A perfect Melody

di MissysP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Autore: _MulticoloR_ sul forum / MissysP sul sito
Titolo: A perfect melody
Numeri scelti: lista A:31; lista B:8
Prompt effettivamente utilizzati: Death Note, pentagramma; Hidan
Personaggi: Hidan, Hinata Hyuuga
Paring (se ce ne sono): Accenni a NaruHina, SasuSaku e NejiTen
Rating: Giallo
Genere: Dark, Fantasy, Mistero
Avvertimenti: AU, Long-fic
Introduzione: Un’artista famosa decide di ritornare a casa, una casa in cui non era ben voluta da nessuno della sua famiglia. Ritornata in una casa che voleva dimenticare, viene coinvolta in una serie di “incidenti” molto strani, senza capirne la causa. Non comprendeva nemmeno il motivo per cui era ritornata, ma qualcosa l’aveva richiamata a Konoha e, adesso, doveva pagarne le conseguenze, per quanto pericolose potessero essere. L’unico modo per sopravvivere era accettare il proprio destino.

[Cit.| Qualche passo indietro e andò a sbattere contro il leggio su cui era poggiato l’album e questo cadde a terra, aprendosi alla prima pagina. Dentro c’era una dedica di un qualcuno. […] Deglutì, nervosa all’idea di non poter ancora uscire da quel negozio senza rischiare di farsi la doccia.
 
Al proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni capace d’uccidere tutto il mondo.
H
 
NdA: Ammetto che ho temuto che quella dannata Ispirazione mi avesse abbandonata in quanto, fin dal primo momento in cui mi sono iscritta, ho continuato a pensare a come potesse svolgersi la storia. Insomma i promt che mi hai dato mi piacevano un sacco e potevo inserirne anche più di uno. Ho cercato di scrivere una storia che non annoiasse molto e di fare in modo che i due promt scelti avessero una loro logica e spero di esserci riuscita. E ammetto che per farlo, anche, mi sono ispirata all’episodio di un anime, sarebbe più un videogioco ma non importa, in cui la similitudine fra la protagonista e la cantante di quell’episodio si assomigliano. Ma non voglio rovinarti la sorpresa dicendotelo. Alla fine ho messo una citazione di Mahatma Gandhi perché la trovavo azzeccata. Alla fine si tratta di questo, perché cercare di scappare dalla morte? E’ inevitabile. Spero di non annoiare troppo il lettore con questi vaneggiamenti e quindi via con la storia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A perfect melody 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1
Era una giornata uggiosa e piovosa, le nuvole grigie rilasciavano una leggere pioggerellina, mentre le nuvole nere, che pian piano si stavano impossessando del cielo, non promettevano nulla di buono. Il tempo minacciava di degenerare. Le persone correvano, in cerca di riparo, prima che il tempo non permettesse loro di ritornare a casa ancora asciutti. Il buio imperversava sulla città, i lampioni si accesero per facilitare alle persone di ritornare a casa.
Una ragazza, dai capelli color indaco e gli occhi perlacei, camminava incurante di quello che succedeva attorno a lei. Indossava un cappotto lungo e nero, che nascondeva i lunghi capelli e il viso pallido nel colletto. Le mani, gelide, si stringevano a pugno in cerca di conforto dal freddo che avvolgeva il paese. Sebbene fosse solo settembre , l’aria polare che avvolgeva Konoha era quello tipico di dicembre; però, la ragazza parve non curarsene e continuava il suo vagabondare per quelle vie famigliari di quel posto. I suoi occhi erano privi di quella luce che una volta le apparteneva.
Suo padre l’aveva uccisa, imponendole un’educazione rigida e fredda; negandole il calore di una famiglia e l’affetto di cui una bambina necessitava. Sempre vista una debole, dagli occhi paterni, era cresciuta in un mondo sterile e buio. Una luce era la sua unica salvezza: la sua passione per la musica. Fin dall’infanzia aveva sviluppato il suo interesse per la musica e l’aveva aiutata a superare quel periodo che le pareva un’eternità.
Un lampo illuminò tutta la via, seguito subito dal tuono che le ferì le orecchie. Alzò lo sguardo, leggermente spaventata da quel suono improvviso, e con quel breve attimo che il lampo le aveva concesso, scorse un’insegna rossa e piena di sporcizia. Il muschio rendeva difficile leggere la scritta, ma sforzandosi di comprendere il carattere di quella scritta riuscì a decifrare che si trattava di un negozio di musica, Sound’s Shop. Un altro lampo, seguito subito dal tuono, la incoraggiò ad entrare in quel negozio e quando fu al riparo delle tettoia del negozio, le prime gocce di pioggia incominciarono a cadere, bagnando l’asfalto sporco e puzzolente. La ragazza attese prima di entrare, continuò a scrutare il cielo, sempre più nero; L’unico squarcio di luce, che si rimpiccioliva sempre più, si rifletteva nei grandi occhi di lei. Una leggera brezza sollevò il cappotto, le poche persone ancora rimaste sotto la pioggia correvano ignorandola. Il vento trascinò alcune gocce di pioggia inumidendole il viso. Un brivido di freddo le percosse tutta la schiena, costringendola a stringersi nel proprio cappotto. Si appoggiò alla vetrina, osservandone il contenuto al di là del vetro. Un cartoncino faceva mostra di sé, Chiuso. Riportò l’attenzione agli oggetti che decoravano la vetrinetta, molti strumenti musicali – violini, trombette, delle maracas, chitarre, flauti e dei tamburelli -, c’erano anche uno sgabello in pelle nera vicino ad un piano, più in fondo rispetto agli altri, con un candelabro acceso su di esso, e molto altro ancora. Sul vetro erano presenti alcuni manifesti fra cui il suo, in cui annunciava il suo ritorno a casa e dava un concerto per l’occasione. Un sorriso ironico fece capolinea sulle sue labbra, scuotendo la testa amareggiata. Il grande concerto di Miss Hyuuga. Vicino al suo c’era anche il volantino di un ragazzo, castano, occhi azzurri e dei segni rossi sotto gli occhi, che si offriva come tutto fare. Un leggero scampanellio la riportò alla realtà e guardò verso la porta d’entrata del negozio. C’erano le luci accese e prima non le aveva notate. Guardò di nuovo verso il cartoncino e rimase a bocca aperta nel notare che appariva la scritta Aperto. Si guardò attorno, non c’era alcuno in giro, e poi guardò dentro nel negozio. Non c’era nessuno e non capiva chi potesse aver acceso le luci, ma soprattutto non capiva come potesse quel cartoncino aver cambiato lato, se aveva continuato a guardarlo. Scosse la testa, non riusciva a trovare una risposta e sinceramente non gliene importava. Il temporale peggiorò, il piccolo balconcino sopra di lei non riusciva più a tenerla al riparo dalla pioggia e, anche grazie al vento che soffiava contro, si stava bagnando. Sbuffando portò la mano sulla maniglia, un lampo la illuminò facendole raddrizzare la schiena. Per un attimo le era sembrato di vedere qualcuno dietro di lei, riflesso nel vetro della porta. Strabuzzò gli occhi, sussultando, e si voltò di scatto per assicurarsi che non ci fosse neanche un gatto in giro. Vide solamente il grigio della casa che torreggiava di fronte al negozio e tirò un sospiro di sollievo. Non comprendeva il motivo del suo nervosismo, ma preferì non pensarci troppo. Inspirò l’aria umida e tornò verso l’entrata del negozio. Aprì la porta e una follata di calore l’avvolse, facendole dimenticare il turbamento di poco prima e la fece sentire al sicuro.
Si guardò attorno, meravigliata da quella stupenda atmosfera di assoluta tranquillità. Dentro il negozio aleggiava un profumo di rose, un grande candelabro, appeso sul soffitto con tanto di chincaglieria che penzolava sotto di esso, e varie altre candele sperse in giro per il locale, illuminavano fievolmente gli strumenti musicali e i vari articoli di musica. Si guardò attorno meravigliata e portò ancora una volta il suo sguardo alla vetrina. Solo a quel punto si accorse che anche i lampioni fuori in strada erano spenti, capì il perché delle candele. Si aggirò fra i vari scaffali, ammirando i vari articoli. I suoi occhi perlacei si soffermarono su ogni pezzo di rarità che trovavano. Le linee raffinate di un violino, i tasti d’avorio bianco perla di un pianoforte, i disegni impegnativi di un album ai margini degli spartiti, bacchette di ogni tipo per i direttori d’orchestra e molto altro ancora.
Aveva sempre amato la musica, da piccola con sua madre entrava in ogni negozio di musica e rimaneva incantata da tutti quei strumenti musicali scintillanti e qualche volta aveva anche assistito a qualche spettacolo di musica della donna. Era rimasta affascinata dall’eleganza che l’esecutore mostrava nel premere ogni pulsante e comporre melodie straordinariamente meravigliose, ma ancora di più ogni volta che assisteva al talento sorprendente di sua madre. L’aveva sempre ammirata e cercava di imitarla in tutto.
Se chiudeva gli occhi, Hinata, poteva benissimo ricordare il palcoscenico. Grandi luci che illuminavano l’orchestra: il direttore, gli archi, le trombe, il piano i tamburi e tutto il resto. Ogni volta che incominciava un’opera, rimaneva affascinata dalla bravura del pianista. Adorava quel suono che era in costante cambiamento, prima dolce poi forte, prima acuto e poi grave. I suoi occhi erano puntati sempre e solo su quel meraviglioso strumento che tanto l’attirava.
Hinata non si era accorta di aver chiuso veramente gli occhi, ma li aprì. Con lentezza da sotto le sue palpebre la calda e confortante luce di una candela le mostrò la copertina di un album famigliare. Lo aveva già visto da qualche parte e osservandolo con accuratezza lo riconobbe. Era il suo. Sbatté gli occhi e, infine, si ricordò che era suo cugino che glieli regalava, allora era lì che li comprava. Sorrise, allungò una mano e lo sfiorò con lentezza. Ne seguì il profilo tagliente e antico. Il colore della pergamena antica le era sempre piaciuta, per di più adorava anche quelle finte bruciature che si accartocciavano su se stesse. Con un dito sfiorò la scritta in rilievo, Album. Era assorta nel contemplare quel fascicolo di carta che non si era accorta che un ragazzo le stava arrivando alle spalle.
Una mano grande e fredda le si posò sulla spalla; quel tocco improvviso la spaventò, facendola sussultare. Hinata emise un grido di timore, girandosi di scatto e facendo qualche passo indietro, a mettere distanza fra lei e quello sconosciuto. Il suo cuore aveva preso a battere forte, anche fin troppo, rischiando di farla svenire oppure di farle avere un infarto. Lo osservò sconcertata da quello ch’era appena successo. Non aveva percepito il suono di nessun passo che potesse fargli capire la presenza di qualcun altro vicino a lei. Si guardò attorno, cercando di capire da dove fosse arrivato, ma non c’erano porte aperte. Lo guardò per una seconda volta: capelli lunghi fino alla spalla e bianchi tirati all’indietro e un paio di occhi viola intenso. Si diceva che gli occhi erano lo specchio dell’anima e Hinata pensò che quel detto fu azzeccato per quel ragazzo. I suoi occhi la mettevano a disagio e le infondevano un senso d’inquietudine, ma allo stesso tempo l’attiravano. Le davano l’impressione di strascinarla in un buco nero e inghiottirla in un vortice buio, pronto ad assorbirla dentro di sé, a farla diventare una parte di sé. Chiuse i propri occhi e li riaprì, chiuse ed aprì. Il ragazzo era sempre davanti a lei, i suoi occhi non l’abbandonavano e seguivano ogni suoi piccolo movimento. Si portò una mano alla fronte e traballò all’indietro; una mano l’afferrò prima che potesse andare a sbattere contro qualcosa. L’attirò a sé, poggiandole una mano sulla schiena mentre l’altra la teneva forte per il braccio; Hinata al contrario aveva appoggiato le mani sul suo petto. Era sbalordita nel trovarsi in quella situazione e continuava a fissarlo. Un lampo illuminò il negozio, il suo viso e in questo modo Hinata fu ancora più sbalordita di quello che vide in quelle pozza viola: dolore, cattiveria, malizia e altro ancora. Debolmente, fece forza su di sé e cercò di allontanarsi da quello sconosciuto.
“Io… Io… Grazie” balbettò, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul piano a poca distanza da loro. Il ragazzo sorrise e non era un sorriso rassicurante. Hinata si sentì ancora di più a disagio e sciolse del tutto quello strano abbraccio. Qualche passo indietro e andò a sbattere contro il leggio su cui era poggiato l’album e questo cadde a terra, aprendosi alla prima pagina. Dentro c’era una dedica di un qualcuno. Si chinò subito a raccoglierlo, con urgenza. Si sentiva mortificata e stava arrossendo di vergogna. Non voleva essere così impacciata, non davanti ad uno sconosciuto. La pioggia continuava a scendere, a bagnare l’asfalto, sembrava che il temporale non volesse concedere una tregua a nessuno. Deglutì, nervosa all’idea di non poter ancora uscire da quel negozio senza rischiare di farsi la doccia.
 
Al proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni capace d’uccidere tutto il mondo.
H
 
Che dedica strana, pensò la ragazza. Non capiva chi avesse firmato, c’era solo una H e non svelava molto. Non le veniva in mente nemmeno nessuno dei suoi colleghi con cui il proprio nomi inizi con l’H. Un’altra mano, quella dello sconosciuto, raggiunse la sua, cerando di prendere l’album che le era caduto. Hinata sollevò di scatto la testa e arrossì violentemente. Lui rispose al sorriso, leccandosi le labbra.
“S-scusa” mormorò, lasciando il quadernino. Si rimisero in piedi e furono avvolti da uno strano silenzio. Hinata spostava il proprio peso da un piede all’altro, imbarazzata e nervosa. Decise di non poter sopportare ancora di più quell’attimo e si incamminò verso la porta del negozio.
“Ferma” ordinò il ragazzo. Per qualche strano motivo lei ubbidì, invece di scappare a gambe levate. Sentirlo parlare le metteva addosso una sensazione di pericolo, doveva andarsene e, invece, si girò, cercando di sorridere cordialmente. Il ragazzo si era spostato talmente veloce, che Hinata non lo aveva visto avvicinarsi a lei. Deglutì un’altra volta e resto in silenzio e immobile. Aspettò che lui le dicesse qualcosa, altrimenti sarebbe scappata per non tornare mai più. Era stato troppo, troppo imbarazzante. Il ragazzo le porse il quaderno, quello che aveva fatto cadere e lei lo guardò stupita. Non capiva il motivo di quel regalo, sempre se si trattasse di un regalo.
“Non è da tutti i giorni trovarsi davanti la grande Miss Hyuuga” ammiccò, strizzandole l’occhio. Hinata fremette dall’andarsene subito, quel posto non le piaceva più. Con la mano tremante prese l’album e fece un inchino di ringraziamento verso quel giovane.
Il tempo di battere ciglia e si ritrovò a guardare la porta del negozio. Ne rimase confusa, non capiva come potesse ritrovarsi già fuori se fino a qualche attimo prima era al suo interno. Abbassò lo sguardo e vide che in mano aveva ancora l’album, lo stesso che usava sempre, lo stesso che suo cugino le regalava, lo stesso che gli aveva regalato quel ragazzo. Il suo cuore continuava a battere furiosamente nel suo petto, non riusciva a calmarsi. Con gli occhi cercava di scorgere qualche d’uno all’interno del negozietto, ma le candele erano spente e non sembrava esserci nessuno. Scosse la testa, turbata e decise di ritornare a casa. E proprio in quel momento il tempo sembrava volergli concedergli una tregua: aveva smesso di piovere. A grandi passi ritornò verso la strada principale e cercò di ricordarsi cosa fosse successo in quel luogo angusto. Però, pian piano il ricordo svaniva fino a diventare un flashback reminiscente.
 
 
 Giudizio:
 Grammatica: 5/15 
Stile: 5/10 
IC: 11/15 
Originalità: 8.5/9 
Gradimento Silvar: 3/3 
Gradimento Solli: 2.3/3 
Attinenza al prompt: 4/5 
Totale: 38.8/60 
C'è da premettere che abbiamo molto apprezzato l'idea di trasmutare il death note in questo fantomatico album, e sinceramente tutto l'insieme della storia è potenzialmente interessante. Il problema sta nel fatto che fatichi ad esprimerti. Ci sono molte, moltemamolte, ripetizioni (musica-musica-musicale-musicanti-musicisti-abbiamocapito), e spesso refusi ortografici. Si intuisce però la tua buona volontà, pertanto ti consigliamo di non demordere perché potresti migliorare. 
I prompt sono comunque utilizzati molto bene, a parte il personaggio che dovevi nominare, che invece hai fatto comparire per un'intera scena importante della storia. Questa è stata una delle grandi pecche, insieme alla tua grammatica. Hai dei grossi problemi con le virgole, sbagli le concordanze fra il soggetto e gli aggettivi (per fare un esempio, “Sul bancone c’erano un pacchetto di fiammiferi” non è corretto. Il soggetto è IL pacchetto, non i fiammiferi, e visto che il verbo deve concordare col suo soggetto, l'espressione giusta diventa: "Sul bancone c’era un pacchetto di fiammiferi"). E poi, perché per gran parte era scritta in grassetto corsivo? Era voluto? 
Comunque per quanto riguarda l'IC, Hinata non ci convince del tutto, però segue grosso modo le linee guida del carattere originale. Hidan, in quella mezza apparizione non è IC, e poi quei “capelli alla spalla” (alle spalle in teoria) ci lasciano ancora un po' perplesse. Anche Neji non è propriamente IC, non ha mai dimostrato durante la serie regolare di interessarsi alla cugina, anzi... e invece qui tutto d'un tratto diventa un amorevole cuginetto. Poi, l'atmosfera che si respirava in tutta la fic non aveva nulla a che fare col Giappone, piuttosto con Vienna o un'altra città barocca. Quindi, la domanda che sorge è, Konoha è in Giappone? Però la fanfic è basata su un'idea affascinante, e bisognerebbe solo renderla più scorrevole. A prescindere da questo contest, magari potresti affidarti ad una beta che facendoti notare i tuoi errori potrebbe aiutarti a superarli e ad acquistare una buona padronanza della sintassi. È un peccato perché una storia con molti errori rende anche confusi i contenuti e la trama stessa, per quello insistiamo tanto su questo punto. La trama, le idee sono buone, ma il modo di impostarle ed esprimerle va migliorato, altrimenti perdono gran parte della loro riuscita. 
 
 
 NdA: Questo è solamente il primo capitolo della storia, ma rassicuro chi l'ha letta (e a cui la storia è piaciuta) che non tarderò a pubblicare il secondo capitolo. 
Ci tendo a precisare che di tutte le storie che fino a questo momento ho scritto, questa è la mia preferita. Sono stata fortunata che mi siano capitati dei pacchetti che ho ricevuto e mi sono divertita moltissimo nel scrivere la storia. 
"Death Note" è un Anime/Manga che ho seguito e per cui stravedo. Impazzisco per Kira/Light e non ho potuto che seguire una traccia simile a quella della storia originale, anche perché mi sarebbe dispiaciuto e come se non bastasse i personaggi che mi sono capitati erano perfetti. Quindi sono stata fortunata! Una combinazione perfetta in tutto e per questo ringrazie le giudicie ^^
Mi rattrista solamente che la storia si sia piazzata 4° ma non m'importa. Io semplicemente l'adoro e la trovo perfetta così ^^ Ma oltre che piazzarsi 4° la storia ha avuto una menzione speciale ed io ne vado fiera =)
Lasciate qualche commentino, giusto per sapere che cosa ne pensate.
Bacioni

MissysP

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


A perfect melody

Capitolo 2

Le finestre erano aperte e sebbene fino a qualche giorno prima aveva piovuto, quella sera c’era un caldo soffocante. Non riusciva a respirare, la fronte era imperlata di sudore e nemmeno la leggera brezza del ventilatore, posto sul soffitto, riusciva a darle sollievo. Le coperte erano ammucchiate ai suoi piedi e le luci dei lampioni, provenienti dalla strada, illuminavano la stanza, colpendo lo specchio sul quale la luce si rifletteva, creando così dei giochi di luce. Hinata non riusciva a dormire, continuava ad osservare una sfaccettatura, color arcobaleno, sul soffitto, cercando di prendere sonno. L’album era posto sulla scrivania, vicino al cappotto e agli occhiali da sole, che era solita ad usare per nascondersi. Si sentiva stranamente irrequieta e non sapeva cosa fare per calmarsi. Come un automa si alzò, mettendosi seduta sul letto e guardandosi attorno. Infilò le ciabatte pelose e viola, regalo di sua sorella Hanabi, la vestaglia del medesimo colore e uscì dalla stanza, in cerca di distrazioni in giro per l’abitazione.

Era una casa troppo grande per una sola persona e anche fin troppo silenziosa. Aveva proposto alla sua assistente Sakura di andare a vivere con lei, in modo da non farle fare avanti e indietro da casa sua e di avere un poco di compagnia, ma lei aveva rifiutato. Sebbene avesse abusato della scusa di non volerla disturbare, soprattutto mentre era intenta a comporre dei nuovi brani, sapeva che in realtà voleva passare più tempo possibile con il suo fidanzato e di certo non voleva fargliene una colpa.

Girovagò per le varie stanze, andando poi in cucina a preparasi una camomilla, nella speranza che l’aiutasse a farle prendere sonno, ma non sorbiva nessun effetto. Sul bancone c’erano un pacchetto di fiammiferi e senza un reale motivo se li mise in tasca. Poi si era sistemata comodamente sul divano e aveva acceso la tv, distraendosi con il primo programma demenziale che aveva scorto. Nemmeno quello, tuttavia, sembrava riuscir a farle dimenticare la sensazione sgradevole di qualcosa che non andava, ma più cercava di capire cos’era più aumentava anche la sensazione di nervosismo. Stanca, decise di dedicarsi in qualche modo al suo lavoro. Ripercorse le scale e si diresse verso la stanza in cui c’era il suo pianoforte. La porta era ricoperta dal cellofan, segno che ancora non c’era entrata, mise la mano sulla maniglia in ottone e l’abbassò. Spinse la porta, in modo da aprirsi verso l’interno e darle modo di osservare quella stanza. Le pareti erano bianche immacolate - incominciava ad essere stanca di quel colore neutrale- e in mezzo ad alla stanza c’era il suo strumento di lavoro. Il nero lucido dello strumento rifletteva la poca luce che filtrava dalla tenda della finestra aperta. Hinata aggrottò le sopracciglia, non si ricordava di averla mai aperta, non ricordava nemmeno che esistesse quella camera. Aggirò il piano e andò a controllare che tutto fosse a posto. S’affacciò sul balcone e non vide nessuno, nemmeno in strada, ma era comprensibile era notte fonda. Scuotendo la testa, per l’ennesima volta, socchiuse le persiane in modo che la stanza rimanesse al buio e il vento circolasse per la camera in modo da rinfrescare l’ambiente. Dalla tasca della propria vestaglia riprese i fiammiferi e ne accese uno, si guardò attorno. Di solito preferiva lavorare nell’auditorium del paese, ma per quella notte avrebbe fatto un’eccezione. Sforzando i propri occhi ad abituarsi al buio, individuò un paio di candele sopra il piano e le accese. Sakura doveva aver disseminato l’intera stanza di candele, in quanto non c’era la corrente elettrica in quella stanza. L’unica camera che non erano riusciti a “modernizzare” e alla fine era riuscita ad accendere tutte le candele presenti in quel posto. La luce calda dei ceri le infondeva un poco di tranquillità. Con le dita della mano sfiorò tutto il perimetro dello strumento, seguendo i bordi dolci e ondulati; la superficie era fredda e liscia e le piaceva quel tocco. Quando arrivò di fronte allo sgabello ci si sedette, percependo il morbido del cuscino. Con entrambe le mani assaporò ancora una volta la sostanza liscia, fredda, ma anche dura del legno e poi osservò i tasti neri e bianchi. Ne pigiò uno e ne uscì un suono dolce e tenue, il Sol. Quando alzò lo sguardo per controllare il leggio, rimase sorpresa nel edere che l’album che prima era sulla scrivania, perché era sicura che si trattasse dell’album che le aveva dato lo sconosciuto. Non lo aveva portato con sé e come era finito proprio in quella stanza proprio sul leggio? Spostò con impeto lo sgabello, cadendo all’indietro. Sbattendo così la testa sul pavimento, i suoi occhi fecero fatica a non chiudersi, ma quando videro un’ombra sul soffitto, che sembrava osservarla, divennero ancora più pesanti. Quell’ombra incominciò a danzare sopra la sua testa e a scendere verso di lei, fino a circondarla e tutto attorno a lei si fece nero.

 

Un incendio ha colto di sorpresa, nel sonno, un gruppetto di amici. Erano di ritorno dal concerto della famosa musicista, Miss Hyuuga, e un cortocircuito in cucina ha incendiato tutto il condominio. Oltre al gruppetto di amici, ci sono atre vittime, tra cui una madre e un bambino. Per i ragazzi non c’è stato nulla da fare, sono stati trovati i corpi carbonizzati.

 

Una lacrima solcò la guancia della ragazza, che ancora stava dormendo. Voleva scappare da quella realtà, da quell’incubo che era costretta a rivivere ogni volta che chiudeva gli occhi.

 

Un pirata della strada ha investito i genitori di un neonato, proprio mentre la famiglia era uscita dall’auditorium, dove prima si era tenuto un concerto. Il bambino è rimasto orfano e i famigliari ne sono distrutti. I corpi sono stati ritrovati in condizioni pietose.

 

Era colpa sua? Certo, che lo era. Quel bambino aveva perso i genitori  così prematuramente e non se li sarebbe nemmeno ricordato. Si sentiva un’assassina.

 

Attimi di terrore hanno avvolto il teatro di Okinawa. Durante un concerto, un pazzo è entrato, sequestrando gli spettatori e l’artista Hyuuga, sparando all’impazzata. Sono state lunghe ore quelle che si sono succedute. Il pazzo, un rinnegato della società, si era dichiarato follemente innamorato della musicista e minacciando di compiere una strage se non avesse accettato la sua proposta di matrimonio. I feriti sono molti come i morti. Da allora Hinata Hyuuga ha annunciato di non apparire più in pubblico. Ha anche annunciato di volersi prendere una pausa e di smettere di esibirsi a causa dello shock di quel giorno disastroso. Molti fan si sono riuniti per…

 

Urlò di rabbia e frustrazione. Quel giorno era stato rovinato ancora di più a causa sua. Al giornale erano più impegnati a metterla sotto i riflettori che spiegare cosa fosse successo in quel maledetto teatro. Avevano appena accennato alla morte di molte persone, ma non si erano soffermati più di tanto. Come se loro non fossero importati come lei, anzi, erano anche più inferiori di lei. Questo non lo poteva accettare, ma non si era mai opposta, non aveva mai detto nulla. Si era limitata ad assistere passivamente e fingendo sorrisi che erano, solamente, l’ombra di quelli che erano una volta.

Lacrime. Solo queste versava. Si sentiva vuota e meschina, come potevano trattarla in quel modo? E’ così che la vedevano? Una dea, una divinità da adorare e che era superiore a tutti? Non era così che la trattava la sua famiglia e non si sentiva tale. Ma i media sembravano provarci gusto nel stravolgere la sua vita.

 

Riaprì lentamente gli occhi e la prima cosa che osservò fu il bianco del soffitto. Le persiane erano ancora chiuse, ma poteva ben vedere che alcuni raggi del sole filtravano da dietro il legno ruvido e rovinato di esse. Le candele erano ancora accese, ma nel corso della notte si erano consumate molto perché vide della cera scivolare lungo il piano forte, sulla tastiera e sul pavimento. A fatica si tirò su con i gomiti. I lunghi capelli assecondavano ogni suo movimento oscillando fluidamente. Si portò una mano alla fronte, sfiorandosela con delicatezza; la testa le rimbombava e la stordiva ancora di più. Sbatté gli occhi più volte, cercandosi di ricordare dove si trovasse. Vide il piano e comprese di essere in quello che dovrebbe essere la sua stanza da lavoro. Era svenuta? Probabile. Alla fine, quando il capo smise di pulsare e sentendosi meglio, si rimise in piedi, appoggiandosi al piano. Ancora confusa si diresse verso il bagno, a cercare conforto sotto l’acqua calda.

 

Il getto d’acqua calda la colpiva violentemente la schiena, ma lei non se ne curava. Era persa nei suoi pensieri. Da quando era ritornata nel suo paese d’origine, quella che dovrebbe essere la sua confortevole casa, sembrava che ci fosse qualche entità superiore che volesse divertirsi con lei.

 

Che ironia, ero molto vicino alla verità.

 

Da giorni non riusciva più a scrivere una mezza nota, sembrava che l’ispirazione se ne fosse andata, reclamando una vacanza anticipata. I contatti con la sua famiglia erano sempre più disastrosi: suo padre voleva che ritornasse a casa, per una volta soddisfatto di sua figlia. Lei sapeva il perché: era diventata famosa e aveva molto successo e sebbene non lo dicesse apertamente, voleva imporle un matrimonio solo per avere un motivo in più di cui vantarsi. Suo cugino Neji, per quanto cercasse di essere gentile con lei, voleva che ritornasse a casa, ma non per lo stesso motivo di suo padre. Era dolce da parte sua preoccuparsi senza avere doppi fini, tuttavia continuava a rifiutarsi e per quanto riguardava sua sorella sembrava indifferente alla questione. Mai come in quel periodo si sentiva stanca e voleva solamente avere una via d’uscita. Voleva, in qualche modo, tagliare i ponti fra lei e la sua famiglia, per quanto doloroso poteva essere.

Poi, come se non bastasse, qualche giorno fa si era ritrovata ad osservare la porta di un negozio di musica e senza sapere come ci fosse finita in quel posto. In mano aveva quell’album, nuovo e uguale a quello che utilizzava di solito. Suo cugino gli regalava quei album a Natale e lei li utilizzava per cortesia.

Ed infine, quella notte appena passata. Ricordava che non era riuscita ad addormentarsi e aveva cercato conforto nel suo lavoro. Funzionava sempre, ogni volta che si sedeva di fronte ad un pianoforte, lei si rilassava e veniva avvolta dall’ispirazione del momento. Quella notte, però, non aveva funzionato. Era svenuta, probabilmente, e il mattino successivo si era risvegliata nella stessa stanza.

Scosse la testa, più ripensava a tutti quegli avvenimenti e più le veniva voglia di urlare e rompere tutto. Eppure c’era stato, almeno in quel giorno, qualcosa che l’aveva richiamata a casa, qualcosa che le aveva fatto dimenticare le difficoltà che avrebbe incontrato, in futuro, ritornando lì. Non riusciva, tuttavia, a ricordarselo. Sollevò le spalle e si scosse, agitandosi come un cane per levarsi le gocce d’acqua di dosso, e ritornò alla realtà. Chiuse il pomello della doccia e, da dietro la tendina, allungò il braccio per prendersi un asciugamano. Con attenzione uscì dalla cabina, cercando di non scivolare sul bagnato, e si guardò nel grande specchio spora il lavello. Si spaventò nell’accorgersi in quali pietose condizioni si presentava. Non era mai stata vanitosa, anzi, cercava sempre di nascondersi sotto la frangia e dietro i vestiti sformati, per coprire il suo corpo fin troppo prosperoso. Ghignò sarcasticamente, non osava immaginare in quali condizioni si sarebbe presentata il giorno dopo, al suo concerto. Non voleva pensarci, altrimenti avrebbe pensato, anche, alla presenza di suo padre. Ecco, lo stava facendo in quel momento.

Basta, smettila di pensare.

 

Come se qualcuno avesse udito le sue suppliche nascoste dietro la disperazione del momento, il telefono prese a squillare, salvandola da se sessa. Distogliendo lo sguardo dal proprio riflesso, s’incamminò verso la sua stanza da letto e si sedette sul bordo del materasso. Con una mano tremante sollevò l’apparecchio e se lo portò all’orecchio.

“Pronto?” domandò, esitante. La sua voce era lieve e roca, come se avesse pianto tutta la notte. Non voleva avere contatti con nessuno in quel momento, per non dare spiegazioni a nessuno.

“Hinata?” domandò una voce maschile e famigliare. Hinata sussultò nel sentirla, era da settimane che non si parlavano. Dopo il litigio avuto a causa del suo lavoro, non aveva avuto il coraggio di telefonargli e non trovava nemmeno le parole in quel momento.

“Naruto?” lo chiamò, per essere certa di non immaginarsi la sua voce. Sarebbe stato il colmo.

“Sì, sono io. Che ti è successo? Perché hai pianto?” domandò,veramente preoccupato. Hinata sorrise per quell’apprensione che sentiva nella sua voce. A volte si ritrovava a ringraziare il cielo per il dono ricevuto. Sospirò, rasserenata nel’aver udito la sua voce. La giornata sembrava risollevarsi e per questo gliene era grata.

“Non è successo nulla, Naruto. – disse assaporando il suo nome – Scusami, piuttosto, se non ti ho telefonato prima” finì di dire. Nella sua voce si poteva ben percepire quella nota di incertezza, ma il biondino non se ne era accorto, fortunatamente.

“Non ti preoccupare, anzi, il vero idiota sono stato io. Senti… Io sono qua, a Suna… Ti andrebbe di venirmi a trovare?” domandò, incerto di proporle di raggiungerlo. Quasi temesse in un suo rifiuto. Hinata ripensò al suo riflesso, morto e pallido, e rabbrividì; ma il desiderio di rivedere quel ragazzo, di cui era follemente innamorata, fin da quando era giovane, la spingeva ad accettare la richiesta. D’altra parte per raggiungere Suna ci voleva solamente una mezz’ora utilizzando il treno. Sospirò.

“Certamente. Dammi un’ora e arrivo alla stazione di Suna” accettò, cercando di esserne sicura. Non voleva che lui dubitasse di poter sistemare le faccende fra loro, perché, dopo varie pene per conquistarlo, non se lo sarebbe lasciato scappare.

“Fantastico!” gridò sollevato. Lei non poté che ridere di quella reazione.

“Allora ti vengo a prendere fra un’ora!” esclamò, felice e riagganciando il telefono. Hinata rimise a posto il telefono e rimase, in silenzio, ferma nella sua posizione ad osservare un punto indefinito. Aveva fatto bene ad accettare?

Certamente mi ha risollevato l’animo.

 

 

 

 

 

NdA: Ed ecco il secondo capitolo e anche il penultimo. Si, lo so non è molto lunga ma è uscita perfetta anche così xD Quindi che ne pensate?  Come avete potuto notare il personaggio di Hidan non è molto presente, almeno non in forma corporale. E quasto aggiunge un'aspetto ancora più lugubre alla storia 

La storia sta prendendo una piega un po' bislacca, in qualche modo si è capito il modo in cui il quaderno lavora. Diciamo che è spuntato fuori come Hinata sia riuscita a raggiungere la sua perfezione. Non è propriamente lei a scrivere le sue canzoni, almeno non del tutto. Questo particolare è diverso dal manga a cui mi sono ispirata, spero che vi piaccia lo stesso xD

Ringrazio Falsa dea molto adorata per aver messo la storia nelle seguite e la ringrazio anche per la sua recensione xD Inoltre ringrazio anche Mente libera e liu_Qgirl per aver recensito la storia. E ringrazio chi semplicemente la legge ^^

Bacioni

A presto!

MissysP

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


cgh
A perfect melody

Capitolo 3

Il palcoscenico era illuminato con luci forti, quasi l’accecavano. Era in piedi a guardare, da dietro le grandi e pesanti tende rosse, il pubblico. In prima fila spiccava subito la figura austera di suo padre, che si guardava attorno, innervosito dal suo farsi attendere e anche disgustato nel ritrovarsi a stretto contatto con persone inferiori a lui. Hinata strinse le mani a pugno, stringendo anche la veste di seta nera del suo vestito, e innervosita da quel suo comportamento. Cercò d’ignorarlo, continuando ad esplorare il pubblico. C’erano molti volti famigliari e alcuni se li ricordava molto bene.

C’era suo cugino, Neji, con la sua fidanzata TenTen e il loro migliore amico Rock Lee, se non si sbagliava; poi c’era la sua assistente Sakura abbracciata al braccio di un ragazzo dai capelli neri e gli occhi dello stesso colore, molto probabilmente era il suo fidanzato a giudicare dall’espressione felice di lei; la sua vecchia insegnante di musica Kurenai e il suo compagno di corsi Shino e al suo fianco c’era Kiba. Kiba era stato il suo migliore amico, che rovinò tutto per essere qualcosa di più. Scosse la testa, era anche suo il motivo per cui se ne era andata da Konoha e da allora non si erano più parlati. Continuò la sua perlustrazione del pubblico riconoscendo altre persone di cui non si ricordava il nome, d’altronde era troppo timida per interagire con gli altri.

Erano lì, tutti riuniti per il suo ritorno e stavano aspettando la sua esibizione. Hinata si allontanò dalla tenda, facendo qualche passo indietro e sospirò. Non credeva di potercela fare, quel pubblico era diverso da tutti gli altri; era pieno di persone che non vedeva da un sacco di tempo, pronta a giudicarla e lei non si sentiva pronta. Non avrebbe dovuto assecondare la pazzia di un momento e chiedere a Sakura di trovarle una sistemazione per il suo ritorno a Konoha. Alzò una mano, stretta nuovamente a pugno, e si picchiettò la testa mormorando “Stupida! Stupida! Stupida!” i suoi occhi erano assenti, fissi sul parchè di legno dell’Auditorium. Una mano maschile fermò la sua, prima che potesse colpirsi nuovamente. Solo in quel momento lei ritornò in sé e alzò lo sguardo per guardare chi fossi il suo intruso. Sorrise nel vedere che si trattava del suo biondo preferito.

“Naruto” lo chiamò dolcemente. Era felice di vederlo in quel momento e sorrise ancora di più al ricordo della giornata precedente.

Avevano fatto la pace, lui si era scusato di averla accusata di pensare solamente al suo lavoro e lei si era scusata per non aver compreso il suo bisogno di passare del tempo insieme. Naruto aveva un effetto benefico su di lei e se n’era resa conto ritornando a casa. Infatti, aveva notato come la sua pelle aveva ripreso colore, per quanto possibile, e non sembrava più stanca e triste, ma radiosa. E per quello ne era felice. Ritornò al presente, per godersi quell’attimo di felicità, prima di sprofondare nuovamente nel baratro.

“Perché maltratti questa graziosa testolina viola?” domandò divertito. Le rivolse uno dei suoi sorrisi migliori, per risollevargli l’animo e funzionò.

“Sono nervosa. Sto per esibirmi davanti a persone con cui ho passato la mia infanzia” rispose, cercando di trattenere la malinconia e l’agitazione. Naruto non aveva bisogno di domandarle come stava, per lui Hinata era un libro aperto.

“Hinata lo sai che puoi contare su di me, vero?” domandò il biondino. La ragazza lo guardò negli occhi e annuì, sorridendogli grata per la sua presenza. Lo abbracciò, felice di quel momento; l’unica cosa buona che le era successo da quando era ritornata a casa.

 

Guardava ancora una volta il pubblico, individuando immediatamente Naruto. Era in seconda fila, ma lo vedeva molto bene. Era dietro suo padre, che la salutava con un sorriso e lei non esitò a rispondere con un cenno. L’uomo la guardò perplesso e si chinò verso il nipote per domandargli qualcosa. Hinata non se ne curò e si voltò verso la donna bionda, con un seno molto prosperoso, che era salita sul palco per annunciare la sua entrata. Strinse al petto l’album, quello in cui aveva trovato uno strano Requiem su leggio del suo piano in camera. Un brano che non si ricordava affatto di aver scritto. Erano da mesi che non aveva l’ispirazione giusta e non si ricordava di aver composto qualcosa.

La donna si portò un microfono vicino alla bocca e fece per parlare. Il suore della ragazza prese a battere furiosamente.

“Signori e signore, sono lieta di poter presentare a questa serata” esordì la donna.

Il suo corpo le sembrava esser fatto di pietra e non rispondeva ai suoi ordini. Perfino sollevare una mano le sembrava difficile. Continuava a guardare il sindaco di Konoha che sproloquiava sulla serata e sul suo concerto. Parole che non aveva voglia di ascoltare minimamente.

Al posto delle sue parole, udiva una strana melodia; famigliare ma nuova allo stesso tempo. Dove l’aveva sentita?

Che sciocca che sono stata, sapevo già cosa stava per accadere.

 

Fece un piccolo sforzo. Qualcosa era cambiato nel momento esatto che era ritornata a casa, sentiva quella macchia nera seguirla dovunque. Sgranò gli occhi meravigliata, un flash la stordì ancora di più. La musica che sentiva fischiargli nelle orecchie la percepiva ogni volta che stava per salire sul palco per esibirsi. Ogni volta che aveva un concerto quella melodia la soprafaceva. La prima volta che era accaduto era qualche anno dopo la sua fuga da Konoha: suo cugino Neji le aveva fatto un regalo di compleanno, un regalo che la metteva in soggezione ma che allo stesso tempo la ipnotizzava. Da quando aveva cominciato ad usare quell’album le sue musiche avevano un qualcosa di strano, di più triste. Nel momento esatto che quella melodia cessava, l’ombra che la seguiva invisibile e silenziosa colpiva. La morte prendeva il suo posto, uccidendo ogni persona presente al suo concerto. Era sicura che alla tv non comunicava tutti gli omicidi, ma Hinata era sicura che c’è ne erano molti di più.

Più ci pensava, più la testa gli scoppiava. Voleva che quella musica si fermasse. Il cranio le doleva, dolore. Solo questo, la sua vita era piena di dolore e non c’era spazio ad altri sentimenti.

“... non vi annoierò oltre. Ora diamo il ben ritornata a Miss Hyuuga” la presentò Tsunade.

Hinata si raddrizzò e a testa alta entrò sul palcoscenico. Guardava davanti a sé, senza degnare nessuno di uno sguardo, distratta com’era dalla sua canzone interiore. Sembrava acquetarsi, come ogni volta che si avvicinava al pianoforte. Poggiò l’album sul leggio e si sistemò, lisciandosi le pieghe del vestito. Rivolse un’occhiata alla donna, che annuì a sua volta. Le luci si affievolirono, sfumando su di lei. Si spensero pure le luci di emergenza, tutto per concedere tutta l’attenzione a lei, la stella di quella sera.

 

Le dita di lei incominciarono a scivolare sulla tastiera, veloci e silenziose, lasciando il posto a quelle note malinconiche e perfette. La melodia, provata nemmeno una volta, era stupenda. Perfino lei se ne rendeva conto, con stupore. Non credeva di aver scritto una simile canzone, ma ne fu orgogliosa immediatamente. La melodia che udiva nella sua mente si mescolò a quella che suonava. Forte e piano; triste e allegra; acuta e grave. Un connubio di opposti, perfetti fra loro che si completavano a vicenda. Ma solo lei poteva percepire una simile melodia perfetta, mentre gli altri non potevano che ascoltare un suono distorto e lontanissimo dalla perfezione che era.

Perché me?

 

Teneva gli occhi socchiusi, non aveva bisogno di guardare la tastiera. Conosceva l’esatta posizione di ogni tasto bianco e nero. Li suonava con decisione e passione. Sebbene il suo corpo vibrasse, ribellandosi all’idea di ubbidire a qualcun altro, eseguiva gli ordini che gli impartiva quell’ombra. Sembrava che solamente lei riuscisse a vederla; voleva avvertire gli altri, il suo pubblico, di quello che stava per succedere. Presto quell’ombra li avrebbe avvolti, destinandoli a una morte inevitabile. Le sue labbra, però, non si mossero e le sue mani continuavano a volare sulla tastiera, leggiadre e decise su quali pulsanti premere.

Ammettilo, ti è piaciuto. Quella sensazione di perfezione…

 

Nella sua mente quella nebbia di bellezza la costringeva a mettersi in ginocchio e a volerne sempre di più. I suoi occhi divennero opachi e assenti, mentre l’oscurità svolgeva il suo lavoro. Si avvolse attorno ad ogni singola persona presente in quella sala, buttandoli in un baratro buio e senza fondo. Presto sarebbero morti, inconsapevoli della causa. C’era un colpevole, ma proprio in quel momento erano ammaliati dalla sua musica.

Al proprietario di quest’album, che possa scrivere meravigliose melodie. Canzoni capace d’uccidere tutto il mondo.

Chiunque avesse scritto quella dedica aveva ragione. Le sue musiche uccidevano, uccidevano persone innocenti. Per questo aveva perso la sua vitalità di un tempo, troppe morti sulla coscienza e lei nemmeno provava a redimersi. Non sarebbe stato sufficiente, sarebbe andata all’inferno accettando la propria punizione; qualunque fosse stata.

Chiuse gli occhi assaporando ancora una volta lo stato di beatitudine che la circondava, lasciandosi avvolgere dall’ultima nota, Sol. E poi il silenzio. Il silenzio che precedeva il chiasso degli applausi, quasi ferendole l’udito. Si costrinse a sorridere, un’azione di cortesia. Con i suoi occhi perlacei, e ancora vuoti, guardò ogni conoscente, prima della sua morte. Si scontrò con gli occhi azzurri di una persona in particolare. Trasalì, nel guardarli. Anche a lui avrebbe detto addio?

 

Sciocca. Sei stata solamente una sciocca. A lui soprattutto avresti dovuto dire addio. Prima che l’inevitabile succedesse.

 

Con le labbra mimò <>, l’ultimo addio che poteva dargli, versando delle lacrime amare. Avrebbe dovuto impedirgli di assistere allo spettacolo. Lui era la persona che più la capiva, che più la faceva sentire amata. Ringraziava il cielo per quel dono e lei lo aveva appena condannato a morte. Lui ne parve confuso, perché dirglielo in quel momento? Non poteva rifiutargli il suo sorriso e annuire. Gli rispose a suo modo, come sempre. <> Una risata gutturale si divulgò sopra gli applausi e i fischi. Un paio di occhi viola la guardavano, contenti del suo dolore. Provava piacere dal suo dolore, ne traeva nutrimento. Hinata li osservava, ammaliata e desiderava correre verso di essi. Tuttavia, i suoi piedi erano ben piantati a terra, le impedivano di compiere un solo passo. Uno scricchiolio impercettibile attirò l’attenzione dell’artista. Spostò il suo sguardo verso l’alto, verso la trave principale della struttura. L’auditorium era vecchio, qualche asse poteva sempre cadere e coinvolgere le persone in un incidente. Tremò a quella prospettiva, lei si sarebbe salvata questa volta?

Certo, come tutte le altre volte in passato e in futuro.

 

Lo scricchiolio si fece più forte e la trave prese a cadere verso il basso, con lentezza esasperante. La vide cedere pian piano, minacciando di travolgere tutte le persone. Hinata guardò disperatamente i suoi amici, implorandoli con lo sguardo di scappare, di accorgersi di essere in pericolo. Nessuno, però, si accorse di quella supplica silenziosa. Erano intenti a richiedere il bis o a lodarla, per la sua bravura. La trave cedette e Hinata chiuse gli occhi, terrorizzata all’idea di rivivere tutto da capo.

 

Alla fine, uno si abitua a quelle situazioni e l’ho fatto anche io.

Sento ancora quella melodia, ma ormai ho smesso di ribellarmi. Maledetta, ecco cosa sono.

Come la melodia, risuonarmi nelle orecchie e precedere l’orrore a cui sono costretta ad assistere.

Ho pianto quel giorno; per i miei amici, per il mio Naruto, Neji e Hanabi e perfino per mio padre. Nulla li farà tornare. Sono destinata a restare sola e senza legami.

Perché temere la morte? Essa ci e’, eppure, sempre vicina”, mai parole furono più veritiere. 

Maledetta.





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 Angolo Autrice
Okay e questo è l'ultimo capitolo. Sniff!!! Mi dispiace aggiornare solamente ora e per di più mi dispiace anche mettere fine a questa storia... Non posso che continuare a sottolineare a quanto io sia affezionata a questa mini-long e mi dispiace che sia arrivata solamente 4° al concorso, ma mi accontento lo stesso. Stavo pensando, inoltre, che potrei scrivere un proseguito per questa storia magari una One-shot oppure un'altra mini-long... Sono indecisa e se voi vorreste dirmi la vostra opinione fate pure. Spero che vi sia piaciuto il capitolo e non vedo l'ora di leggere i vostri commenti. E spero anche che chi segue il manga di Death Note Image and video hosting by TinyPic, non sia stato un affronto leggere questo abominio xD
Mi resta solamente da dirvi: alla prossima.
Bacioni!
MissysP

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