The little light of mine

di pleinelune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - THE FIRST PLACE ***
Capitolo 2: *** 02 - TOMORROW TOMORROW ***
Capitolo 3: *** 03 - BLUE HIGHWAYS ***
Capitolo 4: *** 04 - THEM POSSIBLE SCHEMES SWIM AROUND ***
Capitolo 5: *** 05 - AN HOUR, A DAY OR A LITTLE BIT MORE ***
Capitolo 6: *** 06. NO MORE FRIENDS ***
Capitolo 7: *** 07 - MY EYES ***
Capitolo 8: *** 08 - FREE AS A BIRD ***



Capitolo 1
*** 01 - THE FIRST PLACE ***


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THE LITTLE LIGHT OF MINE

“il progetto non ci rende grandiosi è quello che abbiamo insieme che ci fa essere grandiosi.”
-The Family Man-

01 – THE FIRST PLACE

Camminare sembrava un’inerzia, i rintocchi delle campane arrivavano da lontano e una strana melodia mi rimbombava nelle orecchie, una sorta di colonna sonora solo per me. Ricordavo di essere andata a comprare il latte al supermarket, di aver lasciato che Jeremy, a casa, preparasse la cena insieme ad Alaric. Le uniche persone che mi erano rimaste. Dopo il supermercato più nulla, la mia mente era in una sorta di trans, i piedi si muovevano ritmicamente e andavano avanti per una strada a me sconosciuta. Il marciapiede su cui camminavo era bagnato, e tutto attorno a me una brina cominciava ad alzarsi. Dicembre, il mese più freddo e piovoso dell’anno a Chicago. Mi concessi di osservare le luminarie e i vari addobbi in occasione del natale, l’unica festa che mi aveva sempre fatto ricordare loro. La mente mi permise di visualizzare i loro visi una sola volta, fugacemente, poi scomparvero, risucchiati dallo stesso vortice che mi impediva di procedere in una direzione differente da quella che avevan deciso i miei piedi. Presto mi ritrovai a camminare per River Street, costeggiando i vari negozi. La gente dentro sorrideva e comprava regali, chi per amici, chi per il fidanzato, chi per colleghi a cui importava davvero poco del regalo in se, quanto del poterlo riciclare con qualche parente scomodo e semi-sconosciuto. Sorrisi di quei sorrisi scambiati tra persone, veri o finti che fossero, e i miei piedi proseguirono, senza che mi potessi fermare, la busta di plastica del supermarket con dentro il cartone del latte ancora in mano. Voltai verso Mailbour Street e riconobbi la via di casa mia, ma i miei piedi presero la via opposta, incapace di direzionarli a mio piacere. Mi sembrava di essere in un sogno, e sperai di potermi risvegliare presto, molto presto. Non avere il controllo della situazione mi creava un disagio interiore maggiore rispetto a quello di vedere tutte quelle persone felici per il natale, mentre io non potevo, e non volevo esserlo. I piedi improvvisamente si fermarono, e sperai che fosse stato per via della mia intensa voglia di controllo, ma mi sbagliai, perché di fronte a me, al centro esatto del marciapiede, stazionava, enorme e cristallino, un enorme essere, bianco e con delle enormi ali piumate. Scoppiai a ridere, ma la mia bocca non si mosse. L’angelo mi guardò, fisso negli occhi, e non potei fare a meno di guardare i suoi, azzurri come pozze d’acqua cristallina. Cercai di ritirare lo sguardo, di voltarmi e scappare da quell’essere che pur essendo bellissimo mi incuteva una paura tremenda, ma i piedi non rispondevano, rimanevano inchiodati al suolo, al servizio dell’angelo. “Cosa vuoi?”, digrignai i denti, impaurita, cercando di mantenere una sorta di autorità, cercando di mascherare almeno in parte il terrore che albergava in me. “cosa stai cercando Elena?”, sentii la voce dell’angelo dentro la mia testa, intessere una tela nel mio cervello, nei miei sensi. “Voglio andare via!”, gridai con tutto il fiato in corpo. Le mie parole sfumarono in un fiotto di condensa, uscito dalla mia bocca. “che cosa vuoi?”, chiesi infine, cercando di stabilire una conversazione con quell’essere imenso, che continuava a guardarmi, in attesa di qualcosa. “Voglio che tu ripensi a perché sei qui, a cosa stai cercando qui!”, disse, le sue parole ancora all’interno della mia mente, a invadermi nell’intimo, a scavare. Non avrebbe auto bisogno di una risposta, poteva avere ogni cosa attraverso la mia mente, eppure voleva che io parlassi, che ammettessi. Rividi per un attimo il suo volto, tutto ciò che per tutto quel tempo avevo cercato di dimenticare, di relegare in un angolo della mia mente, impossibile da cancellare, e seppi che era stato l’angelo a farlo riaffiorare, i lineamenti del viso del vampiro mi apparvero chiari, palpabili, sotto le palbebre, chiuse a ricordare ogni cosa. “Ho una famiglia adesso”, risposi, assecondando il gioco perverso dell’angelo. In un attimo visualizzai il viso di Matt, sorridente, gli occhi azzurri quanto quelli del mostro vestito d’argento che mi ritrovavo davanti, poi visualizzai il viso di Jeremy, e quello di Alaric, le uniche persone ancora nella mia vita, la mia famiglia. “Che cosa vuoi?”, ripetei ancora, ma questa volta con più calma, con raziocinio. “Sei stata tu a voler venire qui, lo sai. Voglio solo che tu sappia che l’hai volto tu.”, le parole dell’angelo parvero sensate nella mia testa, ma immaginai fosse ancora un suo trucco. “Sei qui per dare un’occhiatina”, la frase andò ad affievolirsi e sentii le gambe cedere. Poi il buio, e la pioggia sul mio viso.



-note poco serie-
Bene, prima di tutto hola a todo el mundo. piccole premesse per una civile lettura.
-I soggetti non sono miei, bla bla bla Plec, bla bla Williamson, bla bla bla.
-E' una storia DELENA, quindi se non siete DELENA, credo sia inutile che la leggete (potreste convertivi, attentee *O*)
-La canzone che sente quella pazza di Elena che vede gli angeli all'inizio del capitolo è EVELYN dei GOLDMUND(ascoltatela é_é). E' stupenda vè?
-L'ispirazione l'ho avuta a pranzo oggi vedendo la pubblicità del film "THE FAMILY MAN", non sapete di che parla? 1. domani lo fanno in tv, mi pare su canane5 (non guardate checco zalone sul 6, guardatevi questo, ne vale la pena *O*), e 2. la trama è più o meno questa. Nicolas Cage è un uomo di successo che ha tutti ai suoi piedi, gira con una ferrari e ha tutte le donne che desidera. Una sera incontra un angelo, appunto, al supermarket, che gli fa dare un'occhiatina, cioè gli fa vedere cosa sarebbe successo se 10 anni prima non fosse partito per lavoro e se invece avesse sposato la sua fidanzata del liceo ai tempi. Nicolas Cage capisce troppo tardi quale sarebbe potuta esser la sua vita, con una punta di amarezza.
-Beh ma poi andatevela a vedere la trama no? che cacchio volete da me. xD
Ringrazio come al solito chi leggerà e chi seguirà e le mie amate amorose delene che sicuramente mi appoggeranno perchè io non leggo mai niente di loro *va a fustigarsi* ma loro leggon sempre le mie cagate colossali campate in aria xD
Notte a voi popolo AWESOMOSO (dal verbo(?) awesome xD)


 

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Capitolo 2
*** 02 - TOMORROW TOMORROW ***


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02 – TOMORROW TOMORROW
 
Mi svegliai con l’odore del sapone da bucato di mia madre nelle narici, lo percepii tra migliaia di profumi, tutti bene impressi nella mia mente. Riconobbi le note del gelsomino e della pesca del detersivo, l’unica cosa rimasta invariata dopo la morte di mia madre, sentii l’aroma di caffè salire le scale e mi chiesi se fosse stato Jeremy a prepararlo.
Mi decisi ad aprire gli occhi dopo vari secondi di riflessione, mi sembrava tutto molto più nitido e preciso del solito. Una lieve luce mi si insinuò tra le fessure degli occhi e riconobbi un sospiro provenire dalla parte sinistra del mio letto. Mi guardai attorno, rivedendo la mia stanza, e poi posai lo sguardo sulla parte del letto da cui proveniva il sospiro, ed improvvisamente mi tirai su con le braccia.
“Buongiorno Elena”, nulla era invariato, la voce chiaramente impastata dal sonno, ma così melodiosa, e il viso erano rimasti identici, intatti e perfetti. I capelli biondo cenere perfettamente spettinati avrebbero fatto invidia a chiunque e notai la sua sorpresa nel vedermi altrettanto sorpresa. 
“C-cosa..”, riuscii a biascicare. 
“Ti vado a prendere la colazione”, poi scomparve, in un batter d’occhio, per poi ricomparire con un vassoio che mi porse sulle lenzuola, sopra le gambe. 
Stefan era li, con il suo sorriso e i suoi denti da vampiro ben nascosti. Era li.
Velocemente spostai il vassoio, lo colsi di sorpresa e mi diressi verso lo specchio, non volevo mostrargli le mie rughe, la mia vecchiaia, non volevo che su di me si vedessero quei dieci anni trascorsi l’uno lontana dall’altro, ma quando scorsi il mio volto nulla di ciò che la sera prima era bene impresso su di esso, i solchi accanto alle labbra e agli occhi, c’era più, al loro posto il viso giovane e levigato di una adulta, ma ancora nel pieno della vita, poco più che una ragazza, con i capelli ancora color cioccolato e nemmeno una doppia punta. Rimasi scioccata, lui dietro di me, interdetto. 
Tornai sul letto e mangiai con calma, ripensando a ciò che era successo, al sogno, a quell’angelo che non era stato solo un incubo. Non riuscivo a rendermi conto della situazione, eppure ora mi ritrovavo nella mia camera accanto a un ragazzo che non vedevo da un secolo, e col viso di una venticinquenne. 
Credetti che mi avesse riportato indietro, ma appena assaggiai il primo sorso del caffè sul vassoio mi resi conto che non aveva il solito retrogusto di verbena, e mangiando il croissant accoccolato in un tovagliolo di stoffa sentii di non volerlo realmente, ma di avere una strana sete. 
Spalancai gli occhi guardando Stefan e lui mi sorrise, non riuscendo a capire cosa mi stesse succedendo. Fissai i suoi occhi, le mani intrecciate l’una all’altra, più per paura che fosse un sogno, per riuscire a sentire che ero concreta, reale, e che potevo toccarmi e sentire ciò che toccavo. 
“Hai dimenticato l’aranciata, vado giù io”, dissi, spostando il vassoio e dirigendomi verso la porta. Me lo trovai di fronte, tra il mio braccio e la porta semichiusa, e non ne fui sorpresa, mi scoccò un bacio sulle labbra, dolce e fresco. Nessun sentimento in quel gesto quasi meccanico. Poi aprii la porta e uscii. 
La casa era la stessa, identica anche lei, nulla era cambiato, il colore del legno, le ammaccature del parquet, tutto ritornava a 10 anni prima, a quando tutto era accaduto. Scorsi la porta della camera di Jeremy semichiusa e lo vidi dormire, tra le pieghe delle coperte, sembrava sereno. 
Immaginai Alaric nella camera che una volta era stata sua e di Jenna, come sempre, ma non osai aprire la porta, evitando sorprese. 
Scesi le scale con riluttanza, sperai fosse stato Stefan a preparare la colazione, ma sentivo la mancanza di un pezzo del puzzle che pian piano si stava andando a formare. Chiusi gli occhi e mi appoggiai alla ringhiera della scala, scesi l’ultimo scalino.
“Attenta”, sentii la sua voce, un sussurro, a pochi centimetri dal mio viso, il suo sospiro sulla mia guancia, aprii gli occhi e lo vidi, spalla contro spalla, e nonostante tutto cercava di non farmi del male, di salvarmi dal cadere.
Aveva lo stesso viso, tutto era uguale in lui, tranne gli occhi. Li incrociai per un istante e non potei fare a meno di sentire la sofferenza profonda in quei pozzi azzurri. 
“Buongiorno”, quasi gridai. La voglia di capire il motivo di quel profondo sconforto mi spinsero ad essere un po’ troppo espansiva, e mi guardò come fossi pazza.
“Che ti succede oggi, Elena?”, i suoi occhi mi scrutarono da capo a piedi, in cerca di un particolare che svelasse il motivo della mia stranezza. 
Evidentemente non lo trovarono, perché tornarono a fare avanti e indietro tra il mio viso e le scale, come a lasciarmi intendere che volesse andarsene.
“Non posso chiederti come stai?”, chiesi, a metà tra l'arrabbiato e il frustrato, non riuscivo a capire granchè di quella strana situazione.
“Non lo fai mai, non più”, i suoi occhi fissi nei miei, accusatori. D’un tratto scorsi, in cima alle scale, il volto contratto di Stefan.
 “Beh, vado a prendere l’aranciata”, sussurrai e sparii dietro la porta della cucina. 
 
Non sapevo cos'era successo, ma la sete mi stava divorando e mi avvinghiai al bicchiere, famelica. 
"Già finito il tuo sciopero della sete?", sentii Stefan avvicinarsi, dalla porta della cucina. 
"Che sciopero?", chiesi io, confusa. 
"Davvero Elena? Ma cos'hai oggi? E' da tre giorni che non bevi per la battaglia contro la sperimentazione sugli animali.", si concesse il lusso di abbracciarmi e di baciarmi il collo, come se niente fosse, come se i dieci anni passati, in realtà non fossero neanche mai esistiti. Non mi trasmise nulla, tranne un leggero senso di nostalgia. Dieci anni erano un lungo periodo, ma Stefan aveva la capacità di farmi sentire a casa, di farmi sentire normale. 
"Che cosa stupida", dissi in un sussurro, dimenticando la sua possibilità di sentirmi a qualsiasi volume decidessi di portare la mia voce. 
"Come?", chiese, staccandosi per potermi vedere in faccia. 
"E' un po' un controsenso, cioè, non dovrei proprio essere io la persona che chiede pietà per quei poveri animali, non se sto con te.", abbassai lo sguardo sul bicchiere vuoto.
"Buogiorno Elena!", sentii la voce di Alaric provenire dal salotto e sospirai, finalmente rassicurata dalla presenza di una persona che non era mai stata lontana, che non mi aveva lasciato. 
Quasi gli corsi incontro per poterlo vedere, per sentire che non stavo diventando pazza, ma che era veramente la voce di Rick. Lo trovai a parlare con Damon, che appena mi vide biascicò le ultime parole di quella loro conversazione e si allontanò, abbassando lo sguardo mentre mi passava accanto. 
 
"Elena, non c'è bisogno che tu te ne vada.", i suoi occhi quasi alle lacrime, il suo viso contratto in una smorfia di dolore e frustrazione. 
"Invece si.", in un sussurro riuscii a dire, per l'ennesima volta, quello che avevo ripetuto per mesi nella mia testa, autoconvincendomi, e poi altrettanto tempo a voce alta, per convincere gli altri. Abbadonare tutti, o quasi. 
"Non rendere tutto più complicato di quello che è, ti prego.", le ultime due parole quasi soffocate da un singhiozzo trattenuto. 
"Non rendo niente più difficile di nulla, tutto questo non è necessario, stai esagerando elo sai. Non c'è bisogno che tu te ne vada. Io non lo permetterò!", guardai i suoi occhi fissi nei miei, con convinzione. Era sicuro di riuscire a smuovere la mia convinzione, e per un attimo lo credetti anche io. Quella fiamma di speranza nei suoi occhi era qualcosa che non avrei mai dimenticato. La passione, l'amore e la forza che metteva in una relazione, in un rapporto era la cosa che mi aveva fatto innamorare di lui. E anche il motivo per cui me ne sarei andata per sempre.
 
Guardai la schiena di Damon scomparire alla fine delle scale e mi rigirai verso Rick, con uno sguardo interrogativo. Lui si profuse in un sorriso e mi si avvicinò.
"Andiamo a scuola", disse, prendendomi per un braccio.
 


-note poco serie-
non iniziate a dire che sono corti i capitoli, perchè i miei capitoli sono così, devo fermarmi in tempo perchè sennò in un capitolo vi dico praticamente tutto, quindi fidatevi, meglio così xD
-c'è una canzone anche per questo capitolo, che da poi il titolo allo stesso, ed è tomorrow tomorrow, ascoltatela u.u 
-c'è molta carne al fuoco secondo me (blatera da sola xD), spero che i personaggi siano IC, perchè odierei avere un Damon (soprattutto) OOC. Stefan è il soliot smielato appiccicoso xD 
-fatemi sapere che ne pensate suvvia. 
-continuiamo a fare punti a caso u.u prima o poi qualcosa in mente di sensato da scrivere mi verrà. 
-Ecco, si, per il prossimo capitolo ho già il titolo ed è perfetto, lo amerete anche voi sicuramente <3<3 
-piccole precisazioni: non ho detto esplicitamente chi è l'interlocutore di Elena nel flashback, così rimanete sulle spine (come sono scontata io non lo è nessuno YEAH!); Alaric è amoroso in ogni caso. Oggi ho visto una puntata della prima stagione, ed era proprio quella in cui arriva Alaric Saltzman, l'insegnante figo che tutte vorrebbero avere, e mi è venuta l'illuminazione (se lo state sperando, no, questa FF continuerà ad essere DELENA xD non passerò mai al ELARIC (?))
-inutili digressioni sono, appunto, inutili. spero il capitolo vi sia piaciuto, LASCIATE-UN-COMMENTO. ahah un bacio, pleinelune aka sonia u.u

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Capitolo 3
*** 03 - BLUE HIGHWAYS ***


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03 - BLUE HIGHWAYS

Entrai nella jeep di Alaric con un moto di gratitudine nei suoi confronti, mi guardò negli occhi e mi fece capire che non avrebbe parlato finché non sarei stata pronta. Passarono minuti interminabili di silenzio, in cui l’unico suono udibile era lo strisciare delle ruote sull’asfalto freddo e bagnato e il rombo del motore. In quel frangente mi soffermai a guardare l’uomo che mi trovavo di fronte, le rughe del tempo, sulle mani e sul viso erano sparite così come le mie, nulla di quei dieci anni passati lasciava intendere che fossero passati veramente. 
“Credi davvero che non sappia nulla? Della tua occhiatina intendo.”, sbarrai gli occhi a quelle parole. Come poteva sapere del mio sogno, dell’angelo e di tutta quella folle storia. Mi lanciò uno sguardo e capì che non avrei parlato finchè non avesse finito. 
“Io sono il mediatore tra la tua vera vita e quest’occhiatina. Ti devo spiegare quello che sta succedendo, cosa c’è di diverso tra i tuoi dieci anni e i dieci anni passati qui. Perciò tranquilla, non sei pazza.”
Scorsi la Mistic Falls High School e feci per togliermi la cintura di sicurezza ma vidi la macchina passargli davanti e superarla, senza rallentare. 
“Dove stiamo andando?”, chiesi, preoccupata. 
“Università.”, sorrise.
Lo guardai e vidi la luce nel suo viso, quella luce che nella mia vita di prima non c’era più. Nei miei dieci anni era rimasto al mio fianco, continuando a fare l’insegnante di storia nel liceo di sempre, continuando a vivere con me e Jeremy e continuando a fare l’eremita. La sua luce si era affievolita lentamente, nel ricordo di Jenna e di tutto ciò che aveva perso. 
In questi dieci anni invece c’era una speranza che in lui non vedevo da tempo, sembrava felice, mentre andava ad insegnare in una nuova scuola, a ragazzi che lo avrebbero ascoltato attentamente e che non si sarebbero messi a giocare con gli aeroplanini di carta in classe. Aveva realizzato un sogno, che nel mio presente aveva rinchiuso in un cassetto buio e nascosto per me, per la mia felicità.
“E io cosa c’entro in tutto questo?”, chiesi, abbozzando un sorriso, confusa. 
“Ovviamente, tu sei l’assistente del professore. Ce l’ha ogni professore che si rispetti. Tranquilla, devi solo portarmi fogli e verifiche, nulla di che.”, disse, voltandosi verso di me. 
Sapevo che era la vita che aveva sempre sognato, e gli sorrisi, felice di vederlo felice
Entrammo in aula e mi trovai davanti tanti volti conosciuti, erano tutti bambini che avevo visto nascere e crescere, troppo piccoli allora per potermi riconoscere. Era la nuova generazione, eppure io sembravo così simile, per aspetto, a loro. Mi soffermai nuovamente a riflettere su quell’aspetto del mio corpo che ancora non avevo compreso. Mi sentivo giovane, ma non avevo i bisogni e le necessità di un vampiro. 
Guardai ancora una volta Alaric sorridere e parlare alla classe ghermita di studenti e lo vidi giovane più che mai. Mi avvicinai e gli passai i fogli di cui aveva bisogno per continuare la spiegazione, poi mi accostai al suo orecchio. 
“Posso prendere la tua macchina? Per oggi ho visto abbastanza, ho bisogno.. di schiarirmi le idee”, attesi che prendesse le chiavi dalla tasca della giacca e gli sorrisi. 
“Quando ti chiamo vieni a prendermi però”, annuii e uscii dalla classe senza dare nell’occhio. 
 
Entrai nella macchina e accesi il motore, ero intenzionata a tornare a casa e mettermi sotto il getto caldo della doccia, per schiarirmi le idee, cercare di capire come uscire da quella situazione. 
Aprii leggermente il finestrino e lasciai che la brezza fresca di fine novembre mi passasse tra i capelli e mi scorresse sul viso. 
Arrivai a casa e sul vialetto non c’era nemmeno una macchina, ne quella cabrio rossa di Stefan ne quella azzurra di Damon, mi chiesi dove le tenessero, e se le avessero ancora. Sperai non ci fosse nessuno in casa, per non dover affrontare la dolcezza di Stefan o la tensione con Damon. Quella era la cosa che mi preoccupava di più. Con Damon era stato sempre difficile, ma quella tensione, quel non parlarsi, non lo capivo. “Non lo fai mai, non più”, quella frase mi aveva lasciato perplessa, non avevo più alcun tipo di rapporto con Damon?
 
Aprii la porta e chiamai Stefan, non rispose nessuno, così lasciai la borsa sull’appendiabiti e mi diressi verso la cucina. 
Appena entrai vidi Damon appoggiato al bancone della cucina, la mano di Caroline, a pochi centimetri da lui, appoggiata sul suo petto, nascosto dalla solita maglietta nera. 
Appena mi videro cercarono di ricomporsi, allontanandosi l’uno dall’altra. 
“Ciao Elena, non ti avevamo sentito”, sentii Caroline a disagio, imbarazzata da quella situazione. 
“Come mai sei qui?”, domandai, incapace di pensare a qualcos’altro, una fitta potente e continua mi attanagliava lo stomaco.
“Stavo aspettando Stefan, andiamo a caccia insieme”, prese la borsa, poggiata sul bancone e fece per andarsene. 
“Lo aspetterò nel bosco, digli che sono passata, ok?”, e così dicendo scomparve, senza aspettare che rispondessi.
Per tutto il tempo non ero riuscita a fare nient’altro che fissare Damon, ancora appoggiato sul bancone, lo sguardo basso sulle scarpe. Non sembrava a disagio o in imbarazzo quanto Care, piuttosto appariva soddisfatto della situazione. 
“Ci vai a letto?”, chiesi, senza riuscire a controllarmi.
“Non ti devo nessuna spiegazione.”, lo vidi spostarsi, gli occhi come lunghi viali azzurri ora mi fissavano, dritta negli occhi, con sfida. 
“Invece si..”, chiusi gli occhi, incapace di scorgere una fine, una spiegazione nei suoi, risucchiata dal vortice della sua frustrazione interna.
“Elena, mi stai prendendo in giro? Non ti devo alcuna spiegazione, io non sono di tua proprietà”, sentii la sua voce alzarsi di tono, arrivare quasi all’urlo, per poi fermarsi, cercare il controllo delle parole e dei sentimenti. 
“Stai insieme a lei?”, chiesi, ancora una volta incapace di controllare ciò che porvavo, la fitta sempre più forte al centro esatto dello stomaco, pronta a esplodere. 
“E anche se fosse? L’ultima volta che ho controllato tu stavi ancora insieme a lui!”, ora la sua voce inevitabilmente alterata, in un urlo contro di me.
“Lui mi ama.” Riuscii a dire, e la mia voce parve un sussurro in confronto alla sua. 
“Magari anche lei mi ama, credi che sia così impossibile amare me?”, le mani lungo i fianchi, cercando di contenersi. 
“L’ho creduto a volte, si.”, risposi, e me ne pentii quasi subito.
Vidi il suo volto contrarsi in una smorfia di dolore e frustrazione.
“Questo discorso è inutile.. non ha senso!”, il tono di voce tornato alla normalità, quasi desolato, gli occhi a guardare altrove, non più nei miei. 
Mi si mozzò il respiro in gola, abbassai lo sguardo e cercai inutilmente di muovermi, di andarmene da li e da quella situazione. Inutilmente, i piedi mi impedivano di spostarmi, di scappare. Non potei fare a meno di vederlo passare di fronte a me, a pochi centimetri dal mio corpo e sentire il suo profumo scomparire lentamente, in una scia. 
Rimasi li ferma in cucina a fissare il vuoto per qualche isatnte, incapace di dare una spiegazione e un senso a tutto quello che era appena successo, e l’unica immagine che continuava a ripetersi nella mia mente era Caroline attaccata a lui. Mi accorsi di avere ancora le chiavi in mano e decisi di uscire. Sarei tornata in università, da Rick, e avrei aspettato fuori, a costo di passare la notte a dormire in una gip molto scomoda. 
 
Vidi Alaric uscire dopo qualche oretta, e mi alzai sul sedile per farmi notare. Accanto a lui c’era una giovane donna castana, magra e piuttosto carina, e non potei fare a meno di pensare a Jenna ancora una volta. Alaric era come un secondo padre per me, e non avrei mai potuto vederlo con una donna che non fosse Jenna. Appena la ragazza mi vide abbassò lo sguardo e si allontanò da Alaric, che si girò verso la macchina e capì. Nel mio cuore sapevo che anche lui stava pensando a Jenna. 
Salutò velocemente la ragazza e si affrettò a raggiungermi in macchina. Io scesi e lasciai che fosse lui a guidare. 
“E’ molto carina, come si chiama?”, chiesi appena fu dentro la macchina. 
“Melissa. Sai, è anche lei una professoressa.”, abbassò lo sguardo, intento ad inserire la cintura. 
“E’ una bella ragazza.”, lo rassicurai. Era giusto che si rifacesse una vita. Era giusto che io lo accettassi. 
Mi sorrise, poi mise in moto la macchina. 
“Come mai sei già qui? Non ti ho nemmeno chiamata.”, capii dalla sua voce che immaginava fosse successo qualcosa a casa. 
“Perché abbiamo l’aspetto di dieci anni fa? Perché tu non sei cambiato di una virgola? Ho pensato fossimo vampiri, ma io non ho nessun istinto da vampiro, mi sento bene e non voglio bere ogni singola goccia del tuo sangue, quindi, perché siamo identici a prima?”, chiesi, non volevo parlare di ciò che era successo a casa poco prima, di ciò che Damon scaturiva in me, ogni volta. 
“Sangue di vampiro. Diciamo che è una nuova scoperta. Circa cinque anni fa abbiamo scoperto che il sangue di vampiro, preso regolarmente, ci fa invecchiare a una velocità molto inferiore rispetto alla norma. È uno scambio equo.”, sorrise, guardandomi di sfuggita il polso per poi tornare a fissare la strada. 
Abbassai lo sguardo sul mio polso e vidi l’ombra, ben poco visibile, di due cicatrici a cerchio. 
“Noi ne diamo un po’ a loro, e loro un po’ a noi.”, rispose Rick ai miei pensieri. 
“E io sono d’accordo?”, chiesi. Non conoscevo la nuova me. 
“Si, abbastanza.  L’unico che ha smesso da un bel po’ di accettare quel sangue è Jeremy”, sorrise, con una punta di amarezza, cercai di ricordare il viso di Jeremy di quella mattina, seminascosto tra le coperte, elo ricordai uguale a quello nella mia vera vita, se non più sciupato, affranto. “Ormai tu fai anche gli scioperi contro la vivisezione”, rise, cercando di sdrammatizzare, e mimando una bottiglia portata alla bocca con una mano, ricordandomi lo sciopero della sete andato a monte quella mattina stessa. 
Improvvisamente vidi il volto di Caroline, avvinghiata a Damon, in cucina. Una fitta di dolore partì nuovamente dallo stomaco e salì fino al cuore, ma feci finta di non notarla, di non provare dolore. 
“Allora perché Caroline e Stefan vanno ancora a caccia insieme?”, chiesi. 
Alaric mi guardò sorpreso, probabilmente non si aspettava che lo sapessi. 
“Si mantengono in allenamento.”, rispose, “e poi, ogni tanto il nostro sangue non gli basta. È vero che è sangue umano, ma quello che prendono da noi ce lo restituiscono anche. Ci sono alcuni giorni in cui hanno bisogno di qualcosa in più.”
Annuii e cercai di togliermi dalla mente le immagini di poco prima in cucina. 
“Stefan dov’è durante il pomeriggio? Quando noi siamo a scuola?”
“Dipende, loro non hanno bisogno di lavorare, come ben sai. Va a caccia con Care.”, disse, tornando a guardare la strada, concentrato. 
“Oggi non c’era a casa, Caroline lo cercava.”, risposi.
“Senti non lo so, ok? Esce, chissà dove va. Non lo dice mai a nessuno, nemmeno a Caroline. Nemmeno a te!”, le mani chiuse in una morsa sul volante. Damon era come un fratello per lui, e sapeva cosa fare ogni volta che lo vedeva, sapeva cosa provava, ma Stefan era un muro impenetrabile, impossibile da decifrare, e questo lo mandava in tilt. 
“Da quando, dieci anni fa, hai detto che saresti voluta andar via, non è più lo stesso, e anche se sei rimasta, lui sa che non è stato per lui. Ha accettato ogni tua decisione, ha lasciato che tutto passasse, e ha creato un muro. Solo Caroline ogni tanto riesce ad aprire uno spiraglio. Ma sappiamo entrambi che Caroline ha sempre avuto un’influenza positiva su Stefan.”, i suoi occhi non si erano spostati dalla strada. Mi stava dicendo molto più di quello che intendeva dire, mi stava facendo capire che nemmeno io ero riuscita a salvarlo da quel buco nero, che ci era sprofondato e che non ero riuscita a salvarlo un’altra volta. 



-note poco serie-
siamo già alle note? *guarda il pubblico in lacrime* eh si miei cari, anche questo capitolo è finito. Ho già in mente delle cose per il prossimo, però.
siete contenti che questo è un po' più lungo del solito? almeno credo, mi è sembrato di scrivere parecchio stavolta. xD
btw, vorrei chiarire delle piccole cose. 
-ho chiarito il perchè sti pazzi sono giovincelli mentre tutto il mondo invecchia. Ho pensato che questa cosa potesse sembrare presa da True Blood, perchè anche li bevono sangue di vampiro etc etc, però vorrei chiarire che A- io di TB ho visto praticamente 5 puntate e 2-(alla Junior Kyle xD) in TB mi pare che il sangue di vampiro era tipo una droga, nel senso che i sensi si accentuavano etc etc. quindi NO, non ho copiato nulla a TB, e se ci fosse un altro telefilm, film, libro, manoscritto, pergamena che narra la stessa roba, non so che dirvi, io l'ho pensato di testa mia. Non ho letto da nessun'altra parte nulla di simile e mi sembrava una cosa carina per depistarvi. per farvi credere che all'inizio fosse una vampiretta per poi scoprire che era una bufala *O* che genietto eh? (:
-ho parlato di Alaric, non potevo non parlare di Jenna, e non potevo non buttarci dentro anche Torrey De Vitto, si, è proprio lei la sexy insegnante che esce da scuola con Alaric. Han detto che in TVD avrà lo stesso nome che ha in PLL, Melissa (oh, ma quanta fantasia questi della CW), perciò ce la volevo buttar dentro, soprattutto per inneggiare a Jenna. RIP.
-Jeremy ç__ç just sayin'.
-ma il litigio? e Stefan? e Care? PARLIAMONE. ahah.
RECENSITE, PREFERITE E SEGUITE, miei prodi. 
spero vi sia piaciuto, xoxo. 
Sonia aka pleinelune.

 

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Capitolo 4
*** 04 - THEM POSSIBLE SCHEMES SWIM AROUND ***


Licenza Creative Commons
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03 – THEM POSSIBLE SCHEMES SWIM AROUND

 

“Where were you, Damon?”
-3x05 – The Reckoning-

 
Ero sdraiata sul letto della mia camera quando lo sentii entrare, richiudendo la porta silenziosamente, alzai gli occhi dal libro che avevo in mano e che avevo cercato di leggere, inutilmente, per tutto il pomeriggio. Percepivo la tensione presente nella casa, Damon che cercava di evitarmi in ogni modo possibile, Jeremy inesistente e Rick rinchiuso nella sua camera-ufficio a compilare scartoffie e a correggere verifiche.
Dove sei stato, Stefan?”, gli chiesi, cogliendolo di sopresa, probabilmente credeva che dormissi.
“Con Caroline,” si affrettò a rispondere, quasi infastidito dalla mia domanda.
“dov’eri sul serio.” Insistetti, l’aria scocciata, mi sentii come una vecchia moglie che è gelosa del marito e che gli domanda tempestivamente cosa fa, con chi e perché; era quello che avevo sempre odiato delle coppie, e quello che avevo sempre cercato di evitare nella mia relazione con Stefan.
“Siamo stati a caccia, come sempre, che ti prende?”
“Posso non crederci?” chiesi infine, alzandomi dal letto con aria esasperata.
“Non sono io quello che si deve giustificare, non oggi”, la sua voce fu un sussurro, le parole strette tra i denti, quasi a non volerle dire.
“Cosa intendi? Non mi pare di esser stata tutto il pomeriggio fuori con una vampira bionda.”, mi avvicinai al suo viso.
“Parliamo della discussione che ha avuto oggi.. con lui. Credi che Care non abbia sentito? È una vampira. Cos’è, ora sei gelosa anche di lui?!”.
Abbassai lo sguardo, la fitta che mi aveva accompagnato per tutto il giorno, nascosta in qualche anfratto del mio stomaco, tornò a farsi sentire prepotente. Tornai a guardare il primo dei fratelli Salvatore che avevo amato, eravamo diventati ciò che avevo sempre cercato di evitare.
 
 
“Buongiorno Elena”, aprii gli occhi e mi trovai il viso di Alaric  davanti, un sorriso a trentadue denti e una tazza di caffè fumante in mano.
“Sveglia! È ora di andare al lavoro”. Sentire quelle parole, semplici e normali, mi rincuorò, credetti di essere tornata alla mia vita, fatta di lavoro, famiglia e quell’amore che avevo lasciato entrare, poi guardai Rick con attenzione e notai l’assenza di segni del tempo, e smisi di sognare di esser tornata alla mia vecchia vita, che non avevo mai amato quanto in quel momento.
Aprii la porta del bagno e vi trovai Jeremy, intento a lavarsi i denti, gli sorrisi e mi misi accanto a lui, presi lo spazzolino e notai affianco al lavandino un anello. Probabilmente lo aveva tolto per non bagnarlo, era molto semplice, in cima aveva un quadratino di legno, di quelli dello Scarabeo, con sopra incisa, schematicamente, la lettera “A”. mi soffermai a guardarlo, i capelli troppo lunghi e la barba incolta denotavano una probabile mancanza di voglia, ma il viso non mentiva, lo sguardo spento e perso dimostrava che lui era li, ma solo fisicamente. Gli sorrisi per l’ultima volta prima di uscire dal bagno, condividendo il suo dolore, e comprendendo il motivo che lo aveva spinto a rifiutare sangue di vampiro: l’amore per un fantasma.
Fuori dalla camera trovai ancora Alaric, pronto per andare a lavorare, una luce nuova nei suoi occhi. Mi prese per un braccio e mi portò subito fuori di casa, diretti alla sua jeep.
“Ti ho salvata, ringraziami”, disse appena chiusi la portiera della macchina.
“E da cosa? Dalla colazione che non ho fatto?”, lo guardai scocciata.
“Da due vampiri in collera.”, rispose, facendomi segno col il dito di stare zitta per poi portarselo all’orecchio, facendomi capire che avrei dovuto aguzzare l’udito.
Sentii nettamente le voci dei due fratelli, non riuscendo a comprendere cosa dicessero, la cosa sicura è che erano piuttosto alterati.
Prima che riuscissi a focalizzare le singole voci Alaric accese la jeep e schizzò via.
“Perché non hai aspettato?”, chiesi, stupita.
“Perché non devi. Io sono il tuo mediatore, e non posso far tutto io. D’altronde, però, tu non sei in grado di gestire la situazione, quindi devo subentrare per evitare che tu faccia ammazzare qualcuno.”, sorrise, probabilmente pensando a quello che avrei potuto combinare. Mi infastidì non poco sapere che, dopo tutto quello che avevo passato, non ero in grado di gestire il rapporto che si era creato con me e i due Salvatore.
“Quindi?”, mi girai per poterlo vedere in faccia, il volto disteso in un sorriso placido, le mani strette sul volante.
“Quindi.. ti devo spiegare un paio di cosette.”, si girò a guardarmi per un attimo.
 
Dopo una settimana riuscii a gestire ciò che stavo vivendo e ciò che dovevo fare senza l’aiuto costante di Alaric, imparai a stare lontana da Damon, sempre più scontroso e distante, e ad amare/ignorare Stefan, che scompariva per giorni interi con Caroline.
Imparai a sopportare le occhiate della bionda, e a lavorare pacificamente con Alaric. Tutto quello che dovevo fare era portare pile di fogli per la maggior parte bianchi e sostituire le penne rosse senza inchiostro. Un lavoro piuttosto semplice e noioso.
Nelle ore di lezione, al fianco di Rick, potevo ripensare alla mia vita passata, vita che credevo di non poter riavere mai più, e per qualche tratto ne sentii anche la mancanza. Il mio ufficio, il tornare a casa, da Matt e da Jeremy, sapendo di non dover fare i conti con tensioni e occhiatacce.
Era un continuo paragonare le due vite, i pro e i contro. Naturalmente tutto quello che dieci anni prima mi aveva spinto ad andarmene si riconfermava nella mia lista mentale, ma giorno dopo giorno, costretta nella vita che avevo scelto di lasciarmi alle spalle, quei contro diventavano piano piano pro, senza che nemmeno me ne rendessi conto cominciai a vivere quella vita parallela in modo tranquillo e pacifico. Quasi normale. Tornare a casa ogni sera, trovare Damon e Stefan, non era più un trauma, vederli e poterli toccare non era più una cosa surreale, ma prendeva forma nella mia testa come una cosa naturale e giusta, come se dieci anni non avessero cambiato nulla. Come se la storia non fosse mai cambiata.
 
"Non rendo niente più difficile di nulla, tutto questo non è necessario, stai esagerando elo sai. Non c'è bisogno che tu te ne vada. Io non lo permetterò!", guardai i suoi occhi fissi nei miei, con convinzione. Era sicuro di riuscire a smuovere la mia convinzione, e per un attimo lo credetti anche io. Quella fiamma di speranza nei suoi occhi era qualcosa che non avrei mai dimenticato. La passione, l'amore e la forza che metteva in una relazione, in un rapporto era la cosa che mi aveva fatto innamorare di lui. E anche il motivo per cui me ne sarei andata per sempre.
Lo guardai negli occhi ancora una volta, prima di voltarmi e salire sulla macchina per andare via. Alzai gli occhi e dalla finestra della mia camera, incorniciato dalle tende, vidi il volto del fratello. Era sempre stato quello, il contendersi una donna, e l’amore per essa.
Rimasi ferma ancora qualche istante, che parve interminabile, e poi mi voltai verso Jeremy e Alaric, che osservavano senza proferire parola.
“Se volete, sapete dove trovarmi.”, sorrisi, e poi mi girai.
Guardai per un attimo ancora entrambi i volti, uno straziato dal dolore e dalla rabbia e l’altro pacifico e rassegnato, due facce della stessa medaglia, i due fratelli Salvatore. Poi salii sulla macchina e misi in moto.
 
Salii in macchina con Alaric per l’ennesima volta in quella settimana. Erano passati circa due mesi da quando tutto era cambiato, da quando quel sogno aveva stravolto completamente la mia vita, ed io ero in procinto di vincere un premio come miglior assistente del professore nell’università in cui insegnava Alaric, e avevo stretto un buon rapporto, o quasi, anche con Melissa, che appariva sempre molto timida e riservata, probabilmente conosceva la storia di Jenna.
“Come sta andando?”, sentii la voce di Alaric superare il volume della musica, quasi al massimo.
Non avevo molta voglia di parlare, ma abbassai il volume e assecondai la conversazione.
“Bene, mi sto abituando.”, sorrisi, cercando di convincere anche un po’ me stessa.
“Mi fa piacere, ma non stai vivendo.”, prese un aria seria, e capii che parlava veramente sul serio. In quel momento non era semplicemente Alaric, ma il mediatore.
“In che senso?”
“Mi hanno detto di dirti che non era questo che volevano tu facessi. Dare un’occhiatina non significa letteralmente “stare a guardare”, questa è la tua vita, vuoi davvero che la tua vita sia così per sempre?”, mi lanciò uno sguardo eloquente, e capii che si riferiva a qualcosa in particolare.
“Non ho intenzione di creare altre tensioni.”, risposi, voltando lo sguardo verso il finestrino, come a voler troncare quella stupida conversazione. Non mi sarei andata a incasinare la vita.
“Devi accettare che questa è la tua vita. E che non tornerai mai all’altra!”, aveva ragione. Vivevo placidamente quella situazione, convinta che un giorno sarei tornata alla mia vecchia vita. Mi sbagliavo, non sapevo quanto sarebbe durato quel periodo, e nemmeno se mai sarebbe finito. Abbassai lo sguardo e rimasi in silenzio. Rick fece lo stesso.
 
Quel giorno presi la jeep di Alaric per poter tornare a casa prima, se proprio dovevo prendere in mano la mia vita, tanto valeva farlo da subito. Posteggiai la macchina sul vialetto e sperai di non rivivere la stessa scena del mio secondo giorno di permanenza nella nuova vita. Entrai in casa e chiusi la porta rumorosamente, volevo che chiunque fosse stato in casa mi sentisse, forte e chiaro.
Evitai la cucina, non subito almeno. Salii invece le scale e mi andai a fare una doccia veloce, sapevo di stare solo temporeggiando, ma di certo trenta minuti di doccia non avrebbero ucciso nessuno.
Mi spogliai velocemente e mi infilai sotto l’acqua bollente, facendomi scorrere il getto sul collo, rilassandomi. Avrei affrontato Damon, se lo avessi incontrato in casa. Mi lavai lentamente, ponderando e indugiando con la spugna su ogni singola parte del mio corpo, e allo stesso modo feci con i capelli, sciacquandoli e rilavandoli più e più volte. Alla fine mi decisi ad uscire, passai asciugamano intorno al corpo e lo fissai all’altezza del seno, poi aprii la porta della camera.
E me lo trovai di fronte, seduto sul mio letto.
Ogni possibile ricordo di quella scena mi ruotò intorno. Non potei fare a meno di spaventarmi, nonostante non avessi poi così paura.
“Cosa c’è Damon?”, chiesi, in un sussurro quasi inudibile.
“Mi devi chiedere qualcosa.”, sorrise, con quel tipico sorrisetto di chi sa tutto e sa come comportarsi.
Non capii come facesse a saperlo, ma parlai comunque: “Si, ti volevo chiedere se volevi venire, stasera, alla festa a scuola, per la premiazione. È una stupidaggine, ma Alaric ci tiene.”, mentii, ad Alaric importava ben poco, probabilmente non aveva nemmeno pensato di invitare anche Damon e Stefan, ma che importava? Mi avrebbe sostenuto.
“Ad Alaric?”, chiese, la voce calda. Si alzò lentamente dal letto e io rimasi ferma, immobile e ancora gocciolante, al margine della stanza. Lo vidi avvicinarsi, girarmi intorno per poi tornare davanti a me. La tensione era quasi palpabile.
“Si.”, sussurrai, incapace di proferire altro suono.
Vidi il suo viso avvicinarsi al mio, e tutto mi fece ricordare.
 
“Se volete, sapete dove trovarmi.”, sorrisi, e poi mi girai.
Guardai per un attimo ancora entrambi i volti, uno straziato dal dolore e dalla rabbia e l’altro pacifico e rassegnato, due facce della stessa medaglia, i due fratelli Salvatore. Poi salii sulla macchina e misi in moto.
Percorsi chilometri senza riuscire a fermarmi e senza riuscire a scorgere il limite della strada, non capendo dove sarei andata a finire. Poi le lacrime piano piano cessarono, lasciando il posto alla desolazione. Tornai sui miei passi e nel mezzo della notte arrivai all’appartamento che avevo affittato qualche giorno prima.
Le chiavi le avevo in tasca, cercai il numero esatto e posteggiai la macchina di fronte all’entrata. Poi lentamente scesi, mi guardai attorno. Ero sola. Due giri e la porta scatto, arrugginita e un po’ dura, ma riuscii ad aprirla. Dentro l’arredamento scarno e glabro di una casa non vissuta. Posai la borsa sul letto e uscì svelto e inopportuno il telefono, ancora illuminato.
Lo presi in mano, Alaric mi aveva chiamato. Lo riappoggiai sul letto e mi ci sdraiai accanto.
Tutto ciò che mi era rimasto era in quella singola borsa, accanto a me.
Chiusi gli occhi. Credetti di sognare, poi capii che il campanello della porta continuava a suonare, e che non era un sogno.
Immaginai fosse Alaric, che poco prima aveva chiamato, o Jeremy, e aprii la porta senza pensare.
E me lo trovai davanti.
“Che ci fai qui? Mi hai seguita?”, chiesi, adirata.
Lui fece per entrare ma gli sbarrai la porta. “Qui non ti è permesso entrare, non sei stato invitato”, sorrisi, un sorriso amaro, privo di ogni traccia di felicità o divertimento.
“Non mi serve l’invito, qui non c’è proprietario.”, rispose, scansandomi con un braccio.
Lo vidi entrare e perlustrare la stanza, minuscola e vuota. Trovò l’unica poltrona presente e ci si sedette.
“Credi davvero che ti lascerò vivere qui? Credi davvero che lascerò che tu viva in una topaia del genere?”, appariva piuttosto calmo, non sembrava nemmeno lui.
“Non devi permettermelo, se voglio, vivo qui!”, ribattei io, invece, completamente stravolta dall’ira e dalla frustrazione. Per me era un peso averlo li, il doverlo affrontare nuovamente. Era un’altra prova che avrei dovuto superare, e non ero sicura di farcela.
“Ti sbagli”, fu un sussurro, la mano destra che giocherellava con un filo della cucitura dell’imbottitura della poltrona. Poi i suoi occhi si alzarono fino a incontrare i miei, e in quell’istante capii che non era calmo, era l’opposto. Era talmente sconvolto e devastato da non riuscire a gridare e inveire contro di me, da non riuscire a fare niente.
Vidi quegli occhi azzurri infuocati di una rabbia inaudita, e temetti che iniziasse a urlare, a spaccare quei pochi mobili sgangherati presenti nella stanza. Non temetti per me, sapevo che non mi avrebbe torso un capello, poi lo vidi alzarsi, spostare la borsa dal letto alla poltrona su cui poco prima era seduto e venirmi incontro. i suoi movimenti erano fluidi e lenti, e capii che doveva provare un dolore tale da dover fare qualcosa di impegnativo come l’esser lento per riuscire a stare calmo, passarono istanti interminabili in cui rimasi ferma, e guardarlo muoversi verso di me, il mio cuore come un martello pulsava, sbatteva contro la gabbia toracica, pronto ad uscire, a scoppiarmi dentro. A pochi centimetri dal mio volto si fermò.
Poi non riuscì più a tenersi, mi prese il volto con entrambe le mani e mi baciò. Fu un bacio impetuoso e violento, passionale.
Mi abbandonai per la prima volta e lasciai che il tempo si fermasse, che ogni cosa perdesse senso. Sarei potuta morire in quel momento, tutto quello che dovevo fare l’avevo fatto, e non rimpiangevo nulla.
Lasciai che quel bacio mi inebriasse, come una droga, e vedere il suo viso così vicino mi fece realizzare quello che stava succedendo. Lo avevo lasciato andare, già da molto tempo.
Lui stava facendo in quel momento quello che io non ero stata in grado di fare in tutto quel tempo.
 
 
-note poco serie-
Ahah, pensavate continuassi eh? Oddio mi piace lasciarvi sul più bello.
Però non potevo continuare. Prima cosa. Credo di aver fatto un po’ di OOC su qualche personaggio, ma amen, la storia lo impone e io voglio un po’ di concretezza xD spero abbiate gradito. Questo capitolo è stato parecchio sofferto, però voglio essere sicura di poter continuare, nei prossimi, non dico quali, capitoli, potrebbero esserci delle scene un po’ “spinte”, se così si possono definire. Voglio sapere se: A-vi devo avvertire a inizio capitoloo di modo che non rimaniate traumatizzate (oddio, mica scrivo chissà che, ma magari a qualcuno può dar fastidio. Anche il minimo pensiero. xD), B-naturalmente non parlerò di membri volanti o robe simili, ma posso comunque essere eloquente? xD non so come spiegarvi, sarà comunque roba molto soft, il sunto è, vi scandalizzare? I hope NO.
Continuiamo. Vi chiederete perché abbia voluto distruggere una frase cos’ significativa come “where were you, Damon”, a inizio capitolo attibuendola, parzialmente, a Stefan. Semplice, volevo far notare la differenza, di ciò che è stefan e di ciò che è damon in questa FF. anche se sembra che ogni tanto scriva cose stelena, state certe che non sono stelena, c’è sempre un risvolto delena dietro ahah xD
Alaric lo amo, stessa cosa per Jeremy, Anna ce la dovevo mettere ç__ç
Se ci sono errori di battitura mi scuso ma è tardi, sono le 3 di notte e sono mezza rimbambita xD
Se me li fate notare provvederò a modificare. Per ogni verbo sbagliato ci sono anche 10 fustigate, poiché odio sbagliare i verbi xD
Sto capitolo è un flashback unico *O* AddddoooooVVVVo.
Beh, credo di aver concluso con queste digressioni senza ne capo ne coda.
Postumi da visione di Gossip girl (season4) per 2,5h di fila circa.
CHAIR ♥
 
Adios compagneros, e RECENSITE. Sonia.

P.S. la canzone di questo capitolo è CHASING PIRATES di Norah Jones, ascoltate ogni singola canzone di sta donna, sono tutte strepitose.

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Capitolo 5
*** 05 - AN HOUR, A DAY OR A LITTLE BIT MORE ***


05 – AN HOUR, A DAY OR A LITTLE BIT MORE.

 

Infilai lentamente il vestito di seta verde che fino a cinque minuti fa era appoggiato sul letto, lungo ed elegante, e scostai i capelli per riuscire ad allacciare i bottoni sulla schiena, senza successo.
Era la sera della premiazione, e come per ogni manifestazione a Mystic Falls, tutto era stato organizzato nei minimi dettagli, e soprattutto in grande stile.
Io mi ero limitata ad annuire ogni qualvolta Caroline mi chiedeva qualcosa, guardandola di sottecchi quando si aggirava per casa alla ricerca di qualcuno per ultimare i preparativi. Da quando Carol Lockwood, come avevo scoperto in quei giorni, era morta, lei aveva preso il suo posto, cercando di mantenere una parvenza di normalità in quella vita eterna che era costretta a vivere.
Aprii la porta, sentendo il fruscio del corto strascico del mio vestito dietro di me, in cerca di qualcuno che mi chiudesse il vestito e, in procinto di scendere le scale, sentii delle mani toccarmi la schiena e subito dopo dilettarsi nella chiusura dei bottoni, uno ad uno, molto lentamente. Indugiando sulla mia schiena, sentivo le mani salire. Cercai di evitare il contatto visivo, ma non potei farne a meno e voltandomi vidi il viso di Damon, lo sguardo basso sulle sue mani impegnate, un sorrisetto beffardo sul viso.
Aspettai lentamente che finisse, mentre sopportavo ogni tocco delle sue mani, che sfiorandomi produceva un brivido lungo la schiena, poi gli sorrisi, abbassai lo sguardo e tornai in camera, le voci in cucina ovattate dalla tensione creatasi pochi istanti prima.
Mi guardai allo specchio un’ ultima volta, lasciando che i lunghi capelli castani mi ricadessero su un lato del corpo, e sorrisi.
Non sapevo cosa avrei fatto in quella vita alternativa che avevo deciso di rinnegare, ma sapevo che avrei dovuto accettare quello che sarebbe successo da li in avanti, senza poter apporre modifiche o tornare indietro.
Nonostante fossero passati alcuni mesi dal mio “ritorno”, vedere quotidianamente i vampiri ogni tanto mi provocava uno strano senso di ansia misto a nostalgia. Credevo sarebbero scomparsi da un momento all’altro. Dopotutto erano nei miei sogni da ben dieci anni, e nonostante nella mia vera vita avessi deciso di abbandonarli, abitavano ancora in me, in ogni pensiero e in ogni respiro.
Infilai l’orecchino di perle e scesi in cucina, pronta per uscire con Alaric e Stefan, il mio accompagnatore.
 
“Sei bellissima, Elena”,  mi sorrise Alaric appena entrai in cucina, tutti gli sguardi su di me.
Scorsi il viso di Caroline contratto in una smorfia impercettibile, abbassato su dei fogli pieni di scritte, probabilmente sull’organizzazione dell’evento.
Era evidente che le scocciasse organizzare qualcosa per me. Intravidi Stefan affacciato alla finestra, non mi guardava, ma sapevo che poteva sentire il mio sguardo sulla sua nuca, perché si girò, mi sorrise e mi si avvicinò, scoccandomi un bacio sulla guancia, per poi oltrepassarmi.
Sentii la porta di casa sbattere pochi secondi dopo.
Non sapevo precisamente quello che stava succedendo, la mia mente, in piccoli sprazzi di lucidità, mi dava ricordi sparsi di quello che era successo in quei dieci anni di buio, dieci anni che non avevo vissuto.
Il tutto però era ancora molto vago, non conoscevo bene il rapporto che c’era tra me e i due fratelli, come era cambiato e soprattutto per quali motivi. Ricordavo solo il sogno-ricordo del giorno in cui parlai con Damon, e con quel ricordo potevo capire solo parte della storia.
Era chiaro che la mia situazione con Damon non fosse delle migliori, avevo accettato di perdonare Stefan quando aveva fatto tutto ciò che Damon non si era mai permesso di fare, e lui aveva capito.
Damon aveva sempre capito, aveva sempre lasciato che le cose andassero come gli altri decidevano che dovevano andare, tranne la notte del mio ricordo. Il bacio era quasi percepibile sulle mie labbra anche il quel momento, me le sfiorai con un dito, ripensandoci, e lo sentii apparire dietro di me, come a ricordarmi costantemente la sua presenza. Lo sentii passarmi silenziosamente accanto, e andarsi ad appoggiare sul bancone della cucina, a metà tra me e Caroline, il volto rivolto verso il muro, con un espressione divertita sulle labbra, le braccia incrociate sul petto. Riconobbi il vestito, lo stesso del ballo di Miss Mystic Falls di molti anni prima. Cambiavamo noi, i nostri caratteri, le nostre interazioni, ma anche un piccolo particolare sapeva farti tornare indietro, farti ricordare che un tempo ci si era voluti bene, che un tempo le cose erano state diverse.
Guardai il nero lucido del vestito e per un attimo desiderai poter rivivere il ballo di tanti anni prima, quei pochi minuti di magia oltre il contatto, oltre il bisogno fisico. Lo guardai voltarsi lentamente verso la vampira e sorriderle maliziosamente. Mi girai verso Alaric, pregandolo mentalmente di portarmi via di li, lui colse quasi subito e mi prese sottobraccio, salutando ad alta voce tutti. Lasciammo i due “piccioncini” soli in cucina.
 
“Vuoi spiegarmi qualcosa di più? Io capisco davvero poco ultimamente.”, chiesi ad Alaric, appena saliti in macchina.
“Cosa vuoi sapere?”, il suo viso era sinceramente perplesso, e non capivo perché, mi sentii stupida. Ero io dunque a non riuscire a capire qualcosa che era piuttosto chiaro a tutti?
“Il mio rapporto con i due.. e soprattutto cosa succede con Care. Eravamo amiche quando me ne sono andata.”, colsi una scintilla nei suoi occhi, impegnati a visualizzare la strada buia.
“Sinceramente..”, cominciò, lasciando la frase in sospeso per alcuni secondi.
“Credo che qualcosa sia andato “storto”.”, concluse, molto lentamente.
Sapevo che non aveva finito e aspettai paziente il resto del discorso.
“Con Caroline, prima dello scambio, eri in buoni rapporti. Sembra come se lei sapesse che non sei tu. Credo che comunque dipenda molto dal tuo comportamento.. con Damon, intendo. Cosa succede tra di voi?”, voltò lo sguardo verso di me per pochi secondi, giusto il tmepo di scoccarmi un’occhiata interrogatoria, di quelle da padre geloso.
“Nulla. Cioè, in realtà non lo so nemmeno io. Non era così la situazione già prima dello scambio?”, chiesi, con la speranza che mi dicesse si.
“Beh, darti questa risposta non rientra nei mie doveri. Dovresti scoprirlo da sola, sennò che gusto c’è?”, sorrise, continuando a guidare per quella strada sempre più buia e sconnessa, gli anni erano passati, ma di aggiustare le strade di quella cittadina non se ne parlava proprio.
 

“E non vedi che sto piangendo,
chi se ne accorge non sei tu,
il tuo sguardo distratto.”

 
Entrai nella sala piena di gente, e quasi mi sentii mancare il respiro. Ricordare ogni nome in quella stanza era complicato normalmente, figurarsi quando tutti si avvicinavano per congratularsi. Presi velocemente un bicchiere di champagne da un vassoio volante, portato da un cameriere elegante quasi quanto me e lo mandai giù velocemente, senza avere nemmeno il tempo di riprendere fiato tra un sorso e l’altro. La sala sembrava una grande gabbia d’oro, i riflettori, puntati sui quadri degli antenati di quell’università antica, sembravano farci notare la presenza, quasi spettrale, dei nostri avi, che dal regno dei morti quella sera erano scesi per osservarci e giudicarci. Probabilmente fui l’unica  a pensare quella cosa, soprattutto perché l’organizzazione, dovevo ammetterlo seppur mi desse un po’ fastidio, era impeccabile. Cibo e bevande non mancavano mai e nessuno sembrava minimamente annoiato, nonostante le famose feste della signora Lockwood fossero note per esser noiose. Ma ora c’era Caroline a organizzare.
La scorsi in un angolo, radiosa e sorridente, a conversare con qualche magnate di una qualsiasi compagnia importante, che non aspettava altro che farsi incantare da una bambolina bionda per sganciare soldi, poiché quella serata, oltre ad essere un’occasione per premiare le persone più meritevoli, era anche un’opportunità per ottenere fondi e convenzioni sostanziose. Mi riscossi velocemente dai miei pensieri e vidi gli occhi di Care fissi su di me, evidentemente si era accorta che la stavo guardando, e non le piaceva.
Abbassai lo sguardo sul mio cocktail e poi sulla sala piena di gente, in cerca del mio accompagnatore.
Mossi qualche passo incerto fino al bagno delle donne, non trovando da nessuna parte Stefan, e decisi di entrare, per liberarmi momentaneamente da quella folla di gente, che continuava a sprecare fiato in discorsi futili e privi di senso, per lo più frasi di circostanza che tutti avrebbero dimenticato tra due bicchieri di champagne.
Aprii la pochette in cerca del rossetto e, quando alzai gli occhi, vidi riflessa nella specchio la figura immacolata e eterea di Caroline, che mi spaventò a morte.
“Ehi, Care.”, sorrisi, cercando di non far trasparire lo spavento.
“Elena, sei bellissima stasera.”, rispose, un sorriso di circostanza sul viso.
“Anche tu Care, sembri un angelo.”, replicai, per una volta sincera. A dirla tutta, mi dava fastidio avere quell’eterno disaccordo con la mia amica, soprattutto perché, quando dieci anni prima avevo deciso di andarmene, era l’unica a cui avessi mai lasciato la porta aperta, l’unica a cui avessi dato la possibilità di comparire, una volta ogni tanto, per informarmi, per fare quattro chiacchiere e bere un the insieme. Era stata una persona importante e ancora lo era, e vederla così costantemente in competizione con me, per un motivo a me ancora sconosciuto, mi creava un vuoto nello stomaco.
Improvvisamente mi ritrovai schiacciata contro il muro, il respiro mozzato dalla sua mano, stretta attorno al mio collo, le lacrime uscirono inconsciamente, fecero capolino sui miei occhi.
“Ascoltami bene, non mi incanti con quella vocina dolce, che forse funziona ancora con i tuoi due amichetti, anche se dubito.”, i suoi occhi erano iniettati di sangue, il suo volto stravolto.
“io so che non sei l’Elena di prima, quindi non fare la finta tonta con me. Lascia in pace me e gli altri.”, mi lasciò e ricaddi inginocchiata a terra, le mani attorno al collo dolorante, il respiro veloce e affannoso.
Vidi solo i suoi piedi voltarsi verso la porta, in procinto di andarsene, lentamente, trionfanti, per poi rigirarsi verso di me, ancora accovacciata e affaticata.
“Ah, per la cronaca. Me li faccio entrambi.”, alzai lo sguardo ad incontrare il suo, ora di nuovo normale ma cattivo, privo di ogni affetto passato. Sentii il cuore fermarsi e poi la porta del bagno sbattere. Mi alzai, lentamente, lisciandomi il vestito, le lacrime impossibili da fermare ormai scendevano placide sul mio viso, rigandolo. Uscii dal bagno qualche istante dopo, lo sguardo basso per non farmi notare, e a passo svelto varcai la volta in legno massiccio dell’università, volevo allontanarmi da tutta quella gente, volevo allontanarmi da quella vita.
Appena capii di non essere osservata cominciai a correre, per quanto il vestito me lo permettesse, e le lacrime offuscarono la vista. L’unica cosa che vedevo era una massa informe verso la quale mi dirigevo, senza sapere se li sarei stata al sicuro o no. D’un tratto sbattei contro quella che a primo impatto sembrava una pietra, ma che poi si rivelò il torace di qualcuno. Non desideravo sapere chi fosse, nonostante nella mia mente ero convinta fosse Alaric. L’unica cosa che sapevo in quel momento era che quel torace, incravattato e lucido, era la mia ancora di salvezza, e mi ci avvinghiai con tutte le mie forze, stringendo con le mani il doppiopetto e cominciando a inzuppargli la camicia bianca di lacrime e trucco.

 
“Un'ora, un giorno o poco più,
per quanto ancora ci sarai tu,
a volermi male,
di un male e che fa solo male.
Ma non ho perso l'onestà,
e non posso dirti che passerà,
tenerti stretto quando in fondo sarebbe un inganno.”

 
Asciugai le ultime lacrime rimanendo aggrappata a quella giacca nera, incurante di chi fosse il proprietario, e per tutto il tempo mi sentii a casa, mi sentii al sicuro. Mi ero ritrovata a piangere senza neanche conoscere il motivo del mio pianto. Piangevo per Caroline? O per ciò che aveva detto? O forse per i due vampiri.
L’insieme delle cose mi sconvolgeva, e in quel momento desideravo solo poter essere a casa, con Jeremy e Matt, a tavola, magari a mangiare una pizza.
 
“Tieni”, allungai la chiave alla bionda, con un sorriso quasi forzato.
“Elena, sai bene che se venissi per loro non sarebbe un problema seguirmi e scoprire dove abiti ora.”, rispose, preoccupata.
Le mie mani indugiavano tra di noi, indecisa se ritrarle o meno. Alla fine decisi, le presi la mano e gliele richiusi all’interno. Un sorriso rassicurante sul volto.
“Per loro non sarebbe comunque un problema trovarmi, lo sai meglio di me.”, risposi. Ed era vero, ad entrambi sarebbe bastato uno schiocco di dita per trovarmi di nuovo, per convincermi che era la scelta sbagliata.
Ma sapevo che non lo avrebbero fatto, e sapevo anche che se lo avessero fatto avrei ceduto, avrei lasciato ragionare il mio cuore.
“Tienile, e vienimi a trovare quando vuoi”, le sorrisi ancora, più per rassicurare me stessa piuttosto che lei.
“Sappi che dovrai sopportarmi spesso, io odio stare con quei due.”, c’era bel tempo, e i suoi capelli svolazzavano al ritmo del vento. Sembrava un angelo, eppure non lo era affatto.
“Care, ti voglio bene, ma non dovrai più parlarne con me. Ok?”, abbassai lo sguardo sulle mie mani, appoggiate in grembo, intrecciate l’una nell’altra. Poi mi voltai di nuovo verso Caroline, seduta affianco a me, e lei mi fece un cenno con la testa, aveva capito. Guardai il parco in cui avevamo scelto di incontrarci, lo stesso parco in  cui avevo incontrato per la prima volta Isobel, in cui avevo scoperto che Damon stava per morire e in cui avevo passato la mia infanzia, e scorsi Tyler in lontananza, indeciso se avvicinarsi o meno. Gli feci cenno di avvicinarsi e mi alzai, salutando per l’ultima volta la mia amica.
 
Allontanai il viso dal torace ampio su cui avevo affogato tutta la mia disperazione e asciugai le ultime lacrime rimaste sul mio volto, alzando lentamente il viso per ringraziare lo sconosciuto.
Rimasi senza fiato, e completamente in colpa, quando scorsi il viso di Damon, vitreo e immobile.
La mia ancora.
 

-note poco serie-
Aloha signorites.
I’M BACK! Are you glad? Spero di si. Partiamo con le digressioni sul chapter che mi parono doverose. Cominciando dicendo che in ogni capitolo, rileggendolo poi, faccio tipo 84854 errori, e capisco che per voi deve essere penoso leggere ste scempiaggini senza nemmeno riuscire a capire mezza frase xD chiedo venia girls, ma io proprio non ce la faccio a rileggere subito ciò che scrivo xD
Okay:
1.    Capitolo di mezzo. Non ho menzionato minimamente i membri ma mi sembra giusto approfondire su tutti i personaggi, non solo sul delena. E questo capitolo mi sembra ampiamente dedicato a Caroline. Che io amo, ma che in sto capitolo non ho sopportato proprio. Naturalmente così si va ooc, perché primo caroline è una dolce bambolina che non farebbe male a una mosca, ma anche perché che se la faccia con Damon ancora ancora ci può stare, ma con stefan-santo-subito proprio proprio no. Cioè stiamo parlando di fedeltà/castità fatta persona, quindi nope. Non usciremo di character, il tutto acquisterà un senso molto presto, don’t worry babe.
2.    Devo dire che mi è piaciuto molto questo capitolo *modestia mode:ON* soprattutto il testo della canzone che secondo me si incastra benissimo con la situazione (o sarà perché me ne sono innamorata da 21514 ore e la ascolta tipo repeat ogni due secondi?). beh il primo pezzo citato è comunque riferito a Stefan, mentre il secondo a Damon. A voi sta capire in che modo c’entra il tutto con i due ahah xD io non ve lo spiego.
3.    Il titolo della canzone comunque è Distratto di Francesca MIchielin, ucita da x-Factor qualche settimana fa. Davvero bravissima.
Okay, ste pippe mentali non se le legge nessuno quindi adios. Vi voglio bene, sonia. <3

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Capitolo 6
*** 06. NO MORE FRIENDS ***


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06. NO MORE FRIENDS
 
Mi svegliai senza sapere dove realmente fossi. Ero sdraiata in posizione fetale, con addosso solo una grande camicia bianca, maschile.
Sotto di me erba appena tagliata, verde e pungente sulla pelle nuda. Ai lati del grande giardino in cui mi trovavo due file di alberi secolari, che sembravano fare una riverenza all’immensa villa che vedevo di fronte a me. Cercai di alzarmi emi apparve ancora più grande e inquietante, tutto intorno era nero, e dei fari ne illuminavano la facciata chiara, rendendola imponente.
Mi voltai di scatto, cercando una via di fuga da quell’immensa fortezza, ma dietro di me c’era soltanto nero e buio.
D’un tratto, mentre cercavo di coprirmi con quella camicia stropicciata che avevo al posto del pigiama, mi apparve dapprima una luce, per poi diventare il mostro del sogno di qualche mese prima, quello che mi aveva portato fin la.
Indietreggiai, non andando da nessuna parte, e lui sorrise, quasi compiaciuto da quel suo tenermi in gabbia, in pugno.
“Dove sono?”, chiesi, con più coraggio di quanto in realtà ne avessi.
“Che domande stupide.”, ghignò l’angelo-incubo che mi trovavo davanti, una luce eterea al posto del corpo.
“Che cosa vuoi?”, domandai ancora, quasi arrabbiata.
“Te lo dico se e quando voglio. Chiaro?”, sentii la sua voce nella mia testa, mi riempiva ogni angolo della mente, governandola.
Indietreggiai fino a cadere all’indietro, sbattendo la schiena. Non riuscii ad alzarmi e rimasi li, a guardarlo, con lo sguardo terrorizzato.
“Gli umani, che esseri strani. Sta tranquilla.”, improvvisamente sentii la mia mente distendersi e riuscii ad alzarmi, senza il minimo sforzo.
“Vuoi portarmi a casa? Vuoi ridarmi la mia vita?”, chiesi, un sorriso mi apparve, impercettibile, all’angolo della bocca.
“No, ti sembra di aver concluso qualcosa nella vita che stai vivendo? Ti sembra di aver risolto qualcosa?”, chiese, quasi come un maestro, paziente di fronte alle domande insistenti dell’allievo capriccioso che fa finta di non capire.
“Non credevo dovessi compiere un qualcosa”, ammisi, abbassando lo sguardo. Non sapevo perché, ma mi sentivo in colpa per non essere riuscita nel suo intento.
“Sono qui per aiutare il mediatore che ti ho mandato, visto che non può fare ogni cosa lui. I ricordi che ti sono stati dati non sono bastati, perciò ti farò un piccolo riassunto.”.
D’improvviso mi sentii svenire e caddi sull’erba fresca, sentendo ogni singolo filo pungente sul mio corpo, per poi perdere conoscenza.
Sentivo la testa girare, e nella mia mente si materializzò un pensiero solo. Ero in una stanza d’albergo, pochi giorni prima della mia effettiva partenza da Mystic Falls, e le immagini si fermavano a un bacio, soffocato e arrabbiato. Poi buio.
 
“Dam..”, sussurrai, staccandomi da quelle labbra, infuocate.

“Stai zitta!”, sentii la sua voce prepotente, autoritaria, riecheggiare nella mia bocca, assaggiai ancora una volta le sue labbra, poi cercai di allontanarmi, consapevole di ciò che stava accadendo.

“Senti non..”, la frase mi si mozzò in gola quando sentii la sua mano scendere lungo la schiena, provocandomi un brivido, una scarica elettrica.

“Ho detto stai zitta!”, sentii la sua voce sfiorarmi l’orecchio, per poi scendere fino all’incavo del collo, facendomi gemere di piacere.

Anche se avessi voluto, in quel momento non sarei riuscita a parlare, completamente assorbita dal piacere in cui mi stava portando.

Le sua mani mi esplorarono con foga, con rabbia. Con bisogno.

D’un tratto sentii uno strattone e mi ritrovai sdraiata sul letto, completamente incapace di negarmi, lasciai che lui si prendesse tutto ciò che aveva sempre voluto, e io mi presi, silenziosamente, ciò che lui mi avrebbe sempre voluto dare, e di cui io, inconsapevolmente, avevo sempre avuto bisogno.

Sentii il mio corpo smontarsi e farsi nuovo sotto al suo, che si muoveva ritmicamente in una danza passionale e perfetta, non avrei desiderato quel momento in modo diverso.

Mi addormentai insieme a lui, un braccio attorno al suo e le gambe intrecciate assieme, indissolubili.

 
Improvvisamente i ricordi affiorarono velocemente, inondando la mia mente, nuovamente lucida e pervasa di luce.
Mi alzai, guardando la luce da cui proveniva tutto.
“Ora ricordi?”, chiese l’angelo, sebbene conoscesse la risposta.
“L’ho lasciato. E lui mi ha lasciato andare.”, sussurrai, cercando con lo sguardo risposte nell’erba verde e perfetta.
“E pensi che sia finita qui?”, chiese, quasi sarcastico.
“Devo chiarire? È tutto qui?”, guardai il viso dell’angelo, e lo vidi scomparire lentamente, lasciandomi al cospetto di quella villa immensa, senza la più pallida idea di che direzione prendere.
Poi persi i sensi, di nuovo.
 
Mi svegliai qualche ora dopo, per quello che ne sapevo, nel mio letto, con addosso la stessa camicia del sogno, non il mio solito pigiama. La guardai, e mi guardai attorno per notare se c’era qualcosa di diverso. La stanza era in perfetto ordine, solo il mio vestito della sera precedente era appoggiato su una sedia e non accuratamente riposto nell’armadio, sulla sua gruccia. Se me lo fossi tolto io non lo avrei mai lasciato a sgualcirsi su una sedia, e lentamente collegai la scena nel bagno, Caroline e il suo strano comportamento, la mia corsa all’esterno e poi il petto di Damon, e infine quella camicia bianca.
Il sogno aveva chiarito passaggi a me oscuri, avevo capito di dover chiarire con entrambi i vampiri. Con Damon sarebbe stato difficile ma ero determinata. Il pensiero che mi avesse lasciato andare quella mattina dopo “la notte”, nonostante entrambi sapessimo che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per farmi rimanere e io sarei rimasta, mi rendeva fiduciosa nei suoi confronti. Nonostante quel suo lato scorbutico e facilmente irritabile, Damon già conosceva la situazione, e avrebbe compreso, e mi avrebbe lasciata andare.
Scesi in cucina con addosso ancora la camicia, ma non trovai nessuno, nemmeno Alaric, sempre onnipresente in ogni circostanza. La casa appariva vuota e presto capii il perché, erano le undici passate e probabilmente ognuno era andato a lavorare, o forse a cacciare coniglietti-scoparsi la mia ex migliore amica. Scacciai quel pensiero dalla mia testa e mi godetti una tazza di caffè fumante, in silenzio, seduta su una sedia del bancone della cucina.
Non mi aspettavo nessuno quindi rimasi sorpresa quando sentii qualcuno alle mie spalle, e imbarazzata quando mi accorsi che era Damon, e che aveva quel suo sorriso beffardo sul volto.
“Buongiorno Elena”, disse avvicinandosi velocemente al mio orecchio, soffiando ogni sillaba con calma. Il solito brivido mi percorse la schiena, suscitando un sorriso ancora più esplicito di Damon, che lo notò subito.
Si prese una tazza di caffè e tenne lo sguardo basso.
“Lavala prima di ridarmela. La camicia intendo.”, rise, allontanandosi con la tazza di caffè in mano e l’ormai perenne sorriso in faccia.
L’avrei volentieri preso a schiaffi, ma vista la mia posizione non era la mossa migliore.
Tutti i miei propositi e la mia determinazione si erano sgretolati in cinque minuti di conversazione, e non ero stata in grado nemmeno si sfiorare il discorso. Damon era pur sempre Damon, e nulla sarebbe mai stato semplice con lui.
Lo guardai allontanarsi e chiudere la porta di casa, dopo essersi messo il giubbotto di pelle.
Rimasi li, ferma a fissare la porta chiusa in fondo alla stanza. Fin quando non la vidi riaprirsi, così mi voltai di scatto, cercando di mostrare indifferenza. Vedermi in quelle condizioni avrebbe di certo attirato l’attenzione, ma “se vuoi che la gente non ti noti, non devi farti notare”. Mi alzai lentamente dalla sedia e infilai la tazza nel lavandino, cominciando a lavarla. Qualche secondo dopo sentii qualcuno appoggiarsi alla mia schiena, e non attesi molto prima di sapere chi fosse.
“Elena, stai bene?”, il sarcasmo nella sua voce era chiaro.
“Ti importa?”, chiesi io, ostentando tutta la sicurezza che ero riuscita a raccogliere.
“Certo che mi importa.”, sentii il suo respiro nell’incavo del collo, e i ricordi spingevano e chiedevano di affiorare nella mia mente, per quanto li respingessi e cercassi di rimanere lucida e pronta a rispondere a tono al vampiro.
Sentii il suo corpo attaccato alla mia schiena, aderire alla perfezione, e per un attimo mi mancò il respiro quando la sua mano iniziò a sfiorarmi la schiena, con la sola stoffa leggera della camicia a dividerle.
“Non puoi negarlo Elena..”, la sua bocca sempre più vicina al mio orecchio, il respiro sincronizzato al mio.
“Io non nego nulla.”, risposi, senza trovare un senso logico a quella mia risposta.
Lui se ne accorse, e facendo aderire ancora di più il suo corpo al mio, colse quel mio attimo di debolezza per scendere ancora di più con la mano fino alla mia coscia, e ad alzarmi la camicia.
Qualsiasi cosa fosse successa quella notte, lo aveva fatto cambiare in modo radicale.
Incosciente e in balia dei ricordi e del piacere mi ritrovai a voltarmi verso di lui, la schiena ora appoggiata al lavandino della cucina.
Sentii la sua mano giocare con il mio corpo e farmi gemere, poi il suo corpo staccarsi e abbassarsi verso le mie gambe. Non rispondendo più delle mie azioni non opposi resistenza e lasciai che facessimo entrambi il suo gioco, aprii le gambe, invitandolo.
Improvvisamente sentii un dolore all’interno coscia, e ripresi subito consapevolezza di ciò che stava accadendo. Lo vidi staccare il viso, la bocca insanguinata in un sorriso.
“Volevo la mia razione di sangue settimanale.”, disse, alzandosi e lasciandomi li, ancora appoggiata al lavandino.
Si avvicinò ancora, allungando una mano dietro di me, e ne estrasse uno strofinaccio, che usò per pulirsi il sangue dal volto, e poi si allontanò, sorridendo.
Lo guardai uscire nuovamente dalla porta di ingresso e rimasi ancora una volta a osservare la porta chiusa. Ma non tornò indietro.
 
Dopo quella mattina, ragionare per me era diventato un problema, ogni volta i pensieri tornavano li, alla mia debolezza e ai miei errori. Guardai il vestito verde, ancora afflosciato sulla sedia della mia camera, chiedendomi cosa avessi effettivamente fatto la sera precedente, e mi passai una mano tra i capelli, pensierosa.
Il tutto appariva allo stesso tempo chiaro e confuso. Avevo capito che ormai avrei dovuto chiarire le cose con i due fratelli, ma il sogno,  e le cose successe quella mattina mi avevano fatto capire che c’ero troppo dentro per uscirne facilmente come credevo possibile. Mi alzai dal letto su cui ero seduta e uscii di casa, diretta da Alaric, speravo che almeno lui, in quanto mediatore, potesse aiutarmi un po’ di più.
 
-notepocoserie-
Ragazze volevo finire questo capitolo così, un po’ a mezz’aria, più che altro perché volevo fosse nella sua interezza dedicato a Damon e Elena, che abbiamo visto in sto capitolo piuttosto vicini LOL
Spero vi sia piaciuto il modo in cui ho descritto il tutto, sono un po’ imbarazzata perché non sapevo come rendere l’idea e ho paura di aver scritto un po’ troppo spinto o un po’ troppo infantile.. non so, ditemi voi se vi piace, non ho in coraggio nemmeno di rileggerlo ahah xD
Per quanto riguarda la trama, beh, si stanno iniziando a capire alcune cose, partendo dal flashback, spiegato nel sogno. Elena sta con Damon e poi, nella sua “vera” vita parte e lo lascia li, solo nel letto, mentre in questa è ancora li, quindi il rapporto tra i tre ancora non si è bel chiarito, ma lo farò presto perché scoccia anche a me tenervi troppo sulle spine ahah xD
Non conto di fare un FF da 28646 capitoli perciò non aspettatevene ancora tanti, calcolate che per me quello che sto facendo è già un record ahah xD
Bene, se volete delucidazioni, o farmi qualsiasi domanda scrivetemi, vi dirò tutto quello che volete **
Inoltre, visto che la storia è mia e ci faccio quel che voglio U.U e visto che tra un po’ vi leggete più ste pippe che la storia in se ahah, vi linko la storia che ho iniziato da poco, ho publicato per ora solo prologo e primo capitolo, non c’entra nulla col delena e con TVD in generale, ma è un originale e se vi piace il mio modo di scrivere sarei molto felice se faceste un salto a leggerla e magari a dirmi che ne pensate *O*
Ecco il link va basta stare ad assillarvi xD

 
Okay, alla prossima week, giuro che imparerò ad aggiornare una volta a settimana come tutti i cristiani, lo giuro ahah xD
Un bacio, i love you all, Sonia ♥

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Capitolo 7
*** 07 - MY EYES ***


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07 – MY EYES

 
Sganciai la cintura di sicurezza e scesi dalla macchina, posteggiata di fronte all’università.
Salii le scale fino ad arrivare in segreteria, salutai la ragazza e mi avviai verso l’aula di Alaric. Non aveva lezione, così entrai nella classe senza bussare, e lo trovai su dei plichi di fogli.
“Elena..”, la sua voce era roca e bassa, per aver passato tanto tempo rinchiuso li dentro a correggere compiti in silenzio.
“Sai del mio sogno, immagino.”, gli sorrisi, conoscendo già la risposta. “Beh, ho bisogno del tuo aiuto..”
“Non posso aiutarti in nessun modo, Elena. Devi essere tu a fare quello che devi.”, lo vidi scuotere la testa, mezzo assorto nei suoi pensieri.
“Ma tu non capisci, stamattina Damon..”, e mi bloccai. Probabilmente non sapeva della sera precedente. “Sai che ho litigato con Caroline? Sai il rapporto che ha con i due?”, chiesi, senza riuscire nemmeno pronunciare il nome dei due vampiri.
“Io so Elena, ma tu sei convinta di quello che ti ha detto Caroline? Credi davvero che lei dica la verità?”, lo guardai, non riuscendo a decifrare le sue parole. Caroline aveva mentito? Il suo comportamento con i due fratelli faceva pensare esattamente il contrario.
“Rick, non ti chiedo tanto. Fammi ricordare.”, lo supplicai, avvicinandomi e toccandogli il braccio con la mano.
Improvvisamente sentii nella mia mente un vortice di emozioni, e mi sentii cadere. L’ultima cosa che sentii furono delle braccia che mi sostenevano, poi persi i sensi.
 
“Elena”, la voce era impastata dal sonno, ma nonostante questo era sorpresa. Non si aspettava di vedermi li.
“Shh..”, sussurrai, avvicinandomi al mio letto, che non vedevo da molti giorni.
Dormiva ancora li, come se nulla fosse cambiato, e lo guardai muoversi tra quelle coperte che ci avevano accolto assieme, sorridendo.
D’improvviso aprì gli occhi e si alzò a sedere, d’un tratto vigile e sveglio. Sapeva che non sarei dovuta esser li, che me ne ero andata.
“Perché sei qui?”, sospirò, rassegnato.
“Ho deciso di rimanere.”, sorrisi, poco convinta. Non per lui, sicuramente.
Aveva accettato senza ribattere, quando avevo annunciato che me ne sarei andata. Aveva annuito silenzioso, si era voltato ed era uscito di casa, senza batter ciglio.
Da una parte avevo apprezzato quel comportamento, da un’altra no. Damon aveva gridato, aveva tirato qualche mobile. Aveva fatto qualcosa.
Lui si era ritirato nel suo dolore, come sempre.
Avevo deciso di andare via per motivi seri, motivi che riguardavano anche lui. Eppure non gli era importato, era andato, aveva accettato.
“Perché?”, la voce era ancora impastata, ma il suo viso era diretto e fisso sul mio, senza segni di incertezza.
“Resto perché non posso andare.”, risposi, dopo qualche secondo, attorcigliandomi le mani tra di loro.
“Ho capito.”, lo vidi levarsi le coperte di dosso e alzarsi, per scavalcarmi ed andare in bagno.
Aveva capito.
 
Mi risvegliai nella jeep di Alaric, le ossa doloranti; ogni ricordo diventava sempre più duro da sopportare, da metabolizzare.
Guardai Rick guidare silenzioso affianco a me, lo sguardo dritto sulla strada.
“Grazie”, sussurrai, mettendomi a sedere in modo dignitoso sul sedile.
“Di niente”, la sua voce ora appariva sveglia, ma stanca. Sperai che i ricordi non affaticassero anche lui.
Arrivammo a casa mentre il sole imbruniva, tutte le auto erano posteggiate nel vialetto, tranne quella di Damon.
“Io devo andare da una parte..”, mi girai a guardare un Alaric piuttosto imbarazzato. Sobbalzai, ricordando la ragazza che avevo incontrato qualche tempo prima a scuola, e gli sorrisi, congedandomi.
Scesi dalla macchina e rimasi qualche secondo a guardare la casa che mi trovavo davanti, mentre la jeep mi sfilava dietro la schiena.
Entrai, salendo le scale senza annunciarmi, e lo trovai seduto sul letto, con gli occhi bassi verso il pavimento.
“Ciao”, sussurrai, togliendomi la giacca e appoggiandola sulla sedia, sopra al vestito verde, rimasto li dalla notte prima.
Lo vidi alzare impercettibilmente il viso, in segno di saluto.
“Ho bisogno di parlarti.”, dissi. Non mi accorsi nemmeno di aver pronunciato quelle parole, ma lo vidi voltarsi verso di me lentamente, in ascolto, quindi immaginai di non averle solo pensate.
Mi avvicinai a lui, sedendogli accanto, e lo guardai per qualche secondo. Stefan, il ragazzo di cui mi ero innamorata, ora appariva così distante, così scostante.
“Parlami di Caroline.”, sussurrai, quasi incapace di parlare ad alta voce, come se fosse impossibile comprendere una frse del genere, renderla vera.
Lui mi guardò intensamente, nel suo sguardo c’era un misto di rabbia e rassegnazione, ma poi la sua bocca si aprì, e lasciò uscire le parole come un fiume in piena.
 
“Scommetti che non riesci a prendere quel cervo in 30 secondi?”, la voce cristallina di Caroline lo risvegliò da quella sete di sangue in cui cadeva ogni volta che andavano a caccia insieme.
“Ahah, credi davvero che non ci riesca?”, rise, mettendosi in posizione.
Uno scatto, un strappo e poi sangue, sangue e ancora sangue. In quel momento la sentì arrivare alle sue spalle, avvicinarsi al cervo e offrirsi da bere, la guardò e si riscosse.
“Andiamo..”, disse, d’improvviso serio.
“Cos..”, la voce cristallina tornò a invadere la sua mente. Come riusciva ad essere dolce anche in quei momenti? Mentre la caccia annientava tutta la loro umanità.
La guardo camminargli accanto, e gli sorrise.
“Come stai Stefan?”, ancora la voce, e una mano sulla spalla.
“Me la cavo.”, rispose, pensieroso.
“Non hai più sue notizie?”, chiese, sorridendo.
Scosse la testa, accennando un sorriso rassegnato. “Nemmeno di Damon.”, si voltò a guardarla.
“Senti..”, la sua voce era flebile e insicura, mentre gesticolava con la tasca del jeans, stretta e piccola, estraendone una chiave altrettanto piccola, “se vuoi, so dov’è.”, gli porse la chiave, un sorriso bonario sul volto. Sapeva che l’amica avrebbe capito.
“No, non deve andare così”, la voce del vampiro era roca, quasi spaesata.
“Stef, guardami. Guardami.”, ripetè la vampira, prendendogli il viso tra le mani. “Passerà, abbiamo un’eternità davanti”, rise, e quel sorriso era in grado di schiarire ogni cielo buio, quegli occhi azzurri spazzavano via qualunque tempesta.
“Come fai?”, la voce di Stefan era quasi un flebile soffio di vento.
“A fare cosa?”, chiese lei, confusa. Il suo viso ancora tra le mani.
“Ad essere così.. ottimista. Così perfetta anche dopo aver dissanguato un cervo,così solare nonostante quello che sei. Che siamo. Come fai?”, lasciò che le mani gli scivolassero via dalle guance e si voltò, scosso da quelle sue parole.
“Stefan, io voglio che tu sia felice.”, sembrava in colpa, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Poi fu tutto veloce, lo slancio di Stefan verso di lei, il bacio tenero e puro, i loro occhi azzurri incontrarsi subito dopo, così limpidi e lucidi.
 
Lo guardai alzarsi dal letto, gesticolare per la stanza, spiegare, giustificare qualcosa che non era da giustificare proprio per niente.
Lo guardai per tutto il tempo, finchè lui non si fermò, non mi guardò e mi si avvicinò prendendomi le mani tra le sue.
“Ti ho sempre amata, e ti amo ancora.”, concluse quella strana storia.
Ero tra l’incredulo e il rassegnato.
“Lei ti merita più di me.”, dissi abbassando gli occhi sulle nostre mani unite, e le slegai, uscendo dalla stanza.
 
-notepocoserie-
Beh sto capitolo fa schifo U.U
Il tutto è servito a farvi capire che Stefan se la fa veramente con Caroline, però credo di essere andata un po’ ooc. Cioè a me piace come è venuto, però non sapevo bene come spiegare quel gran pastrocchio che c’è nella mia testa e questo mi sembrava il miglior modo di porlo. Naturalmente il tutto sarà spiegato molto meglio nel prossimo capitolo, però mi sembrava giusto lasciare sto capitolo a Stefan e Elena. Oddio spero di non avervi deluso ç__ç è anche più corto del solito.
Credo che come premio per averlo letto ve ne posterò uno a metà settimana anziché alla scadenza della settimana così avrete qualcosa per cui gioire perché questo è osceno ahah
*autostima mode:OFF*
Scusate ma oggi sto mezza depressa. Quindi non vi potevate aspettare di meglio xD
Per l’altra storia giuro che aspetto di stare meglio per scrivere xD
Se vengono ste schifezze potrei anche smetterla xD
Beh dopo aver martoriato il capitolo passo a spiegarvelo un pochino:
-si vede Elena che va da Alaric e ha un ricordo, col tocco Rick la fa ricordare e io penso che Rick sia un boss assoluto ahah Tanto amore per lui. Ricorda quando è tornata a casa in questa vita, non nell’altra U.U e quello è ovviamente stefan, c’è poco spazio d’immaginazione U.U
-torna a casa e parla con Stefan. Parliamo del flashback perché secondo me è importante. Vorrei sostenere la mia causa e dire che non è poi così ooc rileggendolo, perché c’è un motivo per quel bacio, il primo è sicuramente che shippo Caroline con Stefan e con i pali quindi lasciatemela mettere con chi mi pare ahah. Il motivo vero è che Stefan è in uno stato devastante, e Caroline è li, per aiutarlo, per sorreggerlo e per non lasciarlo affogare (un po’ il Damon della situazione ecco). Il tutto è farcito di tanta, TANTA bellezza e Stefan crede di poter lasciare Elena alle spalle con Caroline. Ma comunque sarà tutto approfondito nei prossimi capitoli. Don’t worry.
Bene, me ne vado u.U
Adios babies, love ya all. ♥

p.s. vi lascio il link della mia nuova storia originale romantica, spero facciate un saltino giusto per perdervi con me nelle mie ship folli LOL

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=936815&i=1

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Capitolo 8
*** 08 - FREE AS A BIRD ***


08 – FREE AS A BIRD
 

Uscii dalla stanza lasciando Stefan, ancora in piedi di fronte al letto dove pochi secondi prima ero seduta io, e  cercai di prendere aria a pieni polmoni, invano. Scesi le scale velocemente, saltando gli scalini, e uscii di casa, fiondandomi in macchina. Avevo bisogno di schiarirmi le idee, di fare qualcosa che non mi permettesse di pensare troppo, e iniziai a guidare, contando semafori e cartelli stradali, senza successo. Sapevo di aver ragione, di non meritarmi l’amore di nessuno dei due fratelli, eppure nella mente continuavano a rimbombarmi le parole di Stefan, e i ricordi affioravano, finalmente. Era bastato un discorso a farmi ricordare ogni cosa, e mi diressi verso il Mystic Bar dove, ora, sapevo ci sarebbe stato Damon.

 
 
Entrai nel bar sapendo perfettamente il posto in cui avrei trovato Damon, e la mia memoria, appena ottenuta, non mi smentì. Lo trovai all’ultimo posto del bancone, un bottiglia di scotch mezza vuota e un bicchiere di fronte a se. Era così che passava le sue giornate, lontano da tutti. Non dai miei occhi.
“Ho bisogno di parlarti”, dissi, sicura, priva di ogni tipo di emozione. Lo guardai voltare il capo e scrutarmi, gli occhi stanchi di chi ha bevuto quel bicchiere di troppo.
“Elena, va a casa.”, li limitò a rispondere, e tornò a guardare la bottiglia, che la barista aveva prontamente lasciato li, a sua disposizione.
Feci qualcosa che, in condizioni normali, non avrei mai fatto. Toccai il suo braccio con la mano e lo strinsi, spingendolo ad alzarsi dalla sedia sulla quale era seduto. Lui mi guardò per qualche istante, poi si mosse, cercando di evitare al minimo il contatto tra noi due, e mi precedette fuori dal locale, diretto verso la mia macchina.
Entrammo in macchina e restammo in silenzio per qualche istante, poi misi in moto e cominciai a guidare, non sapevo dove andare, ma, non so in che modo, mi ritrovai alla villa dei Salvatore, quella che dieci anni prima era ancora la loro casa.
Scendemmo dalla macchina quasi all’unisono, e arrivati all’entrata mi aprì la porta, lasciando che entrassi per prima, abbassai lo sguardo, e camminai fino al salotto senza voltarmi, lo sentii sedersi sul divano in pelle mentre io mi posizionavo di fronte al camino, spento e impolverato. Non osavo guardarlo, ogni volta che capivo di essere arrivata al momento decisivo, il momento in cui mi avrebbe ascoltato, perdevo tutto il coraggio accumulato in un soffio. Lo sentii sospirare e mi decisi, mi voltai lentamente e iniziai a parlare. Lui non si mosse.
“poco più di dieci anni fa, eravamo in una situazione un po’ particolare,”, cominciai. Vidi la sua mascella contrarsi, ma continuai. “Stefan era tornato, dopo mesi in cui non beveva sangue umano, e io.. beh io avevo perdonato. Avevo perdonato il male che aveva fatto a me, il male che aveva fatto a te e quello che aveva concesso di fare a se stesso. Ma aveva fatto tutto quanto per te, prima che per me, e lasciai che quel periodo svanisse, lasciai che ricominciassimo da capo.
Poi è arrivata Caroline, il loro vedersi per andare a caccia, lo capisco solo ora, non era inizialmente una scusa, erano amici.”, parlavo come se raccontassi una storia a cui io non avevo partecipato in prima persona, e per me era realmente così, nonostante Damon non lo sapesse. Continuai, descrivendo ogni attimo di quei dieci anni con minuzia di particolari. “Avevo capito che Stefan non era più lo stesso, ma non a questo punto. Comunque decisi di andare via, ma tu..”, vaccillai, ricordando quella notte, che in ogni momento affiorava nella mia mente.
“Vuoi raccontarmi tutti i dieci anni passati?”, chiese lui, con quel solito atteggiamento ironico e beffardo.
“Damon, voglio ricordare..”, sussurrai, nuovamente provata dalla sua presenza, dal parlargli, dal sentirlo così vicino.
Si alzò, e io, istintivamente, trattenni il respiro, guardandolo in ogni suo movimento. Lo guardai avanzare verso di me e rimasi ferma, immobile. Ero serva e schiava di ogni suo pensiero, nonostante la mia mente urlasse di muoversi, di dissuaderlo dall’avvicinarsi in quel modo così esagerato, il mio corpo si ribellava, rimaneva immobile, a pochi passi dal camino e da lui, che avanzava sempre di più. Arrivai a sentire il suo respiro sul viso, caldo e speziato. Mi ritrovai a pensare che sapesse quasi di cannella, pur di non concedermi di realizzare la mia paralisi temporanea.
“Vuoi che ti ricordo cosa è successo poi?”, chiese, soffiandomi quel fiato misto cannella all’altezza della bocca.
Non riuscii a parlare, ma avevo gli occhi fissi nei suoi.
“E’ questo il problema Elena, tu non riesci a resistere alle tentazioni che la vita ti pone.”, ogni frase era scandita lentamente, quasi volesse in rilasciare dalla bocca la maggior quantità di aria, con quel profumo tanto delizioso quanto sbagliato.
“Se dieci anni fa te ne fossi andata, non staremmo così ora.”, sentii un colpo al petto, il mio cuore si fermò un attimo. Sentire che la mia presenza non era poi così importante mi fece traballare, sentii le gambe diventare burro e quasi rovinai a terra. Se non ci fosse stato ancora quel briciolo di coraggio che mi ero premurata di tenere, in un piccolo angolino del cuore.
Sentii il suo viso avvicinarsi ancora un po’ al mio, ma evitai il contatto, riuscendo finalmente a spostarmi, e mi diressi verso il divano, sedendomi e mettendomi la testa tra le mani.
“Dopo quella notte, avevo deciso di andarmene, quel mio cedere alle tentazioni era stato un errore, e riconoscevo le mie responsabilità in tutto quel gioco strano.
Sono stata via parecchi mesi, senza notizie di nessuno, nemmeno da Caroline. E solo ora mi rendo conto che Caroline sarebbe stata l’ultima a farsi sentire.”, conclusi, alzando il volto e rivolgendo lo sguardo verso Damon, che aveva fatto lo stesso.
“Ti ha detto di Care.”, sussurrò, quasi affranto.
Riconosceva l’errore del fratello, ma non lo biasimava.
“Spero ti abbia spiegato come sono andate le cose. Tu eri andata via, lui era emotivamente e psicologicamente distrutto, Caroline era l’unica a stargli vicino ed era anche l’unica che lui facesse avvicinare. Nemmeno a me ha mai detto nulla..”, abbassò lo sguardo, nonostante tutto, il fratello rimaneva quella persona da proteggere, da giustificare e da amare.
Lo guardai per qualche istante, poi annuii, “se la merita.”, chiusi gli occhi, pensando ai momenti con Stefan, a quanto amore ci fosse stato e quanto ne albergava ancora nel mio cuore. Poi li riaprii, sentendo il divano muoversi e la figura di Damon sedermi accanto.
Lo guardai qualche istante, i nostri occhi incollati, il suo respiro nel mio. “.. poi sono tornata.”, distolsi lo sguardo, trovando solo rabbia nei suoi occhi.
Non sapevo perché, ma in quel momento, riuscivo a capire che Caroline non avesse detto poi tutta la verità, Damon non era riuscita a portarlo dalla sua parte, non era riuscita a conquistarlo. Non ne avevo avuto ancora la conferma, ma sentivo nell’aria che tutto era come dieci anni prima, pronto a esplodere. Lo guardai, la rabbia non era scemata, ardeva ancora in quegli occhi limpidi e azzurri, offuscandoli. Credeva ancora, dopo dieci anni, che fossi tornata per Stefan, ma non sapeva ciò che realmente in quei dieci anni era successo dentro di me.
 
 
-notepocoserie-
Okay ragazze mi scuso enormemente per il ritardo colossale ç__ç in compenso questo capitolo è diviso in due quindi avrete il capitolo giovedì nonostante questo lo stia postando ora. È il minimo per avervi fatte aspettare i decenni ç__ç bene, passiamo al capitolo in se, è molto corto, però volevo evitare di dire tutto in questo capitolo, è stato spiegato un po’ come è accaduta la storia di Care e Stefan e io direi che su questo fronte non ci sono più fraintendimenti. Mentre per quanto riguarda Care e Damon, Elena immagina, ma ancora non sa per certo come sono andate le cose. I capitoli sono agli sgoccioli, voglio fare al massimo uno o due capitoli con l’epilogo, quindi mi duole dirvi che manca davvero poco ç__ç
Naturalmente non temete che spiegherò per bene le cose, intanto se volete, nelle recensioni, ricordarmi qualcosa che secondo voi ho lasciato indietro nella storia, ditemelo. Anche se credo di star trattando tutto, a parte Matt ahah porello ma io con Elena non ce lo vedo proprio. Comunque credo di fare menzione anche a lui.
Spero questo capitolo vi sia piaciuto, Damon l’ho tenuto al limite dell’OOC, però mi piace quando è iper protettivo con Stefan, questo rapporto franterno mi gusta molto già nel tf, e poiterlo scrivere mi piace ancora di più, lo giustifica nonostante abbia fatto un errore, ma sappiamo che Santo Martire Stefan verrà sempre perdonato dal mondo intero ahah xD
Beeeeh, io me ne vado perché sennò sto qui a dirvi tutta la storia e non mi pare il caso, vi informo di alcune cose molto carine e coccolose però, prima di andare definitivamente:
 
1 -  io e Butterphil abbiamo creato un gruppo su FB in cui parliamo delle nostre storie/Fanfiction di EFP e quant’altro. Il gruppo è quindi ricco di qualsiasi cosa, dagli spoiler alle foto dei personaggi, a sondaggi e video, etc etc. questo è il link per richiedere l’accesso, saremo felici di accettarvi nella nostra piccola isoletta felice ♥ http://www.facebook.com/groups/174830455964768/
2 – vi lascio il link alla mia nuova storia, visto che questa sta finendo e magari volete leggere qualcos’altro di mio LOL, è un’originale, romantica, quindi non c’entra con il fandom TVD, ma spero possiate apprezzare comunque ♥♥  il link è questo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=936815&i=1
Un bacio, love ya. Ah, la canzone che da il titolo al capitolo è Free as a bird dei Beatles. Si, sto decisamente impazzendo dopo aver visto Nowhere boy, ma non facciamoci caso ahah ♥
 
 

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