A scuola con le nazioni!

di Hero98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Geografia Americana ***
Capitolo 2: *** Cucina inglese ***
Capitolo 3: *** Bonjour Francese? ***
Capitolo 4: *** Greco... zzz ***
Capitolo 5: *** Sull'attenti soldati tedeschi! ***
Capitolo 6: *** ¡Vamos España! ***
Capitolo 7: *** Veeh, italiano! ***
Capitolo 8: *** Professore invisibile, preside donna e psicologo pazzo...? ***
Capitolo 9: *** Il palloso latino e il furto made in Corea ***
Capitolo 10: *** Il Magnifico Tedesco ***



Capitolo 1
*** Geografia Americana ***


Tutti ai propri posti, aspettavamo il nuovo professore di geografia. Chissà come sarebbe stato. Vecchio, grasso e noioso, con una bacchetta pronta a indicare luoghi sulla cartina ma anche a dare colpi sulle mani dei poveri allievi che sbagliavano qualcosa. L’immagine era questa.
A un certo punto si sentì un gran frastuono, quello di un elicottero. Ed era molto vicino. Troppo vicino.
-NAHAHAHAHAHA!
Una risata abbastanza inquietante invase l’aula. Tutti si voltarono verso le finestre e propri da lì entrò un ragazzo dai capelli biondo grano e gli occhi azzurri e limpidi, coperti da degli occhiali quasi invisibili. Non era eccessivamente alto ed indossava una giacca da motociclista di pelle marrone con pelliccia nera, una maglietta bianca con un hamburger e dei jeans alla moda.
Subito dopo un enorme tonfo e degli antifurti. Mentre quello strano individuo sfilava verso la cattedra tutti noi alunni ci precipitammo alla finestra per guardare giù, nel cortile. Un disastro. L’elicottero era atterrato su delle auto parcheggiate. Sgranammo gli occhi e ci guardammo, poi ci girammo verso il biondo che stava allegramente mangiando un hamburger strapieno di ketchup comparso dal nulla seduto sulla cattedra. Tornammo a sederci tremando leggermente.
-Allora io sono l’eroe! Ovvero il professor Alfred F. Jones e insegnerò geografia! Potete chiamarmi semplicemente Prof Jones o Al.
Ecco rivelata l’identità del combina guai. Un secondo… UN PROFESSORE? QUELLO?!? Poteva avere si e no diciannove anni… giovanissimo! E… insomma… mica male, bellissimo anzi.
-Alldfhfh gehfhsdjkf jfhkkh! –disse divorando il suo hamburger.
Silenzio totale. Io con un po’ di coraggio alzai la mano e timorosa dissi:- Ehm… Mi scusi… professore…
-Ho detto di chiamarmi Prof Jones o Al!
-Scusi… Prof Jones… potrebbe ripetere senza mangiare hamburger? Non… Non si è compreso cosa ha detto…
-Ah! Va bene… dato che siete un po’ scemi non parlerò mentre mangio!- finì l’hamburger e iniziò a bere coca-cola con lo stesso risultato di prima.
-Prof… la prego non beva mentre parla…
Ad alcuni scapparono delle risatine soffocate. Poi finalmente iniziò la lezione. E che lezione.
L’americano accese la lavagna interattiva e ci mostrò una cartina gigante degli Stati Uniti d’America.
-Allora… Questo è il nostro mondo!
Seguirono risate fragorose che fecero ridere anche l’insegnante.
Io che sono abbastanza polemica provai ancora a far ragionare quello strambo professore:- Prof… quelli sono solo gli Stati Uniti… se quello fosse il mondo noi dove saremmo? Nel vuoto?
Alfred riflettè a lungo su ciò che gli avevo detto poi scoppiò a ridere.
-Per ora studiamo gli Stati Uniti allora!
Tanto sapevo già che non avremmo studiato nient’altro.
Un alunno alzò la mano e chiese:- Al, cos’è quello stato tra l’Alaska e gli Stati Uniti?
Il professore osservo quel pezzo di cartina poi rispose:- Non è nulla.
-Non è il Canada?- continuò l’alunno
-Il che cosa?
Mi sbattei la mano sulla fronte allibita. Non sapeva cos’era il Canada.
La lezione terminò e lui se ne andò, saltando dalla finestra da dove era entrato.
Io ero ancora in stato confusionale.

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Capitolo 2
*** Cucina inglese ***


Tremavo all’idea di incontrare il nuovo professore di cucina. E se fosse stato peggio di quello di geografia? Non volli neanche pensarci….
Ecco finalmente un giovane di circa venti anni e più entrare nella nostra aula con cinque bustoni pieni di ogni tipo di condimento e ogni tipo di arnese utilizzabile in cucina. Aveva i capelli a caschetto biondi, però più chiari di quelli del professore di geografia, molto spettinati che ricadevano sul viso. Era alto sul metro e settantacinque, carnagione pallida, le sopracciglia erano esageratamente grandi e di un colore più scuro rispetto ai capelli. Per fortuna due bellissimi occhi verde smeraldo armonizzavano il viso. Rimasi incantata da quegli occhi dall’espressione severa ma anche molto gentile.

-Goodmorning… Io sono Arthur Kirkland il vostro professore di cucina e inglese. In quest’ora ci dedicheremo alla cucina.
La sua voce era molto profonda.
Appena il professore si mise il grembiule entrò nell’aula, con la grazia di un elefante, Alfred che urlò a squarciagola:- Arthur! Arthur! I learned a new song! Want you listen it?
E fu così che il viso pallido di Arthur diventò rosso di rabbia. Prese il mestolo e lo sbattè in testa ad Alfred:- SI DICE LEARNT! NON LEARNED! Stupid idiot… e poi non entrare così in classe mentre faccio lezione!
Il povero professore di geografia si massaggiò la testa dolorante:- Dovresti prenderti un calmante, sai? Allora ci vediamo nel cambio dell’ora…
E se ne andò. Uno studente lo salutò con la mano e con un “hello”. Questo scatenò un’altra infuriata da parte dell’inglese che colpì le mani dell’alunno con il mestolo:- QUANDO UNA PERSONA SE NE VA SI DICE BYE NON HELLO! Stupid student…
Io me ne stavo in religioso silenzio al mio banco con gli occhi spalancati dalla paura e non osavo muovere un singolo nervo.
-Dunque…-cominciò il professore disponendo sul banco tutti gli arnesi da cucina necessari- mettete nella ciotola sale, origano, cioccolato, uova, zucchero, lievito, pepe…
A questo punto alzai la mano e dopo aver deglutito mormorai:- Scusi professore… ma cosa stiamo cucinando?
-Ma gli scone naturalmente!
Strabuzzai gli occhi e quasi non svenni mentre un gruppo di ragazzi tratteneva a stento le risate che irritarono, e non poco, Arthur.
Dopo che mise insieme nella ciotola quasi tutti gli ingredienti e pasticciò un po’ con le mani, infornò il tutto. Quando gli scone furono pronti li cacciò fuori dal forno e ce li offrì.
Sembravano vomito, carbone, organi, insomma tutto, tranne che qualcosa di commestibile.
Mi venne quasi da vomitare. Per fortuna suonò la campana e il professore se ne andò tutto contento perché un paio di alunni intrepidi avevano assaggiato con grande coraggio i suoi scone, rischiando un’intossicazione alimentare. Gli altri scone li lasciò sulla cattedra perché secondo lui li avremmo potuti mangiare dopo. Li buttammo nella spazzatura.


// Scusate il ritardo, prometto che il prossimo lo pubblico lunedì preciso! >.<
In ogni caso spero vi piaccia <3

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Capitolo 3
*** Bonjour Francese? ***


 
 Quei professori erano uno più matto dell’altro. Come sarei sopravvissuta in quella scuola tutti e cinque gli anni del liceo?
Speravo che almeno il professore di Francese fosse normale. Purtroppo i miei desideri non furono ascoltati.
Un giovane con una barbetta scura appena accenna sul mento, gli occhi azzurro cielo e i capelli biondi e mossi che ricadevano sulle spalle, entrò in aula e sorrise a tutti gli studenti facendo qualche occhiolino alle ragazze che mandavano piccoli urletti striduli di emozione. Notai che in quella scuola erano praticamente tutti biondi i professori…
In ogni caso si sedette dietro la cattedra e iniziò a fare l’appello, finalmente qualcuno che ci pensava, chiamando ogni nome con accento francese e suadente che faceva andare in estasi tutte le alunne presenti in classe. Tranne me naturalmente.
Finalmente si presentò:- Je suis Francìs Bonnefoy, il vostro professore di francese! – poi a bassa voce aggiunse – ed educazione sessuale…
Mi guardai intorno: nessuno l’aveva sentito.
Mi si avvicinò e mi porse una rosa facendomi l’occhiolino:- Belle mademoiselle qual è il tuo nome?
Ah! Non mi lasciai abbindolare. Presi la rosa e con sguardo serio, nascondendo la tensione, affermai decisa:- Sono Lanila Gletmit professore!
-Oh, très bièn Lalà!
Lo guardai molto male mentre le mie compagne mi mandavano occhiatacce infuriate e invidiose.
Il professore iniziò la lezione di… educazione sessuale. Non capii il perché però lo fece.
I volti dei miei compagni di classe facevano quasi ridere: i ragazzi sghignazzavano e sbavavano di fronte alle varie posizioni disegnate alla lavagna dal professore, alcune ragazze si coprivano gli occhi imbarazzate mentre altre si facevano filmini mentali con espressioni estasiate, magari sognando di provare tutte quelle posizioni proprio con il professore. Che schifo.
Io guardavo imbronciata la lavagna finchè finalmente la campanella segnò la fine dell’ora.
Francis si avvicinò al mio banco e facendomi l’occhiolino sussurrò:-Se ti serve aiuto per la pratica mi trovi in biblioteca, mon cherie!
Trattenni a stento un’improvvisa rabbia che mi invase il petto, era un vero maniaco pedofilo!
Per fortuna uscì dall’aula e potei tirare un sospiro di sollievo. Ma mi aveva puntata?
 

// Sono sempre in ritardo... che vergogna! Comunque questo capitolo non mi convince granchè, non avevo molto da scrivere... il prossimo sarà di gran lunga migliore!

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Capitolo 4
*** Greco... zzz ***


Finalmente l’ultima ora di lezione, davvero non sopportavo più quel susseguirsi di persone pazze.
Entrò in aula un uomo dall’aria piuttosto tranquilla se non addirittura assonnata. Finalmente uno con i capelli castani, li aveva portati lunghi sui lati del viso. Aveva gli occhi verde oliva leggermente socchiusi ed era piuttosto alto e muscoloso. Si sedette stancamente dietro la cattedra e con tono basso e pacato mormorò:- Salve ragazzi… io sono Herackles Karpusi… il vostro professore di greco…
Improvvisamente mi sentii molto stanca e posai la testa sul palmo della mano.
-Per prima cosa…- proseguì il professore- Sapete dirmi perché Omero è morto…?
Lo guardai confusa così come tutti gli altri miei compagni.
-Professore…- azzardò un ragazzo alzando la mano- in realtà non è sicuro neanche che sia realmente esistito…
-Cosa?! – scattò in piedi il greco sbattendo le mani sulla cattedra e facendo spaventare tutti, compresa me, per la reazione improvvisa. – Come puoi dire una cosa simile?! Omero è esistito! Ed è stato un grande scrittore!
Quando tornò a sedersi tutti tirarono un sospiro di sollievo e si rilassarono nuovamente.
Ci furono attimi d’un interminabile silenzio che poi fu interrotto da un leggero ronzio provocato dal professore che si era addormentato con la testa sulle braccia incrociate sulla cattedra. E un gatto sulla testa. UN GATTO SULLA TESTA?!
-P-Professore… -chiesi titubante ma lui non rispose. Nel frattempo una decina di gatti si sparpagliarono per la classe. Uno mi saltò sulle ginocchia mentre lo osservavo stranita.
All’improvviso entrò in aula un uomo con un po’ di barbetta sul viso abbronzato e una maschera bianca a coprirgli gli occhi. I capelli erano molto corti. Cercò di colpire il professore addormentato con un giornale arrotolato ma quello senza nemmeno aprire gli occhi lo bloccò con un braccio.
-Sadiq… non interrompere la mia lezione…- mormorò con una punta di irritazione il greco alzandosi lentamente e aprendo appena gli occhi.
-Lezione? Quale lezione?- scoppiò a ridere l’altro poi si rivolse a noi alunni, con la bocca e gli occhi ancora spalancati per la sorpresa e i gatti che ci salivano addosso- ragazzi non seguite le lezioni di questo gattofilo!
-Taci turco! –sbottò il greco stringendo i pugni e spingendolo fuori dall’aula. Poi suonò la campanella ma nessuno si mosse. Eravamo troppo shockati.

Angolo autrice
Allora... prima di tutto chiedo umilmente perdono per non aver aggiornato prima. Purtroppo sono una deficiente e inoltre ho poco tempo per colpa della sQuola. Perdonatemi çAç Spero questo capitolo sia di vostro gradimento...

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Capitolo 5
*** Sull'attenti soldati tedeschi! ***


Un’altra giornata sta per iniziare in questa pazza scuola.
Alla prima ora un omone grande e grosso, tutto muscoli, con dei capelli biondi tirati indietro da tre chili di gel e basettoni condusse la mia classe in palestra per l’ora di educazione fisica.
L’omone, che dedussi fosse il nostro professore, ci lanciò un’occhiata gelida con quei suoi occhi azzurro ghiaccio e sbattendo i palmi sulla cattedra urlò con un vocione talmente spaventoso da far impaurire un grizzly:- Sull’attenti! Vi voglio in riga composti! Schiena dritta e testa alta!
Tutti corsero a mettersi in ordine, nessuno osava replicare. Dopotutto aveva in mano… una frusta.
Quello continuò:- Io sono il professor Beilschimidt, Ludwig Beilschimidt.
Presentazione da film, peccato che nessuno riuscisse a capire il suo cognome impronunciabile. Sicuramente tutti l’avrebbero chiamato solo “professore”.
Iniziò a camminare avanti e indietro scrutandoci come se fossimo dei pesci da scegliere al mercato del venerdì:- Ora fate venti giri di corsa veloce intorno alla palestra, poi farete trenta flessioni, trenta addominali bassi e trenta alti. Infine per rilassarvi dieci salti agli ostacoli.
Spalancai occhi e bocca, per chi ci aveva presi? Cadetti dell’esercito?
Ma nessuno osò ribellarsi al suono della frusta sul pavimento di gomma della palestra e alla fine ci ritrovammo sfiniti a dover saltare ostacoli alti un metro.
-Io non ci riesco, professore! –piagnucolò un mio compagno di classe piuttosto esile e bassino.
In tutta risposta il tedesco lo guardò in cagnesco e ringhiò:- Mai dire mai! Provare per credere!
E altre frasi da film. Allora il ragazzino prese la rincorsa e saltando prese in pieno l’ostacolo cadendo rovinosamente di faccia a terra. Fu subito portato in infermeria e per fortuna non era nulla di grave.
Il professore si giustificò dicendoci:- che questo vi sia di lezione, non fate cosa che sapete di non poter fare!
Finalmente tornammo in classe con braccia e gambe che pulsavano dallo sforzo fisico eccessivo. E la mattinata era appena cominciata.

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Capitolo 6
*** ¡Vamos España! ***


Eravamo ancora ansimanti per l’ora di educazione fisica quando entrò, come dissero le mie compagne di classe, “un angelo a salvarci e ad alleviarci i dolori fisici”. Certo, dovevo ammettere che il giovane era davvero bellissimo. Era alto, con dei capelli corti castani che ricadevano in riccioli morbidi sul viso abbronzato dove brillavano due occhi verdi e un fisico a dir poco perfetto. E le mie compagne non smettevano di fissargli il sedere con gli occhi che sembravano voler cadere da un momento all’altro.
-Hola chicos! Yo soy Antonio, el vuestro profesor de español! –esclamò il giovane sfoggiando un sorriso luminoso che mandò in estasi tutte le ragazze, tranne la sottoscritta, della classe. Però anche io lo trovavo irresistibile, dovevo ammetterlo.
I ragazzi invece sembravano annoiati e anche piuttosto gelosi di tutto quel successo, che sicuramente loro non avevano, con le ragazze. Li vedevo sbuffare e guardare con istinti omicidi il professore che invece sorrideva tranquillo e con un’espressione un po’ idiota.
Poi prese una chitarra classica e sedutosi sulla cattedra iniziò a suonare cantando una canzone in spagnolo che convinse i ragazzi ad alzarsi e a invitare a ballare le compagne a suon di musica dopo che spostammo tutti i banchi vicino alle pareti.
Dopo che Antonio vide che massa di scoordinati eravamo lasciò la chitarra al musicista della classe e prendendomi per mano iniziò a mostrarci come ballare il flamenco.
Alla fine sembrava più una lezione di ballo che di spagnolo e per giunta arrivò un professore non molto alto, con i capelli castani che ricadevano ordinati in due ciuffi sul viso e due occhi ambrati che sprizzavano rabbia. Inizio a urlare pesanti insulti contro il nostro povero professore dicendogli di smetterla con quel casino che lui stava cercando di insegnare a un branco di ritardati il latino.
Antonio rideva e cercava di calmarlo. Sembrava conoscerlo anche perché lo chiamava per nome, Lovino. Alla fine dovette seguirlo in corridoio salutandoci con un gesto della mano.
Devo ammettere che mi ero proprio divertita quella lezione.

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Capitolo 7
*** Veeh, italiano! ***


Dopo la confusione dell’ora precedente tutti i miei compagni di classe erano agitati. Si domandavano che tipo di professore sarebbe entrato adesso, se sarebbe stato gentile come quello di spagnolo o terribile come quello di educazione fisica.
Ad un tratto entrarono nella stanza due professori, uno che avevamo già visto poco prima sbraitare contro il professor Antonio e l’altro che gli somigliava molto. Aveva i capelli un po’ più chiari dell’altro ed era leggermente più basso, gli occhi socchiusi color nocciola e un sorriso stampato sul volto gli davano un’aria spensierata e ingenua. Saltellava allegra dietro l’altro professore che gli stava facendo varie raccomandazioni:-Se qualche alunno stronzetto ti da fastidio vieni subito a chiamarmi in sala professori… Mi raccomando fai attenzione alla lavagna ancora la fai cadere come l’ultima volta! E se fanno casino prima minacciali con una nota e se non funziona minaccia di torturarli!
L’altro assunse un’espressione preoccupata e anche un po’ timorosa.
-Ma fratellone… io non farei mai una cosa simile! Stai tranquillo, mi sembrano bravi ragazzi andrà tutto bene! –disse con una vocina sottile e tornò a sorridere per tranquillizzare quello che doveva essere suo fratello maggiore e come tale era preoccupato per lui.
Allora il professore più alto uscì dall’aula borbottando un qualcosa che suonò al mio orecchio come offesa e l’altro si sedette tranquillo al suo posto dietro la classica osservando il registro mentre dondolava le gambe in modo molto infantile.
-Veeh, allora ragazzi, io sono il vostro professore d’italiano, Feliciano Vargas! –esclamò contento guardandoci tutti con i suoi occhi da cerbiatto.
Sembrava essere molto dolce e ingenuo quindi dei ragazzi vollero approfittarsene.
-Ehi professore! Potrebbe venire un attimo qui? Non capisco il significato di questa frase! –esclamò infatti un ragazzo dall’ultimo banco sventolando la mano in aria per farsi notare di più.
Il professore si alzò e saltellò allegro verso di lui contento che gli chiedesse aiuto, nel frattempo altri due ragazzi si avvicinarono alla cattedra e misero una puntina da compasso sulla sedia del professore. Io infuriata dal loro comportamento ne feci inciampare uno con uno sgambetto e ghignai divertita guardandolo imprecare sul pavimento per poi tornare al suo posto.
Appena il professore si stette per sedere al suo posto mi alzai di scatto:- Si fermi! C’è una puntina sulla sua sedia!
Lui mi guardò confuso e la levò:- Oh che strano… Forse mi è caduta quando mi sono alzato! Grazie signorina, veeh!
Mi portai una mano alla fronte sconsolata e tornai a sedermi con un sospiro, mi chiedevo come facesse ad essere così ingenuo. Scommetto che il fratello avrebbe imprecato e minacciato tutti.
Il professor Vargas si mise comodo al suo posto e fece per girare la pagina del registro ma il pollice e l’indice rimasero attaccati.
-Oh… non si staccano? –mormorò agitando le dita e tutta la pagina nel tentativo di allontanarle. Ma ogni tentativo fu vano.
-Professore! Forse dovremo tagliarle! –urlò uno stupido ridendo con i suoi amici artefici di quello scherzo che purtroppo era sfuggito al mio sguardo attento. Il fatto è che mi ero concentrata anche a guardare il professore quando si era allontanato dalla cattedra per paura che lo facessero inciampare o gli infilassero cose strane nella maglia o nelle scarpe.
-T-Tagliarle? –balbettò spaventato il professore e iniziò a piagnucolare con le lacrime agli occhi.
Sospirai ancora e mi avvicinai a lui con un paio di forbici da carta. Lui mi guardava spaventato e tremante pregandomi di non farlo, che era ancora troppo giovane e che aveva parenti in città come se a me importasse qualcosa e soprattutto come se stessi per ucciderlo. Con molta calma gli tenni ferma la mano e tagliai con le forbici il pezzo di carta attaccato alle sue dita.
Lui mi guardava incredulo per poi rivolgermi un ampio sorriso:-Veeh! Grazie grazie! Sei la mia salvatrice!
-Adesso deve solo sciacquarle sotto l’acqua e il pezzetto si staccherà… -dissi con un sospiro e tornai al mio posto guardando truce i miei infantili compagni di classe.
Il professore trotterellò fuori dall’aula felice e anche quell’ora finì.

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Capitolo 8
*** Professore invisibile, preside donna e psicologo pazzo...? ***


Dopo tre ore intense come quelle vissute in quella mattinata mi sentivo più stanca di un nuotatore dopo aver attraversato l’Oceano per arrivare dall’Italia all’America. E ancora non sapevo se ci sarei arrivata a fine mattinata dato che mancavano ancora due ore alla campanella finale.
Ad un certo punto entrò in aula un giovane molto simile al professore di geografia solo con i capelli mossi portati più lunghi e una corporatura esile.
-S-Salve ragazzi… -Mormorò con voce bassa accennando un timido sorriso mentre stringeva al petto un orso polare di peluche molto grande.
Nessuno sembrava averlo notato quindi attirai l’attenzione dei miei compagni e indicai loro il povero giovane che nel frattempo si era seduto dietro la cattedra.
-Ma lei non è il professor Jones? –chiese perplessa una ragazza dalla fila centrale continuando ad osservarlo con la curiosità tipica delle donne.
-N-no, è mio fratello… -sospirò con un’espressione rassegnata il biondo -Io sono il professor Matthew Williams…
Già tutti i miei compagni erano tornati a parlare tra loro ignorandolo completamente.
Io, non avendo neanche un amico in quella classe che a mio parere faceva schifo, mi avvicinai alla cattedra per scambiare due parole con lui che sorrideva felice di ricevere almeno la mia attenzione.
Però all’improvviso, anche se ormai prevedevo di tutto, una donna giovane e bassa, dai capelli lunghi e castani legati in una coda bassa che teneva su una spalla, fece capolino nella stanza seguita da un omone alto il doppio di lei. Teneva le mani nascoste nelle lunghe maniche della maglia rossa mentre osservava i ragazzi con i suoi scuri occhi a mandorla. Era molto carina, aveva un fisico asciutto e il viso chiaro tendente al giallo che sembrava fatto di porcellana in netto contrasto con i ciuffi scuri di capelli che le incorniciavano il viso.
-Buongiorno ragazzi, sono il vostro preside Yao Wang. –si presentò scrutandoci attento.
Io rimasi sconvolta. Era maschio. Allora notai che in effetti non aveva seno.
-che strano, non c’è nessun professore-aru… -disse come se pensasse ad alta voce mentre il giovane dietro di lui rideva appena. Poi continuò:-Allora ragazzi, questo è il vostro psicologo Ivan Braginski, per qualunque problema, anche il più banale, potete rivolgervi a lui-aru!
Osservai meglio lo psicologo. Era altissimo e grande quanto un armadio. Mi chiedevo come facesse a resistere con addosso quella sciarpa beige così pesante per il mese di settembre. Aveva degli occhi viola che sembravano ametiste e un dolce sorriso da bambino che armonizzava il viso paffuto con il naso abbastanza grande a patata.
-Dai ragazzi, vedrete che vi aiuterò! –disse sorridendo con una vocina dolce e sottile poi mi guardò inclinando leggermente la testa da un lato.- Che ne dici di incominciare tu? Diventa un tutt’uno con me~
Sussultai sentendo quello sguardo di ghiaccio su di me e annuii appena con la testa avvicinandomi con cautela.
Il preside sorrideva e mi posò una mano sulla spalla. Era alto quanto me. E io non sono poi così alta.
Mi condussero in una stanza ampia e mi fecero stendere su un lettino imbottito non molto comodo. Poi il preside se ne andò chiudendosi la porta alle spalle. Eravamo rimasti solo io e il dottor Braginski.
-Allora inizia pure a parlarmi di un tuo problema. –disse sorridendo con dolcezza mentre si preparava a prendere appunti su un blocchetto con tanti disegni di girasoli.
Vagai un po’ nella mia mente alla ricerca di una qualunque difficoltà avessi e quando ne ebbi trovata una, guardando il soffitto bianco mentre giocavo con i pollici, decisi di comunicarla allo psicologo:-io avrei dei problemi con mia sorella minore…
-Anche tu? –la sua espressione mutò improvvisamente lasciando spazio alla sorpresa e la preoccupazione.
Io lo guardavo confuso.
-Anche lei vuole sposarti e per questo ti perseguita ovunque? –chiese speranzoso di poter condividere le sue paure con qualcuno che avesse il suo problema e quindi lo capisse.
Io scossi la testa in senso di negazione. Lui sembrò deluso e abbassò lo sguardo. Però ad un tratto un rumore simile a delle unghie che graffiano sulla porta fece saltare in piedi entrambi. Una voce femminile, leggermente ovattata dalla parete che la separava da noi, invase la stanza:-Fratellone, sposami, sposami, sposami!
Lo psicologo si rifugiò con me dietro un divanetto in pelle nascondendosi il viso fra le ginocchia mentre tremava di paura e urlava:-No, vattene via! Non voglio!
Poi sentimmo la voce del preside che severo rimproverò la ragazza:-Torna a lavorare Natalia! Non ti pago per seguire tuo fratello-aru!
Poi si sentì un rumore simile al rimbalzare di palloni di gomma e una voce cantilenante e femminile:- Dai Natalia cara, lascia lavorare Ivan caro e vieni ad aiutarmi con il computer che non so usarlo! Lo sai che ho bisogno di soldi e non posso permettermi di perdere il lavoro…
Finalmente silenzio. Poi la porta si aprì e il preside mi consigliò di tornare in aula.
Prima di andarmene lo vidi avvicinarsi allo psicologo per calmarlo e consolarlo ripetendogli frasi come “è tutto finito, la strega cattiva se n’è andata” e “va tutto bene, adesso andiamo dai tuoi girasoli”.
Sicuramente avevano più bisogno loro di uno psicologo. O forse sarebbero dovuti andare direttamente in manicomio.

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Capitolo 9
*** Il palloso latino e il furto made in Corea ***


Finalmente la mattinata era quasi giunta al termine, speravo con tutto il cuore che l’ultima ora passasse tranquilla.
Purtroppo non andò così.
Entrò in aula lo stesso professore che due ore prima rassicurava il professore d’italiano. Si sedette al suo posto poi ringhiò:-Io sono Lovino Vargas, il vostro professore di latino! Lo so che è una materia pallosa, ma si deve fare. Quindi non rompetemi le palle e studiate se no vi torturo.
Rabbrividii a quel tono così burbero e volgare.
Com’era diventato professore quel tipo?
Poi continuò:-Il mio fratellino mi ha detto che siete stati bravissimi con lui… Lo spero per voi! Se provate a fargli qualcosa vi spezzo le gambe!
Era possibile che dovessimo ricevere tutti quegli insulti gratuiti?
sospirai e lo ascoltai riempirci di parolacce per un altro po’, poi cercai il mio cappello preferito che avevo lasciato sotto il banco. Ci tenevo molto, l’avevo fatto con le mie mani, ma, con mia grande sorpresa, non c’era.
Alzai subito la mano per dirlo al professore sperando non mi aggredisse o non mi staccasse il braccio, lui stranamente mi sorrise e disse:-Si signorina? Di cosa hai bisogno?
Io, incoraggiata da quel momento di gentilezza, risposi decisa:-Qualcuno mi ha rubato il cappello. Posso andare dal preside a chiedere aiuto?
Lui mi guardò sorpreso e controllò in tutti gli zaini e i giacconi infuriato poi con un sospiro mi diede il permesso.
Lo ringrazia ed uscii dall’aula per poi bussare all’ufficio del preside Wang.
La sua voce mi giunse dall’interno della stanza:-Avanti!
Aprii la porta e una volta dentro cercai di essere il più convincente e gentile possibile:- Buongiorno, mi spiace disturbarla ma… -le parole mi morirono in gola quando mi accorsi che il preside stava tranquillamente seduto sulle gambe dello psicologo dietro la scrivania. E mi guardavano come se fosse normale. Inoltre lo psicologo pazzo sorrideva dolcemente, ma in un modo molto inquietante.
Tossii e cercai di continuare:- Ehm… volevo dirle che… mi hanno rubato il cappello, ci tengo molto…
Il preside lasciò andare il foglio che teneva tra le mani e si irritò molto:- Cosa?! Nella mia scuola non si ruba-aru!
Lo psicologo Barginski cercò di calmarlo un po’ con qualche carezza sui capelli per poi esclamare con la sua voce da bambino:- Tranquillo Yao… è già successo no? Chiamiamo Im Yong e lo convinco a restituire il cappello che “ha preso in prestito”.
Il preside annuì con il capo e chiamò qualcuno con il telefono che si trovava sulla scrivania.
Un ragazzo di circa sedici anni, alto e bruno con i tratti orientali entrò nella stanza con il mio cappello in testa. Era molto muscoloso e il viso era illuminato da un largo sorriso. Alzò la mano in segno di saluto ed esclamò:-Yo aniki! Cosa c’è?
Io lo fulminai con lo sguardo e lo additai:- Quello è il mio cappello! L’ho fatto io restituiscimelo!
Il sorriso abbandonò il suo viso e mi guardò male:- Questo l’ho fatto io! E’ made in Corea!
Lo psicologo fece scendere dalle sue gambe il preside Wang dandogli un piccolo bacio sulla fronte per poi tirar fuori da sotto il cappotto, che mi domandavo come facesse a tenere con il caldo che faceva, e minacciò il giovane coreano:- Im Yong… ridalle il cappello… ora!
Lui si levò il cappello e me lo mise in testa per poi fare una linguaccia a Ivan:- Non ti sopporto proprio! Addio!
E detto questo scappò via dall’ufficio.
Dopo aver ringraziato quei due me ne tornai a casa.
Ma che razza di scuola era?!

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Capitolo 10
*** Il Magnifico Tedesco ***


Tremavo all’idea di dover tornare in quella scuola piena di pazzi decerebrati.
Entrai nella mia classe e mi sedetti al mio posto con un sospiro, ma dovetti rialzarmi di nuovo di scatto con il cuore a mille e gli occhi spalancati per lo spavento. Infatti un giovane dagli occhi cremisi e i capelli albini, non troppo alto e piuttosto magro, entrò nell’aula entrando come un pazzo peggio del professore di geografia.
-Guten morgen! Io sono il vostro magnifico professore di Tedesco! Il mio nome è Gilbert, ilo cognome è troppo difficile quindi non vi interessa! Kesesese! –esclamò con la sua voce rauca e fin troppo alta con un ghigno stampato sul volto pallido.
Tornai a sedermi, mi aveva quasi fatto venire un infarto…!
Gli altri ragazzi lo guardavano come se fosse un demone.
Iniziò la lezione, il professore si sedette sulla cattedra.
-Il tedesco è una lingua europea parlata soprattutto in Germania e Prussia –disse convinto ritrovandosi una decina di occhi perplessi addosso.
Il solito ragazzo impertinente del penultimo banco alzò la mano per prendere parola ed esclamò:- Ma professore, la Prussia non esiste più!
Gli occhi di Gilbert fecero subentrare un’espressione spaventata a quella strafottente di poco prima:- E che fine avrebbe fatto, di grazia…? –era più una domanda di sfida come a voler far capire che aveva ragione lui e non il ragazzino.
Lo studente fece roteare gli occhi con aria di chi la sa lunga: Prima è passata sotto il dominio russo…
A questo punto il professor Gilbert spalancò gli occhi in preda al terrore puro indietreggiando con il sedere sulla cattedra e guardandosi intorno come se avesse paura che un qualche mostro sbucasse fuori all’improvviso.
-Poi… -continuò lo studente- Dopo essere stata divisa per tanto tempo dalla Germania dell’Ovest è scomparsa per dar vita alla Germania di oggi.
Il professore cacciò un urlo piuttosto isterico e balzò in piedi:- Non è vero! Chi cacchio vi insegna ‘ste baggianate?! Il professore di geografia non vi ha fatto vedere la Magnifica Prussia? Dov’è? –detto questo uscì in fretta e furia dall’aula per tornare poco dopo tirando per il braccio il professor Jones impegnato a bere una tazza, non tazzina, di caffè.
-Alfred, fa vedere loro dov’è la Prussia! –ordinò Gilbert intimando il biondo a mostrare a tutti la cartina che aveva sotto braccio.
Il professore di geografia, dopo aver detto cose incomprensibili dovute al caffè ancora in bocca, srotolò la cartina sulla cattedra e ridendo cercò con lo sguardo il suddetto Stato.
-Non c’è! –esclamò infine con una risata.
L’albino spalancò gli occhi e decise di cercarlo da sé ma poi strinse i pugni in preda all’irritazione:- Questa è una cartina che rappresenta solo Stati Uniti e Messico!
“E il Canada…? Possibile che non ci sia…?” mi domandai osservando l’evolversi degli eventi perplessa.
-Naturalmente! Gli Stati Uniti sono così grandi e vari che ci vogliono anche più di cinque anni per studiarli! –disse deciso mettendosi in una posizione di un supereroe.
-Ma se l’unica cosa che c’è da dire degli Stati Uniti è che gli abitanti sono quasi tutti dei ciccioni che mangiano nei fast food a colazione, a pranzo, a merenda, a cena e come “spuntino” di mezzanotte! –ribattè infuriato il tedesco additando il professor Jones con l’indice.
L’americano, o meglio, lo Statunitense ferito nell’orgoglio lo guardò indignato:- Ehi, amico, abbassa i toni con me! Se degli alieni attaccheranno la città sarai l’unico che non salverò!
E la discussione durò per tutta l’ora, e anche quella dopo dato che se ne uscirono dall’aula continuando a battibeccare.
Una lezione andata in fumo, imparai solo che “buongiorno” in tedesco si dice “guten morgen”. E lo sapevo già.

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