Akihiko

di Sarasvathi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La principessa del pianoforte: Hime ***
Capitolo 2: *** Xocotl ***
Capitolo 3: *** Mushi ***
Capitolo 4: *** Tuli: Mina Rakastan Sinoa ***
Capitolo 5: *** Ryu ***
Capitolo 6: *** The Blossoming Beelzebub ***
Capitolo 7: *** Frozen Flowers ***



Capitolo 1
*** La principessa del pianoforte: Hime ***


Appena sfiorava il pianoforte, trasmetteva brividi che percorrevano la schiena in tutta la sua lunghezza, distruggendoti ogni vertebra.
Era capace di materializzare ogni nota dello spartito fino a farti perdere la ragione.
Principessa del pianoforte. La chiamavano tutti così, anche i suoi amici.
Si era così data un nome nuovo: Hime, che in giapponese significa principessa.
Il suo vero nome nessuno lo sapeva, tant’è che anche in famiglia la chiamavano Hime; ma infondo un nome è solo un insieme di lettere che non ha significante comune, sembrerebbe qualcosa di unico e personale, invece è macchiato di peccato dal momento in cui ti viene affidato.
Cos’è il bene? Cos’è il male?
Hime non ricordava più quando il suo amore per il pianoforte era nato: i ricordi sono sempre qualcosa di poco affidabile, una cosa troppo soggettiva, capace di modificare la realtà stessa.
Il passato non è altro che uno specchio appannato. Si potrebbe benissimo sfiorare con le dita la superficie per rendere visibile la verità, ma l’uomo ha sempre paura di quello che potrebbe trovare. Infondo fa più comodo una menzogna che ci fa star meglio di una verità 'errata'.
 
Era il primo giorno di scuola: Hime avrebbe rivisto Luigi; era passato poco più di un mese dall’ultima volta che l’aveva visto. Quel giorno sarebbe rimasto uno dei ricordi più nitidi nella sua mente: chiaro, colorato, afoso ed estremamente imbarazzante. Eppure anche questo ricordo era pieno di buchi neri, come tutta la sua vita.
Si trovava in giro con alcune sue cugine nei pressi del centro del paese in cui abitava e una delle sue cugine venuta da lontano voleva tanto vedere la casa del ‘famoso Luigi’; essendo la sua casa poco distante dal centro della città, Hime aveva condotto le sue quattro cugine davanti a quella casa. Il sole era alto e il caldo insopportabile; inoltre il solo avvicinarsi alla casa di Luigi aveva scaturito in Hime una serie di emozioni confuse che nella sua mente non prendevano forma.
Odiava tutto ciò.
Linda, la maggiore delle sue cugine, senza pensarci due volte le aveva detto: “Suona il campanello.”
“No!”
“Coraggio, non ci vuole nulla a suonare un campanello, non dirmi che non ne hai mai suonato uno!”
“Ti prego Linda. No.”
Linda aveva quindi fatto un segno alle tre ragazze rimanenti e loro prontamente si erano nascoste dietro il muretto di una casa lì affianco.
Il cuore di Hime aveva cominciato a battere troppo forte e dentro al suo stomaco troppi bozzoli si erano schiusi contemporaneamente in farfalle .
Non andava bene.
Affatto.
Linda aveva ripreso: “Allora suoni o devo suonare io?”
Qui il ricordo di Hime è poco chiaro, un po’ opaco: non ricorda bene se abbia suonato lei il campanello o se l’abbia fatto Linda, fatto sta che le due ragazze si trovavano leggermente a lato della porta e dopo aver suonato il campanello sentirono la porta aprirsi.
In quel momento Hime aveva deciso di voler morire dalla troppa paura.
La porta, come si era aperta si era richiusa.
No, Luigi non era stato così scortese da chiudere loro la porta in faccia: semplicemente non aveva visto nessuno davanti alla porta e aveva pensato che fosse stato uno scherzo da parte di ragazzini stupidi.
Hime aveva tirato un sospiro di sollievo aggiungendo: “Bene. Ora andiamo.”
Linda l’aveva guardata con uno sguardo di rimprovero: “No. Siamo venute fin qui, sotto il sole cocente, suonato il campanello e ora tu ti tiri indietro?”
Non fosse mai. Hime aveva suonato anche con il mignolo ingessato a un concorso. Non si tirava mai indietro. Se voleva fare una cosa, semplicemente la faceva. Se qualcuno pronunciava le parole “tirarsi indietro” riferite a lei, un fuoco le avvampava dentro.
Dopo qualche secondo Hime e Linda si posizionarono davanti alla porta di casa di Luigi.
E questa volta Hime si ricordò che era stata Linda a suonare il campanello.
Quando la porta davanti a Hime si era aperta, il suo cuore aveva smesso di battere e il mondo era morto per un secondo, il tempo  aveva smesso di esistere, lo spazio erano lei e Luigi.
L’espressione di Luigi era enigmatica nel ricordo di Hime, i suoi lunghi capelli biondi e setosi smontavano ogni realtà, i suoi occhi verde-azzurri portavano sempre Hime in un Universo parallelo.
“Ciao” aveva sorriso Hime.
“Ciao”
La sua voce era stata per lei il paradiso.
“Come va?”
Il suo cuore stava battendo troppo forte e sentiva che la sua faccia era ormai rossa.
“Bene dai. Tu?”
“Bene. Passavo da queste parti e mi sono detta ‘Perché non vado a salutare Luigi? È da un po’ che non lo vedo’ ed eccomi qua. Spero di non disturbare”
Tremava, tremava tutta: anche il suo cervello vacillava.
“No, figurati.”
E qui il ricordo di Hime diventa confuso; si ricorda soltanto che a un certo punto era sceso un silenzio imbarazzante e che Linda l’aveva in qualche modo riempito, ritrovandosi a parlare in tre. Lui doveva andare in Spagna per un concerto. Motorhead? Judas Priest? Forse un’altra band.
 
Quando Hime entrò in classe non era ancora arrivato nessuno. Era sempre stato così: tutti i primi giorni di scuola Hime arrivava per prima; tutto il resto dell’anno arrivava tra gli ultimi, ma mai in ritardo.
Stava aspettando Luigi, Nina e Silvia.
Mentre aspettava si era messa a cantare a bassa voce e aveva scelto il banco che più le faceva comodo: non troppo infondo, ma nemmeno troppo avanti; un banco da tre per non far discutere le sue amiche su chi doveva sedersi vicino a Hime.
Se il vuoto potesse divorarmi...
Nina e Silvia entrarono in classe insieme, facendo a gara tra chi dovesse abbracciare Hime per prima. Poi avevano appoggiato i loro zaini nei propri banchi e avevano cominciato a chiacchierare con Hime.
Hime non aveva fatto molto caso alle loro parole, infondo se ne sarebbe dimenticata. Succedeva sempre così: dopo un giorno o qualche ora i discorsi che sentiva diventavano frasi disconnesse, fino a ridursi a parole e infine labbra che si muovono nella luce accecante del ricordo.
Vieni! Se non ti saluto ora suonerà la campanella e non avrò la possibilità di parlarti un pochino.
Ma i desideri non si avverano sempre.
Quelli di Hime quasi mai.
Luigi aveva fatto in tempo ad entrare col suono fastidioso della campanella.
Non l’aveva salutato.
Lui, non l’aveva salutata.
Lei l’aveva ignorato.
Succedeva sempre così: se lei non lo salutava, lui si limitava a fissarla.
Hime era senza speranza. Luigi non avrebbe mai provato nulla per lei. Ne era certa.
Hime non avrebbe mai provato nulla per lui. Luigi ne era certo.

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Capitolo 2
*** Xocotl ***


Era passato più di un mese dall’inizio della scuola e Hime non aveva avuto la possibilità di parlare per più di cinque minuti con Luigi.
Tutto mi divora l’anima. Vorrei che anche tu mi divorassi.
Luigi fissava morbosamente Hime, sperando un giorno di poterla stringere tra le sue braccia e sentire il suo profumo dentro le viscere, per risvegliarle.
Odiava vederla sorridere con gli altri ragazzi. Voleva essere l’unico a poterla far stare bene, invece le poche volte che si erano ritrovati da soli, lui non aveva fatto altro che parlare di videogiochi, incapace di parlare d’altro mentre lei guardava fisso in terra e sorrideva ogni tanto. Non lo guardava mai in faccia. Non la capiva proprio. Se lei lo odiava non c’era motivo di sorridere e salutarlo. Bastava ignorarlo.
Ma lui l’avrebbe cercata comunque.
Durante l’intervallo Luigi faceva di tutto pur di riuscire a trovare un’angolazione giusta per poter osservare Hime.
Lei stava sempre con le sue amiche o con altri ragazzi.
Hime durante l’intervallo faceva di tutto pur di riuscire a trovare un angolo del viso di Luigi da poter contemplare anche solo per un secondo.
Quando usciva da scuola camminava lenta, battendo il tempo dei suoi passi come un metronomo, sperando che Luigi le venisse incontro e facessero il piccolo pezzo di strada che li accomunava per ritornare a casa. Era successo poche volte, ma quelle poche volte erano bastate a Hime per rendere la giornata perfetta: lui le parlava sempre di videogiochi e lei gli camminava affianco senza riuscire a guardarlo in faccia, per paura che lui potesse sentire i battiti del suo cuore e capire i suoi sentimenti.
A volte, a scuola, in mezzo a tutti i loro amici e le altre persone, capitava che Luigi e Hime si guardassero per alcuni secondi.
Visti oggettivamente sembravano diffidenti di tutto e di tutti, persino di loro stessi; sembrava che in un qualche modo sentissero di completarsi, ma era certo che le cose sarebbero rimaste così per sempre.
Lei non vedeva l’ora di vederlo ogni giorno e salutarlo per non dimenticarne voce e tentare di cogliere un suo sorriso, così difficile da vedere.
Quando Luigi sentiva la voce sempre allegra di Hime traforargli le orecchie e incontrava i suoi occhi, qualcosa gli si muoveva dentro e nell’agitazione più totale diveniva incapace di esprimersi, limitandosi a fissarla, sperando che fosse lei a salutarlo per prima.
Soffriva sempre per questa sua incapacità di non riuscire quasi mai a parlarle di cose banali.
Amava il sorriso che Hime rivolgeva a tutti, anche quando stava male, per non far preoccupare gli altri, anche se il suo sguardo era sempre così trasparente da poterne cogliere ogni minimo cambiamento d’umore.
Luigi non aveva mai chiamato Hime per nome: le poche volte che lui le era corso dietro per parlarle l’aveva chiamata “Hey, tu”.
Ma infondo, che nome aveva Hime in realtà? Se non fosse stato per i suoi documenti se lo sarebbe di certo scordata.
Le amiche di Hime non l’avevano mai supportata affermando che uno come Luigi, anche in caso gli fosse piaciuta Hime, non si sarebbe mai dichiarato.
Lei, d’altro campo non aveva troppe possibilità di parlare con lui, perché Luigi stava sempre in compagnia di altri due ragazzi: Nicola e Filippo.
Nicola, un tempo era stato anche amico di Hime. Anzi, era stato grazie a Nicola che Hime si era potuta avvicinare a Luigi e aveva potuto constatare i suoi veri sentimenti per lui; ma l’amicizia tra Nicola e Hime era passata da una totale confidenza al non salutarsi nemmeno.
Hime non si ricorda il perché; sa soltanto che un giorno Nicola aveva smesso di parlarle e di stare insieme a lei. Così, l’unico ponte tra lei e Luigi era crollato. Tutto era cambiato. Hime non avrebbe più vissuto il Gennaio dell’anno ormai terminante. Le mancava terribilmente quel mese, il ritorno dalle vacanze, il freddo, il caldo, gli alberi, le panchine, le strade, l’inizio di un amore troncato.
Quello che si è perso non potrà più ritornare indietro. Il destino non esiste. Non si può essere legati a qualcosa di simile. È il caso. È tutto il caso. È un caso che io sia nata come che io non sia già morta: le occasioni ci sono state: un passo poteva portarmi via la vita. Se il destino è qualcosa di scritto ed esistesse, e si potesse sapere, la vita non avrebbe senso. Il caso cambia tutto. Un incontro imprevisto ti può salvare. Un incontro imprevisto ti può assassinare.

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Capitolo 3
*** Mushi ***


Hime amava la decadenza dell’animo umano e la sua bellezza: non c’era più armonia e bellezza che nella disperazione felice, dove il pensiero vacillante deforma il corpo e aggrazia i movimenti imprigionandoti nel limbo.
Com’è il limbo? Cosa cerca l’uomo nel limbo?
Ogni volta che Hime suonava il pianoforte trascinava i suoi ascoltatori nel limbo; infatti, quando suonava, il silenzio regnava: tutti smettevano di svolgere le proprie attività e lasciavano che Hime li guidasse nel limbo dove l’udito e la vista non sono necessari e dove le mani di Hime suonano nei loro corpi, persuadendoli sempre a seguire le tenebre.
Quando le mani di Hime si staccavano dalla tastiera, gli ascoltatori venivano scaraventati nella realtà vomitando orgasmi.
Hime tutto questo non lo sapeva. Non sapeva che il suo squilibrio mentale così stabile si acciaccava quando produceva Arte. Questo suo squilibrio le permetteva di stare stabile e armoniosa, divorandola sempre più; solo le persone attorno a lei avrebbero contribuito a mantenerla follemente stabile o a farla collassare nella Luce o nel Buio.
Intanto il compleanno di Luigi si stava avvicinando e i due avevano cominciato a parlare un po’ come all’inizio del primo anno, quando la scoperta dei compagni di classe sembra la cosa più rilevante.
Spesso la sera Hime si collegava su Facebook per chattare con le sue amiche e appena Luigi entrava in chat scriveva a Hime; i due parlavano di cose futili, spesso riguardanti gli altri; capitava, qualche volta, che parlassero d’amore -come i normali ragazzi, spinti in parte dagli ormoni fanno- e che si facessero qualche complimento. Subito però, per non far trasparire nulla dai loro complimenti, cambiavano argomento.
Più i giorni passavano e più Hime realizzava che forse un po’ piaceva a Luigi, ma la prudenza la costringeva a crederlo solo per pochi secondi.
A una settimana dal suo compleanno, Luigi aveva invitato i suoi amici al suo compleanno: Hime era tra loro.
Lei il suo regalo l’aveva già preparato e che Luigi avesse fatto o meno il compleanno e l’avesse o non l’avesse invitata a lei non sarebbe cambiato nulla: il suo regalo gliel’avrebbe dato.
I giorni passarono in fretta e Hime non riusciva a pensare ad altro se non al compleanno di Luigi.
 
Ogni mattina Hime, pur dovendosi svegliare presto, prima di andare a scuola, camminava verso un piccolo monolocale dove un signore sulla cinquantina ogni mattina prima di andare a lavorare stendeva sulla tela la tempera e affliggeva i suoi quadri in vetrina.
 Era diventata per Hime un’abitudine osservare l’uomo dipingere. Amava il silenzio del colore che si stendeva più o meno uniforme sulla tela, come amava essere avvolta dall’odore del sigaro che l’uomo teneva sempre stretto fra i denti.
Nessuno dei due sapeva il nome dell’altro, a distanza di due mesi si davano ancora del ‘Lei’, ma tutto ciò era irrilevante nel loro Universo.
Le forme che l’uomo allungava erano calde di sigaro, ma semplici; il fumo regalava alle proporzioni una forma confusa.
Hime amava quei  quadri, i colori che usava ne raffiguravano sempre la sua anima.
Uno specchio a tempera, il suo quadro, dipinto con lacrime dorate.
Un giorno, all’improvviso l’uomo aveva alzato lo sguardo dal suo lavoro, aveva preso in mano il sigaro e aveva sospirato: “Come mai ogni mattina viene qui, signorina?”
“Mi piacciono i suoi quadri, perché mi rappresentano” aveva sorriso lei.
Il signore aveva riso un po’ tra qualche colpo di tosse provocato dal fumo.
“La ringrazio” e subito aveva aggiunto: “Sa, vorrei proprio farle un ritratto, se non sono trop…”
Hime si era subito illuminata “Mi piacerebbe molto, ma…” la sua felicità era già scomparsa “ma…non credo di essere un bel soggetto.”
“Io credo che lei possa diventare un mio quadro invece. Certo, magari non riuscirò a rendere i miei colori belli quanto lei, ma vorrei tanto posasse per me. Oh, giusto un profilo, o un tre quarti. Mi perdoni se insisto signorina…”
“No…si figuri. Visto che vengo ogni giorno…può scegliere lei quando incominciare.”
“Certo, appena avrò concluso questo lavoro, passerò al suo dipinto.”
Hime guardò l’orologio: era tardi, doveva affrettarsi ad andare a scuola.
“Mi scusi signore, ma ora dovrei andare.”
“Certo signorina, a domani.”
Hime aveva aperto la porta.
Il signore prima che la porta si fosse chiusa alle spalle della ragazza si era affrettato a chiederle: “Signorina! Mi scusi, avrei una domanda da porle: lei dipinge per caso?”
“No, mi dispiace” aveva sorriso lei “So soltanto suonare il pianoforte” e così dicendo si era chiusa alle spalle la porta.
 
Il compleanno di Luigi era arrivato lento e doloroso. Quel giorno Hime era rimasta davanti alla classe con una sua compagna per fargli gli auguri, ma Luigi quel giorno non era arrivato; solo all’intervallo Hime aveva scoperto che lui aveva la febbre e che non avrebbe festeggiato il proprio compleanno.
Quando Hime era rientrata a casa, aveva subito afferrato il regalo di Luigi, era salita sul sellino della bicicletta e si era diretta verso la  casa di Luigi.
Più si avvicinava, più il cuore aumentava il suo battito.
Il mio solo cuore non può sostenere questo battito.
Arrivata davanti alla porta della casa di Luigi tutto si era fermato e aveva smesso di battere e lei aveva cominciato a tremare.

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Capitolo 4
*** Tuli: Mina Rakastan Sinoa ***


Ritorno indietro. Resto.
Lascio il regalo davanti alla porta, suono il campanello e scappo via.
Hime non se n’era ancora resa conto, ma la pioggia cominciava a scendere su di lei; l’aveva capito solo quando la carta da regalo aveva cominciato a sdrucirsi.
Credo di piacergli: me l’ha dimostrato. Non ho bisogno di scappare! Devo affrontarlo. Ora. O sarà troppo tardi.
Suonò in fretta il campanello, prima che la carta da regalo che aveva scelto apposta per lui si fosse sciolta sotto la pioggia .
Una signora sulla trentina aveva aperto la porta; Hime non l’aveva mai vista prima d’allora, forse era la madre di Luigi. Questa con un sorriso le chiese: “Sei una compagna di Luigi?”
Hime era ormai certa del fatto che quella donna così giovane fosse la madre del ragazzo che le piaceva: avevano lo stesso sorriso.
Anche se aveva visto solo una volta in due anni il sorriso di Luigi, quello le era rimasto impresso come una cicatrice dopo un parto cesareo.
Scossa dalla ripetizione della domanda da parte della donna, Hime acconsentì leggermente con la testa; la donna si affrettò quindi a invitare la ragazza dentro casa dicendole di non stare sotto la pioggia.
Hime indugiò prima di entrare, ma si ricordò che era già entrata in quella casa, senza però che ci fosse la madre di Luigi e non di certo per consegnare al ragazzo il regalo di compleanno e i suoi sentimenti.
“Forza, entra! Ti prenderai un malanno se stai ancora lì”
La signora mostrava molte volte il suo sorriso, al contrario del figlio, ma non aveva importanza.
Hime sentì qualcosa strusciarsi tra le sue gambe: era il gatto nero di Luigi che non era stato molto amichevole la prima volta che si erano incontrati.
“Strano che Kit sia così amichevole” osservò la donna “si vede che gli piaci. Ma accomodati pure, non stare in piedi sull’uscio.”
Hime si sedette silenziosamente su una poltrona e cominciò a guardare intorno a sé: ogni oggetto in quella stanza la turbava, non riusciva a stare calma; il gatto intanto le era salito sulle gambe e aveva cominciato a fissarla come per dirle “stai calma”.
La donna le aveva subito chiesto il nome, annuendo con la testa al nome di Hime.
“Sei molto silenziosa. Devo dire che da come Luigi parla di te ho sempre pensato fossi una ragazza molto energica ed estroversa. E devi per forza essere così: mio figlio è molto silenzioso e non credo che due persone silenziose abbiano molto da dirsi. Forse mi sbaglio. Io sono una tale chiacchierona. Sei venuta qui per qualche motivo in particolare?”
La donna guardò Hime e poi ciò che la ragazza aveva appoggiato a lato della poltrona.
“Sei venuta per dare il regalo di compleanno a Luigi?”
“Sì.”
La donna sorrise: “Potevi darglielo quando ritornava a scuola.”
Hime fissò la donna di fronte a sé con forza: “No. Mi dispiace. Certe cose vanno fatte bene. Non so lei, ma io vorrei sentirmi fare gli auguri dagli amici e dai parenti lo stesso giorno in cui compio gli anni. E di certo gli auguri fatti di persona sono più calorosi di quelli scritti per SMS o e-mail. Il contatto visivo è l’unica cosa che permette una comunicazione diretta e veloce. L’unico modo per capire quello che una persona prova quando le parli. Tutto il resto può benissimo essere una bugia.”
Seguì un attimo di silenzio.
“Vado a vedere se Luigi è sveglio, così che puoi andare nella sua stanza a dargli il tuo regalo.”
Hime era rimasta in silenzio e aveva cominciato a coccolare il gatto che miagolava di attenzioni.
Passarono alcuni minuti, Hime continuava a tremare, respirava con calma e profondamente, pensava a qualcosa di divertente, il soffio del gatto sulla sua pelle la riportava in quella casa.
“Ah! Luigi ti sta aspettando. Sai, lui non ama che la gente entri nella sua stanza, ma ha ancora la febbre e non lo faccio certo scendere. Ma non potevo nemmeno cacciarti, no?”
Hime non fece molto caso alle parole della donna, smise di accarezzare il gatto, lo prese in braccio, lo depose con cura a terra, strinse a sé il regalo di Luigi e guardò in faccia la donna; infine si diresse verso le scale. Sapeva già dove si trovava la stanza del ragazzo, ma quando si trovò davanti alla porta si fermò.
La donna intanto, si era avviata con passo lento e uno sguardo vacuo in cucina, ancora sconvolta: ciò che aveva visto, quella…ragazza…persona…no, era qualcosa al di sopra. Una divinità? Ma come sono fatte le divinità?
Lo sguardo della ragazza, inizialmente così insicuro, prima di prendere le scale era mutato, raggiungendo l’Equilibrio. Sicurezza, paura, verità, menzogna, eternità, erano spruzzi di colore nello sguardo di Hime.
Ora cominciava a tremare: quella ragazza… cosa ne sarebbe stato di suo figlio? Che a Hime piacesse suo figlio l’aveva capito subito, come senza nemmeno chiedere aveva capito quanto a suo figlio piacesse quella ragazza.
Quella perfezione potrebbe annientare ogni pensiero, figurarsi quello di un innamorato, che al solo pensiero di trovarsi con la persona amata perde la ragione, pensò la donna.
Hime respirò a fondo e bussò, prima debolmente, poi con decisione.
Dall’altra parte della porta nessun suono.
“Sono Hime, posso entrare?”
Hime colse un “Hmm” affermativo e senza pensarci due volte aprì la porta.
Luigi, aveva atteso con impazienza un bussare alla sua porta, portandosi a sedere perfettamente dritto e impaziente di vedere Hime.
Non so se questo sia l’Inferno o il Paradiso, era stato il primo pensiero di Luigi quando Hime era entrata nella sua stanza.
Non l’aveva mai vista così: luminosa, nella t-shirt nera due misure più grande dei Dir En Grey, nei pantaloni neri in latex, come sempre, poco femminile, ma ora così attraente. Le piaceva, ma non aveva mai provato un tale calore dentro di sé spargersi in ogni muscolo. Si pietrificò.
Hime guardò Luigi che non l’aveva nemmeno salutata.
Decise che avrebbe fatto tutto in fretta: gli avrebbe dato il regalo, detto tutto ciò che provava e avrebbe accettato sia un no che un sì. Doveva semplicemente liberarsi di quei sentimenti copiosi che invadevano i suoi pensieri e sogni.
“Buon compleanno” sorrise semplicemente, senza pretese, senza fretta, scandendo ogni suono. Voleva fargli sentire ogni suo brivido nel dire quelle due parole. Si sentiva come quando suonava il pianoforte: fragile, irraggiungibile.
Luigi non riusciva a parlare. La salivazione era aumentata notevolmente, ma la sua bocca era asciutta. Non era Hime, quella. Era qualcosa di più. Voleva parlare…voleva…niente. Voleva solo guardarla, ammirarla così per sempre. Gli sarebbe bastato.
Hime andò avanti, sempre più sicura della sua voce, accostandosi al letto del ragazzo.
“Tieni. Questo è il tuo regalo di compleanno. Niente di speciale.” quindi appoggiò il pacchetto sopra le gambe di Luigi.
Chiuse gli occhi.
Li riaprì.
“Mi piaci.”
Luigi, che aveva preso il pacchetto tra le mani si ritrovò in un’altra dimensione dopo quelle parole che Hime aveva pronunciato. ‘Mi piaci’, così, senza nessuna pretesa, come se già sapesse che anche lui provava lo stesso per lei.
Erano passati alcuni minuti, ma Luigi non aveva dato segno di vita.
Hime si sentì come la corda di una chitarra che salta, come una bacchetta di una batteria spezzata, come il tasto di un pianoforte scordato, soppresso dalla potenza degli altri 87 tasti.
La sua magnificenza crollò, ma Luigi non se ne accorse. Era ancora perso in quelle due parole che la ragazza aveva pronunciato.
Hime riprese: “Non pretendo che tu provi lo stesso per me. Mi sembrava giusto dirtelo. Tutto qui.”
Luigi non la stava più ascoltando, ma Hime colse nel suo sguardo il più grande dei rifiuti.
Restò ancora lì, immobile per un po’: voleva sentire il rifiuto a parole. Voleva leggerne la sicurezza nelle particelle dell’aria che stavano respirando insieme, ma di cui non condividevano nulla.
Luigi si era ripreso e voleva ripetere le stesse parole che Hime gli aveva regalato.
Nulla.
Non ci riusciva.
Era sempre così: non riusciva mai a dirle ciò che veramente pensava. Mai. PERCHE’?
Almeno allungare un braccio e portarla a sé. Gli impulsi elettrici non arrivavano a destinazione.
Quando l’aveva vista allontanarsi, era riuscito a muovere la mano nella sua direzione.
Quando l’aveva vista attraversare il confine tra la porta e il corridoio le aveva sussurrato: “Mi piaci.”, consapevole del fatto che lei non avesse captato quella richiesta di rimanere lì con lui e perdonarlo per il suo ritardo.
Hime non si prese nemmeno l’obbligo di salutare la madre del ragazzo e si chiuse la porta di quella casa alle spalle.
La donna, vedendo Hime uscire in fretta, aveva abbozzato un pensiero: che il figlio fosse rimasto impassibile davanti a quella divinità, senza riuscire a ringraziarla e lei se la fosse presa?
No, sembrava troppo poco.
Salì le scale e trovò il figlio con il braccio proteso verso la porta della stanza, con lo sguardo vuoto.
La donna provò a intuire qualcosa oltre gli occhi del figlio, ma non trovò alcuna risposta.
Gli si avvicinò e gli accarezzò la testa, senza pensare al perché del gesto, pensando che questo potesse bastare a farlo stare meglio.
Hime fece qualche passo verso casa sua, dimenticandosi la bicicletta abbandonata al muro esterno della casa di Luigi.
Quindi si rannicchiò, come un personaggio di un manga che tanto amava e che spesso prendeva in giro ingozzandosi di dolci e sgranando gli occhi per evidenziarlo. Rise pensando a quel personaggio bizzarro che nel manga era stato sconfitto, uno come lui che sembrava così imbattibile.
Scoppiò in una risata sonora, sovrastando il suono della pioggia, finì in un pianto silenzioso e velenoso, che le infilzava diverse lame sottili nei polmoni a ogni respiro, che a tratti le faceva pulsare più del dovuto alcune vene ora in rilievo. Non aveva mai fallito così miseramente, mai si era sentita così colpevole e vittima dei suoi stessi pensieri ed emozioni.
D’un tratto la pioggia smise di batterle sul capo e scorrerle lungo quel corpo ora così minuto.
Levò la testa asciugandosi il viso con il dorso della mano sinistra.
Sarà lui?
Ryu stava camminando sotto la pioggia quando aveva scorto in lontananza una figura piccola rannicchiata contro un muretto.
Non sapeva nemmeno se fosse maschio o femmina, giovane o adulto, finché non fu abbastanza vicino da capire che era una ragazza.
La vide tremare, fino a sentirne i singhiozzi.
Passò sopra la testa della ragazza il suo ombrello, grande per contenere entrambi e quando vide lo sguardo di quella posarsi dolcemente sul suo e attraversarlo fino al subconscio si disse che lei era identica a lui.
Si abbassò fino a sentire il respiro della giovane sfiorarlo come per chiedergli aiuto e perdono.
Frugò nelle tasche e ne tirò fuori un fazzoletto che offrì alla ragazza.
Le chiese “Perché piangi?”
Hime si era trovata due occhi neri a mandorla puntarla con forza, violarla nei pensieri più intimi.
Non poté fare a meno di assecondare ogni gesto del ragazzo poco più grande di lei o della sua stessa età. Alla domanda Hime non rispose, ma scosse lievemente la testa.
“Sono Ryu”
“Hime”
“Non sembri giapponese” rise il ragazzo e subito aggiunse con tono solenne: “Vuoi essere la mia principessa?”
Hime rise con gusto rispondendo: “Sono solo la principessa del mio Warumono”
“Warumono eh? Quel pupazzino nero?”
Hime continuò a ridere.
“Non è quello?”
“Sì, sì. Comunque mi riferivo al Mio Warumono: il mio pianoforte.”
“Quindi sei la principessa di un pianoforte?”
Non seguì risposta così Ryu concluse: “Interessante.”
Hime si era già incupita.
Ryu si era accovacciato accanto a lei, facendosi scuro.
Le sussurrò all’orecchio.
Hime sentì quelle parole e mormorò: “Promesso.”
I due ragazzi, senza conoscere l’uno nulla dell’altra, incrociarono i mignoli e scontrarono i loro pollici.
Era una promessa sigillata.

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Capitolo 5
*** Ryu ***


Ryu aveva lasciato il suo ombrello a Hime.
Si sarebbero rivisti, lo sapeva: Hime aveva dentro di sé la purezza necessaria a mantenere quella promessa.
Corse a casa, si precipitò nella sua stanza e pizzicò le corde del violoncello senza una direzione precisa; prese l’arco e lo posò sulle corde. Suonò.
Non aveva mai partecipato a concorsi o robe simili, ma i polpastrelli della mano sinistra erano incavati con forza: lavorava sodo, ma la sua tecnica mostruosa non raggiungeva mai il cuore degli ascoltatori, forse perché la musica lo possedeva ed era talmente potente che non riusciva a reggerla.
Chissà se anche Hime provava lo stesso; forse la ragazza riusciva a dominare quell’infinità di suoni.
Rise.
Era IMPOSSIBILE dominare la musica.
Continuò a suonare finché le dita non cominciarono a sanguinare.
“Aish!”
Ripose lo strumento al suo posto: non capiva come faceva a ridursi così ogni volta che afferrava il violoncello: diventava semplicemente schiavo di quello strumento.
Ripensò a Hime, a quegli occhi felini che l’avevano ipnotizzato e che doveva dare anche lui un nome al suo strumento.
 
Le gambe di Hime l’avevano riportata a casa senza chiederle il permesso.
Si era diretta nella sua stanza, aveva preso tra le mani l’ultimo album dei Dir En Grey. Different Sense. Sì, le serviva quella canzone. Le serviva la voce di quell’uomo alto pochi centimetri più di lei. Le servivano quegli urli disperati e quella voce che le riempiva il cuore facendolo pompare forte.
Si abbandonò a un pianto sonoro, coperto comunque dalla musica: pianse le ultime gocce che le rimanevano in corpo.
Pensò a Ryu che l’aveva travolta con i suoi occhi quasi neri. Si sarebbero incontrati di nuovo? Ryu avrebbe mantenuto quella loro promessa? Lasciò spegnersi quelle domande nella sua mente.
Amon. Poi cambiò CD: Withering To Death. Dead Tree.Cambiò nuovamente CD. Optò per la musica classica: prese tra le mani un CD fatto da lei. Scelse Bolero di Ravel.
Si cambiò i vestiti fradici lentamente, seguendo la musica che invadeva la stanza.
Spense lo stereo e sfiorò con le dita la superficie levigata del pianoforte, carezzò i tasti e si sedette sullo sgabello. Sussurrò a Warumono dolci parole, lo spartito posato sul piano era Mephisto’s Valse di Liszt.
Pazzo. Deve essere stato un uomo pazzo per aver composto certa musica.
Si abbandonò a uno studio più consapevole della prima volta che aveva letto lo spartito per qualche ora, finché le dita e i polsi non urlarono ‘riposo’.
Si alzò sorridendo “Grazie Warumono. Sei stato fantastico” e come se fossero due amanti che avevano consumato uno splendido rapporto, posò con grazia le labbra sul legno dipinto di nero e scivolò lontana dallo strumento.
 
Passò una settimana, finalmente i fogli da firmare erano finiti: Ryu poteva trasferirsi nella nuova scuola. Avrebbe incominciato il giorno seguente.
Lui sperava di trovarsi in classe con Hime, ma di lei non sapeva che il nome; per sicurezza prese a cercare tra la miriade di nomi di quella scuola quello che gli interessava. Niente, non aveva letto quel nome da nessuna parte.
Controllò infine i nomi e i cognomi dei suoi nuovi compagni di classe. Insulsi.
L’avrebbero preso in giro anche in questa nuova scuola per via dei lineamenti del viso troppo femminili? Non gli importava: non aveva cambiato scuola per questo motivo –anche se ai suoi genitori aveva dichiarato la situazione insopportabile, facendo scendere notevolmente la propria media scolastica di proposito-, ma perché i suoi compagni di classe erano NOIOSI, Insignificanti, VUOTI.
 
Hime era ritornata a scuola con lo stesso sorriso di sempre e per tutta la settimana non aveva salutato Luigi e nemmeno lui aveva salutato lei. Nessuno ci aveva fatto molto caso, nemmeno le sue amiche. L’unica cosa che le creava fastidio era trovarsi proprio dietro al banco di Luigi. Avrebbe preferito stare davanti e lasciare che il tempo consumasse i suoi sentimenti feriti.
Quando Hime ritornò Lunedì, sentì tutti gridare l’arrivo di un nuovo studente e in effetti si era aggiunto un altro banco che aveva rotto la fila di Hime, fatta di tre banchi. Sapeva benissimo che i suoi compagni avrebbero fatto il possibile per cacciarla in prima fila pur di non starci loro e infatti, spinta da tanti complimenti sul suo comportamento, la sua media scolastica e la sua capacità di farsi voler bene da tutti –cosa non vera- finì per appoggiare lo zaino in uno dei due banchi in prima fila; optò per quello appoggiato al muro.
Qualcuno si meravigliò del comportamento di Hime, che senza ribattere si era seduta in quel banco.
A lei andava bene così: non avrebbe più dovuto soffrire guardando Luigi tutto il giorno.
 
Luigi non aveva trovato il modo di parlare a Hime e di cercare di chiarirsi; non voleva perderla, non ora che conosceva i suoi sentimenti. L’aveva ferita, ma non riusciva a rimediare. Voleva parlarle come sempre, ma più i giorni passavano più la vedeva lontana e irraggiungibile, più sentiva un muro alzarsi a allargarsi tra loro due. Non voleva perderla. Non riusciva a fare niente perché ciò non si avverasse.
 
Ryu guardò il cartellino sulla porta indicante la sua classe, fece un grosso respiro ed entrò sorridendo e urlando “Buongiorno a tutti!” a piena voce.
Qualcuno si girò a guardare chi avesse salutato così energicamente; quando molti tra gli studenti capirono che quello era il nuovo arrivato gli corsero incontro urlando parole e domande che Ryu non colse subito. Un qualche “Come ti chiami?” “Sei cinese?” “Ma quanto sei alto?” “Ma è davvero un maschio con questa faccia?” gli arrivò come un’eco. Voleva togliersi di mezzo tutta quella gente, disse che cercava un posto dove sedersi, quelli lo accompagnarono al suo posto come si accompagna un malato quando esce dall’ospedale.
Rideva di tutte quelle attenzioni e quando sentì “Hime! Saluta il tuo nuovo compagno di banco!” si chiese perché quel nome si fosse fatto strada tra la miriade di suoni. Non era possibile. Aveva controllato con attenzione ogni nome sotto la lettera “H” e non aveva trovato quel nome.
I suoi compagni lo portarono davanti a un banco. Accanto a questo, una ragazzina girata verso la finestra gli dava le spalle.
 
Luigi aveva appoggiato da poco la cartella quando aveva visto Hime andare a sedersi in prima fila. Allora questo nuovo studente era reale. Si chiese che tipo fosse, sperava sarebbero diventati amici. Non era tipico di lui, forse era stato spinto a pensare ciò dal fatto che Hime sarebbe stata la compagna di banco di quel nuovo arrivato probabilmente fino a fine anno scolastico e stare vicino a quel ragazzo poteva significare riavvicinarsi a Hime senza perderla. Pensò che se la voleva così tanto, gli sarebbe bastato chiamarla con la più  banale scusa e salutarla, per poi chiarire il malinteso.
Sì, questa volta ce l’avrebbe fatta.
Si avviò verso il banco di Hime e arrivato alle sue spalle si schiarì la voce. La salutò con voce bassa, in segno di scusa, ma la sua voce fu travolta dalle grida di tutti gli altri compagni che si prestavano ad accompagnare verso Hime un ragazzo decisamente alto e gli occhi a mandorla. Che fosse il nuovo alunno?
 
Hime si sedette sulla sedia, appoggiò la testa sul gomito destro e guardò il triste paesaggio grigio della città. Le nuvole grigie ne ampliavano l’amarezza. Sentì tutti i suoi compagni gridare per l’arrivo del nuovo alunno; per lei non c’era fretta: sarebbe stata con lui tutto il resto dell’anno.
Quando la strattonarono per salutare il nuovo arrivato si girò di malavoglia.
Fissò gli occhi del ragazzo, neri, ci si riperse dentro come la settimana prima.
 
Ryu vide la ragazza girarsi. La fissò riempiendosi di un improvviso calore. Lasciò cadere lo zaino a terra, prese la mano destra della ragazza, cercò il mignolo e glielo strinse, l’altra sorrise appena e portò il suo pollice contro quello di Ryu; quest’ultimo si aprì in un sorriso unico nella sua semplicità. Nessuno aveva osato fiatare. Tutti si chiedevano il perché di quel gesto guardandosi negli occhi, alzando le spalle.
 
Hime si era sentita al sicuro dentro quegli occhi e senza pensarci su aveva posato il suo pollice su quello di Ryu con decisione e un sorriso complice. Si erano ritrovati. Faceva parte della promessa.
Che lui l’avesse cercata? No, lei nei registri di scuola aveva scritto il vero nome. Ryu conosceva solo Hime, non tutto il nome che stava dietro a quelle quattro lettere.
Sarà stato il caso. Agisce sempre così. Forse davvero qualche divinità lancia i dadi e ride quando due numeri si incontrano e si scambiano una promessa, convinta che non si ricongiungeranno mai. Forse ora quella divinità sta piangendo per aver lanciato male i dadi. Forse sta ridendo, perché nasconde un futuro pericoloso. Forse ha cercato di ricongiungerci per far in modo che la promessa principale si compisse.
Divinità bastarda.
Grazie.
 
Luigi non aveva capito il significato di quel gesto, ma si era sentito stringere il cuore: gli sembrava un gesto intimo, qualcosa tra quel ragazzo e Hime. Quei due, diversi per aspetto, forse identici di carattere sembravano isolarsi da tutto il resto dell’Universo.
Si allontanò senza nemmeno presentarsi: la sua unica occasione di poter riappacificarsi con Hime si era dissolta.
Si sedette al suo posto, aspettando che la campanella suonasse e che tutti si allontanassero dal nuovo arrivato.
Il suono della campanella non tardò ad arrivare.
 
La giornata trascorse in fretta, i professori ansiosi del nuovo arrivato, lo riempirono di attenzioni e lo affidarono a Hime rassicurandolo “È la ragazza migliore che potesse capitarti.” e rivolgendosi a lei: “Cerca di aiutare Park se ha qualche difficoltà all’inizio e fagli fare un giro della scuola.”
All’uscita Ryu si premurò di accompagnare Hime a casa.
“Quindi Hime non è il tuo vero nome?”
“No.  Se non fosse per i documenti d’identità neanche me lo ricorderei il mio vero nome: mi chiamano tutti Hime o per cognome.”
Ryu sospirò e i due ragazzi camminarono silenziosamente, lei guardando la gente che con fretta, e spesso urlando contro un cellulare le passava accanto.
Non c’era nemmeno un albero in quella zona, per quanto la città fosse di modeste dimensioni, poteva benissimo essere paragonata alle grandi metropoli per la sua aura grigio cenere. Lei voleva respirare il Verde.
Afferrò Ryu per il braccio e sorridendogli gli disse: “Andiamo, ti porto nel posto più bello che esista nelle vicinanze e l’autunno lo rende ancora più più più bello!”
Ryu seguì Hime senza rendersene quasi conto, immerso nei suoi pensieri sconnessi: una macchina sportiva, metal, dodecafonia, i capelli della ragazza davanti a lui che ondeggiano,…
Improvvisamente si ritrovò il viso di Hime a pochi centimetri dal viso: “Ryu, ci sei?”
Lui un po’ scosso annuì con la testa piegando gli angoli della bocca in un sorriso senza pretese; poi cominciò a guardarsi attorno: erano in una collinetta coperta di tutti i pigmenti delle foglie spoglie della clorofilla verde, che timide, quasi tristi si degradavano al suolo per rinascere a primavera. Era il Paradiso. Quel paesaggio lo riportò a qualche vacanza nella terra materna: il Giappone; certo non era bello quanto i paesaggi che sin da piccolo aveva avuto la possibilità di guardare, ma era abbastanza per farlo star bene, troppo per Hime che sembrava si trovasse nel paese dei balocchi.
“Allora Ryu, non è stupendo questo luogo? Ora che è autunno e ci sono tanti colori si può quasi paragonare a un paesaggio giapponese, di quelli che si vedono nelle foto.”
Ryu annuì e aggiunse: “Ci verremo ogni giorno? Anche solo per pochi minuti…”
Hime sembrava soddisfatta: “Ogni giorno. Che bello Ryu, ora posso dividere questo posto con qualcuno. Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto.”
Si sedettero sul prato macchiato di foglie rosse e gialle.
Hime si girò a guardare i lineamenti del ragazzo: “Ryu, il tuo nome sembra giapponese, ma il tuo cognome coreano…”
Lui schioccò la lingua: “Mmm… mio padre è coreano e mia madre giapponese.”
“Capisco.”
Passarono mezz’ora in silenzio, pensando a futilità, a mondi lontani, trasportati dalla danza del vento.
Poi Hime si alzò in piedi.
Urlò: “Ryujiro Park” e richiamata l’attenzione del ragazzo “Arigatou gozaimasu! Kamsahamnida!”
Ryu scoppiò a ridere “Tu sei Pazza!” e si alzò.
“Ryu, ti chiamo solo Ryu o Ryujiro?”
“Preferisco Ryu”
“Ryu…”
“Che c’è?”
“Insegnami il giapponese e il coreano. So solo poche parole imparate guardando anime e drama”
Ryu non rispose.
“Quando veniamo qui. Eh, Ryu? Va bene? Non ti va? Scusa, sono fastidiosa”
“Dai suki”
Hime rise: “Sì, quello lo so cosa significa. Comunque si è fatto tardi e comincia a far freddo”
Ryu non si era reso conto di aver pronunciato quelle parole finché il suo cervello non ne aveva effettivamente captato il suono, ma non potevano essere vere: era impossibile che gli piacesse Hime: non così presto. Inoltre quella promessa…
“Allora Ryu, andiamo? Ci ritorniamo domani, non ti preoccupare non succederà niente a questo posto magnifico e se piove ci veniamo lo stesso!”
Rientrati nella triste città Hime ritornò silenziosa e quasi giunta a casa, nei pressi della casa di Luigi dove i due si erano incontrati disse a Ryu che da lì in poi avrebbe proseguito da sola.
I due si congedarono e presero ciascuno la propria strada.
 
Hime si era sentita in qualche modo libera di Essere se stessa con Ryu, libera nei suoi difetti, senza bisogno di nascondersi.
Quando si trovò davanti alla casa di Luigi rallentò il passo e guardò verso la finestra che dava verso il marciapiede: il gatto fulvo la stava fissando con i suoi grandi occhi verdi. Hime senza pensarci su due volte strinse la mano destra in un pugno e lo accostò al naso del felino, quello si allontanò guardando Hime con aria interrogativa, senza minacciarla. Lei pose la sua mano sul suo capo e cominciò a carezzare il gatto. Quello acconsentì alle coccole e lei gli disse “Bravo Gustavo, quanto sei bello!” poi a voce più bassa aggiunse “Non posso stare qui: se mi scoprono mi prendono per una specie di stalker credo, ma ritornerò quindi stai qui ed aspettami, ok? Buonanotte” e con passo spedito si diresse a casa.
Gustavo rimase alla finestra, sperando che la ragazza che l’aveva coccolato ritornasse indietro, poi stanco di aspettare, rientrò in casa in cerca di altre attenzioni.
 
Luigi era uscito stanco da quella giornata: era quasi riuscito a parlare a Hime e quel gesto gli era costata tanta energia fisica.
Stanco e arrabbiato.
Arrabbiato perché il nuovo arrivato, quell’asiatico aveva la possibilità di stare con Hime tutta la mattinata e perché quei due sembrava che già si conoscessero.
Dove e quando si sono conosciuti? Lei gliene aveva mai parlato? No, certo che no: non era obbligata a riferirgli tutto.
Si stese sul letto e si mise le cuffie nelle orecchie: Motorhead. Li amava proprio. Lemmy era come un Dio per lui, forse il padre che gli era mancato in tutti quegli anni.
Si sentiva solo.
Voleva… qualcuno con cui stare e parlare. Qualcuno con cui sfogarsi.
Tra tutti i suoi amici non era riuscito a trovare la persona adatta.
Gustavo gli miagolò vicino all’orecchio; Luigi si mise a sedere sul letto, tirò su il gatto, lo guardò negli occhi. Quello stette a fissare il padrone cercando di capire che cosa volesse fare.
“Gustavo, se fossi umano saresti di sicuro la persona di cui ho bisogno.” Detto ciò si alzò dal letto, spense la luce e scese a guardare la TV.
 
Quando Ryu tornò a casa i suoi genitori gli chiesero ogni minimo particolare della giornata ricevendo dal figlio solo un breve: “È andato tutto bene. Questa volta andrà tutto bene.”
Ryu cenò in fretta e salì di corsa nella sua stanza, la chiuse a chiave e prese un respiro profondo.
Per una settimana non avrebbe avuto compiti perché doveva ambientarsi e doveva ancora procurarsi qualche libro.
Prese in mano il violoncello, lo fissò a lungo, lo rimise a posto.
Doveva dargli un nome, per distinguerlo da tutti gli altri violoncelli.
Quel violoncello era il suo mondo, una delle sue ragioni di vita, esercitava su lui un controllo totale e lo ammaliava ogni volta che offriva le sue corde fredde e lasciava che il ragazzo le grattasse.
Il violoncello era per lui una Stella troppo importante per la vita, come il Sole per la Terra.
Era tutte le stelle racchiuse.
Stardust.
Ryu pensò che ‘polvere di stelle’ fosse l’unico nome adatto al suo strumento.
Prese un paio di forbici e incise nel retro del violoncello “Stardust”.
“Bene Stardust, fammi sentire tutto il tuo Universo”
Sonata per solo violoncellodi Ligeti. Dialogo.
Ryu si riempì di ogni suono che potesse captare, ma non riuscì a saziarsi: la sua musica non saziava mai. Era così piccolo in confronto a quelle quattro corde di suoni infiniti.
Voleva far capire a tutto il mondo i suoi sentimenti mentre suonava, ma Stardust non gli lasciava via libera; non capiva cosa ci trovassero tutti quelli che lo ascoltavano di così spettacolare in lui.
Era vuoto quanto il corpo di Stardust, ma quel vuoto non faceva scivolare via alcun suono.
La gente si meravigliava solo delle sue dita che spingevano le corde del violoncello con una dolcezza tale che lo strumento sembrava un bambino che la madre culla tra le braccia.
Ma la gente si sbagliava: Stardust non era un bambino cullato da Ryu. Quel violoncello possedeva Ryu e lo rendeva schiavo dei suoi suoni e Ryu non aveva ancora trovato il modo di ribaltare la situazione.
Succedeva anche a Hime di essere schiava del pianoforte, uno strumento così grande?
Probabilmente.
Suonò finché le dita della mano sinistra non gli fecero male.
Come sempre.
Fino allo sfinimento.
Non era riuscito a domare la sua ‘polvere di stelle’.
 
Hime rientrò a casa e si rinchiuse nella sua stanza.
Aveva bisogno di suonare, cercò un nuovo spartito tra tutti i libri zeppi di note che aveva.
Niente suscitò il suo interesse.
Continuò a cercare finché, stanca e con tanti pentagrammi neri davanti agli occhi decise di ascoltare la musica.
Schoenberg. Pierrot Lunaire.
Cominciò a chiudere gli spartiti e mentre lo faceva ritornò in lei la sua paura più grande: la musica, il pentagramma, le note.
Aveva sempre avuto il terrore di tutto quel nero sul pentagramma, aveva sempre avuto il terrore che quelle note potessero divorarla e renderla sua schiava.
Si alzò di colpo.
Spense lo stereo, si accovacciò in un angolo della stanza e cercò di vuotare la mente di ogni traccia di musica. Non ci riesco. Togliere la musica dai miei pensieri equivale a negare me stessa e ad annullarmi. Devo affrontare gli spartiti.
Gattonò verso gli spartiti, vicino a Warumono.
Quando si ritrovò davanti gli spartiti ebbe un conato di vomito.
Chiuse gli occhi e respirò a fondo per qualche secondo, finché non sentì il suo corpo battere regolarmente.
Aprì lentamente gli occhi e cominciò a chiudere in silenzio gli spartiti.
Dopo aver rimesso a posto, in preda a un’agitazione svuotante, cercò un foglio di carta e una matita.
 
Possiedimi fino a farmi
sfibrare
di fronte a te madre
e serva.
 
Non aveva mai trascritto i suoi pensieri. Si sentì mancare nuovamente, accartocciò il foglio su cui aveva scritto e lo gettò via, senza curarsi della direzione da dargli.
Restò qualche minuto ferma, con la matita in mano, fissando a vuoto un punto; poi raccolse il foglio che aveva gettato così bruscamente a terra, lo stese sulla scrivania; questa volta provò tutt’altra sensazione: era riuscita a utilizzare una forma alternativa alla musica per raccontarsi.
Non sapeva però se ciò la potesse solo rafforzare o se ora non poteva più suonare come una volta.
Andò verso Warumono e improvvisò qualcosa, senza nemmeno avvertire il povero strumento che, carico delle emozioni rimescolate della ragazza rigettò fuori suoni macabri e dolci, allegri e subito tristi; in questo navigare tra suoni e sentimenti Hime superò ogni sua esecuzione.
Pianse mentre suonava e Warumono cercava di consolarla, ma il potere che Hime esercitava su lui era di gran lunga superiore al suo. Mai era stato servo della ragazza, mai lei l’aveva domato nei suoni.
Ora Warumono era sottomesso.
Ora Hime faceva barcollare la musica tra le sue dita.

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Capitolo 6
*** The Blossoming Beelzebub ***


“Mi scusi, dovrei andare ora: si sta facendo tardi.”
“Certo signorina, mi perdoni continueremo domani; vedremo se riusciremo a finire di tracciare le linee principali.”
Hime prese la borsa e uscì salutando il vecchio signore.
Quello inspirò a fondo il sigaro e alzò una mano verso la ragazza, poi fissò il foglio su cui aveva tracciato con una matita le linee principali del soggetto. Non male. Finita questa prima stesura avrebbe cominciato a trascrivere sulla tela i colori della pelle della ragazza.
Non ricordava bene perché quel giorno di qualche settimana prima avesse chiesto alla giovane di fargli da modello, ma non gli importava.
Finì il sigaro e andò al lavoro.
 
Luigi si svegliò di cattivo umore, consumò una magra colazione e trascinandosi uscì di casa.
Si mise le cuffie nelle orecchie. El Dorado, Iron Maiden.
Nei pressi della scuola si fermò e osservò ogni movimento della ragazza che lo precedeva di qualche metro, Hime; non era accompagnata da nessuno, forse questa era la seconda opportunità che gli veniva data, forse era destino. Affrettò il passo mentre il cuore cominciava a pompare più velocemente man mano che si avvicinava alla ragazza.
 
Da quando Ryu aveva iniziato a frequentare la nuova scuola, i suoi genitori lo avevano visto più sereno. Forse questa era la volta buona che loro figlio si faceva degli amici e poteva vivere una vita scolastica normale, libera –in parte- da pregiudizi infondati. Loro figlio aveva cominciato a sorridere di più e, anche se non si apriva ancora con loro, i suoi occhi infondevano una tale pace interiore che a loro non importava sapere ogni particolare della giornata del figlio.
 
Ryu intravide Luigi dall’altro lato del marciapiede, un suo compagno di classe che stava spesso in disparte ma che sembrava essere una brava persona, così attraversò in fretta, senza curarsi troppo delle macchine che potevano investirlo.
Quando si trovò abbastanza vicino al ragazzo lo salutò, ma quello sembrò non averlo sentito.
Ripeté: “Ciao!”
Ma il compagno sembrava interessato a tutt’altro, qualcosa davanti a lui, forse qualcuno, ma tra tutta la gente che stava davanti a loro Ryu non sapeva su chi far ricadere l’attenzione di Luigi.
“Ah, forse non ti ricordi bene visto che sono nuovo. Sono Ryujiro, il novo alunno. Hey, mi senti?”
Ryu vide il ragazzo girarsi.
“Ah, finalmente. Buongiorno per l’ennesima volta.”
“Sì, buongiorno.”
Ryu si guardò intorno e poi si voltò verso Luigi: “Che cosa stavi cercando? Se me lo dici ti aiuto: quattro occhi sono meglio di due.”
“No, niente. Lascia stare.”
“Sei sicuro?”
“Sì, non ha importanza. Sei Park giusto?”
Ryu annuì leggermente e aggiunse: “Se vuoi puoi anche chiamarmi Ryu”
Ma Luigi sembrava di nuovo distratto.
Camminarono in silenzio fino a quando non entrarono in classe.
 
Luigi aveva sentito qualcuno chiamarlo ma non gli aveva dato troppa importanza fino a che quello non gli aveva quasi urlato nell’orecchio: il nuovo alunno. Cosa voleva? Non lo voleva sapere: doveva raggiungere Hime.
Aveva affrettato il passo, ma quello gli era stato dietro e aveva cercato di cominciare una conversazione decente, ma l’attenzione di Luigi era stata pari allo zero; quando il compagno gli aveva chiesto cosa cercasse aveva rinunciato a raggiungere Hime. Troppo faticoso e rischioso.
Park. Ryu. Nessuna differenza per Luigi. Avevano poi camminato in silenzio fino in classe, poi Park aveva cominciato a dare il buongiorno a tutti e a consumare le domande che ancora qualcuno gli poneva, eppure non sembrava mai dare una risposta decisa. Ogni sua parola sembrava aria: la parte fredda rimaneva al suolo, quella calda volava verso il soffitto.
Forse era una sua impressione.
Non gli piaceva.
 
“Buooooooongiorno a tutti!”
“Ooooh Ryu, Ryu” aveva urlato qualcuno “Vieni un attimo qui. Senti un po’ sta canzone è stupenda.”
Ryu si avvicinò con calma, alcune ragazze lo guardavano in un modo strano; non sapeva se crederle affascinate ed entusiaste o schifate, tanto è labile il confine tra le due cose.
Che roba era? Ryu non capì tutto l’entusiasmo per quella musica insulsa, quasi offensiva.
“Fa schifo”
I suoi compagni rimasero fermi a guardarlo.
“Perché mi guardate così?”
“Sembri arrabbiato” aveva risposto uno dei ragazzi.
“Oh, scusate allora. Semplicemente non ascolto questo genere di musica”
“Ascolti canzoni d’A-MO-RE?” aveva canticchiato un altro.
Ryu rise: “Figuriamoci. Se devo essere sincero la musica più affascinante è la classica.”
Alcuni scoppiarono a ridere.
“Eddai Ryu, non scherzare! Quella è musica per i vecchi!”
“Non sto scherzando. Suono anche il violoncello.”
“Tu? Il violoncello? Dai smettila di scherzare.”
“Non credeteci allora.” sbuffò Ryu, poi si volse verso Hime che stava aiutando una compagna a ripassare per un’interrogazione; infine guardò Luigi che stava parlando con un suo amico e che qualche volta voltava lo sguardo verso il resto della classe.
 
All’intervallo Ryu andò da Luigi con passo deciso.
“Accompagnami a prendere da mangiare, Gigi”
“Gigi?”
“Posso chiamarti Gigi vero? Ti chiamano tutti Luigi, ma Luigi è brutto e poi quando ti chiamo sai che sono io visto che sono l’unico che ti chiama così, no?”
“Beh,…”
“Cosa, cosa? Andiamo altrimenti non trovo più niente da mangiare e sto morendo di fame.”
Non capiva perché ma si sentiva in pace con accanto Luigi, forse avrebbero trovato qualcosa in comune se avessero cominciato a frequentarsi, magari sarebbero diventati amici inseparabili.
Ryu prese da mangiare e non smise di parlare anche con la bocca piena.
“Ah, Gigi, anche tu ascolti la musica che stavano ascoltando quelli stamattina? Non so neanche che tipo di musica fosse; forse rap, ma non so. Ah, un rap misto a elettronica? Boh, sono ignorante in certi campi musicali.”
“No, non piace nemmeno a me quel tipo di musica, però credo sia bene ascoltare tutto prima di poter giudicare, perché giudicare a prescindere indica chiusura mentale”
“Mmm, può darsi. Vedrò di documentarmi prima di dire ‘Fa schifo’.”
“Ma perché oggi stai con me?”
“Ti do fastidio?”
 
Eccome pensò Luigi. Voleva starsene un po’ da solo, magari si sarebbe potuto trovare da solo con Hime in classe e quello lo aveva trascinato fino al bar e aveva cominciato a parlare e parlare e parlare.
“No, figurati. Torniamo in classe che tra un po’ suona. Ho anche lasciato Nicola da solo oggi.”
Park era fastidioso, sembrava sapesse tutto di lui e Hime e lo facesse apposta.
Fortunatamente quando erano rientrati in classe aveva trovato due dei ragazzi che gli avevano fatto ascoltare quella canzone prima dell’inizio delle lezioni e si era andato a scusare con loro.
Hime non era in classe.
Quando era rientrata Ryu l’aveva presa per mano e l’aveva portata dai ragazzi con cui poco prima aveva parlato e aveva chiesto loro di mettere quella canzone e farla ascoltare anche a lei.
 
Hime era stata portata da due suoi compagni di classe da Ryu mentre stava chiacchierando con alcune sue compagne; quando era arrivata davanti a quei due aveva sentito della musica partire.
A quel punto Ryu le aveva chiesto se le piaceva quella canzone.
“Non l’ho mai sentita prima. Comunque strumentalmente non è niente di che e il testo a sentirlo così di fretta non ha niente di profondo o particolare, come la voce del cantante che è troppo piatta.”
“Hime sei sempre così precisa quando si tratta di musica, che ci metti in imbarazzo” rise il ragazzo col cellulare in mano.
“Scusate, scusate. Lo faccio involontariamente.” si scusò lei e girò le spalle ai ragazzi.
Sentì Ryu seguirla: “Hey, dopo andiamo nel nostro Paradiso?”
“Sì.”
 
“Ryu, sta arrivando l’inverno e le foglie hanno già perso colore.” spostò una ciocca di capelli che le copriva il viso “ti piace l’inverno?”
“Non molto. Non mi interessano i morti: amo soltanto vedere morire, quel che segue è vuoto di emozioni.”
“È tutto il giorno che continui a ripetere a tutti che suoni il violoncello. Un giorno mi fai sentire qualcosa? Domani sei libero?”
“Non lo so. Vorresti venire da me a sentirmi?”
“A me sta bene anche se veniamo fin qua, se preferisci”
“Sì, allora veniamo qui verso le 11?”
“Bene. Sai Ryu, mi piacerebbe molto sentire Theme and Variations For Solo Cello di Sibelius. Non so se l’hai presente.”
“Sì, la conosco ma non l’ho mai suonata. Domani ti suono una parte di Sonata for solo cello di Ligeti.”
“Bella.”
“Tu ascolti anche musica per violoncello?”
“Io ascolto tutto e comunque il violoncello rimane uno dei miei strumenti preferiti, dopo il pianoforte ovviamente, allo stesso livello dell’arpa e della viola”
“Un giorno mi farai sentire come suoni”
Hai!
Anata wa, nihongo dehanashitai desuka?
Zettai ni, Ryu-san
Eeeh, so desuka? Ima, watashi-tachi wa nani o shimasuka?
Wakaranai
“Parliamo di musica oggi, va bene?”
“Perfetto. Grazie Ryu, di tutto”
“E di che? Lo faccio solo perché lo voglio, sappilo”
“Ok. Come si dice ‘La musica è lo specchio dell’anima’?”
“Mmm…Ongaku wa tamashī no kagami desu.”
”Ongaku wa...tamashi...ka...kagami?”
“Lo ripeto un’altra volta e vediamo se riesci a dirlo bene… Ongaku wa tamashi no kagami desu”
“Ok questa volta ci sono: ongaku wa tamashi no kagami desu. Giusto?”
“Sì. Sei veramente brava nelle lingue e anche la tua pronuncia è bella”
“Grazie Ryu.”
Si avvicinò al ragazzo e lo pizzicò in un braccio “È anche merito del maestro se sono così brava”
“Beh, mi sembra logico.”
Il cielo cominciò a rannuvolarsi e i due decisero di rientrare.
Ryu accompagnò Hime fino a casa “Domani vengo a prenderti io va bene?”
Hime aveva semplicemente annuito, poi era entrata dentro.
 
Ryu corse a casa e suonò per ore il pezzo che avrebbe dovuto eseguire per Hime. Voleva essere perfetto, non voleva commettere nessun errore.
Come sempre il tempo sembrava metronomico e sembrava non riuscire a sbagliare nota, eppure non riusciva a dare niente di sé. Sapeva cosa bisognasse fare, ma non sapeva come farlo.
Cercò di non affaticarsi troppo per essere in forma smagliante il giorno seguente.
 
“Ah, buongiorno signora. Sono Ryujiro Park, un compagno di classe di Hime.”
La donna guardò il ragazzo con indifferenza, appoggiò a terra il vaso con un fiore a forma di stella marina, entrò in casa e urlò: “Hime! Devi uscire con uno che si chiama…” poi si voltò verso il ragazzo e gli chiese: “Nome?”
“Ryujiro”
La donna sospirò e verso l’interno della casa risuonò il nome di Ryujiro.
Hime si affacciò alla sua finestra, i capelli scompigliati e con un gran sbadiglio salutò Ryu.
“Arrivo Ryu, non ci metto molto”
La donna era già ritornata alla sua pianta e Ryu aveva cominciato a osservarla.
Stava annaffiando quella pianta con grande attenzione, controllando quanta acqua e il livello di umidità della terra circondante il fiore. C’era solo un fiore dal colore rossastro e la donna sembrava sussurrarle qualcosa; poi si diresse verso una pianta stranissima –sembrava un cactus lungo e stretto con alla base un cespuglio spinoso-, l’annaffiò poi, alzando il viso aggrottò le ciglia, sembrava aver visto qualcosa e una lacrima cominciò a scenderle lungo le guance.
“Signora, sta male?”
Quella si asciugò rapidamente: “Io no, ma lei sì” e si girò verso la pianta.
“È una pianta malata?”
“No, per fortuna”
“Allora perché sta male?”
“Perché sta cominciando a fiorire”
“E non dovrebbe essere un bene questo?”
“Affatto.”
“Ma se deve fiorire allora è un bene che abbia cominciato”
“Quando mi sono trasferita qui l’ho trovata piantata e ho fatto ricerche su questa strana pianta. Questo non è certo il suo habitat naturale però mi sono sempre presa cura di lei.”
“Non capisco però come la pianta possa stare male perché sta fiorendo”
“Hai mai sentito parlare della pianta che fiorisce ogni cento anni?”
“No, mi dispiace. È quella?”
“Già.”
“Quindi sono passati cento anni da quanto è stata piantata?”
“Sì, e quando fiorirà morirà”
“Per questo piangeva?”
La donna annuì e si diresse verso la pianta col fiore di stella marina.
“Questa si chiama Stapelia Hirsuta, il suo fiore è bellissimo. Lo vuoi vedere da vicino?”
“Mi farebbe piacere”
Più il fiore si avvicinava e più diventava bello agli occhi di Ryu.
“È stupenda” disse senza staccare gli occhi dal fiore
“Lo so”
Ryu alzò lo sguardo e trovò un viso stanco e segnato dal dolore, gli occhi con una piccola scintilla forse tenuta viva dai suoi fiori. E ora che quella pianta centenaria stava per fiorire, quanta di quella debole luce si sarebbe demolita?
“Ryu, eccomi! Scusa se ti ho fatto aspettare”
“Figurati”
“Oh mamma, che bella la tua Stapelia. Hai pianto?”
“No”
Ryu si rivolse alla donna: “Come si chiama la pianta che sta male?”
Puya Raimondi
“Mamma, non dirmi che…”
La donna si girò verso Hime e la guardò con sguardo severo, stringendo la Stapelia al petto. Poi le urlò “E se anche fosse?” e si allontanò a passo spedito.
“Mamma, esco.”
Ma la madre non le rispose.
“Signora, noi andiamo. Non facciamo tardi”
La donna si girò sorridendo leggermente “Certo caro, non preoccuparti se fate tardi, basta che lei non ti frantumi”
Ryu stava per chiedere il significato di quella frase, ma Hime l’aveva tirato per la giacca correndo.
 
“Speriamo che non piova”
“Già, ma è successo qualcosa tra te e tua madre?”
“Niente in particolare, perché?”
“Mi era sembrato che…” ma Hime l’aveva interrotto: “Suona per me, ti prego”
Ryu non sbagliò una nota, il suo metronomo mentale non fallì nemmeno per un secondo.
Quando finì alzo gli occhi verso Hime, ma lei non sembrava mostrare nessuna reazione alla sua splendida esecuzione “Non ti è piaciuto?”
Lo sapeva, sempre lo stesso problema, non sapeva come applicare la formula banale: esprimi te stesso.
“Senti Ryujiro…”
Hime non l’aveva mai chiamato per intero.
“Haha, lo so che non sono bravo” disse subito Ryu
“Devo dire che tecnicamente sei perfetto, non hai fatto un minimo errore, ma ti piace suonare?”
“Certo che mi piace.”
“Non lo fai per inerzia?”
“Non potrei”
“Risuonalo”
“Quindi ti è piaciuto?”
“Solo se volevi fare un’esecuzione del brano. Io ti avevo chiesto di suonarmi qualcosa, non di eseguirlo”
“Scusa e che differenza c’è?”
“La differenza sta nel trasmettere! Ecco qual è la differenza. Quando esegui devi stare attento a note, tempo e che tutto quadri alla perfezione; nella fase di studio è ammissibile, eppure già nella fase di studio dovresti sentire qualcosa dentro, qualcosa che strappi il pentagramma e aggredisca chi ti ascolta. Hai un arco che raschia delle corde, fanne buon uso”
Ryu capì benissimo cosa Hime intendesse, ma lui non era capace di farlo “Non so fare”
“Tutti sanno fare”
“Io no”
“Non pensare alle note”
“Come faccio?”
“Suona a casaccio”
“Come a casaccio?”
“Sì, ora non voglio più sentire il brano di prima. Voglio che tu poggi quel fottuto arco su quelle fottute corde e che muova le tue dita su quel fottuto manico, anche se salta fuori qualche nota stonata, qualche dissonanza, suona”
“E se non ci riesco?”
“Ti prego Ryu, fammi capire chi sei”
Non aveva capito cosa ‘fammi capire chi sei’ significasse, ma sospirando chiuse gli occhi e si abbandonò al suo inconscio.
Ryu suonò per circa un minuto e per la prima volta riuscì a raggiungere la Musica; non riuscì a superarla, ma la sentì vicina, non era più schiavo del violoncello.
“Oh, Ryu…” sussurrò Hime appena Ryu aveva terminato.
“Hime, perché tieni la testa bassa?”
“Era questo ciò che volevo sentire; ora lo so…”
“Ora lo sai, cosa?”
Hime alzò il viso rigato di lacrime e sorrise: “La nostra promessa si compirà”
“Dici che sono pronto?”
“Sei solo tu a deciderlo Ryu, io ti sto solo aspettando, ma ora che conosco il tuo animo sono sicura che ce la faremo insieme”
Ryu s’incupì impercettibilmente mentre riponeva il violoncello nella custodia; le prime gocce d’acqua cominciarono a bagnare i vestiti dei due ragazzi.
“Ryu, grazie di tutto. Ritorniamo a casa, sta cominciando a piovere”
 
 Dopo qualche minuto di cammino a Ryu ritornò in mente la prima volta che aveva incontrato Hime.
“Quel giorno perché piangevi?”
Hime si fermò di colpo, Ryu si accorse che la ragazza non gli stava più accanto dopo qualche passo.
“Hey, Hime, perché sei rimasta indietro?”
“Possiamo…possiamo non parlare di quel giorno Ryujiro?”
Il ragazzo si stupì di essere stato chiamato nuovamente per intero e si affrettò a dirle che non gliel’avrebbe più chiesto.
“Grazie Ryu, quando sarò pronta te ne parlerò da sola”
“Bene”
“Mi accompagni fino a casa?”
“Certo”
Poi Hime prese la manica del piumino del ragazzo, lo strinse forte “Andiamo”
Ryu, lasciò la ragazza stringergli la manica del piumino, poi davanti al posto dove l’aveva trovata le prese la mano e gliela strinse forte, la allentò pochi secondi dopo e Hime gliela strinse.
Camminarono così, mano nella mano per qualche minuto, lei persa tra le gocce d’acqua che le scendevano lungo il corpo, lui col cuore in subbuglio, non riuscendo a capire se si trovasse ancora sulla terra e se la mano che stringeva fosse concreta o frutto di un sogno.
Voltato il primo angolo Hime lasciò la mano di Ryu, fissò il ragazzo negli occhi e gli sorrise.
Lui si abbassò fino a raggiungere il viso della ragazza.
“Hime…”

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Capitolo 7
*** Frozen Flowers ***


“Ryu, fermati”
Lui si rialzò “Sì, scusa. Non volevo fare niente”
“E non l’hai fatto” gli sorrise Hime.
“Senti, posso almeno riaccompagnarti a casa?”
“Certo, ma sbrighiamoci o ci ammaliamo con questa pioggia”
Ryu non voleva farle niente sul serio: era stato spinto da una qualche forza misteriosa verso il viso di Hime, perché? Non le piaceva. Assolutamente.
Si era ritrovato nel buio e la voce di Hime l’aveva riportato alla realtà: si trovava a pochi centimetri dal viso della ragazza, chiunque avrebbe pensato che la volesse baciare. Lui non lo voleva. ‘Basta che lei non ti frantumi’ l’aveva avvertito la madre di Hime.
“Hime, come si chiama tua madre?”
“Giulia”
“Tuo padre?”
“Paolo, ma non vive più con me e mamma”
“Ah, sono divorziati?”
“No”
“Allora perché…”
“Ryu, smettila”
Era agghiacciante quanto potenti fossero le parole di Hime ogni volta che apriva bocca. Era forse più diretta di un impulso elettrico, o almeno attraversava Ryu con la stessa intensità e precisione.
 
“Mamma, cosa ci fai lì?”
Giulia stava di fronte alla Puya Raimondii, la pianta morente, e lacrime più evidenti della pioggia le scendevano lungo il viso.
Non si era girata quando Hime le aveva posto la domanda.
“Ryu, ti prego, entra nel giardino e convinci mia madre a rientrare dentro”
Lui si era girato verso Hime con aria interrogativa, ma lei aveva già aperto il cancello e aveva cominciato a spingere Ryu verso la madre.
Lui aveva soffiato un ‘No’.
“Ah, Ryu, dammi il violoncello: lo porto dentro così l’acqua non rischia di entrare dentro” poi aggiunse “E non ti preoccupare, non lo faccio cadere. Ritorno subito”
Ryu andò verso Giulia.
“Signora Giulia, non farebbe meglio a rientrare ora?”
Lei con gli occhi rossi di lacrime si girò verso Ryu: “Ragazzo, non riesco a ricordare molte cose, diciamo niente, ma questa pianta non posso proprio dimenticarla, come non posso dimenticare il passato, finché non ho conosciuto Paolo”
“Signora, la prego per oggi rientriamo tutti dentro. Domani potrà di nuovo stare vicino alla pianta”
“Non posso lasciarla ora: questi fiori la stanno uccidendo”
Ryu guardò la casa e Hime che stava uscendo in giardino, poi vide una finestra “Signora, entriamo e guardiamo tutti la pianta da quella finestra, che ne dice?”
La donna si girò verso la finestra e abbassò la testa “Va bene ragazzo, entriamo.” poi guardando la Puya sussurrò “Mi hai mentito”
Giulia entrò dentro e invitò Ryu a seguirla, ma lui non sapeva bene se potesse entrare.
“Ryu! Entra, non ti vorrai mica prendere un raffreddore spero!”
“Ah, grazie. Con permesso”
La casa era spoglia, priva di ogni colore, muri bianchi come la morte, mobili apparentemente caldi.
“Ragazzo, faresti bene a farti una doccia, sei fradicio”
“Già, aspetta qui Ryu, vado a prenderti un asciugamano e qualche vestito di papà”
“Grazie”
La madre sparì sulle scale e Ryu cominciò a girare a vuoto per la casetta.
Non c’era niente fuori posto, tutto in un ordine quasi tagliente.
Pochi minuti dopo sia la madre che Hime scesero, la prima con abiti puliti addosso, Hime con un asciugamano e qualche vestito “Spero ti vadano bene i vestiti, papà era un uomo molto grosso e alto”
“Grazie”
“Ti accompagno fino al bagno. Mamma, io porto Ryu fino al bagno e vado nella mia stanza”
“Ragazzo, dopo vieni giù a guardare la Puya con me?”
“Certo signora”
Hime accompagnò Ryu fino al bagno dicendogli più volte di chiudere bene a chiave la porta, in caso sua madre si fosse dimenticata che lui era in casa e avesse aperto la porta del bagno.
“Fai con calma” e lasciò Ryu nella porta del bagno “Ah” aggiunse “Il violoncello è in camera mia, quella in fondo al corridoio a sinistra”
“Grazie”
“E smettila di ringraziare di continuo!”
“Scusa”
“Senti, vai a farti la doccia”
“Ma falla tu prima, sei fradicia quanto me”
“Non ti preoccupare e vai”
 
Ryu entrò nella stanza di Hime che era socchiusa: lei non c’era.
Scese le scale e trovò Hime qualche passo dietro la madre e la madre di Hime che guardava fuori dalla finestra.
Si avvicinò a Hime e le sussurrò “Sta ancora guardando la pianta?”
“Sì. Resta un po’ con lei, ti prego. Io vado a farmi una doccia, in cambio suonerò il pianoforte per te”
Ryu le sorrise, lei salì le scale.
“Signora, sta ancora guardando la pianta?”
Quella si girò di scatto “Chi sei?”
“Sono il ragazzo di prima”
“Non conosco nessun ragazzo di prima”
“Sono un amico di Hime”
“Hime” sussurrò Giulia, ritornando a guardare fuori dalla finestra “Ragazzo, come ti chiami?”
“Ryujiro”
“Ryujiro, non sei italiano”
“No sono…”
“Non mi interessa, non te l’ho chiesto”
“Mi scusi”
“Vieni a guardare la mia Puya, sta morendo”
“Lo so signora”
Restarono qualche minuto in silenzio a guardare fuori dalla finestra, quando Giulia si voltò vero Ryu: “Perché mi ha mentito?”
“Scusi signora, non capisco”
“Smettila, anche tu mi stai mentendo”
“Signora sono davvero dispiaciuto”
“Smettetela di dispiacervi tutti! Dimmi perché mi ha mentito!”
“Io…”
Ma lei era già ritornata alla pianta.
“Perché mi ha mentito?” continuò a echeggiare per la casa.
 
Quando Hime scese, vide la madre che chiedeva a Ryu perché tutti ce l’avessero con lei.
“Mamma, Ryu deve venire nella mia stanza a sentirmi suonare”
Giulia sgranò gli occhi: “O Dio, cos’ho fatto di male per meritarmi ciò?”
Hime prese la mano di Ryu e lo trascinò su per le scale.
“Hime, sei sicura che tua madre…”
“È a posto, anzi grazie di tutto”
“Non ho fatto niente di c…”
“Hai fatto troppo. Comunque dimmi cosa vuoi che ti suoni”
Per Elisa
“No”
“Non la sai suonare?”
“Me la chiedono tutti. Conosci solo quel brano?”
“No, perché?”
Per Elisa la chiedono tutti quelli che ne sanno poca di solito”
“Allora Mozart”
“Cosa di preciso?”
“Una cosa qualsiasi”
“Potrei suonare un brano che non ti piace. Sii più preciso. Stupiscimi. Così potrò suonare per te”
“Non conosco molti brani per pianoforte. Scegli tu per me”
“Almeno dimmi se preferisci un brano passionale o uno più frizzante”
“Frizzante”
“Sei sempre così prevedibile, Ryu”
“Dici?”
“Già”
“Allora voglio qualcosa che mi faccia volare”
Hime rise.
“Che ho detto di divertente?”
“Certo che sei sempre così calcolato”
“Allora cosa mi suoni?”
“Debussy. Lo conosci?”
“Poco”
“Peccato. Sono sicura che ti piacerà”
“Come si intitola il brano?”
Hime prese un libricino e s’illuminò
Reflets Dans L’Eau da Images”
Prese lo spartito tra le mani e cominciò a leggerlo.
“L’hai già suonato questo brano?”
“Sì, ma lo devo ricordare”
“E accarezzando così lo spartito, te lo ricordi?”
“Lo sto già eseguendo”
“Io non lo sento”
“Infatti a te lo suonerò. L’esecuzione è solo mia, nella mia testa, non posso farti sentire le debolezze della mia esecuzione. Non lo permetterei a nessuno.”
Ryu rimase in silenzio, in attesa che Hime iniziasse a suonare per lui.
Hime percorse tutti i tasti del pianoforte e fece qualche scala per riscaldare i polpastrelli.
“Ryu, comincio”
E Suonò.
E volò.
E fece volare Ryu.
Suonò Musica.
Volò nel cielo.
Fece volare Ryu in Paradiso.
Lei inconscia del fatto di volare, non pensava a niente, muoveva semplicemente il corpo come il suono suggeriva, senza forzare nulla e senza farsi sopraffare dall’immensità del pianoforte.
Alcuni passaggi le mani le ricordavano senza leggere lo spartito, in quei momenti chiudeva gli occhi e si abbandonava a un’estasi totale. Non sapeva se sarebbe riuscita a lasciare qualcosa a Ryu. Ma lo desiderava. E ciò le bastava. Mentre suonava aveva la sensazione che le mani diventassero il suo cervello: non leggeva che con le dita.
Ryu si perse nella vastità dei suoni. Lui le aveva chiesto di volare, lei lo aveva accontentato. Come faceva? Non poteva nemmeno provare invidia in quella dimensione in cui si trovava. Come faceva a creare quei suoni? Non aveva paura di perdersi nella Musica? Queste domande scivolavano nella mente di Ryu depositandosi pesanti sulla sua coscienza, ma ora non aveva tempo per risolvere i suoi dilemmi. Non aveva chiuso gli occhi quando Hime aveva cominciato a suonare, ma l’immagine del vasto Cielo si era aperta a lui dopo pochi secondi che Hime aveva cominciato a suonare.
Non aveva chiuso gli occhi.
Vedeva l’immensità davanti a sé.
Cominciò a respirare affannosamente.
Da quando soffriva di vertigini?
Il Cielo è troppo vasto per una persona sola.
Non riusciva a riaprire la mente alla realtà.
Era intrappolato nel Celeste.
Poche nuvole, non poteva nemmeno toccarle.
D’un tratto Ryu si trovò accanto Hime. Sembrava così lontana.
Provò a chiamarla, ma lei con sorriso serafico si allontanò da lui.
Doveva raggiungerla.
Era troppo faticoso: non sapeva come camminare nel cielo.
Hime staccò le mani dalla tastiera.
Ryu cadde dal cielo.
Emise un grande respiro. Era ritornato.
“Come hai fatto?” chiese.
“Cosa?”
“Sei una strega?”
“Ryu, che dici?”
“Ho visto il Cielo, c’eri anche tu alla fine”
“Non riesco a seguirti”
“Come fai a suonare così?”
“Ascolto lo spartito”
Ryu scosse la testa: “Insegnami”
“Non posso”
“Perché? Anch’io voglio saperlo fare”
“Non so nemmeno di cosa tu stia parlando!”
“Se non m’insegni non posso mantenere la nostra promessa”
Hime s’incupì.
“Credi che io capisca qualcosa dai tuoi discorsi, Ryu?”
“Davvero non capisci?”
“No”
“Mi hai fatto volare”
“Io non so fare certe cose”
“Non ti accorgi di quello che fai mentre suoni?”
“Io seguo soltanto i sentimenti dello spartito, cercando quelli del compositore, interpretandoli infine come Io voglio che siano, senza mancare di rispetto alla carta”
“Come ci riesci?”
“Non sono io a suonare, ma le mie mani. Loro sanno parlare solo in quel modo. Si sfogano quando suonano. Ci mettono ciò che serve. Io voglio soltanto trasmettere un messaggio a chi mi ascolta. Sono solo felice se il messaggio arriva.”
“Il tuo messaggio non arriva”
“Allora mi dovrò allenare di più”
Ryu scosse la testa e mise una mano tra i folti capelli scuri “Il tuo messaggio SPEZZA la lucidità”
“…”
“Ritorno a casa”
“Ryu, manterrai la promessa?”
“Mi allenerò a trasmettere anch’io”
“Ryu, mantieni la promessa. Ne abbiamo bisogno tutt’e due”
“La prossima volta porterò il violoncello”
“Sei sicuro? Iniziamo così presto? Ormai l’inverno sta seccando la natura”
“Lo so. Non mi piace. L’inverno spezza i morti più facilmente”
Hime prese le mani di Ryu e le strinse forte “Non ti spezzare”
Ryu sorrise: “Ci vediamo”
 
L’inverno passò in fretta, il freddo non fu eccessivo.
Ryu si allenò giorno e notte sui suoi sentimenti, scavò a fondo dentro di se alla ricerca di qualcosa da raccontare; ascoltò molti brani di diversi generi musicali: non poteva restare così chiuso.
Invidiava Hime, ma con quei sentimenti non sarebbe andato troppo lontano.
A scuola era sempre lo stesso, con Hime andava sempre nel loro posto segreto, ma evitava di parlare di musica limitandosi a insegnarle a parlare in Giapponese; qualche volta lei gli faceva domande quasi ricercate e lui era costretto a rivolgersi alla madre rientrato a casa su come tradurre certe frasi.
Il sorriso che si dipingeva sul viso della madre quando lui le chiedeva aiuto era colmo di semplicità e gioi, ma Ryu non sapeva leggere certe cose negli sguardi altrui.
 
Luigi cominciò a perdere ogni speranza: Hime era irraggiungibile. Gli mancavano le forze necessarie.
Persino una persona seduta sul marciapiede morente se vede cibo raccoglie tutte le sue forze per raggiungerlo, ottenendo risultati inimmaginabili; e ancora, alcuni fiori sopravvivono intatti all’inverno, allora perché lui non riusciva a fare niente? Aveva paura anche di essere amato.
Lei gli stava rubando la vita.
Si chiuse e non riuscì ad aprirsi con nessuno e la madre si preoccupava sempre più che l’assenza del padre avesse creato nel figlio questo scudo impenetrabile.
 
La Puya com’era fiorita era appassita; quell’enorme pianta, quasi eterna, era morta e Giulia non poteva fare altro che abbracciare l’altra sua pianta amata.
Ogni giorno andava alla finestra e si chiedeva perché lui gli avesse mentito.
“È ancora giovane, Giulia. Non la vedrai morire, ma so già che bramerai i suoi fiori, maledicendoti per aver pensato una cosa simile; sai, i suoi fiori sono molto belli”
E lei aveva cominciato a studiare ogni variante di ogni fiore, cominciando ad apprezzare ogni pianta e ogni odore. Una volta aveva desiderato essere un’ape per posarsi su un fiore senza piegarlo.
Intanto lui l’accarezzava.
Ogni giorno davanti alla finestra, ponendosi lo stesso interrogativo, stupendosi della pianta morta, piangendo e mettendosi le mani tra i capelli.
Non ricordava niente il giorno successivo.
Tutto daccapo, giorno dopo giorno.
Non si stancava, la sua salute peggiorò.
Una volta sembrò crollare.
 
“Tua madre è affetta da amnesia globale. Quanti anni hai?”
“Abbastanza per poterle stare vicino”
“Dobbiamo comunque mandare qualcuno a sorvegliarvi qualche volta, specialmente quando tua madre rimane da sola.”
“Grazie dottore”
“Di niente. Non abbatterti mai. Soffierà il vento, arriveranno cicloni. Sii forte. Vedi di restarlo. Per tua madre. Per te”
“Farò del mio meglio”
Hime era uscita dallo studio del dottore.
“Mamma, andiamo a casa”
Giulia si era alzata senza guardare la figlia e aveva preso a camminare.
“È tutta colpa tua” erano le uniche parole che Giulia ripeteva a Hime, ogni giorno, con precisione, con lo stesso tono fiero e tagliente.
In principio Hime ne veniva colpita, cercando di non affondare, ma la battaglia era dura; quando capì che le cose non sarebbero né cambiate né migliorate, ma solo peggiorate, cominciò a incassare tutti i colpi della madre, diventando di volta in volta più immune.
 
Nuovi fiori avevano cominciato a sbocciare.
La Puya era ancora morta.
Ryu continuava a parlare a Hime, ma sembrava che un muro cominciasse a costruirsi tra di loro; fu Hime a romperlo.
“Ryu” gli disse un giorno durante l’intervallo “Vieni con me, ti devo parlare”
Lui non aveva capito perché lei lo avesse chiamato.
“Cosa ci è successo?” chiese lei semplicemente.
“Non è successo niente, perché?”
“Sai, è da un po’ che non vieni più nel nostro Paradiso con un sorriso stampato in faccia e non mi hai ancora fatto risentire il tuo violoncello come mi avevi promesso”
“Scusa”
“Non devi scusarti ma dirmi cosa ti ho fatto perché le cose siano degenerate così”
“Non posso, è una cosa infantile”
“Dilla”
“Sono invidioso di te”
“Per cosa, Ryu?”
“Tu riesci a dominarla”
“Cosa?”
“La Musica e il pianoforte”
“Ti sbagli”
“Non posso sbagliarmi. Ho sentito chiaramente il tuo suono”
“Non è così, credimi”
Ryu alzò la voce “Allora dimmi come cazzo fai?”
“Ryu” miagolò Hime “Io ho paura della Musica”
“…”
“Ho paura anche degli spartiti. È questa paura che mi fa muovere, è questa paura che mi fa scavare a fondo. Ho paura di tutti quei tasti e ancor più paura di quell’inchiostro sul pentagramma che mi minaccia ogni volta”
“Non è possibile”
Hime fissò Ryu negli occhi “È così”
“Quindi dovrei cominciare anch’io ad avere paura degli spartiti e del mio strumento per suonare come te?”
“Tu non devi suonare come me, ma come sei tu veramente; devi solo lasciare che le tue emozioni traspaiano. Dovrebbe essere qualcosa di naturale quando si suona, quindi sei tu a non volerti mostrare per primo. Hai paura che gli altri leggano cosa c’è dentro di te?”
“No”
“Invece sì. Domani portati a scuola il violoncello”
“Perché dovrei?”
“È giusto un piccolo favore che ti chiedo; dobbiamo recuperare ciò che abbiamo quasi perso”
Ryu annuì.
“Per oggi niente ‘Paradiso’: devo arrivare prima a casa perché Dora ha da fare e non posso lasciare mia madre a casa da sola.
“Dora?”
“Aiuta me e mia madre. Di solito viene solo quando io sono a scuola, per il resto ci sono io per mia madre e poi, qualsiasi cosa succeda abbiamo molti vicini”
 
Luigi vide Hime uscire da scuola da sola, allora accelerò il passo per poterla raggiungere .
Quando le fu accanto la salutò “Ciao, Hime”
Lei si girò sgranando gli occhi: aveva riconosciuto la voce, ma non poteva credere che Luigi l’avesse chiamata per nome; tuttavia cercò di contenersi “C…ciao Luigi. Come va?”
“Non c’è male, tu?”
“Bene, grazie”
Camminarono fianco a fianco per qualche metro senza aggiungere altro, senza guardarsi negli occhi.
Poi Luigi parlò “Scusa per quel giorno”
“Quale?”
“Il giorno del mio compleanno…”
“Ah, quello…” arrossì lei “Non ti preoccupare. Il messaggio è arrivato forte e chiaro”
“Appunto…riguardo alla mia risposta…in real…”
“Scusa Luigi, ne parliamo un’altra volta? Non sono dell’umore e devo ritornare immediatamente a casa. Le nostre strade si dividono qui: prendo quella scorciatoia” e poi indicò la strada con l’indice.
“Certo. Ne riparliamo”
“Ciao”
“Ciao”
E Hime sparì nel marciapiede colmo di gente.

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