse tanto arrogante da non rassegnarsi al fatto che le sue ammiratrici non gli sarebbero corse dietro per sempre? Doveva proprio incaponirsi e rovinare tutto, magari privandola della possibilità di trovare un compagno più adatto a lei? Certo, c’era anche la remota possibilità che avesse cominciato veramente ad interessarsi a Jemima… e non era sicuro che quell’alternativa fosse migliore. Cosa era peggio, una Jemima illusa e col cuore spezzato, o una incastrata in una relazione con Tugger? I due rimasero in silenzio, finché il gatto striato non si voltò di nuovo e, in tono più calmo, disse: - Ti chiedo solo di avere un po’ di rispetto per Jemima: è un momento delicato per lei, e tu non vuoi diventare il compagno di nessuno. –
Tugger non fece altro che rispondere con l’ennesima scrollata della sua pelliccia dorata: Munkustrap fece un piccolo, silenzioso sospiro, e si avviò verso l’uscita del suo rifugio.
- Numero 34, non puoi sbagliare. – aggiunse Tugger, alle sue spalle. Lo striato si voltò a scoccargli un’occhiata infastidita, ma non rispose nulla e si allontanò di corsa sotto il sole del mezzogiorno.

*

Rannicchiata tra una cassapanca e un vecchio divano sfondato, Demeter sonnecchiava, mentre Jabster si rotolava tra le sue zampe con piccoli miagolii di gioia.
Il cucciolo era snello, dal pelo argentato striato di nero, con solo qualche lieve accenno di macchie giallo-dorato che spuntavano qua e là come pagliuzze lucenti. Ad occhi chiusi, Demeter lo coccolava con una zampa.
Un rumore proveniente dalla finestrella che dava sullo scantinato abbandonato la fece trasalire e rizzare le orecchie: Jabster rimase tranquillo, ma la Regina scattò in piedi e fiutò l’aria ad orecchie basse, tenendo d’occhio l’unica via d’accesso.
Quando però, contro il sole che filtrava, si stagliò la figura di Munkustrap, e il gatto atterrò davanti a lei con un agile salto, la Regina rimase improvvisamente senza parole.
I due si guardarono in silenzio per lunghissimi attimi, poi Jabster mugolò, chiedendo l’attenzione della madre. Munk abbassò gli occhi e poi si chinò, lentamente, per sfiorare col muso la testa del piccolo.
- È mio?- domandò, con un certo stupore. Demeter annuì.
Il piccolo dimostrava non più di due settimane, ma era già vivace: strinse le zampe che Munkustrap gli porgeva e si strofinò contro di lui, mentre il gatto argentato ricambiava le fusa con delicatezza, senza distogliere lo sguardo da lui.
- Che bisogno c’era di andare tanto lontana, Demeter? Le altre Regine avrebbero potuto aiutarti. – non c’era nessun risentimento nelle parole del Protettore, solo pura sorpresa. – Perché non lo hai ancora portato nel branco?-
Finalmente Demeter si decise a parlare: - Non ero sicura di volerlo fare. –
- Perché no? È un Jellicle, ha il diritto di stare con il suo branco!-
Demeter sapeva che sarebbe stato difficile da spiegare, per questo aveva ritardato quel momento fino a quando aveva potuto. Aveva cominciato a non farsi vedere molto in giro durante l’ultimo stadio della sua gravidanza, e quando era arrivato il momento, come molte femmine aveva sentito l’urgenza di isolarsi da tutto e da tutti. Ma lei era andata oltre: aveva lasciato la discarica e si era cercata un rifugio per conto suo, senza raccontare nulla in modo che nessuno potesse raggiungerla, e poi si era occupata di Jabster senza preoccuparsi di dire niente a nessuno.
Poi, la nostalgia per gli altri Jellicle l’aveva spinta a tornare, ma ancora non aveva trovato il coraggio di parlare di Jabster, così che aveva preso a lasciarlo solo la notte per tornare da lui durante il giorno.
- Non lo so. – ammise. – Era una cosa che dovevo fare da sola: per un po’, per me è esistito soltanto Jabster, ed è stato… bello. Non volevo l’aiuto di nessuno, e non volevo vedere nessuno. Ma poi… be’, ovviamente mi mancavi tu, e tutti gli altri. Volevo tornare e presentarlo al branco, ma… non lo so. Non sono così sicura di volere restare nel branco. -
Munkustrap sgranò gli occhi, mentre ancora teneva stretto il cucciolo contro il suo petto. – Che storia è questa? Non vorrai isolarti dal branco? Non voglio che tu finisca come… - si morse la lingua sulle ultime parole, ma Demeter annuì come se avesse centrato il punto e terminò per lui.
- Come Grizabella, certo. Ebbene, lo sai che non mi è mai piaciuto come tutti noi Jellicle ci siamo comportati con Grizabella, solo perché era vecchia, stramba, e aveva passato troppo tempo nei bassifondi. Siamo stati ingiusti. Ci siamo accorti del nostro errore e di quanto veramente valeva solo quando lei era alla fine dei suoi giorni… e Old Deuteronomy l’ha portata allo strato di Heavyside perché la sua anima non andasse perduta, prima che fosse troppo tardi. Avrà salvato lei, ma non corregge gli errori che abbiamo commesso. -
- Mi è dispiaciuto dover tenere lontana Grizabella, e tu lo sai. – ammise con sincerità il gatto argentato, carezzando il pelo di Jabster. – Ci ha dato una lezione che nessun Jellicle dovrà mai dimenticare. Ma, proprio per questo, lo cose d’ora in avanti cambieranno: la nostra gente si vuole bene, Demeter. Nostro figlio starà bene nel branco. –
- E poi ci sei tu. – continuò la Regina, con un sorriso amaro. – Sei il Protettore del branco, e futuro leader dei Jellicle. Sicuro di poterti prendere la responsabilità di una famiglia?-
Senza staccare gli occhi da Demeter, Munkustrap posò a terra il cucciolo e si avvicinò a lei, stringendole le zampe tra le sue.
- Demeter, io voglio essere il tuo compagno. Sono il tuo compagno, e ho sempre desiderato esserlo, fino in fondo. Sei tu che mi tagli fuori. -
Per un attimo, Demeter si ritrasse e lo fissò con tutta la baldanza di una Regina dall’orgoglio ferito, poi però la sua facciata tremò, e lei ricambiò la stretta rassicurante di Munkustrap. – Ho bisogno che tu stia dalla mia parte. Ho bisogno di sapere che Jabster starà bene. –
- Demeter, nessun cucciolo verrà mai rifiutato, tra i Jellicle. Exotica tira su da sola due figli che sono la copia sputata di Tugger, ma nessuno ne farà mai un problema. -
Nominare Tugger, però, lo fece ripensare al discorso che avevano appena avuto loro due, e quindi a Jemima e alle sue preoccupazioni per lei, e un’ombra oscurò il suo sguardo per un momento.
- Stai dicendo che vuoi occuparti di questo cucciolo, o no?- ribatté Demeter.
- Certo che voglio!- Munk si chinò di nuovo, si trovò faccia a faccia con il cucciolo e lo fissò negli occhi azzurri come i suoi. – Jabster… - disse, come assaporando il suono. Il piccolo miagolò felice nel sentire il proprio nome, e prese ad azzuffarsi con la coda di suo padre. Sorridendo, Munk si rialzò e attirò a sé Demeter, baciandola forse più appassionatamente di quanto fosse consigliabile di fronte ad un cucciolo.
- Lo porterai, stanotte?- sussurrò sulle labbra di lei, speranzoso.
- Sì. – mormorò Demeter, strofinandosi contro di lui. Munk la strinse forte. – Verrò a prendervi entrambi. Né tu né lui dovrete mai più stare da soli. –

*

Era calato il buio, la luna non era ancora sorta, tuttavia Jemima sapeva anche senza vederla che sarebbe stata un tondo quasi perfetto. L’ultima luna prima del Ballo Jellicle.
La scorribanda del giorno prima, per quanto fosse stata piacevole ed estremamente divertente, era servita solo ad agitarla con nuovi interrogativi. Il più grosso, ovviamente, era chiaro e molto semplice: perché proprio Rum Tum Tugger? Qualche masochistico desiderio l’aveva portata a fissarsi proprio con lui?
Non avrebbe potuto fare semplicemente come le sue coetanee, e mettersi il cuore in pace? Tutte quanto avevano flirtato innocentemente col Maine Coon, ma presto le sue amiche avrebbero danzato per attirare l’attenzione di qualcuno tra i giovani maschi, qualcuno alla loro portata, uno dei loro ex compagni di giochi con cui erano cresciute, come Pounceval e Tumblebrutus.
Lei invece no. Se avesse ballato per qualcuno, sarebbe stato nella speranza di vedere gli occhi di Tugger puntarsi su di lei. Ricordava ancora l’anno precedente, quando nella frenesia del Ballo si era ritrovata a danzare proprio di fianco a lui: non ci aveva badato molto, all’epoca; allora era solo felice, estatica, e libera da incombenze come la scelta di un compagno. E comunque, quella volta Tugger aveva scelto di nuovo Bombalurina, senza interessarsi particolarmente a Victoria, con cui si erano invece fatti avanti le nuove leve come Plato.
Si sarebbero fatti avanti anche con lei? Jemima non riusciva a non trovare strano il pensiero. I suoi giovani compagni di giochi si sarebbero davvero esibiti in balzi e piroette per farsi belli ai suoi occhi? Per indurla a scegliere qualcuno di loro?
Ecco qual era il problema: non provava assolutamente niente per nessuno di loro. Erano giovani gatti in gamba, e senza dubbio erano belli, ma non riusciva a trovare nessuno di loro attraente. Mentre sapeva fin troppo bene che cosa aveva iniziato a provare per Tugger. Era questo il vero problema: quando doveva mirare a qualcosa, mirava sempre troppo in alto.
In un certo senso, sospettare che il suddetto non disdegnasse affatto il suo interesse, era quasi terrorizzante. Quanto sarebbe mai potuta durare, tra loro, sempre ammesso che Tugger fosse davvero interessato e non la considerasse soltanto una piacevole compagnia fino alla notte del Ballo?
C’erano Regine più mature e più belle a cui dedicare le sue –affatto innocenti- attenzioni. Regine che non avrebbero preteso da lui nessun impegno a lungo termine. Con Bombalurina si azzuffava di continuo, ma poi Jemima li aveva visto finire insieme quasi ad ogni Ballo Jellicle: ormai avrebbero potuto scegliersi come compagni già da tempo, non fosse stato per la totale insofferenza di entrambi per i legami. L’ultima avventura di Tugger con Exotica ne aveva dato una prova più che tangibile.
Jemima sbuffò, sentendosi un peso sullo stomaco. Ma lei non era Exotica, e non era Bombalurina. Loro sapevano perfettamente come giocare al gioco del Rum Tum Tugger, e ne uscivano senza rancore e senza cuori infranti: perfino Exotica cresceva due figli suoi senza chiedergli nulla. Per lei invece era tutto così maledettamente complicato.
Se ne stava in un angolo della discarica a meditare suoi propri pensieri, quando Munkustrap comparve in cima alla collinetta e la raggiunse, fermandosi accanto a lei in scivolata.
- Jemima, ho bisogno di parlarti. – cercava di mantenere la sua solita compostezza, ma la gattina vedeva benissimo quanto fosse agitato: la cosa strana era che non riusciva a capire se ciò fosse dovuto a felicità o a preoccupazione. Magari entrambe?
- Dimmi!-
- Per prima cosa, ieri mattina eri… ehm… eri con Tugger?-
Oh no. Ci mancavano anche gli interrogatori. Jemima si strinse nelle spalle e agitò la coda con un gesto di stizza. – Sì, ero con Tugger. Abbiamo solo fatto un giro fuori dalla discarica, e con questo?-
- Per favore, non fare così. – Munk sembrava sfinito. – Volevo solo farti notare che… be’, hai presente cosa ti dissi due notti fa, riguardo l’essere cauta? Ecco: tieni presente che Tugger sarà il primo a fraintendere qualsiasi tuo gesto. -
- Sappi che Tugger non ha “frainteso” proprio niente. – protestò Jemima, in un impeto di spavalderia che non sospettava neanche di avere. – Non c’era un bel niente da fraintendere. Al contrario, ha “inteso” perfettamente. –
Per un attimo lo striato sembrò preso in contropiede e non seppe bene cosa rispondere, poi tirò un lungo sospiro e, come se ogni parola pesasse come una pietra, le chiese: - Lui ti piace?-
Faceva del suo meglio per nascondere il tono incredulo nella sua voce. Jemima guardò altrove, ma poi dovette essere onesta con lui e con se stessa, e annuì in fretta.
Munk si grattò dietro la testa, imbarazzato: sembrava vagamente addolorato, e Jemima avrebbe voluto poterlo rassicurare in qualche modo, ma non sapeva come.
- Jemi, sei libera di passare la tua notte di luna piena con chi preferisci, lo sai. Solo… sappi cosa aspettarti, da chi ti scegli come compagno. Non voglio che tu resti ferita. -
- Lo so, Munk. – rispose la gattina, sentendo un gran desiderio di abbracciarlo: vedeva quanto era confuso, e non voleva dare l’impressione di essersi trasformata, sotto i suoi occhi, da cucciolo innocente ad adolescente capricciosa. Lei stessa non sapeva spiegarsi il suo comportamento, ma non poteva fare altro se non essere sincera. – Credimi, non è facile neanche per me. Però… be’, non si sceglie di chi innamorarsi, no?-
Per lo strato di Heavyside. Aveva davvero usato quella parola.
Munkustrap rizzò le orecchie, poi però scosse la testa e le rivolse un sorriso comprensivo. – No, decisamente no. – ammise, e in quel momento Jemima cominciò a rivedere in lui il gatto che conosceva. – Ascolta, c’è dell’altro che devo dirti. Sto per andare a prendere Demeter: lei e io vogliamo… presentare qualcuno al branco. – fece un respiro profondo come se stesse per saltare. – Ha dato alla luce un cucciolo. È mio; si chiama Jabster. –
A Jemima mancò il fiato, e sgranò gli occhi. – Un cucciolo? Tu e Demeter? …sei papà?!?-
Munkustrap annuì.
- Oh, Munkustrap!- con un gridolino di gioia, la gattina saltò al collo dello striato. – È meraviglioso!-
Munk si concesse una risata liberatoria e strinse la piccola in un abbraccio, facendola volteggiare. Quando la mise giù, Jemima prese a saltellare, eccitatissima. – Quando lo portate? Perché Demeter non ci aveva detto niente?-
- È complicato. – rispose lui, adombrandosi di colpo. – Anch’io l’ho scoperto soltanto oggi… credo che Demeter non si fidi più del branco come una volta. Ho dovuto convincerla a portare qui nostro figlio; non sono sicuro che lo avrebbe fatto, altrimenti. -
- Oh. – il sorriso di Jemima si incrinò. – Devi farli venire qui entrambi, Munk. Tutti vogliono bene a Demeter, e il vostro piccolo sarà al sicuro con il branco. –
- È quello che spero. Li ho lasciati tranquilli tutto il giorno in modo che Demeter potesse riposarsi, e… be’, io avevo bisogno di dirlo a qualcuno. A quest’ora saranno sicuramente svegli e mi staranno aspettando. – lo striato sfoderò un sorriso speranzoso: gli brillavano gli occhi. – Adesso devo andare. Ci aspetterai, Jemima?-
- Certo che lo farò!- esclamò lei, con un miagolio felice. – Voglio vedere la tua famiglia riunita!-
- Arriveremo tra poco. – e, con un gran sorriso e un guizzo della coda, Munkustrap corse via.





ANNOTAZIONI:
- La coppia Tugger/Jemima. Ok, deve essere la prima volta che sostengo una coppia così improbabile (ma forse no) ma, come ho detto, questo musical è interessante proprio perché le relazioni sono molto reinterpretabili. Dopo essermi completamente fissata con l’encomiabile personaggio del Rum Tum Tugger (e tanti complimenti a John Partridge che lo interpreta nel suo personalissimo stile nella versione in dvd), non ho potuto fare a meno di notare le “attenzioni speciali” che riserva proprio a Jemima durante la sua canzone. In totale interagisce direttamente con lei quattro volte, e questi dettagli spesso sono molto significativi all’interno di uno spettacolo teatrale.
(Vogliamo essere pignoli?
-1 La chiama a sé con un cenno del capo e attraversa il palco con lei.
-2 Si ferma ad indicarla a fine piroetta (e lei ne sembra molto contenta)
-3 Ruffianissimo grattino sotto il mento
-4 Le fa fare una piroetta prima di ballare con Bombalurina)
Mi sono divertita a giocare su questi piccoli dettagli e a sviluppare la situazione tra di loro, e mi piacciono insieme. Tutto qui quello di cui avevo bisogno, alla fine! Quasi tutto il fandom, inoltre, concorda nell’ammettere che Tugger sembra avere un debole per lei, e a me piaceva notare come fosse estremamente seduttivo con chiunque altro, mentre con lei fosse quasi dolce, a modo suo.

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Capitolo 5
*** V ***


...Suspance!

V


Munkustrap correva nella notte, sentendosi leggero come una piuma.
Quando Demeter fosse tornata nel branco, sarebbe andato tutto a posto: l’avrebbe fatta sentire a casa, le avrebbe detto che la amava, che voleva occuparsi di lei e di Jabster, e che non gli sarebbe dispiaciuto neanche sfornare una cucciolata nuova all’anno.
Perché mai i suoi doveri di Protettore avrebbero dovuto ostacolare l’amore? Old Deuteronomy era il leader dei Jellicle da innumerevoli generazioni, e questo non gli aveva impedito di avere una folta discendenza, fra cui Munkustrap stesso. Ne era sicuro: lui e Demeter sarebbero stati felici insieme.
Mentre correva con questi pensieri in testa, ad un tratto gli sembrò di scorgere delle ombre muoversi nel buio della strada.
Rallentò appena, per guardarsi intorno, e le ombre si mossero di nuovo: davanti a lui, proprio in mezzo alla strada, c’era un gatto dal pelo scuro e arruffato che gli sbarrava il cammino, e allo striato bastò una sola occhiata per verificare che, chiunque fosse, non si trattava di un Jellicle. Un’altra occhiata gli fece individuare altri due gatti ai suoi fianchi, e uno alle spalle.
Munk si fermò, facendo stridere le unghie sull’asfalto e rizzando la coda: i quattro stranieri non dissero una parola, ma cominciarono ad avvicinarsi a lui con fare minaccioso, le orecchie appiattite e la coda sferzante, stringendo sempre di più il cerchio in cui lo avevano intrappolato.
Poi, con la studiata abilità di un prestigiatore, un gatto ancora più grosso, irsuto e minaccioso emerse dall’oscurità, e avanzò verso Munkustrap scrollando un folto e logoro mantello di pelo rosso fuoco.
- Salve, Protettore. – lo apostrofò, con una voce profonda e inconfondibile.
- Macavity. – rispose Munk, secco, acquattandosi sul terreno. – Che cosa vuoi?-
- Fare due chiacchiere con te. Mi seguirai con le tue gambe, o devo chiedere ai miei amici di convincerti?-
Lo striato si guardò attorno, valutando i tirapiedi del gatto rosso: sembravano tutti e quattro agili, scattanti e incattiviti, e lo braccavano da ogni lato.
- Mi lascerai andare per la mia strada, dopo?-
Macavity rise, una risata cupa e cavernosa. – Temo proprio di no. –
- Allora scordatelo. – si appiattì ancora di più, e soffiò con tanta furia che il gatto più vicino a lui sussultò per un attimo, arretrando prudentemente di un passo. – Dimmi ora quello che devi, se ci tieni tanto, perché io non ho intenzione di renderti le cose facili!-
Macavity non disse niente: bastò un unico, quasi impercettibile cenno del muso, e i suoi quattro scagnozzi balzarono addosso a Munkustrap tutti insieme. Il gatto argentato reagì con sorprendente prontezza, sferrando un’artigliata in piena faccia a quello che lo attaccava da davanti, e allontanando con un calcio l’altro al suo fianco. Gli altri due, però, gli finirono addosso, e lo striato urlò di dolore sentendo le loro unghie piantarglisi nella schiena.
Si buttò a terra e rotolò su se stesso, soffiando come impazzito, mentre si divincolava per liberarsi dal peso dei suoi aggressori che lo schiacciavano. Combatteva come un diavolo, ma loro erano semplicemente troppi. Ad ogni unghiata, lui ne riceveva quattro volte tanto, e i suoi avversari lo tenevano inchiodato a terra, impedendogli di rimettersi in piedi. Però soffiò e gridò forte, e tutto quel baccano finì per attirare l’attenzione di qualcuno che passava da quelle parti in quel preciso istante.
Mungojerry si trovava in cima ad un tetto proprio sopra la strada in cui stava accadendo il misfatto: lo svelto gatto tigrato si sporse, incuriosito da tutto quel rumore, e rimase di sasso nel riconoscere niente meno che il Protettore argentato tra gli artigli dei quattro energumeni dall’aspetto sinistro… e il mantello rossastro di Macavity nell’ombra, poco lontano.
Esitò a lungo, mordendosi le labbra e accucciandosi il più possibile per evitare di essere visto. Di questo passo, quelli avrebbero senz’altro ucciso Munkustrap… e, per quanto l’eventualità non gli piacesse molto, era anche vero che il suo intervento non avrebbe cambiato proprio niente. E poi, non ci teneva affatto a mettersi tra Macavity e la sua preda.
Proprio in quel momento, però, Rumpelteazer spuntò sulla cima del tetto opposto e, trovandosi davanti quella scena, non trattenne un sibilo di allarme.
- Rumpel, no!- sibilò Mungojerry, ma troppo tardi. Quando guardò di nuovo giù, la prima cosa che vide furono gli occhi di Macavity, che brillavano nell’oscurità, puntati dritti verso l’alto… verso di loro. Gli sembrò di vederci brillare dentro un lampo assassino.
- Scappa, Rumpel, scappa!- strillò il tigrato alla sua gemella, voltandosi e dandosela a gambe su per il tetto. Mai come allora gli era sembrato di avere le ali ai piedi: senza guardarsi indietro si gettò in una corsa disperata, superò d’un balzo lo spazio tra due tetti, si lanciò giù per una scala antincendio e infine, esausto e col cuore in gola, si rintanò in un vicolo per riprendere fiato.
E tuttavia, mentre ansimava affannosamente, mezzo morto di paura, qualcosa emerse dal buio alle sue spalle e lo abbrancò per la vita, tappandogli nel contempo la bocca con una zampa dai lunghi artigli.
Macavity lo immobilizzò e gli strinse le zampe attorno al collo, con calma, come se stesse valutando l’idea di spezzarglielo o meno.
- Non farlo! Non farlo, ti prego! Non ho visto niente!- strillò Mungojerry, terrorizzato. Il gatto rosso lo tenne stretto fino a quando non ebbe smesso di dimenarsi –limitandosi a tremare- quindi lo afferrò per la collottola e sibilò direttamente al suo orecchio: - Mungojerry. Non mi piace vedere in giro la tua faccia quando non l’ho espressamente richiesta. -
- Non succederà più! Lo giuro! Lo giuro, ti prego, ti prego, ti prego!-
- Zitto. Spero che tu abbia visto bene cosa è successo laggiù, perché ora voglio che tu torni a casa tua e racconti tutto ai Jellicle. Hai capito? Il Protettore è nelle mie mani, e ci resterà finché vorrò io. Non dimenticare neanche una parola, e non farti più vedere. Mi piacerebbe proprio vedere quanto forte può correre la tua sorellina. –
Mungojerry annuì freneticamente, e rimase fermo ad ascoltare quello che il malefico gatto rosso aveva da riferire.

*

Jemima stava diventando impaziente.
Era in cima alla collina dei rifiuti, vigile, mentre sotto il suo naso, nella piazzola, Electra ed Etcetera stavano giocando rumorosamente con tre giovani maschi, rispettivamente Tumblebrutus, Alonzo e Pounceval.
Munkustrap era in ritardo, e la gattina cominciava ad innervosirsi. E se Demeter avesse improvvisamente cambiato idea? Il fatto che avesse potuto nascondere all’intero branco di avere un cucciolo la riempiva di dubbi inquietanti.
Ad un certo punto si sentì osservata e, abbassando lo sguardo, notò che Pounceval la stava guardando dal piazzale: il giovane gatto bianco e marrone la salutò con un miagolio, poi fece un salto e si arrampicò fino a lei.
- Non vieni a giocare con noi?- la invitò, sorridendo.
- Non ora, Pounce. – rispose lei, gentilmente, sperando che il suo tono non tradisse del tutto la sua preoccupazione. Pounceval sembrò deluso dal suo rifiuto, e si sedette accanto a lei, ad occhi bassi, scoccandole di tanto in tanto qualche sguardo indecifrabile.
- Ascolta… ci stiamo chiedendo tutti se stai bene. –
Jemima si voltò, sorpresa. – Io? Perché?-
- Ecco… - Pounce ora sembrava imbarazzato. – Sei sempre così distante, ultimamente, e poi è un po’ che non ti unisci a noi… a El, Etcy e gli altri, insomma. Ci chiedevamo solo se è tutto a posto, o se c’è qualcosa che non va. -
Jemima ci pensò seriamente: se anche i suoi amici avevano cominciato a stare in pensiero per lei, allora forse c’era davvero qualcosa di sbagliato. Il fatto era che, no, non c’era niente che non andava coi suoi compagni di giochi. Solo, al contrario delle sue amiche, che con l’avanzare delle lune avevano preso sempre più confidenza coi giovani maschi esuberanti, lei se ne era quasi inconsapevolmente allontanata. Andava al contrario, di nuovo.
Il fatto era che, probabilmente, aveva cominciato a seguire i consigli di Munkustrap ancora prima che lui glieli esprimesse ad alta voce: era diventata più schiva e riservata; i giochi dei suoi compagni, ormai, non le sembravano altro che un’anticipazione del Ballo Jellicle, perché i suoi vecchi amici già si mettevano in mostra, arruffavano il pelo e si dimenavano solo per gli occhi delle femmine, ostentando un continuo e silenzioso “scegli me”. Jemima non riusciva a capire il perché di tutta quella pressione: allo scorso Ballo, dopo la rituale danza della scelta del compagno –alla quale per ovvi motivi lei e le più piccole non avevano partecipato fino in fondo- lei si era tranquillamente addormentata accanto a Tumblebrutus senza alcuno scrupolo o preoccupazione, come aveva sempre fatto da quando erano piccoli, anche mentre altri come Bombalurina erano dediti ad attività molto meno innocenti.
Adesso invece le toccava andare con zampe di piombo ogni volta che uno dei suoi vecchi amici le si avvicinava, perché lei stessa non riusciva più a capire le loro intenzioni.
A dirla tutta, aveva con loro tutti gli scrupoli e tutto il riserbo che non aveva con Tugger.
- Non c’è niente che non va, Pounce, davvero. – si decise infine a rispondere, con quanta più sincerità poteva. – È solo che tante cose stanno cambiando molto in fretta, e sono un po’ nervosa, tutto qui. –
- Oh!- Pounceval sembrò sollevato da una parte, e ancora più confuso dall’altra.
- Io sto bene, davvero. Mi dispiace di avervi trascurati… devo essere una pessima amica, se vi ho fatto preoccupare!-
- Non dire così, Jemi!- il giovane gatto si accucciò con fare giocoso, e la guardò da sotto in su. – Non è per questo. Tra l’altro… be’, ti mentirei se non ti dicessi che io e i ragazzi siamo curiosi di chi potrebbe essere la tua scelta. –
Visto il tono scherzoso della domanda, forse non sarebbe stato poi così sconveniente mettersi a ridere, visto che fu quello il primo impulso di Jemima: gli occhi di Pounce però erano così grandi e carichi di interrogativi, che lei riuscì a controllarsi. Non era affatto cattiveria, la sua, solo che…
- In tutta sincerità, al momento non saprei rispondermi nemmeno io. -
- …Oh. –
- Capisci adesso perché sono un po’ nervosa?-
Pounce arricciò le labbra con aria pensosa. – Etcy dice che, secondo lei, ti comporti così perché hai qualcuno in mente… -
- Etcy deve imparare a mordersi la lingua, ogni tanto. – replicò Jemima, sarcastica.
- Guarda che non volevamo… cioè, stai sicura che nessuno di noi voleva metterti sotto pressione!- di colpo il giovane gatto aveva un’espressione colpevole. – Non volevo dire che… Jemi? Possiamo restare tutti amici, qualunque sarà la tua scelta? Non mi piace pensare che questa sia l’ultima notte che giochiamo insieme nella discarica. –
- Ma certo che non la sarà!- replicò Jemima, con entusiasmo, poi addolcì il tono e sorrise al suo compagno di giochi. – Grazie per essere venuto a parlarmi, Pounce. Lo sai che sei sempre stato come un fratello, per me. –
- Lo sai che questo non è il complimento migliore che puoi fare ad un maschio, vero?- replicò lui, con un sorrisetto inaspettatamente malizioso. Poi però diede alla gattina un colpetto amichevole col muso e la salutò, tornandosene a giocare con gli altri.
Lei lo seguì con lo sguardo, provando un moto di tenerezza per il giovane maculato, e sentendosi anche vagamente in colpa. Pounceval era sempre stato un fantastico compagno di scorribande, e un ottimo amico… ma proprio questo: un amico. Non era sembrato troppo deluso dal suo rifiuto indiretto, però Jemima non poteva fare a meno di guardare se stessa con occhi esterni: forse ora riteneva che i suoi coetanei non fossero alla sua altezza? La sua fissazione per Tugger non era, magari, puro e semplice egoismo?
Non ebbe tempo per finire questi pensieri, perché udì qualcuno che arrivava di corsa, e quando si voltò vide arrivare di gran carriera Demeter, insieme ad una palla di pelo nero e argentata che non poteva essere altri che Jabster.
- Siete arrivati!- esclamò, accogliendoli a braccia aperte: Jabster esitò un momento per farsi annusare, poi si lasciò coccolare di buon grado dalla gattina. – Dov’è Munkustrap?-
- …Speravo me lo dicessi tu!- replicò Demeter, tutta trafelata, fissandola con aria più che preoccupata. Jemima sollevò lo sguardo da Jabster.
- Non è venuto a prendervi?-
- Ritardava così tanto che ho temuto che fosse successo qualcosa, per questo sono venuta… - la Regina si interruppe, allarmata, e Jemima ebbe un brivido.
- Mi ha lasciata dicendo che sarebbe andato a prendervi… - mormorò. In quel momento, un baccano di barattoli rovesciati, miagolii e passi di corsa annunciarono l’arrivo nella piazzola di altre due facce fastidiosamente note: Mungojerry e Rumpelteazer, dalle identiche pellicce tigrate, agitati come topi chiusi in un barattolo, piombarono in mezzo alla discarica attirando l’attenzione di tutti i Jellicle presenti.
- Ascoltatemi! Ascoltatemi tutti, è un’emergenza!- prese a strillare Mungojerry, saltellando in tondo finché tutti non si misero a fissarlo, come chiedendosi se fosse impazzito completamente. – Ehi, ascoltatemi! Si tratta di Munkustrap!-
Aveva già l’attenzione dell’intero branco: i Jellicle facevano capolino da ogni angolo, arrampicati suoi copertoni o affacciati dai loro rifugi. Bombalurina emersa dall’ombra e si fece avanti verso il centro della piazzola, a grandi passi, con tutta la grazia e l’arroganza della Regina che era: il suo arrivo sembrò finalmente far sì che i due tigrati decidessero di darsi una calmata.
- Parlate, allora, e fate in fretta!- intimò la gatta rossa, con uno sguardo penetrante ai due gatti scassinatori.
- Munkustrap è stato catturato da Macavity!- rispose in fretta Rumpelteazer, affacciandosi da dietro la spalla del suo gemello. Le sue parole provocarono un coro di soffi e miagolii arrabbiati e spaventati insieme: Jemima strinse forte Jabster, mentre vedeva Demeter impallidire.
- Gli ha teso un’imboscata fuori dalla discarica!- continuò Mungojerry, mentre si faceva piccolo piccolo sotto lo sguardo inquisitore di Bombalurina. – Lui e i suoi seguaci lo hanno catturato, e devono averlo portato via. Noi eravamo da quelle parti, quando è successo… -
- E non lo avete aiutato!- scattò Demeter, piombando con un balzo al fianco di Bombalurina, soffiando e con gli artigli sguainati come se avesse intenzione di fare a pezzi il tremante Mungojerry in quello stesso istante. – Ve la siete svignata come topi! Lo sanno tutti che tu fai da sempre il gioco di Macavity, piccolo vigliacco!-
Bombalurina fermò la Regina gialla e nera, posandole con fermezza una zampa sulla spalla, quindi fece cenno a Mungojerry di continuare.
- Macavity ha anche lasciato un… ehm… messaggio per tutti i Jellicle. Dice che non ucciderà Munkustrap, ma che non lo rivedremo mai più. E dice anche che dobbiamo abituarci a non avere più un Protettore, né un leader… e che lui può venire a prenderci tutti, ogni notte, uno ad uno, se vorrà… -
Seguì un altro coro di soffi spaventati, e le Regine più anziane si avvicinarono istintivamente ai gatti più piccoli, radunandoli: Jemima era già accanto a Demeter, ma dall’altra parte della piazza vide Electra ed Etcetera stringersi forte l’una all’altra.
- Adesso basta. – intimò seccamente Bombalurina. – È tutto qui? Non c’è altro?-
Mungojerry scosse vigorosamente il capo. La gatta rossa girò su se stessa, rivolgendosi all’intera congrega dei Jellicle: - Restate tutti uniti, non separatevi per nessun motivo e state all’erta. Macavity o i suoi potrebbero essere ancora in giro. Voglio che i confini della discarica siano sorvegliati; non intendo permettere che approfitti del panico per avvicinarsi. –
- Ha preso Munkustrap! Non possiamo lasciarlo da solo!- esclamò Jemima, lanciando uno sguardo disperato attorno a sé: stringeva ancora tra le braccia Jabster, e scorreva i visi spaventati dei suoi compagni Jellicle. – Possiamo ancora seguirlo! Plato? Alonzo? Pounceval? Non possiamo formare una squadra? Tutti insieme potremmo andare a riprenderci Munkustrap!-
Per qualche attimo vide tutti i suoi compagni guardarla come se stessero davvero considerando la proposta, ma la paura chiuse la bocca a ciascuno di loro. Demeter si guardò attorno con disprezzo, quindi soffiò forte: - Vigliacchi!-
Bombalurina fece un gesto verso di lei, ma la Regina era già scattata in piedi, e si allontanò con un balzo dal resto del branco. Jemima sussultò e cercò di inseguirla, sentendo una fitta di panico.
- Demeter, non andartene!-
La Regina si girò una volta sola verso di lei, con occhi che la supplicavano.
- Jemima, prenditi cura di Jabster. Sei la sola di cui mi fido. -
- Demeter!- gridò di nuovo lei, ma la Regina era già sparita, lasciandola sola col suo cucciolo, sperduto e confuso, stretto al petto.
Alle sue spalle, Bombalurina stava freneticamente dando ordini per tenere al sicuro quello che restava del branco: i gatti più grandi furono incaricati di sorvegliare tutta la zona, le Regine anziane di radunare tutti i giovani. Poi la gatta rossa si drizzò in tutta la sua altezza e, a voce alta, chiamò: - Tugger! Tugger!-
Jemima si acquattò in disparte, con Jabster tra le braccia, mentre osservava il Maine Coon emergere dalla folla agitata dei Jellicle: un po’ perché non voleva farsi trovare dalle Regine anziane, un po’ perché voleva sentire di persona qualunque piano avesse in mente Bombalurina.
Tugger raggiunse la Regina rossa e si fermò per ascoltarla: anche lui doveva essere piuttosto teso, dato che sembrava avere perso ogni voglia di scherzare o darsi delle arie.
- La situazione è più che grave. – gli disse Bombalurina, prendendo a camminare avanti e indietro. – Pensi che Mistoffelees potrebbe riportare indietro Munkustrap… come ci ha riportato Old Deuteronomy l’anno scorso?-
Tugger si strinse nelle spalle. – Purtroppo non lo so, sto cercando di trovarlo. –
- E allora trovalo!- scattò la gatta. Tugger sussultò, le fece un precipitoso saluto militare, e se la svignò alla chetichella. Anche Jemima aveva sussultato alle sue parole: ma certo, Mistoffelees! Forse lui avrebbe potuto davvero fare ricomparire Munk in un batter d’occhi…
Proprio in quel momento, Jabster decise che era stufo di essere strapazzato: si divincolò improvvisamente e sgusciò via dalle sue braccia, saltando a terra.
- Ehi!- Jemima fece per riacchiapparlo, ma il cucciolo era già partito di corsa. – Jabster! Jabster, torna qui!-
Gli corse dietro, arrivando sempre e solo ad agguantare l’aria ad un soffio dalla sua coda minuta. Ma quanto accidenti correva forte quel gattino?! Si erano già lasciati alle spalle la piazzola, quando Jabster si buttò a capofitto giù per la collina di rifiuti, tagliando la strada a qualcun altro che andava particolarmente di fretta.
Tugger afferrò il cucciolo al volo e si fermò per osservarlo, reggendolo per la collottola come se si accorgesse solo in quel momento di che cosa si trattasse esattamente.
Jemima lo raggiunse e si fermò slittando sulla discesa, col fiato mozzo per la corsa inaspettata. – Grazie… - boccheggiò.
Tugger fissò il cucciolo, ad occhi sgranati. – Per lo strato di Heavyside. Mistofflees ha rimpicciolito Munkustrap!-
Se solo avesse avuto abbastanza fiato, Jemima gli avrebbe strillato di chiudere il becco. Jabster miagolò piano e fissò il Maine Coon come a chiedergli che cosa avesse fatto di male: Tugger lo scrutò con più attenzione per un po’, e sembrò notare su di lui gli stessi tratti di Demeter, oltre alle striature perfettamente identiche a quelle del Protettore.
- Ah no, mi ero sbagliato. Questo qui è tutto un altro tipo di magia. – commentò, tornando a guardare Jemima.
Quest’ultima, che aveva appena ripreso fiato, rispose in fretta: - Demeter è andata a cercare Munkustrap, da sola. Non sono riuscita a fermarla!-
- Piccola, credo che la cosa migliore che potresti fare adesso sia metterti al sicuro con le Regine anziane. Tu e… questo. – Tugger accennò al cucciolo che teneva ancora sospeso per la collottola.
- Se torno da Jellylorum e Jennyanydots, mi terranno bloccata nella discarica!- protestò la gattina, con un soffio di disapprovazione. Il Maine Coon la squadrò con aria confusa, inclinando il capo di lato.
- Perché, che altro avresti intenzione di fare?-
- Seguire Demeter! Sono sicura che, se andassimo in gruppo, neanche Macavity potrebbe tenerci testa!-
- Auguri. –
Tugger posò a terra Jabster, con un gesto stizzito, e sembrò voler considerare chiusa la questione. Senza arrendersi, Jemima insistette: - Stai andando a cercare Mistoffelees, vero?-
- Sì, e mi auguro proprio di trovarlo. – per un attimo, sul volto di lui trapelò tutta la sua apprensione: ad un tratto si chinò su Jemima, la prese per le spalle e, guardandola negli occhi, le disse: - Jemima, vai a casa. Se nemmeno Munkustrap era al sicuro, nessun Jellicle lo è. Non farmi stare in pensiero anche per te. -
La gattina inghiottì un groppo in gola, ma ricambiò fieramente lo sguardo di Tugger. – Non voglio lasciare da soli Munk e Demeter. –
- E non li saranno. Vai a casa!- ripeté lui, con più urgenza, prima di lasciarla andare e di voltare le spalle a lei e a Jabster.
Jemima rimase a guardarlo mentre si allontanava di corsa, con una stretta al cuore, quindi si voltò verso il cucciolo e tese la zampa verso di lui. – Qui, Jabster. – ordinò in tono risoluto: stavolta il piccolo la ascoltò, e si lasciò portare da lei senza protestare o cercare di nuovo di scappare via.
Il rifugio di Victoria e Plato era una nicchia confortevole scavata in mezzo ai rifiuti: la gatta bianca si era rintanata lì con i suoi tre piccoli, mentre Plato era andato a difendere i confini della discarica. Jemima si avvicinò furtiva all’imboccatura, e spinse avanti Jabster quel tanto che bastava perché il piccolo si incuriosisse e andasse a raggomitolarsi accanto agli altri tre suoi coetanei. Victoria alzò di scatto la testa, e fissò sbalordita prima il cucciolo, poi Jemima.
- Jemima?- esclamò, confusa.
- Vicky, ho bisogno che lo tieni al sicuro: è il figlio di Munk e Demeter. – bisbigliò lei in fretta, mentre si guardava continuamente alle spalle. – Io devo raggiungere Demeter; non posso lasciarla sola. Cerca di convincere Bombalurina a muovere tutto il branco al più presto possibile o… - le morì la voce in gola, ma si impose di finire. - …ho paura che non rivedremo più Munkustrap!-
Sbigottita, la sua amica esitò per qualche istante, prima di annuire con l’aria di chi fa qualcosa di inevitabile. Prima che potesse aggiungere qualsiasi cosa che avrebbe potuto farla desistere, Jemima si voltò e schizzò via nella notte.

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Capitolo 6
*** VI ***


VI



- Mistoffelees!-
Dal terreno sbucava l’imboccatura di un grosso tubo, che si snodava sotto la discarica forse per chilometri. Tugger saltò a cavalcioni sul tubo e vi si affacciò a testa in giù, per poi gridarvi all’interno: - Mistoffelees!-
La sua voce rimbombò amplificata nelle profondità del tubo, e dall’interno arrivò un miagolio spaventato e acutissimo, che fece sobbalzare Tugger sul suo sedile improvvisato. Poco dopo ci fu un rumore di passi felpati, e due orecchie nere fecero capolino dal tubo.
- Tugger, non farlo mai più!- si lamentò Mistoffelees, dal profondo del suo nascondiglio.
Per tutta risposta Tugger sbuffò, sdegnoso. – Cosa stai facendo lì dentro, esattamente?-
- Quello che farebbe ogni Jellicle con un po’ di cervello, in questo momento: mi nascondo. -
- Esci fuori. Adesso. –
Con un miagolio lamentoso, Mistoffelees sgusciò fuori dal tubo e si guardò attorno, circospetto, mentre il gatto nero e dorato rimaneva appollaiato in cima all’imboccatura. – Non c’è bisogno che mi spieghi cosa è successo, ho sentito anch’io. Perché credi che mi sia nascosto qui?-
- Dato che lo sapevi, avresti anche potuto avere la bontà di presentarti da solo. – bofonchiò Tugger, arruffando il pelo. – Puoi recuperare Munkustrap?-
Per qualche attimo, il gatto nero e bianco chiuse gli occhi e sembrò perso in una sorta di trance, poi si riebbe con un brivido e scosse la testa con aria affranta. – Stavolta no. Mi dispiace… -
- Perché no?-
- L’altra volta sapevo dove aveva portato Old Deuteronomy. Adesso ha spostato il suo territorio, e non ho idea di dove possa tenere Munkustrap… - Mistoffelees abbassò le orecchie, imbarazzato, fissandosi le zampe. Tugger emise un verso esasperato, cominciando a dondolarsi nervosamente sulla cima del tubo.
– Ma come? Non eri tu quello che sa sempre come uscire da qualsiasi situazione, senza neanche un graffio? Non sei il “Magico Mister Mistoffelees”?-lo provocò, cantilenando.
- Piantala. Hai cominciato tu con questa storia, io ho sempre detto che non posso fare miracoli. – il gatto nero cominciò a camminare in cerchio, mentre rimuginava tra sé e sé.
- Ma abbiamo un urgente bisogno di miracoli!- protestò Tugger in tono lamentoso. Poi si zittì di colpo, e la cosa preoccupò Mistoffelees ancora di più: alzò il capo, e lo vide mordersi un pugno ad occhi sbarrati, come se si fosse ricordato in quel momento di qualcos’altro di ben più grave. Sapeva che si sarebbe pentito di averglielo chiesto, tuttavia domandò: - Tugger? Che altro c’è?-
- …Jemima. – rispose lui, come se il nome spiegasse tutto. Misto, invece, lo fissò ancora più confuso di prima. – Lei che cosa c’entra, adesso?-
- Ehm… poco fa parlava di seguire Demeter e andare a salvare Munkustrap, e temo che lo abbia fatto veramente. -
Misto sentì ogni pelo del suo corpo rizzarsi. – E tu l’hai lasciata andare? Da sola?!?-
Tugger si morse le labbra, guardandosi attorno con aria colpevole. – Be’, confidavo ancora che tu potessi riportare tutti quanti al sicuro con qualche abracadabra. –
Il gatto prestigiatore si batté una zampa sulla fronte. – Tu confidi troppo!- esclamò, sentendosi molto vicino a farsi prendere dal panico. – Quindi abbiamo Munkustrap nelle grinfie di Macavity, Demeter che si sta buttando a capofitto in territorio nemico, e Jemima che li segue a ruota. Hai qualche suggerimento per peggiorare ancora questo quadro?-
- Non dovevo… - cominciò Tugger, poi si rese conto di essere –inaudito- sul punto di ammettere un errore, e si interruppe subito. Mistoffelees sbuffò e si mise una zampa accanto all’orecchio.
- Sì?- lo invitò, sardonico. Il Maine Coon sbuffò di rimando, però finì la frase suo malgrado. – Non dovevo lasciarla da sola, va bene. Ma le avevo detto di tornare a casa!-
- Però. Cominciamo addirittura a sentirci un po’ responsabili? Che passo avanti!-
- Mi vuoi aiutare o no?- scattò Tugger, offeso. Mistoffelees si fece più serio e lo osservò con attenzione: come Munkustrap, anche lui conosceva Rum Tum Tugger da troppo tempo per lasciarsi incantare dai suoi modi di viziato sbruffone. Ma, proprio per questo, non poteva certo dire che non gli importasse di lui: al contrario, spesso arrivava a capirlo fin troppo bene, e lo stesso Tugger sembrava considerarlo una sua personale versione di un migliore amico… o qualcosa del genere. Proprio per questo gli bastò guardarlo per capire che era molto, molto più in pensiero di quanto volesse dare a vedere.
- Certo che ti voglio aiutare. È solo che non so come. – gli assicurò, stringendosi nelle spalle. Tugger stava ancora rimuginando, col mento tra le zampe, poi ad un tratto schioccò le dita e si alzò in piedi sul tubo.
- Andiamo a riprenderla!- annunciò, come se fosse la soluzione a tutti i problemi.
- …Con “andiamo” intendi tu ed io?-
- Ovvio. –
- Bombalurina ci spellerà vivi… - gemette Mistoffelees.
- Non se riportiamo a casa una Principessa sana e salva, e forse anche il nostro Protettore e la sua bella. – concluse Tugger, con un sorriso accattivante, e saltò giù dal tubo. – Su, sbrigati!-

*


Munkustrap riprese i sensi con un sobbalzo, e si accorse di non riuscire a muoversi.
Era sdraiato a terra, schiacciato da una rete di corda, con gambe e braccia aggrovigliate nelle sue maglie: in quanto a dove si trovava… tutto quel che vedeva era un vicolo spoglio, buio e puzzolente. C’era solo qualche bidone metallico per i rifiuti e, in cima a questi, gli occhi scintillanti dei quattro gatti che lo avevano catturato lo fissavano minacciosi.
Il Protettore si divincolò, ma riuscì soltanto ad aggrovigliarsi di più dentro la rete. Tutto quel suo inutile affannarsi dentro la sua prigione sembrò divertire molto il suo invisibile carceriere, che fece risuonare per tutto il vicolo la sua risata cupa. Lo striato si fermò e rimase in ascolto, sicuro che da un momento all’altro Macavity si sarebbe fatto vivo per continuare il suo gioco.
Infatti, un attimo dopo gli sembrò di vedere un lampo di pelo rossastro in cima al muro che chiudeva il vicolo. Poi, però, lo stesso lampo di colore si ripeté dalla parte opposta. Poi ancora più vicino, e Munk udì distintamente il rumore di quattro zampe felpate a poca distanza. Poi di nuovo, in un punto diverso.
Sapeva che faceva tutto parte del piano di Macavity per spaventarlo ancora di più e, purtroppo, ci stava riuscendo benissimo: la capacità del malefico gatto di essere dovunque allo stesso tempo lo terrorizzava. E lui era lì, inerme, sotto una rete.
- Sei meno patetico del tuo vecchio padre, Protettore. Tu almeno hai lottato, quando sono venuto a prenderti. – finalmente la sua voce si concentrò in un solo punto, e la figura rossa di Macavity emerse dall’oscurità. Incombeva su Munkustrap, a neanche un passo da lui.
- Se tu ne avessi il fegato, mi tireresti fuori di qui e mi affronteresti di persona. – lo sfidò Munk, sprezzante. – O forse ti è bastato il nostro ultimo combattimento, l’anno scorso?-
- Un combattimento che io ho vinto. –
- E che non ti è servito a niente. –
Macavity si raddrizzò in tutta la sua notevole altezza, e diede un calcio a Munkustrap: lo striato mugolò e si acquattò al suolo, cercando di proteggersi in qualche modo.
- Che cosa ne sai, tu, di quello che mi serve? Voi Jellicle non vedete più in là del vostro naso, della prossima tazza di latte o dei vostri stupidi rituali. È ironico vedere quanto vi credete superiori, ma come vi riducete a gattini piagnucolosi appena qualcosa non va come avevate previsto. E avete il coraggio di definirvi un branco. Puah. -
- Il branco è la nostra famiglia. – protestò Munkustrap, lottando per alzarsi sui gomiti. – Hai idea di quanti trovatelli non sarebbero sopravvissuti, se il branco non si fosse preso cura di loro? Non puoi biasimarci se vogliamo soltanto sopravvivere aiutandoci a vicenda. Che male c’è? Che fastidio ti diamo?!?-
- Fastidio?- Macavity considerò quella parola, camminando lentamente in tondo attorno a Munkustrap. – Disgusto è una parola più adatta. Non siete migliori della feccia che lecca i piedi agli esseri umani e ingrassa nelle loro case, per come la vedo io. È qui nella strada che viene forgiata una nuova generazione di gatti! Quelli che non hanno bisogno di nessuno, uomo, gatto o animale che sia. – il felino dal pelo rossastro fece un gesto teatrale ad indicare il buio vicolo attorno a loro. – Qui fuori! Con gli artigli e col sangue, e non con stupidi balli sotto la luna. –
- Non è colpa mia se noi vogliamo vivere in pace e voi no. – sbottò Munk, gelido. – O forse non ti va giù il fatto che i Jellicle vivano così e stiano bene?-
- Quello che non mi va giù è la generazione di smidollati che state crescendo voi Jellicle. – Macavity si accucciò a terra, chinandosi sul suo prigioniero: Munk adesso poteva vederlo chiaramente in faccia, e i suoi occhi erano due tizzoni giallastri incavati dentro una maschera di pelo rosso e nero. Il gatto era alto e robusto, ma magro in modo quasi inquietante: le sue orecchie erano mozziconi smembrati, e il suo lungo pelo era un groviglio rossastro incrostato di polvere.
Per un attimo riuscì quasi a provare un moto di pena per il vagabondo rosso. Qual era la sua storia? Che cosa aveva passato per diventare così malvagio? Perché tutto quell’odio verso i Jellicle? Avrebbe voluto fargli tutte quelle domande, ma aveva la certezza che Macavity avrebbe risposto con un nuovo calcio nelle costole ad ognuna di esse.
- Lasciaci in pace, allora. Non so cosa tu abbia passato, o per mano di chi, ma nessuno di noi ti ha mai fatto del male!- esclamò, agitandosi sotto la rete: il suo avversario era così vicino, se solo fosse riuscito a liberarsi…
- Voi fate di peggio: voi crescete schiere di gatti che vivono convinti di potere essere per sempre felici e al sicuro, che non sanno difendersi, che non diffidano degli umani… e di noi stessi. – sbuffò, ma il suo era uno sbuffo divertito. – Caro il mio saccente Munkustrap, nessuno ti ha mai spiegato che il fine di un branco è fare sopravvivere i forti?-
Munk afferrò le maglie della rete e si drizzò fino ad arrivare faccia a faccia con il gatto rosso.
- Il fine di un branco è farci sopravvivere tutti! Tutti! Forti e deboli! E nessuno viene mai lasciato indietro; è questa la differenza tra me e te!-
- Davvero?- la voce di Macavity si fece pericolosamente melliflua. – Che strano. Non sembravate pensarla così con la povera vecchia Grizabella. –
Quella fu una vera e propria pugnalata, e il Protettore ne sentì la lama fino in fondo al cuore: quello di Grizabella era un peso che si era trovato a portare su di sé per molto tempo, sia prima che dopo la sua redenzione e la sua assunzione allo strato di Heavyside.
Lei era una reietta: aveva abbandonato spontaneamente il branco, aveva tagliato ogni contatto con qualsiasi Jellicle, era sparita nel nulla per anni… e poi era ricomparsa dopo avere vissuto per anni nei bassifondi: vecchia, ferita, lacera, mezza matta, quasi irriconoscibile. La decisione era stata dura, ma irrevocabile: non si tornava indietro, dopo avere rinnegato il branco.
Munkustrap si era convinto di stare facendo la cosa giusta. Ogni volta che la barcollante figura di Grizabella si avvicinava, guadagnandosi i soffi diffidenti dei Jellicle, lui si convinceva che fosse la cosa migliore tenerla separata dagli altri: dopotutto, non stava proteggendo solo il branco da lei, ma anche lei dal branco.
Tuttavia, la continua e instancabile ricerca, da parte della vecchia gatta, di un po’ di comprensione dal suo vecchio branco, lo caricava di una tristezza insopportabile. Nessuno si fidava più di Grizabella, ma perfino Demeter avrebbe voluto tenderle una zampa di amicizia, se solo… se solo…
E lo avevano capito solo alla fine. Solo la piccola Jemima si era unita al suo canto solitario, solo Victoria si era fatta avanti per prima per dare all’anziana gatta un po’ del calore dimenticato. Solo alla fine. E Munkustrap non si era ancora perdonato di avere riammesso Grizabella tra di loro solo quando era il momento di dirle addio: non era mai tornata dal suo viaggio allo strato di Heavyside, e lo striato temeva di sapere perché.
Improvvisamente Macavity balzò addosso a Munkustrap, inchiodandolo di nuovo con gambe e braccia a terra.
- Ebbene, non rispondi?- lo canzonò, ghignando al di là della rete: le sue zampe gli bloccavano dolorosamente i polsi, e il suo peso lo stava schiacciando. – Me lo immaginavo. -
- È stato un errore! Il mio errore!- ringhiò lo striato. – Lei non lo meritava, è vero. Ma tu sei l’ultimo ad avere il diritto di giudicarmi per questo!-
- Oh, no. – Macavity rafforzò la stretta, per costringere lo striato a stare fermo e guardarlo negli occhi. – Ho avuto occasione di fare qualche interessante conversazione con la suddetta Grizabella. Avresti dovuto sentirla: era così toccante sentirla piagnucolare su quanto le mancasse il branco, e su quanto foste tutti tanto ingiusti con lei… non l’ho uccisa solo perché era un gran divertimento vederla trascinarsi in giro come il guscio vuoto che era. –
- Carogna!- urlò Munkustrap, dimenandosi sotto il peso di Macavity. – Non sei altro che una sporca carogna!-
- Probabile. E questo fa di te meno di una carogna, Munkustrap, te e tutti i tuoi compagni. – la voce del gatto rosso era un sibilo crudele e terribilmente serio. – Tutte le vostre raffinate tradizioni prive di senso mi danno la nausea. Per questo inganno il tempo in questo modo: voglio vedere quanto a lungo dureranno i Jellicle senza un leader… o meglio, mano a mano che i loro amati capi verranno sistematicamente fatti fuori, uno per uno. Resteranno uniti, secondo te? O vincerà la paura e diventeranno semplicemente come me?- lo lasciò e si alzò in piedi, lasciandolo di nuovo libero di respirare: qualcosa, però, gli fece intuire che il peggio doveva ancora arrivare.
- Ma questo è un divertimento a lungo termine. Il divertimento a breve termine, infatti, sarà vedere quanto a lungo durerai tu. –




Nota dell'autrice: Hip-hip urrà a Billy, che si sta leggendo questa fanfiction pur non avendo mai visto Cats nemmeno per sbaglio. I tuoi commenti sono sempre un regalo più che gradito! ^^

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Capitolo 7
*** VII ***


Colonna sonora
VII



Dopo che l’iniziale moto di determinazione l’ebbe portata oltre i confini della discarica, fino alle lunghe strade illuminate dalla luce gialla dei lampioni, Jemima dovette fermarsi e ammettere che stava praticamente andando alla cieca.
Stava seguendo l’odore di Demeter: la traccia era debole, ma persistente, e la gattina contava di seguire quella finché non avesse trovato la Regina, e a quel punto… be’, a quel punto sperava che insieme avrebbero scoperto dove era nascosto Munkustrap e sarebbero riuscite a portarlo in salvo.
Si fermò del tutto, mettendosi a fare dei respiri profondi per calmarsi. Era stata audace, anzi, avventata. Ma semplicemente non sarebbe mai riuscita a starsene in disparte mentre i due Jellicle che amava di più al mondo erano soli e in pericolo. Ad un tratto le veniva da piangere: era partita col nobile proposito di correre in soccorso di entrambi, e adesso non era altro che una micetta sperduta che piagnucolava sul bordo della strada.
Sapeva di dovere restare calma, anche se l’ansia e la paura avevano cominciato a squassarla con brividi ghiacciati. L’odore di Demeter c’era ancora, doveva solo seguirlo e avere fiducia. L’avrebbe ritrovata. Li avrebbe ritrovati entrambi.
Mentre ancora cercava di farsi coraggio, al centro della strada apparvero due luci accecanti, più luminose della luna, più abbaglianti del sole di mezzogiorno. Jemima si rizzò, spiazzata: le luci avevano di colpo inghiottito tutto il resto, e si stavano avvicinando, accompagnate da un rumore assordante come un rombo di tuono.
Qualcuno la afferrò per la vita e la trascinò bruscamente all’indietro, appena in tempo prima che le luci passassero ad un soffio dal suo naso, con un gran fracasso e un gran risucchio d’aria che per poco non la trascinò di nuovo sulla strada. Ma le braccia che la circondavano la stavano tenendo saldamente.
- Automobili, bimba. Molto grosse, molto veloci, e molto dolorose se riescono a centrarti. -
Non era mai stata più felice di sentire la voce di Tugger in vita sua.
Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia col Maine Coon dalla criniera dorata, il quale, dal canto suo, le scoccò un’occhiata alzando le sopracciglia, come se tenerla sollevata ad un palmo dalla strada dove per poco non era stata investita fosse solo ordinaria amministrazione.
- Jemima! Stai bene?-
Da dietro le spalle di Tugger spuntò la snella figura nera di Mistoffelees, che subito le si accostò con aria spaventata: Jemima stessa dovette fare per un attimo mente locale per decidere che, sì, considerata la situazione ora andava tutto piuttosto bene.
- Sto bene, sto bene… ma sono felice che voi siate qui. – tentò di scivolare fuori dalla stretta di Tugger, ma lui la stava ancora trattenendo saldamente. Il fatto che la tenesse sollevata da terra, poi, complicava un tantino le cose, quindi pensò bene di farglielo notare. – Tugger… puoi mettermi giù. -
Il Maine Coon inarcò un sopracciglio con studiata lentezza, come se ci stesse pensando sopra. – Sai, non mi fido. E se mi scappi e vai a finire sotto un’altra macchina? Sono rischi che non ho intenzione di correre… -
- Ma ti sembra il momento?!- scattò Misto, con un sibilo più che irritato, alzando gli occhi al cielo. Con una certa delusione, Tugger posò a terra Jemima.
- Siete qui perché Bombalurina ha deciso di attaccare Macavity? Verranno ad aiutarci?- domandò lei, speranzosa, non appena si fu riavuta del tutto: lo sguardo che si scambiarono Tugger e Mistoffelees, però, non sembrava confermare le sue speranze.
- Tecnicamente, piccola, abbiamo trasgredito gli ordini anche noi. – si decise a rispondere Tugger, scrollando altezzosamente la pelliccia. – Bombalurina non sa che siamo qui, e immagino che quando lo scoprirà non faremo che peggiorare il suo umore. Ma, tanto, ormai siamo qui. –
- Siete venuti a cercare me?!- realizzò lei dopo un istante, battendo le palpebre con incredulità.
- Te e Munkustrap, ovviamente. – precisò Tugger, annuendo. – E Demeter. Cosa ne hai fatto della palla di pelo con cui eri prima?-
- L’ho lasciato a Victoria. – Jemima si raddrizzò, riacquistando un po’ di determinazione, e tornò a fiutare l’odore di Demeter. – Se vogliamo raggiungerli, è meglio che ci sbrighiamo. La traccia è molto debole, e non so esattamente dove speri di trovare Macavity. –
Mistoffelees guardò prima lei e poi Tugger, con un’espressione che era in parte preoccupata e in parte quasi solenne. – Allora, vogliamo veramente fare questa cosa? Se entriamo nel territorio di Macavity rischiamo grosso. Jemima, sinceramente preferirei evitare di metterti in pericolo più di quanto tu non abbia già fatto. –
- Ma vogliamo riavere Munk e Demeter, no?- ribatté lei, fissando entrambi in attesa di una risposta.
I due ci misero qualche istante a rispondere, ma poi fecero tutti e due un passo avanti e si affiancarono a lei: Jemima era così felice di non essere più sola, che strinse loro le zampe e ci strofinò contro il capo, piena di gratitudine. Poi Mistoffelees si mise in testa al gruppo, annusando la pista e correndo avanti con la coda alzata come una bandierina nera. Tugger si voltò verso Jemima, le fece un elegante cenno col braccio come ad invitarla a precederlo, e insieme corsero dietro al gatto prestigiatore.

*

Avevano liberato Munkustrap dalla rete solo per intrappolarlo nel vicolo. Da una parte lo bloccava il muro, troppo alto da scalare, dall’altro i bidoni metallici formavano una muraglia sorvegliata dagli scagnozzi di Macavity.
Non erano più soltanto in quattro: in poco tempo, sui muri della sua improvvisata prigione si era radunata almeno una decina di gatti randagi, tutti con lo stesso aspetto sinistro e polveroso, e gli occhi lucenti di follia. Macavity sedeva al posto d’onore, da solo in cima al muro, e guardava in silenzio la scena sotto di sé.
Munkustrap era solo, costretto a girare senza meta ai quattro angoli del vicolo, prima di arrendersi al fatto che non ci fosse via d’uscita. Ad un tratto, uno dei gatti selvaggi che lo fissavano dai bidoni spiccò un salto e si avvicinò a lui, col pelo ritto e gli artigli sguainati.
Munk indietreggiò. Era una femmina, sottile come un giunco, ma con unghie e zanne dall’aspetto letale: il suo pelo era lungo e arruffato, e un tempo poteva essere stato marrone chiaro.
La femmina soffiò, e il Protettore si trovò con le spalle al muro. Era questo, dunque, il passatempo organizzato per il divertimento di Macavity. E la cosa più folle era come i suoi scagnozzi vi si prestassero senza fiatare.
- Non dobbiamo farlo per forza. – supplicò la sua avversaria, in un ultimo e disperato tentativo di pace.
La sua artigliata arrivò, fulminea, e lo colpì su una spalla dimostrandogli invece che dovevano eccome. Soffiando di dolore, lo striato rotolò di lato, togliendosi repentinamente dalla portata della sua avversaria, poi rizzò il pelo e sguainò a sua volta le unghie con un sibilo feroce.
Macavity guardava, e si distinse il brillio sinistro delle sue zanne scoperte in un piccolo sorriso soddisfatto.

*

- Ancora niente?-
Mistoffelees trotterellò fino in fondo al muretto su cui si era arrampicato, si guardò attorno, quindi scosse la testa con un sospiro sconsolato. – Niente di niente. Non c’è traccia di Demeter, e non ho idea di che direzione abbia preso una volta arrivata qui. –
Jemima mugolò, delusa, e saltò giù dal muretto per atterrare sul marciapiede, dove Tugger li stava aspettando.
- Nient’altro che possiamo usare come punto di riferimento?- insistette la gattina, guardando ora il Maine Coon, ora Mistoffelees. – Qual è il territorio di Macavity, adesso?-
Tugger finì di grattarsi dietro un orecchio e le scoccò un’occhiata obliqua. – I quartieri bassi… e ci siamo dentro, attualmente. Riguardo al dove potrebbe trovarsi lui in questo momento… - allargò le braccia ad indicare il reticolo di viuzze buie e deserte che li circondava. – Ci stiamo lavorando. –
- Non è abbastanza!- protestò Jemima, parlando più con se stessa che con gli altri due: riprese a fiutare tutt’attorno, alla disperata ricerca dell’odore della Regina che sembrava essersi volatilizzato.
- Ehi. – le fece Tugger, con un’ombra di comprensione nella voce. – Puoi smettere, ci abbiamo provato. Chiameremo un Pollicle, la prossima volta che ci sarà da seguire una pista. –
Mistoffelees non aveva smesso di guardarsi attorno, ispezionando la via palmo a palmo, con la testolina bianca e nera che scattava di qua e di là ad intervalli regolari. Ad un tratto puntò lo sguardo verso i tetti, e verso la luna che faceva capolino dalle nuvole.
- Vado a dare un’occhiata dall’alto. – annunciò. E poi, semplicemente salì verso l’alto, balzando ora su un balconcino, poi su una scaletta antincendio, poi su una grondaia, individuando al primo colpo appigli dove –Jemima l’avrebbe giurato- le zampe di un altro gatto sarebbero inevitabilmente scivolate. Poi si eclissò in cima ad un tetto, sparendo nella notte.
Rimasta sola con un Tugger insolitamente silenzioso, Jemima prese a sfogare il suo nervosismo camminando avanti e indietro davanti a lui, e infine gli si accucciò accanto, strusciandosi distrattamente contro il suo fianco. Il Maine Coon non si fece certo pregare e le fece scivolare un braccio attorno al collo, solleticandole, malizioso, il mento con le dita. Solo allora Jemima ebbe un brivido strano, e si chiese perché mai stesse ancora facendo la smorfiosa con lui. Non aveva imparato proprio niente, se alla minima difficoltà ancora si ostinava a rifugiarsi tra le gambe di Tugger. In tutti i sensi.
- Basta così. - mormorò a bassa voce, in tono quasi di scusa, scostandosi da lui e dalle sue dita che le carezzavano il mento. Il gesto sembrò sconcertare profondamente Tugger, il quale le scoccò dall’alto in basso la sua migliore occhiata da primadonna ferita nell’orgoglio.
- Che cosa “basta così”?- ripeté, col tono di chi non credeva alle sue orecchie.
- Lo sai… -
Tugger arricciò il naso e si voltò dall’altra parte, sdegnoso, provocando a Jemima una fitta di rimorso: non intendeva offenderlo. I due rimasero in silenzio per alcuni lunghissimi istanti, e fu solo dopo un bel po’ che il gatto si decise a parlarle, uscendosene con un: - Bene, dato che improvvisamente sembri non gradire la mia compagnia… - scrollò le spalle con fare altezzoso. – Allora; se io e Mistoffelees non ti avessimo trovata, che cosa contavi di fare?-
La gattina si fermò e si voltò verso di lui. – Scoprire dove Macavity tiene Munkustrap, ovviamente. –
- Prima o dopo essere stata investita da quell’auto?- Tugger fece un sorrisetto mellifluo e divertito a sue spese, e lei abbassò gli occhi, con aria infastidita e colpevole.
- Va bene, non sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma dovevo fare qualcosa. – ammise. – Grazie, a proposito. –
Tugger scosse fieramente la criniera. – Figurati. –
Ci fu un altro attimo di strano silenzio, quindi Jemima si schiarì la gola e continuò: - Sono ancora stupita dal fatto che tu e Misto siate venuti a cercarmi, senza dire niente a Bombalurina. –
- Non molte altre Principesse sarebbero scappate via da sole col nobile proposito di salvare tutti quanti. – scherzò Tugger, squadrandola con le braccia conserte e un sorriso sardonico dipinto sul muso. – Ma complimenti per averci provato. -
- Se si fosse mosso tutto il branco, e subito, a quest’ora non saremmo qui da soli in mezzo al nulla senza una vaga idea di dove sia Munk!- ribatté lei, brontolando: aveva smesso di vagabondare senza meta e si era fermata accanto a Tugger, il quale la scrutò, alzando un sopracciglio con aria improvvisamente incuriosita.
- E i cuccioli? E le madri? E i Jellicle non in grado di combattere?- la rimbeccò, come se le stesse facendo una domanda a trabocchetto. – Credimi, Bombalurina non ha tutti i torti a prendere tempo, e sinceramente non la biasimo neanche un po’. Ma non è detto che ci lasci completamente senza aiuto… semplicemente non è una testa calda come Demeter. O come te. –
- Grazie tante. – borbottò la gattina, ma Tugger scoppiò a ridere.
- Non volevo offenderti! Anche il sottoscritto non è che sia un modello di comportamento. Sono quello che ti ha fatto i complimenti per l’audacia, invece di rimproverarti. –
- Però tu sei venuto ad aiutarmi. E anche Misto. – Jemima gli scoccò un sorriso a tradimento, e per un attimo il Maine Coon sembrò colto leggermente alla sprovvista.
- Potresti sentirti onorata, allora. – scherzò, tanto per sdrammatizzare. - Hai già due fidi maschi che ti proteggono… e non c’è ancora stata la tua prima luna!-
Jemima sorrise di buon grado alla battuta, poi però si fece ancora più pensierosa.
- Sai… in verità, ero pronta ad andare in fondo a questa storia anche se non mi avesse seguita nessuno. Avrei proseguito anche da sola. E sì, forse sarebbe finita male, ma almeno ci avrei provato… Quello che voglio dire è che, certo, è bello sapere di avere qualcuno che ti protegge. Ma non è necessario. Quello che importa è imparare a cavarmela anche quando non ci sarà nessuno a guardarmi le spalle. -
Quel discorso sembrò spiazzare Tugger non poco, e lo lasciò senza parole per un minuto buono. Era abituato a intavolare conversazioni di tutt’altro tipo, quando gli capitava di trovarsi da solo con una giovane femmina; e lo stupiva anche il fatto che la piccola Jemima fosse così seria e lucida anche in quel momento, mentre lui –pur avendo perfettamente presente la gravità della situazione- era piuttosto distratto dal profumo che lei emanava, e dal fatto che fossero così vicini. Ma Jemima era seria. Terribilmente seria. Così seria, che tutta quella solennità finì per contagiare anche lui.
- E se stanotte andasse male?- mormorò, molto lentamente. – Se perdessimo Munkustrap?-
A quelle parole Jemima tremò come se l’avessero bastonata, e Tugger provò l’impulso di abbracciarla, o almeno di cancellare tutto e precisare che, ma no, diamine, stava solo scherzando.
Jemima considerò il pensiero. Lo considerò così tanto che le si riempirono gli occhi di lacrime, ma si sforzò di non far tremare la propria voce: - …Forse è questo che Macavity vuole: che ci spaventiamo così tanto fino a perdere del tutto noi stessi. Forse è per questo che ha rapito Munk. – inghiottì a fatica. – Se perdessimo lui… sarebbe solo un motivo in più per restare uniti e non mollare. E per ricacciare quel mostro nella fogna da cui è venuto!- concluse la frase tra i denti, e due lacrime le rotolarono incontrollabili dagli angoli degli occhi. A quel punto, Tugger le si avvicinò e le posò le zampe sulle spalle, cercando di confortarla.
- Su, su, niente lacrime adesso. Non avrei potuto sentire migliore risposta da un Jellicle! E comunque, non perderemo Munkustrap: nessuno l’ha autorizzato a sparire, e non lo farà. Non finché avrà amici come te pronti a corrergli dietro!-
Questo riuscì finalmente a far ridere Jemima, che si asciugò le lacrime col dorso della zampa, e rivolse finalmente a Tugger un sorriso determinato e speranzoso. Tugger le teneva ancora le zampe sulle spalle.
- Jemima. – disse in tono solenne, chinandosi un po’ su di lei. – Fammelo come favore personale: domani spezza un sacco di cuori. Fa che i maschi si ammazzino sulla pista da ballo, per guadagnarsi il privilegio di conquistarti. -
- Dipende. – sussurrò dolcemente Jemima, col sorriso acceso di una nuova luce. – Tu ci sarai?-
Tugger la fissò negli occhi, notando come le cose gli stavano precipitosamente –e piacevolmente- sfuggendo di mano. – Lo sai come sono fatto. –
- Sì. – mormorò semplicemente lei.
Dopo un altro attimo di silenzio che si sarebbe potuto tagliare col coltello, Tugger si chinò di più su Jemima –la differenza d’altezza tra loro era notevole- le avvolse le braccia intorno alle spalle e la baciò. Sentirla rispondere al bacio con slancio, con le zampe affondate nella sua criniera, fu un’altra piacevole sorpresa, e strinse la gattina un po’ di più contro di sé.
Dopo qualche lungo istante, durante il quale a Jemima sembrò di avere visitato lo strato di Heavyside tre volte di fila, la riportò al presente il rumore di qualcuno che si schiariva la gola proprio sopra la sua testa.
La gattina sussultò, aprì gli occhi e interruppe precipitosamente il bacio. Tugger no. Per questo fu costretta a spingerlo via in modo assai poco romantico, e fare in modo che anche lui si accorgesse di Mistoffelees, che si stava sporgendo da una scala antincendio solo un paio di metri sopra le loro teste.
- Ho trovato la direzione, se ancora vi interessa. – annunciò, con una smorfietta a metà tra il saccente e l’infastidito.
- Ce…certo!- Tugger la stava ancora tenendo tra le braccia: in quel momento le fu incredibilmente utile la sua felina abilità nello sgusciare via. Se il Maine Coon se l’era presa per l’interruzione, non lo diede a vedere in alcun modo: scrollò la criniera, si sgranchì le braccia, poi alzò lo sguardo su Mistoffelees con l’aria più innocente del mondo.
- Seguitemi. – disse quest’ultimo. Jemima eseguì e schizzò verso l’alto senza guardare in faccia nessuno, così non colse lo scambio di sguardi tra il Maine Coon e il gatto prestigiatore. Tugger fece un enorme sorriso tutto denti, e Misto alzò gli occhi al cielo, sbuffando dal naso e scuotendo la testa con aria assolutamente esasperata.


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Capitolo 8
*** VIII ***


Catfight! (quando è proprio il caso di dirlo)
VIII

Munkustrap sferrò un’artigliata in piena faccia al gatto grigio che lo attaccava, e quello si ritrasse con un urlo di dolore.
Lo striato atterrò sulle quattro zampe, riprendendo il fiato per un unico, prezioso istante, aspettando la prossima mossa del suo avversario: il gatto, però, scappò di corsa con la coda a mezz’asta e si rintanò in cima ai bidoni a leccarsi le ferite. Alla sua ritirata, un altro gatto balzò dentro l’arena improvvisata, avanzando minacciosamente verso uno sfinito Protettore.
Questo era grosso, dal pelo nero e occhi gialli spiritati. Era il sesto che gli si buttava davanti, e ormai lo striato non aveva più fiato: gli faceva male dappertutto, aveva graffi dovunque e li sentiva bruciare da morire ad ogni movimento. Era una fortuna che i tirapiedi di Macavity fossero sì combattivi, ma evidentemente provati dalla fame e, soprattutto, per niente disposti a combattere fino alla morte. Nessun gatto era così folle da lottare all’ultimo sangue. Munk era forte, agile e veloce, e poteva tenere loro testa… ma non per sempre. E loro erano in tanti.
Il gatto nero soffiò con rabbia, e gli fu addosso quasi subito: Munkustrap era pronto. I due lottatori si avvinghiarono, mordendosi e graffiandosi senza pietà. Quello era un avversario che non sarebbe andato per il sottile, e lo striato reagì di conseguenza: era troppo grosso per scrollarselo di dosso, quindi gli si aggrappò e morse con tutte le sue forze. Il gatto nero cominciò a girare su se stesso come impazzito, e Munkustrap mollò la presa, ruzzolando lontano da lui. Quello allora cercò di cogliere l’occasioni per balzargli di nuovo sopra, ma lo striato si ribaltò svelto sulla schiena e lo colpì come aveva fatto con tutti gli altri: con un’unghiata in pieno muso.
Il nero urlò, indietreggiando di scatto: l’unghiata lo aveva quasi accecato, e aveva il muso completamente inzuppato di sangue. Tanto per togliergli ogni dubbio, Munk lo colpì con un calcio al petto che lo mandò a rotolare in un angolo.
- Mi domando se tutti i Jellicle siano così duri a morire, o se tu sia un’eccezione. – commentò, dall’alto, la voce di Macavity.
Il nero si rialzò, barcollando: Munk si piantò davanti a lui a gambe divaricate e artigli sguainati, soffiando.
- Quello che stai passando adesso non è che la normale sopravvivenza, per un gatto dei bassifondi. E te la stai cavando egregiamente: potresti anche diventare un gatto che sa farsi rispettare, se lo volessi. -
Il gatto nero capì l’antifona e batté in ritirata.
- Peccato che tu preferisca prenderti cura di una generazione di deboli. – Macavity ridacchiò sotto i baffi: senza dubbio si stava godendo il suo spettacolo privato. – Sai, per mettere fine alla vostra patetica dinastia, non avrei nemmeno bisogno di affrontare i vostri giovani maschi. Mi basterebbe ammazzare i cuccioli, o le Regine incinte. Tu che cosa ne dici?-
Munkustrap si girò di scatto, si piegò sulle ginocchia, poi spiccò un balzo talmente potente da lasciare a bocca aperta i suoi malridotti avversari: il gatto striato sembrò volare, innalzandosi quasi fino alla sommità del muro, dove era accucciato Macavity… le unghie di Munk raschiarono i mattoni, solo ad un soffio dal gatto rosso, il quale sussultò di sorpresa. Lo striato scivolò lungo il muro e tornò pesantemente a terra, ma lo sguardo che lanciò al suo nemico era rovente.
- Parola mia, Macavity, se riesco a metterti le unghie addosso, questa sarà l’ultima volta che farai del male ad un gatto Jellicle!- gridò, con quanto fiato gli restava nei polmoni, guardando rabbiosamente in alto verso il suo nemico irraggiungibile.
Macavity lo squadrò per un lunghissimo istante, con gli occhi gialli che scintillavano maligni. Poi, con lentezza inquietante, si alzò in piedi e saltò giù dal muretto come se l’altezza per lui non significasse nulla, atterrando nel centro del vicolo e avanzando a passi lenti verso lo striato, preparandosi a finirlo.

*

Seguire Mistoffelees sui tetti si rivelò più difficile del previsto, soprattutto perché il piccolo gatto nero superava con un solo balzo varchi tra i tetti sui quali Jemima si arrestava precipitosamente, certa che non sarebbe mai riuscita ad arrivare dall’altra parte.
Per fortuna, l’ultimo tratto del tragitto li portò su una fila di bassi casermoni dal tetto piatto, finché Mistoffelees non si affacciò dal bordo ed esclamò: - Laggiù! È laggiù!-
Misto, Jemima e Tugger si fermarono precipitosamente, sporgendosi dal tetto: solo pochi metri sotto di loro, nel buio del vicolo, un folto gruppo di gatti randagi accucciati su bidoni della spazzatura osservava due contendenti che si fronteggiavano nel mezzo del vicolo… uno era grosso e dal pelo fulvo, e i tre riconobbero con un brivido l’inconfondibile figura di Macavity in persona. L’altro era Munkustrap, così sporco e sanguinante che sembrava che l’avessero preso ad unghiate per ore.
- Oh no!- sibilò Jemima, vedendo i due avversari cominciare a girare in cerchio, fronteggiandosi. – Non abbiamo più tempo! Dobbiamo fermarlo, o stavolta lo ucciderà!-
- Sto pensando, sto pensando!- esclamò Mistoffelees, col pelo ritto.
- Pensa in fretta. – lo sollecitò Tugger, con una certa urgenza.
In quel momento, Jemima, che teneva gli occhi puntati sul vicolo, notò un movimento improvviso a poca distanza da loro. Un’ombra si muoveva in cima al muretto… l’ombra di una gatta Jellicle, dal mantello giallo e nero.
- Demeter… - gemette in un soffio, avendo già capito cosa la Regina stava per fare. Gli occhi della gatta gialla e nera erano puntati su Macavity, il quale era troppo concentrato su Munkustrap per guardarsi attorno. Sarebbe andata incontro a morte certa, pur di permettere allo striato di trovare una via di fuga.
Tugger e Misto se ne accorsero un istante dopo di lei, ma tutti e tre videro la Regina sfoderare gli artigli e lanciarsi dal muretto, per piombare con precisione millimetrica sulla schiena di Macavity.
L’urlo del gatto rosso e di Demeter si fusero assieme, mentre Macavity girava furiosamente su se stesso, tentando di liberarsi dall’avversaria che lo teneva stretto, piantando a fondo le unghie nella sua carne. Se i suoi seguaci fossero corsi in suo aiuto, per quanto in mal arnese, sarebbero di sicuro riusciti a sopraffare sia Demeter che Munkustrap. A meno che…
- I bidoni!- scattò Jemima: le era appena venuta un’idea. – Se li rovesciamo tutti insieme, possiamo spaventare gli altri gatti e aprire la strada a Demeter e Munk!-
Tugger occhieggiò preoccupato quanto fosse lontano il terreno sotto di loro.
- È folle. – annunciò, con un gemito di disapprovazione, ma si preparò ugualmente a saltare. Mistoffelees si mise al suo fianco, e si voltò a guardare i due. – Al tre. E uno, e due… -
Ma sì, pensò Jemima, dopotutto aveva appena baciato Rum Tum Tugger: era un buon giorno per rischiare la pelle. Si lanciarono dal tetto, per atterrare dall’altra parte del vicolo, oltre la muraglia di bidoni si cui stavano assiepati i gatti di Macavity. Mentre cadeva, Jemima provò la curiosa sensazione di ruzzolare nel vuoto, ma poi atterrò su tutte e quattro le zampe, come ogni gatto che si rispetti.
Senza concedersi un attimo di esitazione, i tre si scagliarono di corsa verso i bidoni di metallo. Tugger fu il primo a colpirne uno, come una grossa palla di pelo nero e oro impazzita: ci si buttò contro con tutto il suo peso e lo rovesciò di slancio, trascinandosi dietro due gatti urlanti, colti alla sprovvista, che caddero a terra sbalzati dal loro sedile. Mistoffelees fece altrettanto, colpendo un altro bidone sull’angolo: quello tremò, sbilanciando i gatti che vi stavano sopra, e infine cadde scatenando un coro inferocito di soffi e miagolii, e un fuggi-fuggi generale dei gatti che non capivano cosa stesse succedendo.
Jemima si schiantò contro il terzo bidone, e l’impatto fu doloroso: per un attimo rimase stordita, barcollando sul posto, poi si accorse che tanto il bidone quanto i gatti che lo occupavano stavano per caderle addosso, e riuscì a schizzare via in tempo infilandosi nel vicolo.
Tugger si stava rialzando in quel momento, vagamente stordito. – Ahi. – commentò, con l’aria di essersi già pentito del suo slancio di eroismo.
La maggior parte degli spettatori della macabra esecuzione se la diedero a gambe non appena si scatenò quel finimondo: qualcuno tuttavia rimase, e si scagliò soffiando contro i nuovi arrivati. Con un miagolio feroce, Macavity si scrollò di dosso Demeter, lanciandola contro il muro: subito si fece avanti Munkustrap, soffiando e fendendo l’aria con gli artigli ad un soffio dal suo muso. Ammaccata ma ancora combattiva, Demeter si rimise in piedi e scoccò al gatto rosso un’occhiata carica di odio.
Tugger, Mistoffelees e Jemima si avvicinarono precipitosamente l’uno all’altro, cercando di non dare le spalle ai gatti nemici: ne erano rimasti giusto tre, quelli che ancora non avevano lottato contro Munkustrap e che quindi erano ancora incattiviti e combattivi. Jemima soffiava ininterrottamente, come impazzita; agli occhi dei suoi avversari sembrava una furia, anche se in realtà era terrorizzata. Se non altro, l’effetto sorpresa giocò davvero a loro favore, perché l’improvvisa apparizione di non una sola, ma quattro gatti Jellicle, e tutto quel miagolare e soffiare, fecero tentennare i gatti randagi.
Macavity caricò lo striato con tutta la sua forza, i due si incontrarono a mezz’aria, ma fu Munk ad avere la peggio: finì a terra, con uno squarcio sanguinante aperto sul petto. Demeter scattò a sua volta, mordendo il gatto rosso alla nuca, ma quello roteò su se stesso ancora una volta e si liberò di lei: la Regina atterrò a quattro zampe, slittando sull’asfalto, e si piantò con decisione tra Macavity e Munkustrap, ancora a terra.
Tugger e Misto allontanarono ad unghiate i gatti che ancora cercavano di incalzarli: Jemima sgusciò alle loro spalle e raggiunse di corsa il corpo esanime dello striato, chinandosi su di lui nel tentativo di proteggerlo.
- Munk!- sibilò, leccandogli il pelo macchiato di sangue. – Siamo qui! Alzati, ti prego, devi alzarti!-
- Jemima, stai indietro!- riuscì a gridarle Demeter, prima che il gatto rosso la afferrasse brutalmente e la sollevasse di peso, mentre ancora si dimenava. Jemima poté solo guardare, impotente, mentre scagliava via la Regina. Era sola di fronte a Macavity.
Sentiva Munkustrap respirare con affanno sotto le sue zampe, ma era troppo debole per alzarsi. Macavity le si avvicinò quasi con calma, altissimo e sinistro nella sua inquietante criniera rossastra, e gli occhi che luccicavano come tizzoni ardenti: quando la guardò, non vide altro che una gattina, una palla di pelo rossa, bianca e nera, accucciata sul corpo di un avversario già spacciato.
Si chinò su di lei, snudando silenziosamente le zanne, mentre fiutava con piacere l’odore della sua paura: rizzò il pelo e le si avvicinò, ad un soffio dalla sua faccia.
E Jemima fece l’unica cosa sensata da fare: snudò gli artigli, e sferrò un’unghiata dritta in quegli occhi brucianti.
Macavity balzò all’indietro con un sibilo di dolore, mentre Jemima si acquattava ancora di più sopra Munkustrap: quando il gatto rossastro si voltò di nuovo verso di lei, furibondo, aprì un occhio solo. Ecco: ora aveva la certezza che l’avrebbe fatta a pezzi.
- …Questi sono i cuccioli indifesi che vorresti sterminare, Macavity!- sibilò debolmente Munkustrap sotto le zampe di Jemima, e le sue parole sembrarono distrarre per un unico istante il gatto rosso dalla sua furia. Quello sbuffò ed emise un sibilo feroce, ma proprio quando stava per balzare, Tugger piombò improvvisamente in mezzo a loro, soffiando e gonfiando il pelo.
Macavity arretrò, poi contrasse il muso in una smorfia orribile e incenerì il gatto dorato con lo sguardo dell’unico occhio che riusciva ad aprire.
- Togliti di mezzo, bellimbusto. -
Nel suo tono c’era una tale promessa di morte, che per poco Tugger non abbassò davvero la coda a mezz’asta e non se la filò via. Invece, dopo un attimo di esitazione, tornò a soffiare più forte di prima, difendendo con decisione il suo posto tra Macavity e i due Jellicle a terra.
Mistoffelees stava avendo il suo bel da fare a tenere a bada i tre gatti rimasti, anche se sembrava cavarsela egregiamente: ogni volta che un avversario tentava di colpirlo con una zampata, il gatto prestigiatore sembrava letteralmente dissolversi per ricomparire poco più in là, come se fosse evanescente. Questo gioco durò finché ai gatti non venne in mente di attaccarlo tutti insieme, ma, proprio quando stavano per mettere le zampe su di lui, la notte si riempii improvvisamente di miagolii rabbiosi e agguerriti.
Perfino Macavity esitò, voltandosi indietro, e Jemima sollevò lo sguardo per cercare di capire cosa stesse succedendo.
Lo capì non appena vide la figura di Bombalurina stagliarsi contro il cielo dalla cima del tetto vicino, e dietro di lei arrivare di corsa due lampi soffianti, che altri non erano che Alonzo e Plato.
Il resto della tribù dei Jellicle arrivò di corsa dalla strada, travolgendo gli scagnozzi di Macavity che ancora combattevano. Jemima non credeva ai suoi occhi: Pounceval, Admetus, Tumblebrutus, Coricopat e Tantomile, un’agguerritissima e minacciosa Cassandra, perfino Mungojerry e Rumpelteazer: erano tutti lì per dar loro manforte.
In quel momento, Demeter approfittò dell’attimo di distrazione di Macavity e gli si scagliò addosso ancora una volta, riuscendo ad avvinghiarsi al suo collo e a mordere in profondità la sua nuca.
Macavity lanciò un urlo tale da fare tremare la terra, e la sua rabbia e il suo dolore furono tali che si lanciò in una corsa forsennata, travolgendo tutto ciò che lo ostacolava. Investì in pieno Tugger e lo colpì con una testata, gettandolo a terra: Jemima fu svelta ad afferrare Munkustrap e a rotolare con lui di lato, lasciando che Macavity passasse oltre senza toccarli. Con Demeter ancora allacciata alla schiena, il gatto rosso sembrò camminare letteralmente su per il muro, che scalò fino alla cima. Tra le braccia di Jemima, Munk emise un gemito di dolore e cercò di alzarsi. – Demeter!- gemette tra i denti.
- È lassù… - fece Jemima, ma non fece in tempo a finire che Macavity afferrò la Regina, se la strappò di dosso e per un lungo e terribile istante la tenne sospesa nel vuoto, stringendole la gola tra gli artigli.
Bombalurina, la più vicina poiché si trovava sul tetto, si precipitò verso di loro, soffiando. Ma non fu la prima a raggiungerli: Mistoffelees, comparso improvvisamente in cima al muretto, proprio alle spalle di Macavity, gli afferrò la coda e la tirò.
Il gatto rosso fece un salto, lasciando andare Demeter. Tutti i Jellicle trattennero il respiro vedendo la Regina cadere, ma lei fece una capriola e atterrò in piedi, ansimante.
Lo sguardo di Macavity, ferito, sanguinante, umiliato e furioso, si posò sul piccolo gatto bianco e nero che aveva di fronte. Fu una fortuna che Misto avesse ottimi riflessi, perché il gatto rosso si lanciò su di lui e prese ad inseguirlo per tutto il muretto, marcandolo così stretto che poco ci mancava che lo prendesse per la coda.
Mistoffelees schizzò via come un fulmine, saltando sul tetto vicino, ma non poteva più contare sull’aiuto di Bombalurina perché era scappato nella direzione opposta. Jemima si alzò di scatto, e con lei Tugger, per assistere col cuore in gola alla fuga precipitosa del gatto prestigiatore.
Peccato che Misto si dirigesse verso il bordo del tetto, mentre Macavity lo tallonava da vicino. Il gatto nero riuscì comunque a guadagnare qualche passo di vantaggio; raggiunse il bordo del tetto e- inaudito- lì si fermò, voltandosi a guardare in faccia il suo inseguitore.
- Misto!- gridò Jemima. – Via da lì!-
Mistoffelees unì le zampe e si portò un piede contro il ginocchio, in una posa da ballerino. Macavity saltò.
- Mistoffelees!- gridò Tugger, alle spalle di Jemima, con l’aria di chiedersi se il gatto prestigiatore fosse impazzito.
Tutti stavano guardando Mistoffelees. E tutti non cedettero ai loro occhi quando lo videro semplicemente sparire in una nuvola di fumo, con un lieve “puff”.
Gli artigli di Macavity afferrarono l’aria, e quando se ne fu reso conto, stava già precipitando oltre il bordo del tetto. I Jellicle lo udirono precipitare con un urlo, seguito da un tonfo e un frastuono di bidoni rovesciati, e tutti seppero in quel momento che era finita. Non che si illudessero che fosse morto, certo: tutti i gatti cadono in piedi, e Macavity non faceva certo eccezione. Ma quella notte, dopo tutto quello che era successo, e con i guerrieri Jellicle riuniti, probabilmente anche il gatto rosso ne aveva avuto abbastanza.
Jemima e Tugger, rimasti increduli l’uno vicino all’altra, si guardarono con le stesse facce stupite.
- “Puff”?!- ripeté Tugger, sconcertato. – Come sarebbe a dire “puff”?! Dove diavolo è sparito?-
- Guarda che sono qui, Tugger. – replicò in tono paziente una voce familiare proprio alle loro spalle. Quando si voltarono, Misto era lì con loro nel vicolo, ancora nella stessa posa curiosa con cui l’avevano visto scomparire: un tantino tremante, ma incolume.
- Misto!- sentendosi travolgere dal sollievo, Jemima corse incontro al gatto prestigiatore e lo abbracciò forte, verificando che in effetti il poveretto stava tremando da capo a piedi. Affrontare Macavity faccia a faccia non doveva essere stato facile nemmeno per lui.
- Tu e i tuoi trucchetti, uno di questi giorni…!- sbraitò Tugger, ma Jemima intuì che stava solo nascondendo il proprio sollievo dietro la stizza: Misto infatti gli sorrise, e lui per tutta risposta sbuffò abbastanza forte da potersi assicurare che tutti l’avessero sentito.
Gli scagnozzi di Macavity erano stati definitivamente messi in fuga, e i Jellicle si strinsero, preoccupati, attorno a Munkustrap e Demeter. La Regina era ancora in piedi, mentre il Protettore era a terra: Demeter si chinò su di lui, stringendogli le zampe tra le sue, e Munk rispose con una lieve stretta. Jemima e Mistoffelees si fecero largo e gli si accucciarono accanto, strusciando le teste contro di lui. Con cautela lo aiutarono ad alzarsi, sostenendolo, e il Protettore li guardò uno per uno: Jemima, Misto, Demeter e Tugger che se ne era rimasto in disparte.
Abbozzò un sorriso e, prendendo la zampa di Jemima, sussurrò: - Grazie. –




E, per chi ancora non ha mai sentito parlare del Magico Mr Mistoffelees...

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Capitolo 9
*** IX ***


IX



Il ritorno a casa dei guerrieri Jellicle fu salutato con entusiasmo, e tutti volevano avvicinarsi a Munkustrap, toccarlo e annusarlo per assicurarsi che stesse bene. Ci volle tutta la pazienza di Bombalurina –che non era molta…- per convincere tutti quanti che il Protettore aveva bisogno di riposare.
Gli unici a cui fu concesso restare al suo fianco erano gli stessi che lo avevano recuperato: Demeter, Jemima, Tugger e Misto, e in quel momento Munk non sembrava desiderare la compagnia di nessun altro.
Una volta che le acque si furono calmate, Demeter volle sapere dove fosse Jabster, così Jemima lasciò avvicinare Victoria e i suoi cuccioli: la gatta bianca venne avanti, seguita dalla sua cucciolata. Tre di loro erano paffuti cuccioli bianchi e marroni che sembravano la copia di Plato; il quarto era Jabster, che ruzzava allegramente insieme ai tre cuccioli più grandi, saltellando e cercando di afferrare loro la coda.
Victoria strinse le zampe di Demeter, sorridendo. – Sono così felice che stiate bene!- esclamò, emozionata. – Mi sono presa cura di lui, vedete? I piccoli gli si sono già affezionati. – guardò Demeter e Munkustrap, raggiante. – Sono tanto contenta per voi due!-
- Grazie Victoria. – rispose dolcemente lo striato, ancora appoggiato a Jemima e a Mistoffelees che lo aiutavano a camminare. – Potresti farci un favore e tenere Jabster ancora fino a domani notte? Demeter ed io abbiamo bisogno di riposare. -
- Sicuramente. –
Jabster si trattenne ancora per un momento per abbracciare i suoi genitori, annusò con curiosità Mistoffelees e Jemima e si ritrasse impaurito davanti a Tugger, il quale sembrò piuttosto soddisfatto del proprio successo. Poi il piccolo tornò con Victoria, mentre gli altri scortavano Munkustrap fino al suo rifugio.
- Non preoccupatevi per me: datemi una giornata di sonno, ed entro domani notte sarò di nuovo in forma. – rassicurò tutti quanti, prima di accomiatarsi. – Mi avete salvato. Tutti voi. Spero vi rendiate conto di avere fatto cose incredibili, perché non vi avrei mai chiesto di mettere le vostre vite in pericolo per me. -
- Non ti ci abituare, Protettore: questo dovrebbe essere compito tuo. – commentò pigramente Tugger, ma poi lui e lo striato si scambiarono uno sguardo e il Maine Coon strizzò l’occhio. Poi si trovò faccia a faccia con Demeter e, dopo essersi guardati in imbarazzato silenzio per qualche momento, si fecero a vicenda un cenno col capo e quindi distolsero lo sguardo. Davanti a quella scena, a Jemima venne quasi da ridere: considerati i pessimi rapporti tra lui e la Regina, quello poteva essere considerato un balzo avanti.
Dopodiché, Tugger fu il primo a girare sui tacchi e togliere il disturbo. Jemima e Misto si presero qualche altro istante per salutare Munkustrap, poi lasciarono soli lui e Demeter, incamminandosi insieme fuori dal rifugio.
L’alba stava sorgendo sulla discarica. Jemima si fermò per guardare il cielo che andava rischiarandosi, e per respirare a fondo l’aria del mattino: finalmente sorrise, sentendosi il cuore leggero. Quando si voltò verso la familiare collina di rifiuti, si accorse che Tugger era andato a sedersi lassù, come la notte della veglia funebre di Gus. Lo stava ancora guardando quando incrociò lo sguardo di Mistoffelees, il quale le rivolse di nuovo quel suo sorrisetto strano e saccente.
- Ci vediamo al Ballo Jellicle. – la salutò semplicemente, prima di voltarle le spalle e allontanarsi, sparendo alla vista in pochi istanti.
Dopo un attimo di esitazione, la gattina si diresse di buon passo verso Tugger: quest’ultimo o la stava aspettando o la sentì arrivare subito, perché si voltò verso di lei e attese con pazienza che lo raggiungesse. Quando fu davanti a lui, si guardarono in silenzio per un momento, e proprio in quell’istante a Jemima sembrò di vedere sgretolarsi la maschera del Maine Coon: il suo perenne, studiato broncio provocante che si ostinava a mostrare sempre e a chiunque. In quel momento la sua espressione cambiò completamente, e semplicemente le sorrise. Semplicemente era felice di averla lì con lui. Jemima si inginocchiò e lo abbracciò di slancio, trovando le sue braccia a stringerla di rimando. Affondò il muso nella sua pelliccia e rimase così a lungo, strofinando il capo contro di lui e facendo le fusa, e lo sentì rispondere con altrettanto entusiasmo.
Poi Tugger le circondò la vita con le braccia e si raddrizzò per guardarla negli occhi. – Avevamo interrotto un discorso. – disse, con un sorrisetto eloquente. Si protese per baciarla, ma la gattina si tirò indietro.
- Già… - mormorò, pensosa.
Il Maine Coon si accigliò, senza capire. – Qualcosa non va?-
- Mi hai chiesto se sapevo come sei fatto. Sì, lo so. – Jemima chiuse gli occhi per un momento, sospirando piano. – E non ti chiederei di cambiare: non lo chiederei mai a nessuno. -
- Guarda che non devi accontentarti, e di certo non devi sentirti in dovere di accontentare me. – replicò Tugger, inarcando ancora di più un sopracciglio. – È una tua scelta, bimba. Domani puoi avere qualunque Jellicle tu voglia. -
- Ma io ne voglio uno solo. E, anche se dovessi scegliere quell’uno, prima mi sembrerebbe giusto fargli sapere una cosa: che lo voglio come compagno. Voglio qualcuno che mi stia accanto, non importa se per sempre o per una sola luna Jellicle… da qualche parte dovrò pur iniziare. È l’unica cosa che pretendo. – e, con un sorriso un po’ triste, si strofinò un’ultima volta contro Tugger -lasciandolo senza parole per qualche secondo- prima di sciogliere del tutto l’abbraccio e allontanarsi, lasciandolo solo sulla collina di rifiuti.
Tugger era rimasto fermo dov’era seduto, con le mani in grembo come se indugiassero ancora attorno ai fianchi di Jemima. Come lei se ne fu andata, sulla collina inondata dalla luce del mattino spuntò la rossa figura di Bombalurina, la quale, con grazia liquida si accostò a Rum Tum Tugger, sfoggiando un sorriso incredulo a sue spese.
- Ne sono successe parecchie, oggi, ma questa le batte tutte. Voi due vi stavate davvero abbracciando?- commentò la gatta rossa, con una risata sagace nella voce.
- Proprio tu ti sorprendi?- Tugger ricambiò il sorrisetto e cercò di metterle un braccio attorno alla vita, ma fu lei a sgusciare via e fermarsi dietro di lui, per appoggiarsi a braccia conserte sulle sue spalle.
- Certo che mi sorprendo. Soprattutto perché si trattava di un abbraccio del tipo “grazie al Gatto Eterno stai bene”. –
- Magari non sono poi così senza cuore, no?-
Bombalurina sorrise tra sé, e appoggiò la testa sulla spalla di lui. – Lo so benissimo, Tugger. Mi chiedo solo cosa ci sia in Jemima da rendere così evidente il fatto che hai un debole per lei. –
- … “Così” evidente?-
- Puoi scommetterci. –
- Non so se prenderlo come un complimento o no. –
- Fai un po’ tu. – Bombalurina ridacchiò, maliziosa, cincischiando con la pelliccia del Maine Coon. – Per la cronaca, tu e Mistoffelees avete trasgredito apertamente ai miei ordini, pur di correre in aiuto della piccola Principessa… ma, dato che siete tornati tutti quanti sani e salvi, credo che vi perdonerò. –
- Troppo buona, come sempre!- esclamò Tugger, sogghignando. – Non sopporterei l’idea di perdermi il Ballo. –
- Immagino. E se la nostra piccola e per niente ingenua Principessa avesse invece il buonsenso di non accettarti? Sempre che tu intenda veramente proporti. –
- Mi rintanerò in un angolino a piangere disperato, ovviamente. – Tugger ammiccò alla Regina rossa. – A meno che tu non sia interessata a consolarmi. –
- Credo proprio che io e te ci siamo consolati a vicenda fin troppe volte, ormai. – replicò lei, dandogli un buffetto –per una volta più amichevole che malizioso- sulla testa. – E tu hai una furba Principessina che non si accontenterà di poco. Spero che tu sappia che cosa stai facendo. –
Tugger inarcò un sopracciglio, scrutandola da capo a piedi. – Guarda guarda… è una Regina gelosa quella che sento?- scherzò, tanto per provocarla. Lei incassò, squadrandolo con un certo orgoglio.
- Gelosa? Tugger, dovrei essere molto più piccola e ingenua per poter essere ancora “gelosa” di te. E, proprio perché ti conosco, questa tua nuova condotta mi incuriosisce parecchio. -
- In fondo non sono mai stato il compagno di nessuno: chi ha detto che non potrebbe essere un’esperienza interessante?- replicò Tugger con spavalderia, dando una voluttuosa scrollata alla pelliccia. Bombalurina nascose un risolino, strinse il Maine Coon in un altro rapido abbraccio clandestino e poi si separò da lui, agitando pigramente la coda.
- Per una volta in vita tua pensaci bene, prima di fare danni. Tuttavia… - si voltò per un istante, col guizzo di un vero sorriso sulle labbra. – In fondo, sono contenta che si tratti di Jemima. –

*

Munkustrap e Demeter rimasero a lungo distesi l’uno accanto all’altra, in perfetto silenzio, mentre lei leccava le sue ferite con la devozione di una madre col suo cucciolo. Munk la lasciava fare, ad occhi chiusi, grato della sua vicinanza e del suo silenzio che per lui significava più di qualsiasi parola.
Tutto quel che era successo quella notte lo aveva lasciato scosso, molto più di quando era scomparso Old Deuteronomy l’anno prima. Le parole di Macavity erano riuscite a ferirlo più di quanto non avessero già fatto i suoi artigli.
Eppure avrebbe dovuto essere contento: i Jellicle si erano sollevati tutti insieme, avevano avuto il coraggio di tenergli testa; si erano ribellati e avevano vinto. Allora perché non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che il gatto rosso fosse ancora lì, nel buio, e quasi sentiva la sua voce che lo minacciava?
“Sono ancora in giro, e sono più forte di te. Aspetta soltanto che decida di farmi vivo di nuovo…” sibilava la voce di Macavity nella sua mente.
Demeter faceva le fusa contro il suo orecchio, e si rannicchiò al suo fianco. Fino al tramonto, tra di loro non servirono parole.

*
Colonna sonora!

Quella notte, i Jellicle furono favoriti da un cielo senza nuvole e da una luna piena che risplendeva gioiosa sulla discarica.
I gatti che ancora mancavano all’appello cominciarono ad arrivare fin dalle prime ore della sera, e stavolta uno dei primi ad arrivare fu Skimbleshanks, complice il primo treno notturno che per una volta era arrivato miracolosamente in orario. Fu uno dei primi ad essere accolto dalla tribù nella piazzola illuminata dalla luna, e Munkustrap in persona venne a salutarlo.
- Per lo strato di Heavyside, è un piacere vederti tutto d’un pezzo!- esclamò il gatto ferroviere, stringendo vigorosamente la zampa del Protettore. Questo rise e fece un passo indietro, mostrando le sue ferite rimarginate, quindi fece una piroetta che gli fruttò un coro di approvazione da parte dei Jellicle.
- Le voci sulla mia scomparsa forse sono state… esagerate!- replicò, fieramente.
I giovani maschi, ancora eccitati per la vittoria del giorno prima e per la festa imminente, non facevano che correre e saltare per la piazzola giocando, ruzzando e mettendosi in mostra. Ancora più agitate, se possibile, erano proprio le giovani Principesse: Jemima, Electra ed Etcetera piombarono di corsa nella piazzola e per prima cosa si precipitarono da Munkustrap, reclamando chi un abbraccio, chi una carezza o una strusciata di musi, poi presero a correre in giro, ruotando e piroettando con balzi aggraziati, che di certo non aiutarono a raffreddare l’entusiasmo dei maschi.
Le nuove famiglie si godevano lo spettacolo, sedute sul cofano della vecchia auto scassata: c’era Victoria coi suoi tre piccoli, Exotica che vigilava sui suoi due figli –che erano abbastanza grandi e scatenati da unirsi ai festeggiamenti e ruzzolare fra le gambe di tutti i giovani Jellicle- e Demeter con Jabster, seduti fieramente tra le due matrone Jellylorum e Jennyanydots.
Sembrava che l’entusiasmo stesse già per sopraffare tutti quanti, quando ad un tratto i due gemelli maculati Coricopat e Tantomile si voltarono all’unisono, fiutando l’aria. Al loro gesto, l’intera assemblea si paralizzò, in attesa, finché Tantomile non fece un gran sorriso beato, con gli occhi rivolti al cielo, e sussurrò: - Old Deuteronomy è qui. –
Istintivamente, i Jellicle si accostarono l’uno all’altro, emozionati, annusando e guardandosi attorno, e presto Munkustrap distinse nell’ombra la venerabile figura del gatto più anziano che incedeva verso di loro a passi lenti. L’antico leader dei Jellicle era sempre più vecchio e fragile, eppure il suo lungo manto color polvere sembrò risplendere non appena fu toccato dai raggi della luna, e il sorriso beato che rivolse alla sua tribù bastò per far capire loro che niente era cambiato.
Old Deuteronomy fu accolto dall’intera tribù con il consueto entusiasmo, e solo quando l’abbraccio collettivo dei Jellicle si sciolse, lui si diresse verso Munkustrap. Solo allora padre e figlio si strinsero le zampe, scambiandosi uno sguardo solenne e carico d’emozione.
- Posso affermare a ragione che non sono mai stato più felice di rivederti. – disse finalmente Old Deuteronomy, sempre con la stessa espressione benevola.
- Lo stesso vale per me. – rispose piano Munk, e poi si mise al fianco dell’anziano per accompagnarlo fino al suo seggio preferito in cima alla collina dei rifiuti, per aiutarlo a sedersi. Quando si fu accomodato, Old Deuteronomy fece cenno al figlio di avvicinarsi, in modo che potessero parlare in privato.
- Figlio mio, mi sembri ancora turbato. –
Munkustrap tentennò un po’ prima di decidersi a rispondere, con gli occhi fissi sulla piazzola dove la tribù si era radunata in trepidante attesa del ballo.
- Ho avuto occasione di parlare con Macavity, mentre mi teneva prigioniero. – rispose, infine, seppure con una certa riluttanza. – Lui ci odia. Odia la nostra tribù, il nostro stile di vita, odia qualsiasi cosa facciamo. Secondo lui, il branco non ha motivo di esistere, e proteggere gli elementi più deboli non fa che indebolire la nostra intera razza. -
L’anziano non disse nulla, ma fece un cenno col capo per chiedergli di andare avanti. Munkustrap prese un gran respiro, preparandosi a buttare fuori tutto quanto.
- Ha minacciato di fare… cose orribili. Ci distruggerebbe, se potesse, ma quel che è peggio è che vedere la nostra gente sperduta e senza una guida lo diverte immensamente. -
- È per questo stesso motivo che ha rapito me, l’anno scorso. – assentì Old Deuteronomy, annuendo lentamente. – Ma deve avere capito che io, ormai, non sono altro che un simbolo. Tutti voi riuscireste a trovare la vostra strada, anche senza di me. –
Munk drizzò le orecchie, mortificato. – Ma questo non è vero!- protestò, accalorandosi.
- Tu sai che è così, ed è un bene che lo sia. Un giorno, forse non lontano, io non ci sarò più, e tu e gli altri dovrete accettarlo. Avete già detto addio ad Asparagus, quest’anno… - il viso del vecchio gatto si corrucciò con tristezza. – E tutti quanti conosciamo il prezzo di un addio. Ma questo è sufficiente a fermare tutto il resto? No. I Jellicle continueranno a vivere: Macavity ha preso te perché tu sei il simbolo della nostra rinascita, sei l’anima e il cuore della nostra tribù. – gli posò una zampa sul petto, con affetto. – Era questo che ha cercato di spegnere… e non c’è riuscito. E non mi è proprio sembrato che i nostri valorosi Jellicle siano rimasti “sperduti e senza una guida”, dopo quanto ti è accaduto. -
Gli occhi dello striato si posarono per un attimo su Jemima che giocava nella piazzola, e gli sfuggì un sorriso.
- Sono venuti a salvarmi, e ci sono riusciti. – ammise. – So che ieri abbiamo riportato una vittoria, e sono fiero di tutti loro. Però… - ecco la parte che più lo tormentava. – Macavity conosce bene le nostre debolezze, e le nostre mancanze. Mi ha raccontato di avere parlato con Grizabella, ci crederesti? Forse noi ci siamo dimostrati migliori di lui, quando l’abbiamo esclusa dal branco per anni?-
Gli occhi di Old Deuteronomy sembrarono illuminarsi al nome della vecchia gatta. – Una delle meravigliose qualità dei Jellicle è che impariamo dai nostri errori. –
- Ma quale lezione impariamo, quando non c’è rimedio, riparazione o perdono? Perché abbiamo riammesso Grizabella nel branco solo quando ormai era troppo tardi per lei?-
L’anziano aggrottò le folte sopracciglia. – Troppo tardi? Sei sicuro di ciò che stai dicendo?-
- Tu lo sai. – insistette lo striato. – Lo sai che l’ascesa allo strato di Heavyside è stata l’ultima cosa che ha fatto in questa vita. -
Lasciandolo assolutamente sbalordito, Old Deuteronomy proruppe in una risata gentile che sembrava sgorgargli dritta dal profondo del cuore. – Munkustrap, tu sei dunque convinto che Grizabella sia morta?- disse a voce alta, in tono incredulo, facendo sì che tutti nella piazzola potessero sentirlo.
E, proprio in quel momento, dallo stesso punto della discarica dal quale era apparso Old Deuteronomy, fece il suo ingresso una gatta anziana dal lungo pelo grigio chiaro, che avanzò verso la piazzola tra lo stupore generale.
Munkustrap incontrò il suo sguardo, e non credette ai suoi occhi.
Grizabella, in carne e ossa, incedeva verso di lui, con la stessa andatura lenta ed esitante con cui la ricordava, ma sembrava allo stesso tempo irradiare una luce del tutto nuova. Sorrideva, e i suoi occhi stanchi risplendevano come stelle nella penombra della discarica.
I Jellicle si affollarono attorno a lei, increduli, protendendosi verso di lei con meraviglia… ma quasi senza osare avvicinarsi troppo come se temessero di vederla scomparire da un momento all’altro come la visione che era. Lo striato le venne incontro tra le due ali del pubblico dei Jellicle meravigliati: Grizabella gli tese le zampe, riconoscendolo, e lui gliele strinse, convincendosi solo in quel momento di quanto fosse solida e reale.
- Ora sembri sorpreso, figlio mio. – commentò Old Deuteronomy in tono divertito, alle sue spalle. – Eppure dovresti saperlo che lo strato di Heavyside è un luogo dal quale si ritorna. –
- Ma era stata via così a lungo… - mormorò Munk, senza sapere se si stesse rivolgendo a lui o a Grizabella. – E io ero convinto che, quella notte, lei fosse troppo… -
- Troppo vecchia e malata?- finì per lui Grizabella, con voce calda e forte, mentre gli stringeva gentilmente le zampe tra le sue. – Non ancora. Però ammetto di essere stata via molto a lungo… ma ti assicuro che è un viaggio che vale la pena di fare. –
Grizabella era rinata. Letteralmente. Davanti a lui c’era ancora la vecchia gatta che ricordava, ma in lei era sparita ogni ombra di dolore o tristezza, e nei suoi occhi brillava la scintilla orgogliosa di chi non aveva più nulla da temere. Lo strato di Heavyside aveva curato la sua anima, e ora poteva tornare e trascorrere il tempo che le restava all’interno di una tribù che l’amava.
Era troppo bello per essere vero, e nelle orecchie dello striato risuonavano ancora le accuse di Macavity.
Munkustrap si inginocchiò davanti a lei. – Grizabella, ti prego di perdonarci per come ti abbiamo trattata. –
Grizabella sorrise e lo fece subito rialzare, col fare sbrigativo di chi gli stava dicendo –tra le righe- di non fare lo sciocco. – L’ho già fatto da tempo. Adesso però è ora che vi perdoniate voi, una volta per tutte. –
Quando i due si separarono, tutti i Jellicle si fecero avanti per dare il bentornato a Grizabella: Munkustrap la lasciò all’abbraccio del suo branco, e tornò piuttosto frastornato accanto ad Old Deuteronomy.
- È un miracolo. – mormorò, sbalordito.
- Non nel senso che intendi tu. Come ben sai, io stesso sono stato nello strato di Heavyside, e proprio per questo sono ancora qui malgrado la mia età. Semplicemente, la maggior parte dei Jellicle che compiono questo viaggio, quando ritornano, decidono di partire e di diventare essi stessi una guida spirituale per i loro simili. È ciò che è accaduto a me. Grizabella, invece, ha espresso il desiderio di fare ritorno tra la sua gente. –
- Sono felice che lo abbia fatto. – Demeter si avvicinò a loro, seguita da Jabster, e si accostò a Munkustrap: Old Deuteronomy sorrise ancora di più mentre guardava loro tre insieme.
- Ti confesso che, probabilmente, quest’anno avrei potuto scegliere te, in previsione della tua ascesa a leader dei Jellicle. – continuò, rivolto a suo figlio. – Ma, considerate le circostanze, credo che al momento il più importante viaggio spirituale tu possa farlo soltanto qui. –
Munkustrap si strusciò contro Demeter e Jabster. – Non credo che potrei mai lasciarli soli per un’intera luna Jellicle, né ora né in futuro. –
- Non deve per forza essere così a lungo. – replicò Grizabella, mentre si avvicinava circondata dai Jellicle più giovani. – Lo strato di Heavyside non è una prigione! Scegli tu quanto a lungo rimanere, a seconda di quanto desideri. Il mio è stato semplicemente… un viaggio più lungo di altri!-
Demeter fece le fusa contro l’orecchio di Munk, rassicurante. – Un viaggio che prima o poi farai anche tu. – gli bisbigliò, sorridendo tra sé. – Ma non avrai niente da temere. –
Lo striato si chinò e prese Jabster tra le braccia, quindi si fece avanti per presentarlo davanti a Grizabella e ad Old Deuteronomy. – Decani Jellicle, questo è Jabster, ed è figlio mio e della mia compagna Demeter. In questa notte del Ballo Jellicle, io lo presento davanti a voi e a tutti i Jellicle perché sia riconosciuto come fratello e membro del branco a tutti gli effetti!-


Colonna sonora di chiusura



ANNOTAZIONI:
- L’Heavyside layer (o strato di Heavyside, come viene chiamato nel dvd e in questa storia) mi ha dato un sacco di problemi. Principalmente perché, quando ho cominciato a scrivere, ancora non avevo idea di “cosa” esattamente potesse essere, né di che fine avesse fatto Grizabella. Pensarla come una sua banale “assunzione in cielo” mi sembrava molto triste, anche perché trovo molto squallido pensare che Grizabella venga finalmente riammessa nel branco solo per sparire nell’Heavyside layer tre secondi dopo. Ma allora, cosa poteva essere? Solo dopo un po’, alcuni disegni su DeviantArt mi hanno fatta pensare all’Heavyside layer come ad un luogo da cui si ritorna: una sorta di luogo mistico e spirituale dal quale si torna purificati. Questa versione, che oltretutto si sposava benissimo con quanto si vede nel dvd, mi è piaciuta subito e sono stata molto contenta di reinserire Grizabella.

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Capitolo 10
*** X ***


Colonna sonora!

X


Era tradizione che il Ballo Jellicle dovesse aprirsi con il racconto di una storia, e, siccome tutti erano ancora esaltati per gli eventi della notte precedente, e coloro che non erano presenti avevano sentito raccontare i fatti da una decina di bocche diverse, a Munkustrap sembrò una buona alternativa narrare semplicemente tutto quello che era successo.
Si presentò davanti al suo pubblico e, quando fu sicuro di avere la loro completa attenzione, incominciò in tono solenne: - Tutto iniziò la scorsa notte, nell’oscurità di una strada, quando Macavity fece la sua comparsa, emergendo dalle tenebre… -
Mentre parlava, alle sue spalle comparve veramente una minacciosa figura dal lungo pelo rosso, che si innalzò dietro di lui soffiando e agitandosi. La sua apparizione fece prendere un bello spavento a tutti quanti, ma li tranquillizzò la riconoscibilissima risata di Tugger, nascosto sotto una pelliccia rossa e una maschera di legno.
Insieme, Munkustrap e Tugger cominciarono a raccontare i fatti a modo loro, e il branco si lasciò subito trascinare. Naturalmente, niente metteva di buonumore i Jellicle come una bella recita: così che ne uscì una versione dei fatti molto più divertente di quanto fosse stata in realtà, con un Macavity molto più interessato a sculettare all’indirizzo delle giovani femmine, più che a combattere con Munkustrap, il quale dovette più volte prenderlo per la collottola e costringerlo a tentare di inscenare una lotta convincente.
Quando la recita finì e Tugger abbandonò definitivamente i panni di Macavity, lanciando la pelliccia rossa in mezzo al suo pubblico in visibilio, Electra, Etcetera e Jemima la acchiapparono al volo e presero a contendersela per scherzo. Alla fine se ne impossessò Etcetera, e ci tuffò dentro il muso con evidente piacere: Jemima rise, ma ad un certo punto la sua attenzione fu catturata inevitabilmente da Tugger.
Sembrava così irraggiungibile, in quel momento. Dall’inizio della notte, Jemima aveva avuto la costante sensazione che lei e Tugger fossero allo stesso tempo vicini e lontani: ad accomunarli c’era quanto era successo la notte prima, eppure entrambi non avevano fatto altro che comportarsi come al solito. L’ultima volta che si erano parlati faccia a faccia restava ancora quella mattina.
Jemima voleva lui come compagno per il Ballo. Ma lui cosa voleva? Forse la sua dichiarazione lo aveva convinto a desistere, invece che ad impegnarsi con lei.
Electra si accorse del modo in cui la sua amica stava guardando il Rum Tum Tugger, e con cautela le posò una zampa sulla spalla: Jemima sembrò riscuotersi da un sogno ad occhi aperti, ed Electra si limitò a rivolgerle un sorriso comprensivo. Le due amiche rimasero fianco a fianco per qualche momento, finché Electra non le disse: - Dovresti buttarti e invitarlo, e poche storie. –
Jemima ridacchiò dietro una zampa, e scosse il capo. – Non balla mai con le Principesse alla loro prima luna: c’è troppo rischio di doversi prendere delle responsabilità!-
Electra roteò gli occhi. – Se lui sarà così stupido da non voler ballare con te, è un problema suo. Sei all’altezza di qualsiasi Rum Tum Tugger. E poi, stasera sei un’eroina… un po’ di spina dorsale, per il Gatto Eterno!-
Grizabella e Old Deuteronomy stavano applaudendo la scena dal posto d’onore. La luna piena era ormai alta sopra le teste dei Jellicle, e risplendeva più che mai: la notte suonava una musica soltanto per le loro orecchie; una melodia che nessuno di loro poteva ignorare.
I primi ad aprire le danze furono i giovani maschi: Pounceval, Admetus e Tumblebrutus si lanciarono all’unisono al centro della piazzola illuminata dalla luna, saltando e facendo capriole, catturando così l’attenzione generale dell’intero branco. Alonzo si alzò in piedi, stirando il flessuoso corpo bianco e nero, e si aggregò svelto ai suoi compagni: il sorriso inequivocabile che rivolse alla bella Cassandra, e l’inchino che le fece per invitarla a ballare con lui, non lasciarono dubbi; si erano già scelti come compagni anche quest’anno.
Tutti gli altri giovani maschi colsero l’occasione e si precipitarono a ballare, sotto gli occhi divertiti di Bombalurina e delle altre Regine, che si divertivano alle loro giravolte e soffiavano scherzosamente verso di loro.
Jemima, Electra ed Etcetera si guardarono, e in un attimo seppero di non poter più aspettare: l’arrivo delle Principesse fu salutato con un’ovazione generale, e il gruppo dei maschi si aprì davanti a loro per lasciare libero il centro della piazzola.
Tutta la tribù intorno, la luna sopra la testa, enorme, benevola e lucente: Jemima non aveva bisogno di altro e, lasciandosi guidare dalla musica segreta della notte, cominciò a danzare, piroettando, saltando, piegandosi elegantemente ad arco.
Le altre Regine avevano seguito il loro esempio e si erano messe a danzare a loro volta, mettendosi in mostra con le loro movenze studiate e sensuali, ma il centro della piazzola apparteneva alle Principesse. Jemima era al centro del trio, e mentre danzava si sentiva viva come non mai: non avrebbe saputo dire se fosse per via della luna, del loro ballo, o di quella strana riverenza con cui le stavano guardando tutti.
Ad un tratto, dal gruppo dei maschi emerse Tugger, arruffando la pelliccia con spavalderia, e di punto in bianco si lanciò nel mezzo della piazzola senza la minima esitazione. Era chiaro che aveva deciso di rubare a tutti il primo ballo con le Principesse: con abilità consumata prese per mano Etcetera e le fece fare una giravolta, si strusciò contro la schiena di Electra, e infine arrivò di fronte a Jemima.
I due si guardarono negli occhi per un attimo, poi fu Jemima stessa a tendere un braccio verso di lui: Tugger colse prontamente l’invito e la fece girare una, due, tre volte. La allontanò da sé per poi riavvicinarla, le avvolse un braccio attorno alla vita e ballarono l’uno contro l’altra. La nuova coppia di ballerini stava suscitando un certo scalpore, soprattutto vista la rapidità con cui Tugger si era fatto avanti, ma di certo non dissuase gli altri maschi: ora c’era tutta la truppa dei giovani Jellicle a ballare davanti alle Principesse.
Jemima lanciò un’occhiata a Tugger alle sue spalle, e lui le rivolse un sorrisetto eloquente, prima di lasciarla andare e farsi indietro. La gattina trovò ben presto un altro che cercava di attirare la sua attenzione: Pounceval era davanti a lei, che saltava con grazia e agitava la coda.
- L’offerta è sempre valida, Jemi. – le fece, con un sorriso e una giravolta. Jemima però scosse gentilmente il capo e scivolò all’indietro, lasciando posto alle sue compagne: in effetti, sembrava che le piroette di Pounceval avessero attirato l’attenzione di Etcetera, la quale si era messa a seguire il ritmo del giovane gatto.
Approfittando di quell’attimo di pausa, Jemima diede un’occhiata a quanto stava succedendo intorno a loro: tutti i Jellicle erano entrati nel vivo del Ballo, e vide perfino Munkustrap e Demeter che danzavano insieme, un po’ discosti dal resto del gruppo. Old Deuteronomy e Grizabella assistevano allo spettacolo; Jabster era seduto in braccio a lei, e alla gatta anziana brillavano gli occhi come se non avesse mai visto niente di più bello.
E Jemima sorrise. Era perfetto, perfetto come solo un Ballo Jellicle poteva essere. Era la sua notte, era circondata da coloro che amava, e capì che non aveva importanza come sarebbe finita. Da quella notte, lei era una Regina. Ma il suo desiderio era rimasto immutato: tutto quello che voleva era continuare ad essere felice proprio come in quel momento. E sapeva cosa fare. Si voltò per cercare Tugger, ma si accorse di averlo perso di vista in mezzo alla folla.
Ad un tratto si trovò accanto Mistoffelees, che atterrò di fianco a lei con una piroetta perfetta e saltellò, come se fosse privo di peso: il gatto prestigiatore le girò intorno con grazia liquida e le rivolse uno sguardo ammiccante.
- Sta aspettando te. – le disse, col tono di chi la sa lunga, quando fu abbastanza vicino per parlarle. Poi fece un altro salto da ballerino e si portò dalla parte opposta. – La scelta è tua!-
Mistoffelees si eclissò così come era comparso, ma intanto Jemima aveva individuato Tugger, che si era unito ad un altro gruppo di giovani maschi e si stava decisamente scatenando. Jemima fece altrettanto, buttandosi di nuovo nella danza e cercando nel frattempo di avanzare in direzione del Maine Coon. La danza li portò gradualmente ad avvicinarsi: Tugger sembrava essersi accorto che la gattina stava cercando di raggiungerlo, e ad un certo punto uscì dalla mischia per aspettarla.
Jemima fece una piroetta, e i sue si fermarono per un attimo schiena contro schiena, circondati dalla folla di Jellicle danzanti.
- Io credo di aver già fatto la mia scelta. – le disse Tugger, guardandola da sopra la spalla con un sorrisetto. – Forse è ora che tu faccia la tua. -
Prima che lei potesse rispondere, si allontanarono di nuovo, seguendo gli altri ballerini. Ad un tratto, però, i Jellicle sembrarono calmarsi, e tutti quanti rallentarono il ritmo della loro danza per lasciare spazio alle Principesse, che dondolavano lentamente come in preda ad un bel sogno. I primi a farsi avanti furono Pounceval ed Etcetera: i due si vennero incontro lentamente, si annusarono, e poi il giovane gatto si strusciò dolcemente contro di lei.
Una cosa simile accadde dalla parte opposta della piazzola, dove Tumblebrutus si accostò ad Electra e lei gli si strofinò addosso, con aria sognante.
Jemima ebbe solo un altro attimo di esitazione, poi avanzò in mezzo ai gatti maschi, i quali la fissarono tutti con un misto di speranza e di emozione.
L’importante non era trovarsi un compagno, quella notte. L’importante era avere il coraggio di scegliere l’unico che voleva, e se le fosse andata male… semplicemente non importava.
Tugger era là, in piedi, in mezzo a tutti. Jemima fece un altro passo avanti, con gli occhi fissi su di lui in una muta richiesta: adesso le sembrava che l’intera tribù stesse trattenendo il fiato. E ad un tratto, anche Tugger si protese verso di lei e la prese per una zampa: fece una sola giravolta, molto lenta, che la portò contro il petto di Tugger, e lui la annusò con dolcezza sfiorandole la guancia col muso.
Poi Jemima si girò verso di lui, e lui la prese per i fianchi, sollevandola in altro, sovrastando tutte le altre coppie e tutta la piazzola: Jemima rise, lasciandosi librare in aria per qualche momento e rovesciando il capo verso il disco argentato della luna, enorme e bellissima.
Poi strinse le ginocchia contro i fianchi di Tugger, e gli mise le braccia al collo. Lui le sorrise e la strinse a sé mentre si baciavano di nuovo, sotto una luna Jellicle che sembrava non essere mai stata così luminosa.

*

La festa sarebbe continuata ancora per un bel pezzo, e di certo le sorprese non erano mancate. Munkustrap fece un gran sorriso, con Demeter tra le braccia, mentre guardava il bacio appassionato di Tugger e Jemima nel bel mezzo della piazzola, sotto la luna, sotto gli occhi di tutti.
Tre Principesse erano diventate Regine, e sembrava anche che tutte avessero infine scelto qualcuno.
Questo voleva dire che Tugger e Jemima erano compagni? Voleva dire che doveva aspettarsi radicali cambiamenti nel branco, oppure tutto sarebbe rimasto come prima? Importava davvero, alla fine?
Il Portettore continuò a sorridere. Quella notte, sotto la luna Jellicle, tutti quanti sembravano essere un passo più vicini a capire che cos’era la felicità.


FINE






Questo capitolo finale è dedicato... al mio futuro Mr Mistoffelees. Lei sa di chi sto parlando. ^.^




ANNOTAZIONI:
- I Jellicle non sono umani. Di certo sono antropomorfi e umanizzati (tanto che nel descriverli uso alternativamente le parole “zampe” e “mani”…), però i loro pensieri e soprattutto la loro concezione dei rapporti non è esattamente “umana”. Descrivere qualcosa come un innamoramento o una coppia tra due che, alla fin fine, sono dei gatti, è stato un po’ complicato. Per come la penso io, legarsi ad un altro Jellicle e diventare ufficialmente il suo compagno, di certo comporta delle responsabilità, la fedeltà (forse?) e la crescita dei cuccioli. In questa ff Tugger è padre illegittimo di due cuccioli: non si sogna neanche di accollarsene la responsabilità, ma questo non fa di lui uno stronzo o di Exotica una povera madre single. È una società di gatti! Scegliere ufficialmente Jemima come compagna per il Jellicle Ball, invece, è un impegno di una certa portata: ho pensato che le neo Regine fossero le prime ad esigere un compagno stabile, per questo la scelta di Tugger implica che staranno insieme, in ogni caso, per un bel po’. Ho lasciato il finale aperto apposta!
PS: Se cercate di capire le coppie canoniche di CATS, oltre a Victoria/Plato e Munk/Demeter, rinunciateci. Anche durante la Mating Dance si vedono cose impensabili. In tutto il Jellicle Ball, vi basti pensare che Tugger balla con Bombalurina (la quale, più tardi, si dà da fare con Pounceval), bacia Rumpelteazer (o quasi) e si rotola in modo molto esplicito con una che –a meno che non mi sbagli di grosso- è Jennyanydots… e la vista di Tugger sotto di lei mi ha fulminato il nervo ottico. (Chi se lo aspettava che avesse una passione per le anzianotte…)

- Un tarlo che mi rode da morire… Sono andata OOC con Tugger? Forse. Una delle osservazioni che mi è stata fatta è proprio quella di averlo “Jackizzato”: ora, non avevo assolutamente in mente Jack quando ho scritto questa fanfiction, ma ammetto che è un dubbio che ho avuto anch’io più volte durante la stesura. Sarà perché a forza di scrivere solo di un personaggio, questo ti si attacca addosso. O forse, cercando di ricostruire la personalità di un personaggio così liberamente interpretabile (tutti i personaggi di Cats sono reinterpretabili come più ci piace, diciamo) tendo a cadere nella trappola dello stereotipo. Un’altra è stata di aver limato troppo tutti quegli atteggiamenti che lo rendono così deliziosamente equivoco. Ma cos'è la cosa più caratteristica di Tugger? I movimenti che fa. Il modo in cui balla, si muove, cammina, interagisce sul palco. Anche con Jack, nella ff, spesso sono caduta nella trappola del voler descrivere nei minimi dettagli tutti i movimenti che fa, solo perché io me li immaginavo bene e volevo trasmetterli al lettore come se stesse guardando un film: il problema è che a volte funziona, altre volte la sola, minuziosa descrizione di come un personaggio si muove, annoia e non serve. È un inconveniente che mi salta fuori spesso, quando cerco di descrivere uno che usa un sacco la "fisicità" quando parla. Con Tugger, quindi, ho deciso deliberatamente di limitarmi: già la ff è breve e rapida, e non mi andava di rallentarla con lunghe descrizioni. Già di per sé i Jellicle sono molto fisici, quindi mi sembrava di perdere tempo o di infarcire la scrittura ogni volta che elencavo le volte che un personaggio si muoveva/abbracciava/toccava/si strusciava contro un altro.
Come ho detto, questa ff è un esperimento: come potrei essere andata un po’ OOC con Tugger, forse sono andata OOC anche con tutti gli altri, perché li ho riempiti con i miei pensieri e le mie parole. È stata una ff-lampo, e quasi mi dispiace, perché volendo ci sarebbe molto di più da dire su ciascuno di loro: su Jemima, Munkustrap, Demeter, Bombalurina, Mistoffelees… ognuno di loro ha le potenzialità per dare molto di più come personaggio, ma non so se scriverò ancora su Cats. Sono personaggi da musical, e non sempre si adattano bene al linguaggio scritto.
Onestamente, io non credo di avere “snaturato” Tugger, che pure mi piace esattamente così com’è nel musical.
Se può valere come scusa l’essermi divertita fin troppo, con questa fanfiction… ebbene sì, quello l’ho fatto!


Infine, video musicale bonus tanto per farci due ghignate e per dimostrare al mondo che... non sono l'unica fan di questa coppia! (anche se cerco di ignorare il fatto che sia su una canzone di Jesse McCartney...)

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