Black Diamonds

di Losth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [~ ]Prologo ***
Capitolo 2: *** [~ 1] Prematuramente. ***
Capitolo 3: *** [~2] Adagio. ***



Capitolo 1
*** [~ ]Prologo ***


[x] Disclaimer: penso che sia inutile dirlo, ma la prudenza non è mai troppa. Saint Seiya (nome, logo, storia, ect) *non* è assolutamente di mia proprietà, così come i personaggi che mi diverto a strapazzare (tranne qualche occasionale e rara eccezione di cui non c'è tanto d'esserne fieri -_-'). Visto che questa storiella non vanta nessun diritto e/o scopo lucroso, ma è nata solo per passare il tempo, mi son permessa di stravolgere un po' anche la cronologia dell'opera originale (anche se a stravolgerla bene come l'autore non riuscirò mai è_é*/). E di non seguire affatto l'Episode G di Kurumada/Okada ma di fare di testa mia. Sono sicura che gli dei mi perdoneranno comunque per questo u_u Ok, ora chiudo la fogna e inizio... intanto grazie a te che sei arrivato fino a qui.


~ ~ ~ * ~ ~ ~



Nessuna delle Dodici Armature rivestì mai un empio, un sacrilego. L’oro e lo Stardust, l’Orihalcon, il Gamanion non l’avrebbero permesso: purificavano il cosmo, e solo le membra dei più fedeli erano sollevate dal peso delle vestigia consacrate. Il peso di quelle armature grava infatti sui dubbi dei loro Saint, non sulla loro possanza; un Santo d’Oro doveva possedere fede incondizionata, della stessa fierezza e limpidezza del diamante.

Solo coloro che sono pienamente consapevoli dei loro poteri hanno diritto ad indossare simili armature.

Solo coloro la cui forza confina col cosmo della Divinità da loro protetta.

Nonostante tutto, la Terza Guerra Sacra vide alleanze e fedi rigirarsi e ritorcersi contro gli stessi santi.

Costoro, persero il sentiero, ma non il lume che li guidava.

E’ triste, sì, come nessun pianto, la storia di coloro che chiamano ‘rinnegati’, senza che lo siano. Santi senza fede… lo siamo tutti, a loro confronto, siamo tutti loro pari.

Maledetta, maledetta, maledetta sia per tutti gli infiniti cicli d’eternità quella notte in cui fu squarciato il tempo!

Maledetta per sempre, perseguitata dagli spettri di coloro che eravamo sia quella sporca creatura che strisciò sulle sacre scale!

E maledetto più d’ogni altro, chi quella notte fatale non si rifiutò d’ascoltare…

Oh, Dei del cielo, vogliate maledirmi almeno voi, e disperdere quest’agonizzante goccia di fede in me!

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Capitolo 2
*** [~ 1] Prematuramente. ***


[~ 1] Prematuramente.
Gli occhi di una tragedia scorta.



Il Grande Sacerdote scrutò con occhi sottili, nascosti da quella maschera che nascondeva il suo aspetto e i suoi poteri, quella figura curva, avvolta da un lacero straccio color di terra, che adesso stava richiudendo le grandi porte della Tredicesima Casa alle sue spalle. Senza dir nulla, senza mutare la sua posizione, lo sguardo nascosto dell'anziano sacerdote e il suo respiro quieto e sottile quanto il filo della notte accompagnò i passi lenti della figura, fino a quando questa non si trovò a suo cospetto. Tre passi dal trono, uno in più rispetto a quello che era concesso ai massimi guerrieri e protettori della Dea e del suo orante, i Santi d'Oro. Tre passi che non aveva mai visto fare, neppure nella sua giovinezza lontana, quando anche lui doveva distare rispettosamente di quattro passi da quello che, adesso, era il posto a lui riservato. Eppure lui sapeva benissimo, in quell'attimo, chi si ritrovava davanti, l'identità e l'aspetto di quella figura curva, il cui viso sfuggiva, nascosto dietro la gestualità imposta a quel luogo sin dall'era mitologica.

In quell'attimo, come se avesse udito i pensieri che echeggiavano oltre la maschera di orihalcon, la figura alzò il capo, che aveva tenuto rispettosamente volto verso terra nel rendere omaggio al Grande Sacerdote di Atena; l'ombra sembrava non voler svelare quel viso, che rimase avvolto nell'ombra dei laceri indumenti, e tutto nascondeva fuorché le labbra pallide e rotte dal vento e scorticate dal peso delle parole, foriere della sua maledizione. Quella bocca che pareva aver mille anni, contrastava con la forma del viso dai tratti sfuggenti e appuntiti, lasciati intravedere dalla forza delle torce che ardevano lontano, sulle pareti, che non lasciavano le tenebre a custodire il riposo dell'abitante del Tredicesimo Tempio. La figura senza età fissava gli occhi scolpiti della maschera, senza espressione, e gli occhi della maschera rimandavano solamente il riflesso di quello sguardo. Ma gli occhi, quelli… era come se fossero sfere di buio. Il sacerdote di Atena non riusciva a vederli, né tanto meno ad intuirli. Qualcosa in fondo all'animo di Shion s'inquietò, ma era troppa la saggezza, la vecchiaia e il potere del sacerdote, per permettere a quella sensazione sottile, che giaceva in profondità più remote d'ogni suo potere, di prendere il sopravvento su ogni suo altro senso, su ogni suo altro nervo, anche quello che avrebbe mosso impercettibilmente la più sottile fibra del suo corpo. Il respiro leggero s'interruppe, e quello del fuoco che consumava le torce smise di essere l'unico rumore udibile nella sala.

«Sono più di duecento anni che un profeta non giunge fino a questa sala».

Prese parola il Sacerdote, spezzando il silenzio. La sua voce era bassa e distesa, e le sue parole riecheggiavano chiare come passi nell'aria, che ora si fermavano, come volessero che per un attimo fosse la vista a prendere ancora il sopravvento sul suono e sull'attenzione della figura.

«Mante.»

«Ne sono consapevole, Grande sacerdote."» rispose la figura, ancora immobile nei suoi stracci, che inginocchiata pareva ancor più curva di quanto non fosse. La sua voce, al contrario di quanto l'aspetto trasandato e miserabile potesse far supporre, era chiara e limpida, e nella sua regale lentezza, pareva che stesse arrivando da un passato molto remoto. Una voce sospesa tra l'eternità e la vecchiaia, tra la femminilità e la polvere, una voce senza eco e senza eguali.
Il Grande Sacerdote in cuor suo lo aveva sempre saputo, e per 230 anni aveva atteso, invano, quella visita -per 230 anni ogni suono del Santuario aveva avuto l'ombra di quella voce. Eppure, adesso che quel cosmo misterioso, atteso da 230, sembrava prossimo a tornare, quella visita gli giungeva inaspettata, e sconvolgente.

«Cosa mai ti ha spinto qui, nel Santuario di Atena?» chiese, senza distogliere lo sguardo dalla figura. Mante rimase in silenzio, mentre lentamente si alzò dall'inchino che la sacralità del luogo e del Sacerdote pretendeva. L'ex Santo d'Ariete,nonostante la rigidità che aveva sempre preteso e con cui applicava le leggi del Santuario, non mosse un muscolo, ignorando completamente quella mancanza. La voce di Mante, i suoi modi, ma soprattutto i suoi silenzi stavano cominciando ad impensierire il Sacerdote, che aspettava impaziente la voce della profetessa.

Mante compì i suoi gesti senza fretta, schiava delle miserabili pieghe della sua maledizione. Solo infine alzò il volto, di nuovo fissando le vuote orbite della maschera del Sacerdote.

«La maturità dei tempi, Grande Sacerdote.» rispose, in un soffio.

Il Sacerdote ebbe l'impeto di scattare in piedi, verso quella donna, senza una ragione, e di allontanarla immediatamente da quel luogo. Ma la sua freddezza ebbe la meglio, e la disciplina di cui era feroce foriero tenne a bada ogni sua reazione. Per oltre due secoli hai atteso di ascoltare, adesso non si possono più rifiutare queste parole.

«Lo avverto anch'io» rispose Shion, irrigidendosi appena nella sua severa postura, contrastando la dolce determinazione delle sue parole «La Dea è prossima a ritornare. Ma non serve nessun profeta per saperlo.»

«Grande Sacerdote, non difettate certo di saggezza.» la voce della profetessa si fece più alta, ma senza turbare la quiete dell'ambiente. «Saprete ascoltare…»

«Non c'è nulla da ascoltare, Mante.» la voce del Sacerdote scivolò con la stessa velocità e le stesse movenze di un serpente nel respiro della profetessa, senza lasciarle possibilità di ribattere «Atena sta tornando; questo è ciò che attendevamo. Sappiamo bene cosa significa»

Mentre queste parole riecheggiavano nella sala, gli occhi della Profetessa fecero scintillare il buio che li avvolgeva.

«Forse non sapete tutto.» rispose, avanzando ancora di un passo verso il Sacerdote. L'immobilità della sua voce e della sua figura, la fermezza delle sue parole… c'era qualcosa di assoluto che avrebbe ben presto spaventato qualunque persona esterna al Santuario. Come in risposta al passo di Mante, il Grande Sacerdote si alzò dal suo trono.

«Questo, è tutto quello che ci serve sapere.» rispose, rimanendo a fissare gli occhi della Profetessa, ancora nascosti dalle ombre della stanza. Pronunciò quella frase con il tono in cui si pronunciano i verdetti, le conclusioni, ciò che non ammetteva risposta. Tuttavia, non si voltò, non mosse nessun passo verso il drappo che separava quella sala da quella che sarebbe stata al più presto riservata alla nuova Atena. Qualcosa ancora doveva attendere, prima di ritirarsi, prima di far finire quell'incontro cui si sentiva sempre meno preparato. Mante non si mosse; staccando adesso gli occhi dalla maschera di Shion, guardò attentamente la sua alta figura, che teneva testa ai malvagi poteri del tempo, che sembravano non scalfirlo ancora. Duecentoquarantotto anni, e l'ex Santo di Ariete appariva ancora un uomo nel culmine della maturità. Questo era il potere meraviglioso che una vita di lotte e sofferenze e fede incrollabile conferiva a un Santo d'Oro. E i suoi poteri… Mante sapeva, Mante vedeva; lei non poteva essere ingannata dal potere della maschera, che arginava completamente il cosmo del Sacerdote, poiché la sua condanna le permetteva di vedere aldilà di ogni barriera. E sapeva che ancora, dentro a quel corpo avviato verso la decadenza, i poteri di uno tra gli unici Santi sopravvissuti alla Seconda Guerra Sacra erano ancora quelli di due secoli e mezzo fa. Tuttavia, quei poteri non sarebbero bastati a far fronte a quella notte. Mante era stata condannata a saperlo, Shion ad affrontarlo.

«Non siate cieco davanti a quello che, forse, già sapete.» sospirò, abbassando per un attimo lo sguardo. Chiuse gli occhi, come a voler rievocare per un attimo quelle immagini così nitide attraverso le palpebre chiuse, prima di annunciarle, forse nella speranza di essersi sbagliata. Ma Mante non aveva speranza: nemmeno la cercò, in quell'istante di raccoglimento. Alzò nuovamente lo sguardo: la veste sacerdotale dell'uomo che le stava dinnanzi, la sua maschera, erano chiazzate di sangue e lacrime.

«Grande Sacerdote, se Atena torna sulla Terra adesso, nessuno, nemmeno lei, potrà impedire il fratricidio dei Cento Fratelli.» rivelò lentamente la profetessa. Sospirò, gettando fuori il respiro che quelle parole avevano reso pesante. Shion scosse la testa nel silenzio, che si riempì appena del frusciare delle sue vesti.

«Tutte sciocchezze» sibilò, seppur senza sprezzo, nella voce che si faceva più sottile «Atena è l'incarnazione della Giustizia, e giunge sulla Terra per proteggere gli uomini, non per sacrificarli.»

«Il Santuario cadrà…»

«Il Santuario è edificato sulla Fede dei Santi!» esclamò Shion, interrompendo di colpo la donna, sovrastando quelle parole con la sua voce, ora più alta e imperiosa, potente come una tempesta «Finché vi sarà Fede nella Dea, queste mura saranno inespugnabili. Finché vi saranno i Santi d'Oro, Atena terrà nella mano destra la Vittoria.»

Mante scosse la testa, debolmente, senza distogliere lo sguardo dagli occhi scolpiti del Sacerdote. Quella fede resistente e pure come un diamante era una barriera attraverso la quale poteva vedere con il suo potere di profetessa, ma con il suo potere di mortale non poteva oltrepassarla, neppure per far sì che gli avvertimenti fossero sentiti. Poteva offrire le sue visioni, ma non impedire che fossero rifiutate. Eppure Mante doveva provare. Deglutì a fatica, nella gola riarsa dall'atrocità delle sue parole. «Grande Sacer…»

«E sappi anche, Mante» continuò Shion, senza riuscire ad arginare l'impetuosità delle sue parole «Fossi anche l'ultimo Santo ad avere fede, fino al giorno in cui sarò in vita, Atena sarà protetta dalle mura di questo Santuario...» rispose, prima d'inspirare profondamente. L'aria nuova, che sapeva di penombra, scese benefica nel suo corpo, dileguando l'ultimo eco del suo impeto. Distolse quindi lo sguardo da quella figura, allontanandosi di qualche passo dal suo trono, verso il drappo che era alle sue spalle. Sfiorò appena il velluto rosso che nascondeva l'ingresso dell'altra stanza, prima di fermarsi nuovamente. Senza girarsi, parlò di nuovo.

«Non c'è null'altro da dire, Profeta. Lascia a me le mie responsabilità, qualunque esse siano, perché così è la volontà della Dea. Puoi lasciare il Santuario, adesso.»

Mante scosse di nuovo la testa, distogliendo lo sguardo dal Sacerdote; come immaginava, non le era stato dato ascolto. «Io…»

«Non so quale strada tu abbia usato per giungere alla Tredicesima Casa, ma a ogni modo, non preoccuparti: passa per i Dodici Templi; nessun santo leverà mano contro di te.» disse il sacerdote, prima di scostare il drappo, per lasciare la sala. «Che Atena abbia cura della tua anima»

Senza dire nulla, la profetessa volse le spalle al Sacerdote, avviandosi verso la porta, con il suo passo lento e regolare, sconfitta da una fede troppo forte ancora una volta. Quindici passi, poi arrivò ai portali: con tutta la forza che aveva nelle braccia rinsecchite, scostò le pesanti porte di legno e ferro tanto quanto bastava per farvi oltrepassare il suo corpo ricurvo. Gettò un'ultima occhiata al Sacerdote, che ancora non era sparito oltre il drappo che concludeva la sala, prima di lasciar chiudere i portali, alle sue spalle.

Quando il legno tornò al suo posto, lo spostamento d'aria fece crepitare le torce per l'ultima volta, prima di far spegnere quel fuoco che rischiarava pacatamente le ombre della stanza del Sacerdote. Nel buio della stanza, Shion si voltò verso il portale ormai chiuso. Lasciò frusciare il drappo, ormai privo del sostegno della sua mano, e tornò sul suo soglio: lì si sedette, attendendo che, nel buio, finissero di riecheggiare quelle cupe parole.

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Capitolo 3
*** [~2] Adagio. ***


[Un grazie a chi è arrivato fin qui, per caso o per costanza, è d'obbligo, prima d'iniziare.]

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[~2]Adagio.
I passi della visione sulla scala letale.



Si ritrovò fuori dalla Tredicesima Casa, quella curva figura, riparata solo parzialmente dai freddi raggi della Luna.
Era stata scacciata dal tempio come una ladra, lei che portava verità. Era stata allontanata come un'eretica, quando stava offrendo solo salvezza a coloro che avrebbero dovuto essere gli ultimi baluardi della speranza. Loro, invece, l'avevano rifiutata come se fosse stata una sgradita proposta, l'avevano respinta come se fosse un pegno imbarazzante -stolti.

Ciechi e sordi, nella vostra fede che altro non conosce che il sangue, il dolore, la forza, e la venerazione del freddo marmo; venerate colei che custodisce la Sapienza, ma è ciò che rifiutate, quando vi viene offerta. Vi fate scudi della Speranza, ma vi rifiutate di accoglierla sotto le vostre ali. Volete debellare le guerre per far trionfare la pace, eppure non aprite gli occhi per vedere dov'è, se v' è, un nemico.


Fece un passo -improvviso, sbilanciato, goffo, e si ritrovò sotto la luce della luna, e del cielo stellato d'agosto. Le notti d'agosto, meno brevi e più scure: rifugi sicuri, dove nascondere qualcosa. Scosse la testa con il poco vigore rimastole, inquietata lei stessa da quel pensiero così veloce e nitido: troppo abituata ai presagi, si sforzava di pensare il meno possibile, anche se tenere sgombra la mente era impossibile. Meno pensava, minore era il rischio di poter evocare immagini nella sua mente, scoprendo i disegni del destino… era buffo; un ragionamento così puerile aveva comunque un fondo di verità, riuscendo così a tenere a bada tutti i dolori con cui il tempo non smetteva d'ornare la sua essenza.

Essenza, quale meravigliosa parola…

Mante non se n'era accorta, ma i suoi passi seguivano il filo dei pensieri, e precariamente, imitando quell'equilibrio, l'avevano portata lontana dal tetto sotto il quale si riparava, fino all'inizio della sacra scalinata. Sopra di lei il cielo, la notte, e nulla che potesse nasconderla al tremolante sguardo delle stelle, e davanti a lei i primi gradini della scala sacra. L'ultimo baluardo del Santuario, dove, d'era in era, dall'inizio dei tempi, solo i nemici più valorosi e potenti riuscivano a portare i propri passi -gli ultimi, prima di esalare l'ultimo respiro per opera del dodicesimo custode dorato. Era stato sempre così per coloro che erano riusciti ad arrivare fino a lì.

Tranne per due persone, i cui cosmi, ormai, erano remoti nel tempo e oltre ogni confine dello spazio; eppure, qualcosa non se n'era mai completamente andato. Mante abbassò lentamente le palpebre, rimanendo sull'ultimo scalino, concentrandosi su quello che poteva avvertire.

Una folata di vento freddo fece muovere i lembi delle sue misere vesti, una folata di vento che aveva l'odore di sangue e sabbia. Rumori di metalli che s'incrociavano, pochi e tesi sospiri umani che si sovrapponevano nell'aria, colma di tensione elettrica, e i raggi di un sole morente e soffocato dall'ombra che rifletteva su quelle seconde pelli belliche, dando origine a folgori sanguigne. Ma nulla più del riflesso della folgore era rimasto, in quei guerrieri stanchi. Esili nelle loro forze, avevano schivato i rispettivi attacchi con uno tra gli ultimi sforzi che i loro cosmi avrebbero consentito.

Da fuori, sulla collina che su tutto imperava, con maestosa lentezza, un solingo fuoco stava all'apice di una meridiana, osservandoli, senza essere visto, con la pigrizia di un occhio in procinto di chiudersi. Poco tempo per compiere il fato.

L'uomo che sembrava esser nato dall'oro alzò lo sguardo; da dietro le ciocche di capelli rossi, lo sguardo affaticato si poggiò, con insolita delicatezza e rispetto, sulla figura che aveva dinnanzi. Indossava un'armatura che aveva il colore del buio, che pareva comunque lucente, incurante delle lunghe crepe che la solcavano -che non ne intaccavano la maestosità. Quel giovane uomo gli era di fronte, nel suo stesso atteggiamento, marziale eppure stanco, in attesa della prossima mossa -era il suo avversario, ed entrambi erano gli ultimi.

Qualcosa, in questo pensiero, lo indusse a compiere quel gesto. Cercare lo sguardo di quell'avversario che doveva fermare, a tutti i costi -con la fine della vita e oltre ancora, se così la salvezza della Dea avesse richiesto. Voleva esser sicuro che quella consapevolezza non fosse solo sua, no, voleva trovarla nello sguardo del generale. Ma i tratti dell'uomo erano celati da un elmo dalle sinistre fattezze, impenetrabile più di qualsiasi ombra.

Il Dodicesimo Custode respirò a fondo -solo questo si concesse, prima di ricondursi a quella dimensione della realtà in cui il tempo esisteva, tiranno, tenendo nelle sue mani scheletriche i fili di innumerevoli vite. Inaspettatamente, fu quel respiro, l'atto vitale, a richiamare il Generale -un solo movimento, lento, regale.

Il giovane uomo alzò il viso, rivolto verso l'avversario dorato, reclinando leggermente indietro la testa, come se lo osservasse dall'alto verso il basso. Eppure quel gesto fu spoglio d'ogni arroganza, d'ogni malizia o spregio. Nessuna tenebra coprì, per quel breve istante, il viso del Generale, e nei suo sguardo castano il Santo d'Oro ritrovò i suoi stessi pensieri. Annuì, senza nessuna parola, sentendosi onorato di quell'ultimo gesto di stima e lealtà; il cimiero tornò a celare il volto del servo di Hades, mentre le braccia del Custode si aprirono, pronte a scagliare l'ultimo attacco. Il suo cosmo brillò, e come uno sciame di comete impazzite, raggiunse i limiti della costellazione sua custode.
Lo Specter rimase immobile nel corpo, ma la sua mente e il suo cuore rimase impressionata da ciò che stava avvenendo; poteva sentire le stelle dell'ultima costellazione zodiacale bruciare come il fuoco primordiale, con la stessa terribile immensità.

«Stella del Cielo della Furia, questo è l'ultimo colpo a difesa del Santuario.»

Il Santo d'oro dischiuse gli occhi, concentrando tutto sé stesso nel cosmo, cercando di arginare quella forza tremenda e misteriosa che avrebbe dovuto far esplodere nel suo ultimo gesto. Non sarebbe sopravvissuto, questa era la sua unica certezza. Ma era una cosa permanete importante, il sacrificio dell'ultimo guerriero, se questo avesse permesso di salvare la sua Dea?
Il braccio sinistro del Custode del tempio si alzò al di sopra della sua testa, quello destro si abbassò: tra poco avrebbe descritto in quell'aria, per l'ultima volta, il simbolo della dodicesima costellazione.

Il Generale non si mosse ancora, ma, ripresosi dallo stupore, fece brillare anch'egli la sua oscura aura; l'aria attorno a lui stava diventando venata di buio, che sembrava aver preso la consistenza di una sabbia sottile e in sinuosa -ogni luce sembrava essere inghiottita dalla forza emanata dall'interno della Surplice. La stessa luce infernale della stella malvagia smise di brillare, e fu come un tuffo in un amare di tenebra, sospinto dalla più selvaggia corrente. Era questo il potere del combattente di Hades; in lui v'era il potere della fine, subdolo, strisciava intorno all'avversario, prima d'intrappolarlo con le sue spire. Rhodes lo sapeva bene, non avrebbe avvertito la pienezza del cosmo del suo avversario se non nell'istante dell'attacco.

«L'ultimo colpo, Santo di Pisces, quello che dovrà essere fatale.»

Il Generale mostrò l'ombra di un sorriso, qual strana cosa, in quel pesante frangente.

«Che scorterà con onore uno dei due oltre le porte dell'Elisio.»

Il buio intanto si faceva più fitto intorno a lui, e tra quelle dense venature turbinavano lampi verdastri. Avevano l'odore di un mare acerbo, avevano l'intensità di una mareggiata, la furia che solo dagli Inferi poteva scaturire… questo dimorava nei movimenti lenti e pesanti delle mani del Generale. Sarebbe stato solo un'anticipazione di quello che sarebbe avvenuto?

«Con egual onore uno dei due porterà avanti la propria causa»

Quasi urlò il Dodicesimo Custode, mentre gli archi tracciati dalle sue mani s'incrociavano -era vicino alla liberazione di tutto il suo potere; un gesto ancora poteva il suo corpo, uno soltanto, prima di essere sospinto al di là d'ogni limite imposto dagli dei.

«Merita d'avanzare ancora a testa alta chi ha saputo servirla fino alla fine, senza distogliere pavidamente lo sguardo davanti al sacrificio ultimo. Adesso, Generale!»

Le mani dell'uomo nato dall'oro si giunsero, e le dodici stelle di Pisces oscurarono ogni altra luce in uno splendore distruttivo e vorace come il fuoco; il cosmo dorato del Custode in quel momento raggiunse il suo limite più estremo, avvolgendo interamente tutto quello che era luce, e iniziando a bruciare con esso. Lembi del buio della Viverna vennero lacerati, e quella sabbia nera si disperse; tuttavia attorno al Generale il buio era totale, e nulla sembrava poter oltrepassare quell'aria tempestosa; il cuore di quella tenebra vibrava, racchiuso con difficoltà entro la mano sinistra dell'uomo. Esplosero insieme, come d'ultimo misterioso accordo le due potenze.

«Twelfth Punishment!»

«Storm of Wrath!»

I colori della luce e quelli delle ombre si fusero, si scontrarono, e ogni cosa fu avvolta da luce e sabbia. Gli occhi divennero ciechi, eppure nulla di questo la sfiorò.

La luce si affievolì, il buio si diradò.

In ugual modo, le stelle e la tempesta parevano essere diventate polvere, e nella polvere, aver trovato la loro eterna unione. Il singhiozzo senza eco non infranse nessuna armonia.

Un uomo dai capelli neri e dal volto ferito l'aveva fatto nascere. Prese un profondo respiro -che fece male al petto, e nascose i suoi tratti dietro una maschera di sofferenza, prima di spingere il braccio sinistro contro il pavimento. Poteva farcela, doveva alzarsi immediatamente. Si tirò su, cercando di non pensare al dolore delle ferite.
Dal suo corpo cadde una cascata di polvere nera... pareva una sabbia di vetro scuro, brillante e tagliente... non era sabbia. Sapeva che la sua corazza non aveva retto quell'attacco, si sentiva scoperto, ferito, ma ancora vivo. Doveva proseguire, prima che il fuoco si spegnesse, doveva compiere quella missione che adesso, viveva solo della sua vita.

Non corse verso la scala. Attraversò il tempio con solenne lentezza, senza guardare quello che la battaglia aveva lasciato lì attorno, senza respirare la distruzione che lì regnava.
Se lo avessero visto i suoi uomini, l'avrebbero probabilmente ripudiato del suo grado... ma cosa importava, adesso che erano morti? Più importante di tutto era la Fede -quella Fede che l'aveva fatto sopravvivere, la stessa che aveva ucciso un uomo. Abbassò lo sguardo, verso il corpo del Custode. La sua armatura d'oro aveva retto il colpo magnificamente; si era solo scalfita, mentre il suo possessore aveva trovato la morte. Ma l'aveva guardata negli occhi fino all'ultimo: in quello sguardo, nel viso acuto e sicuro era dipinto unicamente il coraggio. La Viverna si chinò su quel corpo scomposto dal furore della guerra con rispetto. Voleva rendere onore al suo ultimo avversario, a quell'uomo dal coraggio di una creatura divina.

«Rhodes, Custode Ultimo, il più alto emblema di valore e di gloria che questa guerra abbia mai avuto...»

Con rispetto mosse le sue mani su quelle vestigia; nessun disonore doveva sfiorare quel corpo, non il sangue dell'avversario vincitore. Non nascose un tremito dovendo toccare il suo corpo, come se avesse paura di profanare una reliquia: gli distese le gambe, leggermente levò il busto, distendendolo sopra al suo mantello strappato, ma ancora candido, in quell'intimo e segreto elogio funebre.

«...cui la morte mai strapperà l'onore con il quale hai difeso la tua causa... giaci ai piedi di questa sacra scala che a costo della tua esistenza hai protetto. La tua Dea abbia in gloria il tuo nome…»

Passò le mani dietro la nuca del cavaliere, a sfiorare quei capelli rossi, il cui furore sembrava non poter essere placato neppure dalla morte, e lo tirò su, quanto bastava per poter riadagiare il suo capo nell'elmo, scivolato lontano dai piedi di quella scala.

«…e la tua anima, Santo d'oro, che ascenderà presto ai Campi Elisi. E' questo il dono che il Divino Hades farà a te, come a tutti i giusti... niente più affanni, niente più sofferenze…»

Piegò il capo la Viverna, mentre portava le mani del cavaliere verso il suo petto; mani bianche che non si erano sporcate di sangue, e che mai più avrebbero dovuto farlo… era questo, sì, quello che meritava quel guerriero. La sua giovinezza, falciata dalla guerra che nulla sente e tutto scorge, sarebbe continuata al di fuori della Terra, lì dove non c'era dolore.

«…e solo questo, Santo d'Oro, solo pace... le stesse cose per cui forse anche tu lottavi, che forse eri convinto di portare in Terra.»

Terra che si nutre di sofferenza, terra che si nutre di terrore e di guerra, dei corpi dei propri figli. La Morte liberava da tutto questo… possibile che non l'abbiate capito?
Possibile che anche tu, Rhodes, fossi così cieco davanti a questa verità?

Tenne quest'ultimo pensiero per sé, il Generale; ora che era tutto finito al suo avversario erano dovuti solo onori -non perché fosse morto, ma perché aveva combattuto credendoci. Come stava combattendo lui. Non c'era ragione e non c'era torto nella guerra e in chi la combatteva…

Guardò gli occhi bianchi del guerriero dorato, ancora aperti sulla morte, privi ora di qualsiasi lucentezza. Ebbe un sussulto ad accorgersi che nessuno sguardo potesse mai far capolino da quelle due sfere ormai opache, le stesse che, brillanti e leali, avevano letto nel suo cuore poco prima…

Poco prima… il fuoco dei Pisces brillava di più.

Socchiuse gli occhi, il guerriero di Hades. Non c'era più tempo per il nemico, adesso, non era più il momento di assaporare la vittoria e dolersi per le sue vittime…l'onore doveva cedere il posto al dovere. Con un ultimo gesto, abbassò delicatamente le palpebre dello sconfitto
-che tu non possa vedere il sangue della tua Dea, quella che per te è profanazione è la mia causa; riposa, nella tua pace eterna, e lì serenamente attendi l'anima della tua dea…

Non diede tempo alla sua anima di sconfinare nella debolezza, e si alzò, cominciando immediatamente a correre per quella scala. Ai suoi piedi, i resti della processione in onore delle celebrazioni ad Atena… per una strana ironia era rimasti lì, sulla sacra scala, forse già sapendo di essere destinati a far parte di un rito funebre.

Passò, con la velocità disperata di un soffio di vento, accanto a quella figura. Gli stracci che avvolgevano Mante si gonfiarono a quel vento… il caldo vento di Atene, fatto d'invisibili fili d'oro, che aveva sollevato i petali di quelle innumerevoli rose che coronavano la sua strada. Quel soffio la fece vibrare, la realtà la risucchiava bruscamente tanto quanto con subdola dolcezza la visione si era infiltrata nei suoi occhi.
Riprese il suo cammino, che si era interrotto a metà della scala senza che lei se ne fosse accorta; la casa di Pisces la osservava in quella notte, che era solo alla sua alba.



~ ~ ~

Finalmente il continuo ^^
In realtà, sono stati buoni 15 giorni in cui mi ero detta di lasciar perdere, non mi sentivo né degna né in grado di continuare una storia a più capitoli ancora non ben definita… poi mi sono scocciata di essere così rinunciataria, mi sono obbligata a pianificare almeno un po' di seguito e poi mi sono messa a continuare questo abbozzo… ancora non fa intuire tanto, anche se, beh, non credo ci sia neppure qualcosa da intuire ^^; l'importante è continuare questa sfida con me stessa!
Comunque, prima che divaghi ulteriormente, come detto all'inizio, voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto questi capitoletti, arrivando sin qui (ma anche quelli che si sono fermati prima… apprezzo comunque, perché neppure a loro posso dar torto).
Ma i miei grazie più sentiti vanno a Kamusa e TheRealPisces per aver lasciato delle recensioni. Non sto neanche a dirvi che per me è stato importantissimo ricevere dei giudizi, perché credo che lo sia per tutti coloro che scrivono e pubblicano e vogliono migliorarsi. ^^

Kamusa: sono contenta che ti piaccia la caratterizzazione dei personaggi, io vivo nel costante terrore di andare Out Of Characters e di cadere nel Mary-Suing ^^ Ma soprattutto, continuerò, la tua esortazione ha letteralmente rinvigorito il mio cosmo! Yay!

TheRealPisces: arrivo anche a te, ehe… non posso negare d'esser stata molto lusingata di una tua recensione, anche avendo soltanto letto da chi era firmata. Uno tra gli Autori Sommi del fandom CdZ dai tempi dei forum, puoi immaginare come mi sia sentita ^^ ma bando alle ciance nostalgiche…
Grazie dei complimenti, innanzi tutto, sono lusingata -spero di non farti tornare sulle tue parole in futuro!
Per la suddivisone dei dialoghi… in effetti, ho notato che il capitolo era molto denso-malloppone… Ho seguito il tuo consiglio e ho diviso un po' i dialoghi sia in questo che nel primo capitolo. Di mio non lo faccio mai, perché sono una frana a 'spezzare': ma a costo di tirare qualche colpo basso stilisticamente ed esteticamente parlando, d'ora in poi agirò come di consiglio. Il testo si è alleggerito visivamente, la cosa forse risulta più gradevole... grazie della dritta! [Spero che sia solo la prima di una serie, ehehe :P]

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