Psiche

di RiverSong96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Awake and Alive ***
Capitolo 2: *** Remember ***
Capitolo 3: *** Stop! ***
Capitolo 4: *** Time of Dying ***



Capitolo 1
*** Awake and Alive ***


Awake and alive

Capitolo 1

Era tutto buio, faceva freddo e non riuscivo a muovermi. Avevo le dita delle mani e dei piedi intorpidite, quasi come se mi stessi svegliando da un lungo sonno. Percepivo uno strano rumore, un bip tipo quello delle apparecchiature degli ospedali che progressivamente acquistava velocità, la giusta frequenza di un battito cardiaco. 
Quando finalmente riuscii a schiudere le palpebre l'unica parola con cui avrei mai potuto descrivere quel posto era...freezer. Era un maledetto freezer! 
Un sacco di fili elettronici erano collegati biunivocamente a me e a delle apparecchiature, il bip stava cominciando ad aumentare freneticamente, era il mio cuore che batteva in quel modo.
Cominciai a staccare i fili che mi collegavano alle macchine e dove prima nella mia pelle erano conficcati gli aghi, talmente grandi da sembrare quelli dei cavalli, cominciarono a colare piccole gocce di sangue, ma attualmente ero più sconvolta dagli abiti che indossavo. Quei vestiti erano una cosa...indecente! Avevo addosso stretti pantaloni di pelle nera in degli stivali senza tacco, alti fino al ginocchio e con le borchie, una canotta nera aderente e una giacca di pelle nera che mi arrivava fin sotto il sedere. Doveva essere senz'altro un brutto sogno, non avevo motivo di trovarmi in un freezer gigante vestita come una puttana, ah quanto avrei voluto uno specchio per vedere in che stato ero ridotta, ma tanto era solo un sogno. 
Cominciai a gironzolare per la stanza, in cerca di qualcuno o qualcosa che potesse farmi uscire. Nel freezer gigante c'erano una vasta gamma di macchinari , su un lato della parete c'era una scaffalatura con vari tipi di siringhe dagli aghi enormi, come quelli che avevo conficcati nelle braccia, e medicinali colorati in bustina da flebo. Un sogno abbastanza ehm....pittoresco. 
Finalmente individuai la porta, ma non era una porta qualsiasi. Era come quella del bunker del casino' nel film Ocean's Eleven ,aveva una gran quantità di serrature complesse e non avevo modo di aprirla. Sembrava quasi una prigione. Ero andata anche alla ricerca di finestre, ma di loro non c'era traccia, forse era normale in un freezer non trovare finestre, ma trovare quella porta così...blindata sicuramente non entrava nei miei parametri del normale.

-La ragazza è stabile, tiriamola fuori.-disse il dottor Figal
-Cosa dicono le analisi?-chese padre Rodri
-E' in buono stato, meglio di quando è arrivata. Tutti i tessuti sono stati ricostituiti e non ci sono più segni di traumi. Direi che è pronta per redimersi.-
Le varie serrature che sigillavano la porta scattarono una dopo l'altra e la porta strusciò sul pavimento facendo entrare una fioca luce al neon come quella delle scuole e degli ospedali...cavolo, anche mentre sognavo pensavo alla scuola...era un tormento! Dalla porta entrarono due uomini, uno con addosso un ampio camice da medico, l'altro era un prete. Erano entrambi sulla cinquantina, uno coi capelli grigi e basso, l'altro alto coi capelli neri radi.
-Buongiorno signorina, ben svegliata. Io sono il dottor Figal e lui è padre Rodri-disse l'uomo dai capelli grigi.
-Ok, questo è uno dei sogni più realistici che io abbia mai fatto, ma il gioco è bello quando dura poco. Voglio svegliarmi!-
Il dottor Figal non si scompose minimamente, rimase impassibile,come se quello che avessi detto non potrebbe mai succedere.
-Cara ragazza, questo non è un sogno, è la realtà. Forse non ricordi quello che è successo, il motivo per cui ti trovi in una camera criogenica ma prima o poi lo ricorderai. Il passato ritorna sempre.-
-Va bene- dissi in tono accondiscendente
-Allora ho due domande, uno:perchè sono qui? Due:perchè sono vestita come una prostituta!?!-
Il dottor Figal si sfilò gli occhiali, pulì le spesse lenti con una pezzolina e li posizionò di nuovo sul naso
-Non posso rispondere a nessuna delle due domande che mi hai posto.-
-Perchè?- 
-Perchè solo ricordando potrai credere che questo non è un sogno. Adesso vieni, andiamo nel mio ufficio così potrai fare due chiacchiere con padre Rodri.-
-E se non volessi venire?- dissi in tono di sfida
-Be' a quel punto allora dovremmo prenderti con la forza, ma sono sicuro che non succederà perchè sono certo al cento per cento che, anche se non lo dai a vedere, la curiosità ti sta uccidendo-
disse con un sorriso appena accennato scoprendo per un attimo una fila di denti dritti e bianchi, ma con un tono che non ammetteva repliche.
Il medico non aspettò neanche la mia risposta, i due uomini si voltarono e si avviarono per il corridoio senza neanche vedere se li stessi seguendo. Sapevano che li avrei seguiti perchè il dottor Figal aveva ragione: la curiosità mi stava davvero uccidendo.

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Capitolo 2
*** Remember ***


Remember

Capitolo 2

A quanto pare quello era davvero un ospedale, molto futuristico ma lo era. I corridoi puzzavano di disinfettante e pipì,il classico odoraccio degli ospedali. Mi sentivo un po' fuori posto con quegli abiti addosso, non mi sembrava consono, anche in un sogno, indossare quel particolare vestiario e la cosa strana è che non c'era neanche una finestra. Il tragitto dalla camera criogenica, che devo capire ancora cos'è, all'ufficio del signor Figal fu breve: dovemmo prendere l'ascensore e salire fino all'ultimo piano, speravo che almeno ci fosse uno specchio in ascensore...e invece no .  Le porte dell'ascensore si aprirono direttamente su un ampio vano, a far luce c'erano sempre le lampade al neon che rendevano tristissime le pareti di un verde tenue e la moquette dello stesso colore. Ci sarebbe stata sicuramente più luce se le pesanti tende blu che coprivano certamente delle finestre fossero state scostate, sembrava quasi che l'ospedale non volesse far vedere ai pazienti cosa c'era fuori.  Il dottor Figal si accomodò dietro la scrivania su una poltrona con lo schienale alto e i cuscini,mi ricordava tanto la poltrona attrezzata di cuscini per il fondoschiena di mia nonna.L'ambiente era pulito e ordinato, ma spoglio: né un quadro, né una foto di famiglia sulla scrivania e, cosa molto sconvolgente, non c'era il computer! Come diamine faceva a lavorare senza un PC!?! Anzi, piuttosto come faceva a vivere senza il PC...la gente è strana. Dopo essersi accomodato e pulito nuovamente le lenti degli occhiali, il dottor Figal indicò a me e a padre Rodri una stanza con la porta scorrevole che prima mi era sfuggita completamente. Mi avvicinai lentamente alla porta e la feci scorrere rivelando una stanza arredata finemente con poltrone e divani d'epoca, al centro c'era un tavolino molto carino con sopra una scacchiera con le pedine in vetro e , finalmente, trovai in quell'ambiente un accenno di umanità: la TV. C'era un grande televisore al plasma attaccato alla parete , mi ero anche messa a cercare il telecomando ma quando sentii sbattere la porta scorrevole alle mie spalle sobbalzai, non perchè avessi avuto paura, be', forse un po' si, ma più che altro per la violenza del colpo. Quando mi girai, alle mie spalle vidi solo padre Rodri, il dottore a quanto pare era rimasto nell'altra stanza. Non mi ero accorta che incutesse così tanto timore quel prete col suo abito nero, gli occhi infossati e la sua altezza.
-Mi dispiace, non volevo spaventarti- disse in tono di scusa.
Lentamente camminò verso la poltrona difronte al divano, si accomodò e attese. Non sapevo cosa stesse aspettando, ma forse voleva che mi accomodassi difronte a lui sul divano.
" Fantastico, mi trovo in una stanza da sola con un prete, se vuole confessarmi credo che dovrà tapparsi le orecchie..." pensai.
-Ok prete, di cosa vogliamo parlare?-buttai lì in tono stanco 
-Di te, sono qui per farti ricordare. Dimmi, ti ricordi il tuo nome?- 
-Certo che me lo ricordo! Che domande...- 
-Potresti dirlo ad alta voce? Però prima aspetta, siediti sul divano, non vorrei che ti sentissi male al centro della stanza-
Mi accomodai sul divano, padre Rodri sembrava quasi sapere cosa mi sarebbe accaduto dopo, come se non fossi la prima a parlare con lui. Era quasi inquietante...magari quando mi sveglio posso scrivere un romanzo basato sul mio sogno in chiave horror!
-Prima di dirti il mio nome, dimmi una cosa tu: dove sono gli specchi e perchè le finestre o non ci sono o ci sono ma sono coperte?- 
-Te lo dirò quando avrai ricordato tutto, e per farlo devi solo dire il tuo nome, capito? Solo il tuo nome.-
All'improvviso sentii una vocina, tipo quella del grillo parlante in Pinocchio ,che mi sussurrava
“non lo dire , ti farai male.”
-Io mi chiamo Giulia...- 
all'improvviso mi scoppiò un gran mal di testa che portò con sé un' esplosione di immagini vaghe... 
-Continua, dimmi per intero il tuo nome, non reprimere le immagini che in questo momento ti stanno esplodendo in testa, lo so che fa male ma devi farlo!-
-ehm io...io...- 
“ti prego non farlo!”
-m..mi chiamo Giulia –
Il dolore era lancinante e la tempia destra mi pulsava dolorosamente.
-Continua! Dimmi il tuo nome!- 
“Non voglio, non voglio!”
-Non voglio! Perchè mi fa male dirti il mio nome?- Cominciarono a scendere sul mio volto copiose lacrime di dolore e disperazione, non ce la facevo più, tanto che esplosi sputando quelle parole cose fossero veleno
- Mantovani, Giulia Mantovani!-
 Lanciai un urlo disperato, il dolore alla testa era troppo forte, e quel dannato prete contribuiva ad aumentarlo urlandomi le stesse parole nelle orecchie:
- non reprimere le immagini! Visualizzale!-
-Chiudi quella dannata bocca!!! -
Ero sicuramente distesa su qualcosa, credo fosse il divano, e il mal di testa continuava a torturarmi.
“Perchè l'hai fatto!perchè stai riportando alla luce tutto quello che non volevi vedere mai più!Io so che non vuoi ricordare, io sono te! Perchè l'hai fatto!”
Adesso le immagini erano più nitide, vedevo la mia meravigliosa città natale: Napoli. Vedevo il lungomare e le onde brillanti sotto il sole che si infrangevano sugli scogli alzando spruzzi di schiuma e sugli scogli vedevo delle ragazze che pranzavano allegramente. Tra quelle ragazze c'ero anche io, quelle immagini erano ricordi, i miei ricordi. 
Adesso la scena era cambiata, mi trovavo tra i banchi di scuola con un espressione annoiata intenta a disegnare un occhio...adoravo gli occhi, gli occhi per me hanno sempre avuto una certa importanza perchè ho sempre pensato che fossero il riflesso dell'anima. Quando guardavo una persona negli occhi riuscivo sempre a capire se mi stesse dicendo il vero o il falso.
Le immagini continuavano a susseguirsi freneticamente, mi bastava un attimo e mi tornava alla mente il quando e il dove di quei ricordi, ricordavo le sensazioni, e forse quella era la cosa peggiore, sentivo che stava per accadere qualcosa di veramente brutto, la cosa che non avrei voluto ricordare. Sentivo il cuore che pulsava alle tempie e, nel viaggio attraverso ai miei ricordi , mi accorsi di poter percepire anche i sapori:il sapore che avevo in bocca non era dei migliori... Un altro flash, l'ultimo e da quello identificai il sapore che avevo in bocca e in un attimo ricordai tutto.
Quello era il sapore del sangue.



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Capitolo 3
*** Stop! ***


Capitolo 3 . (Napoli, Italia, 21 Novembre 2011 )

Waking up ! Waking up! Non c'era niente di più traumatico che svegliarsi la mattina con gli Skillet che ti urlavano nelle orecchie. Erano le sette meno dieci del mattino e tra dieci minuti mi sarei alzata, vestita e andata a scuola...che palle. Quel giorno per fortuna era assemblea d'Istituto, quindi sarei stata tutto il tempo ad ascoltare musica e a guardare gli unici cinque o sei ragazzi presenti che si sbattevano per stronzate varie, facendo credere agli stupidi che ogni cosa che usciva dalle loro bocche era oro colato. Appena sveglia, il caffè era d'obbligo, poi cominciavano le varie peripezie di ogni mattina come trovare i vestiti nell'armadio, i calzini ( è incredibile quanto sia raro trovare la coppia nel cassetto ), e poi i venti minuti buoni in bagno per rendersi ehm... “presentabile”. Erano già dieci minuti che aspettavo la metro...maledetta anm ( azienda napoli mobilità ), quando finalmente arrivò il treno, saltai su una carrozza e mi avviai verso scuola.


 

Un'ora e dieci dopo...


 

-Buongiorno ragazze- dissi entrando nel cortile.
Loro erano il mio gruppetto, eravamo un quintetto carino e, già dal primo giorno di scuola, noi eravamo diventate amiche . Con Gisa, Valentina e Claudia era difficile incontrarsi oltre gli orari scolastici, tranne il sabato sera, poiché loro abitavano in provincia e con i mezzi d'oggi gli appuntamenti saltano peggio della nonnina dei quattro salti in padella... . Con Chiara invece era diverso, abitavamo entrambe in città e il più delle volte uscivamo solo noi due, magari a prendere un gelato sul lungomare o a fare una gita nella Villa Comunale. Iniziata l'assemblea, ci accomodammo in una stanza che quasi cadeva a pezzi e, dopo una ventina di minuti dall'inizio dell'assemblea mi squillò il telefono. Non c'era motivo di chiamarmi a quell'ora, risposi ugualmente e il telefono mi rimandò la voce arrabbiata di mio padre. A volte capitava che avesse i “cinque minuti” e , il più delle volte, erano solo sfuriate e insulti , ma , a volte, chi gli capitava sotto tiro faceva una brutta fine, e io ne so qualcosa. Dopo l'assemblea saremmo dovute andare al Bosco di Capodimonte, ma , dopo quello che mio padre mi aveva detto a telefono, non ce la facevo psicologicamente, avevo una tale stanchezza addosso e una tale voglia di piangere e sfogare tutta la rabbia repressa... . Non mi piaceva essere trattata come lo scopettino del cesso e con le altre persone mostravo un carattere ribelle e strafottente, ma con lui dovevo fare attenzione, dovevo stare in silenzio altrimenti sarebbe finita molto, molto male...come l'anno scorso. Le altre andarono al bosco, io tornai a casa e mi rinchiusi nella mia stanza a piangere con la mia cagnolina Jen. “Succederà di nuovo come l'anno scorso”...pensavo. “No, non deve succedere!” Sebbene stessi piangendo dalla rabbia, avevo la mente abbastanza lucida, e non era la prima volta che formulavo quei pensieri. Non erano certo adatti ad una ragazzina di quindici anni, ma nella mia condizione erano quasi...confortanti. Avevo deciso, o me, o lui. “Finirò all'inferno per questo, ma preferisco mille volte andare all'inferno dopo la morte che viverlo sia prima e ...dopo.” Mi calmai un attimo e andai a rifarmi il trucco, aveva un effetto rilassante su di me quest'azione … Scesi di casa e feci una corsa fino alla funicolare che portava vicino casa di mio padre, ero quasi impaziente. Avevo anche le chiavi di casa sua, quindi non fu necessario bussare, entrai in casa e andai vicino la cassaforte. Ecco ciò che mi avrebbe portato la libertà, caricai la pistola e la nascosi sotto il giubbino.
<< Ciao papà >> dissi
<< Che diavolo vuoi a quest'ora?!? >> ribattè con la voce intossicata
<< Solo farla finita >>
Tirai fuori la pistola in un istante. Mio padre rimase sconvolto.
<< Sai, non avresti mai dovuto insegnare a tua figlia a tenere un'arma e soprattutto a saperla usare. >>
<< Ma per favore! Sei troppo codarda per farlo, non hai il coraggio, anzi, lo hai avuto solo su un piccolo animale indifeso, credo fosse un gatto non è così? >> e scoppiò a ridere.
<< Forse hai ragione, ma io non intendo più sopportare questa vita ormai di merda per causa tua, non posso sopportarlo, e non voglio! >>
Svelta puntai la pistola contro la mia tempia destra, un ultimo addio e tutto si tinse di rosso.


 

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Capitolo 4
*** Time of Dying ***


Capitolo 4


 

Mi trovavo ancora stesa sul divano e avevo lo sguardo perso nel vuoto. Pur avendo circa un milione di domande da fare non riuscivo a parlare. Dove sono? Perchè mi trovo qui? Come ho fatto a sopravvivere? Ho mirato bene? Sono morta e questo è l'inferno? O sono sopravvissuta? No, impossibile, un colpo alla tempia è fatale! Istintivamente portai una mano alla tempia destra, ma prima che potessi toccare il prete mi interruppe <> Una lacrima rigò il mio viso, non avevo risolto un bel niente, era stato tutto inutile. All'improvviso fui animata da una forza che in quel momento non credevo di avere, mi lanciai contro Don Rodi afferrandogli il collo con entrambe le mani, la poltrona dove si trovava il prete si rovesciò sotto il nostro peso, ma non mi importava, l'unica cosa che in quel momento mi interessava era saperne di più, il dove, il come, il quando e il perché. Non si sfugge alla morte , e soprattutto non ad una morte di quella portata, è impossibile. << Io non dovrei essere qui!>> sibilai. Stranamente il volto del prete non era neanche lontanamente attraversato da nessuna paura, c'era una luce nei suoi occhi, era sinistra, e da quello sguardo capii che non ero io ad incutere timore, lui deteneva il totale controllo. Senza neanche accorgermene sentii come un rumore di vetri rotti, era il mio corpo che distruggeva la TV in tanti piccoli pezzi che si andarono a conficcare nella mia carne, dando vita tanti piccoli copiosi rivoli di sangue, e caddi a terra, cosciente ma senza forze. “Merda, dove diamine sono finita!”

* * * * * * * * * * * * * * *


 


 

 

Ed eccone un'altra che si aggiunge alla schiera dei fedeli”
pensava il dottore.
Ancora un'altra, frutto di una tecnologia fino a cinquecento anni prima sconosciuta, altra vittima di una lotta inutile che perdura ormai da secoli, troppi. Strappata dalle braccia della terra che cinque secoli prima e mai ritornata nel luogo di riposo. Chi avrebbe mai creduto che la tecnologia potesse arrivare a tanto? Non è la prima, è di questo passo non sarà neanche l'ultima... . Tanti piccoli soldatini di legno, addestrati ed educati a chinare la testa ad un potere superiore, in cui io, in qualità di scienziato e ricercatore, non credo, ma....che dire …... sono pagato per questo, e poi, se non lo facessi, perderei tutto...”
Mentre il dottore si abbandonava a questi pensieri che ormai gli affollavano la mente da molto, anzi troppo tempo, pensava anche che doveva avvisare l'Istituto del “nuovo arrivo”. A lui non piaceva questa situazione, ma non poteva farci niente, doveva abbassare la testa e obbedire, altrimenti sarebbe stata la fine, non per lui, ma per la cosa a lui più cara al mondo, la cosa per cui continuava a fare questo sporco lavoro, la cosa per cui stava sacrificando tutti questi “ritornati”, il motivo: sua figlia.

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