The Prodigal Mother

di Mark MacKinnon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Ringrazio innanzitutto tutti coloro che hanno commentato Cast a Long Shadow. Quello che vi apprestate a leggere è, più che il seguito, una sorta di interludio in due parti fra Cast a Long Shadow e quello che si può considerare il seguito vero e proprio della celebre ff, ovvero The Heart’s Reasons, composto da cinque capitoli e in corso di traduzione.
Il significato del titolo The Prodigal Mother, oggetto di discussione tra Moira e la sottoscritta, mi è apparso chiaro quando, correggendo una bozza per la casa editrice per cui lavoro, vi trovo un accenno alla parabola del figliol prodigo, per cui “la madre prodiga” è la madre di uno dei personaggi del manga che ritorna a casa dopo aver abbandonato la famiglia molti anni prima.
Moira e io, sua betareader, vi auguriamo buona lettura.
TigerEyes




LA MADRE PRODIGA


di
Mark MacKinnon



Traduzione
moira78



Parte Prima




Akane si svegliò con un gridolino, lottando debolmente contro le coperte che la imprigionavano. Le braccia di qualcuno scivolarono su di lei, calde e confortanti, e una voce bassa mormorò nel suo orecchio.
"Va tutto bene, Akane. Stai tranquilla. Sei al sicuro". Respirò affannosamente mentre il suo cuore fluttuava come un uccello intrappolato, raggomitolandosi contro la calda figura che era seduta sull'orlo del letto, tentando di prendere forza dalla sua solidità, cercando di bandire l'irrazionale timore che scivolava attraverso le vene. Tentando di ricordare che era nel proprio letto.
Al sicuro.
Un minuto…
Si tirò indietro improvvisamente, causando l’irrigidimento sorpreso della figura.
"Ranma?", sibilò. “Cosa... cosa stai facendo nella mia stanza?". Il suo cuore batteva per una ragione diversa mentre chiudeva ermeticamente il colletto già contegnoso del suo pigiama. Ora poteva vedere la faccia di Ranma, i suoi occhi spalancati si erano abituati alla luce fioca che filtrava attraverso la finestra aperta. Lui sembrava imbarazzato, e si grattava la nuca.
"Io, uh, ti ho sentita. Sembrava che stessi avendo un incubo, e sono entrato per controllare". Appariva preoccupato e sulla difensiva, e lei sentì la propria rabbia dissolversi rapidamente.
"Mi hai sentita? Ho fatto tanto rumore da svegliarti?", chiese turbata.
L'abilità di Ranma di dormire nonostante i rumori era leggendaria. Poi si ricordò della finestra aperta, solo che lei non l’aveva lasciata così.
"Non ero addormentato", ammise mestamente. "Ero sul tetto a pensare". Giusto. Rimuginare era da lui.
Era passata appena una settimana da quando Kodachi era morta salvando Ranko dal tunnel dimensionale che crollava e quasi una settimana da quando Ranko, la controparte di Ranma, era partito per luoghi ignoti, incapace o non disposto a stare con loro. Tutto sembrava ancora in qualche modo provvisorio, irreale, come se tutti fossero in attesa di qualcosa.
"Allora stai bene? Voglio dire...", le parole gli morirono goffamente sulle labbra, "vuoi parlarne o qualcosa del genere?".
Lei gli gettò uno sguardo, sorpresa. Fuori dalle situazioni pressanti che avevano attraversato e che li avevano costretti a confrontarsi finalmente con i loro veri sentimenti, le cose erano diventate alquanto forzate tra loro. Sentì un calore spargersi attraverso il petto al pensiero di Ranma preoccupato per lei. Beh, in quel modo così diretto, almeno. Notò che era vestito solamente con pantaloncini e una canottiera scura e desiderò che l’avesse di nuovo abbracciata. Bene, se non lo faceva lui poteva farlo lei. Avevano ammesso i loro sentimenti dopo tutto, no? Si inclinò contro di lui, facendo scivolare le braccia intorno alla sua vita magra, crogiolandosi nel calore dal suo corpo. Sorrise leggermente sentendolo finalmente ricambiare l'abbraccio, chiuse gli occhi e si strinse al suo petto.
Per lunghi momenti, nessuno di loro parlò.
"Ho sognato mia madre", disse finalmente Akane, e il suo sorriso svanì. "E Kodachi". Le braccia di Ranma si tesero leggermente, ma non disse niente. "Non sembrava stesse dormendo", aggiunse dopo altro silenzio. "Dicono sempre che pare stiano dormendo, ma lei non sembrava addormentata. Sembrava morta".
"Quale?", chiese Ranma, le sue mani che le accarezzavano la schiena in un ritmo calmante, ripetitivo. "Entrambe. Le uniche due persone morte che abbia mai visto".
Gli strinse le braccia intorno, e affondò ancora di più nel suo ampio torace, come se lui fosse l'unico luogo sicuro rimastole al mondo.
"Tutto quello che abbiamo passato, le cose pericolose, stupide e strane, e io non ho mai pensato...". Si fermò per un momento, cercando di inghiottire un nodo che le si stava formando in gola.
"Ehi", disse Ranma, preoccupato."Nemmeno io ho mai pensato che potesse accadere qualcosa di serio! E non ho mai pensato che qualcuno di noi potesse morire! Nulla lo faceva supporre, giusto?".
Lei sentì le lacrime pungerle gli occhi, e le cacciò indietro adirata."Ma non posso smettere di pensare a lei! È solo... solo INGIUSTO!".
Ranma annuì in silenzio mentre Akane si stringeva più ermeticamente a lui e un brivido l'attraversò. "Ingiusto", mormorò. Lo sentì sospirare, il suo alito le passò dolcemente tra i capelli. "Lo so. Lo penso anch’io". Percepì qualche cosa nella voce di Ranma che le diceva che probabilmente non era la sola a dormire male in quei giorni.
"E Kuno? Non viene a scuola da quando è accaduto. Nessuno lo ha visto. Odio dirlo, Ranma, ma lui non è stato mai precisamente... stabile, no? Chissà quello che sta passando ora… E non ha nessuno. Suo padre non gli è certamente utile in questo momento. Noi siamo le cose più vicine a degli amici che ha, dovremmo fare qualcosa!".
"Abbiamo provato, ricordi?", disse Ranma. "I servitori avevano istruzioni per non fare entrare nessuno. Che ci piaccia o no dovremo aspettare che per Kuno finisca il lutto".
"Ma...", cominciò Akane.
"Non puoi aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato", disse lui gentilmente. "Dovrà uscire da quella villa presto o tardi. Sii solo paziente". Rimasero silenziosi per un po’, rimanendo seduti, stando insieme nel modo che Akane aveva sempre sognato. Quella era la prima volta che rimanevano soli dalla lotta al Furinkan che così tanto era costata.
Lei si ritrovò a gioirne. Un po’. E si sentì colpevole per quello, una superstite colpevole. Poi avvertì Ranma tendersi leggermente.
"Cosa c’è?”.
"Nulla". Sospirò dopo un momento. "Pensavo di aver sentito un rumore, e cercavo di immaginare cosa farebbe tuo padre se ci trovasse qui così".
Akane sentì un sorriso formarsi sul volto. "Rilassati. Probabilmente si rallegrerebbe del fatto che stiamo insieme". Rise scioccamente.
"Non esserne troppo sicura", disse Ranma cupo.
Lei lo fece voltare verso di sé così da poterlo guardare negli occhi. "Ranma, papà non pensava davvero quello che ti disse quel giorno". Poté giudicare dalla sua espressione come non ne fosse convinto.
"Mi biasima ancora per quell’incidente sul terreno in costruzione, ed era abbastanza sicuro che io fossi la cattiva influenza che ti ha convinta ad andare al Furinkan a lottare contro quelle cose". Disse acidamente. "Mi lancia ancora delle occhiatacce, lo sai".
"Ha solo bisogno di tempo per abituarsi all'idea che io non sono più una bambina", gli disse. "Sai quanto diventa iperprotettivo. Se non ha noi ragazze da proteggere pensa di non avere nient’altro. Gli passerà, Ranma. Abbi fiducia in me".
Lui accennò col capo, poi si alzò in piedi. Akane fu sorpresa dall'intensità del tormento e del rammarico che provò al pensiero che andasse via.
"Si sta facendo tardi", disse Ranma alla fine. "Faremmo meglio a cercare di dormire. Abbiamo scuola domani".
Lei annuì di malavoglia, e aspettò di vedere se lui l’avrebbe baciata. Non si baciavano dal giorno della lotta, e la vecchia goffaggine minacciò di riemergere. Ranma esitò, e il suo cuore mancò un battito.
"Sogni d’oro", disse alla fine uscendo fuori dalla finestra. Lo guardò andare via, esasperata.
"Devo fare tutto io in questa relazione?", si disperò, prima di lasciarsi cadere con un tonfo sul letto, sospirando profondamente. Il calore dal corpo di Ranma sembrò essere rimasto, un formicolio le stuzzicava la pelle e il sonno tardò ad arrivare.


Bada a te, pensò Nabiki cupamente. Smettila di parlare con Kasumi.
Sedeva sotto un albero da sola, mangiando il pranzo e sentendosi molto combattuta. Dopo il suo confronto con Ranko, era crollata e aveva mostrato le sue emozioni alla sorella più grande. Quella conversazione aveva migliorato il suo umore, ma aveva dissotterrato delle brutte verità con cui non avrebbe voluto più confrontarsi. La sua tendenza a giocare con i sentimenti altrui per il conseguimento dei propri fini aveva provocato la lite, ed era d'accordo con Kasumi che fosse necessario valutare le conseguenze quando usava il suo talento per guadagnare soldi, e considerare più spesso la sensibilità degli altri.
E i Kami sapevano se ci stava provando. Ma metà del problema era che quando lei aveva l'opportunità di aprirsi realmente a qualcuno, le persone agivano come se stesse facendo qualcosa di sospetto. Tutti conoscevano la sua reputazione, e pensavano che stesse per fare qualcosa di sinistro, trattandola addirittura con più diffidenza del solito. L'altra metà del problema, chiaramente, era che le piaceva guadagnare denaro. Era brava in questo. Non poteva semplicemente smettere, anche se avesse voluto. E francamente, non voleva.
Non vedeva niente di sbagliato nel prestare soldi alle persone ad alti interessi. La gente andava da lei, dopo tutto. Non li stava costringendo a prendere in prestito denaro. Ma guadagnare soldi era solo un banco di prova per il suo talento di concepire ed eseguire piani sempre più complessi e migliori. Sfortunatamente, molte delle sue idee finivano per far del male a qualcuno.
Pensava a quello che era stato, negli ultimi tempi, un ritratto mentale molto chiaro dell'espressione che aveva assunto Ranko dopo che aveva venduto informazioni su di lui agli altri. Era stata crudele e meschina, e lo aveva riconosciuto. E dopo averci riflettuto era risultato che un numero sorprendente di piani poteva avere conseguenze del tutto simili.
Nabiki non era un mostro. Non voleva andare alla ricerca di modi per fare del male alle persone. Ma il suo talento era una parte di lei, una parte importante. La faceva sentire speciale, era un talento simile all'arte, alla scrittura o alla composizione musicale che rendeva uniche altre persone. Stava diventando matta, tentando di concepire un modo per fare soldi veramente buono che non facesse male a nessuno. Sembrava impossibile
Se solamente Kuno fosse stato nei paraggi… Tormentare Kuno era sempre stata la parte più divertente della sua giornata. Ma non era ritornato a scuola, dopo la morte di Kodachi. Infatti, nessuno l'aveva visto da quel giorno. Pensò a lei e il suo umore peggiorò ulteriormente.
Non le era mai piaciuta Kodachi. L'aveva sempre considerata un grosso fastidio o una minaccia, a seconda del suo umore, ma lei non le aveva mai impedito di guadagnare soldi, poveretta. E non si era mai augurata la sua morte. Da quello che aveva sentito su quella lotta, era stato un miracolo che la maggior parte di loro fosse ritornata viva.
Si girò a guardare il cortile della scuola, chiedendosi dove precisamente fosse morta. Non c'era nulla a evidenziare quell'avvenimento. Le sembrò in qualche modo sbagliato, considerando quale fosse stata la posta in gioco. Poche persone, al di fuori del piccolo gruppo che conosceva, sapeva la verità su ciò che era accaduto in quell'oscura domenica.
Sentì il mormorio di un gruppo di ragazze che camminavano lentamente vicino a lei, e ascoltò come sua abitudine.
"Io ho sentito che hanno trovato alcuni idraulici nella cantina, insieme al custode principale", stava dicendo una eccitata. "Sono stati tutti uccisi in un qualche genere di rituale!".
"Ho sentito che la polizia lo ha insabbiato per non creare panico!", disse un'altra parlando a bassa voce, con aria cospiratrice. Nabiki sbuffò. Se fosse stato insabbiato, come avrebbe fatto un gruppo di scolare a saperlo? Le persone potevano essere così ingenue certe volte.
"Bene, io ho sentito che la sorella del senpai Kuno era coinvolta in qualche modo, e che la polizia ha dovuto spararle!", confidò un'altra ragazza. Nabiki si irrigidì.
"Era sempre così inquietante", concordò la prima. "Non mi sorprenderebbe se fosse stata coinvolta in qualcosa di sovrannaturale come questo". Aveva sentito abbastanza. Si alzò in piedi e si diresse verso le ragazze, spaventandole.
"Perché non la smettete di dire cose di cui non conoscete niente?", chiese in tono glaciale. "Non è corretto spettegolare su qualcuno che è morto, sapete?". Le ragazze, consapevoli della reputazione di Nabiki per la sua spietatezza, furono momentaneamente atterrite dalla sua veemenza.
"Bene, se sai così tanto, Nabiki, perché non ci dici quello che è realmente accaduto", disse una di loro. "Sanno tutti che sua sorella è morta, ma nessuno sa come! Tu sai sempre tutto!".
"Sì, ti pagheremo!", aggiunse un'altra, i suoi occhi baluginarono di aspettativa. Nabiki provò una brutta sensazione allo stomaco. Pensavano davvero che avrebbe venduto informazioni su quello? Sul serio?
Chiaramente sì. Perché non avrebbero dovuto? Non era quello che faceva sempre? Qualsiasi cosa per il prezzo che stabiliva lei. Sentì il sangue defluire dal volto, il freddo che si insinuava nel corpo. È il mio lascito, pensò intontita. Questo è quanto. È tutto ciò che ho.
Le ragazze stavano tirando fuori una manciata di yen, ansiose di essere le prime ad avere lo scoop in anteprima sulla morte misteriosa di Kodachi. Dopo tutto, avrebbero potuto dire che lo avevano saputo da Nabiki Tendo, e le sue informazioni non erano sempre buone? Fissò i soldi, sentendo un grido salirle in gola.
Oh, questo è male, si disse. Griderò, proprio qui di fronte a queste idiote. Sto realmente per farlo...
"Ragazze", si intromise una voce. "C'è qualche problema?". Nabiki sbatté le palpebre. Le mani e i soldi sparirono rapidamente.
"Signorina Hinako! Nossignora, nessun problema!".
"Bene. Perché non andate, allora?", fece le fusa con la sua voce sexy. "Gradirei parlare alla signorina Tendo un momento". Le altre non persero un attimo e lasciarono Nabiki ad affrontare l'insegnante da sola. Notò che doveva aver combattuto recentemente con qualcuno, visto che era nella sua forma adulta. Le curve pigiavano provocanti contro il materiale leggero del vestito, la gonna era tirata su indecentemente sulle cosce e i bottoni sullo spacco minacciavano di scoppiare a ogni respiro.
Si ravviò in maniera elegante la capigliatura color caramello sulla spalla con una mano, e scorse una punta di disapprovazione nei suoi gesti altezzosi.
"Ehi, prof", disse Nabiki, sforzandosi di mantenere un tono leggero. "Cosa è successo? A parte il suo qi, ovviamente?"
"Signorina Tendo", sospirò Hinako. "Spero che non stesse facendo quello che penso. Tentare di guadagnare sul dolore di uno dei suoi compagni di classe sarebbe infimo, anche per lei". Nabiki si sentì gonfiare di rabbia e strinse improvvisamente i denti. No, si disse. Non far mai sapere quello che provi davvero. Sii fredda. Non perderti.
Sii solo fredda.
"Mi sento offesa da questa insinuazione", disse. Ecco, quella era freddezza, si congratulò con se stessa.
"Non era un'insinuazione, cara, era un avvertimento. Se sai qualsiasi cosa su quello che è accaduto alla sorella di Kuno Tatewaki, e non mi sorprenderebbe sapere che è così, tienilo per te. Sarebbe terribile se io scoprissi che stavi guadagnando soldi con una tale informazione. Mi sconvolgerebbe". Si chinò più vicino, guardando direttamente Nabiki negli occhi. "Moltissimo. Ci capiamo?".
"Certamente", rispose la ragazza gelidamente. La signorina Hinako era molto più facile da affrontare nel suo aspetto infantile. In questo stato, aveva troppa sicurezza di sé per poter deviare il discorso o essere facilmente evasivi. A Nabiki qualche volta sembrava che l'insegnante fosse due persone completamente diverse.
"Questo è quello che volevo sentire", disse Hinako, le sue lussureggianti labbra si curvarono in un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. Si girò per andarsene.
"Signorina Hinako!".
"Sì?", chiese, girandosi di nuovo.
"È ritornato il direttore questa settimana?". La focosa insegnante aggrottò le ciglia.
"No".
"Bene, e Tatewaki? Ha qualche idea di quando ritornerà?". La donna le diede un'occhiata strana.
"Forse dovresti chiederlo a lui", suggerì acuta.
"Non risponde alle chiamate e chiunque si presenti ai cancelli di casa è mandato via. Nessuno di noi è riuscito a vederlo da...". La sua voce si spense.
"Non lo sapevo", disse Hinako, aggrottando le ciglia più severamente.
"Stavo pensando che, siccome lei è un insegnante, forse poteva riuscirci e, sa, assicurarsi che vada tutto bene". Nabiki attese, attenta a mantenere il volto inespressivo. Hinako pensò per un momento.
"Forse sarebbe una buon idea", annuì alla fine. Gettò uno sguardo a Nabiki. "Vedi di non dimenticare il nostro discorso, signorina Tendo", ammonì, poi ancheggiò via, raccogliendo rapidamente un gruppo di ammiratori intorno a sé. Nabiki si permise un piccolo, soddisfatto sorriso.
Aveva manipolato l'insegnante senza che lei lo capisse e il piano era rapidamente stato attuato. Avrebbe scoperto cosa stava accadendo a Kuno.
Poi il sorriso si affievolì quando una vocina urlò nella sua testa: Sei orgogliosa di essere riuscita a manipolarla?
Aggrottò le ciglia.
"Oh, zitta", mormorò.
Si chiese se fosse una coincidenza che la voce fosse simile a quella di Kasumi.


Quel pomeriggio il cortile della scuola era pieno di gruppi di persone, molti che ancora parlavano degli eventi della settimana passata a Nerima. Nabiki li ignorò tutti. C'era solamente una persona alla quale era interessata. La signorina Hinako. Vide l'insegnante, ancora una volta nella sua forma bambina, attraversare rapidamente la folla. Nabiki la seguì a lungo, la cartella gettata con noncuranza sulla schiena. Rimaneva indietro, senza preoccuparsi quando la perdeva di vista.
Dopo tutto, sapeva dove stava andando l'insegnante.
La folla si diradava rapidamente una volta attraversati i cancelli della scuola, e Nabiki rimase indietro ulteriormente onde evitare di essere scoperta.
Non le dispiaceva. La signorina Hinako non aveva guardato indietro nemmeno una volta, mentre saltellava vivace sulla via per la residenza dei Kuno. Il sole del pomeriggio era piacevolmente caldo, e si godé la passeggiata, mentre sbirciava i passanti.
Infine rallentò, vedendo davanti a sé i cancelli principali della tenuta.
Vide la signorina Hinako avvicinarsi ai due giovani e corpulenti uomini che stavano in piedi di fronte al cancello. Erano vestiti come servitori, ma non c'era dubbio che avessero i muscoli. Nabiki sapeva che avevano ordine di non far entrare nessuno; aveva già provato molti metodi per circuirli. Questo, in particolare, sembrava spassoso quanto efficace.
Indugiò all'angolo del muro guardando la minuta signorina Hinako che si avvicinava alle due guardie e diceva qualcosa che li fece scoppiare a ridere. Batté adirata il piede e disse qualcos'altro. Una delle guardie l'accarezzò sulla testa.
Pessima mossa.
Hinako fece un passo indietro, mentre tirava fuori qualcosa dalla sua mano destra. Nabiki sapeva che era una moneta con un buco in mezzo e cosa sarebbe accaduto dopo. Tenne la moneta tra l'indice e il medio, di fronte a sé. Le due guardie cominciarono a ridere anche più forte.
Poi i loro qi divennero visibili e cominciarono a fluire nella moneta, e smisero di ridere. Nabiki li guardò lasciarsi cadere sulle ginocchia mentre la forma della signorina Hinako ancora una volta si gonfiava nella sua forma adulta. Le due guardie si rovesciarono a terra, sbalordite, e l'insegnante li superò con grazia, passando attraverso il cancello.
Nabiki sorrise tra sé. Prof, lei è una pietra preziosa, pensò compiaciuta. Appena cominciò a muoversi dal suo nascondiglio, colse improvvisamente un movimento all'angolo della sua visuale, e indietreggiò di nuovo, curiosa. Una figura magra che portava un trench lungo e grigio e occhiali da sole si dirigeva disinvolta verso i cancelli ora incustoditi della proprietà dei Kuno. Fermandosi solo per gettare uno sguardo furtivo intorno, scivolò quietamente dentro.
Bene, pensò Nabiki. Sempre più curioso. Trotterellò verso il cancello, facendo una pausa per guardare le due guardie sbalordite.
"Oh, no", disse magnanima. "Non alzatevi. Vado da sola".
E lo fece.


Ninomiya Hinako camminò fino alla porta anteriore dell'opulenta casa della famiglia dei Kuno sentendosi stranamente osservata. Si era preoccupata sin da quando aveva sentito le voci sulla misteriosa morte di Kodachi Kuno. Il direttore non era ritornato ancora a scuola, e nessuno in amministrazione sapeva dove fosse o quando sarebbe tornato. Non avrebbe badato troppo all'assenza prolungata del giovane Tatewaki se non fosse stato per Nabiki Tendo che le aveva rivelato che nessuno l'aveva visto fin dalla morte di sua sorella. Non le sembrava normale.
Aggrottò le ciglia, pensando a Nabiki. Quella ragazza aveva il cuore di un mercenario, casomai ne avesse mai avuto uno. Sospettava che sapesse di più sulla morte di Kodachi, e forse su tutti gli strani eventi della settimana passata, di quanto dicesse. Comunque, l'esperienza le aveva insegnato che era quasi impossibile intimidire la ragazza, e lei non aveva prove, così aveva le mani legate. Pensò di nuovo alla conversazione che aveva udito per caso all'ora di pranzo, alle ragazze che avevano tirato fuori i soldi con impazienza. Nabiki era stata davvero sul punto di vendere informazioni sulla morte di Kodachi? Sarebbe davvero arrivata a tanto?
Hinako scosse la testa. Questo doveva aspettare. Ora aveva problemi più grandi da affrontare. Giunse alla porta anteriore e bussò vivacemente.
In quel momento, la porta si aprì. Hinako fu sorpresa di vedere Tatewaki in persona venire ad aprire. La fissò senza espressione, come se fosse solo una parte del lussureggiante giardino.
"I miei servitori avevano ordini di non permettere a nessuno di entrare", disse con tono piatto, senza inflessioni. Hinako sentì un brivido sottile muoversi dai capelli fino alla schiena. Il Kuno che aveva conosciuto era forte, espressivo e pieno di vita. Fra le altre cose. Questo era uno sconosciuto. Questo Kuno non lo aveva mai visto.
"I tuoi servitori erano molto maleducati", disse semplicemente. "Avevano un bisogno impellente e improvviso di un pisolino". La sua espressione non cambiò.
"Se è venuta a parlare con mio padre, ha sprecato un viaggio. Non è qui e non so dove sia, né quando tornerà. Se mai lo farà". Era sorpresa di sentire che il direttore aveva lasciato che suo figlio portasse il lutto da solo.
"Sono venuta perché desideravo parlarti", disse dolcemente. "Tatewaki Kuno, io capisco che sei addolorato per tua sorella, ma oggi sono venuta a sapere che rifiuti ogni conforto e compagnia. Il dolore è meglio condividerlo. Se tenuto per sé, può divenire un carico insopportabile".
"Questo fardello non può essere condiviso. È mio e mio soltanto", disse categorico. Lei aggrottò le ciglia.
"Non hai alcun amico?", chiese stizzita.
"Non si ha il dovere di proteggere i propri amici?”, chiese, mentre qualcosa scintillava sul suo volto. Hinako aggrottò le ciglia.
"Non capisco".
"Lo so. Né deve capire, sensei. Deve semplicemente andare. Qui non c'è niente per lei." Fissò il suo viso, cercando i segni del giovane bellimbusto che le era così familiare. Cominciò a chiedersi se quel ragazzo se ne fosse andato per sempre, bandito dal trapasso misterioso della sorella. Alla fine sospirò.
"Molto bene, allora. Me ne andrò. Per ora. Non hai idea di quando ritornerai a scuola?".
"Presto, sensei. Rimangono solamente poche cose che devo sbrigare". Annuì, anche se non era sicura di aver capito.
"Molto bene. Sono spiacente di averti disturbato. E Kuno. Mi è molto dispiaciuto per tua sorella. Ti faccio le mie più sentite condoglianze. Se c'è qualsiasi cosa che posso fare, qualsiasi cosa di cui hai bisogno apprezzerei se me lo facessi sapere". Un'altra emozione scintillò velocemente attraverso il suo viso.
Rammarico.
"La ringrazio per la sua preoccupazione, sensei", disse tranquillamente. "Mi scuso per la mia mancanza di educazione, ma non sono davvero preparato per ricevere visitatori". Lei accennò col capo.
"Capisco. Per favore ricorda quello che ho detto". Poi si girò, sentendo la porta dietro di sé chiudersi piano mentre camminava verso il cancello principale. La breve conversazione era stata strana. Kuno era cambiato così tanto. Si chiese malinconicamente se sarebbe mai tornato di nuovo il ragazzo che era una volta. E suo padre, scappare e lasciare suo figlio in un momento del genere! Che genere di uomo poteva farlo?
Sbuffò silenziosamente mentre raggiungeva il cancello. Un'altra cosa l'infastidì quando lanciò un'occhiata alle sue spalle. Per tutto il tempo che era stata nel giardino, aveva avuto una strana sensazione.
Come se fosse osservata.


Nabiki si appiattì tra i cespugli, mentre seguiva la figura misteriosa che scivolava discreta attraverso il giardino. Aveva lasciato il sentiero velocemente così com'era entrata, senza seguire la signorina Hinako. Infatti, sembrava sapere dove stesse andando. Curiosa, Nabiki la seguì, riuscendo appena a tenere d'occhio il trench grigio, fino a che arrivarono a un boschetto riparato nelle profondità del giardino. Nei pressi, poteva sentire il quieto sciabordio di un ruscelletto, un suono rilassante. Si acquattò dietro un fitto gruppo di alti arbusti e aspettò di vedere quello che avrebbe fatto. Poi osservò diverse steli sparse per tutto il boschetto. Lapidi.
Che DIAVOLO? La figura si mosse lentamente fra le steli, fermandosi finalmente di fronte a una di pietra nera. Nabiki guardò, scioccata, la figura cadere sulle ginocchia, gli occhiali da sole scivolarono a terra. Poi sentì un suono.
Un singhiozzo. Il singhiozzo di una donna.
Vide le spalle della donna misteriosa scuotersi con forza, le mani andare al viso. Anche se non poteva vedere cosa guardasse, perché era proprio dietro di lei, poteva scorgere una rosa intagliata nella superficie della lapide, e indovinò che probabilmente fosse di Kodachi.
Quindi i Kuno avevano il loro cimitero privato? Ma chi era quella donna, che si intrufolava da sola nella proprietà per vedere la tomba di Kodachi? Un'amica? Kodachi aveva davvero degli amici? Colse un leggero movimento con la coda dell'occhio, e vide Tatewaki che entrava lentamente nel boschetto. Si era mosso con una grazia leggera, senza fare rumore, e se non l'avesse visto non avrebbe mai saputo che era lì. La donna era ancora ignara.
Nabiki lo vide rinfoderare la katana che teneva in mano al posto del solito bokken. Aveva sentito parlare di una spada incandescente che lui aveva usato al Furinkan quel giorno quella che i demoni avevano temuto. C'erano molte cose su cui voleva saperne di più. Molte.
"L'ho seppellita vicino a Kazuhiro. Mi è sembrato opportuno". La donna sobbalzò al suono della voce di Kuno, le mani le salirono al petto. Si girò a guardarlo, e Nabiki vide il suo viso per la prima volta. Aveva i capelli scuri tirati indietro, e i suoi occhi erano spalancati, spaventati. Scioccati, anche. Nabiki non l'aveva mai vista prima, ma pensò che sembrasse stranamente familiare. Si alzò in piedi lentamente, voltandosi per fronteggiare Kuno, ed ebbe una migliore visione del suo volto. Zigomi alti, occhi a mandorla, una leggera curva sul dorso del naso...
Quindi era così.
Oh, mio Dio!, pensò. No!
La donna guardò Kuno camminare verso di lei, fermandosi a poco più di un braccio di distanza.
"Tatchi," disse a bassa voce, rauca. Il viso del ragazzo non mostrò emozione.
"Ciao, mamma", disse.


Kuno guardò sua madre con espressione piatta. Era invecchiata bene; non c'era un filo grigio nei suoi capelli, e il viso non recava traccia di rughe. Portava un trench grigio chiuso intorno alla vita magra, e il suo volto era rigato di lacrime. Allungò una mano verso di lui.
"Oh, Tatchi", bisbigliò.
"Non mi chiamare così", disse, con voce spigolosa. Lei si scosse, la mano oscillò, poi cadde di lato mollemente. Guardò in basso.
"Capisco che devi essere adirato...", cominciò.
"Adirato? Ti sopravvaluti. È da molto tempo che non penso a te. Da tempo, da quando ci siamo visti l’ultima volta. Continuò a fissarla, ma lei non lo guardava negli occhi, gettava invece uno sguardo verso il boschetto, alle lapidi sparse.
"Come l'hai scoperto?”, chiese infine. Lei guardò di malavoglia in su.
"Ho sempre sotto controllo quello che accade alle vostre vite", rispose tranquillamente.
"Molto materno", disse piatto. La donna fece una pausa, poi parlò di nuovo.
"Come? Come è accaduto?".
"Mostri", disse semplicemente. "L'hanno uccisa i mostri".
"Non mi prendere in giro!", gridò lei. "Non farlo! Lei era mia figlia, dannazione!". La faccia di Kuno si indurì.
"Sì, lo era", disse a denti stretti. "Era tua figlia, e tu l'hai abbandonata. Penso che sia un po' tardi ora per mostrare preoccupazione per lei".
Sua madre rimase in piedi, le mani si strinsero forte, la testa s'inarcò, colpita dalla verità delle sue parole. "Ha pensato spesso a te", disse lui improvvisamente, facendola irrigidire. "Non me lo ha mai detto, ovviamente, ma so che lo faceva. Nelle quiete ore prima dell'alba, qualche volta vagavo per le stanze, e la sentivo gridare nel sonno. La maggior parte delle volte, invocava sua madre. Ti invocava". Il suo sguardo fisso era glaciale, lo poteva sentire anche se non lo stava guardando. "Ma io non l'ho mai fatto. Non una volta". Alzò la testa nel sentirlo, il suo viso era rigato di lacrime appena versate.
"Tatewaki, mi spiace così tanto", mormorò.
"Spiacente? Sei DISPIACIUTA?". Si ritrasse dall'ira improvvisa sul suo volto mentre lui tentava di riguadagnare il controllo, il controllo che aveva lottato per mantenere da quando aveva seppellito sua sorella.
"Tu... tu non capisci...", disse lei debolmente.
"No, io penso che sia tu a non capire. Abbiamo vissuto ogni giorno in questo stato, prima noi tre, poi Kodachi e io. Abbiamo vissuto in un bagno acido di follia e incubo, guardando impotenti la patina di sanità mentale che lentamente scivolava via. Possiamo essere stati dei pazzi, ma almeno abbiamo trovato il modo di andare avanti. Io avevo le mie arti, la mia poesia, il mio tornare nel passato. E... altre ricerche. E Kodachi...". Si fermò, la mascella si strinse ermeticamente, e sua madre guardò timidamente in su, tentando di incontrare il suo sguardo fisso. "E Kodachi", continuò finalmente, "cercava quello che le era stato sempre negato. Amore, tenerezza, cura. Ma a quel punto, lo cercava con una tenacia ossessiva che era spaventosa da vedere e contraria alle cose che diceva di desiderare. Era arrivata a credere che avrebbe potuto essere salvata dal vero amore". Si girò a guardare verso la lapide di Kodachi, ma in verità il suo sguardo stava vedendo qualcosa di molto più lontano. "Il vero amore", disse, malinconicamente. "E chiaramente ha scelto proprio l'uomo sbagliato a cui donare il suo cuore. Ė arrivata a credere che se avesse potuto avere il suo amore, con tutti i mezzi necessari, allora sarebbe stata salva. Noi tutti potevamo essere salvati. Come potevo farle capire che lui era un codardo, senza onore, a cui non importava nulla dei sentimenti delle donne che lo desideravano così ardentemente? Ho tentato, ma lei non ascoltava. Negli ultimi giorni, non mi ha mai ascoltato, neanche quando ho tentato di lasciarla qui. E così, alla fine, si è sacrificata per l'amore di un uomo indegno, e l'abbiamo persa". Continuò a fissare in modo assente la lapide, perduto in quello che sarebbe stato, se solamente...
Se solamente.
"Tatewaki, non è tardi! Lascia anche tu questo posto. Oggi, con me". Lui sbatté le palpebre, la voce lo fece ritornare al duro presente. Si girò a guardare l’implorazione sul suo viso.
"Lasciare?", ribatté perplesso.
"Non c'è nulla se non pazzia qui, Tatewaki! L'hai detto tu stesso! Non hai bisogno di stare qui con tutti questi brutti ricordi, vieni via con me! Ora, oggi! Andremo in qualche luogo sicuro, noi...".
"TU!". L'ira nella sua voce la bloccò, e fece un passo indietro vedendo le mani di Kuno tremare, il controllo quasi perso. Quasi.
"Tu", ripeté più piano. "Non hai mai capito, vero? È sempre stato dovere del nostro clan proteggere questo posto. Non ti è stato spiegato quando ti sei sposata con mio padre?". Lei accennò col capo, indifesa.
"S-sì, ma... non è accaduto nulla per così tanto tempo, che non mi aspettavo...".
"Hai fatto un giuramento", disse, la sua voce carica di disprezzo, "perché pensavi che non saresti stata mai chiamata ad adempierlo?". Distolse di nuovo lo sguardo, incapace di guardare la ripugnanza sul suo viso.
"Io avevo paura!". Pianse, la voce colma di dispiacere. "Non capisci? Kazuhiro era solo un bambino, e loro l'hanno ucciso! Avevo paura di quello che sarebbe accaduto a noi!".
"E così sei fuggita!".
"Volevo prendervi entrambi con me! Lo volevo, ma tuo padre non l'avrebbe permesso! Lui aveva ricchezza e influenza, e io non avevo nulla! Non mi avrebbe permesso di portarvi via, e ora due dei miei bambini sono morti!". Avanzò più vicino a Kuno, accostandosi disperatamente, la mano che stringeva l'aria. "Vieni con me, Tatewaki. Non far sì che la maledizione di questa famiglia rivendichi anche te. Mettiamo fine a tutto ciò una volta e per sempre". Lui la fissò, la faccia sempre inespressiva, e vide un debole luccichio di speranza illuminare i suoi lineamenti, quegli stessi lineamenti che erano così simili a quelli della sorella. Una volta avrebbe dato qualsiasi cosa per avere sua madre di nuovo con sé.
Una volta, ma era molto tempo fa.
"Anche se io andassi via, sciocca donna, non sarebbe finita. Se io andassi via chi adempirebbe ai doveri del nostro clan? Mio padre non è più capace, non lo è da tempo. Se io vado via chi onorerà i loro ricordi e i loro sacrifici?". Allungò il braccio per indicare le lapidi che occupavano il giardino. "Vorresti che fuggissi, come un cane con la coda tra le gambe dopo tutto quello che ho subito? Sei pazza, donna. Io adempirò ai miei obblighi, alla memoria dei miei consanguinei e all'onore, anche se mi costerà la vita. Ma tu non capiresti. Non comprendi altri che te stessa. Vai via da qui". Si voltò verso di lei, l'espressione era rigida, di granito. "Non sei la benvenuta in questa casa". Con questo, si girò bruscamente e si allontanò, lasciandola lì, sbalordita e immobile. La sua mano, ancora alzata verso di lui, tremò e precipitò lungo il fianco.
“Io ho paura per te!". Per metà gridò, per metà singhiozzò alle sue spalle rigide. "Non lo capisci? Tatewaki, io sono tua MADRE!". Lui si fermò, non degnandosi di voltarsi.
"Io non ho madre", disse leggermente, la voce portata via dall'aria immota del pomeriggio. "L'ho persa, molto tempo fa".
Poi la lasciò fra i ricordi dei morti, unico segno d'emozione le nocche sbiancate nell'impugnare il fodero laccato della sua arma.


"Ehi!". Nabiki aveva aspettato finché la madre di Kuno non si era allontanata dai giardini della proprietà prima di tentare di avvicinarsi a lei. La donna non si era girata al suo richiamo, e Nabiki trotterellò per raggiungerla, l'ombra che le correva avanti nella luce del tardo pomeriggio. Non fu difficile raggiungerla. Stava camminando lentamente, senza meta, apparentemente ignara di ciò che le accadeva intorno, il suo trench grigio e lungo si agitava scompostamente contro le gambe, senza notare che Nabiki le si era avvicinata.
"Um, Sig.ra Kuno?", chiese Nabiki esitante. La donna finalmente si fermò, girando il viso rigato di lacrime per guardare la ragazza più giovane.
Da vicino, Nabiki fu stupita di quanto somigliasse a Kodachi. Le caratteristiche erano così simili, ma il viso della ragazza aveva portato sempre l'impronta della malizia, della rabbia. Questo volto era più gentile, ma triste. E bellissimo. Era il viso che probabilmente Kodachi avrebbe avuto se fosse vissuta abbastanza a lungo da diventare adulta, e se avesse mai trovato un po' di pace.
"Non ho più quel nome da tempo", disse cupamente la donna, e Nabiki rabbrividì alla disperazione nella sua voce. "Chi sei?".
"Nabiki Tendo, signora", disse. "Sono una compagna di classe di Kuno... di Tatewaki". La donna accennò vagamente col capo, e proseguì. "Stavo andando a trovarlo, e non ho potuto fare a meno di udire per caso un, ehm, un po' della vostra conversazione. Mi stavo chiedendo se lei potesse dirmi di che cosa si tratta".
La donna stette in piedi immobile, si volse a esaminarla, i suoi occhi scuri si acuirono leggermente. "Sei un'amica di mio figlio?”, chiese a un tratto. Nabiki si sentì presa alla sprovvista. Un'amica? La maggior parte delle sue relazioni con Kuno erano storicamente finite con un pagamento, che fosse per foto o informazioni. Non pensava che questo particolare sarebbe stato di interesse per sua madre. La sig.ra Kuno, forse interpretando male l'esitazione di Nabiki, insistette, l'emozione s'insinuò nella sua voce.
"Se tieni a Tatewaki, per favore aiutalo. Per favore. È in grave pericolo. Per favore".
Con quell'ultima dichiarazione, scattò giù dal marciapiede, lasciando indietro una spaventata Nabiki.
Pericolo? Lascia stare, la rimproverò una piccola voce interna. Non c'è alcun profitto qui, solo vecchi e complicati affari di famiglia. Stanne fuori.
Poi ebbe il flash, con dolorosa chiarezza, dell'immagine delle ragazze di poco prima, i soldi stretti nelle mani tese, le espressioni ansiose e affamate.
La bocca le si strinse in una linea sottile e si mise a seguire la madre di Kuno.


Hinako attraversò con lentezza l'oscurità incipiente. Era regredita alla sua forma più giovane, ma stava agendo con insolita serietà. Il suo incontro con Kuno l'aveva lasciata rattristata e arrabbiata. Il ragazzo stava evidentemente patendo la morte della sorella, e sembrava deciso per qualche ragione a soffrire da solo. E suo padre pareva l'avesse abbandonato.
La propensione del direttore di prendere il largo era leggendaria fra il personale e gli studenti del Furinkan. Lui era, dopo tutto, qualcosa di aleatorio, a dire la verità. Eppure, lasciare il suo unico figlio da solo in quella casa enorme dopo che la figlia era morta...!
E non aveva ancora idea di quello che era accaduto a Kodachi. Le voci abbondavano, ognuna più strana della precedente. Aveva la sensazione che la probabile causa della morte della ragazza avesse qualcosa a che fare con lo stato mentale di suo fratello. Si chiese come potesse scoprirlo. Forse avrebbe dovuto chiedere a Ranma o Akane. Facevano tutto parte dello stesso gruppo, forse sapevano qualcosa.
O Nabiki. Sentì un'espressione di disgusto attraversarle la faccia. Solamente se avesse pagato per l'informazione. Onestamente, quella ragazza...
Stava passando per un vicolo ombreggiato vicino al suo palazzo quando lo sentì. Un suono pietoso, lieve e spaventato. Si fermò, sbirciando intensamente nelle ombre.
"Ehilà?", tentò. Venne di nuovo, un miagolio acuto. Sembrava un gattino. Si diresse verso il vicolo, notando quante poche persone ci fossero su quel lato della strada. Doveva essere cauta, lo sapeva, ma l'animale sembrava nei guai, e lei non poteva resistere a un innocente in pericolo. Si fece più vicina di un altro passo.
"Qui, gattino gattino gattino", cantilenò, tentando di scorgere dettagli nell'oscurità.
Qualche cosa si mosse nel vicolo, un veloce e indistinto movimento, e fu gettata rudemente a terra, spinta in avanti nelle ombre. Lottò per respirare quando sentì una mano forte coprirle la bocca, soffocando il suo grido mentre veniva portata nelle profondità del vicolo, sempre più lontana dalla luce.
E la cosa che la trasportava rise, un suono arrabbiato, inumano.


Nabiki era confusa. Non era completamente sicura di quello che stava facendo, o del perché lo stesse facendo. Aveva speso metà del pomeriggio seguendo la madre di Kuno, localizzandola in un piccolo albergo poco costoso dove aveva determinato che la donna risiedeva. Non le sembrava fosse in grado di rispondere alle domande, così aveva deciso di aspettare e sperare che non andasse via prima che potesse parlarle di nuovo.
Ma di cosa voleva parlarle? Quale diavolo era la questione, insomma? Cimiteri privati, strani obblighi di famiglia e questo ragazzo morto, Kazuhiro. Perché si era cacciata in questa storia?

("Io non ho una madre", aveva detto, il dolore nascosto, ma chiaro se si sapeva dove guardare. Come lei aveva fatto. "L'ho persa, molto tempo fa".)

Entrambi, caro Kuno, pensò Nabiki con tristezza. Attraversò stancamente la veranda anteriore, lasciando cadere la borsa all'entrata e camminando a fatica verso casa. Poteva sentire Kasumi in cucina, ma non c'era alcun segnale di suo padre o del Sig. Saotome. Forti voci femminili le indicarono che Akane e Ranma-chan erano in giardino. Andò sulla veranda, sbirciando la coppia che litigava. Guardandoli, inosservata, i suoi pensieri ritornarono alla conversazione alla quale aveva assistito, e alla tristezza di Kuno per sua sorella. Aveva detto che lei aveva tentato di fuggire dal suo dolore alla ricerca dell'amore. L'amore di Ranma, pensò acidamente Nabiki.
Un codardo, Kuno l'aveva chiamato così. Un codardo, un cagnaccio senza onore, e un uomo indegno che non si curava delle donne che lo seguivano. Anche nel suo attuale umore nero, Nabiki sapeva che la valutazione di Kuno del suo concorrente era esagerata, contorta. Ma forse non completamente sbagliata.
Forse era ingiusta, ma Ranma poteva realmente essere un idiota talvolta. E non sembrava disposto a mettere un freno a tutta l'attenzione femminile che suscitava sempre, anche quando faceva del male ad Akane.
Gelosa, Nabiki?, cinguettò quella piccola voce. Aggrottò le ciglia, perché la voce aveva ragione. Odiava il modo in cui gli altri prendevano tutto per concesso, odiava il modo in cui si comportavano. Un'opportunità per migliorarsi, per amare, la trattavano con una leggerezza quasi stupefacente, come se non fosse qualcosa di incredibilmente prezioso. Come se non fosse importante perderla, perché sarebbe sorta subito un'altra opportunità. Probabilmente era così per gli altri, e questo la faceva adirare e ingelosire anche di più. Il suo segreto, quella gelosia. Nessuno lo sapeva.
Beh, non era vero. Ranko lo sapeva. Le mancò improvvisamente. Pensò di nuovo al giudizio di Kuno su Ranma, e rifletté che certamente aveva sofferto alla comparsa della sua controparte. C'era qualcosa nel dolore di Ranko che le aveva permesso di capire e di avvicinarsi al dolore degli altri.
Supponeva che fosse in parte per quello che gli aveva detto. Era rimasta sorpresa da quanto bene si era sentita, in qualche modo, ad ammettere che aveva cercato spesso di far sentire Ranma un miserabile per un po' di gelosia. Si era aspettata che si sarebbe adirato, ma lui era stato davvero molto comprensivo. E quello che aveva fatto, di fronte a tutti mentre stava andando via, era stato così dolce.
Avevano voluto tutti sapere cosa le avesse sussurrato, ma non voleva dirlo. Aveva ricordato le parole esatte che aveva usato, e gliele aveva ripetute. Sapeva che alcune delle ragazze sospettavano che avesse una cotta per Ranko, ma avevano torto.

("Nabiki Tendo, io devo averti")

Una frase in codice, solo tra loro. Non aveva dimenticato quello che era accaduto tra loro quel giorno. Voleva che lei lo tenesse a mente. Sorrise malinconicamente, ricordando quel momento. Un amico. Un vero amico. E poi, era andato. E ora aveva bisogno di lui, aveva bisogno di dirgli della situazione di Kuno, sentiva la necessità di dirlo a qualcuno che avrebbe ascoltato, qualcuno che poteva tentare di aiutarla a capire quell'insano impulso a sentirsi coinvolta nella faccenda.
Fu riscossa della sua fantasticheria quando Ranma-chan e Akane cominciarono a ridere di qualcosa. Non poteva immaginare di parlare con Ranma nello stesso modo con cui aveva parlato alla sua controparte. A lui mancava l'elemento della maturità che aveva trovato in Ranko. Eppure, qualcosa era cambiato in lui dalla morte di Kodachi.
È così?, si chiese silenziosamente. Ranko, Ranma, Kuno... io? Serve la morte per cambiarci, per farci crescere? Non c'è un modo più facile, un modo più pulito?
Le due ragazze risero di nuovo, e Nabiki si sentì davvero molto sola.


Akane era cautamente ottimista. Lei e Ranma stavano discutendo di qualche cosa, litigando, e poi, all’improvviso, la tensione era evaporata.. Quando era stato probabile che avrebbe gettato, solo fino a una settimana fa, uno sfortunato Ranma nello stagno, o che lui l'avrebbe chiamata un maschiaccio per niente carino, si erano guardati l'un l'altra e avevano cominciato a ridere. Sapeva che non sarebbe stato sempre così facile, ma ciò che era accaduto aveva rinforzato nella sua mente la convinzione che le cose fossero davvero cambiate tra loro.
Non l'avevano detto a nessuno, e qualche volta le faceva male che lui sembrasse ancora restio ad andare oltre o a dimostrare affetto per lei. Ma, si disse, questo è Ranma. Gli ci vorrà del tempo per cambiare del tutto. Solo un po' di tempo.
E in momenti come questo, ci credeva davvero.
"Vi divertite?". Si voltarono per vedere Nabiki in piedi all'ombra della veranda, a guardarli. Qualche cosa nel suo tono fece insospettire Akane.
"Ehi, Nabiki. Dov'eri? Hai saltato la cena".
"Avevo delle cose da fare", disse, piuttosto brevemente.
"Un giorno proficuo, Nabiki?", chiese Ranma-chan con finta allegria, evidentemente ignaro dell'umore della ragazza più grande.
"Non particolarmente", rispose tranquilla. "Ascoltate, mi stavo chiedendo cosa pensavate di fare con Kuno". Akane ammiccò incerta.
"Fare?", echeggiò, confusa.
"Non c'è nulla da fare, Nabiki", disse Ranma-chan. "Si è chiuso in quella stupida villa, e non vuole vedere nessuno. Ha messo anche le guardie al cancello anteriore". Nabiki sbuffò, derisoria.
"Come se questo ti fermasse se volessi davvero entrare, Ranma. Cielo, il ragazzo è tutto solo laggiù! Anche il suo latitante padre l'ha abbandonato, secondo le mie fonti. Non vi importa?".
"Ehi!", esclamò la rossa, pungente. "Da quando in qua sei una grande sostenitrice di Kuno? Cosa ne ricavi in tutto questo, Nabiki?". Akane prese un respiro sibilante quando vide gli occhi della sorella restringersi per la rabbia. Per qualche ragione, quel che aveva detto Ranma-chan l'aveva colpita davvero.
"Lui e sua sorella si sono messi in gioco per aiutarti, per aiutare tutti noi e ora lei è morta! E ti amava, non conta niente per te?". Lei fece un piccolo suono soffocato e arrossì.
"Nabiki!", gridò Akane. "Questo non è giusto!". L'impeto di Nabiki vacillò, e la minore delle Tendo vide scemare lentamente la tensione da lei.
"Hai ragione, sorella. Non intendevo questo, Ranma. È solo che il ragazzo è un disastro totale. Non hai idea".
"E tu sì?", chiese Ranma-chan.
"Io ero là oggi, in effetti. Kuno ha ricevuto una visita da sua madre. Non è andata bene". Akane e Ranma si scambiarono occhiate stupite.
"Kuno ha una madre?", chiese stupidamente Ranma-chan.
"Io ho sempre presunto che fosse morta!", disse Akane meravigliata.
"Avrebbe anche potuto esserlo. Kuno non vuole avere niente a che fare con lei. Dannazione, Akane. Non ricordi come fu dura quando morì la nostra, di madre? Ci trovammo in difficoltà, ma almeno avevamo papà. Kuno non ha nessuno eccetto noi che si curi di quello che gli accade". Akane incontrò lo sguardo fisso di Nabiki, sentendosi agitata. Dopotutto, sua sorella non stava dicendo nulla che lei non si fosse già chiesta. Ricordò Ranma che le diceva, la notte precedente, che non potevano aiutare Kuno se lui non voleva essere aiutato, e si chiese se fosse proprio così. L'avevano davvero abbandonato tutti?
"Forse hai ragione", disse con dolcezza. Nabiki accennò col capo.
"Forse sì. Pensa a lui, ok? Il ragazzo aveva una cotta per te, ricordi? È probabile che una visita da parte tua gli faccia bene". Si rivolse a Ranma-chan. "Vale anche per te, ragazza col codino". Poi si girò e scomparve in casa.
"Dannazione, che cosa succede a tutti?", chiese Ranma-chan, rabbia e confusione che si accavallavano.
"Non lo so", confessò Akane. "Ma potrebbe aver ragione. Forse Kuno non è nella forma migliore per decidere quello che è meglio per lui ora. Forse dobbiamo assicurarci che stia bene".
"Veramente non penso che sia una buona idea, Akane". La ragazza decise che era ora di diventare caparbia.
"Qual'è la verità, Ranma?".
"Cosa intendi?". Ranma-chan sembrava sulla difensiva, e Akane insistette.
"Quello che ha detto Nabiki ti ha infastidito, non è così? Solo perché Kodachi era innamorata di te non significa che quello che è accaduto sia colpa tua!". Ranma arrossì e guardò altrove, Akane sospirò. Quindi era quello. "Ranma, non hai fatto nulla di sbagliato. Non devi sentirti colpevole".
Ranma-chan mosse nervosamente i piedi. "Supponi che Kuno non lo veda così, eh?", domandò. "Io non voglio essere costretto a combattere contro il povero bastardo, non dopo tutto quello che ha passato". La fidanzata scosse la testa.
"Guarda, puoi andare come sei ora. Almeno, se lo vedi, gli parli, ti sentirai come se avessi fatto qualcosa per tentare di mettere le cose a posto. Kodachi è morta, Ranma. Kuno è come se non ci fosse. Non possiamo fare niente per lei, ora, ma possiamo ancora aiutare lui. Io ho deciso. Vado. Verrai con me?".
Ranma-chan sedette, la posa rigida e infelice, la testa inclinata. Akane aspettò pazientemente, non voleva pressarla ancora. Infine, la rossa accennò col capo, la treccia si dimenò leggermente contro il retro della camicia. "Io sono con te", disse.
"Bene. Andrà tutto bene, Ranma. Vedrai", disse Akane.
Desiderò sentirsene certa come aveva detto.


Chiamare o non chiamare.
Lo sguardo fisso di Nabiki si spostò dal telefono al quaderno aperto sulla scrivania.
Chiamare o non chiamare. Quelle due scelte stavano ripetendosi come un mantra idiota negli ultimi dieci minuti. Appoggiò il mento sul pugno e sospirò.
"Dannazione, Nabiki, che diavolo stai facendo?", gemette forte. Era già abbastanza grave che avesse fatto una tale uscita di fronte a Ranma e Akane. Ora si stava tormentando per procedere con un'azione che quasi certamente non le avrebbe fatto guadagnare nulla, e avrebbe potuto finire per costarle cara.
Chiamare o non chiamare.
Dopo tutto, perché doveva essere lei quella che doveva sgobbare per questa cosa? Era destino che dovesse essere coinvolta in tutti i generi di caotiche scene emotive, e trattare con le emozioni, le sue o di altre persone, non era proprio il suo forte. Lascialo solo. Non chiamare. Chiaramente la scelta migliore.
Non era un suo problema.

("Cosa penserebbe tua madre se fosse qui, Nabiki? Pensi che lei sarebbe orgogliosa di te? LO PENSI?")

Nabiki chiuse gli occhi, pizzicandosi il naso fra le sopracciglia.

("Perché io non penso. Io penso che si vergognerebbe di avere una figlia come te")

"Basta", mormorò. Comunque, i suoi ricordi non si facevano reprimere così facilmente.

("Ti stai chiedendo se puoi continuare come al solito con gli affari, mentre non conosci gli effetti che possono avere")

Si passò i palmi sul viso, facendo scivolare i capelli fra le dita.

("Nabiki, io penso che tu sappia precisamente cosa fare, solo che non vuoi farlo")

Si massaggiò i muscoli irrigiditi del collo con le dita lasciando cadere mollemente il capo in avanti.

("Sei un'amica di mio figlio?")

"Bella domanda", bisbigliò, appena consapevole che stava parlando da sola, e quello non poteva essere buono.

("Se tieni a Tatewaki, per favore aiutalo. Per favore. È in grave pericolo. Per favore")

A cosa tieni, Nabiki?, le chiese la piccola voce. Vide di nuovo le ragazze, soldi tesi impazientemente verso di lei, e sospirò. Lentamente, inclinò la testa all'indietro, ruotandola per allentare la rigidità del collo e i muscoli della spalla.
Chiamare. O non chiamare. Ma scegli, perché questo ti farà diventare matta se non lo fai.
Si strinse nelle spalle e stancamente tirò di nuovo su la testa. Se non lo faccio, non scoprirò mai la verità, si disse. Rimarrà un mistero. E io odio non sapere le cose.
Se lo dici tu, disse compiaciuta la sua voce interiore, sentendo quale fosse la sua decisione.
Prese il telefono, cercò un numero sul quaderno e lo compose.
"Shinji. Qui Nabiki Tendo. Che te ne pare di un'interruzione dei termini di pagamento del tuo debito? No, non sono febbricitante, spiritoso! Ti interessa o no? Bene. Ti costerà un favore. Compra un computer con quel soldi, si dice che sei un hacker abbastanza bravo. Non chiedermi come lo so. Ho bisogno di alcune informazioni...". Si mise in moto, sentendo il senso vago di un'emozione che non voleva ammettere.
Ma che sarebbe stata fondamentale.


I primi raggi dorati del sole illuminarono Tatewaki Kuno accovacciato lungo il muro interno della tenuta. Esaminò attentamente la custodia danneggiata che ondeggiava debolmente alla gentile brezza mattutina. Sembrava che le molte notti di ricerca avessero finalmente dato i loro frutti. Era consapevole dell'energia, era chiaro, ma non aveva fatto niente per riparare la custodia. Dopotutto, voleva che l'intruso fosse in grado di entrare nella proprietà. Non voleva però che fosse troppo facile.
Si drizzò lentamente, rivolgendo il viso al calore del sole che sorgeva, la katana stretta ermeticamente in una mano, il cuore pesante per il dolore della settimana passata, e con l'ultimo lavoro che gli si profilava innanzi.
"Stanotte, amico mio", disse, parlando piano nella quiete del primo mattino. "Sarà stasera".
E poi indurì il cuore contro il suo fato, perché piangere non si addiceva a un guerriero.






Fine prima parte.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Ecco finalmente la seconda e ultima parte di The Prodigal Mother, il primo seguito di Cast a Long Shadow. In teoria, Moira dovrebbe tradurre anche The Heart’s Reasons (5 capitoli incentrati su Ranma e Akane), Doors Best Left Unopened (17 capitoli incentrati sui misteri della famiglia Kuno che sconvolgeranno Nerima) e infine On a clear day you can see forever (in corso: per ora sono 22 capitoli incentrati su Ranko Saotome). Sottolineo in teoria perché date le poche recensioni ricevute finora, Moira, già oberata di lavoro, sta pensando di non proseguire la traduzione.
Tradurre è un lavoro impegnativo, soprattutto quando riguarda ff così complesse, quindi sarebbe giusto che chi legge ripaghi lo sforzo compiuto dal traduttore, altrimenti non ha senso continuare, se l’accoglienza di pubblico continuerà a essere scarsa.
La traduzione del prossimo seguito, quindi, dipende solo da voi.
Buona lettura.
TigerEyes




La madre prodiga

di
Mark MacKinnon


Traduzione
moira78


Parte Seconda




Akane era preoccupata.
Stava pensando attentamente al comportamento di Ranma fin dalla lotta al Furinkan, e cominciavano a emergere dei particolari preoccupanti. Aveva condiviso la sua riluttanza ad andare da Kuno, date le distanze che aveva preso per isolarsi dal mondo esterno, ma stava cominciando a rendersi conto che c'era di più.
Non era andato al Nekohanten o da Ucchan fin dalla partenza di Ranko. Mousse e Shampoo stavano probabilmente accudendo Cologne al ristorante, visto che aveva rifiutato di andare in ospedale. E stava evitando Ukyo, sia a scuola che fuori. Era anche piuttosto distante da Akane stessa.
Conosceva abbastanza bene Ranma dopo tanto tempo vissuto sotto lo stesso tetto. Era abituata al declino e al flusso dei suoi umori, ed era pressoché sicura di sapere quale fosse il problema. Non era solo il senso di colpa verso Kodachi, anche se quella era una parte. Ranma non era mai stato molto bravo a trattare con situazioni emotivamente complesse. Non aveva paura di nulla contro cui potesse lottare (a parte i gatti, chiaramente), ma la prospettiva di dover affrontare una Cologne storpiata o una Ukyo fragile lo lasciava paralizzato.
E così, aveva scelto di non fare nulla. Sospirò. Non era una reazione fuori dal comune per lui, ma forse la peggiore date le circostanze. Aveva cominciato a desiderare che Ryoga si presentasse per lottare contro Ranma, così avrebbe tirato fuori i suoi timori.
Ma chiaramente, questo non sarebbe accaduto. Ryoga era andato via subito dopo Ranko, e sapeva perché. Aveva deciso di rinunciare a lei, e non voleva restare a guardarla insieme a Ranma. Aveva appena scoperto che era stato innamorato di lei, e lui non sapeva che lei sapesse, né che conosceva la sua decisione di andarsene. Non che avrebbe fatto molta differenza, oltre a imbarazzarlo.
Sospirò ancora. Perché le cose devono essere sempre così complicate? Stava a lei spingere leggermente Ranma nella direzione corretta, immaginò, se sperava di intercettare il guaio prima che le cose diventassero ancora più tese. Guardò in su e in giù il corridoio. Parlando di Ranma, se l'idiota non muoveva il sedere, sarebbe arrivato in ritardo, e avrebbe finito per doversi azzuffare di nuovo con la signorina Hinako. Dove poteva essere? La classe era quasi pronta a cominciare.
Alla fine lo vide trotterellare nell'atrio, scansando le piccole folle di ritardatari, i vestiti bagnati.
"Dov'eri?", domandò. "Saremo in ritardo!".
"Dovevo trovare dell'acqua calda", borbottò, senza incrociare il suo sguardo. "Mi hanno bagnato di nuovo".
"Sul serio! Pensi di non poter evitare una piccola vecchia signora?".
"È inquietante", ammise Ranma, sistemandosi la camicia bagnata. Notò che teneva una discreta distanza da lei, non camminandole molto vicino. Nessun osservatore avrebbe mai saputo che finalmente aveva ammesso il suo amore per lei. Per tutti, la loro relazione era precisamente la stessa. Si chiese se tutto questo sarebbe mai cambiato o meno.
Bene, sapeva che doveva fare il primo passo.
"Ranma, raggiungimi dietro la palestra a pranzo, okay? Voglio parlarti".
"Huh?", chiese, sembrando allarmato. "Di cosa?". Akane sospirò internamente al panico nei suoi occhi. Se gli avesse detto che venti violenti artisti marziali concorrenti l'avrebbero aspettato ai cancelli della scuola a pranzo, lui sarebbe stato ansioso di incontrarli e sfoggiare le sue competenze. La prospettiva di avere una conversazione seria con la ragazza che aveva detto di amare, tuttavia, lo colmava di terrore.
Senza speranza.
"Tu vieni là, Ranma! È importante. Va bene?". Lui accennò col capo tristemente ed entrarono in classe solo con alcuni secondi di ritardo.
Il che si rivelò non essere un problema, tuttavia. La signorina Hinako non si presentò mai quella mattina, e finirono per avere del tempo libero. Akane lo spese per la maggior parte pensando a quello che avrebbe detto a Ranma, guardandolo ignorare una Ukyo sempre più abbattuta, e chiedendosi della strana assenza della signorina Hinako.


Ninomiya Hinako sbatté gli occhi confusa, mettendo a fuoco le proprie mani dove afferravano l'orlo del lavabo. Si sentiva come se si stesse svegliando dopo un sonno profondo, intontita e incerta. Vide la luce entrare dalla finestra di un bagno. Notò che il bagno in questione era, in effetti, il suo.
Non ricordava come fosse arrivata là.
Guardando in su poteva vedere il proprio riflesso nello specchio. C'era una macchia su una guancia, i capelli ridotti a una massa aggrovigliata, e lo sguardo negli occhi era di vuota confusione. Si sentiva come se fosse appena regredita dalla sua forma adulta, ma come poteva essere? E perché era mattina? L'ultima cosa che ricordava... Qual'era l'ultima cosa che ricordava? Era andata a trovare Tatewaki Kuno, questo lo rammentava. Poi si era incamminata verso casa e...
Vide i suoi occhi, riflessi nello specchio, allargarsi di colpo quando ricordò...

(Qualche cosa si mosse nel vicolo ombreggiato, un veloce e indistinto movimento e lei fu gettata rudemente a terra, spinta in avanti nelle ombre. Lottò per respirare quando sentì una mano rude coprirle la bocca, soffocando il suo grido mentre veniva portata nelle profondità del vicolo, sempre più lontana dalla luce. E la cosa che la trasportava rise, un suono arrabbiato, inumano.
Lei calciò e lottò adirata, provocando solamente più manifestazioni di divertimento nel suo aguzzino. "Bella-bella", aveva sibilato allegramente, scorrendo con la mano libera la carne nuda della sua gamba. "Affamato, bella-bella. Molto affamato". Sapeva di cosa era affamato il suo rapitore. Bene, stava per avere una grossa sorpresa.
Finalmente si erano fermati nel profondo nel vicolo, dietro a un cassonetto dell'immondizia e lontano dalla sicurezza delle luci della strada. Era stata lanciata a terra con durezza, guardando in su per vedere una forma scura fra le ombre, in piedi su di lei, respirare gracchiante.
"Bella-bella", canticchiò. "Moooolto affamatoooooo...". Aveva sentito abbastanza da questo pervertito. Poteva sentire il qi che emanava onde di malignità, e ignorò la sensazione che qualcosa fosse terribilmente sbagliato...
"Tu, piccolo perverso omiciattolo!", aveva gridato, odiando come suonava acuta la sua voce quando era in quella forma. "So come trattare la feccia come te!". E stese la mano, una monetina da cinque yen tra due dita.
"TECNICA HAPPO DEI CINQUE YEN!". La forma aveva grugnito in sorpresa quando aveva cominciato a estrargli il qi, arretrando verso una pozza di luce.
Fu allora che lo vide per la prima volta.
Non era umano.
E il qi che aveva cominciato a fluire in lei faceva male. Gridò all'unisono con la creatura, ma non poteva fermare il flusso di energia. Non aveva mai risucchiato prima il qi da qualcosa di non umano, e lo shock minacciò di affogarla nel dolore gelido e nell'oscurità...
Ricordò di aver visto la cosa che si dissolveva in una pozza verdastra e il dolore raddoppiò, il suo corpo si gonfiava nella forma più sviluppata e il vicolo scompariva in una foschia di dolore...)

O così pensava. Forse l'aveva sognato. Forse l'intera vicenda era stata un sogno. Non sembrava vera, non mentre era qui nel suo grazioso e ordinato bagno, con gli asciugamani appesi simmetricamente, le estremità quadrate ripiegate, e tutti i suoi articoli da toeletta sistemati in fila a seconda della grandezza.
Ma si sentiva intontita, confusa. Era sporca e dolorante. Stava facendo buio fuori quando era passata per quel vicolo, e ora c'era la luce.
Luce.
"Oh cielo, che ora è?", chiese ad alta voce, sentendo un senso di panico."Sono in ritardo!".
Si precipitò nella camera da letto, solo per essere colta dal dolore agli arti e da un'onda improvvisa di fatica. Sedette rapidamente sull'orlo del letto ordinatamente rifatto, scuotendo la testa stordita. Batté le palpebre molte volte, tentando di rimettere a fuoco la stanza, ma non sembrò riuscirci.
"Meglio telefonare e darmi malata", borbottò, cercando di mettersi in piedi. Le sue gambe cedettero senza preavviso, tuttavia, e lei si trovò a cadere di nuovo sul letto, gli arti pesanti non cooperavano.
"Tra un minuto", borbottò. "Telefono... tra un... minuto...".
Si addormentò qualche secondo più tardi.


Ranma girò l'angolo della palestra, sperando contro ogni speranza che Akane si fosse dimenticata, o si fosse distratta.
Era una speranza vana, certo. Stava aspettando proprio dove aveva detto che sarebbe stata, inclinata contro il muro, le mani intrecciate davanti, le braccia dritte. Stava guardando dall'altra parte, e lui colse l'opportunità per osservarla.
Era davvero graziosa, doveva ammetterlo. Alzò leggermente la testa, come ascoltando qualcosa che solamente lei poteva sentire, e una brezza improvvisa le sollevò la gonna contro le gambe, delineando una coscia in un modo che fece bloccare in gola il respiro a Ranma. Fece scorrere distrattamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, fissando malinconicamente nel vuoto. Ranma desiderò che potesse sorridere. Voleva vedere di nuovo il suo sorriso. Le cose erano state così confuse dalla morte di Kodachi che si sentiva come se nulla fosse più sicuro come prima.
Non certo l'amore che finalmente aveva ammesso.
Poi Akane lo notò starsene là in piedi e sorrise, un caldo e invitante sorriso che le accese l'intero volto e fece sorridere anche Ranma.
Non graziosa, pensò abbagliato. Bella. Gli fece cenno e lui andò, guardando come si ripiegava la gonna sotto le gambe e si inginocchiava sull'erba. Si mise accanto a lei, il suo sorriso si affievolì quando comprese che il tempo dello stallo era finito.
"Ranma", disse, guardandolo negli occhi e parlando fermamente, "dobbiamo parlare".
"Uh-huh", disse con una notevole mancanza di entusiasmo.
"Non guardarmi così", sospirò. "Questa situazione non passerà, e non migliorerà da sola".
"Ė vero, Akane", le disse Ranma. "Ho deciso di andare a trovare Kuno così". Indicò la sua forma maschile. "Dovrò affrontarlo presto o tardi. Hai ragione, non ha senso rimandarlo". Lei lo guardò.
"Questa è un’ottima notizia, Ranma", disse piano, "ma io non stavo parlando solo di Kuno". Lui sembrò confuso e alzò la testa.
"Cosa intendi?".
"Stai evitando le conseguenze di quel giorno, Ranma. Stai lontano dal Nekohanten, e stai voltando le spalle anche a Ukyo qui a scuola. Perché è così dura per te stare vicino ai tuoi amici? La tua colpa si estende anche a loro?". Si chinò per prendergli la mano e lui si ritrasse allarmato, guardandosi intorno freneticamente. Akane si gelò, il dolore le si disegnò sul volto, poi lentamente ritirò la mano.
"Ranma, idiota", disse, la voce bassa e rauca. “Stai evitando anche me da quel giorno, vero? Hai detto che mi amavi quella sera, non è cambiato niente, vero? VERO?”. Ranma poté vedere che era al limite delle lacrime e si maledì internamente per la sua goffaggine.
"Akane, aspetta! Hai frainteso tutto!", tentò di spiegare, ma lei si alzò in piedi all'improvviso, guardandolo furiosa.
"No, penso di aver finalmente capito. Tu hai ancora paura di cambiare le cose. Hai paura di essere visto con me, non è così? Bene, perfetto. Allora andrò via!", marciò lontano, e Ranma seppe che le lacrime grondavano sul suo viso, ma si sentì troppo debole per fermarla.
Aspetta, voleva gridare. Hai frainteso. Ma come al solito, quando aveva bisogno delle parole, quelle l'abbandonavano, e alla fine conficcò il pugno nel muro della palestra, sentendo la parete scricchiolare in maniera allarmante sotto l'impatto.
Sei un idiota, amico mio, mormorò a se stesso. Si alzò in piedi lentamente, spazzolando l'erba dai pantaloni, e cominciò a camminare. Sapeva che doveva parlare con Akane e sistemare le cose. Malintesi come quello lo mandavano nel pallone. L'esperienza glielo aveva insegnato. E dopo quello che le aveva detto sul tetto quella sera, sapeva che avrebbe dovuto parlarle, realmente parlare. Ma discuterne non gli era facile. Non pensava che lo sarebbe mai stato.
Camminò, mentre cominciava a ripetersi le parole che voleva dirle, rigirandosele nella mente così come venivano, non si sarebbe agitato e non sarebbe di nuovo ricaduto nei suoi vecchi standard "Tu stupido maschiaccio!" o "Non sei per niente carina!". Si chiese come avesse mai potuto pensare che le cose sarebbero state più semplici dopo che le aveva confessato i propri sentimenti.
Attraversò i piccoli gruppi di persone che godevano della calda luce del sole di primavera, cogliendo gli occasionali stralci di conversazione mentre camminava.
"...portava questo vestito rosso, oh cielo..."
"...non mi chiama dal fine settimana, per caso..."
"...dirò al tuo amico che le piaci e..."
"...ho sentito che è stata uccisa da una setta, e suo fratello è stato arrestato!".
Si irrigidì quando sentì l'ultima parte. Le persone stavano ancora parlando di Kodachi e degli eventi di quel giorno. Fuochi, esplosioni, caos in tutto l'edificio, e oltre. Le voci abbondavano, ma nessuno sembrava conoscere alcun accenno di verità. Nessuno se non quelli che avevano lottato al Furinkan quel giorno.
Si chiese, non per la prima volta, cosa fosse accaduto alle creature che erano scappate dopo che il collegamento aveva collassato. Non c'erano stati ulteriori incidenti che lui sapesse, ma quelle creature dovevano essere andate da qualche parte. Tuttavia, le cose erano quiete, e lui aveva i propri problemi con cui avere a che fare.
Parlando di problemi...
"Bene, bene. Ranma. Ho appena visto mia sorella, e sai, non sembrava molto felice". Nabiki incrociò le braccia e l'infilzò con uno dei suoi brevettati sguardi freddi. Ranma sentì il suo stato d'animo già logorato cominciare a risvegliarsi.
"Non sono affari tuoi", le ringhiò. Lei batté le palpebre innocentemente.
"Da quando non è affar mio il benessere di mia sorella?", chiese aspra.
"Da quando te ne curi?", ribatté Ranma. Notò la sua espressione vacillare, e incalzò sul vantaggio. "A proposito, cos'era tutto l'interesse di ieri per Kuno? Non è da te preoccuparsi per qualcuno se non hai niente in cambio, Nabiki". I suoi occhi s'indurirono, ma la sua espressione rimase fredda.
"Da quando sai quello che è o non è 'da me', eh, Ranma?", chiese. Fu sorpreso di sentire una traccia di amarezza nella sua voce. "A ogni modo, non so come puoi non essere almeno curioso riguardo quello che gli sta accadendo. Il ragazzo si è presentato con una spada ardente e magica, non sei interessato alla storia che si cela dietro di essa?".
"Ho avuto altre cose per la mente", disse sulla difensiva. Lei lo fissò in maniera neutra per un momento.
"Come Akane, si spera?".
"Guarda, Nabiki, sto facendo del mio meglio con lei, ok?", scattò. "Le cose sono più complicate di quanto pensi! E ho notato che tu non sei migliore di me a gestire una vita amorosa!". Si era aspettato che si arrabbiasse, o almeno si irritasse. Invece lo fissò stranamente, per un momento, poi fece una piccola risata.
"Touché, Saotome", disse secca. "Un punto per te". Lui aggrottò le ciglia.
"Senti, Nabiki, so che probabilmente pensi che io sia un idiota, ma sto tentando di migliorare le cose tra me e Akane!".
"Faresti di meglio, Saotome", disse seriamente, sorprendendolo ancora, “se riuscissi a non far finire tutto con un dispiacere". Poi andò via, lasciando un Ranma confuso dietro di sé.
Cosa le accadeva ultimamente, comunque? Ok, era stata una settimana abbastanza traumatica per tutti, ma Nabiki era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere scossa. D'altronde, qualunque fosse il suo problema, non aveva tempo per preoccuparsene.
Proprio come le aveva detto, aveva altre cose per la testa. Molte altre cose, e stavano cominciando a minacciare di sommergerlo. Immaginò che fosse ora di cominciare a trattare con un po' di problemi arretrati.
Uno per volta, si corresse scivolando dietro a un albero per evitare la figura che camminava di fronte alla porta. Ukyo si guardò intorno, tirando irritata il colletto della sua uniforme da ragazzo, poi andò via sembrando infelice.
Mi dispiace, Ucchan, disse Ranma silenziosamente. Un problema alla volta.


Akane camminava nervosa lungo il marciapiede, fissando intensamente i suoi piedi, dondolando la cartella in archi brevi, viziosi. Non era nel miglior stato mentale per visitare Kuno, lo sapeva, ma aveva deciso che era necessario, e diversamente da altre persone lei era capace di prendere una decisione e tenervi fede.
Non poteva credere che Ranma non si fosse presentato neanche dopo scuola per andare con lei. Avrebbe rifiutato di parlargli, chiaramente, ma lui non si era nemmeno fatto vivo, così le era stata negata una chance. Questo la faceva infuriare di più. Dopo un po' giunse al limitare delle mura della scuola, il suo umore era turbolento come un caldo sole bianco.
Così, naturalmente, Ranma scelse quel momento per presentarsi.
Lo vide quando voltò l'angolo, appoggiandosi contro il muro, e guardandosi intorno apparentemente calmo. Marciò di fronte a lui senza dare peso alla sua presenza.
"Akane...", cominciò.
"Io NON ti parlo!", scattò, alzando il mento in quello che lei sperò potesse passare per un movimento altezzoso. Comunque, l'intero effetto fu rovinato da Ranma che la prese su balzando facilmente sul muro. Fece uno squittio spaventato quando atterrarono in cima e sbarcarono dolcemente sull'altro lato, nascosti alla vista dal muro alto e da un piccolo boschetto di alberi. Strinse i denti furiosa quando finalmente riuscì a riguadagnare la calma.
"Che cosa stai FACENDO?", ringhiò, voltandosi a guardare in faccia Ranma. "Mettimi giù!".
"Devo?", chiese dolcemente, e lei fu sorpresa di vedere che sembrava sinceramente addolorato all’idea. Ciononostante la mise tranquillamente in piedi, facendo un passo indietro mentre si rimetteva velocemente a posto la gonna dell'uniforme.
"Akane". Lei guardò in su, parole adirate pronte a uscirle dalla bocca. "Io voglio parlarti di oggi. Per favore, ascoltami solo per un minuto. Dopo, se vuoi ancora colpirmi, andrò a cercarti un martello. Ok?". La sua rabbia scemò leggermente, ancora latente ma non più in ebollizione.
"Parla", disse asciutta, tentando di ignorare l'effetto che la sua espressione gentile stava avendo su di lei.
"Avevi ragione solo parzialmente quando stavi parlando del perché stavo agendo così stranamente con tutti fin da... quel giorno. Lo ammetto, mi sto sentendo un po' in colpa per Kodachi, ma non è tutto. Akane, io pensavo davvero quello che ho detto quella notte. Io ti amo. Non penso proprio che tu ti sia resa conto di ciò che vuol dire questo". Rimase ferma, sentendo una giocosa brezza turbinarle intorno, le sue parole incisero la rabbia, facendo sbollire la furia rovente senza dolore.
"Cosa vuol dire?", chiese, quasi lamentosa.
"Ricordi come stava Ukyo quel giorno che erano tutti al dojo per cena? Dopo che è ritornata dall' Ucchan con Ranko?". Akane annuì. "Sai perché stava così, non è vero?". Lo sapeva. Aveva udito per caso Ranko e Ranma che ne parlavano.
"Ranko le aveva detto che non poteva amarla", disse leggermente Akane, senza capire. Ranma accennò col capo, gli occhi pieni di dolore.
"Sì. Più tardi mi disse che glielo doveva. Finalmente so quello che voleva dire".
"Ranma, non capisco!", gridò Akane, esasperata. "Cos'ha a che fare con...".
"Akane, ricordi quando ti dissi che avevo paura di cambiare le cose?", insisté, la sua voce quieta e intensa. "Bene, ne ho ancora. Ma... ora che sono alla luce del sole tra noi, stanno cambiando. Devono. E so che non posso semplicemente sedermi e aspettare che tutti lo comprendano. Dovrò fare quello stesso discorso che Ranko ha fatto con Ucchan, e questo la ferirà malamente. Anche Shampoo, dopo tutto anche lei è coinvolta. E Kuno. Come la prenderà quando mi vedrà passeggiare felice con la ragazza che amo, e sua sorella è fredda e morta perché mi amava?". Akane sentì uno shock gelido attraversarla e finalmente capì.
"Ranma, era tutto qui?". Lui le sorrise malinconicamente.
"Andiamo, Akane. Non pensi che io voglia stare con te, stare vicino a te, per tutto il tempo? Specialmente dopo che sono stato così vicino a perderti. Ma non volevo che qualcuno lo sapesse ancora. Voglio che Ucchan e Shampoo lo sappiano prima da me. Glielo devo. E Kuno...". Aveva sentito abbastanza. Avanzò, avvolgendogli le braccia intorno alla vita e inclinò la testa contro il suo torace, stringendolo ermeticamente. Poteva sentire il suo batticuore, un suono regolare, confortante, quando le avvolse le braccia intorno a sua volta e sospirò nel suo orecchio.
"Mi dispiace averti ferito", sussurrò. "Sto rimandando a causa di quello che è accaduto, ma ora so che non ci sarà mai un buon momento. Devo farlo presto. Prima Kuno, suppongo".
"Ranma, perché non mi hai detto tutto questo?", chiese, inclinandosi un poco così da poter guardare nei suoi occhi grigioblu. Ora comprendeva che il dolore che riempiva quegli occhi non era per se stesso, ma per gli altri che sarebbero stati feriti da quello che doveva dire loro.
"Oh, sai che non sono per niente capace di parlare di cose come questa", disse coscienzioso, e improvvisamente era di nuovo goffo, non ricambiava il suo sguardo. Lo scosse gentilmente.
"Ehi. Le persone che si amano si aiutano l'un l'altro, giusto? D'ora in poi, se una cosa del genere ti preoccupa, dovresti venire da me. Possiamo affrontarla insieme, lo sai". Lui la guardò di sottecchi, sorpreso, poi sorrise timidamente.
"Davvero?", chiese in un tono che le fece stringere dolcemente il cuore. Gli sorrise.
"Sì, davvero". Stettero in piedi nelle ombre maculate del sole tra gli alberi, guardandosi semplicemente l'un l'altro, poi Ranma si volse in giù, lei alzò leggermente il mento e si baciarono, un caldo, dolce, innocente bacio che le tolse il fiato e la rese felice di essere abbracciata a Ranma. Altrimenti non pensava che le gambe l'avrebbero retta. Infine, lui si ritrasse, il suo sguardo fisso diventò oscuro.
"Sono contento che tu venga da Kuno con me", disse.
"Ci sarò sempre per te, Ranma. Lo prometto. Sempre, non importa per cosa”. Lui sorrise, e il suo sorriso la purificò come il calore del sole di fine di primavera.
"Sono contento", disse. "Perchè io ho bisogno di te, Akane Tendo". Lei si tirò via di malavoglia, e lui le permise di andare, i loro sguardi ancora incatenati.
"Andiamo", disse lei con un sospiro. "Faremmo meglio ad andare a fare questa cosa prima che diventi troppo tardi".
Insieme, saltarono di nuovo sul recinto e si incamminarono verso la proprietà dei Kuno.


"Si ricorda di me?". La donna alzò lo sguardo dalla sua bevanda, sembrando vagamente perplessa. Il ristorante dell'albergo non era molto affollato, e Nabiki poteva udire i deboli suoni del traffico nella strada sottostante.
"No, mi dispiace...", rispose incerta.
"Ieri, signora Kuno", insisté gentilmente. La donna arrossì un poco, poi si rivolse di nuovo al suo drink.
"Oh. Sì, ricordo. Ti ho detto che non uso più quel nome". Nabiki sedette alla piccola tavola senza essere invitata, e tirò fuori un fascio di fogli dalla sua cartellina.
"Ma potrebbe. Lei e suo marito non avete mai ottenuto il divorzio, vero?". La donna strinse il suo bicchiere, ma non disse niente, e Nabiki proseguì allegramente. "Lei vive a Yokohama, lavora in un piccolo negozio di vendita al dettaglio, vive da sola... Devo proseguire, signora Kuno?".
"Cosa vuoi?", chiese con voce spenta, esanime. Nabiki si inclinò sulla tavola, incrociando le braccia.
"Lei ha detto che suo figlio era in pericolo. Sto tentando di capire perché, e se possiamo aiutarlo. Ho sempre pensato di conoscere tutta la famiglia di Tatewaki, ma ora mi accorgo che non sapevo niente. Per esempio, non ho mai saputo che ci fosse un altro fratello, Kazuhiro". Disse piano il nome, ma l'altra donna sussultò come se fosse stata colpita, e la ragazza sentì un improvviso e lancinante dolore alla coscienza. Rafforzando la sua risoluzione, insisté. "Qualcuno che mi deve un favore è bravo con il computer. Sarebbe sorpresa da quello che si può apprendere così. Sul certificato di morte di Kazuhiro, per esempio, la causa del decesso è stata indicata come trauma da un attacco animale. Un cane". La signora Kuno tenne il bicchiere alla luce, guardandola filtrare attraverso il liquido marroncino. Con un movimento fluido lo svuotò e agitò il bicchiere vuoto nell'aria. Un cameriere arrivò con nuovo drink, guardando interrogativamente Nabiki. Gli fece cenno di andare via e lui si allontanò. Poi riportò di nuovo l'attenzione alla madre di Kuno che stava mostrando verso la nuova bevanda lo stesso genere di interesse rapito che aveva dato alla precedente.
"Bugie", disse finalmente, la voce era così rauca che sulle prime Nabiki non fu sicura che avesse parlato.
"Scusi?".
"Bugie. Tutte bugie. Non potevamo tenere cani nella proprietà. Rifiutavano di attraversare la soglia. Più intelligenti degli esseri umani". Scolò metà del drink in una volta, sbattendo il bicchiere sulla tavola con un sospiro. "Bugie", ripeté. "Ma quando hai soldi e potere, la verità è mutabile. L'ho imparato molto presto. Conoscevi mia figlia?". Nabiki fu presa alla sprovvista dal cambio improvviso di discorso.
"Cosa? Kodachi? Beh, sì, qualcosa del genere. Andava alla scuola femminile...". La sig.ra Kuno sventolò impaziente la mano.
"Sì, lo so. Tu sai come è morta? Me lo dirai?". Gli occhi della donna incontrarono quelli di Nabiki, nudi e vulnerabili, bruciando dal bisogno, silenziosamente supplichevoli. La ragazza sedette di nuovo, sconfortata. Era venuta qui a prendere informazioni, non a darne. E la storia era tutto fuorché credibile.
"Io non penso...", cominciò.
"Per favore. Per favore, ho bisogno di saperlo. Tu sei la sola a cui mi possa rivolgere. La versione ufficiale non saranno che bugie, e Tatewaki non vuole...". S'interruppe, la voce impastata di lacrime non versate. Nabiki ricordò mentre la guardava nel giardino, ascoltando il figlio che le diceva di non avere una madre.
"Signora Kuno...".
"Chiamami Yukio. Non sono la signora Kuno da un bel po' di tempo". La guardò con gli occhi brillanti di lacrime, e lei annuì.
"Molto bene. Yukio. Stava combattendo contro alcune... persone molto cattive. Stava tentando di aiutare qualcun altro quando fu uccisa. Questo è tutto ciò che so realmente". Nabiki lottò contro l'impulso di contorcersi sulla sedia. Era solo una piccola bugia, per il bene di Yukio. La domanda seguente della donna la colse di sprovvista.
"Chi l'ha fatto? Chi l'ha uccisa?". Oh, ragazzi, pensò Nabiki. Questo non è quello che avevo in mente, proprio no.
"Io, uh non...", cominciò. Yukio la fissò con un'intensa aria feroce, qualcosa dietro i suoi occhi aleggiò scura e folle, e per un momento fu l'incarnazione di sua figlia. E Nabiki, per la prima volta, sentì rimescolare un debole disagio, sentì che forse questa donna poteva essere più di una madre addolorata. Era probabile che fosse pericolosa.
La sua seguente asserzione lo confermò.
"Erano mostri? Tatewaki ha detto la verità?". La media delle Tendo si inclinò sulla sedia, guardandola con circospezione. Erano stati i mostri, chiaramente, ma Yukio non poteva saperlo. Guardò affascinata e inorridita l'altra donna che si inclinava in avanti, gli occhi scuri bruciavano di rabbia, nell'atteggiamento che spesso assumeva Kodachi.
"Alla fine i mostri hanno ucciso mia figlia?", chiese, e Nabiki seppe che le passava qualcosa per la testa. Alla fine? I mostri erano giunti a Nerima quel giorno fatale, ma era una situazione piuttosto unica. Quella donna era instabile, decise improvvisamente. La famiglia intera era eccentrica, dopo tutto; non avrebbe dovuto aspettarsi che la madre fosse diversa.
"Ė stata molto coraggiosa", disse leggermente, mentre tentava di deviare l'improvvisa rabbia non focalizzata della donna. Yukio sbatté le palpebre, ed essa si esaurì in un istante, facendola sembrare piccola e vulnerabile.
"Coraggiosa", parlò a bassa voce, tristemente. Prese il bicchiere mezzo vuoto, la mano tremò così tanto che un po' del liquido marroncino vi traboccò sopra, e buttò giù il drink con un movimento fluido. Nabiki prese nota del rossore sulle sue guance e comprese che Yukio era, se non ubriaca, sulla buona strada. Sembrava improbabile avere le risposte che voleva oggi. Stava considerando il modo migliore di svignarsela quando parlò di nuovo. "Sono stati tutti maledetti dal valore, i miei bambini. Quando l'oscurità venne per Kodachi, quella prima volta, fu Kazuhiro che la salvò, al prezzo della propria vita. Lui era coraggioso, molto più coraggioso di me. E loro l'hanno ucciso per questo". Alzò gli occhi dal bicchiere vuoto, e Nabiki poté vedere le lacrime non versate brillare nelle loro profondità.
"Era solamente un ragazzino", bisbigliò, implorandola di capire. "Io volevo andare via, ma mio marito rifiutò di abbandonare il suo compito di proteggere la proprietà, il... lui doveva restare, ma non noi! Lo dicevo per non metterli in pericolo, i suoi giuramenti non valevano quello che loro avevano fatto a Kazuhiro, nulla valeva! Lasciagli prendere la proprietà, cosa ti importa?". Nabiki lottò per seguire quello che stava dicendo. Yukio era solo un po' svitata, decise, e molto ubriaca. Era probabile, tuttavia, che ci fosse il nocciolo della verità nella sua incoerenza.
"Yukio, io non capisco", disse piano, tentando di guidare di nuovo la donna sul binario giusto. Lei scosse stancamente la testa.
"Ho tentato di portarli via, comunque. Il buio ci aveva marcati quella sera, e io sapevo che poteva ritornare. Quindi ho tentato di prendere gli altri due bambini, ma lui prese me, e mi cacciò. Aveva soldi e influenza, e io non avevo niente. Una donna più forte, un po' più coraggiosa, avrebbe trovato un modo, ma io non lo ero". Le lacrime ora le scorrevano silenziose sulle guance. "Il buio è venuto per due dei miei bambini, e presto verrà per Tatewaki. Lo so. Sta ricominciando tutto di nuovo, proprio come allora". Abbassò la testa, artigliando ermeticamente il bicchiere vuoto come se fosse la sua unica ancora in una tempesta d'incertezza. "Morirà se resta là, e io non so cosa fare", bisbigliò. Nabiki scosse la testa. Questo non era buono. Yukio diceva cose senza senso, e sapeva che sarebbe stato inutile farle anche solo alcune delle domande che aveva progettato di porle. C'erano infide correnti incrociate sotto la superficie della famiglia di Tatewaki, e stavano trascinando Yukio in fondo. Se voleva davvero conoscere la verità sui misteri della famiglia, doveva prima mappare alcune di quelle correnti incrociate. Prese la borsa e fece scivolare gentilmente un biglietto da visita al lato del tavolo della donna.
"Yukio", disse gentilmente. Lei non rispose. "YUKIO".
"Sì?". Distante.
"Questo biglietto ha il mio numero di telefono sopra. Voglio che lei lo prenda. Quando starà meglio, mi piacerebbe che mi chiamasse, okay? Voglio parlarle della famiglia. Lo farà?". Yukio accennò col capo, assente, ma non raccolse il biglietto e un angolo cominciò a scolorire quando si bagnò con una piccola pozza di liquido versato. Nabiki sospirò internamente. Non le importava, sul serio. Avrebbe potuto trovare abbastanza facilmente Yukio con tutte le informazioni che aveva già raccolto. Si alzò in piedi, guardando in giù verso l'altra donna. Sembrava perduta, fissava ancora il suo bicchiere, emanando odore di alcool da due soldi e disperazione. Scivolò via quietamente e si trovò fuori dell'albergo, la mente che ronzava.
Segreti. Qualunque fosse la verità sulla famiglia di Tatewaki, era ben nascosta. Nessuno, neanche Nabiki stessa ne aveva avuto sia pure un accenno. Un fratello morto in circostanze misteriose, una madre tenuta lontana dalla sua famiglia per anni... o li aveva abbandonati? La verità era, come aveva notato Yukio, mutevole, e aveva bisogno di più fatti per decidere quello che era vero e quello che non lo era.
Qualunque fosse la verità, si trovava ad affrontare un puzzle enorme, complesso. I suoi schemi personali e le trame cominciarono ad apparire pallidi e insignificanti di fronte a esso. La prospettiva di districare le matasse ritorte della verità e le falsità che circondavano il clan dei Kuno impegnava quella parte di lei che aveva bisogno di chiedere insistentemente sfide come questa.
Sentì un ghigno che si formava sulle labbra mentre andava verso casa lungo i marciapiedi colmi, mescolata con le folle del dopo-lavoro. Il sangue ribolliva di anticipazione per la prospettiva di una sfida degna del suo talento a risolvere i problemi. Non era molto sicura quando l'aveva deciso, ma ora sapeva che doveva scoprire quali segreti si celavano nel cuore del passato intricato di Tatewaki.
Essendo Nabiki, non si fermò mai a considerare che alcune cose sarebbe stato meglio lasciarle imperturbate.


Akane guardò da sopra una spalla, facendo a Ranma un ultimo sorriso di incoraggiamento.
"Pronto?", chiese. Lui accennò col capo, mettendo una mano confortante sulla sua spalla.
"Fallo", disse. Lei si girò e bussò alla porta. Il cuore le sembrò crescere nel torace, battendo nervosamente, quando sentì passi deboli che si avvicinavano alla porta. Finalmente si aprì a mostrare Kuno, vestito nella sua solita uniforme da kendo, una katana rinfoderata nella mano sinistra. Fissò impassibile gli ospiti non invitati, il volto non rivelava niente neanche quando sembrò prendere nota del modo possessivo con cui la mano di Ranma stava sulla spalla di Akane.
"Sembra che dovrò licenziare un altro gruppo di guardie", disse finalmente, con voce piatta.
"Non ci hanno neanche visti", disse Ranma sulla difensiva. "Ci siamo intrufolati".
"Quindi sarai capace di scoprire la strada per uscire", ribatté Kuno con un accenno di irritazione nella voce. Ranma aggrottò le ciglia, e Akane si lanciò prima che le cose potessero degenerare.
"Kuno-senpai", disse, mentre stringeva nervosamente le mani di fronte a sé, "ci dispiace di esserci intrufolati qui, ma eravamo preoccupati. Nessuno ti ha visto da domenica scorsa, e ora abbiamo sentito che sei qui tutto solo!". Lo sguardo fisso del ragazzo si spostò su di lei.
"Ci sono i servitori...", cominciò. Akane scosse violentemente la testa.
"Non sto parlando di servitori! Chi hai con cui parlare? Chi c'è per condividere il tuo dolore? Tu e Kodachi siete venuti ad aiutarci, a proteggere tutti in questa città! E ora lei è morta, e tu sei solo, e non dovrebbe essere così! Non è solo ingiusto, non è leale!". Si fermò improvvisamente, trovandosi al limite delle lacrime, stringendo forte le mani, adirata per l'ingiustizia. La mano di Ranma le strinse gentilmente la spalla. L'espressione di Kuno si ammorbidì un poco, e quando parlò, c'era una traccia di gentilezza nel suo tono.
"Come sempre, il tuo cuore è vero, Akane Tendo. È facile capire perché fossi così innamorato di te. Ma ascoltami attentamente, ti imploro. Rimarrò sequestrato qui solo per poco tempo ancora. Una volta finito il mio dolore, ritornerò al Furinkan. Chiedo soltanto, nel frattempo, che tu non ritorni qui. Per favore". Lo guardò negli occhi, vedendovi il dolore seppellito, e accennò col capo senza parole.
"Se... se questo è quello che vuoi", disse alla fine con voce bassa.
"Ė ciò di cui ho bisogno", le disse quietamente. "Da tutti". Spostò lo sguardo alle sue spalle, a Ranma, e lei si irrigidì, temendo quello che sarebbe accaduto.
"Saotome". Il suo sguardo era di nuovo piatto, privo di emozioni.
"Kuno". L'espressione di Ranma non era esattamente ostile, ma non era neanche molto aperta.
"L'altro te, chiamato Ranko, è venuto qui prima di andare via". Akane non lo sapeva; ma era chiaro dall'espressione del suo fidanzato che per lui era il contrario. "Mi ha chiesto di ritenere lui, non te, responsabile per quello che è successo a mia sorella. Comunque trovo di non poterti ritenere completamente irreprensibile".
"Kuno-senpai!". Akane rimase a bocca aperta. Lui alzò austeramente la mano libera.
"Tu e io, Saotome, dividiamo un fardello. Entrambi abbiamo fallito con Kodachi. Non ho alcuna intenzione di cercare la lotta con te, ma sarebbe prudente se le nostre strade non si incrociassero più dello stretto necessario". Il ragazzo col codino lo fissò silenziosamente per un lungo momento, poi accennò col capo.
"Capisco", fu tutto quello che disse. Kuno guardò il cielo.
"L'ora si fa tarda. Dovete andare adesso. Per favore, ricordate quello che ho detto". Ranma si girò e cominciò ad allontanarsi, e Akane si voltò per seguirlo, l'espressione scura. "Akane Tendo". Si girò di nuovo, il volto immerso nella luce del sole di fine pomeriggio, per vedere Kuno che stava ancora là in piedi. "Significa... molto per me che tu sia venuta. Io... grazie". Lei sorrise, sentendo aprirsi il cuore.
"Non dimenticare che hai degli amici, Kuno-senpai", gli disse, guardandolo negli occhi ombreggiati. "Non devi stare da solo".
Lui sembrò triste, e vecchio. "Se solamente fosse vero", lo sentì mormorare, poi chiuse dolcemente la porta, e lei si allontanò, fin dove Ranma stava aspettando.
"Bene, è andata meglio di quanto mi aspettassi", sospirò Ranma. "Almeno non ho dovuto lottare contro di lui. Non penso che avrei potuto, dopo tutto quello che ha passato il ragazzo. Hai notato che porta ancora quella spada?". Lei accennò col capo silenziosamente, e osservò la tensione delle sue spalle. Sospirò.
"Andiamo, Akane, abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. Vuole semplicemente stare da solo. Non possiamo imporgli il nostro aiuto, lo sai?". Lei accennò col capo.
"Sembra così... ferito. Pensi che tornerà mai com'era prima?". Era chiaro dalla faccia di Ranma che lui non considerava quella un scelta desiderabile.
"Non lo so, Akane. Davvero. Forse ha solo bisogno di un po' di tempo. Almeno abbiamo tentato. Vieni, andiamo a casa, ok?". La ragazza accennò col capo e cominciarono a ritornare per la strada attraverso gli alberi fino al punto dove avevano saltato il muro. Akane fece una pausa una volta, per guardare di nuovo la casa, una piccola piega apparve tra i suoi occhi.
Ora che l'aveva visto, odiava il pensiero di lasciare in pace Kuno più di prima. Ma Ranma aveva ragione.
Sembrava non esserci niente che loro potessero fare.


Nabiki sospirò e lasciò cadere la borsa nell'ingresso. Mise cautamente le mani sulla schiena all'altezza dei reni e tese, gemendo di piacere quando schioccò con un piccolo rumore. Si era interrogata sulla sconcertante storia della madre di Kuno fino a casa, chiedendosi quale verità giacesse seppellita nelle sue parole. Una cosa era certa. Il giovane Kazuhiro aveva avuto una brutta morte, e se Nabiki dubitava che fossero coinvolti i mostri, non era del tutto convinta che un cane avesse ucciso quel ragazzo. C'era qualcosa, qualcosa di grande. Lei lo sapeva. Lo sentiva. Doveva investigare ulteriormente, scoprire di più, prima di poter decidere dove proseguire.
Sorrise a se stessa, improvvisamente. Scoprire di più. Era la sola persona che avrebbe potuto farlo, se c'era qualcosa da trovare. Avrebbe risolto anche questo enigma.
"Sono a casa", annunciò, raggiungendo la sala da pranzo e trovando Akane appollaiata di fronte alla televisione. "Ehi, sorella".
"Nabiki, hai saltato ancora la cena. Kasumi però te ne ha conservata un po'".
"Grande". Si lasciò cadere sul divano e sospirò. Akane la guardò curiosa.
"Che ti succede?", domandò. Nabiki le gettò uno sguardo.
"Cosa intendi?".
"Sembri... non lo so. Animata. Indaffarata". La sorella maggiore ghignò, mostrando più entusiasmo di quello che era abituata a vedere in lei.
"Sto lavorando su qualche cosa", disse disinvolta. L'espressione di Akane si scurì.
"Oh", disse, e Nabiki sembrò sorpresa, poi stupefatta dal suo tono.
"Ehi, non è come pensi!", protestò, le guance in fiamme. "È qualcosa di buono, okay? Kami!". Akane ammiccò.
"Davvero? Nessuno si farà male a causa di questo, vero?", chiese dolcemente. Nabiki avrebbe voluto rispondere male alla sorella minore, ma sapeva che Akane stava pensando a quello che aveva fatto a Ranko, quando aveva parlato di lui a tutte le fidanzate di Ranma prima che fosse pronto a confrontarsi con loro. Sapeva che aveva ragione a essere scettica, ma era abbastanza sicura che non c'era nulla di cui preoccuparsi questa volta. Dopo tutto, non credeva che le sue indagini avrebbero davvero fatto male a qualcuno. E non sembrava che le cose potessero andare peggio per la famiglia di Tatewaki.
"Davvero, Akane", disse, la voce seria. "Ė qualcosa di veramente grande, ma penso che ne possa uscire qualcosa di buono. Davvero, ho una sensazione veramente ottima. Forse sto perdendo il mio smalto". La minore rise a quello, e Nabiki si unì a lei. Era bello sedere semplicemente sul divano e ridere con sua sorella. Le cose sembravano più normali di quanto fossero state durante l'ultima settimana.
"Bene, sono contenta di sentirlo", disse Akane. "So che quando affondi i denti in qualcosa, nulla può fermarti". Nabiki si sentì stranamente toccata da quell'espressione di confidenza. La spinse leggermente col gomito appena sotto le costole.
"Dovresti parlare, sorellina. Cosa sta accadendo tra te e Ranma, eh?", Rimase a bocca aperta e Nabiki rise di nuovo.
"Io e... perché... Io non...".
"Oh, molto chiaro, Akane. Andiamo, voi due avete a malapena litigato questa settimana. Il grido squillante ‘maschiaccio violento’ non si è sentito all'interno di queste mura per così tanto, che ne sento quasi la mancanza, e i soldi per riparare il nostro muro sono rimasti lì! Che cosa è accaduto? Andiamo, sputa il rospo!".
"Sì, assolutamente Akane", disse Kasumi, drappeggiandosi elegantemente sulla spalliera del divano tra loro. Akane sussultò, sorpresa dal suo arrivo improvviso.
"Ehi, ragazze...", protestò. Kasumi le sorrise benigna.
"Tutti i dettagli succosi, per favore", disse. Sospirò e Nabiki seppe che poteva scavare a fondo. Probabilmente era stata troppo addolorata quella settimana per parlare a qualcuno. E lei aveva bisogno di parlare di qualche cosa di sano, razionale e allegro proprio ora. Nel modo più assoluto.
"Abbiamo fatto un lungo discorso la notte prima... sapete. La sera prima. Sul tetto".
"E?", incalzò Nabiki. Un rossore cremisi si sparse sul naso di Akane, chiazzando le guance.
"Ha detto che mi ama", disse, pigiando le punte degli indici a toccarsi timidamente. Entrambe le sorelle ansarono.
"Ranma Saotome? Veste con camicie cinesi e ha un codino?", domandò Nabiki. "Quel Ranma?".
"Akane è meraviglioso!". Kasumi rimase a bocca aperta. Nabiki scoprì che il dolore lancinante della gelosia per la grande fortuna della sorella minore era stato sommerso dalla felicità pura e semplice.
"Non potete ancora dirlo a papà o al signor Saotome, tuttavia!", disse Akane, improvvisamente allarmata. Nabiki ghignò.
"Il tuo segreto è al sicuro con noi. Quindi sorella, dicci di più. Come lo hai convinto a pronunciare quelle parole? Non posso davvero immaginare Ranma che le formula! Dicci, dicci!". Il rossore di Akane si approfondì, qualcosa che Nabiki non aveva pensato possibile.
"Bene, ero stufa di come andavano le cose, sapete, con tutte le fidanzate che tentavano di decidere chi dovesse avere Ranma e chi Ranko e... ed era due volte peggio di prima. Tutti sembravano starci male, e io ero stanca di questo. Quindi mi sono confrontata con Ranma. Non pensavo di arrivare così lontano come ho fatto ma, alla fine, è prevalso in me il bisogno di parlargli di quello che c'era tra noi. Quando lui non voleva, io ho deciso solo... di farlo. Stavo davvero andando via, ero vicina ad abbandonarlo. Non saprete mai quanto ci siamo andati vicino. Ma...".
"Ma?", chiese Kasumi, sembrando per una volta una scolara ansiosa e non il membro più responsabile della famiglia.
"Lui mi ha fermato. All'ultimo momento mi ha presa e non mi ha lasciata andare. Era così dura per lui parlare di sé, ma... oh, era così dolce. Avreste dovuto vederlo. Ha parlato della sua infanzia, delle sue paure sul cambiamento delle cose qui...".
"Aspetta un minuto. Ranma ha detto queste cose?", chiese Nabiki incredula. Akane sorrise trasognata, fissando il pavimento.
"Ah-ah. E poi ha detto che tutto sarebbe andato bene perché mi amava. Ricordo quel momento, ricordo tutto. Lo ricorderò per il resto della mia vita". Sedettero per un momento, Akane prendendo un cuscino felpato dall'angolo del divano e abbracciandolo ermeticamente al torace, tirando su le ginocchia.
"E poi vi siete baciati. Per favore dimmi che c'è stato un bacio", supplicò Nabiki. Akane seppellì la faccia nel cuscino, tamburellò i talloni contro l'orlo del divano e accennò col capo freneticamente. Le sue sorelle strillarono con delizia.
"Bene, Akane!", disse Kasumi, in una maniera così diversa da lei che per un momento Nabiki pensò di averlo detto lei stessa. Akane si rilassò, abbracciando ancora il cuscino, e sospirò profondamente.
"Ho sognato quel momento per così tanto tempo, ed è stato così perfetto. Ė stato tutto quello che ho pensato avrebbe dovuto essere". Seppellì di nuovo la faccia nel cuscino. "Sono INNAMORATA!", strillò.
"E hai aspettato così a lungo per dircelo", la sgridò Kasumi. La posa gioiosa di Akane si rilassò molto, e Nabiki si tese.
"Beh, dopo che Kodachi è morta e Ranko è andato via, le cose non sono andate così bene", disse leggermente.
"Ti ho vista a pranzo oggi, Akane, e sembravi piuttosto sconvolta", disse Nabiki. Ricordava che Ranma le aveva detto che stava tentando di far migliorare le cose, e lei ci aveva creduto davvero. "Le cose vanno ancora male?".
"Le cose non sono mai semplici quando si tratta di Akane e Ranma", rifletté Kasumi, sembrando preoccupata. Akane guardò in su e scosse la testa.
"No, non è così!", protestò. "Voglio dire... okay. Dopo la lotta, Ranma sembrava tirarsi di nuovo un po' indietro. Prima ho pensato che fosse naturale, ma poi ho cominciato a preoccuparmi, e oggi abbiamo discusso per questo. Ma più tardi, mi ha spiegato tutto. Ricordate com'era depressa Ukyo quella sera che eravamo tutti a cena qui?". Entrambe annuirono. "Bene, era perché Ranko le aveva parlato, le aveva detto che non l'amava così che potesse lasciarlo andare. Ranma mi ama realmente". Guardò il cuscino, le sue labbra che si curvavano in un sorriso trasognato.
"Lo fa davvero", continuò dopo un momento. "E sa che deve fare lo stesso discorso che Ranko ha fatto con Ukyo, e anche con Shampoo. Non vuole far loro del male, ma dirà loro una volta e per sempre che noi ci amiamo".
"Oh, Akane, spero che le cose funzionino", disse felice Kasumi, stringendo dolcemente la spalla di Akane.
"Sì, ma tu? Ryoga non ne sarà devastato?", chiese Nabiki, sopprimendo un altro dolore lancinante per la gelosia dei tanti pretendenti della sorella. Akane arrossì di nuovo.
"Ho udito per caso Ranma e Ranko che ne parlavano, una volta. Ryoga ha deciso di lasciar perdere con me da solo". Fissò Nabiki. "E io che non sapevo neanche di piacergli! Se lo sapevi, avresti potuto dirmi qualcosa!". Nabiki fece un sospiro a sua sorella.
"Kami, sei ottusa qualche volta, Akane. Tutti sapevano che Ryoga aveva una notevole cotta per te. Non posso credere che non l'hai mai notato!".
"Avevo altre cose per la mente!", ribatté.
"E che mi dici di Kuno...", cominciò Nabiki, poi si gelò. Il sorriso di Akane si affievolì.
"Siamo andati a trovarlo oggi, Ranma e io. Gli abbiamo parlato". Si rivolse alle sue sorelle, l'espressione grave. "Ha detto che sarebbe stato bene, ma... è cambiato così tanto. Non avrei mai pensato che l'avrei detto, ma mi manca il vecchio Kuno". Nabiki sapeva precisamente quello che voleva dire. La visione di Kuno nel giardino l'aveva infastidita più di quanto avrebbe creduto possibile.
"Mi sento colpevole, a essere così felice", disse infine Akane. "Voglio dire, dopo tutto quello che è accaduto, mi trovo a essere felice. Sembra sbagliato, in qualche modo".
"No!", disse Nabiki intensamente. "Non è sbagliato, Akane! Hai lottato per essere felice, avere quello che hai! Hai diritto a goderne! Niente di quello che è accaduto è colpa tua, ricordatelo!". S'interruppe quando comprese che le due la stavano guardando stranamente.
"Kami, da dove viene questo?", chiese debolmente. Un caldo sorriso accese il volto di Akane e si inchinò a intrappolare Nabiki in uno stretto abbraccio.
"Hai ragione, sorellina! Devo solo cercare di imparare a essere felice!". Nabiki accarezzò goffamente le spalle di Akane.
"Uh. Buona, Akane. Ora lasciami respirare, ok?". La sorella minore allentò timidamente la presa, e tutte risero di nuovo.
"Ora va meglio," disse Kasumi. "C'è stata troppa oscurità qui nella settimana e mezzo passata. Parliamo di cose felici per una volta".
"Sì, tornando a te e al tuo fusto...", la prese in giro Nabiki. Akane arrossì di nuovo. Kami, è troppo facile, pensò allegramente.
"Più dettagli sul bacio", esortò Kasumi, inclinandosi in avanti con l'aspettativa sul volto. Nabiki era sorpresa da quanto la maggiore ne stesse godendo. Per questo, ne traeva gioia molto di più anche lei. Era passato troppo tempo da quando loro tre avevano parlato come adesso.
Proprio poco dopo, Ranma passò nella stanza mentre si dirigeva in cucina. Le ragazze precipitarono nel silenzio, girandosi all'unisono per guardarlo. Il suo passo vacillò quando fu consapevole che era al centro dell'attenzione.
"Uh, cosa?", chiese, perplesso. Tutte e tre le ragazze indossavano sorrisi segreti.
"Nulla, Ranma", disse Kasumi nella sua voce più innocente.
"Stavamo solo parlando", aggiunse Nabiki allegramente.
"Esatto. Parlando", chiarì Akane. Lui cominciò a sembrare un po' innervosito dall'intensità della loro attenzione.
"Oh", disse debolmente. Continuarono a fissarlo, Akane arrossendo, Nabiki e Kasumi dirigendogli occhiate quasi identiche di schietta valutazione. Ranma era imbarazzato. "Bene, io vado a... fare quella cosa che devo... andare a fare. Ciao!". Andò via, tentando di non apparire come se si stesse affrettando e fallendo miseramente. Uno scoppio di forti risate femminili eruttò sulla sua scia.
"Oh, mio…", ansò Kasumi alla fine. "Povero Ranma".
"Ah, sopravvivrà", disse Nabiki secca. Si rivolse a un'Akane che stava ancora ridendo scioccamente. "Ora, Akane, il soggetto stava baciando, credo. Tu e Ranma. Dettagli. Prima volta, e non sto parlando di quella volta che pensava di essere un gatto. Vai". Akane aveva recuperato il suo cuscino e ancora una volta lo stava spremendo in una presa mortale.
"Bene, la prima volta veramente ho cominciato io...", iniziò. Le sue sorelle ridacchiarono in maniera incontrollabile.
"Che figura", Nabiki rimase a bocca aperta. Akane arrossì di un brillante cremisi e seppellì la faccia nel cuscino.
"Ranma è stato sempre un po' lento", ridacchiò Kasumi. "Quindi, Akane, come hai cominciato?".
"Bene, eravamo sul tetto, e io stavo piangendo perché mi aveva appena detto che mi amava. Lo stavo abbracciando, e gli ho detto che l'amavo anch'io. L'espressione sulla sua faccia quando gliel'ho detto! Oh, era incredibile! Ho allungato la mano e gli ho passato le dita sul collo, dietro all'orecchio e nei capelli...".
"Sì? E poi?".
"Beh, poi io...".


Ranma uscì fuori in giardino, dopo aver scovato degli avanzi in cucina. Sentì un altro scoppio di risa in casa, seguito dal grido della voce scandalizzata di Kasumi: "Akane! L'hai fatto davvero?!".
Si accigliò. Insomma, di che diavolo stavano parlando di là? Sospirò e camminò fino allo stagno della carpa, riempiendosi con aria assente la bocca di riso freddo mentre stridii più deboli di risa provenivano dalla casa. Ricordava il modo in cui le ragazze l'avevano guardato, con una tacita complicità che aleggiava.
"Le donne sono così strane", sospirò. Desiderò ridere anche lui, ma francamente non ci riusciva. Aveva messo le cose a posto con Akane, per una volta, e non era più arrabbiata con lui. Doveva ancora affrontare la prospettiva di avere un discorso cuore-a-cuore con Ucchan e Shampoo.
Temeva di spezzare il cuore a Ucchan. Aveva già visto che effetto il discorso di Ranko aveva avuto su di lei, ma alla fine sapeva che la sua controparte aveva ragione. Era la sua più vecchia e cara amica, ma lei lo amava e lui no, e le doveva di mettere una volta per tutte in chiaro le cose. Ma avrebbe pianto, e lui odiava il pensiero di essere quello che la faceva piangere. Lo detestava.
Shampoo era tutta un'altra questione. Probabilmente avrebbe pianto anche lei, ma si sarebbe anche arrabbiata, ed era assolutamente possibile che potesse seguire una reazione violenta. Ranma non sapeva cosa avrebbe fatto se avesse voluto lottare contro di lui. Shampoo era una ragazza di passioni profonde, ed era improbabile che la prendesse alla leggera. Si chiese se Mousse avrebbe potuto aiutarlo.
Sospirò di nuovo, guardando la superficie dello stagno, liscia come vetro caldo, fermo nell'aria serale. Immaginò di vedervi il riflesso di una ragazza rossa e graziosa, ma chiaramente c'era solo il proprio di riflesso. Gli stagni non hanno alcun senso del drammatico.
E Kodachi. Se fosse stata viva, avrebbe dovuto fare questo discorso anche con lei. Ricordò quasi affettuosamente le sue buffonate, ora che se n'era andata, la verità era che era stata abbastanza spaventosa a volte. Ma se n'era andata. Doveva solamente pensare a Kuno per ricordarsene.
Almeno il suo discorso con lui non era stato nemmeno vicino al disastro che avrebbe potuto essere. Aveva ben detto a Ranma di stargli lontano, ma non a entrambi i Ranma. Non aveva avuto alcun particolare desiderio di stargli intorno in giorni migliori. E soprattutto, ricordava come avesse detto ad Akane quanto "fosse" stato innamorato di lei. Al passato. Forse ora le cose su quel fronte sarebbero state davvero più facili.
Si acquattò e bagnò le dita sull'immobile superficie dello stagno, osservando rapito come la propagazione delle increspature prodotte dalla punta delle dita sconvolgeva fluidamente il suo riflesso. Non era abbastanza per provocare il cambio, lo sapeva per esperienza. Chiudendo gli occhi, ricordò la faccia di Kuno quando aveva chiesto il corpo di Kodachi, lo ricordò andare via da solo. Qualunque cosa avesse vissuto dietro i suoi occhi era andato via, lontano, quel giorno, ed era rimasto intoccabile, addirittura ora. Forse Akane aveva ragione, pensò Ranma. Forse Kuno aveva bisogno di aiuto. Comunque, Ranma era abbastanza sicuro che qualunque cosa avvenisse, lui era l'unica persona da cui non stava cercando quell'aiuto.
Kuno era ancora un ragazzo forte. Aveva deciso di prendersi cura delle cose da solo, qualunque fosse la ragione e non avevano davvero altra alternativa che permettergli di farlo.
Fu riscosso dalle sue fantasticherie da un altro scoppio di risa che veniva dalla casa, e storse la bocca in un piccolo ghigno a dispetto del suo stato d'animo. Era bello sentire di nuovo risate al dojo. Forse questo era il segnale che le cose stavano finalmente migliorando. Sospirò e si alzò in piedi, lanciando la ciotola vuota in aria e afferrandola semplicemente su un piede disteso, calciandola poi così da poterla afferrare di nuovo, le sue azioni pigre e aggraziate. Poi recuperò i bastoncini e lentamente si diresse in casa. Avrebbe voluto congiungersi al buon umore generale, ma aveva il presentimento che non ci sarebbe stato troppo da ridere nel prossimo paio di giorni.


La luna era alta nel chiaro cielo notturno, le ombre divoravano metà della sua faccia scabra. Tatewaki Kuno si inginocchiò al centro della sua stanza, l'arma rinfoderata giaceva trasversalmente sulla stuoia di fronte a lui, gli occhi chiusi, immerso nella sua luce. A un osservatore sarebbe apparso calmo, ma quell'aspetto era una mera facciata. Le sue budella erano strette ermeticamente in un nodo torto, e lo stesso pensiero continuava a ritornare di nuovo e di nuovo.
Sarà stanotte. Sarà stanotte. Sarà.
Sospirò impercettibilmente. Sperava di avere torto, ma nel suo cuore sapeva che non era così. Il peggio sarebbe accaduto. Era il suo fato, sembrava, dover affrontare il peggio. Le mani si strinsero leggermente.
Così sia.
Poi cambiò il ritmo del suo respiro, consapevole di non essere più solo. Non era nessuno dei servitori; erano stati mandati via dalla proprietà da tempo. Alzò la katana rinfoderata nella mano sinistra, portando il pollice contro la parte inferiore dell'elsa e spingendo fino a slegarla, così che per la lunghezza di un dito fu rivelata la lama.
Stava ardendo.
Fissò intensamente la luce blu. Ora sei il mio portatore, sembrava dire. La responsabilità è tua. Il carico è tuo. Adempi al tuo dovere, Tatewaki Kuno.
Sai quello che devi fare.
Sì, lo sapeva. E per un momento, vacillò.
Ma solamente per un momento.
"Padrone!". La voce sibilò fuori dalla finestra, e Kuno rinfoderò di nuovo completamente la lama.
"Sì, Sasuke?", chiese calmo.
"Padrone, venga fuori! Presto! Ho scoperto qualcosa che dovrebbe sapere!". Kuno si alzò in piedi disinvolto, aprendo la finestra e scavalcandola. Saltò fuori casa, atterrando agilmente sull'erba fresca.
Sasuke non si vedeva. Come un ninja, d'altronde, stava nelle ombre. Era così secondo natura. Si allontanò dalla casa, alzando leggermente la testa.
"Sono qui, Sasuke. Cosa dovevi dirmi?". Kuno non vide niente, non sentì niente, ma improvvisamente si stava muovendo, saltando in aria, girandosi per atterrare di fronte al luogo dove stava in piedi poco prima, il luogo dove molte shuriken ora vibravano nel tronco di un albero vicino. Tracciò a ritroso la traiettoria con gli occhi, individuando una macchia di ombra nell'oscurità circostante. Una figura vestita di nero uscì fuori dalle tenebre, fermandosi nella pallida luce della luna. La sua testa si contorse una volta, convulsamente. Si muoveva in modo strano, le sue giunture sembravano quasi trovarsi nei luoghi sbagliati, e la sua pelle era di un insano tono grigio, contrapposto al bagliore rosso e arcigno dei suoi occhi.
Era Sasuke. Eppure non lo era.
"Ciao, vecchio amico", disse piano Kuno. "Ti stavo aspettando". Le labbra della cosa si stirarono sulla bocca, rivelando denti macchiati.
"Guardiano", sibilò. Era la voce di Sasuke. Eppure non lo era.
Il piccolo ninja era degenerato malamente dopo la morte di Kazuhiro, proprio come suo padre. In certi giorni, poi, era ridotto a un'ombra del suo precedente se stesso, ma meritava meglio di questo. Meritava una morte pulita piuttosto che questo... abominio. La presa di Kuno si strinse sul fodero quando lo sollevò lentamente, tenendolo di traverso di fronte a lui. Ora che le sue paure si erano realizzate, era posseduto da una calma glaciale. Sapeva quello che doveva essere fatto.
"Guardiano, tu sei l'ultimo", disse la Sasuke-cosa, contorcendosi di nuovo, solchi ondulati si muovevano sotto la sua pelle. "Fuggi, e puoi vivere". L'espressione di Kuno non cambiò.
"Sei andato nelle caverne, non è vero, Sasuke? Anche dopo che te l'ho proibito. Perché? Hai sentito cosa stava arrivando?". La cosa ringhiò, spostandosi con grazia fluida e inumana, il suo odioso bagliore fisso su di lui.
"L'hai fatto?", ripeté piano. "Sono venuti per Kodachi questa volta, e tu non sei stato capace di proteggerla. Anche se non fu colpa tua, la tua assenza costò a Kazuhiro la vita. La sua morte ti pesava duramente, non è vero? E volevi proteggere Kodachi questa volta. Ecco perché li cercavi". La cosa si contorse di nuovo, e Kuno avvolse la mano destra intorno all'elsa del katana, l'altra mano afferrò il fodero proprio sotto l'attaccatura. Si chiese se qualsiasi cosa di Sasuke fosse rimasta là dentro potesse sentirlo.
Dolcemente, estrasse la spada, lasciando cadere il fodero sull'erba. La lama arse di luce, illuminando l'area circostante con un misterioso splendore blu-bianco. La Sasuke-cosa tremava, ma non ripiegò. Avvolta all'interno della forma fisica del ninja, poteva sostenere la sacra luce della lama. Lunghi, minacciosi artigli affilati esplosero dalle punte delle sue dita, icore verdastro gocciolava dalle punte. Kuno si mise in posizione, la lama impugnata alta e parallela al suolo.
"ARRENDITI!", strillò la Sasuke-cosa, adirata.
"Hai servito sempre fedelmente la nostra famiglia, Sasuke Sarugakure. Vieni a me, e ricevi la luce. Vieni a me e sii libero". Gli occhi della Sasuke-cosa si fissarono sulla lama, e per un momento vacillò.
"Libero?", bisbigliò una voce. Kuno sentì ira al calor bianco minacciare di sommergerlo in quel momento. Sasuke era ancora là, ancora consapevole.
Bastardi.
Emise un ansito profondo quando la creatura strappò via adirata lo sguardo fisso dalla luce, i suoi occhi arsero funesti. Kuno era innaturalmente calmo. Tutto sarebbe finito presto. In un modo o nell'altro, la lotta non sarebbe durata molto.
La Sasuke-cosa era una confusione di movimenti, e lui reagì senza pensare. Collisero e saltarono a una certa distanza, Kuno deviando molte shuriken, la sua lama un arco ardente di fuoco quando la muoveva. Si mossero insieme di nuovo e l'ululato di Kuno risuonò sul ringhio della Sasuke-cosa. Sentì un dolore ardente al fianco quando si lanciò all'attacco.
Gli artigli della Sasuke-cosa erano conficcati profondamente nel fianco sinistro di Kuno, sotto le costole. Il ragazzo non poteva più vedere la lama della sua spada.
Era sepolta, su fino all'elsa, nel torace del suo oppositore.
La Sasuke-cosa vibrò, poi soffocò quando un fluido verde cominciò a colare dalle orecchie, naso e bocca. I suoi artigli si tirarono via dal fianco di Kuno, e lui fu fiocamente consapevole del dolore quando coricò il minuscolo ninja sulla fresca, molle erba. Usò la mano libera per cullare la testa del guerriero colpito. Non poteva adagiarlo in piano a causa della lama ardente che sporgeva dalla sua schiena, e non era disposto a rimuovere la spada. Non ancora.
"Sasuke?", chiese leggermente quando il bagliore negli occhi del piccolo uomo scemò e morì. Il rosso era mescolato col verde che ora fluiva fuori dal corpo di Sasuke, e i suoi arti si mossero debolmente.
"Padrone", gracchiò. "Ho fallito. Mi... dispiace...".
"Taci, vecchio amico. Non importa".
"Li ho tenuti... indietro... più a lungo che... cough… ho potuto...".
"Lo so", disse Kuno gentilmente. "So che l'hai fatto. Ora puoi riposare, Sasuke. Te lo sei guadagnato. Kazuhiro e Kodachi ti aspetteranno". Le creature l'avrebbero torturato con la conoscenza della morte di Kodachi, lo sapeva. Poi vide il dolore sul volto del piccolo uomo, non per se stesso le cui sofferenze erano quasi finite, ma per il suo padrone, che ora doveva portare da solo il carico.
Tu sei l'ultimo, aveva detto. L'ultimo.
"Padrone", tossì, tentando di arrestare il sangue che colava dal fianco ferito di Kuno con la mano. "Guardiano". Poi sorrise.
Ed era andato.
La sua mano cadde, e Kuno ebbe improvvisamente difficoltà a deglutire.
"Sasuke?". Non ci sarebbe stata risposta, lo sapeva. Cautamente, estrasse la lama dal torace del ninja. Non ardeva più, baluginando solo ottusamente nella silenziosa luce argentea della luna dove non era ricoperta di bava e icore. Posò la spada sull'erba e accomodò il corpo di Sasuke a terra, disponendo ordinatamente i suoi arti, sentendo qualcosa di caldo pungergli gli occhi, una stretta nel cuore.
Si era detto che non si addiceva a un guerriero piangere. E in quel momento, lui era solo Tatewaki Kuno, diciassette anni. E ora era completamente solo. Le lacrime gli offuscarono la vista quando si inginocchiò accanto al corpo.
"Giuro che gliela farò pagare, Sasuke. Per te, e Kazuhiro, e Kodachi. Ci sarà una resa dei conti". La sua voce era scossa, e lui si rilassò, gli occhi stretti inutilmente contro le lacrime, e irruppe un respiro doloroso. "CI SARÀ UNA RESA DEI CONTI! MI SENTI? IO LO GIURO!", gridò, la voce roca che sconvolgeva la quiete della notte. L'unica replica fu un suono debole che poteva essere una risata rabbiosa, ma probabilmente era solamente il vento che frusciava tra gli alberi.
Probabilmente.




Fine seconda parte.

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