A perfect Melody di MissysP (/viewuser.php?uid=80943)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Autore:
_MulticoloR_ sul forum / MissysP sul sito
Titolo: A perfect melody
Numeri
scelti: lista A:31; lista B:8
Prompt
effettivamente utilizzati: Death
Note, pentagramma; Hidan
Personaggi: Hidan, Hinata Hyuuga
Paring
(se ce ne sono):
Accenni a NaruHina,
SasuSaku e NejiTen
Rating:
Giallo
Genere: Dark, Fantasy, Mistero
Avvertimenti:
AU, Long-fic
Introduzione:
Un’artista
famosa decide di ritornare a casa, una casa in cui non era ben voluta
da
nessuno della sua famiglia. Ritornata in una casa che voleva
dimenticare, viene
coinvolta in una serie di “incidenti” molto strani,
senza capirne la causa. Non
comprendeva nemmeno il motivo per cui era ritornata, ma qualcosa
l’aveva
richiamata a Konoha e, adesso, doveva pagarne le conseguenze, per
quanto
pericolose potessero essere. L’unico modo per sopravvivere
era accettare il
proprio destino.
[Cit.|
Qualche
passo indietro e andò a
sbattere contro il leggio su cui era poggiato l’album e
questo cadde a terra,
aprendosi alla prima pagina. Dentro c’era una dedica di un
qualcuno. […]
Deglutì, nervosa all’idea di non poter ancora
uscire da quel negozio senza
rischiare di farsi la doccia.
Al
proprietario di quest’album, che
possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni capace
d’uccidere tutto il mondo.
H
NdA:
Ammetto che ho temuto
che quella dannata Ispirazione mi avesse abbandonata in quanto, fin dal
primo
momento in cui mi sono iscritta, ho continuato a pensare a come potesse
svolgersi la storia. Insomma i promt che mi hai dato mi piacevano un
sacco e
potevo inserirne anche più di uno. Ho cercato di scrivere
una storia che non
annoiasse molto e di fare in modo che i due promt scelti avessero una
loro
logica e spero di esserci riuscita. E ammetto che per farlo, anche, mi
sono
ispirata all’episodio di un anime, sarebbe più un
videogioco ma non importa, in
cui la similitudine fra la protagonista e la cantante di
quell’episodio si
assomigliano. Ma non voglio rovinarti la sorpresa dicendotelo. Alla
fine ho
messo una citazione di Mahatma
Gandhi
perché
la trovavo azzeccata.
Alla fine si tratta di questo, perché cercare di scappare
dalla morte? E’
inevitabile. Spero di non annoiare troppo il lettore con questi
vaneggiamenti e
quindi via con la storia.
A
perfect melody
Capitolo 1
Era
una giornata uggiosa e piovosa, le nuvole grigie
rilasciavano una leggere pioggerellina, mentre le nuvole nere, che pian
piano
si stavano impossessando del cielo, non promettevano nulla di buono. Il
tempo
minacciava di degenerare. Le persone correvano, in cerca di riparo,
prima che
il tempo non permettesse loro di ritornare a casa ancora asciutti. Il
buio
imperversava sulla città, i lampioni si accesero per
facilitare alle persone di
ritornare a casa.
Una
ragazza, dai capelli color indaco e gli occhi
perlacei, camminava incurante di quello che succedeva attorno a lei.
Indossava
un cappotto lungo e nero, che nascondeva i lunghi capelli e il viso
pallido nel
colletto. Le mani, gelide, si stringevano a pugno in cerca di conforto
dal
freddo che avvolgeva il paese. Sebbene fosse solo settembre ,
l’aria polare che
avvolgeva Konoha era quello tipico di dicembre; però, la
ragazza parve non
curarsene e continuava il suo vagabondare per quelle vie famigliari di
quel
posto. I suoi occhi erano privi di quella luce che una volta le
apparteneva.
Suo
padre l’aveva uccisa, imponendole un’educazione
rigida e fredda; negandole il calore di una famiglia e
l’affetto di cui una
bambina necessitava. Sempre vista una debole, dagli occhi paterni, era
cresciuta in un mondo sterile e buio. Una luce era la sua unica
salvezza: la
sua passione per la musica. Fin dall’infanzia aveva
sviluppato il suo interesse
per la musica e l’aveva aiutata a superare quel periodo che
le pareva
un’eternità.
Un
lampo illuminò tutta la via, seguito subito dal
tuono che le ferì le orecchie. Alzò lo sguardo,
leggermente spaventata da quel
suono improvviso, e con quel breve attimo che il lampo le aveva
concesso,
scorse un’insegna rossa e piena di sporcizia. Il muschio
rendeva difficile
leggere la scritta, ma sforzandosi di comprendere il carattere di
quella
scritta riuscì a decifrare che si trattava di un negozio di
musica, Sound’s Shop. Un
altro lampo, seguito
subito dal tuono, la incoraggiò ad entrare in quel negozio e
quando fu al
riparo delle tettoia del negozio, le prime gocce di pioggia
incominciarono a
cadere, bagnando l’asfalto sporco e puzzolente. La ragazza
attese prima di
entrare, continuò a scrutare il cielo, sempre più
nero; L’unico squarcio di
luce, che si rimpiccioliva sempre più, si rifletteva nei
grandi occhi di lei.
Una leggera brezza sollevò il cappotto, le poche persone
ancora rimaste sotto
la pioggia correvano ignorandola. Il vento trascinò alcune
gocce di pioggia
inumidendole il viso. Un brivido di freddo le percosse tutta la
schiena,
costringendola a stringersi nel proprio cappotto. Si
appoggiò alla vetrina,
osservandone il contenuto al di là del vetro. Un cartoncino
faceva mostra di
sé, Chiuso.
Riportò l’attenzione agli
oggetti che decoravano la vetrinetta, molti strumenti musicali
– violini,
trombette, delle maracas, chitarre, flauti e dei tamburelli -,
c’erano anche
uno sgabello in pelle nera vicino ad un piano, più in fondo
rispetto agli
altri, con un candelabro acceso su di esso, e molto altro ancora. Sul
vetro
erano presenti alcuni manifesti fra cui il suo, in cui annunciava il
suo
ritorno a casa e dava un concerto per l’occasione. Un sorriso
ironico fece
capolinea sulle sue labbra, scuotendo la testa amareggiata. Il grande concerto di Miss Hyuuga.
Vicino al suo c’era anche il volantino di un ragazzo,
castano, occhi azzurri e
dei segni rossi sotto gli occhi, che si offriva come tutto fare. Un
leggero
scampanellio la riportò alla realtà e
guardò verso la porta d’entrata del
negozio. C’erano le luci accese e prima non le aveva notate.
Guardò di nuovo
verso il cartoncino e rimase a bocca aperta nel notare che appariva la
scritta Aperto. Si
guardò attorno, non c’era
alcuno in giro, e poi guardò dentro nel negozio. Non
c’era nessuno e non capiva
chi potesse aver acceso le luci, ma soprattutto non capiva come potesse
quel
cartoncino aver cambiato lato, se aveva continuato a guardarlo. Scosse
la
testa, non riusciva a trovare una risposta e sinceramente non gliene
importava.
Il temporale peggiorò, il piccolo balconcino sopra di lei
non riusciva più a
tenerla al riparo dalla pioggia e, anche grazie al vento che soffiava
contro,
si stava bagnando. Sbuffando portò la mano sulla maniglia,
un lampo la illuminò
facendole raddrizzare la schiena. Per un attimo le era sembrato di
vedere
qualcuno dietro di lei, riflesso nel vetro della porta.
Strabuzzò gli occhi,
sussultando, e si voltò di scatto per assicurarsi che non ci
fosse neanche un
gatto in giro. Vide solamente il grigio della casa che torreggiava di
fronte al
negozio e tirò un sospiro di sollievo. Non comprendeva il
motivo del suo
nervosismo, ma preferì non pensarci troppo.
Inspirò l’aria umida e tornò verso
l’entrata del negozio. Aprì la porta e una follata
di calore l’avvolse,
facendole dimenticare il turbamento di poco prima e la fece sentire al
sicuro.
Si
guardò attorno, meravigliata da quella stupenda
atmosfera di assoluta tranquillità. Dentro il negozio
aleggiava un profumo di
rose, un grande candelabro, appeso sul soffitto con tanto di
chincaglieria che
penzolava sotto di esso, e varie altre candele sperse in giro per il
locale,
illuminavano fievolmente gli strumenti musicali e i vari articoli di
musica. Si
guardò attorno meravigliata e portò ancora una
volta il suo sguardo alla
vetrina. Solo a quel punto si accorse che anche i lampioni fuori in
strada
erano spenti, capì il perché delle candele. Si
aggirò fra i vari scaffali,
ammirando i vari articoli. I suoi occhi perlacei si soffermarono su
ogni pezzo
di rarità che trovavano. Le linee raffinate di un violino, i
tasti d’avorio
bianco perla di un pianoforte, i disegni impegnativi di un album ai
margini
degli spartiti, bacchette di ogni tipo per i direttori
d’orchestra e molto
altro ancora.
Aveva
sempre amato la musica, da piccola con sua
madre entrava in ogni negozio di musica e rimaneva incantata da tutti
quei
strumenti musicali scintillanti e qualche volta aveva anche assistito a
qualche
spettacolo di musica della donna. Era rimasta affascinata
dall’eleganza che
l’esecutore mostrava nel premere ogni pulsante e comporre
melodie
straordinariamente meravigliose, ma ancora di più ogni volta
che assisteva al
talento sorprendente di sua madre. L’aveva sempre ammirata e
cercava di
imitarla in tutto.
Se
chiudeva gli occhi, Hinata, poteva benissimo
ricordare il palcoscenico. Grandi luci che illuminavano
l’orchestra: il
direttore, gli archi, le trombe, il piano i tamburi e tutto il resto.
Ogni
volta che incominciava un’opera, rimaneva affascinata dalla
bravura del
pianista. Adorava quel suono che era in costante cambiamento, prima
dolce poi
forte, prima acuto e poi grave. I suoi occhi erano puntati sempre e
solo su
quel meraviglioso strumento che tanto l’attirava.
Hinata
non si era accorta di aver chiuso veramente
gli occhi, ma li aprì. Con lentezza da sotto le sue palpebre
la calda e
confortante luce di una candela le mostrò la copertina di un
album famigliare. Lo
aveva già visto da qualche parte e osservandolo con
accuratezza lo riconobbe.
Era il suo. Sbatté gli occhi e, infine, si
ricordò che era suo cugino che
glieli regalava, allora era lì che li comprava. Sorrise,
allungò una mano e lo
sfiorò con lentezza. Ne seguì il profilo
tagliente e antico. Il colore della
pergamena antica le era sempre piaciuta, per di più adorava
anche quelle finte
bruciature che si accartocciavano su se stesse. Con un dito
sfiorò la scritta
in rilievo, Album. Era assorta nel
contemplare quel fascicolo di carta che non si era accorta che un
ragazzo le
stava arrivando alle spalle.
Una
mano grande e fredda le si posò sulla spalla;
quel tocco improvviso la spaventò, facendola sussultare.
Hinata emise un grido
di timore, girandosi di scatto e facendo qualche passo indietro, a
mettere
distanza fra lei e quello sconosciuto. Il suo cuore aveva preso a
battere
forte, anche fin troppo, rischiando di farla svenire oppure di farle
avere un
infarto. Lo osservò sconcertata da quello ch’era
appena successo. Non aveva
percepito il suono di nessun passo che potesse fargli capire la
presenza di
qualcun altro vicino a lei. Si guardò attorno, cercando di
capire da dove fosse
arrivato, ma non c’erano porte aperte. Lo guardò
per una seconda volta: capelli
lunghi fino alla spalla e bianchi tirati all’indietro e un
paio di occhi viola
intenso. Si diceva
che
gli occhi erano lo specchio dell’anima e Hinata
pensò che quel detto fu
azzeccato per quel ragazzo. I suoi occhi la mettevano a disagio e le
infondevano un senso d’inquietudine, ma allo stesso tempo
l’attiravano. Le
davano l’impressione di strascinarla in un buco nero e
inghiottirla in un
vortice buio, pronto ad assorbirla dentro di sé, a farla
diventare una parte di
sé. Chiuse i propri occhi e li riaprì, chiuse ed
aprì. Il ragazzo era sempre
davanti a lei, i suoi occhi non l’abbandonavano e seguivano
ogni suoi piccolo
movimento. Si portò una mano alla fronte e
traballò all’indietro; una mano
l’afferrò prima che potesse andare a sbattere
contro qualcosa. L’attirò a sé,
poggiandole una mano sulla schiena mentre l’altra la teneva
forte per il
braccio; Hinata al contrario aveva appoggiato le mani sul suo petto.
Era
sbalordita nel trovarsi in quella situazione e continuava a fissarlo.
Un lampo
illuminò il negozio, il suo viso e in questo modo Hinata fu
ancora più
sbalordita di quello che vide in quelle pozza viola: dolore,
cattiveria,
malizia e altro ancora. Debolmente, fece forza su di sé e
cercò di allontanarsi
da quello sconosciuto.
“Io…
Io… Grazie” balbettò, distogliendo lo
sguardo e
puntandolo sul piano a poca distanza da loro. Il ragazzo sorrise e non
era un
sorriso rassicurante. Hinata si sentì ancora di
più a disagio e sciolse del
tutto quello strano abbraccio. Qualche passo indietro e andò
a sbattere contro il
leggio su cui era poggiato l’album e questo cadde a terra,
aprendosi alla prima
pagina. Dentro c’era una dedica di un qualcuno. Si
chinò subito a raccoglierlo,
con urgenza. Si sentiva mortificata e stava arrossendo di vergogna. Non
voleva
essere così impacciata, non davanti ad uno sconosciuto. La
pioggia continuava a
scendere, a bagnare l’asfalto, sembrava che il temporale non
volesse concedere
una tregua a nessuno. Deglutì, nervosa all’idea di
non poter ancora uscire da
quel negozio senza rischiare di farsi la doccia.
Al
proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose
melodie. Canzoni
capace d’uccidere tutto il mondo.
H
Che
dedica strana, pensò la ragazza. Non capiva chi
avesse firmato, c’era solo una H e non svelava molto. Non le
veniva in mente
nemmeno nessuno dei suoi colleghi con cui il proprio nomi inizi con
l’H.
Un’altra mano, quella dello sconosciuto, raggiunse la sua,
cerando di prendere
l’album che le era caduto. Hinata sollevò di
scatto la testa e arrossì
violentemente. Lui rispose al sorriso, leccandosi le labbra.
“S-scusa”
mormorò, lasciando il quadernino. Si
rimisero in piedi e furono avvolti da uno strano silenzio. Hinata
spostava il
proprio peso da un piede all’altro, imbarazzata e nervosa.
Decise di non poter
sopportare ancora di più quell’attimo e si
incamminò verso la porta del
negozio.
“Ferma”
ordinò il ragazzo. Per qualche strano motivo
lei ubbidì, invece di scappare a gambe levate. Sentirlo
parlare le metteva
addosso una sensazione di pericolo, doveva andarsene e, invece, si
girò,
cercando di sorridere cordialmente. Il ragazzo si era spostato talmente
veloce,
che Hinata non lo aveva visto avvicinarsi a lei. Deglutì
un’altra volta e resto
in silenzio e immobile. Aspettò che lui le dicesse qualcosa,
altrimenti sarebbe
scappata per non tornare mai più. Era stato troppo, troppo
imbarazzante. Il
ragazzo le porse il quaderno, quello che aveva fatto cadere e lei lo
guardò
stupita. Non
capiva il motivo di quel regalo, sempre se si trattasse di un regalo.
“Non
è da tutti i giorni trovarsi davanti la grande Miss
Hyuuga” ammiccò,
strizzandole l’occhio. Hinata fremette
dall’andarsene subito, quel posto non le
piaceva più. Con la mano tremante prese l’album e
fece un inchino di
ringraziamento verso quel giovane.
Il
tempo di battere ciglia e si ritrovò a guardare la porta del
negozio. Ne rimase
confusa, non capiva come potesse ritrovarsi già fuori se
fino a qualche attimo
prima era al suo interno. Abbassò lo sguardo e vide che in
mano aveva ancora
l’album, lo stesso che usava sempre, lo stesso che suo cugino
le regalava, lo
stesso che gli aveva regalato quel ragazzo. Il suo cuore continuava a
battere
furiosamente nel suo petto, non riusciva a calmarsi. Con gli occhi
cercava di
scorgere qualche d’uno all’interno del negozietto,
ma le candele erano spente e
non sembrava esserci nessuno. Scosse la testa, turbata e decise di
ritornare a
casa. E proprio in quel momento il tempo sembrava volergli concedergli
una
tregua: aveva smesso di piovere. A grandi passi ritornò
verso la strada
principale e cercò di ricordarsi cosa fosse successo in quel
luogo angusto.
Però, pian piano il ricordo svaniva fino a diventare un
flashback reminiscente.
Giudizio:
Grammatica:
5/15
Stile:
5/10
IC:
11/15
Originalità:
8.5/9
Gradimento
Silvar: 3/3
Gradimento
Solli: 2.3/3
Attinenza
al prompt: 4/5
Totale: 38.8/60
C'è
da premettere che abbiamo molto apprezzato l'idea di trasmutare il
death note in questo fantomatico album, e sinceramente tutto l'insieme
della storia è potenzialmente interessante. Il problema sta
nel fatto che fatichi ad esprimerti. Ci sono molte, moltemamolte,
ripetizioni (musica-musica-musicale-musicanti-musicisti-abbiamocapito),
e spesso refusi ortografici. Si intuisce però la tua buona
volontà, pertanto ti consigliamo di non demordere
perché potresti migliorare.
I
prompt sono comunque utilizzati molto bene, a parte il personaggio che
dovevi nominare, che invece hai fatto comparire per un'intera scena
importante della storia. Questa è stata una delle grandi
pecche, insieme alla tua grammatica. Hai dei grossi problemi con le
virgole, sbagli le concordanze fra il soggetto e gli aggettivi (per
fare un esempio, “Sul bancone c’erano un
pacchetto di fiammiferi” non è corretto. Il
soggetto è IL pacchetto, non i fiammiferi, e visto che il
verbo deve concordare col suo soggetto, l'espressione giusta diventa:
"Sul bancone c’era un
pacchetto di fiammiferi"). E poi, perché per gran parte era
scritta in grassetto corsivo? Era voluto?
Comunque
per quanto riguarda l'IC, Hinata non ci convince del tutto,
però segue grosso modo le linee guida del carattere
originale. Hidan, in quella mezza apparizione non è IC, e
poi quei “capelli alla spalla” (alle spalle in
teoria) ci lasciano ancora un po' perplesse. Anche Neji non
è propriamente IC, non ha mai dimostrato durante la serie
regolare di interessarsi alla cugina, anzi... e invece qui tutto d'un
tratto diventa un amorevole cuginetto. Poi, l'atmosfera che si
respirava in tutta la fic non aveva nulla a che fare col Giappone,
piuttosto con Vienna o un'altra città barocca. Quindi, la
domanda che sorge è, Konoha è in Giappone?
Però la fanfic è basata su un'idea affascinante,
e bisognerebbe solo renderla più scorrevole. A prescindere
da questo contest, magari potresti affidarti ad una beta che facendoti
notare i tuoi errori potrebbe aiutarti a superarli e ad acquistare una
buona padronanza della sintassi. È un peccato
perché una storia con molti errori rende anche confusi i
contenuti e la trama stessa, per quello insistiamo tanto su questo
punto. La trama, le idee sono buone, ma il modo di impostarle ed
esprimerle va migliorato, altrimenti perdono gran parte della loro
riuscita.
NdA:
Questo è solamente il primo capitolo della storia, ma
rassicuro chi l'ha letta (e a cui la storia è piaciuta) che
non tarderò a pubblicare il secondo capitolo.
Ci
tendo a precisare che di tutte le storie che fino a questo momento ho
scritto, questa è la mia preferita. Sono stata fortunata che
mi siano capitati dei pacchetti che ho ricevuto e mi sono divertita
moltissimo nel scrivere la storia.
"Death
Note" è un Anime/Manga che ho seguito e per cui stravedo.
Impazzisco per Kira/Light e non ho potuto che seguire una traccia
simile a quella della storia originale, anche perché mi
sarebbe dispiaciuto e come se non bastasse i personaggi che mi sono
capitati erano perfetti. Quindi sono stata fortunata! Una combinazione
perfetta in tutto e per questo ringrazie le giudicie ^^
Mi
rattrista solamente che la storia si sia piazzata 4° ma non
m'importa. Io semplicemente l'adoro e la trovo perfetta così
^^ Ma oltre che piazzarsi 4° la storia ha avuto una menzione
speciale ed io ne vado fiera =)
Lasciate
qualche commentino, giusto per sapere che cosa ne pensate.
Bacioni
MissysP
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
A
perfect melody
Capitolo
2
Le
finestre erano aperte e sebbene fino a
qualche giorno prima aveva piovuto, quella sera c’era un
caldo soffocante. Non
riusciva a respirare, la fronte era imperlata di sudore e nemmeno la
leggera
brezza del ventilatore, posto sul soffitto, riusciva a darle sollievo.
Le
coperte erano ammucchiate ai suoi piedi e le luci dei lampioni,
provenienti
dalla strada, illuminavano la stanza, colpendo lo specchio sul quale la
luce si
rifletteva, creando così dei giochi di luce. Hinata non
riusciva a dormire,
continuava ad osservare una sfaccettatura, color arcobaleno, sul
soffitto,
cercando di prendere sonno. L’album era posto sulla
scrivania, vicino al
cappotto e agli occhiali da sole, che era solita ad usare per
nascondersi. Si
sentiva stranamente irrequieta e non sapeva cosa fare per calmarsi.
Come un
automa si alzò, mettendosi seduta sul letto e guardandosi
attorno. Infilò le
ciabatte pelose e viola, regalo di sua sorella Hanabi, la vestaglia del
medesimo colore e uscì dalla stanza, in cerca di distrazioni
in giro per l’abitazione.
Era
una casa troppo grande per una sola
persona e anche fin troppo silenziosa. Aveva proposto alla sua
assistente
Sakura di andare a vivere con lei, in modo da non farle fare avanti e
indietro
da casa sua e di avere un poco di compagnia, ma lei aveva rifiutato.
Sebbene
avesse abusato della scusa di non volerla disturbare, soprattutto
mentre era
intenta a comporre dei nuovi brani, sapeva che in realtà
voleva passare più
tempo possibile con il suo fidanzato e di certo non voleva fargliene
una colpa.
Girovagò
per le varie stanze, andando poi
in cucina a preparasi una camomilla, nella speranza che
l’aiutasse a farle
prendere sonno, ma non sorbiva nessun effetto. Sul bancone
c’erano un pacchetto
di fiammiferi e senza un reale motivo se li mise in tasca. Poi si era
sistemata
comodamente sul divano e aveva acceso la tv, distraendosi con il primo
programma demenziale che aveva scorto. Nemmeno quello, tuttavia,
sembrava
riuscir a farle dimenticare la sensazione sgradevole di qualcosa che
non andava,
ma più cercava di capire cos’era più
aumentava anche la sensazione di
nervosismo. Stanca, decise di dedicarsi in qualche modo al suo lavoro.
Ripercorse le scale e si diresse verso la stanza in cui c’era
il suo
pianoforte. La porta era ricoperta dal cellofan, segno che ancora non
c’era
entrata, mise la mano sulla maniglia in ottone e
l’abbassò. Spinse la porta, in
modo da aprirsi verso l’interno e darle modo di osservare
quella stanza. Le
pareti erano bianche immacolate - incominciava ad essere stanca di quel
colore
neutrale- e in mezzo ad alla stanza c’era il suo strumento di
lavoro. Il nero
lucido dello strumento rifletteva la poca luce che filtrava dalla tenda
della
finestra aperta. Hinata aggrottò le sopracciglia, non si
ricordava di averla
mai aperta, non ricordava nemmeno che esistesse quella camera.
Aggirò il piano
e andò a controllare che tutto fosse a posto.
S’affacciò sul balcone e non vide
nessuno, nemmeno in strada, ma era comprensibile era notte fonda.
Scuotendo la
testa, per l’ennesima volta, socchiuse le persiane in modo
che la stanza
rimanesse al buio e il vento circolasse per la camera in modo da
rinfrescare
l’ambiente. Dalla tasca della propria vestaglia riprese i
fiammiferi e ne
accese uno, si guardò attorno. Di solito preferiva lavorare
nell’auditorium del
paese, ma per quella notte avrebbe fatto un’eccezione.
Sforzando i propri occhi
ad abituarsi al buio, individuò un paio di candele sopra il
piano e le accese.
Sakura doveva aver disseminato l’intera stanza di candele, in
quanto non c’era
la corrente elettrica in quella stanza. L’unica camera che
non erano riusciti a
“modernizzare” e alla fine era riuscita ad
accendere tutte le candele presenti in
quel posto. La luce calda dei ceri le infondeva un poco di
tranquillità. Con le
dita della mano sfiorò tutto il perimetro dello strumento,
seguendo i bordi
dolci e ondulati; la superficie era fredda e liscia e le piaceva quel
tocco.
Quando arrivò di fronte allo sgabello ci si sedette,
percependo il morbido del
cuscino. Con entrambe le mani assaporò ancora una volta la
sostanza liscia, fredda,
ma anche dura del legno e poi osservò i tasti neri e
bianchi. Ne pigiò uno e ne
uscì un suono dolce e tenue, il Sol.
Quando
alzò lo sguardo per controllare il leggio, rimase sorpresa
nel edere che
l’album che prima era sulla scrivania, perché era
sicura che si trattasse
dell’album che le aveva dato lo sconosciuto. Non lo aveva
portato con sé e come
era finito proprio in quella stanza proprio sul leggio?
Spostò con impeto lo
sgabello, cadendo all’indietro. Sbattendo così la
testa sul pavimento, i suoi
occhi fecero fatica a non chiudersi, ma quando videro
un’ombra sul soffitto,
che sembrava osservarla, divennero ancora più pesanti.
Quell’ombra incominciò a
danzare sopra la sua testa e a scendere verso di lei, fino a
circondarla e
tutto attorno a lei si fece nero.
Un
incendio ha colto di sorpresa, nel sonno, un gruppetto di amici. Erano
di ritorno
dal concerto della famosa musicista, Miss Hyuuga, e un cortocircuito in
cucina
ha incendiato tutto il condominio. Oltre al gruppetto di amici, ci sono
atre vittime,
tra cui una madre e un bambino. Per i ragazzi non
c’è stato nulla da fare, sono
stati trovati i corpi carbonizzati.
Una
lacrima solcò la guancia della
ragazza, che ancora stava dormendo. Voleva scappare da quella
realtà, da
quell’incubo che era costretta a rivivere ogni volta che
chiudeva gli occhi.
Un
pirata della strada ha investito i genitori di un neonato, proprio
mentre la
famiglia era uscita dall’auditorium, dove prima si era tenuto
un concerto. Il
bambino è rimasto orfano e i famigliari ne sono distrutti. I
corpi sono stati
ritrovati in condizioni pietose.
Era
colpa sua? Certo, che lo era. Quel
bambino aveva perso i genitori così
prematuramente e non se li sarebbe nemmeno ricordato. Si sentiva
un’assassina.
Attimi
di terrore hanno avvolto il teatro di Okinawa. Durante un concerto, un
pazzo è
entrato, sequestrando gli spettatori e l’artista Hyuuga,
sparando
all’impazzata. Sono state lunghe ore quelle che si sono
succedute. Il pazzo, un
rinnegato della società, si era dichiarato follemente
innamorato della
musicista e minacciando di compiere una strage se non avesse accettato
la sua
proposta di matrimonio. I feriti sono molti come i morti. Da allora
Hinata
Hyuuga ha annunciato di non apparire più in pubblico. Ha
anche annunciato di
volersi prendere una pausa e di smettere di esibirsi a causa dello
shock di
quel giorno disastroso. Molti fan si sono riuniti per…
Urlò
di rabbia e frustrazione. Quel
giorno era stato rovinato ancora di più a causa sua. Al
giornale erano più
impegnati a metterla sotto i riflettori che spiegare cosa fosse
successo in
quel maledetto teatro. Avevano appena accennato alla morte di molte
persone, ma
non si erano soffermati più di tanto. Come se loro non
fossero importati come
lei, anzi, erano anche più inferiori di lei. Questo non lo
poteva accettare, ma
non si era mai opposta, non aveva mai detto nulla. Si era limitata ad
assistere
passivamente e fingendo sorrisi che erano, solamente, l’ombra
di quelli che
erano una volta.
Lacrime.
Solo queste versava. Si sentiva
vuota e meschina, come potevano trattarla in quel modo? E’
così che la
vedevano? Una dea, una divinità da adorare e che era
superiore a tutti? Non era
così che la trattava la sua famiglia e non si sentiva tale.
Ma i media
sembravano provarci gusto nel stravolgere la sua vita.
Riaprì
lentamente gli occhi e la prima
cosa che osservò fu il bianco del soffitto. Le persiane
erano ancora chiuse, ma
poteva ben vedere che alcuni raggi del sole filtravano da dietro il
legno
ruvido e rovinato di esse. Le candele erano ancora accese, ma nel corso
della
notte si erano consumate molto perché vide della cera
scivolare lungo il piano
forte, sulla tastiera e sul pavimento. A fatica si tirò su
con i gomiti. I
lunghi capelli assecondavano ogni suo movimento oscillando fluidamente.
Si
portò una mano alla fronte, sfiorandosela con delicatezza;
la testa le
rimbombava e la stordiva ancora di più. Sbatté
gli occhi più volte, cercandosi
di ricordare dove si trovasse. Vide il piano e comprese di essere in
quello che
dovrebbe essere la sua stanza da lavoro. Era svenuta? Probabile. Alla
fine,
quando il capo smise di pulsare e sentendosi meglio, si rimise in
piedi,
appoggiandosi al piano. Ancora confusa si diresse verso il bagno, a
cercare
conforto sotto l’acqua calda.
Il
getto d’acqua calda la colpiva
violentemente la schiena, ma lei non se ne curava. Era persa nei suoi
pensieri.
Da quando era ritornata nel suo paese d’origine, quella che
dovrebbe essere la
sua confortevole casa, sembrava che ci fosse qualche entità
superiore che
volesse divertirsi con lei.
Che
ironia, ero molto vicino
alla verità.
Da
giorni non riusciva più a scrivere una
mezza nota, sembrava che l’ispirazione se ne fosse andata,
reclamando una
vacanza anticipata. I contatti con la sua famiglia erano sempre
più disastrosi:
suo padre voleva che ritornasse a casa, per una volta soddisfatto di
sua
figlia. Lei sapeva il perché: era diventata famosa e aveva
molto successo e
sebbene non lo dicesse apertamente, voleva imporle un matrimonio solo
per avere
un motivo in più di cui vantarsi. Suo cugino Neji, per
quanto cercasse di
essere gentile con lei, voleva che ritornasse a casa, ma non per lo
stesso
motivo di suo padre. Era dolce da parte sua preoccuparsi senza avere
doppi
fini, tuttavia continuava a rifiutarsi e per quanto riguardava sua
sorella
sembrava indifferente alla questione. Mai come in quel periodo si
sentiva
stanca e voleva solamente avere una via d’uscita. Voleva, in
qualche modo,
tagliare i ponti fra lei e la sua famiglia, per quanto doloroso poteva
essere.
Poi,
come se non bastasse, qualche giorno
fa si era ritrovata ad osservare la porta di un negozio di musica e
senza
sapere come ci fosse finita in quel posto. In mano aveva
quell’album, nuovo e
uguale a quello che utilizzava di solito. Suo cugino gli regalava quei
album a
Natale e lei li utilizzava per cortesia.
Ed
infine, quella notte appena passata.
Ricordava che non era riuscita ad addormentarsi e aveva cercato
conforto nel
suo lavoro. Funzionava sempre, ogni volta che si sedeva di fronte ad un
pianoforte, lei si rilassava e veniva avvolta
dall’ispirazione del momento.
Quella notte, però, non aveva funzionato. Era svenuta, probabilmente,
e il
mattino successivo si era risvegliata nella stessa stanza.
Scosse
la testa, più ripensava a tutti
quegli avvenimenti e più le veniva voglia di urlare e
rompere tutto. Eppure
c’era stato, almeno in quel giorno, qualcosa che
l’aveva richiamata a casa,
qualcosa che le aveva fatto dimenticare le difficoltà che
avrebbe incontrato,
in futuro, ritornando lì. Non riusciva, tuttavia, a
ricordarselo. Sollevò le
spalle e si scosse, agitandosi come un cane per levarsi le gocce
d’acqua di
dosso, e ritornò alla realtà. Chiuse il pomello
della doccia e, da dietro la
tendina, allungò il braccio per prendersi un asciugamano.
Con attenzione uscì
dalla cabina, cercando di non scivolare sul bagnato, e si
guardò nel grande
specchio spora il lavello. Si spaventò
nell’accorgersi in quali pietose
condizioni si presentava. Non era mai stata vanitosa, anzi, cercava
sempre di
nascondersi sotto la frangia e dietro i vestiti sformati, per coprire
il suo
corpo fin troppo prosperoso. Ghignò sarcasticamente, non
osava immaginare in
quali condizioni si sarebbe presentata il giorno dopo, al suo concerto.
Non
voleva pensarci, altrimenti avrebbe pensato, anche, alla presenza di
suo padre.
Ecco, lo stava facendo in quel momento.
Basta,
smettila di pensare.
Come
se qualcuno avesse udito le sue
suppliche nascoste dietro la disperazione del momento, il telefono
prese a
squillare, salvandola da se sessa. Distogliendo lo sguardo dal proprio
riflesso, s’incamminò verso la sua stanza da letto
e si sedette sul bordo del
materasso. Con una mano tremante sollevò
l’apparecchio e se lo portò
all’orecchio.
“Pronto?”
domandò, esitante. La sua voce
era lieve e roca, come se avesse pianto tutta la notte. Non voleva
avere
contatti con nessuno in quel momento, per non dare spiegazioni a
nessuno.
“Hinata?”
domandò una voce maschile e
famigliare. Hinata sussultò nel sentirla, era da settimane
che non si
parlavano. Dopo il litigio avuto a causa del suo lavoro, non aveva
avuto il
coraggio di telefonargli e non trovava nemmeno le parole in quel
momento.
“Naruto?”
lo chiamò, per essere certa di
non immaginarsi la sua voce. Sarebbe stato il colmo.
“Sì,
sono io. Che ti è successo? Perché
hai pianto?” domandò,veramente preoccupato. Hinata
sorrise per
quell’apprensione che sentiva nella sua voce. A volte si
ritrovava a
ringraziare il cielo per il dono ricevuto. Sospirò,
rasserenata nel’aver udito
la sua voce. La giornata sembrava risollevarsi e per questo gliene era
grata.
“Non
è successo nulla, Naruto. – disse
assaporando il suo nome – Scusami, piuttosto, se non ti ho
telefonato prima”
finì di dire. Nella sua voce si poteva ben percepire quella
nota di incertezza,
ma il biondino non se ne era accorto, fortunatamente.
“Non
ti preoccupare, anzi, il vero idiota
sono stato io. Senti… Io sono qua, a Suna… Ti
andrebbe di venirmi a trovare?”
domandò, incerto di proporle di raggiungerlo. Quasi temesse
in un suo rifiuto.
Hinata ripensò al suo riflesso, morto e pallido, e
rabbrividì; ma il desiderio
di rivedere quel ragazzo, di cui era follemente innamorata, fin da
quando era
giovane, la spingeva ad accettare la richiesta. D’altra parte
per raggiungere
Suna ci voleva solamente una mezz’ora utilizzando il treno.
Sospirò.
“Certamente.
Dammi un’ora e arrivo alla
stazione di Suna” accettò, cercando di esserne
sicura. Non voleva che lui
dubitasse di poter sistemare le faccende fra loro, perché,
dopo varie pene per
conquistarlo, non se lo sarebbe lasciato scappare.
“Fantastico!”
gridò sollevato. Lei non
poté che ridere di quella reazione.
“Allora
ti vengo a prendere fra un’ora!”
esclamò, felice e riagganciando il telefono. Hinata rimise a
posto il telefono
e rimase, in silenzio, ferma nella sua posizione ad osservare un punto
indefinito. Aveva fatto bene ad accettare?
Certamente
mi ha risollevato
l’animo.
NdA: Ed ecco il secondo capitolo e
anche il penultimo. Si, lo so non è molto lunga ma
è uscita perfetta anche così xD Quindi che ne
pensate? Come avete potuto notare il personaggio di Hidan non
è molto presente, almeno non in forma corporale. E quasto
aggiunge un'aspetto ancora più lugubre alla storia ♥
La
storia sta prendendo una piega un po' bislacca, in qualche modo si
è capito il modo in cui il quaderno lavora. Diciamo che
è spuntato fuori come Hinata sia riuscita a raggiungere la
sua perfezione. Non è propriamente lei a scrivere le sue
canzoni, almeno non del tutto. Questo particolare è diverso
dal manga a cui mi sono ispirata, spero che vi piaccia lo stesso xD
Ringrazio
Falsa
dea molto adorata
per aver messo la
storia nelle seguite e la ringrazio anche per la sua recensione xD
Inoltre ringrazio anche Mente libera
e liu_Qgirl per aver recensito la storia.
E ringrazio chi semplicemente la legge ^^
Bacioni
A presto!
MissysP
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
cgh
A perfect melody
Capitolo 3
Il palcoscenico era illuminato con luci
forti, quasi l’accecavano. Era in piedi a guardare, da dietro le grandi e
pesanti tende rosse, il pubblico. In prima fila spiccava subito la figura
austera di suo padre, che si guardava attorno, innervosito dal suo farsi
attendere e anche disgustato nel ritrovarsi a stretto contatto con persone
inferiori a lui. Hinata strinse le mani a pugno, stringendo anche la veste di
seta nera del suo vestito, e innervosita da quel suo comportamento. Cercò
d’ignorarlo, continuando ad esplorare il pubblico. C’erano molti volti
famigliari e alcuni se li ricordava molto bene.
C’era suo cugino, Neji, con la sua
fidanzata TenTen e il loro migliore amico Rock Lee, se non si sbagliava; poi
c’era la sua assistente Sakura abbracciata al braccio di un ragazzo dai capelli
neri e gli occhi dello stesso colore, molto probabilmente era il suo fidanzato
a giudicare dall’espressione felice di lei; la sua vecchia insegnante di musica
Kurenai e il suo compagno di corsi Shino e al suo fianco c’era Kiba. Kiba era stato
il suo migliore amico, che rovinò tutto per essere qualcosa di più. Scosse la
testa, era anche suo il motivo per cui se ne era andata da Konoha e da allora
non si erano più parlati. Continuò la sua perlustrazione del pubblico
riconoscendo altre persone di cui non si ricordava il nome, d’altronde era
troppo timida per interagire con gli altri.
Erano lì, tutti riuniti per il suo
ritorno e stavano aspettando la sua esibizione. Hinata si allontanò dalla
tenda, facendo qualche passo indietro e sospirò. Non credeva di potercela fare,
quel pubblico era diverso da tutti gli altri; era pieno di persone che non
vedeva da un sacco di tempo, pronta a giudicarla e lei non si sentiva pronta.
Non avrebbe dovuto assecondare la pazzia di un momento e chiedere a Sakura di
trovarle una sistemazione per il suo ritorno a Konoha. Alzò una mano, stretta
nuovamente a pugno, e si picchiettò la testa mormorando “Stupida! Stupida!
Stupida!” i suoi occhi erano assenti, fissi sul parchè di legno
dell’Auditorium. Una mano maschile fermò la sua, prima che potesse colpirsi
nuovamente. Solo in quel momento lei ritornò in sé e alzò lo sguardo per
guardare chi fossi il suo intruso. Sorrise nel vedere che si trattava del suo
biondo preferito.
“Naruto” lo chiamò dolcemente. Era felice
di vederlo in quel momento e sorrise ancora di più al ricordo della giornata
precedente.
Avevano fatto la pace, lui si era scusato
di averla accusata di pensare solamente al suo lavoro e lei si era scusata per
non aver compreso il suo bisogno di passare del tempo insieme. Naruto aveva un
effetto benefico su di lei e se n’era resa conto ritornando a casa. Infatti,
aveva notato come la sua pelle aveva ripreso colore, per quanto possibile, e
non sembrava più stanca e triste, ma radiosa. E per quello ne era felice.
Ritornò al presente, per godersi quell’attimo di felicità, prima di sprofondare
nuovamente nel baratro.
“Perché maltratti questa graziosa
testolina viola?” domandò divertito. Le rivolse uno dei suoi sorrisi migliori,
per risollevargli l’animo e funzionò.
“Sono nervosa. Sto per esibirmi davanti a
persone con cui ho passato la mia infanzia” rispose, cercando di trattenere la
malinconia e l’agitazione. Naruto non aveva bisogno di domandarle come stava,
per lui Hinata era un libro aperto.
“Hinata lo sai che puoi contare su di me,
vero?” domandò il biondino. La ragazza lo guardò negli occhi e annuì,
sorridendogli grata per la sua presenza. Lo abbracciò, felice di quel momento;
l’unica cosa buona che le era successo da quando era ritornata a casa.
Guardava ancora una volta il pubblico,
individuando immediatamente Naruto. Era in seconda fila, ma lo vedeva molto
bene. Era dietro suo padre, che la salutava con un sorriso e lei non esitò a
rispondere con un cenno. L’uomo la guardò perplesso e si chinò verso il nipote
per domandargli qualcosa. Hinata non se ne curò e si voltò verso la donna
bionda, con un seno molto prosperoso, che era salita sul palco per annunciare
la sua entrata. Strinse al petto l’album, quello in cui aveva trovato uno
strano Requiem su leggio del suo piano in camera. Un brano che non si ricordava
affatto di aver scritto. Erano da mesi che non aveva l’ispirazione giusta e non
si ricordava di aver composto qualcosa.
La donna si portò un microfono vicino
alla bocca e fece per parlare. Il suore della ragazza prese a battere
furiosamente.
“Signori e signore, sono lieta
di poter presentare a questa serata” esordì
la donna.
Il suo corpo le sembrava esser fatto di
pietra e non rispondeva ai suoi ordini. Perfino sollevare una mano le sembrava
difficile. Continuava a guardare il sindaco di Konoha che sproloquiava sulla
serata e sul suo concerto. Parole che non aveva voglia di ascoltare
minimamente.
Al posto delle sue parole, udiva una
strana melodia; famigliare ma nuova allo stesso tempo. Dove l’aveva sentita?
Che sciocca che sono stata,
sapevo già cosa stava per accadere.
Fece un piccolo sforzo. Qualcosa era
cambiato nel momento esatto che era ritornata a casa, sentiva quella macchia
nera seguirla dovunque. Sgranò gli occhi meravigliata, un flash la stordì
ancora di più. La musica che sentiva fischiargli nelle orecchie la percepiva
ogni volta che stava per salire sul palco per esibirsi. Ogni volta che aveva un
concerto quella melodia la soprafaceva. La prima volta che era accaduto era
qualche anno dopo la sua fuga da Konoha: suo cugino Neji le aveva fatto un
regalo di compleanno, un regalo che la metteva in soggezione ma che allo stesso
tempo la ipnotizzava. Da quando aveva cominciato ad usare quell’album le sue
musiche avevano un qualcosa di strano, di più triste. Nel momento esatto che
quella melodia cessava, l’ombra che la seguiva invisibile e silenziosa colpiva.
La morte prendeva il suo posto, uccidendo ogni persona presente al suo
concerto. Era sicura che alla tv non comunicava tutti gli omicidi, ma Hinata
era sicura che c’è ne erano molti di più.
Più ci pensava, più la testa gli
scoppiava. Voleva che quella musica si fermasse. Il cranio le doleva, dolore.
Solo questo, la sua vita era piena di dolore e non c’era spazio ad altri
sentimenti.
“... non vi annoierò oltre. Ora
diamo il ben ritornata a Miss Hyuuga” la
presentò Tsunade.
Hinata si raddrizzò e a testa alta entrò
sul palcoscenico. Guardava davanti a sé, senza degnare nessuno di uno sguardo,
distratta com’era dalla sua canzone interiore. Sembrava acquetarsi, come ogni
volta che si avvicinava al pianoforte. Poggiò l’album sul leggio e si sistemò,
lisciandosi le pieghe del vestito. Rivolse un’occhiata alla donna, che annuì a
sua volta. Le luci si affievolirono, sfumando su di lei. Si spensero pure le
luci di emergenza, tutto per concedere tutta l’attenzione a lei, la stella di
quella sera.
Le dita di lei incominciarono a scivolare
sulla tastiera, veloci e silenziose, lasciando il posto a quelle note
malinconiche e perfette. La melodia, provata nemmeno una volta, era stupenda.
Perfino lei se ne rendeva conto, con stupore. Non credeva di aver scritto una
simile canzone, ma ne fu orgogliosa immediatamente. La melodia che udiva nella
sua mente si mescolò a quella che suonava. Forte e piano; triste e allegra;
acuta e grave. Un connubio di opposti, perfetti fra loro che si completavano a
vicenda. Ma solo lei poteva percepire una simile melodia perfetta, mentre gli
altri non potevano che ascoltare un suono distorto e lontanissimo dalla
perfezione che era.
Perché me?
Teneva gli occhi socchiusi, non aveva
bisogno di guardare la tastiera. Conosceva l’esatta posizione di ogni tasto
bianco e nero. Li suonava con decisione e passione. Sebbene il suo corpo
vibrasse, ribellandosi all’idea di ubbidire a qualcun altro, eseguiva gli
ordini che gli impartiva quell’ombra. Sembrava che solamente lei riuscisse a
vederla; voleva avvertire gli altri, il suo pubblico, di quello che stava per
succedere. Presto quell’ombra li avrebbe avvolti, destinandoli a una morte
inevitabile. Le sue labbra, però, non si mossero e le sue mani continuavano a
volare sulla tastiera, leggiadre e decise su quali pulsanti premere.
Ammettilo, ti è piaciuto. Quella
sensazione di perfezione…
Nella sua mente quella nebbia di bellezza
la costringeva a mettersi in ginocchio e a volerne sempre di più. I suoi occhi
divennero opachi e assenti, mentre l’oscurità svolgeva il suo lavoro. Si
avvolse attorno ad ogni singola persona presente in quella sala, buttandoli in
un baratro buio e senza fondo. Presto sarebbero morti, inconsapevoli della
causa. C’era un colpevole, ma proprio in quel momento erano ammaliati dalla sua
musica.
Al
proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni
capace d’uccidere tutto il mondo.
Chiunque avesse scritto quella dedica aveva ragione.
Le sue musiche uccidevano, uccidevano persone innocenti. Per questo aveva perso
la sua vitalità di un tempo, troppe morti sulla coscienza e lei nemmeno provava
a redimersi. Non sarebbe stato sufficiente, sarebbe andata all’inferno
accettando la propria punizione; qualunque fosse stata.
Chiuse gli occhi assaporando ancora una volta lo
stato di beatitudine che la circondava, lasciandosi avvolgere dall’ultima nota,
Sol. E poi il silenzio. Il silenzio
che precedeva il chiasso degli applausi, quasi ferendole l’udito. Si costrinse
a sorridere, un’azione di cortesia. Con i suoi occhi perlacei, e ancora vuoti,
guardò ogni conoscente, prima della sua morte. Si scontrò con gli occhi azzurri
di una persona in particolare. Trasalì, nel guardarli. Anche a lui avrebbe detto
addio?
Sciocca. Sei stata solamente una sciocca. A lui
soprattutto avresti dovuto dire addio. Prima che l’inevitabile succedesse.
Con le labbra mimò <>,
l’ultimo addio che poteva dargli, versando delle lacrime amare. Avrebbe dovuto
impedirgli di assistere allo spettacolo. Lui era la persona che più la capiva,
che più la faceva sentire amata. Ringraziava il cielo per quel dono e lei lo
aveva appena condannato a morte. Lui ne parve confuso, perché dirglielo in quel
momento? Non poteva rifiutargli il suo sorriso e annuire. Gli rispose a suo
modo, come sempre. <> Una risata gutturale si divulgò
sopra gli applausi e i fischi. Un paio di occhi viola la guardavano, contenti
del suo dolore. Provava piacere dal suo dolore, ne traeva nutrimento. Hinata li
osservava, ammaliata e desiderava correre verso di essi. Tuttavia, i suoi piedi
erano ben piantati a terra, le impedivano di compiere un solo passo. Uno scricchiolio
impercettibile attirò l’attenzione dell’artista. Spostò il suo sguardo verso
l’alto, verso la trave principale della struttura. L’auditorium era vecchio,
qualche asse poteva sempre cadere e coinvolgere le persone in un incidente.
Tremò a quella prospettiva, lei si sarebbe salvata questa volta?
Certo, come tutte le altre volte in passato e in
futuro.
Lo scricchiolio si fece più forte e la
trave prese a cadere verso il basso, con lentezza esasperante. La vide cedere
pian piano, minacciando di travolgere tutte le persone. Hinata guardò
disperatamente i suoi amici, implorandoli con lo sguardo di scappare, di
accorgersi di essere in pericolo. Nessuno, però, si accorse di quella supplica
silenziosa. Erano intenti a richiedere il bis o a lodarla, per la sua bravura.
La trave cedette e Hinata chiuse gli occhi, terrorizzata all’idea di rivivere
tutto da capo.
Alla fine, uno si abitua a quelle situazioni e l’ho
fatto anche io.
Sento ancora quella melodia, ma ormai ho smesso di
ribellarmi. Maledetta, ecco cosa sono.
Come la melodia, risuonarmi nelle orecchie e
precedere l’orrore a cui sono costretta ad assistere.
Ho pianto quel giorno; per i miei amici, per il mio
Naruto, Neji e Hanabi e perfino per mio padre. Nulla li farà tornare. Sono
destinata a restare sola e senza legami.
“Perché temere la morte? Essa ci e’, eppure,
sempre vicina”, mai parole furono più veritiere.
Maledetta.
______________________________________________________________________________________________________________________
Angolo Autrice
Okay e questo è l'ultimo
capitolo. Sniff!!! Mi dispiace
aggiornare solamente ora e per di più mi dispiace anche mettere
fine a questa storia... Non posso che continuare a sottolineare a
quanto io sia affezionata a questa mini-long e mi dispiace che sia
arrivata solamente 4° al concorso, ma mi accontento lo stesso.
Stavo pensando, inoltre, che potrei scrivere un proseguito per questa
storia magari una One-shot oppure un'altra mini-long... Sono indecisa e
se voi vorreste dirmi la vostra opinione fate pure. Spero che vi sia
piaciuto il capitolo e non vedo l'ora di leggere i vostri commenti. E
spero anche che chi segue il manga di Death Note ♥ , non sia stato un affronto leggere questo abominio xD
Mi resta solamente da dirvi: alla prossima.
Bacioni!
MissysP
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