Am I a dreamer? Yes, but a down to earth one, maybe, and with the head in the clouds.

di onlydirectioner_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo. ***
Capitolo 2: *** Chapter one. ***
Capitolo 3: *** Chapter two. ***



Capitolo 1
*** prologo. ***


PROLOGO
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Tre ottobre duemilaundici – Shu café restaurant, Milano.
 
La folla impaziente urlava. Grida, spinte. Le mani sudate, gli occhi lucidi abbagliati dai raggi penetranti e caldi di un sole meraviglioso. Un formicolare di dolore intorpidiva i miei piedi che da ormai cinque ore mi sorreggevano. Cinque ore senza mangiare, senza riposare o sedere qualche secondo. Stringevo il bigliettino azzurro tra le mani appiccicaticce, ormai stropicciato.
Alcune ragazze cantavano senza sosta il ritornello del loro primo singolo, altre formavano gruppi e discutevano sul loro membro preferito interrompendo i classici pettegolezzi femminili con qualche domanda personale per conoscersi, infine qualcuna, come me, attaccava i ‘buttafuori’ pelati che con ghigni malefici ci guardavano beffardi come fossero divertiti dal ‘nostro’ dolore, dalla ‘nostra’ follia. Carote giganti, magliette con i loro volti ritratti, scritte sul viso e sulle braccia di diversi colori, enormi cartelloni e libri, tutti riguardanti loro, gli 'One direction'.
Sì, mi piacevano, ma non ero una loro fan sfegatata.
 
Erano le quattro e un quarto, il ritardo si faceva sempre più grave.
Io, fortunata nell’avere incontrato una mia carissima ‘amica virtuale’, scambiavo qualche parola con lei e una sua amica. Ad un tratto una voce iniziò a circolare tra la folla, quella del possibile arrivo dei ragazzi; in meno di un minuto le persone si spostarono sul lato nord dell’enorme edificio per vederli mentre con aria disinvolta e affascinante sarebbero scesi dalle loro auto.
Ci scambiammo un’occhiata, decidemmo di seguire la massa e aspettare la loro comparsa.
Un furgone grigio, dai vetri neri, oscurati arrivò in lontananza scortato da varie moto della polizia.
Erano loro, erano qui.
Urla, pianti, risate isteriche d’agitazione, potenti flash, giornalisti, telecamere, altri poliziotti, qualche passante incuriosito. Il caos più totale si generò al semplice arrivo di una vettura.
Questa giunse davanti allo Shu, si fermò e un omone colossale di colore scese per primo.
Poco dopo, eccoli. Smontarono velocemente correndo, veloci e, in meno di un minuto, erano già scomparsi dietro una forte e resistente porta ermetica.
 
Ero ferma, immobile. Davanti alla porta che mi separava da quelli che là, la folla, chiamava 'idoli', sorrisi ad una bambina felicissima e saltellante dall’emozione.
Un ragazzo, al mio fianco, si sporse contro il vetro speranzoso. 'Oh mio Dio, Harry!' esclamò entusiasta, la piccola scoppiò a piangere e la madre cercava di consolarla ricordandole che tra poco avrebbe visto il suo amato Niall, due amiche si abbracciarono eccitate e sprizzanti di gioia e le persone che, attendevano ancora in fila il loro turno, urlarono esaltate cercando di intravedere la figura slanciata di Styles, inutilmente.
Ecco, finalmente sarei entrata.
Consegnai il foglietto azzurro numero 17 alla guardia vestita di scuro.
Lo gettò in uno scatolone e mi fece passare.
Luci soffuse, getti di colore puntati sui loro visi come scie variopinte, decine di macchine fotografiche scattavano foto su foto illuminando con abbaglianti flash quegli inglesi che avevano fatto perdere la testa a migliaia e migliaia di ragazze.
Harry salutò. Solo io lo notai, gli altri erano troppo occupati a cercare videocamere e cellulari per immortalare ogni singolo momento di quel giorno per loro speciale, alzai la mano e salutai sorridendo. Qualche passo e il loro 'bodyguard' cominciò a parlarmi veloce, in inglese, porgendomi la sua mano enorme. La strinsi, ingenua.
Okay, figura di merda.
Cominciarono a ridere, le loro risate sembravano sibillii di angeli caduti dal cielo.
Erano qui, di fronte a me. Il mio cuore cominciò a palpitare forte, mi mancava l'aria eppure quella volta non era per il caldo e le gambe tremavano come foglie non più capaci di reggermi, cosa mi stava succedendo? Cosa aveva il mio cuore?
Il primo era Harry, 'ciao piccola'. Una scossa inspiegabile mi attraversò la schiena, un brivido scosse la mia anima. Eccolo, Niall, mi sorrise porgendomi la mano, la strinsi sorridendo. Poi Liam e Zayn che mi scoccò un occhiolino. 'sei bellissima, ti amo', eccolo, era Louis.
Uscii, il loro profumo incastonato tra le dita della mia mano destra, un loro foto portata al petto. La guardai, una lacrima calda attraversò la mia guancia.
 
Composi il numero di mio fratello che, assieme a mio zio, stavano visitando Milano.
Lo informai di esser pronta per ripartire e tornare a casa, mi diede un luogo preciso dove incontrarci e mi disse di aspettare qualche minuto lì, senza muovermi.
Non capii dove si trovasse il posto, decisi così di girare attorno allo Shu, magari avrei trovato il bar ‘Vogue’ indicatomi da mio fratello nelle vicinanze, niente non c’era traccia di quel maledetto caffè.
Gironzolavo in tondo, come una stupida.
 
Io: ‘guarda dove cammini!’ – esclamai arrabbiata, mi chinai a terra per raccogliere il mio cellulare, nuovo, caduto a terra. Una mano calda e morbida si scontrò con la mia –
Xx: ‘scusa’ – alzai il viso all’udire quella parola pronunciata scorrettamente, i miei occhi si incrociarono con quelli di un bellissimo ragazzo –
Io : ‘no, scusa tu. Sono agitata e in ritardo, non trovo un posto e me la sono presa con te senza motivo! Mi spiace! Mah, cosa parlo a fare, tanto non mi capisci! Oh, grazie’ – ripresi il telefono e abbozzai un sorriso per finire quella conversazione –
Xx: ‘ti capisco e sai, sei divertente!’ – sorrise. Cavolo, era davvero perfetto! – ‘e dovresti stare più calma!’ – rise appena mentre io continuavo a fissarlo, invasa da un pianto silenzioso, un pianto d’amore, un pianto mai provato. Loro, gli One Direction non erano niente per me, eppure qualcosa era cambiato, qualcosa di impercettibilmente e strano aveva solleticato la mia anima come la mano di un bambino e un sentimento sconosciuto prima d’ora aveva bussato alla porta ermetica del mio piccolo cuore. Ma, cosa stavo dicendo? Ero forse impazzita? –
Xx2: ‘Harry, vieni! Stiamo aspettando solo te. Non mi stai tradendo, vero?’ – urlò qualcuno. Louis scherzoso spuntò da un vicolo stretto incappucciato e gli scoccò un occhiolino -
Io: ‘Si, certo! Beh, ora vado, grazie ancora per avermi rotto il telefono e poi raccolto gentilmente!’ – sorrisi appena, sinceramente un po’ irritata e sarcastica, una punta di acidità si udiva nella mia voce. Se al mio posto ci fosse stata un’altra ragazza l’avrebbe sicuramente abbracciato, avrebbe pianto o chiesto un autografo. Io non ero loro fans, io non feci nulla di tutto ciò –
Harry: ‘Hai una penna?’
Io: ‘Si, perché?’ – chiesi dubbiosa porgendogliene una –
Harry: ‘Non vuoi un autografo?’ – domandò gentile, premuroso –
Io: ‘Io non sono una tua, vostra fan…’ – dissi, sinceramente imbarazzata per quella confessione. Uno dei ragazzi più amati del momento voleva farmi un autografo e io non conoscevo neanche il suo cognome; qualche ragazza avrebbe fatto follie per una sua firma, io sfacciata non feci nulla –
Harry:  - sorpreso, deluso mi guardò – ‘Perché sei qui allora?’
Io: - cazzo! Come potevo dirgli che erano dei gran bei ragazzi, come dirgli che non sapevo niente di loro e li trovavo semplicemente fighi? –  ‘Ho accompagnato una mia amica!’ – idea fantastica, sicuramente ci avrebbe creduto. Gli mostrai il mio sorriso entusiasta come volerlo convincere –
Harry: ‘Capito, quindi niente autografo?’ – chiese malizioso guardandomi dolcemente col un viso pulito e fanciullesco incorniciato da vaporosi riccioli -
Io: - ci pensai un po’, poi esclamai– ‘Eh perdere l’occasione di vantarmi per l’autografo di  uno degli One Direction? Nah!’ – iniziò a ridere. Lo scrutai stranita, non era un battuta! Beh, forse aveva capito male o era semplicemente pazzo. Risi anche io, trasportata da lui e dalla sua voce -
Harry: ‘Giusto!’ –gli sorrisi di nuovo – ‘dammi il tuo braccio’ – lo afferrò e io, senza capire, continuavo ad osservarlo intontita, inebriata dal suo sorriso, dal suo sguardo e dai suoi occhi chiari tremendamente dolci mentre le sue sottili dita si movevano sulla mia pelle – ‘come ti chiami?’ –
Io: ‘Ehm, Cecilia’
Harry: ‘Cecilia’ – ripeté – ‘mi piace! Ecco, ora vado!’ – sorrise allontanandosi –
Io: ‘Se, anziché imbrattare la mia pelle, me lo avessi fatto su un foglio di carta l’avrei potuto vendere su Ebay’ – urlai per farmi sentire – ‘sai quanti soldi ci avrei guadagnato? Sei l’idolo di tutte le ragazzine!’
Harry: ‘Ma così non ti saresti ricordata di me’ – ricambiò ormai lontano -  ‘Ci sentiamo!’
 
Scoppiai a ridere mentre alcune lacrime fluivano sul mio viso.
‘ci sentiamo’, come avremmo potuto mai risentirci? È proprio pazzo e strambo!
Tamponai gli occhi lucidi, un segno confuso sull’avambraccio destro mi ipnotizzò.
L’aria mancava, il cuore non batteva, l’anima non era più dentro di me, era fuggita, volata via con loro su un qualche aereo e la mia mente era davvero confusa da mille domande. Tantissime piccole lacrime mi invadevano il viso ancora una volta e un altro brivido percorse la mia schiena. Posai una mano al petto, il cuore palpitava troppo veloce e non sapevo come calmarlo, era come una tigre: indomabile, selvaggia, mortale.
‘0044793176’
Un numero.
‘ci sentiamo’, quella frase continuava a rimbombarmi nella testa, nelle orecchie.
Il suo sorriso rimaneva impresso nei miei ricordi ad irradiare il mio volto, mentre il mio non smetteva di stare lì, nel mezzo della mia faccia meravigliata, stupita. Sicuramente era uno scherzo, uno scherzo di cattivo questo giocatomi da un cantante famoso con la voglia di rider un poco, un numero inventato tanto per scherzare, per ridere di una semplice e sciocca ragazzina.
Lì, sotto alla sua firma quella serie di numeri mi tentava.
Abbassai la manica della maglia e le tapparelle del mio cuore. Loro non erano  niente, non potevano farmi questo, non potevano farmi perdere la testa.

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Capitolo 2
*** Chapter one. ***


CAPITOLO 1
_
 

quindici dicembre duemilaundici – Londra

 
Caos, smog, traffico, grattacieli, tramonti spettacolari, albe da togliere il respiro, monumenti colossali e antichissimi mozzafiato, strani cappelli costosi dai vivaci colori e dalle forme più strane spesso imbellettati con quale piuma nera e ogni genere di motivo, boutique d’alta e pregiata sartoria, ticchettii di tacchi vertiginosi, palazzi importanti dall’aspetto austero e regale, pullman rossi fuoco a due piani e taxi neri dall’ara leggermente retrò; questo caratterizzava Londra, questo era ciò che notai non appena approdata.
 
Ero in vacanza studio ormai da due mesi. Un anno nella meravigliosa capitale inglese dai sapori e dagli odori intensi, dai colori accesi e dalla vitalità unica tipica di una grande città, ecco cosa mi aspettava per i prossimi trecento giorni. Avrei studiato là, frequentato il secondo anno di liceo in uno dei college nel cuore della megalopoli e conosciuto una nuova cultura, assaporando diversi pensieri e abitudini quotidiane. Ero felice, orgogliosa che i miei genitori si fossero fidati di me lasciandomi partire, che dopo mesi di suppliche e discussioni fossi riuscita a conquistare il mio sogno e un po’ della loro fiducia.
 
I mie ‘genitori’ inglesi erano piuttosto anziani, ma non i classici e ordinari vecchietti intorpiditi e lagnosi consumati dall’età, dalla vecchiaia.
Erano perfettamente curati, oltretutto ritoccati dalla chirurgia plastica, allegri, frizzanti, senza figli e completamente soddisfatti della loro vita, senza alcun rimpianto o speranza per il futuro.
La loro casa, se così si poteva chiamare, era un enorme loft con meravigliosa vista sul Tamigi, non avrei desiderato di meglio per le mie foto. Era perfettamente arredato, moderno e luminoso.
Ricchi signori, se così si vuol dire dei borghesi, ecco chi erano. Amavano i giovani, giocare a golf, gli abiti griffati ed eleganti, i profumi francesi, le stoffe arabe, partecipare agli eventi più attesi ed esclusivi dell’anno, un po’ come fossero piccole vecchie star, e, soprattutto, viziarmi.
 
Pensavo fosse stata dura vivere un anno con degli ultrasessantenni, senza una via di fuga, senza conoscere nessuno. Pensavo fosse stata dura stare lontano da casa, vivere in una nuova città,  senza vedere la mia famiglia per trecentosesantacinque giorni, cominciare una nuova scuola, un nuovo stile di vita; eppure dovevo, volevo farcela! Amavo vagare per il mondo e dimostrare ai miei di essere responsabile, quel viaggio avrebbe realizzati entrambi i miei sogni. Con sorpresa, invece, mi ritrovavo in uno dei quartieri più importanti e conosciuti di tutta Londra, in una appartamento enorme e alcuni vicini erano artisti caduti da vizi e sfortuna, almeno così mi avevan detto.
Ciò mi avrebbe aiutata, facilitato tutto.
In meno di tre settimane mi avevano mostrato tutta la città, presentato ad alcuni ‘pezzi importanti’ della società londinese, portato a grandi feste. In meno di tre settimane avevo conosciuto Londra, almeno così credevo.
 
16.2O – Città, Londra
 
Nonostante fossi in ritardo non presi nessun tram, decisi di camminare, amavo farlo, soprattutto in quella città che, giorno dopo giorno, mi affascinava sempre più.
Dovevo raggiungere Selena al ‘Frappé’, il nostro locale preferito, alle quattro.
Era uscita per incontrare una zia irlandese e, prima di tornare a casa, voleva stare un po’ insieme.
In poco tempo era diventata la mia migliore amica e, ormai, anche lei faceva parte della famiglia: viveva con noi da ormai due settimane ed era la cosa migliore per tutti. I miei genitori, ormai li chiamavo così, non amavano lasciarmi sola quando uscivano e lei, che non aveva più la madre e il padre era sempre in viaggio per lavoro, non restava ‘abbandonata’.
Era alta, di media costituzione, una leggera spruzzata di lentiggini gli punteggiava il naso e parte delle guance, aveva occhi verdi sfumati d’azzurro e capelli color rame. Era bella, simpatica, solare, interessante, brava a scuola e suonava tre strumenti; spesso era difficile per me uscire con lei, soprattutto assieme a dei ragazzi. Io ero così normale, semplice. Occhi color nocciola dai riflessi verde scuro, capelli castano chiaro e lunghi, alta, questo sì, e magra, ballavo da dieci anni ed ero brava davvero, questo non potevo negarlo; ma io ero scontata, quasi monotona.
 
Il telefono iniziò a squillare, frugavo nella grande borsa beige mentre a passo svelto e scandito continuavo a camminare decisa per quelle vie strette e secondarie, molto più veloci e desolate, che ormai conoscevo a memoria ed erano la mia scorciatoia.
Non feci in tempo a rispondere, non importava. Sicuramente era Sel che, preoccupata e detestante del ritardo, voleva sapere dov’ero, se stavo arrivando e come stavo.
Procedevo a testa china per la mia strada senza guardare, non passavano mai macchine, lo sapevo bene. Dentro alla borsa trovai l’i-pod, l’afferrai e misi le cuffie con un sorriso dipinto sul volto.
 
Un grido,
una luce potente,
il rumore dei freni sull’asfalto,
poi niente.
 
18.03 – Ospedale, Londra
 
Xx: ‘Dottore, venga! Si è svegliata!’ – urlò qualcuno: un ragazzo, sicuramente –
Io: - le palpebre degli occhi erano pesanti, come incollate tra loro, sigillate e destinate a rimanere chiuse per sempre. Il cuore batteva lento, la testa pulsava a causa del dolore e la gamba mi faceva davvero male – ‘C-cos’è successo?’ – chiesi priva, ormai, di forze –
Xx: ‘Shh, riposati, Cecilia’ – disse dolcemente, poi, di nuovo, urlando chiamò il dottore –
Io: ‘C-chi sei? Dove sono?’- chiesi per la seconda volta. Ancora nessuna risposta, solo una mano calda sulla mia come volermi rassicurare. La tolsi e, questa volta gridando, domandai – ‘dimmi cos’è successo e perché sai il mio nome?! Dove mi trovo, rispondi cazzo!’ – un colpo violento alla testa. Presi la mano e la portai sulla fronte, un rialzo, come di una cicatrice, mi fece sussultare –
Xx: ‘Sono Harry e, a quanto pare, dobbiamo sempre incontrarci così, italiana’ – disse sorridendo -
Io: ‘Cosa vuoi dire?’ – domandai confusa, agitata. Chi era quel ragazzo, Harry, e quando ci eravamo incontrati ancora? Un vuoto allo stomaco mi fece sussultare-
Harry: ‘Che è destino!’- sorrise -
 
Quella frase mi colpì, più di quanto le fitte alla testa avessero fatto negli ultimi minuti, più di quanto quella maledetta macchina fece qualche minuto prima, qualche ora o forse giorni.
Mi voltai per osservarlo. Il cuore ora batteva a mille, come un cavallo indomito e selvaggio dalla lunga criniera, gli occhi si fecero lucidi, la gola secca. Non potevo muovermi, alzarmi sia dal dolore sia dall’emozione. I suoi occhi puntati su di me, quasi volermi abbagliare, mi catturarono, come avevano fatto la prima volta, come avrebbero sempre fatto.
Era lui, era qui. Pensavo non l’avrei mai rivisto, che tutto fosse finito.
Era lui, era qui. Mi teneva la mano come volermi rassicurare, premuroso sorrideva.
Era lui, era qui. Mi accorsi, dal nostro primo incontro, di provare qualcosa per lui.
Era lui, era qui. Avevo rivisto Harry.
Il cuore iniziò  a bussare al petto, non poteva uscire e vagare per la stanza, così decisi di non ascoltarlo, la mia anima sembrava sorridere felice, gli occhi piangevano e come in fiume in piena investivano il mio viso stupefatto. Non sapevo cosa fare, l’abbracciai forte, nonostante la sofferenza causata dalle ferite, perché era tutto ciò che volevo.

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Capitolo 3
*** Chapter two. ***


CAPITOLO 2
_
 
Io: ‘Ti ricordi di me?’ – più che una domanda pareva un’esclamazione. Ero sbalordita. Sciolsi l’abbraccio per osservarlo, avevo gli occhi lucidi e sorpresi che inebriavano la vista. Piccole goccioline, come di rugiada, fuoriuscivano da questi come voler pulire il mio volto sbigottito -
Harry: ‘Ehi, non do il mio numero a tutte!’ – cancellando le mie lacrime, di gioia e orgoglio, sorrise sincero, divertito quasi volesse scherzare, ancora una volta con me, con i miei sentimenti – ‘però tu, a differenza delle altre, non mi hai mai chiamato’ – affermò corrucciando il suo bel visino come fosse offeso, oltraggiato e non capisse ancora il perché non l’avessi fatto. Quasi non potesse credere che una sciocca ragazzina come me, insignificante, l’avesse ‘‘respinto’’ –
Io:  – scoppiai a ridere, semplicemente. Ridere di cuore per lui, per ciò che aveva detto! Quella sua frase mi fece sentire meglio, felice; poteva cambiare il mio stato d’animo, lui aveva questo dono –
Harry: - preoccupato per il mia condizione, per la mia risata ‘insensata’, si unì velocemente a me nonostante fosse confuso, intontito dalla mio atteggiamento, sicuramente diverso da ciò che si immaginava, decisamente inaspettato – ‘Perché stiamo ridendo?’ – disse ricomponendosi –
Io: ‘Io rido per la tua battuta, tu non so!’- mi guardò interrogativo, io lo guardai interrogativa; solo allora capii – ‘tu mi stai dicendo che quello era il tuo numero? Il tuo VERO numero?’ – chiesi praticamente urlando; incredula e come impazzita –
Harry: ‘Sì’ – affermò naturale, sorridente puntandomi i suoi occhi celesti sul viso, come fossero stelle illuminate dai raggi lunari destinate a non spegnersi mai –
 
Il tempo si fermò,
il mio cuore si fermò,
il mondo smise di girare,
 almeno il mio.
 
Due lettere,
un’affermazione,
il suo sorriso,
 una fitta alla testa,
una al cuore,
poi non ricordo niente.
 
22.14 – Ospedale, Londra
 
I miei genitori erano accanto a me, mamma Tayla mi stringeva la mano e papà George dormiva su una scomoda sedia nell’angolo buio della grande stanza candida.
I muscoli intorpiditi mi davano una sensazione di scomodità, la testa pulsava ancora, forse più forte, e un intenso odore di medicinali era racchiuso nei mie polmoni invasi da quest’essenza disgustosa e, sinceramente, alquanto raccapricciante. Aprii a fatica gli occhi sperando di trovare lui, vicino a me, al mio fianco, di sentire la sua mano sulla mia come nei film e vedere il suo viso sollevarsi come d’incanto al minimo movimento del paziente, al mio.
Niente, i suoi occhi non erano lì a vegliare su di me e proteggermi come l’innamorato di una commedia romantica avrebbe sicuramente fatto, i battiti del suo cuore non mi tenevano compagnia, del suo profumo non rimaneva nessuna traccia. Lui non c’era.
Ma, in fondo, cosa mi aspettavo? Ero una sciocca, un’illusa.
Ma, in fondo, lui per me non era niente, no? Non era il mio idolo, il mio sogno, il principe azzurro che ogni ragazza desidera. Non era niente, ecco la verità.
Mi alzai leggermente sforzando le bracca e strinsi delicatamente la mano di mia madre, avrebbe capito che ero sveglia, ero accanto a lei e stavo bene. Alzò leggermente la testa e tra i suo sorriso morì qualche lacrima, strinse la mia mano e mi abbracciò forte.
 
Tayla: ‘Ci hai fatto preoccupare sai?’ – disse, non in tono di rimprovero, ma semplicemente sollevata e felice di vedermi. Mi voleva davvero bene, ne ero certa –
Io: ‘Scusa, non volevo farvi stare male, in pensiero e, soprattutto, far annullare il vostro evento, so quanto vi eravate impegnati, quanto tenevate andarci. Sono una stupida! Mi spiace davvero.’ – affermai seriamente mortificata. Organizzavano l’evento da mesi e ora, a causa mia, era saltato –
Tayla: ‘E’ l’ultima cosa a cui ora pensiamo’ – sorrise dolcemente, rassicurante come solo le madri possono fare. Nonostante non avessimo alcun legame, mi ero affezionata a loro più di quanto potessi immaginare e, francamente volessi. Sarebbe stato doloroso lasciarli –
Io: - le sorrisi - ‘Sel, devo avvisarla!’ – dissi alzandomi velocemente, preoccupata ricordandomi della mia migliore amica che da ore mi attendeva –
Tayla: - mi fece riaccomodare – ‘Sa già tutto e, come sempre, non sta perdendo l’occasione di organizzare una ‘festa di benvenuto’, quando arriviamo a casa, per favore, fingiti sorpresa davanti al cartellone ‘welcome!’ – rise appena, e io con lei anche se le costole, probabilmente per l’impatto con la vettura, mi facevano male - ‘Ecco, tieni, sono per te’ – mi porse delle rose bianche, le mie preferite, e non potei trattenere una lacrima –
Io: ‘Grazie, non dovevi disturbarti, davvero.’ – cancellai la lacrima e ispirai il profumo dolce ed inebriante che sprigionavano quei fiori tremendamente belli –
Tayla: ‘Oh, non devi ringraziare me!’ – poi, scoccandomi un occhiolino sorrise maliziosa – ‘vedi, piuttosto, di ringraziare un bel ricciolino’ – scoppio a ridere, svegliando George che, alzandosi, mi abbraccio forte. Non era da lui, da quell’uomo distaccato e timido -
Io: ‘Harry’- sussurrai –
 
12.07 – Casa, Londra
 
Mi svegliai ancora deliziata dal profumo delle rose, nel mio letto, a casa.
Guardai il display del mio cellulare, mezzogiorno passato.
Mi svegliai ancora intorpidita, dolorante per l’incidente avuto.
Toccai la ferita sulla fronte, gemetti appena.
Mi svegliai con una fitta al cuore, afferrai le rose e sorrisi, semplicemente.
Sulle gambe cadde un bigliettino.
 
‘’Scusa se non c’ero al tuo risveglio,
avevo alcuni impegni importanti.
Non sei una mia fan, lo ricordo,
so che però è destino,
per il resto non so niente.
‘0044793176’.
Appena starai meglio,
chiamami.
Non come idolo,
chiamami come Harry.
Styles :) ‘’

 

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