Nexus - the past will never let you go

di supernova_the_fifth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E fu solo un giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** Gocce che sanno d'inferno ***
Capitolo 3: *** I trenta minuti più lunghi ***
Capitolo 4: *** Quando viola uguale a disperazione ***
Capitolo 5: *** Darkness in the underground ***
Capitolo 6: *** Special Chapter - Christmas in N.Y. ... Cawabonga dudes! ***
Capitolo 7: *** Rimorsi di una vita passata ***
Capitolo 8: *** La fine di una stella: Supernova o Buco Nero? ***
Capitolo 9: *** Il dolore che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della speranza? ***
Capitolo 10: *** Tutto perduto? Ricordati chi sei. ***
Capitolo 11: *** Ali di drago. Si respira aria di casa? ***
Capitolo 12: *** Fondi le anime. Risposte a domande non dette ***
Capitolo 13: *** Dragon Soul ***
Capitolo 14: *** Wanna fight? A plan to survive ***
Capitolo 15: *** La quiete nel cuore ***
Capitolo 16: *** Attesa. L'amarezza nel gioco di sguardi ***
Capitolo 17: *** Spiegazioni ***
Capitolo 18: *** Donatello ***
Capitolo 19: *** The bond of brotherhood ***
Capitolo 20: *** You forgot What?!...and you left it Where??!! ***
Capitolo 21: *** Falling inside the Black ***



Capitolo 1
*** E fu solo un giorno di scuola ***


E fu solo un giorno di scuola

 

 

 

La luce del cellulare cominciò a funzionare ad intermittenza.

Nel giro di cinque secondi sarebbe suonata la sveglia…cinque…quattro…tre...due…uno…

Come previsto una melodia celtica cominciò a riprodursi nel lettore musicale del nokia; Cloud dovette reprimere l’impulso di lasciarla continuare e si costrinse a tirare fuori un braccio dal piumone per spegnere la musica.

- Sei e venti. - Aveva la sensazione di aver dormito solo per una manciata di ore ed era decisamente stanca.

Con molta calma si rigirò sotto le coperte e si alzò: un brivido di freddo percorse l’intero corpo appena uscì dal caldo accogliente del piumone invernale e si infilò subito la felpa appoggiata allo schienale della sedia per scaldarsi un pò.

I libri sulla scrivania erano ammassati alla rinfusa uno sopra all’altro. Sua madre continuava a rimproverarla per il completo disordine di quella camera ma lei non ci prestava troppa attenzione. Ne prese tre quattro a casaccio cercando di ricordare come doveva essere l’orario della giornata.

Era mercoledì.

Quindi c’erano buone probabilità che sia inglese che matematica facessero parte della lunga mattinata di sei ore che l’attendeva. Chiuse la zip dell’eastpak nera e si diresse al piano di sotto per fare colazione.

Aprì la porta della cucina e trovò suo padre già intento a bere caffèlatte.

- ‘Giorno. - sbadigliò, facendo solo intuire quello che aveva detto. Aprì l’anta della dispensa alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti mentre il caffè si scaldava sul fornello.

- Con la lena che hai va a finire che una di queste mattine perdi la corriera.- disse Gianni con voce pacata. – E io non ho intenzione di accompagnarti a scuola se questo succede. -

- Tranquillo non è nei miei propositi per la mattina, ne per la prossima, e la prossima e la… -

- Smettila di fare dell’ironia signorina. Mancano dieci minuti perché passi la corriera. -

Per poco il biscotto che stava addentando non le andò di traverso. – Manca cosa? - gridò ingozzandosi. – Cazzo cazzo cazzo! -

Trangugiò in un sorso il caffè che si era appena versata sulla tazza (una di quelle che vinci con i premi dei supermercati…di quelle che piacciono tanto ai genitori. Acquisti senza spese!) con l’unico risultato di riuscire ad ustionarsi la lingua.

Ma perché tutte le mattine! Ogni volta è sempre la stessa storia. E a me che parevano essere passati solo una manciata di minuti.

Cercando di farsi aria con una mano corse su per le scale e spalancò la porta del bagno.

- Ma che grazia che abbiamo. Ogni mattina migliori. - sua sorella era intenta a mettersi l’eyeliner e la stava fissando attraverso lo specchio.

- Taci che sono in ritardo di nuovo! - sbuffò Cloud attaccando la piastra alla presa di corrente per poi rifondarsi in camera. Aprì l’armadio e prese i jeans e una maglia a maniche corte fucsia. Poi cercò la sua felpa con i bottoni. La trovò in cima ai vestiti sulla sedia e si ridiresse in bagno.

Si truccò con un filo di matita, eyeliner e mascara e si sistemò quella zazzera arruffata e orripilante quale erano i suoi capelli.

Sara prese il profumo e lo spruzzò dritto in faccia alla sorella minore.

- Ehi ma che diavolo! - Cloud cominciò a tossicchiare. – Che sono sti schizzi! - sbottò guardando in tralice Sara.

Sua sorella ridacchiò. – Su su almeno adesso profumi d’ambra e non di caffé e biscotti alla vaniglia.-

- A me piacciono i biscotti alla vaniglia…-

Per tutta risposta Sara la guardò di traverso. – Sta sera ci troviamo per delle canzoni da provare. Puoi darmi una mano?-

- Credo di si non ho impegni. Vengono i ragazzi qui? -

- Si, li ho avvertiti ieri sera. –

- Oro. Scappo, ciao! –

Corse a riprendere la cartella e si mise scarpe e giubbotto e volò fuori. – Io vado! –

L’aria che tirava fuori era veramente gelata. Si sentiva che l’inverno era alle porte, ma al momento avrebbe volentieri optato per un posto caldo sotto le coperte o vicino ad un camino.

Chiuse il cancelletto dietro di se si incamminò verso la fermata dell’autobus.

Non che quelle corriere fossero il massimo ma almeno era pratico avere la fermata a cento metri da casa sua.

Una ragazzina mora le si avvicinò alle spalle sul marciapiede. – Ma ciao Clo! –

Cloud si girò verso la moretta. – Ciao Giulia, tutto bene? –

- Non c’è male. Solo che non sono riuscita a fare un briciolo di colazione. E lo stomaco reclama. -

- Uhuh…non dirlo a me! Sono riuscita a scottarmi con il caffé ed a ingozzarmi con un biscotto per la fretta che avevo. –

- Come sempre insomma! – rise Giulia.

Cloud alzò un sopracciglio, ma poi si mise a ridere anche lei. – Eh già! Beata normalità!... –

 

Erica non riusciva a crederlo possibile.

Ok no, ci credeva eccome perché ormai quella era la routine di ogni santa, beata, dannatissima mattina.

La corriera praticamente era all’angolo della strada e quelle due venivano avanti per la via come se avessero avuto tutto il tempo di questo mondo. Sbuffò quando le due ragazze cominciarono a correre (come al solito) perché avevano visto la corriera arrivare.

I vari studenti alla fermata cominciarono a salire per gli scalini della corriera una volta che l’autista aprì la porta del mezzo. Lei le aspettò giù.

- Poi però non ditemi che non lo fate apposta! – Squadrò entrambe le ragazze da capo a piedi, entrambe arrossate dalla corsa e con i capelli che le facevano sembrare due leoni.

Rise e salì gli scalini.

La più grande delle due la guardò sottecchi. – No, in realtà lo facciamo perché amiamo mantenerci in forma già di prima mattina perché pensiamo che i nostri allenamenti di karate non siano abbastanza intensi. Sai com’è…correre aiuta! – e si accasciò sul sedile davanti al suo.

Giulia rise e si sistemò su quello corrispettivo dall’altra parte del corridoio.

- Si però devi ammetterlo Claudia… – Cloud sospirò, talvolta quel nome le risuonava ancora estraneo. - …che non è normale arrivare tutte le mattine in ritardo. – concluse Erica.

- Ma se sono puntuale come un’ orologio svizzero! E’ la corriera che arriva in anticipo. – rise divertita sistemando la cartella ai piedi del sedile.

La corriera ripartì e si fermò alla fermata successiva trecento metri più avanti. Altri ragazzi salirono e tra di loro una rossa alta che prese il posto accanto a Cloud.

- Carina la messa in piega Clau, merito del jogging mattutino? – disse sogghignando all’amica.

- Oh ma uffi non ti ci mettere pure tu adesso! –

Una ragazza dai tratti orientali si sedette a fianco di Giulia. – Eddai Alice. Sai che Claudia si mette d’impegno per essere impeccabile in fermata! Il principe azzurro a cavallo arriva lì! –

- Elisabettaaaaa! – sbottò rossa in viso Cloud.

Ma ormai tutte le ragazze erano già in piena crisi d’ilarità.

Cloud guardò fuori dal finestrino e mormorò – Amiche…tsé! – e sorrise al suo riflesso.

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Capitolo 2
*** Gocce che sanno d'inferno ***


 

Gocce che sanno d’inferno

 

 

 

La pioggia scivolava giù lungo il vetro della corriera lasciando scie umide al suo passaggio.

Aveva cominciato ormai da una decina di minuti e pareva che non avesse intenzione di smettere, il che era parecchio irritante perché non aveva con se un ombrello. Ed era certa che tutti alla fermata dell’autobus per la scuola si sarebbero ammassati sotto la mini tettoia.

Il che significava essere bagnata fradicia!

Cloud sospirò e continuò a fissare i campi circostanti. Per arrivare in città ci sarebbero voluti ancora una quindicina di minuti e sperava fortemente che la pioggia cessasse.  

I feel I've come to realize
How fast life can be compromised
Step back to see what's going on
I can't believe this happened to you
This happened to you

Ormai erano diverse settimane che ascoltava imperterrita quella singola canzone. Aveva un che di nostalgico, un qualcosa che non sapeva bene nemmeno lei…

- Che ascolti? – Alice si era sfilata una delle cuffiette del suo telefono e la guardava curiosa.

- Hell song dei Sum 41, come mai tutto questo interesse? –

- Parevi giù di morale…pensavo fosse colpa della canzone. – si rigirò la cuffietta tra le dita. – Sai che a me puoi dirlo se hai problemi. Sono la tua migliore amica per qualcosa no? –

Cloud sorrise all’amica del cuore. Rivolse lo sguardo all’mp3 che teneva in mano. Sul display illuminato poteva ancora leggere il titolo della canzone. – Tranquilla va tutto a meraviglia. E’ solo che la pioggia mette un po’ di tristezza se scende e non la puoi godere da dentro casa. –

- Mmm…in effetti è vero. Magari con una tazza di cioccolata calda in mano è ancora meglio! – il suo viso si illuminò e batte la mano sulla spalla dell’amica alla sua sinistra.

- Eli se oggi pomeriggio piove ancora tutte da me a guardare la pioggia e a bere cioccolata calda! –

L’amica diede un cenno d’assenso e tornò a parlare con Giulia di qualcosa che doveva riguardare Harry Potter o qualcosa di simile, non era completamente certa.

Si accorse che la rossa la stava fissando. – Si? – chiese pacatamente.

- Non mi hai ancora risposto mucca! Vieni o no? -

- Fammi pensare. Passare il pomeriggio con le mie due migliori amiche a guardare la pioggia, sotto una bella coperta, parlare di cazzatelle varie e bere cioccolata calda? Sì l’idea mi piace! –

Alice sorrise e si rimise la cuffietta tornando ad ascoltare musica. Anche lei fece altrettanto e si rese conto di non aver messo in pausa perché la canzone ormai era al ritornello finale.

Passò qualche istante e la musica ricominciò da capo; la ragazza si guardò un po’ in giro e vide che pur essendo prima mattina la corriera era pervasa di vita. C’era gente che parlava, che giocava con la psp o che si divertiva a fare scherzi idioti.

Era strano come pur non sentendo nessun rumore a causa della musica quella scena le si presentasse fantastica. Eppure non c’era niente al di fuori dall’ordinario. Era solo una comunissima mattina di una comunissima giornata di scuola.

Ormai in fondo al viale vedeva la porta bianca che dava l’accesso alla città dentro le mura. A cento metri c’era la loro fermata.

E non ha ancora smesso di piovere. Fantastico, veramente splendido.

Non che la pioggia fosse fortissima, solo che il solo fatto di avere navette e pioggia in una stessa frase non la metteva di ottimo umore. Spense l’mp3 e lo infilò in tasca.

Raccolse la cartella da sotto il sedile dove era rovinata a causa della brusca frenata all’ultimo semaforo e con Alice, Erica, Elisabetta e Giulia e un po’ di altra gente si preparò a scendere.

- Erica tu hai un ombrello vero? -

La ragazza con i lunghi capelli castani si girò verso Cloud e le sorrise con una punta di malizia in quegli occhi azzurri. – Se non ci fossi io tu come faresti?? –

- Non ne ho proprio idea. – rispose sinceramente la ragazza mentre scendeva gli scalini della corriera e andava sotto l’ombrello dell’amica. Non poté che trattenere una risata quando vide quello che la bruna diciassettenne aveva raffigurato sulla tela dell’ombrello.

Erica la fissò. – Che c’è adesso? –

- Ti prego dimmi che non è bianchetto quello con cui hai disegnato i doni della morte! -

- In realtà sarebbe smalto bianco. Mi era venuta voglia di disegnarli ma non avevo niente a portata di mano e quindi… -

- Smalto. Bella scelta! – Adesso non poteva più trattenere le risate. – No davvero, se la prossima volta hai i tuoi schizzi artistici di mezza età fai un fischio che ti presto gli indelebili. – si appoggiò al palo della tettoia. – Sai...quelle cose che assomigliano ai pennarelli ma che con l’acqua non vanno via!...-

- Ah ah ah spiritosa. – rispose di rimando l’altra facendo una linguaccia.

Salutarono un po’ di gente che già riempiva la loro piccola fermata. Pensare che quello era il suo ultimo anno di scuola superiore la metteva di buon umore ma poi quando pensava alle loro mattine all together la tristezza la assaliva.

Certo che rispetto agli anni precedenti ce n’era di gente: si ricordava ancora quando due anni prima avevano cominciato a scendere li e la fermata era praticamente deserta. Adesso invece brulicava di vita. Piena di marmocchi di prima superiore.

- Lo prendo come un complimento! -

Cloud guardò Giulia di traverso. – L’ho fatto di nuovo? –

- Cosa, esprimere i tuoi pensieri ad alta voce? Si direi proprio di si. – ridacchiò la ragazza. – E comunque saremo anche primarioli ma non siamo gli unici bassi! -

- Ma sentila! – borbottò la ragazza.

Anche gli altri si erano aggiunti alla conversazione che però pareva prendere una piega del tutto sfavorevole per Cloud.

- Beh insomma non puoi mica dire di essere un mostro di statura Claudia. – aveva aggiunto Alice. – E’ una cosa brutta ma si sopporta! Ah ah ah! -

L’ombrello di Elisabetta ruotò un po’ mentre la ragazza cercava di scrollare un po’ dell’acqua. – Ali ha ragione. Sappiamo che deve essere una prova terribile da sostenere ma noi ti riteniamo perfettamente all’altezza della situazione! –

- Beh allora è una situazione davvero bassa! – concluse Alice.

Cloud le squadrò tutte con fare imbronciato. – Siete delle traditrici! E viene dal cuore. – Prese l’ombrello di mano a Erica e lo ruotò in modo che l’acqua finisse contro le due amiche. – E questa è la punizione! Mu ah ah ah ah! –

Erica e Giulia, fuori dalla lotta acquatica che stava avvenendo a un metro da loro sospirarono e alzarono gli occhi al cielo.

- Vuoi venire sotto? – chiese Giulia.

Erica le sorrise. – Grazie. Immagino che il mio ombrello tornerà tra un bel po’... – rimasero a fissare le ragazze immerse nella loro “battaglia”. - Claudia! Rompi l’ombrello e ti rompo io!!! – urlò infine.

Giulia si tappò le orecchie. Tornò a guardare la ragazza. – Ci sarà mai un giorno normale qui? –

- Mai stato! – sentenziò con fare allegro Erica.

 

 

 

Gli stivali arrancavano tra fango e pioggia, dove prima la strada era asfaltata ora il ghiaino ne aveva preso il posto e a salti il terreno si riempiva di buche. Non che fosse insolito solo che al momento non era ciò di cui aveva bisogno.

Non teneva particolarmente al suo aspetto o a come la gente poteva finire per giudicarlo. Erano passati anni dall’ultima volta che si era posto un problema del genere.

Solamente era irritato dal fatto che quegli stivali in pelle gli fossero costati qualcosa come all’incirca trecento lune. Ed era una bella spesa. Ora, a causa di quella dannata strada, quel patrimonio si stava inzatterando sotto i suoi occhi.

Lui non possedeva quello che tutti definivano autocontrollo, quindi per non cadere preda d’uno scatto d’ira cercò di focalizzare quello che doveva portare a termine. Sapeva che la strada che stava seguendo l’avrebbe portato dove voleva lui.

La strada asfaltata riprese il posto del ghiaino sotto i suoi piedi. Continuò a camminare lungo quello che ora era diventato un viale alberato. Doveva essere di sicuro la periferia perché non c’era in giro anima viva, solo qualche pedone e una rara macchina di tanto in tanto.

Stava continuando a camminare a bordo strada quando il cane di una signora che gli passò a fianco cominciò a ringhiargli contro. La signora sbigottita biascicò qualche scusa all’uomo. Quando cercò di guardare l’uomo in faccia quello che vide le fece gelare il sangue nelle vene.

Sotto il cappuccio il volto dell’uomo era una maschera di sfregi e ustioni che risaltavano bianche sulla pelle abbronzata. un suono molto simile a un ringhio uscì dalla bocca dello sfregiato: l’animale si acquattò dietro la padrona dalla paura, quel suono aveva qualcosa di inquietante.

Anche la donna era pietrificata. Non riusciva a muoversi dal terrore che quello fosse un qualche maniaco masochista che per un pugno di soldi non avrebbe esitato a ucciderla.

Ma la realtà era, brutalmente diversa.

L’uomo sollevò il capo fino a fissare negli occhi la donna. Due iridi viola fissarono l’esile figura prima di ridurla a quello che poteva essere cumulo di carne.

Non più di un secondo era passato, e dove prima si trovava la donna ora solo un corpo morto.

Il cane avvicinò il muso ai resti della padrona e le si accucciò a fianco cominciando a ugolare.

Lo sfregiato riprese a camminare con gli occhi fissi verso quello che aveva davanti a se.

Alla fine del viale le vecchie mura romane della città di provincia segnavano l’inizio della città.

Quel uomo era decisamente qualcosa di più.

- Aspettami O’Neill. -   

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Capitolo 3
*** I trenta minuti più lunghi ***


 

I trenta minuti più lunghi

 

 

Mattia aveva ormai perso tutto il sonno che aveva fino a qualche minuto prima in navetta. Era aumentato col guardare la pioggia che scendeva dal finestino del bus, fortunatamente aveva smesso da cinque minuti buoni.

Era normale dopotutto: svegliandosi alle sei di mattina chi non poteva avere un po’ di sonnolenza post-alzato-dalle-lenzuola?

- Ciao Mattia! – la brunetta gli sorrise girandosi. Gentile da parte sua. Peccato che fosse ormai la quinta volta che accadeva nel giro di cinque minuti. E per quanto ricordava gli standard di Claudia di solito raggiungevano un apice di tre.

Ok, di certo quella ragazza non soffriva di traumi post-sveglia. Non c’era mattina che arrivasse in fermata che lei non stesse già parlando o facendo qualsiasi altra cosa umanamente impossibile alle sette e mezza della mattina.

- Ciao, per la quinta volta. -

La ragazza alzò un sopracciglio sorpresa. – Come, già la quinta? – rise e cominciò a ascoltare i discorsi idioti di Davide, un ragazzo di cui in realtà lui non sapeva un emerito accidente pur essendo nella stessa fermata da più di un anno ormai. Non che parlasse più di tanto in generale, diciamo che preferiva ascoltare.

- Senti! Mettiamo in chiaro che Io non sono un tavolino da colazione! Con o senza cappello da laurea! – sbottò Claudia in quel momento rivolta al ragazzo biondo. – e non continuare ad appoggiarti alla Mia testa. Mia! capito? -

Davide la guardò sbieco e poi sogghignò. – Si si Claudia certo. – Tornò a parlare con Erica di qualcosa di incomprensibile sul genere “viva Coran” e Claudia concentrò la sua attenzione su un suo ciuffo di capelli.

- Uff! Ma perché non vuoi stare giù? Dannato ciuffo che fa il ricciolo. – La ragazza cominciò a massacrare quei poveri capelli, riuscendo a renderli solo più arricciati.

Continuando a fissare la ragazza si rese conto che quello era l’unico ciuffo più lungo…capelli corti e un ciuffo fino alla spalla, ma qualcosa di normale quella ragazza ce l’aveva?

- Sai? A volte mi chiedo come sarà il prossimo anno senza tutti voi…-

Mattia ci mise qualche istante a collegare con chi stava parlando Claudia. Aveva smesso di giochicchiare con i capelli e aveva spostato lo sguardo su di lui. Vedendo che però non rispondeva riprese a fissare Davide e Erica intenti a fare i mimi di qualcosa che vagamente ricordava un orango tango che ballava la salsa.

- Arriviamo alla fine di questo intanto… - rispose infine.

La bruna sollevò lo sguardo sorpresa, forse non si aspettava più una risposta da parte sua; gli sorrise. – Si… -

 

Cloud continuò a fissarlo ancora per qualche istante: e ti pareva che quando meno te l’aspettavi lui dovesse saltare fuori con quelle frasi?

Cribbio Cloud datti un contegno! Starai sbavando come un cane! Ma tanto…figuracce ne hai fatte a palate.

- Ehi principessa addormentata sveglia. – Anna le diede una leggera gomitata per tirarla fuori dai suoi pensieri. – Lo sciupi se continui a fissarlo così! – concluse infine in un sussurro.

Cloud la guardò malissimo. Adorava quella ragazza ma a volte pareva che lo facesse apposta a rovinare i suoi momenti di “contemplazione Mattia”. Come Giulia, anche Anna era in prima superiore e praticava karate: per Cloud era una specie di sorellina minore. E per certi versi loro due si assomigliavano pure. Entrambe avevano capelli castani corti e occhi verdi, e non erano dei mostri in altezza, e pure di carattere erano decisamente simili. Certa gente le scambiava pure per sorelle.

- Ah ah ah bella battuta! No davvero sta mattina ti vengono decisamente bene! – disse pestandole accidentalmente il piede. – Oh accipiripacchioli. Ma come sono distratta sta mattina! – Le due presero a farsi boccacce a vicenda. Allora fine Anna prese le guance di Cloud e tirò, Cloud prese quelle di Anna e il risultato fu un parimerito.

- Ma voi due che state facendo? – chiese stupita Anna Maria (da tutti detta Naya). Anche lei, come Mattia e Anna prendeva un altro autobus per arrivare li.

Cloud ghignò allegra. – Jogging! –

Tutti la fissarono come se fosse una pazza appestata da manicomio. Erica, Giulia, Elisabetta e Alice invece cominciarono a ridere a crepapelle e ad intonare un ritornello.

- E per il principe azzurro lei si preparòòòò e molto jogging per le strade con molta voglia fòòòòò…-

La ragazza era allibita. – E quel “fò” che era? –

- Abbi pietà, non siamo riuscite a perfezionarla. Dobbiamo ancora lavorarci! – Elisabetta pareva al settimo cielo per essere riuscita a cantare il loro capolavoro.

- Tranquille vi risparmio il lavoro! – Fece una linguaccia. – E poi non eravate nemmeno intonate! Ah ah ah! –

Il tempo continuò a scorrere mentre I ragazzi si scambiavano battute e scherzi in quella piccola fermata: a poco a poco cominciò a svuotarsi di tutti gli studenti che fino a una ventina di minuti prima si erano affollati per I vari bus delle scuole.

Il loro sarebbe dovuto arrivare nel giro di qualche minuto. Davide era andato con l’ultima navetta che si era fermata perchè alla prima ora avrebbe avuto versione. Loro come al solito si sarebbero ammassati nel fondo dell’ultimo bus continuando a parlottare fino alla scuola di Cloud, Alice e Elisabetta dove le tre e Mattia sarebbero scesi.

Ma per il momento della navetta non vi era ancora l’ombra.

Naya si rivolse a Cloud. – Arancione o verde? – Era così ogni mattina: quando mancava poco scommettevano sul colore della navetta che sarebbe arrivata. Cloud fece due calcoli; decise che arancio poteva essere una scelta migliore visto che negli ultimi giorni era passata verde e quelle erano meno utilizzate per le spole verso la scuola. – Arancione. –

- Bene, ho vinto io! – Sorrise l’altra.

Dal fondo della strada, dietro le macchine che sfrecciavano a tutta velocità nel put, una navetta verde uscì da una laterale.

- Di nuovo…- sospirò Cloud. – Beh allora cartelle alla mano guys! - Salutarono Naya che sarebbe andata a scuola a piedi.

Ma qualcosa non andava. Qualcosa decisamente non andava. Soprattutto non era decisamente normale che il traffico delle otto di mattina si bloccasse all’improvviso.

Tutta la cricca era ammutolita.

- Ragazzi… - Naya li aveva raggiunti di nuovo. – Me lo sto immaginando io vero? -

Nessuno emise un fiato ma sapeva già la risposta. Le macchine, le moto, la gente che camminava in cima alle mura e perfino l’anatra che stava spiccando il volo dal fossato erano come bloccati. Immobilizzati.

- Vi prego ditemi che questo è un incubo. – biascicò Anna.

Il vento tutto ad un tratto si fece più forte e molte delle foglie ai loro piedi si librarono in aria. Fu allora che lo videro. L’unica figura che come loro sembrava non aver subito quello strano fenomeno che in quel momento si trovava dalla parte opposta della strada.

Da sotto il cappuccio dell’impermeabile una voce gutturale, quasi a ricordare un ringhio rispose alla preghiera della ragazza. – Credimi mocciosa, questo è solo l’inizio. – Un’altra raffica di vento. L’uomo sparì e l’istante dopo era a meno di un metro da tutti loro. – E ora se avete intenzione di non soffrire troppo che Cloud O’Neill si faccia avanti. –

A Cloud gelò il sangue in corpo. I secondi si fermarono e il mondo cominciò a girare ancora più lentamente di quanto immobile non fosse già. Di tutto quello che si sarebbe potuta aspettare quella era la peggiore delle ipotesi.

Chi diavolo era quel tipo che conosceva il suo nome? Che cosa voleva? Come era riuscito a trovarla?

Due anni che non si sentiva chiamare così. E in quei due ultimi anni aveva avuto montagne di dubbi.

Ma adesso una certezza l’aveva.

Doveva tirare fuori i suoi amici da quella situazione in fretta. E di sicuro non sarebbe riuscita a dare una mano a Sara per le prove di coro quella sera.

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Capitolo 4
*** Quando viola uguale a disperazione ***


 

Quando viola uguale a disperazione

 

 

Anna continuava a fissare iperterrita avanti a se.

Non era la curiosità, o quel pizzico di interesse che si ha nel bel mezzo di una situazione sconosciuta. Era il terrore. Puro terrore che la scuoteva dal profondo; su ognuno di loro lo sguardo dell’uomo era velato, il cappuccio ancora calato come a celare il più grande dei loro incubi.

Strinse più forte il braccio a cui era aggrappata. Cloud dal canto suo accennò una smorfia di dolore, non aveva il coraggio di rompere quel silenzio.

Tutto il suo corpo era immobile, fermo quasi al pari di qualsiasi cosa, uomo, animale presente all’interno del loro campo visivo, ma nella sua mente un grande conflitto stava avendo luogo.

Sapeva che i suoi amici si trovavano in pericolo, che era lei a dover fare qualcosa, ma non poteva. La consapevolezza del suo brutale fardello la faceva precipitare di nuovo nello sconforto prima ancora di riuscire a muovere un muscolo.

Non poteva rischiare che tutto quello si ripetesse, non sarebbe riuscita a reggere un ulteriore dolore. Avrebbe solo peggiorato le cose: avrebbe continuato a guardare come la scena si sarebbe svolta, senza reagire.

Era meglio così. Dopotutto, anche avendo la volontà di cambiare qualcosa non ce l’avrebbe fatta lo stesso.

Strinse il pugno ma non osò alzare lo sguardo per incontrare gli occhi dell’uomo: forse un tempo si sarebbe definita codarda e vigliacca vedendosi dall’esterno. Di sicuro si sarebbe riempita di pugni e avrebbe urlato che bisognava alzare la testa e continuare.

Però non ora. Non più.

La mano si sciolse dalla sua stretta ferrea e scivolò molla lungo il fianco e Cloud non proferì parola. Lì, immobile ad aspettare la volontà del fato. Non aveva nemmeno la forza per ridere all’ironicità della scena; era tutto piatto, come in uno dei tanti telefilm americani in cui di colpo l’elettrocardiogramma diventa una lunga linea retta. Aveva battuto un colpo e si era fermato. Stabile in uno spazio che non si poteva più raggiungere.

Solo che quello non era un telefilm americano.

 

Erica, completamente ignara del conflitto che stava avvenendo nella mente dell’amica, cercò di smuovere quella situazione di stallo anche se la paura le attanagliava le viscere. Cercò di parlare, ma prima che dalla sua bocca uscisse un suono lo sconosciuto parlò.

- Cloud O’Neill. – Non un fiato parve uscire da sotto il cappuccio ma quella voce roca e tagliente come un rasoio li raggiunse e riuscì a rendere ancora più palpabile la paura del gruppo.

Questa volta Erica cercò di parlare. – No-non riesco a capire.. – Il cappuccio si volse verso di lei. - …c-cioè , qui non conosciamo nessuno che abbia quel nome. Nessuno di noi ha idea di quello che lei cerca. – Cercava di apparire abbastanza sicura di se ma la voce la tradiva. Sperava di poter avere abbastanza coraggio, ma il suo coraggio aveva preso una navetta ormai lunghi e lontani minuti prima.

L’uomo parlò di nuovo. – Bugiardi. Ognuno di voi ha il suo odore addosso. – Il volto incappucciato percorse uno ad uno le otto persone di fronte a lui. – Le vostre menti sono state toccate dalla sua. C’è la sua presenza. Voi la conoscete e la state nascondendo. Sarà peggio per voi se continuate. Datemi Cloud O’Neill. – Dopodichè tacque, forse ad aspettare una loro veloce resa.

- Perché allora non te la trovi da solo? – Cloud guardò Mattia preoccupata. Domande troppo sfacciate portavano guai se non si era in grado di gestire la situazione. Neppure tutta la fiducia che riponeva in lui lo fece passare capace di fare ciò ai suoi occhi. E come avrebbe potuto. Un ragazzo impreparato per un nemico smisurato.

Per quello che a Cloud parve un’eternità l’uomo rimase col volto fisso su Mattia. Poi come a confermare tutti i suoi cattivi propositi, ringhiò.

Di nuovo quel suono tagliente. Alla fine lo sconosciuto aveva deciso di parlare e non di attaccare. – Se potessi trovarla da me non perderei certo tempo. Siete solo dei cuccioli mortali per cui non nutro alcun interesse e se non vi fosse solo la remota possibilità che ognuno di voi possa essere O’Neill vi avrei già fatti fuori. – Il tono pacato con cui parlava rendeva ancora più spaventosa la minaccia. Nessuno aveva il coraggio di mettere in dubbio ciò che stava dicendo.

Giulia stava per dire qualcosa, forse sul fatto che visto che stava cercando una ragazza Mattia non aveva motivo di essere la, ma Alice le pestò il piede prima che riuscisse a dire A.

L’azione quasi impercettibile delle ragazze non sfuggì all’uomo che comunque continuò il suo discorso. – So per certo che le vostre menti sono state in contatto con la sua perché riconosco la potenza della traccia che vi è rimasta impressa. Questo però non mi aiuta a ricondurre a chi possa appartenere quella mente. –

- Come un dito che lascia il solco senza però l’impronta digitale. – Elisabetta aveva parlato più a se stessa ma capì di aver centrato il punto quando sulla bocca dello sconosciuto si aprì un enorme ghigno.

I ragazzi cominciarono a guardarsi come per cercare di capire se almeno uno di loro avesse qualche idea sul da farsi.

Cloud fissava i piedi cercando di escludersi da quegli scambi di sguardi anche se la sua rassegnazione agli altri passava per paura e tensione. Alice e Elisabetta si scambiarono sguardi vuoti, come se qualcosa in tutto quello stonasse, ma un velo in un mare di nebbia passa inosservato e loro non vi diedero peso. Mattia taceva ma dall’espressione sul suo viso si intuiva che era teso. Anna, Giulia, Naya e Erica cercavano di darsi muto conforto a vicenda, perché cominciavano a capire che niente avrebbe fatto cambiare i sospetti dell’energumeno verso di loro.

L’aria era tesa e carica di tensione. Nessuno avrebbe saputo dare all’uomo quello che chiedeva. Ciascuno l’aveva letto a caratteri cubitali sulle facce altrui, non uno di loro sapeva che fare.

Tutto ciò portò ognuno di loro a una comune realizzazione.

Un unico punto cieco e una sola possibile conseguenza. Erano spacciati.

 

Il vento mosse lievemente le foglie, uno spiraglio d’aria passò tra i capelli di Cloud: alcuni ciuffi più corti le ricaddero sugli occhi per qualche istante prima che un’altra leggera folata li spostasse di nuovo. Quegli istanti però erano bastati. Appena la ragazza ebbe di nuovo la vista libera tutto ciò che incontrò fu il viola.

Il viola più intenso che avesse mai visto. Trasmetteva freddo ma anche calore, paura come rispetto. Quegli occhi agganciati ai suoi quasi le stessero squadrando l’anima.

Le cicatrici che ricoprivano quel volto coperto dal cappuccio e le innumerevoli bruciature passavano in secondo piano a confronto di quello sguardo. Nessuno altro riusciva a vedere oltre al cappuccio per quanto basso era calato. Quello sguardo era solo per lei.

Perché lui sapeva. Aveva intuito tutto, o forse sin dall’inizio, sin da quando li aveva raggiunti in quel angolo fuori delle mura sapeva.

E allora perché le menzogne e i giochi sporchi? Ma di che mi stupisco, loro non cambiano. Sono io che non collego più niente.

I pensieri continuavano ad affollare la testa della ragazza che cercava di non farsi distrarre da quegli occhi ametista ancora fissi su di lei.

Si sentiva sempre più in colpa per quello che stava accadendo ma lei aveva le mani legate. E consegnarsi non avrebbe risolto niente. Sperava solo che continuando ad avere gli altri sott’occhio potesse essere la cosa migliore.

Improvvisamente l’uomo sollevò il cappuccio e per il resto del gruppo lo sgomento fu sovrano. Le file di cicatrici che si snodavano lungo il viso e fino giù nel collo erano bianche e profonde così come le bruciature che avevano reso il viso deturpato e mostruoso. Quasi nessuno focalizzò subito lo sguardo sugli occhi.

Ma quando ciascuno di loro lo fece Cloud se ne accorse. Lo stesso effetto che aveva avuto su di lei lo vide riflesso sul volto dei suoi amici.

Ma lo sconcerto durò poco. L’ormai-non-più-incappucciato non si curò degli sguardi che aveva su di se e cominciò un corto rituale costituito da alcuni gesti delle mani. Le mani si chiusero a pugno e le fece scontrare. Erica fu scossa da un brivido sentendo il rumore delle ossa in collisione.

Cloud sgranò gli occhi. Sapeva ciò che sarebbe venuto in seguito e non le piaceva per niente.

Ti prego non aprire i palmi, non aprire i palmi, non aprire i…CAZZO!

Esattamente come Cloud disperatamente pregava che non avvenisse i palmi dell’uomo si aprirono. Ruotando le mani le allontanò l’una dall’altra lentamente.

Quello che successe dopo fu qualcosa di incredibile agli occhi dei poveri spettatori. Una voragine si stava creando alle spalle dell’alta mole del loro aggressore. Continuò a crescere fino a raggiungere i tre metri circa e poi si fermò.

Ciò che riuscirono a vedere i ragazzi fu solo una circonferenza che oltre a se lasciava intravedere solo sfumature di rosa, fucsia e alcuni accenni di bianco. Niente di quale potesse essere la meta dalla parte opposta.

Erano di fronte a un portale.

Adesso davvero cominciarono a temere per loro stessi.

Se quel portale era stato aperto voleva solo significare che qualcuno di loro ci sarebbe finito dentro. Alice cercò con lo sguardo Cloud, ma la sua migliore amica non pareva vedere niente al di fuori di quel enorme globo rosa. Era in panico quanto lei.

Stringendo di più la mano a Elisabetta cominciò a chiedersi il perché di tutto quello. Quasi non si accorse di ciò che accadde dopo.

- Questa Cloud è una ragazza. Perché io sono ancora qui? – Forse per il silenzio che si era creato, forse per la tensione ancora più palpabile nell’aria, quella domanda parve urlata. Questa volta però Mattia rischiava di grosso. Non aveva idea quanto. Una volta si scampava ma due no: Cloud senza pensarci prese il ragazzo per il braccio. – Mattia non… -

Giulia si morse la lingua pur di non protestare. La domanda che fece Mattia le aveva causato un livido sul piede qualche minuto prima.

Ci fu un istante di silenzio, poi l’uomo cominciò a ridere,una risata che fece accapponare la pelle a ciascuno di loro.

Le iridi viola brillarono di un misto di aggressività e pazzia mentre tornavano a fissare Mattia.

- La tua mente è stata toccata troppe volte per passare inosservata. –

Con un gesto della mano sollevò e immobilizzò ognuno di loro a mezz’aria.

Poi senza remore lì scaraventò tutti oltre il portale.

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Capitolo 5
*** Darkness in the underground ***


 

Darkness in the underground

 

 

La catena stringeva il polso più del dovuto e aveva cominciato già da un pezzo a ledere la pelle.

Il sangue non colava più ma si era seccato attorno alla ferita rendendo fastidioso qualunque movimento.

Questo però non gli impedì di provare per l’ennesima volta a spezzare quella morsa ferrea, un lieve sforzo di braccia e i perni della catena sarebbero schizzati fuori dal muro. Fece leva sulle ginocchia e tirò cercando di portare il peso in avanti.

Non si mosse niente.

- Mikey lascia stare. Ci avrai provato una ventina di volte solo negli ultimi dieci minuti. – La voce proveniva dalla sua sinistra e dal tono dava l’impressione di essere alquanto scocciata. Michelangelo però sapeva che era la rabbia a far parlare così suo fratello. E come dargli torto.

Non riusciva a vedere l’espressione sul suo volto, un po’ per la poca luce e un po’ a causa delle sbarre della cella ma sapeva per certo che era la stessa sua. – Io non mi voglio arrendere. Hai sentito quello che ha detto la palla di lardo l’ultima volta no? L’hanno trovata. – La sua voce era ferma come poche, rare volte. Era il tipo scherzoso lui.

La sagoma nella cella di sinistra alzò la testa e fissò il muro in pietra avanti a se. – Se dovessimo credere a tutto quello che ci dicono allora avremmo dovuto demordere parecchio tempo fa. –

- Per loro è morta. – ringhiò Michelangelo.

Due iridi nocciola lo fissarono per qualche istante. Adesso poteva vedere come la fascia rossa era rovinata e strappata in alcuni punti, rendendo il suo interlocutore ancora più inquietante.

La figura strisciò un piede sul pavimento di pietra nera fino a portare il ginocchio al petto.

- Per loro, anche noi la crediamo morta. - Con un rumore sordo si accasciò sulla parete per poi tornare nel suo muto mondo di rabbia e frustrazione.

Michelangelo rimase ad osservare la silhouette del fratello ancora per qualche istante. Era strano, pensò il giovane, come lui avesse reagito a tutto quello che era successo negli ultimi tre mesi. Di solito essere impulsivo, attaccabrighe e scazzotta-tutto gli veniva naturale; ma pian piano erano riusciti a domalo. Lui che era la hot head, la testa calda per antonomasia, era stato domato come un agnellino.

Fece qualche altro tentativo con le catene ma la stanchezza ormai stava avendo la meglio. Gli occhi cominciarono a chiudersi e la testa finì per pendere verso il basso.

Si addormentò con un unico pensiero in testa.

Hang in there sis.

 

Era ormai notte quando riaprì gli occhi. Il cibo era stato portato mentre dormiva e la brodaglia all’interno del piatto non fumava quasi più. La catena era stata allungata per permettergli di mangiare con più facilità e adesso le braccia erano molle lungo i fianchi; Michelangelo alzò un sopracciglio sorpreso per come avessero dato per scontato il fatto che non avrebbe cercato di trarre vantaggio da quella situazione.

Con un grande sforzo allungò il braccio verso il cucchiaio e si avvicinò con molta lentezza la ciotola. Studiò qualche istante ciò che vi era dentro. Sembrava brodo di qualche sorta ma non ne era completamente certo e non era per niente invitante.

Almeno non è la solita pastella collosa.

Cominciò a ingoiare le capienti cucchiaiate di brodo per vedere se almeno quel po’ del suo calore poteva alleviare le sofferenze di quella prigionia.

Cercò di non sputare quello che aveva appena ingoiato: il sapore era terrificante, un misto tra carni morte e muffa. Si mise d’impegno e continuò a mangiare.

Tra una cucchiaiata e l’altra si accorse che da dietro la colonna all’entrata della sua cella il bordo di un’ombra era leggermente visibile.

Allentate le catene ma aumentate le guardie. Non ci voglio proprio mollare questi qui.

Morse il labbro per l’irritazione e il sapore del sangue subito si mischiò con quello di carne morta del brodo. Tutto ciò gli faceva montare una rabbia.

Trangugiò l’ultimo cucchiaio e sbatté a terra la ciotola; un occhio lo fissò al di là di due file di sbarre seguendo i suoi movimenti. – Svegli tutti se non fai più piano Michelangelo. –

Per tutta risposta quest’ultimo grugnì e guardò davanti a se: vedeva un unico occhio che lo fissava intensamente, le ferite non dovevano ancora essersi rimarginate e non gli era possibile aprire l’occhio destro.

- E sai a me quanto me ne frega? Sembrate delle vecchiette pronte per il pensionamento voi due. Sempre rannicchiati e lì a subire tutto quello che ci fanno. -

- Nemmeno tu sembri una modella in questo momento Mikey, non venire a fare la paternale a noi. – l’occhio vagò per gli angoli della sua cella per poi riposarsi su di lui. – Lo sai che la pensiamo tutti allo stesso modo. –

- Ma non fate niente! Ve ne state li a subire e… -

- Fossi in te abbasserei la voce. Raph ha ripreso a dormire da poco. E sai che diventa una pessima compagnia se lo si sveglia prima del previsto. –

- Non è che quando è sveglio l’umore cambi di tanto ultimamente you know? – sbuffò Michelangelo volgendo lo sguardo verso il fratello. Doveva aver mangiato e poi aver continuato a dormire perché era nella stessa posizione in cui si era accartocciato dopo la loro breve conversazione; ciotola e cucchiaio erano poco distanti dal piede destro quasi avesse voluto spingerli via.

Dall’altra parte della cella arrivò un suono molto simile a una risata. – Alla fine quello che non cambia mai qualunque cosa succeda sei tu. Guardati, sei pieno di ferite,… -

- Urlo di dolore ogni volta lo sai… -

- …ossa rotte e lividi dappertutto eppure riesci ancora a fare dello spirito. –

- Se l’alternativa è piangere. -

- Eddai Mikey hai capito. Comunque… - La voce si abbassò di tono. - …lo sai anche tu perché non ci ribelliamo. –

- Si ma a me… - cominciò il ragazzo ma subito si morse la lingua. La guardia era ancora li e poteva sentirli benissimo.

Lui sapeva perché nessuno si ribellava, lo avevano deciso insieme e avevano trovato il modo di fuggire da tutto quello; ma ormai lui non ci credeva quasi più, era passato parecchio tempo e sebbene sapesse che per riuscire a fuggire nello stato in cui loro tre erano ridotti avrebbero avuto bisogno di tempo non riusciva a sopportare che ce ne volesse così tanto.

In più le torture erano strazianti. Quando cominciavano, il dolore prendeva il sopravvento e gridava e si dimenava come un bambino. I suoi fratelli invece soffrivano in silenzio.

Qualcuno una volta gli aveva insegnato che per essere un buon ninja bisogna essere concentrati e  pazienti. Ma lui ora non ci riusciva.

Si riaccoccolò verso il muro cercando di attingere forza dalla sicurezza che i suoi fratelli riponevano nelle loro capacità e speranze. In quel momento si sentiva così debole. Rivoleva tornare a casa e riprendere la loro vita normale: scherzare in famiglia, portare a termine le missioni extra planetarie ed essere di nuovo il ninja teenager divertente che tutti conoscevano.

Questa è una promessa. Appena usciamo di qui veniamo a riprenderti sis. Ok, magari prima facciamo il culo a questi idioti!

Ritrovato un po’ del suo spirito combattivo cercò di distendere la mente e rilassarsi come i suoi fratelli. Il loro aguzzino sarebbe arrivato presto per il giro inquisitorio notturno, ormai di routine.

E questa volta non avrebbe ceduto.

 

۰۰۰

 

La guardia era in preda a una lieve crisi di sonno. Le lunghe corna da ariete che uscivano dall’elmo grattavano la pietra della parete su cui aveva appoggiato la testa.

Non si rese conto che qualcuno si stava avvicinando fino a quando non entrò nel suo campo visivo; strabuzzò gli occhi piccoli e iniettati di sangue fino a mettere a fuoco una mole davanti a se.

Grugnì e quest’ultima si allontanò per tornare al suo posto al piano superiore della prigione. L’avevano spedito lì per controllare uno dei rettili e il suo rancio. Non che ci avesse capito poi un granché, ma appurato che il suo compito era puramente continuare a controllare l’ingresso al livello ghita delle prigioni aveva ripreso a dormire.

Ora però se ne stava andando. Capì il perchè poco dopo.

Alla fine della scala si stagliava la grande mole di un uomo con il volto coperto. Lui era l’aguzzino dei loro prigionieri d’onore. Ma questa volta non era solo: una figura più piccola, esile in confronto alla grande mole del predator, era apparsa alla fine della scala.

L’ariete grugnì sorpreso: se quell’uomo era lì allora per quei rettili troppo cresciuti era la fine.

- Abbiamo una chiacchieratina lunga da portare a termine sta sera. Nessuna interruzione. – Il predator spostò il volto mascherato verso la guardia che li lasciò passare con un cenno d’asseso.

Poco male.

Per quel che a lui interessava, un mondo senza le Supernove era un mondo migliore.

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Capitolo 6
*** Special Chapter - Christmas in N.Y. ... Cawabonga dudes! ***


- Special chapter -

 

¯ Christmas in N. Y. … Cawabonga dudes! ¯

 

Le luci di Natale illuminavano a festa le strade di New York gremite di gente intenta negli acquisti dell’ultimo minuto.

Attraverso le vetrine si potevano vedere ragazze in cerca di una sorpresa per i loro fidanzati, bambini incantati davanti ai giocattoli più costosi e di ultimo modello che speravano tanto di ricevere da Babbo Natale, genitori alla disperata ricerca dei doni richiesti dai figli. Anche per le strade potevi vedere regali: le persone era piene di borse, pacchetti, nastri, fiocchi. Santa Claus ovunque che distribuivano regali e sorrisi ai bambini per mano delle mamme e dei papà per le avenue di New York.

Era la fine degli anni novanta, Natale del 1999 per la precisione, e quello che la tecnologia innovativa poteva offrire era fuori dalla sua portata.

Non aveva avanzato tanti soldi ma un semplice regalo poteva permetterselo; la piccola figura continuò ad avanzare in quella calca di gente con i suoi cinque pacchettini tra le braccia. Li aveva quasi tutti, mancava solo qualcosa per il suo tecno-brother. E credeva di aver avuto un’idea.

Arrivò al semaforo e aspettò che diventasse verde. Quando raggiunse l’altra parte della strada entrò nel secondo negozio alla sua destra.

L’insegna diceva “G-Tec! Games&Technology”.

L’ omone dietro il banco dovette sporgersi per riuscire a vedere la nuova cliente: rimase sorpreso di trovarsi davanti una bambina tutta imbaccuccata nel suo cappotto verde, avvolta in una sciarpa pesante e con un cappello di lana inculcato in testa.

– Buona sera signore. – La piccolina lo guardò da oltre l’alta pila di pacchetti.

Il proprietario sorrise. – Buona sera a te bella signorina. Come posso aiutarti? –

La piccola si alzò sulle punte e appoggiò i regali sul bancone per essere più libera. – Avrei bisogno di un regalo per il mio fratellone. Adora tutte le cose tecnologiche e i ghingherini simili. – disse con una vocina dolce al commesso. – Avete un giocattolo adatto per caso? –

– Quanti anni hai piccola? – chiese curioso l’uomo.

– Sei e mezzo signore. –

– Ma che carina. E vieni a prendere il regalo per il tuo fratellone! –

  In realtà ne ho quattro di fratelli! –

– Beh brava il doppio allora! Vieni con me che cerchiamo un bel regalo. –

 

La campanella suonò appena la porta le si richiuse alle spalle.

Era soddisfatta di se stessa, aveva trovato un bel regalo anche se non era un vero e proprio gioco e ora che li aveva tutti poteva tornare a casa tranquilla a finire di preparare gli addobbi. Dopotutto era la sera di Natale.

Sorrise felice. Quel periodo dell’anno le piaceva particolarmente, soprattutto negli ultimi anni. Finalmente le era permesso di uscire di casa da sola, per poco tempo e sempre in zone vicine a casa, ma almeno così poteva comprare dei regalini più carini ai suoi fratelli che semplicissime cosette fatte a mano.

Il sorriso le si spense pensando che i suoi fratelli e suo papà non potevano uscire di casa. Dovevano stare lì tutto l’anno. Certo, nel loro ambiente erano più che liberi e lei preferiva di gran lunga stare a casa con loro che da sola per le strade della città, ma un giretto ogni tanto sarebbe di sicuro piaciuto anche a loro. Avrebbero dovuto vedere dal vivo le strade illuminate e tutte le pizzerie che si vedevano per la Grande Mela.

– Ma il maestro dice che qui nessuno capirebbe e sarebbero trattati male. E’ proprio un peccato. –

Ormai aveva quasi raggiunto la fine dei quartieri commerciali e la calca attorno a lei cominciò un po’ a diminuire.

Continuava a mettere un piede avanti l’altro sul marciapiede anche se quello che vedeva erano solamente i pacchetti regalo e le grandi persone che le passavano a fianco.

Infatti non si accorse di un ragazzo corpulento che le passò accanto. Lui quasi non se ne accorse ma l’urto fece perdere l’equilibrio alla bambina che per l’impatto mollò la presa sulla pila di pacchettini.

I regali volarono in aria.

Nessuno di loro però toccò il suolo.

Il ragazzo si volse per capire cosa aveva urtato e si trovò di fronte a una scena bizzarra.

Una bambina grande quanto uno scricciolo aveva salvato tutti e sei i pacchetti che qualche attimo prima aveva in mano con una mossa che sembrava uscita da un film di guerrieri di arti marziali: due pacchetti erano nella sua mano destra e la sinistra ne aveva afferrati altri due, un quinto era in bilico sul braccio e l’ultimo era sorretto dal piede allungato in avanti.

Per poco il giovane non mollò la sua di presa sui regali.

Con nonchalance la bambina rigettò tutti i pacchettini tra le sue braccia e svoltò nel vicolo come se niente fosse successo.

Il tutto doveva essere successo nel giro di cinque secondi perché nessuno parve essersene accorto.

Così il giovane rimase a fissare il vuoto come un idiota per una manciata di minuti buoni prima di convincere se stesso che si era immaginato tutto.

 

 

– Era ora Cloud! Che passeggiata hai fatto? Shell it took you an eternity sis! – esclamò una piccola tartaruga intenta a leccare la ciotola con i resti dell’impasto per i biscotti.

La bambina che era appena entrata dal portone in ferro mise i pacchetti che aveva in mano sul ripiano di fianco al suo letto e si levò cappotto, sciarpa e berretto facendo si che la criniera di corti capelli castani e il suo ciuffo più lungo si liberassero. Il piccolo porcospino la chiamavano. – Oh come on Raph! Sono stata via solo due orette. Sono in ritardo di qualche minuto! – ribatté Cloud gonfiando le guance. Il risalto tra i suoi occhi verdissimi e il porpora delle guance era così vivido che gli occhi parevano ardere.

– Ahahah te la prendi sempre per così poco! – esclamò il ninja dalla maschera rossa. Cloud sorrise, era sempre così con i suoi fratelli.

Dall’altra stanza che componeva la loro piccola casa li nel sottosuolo erano usciti anche gli altri fratelli, attirati dai brusii.

La sorellina più piccola non aveva capito all’inizio quale fosse il problema con i suoi fratelli. Dopotutto lei era umana e ci viveva benissimo assieme, ma poi aveva capito che i suoi fratelli erano speciali, ma quel speciale non era gradito da tutti.

Peggio per loro e meglio per lei si diceva sempre.

Nel frattempo i suoi fratelli avevano adocchiato i regali e si erano già fiondati all’attaco come ninja famelici.

– Ehi Cloud sono per noi? Dai dai dicci quale è il nostro dai! – esclamò Michelangelo.

La brunetta corse dai fratelli e tutta allegra cominciò a distribuire ai proprietari i regali. Subito si ritrovò sommersa di baci e abbracci. A Leonardo aveva regalato un libro illustrato su di un cavaliere buono che a lei era parso tanto simpatico dalla copertina e che le aveva subito ricordato il fratello in quanto entrambi usavano le spade. Donatello era entusiasta del kit meccanico, utile per i suoi progetti e esperimenti vari. Un lampo arancione si era già fiondato sul divano nella disperata azione di inserire il nuovo videogioco di “Warriors&Aliens” e Raphael era in totale adorazione dei roller-blade con le luci a intermittenza.

Cloud era felice di aver messo di buon umore la sua famiglia. Anche se mancava ancora qualcuno.

 Alla sue spalle altre due figure si unirono alla famigliola.

– Sei tornata figlia mia, adesso siamo proprio tutti. – Il maestro Splinter le sorrise e anche il basilisco alla sua destra fece altrettanto.

– Scusa il ritardo sensei. – disse la piccola eseguendo il saluto ninja. Prese gli ultimi pacchetti rimasti e li consegnò loro. – Master Splinter, Draciel those are for you. Merry Christmas! –

Con la lunga coda il basilisco afferrò il regalo e strappando la carta con le zanne rivelò un cuscino imbottito con su disegnati dei cerchietti verdi.

– Così adesso quando dormi puoi appoggiare la testa la e stai più comodo Dras! – escalmò Cloud tutta contenta.

Al serpentone vennero le lacrime agli occhi. – La mia piccola ninjaaaa!!! Grazie tesoro di papà! Sei una marmocchia adorabile lo sai? – ghignò strofinando il muso squamoso contro quello della bambina.

– Detto da te è un complimento biscione! –

Entrambi scoppiarono a ridere; Splinter nel frattempo aveva aperto anche il suo regalo e ora teneva in mano una bella sciarpa di lana.

Il maestro abbracciò l’allieva e figlia e la ringraziò del graditissimo regalo.

Leonardo alzò gli occhi dal libro e si rivolse al maestro. – Adesso è il momento del nostro di regalo! –

Come chiamato in causa, Michelangelo mollò il controller e corse verso i loro letti. Da sotto il suo levò un lungo pacchetto che con i fratelli consegnò a Cloud.

La bambina prese il regalo e prima ancora di aprirlo ringraziò tutta la famiglia.

– Figurati sgorbio. Per te questo ed altro! – sentenziò Draciel allegro.

La carta dorata rivelò un paio di spade corte dentro le loro fodere di cuoio. Cloud non credette ai suoi occhi quando estraendole realizzò che erano vere. Delle vere Wakizashi, ed erano sue.

Adesso anche lei possedeva delle armi sue come i suoi fratelli: come Leo aveva le Katana, Raph i Sai, Mikey i Nunchaku e Donnie il Bo, lei aveva le Wakizashi.

– Abbiamo lavorato tutti e sei assieme per farle. È stato il maestro Splinter a consigliarci che le wakizashi fossero l’arma ideale per te. – Donatello parlava tutto euforico. – Ci abbiamo riflettuto un po’ e siamo arrivati alla conclusione che le fasce sulle due else dovessero essere verdi. –

– Sai,… – interruppe Raphael. – …per ricordarti di noi sempre. –

Cloud era davvero felice ora. Ognuno dei suoi fratelli sull’ impugnatura delle armi aveva fasce colorate che riconducevano alle loro bandane ma il verde, quello sulle sue armi, serviva a ricordarle di ciascuno di loro. Ed era il più bel regalo che potesse desiderare.

– Non so voi, ma direi che il cenone non può attendere. – Michelangelo cominciò a dirigersi correndo in cucina dove una tavola imbandita li aspettava. – I’m hungry guys! –

Ridendo tutti quanti raggiunsero la tartaruga e si sedettero a tavola. Draciel si accoccolò accanto a loro.

– Prima di mangiare qualcuno vuole dire qualcosa? – chiese il maestro Splinter rivolto ai suoi figlioli.

La bambina agitò la mano e cominciò. – Ci sono tante cose che vorrei dire per dirvi grazie, ma credo che mi ripeterei come ogni anno quindi mi è venuta un’idea migliore. – Si alzò in piedi sulla sedia e disse. – Merry Christmas! –

Perché passare il Natale con la sua famiglia contava più di mille parole.

 

 

 

 

{nota autrice: piccolo special per augurare a tutti buone feste! ♥

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Capitolo 7
*** Rimorsi di una vita passata ***


Rimorsi di una vita passata

 

Se l’attraversare il portale non aveva causato danni non si poteva certo dire altrettanto per il loro atterraggio.

Appena toccarono il suolo Cloud non poté fare altro che maledire quella strafottutissima giornata. Perché sempre lei sul fondo?

Cercò di fare leva con le braccia ma era impossibile perché, da quel che riusciva a vedere da la sotto, erano bloccate sotto il fondoschiena di Giulia. La quale per migliorare la situazione era schiacciata tra lei e due pesi quali Erica e Alice.

- Ehi girls forse alzarsi non è una pessima idea. – sentenziò Cloud con voce spezzata.

- Nemmeno noi siamo poi così comode, abbi pazienza un secondo. – Una voce la raggiunse dalla cima della montagnola umana. – Che poi siamo tutte incastrate. -

Cloud si abbandonò con la testa a terra, sarebbe stata lunga; pochi metri avanti a lei Eli stava aiutando Anna a rimettersi in piedi dopo aver fatto altrettanto. Naya era qualche metro più a sinistra intenta a sbattere via la polvere dai jeans.

Fu solo in quel momento che si ricordò di come erano finiti li, e che qualcuno mancava all’appello.

- Mattia! – esclamò scattando in piedi. Peccato che nel mentre Erica e Alice stessero cercando di scendere da quella piramide umana e l’una perdendo l’equilibrio finì sull’altra con un tonfo sordo. E Giulia finì su di loro come la panna sul gelato.

La ragazza quasi non se ne rese conto. Era concentrata a cercare il moro nel raggio del suo campo visivo.

- Che c’è? – Mattia era alle sue spalle e stava fissando un punto alla loro destra. Era seduto ma anche lui aveva fatto un bel volo strappando i pantaloni in più punti. I capelli erano tutti arruffati con dei ciuffi tutti sparati in aria; la ragazza eclissò il pensiero di come potesse essere presa lei in quel momento e seguì lo sguardo del ragazzo.

Ciò che vide non le piacque per niente. Sapeva che quel viaggio trans-dimensionale li avrebbe portati in un pessimo posto; aveva solo sperato che quello non rientrasse nella scala dei pessimi-pessimi. In realtà però aveva ben pochi dubbi a riguardo.

Le altre ragazze nel frattempo, erano diventate altrettanto coscienti che il luogo in cui si trovavano era tutt’altro che accogliente e si guardavano intorno con fare spaventato.

Le lunghe pareti della stanza erano ricoperte di armi di innumerevoli generi e dimensioni: c’erano spade, alabarde, uncini spinati a varie punti, mazze di ferro e molte altre cose che Cloud non cercò nemmeno di identificare. Ciò che più incuteva paura era il sangue che ancora imbrattava le lame di quelle armi.

Ed è pure fresco.

Sperò solo che il resto del gruppo non l’avesse notato anche se era praticamente impossibile: l’unico rumore oltre a quello dei loro passi era il gocciolio del sangue dalle punte delle lame. Non tutto il sangue però era finito a terra in quel modo: molte gocce avevano percorso la parete creando così scie rossastre, scie che si presentavano come orribili presagi per il loro futuro.

- Dannazione ma dove siamo finiti? – Naya stava aiutando Anna a sorreggersi; la ragazza doveva essersi storta una caviglia nella caduta e ora usava l’amica come sostegno per stare in piedi.

- Non lo so e non mi piace. –

- Eli a te non piace mai niente… -

- Questo non è vero. –

- Certo che sì! –

Il battibecco tra le sue due migliori amiche stava mandando in crisi Cloud. – Insomma ragazze la volete piantare! – urlò con forza contro la rossa e la mora a pochi passi da lei. Entrambe le ragazze si zittirono sorprese dal violento scatto della loro amica.

Alice la guardò con espressione preoccupata. – Claudia che ha… -

- Cos’ho? Niente! Siamo solo in una fottutissima stanza di tortura con il pazzo che ci ha portati qui da qualche parte e voi vi preoccupate dei gusti di Eli! Ecco cos’ho! -

- Se ti fa piacere sentirtelo dire siamo terrorizzate quanto te, credimi. – Elisabetta guardò Cloud con un’espressione a mò di scusa.

Cloud voltò la testa e sussurrò appena, quasi rivolgendosi solo a lei stessa. – Peccato che io non lo sia. –

 

La brunetta cominciò a percorrere la stanza a grandi passi per ispezionare meglio il luogo. Le altre ragazze erano ancora un po’ scioccate dal suo piccolo attacco d’ira ed erano accasciate a terra cercando di non pensare a ciò che avevano intorno a loro. A mente fredda la ragazza si rese conto che non poteva certo biasimarle.

Vide Mattia poco più avanti di lei e lo raggiunse; correndo il ginocchio cominciò a bruciare ma non ci diede peso, doveva essersi presa solo una lieve botta a causa dell’impatto con il cemento di poco prima.

Rallentò il passo quando lo affiancò: non era certa di voler parlare e in realtà non aveva la più pallida idea del perché gli era corsa dietro.

- Siamo poco impressionabili. – Mattia continuava a fissare le armi alle pareti; sospirò. Allora l’aveva sentita.

- Diciamo solo che preferisco non farmi prendere dal panico, tutto qui. –

Il ragazzo non disse altro ma Cloud immaginava di non essere stata troppo convincente. Non ci aveva nemmeno provato a risultare tale. Si sentiva falsa in ogni cellula del suo corpo.

Strinse i pugni e cercò di non pensarci. Odiava quella situazione. Odiava non poter fare niente per loro e vederli soffrire così.

Il corso dei suoi pensieri non le fece notare che Mattia si era fermato qualche metro prima. Tornò indietro per cercare di capire cosa avesse attirato l’attenzione del moro. Il suo sguardo era fisso su di una pergamena appesa al muro.

La carta era rovinata e in alcuni punti era macchiata di gocce scure: su di essa vi era scritta una lunga lista di nomi.

Gli occhi della ragazza si sgranarono per la sorpresa. Quelli che agli occhi di Mattia risultavano nomi senza valore per lei avevano un grande significato. Gli ultimi cinque soprattutto le fecero morire il fiato in gola.

Erano cerchiati come per essere messi in evidenza e di quei cinque solo uno non era sbarrato. I lunghi segni rossi avevano cancellato la maggior parte dei nomi all’interno del cerchio e Cloud aveva capito bene il significato di ciò. Ricacciò indietro le lacrime e cercò di non lasciarsi cadere a terra.

Tutte quelle dovevano essere sentenze di esecuzione e le barrate dovevano già essere avvenute.

Mattia non si rese conto della condizione di Cloud quando parlò, sempre con lo sguardo rivolto alla pergamena. – Credo di aver trovato quella Cloud O’Neill di cui parlava il tizio prima. Anche se vederla scritta qui non mi sembra prometta bene. Le altre nel suo stesso gruppo hanno già una barra.

- Secondo te perché il gruppo è denominato Supernov…Claudia? –

Ma la ragazza si era già allontanata.

 

A Cloud quella stanza parve improvvisamente troppo piccola per riuscire a contenere ciò che provava. Troppi sentimenti cercavano di esplodere in una volta sola: rabbia, paura, desolazione, tristezza.

Voleva solo nascondersi, gettarsi a terra e gridare ma li non ci riusciva. Stava accadendo tutto troppo in fretta e non era in grado di sostenere qualcosa di così grande.

Mentre si allontanava da Mattia e da quella pergamena le gambe non la ressero e crollò a terra.

Le parve che tutto il mondo smettesse improvvisamente di funzionare. Tutto cominciò ad andare a rallentatore.

Anche quando dal fondo della stanza apparve l’uomo sfregiato lei non ci fece caso. Nemmeno quando Mattia fu sbalzato dove si trovavano le ragazze non mosse un muscolo. Era come pietrificata dai suoi stessi sentimenti.

Si accorse appena che delle catene erano apparse e l’avevano bloccata al suolo tenendola ferma per braccia e gambe. Solo quando l’imponente figura le si frappose davanti alzò lo sguardo.

 

Le ragazze soffocarono un grido appena l’uomo si materializzò nella stanza. Alice e Elisabetta avevano cercato di mettersi tra lui e le ragazze più piccole per cercare quantomeno di fare da scudo. La giovane orientale si era resa conto che Claudia e Mattia erano alla portata di quell’energumeno ma non aveva idea di che fare. A dirla tutta Claudia non pareva nemmeno essersi accorta di quell’uomo. L’aveva vista cadere sulle ginocchia qualche secondo prima per poi veder apparire lo sfregiato ma la ragazza non si era mossa.

Il poi accade parecchio in fretta.

Mattia fu sbalzato all’indietro fino a finire a terra vicino a loro. Naya lo aiutò ad alzarsi e subito un reticolato di sbarre li imprigionò in qualche metro di spazio. E tutte loro entrarono in panico, ancora di più poi, quando si resero conto che Claudia era rimasta al centro della stanza ed ora era incatenata inerme ai piedi del gigantesco uomo.

Nessuno di loro parve voler emettere un fiato per paura che l’uomo potesse accanirsi contro la loro amica ma non ci fu bisogno di nessuna parola. Iniziò lui il discorso.

- Spero che l’accoglienza sia stata di vostro gradimento. Sapete… - disse cominciando a girare attorno alla figura a terra di Cloud. – C’è una cosa che mi ha parecchio incuriosito, e volevo avere un chiarimento. – Al momento era senza il lungo impermeabile e il volto era perfettamente visibile ad ognuno di loro. La tenue luce che proveniva dalle lanterne alle pareti rendeva quell’uomo ancora più terrificante.

La voce di quell’uomo era tagliente come una lama ma nessuno di loro riusciva a smettere di ascoltarlo.

- Dov'è finita tutta la tua ben conosciuta bontà d’animo? Condannare a morte certa questi poveri mortali per cercare di avere salva la vita. Nascondersi dietro a questi stupidi inetti. A cosa ti sei ridotta Cloud? - ringhiò schernendo la bruna.

La ragazza parve acquistare un po’ di lucidità quando lo sfregiato pronunciò il suo nome.

D’altro canto sette paia di occhi si fissarono immediatamente sulla figura accasciata a terra. Cominciavano a non capirci niente. Quell’uomo aveva appena additato la loro Claudia come la ragazza che lui cercava con il nome di Cloud O’Neill? Cosa diavolo stava succedendo.

Cloud non alzò lo sguardo da terra e non cercò di discolparsi. In cuor suo sapeva che ciò che lo sfregiato aveva appena detto era vero. In fin dei conti non aveva tentato nulla per fermalo e impedirgli di fare qualcosa.

Aveva perso davvero tutto quello che era un tempo.

E fin da subito sapeva di aver condannato tutti loro a morte certa. Nella sua mente aveva cercato più volte di pensare che si sarebbe concluso tutto per il meglio per tutti loro, ma sapeva di aver mentito solo a se stessa.

Lei aveva comunque continuato a sperare; ora però tutta la consapevolezza di ciò che attendeva Anna, Erica, Mattia, Giulia, Naya, Elisabetta e Alice la colpì come un macigno.

Le parole che la raggiunsero qualche istante dopo furono il colpo di grazia.

- Anche se immagino che uccidere di nuovo non possa pesarti troppo sulla coscienza. Vero Supernova?-

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Capitolo 8
*** La fine di una stella: Supernova o Buco Nero? ***


La fine di una stella: Supernova o Buco Nero?

 

 

I minuti passarono interminabili e tutto ciò che Cloud riuscì a focalizzare nella sua mente fu quell’ultima frase. - Anche se immagino che uccidere di nuovo non possa pesarti troppo sulla coscienza. Vero Supernova?- Continuava a ronzarle in testa senza darle un singolo attimo di tregua, pressante realtà che le era stata sbattuta in faccia senza nessuna remora. Non che negli ultimi due anni avesse cercato di scappare da ciò che aveva fatto; no, non era ancora diventata così codarda, aveva solamente accettato le conseguenze delle sue azioni.

Sin da piccola le avevano insegnato che ogni azione comporta una conseguenza al seguito. A volte buona, a volte meno buona e alcune volte pessima. In qualunque caso se tu fai qualcosa, qualcos’altro dopo accade.

Un altra cosa che le avevano insegnato era rispettare i sette pilastri del Bushidō, il codice di condotta del guerriero. Valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore che contraddistinguevano guerrieri da secoli. Lei aveva imparato a seguirli, rispettarli e ci credeva con tutta se stessa.

Ironico. Per la situazione in cui mi trovo adesso chiunque avrebbe qualcosa da ridire.

Forse però, non aveva mai volutamente smesso di crederci; semplicemente il suo subconscio non riteneva più possibile seguire principi del genere dopo ciò che aveva commesso.

Quella quindi era una resa dei conti, una punizione ulteriore. Credeva che ciò che le era già stato tolto fosse abbastanza. Ma forse si sbagliava. Aveva perso la sua famiglia, ma aveva acquistato degli amici, amici a cui aveva mentito certo, ma li considerava comunque le persone più care a lei al momento.

Che sia questo il motivo? Che io non abbia più il diritto di essere felice?...forse è giusto.

Lo si diceva tutti i giorni dopotutto: occhio per occhio dente per dente, una vita per una vita; le frasi cambiavano ma il concetto era sempre lo stesso. Anche se comunque non capiva.

Lo sentiva che qualcosa in tutto quello stonava: non il fatto che un completo sconosciuto l’avesse rapita, portata chissà dove, minacciata di morte, segregato i suoi amici. Ad essere sincera tutto quello le faceva credere che il mondo avesse ricominciato a girare per il suo verso, il verso in cui lei desiderava con tutto il cuore riprendesse a girare. Era il motivo che aveva causato tutto ciò a preoccuparla.

Lei.

 

Lo sfregiato continuava a fissare Cloud come a cercare di individuare un benché minimo crollo per poterla attaccare con più ferocia e facilità.

Aveva visto il suo volto cambiare espressione, diventare da piatto che era, spaventato quasi terrorizzato. Per un istante gli era parso di scorgere un pizzico di lucidità negli occhi ma se c’era stato realmente, il dolore e lo sconforto lo avevano soffocato.

Non aveva dovuto nemmeno impegnarsi tanto per sottomettere la ragazza.

Aveva perso davvero tutto in quei due anni.

Si era pure chiesto se avesse preso la persona giusta. Pensava di aver commesso un errore. Lo avevano allenato mettendolo sempre in guardia dai guerrieri più forti del multi-universo, i pluri campioni del torneo Battle Neuxs, dei ninja della dimensione Terza Terra, ma supponeva che per come avevano preso piega gli eventi ci si fosse preoccupati troppo.

Quando avevano spiegato i procedimenti presi sulla quinta Supernova nei due anni precedenti non avrebbe mai creduto possibile trovarsi davanti una tale arrendevolezza. Non morale almeno.

Anche se tutto questo rendeva tutto meno eccitante, torturare una creatura ormai completamente inerme era comunque una magra consolazione.

Doveva estinguere Cloud O’Neill e lo avrebbe fatto.

Che lei si fosse difesa o meno; e forse calcare un po’ la mano avrebbe reso tutto un po’ più divertente.

 

- Devo dire che le facce stupite degli umani non mi lasciano sorpreso O’Neill. Devo dedurre che nella tua codardaggine te li sei fatti amici senza renderli partecipi dei tuoi bei ricordi del passato. -

La figura che le capeggiava ancora di fronte aveva ripreso la sua lenta e logorante tortura, conscio che lei avrebbe solo subito.

Cloud dal canto suo non aspettava altro che venisse fuori tutto. Troppo codarda per spiegare lei stessa e troppo spaventata per controbattere. Qualsiasi cosa fosse uscita dalla bocca di quell’uomo sarebbe stata ciò che loro avrebbero preso come verità. Non avrebbero creduto a nessuna parola dello sfregiato ma lei avrebbe confermato. Lo sapeva che forse avrebbe calcato la mano ma sarebbe stato tutto vero. Tanto valeva che morissero odiandola per dove li aveva condotti che invece la piangessero e credessero di essere in parte colpa di tutto ciò.

Dietro le sbarre intanto il silenzio era sovrano e si cercava di capire che piega avrebbero preso gli eventi. C’era troppa confusione e niente riusciva a sembrare chiaro. Informazioni recepite troppo in fretta. Nuove identità, omicidi, strani tipi sfregiati.

Che quella giornata non fosse cominciata per il verso giusto lo avevano notato. Ma nessuno di loro era preparato al seguito.

- Credo che partire con le presentazioni sia d’obbligo immagino. Sembrate proprio dei bambini spaesati voi la in fondo. – ringhiò rivolto alle figure nella gabbia di sbarre nere. Parve rendersi conto solo in quel momento della distanza che separava Cloud dai suoi compagni e del fatto che sarebbe stato scomodo parlare in quel modo.

Senza remore afferrò la ragazza per i capelli e tirò verso l’alto.

Alcune delle ragazze in gabbia chiusero gli occhi aspettando di sentire schiocchi o urli ma non successe niente di tutto ciò.

Le catene semplicemente svanirono lasciando inerme la giovane, ora sorretta dalla mano dell’uomo che le attanagliava il capo. Se la trascinò dietro fino ad arrivare a qualche passo dalla cella. Lasciò la presa sui capelli di Cloud e appena cadde riversa sul pavimento nuove catene la rilegarono al suolo.

Lo sguardo che videro sul volto della loro amica era completamente vuoto. Non cercava di incrociare nessuno dei loro. Fissava il nulla e attendeva.

Tremò l’intera cella appena l’energumeno vi si appoggiò con slancio. Ora che era più comodo parve propenso a continuare la sua narrazione.

- Visto che la vostra amica li in basso non ha mai avuto l’opportunità di raccontarvi questa bella storiella sembra proprio che tocchi a me farlo. Da cosa cominciamo O’Neill? – chiese schernendo la giovane a terra. – Partiamo con il raccontare di come degli animaletti domestici riescano a civilizzare una bambina? – Rise di gusto per la sua battuta. – Sì, credo proprio che cominciare da li sia una bella cosa. Immagino che tutti voi pensiate di conoscere bene questa ragazza. Bene sbagliate. Dovete sapere mocciosi che la vostra cara amica è stata allevata da delle bestie. Animali mutati che l’hanno cresciuta in una dei posti più ripugnanti possibili. Le fogne. Il posto che chiama casa le è appartenuto solo negli ultimi due anni e si è appropriata della vita di degli umani adulti per espiare i suoi peccati e vivere una vita normale. Ha mentito a tutta la gente che ha conosciuto in questo periodo.

-  Menti. – La voce di Alice era sottile come una lama di un coltello. – Claudia la conosco sin da quando sono piccola e ha sempre vissuto a Breda, in una casa, con due genitori. –

- Tutte balle. Credi che fosse un trucco quello con cui ho aperto il portale poco fa’? Era un incantesimo. Relativamente semplice ma lo era. Con incantesimi un po’ più complessi si falsificano ricordi. Con incantesimi molto complessi si ricreano completamente. Te ne accorgerai tu stessa. Ve ne accorgerete tutti. Man mano che racconterò la verità tutto quello che le vostre menti collegano a O’Neill lo vedrete svanire con la consapevolezza che era tutto falso, che niente di tutto quello che credevate reale lo era veramente. Visto che sembrate proprio non riuscire a concepire le nozioni basilari anche spiegate con calma, forse un approccio più diretto e sbrigativo della situazione servirà a schiarirvi le idee. -

Abbassò lo sguardo verso Cloud per vedere se vi era qualche cambiamento nella ragazza. – Quella che voi conoscete come Claudia in realtà è Cloud O’Neill, umana adottata in piccola età da un topo mutante. Allevata con quattro tartarughe come un ninja. Oh e quasi dimenticavo. C’era pure la biscia gigante. Comunque, nel corso degli anni le loro capacità sono aumentare fino a farli scontrare con molteplici avversari: terrestri, ma anche creature di altre galassie. Sono diventati campioni rinomati nel famoso torneo tra galassie che avviene nella dimensione dell’interduello, il Battle Nexus. Circa tre anni fa hanno effettuato un allenamento sotto la guida del Ninja Tribunal, la massima autorità ninja esistente, che ha permesso a ciascuno di loro di sviluppare le loro capacità fino a limiti umanamente inimmaginabili. Hanno deciso di sfruttare queste nuove abilità per aiutare i pianeti in difficoltà tramite l’utilizzo della rete dei portali del Nexus. –

Fece una pausa per riprendere fiato soddisfatto dello stupore che passava sui volti delle giovani umane e dell’umano in gabbia davanti a lui. – Fin qui sembra la storiella dei buoni samaritani vero? Ah ah. Beh  dovete sapere che in tutto il multi-universo questi cinque si sono creati una bella fama, sono arrivati a chiamarli Supernove. Tutt’ora sono gli eroi dei buoni e il flagello dei cattivi. Solo che le cose due anni fa sono cambiate.

- Dopo un anno dalla nascita di questi grandi eroi una massa di guerrieri ha attaccato il Nexus per colpire il cuore della base delle Supernove. C’è stata una battaglia veramente feroce. Eserciti di demoni contro soldati e guerrieri del Battle Nexus. Ovviamente combattevano anche le Supernove. Loro erano in prima linea. Poi che accadde Cloud? Vuoi dirlo tu? -

Otto paia di occhi si spostarono sulla figura che l’uomo aveva chiamato in causa. Cloud però continuava a restare in silenzio mentre era costretta a rivivere i momenti più importanti della sua vita.

Lo sfregiato picchiettò con il tacco dello stivale vicino alla testa della giovane ragazza. Non riuscì però ad attirare la sua attenzione. Decise quindi di dare il colpo di grazia alla situazione e di chiuderla li.

- Se proprio non vuoi avere l’onore Supernova. Il terzo giorno di combattimenti i cinque si erano divisi ai capi di diversi battaglioni per avere maggiore raggio d’azione. Il combattimento era in corso quando all’improvviso si è udita una forte esplosione provenire dal lato orientale delle mura della città del Nexus. Cos’era successo? La cara Supernova aveva appena ucciso una centinaio dei soldati del suo battaglione. Aveva attaccato i suoi, invece che i nemici. La scena era raccapricciante. Corpi dispersi ovunque. Dilaniati e smembrati dalla potenza dell’attacco.

- Svenne subito dopo l’attacco e la battaglia si concluse senza di lei. La guerra fu vinta dall’interduello e alla fine dello scontro il Ninja Tribunal prese provvedimenti su O’Neill. Venne messa sotto stato di coscienza sospesa e relegata all’esilio. Le è stato applicato un sigillo in modo da rendere le sue membra così fragili da non sopportare uno sforzo eccessivo e quindi è impossibilitata a combattere di nuovo. È stata separata dalla sua famiglia e relegata in una nuova vita lontana dalla sua vecchia città natale in cui ha dovuto cercare di ricominciare a vivere. Anche se avrebbe dovuto convivere con la realtà di ciò che aveva fatto. E devo dire che c’era riuscita decisamente bene. Beh fino ad ora. –

Squadrò ciascuna delle figure presenti in quella stanza. – Immagino che ora tutti i ricordi siano svaniti. Realtà brutale dico bene? D’altronde scoprire che una propria amica è una pluri-omicida bugiarda e traditrice deve essere strano. -

Alice però non lo stava fissando. Cercava disperatamente di scorgere qualcosa nello sguardo della sua amica, qualcosa che le desse qualche appiglio per non credere che tutto quello che le era appena stato detto era vero. L’energumeno aveva avuto ragione sulla storia dei ricordi. Ora se pensava alla sua infanzia non vi era una migliore amica. Era lei. Sola.

Voleva solo che Claudia la guardasse, le sorridesse con quella faccia idiota che le riusciva bene e che le dicesse di non preoccuparsi. Che tutto era un trucco. Magari un altro incantesimo.

- È tutto vero. -

Quelle parole la raggiunsero come uno schiaffo.

La cruda realtà le si presentò davanti come un oscuro buco nero. Un Buco Nero che ormai aveva divorato la Supernova.

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Capitolo 9
*** Il dolore che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della speranza? ***


Il dolore che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della speranza?

 

 

Quelli che seguirono furono giorni bui. In quel momento non aveva ricordo d’aver proferito parola con nessuno dopo gli avvenimenti del mercoledì passato. Erano trascorsi già quattro giorni se per la stanchezza non aveva perso il conto; la gola era secca e le forze avevano cominciato a venirle meno il giorno prima. Non si era accasciata a terra solo grazie alle catene che la tenevano ancorata salda al muro. Nel caso non ci fossero state le catene a sorreggerla comunque, non sarebbe stato il suolo ciò che avrebbe trovato. La parete della grande sala circolare era alta almeno una quarantina di metri e Cloud era sospesa approssimativamente a metà. Avrebbe fatto un bel volo quindi.

Da quando l’energumeno che si era presentato con il nome di Rajal l’aveva appesa come un canarino alla parete, aveva avuto parecchio tempo per pensare. In realtà si era ritrovata a rivivere ogni avvenimento di quella giornata di due anni prima come non aveva mai fatto in tutto quel periodo di esilio.

Aveva sempre avuto due tipi di reazioni distinte per quel che riguardava il post-battaglia.

Disperazione.

Quello era stato il periodo subito successivo al suo risveglio. Appena lo stato di coscienza sospesa era stato interrotto, nella sua mente erano filtrate tutte le notizie di ciò che era successo durante il suo periodo d’incoscienza. La vittoria della battaglia, la decisione del Tribunal su di lei, l’applicazione del sigillo e delle varie operazioni fatte perché lei facesse una vita lontana da New York, dal ninjutsu e da chiunque conoscesse. Era stato scioccante ricevere tutto quel bagaglio di informazioni in un colpo solo.

Si era pure sorpresa del suo riflesso nello specchio appena si era vista. Piccoli cambiamenti, ma l’avevano resa diversa. Ulteriore protezione aveva immaginato.

Quella fu anche l’unica volta che vide il sigillo. Stava svanendo ma era ancora visibile lungo tutto il braccio destro fino a ricoprire metà del viso.

Aveva continuato a fissare la sua immagine riflessa nello specchio fino a quando la porta di quella che da li in poi sarebbe stata camera sua si era aperta e una donna di mezza età si era affacciata. – Claudia sono quasi le otto puoi venire a preparare la tavola? -

Appena la donna aveva richiuso la porta lei era scoppiata a piangere contro la parete di specchio.

Un pianto furioso, che veniva dall’anima. Gridava e piangeva senza riuscire a fermarsi ma lei non voleva smettere.

Aveva perso tutto. Lingua, amici, città, casa, famiglia e il suo nome.

Non le importava che riuscisse a capire alla perfezione quello che doveva essere italiano senza averlo mai imparato, non le importava niente. Non voleva avere a che fare con quelle persone che dovevano essere i suoi genitori da li in poi. Rivoleva solo riabbracciare la Sua famiglia. Quella famiglia che sapeva non avrebbe rivisto mai più.

I primi giorni erano stato i più duri. Si era abituata in fretta ai ritmi della nuova vita, alla sua famiglia, al fatto che appena entrava in contatto con gente che non aveva mai visto ricordi falsi le affiorassero in testa per cercare di creare un bel puzzle di vita italiana.

Era estate e quindi passava tanto tempo in casa cercando di collegare tutte le informazioni che riceveva e diventare la brava Claudia Schiavinato che doveva essere. Aveva abbandonato di sua iniziativa il carattere estroverso e tanto arrogante che la contraddistingueva. Se doveva cominciare a vivere cambiata, lo doveva fare del tutto.

Cercava di controllare i suoi scatti d’ira per le cose che non le andavano, di non rispondere a tono se i suoi genitori la rimproveravano, stare tranquilla. Con il passare del tempo quel carattere si era completamente polverizzato.

Rassegnazione.

Quello in realtà non era un periodo. Era la consapevolezza di non poter fare niente per tornare indietro, di poter solo andare avanti e non sprecare la comune vita da teenager che aveva. Aveva realizzato tutto ciò il pomeriggio che aveva incontrato per la prima volta la sua migliore amica. Aveva capito che non poteva continuare a disperarsi e vivere solamente nel passato dimenticando il presente. Grazie al trovarsi con lei aveva cominciato a trovare degli aspetti positivi nel dover restare li; all’inizio le faceva male sentir parlare Alice o Elisabetta, o qualcuno degli altri amici che aveva imparato a (ri)conoscere di episodi in cui lei era partecipe ma che sapeva fossero solo mera finzione, ma poi aveva cominciato a lasciar scorrere e farsi prendere dagli eventi. Con il trascorrere dei mesi si era circondata di amici e amiche come non le era mai stato possibile fare con ragazzi della sua età, non umani almeno. Aveva ripreso a vivere e tutte le volte che si ritrovava a pensare al passato non scendeva più nessuna lacrima. Non perché non volesse. Solamente perché aveva ormai assimilato il nuovo vivere in lei.

Ora invece vedeva sfaccettature diverse ogni volta che cercava di guardare a tutta la scena. Anche se non serviva a cambiare i fatti.

Uno stridio improvviso la scosse dai suoi pensieri. Alla sua sinistra, all’incirca a un metro di distanza, una piattaforma in pietra usciva dalla parete e su di essa era stata collocata la cella dei ragazzi.

In quel momento Mattia stava cercando di scuotere per l’ennesima volta le sbarre, per vedere se almeno a quel tentativo sarebbero cedute. Il ragazzo provò un’altra volta e poi si lasciò cadere a terra. Cloud quasi si era scordata di non essere sola.

Ne Mattia ne una delle ragazze le aveva rivolto la parola dopo le rivelazioni da parte di Rajal. Anna all’inizio aveva cercato di dirle qualcosa ma era stata fermata senza esitazione da Alice. La ragazza non le aveva rivolto nemmeno uno sguardo dopo che lei aveva confermato il racconto dello sfregiato e seppur non avesse detto niente aveva reso chiaro e tondo che nessuno le doveva rivolgere la parola.

Per Cloud quello era stato il colpo peggiore da incassare ma sapeva che era meglio così. Aveva perso tutto una seconda volta. Sperava solo che Rajal tornasse e finisse ciò per cui l’aveva cercata. Voleva uccidere le Supernove. Ne aveva già uccise quattro, la pergamena che aveva visto con Mattia era più che chiara. Aveva ucciso i suoi fratelli e ora toccava a lei.

Si era stupita di come tutta la prigionia l’avesse resa così docile da non avere nemmeno forze per piangere, lottare e vendicare i suoi fratelli. Se l’era chiesto. Non capiva davvero. Sapeva di non poter fare niente ma si era ridotta a rinunciare anche per la cosa che le era più cara al mondo? Aveva passato un giorno interno a pensarci e aveva visto solo vuoto. Quindi aveva deciso di reagire come aveva fatto fino a quel momento. Far niente e aspettare.

 

L’aria era carica di tensione per quel che riguardava le persone all’interno della cella. Nessuno voleva parlare e nessuno aveva intenzione di ascoltare qualcosa nel giro di molto tempo. Anna e Giulia stavano in silenzio ma si tenevano abbracciate. Erano le uniche però. Le alter ragazze si lanciavano qualche occhiata ogni tanto cercando di confortarsi a vicenda ma la maggior parte del tempo stavano in silenzio, ognuna con i propri pensieri.

Solo una volta si era rotto quel silenzio che imperversava da giorni. Elisabetta aveva chiesto a Mattia se c’erano probabilità che le sbarre cedessero. Il ragazzo aveva risposto incerto ma da quel momento ogni tanto provava a forzare la cella.

Se in un primo periodo molte occhiate erano rivolte alla bruna incatenata alla parete di fianco a loro ora gli occhi si fissavano solamente al suolo.

Quindi appena la porta sul fondo della grande sala sotto di loro si aprì fu la prima volta in molti giorni in cui i loro sguardi vagarono su qualcosa al di la delle nere sbarre della loro prigione.

Anche se le torce erano poche e solo molti metri sotto di loro, non fu difficile riconoscere la sagoma dello sfregiato appena varcò la soglia. Non lo avevano visto da quando li aveva risollevati tutti in aria per condurli tra insidiosi vicoli di quello che pareva un labirinto sotterraneo fino a farli arrivare li.

Ognuno di loro era stato rinchiuso in quella cella, Cloud inchiodata alla parete e Rajal se n’era andata senza proferire un fiato.

Ora invece era di nuovo li.

Qualche istante e avrebbero scoperto il perché.

Anche la bruna aveva rivolto lo sguardo al nuovo arrivato e aspettava la successiva mossa del suo aguzzino.

Quest’ultimo aveva preso ad avvicinarsi sempre di più fino ad essere esattamente sotto alla ragazza.

La squadrò per qualche istante e poi la sua voce tagliente riempì l’aria.

- Credo che nel nostro lungo discorso io mi sia dimenticato di menzionare qualcosa di estremamente importante. Ci ho riflettuto e ho notato come ti sei comportata sin dall’inizio. Ho capito che non sarei riuscito a cavare niente dalla tua bocca perché tu non avresti detto niente. Stai solo aspettando di morire vero? Beh credimi quello dovrà attendere, prima ho bisogno di risposte. -

Cloud lo fissò senza interesse. – Co-cosa – Dovette sforzarsi per il dolore alla gola. – Cosa credi che sia cambiato perché io ti risponda? –

Rajal sogghignò. – Non ho mai detto che sei tu quella ad essere cambiata. Ho solo deciso che forse schierare questa pedina sulla scacchiera servirà. -

La ragazza lo fissò senza capire e lo stesso fecero Mattia e le ragazze. Che diavolo poteva aver da spingerla a non volerla finire lì? Era di sicuro un qualche sporco trucco con cui l’avrebbe strizzata di ciò che voleva sentirsi dire per poi ucciderla senza remore.

Sapere cosa poi.

Non riusciva a capire che informazioni potesse fornire lei, estraniata da tutto ciò che per tipi come Rajal era considerato normale.

- Che cerchi? -

- Risposte. Risposte che hanno richiesto due interi anni di ricerche che non hanno portato a niente se non ad una conclusione. Servi tu. –

Era riuscito ad attirare un po’ la sua attenzione. Tanto da porre quella domanda che appena catturati non aveva auto coraggio di chiedere.

- Come hai fatto a trovarmi. -

Lo sfregiato la guardò con fare interrogativo ma poi afferrò il concetto dell’affermazione. – E' stato difficile, ma alla fine ci siamo riusciti. –

- Ci siamo riusciti? C’è qualcun altro? – esclamò Anna d’impeto. La paura che arrivassero altri mostri come Rajal l’aveva destata dal restare chiusa a riccio e ascoltare il proseguire della conversazione.

- Eh eh si c’è qualcun altro. Chi mi ha incaricato di catturare O’Neill c’è dietro tutto. Io sono un sicario. Non ho reale interesse in quello che lui ricerca. il mio scopo è uccidere e per questo sono stato ingaggiato. –

- Un modo carino per dirmi che informazioni o no, alla fine io tiro le cuoia. – Cloud cominciava a capire dove l’omone cercava di tendere i fili del discorso. Voleva solo mettere in chiaro che sarebbe morta in qualsiasi caso. – Che vuoi sapere. –

Non le importava più di vivere. Non le importava più di niente ma voleva sapere lo stesso. Se lei era la chiave per un qualcosa che poteva mettere a rischio il Nexus o altre persone innocenti, per una volta non voleva farne parte.

Rajal emise un suono che ricordava vagamente un fischio. Dovettero attendere qualche istante per vedere entrare dal portone due esseri grandi quasi quanto lo sfregiato intenti a trasportare qualcosa che sembrava un carretto. E dava l’impressione che qualcosa vi fosse adagiato sopra.

- Sai Cloud. Pensavo di averti fatto soffrire abbastanza. Io di solito non provo pena, ma vedere una guerriera valorosa come ti avevano sempre descritta ridotta nel tuo stato mi aveva convinto che quello dell’altro giorno potesse essere l’inizio e la conclusione della mia tortura. Qualche piccola pressione e avresti ceduto a parlare. Ma tu hai rovinato tutto. Voler morire subito; mi servono quelle informazioni. Quindi non ho altra scelta. -

Finalmente il carretto venne sollevato. Quando entrò nel cono di luce furono subito chiare due cose. Quello non era un carretto. Incatenato vi era qualcuno, non qualcosa.

E quel qualcuno aveva appena mandato in shock la brunetta.

- Donnie. -

Quasi sperò di non aver pronunciato quel nome. Sperava che i suoi occhi la stessero ingannando. Pregava con tutta se stessa che la figura sulla tavola da tortura non fosse suo fratello.

- Do-Donatello. -

Soddisfatto del risultato che il nuovo ospite aveva avuto sulla prigioniera, Rajal prese un piccolo arnese in pugno e si avvicinò a passi lenti verso la figura inerme sul tavolo messo in verticale, solo a qualche passo di distanza.

- Creature interessanti i tuoi fratelli. Hanno avuto una mutazione che li ha portati ad avere molti tratti in comune con gli umani. – Avvicinò la lama allo sterno della tartaruga. – Devo dire che torturare la tartaruga dalla bandana viola qui presente è stato piacevole. Peccato però che non abbia sortito gli effetti desiderati. Fortuna che non avevo ancora preso provvedimenti drastici con lui. Mi è…-

- Levagli le mani di dosso. -

- Uh…-

Qualcosa era scattato. Rajal aveva avuto ragione su un punto di certo. Se voleva dei cambiamenti, presentarle davanti suo fratello, ridotto in fin di vita dopo essere stato ripetutamente torturato li avrebbe portati.

Ma non positivi. Ora non sentiva niente. Vedeva solo la figura di suo fratello dilaniata su quel tavolo e la rabbia prese il possesso. Rabbia che non credeva più di avere. Rabbia fuori controllo.

- LEVAGLI LE MANI DI DOSSO BRUTTO PEZZO DI MERDA! -

 

A meno di un metro di distanza Elisabetta indietreggiò dalle sbarre. L’aria era carica di tensione e non le piaceva per niente l’effetto che Donatello, come lo aveva chiamato Cloud, aveva sortito sulla ragazza. Il rumore che senti l’istante successivo le piacque ancora meno.

Fu come un tonfo sordo e poi il silenzio. Questo fino a quando il soffitto della stanza non si squarciò facendo precipitare pietra e terra ovunque.

Le ragazze e Mattia scamparono il pericolo grazie al soffitto della cella, ma non si poteva dire lo stesso di Cloud. Molte pietre la urtarono ma lei pareva non farci caso. Lo sguardo sempre fisso su suo fratello e una rabbia ceca che sembrava pronta a divorare qualunque cosa.

Qualcosa di enorme irruppe nella stanza. Tra la polvere un veloce guizzo scaraventò Rajal lontano da Donatello e stese le due guardie che erano ai lati del tavolo.

- Fucking shit Cloud, every time with you is a big mess! Even after two years you don’t change at all! But don’t worry. Draciel is here now babe. -

La voce che aveva appena parlato pareva essere della stanza stessa per quanto fosse possente. Dietro l’autorità di quel timbro però, notavi anche preoccupazione.

E’ preoccupato per Cloud. E’ dei nostri, è venuto per salvarci.

Il  pensiero rimase sospeso nel nulla appena la polvere si diradò abbastanza per permettere al Elisabetta di vedere il loro salvatore. Naya emise un grido strozzato e lasciò la presa sulla barra a cui si era aggrappata: come lei indietreggiarono pure tutti gli altri.

Due grandi ali si dispiegarono all’interno della sala facendo sembrare ancora più colossale quell’enorme lucertola verde.

Erano davanti ad un drago.

Subito sentirono il suo sguardo posarsi su ognuno di loro, un occhio ambra che li stava scavando da parte a parte.

Quell’occhio inquisitore vagò alle sue spalle  per cercare la ragazza di cui aveva ruggito il nome qualche istante prima e quello che vide non gli piacque per niente. Occhi vacui e scariche elettriche non promettevano mai bene. E nello stato in cui si trovava Cloud promettevano solo guai.

- Clo… -

Con le fauci leggermente spalancate, ancora intento a pronunciare quel nome, si accorse che le cose erano cambiate. Non era da Rajal che lui doveva proteggere tutti. Era da Cloud.

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Capitolo 10
*** Tutto perduto? Ricordati chi sei. ***


Tutto perduto? Ricordati chi sei.

 

 

Aveva passato le scorse ore a cercare di convincersi che quello era tutto un brutto incubo. Uno di quelli che fai quando ti succede qualcosa di spiacevole, o quando mangi troppo e il tuo subconscio te la fa pagare facendoti passare dei minuti d’inferno.

Continuava a ripetersi che era sempre colpa del sogno che i pizzicotti non funzionassero, che il dolore fosse parte della finzione, ma non era così.

Era ben consapevole che la pietra su cui poggiava i piedi era vera, come erano veri tutti quegli ultimi giorni passati a fissare le spoglie pareti in pietra e terra; anche il suo corpo glielo rammentava. Era stanca, indolenzita, parecchi graffi ricoprivano mani e viso e di sicuro doveva avere molteplici botte su tutto il corpo.

No. Niente di tutto quello era finzione.

Perché le bugie allora? Gli inganni? A tutto quello non voleva credere.

Non ci riusciva.

Parole che la raggiungevano e cancellavano ricordi, quasi avessero avuto un cancellino e i suoi ricordi fossero scritti in gesso su una lavagna. Li cancelli, spariscono.

Non era vero l’essere presa in braccio e correre a cavalluccio quando Adelaide non guardava, non era vero il pescare con i rami dell’albero dai fiori gialli, il suo palloncino non era mai volato via perché non era riuscito a prenderlo in tempo quando lei glielo aveva passato.

Il vento troppo forte l’aveva solo portato via di mano.

Tante lacrime avevano cominciato a scendere, mentre la voce continuava, mentre i ricordi svanivano. Lacrime silenziose che portavano con se la bella sensazione di famiglia che credeva di avere sempre avuto.

Piangeva ma ancora aveva continuato a sperare, sperare in un no, in un qualsiasi accenno che tutto quello, a discapito dell’impossibile fosse una sporca menzogna. Che tutti loro fossero li per caso e non per un motivo così orribile.

Poi però l’aveva sentito.

- E’ tutto vero. -

Non ci aveva messo molto a realizzare quello che stavano a significare quelle tre parole. Erano un bollo, come i sigilli con la ceralacca. Era finita.

Lo sfregiato aveva preso loro e Mattia e li aveva trascinati via, fino a portarli in quella stanza e rinchiuderli in quella gabbia sopraelevata.

Da li in poi le ore erano trascorse interminabili: nella mente solo quelle tre parole, solo quelle, che la martoriavano dentro.

Aveva comunque provato a fare un tentativo, cercare di capire perché.

Alice l’aveva subito bloccata. Non aveva proferito parola ma era comunque risultata chiara. Il volto una maschera d’odio che non accettava compromessi. Un po’ lei la capiva, era la sua migliore amica dopotutto; forse lo stesso conflitto che vi era all’interno di lei era anche all’interno di Alice ma dopo quello sguardo non ne era più stata certa.

Si era stretta a Giulia, lasciando perdere quello che si era prefissata di fare e aveva cercato di estraniarsi il più possibile. Forse lei era troppo piccola per capire, le mancava quel pizzico di maturità in più per vedere come effettivamente andavano affrontate le cose; allora forse la reazione di Alice acquistava un senso. Quindi aveva mollato.

Erano trascorse ore di silenzio, ognuno troppo scosso per riflettere lucidamente sul da farsi.

Ad un certo punto la curiosità l’aveva presa e aveva rivolto lo sguardo verso la bruna: inerme come quando li avevano portati li, incatenata alla parete, immobile.

Si era morsa un labbro e aveva volto lo sguardo di nuovo al pavimento sotto i suoi piedi.

Forse si era pure addormentata di li a poco, ma di certo in quel momento poteva confermare di essere sveglia.

Aveva visto Rajal entrare, si era preoccupata quando aveva menzionato degli altri oltre a lui, aveva visto il fratello di Cloud su di un tavolo. Soprattutto aveva visto la ragazza completamente mutare, aizzarsi dalla rabbia, gridare contro il loro aguzzino fino a quando il soffitto sopra le loro teste non era crollato rivelando ai loro occhi una creatura gigantesca, un drago.

Si era spaventata ma allo stesso tempo aveva come avvertito un’aura benigna provenire da quel lucertolone gigante; quello fino a quando la sua attenzione non era ritornata a rivolgersi a Cloud.

Se prima la ragazza era in preda alla rabbia ora la situazione era diversa.

Cominciava ad aver paura.

Cloud era completamente circondata da scosse elettriche. Le vedevi comparire e scomparire attorno al corpo.

E poi c’erano gli occhi.

Avevano perso tutto il colore che avevano, erano vacui.

 

Il drago si era fermato. Stava parlando con Cloud eppure anche lui era rimasto scioccato. E chi non lo era.

Tutto era un gran casino e ora la loro amica era pure in preda ad una crisi di rabbia che aveva presentato effetti collaterali quali scariche elettriche e occhi da mostro assatanato.

Per un istante cominciò a credere che davvero, vedendola in quello stato, il massacro lei l’avesse compiuto. Ma durò solo un istante.

Qualcos’altro catturò la sua attenzione.

Un luccichio che vide cadere verso il basso.

Una lacrima.

Cloud stava piangendo. Era in preda ad una rabbia cieca e stava piangendo.

Adesso aveva cominciato a dimenarsi cercando di spezzare le catene, tirando.

I polsi sanguinavano pesantemente da quanta pressione la ragazza stava applicando, fino a far penetrare le catene di qualche centimetro dentro la carne e le scosse intorno a lei continuavano a diventare sempre più intense.

Ad un certo punto credette di sentire i polsi rompersi da quanto forte stava tirando Cloud.

In quel momento i pensieri cominciarono ad affollarle la mente.

Fissava terrorizzata quella ragazza e pensava.

Non era possibile. Lei non poteva aver fatto niente di ciò di cui quel bastardo l’aveva accusata. Era lì, davanti a lei che piangeva come una bambina e urlava il nome di suo fratello. Cercava solo disperatamente di raggiungere ciò che aveva di più caro al mondo e quel pezzo di bastardo l’accusava di essere una pluri omicida?

Crack.

Questa volta fu certa di sentirlo per davvero. La mano inerme sorretta dalla catena e il polso destro ora completamente fuori sede.

Anna sgranò gli occhi. Cloud continuava a dimenarsi, ma non certo per il dolore, pareva quasi non rendersene nemmeno conto.

Fu questione di un istante. Non dovette nemmeno pensarci più di tanto.

Qualcuno cercò di trattenerla per un braccio ma lei riuscì comunque ad arrivare alle sbarre che si volgevano verso la ragazza.

Qualche scarica era così forte che le arrivò a qualche centimetro di distanza ma lei non se ne curò.

Alla sua sinistra il grande drago cercava di avvicinarsi a Cloud ma le scariche e la forte aura emanata glielo impedivano.

Così la giovane prese un respiro e con tutto il fiato che aveva in corpo fece l’unica cosa che in quel momento era in grado di fare. Gridò.

- Cloud! Smettila! Ti stai facendo solo del male vedi? Calmati e troviamo una soluzione insieme, salviamo il tuo fratello e il dragone ci da una mano. Però non possiamo fare niente se non ti calmi. -

Cloud però continuava a non prestare attenzione alle sue parole. – Non ci ho mai creduto. Non ho mai voluto crederci. Lo so che sei una brava persona, sei la migliore, ricordi? La mia sorellona. Tu non puoi avere fatto cose cattive quindi è tutta colpa mia. In questi giorni ti ho evitato. Ti abbiamo tutti evitato. Abbiamo reso le cose più difficili anche per te. Perché alla fine sei quella che sta soffrendo di più non è vero? –

Qualcosa finalmente parve attirare la ragazza: aveva smesso di urlare e di dimenarsi, anche se gli occhi vacui e le scariche erano ancora fissi su Donatello.

Draciel dal canto suo aveva rinunciato a superare la barriera di scariche che lo separavano da Cloud ed era atterrato bloccando sotto le sue possenti zampe le tre figure ancora inermi che aveva messo k.o. qualche istante prima. Aveva come l’impressione che forse quei marmocchi potessero essere una cura migliore di ciò che poteva essere in grado di fare lui al momento.

Stringendo più forte le sbarre della cella, Anna continuò. – Non possiamo negare l’evidenza. I ricordi sono spariti. Però ce ne sono molti ancora che rimangono. Sono stata una stupida a non accorgermi subito: tutti i bei momenti passati in questi due anni, nessuno di loro si è cancellato. Sono tutti impressi qui, nella mia mente. – disse toccando la tempia con le dita. - Sono ciò che riescono a farmi capire che qualunque sia la verità, per me sarai sempre la mia sorellona. –

Anche lei adesso stava piangendo. Ci credeva, credeva in tutto quello che aveva detto e sperava che Cloud l’avesse capito.

Ma forse aveva sperato in troppo; la ragazza aveva smesso di agitarsi ma era comunque immobile e non dava segni di coscienza.

Anna si accosciò addosso le sbarre, non avendo idee di che altro fare; qualcosa ad un certo punto però la prese e la sollevò di peso, rimettendola in piedi. La ragazzina sgranò gli occhi e si girò verso la persona alle sue spalle che si rivelò essere Mattia.

- Guarda meglio. - disse per poi indicarle con un cenno di capo un punto davanti a loro.

Seguì la traiettoria che il ragazzo aveva voluto indicarle.

C’erano due pozze verdi. Verdi smeraldo, il più intenso che avesse mai visto che la fissavano dietro a dei ciuffi di capelli ormai tutti scarmigliati.

La faccia era ancora tesa, le lacrime le bagnavano ancora il viso stanco e le scariche non pareva accennassero a diminuire ma non era quello che ad Anna importava.

Cloud era di nuovo lucida.

E sorrideva.

 

Il rettile smeraldo guardò con attenzione la scena davanti ai suoi occhi. Erano davvero cambiate tante cose nel corso di quei due anni. Ma una cosa era sempre la stessa.

L’amore che Cloud provava verso i suoi cari.

Quella era la cosa a cui aveva sempre tenuto di più. Anche in quel momento, incatenata, sanguinante, ancora reduce da quello sfogo anomalo di energia, riusciva a sorridere per la fiducia di una singola persona.

Incassò la zampa ancora più in profondità nel terreno per indolenzire di più le sue prede. Ora che la piccola si era calmata potevano preoccuparsi di come andare via di li. Volse lo sguardo verso il rettile più piccolo alla sua destra.

Bisogna pure curare Donatello.

La tartaruga era malconcia ma sembrava stabile. Era meglio occuparsi degli umani prima.

E poi filarsela tutti alla svelta.

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Capitolo 11
*** Ali di drago. Si respira aria di casa? ***


 

Ali di drago. Si respira aria di casa?

 

 

Con uno schiocco sordo anche l’ultima delle catene si spezzò e cadde verso il basso fino ad atterrare sul pavimento della sala, assieme alle altre tre.

Cloud fin da subito prese a sostenere il polso con la mano sinistra cercando di non far sforzare più del dovuto l’arto rotto; era ridotto piuttosto male ed aveva subito preso a gonfiarsi e a colorirsi di un alone violaceo che non prometteva niente di buono.

Sospirò e si lasciò crollare tutta dolorante sull’enorme zampa su cui era adagiata aspettando che raggiungesse il livello del pavimento.

Massaggiando un po’ il polso cercò di riprendere completo controllo di se stessa. Quell’attacco di collera di qualche minuto prima mostrava ancora i suoi sintomi, lasciando apparire ancora qualche scarica attorno al suo corpo. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.

Respira. Concentrati. Respira.

Riaprì gli occhi e si mise a fissare il nulla.

Non aveva le idee chiare su cosa fare in quel momento. Certo, grazie a Draciel potevano considerarsi salvi ma comunque restavano parecchi intoppi. Primo su tutti i suoi amici. Grazie ad Anna aveva riconquistato coscienza di se ma non poteva certo dire che gli altri fossero del suo stesso avviso. E ne avevano tutto il diritto. Dopotutto era vero che aveva mentito a tutti loro.

Li capiva benissimo se tutto quello che volessero fare fosse tornarsene a casa. Non li biasimava, li aveva messi in un pasticcio bello e buono. Qualcosa più grande di loro.

Shell, decisamente qualcosa anche più grande di me.

Venne scossa dai suoi pensieri quando qualcosa di caldo e ruvido le si strusciò sulla guancia.

Si trovò a fissare stupita l’enorme drago, ora a qualche centimetro di distanza dal suo viso.

La stava guardando con quei suoi occhi ambra che lei non era mai riuscita a dimenticare, quell’espressione paterna che aveva sempre reso quella creatura il suo biscione.

- Ehi princess. Piano terra. –

Cloud scese dall’enorme zampa quasi senza rendersene conto e restò imbambolata a fissare la grande lucertola che le capeggiava di fronte, quasi dando l’impressione di esserse divenuta conscia solo in quel momento di ciò a cui si trovava dinnanzi.

- Draciel. -

L’enorme muso si inclinò su di un lato con fare curioso, ma anche piacevolmente scosso. Erano anni che non sentiva più quella voce chiamarlo, due anni che aspettava di riavere la sua piccola ninja tra le zampe.

Ed ora era lì. Appena diventata realmente conscia di chi aveva davanti: spaventata, ma felice. Poteva ritenersi ironicamente onorato: in pochi potevano vantare di aver mai visto la grande supernova O’Neill versare lacrime, lui invece ne era spettatore per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

Piccola, indifesa, che piangeva l’anima davanti a lui con quegli occhi verdi finalmente ricolmi di gioia.

Era diversa, sia nell’aspetto che nella mente e forse non sarebbe più riuscita a cambiare, a ritornare come una volta, però per qualche istante, riuscì a vedere la ninja che sin da piccola aveva reso le sue giornate un vero inferno.

E se c’è qualcosa peggio dell’inferno fatemi un fischio. Ah ah ah.

Cautamente poggiò una delle sue enormi zampe sulla sua testa e le scompigliò i capelli: doveva stare attento e andarci piano visto che la ragazza non aveva più la resistenza fisica di una volta ma era un modo per farle capire che lui era li, davvero.

Levando la zampa non riuscì a vedere l’espressione della giovane perché i capelli le coprivano il viso. Sorrise scoprendo le zanne e rivolse la sua attenzione agli umani sulla cella sopra di lui.

Sollevò il muso e spiccò il volo per ritrovarsi all’altezza della cella e squadrò le figure al suo interno.

- Tutti sul fondo che questo farà un po’ di polvere. -

Forse per lo spavento che dava avere un drago così grande a quella poca distanza, forse per la voce potente o semplicemente perché avevano recepito il messaggio le sette figure arretrarono fino ad arrivare in contatto con la parete della sala alle loro spalle.

Draciel allora addentò la lamina che costituiva il soffitto della cella trapassandola con le zanne e strattonò. La lamina si staccò e il drago la scaraventò lontano. Facendo altrettanto con alcune delle sbarre sul fronte della cella, liberò il passaggio permettendo ai prigionieri di uscire e saltare sulle sue zampe.

Li vide esitare un istante prima di gettarsi sulla sua enorme arma artigliata e sogghignò. Un po’ gli dispiaceva per loro, catapultati a spasso per il multiverse e praticamente sin da subito condannati a morire. Ed ora erano costretti a dover stare calmi e ricevere l’aiuto di un drago, che lui immaginava, fosse per loro solo una creatura fantastica.

Beh, fino ad ora.

Quando tutti uscirono dalla cella,  il dragone scese lentamente sbattendo le poderose ali atterrando a qualche passo da Cloud.

La ragazza sembrava aver ripreso abbastanza controllo di se per crearsi una fasciatura provvisoria al polso con un lembo strappato della sua maglia fucsia ed al momento era intenta ad ispezionare il corpo del fratello alla ricerca di ferite gravi o comunque di qualcosa che potesse renderlo in pericolo di vita.

Appena Draciel atterrò con un tonfo poderoso su di un cumulo di pietre, la ragazza alzò lo sguardo da Donatello per rivolgerlo al drago: era preoccupata ma le ferite non dovevano averlo messo in pericolo di vita.

Draciel le sorrise e mentre riceveva un flebile sorriso di risposta calò entrambe le zampe per permettere ai suoi passeggeri di toccare di nuovo il suolo.

Lunghi sospiri di sollievo riempirono l’aria appena Anna, Naya, Alice, Elisabetta, Erica, Giulia e Mattia misero i piedi per terra. Subito delle espressioni decisamente più sollevate si dipinsero sui volti di ciascuno di loro. Fu solo dopo qualche istante che si ricordarono di non essere soli.

Tenendo stretta la mano di Donatello nella sua, Cloud attendeva. Non si sentiva in diritto di fare la prima mossa e non aveva ben chiarito nemmeno a se stessa che fare.

Ma non ci fu tanto tempo per riflettere. Subito infatti una figura si staccò dal gruppo e le si fiondò letteralmente addosso.

Dopo aver sollevato la testa fino a guardarsi negli occhi ci fu un’unica cosa che Anna riuscì a dire.

- Ma li hai sempre avuti così verdi questi occhi? – rise di gusto. – No che a me sanno decisamente da photoshop! –

Ancora sorpresa da quello slancio di affetto la bruna fissò la sua piccola sorellina sorridendo. – Tutto naturale che credi. E poi i ninja che lo usano a fare photoshop! Siamo già fighi di nostro! – Le venne automatico rispondere per le rime alla ragazza più piccola, quasi fossero ancora in fermata a scherzare mentre attendevano la navetta. Ma non era così.

Subito assunse un’espressione seria e sussurrò. – Grazie. – Non riuscì però a guardare Anna in faccia.

Quest’ultima strinse più forte l’amica e semplicemente sorrise.

Nel frattempo anche il resto della cricca si era avvicinata alla coppia di ragazze senza però sapere bene cosa fare. Non avevano bene idea di come comportarsi con la bruna soprattutto perché c’erano molte domande a cui doveva ancora rispondere.

Draciel decise di non lasciare che ostilità si aprissero in quel posto e in quel momento quindi si avvicinò ala sua piccola ninja per cercare di decidere sul da farsi. Era praticamente ad un palmo dalla ragazza quando l’espressione di Cloud di colpo cambiò e si ritrovò il suo pugno in un occhio.

- Shit Cloud what was that for! Wanna use me like a punching ball? – ringhiò Draciel.

- Don’t ‘Shit Cloud’ me, mister! Hai una vaga idea di quanto sia stata male negli ultimi giorni? Di quanto siamo stati male tutti quanti? Potevi anche venire prima sai? Noi certo non avremmo obiettato! –

L’espressione di Draciel variò dal sorpreso al decisamente incazzato nel giro di qualche secondo lasciando decisamente poco spazio a chiunque avesse avuto la malsana idea di interferire in quel battibecco di famiglia.

- Oh certo! Perché adesso la colpa è mia vero? Non ero di certo io appeso come un salame a ferragosto deciso a morire! Se quello era il tuo grande piano per scamparla, beh scusa per averlo rovinato! -

- Era un piano un po’ campato per aria ma non sarebbe stato necessario se tu avessi mostrato il tuo dannatissimo fondoschiena prima! E poi quando diavolo li appendi tu i salami a ferragosto! –

Tutta la cricca era ammutolita davanti a quella strana litigata.

In primo luogo perché nessuno di loro aveva ben chiaro il motivo per cui tutto quello fosse iniziato e poi perché non avevano idea se prenderla come una cosa cattiva o pessima.

In quell’istante, viso contro muso, entrambi parevano pronti a scoppiare. Qualcuna delle ragazze azzardò un accenno di frase ma nessuno aveva idea su chi puntare la domanda.

Sia drago che ragazza parevano egualmente pericolosi e pronti a mordere.

Ad un tratto però, Cloud staccò il viso dal muso del drago e dopo averlo fissato per qualche istante cominciò a ridere di gusto, subito seguita del lucertolone smeraldo.

- Ok se prima sembravano scemi ora me ne hanno dato la conferma. – esclamò Giulia d’istinto.

I due però non parvero farci caso.

- Era da tanto che non facevamo una civile chiacchierata io e te Dras! – disse tra un moto di risa e l’altro. – Davvero, mi mancava! –

- Civile, tsè! – ringhiò il drago di rimando.

Per qualche istante parve a entrambi di essere tornati ai bei tempi al rifugio, tutti insieme a New York.

Ma a volte le cose belle sembrano fatte apposta per non durare.

Tutto quello che vide fu una luce accecante e subito il nulla.

Dove fino a qualche attimo prima vi erano Erica, Giulia e Anna Maria, ora solo una piccola voragine.

Voltando leggermente lo sguardo verso la direzione da cui era provenuto il colpo a Cloud si gelò il sangue nelle vene.

Le sue ultime disgrazie erano solo causa sua. Ed ora aveva appena ucciso tre sue amiche.

Le taglienti risa dello sfregiato, che dava l’impressione di essersi ripreso dai colpi inferti da Draciel, facevano da sfondo a quell’orribile scenario che si era messo dinnanzi ai ragazzi finché qualcos’altro non sovrastò quel suono.

- RAJAL! -

Se voleva rogne le aveva trovate. Ed ora aveva decisamente passato il limite.

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Capitolo 12
*** Fondi le anime. Risposte a domande non dette ***


Fondi le anime. Risposte a domande non dette

 

 

Plic. Plic. Plic.

Quel suono la costrinse ad aprire gli occhi. Le parve fosse un’azione dimenticata per quanto difficile le risultasse un così semplice gesto.

Piano, molto piano le palpebre si sollevarono e si ritrovò a guardare il buio. Intorno a lei solo nero, pece, oscurità.

Plic. Plic.

Il suono continuava. Era un rumore lontano, giungeva quasi ottavato in quell’immenso spazio. O forse era uno spazio piccolo, in realtà non lo sapeva dire con certezza.

Ma perché era li? Soprattutto, cos’era ?

Attorno a lei regnava il silenzio, interrotto dai picchiettii lenti ma regolari che le arrivavano indistinti; decise di concentrarsi su quel suono per capire da dove arrivasse. Forse seguirlo l’avrebbe portata da qualche parte. Così richiuse gli occhi e cercò di focalizzare i suoi sensi su di un unico suono. Plic. Era debole ma se si concentrava abbastanza forse poteva arrivare alla fonte del rumore.

Solo un po’ di più. Plic. Plic. Ancora uno sforzo. Plic. Plic. Plic. Adesso lo sentiva chiaramente.

Di colpo riaprì gli occhi. Sapeva in che direzione andare e cominciò a dirigersi verso il suono.

Si stupì di non dover correre: solo in quel momento in fatti si rese conto di non avere i piedi saldi a terra ma di essere sospesa, quasi vagasse in aria.

Ma non era aria. Era qualcosa di più denso: non sapeva come dovesse essere stare tra le nuvole ma quella fu l’impressione che le restò impressa.

Fu dopo quella che parve un’eternità che davanti a se vide apparire un puntino luminoso, una qualche sorta di luce. Continuò ad avvicinarsi fino a quando lo spiraglio di luce fu grande almeno il doppio di lei. Le parve di essere al di la di un vetro. Vedeva qualcosa dall’altra parte, qualcosa che non riusciva a capacitarsi di poter vedere.

Oltre quella grande luce c’era una stanza, una grande stanza in pietra. Detriti erano sparsi ovunque e guardando verso l’alto poteva vedere come il soffitto fosse stato squarciato al centro. C’erano parecchie figure in quella sua visione.

Dovette concentrarsi un po’ ma riuscì a riconoscere ciascuna delle persone che occupavano la stanza.

Finché il suo sguardo non si posò sulle figure più vicine a lei.

Uno era un uomo dalla stazza possente, abbronzato ma con vivide cicatrici su tutto il volto e due occhi viola come l’ametista.

Si stava tenendo una mano a coprire il naso da cui il sangue scendeva copioso. Ed ecco spiegato il misterioso gocciolio.

L’altra figura però la scombussolava.

A qualche metro di distanza, immobile, con di nuovo quell’espressione vacua in volto e scariche ancora più forti c’era lei.

- È strano eh? –

Alle sue spalle ancora immersa nell’oscurità di quel luogo, una figura cominciò ad avvicinarsi.

 

- Dras! – esclamò Cloud verso il nuovo arrivato. – Che sta succedendo? Dove siamo? Perché mi vedo? Che cosa… -

- Wei frena, frena, frena! Come faccio a spiegarti se mi assali di domande? –

Cloud gonfiò le guance quasi ad evitare di far proferire parola alle sue labbra. Draciel la fissò per qualche istante e poi volse lo sguardo verso la scena oltre loro.

- Siamo nel tuo subconscio al momento. La tua vera coscienza è qui perché la rabbia cieca ha preso il sopravvento. -

- Si, diciamo che l’avevo notato. – farfugliò la ragazza di rimando.

- Solo che questa volta la situazione è un po’ diversa. –

- Perché? Anche prima ho cominciato ad essere avvolta da scariche. Credo sia un effetto collaterale che dipende dal fatto che al momento non riesco a sostenere tutta l’energia che produco e mi porta a non avere più controllo di me.  

Draciel tornò a fissare la giovane per qualche istante. – Fossi in te guarderei con più attenzione. –

Cloud fece qualche passo fino ad affiancare il dragone, rivolse lo sguardo verso il suo corpo oltre quella strana parete e cercò di notare quello che forse le era sfuggito in precedenza.

All’inizio continuò a far vagare lo sguardo su ogni angolo del suo corpo senza però notare qualche particolare interessante. Poi però lo vide.

Lungo tutto il suo braccio destro, partendo dalla mano fino a ricoprire buona parte del volto, un intreccio di strani simboli concentrici cominciavano ad apparire; sembravano quasi tatuaggi ad inchiostro quanto erano scuri ma avevano anche qualcosa in più.

Altre scariche, più scure e cupe, cominciavano ad aggiungersi a quelle che già circondavano il suo corpo e partivano esattamente dal tatuaggio.

- Oh no. -

Cercò subito Draciel per avere un riscontro su ciò che credeva di aver appurato. – Si è attivato il sigillo? Com’è possibile? –

Il dragone emise uno sbuffo di fumo dalle narici e fece vagare il suo sguardo sull’intera scena.

- Accumulo di sentimenti negativi. Tuo fratello torturato, le tue amiche sparite. Tutto ciò ha innescato un meccanismo di una portata abbastanza forte da riuscire ad incrinare il sigillo. -

- Solo che?... lo so che c’è un ‘ solo che ’ Dras. –

- Solo che se il sigillo si spezzasse adesso il tuo corpo non sarebbe in grado di reggere tutto quel quantitativo di energia e moriresti. -

- Wow grazie del tatto con cui l’hai detto Draciel. Ora sto davvero al massimo. –

- E’ una questione seria Cloud, non è il momento di scherzarci su. –

- Si lo so tranquillo. - sbottò la ragazza. Rimase in silenzio per qualche istante. – Quindi che si fa? –

Draciel si allontanò dalla scena sotto di loro per inoltrarsi un po’ nel buio di quello spazio.

- La situazione è questa. Al momento hai risvegliato il sigillo del Ninja Tribunal che però non funziona correttamente perché sei pure riuscita a danneggiarlo. Se aspettiamo ancora un po’ inoltre, il corpo ridotto com’è al momento, non riuscirà a reggere l’ammontare di energia che continuerai a produrre e non ci sarà più niente da fare. -

- Inoltre resta il problema Rajal. –

- Esatto. Se non te ne sei resa conto il tuo corpo non riesce nemmeno a muovere un muscolo al momento perché è troppo debole. Quindi anche ridotto male com’è, per lui sarebbe comunque uno scherzo batterti. –

La bruna fissava il loro nemico: Rajal era ancora intento a rialzarsi e a trovare un modo per fermare il sangue che scendeva dal naso rotto. Era malconcio ma restava comunque un avversario pericoloso.

- Forse non ti andrà a genio come idea… -

Cloud tornò a fissare Draciel aspettando che parlasse.

- …anche se credo che questa sia l’unica soluzione che al momento ci dia la possibilità di far uscire vivi tutti, te compresa. - La ragazza ora lo fissava con occhi attenti. – Devi fondere le anime. -

 

 

Tossì di nuovo a causa della polvere e altre lacrime si crearono agli angoli degli occhi. Quelle lacrime però non erano per la polvere.

Tre sue amiche. Nel giro di pochi attimi erano sparite.

Non bastava che fossero tutti stati catapultati chissà dove, rinchiusi per giorni con scarso cibo e acqua. Ora quello sfregiato bastardo aveva pure ucciso tre sue care amiche.

Alice si asciugò gli occhi con la manica della maglia, ormai strappata e sporca fino all’inverosimile. Non riusciva a smettere di piangere. Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: aveva cercato di essere forte il più possibile. Cercato di non crollare davanti agli altri, dopotutto se crollava lei, che con Elisabetta era la più grande le altre che avrebbero dovuto fare? Mattia era un caso a parte ma anche lui non aveva mostrato una bella cera in quegli ultimi giorni.

Ma ora non ce la faceva più. Rapita, tradita, abbandonata. Quanto ancora doveva soffrire?

Il rumore di un forte colpo aveva riempito la stanza nello stesso istante in cui un gran nuvolone di polvere si era alzato. Ora che la polvere però, stava svanendo riusciva a vedere meglio. Lo sfregiato che si rialzava a fatica, coprendosi il naso che sanguinava copiosamente e Claudia, o Cloud o come diavolo si chiamava, che ansimava a poca distanza da loro per lo sforzo che il dare quel colpo le aveva causato.

Adesso però Alice si stava davvero preoccupando. Le scariche l’avevano avvolta per una seconda volta e anche se al momento la bruna dava le spalle a tutti loro lei ne era certa, aveva di nuovo l’espressione vacua come in precedenza.

Non si rese nemmeno conto di essere arretrata di un passo appena aveva realizzato la potenza del colpo della ragazza.

L’ha scaraventato a quanto, trenta metri di distanza? Con un pugno solo?  Ma cos’è, un mostro?

Qualcuno le strinse la mano ma lei non se ne accorse nemmeno.

Aveva paura.

Nel mezzo di cosa erano capitati?

 

 

- No. -

Draciel fissò attonito la ragazza di fronte a lui.

- E se serve te lo ripeto di nuovo. No. -

- Andiamo Cloud! Lo sai anche tu che questa è la soluzione migliore, anzi, è l’unica soluzione. –

Cloud scosse con vigore la testa. – Deve esserci un altro modo. Non posso altrimenti. –

- Perché… -

- Perché è così e basta! Non posso farlo e fine della discussione! – urlò la ragazza stringendo con vigore entrambi i pugni fino a farsi male. Fu allora che se ne rese conto.

- Il mio polso… -

- Uh? –

Si era portata l’arto davanti al volto e lo stava ispezionando. Era strano. Eppure era sicura di aver rotto il polso destro sforzandolo sulle catene durante il suo primo sfogo di rabbia. Come era possibile?

- Non è la tua parte fisica quella che si trova qui dentro, per questo il polso è integro. – disse Draciel anticipando la domanda della giovane. – tutto questo è una materializzazione di ciò che la tua coscienza pensa. Anche sentimenti e sensazioni vengono portati a livelli minimi qui dentro. -

Cloud guardò con fare interrogativo il compagno, anche se bastò qualche istante per farle capire la risposta da se. – Tu e il tuo essere drago. Hai sempre la risposta pronta. –

- Solo esperienza e conoscenza di un giovane drago di duemila anni. -

- Tsé, giovane… - Poi le venne in mente un’altra cosa. – E’ perché sono nel mio subconscio? Per questo non sto soffrendo come prima per la morte delle ragazze? Quello che sento è solo uno strano pizzicorio. –

Si portò una mano all’altezza del cuore e sospirò.

Draciel avvicinò il grande muso al volto di Cloud fissandola negli occhi. Chiuse le due polle ambrate quali erano i suoi occhi e dopo aver preso un bel respiro soffiò in faccia alla ragazza.

Dal canto suo Cloud non poté far altro che fissare il compagno con sguardo stupito.

- And…that was…for? -

- Punizione. –

- Eh? – esclamò la ragazza sempre più stupita.

- Sei passata subito ai fatti e ti sei lasciata andare alle apparenze. Ci sono riuscito a pelo ma ce l’ho fatta sai? –

- Ce l’hai fatta a fare cosa scusa? –

- Ad utilizzare una tecnica che mi ha insegnato un vecchio dragone un paio di mesi fa. Spreca energia, molta energia e non sono ancora in grado di padroneggiala bene, e in effetti spero di averle mandate nel posto giusto. Comunque, un istante prima che il colpo di Rajal andasse a segno sono riuscito a teletrasportare le tre ragazze. Nel caos la striscia luminosa del flash-portal deve essere risultata invisibile in contrasto con la luce viola del colpo e tu hai creduto che le avesse colpite e disintegrate. – Draciel ora la fissava allegro per ciò che con la sua prontezza di riflessi era riuscito a fare. – In pratica tu hai fatto tutto questo casino per niente…come al solito Cloud. -

- … -

- … -

- … -

- Non dici nient… -

- WHAT THE SHELL??!! –

 

 

 

{ nota autrice: Giuly4ever te l’avevo detto io che non avrei mai potuto farti resuscitare….come posso farlo con della gente ancora viva? ^^ ahahah e ne approfitto per ringraziare tutte le persone che leggono Nexus e le mie varie fic. ♥ Ma soprattutto un bacio grande a Alice Rose, lucy_dragon_slayer e Serely!! :* bacio bacio e…recensite ;)

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Capitolo 13
*** Dragon Soul ***


Zucchina a tutti!! ^^ ….  ………….. ……………. -.-“ non posso credere di averlo fatto per davvero! Dovete sapere che la sottoscritta ha puntualmente due grandi e problematici blocchi dello scrittore! Ù.ù Uno di questi è la parola con cui cominciare il capitolo…visto che mi da l’impressione di cominciare sempre con la stessa iniziale! Così una mongola mi ha suggerito di cominciare con “zucchina” J

Beh sarai contenta adesso Ali! ;) mi ha fatto fare la mia porca figura e adesso posso tornare a fingere di essere una scrittrice seria! V.v

……buona lettura a tutti! ^^

 

 

Dragon Soul

 

 

Il tempo nel subconscio aveva la possibilità di scorrere ad una velocità diversa da quello della vita reale; se ci si concentrava bastava un piccolo sforzo e l’isolamento era tale che il tempo si sfaldava.

Per questo mentre nella mente di Cloud continuava l’animato discorso tra il drago e l’ex ninja, nel mondo reale non passarono che una manciata di minuti.

Cloud d’altronde, non poteva chiedere di meglio; la situazione era delicata e aveva bisogno di ragionare e Draciel per certi versi non la stava aiutando per niente.

Le erano serviti parecchi minuti per calmarsi dopo la notizia che il dragone le aveva rivelato con il suo “tatto da elefante in un negozio di cristalli” e adesso era tornata a concentrarsi sul problema principale.

- Lo sai che voglio salvare tutti loro. Non sono diventata così codarda. – disse la ragazza.

- E allora dov’è il problema? Se li vuoi salvare al momento non puoi fare altrimenti. Io riuscirei a salvare loro e portare via Donatello ma con il tuo corpo in quelle condizioni potrei fare poco per te. –

- Lo so. E’ solo che…- ammise. – E’ solo che ho paura di perderli. -

Draciel la fissò sorpreso, aveva una vaga idea di dove la brunetta volesse andare a parare.

- So che con la Dragon Soul posso batterlo, forse fino a qualche ora fa non avrei creduto di essere ancora in grado di farlo ma ora ne sono convinta. Solo che questo è troppo, mi vedrebbero ancora di più come un mostro e riuscirebbero solo ad odiarmi. – La voce le morì in gola, ormai rotta dai singhiozzi. – Non voglio perdere nessuno di loro. Non di nuovo. -

Le zampe possenti del drago la strinsero per quanto possibile in un caldo abbraccio: Cloud aveva la testa appoggiata alle ruvide squame del petto di Draciel e sentiva il calore dei suoi polmoni infuocati stuzzicarle la pelle. Erano anni che non provava più una sensazione del genere, sentirsi se stessa, sentirsi a casa.

Anche loro sono la mia casa adesso. Voglio continuare a stare assieme a tutti loro, lo voglio davvero. …Damn Cloud, snap it out! They are my friends right? So I know what I have to do.* Paura o non paura.

Si staccò con una briciola di riluttanza dal manto smeraldo di Draciel, per poi fissarlo negli occhi. Ora lui ne era certo, la stessa luce che aveva continuato a veder ardere in quegli occhi per anni era finalmente tornata.

- Ninja style? - esclamò il drago ghignando.

- Show time! –

 

 

Il naso continuava a pulsare in maniera inimmaginabile, non avrebbe mai pensato che quello sgorbio riuscisse ad essere così forte. Se non fosse stato per il dolore che aveva al viso e all’intero corpo non ci avrebbe creduto. Anche se doveva ricordasi di aver a che fare con una supernova. Ma i conti non gli quadravano per niente. Quella mocciosa no era stata sigillata? Non sarebbe riuscita a muovere un singolo muscolo nemmeno volendo. Cosa che al momento non pareva parecchio evidente.

Anche se è da quando mi ha colpito che se ne sta ferma immobile e sembra essere tornata allo stesso stato di incoscienza di poco fa.

Inoltre il bestione verde pareva misteriosamente scomparso e questo non gli piaceva per niente. Sentiva che le forze stavano a poco a poco tornando e decise che era il momento opportuno per liberarsi della momentaneamente inoffensiva supernova.

A fatica si alzò facendo leva sul ginocchio e riportò gli occhi ambra sulla bruna dopo aver dato una lieve occhiata agli ormai ex prigionieri che si erano raggruppati attorno al tavolo con la tartaruga priva di sensi.

Praticamente aveva campo libero; gli sarebbe bastato un singolo colpo a distanza per non incorrere nelle scariche che le avvolgevano il corpo e il gioco era fatto. Avrebbe compromesso troppo gravemente la missione ma al momento non poteva fare altro e sperare che le altre supernove ancora in loro prigionia risultassero fonti più utili.

Doveva ucciderla sennò era certo che non ne sarebbe venuto fuori.

- O’Neill è ora di salutare il mondo. – sentenziò deciso. - E adesso che farai eh? Ah ah ah! – chiese beffardo Rajal. Sapendo che nessuna risposta sarebbe arrivata concentrò l’energia nel palmo della sua mano non senza un immenso sforzo e un secondo lampo di energia viola parti verso la ragazza.

Sotto gli sguardi sconvolti del gruppo poco lontano, il getto d’energia colpì in pieno la figura immobile della supernova lasciando che la polvere e macerie diventassero l’unica loro visione.

Nel giro di qualche millesimo di secondo l’onda d’urto dell’attacco li colpì in pieno facendoli volare di qualche metro e rovesciando a terra l’inanimato Donatello.

 

Il polverone non accennava a diminuire e le loro teste pulsavano fuori dall’immaginario. Anna aveva sbattuto la testa su di una roccia e si era tagliata la tempia facendo così colare sangue lungo il viso mentre gli altri erano solamente lievemente ammaccati.

Quello che li circondava era il silenzio. Ma il silenzio più rumoroso che avessero mai sentito. I loro respiri affannosi, quello rotto e gutturale di Rajal e i granelli di pietra disintegrati che pian piano scrosciavano al suolo parevano risuonare come rulli di tamburi in quell’enorme sala oramai devastata dall’inverosimile battaglia che vi aveva avuto luogo.

Poi, un altro suono si sovrappose: un lieve fruscio proveniva dalla muraglia di polvere e con esso un leggero tonfo regolare che un po’ alla volta aumentava di potenza.

L’aria mossa cominciò a dissolvere la polvere portando alla luce una figura.  

- Il dragone è tornato! – esclamò Elisabetta.

Rajal volse lo sguardo prima verso di lei e poi verso il cumulo di polvere allarmato.

Ma bastò qualche attimo per rendersi conto che ciò non era completamente vero. La lunga coda a scaglie cominciò a battere con insistenza sul pavimento roccioso sollevando innumerevoli sbuffi di polvere e mentre le gigantesche ali si dispiegavano dopo aver fatto da scudo al colpo, la silhouette fin troppo familiare a cui quelle ali e coda appartenevano portò entrambe le mani ai fianchi. E non apparteneva di certo al drago.

Non una felpa grigia e dei jeans rovinati e strappati in molti punti, ma un completo rosso fuoco e degli stivali fin sopra al ginocchio. I capelli castani completamente sparati in aria con delle ciocche che erano diventare completamente bianche e le iridi di nuovo verdi smeraldo.

Cloud era irriconoscibile. Ma ciò che incuteva più paura non era di certo l’aspetto. Certo, la ragazza con le ali e la coda di drago faceva il suo effetto ma era qualcos'altro che adesso attirava maggiormente l’attenzione di tutti. Soprattutto Rajal.

Un ghigno, un ghigno che faceva vedere con chiarezza i canini sporgenti e che non ispirava niente di buono. E questa volta Cloud era cosciente. Lo sfregiato ne era certo: ora la supernova era pericolosa.

- What am I going to do? Smash your fucking head straight on the wall you bastard!*

Draciel dopotutto aveva ragione: se voleva salvarli, farlo con stile non era una cattiva idea.

 

 

 

 

 

 

 

 

* Dannazione Cloud, svegliati fuori! Sono miei amici giusto? Quindi so quello che devo fare.

* Cosa farò? Fracasserò la tua fottuta testa sul muro bastardo!

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Capitolo 14
*** Wanna fight? A plan to survive ***


 

Wanna fight? A plan to survive

 

 

Il caronte era una creatura infima. Una creatura infima e senza cervello; quello lo aveva constatato da un bel pezzo anche se rari sprazzi di lucidità che quelle cose dimostravano cominciavano a fargli credere che forse un minimo di cervello nuotasse in quel mare di niente che era la loro testa.

Li aveva osservati per giorni; stavano perennemente fermi senza stancarsi o aver bisogno di cambiare talvolta posizione, la lunga mannaia che tintinnava pericolosamente appesa al fianco, gli occhi ridotti a due fessure e sempre vigili. Ecco forse quello era l’unico dettaglio che agli occhi di Michelangelo non li faceva risultare completamente stupidi.

Ad un certo momento, che i suoi fratelli definivano quello del “ho voglia di ricordare a tutti che sono un coglione quindi datemi corda”, si era perfino ritrovato a cercare di far conversazione con uno di quei bestioni. Non che avesse avuto successo, anzi: inizialmente aveva ricevuto solamente silenzio, segno che era stato molto più che ignorato. Il peggio era arrivato quando aveva pensato di controllare se la guardia fosse effettivamente sveglia cominciando a sventolarle davanti la mano; questo fino a quando il caronte non aveva perso la pazienza, che a detta di Michelangelo era davvero poca, e l’aveva afferrato per il polso attraverso le sbarre della cella per poi farlo volare a sbattere contro la parete di pietra alle sue spalle.

Si era accasciato a terra con ancora più lividi di quelli che già ricoprivano la maggior parte del corpo oltre alle ossa rotte, contusioni e ferite varie.

Dal quel momento si era deciso a studiarli da lontano. E aveva capito che erano creature stupide. Erano spaventose a vedersi, quello era palese a chiunque; dopotutto una sottospecie di minotauri con la schiena uncinata, corna da ariete spropositatamente grandi e una corazza spessa più o meno tre dita aveva tutte le carte in regola per spaventare chiunque. Anche una tartaruga ninja che doveva essere uno dei guerrieri più forti dell’universo.

Ma la bruttezza creava solo scudo al nulla che caratterizzava il cervello. Non parevano essere in grado di pensare di testa propria, perennemente immobili fino a che un ordine dei predator non gli richiedesse di fare diversamente.

Poteva contare sulle dita delle mani le volte in cui aveva creduto di vedere delle azioni prendere luogo per volontà di quelle bestie (e il fatto che le sue dita erano solamente tre per mano diminuiva ancora di più quella già bassa percentuale).

Quindi era arrivato ad una conclusione abbastanza semplice: quegli esseri erano tanti, grossi e stupidi. Anche ridotti come erano, per loro tre non sarebbe stato un problema sbarazzarsi di loro. Il vero problema nasceva con i cattivi da cui prendevano ordini, gli uomini con la falce, i predator. Ma di loro se ne stava occupando Raphael.

Dopotutto si erano divisi i compiti per riuscire a trovare i punti deboli dei loro vari ostacoli. A lui erano toccati gli arieti stupidi, a Raph gli psicopatici con la falce e Leonardo invece doveva analizzare il luogo dove erano rinchiusi cercando di farsi una mappa generale del posto, per quanto conversazioni tra carcerieri e i loro spostamenti da una stanza di tortura all’altra potessero permetterlo.

Ciò che lo stupiva era il fatto d’essere riuscito a ragionare su tutto questo mentre era disteso su di una lastra di pietra, circondato da oggetti di tortura e con il predator che impassibile si apprestava ad un’altra nottata di lungo e doloroso interrogatorio.

Ma ormai era solo questione di resistere per un po’, solo un altro po’ e le Supernove avrebbero ricominciato a spaccare i culi a quegli stronzi.

 

 

Cloud non credeva di poter più provare una sensazione simile, l’energia le fluiva per tutto il corpo, la sentiva scorrere sotto la pelle e l’avvertiva come pronta ad esplodere.

Quasi non parevano essere trascorsi due anni, ma solo qualche breve istante dall’ultima volta che si era sentita così. E le era mancato, eccome se le era mancato.

Diavolo è fantastico!

- Vero?? E tu che facevi tante storie! -

Draciel fuori dalla mia testa. ORA!

- Ehi sgorbio ti ricordo che siamo fusi insieme ora. Non me ne posso andare. Ohi, non mi dire che ti sei pure dimenticata tutto! -

Tsé, ti pare possibile? Solo che dopo tutto questo tempo è strano avere qualcuno nella mia testa. Anche se a dirla tutta tu sei nella mia testa da un bel po’. Forse è la Dragon Soul che mi scombussola.

- Si credo sia normale. Poi conta che prima la fusione non era completamente avviata.  Allora, adesso no turning back. Fai fuori quel bastardo e poi ce ne andiamo di qui.  -

Ok. E magari poi mi spiegherai anche cos’è il qui. Perché sinceramente non ho idea di dove ci troviamo.

- Idiot! -

Non poteva sopravvivere. In questo momento era sicura di avere il coltello dalla parte del manico ed il coltello era ben affilato. Non restava altro che agire.

Le ali spalancate sbatterono lievemente e la giovane si apprestò a colpire. Un battito di ciglia ed era già a pochi centimetri dal volto di Rajal. Un calcio all’addome, una gomitata nel petto e ruotando su se stessa un altro calcio che lo scaraventò addosso la parete; subito Cloud era in aria davanti a lui e ricominciò a riempirlo di colpi facendo sì che lo sfregiato non cadesse al suolo per la forza di gravità.

Colpì il volto fracassandogli il naso, un ginocchio cedette sotto la pressione di un calcio ben piazzato e si piegò all’indietro, molte ossa delle costole si ruppero con spaccature nette a causa dei ripetuti pugni. La forza dei colpi arrivava a crepare la parete alle loro spalle. Grandi blocchi di roccia si staccarono e crepe profonde continuavano diramarsi per tutto il muro. Con un ultimo colpo di coda Cloud scaraventò Rajal lontano. Le ali sbatterono violentemente e lei tornò a toccare il suolo.

Il ghigno era sparito ed ora l’espressione di Cloud era seria. Rajal a parecchi metri ansimava e sputava sangue: non era riuscito a parare nemmeno un singolo attacco e quel combattimenti durato a malapena qualche minuto l’aveva distrutto. L’ex ninja sapeva di non dover abbassare la guardia ma ciò non toglieva che era certa di aver la vittoria in pugno.

- Cloud. -

I know.

- You know what? I said nothing!*

Immagino ciò che tu voglia dire.

Cominciò a camminare a passi lenti verso la figura inerme di fronte a lei, le ali smeraldo che piano si richiusero dietro le spalle e la coda squamosa che talvolta sbatteva pesantemente a terra. Erano lì a pochi metri. il cacciatore diventato preda e la preda diventata il più pericoloso dei cacciatori.

- Sp-spiegami come. – tentò di dire Rajal, il sangue che gli impastava la bocca.

- Tch. Never underestimate a Supernova. - Un altro passo, sempre più vicina. – Trust me dude. That is something you’ll regret.*

Ora Cloud sovrastava lo sfregiato, uno sguardo di odio e ribrezzo puro nei confronti di quella figura tanto possente e spaccona, ma ora inerme ai suoi piedi.

- Io odio uccidere. Un paradosso per un ninja vero? Ma noi siamo stati cresciuti così. Ho sempre ucciso solo quando era necessario e ti risparmierei volentieri la vita. -

Rajal non era stupido. Il suo volto non si rilassò a quelle parole. Era un sicario e bastava il tono della brunetta per arrivare a trarre le conclusioni adeguate.

- Hai ucciso tre dei miei fratelli… -

- A proposito di questo Cloud- -

Non ora Dras.

- …torturato quasi a morte il quarto, tentato di uccidere tre mie amiche

e trattato come cani o peggio tutti noi. Tutto questo non corre. -

Un ghigno si formò sul volto di Rajal. – Sei tosta O’Neill. I miei maestri avevano ragione. Per certi aspetti sei davvero la più pericolosa delle Supernove. – Un conato di sangue lo costrinse a piegarsi su se stesso. – Falla finita e uccidimi. –

Cloud lo afferrò per il collo della tunica e avvicinò il suo volto a quello di Rajal. Il pugno destro, seppur rotto, pronto a dare l’ultimo colpo e a finire quello scontro. Cloud concentrò la sua energia e la sentì fluire lungo il braccio, fino ad arrivare ad accumularsi tutta nel pugno.

Fissò quegli occhi ametista piena di disgusto, sicura che quella sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe visti così luminosi e pieni di vita. E finalmente colpì.

- Adesso è sufficiente Cloud. -

Quando il suo pugno era ad un niente dal petto di Rajal sentì che le forze di colpo l’abbandonarono.

La mano stretta sulla tunica cominciò ad essere pesante e si staccò afflosciandosi inerte lungo il fianco mentre sentiva che l’energia che le percorreva l’intero corpo svaniva. Dopo la mano anche il corpo divenne pesante e si sentì sempre più cadere verso il basso.

L’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi fu Draciel, che ricomparso, le si stagliava a fianco e che con la coda dell’occhio la fissava e le sorrideva.

Poi tutto divenne nero.

 

 

 

* Non sottovalutare una Supernova. […] Fidati stupido. E' qualcosa che rimpiangerai.

*  Lo so.

   Tu sai cosa? Non ho detto niente!

 

 

 

{nota autrice: Gomene! Questi capitoli tutti descrittivi dove non succede un bigolo di niente stancheranno tutti ormai! ;) ma servono quindi abbiate un pochina di pazienza! Che dal prossimo capitolo la storia si anima ^^ un bacio a tutti e un MEGA grazie a chi recensisce, mi segue o legge soltanto ♥

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Capitolo 15
*** La quiete nel cuore ***


La quiete nel cuore

 

 

Il vento che le muoveva lievemente i capelli fu la prima cosa che percepì appena riprese i sensi. Si sentiva intorpidita fino al muscolo più piccolo e insignificante del corpo e faticava ad aprire le palpebre. Dopo parecchi tentativi finalmente ci riuscì e subito una luce accecante riempì l’intero campo visivo. Sentiva qualcosa in lontananza e dopo qualche istante cominciò a riconoscere delle voci.

- Ehi si sta svegliando! – esclamò qualcuno vicino a lei. La voce era dolce, doveva essere una ragazza. Infatti appena cominciò a mettere a fuoco, la faccia di Anna era a meno di un metro dalla sua. Aveva un’espressione decisamente radiosa in volto anche se era piena di graffi e lividi e del sangue secco le ricopriva gran parte della tempia sinistra.

Cloud non fece in tempo a sorriderle per farle capire che era abbastanza cosciente da riconoscerla che una seconda voce catturò la sua attenzione.

- Spostati ragazzina, ha bisogno di respirare. -

Anna un po’ intimorita si spostò da Cloud e subito un essere di dimensioni enormi le si stagliò sopra la testa.

- Draciel? – chiese la giovane ancora lievemente stordita.

- No. You’re dead and now you are in heaven. In fact I’m Jesus Christ. –

- Fuck you. –

Il gigantesco dragone la fissò storcendo il naso. Poi la sua bocca disegnò una linea simile ad un ghigno lasciando intravedere le lunghe zanne bianchissime.

- Noto con piacere che il tuo umore non cambia nemmeno da appena svegliata. Come ti senti? -

- Mi fa male la testa. – Quella era scemenza più grande che Cloud potesse sparare. Era vero che la testa pulsava e faceva male ma non era niente paragonato al resto del corpo.

Draciel sorrise. Era sempre così.

Cloud con un grande sforzo riuscì nell’intento di mettersi a sedere e cercò di rilassare gli arti. Chiuse gli occhi ed assaporò quegli attimi di tranquillità. L’aria fresca le scompigliava i capelli e il ciuffo lungo sollevato dal vento si arricciava quasi stesse giocando. Finalmente poteva sentire un silenzio pieno di tranquillità. In lontananza sentiva chiaramente degli uccelli cinguettare. Inspirò profondamente e riaprì gli occhi. C’erano tante domande a cui lei doveva rispondere e tante di cui lei attendeva risposta ma una era quella che le premeva di più.

- Cos’è successo? -

 

Draciel era impressionato. Certo, avevano già usato la Dragon Soul ma non credeva che Cloud si sarebbe riabituata così bene a tutta quell’energia sotto il suo controllo. Nel giro di pochi minuti aveva ridotto Rajal allo stremo senza nemmeno impegnarsi più di tanto. Praticamente aveva la vittoria in pugno. Sentiva che Cloud la pensava allo stesso modo, lo percepiva.

Poi però rifletté. Era giusto farle uccidere un uomo davanti agli occhi dei suoi amici? Dopotutto Cloud aveva rifiutato di usare la Dragon Soul proprio perché non voleva traumatizzarli più di quanto non fossero già.

No non era giusto. Doveva bloccarla, anche se sapeva che Cloud aveva tutte le ragioni per uccidere quel verme con le sue mani.

- Cloud. -

I know.

- You know what? I said nothing! –

Immagino ciò che tu voglia dire.

Draciel restò momentaneamente spiazzato. Ma cosa diavolo aveva capito quella ragazza? Lui non aveva proferito parola e lei che shell aveva capito? Un emerita H supponeva. D’accordo che condividevano gran parte delle emozioni e dei pensieri, ma ciò non toglieva che ogni cosa che lui pensava fosse per forza ovvia anche a lei.

Nel frattempo Cloud si era avvicinata a Rajal. Quel sicario si chiedeva come avesse fatto. Ah  se solo avesse avuto la possibilità di vedere Cloud combattere con le sue sole forze. Altro che allenamenti speciali e altro. La sua mini ninja l’avrebbe spiazzato.

Tornò a seguire il discorso che Cloud e Rajal stavano facendo.

- Hai ucciso tre dei miei fratelli… -

Ok e quella che boiata era? Senza volerlo alcuni ricordi di Cloud gli si presentarono dinnanzi. Una pergamena. Sentenze d’esecuzione. Leonardo, Donatello, Michelangelo e Raphael barrati. Eliminati.

Di nuovo. Che emerita boiata era?

 - A proposito di questo Cloud- -

Non ora Dras.

E Cloud continuò il suo discorso con Rajal senza prestare attenzione a Draciel. Egli vide la ragazza scambiare qualche altra parola con lo sfregiato prima di rabbuiarsi in volto ed afferrare per il collo della tunica Rajal.

Lo vedeva chiaro dalla sua espressione che era intenzionata ad ucciderlo. E come aveva già deciso, non poteva permetterglielo. Cloud fece scendere il pugno in direzione del petto di Rajal.

- Adesso è sufficiente Cloud. -

Ruppe la Dragon Soul. Come una scia dorata, lasciò il corpo di Cloud per poi riprendere la sua forma di drago al suo fianco.

Cloud, completamente sciupata da tutte le energie cadde a terra svenuta. Ebbe solo il tempo di rivolgerle un vago sorriso che la ragazza chiuse gli occhi.

Draciel allora si concentrò sulla figura al suoi piedi. Era grande quanto un suo artiglio. Una sola zampata e ridotto com’era, avrebbe potuto dilaniarlo con semplicità.

 - Avrei benissimo potuto lasciare che ti uccidesse lei. Ne aveva tutto il diritto. ma non potevo rovinare in modo irrimediabile ciò che quei ragazzi li in fondo pensano di lei. Di certo non mi fermerò a spiegare a te il perché. - sentenziò il drago.

Rajal era rimasto lievemente interdetto dagli ultimi avvenimenti ma aveva ripreso abbastanza coscienza di se per prestare attenzione alle parole di Draciel. Ora lo fissava. Ambra e ametista. Due paia di occhi che si squadravano.

- Io so che non li hai uccisi. Quindi credimi, averlo fatto credere a Cloud è già un motivo valido per me per farti fuori. -

- E allora fallo bestione. –

- Non chiedevo altro. – ringhiò Draciel di rimando.

Aprì le fauci e con un morso staccò di netto la testa dal corpo. Il sangue zampillò dal collo e il dragone sputò lontano la testa di quell’essere che aveva in bocca. Altro sangue scendeva dalla sua mandibola sporcando le squame verdi.

Draciel lanciò un’ ultima occhiata al corpo martoriato ai suoi piedi e poi con la coda sollevò la svenuta Cloud e se la caricò sulla schiena, tra le ali, dove le spine acuminate della colonna vertebrale non erano presenti.

Poi si diresse verso il piccolo gruppo al margine della stanza.

Sentì il sangue gocciolargli lungo la mandibola, emise una leggera fiammata per pulirsi le fauci e si riconcentrò sulle cinque figure a cui era vicino.

- Ora andiamo. -

- Andiamo dove? – chiese la moretta dai tratti orientali.

- Vi porto via da qui. –

Senza aspettare risposta aprì un portale con l’energia mentale e dopo aver acciuffati le tre ragazze, il ragazzo e Donatello a poca distanza da loro spiccò il volo attraverso il portale.

 

Dall’altra parte Draciel atterrò su di un immensa prateria verde. L’intera area era ricoperta d’erba Draciel vi adagiò Donatello per poi lasciare cautamente i ragazzi che teneva tra le zampe.

Si volse e con la coda distese anche Cloud sull’erba morbida. Sapeva che non ci avrebbe messo molto a svegliarsi.

Intanto il gruppetto si era seduto e si guardava intorno con fare sospetto. Il ragazzo fissò Draciel e poi gli parlò.

- E adesso? -

- Adesso io curo Donatello mentre aspettiamo che Cloud si svegli per avere altre informazioni. –

- Ma- -

- Ehi si sta svegliando! – esclamò Anna.   

 

- E poi ti sei svegliata e questo è quanto. – disse Draciel. Il dragone ora aveva assunto le sembianze di un gigantesco serpente. Le ali, le zampe e la coda uncinata erano spariti per lasciare spazio ad una semplice pelle squamosa color dello smeraldo. Solo la lunga cicatrice che percorreva l’occhio destro e gli occhi ambra riflettevano perfettamente l’immagine reale di quella maestosa creatura.

Inoltre in quanto basilisco, era anche di dimensioni notevolmente ridotte. Ma ciò non toglieva che fosse comunque enorme.

- Capisco. Anzi no non capisco proprio niente. Tu avevi detto che il mio corpo non avrebbe retto la mia energia senza la Dragon Soul ma tu comunque l’hai annullata senza problemi! E io sono viva. –

Draciel guardò le nuvole che in quel momento stavano dando un po’ di riposo dal sole che illuminava la radura.

- Diciamo che mentre era al tuo interno ho disattivato il sigillo del Tribunal che era praticamente a brandelli e ne ho creato un altro. –

- Tu cosa? –

- Senti. Questo è un problema secondario. Spara altre domande e intanto ringrazia di essere viva. – sentenziò il basilisco con il fantasma di un sorriso che gli rigava le labbra.

Cloud sbuffò.

- Altra domanda eh. Perché diavolo mi avevi detto di uccidere Rajal all’inizio se eri già convinto di farlo tu stesso? -

- Era per spronarti. Volevo solo che riacquistassi fiducia in te stessa. –

I loro sguardi si incrociarono e Cloud sostenne quello di Draciel con estrema fermezza. Poi però il suo volto si addolcì.

- Grazie. –

Il basilisco sorrise a sua volta ma subito cominciò a tartassare la giovane con la coda per impedirle di vedere una piccola lacrima scendere dal suo occhio sfregiato.

Era felice di averla di nuovo con se.

- Whoa Dras smettila! – esclamò Cloud, ora sepolta dalla grande coda del serpente. – Mi schiacci! -

- Oh povera piccina. –

- Si infatti. Povera me! –

- La piccola Cloud non è in grado di sostenere un’innocua coda! Cattivo Dras! Non si fa male a Cloud! –

- Ok Draciel abbiamo chiaro il concetto puoi smetterla adesso. – disse Cloud finalmente libera dalla possente coda.

- Cattivo Draciel! Cattivo cattivo. –

- Dras davvero, smettila. –

- Dovrei saperlo che non sei in grado di sostenere la mia stupenda, superba e immensamente immensa forza. –

- Draciel. –

Il monologo di Draciel pareva voler volgere all’infinito così Cloud decise di darci un taglio.

- Insomma Draciel la pianti? - urlò la ragazza nel posto dove teoricamente stava l’orecchio del basilisco.

Quest’ultimo la guardò sbieco. – Pff. Grazie per levarmi tutto il divertimento! –

- Oh di niente. -

I due cominciarono a fissarsi in cagnesco e parevano intenzionati a continuare nel loro duello di sguardi.

- Ehm…scusate. -

Entrambi gli interessati volsero lo sguardo verso il punto da cui era arrivata la voce. Elisabetta li stava fissando con un’espressione che era tra lo spaventato e lo sconcertato. La brunetta sospirò. Quel momento di battibecco con Draciel le aveva fatto dimenticare che aveva parecchi altri nodi da sciogliere.

- No. Sono io che dovrei scusarmi. – cominciò Cloud cercando di alzarsi in piedi. Draciel le venne in aiuto sostenendola con il muso. – Adesso credo che cominciare tutta la storia dall’inizio sarebbe la cosa migliore, ma prima vorrei controllare come sta mio fratello se posso. -

Cloud si rivolse ad Alice. Sapeva che era lei l’elemento più incrinato in tutta quella catena che ora loro stavano formando.

- Fa come credi. – rispose acida la ragazza.

Elisabetta e Mattia la fissarono mentre si sedeva e si concentrava nel fissare il paesaggio circostante.

Cloud tirò un sospiro di sollievo e si rivolse a Draciel.

– Mi dai una mano? -

- Lo faccio io. -

Subito le braccia di Anna l’aiutarono a restare su due piedi e Cloud si ritrovò per la seconda volta il volto sorridente di Anna che la fissava.

Non riusciva a capire come potesse ancora guardarla così. Eppure aveva patito e visto come gli altri.

Non è spaventata?

Così mentre le due si avvicinavano alla tartaruga distesa sull’ebra a qualche metro di distanza, Cloud non poté che ringraziare di aver trovato amici così speciali. Perché se una di loro l’aveva anche minimamente capita, forse potevano farlo anche gli altri.

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Capitolo 16
*** Attesa. L'amarezza nel gioco di sguardi ***


Attesa. L’amarezza nel gioco di sguardi

 

Cloud non era mai stata un genio ne era mai arrivata a definirsi tale.

Ok quello magari qualche volta.

In ogni caso non serviva esserlo per capire che una ragazza con dolori ovunque che faticava a reggersi in piedi ed una ragazza con una storta alla caviglia non fossero in grado di andare tanto lontano sorreggendosi l’una sull’altra.

A quanto sembrava, però, Cloud se ne accorse troppo tardi. E ormai poteva dare il felice buongiorno all’erba che stava ingoiando.

Sputacchiando un po’ rivolse il viso alla ragazza distesa faccia a terra alla sua destra.

- Sai Anna. Apprezzo davvero lo sforzo, ma la prossima volta se vuoi aiutare qualcuno cerca di capire prima se sei in grado di farlo per davvero. -

Anna fece un sorrisetto a mò di scusa.

- Ha ragione, diavolo siete una più impacciata dell’altra. -

- Grazie Dras davvero gentile da parte tua. – esclamò Cloud fulminando il basilisco con gli occhi. – Almeno tiraci su se proprio non ti scoccia. –

Ghignando Draciel, che si era fin da subito affiancato alla coppia a terra, decise di rimettere in piedi le ragazze. – Vi giuro che se non lo sapessi per certo, vi scambierei senza ombra di dubbio per sorelle. –

- Perché siamo troppo belle! – disse Anna allegra mentre si faceva aiutare dal serpente ad alzarsi.

- No. Perché entrambe sembrate essere dotate della capacità intellettiva di un’ameba. – rispose di rimando Draciel ridendo di gusto per la sua battuta.

Anche Elisabetta si mise a ridere, sollevata che alle amiche non fosse successo niente; Mattia sorrise e Cloud non poté far altro che sbattere la testa sul terreno per nascondere l’imbarazzo fino a quando un pensiero non le passò per la testa.

- Dracielllllllll!!!! Cosa cazzo ci faccio ancora per terra! Tirami su, degenerato mentale! -

Mentre tutti ripresero a ridere alla vista della brunetta che sbraitava muovendo gambe e braccia in aria dando l’impressione di poter cominciare ad emettere fiamme dalla bocca da un momento all’altro, Alice fu solo in grado di fissare la scena in silenzio.

Con un lieve “umpf” girò la testa verso il paesaggio.

Voleva restare sola, voleva mollare quella banda di mostri traditori. Non si accorse nemmeno di un paio di occhi smeraldo che continuarono a fissarla intensamente per parecchi minuti.

 

 

 

Rigirò il cellulare per l’ennesima volta tra le mani; non riusciva a capacitarsi di come, pur dopo tutto quell’essere sballottata di qua e di la, quel cavolo di aggeggio fosse riuscito a rimanerle ben infilato in tasca.

A conti fatti però quella era l’unica cosa positiva: il nokia ormai era pieno di ammaccature e aveva perso il colore nero su quasi tutta la cover del retro, lo schermo poi era graffiato da un sottile ma lungo taglio. Il fatto che non accennasse ad accendersi poi, era tutto un altro paio di maniche.

Cloud era certa che anche se a causa di com’era ridotto sarebbe stato difficile averlo acceso, in quel momento era comunque inutilizzabile a causa delle frequenze elettromagnetiche diverse.

Cioè, avevano vagato per il multi-universo per quasi una settimana, passando attraverso portali e dimensioni differenti. Una tecnologia misera come quella della Terra non era in grado di reggere.

Potrebbe funzionare se solo ci applicassi il congegno che aveva creato Donny.

Si girò a guardare il fratello disteso su di una stuoia a qualche passo da lei. Cloud avrebbe preferito adagiarlo su qualcosa di più morbido ma la baita non aveva niente del genere.

Era stato Draciel a farglielo notare, in quanto lei non ci aveva minimamente fatto caso quando erano arrivati.

Il basilisco li aveva portati in un piccolo pianeta che lei e i suoi fratelli avevano usato parecchie volte in passato per allenarsi senza doversi preoccupare di creare problemi nel Nexus.

Da ciò che avevano appreso esplorando il territorio, quello era un pianeta deserto senza alcun segno di vita se non ad eccezione degli animali selvatici. La vegetazione era rigogliosa e i boschi coprivano quasi tutto.

Avevano costruito un rifugio dove poter dormire, tenere qualche provvista e molti, molti oggetti per il primo soccorso. Combattendo a piena potenza si ferivano praticamente sempre e perciò avevano deciso di essere previdenti.

In quel momento si trovavano proprio in quella baita ai margini della radura. Draciel aveva portato tutti sul dorso fino a li, anche se la baita non era troppo distante da dove erano atterrati grazie al portale. La sua speranza era che vi fossero ancora bende e altro dall’ultima volta che le supernove si erano recate li per allenarsi.

Fortunatamente per tutti loro aveva fatto bingo.

Cloud tirò un lungo sospiro di sollievo mentre appoggiava la schiena alla parete alle sue spalle.

Donatello era ancora incosciente ma almeno adesso aveva un aspetto migliore. Gli aveva pulito le ferite con un po’ d’acqua e aveva cercato di fasciarle meglio che poteva. Sapeva che ora non poteva fare altro che aspettare.

Dopo aver curato suo fratello Alice aveva preteso spiegazioni, supportata anche da Elisabetta ma Draciel si era categoricamente opposto esigendo che tutti venissero curati.

Era stata una cosa rapida, almeno in generale. Sia Mattia, Alice e Elisabetta avevano più che altro lividi ma niente di serio, solo qualche graffio qua e là. Ad Anna era bastato lavare la ferita sulla tempia, che si era rivelato un piccolissimo taglio, e bloccare la caviglia con una fascia.

Cloud era rimasta sorpresa per come tutti avessero lasciato lavorare in pace il basilisco mentre prestava le cure mediche su ognuno di loro.

Continuò a far ruotare il cellulare tra le mani fino a quando una fitta al polso non le fece perdere la presa. Il nokia cadde con un tonfo ai suoi piedi.

Cloud non ci prestò attenzione, troppo presa a tenersi il polso dolorante.

- Certo che se anche ti dicono di stare ferma perché è rotto tu non lo capisci proprio eh? - Alice le stava rivolgendo un’occhiataccia degna di un film horror. Era seduta anche lei con la schiena a muro sulla parete della baita opposta alla sua; era irritata perché nessuno le spiegava niente e aveva cercato di dormire un po’ per non pensarci. Almeno fino a quando Cloud non aveva fatto cadere il telefono svegliandola.

- Eh eh me n’ero scordata! – disse ridacchiando Cloud per sdrammatizzare un po’.

- Si immagino che il polso steccato e la fasciatura passino inosservati a chiunque. –

Restarono a fissarsi per qualche istante e il sorriso di Cloud si abbassò fino a diventare una linea sottilissima. L’aria era tesa, nessuna delle due pareva intenzionata a proferire parola. Ad un certo punto, stanca di quell’inutile gioco di sguardi, Alice tornò a chiudere gli occhi ed a cercare di dormire.

Cloud odiava quella situazione, e odiava quell’aria tesa. Sperava solo che Draciel e Mattia tornassero presto così da poter chiarire la questione. Alice era la sua migliore amica e seppur fino a quel momento non avesse mai detto niente, gli sguardi, le frasi, il fatto che lei non le parlasse, tutto questo le faceva più male di qualsiasi altra cosa.

- Non ha tutti i torti però, sai? –

Cloud si volse alla sua sinistra. Anna era distesa sul pavimento a guardare lo spazio vuoto del piccolo camino dove avrebbe dovuto trovarsi il fuoco. La bruna si era quasi dimenticata che la quindicenne fosse li; Anna dopotutto era stata zitta sin da quando Draciel l’aveva curata. Immaginava fosse a causa della scomparsa di Naya, Erica e Giulia. Era stata Naya ad aiutarla a muoversi i primi giorni, con la sua caviglia in quelle condizioni ed era certa che nel momento in cui la sua attenzione era stata riportata sulla slogatura i brutti ricordi di qualche ora prima fossero tornati a tormentarla.

Il suo stesso pensiero doveva essere balenato nella mente di tutti perché per un po’ era sceso il silenzio. Cloud giurava di aver sentito Elisabetta singhiozzare prima che uscisse al di fuori della baita. Ed ora che ci rifletteva, la ragazza non era ancora tornata.

Cloud si sentiva peggio nel sapere che le tre ragazze erano sane e salve e non poterlo dire agli altri ma Draciel era dell’opinione che dirlo dopo aver calmato gli animi era la cosa migliore.

- Non ha tutti i torti di cosa? – rispose dopo un lungo silenzio Cloud.

- Draciel ha detto che devi riposare no? Ha detto che con qualche giorno di riposo i muscoli torneranno in forze. Ma se non riposi non si risolve niente. –

La voce era pacata ma Cloud vi riconobbe comunque un sincero interesse per le sue condizioni.

- Ho dormito per tre ore più o meno e credimi sto già meglio. Grazie all’assenza del sigillo il mio corpo sta recuperando un po’ di tono e quindi ricomincio a guarire più in fretta. -

Come a dimostrare le sue parole la brunetta cominciò a piegare le gambe facendo capire all’amica che non vi erano troppi dolori nel farlo. – Sono ancora un po’ in rodaggio ma direi di essere a buon punto. -

Anna si era girata a fissarla: Cloud la vide mettersi a quattro zampe e cominciare a venirle vicino fino a sedersi al suo fianco.

Rimase in silenzio per un po’ ma Cloud vedeva dalla sua espressione che voleva chiederle qualcosa. Decise di aspettare fino a quando l’amica non si fosse sentita pronta.

Vide la brunetta più piccola guardarla con la coda dell’occhio.

- Sei vestita normale. –

- Ovvio. Dovrei essere vestita diversamente? – chiese Cloud stupita.

- Il completo rosso fuoco NON è normale. – disse Anna, ora guardandola in faccia.

- Ma ora non l’ho mica addosso! –

Era vero. Appena Draciel si era separato dal suo corpo, lei era tornata normale. Niente più capelli sparati in aria con ciuffi bianchi, niente più pupilla da drago e niente più completo da combattimento rosso fuoco. Aveva di nuovo i jeans rovinati e la felpa con i bottoni.

- Si adesso si. Però era strano prima. –

Cloud sospirò per l’ennesima volta in quella giornata e scosse la testa.

- Quindi il completo era la cosa più strana? – chiese sogghignando.

Anna la fissò per qualche istante quasi non avesse capito ciò che l’amica aveva sottinteso.

- Com’è? -

­- Che cosa? –

- Beh…essere com’eri contro Rajal. -

Cloud alzò un sopracciglio.

- Intendo, quando ti sono spuntate le ali e la coda. –

Ok adesso si ragiona in quanto al tema “ stranezze”. Altro che il completo!

- Ah! Quando ho usato la dragon soul col degenerato mentale? -

Ad Anna si dipinse l’ombra di un sorriso nell’udire l’appellativo con cui Cloud si riferiva al basilisco.

- A dirla tutta era strano. Cioè, la dragon soul l’ho usata due sole volte prima di oggi ed è stato più di due anni fa. Non ero più abituata ad avere altri tre arti da controllare. Anche se è bastato pochissimo per riabituarmi. Il difficile era restare concentrata, avendo Draciel che mi parlava in testa.

Però è stato bello. Era da anni che non sentivo tutta quell’energia scorrermi in corpo. Comunque è davvero figo se è questo che ti interessa. Avere coda ed ali è davvero, davvero figo. Naturalmente se sei in grado di controllarle. –

Cloud sorrise ad Anna. – E la prima volta che io ho usato la dragon soul è stato un macello perchè… -

- Il fatto che tu abbia distrutto la statua in bronzo di Karaman solamente perché giravi in tondo senza riuscire a controllare la coda è una storia per un’altra occasione. –

La voce del basilisco riempì la piccola baita e gli occhi delle tre ragazze al suo interno si volsero su di lui. Appena dietro di lui Mattia aveva le braccia ricolme di legna ed era affiancato da Elisabetta, finalmente ricomparsa e che pareva avesse dato loro una mano portando un po’ del legname.

La legna tra la coda del basilisco finì in parte nel camino che si apprestò poi ad accendere nel mentre Mattia ed Elisabetta poggiavano quella restante in un angolo. Alice ora era ben sveglia ed aspettava con ansia quel momento.

Cloud avrebbe riso in qualsiasi altra occasione se avessero tirato in ballo il nome di Karaman ma sapeva che in quel momento l’atmosfera era cambiata.

Draciel era tornato. Era tempo di spiegazioni.

- Ok direi che ora possiamo cominciare. -

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Capitolo 17
*** Spiegazioni ***


 

Spiegazioni

 

- Ok direi che ora possiamo cominciare. -

Draciel si spostò verso il centro della stanza e si accoccolò per stare più comodo. Sapeva che sarebbe stato qualcosa di lungo.

Cloud ed Anna restarono sedute dov’erano e vennero affiancate dalle altre tre persone che mancavano all’appello.

- Sono certo che voi abbiate innumerevoli domande da porre e immagino sia difficile mettere un freno alle vostre lingue, ma vi prego di restare in silenzio ed ascoltare, perché sono certo che man mano tutti i nodi verranno al pettine. Ok? -

Quattro teste acconsentirono con un cenno di capo.

- Immagino ora tocchi a me… - cominciò Cloud. Draciel la fissò serio qualche istante ma la ragazza non se ne accorse.

Cloud non aveva idea di cosa fare: erano ore che anche lei attendeva questo momento, ma adesso che si ritrovava a dover parlare un nodo le bloccava la gola. In realtà non aveva la più pallida idea da dove cominciare.

Le persone nella stanza attendevano in rigoroso silenzio; le loro figure sedute sul pavimento della baita erano in parte illuminate dalla luce calda del fuoco alle loro spalle. Un ceppo cominciò a bruciare più in fretta emettendo continui crepitii ma nessuno parve rendersene conto.

- Allora… - la brunetta si sentiva la bocca impastata e non trovava le parole.

Sapeva che tutti pendevano dalle sue labbra ora, ma davvero non ci riusciva. Quasi senza accorgersi cominciò a rigiocare col cellulare ai suoi piedi.

Un giro a destra.

Un giro a sinistra.

Un giro a destra.

- Hai intenzione? – chiese ad un tratto Alice.

Cloud si riscosse dallo stato di semi-trance in cui era caduta. Rimase a fissare ad occhi spalancati il pavimento su cui era seduta.

E fu in quel momento che un pensiero la colpì. Ma che diavolo stava facendo? Che diavolo aveva fatto per tutto il giorno? Cosa aveva fatto negli scorsi cinque giorni?

No. Cosa aveva fatto negli ultimi due anni?

Niente, proprio niente. Si era lasciata fottutamente andare. E forse, anzi senza forse, quello ci stava. Ma non voleva dire che doveva far pesare tutto ciò sulle spalle di qualcun’altro.

Se nelle ultime ore un po’ della spina dorsale che aveva sempre avuto era ritornata a farsi sentire, quello era i momento per utilizzarla.

- Si. – Non si scusò per l’attesa. Non era giusto nei loro confronti continuare a sentirsi dire solo scusa. Volevano la verità. E lei gliel’avrebbe data.

-  Se volete conoscere la verità e volete avere risposte appaganti alle vostre domande allora dovrò cominciare dall’inizio. Parte di quello che vi dirò sarà uguale a ciò che Rajal vi ha già raccontato, ma resterete a sentire comunque. -

 

Cloud O’Neill nasce il 25 giugno 1993 in una cittadina a venti chilometri da New York City.

Vive i suoi primi tre anni tranquillamente con i genitori Sarah e Jack O’Neill. Questo fino ad una notte d’agosto.

La famiglia decide di stare qualche giorno nella Grande Mela e quella è l’ultima sera del loro breve soggiorno. A causa del crollo della palazzina dove alloggiano, Sarah e Jack vengono separati dalla loro bambina e i soccorsi e le autorità civili la danno per morta. Cloud però è fortuitamente salvata.

Salvata da un piccolo mutante apprendista ninja.

Questa creatura ha disobbedito ad un ordine del maestro ed è salito in superficie per dare un’occhiata al livello strada.

Loro vivono nelle fogne, per loro è pericoloso salire in superficie. Ma questa sua mancanza salva la vita alla piccola Cloud. Leonardo, questo è il nome del mutante, vede la piccola nel giardino e la porta in salvo nel vicolo prima che la valanga di mattoni e detriti le crolli addosso. La piccola è svenuta ed egli decide di portarla al loro rifugio per avere consigli dal maestro su che fare.

 

Cloud si sveglia in un posto che non ha mai visto. Ciò che i suoi occhi vedono oltre ad un ambiente illuminato sono quattro piccoli esseri strani. Delle tartarughine alte quanto lei, con delle bandane colorate a coprire il muso che la fissano a qualche metro di distanza.

- Ehi si è ripresa sembra! – esclama la tartaruga con la bandana rossa. Cloud è sorpresa: quelle tartarughe parlano. Ma è solo la prima di tante novità.

Nel girò di qualche minuto incontra il loro maestro, un topo mutante di nome Splinter, scopre i nomi delle tartarughe e che sono quattro apprendisti ninja.

La bambina non può più tornare dai genitori. Ha perso la memoria e tutto ciò che ricorda è il suo nome. A tre anni i ricordi non sono tanti e dei suoi genitori nella sua mente è sparita ogni traccia.

Cloud viene quindi adottata dalla sua nuova strana famiglia. Dopo due settimane qualcosa scuote la sua memoria. Un animale. Centra con suo padre, lo sa. Il serpente che ha visto in un prato. Era una gita. È tutto ciò che ricorda. Ma quel serpente è speciale. Draciel infatti è un drago che può assumere la forma di questo enorme serpente, il basilisco. Come lui spiega, appena Cloud sarà grande abbastanza diventerà il suo cavaliere del drago. E fino ad allora Draciel si prenderà cura di lei. Così passa il tempo, passano gli anni. Leonardo, Donatello, Raphael, Michelangelo e Cloud sono ninja a tutti gli effetti. Nei condotti dell’acqua potabile delle fogne si allenano e hanno una vita tranquilla.

Ai loro quindici anni circa, i problemi arrivano.

Incappano nell’organizzazione segreta dei Foot ninja, guerrieri guidati da Shredder. Egli è un fantasma del passato di Splinter e diviene il loro più acerrimo nemico. Dopo molti scontri all’interno di New York, finalmente la vittoria arriva per le tartarughe ninja.

 

Sembra che la vita riprenda tranquilla ma non è così.

Il Ninja Tribunal fa il suo ingresso in scena. La più segreta e imponente autorità guerriera della terra in campo ninja arriva a loro. Le tartarughe e Cloud sono valutate come i guerrieri più forti sulla terra ed hanno l’onore di allenarsi con il tribunale, in Giappone. I quattro maestri ninja potenziano fino a livelli inimmaginabili ciascuno di loro facendogli apprendere l’arte dell’energia interiore, la vera forza di un guerriero.

Sgretolare rocce, montagne a mani nude è uno scherzo per Cloud e i suoi fratelli. Lo stesso vale per il correre a velocemente e potenziare le abilità ninja che già hanno.

Vengono donate loro nuove armi, più potenti e in grado di resistere dove le loro vecchie armi avrebbero fallito.

Solo alla fine del loro allenamento lo scopo di ciò è rivelato. L’essenza malvagia di Shredder, che durante i loro scontri avevano scoperto essere una creatura aliena in un finto corpo robotico, si appresta ad attaccare nelle spoglie di un antico guerriero samurai il Nexus.

 

Cloud ha avuto sempre qualche riserva nell’utilizzare la nuova forza scoperta negli allenamenti del tribunal, non vuole rischiare uno sconvolgimento drastico nella vita sua e dei suoi fratelli ma capisce di non avere scelta.

Il Nexus è per tutti loro un posto caro: in quel luogo hanno combattuto nel “Battle Nexus Tounament”, hanno conosciuto popoli di altri pianeti e galassie e si sono fatti nuovi amici. Ci sono troppi ricordi per lasciare che il loro incubo peggiore lo distrugga. E in quel combattimento fuori da ogni loro possibile concezione in quanto potenza e distruzione, Cloud capisce di non dover odiare la sua nuova forza, perché se ciò che minaccia le cose a lei care è di forze inimmaginabili, allora anche la sua forza deve diventare tale.

 

Dalla fine dello scontro passano due mesi. Il Daimyo, capo supremo del Battle Nexus, è riuscito a ristabilire l’ordine nell’ Interduello e celebra la vittoria con una grande festa a cui partecipano guerrieri e civili da tutti i pianeti.

È in questa occasione che accade.

In questa sera i guerrieri diventano eroi.

In questa sera le tartarughe ninja di New York City diventano le Supernove.

In questa sera diventano le leggende.

 

Michelangelo propone l’idea a Cloud una sera, mentre stanno chiacchierando prima di coricarsi. Un’idea a primo impatto sciocca ma Cloud capisce da cosa è mossa. Michelangelo ha sempre avuto la fissa del supereroe e loro adesso per l’intero multiuniverse lo so.

Far diventare il Battle Nexus la loro base operativa quindi, non sembra una cattiva idea alla ninja.

Dopo aver discusso l’idea della tartaruga dalla bandana arancio, la proposta approvata viene esposta al Daimyo che di buon grado accetta.

 

Nel giro di qualche settimana il Nexus si anima. Dove prima vi erano locande aperte, negozi e bancarelle solo nei brevi giorni del torneo, ora vi sono negozi, bancarelle e locande stabili e una vera città si stanzia nell’Interduello.

Al palazzo del Daimyo si crea la sezione missioni, dove vengono recapitate le richieste di aiuto e soccorso dei vari pianeti e il Battle Nexus, semplicemente ribattezzato Nexus, diventa il centro della nuova vita sociale e operativa del multiuniverse.

 

Le Supernove accrescono di fama e sono gli eroi del popolo.

Per Cloud, questa nuova vita comincia all’insegna dei suoi sedici anni.

Un anno circa di missioni, combattimenti, allenamenti.

Poi Blackhole si presenta. Colui che ucciderà le Supernove e le farà soccombere sotto la potenza del buco nero. Una battaglia che porta in gioco gli eserciti del Nexus e di milizie alleate, tutte a combattere un pazzo ed un esercito di demoni.

Cloud, Leonardo, Raphael, Donatello, Michelangelo e Draciel sono in prima linea. Combattono i demoni e Blackhole cercando di sopraffarlo. Ma il nemico è forte, forse troppo forte.

Sembrano reggere fino a quando, durante il terzo giorno si dividono il comando dei vari battaglioni dell’esercito, per avere un miglior controllo del campo di battaglia.

In quel giorno accade.

Da lì in poi, solo l’inferno.

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Capitolo 18
*** Donatello ***


 

Donatello

 

La luce arancione filtrava tra i rami della foresta creando strane ombre al suolo; era una notte limpida, non una nuvola in cielo e la luna era visibile in tutto il suo splendore su PZ-7. Il particolare colore arancio la rendeva inusuale, strana, meno tenebrosa, addirittura più calorosa ma era comunque il monito più lampante che portava qualsiasi anima viva a rimembrare di non trovarsi sulla Terra.

In quel momento le uniche creature che potevano sentire la mancanza di quest’ultima però, erano troppo impegnate nel restare all’ascolto di una delle storie più inverosimili che le loro orecchie avessero mai udito.

Draciel volse un occhio alla grande sfera aranciata in cielo per la prima volta proprio nel momento in cui Cloud smise di raccontare. La storia non era giunta alla fine; anzi, si poteva sostenere che la parte fondamentale dovesse ancora arrivare ma l’ex ninja aveva bisogno di qualche secondo prima di riuscire a continuare la narrazione.

Il basilisco si accoccolò meglio su se stesso. Nelle due ore precedenti la scena attorno a lui era un po’ mutata: ora Anna si era lasciata cadere distesa su di un fianco ed Elisabetta si era sistemata più comodamente sulla sua stuoia. La lieve pressione che sentiva sul fianco significava che Mattia era ancora appoggiato leggermente a lui.

Anche Alice si era rilassata. La posa rigida che aveva assunto all’inizio aveva lasciato posto ad un fisico più disteso, questo anche a causa della fatica e dello sfinimento della giornata trascorsa; l’espressione era restata comunque seria lungo tutta la narrazione se non in alcuni sprazzi in cui al basilisco era parso di vedere l’ombra di un sorriso sulle labbra della rossa mentre Cloud raccontava del bei momenti con la sua famiglia.

Quest’ultima era ora intenta a riordinare le idee: anche se faticava ad ammetterlo pure a se stessa, non aveva mai constatato quanta confusione ci fosse nella sua testa per ciò che riguardava Quel giorno. Vi aveva ripensato parecchie volte, soprattutto negli ultimi giorni, ma non si era resa conto di come le informazioni fossero davvero, ed era il caso di dirlo, un fottutissimo casino.

- Ok ehm… - cominciò la ragazza. – Datemi un secondo che riordino le idee e poi riparto. – Per poi grattarsi il capo come alle prese con un attacco di pidocchi.

- You need a hand. -

- No need to, Dras. Give me a minute big guy and I’ll figure out myself what to say. -

- You sooo need a hand.*  

Ma prima che Cloud potesse replicare per togliere il ghigno di vittoria che si era formato sul muso del basilisco, Elisabetta si intromise nella discussione. - Aspetta un attimo! Hai detto che quando ti sei svegliata nella tana delle tartarughe, a tre anni, avevi perso la memoria no? – Elisabetta si sporse in avanti quasi ad enfatizzare la sua curiosità.

- Sì l’ho detto. –

- E allora come diavolo fai a sapere chi sono i tuoi genitori? Non hai mai voluto fare ricerche in proposito da quanto ho capito. –

Uno spettro parve apparire sul volto della ragazza. – E’ stato in un sopralluogo in un pianeta. In quel periodo Jack lavorava a capo di una squadra di esplorazione. Degli archeologi avevano scoperto un portale che permetteva di avere accesso ad alcuni mondi ed era nato un progetto segreto all’interno dell’esercito americano. – disse la ragazza. Una lacrima le scese lungo la guancia ma subito la asciugò cominciando a strofinare l’occhio.

- Uno dei pianeti che eravamo appena riusciti a collegare al Nexus a quanto pare aveva un portale come quello americano e in pratica la nostra squadra e la sua si sono ritrovate su quel pianeta.

L’assurdo sta nel fatto che dopo sei mesi che ci eravamo ritrovati mio padre è stato ucciso in missione. –

Per la seconda volta, dopo l’inizio dell’intera narrazione, scese il silenzio nella baita. Questa volta non durò molto perché fu proprio Cloud ad interromperlo.

- Niente musi lunghi. Ho promesso a Jack che non avrei mai avuto una faccia triste pensando a lui e così voglio continuare a fare. -

- Ma se ti sei messa a piangere proprio adesso! – esclamò Mattia. – Sei contraddittoria forte. –

- Eh? Macchè piangere… - disse Cloud mentre nuovamente si ritrovava ad asciugare l’occhio sinistro lacrimante.

- Ehm…stavi dicendo? – schernì di rimando il moro.

Anna si mise nuovamente a sedere e poggiò una mano sulla spalla dell’amica, pronta a consolarla. Cloud però la fissò acida con l’occhio lacrimante mentre era intenta ad asciugare l’occhio, il destro questa volta.

- Avete. Intenzione. Di. Finirla? –

- Wow Cloud easy there! Capita a tutti di piangere. –

- Non anche tu Draciel! Cristo santo! – La bruna scattò in piedi incurante dei muscoli indolenziti e lesionati. – Non sto piangendo!! Sono le lenti! Shell!*

- Le cosa? - chiese Draciel.

- Lentiii! Lenti a contatto Dras! Mi stanno facendo un male cane! - Cloud ormai cercava in tutti i modi di togliere quegli aggeggi infernali dagli occhi con le dita, con scarso successo. - Ci sono. Ci sono quasi! -

Draciel si coprì il muso con la coda schifato dalla scena. - E' la cosa più disgustosa che io abbia mai visto! -

E così l'aria di serietà che era scesa nelle ultime ore era bella che andata.

- Su su Draciel non fare la mammoletta! - disse Anna rivolta al basilisco. - Cloud, serve una man.. -

- Fattoooooooo!!!! -

- Ok come non detto. - sentenziò la giovane brunetta tornando nella sua comoda posizione sul pavimento (N.A: no l'autrice non è ironica, sì Anna è comoda distesa sul pavimento. Sì ANNA TU SEI COMODA DISTESA SUL PAVIMENTO!).

- Certo che queste bellezze hanno scelto il momento sbagliato per creare rogne. - soggiunse Cloud mentre si apprestava a togliere anche l'altra lente. - Ahh! Deve essere entrata polvere, che schifo! -

Elisabetta storse il naso. - Polvere nelle lenti a contatto? Cloud levale va a finire che ti entra nell'occhio, poi ti si infila nei capillari e diventi cieca! -

- Si e poi muore. - Alice lanciò un'occhiataccia all'amica incrociando le braccia al petto. Cloud la fissò sbieca con l'occhio sano. - Grazie del supporto morale. -

- Non c'è di che. - rispose fredda la rossa.

L'ex ninja riconcentrò la sua attenzione sulla lente mancante. Faceva male e per almeno quindici secondi non aveva voglia di avere a che fare con una poco collaborativa Alice. - E di poco collaborativa non c'è solo lei. - mugugnò tra i denti. Con una mano steccata andava decisamente male a togliere la lente ed aveva il forte dubbio che se non l'avesse tolta nel giro di poco, la scena sarebbe diventata parecchio ridicola, per non dire imbarazzante.

Era così concentrata che non si accorse dell'arrivo di una sberla sulla mano se non nell'esatto momento in cui quest'ultima la colpì. Con il risultato di riuscire solamente a farle infilare un dito in un occhio.

- Fuck! -

Cloud non fece in tempo a infierire contro chiunque l'avesse attaccata che Alice era già intenta a trafficare col suo occhio.

- Sta ferma che se aspetto te, per il resto delle spiegazioni mi ci vuole un secolo di attesa. - La bruna dovette ricacciare in gola un centinaio di vari insulti prima di sbuffare e concentrarsi nel tenere l'occhio aperto per permettere ad Alice di “lavorare”.

Il resto della cricca non poté far altro che attendere che la piccola operazione chirurgica andasse a buon fine anche se, dagli sguardi che le due ragazze si lanciavano, buon fine sembrava impossibilitato ad entrare nell'atmosfera del momento.

Alice finalmente tolse alche la seconda lente dagli occhi di Cloud e dopo avergliela molto sgraziatamente lanciata sul palmo sano, se ne tornò al suo posto dall'altra parte della baita.

Cloud dal canto suo si strofinò l'occhio per pulirlo alla bene e meglio.

- Riflettendoci. - disse Draciel, finalmente rinsavito dopo il suo “Cloud è la cosa più disgustosa blah blah blah.”. - A cosa ti servivano quelle cose? -  

- Quelle COSE, servono per vedere bene. Vedi male uguale occhiali. Non vuoi gli occhiali uguale sostituti. Sostituti uguale lenti a contatto. - Draciel alzò un sopracciglio perplesso mentre cercava di seguire quel (davveeeero v.v) elementare discorso.

Cloud alzò gli occhi al cielo.

- Senti. Il sigillo del Ninja Tribunal mi ha pure levato vista. Se io riuscissi a vedere la tua squama scheggiata sotto la giuntura del muso non avrei bisogno delle lenti! -

Draciel la fissò sorpreso. Cloud si immobilizzò subito dopo e fissò il basilisco altrettanto sorpresa.

- Perché vedo la tua squama scheggiata? -

Fu allora che a Draciel si accese la lampadina (ping! XD) e cominciò a collegare i pezzi.

Cloud dal canto suo fissava la lente nella sua mano e la punzecchiava.

- Non è sporca. -

Improvvisamente alzò il viso verso il serpente gigante. - Draciel non era polvere la polvere! La lente era la polvere! Cioè. Non era nemmeno polvere! -

Mentre parlava si era alzata era era andata a pararsi davanti al basilisco ed aveva cominciato a saltellare, per quanto i dolori e le lesioni le permettessero di fare.

- Non ho capito un cazzzoooooo. - ammise sorridendo come un idiota Draciel.

- Ci vedo bene perché la vista si è normalizzata! Non ho più il sigillo e quindi sto tornando un po'  ai parametri normali! Prima vedevo strano per colpa della lente che non andava più bene con l'occhio ormai a posto! Mi segui? - esclamò allegra l'ex ninja.

Trascorsero parecchi istanti di silenzio fino a quando sull'enorme muso del basilisco non si stampò un secondo sorriso ebete. - Ahhhh! Ma questo l'avevo capito anche io! -. Normalmente Cloud l'avrebbe riempito di botte, ma in quel momento era troppo felice anche per fare quello e semplicemente cominciò a danzare con la coda di Draciel per la stanza.

Elisabetta si sporse verso Mattia. - Sono solo io, o stanno facendo l'apocalisse per un nonnulla? -

- Non me ne parlare. - disse il ragazzo in tono piatto. Elisabetta, felice di non essere l'unica a pensarla in quel modo, tornò a fissare la scena rilassandosi sulla stuoia.

Cloud stoppò brutalmente la sua danza della felicità con Draciel per guardarli sbieca.

- Tornare a vederci bene: Non. E'. Un. Nonnulla. - sbottò gonfiando le guance.

Il resto della cricca non poté fare altro che ridere all'espressione della ragazza; quest'ultima dopo qualche attimo si aggiunse al coro di risa, finalmente libera di concedersi un attimo di normale pace.

- Mhh. -

Cloud si immobilizzò seduta stante. Mentre gli altri continuavano a ridere lei riuscì solamente a fissare la sua desta. Donatello era sempre disteso incosciente sulla stuoia.

Cloud abbassò lo sguardo: si era sbagliata. Eppure era convinta di aver sentito qualcosa.

Mattia si accorse che la bruna aveva smesso di ridere ed era concentrata a fissare la strana tartaruga mutante a terra.

- Ehi Cloud. - Anche il resto dei presenti smise di ridere, si erano accorti che qualcosa non andava. - E' tutto ok? -

Senza nemmeno guardare nella loro direzione Cloud, seppure incerta, annuì.

- Mhh. -

Cinque teste si volsero a destra: adesso Cloud era sicura di non aver sentito male.

La tartaruga strizzò un po' gli occhi prima di aprirli per la prima volta. Oltre la maschera era impossibile vedere le iridi che erano al momento semplicemente bianche, ma il ninja era palesemente sveglio.

- Donatello. -

Era uscito quasi come un sussurro ma il diretto interessato l'aveva per certo udito in quanto volse lo sguardo verso la fonte del rumore.

Lentamente la tartaruga inclinò il viso a lato. Appena mise a fuoco la figura a qualche metro da lui, gli occhi si spalancarono. Non poteva essere vero.

 

- Cloud? -

 

 

 

*  Hai bisogno di una mano.

    Non ce n’è bisogno Draciel. Dammi un minuto ragazzone e cerco di capire da sola cosa è meglio dire.

    Hai taaaanto bisogno di una mano.

* Le tartarughe in inglese sostituiscono la classica esclamazione “Hell”con “Shell” che significa guscio ;) fine della lezione!

 

 

 

 

{nota autrice: Ehhhhh che dire...ci ho messo un secolo ma finalmente ecco qui il nuovo capitolo! Grazie a tutti coloro che leggono perché siete davvero tanti e mi spronate tutti a continuare Nexus! ♥  un bacio grande!!

ah già ;) Perdonate i piccoli schizzi tra parentesi lungo il capitolo..non so oggi che mi è preso ma avevo il tic dei commenti fuori campo!!

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Capitolo 19
*** The bond of brotherhood ***


The bond of brotherhood

 

Dire che la testa era l'unica parte che doleva era praticamente una blasfemia. Poteva giurare di sentire Raphael imprecare nel suo linguaggio molto colorito ogni sorta di insulto, imprecazione o altro contro chiunque avesse osato ridurlo con dolori del genere se si fosse ritrovato al posto suo. Il tutto coronato dal classico “Let's kick some shell!* prima di lanciarsi nella ancor più classica rissa pestando e riempiendo di lividi e occhi neri chiunque passasse sotto le grinfie della sua ira.

No. Decisamente la testa non era l'unica parte che doleva.

Forse era più facile elencare ciò che non faceva male a quel punto: in una parola? Niente. Sentiva i muscoli urlare di dolore pur essendo fermo, le costole crepitare sotto il piastrone del guscio ad ogni respiro e non voleva pensare al resto.

- Mhh.-

Emise un flebile mugugno appena cercò di fare un respiro normale ma rinunciò subito sentendo dolore.

Udiva un lieve brusio in lontananza ma non era abbastanza cosciente per capire se era un rumore vero o era semplicemente la sua testa troppo scombussolata.

Anche se, dolori a parte, doveva ammettere di sentirsi meglio. O almeno meglio dell'ultima volta in cui aveva avuto abbastanza coscienza di se per capire il suo stato fisico. E quant'era passato dall'ultima volta? Non ne aveva idea. Il periodo in cui contava i giorni della sua cattività erano finiti presto come erano iniziati e col passare del tempo erano aumentati anche i momenti di incoscienza rispetto ad una anche debole lucidità di mente.

Quella perciò era la prima volta dopo inclassificabile tempo che sentiva qualcosa in più oltre al semplice dolore.

Quasi in risposta ad una sua muta preghiera, gli occhi si aprirono lentamente rivelandogli un ambiente leggermente illuminato. La cella gli appariva sfuocata e decisamente diversa da come la ricordava. Solitamente era tutto buio, umido, sporco, avvilente. Invece in quel momento quel poco di visibilità che i suoi occhi stanchi gli permettevano di avere gli dava la sensazione di calore. Sapeva di casa.

Con la coda di un occhio vide del bianco sul suo piastrone.

La sensazione di prima...bende? Chi diamine curerebbe il suo prigioniero dopo mesi di continue torture nei quali tagliuzzarlo e ferirlo non è mai sembrato un problema?

Una nuova fitta di dolore lo invase e non riuscì a reprimere un secondo mugugno che passò a pelo sulle labbra.

- Donatello. -

La voce gli arrivò chiara. Era diversa dalle voci che era abituato a sentire, che era stato abituato a sentire nella sua lunga prigionia. Questa voce era dolce. Era calma, forse un po' titubante sotto sotto e per l'ennesima volta era qualcosa che gli dava la sensazione di casa.

Volse lo sguardo a sinistra, verso la fonte del suono, ma non riuscì a vedere niente. Con un grande sforzo allora cominciò a volgere l'intero capo, fino ad iniziare a mettere a fuoco un ammasso di figure davanti a se.

Quella più vicina, quella che ovviamente aveva parlato però, catturò subito la sua attenzione.

Due occhi, grandi e di color smeraldo acceso che lo fissavano e riflettevano il suo sguardo misto di paura e confusione.

Questo solo per un istante, perché subito quelli di Donatello cominciarono ad ingrandirsi fino al limite, le iridi nocciola dietro la maschera che dardeggiavano avanti e indietro sulla ragazza di fronte a lui.

Non poteva. Non doveva.

Era l'ennesima trovata per farlo parlare, un colpo basso che avrebbe dovuto farlo cedere, lì dove tortura e agonia non avevano avuto successo.

Ma era così reale. Sentiva quello sguardo addosso, lo sentiva sulla pelle e su ogni lembo del suo corpo.

Con una voce che non pensava più di possedere finalmente decise di proferire le parole che ormai stavano facendosi strada in gola.

- Cloud? -

Vide la ragazza sgranare leggermente gli occhi, se ciò le era ancora possibile, e in quel momento la sua mente geniale cominciò dopo tanto a ri-funzionare.

Seppur ancora sotto shock, cominciò a guardare sul serio chi aveva davanti. Erano simili, quello era lampante, ma quella non era sua sorella. Non poteva essere sua sorella. I capelli castano chiaro, contrariamente a sua sorella, erano lisci e piatti. Cadevano sul volto però, con un taglio corto se non ad eccezione fatta per una lunga ciocca che nascondeva l'orecchio sinistro e arrivava fino al petto.

Esattamente come Cloud.

Il viso era un po' più in carne però i tratti erano molto simili e la corporatura era la stessa.

Gli occhi. Quelli erano ciò che lo attiravano di più. Se c'era una particolarità in sua sorella erano per certo gli occhi, di un colore così acceso da non sembrare nemmeno naturale, così particolari da non poter essere confusi. E quella ragazza li aveva.

Shell! Are you working for help me understand that THAT girl is not my sister or what?! What a shell of a brain!*

Ok. La ragazza che aveva di fronte era, quindi, a tutti gli effetti Cloud. E da bravo genio qual'era ci vollero meno di due nanosecondi per collegare l'informazione.

La ragazza di fronte a lui era Cloud.

Cloud.

Non si rese nemmeno conto di mandare al diavolo le ferite e l'intero corpo malmesso alzandosi a sedere, non si rese conto di aprire le braccia. Non se ne rese conto fino a quando la brunetta di fronte a lui, completamente incurante della sua condizione fisica, si tuffò nel suo abbraccio cominciando a piangere come una bambina.

Poteva essere anche la tartaruga più intelligente, poteva aver già collegato tutto nel suo cervello, ma solo quando strinse la sorella minore tra le sue muscolose braccia finalmente riuscì a capire cosa aveva davanti.

Non una cella.

Non nuovi inganni.

 

E in quel momento ne erano certi entrambi.

Erano a casa.

 

–—

 

Cloud non credeva di avere ancora lacrime da versare. Eppure in quel momento era lì, avvolta nell'abbraccio di Donatello, facendone scorrere fiumi. Sentiva le calde lacrime scenderle lungo le guance senza sosta, una dopo l'altra.

Solitamente sarebbe morta dalla vergogna, piangere così come stava facendo ma per questa volta avrebbe lasciato correre.

Il maestro Splinter aveva sempre cercato di far capire a lei e a Raphael, il più orgoglioso tra le quattro tartarughe, che le lacrime non avevano nulla di sbagliato nello sgorgare quando si provava dolore. Erano una cura: forse non il ricordo, ma alleggerivano il dolore, qualsiasi fosse il problema.

E Cloud si rendeva conto che stava avvenendo proprio quello. Due anni di vuoto. Due anni che per certo non rimpiangeva perché le avevano permesso di conoscere tante persone nuove, i suoi amici ma che comunque restavano perennemente impregnati dalla devastante sensazione di essere stata abbandonata, di essere sola.

Ma ciò che provava in quel momento era ben distante dallo sconforto. Il dolore stava lentamente svanendo, nel calore di un abbraccio che non avrebbe più creduto possibile.

- Donnie, Donnie, Donnie, Donnie, Donnie... -

Senza nemmeno accorgersi, cominciò a mormorare il nome della tartaruga dalla bandana viola sempre di più, prima come un sussurro, poi come una preghiera. Quasi a sperare che quella fosse finalmente la tanto attesa realtà.

Una mano le si posò sulla schiena muovendosi facendo dei piccoli cerchi. I singhiozzi ininterrotti cominciarono a diminuire ed il tremore andava via via diminuendo.

Cloud non aveva il coraggio di alzare la testa. Restava lì, con il volto accoccolato nell'incavo del collo di Donatello aspettando di essere pronta.

Aveva tenuto gli occhi chiusi mentre si crogiolava nel calore del fratello ma qualcosa la spinse ad aprili. La mano del ninja viola era ancora appoggiata alla sua schiena e Cloud poteva sentire chiaramente che tremava.

Le scappò un sorriso. Non era l'unica ad avere paura. Chiudendo gli occhi un'ultima volta, fece un respiro profondo ed uscì dal suo rifugio.

- You look wonderful. -

- Ahah listen to the funny mutant. Talk the one full of bendages, mask ruined and with more bruises than after a fight with a bunch of Foot ninja.* -

Mentre rispondeva sarcastica al commento di Donatello, Cloud faceva vagare lo sguardo su ogni millimetro della sua figura. Era pieno di graffi e lividi violacei ma in lui non c'era niente di diverso rispetto a due anni prima.

Il volto leggermente ovale, zigomi pronunciati, braccia e gambe muscolose grazie ad anni ed anni di continui allenamenti che non risentivano delle moltissime ore che il genio passava davanti uno schermo di un computer o semplicemente ad aggiustare e costruire gli oggetti più improbabili.

Il piastrone, apparentemente perfetto, ma che in controluce o semplicemente passandoci una mano sopra si riempiva di tante e lievi scheggiature. Il guscio, di quel colore grigio verde, che ricopriva l'intera schiena. Le mani poi, così strane ma per lei così normali, con sole tre dita ed i piedi con due.

Dove solitamente la cintura di cuoio era annodata ora vi era una delle tante bende che ricoprivano le ferite più profonde ed in alcuni punti Cloud riusciva a notare il formarsi di dei piccoli aloni scuri, segno che Donatello non era guarito dalle lesioni più recenti.

Il bianco del bendaggio poi, faceva risaltare ancora di più la carnagione verde oliva.

Finalmente gli occhi di Cloud tornarono a posarsi su quelli del fratello, le iridi bianche ancora intente ad osservare la sua, di condizione.

Resosi conto di essere osservato il suo sguardo si sollevò incatenandosi al suo.

Nessuno dei due pareva intenzionato a parlare. In realtà non ve ne era nemmeno bisogno. Erano lì, entrambi e bastava.

- Eh ehm! -

I due fratelli volsero lo sguardo verso il resto degli occupanti della baita, ricordandosi di non essere soli.

Donatello si trovò ad essere oggetto degli sguardi anomali di quattro umani che non aveva mai visto prima.

- Friends of yours? - Cloud annuendo si alzò per fare le presentazioni.

Draciel dal canto suo li fissava con un leggero ghigno in faccia.

Cloud e la tartaruga si scambiarono un'occhiata fugace. Donatello non cominciò nemmeno a porsi il quesito sul perché il basilisco fosse lì in quel momento; conoscevano quella faccia ed avevano entrambi la brutta sensazione di sapere cosa sarebbe avvenuto di lì a...

Prima ancora che riuscissero a finire di formulare il pensiero il basilisco, con uno scatto degno di un podio olimpionico, era già piombato su di loro con tutto il suo dolce peso.

- Donatellooooooo! -

- Eh-ehi Dras! Long time not see you big boy. - disse Donatello con voce strozzata, affaticato dal dover sorreggere l'intero peso del serpente.

- Ok. - Cloud si intromise nel piccolo ricongiungimento tra rettili. - Now tell me. Why in this shell of a world am i always on the bottom!!* -

Nella baita partì un secondo attacco di risa.

- Bene. Qualcuno ora avrebbe la gentile creanza di tradurre il tutto? - disse ad un tratto Mattia sarcastico. - No perché io credo di aver afferrato meno di un decimo di ciò che avete detto. -

Prima che l'ex ninja potesse cominciare il resoconto, Anna sbuffò.

- Dannazione a Google Translator. Quando serve davvero non c'è mai. -

 

 

 

 

*Prendiamo a calci qualche guscio!

*Shell! Stai lavorando per aiutarmi a capire che quella ragazza non è mia sorella o cosa?! Diavolo d'un cervello!

*Sei una favola

Ahah ha parlato il mutante divertente. Parla quello pieno di bende, con la bandana rovinata e più lividi che dopo un combattimento con un gruppo di Foot ninja.

*Donatellooooooo!

Eh-ehi Dras! Tanto tempo che non ci si vede ragazzone.

Ok. […] Adesso ditemi. Perché in questo diavolo di mondo sono sempre io sul fondo?

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Capitolo 20
*** You forgot What?!...and you left it Where??!! ***


You forgot What?!...and you left it Where??!!

 

 

- The bottom. The bottom. Why the bottom!* -

Dopo un fortissimo facepalm che mostrava ancora i segni delle cinque dita Cloud aveva cercato di mantenere un atteggiamento calmo durante l’intero processo di scioglimento della piramide umana formata da lei, la tartaruga ed il basilisco, cercando di non far saltare i nervi e limitandosi a lamentarsi a bassa voce.

- Dude, was it really necessary to slap your hand in your face? – chiese Draciel mentre entrambi davano una mano a Donatello a distendersi sulla stuoia. – Your face is still red!* -

La ragazza fece finta di non sentire continuando a sorreggere il fratello, un’impresa non completamente facile visto il peso di Donatello ed il suo polso rotto.

Donatello fece una smorfia di dolore quando si distese sul guscio ferito.

- You’re ok Don? -

- Yeah. Just a little pain in the shell. –

La mano dell’ex ninja rimase ferma a mezz’aria tra terra e la spalla di Donatello, dove stava per posarsi. Pain in the shell. Quante volte lei ed i suoi fratelli avevano usato quell’espressione per riferirsi scherzosamente a Michelangelo: una spina nel fianco. Ora però, quella frase aveva assunto un nuovo significato, non una presa in giro. Era vero dolore.

Donatello era ferito, ed abbastanza gravemente. Aveva rischiato di perderlo di nuovo.

Dopo averli persi tutti una volta.

 

Mattia si era fermato qualche metro prima. Il suo sguardo era fisso su di una pergamena appesa al muro. – Credo di aver trovato quella Cloud O’Neill di cui parlava il tizio prima. Anche se vederla scritta qui non mi sembra prometta bene. Le altre nel suo stesso gruppo hanno già una barra.

- Secondo te perché il gruppo è denominato Supernov…Claudia? –

 

Una presa salda sulla mano la riscosse. Donatello aveva afferrato l’arto a mezz’aria e la fissava.

- I’m here Cloud. I am fine. And… –. Un sospiro ruppe la frase. - …and they are ok. I know that they are alive.* -

Seppur affaticata, la voce di Donatello esprimeva sicurezza. Cloud rimase qualche istante a soppesare le parole del fratello. Fece vagare lo sguardo dalla tartaruga distesa, al basilisco.

- The guys….are alive? –

- Yes. –

Elisabetta in quel momento era la più vicina e fu lei a sorreggere Cloud quando alla ragazza cedettero le gambe.

- Wow. Hai già abbastanza danni non aggiungerne! –

- Ye-yeah…sorry. – rispose assente Cloud. Non si era nemmeno resa conto di aver risposto in inglese all’amica.

- Alive. Alive. –

Era l’unica cosa che riusciva a dire. Gli occhi smeraldo erano assenti, quasi vedessero oltre le figure e le pareti davanti a lei.

Michelangelo che rincorreva Klunk per l’intero rifugio per cercare di fargli un bagno decente, Leonardo che per l’ennesima volta si allenava per perfezionare il suo già perfetto kata, Donatello col capo chino su una delle sue nuove invenzioni e Raphael che russava a bocca spalancata sul divano con un rivolo di bava che colava sul piastrone. Le corse sui tetti di New York, le scazzottate nel giardino della casa di campagna che era appartenuta alla nonna di Casey.

Il maestro Spinter che cercava di far loro capire che non potevano uscire alla luce del giorno come e quando volevano.

Loro cinque che tiravano per la coda un Draciel incastrato per tutta la lunghezza del muso in una parete rocciosa cercando invano di liberarlo. Loro cinque distesi a terra dopo uno sfiancante allenamento, con dei sorrisi in volto.

Tutto quello esisteva ancora.

Il volto, nel giro di qualche minuto cambiò espressione.

- They are alive. We are all alive. – Lo sguardo di Cloud era lo specchio della gioia. – Me, Don, Leo, Raph, Mikey. All alive! –

Accoccolato di fianco a Donatello, il basilisco rispose alla ragazza con un gigantesco ghigno.

- Of couse you are! You’re the Supernovas after all! -  Donatello alzò gli occhi al cielo sorridendo.

Cloud fissò Draciel. Dopo qualche istante la sua espressione si addolcì.

- We are the Supernovas. -

Perché le Supernove prima di essere dei guerrieri, erano una famiglia. La sua famiglia.

Dal suo posto sulla stuoia Donatello fissava la sorella, sorridente e radiosa come non l’aveva mai vista. Dopo qualche istante chiuse gli occhi, la stanchezza cominciava a farsi sentire di nuovo.

E ora poteva concedersi un ulteriore meritato riposo. Dopotutto gli amici di Cloud sembravano ok, sua sorella era emotivamente stabile ed in ogni caso Draciel era li con loro.

Mentre cedeva alle braccia di morfeo una domanda lo fece riscuotere leggermente.

- By the way sis. Where did you put my bo staff?-

Il volto dell’ex ninja e del basilisco sbiancarono nel giro di un attimo. Cloud fissò scioccata Draciel prima di volgersi verso il fratello con movimenti lenti, quasi robotici.

- Th-the bo staff was…there with you?*

Non ci volle molto per fare due più due.

L’espressione di Donatello, che nel giro di qualche istante era passata da tranquilla a terribilmente omicida, non lasciava spazio ad altri pensieri.  

Quella si prospettava una lunga nottata.

- You. Forgot. …What?!...and. You. Left. It. ….Where??!! *-

Luuuuunga, terribilmente luuuunga.

 

 

 

* Il fondo. Il fondo. Perché sempre il fondo.

* Era necessario che ti spiattellassi la mano in faccia? […] La faccia è ancora rossa!

* Sono qui Cloud. Sto bene. E … e loro pure. So che sono vivi.

* A proposito sis. Dove hai messo il mio bastone bo?

  I-il bo era…li con te?

* Avete. Dimenticato….Cosa?!..e. L’avete. Lasciata…...Dove??!!

 

 

 

Lo so lo so! Sono in terribile, assurdissimamente terribile ritardo! v.v disgrazia su di me.

No seriamente, mi dispiace un sacco per tutte voi povere anime che avete ancora voglia di leggere questa bellissima obbrobriosa fic senza cominciare a fare “zzzzz” dopo le prime tre righe…..ok dopo la prima riga e mezza. Ho i tempi di pubblicazione che sono peggio di una crisi di mezza età! E me ne dispiaccio terribilmente! Ma io dico, sono a metà di questo capitolo ed ho il blocco dello scrittore (sia maledetto colui che l’ha inventato IL BLOCCO DELLO SCRITTORE), riprendo a scrivere e cosa scrivo? L’epilogo della storia?? Diciamocelo mancheranno come minimo venti capitoli…..e io scrivo l’epilogo? Claudia reffati per piacere.

Beh ora eccolo qui. Sperando non sia uno schifezza totale; è addirittura il capitolo più corto della storia…ed io ho impiegato un secolo a scriverlo…..pace anima meaaaaaaa :3

 

Un grazie di cuore per la paziente (lo so, siete tutti alla mia porta con le mazze chiodate in mano) attesa, un bacio a chi recensisce, un cuore a chi legge ed un cuoricione abbracciatutti a chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate.

 

Claudia

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Capitolo 21
*** Falling inside the Black ***


Falling inside the Black

 

 

- Te lo chiedo di nuovo. Dove si trova? –

Il perno penetrò più profondo nel meccanismo tendendo i cavi d’acciaio, i tiranti alle loro estremità fatti ulteriormente dilatare.

Un leggero rumore di ossa incrinate seguì, le dita della mano ormai al limite di sopportazione; se il perno fosse stato fatto scendere ancora una volta avrebbe potuto di addio alla sua mano.

Il dolore era lancinante, le morse dei tiranti completamente conficcate nella carne: anche un piccolo movimento le faceva entrare in contatto con l’osso della falange.

Quasi gli avessero letto nel pensiero, percepì un movimento al suo fianco e subito una forte presa fece pressione sul tirante del dito centrale. Dovette mordersi il labbro inferiore per non urlare quando il metallo acuminato venne fatto sfregare contro l’osso. Era sul punto di cedere all’incoscienza ma non avrebbe dato a Black Hole la soddisfazione di quello e nemmeno di un singolo rantolo per il dolore che gli stava causando.

Dopo un tempo che a lui parve lunghissimo la presa lasciò andare la sua mano.

Il leggero respiro che si concesse venne fuori come un roco rantolo; la gola era secca ed impastata, il sapore ferroso di sangue gli riempiva la bocca mentre alcune gocce del liquido scarlatto scendevano nell’esofago. Sentiva l’aria corrosa entrargli in corpo per poi raggiungere i polmoni, ma non sembrava abbastanza. Piegò lentamente il capo all’indietro aprendo la bocca, quasi a sperare che maggiore aria arrivasse a lui alleviando un po’ le sue sofferenze.

Aprendo un singolo occhio, cercò di focalizzare meglio i suoi dintorni. La stanza era quasi completamente immersa nell’oscurità, una luce alla sua destra come unica eccezione. Doveva essere una lanterna di qualche sorta, non che al momento gli importasse più di tanto.

Continuando a far vagare lo sguardo, intravide un leggero movimento nell’ombra che attirò la sua attenzione.

La sagoma era quasi invisibile nel buio, il riflesso della luce della lanterna sul calice di vetro che teneva in mano  una delle poche cose veramente visibili.

- Cosa devo fare per farti parlare, Michelangelo-san? -. L’onorifico lasciò la bocca dell’uomo a mo’ di presa in giro. Erano lontani gli anni in cui aveva guardato alle Supernove come un qualsivoglia modello. Ormai davanti a lui si erano ridotti a dei gusci vuoti. Letteralmente.

- Tsk. – L’arsura della bocca costrinse il ninja a riprendere fiato prima di proseguire. – Se credi che le…che le torture servano a farmi dire qualcosa….ti sbagli di…..ti sbagli di grosso. –

- Ma non mi dire. –. Sul volto di Jode Grimjoe, the Black Hole, si dipinse un ghigno sghembo. Alzandosi si avvicinò alla tartaruga distesa sul tavola di tortura, rendendosi visibile a quest’ultimo.

Michelangelo si ritrovò a notare per l’ennesima volta che il metamorfos non era cambiato di molto dalla prima volta che lo avevano incontrato. Il volto scarno e pallido, nella sua forma umana, che contrastava i corti capelli neri che ricadevano sulla fronte era divenuto più allungato e segnato dal tempo e forse anche in altezza era divenuto leggermente più alto. E certamente era immensamente più forte di quando le supernove lo avevano battuto all’incirca tre anni prima.

- Allora magari, se ti chiedo dove si trova tua sorella forse sarai più collaborativo. Dopotutto sappiamo entrambi che è ancora viva. E io ne ho bisogno. -. Grimjoe era così vicino che il ninja sentiva il suo alito suo collo. – E se non tu, uno dei tuoi fratelli me lo dirà a breve. -

- C..come no. BlackassHole.-

Prima che Black Hole potesse rispondere alla provocazione del nunchaku wielder, la porta alle loro spalle si aprì ed una figura in armatura si fece largo nella semi oscurità della stanza.

- Sir.-

Ruotando a malapena il volto verso il soldato, Black Hole fece capire di essere in ascolto.

- Abbiamo notizie dal Dungeon. –

- Buone? –

- Per niente. –

Scese il silenzio nella stanza, lo sguardo di Grimjoe fisso sulla tartaruga ninja. Michelangelo vide l’impercettibile movimento della mascella del suo aguzzino che si irrigidiva.

- Riportate il prigioniero in cella. Per oggi abbiamo finito. -. Black Hole uscì col soldato senza mai guardarsi indietro, lasciando Michelangelo in compagnia del predator.

 

- Sai…mio fratello Raph vi trova carini. Che ne dici di un appuntamento? –

 

 

Camminando lungo il corridoio, le loro ombre si allungavano sulla parete in pietra ogni qualvolta superassero una lanterna. Erano di buona manifattura: in ferro, piegato in modo da creare intricati fronzoli che terminavano in punte acuminate. L’ultima che avevano superato ondeggiava lievemente, segno del passaggio recente del servo addetto alla loro accensione.

Il soldato si teneva a qualche passo di distanza dal suo signore, camminando con la mano ben salda sull’elsa della spada a doppia mano che pendeva alla cintura. Era un’ormai vecchia abitudine acquisita dai lunghi anni di ronde per l’esercito, dovevi essere sempre vigile e pronto per un qualsiasi assalto nemico.

Non che in quel momento ce ne fosse il bisogno: il suo signore era più che capace di difendersi da solo e inoltre si trovavano nei corridoi del suo stesso palazzo, ben sorvegliato e protetto da centinaia di guerrieri. Le probabilità di un assalto erano inferiori allo zero. Ma ciò non gli impediva di mantenere la presa sull’arma.

Quando un grido proveniente dalla stanza da cui erano usciti riecheggiò per il corridoio, il soldato vide l’uomo davanti a se lanciare uno sguardo seccato alle sue spalle. Continuarono a camminare in silenzio per un’altra manciata di metri prima che venisse proferita parola.

- Qual è la situazione. –

- Avremmo dovuto avere un contatto dal Dungeon dieci ore fa. Ci aveva assicurato che avrebbe fatto rapporto in qualsiasi circostanza data l’importanza della missione. Il contatto non è mai avvenuto. -. Black Hole si sedette nel posto a capotavola del salone in cui erano entrati. Fissò lo sguardo sul soldato aspettando il resto del resoconto. – Circa un’ora fa abbiamo deciso di mandare un drappello di caronti ed un generale a fare un sopralluogo e ci hanno contattati meno di venti minuti fa. – disse a labbra serrate il soldato.

Si sedette sulla sedia davanti a lui dopo un cenno del metamorfos; il mantello coi filamenti dorati, simbolo di riconoscimento del rango di capitano, si increspò tra le braccia incrociate.

- A detta del generale, dopo essere entrati dal portale sud ed essersi diretti verso l’ala centrale del Dungeon, avanzando per i corridoi hanno cominciato ad intravedere segni sempre più evidenti di cedimento. Crepe, frammenti di roccia saltati. Non è parso strano fino a quando si sono resi conto che più avanzavano, più i segni ed il degrado erano evidenti ed accentuati.

Quando il generale ha capito che qualcosa non quadrava ha fatto avanzare il drappello più velocemente fino ad arrivare alla sala principale.

Ci hanno contattati da lì quindi posso confermare che definirla dilaniata e devastata era lecito. –

Ebbe l’impressione di vedere come una fiamma accendersi negli occhi di Black Hole.

- Il prigioniero? –

- Il soffitto era completamente squarciato. -. Sapeva che il suo signore odiava non ricevere risposte dirette alle sue domande, ma in quel momento aveva bisogno che apprendesse tutta la situazione prima di farsi prendere dall’ira. – Il Dungeon si trova più di trecento metri sotto la superficie e lo squarcio lasciava intravedere il cielo al di sopra. Le rocce riempivano l’intera area e i caronti hanno dovuti lavorare un po’ prima che fosse possibile esaminare la zona con cura. Al momento sono ancora lì per cercare di trovare più indizi possibili.

E’ comunque palese che sia avvenuto uno scontro. Non sono frequenti i terremoti in quel pianeta e vi erano segni evidenti di battaglia. –

- Il prigioniero? – ripeté Black Hole alzandosi e dirigendosi verso la grande finestra alle sue spalle. Fissando il paesaggio al di fuori porse nuovamente la domanda al suo sottoposto.

Vide la terra brulla oltre le mura del maniero estendersi per chilometri, spaccature frequenti della crosta spezzavano la regolarità del paesaggio.

La stella che illuminava il pianeta in cui si trovavano era grande e bruciava ad altissime temperature. Il terreno era arido da decadi a causa di ciò; non vi erano animali che pascolavano nelle immense lande che li circondavano, solo sterpi, rami, terra bruciata.

Appoggiando la mano sulla lunga tenda magenta, Black Hole ascoltava. E ciò che sentiva gli piaceva sempre meno.

- Nessuna traccia mio signore. Svanito. –

- E Rajal? -. La stoffa rossa cominciò a cedere sotto la pressione delle dita del metamorfos.

- Ucciso. Hanno trovato il corpo. La testa era poco distante. –

Con uno strattone deciso, determinato dall’ira, Black Hole sbrandellò la tenda. Per parecchi minuti il suo respiro roco fu l’unico suono udibile.

- Dryou, il generale, ha affermato con certezza che tra i vari solchi nel pavimento creati dalle macerie ce n’erano degli altri dalla forma particolare. –. Il capitano vide i muscoli delle spalle della figura alla finestra contrarsi.

- Particolare dici? –

- Orme enormi. Zampe uncinate. Sarebbe un’idea campata in aria se non fossero queste le circostanze. Ritiene che le orme siano delle zampe di un… –

- Di un drago. – concluse Black Hole per lui. – Draciel. -

Ma come faceva il lucertolone a sapere dove trovare Donatello. Un caso? No…troppa fortuna. Con il numero infinito di pianeti che ci sono nell’universo, se non si sa dove cercare è quasi impossibile trovare…

- A meno che… -

- Signore?... –

Un drago ha una connessione con il suo cavaliere.

Se Draciel è arrivato nel Dungeon forse non era per liberare Donatello ma per liberare qualcun altro. E questo vuol dire che Rajal l’ha trovata.

- Attiva le fonderie, fa lavorare i fabbri fino allo stremo. Voglio armi pronte e di ottima fattura in numeri altissimi ed in breve tempo. Richiama i capitani ed i generali, in due ore voglio tutti pronti per un incontro logistico qui. Metti dei predator alle sessioni di allenamento e riattiva tutti i soldati, caronti, demoni che sono in stato di stallo al momento. Voglio tutti pronti per la battaglia. In una settimana andiamo in guerra. –

- Destinazione? –

Se ha trovato Cloud allora Rajal non è stato completamente inutile. Un vero peccato, era uno dei migliori sicari in circolazione.

Cloud quindi ora è con Draciel e loro hanno  per certo anche Donatello. E ciò vuol dire che la loro prossima mossa sarà cercare di recuperare i tre fratelli restanti che si trovano qui. Per quanto Donatello possa ricordarsi poco di questo posto è comunque il genio delle supernove. Con i mezzi giusti sarebbe in grado di localizzare il pianeta. Ma prima di muoversi dovranno riabilitarsi. Nel giro di qualche giorno si sposteranno e raggiungeranno l’unico posto in cui possano trovare aiuto.

E così io colpirò prendendo due piccioni con una fava. Dopotutto, avrei attaccato nel giro di qualche mese in ogni caso.

Distogliendo lo sguardo dalla finestra Black Hole ghignò. La bocca sfigurata in una lunga fila di canini acuminati come lame, il profilo allungato delle labbra ora di un verde petrolio che ricopriva l’intera lunghezza del viso.

Non era la prima volta che il soldato assisteva alla trasformazione del suo signore, ma essa riusciva sempre a fargli correre un brivido lungo la schiena.

- Il Nexus. -   

 

Gomennasaiiiiiiiiii L

Chiedo umilmente perdono * si inchina, si inginocchia e si inchina di nuovo * per il brevissimo *cough cough* l’immensamente lungo ritardo!

Non so davvero il motivo, ma sembra che questo capitolo (che a tutti gli effetti è stato difficilissimo da scrivere) abbia dato davvero del filo da torcere al mio blocco dello scrittore. Due, e dico DUE mesi interi….se non di più…in cui la sottoscritta continuava ad aprire il foglio word e non scriveva un’acca. L

Ma non vi annoio con troppe commiserazioni! Ora il capitolo è qui, e consolatevi perché il prossimo è già bello che avviato :D

Spero sia di vostro gradimento!

 

Un grande bacio a tutti coloro che recensiscono, seguono, ricordano, preferiscono Nexus e alla prossima!

 

Clo

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