Imperfetto

di pinzy81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quella notte non riuscì quasi a chiudere occhio. Continuava a voltarsi nel letto senza prendere sonno: il cervello sembrava non volersi spegnere.
Doveva essere l’inizio di una nuova vita, anzi l’inizio della sua vita. Non sarebbe stato un problema abituarsi alla nuova città, al nuovo clima, alla nuova casa, ai nuovi colleghi. In fondo si lasciava alle spalle poco e niente. Rapporti deboli, poco più che conoscenze, dormitori delle strutture scolastiche che aveva frequentato. Forse qualcosa di meno che niente.
No, non sarebbe stato un problema.
Aveva sistemato quasi tutte le sue poche cianfrusaglie nei mobili dell’appartamento arredato che aveva preso in affitto e si era aggirata per la casa prendendo coscienza del suo territorio.
La vera prova sarebbe venuta domani.
 
“Forks High School”, recitava il cartello.
Era arrivata in anticipo per fare bella figura e perché le mura di quella casetta le sembravano restringersi ogni secondo di più.
«Page Harrison?» Quella voce la sorprese.
«Si?» ripose timorosa. Voleva fare bella impressione, voleva essere accettata. Quello doveva essere l’inizio della sua vita.
«Preside Murphy. Sono lieto di conoscerla.» le porse la mano e restò in attesa.
Page si affrettò a stringerla. Non troppo forte tanto da sembrare imbarazzata, né troppo piano come una donnicciola.
«Piacere mio.» Abbozzò un sorriso, voleva fare buona impressione infondo.
«Mi segua nel mio ufficio, la metterò al corrente di come desidero che venga impostato il lavoro.»
La riunione durò lo stretto necessario. Il preside Murphy non pretendeva molto da lei a parte seguire il programma preimpostato e mantenere l’ordine durante le sue ore di insegnamento. Page aveva ancora due giorni per adattarsi, poi sarebbe iniziata la vera avventura. Poteva girovagare per Forks, fare provviste, cominciare a organizzare le lezioni.
 
***************
 
Tornarono a Forks. Quella decisione costò molto ad Edward, ma EJ continuava a chiedergli di mostrargli dove fosse nato l’amore tra i suoi genitori e lui non poteva e non voleva negargli niente. Era più che normale che fosse incuriosito da quel posto.
Che dolore riappropriarsi dell’odore della terra bagnata, del muschio sugli alberi, dei tronchi appena tagliati.
Tutto gli riportava alla mente Bella ed il breve periodo trascorso lì con lei.
Erano tornati in pochi, solo EJ, Alice, Jasper ed Edward.
Per non destare sospetti, anche se erano passati troppi anni perché qualcuno potesse sapere chi erano, cambiarono lo schema che solitamente utilizzavano quando si insediavamo in una nuova città. Era necessario mischiare le carte, come in una nuova partita di poker. Edward sarebbe stato l’adulto, gli altri gli adolescenti. Bastava pettinarsi in modo diverso e indossare completi meno adolescenziali per ingannare gli umani. Al contrario, gli altri avrebbero esagerato con l’abbigliamento da teenager grazie alla consulenza modaiola di Alice.
Come avrebbe ingannato il tempo, Edward, mentre i ragazzi erano a scuola? Come avrebbe fatto a non lasciarsi sopraffare dai ricordi? Aveva amato molto Bella e il suo ricordo influiva ogni giorno sulle sue scelte e pur avendo una memoria infallibile, stava cercando di lasciarla andare per non soccombere alla sua mancanza.
Il primo periodo dopo la sua morte era stato duro. Era rimasto pietrificato per mesi interi, non gli importava più di niente, nemmeno di EJ. Poi era stato proprio lui a risvegliarlo dal torpore in cui era caduto.
 
«Vieni papà.» Lo aveva preso per mano dolcemente. Lo aveva trascinato fino al pianoforte, un passo alla volta. Aveva puntato le sue iridi color del cioccolato, della stessa tonalità di quelle di sua madre, sui tasti bianchi e neri ed aveva iniziato a suonare. Edward avrebbe riconosciuto quelle note in mezzo a un milione: la ninna nanna di Bella, quella che aveva fatto addormentare anche il loro bambino molte volte.
Se avesse potuto il vampiro avrebbe pianto calde lacrime. EJ, così piccolo eppure già così maturo, riuscì dove tutti avevano fallito: lo riportò alla vita.
Da quel momento Edward decise che avrebbe votato la sua esistenza a lui, quell’esserino nato miracolosamente da lui e Bella. EJ era il connubio perfetto tra loro due e, visto che non gli rimaneva altro di lei, a parte il ricordo, decise di crescerlo forte, altruista e con gli stessi principi della moglie. La caparbietà l’aveva ricevuta in dono da sua madre, quindi il compito non si rivelò sempre facile.
 
«EJ, muoviti!»
 



Benvenuti a tutti voi.
Per chi mi conosce già vi anticipo che questa storia è di più recente scrittura, quindi diversa da SAT. Ma ormai lo avrete notato!
Se avete domande, visto che il primo capitolo è un po' criptico, sono pronta a rispondere.
Spero che tutti voi amiate "Imperfetto" come fin'ora avete dimostrato di amare gli altri miei lavori.
Ringrazio fin d'ora chi, tra di voi, vorrà lasciarmi una testimonianza del suo passaggio e vorrà inserire questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Ora vi lascio, rimandando la pubblicazione dell'aggiornamento a giovedì prossimo.
Baci

Pinzy

CITAZIONI
Il nome del preside Murphy è dovuto all’affetto profondo per tutti i personaggi comici impersonati dall’attore Eddie Murphy.
La ninna nanna che EJ (piccolo prodigio al pianoforte) suona a suo padre per spezzare il suo stato catatonico è questa

EFP

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


«Dio, che posto!» L’oceano ruggiva agitandosi all’orizzonte. Nuvole cariche di pioggia si avvicinavano minacciose alla costa.
Page era stata indirizzata alla riserva Quileute di La Push dalla bibliotecaria del liceo.
Quella vecchia signora aveva capito subito che la sua passione era la fotografia. Forse non aveva poi queste gran doti: la ragazza aveva preso a caso diversi annuari dagli scaffali e si era immersa nella contemplazione del passato. Era così assorta che l’anziana le aveva proposto di portarseli a casa invece di obbligarla a rimanere oltre l’orario di lavoro.
«Se sei interessata a qualche bello scorcio vai a First Beach, giù alla riserva. Vedrai che lì di materiale per le tue foto ne troverai in abbondanza.» le aveva detto allontanandosi stanca.
Mai suggerimento era stato più azzeccato: la natura in quel luogo sembrava pulsare di vita propria. Gli alberi raggiungevano la spiaggia contornandola di verde. Gli scogli, in lontananza, sembravano esseri giganti raggomitolati su loro stessi in attesa di risorgere. E l’oceano poi…
Le era sempre piaciuto il mare, ma quel posto, dove cielo e terra si univano così perfettamente, riusciva ad emozionarla.
Aveva già finito due rullini e non trovava la forza di smettere di scattare. Ora l’uccello che affondava le zampe nella sabbia scura. Più in là un tronco abbandonato sulla spiaggia eroso a tal punto dalla salsedine da sembrare bianco. Alla sua destra un vecchio indiano insonne, come lei, intento a veder sorgere l’alba all’orizzonte. Poco lontano la foresta che finiva bruscamente dove iniziava la costa.
D’un tratto una figura sbucò dal folto del bosco. La vedeva sfocata attraverso le lenti, così mise a fuoco l’immagine. Una ragazza, poco più piccola di lei forse. Portamento fiero, quasi regale. Camminava verso l’oceano come se la stesse chiamando, come se il suo percorso fosse delimitato da un camminamento visibile solo a lei. Pelle ambrata, occhi profondi e carichi di pensieri, capelli corvini che le lambivano le spalle.
Page non se lo fece ripetere due volte: era assolutamente rapita da quella dea. Scattò un terzo rullino interamente su di lei, poi, quando la macchina la ridestò con il rumore del riavvolgimento rapido, la fotografa comprese che avrebbe fatto qualsiasi cosa per conoscere quella ninfa dei boschi… sempre se fosse stata reale!
Si avvicinò cauta, come se temesse che da un movimento troppo brusco la visione potesse svanire. Come un uccellino a cui desideri solo dar da mangiare che si spaventa e vola via appena prendi un respiro un po’ più profondo.
Appena Page fu a poco meno di dieci metri dalla ragazza, quella la immobilizzò solo guardandola. Era dura nel suo sguardo fiero, aggrottò la fronte come se fosse un’eresia essere avvicinata da una sempliciotta. In quel momento Page si sentì una serva al cospetto di una regina.
«Si?» le disse la visione.
Page era indecisa, ma poi le parole uscirono senza il suo consenso. «Ho quasi paura che tu svanisca. Sei l’essere più meraviglioso che io abbia mai incontrato. Chi sei?»
Come se già non fosse abbastanza splendida nella sua misteriosità, la ragazza rimirò l’orizzonte mentre il sole nasceva dal mare e parlò. «Il mio nome è Leah Clearwater. Sono l’ultima dei Quileute.»

***************

«Papà, ormai siamo qui. Perché non vuoi parlarmi di lei?» chiese EJ, appollaiato sul bracciolo del divano. Di fronte a lui Edward fingeva di leggere il giornale.
Sapeva che suo figlio era sinceramente curioso senza dovergli leggere nella mente. E infondo EJ era così per tutto e non solo quando si trattava di sua madre. Era un libro aperto, facile da leggere. Il suo viso rispecchiava le emozioni che provava in un determinato momento: triste e corrugava la fronte meditabondo, felice e il sorriso più splendido gli illuminava il viso.
Era un ragazzo sincero e solare. Era stato cresciuto nella convinzione che la menzogna era quanto di più inutile e nocivo per il genere umano (o gli esseri vampiri, che dir si voglia). Di una cosa si poteva esser certi: EJ diceva sempre la verità, senza mezzi termini, senza censure.
In sua presenza Edward si rilassava sempre. La voce interiore di EJ combaciava perfettamente con quella reale del ragazzo. E non come gli altri che pensavano una cosa e nel frattempo ne dicevano un’altra: quel sovrapporsi rendeva Edward, da sempre, poco predisposto allo stare tra la gente. Preferiva accompagnarsi ad una buona lettura o, in alternativa, alla vicinanza rigenerante di suo figlio. EJ, Edward Jacob, il regalo più grande che la sua scomparsa moglie gli aveva fatto.
«Te ne parlerò, EJ. Te l’ho promesso. Lasciami solo un altro po’ ai miei ricordi. Questo posto non fa che far riaffiorare la sua memoria e per me è ancora un po’ difficile distaccarmene totalmente.»
«Non preoccuparti, papà. Sono qui con te. Quando ti sentirai pronto per raccontarmi tutto mi troverai qui ad ascoltarti.» Gli baciò la fronte come se i ruoli si fossero stranamente capovolti e lo lasciò solo. Solo ed in balia dei ricordi.

«Ciao. Mi chiamo Edward Cullen. La settimana scorsa non ho avuto modo di presentarmi. Tu devi essere Bella Swan.»



Ciao a tutti!
Siamo al secondo capitolo. Ho notato che molti hanno letto, ma nessuno ha commentato e la cosa mi ha molto rattristato, non lo nego. Ricordate sempre che le vostre recensioni sono la benzina che manda avanti noi autori. Spero che il capitolo di questa settimana vi abbia colpito tanto da voler scrivere qualcosa.
Vi rimando a giovedì prossimo, puntuali!
Baci

Pinzy

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Guidava felice verso la riserva. Non si era mai sentita così eccitata per un appuntamento.
Si era preparata con cura, anche se la pioggia, costantemente presente nella penisola olimpica, aveva reso vani i suoi sforzi di dare volume ai capelli troppo lisci. Neanche al suo primo appuntamento aveva scelto con più attenzione gli abbinamenti.
E ora, sola nell’abitacolo della sua Ford Mustang, cercava di non superare i limiti di velocità con l’ansia e l’aspettativa nel cuore.
Parcheggiata l’auto si era diretta al “belvedere”, il posto preferito dai turisti per scattare foto della costa della riserva. Lei era già lì che l’aspettava.
Stringeva nelle mani il suo dono per lei, forse l’avrebbe addolcita un po’ vedere come appariva ai suoi occhi. Le foto scattate al loro primo incontro erano dei capolavori. Si era detta che era solo grazie al soggetto, ma sotto sotto la sua immaginaria coda da pavone aveva fatto bella mostra di sé.
«Sei in ritardo.» esordì Leah contrariata.
«Buongiorno anche a te. Hai bevuto aceto stamattina?» Page si era accomodata accanto a lei, sulla panchina di legno, stringendosi nel pesante giubbotto impermeabile. La giovane Quileute indossava solo un jeans con una camicetta leggera.
«Porca miseria, Leah, congelerai!»
Con il solito piglio arrogante la ragazza l’aveva guardata inarcando il sopracciglio. «Guarda che io il sangue che scorre nelle vene ce l’ho. Mica come te che sei come le lucertole.»
«Che ti devo dire? Sono freddolosa.»
Entrambe tacquero per diversi minuti mentre rimiravano all’orizzonte la tempesta che si avvicinava, ognuna pensando ai fatti propri.
«Ti ho portato una cosa.» disse Page senza neanche voltarsi.
Leah aveva già per le mani gli scatti che la ritraevano. Rimase per un momento incredula, senza parole. Page sorrise tra sé e sé: aveva già capito che non era facile lasciare senza parole Leah Clearwater.
«Mmm, non male.» la liquidò l’altra.
«Già, non male.» ripetè Page, certa che la sua nuova amica avesse veramente apprezzato «Puoi tenerle.»
 

 

***************
 

 

Era uscito senza avvertire nessuno, senza lasciare il minimo segno della sua fuga solitaria. Alice avrebbe tranquillizzato il resto della truppa, in caso.
Stava correndo in circolo e se ne rendeva perfettamente conto. Troppa paura che quel luogo ridestasse in lui ricordi troppo dolorosi da sopportare.
Così continuava a percorrere il perimetro di quel luogo senza coraggio di deviare verso il suo centro.
Non era più andato lì senza di lei. Era come se quel posto fosse il loro santuario.
Ora, senza di lei, sarebbe stato un sacrilegio calpestarne il terreno sacro.
Ora, senza di lei, mentre si avvicinava passo dopo passo, chiudendo sempre di più il cerchio, sentiva che la perdeva ogni secondo di più.
Ora, senza di lei, godeva di nuovo di quella radura, il loro posto speciale.
Non era la stessa cosa.
Ora…
 
Sii felice.
 
… senza di lei.




Buongiorno a tutti!
Siamo al capitolo 3 ragazzi e, ve lo devo proprio dire, non capisco se la storia vi piace o no. Capisco che io sono così entusiasta di Imperfetto perchè so  cosa succede e che ruolo ha Page nella vita di Edward e viceversa, ma sul lato delle recensioni c'è calma piatta. Mi devo scoraggiare? Eppure siete in tanti a leggere.
Fate finta che non abbia scritto niente, oggi è una giornata decisamente no.
Parliamo di Imperfetto, lo preferisco. Leah a Page si avvicinano, Edward cerca di entrare in contatto con la parte di ricordi che ha represso per poter andare avanti, e gli altri? Cosa posso dire? Seguitemi e lo saprete.
Ringrazio moltissimo chi legge, ricorda, segue e preferisce i miei lavori. Mi riempite il cuore di gioia, soprattutto in giornate come questa.
Baci

Pinzy

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


- CAPITOLO 4 -
 
Era rientrata a tarda serata. Aveva tentato di togliersi di dosso tutta l’umidità accumulata durante l’escursione a La Push buttandosi nell’acqua quasi bollente immagazzinata nella vasca.
Ora, rilassata e al riparo dal freddo di fronte al caminetto acceso, in compagnia di un bicchiere di Merlot, sfogliava distrattamente gli annuari presi in prestito dalla biblioteca della scuola. Perdersi in quei visi sconosciuti così felici la faceva stare bene.
Adorava la fotografia proprio per quel motivo. Non era mai stata una con la memoria lunga, a dirla tutta aveva bisogno di segnare sull’agenda quello che aveva mangiato il giorno prima per ricordarselo. Scattare istantanee di vita le permetteva di imprimere per molto tempo nella sua testa, o perlomeno nei suoi album, quel sorriso, quel fiore, quel tramonto, lo sbadiglio di quel bambino.
Anche la bellezza eterea della sua nuova amica sarebbe rimasta immutata per sempre grazie alle sue foto, anche se Leah non era della stessa opinione. L’indiana sembrava abbastanza certa di poter sopravvivere a chiunque. Forse il gene della mucca pazza nella riserva indiana non era stato debellato in maniera definitiva.
«Vivere per sempre… Pensa che palle!» si disse, ripensando alle parole della sua compagna per il pomeriggio.
 
«Non lo sento neanche più lo scorrere del tempo, ormai mi sembra di essere come una di quelle  rocce o uno di quei tronchi caduti. Faccio parte della riserva. Assisto giorno dopo giorno alla lenta successione degli istanti. Sono stufa.»Page l’aveva guardata come si guarda un malato mentale che non ha assunto la sua dose giornaliera di psicofarmaci.
«Beh vent’anni non sono così poi tanti, Leah. Capisco che vivere in questo buco di posto, con il meteo adatto alla vendita dei key way, possa mettere un po’ di depressione, ma c’è tutto un mondo lì fuori. Credimi.»le aveva risposto adottando il suo tono rassicurante, quello che utilizzava per tirare su il morale ai suoi studenti quando prendevano un brutto voto.
«Lascia stare… Io sopravviverò anche a quella roccia e a quel tronco, perché sarò qui per molto a rimirarli. Giorno dopo giorno. Saranno talmente tanto dentro di me che quando verranno corrosi dal tempo io li terrò in vita.»
A quel punto la “viso pallido” aveva battuto le mani compiaciuta. «Brava. Brava davvero. E il premio per la miglior interpretazione drammatica va a Leah Clearwater. Dovevo capirlo da come ti sei presentata che avevi una propensione per il tragico.»
 
Sfogliava quelle pagine da ore, la bottiglia di vino giaceva vuota ai piedi del divano. Tutti gli annuari erano aperti alla pagina che preferiva e di solito si trattava di quella di un ballo studentesco.
Page faceva la dura, ma sotto sotto era una romanticona che si faceva contagiare dall’entusiasmo e dagli amori passeggeri degli adolescenti che aveva il dovere di dirigere. Era anche per quello che si mostrava dura ed inflessibile: non poteva e non doveva mostrarsi “umana” di fronte a quei piccoli mostri. Erano pronti a masticarti e sputarti nell’istante in cui trovavano la falla da cui entrarti dentro. Meglio tenerli a distanza il più possibile facendo continuare i rapporti sul lato professionale.
Nell’album che stava in bilico pigramente sulle sue ginocchia c’erano degli strani buchi neri tra le foto individuali. La famiglia Cullen doveva avere qualche problema col lasciarsi fotografare. Le possibilità erano due: o erano talmente brutti da poter impressionare chi, come lei, a distanza di anni, avesse riaperto quei libroni polverosi o dovevano essersi assentati per tutto il periodo finale dell’anno per un qualche misterioso motivo.
Forse li avrebbe trovati nelle pagine dedicate ai “club”. Fece scorrere velocemente le pagine leggendo nelle didascalie i nomi.
«Mmm, no.» constatò. «Magari c’erano al ballo di fine anno.»
Arrivò il fondo alla sezione “eventi” e… Eccone uno. Cullen, Edward e Swan, Isabella.
«Niente male il ragazzo.»
 

 

***************
 

 

Edward era passato dal liceo per firmare le ultime carte per l’iscrizione dei “suoi” ragazzi. Ora si guardava intorno temendo che la nostalgia lo attanagliasse da un momento all’altro.
Pensava di aver commesso il peggiore errore della sua vita quando era andato a visitare la radura, ma si era sbagliato.
Bella sarebbe stata per sempre con lui, nei suoi ricordi e nella sua quotidianità grazie ad EJ, ma ora era giusto andare avanti. Per se stesso e per suo figlio.
Si era deciso. Appena rientrato alla base avrebbe parlato di Bella a EJ. Voleva ripercorrere con lui ogni momento della loro storia.
Così preso dal progetto non si era neanche reso conto di aver ricominciato a sorridere. Le insegnati che aveva incrociato lungo il corridoio dell’istituto si erano bloccate ammirandolo.
Edward si era diretto alla biblioteca, ricordava perfettamente dove si trovava. Avrebbe razziato gli scaffali degli annuari dove compariva Bella e avrebbe mostrato a suo figlio chi era sua madre.
Epica, narrativa, quotidiani, biologia… Biologia…
 
«Profase.»gli aveva detto sicura di sé, dando solo una veloce occhiata al vetrino.
«Ti dispiace se do un’occhiata?»
 
Aveva sorriso di nuovo. Era vero che la decisione di tornare a Forks era costata molto ad Edward, ma sembrava che fosse la medicina migliore per la depressione in cui era caduto.
Continuò la sua ricerca.
«Posso esserle utile?» gli aveva domandato una signora sulla sessantina che spingeva un carrello pieno di libri.
«Buongiorno. Sto cercando l’annuario dei diplomati del 2005.» Doveva solo essere indirizzato nella sezione giusta.
«Mi dispiace molto, ma la professoressa Harrison se l’è portato a casa proprio oggi.»
Il sorriso scomparve immediatamente dal viso del vampiro. I suoi piani erano stati rovinati.
«Grazie lo stesso.» disse prima di congedarsi con uno sbuffo dalla donna.
EJ si sarebbe dovuto accontentare dei suoi racconti.



Ciao a tutti.
Mi scuserete per il piccolo ritardo, ma sotto Natale tutto è concesso... almeno credo!
Lo so che vi ho dato un colpo basso mettendo degli spezzoni di Twilight, ma era appropriato secondo me. Quei flash back fanno capire quanto sia presente Bella nella mente di Edward. E poi vi immaginate le insegnanti che sbavano per il corridoio al passaggio di un Edward sorridente? Quando mi sono immaginata la scena ho riso da sola come una scema!
Grazie a tutti voi lettori. Anche se non mi lasciate un messaggio so che ci siete e questo mi sprona ad andare avanti. Ringrazio anche chi ricorda/segue/preferisce.
Baci

Pinzy

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Si era alzata presto, troppo presto.
“Va bene l’insonnia, ma dormire solo tre mi sembra proprio esagerato!” si era detta fra sé mentre addentava una ciambella.
Davanti allo specchio del mobile da toeletta continuava a guardarsi. Le capitava spesso di perdersi mentre si specchiava. Era come addormentarsi per pochi secondi. Perdeva totalmente il contatto con il presente e la sua mente viaggiava.
Quella mattina, mentre fissava le iridi glaciali in quelle della sua gemella allo specchio, ancora il rimmel aperto in mano, la sua mente non poteva che essere rivolta a quel volto. Quel dannatissimo volto che l’aveva perseguitata durante le sue poche ore di sonno. Ma più che il viso in sé, erano gli occhi di quel ragazzo che l’avevano affascinata. Castano chiaro, molto chiaro, troppo chiaro.
«Basta ragazzina! Ormai sarà morto!» aveva detto distogliendo lo sguardo dal suo riflesso.
Aveva terminato di prepararsi con calma, sorseggiando la sua camomilla. Per quanti litri ne bevesse non ne ricavava mai i benefici sperati. Il riposo notturno era, ormai da anni, un disturbo per lei piuttosto che un momento di tranquillità. Evidentemente il suo cervello non riusciva a spegnersi mai del tutto.
Entrò nel parcheggio riservato agli insegnanti tronfia d’orgoglio: la sua Ford Mustang Boss 429 nera era un biglietto da visita niente male! L’aveva vinta ad un suo compagno di corso in una partita di streep poker, molti anni prima. Il padre del perdente aveva tentato di rivincerla con una mano unica dello stesso gioco, per ridicolizzare suo figlio, ma la fortuna aveva riso di nuovo alla ragazza.
Due uomini, uno sulla trentina e un altro più avanti con gli anni, si stavano intrattenendo con il preside Murphy.
«Buongiorno.» aveva detto Page con il tono più gentile che era riuscita ad usare. “Stai tranquilla, non c’è niente di cui avere paura. Immaginateli nudi. Oddio… Peggio!”
«Buongiorno professoressa Harrison.» aveva risposto subito il preside.
«La prego, mi chiami Page. Professoressa Harrison sembra il nome di una settantenne con la schiena curva.» stava cercando di ironizzare e si era guardata attorno in cerca di consenso da parte dei due sconosciuti.
Quelli che dovevano essere suoi colleghi sorrisero, sinceramente divertiti dalla sua spontaneità.
«E’ in anticipo, Page. Cominciamo bene.» Il preside stava ristabilendo i ranghi.
«In realtà volevo godermi l’arrivo degli studenti.» precisò lei. «Con permesso.» E si congedò senza altri inutili convenevoli. Lei era così: diretta, risoluta, apparentemente sempre sicura di sé.
Di fronte a quella moltitudine di teenagers si era sentita mancare per un momento, tanto che aveva dovuto cercare sostegno in una ringhiera di metallo.
“Non è possibile, non è possibile.”
Quegli occhi che l’avevano tormentata per tutta la notte erano a poco meno di dieci metri da lei. Forse l’insonnia cronica aveva cominciato a produrre gli effetti collaterali di cui tanto si parlava su internet. Forse le allucinazioni alla fine erano arrivate. “Beh, non è niente male come allucinazione, ma… Non è possibile, non è possibile…”
 
 

***************
 
 

Erano tutti pronti. Alice come sempre sprizzava energia da tutti i pori, mentre Jasper, intossicato dal suo entusiasmo, tentava di calmarla, senza riuscirci.
Edward non aveva ancora smesso di sorridere dal pomeriggio precedente. A parte la breve interruzione forzata, a causa del cambio dei suoi piani, il buon umore non lo aveva ancora abbandonato.
Sentiva che dopo essersi aperto con EJ, ricordando tutte le piccole cose che l’avevano fatto innamorare di Bella, il loro rapporto si era evoluto in qualcosa di molto più profondo. Il ragazzo non aveva vissuto abbastanza sua madre e riviverla attraverso gli occhi di suo padre avevano chiuso un cerchio lasciato aperto dalla perdita prematura.
 
«Lei era il mio paradiso» aveva iniziato a dire Edward, stringendo fra le mani una copia logora di “Cime Tempestose”. «Era perfetta. Bellissima, intelligente, coraggiosa ed io non la meritavo.»
EJ ascoltava rapito le parole di suo padre. Lo aveva pregato per molto tempo di parlargli di Bella e, pur comprendendo il tormento che spingeva Edward a non proferire parola al riguardo, era estasiato ora che il vampiro aveva finalmente deciso di raccontargli tutto.
«Continua, ti prego.»
Edward faticava a trovare le parole con cui descrivere cosa per lui aveva significato incontrare quella piccola fragile umana. Aveva vissuto come in un perenne buio fino a quando la luce splendente dell’anima di Bella gli aveva rischiarato il cammino. Niente aveva avuto più senso a parte lei.
«Lei era la mia cantante, sai? Il suo sangue mi attirava così tanto che ho avuto spesso paura di poter perdere il controllo. Ma la ragione domina gli istinti, ricordalo sempre.»
La ragione domina gli istinti, lo aveva detto spesso Edward a suo figlio. Si poteva dire che fosse il leit motiv di EJ. Per natura il ragazzo era esuberante ed entusiasta della vita, ma possedendo delle doti non propriamente umane, Edward aveva sempre cercato di frenare i suoi eccessi.
«Lo so, papà, e ora ne comprendo meglio il significato.»
 
«Dicevo... Pensavo a una cosa che vorrei provare.»
«Ops.»
«"Ops" è troppo poco.»
 
Edward continuava a raccontare e il sorriso gli splendeva in viso, probabilmente EJ non lo aveva mai visto così felice. Il ragazzo non poteva esimersi dal pensare che i suoi genitori dovevano essere perfetti insieme, come Alice con Jasper, persi l’uno nell’altra a tal punto che non si capiva dove finiva uno e cominciava l’altra.
«Io non potevo essere più cieco. – si era colpevolizzato alla fine Edward – Mi dispiace, figliolo. È colpa mia se non è più con noi..» EJ aveva percepito la pena delle parole del padre e il cuore gli si era stretto in una morsa. Cauto, aveva deciso di abbracciarlo, pur sapendo che sentirsi così esposto emotivamente per Edward era una debolezza. Lui doveva essere forte, se lo era ripromesso quando un bimbetto dalle mani paffute lo aveva riportato alla vita. Ma in questo momento niente importava più di loro due.
 
Alice li aveva messi in fila come dei bravi soldatini per controllare che le “uniformi” fossero perfette. Niente di meno sarebbe stato accettabile per lei.
«Possiamo andare ora?» chiese abbattuto Jasper. La amava anche per quello.
«Siete perfetti!» aveva chiosato allegra lei prima di entrare in macchina.
I tre uomini si erano guardati per un momento per poi scoppiare a ridere. Alice li teneva allegri, sempre, anche se la maggior parte delle volte riusciva ad esaurirli. La amavano anche per quello.
 
Il tragitto casa-scuola era stato, ovviamente, veloce. Edward ora, in piedi accanto alla macchina, guardava i “suoi” ragazzi affrontare il primo giorno di scuola dopo molto tempo in cui non si erano nemmeno avvicinati a quel tipo di vita.
Una certa ansia lo stava assalendo.
La marea di ragazzi si stava dirigendo verso lo stabile di mattoncini rossi.
Due occhi catturarono i suoi. Erano grigi e freddi come il cielo d’autunno. Spalancati in una espressione di pura sorpresa, non di paura.
Edward venne colto alla sprovvista da quell’attenzione nei suoi riguardi. Era abituato alla soggezione e non all’attenzione degli umani.
Cercò la voce della giovane donna dagli occhi di ghiaccio nel flusso dei pensieri che lo circondavano. L’unica cosa che riuscì a captare fu una frase lenta e ripetuta.
“Non è possibile, non è possibile!”



Ciao, lettori.
Ci siamo, l'incontro è in atto. Che ne pensate dell'alternarsi di punti di vista? Vi piace sapere cosa succede all'uno e all'altra anche quando non sono nello stesso posto e non condividono le stesse cose? Io penso che sia fondamentale per comprendere meglio come sono fatti questi due.
Spero che vorrete farmi sapere cosa vi è parso del capitolo o anche della storia nella sua interezza fino a questo punto. Ricordate che le vostre recensioni sono carburante per ogni autore. Io sono un po' a secco con questa storia.
Ringrazio chi segue, preferisce e ricorda e un enorme ringraziamento a chi mi ha inserito fra i suoi autori preferiti. Sono emozionata e grata per questo.
Volevo solo farvi vedere l'auto di Page: è questa!
Spero anche che sia stato chiaro il punto in cui ho ripreso Twilight... io ormai lo so a memoria, quindi dò per scontate certe cose!
Baci

Pinzy

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


- CAPITOLO 6 -
 
Il freddo della lastra di metallo, sotto le dita, la faceva rabbrividire. Stava stringendo la ringhiera talmente forte che i muscoli delle braccia cominciarono a dolerle.
Eppure non sentiva dolore, o fastidio, o freddo. Era sedotta da due iridi castano dorato, catturata da quell’oro liquido. Forse era questo che provavano le lepri prima di essere uccise di notte dalle macchine. Due fari nella notte le abbindolavano obbligandole a bloccarsi al centro della strada e… sbang! Ed era così che si sentiva ora Page. Tramortita e lasciata agonizzante.
Niente con cui sostenersi a parte quella fredda ringhiera. Senza di essa sarebbe rovinata a terra: le gambe non avrebbero retto.
Era reale quel giovane uomo o era solo uno scherzo del suo cervello, probabilmente bacato? Era mai possibile che la stessa persona, la cui avvenenza aveva attirato l’attenzione della ragazza, fosse ora di fronte a lei? Era fattibile che fosse invecchiato solo impercettibilmente, quando lo scorrere del tempo con altri era stato più impietoso?
Quelle domande neanche aveva avuto il tempo di porsele. La risposta a tutto era lo sproloquio che continuava a rimbombarle nella testa. “Non è possibile, non è possibile.”
E intanto quegli occhi d’ambra liquida la sondavano. Sembrava quasi che le stesse facendo una radiografia, ma non alla testa o al corpo, bensì all’anima. Secondo dopo secondo le maglie della rete in cui Page era stata costretta si stavano stringendo. Riusciva quasi a percepire sulla pelle il senso di oppressione. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, ma le mancava il fiato. Chissà da quanto non respirava?
E lui… lui continuava imperterrito a scrutarla dentro, si stava facendo spazio ed andava sempre più in profondità.
«Tutto bene, professoressa Harrison?»
Il contatto era stato interrotto.
Come se fosse appena riemersa dall’oceano aveva preso un grosso respiro, tanto grosso che l’aria le era andata di traverso obbligandola a tossire. Per fortuna quell’uomo, lo stesso incontrato poco prima nel parcheggio, l’aveva sorretta impedendole di cadere con il culo per terra.
Si era guardata intorno per un attimo spaesata, poi aveva di nuovo cercato quegli occhi. Niente, anche il fantomatico straniero era impegnato in una conversazione.
«Tutto ok?» aveva chiesto di nuovo il giovane. «Il primo giorno può essere traumatico, lo so.»
«Page.» aveva risposto lei, sorridendogli amichevolmente.
«Come dici?» Lui era evidentemente sorpreso.
«Ti prego, chiamami Page.» Ed il ragazzo, ammaliato dal grigio intenso degli occhi di lei e ancora saldamente ancorato al suo braccio, aveva semplicemente annuito, scortandola verso le aule.
Page si era voltata solo per un attimo, più per essere certa di non essere veramente impazzita che per altro. Lui era ancora lì. Com’era possibile?
“Non è possibile, non è possibile.”
 

***************
 

Alice si era bloccata al centro esatto del parcheggio della scuola con gli occhi persi nella sua visione. Chi era quella giovane donna dagli occhi così chiari? Cosa c’entrava con loro? Perché la vedeva prima ridere con Edward e il secondo dopo discutere furiosamente? Era mai possibile che suo fratello riuscisse di nuovo a perdersi a quel modo per una donna? Eppure sembrava così a suo agio in quei presagi futuri.
Tornata al presente il primo istinto fu quello di guardare suo fratello. Quello che aveva visto doveva averlo sconvolto. Ma appena si voltò nella direzione di Edward notò con stupore che lui non la guardava neanche.
Seguì il suo sguardo attento, forse anche più che attento, e capì. L’oggetto dell’interesse di Edward era la stessa donna della sua premonizione.
«Qui si mette male.»
 
Gli occhi di ghiaccio della giovane donna lo chiamavano a sé e lui non poteva che rispondere. Ammalianti, indagatori, seducenti. Quelle iridi cerulee lo stavano irretendo. La ragazza era forse un’incantatrice di vampiri?
«Edward!» Alice gli aveva quasi urlato in un orecchio per distrarlo.
Distogliere il contatto visivo era stata una buona idea perché era tornato a percepire tutta la vita che gli scorreva attorno. Vedeva di nuovo gli studenti affrettarsi ad entrare nell’istituto, il rombo delle macchine dei ritardatari e non solo i pensieri di quella strana umana che si allontanava continuando a ripetere quelle tre parole.
«Edward.» Jasper cercava di capire, come Alice prima di lui, cosa gli fosse accaduto. Come era possibile che lui, che poteva leggere nel pensiero e che era sempre il primo a sapere in cosa consistevano le visioni della vampira, grazie al suo dono, si era perso quell’ultima profezia?
«Mi ero distratto.» rispose semplicemente Edward al suo pubblico incredulo.
«Distratto? Papà, ci stai forse prendendo in giro?» chiese sbalordito EJ. In tutta la vita non aveva mai visto suo padre così svampito.
«No, ero distratto veramente. Quell’umana mi ha… non so bene cosa mi ha fatto, ma è stato come essere risucchiato dalle sabbie mobili. Più tentavo di distogliere lo sguardo e più ne venivo catturato.»
I tre si guardarono incerti sul da farsi. Edward lesse la loro incertezza e prese in mano la situazione. Spettava a lui proteggere la sua famiglia. «Andate e siate discreti. Per quanto vi sarà possibile cercate di capire chi è e che legame può avere con noi. Io resterò in ascolto.»



Eccomi di nuovo con voi ragazzi e ragazze.
Il loro primo incontro è un po' differente da quello di Bella ed Edward, lo avrete notato. Lei non è adorante e lui non è incuriosito.
Page è strabiliata, confusa eppure razionale. Page è così: non si lascia trasportare, lei prende il comando. Ma al suo posto non avreste perso anche voi la brocca per almeno 5 secondi? Anche l'essere umano più razionale, al suo posto, avrebbe potuto avereun cedimento psicologico, credo. Insomma vi trovate davanti un ragazzo che dovrebbe essere bello che morto da decenni!
Edward, invece, è ammaliato, quasi ipnotizzato dagli occhi di Page. Il brutto vizio di leggere nella mente delle persone invece che interpretare il linguaggio del corpo non se lo è levato, infatti 'cerca' la voce mentale di Page per sapere cosa sta succedendo. Ma la ragazza è un tipino tosto!
Ora la smetto con le mie paturnie e vi saluto, ma prima vorrei ringraziare chi legge in silenzio, chi segue, chie ricorda e chi preferisce Imperfetto. SAT (Sunrise after Twilight) sta finendo e ormai i capitoli da pubblicare sono pochini, quindi metterò le mie energie in questa storia. Spero che vi piaccia. Se vi va fatemelo sapere.
Baci

Pinzy

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


- CAPITOLO 7 -

      Le avevano assegnato l’ultima aula dell’edificio est. Anche se il sole non si affacciava spesso nel cielo di Forks, quella doveva essere una delle classi più luminose e questo le piaceva.
Era stata scortata fino a destinazione da un preoccupatissimo Alec, l’insegnante di storia che l’aveva soccorsa all’ingresso dell’istituto.

«Piacere di conoscerti, Page. Io sono Alec Stern.»Le aveva detto allungando la mano che fino ad un momento prima l’aveva sorretta. «Vieni, ti accompagno alla tua classe.»
Era un bel giovane, corporatura da atleta. Doveva aver fatto sport all’università. Era gentile, ma non appiccicoso. Era interessato, ma non oppressivo. E questo le piaceva. Page si guardò intorno. L’aula era ancora vuota, la campanella non era suonata. Scrisse chiaramente sulla lavagna la data e il suo nome, poi, dopo aver controllato che tutto fosse leggibile e che non potesse essere frainteso, scrisse l’argomento per la giornata. Si stava impegnando a tracciare le ultime lettere, quando il trillo della campanella risuonò per l’istituto e a lei, sorpresa, scappò il pennarello provocando una lunga linea che insozzò il suo lavoro da certosino. «Oh, merda!» imprecò delusa.
Qualcuno rise alle sue spalle e Page sbiancò. “Fa che non sia il preside. Fa che non sia il preside.”
«E’ permesso professoressa Harrison?»chiese un bel ragazzo moro.
«Certo, ragazzi. Prendete posto che iniziamo.»“Cominciamo bene!”
   

 

***************

 
Erano entrati nell’edificio scolastico insieme agli ultimi arrivati e velocemente si erano diretti alle rispettive classi.
Alice era tranquilla anche se avrebbe affrontato la prima parte della giornata in completa solitudine. Non le pesava dover stare da sola. Al contrario, Jasper era terrorizzato. Il fuori programma del parcheggio non lo faceva rilassare e odiava l’idea di doverla lasciare andare, di non poterla sorvegliare, anche da lontano. Perdere il contatto visivo con Alice gli procurava sempre una strana fitta al petto, gli sembrava quasi che si portasse via una parte di lui. E Jazz sapeva di quale parte si parlava: il cuore. Solo da quando l’aveva incontrata aveva ricominciato a vivere…
 
«Mi hai fatto aspettare parecchio.»
«Mi dispiace, signorina.»
 
… perché era stata lei a donargli un’esistenza degna di essere vissuta.
Starle lontano lo metteva in agitazione.
«Shh, Jazz. E’ solo un nuovo primo giorno di scuola. Non mi succederà niente, ne sono certa.»gli aveva detto sorridente prima di donargli un fugace bacio a fior di labbra e di dileguarsi allegra e con il suo passo da ballerina. L’amava anche per questo.
«Ti conosce come le sue tasche, zio Jazz.»Lo aveva canzonato EJ, ormai abituato a quel genere di siparietti.
«Oh, sta’ zitto!»
Loro due avevano la prima ora in comune, invece. Era stata un’idea di Edward fargli intraprendere lo stesso piano di studi. Jasper avrebbe potuto tenere d’occhio il ragazzo!
La scenetta che gli si parò davanti era alquanto strana: la giovane donna che era riuscita a catturare l’attenzione di Edward nel parcheggio era tutta intenta a scrivere qualcosa sulla lavagna. Ci stava mettendo tutta l’attenzione del mondo, ma qualcosa andò storto. Il pennarello le scivolò dalla mano. «Oh, merda!»
EJ, abituato alla massima educazione e non avvezzo all’uso delle parolacce, scoppiò in una fragorosa risata. «E’ permesso, professoressa Harrison?»Quella donna già gli piaceva.
 

 

***************

 
Velocemente aveva percorso a ritroso con l’auto il tragitto scuola-casa, facendo ben attenzione a non farsi notare. In un lampo era di nuovo nel perimetro del liceo, appostato nel folto della boscaglia.
“Siamo nell’edificio ad est, Edward. Aula 7.” Lo indirizzò Jasper. “Dai un’occhiata ad Alice prima di raggiungerci, per favore.”
Quei due cominciavano a dargli sui nervi. Lui protettivo e discreto, non la lasciava mai senza un’adeguata scorta. Quelle rarissime volte che si era allontanato da Alice aveva pregato Edward di proteggerla a costo della sua esistenza. O se la sarebbe vista brutta, molto brutta. Lei energica fino allo sfinimento, fingeva di non far caso alle premure del marito. Da una parte la lusingavano, dall’altra la opprimevano. Ma lei l’amava anche per questo.
La vampira ovviamente se la cavava alla grande. Dopo l’esperienza con Bella, Alice aveva imparato ad interagire con gli sconosciuti, entrando facilmente nelle grazie di chiunque. C’era sempre una certa diffidenza iniziale da parte degli esseri umani, a causa del riconoscimento istintivo del predatore, ma piano piano riuscivano a rilassarsi credendosi degli sciocchi. Tutti volevano spontaneamente bene ad Alice. Doveva essere un’altra delle sue potenzialità.
Edward potè rivolgere immediatamente la sua attenzione su… Un momento… Il destino è quel che è, è risaputo, ma ora stavano sfiorando il ridicolo. Era mai possibile che la prima lezione di EJ e Jasper fosse proprio con Page Harrison, lesse alla lavagna, la ragazza che l’aveva ipnotizzato poco prima?
«Bella, vuoi forse dirmi qualcosa?»si chiese il vampiro posizionandosi sul ramo di un pino di fronte alle finestre della classe. In quel punto nessuno lo avrebbe notato.
Si rivolgeva spesso alla sua defunta moglie, come ad una divinità pagana a cui confessare i propri peccati. Le chiedeva taciti consigli su come allevare al meglio loro figlio, dove stabilirsi, cosa farne della sua vita. Lei purtroppo non gli rispondeva, perfetta e muta come i suoi pensieri per lui. Lei non poteva rispondergli perché era morta.
Le parole della ragazza lo ridestarono dal beve trance in cui era caduto. «Oh, merda!»La voce della giovane insegnante era identica a quella del suo pensiero, moderata, dolce, ma dal tono fermo. E… aveva appena imprecato?
Edward notò che EJ se la rideva, come Jazz che però, più diplomatico, cercava di non mostrarsi apertamente come il cucciolo di casa.
«E’ permesso, professoressa Harrison?»aveva chiesto senza vergogna suo figlio, avanzando per primo nell’aula. “Prudenza, EJ.” gli aveva intimato mentalmente Edward.
«Certo, ragazzi. Prendete posto che iniziamo.»Era chiaro dal rossore sulle guance della donna, che sapeva di essere stata sentita dall’intera scolaresca. “Cominciamo bene!”
 
 
 
Ciao a tutti!
Il capitolo di oggi vede i primi approcci dei Cullen con Page. Vi avverto fin d’ora che la ragazza è un bel tipetto e che non gliela manda certo a dire a nessuno! È molto difficile arginare la sua personalità, ve lo assicuro!
Mi è piaciuto come è venuto fuori questo capitolo perché non parliamo solo di Edward e Page, ma anche del rapporto di Jasper ed Alice, coppia che io adoro.
Trovate una piccola citazione nel capitolo che preferisco segnalare subito: “Il destino è quel che è…”. Voi mi direte, ma da dove arriva? Dal film Frankenstein Junior di Mel Brooks, ecco il link della scena. È spassosissimo, ragazzi! Chi non l’ha visto è obbligato moralmente a dare almeno un’occhiata agli spezzoni che si trovano su youtube, anche se io consiglio di vederlo per intero. È un cult, è da morir dal ridere!
La smetto con la critica cinematografica solo per ringraziare voi che seguite la storia in silenzio e chi (pochi, purtroppo) lascia un commento. Spero che la storia vi piaccia.
Grazie mille anche a chi ha messo Imperfetto tra i preferiti, seguiti e ricordati.
Baci
 
Pinzy

    

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Era distrutta.
Il preside, alla fine delle lezioni, l’aveva obbligata a fermarsi nel suo ufficio per conoscere le prime impressioni sul plesso scolastico, sui colleghi e sugli studenti. Tutto sommato si era detto soddisfatto di come aveva affrontato il suo primo giorno di lavoro e l’aveva lasciata andare a casa.
Appena rientrata nel suo piccolo nido si era liberata delle scarpe nuove che aveva indossato più per fare bella figura che per comodità. Grosso, enorme errore!
“Mai indossare scarpe nuove per un evento speciale!” aveva pensato massaggiandosi i talloni doloranti, ancora sulla porta di casa.
Un bagno caldo le aveva disteso i nervi e l’aveva cullata finché i polpastrelli non le si erano avvizziti, segno che era arrivato il momento di uscire dal suo brodo.
Stremata dalla tensione accumulata durante la giornata e dalla precedente notte insonne, Page si era gettata a peso morto sul divano. Raggomitolata nel cardigan che ormai, per lei, era come la copertina di Linus, guardava il vuoto di fronte a sè.
 
“Era bello, obiettivamente bello.” Ecco a cosa aveva pensato tutta la giornata.
Impaurita dalla reazione che avrebbe potuto avere nell’incontrarlo di nuovo, aveva timidamente messo il naso fuori dalla sua classe.
“Idiota! Pensi che stia in agguato, pronto a saltarti addosso?” E con un sospirone si era diretta verso la sua auto a testa bassa. A dirla tutta era un po’ delusa.
Grosso, enorme errore! Lo aveva praticamente travolto facendo cadere entrambi a terra.
«Si è fatta male?» La sua voce armoniosa l’aveva vezzeggiata come una carezza.
«Sto bene.» aveva risposto a mezza voce la giovane professoressa rimettendosi in piedi, rendendosi conto solo all’ultimo momento che lui le aveva allungato la mano per aiutarla e lei lo aveva ignorato. “Cretina!”
Per un attimo il ragazzo si era rabbuiato, doveva aver trovato scorretto da parte di lei non apprezzare almeno il gesto.
«E’ tutto ok, sono una tosta io!» aveva provato di nuovo Page fingendo di picchiarsi sul petto.
Lo sconosciuto aveva fatto una mezza risata in risposta. “Cretina! Ma che hai cinque anni?”
«Sono veramente dispiaciuto per averla colpita. Ero soprappensiero e non guardavo dove andavo.» Si giustificò il giovane addossandosi l’errore commesso evidentemente da entrambi. “Allora la cavalleria non è morta!” si disse lei, indugiando qualche secondo di troppo sulle mani che il suo interlocutore teneva sul petto in segno di perdono.
Tornando con lo sguardo ai suoi occhi non era riuscita a rispondere. L’aveva incantata di nuovo quella tonalità dorata. “Parla! Penserà che sei un’idiota.” Ma l’unica cosa che le era riuscita era stata annuire.
«Se è sicura di stare bene, la saluto. Buona giornata.» E si era congedato con un mezzo sorriso che le aveva fatto venire l’acquolina in bocca.
Appena il ragazzo aveva svoltato l’angolo, Page si era appoggiata al muro cercando di respirare normalmente.
«Professoressa Harrison?» La giovane donna si era spaventata come non mai, tanto che aveva dovuto respirare a fondo alcuni minuti per rispondere all’impiegata.
«Il preside Murphy le vorrebbe parlare. La attende nel suo ufficio.»
Di nuovo annuire era stata la sua risposta. Che stesse perdendo le sue facoltà mentali?
 
Tornata al presente aveva notato gli annuari presi in prestito in biblioteca impilati ai piedi del divano.
«Vediamo se sono impazzita del tutto.» Sfogliando i volumi aveva raggiunto la foto che desiderava controllare. «Non sono matta, allora.» Ma il suo tono non era quello glorioso di chi si rende conto di aver ragione. Era spento. Era dubbioso. Come poteva essere possibile che il volto del giovane uomo che l’aveva travolta nel pomeriggio era lo stesso che ora ammirava in quell’immagine?
Ma Page era una tipa pratica e di certo non credeva nel soprannaturale, così si alzò decisa a mettere fine a quella sua strana fantasia. Il volume, gettato sul divano, si aprì di nuovo alla pagina che stava guardando fino a poco prima.
Con la coda dell’occhio se ne accorse, ma lo ignorò. «Sono troppo vecchia per queste stronzate!»
 

 

***************
 

 

Sembrava una ragazza come tante ad una prima analisi. Una giovane normale, come se ne possono incontrare molte. Allora perché Edward era rimasto tutto il giorno su quel ramo? Appollaiato come un uccello senza spostarsi nemmeno di una virgola.
Aveva sondato la sua mente, ma era troppo occupata a spiegare la sua materia e come voleva affrontarla durante l’anno per captare altro. Il vampiro cercava di capire soprattutto perché ogni tanto il suo volto spuntasse nella mente dell’insegnate, senza fare veramente caso a cosa lei dicesse. Dopo diverse ore non aveva cavato un ragno dal buco, così, dirottando la sua attenzione sulla lezione, si era accorto di quanto fosse innamorata della sua materia.
Il trasporto che si rivelava dalla voce della ragazza mentre spiegava, l’aveva rapito. Allora lei era davvero un’incantatrice, ma di qualsiasi essere vivente e non presente sulla faccia della terra. Non una mosca volava nella sua classe mentre la docente condivideva la sua passione.
“Vorrei vederla da vicino.”
La campanella l’aveva risvegliato dal suo torpore. Il ramo accanto al suo si era mosso, appesantito da una figura esile dai capelli corvini. «Il corridoio tra la segreteria e il parcheggio degli insegnanti.» Ovviamente Alice sapeva dove trovarla e come esaudire il desiderio di suo fratello.
«Pensi che sia impazzito?» domandò lui, ancora in dubbio se usare il suggerimento.
«Penso che è bello vederti di nuovo fra di noi.» gli aveva risposto lei con un sorriso che gli aveva scaldato il cuore morto.
Le aveva dato un veloce bacio sulla fronte. «Grazie.»
L’avrebbe incontrata, ma non sapeva come attaccare bottone. Le stava quasi di fronte, poteva percepirne il profumo. Pensava di avere più tempo e invece la donna era spuntata veloce da dietro l’angolo.
Lo scontro era stato notevole e, benché lui non si fosse fatto niente, la ragazza doveva essersi procurata qualche livido.
«Si è fatta male?» Edward aveva usato il tono dolciastro che serviva a tenere buoni gli esseri umani.
Certo, la posizione in cui era finita rovinando a terra non era propriamente da signora. Era caduta pesantemente all’indietro e le gambe le erano finite sopra la testa per il contraccolpo. Ora Edward sapeva che Page Harrison portava le mutandine!
Gli aveva offerto la mano in uno spontaneo gesto di cavalleria, ma era stato ben contento che lei non avesse afferrato quell’estremità gelida.
“Cretina!” Era un bel peperino!
«Sto bene.» gli aveva risposto lei rimettendosi in piedi.
 
«Bella?» chiesi con urgenza. «Tutto a posto?»
«Sto bene.» disse le parole automaticamente con voce confusa.
«Attenta.» l’avvertii. «Mi sa che hai preso una bella botta in testa.»
«Ahi.»
 
Per un momento infinitesimale era tornato al parcheggio di quella stessa scuola molti anni addietro. Quando un’azione sconsiderata aveva dato inizio ad una serie di eventi pericolosi. Ma l’avevano portato a lei. Bella.
«E’ tutto ok, sono una tosta io!» Page cercava di fare la dura e invece ad Edward sembrava solo più fragile e più dolce, come un bimbo che tenta di tirare su uno scatolone pesante.
La tenerezza provata l’aveva spinto a sorridere. “Cretina! Ma che hai cinque anni?”
«Sono veramente dispiaciuto per averla colpita. Ero soprappensiero e non guardavo dove andavo.» Tentò di giustificarsi lui, ma erano parole vuote e senza senso, dette per tirarla per le lunghe. La verità era che stava cercando di immagazzinare quante più informazioni i pensieri dell’insegnante gli potessero fornire.
“Allora la cavalleria non è morta!” Ma lei lo distraeva fissandolo in quel modo. Prima le mani, che lui teneva appoggiate al petto per non rischiare di doverla toccare. Poi le labbra, mentre elargiva le sue scuse. In ultimo gli occhi. Il contatto era stato ripristinato.
Il grigio perla delle sue iridi era così chiaro. Sincero? Si poteva dare un giudizio così affrettato solo guardandola negli occhi?
“Parla! Penserà che sei un’idiota.” Era decisamente autoironica.
Anche se quell’incontro voluto era così piacevole Edward doveva allontanarsi per non fare delle mosse azzardate. Voleva vederla da vicino: operazione riuscita. Ora era meglio ritirarsi. «Se è sicura di stare bene, la saluto. Buona giornata.» E si era congedato sorridendo per l’ennesima immagine di lui che scorreva nei pensieri di Page.
 
In macchina la tensione si tagliava con il coltello.
«Bravo, veramente molto bravo!» Quando Jazz era ironico non era mai un buon segno. Di solito andava dritto al punto. Evidentemente non sapeva se si stava arrabbiando a torto o a ragione. Il punto era che si stava arrabbiando.
«Alice mi ha detto dove trovarla.» si era subito difeso Edward. Metterla in ballo poteva far calmare Jasper. Quando si parlava di Alice lui diventava sempre un agnellino.
«Ma brava!» Quasi sempre.
«Non ti arrabbiare, Jazz. Ti prego.» Poche parole sussurrate erano state forse meglio di un ordine supremo. Di fronte agli occhioni imploranti della vampira nessuno poteva rimanere arrabbiato. E questo mandava il maggiore Witlock, soldato di prim’ordine, ex uomo tutto d’un pezzo, in pezzi. Aveva un enorme potere su di lui. Ma l’amava anche per questo.
 
 
 
Ciao a tutti!
Siamo ormai al capitolo 8 e le visite ad Imperfetto continuano a salire. Cosa ne pensate? Vi piace la storia? Cosa vi aspettate che succeda? Io sono una un po’ imprevedibile, sapete?
Ci terrei proprio a sapere una cosa in particolare, ma qualcuno ha capito che cosa insegna Page? Vi prego sorprendetemi!
Angolo delle citazioni: “Mai indossare scarpe nuove per un evento speciale!” è una massima che sento il dovere di condividere con ogni persona sulla faccia della terra, che sia essa uomo o donna. Mettere le scarpe nuove ad un evento è quanto di più sbagliato ci possa essere a questo mondo. Consiglio: fate ammorbidire le scarpe utilizzandole per qualche giorno, va bene anche metterle in casa, e non abbiate paura che si rovinino. I vostri piedi vi ringrazieranno a fine giornata, parola mia!
«Sono troppo vecchia per queste stronzate!» per gli appassionati di Mel Gibson sarà facile capire da dove viene questa frase… Ebbene si, Arma Letale. Il sergente Murtag lo dice sempre, poverino! Io adoro quella serie e Page con me, quindi le è uscita naturale come esclamazione. Ricordate quando vi dicevo che Page è un tipino tosto? Eccone la prova!
Quando Page dice ad Edward che sta bene lui rievoca il salvataggio di Bella nel parcheggio, spero sia cristallino, ma per chi non aveva intuito… ecco qua la spiegazione!
Concludo il mio commento finale ringraziandovi per aver inserito Imperfetto tra le vostre storie preferite, seguite e ricordate, per i vostri commenti e per le vostre visite che salgono, salgono, salgono. Grazie.
Baci
 
Pinzy

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


<< Non credo che sia una buona idea. >> Jasper camminava avanti e indietro da almeno due minuti, calcolando i possibili rischi di quella mossa.
<< Non sto chiedendo il tuo permesso. >> gli aveva risposto Edward ringhiando.
In un battito di ciglia l’altro gli era arrivato a pochi centimetri. Minaccioso. Quando faceva così Jasper era inquietante. << Lo so. Non ti è mai importato dell’incolumità della tua famiglia. Ma io devo pensare alla loro sicurezza. >> disse lanciando un veloce sguardo alla sua compagna.
Alice non si era immischiata. Sapeva come sarebbe andata a finire. La cocciutaggine di Edward vinceva 1 a 0 sull’iperprotettività di Jasper.
<< E dai, zio! Lascialo andare. >> EJ si era schierato subito dalla parte di suo padre. Era comprensibile. Da moltissimo tempo non lo vedeva nuovamente animato da uno scopo e non gli importava se era per una caccia particolare o per una donna. << Sbaglio o la zia ha visto che non succederà nulla? >>
Jazz era sempre più turbato. Non voleva mettere in pericolo Alice. Non proprio ora che riusciva a dominare la propria sete così bene.
<< Lascia che sia io, per una volta, l’elemento da tenere sotto controllo. Lasciami fare qualcosa solo per il gusto di farla. >>
I due si erano studiati un po’, ma il mezzo sorriso del biondo aveva dato ad Edward il via libera. << Tanto non mi stai chiedendo il permesso, quindi… >>
 
La casa della professoressa Harrison si trovava ad ovest, quasi al confine con la riserva Quileute. Era piccola. Sembrava che la foresta la incorniciasse. Forse era quel contorno verde che la faceva apparire ancora più piccola.
Già avvertiva il suo odore. Era buono. Dolce, vagamente esotico.
Gli bastò un giro per notare che era tutto chiuso ermeticamente, ma lui era un vampiro e non lo avrebbero fermato di certo delle serrature.
In casa c’era un caldo torrido, una specie di clima tropicale. Non che lui provasse calore o sudasse… era un vampiro e la temperatura elevata non lo avrebbe fermato.
Silenzioso come un ombra, scivolava lungo i muri della camera guardando la giovane donna sdraiata sul divano. Edward si stava avvicinando per guardarla meglio. Non che avesse problemi di miopia, dal muro poteva già vedere distintamente ogni particolare del suo viso, ma sentiva di dover andare più vicino.
A metà strada lei aveva girato il viso e lui momentaneamente era trasalito.
Più vicino.
Era a pochi passi dal giaciglio della ragazza e aveva inspirato a fondo il suo odore.
Più vicino.
Si era fermato solo quando le gambe avevano toccato il divano e l’aveva guardata dalla testa ai piedi.
Ora, concentrandosi sulla sua voce interiore, si preparava a sondare la sua mente alla ricerca del suo viso. Ma infondo perché mai avrebbe dovuto sognarlo? Perché avrebbe dovuto restarle impresso? Perch…
Gli occhi di Edward si spalancarono e sul suo viso si formò una posa di muta sorpresa. Lei lo stava sognando.
 
Un letto bianco. Page distesa, fissava un paio di iridi dorate.
 
Erano le sue iridi.
 
Edward stava salendo dai piedi del letto, acquattato come un felino prima di carpire la sua preda.
La ragazza strofinava le gambe una contro l’altra, evidentemente eccitata. Il suo respiro era affannato, le labbra secche.
Lui, con un sorriso vittorioso sulle labbra, aveva posato le mani sulle caviglie della donna tirandola verso di lui. Aveva risalito quegli arti fino alle ginocchia.
 
Erano veramente le sue mani?
 
Si era fatto spazio fra le sue cosce, posizionandosi fra di esse.
Un sospiro pieno di desiderio era sfuggito alla bocca di lei. A quelle labbra piene.
 
Era troppo!
Edward si era allontanato velocemente da tutta quell’intimità. Era decisamente troppo… Troppo tempo che i suoi pensieri non ruotavano attorno al corpo caldo di una donna. L’unica era stata Bella e lui si era odiato ogni volta che si era lasciato convincere a fare l’amore perché i segni della sua passione restavano impressi sul corpo della fragile umana per troppo a lungo.
Lo sgomento che Edward stava provando in quel momento non era quantificabile. Era molto che non si sentiva così, almeno da quando aveva capito che il mostro avrebbe avuto il suo momento in qualsiasi modo la sua parte razionale avesse agito. Non importava quanto delicatamente venerava il corpo di sua moglie o quanta dolcezza usava nell’imprimerle i baci sulla sua pelle, la mattina dopo i lividi erano puntualmente lì a ricordargli che bestia fosse.
 
«Senti molto dolore, Bella? Voglio la verità, non fare finta che non sia nulla.»
«Dolore?»
«Perché ti sembra che dovrei star male? Non mi sono mai sentita meglio.»
Chiusi gli occhi. «Piantala.»
«Piantala cosa?».
«Piantala di fingere che io non sia stato un vero mostro.»
 
Ma in quel sogno così carico di erotismo loro due sembravano giocare alla pari. Era chiaro perché fosse così: Page non sapeva che lui era un vampiro. Lo vedeva umano in tutto e per tutto. Non avrebbe mai immaginato che le mani di lui potessero essere letali per lei.
Si, lui era un vampiro, ma i pensieri di Page  l’avevano fermato.
 
 
 
Ciao a tutti!
Questo capitolo è un po’ particolare, non trovate? Alcuni personaggi potrebbero sembrare OOC, ma io credo che in tutto il tempo passato dalla morte di Bella i Cullen abbiano subito dei cambiamenti. Come Jasper che riesce a trattenersi dall’istinto di aggredire gli esseri umani, o Edward che preme per realizzare i suoi desideri (finalmente!). Ecco, era giusto per spiegare perché non ho messo l’OOC negli avvertimenti.
Per il resto… la mente di Page è un pozzo di inesauribili sorprese e direi che Edward se ne è accorto, eccome!
La parte in cui Edward ricorda il discorso con Bella ovviamente proviene da Breaking Dawn ed è quello che si dicono i neosposini al risveglio dopo la loro prima notte di nozze.
Ci tengo molto a ringraziare Adria_Volturi che non perde occasione per infondermi coraggio e mi sprona a continuare anche se le recensioni sono pochine.
Grazie a chi ha inserito Imperfetto tra le storie preferite, seguite e ricordate e per chi passa velocemente solo per leggere.
Un’ultima cosa: ho da poco saputo di essermi piazzata quarta al contest di jakefan e Kagome_86 “Un canto di Natale”, qui vi lascio il link di Il dono migliore, la mia one-shot.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Erano passati giorni dall’inizio della scuola. Page si era ambientata perfettamente: gli insegnanti erano affabili con lei e gli studenti moderatamente educati. Non si poteva pretendere troppo dagli adolescenti.
La maggior parte del suo tempo libero l’aveva passato a La Push, da Leah. Il resto a contemplare l’annuario non ancora restituito in biblioteca.
Anche se amava profondamente la riserva Quileute, sapeva bene perché al termine delle lezioni fuggiva da Forks, attraversando i corridoi e il parcheggio a testa bassa. Aveva il timore di vedere di nuovo quegli occhi ambrati sondarle l’anima.
E poi lo vedeva anche troppo in sogno! Non faceva che sognare quell’uomo.
«Oggi sembri anche più strana del solito.» L’aveva risvegliata Leah, gentile come sempre.
«Sono solo pensierosa. Ho una certa ansia addosso.»
«Ti devono venire le tue cose?»
«No! E comunque che diavolo di domanda è?»
«Beh, hai strani sbalzi d’umore e sembri stanca.»
Sembrava stanca o era stanca? Ultimamente le sembrava di non riuscire mai a spegnere il cervello. «Cazzo!» disse severa verso se stessa. Possibile che non riuscisse a togliersi dalla testa quel ragazzo? Non era mai stata tanto ossessionata da un uomo.
In passato si era distrutta per l’uomo che le aveva donato un’esistenza decorosa dopo la morte dei genitori…
 
Fili d’oro che le solleticavano il viso, mani fredde che tastavano la sua fronte accaldata dalla febbre. La consapevolezza di quello che era successo. Domande su domande. Morbosità mascherata dalla preoccupazione degli sconosciuti. Poi lui…
«Page, vorrei proporti una cosa. Ti piacerebbe andare a studiare in Europa? Vivere una nuova vita? Nessuno che ti chiede come e se i tuoi genitori ti mancano. Nessuno che ti impone di sfogare il tuo dolore.»
 
… ma era acqua passata.
«C’entra un uomo?» Leah aveva centrato il punto. Aveva ragione, ma d’altronde lei aveva sempre ragione!
Ormai la viso pallido non faceva altro che sbuffare, ma come risposta bastò all’amica.     «Uomini… Buoni solo per divertirsi.»
Il sorriso tornò subito sulle labbra tese di Page dopo quell’affermazione. Sembrava che Leah ci credesse davvero in quello che aveva detto. Ma bella com’era doveva avere la fila di pretendenti dietro la porta.
«Uscita tra donne?» propose la Quileute dopo qualche momento di silenzio.
«E questa cos’è, secondo te?»
«Io parlo di tirarsi a lucido e di andare in città.» Si, tutto pur di scappare per una sera dalla riserva, dalle responsabilità, dal branco.
 
Si erano accordate per la sera stessa, serviva proprio del divertimento alla, fin troppo austera, professoressa Harrison. Per chi si struggeva poi? Non conosceva nemmeno il nome del fantomatico straniero.
Nella sua classe c’erano due dei ragazzi a cui faceva da tutore ed avevano dei cognomi diversi dal suo. Jasper Witlock era diligente, serioso e molto taciturno. Era inquietante. Sembrava nascondere una storia difficile alle spalle. Magari aveva avuto un’infanzia complicata. Mentre Edward Jacob Swan, come aveva insistito quest’ultimo, EJ, era solare e curioso. Proprio il tipo di alunni che piacevano a lei e che davano più soddisfazione.
Leah si fece attendere, privilegio delle grandi dive, quale lei, nella tribù, doveva essere. Ma niente avrebbe potuto rovinare la festa a Page. O forse…
Leah si era bloccata in mezzo al marciapiede. «Ehi! Hai visto un fantasma per caso?» Page guardava l’amica come se si aspettasse uno scherzo. Ma Leah non si muoveva.
Bastò poco alla ragazza per restare di sasso a sua volta. Dall’altra parte della strada, accanto all’auto che già aveva notato nel parcheggio della scuola, lo sconosciuto con gli occhi ambrati le fissava. Accanto a lui la terza dei suoi ragazzi in affido.
«Leah, muoviti! Mi stai facendo fare una figura di merda!» Ma lei non si muoveva.
Solo poche parole sfuggirono allo strano mutismo che l’aveva colta. «I Cullen. Sono tornati.»
 

 

***************

 
«Proprio non vuoi dirmi com’è andata?» Alice l’aveva trascinato fuori casa con la scusa di farsi vedere in giro mentre facevano spese in città. Faceva tutto parte della copertura.
«Te l’ho già detto, Alice, l’ho guardata dormire. Niente di più.»
Continuando a camminare sicuro per la sua strada e perso nei suoi ricordi di quella notte in cui aveva visto per l’ultima volta Page, non si era accorto che Alice si era fermata. La vampira aveva una corporatura minuta, ma in quel momento la rabbia che le offuscava la vista, la faceva sembrare più grossa di lui. E per un istante Edward ne ebbe paura.
«Senti, mio caro, non pretendo che tu mi racconti tutto per filo e per segno, ma almeno non mentirmi!»
Lui aveva alzato le spalle per non ingigantire la cosa. Pessimo errore. Non aveva fatto altro che mettere carne al fuoco. Alice ora era furibonda. Gli si era avvicinata minacciosamente puntandogli il dito sul petto. Stare con Jasper le faceva male.
«L’ho guardata dormire. Niente di più.» l’aveva scimmiottato. «Allora mi puoi spiegare perché ogni volta che ti perdi nei ricordi a me appari chiaramente…» aveva abbassato la voce. «… a letto con Page Harrison.»
Edward non poteva aver sentito veramente quelle parole. Possibile che il suo udito finissimo avesse fatto cilecca? Alice aveva detto veramente quelle parole? Non poteva essere.
«Non dire assurdità.» le aveva detto, allora. Ma la sua voce aveva smascherato quella finta decisione.
«Assurdità?» Ecco, ora era furiosa. “Va bene la riservatezza, va bene anche non voler condividere la tua vita amorosa, ma ora stai esagerando!”
Le immagini scorrevano davanti agli occhi di Edward così come Alice le aveva viste.
 
Gambe attorcigliate ai suoi fianchi.
 
E poi.
 
Page seduta sul suo pianoforte di fronte a lui.
 
E poi.
 
«Non trattenerti.» glielo stava sussurrando nell’orecchio mentre lei mordeva il cuscino.
 
E ancora.
 
Lui, ansante sul letto. Un cellulare abbandonato accanto alla sua mano.
 
«Basta Alice!» aveva cercato di mettere un freno a quelle immagini. La voce arrochita dall’evidente desiderio che gli provocavano. “Mi dispiace.”
 
Le dita affusolate del vampiro che sfioravano la coscia di lei sotto un tavolo.
 
E poi.
 
Una goccia che si andava nascondendo in mezzo al suo seno.
 
E ancora.
 
Page, intrappolata contro il muro dalle braccia di Edward, che si inginocchiava ammiccante e le mani di lui che bucavano la parete.
 
«Ti prego, Alice.» Questa volta la voce dell’eterno ragazzo era stata supplichevole, ma le immagini non erano cessate per quel motivo.
«Oh, porca vacca!» Ad Alice, che non era propriamente avvezza alle parolacce, l’invettiva era sfuggita.
Dall’altro lato della strada due giovani. Una intimoriva il ragazzo, l’altra infastidiva la vampira.
«I Cullen. Sono tornati.» Faceva tutto parte della copertura? Addio copertura!
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Comincio scusandomi con voi, ho provato e riprovato a dire a Page che non dovrebbe dire tutte queste parolacce, ma lei dice che le escono spontanee. Ho sentito dire in un film che “anche le scoregge sono spontanee, ma non per questo si è giustificati a spararne a raffica di fronte al prossimo” e lei mi ha detto che ci avrebbe riflettuto. Allora ci ho pensato a mia volta e ho capito che Page è così e censurarla vorrebbe dire ucciderne l’essenza. E comunque imparerete che c’è molto di più sotto questa scorza un po’ dura.
Torniamo a noi. Chi è quest’uomo del passato che ossessiona i pensieri di Page? E poi, è mai possibile che noi donne siamo sempre perseguitate dall’idea di un uomo? Odio questa parte dell’essere femmina!
Parliamo un po’ di Alice e delle sue visioni. Nella mia mente Alice è un po’ come il prezzemolo, vuole sapere tutto di tutti e vuole avere parte in qualsiasi cosa, quindi quando Edward cerca di estrometterla dal suo avvicinamento a Page lei si vendica! Può farlo impazzire, povero vampiro!
Però questo è il problema minore, Leah li ha visti e ora le carte vengono mischiate di nuovo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che me lo farete sapere. Ho notato che le recensioni sono un po’ aumentate e di questo vi ringrazio, anche se spero che molti più lettori mi faranno sentire le loro voci in futuro. Anche se non avete gradito vorrei saperlo perché grazie ai vostri commenti posso migliorarmi.
Grazie a tutti voi che mi seguite, preferite e ricordate.
Baci
 
Pinzy

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Era difficile starle dietro con quei tacchi. Page cercava di tenere il passo della sua amica, ma Leah non si curava della fatica che stava facendo.
La Quileute sembrava tormentata, angosciata per quell’incontro.
«Leah, vuoi fermarti per favore? Abbiamo parcheggiato tre isolati più in là. Cosa vuoi fare? Andare a La Push a piedi?»
Si, che voleva fare? I Cullen erano tornati. E allora? La storia si ripeteva, come un disco rotto che, arrivato ad un certo punto, inizia da capo. La musica era sempre la stessa, la sua vita era sempre la stessa. Vampiri in città = nuovi lupi. Bisognava avvertire il consiglio.
«Torno a casa.»Page si era inchiodata in mezzo al marciapiede.
«Dai Page, finiscila. Devo rientrare alla riserva.»
Ecco, ora la viso pallido sembrava proprio una maestrina. Le mancavano la matita rossa dietro l’orecchio e gli occhiali da lettura, ma il piedino che batteva a terra ritmicamente e la postura c’erano.
«Ti ho detto muoviti.»Le aveva intimato l’indiana, tornando sui suoi passi.
«No.»
«Che significa “no”.»
«Non ti facevo così ignorante, lo sai?»
«Ehi, ragazzina…»
Ma ora era Page che la stava fronteggiando. Non le piaceva chi si rivolgeva a lei a quel modo. Non lo faceva mai neanche lei con i suoi alunni.
«Ragazzina a chi? Guarda che non mi fai mica paura, sai? Io non sono come quelli della tribù che pendono dalle tue labbra, neanche fossi una divinità. Non mi piace che mi venga detto quello che devo o non devo fare. Perciò ora o mi dici per quale motivo vedere quei ragazzi ti ha scioccato tanto, o puoi tornare da sola alla riserva. E poi chi sono i Cullen?»
Leah era furiosa, glielo si leggeva. Un leggerissimo tremolio le scuoteva le estremità.
«Io non ti DEVO dire proprio niente.»disse marcando bene la parola “devo”. «E ora, per favore,»anche se il tono non era proprio quello di una richiesta gentile, «portami a casa.»Così dicendo Leah fece per agguantare il braccio di Page, ma una forza, un calore strano fece ritrarre la mano alla Quileute.
«Che ti prende?»Page era forse più interdetta di Leah. Perché non l’aveva afferrata come sembrava volesse fare? Perché alla fine si era ritratta? E pensare che la ragazza aveva già in mente una mossa del corso di autodifesa per rispondere.
«Vaffanculo, Page!»La schiena di Leah che si allontanava, era tutto ciò che poteva vedere in mezzo alla folla che occupava il marciapiede.
«Si, brava! Sparisci…»Possibile che non le venisse in mente un insulto decente? «… “chiappe mosce”!»Beh, tutto si poteva dire di Leah, ma non che il suo fondoschiena non fosse più che perfetto.
 
Sola. Era di nuovo sola.
Leah le sfuggiva da giorni. Appena Page arrivava nella riserva, la Quileute spariva.
Era sola. Di nuovo.
 

 

***************

 
Scappare nella notte. Nascondersi come un ladro. Non era questo che tutti si aspettavano dalla sua mostruosa natura?
Sgattaiolava via con una scusa qualsiasi e, alle volte, senza neanche quella. Mentiva a sua sorella, mentiva a suo figlio, mentiva al suo miglior amico.
Si nascondeva col mantello della notte, mimetizzandosi con ciò che lo circondava con il solo intento di vederla. Certo, era mille volte meglio vedere gli occhi della giovane accendersi in risposta ai suoi, ma anche così, abbandonata in quel letto, non era niente male.
Aveva poco tempo rispetto a quando spiava la sua compianta moglie dormire, perché quella strana e affascinante umana riposava non più di quattro ore per notte. Troppo poco per capire cosa lo attraeva così tanto, troppo poco per godere dei suoi sogni, gli stessi interdetti alla sua natura da decenni.
Immobile come la statua di un Dio imperioso, sovrastava il letto della ragazza con la sua presenza. Ogni notte più vicino, ogni notte più attratto, ogni notte più succube.
Non era necessario stargli troppo vicino per sbirciare nei suoi pensieri notturni, ma ogni notte la distanza diminuiva pericolosamente.
Ora, dopo giorni di appostamenti e di attento studio dei suoi sogni, cosa poteva dire di aver compreso veramente di Page Harrison?
 
«Qual è il tuo colore preferito?»
«Cosa c'è in questo momento nel tuo lettore CD?»
«Quali sono i tuoi fiori preferiti?»
«Perciò non sei mai uscita con qualcuno che ti piaceva?»
Ponendole tutte quelle domande era riuscito veramente a comprendere Isabella Swan?
 
Spiare tra i suoi ricordi e le sue fantasie gli avevano forse fatto guadagnare una consapevolezza maggiore di lei? No. Eppure mentre la guardava sciogliersi da quell’intrigo di coperte e lenzuola, non gliene importava niente.
«Sei patetico.»
Com’era possibile prendere di sorpresa Edward Masen? Un vampiro dai sensi acuti e finissimi che, oltretutto, aveva anche la capacità di leggere nel pensiero di chiunque gli stesse attorno. Lo stupore dipinto sul suo viso fu la goccia che fece traboccare il vaso dell’irritabilità di Jasper. «Ti rendi conto di quanto sei vulnerabile vicino a lei? Non mi hai sentito arrivare, vero?»
«Ero soprappensiero.»
«Edward! Ma sei completamente impazzito? Cosa credi di fare? Pensi davvero che minimizzando la cosa potrai renderla meno pericolosa?»
«Andiamo, Jazz.»Una mano sulla spalla con fare fraterno poteva calmarlo? «Credi veramente che sbirciare un po’ nei suoi pensieri possa mettervi in pericolo? Ricordati che stai parlando anche di mio figlio.»
«Ok. Allora dimmi, se la controlli per la sicurezza di tutti noi, saprai di certo tutto di lei dopo notti e notti passate nel suo appartamento.»
«Certo. Ho controllato tutto per bene per scongiurare un pericolo. L’unica soluzione se scoprisse la nostra natura sarebbe una partenza immediata.»
«O la sua morte…»lo riprese Jasper. Evidentemente la soluzione di Edward non era proprio l’unica. In risposta il biondo ricevette un sonoro ringhio, segno che suo fratello non avrebbe contemplato nessun’altra opzione.
«Non ti scaldare, fratello.»Gli piaceva quando Jasper lo chiamava così, era appagante sapere che faceva sempre parte di una famiglia, anche se non più solo sua.
«Dicevamo…»continuò Jazz schiarendosi inutilmente la gola. «la conosci come le tue tasche.»
«Un libro aperto.»rispose sicuro Edward.
Un sorrisetto vittorioso spuntò sulle labbra dell’altro. Non presagiva niente di buono. Si era messo nei guai con le sue mani. «Allora mi saprai sicuramente dire che libri legge.»
Jasper era vittoriosamente in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. A quel punto non restava che dichiarare la resa, ma il vampiro spietato nell’arte della strategia, infierì nuovamente. «Il suo cibo preferito?»
Edward scosse la testa, vinto.
«No? Sceglie film romantici o d’azione?»
«Basta, Jazz. E’ chiaro che hai vinto tu.»Per un attimo nell’espressione di suo fratello, Edward potè leggere la furia che una volta lo aveva mandato avanti nelle sue battaglie.
«Basta? Ti rendi conto della gravità della cosa? Tu stai giocando con le nostre vite!»
Era strano come una conversazione totalmente sussurrata, potesse raggiungere dei toni così aspri.
«Perdonami Jazz.   E’ solo che…  Tutta questa storia mi fa sentire come un adolescente.»
«Brufoloso e contraddittorio?»lo schernì l’amico, avvertendo a fondo la sua pena.
«Schiavo delle crisi ormonali.»Non era facile lasciare di stucco Jasper Witlock, ma in fondo non era facile neanche prendere di sorpresa Edward Masen.
Silenzio.
«Non è bellissima?»chiese Edward.
«Personalmente le preferisco piccole, more e terribili.»
 
 
 
Sono tornata!
Dovete scusarmi per la lunga assenza, ma prima mi ha abbandonato internet per colpa della neve e poi il computer. Dio, non sapevo più dove sbattere la testa, credetemi! Mi siete mancati!
Questo capitolo è… come definirlo? Direi che ci porta a fondo dentro i due rapporti d’amicizia fondamentali in questa fanfiction. Tra Page e Leah lo scontro è naturale, hanno entrambe due caratteri forti, mentre tra Edward e Jasper c’è più affiatamento dovuto anche ai tanti anni passati insieme. Ci sono diversi spunti divertenti secondo me, ma sta a voi dirlo.
Grazie per essere rimasti con me ed aver avuto pazienza, grazie per le recensioni che mi vorrete lasciare e grazie anche a chi leggerà senza dire una parola (ahi ahi!!!).
Baci
 
Pinzy

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Cara Page,
ti sembrerà sicuramente strano ricevere questa lettera, inviata oltretutto da un emerito sconosciuto, ma la voglia di contattarti era troppa e il mio spirito romantico mi ha suggerito questo mezzo d’altri tempi.
Ci tengo a precisare che non sono un maniaco che ti vuole ossessionare con atroci oscenità, ma è anche vero che questo non è molto rassicurante per te. In fondo, se fossi veramente uno squilibrato, negherei.
Sto perdendo il filo del discorso ed è proprio questo il punto: tu riesci a farmi perdere. E non ha senso!
Io non ti conosco, non so chi tu sia o come sia la tua vita. Non ho mai avuto modo di confrontarmi con te o di godere semplicemente della tua compagnia, quindi non so da dove venga il mio interesse. Non che tu non sia più che degna dell’attenzione di un uomo, data la tua avvenenza, ma questo modo di fare non mi appartiene e mi spaventa.
So che sarebbe molto più semplice presentarmi e lasciar che tu giudicassi da sola se sono degno o meno della tua attenzione, ma sono un codardo.
Ne ho passate tante, Page, credimi e non so se ho la capacità di ributtarmi in quel mare che per me è ancora sconosciuto dopo molti anni di vita.
E allora perché ti scrivo, ti starai chiedendo?
La verità è che non lo so neanche io. La verità è che forse lo faccio più per me che per te. La verità è che ho iniziato a scriverti per fare più chiarezza nei miei pensieri ed invece ho ottenuto l’effetto contrario.
Ripeto, tu riesci a farmi perdere.
Non credo che questa missiva ti verrà mai recapitata. Forse rimarrà sulla mia scrivania a prendere polvere per sempre, ma una cosa te la voglio dire e spero di avere, prima o poi, la possibilità e il coraggio di parlartene a quattr’occhi. Mi piaci, Page Harrison.
Mi piace il biondo dei tuoi capelli e il ghiaccio dei tuoi occhi. Mi piace il rossore sempre presente sulle tue guance e le tue gambe lunghe. Ma soprattutto il modo in cui le accavalli.
C’è molto altro che mi affascina di te, ma se mi dilungassi oltre probabilmente finirei veramente per sembrarti un maniaco.
Perdonami se ti ho turbato con le mie parole, Page. Sono solo le follie di un uomo perso.

 

 

Era rimasta sulla soglia della porta, troppo impegnata a leggere per entrare in casa. Appena terminato si scoprì a cercare altri fogli in quella busta dalla carta pregiata, ma non c’era altro. Poi un biglietto più piccolo e molto meno elegante attirò la sua attenzione. Un messaggio vergato, evidentemente, da un’altra mano, ma che voleva riprendere la scrittura dell’originario autore.

 

Come vedi alla fine mi sono persuaso ad inviarti la lettera già che, una volta scritta, era di tua proprietà.

 

Aveva lasciato il plico sul tavolo, tentando di ignorarlo, ma qualsiasi cosa facesse si ritrovava sempre ad orbitargli intorno. E così per tutto il giorno.
Nel letto, a notte inoltrata, non serviva a niente voltare le spalle a quel punto della casa. Era come se un enorme occhio di bue fosse puntato sulla lettera.
«Oh, è ridicolo!»
Page si disse, allora, che con una camomilla avrebbe potuto prendere sonno. Ma niente. Quella presenza era troppo scomoda.
Prese il suo diario tra le mani e le parole uscirono con una scioltezza innaturale.

 

Uomo perso,
scusami se mi rivolgo a te con questo epiteto, ma non mi hai lasciato altra scelta non fornendomi il tuo nome vero.
Mi trovi assolutamente d’accordo con te: sei un codardo. Normalmente ti direi di prendere la carta con cui mi hai scritto, di farne un bel rotolo stretto stretto e di ficcartelo su per il culo insieme alle tue sdolcinate smancerie. Ma è proprio qui l’anomalia che mi ha sconvolto: non sembra che tu abbia la minima intenzione di molestarmi. Sembrava di più la pagina di un diario che l’azione di un maniaco sessuale.
Comunque stai tranquillo, non ho intenzione di sbandierare ai quattro venti le tue parole, pavoneggiandomi con le amiche. Mi sembra evidente che le tue vere intenzioni non erano di farmi recapitare queste pagine, ma che ti sono state sottratte.
Ti scrivo per dirti che c’è una cosa che ci accomuna: anche io credo di essere una codarda. Il mare di cui mi parli, pieno di pesci, non mi appartiene. In passato mi sono impegnata a nuotare in esso, sperando inutilmente di evitare la solitudine, ma quello che ho imparato è che vivo meglio nel mio piccolo acquario d’acqua dolce che nella vastità del mare. Mi circondo temporaneamente di compagni di gioco per poi lasciarli andare.
Trovo assolutamente scorretto, inoltre, che tu sappia come sono fatta, come si evince dalla descrizione che dai di me, mentre io non conosco neanche il tuo nome.
In fondo, però, non mi conosci per niente: non basta certo un piccolo caso di stalking per intimidirmi.
Concludo dicendoti che se dovessi avere bisogno di perderti nuovamente, puoi presentarti e lasciare che sia io a decidere se sei degno di attenzione o meno. Ma sappiamo entrambi che tutto questo non accadrà: sei un codardo.
Accavallando sensualmente le gambe ti saluto. Page

 

Ma a chi mai avrebbe potuto recapitare la sua risposta? Non aveva un indizio su chi fosse l’autore della lettera. La cosa la intrigava sempre di più.
Negli anni aveva ricevuto le avanches di diversi uomini, ma quel metodo che veniva dal passato la faceva sentire stranamente speciale. Una principessa. Come nei film.
Purtroppo lei aveva imparato anche troppo presto che la vita non è un film e che le donne quasi mai vengono trattate come principesse.

 

***************

 

«EJ!» La porta d’ingresso era quasi uscita dai cardini e nella casa apparentemente deserta riecheggiavano ancora quelle due lettere.
Edward era fuori di sé. Ma come aveva potuto fargli una cosa del genere? Suo figlio? Stava troppo a stretto contatto con Alice, questo era certo.
«EJ! Ti sto aspettando.» Ma la rabbia che l’aveva spinto ad allontanarsi alla velocità della luce dalla casa della professoressa Harrison stava già scemando.
«Mi dispiace, non avrei dovuto intromettermi.» Non era male come inizio per scusarsi e il cucciolo di casa sapeva bene come giocare le sue carte per ottenere il perdono di qualcuno. Ma in fondo non era neanche una tattica. EJ era sincero, era dispiaciuto.
Un sospiro, poi un altro.
«Se ti vedesse tua madre…» Abbandonato sul divano bianco Edward fece cenno al ragazzo di avvicinarsi.
«Che direbbe?» La curiosità divorava il piccolo Cullen, come ogni volta che si parlava di Bella.
«Si sarebbe arrabbiata da morire. Lei odiava chi decideva per conto suo cosa era meglio per lei.»

 

Restai ad ascoltare le sue riflessioni muta come un pesce.
«Aggiusterò la tua auto entro domattina, nel caso tu voglia usarla per andare a scuola», mi assicurò.
Serrando le labbra, sfilai le chiavi e scesi meccanicamente dal pick-up.
«Chiudi la finestra se vuoi che stanotte me ne stia lontano. Capirò», mi sussurrò appena prima che sbattessi la portiera.
Mi trascinai in casa e sbattei anche la porta d'ingresso.
«C'è qualcosa che non va?», chiese Charlie dal divano.
«Il pick-up non parte», ruggii.
«Vuoi che ci dia un'occhiata?».
«No. Riprovo domattina».
«Vuoi usare la mia macchina?».
Di solito avevo il divieto di usare l'auto della polizia. Evidentemente Charlie era impaziente che tornassi a La Push. Almeno quanto me.
«No, sono stanca», farfugliai. «'Notte».
A passi pesanti salii le scale e mi precipitai alla finestra. Diedi una spinta brusca alla cornice di metallo: si chiuse con uno schianto e il vetro tremò.
Restai a fissare le vibrazioni del vetro nero a lungo, finché non si fermò. Poi, con un sospiro, spalancai completamente la finestra.
 
«Ma poi ti perdonava sempre.» Ecco… come si poteva rimanere arrabbiati con EJ?
«Si,» disse Edward tirandolo a sé per abbracciarlo dolcemente «poi mi perdonava sempre.»
 
 
 
Ciao a tutti!
Avete visto che ho ricominciato a postare a pieno ritmo? Come ogni giovedì sono qui a commentare con voi “Imperfetto”. Edward comincia a perdere il suo proverbiale autocontrollo, mentre Page è dura. Ma nessuno dei due è matto: Edward comincia ad essere conteso tra il ricordo della sua povera moglie e il presente con Page, mentre la professoressa Harrison ha un passato un po’ complicato… vedrete.
Veniamo ai ringraziamenti: grazie a chi mette “Imperfetto” tra i preferiti, seguiti e ricordati, grazie a chi mi lascia ogni volta due righe per dirmi che ne pensa del capitolo, grazie a chi pubblicizza questa storia. Ringrazio anche voi che leggete in silenzio, si anche voi.
Un’ultima cosa e poi vi lascio stare: ho indetto da poco un contest “Gli insoliti noti” e c’è stata una risposta positivissima. Sono rimasti pochi posti e spero proprio che qualcuno di voi prenda gli ultimi posti liberi. Fate un giro sul forum, ok?
Baci
 
Pinzy

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


I Cullen erano tornati.
Il consiglio non aveva preso bene la notizia. Fortunatamente la riserva non era più così popolata come una volta, perciò gli elementi che potevano possedere il gene e che erano nell’età giusta per la mutazione erano pochi. Li avrebbe tenuti d’occhio nella speranza che la maledizione non li colpisse mai. Aveva anche pensato di bussare alla porta delle sanguisughe per intimargli di andarsene, prima di combinare altri casini, ma il patto non glielo consentiva.
Era colpa loro se piano piano il branco originario di cui aveva fatto parte si era sfasciato. Era stato tutta una conseguenza della loro ricomparsa. E poi non poteva dimenticare che la pena che scontava da anni era dovuta alla loro esistenza.
Le avevano tolto tutto. Non le era rimasto niente.
Ed ora era così che si sentiva: niente.

 

 
***************

 

 
Page voleva vederci chiaro. Come mai la sua amica aveva reagito in quel modo all’incontro con quello strano ragazzo e la sua figlioccia?
I giorni passavano e Leah continuava a sfuggirle come i granelli di sabbia tra le dita. Piano piano la necessità di sapere lasciò il posto alla voglia di riavere accanto quella strana ragazza Quileute. Era poi così importante sapere tutto e subito? Stava veramente barattando una verità che Leah non voleva o non poteva ancora fornirgli con la sua compagnia?
Era strano, ma pur avendola conosciuta da poco Page si sentiva già legata a quell’arpia. La risposa alle sue domande arrivò semplicemente, come un puzzle che prende forma dopo ogni tessera messa al posto giusto: non gliene fregava niente della verità. Rivoleva la sua amica.
Si diresse a First Beach con un’ansia tale nel cuore che l’aveva fatto raddoppiare di volume. «Ti prego, fa’ che non scappi.» aveva sussurrato al vento che le scompigliava i capelli.
Una figura altera era in contemplazione dell’orizzonte temporalesco.
«Non potrai sfuggirmi per sempre.» Page era un piccolo frammento di luce nel buio che ottenebrava le giornate di Leah.
«Io non sfuggo davanti a niente ed a nessuno.»
«Wow! Come siamo cazzute oggi! Vuol dire che è una giornata buona.»
Entrambe non riuscirono a trattenere una risata all’affermazione della professoressa. Bastava così poco  per rompere la tensione fra loro. Era come se stessero perennemente sulla stessa lunghezza d’onda. Sempre in sintonia.
«Un giorno mi dirai cosa ti è preso l’altra sera?»
«Forse, un giorno.» Le loro mani unite suggellarono quella promessa.

 

 
***************

 

 
«… e mi vuoi dire come potrei risponderle?» Edward camminava nervosamente avanti e indietro da diversi minuti, brontolando come una pentola di fagioli. «Non sa che sono io l’autore. Santo cielo, Alice. Non conosce nemmeno il mio nome.»
«Beh, papà… Se proprio vogliamo dirla tutta, non è detto neanche che ti degnerà di attenzione.» Come al solito EJ si immetteva nei discorsi altrui come i cavoli a merenda.
«Lo farà.» rispose Alice certa delle visioni.
EJ si ritrovò con la bocca aperta. «Senti zia, ma se sei tanto sicura di come andranno le cose non potresti renderci partecipi? Che ne so… dirci quando accadrà e che cosa comporterà?»
Jasper già dissentiva col capo. Aveva assistito a quella domanda almeno un paio di volte ed ora era pronto a sorbirsi per l’ennesima volta la risposta.
«Mio caro EJ, la mia capacità deve essere usata solo per casi di emergenza.»
«Perché?» chiese infantilmente il ragazzo. Era un uomo e in quanto tale alle volte era anche un po’ bambino.
«Perché non voglio intromettermi nella privacy altrui.»
«Perché?»
Jasper, esasperato, lasciò teatralmente la stanza.
Alice, l’unica figura femminile sempre presente nella vita  del giovane vampiro, riusciva ancora a ridere per quelle domande puerili che alle volte EJ snocciolava.
«Ti faccio un esempio pratico. Immagina di essere un umano. Immagina di aver scoperto un pertugio da cui spiare le tue bellissime compagne di scuola mentre si cambiano per l’ora di ginnastica.»
«Mica male!»
A questo punto fu Edward a lasciare la stanza alzando gli occhi al cielo.
«Ma che ho detto?» La presa ferrea delle dita di Alice sul suo mento fecero riprendere la concentrazione ad EJ.
«Immagina che, durante un’assemblea d’istituto, la capo cheerleader dicesse a tutto il corpo studenti che sanno di questo maniaco e che facesse il tuo nome. Come ti sentiresti?»
Uno, due, tre minuti di silenzio. Il ragazzo aveva iniziato a prendere la cosa sul serio. «Credo… imbarazzato.»
«Che è esattamente come mi sento io ogni giorno mentre sbircio involontariamente nelle vostre vite. Io non posso indirizzare le mie visioni o scegliere di non vedere cose imbarazzanti. E’ per questo che ho deciso di far finta di non possedere il mio dono se non per cose serie. Non mi voglio intromettere nella vita altrui.»
«Perché?»
«Perché anche solo rivelando il futuro ad una persona, secondo me, gli impedisci inconsciamente di prendere la propria decisione.»
EJ sembrava convinto ed Alice era, dentro di sé, tutta fiera per avergli insegnato questa importante lezione di vita. Tronfia, gli aveva accarezzato il volto con fare materno.
«Ok, Alice, ma ora me lo dici come andrà questa faccenda?»
Niente, era stato tutto tempo perso. «Sei sicuro di non essere figlio di Emmett?» Mani tra i capelli ed occhi al cielo, anche lei aveva lasciato il salotto, ma non prima di ascoltare l’ennesima domanda.
«Perché?»
 
 
 
Oh mamma! Non so proprio come scusarmi per questo ritardo, per altro immotivato. Mi dispiace infinitamente, ma ho avuto la testa da un’altra parte.
Cominciamo con Leah e il suo risentimento per i Cullen, che dire? Io non riesco a darle torto, in fondo è per colpa loro che la sua vita è cambiata radicalmente. Posso solo dire che forse è stato un bene che quel bamboccione di Sam l’abbia lasciata! Si vede vero che non sopporto Mr Uley?
Nel secondo paragrafo passiamo a Page. Il legame tra lei e Leah è stato immediato, veramente facile come respirare! Vi assicuro che può succedere quando incontri un’anima affine; io ho un’amica, veramente cara vi assicuro, con cui ho legato istantaneamente. Non c’è stato bisogno di niente altro che trovarci insieme e poi il nostro rapporto si è costruito e rafforzato da solo. Ci conosciamo da poco più di un anno e sa cose di me che non sanno le persone che mi sono vicine da anni e anni. Ammetto che ho costruito l’avvicinamento di Page e Leah a immagine e somiglianza del mio, psicologicamente parlando, s’intende.
In ultimo vengono i Cullen, o i Masen nel caso di “Imperfetto”. Si delineano un po’ meglio le dinamiche familiari in questo capitolo e mi scuso perchè mi sono lasciata un po’ trasportare con la polemica femminista. E si, perché quando dico che EJ è un uomo e in quanto tale è un bambino esprimo un pensiero così radicato in me che nessuno potrà mai eliminarlo. Però EJ è anche altro, come ogni maschietto. Non voglio dire che è solo infantile, vedrete che saprà essere anche molto maturo.
Vi dico un’ultima cosa e poi vi lascio andare: sto postando una ff che ho creato appositamente per il contest di jakefan “Bella e Jacob per sempre” che si chiama “Due destini”. Spero che vorrete andare a farci un salto; è molto apprezzata e io ne sono abbastanza fiera.
Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi e soprattutto un enorme grazie alle persone che mi lasciano una dimostrazione del loro passaggio: ragazzi, mi rende immensamente felice sapere che cosa ne pensate.
Ovviamente ringrazio molto anche chi ha messo “Imperfetto” tra le preferite, seguite e ricordate.
Alla prossima settimana, giuro!
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


L’abitacolo della sua auto sembrava restringersi ogni secondo di più. Quello strano senso di claustrofobia, che la coglieva ogni volta che non trovava le parole adatte per rispondere a tono ad una provocazione, la stava facendo annaspare. «Respira. Respira, Page.»
 
Questa volta gli era finita direttamente fra le braccia. Due occhi ambrati si accostavano perfettamente al suo profumo. Avrebbe giurato che assomigliasse a quello del miele appena raccolto.
«Dobbiamo smetterla di incontrarci così. O per meglio dire, di scontrarci così.»Aveva accompagnato quelle parole con un mezzo sorriso che glielo aveva fatto apparire ancora più affascinante.
«Lei deve essere la professoressa Harrison. EJ e Jasper sono entusiasti delle sue lezioni.»
«Page.»era tutto quello che era riuscita a mettere insieme.
«Oh, ma che maleducato. Lasci che mi presenti. Sono Edward Masen.»
«Signor Masen.»
«Può chiamarmi semplicemente Edward.»Ed eccolo di nuovo quel sorriso. Il suo cuore galoppava ogni volta che lo faceva.
«Volevo ringraziarla per la pazienza che ha con i miei ragazzi, soprattutto con EJ. Alle volte può essere… come dire? Impegnativo.»
«No. Trovo che sia un ottimo alunno.»“E fatti uscire qualche altra cosa dalla bocca. Ti sta tirando fuori le parole con le tenaglie!” pensò Page, dispiacendosi di non riuscire a dire di più.
Ma quegli occhi… riuscivano ad irretirla. Si sentiva in trappola come una farfalla su una ragnatela.
«Mi rendo conto solo ora che la sto trattenendo più del dovuto. Mi scusi ancora per la mia disattenzione. Buona giornata.»disse tendendole amichevolmente la mano.
Perché era rimasta a fissare così tanto la mano di lui, non se lo spiegava neanche lei. Quando lo aveva toccato le era sembrato di avvertire una punta di calore, ma forse era perché le mani di quel ragazzo erano così fredde e le sue così calde, sempre chiuse dentro le tasche del cappotto.
Era durato poco. Il tempo giusto per una stretta di mano, ma sempre troppo poco per lei. Edward, finalmente conosceva il suo nome.
Si era resa conto troppo tardi che la stessa mano che pochi minuti prima era stata accarezzata dalle dita fredde di lui, ora tratteneva qualcosa. Srotolò il foglietto, sorpresa.

 

 

 

Cara Page,
ebbene si, sono io l’autore del messaggio che hai ricevuto.
Hai perfettamente ragione: la lettera mi è stata rubata.
Non era mia intenzione importunarti o, al contrario, stupirti con romantiche dichiarazioni. Quelle parole le avevo scritte solo per me.
Spero di non averti recato troppo disturbo.
Sperando di imbattermi di nuovo, casualmente, nelle tue splendide gambe, ti saluto. E.M.
 
PS: come puoi vedere sono un codardo.

 
«Ma stiamo scherzando?» Leah continuava a rigirarsi quel foglio tra le mani.
«E’ inutile che fai così, le parole non si materializzeranno magicamente sulla pagina. E’ tutto qua. Non mi ha scritto altro.» Page si era abbandonata su di una sedia. Leah, dal canto suo, la fissava ancora allibita dal divano.
«Sembra quasi che sia stata tu ad importunare lui. Capisco l’imbarazzo nel rendersi conto che i suoi pensieri erano stati resi noti, ma visto che avevi ricevuto la lettera, poteva almeno invitarti per un caffè.»
Ovviamente non aveva rivelato alla sua amica che l’individuo con cui si scambiava quello strano genere di posta era lo stesso ragazzo che aveva fatto bloccare la Quileute in mezzo alla strada come uno stoccafisso.
«Rispondigli per le rime.» Sembrava che Leah avesse avuto un’illuminazione. Gli occhi le brillavano e continuava ad inarcare un sopracciglio.
«Devi uscire di più, amica mia. Fidati!»
«Guarda che io dico sul serio. Dovresti mandargli un messaggio. Devi essere piccata e seducente. Devi indurlo a chiederti un appuntamento.»
«Anche io dico sul serio. Trovati un hobby.»
«E che me ne faccio quando ho te?» Il sorrisino malefico che spuntava sulle labbra di Leah non lasciava presagire niente di buono.
Quanto l’avrebbe tormentata se non avesse fatto come voleva lei? Il punto era che Page sapeva benissimo che la Quileute cercava solo di spingerla a prendere la decisione che, per orgoglio ma non per volontà, lei non avrebbe mai preso. Di nuovo si stupiva di quanto la conoscesse. Era un libro aperto o era solo una prerogativa di Leah saperla leggere così bene?

 

Egregio Maniaco (stanno per quello le lettere E.M. con cui ti sei firmato?!),
la tua lettera mi lascia perplessa. Quando credevi che il messaggio non sarebbe arrivato al destinatario eri appassionato, ma ora sembri quasi… pentito.
Devo credere che è stato tutto un piano congeniato per vedere se la prima credulona di turno (io, per inciso) ci sarebbe cascata? O forse sei posseduto dallo spirito del Dottor Jekyll? Sta di fatto che il tuo comportamento offende la mia intelligenza.
A questo punto credo di aver cambiato opinione su di te: non sei un codardo, bensì un bugiardo. Non esiste al mondo persona più abietta di quella che gioca con i sentimenti altrui per un secondo fine. Ti disprezzo. Page

 
Si rigirava la busta tra le mani. Se avesse continuato così si sarebbe consumata.
Villa Cullen. Cullen, di nuovo questo cognome.
Non era stato facile trovare quell’abitazione, così spersa nel fitto della foresta, ma ce l’aveva fatta e per uno scopo. Voleva chiudere questa faccenda delle lettere. Non era mica una dodicenne che si scambiava bigliettini in classe con i compagni!
«Vuole rimanere in macchina ancora per molto?»
«Oh, porca pupazza!»
In risposta aveva ricevuto solo una risata cristallina. Non era il suo solito mezzo sorriso, bensì uno aperto. Gli era palesemente sfuggito. Anche l’allegria che si sprigionava ridendo sembrava dovesse essere costantemente tenuta sotto controllo da quel ragazzo. Per questo motivo quella risata così genuina l’aveva sorpresa, ora.
Edward l’aveva invitata a scendere aprendole lo sportello della macchina. «Venga dentro, qui si congela.»
 
Ti disprezzo.
 
Era poi vero?
 
 
 
Ciao a tutti! Ma ci siete ancora? Spero di si, ma non ne sono propriamente sicura visto che nessuno di voi mi ha lasciato un messaggio. Ditemi la verità: la storia fa così schifo? O è solo uno sciopero perché ho dimenticato più di una volta di postare? Scusatemi, dico veramente, ma sono stata super impegnata con il mio contest “Gli insoliti noti” che mi ha assorbita tanto, insieme al lavoro, la casa, mio figlio e mio marito, da farmi addirittura dimenticare che giorno della settimana fosse. Non sono esagerata, giuro! E poi ricordatevi che cerco anche di ritagliarmi uno spazietto per scrivere e leggere e vi giuro che ho bisogno anche di dormire ogni tanto!
Venendo al capitolo di oggi, la storia dei messaggi continua. Personalmente la trovo molto eccitante. Direi che se uno non ha di fronte la persona che gli interessa è più facile aprire il proprio cuore. Voi che dite?
Passo a ringraziare i miei affezionati che tengono ancora Imperfetto tra le preferite, seguite e ricordate, chi mi commenta, chi legge in silenzio (ma vi costa proprio caro lasciare una recensione?) e soprattutto chi mi ha messo tra gli autori preferiti.
A tutti voi che continuate a stare con me consiglio di passare nella mia pagina autore per una sbirciata o direttamente su Due destini, fanfiction su Bella e Jake, o su I belong to you, one shot su Sam, Emily e la povera Leah.
Vi abbraccio tutti forte forte.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Sorprenderla a quel modo era stato scorretto. Non era da lui comportarsi in quel modo.
Strano.
Sapeva che sarebbe arrivata già da quando aveva svoltato dalla statale nella via infestata dalla vegetazione. Beh, vantaggi della sua natura.
Erano diversi minuti che la osservava rapito. Una lettera tra le mani e tanti dubbi nei sui pensieri. Forse non avrebbe mai preso veramente la decisione di scendere dal bozzolo protettivo della sua auto se lui non le fosse apparso accanto invitandola ad entrare.
 
«Vuole rimanere in macchina ancora per molto?»
«Oh, porca pupazza!»
 
L’aveva colpito quell’esclamazione. D’altronde lei riusciva sempre a sorprenderlo. Le sue barriere erano crollate e l’ilarità l’aveva travolto. Era da un po’ che non rideva a quel modo. Che gusto nuovo sentire quella spensieratezza. Ma non era da lui lasciarsi andare in quel modo.
Strano.
Page era visibilmente intimidita dalla grandezza della casa bianca tanto amata da Esme. Aveva fatto un’ottima impressione anche ai Cullen al completo quando la Signora Cullen, orgogliosa per una ristrutturazione ben riuscita e fedele al progetto originale, l’aveva mostrata alla famiglia.
«Oh, mio Dio.» Forse Page era qualcosa di più che intimidita.
“Quante vite dovrei lavorare per permettermi una casa come questa?” La differenza con il piccolo appartamento della ragazza era sostanziale. Nel nido di Page avrebbero fatto fatica a viverci due persone, mentre Villa Cullen poteva ospitare comodamente una dozzina di persone.
Edward aveva capito che lei contava unicamente sul suo esiguo stipendio di insegnante e, dalla carenza di fotografie di famiglia in giro per la casa, immaginava che non avesse dei parenti alle spalle pronti ad offrirle aiuto nei momenti di bisogno.
«Stia tranquilla, Page. E’ solo una casa.» Minimizzare la ricchezza che permetteva ai Cullen di vivere come più preferivano, era uno dei punti su cui Esme, negli anni, aveva insistito di più.
 
«Spero che tu non ti sia vantato troppo, non è educato.»
 
L’aveva fatta accomodare e, da bravo padrone di casa, le aveva offerto qualcosa da bere che lei, tra l’affascinato e il perplesso, aveva accettato con un semplice cenno della testa. Per lui niente, ovvio. Page non ci aveva fatto caso in quel momento.
«Allora, a cosa devo la gentile visita?» Magari era il caso di rompere il ghiaccio e quello strano momento di empasse. Poi si ricordò della lettera che lei ancora stringeva tra le dita. «Quella è per me?»
Page si era guardata le mani stordita. Possibile che si fosse dimenticata che cosa stava schiacciando? Aveva prontamente nascosto – se c’era ancora qualcosa da nascondere – la busta dietro la schiena. Aveva abbassato lo sguardo perplessa, ma subito dopo, pentendosi evidentemente del suo atteggiamento frivolo, gli aveva porto con una certa foga il messaggio. “E’ ora di finirla. Forza, Page!”
«Pensavo di imbucarla, ma già che sono qui e che tu sei qui… Visto che siamo qui entrambi… Beh, leggi.»
Era certo, la trovava comica. Aveva quel modo di fare da dura che in realtà celava un velo di timidezza, l’aria fiera anche se si lasciava cogliere di sorpresa spesso e la continua voglia di affermare la sua indipendenza. Quello che vedeva Edward era solo un gattino arruffato che soffiava minacce mostrando le unghiette deboli. Tenerezza, quindi. Ecco cosa provava per lei.
«Staremo più comodi nello studio, prego.» Le fece strada cavallerescamente verso il primo piano, stupendosi che non inciampasse ad ogni gradino. D’altronde era normale, lei non era Bella.
Quando aprì la porta di quella che era stata la stanza di Carlisle a Forks, ci mancò poco che la mascella della professoressa Harrison non toccasse terra. Il suo stupore era ora al livello massimo. Effettivamente gli scaffali traboccanti di libri e le pareti ricoperte di legno scuro facevano un certo effetto.
«Wow!»
Le lasciò il tempo per studiare la stanza. Page prese a girovagare tutta assorta. Quando raggiungeva dei libri familiari ne sfiorava il dorso con la punta delle dita, con una delicatezza reverenziale. Mostrava la stessa tenerezza che ogni studioso prova per i tomi che racchiudono tutto il sapere del mondo.
«Perciò… Lei mi disprezza.» Se l’intenzione della ragazza era smetterla con quei puerili sotterfugi, quello era il momento perfetto per riprendere il discorso.
 
***************
 
L’aveva sorpresa con la sua presenza, sconcertata con la magnificenza della sua dimora, aveva tentato di circuirla forse già consapevole che la sua non era propriamente una visita di cortesia, e poi impressionata mostrandole lo studio dei suoi sogni. E ora…
«Si, certamente.» A testa alta aveva mantenuto il punto.
Edward aveva abbassato mestamente la testa diventando immediatamente serio. Quel mezzo sorriso così appetitoso che aveva fatto capolino sul viso del ragazzo era sparito velocemente.
Page sentì che il cuore le si stringeva in una strana morsa. Poteva davvero permettere che lui si dolesse a causa sua? Far sparire il riso dal suo viso era un’azione tanto detestabile quanto le sembrava in quel momento?
«In realtà no, non ti disprezzo. E’ anche vero che non mi ha fatto piacere partecipare a questo giochino psicologico cui mi hai sottoposto. Se avevi voglia di parlarmi perché non mi hai invitata fuori per un caffè? Sarebbe stato tutto più semplice.»
I suoi occhi, fari abbaglianti color dell’oro in una notte senza stelle, la stavano irretendo nuovamente. Page aveva già capito che per non sentirsi soffocare dalle pressanti attenzioni di quelle due gemme ambrate doveva interrompere il contatto visivo.
“Non guardarmi in quel modo. Non sono padrona di me quando lo fai.” pensò volgendo di nuovo l’attenzione ai libri.
Aveva sempre trovato rifugio e compagnia tra le loro pagine e ora le permettevano di nuovo di mettersi in salvo.
La sua attenzione venne attirata da alcuni volumi dal dorso lucido e dal formato diverso rispetto agli altri libri. Erano ammassati su un ripiano che a malapena riusciva a raggiungere. Non chiese il permesso; acciuffò una scaletta in legno senza distogliere lo sguardo.
“Quest’arnese non vuole collaborare.” Gli scalini non si aprivano e lei si stava già innervosendo. Era strano come riuscisse a mostrare una pazienza encomiabile in classe e di come, al contrario, perdesse le staffe nel privato.
«Permette?» Cavaliere fino in fondo, Edward l’aveva tolta dall’impaccio, sistemandole la piccola scala proprio nel punto che desiderava.
«James Burke, Cornell Capa, Bernard Hoffman, George Lacks...»recitava estraendo ogni volta un volume che accatastava tra le braccia di Edward, «… queste monografie sono stupende.»
Scese sicura dagli scalini traballanti con un libro tra le mani mentre il ragazzo, già provato dal fastidioso peso che trasportava, cercava di salvarla da una caduta certa. Lei atterrò senza problemi sulle sue gambe senza togliere il naso dalle pagine che aveva davanti, e – ne era certa – sentì il suo valletto tirare un sospiro di sollievo quando si mise a sedere sulla poltroncina accanto alla scrivania.
“Meraviglioso.” Strano a dirsi, ma non si riferiva ad Edward!
 
 
 
Ciao ragazzi!
Eccomi qua, questa volta puntuale, strano a dirsi.
Questo capitolo è uno di quelli che ho adorato scrivere perché mi piace da impazzire il botta e risposta di Edward e Page. Posso solo dire, vedrete il prossimo!
Ora avete capito qual è la materia della prof. Harrison? Dai, è chiaro!
Sarò breve oggi. Grazie alla mia fedelissima Adria_Volturi che non manca di recensire nemmeno un capitolo e che mi ha assicurato che anche se nessuno leggesse, cosa alquanto improbabile visto che le visite sono parecchie, lei resterebbe fedele a Imperfetto fino alla fine. Perciò grazie, tesorino.
Vi rimando a giovedì prossimo per questa fanfiction e vi lascio il collegamento don “Due destini”, la Bella/Jake che ho scritto per uno dei meravigliosi contest di jakefan.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Erano passate ore, ma non avrebbe saputo quantificarle. Avevano fatto un’attenta analisi di ogni opera presente nei libri che Page aveva trafugato dagli scaffali.
Ora sedevano a terra in un angolo della stanza, le schiene appoggiate al caldo legno delle pareti e i libri aperti sparsi sul pavimento.
«… io lo adoro. E’ senza ombra di dubbio il mio preferito.» Stava ridendo senza ritegno da un minuto buono. «Non puoi dire sul serio! E’ un’eresia!»
«Ti giuro che è quella l’impressione che mi fa.» Anche Edward sorrideva; in modo più pacato rispetto a lei, ma con altrettanto divertimento.
Page aveva tirato un profondo sospiro, asciugandosi le lacrime che le erano scappate dalle ciglia per lo spasso. Era così appagante ridere a quel modo. Era così bello passare del tempo con lui.
«Quindi abbiamo messo da parte il “lei”?» Page voleva solo spezzare quello strano silenzio che si era creato. E poi lui aveva ricominciato a fissarla.
«Non sembrava piacerti, così mi sono preso questa libertà. Se preferisci posso tornare ad usare il “lei”.»
“Ecco, lo sta facendo di nuovo! Smettila, smettila!” Page si sentiva irrimediabilmente intrappolata dal suo modo di accarezzarla con lo sguardo. I brividi le scorrevano sulla pelle come una scossa elettrica percorre un cavo dell’alta tensione.
“Come fa a stare zitto a guardarmi tutto questo tempo? Sto impazzendo!” Il pavimento non aveva più alcun segreto per lei. Poteva passare al soffitto, ma sarebbe risultato altrettanto naturale? “Vai via, Page. Fallo finché sei in tempo.”
Una mossa dopo l’altra si era messa in piedi, ma la testa le era sembrata leggera improvvisamente e gli occhi si erano leggermente annebbiati.
«Va tutto bene?» Pronto, come solo una persona vicina più del dovuto sarebbe potuta essere, Edward l’aveva sostenuta. Sentiva perfettamente la sua presa ferrea eppure gentile all’altezza del gomito. Quel tocco così improvviso l’aveva fatta rabbrividire.
«Credo che sia un banale calo di zuccheri. Sono a stomaco vuoto da ieri.» Si, il cibo non era decisamente una delle sue priorità. Odiava cucinare per lei sola, lo trovava un’inutile perdita di tempo. Sbocconcellava spuntini a qualsiasi ora, quando aveva fame. Odiava le convenzioni per cui si DOVEVA mangiare ad una certa ora. Lei era sola e poteva fare come preferiva.
«Io sono un ottimo cuoco. Vediamo di rimediare ai capogiri.» aveva detto il giovane spingendola verso il corridoio.
«Modestia, il tuo nome è Edward Masen.» aveva scherzato lei, ma lo sguardo del suo ospite non aveva ammesso repliche. «Guarda che non è necessario. Veramente!»
«Ne stiamo veramente discutendo secondo te?» le aveva risposto senza più voltarsi. Aveva continuato imperterrito il suo cammino verso la cucina.
«Sei un despota, questo lo sai?» Si era lasciata condurre, perché la verità era che se non avesse voluto cedere alle sue lusinghe avrebbe semplicemente rifiutato e non ammesso repliche. Era fin troppo categorica nel suo modo di porsi verso il prossimo.
«Insisto.» le aveva detto alla fine, lasciando la presa accanto ad uno sgabello. L’aveva fissata in quel modo che le faceva venire le vertigini, in quel modo che le faceva pregare Dio di non farsela sotto perché sarebbe stato imbarazzante. Poi aveva raggiunto i fornelli e non l’aveva più degnata né di uno sguardo né di una parola.
“Non va bene così. Non posso lasciarmi soggiogare in questo modo. Devo trovare una soluzione” aveva pensato sporgendo appena la testa oltre il mobile al quale sedeva. Il lato B del Signor Masen era ben degno di attenzione.

 

 
***************

 

Non aveva dovuto impegnarsi più di tanto. L’omelette era uno dei piatti che gli riuscivano meglio. Ad un tratto si era fermato, finalmente consapevole del perché quello era il piatto che aveva cucinato spontaneamente.
 
«Non ti do da mangiare abbastanza spesso.»
«A proposito, sono molto buone. Niente male, per uno che non mangia.»
«La prova del cuoco.»
 
C’era ancora Bella in tutti i suoi gesti, nei suoi modi di fare e rapportarsi con il prossimo. Un sorriso malinconico si fece strada sulle sue labbra.
Servì la cena di Page come un cameriere dall’esperienza decennale, ma lei storse il naso di fronte ad un piatto solo per lei.
«Tu non mangi?» chiese inclinando la testa di lato. Aveva un retrogusto così dolce il modo di fare apprensivo di lei.
«Ho dei problemi a mangiare cose come questa.»
«Allergie alimentari.» sentenziò la ragazza prima di mettere in bocca la prima forchettata di cibo.
Le sue labbra catturarono l’attenzione del vampiro. Lei continuava a passarci la lingua e le stavano diventando sempre più rosse. Il sangue scorreva impazzito nei capillari sotto quelle carnose sporgenze e ad Edward venne l’acquolina in bocca.
«Com’è l’omelette?» si stava avvicinando pericolosamente. Ma che cosa aveva in mente? “Almeno cerca di mascherare le tue intenzioni, Cullen.”
Fece il giro attorno al ripiano e, sistemandosi al fianco della ragazza, dove poteva inspirare a fondo il suo profumo, le riempì il bicchiere di acqua. La sua vicinanza gli provocava una strana tensione sotto pelle. Come sarebbe stato sfiorarle il braccio? Avrebbe avvertito la morbidezza della sua pelle o la voglia di morderla sarebbe stata più forte?
Page aveva evidentemente registrato la sua sfacciata vicinanza. Aveva inghiottito rumorosamente prima di riuscire a rispondergli. «Ottima.»
«Dammi qualche dettaglio in più. E’ da tanto che non ne mangio.» Edward socchiuse gli occhi in un modo affascinante.
“Vabbè, così è troppo!” Page era presa nella rete irrimediabilmente. Riuscì a pigolare a malapena un «Ok.»
Cercando di raccogliere le idee la giovane aveva chiuso gli occhi. «Al primo impatto risulta scivolosa sul palato.»
Edward non poté fare a meno di strusciare la lingua sul palato, rapito dalle parole di lei.
«Mmm, al tatto con la lingua si avverte subito quel retrogusto dolciastro delle uova e ti colpisce il gusto forte del formaggio.»
Come sarebbe stato assaggiare la sua lingua? Ferirla leggermente per assaporare il sapore ferroso del suo sangue? E poi affondare i denti nel suo collo morbido? Sembrava così saporita…
Page aveva riaperto gli occhi, ma trovandoselo così vicino si era scostata bruscamente, schiarendosi la voce. «Si, direi che è ottima.»
Edward ora era imbarazzato. Senza mostrare alcun impaccio aveva  raccolto il tovagliolo ai piedi della ragazza per poi avvicinarsi nuovamente alla cucina.
«E’ tardi, devo andare.» Alla fine sarebbe stata lei a mettere la parola fine a quell’imbarazzante siparietto.
Lei lo attirava come una falena alla lanterna e lui non poteva e non voleva permetterlo. Aveva già commesso quello sbaglio. Senza voltarsi non l’aveva salutata, turbato com’era in quel momento avrebbe potuto dirle solo “Addio”. E lui non lo voleva, anche se avrebbe dovuto. «Tardi per cosa?»
«Tardi.»
Edward non si era voltato, nemmeno quando aveva avvertito il rumore della porta aprirsi e i passi di lei sostare quel momento di più sulla soglia.
Aveva già commesso quello sbaglio.
 
 
 
Ciao a tutti!
Questa settimana ho anticipato di un giorno la pubblicazione perché domani sarò molto presa per la preparazione della Pasqua in famiglia. Spero di avervi fatto cosa gradita! O così o rimandavo di una settimana.
Allora? Che ne dite? Sono molto curiosa di saperlo perché questo capitolo per me racchiude l’essenza di entrambi e del loro rapporto. Certo, lui è tentennante a causa dei suoi sensi di colpa e lei… beh, lei è Page! Però mi fanno una tale tenerezza insieme, anche perché io so cosa succederà dopo! Hihihihi! Sono terribile, lo so.
Chiudo con i ringraziamenti alle mie afecionados e a chi mi lascia un commento e vi comunico che sto continuando a postare i capitoli della fanfiction che ho creato per il contest di jakefan “Bella e Jacob per sempre”. Vi lascio il link di “Due destini" se volete farci un salto.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


«Ma sei diventata matta? Stupida, stupida, stupida!» La Quileute quando voleva esprimere un concetto lo faceva senza sottintesi né mezze misure.
Page aveva raccontato all'amica tutto. Di come aveva lasciato in fretta e furia Villa Cullen e di come solo quando aveva attraversato il confine con la riserva aveva ripreso a respirare decentemente. Di quanto avesse desiderato strozzare il ragazzo che l'aveva accolta in quella casa stupenda come un perfetto gentiluomo d'altri tempi, di quanto le ore fossero passate velocemente in sua compagnia e di come l'aveva fatta fremere tutta quell'opera di seduzione perpetuata a suo danno.
Leah al suono di quel nome era scattata come una molla. Le era schizzata al fianco e l'aveva presa per le spalle per scuoterla.
Raccontare il pomeriggio passato con quell'uomo aveva dato modo a Page di analizzare la situazione. A primo impatto le aveva lasciato un sapore dolce-amaro in bocca: dolce come il profumo di lui, che ancora sentiva sul maglione, amaro come la sensazione frustrante di abbandono quando lui non le aveva chiesto di rimanere ancora.
Ma che si credeva? Desiderava forse che lui la prendesse tra le sue braccia dichiarandole il suo amore smisurato, per poi non lasciarsi mai più? No, la vita vera era diversa. La realtà ti mette di fronte a prove da superare, a piccole soddisfazioni guadagnate lottando con le unghie e con i denti. Forse era una visione pessimistica, ma la vita di Page era stata così fino a quel momento. Probabilmente l'irritazione che Edward le faceva provare era proprio dovuta allo stato senso di inadeguatezza che sentiva in sua presenza: con lui al fianco sembrava tutto semplice e comodo, era tutto perfetto, ma lei aveva sempre creduto che la realtà celasse solo cose imperfette. Lui rimescolava le carte.No, la vita non è mai perfetta come vorremmo e chi lo crede vive nelle favole. E quell'uomo, lui che le faceva dimenticare i suoi principi e il suo modo di vedere la vita, andava bene per una principessa in attesa del cavaliere dall'armatura lucente, ma non per lei che viveva con i piedi per terra. Forse anche troppo. Per lei era imperfetto e se ne sarebbe fatta una ragione.
«Leah smettila! Mi fai venire il mal di mare!» le aveva detto cercando di staccare quelle mani calde dal suo corpo, ma l'amica, nello stesso istante in cui Page aveva pensato che cominciava a farle male, aveva allontanato le mani come scottata.
«Devi smetterla di comportarti in questo modo. Lo guardi come se ti avesse investito il cane. Lo odi tanto quanto sembra?» Page era sconvolta dal comportamento dell'amica. Come poteva provare tutto quel risentimento per Edward, che lei considerava così amabile? Irritante, dispotico e sbruffone, ma amabile.
«Lo odio anche di più.» aveva risposto la Quileute con l'acredine negli occhi.
Page si era avvicinata, mentre Leah cercava di allontanarsi leggermente, le aveva toccato la spalla e guardandola negli occhi le aveva rivolto la domanda che le frullava per la testa fin dal loro primo incontro. «Dov'è il tuo cuore? Cosa ti è successo di tanto terribile per avere sempre questo atteggiamento del cazzo?»
La ragazza voleva allontanarsi con tutte le sue forze, scappare da quell'esserino che si permetteva di sondarle l'anima. Non avrebbe trovato altro che un buco nero e lei non voleva che Page se ne accorgesse. Era sulla buona strada, però. Qualcosa, forse quell'affetto così strano che da subito l'aveva legata alla professoressa, la tenne lì incatenata ai suoi occhi di ghiaccio. Ma non poteva risponderle. Non poteva rivelare i segreti del branco. Una cosa però l'avrebbe fatta: avrebbe cercato di tenerla lontana dai Cullen.
«Edward è pericoloso, Page. Stagli lontana o rischierai di fare una brutta fine. E' una vecchia conoscenza per noi Quileute. Non posso dirti di più ora, ma credimi. Ti prego.»
Come avrebbe potuto non farlo quando Leah la guardava in quel modo? «Starò attenta, te lo prometto.»

 

 
***************

 

 
«Il mio posto è dove sei tu.»
«Non sono la persona giusta per te, Bella.»
«Non essere ridicolo. Sei la cosa migliore che mi sia capitata, davvero.»
«Il mio mondo non è fatto per te.»
«Ma ciò che è successo con Jasper... non conta niente, Edward... niente!»
«Hai ragione. Era semplicemente un gesto prevedibile.»
«L'hai promesso! A Phoenix hai promesso di rimanere...»
«Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te.»
«NO! Non dirmi che il problema è la mia anima! Carlisle mi ha detto tutto, ma non m'interessa, Edward. Non m'interessa! Prenditi pure la mia di anima. Senza te non mi serve: è già tua!»
«Bella, non voglio che tu venga con me.»
«Tu... non... mi vuoi?»
«No.»
«Be', questo cambia le cose.»
«Ovviamente, a modo mio, ti amerò sempre. Ma quel che è successo l'altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi, sono... stanco di fingere un'identità che non è mia, Bella. Non sono un essere umano. Ho aspettato troppo, e ti chiedo scusa.»
«No. Non farlo.»
«Tu non sei la persona giusta per me, Bella.»
«Se... ne sei certo.»
 
L’aveva lasciata andare, alla fine. Non l’aveva trasformata in un essere immortale com’era lui e l’aveva persa. Tanto valeva cibarsi del suo sangue nel bosco dietro casa di suo padre.
“Cretino, imbecille, idiota!” Nel buio dello studio che ancora conservava il profumo di Page Harrison continuava a insultarsi da minuti, ore o forse giorni.
Come aveva potuto far morire l’amore della sua vita? Come aveva potuto essere così cieco? Possibile che il destino volesse quello per lui?
Edward non credeva nel fato, né in Dio o nel paradiso e nell’inferno. O almeno era quello che professava. Ma lei era stato il suo Eden, anche se per poco tempo.
E se si fosse lasciato andare nuovamente cosa ne avrebbe pensato la sua Bella? Quella stessa ragazza così forte e coraggiosa che in realtà si era mostrata così fragile. Probabilmente nella sua bontà d’animo gli avrebbe dato la sua benedizione.
E Page? Cosa avrebbe fatto sapendo a cosa andava incontro realmente? Se avesse saputo qual era la sua vera natura? Oh, lei lo avrebbe mandato a quel paese senza farsi scrupoli, probabilmente. Magari avrebbe anche cercato disfuggirgli o di picchiarlo; era perfettamente in linea con il suo carattere.
E lui? Una volta avrebbe fatto carte false per proteggere Bella dalla sua mostruosità. Avrebbe mentito, ingannato, ucciso per non farla avvicinare al predatore che si nascondeva dentro di lui. Ma a che cosa era servito? Aveva portato sua moglie sull’orlo di una depressione suicida, aveva rischiato di perderla milioni di volte e per motivi sempre diversi e alla fine lei era morta in silenzio, nel sonno. Quel sonno che a lui era precluso. Si era addormentata e mai più risvegliata. Neanche il tempo di un saluto, l’ultimo. Nemmeno una parola d’addio o un bacio, l’ultimo. Aveva provato a svegliarla senza riuscirci. Carnagione appena un po’ più chiara e capelli sparsi sul cuscino immacolato.
A Phoenix le aveva promesso di restarle accanto, ma alla fine l’aveva lasciata andare. Chissà se aveva avuto paura? Chissà se aveva capito quando era arrivato il suo ultimo respiro? Edward era rimasto in attesa del battito successivo e del sospiro seguente, ma il silenzio aveva aleggiato nell’aria per un tempo infinito.
A suo modo avrebbe continuato ad amarla, per sempre, ma non era sicuro di poter smettere proprio ora di credere che lei sarebbe rimasta l’unica per lui.
Era un tradimento quello che stava perpetrando? Quel suo avvicinarsi furtivamente a Page era da biasimare? Voleva forse dire che amava di meno la sua defunta moglie?
L’avrebbe amata per sempre, ma quello che era successo sere prima gli aveva fatto capire che era ora di cambiare. Bella gli aveva insegnato che la vita riserva sempre delle sorprese e possono essere meravigliose, come l’amore della donna che ami e la nascita inaspettata di un figlio, o terribili, come solo la perdita di una persona cara può essere.
Che fossero esseri umani o soprannaturali il senso degli insegnamenti della sua fragile piccola umana era lo stesso: prendere il bello della vita quando ti viene fra le mani perché domani potrebbe essere il tuo ultimo giorno ed ogni cosa potrebbe sfuggirti tra le dita. Coglierne a piene braccia era la cosa più generosa che si poteva fare verso se stessi e verso le persone che ci amano. Perché chi ci vuol bene ci vuole felici e soddisfatti pienamente e non vuoti e tristi.
Allora era giusto uscire dal suo isolamento emotivo e lasciarsi andare a quelle meravigliose sensazioni che Page gli faceva provare? Doveva o no imbarcarsi in quest’ennesima prova che gli veniva messa davanti?
Non ne sarebbe uscito fuori tanto presto.
Un lieve tocco alla porta lo fece riprendere dalla leggera trance nel quale era caduto. Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato da quando si era chiuso nella sua tana.
«Posso? Edward, siamo un po’ preoccupati per te. Stai bene?»
Non lo sapeva nemmeno lui. Aveva bisogno di aiuto.




Ciao a tutti!
Oggi sarò molto breve. Questo capitolo ci dice finalmente come è morta Bella e porta Page ad un bivio: Leah o Edward? E' un po' come la battuta di Troisi: "Meglio un giorno da leone o 100 da agnello?" lui giustamente rispondeva "Non si possono avere 50 giorni da orsacchiotto?". Page non può avere entrabi? Speriamo per lei.
Grazie a tutti voi che mi seguite. Spero che abbiate passato una buona Pasqua e che abbiate mangiato troppa cioccolata.
Baci

Pinzy

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Uno squillo o forse nemmeno quello. «Che succede, figliolo? Stanno tutti bene?» Dalla voce di Carlisle traspariva una certa inquietudine. Avevano abitato praticamente sempre tutti insieme e non avere vicino i suo figli lo faceva vivere in un perenne stato d’ansia.
«Loro stanno bene.» e poi niente altro. Non era riuscito ad andare avanti. Troppa la paura di deludere suo padre con quell’ammissione, proprio lui che l’aveva sempre supportato e spinto a comportarsi come gli dettava il cuore e non la mente.
Edward stava andando dietro a quel muscolo immoto, ora, ma era la scelta giusta? Voleva veramente imbarcarsi in questa nuova prova?
E poi per chi lo faceva? Per lui, perché sentiva che poteva veramente provare di nuovo quelle sensazioni meravigliose che gli aveva donato Bella? Per gli altri, perché voleva dimostrare che era più forte della brama del sangue di Page? Era desiderio o esibizionismo?
Mentre faceva aspettare suo padre all’altro capo della cornetta questi e molti altri interrogativi gli si accavallavano nella mente. Con che coraggio avrebbe affrontato quel discorso con Carlisle? Certo, non guardarlo negli occhi poteva facilitargli il compito, ma Edward voleva veramente essere agevolato in questo frangente? Si meritava davvero di avere vita facile e di non sottoporsi allo sguardo addolorato, che suo padre, gli avrebbe sicuramente lanciato dopo la rivelazione di voler mettere, di nuovo, in pericolo la vita di un essere umano?
«Figliolo? Edward, mi fai seriamente preoccupare. Dimmi qual è il problema.» Il problema… il problema era che suo figlio, il suo prediletto, colui che mai al mondo avrebbe potuto deluderlo, stava per compiere un passo azzardato. Stava per ricadere nei propri errori. Recidivo? No, egoista.
Eppure Edward lo aveva già deluso in passato e molte volte. La prima e peggiore, quando aveva deciso di abbandonare lo stile di vita vegetariano. Ma Carlisle lo aveva riaccolto nella sua famiglia come se fosse stato il “figliol prodigo”. Forse, dopo la prova a cui lo aveva sottoposto quella volta, questo gli sarebbe sembrato un nonnulla.
Doveva tentare. Solo Carlisle poteva aiutarlo ad uscirne: era l’uomo più saggio che conosceva.
«Carlisle, ho combinato un disastro. Che il Cielo mi perdoni! Mi sono imbattuto in una donna e mi sento così affascinato… Non so nemmeno come spiegarmi.» Aveva abbandonato il telefono, non poteva ascoltare la risposta di suo padre. Codardo.
Il suo udito perfetto però avvertì chiaramente il lieve sospiro rilasciato all’altro capo della linea. Rincuorato, raccolse tutto il coraggio che possedeva e, con quello, anche il telefono.
«Edward, ci sei?»
«Sono qui. Non credi che sia un mostro?»
«Abbiamo già fatto un discorso simile in passato e speravo di non dovermi ripetere, ma sembra che la tua infallibile memoria abbia fatto cilecca. – Carlisle cercava palesemente di alleggerire l’atmosfera – Tu non sei né sarai mai un mostro.»
«Ma in passato lo sono stato.»
Uno sbuffo che, se possibile, gli avrebbe fatto salire le lacrime agli occhi, gli risuonò nelle orecchie. Era esattamente quello che si aspettava dal dottor Cullen: un rimprovero bonario per un figlio scapestrato, ma che fondamentalmente agisce in buona fede.
«Qual è il vero problema? Credi che qualcuno potrebbe biasimarti se ti innamorassi di nuovo?»
A quelle parole Edward ebbe un sussulto. Innamorarsi? Non lo aveva tenuto in conto. Si sentiva molto attratto da Page, ma da qui a parlare d’amore ne doveva passare di acqua sotto i ponti. E poi avevano passato insieme a malapena un pomeriggio.
«Direi che parlare di innamoramento è oltremodo prematuro.»
«Ancora peggio. Hai paura che la sola attrazione non giustifichi il fatto che desideri avvicinarti ad un essere umano come, in passato, avevi fatto solo con Bella?» Sentire di nuovo il nome di sua moglie sulle labbra di Carlisle dopo tutto quel tempo gli fece ritornare alla mente com’era vivere con lei al suo fianco. Quando ancora faceva parte dei loro discorsi, della loro quotidianità. Quando non era argomento tabù.
«Bella – aveva provato una fastidiosa fitta alla gola nel pronunciare quel nome – era tutto per me e non avrei mai immaginato di voler di nuovo avvicinare una donna a quel modo. Credevo sarebbe durata per sempre. Pensavo che alla fine uno di noi l’avrebbe trasformata e che avremmo continuato a vivere tutti felici. Non potevo immaginare che lei… che se ne andasse così.» Le parole gli morivano nella gola a mano a mano che le pronunciava.
«Nessuno poteva immaginarselo e tu non hai colpe per quello che è successo. Nessuno si è mai sognato di darti la colpa, nemmeno EJ.» EJ era un capitolo difficile della vita di Edward. Così simile a sua madre nello sguardo e nel carattere gli riportava alla mente quotidianamente sua moglie.
«Lo so, l’idea non lo ha mai sfiorato.» E lui lo sapeva bene visto che visitava quotidianamente i pensieri di suo figlio.
«Allora che cosa ti frena? Credi che Bella potrebbe biasimarti quando, per sua stessa ammissione, ti voleva solo felice. E allora sii felice, Edward. Prendi il meglio della vita e per il peggio… fanne comunque tesoro, sarà utile a non ripetere gli stessi errori.»
«Perciò non pensi che sarebbe un errore avvicinare…» Ma Carlisle non lo aveva lasciato finire. «Non è importante quello che penso io o il resto del mondo, ma quello che voi due ragazzi provate.»
Un leggero sorriso prese posto prepotentemente sul viso tirato di Edward. Il tempo passato con Page passava davanti ai suoi occhi come un film.
«Io non so se lei mi vuole.»
«Non mi dirai che non puoi leggere nemmeno i suoi pensieri!» Possibile che fosse quello che aveva impensierito Carlisle e non il pericolo nel quale stava per mettere quell’umana?
«Leggo la sua mente come se fosse un libro aperto. A dire la verità alcune volte ne farei volentieri a meno. Il punto è che non ho chiaro cosa vuole perché non lo sa nemmeno lei. E poi, ciliegina sulla torta, è diventata intima di Leah Clearwater.»
«Certo che quando c’è da complicarsi la vita tu, ragazzo mio, lo fai per bene!» La risata cristallina, quella che non pensava di poter più sentire, aleggiava leggera nell’aria.
«Ti offenderesti molto se il tuo vecchio passasse a trovarti?»
Dentro di sé Edward non poteva sperare in niente di meglio. «Non sai quanto mi aiuterebbe.»
«Dammi solo il tempo di prendere congedo dall’ospedale.»
«Grazie, Carlisle.»
Chiuse la telefonata con un peso in meno sull’anima. Lui lo avrebbe aiutato a vederci chiaro.
 
 
 
Ciao a tutti.
Sono un po’ di triste e arrabbiata, quindi cercherò di essere breve. Le recensioni per ogni capitolo di Imperfetto si possono contare sulle dita di una mano e molte volte non servono nemmeno tutte e cinque. Questa cosa mi distrugge. Io non mi sento proprio in vena di ringraziare nessuno perché è vero che scrivo per me, per far uscire le idee che mi riempiono il cervello e che sennò mi farebbero impazzire, ma sapere che cosa ne pensano tutti coloro che leggono mi farebbe enormemente piacere. So che alcune volte si è troppo impegnati, o troppo stanchi, o troppo “culo pesanti” (per usare un neologismo coniato da jakefan), ma vi giuro che alcune volte mi chiedo perché mi do tanta pena.
Poi penso ad Addy che mi continua a sostenere in ogni singolo capitolo e mi rendo conto che non vale la pena di sospendere e cancellare la storia perché c’è ancora qualcuno che la legge. E lo so che non è la sola perché il contatore delle visite sale ogni settimana, il problema è che evidentemente è troppo disturbo lasciarmi due parole.
Il paradosso è che ho scritto cose peggiori che però, grazie ai contenuti hot, hanno ottenuto più recensioni.
Ne vale comunque la pena, in barba a tutti i “culi pesanti”!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Meccanicamente si era svegliata, preparata ed uscita. Senza quasi rendersene conto era arrivata fino a scuola e aveva raggiunto la sua classe. Fortuna che per quel giorno era prevista la visione di alcune diapositive.
Toc-toc.
Solo in quel momento si può dire che la giornata era veramente iniziata, che gli ingranaggi del suo cervello avevano preso a girare. “Non sono pronta, cosa gli dico?”
Si era voltata con la velocità di un bradipo e…
«Ti disturbo, Page? E’ un brutto momento?» Alec Stern si guardava intorno cauto, forse alla ricerca del motivo che sembrava impensierire la professoressa Harrison.
«Alec! Ciao. Non mi disturbi affatto. Entra, dai! Non restare sulla porta.» Portandosi una mano al petto si era seduta con un fiatone degno di un centometrista. “Ricomponiti, ragazza. Non è lui. Per ora sei salva.”
«Avete fatto jogging oggi? Lezione sui paparazzi? Che fiatone.»
«E’ che mi hai presa di sorpresa. – gli aveva detto accavallando le gambe – Avevi bisogno di qualcosa?»
Gli occhi del giovane professore si erano calamitati agli arti inferiori della ragazza, forse Edward non era l’unico che sapeva apprezzarli.
«Sono passato solo per sapere se ti sei ambientata. E poi per vedere se ti va di uscire a bere qualcosa una di queste sere.» Apprezzava sempre di più quel ragazzo: diretto, ma non oppressivo. Il suo invito era stato delicato, una sferzata di aria pulita nel turbinio soffocante delle emozioni degli ultimi giorni di Page.
«Volentieri, magari una di queste sere. Ho proprio bisogno di qualche dritta per tenere al loro posto questi piccoli mostri!» Aveva cercato di buttarla sul ridere per non rendere il suo “si” troppo caloroso. Infondo non conosceva ancora Alec e non sapeva se poteva piacergli come compagno per un’uscita. Strano… per catalogare Edward tra gli uomini a cui avrebbe volentieri accordato qualcosa di più che un drink, c’era voluto meno di sguardo. Strano.
Per togliersi quel viso che le era entrato con prepotenza nella testa Page aveva guardato l’orologio e Alec aveva registrato che il suo tempo era terminato per quel pomeriggio.
«Allora ci mettiamo d’accordo nei prossimi giorni. Solo… non mettiamoci troppo per decidere quando, ok?» aveva chiesto sorridendole.
«Certo. Ora ti lascio, ho un mucchio di relazioni da leggere.» Non voleva tirarla per le lunghe. A dirla tutta l’unica cosa che anelava era di buttarsi sul divano a guardare il soffitto e non pensare a niente. Appena provava a mettere in moto i neuroni un milione di interrogativi e dubbi le invadevano la testa.
«Permettimi.» Alec era già pronto ad aprirle la porta con fare galante, ma Page difficilmente lasciava fare a qualcun altro quello che poteva fare da sola. Non era femminista convinta e non odiava gli uomini che le riservavano certe gentilezze, solo che era capacissima di aprirsi la porta da sola. E poi andavano fatte nelle situazioni giuste, non così, senza senso. Che diamine!
«Faccio da me, grazie.» Era stata più veloce di lui.
 
«Scusami Jazz, ho da fare. Lasciami andare!»
«No, non te lo farò fare, ragazzino.»
 
Le voci concitate di due ragazzi al di là del muro di studenti piantati in mezzo al corridoio l’aveva scossa subito. “Cosa sta succedendo? E poi perché proprio davanti alla mia classe?”

 

 
***************

 

 
«Ma non capisci che se non gli diamo una mano, questa situazione non si sbloccherà mai? Sai quanto può essere testardo mio padre.» EJ tentava di convincere suo zio da diversi minuti. L’aveva preceduto Alice, ma, stranamente, il suo ascendente su Jasper non aveva funzionato. Che Miss Brandon stesse perdendo colpi? Solitamente Jazz non le rifiutava niente.
«Resta il fatto che non sono affari nostri.»  Questa volta sembrava irremovibile: non li avrebbe aiutati in quel folle piano.
Quell’associazione a delinquere, che erano EJ ed Alice, aveva deciso che era troppo tempo che i due piccioncini non si vedevano, perciò li dovevano far incontrare. Il problema era che Edward era diventato un eremita nell’attesa che Carlisle li raggiungesse. Urgeva subito una contromossa. Dovevano portare la montagna a Maometto se Maometto non andava alla montagna. Chi fosse la montagna e chi il grande profeta, non ci era dato sapere.
«Beh io le andrò a parlare lo stesso.» EJ era sicuramente in combutta con l’impresa di traslochi!
«Metterai in pericolo tutti noi. – Jasper ormai gli ringhiava contro, pur se a bassa voce – Preferisci davvero dover scappare da questa “quasi” esistenza per fargli godere di un giorno o due insieme?» La ragione avrebbe prevalso sulla caparbietà del ragazzo, alla fine.
«Non sto chiedendo il tuo permesso.» Forse no.
«Sei talmente uguale a Edward… adesso usi anche le sue frasi.»
«Scusami Jazz, ho da fare.» Così dicendo EJ si era allontanato dall’altro vampiro, ma Jasper ne sapeva una più del diavolo e gli aveva agguantato il braccio.
«Lasciami andare!»
«No, non te lo farò fare, ragazzino.»
Un piccolo capannello di ragazzi gli si era messo intorno. Senza accorgersene avevano attirato l’attenzione. E la copertura? Era salva, ma se avessero cominciato a darsele di santa ragione sarebbe saltata.
«Ragazzi, che succede?» Il ghigno soddisfatto di EJ troneggiava sul suo viso. Il ragazzino aveva ottenuto proprio quello che voleva e Jasper c’era caduto con tutte le scarpe. Aveva bisogno di un complice.
«Vi voglio nella mia classe, ora!» Page sembrava arrabbiata. Continuava a guardarsi intorno, probabilmente voleva evitare inutili discussioni con il preside.
«Gli altri, invece di mettere radici nel corridoio, possono tornarsene a casa. Veloci, ragazzi, non ho tutto il pomeriggio!»
«Sei obbligata dal regolamento a chiamare i genitori per farli venire a prendere ed a mettere un richiamo sulla loro scheda.» Il professor Stern doveva essere uno pratico di risse sedate. Li aveva presi per le spalle e li aveva sospinti fin dentro l’aula di Fotografia della Harrison.
«Alec, non pensi che basterebbe mandare a chiamare il loro tutore? In fondo non si sono picchiati, hanno solo alzato un po’ la voce. Io sono sicura – Page li fulminò entrambi con lo sguardo – che non sarebbero mai arrivati alle mani. Vero, ragazzi?»
«No, professoressa Harrison. Non lo colpirei mai.» Jasper era tranquillo oltre ogni sospetto, ma EJ sapeva bene che se fossero stati in un altro contesto gliele avrebbe suonate di santa ragione. Fortuna che Emmett gli aveva insegnato qualche mossa. “Sarei pronto, zietto.”
«Mi limiterò a chiamare il vostro tutore, allora. Resterete con la professoressa fino al suo arrivo in silenzio e senza alzarvi dai vostri posti. In caso contrario sarete segnalati al preside.» Stern aveva messo la ciliegina sulla torta cucinata da EJ.
 
 
 
Ecco il nuovo aggiornamento, spero di non avevi fatto aspettare troppo.
Che ne pensate del buon vecchio Alec Stern? Vi stuzzica la fantasia o vi è indifferente? E il giochetto messo in atto da EJ? Figlio di sua madre! Alla fine se vuole veramente qualcosa lo ottiene come la cara (e ormai defunta hihihihihi) Bella che era la più testarda di tutta la saga!
Se volete rispondere alle mie domande lasciate un commento.
Vi ricordo che ho postato una mini fan fiction, non ancora postata del tutto, che si chiama “Due destini”, scritta per il contest di jakefan “Bella e Jacob per sempre”. Molti hanno anche apprezzato la mia one-shot “I belong to you” scritta per il contest “Fool, said my MUSE to me; look in thy heart, and write.” di Roberta’87. Se volete farci un salto ne sarò contenta.
Per ora vi saluto con un mega abbraccio ringraziando chi ha messo “Imperfetto” tra le storie seguite, ricordate e preferite e a chi mi supporta capitolo dopo capitolo.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


La situazione che si era creata era surreale: un vampiro, un ibrido e un’umana. Poteva essere l’inizio perfetto di una barzelletta, solo che di divertente c’era ben poco.
«Vedrai quando arriveremo a casa.» Ringhiava Jasper, indispettito di dover stare ancora lontano da Alice.
«Che pensi di farmi? Non sono più un bambinetto. Conosco le tue mosse e so difendermi» EJ, dal canto suo, non gliela mandava certo a dire. Aveva imparato a non lasciarsi intimidire da suo zio. In realtà glielo aveva insegnato proprio lui a non mostrare debolezze di fronte al nemico e in quel momento il suo avversario era lui.
«E da quando, ragazzino?»
«Da ora, vecchietto.»
«Credete veramente che io sia così rimbambita? Smettetela subito di parlare. Non vi sento, ma vedo le labbra muoversi.» Page non aveva neanche alzato la testa dal suo libro, ma evidentemente li aveva ingannati tutto quel tempo.
“Ma quando arriva?” si chiedeva fremente. Non sapeva nemmeno che cosa stava leggendo, sperava solo di tenere il testo dal lato giusto.
Era furiosa con quei due ragazzi. Per colpa dei loro battibecchi adolescenziali ora avrebbe dovuto incontrare Edward. Non era pronta.
Sicuramente avrebbe tenuto un comportamento serio e professionale, non poteva mostrarsi accondiscendente solo perché…
«Permesso?» La sua voce, profonda e sensuale, l’aveva fatta immediatamente irrigidire. “Seria e professionale, Page.”
«Prego, Mr. Masen. Si accomodi.» Si era alzata come se avesse avuto dei tizzoni ardenti sotto al sedere. Lo aveva seguito con lo sguardo, mentre lui aveva avuto occhi solo per i suoi ragazzi. Gli aveva lanciato sguardi assassini e Page non avrebbe certo voluto trovarsi nei loro panni una volta arrivati a casa.
«Sono in guai seri?» aveva chiesto Edward. Ovviamente quello che gli interessava era la sorte di EJ e Jasper, ma non le aveva neanche detto “Ciao” “Come stai?” “Hai pensato a me?”. Certo che aveva pensato a lui, non aveva fatto altro. La sua insonnia cronica era decisamente peggiorata: aveva dormito si e no tre ore per notte negli ultimi giorni. E poi ci si era messa anche Leah che non faceva altro che domandarle se lo aveva incontrato o se gli aveva parlato. No, non lo aveva visto.
Ma ora ce lo aveva davanti eppure non lo vedeva come avrebbe voluto. Edward teneva lo sguardo basso. Non lo incrociava volutamente con il suo?
«Professoressa Harrison?» Quella piccola incertezza lo aveva indotto a guardarla e questa volta dritto negli occhi. Page aveva mancato un respiro. Ogni volta che lui la fissava in quel modo, strizzando leggermente gli occhi, lei si sentiva avviluppare da una sorta di turbine sensoriale.
Aveva forse dimenticato come si parlava? «Page.» Chiudere gli occhi l’avrebbe aiutata a riprendere in mano la situazione? «Page, va tutto bene?»
Nel buio della sua momentanea cecità la voce di quell’uomo era qualcosa di indescrivibile. La sentiva scivolarle lungo la pelle come una carezza leggera, l’avvertiva sulla spina dorsale dalla base del collo fin giù, molto in basso.
“Stai zitto. Ti prego.” Combatteva contro se stessa: avrebbe desiderato sentire le dolci note prodotte dalla sua gola in ogni momento della giornata, ma ora la confondevano solamente. Doveva tenere duro, ne valeva della sua professionalità. “Cazzo, Page!”
«Sono quasi arrivati alle mani nei locali della scuola. Dovranno sottoporsi ad una punizione.» Forte, come poche volte nella sua vita era stata, Page aveva ripreso in mano la situazione. La professoressa Harrison era tornata prepotentemente nella conversazione.
«Mi sembra giusto. Aveva già in mente qualcosa di preciso?» Erano tornati al “lei”. Era giusto così.
 
«Quindi abbiamo messo da parte il “lei”?»
«Non sembravi condividerlo, così mi sono preso questa libertà. Se preferisci posso tornare ad usarlo.»
 
«Non ho ancora in mente niente, ma non ci metterò molto a decidere come fargli passare la voglia di fare i duri.» Le parole che le uscivano dalla bocca non avevano quasi senso per lei. Cercava di mantenere un contegno, ma il suo corpo non ne voleva sapere di stare fermo. Accavallava le gambe in continuazione, si girava senza tregua la penna tra le dita, continuava a sistemarsi i capelli dietro le orecchie con un gesto che ormai era diventato un tic. Possibile che non riuscisse a calmarsi? Erano le raccomandazioni di Leah a preoccuparla o la vicinanza ritrovata con Edward?
«Bene, questo è tutto.» La tortura era finita e se anche ci fosse stato qualcos’altro da dire, Page non lo avrebbe sopportato.
Lui, dal canto suo, con il suo maledetto contegno, aveva nuovamente interrotto il contatto visivo. Aveva aspettato rigidamente accanto alla porta che lei raccogliesse le sue cose, mentre EJ e Jasper si allontanavano preoccupati solo di spintonarsi a vicenda e poi l’aveva seguita in silenzio lungo il percorso verso il parcheggio.
Il cuore di Page batteva di ansia e delusione. Allora per lui, quello passato insieme, era stato un pomeriggio come tanti. Anche lei pensava fosse così, lontana dal suo corpo, dai suoi occhi, da lui, quando aveva pensato che il ricordo avesse amplificato le sensazioni che aveva provato. Ma ora, vicino al suo corpo – la mano, ondeggiando con la cadenza della camminata, le sfiorava a volte la sua –, vicino ai suoi occhi – avvertiva nettamente l’ambra liquida filarle addosso –, vicino a lui, tutto tornava amplificato.
L’amarezza stava lasciando il posto all’irritazione, perché per lui non era significato niente. Tutta quella scena di seduzione, la lettera, quell’avvicinarsi furtivo alle sue spalle solo per ispirare il suo profumo di nascosto, cosa era stata? Più Page si incaponiva e più la rabbia e lo sconforto si impadronivano di lei. Di rado si arrabbiava veramente e quando succedeva era meglio starle lontana.
Si era voltata con lo sguardo offuscato di lacrime. Fronteggiarlo era l’unico modo di comportarsi che le veniva in mente. «Non hai niente da dirmi?»
Edward, ovviamente, era rimasto spiazzato. Poteva sentire distintamente che i suoi pensieri erano rivolti a lui, ma riusciva a percepire solo il ricordo di quelle poche ore passate insieme. «Page, io non so che dire. Mi dispiace se i ragazzi ti hanno mes…»
«I ragazzi? Credi che mi riferisca a loro?» era incredula. Sapeva che gli uomini erano perennemente in ritardo rispetto alle donne, ma l’elettricità che scorreva tra di loro, avvicinandoli e subito dopo allontanandoli, era palese. «Idiota.»
In modo teatrale si era voltata, sfinita dal pulsare doloroso delle tempie che le impediva di pensare razionalmente.
Lui, costernato dal non capire cosa gli stesse accadendo a pochi centimetri pur funzionando il suo dono, la seguiva cercando le parole adatte da rivolgerle. «Page, potresti spiegarmi perché sei così furiosa? Ho fatto qualcosa che ti ha offesa?»
“Non ti azzardare a piangere, stupida!” pensava lei mentre tentava di ricacciare indietro le lacrime che spingevano prepotentemente per uscire. Erano provocate dalla rabbia. Lei non era una di quelle che si commuovevano davanti ad un tramonto o al sorriso di un bambino, annegava nelle lacrime solo per la collera. L’ultima volta che lo aveva fatto per un altro motivo erano morti i suoi genitori e le ultime mani che gliele avevano asciugate erano appartenute all’unico uomo che aveva amato oltre suo padre. Lo aveva fatto con il cuore di una bambina, per gratitudine, per rimpiazzare velocemente quella figura che era scomparsa così prematuramente, per sentirsi ancora legata a qualcuno. Ma lui l’aveva mandata lontano, non le aveva donato quell’affetto di cui aveva bisogno all’epoca. Edward non lo dava, allo stesso modo, alla donna che lo reclamava come l’aria, nel presente.
«Fermati!» Non era da lui lasciarsi prendere dalle emozioni sfogandole fisicamente. Con Bella era sempre stato misurato ed attento e quando era morta, pur volendo solo distruggere tutto quello che gli si parava davanti, aveva preferito congelarsi nell’immobilità, finché suo figlio non lo aveva ridestato.
Ora la teneva per il braccio, obbligandola a tenerlo più alzato del dovuto mentre le irretiva le iridi glaciali.
«Mi fai male.» aveva ringhiato lei, strattonando via l’arto dalla sua presa. Calore, un calore forte e immediato l’aveva spinto a mollarla. «Idiota.» aveva infine ripetuto la giovane.
Ed ecco l’indizio che Edward cercava: mentre una lacrima finalmente riusciva ad oltrepassare le barricate che aveva cercato di imporsi Page, una frase aveva fatto capolino nella confusione dei suoi pensieri. “Perché non mi vuoi? Perché nessuno mi vuole?”
«Oh, Page. Ma io ti voglio.» Il gelo era calato, la copertura compromessa dalla sua disattenzione. Aveva risposto ad un pensiero e lei se ne era accorta.
«Come hai fatto a…» Immobile, silente nel pensiero quanto nelle parole, la ragazza fissava la Mercedes nera parcheggiata nel piazzale di fronte a loro. Un sorriso conosciuto, morbidi capelli biondi mossi dal vento, lunghe mani curate, le stesse che l’avevano accarezzata per consolarla.
«Carlisle.»
 
 
 
Ciao a tutti.
Non sono morta, sono qui! Non so proprio come scusare il tremendo ritardo con cui mi presento con un nuovo capitolo, ma esco da un periodo infernale e sono sicura che “meglio tardi che mai”! Veramente, ragazze, scusate, ma quando vostro figlio prende la varicella e voi siete impegnate fin sopra la testa con i preparativi per la festa della scuola (mai fare la capoclasse, ve lo consiglio!), il tempo si riduce notevolmente. Vi giuro che uscivo la mattina alle 6:45  e rientravo alle 23:30. Roba da matti!
Comunque torniamo a noi e a questi due, Page ed Edward.
Questo capitolo l’ho adorato. Quando Page mi ha obbligata a scriverlo mi sono divertita un mucchio perché ho capito, guardando la storia dal punto di vista di lei, che gli uomini certe volte sono proprio “idioti”!
E Carlisle? Che ne pensate della sua comparsa?
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
Ringrazio tutte le anime pie che continuano a stare dietro ad “Imperfetto” e, più in generale, alle mie paturnie e a tutti coloro che mettono le mie storie tra le loro preferite, seguite e ricordate.
Grazie di esserci!
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


- CAPITOLO 21 -
 

 
«Carlisle.»
Si era avvicinata piano, cadenzando i passi, quasi avesse paura che, se si fosse lasciata sopraffare dalla voglia di toccarlo, lui sarebbe fuggito, allontanandosi nuovamente da lei. Il rumore della sua camminata lenta la stordiva: era l'unico suono che vibrava nell'aria.
L'uomo, dal canto suo, la guardava con la commozione negli occhi. Vederla di nuovo dopo tutti quegli anni, essere sicuro che stava bene e che era diventata una donna, lo riempiva di gioia.
Quello di lui era lo sguardo che le era mancato per tanto tempo: il calore di una famiglia, la speranza di un affetto a lungo agognato.
Il dottore le aveva sorriso e a quell’invito Page aveva risposto gettandosi su di lui. Nello stesso istante in cui le braccia di Carlisle l’avevano circondata, le lacrime avevano cominciato a rigarle il viso. La ragazza tremava dall’emozione ed era scossa dai singhiozzi dovuti al pianto.
«Page, la mia piccola Page.»
I gemiti la scuotevano ancora e ancora e le lacrime versate andavano asciugandosi sulle sue guance. La gioia di poter riabbracciare l’uomo che, pur essendo un perfetto sconosciuto, le aveva ridonato la vita, sembrava colmare ogni centimetro del corpo della ragazza.
Si, le aveva fatto dono di una nuova esistenza e, cosa ancora più importante, di un futuro. Ma al tempo stesso le aveva strappato via l’amore di cui aveva un bisogno estremo, quell’amore che credeva aver ritrovato e che invece era sparito.
 
“Volo United Airlines 758, imbarco immediato al gate numero 7”
Il panico di rimanere di nuovo sola le chiudeva la gola come una morsa. Lasciare quelle mani così fredde sarebbe veramente stato possibile?
«Carlisle. Io non so se ce la faccio…» Sarebbe stata capace di sopravvivere da sola? Avrebbe potuto dare il via ad una nuova esistenza senza il suo appoggio? Cosa ne sarebbe stato di lei?
«Page, sei una ragazza forte. Tutto questo ti darà modo di lasciarti alle spalle il dolore che hai provato finora. Solo, ti prego, non dimenticarlo. La sofferenza che ti ha portata a questo punto della tua vita contribuirà a renderti la persona splendida che sarai. Non dimenticarlo. Non dimenticarmi.»
Un ultimo abbraccio prima che lo sguardo insistente dell’addetta al check-in la strappasse da lui.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che lo vedeva. Fili d’oro che le solleticavano il viso, mani fredde che tastavano la sua fronte accaldata dalla febbre.
Addio Carlisle.
 
No, arrivederci.
Edward taceva in disparte. Ora molte cose diventavano chiare agli occhi del vampiro: il fondo fiduciario a nome di una ragazza sconosciuta, la ricerca costante tramite Alice di informazioni riguardo un futuro che non apparteneva loro, il terrore di aver perso un membro della sua famiglia.
Carlisle aveva trovato conforto, come sempre, fra le braccia di sua moglie Esme, ma aveva perso un pezzo di sé quando aveva lasciato libera quella ragazza.
Edward non avrebbe mai pensato che potesse avere un significato per lui quella piccola umana, preso com’era a non lasciarsi sopraffare dai ricordi e a dare un’educazione a suo figlio. Ma ora lei era lì e significava qualcosa sia per lui che per suo padre.
Mai avrebbe rovinato il riavvicinamento dei due. Carlisle le sussurrava parole dolci nell’orecchio e lei si nascondeva nel suo gelido abbraccio. Come non avesse notato la strana temperatura dell’uomo non era ancora ben chiaro al ragazzo, ma forse la felicità era riuscita a scaldare il cuore morto di suo padre.
«Page, dobbiamo parlare.» la voce del dottor Cullen era apparsa calma, anche se era palese l’emozione che lo animava. Era qualcosa di più di un ricongiungimento, era la rinascita di un sentimento sopito.
«Carlisle, forse dovremmo allontanarci.» aveva consigliato Edward, cercando la sua attenzione.
La giovane, ancora con le braccia allacciate al collo del vampiro, si era voltata fissandolo. Dicono che uno sguardo può uccidere, l’intenzione di Page era sicuramente quella. E, come mai in vita sua, Edward aveva sentito piccoli brividi gelati corrergli lungo la schiena. Il ghiaccio degli occhi della ragazza lo avevaimmobilizzato e zittito.
«Tesoro, andiamo.» Carlisle le aveva aperto lo sportello dell’auto lasciandola salire. «Edward, vuoi accompagnare Page mentre io riporto l’auto a casa?»
«Certo.» Ma non era ciò che voleva lei, era chiaro. L’avrebbe fatto sparire se solo ne avesse posseduto  le capacità. Ridotto in mille pezzi , o forse polverizzato nell’aria. Tutto pur di non staccarsi da Carlisle.
 
 
 
Ciao a tutti!
Mi scuso enormemente per il ritardo accumulato, ma ho cominciato a lavorare anche di domenica e non ho neanche più un giorno libero. Scusatemi, ma il poco tempo che non passo a lavoro lo passo con mio figlio e con mio figlio. Penso che mi potrete capire.
Andiamo al capitolo di oggi, che ne pensate? Non è dolce il rapporto tra Carlisle e Page? Ora si capisce un po’ meglio lo stupore di lei nel vederlo, vero? Spero che sia stato gradevole leggere delle loro emozioni.
Grazie a tutti voi che ancora mi seguite e che preferite, ricordate e seguite. Spero vorrete lasciarmi un commento anche se mi meriterei solo parolacce! Sono spiacente, vi faccio ancora le mie scuse e mi prostro.
Baci
 
Pinzy

PS: vi consiglio di andare a dare un'occhiata alle storie che hanno partecipato al mio contest "Gli insoliti noti". Questa è la prima classificata, questa la seconda, e poi la terza, la quarta e la quinta. Un applauso alle mie splendide ragazze e lasciate loro dei commenti che fa sempre piacere.  

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Il tragitto in macchina si era rivelato il più difficile della sua vita. Nemmeno quando aveva rivelato a Bella la sua vera natura si era sentito più teso e sotto pressione.
 
Sapeva la verità.
La mia mente volava attraverso le conseguenze di questo mentre la macchina scivolava fra le scure curve della strada, il mio corpo rigido e angosciato, immobile eccetto per la piccola, automatica azione di sterzare la macchina.
Sapeva la verità.
 
Il silenzio era quasi tangibile tra di loro: aleggiava come una leggera foschia mattutina.
«Ero capacissima di guidare fino a casa da sola.» Tagliente, ecco com’era il tono della giovane. «Non sono una bambina.»
Era anche risentita per la sua gentilezza. «Credi che non lo sappia? L’ho fatto solo per fare un favore a Carlisle.»
«Avresti potuto chiedermelo.» gli aveva risposto sprezzante lei. Il suo battito era accelerato e continuava ad irrigidire la mascella. Era chiaro: Page Harrison detestava fare la parte della principessa bisognosa di aiuto.
«Senti, mi dispiace se ho agito senza chiedere cosa ne pensavi. E’ che mi sembravi scossa e ho pensato che ti sarebbe stato difficile guidare fino a casa.» Il tono che aveva usato non era né quello carezzevole con cui ammaliava gli esseri umani, né quello compiacente che usava con quelli della sua specie. Page era diversa da tutti e meritava la sua franchezza.
«Beh, pensavi male. Sono perfettamente in grado di farlo. Non sono una bambinetta sciocca che si lascia soggiogare da un’emozione. Io sono una donna e nel pieno possessodelle sue facoltà mentali.»
Era ufficiale: Edward odiava Page. «Sai cosa sei? – lei si stava già allontanando dalla macchina, arrivati davanti al suo appartamento – Una ragazzina spocchiosa e acida che non riesce a comprendere quando un uomo vuole farle una gentilezza.»
Ancora nel giardino antistante la sua casa, la donna si era voltata verso di lui per andargli incontro. Gli occhi accesi dalla rabbia, le mani tremanti. «Come mi hai chiamata?»
«Aspetta, lasciami pensare. – le aveva risposto lui, poggiando teatralmente un dito sul mento con fare meditativo – Ragazzina spocchiosa e acida.» Edward sembrava fiero di sé, anche se, nel profondo, si era già pentito di essere arrivato al punto di dover litigare con lei.
«Tu. Ma chi ti credi di essere? Irrompi nella mia vita senza chiedere permesso, mi importuni, flirti con me e ora mi insulti? Lascia che ti dica una cosa, Mister Affascinante, se qui c’è un ragazzino, quello sei tu!»
«Senti, io non ti permetto…» aveva provato a replicare, ma la mano salda di Carlisle sulla sua spalla lo aveva fermato in tempo, prima che potesse dire qualcosa che non pensava, ferendola.
Entrambi si chiedevano perché litigare venisse loro così bene.
«Carlisle, non ti ho visto arrivare.» La mente di Page era di nuovo rapita da quell’uomo.
“Lo guarda come se non esistesse altro al mondo al di fuori di lui.” Possibile che Edward fosse geloso di suo padre? Non aveva sempre ammirato il legame tra lui ed Esme? Come poteva pensare, ora, che Carlisle fosse anche solo lontanamente interessato a quella ragazza come lo era lui? La gelosia è una brutta bestia. Eppure conosceva cosa si nascondeva nella mente del suo mentore.
« Com’è possibile che tu sia così? Sono passati più di quindici anni. Come fai a dimostrare sempre la stessa età di allora? Io non capisco.» Erano arrivati al centro del problema: Page, come ogni essere umano avrebbe potuto fare, stava mandando all’aria la loro copertura. Non era possibile che un uomo restasse uguale negli anni, senza acquisire una ruga o un capello bianco o un qualsiasi segno del tempo che passa. Appunto, nessun uomo.
«Page, dobbiamo parlarti.» Il dramma stava per consumarsi. Erano pronti?
«Dobbiamo? Tu e – aveva fissato per un attimo Edward con disprezzo – lui? Cosa ne sa lui di me? Di noi? Cosa dovete spiegarmi?»
Carlisle era visibilmente in difficoltà.
 
«Page, vorrei proporti una cosa. Ti piacerebbe andare a studiare in Europa? Vivere una nuova vita? Nessuno che ti chiede come e se i tuoi genitori ti mancano. Nessuno che ti impone di sfogare il tuo dolore.»
Una bambina bionda, avrebbe potuto passare per sua figlia. Gli occhi chiari così simili a quelli di suo padre, tanto tempo prima. La determinazione che aveva percepito nel suo non volersi mostrare debole di fronte agli altri.
 
I ricordi di Carlisle scorrevano vividi nella testa di Edward. Non aveva mai percepito quei sentimenti nei loro confronti, dei ragazzi Cullen.
«Vedi, Page, è un discorso un po’ complicato...» Il giovane voleva solo spalleggiare il suo vecchio, ma aveva cominciato male. Avrebbe dovuto tacere e basta.
Voltandosi verso Edward lei aveva già pregustato come sarebbe stato prenderlo a sberle. “Ma come diavolo si permette?” «Così credi che per me sia un discorso complicato? Capisco.» Ogni passo una parola, tanto che a quel punto gli sfiorava quasi il naso con il suo. «Hai ragione, Edward, sono una povera idiota. Pensavo che una laurea e un master mi avessero aperto la mente, ma sbagliavo.»
Carlisle si godeva la scena, come un padre che si diverte a guardare due figlioli. Page era furibonda, tanto da non ricordarsi che il suo impulso iniziale, quando aveva visto Edward per la prima volta, era stato quello di buttarsi ai suoi piedi pregandolo di fare di lei la sua schiava. Edward era diviso tra l’arrabbiarsi e lo stringere a sé la bisbetica che gli si parava di fronte.
«Molto ironica, me ne compiaccio. Volevo solo dire che…»
«Oh, sta’ zitto! Dimmelo, su. Mettimi alla prova.»
Se era quello che voleva. «Siamo vampiri.»
Il viso della giovane si era pietrificato all’istante. Lo sguardo vacuo, il respiro mozzato, la bocca immobile, la mano a ricoprirla.
«Complimenti per la diplomazia. – l’aveva rimproverato suo padre – Come minimo è sotto shock.» Carlisle le si era avvicinato piano mostrandole i palmi delle mani. «Non vogliamo farti del male.»
Alla voce melodica del dottore si era risvegliata, come alla fine di un sortilegio.
«Lo so.» aveva bisbigliato troppo piano per l’udito umano. Ma i sensi sviluppati dei due immortali avevano colto sillaba per sillaba. «Perché?»
«Cerca di capire, Page.» Edward voleva con tutto sé stesso che lei potesse comprendere quanto difficoltosa era stata la loro vita, dal momento della rinascita. Avrebbe desiderato mostrarle il film della sua vita, facendole vedere che anche per lui non era stato facile stare al mondo. Smaniava per poterla rendere partecipe di quello che era stato il suo vissuto, sperando che lei volesse partecipare al suo futuro. Purtroppo dovevano esserci delle incomprensioni di fondo tra loro, dei problemi di comunicazione, perché se lui diceva A lei capiva B e viceversa. Il senso veniva sempre stravolto e le loro intenzioni fraintese. Se la donna veniva da Venere, l’uomo veniva da Marte.
«Cerca di capire? Ma sei impazzito, ragazzino, o che cosa?»
«Ragazzino io?» non si era accorto che stava ringhiando tra i denti.
«Figliolo, calmo. Diamole il tempo di metabolizzare la cosa.» Carlisle si era messo in mezzo di nuovo. Possibile che non riuscisse a lasciarli litigare come dovevano?
A quelle parole Page aveva strabuzzato gli occhi, fissandolo come se le fosse caduto il mondo addosso. «Figliolo? Lui è… è tuo figlio?»
Come aveva fatto a non arrivarci? Probabilmente era tutto veramente troppo complicato per lei.
«Tecnicamente no. Diciamo che Carlisle mi ha adottato.»
“Cosa?” Edward riusciva a percepire in modo netto la furia che stava per esplodere nella ragazza. «Almeno tu hai avuto la fortuna di rimanergli accanto e non di essere emarginata come se fossi un peso da dover sopportare. – aveva fissato ferocemente Carlisle – Una pena da scontare.»
«Si, ma chiediti a che prezzo.» La voce di Edward era risultata dura, fin troppo. Page si era calmata un po’ riprendendo a respirare normalmente e aveva guardato di nuovo il dottore. Lui, che non aveva perso nemmeno per un minuto il suo aplomb, le rivolgeva solo affetto.
«Scusate, io…» poche parole lasciate fluttuare nell’aria, mentre sia Carlisle che Edward rimanevano immobili davanti ad una porta che si chiudeva.
«Aspetta, Page!»
Di nuovo suo padre lo aveva fermato. «Lasciale sbollire la rabbia.»



Ciao a tutti!
Eccomi di nuovo, quasi in orario! Ops!
Questo capitolo per me è troppo divertente e allo stesso tempo triste. Divertente perchè comincia a venir fuori il lato conflittuale del rapporto tra Edward e Page per cui litigare è naturale. Triste perchè la cosa che più delude la nostra povera prof. è che Carlisle abbia allontanato lei e che invece abbia tenuto vicino Edward. Page si sente un po' esclusa perchè è facile crearsi nella mente di bambina le scuse più disparate per cui Carlisle non avesse potuto farla stare al suo fianco, ma sbattere il muso contro il fatto che probabilmente non eri semplicemente desiderata... ahi, fa male.
Chiudo con i ringraziamenti a tutti coloro che seguono, preferiscono e ricordano "Imperfetto", coloro che mi lasciano ogni volta, puntuali come un orologio svizzero una recensione e anche a voi lettori silenziosi. Grazie per esserci ancora.
Baci
Pinzy

 

Ps: sto lavorando ad un nuovo contest e spero che parteciperete in molti. Seguitemi!

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Dare tempo al tempo, non era così che si diceva? Ma chi decideva quanti minuti, ore, giorni era giusto aspettare?
 
«Diamole il tempo di metabolizzare la cosa.»
«Lasciale sbollire la rabbia.»
 
Ne era passato abbastanza, di tempo. Lui voleva vederla, dirle quanto gli dispiaceva non riuscire a mantenere la calma quando le era vicino, scusarsi per i suoi modi duri. Lui doveva vederla.
«Io vado.» Ed era stato un tutt’uno di intenzioni ed azioni: Alice gli porgeva la giacca, Carlisle gli sorrideva sornione. «Le abbiamo dato abbastanza tempo.»
 
«Non sono sicuro che sia stata una buona idea dirle tutto.» Carlisle era terrorizzato per la sua figlioccia umana. Era chiaro a tutti il perché: la legge proibiva di rivelare agli esseri umani la loro vera natura.
«Cosa avrei dovuto fare?» gli aveva chiesto arrabbiato Edward. Cosa? Lo sapeva perfettamente anche lui, ma le parole gli erano volate via dalle labbra senza la possibilità di trattenerle. Lei riusciva a stringerlo nell’angolo e con le spalle al muro ogni volta. E in quei casi Edward dava il peggio di sé. Perché?
«Credo che la tua sia una domanda retorica, figliolo.» Carlisle aveva recuperato il suo sguardo limpido. Non doveva averlo deluso poi così tanto. «La stiamo mettendo in pericolo. Te ne rendi conto, vero?»
«Lo so.»
 
La piccola casa della professoressa Harrison era avvolta dal silenzio notturno. Le bestioline che abitavano la foresta e che, durante il giorno, se ne andavano in giro, ora ammutolivano al suo passaggio. Il predatore era libero e loro lo potevano avvertire.
Ormai di fronte all’uscio dell’appartamento, Edward aveva titubato. E se lei non avesse voluto vederlo? E se il tempo non fosse stato sufficiente?
Dio, per lui era passato l’equivalente di un anno nell’attesa. Aveva avuto fin troppo tempo per pensare a lei. A Page che sorrideva felice in un’aula mentre parlava di chiari e scuri. A Page che preferiva dormire sdraiata su un fianco, abbracciata ad un cuscino. A Page che odiava il freddo e che, per questo, aveva ricreato un ambiente tropicale nel suo soggiorno.
Edward era pronto. Era ora di muoversi o di lui ne avrebbero fatto una statua. E poi, doveva vederla.
Toc, toc, toc. Colpi lenti e cadenzati, non troppo forti da farla trasalire, né troppo cauti da non essere percepiti.
Era sera, quasi notte ormai. E se lei si fosse già assopita? Se i pensieri che le vorticavano nella testa, e che lui percepiva perfettamente pur stando dietro la porta, fossero solo stati parte dei suoi sogni?
“Vampiro. Lui è un vampiro. Lui è un vampiro.” Eppure sembravano più le meditazioni di una mente sveglia.
Toc, toc, toc. Forse non voleva vedere nessuno. Forse non voleva vedere lui.
«Arrivo.» Forse non l’aveva semplicemente sentito la prima volta. “Idiota. Stai calmo.”
Passi, i suoi passi che si avvicinavano. E più la distanza si accorciava e maggiore era la voglia di lui di scappare. Perché non voleva sapere se per lei il suo mondo era troppo mostruoso. Perché non voleva sentirla urlare di terrore appena si fosse accorta che era lui che bussava insistentemente alla porta. Perché non voleva litigare ancora, anche se con lei gli riusciva a meraviglia.
L’uscio si era aperto e non c’era terrore negli occhi di Page, non c’era raccapriccio o disgusto, c’era…
«Ah, sei tu.» … rassegnazione. Possibile che già solo quel suo sopracciglio inarcato gli facesse venir voglia di girare i tacchi e tornarsene dai Cullen? Cos’era? Stufa di lui? Gli dava forse fastidio trovarselo davanti?
«Che ci fai qui?»
«Volevo vedere se stavi bene e pensavo volessi maggiori chiarimenti.» Nell’aria un odore che lo disgustava, ma che per gli umani doveva essere squisito: cibo. «Stavi per metterti a tavola… Io… Torno in un altro momento.»
«Beh, ormai ci sei perciò entra.» Page si era fatta da parte, ora il pavimento la attraeva di più degli occhi del vampiro. Si fissava i calzettoni di lana pesanti e lui non poteva fare a meno di notare quanto, pur essendo vestita con una semplice tuta, la trovasse irresistibile.
Stare vicino a lei, per Edward, era un’altalenarsi continuo di sensazioni: desiderio, irritazione, tenerezza, sopportazione, ammirazione, rabbia, brama. E non poteva che pensare che era un peccato che gli piacesse così tanto provocarla e che sarebbe stato così semplice lasciarsi solamente andare per stare bene con lei.
Passandole accanto aveva inspirato a pieni polmoni il suo odore mentre lei chiudeva a sua volta gli occhi rapita dal suo inebriante profumo da predatore. Edward sapeva che quello che Page vedeva era solo la maschera dietro la quale il mostro si nascondeva. Che tutto di lui la attraeva naturalmente, che lei doveva essere attratta dalla sua natura di cacciatore. Ma non si rendeva neanche conto di quanto questo non la spaventasse come avrebbe dovuto. Lui era solo ammaliato da quanto era facile, quando le era accanto, passare da predatore a preda.
La casa, se così si poteva chiamare l’appartamento che faticava a contenere le poche cose dell’insegnante, era ordinata quanto bastava. Sul tavolino davanti al divano giaceva un piatto vuoto e un bicchiere dal contenuto vermiglio.
Che strano paradosso, se non ne avesse percepito le note fruttate, Edward avrebbe potuto scambiarlo per sangue.
«Accomodati.» Gli aveva fatto cenno di prendere posto sulla poltrona.
«Scusami per l’intrusione, avrei dovuto chiamare prima di presentarmi qui. Se preferisci torno in un altro momento.» Che cos’era questa incertezza? Lui, che aveva passato le ultime ore a rimuginare sul fatto che avrebbe dovuto trattenerla, anche con la forza, per chiarire cosa significava per lui essere un vampiro, ora era insicuro?
«Ho appena finito di cenare» gli aveva detto lei alzando le spalle, mentre prendeva posto sul divano.
Edward era stranamente silenzioso, il discorso che si era preparatoora gli sfuggiva come sabbia tra le dita. Page era assurdamente provocatoria: lo fissava ben più del dovuto, stringendo la mascella nervosamente. Si stava volutamente chiudendo a riccio. Era rabbia e mal disposizione.
«Temo di non poterti offrire niente. Non ho fatto prelievi di sangue ultimamente.»
«Page, ti prego.» Edward sapeva che con questa conversazione non sarebbe riuscito a risolvere niente, che lei aveva bisogno di altro tempo per sbollire la rabbia. Ma lui doveva vederla.
«Cosa, Edward? Che vuoi da me? Mi provochi, ma non mi sfiori nemmeno. Sembra che tu voglia essere sincero e scopro che sei un vampiro. – quella parola, un tabù dopo la morte di Bella, le scorreva sulla lingua naturale come tutte le altre – Cos’altro?»
Era stato un istante, lei era già in piedi, furente.
Edward, sebbene comprendesse che stava per comportarsi da capriccioso, sebbene sapesse perfettamente che provocarla ancora non avrebbe fatto che inasprire la cosa, aveva aperto bocca e gli aveva dato fiato. «Ho più di cento anni.»
Page aveva incrociato le braccia al petto e annuito ironicamente. «Altro?»
«Sono stato sposato.»
Sembrava che la giovane stesse per dire qualcosa, ma si era fermata lasciando che i suoi pensieri parlassero per lei. “Ma non è troppo giovane?” Poi aveva colto il significato delle parole del ragazzo «Beh, l’età per farlo ce l’hai senza dubbio! Altro?» lo aveva sfidato non credendo che qualcos’altro potesse stupirla maggiormente.
Edward si era sistemato a sedere più comodamente, allargando le braccia sui braccioli della poltrona. «EJ è mio figlio.»
«No! Questo è troppo!»
E forse era proprio troppo per la mente “umana” della ragazza, perché Pageaveva cominciato a camminare nervosamente su e giù, irritandosi maggiormente per le piccole dimensioni della stanza che non la facevano sfogare come avrebbe voluto. Aveva tolto la felpa, era visibilmente accaldata e non per la sua vicinanza con Edward e non per i venti e più gradi che la soffocavano, ma per colpa dell’aria che, satura del profumo di lui, era diventata irrespirabile.
“Ma chi me lo ha fatto fare di venire in questo buco di paese? Non stavo meglio in Europa? Forse dovrei mandarlo al diavolo, dirgli di andarsene e di non avvicinarsi più a me. Lo farebbe davvero se glielo chiedessi?”
«Come vuoi, Page.»
E’ assurdo come la testa, a volte, ci comandi di comportarci in un modo e il nostro corpo, al contrario, faccia l’opposto. Page aveva una mano sul braccio di Edward che ci aveva messo pochi secondi ad alzarsi ed a raggiungere la porta. Il calore che sprigionava l’arto della ragazza gli aveva intorpidito momentaneamente i sensi ed Edward si era ritrovato, stranamente, a perdersi nella fantasia di quanto sarebbe meraviglioso percepire il tepore della sua pelle su tutto il suo corpo.
«Aspetta. Me lo devi.»
Sapeva che era così, le doveva delle spiegazioni. Era tutto quello che lei voleva, ma non era tutto quello che lui le voleva donare.
«Come vuoi, Page.»
Ma Page non immaginava che il peggio doveva ancora arrivare.




Posso solo dire "povero Edward!"
Grazie a chi resta ancora con me.
Baci

Pinzy

PS: posso ricordarvi che sto postando gli ultimi capitoli di "Due destini"? Andateci a fare un giro!

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Si, lo so, sono imperdonabile. Avevo promesso che a settembre avrei ricominciato a postare regolarmente, ma la vita riserva sempre delle sorprese e non sempre sono belle. Non sono qui per piangermi addosso, ma mio marito è in cassa integrazione come moltissimi altri italiani e io sto cercando di maturare quante più ore di straordinario posso. So che mi capite e che non me ne fate una colpa se non mi sono fatta viva fin’ora. Comunque mi scuso.
Vi lascio al capitolo e ci vediamo in fondo.

 

 
- CAPITOLO 24 -

 

 
Si erano sistemati entrambi sul divano questa volta, uno vicino all’altra. Edward percepiva tutto il calore corporeo della ragazza irradiarsi verso di lui, avvolgendolo come una cortina di nebbia autunnale. Page, dal canto suo, stringeva i pugni sulle ginocchia. Era più facile ferirsi il palmo delle mani con le unghie che gettargli le braccia al collo.
Edward era un vampiro e niente di quello che lei avrebbe potuto fare o dire avrebbe cambiato questa realtà.
«Da dove vuoi che cominci?» Bella domanda. Peccato che il cervello della ragazza fosse temporaneamente in black out.
Nessuno dei due aveva ancora trovato il coraggio di alzare lo sguardo negli occhi dell’altro. Poteva chiamarsi codardia o prudenza, ma il fatto rimaneva: la loro vista era diretta ovunque, tranne che verso il vero oggetto del desiderio.
«Sono nato nel 1901 a Chicago. Ricordo molto poco della mia vita umana, piccoli flash, particolari forse insignificanti. Carlisle mi trovò in un letto d’ospedale nel 1918 ormai prossimo alla morte. Impazzava un’epidemia di spagnola e i mie genitori se li era portati via la malattia. Era solo e desiderava un compagno. Mi trasformò e mi salvò la vita, dannando la mia anima. Non credo che si perdonerà mai per questo.»
I vampiri non sentono fatica, eppure Edward sembrava avere il respiro più affannato dopo il racconto. Le sue mani, che durante il resoconto non avevano lasciato stare nemmeno per un momento i capelli, erano tornate rilassate sulle ginocchia.
Page si era ritrovata a pensare che quelle che le aveva fornito erano solo informazioni non essenziali, che il respiro leggermente angosciato del ragazzo stava fungendo da metronomo per il suo, che toccare le mani fredde del vampiro, per ora, era tutto quello che desiderava.
«Io non posso invecchiare, Page. Congelato nel momento in cui sono diventato quello che sono.»
«Questo vuol dire che rimarrai un immaturo per sempre perché sei stato trasformato a diciassette anni?»
Era rimasto senza parole. Lei riusciva sempre a spiazzarlo, con i discorsi, con i movimenti, con i pensieri. Non c’era terrore nei ragionamenti che lei faceva, la natura di Edward - vampiresca, predatoria, pericolosa - , sembrava dispiacerle meno di un capello finito nella minestra. Era irrilevante per lei, lo aveva capito dal linguaggio del corpo della giovane. La vicinanza con un possibile killer non la faceva stare distante e in tensione, era piuttosto sconfortata, da quello che lui poteva notare. Capo chino, occhi chiusi, spalle rilassate, quasi abbandonate.
«Molto spiritosa.» Magari buttarla sul ridere poteva cancellare l’aria tesa che aleggiava nella stanza.
«E Carlisle? Dimmi di lui.» Ma non era Carlisle che ora le sedeva accanto per rassicurarla, per sondare quanto il suo animo fosse tormentato dalle ultime novità. No, continuava a ripetersi Edward, non poteva essere geloso di suo padre. Non di un legame che si avvicinava a quello esistente tra padre e figlia.
«Mmm. Carlisle ha resistito allo scorrere del tempo, molto tempo. Ha trasformato prima me e successivamente Esme, sua moglie. Poi è stata la volta di Rosalie, che pensava sarebbe diventata per me quello che Esme era per lui.» A Edward non poteva passare inosservato il battito cardiaco di Page, quello strano incespicare per cominciare una corsa forsennata. Chissà perché, nominandole Rose, la ragazza si era agitata.
«Tutto bene, Page?» le aveva chiesto alzando finalmente gli occhi alla ricerca dei suoi.
“Tutto bene un cazzo!” Beh, come risposta era esauriente. Non andava bene niente.
«Potresti usare un linguaggio meno indecente?» Ma non c’era nemmeno l’ombra di un rimprovero nel tono di Edward. Poco incline al modo d'esprimersi colorito che ogni tanto usava la ragazza, soprattutto nei suoi pensieri, si era imbarazzato nel provare una punta di divertimento.
«Scusami?» Page era ovviamente dubbiosa. Edward aveva di fatto risposto ad un suo pensiero. Di nuovo.
«Hai presente quando, un minuto fa, ti ho domandato se andasse tutto bene?» Certo che prenderla più alla larga di così…
La ragazza, incapace di formulare una risposta coerente, e senza il minimo sospetto che dietro ad una domanda così apparentemente innocua potesse celarsi l’ennesima confessione dell’immortale, aveva annuito col capo.
«Beh, diciamo che la tua opinione mentale è stata più che esauriente, anche se non ha effettivamente risposto alla domanda.»
“Ok, Page. Rilassati. Il ragazzo che ti siede accanto è un vampiro centenario che può leggerti il pensiero. Merda!” «Questo significa che anche la parolaccia che ho pensato ora ti è risuonata chiara nelle orecchie?»
«Cristallina.» Il sorriso che aveva curvato le labbra di Edward non voleva essere canzonatorio. Lei, che continuava a torturarsi cercando di non pensare al suo viso, lo inteneriva come poche cose al mondo.
“Page, rimani calma. Non pensarci. Pensa al Natale, le lucine, i regali sotto l’albero.”
 
Edward a torso nudocon indosso un buffo cappello da Babbo Natale.
 
“Forse è meglio Baloon, il pesciolino rosso che hai trovato morto nell’acquario di casa a sei anni.”
 
Il corpo flessuoso del vampiro che nuotava nel mare limpido di un mare caraibico.
 
 “Merda! Merda! Merda!”
«Page, rilassati.» aveva provato Edward, ma lei era scattata di nuovo in piedi. E mentre la giovane ricominciava a camminare su e giù per la stanza, lui rideva dentro di sé per quel curioso déjà-vu.
«Rilassarmi? Rilassarmi, dice lui.» La ragazza continuava ad agitare le mani ai lati dei suoi fianchi, come se dovesse sciogliere la tensione di un esercizio fisico prolungato. «Ma vaffanculo, Edward! Dovrei stare tranquilla all’idea che il mio cervello non abbia segreti per te? Che tu possa leggermi dentro ogni piccolo pensiero intimo, desiderio, emozione?»
«Dico solo che adoro nuotare e amo il Natale.» Non aveva resistito a provocarla in quel modo. Vedere chiaramente quello che la mente della ragazza poteva partorire in una situazione di pressione e stress, lo affascinava.
«Sto seriamente pensando di sbatterti fuori casa.» aveva sentenziato lei, non potendo in alcun modo rispondere a tono alla provocazione del vampiro.
«Lo so.» Dio, come si stava divertendo Edward!
«Lo so che lo sai. Mi chiedevo se potessi smetterla! Mi provoca una strana sensazione non poter tenere per me i miei pensieri.» La situazione era ingestibile, Page se ne rendeva conto. Era inutile imporsi di non guardarlo per non alimentare le immagini di lui nella sua testa. Poteva solo sperare che i fotogrammi dei suoi recenti sogni, gli stessi che la lasciavano triste ed insoddisfatta al suo risveglio, non si palesassero mentre era vicino al ragazzo.
«Siediti, Page. Innervosirti non servirà a niente.»
Ed ecco quello che intimoriva di più Edward. Chiare nella mente della ragazza si susseguivano le immagini che non avrebbe mai accettato di vedere. Edward chino su di lei mentre si cibava del suo sangue. Edward che la rendeva sua schiava solo guardandola con le sue iridi d’ambra. Edward che le sopravviveva nella vecchiaia che la natura impone agli esseri umani.
La bocca di Page tremava impercettibilmente, era chiaro che lo stato di shock stava per affacciarsi. Era stata troppo contenuta la sua reazione alla rivelazione che i Cullen gli avevano fatto. Come poteva, Edward, pensare che lei fosse così forte da non cedere sotto il peso di una cosa del genere?
Page aveva tappato quella stessa bocca traditrice emettendo un leggero sibilo ed aveva fatto un paio di passi indietro.
«Non temere, non voglio farti del male.» Edward si era alzato istintivamente, pronto a sorreggerla in caso di crollo emotivo, psichico, fisico. Le braccia leggermente aperte per sostenerla per un mancamento e il viso tirato in una smorfia che, in teoria, avrebbe dovuto infonderle tranquillità.
Quello che non si aspettava era che Page, come al solito, l’avrebbe spiazzato.
 
 
 
Ciao di nuovo a tutti!
Spero che l’attesa vi abbia fatto godere il nuovo capitolo.
Vi comunico già che sabato o domenica prossima posterò un altro capitolo. Spero che non ci siano contrattempi, ma l’intenzione è questa per ora.
Grazie a chi mi continua pazientemente a seguire e a chi vorrà lasciarmi due righe.
Baci
 
Pinzy

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


- CAPITOLO 25 -
 

 
«Ahhhh!!» aveva urlato lei, gettando a terra il primo oggetto fragile che le era capitato fra le mani. Addio ricordo di Roma, ora mille pezzi del Colosseo giacevano sul pavimento.
«Dio! Non è possibile!» aveva continuato a ripetere la ragazza, evidentemente presa dalla rabbia e nient’altro.
La reazione furibonda della giovane aveva reso insicuro Edward. Lasciare che riducesse ad un ammasso di macerie la casa? Darle un sonoro schiaffone? Farle una camomilla?
«Io… » Magari dirle una parolina dolce.
«Tu. Taci.» gli aveva ordinato lei con voce perentoria.
Un altro soprammobile aveva raggiunto il souvenir della “città eterna” accanto ai piedi di lui. Poi un altro e un altro ancora.
“Che ho fatto di male, Signore? Perché io? Perché? Perché?” «Perché?» continuava a dire Page rivolta a sé stessa e non al ragazzo.
Tutto il dolore che riusciva a percepire dalle parole dette e pensate non poteva che ridurre Edward ad un mucchietto di ossa dalle gambe molli. Si, perché dopo aver capito che gli interessava l’idea di condividere del tempo con quest’umana, dopo che aveva metabolizzato l’idea di non dover più mentire, ma di poter essere se stesso con Page, aveva compreso che gli era impossibile vederla soffrire. Il cuore della ragazza stava sanguinando in quel momento.
Alla velocità di un immortale Edward l’aveva raggiunta e cinta da dietro con le braccia. L’aveva allacciata proprio nel momento in cui, mani davanti al petto, Page stava per accasciarsi al terreno. L’aveva condotta al letto, trasportandola in meno di un battito di ciglia e l’aveva stesa sul morbido materasso, continuando a costringerla nel suo abbraccio.
Page aveva pianto lacrime amare per molto tempo, poi, ad un tratto, si erano esaurite. Era così sfinita che, semplicemente, non sapeva più per che cosa stava singhiozzando.
Edward non si era mosso un attimo dalla sua schiena. Aveva registrato il brivido che l’aveva attraversata quando la sua pelle fredda l’aveva intrappolata, ma Page era una donna dalla temperatura stranamente alta, quindi non aveva risentito particolarmente del gelo che proveniva da lui.
Alla fine il cuore di lei si era semplicemente calmato e il vampiro, in perenne conflitto interiore, l'aveva lasciata libera. Page si era accomodata meglio, scivolando a pancia in su, mentre lui la studiava ancora sdraiato su un fianco.
Quando gli occhi della giovane avevano incontrato quelli dell'immortale le guance le si erano imporporate e una strana dolcezza l'aveva animata. «Grazie. Stavo per avere un collasso emotivo.»
«Si, me ne sono accorto. E' stato un piacere.» E con un mezzo sorriso  aveva cercato di mascherare quanto l'avesse turbato tenerla stretta al suo petto, il viso immerso nei capelli biondi di lei.
Inizialmente la mente di Edward aveva gravitato nei pensieri frammentati di Page, poi, quando i neuroni della ragazza si erano soffermati sulla posa che stavano tenendo, il corpo di lui aveva reagito istintivamente. Aveva scostato il bacino in modo prudente per non invischiarsi in spiacevoli malintesi e smesso di carezzare istintivamente la porzione di pelle che il suo indice toccava.
Ora, occhi negli occhi, il tempo sembrava essersi cristallizzato. Non il ronzare di una mosca, né la voce di un telecronista alla televisione o un disco che graffiava l'aria con le sue note.
«I tuoi occhi... »
«Il colore è dovuto alla nostra... “dieta”» aveva risposto lui, sorridendole imbarazzato. In fin dei conti non parlavano di tofu o di bistecche, ma di sangue. Lo sguardo di Edward si era poggiato istantaneamente sul collo di lei, in quel punto in cui il sangue scorreva più fluido e veloce.
«Hai sete?» Perché lei non riusciva ad avere paura del predatore che le si era sdraiato al fianco? Perché non incuteva timore a quella ragazza?
Aveva sete? Non particolarmente. Maora che la distanza tra di loro era pari ad un soffio aveva fame. Fame di lei. Di quella fame che il suo sangue non avrebbe placato.
«Stai tranquilla, Page, non mi ciberò del tuo sangue. Però non posso fare a meno di sentirlo scorrere nelle tue vene. Posso godere del profumo che emana. – le aveva detto avvicinandosi impercettibilmente – Il battito del tuo cuore è accelerato. Hai paura di me?»
«Ho paura di me.»
Cosa voleva dire? Nei pensieri della ragazza nient'altro trovava posto se non il viso di Edward. I suoi occhi profondi e dorati, le sue labbra rosate, le sue dita lunghe e perfette.
Le mani di lei si erano mosse spezzando la staticità dei loro ultimi gesti. Gli aveva preso il palmo e se l'era portata al petto, sopra al punto in cui il suo cuore poteva sentirsi meglio. Poi, per niente infastidita dalla ancor più pronunciata vicinanza con il giovane, aveva lasciato che le sue dita si appoggiassero nello stesso punto sul petto di lui.
La differenza era notevole: Edward aveva smesso di respirare ed ora il suo petto non si spostava più nemmeno mosso dal fiato. Un cuore muto e freddo, ecco cosa stava toccando Page.
«Sono attratta da te, Edward. Lo ero prima che tu mi rivelassi cosa sei e lo sono adesso.» Page era senza dubbio una donna forte e risoluta. Andava dritta al punto della questione senza girarci troppo intorno, senza perdere tempo in stupidi convenevoli. Edward poteva essere altrettanto sincero?
«E' la mia natura che ti attrae. Sono come un fiore carnivoro: bello e profumato all'apparenza, ma letale nella sostanza.» No, era chiaro che non poteva. Cosa le avrebbe dovuto dire? “Non sono sicuro che nemmeno la mia defunta moglie mi abbia mai amato veramente per quello che ero io, e non perché la mia natura esercitava il suo fascino.”
E allora Page, quella strana donna che non faceva altro che sorprenderlo, che spiazzarlo che irritarlo, che irretirlo, l'aveva stupito nuovamente. «Non è il tuo bel faccino che mi attrae, ma quello che c'è qui dentro.» E così dicendo aveva allargato maggiormente il palmo sul suo torace ancora immobile.
Edward poteva sentire chiaramente dai suoi pensieri che non gli stava mentendo.
 
L'aria rilassata che lui aveva quando si presentava nel parcheggio della scuola e veniva raggiunto dal resto della truppa. Il guizzo che gli passava negli occhi ogni qualvolta incontrava quelli di lei. La passionalità con la quale l'aveva stretta a sé, impedendo che i pezzetti del suo cuore raggiungessero i frammenti dei soprammobili sul pavimento.
 
Avrebbe voluto stringerla di nuovo a sé, cullarla nel suo gelido abbraccio e rassicurarla che il suo mondo non sarebbe cambiato. Che la sua vita non sarebbe cambiata, ma le avrebbe mentito. Già solo sapere che lui era quello che era aveva deviato irrimediabilmente il corso della vita della ragazza.
Lo sguardo di Page continuava a saettare dagli occhi di lui alle sue labbra, le pupille sembrarono dilatarsi per contenere il riflesso del ragazzo che si avvicinava.
L'incertezza di essere respinto o di non riuscire ad arrivare al termine di quel gesto lo stava corrodendo lentamente dall'interno. Era come presentarsi ad una festa a cui non sei stato invitato: lei poteva decidere se accoglierlo o rifiutarlo.
Nell'incertezza dei movimenti di Edward, lei aveva chiuso il pugno della mano che ancora sostava sul petto del vampiro e, ingabbiando anche qualche brandello della sua camicia, l'aveva attirato a sé mostrandogli che era il benvenuto.
 
 
 
Lo so, lo so, sono mooooolto in ritardo, ma questa storia non si vuole proprio più scrivere.
Questo capitolo l’avevo già buttato giù, ma non ero certa che le cose dovessero e potessero andare così.
Voi che ne pensate?
Baci e, spero, a presto.
 
Pinzy

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


- CAPITOLO 26 -
 

 
Baciare Edward Masen era, senza ombra di dubbio, un'esperienza mistica. Il corpo di Page aveva cominciato a fluttuare nello stesso istante in cui le labbra di lui erano andate a posarsi su quelle della ragazza. La morbidezza di lei, in contrapposizione con la durezza di lui, le sembrava la cosa più perfetta che potesse esistere al mondo. Niente di sbagliato, di storto, solo gli opposti che si attraevano, completandosi.
Edward era stato irreprensibile: le aveva lasciato la possibilità di abituarsi a lui e poi, gradualmente, l'aveva avvicinata di più. Se la donna avesse voluto sottrarsi, avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento. Ma lei non si sarebbe privata di quel momento per nessuna ragione al mondo.
La mano di Page tratteneva ancora la camiciadi Edward mentre lo attirava maggiormente a sé. Lui, in bilico sul fianco, aveva prontamente spostato le dita dalla pelle morbida e profumata della giovane, per posarla sulle coperte, accano al suo viso. Nel movimento, di una lentezza esasperante per la ragazza, aveva incontrato l'ostacolo della spallina della sua canottiera. L'aveva leggermente scostata al passaggio ed ora, pendeva inerte sul braccio coperto di pelle d'oca di lei.
Edward la sovrastava, mantenendo allo stesso tempo uno strano timore reverenziale. Le dava quasi la sensazione che lui avesse paura di farle del male.
Ad un tratto uno strano rumore aveva attirato l'attenzione di Page: un pacato ringhio saliva  nella gola di Edward e si ripeteva ogni volta che lei lasciava che la sua lingua accarezzasse quella del ragazzo.
Presto, troppo presto, Edward aveva messo distanza tra di loro, baciandola prima in modo dolce e poi scansandosi del tutto dal suo corpo.
«Perché il tuo respiro è così accelerato?» Page aveva cercato, con queste poche parole, di stemperare la tensione che si percepiva nell’aria.
Lei aveva percepito l’allontanamento della pelle fredda di lui come uno strappo secco; Edward, dal canto suo, sentiva che avrebbe potuto morire tra le braccia di quell’umana.
«Hai paura di me?» le aveva chiesto lei, ribaltando le posizioni di qualche minuto prima.
«Ho paura di me.» Edward, allo stesso modo, ma per motivi assolutamente diversi rispetto a quelli che avevano indotto Page a dire quella frase, le voleva far percepire il tumulto di emozioni che si agitavano dentro di lui.
E non si trattava solo di sentirsi in colpa nei confrontidi Bella, né della paura di poter nuocere fisicamente alla ragazza. No, Edward era terrorizzato dal desiderare a tal punto Page da volerla tenere con sé per sempre. Perché con sua moglie l’argomento era tabù ed invece, ora, lui non desiderava altro che litigare per il resto dei suoi giorni con ladonna seduta al suo fianco?
Page non era una di quelle che cincischiava di fronte ai momenti difficili della vita, lei si gettava a capofitto nel problema e ne cercava la soluzione, per quanto possibile. Proprio in nome di questo, si era alzata e, tendendo la mano al ragazzo ancora imbambolato, l’aveva accompagnato alla porta. Pochi passi che davano a lei la possibilità di riprendere in mano la situazione e a lui di sfuggire da una cosa che lo terrorizzava.
«Buonanotte, Edward.» Page era tranquilla, forse solo leggermente. Lui era sempre più perplesso, questa mossa proprio non se l’aspettava.
Grazie alla sua esperienza con Bella credeva di dover intraprendere una battaglia psicologica con Page per convincerla che la desiderava, anche se si allontanava da lei come se fosse colpevole di qualche crimine.
«Mi stai dando il ben servito?» Page era un mistero per lui.
«Senti, – aveva cominciato a dire la giovane, appoggiandosi allo stipite della porta – è chiaro che non siamo pronti per andare oltre il bacio che ci siamo scambiati.»
Edward ci capiva sempre meno. «Ma… » aveva provato a dire lui.
La ragazza l’aveva prontamente fermato con un gesto secco della mano. «Se avessi voluto rotolarti con me tra le coperte per tutta la notte non ti saresti fermato. E, per quanto mi riguarda, non credo che sarebbe una buona idea farmi coinvolgere in una relazione con un uomo in questo momento. Men che mai con un vampiro.»
Page stava forse scherzando? Non lo sapeva nemmeno lei.
«Perciò… buonanotte.»
Ma lui non era ancora pronto a lasciarla andare per quella sera. «Altri cinque minuti.»
«No.» gli aveva risposto lei con un’espressione divertita sul volto.
«Quattro minuti.»
«No, Edward. Buonanotte.»
Lui non aveva opposto resistenza, con enorme rammarico di Page. Probabilmente avrebbe sperato in un po’ più di insistenza da parte del ragazzo. Appoggiata con le spalle alla porta di casa sospirava come una tredicenne. Non era da lei.
“Che ti prende? Cerca di levartelo dalla testa.”
«Spero proprio che non lo farai.» La voce dell’immortale era risuonata chiara dall’altro lato della stanza. Page si era spaventata, ma non poteva nascondere a sé stessa che una parte di lei era felice che lui non fosse tornato a casa. Non credeva di rivederlo per quella sera.
«Che ci fai tu qui? Questa è violazione di domicilio.»
«Non se la padrona di casa ti vuole nel domicilio violato.» aveva risposto lui con una sicurezza che non gli aveva mai visto negli occhi.
La penombra, creata dalle candele accese qua e là per la casa, rendeva l’atmosfera palpabile. Era quasi possibile percepire i contorni dell’aria che li divideva.
«Come mai usi sempre le candele?» Era chiaro che Edward parlava solo per deviare l’attenzione della giovane dal fatto che stesse diminuendo la distanza fra di loro ogni secondo di più.
«Sono una romanticona.» Ovviamente Page lo stava sfidando, e non solo con la voce. Dopo essersi fatta una ragione del fatto che era impossibile per lei sfuggirgli, aveva deciso di andargli incontro. Lui non avrebbe mai fatto l’ultimo passo per arrivare a lei, altrimenti.
«Page… » La voce del vampiro era un misto di rimprovero e divertimento.
«Ok, non ho avuto ancora modo di attaccare la corrente.» “E i soldi… Oh cazzo!” Come poteva tenere un segreto se di fronte a sé c’era un immortale che poteva ascoltare senza problemi i suoi pensieri? «Mi hai sentita, vero?»
Edward aveva abbassato lo sguardo colpevole. Doveva essere una maledizione, oltre che un dono, entrare così a fondo dentro le persone che aveva intorno. «Si, mi dispiace.»
Page aveva interrotto il cammino verso di lui, deviando verso il bancone della cucina. Aveva aperto il frigorifero, estraendone una lattina ghiacciata. Era il caldo che le seccava la gola o la sua presenza alle sue spalle?
Aveva bevutoun lungo sorso di acqua tonica, ma la secchezza non era minimamente diminuita. «Odio il fatto che tu possa leggermi. Mi fa sentire nuda.» “Oh, perfetto Page. Ora mettigli anche in testa le tue idee da pervertita.”
«Beh, se può farti stare meglio, riesco a sentire i pensieri di tutti e non solo i tuoi.»
No, non la faceva sentire meglio, se ne fregava degli altri. Page era imbarazzata e nemmeno il pensiero che Edward potesse ascoltare segreti e bugie, perversioni e sogni di tutto il resto dell’umanità, la faceva stare meglio.
Eppure, diversamente da quello che le suggeriva la sua mente, aveva risposto tutt’altro. «La cosa mi conforta molto.»
«E poi…»
Ma perché il suo cuore aveva deciso di cominciare a battere in quel modo forsennato? Perché sentire il respiro freddo di lui mentre le spostava i capelli sull’altra spalla, scoprendole il collo, la eccitava tanto? «Cosa?»
«Niente. Pensavo a te… nuda.»
 
 
 
Ciao a tutti.
Rieccomi qui dopo poco tempo dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo. E chi lo avrebbe mai detto? Vero?
La verità è che avevo la linea guida di questo capitolo e buttarlo giù è stato abbastanza semplice. Che stia tornando l’ispirazione? Vedremo.
Ringrazio caldamente chi ha letto lo scorso capitolo, chi non mi ha lanciato verdura marcia per averlo fatto aspettare così tanto e soprattutto chi ha lasciato un commento anche se piccolo e non pubblicabile! Grazie.
Spero di concludere presto la stesura dei prossimi capitoli e di lasciarvi soddisfatti.
A chi mi chiede perché i capitoli sono così corti rispondo subito: all’inizio ero talmente ispirata che credevo di poter postare tipo un capitolo ogni due o tre giorni. In questo modo i piccoli capitoli sarebbero andati bene come un capitolo lungo una volta a settimana. Poi… beh, lo sapete, l’ispirazione se n’è andata in vacanza e ora si fa vedere a momenti per poi sparire di nuovo. Comunque ho imparato una lezione da quest’esperienza agghiacciante: mai pubblicare un capitolo se non hai la storia bella e pronta. Ma questo vale solo per me!
Ora vi lascio in pace.
Baci
 
Pinzy

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