Earth, Wind, Water and FIRE...

di Sgiach
(/viewuser.php?uid=135686)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un lungo flashback... ***
Capitolo 2: *** Vorrei essere una lacrima... ***
Capitolo 3: *** Indagini 'in proprio'? ***
Capitolo 4: *** Ciutz ***



Capitolo 1
*** Un lungo flashback... ***


Earth, Wind, Water and FIRE...
I
Un lungo flashback...



14 agosto 1997.
Era il compleanno di mia nonna, ne compiva 80.
Era anche il giorno dell’ inaugurazione di una piccola masseria a gestione familiare che sorgeva tra le campagne del Cilento.
Da Roma ce n’era voluto un po’ con la nostra Cinquecento giallo canarino, nella quale avevamo viaggiato- da che l’ auto poteva contenerne al massimo tre- in cinque persone, tutti schiacciati come sardine, cosa che aveva infastidito non poco la nonna e la prozia Adelina.
Invece i miei cugini erano arrivati freschi, riposati e pronti a fare baldoria a bordo della loro punto a cinque posti nuova fiammante. E da bravo maschiaccio non avevo potuto fare a meno di apprezzarne linea, design e altri dettagli tecnici che non sto a specificare.
Parlando di me, in parole povere ero la sfigata di turno del liceo Alighieri, nonché il classico “Brutto Anatroccolo” irrimediabilmente single.
E come se non bastassero le mie crisi adolescenziali, c'erano anche i capricci dei miei cugini a rovinarmi la giornata, che, oggi più del solito, non prometteva affatto bene…
In compenso (magra consolazione...) la campagna cilentana era un luogo assai gradevole e il cibo cucinato alla masseria era davvero squisito, anche se era praticamente impossibile goderselo con il tutt’ altro che piacevole sottofondo costituito dagli assurdi capricci di mio cugino Gabriele: “Mamma! Nel piatto c’è una cosa verde…”, prende tra l’ indice ed il pollice, con un’ espressione schifata in volto, l’ oggetto del suo malcontento, "una foglia di insalata, credo... Ma che me ne frega, tanto le verdure mi fanno tutte schifo! Non posso mangiare in un piatto contaminato! Fammene portare un altro!” oppure “Ma questa fetta di carne è minuscola! La voglio più grande!”, per la cronaca era una tagliata argentina “Ma, Gabriele! Tanto una intera non te la mangi, comunque se quella non ti basta te ne posso dare un po’ della mia…” aveva detto sconsolata zia Giulia “No!” aveva ribattuto il moccioso pestando il piede in terra… Alla fine poi, imprecando imprecando, non ne aveva mangiata nemmeno metà! Ma dico io: a questo punto abbi almeno la decenza di mangiarla tutta, no?!
Per quanto riguarda il fratello Mattia, lui era meno pestifero, ma altrettanto fastidioso: con quello sguardo distaccato e arrogante, il portamento altezzoso ed i fin troppo frequenti commenti velenosi era praticamente impossibile sopportarlo.
Purtroppo, però, ero costretta a farmeli piacere entrambi, i miei cugini intendo: zio Fabrizio e zia Giulia mi avevano praticamente minacciata… Il problema è che loro erano convinti di starmi davvero simpatici, perciò non perdevano occasione per coinvolgermi nei loro giochi scalmanati o in stupidi scherzi da hooligans.
“Alice, dai! Sbrigati!” mi urlarono le due Pesti dalla porta.
Dopo una plateale alzata di occhi al cielo li raggiunsi all’ entrata, lasciandomi alle spalle la rustica ma deliziosa sala da pranzo dove la nonna aveva appena spento le candeline.
La masseria era circondata da immensi oliveti, che erano uno sfondo perfetto per il cortile lastricato dove erano stati posizionati dei tavolini in ferro battuto. Alcune signore sulla cinquantina chiacchieravano animatamente attorno ad uno di essi, mentre un po’ più in là sedevano delle vecchiette che, forse precedentemente impegnate a sorseggiare pacatamente il loro tè, ora lanciavano occhiate di rimprovero o impazienza alle vicine.
Dopo aver superato il piccolo piazzale ci dirigemmo verso il campo di calcio, che si trovava oltre un piccolo parco giochi improvvisato, circondato da alcuni edifici, probabilmente parte del complesso della tenuta.
Il campo non era molto curato, infatti l’erba mi arrivava ai polpacci, e confinava con un campo di mais che copriva completamente la visuale della campagna circostante, dato che le piante che lo costituivano erano alte circa tre metri.
“Allora, Alice va in porta, poi noi facciamo a turno un tiro…” stava dicendo Mattia, quando era intervenuto Gabriele: “Mattia, che te ne pare della mia idea delle cannonate?”. Cannonate?! Iniziavo seriamente a preoccuparmi. I miei cugini non erano mai stati corretti, ma quella volta stavano davvero esagerando: come portiere ero sempre stata una frana, perciò era proprio da loro proporre le cannonate quando in porta ci stavo io… Meglio prepararsi!
Gabriele era già in posizione, quando - guardando oltre le sue spalle minute - fui letteralmente abbagliata: quel ragazzo risplendeva di luce propria per quanto era bello.
Aveva i capelli castano opaco, tranne che per i riflessi ramati che parevano catturare la luce del sole, gli occhi color nocciola chiaro, naso dritto e patatoso quanto basta ed un adorabile sorriso divertito che si faceva strada incerto fra le sue labbra. E mi stava guardando.
Abbastanza in lontananza e con uno sguardo che poteva anche essere impietosito (di sicuro avrò avuto quella tipica aria da pesce lesso), ma mi stava guardando!!!
Poi tutto successe a rallenty: vidi il pallone che, molto lentamente, arrivava verso di me, mio cugino che stava tentando di attirare la mia attenzione con un paio dei suoi strilli, dei quali però riuscivo a cogliere solo qualche rallentato frammento, Mattia che in difesa si buttava in terra per evitare di essere colpito dalla palla…
Poi un forte colpo allo stomaco mi riportò alla realtà.
“Gabriele!!!” strillai, isterica.
“Cosa diavolo vuoi?! Io ho anche cercato di avvertirti. Se sei un’ inceppata non è colpa mia” ribatté lui con aria di sufficienza. In questi casi sapevo che non si poteva fare altro che assecondarlo.
Intanto il fotomodello (anche di fisico non era affatto male: spalle larghe, gambe robuste, braccia apparentemente forti e petto abbastanza muscoloso…) mi scrutava a distanza con aria preoccupata. Dio, che vergogna!
Fui, così, costretta a ricompormi: mi alzai, mi tolsi la polvere dai jeans e poi cercai di riassumere un’ espressione decente, nonostante il lancinante dolore allo stomaco.
“Mattia, passa!”, dissi io annoiata. Mi misi in posizione e, mirando dritto allo sterno del portiere, presi la rincorsa e calciai il pallone con tale forza che il colpo mi si ripercosse lungo tutta la gamba.
La palla passò con facilità oltre la porta e finì all’ interno del confinante campo di mais. Io, come al solito, me ne tenni fuori e lasciai litigare le due Pesti sul chi dovesse andare a prendere la palla, mentre io mi accomodavo sull’ erba.
Poggiai i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani e feci appena in tempo a vedere il meraviglioso ragazzo dall’ altra parte del campo che mi guardava a bocca aperta da non so quanto tempo (Eh, si, i ragazzi reagivano sempre così quando mi mostravo per quella che ero -poi scappavano, perché preferivano le ragazze con i vestitini rosa, la vocetta stridula e che amavano ammirare il loro riflesso nelle vetrine dei negozi …)
"Chiudi la bocca, bello, altrimenti entrano le mosche!", pensai. Allora sentii la voce piagnucolosa di Gabriele protestare rumorosamente. “Qualcuno lo faccia stare zitto, vi prego!”, dissi tra me e me.
Alla fine fu lui ad andare a prendere la palla. Si fece strada tra le piante da guinness e scomparve tra di esse.
All’ improvviso vedemmo salire un’ immensa fiamma dall’ interno della vicina piantagione, io e Mattia terrorizzati ci fiondammo all’ interno di essa.
Lì dentro era un vero e proprio labirinto, c’era un sacco di fumo e non si riusciva a respirare: arrivammo nel punto dal quale, probabilmente, avevamo visto salire la fiamma che si era presto espansa, e che ora aveva creato davanti a noi una barriera di fuoco invalicabile.
Vedemmo, oltre la sostanziosa coltre di fumo e fiamme, un ragazzino minuto dai capelli rossi disteso in terra. La mia preghiera era stata ascoltata: Gabriele era stato zittito per sempre…

***

-Allora, signorina, cosa ricorda di quel giorno?







Authoress’ note
Allora, allora…Prima ficcy originale!!!!!
Sinceramente non credo sia un granché, soprattutto dopo aver ricevuto ben 22 visite e una sola recensione: e si, mi riferisco a voi, lettori silenziosi: Per favore, mi bastano poche parole, vorrei solo sapere se vale la pena continuarla oppure no. Forse è un po’ una palla, ma vi prometto che i prossimi capitoli saranno meglio, ma se non mi invitate a pubblicarli non potrete mai saperlo…Perciò fatemi sapere cosa ne pensate, accetterò tutte le critiche e seguirò alla lettera i vostri consigli.
Baci <3. Sgiach.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Vorrei essere una lacrima... ***


Earth, Wind, Water and FIRE...
II
Vorrei essere una lacrima…



19 agosto 1997.
Era passata almeno un’ora da quando i miei mi avevano portata in commissariato, ma io neppure me n’ero accorta.
Dal giorno dell’incidente il tempo sembrava non passare più, vegetavo isolata in camera mia, bevendo ogni tanto e solo l’ altro ieri mia madre era riuscita a farmi ingurgitare qualche cucchiaiata di pasta in brodo…
Come un’ automa mi svegliavo, mi sciacquavo la faccia con dell’ acqua gelida nella speranza di svegliarmi da quell’ incubo che si ripeteva all’infinito, poi per tutto il giorno tentavo di distrarmi facendo zapping alla tv o leggendo riviste varie, ma non c’era nulla che potesse distogliermi dal mio pensiero fisso; dopo di che mi mettevo a letto e dormivo, o almeno ci provavo.
La cosa strana era che non avevo versato neppure una lacrima in quei cinque giorni: non riuscivo a togliermi quell’ immagine raccapricciante dalla testa, eppure non mi suscitava altro che un profondo orrore e parecchia rabbia…
Tornando a noi, c’era il commissario che mi faceva un mucchio di domande cui io non avevo avuto neppure la forza di rispondere, così poco fa se n’era uscito così: “La ragazzina è inutile e non abbiamo tempo da perdere con gli interrogatori”….Ma brutto bastardo che non sei altro! Per te si che è facile: non è tuo il cugino che è stato arrostito a mo’ di spiedino in quel campo di mais del cavolo!
Bene. Ora vediamo d pensare civilmente, mi dissi. E fu a quel punto che fui investita da un fascio di luce, luce che mi era stranamente familiare. Mi girai per vedere da dove provenisse quella luce tenue, ma allo stesso tempo abbagliante, che non aveva però assolutamente nulla di artificiale, ed eccolo lì: Lui. In piedi sulla porta. L’abbagliante luce del sole che filtrava dalle veneziane alla finestra si rifletteva sui suoi capelli di broccato che erano rimasti impressi nella mia mente giorni prima, il suo sguardo colmo di tristezza addolcito dallo stesso bagliore. E fu allora che notai una corposa lacrima solcargli gli zigomi già umidi: oh, quanto avrei voluto essere quella lacrima, nascere dai suoi occhi di ambra pura, scendere lungo le sue guance e vivere su quelle sue labbra così piene e perfette…
Su, Alice! Basta con questi pensieri osceni!, mi ammonii mentalmente.
Poi il commissario mi sussurrò divertito all’ orecchio “Terra chiama Alice! Ragazzina, vedi di riprenderti e richiama all’ordine i tuoi ormoni impazziti…” Una volta ricompostosi si scostò e disse ad alta voce “Con lei abbiamo finito.” Io arrossii fino alla punta delle orecchie e abbassai il capo, mi sentivo come uno struzzo impaziente di infilare la testa nella sabbia ma non avendone la possibilità mi accontentai di sprofondare sulla scomodissima sedia di alluminio che scoprii, una volta alzatami, avermi intorpidito il sedere.
Poi uscii affiancata dai miei.
Fuori ci aspettavano zia Giulia e zio Fabrizio, la prima era seduta su una delle poltroncine a gambe incrociate, posizione che le era risultato difficile conquistare nel lungo abito nero che indossava, i capelli raccolti in una crocchia disordinata coperta dal velo in pizzo nero, gli occhi colmi di lacrime che cercava di trattenere; il secondo bisbigliava concitato all’ orecchio di papà, mentre fino a poco fa era impegnato a solcare il pavimento a furia di camminarvi pesantemente sopra. Avevano deciso di aspettare fuori l’esito dell’ interrogatorio della madre e del fratello dell’ altra vittima dell’ incendio. Era una bambina di nome Elizabeth, cinque anni appena compiuti, madre inglese, padre scomparso e un fratello maggiore di diciassette anni.
Lui e la sorellina stavano giocando a nascondino quando è scoppiato l’incendio e la piccola Elizabeth ne era rimasta vittima mentre tentava di nascondersi dal suo fratellone. Povera!
Avevo appreso a mie spese che questi interrogatori duravano un’eternità e avrei dovuto prevedere che avremmo aspettato a lungo, ma questa attesa era davvero snervante…!!!
Dopo quelle che mi sembrarono almeno tre ore finalmente i due uscirono. La donna era completamente a pezzi: i meravigliosi occhi verdi rossi di pianto, le belle guance paffute rigate di lacrime, le labbra sottili tremanti come due fragili foglie nel vento d’autunno… Il ragazzo invece stava peggio di come lo avevo visto appena qualche ora fa: erano ormai copiose le lacrime che gli riempivano gli occhi e gli bagnavano il viso, il petto che sussultava ad ogni suo singhiozzo, le gambe tremanti…
A quel punto i miei e zio Fabrizio si avvicinarono alla donna e tentarono di farle dire ciò che il commissario le aveva riferito, ma tutto ciò che ottennero fu qualche sillaba sconnessa per via dei gemiti che erano preludio di un pianto straziante, allora intervenne il ragazzo: “Ehm, salve. Mi presento, sono Manuel. Mia madre è troppo scossa per parlare quindi preferirei che vi rivolgeste a me, non che io stia bene, ma avete il diritto di sapere, perciò chiedete pure.” disse Manuel (oddio che bel nome…) con voce fintamente sicura e tentando, senza successo, di nascondere l’immenso dolore di cui anche le lacrime che ancora gli rigavano gli zigomi erano intrise. Così mio padre e zio Fabrizio, approfittando della sua disponibilità, e ignorando il suo sguardo vitreo e offuscato dalle lacrime, iniziarono a fargli domande su domande, provocando a ogni risposta un singulto sempre più violento.
A quel punto non ne potetti più, mi alzai e mi diressi verso di loro.“Basta!”, dissi. “Non vi rendete conto di quanto stia soffrendo?!” ribadii indicando Manuel poco lontano da me “C’è chi ai propri cari tiene davvero e in seguito ad una loro perdita riesce a mettere da parte la propria virilità e a piangerli senza vergogna, ma non c’è rispetto per coloro che ne hanno il coraggio! Finitela una buona volta di approfittarvi della bontà altrui e cercate di andare oltre la maschera dietro la quale ciascuno di noi tenta di nascondersi! Manuel si è offerto di rispondere a qualche domanda alla quale lui sapeva che la madre non avrebbe avuto la forza di sottoporsi, ma ciò non vuol dire che lui possa sopportare i dolorosi ricordi che gli stanno tornando alla mente! Davvero non riuscite a capirlo?! Ora lasciatelo in pace e andate a porre le vostre insidiose domande al commissario, è il suo lavoro, no?!”, e così conclusi la mia tirata lasciando zio Fabrizio e il suo compare a bocca aperta, poi i due si diressero dal commissario con la coda tra le gambe.
Intanto Manuel mi guardava tremante e riconoscente, così gli presi la mano e lo feci sedere accanto a me. I minuti successivi passarono in totale silenzio, l’unico suono che riuscivo ad udire era quello dei singhiozzi di Manuel…
“Grazie” mi sentì dire da una voce insicura e tremante alla mia sinistra. Mi girai: sembrava così fragile in quel momento, Manuel intendo: sembrava sul punto, ora che aveva esaurito le lacrime, di gridare per la frustrazione. Ma nel suo sguardo di ambra vedevo anche gratitudine, molta. “Di niente”, gli risposi imbarazzata. “Fanno sempre così, ti prego di scusarli. Loro si sono sempre comportati da ‘Uomini veri’, come loro amano definirsi: non si sono mai lasciati andare, non riescono a capire né a percepire le emozioni, a volte penso che neppure sappiano cosa sono. In ogni caso non devi ringraziarmi, davvero. Erano anni, ormai che avevo intenzione di ribellarmi alla loro fredda indifferenza e tu me ne hai dato solo l’occasione”, gli dissi poi.
Mi sorrise con dolcezza, sorriso, il suo, che stonava col volto ancora bagnato dalle lacrime, ma pur sempre bellissimo: non solo un mostrar di denti, un sorriso sincero. E io non potei che ricambiare, pur sapendo che il mio sorriso non sarebbe mai potuto essere disarmante quanto il suo.
E fu a quel punto che ci rendemmo conto di quanto le nostre parole e sensazioni fossero fuori luogo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Indagini 'in proprio'? ***


Earth, Wind, Water and FIRE...
III
Indagini "in proprio"?



30 agosto 1997.
Niente. Non volevano fare niente.
“Incendio da autocombustione”, così avevano archiviato il caso.
Non importava se due innocenti bambini avevano perso la vita, non importava se due famiglie erano a lutto, non importava se una povera ragazzina era rimasta traumatizzata a vita.
Tutto questo non importava a nessuno. in commissariato avevano cose molto più gravi e urgenti di cui occuparsi e dare la colpa al cocente sole d’agosto gli sarà sicuramente sembrata la soluzione più facile. Che bastardi!

***

Il funerale di Gabriele era stato celebrato insieme a quello di Elizabeth la settimana scorsa.
C’erano molti fiori, ma non fiori bianchi e tradizionali, bensì fiori allegri e colorati: girasoli, tulipani, margherite, campanule, ma soprattutto magnolie. Queste ultime erano davvero magnifiche, di un rosa tenue ma allo stesso tempo brillante: le aveva chieste Manuel, diceva che erano i fiori preferiti della sua sorellina e aveva insistito perché la sua piccola bara bianca ne fosse completamente ricoperta.
La funzione durò circa un’ora, poi ci fu proposta una veglia alla quale aderirono tutti i parenti più stretti dei defunti, tranne me e Manuel.
Uscimmo dalla cappella e ci sedemmo sulla scalinata. Per qualche minuto regnò il silenzio assoluto, nemmeno un singhiozzo, nemmeno un singulto: ormai non avevamo neppure più la forza di piangere.
Manuel era pensieroso, assente; sentivo che voleva dirmi qualcosa. Così mi feci coraggio e gli poggiai una mano sulla spalla: “Manuel, dimmi, cosa c’è che non va?” Mi guardò sorpreso, probabilmente non se l’aspettava. Ma io ero sempre stata brava a leggere le persone e a decifrarne gli sguardi.
“Beh, vedi, avrai sicuramente saputo come si sono concluse le ‘indagini’, no?” A quel punto io annuii comprensiva: avevo già capito dove voleva arrivare.
“Senti, capisco perfettamente che non ti sia piaciuto il modo in cui hanno preso sottogamba la cosa, ma loro sono poliziotti, sanno quello che fanno. E poi, dimmi, cosa potrebbero mai fare due ragazzini?” lo precedetti io.
“Io credo, invece, che qualcosa potremmo farla…” disse lui vago. Io, incuriosita, lo incitai a continuare.
“In poche parole: quando mio padre, ormai quattro anni fa, è sparito dalla circolazione le autorità lo hanno subito dichiarato morto per le circostanze in cui è scomparso: a chilometri e chilometri dalla costa siciliana, verso la quale era diretto il carico affidatogli dalla compagnia di trasporti presso cui era impiegato da anni. Capirai che il contesto lasciava intuire un finale tragico, ma la mamma non volle arrendersi e ingaggiò un investigatore privato e si mise a fare indagini ‘in proprio’. La verità non è comunque venuta fuori e circa l’anno scorso Del Manto si è licenziato, ma è ancora oggi un amico di famiglia e non credo avrà cuore di negarci una mano. Oltretutto fra tre giorni sarò maggiorenne e potrò assumerlo io e caricarmi delle spese senza mettere in mezzo mia madre. E poi, ho da poco iniziato una specie di tirocinio presso la scientifica e sto iniziando ad acquisire una certa familiarità con il laboratorio e le attrezzature: un altro punto a nostro favore. E una ragazza dal formidabile intuito come te non può che tornarci utile… Allora, che te ne pare?” concluse così. Io lo guardai interdetta: non sapevo se considerarlo un povero pazzo oppure un grande genio.
“Beh, non saprei…” commentai incerta. “Dai, Alice, non dirmi che hai intenzione di lasciar perdere, senza aver neppure lottato. Due poveri bambini non meritano forse che gli venga fatta giustizia?!” mi spronò il ragazzo.
“Non so… Ci penserò su, d’accordo?” gli concessi poi. “Bene, non chiedo di meglio… E poi prima della prossima settimana non potremmo comunque fare nulla.” disse Manuel soddisfatto. “Ti lascio il mio numero: chiamami quando avrai deciso, ok?” mi propose porgendomi un pezzetto di carta. Che bastardo: si era preparato tutto!... “Ok” risposi poi, semplicemente, afferrandolo timorosa.

***

Torniamo a noi, la settimana ormai era passata e io ancora non avevo preso una decisione. Erano giorni che stavo seduta sul mio letto a fissare e rigirarmi nervosamente tra le mani quel maledetto pezzetto si carta: in circostanze normali sarei potuta sembrare una stupida adolescente in crisi ormonale, ma stavolta ci andava di mezzo molto di più…
Infondo, però, Manuel aveva ragione: per quanto in tutti questi anni lo abbia potuto trovare irritante e insopportabile, Gabriele era pur sempre mio cugino e meritava di essere vendicato, come anche la piccola Elizabeth.
Ma quante volte negli ultimi giorni avevo fatto questo ragionamento senza poi arrivare a prendere una decisione?...
No. Stavolta sarebbe stato diverso. Dovevo mettere da parte paura e insicurezza e prendere la mia decisione.
Mi guardai intorno, quasi intimorita dalla mia improvvisa determinazione. Ero nella mia stanza, la mia amata stanza: le pareti in color cedro, il mio preferito, i mobili in legno di balsa e una enorme e ricca libreria, traboccante dei numerosissimi libri che, in fin dei conti, mi avevano praticamente vista crescere, il mio orgoglio. La mia camera era da sempre stata un punto di riferimento, un luogo in grado di trasmettermi sicurezza anche nei momenti più difficili. Ma stavolta c’erano cose troppo importanti in ballo e neppure la meravigliosa vista sul Tevere, da sempre il più rassicurante dei paesaggi, era riuscita a scalfire la mia codardia.
Basta! Non potevo andare avanti così: diamine, era il momento di farsi coraggio!
Afferrai determinata la cornetta del telefono e composi velocemente il numero di Manuel. Non ebbi neppure bisogno di consultare il foglietto: a furia di fissarlo dubbiosa avevo imparato tutte le cifre a memoria.
Dopo due squilli, a mio parere troppo presto, rispose.
“Manuel, sono io, Alice. Ho preso la mia decisione: ci sto.”








Authoress’ note
Bene, bene… Eccomi tornata con un capitolo leggermente più corto del solito, ma con un po’ di anticipo e una bella notizia: Gioite, miei care lettrici, perché “Earth, Wind Water and FIRE…” è ottava in classifica tra le storie più popolari nella categoria dei gialli!
Ed è per questo che voglio ringraziare voi tutte per il sostegno che mi date… Grazie mille, ragazze!
VI ADORO! <3 <3 <3
Bacioni dalla vostra Sgiach… :-*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ciutz ***


Earth, Wind, Water and FIRE...
III
Ciutz



1 settembre 1997.
Un giorno era bastato a Manuel per organizzare ogni cosa con quell’ispettore. Quest’ ultimo si era trasferito da qualche anno nei pressi di Frascati, un paesino poco lontano dalla chiassosa Roma (magari un po’di pace avrebbe giovato anche a noi, chissà…), perciò il mio nuovo compagno si era dovuto preoccupare innanzitutto di come arrivarci e in secondo luogo di come camuffare il nostro piano con i rispettivi genitori. Per lui era più facile però: insomma, aveva solo sua madre, fuori gioco oltretutto, mentre io avevo i miei, non abbastanza coinvolti da lasciarmi sfuggire al loro controllo, e, a differenza della mamma di Manuel, nient’affatto accondiscendenti.
Gli avevo perciò anticipato che non sarebbe stata un’impresa facile, ma lui, caparbio come si era dimostrato, non volle arrendersi.
Giustamente, avevamo pensato, non sarebbe dovuto venire fuori né che sarei stata con lui, altrimenti ci saremmo giocati mio padre, né –per ovvi motivi- che avremmo iniziato a progettare indagini clandestine; quindi optammo per qualcosa che fosse all’ordine del giorno, come un pigiama party dalla mia migliore amica, ovviamente complice.
Si, perché l’unico treno disponibile partiva alle cinque del mattino, il viaggio sarebbe durato poco più di una mezz’oretta, poi avremmo raggiunto il casale immerso nella campagna con un motorino che Manuel avrebbe affittato in paese.

I miei, lo sapevamo bene, non avrebbero avuto cuore di impedirmi qualcosa che potesse essere una valida distrazione, soprattutto in un momento del genere… E avevamo ragione. Alle nove in punto, infatti, ero già in macchina con mio padre, diretta a casa di Carlotta, dove Manuel mi avrebbe raggiunta alle tre circa per organizzare meglio la giornata e poi andare insieme alla stazione, per una fortunata coincidenza poco lontana dalla casa della mia amica, circa venti minuti a piedi.
Ora l’unico problema era come farlo entrare in casa, ma a quello ci avrebbe pensato Carlotta: lei era un vero genio…

Avevo portato con me uno zaino contenente una calda coperta, lo spazzolino, un cuscino poco ingombrante, un libro, il mio amato taccuino rilegato in pelle, dell’acqua, un paio di panini, una bella scorta delle mie caramelle preferite, un cambio, ovemai fosse stato necessario e, infine, un piccolo kit del pronto soccorso... Si, ero diventata un po’ paranoica, ma non si poteva mai sapere, giusto?
I miei non nutrivano alcun sospetto, anzi, erano ben felici che passassi la serata da Carlotta e mio padre mi ci aveva accompagnata volentieri, ignaro dei loschi piani che stavo covando.
Arrivata da Carlotta, salutai mio padre con un fragoroso bacio sulla guancia (che ruffiana…) e mi affrettai per le scale. Arrivata al suo piano bussai e dopo qualche secondo arrivò la mia amica ad aprirmi.
Appena mi vide mi saltò letteralmente addosso: in questi giorni l’avevo fatta preoccupare parecchio e perciò non vedeva l’ora di rivedermi e farmi distrarre come solo lei era capace di fare.
Per tutta la serata ci rimpinzammo di popcorn al caramello, M&M’s e litri di coca cola… Poi giocammo uno dei nostri partitoni a Monopoli (dove di solito finivamo per scannarci a vicenda, ma era proprio questo il bello!), ci divertimmo a cantare (se gracchiare a qualche decibel oltre la soglia di sopportazione si può chiamare cantare…) tutte le canzoni dei Red Hot a squarciagola ed infine, come temevo, passammo all’argomento ragazzi.
“Allooooooora… Questo Manuel? E’ carino?” mi chiese eccitata con quel poco di voce che le era rimasta. “Beh, si… Abbastanza. Tanto fra un po’ lo vedi. E poi te l’ho già detto: a me lui non piace!” cercai di negare, ma sapevo che Ciutz mi conosceva troppo bene per non accorgersene.
“Daaaiii! Lo so che ti piace, lo vedo! Tu a me non puoi nascondere nulla, lo sai…” e così dicendo mi diede un colpetto sul naso, ridendo di gusto.
“Va bene, va bene! Lo ammetto! Basta che la finisci di ridere…” sbottai io, arresa. “A-ah! Lo sapevo!” trillò lei contenta. “Comuuuunque, ma davvero hai intenzione di farti vedere così da lui?” continuò lei, sconcertata dal mio abbigliamento casual (o come lei lo definiva, ‘da stracciona’).
“Ciutz, te lo ripeto: NON E’ UN APPUNTAMENTO! Ci occupiamo di cose serie noi, non di pomiciare sulle panchine come voi svergognati!” ribattei io acida, riferendomi a lei e alla sua nuova fiamma, Alessandro. “Ehi! questo è un colpo basso, però!” disse Ciuz con aria fintamente offesa…
E così diede inizio all’ Epica Battaglia dei Cuscini.
Dopo poco eravamo già distese inermi sul letto, coperto da un notevole stato di piume. Tirammo entrambe un fragoroso sospiro di sollievo e poi scoppiammo a ridere sguaiatamente…
Passai poi il resto della serata a sorbirmi i sospiri e gli sguardi sognanti che la mia amica non poteva fare a meno di mostrare parlando di “Aaaalee”.

Verso le tre e mezzo, quando tutto fuori della porta della stanza du Ciutz era scivolato in un sonno profondo, sentimmo bussare alla finestra.
Io mi irrigidii istintivamente e la cretina alla mia sinistra non poté fare a meno di notarlo e di guardarmi maliziosa e compiaciuta. Aaaarrrggg!
Mi affacciai poi alla finestra e , insieme a Ciutz, aiutai Manuel ad entrare. Ridevamo tutti e tre come dei pazzi, consapevoli di quanto la situazione fosse ridicola e di come sarebbe precipitata se solo ci avessero scoperti: sembrava che ci conoscessimo da una vita…
Avevamo un po’ di tempo da perdere, perciò decidemmo di metterci comodi. Purtroppo, anche se avremmo voluto, non potemmo offrire nulla al povero Manuel, dato che ci eravamo spazzolate tutto noi… Che vergogna!
Ciutz, perciò, decise di orientare diversamente il discorso e approfittò del nostro ospite per farsi svelare i segreti della mentalità e della dinamica comportamentale maschile: povero Manuel! Ancora una volta, però, arrivai in suo soccorso con una scodella di avanzi di patatine varie… Con quelle almeno sarei riuscita a tappare quella fornace di bocca che importunava da venti minuti buoni il nostro nuovo amico…

Per fortuna si fecero le quattro e mezzo e, senza intoppi o battutine maliziose che mi sarei senz’altro aspettata dalla mia adorabile amica, ci avviammo verso la stazione.
Mi sentivo molto a disagio nel camminargli così vicina, di notte poi!
Nessuno dei due spiccicava parola: anche lui, a dire la verità, mi sembrava alquanto imbarazzato, ma cercava di nasconderlo, come ogni ragazzo sano di mente farebbe. Tutti vogliono dimostrarsi duri, forti e protettivi, quando tutto quello che una ragazza, o almeno questa ragazza, desidera è essere amata e coccolata con tenerezza. Io i ragazzi non li avrei mai, dico MAI, capiti…
Beh, magari quando sarà il momento Ciutz saprà darmi qualche consiglio: per ora preferisco vivere nell’ ignoranza.

In tutto ciò io e Manuel eravamo già – già si fa per dire, erano le cinque meno venti- arrivati in stazione.
Ritirammo i biglietti che Manuel aveva prenotato il giorno prima e, una volta raggiunto il binario, ci sedemmo su una panchina e aspettammo.









Authoress' note
Perdono! Vi chiedo umilmente perdono!
Sono in un ritardo pazzesco e davvero non so come farmi perdonare… Diciamo, però, che sto attraversando un periodo difficile e né trovo il tempo né ho sempre voglia di scrivere. Spero di farmi perdonare in seguito, perché di sicuro questa cacatella di ‘capitolo’non basterà… Anche se un’utilità ce l’ha: essendo per me l’amicizia uno dei valori più importanti della vita, ho deciso di dedicare, per quanto scocciante e deludente possa essere per voi, un intero capitolo al personaggio di Ciuz che, già vi avverto, riapparirà più volte nel corso della storia come instancabile sostenitrice della nostra Alice.
Più specificamente vorrei dedicare questo capitolo alla mia Onee-san (nonché mia Beta personale) AliYe : senza di lei non saprei davvero come vivere, la adoro. La adoro perchè so di potermi fidare ciecamente di lei, perchè con lei non mi vergogno di niente, perchè è capace di farmi dimenticare tutti i miei problemi con una semplice risata, perchè anche se non mi sa dare sempre i consigli giusti mi è sempre vicina, perchè con lei ho fatto le cazzate più grandi e divertenti della mia vita, perchè lei è l'unica con cui mi sento davvero me stessa e mi sento libera di esprimermi, come se potessi pensare addirittura ad alta voce, perchè lei è l'unica persona talmente importante da farmi prendere il panico, addirittura il terrore, al solo pensiero di perderla, perchè è l’unica che è riuscita a diventare davvero una parte di me e della mia vita, spettatrice ma non solo...
Ti voglio bene! ricorda che sei il MIO parassita preferito!

Ciao a tutte! :-*
Sgiach <3.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=789789