Amber

di ReggyBastyOp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova ***
Capitolo 2: *** Nuova me ***
Capitolo 3: *** La vita continua, stranamente. ***
Capitolo 4: *** Svolta ***
Capitolo 5: *** Inaspettato ***
Capitolo 6: *** Fine del nulla ***
Capitolo 7: *** Restare in vita ***
Capitolo 8: *** Invito ***
Capitolo 9: *** Amici ***
Capitolo 10: *** Gioco ***
Capitolo 11: *** False speranze ***
Capitolo 12: *** Ripresa ***
Capitolo 13: *** Mosca ***
Capitolo 14: *** Budapest ***
Capitolo 15: *** Barcellona ***
Capitolo 16: *** Zia Caterina ***
Capitolo 17: *** 11 luglio ***
Capitolo 18: *** Olivia ***
Capitolo 19: *** 25 luglio ***
Capitolo 20: *** Breve rinascita ***
Capitolo 21: *** Fine luglio ***
Capitolo 22: *** Ritorno ***



Capitolo 1
*** Nuova ***


Appena arrivata.

Come sentivo nei mormorii in giro ero la "nuova". Già, essere nuova e sentirsi a disagio, ovvio no? Cosa che succede ad una bambina il primo giorno di scuola o ad una ragazza quando cambia città, si ritrova in un gruppo o deve fare amicizia. Ecco, io mi sentivo così. Non credevo che sarei riuscita a restare a lungo, magari avrei trovato il modo per farmi fuori, chissà? Forse era destino, forse no. Ma rimasi. Amber rimase. La prima a parlarmi fu lei, bionda, coccolosa con occhi azzurri ed una sfumatura verdognola. Parlando con lei sentivo che il disagio passava, mi faceva sentire tranquilla, parlavo con lei come se fosse normale. Melody. É stata con lei la mia prima uscita, al mare, come sempre. Amo particolarmente il mare, lo trovo rilassante e mi aiuta a ricordare la mia infanzia finita anche troppo presto. Me l'hanno sempre detto, ero troppo matura rispetto alle cotanee della mia età. Comunque ancora adesso appena posso vado in spiaggia per liberare la mente dai pensieri che ogni giorno mi torturano la mente.
Melody mi chiese di presentarmi, anche questa per lei evidentemente era una consuetudine perchè non mi diede il tempo di chiedere che subito mi disse cosa dovevo fare. Finii ed eccomi, in quel nuovo mondo, quello che presto sarebbe diventato il mio mondo e la mia famiglia.Parlavo, scleravo dicendo cose senza senso e cercavo di sembrare simpatica o almeno riuscire a farmi accettare senza essere giudicata. Lo trovavo più difficile del previsto, tutta gente che non conoscevo. Mentre la malinconia contribuiva a farmi sentire sola. Dopo aver lasciato la mia famiglia, i miei cari, era più che comprensibile che mi sentissi così. Nessuno mi aveva obbligato ad andarmene, era stata una mia scelta e adesso dovevo pagarne le conseguenze.

E la prima sera litigai con Cecilia, colei che poi sarebbe diventata mia madre.

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Capitolo 2
*** Nuova me ***


Ridevo e piangevo.

Ridevo perché lei era divertente, una mente differente ma un carattere con un paio di somiglianze. Faceva di tutto pur di ridere e divertirsi, lei era aperta, senza peli sulla lingua. La prima cosa che le veniva in mente la diceva. Ecco io sono più o meno così; semplicemente cerco di tenere tutto dentro per evitare di scoppiare poi all'improvviso e magari con una persona o in un luogo non appropriato.
Continuava a parlarmi pur sapendo che avrei voluto stare con lui, l'uomo che sarebbe diventato mio padre, Marcus. All'inizio lo chiamavo Teddy, lo consideravo il mio orsetto o per meglio dire il mio fratellone, ci conoscevamo da tempo e senza di lui, che mi faceva compagnia, probabilmente non sarei rimasta.Piangevo, si perché mi sentivo esclusa e aggredita. Incredibile eh? Ma insieme a lei c'era Melody. Subito mi confidai con quella ragazza così dolce che si sarebbe rivelata per il suo vero essere solo dopo pochi giorni, descrivevo me e i miei problemi familiari come se ci conoscessimo da mesi e non da meno di qualche ora. Lei non era in condizioni ben migliori, però sorrideva. Lo potevo leggere nelle sue parole, andava avanti e capii che dovevo prendere esempio. Deprimersi e piangersi addosso era solo la cosa più semplice da fare, lei aveva ancora la forza di smuovere le labbra per farle diventare un sorriso, così misi i miei problemi da parte e mi lasciai andare. 
Il giorno dopo Marcus mi diede la conferma, voleva Cecilia e io gliel'avrei lasciata. Non volevo obbligare nessuno, cosa che non voglio nemmeno adesso. Ognuno ha preso le sue scelte e sarà lui che dovrà affrontare ciò che ne verrà in poi.

Alla fine di quella serata decisi di lasciarmi la parte peggiore del mio passato alle spalle. La nuova Amber sarebbe arrivata a breve.

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Capitolo 3
*** La vita continua, stranamente. ***


 

I primi sette giorni passarono tranquillamente. Cominciavo a ricordare i nomi di molti. Già dal secondo giorno avevo fatto amicizia con Olivia, grazie alla stessa passione per un telefilm. Col passare del tempo poi è diventata la mia migliore amica. A ripensare tutto ciò che abbiamo condiviso mi viene la nostalgia, poiché ultimamente non posso passare più abbastanza tempo con lei come prima.
Ma torniamo al passato. Mi sentivo depressa. Venti anni e ancora nessuno straccio di ragazzo; cominciavo davvero a pensare che avrei passato la fine dei miei giorni seduta su una sedia a dondolo e circondata da pile di libri e gatti.
I gatti. Piccoli felini con un coraggio da leoni e artigli per reagire e difendersi mentre i loro piccoli ringhi spaventano la preda o il nemico. Mi piacciono, anzi, li adoro. Quando li guardo mi ispirano autonomia, eleganza e anche prudenza per poi arrivare al colore del loro pelo, che a parer mio esprimono anche parte del loro essere.
In quei giorni iniziai a parlare con Alexander. Un ragazzo simpatico, ventenne anche lui, ma sposato e con figli. Tanti figli. La prima volta che parlai con lui, beh, non feci altro che ridere; le sue sciocchezze involontariamente mi portarono il buonumore. Di lì a poco avremmo riso e basta. 
Comunque, mi sbagliai, dopo nemmeno una settimana trovai un uomo. Non era di molto più grande di me, si chiamava Jim. Io ero stupidamente ingenua e infatuata lo perdonai di ciò che aveva commesso in passato, anche cose orribili come l'essere andato a letto con sua figlia e averla messa incinta per poi aver tradito sua moglie. Sciocca, anche troppo. In meno di quattro giorni rimasi incinta; mi chiese di sposarlo. Accecata un po' dall'amore e un po' dall'avversione nei suoi confronti da parte di mia zia Caterina, accettai. Tutto in meno di una settimana. Non avevo riflettuto, e in poco tempo i nove mesi passarono. Nacque Jake, mio figlio.

L'errore fu pensare che almeno lui sarebbe rimasto con la sua mamma

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Capitolo 4
*** Svolta ***


Il tempo passava.

Si potrebbe dire che la mia vita era quasi perfetta. Pensavo di amare Jim e credevo di essere contraccambiata, un figlio anch'esso cresciuto troppo in fretta e già con la ragazza, fino ad arrivare alla famiglia. Una stupenda e grande famiglia formata dai miei genitori, Cecilia e Marcus, e i miei fratelli acquisiti. Ricordo ancora il giorno in cui mi hanno chiesto di diventare loro figlia: il giorno del mio matrimonio. Rammento i preparativi che feci in quei pochi giorni che mi distanziavano dal grande evento. Incinta e schiacciata dai pensieri come le scarpe, la chiesa, il ristorante, il colore delle tovaglie per poi arrivare all'abito. In quello però non fui sola.
Ebbi con me Cecilia che dopo i piccoli scontri riuscì a rendersi simpatica, e io approfittai della sua disponibilità essendo ancora un po' sola.
Poi zia Caterina con cui avevo un rapporto speciale fin da quando ero nata.
Ed infine Olivia, la quale non faceva altro che urlare insieme a me dicendo che ero tutta gasata.
Così grazie a loro scelsi il vestito e quella sera stessa, dopo la cerimonia, mi proposero di diventare loro figlia acquisita insieme agli altri pargoli adottati. Nei loro occhi riuscii a vedere l'affetto che provavano per me e senza pensarci due volte accettai.
Sempre durante quella stessa sera iniziai ad innamorarmi del padre di Melody, Alexander. Un uomo sposato. Questo era un grave errore per una neosposa incinta, ma com'è che si dice? L'amore è cieco e al cuor non si comanda.

D'ora in poi sarei dovuta stare alla larga da lui, o sarebbero insorti troppi problemi da me considerati irrisolvibili.

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Capitolo 5
*** Inaspettato ***


Continuavo a vivere.
Cercavo di distrarmi pensando alle faccende e i problemi da sbrigare, a come fosse quasi perfetta  la mia esistenza se non fosse stato per il fatto che non mi sentivo pienamente felice. Jim c'era ma adesso che vivevo ventiquattro ore su ventiquattro con lui mi sentivo stupida. Com'era possibile che avessi sposato un uomo del genere? Non aveva un minimo di cervello e non faceva altro che mettermi nei casini, però continuavo a restare con lui poiché non riuscivo a trovare il coraggio di lasciarlo, in fondo pensavo che mi amasse ed ero di nuovo incinta, quindi non volevo che il mio futuro bambino crescesse senza una figura paterna.
Nel mentre cercavo in ogni modo di sapere qualcosa di Alexander, ogni pretesto era buono anche solo per nominarne il nome. Lo guardavo, era felicemente sposato con sua moglie e io finchè lui era felice potevo sopportare la mia situazione. Amici. Nessuno sapeva che mi piaceva, nessuno tranne Claire. Feci amicizia con lei poco dopo il matrimonio, era la figlia di mio marito, ed aveva da poco partorito. Tra noi non c'era nessuna tensione, anzi si poteva quasi dire che eravamo amiche per la pelle. Sempre allegra ed euforica, capace come l'uomo che mi piaceva di metterti il buon umore anche solo con un sorriso. Aveva i capelli lunghi neri, che le arrivavano poco oltre le spalle ed occhi verdi, ma non smeraldo come i miei, un verde erba a dir poco stupendi. Continuava la sua vita facendo affidamento sul fratello e la madre. In tutto questo tempo cominciarono i problemi. Jim si faceva sempre più assente e strano, con me sembrava felice ma sentivo che qualcosa non andava, e spesso passava molto tempo con la sua ex moglie. Ma io volevo la tipica famiglia perfetta ed evitavo sempre di fare domande o essere sospettosa, pur sapendo che prima o poi sarei scoppiata.

E mentre mio marito iniziava ad assentarsi sempre più spesso accadde ciò che credevo non sarebbe successo mai: Nie, la moglie di Alexander, lo lasciò. 

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Capitolo 6
*** Fine del nulla ***


Soffriva. Ma continuavo a guardarlo da lontano, per l'ultima volta.
Sapevo che stava male ma non sapevo come rincuorarlo. Era il 15 giugno di un anno a voi sconosciuto. Quella sera c'era una leggera tensione nell'aria tra tutti i presenti. Io non stavo bene, ma non lo davo a vedere. Non riuscivo ad essere felice di quella piccola separazione tra i due, no. Lui era infelice e di conseguenza lo ero anche io. Dire che ero condizionata da lui anche in ogni minimo particolare non è esagerare perché è la pura realtà. In cuor mio sapevo di amarlo già, però la coscienza mi diceva di tacere. 
Si fece tardi, non era rimasto più nessuno con noi. Eravamo soli ed era scoccata da poco la mezzanotte. Con una tristezza infinita che riuscivo ad intravedere nelle sue parole mi chiese se avessi sonno. Gli risposi di no, il che era vero visto che ultimamente mi svegliavo tardi; quella fu una delle notti più belle per me. Non gli dissi niente, mi limitai semplicemente a scherzare e ridere con lui, praticamente quello che facevamo le poche volte che ci rivolgevamo la parola. Da quella sera però non lo guardai più da lontano.
Timidamente cominciai a parlargli quasi ogni giorno,approfittando quasi sempre come argomento la notte trascorsa insieme.
Nei giorni successivi era depresso, più che mai, si vedeva e di certo non cercava di nasconderlo. Ogni volta mi parlava di Nie e io cercavo di consolarlo, anche se spesso e volentieri, come mi succede ancora adesso, non sapevo come fare. Sapevo che l'unica cosa che l'avrebbe reso felice era sua moglie, così ogni giorno cercavo di incitarlo a non perdere le speranze e a rassicurarlo che sarebbe tornata presto da lui. Insomma, un uomo come lui, e credo di non essere l'unica a pensarla così, attento,gentile e premuroso chi non lo vorrebbe? Un uomo fedele al proprio fianco che non pensa ad altro se non alla sua amata. 
Avrei tanto voluto essere la sua amata, ma sapevo che non mi avrebbe mai scelto. Sapevo che sarebbe tornato con lei e che io sarei tornata alla mia solita vita con un uomo di cui sapevo non provare alcun sentimento.
In questo arco di tempo mio padre era riuscito a trovare un lavoro e mia madre sembrava essere troppo impegnata. Io aspettavo un bambino che forse non desideravo davvero, ma andavo avanti, avevo preso esempio da Melody e con me c'erano Olivia e Claire. 
Poco tempo dopo trovai il coraggio di dire ad Alexander ciò che provavo per lui, anche se non proprio in modo diretto e quasi balbettante, ma non so come ci riuscii. Sapevo che lui non ricambiava il mio amore per lui, e che io ero sposata. E sapeva benissimo che, essendo una donna fedele, non avrei mai lasciato mio marito. 
Avevo scoperto quelle cose orribili sul conto di Jim solo dopo il matrimonio, ma lo perdonai; però quando Alexander stesso mi disse che lui mi tradiva con la sua ex moglie non ci vidi più dalla rabbia. Non credevo di meritarmi una cosa simile. Non ci misi molto a prendere la mia decisione: andarmene di casa. Jake aveva una vita tutta sua, ma non pensavo stesse dalla parte del padre, ed, incredibile ma vero, l'appoggiava anche se diceva di non essere d'accordo alla nostra separazione. Mi sentivo presa in giro.

Quello era il 29 giugno, il giorno in cui dall'ansia e stress o chissà cosa persi il bambino. Il bambino, del quale avevo la conferma, non volevo avere.

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Capitolo 7
*** Restare in vita ***


Erano passati giorni da quando l'avevo lasciato.
Mi implorò per tutto il tempo e sembrava quasi volesse morire di fame pur di catturare la mia attenzione. Il problema fu che io non volevo, non mi interessava niente di lui. Era stato l'errore peggiore, probabilmente, di tutta la mia vita. 

L'essermene andata via dalla mia vecchia famiglia però no. Per loro Amber Hope era solo una ragazzina alla ricerca della vita spericolata insieme all'amore perfetto e a causa di questo non veniva nemmeno considerata più di tanto se non da suo nipote e suo padre, il vero padre. Mia madre Annie,la mia vera madre, mi aveva lasciata al mio destino infischiandosene di me. Perfetto, così doveva andare; il destino continuava a farmi soffrire inutilmente, tanto vale farla finita. 
Questo era il mio unico pensiero: la morte. Per una come me morire è difficile, davvero difficile, quasi impossibile però essendo ostinata era ovvio che un modo l'avrei trovato sicuramente. 
Un giorno salii fino all'ultimo piano di un grattacielo alto cento e passa piani. Uscii arrivando fino al tetto e salii sul bordo. Sapevo che probabilmente non sarei morta, ma tentar non nuoce. Era una giornata estiva ma stranamente ventosa, i capelli rosso fuoco mi inondavano il viso coprendomi in parte la visuale, ma potevo benissimo scorgere il panorama fatto di altri grattacieli e palazzi davanti a me e guardare in basso, verso l'asfalto. Non pensavo fosse così alto e, stranamente per una come me, soffrendo di vertigini scesi dal bordo istinitivamente. In poco tempo arrivò Claire che capì. Mi aveva seguita; evidentemente aveva capito che qualcosa in me non andava. I suoi lunghi capelli neri e i suoi occhi non mi fecero cambiare idea lo stesso. Anzi, adesso ero ancora più sicura di volermi lanciare, così risalii sul bordo quando poi sussultai per un attimo. L'aveva avvertito. Alexander era a due passi da me, anch'egli sul bordo, presa dalle vertigini forse non ero riuscita a sentirlo. Parlava, ma non riuscivo bene a capire esattamente cosa mi diceva, avevo il cuore a mille, anche solo la sua presenza vicina mi faceva quest'effetto. Sapevo che poteva sentire bene i battiti del mio cuore e veder avvampare le mie guance, così cercai di concentrarmi sulle sue parole e non sulla sua voce profonda e seria. Mi chiedeva di non buttarmi, che valeva la pena vivere per le amiche e la famiglia che mi volevano bene. Il problema era che lui non riusciva a capire cosa provavo. Tutte le ripromesse che mi ero fatta sull'essere forte e andare avanti cercando di sorridere alla vita non riuscivano a farmi cambiare idea, non avevo un briciolo di volontà. Con grande fatica lo ignorai e mi lanciai. Non urlai, ma tremai sentendomi prendere per le spalle e un rumore sordo di ali spiegate. Alexander, mi aveva preso poco prima che mi sfracellassi contro il cemento. Aprii gli occhi e volsi lo sguardo verso i suoi, era la prima volta che eravamo così talmente vicini, i nostri corpi erano praticamente attaccati.  Li vidi come se fosse stata la prima volta, erano di un colore non proprio azzurro poichè potevi scorgere un blu marino. Ghiaccio e blu mescolati creavano un colore a dir poco perfetto, impeccabile senza contrasti, davano quasi un valore prezioso. Erano quasi zaffiro ai miei di occhi. Sentivo il cuore che non smetteva di battere come un matto e il corpo surriscaldarsi un po' dall'imbarazzo e un po' dalla rabbia. Di nuovo mi aveva salvato.
Erano giorni che ci provavo ma lui continuava a salvarmi poco prima che io mi facessi male, anche solo lievemente. Al suo contatto avrei voluto sistemargli i suoi capelli castani, prendergli il viso e posare le mie labbra sulle sue sentendo il suo respiro su di me. Era chiedere troppo, ma mi bastava, così ne approfittai e poco prima che planasse di nuovo sul tetto lo abbracciai piano, facendo somigliare l'abbraccio ad una stretta per reggermi. Alla fine atterrò e mi tenne ben stretta per le spalle. Mi chiedeva che intenzioni avessi ma non riuscivo a rispondergli, anche perché ero deconcentrata dalla sua presenza e dal suo viso che aveva sembanze simili a quelle di una divinità. Abbassai lo sguardo per poi tornare arrabbiata.
Non avevo niente per cui vivere e lui non aveva il diritto di salvarmi ogni volta. Intervenì Olivia, che era stata avvertita anche lei da Claire e ci aveva raggiunti di corsa. Lei sapeva, gliel'avevo confessato quella mattina stessa e per aiutarmi lo prese in disparte e gli disse che forse doveva parlarmi. Così, con mio stupore, mi portò in gelateria per comparmi un gelato al cocco. Il mio preferito. Se lo ricordava, certo era vero che lo dicevo spesso, ma il fatto che gli era ben presente in mente mi fece sentire quasi una persona da essere tenuta in considerazione. 
Ripensando a tutto ciò mi vien da pensare che forse ero davvero una sciocca anche a quei tempi e che la maturazione mentale per me è arrivata davvero tardi rispetto al previsto.
Ci sedemmo su un muretto da cui si poteva intravedere il mare. Mi legai i capelli che mi infastidivano mentre mangiavo svogliata, lui si avvicino e fece come per dirmi qualcosa ma poi si alzò ed andò via lasciandomi nel dubbio di quello che desiderasse farmi sapere. Ci rincontrammo successivamente, ma appena accennavo a quel momento cambiava argomento.
Questo mi diede quel briciolo di volontà in più per tenermi in vita. Volevo sapere cosa mi voleva dire e avrei fatto di tutto per riuscire a scoprirlo. E soprattutto a tenermi in vita era sapere che in fondo lui aveva bisogno di un'amica che lo confortasse e lo supportasse. Era solo ed io c'ero per lui.

Questo era ciò che importava.

 

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Capitolo 8
*** Invito ***


Non insistevo.
Non perchè non fossi interessata, ma non volevo farlo arrivare ad un limite di sopportazione che l'avrebbe portato ad essere infastidito e forse anche ad odiarmi. Io. Quella mocciosetta antipatica che per riprendersi andava in discoteca ad ubriacarsi e a volte anche bramosa di sangue. La discoteca per me e Olivia era un posto perfetto, gente drogata di cui la società e le famiglie spesso non ne volevano sapere. Non ero mai arrivata al punto di andare a letto con il primo che capitava. Anzi non mi era mai capitato e non volevo che capitasse mai, mi limitavo a nutrirmi. Non ne avevo spesso il coraggio, "mangiavo" solo quando ne sentivo la necessità. Ora, però, era differente. Andavo in discoteca per dimenticare, visto che appena cercavo di farla finita Alexander mi veniva a salvare. Ogni volta che sentivo anche solo pronunciare il suo nome non potevo fare a meno di entrare nei ricordi. Le sue ali nere che per quell'attimo, a me infinito, mi avevano avvolta come al riparo da un pericolo imminente.
Non riuscivo a capire perchè ci tenesse tanto a salvarmi, diceva sempre che non ne avevo motivo, che sarei mancata alla mia famiglia e alle mie amiche ed io pensavo al senso di restare in vita essendo infelici. Ero stanca di essere depressa e soffrire, ma ero sicura che appena anche solo una persona che mi conoscesse avesse visto qualcosa che non andava si sarebbero subito allarmati e sarebbero venuti a salvarmi.
Sbuffai mentre posavo la bottiglia di birra sul bancone. Olivia stava ballando e ogni tanto mi guardava con uno sguardo eloquente, come se nella nostra esistenza contasse solo divertirsi e nutrirsi di ragazzi, gente a noi sconosciuta di cui non avevamo nessun diritto di togliere la vita. La birra fredda in una calda notte d'estate mi faceva stare bene, sentivo il sapore scendere in gola con facilità, era da un po' che non bevevo ma la sete però non passava. Sapevo di cos'avevo bisogno. Con gli occhi feci intendere alla mia migliore amica cosa intendevo fare e con una facilità, che spesso ancora adesso mi sconvolge, adescai un ragazzo. Non riuscivo a capire se era troppo piccolo per stare in quel posto angustiante o se fosse più basso della media, visto che era anche più basso di me, del mio metro e sessantadue.

Gli sorrisi coridale e lo presi per mano portandolo fuori. Al chiarore della luna riuscii a vedergli il viso nei minimi particolari, non era un bambino e questo mi fece sentire leggermente meglio. Squadravo i suoi occhi castani. La gola bruciava però continuavo a guardarlo senza muovermi. Lo consideravo un parassita, ubriaco e probabilmente aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. Li odiavo i tizi come lui, si rovinavano un futuro che loro potevano avere. Sentivo pulsare il sangue nelle vene e il bruciore cominciò ad intensificarsi. Smisi di pensare mentre affilai i denti. Eravamo abbastanza nascosti sia dall'entrata che dal parcheggio, nessuno l'avrebbe sentito urlare. Infilai i canini direttamente nella giugulare. Per me era una carne tenera, troppo, quasi quella di un agnellino ai denti di un lupo.

Lo finii poco dopo, leggermente disgustata dal mio e dal suo essere. Non riuscivo a biasimare il modo di vivere delle persone come lui. Dovevo nascondere il corpo e in fretta. Mi pulii le labbra sporche con il dorso della mano e con il cadavere sulle spalle mi diressi per forse una cinquantina di kilometri verso un bosco, lo nascosi in un cespuglio. Presto altri animali sarebbero venuti a mangiarne i resti e non c'erano rischi che quelli come noi venissero scoperti. Corsi di nuovo verso la discoteca, il mio vestito era ancora intatto quindi,volendo, potevo anche rientrare come se niente fosse. Vidi Olivia che aspettava vicino alla macchina, non mi sentivo sazia  ma decisi che per quella notte poteva bastare, salii in auto mentre lei faceva mettere comodo un ragazzo poco più grande di lei sui sedili dietro e li accompagnai a casa. Lei ammiccò divertita e scese. Durante il viaggio non li avevo minimamente ascoltati. Annoiata tornai a casa trovando una piccola busta sigillata dalla ceralacca rossa ai piedi della porta sul tappetino. Non c'era scritto nessun mittente. Presi le chiavi dalla borsa ed entrai in quella che molti definivano casa, ma per me era semplicemente un posto dove passare tranquillamente le mie notti. Tutto era in disordine, vestiti e bottiglie di birra ovunque, libri sparpagliati a terra e piatti che dovevano ancora essere lavati. Mi sedetti sul divano un po' spossata ed aprii la busta. Dentro c'era un piccolo biglietto con su scritto "Ti va di andare in campeggio?" riconobbi la calligrafia prima ancora di arrivare alla firma, sembrava praticamente perfetta, elegante in modo a dir poco esagerato ma leggibilissima. Alexander. Un lieve sorriso si formò sul mio viso sorpreso. Non avevo motivo di andarci, ma nemmeno di rifiutare. Non ero agitata, pensaii che fosse un'uscita di gruppo e che non avesse invitato solo me. Rimisi il bigliettino nella piccola busta. Ero più che sveglia però non avevo niente da fare, quindi mi feci una doccia, misi il pigiama e me ne andai a dormire. Riflettei sulle giornate che passavo da sola e sulla vita che avevo troncato quella sera. Mi faceva sentire orribile, però sapevo che non ne potevo fare a meno. Il sangue animale non riusciva a far placare la sete, o almeno non del tutto. 

Sospirai sapendo che il giorno dopo sarebbe stato orribile quanto i precedenti, anche se un po' di agitazione arrivava ogni tanto tra un pensiero e l'altro. La notte la passai cercando di capire perchè mi avesse invitato. Sapevo che per lui non contavo più di tanto, forse era solo per gentilezza o forse no. Ma fa niente, non avrei rinunciato a vederlo.

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Capitolo 9
*** Amici ***


Sentii bussare alla porta.

Girai il viso in direzione del comodino su cui c'era la sveglia. Le sei e mezza del mattino. Chi diamine era a quest'ora? Svogliata e con il mal di testa scesi le scale in pigiama, se così si potevano definire una canottiera bianca e un paio di pantaloncini corti neri. Aprii la porta e lo vidi in tutto il suo splendore. Con la coda dell'occhio riuscivo a scorgere l'abbigliamento abbastanza sportivo. Con un mezzo sorriso mi diede il buongiorno. Ero paonazza per l'imbarazzo, se avessi saputo che era lui come minimo mi sarei resa almeno presentabile per quanto possibile. Gli chiesi come mai era venuto e soprattutto a quell'ora senza muovermi di un millimetro dalla porta, la casa era in disordine e mi imbarazzava ancora di più il fatto che lui potesse entrare. Sapeva l'effetto che mi faceva ma continuava a comportarsi come se nulla fosse, poi sorrise divertito dicendomi che era venuto a prendermi per andare in campeggio. Immediatamente mi venne in mente il bigliettino e girai automaticamente il biglietto verso il tavolino dove c'erano ammassati un barattolo di nutella e un paio di felpe. Speravo che non riuscisse a vedere troppo all'interno e mentre cercavo di essere lucida gli domandai chi altri venisse ma lui rispose che eravamo solo noi, da amici. Risi involontariamente per la parola "amici". In modo poco educato lo lasciai sull'uscio della porta chiedendogli se poteva aspettare un paio di minuti, il tempo che mi preparassi e tornassi da lui. 
Chiusi la porta tutta agitata e mentre facevo tutto a velocità sovrumana non smettevo di pensare al perchè mi avesse invitata. Lo sapevo benissimo che voleva che restassimo solo amici. L'orologio che avevo al polso indicava che era passato esattamente un minuto appena scesi e riaprii la porta. Lo vidi appoggiato allo stipite della porta pensieroso, ma con un sorriso quasi divertito. Mi ero dimenticata di pettinarmi, ne ero certa perchè quando si girò verso di me allungò una mano sistemandomeli un po'. Non dissi niente mentre lui iniziò a camminare verso la macchina parcheggiata. Mi aprii la portiera porgendomi una mano come se ne avessi bisogno per salire su una jeep.

Chiuse la portiera mentre andavo in iperventilazione, come una ragazzina alla sua prima cotta, lui salì in macchina esattamente un secondo dopo e accese il motore.

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Capitolo 10
*** Gioco ***


Non lo guardavo.

I miei occhi guardavano perennemente la strada mentre ogni tanto volgeva i suoi su di me. Mi sentivo nervosa, senza un motivo ben preciso. Era il primo luglio. Ad un certo punto lo sentii sbuffare piano. Mi girai e gliene chiesi il motivo e lui con uno dei suoi sorrisi, che mi facevano sciogliere e sorridere a mia volta, mi disse di mettermi la cintura. Per poco non gli risi in faccia scuotendo la testa e avvisandolo che in caso di incidente non mi sarei fatta niente lo stesso. Scosse la testa anche lui leggermente infastidito e per smorzare un po' quella tensione che si era creata nell'auto e dopo aver avuto il suo permesso accesi lo stereo. Non c'era nessuna canzone carina che mi interessasse, così iniziai a guardare fuori dal finestrino riconoscendo un paesaggio che man mano diventava meno cittadino. Quanto tempo passò non lo so, ma proprio appena gli chiesi quanto mancava lui parcheggiò oltre la careggiata sul ciglio della strada e mi aprì la porta. Era un po' arrabbiato e non riuscivo a capacitarmi che fosse semplicemente perchè non volevo mettermi la cintura. Si dirisse subito verso un piccolo sentiero che non poteva essere visto subito ma bisognava infiltrarsi un po' nel verde. Camminava, anche se in confronto alla mia velocità correva. Più che altro volevo evitare di inciampare e fare una figuraccia così guardavo il terreno con molta attenzione su dove poggiavo i piedi, il che secondo me, ci rallentava parecchio. Quando era quasi impossibile camminare perchè le rocce erano troppo scivolose o il terreno continuava a cedere sotto i miei piedi lui mi prendeva per mano e mi aiutava. Ogni volta che mi sfiorava il cuore, a mio scapito, batteva più forte del previsto e non faceva altro che farmi scoprire anche se cercavo di fare l'indifferente. Passarono ore, credo, mentre parlavamo del più e del meno. Arrivammo verso l'alto pomeriggio perchè il sole non era pienamente in alto. Ci sedemmo e lui, cosa che mi stupì, prese dallo zaino, che aveva messo in spalla subito dopo esser sceso dalla jeep, un paio di birre. Lo guardai e notai che non era più arrabbiato. Mi chiese se mi andava di fare un gioco ed io incuriosita annuii. In poche parole dovevi dire una frase, se tu avevi compiuto l'azione bevevi un sorso altrimenti no. Ogni volta ridevo, anche perchè spesso non sapevo che frasi dire e confondendo il gioco lui sbarrava gli occhi come per dire "Ma davvero hai fatto questo?" e allora lo guardavo rossa chiedendomi che diamine aveva capito. Poi chissà come iniziammo a parlare di argomenti che entravano più sullo specifico, gli mancava Nie e non riusciva a non parlarne, era il centro dei suoi pensieri, sempre. Non ricordo come ma ci ritrovammo a parlare di me e io gli ripetei che non gli avrei chiesto di scegliere, che non volevo anzi obbligarlo a fare una scelta, che era giusto che lui pensasse sia alla sua ex moglie che a se stesso ad aspettare il suo ritorno e che a me bastava essere amici, scherzare insieme. Non mi sembrava di chiedere tanto e soprattutto rovinare la nostra amicizia non era il caso, speravo non fraintendesse il mio essere amica per scopi differenti.
Mi rispose dicendomi che non gli sembrava giusto nei miei confronti, anche se era felice che non gli stessi chiedendo di scegliere. Poi triste mi disse che era dispiaciuto  poichè mentre io probabilmente aspettavo il nulla lui pensava ai fatti suoi.

Forse, per ripagarmi di un'attesa invana, in  una frazione di secondo e senza che riuscissi a rendermene completamente conto si avvicinò al mio viso e poggiò le sue dolci labbra sulle mie.

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Capitolo 11
*** False speranze ***


 

Le sue labbra sulle mie.

Dimenticai tutto. Dimenticai il mio nome, il suo, dov'eravamo, perchè eravamo lì, il mio passato e ciò  che mi circondava. Non c'era altro nella mia mente se non il ricordo di quell'attimo, del sapore delle sue labbra. Allo stesso tempo ero paralizzata, sottoshock. Era impossibile capacitarmi che l'avesse fatto. Sapeva che ne sarei potuta morire ma lo fece lo stesso. Ormai il cuore non lo sentivo nemmeno più mentre certamente si potevano vedere le guance rosse e il calore che il mio corpo emanava. Interiormente mi sembrava di aver preso fuoco. Appena lui si scostò incominciai a riprendere lucidità imbarazzata, non sapevo che dire e con quel bacio mi aveva semplicemente dato troppe false speranze. Riprese a parlare guardandomi di sottecchi mentre io sembravo quasi un tutt'uno con il prato. Immobile visto che non c'era nemmeno un filo di vento. Mi disse che meritavo quel bacio. Quella frase mi fece riprendere in parte, e scossi la testa, in mia opinione non meritavo un bel niente e lo contraddissi balbettando un po' dall'emozione. Insistette un altro po' su quel "merito" per poi tornare a scherzare e ridere come al solito fino a quando io non tornai di nuovo del mio colorito e i battiti tornarono normali. Mi disse che se avessi voluto conquistarlo avrei dovuto fare il secondo passo perché lui più di così non avrebbe fatto. Lo odiavo. Non sopportavo che lui continuasse a riempirmi di false speranze era una cosa che mi infastidiva troppo. Io gli risposi che in realtà ero arrivata a farne due di passi, mentre con le dita strappavo qualche filo d'erba e fissavo in poche parole un sasso. Non lo volevo guardare, avrei potuto fare qualcosa di cui mi sarei pentita. Sembrava mi provocasse anche solo sentire la sua voce. Ma era vero, il secondo passo fu dirgli cosa mi piaceva di lui. Mi piaceva il suo carattere, il suo modo di fare e di esporsi agli altri, il suo modo di pensare e le sue parole. Spesso si esprimeva con un linguaggio dell'ottocento o del novecento. Una caratteristica che a parità delle altre mi faceva impazzire, per poi arrivare al suo viso. Scolpito da qualche angelo o divinità, per me non esisteva un essere a cui si poteva paragonare la sua bellezza, le sue labbra, il suo naso, le sue guancee rose e quegli occhi. Non trovavo alcuna imperfezione in lui. 
Tra una risata e l'altra il tempo passò facendosi quasi buio. Sospirai ripensando a tutto il percorso che dovevamo fare. Lui intuii e mi disse che questa volta ci avremmo messo meno del previsto. In un attimo di secondo aprì le ali e mi prese in braccio, poi senza avvisarmi mi prese in braccio fin troppo velocemente, poiché mi sentì il vuoto nella pancia. In pochi minuti arrivammo alla jeep. Il problema erano le veritigini, così appena poggiai piede a terra mi sembrò di essere scampata alla morte. Non avevo avuto il tempo di contestualizzare e mi ero ritrovata sospesa in aria senza preavviso. Gli pregai di avvisarmi nel caso ci fosse stata una prossima volta. Sorrise divertito, riaprii lo sportello della jeep e mi aiutò a risalirci.
Durante il tragitto verso casa ritornammo a ridere anche per le più futili sciocchezze, anche solo dicendo una parola sbagliata. Arrivati a casa scesi dall'auto dandogli la buonanotte. Non mi rigirai, era troppo stile telefilm, avevo lasciato anche la porta aperta. Sentii la macchina ripartire mentre entravo in casa. La prima cosa che di sicuro avrei fatto sarebbe stato dirlo a qualcuno, di cui mi fidavo ciecamente, perché doveva restare segreto. Se si fosse sparsa la voce sarebbero successi troppi casini.

Immediatamente tornai agitata. Ormai le false speranze erano il mio unico pensiero, troppo pieno di "se" e di "ma". Avevo bisogno di qualcosa che mi riportasse con i piedi per terra. Quella notte la passai a rileggermi Cime Tempestose. 

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Capitolo 12
*** Ripresa ***


Quella mattina scesi dal letto soltanto quando ebbi finito di leggere.

Mi sentivo frastornata così decisi di fare una doccia per riprendermi. Perfino io credevo di essere troppo esagerata, ma forse lui davvero non si rendeva conto di avermi scombussolata. Uscii dall'acqua, mi asciugai lasciando i capelli bagnati. Faceva caldo e si sarebbero asciugati in meno di mezz'ora. Presi la macchina ed andai a trovare mia zia Caterina, non gliel'avrei detto, ma era da un po' che non parlavamo e sentivo il bisogno di vederla. Venti minuti dopo ero sull'uscio di casa sua bussando il campanello. Subito mi venne ad aprire, era raggiante. I capelli biondi raccolti in un'acconciatura particolare, come se dovesse uscire per un appuntamento importante. Appena mi vide mi prese e mi abbracciò. Era entusiasta, strano per una sadica come lei. Una delle persone più sadiche e stronze che io avessi mai incontrato, e non esagero. Ma mi aveva accudita lei, al posto di mia madre, fin dall'infanzia. Sempre stata vicina. Era stata lei ad insegnarmi a nuotare o andare in bici. Quella a cui mi rivolgevo nel caso avessi bisogno. Le volevo bene, e sapevo che anche se aveva quel caratteraccio infido lei ne voleva a me. Era strano vederla così. Mi invitò a sedermi e a prendere del thè. Le sorrisi e le dissi che avevo tutto il tempo per stare con lei. Cominciò subito a parlarmi talmente velocemente e presa dai suoi pensieri che si dimenticò perfino che voleva fare merenda all'inglese. Capii poco dopo che si era messa con Flint, mio nipote. L'unico che mi era rimasto vicino da quando me n'ero andata. Ero felice, ma anche poco convinta. In realtà non ce li avrei mai visti insieme, ma nei giorni seguenti vidi che erano felici e che a breve si sarebbero sposati. Contenta per loro la stritolai. Dalla loro unione sarebbe nata la piccola Dafne, bella come la madre e dolce come il padre. Mi sembrava che avessero corso un po' però tutto filava liscio, e io mi divertivo ad aiutare la neomamma.
Nel frattempo invece Jim era andato via, aveva abbandonato sia la casa che la città, scomparso nel nulla. Da mio figlio ebbi solo una lettera. Era andato con lui, diceva che mi avrebbe voluto bene per sempre e che nel caso avessi avuto bisogno lui c'era. Mio figlio. Sangue del mio sangue, cellule delle mie cellule, era andato via con quello che era anche un complimento chiamare uomo. Non ci volle molto in realtà per loro a dimenticarmi, non mi avvisarono quando diventai nonna e perfino bisnonna. Bene, ora il mio passato non esisteva più. Jim e Jake erano solo frutto di un incubo. 

Amber avrebbe ricominciato la sua vita come se quel giorno fosse stato di nuovo il 27 aprile, giorno in cui si era trasferita.

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Capitolo 13
*** Mosca ***


Sette luglio.

Dal primo luglio non sapevo come comportarmi con Alex. Ero assuefatta dalla sua presenza e sentivo il bisogno di parlargli o di sapere almeno come stava. Cercavo di essere il più distaccata possibile mentre invece sembrava che per lui non fosse avvenuto niente. Parlavamo come prima, non ci soffermavamo più su ciò che provavamo. Solo risate su risate. Mi divertivo con lui e il detto "Falla ridere e sarà tua" credo che sia veritiero. Riusciva sempre a mettermi il buonumore. La prima volta che parlammo ci ritrovammo a ballare la danza hawaiana. Da quel giorno lui era Gonny ed io ero Reggy. Amavo passare del tempo con lui, era come stare sedute a guardare una commedia. Anche solo la sua presenza mi faceva stare bene.
Quel pomeriggio del sette luglio ero andata con Melody a fare un po' di shopping. Era divertente passare del tempo con lei, e poi non faceva troppe domande, bastava che si divertisse ed era tutto a posto. Se avesse solo immaginato cosa provavo per suo padre o cosa egli aveva fatto mi avrebbe mangiata viva. Cercai di non riflettere troppo sulle conseguenze delle mie azioni. Forse stavo superando troppo il limite, il confine, probabilmente dovevo fare qualche passo indietro. Comprai un paio di scarpe da ginnastica, quasi sperando che Alexander mi richiedesse di andare in campeggio. Mi chiese cos'avevo fatto nel weekend e io cercando di apparire impassibile le dissi di essere stata a casa tutto il tempo cercando di svuotare gli scatoloni del trasloco dalla vecchia casa ormai disabitata e in vendita. Lei annuì come se avesse fatto la stessa cosa precedentemente.

Il pomeriggio passò in fretta tra un negozio e l'altro, così per non lasciarla sola verso la lunga strada del ritorno la accompagnai in macchina. Dopo essere arrivate lei scese salutandomi e dicendo che quando avrei voluto uscire di nuovo mi bastava farle uno squillo e che si era divertita molto con me. Le sorrisi annuendo, riaccesi il motore e mi diressi verso la strada del ritorno. Ma nemmeno trenta secondi dopo vidi Alexander sul ciglio della strada in direzione opposta alla mia. Mi fermai involontariamente, gli volevo semplicemente dare un passaggio anche se praticamente era arrivato, o almeno cercavo di convincere la mia mente che era solo per quello. Si avvicinò all'auto, l'aveva riconosciuta o forse aveva riconosciuto me la volante, chissà. Senza nemmeno salutarmi mi chiese se mi andava di fare due passi. Ci pensai per un attimo. Ero indecisa, anche se in realtà sapevo cosa volevo fare. Pensai che tanto peggio di così non poteva andarmi, così con un sorriso gli dissi di sì e scesi dalla macchina. Gli chiesi dove saremmo andati ma lui si teneva sul vago. Risi. Superammo silenziosamente casa sua da dove si sentiva Melody canticchiare una canzone. Probabilmente aveva l'ipod nelle orecchie ad alto volume. Camminavo al suo fianco tranquilla fino a quando non ci inoltrammo nel bosco. Come la settimana prima facevo attenzione a dove poggiavo i piedi. Ai piedi avevo le scarpe che avevo comprato quel pomeriggio. In un attimo tornai agitata e come al solito iniziai a mangiarmi le unghie, il mio tic. Me ne lamentai, quasi intristita perché le mie mani non mi piacevano proprio per quello. Sapevo che l'unica soluzione era smettere ma non ci riuscivo. In un secondo si avvicinò e mi prese la mano, poi scherzoso aggiunse che mi avrebbe preso anche l'altra. Questo, solo questo unico gesto, riuscì a farmi arrossire. Ormai avevo perso le speranze, ero incorreggibile, praticamente mi tradivo da sola. Ritornai a parlare delle scarpe come via di fuga che poi diventarono l'argomento da cui partì la nostra conversazione.
Arrivammo fino ad un burrone che sporgeva sopra un lago. Probabilmente ci veniva spesso perché, oltre a non essere lontano, era un posto davvero rilassante. Era buio. Ancora mano nella mano volsi lo sguardo al cielo. Le stelle brillavano luminose mentre lui continuava a tenermi per mano. Non sapevo se stringerla o no, ma pensai che era meglio evitare di peggiorare la situazione, così mollai la presa e mi sedetti sull'erba umida. Mise le mani in tasca mentre io scrutavo il cielo per poi rimanere sorpresa ed incantata allo stesso tempo. Apparve una scritta formata dalle stelle "Amberì, la mia reggicocco". Incominciai a ridere.Io ero Reggy. La sua reggicocco. Mi spiegò come aveva fatto, era grazie ai suoi poteri. Ero completamente colpita. Il suo intento era stupirmi e ci era riuscito, ma io mi soffermavo sulla parola "mia". Forse aveva sbagliato, anzi sicuramente era così. Gli chiesi perché l'aveva fatto e mi rispose che mi aveva vista triste e allora aveva cercato un modo per risollevarmi il morale. Sorrisi ringraziandolo. Non sapevo che dire, anzi non volevo dire ciò che desideravo tanto. Ma lui smorzò il silenzio dicendomi che mi voleva portare da un'altra parte. Senza aspettare una mia risposta mi prese in braccio e il tempo di rendermi conto di essere tra le sue braccia mi ritrovai sospesa in aria. Chiusi gli occhi a causa delle vertigini cercando di non tenermi stretta a lui. Incredibile come io in ogni situazione cercavo di mantenere un po' di distacco, pensavo che per lui sarebbe stato più semplice così. Volava a velocità della luce. Arrivammo in poco tempo in un posto a me sconosciuto. Con delicatezza mi poggiò a terra mentre io riaprii gli occhi. Gli chiesi subito dov'eravamo e lui con non  chalance mi disse "A Mosca". Sbarrai gli occhi incredula. Attorno c'erano delle piscine. Lo presi per mano e lo trascinai in piscina con me. Mi tuffai nella più vicina, lo abbracciai sperando che bastasse a fargli capire che mi aveva resa felice con così poco, poi mi immersi sott'acqua e giocammo per un po'. 
Dopo un po' mi mimò di tornare a galla così lo ripresi per mano e risalii. Scherzosa gli dissi che riusciva a trattenere il fiato davvero per poco tempo, ma lui ridendo mi rispose che voleva farmi vedere un'altra piscina, così uscì dall'acqua e mi prese per mano. Ero terrorizzata al pensiero che potessi cadere e me ne lamentai sempre scherzosa, ma nemmeno il tempo di finire la frase che lui mi riprese in braccio. Arrivammo ad una piscina meravigliosa e molto più grande della precedente. Mi fece scendere dalle sue braccia, mi disse che era una tra le sue preferite e si tuffò in acqua. Divertita mi tuffai anche io tornando a giocare con lui, poi quando finii tutto l'aria a disposizione risalii e mi sedetti sul bordo della piscina. Poco dopo mi raggiunse e si sedette vicino a me. Non facevo altro che ridere come un'ebete.

Lui invece, con mio stupore, come la settimana prima si avvicinò a me. I nostri visi erano a un paio di centimetri di distanza. Chiusi gli occhi sapendo già che entro qualche secondo avrei preso fuoco. Intimidita aspettai che le sue labbra tornassero a sfiorare le mie.

 

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Capitolo 14
*** Budapest ***


Una voce.

Riaprii gli occhi e vidi che si scostava leggermente guardando oltre le mie spalle. Il tempo necessario per riprendermi e mi resi conto che c'era un signore che quasi ci urlava contro. Non capivo ciò che diceva, il russo non lo conoscevo ma Alex mi prese per mano e con un tono più o meno sottomesso gli rispose, poi mi rispose. Era il guardiano che avvisava di andare via poiché a minuti avrebbero chiuso, così mi riprese in braccio di nuovo, non aveva quella dannata abitudine di avvisare e il vuoto tornò nel mio addome. Gli chiesi se saremmo tornati a casa, ma come al solito mi rispose "Sorpresa". Odiavo non sapere dove andavo, e lui ne era cosciente e per quante volte lo avessi pregato di dirmelo lui non mi rispondeva se non al massimo con un sorriso. Forse era il tenere gli occhi chiusi che mi faceva un po' paura, non so, ma ogni volta mi stringeva forte a sè come a farmi capire che non mi avrebbe fatta cadere. Di questo ne ero certa, ma era la parte ancora un po' umana di me che mi faceva quest'effetto. In realtà quelle dannate vertigini io non le dovrei avere. Quando capii che si era fermato aprii gli occhi e ci ritrovammo in mezzo ad una strada abbastanza trafficata. Non sapevo ancora questa volta dov'eravamo e lui mi disse "Budapest". In realtà anche se non ne avevo la conferma certa prima di allora, ero sicura che avesse viaggiato un po' qua e là, ma non che avesse visto quasi tutto il mondo, più o meno. Forse era una cosa in comune, anche a me piaceva viaggiare, uno dei miei desideri che avevo fin da bambina ancora irrealizzati. Mi sentivo spaesata, era un posto un po' differente dal nostro, ma lui mi riprese per mano e mi portò per vicoli e stradette poco affollati, forse per evitare di perdermi in mezzo a quel baccano. Come al solito mi immergevo nei miei pensieri impossibili sprecando quegli attimi in cui potevo invece parlargli e guardarlo. Più probabilmente erano solo stradine che ci avrebbero fatto arrivare più velocemente a destinazione. Non ebbi il tempo di guardarmi attorno che appena si fermò davanti a una porticina e la aprì trascinandomi dentro. Buio totale, o quasi, ma senza smettere di tenermi la mano mi portò con sè davanti a una tenda da cui si intravedeva una luce dall'altra parte. Appena la scostò riconobbi il palco di un teatro. Al centro era posizionato un grande pianoforte a coda e come se niente fosse si sedette cominciando a pigiare i tasti. Per tutta la sala cominciò a riecheggiare la dolce melodia della canzone. Colto e pianista, sembrava che ogni scoperta facessi su di lui oltre a stupirmi mi facesse piacere sempre di più quell'uomo. Erano caratteristiche che avevo sempre desiderato, come imparare a suonare. Mentre ascoltavo incantata mi fece cenno di sedermi vicino a lui e senza disturbare il ritmo della canzone mi misi al suo fianco. Finita la canzone mi chiese se volevo suonare con lui ma gli risposi che non ero capace, così mi chiese di provarci  e per farlo contento misi le mani sui tasti. Ricominciò la stessa melodia ed ogni volta che sbagliavo, lui con una mano mi correggeva subito per poi ritornare senza perdere il ritmo. Mi piaceva, era una canzone da note complicate e veloci, ma l'accompagnamento era esattamente il contrario. Eppure riuscivano a non andare in contrasto, anzi. Finì di nuovo. Guardavo le mie mani con stupore, era da tanto che non vedevo nemmeno un pianoforte.

Lui era girato verso di me, pensavo di avere qualcosa perchè non smetteva e prima che potessi domandargli qualcosa si riavvicinò a me. Ferma e immobile come la prima volta aspettai in ansia, ma nelle mie orecchie risuonò una voce sconosciuta. Risi.

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Capitolo 15
*** Barcellona ***


Di nuovo.

La mia risata riecheggiò, come poco prima per la canzone, per tutta la platea. Mi girai guardando il signore che parlava di nuovo in una lingua che non comprendevo. Mi alzai mentre Alexander gli rispondeva. Probabilmente non potevamo restare nemmeno lì. Si alzò poco dopo e mi riportò all'entrata di servizio. La sua mano calda che stringeva la mia. Le emozioni che provai ogni volta che anche solo mi sfiorava non le riesco a descrivere. L'avevo sempre visto come un punto troppo lontano, difficile da raggiungere. Camminando gli dissi che un giorno avrei voluto visitare Barcellona. Strano a dirsi visto che non lo dicevo quasi mai. Questa volta non mi avrebbe colta alla sprovvista e mi preparai al vuoto e a chiudere gli occhi. Mi parlava ogni tanto dicendo qualcosa che non capivo, pensavo solo a non cadere nel vuoto. Stavo progettando un modo per farmi passare la paura, ma solo dopo pensai che sarebbe stato inutile. Presto avrebbe smesso di tenermi compagnia quando le altre non c'erano. Tornato alla solita vita quotidiana con sua moglie e le sue figlie sarei stata solo un ricordo. 
Quando aprii gli occhi eravamo sul tetto di una cattedrale. Mi guardavo attorno non riconoscendo il posto. Stranamente non era mai venuto qui, il che mi stupì. Insomma la consideravo una delle tappe ovvie, e invece mi sbagliavo. Saltammo giù per non destare sospetti per chi ci avrebbe visto in alto, troppo velocemente per far capire ai pochi che camminavano per la piccola stradina  di essere scesi dal tetto. Faceva caldissimo, mi sentivo disidratata. Gli chiesi se gli andava un gelato e lui annuii. Mi portò fino ad una gelateria ed ordinò due gelati, uno al cocco e uno con gli smarties. Uscimmo e passeggiammo in direzione del mare, o almeno così diceva lui visto che io non vedevo niente; forse mentre volava aveva visto le spiagge. Ad un certo punto guardandomi attorno notai un gruppo di ragazze che parlavano tra loro animatamente. Incuriosità riuscii a sentire parte della conversazione. Discutevano su come fosse carino quel ragazzo riferendosi ovviamente ad Alex. Mi scappo' una specie di grugnito. Odiavo quelle bambinette. Si girò verso di me ridendo poi cercando di tornare serio mi chiese se ero gelosa. Riuscii a sviare la risposta grazie a ciò che amavo quasi più di tutto: il mare. Era stupendo e cristallino, con una spiaggia stupenda. Mi sembrava strano che non ci fosse nessuno. Finii il gelato, mi tolsi le scarpe e respirai profondamente. Mi mancava, era da tanto che non ci andavo. Mi stavo abituando troppo alle discoteche e ai pub.  Infondo però uscire con Olivia era uno spasso, non avrei rinunciato alle nostre sclerate solo per un po' d'acqua. Lui si sedette sulla sabbia e con un braccio mi tirò e mi fece sedere sulle sue gambe. I nostri corpi erano fin troppo vicini. Facevo di tutto per distrarmi e non sentirmi a disagio, ma non c'era niente da fare. Lo guardai per qualche attimo scostante. Dovevo prendere quel distacco che ultimamente non riuscivo più a controllare. Gli chiesi di riaccompagnarmi a casa, lui annuii e mi riportò di fronte a casa mia. Mi salutò ed andò via.

Andai a letto depressa. I pensieri mi tormentavano. Non avevo una valvola di sfogo, e anche se l'avessi avuta non potevo rivelare niente. Niente se non ciò che interessava me senza che ci rimettesse qualcuno.  L'indomani la mia valvola di sfogo sarebbe stata più grande del previsto.

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Capitolo 16
*** Zia Caterina ***


Dovevo parlarne.

Mi sembrava di essere una di quelle vecchie pettegole che non sanno tenersi un segreto per sè, però ogni giorno non sapere con chi scambiare pensieri e confidarmi era più estenuante del previsto. Non avrei certo rivelato a nessuno niente di niente, ma forse lamentarmi sul mio amore non contrapposto mi avrebbe fatta stare meglio. Olivia stranamente in quel paio di giorni non era presente mentre Claire era impegnata con il trasloco. Si stava trasferendo in un'altra città senza dire niente a nessuno,cosa che avrei saputo solo successivamente e di certo con Melody e Cecilia non potevo parlarne, così mi affidai a colei che mi avrebbe fatto perdere autostima sicuramente. Zia Caterina. Non avevo voglia di prendere la macchina, ci avrei messo il doppio del tempo che andando a piedi. In realtà volevo fare semplicemente una passeggiata. Sclerare con lei era divertente, la sua sadicità o la sua cattiveria comportava sempre a portarci in discussioni futili, finite poi con litigi. Smettavamo di parlarci anche per giorni eppure alla fine chissà come, forse per volontà di Shanni tornavamo di nuovo nipote e zia preferite. Si lei è sempre stata la mia zia preferita, anzi in poche parole l'ho sempre considerata l'unica. Le altre le consideravo quasi più conoscenti, o nel caso amiche. E' l'unica che ho sempre chiamato così. Spesso faceva la gelosa insieme con Olivia. Litigavano per competere su chi mi conoscesse meglio. Lei aveva quasi sempre la meglio perchè in poche parole mi aveva vista nascere e crescere. Fin dall'inizio della relazione con Jim mi era stata contro. Qualunque cosa egli facesse non andava bene e più volte ha cercato di ucciderlo. La cosa mi faceva infuriare, non riusciva ad accettare le mie scelte, motivo in più per cui le andavo sempre contro. La adoravo, non aveva peli sulla lingua, la prima cosa che le veniva in mente cattiva o non, la diceva. E poi un umorismo sadico ma divertente, santo cielo al ricordo di tutte quelle risate era il finimondo. Mi venivano i crampi alla pancia solo al pensiero di ciò che abbiamo fatto insieme. Non voleva nemmeno venire al mio matrimonio eppure chissà come, forse intenerita da me, ci venì lo stesso. Ero l'unica che riusciva ad aprire un varco nel suo cuore. Ne ero sicura che in fondo, anzi infinitamente in fondo, in realtà un po' di umanità la possedeva anche lei, e il fatto che fossi io a farne uscire quel poco di bontà mi faceva sentire sempre speciale. Sapeva ascoltare, certo non senza dire i suoi commenti perfidi o pungenti, e dare consigli. Se le chiedevi aiuto e ci teneva a te si sarebbe perfino sacrificata. 
Ma forse ciò che mi ha sempre colpito di lei era la sua mente, malata al punto giusto per una strana come me. Insieme ad Olivia facevamo un trio perfetto. Non veniva sempre con noi in discoteca, ma quelle rare volte che vi veniva, oppure eravamo ad una festa, mostrava il peggio di sè. Nessuno riusciva a sapere come sarebbe finita la serata. E poi era permissiva, con sui marito invece era dolce. Cambiava con lui. Flint. Il cucciolo adorato di zia. Sembravano davvero felici. E quando purtroppo successivamente si lasciarono ci restai male, un po' me l'aspettavo ma dall'altra desideravo che nessuno dei due soffrisse. Una cosa che mi colpì della loro separazione fu quando zia Caterina decise di parlarne prima con me e poi con Shanni. Prima di allora forse non avevo ben capito quanto mi ritenesse importante per sè. Strano eh? Voleva sapere cosa fare, chiedeva aiuto a me. L'unica di cui si fidava. Il mio bene per lei aumentava quasi ogni giorno, senza limiti. Certo quando litigavamo era davvero dura da sopportare, soprattutto quando si ostinava ad avere ragione, ma sì non avrei mai smesso di volergliene, qualsiasi cosa sarebbe successa.
Tornando a noi, andai a casa sua per parlarle. Volevo che lei in qualche modo mi dicesse qualcosa che mi facesse tornare con i piedi per terra come "Alexander non si metterà con te" "Non ti ama" "Sai che non potrebbe mai" "Le sue figlie ti ammazzerebbero" e invece no. Mi disse che volendo potevo farcela, l'importante era non abbattermi ed essere fiduciosa in me, che se volevo qualcosa dovevo semplicemente allungare la mano cercando di afferrarla. Infondo tutti vedevano l'empatia che avevamo ed era sicura che non era l'unica a pensarla così.
Fu una delle poche volte che lei parlò in tal modo, di solito queste carinerie e apprezzamenti non le uscivano nemmeno per oro dalla sua bocca. Mi fece sentire meglio, anche se non credevo andasse a finire così.

Salutai la sua piccola Dafne appena nata e dopo una bella tazza di thè freddo mi congedai, ovviamente non prima di averla pregata e scongiurata di non dire ciò che provavo a nessuno per poi augurarle una buona vacanza che avrebbe trascorso in campeggio insieme alla sua dolce famiglia.

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Capitolo 17
*** 11 luglio ***


Nie prima o poi sarebbe tornata.

Era ovvio, com'era possibile che lasciasse un uomo come Alexander? Lo sapevo. Ogni volta che lui me ne parlava e si intristiva era la mia unica certezza. Sarebbe tornata non solo per le ragazze, ma anche per lui. Era l'11 luglio. Cominciavo a pensare alle parole di Caterina. Dovevo dirgli apertamente cosa provavo, certamente lui non contraccambiava,ma che male c'era? Al massimo, anche se era ciò che avrei voluto non accadesse mai, poteva smettermi di parlare per sempre e prendere definitivamente le distanze. Ormai però mi ero decisa. La sera prima litigammo. Non ne ricordo nemmeno il motivo, probabilmente era per una sciocchezza, e di solito eventi negativi o che non mi sono piaciuti li riesco a rimuovere abbastanza facilmente dalla mia testa. Volevo farmi perdonare, anzi no, volevo semplicemente parlargli. Era passato da poco il mezzodì e andai a casa sua nervosa per tutto il tempo. La casa sembrava vuota, non sentivo alcun rumore provenire dall'interno ed ero sicura che quel giorno nè Melody nè Kristal, un'altra figlia di Alex, fossero uscite insieme. Bussai alla porta senza convinzione e appena fui certa che non c'era nessuno e mi girai per andarmene lui aprì la porta. Tutta la fiducia che avevo acquisito andò via appena lo vidi. Nella mente mi frullavano le sue parole "Se vuoi conquistarmi sappi che io non farò niente, sta a te fare il secondo passo". Gli sorrisi sperando che mi avesse già perdonato per la sera prima. Ora ricordo, volevo suicidarmi, per l'ennesima volta e lui era ritornato a salvarmi, e innervosita mi sfuriai. 
Lui si spostò verso l'interno facendomi spazio e con un cenno mi invitò ad entrare. Sudavo freddo dall'agitazione, tutto il discorso che mi ero preparata a fare nei giorni prima non voleva uscire dalle mie labbra, anzi si era completamente rimosso dalla mia testa. Lui era seduto in un angolo della stanza depresso. Gli dissi che volevo dirgli una cosa, ma niente le parole non volevano uscire. Lui si voltò verso di me con il viso nascosto e, sinceramente ancora adesso non so da dove ne presi il coraggio ma,  mi avvicinai a lui, chiusi gli occhi e sfiorai le sue labbra con le mie. Un dolce bacio.
Solo dopo che mi resi davvero conto di ciò che avevo fatto pensai che mi avrebbe respinto, come aveva fatto poi con altre sue corteggiatrici addietro. Invece con mia grande sorpresa mi strinse a sé prolungando quel bacio che speravo tanto non finisse mai, anzi desideravo che il tempo si fermasse in quell'attimo che per me equivaleva quasi al paradiso, anche se sapevo che per esseri come me non esisteva. Si scostò poco dopo mentre io cercavo di prendere lucidità, anche se il suo respiro non faceva altro che confondermi le idee. Avevo preso fuoco come la prima volta e non riuscivo a guardarlo negli occhi, mi sentivo terribilmente in colpa. Il cuore continuava a battere velocissimo mentre cercavo di far tornare il respiro regolare. Mi sentivo tormentata. Gli dissi che ciò che avevo fatto era un'azione puramente egoistica, ma in qualche modo avrei voluto avere un ricordo felice di "noi". Un noi che non poteva esistere. Mi rispose che non era un gesto egoistico mentre mi cingeva per i fianchi. L'avevo baciato pur sapendo che lui non provava ciò che provavo io, non sapevo in che altro modo poter definire ciò. Rosso in viso mi disse che invece non gli era dispiaciuto. False speranze di nuovo, il cuore iniziava a cedere come il resto del corpo. Dovevo trovare un modo per fargli smettere di dire frasi che compromettevano la mia salute fisica e mentale. I miei occhi guardavano il pavimento, non riuscivo per niente a capire come avessi potuto fare una cosa simile. 
Era tormentato. Glielo si leggeva in volto, che scrutavo quando ero sicura che non mi stesse guardando. Aveva i capelli arruffati, e non potei fare a meno di pensare come fosse adorabile. 
In quei giorni era infelice, stava prendendo la decisione di andarsene via, chissà dove e per quanto. Voleva dimostrare qualcosa ad un paio di persone, ma insomma io non avrei fatto niente di niente e infatti gli risposi che doveva prendere le sue scelte senza dimostrare niente a nessuno. Aggiunsi che nel caso avesse avuto bisogno ci sarei sempre stata. Mi strinse di nuovo a sè mormorando un semplice "Io ti.." concluso poi con un "ti voglio bene" ma ormai il dado era tratto e gli dissi che io invece l'amavo. Quelle due parole le dissi fievolmente, quasi senza voce per non farmi sentire. Avevo superato nettamente il limite, lui in risposta invece mi baciò. Ci mancò poco dal sentirmi mancare. Mi aveva disorientata di nuovo. La mia mente aveva solo pochi dettagli in mente, probabilmente solo due, il suo profumo e le sue labbra.
Per tutto il pomeriggio mi tenne stretta a sè e quando mi disse di essere geloso perfino dell'aria che respiravo sorrisi rispondendo a mia volta che ero gelosa di tutte le ragazze che avevano anche solo provato a guardarlo, poi mi intristii, lui non era mio. Per lui probabilmente era solo un attimo di confusione, forse sentiva il bisogno di sentirsi amato ma non per questo significava che mi stesse usando, semplicemente era debole e stanco di lottare. Mi fece ricredere quando mi sussurrò che d'ora in poi sarebbe stato solo per me. Non poteva nemmeno immaginare da quanto tempo desideravo quel momento, mi sembrava tutto così surreale..per non parlare del mio cuore che ormai stava per esplodere. Entrambi sapevamo che quello che stava succedendo era sbagliato, che si sarebbero creati problemi non risolvibili facilmente, eppure eravamo felici. 
Verso sera ricominciarono le mie paure, certo sapeva che ero sua e che non avrei amato nessun'altro, ma adesso l'avevo obbligato a prendere una scelta. Io non volevo perderlo, non dopo tutto quello che avevo fatto per conquistare la sua fiducia e il suo amore. In caso però la sua scelta la conoscevo già quale sarebbe stata, il problema era che se almeno ci fossi riuscita avrei cercato di stargli lontana ed evitare di provocarmi altra sofferenza. Ma la parte avida della mia coscienza decise di passare con lui tutto il tempo disponibile, fino a quando fosse arrivato il momento di prendere quella decisione. Io ovviamente mi sarei fatta da parte e per facilitare le cose me ne sarei andata, ma fino a quel momento lo volevo solo per me. Comportamento da semplice egoista. Al pensiero che l'avrei dovuto lasciare già stavo di nuovo male, mi sembrava di passare le pene dell'inferno a causa della mia tendenza al melodramma. Ma lui dopo varie dichiarazioni d'amore mi disse di amarmi, mentre io non facevo altro che sciogliermi mentre ascoltavo la sua voce o mentre approfittava di un attimo di intervallo per baciarmi. Più volte pensai che gli sarei morta tra le braccia. Vivevamo nel nostro piccolo mondo dove i problemi e gli altri non esistevano, solo noi due. Quel noi che io credevo non sarebbe mai esistito. Ad un certo punto dopo che gli dissi cosa provocava in me anche solo un suo semplice sguardo cominciò a baciarmi meno delicatamente spingendomi piano contro il tappeto. Sentivo il sangue ribollire dove lui mi sfiorava anche solo minimamente. Iniziai a sbottonargli la camicia mentre sentivo il suo peso e il suo respiro su di me che mi inebriavano. Gli baciai e mordicchiai ogni lembo di pelle possibile sussurrando un "Ti amo" tra un bacio e l'altro mentre lui faceva lo stesso. 

Ne avevo la certezza, mi amava, in un modo o nell'altro ero riuscita a conquistare la sua fiducia. Quella fu la prima notte in cui lo sentii completamente mio e di nessun'altra.

 

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Capitolo 18
*** Olivia ***


 

Mi risvegliai tra le sue braccia.

Era già sveglio e giocherellava con le mie mani,sembrava tranquillo, consapevole. Io, invece, ero ancora incredula, non riuscivo a capacitarmi, anche se ero stretta a lui e poggiavo la testa sul suo caldo petto.  Ogni volta che diceva ti amo o una carineria mi scioglievo. La cosa mi faceva sentire stupida e sciocca mentre alzavo il viso per baciarlo. Era tutto fuori il mio controllo, stavamo andando contro le regole. Se ci scoprivano era la fine, o almeno per me. Eppure continuava a non importarmene, stavo con lui, nel suo letto ed era mio, o almeno lo era in un modo o nell'altro anche se in cuor mio sapevo che apparteneva ancora a Nie. Allora era mio o suo? Beh è ovvio che fosse suo, forse aveva solo ceduto, eppure continuava a non importarmene. Ero felice, ebetosamente felice, qualunque cosa mi si potesse dire io sorridevo lo stesso a trentadue denti. Ebete e assuefatta. Non riuscivo a fare a meno della sua presenza, e dire che era come una droga è fin troppo scontato. Mi alzai dal letto controvoglia e mi rivestii, non potevano vederci insieme, scambiarci un bacio o una carezza. Niente. 
Avrei voluto passare tutta la giornata, e non solo quella insieme a lui, anche tutte le altre, per sempre ma dire che ne andava della mia, o forse dovrei cominciare a dire nostra, è dir poco.
Mi sentivo euforica, sprizzavo gioia da ogni poro. Caterina era in vacanza e Olivia continuava a non esserci. Mi chiedevo che fine avesse fatto, visto che era da giorni che non parlavamo tanto. Poi la vidi che parlava con il mio fratellastro, Nate. Con lui ho sempre avuto un buon rapporto e l'ho sempre considerato il mio fratellone, anche se era nato dopo di me e avevo aiutato mamma a crescerlo mentre papà non c'era. Era assolutamente divertente vederli insieme, certo, chissà perchè all'inizio facevo di tutto per non farli mettere insieme, ma nemmeno due ore dopo cambiai idea. Erano una coppia assolutamente carina, da cui nacque, ovviamente, Niveah. La mia dolce nipotozza che stranamente aveva una certa vena pungente come mia zia,non riuscivo quasi a capacitarmene. Era felice, sembra che per lei la vita non fosse mai andata meglio e stranamente quella piccola rivalità con Caterina iniziava a scomparire, forse avevano capito che volevo bene ad entrambe, in egual modo, anche se lei era la mia migliore amica. E' stato con lei il mio primo sfogo, la prima volta che mi sono ubriacata. Una volta era astemia ma ora grazie a me ha capito che bere ogni tanto non fa male. Con lei andai la prima volta in discoteca e facemmo prendere fuoco a dei cassonetti incendiando l'uomo vesito da hamburger. Eravamo libere e agivamo d'istinto, senza pensare troppo alle conseguenze. Una delle persone che mi sono sempre state vicine, che piano piano in qualche modo, senza che me ne rendessi conto, si stava allontanando da me.

Avrei voluto dirle tutto e parlare, chiederle consiglio, come avrei voluto fare con il resto delle persone di cui mi fidavo. Il problema era che non potevo rischiare.

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Capitolo 19
*** 25 luglio ***


Ero sua.

Glielo ripetevo ogni giorno, gli dicevo sempre che la mia vita senza di lui non avrebbe avuto senso, non sarei riuscita a continuare. Chissà, forse ci credeva o forse no, ma sapeva che non gli avrei mai mentito, almeno su questo. Mento raramente per non ferire gli altri, e soprattutto perchè non ne ho motivo. Spesso quando mi guardava o mi abbracciava sembrava che avesse quasi paura di perdermi, come se io fossi potuta andare via da lui, cosa impossibile. Le nostre giornate passavano tranquillamente, certo c'era il rischio che ci scoprissero, ma appena riuscivamo ci appartavamo anche solo per baciarci un attimo e poi tornavamo nella mischia. Non avevamo problemi per la testa se non qualche mostro spellato o qualche angelo bianco che cercava di ucciderlo ogni tanto, oppure i litigi che faceva con il gatto che non altro che coccole. Era stato mentre litigava con il gatto, in cui io non facevo altro che ridere, che gli disse che ero la sua fidanzata. Mi mancò quasi il respiro, fino a quel giorno non ero sicura di cosa ci fosse tra noi, ma mi sentì al settimo cielo e non badai al resto. Mi fiondai tra le sue braccia euforica. Eravamo felici, sembrava che la nostra vita non potesse andare meglio, anche se un pensiero in un angolo della mia mente non faceva altro che torturarmi. Il ritorno di Nie. Era quasi soffocante sapere che a breve l'avrei perso, sentivo il cuore che batteva forte fino a far male, come se ci fosse qualcosa che mi impedisse di respirare e esso con tutta la forza cercava di continuare a battere. Ogni volta che però questo pensiero tornava sentivo Alexander al mio fianco che anche solo con la sua presenza riusciva a farmi stare meglio e distrarmi.
Un giorno avvenne ciò che temevo. Era pomeriggio. Nie si era rifatta viva. Tutta la sua famiglia era entusiasta, finalmente la madre delle sue figlie e sua moglie sarebbe tornata. Mi rannicchiai in un angolo della stanza disperata. Gli parlai con la voce perennemente strozzata dicendogli che non volevo continuare a stare con lui se poi alla fine si sarebbe rimesso con la sua coniuge. Non riuscivo a convivere sapendo che non era del tutto mio in fin dei conti, che la sua scelta sarebbe stata lei e non me. E io non volevo obbligarlo, non mi sarei messa a piangere in ginocchio implorandolo di non lasciarmi. Era il 25 luglio. Era impassibile, aveva fatto un paio di tentativi per dissuadermi, però essendo testarda e anche a malincuore prevalsi io. Con un sospiro mi disse che tutto doveva finire com'era cominciato. Mi chiese se volevo cancellare la memoria, una cosa che spesso facevano persone che erano state scaricate e stavano male. Ma io non volevo, sapere nella mia mente che lui in fondo mi aveva amato era una consolazione e poterlo rivivere nei ricordi, i miei momenti di felicità paradisiaca con l'unico uomo della mia vita, beh non potevo rinunciarci. Mi riportò in cima al burrone di quel 7 luglio. Nemmeno un ultimo bacio. Quando ormai non riuscii più a sopportare la tensione e le lacrime stavano per rigarmi il volto me ne andaii a testa bassa senza voltarmi indietro. 

Il cuore per un secondo cessò di battere mentre Amber iniziava a non avere più un'esistenza. Un corpo vuoto, sopraffatto dal dolore e dal risentimento. Amber non riusciva a respirare. Amber era morta.

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Capitolo 20
*** Breve rinascita ***


Vagavo per il bosco senza una meta.

Lo sguardo vitreo. Uno zombie. Si ero uno zombie. Ovunque andassi sapevo che prima o poi avrei dovuto imboccare la stradina passando davanti casa sua. Una volta avrei avuto il coraggio di definirla nostra,la casa sull'albero che in realtà non era mai stata mia. Gli alberi frondosi formavano ombre ambigue. Ogni essere vivente che mi si parava davanti e non si spostava veniva smacellato dalla mia furia assassina. Ero distrutta, il cuore nemmeno lo sentivo più. Pensavo che sarei dovuta morire, niente aveva senso. Il cinguettio degli uccelli o il ronzio delle api. Lanciavo sassi contro le radici di una montagna disintegrandoli, divenendo polvere o sabbia se erano fortunati. Non riuscivo a non pensare al nostro addio, non riuscivo nemmeno a ricordare il nostro ultimo bacio. Ne avrei voluto uno solo, che confermasse il mio timore. La paura che mi potesse dimenticare. Sentivo gli scoiattoli che saltellavano qua e là tra i rami mentre le formiche prendevano le provviste per l'inverno. Consideravo tutto inutile, pensavo solo a un modo per morire, avrei fatto di tutto. Non volevo tornare a casa, continuavo a camminare sperando di non incrociare la stradina per poi constringermi ad imboccarla. Non so quanto tempo passò, forse minuti od ore, mi muovevo così lentamente che il tempo sembrava non scorrere mai. Girando e rigirando senza più guardare dove mi dirigevo mi ritrovai al punto di partenza. Sentii un dolore al petto indescrivibile, partiva dal cuore e si distribuiva piano piano ovunque, dalla testa ai piedi. Con tutte le forze cercai di tenermi in piedi mentre scostai lo sguardo verso un sasso. Attirò la mia attenzione poichè era completamente insanguinato e con delle strane forme familiari sopra. Strano. Prima di andarmene era ancora integro e pulito. Il sangue era fresco e continuava a colare come se la fonte si fosse allontanata da poco meno di qualche secondo. Mi girai e vidi Alexander che sbatteva la testa contro un masso. 
Sapevo che non sarei dovuta avvicinarmi, che ritornare da lui avrebbe solo peggiorato il momento del mio nuovo allontanamento. Lo guardavo con una fitta allo stomaco che sembrava non volesse andare via. Mi avvicinai cercando di trattenere quelle dannate lacrime che non avevano fatto cenno a sgorgare nemmeno una volta mentre avevo vagato. Maledicevo ogni singola parte di me che mi spinse ad avvicinarmi. Lo chiamai ma lui trattenne un gemito. Non riuscii a capire perchè non mi guardava. Mi ritenni offesa, nemmeno il coraggio di girarsi per vedermi. Ma appena lo richiamai si disperò mormorando a sè che immaginava perfino la mia voce adesso che non ero con lui e riprendendo a sbattere la testa contro il sasso. Dalla sua fronta usciva il sangue a fontanella. Il mio cuore sembrò per un attimo riprendere a battere mezzo preoccupato e mezzo felice. Gli presi il viso mormorando che ero lì con lui, che non ero una sua illusione. Disse che senza di me era vuoto stringendomi a sè. Risentire il suo dolce profumo mi sembrò quasi il paradiso, temevo che avrei dimenticato anche il più suo piccolo particolare, le lacrime ormai scorrevano come cascate sul viso. Amber stava riprendendo coscienza e vita, non era più solo un corpo gelido che si muoveva e reagiva come un'automa. Non volevo riviverlo solo nei ricordi, mi mancava, non riuscivo a stargli lontano. Con lui la mia metà si completava, ero felice e spensierata. Qualunque problema sapendolo al mio fianco sembrava una bazzecola. Mi baciò, e in quel preciso istante in cui le nostre labbra si sfiorarono smisi di piangere, non aveva più senso, era mio di nuovo. Non l'avrei lasciato mai più, mai e poi mai. Me lo ripetevo nella mente come per autoconvincermi anche se ne ero certa. Il suo sangue continuava a colare dalla fronte, lo volevo medicare però al posto di cominciare ad andare verso casa si sdraiò sul prato senza smettermi di baciarmi. Sentivo le gocce di pioggia bagnarci. Continuava a non muoversi se non per sfiorarmi, non riuscivo a convincerlo mentre la ferita non coagulava, avevo il timore che potesse morire dissanguato da un momento all'altro così gli dissi che avremmo avuto tutto il tempo per stare insieme. Con un sospiro si alzò e lo trascinai a casa, dove una volta giunti lo medicai. Quella notte non mi scollai da lui nemmeno un momento, o forse fu così per giorni interi. Ogni volta sorridevo alla vericità della frase che gli dissi quella sera. Sarei rimasta per tutto il tempo che lui voleva. Non mi sarei più allontanata, ormai ne avevo la piena conferma anche se ovviamente già la sapevo. 

Preoccuparsi di problemi ancora troppo lontani era inutile, dovevo godermi il presente, la mia vita con lui. Solo questo contava, il resto erano solo controversie facilmente superabili.

 

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Capitolo 21
*** Fine luglio ***


 

Erano passati solo due giorni da quando il mio cuore aveva creduto di averlo perso per sempre.

Ma quella mattina mi svegliai al suo fianco, e quando stavo con lui non desideravo altro ero completa, non c'era nessun vuoto e anche ripensando a quel lunedì non mi sfiorava la tristezza o la malinconia. Mi strinse forte a sè come aveva preso abitudine fare di recente, come per paura che qualcosa mi potesse aggredire da un momento all'altro. Sorrisi al pensiero. Come consuetudine ci alzammo ed andammo a trovare gli altri per non destare sospetti. Quel giorno Adrienne, figlia di Melody,  continuava a saltellare in giro euforica, ci mancava poco che non mi saltasse addosso facendomi cadere. Aveva proposto di andare tutti insieme al lago, in una villa di sua proprietà, per una settimana. Stranamente erano tutti così perdutamente ricchi abbastanza da avere una casa propria ciasciuno eppure tutti vivevano insieme.  I soldi non avevano valore per noi, non per chi può vivere per sempre. Con Adrienne avevo un rapporto diverso dalle altre. Era tornata recentemente, dopo aver preso un periodo di pausa, una specie di vacanza dove si è rilassata con altre amiche per poi tornare. Il problema era che aveva perso il suo amore, l'unica persona che sembrava la capisse in pieno, quasi più di sua madre. Quando mi disse tutta eccitata la sua idea le sorrisi, come per rispondere affermativamente. Le volevo un mondo di bene, era una delle persone con cui piano piano ero riuscita a socializzare subito, era una pazza sclerata come me e io amavo profondamente mangiare funghetti allucinogeni per dare di matto. Era il nostro hobby, quando avevamo del tempo libero insieme eravamo una specie di trio in cui era inclusa sua madre. Adrienne non ha mai conosciuto suo padre, e probabilmente mai lo conoscerà, anzi può darsi che sia anche morto ormai ma è sempre stata amata da tutti che non ne ha mai sentito la mancanza. Adorava il rum e si scolava bottiglie intere insieme a Roxanne, di cui vi parlerò successivamente. Una passione indescrivibile per delle saghe di egual valore ed importanza. L'adoravo proprio per la sua vivacità e voglia di vivere che non aveva mai perso, qualunque ostacolo le si fosse parato davanti ed era altruista, appena le chiedevo aiuto subito era disponibile ad offrirmene. Era quasi una figlia per me, di cui amavo prendermi cura e progetterla da chiunque, anche se devo ammettere che spesso esagerava con la sua esuberanza.
Andando al lago tutti insieme non avremmo avuto di stare insieme molto, ma insomma eravamo pur sempre in vacanza e forse lui più di me sentiva il bisogno di staccare un po', così di nuovo per non destar sospetti lui si avviò prima ed io dopo. C'era con me il mio fratellone Nate, e solo due erano le coppie escludendo me ed Alex. Melody aveva deciso di restare single, anzi non credo fosse una decisione ma più una scelta di vita libera, se si fosse presentato l'amore bene altrimenti le andava bene così, non era il tipo di ragazza che si demoralizzava per un nonnulla. In quella casa c'era casino da mattina a sera, chi usciva ed entrava fradicio chi invece usciva fradicio e tornava ancora più bagnato. Quella confusione era fastidiosa ma divertente anche allo stesso tempo, ad ogni ora del giorno si sentivano dei sonori "splash" provenienti dal lago. Io mi limitavo a fare il bagno, insomma ho sempre preferito il mare a qualsiasi cosa e di certo il lago non soddisfava in pieno le mie esigenze da ragazza viziata. Stranamente stare in quel posto mi faceva ricordare le due famiglie che avevo perso, entrambe per colpa mia. Cercavo di non pensarci ma il più delle volte riaffiorava ogni tanto nella mia mente qualche pensiero su come stessero le persone che avevano fatto parte della mia vita anche se solo per un periodo breve. Spesso e volentieri a distrarmi era Alex, che approfittava di ogni idea per passare del tempo con me, ed era uno spasso vederlo inventare scuse appena stavamo per essere colti mentre ci baciavamo. Ogni volta arrossivo abbassando lo sguardo e allontanandomi come se era già previsto che me ne stessi per andare. Così passarono le nostre giornate.
Quando venne il momento di tornare a casa mi tornò in mente la sera prima della partenza, era stata organizzata una festa alla quale si erano formate tutte coppiette, Nate non faceva altro che tormentare Olivia e Melody con Roxanne che cantavano a squarciagola ubriache. Eravamo rimasti io e lui. Passammo una bella serata insieme sotto lo sguardo vigile di sua figlia che forse sospettava già qualcosa o forse no, ma per tutto il tempo feci finta di nulla. Spiegò le ali e mi portò in mare aperto. Penso che quella notte gli sorrisi ebetosamente per tutto il tempo ma non mi importava, ero sola con lui, potevo permettermelo. Certo per poco non rischiai di esser mangiata da un calamaro gigante, ma in realtà sapevo che non mi sarebbe successo niente, mi prese al volo portandomi su un'isola che sembrava deserta. Feci finta di arrabbiarmi per il pericolo che avevo corso salendo su una palma, presi il mio adorato cocco e cominciai a pulirlo e mangiarlo. Si sedette vicino a me, in meno di due secondi prendendone uno anche per sè. Non successe niente di particolare quella sera, se non nel mio corpo. Mi sentivo combattuta e felice allo stesso tempo. 
Avrei voluto passare di nuovo una serata come quella, ma in realtà non c'era bisogno di desiderarlo, ogni giorno con lui era come se fosse il primo. Le stesse emozioni non cambiavano mai e mi facevano sciogliere davanti a lui perennemente, come il ghiaccio al sole.

Così si conclude luglio, il periodo più felice che Amber potesse mai vivere, per il momento.

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Capitolo 22
*** Ritorno ***


Un amante teme tutto quello che crede. ~ Ovidio

I giorni passavano in una sorta di mondo a parte, quello degli innamorati dove gli altri vedono solo coccole ed effusioni che potrebbero causare loro il diabete mentre per i due non c'è nient'altro se non la propria ragione di vita. Il nostro mondo a parte era nascosto, nessuno poteva nè vedere nè sentire. 
Quel pensiero che mi tormentava ogni due per tre non faceva altro che mettermi ansia, come se ci fosse un pericolo in agguato, però lo sapevo. 
Era inizio agosto in una delle tante sere afose, eravamo con gli altri quando sentimmo bussare alla porta. Melody la aprì, una figura slanciata entrò trascinando con sè una valigia. Non ci misi più del dovuto per riconoscerla. Nie era tornata. 
Mi allontanai immediatamente mentre tutti le correvano incontro, mi sentivo a disagio e non avevo la forza nemmeno di salutarla. Restai in disparte tutto il tempo pensando su cosa avessi dovuto fare. In realtà la soluzione era molto più semplice di quanto si potesse immaginare: me ne sarei andata lasciando riprendere la loro vita come se in quei due mesi non fosse successo niente, tutto alla normalità. Si sarebbero rimessi insieme come volevano le loro figlie e la loro velocità sarebbe stata incolume. Anche perchè non potevo fare altro visto che, davanti a lui, mi ero ripromessa che non mi sarei messa in ginocchio e grondante di lacrime per pregarlo di stare con me. Lo amavo troppo per costringerlo a fare qualcosa che non voleva e la sua felicità sarebbe stata la mia, un suo sorriso il mio, una sua risata la mia. Non avrei detto niente a nessuno, la nostra relazione era arrivato il tempo di terminarla. 
Gli parlai, a malincuore senza mai guardarlo negli occhi, dicendogli che era giusto che tornasse con Nie, era così che doveva essere come se io non avessi mai interferito con la sua vita, in fondo a me bastava sapere che un minimo mi avesse amata, niente di più niente di meno. Quando mi sarei sentita vuota avrei rivissuto il nostro amore nei miei ricordi, come diceva la canzone che mi aveva dedicato all'inizio, questo avrebbe reso tutto più difficile ma non mi restava altro. Ma temporeggiava, non voleva prendere quella decisione che alla fine l'avevo obbligato a prendere. Le parlò, e lei, ovviamente non stupida, subito notò che ero interessata al suo amore, e finalmente i dubbi di Alexander erano di certo svaniti. Avrebbe smesso di soffrire. Si vedeva che in fondo anche lui non voleva altro, non voleva perderla e di certo non sarei stata io. Eppure non capivo, l'aveva lasciato, aveva sofferto per mesi senza quasi far sapere niente di lei per poi tornare all'improvviso e rivolerlo per sè. Non mi sembrava giusto ma di certo non stava a me giudicare. Allo stesso tempo però gli diceva di lasciarla stare. Era continuamente in disaccordo con ciò che pensava, le infastidiva vederlo con un'altra, chiunque ella fosse. Alla fine però, non so come, gli chiese di mettersi con me, di dare un'opportunità a stare con altre. Tutto questo provocò l'odio di Kristal e Melody nei miei confronti ovviamente, ma non sapevo che fare, io ero disposta ad andarmene ma lui continuava a ripetermi che mi amava. Voleva tornare con lei per non farla soffrire, ma mi amava, certo non quanto fosse per Nie ma era già qualcosa. Mi sentivo terribilmente in colpa per il dolore di Nie ma non potevo farci niente, la scelta alla fine l'avevano fatta insieme, se l'avesse rivoluto le sarebbe bastato schioccare le dita probabilmente, perchè per Alexander non era cambiato niente di ciò che provava nei suoi confronti.

Avevo procurato la rottura fra loro, che non si sarebbe più risanata. Sarei stata odiata da tutti per ciò che avevo causato, ma avevo lui al mio fianco, mi bastava ad andare avanti. 

L'anima si sceglie il proprio compagno, poi chiude la porta così che la maggioranza divina non possa più turbarla. ~ Emily Dickinson Quando il battito del cuore supera le ombre del passato L'amore potrà trionfare sul destino ~ Nicholas Sparks

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