Nexus - the past will never let you go di supernova_the_fifth (/viewuser.php?uid=140110)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E fu solo un giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** Gocce che sanno d'inferno ***
Capitolo 3: *** I trenta minuti più lunghi ***
Capitolo 4: *** Quando viola uguale a disperazione ***
Capitolo 5: *** Darkness in the underground ***
Capitolo 6: *** Special Chapter - Christmas in N.Y. ... Cawabonga dudes! ***
Capitolo 7: *** Rimorsi di una vita passata ***
Capitolo 8: *** La fine di una stella: Supernova o Buco Nero? ***
Capitolo 9: *** Il dolore che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della speranza? ***
Capitolo 10: *** Tutto perduto? Ricordati chi sei. ***
Capitolo 11: *** Ali di drago. Si respira aria di casa? ***
Capitolo 12: *** Fondi le anime. Risposte a domande non dette ***
Capitolo 13: *** Dragon Soul ***
Capitolo 14: *** Wanna fight? A plan to survive ***
Capitolo 15: *** La quiete nel cuore ***
Capitolo 16: *** Attesa. L'amarezza nel gioco di sguardi ***
Capitolo 17: *** Spiegazioni ***
Capitolo 18: *** Donatello ***
Capitolo 19: *** The bond of brotherhood ***
Capitolo 20: *** You forgot What?!...and you left it Where??!! ***
Capitolo 21: *** Falling inside the Black ***
Capitolo 1 *** E fu solo un giorno di scuola ***
E fu
solo
un giorno di scuola
La
luce del cellulare cominciò a
funzionare ad intermittenza.
Nel
giro di cinque secondi
sarebbe suonata la
sveglia…cinque…quattro…tre...due…uno…
Come
previsto una melodia celtica
cominciò a riprodursi nel lettore musicale del nokia; Cloud
dovette reprimere
l’impulso di lasciarla continuare e si costrinse a tirare
fuori un braccio dal
piumone per spegnere la musica.
-
Sei e venti. - Aveva la
sensazione di aver dormito solo per una manciata di ore ed era
decisamente
stanca.
Con
molta calma si rigirò sotto
le coperte e si alzò: un brivido di freddo percorse
l’intero corpo appena uscì
dal caldo accogliente del piumone invernale e si infilò
subito la felpa
appoggiata allo schienale della sedia per scaldarsi un pò.
I
libri sulla scrivania erano
ammassati alla rinfusa uno sopra all’altro. Sua madre
continuava a
rimproverarla per il completo disordine di quella camera ma lei non ci
prestava
troppa attenzione. Ne prese tre quattro a casaccio cercando di
ricordare come
doveva essere l’orario della giornata.
Era
mercoledì.
Quindi
c’erano buone probabilità
che sia inglese che matematica facessero parte della lunga mattinata di
sei ore
che l’attendeva. Chiuse la zip dell’eastpak nera e
si diresse al piano di sotto
per fare colazione.
Aprì
la porta della cucina e
trovò suo padre già intento a bere
caffèlatte.
-
‘Giorno. - sbadigliò, facendo solo
intuire quello che aveva detto. Aprì l’anta della
dispensa alla ricerca di
qualcosa da mettere sotto i denti mentre il caffè si
scaldava sul fornello.
-
Con la lena che hai va a finire
che una di queste mattine perdi la corriera.- disse Gianni con voce
pacata. – E
io non ho intenzione di accompagnarti a scuola se questo succede. -
-
Tranquillo non è nei miei
propositi per la mattina, ne per la prossima, e la prossima e
la… -
-
Smettila di fare dell’ironia
signorina. Mancano dieci minuti perché passi la corriera. -
Per
poco il biscotto che stava
addentando non le andò di traverso. – Manca cosa?
- gridò ingozzandosi. – Cazzo
cazzo cazzo! -
Trangugiò
in un sorso il caffè
che si era appena versata sulla tazza (una di quelle che vinci con i
premi dei
supermercati…di quelle che piacciono tanto ai genitori.
Acquisti senza spese!)
con l’unico risultato di riuscire ad ustionarsi la lingua.
Ma perché tutte le mattine! Ogni volta
è sempre la stessa storia. E a
me che parevano essere passati solo una manciata di minuti.
Cercando
di farsi aria con una
mano corse su per le scale e spalancò la porta del bagno.
-
Ma che grazia che abbiamo. Ogni
mattina migliori. - sua sorella era intenta a mettersi
l’eyeliner e la stava
fissando attraverso lo specchio.
-
Taci che sono in ritardo di
nuovo! - sbuffò Cloud attaccando la piastra alla presa di
corrente per poi
rifondarsi in camera. Aprì l’armadio e prese i
jeans e una maglia a maniche
corte fucsia. Poi cercò la sua felpa con i bottoni. La
trovò in cima ai vestiti
sulla sedia e si ridiresse in bagno.
Si
truccò con un filo di matita,
eyeliner e mascara e si sistemò quella zazzera arruffata e
orripilante quale
erano i suoi capelli.
Sara
prese il profumo e lo
spruzzò dritto in faccia alla sorella minore.
-
Ehi ma che diavolo! - Cloud
cominciò a tossicchiare. – Che sono sti schizzi! -
sbottò guardando in tralice
Sara.
Sua
sorella ridacchiò. – Su su
almeno adesso profumi d’ambra e non di caffé e
biscotti alla vaniglia.-
-
A me piacciono i biscotti alla
vaniglia…-
Per
tutta risposta Sara la guardò
di traverso. – Sta sera ci troviamo per delle canzoni da
provare. Puoi darmi
una mano?-
-
Credo di si non ho impegni.
Vengono i ragazzi qui? -
-
Si, li ho avvertiti ieri sera. –
-
Oro. Scappo, ciao! –
Corse
a riprendere la cartella e
si mise scarpe e giubbotto e volò fuori. – Io
vado! –
L’aria
che tirava fuori era
veramente gelata. Si sentiva che l’inverno era alle porte, ma
al momento avrebbe
volentieri optato per un posto caldo sotto le coperte o vicino ad un
camino.
Chiuse
il cancelletto dietro di
se si incamminò verso la fermata dell’autobus.
Non
che quelle corriere fossero
il massimo ma almeno era pratico avere la fermata a cento metri da casa
sua.
Una
ragazzina mora le si avvicinò
alle spalle sul marciapiede. – Ma ciao Clo! –
Cloud
si girò verso la moretta. –
Ciao Giulia, tutto bene? –
-
Non c’è male. Solo che non sono
riuscita a fare un briciolo di colazione. E lo stomaco reclama. -
-
Uhuh…non dirlo a me! Sono riuscita
a scottarmi con il caffé ed a ingozzarmi con un biscotto per
la fretta che
avevo. –
-
Come sempre insomma! – rise
Giulia.
Cloud
alzò un sopracciglio, ma
poi si mise a ridere anche lei. – Eh già! Beata
normalità!... –
Erica
non riusciva a crederlo
possibile.
Ok
no, ci credeva eccome perché
ormai quella era la routine di ogni santa, beata, dannatissima mattina.
La
corriera praticamente era
all’angolo della strada e quelle due venivano avanti per la
via come se
avessero avuto tutto il tempo di questo mondo. Sbuffò quando
le due ragazze
cominciarono a correre (come al solito) perché avevano visto
la corriera
arrivare.
I
vari studenti alla fermata
cominciarono a salire per gli scalini della corriera una volta che
l’autista
aprì la porta del mezzo. Lei le aspettò
giù.
-
Poi però non ditemi che non lo
fate apposta! – Squadrò entrambe le ragazze da
capo a piedi, entrambe arrossate
dalla corsa e con i capelli che le facevano sembrare due leoni.
Rise
e salì gli scalini.
La
più grande delle due la guardò
sottecchi. – No, in realtà lo facciamo
perché amiamo mantenerci in forma già di
prima mattina perché pensiamo che i nostri allenamenti di
karate non siano
abbastanza intensi. Sai com’è…correre
aiuta! – e si accasciò sul sedile davanti
al suo.
Giulia
rise e si sistemò su
quello corrispettivo dall’altra parte del corridoio.
-
Si però devi ammetterlo Claudia…
– Cloud sospirò, talvolta quel nome le risuonava
ancora estraneo. - …che non è
normale arrivare tutte le mattine in ritardo. – concluse
Erica.
-
Ma se sono puntuale come un’
orologio svizzero! E’ la corriera che arriva in anticipo.
– rise divertita
sistemando la cartella ai piedi del sedile.
La
corriera ripartì e si fermò
alla fermata successiva trecento metri più avanti. Altri
ragazzi salirono e tra
di loro una rossa alta che prese il posto accanto a Cloud.
-
Carina la messa in piega Clau,
merito del jogging mattutino? – disse sogghignando
all’amica.
-
Oh ma uffi non ti ci mettere
pure tu adesso! –
Una
ragazza dai tratti orientali si
sedette a fianco di Giulia. – Eddai Alice. Sai che Claudia si
mette d’impegno
per essere impeccabile in fermata! Il principe azzurro a cavallo arriva
lì! –
-
Elisabettaaaaa! – sbottò rossa
in viso Cloud.
Ma
ormai tutte le ragazze erano
già in piena crisi d’ilarità.
Cloud
guardò fuori dal finestrino
e mormorò – Amiche…tsé!
– e sorrise al suo riflesso.
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Capitolo 2 *** Gocce che sanno d'inferno ***
Gocce
che
sanno d’inferno
La
pioggia scivolava giù lungo il
vetro della corriera lasciando scie umide al suo passaggio.
Aveva
cominciato ormai da una
decina di minuti e pareva che non avesse intenzione di smettere, il che
era
parecchio irritante perché non aveva con se un ombrello. Ed
era certa che tutti
alla fermata dell’autobus per la scuola si sarebbero
ammassati sotto la mini
tettoia.
Il
che significava essere bagnata
fradicia!
Cloud
sospirò e continuò a
fissare i campi circostanti. Per arrivare in città ci
sarebbero voluti ancora
una quindicina di minuti e sperava fortemente che la pioggia cessasse.
I
feel
I've come to realize
How fast life can be compromised
Step back to see what's going on
I can't believe this happened to you
This happened to you
Ormai
erano diverse settimane che
ascoltava imperterrita quella singola canzone. Aveva un che di
nostalgico, un
qualcosa che non sapeva bene nemmeno lei…
-
Che ascolti? – Alice si era
sfilata una delle cuffiette del suo telefono e la guardava curiosa.
-
Hell song dei Sum 41, come mai
tutto questo interesse? –
-
Parevi giù di morale…pensavo
fosse colpa della canzone. – si rigirò la
cuffietta tra le dita. – Sai che a me
puoi dirlo se hai problemi. Sono la tua migliore amica per qualcosa no?
–
Cloud
sorrise all’amica del
cuore. Rivolse lo sguardo all’mp3 che teneva in mano. Sul
display illuminato
poteva ancora leggere il titolo della canzone. – Tranquilla
va tutto a
meraviglia. E’ solo che la pioggia mette un po’ di
tristezza se scende e non la
puoi godere da dentro casa. –
-
Mmm…in effetti è vero. Magari
con una tazza di cioccolata calda in mano è ancora meglio!
– il suo viso si
illuminò e batte la mano sulla spalla dell’amica
alla sua sinistra.
-
Eli se oggi pomeriggio piove
ancora tutte da me a guardare la pioggia e a bere cioccolata calda!
–
L’amica
diede un cenno d’assenso
e tornò a parlare con Giulia di qualcosa che doveva
riguardare Harry Potter o qualcosa
di simile, non
era completamente certa.
Si
accorse che la rossa la stava
fissando. – Si? – chiese pacatamente.
-
Non mi hai ancora risposto
mucca! Vieni o no? -
-
Fammi pensare. Passare il
pomeriggio con le mie due migliori amiche a guardare la pioggia, sotto
una
bella coperta, parlare di cazzatelle varie e bere cioccolata calda?
Sì l’idea
mi piace! –
Alice
sorrise e si rimise la
cuffietta tornando ad ascoltare musica. Anche lei fece altrettanto e si
rese
conto di non aver messo in pausa perché la canzone ormai era
al ritornello
finale.
Passò
qualche istante e la musica
ricominciò da capo; la ragazza si guardò un
po’ in giro e vide che pur essendo
prima mattina la corriera era pervasa di vita. C’era gente
che parlava, che
giocava con la psp o che si divertiva a fare scherzi idioti.
Era
strano come pur non sentendo
nessun rumore a causa della musica quella scena le si presentasse
fantastica.
Eppure non c’era niente al di fuori dall’ordinario.
Era solo una comunissima
mattina di una comunissima giornata di scuola.
Ormai
in fondo al viale vedeva la
porta bianca che dava l’accesso alla città dentro
le mura. A cento metri c’era
la loro fermata.
E non ha ancora smesso di piovere. Fantastico,
veramente splendido.
Non
che la pioggia fosse
fortissima, solo che il solo fatto di avere navette e pioggia in una
stessa
frase non la metteva di ottimo umore. Spense l’mp3 e lo
infilò in tasca.
Raccolse
la cartella da sotto il
sedile dove era rovinata a causa della brusca frenata
all’ultimo semaforo e con
Alice, Erica, Elisabetta e Giulia e un po’ di altra gente si
preparò a
scendere.
-
Erica tu hai un ombrello vero?
-
La
ragazza con i lunghi capelli
castani si girò verso Cloud e le sorrise con una punta di
malizia in quegli
occhi azzurri. – Se non ci fossi io tu come faresti??
–
-
Non ne ho proprio idea. –
rispose sinceramente la ragazza mentre scendeva gli scalini della
corriera e
andava sotto l’ombrello dell’amica. Non
poté che trattenere una risata quando
vide quello che la bruna diciassettenne aveva raffigurato sulla tela
dell’ombrello.
Erica
la fissò. – Che c’è adesso?
–
-
Ti prego dimmi che non è
bianchetto quello con cui hai disegnato i doni della morte! -
-
In realtà sarebbe smalto
bianco. Mi era venuta voglia di disegnarli ma non avevo niente a
portata di
mano e quindi… -
-
Smalto. Bella scelta! – Adesso
non poteva più trattenere le risate. – No davvero,
se la prossima volta hai i
tuoi schizzi artistici di mezza età fai un fischio che ti
presto gli
indelebili. – si appoggiò al palo della tettoia.
– Sai...quelle cose che
assomigliano ai pennarelli ma che con l’acqua non vanno
via!...-
-
Ah ah ah spiritosa. – rispose
di rimando l’altra facendo una linguaccia.
Salutarono
un po’ di gente che
già riempiva la loro piccola fermata. Pensare che quello era
il suo ultimo anno
di scuola superiore la metteva di buon umore ma poi quando pensava alle
loro
mattine all together la tristezza la assaliva.
Certo
che rispetto agli anni
precedenti ce n’era di gente: si ricordava ancora quando due
anni prima avevano
cominciato a scendere li e la fermata era praticamente deserta. Adesso
invece
brulicava di vita. Piena di marmocchi di prima superiore.
-
Lo prendo come un complimento!
-
Cloud
guardò Giulia di traverso.
– L’ho fatto di nuovo? –
-
Cosa, esprimere i tuoi pensieri
ad alta voce? Si direi proprio di si. – ridacchiò
la ragazza. – E comunque
saremo anche primarioli ma non siamo gli unici bassi! -
-
Ma sentila! – borbottò la
ragazza.
Anche
gli altri si erano aggiunti
alla conversazione che però pareva prendere una piega del
tutto sfavorevole per
Cloud.
-
Beh insomma non puoi mica dire
di essere un mostro di statura Claudia. – aveva aggiunto
Alice. – E’ una cosa
brutta ma si sopporta! Ah ah ah! -
L’ombrello di Elisabetta
ruotò un po’ mentre la ragazza
cercava di scrollare un po’ dell’acqua. –
Ali ha ragione. Sappiamo che deve
essere una prova terribile da sostenere ma noi ti riteniamo
perfettamente
all’altezza della situazione! –
- Beh allora è una
situazione davvero bassa! – concluse
Alice.
Cloud le squadrò tutte con
fare imbronciato. – Siete delle
traditrici! E viene dal cuore. – Prese l’ombrello
di mano a Erica e lo ruotò in
modo che l’acqua finisse contro le due amiche. – E
questa è la punizione! Mu ah
ah ah ah! –
Erica e Giulia, fuori dalla lotta
acquatica che stava
avvenendo a un metro da loro sospirarono e alzarono gli occhi al cielo.
- Vuoi venire sotto? –
chiese Giulia.
Erica le sorrise. – Grazie.
Immagino che il mio ombrello
tornerà tra un bel po’... – rimasero a
fissare le ragazze immerse nella loro
“battaglia”. - Claudia! Rompi l’ombrello
e ti rompo io!!! – urlò infine.
Giulia si tappò le
orecchie. Tornò a guardare la ragazza. –
Ci sarà mai un giorno normale qui? –
- Mai stato! –
sentenziò con fare allegro Erica.
Gli
stivali arrancavano tra fango
e pioggia, dove prima la strada era asfaltata ora il ghiaino ne aveva
preso il
posto e a salti il terreno si riempiva di buche. Non che fosse insolito
solo
che al momento non era ciò di cui aveva bisogno.
Non
teneva particolarmente al suo
aspetto o a come la gente poteva finire per giudicarlo. Erano passati
anni
dall’ultima volta che si era posto un problema del genere.
Solamente
era irritato dal fatto
che quegli stivali in pelle gli fossero costati qualcosa come
all’incirca
trecento lune. Ed era una bella spesa. Ora, a causa di quella dannata
strada,
quel patrimonio si stava inzatterando sotto i suoi occhi.
Lui
non possedeva quello che
tutti definivano autocontrollo,
quindi per non cadere preda d’uno scatto d’ira
cercò di focalizzare quello che
doveva portare a termine. Sapeva che la strada che stava seguendo
l’avrebbe
portato dove voleva lui.
La
strada asfaltata riprese il
posto del ghiaino sotto i suoi piedi. Continuò a camminare
lungo quello che ora
era diventato un viale alberato. Doveva essere di sicuro la periferia
perché
non c’era in giro anima viva, solo qualche pedone e una rara
macchina di tanto
in tanto.
Stava
continuando a camminare a
bordo strada quando il cane di una signora che gli passò a
fianco cominciò a
ringhiargli contro. La signora sbigottita biascicò qualche
scusa all’uomo. Quando
cercò di guardare l’uomo in faccia quello che vide
le fece gelare il sangue
nelle vene.
Sotto
il cappuccio il volto
dell’uomo era una maschera di sfregi e ustioni che
risaltavano bianche sulla
pelle abbronzata. un suono molto simile a un ringhio uscì
dalla bocca dello
sfregiato: l’animale si acquattò dietro la padrona
dalla paura, quel suono
aveva qualcosa di inquietante.
Anche
la donna era pietrificata.
Non riusciva a muoversi dal terrore che quello fosse un qualche maniaco
masochista che per un pugno di soldi non avrebbe esitato a ucciderla.
Ma
la realtà era, brutalmente
diversa.
L’uomo
sollevò il capo fino a
fissare negli occhi la donna. Due iridi viola fissarono
l’esile figura prima di
ridurla a quello che poteva essere cumulo di carne.
Non
più di un secondo era
passato, e dove prima si trovava la donna ora solo un corpo morto.
Il
cane avvicinò il muso ai resti
della padrona e le si accucciò a fianco cominciando a
ugolare.
Lo
sfregiato riprese a camminare
con gli occhi fissi verso quello che aveva davanti a se.
Alla fine del viale le vecchie mura
romane della città di
provincia segnavano l’inizio della città.
Quel uomo era decisamente qualcosa di
più.
- Aspettami O’Neill. -
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Capitolo 3 *** I trenta minuti più lunghi ***
I
trenta
minuti più lunghi
Mattia
aveva ormai perso tutto il
sonno che aveva fino a qualche minuto prima in navetta. Era aumentato col guardare la pioggia che scendeva dal finestino del bus, fortunatamente aveva smesso da cinque minuti buoni.
Era
normale dopotutto:
svegliandosi alle sei di mattina chi non poteva avere un po’
di sonnolenza
post-alzato-dalle-lenzuola?
-
Ciao Mattia! – la brunetta gli
sorrise girandosi. Gentile da parte sua. Peccato che fosse ormai la
quinta
volta che accadeva nel giro di cinque minuti. E per quanto ricordava
gli
standard di Claudia di solito raggiungevano un apice di tre.
Ok,
di certo quella ragazza non
soffriva di traumi post-sveglia. Non c’era mattina che
arrivasse in fermata che
lei non stesse già parlando o facendo qualsiasi altra cosa
umanamente
impossibile alle sette e mezza della mattina.
-
Ciao, per la quinta volta. -
La
ragazza alzò un sopracciglio
sorpresa. – Come, già la quinta? – rise
e cominciò a ascoltare i discorsi
idioti di Davide, un ragazzo di cui in realtà lui non sapeva
un emerito
accidente pur essendo nella stessa fermata da più di un anno
ormai. Non che
parlasse più di tanto in generale, diciamo che preferiva
ascoltare.
-
Senti! Mettiamo in chiaro che
Io non sono un tavolino da colazione! Con o senza cappello da laurea!
– sbottò Claudia
in quel momento rivolta al ragazzo biondo. – e non continuare
ad appoggiarti
alla Mia testa. Mia! capito? -
Davide
la guardò sbieco e poi
sogghignò. – Si si Claudia certo. –
Tornò a parlare con Erica di qualcosa di
incomprensibile sul genere “viva Coran” e Claudia
concentrò la sua attenzione
su un suo ciuffo di capelli.
-
Uff! Ma perché non vuoi stare
giù? Dannato ciuffo che fa il ricciolo. – La
ragazza cominciò a massacrare quei
poveri capelli, riuscendo a renderli solo più arricciati.
Continuando
a fissare la ragazza
si rese conto che quello era l’unico ciuffo più
lungo…capelli corti e un ciuffo
fino alla spalla, ma qualcosa di normale quella ragazza ce
l’aveva?
-
Sai? A volte mi chiedo come
sarà il prossimo anno senza tutti voi…-
Mattia
ci mise qualche istante a
collegare con chi stava parlando Claudia. Aveva smesso di giochicchiare
con i
capelli e aveva spostato lo sguardo su di lui. Vedendo che
però non rispondeva riprese
a fissare Davide e Erica intenti a fare i mimi di qualcosa che
vagamente
ricordava un orango tango che ballava la salsa.
-
Arriviamo alla fine di questo
intanto… - rispose infine.
La
bruna sollevò lo sguardo
sorpresa, forse non si aspettava più una risposta da parte
sua; gli sorrise. –
Si… -
Cloud
continuò a fissarlo ancora
per qualche istante: e ti pareva che quando meno te
l’aspettavi lui dovesse
saltare fuori con quelle frasi?
Cribbio Cloud datti un contegno! Starai sbavando
come un cane! Ma
tanto…figuracce ne hai fatte a palate.
-
Ehi principessa addormentata
sveglia. – Anna le diede una leggera gomitata per tirarla
fuori dai suoi
pensieri. – Lo sciupi se continui a fissarlo così!
– concluse infine in un
sussurro.
Cloud
la guardò malissimo.
Adorava quella ragazza ma a volte pareva che lo facesse apposta a
rovinare i
suoi momenti di “contemplazione Mattia”. Come
Giulia, anche Anna era in prima
superiore e praticava karate: per Cloud era una specie di sorellina
minore. E
per certi versi loro due si assomigliavano pure. Entrambe avevano
capelli
castani corti e occhi verdi, e non erano dei mostri in altezza, e pure
di
carattere erano decisamente simili. Certa gente le scambiava pure per
sorelle.
-
Ah ah ah bella battuta! No
davvero sta mattina ti vengono decisamente bene! – disse
pestandole accidentalmente il
piede. – Oh
accipiripacchioli. Ma come sono distratta sta mattina! – Le
due presero a farsi
boccacce a vicenda. Allora fine Anna prese le guance di Cloud e
tirò, Cloud
prese quelle di Anna e il risultato fu un parimerito.
-
Ma voi due che state facendo? –
chiese stupita Anna Maria (da tutti detta Naya). Anche lei, come Mattia
e Anna
prendeva un altro autobus per arrivare li.
Cloud
ghignò allegra. – Jogging!
–
Tutti
la fissarono come se fosse
una pazza appestata da manicomio. Erica, Giulia, Elisabetta e Alice
invece
cominciarono a ridere a crepapelle e ad intonare un ritornello.
-
E per il principe azzurro lei si
preparòòòò e molto jogging
per le
strade con molta voglia
fòòòòò…-
La
ragazza era allibita. – E quel
“fò” che era? –
-
Abbi pietà, non siamo riuscite
a perfezionarla. Dobbiamo ancora lavorarci! – Elisabetta
pareva al settimo
cielo per essere riuscita a cantare il loro capolavoro.
-
Tranquille vi risparmio il
lavoro! – Fece una linguaccia. – E poi non eravate
nemmeno intonate! Ah ah ah! –
Il
tempo continuò a scorrere
mentre I ragazzi si scambiavano battute e scherzi in quella piccola
fermata: a
poco a poco cominciò a svuotarsi di tutti gli studenti che
fino a una ventina
di minuti prima si erano affollati per I vari bus delle scuole.
Il
loro sarebbe dovuto arrivare
nel giro di qualche minuto. Davide era andato con l’ultima
navetta che si era
fermata perchè alla prima ora avrebbe avuto versione. Loro
come al solito si
sarebbero ammassati nel fondo dell’ultimo bus continuando a
parlottare fino
alla scuola di Cloud, Alice e Elisabetta dove le tre e Mattia sarebbero
scesi.
Ma
per il momento della navetta
non vi era ancora l’ombra.
Naya
si rivolse a Cloud. –
Arancione o verde? – Era così ogni mattina: quando
mancava poco scommettevano
sul colore della navetta che sarebbe arrivata. Cloud fece due calcoli;
decise
che arancio poteva essere una scelta migliore visto che negli ultimi
giorni era
passata verde e quelle erano meno utilizzate per le spole verso la
scuola. –
Arancione. –
-
Bene, ho vinto io! – Sorrise
l’altra.
Dal
fondo della strada, dietro le
macchine che sfrecciavano a tutta velocità nel put, una
navetta verde uscì da
una laterale.
-
Di nuovo…- sospirò Cloud. – Beh
allora cartelle alla mano guys! - Salutarono Naya che sarebbe andata a
scuola a
piedi.
Ma
qualcosa non andava. Qualcosa
decisamente non andava. Soprattutto non era decisamente normale che il
traffico
delle otto di mattina si bloccasse all’improvviso.
Tutta
la cricca era ammutolita.
-
Ragazzi… - Naya li aveva
raggiunti di nuovo. – Me lo sto immaginando io vero? -
Nessuno
emise un fiato ma sapeva
già la risposta. Le macchine, le moto, la gente che
camminava in cima alle mura
e perfino l’anatra che stava spiccando il volo dal fossato
erano come bloccati.
Immobilizzati.
-
Vi prego ditemi che questo è un
incubo. – biascicò Anna.
Il
vento tutto ad un tratto si
fece più forte e molte delle foglie ai loro piedi si
librarono in aria. Fu
allora che lo videro. L’unica figura che come loro sembrava
non aver subito
quello strano fenomeno che in quel momento si trovava dalla parte opposta della strada.
Da
sotto il cappuccio
dell’impermeabile una voce gutturale, quasi a ricordare un
ringhio rispose alla
preghiera della ragazza. – Credimi mocciosa, questo
è solo l’inizio. – Un’altra
raffica di vento. L’uomo sparì e
l’istante dopo era a meno di un metro da tutti
loro. – E ora se avete intenzione di non soffrire troppo che
Cloud O’Neill si
faccia avanti. –
A
Cloud gelò il sangue in corpo.
I secondi si fermarono e il mondo cominciò a girare ancora
più lentamente di
quanto immobile non fosse già. Di tutto quello che si
sarebbe potuta aspettare
quella era la peggiore delle ipotesi.
Chi
diavolo era quel tipo che
conosceva il suo nome? Che cosa voleva? Come era riuscito a trovarla?
Due
anni che non si sentiva
chiamare così. E in quei due ultimi anni aveva avuto
montagne di dubbi.
Ma
adesso una certezza l’aveva.
Doveva
tirare fuori i suoi amici
da quella situazione in fretta. E di sicuro non sarebbe riuscita a dare
una
mano a Sara per le prove di coro quella sera.
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Capitolo 4 *** Quando viola uguale a disperazione ***
Quando viola uguale a disperazione
Anna
continuava a fissare
iperterrita avanti a se.
Non
era la curiosità, o quel
pizzico di interesse che si ha nel bel mezzo di una situazione
sconosciuta. Era
il terrore. Puro terrore che la scuoteva dal profondo; su ognuno di
loro lo
sguardo dell’uomo era velato, il cappuccio ancora calato come
a celare il più
grande dei loro incubi.
Strinse
più forte il braccio a
cui era aggrappata. Cloud dal canto suo accennò una smorfia
di dolore, non
aveva il coraggio di rompere quel silenzio.
Tutto
il suo corpo era immobile,
fermo quasi al pari di qualsiasi cosa, uomo, animale presente
all’interno del
loro campo visivo, ma nella sua mente un grande conflitto stava avendo
luogo.
Sapeva
che i suoi amici si
trovavano in pericolo, che era lei a dover fare qualcosa, ma non
poteva. La
consapevolezza del suo brutale fardello la faceva precipitare di nuovo
nello
sconforto prima ancora di riuscire a muovere un muscolo.
Non
poteva rischiare che tutto
quello si ripetesse, non sarebbe riuscita a reggere un ulteriore
dolore.
Avrebbe solo peggiorato le cose: avrebbe continuato a guardare come la
scena si
sarebbe svolta, senza reagire.
Era
meglio così. Dopotutto, anche
avendo la volontà di cambiare qualcosa non ce
l’avrebbe fatta lo stesso.
Strinse
il pugno ma non osò
alzare lo sguardo per incontrare gli occhi dell’uomo: forse
un tempo si sarebbe
definita codarda e vigliacca vedendosi dall’esterno. Di
sicuro si sarebbe
riempita di pugni e avrebbe urlato che bisognava alzare la testa e
continuare.
Però
non ora. Non più.
La
mano si sciolse dalla sua
stretta ferrea e scivolò molla lungo il fianco e Cloud non
proferì parola. Lì,
immobile ad aspettare la volontà del fato. Non aveva nemmeno
la forza per ridere
all’ironicità della scena; era tutto piatto, come
in uno dei tanti telefilm
americani in cui di colpo l’elettrocardiogramma diventa una
lunga linea retta.
Aveva battuto un colpo e si era fermato. Stabile in uno spazio che non
si
poteva più raggiungere.
Solo
che quello non era un
telefilm americano.
Erica,
completamente ignara del
conflitto che stava avvenendo nella mente dell’amica,
cercò di smuovere quella
situazione di stallo anche se la paura le attanagliava le viscere.
Cercò di
parlare, ma prima che dalla sua bocca uscisse un suono lo sconosciuto
parlò.
-
Cloud O’Neill. – Non un fiato
parve uscire da sotto il cappuccio ma quella voce roca e tagliente come
un
rasoio li raggiunse e riuscì a rendere ancora più
palpabile la paura del
gruppo.
Questa
volta Erica cercò di
parlare. – No-non riesco a capire.. – Il cappuccio
si volse verso di lei. -
…c-cioè , qui non conosciamo nessuno che abbia
quel nome. Nessuno di noi ha
idea di quello che lei cerca. – Cercava di apparire
abbastanza sicura di se ma
la voce la tradiva. Sperava di poter avere abbastanza coraggio, ma il
suo
coraggio aveva preso una navetta ormai lunghi e lontani minuti prima.
L’uomo
parlò di nuovo. –
Bugiardi. Ognuno di voi ha il suo odore addosso. – Il volto
incappucciato
percorse uno ad uno le otto persone di fronte a lui. – Le
vostre menti sono
state toccate dalla sua. C’è la sua presenza. Voi
la conoscete e la state
nascondendo. Sarà peggio per voi se continuate. Datemi Cloud
O’Neill. –
Dopodichè tacque, forse ad aspettare una loro veloce resa.
-
Perché allora non te la trovi
da solo? – Cloud guardò Mattia preoccupata.
Domande troppo sfacciate portavano
guai se non si era in grado di gestire la situazione. Neppure tutta la
fiducia
che riponeva in lui lo fece passare capace di fare ciò ai
suoi occhi. E come
avrebbe potuto. Un ragazzo impreparato per un nemico smisurato.
Per
quello che a Cloud parve
un’eternità l’uomo rimase col volto
fisso su Mattia. Poi come a confermare
tutti i suoi cattivi propositi, ringhiò.
Di
nuovo quel suono tagliente.
Alla fine lo sconosciuto aveva deciso di parlare e non di attaccare.
– Se
potessi trovarla da me non perderei certo tempo. Siete solo dei
cuccioli
mortali per cui non nutro alcun interesse e se non vi fosse solo la
remota
possibilità che ognuno di voi possa essere O’Neill
vi avrei già fatti fuori. –
Il tono pacato con cui parlava rendeva ancora più spaventosa
la minaccia.
Nessuno aveva il coraggio di mettere in dubbio ciò che stava
dicendo.
Giulia
stava per dire qualcosa,
forse sul fatto che visto che stava cercando una ragazza Mattia non
aveva
motivo di essere la, ma Alice le pestò il piede prima che
riuscisse a dire A.
L’azione
quasi impercettibile
delle ragazze non sfuggì all’uomo che comunque
continuò il suo discorso. – So
per certo che le vostre menti sono state in contatto con la sua
perché riconosco
la potenza della traccia che vi è rimasta impressa. Questo
però non mi aiuta a
ricondurre a chi possa appartenere quella mente. –
-
Come un dito che lascia il
solco senza però l’impronta digitale. –
Elisabetta aveva parlato più a se
stessa ma capì di aver centrato il punto quando sulla bocca
dello sconosciuto
si aprì un enorme ghigno.
I
ragazzi cominciarono a
guardarsi come per cercare di capire se almeno uno di loro avesse
qualche idea
sul da farsi.
Cloud
fissava i piedi cercando di
escludersi da quegli scambi di sguardi anche se la sua rassegnazione
agli altri
passava per paura e tensione. Alice e Elisabetta si scambiarono sguardi
vuoti,
come se qualcosa in tutto quello stonasse, ma un velo in un mare di
nebbia
passa inosservato e loro non vi diedero peso. Mattia taceva ma
dall’espressione
sul suo viso si intuiva che era teso. Anna, Giulia, Naya e Erica cercavano di
darsi
muto conforto a vicenda, perché cominciavano a capire che
niente avrebbe fatto
cambiare i sospetti dell’energumeno verso di loro.
L’aria
era tesa e carica di
tensione. Nessuno avrebbe saputo dare all’uomo quello che
chiedeva. Ciascuno
l’aveva letto a caratteri cubitali sulle facce altrui, non uno
di loro sapeva
che fare.
Tutto
ciò portò ognuno di loro a
una comune realizzazione.
Un
unico punto cieco e una sola
possibile conseguenza. Erano spacciati.
Il
vento mosse lievemente le
foglie, uno spiraglio d’aria passò tra i capelli
di Cloud: alcuni ciuffi più
corti le ricaddero sugli occhi per qualche istante prima che
un’altra leggera
folata li spostasse di nuovo. Quegli istanti però erano
bastati. Appena la
ragazza ebbe di nuovo la vista libera tutto ciò che
incontrò fu il viola.
Il
viola più intenso che avesse
mai visto. Trasmetteva freddo ma anche calore, paura come rispetto.
Quegli
occhi agganciati ai suoi quasi le stessero squadrando l’anima.
Le
cicatrici che ricoprivano quel
volto coperto dal cappuccio e le innumerevoli bruciature passavano in
secondo
piano a confronto di quello sguardo. Nessuno altro riusciva a vedere
oltre al
cappuccio per quanto basso era calato. Quello sguardo era solo per lei.
Perché
lui sapeva. Aveva intuito
tutto, o forse sin dall’inizio, sin da quando li aveva
raggiunti in quel angolo
fuori delle mura sapeva.
E allora perché le menzogne e i giochi
sporchi? Ma di che mi stupisco,
loro non cambiano. Sono io che non collego più niente.
I
pensieri continuavano ad
affollare la testa della ragazza che cercava di non farsi distrarre da quegli occhi ametista ancora fissi su
di lei.
Si
sentiva sempre più in colpa
per quello che stava accadendo ma lei aveva le mani legate. E
consegnarsi non
avrebbe risolto niente. Sperava solo che continuando ad avere gli altri
sott’occhio potesse essere la cosa migliore.
Improvvisamente
l’uomo sollevò il
cappuccio e per il resto del gruppo lo sgomento fu sovrano. Le file di
cicatrici che si snodavano lungo il viso e fino giù nel
collo erano bianche e
profonde così come le bruciature che avevano reso il viso
deturpato e
mostruoso. Quasi nessuno focalizzò subito lo sguardo sugli
occhi.
Ma
quando ciascuno di loro lo
fece Cloud se ne accorse. Lo stesso effetto che aveva avuto su di lei
lo vide
riflesso sul volto dei suoi amici.
Ma
lo sconcerto durò poco.
L’ormai-non-più-incappucciato non si
curò degli sguardi che aveva su di se e
cominciò un corto rituale costituito da alcuni gesti delle
mani. Le mani si
chiusero a pugno e le fece scontrare. Erica fu scossa da un brivido
sentendo il
rumore delle ossa in collisione.
Cloud
sgranò gli occhi. Sapeva
ciò che sarebbe venuto in seguito e non le piaceva per
niente.
Ti prego non aprire i palmi, non aprire i palmi,
non aprire i…CAZZO!
Esattamente
come Cloud
disperatamente pregava che non avvenisse i palmi dell’uomo si
aprirono.
Ruotando le mani le allontanò l’una
dall’altra lentamente.
Quello
che successe dopo fu qualcosa
di incredibile agli occhi dei poveri spettatori. Una voragine si stava
creando
alle spalle dell’alta mole del loro aggressore.
Continuò a crescere fino a
raggiungere i tre metri circa e poi si fermò.
Ciò
che riuscirono a vedere i
ragazzi fu solo una circonferenza che oltre a se lasciava intravedere
solo
sfumature di rosa, fucsia e alcuni accenni di bianco. Niente di quale
potesse
essere la meta dalla parte opposta.
Erano
di fronte a un portale.
Adesso
davvero cominciarono a
temere per loro stessi.
Se
quel portale era stato aperto
voleva solo significare che qualcuno di loro ci sarebbe finito dentro.
Alice
cercò con lo sguardo Cloud, ma la sua migliore amica non
pareva vedere niente
al di fuori di quel enorme globo rosa. Era in panico quanto lei.
Stringendo
di più la mano a
Elisabetta cominciò a chiedersi il perché di
tutto quello. Quasi non si accorse
di ciò che accadde dopo.
-
Questa Cloud è una ragazza.
Perché io sono ancora qui? – Forse per il silenzio
che si era creato, forse per
la tensione ancora più palpabile nell’aria, quella
domanda parve urlata. Questa
volta però Mattia rischiava di grosso. Non aveva idea
quanto. Una volta si
scampava ma due no: Cloud senza pensarci prese il ragazzo per il
braccio. –
Mattia non… -
Giulia
si morse la lingua pur di
non protestare. La domanda che fece Mattia le aveva causato un livido
sul piede
qualche minuto prima.
Ci
fu un istante di silenzio, poi
l’uomo cominciò a ridere,una risata che fece
accapponare la pelle a ciascuno di
loro.
Le
iridi viola brillarono di un
misto di aggressività e pazzia mentre tornavano a fissare
Mattia.
-
La tua mente è stata toccata
troppe volte per passare inosservata. –
Con
un gesto della mano sollevò e
immobilizzò ognuno di loro a mezz’aria.
Poi
senza remore lì scaraventò
tutti oltre il portale.
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Capitolo 5 *** Darkness in the underground ***
Darkness in
the underground
La
catena stringeva il polso più
del dovuto e aveva cominciato già da un pezzo a ledere la
pelle.
Il
sangue non colava più ma si
era seccato attorno alla ferita rendendo fastidioso qualunque movimento.
Questo
però non gli impedì di
provare per l’ennesima volta a spezzare quella morsa ferrea,
un lieve sforzo di
braccia e i perni della catena sarebbero schizzati fuori dal muro. Fece
leva
sulle ginocchia e tirò cercando di portare il peso in avanti.
Non
si mosse niente.
-
Mikey lascia stare. Ci avrai
provato una ventina di volte solo negli ultimi dieci minuti.
– La voce
proveniva dalla sua sinistra e dal tono dava l’impressione di
essere alquanto
scocciata. Michelangelo però sapeva che era la rabbia a far
parlare così suo
fratello. E come dargli torto.
Non
riusciva a vedere
l’espressione sul suo volto, un po’ per la poca
luce e un po’ a causa delle
sbarre della cella ma sapeva per certo che era la stessa sua.
– Io non mi
voglio arrendere. Hai sentito quello che ha detto la palla di lardo
l’ultima
volta no? L’hanno trovata. – La sua voce era ferma
come poche, rare volte. Era
il tipo scherzoso lui.
La
sagoma nella cella di sinistra
alzò la testa e fissò il muro in pietra avanti a
se. – Se dovessimo credere a
tutto quello che ci dicono allora avremmo dovuto demordere parecchio
tempo fa.
–
-
Per loro è morta. – ringhiò
Michelangelo.
Due
iridi nocciola lo fissarono
per qualche istante. Adesso poteva vedere come la fascia rossa era
rovinata e
strappata in alcuni punti, rendendo il suo interlocutore ancora
più
inquietante.
La
figura strisciò un piede sul
pavimento di pietra nera fino a portare il ginocchio al petto.
-
Per loro, anche noi la crediamo
morta. - Con un rumore sordo si accasciò sulla parete per
poi tornare nel suo
muto mondo di rabbia e frustrazione.
Michelangelo
rimase ad osservare
la silhouette del fratello ancora per qualche istante. Era strano,
pensò il
giovane, come lui avesse reagito a tutto quello che era successo negli
ultimi
tre mesi. Di solito essere impulsivo, attaccabrighe e scazzotta-tutto
gli
veniva naturale; ma pian piano erano riusciti a domalo. Lui che era la hot head, la testa calda per
antonomasia, era stato domato come un agnellino.
Fece
qualche altro tentativo con
le catene ma la stanchezza ormai stava avendo la meglio. Gli occhi
cominciarono
a chiudersi e la testa finì per pendere verso il basso.
Si
addormentò con un unico
pensiero in testa.
Hang
in there sis.
Era
ormai notte quando riaprì gli
occhi. Il cibo era stato portato mentre dormiva e la brodaglia
all’interno del
piatto non fumava quasi più. La catena era stata allungata
per permettergli di
mangiare con più facilità e adesso le braccia
erano molle lungo i fianchi;
Michelangelo alzò un sopracciglio sorpreso per come avessero
dato per scontato
il fatto che non avrebbe cercato di trarre vantaggio da quella
situazione.
Con
un grande sforzo allungò il
braccio verso il cucchiaio e si avvicinò con molta lentezza
la ciotola. Studiò
qualche istante ciò che vi era dentro. Sembrava brodo di
qualche sorta ma non
ne era completamente certo e non era per niente invitante.
Almeno non è la solita pastella collosa.
Cominciò
a ingoiare le capienti
cucchiaiate di brodo per vedere se almeno quel po’ del suo
calore poteva
alleviare le sofferenze di quella prigionia.
Cercò
di non sputare quello che
aveva appena ingoiato: il sapore era terrificante, un misto tra carni
morte e
muffa. Si mise d’impegno e continuò a mangiare.
Tra
una cucchiaiata e l’altra si
accorse che da dietro la colonna all’entrata della sua cella
il bordo di un’ombra
era leggermente visibile.
Allentate le catene ma aumentate le guardie. Non ci
voglio proprio
mollare questi qui.
Morse
il labbro per l’irritazione
e il sapore del sangue subito si mischiò con quello di carne
morta del brodo.
Tutto ciò gli faceva montare una rabbia.
Trangugiò
l’ultimo cucchiaio e
sbatté a terra la ciotola; un occhio lo fissò al
di là di due file di sbarre
seguendo i suoi movimenti. – Svegli tutti se non fai
più piano Michelangelo. –
Per
tutta risposta quest’ultimo
grugnì e guardò davanti a se: vedeva un unico
occhio che lo fissava
intensamente, le ferite non dovevano ancora essersi rimarginate e non
gli era
possibile aprire l’occhio destro.
-
E sai a me quanto me ne frega?
Sembrate delle vecchiette pronte per il pensionamento voi due. Sempre
rannicchiati e lì a subire tutto quello che ci fanno. -
-
Nemmeno tu sembri una modella in
questo momento Mikey, non venire a fare la paternale a noi. –
l’occhio vagò per
gli angoli della sua cella per poi riposarsi su di lui. – Lo
sai che la pensiamo
tutti allo stesso modo. –
-
Ma non fate niente! Ve ne state
li a subire e… -
-
Fossi in te abbasserei la voce.
Raph ha ripreso a dormire da poco. E sai che diventa una pessima
compagnia se
lo si sveglia prima del previsto. –
-
Non è che quando è sveglio
l’umore cambi di tanto ultimamente you
know? – sbuffò Michelangelo volgendo lo
sguardo verso il fratello. Doveva
aver mangiato e poi aver continuato a dormire perché era
nella stessa posizione
in cui si era accartocciato dopo la loro breve conversazione; ciotola e
cucchiaio erano poco distanti dal piede destro quasi avesse voluto
spingerli
via.
Dall’altra
parte della cella
arrivò un suono molto simile a una risata. – Alla
fine quello che non cambia
mai qualunque cosa succeda sei tu. Guardati, sei pieno di
ferite,… -
-
Urlo di dolore ogni volta lo
sai… -
-
…ossa rotte e lividi
dappertutto eppure riesci ancora a fare dello spirito. –
-
Se l’alternativa è piangere. -
-
Eddai Mikey hai capito.
Comunque… - La voce si abbassò di tono. -
…lo sai anche tu perché non ci
ribelliamo. –
-
Si ma a me… - cominciò il
ragazzo ma subito si morse la lingua. La guardia era ancora li e poteva
sentirli benissimo.
Lui
sapeva perché nessuno si
ribellava, lo avevano deciso insieme e avevano trovato il modo di
fuggire da
tutto quello; ma ormai lui non ci credeva quasi più, era
passato parecchio
tempo e sebbene sapesse che per riuscire a fuggire nello stato in cui
loro
tre erano ridotti avrebbero avuto bisogno di tempo non riusciva a
sopportare che ce ne volesse così tanto.
In
più le torture erano
strazianti. Quando cominciavano, il dolore prendeva il sopravvento e
gridava e
si dimenava come un bambino. I suoi fratelli invece soffrivano in
silenzio.
Qualcuno
una volta gli aveva
insegnato che per essere un buon ninja bisogna essere concentrati e pazienti. Ma lui ora non
ci riusciva.
Si
riaccoccolò verso il muro
cercando di attingere forza dalla sicurezza che i suoi fratelli
riponevano
nelle loro capacità e speranze. In quel momento si sentiva
così debole.
Rivoleva tornare a casa e riprendere la loro vita normale: scherzare in
famiglia, portare a termine le missioni extra planetarie ed essere di
nuovo il
ninja teenager divertente che tutti conoscevano.
Questa è una promessa. Appena usciamo di
qui veniamo a riprenderti sis.
Ok, magari prima facciamo il culo a questi idioti!
Ritrovato
un po’ del suo spirito
combattivo cercò di distendere la mente e rilassarsi come i
suoi fratelli. Il
loro aguzzino sarebbe arrivato presto per il giro inquisitorio
notturno, ormai
di routine.
E
questa volta non avrebbe
ceduto.
۰۰۰
La
guardia era in preda a una
lieve crisi di sonno. Le lunghe corna da ariete che uscivano
dall’elmo
grattavano la pietra della parete su cui aveva appoggiato la testa.
Non
si rese conto che qualcuno si
stava avvicinando fino a quando non entrò nel suo campo
visivo; strabuzzò gli
occhi piccoli e iniettati di sangue fino a mettere a fuoco una mole
davanti a
se.
Grugnì
e quest’ultima si
allontanò per tornare al suo posto al piano superiore della
prigione. L’avevano
spedito lì per controllare uno dei rettili e il suo rancio.
Non che ci avesse
capito poi un granché, ma appurato che il suo compito era
puramente continuare
a controllare l’ingresso al livello ghita
delle prigioni aveva ripreso a dormire.
Ora
però se ne stava andando.
Capì il perchè poco dopo.
Alla
fine della scala si
stagliava la grande mole di un uomo con il volto coperto. Lui era
l’aguzzino
dei loro prigionieri d’onore. Ma questa volta non era solo:
una figura più
piccola, esile in confronto alla grande mole del predator, era apparsa
alla
fine della scala.
L’ariete
grugnì sorpreso: se quell’uomo era lì allora per quei rettili troppo
cresciuti era la fine.
-
Abbiamo una chiacchieratina
lunga da portare a termine sta sera. Nessuna interruzione. –
Il predator spostò
il volto mascherato verso la guardia che li lasciò passare
con un cenno
d’asseso.
Poco
male.
Per
quel che a lui interessava,
un mondo senza le Supernove era un
mondo migliore.
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Capitolo 6 *** Special Chapter - Christmas in N.Y. ... Cawabonga dudes! ***
-
Special chapter -
¯
Christmas in N. Y. … Cawabonga dudes! ¯
Le luci di Natale
illuminavano a festa
le strade di New York gremite di gente intenta negli acquisti
dell’ultimo
minuto.
Attraverso le
vetrine si potevano vedere
ragazze in cerca di una sorpresa per i loro fidanzati, bambini
incantati
davanti ai giocattoli più costosi e di ultimo modello che
speravano tanto di
ricevere da Babbo Natale, genitori alla disperata ricerca dei doni
richiesti
dai figli. Anche per le strade potevi vedere regali: le persone era
piene di
borse, pacchetti, nastri, fiocchi. Santa Claus ovunque che distribuivano
regali e
sorrisi ai bambini per mano delle mamme e dei papà per le
avenue di New York.
Era la fine degli
anni novanta, Natale
del 1999 per la precisione, e quello che la tecnologia innovativa
poteva
offrire era fuori dalla sua portata.
Non aveva avanzato
tanti soldi ma un
semplice regalo poteva permetterselo; la piccola figura
continuò ad avanzare in
quella calca di gente con i suoi cinque pacchettini tra le braccia. Li
aveva
quasi tutti, mancava solo qualcosa per il suo tecno-brother. E credeva
di aver
avuto un’idea.
Arrivò
al semaforo e aspettò che
diventasse verde. Quando raggiunse l’altra parte della strada
entrò nel secondo
negozio alla sua destra.
L’insegna
diceva “G-Tec!
Games&Technology”.
L’ omone
dietro il banco dovette
sporgersi per riuscire a vedere la nuova cliente: rimase sorpreso di
trovarsi
davanti una bambina tutta imbaccuccata nel suo cappotto verde, avvolta
in una
sciarpa pesante e con un cappello di lana inculcato in testa.
– Buona
sera signore. – La piccolina lo
guardò da oltre l’alta pila di pacchetti.
Il proprietario
sorrise. – Buona sera a
te bella signorina. Come posso aiutarti? –
La piccola si
alzò sulle punte e
appoggiò i regali sul bancone per essere più
libera. – Avrei bisogno di un
regalo per il mio fratellone. Adora tutte le cose tecnologiche e i
ghingherini
simili. – disse con una vocina dolce al commesso. –
Avete un giocattolo adatto
per caso? –
– Quanti
anni hai piccola? – chiese
curioso l’uomo.
– Sei e
mezzo signore. –
– Ma che
carina. E vieni a prendere il
regalo per il tuo fratellone! –
–
In realtà ne ho quattro di fratelli! –
– Beh
brava il doppio allora! Vieni con
me che cerchiamo un bel regalo. –
La campanella
suonò appena la porta le
si richiuse alle spalle.
Era soddisfatta di
se stessa, aveva
trovato un bel regalo anche se non era un vero e proprio gioco e ora
che li
aveva tutti poteva tornare a casa tranquilla a finire di preparare gli
addobbi.
Dopotutto era la sera di Natale.
Sorrise felice.
Quel periodo dell’anno
le piaceva particolarmente, soprattutto negli ultimi anni. Finalmente
le era
permesso di uscire di casa da sola, per poco tempo e sempre in zone
vicine a
casa, ma almeno così poteva comprare dei regalini
più carini ai suoi fratelli
che semplicissime cosette fatte a mano.
Il sorriso le si
spense pensando che i
suoi fratelli e suo papà non potevano uscire di casa.
Dovevano stare lì tutto
l’anno. Certo, nel loro ambiente erano più che
liberi e lei preferiva di gran
lunga stare a casa con loro che da sola per le strade della
città, ma un
giretto ogni tanto sarebbe di sicuro piaciuto anche a loro. Avrebbero
dovuto
vedere dal vivo le strade illuminate e tutte le pizzerie che si
vedevano per la Grande Mela.
– Ma il
maestro dice che qui nessuno
capirebbe e sarebbero trattati male. E’ proprio un peccato.
–
Ormai aveva quasi
raggiunto la fine dei
quartieri commerciali e la calca attorno a lei cominciò un
po’ a diminuire.
Continuava a
mettere un piede avanti
l’altro sul marciapiede anche se quello che vedeva erano
solamente i pacchetti
regalo e le grandi persone che le passavano a fianco.
Infatti non si
accorse di un ragazzo
corpulento che le passò accanto. Lui quasi non se ne accorse
ma l’urto fece
perdere l’equilibrio alla bambina che per l’impatto
mollò la presa sulla pila
di pacchettini.
I regali volarono
in aria.
Nessuno di loro
però toccò il suolo.
Il ragazzo si volse
per capire cosa
aveva urtato e si trovò di fronte a una scena bizzarra.
Una bambina grande
quanto uno scricciolo
aveva salvato tutti e sei i pacchetti che qualche attimo prima aveva in
mano
con una mossa che sembrava uscita da un film di guerrieri di arti
marziali: due
pacchetti erano nella sua mano destra e la sinistra ne aveva afferrati
altri
due, un quinto era in bilico sul braccio e l’ultimo era
sorretto dal piede
allungato in avanti.
Per poco il giovane
non mollò la sua di
presa sui regali.
Con nonchalance la bambina
rigettò tutti i pacchettini
tra le sue braccia e svoltò nel vicolo come se niente fosse
successo.
Il tutto doveva
essere successo nel giro
di cinque secondi perché nessuno parve essersene accorto.
Così il
giovane rimase a fissare il
vuoto come un idiota per una manciata di minuti buoni prima di
convincere se
stesso che si era immaginato tutto.
—–
– Era ora
Cloud! Che passeggiata hai
fatto? Shell it took you
an eternity sis! – esclamò una piccola tartaruga
intenta a leccare la ciotola
con i resti dell’impasto per i biscotti.
La bambina che era
appena entrata dal
portone in ferro mise i pacchetti che aveva in mano sul ripiano di
fianco al
suo letto e si levò cappotto, sciarpa e berretto facendo si
che la criniera di
corti capelli castani e il suo ciuffo più lungo si
liberassero. Il piccolo
porcospino la chiamavano. – Oh come on Raph! Sono stata via
solo due orette.
Sono in ritardo di qualche minuto! – ribatté Cloud
gonfiando le guance. Il
risalto tra i suoi occhi verdissimi e il porpora delle guance era
così vivido
che gli occhi parevano ardere.
– Ahahah
te la prendi sempre per così
poco! – esclamò il ninja dalla maschera rossa.
Cloud sorrise, era sempre così
con i suoi fratelli.
Dall’altra
stanza che componeva la loro
piccola casa li nel sottosuolo erano usciti anche gli altri fratelli,
attirati
dai brusii.
La sorellina
più piccola non aveva
capito all’inizio quale fosse il problema con i suoi
fratelli. Dopotutto lei
era umana e ci viveva benissimo assieme, ma poi aveva capito che i suoi
fratelli erano speciali, ma quel speciale non era gradito da tutti.
Peggio per loro e
meglio per lei si diceva
sempre.
Nel frattempo i
suoi fratelli avevano
adocchiato i regali e si erano già fiondati
all’attaco come ninja famelici.
– Ehi
Cloud sono per noi? Dai dai dicci
quale è il nostro dai! – esclamò
Michelangelo.
La brunetta corse
dai fratelli e tutta
allegra cominciò a distribuire ai proprietari i regali.
Subito si ritrovò
sommersa di baci e abbracci. A Leonardo aveva regalato un libro
illustrato su
di un cavaliere buono che a lei era parso tanto simpatico dalla
copertina e che
le aveva subito ricordato il fratello in quanto entrambi usavano le
spade.
Donatello era entusiasta del kit meccanico, utile per i suoi progetti e
esperimenti vari. Un lampo arancione si era già fiondato sul
divano nella
disperata azione di inserire il nuovo videogioco di
“Warriors&Aliens” e
Raphael era in totale adorazione dei roller-blade con le luci a
intermittenza.
Cloud era felice di
aver messo di buon
umore la sua famiglia. Anche se mancava ancora qualcuno.
Alla
sue spalle altre due figure si unirono
alla famigliola.
– Sei
tornata figlia mia, adesso siamo
proprio tutti. – Il maestro Splinter le sorrise e anche il
basilisco alla sua
destra fece altrettanto.
– Scusa
il ritardo sensei. – disse la
piccola eseguendo il saluto ninja. Prese gli ultimi pacchetti rimasti e
li
consegnò loro. – Master Splinter, Draciel those
are for you. Merry Christmas! –
Con la lunga coda
il basilisco afferrò
il regalo e strappando la carta con le zanne rivelò un
cuscino imbottito con su
disegnati dei cerchietti verdi.
–
Così adesso quando dormi puoi appoggiare
la testa la e stai più comodo Dras! –
escalmò Cloud tutta contenta.
Al serpentone
vennero le lacrime agli
occhi. – La mia piccola ninjaaaa!!! Grazie tesoro di
papà! Sei una marmocchia
adorabile lo sai? – ghignò strofinando il muso
squamoso contro quello della
bambina.
– Detto
da te è un complimento biscione!
–
Entrambi
scoppiarono a ridere; Splinter
nel frattempo aveva aperto anche il suo regalo e ora teneva in mano una
bella
sciarpa di lana.
Il maestro
abbracciò l’allieva e figlia
e la ringraziò del graditissimo regalo.
Leonardo
alzò gli occhi dal libro e si
rivolse al maestro. – Adesso è il momento del
nostro di regalo! –
Come chiamato in
causa, Michelangelo
mollò il controller e corse verso i loro letti. Da sotto il
suo levò un lungo
pacchetto che con i fratelli consegnò a Cloud.
La bambina prese il
regalo e prima
ancora di aprirlo ringraziò tutta la famiglia.
–
Figurati sgorbio. Per te questo ed
altro! – sentenziò Draciel allegro.
La carta dorata
rivelò un paio di spade
corte dentro le loro fodere di cuoio. Cloud non credette ai suoi occhi
quando
estraendole realizzò che erano vere. Delle vere Wakizashi, ed erano sue.
Adesso anche lei
possedeva delle armi
sue come i suoi fratelli: come Leo aveva le Katana, Raph i Sai, Mikey i
Nunchaku e Donnie il Bo, lei aveva le Wakizashi.
– Abbiamo
lavorato tutti e sei assieme
per farle. È stato il maestro Splinter a consigliarci che le
wakizashi fossero
l’arma ideale per te. – Donatello parlava tutto
euforico. – Ci abbiamo
riflettuto un po’ e siamo arrivati alla conclusione che le
fasce sulle due else
dovessero essere verdi. –
–
Sai,… – interruppe Raphael. –
…per
ricordarti di noi sempre. –
Cloud era davvero
felice ora. Ognuno dei
suoi fratelli sull’ impugnatura delle armi aveva fasce
colorate che
riconducevano alle loro bandane ma il verde, quello sulle sue armi,
serviva a
ricordarle di ciascuno di loro. Ed era il più bel regalo che
potesse
desiderare.
– Non so
voi, ma direi che il cenone non
può attendere. – Michelangelo cominciò
a dirigersi correndo in cucina dove una
tavola imbandita li aspettava. – I’m hungry guys!
–
Ridendo tutti
quanti raggiunsero la
tartaruga e si sedettero a tavola. Draciel si accoccolò
accanto a loro.
– Prima
di mangiare qualcuno vuole dire
qualcosa? – chiese il maestro Splinter rivolto ai suoi
figlioli.
La bambina
agitò la mano e cominciò. –
Ci sono tante cose che vorrei dire per dirvi grazie, ma credo che mi
ripeterei
come ogni anno quindi mi è venuta un’idea
migliore. – Si alzò in piedi sulla
sedia e disse. – Merry Christmas! –
Perché
passare il Natale con la sua
famiglia contava più di mille parole.
{nota
autrice: piccolo
special per augurare a tutti buone feste! ♥
|
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Capitolo 7 *** Rimorsi di una vita passata ***
Rimorsi
di
una vita passata
Se
l’attraversare il portale non
aveva causato danni non si poteva certo dire altrettanto per il loro
atterraggio.
Appena
toccarono il suolo Cloud
non poté fare altro che maledire quella strafottutissima
giornata. Perché sempre
lei sul fondo?
Cercò
di fare leva con le braccia
ma era impossibile perché, da quel che riusciva a vedere da
la sotto, erano
bloccate sotto il fondoschiena di Giulia. La quale per migliorare la
situazione
era schiacciata tra lei e due pesi quali Erica e Alice.
-
Ehi girls forse alzarsi non
è una pessima idea. – sentenziò Cloud
con
voce spezzata.
-
Nemmeno noi siamo poi così
comode, abbi pazienza un secondo. – Una voce la raggiunse
dalla cima della
montagnola umana. – Che poi siamo tutte incastrate. -
Cloud
si abbandonò con la testa a
terra, sarebbe stata lunga; pochi metri avanti a lei Eli stava aiutando
Anna a
rimettersi in piedi dopo aver fatto altrettanto. Naya era qualche metro
più a
sinistra intenta a sbattere via la polvere dai jeans.
Fu
solo in quel momento che si
ricordò di come erano finiti li, e che qualcuno mancava
all’appello.
-
Mattia! – esclamò scattando in
piedi. Peccato che nel mentre Erica e Alice stessero cercando di
scendere da
quella piramide umana e l’una perdendo l’equilibrio
finì sull’altra con un
tonfo sordo. E Giulia finì su di loro come la panna sul
gelato.
La
ragazza quasi non se ne rese
conto. Era concentrata a cercare il moro nel raggio del suo campo
visivo.
-
Che c’è? – Mattia era alle sue
spalle e stava fissando un punto alla loro destra. Era seduto ma anche
lui
aveva fatto un bel volo strappando i pantaloni in più punti.
I capelli erano
tutti arruffati con dei ciuffi tutti sparati in aria; la ragazza
eclissò il
pensiero di come potesse essere presa lei in quel momento e
seguì lo sguardo
del ragazzo.
Ciò
che vide non le piacque per
niente. Sapeva che quel viaggio trans-dimensionale li avrebbe portati
in un
pessimo posto; aveva solo sperato che quello non rientrasse nella scala
dei
pessimi-pessimi. In realtà però aveva ben pochi
dubbi a riguardo.
Le
altre ragazze nel frattempo,
erano diventate altrettanto coscienti che il luogo in cui si trovavano
era
tutt’altro che accogliente e si guardavano intorno con fare
spaventato.
Le
lunghe pareti della stanza erano ricoperte di armi di innumerevoli generi e
dimensioni:
c’erano spade, alabarde, uncini spinati a varie punti, mazze
di ferro e molte
altre cose che Cloud non cercò nemmeno di identificare.
Ciò che più incuteva
paura era il sangue che ancora imbrattava le lame di quelle armi.
Ed è pure fresco.
Sperò
solo che il resto del
gruppo non l’avesse notato anche se era praticamente
impossibile: l’unico
rumore oltre a quello dei loro passi era il gocciolio del sangue dalle
punte delle lame. Non tutto il sangue però era finito a
terra in quel modo:
molte gocce avevano percorso la parete creando così scie
rossastre, scie che si
presentavano come orribili presagi per il loro futuro.
-
Dannazione ma dove siamo
finiti? – Naya stava aiutando Anna a sorreggersi; la ragazza
doveva essersi
storta una caviglia nella caduta e ora usava l’amica come
sostegno per stare in
piedi.
-
Non lo so e non mi piace. –
-
Eli a te non piace mai niente…
-
-
Questo non è vero. –
-
Certo che sì! –
Il
battibecco tra le sue due
migliori amiche stava mandando in crisi Cloud. – Insomma
ragazze la volete
piantare! – urlò con forza contro la rossa e la
mora a pochi passi da lei.
Entrambe le ragazze si zittirono sorprese dal violento scatto della
loro amica.
Alice
la guardò con espressione
preoccupata. – Claudia che ha… -
-
Cos’ho? Niente! Siamo solo in
una fottutissima stanza di tortura con il pazzo che ci ha portati qui
da
qualche parte e voi vi preoccupate dei gusti di Eli! Ecco
cos’ho! -
-
Se ti fa piacere sentirtelo
dire siamo terrorizzate quanto te, credimi. – Elisabetta
guardò Cloud con
un’espressione a mò di scusa.
Cloud
voltò la testa e sussurrò
appena, quasi rivolgendosi solo a lei stessa. – Peccato che
io non lo sia. –
La
brunetta cominciò a percorrere
la stanza a grandi passi per ispezionare meglio il luogo. Le altre
ragazze
erano ancora un po’ scioccate dal suo piccolo attacco
d’ira ed erano accasciate
a terra cercando di non pensare a ciò che avevano intorno a
loro. A mente
fredda la ragazza si rese conto che non poteva certo biasimarle.
Vide
Mattia poco più avanti
di lei e lo raggiunse; correndo il ginocchio cominciò a
bruciare ma non ci
diede peso, doveva essersi presa solo una lieve botta a causa
dell’impatto con
il cemento di poco prima.
Rallentò
il passo quando lo
affiancò: non era certa di voler parlare e in
realtà non aveva la più pallida
idea del perché gli era corsa dietro.
-
Siamo poco impressionabili. –
Mattia continuava a fissare le armi alle pareti; sospirò.
Allora l’aveva
sentita.
-
Diciamo solo che preferisco non
farmi prendere dal panico, tutto qui. –
Il
ragazzo non disse altro ma
Cloud immaginava di non essere stata troppo convincente. Non ci aveva
nemmeno
provato a risultare tale. Si sentiva falsa in ogni cellula del suo
corpo.
Strinse
i pugni e cercò di non
pensarci. Odiava quella situazione. Odiava non poter fare niente per
loro e
vederli soffrire così.
Il
corso dei suoi pensieri non le
fece notare che Mattia si era fermato qualche metro prima.
Tornò indietro per
cercare di capire cosa avesse attirato l’attenzione del moro.
Il suo sguardo
era fisso su di una pergamena appesa al muro.
La
carta era rovinata e in alcuni
punti era macchiata di gocce scure: su di essa vi era scritta una lunga
lista
di nomi.
Gli
occhi della ragazza si sgranarono
per la sorpresa. Quelli che agli occhi di Mattia risultavano nomi senza
valore
per lei avevano un grande significato. Gli ultimi cinque soprattutto le
fecero
morire il fiato in gola.
Erano
cerchiati come per essere
messi in evidenza e di quei cinque solo uno non era sbarrato. I lunghi
segni
rossi avevano cancellato la maggior parte dei nomi
all’interno del cerchio e
Cloud aveva capito bene il significato di ciò.
Ricacciò indietro le lacrime e
cercò di non lasciarsi cadere a terra.
Tutte
quelle dovevano essere
sentenze di esecuzione e le barrate dovevano già essere
avvenute.
Mattia
non si rese conto della
condizione di Cloud quando parlò, sempre con lo sguardo
rivolto alla pergamena.
– Credo di aver trovato quella Cloud O’Neill di cui
parlava il tizio prima. Anche
se vederla scritta qui non mi sembra prometta bene. Le altre nel suo
stesso
gruppo hanno già una barra.
-
Secondo te perché il gruppo è
denominato Supernov…Claudia?
–
Ma
la ragazza si era già
allontanata.
A
Cloud quella stanza parve
improvvisamente troppo piccola per riuscire a contenere ciò
che provava. Troppi
sentimenti cercavano di esplodere in una volta sola: rabbia, paura,
desolazione, tristezza.
Voleva
solo nascondersi, gettarsi
a terra e gridare ma li non ci riusciva. Stava accadendo tutto troppo
in fretta
e non era in grado di sostenere qualcosa di così grande.
Mentre
si allontanava da Mattia e
da quella pergamena le gambe non la ressero e crollò a terra.
Le
parve che tutto il mondo
smettesse improvvisamente di funzionare. Tutto cominciò ad
andare a
rallentatore.
Anche
quando dal fondo della
stanza apparve l’uomo sfregiato lei non ci fece caso. Nemmeno
quando Mattia fu
sbalzato dove si trovavano le ragazze non mosse un muscolo. Era come
pietrificata dai suoi stessi sentimenti.
Si
accorse appena che delle
catene erano apparse e l’avevano bloccata al suolo tenendola
ferma per braccia
e gambe. Solo quando l’imponente figura le si frappose
davanti alzò lo sguardo.
Le
ragazze soffocarono un grido
appena l’uomo si materializzò nella stanza. Alice
e Elisabetta avevano cercato
di mettersi tra lui e le ragazze più piccole per cercare
quantomeno di fare
da scudo. La giovane orientale si era resa conto che
Claudia e Mattia
erano alla portata di quell’energumeno ma non aveva idea di
che fare. A dirla
tutta Claudia non pareva nemmeno essersi accorta di
quell’uomo. L’aveva vista
cadere sulle ginocchia qualche secondo prima per poi veder apparire lo
sfregiato ma la ragazza non si era mossa.
Il
poi accade parecchio in
fretta.
Mattia
fu sbalzato all’indietro
fino a finire a terra vicino a loro. Naya lo aiutò ad
alzarsi e subito un
reticolato di sbarre li imprigionò in qualche metro di
spazio. E tutte loro entrarono
in panico, ancora di più poi, quando si resero conto che
Claudia era rimasta al
centro della stanza ed ora era incatenata inerme ai piedi del
gigantesco uomo.
Nessuno
di loro parve voler
emettere un fiato per paura che l’uomo potesse accanirsi
contro la loro amica
ma non ci fu bisogno di nessuna parola. Iniziò lui il
discorso.
-
Spero che l’accoglienza sia
stata di vostro gradimento. Sapete… - disse cominciando a
girare attorno alla
figura a terra di Cloud. – C’è una cosa
che mi ha parecchio incuriosito, e
volevo avere un chiarimento. – Al momento era senza il lungo
impermeabile e il
volto era perfettamente visibile ad ognuno di loro. La tenue luce che
proveniva
dalle lanterne alle pareti rendeva quell’uomo ancora
più terrificante.
La
voce di quell’uomo era
tagliente come una lama ma nessuno di loro riusciva a smettere di
ascoltarlo.
-
Dov'è finita tutta la tua ben
conosciuta bontà d’animo? Condannare a morte certa
questi poveri mortali per
cercare di avere salva la vita. Nascondersi dietro a questi stupidi
inetti. A
cosa ti sei ridotta Cloud? - ringhiò schernendo la bruna.
La
ragazza parve acquistare un
po’ di lucidità quando lo sfregiato
pronunciò il suo nome.
D’altro
canto sette paia di occhi
si fissarono immediatamente sulla figura accasciata a terra.
Cominciavano a non
capirci niente. Quell’uomo aveva appena additato la loro
Claudia come la
ragazza che lui cercava con il nome di Cloud O’Neill? Cosa
diavolo stava
succedendo.
Cloud
non alzò lo sguardo da
terra e non cercò di discolparsi. In cuor suo sapeva che
ciò che lo sfregiato
aveva appena detto era vero. In fin dei conti non aveva tentato nulla
per
fermalo e impedirgli di fare qualcosa.
Aveva
perso davvero tutto quello
che era un tempo.
E
fin da subito sapeva di aver
condannato tutti loro a morte certa. Nella sua mente aveva cercato
più volte di
pensare che si sarebbe concluso tutto per il meglio per tutti loro, ma
sapeva di
aver mentito solo a se stessa.
Lei
aveva comunque continuato a
sperare; ora però tutta la consapevolezza di ciò
che attendeva Anna, Erica,
Mattia, Giulia, Naya, Elisabetta e Alice la colpì come un
macigno.
Le
parole che la raggiunsero qualche
istante dopo furono il colpo di grazia.
-
Anche se immagino che uccidere di nuovo non possa pesarti troppo sulla coscienza. Vero Supernova?-
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Capitolo 8 *** La fine di una stella: Supernova o Buco Nero? ***
La
fine di
una stella: Supernova o Buco Nero?
I minuti passarono interminabili e
tutto ciò che Cloud riuscì
a focalizzare nella sua mente fu quell’ultima frase. -
Anche se immagino che uccidere di nuovo non possa pesarti troppo sulla
coscienza. Vero Supernova?- Continuava
a ronzarle in testa senza darle
un singolo attimo di tregua, pressante realtà che le era
stata sbattuta in
faccia senza nessuna remora. Non che negli ultimi due anni avesse
cercato di
scappare da ciò che aveva fatto; no, non era ancora
diventata così codarda,
aveva solamente accettato le conseguenze delle sue azioni.
Sin
da piccola le
avevano insegnato che ogni azione comporta una conseguenza al seguito.
A volte
buona, a volte meno buona e alcune volte pessima. In qualunque caso se
tu fai
qualcosa, qualcos’altro dopo accade.
Un
altra cosa che
le avevano insegnato era rispettare i sette pilastri del Bushidō,
il codice di condotta del guerriero. Valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà,
dovere e onore
che contraddistinguevano
guerrieri da secoli. Lei aveva imparato a seguirli, rispettarli e ci
credeva
con tutta se stessa.
Ironico.
Per la situazione in cui mi trovo adesso
chiunque avrebbe qualcosa da ridire.
Forse
però, non aveva mai
volutamente smesso di crederci; semplicemente il suo subconscio non
riteneva
più possibile seguire principi del genere dopo
ciò che aveva commesso.
Quella
quindi era una resa
dei conti, una punizione ulteriore. Credeva che ciò che le
era già stato tolto
fosse abbastanza. Ma forse si sbagliava. Aveva perso la sua famiglia,
ma aveva
acquistato degli amici, amici a cui aveva mentito certo, ma li
considerava
comunque le persone più care a lei al momento.
Che
sia questo il motivo? Che io non abbia più il
diritto di essere felice?...forse è giusto.
Lo
si diceva tutti i giorni
dopotutto: occhio per occhio dente per dente, una vita per una vita; le
frasi
cambiavano ma il concetto era sempre lo stesso. Anche se comunque non
capiva.
Lo
sentiva che qualcosa in
tutto quello stonava: non il fatto che un completo sconosciuto
l’avesse rapita,
portata chissà dove, minacciata di morte, segregato i suoi
amici. Ad essere
sincera tutto quello le faceva credere che il mondo avesse ricominciato
a
girare per il suo verso, il verso in cui lei desiderava con tutto il
cuore
riprendesse a girare. Era il motivo che aveva causato tutto
ciò a preoccuparla.
Lei.
Lo
sfregiato
continuava a fissare Cloud come a cercare di individuare un
benché minimo
crollo per poterla attaccare con più ferocia e
facilità.
Aveva
visto il
suo volto cambiare espressione, diventare da piatto che era, spaventato
quasi
terrorizzato. Per un istante gli era parso di scorgere un pizzico di
lucidità
negli occhi ma se c’era stato realmente, il dolore e lo
sconforto lo avevano
soffocato.
Non
aveva dovuto
nemmeno impegnarsi tanto per sottomettere la ragazza.
Aveva
perso
davvero tutto in quei due anni.
Si
era pure
chiesto se avesse preso la persona giusta. Pensava di aver commesso un
errore.
Lo avevano allenato mettendolo sempre in guardia dai guerrieri
più forti del
multi-universo, i pluri campioni del torneo Battle Neuxs, dei ninja
della
dimensione Terza Terra, ma
supponeva
che per come avevano preso piega gli eventi ci si fosse preoccupati
troppo.
Quando
avevano
spiegato i procedimenti presi sulla quinta Supernova nei due anni
precedenti
non avrebbe mai creduto possibile trovarsi davanti una tale
arrendevolezza. Non
morale almeno.
Anche
se tutto
questo rendeva tutto meno eccitante, torturare una creatura ormai
completamente
inerme era comunque una magra consolazione.
Doveva
estinguere
Cloud O’Neill e lo avrebbe fatto.
Che
lei si fosse difesa
o meno; e forse calcare un po’ la mano avrebbe reso tutto un
po’ più
divertente.
-
Devo dire che
le facce stupite degli umani non mi lasciano sorpreso
O’Neill. Devo dedurre che
nella tua codardaggine te li sei fatti amici senza renderli partecipi
dei tuoi
bei ricordi del passato. -
La
figura che le
capeggiava ancora di fronte aveva ripreso la sua lenta e logorante
tortura,
conscio che lei avrebbe solo subito.
Cloud
dal canto
suo non aspettava altro che venisse fuori tutto. Troppo codarda per
spiegare
lei stessa e troppo spaventata per controbattere. Qualsiasi cosa fosse
uscita
dalla bocca di quell’uomo sarebbe stata ciò che
loro avrebbero preso come
verità. Non avrebbero creduto a nessuna parola dello
sfregiato ma lei avrebbe
confermato. Lo sapeva che forse avrebbe calcato la mano ma sarebbe
stato tutto
vero. Tanto valeva che morissero odiandola per dove li aveva condotti
che
invece la piangessero e credessero di essere in parte colpa di tutto
ciò.
Dietro
le sbarre
intanto il silenzio era sovrano e si cercava di capire che piega
avrebbero
preso gli eventi. C’era troppa confusione e niente riusciva a
sembrare chiaro.
Informazioni recepite troppo in fretta. Nuove identità,
omicidi, strani tipi
sfregiati.
Che
quella
giornata non fosse cominciata per il verso giusto lo avevano notato. Ma
nessuno
di loro era preparato al seguito.
-
Credo che
partire con le presentazioni sia d’obbligo immagino. Sembrate
proprio dei
bambini spaesati voi la in fondo. – ringhiò
rivolto alle figure nella gabbia di
sbarre nere. Parve rendersi conto solo in quel momento della distanza
che
separava Cloud dai suoi compagni e del fatto che sarebbe stato scomodo
parlare
in quel modo.
Senza
remore
afferrò la ragazza per i capelli e tirò verso
l’alto.
Alcune
delle
ragazze in gabbia chiusero gli occhi aspettando di sentire schiocchi o
urli ma
non successe niente di tutto ciò.
Le
catene
semplicemente svanirono lasciando inerme la giovane, ora sorretta dalla
mano
dell’uomo che le attanagliava il capo. Se la
trascinò dietro fino ad arrivare a
qualche passo dalla cella. Lasciò la presa sui capelli di
Cloud e appena cadde
riversa sul pavimento nuove catene la rilegarono al suolo.
Lo
sguardo che
videro sul volto della loro amica era completamente vuoto. Non cercava
di
incrociare nessuno dei loro. Fissava il nulla e attendeva.
Tremò
l’intera
cella appena l’energumeno vi si appoggiò con
slancio. Ora che era più comodo
parve propenso a continuare la sua narrazione.
-
Visto che la
vostra amica li in basso non ha mai avuto
l’opportunità di raccontarvi questa
bella storiella sembra proprio che tocchi a me farlo. Da cosa
cominciamo
O’Neill? – chiese schernendo la giovane a terra.
– Partiamo con il raccontare
di come degli animaletti domestici riescano a civilizzare una bambina?
– Rise
di gusto per la sua battuta. – Sì, credo proprio
che cominciare da li sia una
bella cosa. Immagino che tutti voi pensiate di conoscere bene questa
ragazza.
Bene sbagliate. Dovete sapere mocciosi che la vostra cara amica
è stata
allevata da delle bestie. Animali mutati che l’hanno
cresciuta in una dei posti
più ripugnanti possibili. Le fogne. Il posto che chiama casa
le è appartenuto
solo negli ultimi due anni e si è appropriata
della vita di degli umani adulti
per espiare i suoi peccati e vivere una vita normale. Ha mentito a
tutta la
gente che ha conosciuto in questo periodo.
- Menti. – La voce
di Alice era sottile come
una lama di un coltello. – Claudia la conosco sin da quando
sono piccola e ha
sempre vissuto a Breda, in una casa, con due genitori. –
-
Tutte balle.
Credi che fosse un trucco quello con cui ho aperto il portale poco
fa’? Era un
incantesimo. Relativamente semplice ma lo era. Con incantesimi un
po’ più
complessi si falsificano ricordi. Con incantesimi molto complessi si
ricreano
completamente. Te ne accorgerai tu stessa. Ve ne accorgerete tutti. Man
mano che
racconterò la verità tutto quello che le vostre
menti collegano a O’Neill lo
vedrete svanire con la consapevolezza che era tutto falso, che niente
di tutto
quello che credevate reale lo era veramente. Visto che sembrate proprio
non
riuscire a concepire le nozioni basilari anche spiegate con calma,
forse un
approccio più diretto e sbrigativo della situazione
servirà a schiarirvi le
idee. -
Abbassò
lo
sguardo verso Cloud per vedere se vi era qualche cambiamento nella
ragazza. –
Quella che voi conoscete come Claudia in realtà è
Cloud O’Neill, umana adottata
in piccola età da un topo mutante. Allevata con quattro
tartarughe come un
ninja. Oh e quasi dimenticavo. C’era pure la biscia gigante.
Comunque, nel
corso degli anni le loro capacità sono aumentare fino a
farli scontrare con
molteplici avversari: terrestri, ma anche creature di altre galassie. Sono
diventati
campioni rinomati nel famoso torneo tra galassie che avviene nella
dimensione
dell’interduello, il Battle Nexus. Circa tre anni fa hanno
effettuato un
allenamento sotto la guida del Ninja Tribunal, la massima
autorità ninja
esistente, che ha permesso a ciascuno di loro di sviluppare le loro
capacità
fino a limiti umanamente inimmaginabili. Hanno deciso di sfruttare
queste nuove
abilità per aiutare i pianeti in difficoltà
tramite l’utilizzo della rete dei
portali del Nexus. –
Fece
una pausa
per riprendere fiato soddisfatto dello stupore che passava sui volti
delle
giovani umane e dell’umano in gabbia davanti a lui.
– Fin qui sembra la
storiella dei buoni samaritani vero? Ah ah. Beh
dovete sapere che in tutto il multi-universo questi cinque
si sono
creati una bella fama, sono arrivati a chiamarli
Supernove. Tutt’ora sono gli eroi dei buoni e il
flagello dei
cattivi. Solo che le cose due anni fa sono cambiate.
-
Dopo un anno
dalla nascita di questi grandi eroi una massa di guerrieri ha attaccato
il
Nexus per colpire il cuore della base delle Supernove.
C’è stata una battaglia
veramente feroce. Eserciti di demoni contro soldati e guerrieri del
Battle
Nexus. Ovviamente combattevano anche le Supernove. Loro erano in prima
linea.
Poi che accadde Cloud? Vuoi dirlo tu? -
Otto
paia di
occhi si spostarono sulla figura che l’uomo aveva chiamato in
causa. Cloud però
continuava a restare in silenzio mentre era costretta a rivivere i
momenti più
importanti della sua vita.
Lo
sfregiato
picchiettò con il tacco dello stivale vicino alla testa
della giovane ragazza. Non
riuscì però ad attirare la sua attenzione. Decise
quindi di dare il colpo di
grazia alla situazione e di chiuderla li.
-
Se proprio non
vuoi avere l’onore Supernova.
Il terzo
giorno di combattimenti i cinque si erano divisi ai capi di diversi
battaglioni
per avere maggiore raggio d’azione. Il combattimento era in
corso quando all’improvviso
si è udita una forte esplosione provenire dal lato orientale
delle mura della
città del Nexus. Cos’era successo? La cara
Supernova aveva appena ucciso una
centinaio dei soldati del suo battaglione. Aveva attaccato i suoi,
invece che i
nemici. La scena era raccapricciante. Corpi dispersi ovunque. Dilaniati
e
smembrati dalla potenza dell’attacco.
-
Svenne subito
dopo l’attacco e la battaglia si concluse senza di lei. La
guerra fu vinta dall’interduello
e alla fine dello scontro il Ninja Tribunal prese provvedimenti su
O’Neill. Venne
messa sotto stato di coscienza sospesa e relegata all’esilio.
Le è stato
applicato un sigillo in modo da rendere le sue membra così
fragili da non
sopportare uno sforzo eccessivo e quindi è impossibilitata a
combattere di
nuovo. È stata separata dalla sua famiglia e relegata in una
nuova vita lontana
dalla sua vecchia città natale in cui ha dovuto cercare di
ricominciare a
vivere. Anche se avrebbe dovuto convivere con la realtà di
ciò che aveva fatto.
E devo dire che c’era riuscita decisamente bene. Beh fino ad
ora. –
Squadrò
ciascuna
delle figure presenti in quella stanza. – Immagino che ora
tutti i ricordi
siano svaniti. Realtà brutale dico bene?
D’altronde scoprire che una propria
amica è una pluri-omicida bugiarda e traditrice deve essere
strano. -
Alice
però non lo
stava fissando. Cercava disperatamente di scorgere qualcosa nello
sguardo della
sua amica, qualcosa che le desse qualche appiglio per non credere che
tutto
quello che le era appena stato detto era vero. L’energumeno
aveva avuto ragione
sulla storia dei ricordi. Ora se pensava alla sua infanzia non vi era
una
migliore amica. Era lei. Sola.
Voleva
solo che
Claudia la guardasse, le sorridesse con quella faccia idiota che le
riusciva
bene e che le dicesse di non preoccuparsi. Che tutto era un trucco.
Magari un
altro incantesimo.
-
È tutto vero. -
Quelle
parole la
raggiunsero come uno schiaffo.
La
cruda realtà
le si presentò davanti come un oscuro buco nero. Un Buco
Nero che ormai aveva
divorato la
Supernova.
|
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Capitolo 9 *** Il dolore che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della speranza? ***
Il
dolore
che sfocia in rabbia. Il verde non è forse il colore della
speranza?
Quelli
che seguirono furono giorni bui. In quel momento non aveva ricordo
d’aver
proferito parola con nessuno dopo gli avvenimenti del
mercoledì passato. Erano
trascorsi già quattro giorni se per la stanchezza non aveva
perso il conto; la
gola era secca e le forze avevano cominciato a venirle meno il giorno
prima.
Non si era accasciata a terra solo grazie alle catene che la tenevano
ancorata
salda al muro. Nel caso non ci fossero state le catene a sorreggerla
comunque,
non sarebbe stato il suolo ciò che avrebbe trovato. La
parete della grande sala
circolare era alta almeno una quarantina di metri e Cloud era sospesa
approssimativamente a metà. Avrebbe fatto un bel volo quindi.
Da
quando l’energumeno che si era presentato con il nome di
Rajal l’aveva appesa
come un canarino alla parete, aveva avuto parecchio tempo per pensare.
In
realtà si era ritrovata a rivivere ogni avvenimento di
quella giornata di due
anni prima come non aveva mai fatto in tutto quel periodo di esilio.
Aveva
sempre avuto due tipi di reazioni distinte per quel che riguardava il
post-battaglia.
Disperazione.
Quello
era stato il periodo subito successivo al suo risveglio. Appena lo
stato di
coscienza sospesa era stato interrotto, nella sua mente erano filtrate
tutte le
notizie di ciò che era successo durante il suo periodo
d’incoscienza. La
vittoria della battaglia, la decisione del Tribunal su di lei,
l’applicazione
del sigillo e delle varie operazioni fatte perché lei
facesse una vita lontana
da New York, dal ninjutsu e da chiunque conoscesse. Era stato
scioccante
ricevere tutto quel bagaglio di informazioni in un colpo solo.
Si
era pure sorpresa del suo riflesso nello specchio appena si era vista.
Piccoli
cambiamenti, ma l’avevano resa diversa. Ulteriore protezione
aveva immaginato.
Quella
fu anche l’unica volta che vide il sigillo. Stava svanendo ma
era ancora
visibile lungo tutto il braccio destro fino a ricoprire metà
del viso.
Aveva
continuato a fissare la sua immagine riflessa nello specchio fino a
quando la
porta di quella che da li in poi sarebbe stata camera sua si era aperta
e una
donna di mezza età si era affacciata. – Claudia
sono quasi le otto puoi venire
a preparare la tavola? -
Appena
la donna aveva richiuso la porta lei era scoppiata a piangere contro la
parete
di specchio.
Un
pianto furioso, che veniva dall’anima. Gridava e piangeva
senza riuscire a
fermarsi ma lei non voleva smettere.
Aveva
perso tutto. Lingua, amici, città, casa, famiglia e il suo
nome.
Non
le importava che riuscisse a capire alla perfezione quello che doveva
essere
italiano senza averlo mai imparato, non le importava niente. Non voleva
avere a
che fare con quelle persone che dovevano essere i suoi genitori da li
in poi.
Rivoleva solo riabbracciare la Sua
famiglia. Quella famiglia che sapeva non avrebbe rivisto mai
più.
I
primi giorni erano stato i più duri. Si era abituata in
fretta ai ritmi della
nuova vita, alla sua famiglia, al fatto che appena entrava in contatto
con
gente che non aveva mai visto ricordi falsi le affiorassero in testa
per
cercare di creare un bel puzzle di vita italiana.
Era
estate e quindi passava tanto tempo in casa cercando di collegare tutte
le
informazioni che riceveva e diventare la brava Claudia
Schiavinato che doveva essere. Aveva abbandonato di sua
iniziativa il carattere estroverso e tanto arrogante che la
contraddistingueva.
Se doveva cominciare a vivere cambiata, lo doveva fare del tutto.
Cercava
di controllare i suoi scatti d’ira per le cose che non le
andavano, di non rispondere
a tono se i suoi genitori la
rimproveravano, stare tranquilla. Con il passare del tempo quel
carattere si
era completamente polverizzato.
Rassegnazione.
Quello
in realtà non era un periodo. Era la consapevolezza di non
poter fare niente
per tornare indietro, di poter solo andare avanti e non sprecare la
comune vita
da teenager che aveva. Aveva realizzato tutto ciò il
pomeriggio che aveva
incontrato per la prima volta la sua migliore amica. Aveva capito che
non
poteva continuare a disperarsi e vivere solamente nel passato
dimenticando il
presente. Grazie al trovarsi con lei aveva cominciato a trovare degli
aspetti
positivi nel dover restare li; all’inizio le faceva male
sentir parlare Alice o
Elisabetta, o qualcuno degli altri amici che aveva imparato a
(ri)conoscere di
episodi in cui lei era partecipe ma che sapeva fossero solo mera
finzione, ma
poi aveva cominciato a lasciar scorrere e farsi prendere dagli eventi.
Con il
trascorrere dei mesi si era circondata di amici e amiche come non le
era mai
stato possibile fare con ragazzi della sua età, non umani
almeno. Aveva ripreso
a vivere e tutte le volte che si ritrovava a pensare al passato non
scendeva
più nessuna lacrima. Non perché non volesse.
Solamente perché aveva ormai
assimilato il nuovo vivere in lei.
Ora
invece vedeva sfaccettature diverse ogni volta che cercava di guardare
a tutta
la scena. Anche se non serviva a cambiare i fatti.
Uno
stridio improvviso la scosse dai suoi pensieri. Alla sua sinistra,
all’incirca
a un metro di distanza, una piattaforma in pietra usciva dalla parete e
su di
essa era stata collocata la cella dei ragazzi.
In
quel momento Mattia stava cercando di scuotere per l’ennesima
volta le sbarre,
per vedere se almeno a quel tentativo sarebbero cedute. Il ragazzo
provò un’altra
volta e poi si lasciò cadere a terra. Cloud quasi si era
scordata di non essere
sola.
Ne
Mattia ne una delle ragazze le aveva rivolto la parola dopo le
rivelazioni da
parte di Rajal. Anna all’inizio aveva cercato di dirle
qualcosa ma era stata
fermata senza esitazione da Alice. La ragazza non le aveva rivolto
nemmeno uno
sguardo dopo che lei aveva confermato il racconto dello sfregiato e
seppur non
avesse detto niente aveva reso chiaro e tondo che nessuno le doveva
rivolgere
la parola.
Per
Cloud quello era stato il colpo peggiore da incassare ma sapeva che era
meglio
così. Aveva perso tutto una seconda volta. Sperava solo che
Rajal tornasse e
finisse ciò per cui l’aveva cercata. Voleva
uccidere le Supernove. Ne aveva già
uccise quattro, la pergamena che aveva visto con Mattia era
più che chiara.
Aveva ucciso i suoi fratelli e ora toccava a lei.
Si
era stupita di come tutta la prigionia l’avesse resa
così docile da non avere
nemmeno forze per piangere, lottare e vendicare i suoi fratelli. Se
l’era
chiesto. Non capiva davvero. Sapeva di non poter fare niente ma si era
ridotta
a rinunciare anche per la cosa che le era più cara al mondo?
Aveva passato un
giorno interno a pensarci e aveva visto solo vuoto. Quindi aveva deciso
di
reagire come aveva fatto fino a quel momento. Far niente e aspettare.
L’aria
era carica di tensione per quel che riguardava le persone
all’interno della
cella. Nessuno voleva parlare e nessuno aveva intenzione di ascoltare
qualcosa
nel giro di molto tempo. Anna e Giulia stavano in silenzio ma si
tenevano
abbracciate. Erano le uniche però. Le alter ragazze si
lanciavano qualche
occhiata ogni tanto cercando di confortarsi a vicenda ma la maggior
parte del
tempo stavano in silenzio, ognuna con i propri pensieri.
Solo
una volta si era rotto quel silenzio che imperversava da giorni.
Elisabetta
aveva chiesto a Mattia se c’erano probabilità che
le sbarre cedessero. Il
ragazzo aveva risposto incerto ma da quel momento ogni tanto provava a
forzare
la cella.
Se
in un primo periodo molte occhiate erano rivolte alla bruna incatenata
alla
parete di fianco a loro ora gli occhi si fissavano solamente al suolo.
Quindi
appena la porta sul fondo della grande sala sotto di loro si
aprì fu la prima
volta in molti giorni in cui i loro sguardi vagarono su qualcosa al di
la delle
nere sbarre della loro prigione.
Anche
se le torce erano poche e solo molti metri sotto di loro, non fu
difficile
riconoscere la sagoma dello sfregiato appena varcò la
soglia. Non lo avevano
visto da quando li aveva risollevati tutti in aria per condurli tra
insidiosi
vicoli di quello che pareva un labirinto sotterraneo fino a farli
arrivare li.
Ognuno
di loro era stato rinchiuso in quella cella, Cloud inchiodata alla
parete e
Rajal se n’era andata senza proferire un fiato.
Ora
invece era di nuovo li.
Qualche
istante e avrebbero scoperto il perché.
Anche
la bruna aveva rivolto lo sguardo al nuovo arrivato e aspettava la
successiva
mossa del suo aguzzino.
Quest’ultimo
aveva preso ad avvicinarsi sempre di più fino ad essere
esattamente sotto alla
ragazza.
La
squadrò per qualche istante e poi la sua voce tagliente
riempì l’aria.
-
Credo che nel nostro lungo discorso io mi sia dimenticato di menzionare
qualcosa di estremamente importante. Ci ho riflettuto e ho notato come
ti sei
comportata sin dall’inizio. Ho capito che non sarei riuscito
a cavare niente
dalla tua bocca perché tu non avresti detto niente. Stai
solo aspettando di
morire vero? Beh credimi quello dovrà attendere, prima ho
bisogno di risposte.
-
Cloud
lo fissò senza interesse. – Co-cosa –
Dovette sforzarsi per il dolore alla
gola. – Cosa credi che sia cambiato perché io ti
risponda? –
Rajal
sogghignò. – Non ho mai detto che sei tu quella ad
essere cambiata. Ho solo
deciso che forse schierare questa pedina sulla scacchiera
servirà. -
La
ragazza lo fissò senza capire e lo stesso fecero Mattia e le
ragazze. Che
diavolo poteva aver da spingerla a non volerla finire lì?
Era di sicuro un
qualche sporco trucco con cui l’avrebbe strizzata di
ciò che voleva sentirsi
dire per poi ucciderla senza remore.
Sapere
cosa poi.
Non
riusciva a capire che informazioni potesse fornire lei, estraniata da
tutto ciò
che per tipi come Rajal era considerato normale.
-
Che cerchi? -
-
Risposte. Risposte che hanno richiesto due interi anni di ricerche che
non
hanno portato a niente se non ad una conclusione. Servi tu. –
Era
riuscito ad attirare un po’ la sua attenzione. Tanto da porre
quella domanda
che appena catturati non aveva auto coraggio di chiedere.
-
Come hai fatto a trovarmi. -
Lo
sfregiato la guardò con fare interrogativo ma poi
afferrò il concetto
dell’affermazione. – E' stato difficile, ma alla fine ci siamo riusciti. –
-
Ci siamo riusciti? C’è qualcun altro? –
esclamò Anna d’impeto. La paura che arrivassero
altri mostri come Rajal l’aveva destata dal restare chiusa a
riccio e ascoltare
il proseguire della conversazione.
-
Eh
eh si c’è qualcun altro. Chi mi ha incaricato di
catturare O’Neill c’è dietro
tutto. Io sono un sicario. Non ho reale interesse in quello che lui
ricerca. il
mio scopo è uccidere e per questo sono stato ingaggiato.
–
-
Un
modo carino per dirmi che informazioni o no, alla fine io tiro le
cuoia. – Cloud
cominciava a capire dove l’omone cercava di tendere i fili
del discorso. Voleva
solo mettere in chiaro che sarebbe morta in qualsiasi caso. –
Che vuoi sapere.
–
Non
le importava più di vivere. Non le importava più
di niente ma voleva sapere lo
stesso. Se lei era la chiave per un qualcosa che poteva mettere a
rischio il
Nexus o altre persone innocenti, per una volta non voleva farne parte.
Rajal
emise un suono che ricordava vagamente un fischio. Dovettero attendere
qualche
istante per vedere entrare dal portone due esseri grandi quasi quanto
lo sfregiato
intenti a trasportare qualcosa che sembrava un carretto. E dava
l’impressione
che qualcosa vi fosse adagiato sopra.
-
Sai Cloud. Pensavo di averti fatto soffrire abbastanza. Io di solito
non provo
pena, ma vedere una guerriera valorosa come ti avevano sempre descritta
ridotta
nel tuo stato mi aveva convinto che quello dell’altro giorno
potesse essere
l’inizio e la conclusione della mia tortura. Qualche piccola
pressione e
avresti ceduto a parlare. Ma tu hai rovinato tutto. Voler morire
subito; mi servono
quelle informazioni. Quindi non ho altra scelta. -
Finalmente
il carretto venne sollevato. Quando entrò nel cono di luce
furono subito chiare
due cose. Quello non era un carretto. Incatenato vi era qualcuno, non
qualcosa.
E
quel qualcuno aveva appena mandato in shock la brunetta.
-
Donnie. -
Quasi
sperò di non aver pronunciato quel nome. Sperava che i suoi
occhi la stessero
ingannando. Pregava con tutta se stessa che la figura sulla tavola da
tortura
non fosse suo fratello.
-
Do-Donatello. -
Soddisfatto
del risultato che il nuovo ospite
aveva avuto sulla prigioniera, Rajal prese un piccolo arnese in pugno e
si
avvicinò a passi lenti verso la figura inerme sul tavolo
messo in verticale,
solo a qualche passo di distanza.
-
Creature interessanti i tuoi fratelli. Hanno avuto una mutazione che li
ha
portati ad avere molti tratti in comune con gli umani. –
Avvicinò la lama allo
sterno della tartaruga. – Devo dire che torturare la
tartaruga dalla bandana
viola qui presente è stato piacevole. Peccato
però che non abbia sortito gli
effetti desiderati. Fortuna che non avevo ancora preso provvedimenti
drastici
con lui. Mi è…-
-
Levagli le mani di dosso. -
-
Uh…-
Qualcosa
era scattato. Rajal aveva avuto ragione su un punto di certo. Se voleva
dei
cambiamenti, presentarle davanti suo fratello, ridotto in fin di vita
dopo
essere stato ripetutamente torturato li avrebbe portati.
Ma
non positivi. Ora non sentiva niente. Vedeva solo la figura di suo
fratello
dilaniata su quel tavolo e la rabbia prese il possesso. Rabbia che non
credeva
più di avere. Rabbia fuori controllo.
-
LEVAGLI LE MANI DI DOSSO BRUTTO PEZZO DI MERDA! -
A
meno di un metro di distanza Elisabetta indietreggiò dalle
sbarre. L’aria era
carica di tensione e non le piaceva per niente l’effetto che
Donatello, come lo
aveva chiamato Cloud, aveva sortito sulla ragazza. Il rumore che senti
l’istante successivo le piacque ancora meno.
Fu
come un tonfo sordo e poi il silenzio. Questo fino a quando il soffitto
della
stanza non si squarciò facendo precipitare pietra e terra
ovunque.
Le
ragazze e Mattia scamparono il pericolo grazie al soffitto della cella,
ma non
si poteva dire lo stesso di Cloud. Molte pietre la urtarono ma lei
pareva non
farci caso. Lo sguardo sempre fisso su suo fratello e una rabbia ceca
che sembrava
pronta a divorare qualunque cosa.
Qualcosa
di enorme irruppe nella stanza. Tra la polvere un veloce guizzo
scaraventò
Rajal lontano da Donatello e stese le due guardie che erano ai lati del
tavolo.
- Fucking shit Cloud, every
time
with you is a big mess! Even after two years you don’t change
at all! But don’t
worry. Draciel is here now babe. -
La
voce che aveva appena parlato pareva essere della stanza stessa per
quanto
fosse possente. Dietro l’autorità di quel timbro
però, notavi anche preoccupazione.
E’ preoccupato per Cloud. E’
dei nostri, è
venuto per salvarci.
Il pensiero rimase sospeso
nel nulla appena la
polvere si diradò abbastanza per permettere al Elisabetta di
vedere il loro
salvatore. Naya emise un grido strozzato e lasciò la presa
sulla barra a cui si
era aggrappata: come lei indietreggiarono pure tutti gli altri.
Due
grandi ali si dispiegarono all’interno della sala facendo
sembrare ancora più
colossale quell’enorme lucertola verde.
Erano
davanti ad un drago.
Subito
sentirono il suo sguardo posarsi su ognuno di loro, un occhio ambra che
li
stava scavando da parte a parte.
Quell’occhio
inquisitore vagò alle sue spalle per
cercare la ragazza di cui aveva ruggito il nome qualche istante prima e
quello
che vide non gli piacque per niente. Occhi vacui e scariche elettriche
non
promettevano mai bene. E nello stato in cui si trovava Cloud
promettevano solo
guai.
-
Clo… -
Con
le fauci leggermente spalancate, ancora intento a pronunciare quel
nome, si
accorse che le cose erano cambiate. Non era da Rajal che lui doveva
proteggere
tutti. Era da Cloud.
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Capitolo 10 *** Tutto perduto? Ricordati chi sei. ***
Tutto
perduto? Ricordati chi sei.
Aveva passato le scorse ore a cercare
di convincersi che
quello era tutto un brutto incubo. Uno di quelli che fai quando ti
succede
qualcosa di spiacevole, o quando mangi troppo e il tuo subconscio te la
fa
pagare facendoti passare dei minuti d’inferno.
Continuava a ripetersi che era sempre
colpa del sogno che i
pizzicotti non funzionassero, che il dolore fosse parte della finzione,
ma non
era così.
Era ben consapevole che la pietra su
cui poggiava i piedi
era vera, come erano veri tutti quegli ultimi giorni passati a fissare
le
spoglie pareti in pietra e terra; anche il suo corpo glielo rammentava.
Era
stanca, indolenzita, parecchi graffi ricoprivano mani e viso e di
sicuro doveva
avere molteplici botte su tutto il corpo.
No. Niente di tutto quello era
finzione.
Perché le bugie allora?
Gli inganni? A tutto quello non
voleva credere.
Non ci riusciva.
Parole che la raggiungevano e
cancellavano ricordi, quasi
avessero avuto un cancellino e i suoi ricordi fossero scritti in gesso
su una
lavagna. Li cancelli, spariscono.
Non era vero l’essere presa
in braccio e correre a
cavalluccio quando Adelaide non guardava, non era vero il pescare con i
rami
dell’albero dai fiori gialli, il suo palloncino non era mai
volato via perché
non era riuscito a prenderlo in tempo quando lei glielo aveva passato.
Il vento troppo forte
l’aveva solo portato via di mano.
Tante lacrime avevano cominciato a
scendere, mentre la voce
continuava, mentre i ricordi svanivano. Lacrime silenziose che
portavano con se
la bella sensazione di famiglia che credeva di avere sempre avuto.
Piangeva ma ancora aveva continuato a
sperare, sperare in un
no, in un qualsiasi accenno che
tutto
quello, a discapito dell’impossibile fosse una sporca
menzogna. Che tutti loro
fossero li per caso e non per un motivo così orribile.
Poi però l’aveva
sentito.
-
E’ tutto vero. -
Non ci aveva messo molto a realizzare
quello che stavano a
significare quelle tre parole. Erano un bollo, come i sigilli con la
ceralacca.
Era finita.
Lo sfregiato aveva preso loro e
Mattia e li aveva trascinati
via, fino a portarli in quella stanza e rinchiuderli in quella gabbia
sopraelevata.
Da li in poi le ore erano trascorse
interminabili: nella
mente solo quelle tre parole, solo quelle, che la martoriavano dentro.
Aveva comunque provato a fare un
tentativo, cercare di
capire perché.
Alice l’aveva subito
bloccata. Non aveva proferito parola ma
era comunque risultata chiara. Il volto una maschera d’odio
che non accettava
compromessi. Un po’ lei la capiva, era la sua migliore amica
dopotutto; forse
lo stesso conflitto che vi era all’interno di lei era anche
all’interno di
Alice ma dopo quello sguardo non ne era più stata certa.
Si era stretta a Giulia, lasciando
perdere quello che si era
prefissata di fare e aveva cercato di estraniarsi il più
possibile. Forse lei
era troppo piccola per capire, le mancava quel pizzico di
maturità in più per
vedere come effettivamente andavano affrontate le cose; allora forse la
reazione di Alice acquistava un senso. Quindi aveva mollato.
Erano trascorse ore di silenzio,
ognuno troppo scosso per
riflettere lucidamente sul da farsi.
Ad un certo punto la
curiosità l’aveva presa e aveva rivolto
lo sguardo verso la bruna: inerme come quando li avevano portati li,
incatenata
alla parete, immobile.
Si era morsa un labbro e aveva volto
lo sguardo di nuovo al
pavimento sotto i suoi piedi.
Forse si era pure addormentata di li
a poco, ma di certo in
quel momento poteva confermare di essere sveglia.
Aveva visto Rajal entrare, si era
preoccupata quando aveva
menzionato degli altri oltre a lui, aveva visto il fratello di Cloud su
di un
tavolo. Soprattutto aveva visto la ragazza completamente mutare,
aizzarsi dalla
rabbia, gridare contro il loro aguzzino fino a quando il soffitto sopra
le loro
teste non era crollato rivelando ai loro occhi una creatura gigantesca,
un
drago.
Si era spaventata ma allo stesso
tempo aveva come avvertito
un’aura benigna provenire da quel lucertolone gigante; quello
fino a quando la
sua attenzione non era ritornata a rivolgersi a Cloud.
Se prima la ragazza era in preda alla
rabbia ora la
situazione era diversa.
Cominciava ad aver paura.
Cloud era completamente circondata da
scosse elettriche. Le
vedevi comparire e scomparire attorno al corpo.
E poi c’erano gli occhi.
Avevano perso tutto il colore che
avevano, erano vacui.
Il drago si era fermato. Stava
parlando con Cloud eppure
anche lui era rimasto scioccato. E chi non lo era.
Tutto era un gran casino e ora la
loro amica era pure in preda ad una
crisi di rabbia che aveva presentato
effetti collaterali quali scariche elettriche e occhi da mostro
assatanato.
Per un istante cominciò a
credere che davvero, vedendola in
quello stato, il massacro lei l’avesse compiuto. Ma
durò solo un istante.
Qualcos’altro
catturò la sua attenzione.
Un luccichio che vide cadere verso il
basso.
Una lacrima.
Cloud stava piangendo. Era in preda
ad una rabbia cieca e
stava piangendo.
Adesso aveva cominciato a dimenarsi
cercando di spezzare le
catene, tirando.
I polsi sanguinavano pesantemente da
quanta pressione la
ragazza stava applicando, fino a far penetrare le catene di qualche
centimetro
dentro la carne e le scosse intorno a lei continuavano a diventare
sempre più
intense.
Ad un certo punto credette di sentire
i polsi rompersi da
quanto forte stava tirando Cloud.
In quel momento i pensieri
cominciarono ad affollarle la
mente.
Fissava terrorizzata quella ragazza e
pensava.
Non era possibile. Lei non poteva
aver fatto niente di ciò
di cui quel bastardo l’aveva accusata. Era lì,
davanti a lei che piangeva come
una bambina e urlava il nome di suo fratello. Cercava solo
disperatamente di
raggiungere ciò che aveva di più caro al mondo e
quel pezzo di bastardo
l’accusava di essere una pluri omicida?
Crack.
Questa volta fu certa di sentirlo per
davvero. La mano
inerme sorretta dalla catena e il polso destro ora completamente fuori
sede.
Anna sgranò gli occhi.
Cloud continuava a dimenarsi, ma non
certo per il dolore, pareva quasi non rendersene nemmeno conto.
Fu questione di un istante. Non
dovette nemmeno pensarci più
di tanto.
Qualcuno cercò di
trattenerla per un braccio ma lei riuscì
comunque ad arrivare alle sbarre che si volgevano verso la ragazza.
Qualche scarica era così
forte che le arrivò a qualche
centimetro di distanza ma lei non se ne curò.
Alla sua sinistra il grande drago
cercava di avvicinarsi a
Cloud ma le scariche e la forte aura emanata glielo impedivano.
Così la giovane prese un
respiro e con tutto il fiato che
aveva in corpo fece l’unica cosa che in quel momento era in
grado di fare. Gridò.
- Cloud! Smettila! Ti stai facendo
solo del male vedi?
Calmati e troviamo una soluzione insieme, salviamo il tuo fratello e il
dragone
ci da una mano. Però non possiamo fare niente se non ti
calmi. -
Cloud però continuava a
non prestare attenzione alle sue
parole. – Non ci ho mai creduto. Non ho mai voluto crederci.
Lo so che sei una
brava persona, sei la migliore, ricordi? La mia sorellona. Tu non puoi
avere
fatto cose cattive quindi è tutta colpa mia. In questi
giorni ti ho evitato. Ti
abbiamo tutti evitato. Abbiamo reso le cose più difficili
anche per te. Perché
alla fine sei quella che sta soffrendo di più non
è vero? –
Qualcosa finalmente parve attirare la
ragazza: aveva smesso
di urlare e di dimenarsi, anche se gli occhi vacui e le scariche erano
ancora
fissi su Donatello.
Draciel dal canto suo aveva
rinunciato a superare la
barriera di scariche che lo separavano da Cloud ed era atterrato
bloccando
sotto le sue possenti zampe le tre figure ancora inermi che aveva messo
k.o.
qualche istante prima. Aveva come l’impressione che forse
quei marmocchi
potessero essere una cura migliore di ciò che poteva essere
in grado di fare
lui al momento.
Stringendo più forte le
sbarre della cella, Anna continuò. –
Non possiamo negare l’evidenza. I ricordi sono spariti.
Però ce ne sono molti
ancora che rimangono. Sono stata una stupida a non accorgermi subito:
tutti i
bei momenti passati in questi due anni, nessuno di loro si è
cancellato. Sono
tutti impressi qui, nella mia mente. – disse toccando la
tempia con le dita. -
Sono ciò che riescono a farmi capire che qualunque sia la
verità, per me sarai
sempre la mia sorellona. –
Anche lei adesso stava piangendo. Ci
credeva, credeva in
tutto quello che aveva detto e sperava che Cloud l’avesse
capito.
Ma forse aveva sperato in troppo; la
ragazza aveva smesso di
agitarsi ma era comunque immobile e non dava segni di coscienza.
Anna si accosciò addosso
le sbarre, non avendo idee di che
altro fare; qualcosa ad un certo punto però la prese e la
sollevò di peso,
rimettendola in piedi. La ragazzina sgranò gli occhi e si
girò verso la persona
alle sue spalle che si rivelò essere Mattia.
- Guarda meglio. - disse per poi
indicarle con un cenno di
capo un punto davanti a loro.
Seguì la traiettoria che
il ragazzo aveva voluto indicarle.
C’erano due pozze verdi.
Verdi smeraldo, il più intenso che
avesse mai visto che la fissavano dietro a dei ciuffi di capelli ormai
tutti
scarmigliati.
La faccia era ancora tesa, le lacrime
le bagnavano ancora il
viso stanco e le scariche non pareva accennassero a diminuire ma non
era quello
che ad Anna importava.
Cloud era di nuovo lucida.
E sorrideva.
Il rettile smeraldo guardò
con attenzione la scena davanti
ai suoi occhi. Erano davvero cambiate tante cose nel corso di quei due
anni. Ma
una cosa era sempre la stessa.
L’amore che Cloud provava
verso i suoi cari.
Quella era la cosa a cui aveva sempre
tenuto di più. Anche
in quel momento, incatenata, sanguinante, ancora reduce da quello sfogo
anomalo
di energia, riusciva a sorridere per la fiducia di una singola persona.
Incassò la zampa ancora
più in profondità nel terreno per
indolenzire di più le sue prede. Ora che la piccola si era
calmata potevano
preoccuparsi di come andare via di li. Volse lo sguardo verso il
rettile più
piccolo alla sua destra.
Bisogna pure
curare
Donatello.
La tartaruga era malconcia ma
sembrava stabile. Era meglio
occuparsi degli umani prima.
E poi
filarsela tutti
alla svelta.
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Capitolo 11 *** Ali di drago. Si respira aria di casa? ***
Ali
di
drago. Si respira aria di casa?
Con uno schiocco sordo anche
l’ultima delle catene si spezzò
e cadde verso il basso fino ad atterrare sul pavimento della sala,
assieme alle
altre tre.
Cloud fin da subito prese a sostenere
il polso con la mano
sinistra cercando di non far sforzare più del dovuto
l’arto rotto; era ridotto
piuttosto male ed aveva subito preso a gonfiarsi e a colorirsi di un
alone
violaceo che non prometteva niente di buono.
Sospirò e si
lasciò crollare tutta dolorante sull’enorme zampa
su cui era adagiata aspettando che raggiungesse il livello del
pavimento.
Massaggiando un po’ il
polso cercò di riprendere completo
controllo di se stessa. Quell’attacco di collera di qualche
minuto prima
mostrava ancora i suoi sintomi, lasciando apparire ancora qualche
scarica
attorno al suo corpo. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Respira.
Concentrati.
Respira.
Riaprì gli occhi e si mise
a fissare il nulla.
Non aveva le idee chiare su cosa fare
in quel momento.
Certo, grazie a Draciel potevano considerarsi salvi ma comunque
restavano
parecchi intoppi. Primo su tutti i suoi amici. Grazie ad Anna aveva
riconquistato coscienza di se ma non poteva certo dire che gli altri
fossero
del suo stesso avviso. E ne avevano tutto il diritto. Dopotutto era
vero che
aveva mentito a tutti loro.
Li capiva benissimo se tutto quello
che volessero fare fosse
tornarsene a casa. Non li biasimava, li aveva messi in un pasticcio
bello e
buono. Qualcosa più grande di loro.
Shell,
decisamente
qualcosa anche più grande di me.
Venne scossa dai suoi pensieri quando
qualcosa di caldo e
ruvido le si strusciò sulla guancia.
Si trovò a fissare stupita
l’enorme drago, ora a qualche
centimetro di distanza dal suo viso.
La stava guardando con quei suoi
occhi ambra che lei non era
mai riuscita a dimenticare, quell’espressione paterna che
aveva sempre reso
quella creatura il suo biscione.
- Ehi princess. Piano terra.
–
Cloud scese dall’enorme
zampa quasi senza rendersene conto e
restò imbambolata a fissare la grande lucertola che le
capeggiava di fronte,
quasi dando l’impressione di esserse divenuta conscia solo in
quel momento di
ciò a cui si trovava dinnanzi.
- Draciel. -
L’enorme muso si
inclinò su di un lato con fare curioso, ma
anche piacevolmente scosso. Erano anni che non sentiva più
quella voce
chiamarlo, due anni che aspettava di riavere la sua piccola ninja tra
le zampe.
Ed ora era lì. Appena
diventata realmente conscia di chi
aveva davanti: spaventata, ma felice. Poteva ritenersi ironicamente
onorato: in
pochi potevano vantare di aver mai visto la grande supernova
O’Neill versare
lacrime, lui invece ne era spettatore per la seconda volta nel giro di
pochi
minuti.
Piccola, indifesa, che piangeva
l’anima davanti a lui con
quegli occhi verdi finalmente ricolmi di gioia.
Era diversa, sia
nell’aspetto che nella mente e forse non
sarebbe più riuscita a cambiare, a ritornare come una volta,
però per qualche
istante, riuscì a vedere la ninja che sin da piccola aveva
reso le sue giornate
un vero inferno.
E se
c’è qualcosa
peggio dell’inferno fatemi un fischio. Ah ah ah.
Cautamente poggiò una
delle sue enormi zampe sulla sua testa
e le scompigliò i capelli: doveva stare attento e andarci
piano visto che la
ragazza non aveva più la resistenza fisica di una volta ma
era un modo per
farle capire che lui era li, davvero.
Levando la zampa non
riuscì a vedere l’espressione della
giovane perché i capelli le coprivano il viso. Sorrise
scoprendo le zanne e
rivolse la sua attenzione agli umani sulla cella sopra di lui.
Sollevò il muso e
spiccò il volo per ritrovarsi all’altezza
della cella e squadrò le figure al suo interno.
- Tutti sul fondo che questo
farà un po’ di polvere. -
Forse per lo spavento che dava avere
un drago così grande a
quella poca distanza, forse per la voce potente o semplicemente
perché avevano
recepito il messaggio le sette figure arretrarono fino ad arrivare in
contatto
con la parete della sala alle loro spalle.
Draciel allora addentò la
lamina che costituiva il soffitto
della cella trapassandola con le zanne e strattonò. La
lamina si staccò e il
drago la scaraventò lontano. Facendo altrettanto con alcune
delle sbarre sul
fronte della cella, liberò il passaggio permettendo ai
prigionieri di uscire e
saltare sulle sue zampe.
Li vide esitare un istante prima di
gettarsi sulla sua
enorme arma artigliata e sogghignò. Un po’ gli
dispiaceva per loro, catapultati
a spasso per il multiverse e praticamente sin da subito condannati a
morire. Ed
ora erano costretti a dover stare calmi e ricevere l’aiuto di
un drago, che lui
immaginava, fosse per loro solo una creatura fantastica.
Beh, fino ad
ora.
Quando tutti uscirono dalla cella, il dragone scese lentamente
sbattendo le
poderose ali atterrando a qualche passo da Cloud.
La ragazza sembrava aver ripreso
abbastanza controllo di se
per crearsi una fasciatura provvisoria al polso con un lembo strappato
della
sua maglia fucsia ed al momento era intenta ad ispezionare il corpo del
fratello alla ricerca di ferite gravi o comunque di qualcosa che
potesse
renderlo in pericolo di vita.
Appena Draciel atterrò con
un tonfo poderoso su di un cumulo
di pietre, la ragazza alzò lo sguardo da Donatello per
rivolgerlo al drago: era
preoccupata ma le ferite non dovevano averlo messo in pericolo di vita.
Draciel le sorrise e mentre riceveva
un flebile sorriso di
risposta calò entrambe le zampe per permettere ai suoi passeggeri di toccare di nuovo il suolo.
Lunghi sospiri di sollievo riempirono
l’aria appena Anna,
Naya, Alice, Elisabetta, Erica, Giulia e Mattia misero i piedi per
terra.
Subito delle espressioni decisamente più sollevate si
dipinsero sui volti di
ciascuno di loro. Fu solo dopo qualche istante che si ricordarono di
non essere
soli.
Tenendo stretta la mano di Donatello
nella sua, Cloud
attendeva. Non si sentiva in diritto di fare la prima mossa e non aveva
ben
chiarito nemmeno a se stessa che fare.
Ma non ci fu tanto tempo per
riflettere. Subito infatti una
figura si staccò dal gruppo e le si fiondò
letteralmente addosso.
Dopo aver sollevato la testa fino a
guardarsi negli occhi ci
fu un’unica cosa che Anna riuscì a dire.
- Ma li hai sempre avuti
così verdi questi occhi? – rise di
gusto. – No che a me sanno decisamente da photoshop!
–
Ancora sorpresa da quello slancio di
affetto la bruna fissò
la sua piccola sorellina
sorridendo.
– Tutto naturale che credi. E poi i ninja che lo usano a fare
photoshop! Siamo
già fighi di nostro! – Le venne automatico
rispondere per le rime alla ragazza
più piccola, quasi fossero ancora in fermata a scherzare
mentre attendevano la
navetta. Ma non era così.
Subito assunse
un’espressione seria e sussurrò. –
Grazie. –
Non riuscì però a guardare Anna in faccia.
Quest’ultima strinse
più forte l’amica e semplicemente
sorrise.
Nel frattempo anche il resto della
cricca si era avvicinata
alla coppia di ragazze senza però sapere bene cosa fare. Non
avevano bene idea
di come comportarsi con la bruna soprattutto perché
c’erano molte domande a cui
doveva ancora rispondere.
Draciel decise di non lasciare che
ostilità si aprissero in
quel posto e in quel momento quindi si avvicinò ala sua
piccola ninja per
cercare di decidere sul da farsi. Era praticamente ad un palmo dalla
ragazza
quando l’espressione di Cloud di colpo cambiò e si
ritrovò il suo pugno in un
occhio.
-
Shit
Cloud what was that for! Wanna use me like a punching
ball? – ringhiò
Draciel.
- Don’t ‘Shit
Cloud’ me, mister! Hai una vaga idea di quanto
sia stata male negli ultimi giorni? Di quanto siamo stati male tutti quanti? Potevi anche venire prima
sai? Noi certo non avremmo obiettato! –
L’espressione di Draciel
variò dal sorpreso al decisamente
incazzato nel giro di qualche secondo lasciando decisamente poco spazio
a
chiunque avesse avuto la malsana idea di interferire in quel battibecco di famiglia.
- Oh certo! Perché adesso
la colpa è mia vero? Non ero di
certo io appeso come un salame a ferragosto deciso a morire! Se quello
era il
tuo grande piano per scamparla, beh scusa per averlo rovinato! -
- Era un piano un po’
campato per aria ma non sarebbe stato
necessario se tu avessi mostrato il tuo dannatissimo fondoschiena
prima! E poi
quando diavolo li appendi tu i salami a ferragosto! –
Tutta la cricca era ammutolita
davanti a quella strana
litigata.
In primo luogo perché
nessuno di loro aveva ben chiaro il
motivo per cui tutto quello fosse iniziato e poi perché non
avevano idea se
prenderla come una cosa cattiva o pessima.
In quell’istante, viso
contro muso, entrambi parevano pronti
a scoppiare. Qualcuna delle ragazze azzardò un accenno di
frase ma nessuno
aveva idea su chi puntare la domanda.
Sia drago che ragazza parevano
egualmente pericolosi e
pronti a mordere.
Ad un tratto però, Cloud
staccò il viso dal muso del drago e
dopo averlo fissato per qualche istante cominciò a ridere di
gusto, subito
seguita del lucertolone smeraldo.
- Ok se prima sembravano scemi ora me
ne hanno dato la
conferma. – esclamò Giulia d’istinto.
I due però non parvero
farci caso.
- Era da tanto che non facevamo una
civile chiacchierata io
e te Dras! – disse tra un moto di risa e l’altro.
– Davvero, mi mancava! –
- Civile, tsè! –
ringhiò il drago di rimando.
Per qualche istante parve a entrambi
di essere tornati ai
bei tempi al rifugio, tutti insieme a New York.
Ma a volte le cose belle sembrano
fatte apposta per non
durare.
Tutto quello che vide fu una luce
accecante e subito il
nulla.
Dove fino a qualche attimo prima vi
erano Erica, Giulia e
Anna Maria, ora solo una piccola voragine.
Voltando leggermente lo sguardo verso
la direzione da cui
era provenuto il colpo a Cloud si gelò il sangue nelle vene.
Le sue ultime disgrazie erano solo
causa sua. Ed ora aveva
appena ucciso tre sue amiche.
Le taglienti risa dello sfregiato,
che dava l’impressione di
essersi ripreso dai colpi inferti da Draciel, facevano da sfondo a
quell’orribile scenario che si era messo dinnanzi ai ragazzi
finché
qualcos’altro non sovrastò quel suono.
- RAJAL! -
Se voleva rogne le aveva trovate. Ed
ora aveva decisamente
passato il limite.
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Capitolo 12 *** Fondi le anime. Risposte a domande non dette ***
Fondi
le
anime. Risposte a domande non dette
Plic. Plic.
Plic.
Quel suono la costrinse ad aprire gli
occhi. Le parve fosse
un’azione dimenticata per quanto difficile le risultasse un
così semplice
gesto.
Piano, molto piano le palpebre si
sollevarono e si ritrovò a
guardare il buio. Intorno a lei solo nero, pece, oscurità.
Plic. Plic.
Il suono continuava. Era un rumore
lontano, giungeva quasi
ottavato in quell’immenso spazio. O forse era uno spazio
piccolo, in realtà non
lo sapeva dire con certezza.
Ma perché era li?
Soprattutto, cos’era lì?
Attorno a lei regnava il silenzio,
interrotto dai
picchiettii lenti ma regolari che le arrivavano indistinti; decise di
concentrarsi su quel suono per capire da dove arrivasse. Forse seguirlo
l’avrebbe portata da qualche parte. Così richiuse
gli occhi e cercò di
focalizzare i suoi sensi su di un unico suono. Plic.
Era debole ma se si concentrava abbastanza forse poteva
arrivare alla fonte del rumore.
Solo un po’ di
più. Plic.
Plic. Ancora uno sforzo. Plic.
Plic. Plic.
Adesso lo sentiva chiaramente.
Di colpo riaprì gli occhi.
Sapeva in che direzione andare e
cominciò a dirigersi verso il suono.
Si stupì di non dover
correre: solo in quel momento in fatti
si rese conto di non avere i piedi saldi a terra ma di essere sospesa,
quasi
vagasse in aria.
Ma non era aria. Era qualcosa di
più denso: non sapeva come
dovesse essere stare tra le nuvole ma quella fu l’impressione
che le restò
impressa.
Fu dopo quella che parve
un’eternità che davanti a se vide
apparire un puntino luminoso, una qualche sorta di luce.
Continuò ad
avvicinarsi fino a quando lo spiraglio di luce fu grande almeno il
doppio di
lei. Le parve di essere al di la di un vetro. Vedeva qualcosa
dall’altra parte,
qualcosa che non riusciva a capacitarsi di poter vedere.
Oltre quella grande luce
c’era una stanza, una grande stanza
in pietra. Detriti erano sparsi ovunque e guardando verso
l’alto poteva vedere
come il soffitto fosse stato squarciato al centro. C’erano
parecchie figure in
quella sua visione.
Dovette concentrarsi un po’
ma riuscì a riconoscere ciascuna
delle persone che occupavano la stanza.
Finché il suo sguardo non
si posò sulle figure più vicine a
lei.
Uno era un uomo dalla stazza
possente, abbronzato ma con
vivide cicatrici su tutto il volto e due occhi viola come
l’ametista.
Si stava tenendo una mano a coprire
il naso da cui il sangue
scendeva copioso. Ed ecco spiegato il misterioso gocciolio.
L’altra figura
però la scombussolava.
A qualche metro di distanza,
immobile, con di nuovo
quell’espressione vacua in volto e scariche ancora
più forti c’era lei.
- È strano eh? –
Alle sue spalle ancora immersa
nell’oscurità di quel luogo,
una figura cominciò ad avvicinarsi.
- Dras! –
esclamò Cloud verso il nuovo arrivato. – Che sta
succedendo? Dove siamo? Perché mi vedo? Che cosa…
-
- Wei frena, frena, frena! Come
faccio a spiegarti se mi
assali di domande? –
Cloud gonfiò le guance
quasi ad evitare di far proferire
parola alle sue labbra. Draciel la fissò per qualche istante
e poi volse lo
sguardo verso la scena oltre loro.
- Siamo nel tuo subconscio al
momento. La tua vera coscienza
è qui perché la rabbia cieca ha preso il
sopravvento. -
- Si, diciamo che l’avevo
notato. – farfugliò la ragazza di
rimando.
- Solo che questa volta la situazione
è un po’ diversa. –
- Perché? Anche prima ho
cominciato ad essere avvolta da
scariche. Credo sia un effetto collaterale che dipende dal fatto che al
momento
non riesco a sostenere tutta l’energia che produco e mi porta
a non avere più
controllo di me. –
Draciel tornò a fissare la
giovane per qualche istante. –
Fossi in te guarderei con più attenzione. –
Cloud fece qualche passo fino ad
affiancare il dragone,
rivolse lo sguardo verso il suo corpo oltre quella strana parete e
cercò di
notare quello che forse le era sfuggito in precedenza.
All’inizio
continuò a far vagare lo sguardo su ogni angolo
del suo corpo senza però notare qualche particolare
interessante. Poi però lo
vide.
Lungo tutto il suo braccio destro,
partendo dalla mano fino
a ricoprire buona parte del volto, un intreccio di strani simboli
concentrici
cominciavano ad apparire; sembravano quasi tatuaggi ad inchiostro
quanto erano
scuri ma avevano anche qualcosa in più.
Altre scariche, più scure
e cupe, cominciavano ad
aggiungersi a quelle che già circondavano il suo corpo e
partivano esattamente
dal tatuaggio.
- Oh no. -
Cercò subito Draciel per
avere un riscontro su ciò che
credeva di aver appurato. – Si è attivato il
sigillo? Com’è possibile? –
Il dragone emise uno sbuffo di fumo
dalle narici e fece
vagare il suo sguardo sull’intera scena.
- Accumulo di sentimenti negativi.
Tuo fratello torturato,
le tue amiche sparite. Tutto ciò ha innescato un meccanismo
di una portata
abbastanza forte da riuscire ad incrinare il sigillo. -
- Solo che?... lo so che
c’è un ‘ solo che ’ Dras.
–
- Solo che se il sigillo si spezzasse
adesso il tuo corpo
non sarebbe in grado di reggere tutto quel quantitativo di energia e
moriresti.
-
- Wow grazie del tatto con cui
l’hai detto Draciel. Ora sto
davvero al massimo. –
- E’ una questione seria Cloud,
non è il momento di scherzarci su.
–
- Si lo so tranquillo. -
sbottò la ragazza. Rimase in
silenzio per qualche istante. – Quindi che si fa? –
Draciel si allontanò dalla
scena sotto di loro per
inoltrarsi un po’ nel buio di quello spazio.
- La situazione è questa.
Al momento hai risvegliato il
sigillo del Ninja Tribunal che però non funziona
correttamente perché sei pure
riuscita a danneggiarlo. Se aspettiamo ancora un po’ inoltre,
il corpo ridotto
com’è al momento, non riuscirà a
reggere l’ammontare di energia che continuerai
a produrre e non ci sarà più niente da fare. -
- Inoltre resta il problema Rajal.
–
- Esatto. Se non te ne sei resa conto
il tuo corpo non
riesce nemmeno a muovere un muscolo al momento perché
è troppo debole. Quindi
anche ridotto male com’è, per lui sarebbe comunque
uno scherzo batterti. –
La bruna fissava il loro nemico:
Rajal era ancora intento a
rialzarsi e a trovare un modo per fermare il sangue che scendeva dal
naso
rotto. Era malconcio ma restava comunque un avversario pericoloso.
- Forse non ti andrà a
genio come idea… -
Cloud tornò a fissare
Draciel aspettando che parlasse.
- …anche se credo che
questa sia l’unica soluzione che al
momento ci dia la possibilità di far uscire vivi tutti, te
compresa. - La
ragazza ora lo fissava con occhi attenti. – Devi fondere le
anime. -
– —
Tossì di nuovo a causa
della polvere e altre lacrime si
crearono agli angoli degli occhi. Quelle lacrime però non
erano per la polvere.
Tre sue amiche. Nel giro di pochi
attimi erano sparite.
Non bastava che fossero tutti stati
catapultati chissà dove,
rinchiusi per giorni con scarso cibo e acqua. Ora quello sfregiato
bastardo
aveva pure ucciso tre sue care amiche.
Alice si asciugò gli occhi
con la manica della maglia, ormai
strappata e sporca fino all’inverosimile. Non riusciva a
smettere di piangere.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: aveva
cercato di
essere forte il più possibile. Cercato di non crollare
davanti agli altri,
dopotutto se crollava lei, che con Elisabetta era la più
grande le altre che
avrebbero dovuto fare? Mattia era un caso a parte ma anche lui non
aveva
mostrato una bella cera in quegli ultimi giorni.
Ma ora non ce la faceva
più. Rapita, tradita, abbandonata.
Quanto ancora doveva soffrire?
Il rumore di un forte colpo aveva
riempito la stanza nello
stesso istante in cui un gran nuvolone di polvere si era alzato. Ora
che la
polvere però, stava svanendo riusciva a vedere meglio. Lo
sfregiato che si
rialzava a fatica, coprendosi il naso che sanguinava copiosamente e
Claudia, o
Cloud o come diavolo si chiamava, che ansimava a poca distanza da loro
per lo
sforzo che il dare quel colpo le aveva causato.
Adesso però Alice si stava
davvero preoccupando. Le scariche
l’avevano avvolta per una seconda volta e anche se al momento
la bruna dava le
spalle a tutti loro lei ne era certa, aveva di nuovo
l’espressione vacua come
in precedenza.
Non si rese nemmeno conto di essere
arretrata di un passo
appena aveva realizzato la potenza del colpo della ragazza.
L’ha
scaraventato a
quanto, trenta metri di distanza? Con un pugno solo?
Ma cos’è, un mostro?
Qualcuno le strinse la mano ma lei
non se ne accorse
nemmeno.
Aveva paura.
Nel mezzo di cosa erano capitati?
– —
- No. -
Draciel fissò attonito la
ragazza di fronte a lui.
- E se serve te lo ripeto di nuovo.
No. -
- Andiamo Cloud! Lo sai anche tu che
questa è la soluzione
migliore, anzi, è l’unica soluzione. –
Cloud scosse con vigore la testa.
– Deve esserci un altro
modo. Non posso altrimenti. –
- Perché… -
- Perché è
così e basta! Non posso farlo e fine della
discussione! – urlò la ragazza stringendo con
vigore entrambi i pugni fino a
farsi male. Fu allora che se ne rese conto.
- Il mio polso… -
- Uh? –
Si era portata l’arto
davanti al volto e lo stava
ispezionando. Era strano. Eppure era sicura di aver rotto il polso
destro
sforzandolo sulle catene durante il suo primo sfogo di rabbia. Come era
possibile?
- Non è la tua parte
fisica quella che si trova qui dentro,
per questo il polso è integro. – disse Draciel
anticipando la domanda della
giovane. – tutto questo è una materializzazione di
ciò che la tua coscienza
pensa. Anche sentimenti e sensazioni vengono portati a livelli minimi
qui
dentro. -
Cloud guardò con fare
interrogativo il compagno, anche se
bastò qualche istante per farle capire la risposta da se.
– Tu e il tuo essere
drago. Hai sempre la risposta pronta. –
- Solo esperienza e conoscenza di un
giovane drago di
duemila anni. -
- Tsé, giovane…
- Poi le venne in mente un’altra cosa. –
E’
perché sono nel mio subconscio? Per questo non sto soffrendo
come prima per la
morte delle ragazze? Quello che sento è solo uno strano
pizzicorio. –
Si portò una mano
all’altezza del cuore e sospirò.
Draciel avvicinò il grande
muso al volto di Cloud fissandola
negli occhi. Chiuse le due polle ambrate quali erano i suoi occhi e
dopo aver
preso un bel respiro soffiò in faccia alla ragazza.
Dal canto suo Cloud non
poté far altro che fissare il
compagno con sguardo stupito.
-
And…that
was…for? -
- Punizione. –
- Eh? – esclamò
la ragazza sempre più stupita.
- Sei passata subito ai fatti e ti
sei lasciata andare alle
apparenze. Ci sono riuscito a pelo ma ce l’ho fatta sai?
–
- Ce l’hai fatta a fare
cosa scusa? –
- Ad utilizzare una tecnica che mi ha
insegnato un vecchio
dragone un paio di mesi fa. Spreca energia, molta energia e non sono
ancora in
grado di padroneggiala bene, e in effetti spero di averle mandate nel
posto
giusto. Comunque, un istante prima che il colpo di Rajal andasse a
segno sono
riuscito a teletrasportare le tre ragazze. Nel caos la striscia
luminosa del
flash-portal deve essere risultata invisibile in contrasto con la luce
viola
del colpo e tu hai creduto che le avesse colpite e disintegrate.
– Draciel ora
la fissava allegro per ciò che con la sua prontezza di
riflessi era riuscito a
fare. – In pratica tu hai fatto tutto questo casino per
niente…come al solito
Cloud. -
- … -
- … -
- … -
- Non dici nient… -
- WHAT THE SHELL??!! –
{ nota autrice: Giuly4ever
te l’avevo detto io che non avrei mai potuto farti
resuscitare….come posso
farlo con della gente ancora viva? ^^ ahahah e ne approfitto per
ringraziare
tutte le persone che leggono Nexus
e
le mie varie fic. ♥ Ma soprattutto un bacio grande a Alice
Rose, lucy_dragon_slayer
e Serely!!
:* bacio bacio e…recensite
;)
|
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Capitolo 13 *** Dragon Soul ***
Zucchina a tutti!! ^^ ….
…………..
…………….
-.-“ non posso credere di averlo fatto per davvero! Dovete
sapere che la sottoscritta ha puntualmente due grandi e problematici blocchi dello scrittore!
Ù.ù Uno di
questi è la parola con cui cominciare il
capitolo…visto che mi da l’impressione
di cominciare sempre con la stessa iniziale! Così una
mongola mi ha suggerito
di cominciare con “zucchina” J
Beh sarai contenta adesso Ali! ;) mi
ha fatto fare la mia
porca figura e adesso posso tornare a fingere di essere una scrittrice
seria!
V.v
……buona lettura
a tutti! ^^
Dragon
Soul
Il tempo nel subconscio aveva la
possibilità di scorrere ad
una velocità diversa da quello della vita reale; se ci si
concentrava bastava
un piccolo sforzo e l’isolamento era tale che il tempo si
sfaldava.
Per questo mentre nella mente di
Cloud continuava l’animato
discorso tra il drago e l’ex ninja, nel mondo reale non
passarono che una
manciata di minuti.
Cloud d’altronde, non
poteva chiedere di meglio; la
situazione era delicata e aveva bisogno di ragionare e Draciel per
certi versi
non la stava aiutando per niente.
Le erano serviti parecchi
minuti per calmarsi dopo la
notizia che il dragone le aveva rivelato con il suo
“tatto da elefante in un negozio di cristalli” e
adesso era
tornata a concentrarsi sul problema principale.
- Lo sai che voglio salvare tutti
loro. Non sono diventata
così codarda. – disse la ragazza.
- E allora dov’è
il problema? Se li vuoi salvare al momento
non puoi fare altrimenti. Io riuscirei a salvare loro e portare via
Donatello ma
con il tuo corpo in quelle condizioni potrei fare poco per te.
–
- Lo so. E’ solo
che…- ammise. – E’ solo che ho paura di
perderli. -
Draciel la fissò sorpreso,
aveva una vaga idea di dove la
brunetta volesse andare a parare.
- So che con la Dragon
Soul posso batterlo, forse fino a qualche ora fa
non avrei
creduto di essere ancora in grado di farlo ma ora ne sono convinta.
Solo che
questo è troppo, mi vedrebbero ancora di più come
un mostro e riuscirebbero
solo ad odiarmi. – La voce le morì in gola, ormai
rotta dai singhiozzi. – Non
voglio perdere nessuno di loro. Non di nuovo. -
Le zampe possenti del drago la
strinsero per quanto
possibile in un caldo abbraccio: Cloud aveva la testa appoggiata alle
ruvide
squame del petto di Draciel e sentiva il calore dei suoi polmoni
infuocati
stuzzicarle la pelle. Erano anni che non provava più una
sensazione del genere,
sentirsi se stessa, sentirsi a casa.
Anche loro
sono la mia
casa adesso. Voglio continuare a stare assieme a tutti loro, lo voglio
davvero.
…Damn Cloud, snap it out! They are my friends right? So I
know what I have to
do.* Paura o non paura.
Si staccò con una briciola
di riluttanza dal manto smeraldo
di Draciel, per poi fissarlo negli occhi. Ora lui ne era certo, la
stessa luce
che aveva continuato a veder ardere in quegli occhi per anni era
finalmente
tornata.
- Ninja style? - esclamò
il drago ghignando.
- Show time! –
– —
Il naso continuava a pulsare in
maniera inimmaginabile, non
avrebbe mai pensato che quello sgorbio riuscisse ad essere
così forte. Se non
fosse stato per il dolore che aveva al viso e all’intero
corpo non ci avrebbe
creduto. Anche se doveva ricordasi di aver a che fare con una
supernova. Ma i
conti non gli quadravano per niente. Quella mocciosa no era stata
sigillata? Non
sarebbe riuscita a muovere un singolo muscolo nemmeno volendo. Cosa che
al
momento non pareva parecchio evidente.
Anche se
è da quando
mi ha colpito che se ne sta ferma immobile e sembra essere tornata allo
stesso
stato di incoscienza di poco fa.
Inoltre il bestione verde pareva
misteriosamente scomparso e
questo non gli piaceva per niente. Sentiva che le forze stavano a poco
a poco
tornando e decise che era il momento opportuno per liberarsi della
momentaneamente inoffensiva supernova.
A fatica si alzò facendo
leva sul ginocchio e riportò gli
occhi ambra sulla bruna dopo aver dato una lieve occhiata agli ormai ex
prigionieri che si erano raggruppati attorno al tavolo con la tartaruga
priva
di sensi.
Praticamente aveva campo libero; gli
sarebbe bastato un singolo
colpo a distanza per non incorrere nelle scariche che le avvolgevano il
corpo e
il gioco era fatto. Avrebbe compromesso troppo gravemente la missione
ma al
momento non poteva fare altro e sperare che le altre supernove ancora
in loro
prigionia risultassero fonti più utili.
Doveva ucciderla sennò era
certo che non ne sarebbe venuto
fuori.
- O’Neill è ora
di salutare il mondo. – sentenziò deciso. -
E adesso che farai eh? Ah ah ah! – chiese beffardo Rajal.
Sapendo che nessuna
risposta sarebbe arrivata concentrò l’energia nel
palmo della sua mano non
senza un immenso sforzo e un secondo lampo di energia viola parti verso
la
ragazza.
Sotto gli sguardi sconvolti del
gruppo poco lontano, il
getto d’energia colpì in pieno la figura immobile
della supernova lasciando che
la polvere e macerie diventassero l’unica loro visione.
Nel giro di qualche millesimo di
secondo l’onda d’urto
dell’attacco li colpì in pieno facendoli volare di
qualche metro e rovesciando
a terra l’inanimato Donatello.
Il polverone non accennava a
diminuire e le loro teste
pulsavano fuori dall’immaginario. Anna aveva sbattuto la
testa su di una roccia
e si era tagliata la tempia facendo così colare sangue lungo
il viso mentre gli
altri erano solamente lievemente ammaccati.
Quello che li circondava era il
silenzio. Ma il silenzio più
rumoroso che avessero mai sentito. I loro respiri affannosi, quello
rotto e
gutturale di Rajal e i granelli di pietra disintegrati che pian piano
scrosciavano al suolo parevano risuonare come rulli di tamburi in
quell’enorme
sala oramai devastata dall’inverosimile battaglia che vi
aveva avuto luogo.
Poi, un altro suono si sovrappose: un
lieve fruscio proveniva
dalla muraglia di polvere e con esso un leggero tonfo regolare che un
po’ alla
volta aumentava di potenza.
L’aria mossa
cominciò a dissolvere la polvere portando alla
luce una figura.
- Il dragone è tornato!
– esclamò Elisabetta.
Rajal volse lo sguardo prima verso di
lei e poi verso il
cumulo di polvere allarmato.
Ma bastò qualche attimo
per rendersi conto che ciò non era
completamente vero. La lunga coda a scaglie cominciò a
battere con insistenza
sul pavimento roccioso sollevando innumerevoli sbuffi di polvere e
mentre le
gigantesche ali si dispiegavano dopo aver fatto da scudo al colpo, la
silhouette
fin troppo familiare a cui quelle ali e coda appartenevano
portò entrambe le
mani ai fianchi. E non apparteneva di certo al drago.
Non una felpa grigia e dei jeans
rovinati e strappati in
molti punti, ma un completo rosso fuoco e degli stivali fin sopra al
ginocchio.
I capelli castani completamente sparati in aria con delle ciocche che
erano diventare
completamente bianche e le iridi di nuovo verdi smeraldo.
Cloud era irriconoscibile. Ma
ciò che incuteva più paura non
era di certo l’aspetto. Certo, la ragazza con le ali e la
coda di drago faceva
il suo effetto ma era qualcos'altro che adesso attirava maggiormente
l’attenzione di
tutti. Soprattutto Rajal.
Un ghigno, un ghigno che faceva
vedere con chiarezza i
canini sporgenti e che non ispirava niente di buono. E questa volta
Cloud era
cosciente. Lo sfregiato ne era certo: ora la supernova era pericolosa.
- What am I going to do? Smash your
fucking head straight on
the wall you bastard!* –
Draciel dopotutto aveva ragione: se
voleva salvarli, farlo
con stile non era una cattiva idea.
* Dannazione
Cloud, svegliati fuori! Sono miei
amici giusto? Quindi so quello che devo fare.
* Cosa
farò? Fracasserò la tua fottuta testa sul
muro bastardo!
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Capitolo 14 *** Wanna fight? A plan to survive ***
Wanna fight? A plan to survive
Il caronte era una creatura infima.
Una creatura infima e
senza cervello; quello lo aveva constatato da un bel pezzo anche se
rari sprazzi
di lucidità che quelle cose dimostravano cominciavano a
fargli credere che
forse un minimo di cervello nuotasse in quel mare di niente che era la
loro
testa.
Li aveva osservati per giorni;
stavano perennemente fermi
senza stancarsi o aver bisogno di cambiare talvolta posizione, la lunga
mannaia
che tintinnava pericolosamente appesa al fianco, gli occhi ridotti a
due
fessure e sempre vigili. Ecco forse quello era l’unico
dettaglio che agli occhi
di Michelangelo non li faceva risultare completamente stupidi.
Ad un certo momento, che i suoi
fratelli definivano quello
del “ho voglia di ricordare a tutti
che
sono un coglione quindi datemi corda”, si era
perfino ritrovato a cercare
di far conversazione con uno di quei bestioni. Non che avesse avuto
successo,
anzi: inizialmente aveva ricevuto solamente silenzio, segno che era
stato molto
più che ignorato. Il peggio era arrivato quando aveva
pensato di controllare se
la guardia fosse effettivamente sveglia cominciando a sventolarle
davanti la
mano; questo fino a quando il caronte non aveva perso la pazienza, che
a detta
di Michelangelo era davvero poca, e l’aveva afferrato per il
polso attraverso
le sbarre della cella per poi farlo volare a sbattere contro la parete
di
pietra alle sue spalle.
Si era accasciato a terra con ancora
più lividi di quelli
che già ricoprivano la maggior parte del corpo oltre alle
ossa rotte,
contusioni e ferite varie.
Dal quel momento si era deciso a
studiarli da lontano. E
aveva capito che erano creature stupide. Erano spaventose a vedersi,
quello era
palese a chiunque; dopotutto una sottospecie di minotauri con la
schiena
uncinata, corna da ariete spropositatamente grandi e una corazza spessa
più o
meno tre dita aveva tutte le carte in regola per spaventare chiunque.
Anche una
tartaruga ninja che doveva essere uno dei guerrieri più
forti dell’universo.
Ma la bruttezza creava solo scudo al
nulla che
caratterizzava il cervello. Non parevano essere in grado di pensare di
testa
propria, perennemente immobili fino a che un ordine dei predator non
gli
richiedesse di fare diversamente.
Poteva contare sulle dita delle mani
le volte in cui aveva
creduto di vedere delle azioni prendere luogo per volontà di
quelle bestie (e
il fatto che le sue dita erano solamente tre per mano diminuiva ancora
di più
quella già bassa percentuale).
Quindi era arrivato ad una
conclusione abbastanza semplice:
quegli esseri erano tanti, grossi e stupidi. Anche ridotti come erano,
per loro
tre non sarebbe stato un problema sbarazzarsi di loro. Il vero problema
nasceva
con i cattivi da cui prendevano ordini, gli uomini con la falce, i
predator. Ma
di loro se ne stava occupando Raphael.
Dopotutto si erano divisi i compiti
per riuscire a trovare i
punti deboli dei loro vari ostacoli. A lui erano toccati gli arieti
stupidi, a
Raph gli psicopatici con la falce e Leonardo invece doveva analizzare
il luogo
dove erano rinchiusi cercando di farsi una mappa generale del posto,
per quanto
conversazioni tra carcerieri e i loro spostamenti da una stanza di
tortura
all’altra potessero permetterlo.
Ciò che lo stupiva era il
fatto d’essere riuscito a
ragionare su tutto questo mentre era disteso su di una lastra di
pietra,
circondato da oggetti di tortura e con il predator che impassibile si
apprestava ad un’altra nottata di lungo e doloroso
interrogatorio.
Ma ormai era solo questione di
resistere per un po’, solo un
altro po’ e le Supernove avrebbero ricominciato a spaccare i
culi a quegli
stronzi.
– —
Cloud non credeva di poter
più provare una sensazione
simile, l’energia le fluiva per tutto il corpo, la sentiva
scorrere sotto la
pelle e l’avvertiva come pronta ad esplodere.
Quasi non parevano essere trascorsi
due anni, ma solo
qualche breve istante dall’ultima volta che si era sentita
così. E le era
mancato, eccome se le era mancato.
Diavolo
è fantastico!
- Vero?? E
tu che
facevi tante storie! -
Draciel
fuori dalla
mia testa. ORA!
- Ehi
sgorbio ti
ricordo che siamo fusi insieme ora. Non me ne posso andare. Ohi, non mi
dire
che ti sei pure dimenticata tutto! -
Tsé,
ti pare
possibile? Solo che dopo tutto questo tempo è strano avere
qualcuno nella mia
testa. Anche se a dirla tutta tu sei nella mia testa da un bel
po’. Forse è la Dragon
Soul che mi scombussola.
- Si credo
sia
normale. Poi conta che prima la fusione non era completamente avviata. Allora, adesso no turning
back.
Fai fuori quel bastardo e poi ce ne andiamo di qui.
-
Ok. E magari
poi mi
spiegherai anche cos’è il qui. Perché
sinceramente non ho idea di dove ci
troviamo.
- Idiot! -
Non poteva sopravvivere. In questo
momento era sicura di
avere il coltello dalla parte del manico ed il coltello era ben
affilato. Non
restava altro che agire.
Le ali spalancate sbatterono
lievemente e la giovane si
apprestò a colpire. Un battito di ciglia ed era
già a pochi centimetri dal
volto di Rajal. Un calcio all’addome, una gomitata nel petto
e ruotando su se
stessa un altro calcio che lo scaraventò addosso la parete;
subito Cloud era in
aria davanti a lui e ricominciò a riempirlo di colpi facendo
sì che lo
sfregiato non cadesse al suolo per la forza di gravità.
Colpì il volto
fracassandogli il naso, un ginocchio cedette
sotto la pressione di un calcio ben piazzato e si piegò
all’indietro, molte
ossa delle costole si ruppero con spaccature nette a causa dei ripetuti
pugni.
La forza dei colpi arrivava a crepare la parete alle loro spalle.
Grandi
blocchi di roccia si staccarono e crepe profonde continuavano diramarsi
per
tutto il muro. Con un ultimo colpo di coda Cloud scaraventò
Rajal lontano. Le
ali sbatterono violentemente e lei tornò a toccare il suolo.
Il ghigno era sparito ed ora
l’espressione di Cloud era
seria. Rajal a parecchi metri ansimava e sputava sangue: non era
riuscito a
parare nemmeno un singolo attacco e quel combattimenti durato a
malapena
qualche minuto l’aveva distrutto. L’ex ninja
sapeva di non dover abbassare
la guardia ma ciò non toglieva che era certa di aver la
vittoria in pugno.
- Cloud. -
I know.
- You know
what? I
said nothing!* –
Immagino
ciò che tu
voglia dire.
Cominciò a camminare a
passi lenti verso la figura inerme di
fronte a lei, le ali smeraldo che piano si richiusero dietro le spalle
e la
coda squamosa che talvolta sbatteva pesantemente a terra. Erano
lì a pochi
metri. il cacciatore diventato preda e la preda diventata il
più pericoloso dei
cacciatori.
- Sp-spiegami come. –
tentò di dire Rajal, il sangue che gli
impastava la bocca.
-
Tch. Never
underestimate a Supernova. - Un altro passo, sempre
più vicina. – Trust me dude. That is something you’ll regret.*
–
Ora Cloud sovrastava lo sfregiato,
uno sguardo di odio e
ribrezzo puro nei confronti di quella figura tanto possente e spaccona,
ma ora
inerme ai suoi piedi.
- Io odio uccidere. Un paradosso per
un ninja vero? Ma noi
siamo stati cresciuti così. Ho sempre ucciso solo quando era
necessario e ti
risparmierei volentieri la vita. -
Rajal non era stupido. Il suo volto
non si rilassò a quelle
parole. Era un sicario e bastava il tono della brunetta per arrivare a
trarre
le conclusioni adeguate.
- Hai ucciso tre dei miei
fratelli… -
- A
proposito di
questo Cloud- -
Non ora Dras.
- …torturato quasi a morte
il quarto, tentato di uccidere
tre mie amiche
e trattato come cani o peggio tutti
noi. Tutto questo non
corre. -
Un ghigno si formò sul
volto di Rajal. – Sei tosta O’Neill.
I miei maestri avevano ragione. Per certi aspetti sei davvero la
più pericolosa
delle Supernove. – Un conato di sangue lo costrinse a
piegarsi su se stesso. –
Falla finita e uccidimi. –
Cloud lo afferrò per il
collo della tunica e avvicinò il suo
volto a quello di Rajal. Il pugno destro, seppur rotto, pronto a dare
l’ultimo
colpo e a finire quello scontro. Cloud concentrò la sua
energia e la sentì
fluire lungo il braccio, fino ad arrivare ad accumularsi tutta nel
pugno.
Fissò quegli occhi ametista
piena di disgusto, sicura che
quella sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe visti
così luminosi e pieni
di vita. E finalmente colpì.
- Adesso
è sufficiente
Cloud. -
Quando il suo pugno era ad un niente
dal petto di Rajal
sentì che le forze di colpo l’abbandonarono.
La mano stretta sulla tunica
cominciò ad essere pesante e si
staccò afflosciandosi inerte lungo il fianco mentre sentiva
che l’energia che
le percorreva l’intero corpo svaniva. Dopo la mano anche il
corpo divenne
pesante e si sentì sempre più cadere verso il
basso.
L’ultima cosa che vide
prima di chiudere gli occhi fu
Draciel, che ricomparso, le si stagliava a fianco e che con la coda
dell’occhio
la fissava e le sorrideva.
Poi tutto divenne nero.
* Non sottovalutare una Supernova.
[…] Fidati stupido. E'
qualcosa che rimpiangerai.
*
Lo so.
Tu sai cosa? Non ho
detto niente!
{nota autrice: Gomene! Questi
capitoli tutti descrittivi
dove non succede un bigolo di niente stancheranno tutti ormai! ;) ma
servono
quindi abbiate un pochina di pazienza! Che dal prossimo capitolo la
storia si
anima ^^ un bacio a tutti e un MEGA grazie a chi recensisce, mi segue o
legge
soltanto ♥
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Capitolo 15 *** La quiete nel cuore ***
La
quiete
nel cuore
Il vento che le muoveva lievemente i
capelli fu la prima
cosa che percepì appena riprese i sensi. Si sentiva
intorpidita fino al muscolo
più piccolo e insignificante del corpo e faticava ad aprire
le palpebre. Dopo
parecchi tentativi finalmente ci riuscì e subito una luce
accecante riempì
l’intero campo visivo. Sentiva qualcosa in lontananza e dopo
qualche istante
cominciò a riconoscere delle voci.
- Ehi si sta svegliando! –
esclamò qualcuno vicino a lei. La
voce era dolce, doveva essere una ragazza. Infatti appena
cominciò a mettere a
fuoco, la faccia di Anna era a meno di un metro dalla sua. Aveva
un’espressione
decisamente radiosa in volto anche se era piena di graffi e lividi e
del sangue
secco le ricopriva gran parte della tempia sinistra.
Cloud non fece in tempo a sorriderle
per farle capire che
era abbastanza cosciente da riconoscerla che una seconda voce
catturò la sua
attenzione.
- Spostati ragazzina, ha bisogno di
respirare. -
Anna un po’ intimorita si
spostò da Cloud e subito un essere
di dimensioni enormi le si stagliò sopra la testa.
- Draciel? – chiese la
giovane ancora lievemente stordita.
-
No.
You’re dead and now you are in heaven. In fact I’m
Jesus Christ. –
- Fuck you. –
Il gigantesco dragone la
fissò storcendo il naso. Poi la sua
bocca disegnò una linea simile ad un ghigno lasciando
intravedere le lunghe
zanne bianchissime.
- Noto con piacere che il tuo umore
non cambia nemmeno da
appena svegliata. Come ti senti? -
- Mi fa male la testa. –
Quella era scemenza più grande che
Cloud potesse sparare. Era vero che la testa pulsava e faceva male ma
non era
niente paragonato al resto del corpo.
Draciel sorrise. Era sempre
così.
Cloud con un grande sforzo
riuscì nell’intento di mettersi a
sedere e cercò di rilassare gli arti. Chiuse gli occhi ed
assaporò quegli
attimi di tranquillità. L’aria fresca le
scompigliava i capelli e il ciuffo
lungo sollevato dal vento si arricciava quasi stesse giocando.
Finalmente
poteva sentire un silenzio pieno di tranquillità. In
lontananza sentiva
chiaramente degli uccelli cinguettare. Inspirò profondamente
e riaprì gli
occhi. C’erano tante domande a cui lei doveva rispondere e
tante di cui lei
attendeva risposta ma una era quella che le premeva di più.
- Cos’è
successo? -
Draciel era
impressionato. Certo, avevano già usato la Dragon
Soul ma non credeva che
Cloud si sarebbe riabituata così bene a tutta
quell’energia sotto il suo
controllo. Nel giro di pochi minuti aveva ridotto Rajal allo stremo
senza
nemmeno impegnarsi più di tanto. Praticamente aveva la
vittoria in pugno.
Sentiva che Cloud la pensava allo stesso modo, lo percepiva.
Poi
però rifletté. Era
giusto farle uccidere un uomo davanti agli occhi dei suoi amici?
Dopotutto
Cloud aveva rifiutato di usare la Dragon
Soul proprio perché non voleva
traumatizzarli più di quanto
non fossero già.
No non era
giusto.
Doveva bloccarla, anche se sapeva che Cloud aveva tutte le ragioni per
uccidere
quel verme con le sue mani.
- Cloud. -
I know.
- You know what? I said nothing!
–
Immagino ciò che tu voglia
dire.
Draciel
restò
momentaneamente spiazzato. Ma cosa diavolo aveva capito quella ragazza?
Lui non
aveva proferito parola e lei che shell aveva capito? Un emerita H
supponeva.
D’accordo che condividevano gran parte delle emozioni e dei
pensieri, ma ciò non
toglieva che ogni cosa che lui pensava fosse per forza ovvia anche a
lei.
Nel
frattempo Cloud si
era avvicinata a Rajal. Quel sicario si chiedeva come avesse fatto. Ah se solo avesse avuto la
possibilità di vedere
Cloud combattere con le sue sole forze. Altro che allenamenti speciali
e altro.
La sua mini ninja l’avrebbe spiazzato.
Tornò
a seguire il
discorso che Cloud e Rajal stavano facendo.
- Hai ucciso tre dei miei
fratelli… -
Ok e quella
che boiata
era? Senza volerlo alcuni ricordi di Cloud gli si presentarono
dinnanzi. Una
pergamena. Sentenze d’esecuzione. Leonardo, Donatello,
Michelangelo e Raphael
barrati. Eliminati.
Di nuovo.
Che emerita
boiata era?
- A proposito di
questo Cloud- -
Non ora Dras.
E Cloud
continuò il
suo discorso con Rajal senza prestare attenzione a Draciel. Egli vide
la
ragazza scambiare qualche altra parola con lo sfregiato prima di
rabbuiarsi in
volto ed afferrare per il collo della tunica Rajal.
Lo vedeva
chiaro dalla
sua espressione che era intenzionata ad ucciderlo. E come aveva
già deciso, non
poteva permetterglielo. Cloud fece scendere il pugno in direzione del
petto di
Rajal.
- Adesso è sufficiente
Cloud. -
Ruppe la Dragon
Soul. Come una scia
dorata, lasciò il corpo di Cloud per poi riprendere la sua
forma di drago al
suo fianco.
Cloud,
completamente
sciupata da tutte le energie cadde a terra svenuta. Ebbe solo il tempo
di
rivolgerle un vago sorriso che la ragazza chiuse gli occhi.
Draciel
allora si
concentrò sulla figura al suoi piedi. Era grande quanto un
suo artiglio. Una
sola zampata e ridotto com’era, avrebbe potuto dilaniarlo con
semplicità.
- Avrei benissimo potuto
lasciare che ti
uccidesse lei. Ne aveva tutto il diritto. ma non potevo rovinare in
modo
irrimediabile ciò che quei ragazzi li in fondo pensano di
lei. Di certo non mi
fermerò a spiegare a te il perché. -
sentenziò il drago.
Rajal era
rimasto
lievemente interdetto dagli ultimi avvenimenti ma aveva ripreso
abbastanza coscienza
di se per prestare attenzione alle parole di Draciel. Ora lo fissava.
Ambra e
ametista. Due paia di occhi che si squadravano.
- Io so che
non li hai
uccisi. Quindi credimi, averlo fatto credere a Cloud è
già un motivo valido per
me per farti fuori. -
- E allora
fallo
bestione. –
- Non
chiedevo altro. –
ringhiò Draciel di rimando.
Aprì
le fauci e con un
morso staccò di netto la testa dal corpo. Il sangue
zampillò dal collo e il
dragone sputò lontano la testa di quell’essere che
aveva in bocca. Altro sangue
scendeva dalla sua mandibola sporcando le squame verdi.
Draciel
lanciò un’
ultima occhiata al corpo martoriato ai suoi piedi e poi con la coda
sollevò la
svenuta Cloud e se la caricò sulla schiena, tra le ali, dove
le spine acuminate
della colonna vertebrale non erano presenti.
Poi si
diresse verso il
piccolo gruppo al margine della stanza.
Sentì
il sangue
gocciolargli lungo la mandibola, emise una leggera fiammata per pulirsi
le
fauci e si riconcentrò sulle cinque figure a cui era vicino.
- Ora
andiamo. -
- Andiamo
dove? – chiese
la moretta dai tratti orientali.
- Vi porto
via da qui.
–
Senza
aspettare
risposta aprì un portale con l’energia mentale e
dopo aver acciuffati le tre
ragazze, il ragazzo e Donatello a poca distanza da loro
spiccò il volo attraverso
il portale.
Dall’altra
parte
Draciel atterrò su di un immensa prateria verde.
L’intera area era ricoperta d’erba
Draciel vi adagiò Donatello per poi lasciare cautamente i
ragazzi che teneva
tra le zampe.
Si volse e
con la coda
distese anche Cloud sull’erba morbida. Sapeva che non ci
avrebbe messo molto a
svegliarsi.
Intanto il
gruppetto
si era seduto e si guardava intorno con fare sospetto. Il ragazzo
fissò Draciel
e poi gli parlò.
- E adesso? -
- Adesso io
curo
Donatello mentre aspettiamo che Cloud si svegli per avere altre
informazioni. –
- Ma- -
- Ehi si sta
svegliando! – esclamò Anna.
- E poi ti sei svegliata e questo
è quanto. – disse Draciel.
Il dragone ora aveva assunto le sembianze di un gigantesco serpente. Le
ali, le
zampe e la coda uncinata erano spariti per lasciare spazio ad una
semplice
pelle squamosa color dello smeraldo. Solo la lunga cicatrice che
percorreva
l’occhio destro e gli occhi ambra riflettevano perfettamente
l’immagine reale
di quella maestosa creatura.
Inoltre in quanto basilisco, era
anche di dimensioni
notevolmente ridotte. Ma ciò non toglieva che fosse comunque
enorme.
- Capisco. Anzi no non capisco
proprio niente. Tu avevi
detto che il mio corpo non avrebbe retto la mia energia senza la Dragon
Soul ma tu comunque l’hai
annullata senza problemi! E io sono viva. –
Draciel guardò le nuvole
che in quel momento stavano dando
un po’ di riposo dal sole che illuminava la radura.
- Diciamo che mentre era al tuo
interno ho disattivato il
sigillo del Tribunal che era praticamente a brandelli e ne ho creato un
altro. –
- Tu cosa? –
- Senti. Questo è un
problema secondario. Spara altre
domande e intanto ringrazia di essere viva. –
sentenziò il basilisco con il
fantasma di un sorriso che gli rigava le labbra.
Cloud sbuffò.
- Altra domanda eh. Perché
diavolo mi avevi detto di
uccidere Rajal all’inizio se eri già convinto di
farlo tu stesso? -
- Era per spronarti. Volevo solo che
riacquistassi fiducia
in te stessa. –
I loro sguardi si incrociarono e
Cloud sostenne quello di
Draciel con estrema fermezza. Poi però il suo volto si
addolcì.
- Grazie. –
Il basilisco sorrise a sua volta ma
subito cominciò a
tartassare la giovane con la coda per impedirle di vedere una piccola
lacrima
scendere dal suo occhio sfregiato.
Era felice di averla di nuovo con se.
- Whoa Dras smettila! –
esclamò Cloud, ora sepolta dalla
grande coda del serpente. – Mi schiacci! -
- Oh povera piccina. –
- Si infatti. Povera me! –
- La piccola Cloud non è
in grado di sostenere un’innocua
coda! Cattivo Dras! Non si fa male a Cloud! –
- Ok Draciel abbiamo chiaro il
concetto puoi smetterla
adesso. – disse Cloud finalmente libera dalla possente coda.
- Cattivo Draciel! Cattivo cattivo.
–
- Dras davvero, smettila. –
- Dovrei saperlo che non sei in grado
di sostenere la mia
stupenda, superba e immensamente immensa forza. –
- Draciel. –
Il monologo di Draciel pareva voler
volgere all’infinito
così Cloud decise di darci un taglio.
- Insomma Draciel la pianti? -
urlò la ragazza nel posto
dove teoricamente stava l’orecchio del basilisco.
Quest’ultimo la
guardò sbieco. – Pff. Grazie per levarmi
tutto il divertimento! –
- Oh di niente. -
I due cominciarono a fissarsi in
cagnesco e parevano
intenzionati a continuare nel loro duello di sguardi.
- Ehm…scusate. -
Entrambi gli interessati volsero lo
sguardo verso il punto
da cui era arrivata la voce. Elisabetta li stava fissando con
un’espressione
che era tra lo spaventato e lo sconcertato. La brunetta
sospirò. Quel momento
di battibecco con Draciel le aveva fatto dimenticare che aveva parecchi
altri
nodi da sciogliere.
- No. Sono io che dovrei scusarmi.
– cominciò Cloud cercando
di alzarsi in piedi. Draciel le venne in aiuto sostenendola con il
muso. – Adesso
credo che cominciare tutta la storia dall’inizio sarebbe la
cosa migliore, ma
prima vorrei controllare come sta mio fratello se posso. -
Cloud si rivolse ad Alice. Sapeva che
era lei l’elemento più
incrinato in tutta quella catena che ora loro stavano formando.
- Fa come credi. – rispose
acida la ragazza.
Elisabetta e Mattia la fissarono
mentre si sedeva e si
concentrava nel fissare il paesaggio circostante.
Cloud tirò un sospiro di
sollievo e si rivolse a Draciel.
– Mi dai una mano? -
- Lo faccio io. -
Subito le braccia di Anna
l’aiutarono a restare su due piedi
e Cloud si ritrovò per la seconda volta il volto sorridente
di Anna che la
fissava.
Non riusciva a capire come potesse
ancora guardarla così. Eppure
aveva patito e visto come gli altri.
Non
è spaventata?
Così mentre le due si
avvicinavano alla tartaruga distesa
sull’ebra a qualche metro di distanza, Cloud non
poté che ringraziare di aver
trovato amici così speciali. Perché se una di
loro l’aveva anche minimamente
capita, forse potevano farlo anche gli altri.
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Capitolo 16 *** Attesa. L'amarezza nel gioco di sguardi ***
Attesa.
L’amarezza nel gioco di sguardi
Cloud non era mai stata un genio ne
era mai arrivata a
definirsi tale.
Ok quello magari qualche volta.
In ogni caso non serviva esserlo per
capire che una ragazza
con dolori ovunque che faticava a reggersi in piedi ed una ragazza con
una
storta alla caviglia non fossero in grado di andare tanto lontano
sorreggendosi
l’una sull’altra.
A quanto sembrava, però,
Cloud se ne accorse troppo tardi. E
ormai poteva dare il felice buongiorno all’erba che stava
ingoiando.
Sputacchiando un po’
rivolse il viso alla ragazza distesa
faccia a terra alla sua destra.
- Sai Anna. Apprezzo davvero lo
sforzo, ma la prossima volta
se vuoi aiutare qualcuno cerca di capire prima se sei in grado di farlo
per
davvero. -
Anna fece un sorrisetto a
mò di scusa.
- Ha ragione, diavolo siete una
più impacciata dell’altra. -
- Grazie Dras davvero gentile da
parte tua. – esclamò Cloud
fulminando il basilisco con gli occhi. – Almeno tiraci su se
proprio non ti
scoccia. –
Ghignando Draciel, che si era fin da
subito affiancato alla
coppia a terra, decise di rimettere in piedi le ragazze. – Vi
giuro che se non
lo sapessi per certo, vi scambierei senza ombra di dubbio per sorelle.
–
- Perché siamo troppo
belle! – disse Anna allegra mentre si
faceva aiutare dal serpente ad alzarsi.
- No. Perché entrambe
sembrate essere dotate della capacità
intellettiva di un’ameba. – rispose di rimando
Draciel ridendo di gusto per la
sua battuta.
Anche Elisabetta si mise a ridere,
sollevata che alle amiche
non fosse successo niente; Mattia sorrise e Cloud non poté
far altro che
sbattere la testa sul terreno per nascondere l’imbarazzo fino
a quando un
pensiero non le passò per la testa.
- Dracielllllllll!!!! Cosa cazzo ci
faccio ancora per terra!
Tirami su, degenerato mentale! -
Mentre tutti ripresero a ridere alla
vista della brunetta
che sbraitava muovendo gambe e braccia in aria dando
l’impressione di poter
cominciare ad emettere fiamme dalla bocca da un momento
all’altro, Alice fu
solo in grado di fissare la scena in silenzio.
Con un lieve “umpf”
girò
la testa verso il paesaggio.
Voleva restare sola, voleva mollare
quella banda di mostri
traditori. Non si accorse nemmeno di un paio di occhi smeraldo che
continuarono
a fissarla intensamente per parecchi minuti.
Rigirò il cellulare per
l’ennesima volta tra le mani; non
riusciva a capacitarsi di come, pur dopo tutto quell’essere
sballottata di qua
e di la, quel cavolo di aggeggio fosse riuscito a rimanerle ben
infilato in
tasca.
A conti fatti però quella
era l’unica cosa positiva: il
nokia ormai era pieno di ammaccature e aveva perso il colore nero su
quasi
tutta la cover del retro, lo schermo poi era graffiato da un sottile ma
lungo
taglio. Il fatto che non accennasse ad accendersi poi, era tutto un
altro paio
di maniche.
Cloud era certa che anche se a causa
di com’era ridotto
sarebbe stato difficile averlo acceso, in quel momento era comunque
inutilizzabile a causa delle frequenze elettromagnetiche diverse.
Cioè, avevano vagato per
il multi-universo per quasi una
settimana, passando attraverso portali e dimensioni differenti. Una
tecnologia
misera come quella della Terra non era in grado di reggere.
Potrebbe
funzionare se
solo ci applicassi il congegno che aveva creato Donny.
Si girò a guardare il
fratello disteso su di una stuoia a qualche
passo da lei. Cloud avrebbe preferito adagiarlo su qualcosa di
più morbido ma
la baita non aveva niente del genere.
Era stato Draciel a farglielo notare,
in quanto lei non ci
aveva minimamente fatto caso quando erano arrivati.
Il basilisco li aveva portati in un
piccolo pianeta che lei
e i suoi fratelli avevano usato parecchie volte in passato per
allenarsi senza
doversi preoccupare di creare problemi nel Nexus.
Da ciò che avevano appreso
esplorando il territorio, quello
era un pianeta deserto senza alcun segno di vita se non ad eccezione
degli
animali selvatici. La vegetazione era rigogliosa e i boschi coprivano
quasi
tutto.
Avevano costruito un rifugio dove
poter dormire, tenere
qualche provvista e molti, molti oggetti per il primo soccorso.
Combattendo a
piena potenza si ferivano praticamente sempre e perciò
avevano deciso di essere
previdenti.
In quel momento si trovavano proprio
in quella baita ai
margini della radura. Draciel aveva portato tutti sul dorso fino a li,
anche se
la baita non era troppo distante da dove erano atterrati grazie al
portale. La
sua speranza era che vi fossero ancora bende e altro
dall’ultima volta che le
supernove si erano recate li per allenarsi.
Fortunatamente per tutti loro aveva
fatto bingo.
Cloud tirò un lungo
sospiro di sollievo mentre appoggiava la
schiena alla parete alle sue spalle.
Donatello era ancora incosciente ma
almeno adesso aveva un
aspetto migliore. Gli aveva pulito le ferite con un po’
d’acqua e aveva cercato
di fasciarle meglio che poteva. Sapeva che ora non poteva fare altro
che
aspettare.
Dopo aver curato suo fratello Alice
aveva preteso
spiegazioni, supportata anche da Elisabetta ma Draciel si era
categoricamente
opposto esigendo che tutti venissero curati.
Era stata una cosa rapida, almeno in
generale. Sia Mattia,
Alice e Elisabetta avevano più che altro lividi ma niente di
serio, solo
qualche graffio qua e là. Ad Anna era bastato lavare la
ferita sulla tempia,
che si era rivelato un piccolissimo taglio, e bloccare la caviglia con
una
fascia.
Cloud era rimasta sorpresa per come
tutti avessero lasciato
lavorare in pace il basilisco mentre prestava le cure mediche su ognuno
di
loro.
Continuò a far ruotare il
cellulare tra le mani fino a
quando una fitta al polso non le fece perdere la presa. Il nokia cadde
con un
tonfo ai suoi piedi.
Cloud non ci prestò
attenzione, troppo presa a tenersi il
polso dolorante.
- Certo che se anche ti dicono di
stare ferma perché è rotto
tu non lo capisci proprio eh? - Alice le stava rivolgendo
un’occhiataccia degna
di un film horror. Era seduta anche lei con la schiena a muro sulla parete
della
baita opposta alla sua; era irritata perché nessuno le
spiegava niente e aveva
cercato di dormire un po’ per non pensarci. Almeno fino a
quando Cloud non
aveva fatto cadere il telefono svegliandola.
- Eh eh me n’ero scordata!
– disse ridacchiando Cloud per
sdrammatizzare un po’.
- Si immagino che il polso steccato e
la fasciatura passino
inosservati a chiunque. –
Restarono a fissarsi per qualche
istante e il sorriso di
Cloud si abbassò fino a diventare una linea sottilissima.
L’aria era tesa,
nessuna delle due pareva intenzionata a proferire parola. Ad un certo
punto,
stanca di quell’inutile gioco di sguardi, Alice
tornò a chiudere gli occhi ed a
cercare di dormire.
Cloud odiava quella situazione, e
odiava quell’aria tesa.
Sperava solo che Draciel e Mattia tornassero presto così da
poter chiarire la
questione. Alice era la sua migliore amica e seppur fino a quel momento
non
avesse mai detto niente, gli sguardi, le frasi, il fatto che lei non le
parlasse, tutto questo le faceva più male di qualsiasi altra
cosa.
- Non ha tutti i torti
però, sai? –
Cloud si volse alla sua sinistra.
Anna era distesa sul
pavimento a guardare lo spazio vuoto del piccolo camino dove avrebbe
dovuto
trovarsi il fuoco. La bruna si era quasi dimenticata che la quindicenne
fosse
li; Anna dopotutto era stata zitta sin da quando Draciel
l’aveva curata.
Immaginava fosse a causa della scomparsa di Naya, Erica e Giulia. Era
stata
Naya ad aiutarla a muoversi i primi giorni, con la sua caviglia in
quelle
condizioni ed era certa che nel momento in cui la sua attenzione era
stata
riportata sulla slogatura i brutti ricordi di qualche ora prima fossero
tornati
a tormentarla.
Il suo stesso pensiero doveva essere
balenato nella mente di
tutti perché per un po’ era sceso il silenzio.
Cloud giurava di aver sentito
Elisabetta singhiozzare prima che uscisse al di fuori della baita. Ed
ora che
ci rifletteva, la ragazza non era ancora tornata.
Cloud si sentiva peggio nel sapere
che le tre ragazze erano
sane e salve e non poterlo dire agli altri ma Draciel era
dell’opinione che
dirlo dopo aver calmato gli animi era la cosa migliore.
- Non ha tutti i torti di cosa?
– rispose dopo un lungo
silenzio Cloud.
- Draciel ha detto che devi riposare
no? Ha detto che con
qualche giorno di riposo i muscoli torneranno in forze. Ma se non
riposi non si
risolve niente. –
La voce era pacata ma Cloud vi
riconobbe comunque un sincero
interesse per le sue condizioni.
- Ho dormito per tre ore
più o meno e credimi sto già
meglio. Grazie all’assenza del sigillo il mio corpo sta
recuperando un po’ di
tono e quindi ricomincio a guarire più in fretta. -
Come a dimostrare le sue parole la
brunetta cominciò a
piegare le gambe facendo capire all’amica che non vi erano
troppi dolori nel
farlo. – Sono ancora un po’ in rodaggio ma direi di
essere a buon punto. -
Anna si era girata a fissarla: Cloud
la vide mettersi a
quattro zampe e cominciare a venirle vicino fino a sedersi al suo
fianco.
Rimase in silenzio per un
po’ ma Cloud vedeva dalla sua
espressione che voleva chiederle qualcosa. Decise di aspettare fino a
quando
l’amica non si fosse sentita pronta.
Vide la brunetta più
piccola guardarla con la coda
dell’occhio.
- Sei vestita normale. –
- Ovvio. Dovrei essere vestita
diversamente? – chiese Cloud
stupita.
- Il completo rosso fuoco NON
è normale. – disse Anna, ora
guardandola in faccia.
- Ma ora non l’ho mica
addosso! –
Era vero. Appena Draciel si era
separato dal suo corpo, lei
era tornata normale. Niente più capelli sparati in aria con
ciuffi bianchi,
niente più pupilla da drago e niente più completo
da combattimento rosso fuoco.
Aveva di nuovo i jeans rovinati e la felpa con i bottoni.
- Si adesso si. Però era
strano prima. –
Cloud sospirò per
l’ennesima volta in quella giornata e
scosse la testa.
- Quindi il completo era la cosa
più strana? – chiese
sogghignando.
Anna la fissò per qualche
istante quasi non avesse capito
ciò che l’amica aveva sottinteso.
- Com’è? -
- Che cosa? –
- Beh…essere
com’eri contro Rajal. -
Cloud alzò un sopracciglio.
- Intendo, quando ti sono spuntate le
ali e la coda. –
Ok adesso si
ragiona
in quanto al tema “ stranezze”. Altro che il
completo!
- Ah! Quando ho usato la dragon soul
col degenerato mentale?
-
Ad Anna si dipinse l’ombra
di un sorriso nell’udire
l’appellativo con cui Cloud si riferiva al basilisco.
- A dirla tutta era strano.
Cioè, la dragon soul l’ho usata
due sole volte prima di oggi ed è stato più di
due anni fa. Non ero più
abituata ad avere altri tre arti da controllare. Anche se è
bastato pochissimo
per riabituarmi. Il difficile era restare concentrata, avendo Draciel
che mi
parlava in testa.
Però è stato
bello. Era da anni che non sentivo tutta
quell’energia scorrermi in corpo. Comunque è
davvero figo se è questo che ti
interessa. Avere coda ed ali è davvero, davvero figo.
Naturalmente se sei in
grado di controllarle. –
Cloud sorrise ad Anna. – E
la prima volta che io ho usato la
dragon soul è stato un macello perchè…
-
- Il fatto che tu abbia distrutto la
statua in bronzo di
Karaman solamente perché giravi in tondo senza riuscire a
controllare la coda è
una storia per un’altra occasione. –
La voce del basilisco
riempì la piccola baita e gli occhi
delle tre ragazze al suo interno si volsero su di lui. Appena dietro di
lui
Mattia aveva le braccia ricolme di legna ed era affiancato da
Elisabetta,
finalmente ricomparsa e che pareva avesse dato loro una mano portando
un po’
del legname.
La legna tra la coda del basilisco
finì in parte nel camino
che si apprestò poi ad accendere nel mentre Mattia ed
Elisabetta poggiavano
quella restante in un angolo. Alice ora era ben sveglia ed aspettava
con ansia quel
momento.
Cloud avrebbe riso in qualsiasi altra
occasione se avessero
tirato in ballo il nome di Karaman ma sapeva che in quel momento
l’atmosfera
era cambiata.
Draciel era tornato. Era tempo di
spiegazioni.
- Ok direi che ora possiamo
cominciare. -
|
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Capitolo 17 *** Spiegazioni ***
Spiegazioni
- Ok direi che ora possiamo
cominciare. -
Draciel si spostò verso il
centro della stanza e si
accoccolò per stare più comodo. Sapeva che
sarebbe stato qualcosa di lungo.
Cloud ed Anna restarono sedute
dov’erano e vennero
affiancate dalle altre tre persone che mancavano all’appello.
- Sono certo che voi abbiate
innumerevoli domande da porre e
immagino sia difficile mettere un freno alle vostre lingue, ma vi prego
di
restare in silenzio ed ascoltare, perché sono certo che man
mano tutti i nodi verranno
al pettine. Ok? -
Quattro teste acconsentirono con un
cenno di capo.
- Immagino ora tocchi a
me… - cominciò Cloud. Draciel la
fissò serio qualche istante ma la ragazza non se ne accorse.
Cloud non aveva idea di cosa fare:
erano ore che anche lei
attendeva questo momento, ma adesso che si ritrovava a dover parlare un
nodo le
bloccava la gola. In realtà non aveva la più
pallida idea da dove cominciare.
Le persone nella stanza attendevano
in rigoroso silenzio; le
loro figure sedute sul pavimento della baita erano in parte illuminate
dalla
luce calda del fuoco alle loro spalle. Un ceppo cominciò a
bruciare più in
fretta emettendo continui crepitii ma nessuno parve rendersene conto.
- Allora… - la brunetta si
sentiva la bocca impastata e non
trovava le parole.
Sapeva che tutti pendevano dalle sue
labbra ora, ma davvero
non ci riusciva. Quasi senza accorgersi cominciò a rigiocare
col cellulare ai
suoi piedi.
Un giro a destra.
Un giro a sinistra.
Un giro a destra.
- Hai intenzione? – chiese
ad un tratto Alice.
Cloud si riscosse dallo stato di
semi-trance in cui era
caduta. Rimase a fissare ad occhi spalancati il pavimento su cui era
seduta.
E fu in quel momento che un pensiero
la colpì. Ma che
diavolo stava facendo? Che diavolo aveva fatto per tutto il giorno?
Cosa aveva
fatto negli scorsi cinque giorni?
No. Cosa aveva fatto negli ultimi due
anni?
Niente, proprio niente. Si era
lasciata fottutamente andare.
E forse, anzi senza forse, quello ci stava. Ma non voleva dire che
doveva far
pesare tutto ciò sulle spalle di qualcun’altro.
Se nelle ultime ore un po’
della spina dorsale che aveva
sempre avuto era ritornata a farsi sentire, quello era i momento per
utilizzarla.
- Si. – Non si
scusò per l’attesa. Non era giusto nei loro
confronti continuare a sentirsi dire solo scusa. Volevano la
verità. E lei
gliel’avrebbe data.
-
Se volete conoscere
la verità e volete avere risposte appaganti alle vostre
domande allora dovrò
cominciare dall’inizio. Parte di quello che vi
dirò sarà uguale a ciò che Rajal
vi ha già raccontato, ma resterete a sentire comunque. -
Cloud
O’Neill nasce il
25 giugno 1993 in una cittadina a venti chilometri da New York City.
Vive i suoi
primi tre
anni tranquillamente con i genitori Sarah e Jack O’Neill.
Questo fino ad una
notte d’agosto.
La famiglia
decide di
stare qualche giorno nella Grande Mela e quella è
l’ultima sera del loro breve
soggiorno. A causa del crollo della palazzina dove alloggiano, Sarah e
Jack
vengono separati dalla loro bambina e i soccorsi e le
autorità civili la danno
per morta. Cloud però è fortuitamente salvata.
Salvata da
un piccolo
mutante apprendista ninja.
Questa
creatura ha
disobbedito ad un ordine del maestro ed è salito in
superficie per dare
un’occhiata al livello strada.
Loro vivono
nelle
fogne, per loro è pericoloso salire in superficie. Ma questa
sua mancanza salva
la vita alla piccola Cloud. Leonardo, questo è il nome del
mutante, vede la
piccola nel giardino e la porta in salvo nel vicolo prima che la
valanga di
mattoni e detriti le crolli addosso. La piccola è svenuta ed
egli decide di
portarla al loro rifugio per avere consigli dal maestro su che fare.
Cloud si
sveglia in un
posto che non ha mai visto. Ciò che i suoi occhi vedono
oltre ad un ambiente
illuminato sono quattro piccoli esseri strani. Delle tartarughine alte
quanto
lei, con delle bandane colorate a coprire il muso che la fissano a
qualche
metro di distanza.
- Ehi si
è ripresa
sembra! – esclama la tartaruga con la bandana rossa. Cloud
è sorpresa: quelle
tartarughe parlano. Ma è solo la prima di tante
novità.
Nel
girò di qualche
minuto incontra il loro maestro, un topo mutante di nome Splinter,
scopre i
nomi delle tartarughe e che sono quattro apprendisti ninja.
La bambina
non può più
tornare dai genitori. Ha perso la memoria e tutto ciò che
ricorda è il suo
nome. A tre anni i ricordi non sono tanti e dei suoi genitori nella sua
mente è
sparita ogni traccia.
Cloud viene
quindi
adottata dalla sua nuova strana famiglia. Dopo due settimane qualcosa
scuote la
sua memoria. Un animale. Centra con suo padre, lo sa. Il serpente che
ha visto
in un prato. Era una gita. È tutto ciò che
ricorda. Ma quel serpente è
speciale. Draciel infatti è un drago che può
assumere la forma di questo enorme
serpente, il basilisco. Come lui spiega, appena Cloud sarà
grande abbastanza
diventerà il suo cavaliere del drago. E fino ad allora
Draciel si prenderà cura
di lei. Così passa il tempo, passano gli anni. Leonardo,
Donatello, Raphael,
Michelangelo e Cloud sono ninja a tutti gli effetti. Nei condotti
dell’acqua
potabile delle fogne si allenano e hanno una vita tranquilla.
Ai loro
quindici anni circa,
i problemi arrivano.
Incappano
nell’organizzazione
segreta dei Foot ninja, guerrieri guidati da Shredder. Egli
è un fantasma del
passato di Splinter e diviene il loro più acerrimo nemico.
Dopo molti scontri
all’interno di New York, finalmente la vittoria arriva per le
tartarughe ninja.
Sembra che
la vita
riprenda tranquilla ma non è così.
Il Ninja
Tribunal fa
il suo ingresso in scena. La più segreta e imponente
autorità guerriera della terra
in campo ninja arriva a loro. Le tartarughe e Cloud sono valutate come
i
guerrieri più forti sulla terra ed hanno l’onore
di allenarsi con il tribunale,
in Giappone. I quattro maestri ninja potenziano fino a livelli
inimmaginabili
ciascuno di loro facendogli apprendere l’arte
dell’energia interiore, la vera
forza di un guerriero.
Sgretolare
rocce,
montagne a mani nude è uno scherzo per Cloud e i suoi
fratelli. Lo stesso vale
per il correre a velocemente e potenziare le abilità ninja
che già hanno.
Vengono
donate loro
nuove armi, più potenti e in grado di resistere dove le loro
vecchie armi
avrebbero fallito.
Solo alla
fine del
loro allenamento lo scopo di ciò è rivelato.
L’essenza malvagia di Shredder,
che durante i loro scontri avevano scoperto essere una creatura aliena
in un
finto corpo robotico, si appresta ad attaccare nelle spoglie di un
antico
guerriero samurai il Nexus.
Cloud ha
avuto sempre
qualche riserva nell’utilizzare la nuova forza scoperta negli
allenamenti del
tribunal, non vuole rischiare uno sconvolgimento drastico nella vita
sua e dei
suoi fratelli ma capisce di non avere scelta.
Il Nexus
è per tutti
loro un posto caro: in quel luogo hanno combattuto nel
“Battle Nexus Tounament”,
hanno conosciuto popoli di altri pianeti e galassie e si sono fatti
nuovi
amici. Ci sono troppi ricordi per lasciare che il loro incubo peggiore
lo
distrugga. E in quel combattimento fuori da ogni loro possibile
concezione in
quanto potenza e distruzione, Cloud capisce di non dover odiare la sua
nuova
forza, perché se ciò che minaccia le cose a lei
care è di forze inimmaginabili,
allora anche la sua forza deve diventare tale.
Dalla fine
dello
scontro passano due mesi. Il Daimyo, capo supremo del Battle Nexus,
è riuscito
a ristabilire l’ordine nell’ Interduello e celebra
la vittoria con una grande
festa a cui partecipano guerrieri e civili da tutti i pianeti.
È
in questa occasione
che accade.
In questa
sera i
guerrieri diventano eroi.
In questa
sera le
tartarughe ninja di New York City diventano le Supernove.
In questa
sera
diventano le leggende.
Michelangelo
propone
l’idea a Cloud una sera, mentre stanno chiacchierando prima
di coricarsi.
Un’idea a primo impatto sciocca ma Cloud capisce da cosa
è mossa. Michelangelo
ha sempre avuto la fissa del supereroe e loro adesso per
l’intero multiuniverse
lo so.
Far
diventare il
Battle Nexus la loro base operativa quindi, non sembra una cattiva idea
alla
ninja.
Dopo aver
discusso
l’idea della tartaruga dalla bandana arancio, la proposta
approvata viene
esposta al Daimyo che di buon grado accetta.
Nel giro di
qualche
settimana il Nexus si anima. Dove prima vi erano locande aperte, negozi
e
bancarelle solo nei brevi giorni del torneo, ora vi sono negozi,
bancarelle e
locande stabili e una vera città si stanzia
nell’Interduello.
Al palazzo
del Daimyo
si crea la sezione missioni, dove vengono recapitate le richieste di
aiuto e
soccorso dei vari pianeti e il Battle Nexus, semplicemente ribattezzato
Nexus,
diventa il centro della nuova vita sociale e operativa del
multiuniverse.
Le Supernove
accrescono di fama e sono gli eroi del popolo.
Per Cloud,
questa
nuova vita comincia all’insegna dei suoi sedici anni.
Un anno
circa di
missioni, combattimenti, allenamenti.
Poi
Blackhole si
presenta. Colui che ucciderà le Supernove e le
farà soccombere sotto la potenza
del buco nero. Una battaglia che porta in gioco gli eserciti del Nexus
e di
milizie alleate, tutte a combattere un pazzo ed un esercito di demoni.
Cloud,
Leonardo,
Raphael, Donatello, Michelangelo e Draciel sono in prima linea.
Combattono i
demoni e Blackhole cercando di sopraffarlo. Ma il nemico è
forte, forse troppo
forte.
Sembrano
reggere fino
a quando, durante il terzo giorno si dividono il comando dei vari
battaglioni
dell’esercito, per avere un miglior controllo del campo di
battaglia.
In quel
giorno accade.
Da
lì in poi, solo
l’inferno.
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Capitolo 18 *** Donatello ***
Donatello
La luce arancione filtrava tra i rami
della foresta creando
strane ombre al suolo; era una notte limpida, non una nuvola in cielo e
la luna
era visibile in tutto il suo splendore su PZ-7. Il particolare colore
arancio
la rendeva inusuale, strana, meno tenebrosa, addirittura più
calorosa ma era
comunque il monito più lampante che portava qualsiasi anima
viva a rimembrare
di non trovarsi sulla Terra.
In quel momento le uniche creature
che potevano sentire la
mancanza di quest’ultima però, erano troppo
impegnate nel restare all’ascolto
di una delle storie più inverosimili che le loro orecchie
avessero mai udito.
Draciel volse un occhio alla grande
sfera aranciata in cielo
per la prima volta proprio nel momento in cui Cloud smise di
raccontare. La storia
non era giunta alla fine; anzi, si poteva sostenere che la parte
fondamentale
dovesse ancora arrivare ma l’ex ninja aveva bisogno di
qualche secondo prima di
riuscire a continuare la narrazione.
Il basilisco si accoccolò
meglio su se stesso. Nelle due ore
precedenti la scena attorno a lui era un po’ mutata: ora Anna
si era lasciata
cadere distesa su di un fianco ed Elisabetta si era sistemata
più comodamente
sulla sua stuoia. La lieve pressione che sentiva sul fianco significava
che
Mattia era ancora appoggiato leggermente a lui.
Anche Alice si era rilassata. La posa
rigida che aveva
assunto all’inizio aveva lasciato posto ad un fisico
più disteso, questo anche
a causa della fatica e dello sfinimento della giornata trascorsa;
l’espressione
era restata comunque seria lungo tutta la narrazione se non in alcuni
sprazzi
in cui al basilisco era parso di vedere l’ombra di un sorriso
sulle labbra
della rossa mentre Cloud raccontava del bei momenti con la sua famiglia.
Quest’ultima era ora
intenta a riordinare le idee: anche se
faticava ad ammetterlo pure a se stessa, non aveva mai constatato
quanta
confusione ci fosse nella sua testa per ciò che riguardava Quel
giorno.
Vi aveva ripensato parecchie volte, soprattutto negli ultimi giorni, ma
non si
era resa conto di come le informazioni fossero davvero, ed era il caso
di
dirlo, un fottutissimo casino.
- Ok ehm… -
cominciò la ragazza. – Datemi un secondo che
riordino le idee e poi riparto. – Per poi grattarsi il capo
come alle prese con
un attacco di pidocchi.
- You need a hand. -
- No need to, Dras. Give me a minute big guy and I’ll
figure out myself what to say. -
-
You sooo need a hand.* –
Ma
prima che Cloud potesse
replicare per togliere il ghigno di vittoria che si era formato sul
muso del
basilisco, Elisabetta si intromise nella discussione. -
Aspetta un
attimo! Hai detto che quando ti sei svegliata nella tana delle
tartarughe, a
tre anni, avevi perso la memoria no? – Elisabetta si sporse
in avanti quasi ad
enfatizzare la sua curiosità.
- Sì l’ho detto.
–
- E allora come diavolo fai a sapere
chi sono i tuoi
genitori? Non hai mai voluto fare ricerche in proposito da quanto ho
capito. –
Uno spettro parve apparire sul volto
della ragazza. – E’
stato in un sopralluogo in un pianeta. In quel periodo Jack lavorava a
capo di
una squadra di esplorazione. Degli archeologi avevano scoperto un
portale che
permetteva di avere accesso ad alcuni mondi ed era nato un progetto
segreto
all’interno dell’esercito americano. –
disse la ragazza. Una lacrima le scese
lungo la guancia ma subito la asciugò cominciando a
strofinare l’occhio.
- Uno dei pianeti che eravamo appena
riusciti a collegare al
Nexus a quanto pare aveva un portale come quello americano e in pratica
la
nostra squadra e la sua si sono ritrovate su quel pianeta.
L’assurdo sta nel fatto che
dopo sei mesi che ci eravamo
ritrovati mio padre è stato ucciso in missione. –
Per la seconda volta, dopo
l’inizio dell’intera narrazione,
scese il silenzio nella baita. Questa volta non durò molto
perché fu proprio
Cloud ad interromperlo.
- Niente musi lunghi. Ho promesso a
Jack che non avrei mai
avuto una faccia triste pensando a lui e così voglio
continuare a fare. -
- Ma se ti sei messa a piangere
proprio adesso! – esclamò
Mattia. – Sei contraddittoria forte. –
- Eh? Macchè
piangere… - disse Cloud mentre nuovamente si
ritrovava ad asciugare l’occhio sinistro lacrimante.
- Ehm…stavi dicendo?
– schernì di rimando il moro.
Anna si mise nuovamente a sedere e
poggiò una mano sulla
spalla dell’amica, pronta a consolarla. Cloud però
la fissò acida con l’occhio
lacrimante mentre era intenta ad asciugare l’occhio, il
destro questa volta.
- Avete. Intenzione. Di. Finirla?
–
- Wow Cloud easy there! Capita a
tutti di piangere. –
- Non anche tu Draciel! Cristo santo!
– La bruna scattò in
piedi incurante dei muscoli indolenziti e lesionati. – Non
sto piangendo!! Sono
le lenti! Shell!*
- Le cosa? - chiese Draciel.
- Lentiii! Lenti a contatto Dras! Mi
stanno facendo un male
cane! - Cloud ormai cercava in tutti i modi di togliere quegli aggeggi
infernali
dagli occhi con le dita, con scarso successo. - Ci sono. Ci sono quasi!
-
Draciel si coprì il muso
con la coda schifato dalla scena. -
E' la cosa più disgustosa che io abbia mai visto! -
E così l'aria di
serietà che era scesa nelle ultime ore era
bella che andata.
- Su su Draciel non fare la
mammoletta! - disse Anna rivolta
al basilisco. - Cloud, serve una man.. -
- Fattoooooooo!!!! -
- Ok come non detto. -
sentenziò la giovane brunetta
tornando nella sua comoda posizione sul pavimento (N.A: no l'autrice non è
ironica, sì Anna è comoda distesa sul
pavimento. Sì ANNA TU SEI COMODA DISTESA SUL PAVIMENTO!).
- Certo che queste bellezze hanno
scelto il momento
sbagliato per creare rogne. - soggiunse Cloud mentre si apprestava a
togliere
anche l'altra lente. - Ahh! Deve essere entrata polvere, che schifo! -
Elisabetta storse il naso. - Polvere
nelle lenti a contatto?
Cloud levale va a finire che ti entra nell'occhio, poi ti si infila nei
capillari e diventi cieca! -
- Si e poi muore. - Alice
lanciò un'occhiataccia all'amica
incrociando le braccia al petto. Cloud la fissò sbieca con
l'occhio sano. -
Grazie del supporto morale. -
- Non c'è di che. -
rispose fredda la rossa.
L'ex ninja riconcentrò la
sua attenzione sulla lente
mancante. Faceva male e per almeno quindici secondi non aveva voglia di
avere a
che fare con una poco collaborativa Alice. - E di poco collaborativa
non c'è
solo lei. - mugugnò tra i denti. Con una mano steccata
andava decisamente male
a togliere la lente ed aveva il forte dubbio che se non l'avesse tolta
nel giro
di poco, la scena sarebbe diventata parecchio ridicola, per non dire
imbarazzante.
Era così concentrata che
non si accorse dell'arrivo di una
sberla sulla mano se non nell'esatto momento in cui quest'ultima la
colpì. Con
il risultato di riuscire solamente a farle infilare un dito in un
occhio.
- Fuck! -
Cloud non fece in tempo a infierire
contro chiunque l'avesse
attaccata che Alice era già intenta a trafficare col suo
occhio.
- Sta ferma che se aspetto te, per il
resto delle spiegazioni
mi ci vuole un secolo di attesa. - La bruna dovette ricacciare in gola
un
centinaio di vari insulti prima di sbuffare e concentrarsi nel tenere
l'occhio
aperto per permettere ad Alice di “lavorare”.
Il resto della cricca non
poté far altro che attendere che
la piccola operazione chirurgica andasse a buon fine anche se, dagli
sguardi
che le due ragazze si lanciavano, buon fine sembrava
impossibilitato ad
entrare nell'atmosfera del momento.
Alice finalmente tolse alche la
seconda lente dagli occhi di
Cloud e dopo avergliela molto sgraziatamente lanciata sul palmo sano,
se ne
tornò al suo posto dall'altra parte della baita.
Cloud dal canto suo si
strofinò l'occhio per pulirlo alla
bene e meglio.
- Riflettendoci. - disse Draciel,
finalmente rinsavito dopo
il suo “Cloud è la cosa più
disgustosa blah blah blah.”. - A cosa ti
servivano quelle cose? -
- Quelle COSE, servono per vedere
bene. Vedi male uguale
occhiali. Non vuoi gli occhiali uguale sostituti. Sostituti uguale
lenti a
contatto. - Draciel alzò un sopracciglio perplesso mentre
cercava di seguire
quel (davveeeero
v.v) elementare
discorso.
Cloud alzò gli occhi al
cielo.
- Senti. Il sigillo del Ninja
Tribunal mi ha pure levato
vista. Se io riuscissi a vedere la tua squama scheggiata sotto la
giuntura del
muso non avrei bisogno delle lenti! -
Draciel la fissò sorpreso.
Cloud si immobilizzò subito dopo
e fissò il basilisco altrettanto sorpresa.
- Perché vedo la tua
squama scheggiata? -
Fu allora che a Draciel si accese la
lampadina (ping!
XD) e cominciò a collegare i pezzi.
Cloud dal canto suo fissava la lente
nella sua mano e la
punzecchiava.
- Non è sporca. -
Improvvisamente alzò il
viso verso il serpente gigante. -
Draciel non era polvere la polvere! La lente era la polvere!
Cioè. Non era
nemmeno polvere! -
Mentre parlava si era alzata era era
andata a pararsi
davanti al basilisco ed aveva cominciato a saltellare, per quanto i
dolori e le
lesioni le permettessero di fare.
- Non ho capito un cazzzoooooo. -
ammise sorridendo come un
idiota Draciel.
- Ci vedo bene perché la
vista si è normalizzata! Non ho più
il sigillo e quindi sto tornando un po'
ai parametri normali! Prima vedevo strano per colpa della
lente che non
andava più bene con l'occhio ormai a posto! Mi segui? -
esclamò allegra l'ex
ninja.
Trascorsero parecchi istanti di
silenzio fino a quando
sull'enorme muso del basilisco non si stampò un secondo
sorriso ebete. - Ahhhh!
Ma questo l'avevo capito anche io! -. Normalmente Cloud l'avrebbe
riempito di
botte, ma in quel momento era troppo felice anche per fare quello e
semplicemente cominciò a danzare con la coda di Draciel per
la stanza.
Elisabetta si sporse verso Mattia. -
Sono solo io, o stanno
facendo l'apocalisse per un nonnulla? -
- Non me ne parlare. - disse il
ragazzo in tono piatto. Elisabetta,
felice di non essere l'unica a pensarla in quel modo, tornò
a fissare la scena
rilassandosi sulla stuoia.
Cloud stoppò brutalmente
la sua danza della felicità con
Draciel per guardarli sbieca.
- Tornare a vederci bene: Non. E'.
Un. Nonnulla. - sbottò
gonfiando le guance.
Il resto della cricca non
poté fare altro che ridere
all'espressione della ragazza; quest'ultima dopo qualche attimo si
aggiunse al
coro di risa, finalmente libera di concedersi un attimo di normale pace.
- Mhh. -
Cloud si immobilizzò
seduta stante. Mentre gli altri
continuavano a ridere lei riuscì solamente a fissare la sua
desta. Donatello
era sempre disteso incosciente sulla stuoia.
Cloud abbassò lo sguardo:
si era sbagliata. Eppure era
convinta di aver sentito qualcosa.
Mattia si accorse che la bruna aveva
smesso di ridere ed era
concentrata a fissare la strana tartaruga mutante a terra.
- Ehi Cloud. - Anche il resto dei
presenti smise di ridere,
si erano accorti che qualcosa non andava. - E' tutto ok? -
Senza nemmeno guardare nella loro
direzione Cloud, seppure
incerta, annuì.
- Mhh. -
Cinque teste si volsero a destra:
adesso Cloud era sicura di
non aver sentito male.
La tartaruga strizzò un
po' gli occhi prima di aprirli per
la prima volta. Oltre la maschera era impossibile vedere le iridi che
erano al
momento semplicemente bianche, ma il ninja era palesemente sveglio.
- Donatello. -
Era uscito quasi come un sussurro ma
il diretto interessato
l'aveva per certo udito in quanto volse lo sguardo verso la fonte del
rumore.
Lentamente la tartaruga
inclinò il viso a lato. Appena mise
a fuoco la figura a qualche metro da lui, gli occhi si spalancarono.
Non poteva
essere vero.
- Cloud? -
*
Hai bisogno di una
mano.
Non ce n’è bisogno
Draciel. Dammi un minuto ragazzone e cerco di capire da sola cosa
è meglio
dire.
Hai taaaanto
bisogno di una mano.
* Le tartarughe in inglese
sostituiscono la classica
esclamazione “Hell”con “Shell”
che significa guscio ;) fine della lezione!
{nota autrice: Ehhhhh che dire...ci
ho messo un secolo ma
finalmente ecco qui il nuovo capitolo! Grazie a tutti coloro che
leggono perché
siete davvero tanti e mi spronate tutti a continuare Nexus! ♥ un bacio grande!!
ah già ;) Perdonate i
piccoli schizzi tra parentesi lungo il
capitolo..non so oggi che mi è preso ma avevo il tic dei
commenti fuori campo!!
|
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Capitolo 19 *** The bond of brotherhood ***
The
bond of brotherhood
Dire che la testa era
l'unica parte
che doleva era praticamente una blasfemia. Poteva giurare di sentire
Raphael
imprecare nel suo linguaggio molto colorito ogni sorta di insulto,
imprecazione
o altro contro chiunque avesse osato ridurlo con dolori del genere se
si fosse
ritrovato al posto suo. Il tutto coronato dal classico “Let's
kick some
shell!*”
prima di lanciarsi
nella ancor più classica rissa pestando e riempiendo di
lividi e occhi neri
chiunque passasse sotto le grinfie della sua ira.
No. Decisamente la
testa non era
l'unica parte che doleva.
Forse era
più facile elencare ciò
che non faceva male a quel punto: in una parola? Niente. Sentiva i
muscoli
urlare di dolore pur essendo fermo, le costole crepitare sotto il
piastrone del
guscio ad ogni respiro e non voleva pensare al resto.
- Mhh.-
Emise un flebile
mugugno appena
cercò di fare un respiro normale ma rinunciò
subito sentendo dolore.
Udiva un lieve brusio
in lontananza
ma non era abbastanza cosciente per capire se era un rumore vero o era
semplicemente la sua testa troppo scombussolata.
Anche se, dolori a
parte, doveva
ammettere di sentirsi meglio. O almeno meglio dell'ultima volta in cui
aveva
avuto abbastanza coscienza di se per capire il suo stato fisico. E
quant'era passato
dall'ultima volta? Non ne aveva idea. Il periodo in cui contava i
giorni della
sua cattività erano finiti presto come erano iniziati e col
passare del tempo
erano aumentati anche i momenti di incoscienza rispetto ad una anche
debole
lucidità di mente.
Quella
perciò era la prima volta
dopo inclassificabile tempo che sentiva qualcosa in più
oltre al semplice
dolore.
Quasi in risposta ad
una sua muta
preghiera, gli occhi si aprirono lentamente rivelandogli un ambiente
leggermente illuminato. La cella gli appariva sfuocata e decisamente
diversa da
come la ricordava. Solitamente era tutto buio, umido, sporco,
avvilente. Invece
in quel momento quel poco di visibilità che i suoi occhi
stanchi gli
permettevano di avere gli dava la sensazione di calore. Sapeva di casa.
Con la coda di un
occhio vide del
bianco sul suo piastrone.
La
sensazione di prima...bende?
Chi diamine curerebbe il suo prigioniero dopo mesi di continue torture
nei
quali tagliuzzarlo e ferirlo non è mai sembrato un problema?
Una nuova fitta di
dolore lo invase
e non riuscì a reprimere un secondo mugugno che
passò a pelo sulle labbra.
- Donatello. -
La voce gli
arrivò chiara. Era
diversa dalle voci che era abituato a sentire, che era stato abituato a
sentire
nella sua lunga prigionia. Questa voce era dolce. Era calma, forse un
po'
titubante sotto sotto e per l'ennesima volta era qualcosa che gli dava
la
sensazione di casa.
Volse lo sguardo a
sinistra, verso
la fonte del suono, ma non riuscì a vedere niente. Con un
grande sforzo allora
cominciò a volgere l'intero capo, fino ad iniziare a mettere
a fuoco un ammasso
di figure davanti a se.
Quella più
vicina, quella che
ovviamente aveva parlato però, catturò subito la
sua attenzione.
Due occhi, grandi e
di color
smeraldo acceso che lo fissavano e riflettevano il suo sguardo misto di
paura e
confusione.
Questo solo per un
istante, perché
subito quelli di Donatello cominciarono ad ingrandirsi fino al limite,
le iridi
nocciola dietro la maschera che dardeggiavano avanti e indietro sulla
ragazza
di fronte a lui.
Non poteva. Non
doveva.
Era l'ennesima
trovata per farlo
parlare, un colpo basso che avrebbe dovuto farlo cedere, lì
dove tortura e
agonia non avevano avuto successo.
Ma era
così reale. Sentiva quello
sguardo addosso, lo sentiva sulla pelle e su ogni lembo del suo corpo.
Con una voce che non
pensava più di
possedere finalmente decise di proferire le parole che ormai stavano
facendosi
strada in gola.
- Cloud? -
Vide la ragazza
sgranare
leggermente gli occhi, se ciò le era ancora possibile, e in
quel momento la sua
mente geniale cominciò dopo tanto a ri-funzionare.
Seppur ancora sotto
shock, cominciò
a guardare sul serio chi aveva davanti. Erano simili, quello era
lampante, ma
quella non era sua sorella. Non poteva essere sua sorella. I capelli
castano
chiaro, contrariamente a sua sorella, erano lisci e piatti. Cadevano
sul volto
però, con un taglio corto se non ad eccezione fatta per una
lunga ciocca che
nascondeva l'orecchio sinistro e arrivava fino al petto.
Esattamente
come Cloud.
Il viso era un po'
più in carne
però i tratti erano molto simili e la corporatura era la
stessa.
Gli occhi. Quelli
erano ciò che lo
attiravano di più. Se c'era una particolarità in
sua sorella erano per certo
gli occhi, di un colore così acceso da non sembrare nemmeno
naturale, così
particolari da non poter essere confusi. E quella ragazza li aveva.
Shell! Are
you working for help
me understand that THAT girl is not my sister or what?! What a shell of
a
brain!*
Ok. La ragazza che
aveva di fronte
era, quindi, a tutti gli effetti Cloud. E da bravo genio qual'era ci
vollero
meno di due nanosecondi per collegare l'informazione.
La ragazza di fronte
a lui era
Cloud.
Cloud.
Non si rese nemmeno
conto di
mandare al diavolo le ferite e l'intero corpo malmesso alzandosi a
sedere, non si
rese conto di aprire le braccia. Non se ne rese conto fino a quando la
brunetta
di fronte a lui, completamente incurante della sua condizione fisica,
si tuffò
nel suo abbraccio cominciando a piangere come una bambina.
Poteva essere anche
la tartaruga più
intelligente, poteva aver già collegato tutto nel suo
cervello, ma solo quando
strinse la sorella minore tra le sue muscolose braccia finalmente
riuscì a
capire cosa aveva davanti.
Non una cella.
Non nuovi inganni.
E in quel momento ne
erano certi
entrambi.
Erano a casa.
–—
Cloud non credeva di
avere ancora
lacrime da versare. Eppure in quel momento era lì, avvolta
nell'abbraccio di
Donatello, facendone scorrere fiumi. Sentiva le calde lacrime scenderle
lungo
le guance senza sosta, una dopo l'altra.
Solitamente sarebbe
morta dalla
vergogna, piangere così come stava facendo ma per questa
volta avrebbe lasciato
correre.
Il maestro Splinter
aveva sempre
cercato di far capire a lei e a Raphael, il più orgoglioso
tra le quattro
tartarughe, che le lacrime non avevano nulla di sbagliato nello
sgorgare quando
si provava dolore. Erano una cura: forse non il ricordo, ma
alleggerivano il
dolore, qualsiasi fosse il problema.
E Cloud si rendeva
conto che stava
avvenendo proprio quello. Due anni di vuoto. Due anni che per certo non
rimpiangeva perché le avevano permesso di conoscere tante
persone nuove, i suoi
amici ma che comunque restavano perennemente impregnati dalla
devastante
sensazione di essere stata abbandonata, di essere sola.
Ma ciò che
provava in quel momento
era ben distante dallo sconforto. Il dolore stava lentamente svanendo,
nel
calore di un abbraccio che non avrebbe più creduto possibile.
- Donnie, Donnie,
Donnie, Donnie,
Donnie... -
Senza nemmeno
accorgersi, cominciò
a mormorare il nome della tartaruga dalla bandana viola sempre di
più, prima
come un sussurro, poi come una preghiera. Quasi a sperare che quella
fosse
finalmente la tanto attesa realtà.
Una mano le si
posò sulla schiena
muovendosi facendo dei piccoli cerchi. I singhiozzi ininterrotti
cominciarono a
diminuire ed il tremore andava via via diminuendo.
Cloud non aveva il
coraggio di
alzare la testa. Restava lì, con il volto accoccolato
nell'incavo del collo di
Donatello aspettando di essere pronta.
Aveva tenuto gli
occhi chiusi
mentre si crogiolava nel calore del fratello ma qualcosa la spinse ad
aprili.
La mano del ninja viola era ancora appoggiata alla sua schiena e Cloud
poteva
sentire chiaramente che tremava.
Le scappò
un sorriso. Non era
l'unica ad avere paura. Chiudendo gli occhi un'ultima volta, fece un
respiro
profondo ed uscì dal suo rifugio.
- You look wonderful.
-
- Ahah listen to the
funny mutant.
Talk the one full of bendages, mask ruined and with more bruises than
after a
fight with a bunch of Foot ninja.*
-
Mentre rispondeva
sarcastica al
commento di Donatello, Cloud faceva vagare lo sguardo su ogni
millimetro della
sua figura. Era pieno di graffi e lividi violacei ma in lui non c'era
niente di
diverso rispetto a due anni prima.
Il volto leggermente
ovale, zigomi
pronunciati, braccia e gambe muscolose grazie ad anni ed anni di
continui
allenamenti che non risentivano delle moltissime ore che il genio
passava
davanti uno schermo di un computer o semplicemente ad aggiustare e
costruire
gli oggetti più improbabili.
Il piastrone,
apparentemente
perfetto, ma che in controluce o semplicemente passandoci una mano
sopra si
riempiva di tante e lievi scheggiature. Il guscio, di quel colore
grigio verde,
che ricopriva l'intera schiena. Le mani poi, così strane ma
per lei così
normali, con sole tre dita ed i piedi con due.
Dove solitamente la
cintura di
cuoio era annodata ora vi era una delle tante bende che ricoprivano le
ferite
più profonde ed in alcuni punti Cloud riusciva a notare il
formarsi di dei
piccoli aloni scuri, segno che Donatello non era guarito dalle lesioni
più
recenti.
Il bianco del
bendaggio poi, faceva
risaltare ancora di più la carnagione verde oliva.
Finalmente gli occhi
di Cloud
tornarono a posarsi su quelli del fratello, le iridi bianche ancora
intente ad
osservare la sua, di condizione.
Resosi conto di
essere osservato il
suo sguardo si sollevò incatenandosi al suo.
Nessuno dei due
pareva intenzionato
a parlare. In realtà non ve ne era nemmeno bisogno. Erano
lì, entrambi e
bastava.
- Eh ehm! -
I due fratelli
volsero lo sguardo
verso il resto degli occupanti della baita, ricordandosi di non essere
soli.
Donatello si
trovò ad essere
oggetto degli sguardi anomali di quattro umani che non aveva mai visto
prima.
- Friends of yours? -
Cloud
annuendo si alzò per fare le presentazioni.
Draciel dal canto suo
li fissava
con un leggero ghigno in faccia.
Cloud e la tartaruga
si scambiarono
un'occhiata fugace. Donatello non cominciò nemmeno a porsi
il quesito sul
perché il basilisco fosse lì in quel momento;
conoscevano quella faccia ed avevano
entrambi la brutta sensazione di sapere cosa sarebbe avvenuto di
lì a...
Prima ancora che
riuscissero a
finire di formulare il pensiero il basilisco, con uno scatto degno di
un podio
olimpionico, era già piombato su di loro con tutto il suo
dolce peso.
- Donatellooooooo! -
- Eh-ehi Dras! Long
time not see
you big boy. - disse Donatello con voce strozzata, affaticato dal dover
sorreggere l'intero peso del serpente.
- Ok. - Cloud si
intromise nel
piccolo ricongiungimento tra rettili. - Now tell me. Why in this shell
of a
world am i always on the bottom!!*
-
Nella baita
partì un secondo
attacco di risa.
- Bene. Qualcuno ora
avrebbe la
gentile creanza di tradurre il tutto? - disse ad un tratto Mattia
sarcastico. -
No perché io credo di aver afferrato meno di un decimo di
ciò che avete detto.
-
Prima che l'ex ninja
potesse
cominciare il resoconto, Anna sbuffò.
- Dannazione a Google
Translator.
Quando serve davvero non c'è mai. -
*Prendiamo a calci
qualche guscio!
*Shell! Stai
lavorando per aiutarmi
a capire che quella ragazza non è mia sorella o cosa?!
Diavolo d'un cervello!
*Sei una favola
Ahah ha parlato il
mutante
divertente. Parla quello pieno di bende, con la bandana rovinata e
più lividi
che dopo un combattimento con un gruppo di Foot ninja.
*Donatellooooooo!
Eh-ehi Dras! Tanto
tempo che non ci
si vede ragazzone.
Ok. […]
Adesso ditemi. Perché in
questo diavolo di mondo sono sempre io sul fondo?
|
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Capitolo 20 *** You forgot What?!...and you left it Where??!! ***
You forgot What?!...and you left it Where??!!
- The bottom. The bottom. Why
the bottom!*
-
Dopo
un fortissimo facepalm che
mostrava ancora i segni delle cinque dita Cloud aveva cercato di
mantenere un
atteggiamento calmo durante l’intero processo di scioglimento
della piramide
umana formata da lei, la tartaruga ed il basilisco, cercando di non far
saltare
i nervi e limitandosi a lamentarsi a bassa voce.
- Dude, was it really necessary
to slap your
hand in your face? – chiese Draciel mentre entrambi davano
una mano a Donatello
a distendersi sulla stuoia. – Your face is still red!*
-
La
ragazza fece finta di non
sentire continuando a sorreggere il fratello, un’impresa non
completamente
facile visto il peso di Donatello ed il suo polso rotto.
Donatello
fece una smorfia di
dolore quando si distese sul guscio ferito.
- You’re ok Don? -
- Yeah. Just a little pain in the
shell. –
La
mano dell’ex ninja rimase
ferma a mezz’aria tra terra e la spalla di Donatello, dove
stava per posarsi. Pain
in the shell. Quante volte lei ed i suoi fratelli avevano
usato
quell’espressione per riferirsi scherzosamente a
Michelangelo: una spina nel
fianco. Ora però, quella frase aveva assunto un nuovo
significato, non una
presa in giro. Era vero dolore.
Donatello
era ferito, ed abbastanza
gravemente. Aveva rischiato di perderlo di nuovo.
Dopo
averli persi tutti una
volta.
Mattia si era fermato qualche metro prima. Il suo
sguardo era fisso su
di una pergamena appesa al muro. – Credo di aver trovato
quella Cloud O’Neill
di cui parlava il tizio prima. Anche se vederla scritta qui non mi
sembra
prometta bene. Le altre nel suo stesso gruppo hanno già una
barra.
- Secondo te perché il gruppo
è denominato Supernov…Claudia? –
Una
presa salda sulla mano la
riscosse. Donatello aveva afferrato l’arto a
mezz’aria e la fissava.
- I’m here Cloud. I
am fine. And… –. Un sospiro
ruppe la frase. - …and they are ok. I know that they are
alive.* -
Seppur
affaticata, la voce di
Donatello esprimeva sicurezza. Cloud rimase qualche istante a soppesare
le
parole del fratello. Fece vagare lo sguardo dalla tartaruga distesa, al
basilisco.
-
The guys….are alive? –
-
Yes. –
Elisabetta
in quel momento era la
più vicina e fu lei a sorreggere Cloud quando alla ragazza
cedettero le gambe.
-
Wow. Hai già abbastanza danni
non aggiungerne! –
- Ye-yeah…sorry.
– rispose assente Cloud. Non
si era nemmeno resa conto di aver risposto in inglese
all’amica.
-
Alive. Alive. –
Era
l’unica cosa che riusciva a
dire. Gli occhi smeraldo erano assenti, quasi vedessero oltre le figure
e le
pareti davanti a lei.
Michelangelo
che rincorreva Klunk
per l’intero rifugio per cercare di fargli un bagno decente,
Leonardo che per l’ennesima
volta si allenava per perfezionare il suo già perfetto kata,
Donatello col capo
chino su una delle sue nuove invenzioni e Raphael che russava a bocca
spalancata sul divano con un rivolo di bava che colava sul piastrone.
Le corse
sui tetti di New York, le scazzottate nel giardino della casa di
campagna che era
appartenuta alla nonna di Casey.
Il
maestro Spinter che cercava di
far loro capire che non potevano uscire alla luce del giorno come e
quando
volevano.
Loro
cinque che tiravano per la
coda un Draciel incastrato per tutta la lunghezza del muso in una
parete
rocciosa cercando invano di liberarlo. Loro cinque distesi a terra dopo
uno
sfiancante allenamento, con dei sorrisi in volto.
Tutto
quello esisteva ancora.
Il
volto, nel giro di qualche
minuto cambiò espressione.
-
They are alive. We are all
alive. – Lo sguardo di Cloud era lo specchio della gioia.
– Me, Don, Leo, Raph,
Mikey. All alive! –
Accoccolato
di fianco a
Donatello, il basilisco rispose alla ragazza con un gigantesco ghigno.
-
Of couse you are! You’re the
Supernovas after all! - Donatello
alzò
gli occhi al cielo sorridendo.
Cloud
fissò Draciel. Dopo qualche
istante la sua espressione si addolcì.
-
We are the Supernovas. -
Perché
le Supernove prima di
essere dei guerrieri, erano una famiglia. La sua famiglia.
Dal
suo posto sulla stuoia
Donatello fissava la sorella, sorridente e radiosa come non
l’aveva mai vista.
Dopo qualche istante chiuse gli occhi, la stanchezza cominciava a farsi
sentire
di nuovo.
E
ora poteva concedersi un
ulteriore meritato riposo. Dopotutto gli amici di Cloud sembravano ok,
sua sorella
era emotivamente stabile ed in ogni caso Draciel era li con loro.
Mentre
cedeva alle braccia di
morfeo una domanda lo fece riscuotere leggermente.
- By the way sis. Where did you
put my bo
staff?-
Il
volto dell’ex ninja e del
basilisco sbiancarono nel giro di un attimo. Cloud fissò
scioccata Draciel
prima di volgersi verso il fratello con movimenti lenti, quasi
robotici.
- Th-the bo staff
was…there with you?*
–
Non
ci volle molto per fare due
più due.
L’espressione
di Donatello, che nel
giro di qualche istante era
passata da tranquilla a terribilmente omicida, non
lasciava spazio ad
altri pensieri.
Quella
si prospettava una lunga nottata.
-
You. Forgot.
…What?!...and. You. Left. It. ….Where??!! *-
Luuuuunga,
terribilmente luuuunga.
*
Il
fondo. Il fondo. Perché sempre
il fondo.
*
Era
necessario che ti spiattellassi
la mano in faccia? […] La faccia è ancora rossa!
*
Sono
qui Cloud. Sto bene. E … e
loro pure. So che sono vivi.
* A proposito sis. Dove hai messo il
mio bastone bo?
I-il bo era…li con te?
* Avete.
Dimenticato….Cosa?!..e. L’avete.
Lasciata…...Dove??!!
Lo
so lo so! Sono in terribile, assurdissimamente terribile ritardo! v.v
disgrazia
su di me.
No
seriamente, mi dispiace un sacco per tutte voi povere anime che avete
ancora
voglia di leggere questa bellissima obbrobriosa fic
senza cominciare a
fare “zzzzz” dopo le prime tre
righe…..ok dopo la prima riga e mezza. Ho i
tempi di pubblicazione che sono peggio di una crisi di mezza
età! E me ne
dispiaccio terribilmente! Ma io dico, sono a metà di questo
capitolo ed ho il
blocco dello scrittore (sia maledetto colui che l’ha
inventato IL BLOCCO DELLO
SCRITTORE), riprendo a scrivere e cosa scrivo? L’epilogo
della storia??
Diciamocelo mancheranno come minimo venti capitoli…..e io
scrivo l’epilogo?
Claudia reffati per piacere.
Beh
ora eccolo qui. Sperando non sia uno schifezza totale; è
addirittura il
capitolo più corto della storia…ed io ho
impiegato un secolo a scriverlo…..pace
anima meaaaaaaa :3
Un
grazie di cuore per la paziente (lo so, siete
tutti alla mia porta con le mazze chiodate in mano) attesa, un bacio a
chi
recensisce, un cuore a chi legge ed un cuoricione abbracciatutti a chi
ha messo
la storia
tra le preferite, seguite e ricordate. ♥
Claudia
|
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Capitolo 21 *** Falling inside the Black ***
Falling
inside the Black
- Te lo chiedo di nuovo. Dove si trova? –
Il perno penetrò più profondo
nel meccanismo
tendendo i cavi d’acciaio, i tiranti alle loro
estremità fatti ulteriormente
dilatare.
Un leggero rumore di ossa incrinate
seguì,
le dita della mano ormai al limite di sopportazione; se il perno fosse
stato
fatto scendere ancora una volta avrebbe potuto di addio alla sua mano.
Il dolore era lancinante, le morse dei
tiranti completamente conficcate nella carne: anche un piccolo
movimento le
faceva entrare in contatto con l’osso della falange.
Quasi gli avessero letto nel pensiero,
percepì un movimento al suo fianco e subito una forte presa
fece pressione sul
tirante del dito centrale. Dovette mordersi il labbro inferiore per non
urlare
quando il metallo acuminato venne fatto sfregare contro
l’osso. Era sul punto
di cedere all’incoscienza ma non avrebbe dato a Black Hole la
soddisfazione di
quello e nemmeno di un singolo rantolo per il dolore che gli stava
causando.
Dopo un tempo che a lui parve lunghissimo la
presa lasciò andare la sua mano.
Il leggero respiro che si concesse venne
fuori come un roco rantolo; la gola era secca ed impastata, il sapore
ferroso
di sangue gli riempiva la bocca mentre alcune gocce del liquido
scarlatto
scendevano nell’esofago. Sentiva l’aria corrosa
entrargli in corpo per poi
raggiungere i polmoni, ma non sembrava abbastanza. Piegò
lentamente il capo
all’indietro aprendo la bocca, quasi a sperare che maggiore
aria arrivasse a
lui alleviando un po’ le sue sofferenze.
Aprendo un singolo occhio, cercò di
focalizzare meglio i suoi dintorni. La stanza era quasi completamente
immersa
nell’oscurità, una luce alla sua destra come unica
eccezione. Doveva essere una
lanterna di qualche sorta, non che al momento gli importasse
più di tanto.
Continuando a far vagare lo sguardo,
intravide un leggero movimento nell’ombra che
attirò la sua attenzione.
La sagoma era quasi invisibile nel buio, il
riflesso della luce della lanterna sul calice di vetro che teneva in
mano una delle
poche cose veramente visibili.
- Cosa devo fare per farti parlare,
Michelangelo-san? -. L’onorifico
lasciò la bocca dell’uomo a mo’ di
presa in giro. Erano lontani gli anni in cui aveva guardato alle
Supernove come
un qualsivoglia modello. Ormai davanti a lui si erano ridotti a dei
gusci
vuoti. Letteralmente.
- Tsk. – L’arsura della bocca
costrinse il
ninja a riprendere fiato prima di proseguire. – Se credi che
le…che le torture
servano a farmi dire qualcosa….ti sbagli di…..ti
sbagli di grosso. –
- Ma non mi dire. –. Sul volto di Jode
Grimjoe, the Black Hole, si dipinse un ghigno sghembo.
Alzandosi si avvicinò
alla tartaruga distesa sul tavola di tortura, rendendosi visibile a
quest’ultimo.
Michelangelo si ritrovò a notare per
l’ennesima volta che il metamorfos non era cambiato di molto
dalla prima volta
che lo avevano incontrato. Il volto scarno e pallido, nella sua forma
umana, che
contrastava i corti capelli neri che ricadevano sulla fronte era
divenuto più
allungato e segnato dal tempo e forse anche in altezza era divenuto
leggermente
più alto. E certamente era immensamente più forte
di quando le supernove lo
avevano battuto all’incirca tre anni prima.
- Allora magari, se ti chiedo dove si trova
tua sorella forse sarai più collaborativo. Dopotutto
sappiamo entrambi che è
ancora viva. E io ne ho bisogno. -. Grimjoe era così vicino
che il ninja
sentiva il suo alito suo collo. – E se non tu, uno dei tuoi
fratelli me lo dirà
a breve. -
- C..come no. BlackassHole.-
Prima che Black Hole potesse rispondere alla
provocazione del nunchaku wielder, la porta alle loro spalle si
aprì ed una
figura in armatura si fece largo nella semi oscurità della
stanza.
- Sir.-
Ruotando a malapena il volto verso il
soldato, Black Hole fece capire di essere in ascolto.
- Abbiamo notizie dal Dungeon. –
- Buone? –
- Per niente. –
Scese il silenzio nella stanza, lo sguardo
di Grimjoe fisso sulla tartaruga ninja. Michelangelo vide
l’impercettibile
movimento della mascella del suo aguzzino che si irrigidiva.
- Riportate il prigioniero in cella. Per
oggi abbiamo finito. -. Black Hole uscì col soldato senza
mai guardarsi
indietro, lasciando Michelangelo in compagnia del predator.
- Sai…mio fratello Raph vi trova carini.
Che
ne dici di un appuntamento? –
– —
Camminando lungo il corridoio, le loro ombre
si allungavano sulla parete in pietra ogni qualvolta superassero una
lanterna.
Erano di buona manifattura: in ferro, piegato in modo da creare
intricati
fronzoli che terminavano in punte acuminate. L’ultima che
avevano superato
ondeggiava lievemente, segno del passaggio recente del servo addetto
alla loro
accensione.
Il soldato si teneva a qualche passo di
distanza dal suo signore, camminando con la mano ben salda
sull’elsa della
spada a doppia mano che pendeva alla cintura. Era un’ormai
vecchia abitudine
acquisita dai lunghi anni di ronde per l’esercito, dovevi
essere sempre vigile
e pronto per un qualsiasi assalto nemico.
Non che in quel momento ce ne fosse il
bisogno: il suo signore era più che capace di difendersi da
solo e inoltre si
trovavano nei corridoi del suo stesso palazzo, ben sorvegliato e
protetto da
centinaia di guerrieri. Le probabilità di un assalto erano
inferiori allo zero.
Ma ciò non gli impediva di mantenere la presa
sull’arma.
Quando un grido proveniente dalla stanza da
cui erano usciti riecheggiò per il corridoio, il soldato
vide l’uomo davanti a
se lanciare uno sguardo seccato alle sue spalle. Continuarono a
camminare in
silenzio per un’altra manciata di metri prima che venisse
proferita parola.
- Qual è la situazione. –
- Avremmo dovuto avere un contatto dal
Dungeon dieci ore fa. Ci aveva assicurato che avrebbe fatto rapporto in
qualsiasi circostanza data l’importanza della missione. Il
contatto non è mai
avvenuto. -. Black Hole si sedette nel posto a capotavola del salone in
cui
erano entrati. Fissò lo sguardo sul soldato aspettando il
resto del resoconto.
– Circa un’ora fa abbiamo deciso di mandare un
drappello di caronti ed un
generale a fare un sopralluogo e ci hanno contattati meno di venti
minuti fa. –
disse a labbra serrate il soldato.
Si sedette sulla sedia davanti a lui dopo un
cenno del metamorfos; il mantello coi filamenti dorati, simbolo di
riconoscimento del rango di capitano, si increspò tra le
braccia incrociate.
- A detta del generale, dopo essere entrati
dal portale sud ed essersi diretti verso l’ala centrale del
Dungeon, avanzando
per i corridoi hanno cominciato ad intravedere segni sempre
più evidenti di
cedimento. Crepe, frammenti di roccia saltati. Non è parso
strano fino a quando
si sono resi conto che più avanzavano, più i
segni ed il degrado erano evidenti
ed accentuati.
Quando il generale ha capito che qualcosa
non quadrava ha fatto avanzare il drappello più velocemente
fino ad arrivare alla
sala principale.
Ci hanno contattati da lì quindi posso
confermare che definirla dilaniata e devastata
era lecito. –
Ebbe l’impressione di vedere come una
fiamma
accendersi negli occhi di Black Hole.
- Il prigioniero? –
- Il soffitto era completamente squarciato.
-. Sapeva che il suo signore odiava non ricevere risposte dirette alle
sue
domande, ma in quel momento aveva bisogno che apprendesse tutta la
situazione
prima di farsi prendere dall’ira. – Il Dungeon si
trova più di trecento metri
sotto la superficie e lo squarcio lasciava intravedere il cielo al di
sopra. Le
rocce riempivano l’intera area e i caronti hanno dovuti
lavorare un po’ prima
che fosse possibile esaminare la zona con cura. Al momento sono ancora
lì per
cercare di trovare più indizi possibili.
E’ comunque palese che sia avvenuto uno
scontro. Non sono frequenti i terremoti in quel pianeta e vi erano
segni
evidenti di battaglia. –
- Il prigioniero? – ripeté
Black Hole
alzandosi e dirigendosi verso la grande finestra alle sue spalle.
Fissando il
paesaggio al di fuori porse nuovamente la domanda al suo sottoposto.
Vide la terra brulla oltre le mura del
maniero estendersi per chilometri, spaccature frequenti della crosta
spezzavano
la regolarità del paesaggio.
La stella che illuminava il pianeta in cui
si trovavano era grande e bruciava ad altissime temperature. Il terreno
era
arido da decadi a causa di ciò; non vi erano animali che
pascolavano nelle
immense lande che li circondavano, solo sterpi, rami, terra bruciata.
Appoggiando la mano sulla lunga tenda
magenta, Black Hole ascoltava. E ciò che sentiva gli piaceva
sempre meno.
- Nessuna traccia mio signore. Svanito. –
- E Rajal? -. La stoffa rossa cominciò a
cedere sotto la pressione delle dita del metamorfos.
- Ucciso. Hanno trovato il corpo. La testa
era poco distante. –
Con uno strattone deciso, determinato
dall’ira, Black Hole sbrandellò la tenda. Per
parecchi minuti il suo respiro
roco fu l’unico suono udibile.
- Dryou, il generale, ha affermato con
certezza che tra i vari solchi nel pavimento creati dalle macerie ce
n’erano
degli altri dalla forma particolare. –. Il capitano vide i
muscoli delle spalle
della figura alla finestra contrarsi.
- Particolare dici? –
- Orme enormi. Zampe uncinate. Sarebbe
un’idea campata in aria se non fossero queste le circostanze.
Ritiene che le
orme siano delle zampe di un… –
- Di un drago. – concluse Black Hole per
lui. – Draciel. -
Ma
come
faceva il lucertolone a sapere dove trovare Donatello. Un caso?
No…troppa
fortuna. Con il numero infinito di pianeti che ci sono
nell’universo, se non si
sa dove cercare è quasi impossibile trovare…
- A meno che… -
- Signore?... –
Un
drago ha
una connessione con il suo cavaliere.
Se
Draciel è
arrivato nel Dungeon forse non era per liberare Donatello ma per
liberare qualcun
altro. E questo vuol dire che Rajal l’ha trovata.
- Attiva le fonderie, fa lavorare i fabbri
fino allo stremo. Voglio armi pronte e di ottima fattura in numeri
altissimi ed
in breve tempo. Richiama i capitani ed i generali, in due ore voglio
tutti
pronti per un incontro logistico qui. Metti dei predator alle sessioni
di
allenamento e riattiva tutti i soldati, caronti, demoni che sono in
stato di
stallo al momento. Voglio tutti pronti per la battaglia. In una
settimana
andiamo in guerra. –
- Destinazione? –
Se
ha trovato
Cloud allora Rajal non è stato completamente inutile. Un
vero peccato, era uno
dei migliori sicari in circolazione.
Cloud
quindi
ora è con Draciel e loro hanno
per certo
anche Donatello. E ciò vuol dire che la loro prossima mossa
sarà cercare di
recuperare i tre fratelli restanti che si trovano qui. Per quanto
Donatello
possa ricordarsi poco di questo posto è comunque il genio
delle supernove. Con
i mezzi giusti sarebbe in grado di localizzare il pianeta. Ma prima di
muoversi
dovranno riabilitarsi. Nel giro di qualche giorno si sposteranno e
raggiungeranno l’unico posto in cui possano trovare aiuto.
E
così io
colpirò prendendo due piccioni con una fava. Dopotutto,
avrei attaccato nel
giro di qualche mese in ogni caso.
Distogliendo lo sguardo dalla finestra Black
Hole ghignò. La bocca sfigurata in una lunga fila di canini
acuminati come
lame, il profilo allungato delle labbra ora di un verde petrolio che
ricopriva
l’intera lunghezza del viso.
Non era la prima volta che il soldato
assisteva alla trasformazione del suo signore, ma essa riusciva sempre
a fargli
correre un brivido lungo la schiena.
- Il Nexus. -
Gomennasaiiiiiiiiii
L
Chiedo
umilmente perdono * si inchina, si inginocchia e si inchina di nuovo *
per il
brevissimo *cough cough* l’immensamente lungo
ritardo!
Non
so davvero il motivo, ma sembra che questo capitolo (che a tutti gli
effetti è
stato difficilissimo da scrivere) abbia dato davvero del filo da
torcere al mio
blocco dello scrittore. Due, e dico
DUE mesi interi….se non di più…in cui
la sottoscritta continuava ad aprire il
foglio word e non scriveva un’acca. L
Ma
non vi annoio con troppe commiserazioni! Ora il capitolo è
qui, e consolatevi
perché il prossimo è già bello che
avviato :D
Spero
sia di vostro gradimento!
Un
grande bacio a tutti coloro che recensiscono, seguono, ricordano,
preferiscono
Nexus e alla prossima!
Clo
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