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di _Padfoot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perchè non ci riesco anch'io mamma? ***
Capitolo 2: *** Come per magia... ***
Capitolo 3: *** Una scoperta inaspettata... ***
Capitolo 4: *** La scelta della bacchetta ***
Capitolo 5: *** Frustrazione ***
Capitolo 6: *** Di nuovo a Nurmenter ***
Capitolo 7: *** Il vascello per Durmstrang ***
Capitolo 8: *** Nuovi amici? ***
Capitolo 9: *** Il primo giorno ***
Capitolo 10: *** Quiddich ***
Capitolo 11: *** Scoperte inaspettate ***



Capitolo 1
*** Perchè non ci riesco anch'io mamma? ***


Per Enide, spero le piaccia questa mia fic su Grindelwald :)

Era una fredda sera di Novembre del 1882. L’unica finestrella illuminata della villa la rendeva un luogo abbastanza spettrale, quasi terrificante. Era posta al terzo piano, quello più alto, all’estrema destra del palazzo; sembrava che il resto della casa dormisse, mentre si sentivano le urla di una donna dall’altra parte di quella piccola finestra. Improvvisamente però, tutto finì; si sentivano solo i respiri affannati della ragazza. Un bambino cominciò a piangere.
“Gellert…”
“cosa dici, tesoro?”
“voglio…voglio…si chiami…Gellert…il nonno…” riprese a fatica la ragazza. Aveva lunghi capelli biondi, grandi occhi verdi; il viso, bellissimo, era rosso per lo sforzo, ed era tutta sudata.
“Vuoi che si chiami Gellert?” ma lei era già svenuta, il bambino piangente tra le braccia.
 
 
“Amore mio non piangere ti prego…”
“Ma mamma, perché papà riesce a fare quelle cose? Perché tu no? Perché non mi insegna? Mamma dovresti riuscirti pure tu!”
“Bè non ci riesco, tuo padre è una persona speciale e non può condividere il suo dono, te l’ho già spiegato tante volte…”
Ma il bambino non era convinto. Ogni volta che andava a prendere il cibo per sua madre cercava di incrociare suo padre, di vederlo mentre faceva quelle strane cose con il suo bastoncino di legno. Una volta gli aveva chiesto  come faceva, ma lui aveva risposto bruscamente di non impicciarsi e di sbrigarsi a fare quello che doveva fare, che non lo voleva tra i piedi. Il bambino allora era corso in cucina, aveva preso il cibo ed era tornato al terzo piano, dove sua madre viveva rinchiusa nella sua camera. Si rifiutava di uscire, e d’altronde non è che fosse molto apprezzata dal resto della casa. Il nonno, quelle poche volte che la vedeva, la insultava sempre, e Gellert lo sentiva che ne parlava male con suo padre, che dal canto suo si mostrava d’accordo. Era sempre stato così. Lui era libero di fare quello che gli pareva, tanto non se lo filava nessuno, a parte sua madre. Quando era veramente piccolo girava per la casa con il divieto di toccare qualsiasi cosa, e poteva pure seguire quegli strani esserini che preparavano i pasti e facevano le pulizie, e tutti gli altri lavori di casa. Si divertiva un mondo a osservarli da dietro una tenda e magari spuntare da dietro un angolo per spaventarli; alcuni, quelli più piccoli, rovesciavano tutto per la sorpresa, poi raccoglievano con uno sguardo mortificato e correvano via, mentre quelli più vecchi si limitavano a guardarlo male, forse avevano capito che non aveva alcuna autorità,come suo padre, e non c’era da preoccuparsi.
Ma più di tutto adorava vedere suo padre che utilizzava quel fantastico bastoncino di legno, da cui spuntavano getti colorati, e per cui – o almeno questo sembrava – si aggiustavano gli oggetti, si muovevano, e accadevano le cose più strane. Anche il nonno e la nonna ci riuscivano, e così tutte le persone che entravano in casa. Avevano tutti un bastoncino proprio, con cui facevano quello che volevano. Lo voleva anche Gellert, quel bastoncino, ma evidentemente non gli era permesso, come non era permesso a sua madre.

Poi aveva compiuto cinque anni, ed aveva cominciato a dover andare a scuola. Il primo giorno suo padre l’aveva accompagnato per mostrargli la strada, e gli aveva fatto giurare di non parlare per nessuno motivo di quello che succedeva dentro casa. Gli altri non sapevano fare le cose che faceva lui, gli aveva detto, e non sapevano che si potessero fare.
“Ma perché non gli insegni?”
“Perché no. Lo sai che non devi fare domande su questo argomento. Quello che vogliono dire quelle cose lo saprai, forse, fra qualche anno. Però devi prima dimostrarmi che sei degno di fare  certe cose.”
“E mamma? Perché lei non lo sa? Lei è più grande?”
“No, lei non è degna, e io ho fatto un grandissimo errore a sposarla, ma non ho avuto scelta, dato che era incinta di te e non la potevo lasciare per la strada. Spero che tu ti dimostrerai degno. Fino a quel momento, non puoi sapere.”
Aveva provato a fare altre domande, anche perché era la prima volta che suo padre gli parlava in modo così diretto, e si era sentito onorato di questo privilegio. Si era sentito grande, e degno di essere figlio di un padre che riusciva a fare tutte quelle cose spettacolari. Entrando nella sua nuova scuola, il piccolo Gellert decise che sarebbe stato degno, lo avrebbe dimostrato, in modo da guadagnarsi la fiducia di suo padre e di imparare i segreti di quell’arte a lui sconosciuta, che permetteva alle persone con i bastoncini di fare quelle strane cose. Avrebbe avuto pure lui un bastoncino, ne era certo.

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Capitolo 2
*** Come per magia... ***


Con il passare del tempo, la nuova scuola si fece sempre più interessante per lui:prendeva degli ottimi voti in tutte le materie, e passava molto tempo, anche il pomeriggio, nella biblioteca della scuola. Era diventata per lui un luogo importantissimo, in cui si poteva rifugiare, poteva apprendere, poteva passare il tempo. Il suo obbiettivo, però, era scoprire cosa fossero le strane cose che faceva suo padre; con suo grande disappunto non trovò nulla al riguardo. Era stato sicuro che la biblioteca gli avrebbe dato delle risposte come faceva sempre per qualsiasi argomento, ma non era stato così. In più, aveva sperato che ottenendo buoni risultati sarebbe bastato a suo padre per dargli delle risposte, ma evidentemente non era così.
Passarono due anni, nei quali non accadde niente di particolare per Gellert Grindelwald. I suoi sette anni sembravano aver provocato una strana reazione da parte dei suoi genitori. Il giorno del suo compleanno, quando come al solito non aveva ricevuto nient’altro che un brusco augurio da parte di suo padre ed una doccia di baci da parte di sua madre, accaddero cose che risvegliarono particolarmente la sua curiosità: il pomeriggio tornato da scuola, si sedette su una poltrona in sala e cominciò a leggere un libro preso in prestito dalla libreria, “Le guerre che hanno dilaniato l’umanità”. Suo padre si sedette sul divano dall’altro parte della sala e cominciò a far finta di leggere il giornale, ma Gellert sapeva benissimo che lo stava osservando con attenzione, dato che continuava ad alzare gli occhi e a lanciargli sguardi furtivi. Chissà come mai, pensò il ragazzino. Dopo qualche minuto, però, il signor Grindelwald si alzò, e suo figlio lo sentì salire le scale con passo pesante, quasi fosse difficile. Non vi prestò molto attenzione, era troppo interessato allo studio della prima guerra mondiale per badarci. Fu solo quando sentì il frantumarsi di un oggetto che alzò gli occhi sorpreso. Non succedeva mai, suo padre odiava i rumori troppo forti e stavano tutti (lui, gli elfi domestici, sua madre) a non irritarlo. Qualcuno, due piani più in su, cominciò ad urlare. Ecco, questa era una cosa davvero inaudita in quella dimora. Si alzò in piedi e salì le scale il più velocemente e silenziosamente possibile. Arrivato al terzo piano, si rese conto con stupore che le urla provenivano dalla camera di sua madre, l’ultima del corridoio. La porta era socchiusa, ma non c’era bisogno di avvicinarsi troppo per capire le parole.
“Scusa, scusa, è tutta colpa mia, ma non buttarci per strada…”
“Stà zitta! Sai benissimo chela colpa è la mia, e soltanto la mia, tu non potevi sapere … sono stato uno sciocco, ma avevamo fatto un patto! E io i miei patti li mantengo, costi quel che costi…”
“No ti prego, ti prego…lui non ha fatto niente, almeno risparmia lui…”
“Che me ne faccio di un lurido babbano? Siete inutili, e sai bene che i sette anni sono l’età in cui si manifestano…”
In cui si manifestava che cosa? Perché stavano litigando? Non riusciva a capirlo, era colpa sua? Parlavano dei sette anni, di essere lasciati per la strada… gli vennero in mente le parole di suo padre di quasi due anni prima: “E mamma? Perché lei non lo sa? Lei è più grande!” “No, lei non è degna” …non era degna di cosa? Era una ba…cos’era che suo padre aveva detto? Si sentì un po’ ignorante a non sapere quelle cose, ma perché i suoi genitori non gli avevano mai spiegato niente? Aveva forse qualcosa a che fare con le cose che il papà e il nonno potevano fare, e lui e sua madre no? Non ci stava capendo più niente…
La voce tonante di suo padre lo riportò alla realtà : “basta così, i patti erano chiari, e tu hai accettato…non che potessi rifiutare! Domani tu e tuo figlio fate i bagagli e ve ne andate, non vi voglio più vedere!”
“No!” l’urlo era uscito dalla sua bocca, senza neanche che si rendesse conto. La gravità della situazione gli era piombata addosso come un macigno, e non era riuscito a trattenersi.  
Accadde tutto in un attimo. Le urla cessarono, e contemporaneamente si sentì una specie di scoppio, come se qualcosa fosse saltato in aria, ed effettivamente la porta della stanza si staccò dai cardini, frantumandosi in mille pezzi, senza cheperò nessuno avesse fatto niente. Gellert era così scioccato da quello che era successo che si dimenticò di nascondersi, non avrebbe dovuto origliare. I suoi genitori, dopo un attimo di smarrimento, erano corsi in corridoio e lo guardavano a bocca spalancata.
“Non sono stato io, lo giuro!” Non riusciva a trattenersi. Adesso suo padre si sarebbe arrabbiato ancora di più, e li avrebbe cacciati la sera stessa. Cominciò a tremare in attesa della sfuriata, ma non accadde nulla. Anzi, un sorriso enorme era spuntato sul viso di suo padre, e lo stava rivolgendo proprio verso di lui. No, era impossibile. Suo padre che gli sorrideva? E da quando? E poi proprio ora, che una porta era scoppiata da sola, come per magia… per… magia? Per magia! Il lampo di comprensione gli fece dimenticare quello che era appena successo, e cominciò a sorridere stupidamente pure lui, ma sua madre si mise a piangere e lo riportò nel mondo reale. Il sorriso scomparve dalle sue labbra così velocemente come era spuntato, e il piccolo Gellert si ritrovò a fissare suo padre, sentendo che il peggio stava per arrivare. Ma non arrivò. Invece, dopo un altro minuto passato in un silenzio rotto solo dai singhiozzi di sua madre, il signor Grindelwald si inginocchiò accanto a lui e abbracciò suo figlio come non aveva mai fatto. “Ora sei degno”, disse solo.

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Capitolo 3
*** Una scoperta inaspettata... ***


Il piccolo Gellert, nonostante fosse un ragazzo intelligente, arrancava per capire il discorso eccitato di suo padre. Dopo essersi alzato, con gli occhi lucidi, aveva preso suo figlio e l’aveva portato in salone, dove l’aveva fatto sedere ed aveva cominciato a parlare ininterrottamente. Il bambino aveva provato a chiamare sua madre, ma suo padre gli aveva fatto segno di lasciarla lì a piangere, sul pavimento, come fosse qualcosa da disprezzare.

“E’ magia quella che fai con il tuo bastoncino papà?” gli aveva chiesto subito, affascinato e stupito dal cambiamento di umore di suo padre, che dal canto suo lo stava guardando allo stesso modo.
“Co..magia? chi te l’ha detto, Gellert?”
“Bè..ci sono arrivato prima…quando … quando stavate…”
“E l’hai capito da solo? Sei sicuro?”
“Sì..” A questo punto suo padre si sedette pesantemente sulla poltrona, come se non potesse più reggere dopo aver ricevuto quest’informazione sconcertante.
“Sei molto più intelligente di quanto ti credessi. Ora ascoltami bene figliolo, e vedi di non interrompermi” era tornata la sua voce autoritaria. “Ci sono molte cose che ti devo spiegare. Innanzitutto dove andrai a scuola…”
“Ma io vado a-” la curiosità era troppa, non era riuscito a trattenersi.
“Che ti ho detto?”
“Scusa…”
“Prima e ultima volta, mi raccomando, sai che non sopporto di essere interrotto. Bene. Da dove comincio? Devi sapere, figliolo, che esiste un altro mondo, oltre a questo, un mondo sconosciuto alla maggior parte delle persone, ma comunque un mondo molto, molto più potente. E’ il mondo magico.”
“Il mondo magico?” Trattieniti Gellert, devi stare zitto che magari poi non ti dice più niente…
“Esatto.”
Passarono più di un’ora a parlare. Il signor Grindelwald parlò di magia, di scuole per giovani maghi, di ministri, di maghi potenti… ma soprattutto parlò a suo figlio delle bacchette. O, come le aveva chiamate il bambino fino a quel momento, i bastoncini. A quanto pare, erano fatte di legno con all’interno diversi materiali, tra cui crini di unicorno,corde dicuore di drago…
COSA??Unicorni? draghi?” suo padre doveva essere ammattito. Non era possibile, già stentava a credere a tutto il resto, questo era veramente troppo. Unicorni e draghi esistevano solo nella mitologia, nelle leggende che a Gellert piaceva tanto leggere…
“Esistono, figliolo, e li vedrai di sicuro a Durmstrang. Ho sentito che il nuovo preside, con cui naturamente ho già fatto amicizia e che tu devi trattare con il massimo rispetto, ha fatto sì che venga inserita la materia di “Studio delle creature magiche”. Farete tutti questi tipi di animali, ne sono certo.”
Sul serio?”
Avevano passato tutta la sera davanti al focolare acceso magicamente dal signor Grindelwald, su richiesta del figlio.
“A Durmstrang i fuochi accesi solo per riscaldarsi non sono ammessi, ma è la tua prima volta e direi che possiamo anche fare un piccolo strappo alla regola.” Aveva sorriso, come se fossero complici di qualcosa. Era la prima volta che suo padre lo trattava così, da pari a pari. E al bambino piaceva questa nuova condizione, decisamente. Eppure, era dispiaciuto per sua madre. Era inferiore perché non poteva usare la magia? Era per questo che veniva trattata così male, era chiaro, ed evidentemente la magia non si poteva trasmettere. Peccato, sarebbe stato molto più bello, e la sua infanzia sarebbe decisamente stata un po’ più felice.
“Mamma…”
“E’ una babbana, appartiene alla comunità non-magica. Non merita di vivere, come tutti gli individui della sua specie” un’espressione di odio si era dipinta improvvisamente sul volto di suo padre. “L’ho tenuta solo perché questi erano i patti: se tu avessi dimostrato di avere poteri ti avrei tenuto, e lei se ne sarebbe andata. Se invece fossi stato un babbano pure tu, ve ne sareste andati insieme. Lei non merita di vivere qui.”
“E non può rimanere? In fondo è mia madre…”
“Non se ne parla proprio. Non voglio luridi babbani nella mia dimora.”
“Non si può…”
“No, Gellert, devi capire che la dignità di una persona dipende dalle proprie capacità magiche. Lei non è degna. Chiuso argomento, siamo intesi?”
“Sì, papà” Con questa stupida dignità….
“Su, è ora di andare a letto. E’ stato un giorno felice e stancante  per tutti noi,meritiamo un po’ di riposo. Và a dire a tua madre di fare le valigie intanto.”
Deve toccare proprio a me questo compito?Ma non espresse ad alta voce i suoi pensieri.

                                                                                              ***

“Mamma? Mamma, tutto bene? Dai su, alzati…”
“Ti ha detto tutto vero?” sua madre era ancora inginocchiata per terra, nella stessa posizione di qualche ora prima. “Io non sono degna, per lui. Solo perché non sono nata con il potere di fare magie, non sonodegna. E adesso me ne devo andare.” E ricominciò a singhiozzare.
“No, dai, posso trovare un modo per nasconderti, per portarti il cibo…”
“Non se ne parla neanche, io me ne vado da questo posto infernale, lontana da te e da tuo padre, e dal vostro stupido mondo!”
“Mamma! Lo sai che io ti voglio bene, non dire così… non è colpa mia…”
“Ma sta’ zitto, figlio mio. Non è colpa mia se sei nato così. Me ne vado, me ne vado lontano da voi.” Il bambino no n trovò neanche la forza di risponderle. Si era appena rovesciato tutto il suo mondo, adesso veniva fuori che esisteva la magia, suo padre cominciava a comportarsi come un padre, orgoglioso di lui, e sua madre, che gli aveva sempre voluto bene, cominciava ad odiarlo. Ma come, lui che aveva fatto? Non provò nemmeno a richiamarla, dopo quello che gli aveva detto.  Forse suo padre aveva ragione, forse lei non poteva capire, e non era degna. Stava cominciando a capire cosa voleva dire disprezzare, come suo padre. Ora sì che capiva.



NdA: Graaaaazie a quelle che hanno recensito fin ora la mia storia, e anche chi non ha recensito ma ha messo tra le seguite :) e grazie in  particolare a Enide, che ha recensito tutti i capitoli dando una propria opinione… aspetto l’aggiornamento per la sua di storia, che a me piace tantissimo!
Padfoot (:

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Capitolo 4
*** La scelta della bacchetta ***


I giorni successivi, Gellert li passò insieme a suo padre, il cui atteggiamento verso il figlio era cambiato radicalmente. Già dal giorno successivo al suo compleanno, il signor Grindelwald lo svegliò presto, in stato di sovreccitazione per quello che gli stava per far vedere, che gli sarebbe piaciuto moltissimo, a parer suo. Al bambino fece quasi tenerezza, vederlo così contento, finché non si ricordò cosa aveva fatto a sua madre, e allora il disprezzo, verso entrambi i genitori, lo assalì di nuovo.

“Vieni, oggi abbiamo tante cose da fare, e sono sicuro che ti divertirai.” Gli disse, appena chiuse la porta di casa. Poi fece una cosa stranissima: gli prese la mano e la poggiò sul proprio braccio sinistro, tenendola stretta attaccata, come se avesse paura della mancanza di contatto. Allora fece un passo, ma invece di andare avanti fece un giro su sé stesso, e da quel momento fu tutto buio. L’aria sembrò restringersi nei polmoni del bambino, e il suo corpo sembrò contrarsi in un modo che neanche credeva possibile, e accanto a lui il corpo di suo padre faceva le stesse cose. Era una sensazione terribile, ma affascinante al tempo stesso; Gellert cercò di staccare la mano, interrompere il contatto, come se fosse quello la causa di tutto, ma non ci riuscì. Proprio quando stava cominciando ad andare nel panico, però, tutto finì, e si ritrovarono in piedi in un luogo completamente diverso dal giardino di casa, un posto sconosciuto. Guardò suo padre,gli occhi diventati due palle da golf tanto erano sbarrati.

“Cos’era?” disse, cercando di recuperare il respiro, “e dove siamo? Come hai fatto?! Mi insegni? Ti prego papà…”
Suo padre scoppiò a ridere: “ era una materializzazione condivisa, siamo a Nurmenter, una cittadina di soli maghi, sconosciuta al mondo babbano …. e tu imparerai a smaterializzarti quando sarai un po’ più grande” aggiunse poi con un sorriso ancora più largo, vedendo l’espressione avida di informazioni di suo figlio. Passarono tutta la mattina a girare per quella strana cittadina, guardando i negozi tra gli sguardi affascinati del piccolo Gellert. Ce n’erano di tutti i tipi, mai visti prima dal bambino, che non esistevano nel mondo non-magico… babbano, si corresse mentalmente. Confrontati con Nurmenter, Berlino non era niente per lui.
Partirono, secondo il suggerimento di suo padre, dal negozio di vestiti. In effetti, lì giravano tutti con lunghi e pesanti mantelli di pelliccia, che potevano essere di vari colori, dal nero al rosa acceso. Il signor Grindelwald ne comprò uno su misura per suo figlio. Andarono poi in un negozio che vendeva oggetti magici di tutti i tipi. Ciò che attirò la sua attenzione fu una mano stranamente bianca, che si rivelò poi essere utile particolarmente per i furti, in quanto illuminava la strada solo della persona che la reggeva, oppure una serie di armadi nuovi scintillanti. Il negoziante lo fece entrare in uno, chiuse la portiera e lui si ritrovò in un armadio completamente diverso, dall’altra parte dell’edificio. Erano tutte cose simili a queste, che fecero sentire il bambino un ingnorante, non conoscendoli. Lui, che era sempre stato il più bravo della classe, che sapeva la risposta a qualsiasi problema di logica o intelligenza, si ritrovò a non sapere niente di quel posto.

Dopo essere passati per un negozio di scope, si fermarono a mangiare in una specie di caffetteria, che però, invece del caffè, della coca-cola e della vodka, vendeva “burro birra”, “whisky incendiario”, e tutte bevande di questo genere; Gellert scoprì con sollievo che almeno il cibo era lo stesso.
“Papà, quando potrò avere un ba… una bacchetta anch’io?”
“Ottima domanda Gellert. Tra poco, molto poco. Non vive qui, però il fabbricante di bacchette Gregorovich, il migliore in tutto il nostro paese, a parere di molti, me compreso. La mia bacchetta è stata fatta da lui.” Con queste parole la tirò fuori, per mostrarla al figlio, che la prese in mano con cautela, timoroso di rovinarla. Era abbastanza spessa, finemente decorata con fili bianchi e oro. Il bambino la trovò magnifica.
“Come potrò scegliere la mia bacchetta? Sono tutte diverse?”
“Sì, sono tutte diverse, ma non sei te che la scegli, è il contrario. non fare quella faccia stupita, capirai quando saremo lì.”
Finito di pranzare, padre e figlio si alzarono dalla tavola su cui lasciarono qualche grossa moneta d’oro – chissà cos’è – e si avviarono a piedi verso i confini di Nurmenter. Lì, praticarono ancora una volta la materializzazione condivisa, e una volta riaperti gli occhi il bambino si ritrovò davanti una grande casa, appartenente chiaramente ad una persona molto ricca.
Il signor Grindelwald alzò il braccio per bussare, ma la porta si aprì prima che la sua mano potesse raggiungere la superficie di legno.
“Oh, è lei signor Grindelwald! E questo dev’essere suo figlio, Gellert!” a parlare con quella voce tonante era stato un giovane uomo, alto,  con i capelli rossi fino alle spalle e i grandi occhi marroni che sembravano analizzare le persone sotto tutti i punti di vista ad una sola occhiata.
“Proprio io, Gregorovich! E si, è proprio Gellert questo! Possiamo entrare? Mio figlio avrebbe bisogno di una bacchetta, una delle migliori!”
“Certamente, sarà un piacere poter dare una della mie bacchette migliori al figlio di un grande mago come lei, l’unico quesito è quale … torno subito, voi accomodatevi intanto!” con queste parole pronunciate con fare misterioso, sparì dietro ad una porta verniciata di nero. Loro, intanto, si sedettero su un comodo divano di pelle ad aspettare.
Il giovane fabbricante tornò qualche minuto dopo, carico di scatolette lunghe e fine. L’eccitazione di Gellert salì di colpo al massimo; finalmente era arrivato il momento, avrebbe avuto una bacchetta tutta sua, con la quale avrebbe potuto fare chissà quali straordinarie magie … il suo improvviso flusso di pensieri venne interrotto dalle parole del mago, che nel frattempo si era seduto di fronte al bambino e gli stava presentando un bastoncino di legno scurissimo.
“Legno di faggio, rigida, con cuore di crini di unicorno … preziosissima” la mise nella sua mano tremante. Subito, avvertì una sensazione di freddo intenso lungo tutto il braccio, e all’improvviso un vaso scoppiò dall’altra parte della sala.
“Non ti preoccupare figliolo, non è niente. Reparo.” E il vaso tornò intatto con un movimento della sua bacchetta. Ne prese un’altra da una scatoletta lì vicino. Peccato chela scena si ripeté per la seconda volta, poi per la terza, per la quarta e andando avanti. Mentre però il morale di Gellert era sempre più a terra, quello di suo padre e dello strano fabbricante sembrava salire sempre di più, come se questa fosse una cosa speciale. Lui invece pensava che non ci fosse bacchetta adatta, che forse non era fatto per il mondo dei maghi, suo padre sarebbe stato di nuovo arrabbiato con lui, e …
“Questa è la più preziosa in assoluto” si sentì dire con aria solenne, “legno di mogano – rarissimo – ,  flessibile, con…” occhiata complice verso suo padre, “ cuore di corde di drago e fenice messi insieme, anche questa una cosa veramente … atipico? Inconsueto?...eccezionale? si, probabilmente”
E così fu.
Appena prese in mano la bacchetta di mogano un calore confortante invase tutto il suo corpo, non solo il braccio sinistro con la quale la impugnava, e il vaso, questa volta, non si ruppe affatto.
“Prova ad agitarla” sussurrò suo padre.
E così lui fece.
E allora, con un unico, secco schiocco, il vaso si spaccò in due nette parti, perfettamente tagliate.
 
 
NdA: Salve gente!:) spero che questo capitolo vi sia piaciuto, mi sono particolarmente divertita a scriverlo!
Padfoot

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Capitolo 5
*** Frustrazione ***


“Eccezionale! Semplicemente fantastico!”
“Pensavi che non sarei riuscito a farlo eh?” disse lui, con un sorriso malizioso rivolto a suo padre.
“Bè devo dire che hai fatto moltissimi passi avanti, figlio mio. No, proprio non mi aspettavo che saresti arrivato a tanto. Sei riuscito a stupirmi, come sempre”
Gellert Grindelwald era appena riuscito a trasfigurare un gatto in una lampada dopo giorni che ci provava, e finalmente era riuscito a mostrarlo a suo padre. Aveva dieci anni adesso, e ne avrebbe compiuti undici nel giro di un mese. Dal giorno in cui aveva preso la sua bacchetta aveva cominciato ad imparare sempre più magie, dagli incantesimi più semplici a quelli più complessi, come la trasfigurazione. Suo padre gli aveva lasciato a disposizione la libreria di casa, un luogo enorme che era rimasto sconosciuto al bambino fino ai suoi sette anni. Allora aveva cominciato a divorare libro dopo libro, e ad esercitarsi da solo sulle magie più semplici, dopo aver studiato la teoria. Il signor Grindelwald quando l’aveva scoperto non solo non si era arrabbiato, ma era stato anche orgoglioso di suo figlio. Quindi ogni giorno, quando il padre usciva per lavorare, Gellert andava nella biblioteca e cominciava a leggere, e se incappava in qualche strano incantesimo andava in giardino e provava ad esercitarsi, e la sera mostrava a suo padre i risultati. Aveva studiato anche la storia del mondo magico, i personaggi importanti… di tutto insomma. Quello che più gli interessava però, ed era l’unica cosa che gli era proibita, era la magia oscura. Aveva letto moltissimo su questo argomento, aveva visto immagini degli effetti degli incantesimi peggiori, e voleva provare assolutamente, ma non poteva.
 
“Te lo proibisco non perché io sia contro la magia oscura, anzi, io la usa molto spesso nel mio lavoro. E’ solo che non voglio che ti fai male quando non ci sono, quindi imparerai ad usarla a scuola, e sono certo che arriverai a degli ottimi risultati. Noi non abbiamo un luogo dove si possano provare questi livelli di magia, quindi ti è proibito esercitarti. Capirai la mia scelta quando inizierai a studiare questi argomenti a scuola, e allora mi ringrazierai, perché ti ho impedito di farti male. Tu intanto continua ad imparare quello che puoi, vedrai che farai un figurone” e con queste parole era uscito di casa. Gellert era rimasto deluso, era una delle poche volte che suo padre gli diceva di no, e visto quello che aveva letto e studiato aveva anche dei buoni motivi per farlo, ma lui era sempre più curioso. Nonostante questo, però, non mancò mai alla promessa che aveva fatto di non disubbidire a suo padre, e continuò a studiare altri argomenti, anche se meno interessanti.
 
A volte veniva a trovarli suo nonno, e allora passava la giornata in salotto con lui a parlare e dicutere di qualsiasi argomento possibile ed immaginabile, parlando del più e del meno ed esercitandosi con la magia. Erano entrambi persone molto colte per la loro età – suo nonno, naturalmente, ne sapeva di più di lui, visti i suoi ottant’anni –, e riuscivano a discutere per ore di un certo argomento senza mai stancarsi. Era una delle poche persone di cui Gellert si fidava pienamente, e che considerava un amico. Trovava i ragazzi della sua età abbastanza noiosi ed ignoranti, dato che era raro trovare qualcuno che avesse studiato quanto lui. Il fatto che avesse scoperto il mondo magico a sette anni lo aveva reso ancora più curioso, e forse era questo che l’aveva reso così “interessato”.  La biblioteca di suo padre era per lui una fonte inesauribile, da cui infatti attingevano molti maghi e streghe adulti, che di volta in volta chiedevano il permesso al signor Grindelwald di accedervi. Il bambino aveva cominciato a parlare con molti di loro quasi come faceva con suo nonno, ed questo rendeva suo padre ancora più felice, perché riceveva complimenti a non finire su suo figlio, sulla sua intelligenza e sul suo bagaglio culturale.
Il ramo della magia che Gellert trovava più interessante era, dopo le Arti Oscure, naturalmente, la Trasfigurazione. Era anche molto dotato in quel campo, più che in altri, e aveva fatto progressi enormi. Trasfigurare un gatto, per esempio, era una magia complicatissima, e lo considerava un enorme traguardo, dopo quasi due settimane di lavoro.
“Vedrai, sarai lo studente più brillante di Durmstrang, ne sono certo! Complimenti figlio mio, complimenti!”
Durmstrang. Non vedeva l’ora che gli arrivasse quella lettera di ammissione. Aveva letto una marea di cose su quella scuola: come era organizzata, chi erano stati i vari presidi, quali erano le materie di studio, come era fatta la divisa, come era protetto il castello … e tutto ciò lo affascinava moltissimo. Non stava più nella pelle, mancavano ventidue giorni ormai al suo undicesimo compleanno, ed era eccitatissimo. Non sapeva che aspetto aveva il castello, non vi erano immagini da nessuna parte, era uno dei modi di proteggere la scuola da qualsiasi intruso, nonostante non ce ne fossero, e non sapeva nemmeno dov’era esattamente, un’altra misura di protezione.
“Ti piacerà, ne sono sicuro” erano state le uniche parole di suo nonno, e non aveva trovato alcun modo di estorcergli altre informazioni. E lo stesso era per suo padre, sembravano essersi messi d’accordo, e questo lo faceva impazzire.
 
                                                                              ***
 
Era mezzanotte. Aveva undici anni, finalmente, e per la prima volta si sentiva grande. Aprì la finestra di camera sua, in attesa del gufo che gli avrebbe portato la lettera di ammissione. Prese una sedia e si sedette, appoggiandosi al davanzale, cercando di ignorare il freddo pungente che gli faceva venire la pelle d’oca.
 
L’una. Nessun segno di un gufo, né di qualsiasi altra cosa. Stavano tutti dormendo? Probabilmente sì, disse a sé stesso.
 
Le due. Ancora niente.
 
Le tre. Si erano dimenticati di lui? Dov’era finito quello stupido gufo, si era forse perso?!
 
Le quattro. E’ ancora presto Gell, dormono ancora.
 
Le cinque. Niente di niente. Crollò sul davanzale, incapace di reggere ancora.
 
Le sei. Si svegliò di scatto. Un gufo! Stava arrivando un gufo! Sembrava familiare però … oh, solo il giornale, che delusione. Và via, stupido animale, sei inutile al mondo.
 
Le sette. Frustrazione, tanta frustrazione.
 
Le sette e mezzo. Si svegliò di soprassalto, non sapendo che cosa l’aveva svegliato.  Si era di nuovo addormentato, possibile?! Poi si accorse di una civetta nera appollaiata sul davanzale, che lo guardava con i suoi grandi occhi ambrati. I battiti del suo cuore accelerarono di colpo, vedendo la lettera che l’uccello reggeva nel becco. Gellert allungò lentamente la mano destra per accarezzarlo, prendendo contemporaneamente la busta con la sinistra. Stette fermo lì a guardare la carta bordeaux con il sigillo nero, non sapendo che altro fare.
 


NdA: Eccomi qui con un altro capitolo! Spero apprezziate anche questo, fin ora è quello che – secondo me – mi è venuto meglio … ma spetta a voi la decisione! Buona lettura!
Padfoot (:

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Capitolo 6
*** Di nuovo a Nurmenter ***




Gentile signor Gellert Grindelwald,
Siamo molto lieti di informarla che ha il diritto di frequentare la scuola di magia e stregoneria di Durmstrang. Le lezioni inizieranno il 1o di settembre di quest'anno. E' consentito portare una scopa personale solo con l'autorizzazione firmata dai suoi genitori o da chi ne fa le veci. Allegata troverà la lista di oggetti magici e libri da portare per le lezioni degli studenti del primo anno.
Cordiali saluti,
Abel Birger,
Preside.


L'aveva letta tre volte di fila, senza fermarsi per nessun motivo, ignorando i versi impazienti della civetta, che era ancora lì appollaiata, e sembrava essersi offesa per l'improvviso disinteresse verso di lei. Gli occhi del bambino erano lucidi per l'emozione, aspettava questo momento da anni, da quando aveva scoperto di essere un mago. Rilesse un'altra volta la lettera, giusto per essere sicuro di non averla sognata, per essere certo che fosse ancora lì. Finalmente trovò la forza di girare il foglio e dare un'occhiata alla roba da portare.


Uniforme;
Due divise da lavoro nere
Un mantello estivo rosso
Un mantello invernale rosso
Almeno un paio di guanti neri in pelle di drago molto spessa
Un paio di guanti neri per il freddo (facoltativi)


Libri di testo;
- Guida semplice attraverso la magia oscura e l'autodifesa da essa
- Attraverso la storia del popolo magico
- Trasfigurazione in pochi semplici passi
- Gli incantesimi
- Le meraviglie delle creature magiche
- L'arte delle pozioni, livello base
-I misteri delle piante magiche, livello 1



Oggetti magici;
Una bacchetta
Un calderone in peltro, grandezza media
Una bilancia magica
Una scopa (facoltativo)


Animali;
E' consentito avere con se' un animale, che può essere un rospo, un gatto, un serpente di tipo NON velenoso, un gufo o una civetta. Dato che gli studenti ricevono le loro lettere d'ammissione tramite posta normale, possono scegliere di tenere l'animale che ha portato la busta.



Gellert alzò gli occhi, e guardò bene la civetta nera. Non era molto grande, come gli era sembrata a prima vista, ma probabilmente era stato troppo preso dalla lettera. Sembrava abbastanza giovane a dir la verità, e lo guardava come se capisse cosa stava succedendo, con quei grandi occhi ambrati. Lei, accortasi di essere al centro dell'attenzione, si sistemò meglio sul davanzale con aria soddisfatta.
“Si, mi stai simpatica dai” disse con un sorriso. Lei sembrò capire, ed emise qualche uh-uh soddisfatta. Dovrò prima sentire mio padre però, e vedere che mi consiglia… pensò, un po’ deluso.
“Gellert! Sei sveglio? Tanti auguri figliolo!” Ecco qua, parli del diavolo…. Rivolse a suo padre, appena entrato in camera sua, un largo sorriso, sventolandogli davanti agli occhi la lettera.
“Cosa… oh, ti è arrivata!” e gliela prese di mano, cominciando a leggere.
“Posso tenerla papà? La civetta … o è meglio un altro animale? Questa è così bella …” disse, accarezzando distrattamente l’uccello.
“La… oh! Non l’avevo notata! Che bell’animale … sì, molto raro, decisamente. E … ahi!” suo padre aveva avvicinato la mano, ma aveva ricevuto un morso in risposta, “Che bel caratterino! Sì, la puoi tenere, non mi sembra un animale molto comune tra quelli della scuola. Le civette nere sono molto rare. Bè, vado a dire agli elfi di preparare la colazione! E…sappi che sono molto orgoglioso di te, Gellert!” e con queste parole lasciò la stanza. Il ragazzino guardò la civetta ancora una volta, continuando ad accarezzarla.
“Come ti vuoi chiamare? Vediamo… Alma? No, non ti piace” aggiunse, notando l’espressione contrariata della civetta, sempre che di espressione si potesse parlare.
“Sei proprio intelligente sai? Bene … Bernadette! No dai, scherzavo, scherzavo … Edi? Dai è carino … ok, no. Emi però si dai! Sarebbe il diminutivo di E…E…Vabbè non lo so, senti! E poi non è un nome comune, anche se è corto! Ti piace?” per tutta risposta, l’animale spiegò le ali ancora un po’ piccole, emettendo ancora il suo strano uh-uh, e Gellert lo considerò un segno di assenso.
“Bene Emi, hai fame? Io si, quindi direi che possiamo pure andare a mangiare, vieni!” lei volò sul suo braccio teso, e insieme scesero le scale, raggiungendo la sala da pranzo per la colazione.
 
                                                                                              ***
 
Decisero di andare due giorni dopo a comprare tutto il materiale scolastico, anche se mancava ancora un mese e mezzo al primo settembre, più che altro per evitare la calca di gente che sarebbe arrivata a Nurmenter di lì a poche settimane.
Il tempo, stranamente, passò molto in fretta: Gellert decise di abbandonare per un po’ la biblioteca paterna e di stare un po’ con Emi, che sembrava sempre più felice di ricevere così tante attenzioni da parte del suo padrone. Era davvero una civetta intelligente, e capiva gran parte delle cose che le venivano dette. L’unica occasione in cui aprì un libro durante quelle due giornate fu quando portò in giardino un volume enorme su tutte le specie di civette possibili ed immaginabili, e lo sfogliò steso su un’amaca, accarezzando distrattamente Emi. Scoprì che le civette nere erano rarissime, e che venivano usate solo in rare occasioni, perché molto pregiate. Chissà come mai l’avevano mandata a lui allora, doveva esserci stato uno sbaglio, pensò. Di solito nelle scuole venivano usate quelle grigie o marroni, le più comuni, che costavano anche di meno. Questo sembrò inorgoglire l’animale, che cominciò a volteggiare felice sopra alla villa e al giardino, facendo sempre quel suo strano uh-uh.
Finalmente arrivò il momento di smaterializzarsi, la mattina del 16 luglio. Emi sembrò offendersi di non poter venire, e si rintanò sull’armadio della camera di Gellert, finché questo non se ne fu andato. Come la prima volta, afferrò il braccio di suo padre, e avvertì di nuovo quella stranissima sensazione di vuoto nei polmoni. Si materializzarono all’ingresso di Nurmenter, il cuore dell’undicenne che batteva a mille.
Si avviarono lungo il viale pieno di negozi, camminando con calma, come se stessero facendo una passeggiata.
“Dove andiamo prima, papà?” Chiese Gellert, rileggendo la lista di cose da comprare
“Direi che andiamo a prenderti l’uniforme. Vieni, andiamo da Madam Possett.”
Entrarono in un negozio piccolo e molto illuminato, pieno di scaffali a cui erano appese stoffe e vestiti di qualsiasi tipo. Alla scrivania era seduta un’anziana signora con i capelli bianchissimi, che li guardò sorridendo.
“Signor Grindelwald, che piacere!” possibile che tutti conoscessero suo padre? “Immagino le serva l’uniforme di suo figlio, giusto?”
“Esatto Madam, un’uniforme per Durmstrang! Faccia lei … vai, Gellert, deve prendere le misure” disse l’uomo, spingendolo in avanti. Non ci mise molto ad essere misurato, e in dieci minuti l’uniforme, cucita su misura, era pronta. Gli stava perfetta, e gli dava anche un’aria molto elegante, con quei capelli biondi e quei furbi occhi azzurri. Si, gli piaceva.
Dopo il negozio di Madam Possett, entrarono da “Animali e accessori”, dove comprarono una larga gabbia per Emi, che non avrebbe potuto si certo stare libera durante il viaggio. Gellert sapeva che non gli sarebbe piaciuta, ma era una misura necessaria, disse suo padre. Poi andarono a comprare i libri. Il ragazzino non vedeva l’ora di leggerli tutti, soprattutto quello sulla magia oscura; il signor Grindelwald non avrebbe potuto protestare, in fondo era un libro di scuola. Per ultimo andarono nel negozio di scope, su insistenza di Gellert.
“Dai papà, mi piacerebbe moltissimo imparare a volare!”
“Non se ne parla, non spendo soldi in una cosa che poi magari non usi più perché non ti piace. Entriamo solo per vedere” e così fu. Nonostante le proteste di suo figlio, che guardava le scope con uno sguardo di ammirazione e desiderio, uscirono dal negozio a mani vuote. Sarò l’unico scemo senza scopa, mi prenderanno tutti in giro, pensò risentito.
Ma fu l’unica pecca in quel giorno perfetto. Alla fine della giornata, quando tornarono a casa dopo aver girato ancora un po’ tra i negozi. Emi li – forse però è meglio dire lo – aspettava in giardino, sempre facendo quel suo uh-uh, che mise Gellert ancora più di buon umore.
La sera, a letto, cominciò a sfogliare il libro sulla magia oscura, con la sua civetta che gli dormiva vicino, ma si addormentò prima di poter leggere una sola riga, tanto era stanco.

NdA: Salve gente! innanzitutto, volevo ringraziare per le recensioni, soprattutto  
ErodiadeEmilyBlack28Enide (come sempre xD) e MeiyoMakoto, che leggono la storia e la seguono! ... spero vi sia piaciuta l'idea della civetta, ho pensato che un piccolo amichetto gli avrebbe fatto bene! :)
Padfoot (:

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Capitolo 7
*** Il vascello per Durmstrang ***


                                                                      ***

Era arrivato il momento, finalmente. Non stava più nella pelle, non ce l’avrebbe fatta a resistere un giorno di più. Il suo baule era pieno di tutto quello che gli sarebbe servito già da una settimana, come se avesse paura di non fare in tempo, di dimenticare qualcosa. E adesso era il 31 Agosto, e il giorno dopo sarebbe partito. La sera si stese a letto, incapace di addormentarsi. Alla fine si era alzato e aveva cominciato a misurare la stanza a grandi passi, facendo avanti e indietro, avanti e indietro, con Emi che lo guardava curiosa. Anche lei avvertiva l’eccitazione, l’attesa che regnavano su tutta la casa da qualche giorno ormai. Alla fine Gellert si ridistese a letto e cominciò a leggere per l’ennesima volta il libro di magia oscura, Guida semplice attraverso la magia oscura e l'autodifesa da essa. Conosceva tutte le formule, tutti gli incantesimi a memoria ormai, anche se gli era stato proibito di praticarli. L’aveva quasi imparato a memoria, con tutte le volte che l’aveva sfogliato … riuscì a calmarsi un po’, leggendo, e alla fine, verso le cinque di mattina secondo il suo orologio, si addormentò con il libro in mano.
“Sveglia! Dai, sono le sette, è ora di andare Gell! Per Merlino, sono eccitato come se dovessi andarci io a scuola! Dai alzati dormiglione, è ora di andare!” Non ci fu il bisogno di ripeterlo due volte, suo figlio era già in piedi, e stava cominciando a cambiarsi a velocità lampo, sbadigliando a più non posso. Cinque minuti dopo erano in cucina, e stavno facendo colazione velocemente.

“Eccitato?”
“No”, mentì con noncuranza.
“Che bugiardo che sei, hai preso tutto da me”, rispose il signor Grindelwald con un ghigno.
“Come facciamo a portare tutti i bagagli? Il baule, Emi con la gabbia …”
“C’è un modo, poi ti spiego”
Venti minuti dopo erano davanti al camino di casa, il baule e una riluttante Emi nella sua gabbia tutti legati insieme da corde magiche.
“Hai mai usato la polvere volante? Allora, devi prenderne un pugno e lanciarla nel camino, e urli “ingresso Durmstrang”, ti porterà in una specie di … casupola, con tutti i focolari. Io arriverò poco dopo con la tua roba. Mi raccomando eh! Non è difficile, dai” e così dicendo gli mise in mano una polvere viola sottilissima. Gellert la guardò un attimo, poi la lanciò nel camino e urlò “ingresso Durmstrang” al suo interno, poi ci saltò dentro. Cominciò subito a girare velocemente, la testa prese a fargli male. Vedeva l’interno delle case di sfuggita mentre il suo corpo continuava a roteare. Quando si fermò, cadde a terra in mezzo ad altra polvere viola. Si alzò velocemente, guardandosi intorno. Era in quella che suo padre aveva definito una “casupola”, che tanto piccola poi non era. C’erano almeno un centinaio di camini, da cui continuava a spuntare tantissima gente, tra ragazzi come lui o più grandi, adulti, anziani e qualche bambino. Notò con imbarazzo che era stato tra i pochi che erano caduti atterrando nel camino. Guardò i suoi vestiti, e si accorse con orrore che erano tutti viola, sporchi di polvere.
Tergeo”, e tornarono come nuovi.
Proprio in quel momento arrivò suo padre, perfettamente pulito, insieme al suo baule e ad Emi, che aveva l’aria parecchio arrabbiata. Gellert prese la gabbia in mano, mentre suo padre faceva levitare il baule.
“Vieni, credo sia di qua.” Insieme si avviarono verso l’uscita, contemporaneamente a moltissima altra gente.
Ormai era come se il suo cuore fosse impazzito, avrebbe potuto avere un attacco di tachicardia da un momento all’altro, pensò. Appena fuori, si ritrovarono davanti ad uno spettacolo fantastico: un enorme lago con le acque scurissime, in mezzo ad una vasta pianura stepposa. Si avvicinarono insieme, e arrivarono sulla riva. Era impossibile guardare dentro l'acqua, sembrava petrolio per quanto era nera. Qualche volta spuntava un animale strano dall’acqua, facendolo sobbalzare; non ne aveva mai visti di simili, avevano una forma stranissima … ma un’altra cosa attirò la sua attenzione in quel momento. L’acqua – sempre che acqua fosse – al centro del lago aveva cominciato a gorgogliare, come se stesse ribollendo, senza un apparente motivo. Continuò così per un po’, catturando l’attenzione di tutti quelli che erano arrivati sulla riva, e che continuavano ad arrivare.
“Ma cosa …”
“Adesso vedi”
Infatti proprio in quel momento spuntò dall’acqua un asse lunghissimo … sembrava … l’albero maestro di una nave? No, impossibile … e invece eccola lì la nave, uscì dal lago anche lei, come se fosse spuntata dal nulla. Gellert guardava il tutto a bocca aperta. Non era scritto da nessuna parte come si arrivava a Durmstrang, era segreto, ma non si aspettava niente del genere, niente di così …spettacolare. Anche il resto della gente ammassata lì intorno guardava il tutto strabiliata, tranne i ragazzi più grandi e i genitori, che probabilmente avevano già vissuto la scena.
Il veliero che era venuto fuori dall’acqua era costruito in legno scurissimo, e aveva le vele bianche con uno stemma scarlatto sopra, raffigurante un’aquila a due teste. Dava un’idea di imponenza, forza, per le sue dimensioni smisurate e per i suoi colori e la sua forma, e tutto questo al ragazzo piacque moltissimo, era un’ottima prima impressione della sua nuova scuola.
“Ti piace, eh?” disse suo padre sorridendo, dopo aver visto la sua espressione ammirata.
“Tantissimo” sussurrò lui in risposta, a corto di parole per descrivere quello che stava provando. Era eccitato, felice e timoroso tutto insieme, e non sapeva proprio che dire, per una volta.
 

Salutare il signor Grindelwald fu abbastanza imbarazzante. Si lasciarono con un goffo abbraccio e un timido sorriso, come se fosse la prima volta, ma Gellert non ci badò molto, era troppo concentrato a guardare con sguardo adorante il vascello. Nel frattempo si era abbassata una passerella dal lato, che si era agganciata alla riva, vicino a dove stavano loro. Dall’interno della pancia di legno della nave uscì un mago adulto; questo si puntò la bacchetta alla gola, pronunciò qualcosa di indecifrabile e la sua voce risultò amplificata, in modo che potesse parlare senza sforzo a tutti i presenti.
“Ragazzi e ragazze di Durmstrang, vi do il benvenuto! Prego, salutate i vostri cari e salite nel vascello portando i vostri bagagli con voi negli scompartimenti. Arrivederci, ci vedremo di sicuro a scuola!” disse con un gran sorriso, poi girò sui tacchi e ritornò da dove era venuto. Gellert prese la gabbia di Emi, che nel frattempo era rimasta stranamente silenziosa, e il suo baule, e cominciò a trascinarli verso la passerella. Fu difficile salire con tutti la persone che avanzavano verso l’interno del vascello, e ci mise qualche minuto per arrivare dentro. Una volta lì, cominciò a girare lentamente per i corridoi in mezzo ad un fiume di ragazzi, cercando una cabina vuota. La migliore era occupata da una ragazzina – probabilmente della sua età – bionda e piena di lentiggini, e da un ragazzo – sicuramente più grande – con i capelli neri e dei bellissimi occhi blu notte.
“Posso..?”
“Sì, sì, fai pure!” gli rispose il ragazzo immediatamente. La biondina lo guardava curiosa, e quando si fu sistemato gli tese la mano.
“Piacere, io sono Anna Pelt, e tu come ti chiami?”
“Gellert, Gellert Grindelwald”
“Grindelwald?”
“… già … perché?
“Bè, tuo padre …”
“Mio padre cosa?”
“No niente, è che Grindelwald è un nome molto conosciuto tra le famiglie altolocate. Dovresti saperlo no?” questo era il ragazzo, che nel frattempo era intervenuto.
“Ah … sì, certo, lo so” rispose Gellert, preso in contropiede. Suo padre non era un argomento su cui aveva indagato molto. “E tu, qual è il tuo nome?”
“Frederich Allot. Piacere!” disse quello, con un tono solenne.
“Bene … quanti anni avete? Io ne ho undici”
“Anch’io”
“Sì, io pure”
“Tu …”
“Lo so, sembro più grande, me l’hanno già detto”
“Ah … ok”
Rimasero un po’ in silenzio, finché la nave non cominciò a vibrare, come se si fosse acceso un potente motore. Si precipitarono tutti a guardare fuori dall’oblò, e videro che mano a mano l’acqua del lago cominciava a salire; evidentemente stavano andando sotto. Infatti, dopo pochi secondi, al posto della grande piana poterono scorgere un altro spettacolo, decisamente più spettacolare: si distinguevano i pesci, gli animali marini e le piante, che insieme erano una vista mozzafiato. Ve ne erano di tutti i tipi, conosciuti e non, di qualsiasi forma e dimensione. Qualcuno si avvicinava al vascello, qualcun altro si allontanava spaventato, altri ancora semplicemente lo ignoravano. Gellert non pensava di aver mai visto niente di più speciale, quasi surreale.
Wow” sospirò Anna.

NdA: Salve gente! colgo l'occasione per ringraziare le persone che mi seguono e recensiscono ogni capitolo, spero sia piaciuto anche questo! ....Padfoot (:

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Capitolo 8
*** Nuovi amici? ***


Dopo la sorpresa iniziale, i tre ragazzi si abituarono al panorama visibile fuori dall'oblò, e mano a mano, partendo da qualche timida domanda iniziale, cominciarono a chiacchierare animatamente. Gellert mentre parlava aveva lasciato Emi libera, chiudendo la porta dello scompartimento, e adesso lei se ne stava appollaiata beatamente sul braccio di Anna, che la accarezzava ammirata. La sua civetta aveva suscitato la sorpresa di entrambi, un po' perché la scuola gli aveva spedito un esemplare così bello, un po' per la sua intelligenza. Dopo tutti i complimenti l'animale in questione aveva assunto un'aria particolarmente orgogliosa. Quando erano passati ad un altro argomento, si era sistemata sul braccio della bionda, e non aveva voluto spostarsi di li'. 
Dalla conversazione era venuto fuori che i due erano entrambe purosangue, che non si conoscevano da prima, ma che avevano sentito parlare l'uno dell'altro. Sapevano anche molto su Gellert, e questo lo stupì molto. 
"Mi ha detto che passi moltissimo tempo in biblioteca, e che qualche volta ti metti a fare dibattiti come se fossi un adulto, e sei un ragazzo molto intelligente!"
"Anna ma tu come lo sai?"
"La donna con i capelli lunghi e biondi come me e' mia zia!" disse lei con un sorriso.
"Ah... Ora si spiega"
"Anche io ho sentito parlare di te! Da mio padre, e' molto amico del tuo, sai? Lavorano insieme!" si era introdotto Frederich.
Chissà se lui sa... No, meglio non chiedere, ci avrebbe fatto una figuraccia. Solo che gli sarebbe piaciuto sapere che lavoro faceva suo padre. Decise di non fare domande che avrebbero potuto risultare equivoche.
"Davvero? Be', io non e' che parli molto con mio padre, e' sempre fuori per lavoro, quindi ha tempo solo la sera. Intanto io mi esercito con un po' di magia! Voi sapete fare qualcosa?"
"Si!"
"Certamente!" 
E presero tutti e due le proprie bacchette. Anche Gellert fece lo stesso, sentendo che era stata una buona idea cambiare argomento. Scherzarono un po' con qualche incantesimo, erano molto bravi anche loro. Frederich trasfigurò il cestino della spazzatura in una macchinino che andava in giro a raccogliere la sporcizia. Anna disse che non le piaceva, e trasformò la macchinina in un cavallo in miniatura, che si trainava dietro un carretto. Gellert allora si inserì, e fece diventare il cavallo un piccolo draghetto, con una piccola scatoletta appesa al collo. Provarono a metterci dentro un po' di carta, e l'animale la bruciò subito, eruttando un getto di fuoco. Decisero di lasciare il cestino così per il resto del viaggio, l'ultima soluzione era piaciuta a tutti e tre. Continuarono a giocare con gli incantesimi per un po', finché Emi non decise che si era stufata di sentire gli scoppi e cominciò a fare il solito "uh-uh" per farli smettere. Provocò uno scoppio di ilarità nei tre, che continuarono a ridere per una buona mezz'ora, senza alcun motivo apparente. Gellert non si era mai sentito così bene. Quei due erano intelligenti, sapevano all'incirca le stesse cose, ed erano anche molto simpatici; gli sarebbe piaciuto averli come amici. Dopo aver smesso di ridere - con uno sforzo enorme -, ricominciarono a chiacchierare. Ripresero a parlare del più e del meno: Frederich e Anna non avevano animali, erano figli unici, e venivano da famiglie molto importanti e conosciute, soprattutto il ragazzo, a quanto pare. Poi però tornarono su un argomento delicato.
"Voi siete purosangue? Io si. Ho sentito che qui a Durmstrang i mezzosangue non sono ben voluti, e i nati babbani non sono proprio ammessi. Che ne pensate?" disse ad un certo punto il moro.
"Penso che sia un po' ingiusto, anche se i miei continuano a dirmi che invece e' meglio così, perché i nati babbani potrebbero essere pericolosi, secondo loro. Io però non credo sia così; ne avevo conosciuto uno molto simpatico, ci avevo fatto amicizia, ma mi hanno fatto troncare i rapporti ... Peccato"
"Bah. Io sono d'accordo con loro, anche perché i miei sono della stessa opinione. Con i nati babbani non si sa mai, mentre con i mezzosangue si può stare più tranquilli. Dipende a anche dai parenti, però. Se si e' cresciuti con un mago e un babbano, allora non c'e molto da fidarsi, se invece si e' sempre vissuti con un mago che ... Boh, non lo so, magari che odia i babbani, allora si hanno le stesse idee, e ci si può fidare."
"Ma com'e possibile che un mago odi i babbani dopo che ci ha fatto un figlio? Allora non ti ci sposavi, scusa eh!" 
"Hai ragione ... Tu che ne pensi Gell?" 
Si accorse di aver trattenuto il respiro. Conosceva tutti i termini che avevano usato, li aveva letti moltissime volte, ed era cosciente del fatto di essere un mezzosangue. Nonostante suo padre non gliel'avesse mai detto, aveva anche scoperto da solo che quel tipo di persone non erano ben volute in una scuola rigida - dal punto di vista delle origini - come Durmstrang. Cosa avrebbe dovuto dire?
"Beh ... Si, so d'accordo con voi"
"E non dici nient'altro?" gli chiese Fred. In effetti, fino a quel momento aveva espresso la sua opinione su tutti gli argomenti senza preoccupazione, mentre adesso sembrava addirittura ... Timoroso? 
"Tu sei un purosangue Gell? O no? Guarda che non ti mangiamo, e' solo per sapere."
"Lo so, ma avete detto anche voi che i mezzosangue non sono per niente ben accetti a Durmstrang." ecco, aveva fatto un errore, aveva detto la verità. Che sarebbe successo ora?
"Capito. In effetti, di tua madre non mi hanno mai parlato. Vuoi dircelo tu o dobbiamo scopriamo da soli?" il ragazzo non aveva un tono ne' minaccioso, ne' di sfida, e Gellert decise di dire tutto. Tanto ormai il danno era fatto, non avrebbe potuto peggiorare, no?
“E va bene, vi dico tutto, ma mi dovete promettere di non dirlo a nessuno, a meno che non lo sappiano già, cosa che spero non accada. Quindi … da dove parto? Allora, io sono nato….” E raccontò tutto, dall’inizio alla fine. Le sue emozioni, le parole di sua madre e quelle di suo padre. Non sapeva se era stata una buona idea, ma non poteva più tornare indietro. Quando ebbe finito, sentì che si era levato un peso dalle spalle: non aveva mai detto niente a nessuno, non si era mai confidato in questo modo, non aveva mai parlato di sé così direttamente. Era una sensazione strana, ma si sentiva più … leggero? Attese la loro reazione. Bene, ora non gli sarebbero più stati amici, sarebbero andati a dirlo in giro, nessuno avrebbe voluto stargli vicino e suo padre si sarebbe arrabbiato come non mai per i disonore che suo figlio aveva portato al nome della famiglia. Che disastro che sei, Gell. Peccato che non successe niente del genere. Dopo un attimo di esitazione, in cui i due lo guardarono a bocca aperta, gli sorrisero. Gli sorrisero? Bè, questo proprio non se lo sarebbe aspettato, dopo tutti i loro bei discorsi su mezzosangue e nati babbani. Eppure stavano ancora sorridendo. Magari era un sorriso di scherno. Si, probabile, anche se non sembrava. Eppure…
“Pensi che adesso non ti saremo più amici?” Chiese Anna.
“O che andremo a spifferare tutto?” Aggiunse Frederich.
“Bè…”
“Io non lo farò” disse Anna risoluta.
“No, neanche io. Sei simpatico, ti sei dimostrato intelligente e colto, perché dovremmo? Non ho problemi ad esserti amico”
Non ci voleva credere. Stavano scherzando? Lo stavano prendendo in giro? Proprio in quel momento, però, il vascello cominciò a vibrare tutto, e i tre si ritrovarono a terra. Guardando fuori dall’oblò, videro che stavano risalendo; infatti, pochi secondi dopo, scorsero di nuovo la luce del sole, che picchiava su tutto il territorio circostante nonostante fosse settembre e facesse un freddo tremendo. Dal corridoio, si sentì arrivare la voce di una ragazza.
“Lasciate tutti i vostri bagagli – bauli, gabbie, animali – negli scompartimenti. Saranno portati nelle vostre stanze, voi non vi preoccupate. Uscite dagli scompartimenti e dirigetevi fuori dal vascello. Avrete altre istruzioni una volta lì.” Si affacciarono, e videro una folla di ragazzi e ragazze che sciamava verso l’uscita illuminata dal sole. Fred e Anna cominciarono a seguirli, ma si fermarono quando si accorsero che Gellert era fermo lì, e non sembrava avere intenzione di muoversi.
“Che fai, non vieni?”
“Dai, Gell, poi non ci ritroviamo più con tutta questa gente …”
“Voi andate, vi … vi raggiungo dopo, non vi preoccupate per me” vedendo la sua espressione i due si guardarono, e uscirono riluttanti.
Gellert intanto sentiva di aver fatto un errore enorme a dirgli tutto, anche se non avessero spifferato tutto, forse non era una buona idea stare con loro … pazienza, si sarebbe fatto altri amici, e non avrebbe detto niente di sua madre. Mise Emi nella sua gabbia, e quando anche lui si diresse fuori i corridoi erano già semi vuoti. Una volta all’aperto, si guardò un po’ intorno, e rimase a bocca aperta.

Un enorme castello nero si ergeva in cima ad una collina, a qualche chilometro da lì. Aveva una struttura massiccia, e anche questo, come il vascello, dava un’idea di maestosità e potenza; aveva una forma pentagonale, e ai cinque angoli altrettante torri dominavano il paesaggio. Per ogni torre sventolava una bandiera con uno stemma diverso, e al centro, dove si scorgeva un torrione alto e massiccio, era posta una sesta bandiera, questa volta nera con l’aquila scarlatta a due teste impressa sopra. Era un posto fantastico, visto da lì. Gellert fu costretto a levare lo sguardo dal castello quando un ragazzo molto più grande di lui lo esortò bruscamente a sbrigarsi. Lo seguì, e salì su una delle tante carrozze guidate da cavalli neri, che aspettavano di partire una volta che fossero saliti tutti gli studenti. Non parlò con gli altri ragazzi durante il tragitto, erano tutti della sua età, e quindi troppo presi ad ammirare il castello. Passarono su un enorme ponte, che Gellert vide scomparire una volta che fu passata l’ultima carrozza. I giardini di Durmstrang erano enormi, ed erano circondati da un fiume abbastanza grande. Era lì che erano appena passati; l’acqua era usata come difesa, il ponte ricompariva solo per far passare le persone autorizzate, probabilmente.

Le carrozze si fermarono di colpo, di fronte ad un immenso portone in legno massiccio. I ragazzi scesero in massa dalle carrozze e si precipitarono dentro, in quello che sembrava un salone d’ingresso. Il soffitto era molto alto, e sui muri non c’erano molte decorazioni; le finestre erano grandi, ma non entrava così tanta luce. Intorno a loro c’erano molte porte, e dall’ingresso partivano due rampe i scale. Di fronte ai ragazzi c’era un altro grande portone, questa volta chiuso.
Il silenzio era rotto solo dal chiacchierio degli studenti; ad un certo punto il portone si aprì, e ne uscì una donna alta e magra, che alzò un braccio per chiedere il silenzio, che ottenne subito.
“Buongiorno ragazzi! O forse è meglio dire buona sera, è quasi ora di cena nonostante ci sia molta luce. Io sono la vice preside, il preside vi aspetta all’interno della Sala Principale. I ragazzi più grandi si andranno a sistemare ai tavoli dei loro gruppi, quelli di primo anno si siederanno al tavolo all’estrema destra. Bene, entrate pure” e con queste parole si spostò, e con un leggero colpo di bacchetta fece aprire il portone.  Tutti gli studenti si precipitarono all’interno, desiderosi di scoprire cosa li aspettava ora.



NdA: Salve a tutti! grazie ancora alle persone che recensiscono e che mi esprimono sempre le loro opinioni sulla storia, mi fa molto piacere!! ci vediamo al prossimo capitolo
Padfoot (:

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Capitolo 9
*** Il primo giorno ***


I ragazzi sciamarono nella sala nel momento in cui il pesante portone si aprì. Era un enorme salone pentagonale, i muri neri con alte finestre colorate, che lasciavano trasparire la luce del sole e la amplificavano, illuminando tutto l'ambiente. Vi erano al suo interno sette tavoli, di cui sei posti in orizzontale e il settimo, probabilmente quello dei professori, in una posizione rialzata rispetto agli altri, in modo da permettere agli insegnanti di controllare gli studenti. Sopra ogni tavolata c'erano degli striscioni decorati in modo diverso, con quelli che sembravano stemmi e motti di diversi gruppi, forse. Gellert si era fermato sulla soglia ad ammirare il tutto con sguardo sognante, come se fosse una cosa bellissima quella che aveva davanti agli occhi. In effetti, la Sala Principale dava un'idea di grandiosità, come del resto anche il castello e tutto quello che riguardava Durmstrang; questa era stata la prima impressione del ragazzo, ed era decisamente ottima. Una voce femminile lo riscosse, riportandolo bruscamente alla realtà: "Il signor Gellert Grindelwald è pregato di sederei, se non vuole fare la figura dello scemo rimanendo lì tutta la cena!". Lui si guardò intorno stupito, e si rese conto con imbarazzo che era rimasto l'unico in piedi, e che stava attirando non pochi sguardi curiosi; a parlare era stata Anna, che nel frattempo si stava sbracciando per catturare l'attenzione dell'amico. Riluttante, Gellert si diresse verso di lei e Frederich, che gli avevano tenuto un posto in mezzo a loro. Per fortuna si era ripromesso di allontanarli il più possibile! 
Si sedette, e tenne gli occhi abbassati mentre i due gli parlavano.
"Ma che fine avevi fatto?"
"Hai visto che bello il castello?"
"E la Sala Principale! E' veramente fantastica no?"
"Ti credo che eri rimasto imbambolato lì in mezzo! E' uno spettacolo questo posto, non credi?" 
"Gellert, perché non parli?"
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato.
"Io... Ehm, si, è veramente bello" mormorò lui a disagio.
"Gell ma che ti prende?" disse Anna con aria preoccupata. 
"Niente, niente, sul serio"
Lei e Frederich si scambiarono un'occhiata eloquente, come se avessero capito tutto quello che gli passava per la testa. 
"Veramente pensi che sia cambiato qualcosa dopo che ci hai detto che sei un mez-"
"Sta' zitto Fred!" Bè, forse avevano capito davvero…
"Ehm...scusa. Comunque, davvero pensi che sia cambiato qualcosa? Chissene importa!"
"Quello che Frederich vuole dire" si introdusse Anna con un sospiro, "è che siamo amici, Gell, non ci importa nulla del tuo..." abbassò la voce "del tuo stato di sangue"
"Si, come no. L'avete detto voi che conta moltissimo qui a Durmstrang. C'ero anch'io sul treno quando ne avete parlato."
"Lo so, e hai ragione. Forse Fred è stato un po' esagerato" il moro la guardò male. "Ok, ho esagerato anch'io. Ma la verità è che non sappiamo molto di queste cose, e quello è ciò che ci hanno insegnato fin da piccoli. Tu sei la prova che probabilmente i nostri genitori hanno sbagliato, nessuno è perfetto dopotutto"
Gellert alzò lo sguardo verso di lei. Era vero quello che diceva? Poteva crederci? Proprio in quel momento, però, tutti gli studenti si alzarono in piedi, i più grandi imitati dai ragazzi di primo anno. Dalla loro posizione in fondo alla sala, i tre riuscirono a scorgere una fila di persone che avanzava con aria un po' impettita verso il tavolo rialzato, che era rimasto vuoto fino a quel momento. Al centro, su uno scranno rosso pieno di fregi e decorazioni, si posizionò un uomo abbastanza basso, con pochi capelli grigi e una barbetta dello stesso colore. E quello doveva essere il preside? Non aveva un'aria molto importante, ne' autoritaria. I ragazzi si sedettero solo quando anche gli insegnanti si erano accomodati. L'ometto che di sicuro era il preside Birger rimase in piedi, guardando la Sala con un sorriso stampato sulle labbra sottili.
"Buongiorno ragazzi!" Gellert rimase a bocca aperta: aveva una voce profonda, calda, che ispirava sicurezza, e non gli si addiceva per niente. Si girò a guardare i suoi amici, e vide che anche loro avevano la stessa espressione dipinta sul volto, come anche quasi tutti gli studenti del primo anno; gli altri probabilmente lo avevano già sentito parlare. Il preside continuò : "E' con immensa gioia che vi accolgo qui oggi, nella Istituto per gli Studi Magici di Durmstrang; mi è dispiaciuto dover lasciare i più grandi, ma non sapete quanto sono felice di vedere i nuovi arrivati, sempre più numerosi per altro!" 
"Parla sempre così secondo voi?" sussurrò Anna ai due ragazzi.
"Cosa intendi?"
"Boh... In maniera così... Solenne?"
In effetti, parlava usando parole un po' inusuali, ma d’altronde era il discorso iniziale, non poteva certo usare parole troppo… normali.
"Si, naturalmente! Fa sempre questo effetto all'inizio, si vuole dare un'aria di importanza, ma poi torna normale! Proprio una brava persona il Preside Birger, sì, proprio una brava persona!" trillò una vocetta dietro di loro. Si girarono tutti e tre contemporaneamente per vedere chi aveva parlato, e si ritrovarono davanti una specie di folletto completamente rosso, alto intorno ai dieci centimetri con le orecchie a punta. Aveva una specie di completino verde addosso, e un paio di scarpe un po' larghe per i suoi minuscoli piedini. Era sospeso a mezz'aria, come retto da un filo invisibile, e li guardava sorridendo. 
"Ma cosa..." cominciò Fred, ma l'esserino, con un gesto della mano, lo zittì.
"Salve ragazzi, voi dovete essere i nuovi! Io sono Spitz, Volsetto di Durmstrang! Posso aiutarvi in qualche modo? Mmh... Certo, non è che abbiate un'aria molto sveglia eh! Su dai, dite qualcosa invece di stare lì imbambolati a guardarmi! Bah, i giovani d'oggi..." I ragazzi aprirono le bocche per parlare, ma quello se n'era già andato. Non era sparito, semplicemente aveva cominciato a volteggiare per la sala a velocità incredibile, e dopo un po' non riuscirono più a vederlo. Il Preside intanto aveva ricominciato a parlare, ma loro non lo ascoltavano più.
"Oh per Merlino, e quello cos'era?" 
"Un vo...ve... Non lo so!" 
"Un Volsetto... Wow, non pensavo che ne avrei mai visto uno!" si inserì Gellert, "Nei libri che ha mio padre c’è scritto molto poco su questa specie ... Sono tipo folletti minuscoli, rarissimi, possono avere qualsiasi sfumatura di colore, nessuno sa dove ne' quanti siano, e non li puoi vedere a meno che non si mostrino. Non si sa come sono organizzati tra loro, ma mi sembra che a molti non piaccia il contatto con gli umani. Lui dev'essere un'eccezione! Come ha detto che si chiamava? Spi..."
"Spitz! Cavolo Gell, quanto tempo hai passato nella biblioteca di tuo padre? Sembri sapere tutto!" al complimento della sua amica il ragazzo sentì le guance riscaldarsi, quindi cambiò in fretta argomento, non volendo rimanere al centro dell'attenzione. "Dai, ascoltiamo il Preside, non voglio perdermi quello che dice!" Si girarono tutti e tre, per continuare a sentire le parole di quel buffo ometto. 
"...i Augurey-Bairgel, i Thestral-Vaisel, i Drachen-Fer, i Molchen-Mast, ed infine i Kobolde-Laric*. Verrete divisi nelle varie casate dopo il primo mese, quando avrete dimostrato quali sono le vostre capacità magiche e di apprendimento, quanto siete furbi, leali ... Be', vedrete, non vi voglio rovinare la sorpresa! Per adesso, i ragazzi del primo anno dormiranno al secondo piano, divisi tra maschi e femmine, naturalmente." Aveva un tono fiducioso, e a Gellert sembrò un uomo intelligente e simpatico, nonostante la prima impressione. "Bene ragazzi, immagino che a questo punto abbiate fame! Il mio discorso l'ho fatto, e non perdo tempo a presentarvi i professori, li conoscerete mano a mano... Buon appetito a tutti!" e così dicendo si sedette. 
"E cosa dovremmo mangia..." Frederich si interruppe a metà della frase, quando si accorse della quantità di cibo che aveva riempito la tavolata senza che lui se ne accorgesse. A dir la verità, nessuno sembrava aver visto niente, troppo presi dal discorso del Preside per badare ad altro: i più piccoli avevano tutti lo stesso sguardo strabiliato del bruno, mentre i più grandi già avevano cominciato ad abbuffarsi. Prendendo esempio, cominciarono anche loro.
Il cibo era veramente squisito, e ve ne era di qualsiasi tipo: primi, secondi, desserts e frutta e verdura. In più, sembrava non finire mai, i piatti erano perennemente pieni! A parte qualche breve commento, non parlarono molto durante la cena, troppo presi ad ingerire quanto più possibile di quel ben di dio. Quando Gellert fu veramente troppo pieno per poter mettere qualsiasi altra cosa in bocca, posò le posate e si appoggiò sui propri gomiti, guardandosi intorno. Merlino, avrebbe potuto vomitare da un momento all'altro! Notò che anche gli altri studenti erano nella sua stessa situazione, compresi Anna e Fred, che lo guardarono sorridendo. Si, forse erano davvero suoi amici…
Era stata una giornata fantastica.

                                                                                               ***

Si buttò sul letto, troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa. Accanto a lui, Fred aveva già affondato la faccia nel cuscino e cominciava ad assopirsi.
Erano stati guidati su per delle scale da un insegnante, erano arrivati ad una sala circolare e si erano divisi dalle ragazze, entrando in un enorme dormitorio. Anna li aveva salutati raccomandandosi di ritrovarsi la mattina seguente a colazione, e avviandosi nella direzione opposta alla loro. I due ragazzi avevano trovato i propri bauli e si erano sistemati in due letti vicini, dopodiché erano letteralmente crollati, desiderando solo avvolgersi nelle morbide coperte e dormire, dormire, e dormire, aspettando il giorno seguente con eccitazione e curiosità.

                                                                                               ***

*Sono nomi in tedesco di creature magiche, con l’aggiunta di un altro nome…che vedrete cos’è in seguito:) Allora…  Augurey-Bairgel : “Augurey” non l’ho tradotto, ho fatto qualche ricerchina e ho scoperto che è un tipo di uccello che si credeva portasse morte, ma in realtà porta solo pioggia. La  descrizione sarà fatta più avanti, se non la cercate da soli :D
Thestral-Vaisel : i Thestal immagino sappiate cosa siano; sono i cavalli alati che trainano la carrozze di Hogwarts, e che possono essere visti solo da chi ha assistito ad una morte.
Drachen-Fer : Drachen … vabbè, vuol dire Draghi
Molchen-Mast : i Molchen sono i Tritoni; pensate al popolo del mare che abita il Lago Nero di Hogwarts, che hanno aiutato nella seconda prova del Torneo Tre Maghi.
Kobolde-Laric : Kobolde vuol dire folletti! Non ho resistito ;) in realtà si poteva dire anche Lepricani, ma i folletti normali sono un po’ diversi, quindi l’ho messo così!

                                                                                 ***
NdA: salve a tutti, e buon anno! Scusate se ci ho messo una marea di tempo ad aggiornare, ma come ho già spiegato a qualcuno, ho avuto un po' di problemi babbani che mi hanno tenuta particolarmente occupata u.u ...so che vi aspettavate uno smistamento, ma Durmstrang è diversa da Hogwarts, e li non hanno un cappello parlante che analizza le capacità dei singoli studenti ... Be', vedrete! Prometto che aggiornerò presto! Grazie ancora a chi recensisce ogni capitolo!
Baci,
Padfoot (:

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Capitolo 10
*** Quiddich ***


"Gell, siamo in ritardo."
"Credi che non lo sappia?!"
Ci fu un attimo di silenzio. Gellert sospirò, non sapendo cos'altro fare. 
"Anna ci ucciderà" disse solo.
Fu il turno di Fred a sospirare. "E siamo in ritardo il primo giorno di lezioni..." raggiunse la prima rampa di scale e si sedette, affondando le mani nei capelli, in un gesto che sapeva tanto di disperato.
"Oh, Fred, ma come abbiamo fatto a perderci? Mi sento un'idiota!" e con un gesto secco si sedette pure lui.
Erano tornati nello stesso punto da dove erano partiti quella mattina, dopo infinite rampe di scale, tre piani ripercorsi più volte e innumerevoli stanze attraversate, e ancora non avevano ritrovato la Sala Principale. Eppure, la sera prima la strada non era sembrata troppo difficile, avevano percorso un corridoio, erano saliti per delle scale ed erano entrati nei dormitori, tutto qui. Eppure, erano riusciti a perdersi. Ridicolo!
"Allora, proviamo a ricostruire."
"E' inutile Gell"
"No invece, riproviamo, non voglio rimanere chiuso qua dentro tutto il giorno!"
"Ci troveranno dopo la colazione, dai!"
"Ho fame"
"E non vuoi fare brutte figure"
"Già". 
"Allora, facciamo come vuoi tu, tanto è inutile. Appena fuori dalla stanza circolare..."
"No, partiamo da quando ci siamo svegliati!"
"Perché, Gell?"
"Boh, così, magari serve a qualcosa..."
"Vabbè... Tanto abbiamo tempo. Quindi, ci siamo svegliati, ed era rimasto solo quello scriccioletto, che ci ha detto di sbrigarci perché erano tutti giù. Ci siamo cambia-"
"Non eravamo in pigiama"
"Giusto. Ci siamo alzati, siamo usciti da-"
"Prima si è bloccata la porta"
"Vabbè ho capito, dilla tu che la sai meglio" si spazientì Frederich.
"Ok... Io ho provato ad aprire la porta, sia spingendo che tirando, ma era bloccata"
"Ma questo a che ci serve?"
"Non lo so ... Ma secondo me è importante" Era come se fosse un dettaglio, quello della porta, determinante, ma non capiva in che modo. 
"Be' dai, forse non siete stupidi come pensavo..."
"Spitz! Tu ci puoi aiutare!" Fred era saltato in piedi vedendo il Volsetto rosso volteggiare in aria.
"Forse...." rispose quello, assumendo un'aria misteriosa.
"Che intendi dire? Era vero che la cosa della porta era importante?" Chiese Gellert speranzoso.
"Forse..."
"Appena ti acchiappo..."
"No Fred, che sennò non ci aiuta!"
"E chi vi dice che vi aiuterò? Boh, non so se mi state simpatici... E poi, vedere la vostra amichetta tutta sola con quell'aria infuriata..." la sua vocetta stava cominciando a diventare irritante, per entrambi i ragazzi.
"Dai, guidaci almeno"
"Mmmh.... No!" e così dicendo volò via, lasciandoseli alle spalle. Fred, infuriato, lo cominciò ad inseguire giù per una rampa di scale. Gellert non poté fare altro che corrergli dietro, sperando di non perderli e di non rimanere solo in quella specie di labirinto. Scese velocemente qualche gradino, finché non sentì un tonfo, e un sonoro "Ahi!". Guardò in giù, solo per vedere Fred rotolare verso il basso, con Spitz che rideva, svolazzando lì intorno. 
Quando il biondo arrivò in fondo, trovò il suo amico seduto a terra che si massaggiava la gamba destra. Non era ridotto così bene: aveva i capelli tutti scompigliati, una manica mezza strappata ed un vistoso livido sulla guancia sinistra. 
"Una buccia. Una buccia di banana. Io lo uccido quello stupido cosetto appena lo prendo! Anzi no, lo torturo! Così impara, a farmi cadere..."
"Fred, mi sa che ci ha aiutati"
"Cosa?! Non lo difenderai mica!"
"No, dico solo che... Be', a modo suo ci ha aiutati"
"Ma che sei impazzito Gell?" disse quello, alzando lo sguardo per guardarlo. L'amico, in tutta risposta, alzò un braccio per indicare... la Sala Principale! Forse si, forse quel folletto dispettoso li aveva davvero aiutati! Ma non vi fu tempo di rifletterci su, dato che videro Anna che avanzava come una furia verso di loro, probabilmente decisa a riservare loro lo stesso trattamento che Fred stava promettendo a Spitz.

                                                                                                                       ***

"Non ci hai fatti mangiare, e adesso pretendi pure che ti ascoltiamo?!"
"Siete voi che siete arrivati tardi! Per fortuna non se n'e accorto nessuno, avreste fatto una figura terribile!"
"Ma..."
"Lascia stare Fred, forse è meglio che ascoltiamo, immagino sia qualcosa di importante"
Vedendo che anche l'amico lo abbandonava, Frederich smise di protestare.
"Finalmente qualcuno con un po' di buon senso!" sospirò Anna esasperata, "Allora, oggi non si farà lezione..."
"Cosa??" si intromise Gellert indignato. Lui aveva voglia di imparare, cominciando fin da subito! E poi, cosa avrebbe fatto tutto il giorno?
"Però abbiamo un po' di cose da fare, credetemi" 
Gellert ebbe la netta sensazione che Anna sapesse leggere nel pensiero. Lei continuò imperterrita, ignorando la sua faccia stupita.
"Alle dieci, tra un'oretta quindi, tutti gli studenti di primo anno si vedono giù in cortile per fare un giro della scuola insieme ad un insegnante. Ci saranno distribuiti dei moduli con le regole dell'Istituto, e le varie punizioni in caso di infrazione."
"Si dicono cose terribili sulle punizioni, sapete?"
"Fred, fammi parlare! Dov'ero? Ah, si, i moduli. A mezzogiorno si pranza, non si può arrivare più tardi di mezzogiorno e mezzo che sennò non fanno entrare" la bionda li guardò con un’eloquente aria di rimprovero, "quindi vedete di arrivare presto, non voglio sentire scuse sul fatto che vi siete persi!"
"Si mamma" disse Gellert a bassa voce, abbastanza da farsi sentire da Fred, che sghignazzò.
"Il pomeriggio ... Mi sa che il pomeriggio siamo liberi"
"Tutto qua? Oh be', allora il pomeriggio andiamo a vedere il campo di Quiddich, ti va, Gell? Non vedo l'ora di provare la mia nuova scopa! Be', io vado in camera, mi metto qualcosa di integro, questi vestiti non vanno molto bene. A dopo!" e così dicendo si avviò, lasciando i due in silenzio dopo la sua ultima affermazione.
Anna guardò Gellert con aria improvvisamente triste, finche' lui non la riprese severamente, per nessun apparente motivo: "Che c’è da guardare?" l'argomento Quiddich gli aveva riportato alla mente il rifiuto di suo padre, mettendolo di colpo di cattivo umore.
"No niente... E' che... Vabbè niente" sospirò la bionda, incuriosendo non poco il suo amico.
"Cosa? Va tutto bene Anna?"
"Si..."
"No invece, mi spieghi cos'è che non va?"
"E va bene. Io odio volare. E... Be', ero sicura che questo momento sarebbe arrivato"
"Questo momento?" 
"Non fare l'idiota Gell, non è difficile da capire! Voi passerete il pomeriggio a volare e a divertirvi sulle vostre stupide scope, e io ne rimarrò fuori, e non avrò idea di cosa fare!"
Ascoltando le sue parole, Gellert non si trattenne e scoppiò a ridere. Peccato che ebbe il solo effetto di farla irritare ancora di più. 
"Lo sapevo, era inutile!" e cominciò a camminare a passo spedito verso il castello.
"No, Anna aspetta! Sappi che ti capisco" la biondina si fermò per guardarlo scetticamente. "Davvero! Io... " il ragazzo tornò serio. "Io in realtà non ho una scopa."
"Mi stai prendendo in giro?"
"Ehi, chi era che non doveva scherzare?!"
"Ma ce l'hanno tutti i ragazzi!"
"Grazie della comprensione"
"Va bene, scusa... Ma come mai non hai una scopa? Non ti piace?"
"Veramente non ho mai provato" l'ultima frase la lasciò a bocca aperta.
"Perché?"
"Mio padre dice che mi devo concentrare sullo studio, che è pericoloso ... E tutta quella roba lì”
"Merlino!"
"Cosa?"
"Non avevo mai incontrato un ragazzo che non avesse mai provato a giocare a Quiddich! Comunque, puoi sempre imparare…"
"E' facile?" si era acceso un barlume di speranza.
"Non n'e ho idea! Ma so che tra le lezioni c’è anche il volo, purtroppo"
"Purtroppo?! E’ fantastico! Anche se… questo mio padre non me l'aveva detto"
"Probabilmente non gli piacciono gli oggetti volanti... Avrà paura per te"
"Mmh... Ne dubito"
"E perché?"
"Anna, è tardi dai, io mi vado a cambiare!" e così dicendo se ne andò, lasciandola da sola, a domandarsi il perché di quell’improvviso cambio di argomento.
Non gli piaceva parlare di suo padre, e cercava sempre una scusa per sfuggire quando una conversazione cominciava ad andare in quella direzione. Continuò a rimuginare su quello di cui aveva parlato con Anna: il Quiddich, la possibilità di imparare a volare... Magari ci sarebbe davvero riuscito! 

                                                                    
                                                                                                       ***

"Dai, Gell, prendi la tua scopa!"
"Fred..."
"Si, lo so, non vedi l'ora! Neanch'io sto più nella pelle, e poi era tantissimo che non volavo! E poi passare la mattinata con quel professore così tremendamente... noioso, è stato veramente stancante, e non ho capito niente di quello che ha detto sul castello!"
"Fred, in realtà..."
"Però i miei hanno detto che da piccolo ero bravo, e che non dovrebbe essere difficile ricominciare! Poi, visto che hanno detto che possiamo provarlo...." Sembrava che non riuscisse a fermarsi.
"Fred, io veramente..." Era il terzo tentativo, forse avrebbe dovuto metterci un po' più di convinzione. Vabbe', lasciamolo finire un'altra frase, si disse Gellert. E poi non era nemmeno troppo sicuro di avere il coraggio di dire al suo amico che in realtà lui la scopa non ce l'aveva affatto, forse faceva meglio a trovare qualcun altro con cui volare, invece di stare a perdere tempo con lui. 
"E poi, nella mia famiglia sono tutti giocatori di Quiddich! I maschi, naturalmente. Non e' uno sport da femmine"
"Fred!" Anna interruppe bruscamente il suo monologo.
"Oh, scusa Anna, però è vero! Per esempio, tu hai detto che non ti piace no?"
"Frederich! Gellert stava cercando di dirti una cosa!"
Oh, be', questa non ci voleva.
Il biondo abbassò lo sguardo, cercando qualcosa di sensato da dire.
"No, non è niente..."
"Gellert, non fare l'idiota"
"Ma di che state parlando?" Fred li guardava scambiarsi occhiate di fuoco, senza capirne il motivo.
"Ok, allora lo dico io!" decise la ragazza, "Fred, Gellert non ha una scopa, non sa volare, e non passerà il pomeriggio con te al campo da Quiddich!"
Silenzio.
L'attenzione di Gellert fu improvvisamente attratta dalla forma delle mattonelle sul pavimento.
"E'... E' vero Gell?"
"Già'".
Anna sospirò esasperata.
"Uomini! Sapete essere così stupidi!"
E così dicendo uscì dalla camera, diretta chissà dove.

"Vabbè dai, voi vi sedete sugli spalti e mi guardate, ok? Non ci starò tanto, da solo non è che ci siano tutte queste cose da fare!"
Avevano recuperato Anna, che era andata a leggere in giardino sotto un albero, e l'avevano convinta ad accompagnarli al campo da Quiddich, in modo da poter stare insieme a Gellert per guardare Fred che si divertiva.
"Smettila di darti troppe arie, Fred, abbiamo capito che sai volare" sbuffò lei.
“Smettila di riprendermi, non sei mia madre!”
"Smettetela voi due!" li rimproverò Gellert, cercando di porre fine ai loro battibecchi. Erano diventati abbastanza insopportabili, per quel giorno. A parte qualche altro sguardo di odio reciproco, se ne stettero in religioso silenzio.
Arrivarono al campo qualche minuto dopo, ancora senza parlare.
 
"Wow" sospirò Fred, ammirando quello che per lui era uno spettacolo.
"E' fantastico!" anche Gellert era stupito di quanto potesse essere bello un campo da Quiddich.
"E' enorme!" commentò Anna, sbrigativamente. "Dai Fred, veloce."
"Si, si, ora vado!"
 
Dal momento in cui lui ed Anna si sedettero sugli spalti costruiti intorno al campo, Gellert cominciò a pensare a tutto, tranne che al Quiddich. Anche se non lo dava a vedere, guardare Fred che sfrecciava a cavallo della sua nuova scopa mentre lui avrebbe dovuto accontentarsi di cercare di imparare un ora la settimana, non era una prospettiva molto rosea per lui. Per questo, fece allegramente finta di guardare il suo amico che si dirigeva a passo spedito verso il centro del campo, pronto per alzarsi in volo, e cominciò a pensare alle lezioni che ci sarebbero state il giorno dopo. Chissà, forse avrebbero cominciato da subito con la Trasfigurazione. Sperando di beccare un insegnante simpatico... Anche Anna aveva deciso di rimanere in silenzio, facilitandogli il compito di portare la mente da un'altra parte. Allora... sì, Trasfigurazione. E magari anche Pozioni, no?
Ma dov'era Fred? Che si sbrighi.
Pozioni e... Storia della Magia? No, avrebbe preferito qualcosa di pratico.
Anna sbuffò accanto a lui.
Incantesimi! O... Arti Oscure. Un brivido gli percorse la spina dorsale al pensiero. Voleva proprio vedere la faccia di suo padre quando sarebbe tornato a casa sfoggiando le sue nuove doti di mago oscuro. 
Anna sussultò. 
Mago oscuro, sì. Si concentrò sugli incantesimi più conosciuti in quel campo della magia, ma non ne conosceva poi così tanti.
"Gell!"
"Sì?" rispose con aria assente.
"Merlino, non riesce a partire!" si capiva che stava cercando di trattenere una risata.
"Cosa?!" abbandonò definitivamente i pensieri sulle lezioni, guardando in basso per la prima volta. Effettivamente, Fred era ancora in piedi, con la scopa posizionata in mezzo alle gambe, che guardava un pò in tutte le direzioni tranne che lì su. Sembrava abbastanza a disagio.
Fece un tentativo di salto, ma tornò per terra qualche decimo di secondo dopo, senza aver spiccato nessun tipo di volo. 
Gellert cominciò a guardare con più attenzione. -Possibile?- Evidentemente sì.
I due si alzarono in piedi, raggiungendo subito dopo i gradini che li avrebbero portati sul campo. Lì in mezzo stava Frederich, il volto contratto in quella che sembrava un'espressione concentrata, preoccupata e delusa al tempo stesso. Quando alzò lo sguardo verso di loro, si accorsero che aveva gli occhi lucidi. Si guardarono un attimo, poi lui provò con un altro salto, ma niente da fare. A quel punto si spazientì, lasciò andare la scopa e la calciò lontano, come fosse qualcosa di orribile: "Non ci riesco, non riesco a volare! Eppure mi veniva facile prima, com'è possibile??"
"Magari è la scopa..."
"Ma è nuova!"
"Forse ti ci vuole un pò più di concentrazione..."
"Concentrazione? Ho usato tutta la concentrazione di cui sono capace, ma non è successo assolutamente niente!"
E se ne andò, dopo aver reso i loro tentativi di consolazione abbastanza inutili. Loro si guardarono afflitti, cercando di pensare a cosa fare. Quando Gellert si riscosse, il moro probabilmente era già arrivato al castello.
Sospirò, facendo qualche passo in direzione della scopa. L'avrebbe riportata lui, anche se forse era meglio nasconderla momentaneamente alla vista dell'amico, che non sembrava molto incline a vederla, per ora. 
"Dai, su, andiamo" l'aveva detto ad Anna, ma quelle parole erano rivolte più a sè stesso che a lei. Eppure, ebbero un effetto imprevisto.
La scopa di Fred cominciò a vibrare a terra, e qualche secondo dopo saltò in aria, vicino al ragazzo, strabiliato. Lui guardò prima Anna, poi la scopa, poi di nuovo lei e ancora la sopa, come fosse qualcosa di soprannaturale.
"Gell...."
"Perchè ha fatto così?"
"Hai detto 'su'..."
"Ma non mi rivolgevo alla scopa!"
"Lo so, ma..."
"Cosa?"
"Prova a salirci"
"Cosa?"
"Hai capito benissimo" aveva un tono abbastanza deciso, che non ammetteva repliche.
Non capì nemmeno lui come fece, ma nel momento in cui si sedette sulla scopa, quella si librò in aria a più di dieci metri di altezza,e sì fermò lì aspettando un ordine.
"Anna, cosa devo fare ora??"
 

NdA: 'Giorno! come va? Dai, non ho aggiornato troppo tardi questa volta, no?
Spero vi piaccia :) Grazie ancora a chi racansisce, ha messo tra le seguite o tra le ricordate!
Baci,
Pad (:

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Capitolo 11
*** Scoperte inaspettate ***


"Ehm...io....veramente..."
"Anna, lo sai che questo e' colpa tua vero?" si sforzò di sorridere, tentando invano di guardare giù, dove il terreno sembrava sempre più lontano. 
"Non pensavo che sarebbe schizzata in aria!"
"Ok, provo a fare qualcosa" La zittì lui, cercando di concentrarsi su non sapeva bene cosa. Forse, dando dei comandi alla scopa... Provò a trasmettere al manico che aveva in mano tutta ossia volontà di scendere, ma fu abbastanza inutile.
"Sei ridicolo" gli urlò Anna da sotto. Effettivamente, stava fissando la scopa con sguardo truce, come se potesse vederlo.
"Grazie dell'incoraggiamento, se questo e' tutto quello che puoi fare faresti meglio a tornare al castello!" 
"Non c'e' bisogno di essere così acido" si offese lei. La vide salire le scale degli spalti con la coda dell'occhio, troppo timoroso di muovere anche un solo muscolo. Adesso era alla sua stessa altezza, e lo guardava pensierosa.
"Cerca di rilassarti"
"Rilassarmi?! Hai idea di cosa voglia dire stare qui?!"
"Ok, Gellert cerca di stare calmo, sennò non ti posso aiutare"
Giusto, stare calmo. Facile dirlo per lei, che si trovava con i piedi terra e non rischiava di finire spiaccicata al suolo a cavallo di una scopa impazzita. Fece qualche profondo respiro, e girò lentamente la testa, per guardarsi intorno. Non era poi così male il panorama, dovette ammettere a sé stesso. A destra aveva l'imponente castello di Durmstrang, che dominava il paesaggio circostante, che era costituito da morbide colline con l'erba alta mossa dalla perenne brezza fresca. In lontananza si scorgeva il ponte che avevano attraversato con le carrozze, e ancora oltre l'immenso lago da cui era spuntato il vascello. -Che spettacolo.- 
Involontariamente, rilassò il busto, e fece un po' di pressione sul manico. L'effetto fu immediato: la scopa si buttò in picchiata a tutta velocità, dandogli a malapena il tempo di rendersi conto quello che stava succedendo. Sentiva solo il vento freddo arrivargli in viso e fargli lacrimare gli occhi, e vedeva il suolo avvicinarsi in maniera vertiginosa, un po' troppo velocemente per i suoi gusti. Si rendeva appena conto delle grida di Anna, che potevo solo guardarlo cadere da lontano. 
Poi successe tutto troppo velocemente: Gellert tirò in su il manico di scopa, in quello che voleva essere un gesto disperato, che però lo salvò, portandolo a volare verso l'alto con la scopa di Fred. Ecco qual era il segreto, quindi! Doveva solo decidere la direzione e comunicarla con le mani a quello strano bastone, che avrebbe automaticamente seguito i suoi ordini! Provò qualche altra volta, giusto per essere sicuro di non andarsi a schiantare da qualche parte, e cominciò a piacergli. Salì più in alto, poi girò a destra e fece un giro completo del campo di Quiddich a trenta metri di altezza. Scoprì che appiattendosi in avanti con il corpo andava più veloce, mentre se andava indietro con il peso si fermava a mezz'aria. Ed era bellissimo, vedere tutto dall'alto, sentire il vento che ti accarezza il viso. Guardò giù, e scorse Anna che lo fissava sbalordita. Forse era meglio scendere, anche se sarebbe rimasto lì su volentieri. 

"Dai, sbrigati, tra un po' e' ora di cena." la bionda non sapeva se essere contenta, per il fatto che Gellert sapesse volare, o preoccupata, alla prospettiva di dirlo a Fred.
"Non glielo dire"
"Cosa?"
"Non dirgli che so volare. Non dirlo a Fred"
"Hai paura che si arrabbi?"
Lui abbassò lo sguardo. L'avrebbe scoperto comunque, si disse, ma meglio ritardare il momento.

 
All’interno del castello non faceva freddo, ma i camini non erano accesi e non c’era nient’altro a riscaldare l’ambiente. La cena passò silenziosa, nessuno dei tre aveva voglia di parlare della giornata appena trascorsa, che non era andata esattamente bene. Fred era ancora di pessimo umore, Anna era preoccupata per lui e Gellert aveva paura che l’amico scoprisse quello che era successo dopo che se n’era andato dal campo, quindi nessuno dei tre aprì bocca per parlare. Ad un certo punto passò la vicepreside per comunicare a tutti i ragazzi di primo anno che l’indomani mattina sarebbero stati svegliati da una campana, e sarebbero dovuti subito scendere a colazione, dopo avrebbero ricevuto gli orari delle lezioni. Ascoltando le sue parole, Gellert si rese conto che mano a mano che il tempo passava diventava sempre più eccitato, e già ora non stava più nella pelle. Avrebbe passato di sicuro una notte insonne a pensare al giorno dopo.
“Ragazzi, mi raccomando, vi aspetto fuori dalla porta del vostro dormitorio domattina, non voglio perdervi un’altra volta”
“Già, e io non voglio cadere di nuovo dalle scale per colpa di quello stupido folletto.” Aggiunse Fred.
“Dai su, andiamo” e con un sonoro sbadiglio, il biondo cominciò a salire le scale insieme al resto degli studenti.
 
                                                                        ***

“Quindi, tu sai volare, eh?”
“Mmh…”
“No caro, voglio una risposta ben precisa”
“Dai su…”
“Lo sai che non è bello mentire agli amici?”
“Ma che cavolo…!” Gellert fece un salto sul letto, rischiando di cadere. Si guardò intorno, ma non vide niente di strano. Se l’era forse sognato?
“Spitz! Esci subito di qui!” il folletto comparve nel suo campo visivo.
“Shhh! Non vorrai svegliare gli altri!”
“Perché mi hai svegliato? Che ore sono? Cosa…”
“Quante domande, ragazzo mio, sii paziente!”
Si ributtò sul letto, premendosi il cuscino sul viso. Com’era morbido…
“Svegliatiiii, che c’è qualcosa per te!”
“Adesso?!”
Rinunciò definitivamente al letto, ormai era sveglio, e prestò un po’ più di attenzione all’ambiente intorno a sé, nonostante la vista ancora appannata. Si sfregò gli occhi con il dorso della mano, ma l’unico risultato fu quello di farsi male per averlo fatto con troppa foga. Niente da fare, era ancora mezzo addormentato.
La stanza era ancora semibuia, rischiarata un po’ da qualche raggio di luce solitario che era riuscito a superare la barriera delle tende. I suoi compagni stavano ancora dormendo beatamente, immuni a tutto il baccano che aveva fatto il volsetto. Già, il volsetto.
Lo stava guardando incuriosito, sospeso in aria all’altezza dei suoi occhi.
“Se mi hai svegliato solo per rimproverarmi…”
“No, non solo per quello” ammise la creatura con voce squillante, “ma anche per quello
“Non sei stato molto chiaro”
Per tutta risposta, indicò la finestra con il suo braccio minuto. Solo allora, uno strano ticchettio attirò la sua attenzione. Si alzò velocemente, cercando di fare meno rumore possibile, e raggiunse le tende. Scostò con una mano il pesante velluto bordeaux, e si ritrovò davanti un enorme gufo grigio, dall’aria abbastanza scocciata.
“Ellor!” era il gufo di suo padre. Strano, due giorni e già gli mandava una lettera. Probabilmente aveva dimenticato qualcosa.
Aprì subito la finestra, facendo entrare una folata di aria fredda che gli arrivò in pieno viso. fece entrare l’animale e richiuse subito, pregando che nessuno si fosse svegliato. Il gufo cominciò subito a graffiarlo con quei pochi artigli che aveva, facendolo gemere; non gli era mai stato troppo simpatico. Appena prese la lettera, quello volò fino alla finestra, cominciando a picchiare sul vetro e  costringendo il ragazzo a riaprirgliela.
“Non c’era bisogno di essere così scorbutici!” mormorò tra sé, andandosi a sedere.
“Che c’è scritto?” Era ricomparso Spitz.
“Sono affari miei”
“Ma ti ho detto io del gufo!” rispose quello indignato.
“Stà zitto un attimo, o sarai tu a svegliare qualcuno”
Gellert contemplò per qualche secondo lo stemma dei Grindelwald impresso sulla ceralacca prima di romperlo per aprire la lettera. Riconobbe subito la calligrafia precisa di suo padre.
 
Caro Gellert,
spero tu stia bene. Ti scrivo per comunicarti una cosa che avrei dovuto dirti di persona, ma che purtroppo mi sono dimenticato. Mi raccomando, non far leggere a nessuno questa lettera, è di vitale importanza.
Confido nel fatto che tu non sia stato così poco accorto da dire a qualcuno di tua madre, perché sarebbe un problema alquanto grave.
 
Gellert spalancò gli occhi, preoccupato. Ecco che si presentavano già i primi problemi.
 
Se l’hai fatto, ti prego di rimediare, facendo dimenticare, con un incantesimo di memoria, a chiunque sappia il tuo segreto. Io e il Preside abbiamo fatto un accordo, e solo lui sa cosa è successo veramente. Di lui ti puoi fidare, ma se chiunque altro ti dovesse chiedere qualsiasi cosa, tu dì che tua madre è morta a seguito della tua nascita, sarà abbastanza credibile. Non ti ricordi nulla di lei, sai solo che era una maga molto intelligente e colta. Non rivelare altro, mostrati addolorato a parlare dell’argomento se necessario, ma parlane il meno possibile! Se hai letto questa lettera, rispediscila indietro con il mio gufo.
Con affetto,
 
Gregory Grindelwald
 
Lacrime di rabbia ed indignazione cominciarono a scivolare sulle sue guance. “Morta a seguito della sua nascita”?! “Una maga molto intelligente e colta”?! E suo padre si aspettava che lui praticasse un incantesimo di memoria sui suoi amici, solo per un suo errore? No, se lo poteva scordare. Una goccia arrivò sul foglio, rendendo illeggibile qualche parola. Gellert strinse i pugni, cercando di calmarsi. Era ancora un argomento delicato, quello di sua madre, e non gli piaceva affatto che venisse trattato con così tanta leggerezza.
Cominciò a comprendere. Per questo era stato ammesso a Durmstrang, perché suo padre, mago importante, ricco ed influente, aveva fatto accordi con il preside, che comunque non avrebbe potuto rifiutare. O magari erano amici, e ci avevano pure riso sopra. Per un attimo provò odio verso quell’ometto che gli aveva trasmesso tanta sicurezza, ma poi si disse che non ne sapeva niente, e non poteva esserne sicuro. Comunque, il Preside, qualsiasi cosa avesse fatto o non fatto, gli stava molto meno simpatico di prima.
La campana che suonò la sveglia gli fece fare un balzo in avanti. Si asciugò in fretta il viso ormai completamente bagnato, e cominciò a cambiarsi, dando le spalle al letto su cui Fred stava ancora sonnecchiando. Quando l’amico si era alzato, lui era già in uniforme, e si stava strofinando gli occhi facendo finta di sbadigliare.
“Mmh…Gell? Per Merlino, sei già vestito! Aspettami eh”
“Si Fred, non mi muovo di qui”
Fu pronto solo quando quasi tutti gli altri studenti erano già usciti, evidentemente non era una persona così mattiniera. Camminò lentamente fino al suo letto, sul quale crollò con un gesto teatrale.
“Gell, ho sonno, fai qualcosa”
“Non conosco nessuna bevanda che possa fare qualcosa, mi dispiace” sorrise lui.
“Incantesimo?”
“Neanche”
“Mmh… con tutto quello che sai, non ti viene in mente niente?? Sei inutile” Detto questo, si rigirò su un fianco e si premette in viso il cuscino, proprio come aveva fatto lui poco prima. Gellert allora si alzò in piedi con aria risoluta, cercando di convincere sé stesso ad affrontare al meglio quella prima vera giornata di scuola.
“Dai alzati, Anna ci ucciderà, starà aspettando da mezz’ora”
“Mmh”
“Sono pienamente d’accordo con te, ma dobbiamo andare”
“Mmh”
“Che conversazione intelligente, faccio prima a parlare da solo! Su, vuoi fare la stessa scena di ieri??”
Memore della mattinata precedente, Fred scattò in piedi. Nel farlo, urtò la lettera ancora poggiata sul letto, che cadde a terra con un fruscio.
“Questa cosa…?” Gellert fece per raccoglierla, ma l’amico fu più veloce.
“Cos’è, la lettera della tua fidanzata?” disse con aria scherzosa, “Caro Gellert, spero…” continuò a leggere il resto senza parlare, e mano a mano che andava avanti il suo sguardo si faceva sempre più crucciato. Quando alzò gli occhi, la sua fronte aveva tre nuove pieghe.
“Gell…”
“Lascia stare. Non ti farò un incantesimo di memoria, non ti preoccupare”
“No, aspetta.”
“Non c’è niente da dire”
“Si invece!”
“Bene, allora parla tu, perché io non ho niente da commentare!” perfetto, aveva cominciato ad alzare la voce.
 “Gell, era tuo padre quello?”
“Mi sembra ovvio” fece qualche passo verso la porta, ma Frederich lo bloccò, prendendolo per le spalle in modo da poterlo guardare negli occhi.
“Ehi. Ti giuro che non dirò… che non diremo niente a nessuno, e sappi che se vuoi parlare con me lo puoi fare, intesi? Non importa quello che dice tuo padre. Cioè, si, importa, quindi se qualcun altro ti chiede di lei, tu fa come ti dice, ma a me e ad Anna ormai l’hai detto, quindi con noi puoi parlare, ok?”
Gellert lo guardò. Senza rendersene conto, l’amico gli aveva levato un peso enorme di dosso,  che gravava su di lui già da un po’. Sì, avrebbe fatto così; si sentì in colpa per non avergli detto del volo.
“Va bene, ho capito” ostentò un mezzo sorriso, “Vado a rimandargli la lettera, tu intanto vai a fare colazione. Se vuoi puoi dirlo ad Anna” e così dicendo uscì dal dormitorio, lasciando Fred da solo al centro della stanza.
 
Appena uscito dalla porta, Gellert si ritrovò Anna davanti, con le mani sui fianchi e la sua espressione scocciata.
“Avete finito? No sai, gli altri sono già scesi tutti a colazione. Tra dieci minuti saremo in ritardo.”
“Tu aspetta Fred, io vi raggiungo dopo, è urgente!” rispose lui in fretta, correndo su per una rampa di scale, e lasciando la sua amica lì impalata. Se non si era sbagliato, quella avrebbe dovuto essere la strada per la guferia, o comunque la stanza dove tenevano tutti i volatili del castello.
Dopo un po’ di tempo e altrettante scale, si ritrovò di fronte ad una porticina in legno con una scritta dorata sopra, che diceva “VOLATILI DI DURMSTRANG”. Era quella.
Varcò la soglia, e quello che vide lo lasciò a bocca aperta.
Era una stanza enorme, più grande del loro dormitorio, con una grossa cupola di vetro in cima, oltre la quale si poteva vedere il cielo, di colore celeste e senza nuvole quel giorno. All’interno, era divisa in più piani, non adatti alle dimensioni dell’uomo, ma evidentemente a quelle degli animali. Ad altezze diverse erano appollaiati diversi tipi di volatili, e non solo gufi e civette, ma anche aquile, falchi e moltissimi animali sconosciuti al ragazzo. Erano tutti bellissimi, con un loro fascino particolare, ed emettevano i versi più strani. Gellert avrebbe passato lì l’intera giornata, solo per guardarli.
Individuò la sezione delle civette, cercandone una in particolare con gli occhi. Non fu difficile trovarla, dato che era l’unica nera, in mezzo a tante grigie, marroni e qualche bianca.
Appena lo vide, spiegò le ali e gli volò in spalla, contenta. Emi sembrava trovarsi bene tra i suoi simili, ma le era mancato il suo padrone; cominciò a mordicchiarlo su un orecchio.
“Ehi, bella, come stai? Ti sono mancato, eh?” chiese lui, accarezzandola. “Ho bisogno di un favore. Devi portare questa a mio padre” disse, e le fece vedere la lettera tutta spiegazzata.
Non fu molto contenta di sapere il destinatario, ma la prese comunque nel becco, e si alzò in volo per portare a termine il suo compito.
Gellert la guardò uscire da una finestrella, e diventare sempre più piccola mano a mano che si allontanava. Sorrise, pensando a quanto era contento di averla con sé.
 



NdA: scusate, capitolo di transizione, non è successo niente di particolare, ma il prossimo è già scritto per metà, quindi non ci metterò molto a pubblicarlo :) so che volete lo smistamento, ma non ci vorrà tanto, promesso!
Un bacio,
Pad (:
P.S. A chi piacciono i 30 stm? ho appena scritto una one-shot con una loro canzone, se volete andate a vedere;)
 

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