Caos

di Amomirus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 La Scuola ***
Capitolo 2: *** 2 I Ribelli ***
Capitolo 3: *** 3 Brutte Sorprese ***
Capitolo 4: *** 4. Rosso di sangue fraterno ***
Capitolo 5: *** 5 Accordi e Promesse ***
Capitolo 6: *** 6 Con te ***
Capitolo 7: *** 7 Che gli Spiriti ti proteggano ***
Capitolo 8: *** 8 Figli degli Spiriti ***
Capitolo 9: *** 9 Ready Steady Go ***
Capitolo 10: *** 10 La magia dei cavalieri ***
Capitolo 11: *** 11 Nuovo compagno ***
Capitolo 12: *** 12 Gli eredi ***
Capitolo 13: *** 13 In fuga ***
Capitolo 14: *** 14 Aiuti dal fronte ***
Capitolo 15: *** 15 Giuramento ***
Capitolo 16: *** 16 Alice ***
Capitolo 17: *** 17. Venezia ***
Capitolo 18: *** 18. Il Primo Sigillo ***
Capitolo 19: *** 19. Fratellastri ***
Capitolo 20: *** 20. Nessuno... ***
Capitolo 21: *** 21. Inseguimenti ***
Capitolo 22: *** 22. Torino ***
Capitolo 23: *** 23. Vita Fugit ***



Capitolo 1
*** 1 La Scuola ***


1
 
Jason lasciò che l’aria fredda di dicembre penetrasse all’interno dell’enorme ufficio. Nonostante la pesante tunica della scuola, l’aria lo penetrò fino a tagliargli le ossa delle braccia e delle gambe. L’umidità della neve gli riempì i polmoni e lo fece quasi tossire. Inspirò a fondo e finalmente anche il suo cervello, intontito dal chiuso e dal caldo del fuoco, reagì alla temperatura ghiacciata dell’esterno. Gli parve che i pensieri gli si riordinassero senza difficoltà, gli parve persino di vederci più chiaramente. Non indossava gli occhiali in quel momento, si strofinò gli occhi scuri e le palpebre assonnate. Poteva sentire i suoi muscoli contrarsi al freddo, tra poco avrebbe iniziato a tremare. Si sistemò la tunica sulle braccia, coprendosi fino alla punta delle dita. Lasciò che lo sguardo volasse sopra il prato e gli alberi che circondavano la Scuola, fino alle prime basse e frastagliate montagne, in fondo, all’orizzonte. Sentì nostalgia della sua terra, così bella e assolata, e il mare e gli scogli bollenti al sole. Lì invece, una distesa di alberi, colline e neve. Socchiuse la finestra e tornò a concentrarsi al suo lavoro.
L’ufficio era enorme e pieno di enormi finestre: c’erano anche vetrate sul soffitto che lasciavano vedere il cielo (la neve era regolarmente rimossa) bianco e ghiacciato. La luce, debole in quelle giornate, filtrava a fatica. La porta d’entrata era dalla parte opposta di dove si trovava Jason. Di normali dimensioni, legno scuro e intarsiato con lo stemma della scuola, un’ampia maniglia di ferro colorato di rame. Da lì partiva l’ufficio con il soffitto a vetrate, poiché ogni centimetro delle pareti era occupato da alte e larghe librerie riempite di libri. Era quasi un corridoio, non molto largo e con alti muri. La luce arrivava solo dai vetri. Si apriva poi la parte in cui si trovava Jason, infatti, le pareti si allargavano e abbassavano, al centro c’era l’enorme scrivania di legno rosso con la sedia, o meglio poltrona, imbottita color rosso sangue. Sulla testiera c’era scritto, inciso senza particolari decorazioni: “Princeps”.  Jason pensava che quella scritta non descrivesse esattamente il suo ruolo di Preside, dopotutto nessuno tra studenti e insegnanti era sottomesso a lui, ma probabilmente in passato, quando ancora uomini, cavalieri e maghi si combattevano per guadagnare ognuno il proprio posto, quel trono era stato rubato da qualche reggia durante un saccheggio in onore del primo Preside, Girolamo. Da allora, semplicemente tutti i Presidi lo utilizzavano, in rispetto di chi aveva voluto onorare la Scuola e il suo fondatore. Jason ne saggiò abituato la comodità, rivolgendo lo sguardo e l’attenzione ai fogli sulla scrivania. Non gli ci volle molto per focalizzare di nuovo il problema: i ribelli avevano attraccato nelle coste all’estremo Nord della Scozia, secondo il rapporto del professor Tristi, il docente che si occupava di Strategia per i novelli cavalieri. Sapeva che secondo Tristi il problema sarebbe potuto diventare della Scuola nel caso i ribelli avessero iniziato a scendere nell’entroterra scozzese. In quel caso, secondo gli accordi con il Regno Unito, i cavalieri e i maghi sarebbero dovuti intervenire a difesa del territorio. Nella situazione estrema, schierando anche gli studenti dell’ultimo anno. Una cosa che Jason avrebbe fatto di tutto per evitare. Quei ragazzi erano sotto la sua responsabilità, quello era il suo vero compito, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerli, come prima di lui il Preside François, e prima di lui gli altri.
Raggruppò i fogli con la calligrafia minuta e disordinata di Tristi e li ripose nel primo cassetto dei tre sul lato destro della scrivania. Evitò l’altro plico, deciso a non aumentare oltre il senso di ansia che già lo tormentava dopo quella notizia. Diede un’occhiata veloce alla calligrafia, riconoscendo quella di Franz, l’insegnante di Lotta Libera. Per un attimo fu incuriosito, di solito Franz non faceva mai rapporti, era sempre molto sicuro di come dovesse occuparsi della sua materia e non aveva compito secondari come Tristi. Tuttavia rinunciò ad andare oltre.
“Ho tutta la giornata per leggere il rapporto di Lodberg, la giornata è neppure a metà!”
Avrebbe fatto un giro per le classi, lasciandosi guidare dai corridoi freddi e poco illuminati. Si coprì con il mantello. La costruzione dove si trovava il suo ufficio comprendeva la Sala del Raccoglimento, gli altri uffici e alloggi dei professori, mentre il resto era dislocato in altre sedi. Percorse il corridoio dove si affacciavano gli altri uffici. Ogni porta di legno aveva intarsiato lo stemma della scuola e incisa la materia insegnata dal docente, che per quasi ogni materia era più di uno. Lingue Antiche, Grammatica, Magia, Retorica, Strategia, Lotta Libera, Combattimento, Pozioni, Filosofia, Strategia e Storia, Arte Suprema e Incantus Primum. Solo per quest’ultime due c’era un solo insegnante, poiché erano insegnate solo alle due classi dell’ultimo anno. Da ogni porta si entrava nell’ufficio, che a sua volta aveva una porta seminascosta che portava al piano superiore, con gli alloggi. Il corridoio era buio e deserto, tutti i professori erano impegnati in qualche lezione. Il freddo lì era più acuto e Jason si strinse di più il mantello, quasi fosse già all’aria aperta. Fece una smorfia e si affrettò a raggiungere la porta che portava all’ingresso.
Quest’ultimo era un’enorme sala di pietra, con il soffitto alto e grigio. La porta dalla quale entrava Jason era sulla sinistra. Sulla destra c’era l’enorme portone della Sala del Raccoglimento. Al centro dell’ingresso si slanciavano due statue imponenti: una maga e un cavaliere, vestiti con la divisa della scuola e il cappuccio sul volto dai lineamenti appena accennati e giovani. La maga teneva su una mano una sfera e con l’altra mostrava la pietra tonda e piatta legata al collo. Su la pietra c’erano incise delle lettere, a formare una frase che era il giuramento che ogni mago formulava una volta terminati li studi e ricevuta la pietra. L’altra figura, un maschio, reggeva la tipica spada decorata di un cavaliere, mostrando bene le mani e i polsi sui quali erano tatuate (nel caso della statua incise) due fenici, i messaggeri degli Spiriti. Entrambi i due giovani scolpiti avevano accennato un sorriso arcaico, quasi a prendersi gioco di chi non fosse come loro. Jason ricordava quando ancora trent’anni prima le vide lui quelle due statue, sentendosi canzonato da quel sorriso indecifrabile. Dieci anni dopo, quando in quello stesso ingresso aveva finalmente ammirato i propri tatuaggi fiammeggianti, si era riscoperto a condividere la stessa espressione delle statue. Una sensazione indescrivibile, ma che allora a lui era parsa naturale. Non si era mai sentito superbo o strapotente, non era questo che la Scuola insegnava, anzi, ma quel giorno si era sentito per la prima colta consapevole di ciò che quella scuola gli aveva tramandato. Una conoscenza ampia, una mente pronta e un corpo forte e sano. In quello stesso istante, illuminato dalle enormi torce alle pareti, Jason si passò le dita della mano destra sulla bocca, circondata da un breve accenno di barba, poiché si era reso conto di aver quello stesso sorriso delle due statue stampato in volto.
Fu felice di essere fuori. Non era così buio e nuvoloso come sembrava guardando dalla finestra, il sole, pallido e freddo, iniziava a mostrarsi tra le nuvole bianchissime e cariche di neve. Il freddo era sì pungente e attanagliava le ossa, ma camminando per il viale lastricato e scrollando le spalle Jason iniziò a sentirsi a suo agio. Gli venne quasi voglia di correre, l’aria che gli penetrava nel petto bruciava ma sembrava portarsi via anche il peso della stanchezza. Perché no, dopotutto? Se qualche studente l’avesse visto, avrebbe potuto solo tranne un buon esempio. Iniziò quindi a muovere le gambe più velocemente, regolò il respiro con calma, lasciando che il suo corpo si abituasse al cambio di andatura. Pian piano, gli stivali di cuoio presero a battere sulla pietra e il suo mantello ad alzarsi spinto dal vento.
Non sapeva bene dove andare, le sedi delle classi erano lontane, la sede più vicina era quella con la biblioteca e la sala studio. Il territorio della scuola si estendeva per molti chilometri, fino alle prime colline boscose a Nord e al fiume impetuoso a Sud. Da Est a Ovest gli studenti erano liberi di vagare per le praterie desolate fino ai confini con la città di Edimburgo da una parte e il castello di un’antica famiglia, della quale però Jason non ricordava il nome, dall’altra. Negli anni in cui aveva insegnato, prima di diventare Preside, aveva imparato ad apprezzare la disponibilità di tanto spazio aperto. Gli studenti aveva bisogno di confrontarsi in spazi insoliti, che non fossero le classi. Inoltre all’aperto era difficile che danneggiassero le strutture con gli incantesimi. Spesso vedeva i ragazzi allenarsi all’esterno durante l’estate e a imparare a costruire accampamenti il più velocemente possibile durante i mesi invernali.
Jason ora correva a ritmo lento ma sostenuto, con falcate poco più ampie del normale. Si stava allontanando dal centro dei terreni scolastici, le strade lastricate erano, infatti, state sostituite da semplici sentieri battuti, ghiacciati dal freddo. Dovette stare attento a non scivolare, ma non fu difficile: conosceva ogni pezzo di quei sentieri a memoria, stampati nella mente da più di vent’anni di frequentazione. Arrivò nei pressi di una collina, che man mano s’innalzava ricoprendosi di alti alberi. Doveva essersi diretto verso Nord, era passato diverso tempo da quando aveva iniziato a correre; avvolto nel suo respiro sempre più affannoso e dal pulsare del sangue alle tempie, si era lasciato guidare dal ritmo del corpo, liberando lo spirito e la mente, riuscendo a percepire gli Spiriti che attorno al mondo formavano una luce argentea e dorata, simile a polvere luminosa. Come tutti i maghi e i cavalieri, percepiva quelle entità ma non sarebbe mai riuscito a capirle, a coglierne la vera natura. Erano perfezione e la perfezione non era cosa di questo mondo. Con questa consapevolezza, salì i primi metri della collina, penetrando il primo tratto d bosco. Da lì, poteva intravedere le distese di prati tutt’intorno alla scuola, la neve alta che nascondeva in parte gli edifici, puntini scuri e fumosi. Il cielo bianco si confondeva con la terra, il vento gelido levigava le colline e la neve, rendendo ogni cosa piatta e il suo contorno smussato. Poteva ancora immaginarsi il fischiare del vento contro le finestre e le vetrate del suo ufficio. Accaldato, non sentiva il freddo e lasciava che il viso e le mani accogliessero il vento pungente. Era meglio muoversi, comunque. Tra poco avrebbe ripreso a respirare normalmente e forse sarebbe stato troppo stanco per correre come prima, rischiando di rimanere troppo esposto alla temperatura quasi glaciale. Scese, attento a non sprofondare nella neve, dalla collina e ritrovò il sentiero. Di nuovo, involontariamente, perse lo sguardo nell’infinita distesa di neve. Scrollò le spalle e allungò le braccia e le gambe; riprese a correre, dirigendosi più a Sud, verso un’altra sede della scuola.
Quest’altro edificio era di enormi dimensioni, alto e largo, con le pareti possenti. C’erano le palestre, una per ogni piano, più gli spogliatoi e le docce nel sotterraneo. Ogni palestra era attrezzata e tenuta costantemente sotto manutenzione. Tuttavia, non c’erano i nuovi strumenti tecnologici che spesso gli umani avevano cercato di vender loro. Non era semplice attività fisica, quella che era insegnata lì, nessuno degli studenti aveva bisogno di quegli assurdi tapiroulant nei volantini pubblicitari. Vide che il fumo del riscaldamento usciva copioso da entrambi i camini della costruzione. Probabilmente erano occupate tutte e tre le palestre, quindi anche quella adoperata unicamente per le lezioni di Arte Suprema, l’arte del combattimento che era insegnata all’ultimo anno per i cavalieri. Decise che sarebbe entrato a dare un’occhiata, dopotutto non era insolito che lo facesse. Gli piaceva osservare quei ragazzi al lavoro, vedere come anno dopo anno prendevano consapevolezza di loro stessi e delle loro capacità. Sapeva benissimo quanto la scuola chiedesse a ognuno di loro ma sapeva anche quanta soddisfazione alla fine si aveva. Aveva rallentato l’andatura a pochi metri dall’edificio, ora camminava, lasciando che il respiro si regolasse con il suo passo. I muscoli delle gambe iniziavano a indurirsi ma non erano un problema, ne era abituato e sarebbe presto passato anche quel fastidio.
Il caldo lo colpì in pieno. Si tolse il mantello, si slacciò la parte sopra della tunica, quella più pesante, e arrotolandosi le maniche fino ai polsi. L’ingresso era costituito dall’entrata della prima palestra, una scala che portava ai piani superiori e a quelli inferiori, la parete occupata dalla porta d’ingresso e una terza parete interamente occupata da un affresco dello stemma della scuola, che non era altro che la ripresa delle due statue di studenti, una maga e un cavaliere. Dalla porta della prima palestra proveniva la voce forte ma fredda del professor Lodberg. Scese e come immaginava anche quella palestra era occupata. Gli spogliatoi, ampissimi, erano del tutto occupati dai vestiti degli studenti. Jason ci diede un’occhiata veloce, anche per assicurarsi che non ci fossero studenti che saltassero le lezioni. Deserti.
Risalì le scale, arrivando alla terza palestra. La porta era chiusa, segno che la palestra era occupata ma da essa non provenivano molti rumori, né voci concitate. L’Arte Suprema, soprattutto nella prima parte dell’insegnamento aveva poco a che fare con l’attività fisica, Jason lo ricordava bene, era piuttosto dedicata alla meditazione e alla presa coscienza di ogni minimo muscolo del proprio corpo. Non era il caso di disturbare quella lezione, ovviamente quella meditazione richiedeva la massima concentrazione e la sua presenza avrebbe sicuramente distratto gli studenti. Immaginò dovesse essere la professoressa Carline a tenere la lezione di Arte Suprema, poiché nelle altre due palestre aveva potuto riconoscere le voci maschili degli altri due professori, Lodberg e Grennor.
Rimase in mezzo alle scale per un attimo, chiedendosi se fosse comunque il caso di entrare in una delle palestre. Sarebbe potuto andare a vedere una lezione in una classe, ma questo avrebbe significato uscire di nuovo al freddo e Jason non era proprio sicuro di essere di nuovo pronto ad affrontare la temperatura sotto zero di quella giornata. Decise sarebbe andato da Lodberg, dopotutto gli aveva anche consegnato un rapporto, avrebbe potuto domandarne direttamente al professore il motivo.
- Forza lì in fondo, finite di arrampicarvi e poi calate le funi ai vostri compagni!
Nel momento in cui il Preside entrava, il professor Lodberg, di origine austriaca stava urlando dietro al gruppo più in fondo alla palestra, alle prese con la parete artificiale di arrampicata. I ragazzi a quanto pare trovavano difficoltà con l’ultimo passaggio finale della via.
Jason avrebbe voluto mettersi in disparte, aspettando almeno qualche minuto prima di parlare, ma Lodberg si accorse di lui subito dopo aver incitato i ragazzi a muoversi. Gli andò in contro, la divisa della scuola leggermente aperta, i capelli bruni sudati e spettinati.
- Preside Mirus! Non mi aspettavo una sua visita. Ora chiamo gli studenti.
Si voltò verso il gruppo più vicino e urlò:
- Il Preside è qui! Chiamate gli altri.
In meno di venti secondi, tutti i ragazzi, circa una trentina, era disposti in una fila composta davanti a Jason Mirus. Le divise, ovviamente quelle adatte a Lotta Libera, erano sporche di sudore segno che i ragazzi, divisi quasi equamente tra maschi e femmine, erano ormai da più di un’ora sotto sforzi fisici. A giudicare dalle espressioni e dall’altezza, dovevano essere una delle due classi del penultimo anno. Jason poteva quasi percepire la loro impazienza per riprendere l’esercizio lasciato in sospeso. Non li tenne, infatti, fermi a lungo, li diede solo una rapida occhiata benevola e poi con un cenno li lasciò andare.
Pochi secondi dopo, la palestra era tornata piena di voci e rumori. Jason fece un cenno a Lodberg, perché capisse che era lì per parlargli. Il professore fece un cenno a uno degli studenti affinché controllasse i compagni.
- Franz, ti vedo impegnato!
L’uomo sorrise e rispose:
- Ci sono molti ragazzi che hanno buone capacità per essere introdotti all’Arte Suprema, ma alcuni di loro sono troppo impazienti; spero che per la fine dell’anno riescano a regolarsi.
- Pensi quindi che la maggior parte sia destinata alle fenici?
Lodberg si grattò la testa, vagando con lo sguardo gli studenti. L’anno scorso era stato proprio Franz l’insegnate di Arte Suprema e aveva ancora l’occhio allenato, tuttavia non rispose subito. Li osservò per qualche istante in silenzio, poi disse:
- Devo ammettere che quest’anno è difficile fare previsioni. L’anno scorso è stato più facile. Credo si debba aspettare la fine dell’anno… - non finì la frase, ma cambiò discorso: - Immagino però tu non sia venuto qua solo per questo. C’è qualcosa che devi dirmi?
- Sì, in effetti. Ho visto che mi hai scritto un rapporto. Non l’ho ancora letto e ho pensato di venire personalmente a chiederti stamattina. Non avevo voglia di stare in ufficio, ho ricevuto anche brutte notizie da Filippo circa i ribelli…
- Sì, il professor Tristi ne ha parlato anche con me, ieri sera a cena. Temo che presto ti toccherà prendere qualche decisione spiacevole. Tuttavia, dici di essere venuto qua per il mio rapporto. Ebbene, non so se sia così importante, ma ho notato una studentessa, proprio di questa classe, e volevo sapere cosa ne pensassi.
- Una studentessa?
- Sì, nelle ultime tre lezioni non solo ha eccelso nella mia materia, ma informandomi con gli altri professori ho scoperto che nell’ultimo mese le sue capacità si sono improvvisamente sviluppate.
- Improvvisamente?
- Molto improvvisamente. Non che prima non fosse brava, ma era nella norma, brava come tutti gli altri. Nelle ultime lezioni però… ha qualcosa di diverso, non solo nella tenacia nell’applicarsi alle materie ma credo abbia maturato una parte del suo carattere. Forse però… - l’insegnate parve esitare un attimo – temo però possa diventare un aspetto del suo carattere dannoso.
- Credo di aver capito. Ha sviluppato un principio di ribellione, non è così?
- Non proprio, però diciamo di sì. È come se s’impegnasse perché non ce la fa più. Non è come gli altri studenti che sono impazienti di arrivare a capire la loro vera natura, maghi o cavalieri. Lei è solo determinata a uscire da qui per compiere qualcosa là fuori.
Jason rimase in silenzio. A sua volta, come poco prima Franz, osservò gli studenti che completavano l’ultimo ciclo di esercizi. I gruppi erano perfettamente coordinati, segno che gli studenti tra loro si conoscevano e avevano instaurato un saldo equilibrio di compiti e doveri.
- Non riesci a capire chi sia, vero? – Lodberg interrupe i suoi pensieri.
- Sì e questo mi preoccupa. Significa che sa bene come nascondersi.
- Esatto. Non penso l’avrei notata neppure io se non avessi fatto nelle ultime tre lezioni un torneo individuale di lotta grecoromana. La ragazza si è dimostrata una vera macchina da guerra, davvero impressionante.
- Indicamela.
- E’ quella nel gruppo che ora sta scalando la parete. Quella che sta salendo per prima.
- Quella con i capelli castani e lunghi?
- Sì esatto! Si chiama Renée Grison. Credo sia dalle parti di Nizza, probabilmente la sua famiglia ha origini italiane.
In quello stesso istante la studentessa aveva raggiunto la sommità della parete a una velocità impressionante. Con abilità assicurò la corda e si fece calare. La distanza impedì a Jason di coglierne i tratti, poi la ragazza sparì in mezzo al gruppo.
- Interessante. Credo anche di aver trovato il modo per tenerla d’occhio senza che perda reputazione tra i compagni. La nominerò mia assistente. Per quest’anno non l’ho ancora scelto e Carlo, il ragazzo dell’anno scorso quest’anno è all’ultimo anno e non posso rubargli tempo allo studio.
- Direi che hanno fatto bene a sceglierti come preside al posto della professoressa Carline, tre anni fa.
La risata dei due uomini fece girare a guardarli alcuni studenti più vicini. Jason sapeva bene che tra Carline e Lodberg non c’erano mai stati buoni rapporti, malgrado insegnassero la stessa materia e al tempo della scuola erano pure stati nella stessa classe, poiché coetanei. Erano usciti entrambi cavalieri, ma non potevano sopportarsi troppo a lungo, questo Jason l’aveva notato ancora quand’era insegnante. Ufficialmente lui non aveva mai mostrato alcuna preferenza tra i due, ma personalmente preferiva i modi di fare di Lodberg, mentre Carline gli appariva spesso ambigua e sempre con qualcosa da nascondere.
- Immagino che anche lei avrebbe fatto la mia stessa scelta, è l’unica soluzione che non comporti situazioni imbarazzanti. Dille di venire nel mio ufficio stasera dopo la fine di tutte le lezioni. Le farò un esonero per i compiti assegnateli per domani, so bene che la prima serata come mia assistente le sarà fin troppo faticosa!
Lodberg l’ascoltava ma allo stesso tempo osservava i ragazzi, ritto e con le braccia incrociate. Incombeva persino su Jason, che di statura non era alto, ma piuttosto robusto. Franz però non solo era alto ma aveva anche spalle ampie ed era muscoloso almeno quanto Jason. Un vero e proprio colosso.
“Non può essere altro che un cavaliere.”
I due si congedarono, poiché la lezione stava ormai finendo e Jason doveva tornare nel suo ufficio. Ora però aveva un lavoro in meno da fare, avendo parlato con Franz. Si sentì più leggero pensando a questo, mentre si riallacciava il mantello e si preparava ad affrontare il freddo invernale.
Nonostante ormai il sole fosse altro nel cielo, le nuvole basse impedivano che il calore giungesse completamente a scaldare la terra e il vento gelido sembrava essere aumentato rispetto a qualche ora prima. Con le mani nell’ampia e calda tasca della tunica si diresse velocemente verso un edificio lungo e scuro, con diversi piccoli camini, uno per ogni alloggio. Ricordò di aver lasciato acceso il fuoco, e ormai il suo ufficio sarebbe stato un forno. Quell’idea non gli fece poi così schifo, poiché iniziava a battere i denti dal freddo.
La corsa di prima gli aveva fatto bene, ma il sudore si era ghiacciato tra i tessuti e le gambe erano dure come legno. Persino respirare quell’aria, che di solito lo aiutava a schiarirsi le idee, in quel momento gli creava solo un fastidioso bruciore alla gola. Tossì due o tre volte prima di arrivare all’ingresso, che tuttavia non era poi così caldo come si immaginava. Lì, in effetti, il calore arrivava indirettamente attraverso i muri, non da un caminetto come nelle altre stanze. Si diresse in fretta nel suo ufficio. Come immaginava, era caldissimo lì dentro. Il fuoco ardeva ancora vivace, poiché prima di uscire aveva appena messo altra legna sul fuoco. Si tolse il mantello e lo mise al solito posto, appeso vicino al camino per asciugarlo. Non perse tempo alla scrivania, consapevole che infreddolito com’era non avrebbe terminato un bel niente. Aprì una piccola porta sulla parete sinistra laterale. Salì la scala e aprì la porta in cima a esse. Lì arrivava il caldo intenso del camino nell’ufficio, e in più Jason accese con un gesto rapido della mano il piccolo caminetto della stanza. Sentì la familiare sensazione degli atomi che piegavano alla sua volontà, reagendo tra loro per formare una scintilla sui pezzi di legno già posti nel camino, poi una volta che la fiamma fu accesa, ne regolò l’intensità, affinché non bruciasse il pavimento di legno. Il letto era ampio, con una pesante coperta rossa sopra. Un armadio a due ante occupava parte della parete in cui c’era anche la porta. Affianco al letto un comodino. Un’altra porta portava al bagno, e affianco a questa una libreria conteneva gli effetti personali di Jason, e cioè per la maggior parte libri.
Entrò nel bagno, si spogliò e lasciò che l’acqua si riscaldasse in modo naturale, preparandosi i vestiti per dopo. Tutti, all’interno della scuola, indossavano lo stesso tipo di divisa. Una maglia rossa scuro con lo stemma della scuola d’orato, dei pantaloni neri e comodi. Ovviamente c’era la tenuta invernale, una felpa rossa con lo stemma d’oro, una maglia nera con lo stemma bianco ricamato all’altezza del cuore, dei pantaloni neri felpati, un paio di stretti e robusti stivali che arrivavano fino a metà polpaccio. Anche le ragazze portavano i pantaloni, più per comodità che per una regola. Per l’estate era la stessa cosa, solo con dei pantaloncini corti fino al ginocchio, simili a quelli che utilizzavano in palestra. Tutti vestivano uguali, gli insegnanti era facile riconoscerli per il nome ricamato sulla maglia. Per le occasioni speciali tutti erano tenuti a indossare un’altra divisa, usata solo per quelle occasioni, e cioè un’unica tunica nera con un mantello rosso. Jason l’aveva indossata a ogni fine e inizio anno, e cioè quando ai ragazzi dell’ultimo anno erano consegnate o le collane di pietra o tatuate le fenici ai polsi o quando nella Sala del Raccoglimento tutti gli studenti erano accolti.
Si rilassò nell’acqua bollente, massaggiandosi i muscoli delle gambe ancora doloranti. Si bagnò i capelli scuri e corti. Decise di tagliarsi la barba, concentrò dell’energia sulla mano destra e se la passò delicatamente sul viso, poi si sciacquò. Non seppe di preciso quanto stette, quando sentì l’acqua raffreddarsi liberò la vasca e si asciugò. Indossò gli abiti che aveva preparato e uscì dalla stanza, scendendo nell’ufficio.
Avrebbe potuto riprendere subito il lavoro, ma ormai era l’ora del pranzo e si era ripromesso che l’avrebbe trascorso alla mensa. Prese di nuovo il mantello, ora asciutto, e uscì dall’edificio a passi veloci.
Fuori, ingobbiti dalla borsa con i libri e avvolti nei mantelli, gruppi di studenti si dirigevano verso la mensa. Anche nei loro alloggi c’era la possibilità di cucinare, ma tutti preferivano per il pranzo il refettorio poiché il pomeriggio avrebbero dovuto frequentare le lezioni. Solo la sera quasi nessuno restava nei luoghi comuni per le ore dei pasti, rintanandosi al caldo delle proprie abitazioni. Gli alloggi degli studenti erano piccoli appartamenti a schiera su due piani. Una cucina e una camera con bagno. Avevano massima libertà (alcuni studenti era anche fumatori) per quanto riguardasse il loro spazio personale. Ognuno di loro, persino i primini, non perdeva troppo tempo a capire come funzionassero le regole della scuola: massima libertà con eccellenti risultati. Alla Scuola, e quindi a Jason, bastava che i ragazzi mantenessero la media dei voti alta, non trasgredissero alle più basilari regole di convivenza e non cercassero di usare le conoscenze a loro trasmesse per scopi malvagi. All’ingresso della scuola, nell’imponente cancello di ferro scuro, era, infatti, incisa la seguente frase: “Insegnamo a essere eroi, non conquistatori.”
Il Preside si era spesso chiesto quanti tra i suoi studenti avessero davvero colto quella frase. Erano costantemente tenuti d’occhio sotto quest’aspetto e al minimo sospetto c’era l’espulsione dalla scuola. Jason osservò un gruppo di ragazzi del quarto anno chiacchierare tranquilli mentre aprivano la porta dell’edificio con la mensa. Solo l’ultimo di loro si accorse di lui e bisbigliando qualcosa anche agli altri, gli tennero la porta aperta lasciandolo passare avanti.
- Vale, princeps!
Jason fece un senno di saluto e batté la mano sulla spalla dello studente che gli teneva aperta la porta. La sede del refettorio era un’antica costruzione precedente all’intera scuola. In mattoni scuri, riscaldata durante quei lunghi giorni invernali da numerosi camini, era costituita da un’unica sala spaziosa con il tetto di legno. Anticamente doveva esser stata il granaio di un villaggio o una stalla per i cavalli dell’esercito. Diversi lunghi tavoloni di legno erano accostati alle pareti e allineati al centro, erano muniti di panche ampie e imbottite. Sul muro opposto all’entrata c’era il tavolo degli insegnanti, diverso da quelli degli studenti perché leggermente rialzato. I posti non erano stabiliti ma era usanza che il Preside si sedesse al centro del tavolo, in modo da poter dominare con lo sguardo l’intera sala. La sala era già piena, tutti avevano quel giorno deciso di pranzare nel refettorio e Jason con passi lunghi raggiunse il suo posto. A fianco a lui sedette il professor Tristi, infreddolito e con ancora addosso il mantello che Jason aveva invece adagiato sotto la panca.
Venne il personale a servire e tutti presero a mangiare. Per qualche istante ci fu quasi un silenzio assoluto, poi pian piano il brusio riprese a crescere.
- Immagino abbia letto il mio rapporto, Preside.
- Certo! Devo ammettere che quello che ha scritto mi ha leggermente preoccupato. Se mai i ribelli dovessero scendere nell’entroterra … non voglio pensarci! Noi maghi e cavalieri centriamo solo in parte con loro, forse potremo anche fare a meno di partecipare alla guerra.
- Temo, Preside, che non tutti i maghi e i cavalieri siano d’accordo con lei. Molti dei genitori degli studenti stanno già attivamente partecipando aiutando la nazione in cui vivono a contrastare i ribelli. Riterrebbero inopportuno che gli insegnati dei loro figli dicessero il contrario... personalmente però, condivido ciò che dice lei ma per una ragione in più: rischieremo di mettere in pericolo l’anonimato dei Tre Sigilli se partecipassimo a questa guerra.
Jason sentì un brivido lungo la schiena. I Tre Sigilli. Le Due Guerre di Dominio e le rispettive stragi d’innocenti.
- Perché dice questo? Gli uomini sanno che non possono avere i Tre Sigilli. Ci hanno già provato due volte in passato e dopo la Pace degli Dei questa storia sarebbe dovuta finire.
Filippo Tristi si passò una mano tra i folti capelli castani, che scompigliati gli incorniciavano il viso scarno e scuro. Rispose:
- Si ricorda di quando mi chiese di captare informazioni dall’esterno? – qui il suo sguardo si fece più eloquente e Jason non ci mise molto a capire cose intendesse: all’inizio di quell’anno, aveva chiesto a Tristi di procurarsi degli informatori all’esterno della scuola, oltre che a occuparsi delle solite ricognizioni, per potersi orientare sulle reali intenzioni dei capi di governo umani.
- Mi ricordo – disse, infatti, - vada avanti.
- Bene, non ci misi molto a farlo, trovai subito qualcuno disposto a raccogliere informazioni. L’altro giorno, subito dopo averle consegnato il rapporto, per questo non feci in tempo a scriverglielo direttamente lì, uno dei miei collaboratori mi fece arrivare questo messaggio.
Tirò fuori dalla tasca della felpa un foglio arrotolato e lo porse a Jason che con rapidità lo intascò a sua volta.
- In quel foglio troverà scritto il motivo della mia preoccupazione. Lo legga e domani mi faccia sapere, così da dare nuove disposizioni ai miei informatori.
Jason, che ancora teneva il foglio nella mano, lo strinse leggermente prima di tirare fuori la mano di nuovo. Il chiacchiericcio attorno a loro era in toni squillanti. Jason poteva quasi vedere come tra gli studenti non aleggiasse nessun tipo di preoccupazione e questo aumentò la sua per la loro incolumità. Inspirò forte e disse:
- Ottimo lavoro, Tristi. C’è altro?
Il professore parve esitare e i suoi occhi incredibilmente chiari per la sua carnagione scintillarono.
- Mi chiedo se… - si schiarì la gola – mi chiedo se lei sappia chi siano i tre eletti.
Jason sapeva perché fosse così esitante, dopotutto un’informazione simile era delicata. Tuttavia rispose sinceramente:
- No, non lo so. Non so chi siano quelli attuali, né i futuri eredi. Capisco anche perché vogliano tenersi nascosti. L’ultima volta si è quasi corso il rischio che venissero tutti e tre uccisi senza la possibilità di avere un erede. Immagino abbiano paura e li comprendo benissimo.
- Già, - Tristi sembrava più rilassato ora – dopotutto il loro compito non è di rivelarsi e utilizzare i Sigilli, ma di preservarli. E inoltre, dopo che avrà letto il foglio, capirà quanto sia meglio per loro restare nell’anonimato.
Jason sorrise:
- Così mi mette curiosità! Mi sono ripromesso di non leggerlo fino a stasera, non so se ci riuscirò visto come ne parla.
Anche il professore smise di essere preoccupato e si rilassò sulla panca:
- Sia mai! Faccia prima il lavoro per cui è qui, e cioè mantenere alto il prestigio di questa scuola poi pensi al resto.
Entrambi continuarono a conversare tra loro e gli altri insegnanti. La sala stava iniziando a svuotarsi e mezz’ora dopo sarebbero riprese le lezioni. Tristi aveva lezione quindi si affrettò a finire il suo pranzo. Si alzò facendo in cenno a Jason e agli altri insegnanti.
Una volta ch’ebbe finito anche lui di mangiare, non lasciò subito la mensa, ma si trattenne con la professoressa Loral di Lingue Antiche. Lei, come Tristi, era una maga e la pietra le brillava sopra la divisa rosso scuro. Scoprì che tra gli insegnanti si era già diffusa la notizia dei ribelli e che tutti tra loro erano impazienti di sentire ciò che Jason avrebbe deciso. Jennifer Loral cercò di insistere nel farsi dare qualche anticipazione ma lui riuscì, con la scusa di doversi rimettere al lavoro, a sviare e terminare la conversazione.
“E’ bene anche che mi metta seriamente a lavoro, ormai tutto gli studenti sono già andati via.”
All’uscita dalla mensa trovò Carlo Bonasti, lo studente dell’ultimo hanno che era stato il suo assistente, che lo trattenne brevemente:
- Princeps, mi scusi solo un secondo. Ha già scelto il nuovo assistente?
- Bonasti! Stasera stessa comunicherò la mia decisione alla diretta interessata. È una ragazza del nono anno. Forse la conosci.
- Milara Guarnì?
- No, si chiama Renée.
Lo studente annuì e rispose:
- Sì, Renée. Un’amica di Milara, la conosco di vista ma non c’ho mai parlato. Beh, le dica pure che se le serve qualcosa, può venire a chiedermi!
- Certamente, ora però vai o arriverai in ritardo alla lezione!
Carlo sorrise e scosse la testa biondo scuro. Salutò Jason, si scostò di qualche passo, pronunciò a mezza voce un incantesimo e sparì senza lasciare traccia.
Jason si era quasi dimenticato che agli studenti destinati a essere maghi, l’ultimo anno, era insegnato anche come spostarsi alla velocità della luce. Tuttavia, non si aspettava che Carlo fosse già in grado si padroneggiare un incantesimo simile. Altri ragazzi però attorno a lui comparvero e scomparvero come nulla fosse e lo stesso fece Loral non appena uscita dalla mensa.
A passo sostenuto, il tempo non era migliorato da prima, rientrò nel suo ufficio, provando una leggera invidia per i maghi che potevano spostarsi comodamente senza per forza esporsi al freddo.
 

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Capitolo 2
*** 2 I Ribelli ***


Il pomeriggio passò, ghiacciato e lento. Mirus finì di leggere i rapporti, per fortuna non preoccupanti come quello di Tristi, per poi dedicarsi al primo abbozzo degli esami di fine anno. Non era troppo presto per occuparsene, contando il numero di classi e studenti della scuola. In genere i primi esami erano già ad Aprile, poiché ogni studente non solo aveva un esame scritto per ogni materia, pratico per Lotta Libera e Arte Suprema, ma anche un orale, che per i neo maghi significava anche dimostrare di saper controllare alla perfezione l’Incantus Primum. Contando che c’erano almeno sessanta studenti per ogni anno scolastico, il numero di esami da preparare diventava enorme ed era un compito totalmente riservato al Preside.
Il sole si ritirò già alle quattro di pomeriggio. Per le sette, quando finalmente Jason poté appoggiare la penna sul tavolo e stirarsi le braccia doloranti, l’oscurità regnava nei domini della scuola. Si alzò per sgranchirsi le gambe e attizzò il fuoco. Camminò per l’ufficio, perdendosi tra i titoli dei libri sugli scaffali. Lì si trovava di tutto, gli argomenti sembravano infiniti. Jason avrebbe voluto avere il tempo di leggerli tutti ma era un’impresa irrealizzabile.
“Anche perché è già tanto che io abbia il tempo di respirare, certi giorni!”
Per la prima volta, dopo settimane, si rese conto di essere stato così impegnato dai suoi doveri, che non aveva mai pensato a Karin. Lei era una maga e viveva a Londra. Non la vedeva dall’inizio della scuola, poiché lei non era un’insegnante e lui non aveva ancora avuto la possibilità di andare a trovarla. Non che all’interno della scuola fosse proibito avere rapporti di questo genere, non era insolito che nascessero, ma non era consentito che chi non fosse insegnante, o studente, o custodi o inservienti alloggiasse all’interno del perimetro scolastico. Segretamente Jason ringraziava per l’esistenza di questa regola. L’idea che Karin gli fosse sempre attorno lo imbarazzava e innervosiva. Cercò di pensare a lei con dolcezza, ai suoi capelli chiari e ricci, ma le uniche cose che gli vennero in mente furono le sue occhiate fredde e indifferenti, che usava solo per mascherare ciò che davvero pensava. Era una cosa che di lei non aveva mai sopportato ma all’inizio ci era passato sopra, troppo preso da lei. Ora invece, non riusciva neppure a ricordarsi perché gli piacesse così tanto.
L’ultima volta che si erano visti era stato a fine agosto, la sera prima che Jason lasciasse Londra per dirigersi in Scozia, prima a Edimburgo e poi alla scuola. Lei era stata così distaccata non appena si era accorta che lui era di cattivo umore, peggiorando solo le cose e offendendosi, quasi pensasse che lui lo facesse apposta! A pensarci, Jason ebbe un moto di stizza e diede un colpetto allo scaffale che in quel momento aveva affianco. Si morse il labbro, ricordandosi di controllare la sua forza e di non lasciarsi andare a simili rancori. Per ora erano distanti e magari questo avrebbe giovato a entrambi. O forse no? Che la distanza non facesse altro che rendere chiara l’inevitabile rottura del rapporto? Su questo, l’opinione di Jason tentennò. L’amava ancora? L’aveva mai davvero amata? Chissà lei, dietro quella finta maschera d’indifferenza, che cosa pensava. In quel preciso istante Jason avvertiva la sua mancanza? L’avrebbe voluta lì con lui?
Non gli ci volle poi molto per rispondersi. Non le mancava, in quei quattro mesi non le era mai mancata. Sospirò e in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Con un gesto stanco della mano, senza spostarsi dallo scaffale su cui era appoggiato, face aprire la porta. Il colore scarlatto della divisa della studentessa brillò assieme allo stemma dorato una volta che fu illuminato dalla luce allegra del fuoco. La ragazza aveva ancora il mantello e tremava dal freddo.
- Vale, princeps! Sono Renée Grison. Mi è stato riferito che mi cercava…
Jason, nello stesso istante in qui la vide, si riscosse dai suoi pensieri. Se n’era quasi dimenticato di quella ragazza. Maledì la sua vita complicata ed esclamò:
- Vieni pure avanti, Renée. Chiudi la porta e scaldati pure qualche minuto, quando starai meglio parleremo.
- Ho fatto qualcosa di male?
Jason cercò di sorriderle ma era ancora per metà immerso nei suoi pensieri. Si limitò a dirle:
- No, tranquilla.
Renée si accostò al fuoco, togliendosi il mantello e appoggiandolo sopra quello di Jason. Ora che non era distante, e ora che Jason aveva indosso gli occhiali, poté guardare davvero la studentessa. Non era alta, ma aveva un fisico asciutto e slanciato. La carnagione era pallida, in contrasto con i capelli castani scuri, quasi neri, che teneva raccolti sulla nuca. Portava anche lei gli occhiali che le evidenziavano il viso magro e gli occhi castani chiari. Non le ci volle molto per scaldarsi e si mosse nervosa verso la scrivania. Jason era già seduto e l’aspettava assorto. Ci fu un attimo di silenzio. I suoi occhi scuri incontrarono i suoi chiari, che inspiegabilmente gli ricordavano l’Italia assolata che aveva visitato con suo padre. In quel momento si accorse del suo nervosismo e si riscosse:
- Dunque, come ti ho detto prima non ha nulla da temere, anzi. Ho saputo che i tuoi voti nelle ultime lezioni sono migliorati molto.
Era ancora insicura, ma concesse un sorriso. Jason continuò:
- Bene, come tu sai, ogni anno sono tenuto a scegliere uno studente, o una studentessa, possibilmente del penultimo anno, come assistente. L’hanno scorso ho scelto Carlo Bonasti ma quest’anno lui finirà il suo soggiorno alla Scuola. Avevo pensato a te come sua sostituta. Potresti esserne interessata?
La ragazza sembrò incerta, forse credeva davvero che Jason l’avesse chiamata per punirla. Aspettò che rispondesse:
- Preside, io sono molto sorpresa, ci sono studenti migliori di me.
- Non vuoi?
Questa volta Renée parve agitarsi e si affrettò a rispondere:
- No, accetto volentieri! Sono molto sorpresa, ecco tutto. – arrossì violentemente quando Jason si allungò verso di lei per prendere un foglio bianco. Fece finta di non notare nulla, ma dentro di se ne rimase sorpreso. Franz gli aveva parlato di una ragazza tenace e determinata, non insicura e timida.
- Allora, da domani ogni sera verrai qua e la mattina prima delle lezioni dovrai consegnare i rapporti che ti avrò consegnato la sera prima. Potrà capitare che ti debba chiamare anche durante le lezioni, ma cercherò di far in modo che accada il meno possibile. Carlo potrà assicurarti che non uccido in genere i miei assistenti, – la ragazza si lasciò un po’ andare e sorrise – quindi non hai nulla da temere.
Finì di scrivere, poi le consegnò il foglio:
- Questa è la giustificazione per non aver potuto svolgere i compiti per domani. Non preoccuparti, gli insegnanti saranno comprensivi quando non riuscirai a portare totalmente a termine i compiti da un giorno all’altro. Ti prego però di non sentirti obbligata, sei libera di non diventare mia assistente.
Renée prese il foglio, ringraziandolo.
- Posso andare, ora?
Jason stava per dirle di sì, ma poi, guardando fuori nel buio pece, sentì una morsa allo stomaco. Pensò anche ai ribelli che nelle coste attaccavano e distruggevano. Guardò la sua assistente e le sembrò incredibilmente fragile. Le rispose:
- Ti accompagno.
Lei sgranò gli occhi:
- No, non serve, signore! Vado benissimo da sola.
- Non si discute, accompagnavo anche Carlo molto spesso – mentì lui spudoratamente, ma lei non se ne accorse e chinò la testa.
- La ringrazio, Preside.
In silenzio s’infilarono i rispettivi mantelli e uscirono. Non c’era anima viva e fuori la temperatura era incredibilmente ghiacciata che ad entrambi mancò il respiro. Tutti, alunni e insegnanti, si erano rintanati nel caldo delle proprie camere. Le strade erano completamente gelate.
Senza rompere quel silenzio, camminarono per almeno cinque minuti in silenzio. Renée aveva l’alloggio dalla parte opposta, il che significava quasi un quarto d’ora di camminata nella più completa oscurità.
- Credo sarà necessario illuminare in qualche modo almeno le strade più usate, durante la notte o gli studenti nuovi rischiano di perdersi. – Jason lo pensò ad alta voce e sentì affianco a lui la ragazza respirare a fondo per scaldare l’aria che inspirava. Non rispose alla sua considerazione, e Jason si accorse di quanto si stesse sforzando per non tremare dal freddo.
Stava per chiederle se fosse tutto apposto, quando la vide scivolare e cadere malamente lunga distesa sulla strada lastricata. Non emise un gemito ma Jason intravide il suo viso contratto dal dolore.
- Renée! Dove ti sei fatta male?
Lei scattò quasi subito in piedi, puntellando il piede sinistro.
- Sto bene, Preside! È solo una storta… - era diventata ancora più pallida. Appoggiò il piede ma lo rialzò subito. Tremava sempre di più.
- Sta ferma.
Prima che potesse opporsi di nuovo, la prese in braccio. Non era troppo pesante, non fosse stato per il mantello. La strinse a se per scaldarla.
- Preside, io…
- Silenzio. Per fortuna volevi andare da sola, eh? Non voglio più sentire storie. Ho il dovere di assicurarmi che voi tutti studenti stiate bene, a costo di portarvi uno per uno in braccio! Ora pensiamo ad arrivare al tuo alloggio, lì vedremo di sistemare la caviglia e domani mattina andrai subito all’infermeria. Senza discutere, è un ordine, chiaro? – si sorprese del suo tono severo e allo stesso tempo preoccupato. La ragazza non rispose ma sentì la sua testa contro il suo petto annuire.
Riprese a camminare quasi a passo normale. Aveva fatto sforzi ben peggiori con quelle braccia. In più, averla vicino scaldava anche lui. La sentì rilassarsi mano a mano che lui prendeva un ritmo di camminata sempre più costante. Arrivarono presto al suo alloggio. Qua e là c’erano luci accese e un leggero vociare. Nulla di anormale per i quartieri degli studenti.
- E’ questo qui, Preside.
Si fece dare la chiave ed entrarono. Attraversarono la cucina e l’adagiò sul letto. Concentrò degli atomi sulla stufa della stanza fino a produrre una scintilla che in pochi istanti prese ad ardere allegramente. Si tolse il mantello e si fece dare il suo. Li sistemò sulla sedia. Intanto lei si tolse gli stivali.
Il piede sinistro era gonfio e sanguinante. La parte di rinforzo dello stivale si era spaccata tagliandole la pelle. Il gonfiore era dovuto alla storta.
In meno di venti minuti la disinfettò e fasciò la caviglia.
- Hai qualche antidolorifico qui?
- Sì, in cucina, sullo sportello sopra il frigo.
Non se lo fece ripetere. Lo trovò facilmente e sciolse in acqua la pastiglia. Tornò in camera, Renée si era distesa completamente. Gli occhi esprimevano tutta la sua stanchezza. Le porse il bicchiere e lei bevve con una smorfia la medicina amara.
- Avrei potuto curarti con la magia, ma non mi fido molto delle mie capacità curative. – Jason si accarezzò lievemente i polsi. Durante un’operazione di difesa, negli anni subito dopo la scuola, era stato ferito ad una gamba e aveva cercato di ricucirsela da solo. Aveva quasi rischiato di rimetterci tutto l’arto giacché il suo intervento non era valso a nulla e il taglio si era infettato.
La ragazza fece un sorriso tirato, poi chiuse gli occhi. Istintivamente Jason le accarezzò la fronte. Scottava leggermente. Temendo che quel suo gesto la imbarazzasse si scostò subito e rimase ad osservarla. Quella ragazza non stava bene neppure prima che si facesse male.
- La prossima volta che scopro che non ti riposi quando stai male giuro che ti metterò in punizione.
Questo le fece aprire gli occhi, l’espressione era sorpresa e mortificata:
- Preside, mi scusi ma oggi avevo…
Lui la interruppe alzando la mano e lei lasciò morire la frase senza terminarla.
- Ora dormi. Domani sarai esonerata dalle lezioni. Chiederò al custode di portarti in infermeria, intesi?
- Sì, Preside.
- Buonanotte.
- Buonanotte anche a lei.
Uscendo, le spense la luce.
Fuori, qualche luce qua e là era ancora accesa. Vide un’ombra uscire da uno degli alloggi più in fondo e dirigersi verso di lui, che rimase seminascosto per non farsi riconoscere. La figura lo superò e imboccò la stessa strada che portava alla sede degli insegnati. Riconobbe la sagoma del professor Grennor, alta e magra.
Jason sorrise, immaginando che Hugh non si trovasse lì per qualche lezione fuori orario. Non era insolito che gli insegnati avessero relazioni con gli studenti, anche se ovviamente non potevano essere che dell’ultimo o penultimo anno. Dopo dieci anni a stretto contatto, era plausibile che si creassero legami particolari tra le persone. Alla Scuola non erano proibiti, ma ovviamente l’insegnante era tenuto a non fare favoritismi per quanto riguardasse l’ambito scolastico. Era abbastanza scontato e non c’erano mai stati problemi di nessun tipo.
Seguendo l’esempio del collega si incamminò a sua volta verso il suo alloggio. Era stanco e infreddolito. Stava già pregustandosi le coperte calde e il meritato riposo quando, infilando la mano dentro la tasca della felpa, sentì la consistenza di un foglio. Dovette trattenersi dal non prendersi a schiaffi da solo: il messaggio di Filippo!
“Era meglio se non avessi perso troppo tempo a preoccuparmi di Karin, prima. Mi sono distratto dai miei doveri.”
Lì, in mezzo alla strada deserta e buia, sotto un cielo incredibilmente scuro e nuvoloso, Mirus decise di fermarsi. Corrugò la fronte e si concentrò. Ci mise quasi un minuto, ma finalmente riuscì a concentrare delle particelle luminose davanti a lui, all’altezza degli occhi che gli permisero di distinguere la strada lastricata dalla neve. Riusciva anche a vedere i contorni degli edifici, prima un ammasso irregolare soltanto più scuro del cielo. Tirò fuori il messaggio, deciso a non perdere altro tempo. La scrittura era a lui sconosciuta ma chiara e dai tratti decisi.
Capo, come chiesto da lei, sono riuscito a chiedere notizie circa gli sviluppi dei rapporti internazionali. I capi di governo tedeschi, russi, turchi, egiziani e statunitensi premono affinché i governi italiani e inglesi si mettano alla caccia degli eletti dei Tre Sigilli. McBannon, il presidente degli Stati Uniti ha inviato delle truppe offensive in Canada come provocazione. Come giustificazione sostengono che i Tre Sigilli possano definitivamente metter fine alla minaccia dei ribelli. La regina non si è ancora espressa, ma all’interno del parlamento ci sono delle pressioni per schierarsi con chi minaccia l’incolumità degli eletti. L’Italia ha posto un netto rifiuto e anche la Grecia si è schierata dalla sua parte, ma è comprensibile: non si sono dimenticati la lezione dell’ultima guerra.
Il mio collega Nuvola è riuscito ad arruolarsi come guardia reale sotto il falso nome di August Johanson. Non gli sarà più possibile comunicare con lei direttamente, qualsiasi disposizione per Nuvola la dica a me che gliela riferirò il prima possibile. I Francesi si sono dichiarati neutrali ma secondo alcuni collegamenti che ho in Francia sembrano più inclini a schierarsi con l’Italia, il Regno Unito, il Canada e la Grecia.
I ribelli stanno diventando un problema non indifferente e temo che anche noi prima o poi ne saremo coinvolti. Vogliono i Tre Sigilli anche loro, temo. Dica a chi di dovere nella Scuola di tenere d’occhio chiunque, potrebbero nascondersi lì gli eredi dei Sigilli e/o patteggiatori per i nemici.
Vale.
 
Jason, sebbene avesse finito di leggere, non si mosse e lasciò che implacabile il freddo lo facesse rabbrividire. Tutta la stanchezza si era dissolta in pochi istanti, sostituita da un generale senso d’allerta e di adrenalina. Rilesse in breve il messaggio. Lo rilesse ancora. Tutto quello che era scritto sembrava pesare tonnellate.
“I ribelli arriveranno qua. Pensano di trovare qui gli eredi! È assurdo, non possono davvero pensare che ci arrenderemo facilmente. Inoltre, nessuno sa chi siano gli eletti…” ma sapeva benissimo che avrebbero potuto scoprirlo. C’era un modo: attraverso la meditazione maghi e cavalieri potevano percepire l’energia che gli Spiriti avevano accumulato nei Tre Sigilli e calcolarne la posizione più o meno precisa. “Ma solo noi sappiamo farlo, non si possono percepirli senza le conoscenze dell’Arte Suprema o dell’Incantus Primum.” La sua mente si annebbiò un attimo. Un traditore. Qualcuno, mago o cavaliere, aveva tradito. Per allearsi con chi? Con i Paesi interessati ai Sigilli o con i ribelli? Perché poi, avrebbe dovuto tradire? Cosa gli, o le, avevano offerto per tradire il suo popolo?
Battendo i denti, scosse la testa, rimise il foglio piegato nella tasca e ritornò all’alloggio. Troppi pensieri gli si accavallavano e nessuno di questi gli sembrava ottimista.
Quella notte, nevicò di nuovo. La neve scese lenta e triste, coprendo ogni cosa. Non ci fu quello spettacolo bello e malinconico di quando nevica durante la notte. Quella neve ricordò a Jason la morte, il pericolo imminente. Dormì male e fece sogni allucinanti. Sognò gli occhi freddi di Karin inghiottirlo fino a soffocarlo, poi sognò la battaglia in cui aveva visto morire sua sorella e poi ancora sognò un umbra, vagante per la Scuola, entrare e scrutare chiunque, in cerca degli eredi. Cercavano anche lui, Jason Mirus, volevano farlo prigioniero e assieme al traditore c’era anche una figura vestita con la divisa scolastica, rideva fredda. Jason cercava di capire chi fosse ma non poteva muoversi e più la figura e l’ombra ridevano più lui sentiva dolore e urla.
Altre due persone fecero un sogno simile, un’ombra vagava per Scuola e cercava, scrutava i volti di insegnanti e studenti con le dita gelide di morte. Poi arrivava a loro e quegli artigli li ghermivano i cuori, sussurrando implacabile di averli imprigionati.
 

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Capitolo 3
*** 3 Brutte Sorprese ***


La mattina dopo quella notte, queste tre persone si alzarono con lunghe occhiaie sul viso tirato e pallido, insolito per la carnagione di Jason. L’ansia di quei sogni non lasciò nessuno dei tre per diverse notti e tutti e tre lo ripeterono. Nelle stesse notti, nello stesso istante.
Renée si rimise dopo tre giorni e si accorse subito di come il Preside fosse spesso assente con lo sguardo, come se cercasse di indagare oltre la struttura delle cose, aldilà persino degli atomi. Più passava il tempo, più lui le sembrava angosciato. Ma nessuno di loro tre confidò a qualcuno del loro incubo e tanto meno Renée si sentì autorizzata a chiedere a Mirus cosa lo tormentasse. Le bastò rendersene conto e sperare per lui che non fosse nulla di grave. In qualche settimana si abituò completamente al nuovo ritmo che si era creato con l’aggiunta del ruolo d’assistente. Il Preside Mirus, come aveva promesso, cercava di farle pesare il meno possibile il lavoro.
Nelle settimane che seguirono fu una notizia pubblica che i ribelli avevano trovato una fortissima resistenza sulle coste Nord della Scozia. Maghi e cavalieri assieme all’esercito del Regno Unito avevano creato un muro umano. Il professor Tristi fu spesso sostituito nelle lezioni dallo stesso Mirus ma nessuno degli studenti se ne preoccupò, era di pubblico dominio l’incarico esterno che aveva. In più, l’isolamento necessario per gli studi impediva ai ragazzi di sapere cosa accadesse e i rapporti di Tristi erano l’unica possibilità per restare aggiornati. I primini vivevano quasi ignari, troppo ingenui per capire. Sentivano la tensione degli studenti più grandi e ne rimanevano turbati ma lo studio occupava la loro mente per tutta la giornata. Gli insegnati e gli studenti più anziani quasi li invidiavano e allo stesso tempo si auguravano che non dovessero mai preoccuparsi. Tra professori e studenti degli ultimi quattro anni era nato un tacito accordo affinché gli studenti più giovani non fossero turbati e quando Jason se ne accorse non poté fare a meno di sentire sulle sue spalle aumentare il peso delle sue responsabilità verso quei ragazzi.
Ogni due mesi c’era una settimana in cui i corsi erano sospesi per dare la possibilità di raggiungere i propri familiari. Alcuni studenti non sempre tornavano a casa e rimanevano nella scuola assieme ai custodi che erano gente del luogo e che a casa tornava ogni sera. Lo stesso valeva per gli insegnanti. Jason stesso rimaneva alla Scuola, un po’ perché non sapeva dove andare, i suoi genitori erano morti e non aveva una casa ad aspettarlo, un po’ perché erano quelle settimane a rivelarsi le più utili. Senza la frenesia delle lezioni aveva più tempo per riflettere e sbrigare il suo lavoro per gli esami. Quella settimana tutti gli studenti fino al quinto anno tornarono a casa mentre gran parte degli studenti più anziani rimase alla Scuola, godendosi la scuola tutta per loro, chiacchierando con gli insegnati, anch’essi rimasti tutti, come se fossero amici. Anche per questo motivo Jason preferiva rimanere alla Scuola, l’atmosfera era cordiale ma rilassata. Gli studenti era troppo grandi per creare problemi di disciplina. Passavano le giornate invernali al caldo degli alloggi o camminando veloci e stretti l’uno all’altro per scaldarsi. Molti usavano le palestre per migliorare il proprio fisico. Gli insegnanti per quella settimana non potevano dare compiti e a loro volta, usavano quella settimana per rilassarsi, godendosi la pace.
In queste particolari settimane, le coppie giravano per i terreni scolastici con la massima libertà. Filippo e Franz passavano le ore più calde passeggiando stretti l’uno all’altro per i sentieri ghiacciati mentre Grennor e Harleen passavano gran parte del tempo assieme. Dove e a fare cosa, nessuno lo metteva in dubbio. Una cosa era evidente, nessuno, tra studenti e professori pensava lontanamente allo studio o alle lezioni. Quei sette giorni erano la loro vacanza e nessuno aveva intenzione di riempirla con i propri doveri.
Quella settimana in particolare, con tutti gli studenti più giovani tornati al sicuro nelle case di famiglia, fu assaporata da tutti con più intensità. Quasi come dovesse essere una delle ultime, se non l’ultima. Era ovvio che prima o poi la Scuola sarebbe stata coinvolta in quella guerra e probabilmente avrebbe dovuto combattere contro tutti. Tristi presentava a Jason un rapporto il più dettagliato possibile su tutto ciò che accadeva quasi ogni giorno utilizzando tutti i suoi contatti, ma a causa della forte resistenza che avevano trovato i ribelli in Scozia, nessuno si muoveva senza prima aver visto come sarebbe andata a finire.
Pensando a questo, ormai nel mezzo della settimana di riposo, dopo quasi quindici giorni dall’attracco dei ribelli, Jason si affrettava a finire la sua cena nel suo alloggio. Era solo. La sera prima Franz e Alek Kurcov, il burbero professore russo che quell’anno insegnava l’Incantus Primum, si erano uniti a lui in una specie di festicciola. Non era mancato il buon vino rosso puntualmente ordinato da Alek dall’Italia, consapevole di quanto piacesse allo stesso Jason e a Franz, al quale però nessuno degli altri due era mai riuscito a farlo ammettere. Lodberg, tra un bicchiere e una risata, aveva giurato che non avrebbe mai tradito la sua birra tedesca ma era stato giudicato da entrambi i colleghi come un falso e meschino tedesco troppo orgoglioso. La serata si era conclusa con l’arrivo di Filippo, che si era trattenuto con altri studenti per la cena, che aveva ritenuto conveniente per il sempre più allegro tedesco andare a dormire.
Salutati i due, con Franz che non la finiva di ridere, Alek e Jason erano rimasti ancora un po’ al tavolo, scambiandosi veloci battute, finendo di sorseggiare il vino rimasto. Una volta che ebbero realizzato quanto ne avessero bevuto non poterono fare a meno di complimentarsi per la loro resistenza. Jason però vedeva leggermente sfuocato e Alek urtò contro la scrivania del suo ufficio diverse volte, prima che riuscisse a ricordarsi da che parte fosse l’uscita. Entrambi incolparono la stanchezza.
La sera seguente, invece, Jason stava mangiando da solo, godendosi il silenzio e la tranquillità del suo alloggio riscaldato a dovere dal camino. Nonostante la mattina avesse lamentato il solito mal di testa, l’allegria della sera prima l’aveva aiutato a rilassarsi e a non rifare più quell’incubo che spesso lo tormentava. Finito di mangiare, mise le vettovaglie sporche in bagno, dove gli inservienti le sarebbero andate a prendere la mattina dopo. Si stiracchiò e svogliatamente passò un dito sopra la copertina dei libri della sua libreria privata. Nulla però lo invogliava e decise di andare a cercare qualcosa nella libreria dell’ufficio. Ma già mentre scendeva le scale cambiò idea, giacché sapeva che avrebbe trovato solo libri scolastici. Puntò al mantello e uscì. Nell’ingresso incontrò due professori e si scambiarono un cenno di saluto.
Sebbene fosse freddo e orami buio, c’era ancora qualcuno che passeggiava per le strade lastricate. Sentì delle risate e seguendo lo sguardo vide un gruppo di ragazzi giocare a pelle di neve. Si muovevano velocissimi e con agilità, sfruttando ogni fibra muscolare. Si accorse però che tra loro ce n’erano alcuni che si limitavano a scomparire poco prima che la palla li colpisse per riapparire qualche metro più in là. Vide una ragazza divertirsi a incendiare la neve poco prima che la colpisse. Li superò e le loro risate si persero man mano che si allontanava.
Arrivò alla biblioteca della scuola ed entrò. Comprendeva anche la zona studio ed era l’edificio più grande tra tutti. Tre piani di scaffali, scrittoi e poltrone. Tre camini per stanza e delle enormi scale di marmo italiano. La quantità di libri era impressionante, neppure Jason sapeva quanti ce ne fossero.
In quella biblioteca non solo era possibile trovare tutto quello che si volesse sapere in merito alle materie scolastiche ma era anche possibile usufruire di un quasi infinito numero di libri per svago. Era una delle aree scolastiche preferite da tutti, essendo un punto di ritrovo e scambio di sapere. Infatti, persino a quell’ora la biblioteca era aperta. Per ogni piano c’erano diversi tavoli e poltrone. Jason, entrando si tolse il mantello poiché l’edificio era riscaldato. Si sorprese però di trovarla deserta. Almeno nel primo dei piani non c’era anima viva. Salì le scale e neppure lì trovò qualcuno. Così neppure al terzo piano. Alzò le spalle e, destreggiandosi tra gli alti scaffali, attraversò la sala e scelse di cercare in uno di narrativa. Dopo qualche secondo, si dirigeva soddisfatto verso una poltrona di tela nera di fronte al camino più vicino.
Deciso a leggere quella sera almeno i primi tre capitoli, si mise comodo e per diversi minuti nessuno avrebbe potuto dire che ci fosse qualcuno anche al terzo piano della biblioteca. E infatti, Renée non si accorse di lui finché non svoltò dietro uno scaffale, trovandosi davanti al camino e quindi a Jason, che tuttavia non si accorse di lei, immerso nella lettura. La donna non aveva fatto rumore camminando e rimase ad osservarlo in silenzio. Lo scintillio delle fiamme nei suoi occhiali gli dava una strana espressione agli occhi scuri. I capelli leggermente brizzolati, decisamente meno curati rispetto al solito, erano completamente spettinati e arruffati. Così anche per la barba, non tagliata. La tunica rossa s’intonava alla pelle non troppo chiara. L’espressione tirata e stanca che gli aveva visto nei giorni precedenti era stata sostituita da un leggerissimo sorriso, appena accennato. Muoveva gli occhi, riga dopo riga, soffermandosi solo pochi secondi in alcuni punti. Non riusciva a vedere che libro stesse leggendo, ma l’aveva iniziato da poco. Rendendosi conto che erano passati diversi secondi senza che lui si accorgesse che lo stava guardando, Renée si mosse decisa a non farsi scoprire ad osservarlo ma il nervosismo la tradì e i sensi di Jason avvertirono la sua presenza. Lui alzò gli occhi velocemente dal libro, con un’espressione distratta e curiosa allo stesso tempo. Quando la vide aprì e richiuse sorpreso la bocca e poi le sorrise tranquillo:
- Renée!
La studentessa si rilassò quando capì che Jason non si era accorto che era da un po’ che era lì. Gli rispose:
- Buonasera, Preside. Scusi se l’ho disturbata…
- Veramente mi stavo chiedendo come mai fossi l’unico in questo posto, lo trovo così accogliente in questi giorni freddi. – appoggiò il libro sul tavolino davanti alla poltrona e si stiracchiò – Inoltre queste poltrone sono fin troppo comode. – restò in silenzio per qualche istante senza distogliere lo sguardo benevolo dalla ragazza, poi come riscuotendosi disse:
- Immagino però che tu voglia leggere in pace.
- Beh, ero venuta per cercare un libro ma non ho molta voglia in questi giorni di leggere. Lei sa meglio di me, Preside, cosa sta succedendo a Nord e io… - non finì la frase, si morse le labbra e chinò la testa per nascondere la sua espressione preoccupata.
- Già, sei preoccupata. Capisco, ma finché riescono a trattenerli qui sei al sicuro. – si alzò e si avvicinò a lei, che non aveva ancora rialzato la testa, e si mise poco distante da lei appoggiandosi a sua volta allo scaffale. Quando Renée rialzò la testa riuscì a terminare la frase:
- I miei genitori vivono in Francia e io sono nata lì ma la famiglia di mio padre è italiana. Alcuni dei nostri parenti italiani fanno pressione affinché mi tolgano dalla Scuola e mi tengano al sicuro dalla guerra nella nostra casa in Francia.
- In Francia, dove?
- La nostra casa è poco fuori Nizza, un bel posto, princeps… ma io voglio restare qui, qualsiasi cosa succeda! Voglio finire gli studi qui. Sa, io sono la prima della mia famiglia…
- I tuoi genitori sono uomini?
- Sì, e così i miei nonni. E così i loro nonni, nessuno è stato alla Scuola.
- I tuoi ti hanno da subito accettato?
- Loro sì, ma non tutti i miei parenti, soprattutto i genitori di mio padre, lui si chiama Francesco. I miei nonni hanno cercato diverse volte di dissuadere i miei a mandarmi qui. Hanno portato l’esempio di alcuni loro amici che hanno deciso di non diventare maghi o cavalieri ma io ho sempre sentito che sarei dovuta venire qua.
Per la prima volta Renée si confidava con qualcuno. E quello che più la sconcertava era che quel qualcuno fosse il Preside che l’ascoltava appoggiato allo scaffale con le braccia conserte, senza perdersi una parola. Lei gli raccontò di quanto avesse dovuto discutere contro la propria famiglia per questa cosa, finché a diciassette anni, l’età in cui si entrava alla Scuola era arrivata lì senza dire nulla a nessuno, neppure ai suoi genitori. Jason la interruppe ricordandosi che in quell’anno lui non insegnava ancora ma era in giro per il mondo. Renée concluse:
- Dopo nove anni pensavo che anche il resto dei miei parenti avesse accettato la cosa, ma a quanto pare aspettavano solo l’occasione giusta…
Jason aggrottò la fronte:
- L’occasione giusta?
Lei annuì e si morse le labbra al ricordo dell’ultima lettere che aveva ricevuto da suo padre. Spiegò, lasciando trasparire una nota di amarezza nella voce:
- Aspettavano solo che i ribelli arrivassero qua vicino per fare pressione sui miei genitori per allontanarmi dalla Scuola. Dicono che è per la mia sicurezza ma io so che invece è solo per non doversi vergognare di me, perché non sono come loro. Anche se tornassi solo per vedere i miei genitori, sono sicura che persino con la forza cercherebbero di trattenermi lì. Per questo resto qui… e anche perché il minimo che posso fare per la Scuola è essere disposta anche a difenderla!
Nei suoi occhi si accese una luce diversa e Jason, malgrado intenerito dalla tormentata vicenda di Renée, non se la fece sfuggire e si sentì compiaciuto.
“Dunque è questo ciò che intendeva Franz. La ragazza ha forza di carattere e sembra non aver paura di andare contro tutti. Interessante… bisognerà far in modo che questo suo istinto non vada contro i principi della Scuola.”
- Renée, poiché Preside posso garantirti che finché non saranno ai cancelli della Scuola tu non avrai mai a che fare con i ribelli, né con questa guerra, come qualsiasi altro studente di questa scuola. È mio compito proteggervi, assieme a tutti gli altri professori. Non dovrai rinunciare a te stessa, te lo prometto. – le appoggiò la mano sul braccio. Lei arrossì leggermente, ma non perse quella luce negli occhi né si scostò dalla stretta di Jason.
Lentamente, l’altra mano di Jason trovò la sua e la strinse. Sentendo uno strano rimescolamento allo stomaco, Jason si chiese cosa stesse accadendo e stava quasi per rendersene conto con tutto lo stupore che potesse provare quando si accorse che Renée era alta come lui e che gli sembrava che si stessa avvicinando con il viso al suo. Però anche Jason stava avvicinando il suo viso al suo, e stava chiudendo gli occhi, aspettandosi quasi di svegliarsi all’improvviso da quel sogno. Stava accadendo davvero, invece. Si baciarono. Appena, leggermente, però contemporaneamente si abbracciarono con forza e Renée sentì il suo cuore nell’orecchio battere quasi normalmente quando appoggiò la testa sul suo petto. Lui la circondò con le braccia i fianchi e le sue mani le sembrarono fremere quando la strinsero. A sua volta lui appoggiò il mento sulla sua testa, sperando che la sua barba sfatta non le desse fastidio e assaporando dopo settimane lo stesso profumo che le aveva sentito quando l’aveva dovuta portare di peso all’alloggio. I suoi capelli chiari lo solleticarono ma non gli diedero fastidio. Lei si scostò e lui la baciò di nuovo, questa volta più a lungo e la morsa allo stomaco divenne più opprimente. Cercava di pensare ma non riusciva. Avvertiva l’insicurezza di Renée tra le sue braccia e la strinse ancora di più. Non poteva togliersi dalla testa lo sguardo della ragazza prima che si baciassero, così deciso e caldo. Così diverso da quello di Karin…
Sentì l’inquietudine crescergli e interruppe il bacio, senza però lasciarla andare. Il fuoco scoppiettava e la luce soffusa delle luci da lettura era sempre la stessa. Renée era così diversa da Karin, possibile che fosse per questo che l’aveva baciata? Renée era diversa da tutte le altre donne che avesse mai conosciuto ed era anche così giovane… sentì lo stomaco rigirarsi e ne capì finalmente la ragione: era come se non fosse sicuro di star facendo la cosa giusta. Sarebbe stato meglio andarsene subito dopo averla consolata come aveva fatto, nulla di più. Renée però era lì, non si spostava e restava abbracciata a lui. Era imbarazzata perché lui le piaceva, non perché fosse timida… o invece no? Forse aveva così tanta paura di lui che non aveva neppure il coraggio di negarsi… la cosa lo fece rabbrividire. Lui non l’avrebbe mai fatta una cosa simile, doveva assolutamente staccarsi da lei e chiudere subito questo malinteso.
Poi Renée improvvisamente si staccò e lo fissò con gli occhi dalle mille sfumature castane diritti nei suoi scuri. Non disse nulla, gli prese il viso con le mani e lo baciò e a quel punto Jason capì che non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte. Quegli occhi… quel profumo…
- Jason! Jason, sei qui?
In meno di cinque secondi Jason e Renée si erano allontanati l’uno dall’altra di parecchio, evitando di guardare l’altro e sentendosi avvampare come ragazzini. Sentì la voce di Franz, allarmata dire.
- Accidenti, non è neppure qui, dove diavolo è?
Jason respirò a fondo, poi gridò dirigendosi verso la voce:
- No, Franz, sono qui!
I due si vennero incontro, Renée comparse qualche istante dopo, con una faccia il più genuinamente sorpresa. Aveva un libro in mano e la faccia di una che si fosse appena svegliata. Franz, agitato come non mai in quasi dieci anni di conoscenza, non la degnò di uno sguardo e si rivolse a Mirus con fare concitato:
- Presto, non c’è tempo! Filippo è stato ferito… ha partecipato a un’azione difensiva contro i ribelli. Ci sono dei traditori, Jason! Maghi e cavalieri, educati in questa scuola, traditori del loro popolo…
Vide Renée trattenere il fiato e a sua volta sentì come una botta alla testa. Dunque sospetti di Jason e del professor Tristi non erano poi così sbagliati… purtroppo.
- Dov’è Tristi? Portami da lui. Subito!
Franz gli fece un gesto e si diresse verso l’uscita ma si bloccò ricordandosi di Renée. Jason lo anticipò e disse:
- Lasciala venire, ormai ha sentito tutto e in più è la mia assistente.
Franz non fece obiezioni e non appena furono usciti da lì, iniziarono a correre così veloce che quasi non lasciarono impronte sulla neve.
Superarono la sede con la sala del Raccoglimento e gli alloggi degli insegnanti. Gli studenti li guardavano stupiti, ma non c’erano insegnanti in giro. Arrivarono alla sede dell’infermeria e dei dormitori degli inservienti. Si fermarono all’entrata e i due inservienti al loro arrivo aprirono in fretta le porte. I tre si tolsero velocemente i mantelli e li diedero a loro.
Tristi era sdraiato su uno dei letti d’emergenza, detti così poiché era possibile operare il paziente senza doverlo spostare in una tavola da sala operatoria. Il corpo era coperto da un telo grigio che lasciò intendere a Jason e Renée quanto grave fosse la salute di Filippo. Era appena stato operato d’urgenza e aveva gli occhi chiusi e i capelli appiccicati alla fronte pallida. Le mani erano molle lungo i fianchi e fasciate fino al polso.
- Che diavolo gli è successo? – mormorò Jason, turbato.
Franz, che sembrava sul punto di perdere il controllo, rispose con voce atonale:
- Dei maghi. L’hanno attaccato in contemporanea e sapevano chi era. Gli hanno distrutto parte dello stomaco e bruciato le mani per impedirgli di salvarsi da solo. Se non fosse stato per delle guardie scozzesi non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo. Per fortuna c’era un chirurgo del campo che è riuscito a ritardare la totale emorragia dello stomaco.
- Un medico umano? – Renée sembrava sorpresa.
- Sì, non so chi sia, ma si è dimostrato eccezionalmente capace. È grazie al suo intervento che Filippo sia vivo. Volevo dire, il professor Tristi. – l’agitazione gli aveva tolto l’aria severa che manteneva con gli alunni, osservava il compagno con ansia e premura.
Jason gli mise una mano sulla spalla e gli disse:
- Lasciami solo con lui per qualche minuto, poi potrai tornare. – Franz annuì e si diresse verso l’uscita, Jason guardò Renée e le fece un cenno. Lei abbassò la testa e seguì Lodberg.
Lui si avvicinò al letto d’infermeria. Erano soli, ora. Strinse la mano del professore, terribilmente fredda, che lentamente aprì gli occhi.
- Filippo, cos’è successo?
Lui tossì, dalla sua pancia uscì un rumore strano e Jason si sentì montare la nausea. Ecco perché tenevano il telo grigio, Tristi aveva lo stomaco all’aria.
- Ero andato al campo per la solita ricognizione ma arrivai durante un attacco. Decisi di parteciparvi e stava andando bene. Poi, dalla prima linea sento i soldati scozzesi urlare la ritirata. Io ero con il gruppo di maghi e vediamo i cavalieri dirigersi verso di noi urlando. E all’improvviso, subito dietro i nostri che scappavano, sono spuntati loro, i maghi traditori. Non ho visto cavalieri ma maghi sì.
- E ti hanno fatto questo? Li hai visti in faccia?
- No, era mascherati. Noi ci siamo subito organizzati, mentre i cavalieri creavano una zona difensiva per i soldati. Eravamo quasi riusciti a scacciarli quando due di loro hanno fatto un’Evocazione Proibita…
Jason avrebbe voluto vomitare, ma disse:
- Va’ avanti.
- Preside, era un’Evocazione Proibita, pochissimi sono i maghi che dovrebbero conoscerla. Non so chi l’abbia insegnata a loro. La situazione è più grave di quanto temessi. Ci hanno paralizzati e ha me hanno fatto questo, perché sapevano che ero un insegnante della Scuola e che ero vicino a lei, Mirus.
- Me? Perché mai?
- Hanno ritenuto poco importante dirmelo. Prima che perdessi coscienza uno di loro mi ha detto di avvertirla che prima o poi sarebbero venuti a prenderla, assieme agli altri due.
- Cosa diavolo… - Jason stava cercando di riprendersi dallo stupore quando Filippo, nonostante le bruciature, gli strinse con forza la mano e lo interruppe:
- Non so cosa sia più grave tra queste cose, ma prima che ci attaccassero con l’Evocazione, uno dei due maghi ha immobilizzato uno dei soldati dalla sua parte e l’ha ucciso con un Rituale. Era un sacrificio per l’Evocazione, usano gli uomini come prede dei sacrifici.
- Un Rituale? Di che tipo?
- Un Rituale Antico, è proibito persino insegnarlo. I libri che contengono questi insegnamenti sono nascosti qui da qualche parte.
- Neppure io so dove siano… gli sarebbe per forza servito sacrificare quell’uomo per quel tipo di Evocazione?
- Sì… ma non tanto perché altrimenti non avrebbe funzionato…
- Perché allora? Dimmelo! – Jason si morse il labbro quasi a farlo sanguinare. Stava perdendo il controllo.
- Perché quell’Evocazione è proibita e quindi richiede al mago che la pratica un pegno affinché possa usarla. O lui o l’altro mago sarebbero dovuti morire per usare quell’Evocazione ma attraverso il Rituale Antico sono riusciti a uccidere il soldato al posto loro.
Filippo era, se possibile, ancora più pallido. Le ultime frasi le disse con un sussurro, poi chiuse gli occhi. Jason gli mise una mano sulla vena del collo. Il battito c’era, ma debole.
Si alzò e andò all’uscita. Un mago chirurgo lo aspettava lì e al suo arrivo gli fece un cenno. Jason lo ringraziò e lasciò che finisse di prendersi cura del suo collega.
All’ingresso Renée e Franz l’aspettavano in silenzio. Il professore era chino su una sigaretta fumante mentre la ragazza si stava mangiando le unghie. Tra tutti, era quella che ne stesse capendo meno di tutta la storia. Franz si accorse di lui per primo e gli chiese ansioso:
- Come sta? Che ti ha detto?
- E’ debole, deve riposare e starsene al sicuro. Per il resto, la situazione là fuori è più grave di quanto pensassimo sia io che lui. Stanno cercando gli eredi dei Tre Sigilli e pensano che io sia uno di loro.
Entrambi sgranarono gli occhi. Renée sembrava sul punto di svenire e disse con un filo di voce:
- Come… come fanno ad esserne così certi? E sanno chi siano gli eletti?
Jason scosse la testa. Sentì un’altra ondata di vomito salirgli alla gola, ma la trattenne con forza:
- Non lo so, non ci sto capendo nulla. Ho bisogno di tempo per pensarci. – chiamò un inserviente che era rimasto nei pressi della porta nel caso dovessero arrivare altre persone e gli ordinò: - Dì a tutti i custodi di condurre gli studenti agli alloggi e di evocare delle barriere difensive attorno ad essi. Poi voi tutti vi rinchiuderete qui, anche i custodi. Non devono lasciare i territori della Scuola, per la loro incolumità. Chiunque faccia domande, ditegli la verità e che è per la loro sicurezza.
L’inserviente non rispose neppure e se ne andò di corsa.
Lodberg inspirò a fondo e disse:
- Io torno da lui, stanotte starò qui. Buonanotte. – e sparì dentro l’infermeria.
 
Jason e Renée s’incamminarono assieme, in silenzio. Al bivio, avrebbero dovuto separarsi ma si fermarono alcuni istanti, guardandosi ma senza dir nulla. Sempre in silenzio, Jason l’accompagnò all’alloggio. Renée si trattenne dal parlare finché non furono arrivati:
- Preside, quello che è successo…
- Per favore, chiamami Jason. Quello che è successo cosa?
La guardò negli occhi e avrebbe voluto darsi una martellata sui piedi con tutte le sue forze. Anche lei lo guardava, con gli occhi socchiusi e un’espressione interdetta. Si voltò e infilò e chiavi per aprire l’appartamento, dicendo a denti stretti:
- Nulla, buonanotte.
Jason le prese la mano e la strinse, mollandola subito. Lei lo fissò son una luce diversa, speranzosa ma poi vide l’ombra scusa dei suoi occhi e tornò seria.
- Non doveva accadere, lo sai…
- Perché?
- Perché sono il tuo Preside!
- Lo dica ad Hugh Grennor e German Trebar! Non usi questa scusa ridicola, sa benissimo che non è così. – aveva ripreso a dargli del lei. Lui sentì qualcosa che non avrebbe dovuto sentire, un tuffo al cuore ma non mollò la presa. “E’ per il suo bene”, pensò.
- Non voglio dover metterti in una situazione impossibile da gestire. I tuoi parenti già è tanto che ti lascino concludere gli studi, pensa se sapessero…
- Sono io a decidere che scelte fare e sono io che ne subirò le conseguenze. Chiunque scelga per me non potrà mai capire se ha fatto bene o male, perché le conseguenze le subirò io, solo io.
Entrò in casa.
Jason avrebbe voluto piangere. Sentiva il vomito salirgli e così le lacrime dietro gli occhi, ma qualcosa le bloccava. Si diede dell’idiota e si avviò per la strada verso il suo alloggio.
Nel cielo neppure una stella e la luna era piccola e poco luminosa. Il contorno dei nuvoloni era appena distinguibile. Avrebbe nevicato anche quella notte e faceva già abbastanza freddo perché la neve caduta si ghiacciasse completamente. Jason batteva i denti, pensò sarebbe stato un buon momento per piangere, che era un peccato non riuscirci.
- Fermati.
Si voltò e la rivide, qualche metro ancora distante. I capelli spettinati e il mantello buttato in disordine sulle spalle. Non riusciva a vederle il volto. Le si avvicinò e le strinse la mano come aveva fatto poco prima.
- Perché sei tornata?
Lei sorrise amaramente:
- Non posso voltare le spalle al mio Preside, soprattutto se sono la sua assistente e soprattutto ora che avrà bisogno più del solito di qualcuno che l’aiuti. E anche perché non riesco ad essere arrabbiata con te.
Questa volta fu lui però a sentirsi incompreso:
- Sai che non lo sto facendo per me…
- Lo so, infatti non riesco ad arrabbiarmi con te, anche se vorrei perché renderebbe tutto più facile. Vorrei poterti dire addio…
- No. – Jason avrebbe voluto bruciare quella parola, cancellarla – Il nostro non è un addio. Come hai detto tu io ho bisogno di un’assistente e tu sei qualificata per esserlo. Inoltre, se ti esonerassi, perderesti reputazione sia tra gli insegnanti che tra i tuoi compagni. Ci vorrà del tempo per ricucire le ferite…
Lei, senza preavviso, gli sfiorò la fronte con le dita, proprio dove Jason aveva una cicatrice, vecchia appena di qualche mese.
- Sta attento a non ferirti troppo.
L’abbracciò e anche Jason ricambiò l’abbraccio. Lei gli sussurrò:
- Non sono tornata perché ero arrabbiata con te, ma perché sono innamorata di te. Ricordatelo ogni volta che mi vedrai tornare indietro.
Quasi la odiò, perché con quella frase aveva completamente distrutto ciò che gli era rimasto del suo senso del dovere. Stette zitto e non la guardò in faccia. Lei non aggiunse altro. Avvertì la sua figura allontanarsi dalla parte opposta. Anche lui s’incamminò ma dovette fermarsi a un certo punto. Guardò il cielo per qualche istante, sperando di vedere qualche luce, poi vomitò.

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Capitolo 4
*** 4. Rosso di sangue fraterno ***


2
Nei giorni seguenti, non fu facile spiegare ai ragazzi di ritorno dalla settimana di pausa che da quel giorno in poi, per la loro sicurezza, sarebbero dovuti restare sempre all’interno dei confini scolastici e sempre mai completamente soli. I domini della Scuola erano vasti e aperti ma la dispersione degli edifici per le lezioni e gli alloggi rendeva anche più facile far sì che ci fosse sempre qualcuno in tutte le zone. Oltre ai custodi, scelti tra maghi e cavalieri apposta per gestire situazioni simili, oltre che al semplice compito di occuparsi degli studenti, ora anche gli stessi insegnanti iniziarono a controllare tra una lezione e l’altra che non ci fossero attività insolite o sospette attorno alla Scuola. Jason stesso qualche volta pattugliava personalmente i domini. Sostituiva Tristi per ogni lezione poiché il professore aveva bisogno di un lungo periodo per riprendersi (solo due giorni dopo i due maghi chirurghi erano stati in grado di ricucirgli completamente la pancia). I ribelli, nonostante l’attacco a sorpresa dei maghi traditori, non erano ancora riusciti a sfondare la difesa scozzese. Alcuni familiari degli studenti erano arrivati con loro per prendere parte al combattimento, portandosi dietro quanti più aiuti possibili. Tutti sembravano aver preso un muto accordo di affidare a Jason il controllo della situazione. Jason ne ebbe la totale consapevolezza solo quando, dopo diversi giorni dall’accaduto, furono avvistate al cancello della scuola almeno sei persone.
Jason era assieme a Renée e Franz nella sala del Raccoglimento, dove erano comunicate a studenti e professori le ultime novità e dove Jason si riuniva con i suoi colleghi per discutere su quale comportamento adottare con le nazioni all’estero. I tre in quel momento avevano appena finito di esaminare per centunesima volta la mappa dei domini scolastici, nel tentativo di migliorare la difesa dei confini, difesi normalmente da alcuni Incanti di Difesa e di Mascheramento affinché gli uomini non se ne avvicinassero troppo. Lodberg avrebbe voluto occuparsi personalmente assieme a un gruppo scelto di custodi di piazzare delle trappole segrete, che Jason stesso aveva visto in pratica durante il suo mandato in guerra, mentre Renée, un po’ timidamente, si era offerta di organizzare tra gli studenti degli ultimi due anni un supporto agli insegnanti per il controllo della Scuola. Il Preside, dal canto suo, aveva quella stessa notte rifatto il solito incubo che lo assillava da quasi un mese e per questo in quel momento avrebbe voluto stendersi sulla fredda pietra della sala e riposarsi. Si sentiva la mente intorpidita e un cerchio terribile alla testa.
Guardò gli altri due, senza però ascoltarli davvero. Franz portava i segni della sua preoccupazione costante per la salute di Filippo, ma allo stesso tempo la sua razionalità l’aveva fatto giungere alla conclusione che il miglior modo per prendersi cura di lui era difendere la Scuola. Renée, avvolta nella lunga divisa invernale e con i capelli raccolti, non cercava mai di mettersi contro quello che gli insegnanti dicevano ma se l’era possibile, non esitava a dare suggerimenti. Poiché sua assistente, aveva il permesso di assistere alle loro riunioni e Jason le lasciava volentieri la possibilità d’intervenire. Non aveva mai più cercato di parlargli in privato di quello che era successo tra loro, senza però privarlo delle normali conversazioni e per questo Jason le era molto grato. Non aveva la forza neppure di ammetterlo a se stesso, ma saperla al suo fianco, silenziosa e attenta a ciò che le accadesse intorno, gli dava sicurezza e allo stesso tempo sapere che lei non lo odiava per la scelta che aveva preso, gli toglieva un grande peso da tutti quelli che doveva già portare. Inclusa Karin che ancora, in qualche modo, si teneva stretta un pezzo di lui.
- Dunque, Preside, - era Franz in quel momento a parlare - se dividessi questa squadra in alte tre più piccole…
Il portone della sala si aprì in quell’istante e Franz s’interruppe. Comparve un custode, i tratti indiani che dopo un breve cenno di saluto si rivolse a Jason:
- Princeps, sei persone sono state viste al cancello della Scuola. Hanno con loro la bandiera scozzese. Il professor Grennor chiede istruzioni, non si fida a farli entrare.
- Presto, torni da Grennor e gli dica che prepari almeno sei persone per andare incontro ai nostri sospetti ospiti. Il settimo sarò io. Al mio arrivo voglio la squadra pronta.
Appena il custode uscì, Jason si diresse da solo al suo alloggio. Aprì il suo armadio personale e indossò l’armatura, composta da fasce di cuoio che coprivano tutto il suo corpo e rese impenetrabili da una sua segreta tecnica, che era riuscito a perfezionare durante il suo ultimo mandato al fronte. Questo trattamento gli permetteva di non indossare le ingombranti armature in dotazione dei cavalieri e di poterla nascondere sotto il mantello, apparendo disarmato e attaccabile. Si aggiustò la spada, rilegata nel fodero, dietro la schiena per non farla vedere tra le pieghe del mantello. Era molto simile a un gladio romano, non troppo lunga o pesante come quella che spesso invece aveva visto usare da altri cavalieri. Un po’ più sottile del gladio e lunga almeno quanto la sua schiena, manico compreso. Indossò il mantello e controllò che il mascheramento funzionasse, poi ritornò da Franz e Renée che lo aspettavano all’ingresso.
Il cancello della Scuola, chiamato dagli studenti Donna di Ferro, era uno dei cancelli più alti e larghi che si possano immaginare. Chiuse sia con chiavistelli, sia con incanti formulati unicamente per quel cancello. Il ferro con cui era costruito era rinforzato al suo interno con delle altre leghe lavorate dai cavalieri. Una volta chiuso non ci si poteva avvicinare più di dieci metri perché altrimenti sarebbe scattata la controffensiva automatica degli incanti.
Una volta giunti, Renée e Franz si unirono al gruppo di professori, custodi e studenti lì attorno mentre Jason si rivolse al professor Grennor che lo aspettava assieme ad altri cinque insegnanti: Trebar il cavaliere insegnante di grammatica, Kurcov il mago che si occupava dell’Incantus Primum, Yamel il mago secondo insegnante di Lingue Antiche, Rennart il cavaliere che insegnava Combattimento e Johaarson, il cavaliere insegnante di Pozioni.
- Mirus, ho scelto loro. Immagino tu voglia uscire per parlare con loro senza farli avvicinare troppo a Scuola.
- Esatto, prima però raggruppa gli altri e dì a Franz di portare assieme a un altro insegnante gli studenti presenti lontani da qui. Solo quando non saranno così vicini al cancello lo apriremo.
- Me ne occupo subito.
Ci fu un attimo di confusione non appena Franz e Danny Garnit, il mago professore di Retorica, iniziarono a chiamare gli studenti e a radunarli. In quel momento, Renée si avvicinò a lui:
- Fammi venire con te, là fuori.
Jason avrebbe voluto lasciarsi andare a esclamazioni colorite ma mantenne il controllo:
- Non mi sembra il caso, non so chi siano potrebbe essere pericoloso. E poi tu sei una studentessa e non posso concederti questo privilegio, anche gli altri lo vorrebbero.
La giovane fece per protestare ma lui le lanciò un’occhiata eloquente. Di nuovo però, rivide lo stesso sguardo di fuoco nei suoi occhi e come le altre volte se ne sentì attratto come calamite. Si sentì in colpa e cercò di spiegarle:
- Renée, lo sai che non lo… - ma lei scosse la testa con un’espressione rassegnata, e raggiunse i compagni.
Una volta allontanati gli studenti, non senza che alcuni tra loro protestassero, i sette professori, con Mirus in testa, uscirono dal cancello prima che questo fosse completamente aperto. Si richiuse alle loro spalle. La neve copriva ogni cosa e la strada battuta era completamente ghiacciata che camminando nessuno di loro lasciò impronte sul terreno.
- Mirus, sono lì. Davanti a noi.
Jason li aveva visti. Un gruppo di sei persone a qualche metro di distanza. Anche loro li avevano visti ma non li vennero incontro, consci che gli Incanti di Difesa arrivavano fin lì. Mirus e gli altri si mossero fino a loro. Quando furono a soli due metri di distanza, Jason si accorse che erano tutti soldati con la divisa scozzese tranne uno, vestito in abiti civili. Era rosso di capelli e il luccichio degli occhi verdi si vedeva anche da distante. Non era altissimo e i vestiti invernali lo ingobbivano leggermente. A un certo punto fece un gesto nervoso con la mano destra, portandosela al viso e premendosela per qualche istante sulla bocca. Alla vista di quello scatto, Jason fece un sorriso spontaneo e naturale sentendo anche il resto del corpo rilassarsi.
- Jamie, fratello mio!
- Per gli Spiriti, Jason!
I due, tra lo stupore di tutti, si andarono in contro e si abbracciarono con allegria. Avevano entrambi lo stesso taglio degli occhi quando sorridevano ed erano alti uguali. Si staccarono e Jamie, con gli occhi smeraldo scintillanti li fissò in quelli luminosi e scuri di Jason.
- Accidenti, sei diventato Preside, chi l’avrebbe mai detto! – rise e rifece lo stesso gesto nervoso di pochi istanti prima.
-E tu, allora? Capitano! Non ti avrei mai riconosciuto se non fosse per quel gesto.
Avevano anche quello stesso modo a tratti strascicato di parlare, magari con la bocca in un mezzo sorriso. Per il resto, sarebbe stato difficile scambiarli per fratelli, anche perché Jason, il più anziano, era scuro di capelli mentre Jamie era visibile anche a metri di distanza per la sua chioma rossa accesa. Persino gli occhi erano completamente diversi, non fosse stato per la stessa luminosità che però in quelli verdi del Capitano era ironica e attenta, mentre in quelli scuri di Jason era scherzosa, leggermente infossata verso l’interno per nascondere dietro l’espressione allegra i veri pensieri del Preside cavaliere. Jamie inoltre, sebbene fosse alto come il fratello maggiore, era di corporatura decisamente meno appariscente. I tratti del viso, infine conferivano a Jason un che di posato e allo stesso tempo irrequieto mentre Jamie mostrava un viso aperto, sebbene avesse uno sguardo intelligente e attento.
Nonostante il desiderio di entrambi di non far finire quel momento di genuina allegria, quasi come d’intesa, tutti e due si fecero seri. Ora avevano in comune anche l’angolatura della bocca.
- Penso di indovinare dicendo che purtroppo tu non sei venuto fin qui solo per una visita di cortesia.
- Purtroppo hai ragione. Come hai detto tu, sono Capitano e lo sono diventato in funzione di rappresentare i maghi e i cavalieri intervenuti contro i ribelli qui, nella Scozia del Nord. Per quanto si continui a bloccarli, la brutta sorpresa dei maghi traditori ci ha messi in difficoltà e il morale è a terra. – un’ombra gli passò negli occhi verdi e rifece il gesto rapido della mano alla bocca, mentre il viso di Jason s’induriva sempre di più in un’espressione seria.
- Forza, entriamo e riposatevi, poi parleremo.
Il tempo che ci volle perché il cancello si aprisse e chiudesse permise a Jason di osservare i compagni del fratello: tre maghi e due cavalieri. Sorpreso, non si era portato dietro nessun soldato scozzese come guida e si chiese se tra i cinque sconosciuti ci fosse un nativo del posto.
Grennor si occupò di sigillare il cancello mentre Kurcov ripristinava gli Incanti di Difesa rimossi per far passare i nuovi arrivati. Come si aspettava, molti studenti erano rimasti nei paraggi del cancello, troppo incuriositi. Tra questi c’era Renée che quando si accorse di lui si dileguò verso la sede delle aule. Franz lo raggiunse e si presentò:
- Sono Franz Lodberg, un professore della scuola. – poi rivolse lo sguardo verso Jason: - Abbiamo detto ai custodi di controllare gli studenti. Possiamo riunirci tranquillamente nella sala del Raccoglimento.
- Perfetto, ma prima credo sia il caso di far riposare i nostri ospiti.
Jamie s’intromise:
- Jason, preferisco parlare prima. Almeno delle cose più importanti. Per lo meno, io posso aspettare ma i miei compagni possono anche congedarsi. – nel dirlo guardò gli altri cinque, e uno di loro, vista l’età appena uscito dalla Scuola, disse:
- Grazie, Capitano, preferiremo riposarci.
Franz si offrì di condurli dai custodi che poi li avrebbero mostrato i loro alloggi.
I due fratelli rimasero soli. Si avviarono verso l’ufficio del Preside, all’inizio in silenzio. Jamie era stato ovviamente uno studente della scuola, ma mai si sarebbe aspettato di tornarci in una situazione simile. Lui e suo fratello non si erano visti per quasi sei anni a causa del mandato segreto di Jamie che l’aveva costretto a viaggiare in incognito per il Senato per quasi tutto quel tempo. Jason era diventato nel frattempo Preside della Scuola. Lo guardò di sottecchi camminare affianco a lui, lo sguardo assorto e i lineamenti familiari tirati. Quel luccichio scuro degli occhi che sembrava prenderti per gioco e allo stesso tempo mostrava tutta la benevolenza di Jason lo aveva sempre fatto sembrare a Jamie perfetto per guidare un esercito. Invece, lui era diventato l’uomo d’azione, Jason si era rivelato il più adatto per una vita assorta, dedita agli altri. Perché era questo che essere Preside comportava: non pensare per se stessi se non dopo aver pensato per altri seicento studenti.
Jason si accorse di Jamie e del mezzo sorriso sulle labbra del fratello. Lo ricambiò e disse:
- Incredibile come tu sia dannatamente uguale a quando eri un ragazzino.
Jamie sbuffò:
- Spero tu intenda nell’aspetto, altrimenti siamo nei guai.
- Appunto, sei nei guai e guarda da chi sei venuto a piangere? Da me! – e rise sommessamente.
Il rosso gli diede una leggera spallata, consapevole di quanto fosse inutile contro la stazza del fratello. Ribatté:
- Tu invece sei diventato una balia perfetta, ti manca solo il grembiulone bianco come ce l’aveva la nostra governante da piccoli e saresti uguale a lei!
Ridacchiarono ancora un po’, godendosi quello sprazzo di felicità prima del dovere. Sapevano entrambi che la loro conversazione, una volta tornati nei rispettivi ruoli, non sarebbe stata così leggera. Jamie, in particolare, per quanto fosse felice di averlo rivisto, avrebbe preferito di gran lunga non dover parlare con lui.
Giunsero all’ingresso dell’edificio. Una volta dentro, Jason si divertì a guardare l’espressione di Jamie davanti alle due statue, un misto tra orgoglio, consapevolezza e divertimento. Gli notò l’accenno di rughe ai lati degli occhi e della bocca, e le mani nervose fremere tra le pieghe del mantello che aveva addosso. Lo vide portarsi la mano destra sulla bocca, in quel gesto che, da quando Jason poteva ricordare, aveva sempre avuto.
“E’ cambiato, ormai è Capitano, dev’essere un’enorme responsabilità da gestire, soprattutto in questi anni.” Si ricordò il suo periodo nell’esercito, d’obbligo per i neo cavalieri. I maghi potevano scegliere o di interessarsi subito all’insegnamento oppure di fare un percorso di tre anni per entrare nel Senato per poi scegliere di interessarsi alla vita bellica. Lo stesso per i cavalieri, una volta terminato l’obbligo di cinque anni nell’esercito, potevano scegliere tra le tre opzioni: insegnamento, politica o forze armate. C’era la possibilità anche di dedicarsi all’arte ma i Talenti erano abbastanza rari e inoltre non era sempre facile misurarsi con i più anziani del mestiere. Quasi inconsapevolmente si chiese tra i suoi studenti ce ne fosse almeno uno. Quando era a scuola lui, c’era stata una donna con il Talento della Pittura.
- Accidenti Jason, t’invidio.
- Ah, davvero? – Jason rimase stupito – Perché mai?
- No so come potrei spiegartelo, ma tutto questo… è magnifico. E tu ne sei a capo!
Jason rise ma scosse la testa:
- Dire che ne sia a capo è un po’ troppo eccessivo, ma grazie lo stesso. Essere Preside è la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare fin’ora.
Jamie si morse la lingua per non dirgli che presto avrebbe cambiato idea e lo seguì nel corridoio, fino all’ufficio.

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Capitolo 5
*** 5 Accordi e Promesse ***


Avendolo varcato solo da studente, Jamie rimase sorpreso di come ora fosse sparita la solito suggestione che l’aveva accompagnato ogni volta che ci era entrato. Apprezzò anzi l’ampio camino e le incredibili vetrate nel soffitto. Jason fece scattare il fuoco e appese i mantelli.
- Che fine ha fatto la tua divisa? Perché hai la tua armatura? – esclamò Jamie sorpreso.
Jason, slacciandosi la spalla dalla schiena e appoggiandola infoderata affianco alla poltrona del Princeps, gli rispose:
- Quando sono stato avvertito del vostro arrivo non eravamo sicuri di chi foste. Ho preferito scongiurare il rischio di qualche brutta sorpresa.
- Capisco. – Jamie si sedette di fronte al fratello, evitò però di guardarlo negli occhi. Lo sentì appoggiare i gomiti sul tavolo ed espirare profondamente.
- Avanti, Jamie, dimmi quello per cui sei venuto qua.
A sua volta, suo fratello espirò forte e si decise ad alzare lo sguardo. Iniziò:
- Due giorni fa siamo riusciti a catturare uno dei pochi ribelli disposti a collaborare. Ha parlato, riferendoci tutto quello che sapesse sulle intenzioni dei suoi comandanti.
- Ti ha detto perché hanno attaccato la Scozia?
- Sì, inizialmente sembrava non ce l’avessero con noi maghi e cavalieri… ma in verità siamo noi il loro obbiettivo. O meglio, loro stanno puntando alla Scuola.
Jason sgranò gli occhi e si sentì il respiro bloccato in mezzo alla gola.
- Non vorrai dirmi che pensano siano qui gli eredi dei Tre Sigilli!
- Il problema non è che lo pensano. Sono sicuri che siano qui, lo sanno.
Jason si passò una mano sul viso e replicò:
- Immagino che i maghi traditori non abbaino perso tempo a cercare gli eletti con l’Incantus Primum.
Suo fratello fece un cenno con il capo. Si morse le labbra: ora sarebbe arrivata la parte più difficile.
- Jason, sanno anche precisamente chi sia uno degli eredi. – alzò una mano, impedendogli di interromperlo – Hanno catturato da più di un mese gli eletti; con il fatto che abbiano mantenuto il più assoluto anonimato dopo la fine della guerra gli ha fatti perdere completamente di vista persino a noi. Loro sono riusciti a trovarli, sempre grazie all’Incantus Primum.
- Significa che quei maghi sono con loro da molto prima della loro comparsa sul campo di battaglia. Ma ora dobbiamo pensare a come tutelare gli eredi. Dimmi chi sono e me ne occuperò personalmente in quanto Preside.
- Non potrai occupartene tu.
Jason alzò le sopracciglia sorpreso e assunse un tono leggermente innervosito:
- Perché no?
- Perché sei uno di loro, Jason.
Fuori, il cielo parve fermarsi. Il vento, freddo e tagliente, tipico di quelle giornate, si fermò improvvisamente. Sembrò che al cielo si fosse mozzato il respiro, e così a Jason. Fissò suo fratello, cercò nei suoi occhi la verità ma vide solo un mare di verde guardarlo di rimando. Si dimenticò quasi cosa fosse venuto a fare lì Jamie, così irrequieto e inadatto a stare dentro quattro mura.
- Jason? – sembrava preoccupato.
Lui fece un gesto con la mano. Deglutì. Jamie con un gesto sciolto del polso evocò un bicchiere d’acqua fresca che Jason bevve con calma. Alla fine chiuse gli occhi e aspettò che il freddo dell’acqua gli arrivasse al cervello. Aveva bisogno di chiarezza. Chiese:
- Sai anche dirmi di quale sia l’erede?
- Sì. Ma se vuoi puoi anche non saperlo.
- Perché? Come funziona? Voi maghi sapete come gestire gli eredi, noi sappiamo proteggerli…
- Appunto, Jason. – si fece più irrequieto – Se ti dicessi il tuo Sigillo saresti costretto a cercarlo. Fa parte dell’accordo con gli Spiriti. Una volta che l’erede sa qual è il suo Sigillo è costretto a fare di tutto per ottenerlo.
Jason si richiuse nei suoi pensieri e Jamie attese, rilassandosi sulla sedia e chiudendo gli occhi.
“I Tre Sigilli sono di nuovo in pericolo. Non so per quale motivo, ma gli uomini o chiunque siano questi ribelli li voglio per i loro scopi. I Tre Sigilli però sono nostri, di maghi e cavalieri, donati dagli Spiriti, i nostri Padri. Dobbiamo proteggerli. E non c’è miglior protettore dell’erede stesso….”
- Ho deciso. Dimmi di che Sigillo io sono l’erede. Ho giurato una volta prese le Fenici di proteggere i Tre Sigilli. E non ho modo migliore di proteggerne almeno uno possedendolo. Sì… se sono io l’erede, credo che sia la scelta migliore.
- Bene. Jason Mirus, fratello, tu sei l’erede della Corona Spiriti.
Fu in quell’istante che Jason capì che Jamie non gli stava mentendo. Lui era davvero l’erede, questa consapevolezza gli esplose nel petto, nel cervello, nello stomaco. La Corona Spiriti.
- Ne ero sicuro. – disse infine. Jamie rise e gli chiese, divertito e stupito:
- Come mai?
Anche Jason rise e gli rispose:
- Perché, per quanto mi stia abituando a stare dietro una scrivania, non avrei mai sopportato niente che non centrasse con l’Arte Suprema!
 
Dopo quella rivelazione, nei due giorni successivi Jamie e i suoi compagni rivelarono a Jason e agli altri insegnanti la reale situazione del fronte. La linea di difesa era al minimo, ben presto la Scuola sarebbe dovuta intervenire. La loro maggior preoccupazione era non dover coinvolgere gli studenti,dal primo all’ultimo anno. Renée assistette come al solito alle assemblee, in silenzio e osservando bene ogni cosa, senza perdere allo stesso tempo mai di vista Jason. Da parte sua, Jason sapeva che ben presto avrebbe dovuto affrontare il fatto di dover lasciare la Scuola e mettersi alla ricerca della Corona Spiriti. Jamie gli aveva rivelato che per poterla ottenere avrebbe dovuto affrontare inconsapevolmente una prova. Non avevano neppure provato ad indovinarla, poiché altrimenti non sarebbe stata valida.
Il professor Tristi iniziava lentamente a migliorare, ma per maggior sicurezza sarebbe stato meglio trasferirlo in Italia finché non si fosse del tutto ripreso. Franz, com’era d’aspettarselo, si offrì come capo della scorta ma Jamie gli disse che si era già deciso per Jason. A lui sarebbe toccato il compito di capitanare la Scuola in assenza del Preside. Kurcov sostituì Tristi nel ruolo di referente tra il fronte e la Scuola, mentre anche gli altri insegnanti aspettavano che li fossero assegnati i nuovi ruoli in procinto della guerra che si sarebbe scatenata.
Jason sapeva bene che Tristi era solo una scusa per farlo uscire dalla Scuola e mandarlo alla ricerca del Sigillo. Gli altri due eredi li avrebbe cercati dopo. Man mano che i ruoli si definivano per ciascuno, fu evidente sia a Jason sia a Jamie la necessità di formare una squadra che accompagnasse Jason. Non solo perché il trasporto di Tristi sarebbe stato pressoché impossibile per una sola persona, ma anche perché, una volta trovata la Corona, sarebbero servite più persone per garantire una maggior sicurezza agli altri eredi.
L’ultima sera del soggiorno di Jamie alla Scuola si organizzò nella sala del Raccoglimento un banchetto solenne, al quale furono invitati anche gli studenti. In via eccezionale, le divise furono risposte nell’armadio e venne tirata fuori la tunica per le celebrazioni. Gli inservienti e i cuochi della cucina lavorarono fin dalla mattina dello stesso giorno e l’ambiente fu pulito e sistemato da cima a fondo. Con la neve che ancora pigramente copriva ogni cosa, maghi e cavalieri si preparavano al loro destino. Gli studenti erano spaventati ma tutti fecero del loro meglio per non intralciare il corso normale delle lezioni, quasi fosse l’ultimo barlume di sicurezza e tranquillità. Una volta iniziata la guerra, nessuno degli studenti sarebbe rimasto alla Scuola. Molti degli studenti più anziani cercarono più volte di farsi coinvolgere nella sua difesa ma Jason e con lui gli altri insegnanti avevano posto un netto rifiuto. Segretamente Jason aveva temuto che Renée gli chiedesse, come aveva fatto l’ultima volta, di potersi unire a lui quando fosse partito per condurre Tristi in Italia. La ragazza però era dall’arrivo di Jamie che non aveva cercato di parlargli in privato. Si era limitata a seguirlo durante le assemblee e ad assolvere il suo incarico di assistente e questo da un lato aveva sollevato Jason dal timore di doverle di nuovo negare qualcosa senza che lei capisse che fosse per la sua sicurezza, dall’altra però temeva che deliberatamente lei non volesse più parlargli. Questo dubbio spesso gli dava un senso di velata tristezza al petto ma cercava di non lasciare che lo distraesse dai suoi impegni. Quella stessa mattina aveva di nuovo discusso animatamente con Jamie perché, in effetti, l’unico erede che anche i ribelli erano certi di sapere, era lui. Gli altri due era ancora sconosciuti e quindi al sicuro, ma lo stesso sarebbe stato meglio scoprirli prima di loro e metterli al sicuro. Per non parlare che persino alcune nazioni che in quello stesso momento stavano combattendo contro i ribelli premevano al Senato affinché sia eredi che eletti fossero trovarti per utilizzare il loro potere contro il nemico. L’Italia, la Grecia e il Canada erano gli unici stati che si fossero offerti per la protezione sia degli eletti sia degli eredi, ma era lontani e anche sui loro confini i ribelli iniziavano a premere.
-… e non dimentichiamo che la ribellione è iniziata tutta negli Stati Uniti, al confine con il Messico, che ormai è completamente invaso. Per quanto sia evidente come i ribelli si siano costruiti una rete globale, penso che un centro importante di riferimento per la ribellione sia esattamente in Messico. O nell’America del Sud, in Brasile o in Argentina… - Jason si riscosse in quel momento dai suoi pensieri dalla voce di uno dei compagni di Jamie, un certo Arnold Phiison, che al centro della sala del Raccoglimento istruiva alcuni professori sulle indagini internazionali. Lui, che aveva già ascoltato quelle cose da Jamie la sera prima nel suo ufficio, si era scostato leggermente, appoggiandosi alla parete, ascoltando qualche parola dei discorsi finché non aveva perso il suo sguardo tra la neve e il cielo azzurro. Era un azzurro pallido, come gli occhi di Karin.
- Preside Mirus, è sicuro che sarà lei a fare da scorta al professor Tristi fino in Italia? – la domanda giunse da un professore di Lingue Antiche, dalle indiscutibili origini orientali che assieme a tutti guardava ora verso di lui quasi incuriosito. Jason si raddrizzò e rispose:
- Sì, certo. Il Capitano Mirus ha espresso questa necessità in quanto sono esperto del paese e di come arrivarci via terra, che per quanto sia disagevole soprattutto per un trasporto di un ferito, è il modo più sicuro per passare in incognito.
Grennor aggrottò le sopracciglia e disse:
- Non metto in dubbio l’importanza della vita di Tristi, ma lei Preside è bravo nel suo ruolo qui e è bene che soprattutto in questi momenti rimanga una guida forte e amata dagli studenti.
Leggermente stupito dal complimento, da Grennor così insolito visto che non erano amici o in rapporti stretti, Jason si affrettò a rispondere:
- Grazie mille per la fiducia, collega, ma ritengo che anche la decisione del Capitano sia giusta. Inoltre qui alla Scuola più che una guida serve uno stratega e il professor Lodberg è uno dei migliori. Ho fiducia nelle sue capacità. – non molto lontano da Grennor, Franz abbassò la testa in segno di gratitudine mentre Carline, dall’altra parte della sala, fece una leggera smorfia sul viso spigoloso.
“Speriamo anche che lei non cerchi di rendere a Franz il compito impossibile. Quanto preferirei restare qui, ma non ho altra scelta…”
Poco dopo, l’ultima assemblea prima della partenza di Jamie si sciolse. Ovviamente per quel giorno le lezioni erano state sospese perché la sera sarebbe stata occupata dal banchetto. Infatti negli altri giorni le assemblee si erano tenute verso sera, per non ostacolare la continuazione delle lezioni ma quel giorno, a causa appunto del banchetto, ciò non era stato possibile. Seguì anche lui il gruppo d’insegnati fuori dalla sala, finché non si dispersero, chi nei propri alloggi, chi dirigendosi nelle altre sedi. Alcuni maghi, senza neppure uscire dall’edificio, sparirono sotto gli occhi di tutti mentre i cavalieri si affrettavano ad indossare i loro lunghi e pesanti mantelli.
Istintivamente, si guardò attorno in cerca di Renée, per assicurarsi che non fosse andata via senza neppure parlargli, anche solo per dirgli qualche appunto sull’assemblea. Era l’unico tipo di discorso, oltre a quelli legati al ruolo di Preside e assistente, che riuscivano a fare senza che nessuno dei due s’innervosisse. Non la vide all’ingresso, tornò dentro la sala. La vide dopo alcuni istanti seduta su una delle panche marmoree lungo i muri. Teneva in grembo dei fogli e aveva la testa china su di essi. I capelli le cadevano in avanti, coprendo a Jason la vista del volto. L’unico movimento della ragazza era un leggero scorrere delle dita sul foglio, per tenere il segno.
Vedendola così assorta fu tentato di fare dietrofront e lasciarla in pace. Si sentì lo stomaco diventare un’unica massa compatta di mattone ghiacciato e rimase immobile, appena dentro la sala. Lei continuava a tenere fisso lo sguardo sul foglio che stava leggendo. Prima o poi avrebbe finito di leggerlo e allora avrebbe alzato la testa e l’avrebbe visto… era meglio che non si facesse scoprire ad osservarla.
- Renée?
La ragazza non sembrò sorpresa di sentirsi chiamare. Alzò lentamente la testa, l’espressione seria. Gli occhi sembravano più scuri.
- Preside, che succede?
- Io… volevo chiederti come avessi trovato l’assemblea. – fece qualche passo verso di lei, che prese a sistemare i fogli nervosamente dentro la borsa che aveva al fianco. Gli rispose:
- E’ stata come le altre, nulla di nuovo se non che lei è un buon Preside. – entrambi sorrisero al ricordo di quanto avesse detto Grennor poco prima. Renée aveva finito di sistemare la borsa e l’aveva chiusa. Si era alzata e lo raggiunse, fermandosi a meno di un metro da lui. Solo ora si accorsero che attorno a loro c’era il silenzio più assoluto.
- Renée… - Jason si sentiva impacciato e malinconico. Non sapeva neppure cosa volesse dirle ma non dovette preoccuparsi troppo di questo, perché la ragazza abbassò la testa e lo superò, dirigendosi verso l’uscita, salutandolo:
- Preside, se non c’è altro, arrivederci.
Non si concesse neppure il tempo di rimanerci male che, senza quasi volerlo, si voltò di scatto così velocemente che nemmeno se ne accorse. Riuscì a fermarla prendendole la tracolla della borsa e bisbigliò:
- Aspetta! – se ne pentì subito. Stava perdendo il controllo. Sperò che Renée neppure si voltasse e sparisse. Lei si fermò non appena sentì la cinghia tirare, si voltò pochi istanti dopo l’aspetta di Jason. Non lo fissò proprio negli occhi, solo per neppure un secondo, poi mosse lo sguardo sulle sue labbra e poi in un punto non definito tra i suoi capelli.
- Cosa c’è? – anche la sua voce era un sussurro.
“Scusami, scusami, scusami.”
- Dimmi che non mi stai evitando. – la frase gli uscì così di getto che quasi temé che potesse colpirla in viso come un pugno. Lei lo fissò metà colpevole, metà sbigottita. Non rispose subito ma chiuse gli occhi e ritornò ad un’espressione neutra. Ribatté:
- Credo che lei abbia frainteso, Preside…
Jason si sentì infastidito dal suo tono di sufficienza, e con voce leggermente più dura le rispose:
- Non chiamarmi così! E non fare l’indifferente perché non sai mentire neppure la metà di quanto siano bravi i tuoi occhi a mostrare quello che hai dentro.
Nello sguardo della ragazza passarono sfida, sorpresa e imbarazzo uno dietro l’altro. Chinò la testa e borbottò:
- Scusa.
Lui si calmò un po’, poi si ricordò che non le aveva ancora risposto e sentì di nuovo crearsi quel terribile nodo allo stomaco. Ripeté:
- Dimmi se mi stai evitando o no. Prima, anche se per altro, mi cercavi ancora per parlare, ora neppure più quello.
- Ti cambierebbe qualcosa? – sentì l’amarezza nel suo tono. Riuscì solo a biascicare:
- Non mi hai risposto…
- Ti cambierebbe qualcosa sì o no? – ora era lei ad alzare la voce, si sentiva scoperta poiché ormai le era impossibile nascondere ciò che aveva dentro, e quindi attaccava. – Allora? Sì o no?
- Sì! Sì, mi cambierebbe molto. – la sua risposta la lasciò interdetta e le fece trattenere il respiro. Lui ne approfittò per parlare:
- Ho paura che tu non voglia più parlare con me…
- Toglitelo dalla testa. Non pensarlo mai più, promettimelo.
Si sentì la gola secca, gli aveva appena risposto nel migliore dei modi, che riuscì a stento a dire:
- Promesso.
La guardò negli occhi e vide la sua muta richiesta di non fermarsi a prometterle: voleva parlargli, probabilmente avrebbe voluto dirgli un sacco di cose. Anche lui voleva dirle un sacco di cose. Però quello non era il luogo adatto.
- Andiamo nel mio ufficio?
Lei capì senza neppure che dovesse aggiungere altro. Lo seguì nel corridoio degli alloggi fino alla porta. Una volta dentro, appoggiò la borsa poco distante dal camino, davanti al quale c’erano due poltrone. Si sedettero. Jason allungò le gambe e si accorse di avere i muscoli irrigiditi. Lei non osava aprire bocca. Fu lui a rompere il silenzio:
- Allora, come… come va? – si diede dell’idiota ma neppure lei avrebbe trovato domanda migliore visto che rispose quasi immediatamente come se non aspettasse altro che una domanda del genere:
- Beh, ho dovuto un po’ tralasciare gli studi, e la faccenda della guerra mi preoccupa… Sai no, i problemi con la mia famiglia. Per ora, non faranno nulla, ma appena sapranno che la Scuola chiuderà per la guerra…
- Non dovrai preoccupartene. Nel senso, farò quello che posso per assicurarti la continuazione dei tuoi studi. Sei un’alunna brillante e meriti di non gettare al vento un’opportunità com’è quella di studiare in questa scuola. Non hai un’amica da cui poter stare?
- Sì, Milara Guarnì. – quel nome suonò familiare a Jason.
- Guarnì? L’ho già sentita…
Renée accennò un sorriso e rispose:
- Possibile che te ne abbia parlato Carlo Bonasti.
- Sì, proprio lui! Pensava fosse lei la mia nuova assistente.
- Stanno assieme. O meglio, Milara è troppo timida per ammetterlo, ma sono quasi due anni che si girano intorno.
- Secondo te, starebbero bene assieme?
- Certo! Sono perfetti per stare assieme, Milara non poteva trovare un ragazzo migliore.
- E a te? A te piace qualcuno?
“Cazzata.”
- Ma che razza di domanda è?
“Appunto. Sono un’idiota.”
- Infatti scusa, non dicevo sul serio.
Calò di nuovo il silenzio, poi Renée disse:
- Tu come va?
Entrambi scoppiarono a ridere. Incrociarono gli sguardi e risero ancora di più. Quando finalmente si calmarono, Jason aveva le lacrime agli occhi, lui disse:
- Non mi è mai sembrato così difficile parlare con una persona come con te adesso!
- Credo sia così anche per me. Odio il nervosismo. – si alzò dalla poltrona così improvvisamente che Jason esclamò:
- Dove vai!
Lei si bloccò a guardarlo e poi rise di nuovo:
- Ho una cosa per te!
Aprì la borsa e tirò fuori il plico di fogli che le aveva visto Jason in mano nella sala del Raccoglimento. Glieli porse, Jason la guardò in modo interrogativo e lei gli spiegò:
- Sono tutti i resoconti delle assemblee. Pensavo ti sarebbero serviti una volta iniziata la guerra, ma serviranno più a Lodberg che a te ora, visto che dovrai andartene. – l’ultima parte fu detta con un velo di malinconia che fece stringere il cuore a Jason.
Le prese i fogli e gli appoggiò a terra, vicino alla poltrona.
- Vieni qua. – si alzò a sua volta. Lei gli si avvicinò e si abbracciarono. Finalmente, Jason sentì l’ansia dar spazio alla vera e propria emozione. Si rifugiò tra i capelli di lei, ne assaporò il profumo. A sua volta, sentì le sue mani intrecciarsi tra i suoi capelli corti e neri. Si era tagliato quella mattina la barba, in vista del banchetto di quella sera e ora era sicuro di non infastidirla pungendola. Karin sparì dai suoi pensieri, persino la Corona divenne un miraggio indistinto nei suoi ricordi e anche la guerra e il viaggio incombente… era tutto svanito nel suo profumo leggero.
- Pensavo non sarebbe mai più successo.
- Cosa? – le chiese, scostandosi delicatamente e fissandola in volto. Lei gli prese il volto tra le mani:
- Questo. – e lo baciò.

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Capitolo 6
*** 6 Con te ***


Jason sentiva il peso della sua testa sul petto e i suo capelli gli solleticavano l’orecchio. Il suo braccio lo circondava e la mano si stringeva sulla sua spalla. Il suo respiro andava contro il suo e Jason cercava di farli andare quasi in sincronia, ma poi subito perdeva il ritmo. Le accarezzava la schiena. Piano, si staccò da lui e si mise a pancia in giù, le braccia piegate sotto il corpo e il volto verso di lui. Sembrava sveglia, ma gli occhi erano serrati e il viso imperturbabile e sereno. Il respiro regolare.
Le baciò la spalla e il collo. Lei sembrò risvegliarsi e cercò le sue labbra. Si baciarono appena, poi tornarono tra le braccia dell’altro. La sentì inspirare forte contro la sua pelle e gli baciò l’incavo tra la spalla e il collo.
- Devi proprio andare via? – gli chiese.
- Sì, ma ho ancora qualche giorno. Trasportare Tristi non sarà facile, devono preparare tutti gli strumenti per il viaggio e ci vorrà tempo.
- Immagino io non possa venire con te. – la sua voce s’incrinò.
- Renée… no, non puoi. È pericoloso e…
Lei lo strinse ancora di più, gli sussurrò all’orecchio:
- Io voglio stare con te.
- E staremo assieme, farò di tutto per permetterci di stare assieme…
Si baciarono e si abbandonarono, perdendosi ora negli occhi scuri ora negli occhi ambrati.
- Abbiamo ancora qualche giorno…

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Capitolo 7
*** 7 Che gli Spiriti ti proteggano ***


3
- Devi dirmi, Jason, cosa nascondi. – Jamie espirò lento il fumo della sigaretta. Erano su un balcone della sala del Raccoglimento, deserto tranne che per loro due. Jason osservava il cielo stellato e freddo mentre affianco a lui, appoggiato alla balaustra, suo fratello era rivolto verso le vetrate illuminate della sala. Da lì proveniva un allegro chiacchiericcio, accompagnato da sprazzi di musica. Jason indossava la tunica da cerimonia della scuola, nera e rossa mentre Jamie sfoggiava un abito blu scuro e verde smeraldo che luccicava alla luce che traspariva dalle vetrate.
- Cosa pensi che ti stia nascondendo?
Jamie sembrò divertito, fece un altro lungo e lento tiro dalla sigaretta. Perse lo sguardo tra i disegni del fumo che si scioglieva nell’aria gelida. Replicò:
- Come va con Karin?
Jason sbuffò:
- Come vuoi che vada, male! Non riusciamo a stare assieme… è dall’inizio della scuola che non la vedo, e non ho mai ricevuto neppure una sua lettera.
Jamie rise e Jason lo guardò di traverso. Il fratello non replicò subito. Spense la sigaretta e scompose gli atomi del mozzicone che si dissolsero nel nulla. Gli occhi gli luccicarono leggermente e la chioma fiammeggiante tremolò quando una leggere folata investì il balcone pigramente.
Jason si passò una mano sul viso e osservò l’espressione divertita di Jamie che tuttavia continuava a tacere. Accennò anche lui un sorriso e Jamie si schiarì la voce. Un sorrisetto gli illuminava il volto:
- Chi è la fortunata?
- Ma di chi stai parlando?
La risata di Jamie si fece fragorosa:
- Dai, Jason! Non avrai mica pensato che non me ne sarei accorto?
- E’ così evidente?
- Per chi ti conosce, sì. – e suo fratello rise ancora. Jason ridacchiò un po’, rendendosi conto che Jamie non era il tipo di persona da cui aspettarsi critiche, e sperando allo stesso tempo che non gli chiedesse in specifico chi fosse “la fortunata”.
- Da quando l’hai capito?
- Devo ammettere, - Jamie tossì, smorzando così la risata, - che fino a qualche minuto fa non ne ero completamente certo. Stamattina eri sempre il solito tutto concentrato, poi improvvisamente stasera… - inarcò le sopracciglia, lo stesso sorrisetto sempre stampato in volto. Anche Jason tossì, ma perché solo in quel momento si era reso conto quando a fondo fosse andata la comprensione di suo fratello. Si sentì avvampare e spostò il peso da un piede all’altro. Jamie si tirò su dalla balaustra e gli diede una pacca sulla spalla. Rise sommessamente ancora un po’, poi disse:
- Tranquillo, fratello mio, se non vuoi dirmi chi sia, non insisterò a chiedertelo. Mi dispiace solo per voi, proprio ora che sta per iniziare la guerra dovevate innamorarvi!
- Eh, non me lo ricordare… - senza rendersene conto, Jason si lasciò sfuggire un gemito che scatenò ancora di più l’ilarità di Jamie.
- Ti ricordi quando, in una delle tue lettere, mi parlasti di Karin? Eri ancora innamorato di lei, ma io l’avevo capito semplicemente da quella lettera che non avrebbe funzionato. E la mia supposizione fu confermata dalle lettere che mi inviasti negli ultimi mesi dell’anno scorso. Mi sorprendo che sia durata fino a… beh, immagino fino a stasera! – trattenne a stento la risata.
- A dire la verità, non proprio. Avevamo litigato, prima che partissi e c’eravamo lasciati con l’idea di chiuderla. Così è stato, né io né lei ci siamo fatti vivi.
- Mi dispiace essermi perso gli ultimi sei anni di gossip amoroso di mio fratello, ma vedo che alla fin fine, riesci a cavartela anche senza i miei consigli.
Fu Jason stavolta, a ridere.
- Senza offesa Jamie, ma non sei proprio uno che si possa definire sciupa femmine!
Anche il fratello rise e per un po’ tra i due calò il silenzio. Entrambi si persero tra i loro pensieri. Poi Jason chiese:
- Come sta Likon?
Jamie ispirò lentamente e guardò in alto le stelle.
- Bene spero, non lo vedo da quando sono stato promosso Capitano. Sai, in questi sei anni, eravamo compagni di missione e il nostro rapporto è migliorato. Però… mi chiedo se con la guerra, le cose non possano cambiare, tra me e lui.
Jason gli sorrise:
- Ogni cosa cambia, con una guerra, ma sai meglio di me che è con la guerra che vi siete conosciuti.
Questa volta fu Jamie a sbuffare e il fiato uscì bianco contro il buio della sera. Non replicò e i due entrarono, ormai completamente infreddoliti.
Dentro lo straripamento di persone era incredibile. Maghi e cavalieri che parlavano ad alta voce in gruppi allegri. Poi arrivò la cena, che fu servita in lunghe tavolate e poi gli spettacoli, due di Arte Suprema, uno di Incantus Primum e uno misto. Jason partecipò contro Franz a quello dell'Arte Suprema e riscosse un discreto successo, mentre Jamie, con la sua disinvoltura di mago, riuscì a stupire gli studenti con i suoi trucchetti. L'aria vibrò degli atomi e della loro energia intorno a loro, dorando l'aria e la stanza. Sembrava quasi che gli stessi Spiriti fossero tra loro, confusi con la materia sciolta.
Il resto della serata, trascorse ovattato nella calda sala, straripante di studenti e professori in nero e rosso sgargiante. Qualche punto colorato era sparso qua è là, a indicare i compagni di Jamie. Renée era lì, da qualche parte assieme ai suoi amici. La scorse di sfuggita e cercarono di scambiarsi più di qualche parola, ma non fu molto possibile. Jason era continuamente incalzato dai colleghi e aveva come la sensazione che Jamie lo controllasse per cogliere qualche indizio su di lei. Non dubitava dell'onestà di suo fratello, ma sapeva anche quanto fosse incredibilmente curioso. E furbo.
Sì versò parecchio vino nei calici, quella notte. Le risa si dispersero per tutta la Scuola. Sembrò che tutti riversassero la tensione per il futuro di quella guerra. Ognuno la propria paura, la rabbia, la stanchezza, l'amore e la determinazione. Si brindò agli Spiriti, a loro, agli Dei e agli uomini.
Una volta che le persone scemarono e si dispersero negli alloggi, ondeggiando allegri nella neve e nel ghiaccio, Jason aspettò suo fratello ed insieme uscirono dalla Sala.
- Dopo domani sarà il tuo ultimo giorno da Preside.
- Già.
- Nervoso?
- Abbastanza. – erano fermi alla porta. Domani Jamie sarebbe partito ed era giunto il momento di salutarsi. Nessuno dei due sembrava averne davvero voglia, però.
- Senti, loro sanno chi sono gli eredi, ma non chi sono gli eletti, se non te. Sta attento, Jason.
- Starò attento, sì. E anche tu, Capitano. Non voglio dover venirti a salvare come al solito.
Il rosso fece un sorriso mesto. Ribatté:
- Secondo le nostre ricerche, hanno gli eletti ma non la Corona Spiriti. È stata nascosta dall’eletto, che era in Italia. A Nord.
- Venezia?
- Sì, in quelle zone. Man mano che ti avvicinerai, dovresti avere dei sogni premonitori che ti guideranno, anche se non sarà sempre facile interpretarli. Finché sarai con Tristi, non potrai fare molto, ma appena potrai dovrai sparire del tutto dalla circolazione e compiere il tuo dovere.
- Che ne è degli altri eredi?
- Li stiamo già cercando, ma con loro è più difficile. Tu sei legato ad un oggetto, bene o male. È più facile captarne il collegamento. Gli altri due, sono come una dote nascosta. Dovremo ispezionare ogni singolo mago e cavaliere e con i tempi che abbiamo è troppo lungo. Inoltre, non sono neppure consapevoli di esserlo e questo rende ancora più difficile saperlo.
- Dovrete scegliere anche un Custode, immagino.
- Neppure lì potremo fare molto. Sono gli Spiriti che scelgono, non noi. Io sarò occupato qui in Scozia, ma cercherò di fare il possibile.
- Fai il tuo dovere, ai Sigilli per ora ci penso io. Una volta trovato il mio, cercherò e proteggerò gli altri due finché non ci sarà il custode. Jamie… - esitò un attimo. Dentro di se, sentiva solo l’angoscia crescere. Il fratello lo guardò e aveva la sua stessa espressione.
- Dimmi.
- Siamo davvero in guerra. Di nuovo.
- Sì, di nuovo. Però sta volta, nessun Mirus cadrà.
- Addio, fratello. Che gli Spiriti ti proteggano.
Si abbracciarono. Jamie gli sorrise, poi rispose:
- Addio. Che gli Spiriti ti guidino.

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Capitolo 8
*** 8 Figli degli Spiriti ***


Il giorno dopo le lezioni furono solo pomeridiane. Tra due giorni Jason sarebbe partito. Avrebbe tenuto lezione a una classe del primo anno e poi a una dell’ultimo. La mattina passò fredda e lenta e Jason la trascorse al caldo assieme a Renée, senza che concludere poi molto. Malgrado questo, si sentiva stanco e pesante, insonnolito dal freddo e dall’ansia per la partenza. Mascherare questi sentimenti a chi gli stava vicino non era facile ma non voleva rovinare quei pochi momenti che aveva ancora di tranquillità.
La partenza di suo fratello inoltre, l’aveva intristito più di quanto si aspettasse. Della loro famiglia, rimanevano solo loro. E nessuno dei due poteva dire di essere al sicuro da qualsiasi minaccia. Avrebbe voluto andare a trovarlo al fronte a Nord, ma non poteva perdere tempo e allungare il tragitto a Tristi. Il suo compito era di trasportarlo, e poi di cercare il suo Sigillo.
Per ora, nessun sogno che gli indicasse un possibile luogo, ma contava che una volta avvicinatosi all’Italia e poi a Venezia, qualcosa sarebbe successo. L’eletto era riuscito a nascondere la Corona poco prima che lo catturassero. Una volta trovata, però, Jason avrebbe dovuto affrontare una specie di prova per suggellare il passaggio di eredità. Non sapeva cosa aspettarsi.
Inoltre, mancavano gli altri due eredi. Gli eletti erano stati tutti trovati e catturati. Jason era ancora libero perché i ribelli non erano riusciti a rompere la resistenza a Nord, ma doveva muoversi. Detestava l’idea di lasciare i compagni e i colleghi, ma non aveva altra scelta. La sua sicurezza avrebbe comportato anche la sicurezza del Sigillo. Il problema, però, erano gli altri due eredi. Nessuno sapeva chi fossero e probabilmente neppure loro sapevano di esserlo. Capire che Jason era l’erede era stato facile per due motivi: la sua capacità di controllo dell’Arte Suprema rendeva i suoi atomi spirituali facilmente individuabili e con il suo Sigillo non solo aveva un legame spirituale ma anche un legame fisico esterno, che lo congiungeva alla Corona come una sottilissima ragnatela. Con molta pazienza, qualsiasi mago o cavaliere attraverso la meditazione sarebbe riuscito a individuarlo.
Tra due giorni sarebbe partito e si sarebbe portato dietro tre degli insegnanti: Kurcov, Grennor e Trebar. Due maghi e un cavaliere, e con i lui i cavalieri sarebbero stati due. Dopodiché, lo aspettava la solitudine della sua ricerca. Non avrebbe avuto molto tempo e si augurava che i sogni si rivelassero utili. E poi gli altri due eredi… sicuramente, non erano maghi o cavalieri navigati quanto lui. Lui stesso aveva provato con la meditazione a captarne gli atomi, ma non c’era riuscito. Significava che probabilmente erano più vulnerabili di lui. Sperò solo che il Custode esistesse davvero e che assolvesse il suo compito.
I passi frettolosi degli studenti per i corridoi dell’edificio dove si teneva le lezioni lo guidò alla classe dove Tristi teneva le sue lezioni. Ogni aula era abbastanza spaziosa da contenere trenta grossi banchi si legno scuro e una lavagna. I professori tenevano generalmente lezione in piedi, tanto che molto spesso la cattedra spariva della classe. Alcune aule infine erano rimaste invariate dalla loro costruzione, grigie, austere e marmoree, altre restaurate e altre ancora aggiunte nel corso dell’ultimo secolo. Così era quella di Tristi, calda e in legno. Non usava neppure lui la cattedra. Dentro la maggior parte dei giovanissimi studenti, alcuni appena diciassettenni, aspettavano quieti che lui entrasse.
Appena varcò la soglia, gli studenti scattarono in piedi o si raddrizzarono.
- Vale, Princeps!
- Vale, discipuli.
Aspettò che anche gli ultimi ritardatari arrivassero, ripetendo più volte la formula del saluto. L’atmosfera era strana, i ragazzi erano silenziosi e aspettavano che lui iniziasse la lezione.
- Dunque, qualcuno vuole dirmi l’ultima cosa che abbiamo trattato?
Alcune mani alzate. Toccò a una studentessa di colore:
- Abbiamo analizzato la prima storia delle tecniche d’assedio, princeps.
- Giusto. Ci sono domande sulla scorsa lezione?
Le mani si abbassarono, tranne una. Era quella di un giovane piccolo e dall’aspetto slavato. Tese la mano più che poté. Jason gli fece un cenno e lui parlò:
- Preside, ci racconti la Storia dei Tre Sigilli.
Nella classe scese il silenzio. I ragazzi non toglievano gli occhi da lui. Fu allora che Jason capì come mai l’atmosfera tesa: si erano messi d’accordo per chiedergli spiegazioni. Volevano sapere cosa stesse accadendo, sapere a cosa sarebbero andati in contro i loro genitori, i loro fratelli maggiori e forse persino loro. Sospirò. Prima o poi sarebbe arrivato quel momento. Si schiarì la gola, e parlò:
- Come sapete, all’inizio della Storia noi maghi e cavalieri non c’eravamo. C’erano solo gli uomini, i figli degli Dei. Loro però non erano capaci di controllare gli atomi e la loro energia, per cui gli Spiriti crearono noi. Gli Dei sono a loro volta figli degli Spiriti e noi diventammo i loro fratelli minori. Viviamo a lungo e siamo più forti alle malattie degli uomini, sappiamo controllare gli atomi, ma non siamo immortali e beati come loro. All’inizio, quando ancora eravamo in pochi, gli uomini ci chiamavano eroi o semidei. Chi sa dirmi il nome di un semidio?
- Ettore, principe di Troia!
- Achille!
- Odisseo!
Jason sorrise e alzò una mano per farli tacere. Riprese:
- Bene. Tuttavia, ben presto ci moltiplicammo e diventammo una vera e propria razza. A metà tra uomini e Dei, è vero, ma allo stesso tempo diversi da entrambi. Non siamo destinati alla gloria dei cieli così come a noi è preclusa la tecnica. Se non fosse per gli uomini, non sapremo neppure come costruire le nostre case. Potremo farlo con la magia ma gli atomi che noi aggreghiamo sono quelli che si trovano liberi in natura, e non sono strutturati per stare molto a lungo uniti. Non sarebbero abitazioni solide come quelle costruite dagli uomini. Da questo, nacque un patto: noi avremo potuto chiedere agli uomini di costruirci le cose, in cambio noi avremo insegnato loro la meditazione. All’inizio, c’erano solo maghi. Tuttavia, con lo scorrere della Storia, le cose cambiarono e gli uomini presero a non tollerare tutto quello che centrasse con noi o con la magia. Iniziarono a sterminarci. Fu la prima volta che tutti i maghi meditarono assieme e chiesero aiuto agli Spiriti.
Dei e Spiriti si accordarono e concessero a noi parte della tecnica. Nacquero quindi i cavalieri, capaci di trattare con la magia i metalli e il cuoio. Agli uomini, concessero la possibilità di conoscere gli atomi e per loro nacque la scienza. Passarono quasi tre secoli prima che le cose si sistemassero, visto che cavalieri e scienziati non erano visti di buon occhio, i primi dai maghi, i secondi dagli uomini.
- E la Scuola, quando fu costruita?
- Esattamente in questo periodo. Fu il mago Girolamo, che per primo capì l’importanza di una collaborazione tra maghi e cavalieri. Certo, ci furono dei problemi con alcuni uomini del posto che non presero bene la cosa, ma questo non impedì a Girolamo di portare a termine il suo progetto. – osservò le facce fresche dei suoi studenti e chiese:
- Quand’è che vennero creati i Sigilli? – scelse uno studente in fondo all’aula:
- Non si sa la data precisa, ma quando tra gli uomini scoppiò una grande guerra, chiamata da loro Guerra dei Trent’anni, noi ci trovammo tra due fuochi. Gli Inglesi da una parte e i Francesi dall’altra; temendo che il loro scopo fosse di scoprire i segreti degli atomi, meditammo gli Spiriti e loro crearono i tre Sigilli: la Corona Spiriti, il Patto Spiriti e la Pace Spiriti.
- Esatto. Qualcun altro sa spiegarmi perché hanno questi nomi? – questa volta scelse tra le prime file:
- La Corona Spiriti: fu la prima ad essere creata e fu affidata a Igor il Saggio. Chi la possiede è capace di combattere solo con l’animo, restando invulnerabile alle ferite. Il Patto Spiriti: fu il secondo, e venne creato pochi anni dopo il primo Sigillo, quando i primi maghi scoprirono come muoversi alla velocità della luce. Permette all’eletto di muoversi nel tempo, senza però poter alterare il passato. Può anche fermare per qualche istante la durata del presente. Il terzo, è la Pace Spiriti: l’eletto può decidere l’istante di vita o di morte di una persona. Se far nascere un bambino, se far morire un vecchio o un soldato nell’istante in cui sta per essere trafitto, ad esempio. Gli Spiriti lo donarono ai maghi e ai cavalieri appunto durante la Guerra dei Trent’anni.
- In seguito, per molti anni cavalieri e maghi non furono più coinvolti nelle guerre, neppure quando Napoleone Bonaparte conquistò gran parte dell’Europa occidentale. I nostri senatori, che quando nacquero si insediarono a Roma, riuscirono a dirigere i rapporti con gli uomini affinché non ne fossimo più coinvolti. Poi però, ci furono le due Guerre Mondiali, e ognuno di noi sa cosa accadde. – gli venne un brivido, visto che lui aveva partecipato all’ultima, dapprima come giovane studente spettatore, poi come cavaliere inesperto. Vide anche gli studenti incupire il volto.
- Tutti sappiamo come la vita di maghi e cavalieri sia legata agli atomi che girano liberi sulla terra. Quelle due bombe atomiche furono devastanti e oltre a molti uomini, persero la vita tutti i maghi e i cavalieri della zona. Inoltre, ancora adesso in quelle zone non nascono più maghi o cavalieri. Gli uomini fino a queste due guerre non erano riusciti a mettere così tanto a repentaglio la nostra razza, e fu allora che per la prima volta gli uomini tentarono di impossessarsi dei Tre Sigilli.
Famiglie di maghi e cavalieri furono sterminata alla ricerca dei tre eletti. Furono trovati due di loro, ma per fortuna i maghi di tutti i paesi riuscirono in tempo ad entrare in contatto con gli Spiriti, mentre noi cavalieri combattemmo per difendere la Scuola e il Senato. La Gran Caserma, in Canada, si rivelò più strategica che mai. Gli Spiriti e gli Dei fecero la Pace Dei una volta che i maghi mostrarono loro quale terribile fatto stesse accedendo. Gli scontri scemarono, e gli uomini sembrarono perdere interesse per noi. Nacquero altri conflitti, ma non ci coinvolsero mai.
- E perché ora i Ribelli ci attaccano?
- Perché qualcosa è cambiato, tra gli uomini. I Ribelli sono prima di tutto degli uomini ribellatisi ad altri uomini, e questo comporta sempre per gli uomini una guerra, brutale e sanguinaria. Non sappiamo per quale motivo siano così interessati ai Tre Sigilli, e penso che lo si potrebbe sapere solo se riuscissero ad averli tutti e tre assieme. – rabbrividì nel dirlo, sapendo che l’unico Sigillo ancora lontano dalle grinfie dei Ribelli era il suo, la Corona, nascosta chissà dove a Venezia.
Una ragazza alzò la mano e disse:
- Preside, a noi i Tre Sigilli hanno portato pace e unità, fino ad ora. Non so perché ci siano dei traditori ora, ma non penso perché non credano più nell’unicità dei Sigilli. Quello che mi chiedo è perché non dare anche agli uomini dei Sigilli? Qualcosa che li accomuni tutti, che li obblighi a unirsi per tutelarli, come facciamo noi.
Jason rimase colpito da quell’affermazione, e quelle parole gli rimasero incise a fuoco nella mente. Ancora sovrappensiero, rispose:
- Non saprei che cosa dirti, la risposta la sanno solo gli Spiriti e gli Dei.
I ragazzi si fecero più irrequieti. Jason si rese conto di aver parlato per quasi tutta l’ora di lezione. In circostanze diverse si sarebbe irritato per aver perso tempo prezioso, ma in questo caso ritenne quella conversazione necessaria. Si passò una mano tra i capelli corti ed esclamò, con un tono più alto e rassicurante del solito, tanto che alcuni degli studenti nelle prime file sobbalzarono:
- Bene! Ora che ho risposto alle vostre domande, vorrei riprendere la lezione almeno per questi pochi minuti che ci restano. Inoltre, questa è la mia ultima lezione con voi. Da domani, ci sarà la professoressa McPheen, che come sapete era stata richiesta alla Gran caserma per i suoi studi sull’Arte Suprema. Prendete foglio e penna. Iniziamo!
L’altra lezione fu più regolare dell’altra. Gli studenti erano dell’ultimo anno. Era la classe dei cavalieri. Sui loro polsi s’intravedevano fiammeggianti i due tatuaggi delle Fenici. Trascorse l’ora e la giornata scolastica volse al termine. La sua ultima giornata scolastica.
Salutò gli studenti mentre a sua volta usciva dall’aula. Recuperò il mantello e usci all’aria fredda. Fuori era già buio. Gruppi di studenti si allontanavano veloci dall’edificio, i maghi e i neo maghi sparivano velocemente poco prima di varcare la porta d’uscita. Si rese conto che gli sarebbe mancato tutto ciò. Il chiacchiericcio stanco e sommesso si disperse veloce per i domini della Scuola.
Camminò rapido fino all’ufficio. Dentro, trovò Franz chino su alcuni fogli e il camino piacevolmente acceso. In quanto suo sostituto, aveva il permesso di entrare nel suo ufficio per prendere mano con il nuovo ruolo, che oltre a gestire la Scuola avrebbe anche significato comandare i professori e i custodi in difesa degli studenti in caso i Ribelli fossero giunti fin là.
Jason lo salutò ma rimase spiazzato dalla faccia accigliata dell’amico, che teneva in mano un foglio da lettera, e si accorse che oltre a quello sul tavolo ce n’erano molti altri.
- Che succede?
- Non ci crederai mai. – sul viso ora comparve una specie di sorriso e scosse la testa, accorgendosi dell’espressione ora sempre più impaziente di Jason, si affrettò a spiegare:
- Stamattina sono arrivate queste lettere, da tutte le famiglie dei nostri studenti e dicono tutte la stessa cosa. Una vale l’altra, leggi. – e gli porse quella che aveva in mano, probabilmente l’ultima che aveva aperto.
Ave, Princeps!
Io, Karl Witzerberg, e mia moglie, Matilde Surman, vogliamo chiederle di non rimandare nostra figlia Isabella Witzerberg in Austria. Per quanto saremo felici di riabbracciarla, riteniamo sia più sicuro farla rimanere alla Scuola, che sappiamo essere protetta dai migliori maghi e cavalieri che ci siano. Sappiamo che molte altre famiglie nostre amiche le invieranno una richiesta simile: nessuno di noi ha dimenticato gli anni alla Scuola e sappiamo che non c’è un luogo più sicuro per i nostri ragazzi in vista della guerra che sta per travolgerci. Inoltre ormai anche la Germania è sotto attacco e noi viviamo presso i confini con questo Paese. Sarebbe altrettanto rischioso per nostra figlia tornare qui.
Speriamo entrambi, io e mia moglie, che Lei accolga la nostra richiesta e decida di assecondarla.
In ogni caso,
Vale, Princeps!
 
Jason rimase sorpreso quanto Franz, e allo stesso tempo gli crebbe un senso di orgoglio e soddisfazione. I maghi e i cavalieri si fidavano di loro, di lui. Si rivolse a Franz:
- Quante lettere in tutto?
- Una per ogni studente.
- Anche per Renée Grisson?
- Sì, ma nel suo caso, essendo i genitori uomini, l’avremo tenuta qui comunque. Non sarebbe stata al sicuro anche se con i famigliari. È la prima ad essere entrata nella Scuola.
Jason annuì. “So anche che mandarla dai famigliari sarebbe come mandarla in mezzo ai Ribelli.”
- Sai, penso che gli studenti sapessero tutti di questa cosa almeno da due giorni. – esordì Jason, dopo un po’ di silenzio. Franz rialzò la testa dal tavolo e lo guardò:
- Perché dici questo?
- Perché oggi una classe di studenti del primo anno mi hanno chiesto di raccontare la Storia dei Tre Sigilli. Vogliono rimanere qui e penso anche vogliano difendere la Scuola. – gli passò un’ombra sul viso e concluse:
- Farai in modo che non accada, vero?
Franz chinò il capo in segno d’assenso. 

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Capitolo 9
*** 9 Ready Steady Go ***


Quella sera Jason si coricò presto. Era stanco e sperava in una dormita senza sogni. In un certo senso, fu così perché anche se sognò non ricordò nulla. Le lezioni iniziavano alle nove, ma lui quel giorno non avrebbe dovuto occuparsi di nulla. Non era più Preside, malgrado dormisse ancora nell’alloggio riservato al Preside. Franz non aveva voluto trasferirvisi, sostenendo che era Preside solo per necessità, non per merito.
Si sciacquò viso e corpo. Indossò la divisa, rendendosi conto che sarebbe stata l’ultimo giorno che l’avrebbe indossata. Era Preside di quella scuola e stava per lasciare tutto per cercare qualcosa che forse lo avrebbe ucciso. Allo stesso tempo, sentiva dentro di se crescere un’inquietudine che lo spingeva a fremere d’impazienza per la partenza. Jamie l’aveva avvertito ma lui non si aspettava fosse così diretto l’effetto della consapevolezza.
Si guardò allo specchio. Gli occhi nella debolissima luce della mattina inverale erano ancora più scuri e infossati, mentre la sua pelle sembrava ingrigirsi a causa della penombra che stagnava nel bagno. Si rasò la barba e svogliatamente risistemò anche i capelli corti e dritti. La divisa lo rendeva più snello e si stringeva sulle spalle larghe e possenti. Fece una smorfia a se stesso, quasi per sfidarsi. “Vediamo chi cade prima, se la mia inquietudine o la mia forza di volontà”.
Uscì e prese il mantello. Una delle ultime volte che l’avrebbe fatto, per chissà quanto tempo. Lo indossò ancora nel corridoio freddo e buio. Gli insegnanti erano già usciti. Nel mezzo della neve, raggiunse la mensa e fece colazione assieme a tre professori che non aveva lezione in quel momento. L’enorme stanza deserta gli sembrò spenta e grigia come lui poco prima. Mangiò in silenzio, nessuno sembrava essere in vena di chiacchiere e nessuno sprecò più di qualche parola di saluto.
Non sapendo bene che fare, le cose per il viaggio le aveva già pronte, vagò all’aperto, incurante del freddo. Gli venne in mente quando diverse settimane fa stava correndo per quelle stesse strade godendosi il panorama e il cielo scozzese, così libero e cangiante come il tempo. Si ricordò solo ora che ormai, era iniziato un nuovo anno e che dicembre era finito da qualche giorno. Di nuovo c’era solo la guerra, rifletté amaramente, soffermando lo sguardo su una nuvola che velocissima e leggera si muoveva nel cielo. Aveva fatto bene a non festeggiare.
Gli venne in mente Filippo, disteso a letto nell’infermeria. Franz probabilmente era ancora a lezione. Alzò le spalle e si diresse verso l’edificio basso e bianco, invisibile da lontano con tutta la neve, accelerando il passo. Trovò all’ingesso due medici che lo salutarono rispettosamente, chiamandolo Princeps. L’infermiera di turno gli indicò la stanza del professor Tristi, che lo accolse semiseduto su una pila di cuscini, intento a controllarsi le mani ancora fasciate.
- Preside!
- Filippo! Sono felice di vederti quasi in piedi. Come stai?
Il professore fece una smorfia:
- Il medico ha detto che ci vorrà tempo prima che recuperi i legamenti delle mani e non si fida ad intervenire più di tanto per paura di rovinarli. Sai com’è, dopo non potrei definitivamente più usare la magia. – s’intristì leggermente ma Jason gli appoggiò la mano sulla spalla in segno di conforto, e gli chiese:
- Pronto per essere condotto come un re fino in Italia?
Lui sorrise leggermente, ancora con una leggera ombra sugli occhi:
- Sì, finalmente tornerei nel mio Paese. Franz dice che a capo della mia scorta ci sarà una persona a dir poco perfetta!
Jason rise:
- Ma non sai chi sia?
- Non me l’ha voluto dire.
- Sono io! Ti accompagnerò fino in Italia, a Torino, all’Ospedale Magnus!
Tristi ne fu sorpreso, e compiaciuto. Chiese:
- Chi altri verrà con noi?
- Grennor, Alek e Trebar.
- Sono in buona compagnia, dunque!
Jason rimase a chiacchierare con lui per un bel po’, sorvolando appositamente sull’argomento della guerra. Vedeva ancora negli occhi dell’amico l’ombra del terrore a causa delle sue ferite. Infine, un’infermiera li interruppe, perché Tristi necessitava di riposo in vista del lungo viaggio previsto.
Dopo aver salutato l’amico, animato un po’ dalla chiacchierata, decise che sarebbe andato in una palestra per allenarsi un po’. Non aveva voglia di correre, ma sicuramente non sarebbe stato male riscaldare i muscoli in vista della sua prossima partenza. Sperò di trovarne almeno una libera e così fu. Grennor era uno dei professori che prima erano nella sala mensa, e questo significava che una delle palestre per le lezioni pratiche era libera sicuramente.
Appese all’ingresso il mantello. Si tolse la felpa della divisa e gli occhiali. Si mise al centro della palestra. Allargò le gambe e incrociò le braccia. Rimase immobile.
Dentro di se tutto cambiò, sentì fluire dentro e fuori di lui gli atomi che gli pizzicarono la pelle in ogni singolo poro. La sensazione dell’energia contenuta in quelle invisibili particelle gli fece aumentare l’adrenalina. Attirò qualche atomo dentro di se ma anziché concentrarli come avrebbe fatto qualsiasi mago, li sparse nei muscoli, nei tendini e nelle ossa. Un po’ li lasciò vagare per gli organi vitali affinché li proteggessero con una patina di energia quasi allo stato puro.
Era entrato nella fase di meditazione, da questa poteva scegliere se passare all’Arte Suprema o rimanere per indagare sugli atomi e il loro mondo nascosto. Passò all’Arte Suprema, visto che si trovava lì apposta per allenarsi. Gli atomi che aveva sparso per il corpo si liberarono, unendosi ai suoi che naturalmente costituivano la sua persona. L’effetto fu immediato e fece scaturire in Jason la familiare eccitazione nel sentire ogni parte di se irrobustirsi ulteriormente. Aprì gli occhi e anche nella cornea riuscì a concentrare altri atomi che compensarono la sua mancanza di vista. E l’aumentarono oltre al normale. Si soffermò sulle minuscole ragnatele sul soffitto alto e bianco.
Si mise in posizione, un piede leggermente più avanti dell’altro, le braccia piegate a metà con le mani aperte poco distanti dal petto.
- Ora! – esclamò.
Seguendo la sua voce, gli incantesimi nella palestra esplosero e fecero comparire un centinaio di copie di nemici immaginari. Due di queste copie si scagliarono contro di lui.
La prima quasi lo sfiorò sul collo ma lui riuscì a girarsi in tempo e spezzargli il braccio. La copia si dissolse mentre la seconda lo afferrava per le spalle. Jason scattò con la testa al tocco gelido e inumano e si piegò violentemente in avanti, trascinando con lui la figura che cadde di schiena al suolo. Se fosse stata una persona in carne ed ossa, il suono della schiena che si spezzava al suolo sarebbe stato terribile, ma la copia semplicemente sparì come la prima. Non andò meglio alle successive venti imitazioni, tanto che, dopo aver spezzato il collo con una gomitata all’ultima di un gruppo di quattro che gli erano saltati addosso contemporaneamente, fece cambiare agli incantesimi il tipo di avversari. Cavalieri armati di spada e armatura.
A sua volta, prese in fretta una spada da una parete. Era corta e maneggevole, come lui le preferiva. Si preparò ad affrontare la prima copia che non si fece attendere. Le spade cozzarono appena, poi Jason le tranciò la testa che scomparve assieme al corpo. Alla sesta copia Jason sentiva ancora i suoi muscoli caldi e sciolti. Ma doveva stare attento che anche i legamenti, soprattutto di polsi e ginocchia, non lo tradissero all’improvviso. Per ora non sentiva nessun problema, ed eliminò anche la copia successiva trafiggendola al ventre. Nella sua mente seguì un immaginario e atroce urlo di dolore che però la copia non replicò. Avendo combattuto in una vera guerra, sapeva che era indispensabile non dimenticarsi di quanto fosse orribile uccidere qualcuno. Non avrebbe mai dimenticato il disgusto che aveva provato la prima volta che aveva sentito sotto la sua spada un soldato urlare con tutto il fiato che aveva in gola e neppure quando era stato lui ad essere ferito. L’esperienza gli aveva insegnato a ricorrere alla morte dell’avversario solo se necessario, altrimenti convivere con se stessi sarebbe diventato impossibile.
Proseguì con l’allenamento finché non sentì cedere le ginocchia. Aveva raggiunto il suo limite. Esclamò il contrordine e le copie sparirono, lasciandolo solo nella palestra deserta. Rimise la spada al suo posto, poi tornò di nuovo al centro, rimettendosi nella posizione di meditazione. Di nuovo, percepì gli atomi. Liberò quelli che aveva aggregato ai suoi, gradualmente per non mandare sotto shock i suoi stessi muscoli. Poi liberò gli occhi e lentamente riacquistò la sua miopia. Un leggero strato di sudore gli ricopriva il corpo. Si voltò verso l’entrata, ma sulla porta c’era Renée, appoggiata allo stipite, gambe e braccia incrociate. Un sorriso affascinato sul volto. Anche lui le sorrise e le si avvicinò, dandole un leggero bacio sulla fronte. Lei gli chiese all’orecchio:
- Non sapevo ti allenassi nella mia stessa palestra.
Jason alzò le spalle, senza smettere di guardarla:
- Era libera. Hai lezione qui ora?
- Ora c’è la pausa pranzo! – rise davanti all’espressione stupita di Jason: - Sei qui da quanto?
- Da poco dopo l’inizio delle lezioni. – le si staccò leggermente ricordandosi di essere sudato e ancora intontito dall’allenamento. Nel farlo però sentì il desiderio di starle vicino inebriargli la mente. Come al solito, nel guadarla si sentiva combattuto. “Al diavolo” pensò e la attirò di nuovo a se baciandola. Sentì il suo corpo premere sul suo, le slacciò il mantello e le accarezzò la schiena. Non l’avrebbe rivista per chissà quanto tempo…
Renée si staccò un attimo, ancora parlava piano ma la voce le se era fatta roca:
- Piano, non qui…
Lo guidò in uno degli spogliatoi e si abbracciarono.
- Amore mio…
La baciò prima che dicesse qualsiasi altra cosa. Lei ricambiò con foga, ormai erano così vicini che neppure l’aria passava tra loro, forse neppure gli atomi…
Ben presto, nella mente di Jason non rimase altro che il suo corpo pallido e il suo profumo caldo.
Uscirono in tempo per la ripresa delle lezioni. Solo in quell’occasione Jason rimpianse che la pausa durasse solo un’ora e mezza. Quando furono sicuri che ancora non ci fosse nessuno in quella parte dell’edificio, si baciarono ancora e ancora Jason desiderò potersi incatenare all’anima il profumo della sua pelle. Non l’avrebbe dimenticato per nulla al mondo.
Le accarezzò i capelli e lei chiuse gli occhi al suo tocco. Le diede un bacio sulla fronte e poi le chiese:
- Stasera possiamo vederci?
- Certo! È l’ultima sera, amore mio…
Sentirono un vociare provenire dalla parte opposta del corridoio.
- Alle nove fatti trovare fuori dal tuo alloggio! – e la lasciò raggiungere i suoi compagni.
Il pomeriggio lo trascorse controllando che tutto fosse pronto per la partenza del giorno dopo. Avrebbero impiegato meno di mezza giornata a raggiungere Edimburgo, e da lì avrebbero preso una nave per la Francia. In effetti, viaggiare in quel modo era quello più sicuro anche se il più lento. Usare quegli aggeggi incredibili degli uomini non l’aveva mai entusiasmato e inoltre sapevano che in tempo di guerra, gli uomini combattevano anche nel cielo e viaggiare sui quei cosi non sarebbe stato per nulla sicuro. Franz lo raggiunse poco dopo la fine delle lezioni ma si trattenne solo un’oretta per accertarsi che fosse tutto apposto. Il suo nervosismo era palpabile e avrebbe voluto rassicurarlo, ma lui stesso era irrequieto per quello che sarebbe potuto accadere. E non si preoccupava solamente per Tristi.
Per le nove, nel buio pesto di una sera invernale, vide sulla via degli alloggi la sagoma di Renée venirgli in contro. Restarono poco fuori, ritirandosi nella camera calda di Jason. Fecero l’amore e poi si addormentarono. Si svegliarono infreddoliti nel cuore della notte e si strinsero ancora di più. Renée accese il fuoco con la magia e così abbracciati parlarono per un po’, insonnoliti e malinconici. Non volevano che arrivasse la mattina. Jason fece del suo meglio per non perdere il controllo.
- Perché devi andare proprio tu?
- Perché è meglio così, conosco i paesi e soprattutto l’Italia. E poi sono un caro amico del professor Tristi e quindi…
- Ma il professor Lodberg è il suo compagno!
Jason sbuffò:
- E’ impossibile per i professori tenervi nascoste le loro relazioni a voi studenti, eh?
La sentì muovere leggermente la testa tra le sue braccia:
- Non quando due di loro… - la sentì ridere sommessamente – tre di loro hanno una relazione con loro! E non cambiare discorso. Quando mi dirai il vero motivo per cui devi andare proprio te?
- Quando torno ti dico tutto, promesso.
- E quando torni?
- Facciamo che rimane una sorpresa. Qualcosa che sarà inaspettata per tutti e due.
La sentì ridere di nuovo e divincolarsi per raggiungergli il viso con il suo.
- Ti odio quando fai così.
- E’ tutto ricambiato tesoro. – e le sorrise, cercando di rassicurarla. Lei però si fece seria:
- Mi mancherai.
Lui inspirò ed espirò forte:
- Anche tu, lo sai.
E con quelle parole sulla bocca, si addormentarono di nuovo, questa volta fino all’alba. Si vestirono e mangiarono assieme. Jason indossò la sua armatura, comoda anche per viaggiare, non essendo ingombrante come quelle di ferro. Tuttavia, non sentire il familiare tocco della lana della divisa invernale lo intristì un po’, quanto vedere lei indossare la sua. Stavano davvero per dirsi addio.
Franz e i suoi nuovi compagni, con Tristi adagiato sulla lettiga di trasporto, l’aspettavano alla Donna di Ferro. Avrebbe voluto piangere quando, a un certo punto, voltandosi, vide solo il cancello chiuso e nessuna figura minuta e pallida guardarlo allontanarsi. Sospettava però, che Renée non avrebbe mai permesso che lui la vedesse piangere.
Raggiunsero presto Edimburgo e non attesero molto perché fossero avvisati dell’arrivo della loro nave. Gli uomini li osservavano circospetti, soprattutto Tristi che fluttuava nella lettiga a qualche centimetro da terra. La nave era a motore di quelle preferite dagli uomini che riservavano a quelle in legno una funzione puramente celebrativa. L’equipaggio ebbe un occhio di riguardo per loro e nessuno venne mai a cercarli. Tristi fu messo in una cabina a due letti. A turno, sarebbero stati a vegliarlo in caso di un’emergenza. Jason fece il primo turno.
Tristi non dormiva ancora e i due erano rimasti in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. A dire della due facce, nessun pensava a cose allegre. Jason involontariamente si lasciò sfuggire un sospiro e Tristi lo guardò accigliato.
- Dimmi la verità, - disse ad un tratto, facendo quasi sobbalzare Jason – è così romanticamente triste lasciare il posto di Preside?
- Ehm, no… intendo dire, non rimpiango che sia Franz ad occuparsene. Anche se suppongo sia lui che tu avreste preferito fosse lui a farti da scorta.
Filippo rise ma si fermò subito facendo una smorfia e accarezzandosi lo stomaco appena ricucito. La luce nella cabina era gialla e calma. Fuori le onde sbattevano silenziose sullo scafo arrugginito. Nonostante l’apparente usura, la nave era in buone condizioni e le cabine, sebbene spartane e arredate al minimo, erano pulite e comode. I due uomini, uno disteso su un letto l’altro seduto con la schiena appoggiata al muro su una piccola branda, erano piombati di nuovo nel silenzio della loro nostalgia. Jason però, spingeva lo sguardo irrequieto anche fuori dall’oblò. La Corona Spiriti. Ci sarebbe voluta una settimana di viaggio, ma una volta giunti in Francia, avrebbero diviso i chilometri tra treno, l’unico mezzo di trasporto che riuscissero a sopportare assieme alla nave, e marce attraverso i boschi. Questa volta fu il suo collega a sospirare e Jason gli rivolse uno sguardo tra il comprensivo e il preoccupato. Filippo alzò leggermente le spalle e fissò il vuoto, poi disse:
- Mi dispiace che anche tu abbia dovuto lasciare qualcuno.
Jason dissimulò l’imbarazzo e replicò:
- Io non ho lasciato…
- Oh, non mentirmi! – gli sorrise furbo. Si spettinò i capelli ricci e neri. Jason non nascose il suo stupore quando sentì il tono fermo dell’amico. Inarcò le sopracciglia e Filippo ribatté:
- Io è Franz abbiamo questa teoria: o è una studentessa, o è Carline.
Jason ridacchiò:
- E se fosse Carline, pensate che non ve l’abbia detto perché so che Franz non la sopporta?
Anche Filippo sorrise:
- Ovvio! Ma vista la tua faccia direi che non è Carline la fortunata.
Jason fece una smorfia al pensiero di lui e quella professoressa scheletrica assieme.
- Gli Spiriti non vogliano… no, ovvio che non è lei. Ma per quale motivi escludi Karin? – di lei sapevano sia Franz che Filippo. Quest’ultimo scosse la testa e lo guardò di sottecchi, sempre con un accenno di sorriso sulle labbra:
- Certo, improvvisamente ne senti la mancanza! Devi stare attento Jason, Franz e Jamie sono più amici di quanto tu possa immaginare.
- Jamie! Accidenti…
- Dai, ormai sai che non puoi mentirmi. Dimmi chi è.
- Una studentessa, più di così non posso dirti.
- Non vuoi o non puoi?
Jason alzò le mani esasperato e divertito allo stesso tempo. Tristi tornò serio:
- Ne sei innamorato?
- Direi di sì.
- Diresti?
- Beh, no. Nel senso, sì ne sono innamorato! – si sentì arrossire. – Al diavolo, Filippo, mi sta facendo diventare rosso come un ragazzino.
- Ben ti sta se non mi dici chi è. – rise piano, evitando di sforzare l’addome. – E lei, lei è innamorata di te?
Jason rabbrividì al ricordo di quella sera:
- Sì. – anticipò Filippo che già aveva aperto la bocca: - E sì, me l’ha detto lei! Chiaro e tondo, contento?
- Ma quindi fate sul serio!
- Ma tu non stavi male, scusa?

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Capitolo 10
*** 10 La magia dei cavalieri ***


Grazie anche alla compagnia piacevole dei compagni, il viaggio in nave trascorse veloce. I pasti li consumavano assieme ai marinai, che alla fin fine si dimostrarono persone tranquille, incuriosite dalla magia ma ben attenti a non essere invadenti. Solo una volta s’informarono della salute di Tristi e gli augurarono una pronta guarigione. Jason, abituato alla sottile invadenza della Scuola, dove era impossibile essere del tutto isolato, li prese in simpatia per quel loro fare distante e rispettoso.
Gli dispiacque abbandonarli una volta che sbarcarono in Francia e con un rapido incantesimo, tolse la ruggine dallo scafo, ridonando lucidità alla nave. I marinai ne rimasero affascinati e lo ringraziarono più volte.
Man mano che s’inoltravano nei territori francesi, il clima, sebbene rigido e invernale, divenne meno scuro e ventoso di quello scozzese. Anche il paesaggio era cambiato, sostituito da vaste pianure coltivate. Quando camminavano per le campagne, era difficile che incontrassero qualcuno, mentre nelle lunghe ore nei treni, la gente, in un misto di francese e inglese, li osservava e interpellava: "Maghi? Cavalieri? Ferito? Ribelli? Buona Fortuna!".
Tutto sommato, la Francia piaceva a Jason, che non aveva avuto modo di visitarla spesso. Aveva trascorso qualche mese nel Sud, studiando la geografia del Paese ma senza mai spostarsi dalla base a cui era stato trasferito. Quando si avvicinarono al confine con l'Italia erano in treno. Temette che dovessero perdere tempo ai controlli della dogana, ma a quanto pare le nuove norme internazionali degli uomini garantivano un libero transito da un Paese all'altro.
Alek, tra i compagni, fu quello di cui Jason apprezzò di più la compagnia. Sebbene burbero, non era come Grennor e Trebar che erano sempre impegnati in qualche ricerca contemplativa con la meditazione e assieme a Jason passava il tempo in sciolte chiacchierate, alle quali si univa anche Tristi quando non risposava, spossato dagli sballottamenti del viaggio.
Ci misero quasi quanto il viaggio in nave a giungere in Italia, forse qualche giorno in più Tra l'ansia per la sicurezza di Tristi, l'impazienza che sempre di più l'attanagliava pensando alla Corona, la nostalgia di Renée e la generica paura che lo prendeva ogni volta che, alle fermate delle stazioni fumose, frettolose e grigie, coglieva i segni della guerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, non aveva mai visto così tanti soldati girare per i centri di trasporto umani.
Una volta sicuri di aver varcato i confini con l'Italia, decisero di arrivare fino a Torino a forza di piedi. Grennor e Jason usarono la loro Arte Suprema per rendere il passo una corsa continua e cadenzata, mentre Trebar e Alek, cantando sommesse formule, allietarono le fatiche dei due cavalieri. Tristi più volte insisté per aiutare i compagni, ma per ora nessuno si azzardava a consentirgli di usare la magia. Trebar aveva alle spalle qualche anno da medico ma non si sentiva all’altezza del caso di Filippo. Sembrava che le ferite alle mani e ai polsi gli impedissero, oltre che a fare persino i gesti manuali più essenziali, persino a regolare il flusso di magia per gli incantesimi. Jason sospettava che fosse colpa dell’Incantesimo Proibito ma tenne per se qualsiasi osservazione, vedendo l’amico abbastanza scoraggiato per conto suo. Cercava di essergli di compagnia senza stancarlo troppo, anche se dopo quella sera nella nave Tristi non aveva più cercato di indagare sulla sua vita privata. Gli mancava Franz e non aveva voglia di pensare ad altro.
L’Italia li accolse fredda e soleggiata come solo il Paese del Sole avrebbe potuto essere. L’inverno non l’aveva risparmiata e a Nord c’era un’intera distesa di neve. Tuttavia, non appariva come la Scozia, fredda e selvaggia, ma limpida e azzurra e grigia assieme. Dal passo poco sotto il magnifico Monte Bianco, Jason ammirò le distese valli candide tra montagne e colline. Da dov’erano, era tutta una distesa fino al rifugio più vicino. Tra loro, scese un silenzio contemplativo. Alek tossì leggermente. Jason aspettò immobile che il sole, pallido sorgesse. Fu come un crescendo di violoncelli e pianoforti e finalmente i raggi timidi spuntarono dietro le nuvole basse. Baciò la cima del Bianco e si unì al vento placido ma costante. Giunse fino a loro.
“Forse, non è così importante sapere cosa accadrà domani. Amo e vivo. Nulla di più bello c’è al mondo oltre alla Natura.”
Stupendosi di se, lasciò che quelle parole gli riempissero il cuore e si sentì superiore al vento alla luce e alla neve. Ormai era pronto e non gli servì neppure entrare in meditazione per sentire gli atomi vorticare intorno a lui. La mente era libera e aveva le ali ai piedi.
Se ne accorsero anche gli altri. Presto, Alek gli tolse dalle spalle lo zaino ingombrante. Lo osservò stupito e ammirato, Tristi si era raddrizzato dalla lettiga.
“Amore mio, ora corro e torno presto.”
L’aria gli gonfiò i polmoni, avanzò e prese velocità grazie alla pendenza. Rise voltandosi verso i compagni che assistevano muti. Sapeva cosa stava accadendo al suo corpo, sapeva che era tutt’uno con quello che lo circondava, che era solo luce assieme agli Spiriti. La magia dei cavalieri.
“Siamo la luce degli Spiriti sulla Terra.”

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Capitolo 11
*** 11 Nuovo compagno ***


Giunsero poco dopo al rifugio. Si fermarono giusto per cibarsi e fare scorta. Partirono con Jason in testa al gruppo. Aveva affinato la vista e gli occhi scuri era diventati ancora più luminosi. Dietro di lui, i suoi compagni trasportavano Tristi mentre lui garantiva una strada sicura.
Gli uomini sfuggivano Jason, spaventati dall’espressione quasi marmorea del cavaliere. I compagni rassicuravano con sommesse parole ma nessuno dei viaggiatori che incontrarono li trattenne per come era invece d’uso. In qualche ora, verso la sera, arrivarono al primo vero e proprio centro abitato. Jason, oltre a Filippo, era l’unico che sapesse parlare l’italiano ma ebbe lo stesso difficoltà per via del marcato dialetto di quelle zone. Man mano che avrebbero raggiunto la grande pianura, tagliata dal Po, sapeva che l’intonazione sarebbe cambiata. Ogni dialetto aveva una diversa cantilena e i compagni ne rimasero affascinati. Erano abituati ai diversi accenti della lingua inglese ma i dialetti italiani erano veri e propri idiomi che, se parlati, differivano totalmente dall’italiano. Filippo raccontò loro che difficilmente gli italiani capivano un dialetto che non fosse il loro, anche se si trattava di una regione non troppo distante.
Tutta questa varietà divertì gli stranieri che, giunti nel paese si persero nell’allegria dei colori. Sebbene anche qui la guerra lasciasse le sue tracce, nessuno sembrava rinunciare alla felicità quotidiana. I ragazzi ridevano nella piazza principale, facendo la corte alle ragazze che passavano. I negozianti chiacchieravano porta a porta, le persone camminavano nelle luci gialle dei lampioni. Il freddo non sembrava infastidire nessuno più di tanto, dopotutto lì dovevano esserci abituati.
Ormai Jason aveva smesso di usare l’Arte Suprema, e entrò nel piccolo paese con gli altri, camminando piano nella folla che si scostava meravigliata e diffidente alla vista della lettiga sospesa a mezz’aria. Una di quelle assurde automobili grigie passò a qualche metro da loro, rovinando l’equilibrio degli atomi. Trebar, disgustato, senza farsi notare, liberò l’aria da quelle particelle malate. Tutto tornò come prima. Filippo si era svegliato, aveva dormito nelle ultime due ore, spossato anche dal cambiamento repentino di altitudine.
Vagando per le poche vie del piccolo centro, Jason si rese conto di come i loro abiti fossero diversi da quelli degli uomini. Lui portava l’armatura di fasce di cuoio e legata sulle spalle la spada corta. Grennor aveva legati alle braccia i suoi lunghi coltelli, sottili e affilati. Il lungo mantello bianco e sotto l’armatura cremisi. I capelli biondo sporco gli ondulavano al vento. Alek e Trebar sembravano, con le loro tuniche sgargianti, usciti da un quadro psichedelico. La gente intorno a loro vestiva di lunghi cappotti pesanti, scuri. I guanti di pelle e sciarpe colorate di lana. Jason sorrise alla faccia scandalizzata di una signora ormai anziana, avvolta in una pelliccia e truccata pesantemente, quando li superò camminando nel senso opposto. Trattenne a stento un urlo quando si accorse di Filippo fluttuante fra loro. Non poté fare a meno di ridere assieme ai compagni quando furono sicuri che la donna non li potesse sentire.
- Stanno iniziando a starmi simpatici, gli Italiani! Porca miseria. – scimmiottò Alek ad un certo punto. Gli altri ridacchiarono della sua pronuncia sgangherata.
Trovarono un albergo che, accorgendosi di chi fossero gli avventori, offrì loro due stanze calde e pulite a un prezzo irrisorio. In altre occasioni avrebbero protestato per pagare il prezzo giusto, ma erano troppo stanchi per discutere e la loro giornata, malgrado avessero trovato dove dormire, non era del tutto conclusa.
Sistemarono Filippo nella stanza più grande e Trebar si occupò di cambiargli le medicazioni. Loro quattro si ritirarono assieme nell’altra stanza per ristorarsi. Il ristorante dell’albergo li aveva fatto trovare la cena in camera, forse anche per non creare situazioni difficili con gli altri clienti. Dopo che furono tutti sazi e rinvigoriti da un bicchiere di vino caldo, Jason tirò fuori una cartina della zona. Alek nel frattempo aveva creato della luce sopra le loro teste. Nessuno tra loro aveva avuto il coraggio di ammetterlo, ma l’idea di utilizzare quei vetri luminosi che gli uomini chiamavano lampade li terrorizzava. Jason si schiarì la voce:
- Siamo a meno di un giorno da Torino. – e la indicò – Domani arriveremo ad Aosta, e da lì prenderemo il treno che ci porterà alla città. Una volta lì, cercheremo l’Ospedale ma ci sono già stato una volta, credo di saper ricordarmi come ci si arrivi.
- Non avremo nessun problema con il treno, vero?
Jason scrollò le spalle. Osservò i tre compagni. I visi seri e stanchi. Tuttavia, nessuno di loro aveva una luce inquieta negli occhi, anzi sembravano tutti sicuri di quello che stavano facendo.
“Ovvio, loro devono solo scortare un malato, sono io che deve andare a caccia di un Sigillo praticamente alla cieca.”
Trebar sbadigliò, finì il vino nel bicchiere e sbatté le palpebre:
- Sono stanco, direi che sia il caso di riposarci in vista dell’ultimo sforzo di domani. Abbiamo attraversato mezza Europa in tempo di record, meno di due settimane!
Anche Alek e Grennor borbottarono qualcosa. Quest’ultimo uscì dalla stanza e andò da Filippo, con il quale avrebbe condiviso la camera. Jason andò nel piccolo balcone, attento a non scivolare sullo strato di ghiaccio. Avrebbe potuto usare un trucchetto che aveva imparato in Scozia per non cadere sul ghiaccio ma era troppo stanco per concentrarsi. Inspirò a fondo e lasciò che il freddo notturno gli pizzicasse la pelle. Passò qualche minuto, quando sentì Alek affianco a lui. Voltò appena la testa e gli rivolse un cenno, per poi ritornare ad ammirare lo spettacolo freddo e impenetrabile delle montagne.
- Bella serata. – dalla bocca di Alek, assieme alle parole uscì anche una densa nuvoletta di vapore.
Jason annuì appena e lo sentì appoggiarsi sulla ringhiera del balcone.
- Una volta portato il professo Tristi a Torino, cosa faremo?
- Voi tornerete alla Scuola.
- Voi? Tu cosa farai?
Jason rifletté su cosa dire:
- Dovrò stare in Italia per ancora qualche giorno, ho un compito da eseguire per la Scuola.
- Da solo?
- Dove vuoi arrivare, Alek?
Il russo tossì. Jason lo guardò dritto nel viso.
- Jamie ti ha detto tutto, vero?
Parve esitare, ma poi abbassò leggermente lo sguardo dal suo e ammise:
- Sì. Mi ha chiesto di accompagnarti, avrai bisogno di qualcuno che ti copra le spalle.
- Potrebbe rivelarsi molto pericoloso, i Ribelli mi danno la caccia.
Lui alzò le spalle:
- Non ti hanno preso in questi giorni che abbiamo viaggiato a viso aperto, vuoi che ti prendano ora?
- Saresti più utile a Scuola.
- Non è vero! – il tono quasi arrabbiato del compagno fece quasi sobbalzare Jason. Alek esclamò:
- Sei un erede, Jason! Non c’è cosa più utile che io possa fare se non aiutarti a trovare il tuo Sigillo, la Corona Spiriti. Se tu fossi da solo, e ti venissero a cercare, correresti solo rischi inutili e così tutti noi! Se ti prendessero, sarebbe la fine.
Jason sospirò, intuendo che non avesse senso aggiungere altro. Osservò le stelle e pregò con Alek silenzioso al suo fianco.


Scusate se sto pubblicando alcuni capitoli apparentemente inutili, ma devo preparare bene la storia nei prossimi capitoli che saranno un po' quelli centrali. Spero di non deludervi!
Abbiate pazienza, non sono riuscita ad accedere al sito per tutta la settimana e ho avuto impegni uno dietro l'altro! Ora con le vacanze riprenderò a scrivere giornalmente :)

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Capitolo 12
*** 12 Gli eredi ***


“Combattere. Strappare con i denti la vittoria.”
Renée scacciò via quel pensiero assurdo. Era una studentessa, non combattevano gli studenti. Eppure, una smania la prendeva ogni volta che, la mattina, anziché andare alle lezioni, assieme ad altri seicento studenti dai diciassette ai ventisette anni si sparpagliava per il perimetro scolastico, osservando i professori uscire mesti dalla Danna di Ferro per andare al fronte. Subito cercava Milara, la sua migliore amica, cercando la sua riccia chioma ramata. Averla vicina, o saperla al sicuro con Carlo la tranquillizzava. Poi, il suo pensiero si rivolgeva a Jason.
Distese la schiena sul muro dell’edificio con le aule per le lezioni. Un gruppo di studenti del secondo anno le passò accanto e la guardò con rispetto. Lei fece loro un cenno del capo, poi sorrise: essere l’assistente del Preside dava una certa autorità tra gli studenti.
La raggiunsero Carlo e Milara. Lei minuta, il viso coperto di lentiggini e i capelli di rame, arricciato finemente e con mille riflessi a seconda della luce. Gli occhi di un verde disarmante e chiaro, quasi uno specchio. Lui invece, alto e magro, le mani nervose e sottili. Dei zigomi affilati, addolciti dai capelli lunghi e biondi, leggermente mossi. Occhi azzurro cenere. Le sorrisero. Milara esclamò:
- Renée! – l’abbracciò.
Carlo la salutò con la mano e assieme si avviarono verso la biblioteca. Passò Franz accompagnato da altri sei insegnanti. Avevano le armature, i volti seri e attorno alleggiava una coltre sottile di atomi.
“Stanno usando l’Arte Suprema!” fu il pensiero affascinato della ragazza che rallentò il passo per osservarli meglio. Un brivido le corse lungo la schiena, ricordandosi di quando aveva visto Jason allenarsi usando l’Arte Suprema, in una danza micidiale e irresistibile allo stesso tempo.
Veloci e silenziosi, con movimenti fluidi e quasi impercettibili, i sette cavalieri scomparirono, diretti al cancello della Scuola.
- Mettono i brividi quando usano l’Arte Suprema. – Carlo era un neo mago e doveva trovare l’Arte Suprema incomprensibile.
- Io ne sono affascinata, - replicò Milara a bassa voce, indovinando anche i pensieri di Renée – sembrano come in contemplazione di qualcosa oltre il reale.
- Lo sono, infatti. In un certo senso, percepiscono se stessi come atomi e si uniscono agli atomi esterni, utilizzandoli come incremento della forza. – Renée si ricordò di come Jason aveva dovuto concentrarsi per uscire dall’Arte Suprema.
Il freddo li colpì con una raffica di vento. Si affrettarono ad entrare. Carlo avrebbe anche usato la velocità della luce, ma fu abbastanza gentiluomo da non lascarle lì al freddo.
Da quando le lezione erano state interrotte, gli studenti passavano le giornate per gli edifici della Scuola. Studiavano da soli, o in gruppo. Gli studenti più anziani qualche volta insegnavano ai più giovani. Carlo stesso teneva qualche lezione di Magia mentre Milara e Renée aiutavano alcuni studenti nelle Lingue Antiche. Tuttavia, spesso i tre si rifugiavano nel caldo di un angolo della biblioteca, lontani da tutti. Chiacchieravano, leggevano in silenzio per conto proprio, scherzavano. Il ragazzo qualche volta si allontanava un po’ per esercitarsi con la meditazione dell’Incantus Primum. Milara e Renée fantasticavano su cosa sarebbero diventate loro due.
Proprio quel giorno, affrontarono di nuovo quel discorso, mentre Carlo, qualche scaffale più in là sedeva immobile a gambe incrociate sul pavimento di legno scuro.
- Mi piacerebbe essere un cavaliere. – commentò Renée dopo un veloce silenzio.
- Già, ma anche essere maghi… poter indagare sugli atomi più puri!
Riscese il silenzio tra le due ragazze. Milara osservò l’amica che, seria e con un’espressione tirata e preoccupata, guardava fuori la neve cadere ancora. Si sistemò meglio sulla poltrona imbottita e le chiese:
- Ti manca, vero?
L’amica si riscosse leggermente. Sorrise mesta ma l’espressione non cambiò. Continuò a guardare fuori senza dire nulla, poi sospirò, distolse lo sguardo rivolgendolo a Milara, rispondendole:
- Sì, ma sono anche preoccupata. – si passò una mano sul viso e sbadigliò sonoramente – In più, quei sogni assurdi non mi aiutano… - sbuffò.
- Che sogni? – poi lo sguardo di Milara si fece più attento – Anch’io faccio dei sogni strani, da almeno un mese.
- Io da qualche settimana. Sempre lo stesso!
- Anch’io!
- Raccontamelo, avanti. – Renée aveva capito che l’amica non vedeva l’ora di spiegarglielo.
Milara pensò qualche istante in silenzio, come a pescare nella memoria le immagini del sogno. Si raddrizzò con la schiena e iniziò:
- Sono con te, ma ci sono anche gli Spiriti. Tu mi sei a fianco ma hai come un atteggiamento di guardia e sei circospetta. Gli Spiriti mi sussurrano cose e poi mi toccano la mente e il cuore con la loro Essenza e… - si bloccò, in cerca delle parole giuste – e vedo le cose nascere e morire. Tu continui a proteggermi. Poi mi afferri il braccio, e appaiono Carlo e… Jason. Sono… sono anche loro come me, toccati dagli Spiriti ma in modo diverso.
Renée si sentì gelare. Le girò quasi la testa. Milara la fissò dritta negli occhi e capì. Capirono assieme tutto e sentirono nascere in loro la consapevolezza.
- Io… - sussurrò Renée – io ti custodisco. E nel mio sogno sento gli Spiriti toccarmi la mente con la loro Essenza. Non mi toccano il cuore perché sanno che non ce n’è bisogno… - arrossì, sapendo che era per Jason – e anche a me sussurrano cose. Poi tu, Jason e Carlo diventate chiari e ben visibili e so che devo custodirvi…
Milara tratteneva il fiato. Non capiva bene cosa le stesse succedendo, ma si rispecchiò negli occhi caldi dell’amica.
- Io sono… - bisbigliarono in contemporanea.
- Tu sei l’erede della Pace Spiriti!
- E tu sei la Custode!
Improvvisamente, per qualche brevissimo istante impercettibile se non a loro, il mondo si arrestò e la neve fuori trattenne il respiro. Il vento quasi si riavvolse come le nuvole tremolarono. Il senso di consapevolezza era ormai padrone delle giovani che ancora si fissavano sempre più sbalordite, i cuori stretti da una fredda morsa. Poi, la sensazione si attenuò ed entrambe si riscossero.
Ci fu silenzio. Passarono i minuti. Ancora silenzio, Carlo stava meditando. La neve aveva ripreso a scendere, il vento a sibilare tra mura e rami.
Nessuna delle due avrebbe voluto parlare. Si guardavano circospette, come cercando nell’altra una specie di conferma per quello che era appena successo.
“Sono la Custode…” Renée rabbrividì. Non fu dispiacere o dolore, ma non capì se quel brivido fosse felicità. Guardò per l’ennesima volta Milara. Sobbalzò quando sentì dei passi e l’amica fece altrettanto. Era Carlo, un’espressione allucinata sul volto. Si toccava leggermente la testa. Vide le facce straniate delle due, si avvicinò a Milara e le strinse la mano, per poi sedersi nella terza poltrona del gruppo.
- Che cosa… - biascicò confuso. Renée scrollò le spalle e girò di scatto la testa verso di lui. Socchiuse gli occhi:
- C’eri anche tu nel mio sogno…
- Che sogno? – Carlo aveva una voce incrinata. Rivolse un’occhiata a Milara che si schiarì la gola:
- Carlo, abbiamo scoperto… - si bloccò – tu… tu per caso hai fatto un sogno ricorrente?
-Non proprio… è da un po’ che, ogni volta che medito, mi arriva una visione direttamente dall’Essenza… ed è assurda.
- Com’è?
- Beh, è difficile. – il ragazzo si passò una mano sul collo, perplesso – mi toccano il cuore e la mente e sembra che il tempo per me non abbia più importanza. Però sento anche che cercando di dirmi che devo parlare… no, non parlare… devo rivolgermi a te, Renée. – guardò anche Milara – Mi sussurrano cose, e mi dicono anche di te, e anche di Preside Mirus…
- Jason… - il tono malinconico di Renée era troppo evidente perché Carlo non ne rimanesse stupito. La guardò ancora più confuso. A sua volta, Renée lo fissò dritto negli occhi, implicabile, come aveva fatto d’istinto anche con Milara. Improvvisamente, qualcosa in Carlo mutò. Vide nei suoi scoppiare una scintilla e respirare quasi a fatica.
“E’ lui.”
- Tu sei l’erede del Patto Spiriti.
Questa volta, fu Carlo che sentì il mondo bloccarsi per lui.

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Capitolo 13
*** 13 In fuga ***


- Io non capisco.
- Neppure io. – le due ragazze si voltarono verso Carlo, che spostò rapido lo sguardo da una all’altra:
- Non guardate me!
Renée rifletté.
“Abbiamo appena scoperto… Jason! Ecco perché è dovuto partire! Il Sigillo… lui è in cerca della Corona Spiriti! Senza di me…” scacciò la malinconia. “ Siamo qui ora, devo pensare a loro due. Sono gli altri due eredi! I Ribelli ci sono andati molto vicino a trovarli tutti e tre. Incredibile… devo portarli via.”
Milara intuì il suo pensiero dal suo sguardo risoluto. Anche Carlo la guardò e disse:
- Tu però… tu sei la Custode, non sei il primo erede.
- E’ Jason… il Preside.
- Come fai a esserne sicura?
- Beh… tutti e tre ci siamo sognati, io che proteggevo voi mentre voi eravate toccati dagli Spiriti. In ogni sogno, c’era anche Jas… il Preside. Ogni sogno è uguale a quello dell’altro, solo che visto dal punto di vista di ciascuno di noi. Non solo gli Spiriti ci hanno mostrato chi siamo, ma anche chi sono gli altri!
I due amici si fecero pensierosi e per un attimo ci fu silenzio. Era ancora mattina, ormai tarda, ma il sole sembrava appena sorto, grigio dietro le nuvole riversanti pigre la neve.
Renée si fece irrequieta, ripensando a cosa rischiassero a restare alla Scuola. Confidava nelle capacità di professori, ma sapeva di dover condurre i due eredi lontani da lì. I Ribelli sapevano che probabilmente erano lì. Inoltre, allontanarli almeno da quel fronte, le avrebbe permesso di viaggiare in cerca di Jason. Ora, doveva trovarlo, al di là dei suoi sentimenti. Le si scaldò il cuore, pensando a quanto fossero uniti. Doveva trovarlo prima dei Ribelli. Una volta insieme, i tre eredi sarebbero stati al sicuro e lei avrebbe lottato con anima e corpo, perché era quello il suo compito.
- Dobbiamo andarcene… - iniziò, ma Carlo la interruppe brusco:
- Aspetta! Devi spiegarci bene come stanno le cose. – si alzò di scatto facendo sobbalzare Milara, e prese a camminare nervoso su è già davanti alle ragazze.
- Dunque, – si grattò la testa – su quello che abbiamo appena scoperto, non ci piove. Siamo quello che siamo e dobbiamo agire di conseguenza. Renée, tu hai il compito di proteggerci e noi dobbiamo diventare gli eletti, affinché i Ribelli non possano più servirsi di quelli precedenti, che sono tenuti imprigionati. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come fare. Ma prima, - si rivolse a Renée – immagino che Milara sappia già tutto, ma devi dirmi come mai parli di Preside Mirus in quel modo.
La ragazza arrossì, Milara lanciò un’occhiataccia al ragazzo che fece l’indifferente. Renée fece un timido sorriso e rispose:
- Credo sia anche giusto, visto che devi riporre la tua sicurezza nelle mie mani. Ehm… come spiegarlo… io e lui siamo… - fece un respiro profondo – io e lui siamo innamorati.
Carlo sgranò gli occhi, Milara accennò un sorriso vedendo la sua espressione, poi anche Carlo sorrise. Scosse la testa e tornò a sedersi vicino a Milara, che lo guardò con fugace e timida tenerezza. Renée ne sorrise.
- Incredibile. – fu l’unico commento del neo mago.
Ancora una volta il silenzio tornò tra i tre giovani, finché Milara non sospirò e si lasciò scivolare con la testa sulla spalla di Carlo, che prese ad arricciarle ancora di più i capelli.
- Hai ragione, Renée: dobbiamo andarcene. Ma dove?
- Andremo da Jamie Mirus, il fratello di Jason.
Carlo strabuzzò gli occhi:
- Ma lui è proprio al fronte! Sarebbe come andare tra le braccia dei Ribelli!
- Lo so ma è l’unico che può aiutarci. Jason mi ha detto che lui si è occupato dei Sigilli per conto del Senato negli ultimi sei anni. Credo anche che sia stato proprio Jamie a dirgli di essere l’erede della Corona Spiriti. Tuttavia non staremo lì. Andremo a Edimburgo e io andrò al fronte a cercarlo. Lo porterò da voi in città e lì ci aiuterà, poi noi andremo via dalla Scozia.
- A cercare il Preside?
- Sì, - Renée sentì il cuore stringersi in una morsa – a cercare Jason.
- Dove?
- Non lo so di preciso. Lui dovrebbe essere ormai a Torino, ma non è detto che resti in Italia, magari il Sigillo non si trova lì.
- Ce lo faremo dire da suo fratello.
Le due ragazze annuirono. I tre studenti si alzarono, spossati. Guardarono timidamente fuori e videro che aveva smesso di nevicare. Il cielo era bianco e brillava dei riflessi dei raggi sottili del sole che era finalmente alto nel cielo. Malgrado l’inizio mattinata grigio e nevoso, la giornata volgeva al meglio.
“Dobbiamo andarcene. Devo proteggerli. Devo proteggere Jason.”

Quella sera, tre figure nere, attesero nascoste e avvolte in pesanti abiti civili, tre tuniche lunghe di lana grigia, che la Danno di Ferro fosse aperta per far entrare i professori che, stanchi, tornavano dal fronte. Rabbrividirono quando si accorsero che uno di loro era adagiato svenuto su una lettiga, simile a quella sulla quale Renée aveva scorto il professo Tristi. Le figure attraversarono il cancello lente e silenziose. Le tre ombre si resero ancora più invisibili nel buio. Sgusciarono oltre la Donna di Ferro appena prima che fosse chiusa alle spalle dell’ultimo professore. Franz era stato tra i primi a entrare.
Renée, Milara e Carlo presero a correre non appena furono fuori, evitando per un soffio di finire tra le trappole degli incantesimi di difesa. Continuarono a correre, i mantelli svolazzanti e inutili contro il vento che tagliava loro le guancie e faceva lacrimare gli occhi. Non si fermarono mai. Camminarono o corsero, non aveva molta importanza. Se si fossero fermati, sarebbero morti congelati. Dovevano raggiungere Edimburgo. Solo allora si resero conto si quanto la Scuola fosse un posto sicuro. Renée ne sentì la nostalgia, ma il suo dovere la spinse a correre ancora più veloce.
“Devo proteggere Jason.”

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Capitolo 14
*** 14 Aiuti dal fronte ***


Dal chiarore del cielo, Renée intuì non fosse più notte fonda ma mattino presto. Erano stato fortunati, non aveva nevicato. Grazie agli spossanti allenamenti di Lotta Libera, erano riusciti a non cedere alla stanchezza, arrivando senza mai fermarsi fino ad Edimburgo.
La città, sebbene l’elevato numero di magi e cavalieri che vi risiedevano per via della sua vicinanza alla Scuola, aveva uno stampo tipicamente umano. Nelle strade le automobili e quei mostri di lamiera a due piani scorazzavano ingrigendo le case strette di mattoni, addossate una all’altra. La stazione dei treni era un via vai continuo. Il castello si erigeva solido ed eterno sopra la Royal Mile. Calton Hill e i suoi scuri monumenti, nella via per scendere a Portobello, sembrava come in letargo. Fuori dal centro, a Sud, entrando nel cuore della città da Nicholson Street, vasti blocchi di case vittoriane esprimevano il loro disappunto al gelo della mattina con lenti e neri sbuffi di fumo dai camini. Per finire il quadro, Arthur’s Seat, vicino al palazzo scozzese della regina e al parlamento scozzese, si erigeva candido, gettando leggere ombre sulla parte della città sottostante. Il tipico cielo carico di neve toglieva vivacità ai colori già scuri della città, che tuttavia già a quell’ora presta sembrava scaldarsi di attività.
A conferma di questo, i tre giovani furono accolti da uno di quei terribili clacson, che schizzò a fianco a loro assieme all’automobile. Milara rabbrividì, Carlo le strinse la mano. “E’ proprio vero che gli uomini non dormono mai.” Sembrarono dire le loro facce, spossate dalla marcia forzata.
Immobili sul ciglio della strada, sembravano sul punto di addormentarsi lì in piedi, ma si riscossero al passaggio di un autobus terribilmente rumoroso. Attraversarono in fretta la strada e la risalirono tutta, fino alla Royal Mile. Ne percorsero un tratto in salita, avvicinandosi di qualche metro al castello. Tagliarono per un vicolo laterale e arrivarono a Market Street. Carlo sapeva di un Ostello in quella zona. In effetti, fatti alcuni metri, ne riconobbero l’entrata.
Non riuscirono a passare per dei turisti, poiché lì gli albergatori sapevano come fossero gli studenti della Scuola. Inoltre Carlo aveva tenuto la Pietra sopra la tunica come usava di solito, facendosi subito riconoscere come un mago. Renée non avrebbe voluto attirare troppa attenzione, ma il giovanotto dall’accento tipico scozzese non ne fece un dramma, anzi si assicurò solo che avessero di che pagare. Diede loro un’anonima stanza e li lasciò subito soli.
Si buttarono sui letti duri, esausti. Renée si sentì la schiena terribilmente contratta che avrebbe voluto non avercela. Avrebbe voluto riposarsi subito, ma aveva poco tempo. Doveva partire il prima possibile per raggiungere Jamie. Riteneva che in quel posto Carlo e Milara fossero abbastanza al sicuro, ma non si fidava a restare in Scozia per più di tre giorni. Sarebbe andata da Jamie e gli avrebbe spiegato la situazione, sperando che il mago la seguisse subito fino a lì e li aiutasse.
Erano scappati dalla Scuola, trasgredendo all’unica regola che davvero vigeva in quel momento. “Lodberg mi ucciderà non appena riuscirà a trovarci.” Sentì salirle la frustrazione e con essa quell’opprimente senso di consapevolezza, dal quale però traeva inspiegabilmente la forza. Tutta la notte, quando le gambe le erano diventate due blocchi di ghiaccio doloranti, non si era lasciata cadere sulla neve grazie a quella fonte improvvisa di volontà.
Si alzò dal letto e cercò di rilassare un po’ la schiena. Carlo alzò la testa verso di lei e le fece un cenno d’assenso, entrambi erano troppo stanchi e tesi per dire qualcosa. La ragazza uscì dalla stanza e tornò all’ingresso. Chiese una cartina al giovanotto di poco prima, chiedendogli dove fosse il fronte e quanto distasse. Lo Scozzese le spiegò che i convogli di soldati andavano con il treno, che partiva ogni ora dalla Waverley Station. Sicuramente, le avrebbe permesso di andare con loro, dicendole che sarebbero state meno di tre ore in treno e un’ora a piedi. Era troppo pericoloso usare le automobili e Renée sospirò al pensiero di non doverci per forza salire. Dopo qualche minuto, stava camminando in fretta giù per South Bridge fino alla stazione dei treni, sperando di beccare subito il treno senza dover sprecare altro tempo.
Quando era ormai mattina inoltrata e il suo stomaco non le dava tregua dalla fame, René giunse al fronte. Non se l’era immaginato poi così diverso: un ammasso di tende e tendoni, un continuo muoversi mestamente e facce stanche e tirate. Si allontanò dal gruppo dei soldati quando questi si diressero nel loro campo. Indovinò quale fosse quello dei maghi e cavalieri dall’assenza di automobili attorno alle tende. Un mago le passò accanto nella tunica sgargiante ma non la badò, allontanandosi in fretta per la sua strada e Renée fece altrettanto, sentendo il sudore freddo per l’emozione colarle lungo il collo. Si rallegrò subito quando vide il cielo ricolorarsi di azzurro e un coraggioso sole farsi avanti, scaldando la neve che sembrava aver preso il posto della terra e tutti loro.
- Chi stai cercando? – le chiese un cavaliere passandole accanto ma fermandosi notando la sua espressione spaesata di fronte a quel labirinto di tende. Renée rispose cercando di sembrare il meno colpevole possibile:
- Cerco il Capitano Mirus.
Le indicò la strada, senza farle domande. Una volta all’entrata della tenda, dovette farsi annunciare e fu costretta a dire il suo nome.
Jamie la guardò perplesso da dietro un basso e largo tavolo di legno, coperto da numerose carte e documenti scritti fitti. In un angolo c’erano anche un mucchio di missive.
- Che cosa ci fai tu qui? – esclamò, riconoscendola come l’assistente del fratello maggiore. La ragazza si schiarì la voce:
- Sono venuta qui per chiederle aiuto.
Il mago la guardò a lungo, i capelli lunghi e rossi spettinati e gettati alla rinfusa con una manata all’indietro, gli ricaddero leggermente davanti quando si sedette dietro il tavolo. Spostò con un gesto stanco una sedia che fluttuò davanti a lui e fece un gesto a Renée affinché si accomodasse:
- Raccontami tutto.
Renée non perse tempo, raccontò tutto quello che pensò fosse importante. Descrisse brevemente il suo sogno e di come, confrontandosi con i suoi compagni, avesse capito di essere la Custode e loro gli eredi. Jamie dapprima sgranò leggermente gli occhi, poi passò a una faccia scandalizzata quando comprese che erano scappati da meno di un giorno dalla Scuola e che gli altri due erano a Edimburgo.
- Tu sei folle. – sussurrò facendo un gesto nervoso, portandosi la mano sulla bocca.
- Una cosa simile, forse! Ma sono la Custode, devo proteggerli e i Ribelli credono che siano ancora alla Scuola, probabilmente. Ho bisogno del tuo aiuto. Carlo Bonasti, l’erede del Patto Spiriti è l’unico che è stato scelto.
- Mi stai dicendo che non solo uno di voi tre è dell’ultimo anno?
- Si calmi, la prego! Ho dovuto portarli via dalla Scuola, in caso qualche Ribelle riuscisse a varcare il fronte. Sono al sicuro ora ma ho bisogno del suo aiuto! Pensi anche a suo fratello! Se riuscissi a raggiungerlo, i tre nuovi eletti sarebbero uniti e avremo una speranza in più…
Il mago scosse la testa:
- Se Jason scopre che ti ho permesso di andarlo a cercare mettendoti in pericolo mi uccide, lo sai vero? – e lo sguardo fu così penetrante ed eloquente che Renée si sentì avvampare perfino i capelli.
- Mi basta solo che lei mi aiuti per far sì che loro diventino eletti.
- Ho bisogno di pensarci…
- Non c’è tempo! Non potremo stare qui più di tre giorni, dopo di ché andremo in cerca di Jason.
- Dove sono gli altri due eredi?
- In un Ostello, a Edimburgo.
- Portami da loro.
Renée gli rivolse un sorriso sollevato.
Ci volle un’ora prima che Jamie riuscisse a trovare un degno sostituto al comando dell’accampamento. Renée ne approfittò per procurarsi del cibo, mettendo fine alla lunga agonia che il suo stomaco vuota le aveva procurato.  Nella passeggiata e nel viaggio in treno, i due non parlarono. Lei era stanca e lui pensieroso, con milioni di dubbi su quello che stesse facendo e su quei tre ragazzi intraprendenti. Renée si lasciò cullare dal rumore del treno cercando di recuperare un po’ di energie.

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Capitolo 15
*** 15 Giuramento ***


Renée si sedette su uno dei tre letti, mentre Jamie sedeva in quello più in fondo, sotto la finestra oscurata dalle pesanti tende. Carlo e Milara erano seduti a gambe incrociate nel letto centrale, vicini. Il mago li osservò, prima i due giovani al centro, poi Renée che sedeva appoggiata al muro. I suoi occhi verdi e luminosi, assieme alla chioma che sembrava una fiamma di fuoco, lo rendevano quasi l’opposto di Jason ma, allo stesso tempo, i lineamenti e il taglio degli occhi ne accentuavano la somiglianza. Solo se si osservavano bene si riusciva a cogliere quanto quei due fossero simili.
Durante il viaggio, il Capitano aveva lentamente cambiato atteggiamento. Nervoso e quasi scandalizzato, era diventato sempre più serio e determinato, mutando anche comportamento nei confronti di Renée, che si era sentita il suo sguardo indagatore addosso. Giunti nella camera, Carlo e Milara li avevano accolti con un improvvisato pranzo a base di panini. Ora, sedevano in quattro in quella minuscola stanza da tre letti, Edimburgo dietro le tende nel pieno della sua giornata invernale, aspettando che Jamie finisse di sottoporli al suo silenzioso esame.
Quando ormai Renée iniziava a temere che tutta la sua fatica fosse stata inutile, Jamie parlò:
- Carlo, tu sei l’erede del Patto Spiriti, giusto?
Il neo mago sobbalzò nel sentire il suono del suo nome rompere il silenzio, ma si affrettò a rispondere:
- Sì, Capitano.
- E sei anche l’unico che è già stato scelto. Sei un mago, giusto?
- Sì, sono un mago.
- Com’è che hai scoperto di essere l’erede?
Renée capì il trucco di Jamie per metterli alla prova e non nascose un sorrisetto compiaciuto quando Carlo rispose correttamente:
- Non l’ho scoperto da solo. Avevo una visione ricorrente ogni volta che meditavo. L’ho descritta a loro, – e indicò Renée e Milara – che… beh, che mi hanno detto chi fossi.
- Si aspettava che s’inventasse di averlo scoperto da solo, vero?
Jamie le rivolse un’occhiata indecifrabile, ma chinò la testa annuendo:
- Sì. Se mi avesse detto di averlo scoperto da solo, sarebbe stato un falso. Dev’essere qualcun altro a dirlo. A quanto pare, non stai mentendo quando, Carlo Bonasti.
Milara esclamò, offesa della mancata fiducia del mago più anziano:
- Certo che non sta mentendo! Nessuno di noi mente, Capitano! Noi siamo due eredi, il Preside Mirus è il terso e Renée è la nostra Custode. – si scostò una ciocca di ricci dal viso. Il suo color rame con riflessi dorati sembrava una sfumatura del rosso acceso di Jamie, che sorrise divertito da quella specie di rimprovero.
- Bene, - esordì, infatti, - se siete davvero gli ultimi due eredi e la Custode, è mio compito aiutarvi a diventare eletti e a trovare il vostro compagno. Jason è in cerca del suo Sigillo, voi ora combatterete per avere il vostro. Prima di tutto, Milara e Renée, voi dovrete essere scelte. Carlo dovrà meditare e conversare con gli Spiriti, mostrandosi degno di ricevere il Patto Spiriti. Lo stesso dopo, dovrete dare voi due.
- Sì, Capitano. – esclamarono in coro i tre ragazzi, sentendo crescere dentro di loro l’emozione.
Jamie sorrise, e la luce negli occhi divenne benevola come quella negli occhi scuri e caldi di Jason.
- Inizierò con voi due. – e indicò Milara e Renée.
Sì alzò e indicò il pavimento coperto dalla moquette:
- Sedetevi a gambe incrociate. Carlo, dovrai aiutarmi a farle raggiungere la meditazione. – il giovane annuì e si alzò per affiancare il mago che sussurrò:
- Prima tu, Milara. Chiudi gli occhi.
Renée osservò l’amica seguire la voce improvvisamente ipnotica di Jamie. Vide la sua faccia impallidire e gli occhi serrarsi forte. Poi di nuovo, il suo viso si fece completamente rilassato quasi sereno. Improvvisamente e lentamente allo stessi tempo, attorno a lei gli atomi brillarono e le vorticarono attorno silenziosi e carichi di energia. Ormai Jamie taceva, ammirando anche lui la magia degli Spiriti avvolgere la giovane. Una luce più forte le brillò attorno al collo e sul petto. Comparve una pietra dalla consistenza strana. Non era solida ma neppure liquida. Milara aprì in quel momento gli occhi.
- Milara Guarnì, - la voce di Jamie era tornata quella di prima, solo con una sfumatura solenne – sei pronta al tuo giuramento?
- Sì.
- Allora ripeti con me per due volte:
Spiriti, io sono la vostra energia sulla Terra.
Giuro di non sprecarla per la malvagità.
Spiriti, vi amo, vi venero e vi difendo.
Giuro di non smettere mai di proteggere i Sigilli.
Per due volte Milara recitò i quattro versi del giuramento e sulla pietra queste parole s’incisero. Leggeri, gli atomi si sparsero nell’aria mentre Milara teneva nelle mani la Pietra, grigia e tonda come quella di Jamie e Carlo. Sorrise ai due maghi. Carlo le tese una mano e l’aiutò ad alzarsi. Si abbracciarono appena.
A sua volta, Renée si trovò tre paia di occhi fissi su di lei. Fissò prima Milara, che le fece un cenno incoraggiante e poi Carlo, che le sorrise stanco. Infine, incrociò lo sguardo con Jamie che, come si aspettava, le rivolse un’occhiata divertita e sicura. Si accorse di essere leggermente nervosa e impaurita, non sapendo cosa aspettarsi.
- Renée, chiudi gli occhi.
Li chiuse. Per i primi secondi, non cambiò nulla poi avvertì qualcosa attorno a lei girare e tutto divenne luminoso.
Concentrati. L’essenza di Jamie le era vicino e poco più distante anche quella di Carlo.Capì che i due erano in semi meditazione per aiutarla a concentrarsi e si rese conto che quella luminosità era dovuta alla sua stessa essenza. Quelli erano i suoi atomi.
Segui la tua essenza. Renée strinse gli occhi e lasciò che gli atomi le si attorcigliassero attorno all’anima, al cervello e al cuore, sentendo qualcosa di freddo e caldo entrarle nel suo essere più profondo. Le girò la testa quando si rese conto che era la sua stessa essenza a scegliere.
Lascia che ti conosca. Fino ad ora l’hai lasciata all’esterno, deve capire chi sei davvero.
Qualcosa di incredibile l’avvolse completamente. Avvertì energia nuova dentro di se e fu una sensazione straordinaria. Un fuoco le avvolse i polsi. Istintivamente, aprì gli occhi.
La luce abbagliante che aveva avvolto il collo di Milara, ora le vorticava attorno ai polsi pallidi. Vide i contorni neri di fenici e fiamme sulla sua pelle. Alzò il viso verso Jamie, che con voce rauca e solenne, sotto gli sguardi attoniti di Carlo e Milara, recitò:
- Renée Grison, sei pronta al tuo giuramento?
- Sì.
- Allora ripeti con me per due volte:
Spiriti, io sono la vostra luce sulla Terra.
Giuro di non sprecarla per la malvagità.
Spiriti, vi amo, vi venero e vi difendo.
Giuro di non smettere mai di proteggere i Sigilli.
Il rito si concluse quando Renée lasciò morire la sua voce alla parola Sigilli. La luce esplose in una miriade di sfumature colorate, che si posarono a riempire i contorni dei tatuaggi, ora fiammeggianti attorno ai suoi polsi.
“Sono un cavaliere.”
Un nuovo senso delle cose si fece spazio in lei. Sbatté le palpebre alcune volte, mentre tutto tornava come prima. Con l’aiuto dei suoi amici, si alzò in piedi, massaggiandosi gli occhi dietro gli occhiali.
- Per domani il senso di nausea passerà. Ora vi lasciamo riposare.
I due uomini uscirono dalla stanza, permettendo così alle due ragazze di cambiarsi e coricarsi a dormire. Renée guardava il soffitto a pancia in su, respirando lentamente, cercando di sconfiggere la nausea che in effetti sembrava sempre più forte. Nel letto a fianco, Milara si girò di lato e acquisì un respiro sempre più pacato e regolare.
“Ho bisogno di dormire anch’io, questa nausea è terribile. In più i polsi mi prudono così tanto che impazzirò!”
Quel prurito le ricordava lo stesso fastidio che si aveva quando per la prima volta nelle lezioni di Magia le avevano insegnato i primi incantesimi. Un fastidio generale ai palmi delle mani e un cerchio alla testa, che passava dopo diversi giorni. Le avevano detto che era causato da contatto della pelle con gli atomi, che la prima volta creava un leggero squilibrio.
“Bene, spero solo che passi in fretta o non potrò sicuramente essere una gran Custode se ogni cinque minuti dovrò grattarmi i polsi.”

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Capitolo 16
*** 16 Alice ***


Si svegliarono entrambe quando ormai l’intero pomeriggio era trascorso, e il buio ero ormai completamente calato sulla città. La nausea infastidiva ancora Renée, ma ormai era lieve e riusciva tranquillamente a stare in piedi e a ragionare. Milara, vicino a lei, si massaggiava ancora gli occhi.
- Ben svegliate.
Renée sobbalzò, ricordandosi ancora leggermente insonnolita di Jamie, seduto nell’unica sedia della camera, mentre Carlo, in piedi poco distante da lui, si affaccendava con alcuni panini. Ne diede uno a testa, ma Renée ne mangiò a stento metà, ancora con lo stomaco bloccato dalla nausea.
Jamie le sorrise:
- Non preoccuparti, è normale che succeda, il tuo corpo non è abituato. Mi ricordo mio fratello, stette male quasi due giorni dopo il giuramento!
Renée borbottò qualcosa che neppure lei capì molto, avvolgendo il resto del panino nella carta e appoggiandolo sul tavolo sotto la finestra, ancora oscurata dalle tende. Si sorprese di non sentirsi la testa vorticare quando si alzò e di conseguenza anche il suo umore migliorò lievemente. Ritornò a sedersi sul letto, rendendosi conto di essere ancora con la semplice tunica pesante che usava la notte. Per fortuna, non era corta.
Carlo si mosse irrequieto, guardando Jamie, che a sua volta fece un cenno al giovane e disse:
- Dunque, credo sia il caso d’iniziare. Carlo, nonostante la sua impazienza, ha preferito aspettare che anche voi vi riprendeste prima di meditare per diventare l’eletto.
Le due ragazze annuirono, Renée si sentiva fresca e allo stesso tempo intorpidita e tutto aveva qualcosa di ovattato. “Assurdo.” , pensò, sedendosi insieme agli altri per terra, incrociando le gambe e tirando un sospiro. Solo Jamie era in piedi. Lo guardò con la coda dell’occhio e rimase affascinata: stava usando l’Incantus Primum ed era circondato da un’aura brillante e gialla. Assomigliava leggermente all’Arte Suprema di Jason, solo che nel caso del Preside erano stati i suoi stessi atomi dell’essenza a rivelarsi, istigati dal cavaliere. Ora, Jamie attirava con la sua essenza gli atomi che vagavano nell’aria leggermente pesante della camera. La sua voce era un sibilo ipnotico:
- Meditate.
Renée chiuse lentamente gli occhi.
Medita. Ascolta gli atomi della tua essenza. Non era la voce di Jamie come la prima volta. Era la voce della sua stessa essenza. Gli atomi che la rendevano ciò che era le parlavano. Aveva una voce sconosciuta, androgina. Sperò non fosse la sua, ma solo quella della sua essenza. Aveva un che di suadente ma allo stesso tempo sembrava rauca, graffiante.
Medita.
Renée meditò e tutto cambiò ancora.
Stai osservando gli atomi, sta attenta. Sono la tua essenza. Così poco che ci conosciamo, mia dolce Renée, e già dobbiamo affrontare assieme una simile prova.
- Assumi una forma.
Jason. La forma più viva nella tua mente e nel tuo cuore.
- E’ amore. Lo comprendi l’amore, Essenza?
Solo quello degli Spiriti, Renée.
- Gli Spiriti ti amano! Amano anche me?
Lo scopriremo presto, mia dolce Renée.
- Essenza, ho paura. Gli Spiriti mi guarderanno l’anima, io non sono pura.
Tu sei pura se sai di non esserlo. Ti penti dei tuoi sentimenti?
Jason.
- No, Essenza. Non posso pentirmi di Jason.
E allora affronteremo assieme e con serenità questa prova, trai forza dai tuoi sentimenti. Sei pronta, Renée? Pronunciava il suo nome lasciando che il suono scivolasse su una lingua inesistente. Renée capì quanto la sua essenza fosse attratta da lei. Quanto avesse desiderato che lei meditasse per la prima volta. Non l’avrebbe mai abbandonata.
- Sono pronta perché tu non mi lascerai mai sola, Essenza.
Allora, cerchiamo gli Spiriti.
- Come?
Segui gli atomi. Segui me, Renée. La mano di Jason, calda, sicura e invitante le apparve. Poi il suo corpo possente e le spalle larghe. Il suo sorriso e i suoi occhi scuri. I capelli spettinati e trasandati, la barba leggermente incolta. L’anima di Renée, o forse Renée in carne e ossa afferrò la mano e si lasciò trascinare. Erano atomi quella che circondavano la sua anima. Era lei con il tutto. Fu allora che capì cos’erano gli Spiriti.
- Spiriti…
Loro non parlano. Lascia che comunichino con le emozioni.
- Sì, Essenza.
Con delicatezza, qualcosa sfiorò Renée, e così fece anche con la sua essenza. Erano gli Spiriti con la loro Essenza, la più vera e pura. Non ebbe paura, si stavano presentando con sorprendente umiltà. Volevano starle vicino e sentì in loro crescere anche una curiosità quasi infantile. La semplicità di quell’Essenza era disarmante. Luce. Atomi di luce, senza massa, sola energia.
Lasciali andare dentro di te.
- E’ questa la prova?
Sì, Renée.
L’Essenza si era fatta più insistente. L’aveva riconosciuta come la Custode, sapeva che era lì per la prova. Renée si affrettò a mostrare la sua anima. Si aspettava la stessa delicatezza di prima, ma lo scontro le tolse il fiato. L’Essenza, implacabile nel suo ruolo di giudice, setacciò la sua anima come fosse un libro, leggendo a fondo ogni riga, parola e lettera. Rievocarono in lei i suoi ricordi, le sue gioie e le sue paure, legate soprattutto al futuro e al suo compito di Custode. L’ansia la travolse e sentì l’essenza iniziare a dubitare di lei, poiché ormai sembrava tutto avvolto dalla paura, quando Renée sentì con lei la sua essenza.
Ti vergogni de tuoi sentimenti, Renée.
- Jason. No, Essenza! Non me ne vergogno.
Allora usali.
Renée sperò di aver interpretato giusto il suo suggerimento e rifugiò la sua anima nei suoi sentimenti d’amore. Migliaia di domande le esplosero in testa su cosa fosse l’amore, ma lei si affidò ciecamente a quello che sentiva. Amore, amore. Cosa fosse, poco importava. Era la cosa più bella che avesse mai avuto e non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente. Gli Spiriti smisero di provocarla e si fecero travolgere dalla loro curiosità per quella cosa nuova. Si resero partecipi di quell’amore così diretto, e Renée temette che fosse una cosa troppo terrena perché gli Spiriti solo la considerassero.
- Non ho altro, Essenza!
Funziona, Renée!
Gli Spiriti sembravano ubriachi dell’anima di Renée. Finalmente, la lasciarono libera, richiudendola proprio come se fosse un libro. Accadde, subito dopo, un’altra cosa che Renée, in tutta la sua vita, cercò sempre di ricordare e descrivere, ma non riuscì mai a farlo. L’Essenza degli Spiriti si levò, lasciando libera l’anima di Renée di contemplare direttamente gli Spiriti. Descrivere cosa vide, cosa assaporò, è impossibile. Ci fu luce e un’energia che vorticava così come gira il mondo e dentro di se il suo nucleo incandescente. Perfezione è una parola troppo banale per descrivere cosa fosse ciò che Renée poté contemplare. Poi, come ultima cosa, sentì una gioia immensa esploderle ovunque e capì che quello era l’Amore degli Spiriti. Non riuscì a quantificarlo e ne fu soprafatta. Pensò di morirne. Invece, con la dolcezza di una madre che accudisce il figlio in fasce, l’Essenza degli Spiriti distolse la sua anima da quella contemplazione. Renée tornò alla sua essenza.
- E’ finita?
Sì, ce l’hai fatta. Ora sei davvero la Custode. La sentì felice e fiera di lei. Renée provò per la sua essenza affetto sincero e avrebbe voluto abbracciarla.
Sei stata brava, mia dolce Renée. Così giovane, così fragile… ma così sicura al tempo stesso!
- Ora potrò proteggere Jason?
Una volta che anche lui sarà diventato eletto, potrai sapere dov’è in qualsiasi momento, limitandoti a pensarlo. Fa parte dei tuoi talenti come Custode. Sono felice che tu sia un cavaliere, l’Arte Suprema ti servirà per difendere i due eletti che sono con te.
- Mi hai scelto tu, Essenza!
Lo so, era un modo indiretto per vantarmi.
- Quindi anche l’essenza ha il senso dell’umorismo. Incredibile. Posso sceglierti un nome?
Perché?
- Tu hai scelto che io diventassi cavaliere, ora io sceglierò il tuo nome.
Va bene. Che nome avresti scelto?
- Alice.
Mi piace.
- Anche se non ti fosse piaciuto, non te l’avrei cambiato. Alice!
Renée. Sii prudente, là fuori.
- Lo sarò, Alice.
Aprì gli occhi e fu come essere scaraventati giù da una torre. Cadde con il busto in avanti e per poco non batté la testa. Carlo e Milara erano distesi semisvenuti. Jamie era come paralizzato dietro di loro. Cercò di parlare ma aveva la voce rauca e le faceva male la gola. Le uscì solo un gemito strozzato. Tossì. Si schiarì la gola. Si tirò su, in ginocchio. Milara iniziava ad aprire gli occhi. Le sorrise e Renée si ricordò cosa le avesse detto Alice. I due eletti che sono con te.
“Ce l’hanno fatta anche loro!”
Entrambe si voltarono preoccupate verso Jamie. Anche Carlo ormai si era ripreso. Il mago era in piedi, gli occhi vitrei.
- Carlo, - rantolò Milara, anche lei con la voce rauca – sai aiutarlo?
- Sapete che cosa gli è successo? – riuscì a biascicare Renée. Carlo annuì:
- Ha cercato di seguire noi e le nostre essenze quando abbiamo affrontato la prova degli Spiriti. Lui però non poteva… e l’Essenza degli Spiriti l’ha punito. È paralizzato nella meditazione. Non può usare l’Incantus Primum per uscirne.
- Tu puoi aiutarlo?
Carlo, mortificato, scosse la testa e spiegò:
- Essendo anch’io un mago, rimarrei a mia volta intrappolato poiché l’Essenza mi riconoscerebbe come un suo uguale, per quanto io sia un eletto. Devi provarci tu, Renée.
- Ma io non…
- Devi! Sei l’unico cavaliere, l’unica tra di noi che è capace di gestire gli atomi del corpo. Non l’hai mai fatto, ma devi provarci. Jamie c’ha aiutati!
- Lo so! Voglio farlo, ho solo paura di peggiorare le cose.
Milara le strinse la mano e Renée sentì il calore dell’amica attraversarle il corpo come una scarica d’energia. La neo maga le sorrise:
- Sei la Custode, abbiamo fiducia in te. Non avere paura.
Renée si alzò e si avvicinò piano a Jamie. Gli occhi verdi così vitrei la fecero rabbrividire. Si sforzò di dominare la paura. Non sapendo bene che fare, si ricordò di come Jason si era messo quella volta che l’aveva visto allenarsi. Si piazzò bene sulle gambe, incrociò le braccia e chinò leggermente la testa. Chiuse gli occhi e piombò di nuovo nella meditazione. Alice la sfiorò appena e le rimase accanto. La guidò fino a un’altra essenza, decisamente più netta della sua. Jamie. Fu incredibile vederlo in quel modo. Non era proprio lui, era come se i suoi contorni fossero sfuocati. Quando si accorse di lei, o meglio di Alice, le rivolse uno sguardo smarrito. Vedere quell’uomo impaurito la turbò. Alice gli prese una mano. Lui la seguì docile e gradualmente la sua immagine divenne nitida come doveva essere quella di Alice. Le due essenze si sorrisero, Alice complice e Jamie, o meglio, Vanjul, l’essenza di Jamie, le rivolse un sorriso riconoscente. Si staccarono. Renée riaprì gli occhi, giusto in tempo per sorreggere Jamie che barcollava in cerca di equilibrio, aiutata da Carlo e Milara che nel frattempo si erano alzati.
- Bravissima, Renée! – esclamò Milara, sollevata che avesse funzionato.
Jamie gemette e barcollò sul letto. Borbottò qualcosa. I tre si avvicinarono cauti.
- Capitano, tutto bene?
- Sì e no. – fu la risposta detta a mezza voce. Tossì, aveva anche lui la voce rauca. Si drizzò, riacquistando il suo tipo contegno.  Rivolse lo sguardo ai ragazzi:
- Siete gli eletti, ora?
- Sì. – risposero eccitati Milara e Carlo. Jamie guardò Renée dritto in faccia:
- E tu?
Renée chinò il capo:
- Sì, sono la Custode.
- Avete visto gli Spiriti?
I tre rimasero in silenzio, poi Carlo rispose piano per tutti:
- Sì.
Jamie rabbrividì:
- Com’erano?
Si guardarono ma Milara scosse la testa:
- Non c’è dato saperlo.
Il mago abbassò lo sguardo.
- Immaginavo. - disse, rialzandosi. Passarono alcuni istanti durante i quali restò con lo sguardo assorto, con la stessa espressione del viso che Renée aveva visto qualche volta nel volto di Jason. Si riscosse in fretta e, con voce improvvisamente più alta e allegra, esclamò sorridendo:
- Beh! Siete due eletti e una Custode! Lo siete davvero!
Ridacchiarono. Sì, lo erano davvero.
 
Da qualche parte nel modo, in una segreta buia e fredda, come tutte le segrete, tre persone erano legate dalla testa ai piedi con catenacci. Chine su se stesse, pallide e con segni di torture in tutto il corpo, stavano immobili e doloranti. Senza preavviso, due di loro si riscossero con sorpresa, svegliando dal suo doloroso torpore anche la terza, una figura anziana ma con ancora le spalle robuste. Le altre due figure, una dai tratti femminili e delicati, l’altra dai tratti spigolosi e virili, risero, allarmando ancora di più l’altra figura che temette fossero ormai impazzite. Una delle due, la bellissima maga sciupata dalla prigionia, sospirò sollevata e rivolse all’anziano cavaliere ancora preoccupato un tenero sorriso.
- Che l’hanno fatta! Noi due non siamo più gli eletti! 

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Capitolo 17
*** 17. Venezia ***


Venezia si rivelò più intricata di quanto Jason si ricordasse. Il freddo era leggermente diminuito, ma l’umidità era fastidiosa da farlo quasi rimpiangere ai due viaggiatori. Alek non faceva altro che lamentarsi del mal di schiena.
Rimasero scandalizzati dal costo degli alberghi e degli hotel nella città, ma per almeno la prima notte, spesero una fortuna nell’albergo di lusso meno costoso che trovarono. Ormai era tardi pere trovare altri posti.
Non fu dunque un gran arrivo, contando che le lunghe ore in quelle gabbie di ferro su rotaie, il costante chiacchiericcio dei viaggiatori, le occhiate incuriosite e diffidenti, avevano reso il viaggio ancora più mal voluto ad entrambi. Lasciare i compagni era stata un’impresa dura, soprattutto per quanto riguardava Filippo, che nei confronti di Jason non aveva preso per nulla bene la cosa.
Alek, guardando dalla finestra dell’albergo la città nei colori indefiniti della sera, si grattò la barba scura e leggermente ingrigita. Gli occhi color azzurro ghiaccio si riflettevano sul vetro. Sospirò rumorosamente e bevve un sorso di vino italiano dal bicchiere, la fede al dito che scintillava nella luce calda della piccola sfera di luce poco sopra la sua testa.
- Sei mai stato a Venezia, Jason?
Jason, dietro, dall’altra parte della camera, stava sistemando la sua armatura. Annuì:
- Sì, una volta, quand’ero giovane.
- Ha qualcosa di magico.
Jason ridacchiò:
- Lo dicono anche gli uomini. Assieme a Parigi, è la città dell’amore.
- Hanno ragione, a dire che è magica.
- Sì. È incredibile cosa siano capaci di fare gli uomini con la loro arte.
- Voi cavalieri, con la vostra tecnica, sapreste fare quello che riescono a fare loro?
- No. La nostra Arte Suprema e strettamente legata al nostro corpo e alla nostra essenza. Possiamo usare i metalli e le pelli ma… non come loro.
Il mago annuì e distolse finalmente lo sguardo dalla città. Jason ci intravide una certa nostalgia, a lui sconosciuta. Lo guardò incuriosito e allo stesso tempo si sentì escluso. Era facile intuire che Alek provasse nostalgia per la sua famiglia e il suo paese, lontani. Lui però, non aveva nessuna casa da rimpiangere. Pensò alla Scuola, ma sapeva benissimo di non poterla considerare davvero una casa. Scosse la testa, scacciando quei pensieri assurdi. Non aveva senso pensarci ora.
- Devo meditare, - esordì, invece, attirando nuovamente l’attenzione di Alek su di sé – ormai siamo a Venezia, forse potrò indagare meglio sul Sigillo.
Il compagno di viaggio alzò le spalle e rispose:
- Speriamo che gli Spiriti siano in vena di parlare con te.
Jason inarcò le sopracciglia e senza rispondere si limitò a chiudere gli occhi. Istintivamente, la sua essenza si preparò a usare l’Arte Suprema, come succedeva ogni volta che si allenava, ma Jason la fermò.
- Devo meditare, Virgilio. È ora che provi ad indagare sul Sigillo.
Ciao, Jason. Bene, era da tanto che io e te non meditavamo.
- Aiutami. Posso parlare con gli Spiriti?
La sua essenza non prese una vera e propria forma. Un po’ gli sembrò suo padre, un po’ qualcuno di sconosciuto, poi gli parve di intravedere i capelli lunghi e color dell’ebano di Renée. Virgilio era nella sua solita irruente serenità.
Non ancora, temo. Non hai ancora con te il Sigillo.
- Questa città è enorme, non lo troverò mai cercandolo casa per casa. Chissà poi dov’è stato nascosto.
Capisco. Forse, ho un’idea.
Finalmente Virgilio si fermò e assunse l’aspetto di suo padre. Un uomo basso e magro, dalla pelle abbronzata e tipici tratti mediterranei. Sebastiano Mirus, suo padre, italiano di nascita, gli sorrise cortese. Jason ricambiò e gli andò dietro.
Camminavano, o meglio, la sua anima e Virgilio, percorrevano lo spazio degli atomi, invisibile agli occhi di chiunque. Percepirono l’essenza di Alek, ora dormiente e la sfiorano appena. Jason si rese conto di quanti maghi e cavalieri fossero presenti a Venezia.
- Sicuramente, ben pochi abitano qui. La maggior parte saranno dei rifugiati dalla guerra.
Già.
- Dove mi stai portando, Virgilio?
Avresti dovuto chiamarti Dante. Perché diamine mi hai dato questo nome?
- Quante volte dovrò spiegartelo che è per mio nonno?
Sei troppo sentimentale.
- Tu pensa a rispondere alla mia domanda.
Silenzio. Ho trovato l’Essenza.
Jason la sentì subito dopo che Virgilio ebbe pronunciato il suo nome. D’istinto strinse un braccio a Virgilio, provando un rimescolamento nello stomaco terribile.
Abbandonati all’Essenza, sei ancora troppo legato al tuo corpo.
La sua anima si staccò da Virgilio che a sua volta la seguì fino all’Essenza, un’imponente e indecifrabile mescolio di energia. Sentì in lontananza il suo cuore rallentare i battiti e si rassicurò.
- Sono pronto!
Mostrati come il cavaliere che sei.
La leggera nota di orgoglio di Virgilio gli diede coraggio. Finalmente si mostrò interamente all’Essenza, che lo sfiorò incuriosita. Lo riconobbe come l’erede e la sensazione di accoglienza benevola si fece maggiore.
“Jason Caesar Mirus, Il Meraviglioso.” Il brivido nel sentire la voce dell’Essenza degli Spiriti fu penetrante e lasciò Jason senza fiato. Silenzioso, Virgilio si unì a lui all’omaggio verso l’Essenza.
- Essenza degli Spiriti, ti mostro me stesso per quello che sono.
“Sapevi che il significato di Mirus in latino è meraviglioso, dunque?”
- Sì, Essenza.
“Sembra adatto anche al tuo animo generoso, Caesar.”
- Sono il Preside della Scuola ed erede della Corona Spiriti. È mio dovere proteggere giovani maghi e cavalieri e la mia missione è testimoniare la Potenza degli Spiriti con il Primo Sigillo.
“Sei benvoluto dagli Spiriti, ma non è ancora giunto il momento di rivelarti a loro come erede. Devi prima trovare la forma fisica del Sigillo, Virgilio te l’avrà detto.”
- Sì, Essenza, Virgilio è la mia guida in questo spazio che è il vostro Regno. Non cerco gli Spiriti ma voi, e Virgilio vi ha trovato per me. Vi chiedo l’aiuto necessario a trovare il Sigillo, questa città è grande e misteriosa, neppure con la migliore Arte Suprema potrei trovarlo in poco tempo.
“Sento la paura più nobile in te. Hai paura per la tua razza e persino per quella umana, questo ti fa onore. Ti aiuterò, gli Spiriti mi hanno detto di farlo nel caso tu fossi venuto a chiedermelo.”
Virgilio si era dissolto assieme all’Essenza e aspettava che gli regalasse la visione con l’indizio per trovare la Corona. Jason dovette sforzarsi di reprimere la sua impazienza. Si concesse un po’ di sollievo quando Virgilio tornò accanto a lui sotto le sembianze di suo padre. L’Essenza però, anziché congedarli, sfiorò ancora una volta Jason, che prontamente si rivolse nuovamente completamente a lei.
“Vedo in te qualcosa di incredibile e quello che più lo rende importante è che tu non hai ancora capito quanto sia grande.”
- Cosa posso fare per capirlo?
“Questo non è compito mio. L’unico sentimento che conosco è quello dell’Amore degli Spiriti.”
Renée. Sentì l’Essenza soffermarsi appena su questo suo nuovo aspetto ma non aggiunse nulla. Si dissolse nello spazio degli atomi e Jason sentì Virgilio vicino a lui.
Andiamo, devi vedere la visione. Con rammarico, Jason intuì che non fosse il caso di chiedere alla sua essenza una spiegazione in merito a quello che intendesse l’Essenza degli Spiriti.
- Fammi vedere.
Si sentì catapultare verso il buio. Una Venezia surreale gli si apriva davanti, i colori densi e i contorni dei eleganti edifici sfuocati. Dietro di lui capì dovesse esserci San Marco. Di nuovo la sensazione di essere catapultato lo investì e in qualche istante passò attraverso vicoli e piazze nel cuore della città. Il vortice lo fermò davanti a una casa, sporca e buia. Vide che la porta era stata sfondata e che il primo piano era stato completamente distrutto.
Una volta soddisfatto dei dettagli e indizi, lentamente per non provare la fastidiosa sensazione di essere scaraventato a terra, ritrovò se stesso e salutò Virgilio.
L’odore di moquette gli riempì di nuovo le narici. Ora era completamente buio fuori. Non essendoci macchine, le uniche luci erano quelle dei lampioni. Alek era ancora nella stanza e gli dava le spalle, seduto su una sedia e chino su un libro. Si voltò solo quando Jason mosse un passo verso di lui. Gli fece un cenno e gli chiese:
- Hai trovato?
- Sì. Andiamo ora, muoviamoci.
Il mago annuì e prese in fretta il mantello con il quale si avvolgeva durante i viaggi notturni. Lì l’umidità rendeva ancora più tagliente il freddo e bloccava il respiro. Anche Jason si preparò, armeggiando con il fodero della spada. Si sistemò l’armatura di cuoio sopra la tunica pesante e infine si avvolse con il mantello, lasciandolo largo per non intralciargli la presa della spada. Sorprese il compagno a guardarlo con un’espressione che non gli aveva mai visto. Gli rivolse un’occhiata interrogativa e il mago si limitò a chinare il capo, in segno di rispetto. Jason arrossì, rendendosi conto che ai suoi occhi non era solo un compagno, ma era anche l’erede. Scrollò le spalle e strinse le mani, sentendo il cuoio scricchiolare. Si concentrò pochi istanti e evocò l’Arte Suprema.
Alek a sua volta stava utilizzando l’Incantus Primum, attirando a se le particelle cariche di energia. Gli fece un cenno e Alek aprì la finestra, grande e stretta. Il freddo s’insinuò come una lama nella stanza ma i due non ci badarono. Jason si arrampicò sul davanzale, prendendo in pieno petto una folata di vento. Erano abbastanza alti e la nebbia lasciava vedere solo i campanili e gli edifici più alti: San Marco svettava proprio davanti a lui, dall’altra parte del canale.
- Dove? – chiese da dentro il mago.
- Piazza San Marco. – e si slanciò nel vuoto, sparendo tra la nebbia qualche metro più in basso. Si aggrappò poco prima di cadere a terra a un piccolo balconcino. Si issò e scalò l’edificio fino al tetto, scoprendo una schiera di case uguali tra loro. Corse di tetto in tetto fino all’ultima che dava sul canale. L’unico ponte era troppo lontano dalla meta per essergli utile. Scivolò giù dall’edificio e concentrò un controllo maggiore sui piedi e sulle gambe. Si avvicinò all’acqua torbida e fece una smorfia, ma fece uno sforzo e saltò nell’acqua, rimanendo con la suola degli stivali appena sopra l’incresparsi delle ondine che si formavano contro la costruzione. Si concentrò per non perdere l’equilibrio. Camminare sull’acqua non era proprio comodo, poiché si doveva costantemente mantenere il più perfetto equilibrio sui piedi, distribuendo il peso su tutta la pianta. Jason accelerò il passo quando fu sicuro, terminando in meno di dieci secondi il passaggio. Balzò sul marciapiede e in poche falcate raggiunse San Marco. Grazie all’Arte Suprema, aveva usato qualcosa di molto simile alla velocità della luce usata dai maghi. Era come se avesse scomposto se stesso e utilizzato i suoi atomi per alleggerirsi. L’unica cosa è che rendeva anche meno forti i muscoli ed era quindi inutile se non pericolosa durante i combattimenti. Era utile solo per missioni d’inseguimento e spionaggio. Riprese la sua solita consistenza in fretta, giusto in tempo per vedere Alek, con un lievissimo fruscio del mantello, comparire qualche centimetro più avanti a lui. Si fecero un cenno e proseguirono correndo, imboccando un calle laterale.
Man mano che correva, Jason riconosceva la strada. In pochi minuti, raggiunsero la casa con la porta sfondata. Il cavaliere sfoderò la spada, Alek concentrò sulle mani una sufficiente quantità di energia per un incantesimo. Jason si migliorò al massimo la percezione visiva. Scavalcarono i resti della porta e un odore acre li fece storcere il naso. Il mago imprecò in russo e illuminò meglio la stanza. Era una stretta entrata con delle scale che conducevano ai piani superiori. Salirono cauti le scale, Jason quasi fiutando come un segugio l’aria attorno a lui. Quell’odore, quella puzza, gli era dolorosamente familiare ma era convinto di non sentirla più almeno da anni. Qualcosa non andava, doveva trovare la Corona e andarsene il più in fretta possibile.
Alek gli fece un cenno. Erano al secondo piano e la puzza era ancora più forte. Una porta semichiusa nascondeva la fonte dell’odore. Nessuna luce al suo interno. Jason strinse la spada. Alek fece appena un cenno con la mano verso la porta, che si aprì piano senza cigolare. L’unico rumore era il battito dei loro cuori e il loro respiro. Il buio si mescolò alla puzza e il mago con la mano fece un gesto di stizza. Jason strinse gli occhi e intravide i contorni della stanza. Entrarono cauti.
Alek portò alto il globo rossastro di luce e finalmente rese visibile l’intera scena. Ai due uomini si strinsero gli stomaci. Tre cadaveri, ormai in decomposizione avanzata, giacevano al centro della stanza completamente squartati. Due di loro erano due donne, il terso un uomo, a giudicare dalla corporatura. Jason alzò gli occhi verso il soffittò ma non fu una buona idea, poiché appesa a una trave traversa penzolava impiccata un’altra donna, le vesti strappate, il sesso sporco di sangue.
- Preside… questa è Magia Proibita. – la voce quasi sottile del mago era in contrasto con la sua statura robusta. Stava a stento trattenendo il vomito.
- Immaginavo. – rispose asciutto Jason, troppo impegnato a non perdere il controllo davanti a quello scempio. Ecco cosa gli ricordava quella puzza. L’odore dei cadaveri nei campi di battaglia.
Fu un attimo e Jason si voltò di scatto, la spada alzata, parando giusto in tempo il colpo di un’ascia. Alek gridò sorpreso e si creò uno scudo di energia. Tre ombre si materializzarono dentro la stanza. L’ascia tenuta in mano da quello in centro ancora sporca del sangue dei quattro cadaveri.
“Sono dei maghi traditori!”
- Tu non sei un cavaliere. – disse con la voce tremante di rabbia, rivolgendosi all’ombra centrale.
- No, Preside Mirus. Come mi aspettavo, non sei facile da ingannare. I tuoi trucchetti sugli occhi non sono poi così inutili. – rise di una voce stridente e raccapricciante.
- Non mi servono i miei trucchetti per accorgermi della tua incapacità a usare un’arma del genere con la maestria di un qualsiasi cavaliere. Torna alle tue scintille, traditore.
- Con gioia, se questo servirà a ridurti come questi quattro stupidi. Tu e il tuo amico, siete spacciati. Sottomettetevi a noi e non vi uccideremo subito.
Jason fece un sorriso sprezzante.
- So benissimo che non avete preso la Corona. Solo l’erede può toccarla, e stavate solo aspettando che arrivassi io per prenderla!
- Non è qui la Corona. Lo credevamo anche noi, ma l’abbiamo cercata ovunque.
- Allora lasciateci andare. – intervenne Alek con voce dura.
- Ha ragione l’erede, mago. Ci serve lui per prenderla. – gli apparve un ghigno sul volto nascosto dalla maschera – Però, - aggiunse guardando Alek – possiamo subito uccidere te, visto che non ci servi. Non finì neppure di parlare che i due traditori al suo fianco scattarono verso Alek. Jason staccò di lato e trafisse uno sotto le costole, vincendo con facilità la tenue resistenza del suo scudo di magia. Affondò la spada fino all’elsa e l’uomo si accasciò di lato, cadendo scomposto quando il cavaliere gli sfilò la spada dal corpo. L’altro non si fece ingannare e si allontanò giusto in tempo per schivare l’incantesimo di Alek. Tornò vicino all’altro, che strinse l’ascia e la sollevò in direzione di Jason.
- Maledetto, tu me la paghi.
Jason non aspettava che questo e si slanciò furioso verso di lui. Attivò l’Arte Suprema nella massima forma e sentì dentro di lui Virgilio unirsi alla sua anima e al suo corpo, aggiungendogli forza e protezione. In meno di un secondo, Jason spostò parte della nuova energia sulla spada, con il risultato di spezzare l’ascia del nemico subito dopo la prima cozzata. Il traditore nascose il suo stupore e fece apparire nella mano libera dal manico dell’ascia una sfera di elettricità, inviandola dritta sul petto di Jason, approfittandone della vicinanza. Il cavaliere avvertì appena il contatto, poiché la resistenza della sua Arte Suprema disintegrò subito l’incantesimo. Afferrò per la veste scusa il suo avversario, viso contro maschera. Lo fissò negli occhi ma vide solo l’oblio dell’odio. Ne rimase disgustato e, con un gesto fulmineo e letale, gli tranciò la testa di netto.
Si concesse un lieve sorriso. Se pensavano di sconfiggere con quattro fulmini lui, erede e Preside della Scuola, si sbagliavano di grosso. Si voltò verso Alek, avvolto assieme al suo avversario da un alone di atomi, dai quali attingeva l’energia per gli incantesimi. Istintivamente Jason pensò d’intervenire, ma non fece che un passo quando una voce solenne e sibilante fece vibrare nell’aria un complicato incantesimo. Uno sciocco secco, e dell’ultimo mago traditore non rimase che cenere. Alek si strofinò le mani e si sistemò la veste, leggermente ansimante. Gli rivolse un cenno e attirò la luce, ancora a mezz’aria, verso di loro. Jason però scosse la testa:
- Rimettila al centro, che illumini bene tutta la stanza.
- Ma…
- La Corona è qui!
- Loro hanno detto che non c’è, deve averla presa qualcuno!
- No, è qui. Solo io posso saperlo, credo sia fatto apposta perché non la trovino persone sbagliate. È in questa stanza, devo solo capire bene dove.
Nervosi iniziarono a cercare per la stanza. Jason rovesciò una sedia e una poltrona, Alek guardò sotto il tappeto nell’angolo opposto della stanza.
“Dove sei…”
S’impose la calma. Chiuse gli occhi e respirò a fondo. Annullò l’Arte Suprema, dato che gli richiedeva solo concentrazione tolta alla ricerca. Si appoggiò con la mano alla parete e fu allora che si sentì attraversare da una scarica di energia. Ritirò la mano di scatto. La rimise. Ancora quella sensazione. Batté le nocche e dietro il legno dei pannelli suonò vuoto. C’era qualcosa dietro il muro. Gli tremarono le dita quando sfoderò nuovamente la spada. Colpì con forza e il legno del muro cedette subito. Una nicchia bassa e profonda nascondeva una cassetta intarsiata e preziosa.
- Alek! – esclamò emozionato. Il mago accorse e gli si illuminarono gli occhi quando video quello che Jason aveva trovato. Quest’ultimo gli rivolse un’occhiata e il mago annuì serio. Si voltò verso i cadaveri. Alzò le braccia verso il cielo e cantilenò lamentoso l’Incantus Mortis. I corpi furono avvolti lentamente da una luce d’ora, completamente diversa da quella generata da Alek prima per illuminare la stanza. Il canto continuò per qualche minuto, poi quando finì dei corpi non c’era più traccia. Il mago fece un cenno stanco verso il compagno, che mise la cassetta al centro dalle stanza.
L’aprì. Dentro, appena luccicante, stava un cerchio d’oro battuto, umile rispetto alla stessa corona d’Inghilterra. Eppure, attirò verso di lei in modo irresistibile entrambi i compagni. Jason la prese tra le mani. Una scarica leggermente più intensa lo fece rabbrividire. La sollevò sopra la sua testa e lentamente, con un groppo alla gola, s’incoronò.

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Capitolo 18
*** 18. Il Primo Sigillo ***


Jason si svegliò completamente stordito. Gli parve di intravedere, sfuocati, i contorni di una stanza buia. Fuori nevicava.
“Dove diavolo sono?”
Fece per muovere la testa ma sentì qualcosa premergli sulle tempie. Istintivamente si portò una mano alla testa, toccando qualcosa di metallico e freddo.
Nei meandri del suo cervello sembrò scattare un meccanismo e iniziò a battergli forte il cuore. Erede, Corona…
Strinse forte gli occhi, ma era come se un muro gli circondasse la mente. Cos’era successo… sempre con gli occhi chiusi, scosse la testa. Nulla, sembrava che qualcosa gli avesse cancellato la memoria.
“Che qualcuno mi abbia drogato?” Il panico lo prese per un attimo ma s’impose la calma. Alek, c’era Alek con lui. Era un suo amico, doveva essere successo qualcosa.
Riaprì ancora gli occhi. “Gli occhiali…” Si morse la lingua per svegliarsi e, con fatica, riuscì ad allungare un braccio, tastando il comodino. Sentì la famigliare forma sottile e inforcò sollevato gli occhiali. Stese le gambe intorpidite e, ora che finalmente riusciva a vedere bene, provò ad alzarsi. Non fu facile, ma dopo diversi e goffi tentativi riacquistò abbastanza equilibrio. Mosse tre passi, tenendosi vicino al letto, per non cadere sul legno duro della moquette. Quel particolare diede alla stanza un tono familiare, ma non riusciva ancora a capire come mai. “Devo esserci già stato… perché non riesco a ricordare nulla?” Si grattò il naso in un moto di nervosismo ma si bloccò a metà. Un ciondolo, legato al polso con un laccio di cuoio nero gli pendeva luccicante davanti agli occhi. La sua forma, un cerchio con tanti ghirigori floreali al suo interno, gli fece ricordare Renée. Glielo aveva regalato, prima che lui partisse…
Come subito dopo una tempesta in mare, Jason sentì finalmente il suo animo placarsi e il suo cervello iniziare a mettere in ordine i vari tasselli che si erano come mescolati tra loro alla rinfusa.
Lui era a Venezia, con Alek. Prima c’era Filippo… ora lui è a Torino, al sicuro. Renée… Renée sta bene. Deve stare bene.
Poi, un altro ricordo, un frammento: lui e Jamie che parlavano nel suo ufficio alla Scuola…
“Io sono un erede… la scorsa notte!” Si toccò con un brivido la testa. Un cerchio freddo, metallico, gliela fasciava. “Ho sul capo la Corona Spiriti.” Realizzò con un fremito d’eccitazione in tutto il corpo. Questo significava solo una cosa; qualunque cosa fosse accaduta la scorda notte, che ancora non gli era tornata bene alla mente, lui ora aveva il Sigillo.
- Sono l’eletto della Corona Spiriti… - sussurrò a se stesso, ancora incredulo. Sorrise e il suo sguardo tornò al ciondolo che aveva legato al polso. Lo baciò con gratitudine.
 
Passò le successive due ore a rimettersi in sesto. Gli sembrava di aver affrontato un esercito tutto da solo. Lasciò che l’acqua bollente gli pizzicasse sulla pelle e sul viso. Indossò una semplice tunica, sistemò l’armatura di cuoio sul letto e prese in mano la spada. D’istinto la sfoderò per saggiarne la lama e quando vide le chiazze di sangue ormai secche intuì che la scorsa notte, qualcosa era davvero successo. Nulla di buono, inoltre. Temette per qualche istante per Alek ma pensò che se lui era lì, probabilmente era stato lo stesso Alek a portarlo di peso fino alla stanza d’albergo. Cercò di rassicurarsi con quel pensiero e rinfoderò la spada per metterla di sbieco sopra l’armatura. Sul cuscino, adagiata con cura reverenziale, brillava mite la Corona.
Guardò fuori dall’ampia finestra Venezia sotto la neve. Immaginò essere lì con Renée si chiese con una leggere inquietudine se, una volta finito tutto quanto, ci sarebbe stato ancora qualcosa tra di loro. Il sole fece capolino tra le nubi. Aveva smesso di nevicare, e il tappeto bianco sulla città scintillava come tanti diamanti.
Alek arrivò quando ormai la giornata si avviava al termine. Aveva un viso stanco e i capelli scompigliati, ma sembrò sollevato di vedere l’amico in piedi, che gli offrì una tazza fumante di caffè italiano.
- Grazie. – gli rispose in italiano rozzo. Jason sorrise e bevve a sua volta. Ci fu un silenzio calmo e meditativo tra i due, Alek gustava il caffè ancora infreddolito. Tracce di neve sciolta gli rimanevano sui vestiti. Alla fine, fu proprio il mago a spezzare il silenzio:
- Jason, è stato incredibile.
- Posso intuirlo, anche se non mi ricordo pressoché nulla.
Alek annuì:
- Immaginavo. Ti risparmio i particolari macabri o vuoi sapere tutto?
- Solo cos’è successo dopo che ho indossato la Corona Spiriti.
- Beh, è difficile da descrivere. In pochi secondi, sei scivolato in uno stato d’incoscienza. Ho provato a svegliarti, ma nulla. Non mi sono azzardato a usare la meditazione, temendo di interrompere la tua prova con gli Spiriti. Ti contorcevi spesso e per qualche minuto hai tremato violentemente. Quando hai smesso e ti sei calmato, mi sono arrischiato a trasportarti fin qua. – tossì – Eri come in coma, eri vivo ma completamente incosciente. E la Corona… - si fissò le mani e solo allora Jason si accorse che erano ustionate sui polpastrelli delle dita – la Corona, ho provato a togliertela ma era rovente. Solo che a te non faceva nulla! – ridacchiò – Non riesco neppure a curarle con la magia… ma nulla di grave. L’importante è che tu ne sia uscito vivo.
Jason si passò una mano tra i capelli:
- A quanto pare… ma voglio accertarmene.
- Intendi meditare?
- Sì, non vedo altra scelta. Almeno, devo capire.
- Beh, perché non provi a rimetterti sul capo la Corona? Magari succede qualcosa.
Cauto, Jason prese tra le mani il Sigillo. Era oro puro, solo che decisamente leggero, una materia sconosciuta. Ne saggiò appena la resistenza, sapendo di trovarla impeccabile. Si voltò verso l’amico, che gli ricambiò uno sguardo incoraggiante. Jason indossò la Corona.
Ciò che accade non gli fu subito chiaro. Fu sollevato di non perdere contatto con la realtà, ma qualcosa cambiò allo stesso tempo. Si rese conto che gli occhiali non gli servivano. Se li tolse perplesso e allo stesso modo non sentì più la sensazione ostile di torpore ai muscoli. Senza troppi complimenti, si slacciò la parte superiore della tunica. Si fissò il torace e le braccia nude. Sembrava quasi che il suo fisico fosse stato scolpito dal marmo, solido e indistruttibile. Piegò i muscoli che si tesero e rilassarono fluidi e tonici. Involontariamente, sorrise soddisfatto.
- Per gli Spiriti… questa… - sentì sussurrare stupito Alek.
- Già… è la Maxima Arte Suprema.
- Beh, immagino quindi tu sia davvero l’eletto della Corona Spiriti.
Jason rise e anche Alek. Con calma, si tolse dal capo il Sigillo. Quasi temette di sentire lo scompenso, ma l’unica differenza fu la perdita della vista, fino a tornare alla solita miopia. Sbuffò rimettendosi gli occhiali. Il mago tossì e rise piano di nuovo:
- Non pensavo avrei mai potuto assistere a questa scena.
- Neppure io. Però, credo proprio di dover meditare. Devo… devo capire cos’altro può fare.
Alek si fece da parte e Jason si mise nella sua abituale posizione, in piedi e con le braccia incrociate. Come sempre, gli bastò chiudere gli occhi per passare alla meditazione, avvertendo la sua essenza, Virgilio, aleggiargli attorno. In un turbine di atomi, prese l’aspetto di suo padre.
- Virgilio!
Eletto.
- Ce l’ho fatta davvero, dunque? Cos’è successo? Tu lo sai?
Certo. Gli Spiriti ti hanno guardato l’anima, ma hanno preferito renderti incosciente, vista la tua esperienza come cavaliere. Li sei piaciuto, diciamo. È stato un po’ doloroso, poiché hanno anche saggiato la tua prestanza fisica, ma vedo che stai bene.
- Sì, sto bene. Prima ero un po’ indolenzito, ma ho indossato la Corona e quando l’ho tolta anche quello era sparito. La Maxima Arte Suprema… è meravigliosa, Virgilio! Il mio sogno era di vederla…ma poterla persino comandarla…
La MaximaArteè in potere solo dell’eletto della Corona Spiriti. Solo tu, fino all’arrivo del nuovo eletto, sarai in grado di controllarla.
- Capisco. Posso ora parlare con gli Spiriti?
No, Jason. Da ora, con loro potrai solo parlare in vece di eletto, indossando la Corona. Hanno riferito a me cosa dirti.
- Dimmi.
Ci sono già i nuovi eletti sia della Pace che del Patto Spiriti. Sono due studenti della Scuola. Carlo Bonasti, eletto del Patto Spiriti, e Milara Guarnì, eletta della Pace Spiriti.
Jason sentì una leggere vertigine a sentire il nome dei due ragazzi. Carlo, il suo vecchio assistente! Si ricordò di cosa Renée gli avesse detto riguardo a Milara… i due eletti, facevano coppia.
- Dove sono?
Partiranno tra qualche ora da Edimburgo per andare in Francia a cercarti. Jamie gli ha aiutati e ha detto loro di cercarti a Venezia.
- E’ con loro in viaggio?
No, rimarrà al fronte, non può abbandonare la guerra.
- Questo significa che sono soli! Ma è una follia!
Non sono soli, con loro c’è qualcun altro.
- Chi?
Renée. È la Custode dei Tre Sigilli.
- Renée sta venendo qua…
Sì, Jason. Per te, per proteggerti.
- Loro lo sanno di me? Che sono l’eletto?
Sì, anche se, vista la loro inesperienza con la meditazione, non hanno potuto come te parlare direttamente all’Essenza. Sai come funziona, ci vuole un minimo di controllo…hanno però comunicato con loro attraverso i sogni, gli stessi che facevi tu.
- Virgilio, sii sincero. Renée è in grado di essere la Custode? Non che non mi fidi delle sue capacità, ma sono tutt’e tre così giovani e inesperti…
Sono giovanissimi e hanno paura. Ma sono due eletti e la Custode. C’è un motivo se sono stati scelti loro: gli Spiriti hanno fiducia in loro. Renée è diventata cavaliere, Milara maga. Sono state scelteprima della prassi, per questioni d’emergenza, come puoi ben capire.
- Cavaliere!
Già. Inoltre, ora lei sa esattamente dove sei, grazie a uno dei talenti di Custode. Sta venendo qua, con gli altri due eletti.
- E… poi? Cosa dovremo fare?
Combattere, tutti e quattro assieme.
- Dove?
In Grecia, alle rovine di Sparta. Lì, metterete fine ad ogni cosa, una volta per tutte.
- Virgilio, io combatterò, ma loro…
Loro combatteranno affianco a te, Jason. Non hanno scelta, non abbiamo scelta, se volgiamo mettere fine a questa guerra. Prima che i ribelli arrivino a usare la Morte degli Atomi.
La Morte degli Atomi, la bomba atomica. Le radiazioni, le mutazioni, le deformazioni negli uomini, la scomparsa della magia in maghi e cavalieri. L’unica arma umana in grado di rendere inoffensiva la magia.
- Perché non ci lasciano in pace?
Lo scopriremo a Sparta.
Jason sentì il cuore stringersi in una morsa di rassegnata ferocia.
- E allora, Sparta sia.
Virgilio gli sorrise benevolo. Gli sfiorò l’anima e come al solito sentì una sensazione calda e confortevole.
Sì, andremo a Sparta e lì scriveremo la Storia. Prima però, unisciti ai tuoi compagni: gli eletti e la Custode.
- Renée… quella ragazza è incredibile.
E la ami.
- Sì… tanto.
In eterno?
- Vedremo.
Ritornò in se con rapidità.
- Alek!
L’amico comparve dal bagno, i capelli ancora bagnati. Allarmato lo guardò e Jason esclamò:
- So chi sono gli altri due nuovi eletti, e la Custode! Stanno venendo qua!
Il mago sgranò ancora di più gli occhi:
- Qui? Sanno dove sei?
Jason rise, tra l’emozionato e il nervoso:
- Sì! E poi dovremo andare in Grecia! A Sparta, a combattere!
- In Grecia! A Sparta! E perché?
- Così vogliono gli Spiriti.

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Capitolo 19
*** 19. Fratellastri ***


Inspirò a lungo l’aria fresca. Albeggiava sopra i tetti della città, la neve iniziava a sciogliersi lenta, ancora avvolta dal ghiaccio della notte. Una barca urtò contro la rima, legno contro pietra, poi di nuovo il silenzio dei primi passanti.
“Forse è per questo che ai maghi e ai cavalieri piace Venezia, ha davvero qualcosa di magico nella sua unicità.”
Si sistemò gli occhiali, fece qualche passo per il calle fuori dall’albergo. Si fermò per voltarsi un’ultima volta, lo zaino da viaggio in spalla. Davanti a lui, Alek camminava piano per aspettarlo. Lo raggiunse con pochi passi e si avviarono alla stazione dei treni.
Non ci misero molto a raggiungerla, attraversarono il Canal Grande in compagnia di poche persone, strette nei cappotti contro il freddo di quell’ora presta. Le dita rosee dell’alba accarezzavano il campanile di San Marco come per svegliarlo dal suo sonno. Dopo alcuni secondi che i due viaggiatori ebbero attraversato il ponte, dal una chiesa giunse il rintocco delle campane, accogliendo il nuovo giorno. Assonnato, Alek gli camminava a fianco con la testa avvolta nella sciarpa pesante, i capelli folti e ribelli trattenuti a stento dal berretto nero.
Qualche ora dopo, Jason guardava sfrecciare la pianura dal finestrino sporco del treno. Assonnato, avrebbe voluto addormentarsi, ma lo stridere sotto di lui delle rotaie gli creava la solita irrequietezza. Prese dallo zaino un panino e ne diede qualche morso ma senza troppi risultati poiché si rese conto di avere lo stomaco completamente chiuso. Si agitò appena sul sedile e sfiorò, leggero e veloce, la Corona premuta contro il suo petto. Il tocco con il metallo lo rassicurò, come la lieve pressione della spada contro la sua coscia. Cercò di rilassarsi almeno un po’. Davanti a lui, un giovane sonnecchiava con addosso uno di quegli aggeggi infernali per ascoltare la musica. Nulla da togliere a quella magnifica e affascinante forma d’arte, ma quelle cuffiette gli mettevano i brividi.
“Come diavolo fanno a usarle, quelle cose?”
Riprese a guardare fuori dal finestrino. Alek ormai era partito per Roma. Avrebbe parlato al Senato, spiegando la situazione. Jason stava andando a Torino, se non in Francia, sperando di intercettare Renée e gli altri due eletti, prima che lo facessero i traditori. Si considerò fortunato di non ricordarsi il suo scontro con i maghi, aveva già abbastanza immagini violente nei suoi ricordi. In più, ben presto ne avrebbe avute altre.
Si ritrovò a domandarsi come mai avessero proprio scelto Sparta. O meglio, le sue rovine. Forse, un’ultima prova li aspettava, prima dello scontro con i ribelli. Immerso nei suoi pensieri, il cavaliere scosse la testa. Inutile pensarci ora.
Una nuvola si spostò nel cielo, e il sole, timido, riapparve pallido. Un raggio gli scaldò la mano appoggiata al bordo del finestrino, illuminando il braccialetto che aveva al polso. Sorrise.
Renée…
Stava andando da lei.
 
Cercò di distrarsi per ingannare il tempo, ma non passò molto quando si accorse di essere osservato. Il giovane uomo, che prima era appoggiato con la testa allo schienale e teneva gli occhi chiusi, ora lo guardava dritto e attento. Negli occhi scuri dai tratti orientali aveva una luce curiosa. Era magro e slanciato ma non molto alto, visto che superava Jason di pochi centimetri. Vestiva largo, con una camicia che faceva intravedere il petto abbronzato e una giacca da ufficio bianco sporco, probabilmente in panno. Sul tavolino davanti a lui, tamburellava distrattamente le dita da pianista, decorate con anelli scuri o in legno, su un cappello da cow-boy marrone chiaro.
Jason a sua volta lo fissò, inarcando leggermente le sopracciglia. Il giovane si riscosse e gli sorrise appena, mostrando una fila di denti perfetti ma leggermente ingialliti dal fumo.
- Mi scusi, ma non s’incontrano cavalieri sui treni tutti i giorni.
- Non si preoccupi, immagino.
Pensò che la conversazione fosse finita lì, ma a quanto pare era in vena di chiacchierare quel ragazzo.
- Il suo nome?
- Mi chiamo Jason. Lei?
- Giovanni, ma sono mezzo indiano. È un cavaliere, giusto?
- Sì, aveva indovinato prima.
- Sta andando anche lei a combattere al fronte scozzese?
- Non proprio, ma sono in viaggio… di lavoro, se così si può chiamare.
- Ah, affascinante. Io sono un attore. E musicista, ma più per hobby che per lavoro.
La professione colpì Jason, che lo osservò con più attenzione.
- Siete famoso?
Il giovane sorrise e scosse la testa:
- Non sarei qui, mi creda! Lo diventerò, comunque. Sto andando or ora a dei provini a Milano.
- Buona fortuna.
Chinò la testa in segno di ringraziamento. Guardò Jason senza nascondere la sua curiosità, grattandosi con una mano il pizzetto scuro e riccio.
- Sa, voi maghi e cavalieri mi avete sempre affascinato. Siete così… misteriosi.
- Non quanto voi uomini siete misteriosi a noi.
- Davvero? – fece una smorfia scettica – Non vedo cosa ci sia di misteriosi negli uomini! Siamo tutti ugualmente stupidi e privi di beh… privi di “superpoteri”.
- Di cosa scusi?
Rise:
- Beh, voi potete usare la magia… o combattere con le spade contro i proiettili senza neppure ferirvi. Insomma, siete speciali.
- Non sappiamo però recitare, cantare, dipingere, scrivere opere come quelle che ho avuto l’opportunità di leggere. Sappiamo forgiare ottime spade e armature, ma se provassi a insegnarmi a costruire un muro, non sarei in grado. Se volessi offrire un tetto alla mia famiglia, dovrei chiedere aiuto a un uomo, a un architetto. Così li chiamate, giusto?
- Sì, architetto. Capisco, quindi è vero che non avete la conoscenza della tecnica.
Jason annuì:
- Solo le tecniche belliche, ma come vede, ci siamo fermati ai combattimenti antichi. Niente pallottole, da noi.
- Noi però, vi dobbiamo la scienza moderna.
- Sì e no. Beh, prima che ci fosse il famoso “scambio”, alcuni uomini avevano già ipotizzato l’esistenza degli atomi. Democrito, credo… poi però, si era un po’ persa come ipotesi scientifica. Vi abbiamo aiutato a recuperarla e, ovviamente, a perfezionarla.
Questa volta fu Giovanni ad annuire ma si bloccò, ricordandosi qualcosa:
- Lei prima ha detto che non avete la conoscenza della tecnica… e neppure dell’arte. Però sapete riconoscerle.
- E’ vero: abbiamo avuto anche questo “scambio” da voi. Nella nostra scuola, La Scuola appunto, insegniamo ai futuri maghi e cavalieri le vostre opere più belle, per far capire a loro che non c’è una razza che prevale sull’altra, tra noi e voi. E anche perché vi invidiamo, per i vostri doni.
Giovanni sorrise divertito:
- E che mi dice dei talenti assoluti? Sono rari, ma ci sono.
Questa volta fu Jason a fare una smorfia scettica:
- Beh, è difficile da spiegare. Loro non sono né maghi né cavalieri, sono in mezzo. Non concludono neppure gli studi spesso e si trovano meglio tra voi uomini. Sono i pochi scelti che hanno la conoscenza dei vostri doni. – sorrise anche lui – La cosa assurda è che noi li chiamiamo talenti assoluti, ma voi li chiamereste semplicemente artisti.
- Davvero?
- Sì, sono artisti, è che a noi sembrano incredibilmente speciali.
- Beh, fate bene. Tutti gli artisti, se lo sono davvero, sono speciali.
- Lei è un artista. Pensi, se fosse come me, sarebbe ancora più speciale che tra gli uomini.
Un luccichio ambizioso balenò negli occhi del giovane, ma si spense subito in un eco di divertimento:
- Quindi dovrò ringraziare voi se al botteghino dei miei film farò incassi record.
- Al cosa?
Alzò la mano dal cappello e fece un aggraziato gesto con le dita:
- Lasci perdere. Mi dica, invece, qual è la differenza tra voi maghi e cavalieri?
“Saperla” pensò Jason tra se.
- Le dirò quello che diciamo quando ce lo chiedono gli studenti al primo anno. Non c’è una vera e propria differenza. I maghi hanno una solita base dell’arte del combattimento in tutte le sue forme, dalla lotta alla strategia. Lo stesso vale per i cavalieri, io stesso posso usare la magia. Diciamo che, a un certo punto, dopo il ventiseiesimo anno d’età, si è scelti.
- Scelti? Da chi?
- Beh, dagli Spiriti, credo. O dall’Essenza, o dalla nostra essenza. – vedendo la faccia confusa dell’uomo, scosse la testa – E’ una lunga storia. Insomma, diciamo che si è scelti. Mago o cavaliere. La differenza sta nel campo d’azione. – indicò se stesso – Cavaliere, corpo e mente. Mago, gli atomi del nostro mondo e gli atomi primi. – e fece spaziare la mano nell’aria.
- Che cosa sono gli atomi primi?
- Quelli che voi uomini non potete sapere. O meglio, che non potete percepire perché sulla vostra esistenza non hanno effetti. Voi siete fatti degli atomi del nostro mondo.
- E voi?
- Noi un po’ e un po’. Gli Spiriti ci hanno fatti simili sia a voi che agli Dei. Pari a voi, inferiori agli Dei, anche se, da un punto di vista schietto, dovremmo essere fratelli.
- Fratelli?
- O almeno, fratellastri.
- Dice sul serio? Questa, detta da un uomo, sarebbe una blasfemia.
- Lo è anche per noi. Sappiamo che non è così, che loro sono nati dagli atomi primi e da quelli del cielo mentre noi dagli atomi primi e da quelli della terra.
Giovanni annuì:
- Noi siamo nati da quelli sia del cielo che della terra. – alzò sorpreso le sopracciglia e si stiracchiò:
- Però! L’avevo detto che non s’incontra tutti i giorni un cavaliere!
Jason sorrise, il treno rallentò a Milano. Mentre salutava il giovane che in fretta si preparava ad uscire, guardò fuori dal finestrino e vide la calca dei viaggiatori ammassarsi davanti alle porte. Allungò i piedi sotto il tavolino e sentì la spada scivolargli nel fodero lungo tutta la coscia.

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Capitolo 20
*** 20. Nessuno... ***


In quell’istante, la Corona sembrò scaldarsi fino a scottare e qualcuno, avvolto in un mantello lungo e con una maschera in viso, entrò nel suo scompartimento.
Jason capì che l’avevano trovato. Scattò in piedi e corse vero l’altra uscita proprio mentre il traditore lo riconosceva. Lo sentì imprecare e corrergli dietro veloce.
“Mago o cavaliere?”
Sperò di non scoprirlo. Scartò una signora colma di grosse valige e qualche secondo dopo la sentì urlare e le valigie cadere violentemente. Il suo inseguitore gli era alle calcagna. Resistette alle tentazione di voltarsi e corse ancora più veloce, finché non si rese conto che il treno prima o poi sarebbe finito. Continuò comunque a correre, sperando che l’idea che gli era appena venuto in mente funzionasse.
Quando arrivò alla coda del treno, si voltò e sfilò la Corona da sotto il mantello, resistendo al dolore della sua mano bruciata. Se la mise in testa senza troppi complimenti. Come si aspettava sparì la bruciatura vistosa e la miopia. Si tolse gli occhiali proprio mentre il traditore lo raggiungeva.
- Dammi il Sigillo.
- Dovresti prendere anche me. Sono io l’eletto.
Sfoderò la spada nello stesso momento in cui il suo avversario fece altrettanto. Un cavaliere, dunque. Si rallegrò che, quella zona del treno fosse deserta e che ancora la sicurezza non gli avesse raggiunti. L’avversario si passò lo spadone tra le mani come se fosse un leggerissimo pugnale e provò un affondo contro di lui. Jason capì subito che non era uno stupido, sapeva con chi aveva a che fare. Tuttavia, gli sembrò che i suoi movimenti fossero lenti e scontati. Scartò spostandosi appena a sinistra e veloce lo colpì alla mano, rompendogliela. Sperò che il dolore lo disorientasse abbastanza ma il cavaliere gemette appena e passò l’arma nell’altra mano. Lo spazio angusto favoriva la statua di Jason ma vista la forza di quell'uomo capì di non doverlo prendere troppo alla leggera. Il Sigillo poteva anche renderlo più forte e veloce ma se si lasciava distrarre dalla superiorità niente avrebbe fermato la lama del suo nemico.
- Non voglio ucciderti. Mi servi vivo, arrenditi e basta.
- Sicuramente, dopo averti ucciso.
Si scambiarono qualche colpo, saggiandosi a vicenda e Jason incominciò a preoccuparsi. Quell'arma aveva qualcosa d'insolito. Non era il metallo, né il modo in cui il traditore aveva di maneggiarla. Sembrava che la sua struttura interna fosse modificata. Parò veloce un fendente dall'altro e affondò la sua lama nel fianco dell'avversario. Il sangue sgorgò a fiotti e Jason ritrasse veloce la lama prima che il peso dell'uomo che cadeva a terra gliela togliesse di mano. Si accorse che non era morto. Si chinò su di lui e gli tolse la maschera.
Il volto gli era sconosciuto e il cavaliere sembrava essere più vecchio di lui. La mano rotta era premuta scomposta sulla ferita mortale mentre l'altra stringeva ancora convulsamente lo spadone.
- Chi sei? - gli chiese, sperando che nel delirio della morte il traditore parlasse.
- Nessuno... - e volse gli occhi al cielo, spirando.
Sospirando, Jason scosse la testa e con delicatezza gli chiuse gli occhi. Sentì dei passi affrettati, il treno continuava a viaggiare veloce. Avrebbe dovuto lasciarlo lì, ma prima decise di prendere la sua spada.
Gliela sfilò di mano proprio mentre, oltre che ai passi, sentì anche le voci. Fu un attimo rendersi invisibile e prima che il piccolo scompartimento si riempisse di polizia e curiosi, scivolò verso la parte opposta del treno. Aspettò di superare altri due scompartimenti, prima di tornare visibile e camminò in fretta verso il suo posto. Dalla fretta aveva lasciato lì tutti i suoi averi. Evitando gli sguardi degli altri passeggeri, si tolse la Corona e la rimise sotto il mantello da viaggio. Doveva scendere subito dal treno, avrebbe proseguito a piedi fino a Torino e lì avrebbe cercato rifugio all’Ospedale dov’era ricoverato Tristi. Prese lo zaino e andò all’uscita. Se i suoi calcoli erano giusti, mezz’ora e sarebbe sceso dal treno.

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Capitolo 21
*** 21. Inseguimenti ***


Renée si agitò nel sacco a pelo. Vicino a lei, Milara la guardò preoccupata, ma poi tornò a fissare la radura che li circondava. Carlo dormiva dall’altra parte tenendole la mano. Renée sognava Jason e il suo scontro con il traditore sul treno. Si svegliò di sua volontà, spaventando con la sua irruenza nell’alzarsi la compagna di viaggio.
- Jason sta andando a Torino, ma è stato seguito dai traditori. Ora sta proseguendo a piedi nascondendosi. Dobbiamo muoverci!
Milara svegliò Carlo che sbatté diverse volte le palpebre prima di destarsi completamente. Non gli servirono spiegazioni per capire che era giunto il momento di riprendere il viaggio e si affrettò assieme alle altre due ragazze a sistemare gli zaini. Dopo dieci minuti correvano leggeri lungo la strada della campagna francese. Da tre giorni avevano iniziato a scorgere davanti a loro le Alpi che segnavano il confine tra i due stati, e questo fatto, dopo i lunghi giorni di marce forzate infinite con soltanto campi e villaggi rurali attorno, aveva dato a Renée e ai compagni rinnovata forza. Avrebbero potuto viaggiare in treno, ma nella foga della fuga dalla Scuola non avevano pensato a portarsi via più di tanto denaro, trovandosi a tasche vuote dopo lo sbarco da Edimburgo. A causa della guerra contro i ribelli che dilagava ovunque nell’Europa e negli altri continenti, viaggiare era diventato costoso e pericoloso. L’unica consolazione era il cambiare della stagione, con la fine dell’inverno ogni giorno meno rigida. Presto sarebbero arrivate le prime piogge, ma Renée contava di raggiungere Jason, ovunque si trovasse, prima di quel momento.
Correndo, sentiva appena i passi dei due compagni ma sapeva della loro vicinanza grazie a quel sesto senso che, da quando era diventata Custode, le impegnava i sensi ma soprattutto i sogni. Jason le appariva costantemente durante il sonno, in modo nitido e preciso. Talvolta, svegliandosi, le prendeva lo sconforto della nostalgia e della lontananza ma allo stesso tempo l’idea di essere in viaggio per lui le faceva trovare nuova forza per mettere un piede davanti all’alto.
Senza rallentare la corsa scrollò le spalle scacciando i pensieri più tetri e il residuo di freddo della notte. Le stelle, ora visibili senza lo smog dei grandi centri urbani, schiarivano il cielo nelle loro infinite costellazioni.
“Segui il profilo delle montagne e raggiungi un paese al confine per chiedere che passo usare per valicare le Alpi.”. Le parole di Jamie le rimbalzarono in testa, quando, usciti dal boschetto, piombarono su una pianura aperta e coltivata, ritrovandosi le montagne di fronte, nitide e ben visibili grazie alla notte senza nuvole e nebbia.
La campagna francese era verde e rumorosa di insetti anche durante la notte. Il vento blando muoveva appena gli steli lunghi di erba. I tre amici si guardarono senza poter nascondere la stanchezza e allo stesso tempo la gioia di aver quasi raggiunto il confine. Presto avrebbero raggiunto le Prealpi francesi e poi il passo.
Corsero a ritmo serrato fino alle prime luci dell’alba, raggiungendo delle case di contadini che davano su una di quelle strade asfaltate che qualche volta incrociavano nel loro viaggio. Le macchine passavano più o meno di rado, a seconda del momento della giornata. Si fermarono poco distanti dalle abitazioni. Erano quasi sulla strada, ma cercarono di inoltrarsi per la campagna ritagliata di campi. Non sarebbe stato il massimo farsi notare dagli uomini, avrebbero pensato che fossero vagabondi o ladri; avrebbero sostato per qualche ora nello spazio tra un campo coltivato e l’altro, cercando di non farsi notare.
Fu Carlo a decidere il punto esatto, appoggiando sull’erba umida la sua sacca da viaggio e stiracchiando le spalle indolenzite dalla marcia notturna. Renée e Milara fecero altrettanto mentre Carlo con un incantesimo toglieva la rugiada dall’erba in cui si sarebbero sdraiati. Poi Renée creò un’illusione tutt’attorno a loro, affinché risultassero invisibili a chiunque. Milara scaldò l’aria tra loro e finalmente poterono sedersi e ristorarsi.
- Aspettiamo che sia mattina inoltrata. La gente sarà al lavoro e non baderanno troppo a noi. Ora è meglio riposarsi.
Sia Milara che Carlo annuirono e si sdraiarono in silenzio. Renée guardò il cielo, tra il rosa dell’alba e il blu della notte che moriva. Ascoltò gli ultimi gracidii della vita notturna, aspettando il primo cinguettio che salutava l’alba. Dopo il sogno del combattimento non aveva sonno, anche se le dolevano le spalle e le gambe. Aveva bisogno di una doccia calda e di un letto pulito, ma prima di tutto aveva bisogno di Jason. Sperò che stesse bene e gli mandò un bacio.
 
Tre giorni dopo
 
La lama tagliò la testa di netto dal collo. Il sangue uscì copioso, una mano ebbe l’ultimo scatto nervoso, giacendo poi immobile come il resto del corpo. Gli occhi sporgevano dalla maschera vitrei e scuri, Jason intravide un ciuffo di capelli chiari uscire scomposto dal cappuccio che era rimasto tranciato con la tesa. Aveva ancora la lama alzata e il sangue prese a scendergli lungo il filo della spada fino all’impugnatura, e poi sul guanto. Infastidito, se ne pulì sul terriccio. Con voce secca cantò l’Incantus Mortis.
Il sangue sembrava non finire mai.
Quando il corpo fu sparito, Jason si tolse con un gesto stanco la Corona, riponendola al solito posto sotto il mantello. Si tolse anche i guanti, il destro ancora con un alone del sangue sulle dita. Si rimise gli occhiali e riprese a correre.
Era ormai alle porte di Torino, lo sapeva. Allo stesso tempo però, quella fuga gli sembrava infinita. I traditori gli tenevano dietro. Era riuscito a individuarne cinque al suo inseguimento: quello sul treno era il primo. Una volta iniziato il suo viaggio a piedi, ne aveva dovuti uccidere altri tre. Ne mancava uno, ma sperava di raggiungere la città prima di doverlo affrontare. Era stanco di uccidere. L’Arte Suprema Maxima si era rivelata formidabile come si era immaginato, ma usarla in quel modo gli sembra un insulto agli Spiriti. Troppo sangue, troppi morti… nei suoi incubi, gli occhi dei traditori che aveva ucciso gli si presentavano sempre, glaciali e vitrei. Morti.
E poi, c’era lo spadone del primo che aveva ucciso. Se lo portava ancora dietro, sebbene fosse un peso in più, perché c’era qualcosa che non andava. Aveva provato attraverso la meditazione e la sua quasi perfetta conoscenza dei metalli a indagarne la struttura, ma non era riuscito a districare quel groviglio di atomi. Era evidente che era stata modificata, ma era così complicata che avrebbe avuto bisogno di un piano di lavoro adatto e più tempo.
Si massaggiò le tempie e strizzò gli occhi, stanco. Era troppo che non dormiva bene. In più, iniziava a scarseggiare di cibo. Fermarsi in un centro abitato gli sembrava poco opportuno, avrebbe solo rischiato di mettere a repentaglio la vita di altre persone. Doveva muoversi a raggiungere Torino.

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Capitolo 22
*** 22. Torino ***


Era ormai notte quando la raggiunse. Le luci lo abbagliarono e il rumore lo infastidì, ma non si fermò e fu sollevato. La sede dell’Ospedale era a Sud della città, si mosse senza perdere tempo.
Raggiunse il centro della città e da lì seguì la strada che gli era famigliare. Le macchine giravano ancora ma c’era poca gente a piedi. Svoltò diverse volte, passando accanto agli edifici storici della città che oscuravano imponenti i marciapiedi. Si voltò per controllare di non essere seguito, e infine raggiunse un vicolo cieco, sul quale una porticina verde si affacciava, vecchia e scrostata.
Bussò piano.
D’improvviso, i segni del tempo sul legno presero vita: si formarono i lineamenti di un viso, vecchio e sciupato. Gli occhi ciechi e la bocca erano appena accennati, come il naso. A Jason sembrò un dipinto antico rovinato.
- Chi chiede cure a quest’ora della notte? – soffiò quella maschera lignea in latino. Jason si affrettò a rispondere nella stessa lingua:
- Sono Jason Caesar Mirus, Preside della Scuola. Chiedo asilo, sono in fuga inseguito da nemici comuni.
- Princeps, senza indugi passa, ed abbi cure.
- Grazie, guardiano.
La porta guardiano gli fece una specie di sorriso, che a Jason sembrò più un graffio ancora più profondo sul legno. Prese la maniglia, che non gli oppose resistenza, ed entrò.
Come si ricordava, c’era un corridoio buio e spoglio. Lo percorse con calma, senza fretta. Ormai si sentiva al sicuro. A un certo punto svoltò a sinistra e si trovò in una piccola stanza, illuminata da calde torce e riscaldata al centro da un braciere enorme. Dalla parte opposta, dietro un enorme bancone, sedeva una donna con addosso una tunica bianca e rossa. Teneva i capelli tirati sulla nuca e le mani erano coperte da fini guanti, bianchi e rossi come il vestito. Jason la raggiunse a passi lenti e ampi.
Lei gli sorrise:
- Preside Mirus, buonasera. La sua stanza l’attende.
Apparve un giovane, probabilmente l’apprendista della donna, che salutò Jason con un cenno del capo. Sicuramente quel ragazzo lo conosceva, avendo frequentato la Scuola. Sicuramente ne era uscito da poco, ma Jason non riusciva a ricordarselo. Ricambiò il saluto senza dir nulla e lo seguì attraverso un corridoio, decisamente diverso da quello che aveva percorso da solo. Questo era illuminato e si vedeva che, in orari più normali, era frequentato spesso da molte persone. Su di esso si affacciavano alcuni uffici, per poi dividersi in altri tre corridoi. Il giovane svoltò a quello più a destra, e Jason intuì che erano nella zona destinata agli ospiti dell’Ospedale. Si fermarono davanti a una porta in legno chiaro. L’apprendista gli diede una piccola chiave e gli indicò la porta:
- La sua stanza, princeps. È già sistemata e utilizzabile da subito. Ah, c’è una persona all’interno che l’aspetta. Ha saputo del suo arrivo e ha chiesto di vederla subito.
Nascondendo appena la sorpresa, Jason ringraziò e si affrettò ad entrare.
La stanza non era enorme, ma abbastanza per farci stare un letto a due piazze, un’ampia scrivania e un armadio. Una porticina portava al bagno, ma Jason lo notò in seguito. Dopo la breve occhiata alla camera, il suo sguardo si concentrò verso la figura che sedeva sulla sedia della scrivania, appena scostata dal tavolo. Lo stava guardando, le braccia e le gambe incrociate. I capelli ricci e chiari raccolti come quelli della donna all’entrata, la stessa tunica bianca e rossa. Jason evitò apposta di fissare gli occhi glaciali. In silenzio, sistemò ai piedi del letto lo zaino da viaggio. Si tolse anche il mantello, e la Corona brillò della luce calda della camera. Sentì l’azzurro dei suoi occhi penetrargli la schiena, aveva riconosciuto il Sigillo. Tuttavia, non parlò, lo guardava e basta in silenzio.
Alla fine, Jason si voltò sospirando. La guardò in volto, e lei fece altrettanto. Parlò lui per primo:
- Buonasera, Karin.
- Jason, sorpreso di vedermi?
- Un po’, più che altro per l’ora tarda. Sapevo che eri qui da quando è iniziata la guerra anche in Grecia.
- Ho curato io il tuo amico, il professor Tristi. Cosa ti porta qui?
- Ho avuto da fare, sto aspettando delle persone per poi andare in Grecia.
- Non voglio costringerti a dirmi nulla. Come al solito, non mi permetti mai di sapere cos’ha davvero in testa.
Jason trattenne a stento una smorfia. Era stanco e ritirare fuori vecchi litigi non gli andava affatto.
- Karin, sono stanco. C’è qualcosa d’importante che devi dirmi?
Lei si alzò senza rispondere e Jason pensò volesse uscire dalla stanza, ma lei gli si fermò davanti. Gli occhi fissi sui suoi. L’azzurro del cielo contro il bruno della terra. Jason sentì il suo familiare profumo avvolgerlo ma non ne fu attratto. Sentì aumentare il nervosismo ma non distolse lo sguardo. Lei gli si avvicinò ancora, sfiorandogli con una mano ora la mano, ora la spalla e infine la guancia coperta di barba di tre giorni. Lui percepì il suo tocco come un formicolio e si preparò ad allontanarla. Lei si scostò appena in tempo e gli sorrise, amara.
- Ho capito. – disse, e uscì.

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Capitolo 23
*** 23. Vita Fugit ***


A svegliarlo fu la luce e il chiasso della città. Era tardi, aveva dormito a lungo e profondamente. Si sentiva i muscoli riposati. Si stiracchiò prima di alzarsi.
Fece con calma una doccia calda, si rase la barba riacquistando un aspetto curato. Ignorò le piccole rughe intorno agli occhi e finì di vestirsi, indossando l’ultima tunica che aveva con se. Lasciò i vestiti sporchi per terra nel bagno, probabilmente gli inservienti li avrebbero presi per lavarli.
Uscì dalla stanza, ritrovandosi nel corridoio della sera prima. Notò che di fianco alla sua porta c’era una pianta dell’Ospedale. Le parole MENSA e BIBLIOTECA erano in grassetto. Memorizzò il tragitto per la prima e si avviò.
Il locale a quell’ora era vuoto, ma gli inservienti servirono Jason senza esitazioni. Arrivò poco dopo l’apprendista che l’aveva scortato alla camera. Vestiva anche lui con la tunica dell’Ospedale.
- Buongiorno, princeps. Speso si sia riposato del viaggio.
- Sì, grazie.
- Posso esserle utile in qualche modo?
Fu tentato di chiedergli dove potesse trovare Karin, ma ci rinunciò subito. Fece il nome di Tristi e degli altri professori che l’avevano accompagnato per la prima parte del viaggio. Il giovane gli riferì che ora il professor Tristi si era ripreso in buona parte e che trascorreva il suo tempo nel giardino interno all’edificio. Grennor e Trebar erano partiti due giorni fa per Edimburgo, richiamati d’urgenza alla Scuola.
Girovagò un po’ per il labirinto di stanze e corridoi prima di arrivare a chiosco. Riconobbe subito la sagoma dell’amico, seduta con eleganza all’angolo opposto del giardino su una panchina. Sulle gambe accavallate teneva un libro, scuro di copertina. Gli occhi verdi indugiavano ora svogliati ora attenti sulle pagine leggermente sciupate. Jason sorrise andandogli in contro e Filippo si accorse di lui quando ormai gli era davanti. La sorpresa che illuminò i suoi occhi fu subito sostituita da piacere e gioia. Posò il libro sul marmo e si alzò. Non aveva ancora recuperato del tutto il suo colorito bruno, ma Jason notò, abbracciandolo, che gli erano state tolte tutte le fasciature.
- Amico mio!
Si strinsero ancora in un abbraccio.
- Filippo, ti vedo bene.
Il sorriso del mago si allargò:
- Devo ringraziare la glaciale Karin, si è dimostrata un medico molto capace.
“Come sempre, sa che tasti beccare.”
- E tu? – continuò Tristi, - Come mai qui e non a far valere il buon nome della Scuola?
Jason gli fece cenno di sedersi e lo imitò. Soffermò un attimo lo sguardo sul chiosco, luminoso e curato. Nonostante fosse ancora inverno, lì non sembrava arrivare il freddo della stagione. Il cielo ero terso e azzurro. Inspirò l’aria fresca e quel gesto gli ricordò le sue mattine silenziose alla Scuola.
Gli raccontò tutto dal principio, partendo dall’arrivo di suo fratello Jamie a Edimburgo per comandare il fronte scozzese. Filippo ascoltò imperturbabile e silenzioso, non parlò neppure quando alla fine Jason gli confessò di Renée e del ruolo che aveva. Quando Jason tacque, il mago distolse lo sguardo da lui e lo fece vagare quasi assorto tra la studiata vegetazione del giardino. Erano soli.
Alla fine ruppe il silenzio:
- Eletto. – lo guardò solenne, serio. Jason aspettò che continuasse:
- Dunque, tra poco vedremo la fine di questa guerra.
- Così sembra, poi finalmente potremo tornare alla Scuola.
Tristi divenne perplesso:
- Davvero torneresti alla Scuola?
- Sì, ovvio. Dove potrei andare, altrimenti? – Jason lo guardò interdetto
Il mago alzò le spalle:
- Beh, sei l’eletto della Corona Spiriti. Forse, potresti diventare qualcosa di più di Preside…
- Non vedo il motivo di cambiare lavoro, a dirti la verità. Io… io sto bene là.
- E’ per Renée, giusto? – sul volto dell’amico comparve un leggero sorriso.
- Beh… sì, anche per Renée. Nonostante tutto, deve ancora finire quest’anno e fare l’ultimo. Se ne usciremo vivi, voglio starle vicino, se lei mi vorrà ancora.
- Sai, durante questa convalescenza Karin mi è stata vicino. Mi sono spesso chiesto, conoscendola un po’ meglio, perché non fosse continuata. – rise sommessamente – A dire il vero, non penso potrei capire perché hai scelto Renée, ma da come ne parli, ne sei davvero innamorato.
Jason aggrottò leggermente le sopracciglia, ma decise di non indagare oltre su quello che l’amico cercava di dirgli. Si limitò a muovere nervosamente le gambe per qualche secondo. Poi, spiegò:
- Ho visto Karin, ieri sera. Pensavo che qualcosa fosse rimasto, di quello che provavo per lei. Ma nulla, e lei ieri l’ha capito, credo.
- Credo che lei ti ami ancora.
Jason fece uno scatto irritato con la testa e sbottò:
- Mi ama così tanto da non aver neppure trovato il tempo di scrivermi tra un sospiro e l’altro. Mi dispiace se penava che non fosse finita tra noi, ma non ha fatto nulla per dimostrarmelo.
Quasi fosse stata chiamata dai loro discorsi, Karin apparve. Non degnò neppure di uno sguardo Jason, che la salutò il più neutrale possibile. Filippo le sorrise e le andò in contro. I due parlarono un po’, lasciando Jason a guardarli seduto in disparte, poi Karin diede un colpetto alla spalla di Filippo e rise, ritornando all’interno dell’edificio.
Tornando da lui, il mago gli rivolse un’occhiata metà di rimprovero metà divertita. Jason rise e scosse la testa.
- Filippo, neppure una convalescenza così pesante è riuscita a toglierti il tuo gusto per le frecciatine!
Fingendo di essersi offeso, Filippo sollevò gli occhi al cielo con ironia e disse:
- Ad ogni modo, Renée è una bella donna e sicuramente anche nobile di anima, visto che è la Custode. Così giovane e con così tante responsabilità, come gli altri due eletti!
- Lo so, - il volto di Jason tornò serio – e finché non li avrò davanti a me, non smetterò di essere preoccupato per loro. Sono soli chissà dove tra la Francia e l’Italia, speriamo non facciano brutti incontri come quelli che ho fatto io.
- In caso contrario?
- Non voglio pensarci.
 
 
Avevano sperato che i traditori non li trovassero ma ovviamente si illusero. Avvertirono la presenza dei due traditori quando entrarono a Torino. Si chiesero da quanto tempo li avessero individuati.
Si resero conto di non sapere dove andare, Jason sembrava nascosto dentro la città ma era come invisibile, come se fosse nel cuore della città, come se fosse parte della città.
Renée non riusciva a trovarlo.
Era notte fonda.
Carlo correva davanti a loro. Era l’unico che parlasse in italiano e sembrava fosse in grado di orientarsi meglio con i nomi delle strade. Ora, si trovavano in una piazza enorme, circondata di edifici storici.
Milara le stava accanto, con lo sguardo puntato sulla schiena del mago. Il viso era stanco, probabilmente anche il suo aveva la stessa espressione stravolta, pensò Renée. Strinse la mano attorno alla spada che aveva ricevuto da Jamie. Si stupì di no averla dovuta ancora usare e allo stesso tempo le venne da ridere per il nervoso.
“Sono una studentessa, sono solo una studentessa… come posso competere con dei veri combattenti?”
Ora, sentì salire anche le lacrime. Pregò gli Spiriti e desiderò che Jason fosse lì con lei.
Un grido. Carlo si bloccò di colpo. Milara trattenne il respiro per la sorpresa. A Renée si strinse lo stomaco. Davanti a loro, il profilo inconfondibile di un ribelle. Il manto nero e la maschera. La spada sembrava il prolungamento naturale del suo braccio.
Renée sfoderò la sua. Le bastarono alcuni istanti, e attivò l’Arte Suprema.
- Sei la Custode, proteggili. La voce di Alice le cullò i sensi, che si accentuarono leggermente. Poteva sentire il respiro dell’avversario a quella distanza.
- Spostatevi, state dietro di me!
I due maghi non se lo fecero ripetere. Tuttavia, entrambi erano avvolti da scariche di energia, pronti a concentrare gli atomi necessari per degli incantesimi.
Renée rilassò le spalle, respirò a fondo, divaricò le gambe e ne portò una avanti in posizione di guardia. Il traditore fece altrettanto. Renée capì che stava usando anche lui l’Arte Suprema. Le avrebbe fatto paura ma ora non le sembrava di sentire nulla, se non il peso rassicurante della sua spada e l’energia scorrergli nelle vene. Concentrò degli atomi attorno ai suoi organi vitali, mosse il polso facendo roteare appena la spada.
- Nessuna pietà. Uccidilo.
Sì.
- Ora!
Urlò e quasi volò sull’avversario, che parò a stento il colpo, sorpreso dalla prontezza della giovane. Si aspettava un cavaliere inesperto e terrorizzato, e, in effetti, Renée lo era, ma era anche tenace ed era anche la Custode.
Volteggiò attorno al nemico, che cercò di infilzarla fendendo l’aria. Innervosito, si sbilanciò troppo con il bacino, scoprendo il lato sinistro. Renée lo trapassò da parte a parte.
Quando sfilò la spada il sangue iniziò a uscire come una cascata dal corpo del traditore, che crollò a terra morto.
Aveva il fiatone e si accorse di essersi storta la caviglia quando era saltata addosso all’avversario. Strinse i denti e fece per riporre la spada, ma sentì Milara gridare:
- Renée!
Si voltò e sentì i sensi esploderle in testa. Si era completamente dimenticata che i traditori erano due, e ora il secondo stava combattendo contro Carlo in un serrato botta e risposta di lampi di luce e incantesimi. Vide il mantello del giovane mago svolazzare.
Corse verso di loro e si mise in mezzo, risparmiando a Carlo una vampata di fuoco, che la investì senza però farle nulla. L’Arte Suprema l’aveva protetta a dovere. Sentì la sua essenza attirare atomi dall’esterno e convogliarli sui suoi organi.
Il mago traditore le colpì il braccio con un incantesimo e per qualche istante Renée fu preda di un terribile formicolio che la tenne paralizzata. Carlo dietro di lei mormorò qualcosa e l’effetto svanì.
Fu più difficile combattere contro il mago. Non poteva avvicinarsi troppo e allo stesso tempo si ritrovava a doversi abbassare e schivare gli incantesimi. Non riusciva a trovare un attimo in cui le difese del mago fossero scoperte.
Iniziò a sentire la stanchezza. Gemette quando un incantesimo le colpì il ginocchio facendole quasi perdere l’equilibrio.
Un secondo incantesimo le ferì la spalla sinistra. Le mancò il respiro e temette di perdere la lucidità ma poi, qualcosa cambiò.
Si sentì spinta di lato da una forza d’aria. Gridò di sorpresa e girò la testa. Carlo era diverso. Gli occhi azzurri erano diventati due pozzi scuri come la notte, il viso era pallido e inespressivo. Alzò una mano verso il cielo. Fissò il traditore, che assisteva paralizzato alla scena.
Poi Renée sentì come un vuoto ovattato attorno a sé. Le sembrò che la città intera diventasse come di un’altra dimensione. Espanse i suoi sensi. Sentì i cuori di Carlo e Milara battere, incredibilmente calmi. Guardò perplessa il traditore ancora vivo. Il suo cuore non batteva. Si voltò verso Carlo e capì. Stava usando il Patto Spiriti. Aveva fermato il tempo.
- Milara. – lo sentì chiamare.
La maga annuì. Chiuse gli occhi e rilassò il collo. Sembrò rabbrividire ma quando riaprì gli occhi l’espressione sul suo viso era uguale a quella di Carlo.
A passi lenti si avvicinò al traditore. Quasi con dolcezza gli appoggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore. Esclamò:
- Vita fugit. [la vita fugge]
Renée con orrore si rese conto che il mago era morto, ancora prima che Milara avesse finito la frase. Sentì come un mancamento tra gli atomi attorno a lei, poi però tutto tornò come prima. Milara si scostò dal corpo senza vita dell’uomo, e si voltò verso Carlo. Lui abbassò la mano.
Renée risentì il suo peso sulle proprie gambe. La piazza riacquistò le sue reali dimensioni.
I due maghi tornarono normali. Si guardarono in silenzio e poi si abbracciarono. Milara quasi singhiozzò ma si trattenne a stento. Carlo era stravolto e attonito. Tutti erano stravolti e attoniti.
- Portali al sicuro, stanno per crollare, e anche tu.
Lo so. Ma non so dove.
- Ti guiderò io.
Grazie.
Si mosse verso i due compagni. Appoggiò una mano sulla spalla di Milara, che la guardò sconvolta. Cercò di sorriderle ma le sembrò di non ricordarsi come si facesse. Solo allora si rese conto che avevano appena ucciso.
Che lei aveva appena ucciso.
Strinse i denti e ricacciò indietro il vomito.
Senza voltarsi verso i due cadaveri, ognuno lottando con i propri sensi di colpa, ripresero a correre, Renée davanti. Non giravano più alla cieca, seguivano le indicazioni di Alice che si presentavano a Renée come delle immagini di strade e piazze.
Arrivarono in un vicolo. Una porta antica e rovinata li aspettava.
Carlo bussò e la porta magicamente si contorse assumendo l’aspetto di un volto. In latino chiese:
- Chi bussa all’Ospedale?
- Sono Carlo Bonasti, eletto del Patto Spiriti. Con me ci sono l’eletta della Pace Spiriti e la Custode dei Tre Sigilli. Lasciateci passare, abbiamo bisogno di cure.
- Vi stavamo aspettando, Carlo Bonasti, Milara Guarnì e Renée Grison.
La porta si spalancò. Ad attenderli c’era un gruppo di persone vestite con tuniche bianche e rosse. Due di loro si avvicinarono a Renée e le sorrisero. Una era una donna dalla corporatura minuta, i capelli biondi e ricci legati stretti. Gli occhi, sebbene sorridenti, sembravano essere due pezzi di ghiaccio. L’altra persona era un ragazzo, alto e con la barbetta sul mento. Renée riconobbe uno vecchio studente della Scuola.
- Non preoccuparti, Custode. Ora siete tutti al sicuro, ottimo lavoro.
- Jason…
- Renée! Sono qui!
Un mormorio, qualcuno che si faceva spazio tra la piccola folla. Due braccia che le cingevano le spalle, tremanti dalla stanchezza. Un profumo familiare che la investiva come un’onda del mare. Socchiuse gli occhi e vide folti capelli neri, due occhi scuri e caldi.
- Renée, calmati, amore mio, va tutto bene.
Due labbra le baciarono la fronte, più volte, con foga. Sentì la preoccupazione agitare l’animo di Jason, che la teneva stretta a sé. Chiuse del tutto gli occhi.
- Preside, è sotto shock. Deve essere successo qualcosa. Diamine! Sono tutti e tre sotto shock. – una voce maschile, probabilmente il giovane di prima. Poi altre voci concitate. Percepì Carlo e Milara vicini, Jason continuava ad abbracciarla stretta. Lo sentì respirare a fondo e poi parlare:
- Allora forza, portiamoli in una stanza dove possiate curarli.
Si sentì sollevare. Jason la stava trasportando lungo uno stretto corridoio. Aveva riaperto gli occhi ma li richiuse subito. Si abbandonò contro di lui e pianse in silenzio.

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