No matter who you are

di MissyHarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New in town ***
Capitolo 2: *** Die with your boots on ***
Capitolo 3: *** Enjoy the silence ***
Capitolo 4: *** Bad Day ***
Capitolo 5: *** Search and destroy ***
Capitolo 6: *** Living after midnight ***
Capitolo 7: *** Let's get ready to rumble! ***
Capitolo 8: *** Grenade ***
Capitolo 9: *** What's going on? ***
Capitolo 10: *** Who's that chick? ***
Capitolo 11: *** Unfaithful ***
Capitolo 12: *** Driving at night ***
Capitolo 13: *** Someone like you ***
Capitolo 14: *** Sound of Silence ***
Capitolo 15: *** I kissed a girl ***
Capitolo 16: *** The plan ***
Capitolo 17: *** Mexican Standoff ***
Capitolo 18: *** Strange kind of woman ***
Capitolo 19: *** Walk down the same road ***
Capitolo 20: *** Shot me down ***
Capitolo 21: *** The End ***



Capitolo 1
*** New in town ***


NEW IN TOWN

 

Come ogni mattina, Rock attraversò con passo strascicato la cucina dell'appartamento in penombra. Represse uno sbadiglio, e si fermò davanti alla porta della camera di Revy. Abbassò la maniglia, schiarendosi la voce per manifestare la propria presenza. 

"Revy… Svegliati, è ora di…" Le sue parole riempirono la stanza, totalmente silenziosa. D'istinto abbassò lo sguardo sul materasso sfatto: vuoto. Un'espressione interrogativa gli si dipinse in faccia.

"Dove diavolo…" Si guardò intorno, alla ricerca della cintura con le cutlass: niente. Di Revy non c'era la minima traccia, doveva già essere uscita. 

Si grattò la nuca, perplesso, e si portò l'orologio sotto il naso. Le sette, e quella dannata ragazza era già sveglia; non solo, doveva esserlo già da un po', dato che aveva avuto tutto il tempo di vestirsi e uscire di casa in tutta tranquillità senza che nessuno se ne accorgesse. L'uomo si accese una sigaretta. Da che era entrato nella Lagoon Company, era suo compito svegliare Revy la mattina. Normale che toccasse a lui: era una mansione talmente terribile da svolgere, beccarsi gli insulti e gli urli di quella "ragazza" appena sveglia, che persino Dutch la evitava come la peste. E in quasi un anno lì a Roanapur, non gli era mai capitato di trovare Revy alzata. Scuotendo la testa tornò in cucina, posando la sigaretta sul bordo del posacenere e accingendosi a preparare un caffè.

"'Giorno" mugugnò un assonnatissimo Benny, stiracchiandosi e raggiungendo a fatica il tavolo della cucina. Rock lo salutò con un cenno del capo. "Caffè?" Gli chiese. Il biondo annuì distrattamente. "Che c'è, Rock? Ti vedo… Hmmm…" Allontanò il posacenere fumante da sé, afferrando il portatile abbandonato la sera prima "Ti vedo… Stranito…"

L'altro scrollò le spalle, impegnato ad avvitare la caffettiera. "Mah, niente di che… Solo che… Revy è già andata". 

Benny alzò lo sguardo dal computer, sgranando gli occhi. "Che cazz…" Si perse un attimo nei suoi pensieri, lo sguardo perso nel vuoto. Rock si chiese se non stesse riavviando il sistema del suo cervello. "Ah, già!" si riscosse, sorridendo "oggi arrivava un suo vecchio amico al porto. Penso sia andata a prenderlo". 

Il moro alzò un sopracciglio, sospettoso. "…Vecchio amico…?"

 

 

Un ticchettio frenetico di scarpe a tacco alto attirava l'attenzione dei passanti nella via che conduceva al porto. La donna, stretta nel suo tailleur grigio, si chiedeva in continuazione chi gliel'avesse fatto fare ad andare a prendere il cliente. Scosse la testa, facendo tintinnare gli orecchini. Poteva benissimo prendere un taxi. Ma, effettivamente, la parola d'ordine della Trading Company era "ospitalità". Bisognava trattare i clienti da Re, se si voleva garantirne la fiducia. Avrebbe aspettato il suo uomo fino all'arrivo della nave, poi, assicuratasi che tutto andava per il verso giusto, l'avrebbe accompagnato alla società in taxi - e l'avrebbe pagato lei. Ci mancherebbe altro. 

Lanciò uno sguardo schifato a un malavitoso sul bordo della strada che stava occhieggiando famelico nella sua direzione, e si diresse a passo concitato verso le altre navi attraccate. Si fermò ad aspettare accanto a due ragazze, che stavano parlando concitatamente. Anche senza affinare l'udito, riusciva a carpire spezzoni dei loro discorsi. Gettò un'occhiata altezzosa con la coda dell'occhio.

"Ma non dire stronzate. È prestissimo, sei sicura che arrivi adesso la nave?"

"Certo, cogliona!" La bionda sfoggiava un vestito da suora, ma evidentemente di religioso aveva solo quello, a partire dal lessico poco ricercato e dalle pistole che spuntavano dalla fondina. La donna rabbrividì. Era da poco in quella città, e non si era ancora abituata alla gente armata che girava per le strade come se nulla fosse. 'Fa' che non mi vedano, fa' che non si avvicinino' si ripetè, improvvisamente ipnotizzata dall'inquietante tribale che l'altra giovane sfoggiava sulla spalla. 

"…zzo hai?" Si riscosse improvvisamente. Sembrava che la ragazza rossa, quella col tatuaggio, stesse parlando con lei. Alzò lo sguardo. "Mh, parla con me…?" "E con chi, sennò? Che sei, una spia?" "Sta zitta, troia!" l'ammonì l'altra, dandole una pacca sul collo "tratta bene le pecore del nostro signore! Scusala, sai, è nata nella merda…" "COGLIONA!" Sbraitò l'altra, puntandole una pistola sotto il mento. La suora alzò le mani in segno di resa, ma solo per afferrarle i capelli e strattonarla all'indietro. "Vaffanculo!" "Possibile che non stai mai ferma?!" Partì uno sparo, e la donna in tailleur lanciò un grido. Perse l'equilibrio e cadde all'indietro, nascondendo la testa fra le braccia. Le due ragazze ammutolirono. 

"Deficiente!!" Gridò improvvisamente la bionda rivolta alla compagna "mi hai sparato!" L'altra, d'altro canto, si stava tenendo la pancia dal ridere, evidentemente felice di aver spaventato a morte la donna con la puzza sotto il naso. "Guarda, Eda! Si è cagata addosso!" ridacchiò con le lacrime agli occhi, indicando la malcapitata. Un tassista fin troppo gentile accorse per aiutarla ad alzarsi. "Venga, non le conviene stare qui con quelle due…" "No, non mi conviene!" Lo interruppe lei, rialzandosi. "Senta, mi faccia un favore…" Gli allungò una banconota in mano, e gli spiegò il da farsi. Sì, forse era meglio se il suo cliente ci arrivava da solo, alla società. Di sicuro non poteva accoglierlo con quelle due, e men che meno con le calze strappate.

 

Eda si asciugò le lacrime dovute all'attacco isterico di risa. "Santo Dio… È proprio vero, cazzo, l'hai spaventata a morte…" Cercò di darsi un contegno, arrotolandosi le maniche e accendendosi una sigaretta. Ne porse una a Revy, che la accettò di buon grado. "Ah… Era un sacco che non ridevo così… Abbiamo proprio sistemato quella fighetta… Ah, e fra l'altro, che cazzo aveva da guardare, secondo te…?" Eda fece spallucce. "Beh, non è tanto comune trovare in giro una suora con una troietta armata a fianco…." Revy biascicò qualcosa a denti stretti, ma preferì evitare di rispondere, concentrandosi su un puntino all'orizzonte. "Dannato riflesso, non ci vedo un cazzo…" La bionda si voltò, gli occhiali da sole calati sul naso, e seguì la traiettoria indicata dalla rossa. "Sì, è lei. Sta arrivando".

 

 

Il tassista rigirò in mano la banconota da cento dollari che la gentilissima signora gli aveva offerto, un sorriso ebete stampato sulla faccia. Non era un grande esperto di moda, ma cazzo, quegli anelli e quegli orecchini tradivano un certo rango. 'Di classe, non c'è dubbio. Chissà che ci fa qui…' pensò, infilando in tasca i soldi. Glieli aveva dati in cambio di un favore… Cercò di ricordarsi le istruzioni dettategli, ma le scacciò con un cenno del capo. 'Ma figurati se aspetto il suo contatto qui. Ho l'aspetto di un deficiente?!' Deciso più che mai a non ficcarsi ne guai, salì sulla vettura, verso il locale di Bao che stava aprendo, il pensiero rivolto al piano superiore…





 

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Capitolo 2
*** Die with your boots on ***


DIE WITH YOUR BOOTS ON

 

 

Le due ragazze aggrappate alla ringhiera attendevano impazientemente l'arrivo in porto della nave delle sette e un quarto. Non un minuto di ritardo; stava virando, ancora poco e sarebbe approdata. Gli anfibi di Revy, bagnati dagli spruzzi delle onde, la ancoravano alla prima sbarra della ringhiera, mentre ciondolava avanti e indietro. Eda la fissava mordicchiarsi il labbro, in attesa. "Non sei abituata a stare ferma, uh…? Si può sapere chi è che stai aspettando…?" 

La rossa era stata molto vaga la sera prima, quando allo Yellow Flag le aveva chiesto un favore.

"Senti, stronza, hai presente di quella volta che con Liso Flitto ti ho platealmente parato il culo…?" Le aveva ricordato, tra uno shot e l'altro di whiskey. L'americana l'aveva squadrata dall'alto dei suoi occhiali, accavallando le gambe. "Embè? Hai bisogno di qualcosa, scroccona…?" Revy aveva sorriso (o meglio, aveva accennato a una smorfia amichevole) e l'aveva rassicurata: "Nessun lavoro, non preoccuparti… Solo, sai, voi della Chiesa della Violenza siete sempre così aggiornati sull'arrivo delle navi in porto…" Eda aveva alzato un sopracciglio, sospettosa, e le aveva chiesto se le servissero armi o simili, ma la pistolera, no, aveva solo bisogno di sapere quando arrivava la nave dall'India. Perché proprio dall'India l'avrebbe scoperto quella mattina, dopo averla convinta a farsi accompagnare; la sua curiosità, da brava spia, non si esauriva mai, e la faccenda era troppo strana. Solitamente gli ordini di Balalaika per la Lagoon passavano prima dalla Chiesa, o comunque dalle sue orecchie; ma che lei ne sapesse, non c'era nessuna missione da compiere in quei giorni.

"Revy? Ti ho fatto una domanda". Eda le sventolò una mano davanti al naso, richiamando la sua attenzione. "Mh. Te l'ho detto, aspetto qualcuno" le rispose lei, un sorrisetto stampato sulla faccia. "Ancora un minuto e lo vedi pure tu".

 

Dalla nave in arrivo, un paio di indiani armati pattugliavano il ponte. Sembravano non prestare la minima attenzione all'uomo che, con un cenno del capo, aveva cercato un tacito assenso per uscire dalla stiva e accendersi una sigaretta. Gettavano ogni tanto vaghi sguardi di disprezzo a quell'inglese che sorrideva beffardo. L'uomo, lo zippo in mano, si benedisse mentalmente per aver optato per un abbigliamento leggero, e accese con un colpo secco la sigaretta stretta fra le labbra. Si sporse in direzione del porto, i corti capelli biondi spettinati dal vento e gli occhi scuri rivolti verso le poche persone in attesa. Si focalizzò su una in particolare, e sorrise, agitando una mano.

 

"…Quello là! Lo vedi?" Indicò Revy alla compagna. Eda aguzzò lo sguardo. "Uh, l'indiano?" "Ma no, cretina!" La rossa le prese il mento fra le dita, indirizzandola verso l'obiettivo "… Quello che sta fumando. Quello sul ponte che… Oh! Quello che saluta!" La bionda sorrise ebete, aggiustandosi gli occhiali. "Oh, ma quindi…. Aspettavi un uomo, eh? Uh, carino!" La risposta fu un prevedibile pugno, che la suora schivò prontamente. "Ah, povero Rock… Questo significa che qualcuno dovrà consol…" Venne interrotta dallo sguardo omicida dell'amica. "Se non la smetti, ti apro un secondo buco del culo!" le sbraitò dietro. Erano tanto impegnate a scannarsi, che quasi non si accorsero dell'attracco della nave. Revy si voltò di scatto, abbandonando la lite e correndo verso i pochi passeggeri che stavano scendendo. Era una nave mercantile, e di sicuro non il mezzo per un viaggio di piacere. L'uomo che scese per primo, sorridendo, si diresse verso la rossa, spalancando le braccia e gettando a terra il borsone. "Revy…!" La ragazza gli lanciò le chiavi dell'auto, avanzando verso di lui. "Mark! Cazzo, quanto tempo è che non ci vediamo??" Fu spintonata da parte prima di raggiungerlo dall'amica, che tese ammiccando la mano. "Piacere, Eda! Oh, e non farti ingannare dall'abito…" "…Nonostante sia vestita da suora rimane una cogliona!" La rossa la spintonò con una gomitata, cercando di riottenere l'attenzione dell'uomo che le stava stringendo la mano con sguardo divertito. "Lasciala perdere", tagliò corto. "Oh, non preoccuparti…" Mark le passò un braccio intorno alle spalle, inspirando a pieni polmoni. "Aaah, Roanapur! Quanto tempo è che non sentivo questo profumo di marcio…" Ridacchiò, fiero del suo pessimo umorismo inglese, e si fece accompagnare dalle due ragazze alla macchina.

 

 

Le pagine del quotidiano scrocchiavano svogliate sotto le mani di Rock che gettava sguardi persi alle varie notizie. "Novità?" chiese Dutch, sporgendo la testa dalla spalla del ragazzo. "Nah… Niente di niente" sbuffò, scuotendo la testa "Senza Revy questo posto è un mortorio". Benny ridacchiò. "Detto così, sembra quasi che ti manchi!" Uno sguardo eloquente del moro bastò a rispondergli. "Non che mi dispiaccia, un po' di tranquillità…" Sospirò, accendendosi una sigaretta... pochi secondi prima che Revy aprisse la porta dell'appartamento con un calcio. L'informatico gli lanciò un'occhiata. "Come non detto!" sorrise, alzando le spalle. Rock roteò gli occhi e focalizzò l'attenzione sulla new entry che stava varcando la soglia insieme alle due ragazze. "Ciao Eda… Uhm, piacere…" Si alzò, tendendo la mano verso l'uomo che, gettata la borsa, si stava accomodando in cucina, appoggiando i piedi sul bordo del tavolo.

"Benny! Dutch! Che piacere vedervi!" Salutò, ignorando completamente la mano tesa del giapponese. "È passato tanto di quel tempo, ma questo posto rimane sempre lo stesso!" Dutch alzò una mano sorridendo, mentre Benny gli diede una pacca sulla spalla, spingendo verso di lui il portatile appena acquistato. "Beh, non tutto!" Rock sorrise imbarazzato, pronto per essere presentato. "…Ho cambiato il portatile, questo è quello nuovo! Bello, eh?" "Wow!" Esclamò Mark, l'attenzione catturata dal computer "che macchina è?" Rock distolse lo sguardo sospirando, sentendosi deliberatamente escluso. Quasi a leggerlo nel pensiero, lo raggiunse Eda, l'unica che sembrava esclusa da quella strana 'riunione di famiglia'. "Allora, tesoro? Come ti sembra il nuovo amichetto di Revy…?" Chiese, sedendosi sul tavolo di fronte al ragazzo. "Uhm…" Rock lo squadrò da capo a piedi: i corti capelli biondo cenere e la carnagione pallida tradivano le sue origini inglesi, oltre all'accento; la strana t-shirt di un gruppo musicale (non riusciva proprio a ricordare chi fossero) gli toglieva almeno tre o quattro anni, e i jeans chiari erano infilati a casaccio in un paio di consunti stivali da motociclista. 'Ah, va pure in moto, sto qui… Sarà contenta Revy… ' pensò fra sé e sé.

Quest'ultima si stava giusto appoggiando alla schiena del nuovo arrivato, cercando di distoglierlo dal nuovo giocattolo di Benny. "Ehy, invece che guardare ste stronzate, senti un po'! Oggi ti porto da un tizio che noleggia moto… Ti va di fare un giretto?" Rock alzò un sopracciglio, mentre lo squillo improvviso del telefono soffocò la risposta eccitata dell'uomo. "Vado io!" Esclamò Eda, alzando la cornetta. "Pronto? …Oh… Sì, sono in casa… Te lo passo subito" rispose, tendendo la cornetta a Rock. "È Balalaika, ti vuole" annunciò, con uno sguardo pieno d'aspettativa. Il ragazzo tentò di ignorare la curiosità trasudante dai suoi occhi e prese il telefono con una mano, tentando con l'altra di schermare il vociare della stanza. "Pronto, Balalaika? Sono…"

 

"Japonski!" il freddo accento della donna riempiva lo studio dell' Hotel Moskow. Uno scatto dell' accendino offertole da Boris diede la fiamma al sigaro che teneva stretto fra le labbra. "Che piacere sentirti. Va tutto bene, lì alla Lagoon? Cos'è quel casino?" Non ascoltò nemmeno la risposta di Rock, che già aveva ricominciato a parlare. "Ascoltami bene. Abbiamo un piccolo problema, qui. Oh, niente di importante" gettò uno sguardo divertito all'impaurito informatore che cercava di farsi sempre più piccolo sotto gli occhi della russa "Solo, abbiamo qui una persona che muore dalla voglia di parlarci, ma sa solo il giapponese. Potresti darci una mano tu, hmm?" L'uomo, che di tutta la frase aveva capito solo la parola 'muore', aveva cominciato a tremare e a gemere. Balalaika sbuffò. "E fai in fretta" fece una smorfia "la faccenda sta diventando disgustosa".


~

Mi prendo un piccolo spazio - autrice...
Ho pubblicato due capitoli con poca distanza l'uno dall'altro, è che ne ho già scritti un po' e se la storia ce l'ho già in testa li sforno velocemente :)
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, e sarebbe gradito un commento, anche critico (anzi!) per sapere se vale la pena continuare o se è meglio che mi dia all'ippica... Al prossimo capitolo!
Harry

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Capitolo 3
*** Enjoy the silence ***


Capitolo 3.

 

Enjoy the silence
 

 

"Ehm, ragazzi, io devo andare…" Rock tentò di farsi notare in mezzo al marasma, tra Mark che raccontava dell'India e Revy, Benny e Eda che lo tempestavano di domande; fece un gesto a Dutch, come a dire 'ci sentiamo dopo', afferrò la giacca e uscì per strada.

In fondo le novità gli piacevano, pensò percorrendo a piedi la strada verso il quartier generale dell' Hotel Moscow. La sua vita da impiegato era piatta e monotona, e il passaggio alla Lagoon era stato quasi provvidenziale. Oddio, forse provvidenziale non era la parola giusta: improvviso, rischioso e surreale, ma liberatorio. Ci voleva, insomma. Si accese una sigaretta sospirando. Chissà, magari pure quel ragazzo appena arrivato che ora gli stava tanto sulle palle… Scosse la testa. Non era proprio da lui giudicare così la gente, a primo acchito. Si chiese più volte cosa poteva avere da disturbarlo tanto, ma non seppe trovare una risposta.

Dopotutto, che si aspettava in un ambiente del genere? Un'amichevole stretta di mano, e magari anche una birra insieme? Ridacchiò all'idea, ma qualsiasi scusa cercasse non riusciva comunque a farselo andare a genio. 
 

Le sue gambe si muovevano meccanicamente lungo il percorso, mentre la sua mente vagava. Si ritrovò al palazzo dell' Hotel Moscow senza rendersene conto; gettò il mozzicone della sigaretta, si fece riconoscere dal portiere ed entrò.

Balalaika stava fumando il suo terzo sigaro della mattinata, cercando di calmarsi. Aveva isolato l'informatore nella stanza accanto, ma era stato difficile tranquillizzarlo e convincerlo che nessuno aveva intenzione di torturarlo o sterminargli la famiglia. All'Hotel Moscow, il programma protezione testimoni era molto semplice, e quel giapponese lo conosceva molto bene: se qualcuno attentava alla sua vita, era meglio se si comprava un passaporto e scappava in Alaska. L'arrivo di Rock sembrò sollevarla.

"Japonski, grazie a dio sei arrivato" Sbottò con una smorfia, storcendo la bocca. "Sii paziente, quell'uomo è leggermente agitato". Gli indicò con la mano la porta in fondo allo studio e gli strizzò l'occhio, sorridendo. "Andiamo…?"

 

 

"Beh, noi andiamo!" Esclamò Revy, alzandosi in piedi e riallacciandosi la cintura delle cutlass. Mark la seguì a ruota. "Ragazzi, ci vediamo! Devi ancora spiegarmi un paio di cose su quel portatile…" ridacchiò il biondo rivolto a Benny. "Ciao Dutch! A stasera!" Il capo lo salutò con un cenno, gettando un'occhiata all'orologio. "E Rock? Dov'è finto? Eda, chi è che ha…" La frase rimase a mezz'aria, una volta resosi conto che la suora si era volatilizzata nel nulla.

"Rock? Boh, è andato dalla sorellona, penso" rispose vagamente Revy imboccando la porta. Dutch si riscosse "…E me lo dici così? A fare cosa? Che voleva? Un incarico?" La rossa scrollò le spalle, trascinata fuori dall'impazienza dell'inglese. "Che moto noleggiano, allora? E chi diavolo è Rock? Un ostaggio? Oh, non ti ho detto che mezzo ho provato in India! Hanno appena rilasciato…" le ultime parole del discorso sparirono per la tromba delle scale, seguite dal sempre più lontano rumore degli stivali dei ragazzi che si precipitavano fuori dal condominio. 

Dutch represse un moto di stizza e sospirò, allungando una mano verso il numero di playboy abbandonato sulla poltrona. "Temo che non ci resti altro che aspettare". "Vuoi che mandi Revy dai russi?" Si offerse Benny "scendo giù, la chiamo e…" Il nero lo interruppe alzando una mano e aprendo il paginone centrale della rivista con l'altra. "Nah. Lasciali divertire…"

 

 

"…Perché, tu pensi che io mi stia divertendo?!" Balalaika aveva perso la calma, e aveva cominciato a sbraitare frasi in russo. Boris alzò un pugno per colpire l'informatore, ma la donna lo fermò con un cenno. "Hai visto, Japonski…? Un informatore che non informa..!" Cominciò a camminare su e giù per la stanza nervosamente "Si può sapere perché continua a ripetere come un ossesso la stessa parola…?"

Rock si piegò sulle ginocchia, portandosi al livello del giapponese che, tremante, mormorava preghiere piagnucolando. "Su, non preoccuparti" cercò di tranquillizzarlo "Devi solo dirmi tutto quello che sai…." "I-il viola!" rispose quello singhiozzando. 

 

La russa sospirò. In mezz'ora che era arrivato l'interprete, quel cretino li aveva avvisati che una nuova compagnia era arrivata in città, a Roanapur. Niente che Balalaika non sapesse già; quell'associazione si occupava per lo più di droga, ma non era quello il motivo per cui erano sbarcati in Thailandia. Sembrava piuttosto che volessero aprire un nuovo night club, e questo a Rowan, il proprietario del night più popolare e redditizio della città, proprio non andava giù. Era arrivato giusto pochi giorni prima all'Hotel Moscow circondato da ballerine,incazzato come una iena; sembrava quasi volesse intentare uno sciopero, infervorato com'era. E per quanto riguardava la prostituzione, anche Bao era piuttosto contrariato, sebbene non avesse il coraggio di presentare le sue lamentele ai russi. Fin qui, erano tutti problemi gestibili; ma ora arrivava questo giapponese dal nulla e tremando come una foglia rivelava che queste puttane avevano fatto fuori tre o quattro clienti piuttosto importanti. Nomi non particolarmente famosi, ma Balalaika aveva già mandato l'ordine di indagare. Per poter scoprire altro, l'unica possibilità era andarci di persona. Quel bravo ragazzo di Rock aveva inoltre scoperto che i membri dell'associazione provenivano più o meno da tutto il mondo, e per riconoscersi e riunirsi era necessario…

 

"I-il viola!" ripeté l'informatore. "Non so che significhi, so solo che ha a che fare col viola!" La russa si massaggiò le tempie. "Non ti è chiara una cosa, forse" disse, consapevole che quell'uomo non riuscisse a capire una parola di quello che diceva. "Un'informazione incompleta non serve a nulla. E non possiamo lasciarti così, nel limbo, capisci…?" Lo guardò sorridendo. L'uomo si ritrasse spaventato, mentre Boris da dietro gli puntava la pistola al collo, e premeva il grilletto.

Rock trattenne un conato di vomito, colto di sorpresa. "Era proprio…" "Sì" lo interruppe la bionda voltandosi e facendogli cenno di seguirla "Boris, pulisci questo pasticcio. Un traditore, sebbene passi dalla nostra parte, rimane comunque un traditore" spiegò dirigendosi a grandi passi verso la scrivania e componendo un numero al telefono "Rock, ho un compito per voi".


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Angolino autrice
Scusate il ritardo di aggiornamento... Perché, c'è per caso qualcuno che la legge? Ahahah!
Penso di riaggiornare verso... Giovedì? Mercoledì? 
Beh, buona lettura :)
Harry

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Capitolo 4
*** Bad Day ***


Capitolo 4.
 

Bad day

 

Era ormai pomeriggio inoltrato quando Revy e Mark noleggiarono le moto per fare una corsa fuori città. Avevano fatto un paio di deviazioni prima di arrivare al noleggio; lei gli aveva mostrato la loro nave, ormai rimodernata, e avevano fatto un salto dai rivenditori di armi. La ragazza si infilò il casco, aspettando che la moto si scaldasse. Non riusciva proprio a capire perché quella cretina di Eda girasse ancora con una vecchissima Harley Davidson; le moto da corsa erano mille volte più eccitanti e, soprattutto, più veloci. Lanciò un'occhiata a Mark, accertandosi che fosse pronto. Gli mostrò il pollice alto e diede gas, partendo e dirigendosi nell'entroterra. 

 

La via per arrivare a Roanapur via terra era una sola, ed era necessario percorrere uno scalcinato ponte pericolante. Dalla parte dell'entrata della città era appeso un cappio vuoto, una specie di monito per i pirati; i due ragazzi lo passarono senza nemmeno degnarlo di un'occhiata, l'inglese in testa e la rossa poco dietro. Quest'ultima si abbassò meccanicamente sul serbatoio, quasi a rendersi più aerodinamica, e accelerò fino in fondo, tentando di superare il biondo che, per sua sfortuna, non aveva la minima intenzione di lasciarla passare. Si fermarono un bel po' di chilometri dopo, alle pendici delle colline. Revy si sfilò il casco, scendendo dalla moto e imprecando. 

"Ah, vaffanculo!" esclamò, passandosi una mano fra i capelli e prendendo dalla tasca il pacchetto di sigarette "sono troppo fuori allenamento… E poi sei uno stronzo, mi hai chiuso nell'ultima curva! Stavo finendo fuori strada!" gli mollò un pugno, fregandogli dalla tasca dei jeans l'accendino. Il biondo rise, stiracchiandosi e giocherellando con le chiavi: "senti, non devi cercare scuse quando perdi. Semplicemente, ammetti la mia superiorità…" 

La ragazza nemmeno lo ascoltò, e raggiunse il guardrail che dava direttamente sulla scogliera. Lo scavalcò e si appoggiò alla ringhiera poco più avanti, godendosi il panorama. Il sole stava tramontando, e aveva tinto il mare di rosso, quasi ci fosse appena stata una strage. A Revy piacque particolarmente. "Di' un po', Mark" biascicò con la sigaretta stretta fra i denti "in Inghilterra ci sono spettacoli come questo…? O è tutta una merda come racconta la sorellona?" "Perché, lei che dice?" Il ragazzo l'aveva raggiunta e si era appoggiato vicino a lei, fissandola divertito.

"Bah. C'è andata l'anno scorso, e ha detto che non si vede mai un cazzo, che piove sempre e che se spari a qualcuno per strada fanno su un macello gigantesco". Scrollò le spalle. "Pensando alla mia vita di tutti i giorni, non riuscirei mai a vivere là". "Bah, più o meno è così, ma non in dappertutto. Balalaika sarà andata solo nei quartieri più ricchi. Dove vado io…" aspirò dalla sigaretta, socchiudendo gli occhi "fidati, nessuno ti romperebbe mai i coglioni. E la notte dal balcone di casa mia vedi Londra illuminata, ed è stupenda". 

Revy lo imitò chiudendo gli occhi e godendosi la brezza che saliva dal mare sul suo volto. Inspirò a pieni polmoni. "Chissà quante cose hai da raccontarmi…" sussurrò, le parole strappate via dal vento. "Ma sai, si sta così bene in silenzio qua che non ne ho nemmeno per le palle di ascoltarti". "E che vuoi fare?" Chiese lui,  voltandosi a guardarla. Si perse a rimirare le linee del suo tatuaggio, verso il collo così femminile - se si ignoravano le cicatrici, ovvio. Erano quasi due anni che non la vedeva, ma era rimasta la stessa identica ragazza che conosceva. Stesso carattere, stessi modi volgari… "Cazzo c'è?" Revy lo riscosse dai suoi pensieri, alzando un sopracciglio. "Ho qualcosa che non va?" Mark sospirò sconsolato. "ah, lascia stare. Sei proprio irrecuperabile, cazzo!" si voltò per tornare alla moto, scompigliandole i capelli. Lei gli afferrò un polso e lo costrinse a girarsi. "Anche se sei un cretino, sono felice che tu sia tornato. Dai, mettiamo giù le moto e andiamo a rifornirci da Bao". Gli regalò un sorriso, prima di gettare il mozzicone ancora fumante giù dal dirupo. Prese il casco fra le mani, ma esitò a infilarlo. "Mark…" "Mh…?" "…Certo che hai proprio una maglietta di merda. Cazzo è?"


 

Rock era decisamente di pessimo umore, quella giornata. Quando Revy si svegliava presto la mattina, già presagiva guai; poi, era arrivato quel simpaticissimo punk dall'India; infine, Balalaika gli ammazzava un uomo davanti e gli affidava un lavoretto niente male. Compito della russa era occuparsi delle voci che circolavano; ma compito della Lagoon era assicurarsi che fossero vere. Ecco perché gli toccava fare una visitina a quel night club… La voglia era sottozero, ma magari sarebbe riuscito a distrarsi…
"Distrarmi da cosa…?" Pensò ad alta voce, sospirando. Ormai stava calando la sera, ed era meglio tornare all'appartamento.
 

 

Appena aprì la porta, il timbro cristallino di una risata gli arrivò dritto alle orecchie. Si sporse oltre la soglia e vide Revy sdraiata sul divano, le gambe appoggiate su quelle dell'inglese, intenta a scorrere le foto dalla macchina digitale. "Dio, sei un coglione! Come ci sei arrivato qui?!" Rock si schiarì la voce, confermando la sua presenza che venne nuovamente ignorata. Scrollando le spalle entrò in camera, e si chiuse la porta alle spalle.
"Roooock! Colletto bianco, vieni qui!" il ragazzo odiava quando Revy si appellava a lui con quel nome, specialmente se davanti agli altri; tuttavia, raccolse tutta la sua buona volontà e li raggiunse in cucina. "…Sì? Che c'è?" La rossa non si mosse dalla sua posizione, mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo digitale. "Mh, ha telefonato la sorellona. Ha detto che ha scoperto che un contatto è appena arrivato dall'India, con la stessa nave di Mark. Le ho chiesto che cazzo stava dicendo, se si era fumata il cervello, ma mi ha risposto che tu sai tutto… E che questo stronzo qui può darti una mano. Ha detto che dovete collaborare." Evidentemente aveva finito l'album, perché aveva spento la macchina fotografica e ora lo stava fissando in tralice. "Che cazzo significa?"

Rock prese le chiavi dell'auto. "Ve lo spiegherò da Bao. Mark" pronunciò il suo nome scandendo bene le lettere "mi spiace coinvolgerti, ma temo che dovrai darti da fare anche tu per il nuovo incarico che ci ha dato l'Hotel Moscow. Ora andiamo, perché temo che dovremo cominciare stanotte". Scosse la testa irritato, mentre scendeva le scale seguito da una Revy sbadigliante e da un biondino che non si era ancora degnato di rispondere. Ma perché ci doveva lavorare insieme? Perché? La giornata andava drasticamente peggiorando...

 

 

Il vociare fragoroso ormai tipico dello Yellow Flag si attenuò quando entrarono due ragazzi seguiti da una donna in abiti decisamente minimal, ma tutti si voltarono di nuovo verso il loro bicchiere quando identificarono la pistolera, ormai famosa in quel locale per averlo distrutto sulle sei-settemila volte.

Benny e Dutch erano già seduti al tavolo da almeno una mezz'ora. Benny era al suo terzo analcolico, mentre Dutch stava aprendo l'ennesima lattina di birra. "Oh, grazie a dio siete arrivati!" Esclamò, bevendone un sorso "stavamo per mandare i russi a cercarvi…" "Risparmiati le battute, Dutch" lo interruppe Revy, strascicando una sedia e sedendoglisi a fianco "Temo che la sorellona ci abbia battuti sul tempo! Bao! Porta il rum!" "Ah, giusto!" si ricordò "Rock, perché ti ha telefonato Balalaika oggi pomeriggio?"

 

"…E questo è quanto".

Rock portò alla bocca il bicchiere di rum che gli aveva appena versato Revy, la gola secca dal lungo resoconto. Mark si mordicchiò il labbro, rigirando fra le mani il boccale di birra "Mi stai dicendo che un membro di quell'organizzazione era sulla nave che ho preso stamattina…?" il suo sguardo si perse nel vuoto, mentre cercava di concentrarsi "Non so in quanti fossimo in totale, ma non avremo di sicuro superato la decina. Tolti i trafficanti indiani, s'intende". "Sapresti riconoscere i tuoi compagni di viaggio?" Rock si chiese se l'inglese gli avrebbe risposto, questa volta. "Mh, seh" mugugnò vagamente senza guardarlo in faccia. Il giapponese sbuffò. "Quindi" Benny cercò di portare la conversazione a un livello più frivolo, per tentare di alleggerire la cappa di malumore che si stava formando "stanotte ci tocca proprio andare a far visita al night club…?" Dutch roteò gli occhi. "Dai, non dire stronzate. Ovviamente prima dobbiamo studiare la situazione, capire cosa può avere a che fare col viola e infiltrarci in quel modo". Mark scosse la testa. "Non sono d'accordo, boss. Balalaika ha detto che hanno fatto fuori pochi clienti, no? Sicuramente sono gente importante. Con tutti quelli che entreranno, non prenderanno di mira noi… Soprattutto se andiamo io e il damerino, qui" indicò Rock col pollice, che aggrottò la fronte "che non siamo per niente conosciuti. Che ne dici, nh?" ammiccò verso il giapponese, che rispose con un debole sorriso. Beh, dopotutto il ragionamento non era male, e addirittura aveva acconsentito a lavorare con lui. Piano piano stava cominciando a andargli a genio, magari.
"Beh, ottimo allora! Domani sera ci daremo da fare, mentre stasera ci si rilassa un po'!" Revy disintegrò in pochi secondi l'atmosfera greve e versò rum per tutti. Mentre lottava con Benny per convincerlo a bere, Rock si girò verso Mark. "Uh, a proposito, per stanotte… Se non sai dove dormire, puoi anche stare nella mia stanza… È grande e c'è una branda che…" "oh, don't worry, è tutto ok!" Il biondo sorrise "Dormo con Revy stanotte".
 

No, pensò Rock.

Questa era davvero una pessima giornata.


~

Buonsalve!
Non mi aspettavo recensioni, non preoccupatevi, ormai mi sono rassegnata, comunque... Beh, questo è il quarto! Finalmente! Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto un bel po' di impegni... Con l'università e tutto quanto...
Allora, qui la RockRevy è leggermente accennata... Ne sapremo di più nei prossiim capitoli, eheheh! Penso di aggiornarla la settimana prossima, prima di Natale... L'ho già scritta, devo solo ricontrollare :) Buona lettura a tutti! Baci
Harry

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Capitolo 5
*** Search and destroy ***


Capitolo 5.
 
Search and destroy
 
 
La donna aveva appena portato il tailleur grigio a lavare, e aveva optato per una camicetta e una gonna alta. Si rimirò un paio di minuti allo specchio, ravvivò i capelli e raggiunse il padre al piano inferiore dell'appartamento affittato lì a Roanapur, intento nell'ufficiale riunione d'affari della nascente Trading Company. Una decina di teste si voltarono alla vista della bella signorina, e accennarono a un saluto col capo.
"Buongiorno a tutti. Papà, allora, cos'è questa storia che il contatto non è arrivato??" "Oh, Nicole, buongiorno!" L'anziano signore l'accolse con un sorriso, appoggiando la tazza di caffè fumate sul tavolo. "Stavo giusto facendo colazione, la faccio preparare anche per te?" La donna si sedette di fronte a lui, scacciando quella frase con un gesto stizzito della mano. "Parliamo di cose serie. Il cliente avrebbero dovuto portarlo qui col taxi. Sono stata molto precisa, l'ho descritto alla perfezione, eppure non si è presentato… Gli sarà successo qualcosa?"
Il membro thailandese scoppiò in una fragorosa risata. "Signorina, si vede che è nuova di questi ambienti… E' troppo innocente. Ed è ovviamente un pregio" si affrettò ad aggiungere, preoccupato di poter offenderla. "Il tassista è stato avvistato a un locale di prostitute, lo Yellow Flag, subito dopo lo sbarco della nave. Evidentemente se l'è data a gambe con i soldi". Sorrise, stringendosi nelle spalle. "Cosa pensava? Qui ognuno fa i propri comodi". Nicole sgranò gli occhi, sorpresa. "Ma come… Mi era sembrato così gentile…" I commensali cominciarono a ridacchiare sommessamente, e un americano contenendosi cercò di chiarire la situazione. "Lady, lei deve capire una cosa fondamentale… A Roanapur, dove nessuno sa chi è lei, tutti la vedono come una normalissima signora benestante da spennare. Ma non si preoccupi troppo, né si deve sentire offesa" sfilò la pistola dalla cintura "vedrà che l'onta verrà vendicata. Parola d'onore".
La donna rabbrividì alla vista dell'arma, alzandosi di scatto. "Io… Vado a fare una passeggiata in giardino. Arrivederci."
Il padre scrollò le spalle, dedicandosi nuovamente alla tazza di caffè. "Dovete abituarla, per lei è tutto nuovo. Ha insistito ad accompagnarmi per non rimanere in Francia da sola… Jameson, ti ringrazio per l'intraprendenza, e sarò molto onorato se vorrai vendicare la scorrettezza subita dalla mia piccola figlia" sorrise, rivolto all'americano che annuì in un gesto d'intesa "Ma ora, l'obiettivo principale rimane quello di trovare il nostro contatto indiano. Senza segni di riconoscimento sarà molto difficile trovarlo". Un inglese si alzò in piedi, preoccupato "Capo, e per quanto riguarda il giapponese? Quel traditore stava per spiattellare tutto all'Hotel Moscow… Non vorrei che…" "Ah, quante storie!" Lo interruppe un uomo dalla carnagione molto scura "il suo cadavere è stato trovato al porto. Probabilmente quella cretina dalla faccia scuoiata l'ha ammazzato prima che parlasse… E comunque, qui nessuno sa il giapponese. E nemmeno lui sapeva granché di noi… Nomi non poteva farne". L'inglese si sedette, tranquillizzato. Effettivamente era stata quella la manovra difensiva della Trading Company. Per un'associazione che riuniva in Thailandia i rappresentanti di quindici nazioni sconosciuti fra loro era necessaria la totale fiducia, ma anche la massima segretezza: nessuno sapeva nulla dei propri compagni, né dove si dovessero riunire, a parte ovviamente il capo. Ma se uno, come nel caso dell'Indiano, si fosse perso, trovarlo sarebbe stato un bel casino.
"E' sveglio". Lo spagnolo interruppe il silenzio che era calato sulla compagnia "quell'indiano ci troverà, prima che lo troveremo noi".
 
 
 
Erano le otto di mattina, e Rock, per la prima volta, non andò a svegliare Revy nella sua stanza. Che ci pensasse quell'inglese, come si chiamava? "Uh, Mark". Scacciò immediatamente dal cervello quelle due parole e si accinse a preparare un caffè a Benny e Dutch che si erano appena svegliati. "Rock, ti vedo rabbuiato… Sono due giorni che hai il morale a terra, ti è successo qualcosa?" chiese il biondo, stappando una bottiglietta di coca. "Ah, ma come diavolo fai a bere quella roba la mattina?" piagnucolò Rock. "È il tuo caffè che fa schifo…" borbottò Dutch. "Piuttosto, dove sono finiti quei due? Ieri Revy era ubriaca marcia". Rock indicò la stanza della ragazza senza muoversi dai fornelli, e senza celare un'espressione tetra. 
"Dai, Rock, che hai? Seriamente, non ti ho mai visto così teso!" ripeté Benny, insistente. "Mah, niente di che… È che questa faccenda mi dà sui nervi…" "Ah, non preoccuparti, vedrai che stasera al night club ti risollevi un po' il morale, neh…?" il biondo gli batté una mano sulla spalla cercando di incoraggiarlo, ma l'altro reagì freddino. "Eh, già… io e Mark…"
In quel momento, l'attenzione fu catturata dalla porta della stanza di Revy che si stava aprendo cigolando. "Uh, svegli, finalmente!" sbottò il nero. "Ma lo sapete che ore sono…?" Ne uscì soltanto l'inglese, stropicciandosi gli occhi a torso nudo. "Awn, fai piano, guarda che lei sta ancora dormendo…" Si sedette al tavolo strascicando la sedia. "Ehi, tu, fai il caffè anche per me…?" 
Rock si voltò stizzito, la caffettiera fumante in mano. "Rock. Mi chiamo Rock. …Con o senza zucchero?" Aggiunse, pentendosi immediatamente dell'uscita scortese. È ovvio che la gente si comporta male con te, se tu fai altrettanto… Si ripetè questa massima un paio di volte, e si diresse verso la stanza della ragazza. "Hm? Dove vai?" Gli chiese Mark con tono inquisitore. "A  svegliare Revy". Rock sparì dietro la porta, chiudendola piano alle sue spalle.
 
Revy era stesa sul letto in mutande, i capelli sparsi sul cuscino. Guardandosi intorno, il ragazzo si chiese dove diavolo avesse potuto dormire quell'uomo in tutto quel casino, ma non si volle rispondere. Si sedette sul letto accanto a lei e le appoggiò una mano sulla spalla delicatamente. "Ehi, sveglia…"
Ogni mattina era la stessa storia, se non la buttavi giù dal letto non aveva la minima intenzione di alzarsi; ma Rock aveva sempre tentato metodi un po' più ortodossi per strapparla dal sonno. "Dai, non farmelo ripetere mille volte, alzati!" La scrollò leggermente, voltandola a pancia all'aria. La luce della finestra le accarezzò gli occhi, e lei li strinse involontariamente. "Mhhh…" Si portò una mano alla testa, cominciando pian piano a prendere conoscenza. "Uh, che mal di testa…" Cercò a tentoni la spalla di Rock e vi fece perno per alzarsi; subito dopo la mano vagò verso il comodino, alla ricerca del pacchetto di sigarette che il ragazzo le porse prontamente. "Buongiorno. Dormito bene?" sorrise. "Una merda!" Sbraitò lei di rimando, la sigaretta già stretta fra i denti. "Non ricordo nemmeno come ci sono arrivata a letto…" "Ti ci ha portato Mark" completò lui. "Mark? E dove ha dormito…?" "Ah, se non lo sai tu" ribattè Rock, secco. Revy spostò gli occhi assonnati lungo il perimetro della stanza, per poi posarli di nuovo sull'amico. "Mh. Cazzo hai, sei più nero di Dutch stamattina". Il giapponese sospirò rassegnato. "Non sei la prima che me lo dice, sai? Sarà il clima". La ragazza roteò gli occhi, cercandogli in tasca un accendino e rubandoglielo. "Ma c'è il sole, cretino. Dai, almeno tu e Mark vi divertirete stasera, a vedere tutte quelle troie…" Si accese finalmente la sigaretta e buttò le gambe giù dal letto. "A me toccherà il White Flag con i ragazzi. Al massimo chiedo a Eda se viene a fare un salto… Porca puttana, che mal di testa!"
 
 
La sera non tardò ad arrivare, benché il pomeriggio fosse trascorso in un'assonnata pigrizia. A Revy il mal di testa non era ancora passato del tutto, Benny aveva finito ogni possibile aggiornamento esistente sulla faccia del pianeta, Dutch era andato a farsi un giro e Rock si era messo a leggere un vecchissimo libro trovato per sbaglio lì nell'appartamento. Solo Mark sembrava essersi divertito, navigando per ore sul portatile di Benny. 
I due avevano intenzione di presentarsi presto al night; Rock perché prima finiva meglio era, mentre per Mark era solo una perdita di tempo arrivare tardi. Verso le otto erano pronti, e Revy li squadrò prima che uscissero.
Rock era elegante nel suo completo comprato chissà dove; Mark, solo un po' meno sciatto del solito. Almeno si era cambiato quell'orrida maglietta, pensò.
Si alzò dal divano, gettando alle spalle la lattina vuota di birra, e raggiunse il giapponese. Lo guardò con sufficienza e gli spettinò i capelli impomatati. "Non vai a una riunione di lavoro, cazzo! Se rimani così tirato ti tirano per il culo…" "Ah, lasciami stare!" Si lamentò lui, cercando di riassestassi i capelli, ma ormai il solito ciuffo gli era ricaduto davanti agli occhi. La ragazza alzò un angolo della bocca in un mezzo sorriso, e gli mollò uno schiaffetto sulla guancia, girandosi e dandogli le spalle. "Divertitevi." Mark guardò il compagno. "Ha ragione, sembri un coglione". Rock inspirò profondamente e mandò a puttane le sue buone maniere; si girò verso di lui, guardandolo torvo, e stava per rispondergli per le rime, ma Dutch lo interruppe. "Mark, tu invece SEI un coglione. Vedete di non litigare e non mandare tutto a fare in culo. Chiaro?" "Chiaro, boss" sorrise Mark, alzando un pollice e ammiccando a Rock. "Andiamo a lavorare e ci divertiamo, right?"
"Right…" Sospirò l'altro, gettando un'occhiata interrogativa ad una Revy stranamente giù di corda e a un Benny chiaramente invidioso. "A domani, ragazzi…"
 
 
 
 ---
 
Salve a tutti i lettori... Spero vi stiate divertendo a leggere, well... Scusate il ritardo di aggiornamento! 
Il sesto devo ancora copiarlo, quindi tarderò... Poco, giuro! Buon Natale e buone feste!
 
Harry

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Capitolo 6
*** Living after midnight ***


Capitolo 6.

Living after midnight

 

 

 

Rock camminava a fianco di Mark in quella fresca serata estiva, immerso nella loro reciproca indifferenza. Si stava lentamente abituando al silenzio che calava fra i due non appena rimanevano soli: dopotutto, era decisamente meglio ignorarsi che litigare. 

"Ehi, dì un po'…" …Come non detto.

Il giapponese si accese una sigaretta, già in bocca da diversi minuti, e gli porse il pacchetto. "Sì?"

"Si può sapere che diavolo vuoi da Revy?" Gli chiese Mark, allungandosi verso le Lucky Strike. Rock, sentendo quella domanda, ritirò di scatto la mano prima che riuscisse a raggiungerle. "…Scusa?!"

Il biondo alzò lo sguardo, stizzito. "Ehi, non mi stavi offrendo…" "Rispondi!" Rock alzò la voce, esasperato per essere sempre ignorato. L'altro sbuffò.

"Ti ho solo chiesto che vuoi da lei. Lasciala in pace, è un consiglio. È una tipa un po'…" "Abbiamo già avuto modo di discuterne, io e lei. Grazie per l'interessamento, ma siamo già a posto" tagliò corto stizzito. "Non mi sembri proprio il tipo che dà consigli a destra e a manca, no? Non c'è bisogno di preoccuparsene". L'inglese si fermò, poggiando una mano sulla spalla di Rock e facendolo voltare verso di sé. "Temo che tu non abbia capito un cazzo. Proverò a spiegartelo meglio…" Si stampò un finto sorriso in faccia, allargando le braccia "Ciò che intendo è che devi lasciar stare Revy. Da quando sono arrivato e lei mi sta attaccata, a momenti mi ringhi dietro. Si vede lontano un miglio". 

Rock roteò gli occhi. "Guarda che sei tu che sei insopportabile, non tirare in mezzo gente che non c'entra" Gli scappò. Conseguentemente, un pugno gli arrivò ben assestato dritto sul naso, facendolo barcollare. Si voltò, lo sguardo furente verso Mark, che lo stava fissando duramente. "Non cambiare discorso. Se ti dico di lasciarla in pace, tu la devi lasciare in pace! Chiaro?"

"Penso…" Il giapponese si portò una mano al naso sanguinante. "Penso che se avesse voluto allontanarmi l'avrebbe fatto da sola". Lanciò un'occhiata beffarda al biondo che pian piano stava infuriandosi sempre di più, e si scrocchiò le nocche.

 


 

Eda era quasi irriconoscibile, una volta privatasi dell'uniforme religiosa. I lunghi capelli biondi finalmente liberi, la minigonna inguinale e il top fin troppo succinto non erano ciò che dei religiosi erano solitamente abituati a sfoggiare, e non era affatto semplice riconoscerla. Masticando nervosamente la gomma,entrò con passo concitato nello Yellow Flag, convinta di trovare il suo obiettivo; inquadratolo, vi si sedette accanto, attaccando subito bottone.

"Hey, Revy!" Esclamò, sdraiandosi sul bancone di fianco all'amica, che reagì freddina. Non facendosi scoraggiare, assunse un tono più confidenziale e si avvicinò al suo orecchio.

"Non sai cosa ho scoperto…!" La rossa non si mosse di un millimetro, continuando a sorseggiare il rhum. "Fammi indovinare" la interruppe con tono lamentoso "sei andata da Jolanda e hai cercato di scoprire cosa servisse alla sorellona, giusto…?"

La bionda sbuffò, irritata. "Non interrompermi e stammi a sentire, cretina!" Si levò gli occhiali da sole, tentando di dare un tono più serio alla conversazione. "C'è qualcosa che Balalaika non sa, ossia che quell'associazione appena arrivata vuole spodestare l'Hotel Moscow a tutti i costi. Hanno membri da ogni parte del mondo, ma nessun russo". 

Revy alzò un sopracciglio, rigirando fra le mano il bicchiere. "Beh, se ti consola, ora Rock e Mark stanno andando nel loro locale, quel night, e magari scopriranno qualcosa. Chi lo sa". Un pensiero sembrò sfiorarla, facendola girare di scatto verso Eda. "Ehy, vacca, ascolta, devo chiederti un consiglio. Ultimamente, mi… Oh, cazzo fai?!" la pistolera si voltò verso un uomo che l'aveva appena urtata, facendole rovesciare il bicchiere. "Brutto stronzo" cominciò, accarezzando la cutlass "quando sto bevendo…" Si bloccò, girandosi lentamente, quando si accorse dei due motivi per cui l'uomo stava scappando tanto precipitosamente. Si sentì uno sparo, e il malcapitato si accasciò a terra.

Gran parte dei clienti del bar scattò in piedi e corse verso l'uscita, ma non le due ragazze, che, nonostante le urla incazzate di Bao, erano rimaste perfettamente immobili.

"Revyyy! Porca puttana!" urlava il barista, esasperato. "Ma è mai possibile che ogni volta che ci sei tu…" "Ssht. Io non c'entro, cazzo. Stai zitto" bisbigliò lei, gli occhi fissi sulla vittima. "Merda, sono sicura di averlo già visto da qualche parte…" "M-mh" mugugnò Eda, senza distogliere lo sguardo dalla bottiglia di fronte a sé. 

I due uomini che avevano sparato si avvicinarono lentamente al cadavere. "Questo è per aver approfittato della gentilezza della signorina. Spero che ti sia pentito!" Sogghignò uno dei due. La sua attenzione fu però subito catturata dalle due donne sedute al bancone che lo stavano fissando. "E voi? Cazzo avete da guardare?!"

La bionda lanciò un'occhiata a Revy, persuadendola a stare zitta, e prese la parola calcando l' accento statunitense. "Niente, dolcezza" sorrise "è che sei così carino. Sei americano…?" L'uomo la guardò sospettoso, distratto soprattutto dall'abbigliamento. "Sì, dell' Iowa. E allora…?" l'altro, dai lineamenti chiaramente europei, lo stava fissando confuso. Le due donne si lanciarono un'occhiata. "Ehy, Eda. Mi è venuto in mente dove abbiamo visto quel poveretto che mi ha urtato" sussurrò Revy, sfilando lentamente le cutlass. L'amica annuì. "Vendicare la signorina..." tirò fuori la glock, puntandola ai due uomini. "…Che magari ha a che fare con la Trading Company, vero…?" L'americano scattò sulla difensiva, colto in fallo. Solo il compagno sembrava avere ancora in mano le redini della situazione. "…E allora? Anche se fosse…?" 

"Basta, hai rotto il cazzo". Con un gesto fulmineo, Revy alzò la pistola e gli sparò, gettandosi istintivamente di lato e dando inizio alla sparatoria. Il primo colpo prese l'europeo sul braccio, facendolo barcollare e urlare di dolore. Accortosi della situazione, l'americano, tentando di mirare prima una e poi l'altra ragazza, indietreggiò e facendo scudo al compagno tentò di raggiungere la macchina parcheggiata fuori. Eda scattò verso di loro, ma uno dei due le gettò addoso un tavolo con un calcio, facendola barcollare all'indietro. "Cazzo, ci stanno scappando, e non abbiamo la macchina!" gridò la rossa, scavalcando con un salto l'ostacolo e dirigendosi a rotta di collo fuori dal locale, appena in tempo per vederli partire in tutta fretta. Tentò di sparargli mirando agli pneumatici, mentre dietro di lei la suora aveva già inforcato l' Harley e la stava affiancando. Le fece cenno di saltare su, e partirono all'inseguimento.

 

 

Dutch sbadigliò, cambiando canale pigramente dal telecomando della vecchia televisione. "Oh, Benny, fanno l' Oprah Winfrey stasera. Benny…?" Si voltò verso di lui, scuotendo la testa sconsolato quando lo vide addormentato con la testa poggiata sulla tastiera del portatile. Si alzò svogliatamente e lo risvegliò appena, giusto per farlo arrivare in camera da letto, e diede una rapida occhiata fuori dalla finestra sulla strada totalmente deserta. "Ah" sbuffò "che palle. Che nottata piatta".

 

 

Revy si era alzata sui pedalini posteriori della moto, ancorandosi ad Eda con le ginocchia e sparando contro la vettura con entrambe le mani. Un'Harley era certo più stabile delle moto da corsa alle quali era abituata, ma anche molto più lenta; sarebbe stato difficile riuscire a tenere testa a quei due ancora per molto.Strinse i denti, piegandosi sulla compagna e circondandola con le gambe. Un'improvvisa curva la fece sbilanciare, e si aggrappò con un braccio alla sua spalla, facendole quasi perdere il controllo del mezzo.

 "Cazzo, Revy!" tentò di gridarle la bionda, ma non riuscì a farsi sentire, le parole coperte dal vorticare del vento. 

"…Ma porca puttana! Quella stronza sta continuando a sparare!" Urlò l'americano, sterzando pericolosamente in una traversa della via principale. "Che cazzo vorranno da noi?!" Il compagno, premendo la ferita al braccio con una mano, tentava di rannicchiarsi sotto il sedile per evitare i proiettili che ormai avevano infranto il lunotto posteriore. "M-magari sono dell'Hotel Moscow…" ansimò, pronto a buttarsi fuori dall'abitacolo se necessario. Uno scossone improvviso gli fece sbattere la testa contro il cruscotto, e si lasciò sfuggire una bestemmia. "Argh! Attento a come cazzo guidi…" Si voltò verso il guidatore, vedendolo impallidire. "…Penso che…"

 

"Fuck yeah!" Gridò Revy, alzando una pistola al cielo. Eda si voltò per batterle una pacca sulla coscia. "Li hai presi! Hanno bucato!" La donna rallentò, dando la possibilità all'amica di risistemarsi seduta. "Li prendiamo con un cazzo, ora! Non dureranno a lungo!"

L'automobile sterzava senza controllo, rimanendo comunque ad una velocità elevata.  "Dove cazzo vogliono arrivare…?" urlò la bionda. Revy si morse un labbro, pensosa. 

Erano stati molto abili a tenere la strada, ma ormai la fine era segnata: avrebbero dovuto fermarsi entro pochi metri.  Si guardò intorno: erano vicinissimi alla periferia, ancora pochi edifici e sarebbero spuntati i primi bordelli. La ragazza sgranò gli occhi. "Cazzo. Rock!!" urlò.



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Ciao a tutti! Scusate immensamente per l'increscioso ritardo, ma le ferie devono farsi sentire, altrimenti che ferie sono...?
Ringrazio infinitamente  nana21guns per la recensione... Seguite il suo esempio! ;)
Già, questo capitolo è un po' più lunghetto... E temo che ormai fra Mark e Rock le cose stiano andando un po' maluccio...
Finalmente succede qualcosa, eh...? Già, effettivamente era ora... Vedremo nel prossimo~

Buon rientro al lavoro/scuola a tutti!!

Harry

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Capitolo 7
*** Let's get ready to rumble! ***


Capitolo 7.

Let's get ready to rumble!





"Cazzo, cretino!" Mark alzò nuovamente il pugno sopra il giapponese, pronto a sferrargliene un altro. Rock era steso a terra con un occhio nero, e aveva sputato un grumo di sangue che gli aveva impregnato la camicia. "Non chiamarmi cretino!" sibilò, scagliandosi nuovamente contro l'inglese. Era riuscito a difendersi, dopotutto: anche il biondo presentava parecchi lividi, e non sarebbe stato facile determinare chi fosse messo meglio. Il moro alzò una gamba, mollandogli un calcio alla bocca dello stomaco e facendolo cadere all'indietro. Si alzò sui gomiti, tossendo e strizzando l'occhio colpito. Non perse nemmeno tempo a chiedersi perché si stessero picchiando; fosse stato solo per Revy, probabilmente dopo qualche pugno avrebbe cercato di calmarlo; ma evidentemente aveva solo una gran voglia di sfogare la tensione accumulata da giorni, e quest'opportunità di picchiare lo spocchioso e prepotente inglese era proprio capitata a pennello.

 

Improvvisamente un boato echeggiò dietro di loro, e Mark si alzò, il pugno a mezz'aria. "Che diavolo…?" Il giapponese voltò lo sguardo oltre le spalle dell'altro, lo sguardo concentrandosi. "Sembrava provenire da là dietro…" I due si guardarono, sgranando gli occhi. "Ma là non è dove dovevamo andare…?"

Mark gli lasciò il bavero, facendolo barcollare all'indietro e voltandosi con le mani nei capelli. "Cazzo… Cazzo!" Si mise a correre verso l'angolo della strada, seguito a ruota da Rock. "Porca puttana…" Mugugnò gemendo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. Il moro fece cautamente capolino dall'angolo, sporgendosi verso la fonte del rumore, e scorse da lontano un'auto che si stava dirigendo a tutta velocità verso il locale, seguita da quella che sembrava essere una moto. Da come sbandava, quella vettura aveva probabilmente qualche problema al motore. "Ma che diavolo…" la sua domanda venne interrotta da un doloroso pugno che si abbatté sulla sua spalla. Lanciò un'occhiata stizzita verso l'inglese, che si stava massaggiando le nocche furente. Aprì la bocca per protestare ma fu interrotto tempestivamente: "Dutch ci ucciderà!!" si stava lagnando il biondo, con tono lamentoso. "Se tu non avessi cominciato a…" 

'Ah, santo cielo' pensò Rock. Chiuse gli occhi, smettendo di ascoltarlo, e prese un profondo respiro, facendo appello a tutta la sopportazione che aveva pazientemente esercitato nei lunghi anni passati da colletto bianco. Con estrema calma poggiò una mano sulla spalla di Mark, tenendo gli occhi esasperati ben serrati. "Mi sembra proprio il caso" proruppe, interrompendo il suo sproloquio "di soprassedere, ora". Aprì gli occhi e si volse nuovamente verso l'auto: ora che si erano più avvicinati, riusciva a distinguere chiaramente due figure a cavallo della moto che la inseguiva. Aguzzò lo sguardo. "Mh…" 

L'altro allungò il collo, scrollandosi di dosso con stizza la mano di Rock. "Ma cazzo! È Revy!" strepitò, riconoscendo la pistolera. Si sbottonò teatralmente la giacca, lasciandola cadere a terra come un improvvisato paladino della giustizia, e corse verso di loro.

 

Il giapponese deglutì, allentandosi la cravatta e raccogliendogli la giacca. Gli lanciò un'occhiata seccata - che schifo, sotto ha sempre la stessa maglietta, ma si laverà mai quel punk…? - e si diresse velocemente verso la più vicina cabina telefonica.

 

 

Revy stava cambiando il caricatore della beretta ed aveva abbassato la guardia, quando il guidatore, approfittando della breve pausa, voltò lo sguardo verso il compagno ferito, mettendogli una mano sul braccio che si stava muovendo in direzione della pistola. Quest'ultimo lo fulminò con lo sguardo, smarrito.

"Rispondere al fuoco è una stronzata, ci rallenta e basta!" si giustificò, riportando con uno scatto entrambe le mani sul volante. "e poi hai un braccio a fanculo e…" sterzò, interrompendosi "…La mira a puttane… Risparmia i proiettili!" L'europeo a suo fianco lasciò perdere rassegnato, ammettendo la logica del suo discorso e afferrò la maniglia della portiera. "Ecco, bravo…" biascicò il primo, facendo del suo meglio per uscire dalla traiettoria della rossa "tieniti pronto, che ora scendiamo". 

Appena sbucati nella via del nightclub, frenarono di botto e scesero precipitosamente verso l'ormai vicina entrata del locale. 

 

Eda sgranò gli occhi, colta alla sprovvista, e fu costretta a frenare di botto. Sterzò violentemente, e Revy perse l'equilibrio per un attimo aggrappandosi alle spalle della bionda per non cadere. Aprì la bocca per sibilare un'imprecazione, ma la ricacciò indietro poco dopo quando li vide precipitarsi fuori dall'auto. Tirò una gomitata all'amica che stava frugando freneticamente nella fondina alla ricerca delle sue pistole, e scesa dalla moto si lanciò all'inseguimento.

La suora indugiò un momento, sentendo un rumore alle sue spalle. Appena prima di voltarsi, sentì un colpo secco alla nuca, e senza che riuscisse ad emettere qualsiasi suono la sua vista cominciò lentamente a rabbuiarsi, la figura sfocata dell'amica che oramai era già lontana.

 

"Eda, cazzo! Coprimi!" Gridò la rossa al vento, incurante di ciò che stava succedendo alle sue spalle. Continuando a correre, seguì i due uomini verso il bar, stupendosi che non stessero minimamente rispondendo al fuoco. Lanciò un'occhiata nervosa intorno, temendo di essere caduta in una trappola, ma non notando nessuno si limitò ad addossarsi al muro di un edificio vicino e apprendere di mira con più cura la porta principale del locale dove i due uomini erano diretti.

 

"Dov'è finita quella puttana??" L'uomo ferito si stava freneticamente stringendo la pistola al petto, correndo ed ansimando. La ferita non stava certo migliorando.

Maledisse gli anni di fumo che stavano certamente contribuendo a rallentarlo, invidiando il fisico atletico dell'altro, prima di vederlo sparire oltre la soglia spalancando i battenti della porta. Sentì un vociare concitato avvolgerlo ed inghiottirlo; tese un braccio come a chiedere aiuto, ma un colpo della pistola di Revy lo freddò, facendolo cadere bocconi a terra. 

La rossa lo raggiunse correndo, dandogli un calcio per accertarsi della sua morte e poggiando una mano sulla porta del locale. Alzò le pistole e la aprì con un calcio.

 

 

 

"Rispondi… Rispondi…" bisbigliava Rock, tamburellando impaziente le dita sulla cabina telefonica. Sembrò risollevarsi leggermente quando sentì la voce roca e seccata di Dutch sbraitare un "Chi cazzo è?!" di risposta.

"Oh, buonasera, Dutch!" tentò di indorare il giapponese, con tono forzatamente allegro. "…Eh, no, veramente non abbiamo…" deglutì, sentendolo sbuffare incazzato nero. Lo sapeva, il boss sospettava fin dall'inizio che mandare loro due insieme in missione sarebbe stato controproducente. "Come dire…" scrollò le spalle, come se l'interlocutore potesse vederlo. "Diciamo che è arrivata Revy sparando. No!" Si affrettò ad aggiungere "non ci hanno ancora visto. Cioè, lui sì, è entrato…" si sporse leggermente verso il locale "non lo vedo più, sarà dentro con lei". La sua voce assunse una sfumatura di stizza che non passò inosservata dall'altra parte del filo. "Ah, già! C'era pure Eda, ma non… Sì, Ok, cazzo te ne frega". Roteò gli occhi, sospirando fra sé e sé. "Sì, mi spiace se stavi dormendo, però… Eh… Certo, anche Benny…" Si rigirò fra le mani il colletto della giacca di Mark. "Ecco, mi chiedevo se potete… Sì, diciamo, venire qua in macchina…" si passò una mano fra i capelli, la cornetta incastrata fra l'orecchio e la spalla. Perché toccava sempre a lui la parte più antipatica? Strizzò gli occhi, precipitandosi ad afferrare il telefono e ad allontanarlo dall'orecchio. La voce incazzata di Dutch gli stava trapanando il cranio. Improvvisamente, un'ondata di odio lo pervase; staccò il cervello e smise di ascoltare le imprecazioni dell'uomo, stringendo convulsamente la giacca del biondo e gettandola in un cassonetto dell'immondizia poco distante.

 

 

 

Benny aprì lentamente la porta della sua camera con una flemma indescrivibile, strofinandosi gli occhi. "Ehi, Dutch…?" Si era infilato una camicia al contrario nel buio della stanza, e a quanto pareva non era riuscito a trovare gli occhiali. "Chi era? È successo qualcosa di… Dutch…?" tentò di aguzzare la scarsa vista, tanto da distinguere un'informe massa nera seduta su uno sgabello e china su se stessa. 

"Ehi, capo, tutto bene…" Si avvicinò, ma fu respinto in malo modo. "No, niente va bene!" Sbraitò il nero, alzandosi di scatto ed afferrando il gilet. "Prendi le chiavi dell'auto e muoviti, dobbiamo andare. Qui nessuno sa fare un cazzo da solo!"


---


Angolo autrice~

Sì, sì, è una vita che non aggiorno. Devo comunque ringraziare le due gentilissime ragazze che, nonostante tutto, mi hanno seguita comunque: siete state davvero gentili!
Ho avuto un periodo orribile, pieno di esami - universitari e non - che mi hanno letteralmente succhiato la vita... Spero di avere più tempo ora!
Non mi dilungo troppo in scuse, dato che sarebbero piuttosto inutili comunque... Sappiate che d'ora in poi gli aggiornamenti saranno sicuramente più frequenti!

Grazie a Queen of Dragons e  nana21guns ! Baci a tutti!

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Capitolo 8
*** Grenade ***


Capitolo 8.

Grenade




Simonette si stava decisamente annoiando quella sera. Non che ricevere i clienti fosse uno dei modi in cui preferiva trascorrere le sue serate; solo, era molto meglio che starsene sedute sul divanetto per tutta la notte senza fare niente. Almeno si portava a casa qualcosa. Stava disegnando distratta col dito cerchi sul bordo del bicchiere ormai vuoto, quando vide un amico del proprietario entrare precipitosamente dalla porta principale. Si rizzò seduta, pronta col migliore dei suoi sorrisi stampato sulla faccia: il capo era sempre stato molto chiaro, con i suoi soci loro ragazze dovevano avere un occhio di riguardo. Si attorcigliò languida una ciocca di capelli al dito, tentando di incrociare lo sguardo col suo, e ci rimase quasi male quando quello corse a tutta velocità verso la porta sul retro senza nemmeno degnarla di un'occhiata. 

Alzò un sopracciglio stizzita, e si rimirò attentamente al grande specchio appeso alla parete. Strano, non aveva niente che non andasse. 'Solo un po' più carina del solito' si disse, ammiccando alla sua immagine riflessa. Si stava lentamente perdendo nei suoi pensieri, quando uno sparo la riportò bruscamente alla realtà. Si voltò verso la porta, e vide entrare una bella ragazza con le gambe lunghe e lo sguardo incazzato. Si strinse nelle spalle. "Un cliente è sempre un cliente" pensò, alzandosi in piedi e impegnandosi in un sorriso migliore. Magari era pure più cordiale di quel cafone americano che l'aveva totalmente ignorata prima.

"Ehi, tes…" la sua frase d'approccio venne prontamente frenata da una cutlass puntata dritta sulla sua fronte. Revy, senza nemmeno guardarla, diede una rapida occhiata alla gente presente nel locale, preoccupandosi non poco quando non riuscì a trovare né Rock né Mark. "Dove cazzo è quel biondo che è appena entrato?" urlò.

Simonette alzò le braccia in alto in segno di resa, facendo tintinnare i braccialetti di pessimo gusto che le riempivano gli avambracci. Si sentì incredibilmente stupida nel suo completino in latex rosa confetto, e si pentì di non aver indossato un bel paio di scarpe da ginnastica per correre lontano da quel casino.

 

Qualcuno tremò leggermente, le ragazze urlarono stringendosi ai clienti ed alcuni si rifugiarono sotto il tavolo; la rossa alzò l'altra pistola verso i tavoli, puntandola a turno verso chi si muoveva. Sentì la porta dietro di lei aprirsi, e qualcuno gridare "Lui? Il biondo?" indicando alle sue spalle. Le bastò una frazione di secondo per voltarsi e puntare entrambe le cutlass contro il nuovo arrivato. La sua bocca si piegò in una smorfia, quando riconobbe l'amico. "Testa di cazzo!" Gli urlò contro. Era sul punto di scoppiare, e la poca (pochissima) pazienza che aveva si era totalmente esaurita. "Dove diavolo…" 

Mark la bloccò, irrigidendosi e indicandole con un cenno del capo qualcosa alle sue spalle. Revy si voltò di nuovo, ma l'inglese la prese per le spalle e la tirò a sé velocemente, appena prima che un proiettile riuscisse a conficcarsi nel suo braccio. La ragazza sgranò gli occhi, alzandoli verso di lui in una rapidissima occhiata di gratitudine, e voltò la testa verso il suo nuovo assalitore.

 

Simonette, che non era ancora riuscita a capacitarsi del fatto che la pistola dalla sua fronte fosse miracolosamente svanita, si sentì quasi mancare quando vide il suo capo e i suoi soci uscire dal retro del locale armati fino ai denti.

Lo prese come un licenziamento, girò i tacchi e cominciò a correre; non era mai stata così felice in vita sua di restare disoccupata dopo nemmeno due settimane di lavoro.

 

 

 

Rock riagganciò la cornetta del telefono pubblico, sospirando sconsolato: Dutch gli aveva appena riversato addosso tutta la tensione accumulata dal ritorno dal Vietnam fino a quel momento, e l'unica piccola soddisfazione che riusciva a provare era quella derivante dall'aver gettato con un filo di perfidia la giacca di Mark nella spazzatura. Guardò trionfante la prova della sua piccola vendetta, sentendosi gratificato e molto, molto trasgressivo, prima di tornare a preoccuparsi del loro piccolo problema. Tentò di fare mente locale quando sentì uno sparo provenire dall'interno del locale, e si bloccò, sperando con tutto il cuore che provenisse dalla berretta di Revy… O dalla pistola di quel cretino. Corrugò la fronte, sentendosi completamente inutile; almeno quell'inglese era entrato ad aiutare le due ragazze… Il suo sguardo si perse momentaneamente nel vuoto, e sbattè più volte le palpebre, mordicchiandosi un labbro. C'era qualcosa che non gli tornava, in quella faccenda c'erano troppi punti sconclusionati. Si riscosse leggermente quando il suo sguardo sfiorò la figura di una ragazza stesa a terra vicina alla moto con la quale erano arrivate le due, ed ebbe un tuffo al cuore. Temendo il peggio, corse verso di lei, incurante del possibile rischio di finire in mezzo a una sparatoria; si vergognò quando però si sentì sollevato nel constatare che non era la rossa quella che giaceva sull'asfalto. Si inginocchiò a fianco di Eda, sollevandole il mento una volta accertatosi che non ci fossero ferite, e le tastò le vene: il battito cardiaco c'era ancora. Tentò di risollevarla per metterla seduta, lanciando occhiate impazienti verso la strada e preoccupate verso la porta del night club, indeciso sul da farsi.

 

 

 

Benny afferrò di fretta le chiavi sul tavolo della cucina, la camicia ancora mezza sbottonata e la lattina di coca-cola stretta nell'altra mano, nel disperato tentativo di risvegliarsi con quella poca caffeina. Inciampò nelle infradito, mantenne miracolosamente l'equilibrio e corse giù per la tromba delle scale, tentando invano di ricordarsi dove diavolo aveva parcheggiato l'auto la sera prima. Dutch, ancora in camera, si stava infilando la pistola nella fondina, quando un pensiero gli passò fugace per la testa. Si chinò per aprire un cassetto del suo armadio, frugò qualche secondo nel disordine di cianfrusaglie ed afferrò un pacchetto verde e raggiunse in fretta l'amico in macchina, che lo stava aspettando col motore acceso. "Dovevi prendere qualcosa…?" Il capo annuì, pensoso. "Già. Spero di sbagliarmi, ma ho uno strano presentimento". Si rigirò l'involucro fra le mani, sotto lo sguardo curioso dell'altro. "Se dio vuole… Anzi, se Revy vuole, non saremo costretti ad usarlo".

 

 

 

La fuga di Simonette, che in una serata qualsiasi le sarebbe costata il posto di lavoro e una bella punizione, passò del tutto inosservata agli occhi degli astanti e dello stesso proprietario del locale: ora l'attenzione di tutti era divisa fra il gruppo di uomini terribilmente incazzati e la donna seguita dal biondo accompagnatore. Quest'ultimo sembrava essere il più tranquillo; la rossa davanti a lui, al contrario, era sull'orlo di una crisi di nervi. 

Revy, le cutlass puntate agli assalitori, stava respirando freneticamente a denti stretti. Una vena le pulsava sulla tempia, ed era palpabile quanto sforzo stesse facendo per trattenersi dall'ammazzare Mark. Il biondo, d'altro canto, teneva la pistola dritta davanti a sé, quasi sollevato. "Grazie a dio sei viva…" sussurrò a fior di labbra, senza staccare gli occhi di dosso dai mafiosi. La ragazza strinse ancora più forte i pugni, digrignando i denti e facendo del suo meglio per rimanere concentrata. Erano in una situazione di stallo… No, erano in netto svantaggio. Stava attentamente studiando la situazione, quando quello che le sembrava il capo si fece avanti sorridendo. "Finalmente!" aprì le braccia "vi stavamo aspettando".

 

L'inglese sgranò gli occhi, stupito -come del resto tutta la scorta del capo- dall'improvviso ribaltamento dei ruoli: ora era Revy che teneva la situazione sotto controllo, entrambe le pistole puntate contro l'uomo che avanzava lentamente. Le poggiò una mano sulla spalla, tentando di farla indietreggiare, ma innescò suo malgrado una reazione a catena che si esaurì in pochi secondi.

Fu un attimo: la rossa, tesa come una corda di violino, alla leggera pressione sulla sua spalla scaricò la tensione svuotando mezzo caricatore addosso al francese che avanzava. Con un gesto fulmineo freddò due dei suoi uomini che stavano per rispondere al fuoco, colti di sorpresa; stava per venire presa di mira dal resto dei mafiosi, ma Mark fu più veloce. Le passò una mano attorno alla vita, alzò la pistola e si fiondò fuori dal locale. Una volta varcata la soglia, tappò la bocca alla ragazza, trascinandosela dietro e cominciando a correre.



 

La biondina in latex rosa stava piagnucolando istericamente, frugando nervosamente nella pochette alla ricerca delle chiavi della sua auto. "Maledizione…" imprecò, quando le si staccò una delle unghie finte. La gettò via con un gesto di stizza verso il muro del locale; che andassero a fare in culo il capo, la sua spocchiosa figlia e la sua maledetta idea di fare la ballerina da night club! Perché diavolo non aveva finito l'università? Perché diavolo…

Il rumore di una scarica di pallottole la risvegliò dai suoi dubbi esistenziali. Lanciò un gridolino spaventato, e la borsa le cadde dalle mani, finendo sotto l'automobile. Si gettò a quattro zampe senza più alcun ritegno, tentando di riprendersela.


 

 

La guida solitamente impeccabile di Benny fu leggermente distratta dalla visione di una ragazza - o almeno così sembrava - in abiti succinti, carponi per terra con la testa infilata sotto una piccola utilitaria blu. Dutch rifocalizzò la sua attenzione sulla strada con una gomitata ben assestata. "Uh, tempismo impeccabile" bofonchiò, vedendo uscire proprio in quel momento la coppia dal locale. Fece cenno a Benny di fermarsi, aprì la portiera e si sbracciò nella loro direzione. Mark lo notò per primo, stendendo le labbra in un sorriso colmo di speranza e spingendo l'amica a forza verso l'auto. Revy dal canto suo, tentava in tutti i modi di divincolarsi e di tornare dentro il locale. Sembrò cambiare idea solo quando vide la porta riaprirsi, e si lasciò docilmente condurre in auto rendendosi conto di quanto diavolo erano armati quei pazzi. Alzò lo sguardo rabbuiato verso Dutch, stupendosi leggermente quando lo vide sogghignare. 

Il nero aprì il pacchetto che teneva in mano. La luce del lampione si rifletté sinistramente sui suoi occhiali, e non appena la ragazza riuscì a vedere cosa stava effettivamente maneggiando si voltò verso il biondo, urlandogli in faccia un "TAPPATI LE…" 

Benny deglutì, ripartendo a tutto gas.

Revy si premette le mani sulle orecchie, seguita a ruota da un confuso Mark.

Dutch sospirò abbassando il finestrino, e lanciò qualcosa in mezzo ai confusi assalitori.



 

Un boato riecheggiò fra le precedentemente tranquille strade di Roanapur. Bao si svegliò di soprassalto; il tempo di realizzare che quel giorno aveva chiuso il locale in anticipo, e tornò beatamente a dormire. 


~

Angolo autrice

Se mi ci metto alla fine aggiorno, eh...? Beh, niente di che, altro capitolo in cui si rimanda al capitolo dopo... Veramente, questo e il successivo volevo unirli, ma alla fine sarebbero usciti troppo lunghi e pesantini, quindi ho deciso di spezzarli... Il prossimo arriverà veramente a breve, promesso, e sarà meno pieno d'azione e probabilmente con più... Vedremo.

Ringrazio nuovamente le mie carissime nana21guns e Queen of Dragons...
Troppo gentili, decisamente! E troppo fedeli~ Verrete ripagate, spero che il prossimo capitolo esca veramente come voglio io...! Buona lettura!

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Capitolo 9
*** What's going on? ***


Capitolo 9.

What's going on

 

 

"Ronald!"

Simonette si alzò di scatto trionfante, con le chiavi dell'auto finalmente strette nel pugno e lo sguardo colmo di speranza puntato verso l'uomo che si stava avvicinando in fretta a lei. Finalmente un volto noto! Era uno dei clienti abituali, un socio del proprietario; che fortuna, proprio quello con cui aveva passato più tempo da quando era stata assunta. Cercò di darsi un contegno, visto il suo stato pietoso - le ginocchia sbucciate, le scarpe sporche e un bernoccolo in testa, frutto dello spavento per il boato che le aveva fatto tirare una testata contro l'auto. Ora non c'era bisogno di sguardi ammiccanti o sorrisetti maliziosi… Almeno, questo era ciò che sperava. Aprì le braccia, tentando di trattenere le lacrime, pronta a farsi salvare.

Ronald O'Brien era irlandese di nascita, palesemente fiero della sua nazionalità ed estremamente patriottico. I suoi capelli rossi e le sue lentiggini già ostentavano la sua provenienza, ma lui, volendo strafare, esagerava quasi fastidiosamente il suo dannato accento. Era insopportabile, borioso ed evitato con cura da quasi tutte le ragazze del night club, tranne che da quella simpatica e stupida biondina… com'è che si chiamava? Ronette? Alette? …Bah, lui si era sempre rivolto a lei appellandola per i suoi attributi fisici migliori. Ed ora, nel momento peggiore della sua carriera da quando era entrato a far parte come socio fisso nella Trading Company, proprio ora che era costretto ad attuare il piano d'emergenza, ecco che quell'oca si materializzava davanti a lui rendendogli tutto più difficile. Se si contava pure il fatto che era stato costretto a lasciare a metà la sua birra, era facilmente comprensibile quale fosse il suo umore attuale ed era del tutto giustificabile - almeno, a parer suo - la sua reazione. Raggiunse la donna a grandi passi, furibondo, le strappò le chiavi dell'auto di mano e la spinse via artigliandole una spalla.

"Levati, cretina! Vuoi farmi licenziare…?" sbottò, indicando alle sue spalle. Dietro di lui, l'americano che aveva avuto l'incontro ravvicinato con Two Hands e ne era uscito miracolosamente vivo stava scortando, insieme ad un nigeriano, una signorina molto elegante che stava scoppiando in lacrime.

Simonette, incredula e sconcertata di fronte al repentino cambio di situazione, riuscì solo a stupirsi della compostezza della giovane donna, che sebbene avesse il volto segnato dalla disperazione, non aveva un millimetro di trucco fuori posto.

No, si disse. Sono lontana anni luce da lei. 

E assistette impotente alla sua completa disfatta, come ballerina e come donna, mentre i quattro salivano in fretta sull'auto e ripartivano a tutto gas, lasciandola là da sola.

 

 

 

Revy non sapeva proprio con che epiteto insultare pesantemente tutti quelli che le stavano intorno.

Mark, per non aver fatto proprio un cazzo né per migliorare né per peggiorare la situazione; Dutch, per aver lanciato quella cazzo di granata in mezzo ad un locale ed aver fatto svegliare mezza Thailandia; Rock, per essere letteralmente scomparso insieme a quella troia di Eda - a proposito, Eda…?  e Benny… Già, Benny che aveva fatto di male? Ci pensò su qualche secondo, e non trovando una scusa adeguata decise di partire proprio da lui, per poi dedicarsi a ruota a tutti gli atri.

"Benny-boy, che cazzo fai?!" gridò improvvisamente, artigliando i sedili anteriori e sbraitando addosso al povero guidatore. L'americano si strinse nelle spalle abbassando la testa in segno di scuse, sebbene non fosse sicuro del perché lo stava sgridando. La rossa non lo degnò di uno sguardo, e si rivolse a Dutch. "Ehi, anche tu! Si può sapere che cazzo ti è saltato in mente?! Buttare via una di quelle per dei cretini del genere, non ne valeva proprio la…" 

Il nero sorrise sereno, alzando una mano per zittirla. La granata l'aveva tranquillizzato e aveva certo contribuito a distendergli i nervi. "Ah, calmati, two-hands" la interruppe "di sicuro ci starebbero inseguendo a tutta velocità, se non li avessi eliminati in massa".

La rossa si gettò sul sedile posteriore, indispettita per essere stata messa a tacere, ed incrociò le braccia mettendo il broncio. "Guarda che c'erano modi più eleganti per farli fuori…" Il capo ridacchiò. "Sì, ma probabilmente non ti avrebbero parato il culo, non trovi…?" Revy sgranò gli occhi. "Ehi, guarda che io me la sarei cavata benissimo da sola se…" si voltò verso Mark: ora toccava a lui la sua dose di insulti. "E tu!!" gli premette un dito sul petto "tu, brutto stronzo! Si può sapere dove cazzo eri?! Io sono arrivata ore dopo che voi siete partiti, ed eravate ancora FUORI DAL LOCALE!" si voltò verso Dutch, scrollandogli una spalla. "Dutch! Non erano ANCORA ENTRATI! Te ne rendi conto?! Questi buoni a…" 

Benny sbuffò. Già gli era toccato svegliarsi prima del previsto; poi, la sera prima stava finendo una missione a un gioco online e si era addormentato sul più bello; in più, gli toccava pure sentirsi le lamentele di quegli scapestrati che non avevano niente di meglio da fare che insultarsi tutto il giorno e lanciare bombe a destra e a manca… Tentò di porre fine almeno a quell'ultima uscita della ragazza. "Lo sappiamo, lo sappiamo… Ci ha chiamato Rock, è per quello che siamo qui. Non ti agitare!" sdrammatizzò, abbozzando un sorriso verso lo specchietto retrovisore.

Revy lo ignorò deliberatamente. "Ah, almeno qualcosa Rock ha fatto" sibilò, sottolineando quel nome con perfidia rivolgendo uno sguardo d'odio al biondo accanto a lei. Non ottenendo risposta alla provocazione, strinse i pugni, sfogandosi sul sedile del guidatore. "Aah! Che nottata di merda!" urlò, rispecchiando perfettamente il pensiero degli altri tre.

 

 

 

Rock si era sempre chiesto come diavolo facessero i dottori nei film a rianimare così facilmente le persone svenute. Gli bastava farsi largo fra la folla, urlare un "lasciatemi passare, sono un medico", inginocchiarsi accanto alla vittima e darle un paio di schiaffettini con aria professionale… Ed ecco che subito, come per magia, tutti stavano meglio. Pure gli astanti.

E dire che lui erano ormai un paio di minuti che riempiva Eda di sberle, ma di farla riprendere non se ne parlava proprio. Che strano.

Tentò di concentrarsi sull'ultima serie di ER che avevano dato alla TV quando ancora… Beh, quando ancora guardava la TV. Molto tempo prima. Nell'appartamento lì a Roanapur avevano un televisore, ma prendeva giusto due canali locali. Ripassò mentalmente i nomi dei vari inservienti dimenticabilissimi, soppiantati all'epoca da un giovanissimo George Clooney che stava iniziando a darsi da fare nella strada del cinema. 

Rialzò lo sguardo, sbuffando. Anche impegnandosi, non riusciva proprio a impegnare la sua mente più di tanto. Era leggermente distratta...

Si drizzò in piedi con un mugugno, e lanciò un'occhiata all'Harley della bionda. Era davvero così difficile da guidare…?

Deglutì, accarezzando il manubrio. Le chiavi erano ancora nel quadro, tentatrici.

Fece spallucce. Dopotutto, non sarebbe stato costretto a fare queste cazzate, se la gente non l'avesse dimenticato in giro. 

 

 

 

Il fracasso che scaturì dagli scarichi di un'Harley poco lontana catturò l'attenzione di Simonette, che si voltò velocemente verso la fonte del rumore. L'uomo che stava spegnendo immediatamente la  moto non appena aveva sentito un accenno di gas le sembrava un tipo perbene; non che, dopo l'esperienza con Ronald, si considerasse una grande sociologa, ma quell'uomo era troppo… Non riusciva a trovare la parola adatta per descriverlo. Per la seconda volta in una serata si maledisse per non aver continuato gli studi, e si avvicinò cautamente a lui. 

Rock intanto, dopo la breve disavventura con la moto, si era seduto per terra, abbattuto, la fronte appoggiata ai palmi delle mani. Come diavolo la portava via quella maledetta suora? E dov'erano, gli altri? E Revy…?

Si sedette per terra e si convinse che l'ultima cosa rimastagli da fare era abbandonarsi alla disperazione.

Simonette strinse i denti, e i pugni, facendosi coraggio. Su, quel povero sfigato non poteva sicuramente rappresentare una minaccia… Probabilmente neanche un aiuto, ma tanto le bastava. Ecco, quella ragazza stesa vicino a lui non era un granché rassicurante, ma sembrava svenuta… Tanto meglio. Le ritornò alla mente quello che le aveva detto sua madre l'ultima volta che l'aveva vista.

'Io non la voglio una puttana in casa! FUORI!' le aveva urlato, lanciandole dietro i pochi vestiti che era riuscita a comprarsi. 'Ecco' si ripeté 'devo dimostrare a mia mamma che non si era sbagliata, che le mie doti le so ancora sfruttare!' Avanzò a passo deciso verso il ragazzo, constatando che, effettivamente, non era niente male…

 

Il giapponese alzò lo sguardo, studiando attentamente la figura che si stava avvicinando. 'Una ballerina, senza dubbio… E piuttosto bisognosa di una mano'. Lo sguardo si soffermò sui vestiti sporchi e sulle guance rigate dalle lacrime e dal trucco sbavato. Abbozzò un timido sorriso di benvenuto. "Signorina, ha bisogno di…?"

La bionda annuì vigorosamente, aumentando il passo. No, non si era sbagliata; quel tipo doveva proprio essere un filantropo, se in una situazione come quella le offriva una mano spontaneamente. 'Bingo!' si disse, schiudendo le labbra nel modo più sensuale che le riusciva, e singhiozzò un "lei è molto gentile!" prima di chinarsi verso di lui mostrandogli gran parte del suo corpo scoperto.

Rock fece del suo meglio per non far cadere l'occhio e si concentrò sulle iridi turchine della sua interlocutrice. "Mi dica, posso in qualche modo…?" con una mano indicò Eda e l'Harley, come a spiegare con un gesto la sua situazione non proprio ottimale, ma Simonette lo ignorò. "Ah!" gemette, sforzando ulteriori inutili lacrime. "Vede, alcuni colleghi del mio capo mi hanno appena rubato la macchina, e se ne sono andati via a tutto gas e…"

Il giapponese sgranò gli occhi, improvvisamente interessato. "…Colleghi… Del suo capo…?" la mente cominciò a lavorare sotto lo sguardo stupito dell'altra. "Hm, non è che ha un cellulare da prestarmi…?"

 

 

I russi non erano certo un popolo famoso per essere stretti di maniche, anzi: la loro prodigalità ed ospitalità erano quasi proverbiali. Tuttavia, quando Balalaika si ritrovò un addebito di chiamata in piena notte da un numero sconosciuto non fu precisamente la donna più felice del mondo. Si passò una mano sul viso, tentando di svegliarsi, ed afferrò il cellulare con stizza. "Chi cazzo sei? Spero per te che sia… Ah, sei tu, Japonski…" si rituffò sul materasso. In effetti, solo Dutch e pochi altri avevano il suo numero privato. Si tranquillizzò. "Vedi di non fare il cretino ed elimina il cellulare da cui stai chiamando. Non mi piace essere troppo disturbata". Volse lo sguardo al soffitto. "Ah, un'auto…? Oh, avete scoperto qualcosa, quindi. che bravi." Cercò a tentoni un sigaro sul comodino. "Una macchina da inseguire in direzione nord, mi stai dicendo? …Hai la targa?"

 

Rock coprì con una mano il ricevitore, sorridendo verso Simonette che si stava tormentando le mani nervosamente. "Ecco, questa mia amica troverà subito la sua auto! Com'è che è targata…?"

 

 

 

La porta dell'appartamento di Dutch si aprì fragorosamente, sbattendo contro il muro. Revy entrò per prima gettandosi sul divano della cucina.

"Roooock!" Chiamò a gran voce, con tono lamentoso. Probabilmente il giapponese era l'unica persona che avrebbe potuto, in quel momento, essere in grado di mettere un po' a posto le cose. Ecco perché sì infervorì il doppio quando non lo sentì rispondere. 

"Rooock!" ripeté, rizzandosi a sedere. "Dove cazzo sei…?" Spostò lo sguardo verso Mark, che la fissava divertito. "Cazzo hai da ghignare?" sbottò.

"Ah, niente, baby…" ridacchiò lui, di rimando. Si stiracchiò su una sedia lì vicina. "Mh, mi sa che è meglio se vado a…" il click del caricatore della Beretta lo fece pietrificare. Si voltò lentamente, per guardar negli occhi una Revy estremamente seria che gli stava puntando la pistola. "Tu non ti muovi, finché non mi dici dove cazzo è Rock".

Sotto lo sguardo stupito degli altri due, che stavano fissando preoccupati la pistolera, il biondo ridacchiò nervosamente. "Ehi, dai, che ti frega? C'è qualcosa fra voi che non ho colto, o mi…" 

La ragazza non si mosse di un millimetro, insensibile alla provocazione. Dutch alzò un sopracciglio. "Su, Revy, se ci ha chiamato sarà rimasto là al locale, no…?" 

La rossa sgranò gli occhi e scattò in piedi. "Eh?! Cosa?!" strappò di mano a Benny le chiavi dell'auto, precipitandosi verso l'uscita. L'inglese la raggiunse in un paio di falcate, bloccandola con una mano sulla spalla. 

"Dai, Revy, calmati, saprà pure torn…." 

Questa volta Revy per zittirlo optò per un pugno, assestandolo con precisione sulla mandibola. Lo afferrò per il bavero, digrignando i denti e sbraitandogli in faccia tutta la rabbia accumulata quella serata: dalla loro partenza per il night, all'incontro con Eda, all'inseguimento… "Coglione! Ma ti rendi conto di quello che state dicendo?!" passò in rassegna tutti gli astanti con sguardo furente. "Ma vi rendete conto?! Rock non è in grado di sopravvivere a una sparatoria da solo! Figuriamoci ad una granata!" ansimò, prendendo fiato e non mollando il colletto della maglia di Mark. "Poi, il tipo che stavo inseguendo è di sicuro riuscito a scappare!! Non l'ho più visto in giro!" Il capo la bloccò, improvvisamente interessato. "Che tipo stavi inseguendo, tu…?"


~~~

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! 
Scusate il solito ritardo, ma ero in vacanza... Una vacanza a sorpresa, e posso aggiornare solo ora. Mi spiace! Vi ringrazio comunque per la vostra fedeltà, e per continuare a leggermi :)
Volevo inoltre ringraziarvi sentitamente, mi fa molto piacere sapere che la mia storia viene letta e viene apprezzata. Mi siete veramente di grande aiuto, più di quanto crediate!
Beh, che dire. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento! Come al solito tendo ad allungare, mi spiace... Il prossimo andrà più avanti nella trama! In effetti, ora è entrata anche in scena Balalaika... Non si sta più con le mani in mano adesso! Vai con l'azione!

Ho notato che Mark sta sul ca**o a tutti... Ehm. XD Poverino!

Un grazie particolare alle solite adepte, Queen of Dragons e nana21guns , ma anche alla nuova Moonlight Night... Grazie, grazie, grazie! :)

Harry

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Capitolo 10
*** Who's that chick? ***


CAPITOLO 10.

 

Who's that chick…?

 

 

Dutch si massaggiò le tempie, sospirando, Non aveva effettivamente messo in cono che, se Revy era già lì al locale piuttosto che ad ubriacarsi da Bao, un motivo c'era. La guardò mentre si allontanava verso l'auto, furibonda,

"…Quindi c'era ancora qualcun altro in piedi" azzardò cautamente Benny, tastando il terreno. Mark, seduto sul divano, si stava sfregando nervosamente le mani. Fissò l'americano, storcendo la bocca e trasmettendogli tacitamente la propria preoccupazione.

Il capo mollò improvvisamente un pugno al tavolo, che fece trasalire gli atri due.

"Maledizione!" mugugnò arrabbiato. "e fossimo rimasti là, magari avremmo potuto stanarli! Perché non me l'hai detto?!" alzò lo sguardo coperto dagli occhiali da sole verso l'inglese. "P-perché non lo sapevo nemmeno io! Rey è corsa dentro, si p messa a aspirare e io l'ho portata fuori prima che la riducessero ad un colabrodo!" si giustificò lui, aprendo le braccia.

Benny si alzò strisciando rumorosamente la sedia sul pavimento e si stiracchiò. "Su, Dutch, non è colpa di nessuno. Dopotutto, se fossimo rimasti là come dici tu, la polizia ci avrebbe fatto il culo, non trovi?" Si voltò verso la camera da letto che lo chiamava desiderosa di accoglierlo. "Vedrai, Rock sistemerà tutto. E poi ci deve essere anche Eda da quelle parti…" "…Quella stupida oca che pensa solo ai soldi" borbottò il nero, poco convinto. "Mh. Forse hai ragione. Ne riparleremo domattina." Fece un cenno con la testa all'americano, lasciandolo andare verso l'agognato giaciglio, e si rivolse all'altro.

"E tu, va a lavarti. Sei un cesso." Lanciò un'occhiata disgustata al suo abbigliamento. "E cambiati, sei vestito così da quando sei arrivato. Sei peggio di un personaggio di un manga, cazzo!"

 

 

Revy odiava guidare.

Quando ancora viveva in America, aveva fatto talmente tanti incidenti da farle nutrire un profondo rigetto nei confronti delle automobili; semplicemente, non erano compatibili. Era molto più semplice, a suo parere, governare una moto col proprio peso inclinando il corpo, che affidare alle sole braccia la gestione di una tonnellata di veicolo. Purtroppo, nei momenti di necessità le toccava ancora guidare, e quella notte, malgrado la rabbia e l'ansia, era proprio costretta a farlo.

"Quel dannato colletto bianco… Tocca sempre a me salvarlo!" si disse a voce alta, girando le chiavi nel quadro e mettendosi in moto. Cercò di ricordarsi a grandi linee la strada; imboccò un senso unico, ma non se ne curò più di tanto. Una multa sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi - sì, se ci fossero stati poliziotti ligi al dovere a Roanapur.

Maledisse un marciapiede, quando ci finì contro con lo pneumatico - 'Ah, non si riescono proprio a prendere le misure con queste auto così grosse' - e pregò di non forare… Almeno fino alla meta. Poi, oh, poi avrebbe salvato quel giapponese in grande stile (come quella volta, a Basilan ***), si sarebbe beccata lodi e complimenti, gli avrebbe ficcato le chiavi in mano ed avrebbe atteso calma e placida che lui risolvesse tutti i casini che aveva creato quella sera.

Già, perché alla fine era tuta colpa sua! Sua, e di quell'altro coglione, che insieme proprio non riuscivano a stare. 'Chissà perché, mh' si chiese compiaciuta., sogghignando. Quanto adorava vederli scannarsi a vicenda! Soprattutto se il motivo della lite era lei. Prima che arrivasse Mark, era costretta a dare il meglio di sé per essere al centro dell'attenzione. Ora sembrava quasi che tutto le fosse dovuto.

Sterzò bruscamente, il volante appiccicato ai suoi guanti di pelle, e si ritrovò nella strada dl night… O almeno, di quello che ne restava. L'aspetto era molto diverso da quando era arrivata lì in moto poche ore prima; ora in mezzo ai due palazzi c'era una pattuglia di polizia che stava cintando il locale. Evidentemente, le ambulanze - 'o i carri funebri', si corresse - dovevano essere già passati. Parcheggiò piuttosto lontano per non dare nell'occhio e scese dall'auto, accendendosi una sigaretta. 

Se c'era una cosa che aveva imparato, era che per non finire nei casini e per non finire al centro dell'attenzione il metodo migliore era quello di comportarsi come se nulla fosse, totalmente tranquilla. Non che seguisse questa regola di vita molto spesso, anzi… Ma oggi aveva da fare. Nella più totale indifferenza oltrepassò la polizia indaffarata, e sbuffando una nuvoletta di fumo cominciò a guardarsi intorno, tentando di scovare il suo compagno.

 

"Revy… Ma che sorpresa". Un brivido gelato le corse giù per la schiena, sentendosi chiamare da quel tono purtroppo familiare.Si voltò per trovarsi faccia a faccia col capo della polizia. "Oh, Watsap, ma guarda te…!" sfoggiò uno dei suoi migliori ghigni, e allungò il pacchetto di sigarette. L'agente ne prese una senza farselo ripetere due volte. "Ma che strano trovarti qui… Dì un po', non è che per caso c'entri qualcosa con…?" biascicò, la Pall-Mall stretta fra le labbra, tendendo la mano nella tacita pretesa di un accendino. La rossa glielo porse subito, sbattendo le palpebre con aria innocente. "Chi, io…?" Alzò un sopracciglio. "Ma ti pare? Ti sembro la tip a da night club? Piuttosto" si affrettò ad aggiungere" Hai presente il tipo con cui giro di solito, il giapponese… Non l'hai visto qui intorno? Mi ha chiamata per farsi venire a prendere". 

Watsap sorrise, restituendole l'accendino. "Oh, se sei qui per lui allora ok. Si, l'ho visto… È uscito dal locale poco prima che lanciassero la granata, ha detto. Era qua con una ballerina, eheheh" ridacchio, ammiccando.

Revy impallidì.

"Con una…?" 

"una ballerina, una prostituta, dai!" rise lui di rimando, battendo una mano sulla spalla della rossa.

Lei irrigidì la mascella, stringendo le labbra. Ah, ecco perché allora era corso solo Mark dietro di lei, quando era entrata nel locale… Evidentemente, Rock aveva di meglio da fare.

"Dove sono?"


 

Una risata cristallina da ragazza raggiunse le orecchie di Revy qualche secondo prima che girasse l'angolo e si trovasse di fronte alla temuta scena: Rock in piedi di fronte ad una ragazza in abiti particolarmente provocanti, intento ad intrattenerla con chissà quali discorsi e battutine. Divertenti, fra l'altro, a sentire come ridacchiava quella zoccola.

"Beh, eccoli qui!" le parole dell'agente non giunsero nemmeno a destinazione: la rossa strinse le palpebre ed avanzò a grandi passi verso i due.

 

Rock alzò lo sguardo, l'attenzione catturata dall'amica che stava correndo nella sua direzione. La felicità che finalmente qualcuno si fosse ricordato di lui venne presto soppiantata da uno strano senso di colpa. Deglutì, lanciando un'occhiata alla sua interlocutrice, e si sentì improvvisamente a disagio. 

"Che c'è?" cinguettò lei, accortasi del suo smarrimento. "Sembra che hai visto un fantasma".

Rock le lanciò una rapida occhiata preoccupata, e deglutì. "È… Arrivata una mia amica a prender…" "Oh!" lo interruppe lei, attorcigliandosi un boccolo intorno al dito. "Ha già trovato la mia automobile?"

'Che fortuna' si disse 'simpatico, e pure efficiente!' Si stava già immaginando un futuro con lui, ma il giapponese interruppe brutalmente le sue fantasticherie. "No, ecco, un'altra mia amica".

Un lampo di gelosia le passò attraverso gli occhi, e non appena Revy fu abbastanza vicina ai due arpionò il braccio del suo accompagnatore, stingendolo al proprio corpo e lanciando uno sguardo di sfida alla rossa.

 

Questa infantile reazione bloccò la ragazza sul posto. Alzò un sopracciglio, soffermandosi sui seni mezzi scoperti premuti sul corpo di Rock. Aprì la bocca per far partire un qualche insulto, ma fu subito bloccata dalla vocina stridula dell'altra.

"Vi conoscete?" chiese Simonette, cercando a tentoni la mano del giapponese per stringerla. "Rock, il mio… Amico" sottolineò eloquentemente "sta aspettando con me che…" 

La rossa roteò gli occhi. 'No' pensò, 'pure la puttana ci mancava'.

Senza ascoltare una parola, premette una mano sulla fronte della bionda e la spinse via, guardando l'amico con aria annoiata.

"Rock" alzò la voce, sovrastando i lamenti della bionda "dai, andiamo a casa". Sorrise forzatamente e gli tese un palmo che lui ignorò deliberatamente. Le volse un'occhiata scocciata, e si girò verso la ballerina maltrattata che stava debolmente protestando.

"Simonette, qui" sibilò, fulminando Two-Hands con lo sguardo "è una mia amica, che ci sta dando una mano". cercò di sottolineare l'ultima affermazione, tentando di far capire all'amica il vero senso delle sue parole. Inutilmente, però: Revy aveva occhi solo per la bionda, per le sue forme provocanti e per le ginocchia sbucciate.

Strinse i pugni attorno alle Beretta e si accostò a lei, puntandogliele in faccia. L'altra si immobilizzò, paralizzata dal panico, e la rossa le regalò un ghigno a pochi centimetri dalla faccia.

"Ehi, puttanella" le sussurrò "…Vuoi sapere perché mi chiamano Two-Hands?" storse la bocca, fissando i suoi occhi azzurri spalancati. "Di sicuro non per il motivo per cui potrebbero chiamare te così". 

Fece un cenno appena percettibile con la sta, invitandola a levarsi dai piedi.

Consiglio che lei prontamente seguì.

 

Rock la guardò allontanarsi sconsolato (a parere di Revy, soffermandosi un po' troppo a fissare il suo fondoschiena) e si voltò verso la pistolera che stava ridendo sonoramente. 

"Su, dai!" gli sorrise, sospirando fra uno scoppio di risa e l'altro. "Torniamo alla mac…"

Il giapponese si voltò, dandole deliberatamente le spalle, e si allontanò verso l'automobile di Benny a passo spedito. La rossa gli corse dietro, stupita.

"Ehi, che ti prende?! Già che sono venuta a prenderti, quando tutti gli altri ti avrebbero lasciato qua, solo perché tu" agitò le mani "ti eri messo a litigare con Mark; poi torno e ti trovo qua con quella putt…"

Lui strinse i pugni e si bloccò. L'altra, che stava guardando per aria mentre sfogava tutte le sue lamentele, gli sbatté contro.

 

 

 

*** Da Black Lagoon n°3, cap. 17, "Goat, Jihad, Rock'n'Roll Pt.2"

~~~

 

ANGOLO AUTRICE

 

Hola!

Mi spiace di avervi fatto tardare troppo, ma purtroppo ho cominciato a lavorare in ospedale e… Lì i turni sono frenetici! Torno a casa che ho voglia solo di dormire e mangiare qualcosa.

Dopo aver dormito, ovvio.

Beh! Questo capitolo l'avevo scritto ancora una settimana fa tra un paziente e l'altro, ma mi era toccato poi ricopiarlo a computer… Ed eccolo qua! Mi spiace, non c'è Balalaika e nemmeno tanta RevyXRock… Ma fidatevi se vi dico che nel prossimo capitolo avranno un faccia a faccia.

E, se Dio vuole, magari la trama andrà pure un po' AVANTI, eh?!

Uff, fatica!

Ringrazio tutte le ragazze che recensiscono, le habitué e le nuove… Quante soddisfazioni che mi date!

E quanta pazienza che avete…! 

Un bacione a tutti

Harry

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Capitolo 11
*** Unfaithful ***


Capitolo 11
Unfaithful


Crescere in America in un quartiere poverissimo significava vivere ignorando completamente le altre culture. Una volta arrivata a Roanapur, Revy si era ritrovata di fronte ad un'infinità di usanze mai viste prima, una mescolanza di costumi e di genti inimmaginabile, favorita anche dalla vicinanza al porto. Aveva così visto per la prima volta un manga - lei, che aveva letto per caso una volta solo un fumetto della Marvel e ne era stata parecchio delusa. Il caso volle che quel manga fosse uno per ragazzine (dopo la terza pagina non ci aveva capito niente e l'aveva buttato, nonostante Benny cercasse in tutti i modi di spiegarle che si leggeva dal fondo e non all'occidentale), ed era rimasta disgustata dall'insistente presenza di scene inutili di lunghi sguardi, interminabili silenzi e imbarazzanti ciglia lunghe.

Ecco, pensò quando Rock si voltò a guardarla, quel giapponese aveva proprio lo 'sguardo da manga' in quel momento. Represse un sorriso canzonatorio.

"Revy!" tuonò lui, ignaro dei pensieri che stava suscitando. "Per una volta, smettila di lamentarti!" Strinse i pugni e corrugò la fronte. Doveva essere il più conciso possibile, o la ragazza l'avrebbe interrotto. "Zitta e ascoltami! Mi sono appena trovato in una sparatoria guarnita da una meravigliosa bomba a mano - scusami, una GRANATA" si corresse, non appena Revy aprì la bocca per contraddirlo "mi ritrovo completamente solo perché la gente mi dimentica in giro" sottolineò le ultime parole premendole un dito al petto "e metto a posto tutto rivelando a Balalaika con che macchina sono fuggiti quei delinquenti che VOI avete dimenticato" agitò l'altra mano con fare teatrale "ma ovviamente, oh, ovviamente tutto quello che TU riesci a vedere è che stavo parlando con un'altra ragazza… Che fra l'altro mi stava dando una mano per rimediare al VOSTRO casino! Mi sembri una fidanzatina gelos…" 

Revy roteò gli occhi e gli afferrò il polso. "Zitto, colletto bianco!" Sbuffò, lo sguardo annoiato. "E così ci hai dato una mano, eh? Spassandotela al night??"

"Io non ci sono nemmeno entrato!" esclamò lui, aprendo le braccia esasperato. "non ho messo piede in quel posto, devi credermi! Non so nemmeno che… Ehi, aspetta un momento!" si corresse "Perché diavolo dovrei giustificarmi?!"

La pistolera aprì la bocca per ribattere, ma non seppe che dire e rimase in silenzio, interdetta. "Beh…" Mugugnò, grattandosi la nuca. In effetti, era quello che avrebbe dovuto fare, complicazioni a parte. Incrociò le braccia e sbuffò. "Beh!" Sbottò di nuovo, voltandosi e allontanandosi a grandi passi dall'auto. Raggiunse il bordo della strada e si accese una sigaretta, contrariata. Non le piaceva proprio quando la gente la lasciava senza parole. 

Rock la seguì con lo sguardo. Quella donna era proprio impossibile da capire… Alzò gli occhi al cielo, domandandosi chi gli desse la forza per andare avanti, e la raggiunse sedendosi accanto a lei. "Ora che ti sei un po' calmata, mi spieghi che ti è successo…?" si soffermò a guardarle le gambe piene di graffi.

"Mh" mugugnò lei, guardando fissa davanti a sé. "io e Eda abbiamo… Oh, a proposito…!" sgranò gli occhi, puntandoli inquisitori sull'amico. "Eda, l'hai vista?? È scomparsa poco prima che facessi irruzione nel night".

Rock annuì, pensoso. "Sì, sì. L'ho trovata vicino alla Harley priva di sensi. Mi sa che qualcuno l'ha messa KO… L'ho fatta portare via dall'ambulanza che è passata poco dopo la granata. Se vuoi chiederle qualcosa…" La rossa scosse la testa. "Cazzo. Ecco perché non arrivava". Corrugò la fronte. "Strano, però. I tipi che stavamo inseguendo li ho tenuti d'occhio io. Chi cazzo può essere stato…? Magari qualcun altro ci stava seguendo…" Il giapponese si morse un labbro. "Non penso. Siete arrivati da soli." Sospirarono all'unisono, la testa piena di troppi pensieri che non riuscivano ad accantonare. Seguì un silenzio pesante, interrotto dai brevi e saltuari sbuffi di fumo.

"Brrr." Revy scattò in piedi, gettando il mozzicone lontano e passandosi una mano sulle braccia. "Fa un freddo cane stasera". "Sei tu che esci sempre mezza nuda" si lamentò il giapponese, appoggiandole sulle spalle la propria giacca. Lei se la strinse attorno, scaldandosi.

"È proprio fatta bene, mica come quella di Mark…" Rock sorrise, punto sul vivo. "Beh" gongolò "bisogna anche saperla abbinare. Certo, se sotto metti una maglietta di un gruppo…" le sue labbra improvvisamente si spalancarono, e Rock fece cadere la sigaretta ancora accesa per terra. Revy si voltò, alzando un sopracciglio. "un gruppo…?" lo incitò a finire, inclinando la testa.

Il ragazzo la prese per le spalle, scuotendola. "Revy! Cazzo, mi è appena venuto in mente dove ho visto quella maglia! È l'album di un gruppo musicale!" 

La rossa sgranò gli occhi, sbattendo le palpebre. "Rock, ti droghi? Fin qua c'eravamo arrivati tutti." Lui scosse la testa. "Sì, ma non pensavo al nome del gruppo… Revy, è una maglietta dei Deep Purple!"

La ragazza chiuse gli occhi. "Guarda, avrei la tua reazione solo nel caso in cui fosse una maglietta dei White Zombie, casomai. Sti qua io non li ho mai… Un momento…" socchiuse le labbra e puntò gli occhi dritti in quelli di Rock. "Hai detto…. Deep PURPLE…??"

 

 

 

 

Nicole batteva i denti ormai da diversi minuti, incurante del meraviglioso brillantino che il suo dentista le aveva affisso qualche anno prima. Probabilmente l'aveva anche perso, ma in quel momento ogni suo pensiero era focalizzato sull'immagine di suo padre a terra in una pozza di sangue e sulla porta di fronte a lei che aveva inghiottito uno dopo l'altro tutti gli uomini che la stavano scortando. Da quando quei russi erano riusciti chissà come a trovare la loro auto e a catturarli, e da quando li avevano buttati senza tanti complimenti in quella stanza all'interno della base dell'Hotel Moscow, non le erano rimaste molte speranze; tuttavia, erano andate sempre più scemando ogni volta che quell'energumeno  - Boris, si chiamava…? -entrava da quella porta, faceva cenno a uno di loro di uscire e lo cacciava fuori. 

Ora era rimasta da sola, erano usciti tutti. Si era rannicchiata in un angolo della stanza, le ginocchia strette sotto il mento, e fissava impaurita la porta. Si aspettava che si aprisse da un momento all'altro, ma era quasi un'ora che era uscito il suo ultimo uomo - un'ora? non ne era poi così sicura, stava pian piano perdendo la cognizione del tempo. Avrebbe volentieri dormito, ma il terrore non le permetteva di abbassare le palpebre. Cercò di tendere le orecchie per captare qualche rumore dall'esterno, ma niente. Non riusciva a sentire nulla, forse la stanza era insonorizzata.

 

Balalaika scrocchiò le nocche, sospirando. Aveva fatto fuori tutti gli uomini che Rock le aveva indicato, tranne la ragazza che doveva essere la figlia del boss. Eppure, del contatto indiano nemmeno l'ombra.

Nessuno di loro aveva parlato, neppure quando gli avevano proposto di barattare informazioni per la vita della giovane. No, evidentemente i segreti di quella odiosa associazione erano più importanti… O magari, in mano a quell'indiano c'era molto di più di quello che si pensava. Mollò un pugno al corpo senza vita dell'ultimo mafioso. "Boris!" Tuonò, il sigaro stretto fra i denti. "Chiama dentro la ragazza. Ora. Anzi…" lo bloccò non appena lui si volse verso la porta "sei troppo grosso e brutto. Ci vuole qualcuno di più carino" sogghignò, pensosa "non vorremo spaventare la nostra ospite, da…?"

 

 

 

Dutch alzò pigramente la cornetta che stava insistentemente squillando ad un volume decisamente troppo alto per i suoi timpani. "Mh, pronto? Ah, ciao." Incastrò il telefono fra la spalla e l'orecchio, finendo di prepararsi l'hot dog sul tavolo della cucina. "No, Rock non c'è, è fuori con Revy. Cioè, Revy è andata a prenderlo, in teoria dovrebbero tornare a momenti." Lanciò un'occhiata all'orologio appeso al muro. Si concesse un sorrisetto. "I casi sono due: o Rock è schiattato, o si stanno divertendo, perché sono fuori già da un bel po'…" 

 

La russa si passò due dita su una tempia, premendo una vena che stava dolorosamente pulsando. Proprio ora dovevano decidersi a corteggiarsi, quei due disgraziati? "Mi fa piacere per loro, ma appena rientrano, fammi chiamare dal Japonski. Ho bisogno di lui." Alzò gli occhi su Boris. "Ah, se vuole venire pure Two Hands, mandamela. Ho voglia di salutarla." Sorrise al generale, facendogli un cenno con la testa. Non appena riattaccò, scoppiò in una fragorosa risata.

 

 

Il nero fissò sconcertato la cornetta. Si stava sbagliando, o aveva sentito la russa ridere…? Gli si gelò il sangue nelle vene, e riattaccò in fretta, come a voler spezzare ogni legame con quella pazza. Addentò il panino, seguendo con lo sguardo Mark che, uscito dalla doccia, si stava precipitando fuori dall'appartamento.  "Ehi" lo richiamò, la bocca impastata dal boccone. "Dove diavolo stai andando adesso?"

L'inglese alzò una mano come per zittirlo, ma gli rispose comunque. "Vado a cercare Rock e lo porto dai russi" mugugnò, aprendo la porta e precipitandosi fuori. Dutch alzò un sopracciglio. "E come ci vai, che la macchina…" gli urlò. "In taxi!" esclamò il biondo, la voce ormai flebile inghiottita dalla tromba delle scale.

Benny si rivoltò nel letto. Le urla fuori da camera sua erano un chiaro segno che qualcosa non andava, ma il suo cervello ormai era allenatissimo a bypassare qualsiasi informazione quando era in debito di ore di sonno.

 

 

 

Rock stava guidando come un pazzo - almeno, secondo i suoi standard - verso il quartier generale dell'Hotel Moscow, tentando debolmente di sporgere lamentele verso la passeggera.

"Ah, Revy!" piagnucolò "se tu ti portassi dietro l'iPhone che ti ho regalato, avremmo potuto subito chiamare Balalaika e…" fu zittito da un indice premuto tempestivamente sulle labbra. "falla finita! Prima cosa, se me lo portassi dietro sarebbe già rotto… Non posso usarlo come scudo per proiettili, no?! Ti immagini? Come quelli che tengono la bibbia nel taschino…! Seconda cosa, che cazzo di numeri ci salvo su?! Quello della sorellona lo so a memoria, e Dutch non ha il cellulare, quindi…" si stiracchiò sul sedile, annoiata dalla flemma del giapponese alla guida e pienamente convinta delle proprie motivazioni.

Il guidatore sospirò, socchiudendo gli occhi sconsolato. "Beh, i numeri li saprai anche a memoria, ma a che ti serve se tanto non puoi chiamare nessuno perché non hai un cellulare?!" "Ma io ce l'ho un cellulare! Me l'hai regalato tu!" sbottò lei, ponendo fine alla conversazione che stava pericolosamente entrando in un loop degenerativo. "Piuttosto, vediamo di capirci. Tu mi stai dicendo che il contatto indiano era Mark…?" alzò un sopracciglio. "Devo ammettere che è difficile crederci, cazzo. Sei veramente sicuro di quello che dici? Porca puttana, lo conosco da anni…"

Rock si mordicchiò un labbro, pensoso.

"In effetti, è l'unica soluzione plausibile. Pensaci: arriva con una nave dall'India, e quando arriva lui cominciano i guai. Hai detto che hai visto quella ragazza, la figlia del capo evidentemente, al porto quando arrivava la nave. Ergo, il contatto era a bordo!" La rossa provò ad obiettare. "Questo non vuol dire che…" "Ah, lasciami finire! Mi fai una domanda e poi… Dunque: si offre volontario per andare a scovare gli altri membri al night, e nonostante ci dovessimo vestire eleganti tiene su quella orrida maglietta per farsi vedere, evidentemente. Maglietta che indossava anche quando è sbarcato… Evidentemente sperava ci fosse un altro dell'associazione ad accoglierlo." Si fece prendere dall'enfasi del racconto, ed agitò le mani sopra al volante. "Capisci? Poi, va da Bao, il posto dove c'è più gente possibile, sempre vestito uguale. Inoltre, inscena la lite con me fuori dal night per evitare di entrare insieme e farsi scop…"

"Lite…?" La ragazza lo interruppe, improvvisamente interessata ai suoi sproloqui. Lo fissò in volto, notando finalmente i lividi che Mark gli aveva regalato quella sera per strada.

"Oh, cretino. Vi siete presi a pugni? E perché? Ha insinuato che il tuo colletto era poco stirato…? cercò di buttarla sul ridere, sentendosi gli occhi severi del giapponese addosso.

"No. Non proprio. Diciamo che…" si schiarì la voce "…Diciamo che ha detto qualcosa che temevo fosse vero".

La rossa si sentì improvvisamente  sotto accusa. Gli occhi dell'altro la stavano letteralmente trapassando con uno sguardo che non era abituata a leggere nei suoi occhi… E quella punta di rimprovero che riusciva a scorgerci la metteva terribilmente a disagio. Si accese una sigaretta, tirando giù il finestrino ed interrompendo volutamente il contatto visivo. "Rock" mugugnò con la voce roca "Facciamo che non ti chiedo più niente e tu non mi dici più niente, ok…?" si incupì, sentendosi improvvisamente in colpa anche per quello che aveva pensato mentre guidava alla ricerca di Rock poco prima. No, era infantile sperare che quei due litigassero per lei e che questi scontri potessero in qualche modo danneggiare quel dannato giapponese. Era lei che doveva proteggerlo, non il contrario... Sentì la rabbia salirle fino ai pugni, e li strinse inconsciamente. 

Che la storia del contatto indiano fosse vera o meno, una volta davanti a Mark gli avrebbe fatto una bella lavata di capo.

~~~

Angolo Autrice

Hi guys! Sono sempre io. Mi spiace come al solito per il ritardo - sì, come no, lo sapete che ci prendo gusto oramai... - però ciò che mi dispiace veramente è che... La storia sta per finire!
Sì, l'avrete notato, ormai siamo agli sgoccioli. Ho in mente qualcos altro, con nuovi personaggi, con vecchi personaggi, con nuovi vecchi personaggi... Hm... Non è il caso di parlarne qui, però!
Comunque sia, godetevi uno di questi ultimi capitoli. Spero sia di vostro gradimento!
Come al solito, ringrazio le meravigliose ragazze che recensiscono. Siete davvero gentili! Continuate così, eheheh!
Buona lettura! Harry

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Capitolo 12
*** Driving at night ***


Capitolo 12.

Driving at night






Mark represse un impulso di stizza, quando l'ennesimo taxi gli sfrecciò davanti senza degnare di uno sguardo né lui né il suo pollice alzato. Doveva sbrigarsi: quei due non stavano di certo tornando da Dutch, sebbene fosse fermamente convinto che non si stessero divertendo affatto.

' Quel cazzo di sfigato… Non sarebbe in grado di sfiorare Revy con un dito, né in questa vita né in un'altra! ' si autoconvinse, tentando di non pensare che effettivamente nemmeno lui l'aveva mai sfiorata più di tanto… E  il fatto che avesse ancora entrambe le mani attaccate al resto del corpo ne era l'inconfutabile prova. Sbuffò.

Certo che, se non si muoveva, con tutto il tempo che li lasciava da soli chissà cosa poteva succedere… 

Ebbe una buffa ed improbabile visione dei due, completamente soli, in tangenziale senza benzina e senza un'anima viva nel giro di chilometri. Si immaginò lei riempire di parolacce e improperi l'aria circostante; vide Rock guardarla con aria sognante (con quella lurida faccia da schiaffi che si ritrovava), Revy che lo lasciava avvicinarsi e sul più bello gli puntava addosso una cutlass e gli regalava un bel bypass artificiale.

Si crogiolò nella sua immaginazione, lasciandosi scappare un paio di automobili che gli sfrecciarono davanti senza troppi complimenti. Scosse la testa, risvegliandosi dalle fantasticherie, e decise di mettere a frutto tutti quegli anni pasti a giocare a GTA con Benny; si piazzò in mezzo alla strada, obbligando la sfortunata prima vettura di passaggio a fermarsi con un'improvvisa inchiodata.

Deglutì, ringraziando mentalmente il premuroso guidatore che teneva controllati i freni, e si diresse con fare deciso verso la portiera anteriore sfoderando la pistola.

 

 

 

 

"Naaah, giura…" l'infermiera del pronto soccorso in turno quella notte sbuffò, cercando di non farsi sentire dall'inserviente. Non solo le toccava lavorare fino a mattina presto; doveva pure sorbirsi le lagne di quella deficiente che aveva appena mollato il ragazzo perché tanto, a suo parere, aveva tutte le carte in regola per potersi fare chiunque le passasse per la testa. Beh, se non altro il giorno prima tutto il reparto si era regalato un pomeriggio alla spa, e ora poteva rimirarsi con interesse la manicure mentre l'altra sciorinava inascoltata tutte le sue paturnie.

"Sì, ti dico che quel biondo che ho visto l'altroier…"

La fastidiosa voce dell'inserviente si affievolì non appena le due ragazze sentirono sbattere con veemenza la porta del pronto soccorso, trovandosi davanti una suora abbastanza incazzata con una flebo nel braccio e il boccettino del liquido stretto in mano.

"Chi cazzo è quella?" mugugnò la donna delle pulizie, visibilmente stizzita per essere stata interrotta.

L'infermiera, al contrario, era piuttosto combattuta fra il sollievo di essersi risparmiata le sciorinate e la preoccupazione per la paziente.

"Ah, sorella!" si alzò di scatto, ignorando la scortese domanda dell'altra. "Si è ripresa, finalmente… Però non può stare così in piedi, o…" 

Eda digrignò i denti, scuotendo la fiala di fisiologica che stava lentamente scendendo in vena. "Ho da fare, ragazze. Quindi, o mi togliete questo ago dal braccio, o me lo strappo da sola. Sto benissimo" aggiunse di fretta, speranzosa che quelle due ultime parole potessero in qualche modo tranquillizzare le due donne in servizio.

L'inserviente incrociò le braccia, senza alzarsi dalla sedia, e fece ondeggiare le ciabatte ben poco sexy che le toccava indossare in ospedale. "Tesoro, che tu stia bene non lo mettiamo in dubbio, ma sei arrivata qui con una diagnosi di trauma cranico e sei pure svenuta. Ergo…"

La bionda sospirò. Sperava di cavarsela più in fretta, ma evidentemente si sbagliava. Afferrò il catetere e stringendo i denti lo sfilò con uno strappo, appoggiandolo poi su un tavolo lì vicino. Fece del suo meglio per ignorare lo strillo di protesta dell'infermiera che, scattata in piedi, aveva cercato invano di frenarla prima che commettesse pazzie. La bionda alzò lo sguardo e le salutò con un cenno del capo, sfoggiando uno dei suoi migliori falsi sorrisi.

"Beh, grazie comunque, eh" sospirò, prendendo una garza e stringendola nell'avambraccio. "Che Dio vi abbia in gloria… Il più presto possibile!" aggiunse stizzita, aprendo la porta del pronto soccorso con un calcio e dirigendosi fuori dall'ospedale.

 

Non appena varcò la soglia, si tastò le tasche della tunica: per fortuna almeno le sigarette gliele avevano lasciate. Le pistole erano scomparse, ma probabilmente le aveva perse prima di venire ricoverata. Si accese una Lucky Strike e si portò automaticamente una mano a sistemarsi gli occhiali da sole, prima di accorgersi di aver smarrito anche quelli. "Revy…" sussurrò, espirando una nuvoletta di fumo "Queste me le paghi tutte, brutta scimmia…!" calcolò mentalmente il percorso dall'ospedale al night e cominciò a camminare. Doveva ritrovare la moto e raggiungere Two Hands… Almeno, prima che tornasse da Dutch.

 

 

 

Revy si allungò sul sedile, sonnacchiosa. "Rooock… Stavo pensando…" mugugnò. Non ottenendo risposta, gli lanciò un'occhiata stizzita e continuò "…Dicevo, non sarebbe meglio fare una capatina da Dutch, prima? Almeno, sistemiamo quella cosa con Mark e poi…" Uno scossone improvviso la interruppe, sbalzandola in avanti. Appoggiò prontamente le mani sul cruscotto evitandosi una testata contro il parabrezza, e si voltò arrabbiata verso il guidatore. "Rock, che cazzo fai?!"

Il ragazzo sgranò gli occhi, riuscendo a mantenere il controllo del veicolo ed accostando pochi metri dopo. " Oddio, temo che…" 

La rossa fu più veloce di lui. Non appena la macchina si fermò, scese velocemente e corse verso le ruote posteriori. Il giapponese restò fermo al suo posto, in trepidante attesa… Almeno, finché gli improperi di lei non giunsero squillanti e pronti alle sue orecchie. Sospirò. "Abbiamo bucato…?" chiese, pur sapendo già la risposta. Non ascoltò altro, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie.

 

Revy stava menando calci alla ruota sgonfia. Aveva finito il repertorio di insulti che conosceva - e dire che era piuttosto ampio - e stava sfogando sulla povera automobile di Benny tutta la sua rabbia repressa.

Già era incazzata per la missione che Balalaika le aveva affidato; in più, saltava fuori che un suo amico che non vedeva da anni era probabilmente un traditore, che si divertiva a picchiare Rock nel tempo libero; in più, la sua amica-nemica Eda era sparita nel nulla; infine, come se non bastasse, un giapponese di sua conoscenza era costretto a bazzicare night club, e la cosa la innervosiva non poco… "Ci mancava solo questa cazzo di ruota! Macchina di merda!" sibilò. Ormai i nervi le erano saltati del tutto, e crollò accovacciata a terra, lo sguardo furente fisso davanti a sé.

Il ragazzo uscì dall'abitacolo e la raggiunse. Sapeva benissimo cosa fare e come tirarla su di morale: sfilò il pacchetto di sigarette dalla tasca, ne accese una e la porse alla rossa.

Lei scosse la testa. Il suo viso da furente si fece imbronciato, e abbassò le palpebre, appoggiando il mento ai palmi delle mani. Rock le si accovacciò davanti, infilandole la sigaretta appena rifiutata in bocca. Sapeva benissimo che non c'era nessuna ruota di scorta nel bagagliaio; l'avevano cambiata poche settimane prima, ed evidentemente era un po' troppo usurata… Era abbastanza comprensibile che si fosse già rotta. Ovviamente spiegare la logica dell'accaduto all'amica era del tutto inutile in quel momento, ed optò per un'altra strada. 

"Su, Revy" cominciò, sorridendo quando la vide serrare le labbra attorno alla Pall Mall "…Diciamo che questa è stata proprio una nottata di merda, ok? E come tale" continuò, sedendosi accanto a lei "…E come tale ha accumulato su di sé tutta la sfortuna possibile. Se non altro, domani sarà sicuramente una giornata migliore, n…" 

"Smettila di sparare stronzate, Rock". il biascicare della ragazza lo interruppe a metà frase. Si voltò a guardarla: i suoi occhi cupi e stanchi fissi sulla strada deserta riflettevano esattamente quello che stava provando anche lui in quel momento. Si morse le labbra.

"…Però, ascoltami. Se non altro domani ci rideremo su, eh".

"Ah, ah, ah" sillabò lei lentamente. Calò il silenzio, interrotto solo dal frinire dei grilli.

 

 

 

La macchina appena rubata in pieno stile GTA si era rivelata essere una berlina niente male, ben guidabile e con un pieno di benzina fresco di giornata. Soddisfatto da un furto così accorto, Mark non si era quasi neanche reso conto di essere già arrivato al night club. Scese dall'auto, diede un'occhiata in giro e sgranò gli occhi, scoraggiato.

Una smorfia amara gli si dipinse in volto. L'intero quartiere sembrava essere deserto, non c'era anima viva… Men che meno di sua conoscenza.

"Quel bastardo se la deve essere svignata…" pensò, lanciando un'occhiata ad un mezzo poco distante. Si avvicinò: era l'Harley di Eda, indubbiamente. Le chiavi erano ancora inserite, come se qualcuno l'avesse accesa da poco… Toccò il serbatoio: era freddo. Si vede che quel qualcuno ci aveva ripensato, e se ne era andato con un altro veicolo.

Il fiume dei suoi pensieri si frenò bruscamente non appena sentì dei passi avvicinarsi da dietro. Si bloccò, in ascolto.

"Ehy, biondino".

Sentendosi preso in causa, si voltò di scatto. "ah, Eda!" sorrise, trovandosi di fronte la suora che si stava avvicinando a grandi passi. Sembrava sollevata, e stava fissando compiaciuta la moto. L'inglese seguì il suo sguardo e ritrasse velocemente la mano. Tentò di attaccare discorso.  "Mi sembri sciupata… Ma… Stai sang…"

La bionda agitò la mano, dirigendosi verso l'Harley. "Lascia perdere. Piuttosto, tu sei qui… Gli altri…?" 

Gli occhi del ragazzo s'incupirono. "Eh… Magari lo sapessi… Se ne saranno andati in macchina..."

La bionda salì a cavalcioni sul suo mezzo; girò le chiavi e sorrise quando la sentì accendersi sotto di sé. Ascoltò distrattamente la risposta dell'altro. "Ah, così la scimmia è scappata con Rock, eh? Soli soletti in macchina? Ah, l'ho sempre detto che c'era del tenero, fra quei due… Forse questa è la volta buona che gliela molla!"

Mark impallidì, stringendo le mascelle. "Che… Che intendi dire con…" sussurrò, incredulo. Venne interrotto da una sonora risata della suora.

"Su, non fare il geloso! Anche a me dispiace che si siano combinati, quei due… Ma che ci vuoi fare. Probabilmente è la disperazione. Beh, ci sono tanti pesci nel mare, nh…?" ribattè, ammiccando. Scrutò con attenzione l'asfalto intorno a lei. "Mh, non è che per caso hai visto i miei occhiali…?"

Il biondo si chinò a raccogliere un paio di Ray Ban viola da terra. Li porse gentilmente alla ragazza, sfoggiando un meraviglioso e solare sorriso. "Ehy, e se mi dessi una mano a cercarli…? Sai, è tanto che non guido un'Harley".



~~~

Angolo dell'autrice


Ahhh, ciao, copiosi lettori! (?)
Sono felice che qualcuno - viste le sempre gradite recensioni - ogni tanto "batta un colpo" e mi ricordi che sì, la mia fanfic esiste ancora ed è inutile abbandonarla! No, scherzi a parte, ho appena finito la sessione di esami e per passarli tutti mi sono spaccata la schiena (per non essere volgari...); ecco spiegato il mio MOSTRUOSO ritardodi aggiornamento.
Ma non disperate!
Il prossimo capitolo - che in teoria doveva essere integrato a questo, ma prima devo farlo leggere al mio ragazzo che se non prende in mano le bozze non è contento... Quindi, lo pubblicherò... A breve! Fra pochi pochi giorni! Incredibile, vero?
Sarà il capitolo 12.b... Vabbè...
Colgo l'occasione per ringraziare sentitamente tutte le anime pie che, come già prima ho detto, recensiscono - ma soprattutto LEGGONO - questa fanfic. Vi adoro! Senza di voi non so come farei.
Probabilmente la archivierei.
Beh, buona lettura, allora! E pazientate.
L'azione arriva, arriva.

Harry

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Capitolo 13
*** Someone like you ***


Capitolo 13.

Someone like you





Il filtro della sigaretta stava decisamente facendo una brutta fine, smembrato dalle dita agili della ragazza. Un singulto di stizza le arrivò distrattamente alle orecchie.

"Uh…?" Si voltò annoiata verso Rock, che la stava fissando con occhi socchiusi e i denti serrati. Ispirava profondamente dalla bocca, corrugando la fronte.

"Ti prego, smettila… Ahhh!" si premette le mani contro le orecchie, scuotendo il capo. "Odio quel rumore!"

La rossa sbatté le palpebre, senza capire. "Cos…" sussurrò. Il ragazzo approfittò di quel suo attimo di distrazione per strapparle dalle mani il filtro, gettandolo lontano. "Dio, che fighetta!" esclamò lei, stizzita. "Come fa a darti fastidio? Non Si sente nemmeno…!". Più inviperita per il gesto fatto senza consultarla, che per essere stata sottratta del proprio passatempo, mollò una sberla al braccio del moro. "Cazzo" sbuffò "e ora che faccio…?" appoggiò le fronte alle ginocchia, lasciandosi andare ad un sospiro esasperato.  Rock la guardò per qualche istante fissa in quella posizione, riformulò un paio di volte la risposta e finalmente si decise a parlare.

"Mh. Beh, potremmo chiacchierare un po'."

Si morse la lingua in attesa della risposta, trepidante. Forse era stato troppo avventato… Sapeva quanto odiava Revy parlare di sé. Lei si voltò, alzando lo sguardo rabbuiato, e gli puntò uno sguardo penetrante addosso. 

"No."

Ecco, appunto.

"B-beh…" balbettò lui, tentando di scherzarci sopra "guarda che non devi mica darmi una risposta così affrettata, puoi pensarci se vuoi…" La sua ironia venne totalmente ignorata, e tornò mesto a fissare l'asfalto davanti a sé.

"Anzi, no!" esclamò d'un tratto lei, facendolo sobbalzare spaventato sul posto. "Parliamo! Dai! Parliamo di come è divertente finire in un night club, in una sparatoria con granata e sul ciglio di una strada deserta con una gomma a terra la stessa notte!"

Rock strizzò gli occhi, piegando all'ingiù gli angoli della bocca. "Dannazione…" mormorò, curando di non farsi sentire. "Adesso attacca col vittimismo".

"Parliamo" continuò la ragazza, ormai presa dalla foga "di come ci si sente, sapendo che quello che hai sempre considerato il tuo migliore amico è una cazzo di spia che ti vuole fare secca! …Già, tu ovviamente non lo puoi sapere, in quanto vi odiate! " sentenziò a denti stretti, lanciandogli un'occhiata provocatrice… Provocazione che lui colse al volo. Le rivolse un mezzo sorriso. 

"M-mh. Grazie a te." 

La rossa aprì pian piano le palpebre. "A… Me? Cazzo vuol dire?"

"Dai, non fare la finta tonta!" la stuzzicò lui, con tono irriverente. "Lo sai benissimo che continuiamo a scannarci per la bella principessa". Non seppe di preciso perché stava sparando tutte quelle stronzate a raffica; probabilmente, perché la serata si faceva sempre più bizzarra di suo, e poi forse per un sano masochismo misto a curiosità. Chissà come avrebbe reagito, ora, l'imprevedibile two-hands… 'Massì' pensò, scrollando le spalle 'al massimo mi molla un pugno…'

Quello che invece gli si presentò davanti una volta finita la frase lo lasciò di stucco. La ragazza, colta impreparata, era rimasta immobile a fissarlo, stringendo talmente tanto le mascelle da farle tremare.

"Cretino" sussurrò "ti sei rinc…"

"…Vedi" continuò lui, interrompendola in un tentativo disperato di buttare tutto sull'esagerazione "sei talmente bella che, oh, che ci vuoi fare! Tutti noi stiamo giorno e notte a pensarti, e alla fine è inevitabile che…"
Revy fu fulminea. Con uno scatto gli afferrò il colletto della camicia e lo tirò verso di sé, sfoggiando una delle sue migliori facce del repertorio 'incazzatura all'ultimo stadio'. Era talmente fuori di sé da non riuscire nemmeno a urlargli in faccia; il giapponese, spaventato, trattenne il fiato.

"Forse" sibilò "non sarò bella come una di quelle troie con cui hai avuto amichevolmente a che fare stanotte. Forse, anzi, certamente" ribadì, alzando il pugno stretto sotto il suo mento "non sono disponibile nemmeno la metà di quanto non lo siano loro. Ma fidati che se ho una dote, è quella di avere una mira abbastanza precisa da poter prendere a calci in culo fino all'inferno i coglioni che si prendono gioco di me". Detto questo, con uno spintone lo allontanò da sé, voltando il viso dall'altra parte.

Rock tentò di accantonare lo spavento che gli aveva raggelato le vene, e tossicchiò, ansante. "Ehi" si difese "guarda che ero serio. Io non ti prendo per il culo". "Ma allora vuoi che ti meni!" La rossa sfoderò una Beretta, colpendogli la testa col calcio della pistola. Fu abbastanza lenta da permettergli di scansarsi… Cosa che però lui non fece. Incassò il colpo, piegando di reazione la fronte in avanti e soffocando il gemito di dolore. Alzò gli occhi verso di lei, implorante. "…Credimi".

Revy tentò di racimolare ogni briciolo di crudeltà che le era rimasto sparso per il corpo. "Cos'è, colletto bianco? Una dichiarazione? Oh" esclamò, interrompendolo prima che avesse il tempo di risponderle "non ne ricevo tanti di complimenti al giorno, ma devo ammettere che questo è il più merdoso che abbia mai sentito. Complimenti! Se fossi in una soap americana, milioni di casalinghe depresse ora starebbero piangendo davanti alla TV!" sentenziò sarcastica.

Rock si alzò. Le ultime parole della rossa erano state più taglienti e più dolorose del colpo di prima. Stringendo i pugni, si diresse verso la strada a passo risoluto.

"Ehi" esclamò lei, debolmente "non è che… Senti, io…" totalmente ignorata, scattò in piedi anche lei, raggiungendolo. "Rock, cazzo, sto parlando con te, mi vuoi ascoltare?" gli appoggiò una mano sulla spalla, obbligandolo a fermarsi "fermati, dai, non intendevo…" 

Con uno sbuffo, il giapponese si voltò lentamente verso di lei. La fissò, scuotendo la testa rassegnato. "Revy, Revy… Cosa devo fare, con te…?"

Lei sorrise debolmente. "Mh. Magari sopportarmi, eh".
Abbassò le palpebre, socchiudendo gli occhi… faceva fatica a sostenere il suo sguardo. Faceva fatica a fare tutto, quella sera… Pure a mantenere un carattere accettabile. "A volte mi chiedo come faccia, tu" mormorò, con tono mesto di scuse. Lui sorrise. Dalla sua angolazione, lei non riusciva a vederlo, ma seppe che stava sorridendo. Il suo sorriso era assordante, a volte. Aveva un sorriso capace di rimbombarti in testa. 

Alzò gli angoli della bocca anche lei, di riflesso, e chinò la testa. "Rock…" sussurrò. "Mh…?" mormorò lui, alzando le sopracciglia. Lentamente alzò una mano ad accarezzarle la nuca, piano piano e con estrema cautela, come se stesse accarezzando una tigre.

'Ah' pensò, non appena sentì i suoi capelli sotto i polpastrelli 'se solo quello stronzo di Mark mi vedesse ora…' 

"Sono stanchissima… Dormiamo in macchina, ripartiamo domani. Sto crollando".



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Angolo Autrice

Sono talmente tanto in uno schifoso ritardo che nemmeno provo a scusarmi. Faccio schifo. Mi spiace.
Godetevelo. Baci!
Harry

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Capitolo 14
*** Sound of Silence ***


Capitolo 14.

Sound of Silence


Rock aveva dormito nelle peggiori condizioni, nell'ultimo anno: sotto la pioggia, in una capanna di bambù nel mezzo della foresta aspettando di essere salvato, in una nave scossa dalle onde e dai proiettili, in un appartamento dove dormiva anche Dutch, l'uomo dal russare più rumoroso dell'universo… Eppure, in macchina proprio non riusciva ad addormentarsi. Gli era successo anche quando ancora abitava in Giappone, di dover passare la notte nella lussuosa berlina del capo in attesa che tornasse dalle sue notti brave; eppure, sarà stato per colpa dei sedili sempre troppo scomodi, dei finestrini e del parabrezza che strappavano via ogni lembo di intimità, della possibilità che chiunque potesse fermarsi a guardare dentro… Non riusciva bene a spiegarselo, ma proprio non si sentiva a suo agio. Non che c'entrasse qualcosa la presenza di Revy, anzi; era capitato un sacco di volte che si ritrovassero a dividere la stessa stanza, e aveva sempre dormito tranquillamente. Guardò la ragazza allontanarsi verso la macchina con una punta d'invidia. "Beh?" gli chiese lei, voltandosi verso di lui una volta aperta la portiera del passeggero. "Fai il turno di guardia…?" sogghignò e si sedette, richiudendo lo sportello e abbassando il finestrino. Gli lanciò un'ultima occhiata sospettosa, e quando constatò che non si era ancora mosso si strinse nelle spalle e buttò i piedi fuori dal finestrino aperto, mettendosi comoda. "Notte" biascicò. Rock le rispose con un cenno del capo, consapevole di non essere visto. Sospirò sconsolato: forse non era solo la prospettiva di quel giaciglio decisamente poco comodo che gli aveva tolto il sonno. Era stata una giornata parecchio movimentata: il night, Eda svenuta, la ballerina svampita, Revy che lo colpiva con una pistola… Ah, già, e pure quella cazzo di granata di Dutch. Inoltre, ora aveva quasi la totale certezza che Mark fosse l'uomo che stavano cercando, e questo, sebbene dimostrasse che i suoi sospetti erano sempre stati fondati, lo inquietava parecchio. Non avevano più le spalle coperte ora, c'era un traditore fra di loro… Era logico che si sentisse teso come una corda di violino. 'E giustamente' pensò, contrariato 'l'unica notte che non ho sonno è anche l'unica volta che quella dannata è stanca da morire. Ma come diavolo farà?'


Balalaika adorava il rosso. Era il colore che le stava meglio addosso, e riusciva sempre a distenderle i nervi... Mentre Boris le aveva portato gli ostaggi, quella sera, dalla borsetta della giovane donna francese era caduto un flacone che nessuno al momento aveva trovato impellente recuperare; ma poi, mezz'ora dopo che aveva chiamato Dutch e che stava aspettando quei due dannati ragazzi, la russa l'aveva raccolto in preda alla noia. Con suo immenso gaudio, si era rivelato essere un flacone di smalto rosso Valentino… Introvabile, a Roanapur. Aveva sorriso, rimirandosi le mani. Quale migliore colore per rifarsi lo smalto per ingannare l'attesa?

La russa stava trattenendo il respiro, mentre faceva del suo meglio per stendere senza sbavature la vernice sulla mano destra. Arrivata al medio, il telefono squillò improvvisamente, facendola sobbalzare. Il pennellino dello smalto le scivolò dalle dita e le imbrattò mezza falange. Imprecando, sollevò la cornetta con estrema attenzione, cercando di non fare ulteriori danni. "Chi diavolo sei? No, aspetta" lo interruppe, alzando la mano e rimirando il danno "spero proprio che tu abbia buone notizie, chiunque tu sia. Altrimenti ti conviene mettere giù direttamente". L'interlocutore riattaccò. Balalaika alzò gli occhi al soffitto, sospirando. "Grazie a dio" borbottò fra sé e sé, tornando a dedicarsi alla manicure.


Dutch riattaccò la cornetta, visibilmente a disagio. Non gli capitava spesso di sentirsi rifiutare da una donna - ammesso e non concesso che Balalaika rientrasse in tale categoria… In più, essere totalmente ignorato era una cosa che lo seccava parecchio. Soprattutto se stava cercando di aiutare qualcuno. "…Beh? Non hai detto niente". Benny si era sporto verso di lui, lo sguardo carico d'aspettativa. "Ti ha congelato con una frase?" Il nero si strinse nelle spalle. "Eh. Capita." Tirò a sè una sedia e si sedette al tavolo di fronte all'amico. "A quanto pare, le cose non vanno tanto bene nemmeno a lei. Chissà dove diavolo sono quei due disgraziati… E se Mark li ha già trovati". Si prese la testa fra le mani, tirando un lungo sospiro. "Lo sapevo, io, che questa storia puzzava… Cosa diavolo abbiamo accettato a fare??" "Eddài, calmati!" cercò di sdrammatizzare l'americano "non è da te lasciarti andare così. Sembri Rock!" Si alzò e gli battè una mano sulla spalla. "Piuttosto, non è che sei preoccupato per lui? Pensi che gli sia successo qualcosa quando…?" Dutch alzò lo sguardo verso di lui. Gli occhi erano mascherati dai soliti occhiali da sole, ma si capiva perfettamente quanto fosse teso. "Non vorrei che gli fosse capitato qualcosa per colpa della mia granata… Non me lo perdonerei". Benny fece del suo meglio per rivolgergli un sorriso rassicurante. "Beh, non esagerare, adesso! È in gamba. E poi, non pensi che Revy sarebbe già tornata qua strepitante puntandoti le pistole addosso se si fosse fatto anche solo un graffietto…?"


"Rooock…" mugugnò Revy, sonnacchiosa. Rotolò sull'altro fianco per trovarsi faccia a faccia con il compagno. "Piantala con questo casino, non riesco a dormire!" Il giapponese alzò un sopracciglio. Gli ci volle qualche secondo per capire a quale terribile e fastidioso baccano si stava riferendo. Trasse un profondo respiro. "Revy, non mi sembra che giocherellare con la chiusura dell'orologio sia…" "Stai ancora parlando?!" lo interruppe lei, stizzita. "Non so te, non so cosa tu ti sia messo in testa e soprattutto non so se tu sia un cazzo di vampiro, ma io ho bisogno di dormire e per colpa tua non ci sto riuscendo!" si rivoltò nuovamente dandogli la schiena, come a rimarcare che quella era la fine del discorso. Punto. 'Sempre l'ultima parola' pensò il ragazzo, fissandole la nuca. "Beh" sussurrò impercettibilmente con un filo di voce "se non riesci ad addormentarti nemmeno tu, evidentemente…" La rossa girò la testa, punta sul vivo. "Per tua informazione, brutto stronzo" gli puntò un dito premendoglielo al petto "io ho un sonno bestiale!" gli mollò un leggero schiaffetto sulla guancia, sprezzante, e richiuse nuovamente gli occhi. Il ragazzo mosse le gambe, a disagio. Guardò l'ora: le due. E ora, che diavolo faceva per sette ore? Guardò fuori dal finestrino aperto. La fresca aria di Roanapur si stava facendo sentire, anche perché la sua giacca era ormai stata monopolizzata dalla ragazza. Passarono alcuni minuti, ma non vide nemmeno un'auto sfrecciargli vicina sulla strada. Si chiese perché tutti avessero qualcosa da fare, tranne lui...


Mark aveva detto una bugia ad Eda: lui odiava le Harley. Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a quelle enormi e pesantissime moto americane, utili solo a farsi notare schioppettando e assordando i passanti con quell'inutile rumore. Eppure, era l'unico mezzo che gli rimaneva, per cercare quei due. Con la falsa promessa di portare la suora alla chiesa della violenza, le avrebbe chiesto gentilmente - come solo lui sapeva fare - di fare una piccola deviazione per cercare Revy. Eda, però, era meno stupida di quanto lui credesse. Ignorando il suo tono lusinghiero sorrise, strappandogli dalle mani gli occhiali da sole che le stava porgendo. "È da tanto che non guidi un'Harley, e per altrettanto non la guiderai" sentenziò, salendo a cavalcioni sulla moto "Mi spiace, ma non la faccio guidare a nessuno. In più, devo correre di filato da Jolanda, ho un paio di cosette da riferirle. Ci vediamo!" alzò una mano per salutarlo, ed infilò le chiavi. Il biondo sgranò gli occhi, sbigottito. Aveva intenzione di lasciarlo lì? Senza nemmeno un'informazione? "A-aspetta" balbettò, tentando di fermarla. "Senti, Dutch è piuttosto preoccupato e vorrebbe proprio sapere dove è finita Revy… Secondo te, dove posso cercarla?"


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Angolo Autrice
Faccio schifo. Non aggiorno da anni. Non c'è scusa che tenga. Mi spiace. La finirò, giuro. Odiatemi.

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Capitolo 15
*** I kissed a girl ***


Capitolo 15.

I kissed a girl

 

Eda non era certo il tipo di ragazza che solitamente rifiutava le avances di un uomo. Ancora meno se era biondo: lei adorava gli uomini biondi. Aveva da sempre avuto quella fissazione, forse perché essendo bionda anch’essa si sentiva parte di una élite ristretta che le garantiva una certa sicurezza... Non può farmi le corna, sono bionda! Per questo motivo, non riuscì proprio a sbolognare Mark senza nemmeno una spiegazione.

“Senti” gli rispose, sospirando. “non so dove sia la tua fidanzatina, né dove voglia andare, né con chi sia. Sai” si indicò la testa “qualcuno mi ha colta alle spalle, stasera, e non nel modo che vorrei”. Fece una smorfia, quando le ritornò alla mente la puzza del disinfettante là in pronto soccorso. “Quindi, quello che voglio fare ora è tornare a casa a fare rapporto, dato che qui non è rimasto più nessuno”. Si guardò intorno, alzando le spalle. “O sbaglio...?”

“Heiiii! Heilààààà!” 

Un gridolino femmineo li fece voltare di scatto, facendo guizzare un lampo di speranza negli occhi di Mark. “Oh, hai visto, Eda?” sorrise lui. “Forse qualcuno può darci una mano, qui!” Alzò un braccio in direzione della figura che stava correndo verso di loro. Era a piedi scalzi, indossava uno straccetto di plastica rosa e... Beh, aveva lo stesso makeup di qualcuno che si era appena fatto una doccia fredda dimenticandosi di struccarsi. L'inglese alzò un sopracciglio, interdetto. “Uh, signorina...?”

Era la terza volta nella stessa sera che Simonette si rimangiava la parola data. Per tre volte aveva giurato che non avrebbe più rivolto la parola a nessuno fino all'indomani, e che si sarebbe allontanata dal suo ex posto di lavoro; nonostante questo, per tre volte prima che arrivasse il mattino aveva tradito se stessa, un po' come san Pietro con Gesù, dimenticandosi totalmente delle raccomandazioni che si era fatta. “Ormai la mia dignità penso che se ne sia andata, insieme alla mia auto, al mio cellulare e al mio lavoro”, sussurrò, correndo a piedi nudi verso i due biondi là in fondo.

Il suo sguardo si focalizzò, per la prima volta nella sua vita, prima sulla donna. La riconobbe subito: era la ragazza stesa a terra, che quel ragazzo tanto gentile poche ore prima stava provando a rianimare. “Oh, ciao!” la salutò, come se fossero amiche di vecchia data. “Stai meglio ...?”
Lo sguardo basito di Eda la trapassò da parte a parte, facendola sentire, se possibile, ancora più a disagio. Fece un risolino isterico. “Oh, sì, probabilmente non ti ricordi di me, ihihihi, eri svenuta quando il tuo amico, quel ragazzo tanto gentile, ha cercato di darmi una mano a ritrovare la mia auto!” sfoderò un sorriso a trentadue denti, imbarazzata, incurante della reazione che l'ultima frase aveva appena suscitato sui suoi due interlocutori.


Mark la prese per una spalla, voltandola di scatto verso di lui. “Un ragazzo, hai detto...? Moro, sfigato, vestito con una giacca nera...?” “Uh, s-sì” balbettò lei, imbarazzata. Non che non le fosse mai capitato che un uomo la prendesse per le spalle, ma in quel momento si sentì improvvisamente vulnerabile... Come se ci fosse un filo invisibile che legava tutti i personaggi che aveva incontrato quella sera. Facendo appello a tutta la sua carriera scolastica (non pervenuta), ragionò e giunse alla conclusione che la cosa migliore da fare era spifferare tutto a tutti, per rimanere il più possibile al centro dell'attenzione e riuscire almeno ad andarsene da quell'inferno... Magari guadagnando anche qualche extra. Sbatté le ciglia finte, sperando con tutto il cuore che fossero ancora attaccate alle palpebre. “Ecco, veramente” sussurrò “veramente non c'era solo lui, ecco”. Lanciò un'occhiata altezzosa ad Eda, sperando di ingelosirla. “C'era anche un'altra ragazza, che l'ha trascinato via e mi ha minacciata di morte se...” “Quella puttana!” esclamò Eda, scoppiando a ridere. Simonette si sentì presa in causa, ma l'equivoco venne subito chiarito. “Hai capito?! Te l'ho detto, se ne sono andati insieme! E dì, carina, sai dove sono finiti...?”

 


Revy allungò le gambe sotto il cruscotto, continuando a fingere di dormire. 'Si può sapere che mi prende...?' pensò, cercando di dare un senso a quell'improvviso attacco di insonnia che la stava tormentando. Aveva incolpato praticamente tutto: la tensione della serata, la storia di Mark, la rabbia per la sfortuna che sembrava perseguitarla, il rumore dell'orologio di Rock... Tutto inutile, non riusciva proprio a capire cosa la spingesse a rimanere sveglia. Giunse infine alla conclusione che una sigaretta le avrebbe fatto solo bene, e apì gli occhi di scatto, rizzandosi a sedere e provocando un infarto al giapponese.

“Aaah!” esclamò lui, portandosi una mano al petto. Era quasi riuscito ad addormentarsi, o perlomeno a rilassarsi, dannazione! Ed ecco che questa stronza dispettosa lo svegliava di nuovo, levandosi a sedere come uno zombie che emerge dalla tomba. Revy lo ricambiò con un'occhiata in tralice. “Beh?” mugugnò, stizzita. “Ho dormito abbastanza. Pausa sigaretta”.
Rock non rispose. Ormai si era abituato ai repentini cambiamenti di umore della ragazza, e aveva capito che la soluzione migliore a tutti i mali era l’indifferenza. ‘Mai mostrarsi sorpreso’, pensò. Si voltò dall’altra parte, ignorandola. ‘Dai che adesso mi addormento’. Si passò una mano sul viso. Cosa non avrebbe dato per una bella doccia…



 

“Fammi capire”. Eda stava decisamente superando il limite massimo di stress consentito dall’OMS, quella sera. Si era arrotolata le maniche fino ai gomiti, ed era seduta a gambe larghe, gli avambracci poggiati sulle ginocchia. “Quei due deficienti se ne sono andati alla ricerca della tua auto, giusto? Con l’auto di Revy”. Ripercorse passo passo ciò che era successo poche ore prima. Mark l’aiutò a completare il puzzle. “Poi” continuò lui, fumando una sigaretta “Poi tu sei rimasta qui, senza chiamare aiuto, perché…?”

“Perché il mio cellulare l’hanno preso loro!” finì Simonette, gli occhi pieni di lacrime. Detta così, sembrava che quella serata si fosse evoluta nella Fiera della Sfiga. Certo, probabilmente anche per colpa sua… Avrebbe dovuto tutelarsi di più, forse. “Lo sapevo, non dovevo fidarmi!” singhiozzò, senza ritegno.

Ma ormai nessuno la stava più ascoltando. I due si guardarono negli occhi, come folgorati.

“Scusa” sussurrò la suora. “Loro hanno preso… Il tuo cellulare…?”

 


Revy imprecò. Non c’era vento, quella notte, ma una sottile brezza che le impediva giusto di mantenere fissa la fiamma dell’accendino. “Porca puttana” mugugnò, stizzita. Si avviò a passo strascicato verso la macchina. Aprì la portiera e si buttò di peso sul sedile del passeggero. “Hey, magico” biascicò, cercando di essere il più rumorosa possibile per catturare la sua attenzione. “Ti uso l’accendisigari”.
Un sonoro ‘esticazzi’ era sul punto di uscire dalle labbra di Rock, quando improvvisamente qualcosa cambiò drasticamente la loro nottata.

Le note di “I kissed a girl” di Katy Perry riempirono in un attimo il silenzio della notte.
Un cellulare, abbandonato e dimenticato nella tasca della giacca di Rock indossata ora da Revy, cominciò a trillare.


 

Dutch si alzò all’improvviso, lanciando indietro la sedia e facendo traballare il tavolo della cucina. Benny si destò di soprassalto: aveva da sempre avuto la particolare abilità di addormentarsi in qualsiasi situazione, anche quando lavorava - e soprattutto in situazioni di stress. Era una risposta fisiologica, la sua, anche se questo gli aveva causato non pochi problemi nella vita... Primo fra tutti quando, soffocato dall’ansia di prestazione, si concedeva dieci minuti per un pisolino prima di cominciare. Ecco perché si era abbandonato al mondo dei sogni, nonostante Revy e Rock potessero essere in pericolo. Alzò lo sguardo verso il capo. “Che succede…?”

“Vado all’Hotel Moscow”, sentenziò lui, afferrando la fondina con la pistola. “Mi sono rotto il cazzo di rimanere qua”. “E con cosa vai?” chiese l’altro, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. “L’auto l’ha presa Revy”. 

Un sorrisetto passò distrattamente sulle labbra di Dutch. “Vuoi che una delle mie amichette non mi presti la sua auto…? E tu? Vieni, o rimani qui?”

 

*****

Angolo Autrice

Ciao, ecco, che vergogna. Non aggiornavo da anni, ma ancora qualcuno che mi segue c'è! Sono commossa. Non me lo meritavo.
Penso che aggiornerò con cadenza settimanale!
Capitemi. Avevo preso i tempi di Rei Hiroe.

Che, parliamone...
MA IL VOLUME DIECI?! Io sto piangendo. Non so voi.

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Capitolo 16
*** The plan ***


Capitolo 15.
The plan

 

Se c’era una cosa che Rock odiava, e che gli dava incredibilmente sui nervi, era non capire cosa diavolo stesse succedendo.

“Perché diavolo ho un cellulare…?” si chiese in un sussurro.

“Complimenti, colletto bianco” esclamò sarcastica Revy, togliendolo velocemente dalla tasca come se scottasse. “Era la stessa domanda che volevo farti io. Ottima scelta”. Lo fissò in tralice. “Si può sapere perché non te lo sei chiesto tre ore fa!?”

Il giapponese glielo sfilò dalle mani, rivolgendole uno sguardo stizzito. “Evidentemente non è mio, genio” borbottò. “Forse è di quella ragazza con cui stavo parlando prima che arrivassi tu. Non mi ricordavo di averlo tenuto”.

“Ah, adesso sì che sono sollevata!” rispose lei, sarcastica. “Stavo per complimentarmi con te per la bellissima suoneria! Beh, rispondi, no” lo esortò, facendo scattare l’accendisigari e schiacciandolo contro la punta della sua sigaretta. “Brutto deficiente”.

Rock fissò il telefono per qualche secondo. Deglutì.

Chi diavolo poteva essere? Nel migliore dei casi, quella ragazza che lo rivoleva indietro. Sarebbero bastati pochi secondi per sistemarla.

Ma se dall’altro capo del telefono ci fosse stato qualcun altro? Magari proprio…

“VUOI RISPONDERE O NO!?” la pistolera si sporse verso di lui, gridandogli in faccia. “Mi ha dato sui nervi questa canzone di merda!!” Gli prese il polso con la mano tirandolo a sé, e premette il tastino verde del telefono, attaccandoglielo all’orecchio.

“P...Pronto…?”

 

“Japonski!” la voce scontrosa di Balalaika gli fece gelare il sangue nelle vene. “Aaah, sono mooolto incazzata di sentire te rispondere a cellulare. Primo” scandì “avevo detto a te di distruggerlo. Secondo, dove cazzo siete tu e quell’altra deficiente? Non mi sembra la notte adatta da passare in intimità”. Rock non potè vederla, ma giurò che aveva appena piegato le labbra nella sua solita smorfia di disappunto. “Qui c’è lavoro da fare, la figlia del capo ha bisogno di qualcuno di più carino di Boris per dirmi dove si trova la loro base”.

“Oh, Balalaika!” ridacchiò, passandosi una mano sul collo sudato. Diavolo, quella donna aveva sempre la peculiarità di metterlo a disagio - come buona parte degli esponenti del sesso femminile, lì a Ronapur. “Guarda, a dire il vero abbiamo bucato, e siamo in mezzo alla tangenziale. Non sappiamo come arrivare lì, se puoi far venire…”

Rock si bloccò.

“No, aspetta”.

Revy si voltò, stizzita. “Ma che cazz…” il giapponese le premette una mano sulla bocca, zittendola. “A dire il vero, ho un’idea migliore. Ti mando qualcun altro a fare da interprete con lei”.  Gli si dipinse un sorrisetto sinistro sulle labbra quando si voltò verso Revy. “Ho un piano” sillabò, con uno sguardo d’intesa.


“Dai, riprova!”

Mark non stava più nella pelle. Era esagitato: avevano trovato finalmente il modo per contattare Revy il più presto possibile, ed ecco che il cellulare di quella puttanella bionda era occupato da dieci minuti. “Di sicuro non l’hanno buttato, o darebbe spento…” riflette a voce alta.

“Ehi!” Simonette gli tirò una manica, cercando di catturare l’attenzione di quel bel ragazzo. “Perché dovrebbero averlo buttato via? Come mai? E’ il mio cellulare, non….”

“Libero!” esclamò Eda, scattando in piedi. Ah, finalmente! Two Hands gliene doveva veramente tante: si erano tutti ficcati in un bel guaio, e sicuramente Jolanda non era una che amava starsene con le mani in mano mentre a Roanapur scoppiava il putiferio. Nonostante le lamentele dei due biondini lì davanti, aveva chiamato prima lei, avvertendola e chiedendole di mandare un prete a prenderli. E ora avrebbe finalmente - a suo parere - risposto a molti dubbi, dopo aver sentito Revy… Ma soprattutto Rock.

“Ehi, ciao, splendido! Sì, sono Eda, e sto… Ho questo numero perché sono qua con la puttana e…” ignorò bellamente le lamentele della biondina  “Sì, volevo…Ah, la tipa del taxi, sì…” Improvvisamente il perenne sorriso si pietrificò sulle labbra della suora. “…Ah. Certo” rispose, fredda. Si voltò, nascondendo le sue emozioni agli altri due. “Ho capito, vado direttamente lì… Ok”.

Premette il tasto rosso di chiusura della chiamata senza alzare lo sguardo, mordendosi la lingua. Non doveva assolutamente far trasparire le sue emozioni…  E per una brava spia come lei, questo non era certamente un problema.

Si voltò, raggiante.

“I due deficienti hanno bucato” tagliò corto. “Dutch passerà a prenderli. Più che altro, Balalaika si chiedeva se… Beh, non so se te la senti…” Sorrise, rivolgendosi a Mark: l’unico modo perché il piano funzionasse, era cercando di far leva sulla gelosia. “Rock doveva fare da interprete per una tipa, ma evidentemente non è stato all’altezza del compito. Dovresti sentire Revy, è incazzata nera!” scoppio a ridere, sperando che il pesce abboccasse all’amo.

“Ci credo che è incazzata!” si infervorò l’inglese, punto sul viv.o “Quello che mi stupisce è che Balalaika si fidi ancora di quell’idiota buono a nulla! Beh, che doveva fare? Solo l’interprete?” cercò di celare il più possibile il suo interesse,  fallendo miseramente. “Ha a che fare con quello che è successo stasera, vero…?”

“Già” sospirò la suora, accendendosi una sigaretta. Certo che gli uomini erano davvero tutti uguali… Fregarlo era stato più facile del previsto. “Hanno catturato una donna francese, che sembra parlare anche la nostra lingua eh, ma sai…” alzò un sopracciglio, sbuffando una nuvoletta di fumo. “Evidentemente Boris è un energumeno un po’ inadatto per una situazione del genere”.

 

“Hanno catturato una donna francese?!” Simonette si rizzò in piedi, sgranando gli occhioni azzurri. “Sul serio?! Sarà la figlia del mio capo, allora!” ridacchiò divertita.

Calò nuovamente il silenzio.

“Ma è ancora viva, sta qua…?” grugnì Mark. “Vuoi levarti dal cazzo? Stiamo parlando di cose serie!” le urlò contro, fulminandola con lo sguardo. “Piuttosto” si rivolse nuovamente ad Eda “il francese lo conosco bene. Se alla russa va bene, il prete può accompagnarmi volentieri da lei e…”

Venne interrotto dal singhiozzare sommesso di Simonette. Questo era veramente troppo: era stata abbandonata mille volte, quella sera, anche da persone apparentemente gentili e disponibili. Aveva mandato all’aria la sua carriera, le sue conoscenze, la sua auto, la sua vita! Anche facendo affidamento sulle informazioni che poteva aver raccolto, nessuno sembrava interessarsi a lei. Le lacrime cominciarono a scenderle copiose dalle guance, staccandole definitivamente le ciglia finte, ormai più simili a due ragni penzolanti che ad un articolo di make-up.

“N-non devi urlarmi in faccia!” frignò.

Eda si voltò lentamente verso di lei. “Piccola pecorella smarrita, sai cosa dice Matteo nel Vangelo, verso sette?” piegò un angolo della bocca “hai rotto il cazzo, puttana”. Le fece cenno di sparire, scostando il velo e mostrando la fondina vuota sotto l’ascella.

Simonette scomparve a vista d’occhio.

“Dicevamo... Ottimo, sarà contentissima Revy che finalmente ti rendi utile e dai una mano all’Hotel Moscow! Appena arriva padre Fernando ti faccio accompagnare da loro, ok…?” Mostrò il pollice alto a Mark, inforcando l’Harley e girando le chiavi nel quadrante. “Grazie mille della compagnia, sei stato un vero tesoro. Il mio amichetto arriverà a minuti, non preoccuparti… Lui sa dov’è l’Hotel Moscow!” Agitò una mano nella direzione dell’inglese, e partì a tutta birra.


La leggera brezza di quella notte scorreva fra i capelli della suora, facendole svolazzare il velo; purtroppo, però, non era abbastanza forte da dipanare i pensieri che le affollavano la mente.

“Testa di cazzo” mugugnò, contrariata. Era da sempre abituata a risolversele da sola, le questioni… Ed ora doveva far finta di nulla, e lasciare andare illeso quell’idiota che - stando a quello che aveva appena appreso - l’aveva colpita alla nuca poche ore prima. “Se solo avessi le mie glock…” sibillò. Per una volta, avrebbero dovuto tutti sottostare al gioco di Rock.


Benny sospirò. Col capo si finisce sempre così.

E’ un classico: “fai come vuoi”, “a te la scelta”, ma alla fine è sottinteso che, se non fai come vuole lui, nel migliore dei casi vieni licenziato…

Nel migliore dei casi.

“Certo che mi va di accompagnarti a cercare Revy e Rock”, aveva risposto, sarcastico. “Mica lo faccio perché me lo chiedi”. E difatti, ora si trovava controvoglia sulla soglia del palazzo, aspettando che Dutch arrivasse con un’auto.

“Meno male che tira aria” aveva sospirato, stringendosi nelle spalle. Aveva cercato di temporeggiare il più possibile mentre si preparava, ma dopotutto per infilarsi un paio di infradito ed una camicia non ci voleva tutto quel tempo…

Vide da lontano un’auto che si avvicinava. Alzò la mano, per farsi notare.

Soffocò uno scoppio improvviso di risa.

La macchina in questione era una fiat cinquecento rosa confetto, e faceva un certo effetto vedere il finestrino abbassarsi e un omaccione nero sporgersi per farsi notare.

“Uhm, bella auto” ridacchiò il biondo.

Dutch si accigliò. “E’ l’unica che ho trovato” rispose, visibilmente a disagio nel minuscolo abitacolo. “Sbrigati, che questa storia deve finire in fretta”.


“Fammi capire”. Revy stese le gambe, aspirando una lunga boccata dalla sigaretta. Si rigirò il cellulare fra le mani. “Adesso devo chiamare Dutch e Benny, giusto? Così ci vengono a prendere e andiamo da Balalaika…?”
Rock scosse la testa, concentrato. “No, non andiamo da lei. Senti, chiamali e non fare domande, va bene? Sto cercando di concentrarmi”. Portò le dita alle tempie, chiudendo gli occhi. Si chiese per un attimo se lo sguardo corrucciato e i respiri profondi lo facessero sembrare un idiota agli occhi della ragazza, ma non se ne curò particolarmente.

Two Hands lo fissò per qualche secondo. Le faceva sempre una certa impressione, vederlo al lavoro… Dalla prima volta in cui li aveva cacciati fuori dai casini, con quell’elicottero che voleva farli secchi, a quando aveva dimostrato una certa abilità nel riuscire a salvare capra e cavoli con la faccenda di quella cameriera pazzoide. Doveva riconoscerlo: era stato proprio una buona aggiunta al team, quel colletto bianco… Anche se non glielo avrebbe mai, mai e poi mai fatto notare.

“Sei tu la mente, io sono il braccio” borbottò, sorridendo fra sé e sé. Loro due sembravano quei personaggi dei manga, ognuno in grado di fare un piccolo pezzetto per raggiungere l’obiettivo… Col piccolo dettaglio che, solitamente, chi faceva fuori tutti era un omone muscoloso, non una ragazza cinese.

Sospirò, componendo il numero del cellulare di Dutch. Che disagio, la sua vita.


***

Angolo Autrice

Ragazzi, grazie a tutti per le recensioni! Come vedete, sto cominciando ad impegnarmi e a sfornare un capitolo alla settimana.
Lo so, ho detto che la fine era vicina, ma vedrete che fra poco tutte le storie si intrecceranno...
Tranne quella di Simonette, ecco.
Forse la sua no.

 

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Capitolo 17
*** Mexican Standoff ***


Capitolo 17.
Mexican Standoff


"Boris, perché non siamo rimasti a combattere in eterno in Afghanistan?"
"Perché guerra finita, Capitano" rispose l'energumeno a Balalaika.
La donna mugugnò, affondando il viso fra le mani. "Giusto". Quanto avrebbe dato per essere nuovamente al fronte! Quanto le mancavano i sibili dei proiettili sopra la testa, il cameratismo, il vivere alla giornata... Quello era un buon modo di vivere, si disse.
Ed ora, esa costretta a rimanere lì, impantanata in quella fogna Thailandese, a gestire il traffico di droga, di porno, di organi, di minorenni... E a dover sottostare ai piani di quel maledetto Rock.
"Quel Japonski non mi piace" sentenziò, frugando in un cassetto alla ricerca di un sigaro. "Sta rovinando tutto. Two-Hands, per prima cosa. Rende cose semplici molto difficili". Trovò un cubano vecchio di chissà quanto, e ne tagliò la punta stringendolo fra i denti. "E ora dobbiamo seguire suoi piani, fare come lui dice..."
Boris si mosse nervosamente, a disagio. "Se Capitano vuole Japonski morto, io..."
"Nah". Balalaika sbuffò una nuvola di fumo. "Two-Hands non me lo perdonerebbe mai. Tanto, questione di tempo... Se andrà avanti così a lungo, si ucciderà da solo".


"Quindi questo è l'Hotel Moscow, eh...?" chiese in un sussurro Mark.
"Sì, esto es!" esclamò di risposta don Fernando. Tamburellò le dita abbronzate sul volante. "Y te debe andare in fretta, hermano, entende?" lo spronò. "Balalaika es una mujer muy impaciente". Gli fece cenno di scendere, indicandogli l'entrata del garage.
"Beh, gra..." provò a rispondere l'inglese, interrotto dalla brusca sterzata e dall'altrettanto rapida ripartenza del prete. Si grattò la nuca, perplesso, entrando dalla saracinesca mezza aperta.

"Hey" chiamò, con voce incerta. Il garage era completamente buio, e l'unica luce era quella della luna che filtrava dalla serranda. Mosse incerto qualche passo.
Improvvisamente gli sembrò di sentire un rumore alle sue spalle. Si voltò di scatto, sfilando dalla cintura una Glock.
"Ma che bella pistola".
Le luci si accesero, e la saracinesca scattò verso il basso, chiudendosi. Vicino all'interruttore c'era Revy, appoggiata al muro, una Beretta stretta nella mano libera. Era puntata su di lui.
"Revy...?" il suo sguardo si perse nel vuoto. Abbassò la pistola. "Che... Che diavolo ci fai qui? Mi avevano detto che..."
"Ti avevano detto male" rispose lei, secca, senza abbassare la Cutlass. "Vieni qui".
Mark non si mosse. Diede una rapida occhiata in giro: era in trappola. L'avevano fregato, ma non capiva ancora dove diavolo voleva arrivare la rossa.
"Senti" deglutì. "Immagino che sia stata tu a chiamare Balalaika, giusto?" sospirò, abbassando la Glock. "La figlia del capo è ancora viva. Possiamo ancora farcela". Sorrise timidamente verso di lei.
Revy non si scompose. "Possiamo farcela a fare cosa, scusa?"
"A scoprire la loro base". Mark appoggiò lentamente la pistola a terra. "Ok, lo ammetto: sono l'uomo che stavate cercando". Fece spallucce, sospirando. "Penso che ve ne siate accorti. Sono venuto qui tranquillamente per un lavoro, che dovevo fare? Come facevo a sapere che mi sarei scontrato con te?" la guardò sconsolato. "Non pensavo che lavorassi per l'Hotel Moscow. Ma meglio così, in fondo. Sono troppo forti, per la Trading Company".
Revy strinse i denti. Certo, ormai era sicura del suo tradimento, ma sentirselo dire in faccia la destabilizzava comunque. Era vero, però: come faceva lui a sapere che si sarebbe messo contro di loro?
"Dammi un buono motivo per cui non dovrei spararti ora" mugugnò.
Mark la fissò, sbigottito. "Scusami?!" gli scappò una risatina isterica. "Stai scherzando, vero?! Dovresti averlo capito, ormai, che sono dalla vostra parte!" spalancò le braccia. "Ti ho salvato il culo in quel night, perché sapevo benissimo che se il capo mi avesse visto avrebbe cessato il fuoco!"
"E perché avresti dovuto sputtanarti così?" rispose lei. Ormai non lo stava più nemmeno ascoltando; giocherellava col tamburo della pistola, senza abbassarla troppo. Era stanca, davvero stanca.
"Perché, mi credi scemo?" le rispose lui, avvicinandosi di un passo. "Avevo capito fin da subito che la Trading Company non avrebbe mai retto il confronto con voi. Non aveva il minimo senso, continuare questa battaglia. E così ho pensato di aiutarvi a farli fuori tutti, per arrivare alla base".
La cinese alzò un sopracciglio. "la base?"
"Certo, la base. La tesoreria. E' lì che tengono l'arsenale, i documenti, la grana. E sai chi è l'unica che sa dove si trova...?" Sorrise, sperando che Revy capisse il suo piano.
"La fighetta francese" rispose lei, annoiata. "Vuoi farmi credere che ci hai usati per distruggere la tua organizzazione? Che animo nobile. E immagino che poi avresti ammazzato la figlia del capo, avresti donato tutto in beneficienza e te ne saresti tornato in Inghilterra, giusto?"
L'inglese fece spallucce. "Usarvi è un termine grosso. Diciamo che da solo non ce l'avrei mai fatta". Abbassò lo sguardo, colpevole. "Senti, so che ce l'hai con me per non avertelo detto. E hai ragione". Strinse i pugni, ripensando a quanto avevano passato insieme. "Ti avevo giurato che non ti avrei mai mentito".
Revy irrigidì la mandibola, alzando nuovamente lo sguardo verso di lui. "Già. E invece l'hai fatto".
Mark si morse un labbro. "L'ho fatto perché... Perché non si trattava solo di te". Fece un gesto vago con la mano. "C'è il tuo capo, c'è Balalaika, c'è quel cretino di giapponese che ha intralciato tutto, c'è..."
"C'è Eda".
"Oh, senti!" esclamò, spazientito. "Dovevo farlo! Non ce l'avrei fatta a proteggervi entrambe se foste entrate insieme! L'ho fatto per il suo bene. Hanno pensato che fosse morta, e se ne sono andati lasciandola stare. Come on, Revy" alzò nuovamente lo sguardo da cane bastonato su di lei. "Sai che non ti avrei mai torto un capello, né a te, né alla Black Lagoon". Sorrise. "Se non mi credi" indicò la Glock a terra "sparami".
"Taci, deficiente!" sbraitò Revy. "Hai rovinato tutto il rovinabile!"
Perché diavolo non riusciva a premere quel dannato grilletto? Perché lui continuava a fissarla divertita, nonostante la situazione?
Questo stallo le ricordava terribilmente...

"Oklahoma" mugugnò lei.
"Norman" precisò lui, sorridendo.

Circa dieci anni prima, Revy, la famigerata Two Hands, non esisteva ancora. C'era solo Becca, un'adolescente con dei genitori poco responsabili, la cui vera famiglia era quella della strada. Era sempre incazzosa, sgraziata, con i capelli tagliati un po' a caso e con quell'aria da scappata di casa che la accompagnava ovunque. Indossava sempre una felpona larga, perché non era ancora giunto il momento della sua vita in cui ostentava le Beretta senza problemi, e l'unico modo per nascondere la pistola era infilandola nei jeans.
Passava le giornate nei vari parchetti del quartiere di China Town, occupandosi per lo più di spaccio. Non era ancora una famosa fattorina, ma probabilmente se glielo aveste detto non vi avrebbe creduto: Becca era convinta di morire giovane, al massimo a vent'anni. Viveva alla giornata, giocando ogni momento il tutto per tutto e facendo affidamento solo su poche persone, che si sarebbero potute tranquillamente contare sulle dita di una mano.
Circa dieci anni prima, Mark esisteva già. Più arrabbiato, più punk, più in crisi ormonale, ma sempre Mark. Era sempre lo stesso biondino strafottente che sarebbe stato da grande, ed era semplicemente il migliore amico di Becca. Non viveva a China Town, la sua famiglia emigrata dall'Inghilterra per affari era tutto sommato perbene, ma a lui piaceva giocare il ruolo dell'adolescente problematico e non ci aveva messo tanto a farsi strada nel giro.
Lui adorava Becca perché era impulsiva, una belva, perché nessuno riusciva a fermarla; lei adorava Mark perché aveva la strana abilità di trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto. C'era stato un casino e la roba non si trovava? Lui beccava per caso al centro commerciale lo stronzo che stava tentando di farla franca. Qualcuno aveva pestato il capo? Lui era testimone, e lo coglieva in fallo. Becca era nei guai?
Lui, il suo deus ex machina, appariva magicamente per trarla in salvo.

Erano sempre stati legati, ma Norman, Norman era stato il momento in cui avevano semplicemente capito che non avrebbero mai più potuto separarsi.
Poi però c'era stata la prigione, la morte dei genitori di Mark, le retate, e tutto era cambiato. Ma Norman era rimasta.

Becca non voleva andarci, a Norman. Aveva più volte ripetuto al loro capo che lei il giro di droga non voleva gestirlo fuori dal loro stato - c'erano diverse regole, diversa gente. Lei, a New York, era una star. In Oklahoma non era nessuno.
Era stato fondamentalmente Mark a convincerla. In un certo senso, si sentiva tranquilla con lui: sapeva che niente sarebbe potuto finire in tragedia, o almeno sarebbe stato recuperabile, con Mark nei paraggi.
Avevano scelto di mandarli insieme anche perché Mark aveva la patente, mentre lei si era categoricamente rifiutata di guidare. E in qualche modo dovevano arrivarci.

Era stato un vero e proprio viaggio della speranza: ventitrè ore di macchina, senza contare le pause. Da New York avevano fatto tappa in Ohio, passando per quella merda di Pittsburgh perché Mark voleva a tutti i costi vedere la città. Avevano attraversato l'Illinois, il Missouri, avevano accuratamente evitato di passare per il Kansas, e finalmente erano entrati in Oklahoma.
"Che merda" era stato il primo commento della ragazza.
Cavalli, cavalli ovunque. Polvere, campi giallognoli cotti dal sole, cascine solitarie all'orizzonte, non un filo d'ombra e loro erano letteralmente distrutti dal viaggio.
"Muoio dalla voglia di farmi una doccia, e qui c'è solo polvere e fa un caldo boia" si era lamentata, levandosi con un calcio gli anfibi.
Mark, invece, era contentissimo. Il suo paese d'origine, l'Inghilterra, era la patria dell'umido e della nebbia, e quel clima secco lo affascinava. Si era fermato nel primo bar sulla strada, riarredato a saloon. Nonostante l'afa, Becca ne era rimasta colpita, ed il suo umore era cambiato radicalmente. Avevano dormito lì, bevendo birra tutta notte e ridendo come dei pazzi alle canzoni western che continuavano a passare alla radio.
Avevano raggiunto Norman il giorno successivo, e dio, Becca ne era rimasta totalmente affascinata.
C'erano parchi ovunque, edifici vecchissimi e imponenti; i parchi erano davvero meravigliosi, senza quella calca disumana del Central Park. Faceva sempre un gran caldo, ma sotto qualche pianta si riusciva a respirare comunque e a godersi la giornata. Quasi quasi le dispiaceva, di essere lì per lavoro.
Mark aveva chiamato il capo da una cabina telefonica, giusto per assicurarsi che il luogo fosse quello giusto. Si erano dati appuntamento verso le sette di sera in un campetto da basket in periferia con alcuni ragazzi che gestivano il giro in quello stato.

L'idea del boss era molto semplice: andate là, controllate che continuino a comprarla solo da noi, mangiate due o tre burriti e tornate a casa. Peccato, però, che erano stati battuti sul tempo: qualche giorno prima, subito dopo gli accordi che dovevano in teoria essere ormai consolidati, da Kingston erano arrivati tre stonzi che avevano pensato bene di fare fuori i loro contatti e prendere bellamente il loro posto.
Kingston era una cittadina del sud, sul confine fra Oklahoma e Texas, così sfigata che nessuno se la ricordava: veniva sempre associata alla capitale della Jamaica. Forse era per questo che quei due bulletti si erano sentiti in dovere di prendere il posto del giro di China Town nel commercio dell'erba nella zona.
E così, il ridente parchetto di basket si era trasformato in un batter d'occhio nello scenario di una vera e propria guerra tra bande. I due ragazzi stavano aspettando i loro contatti, seduti su una panchina. Improvvisamente, Mark aveva alzato lo sguardo, catturato da qualcosa, ed era andato a prendere con una scusa le sigarette in macchina; mentre si allontanava, due degli stronzi di Kingstown avevano preso Becca alle spalle, buttandola a terra e puntandole contro una pistola. Lei era stata veloce, e aveva estratto la sua; aveva sparato due colpi, mirando con cura e a sangue freddo, e era riuscita a farne fuori uno, ferendosi al braccio. Ma era comunque in netto svantaggio.
Era in uno di stallo alla messicana: non aveva più colpi, ed erano uno contro uno. Cercava di mirare alla testa, ma la consapevolezza di avere il caricatore vuoto la faceva rabbrividire: era in netto svantaggio.
"Mark, figlio di puttana!" aveva sussurrato lei, a denti stretti "Mi hai lasciata qui da sola!"
"Chi, il tuo amico...?" aveva risposto l'altro, sogghignando. "Ci ha visti e se ne è andato. Evidentemente non voleva grane".
A quelle parole, la vita le era improvvisamente passata davanti agli occhi. Come era possibile? L'aveva tradita? No... Mark non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Non a lei!
Ma allora, perché non tornava più? Perché non la stava salvando?
La fine sembrava ormai vicina. Dopotutto, era solo una ragazza, che si curava di un giro di droga abbastanza insignificante, che sapeva usare una pistola come ogni essere umano del suo quartiere. Si era rassegnata ad andarsene.
E così, proprio mentre stava per chiudere gli occhi ed accogliere a braccia aperte l'inferno, aveva sentito un colpo, e il suo avversario si era improvvisamente accasciato a terra. Becca aveva sgranato gli occhi, trovandosi di fronte Mark con una pistola in mano, tutto sorridente.
"Just in time, come sempre!" aveva ridacchiato.
"Brutto figlio di troia!" Becca era furente. Se ne era andato lasciandola sola, lei era ferita e lui aveva colto l'occasione per usarla da esca, prendendoli alle spalle e uscendone pulito. "Il capo lo verrà a sapere! Mi hai abbandonata qui!"
"Non dire cazzate" aveva risposto lui. "Sai che non ti abbandonerei mai. E se non mi credi" aveva detto, serissimo, lanciandole la pistola "sparami".
C'era stato qualche attimo di silenzio. La ragazza lo aveva fissato, incerta.
"Ho una voglia matta di farlo" gli aveva detto.
Ancora silenzio.
Becca aveva raccolto la pistola, avvicinandosi a lui e puntandogliela in fronte. Mark era rimasto impassibile, guardandola con quei suoi occhi azzurro cielo.
Appena erano stati abbastanza vicini, lei gli aveva sferrato un cazzotto sulla mandibola, spaccandogli il labbro.
"Bastardo".
Lui aveva incassato, senza dire niente. L'aveva accompagnata alla macchina, le aveva fatto bere qualcosa e le aveva medicato il braccio.

Era stato solo qualche ora dopo, mentre ormai ritornavano verso casa, che lei si era ricordata che i tizi di Kingston erano in tre.
"E il terzo?!" aveva esclamato all'improvviso.
"Ah, l'ho ucciso subito. Avevo visto che stava venendo verso di noi, pensavo che fosse da solo e volevo allontanarlo da te. Mi sono accorto dopo che c'erano gli altri due".
La rossa si era voltata di scatto verso di lui, sgranando gli occhi.
"Ma... Non potevi dirmelo subito?!"
"Becca..." aveva sbuffato lui, sorridendo e scompigliandole i capelli. "Ma quando imparerai che io ti proteggerò sempre, e che non ti mentirò mai?"
Lei si era sentita una vera merda. Aveva dubitato di lui, si era sentita abbandonata e l'aveva pure picchiato...
"Mark" gli aveva sussurrato, guardando fuori dal finestrino. Si vergognava da morire, a guardarlo negli occhi. "Giurami... Giurami che non mi mentirai mai. E io giuro che mi fiderò per sempre di te".
Mark aveva sorriso, accarezzandole il collo. "I swear, my dear".
Aveva accostato, e l'aveva fatta voltare verso di sé.
Becca non piangeva, non piangeva mai. Continuava a fissarlo a denti stretti, cacciando giù il magone che cercava prepotentemente di risalire. Fissava il suo labbro tagliato, sentendosi terribilmente in colpa.
E d'un tratto, semplicemente, Mark aveva preso il suo mento fra le dita, l'aveva attirata a sé e l'aveva baciata.
Per Becca era il primo bacio, e aveva il sapore del sangue.
 



Angolo Autrice

Ragazzi, vado in vacanza! Ci rivedremo fra due settimane...
In realtà sto scappando, perché so quanto odiate Mark, e ho paura che vi vendicherete! Ciao!

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Capitolo 18
*** Strange kind of woman ***


Capitolo 18.

Strange kind of woman

 

“Questa volta, se mi ficchi ancora la lingua in bocca ti ammazzo”.

Revy abbassò la pistola, stringendo i denti.

Mark sorrise. “Sapevo che avresti detto così” sospirò, muovendo cauto un passo verso di lei. “Allora…” incllinò la testa di lato, sfoggiando la sua solita aria strafottente “...mi posso considerare perdonato, sì…?”

 

I due ragazzi salirono a passi veloci le scale che collegavano il garage alla sala degli interrogatori. “Tutto chiaro? Vedi di non fare errori. E vedi di dimenticarti ogni cosa che vedi qua” mugugnò lei, lanciandogli uno guardo in tralice. “Stando al piano di Rock, avrei dovuto ucciderti, laggù”.

“Non ne avevo dubbi” mugugnò lui, correndo alle spalle di Revy. Cercò di non guardarsi intorno per non irritarla troppo: adesso, non era più lui a tenere le redini della situazione.

“Eccoci” sussurrò lei, raggiunto il pianerottolo. Bussò tre volte, come pattuito, lasciando qualche secondo per dare tempo agli altri di prepararsi. Dopodiché, sfondò la porta con un calcio.

 

Fu un attimo. Boris e Balalaika svuotarono il caricatore dei loro Kalashnikov fuori dalla finestra, il primo urlando, la seconda con una palese aria annoiata. Dutch mollò un cazzotto a Benny, giusto per fare un po’ di scena. Rock, invece, dopo essersi tappato le orecchie alzò verso l’inglese uno sguardo fra il sorpreso e lo stizzito. Lo indicò con un cenno del capo, lanciando un’occhiata interrogativa a Revy. “Che cazzo ci fa lui, qui?!” sibilò a denti stretti, avvicinandosi al ragazzo a grandi passi e dandogli uno spintone.

“Ssht, zitto” sussurrò Dutch, raggiungendoli subito. “Evidentemente i piani sono cambiati” . Revy non rispose, limitandosi a guardare il capo negli occhi.

 


Nonostante tutto, nonostante la scontrosità della pistolera, nonostante le attenzioni di Rock, forse chi realmente riusciva a capire Revy al cento per cento era, ed era sempre stato, Dutch. Era lui che riusciva a calmarla, a sapere quando lasciarla stare, ad incanalarle la furia omicida quando ormai si rendeva conto che era arrivata al punto di non ritorno. In quei momenti, quel grande omone acquisiva capacità empatiche degne di una confidente adolescenziale. “E’ per questo che attira le donne!” si lamentava sempre Benny, giustificando così il suo scarso successo con il sesso opposto. Ecco, in quel momento Dutch aveva capito perfettamente la situazione. Conosceva Mark, sapeva benissimo che rapporto c’era fra i due e, soprattutto, non era un idiota. Non avrebbe mai lasciato Revy da sola, se non fosse stato sicuro al cento per cento che Mark non aveva cattive intenzioni. “Un vero capitano non abbandona mai la sua ciurma”, ripeteva. E, in fondo, era sempre stato così.

 

Rock si forzò di rilassarsi, cercando in tutti i modi di ignorare il sorrisetto sarcastico del biondo che sembrava urlargli in faccia: ‘allora, chi è che comanda, qui?!’. “Vieni, dobbiamo parlare” sentenziò Dutch, trascinando il giapponese fuori dalla stanza.

Nel frattempo, anche Revy aveva scaricato una Cutlass sul pavimento, sotto lo sguardo gelido di disappunto di Balalaika. ‘La moquette me la ripaghi tu’, sembrava dirle.

“Beh, secondo me abbiamo fatto abbastanza casino” cinguettò allegro Benny, massaggiandosi la guancia. “Direi che possiamo sdraiarci per terra e dare inizio alle danze. Ecco” lanciò le chiavi dell’auto a Mark “divertitevi!”



 

Mark fece scattare il chiavistello della cella. ‘Ci siamo’, pensò. Cominciò piano ad intonare i versi di una canzone che, nell’ultimo mese, si era sforzato di imparare a memoria.

“I want you, i need you, i gotta be near you

I spent my money as i took my turn…”

Aprì pian piano la porta a tenuta stagna, senza smettere di cantare.

“I want you, i need you, i gotta be near you…”

La sua voce sfmò piano, come un sussurro. Diede una rapida occhiata dentro, sbirciando dalla fessura aperta. Sentì una vocina piagnucolare; alzò lo sguardo, e si trovò di fronte Nicole. Sfoggiò il suo miglior sorriso.

“I feel like screaming

I won my woman just before she died!”

Spalancò la porta ed aprì le braccia, raggiante. La ragazza, superato il momento di defaillance, scattò in piedi e corse piangendo verso di lui.

Dieu merci!” strillò, cadendogli fra le braccia e scoppiando in singhiozzi. “Sei arrivato! Sei tu, indien! Ti ho riconosciuto! La canzone...”

“...Dei Deep Purple. Certo, che sono io” sussurrò lui, accarezzandole i capelli. Le lanciò un’occhiata dall’alto della sua spalla.

 

Era davvero una ragazza bellissima, una modella, quasi. I lunghi capelli color cenere erano così morbidi da scivolargli fra le dita; la sua figura, nonostante la situazione, continuava a tradire una spiccata eleganza. Chissà perché diavolo si era impuntata di seguire il padre fin lì, in quella fogna. La abbracciò, cogliendo l’occasione per accarezzarle i fianchi.

“Va tutto bene, c’est moi, c’est moi” le sussurrò all’orecchio. Lei alzò il viso, puntandogli addosso suoi enormi occhioni spaventati e arrossati dal pianto. “E… E le persone orribili che mi hanno portato qui, dove…?”

Lui le regalò un altro sorriso rassicurante, inclinando la testa di lato. “Non preoccuparti, li ho sistemati. Sono qua fuori, ma preferisco che…” spense il sorriso dalle sue labbra “preferisco che tu non li veda, madame”.

“Già. Ho sentito gli spari”. Nicole si raddrizzò, sciogliendosi dall’abbraccio. “Perdonami per la scenata, ero un po’...” sospirò, lanciando un’occhiata terrorizzata alla cella in cui era stata rinchiusa fino a quel momento “...sull’orlo di una crisi di nervi, direi”. Gli rivolse un sorriso. “Non so come ringraziarti, ma, dopotutto, ero sicura che saresti venuto a salvarmi. Mancavi solo tu”. Mark fece finta di non capire. “E gli altri? Che fine hanno fatto…?”

Un’ombra passò sul viso della donna. “Gli altri… Mio… Il capo, sono tutti…” si interruppe, la voce rotta dal pianto. Mark le appoggiò una mano sulla spalla.

“Andiamo via di qui”.



 

Non succedeva spesso di vedere Rock furibondo. Solitamente, quando dava il peggio di sé tendeva comunque a rimanere calmo, sorprendendo gli altri con la sua improvvisa freddezza.

In quel momento, Dutch si ritrovò faccia a faccia con il lato più isterico del giapponese. Si ritrovò a pensare che fosse una fortuna che ci fosse proprio lui, in quel momento. Sospirò, accendendosi una sigaretta.

L’aveva quasi trascinato a forza in una delle stanze dove Boris e i soldati erano soliti svagarsi mentre aspettavano di essere assegnati a qualche missione. C’era un grosso tavolo al centro, e tante sedie sparse intorno. Rock sembrava si stesse impegnando a calciarle tutte, dalla prima all’ultima.

“Che cazzo è saltato in mente a quella deficiente!?” urlava. Aveva deciso di sfogarsi sul mobilio perché, dopotutto, un briciolo di buonsenso gli era rimasto, e se il capo l’aveva trascinato in quella stanza, forse non era molto saggio uscirne di propria spontanea iniziativa.

“Vedi di darti una calmata” biascicò Dutch, accendendosi una sigaretta. “Su, siediti qui, te ne offro una”.

“Come diavolo pretendi che stia calmo!?” sbraitò il giapponese, sferrando un pugno di piatto contro la parete e facendosi particolarmente male. “Ugh” mugugnò, contraendo la bocca in una smorfia. L’altro ridacchiò.

“I pugni contro il muro si danno sempre di lato” cantilenò, come a riprendere un bambino che non ha ancora imparato bene come va il mondo. “Sennò ti spacchi la mano. Spero se non altro che questo sia servito per calmarti”.

Rock crollò su una sedia, sconfitto. Si lasciò andare ad un sospiro profondo, e accettò la sigaretta che il capo gli stava offrendo. “Come fai ad essere così tranquillo? Me lo spieghi?”

“Ahhh, ho scelto bene il tuo nome, a quanto pare” ridacchiò lui, stendendo le gambe sotto il tavolo. “Sei proprio duro come una roccia, eh? Sai, tu sarai anche un ottimo stratega, non lo nego, ma quando c’è di mezzo Revy hai meno flessibilità mentale di un cazzo di nazista”. Si tolse gli occhiali da sole, e lo guardò dritto negli occhi. “Devi stare molto attento, Rock. Spera che nessuno se ne accorga, o portano usarlo contro di te”.

Il giapponese incassò la lezione senza dire una parola. Rimase in silenzio qualche minuto.

“Mi stai dicendo” proruppe infine “mi stai dicendo che ci eravamo sbagliati, sul suo conto…?”

“No! Sto dicendo che tu ti eri sbagliato sul suo conto. Succede” si affrettò ad aggiungere “e sono convinto che non sia la prima volta che ti capita. Eppure, adesso sei letteralmente furibondo! La vita di Mark non è una gara. La vita, non è una gara”. Lo sguardo del capo si fece improvvisamente severo, e Rock cominciò a sentirsi dannatamente piccolo.

“Non ti abbiamo arruolato perché eri uno spietato assassino. Quello ce l’abbiamo già nella ciurma, e non è Benny” cercò di smorzare la tensione con una battuta “quello di cui abbiamo bisogno è una persona che ci colleghi al mondo reale. Qualcuno che ci ricordi com’è la vita al di fuori di Roanapur…. Non vogliamo che tu ti adatti a noi, ma il contrario!”

Rock rabbrividì. “Dici… dici che sto cambiando…?” sussurrò. Dutch gli diede una pacca sulla spalla.

“No. Dico solo di fare meno il geloso” scherzò, piegando le labbra in un sorriso. “Almeno, non a livelli omicidi! Fidati, Revy conosce Mark molto meglio di te, e non è decisamente una ragazzina. Sa cosa sta facendo”.



 

“Spero che tu sappia cosa stai facendo” sibilò Balalaika, furente, mentre Benny li disponeva artisticamente per terra. “O quando mi rialzerò, farò cadere te”.

Benny sorrise, visibilmente a disagio. “Ecco, ora siamo più realistici”. Scalciò un’infradito, gettandosi poi a terra con la guancia tumefatta bene in vista. “Shhht! Stanno arrivando!”



***
Angolo Autrice

Sì, lo so, avevo promesso un capitolo alla settimana, ma ero in vacanza senza internet, con tanto mare e con tanto sole *-* Quindi sono giustificata, vero?
Mi rifarò! Questa settimana penso di pubblicarne un altro!
Buona lettura! E grazie a tutti queli che hanno letto e recensito... Siete dei grandi, aiutate un sacco, davvero. <3

Harry

 

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Capitolo 19
*** Walk down the same road ***


Capitolo 19.
Walk down the same road



Nicole attraversò di corsa il corridoio con il viso coperto dalle mani. “Guidami tu” sussurrò. “Io odio la vista del sangue”.

“M-mh” rispose Mark, cercando di non scoppiare a ridere. Povero Benny, la sua meravigliosa guancia gonfia non era servita proprio a nulla. Gli sembrò di sentire Balalaika sbuffare, e trascinò via di fretta la ragazza prima che si accorgesse di qualcosa. “Non preoccuparti. Ho un’auto, qui sotto, ce ne andiamo di fretta”.
Scesero le scale piuttosto lentamente, considerando i tacchi alti della ragazza. Mark ne approfittò per studiare le chiavi dell’auto che aveva in tasca. ‘Una fiat?” pensò, interdetto. ‘Chi diavolo ha una fiat, qui…?’



Balalaika fu la prima ad alzarsi. Boris si adoprò immediatamente per spolverarle il soprabito, ma lei lo bloccò con un gesto della mano. “Lascia perdere” grugnì, amareggiata.
Revy scattò in piedi, ed iniziò a caricare le Beretta. “Allora, sorellona” le disse, facendo scattare il tamburo con un colpo secco del polso “io vado. Mi presti un’auto?”
“Boris, accompagnala” ordinò lei. L’omone annuì, precedendo la rossa fuori dalla porta.
La russa si voltò infine verso l’ultimo uomo rimasto ancora sdraiato per terra, che non sembrava dare segni di vita. “Alzati, deficiente” tuonò, dopo avergli rivolto uno sguardo sprezzante. Aspettò che si rizzasse a sedere timidamente, prima di rivolgergli nuovamente la parola. “A quanto pare” cominciò, fissandolo con aria truce “la tua messinscena è stata bellamente ignorata da tutti. Molto utile, devo ammettere”.
Benny cercò di rendersi ancora più piccolo di quanto non fosse in realtà. “Beh, ecco, io…”
“Devi considerarti fortunato” lo interruppe lei, voltandosi e raggiungendo il cassetto dei sigari nella scrivania “che il tuo capo ti ha già sistemato in anticipo. E ora sparisci” avvicinò un fiammifero al cubano “americano di merda”.

 

“Hey!”

L’atmosfera di reciproca intimità raggiunta nella stanza da Dutch e Rock fu bruscamente violata dall’ingresso precipitoso di Revy. “Dutch, che fai, vieni? Andiamo a prendere la base”.  La rossa stava continuando ad armeggiare con le cutlass, cercando di non incrociare lo sguardo del giapponese. Si sentiva i suoi occhi fissi addosso, ma tentava di non farci caso. “Allora?”
“Sì, arrivo” rispose lui. Con un sospirò si alzò in piedi, lanciando uno sguardo eloquente al compagno. “Torna pure a casa con Benny, e vai a metterti a posto quella mano. Torneremo più tardi, e cerca di non pensarci!” abbozzò un sorriso, sistemandosi gli occhiali da sole alla radice del naso e precedendo Boris e Revy fuori dalla porta. “Su, andiamo. Se aspettiamo ancora un po’, non li raggiungiamo più”.


Revy sbuffò.
Non amava particolarmente i viaggi in auto, men che meno su una orribile Lada bianca anteguerra. Come se non bastasse, poi, il capo era stranamente silenzioso, e lo stesso si poteva dire dell’impenetrabile conducente, Boris. Provò invano a stuzzicarlo.
“Come fai a essere sicuro che non si accorga di noi?” chiese, con un irritante tono da saputella.
Il russo non la degnò di uno sguardo, continuando a guidare.
La ragazza sbuffò, incrociando le braccia e voltandosi verso il finestrino. Lanciò un’occhiata al cielo: fra non molto sarebbe spuntato il sole che, sperava, avrebbe posto fine a quella interminabile notte. “Quando una cosa comincia male…” mugugnò, persa nei suoi pensieri. “Parla per te!” rispose Dutch dal sedile posteriore. Ridacchiò, rivolto alla rossa che lentamente si girò a guardarlo con aria interrogativa. “Io oggi la mia granata l’ho usata. E sai che le granate mi mettono di buonumore!” Si stiracchiò, allungando le gambe e portando le mani dietro la testa.
“A proposito…” Revy si girò verso di lui con la faccia annoiata, inginocchiandosi sul sedile del passeggero. “Cosa facciamo, una volta là? Facciamo fuori la ragazza, prendiamo su tutto, torniamo a casa e spendiamo il bottino da Bao?”
“A dire il vero pensavo a qualcosa di diverso…”
“Ah, fantastico!” sbottò lei, girandosi nuovamente verso il parabrezza, stizzita. “Questa è la notte dei piani! Tra te, quel coglione di Rock e la sorellona non so chi abbia più voglia di inventarsi colpi di scena! Avete proprio rotto il cazzo!”
Un grugnito di Boris catturò la sua attenzione. “Stai calma” sentenziò gelido, senza distogliere lo sguardo dalla strada. Dutch le posò una mano sulla spalla.
“Fai un respiro, Two Hands” le sibilò. “Non è ancora arrivato il momento di dare in escandescenza. Se non mi sbaglio, sarà tutto molto più semplice di quello che pensi. Per adesso ti voglio viva” la ammonì, lanciando un’occhiata in tralice al conducente.
La sua predisposizione genetica ad avere sempre l’ultima parola la intestardì a mugugnare un “col cazzo”, prima di sprofondare in un cupo silenzio.


“Sei sicuro che nessuno ci stia seguendo, oui…?” chiese Nicole, tormentandosi una ciocca di capelli fra le dita.
“Certo, madame. Non c’è nessuno dietro di noi” mentì Mark, le mani sudate strette al volante. Cercò di stirare un sorriso, risultando il più possibile credibile. “Sai” continuò lei “sei stato davvero gentile a venirmi a prendere con un’auto del genere. La Cinquecento mi ricorda la macchina che ho lasciato in Francia…” si bloccò, la voce strozzata dal magone.

Lui le lanciò un’occhiata veloce. “Ma, madame, stai piangendo!” si voltò verso di lei, accarezzandole una spalla. “Se c’è qualcosa che posso fare per te, io…”
“N-no” lo interruppe lei. Alzò lo sguardo verso i suoi occhi, modellando le labbra in un sorriso. “Solo un po’ di… Nostalgie, come dite voi…?” sospirò, inclinando la testa ed appoggiandola sulla sua mano. Socchiuse le palpebre, sospirando. “Finalmente incontro un animo gentile in questa città, oui? Non mi sembra vero”.
Mark rabbrividì all’improvviso contatto con i capelli della ragazza. Alzò un ginocchio per tenere il volante e cambiare la marcia con la mano sinistra, pur di non staccare l’altra da lei. “Non pensarlo nemmeno, madame. Sono qui per te” le ripetè, cercando di essere il più credibile possibile. Alzò il palmo per accarezzarle la nuca.
“Et s’il te plait...” sospirò lei, lasciandosi andare. “Chiamami Nicole”.

Il resto del viaggio lo passarono chiusi in un silenzio reciproco. Mark aveva troppe cose che gli frullavano per la testa, e ogni minuto sembrava che gli si aggiungesse qualche nuova preoccupazione. Non avrebbe saputo dire con esattezza quale fosse quella che lo tormentava di più, ma sicuramente la paura per aver deluso la sua migliore amica era una delle più prementi. Non si curò particolarmente di nascondere la sua inquietudine, lasciando che Nicole la fraintendesse e la attribuisse alla situazione movimentata nella quale si trovavano. Già, Nicole… Sembrava una brava ragazza, dopotutto. Forse aveva solo avuto la sfortuna di ritrovarsi a far parte della famiglia sbagliata.
Continuò ad accarezzarle la nuca, dolcemente. Le uniche parole che spezzavano quella quiete erano le sporadiche indicazioni di lei che gli indicava la strada verso la base.
Si stavano man mano dirigendo verso le montagne, lungo la strada che aveva percorso con Revy il giorno prima, quando lei l’aveva sfidato in una gara in moto. La strada si faceva via via più spoglia, e sarebbe stato difficile per Revy e gli altri seguirli senza farsi notare. Lanciò un’occhiata preoccupata alla francese: sembrava dormisse, con gli occhi semichiusi. Sollevato, si concentrò di nuovo sulla strada.


“Merda” sibilò Boris. Controsterzò di violenza, gettandosi in una strada di campagna lì vicino. Lo scossone fece sobbalzare Dutch, che si era appena appisolato.
“Ehi, tutto bene…?” scattò in avanti fra i due compagni. “Ho sentito che hai cambiato strada”.

“Quegli stronzi della Trading Company volevano essere sicuri che nessuno li seguisse quando hanno scelto la base” mugugnò Revy. “Questa è l’unica strada per uscire da Roanapur, ed è bella spoglia”. Boris storse le labbra in un sorriso. “Brava. Ma Boris conosce tante strade, e Lada ci porta lontano, da”.
Revy gli lanciò un’occhiata sospettosa. “E come li ritroviamo, scusa?”
“Tu non preoccuparti. Noi arrivare a base” sentenziò, proseguendo verso Est.


Molte volte, a Benny capitava di interrogarsi sulla vita.
Cosa sarebbe successo, se improvvisamente avesse avuto la possibilità di ritornare indietro e di modificare le proprie scelte? Si sarebbe trovato proprio dove si trovava ora, quasi all’alba, a passeggiare lungo una buia via di Roanapur con i grilli e gli strilli delle puttane che non avevano ricevuto la parcella? O magari avrebbe incontrato un destino diverso, con un casinò tutto suo, Black Jack e squillo di lusso?
“Probabilmente no” pensò, ad alta voce. Rock, che stava camminando accanto a lui, gli lanciò un’occhiata in tralice.
“No cosa?”

“Ah, niente” sospirò il biondo. “Anzi no, magari ti interessa!” si voltò verso il compagno. “Se potessi cambiare qualcosa nella tua vita, cosa cambieresti?”
Rock sbattè le palpebre, interdetto. Continuò a muoversi meccanicamente in avanti, un passo dopo l’altro, lo sguardo fisso sui suoi piedi.
“Non lo so, sai…?” alzò gli occhi al cielo. Fra non molto la luna se ne sarebbe andata, per lasciare spazio al sole che già di prima mattina faceva sentire la sua torrida presenza sul Golfo Thailandese. “Forse…” socchiuse gli occhi, godendosi l’ultima brezza notturna che sarebbe svanita da lì a poco. “Forse non cambierei nulla. Chi l’avrebbe mai detto? Avevo un lavoro, una famiglia, una macchina tutta mia… Un posto nella società, insomma”. Fece un gesto vago con la mano sana, ignorando un Benny che si stava amaramente pentendo di avergli chiesto qualcosa. “Forse, però, non era quello ciò che volevo. Forse non aspettavo altro che una scossa, qualcosa che mi strappasse dalla mia vita… Forse, mi sentivo vecchio. Esatto! Vecchio è la parola giusta!” sorrise, voltandosi verso il biondo. “Troppo vecchio per ricominciare da capo. E invece, vengo qui e tutto cambia! Mi avete dato la possibilità di ricominciare da zero, sebbene non…”
“Sì, sì” lo interruppe l’altro. “Tutto molto interessante, scusami, ma sto scaricando gli aggiornamenti e devo mettere in pausa il sistema…”

La conversazione venne interrotta da un frenetico clacson, che li colse di sprovvista alle spalle.
“Ehi, bei ragazzi!”
Non servì voltarsi verso l’abitacolo per capire chi li aveva appena salutati. “Ehi, Eda…” rispose Rock, imbarazzato. Cercava ogni volta di abituarsi all’esuberanza della bionda, ma sempre con scarsi risultati. “Allora? Cos’è quel muso lungo, bel faccino…?” la bionda si sporse verso di loro, il gomito fuori dal finestrino aperto. “Sei triste per Mark? No aspetta” lo interruppe “non mi serve la risposta”. Tirò il freno a mano, fermandosi. “Che ti aspettavi, che Revy lo facesse fuori? A volte sembra davvero che tu non la conosca!”
Benny fece spallucce. “In effetti, sotto questo punto di vista il tuo piano faceva proprio acqua, lasciatelo dire”.
Rock avvilì. Non aveva proprio pensato ad un possibile fallimento, il che era davvero strano, dato che di solito rimuginava per ore sulle cose. “E’ che… Beh, abbiamo pensato insieme il piano, e non credevo che… Ecco…”
Fu interrotto dalla squillante ridata della suora. “Sei davvero ingenuo! Ma forse è per questo che sei così affascinante, sì…?” Ammiccò verso di lui, non curandosi del rossore che stava lentamente pervadendo il viso del ragazzo. “Ma non preoccuparti, la zia Eda ha pensato a tutto”. Fece cenno col capo di salire sull’auto. “Dai, ragazzi, andiamo a goderci lo spettacolo in prima persona!”
Benny aprì la portiera anteriore, maledicendo la scelta dell’americana di aver indossato la tunica lunga. “Dove andiamo, scusa? Non sappiamo dove sia la loro base”.
Eda sorrise. “Vuoi lasciar fare a me, zuccherino…?”



***


Angolo Autrice

Ciaaao di nuovo a tutti! Sto raggiungendo nuovamente un ritmo normale, avete visto? Comincio a rispettare le scadenze *mormorii di ammirazione*
Lo so, non si capisce nulla, ma fidatevi: mancano cirda due o tre capitoli ed è davvero finita. Sul serio. Non avevo mai scritto niente di così lungo... Wow!
E non preoccupatevi. Ho già l'altra pronta. E secondo me è molto più carina di questa...
Grazie a tutte le anime pie che recensiscono! Vi adoro, grazie. Vi voglio bene.

Harry

 

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Capitolo 20
*** Shot me down ***


Capitolo 20.

Shot me down

 

Mark guardò fisso davanti a sé. Un fremito gli scossa la spina dorsale, e non si seppe spiegare se era dovuto al freddo o al timore. “Quindi è qui che è la base, mh?” sussurrò, senza staccare gli occhi di dosso dall’edificio che avevano davanti. “Oui, mon cher” cinguettò Nicole, sorridendo languida. Aprì la portiera e scivolò fuori dall’abitacolo. Il suo vestito frusciò, arricciandosi su per le cosce. Mark spostò lo sguardo verso di lei, prima di scendere. “Arrivo”.

Lei camminava a passi spediti, nonostante i tacchi. Sembrava avesse preso tutto d’un tratto coraggio e spirito d’iniziativa. L’inglese si morse più volte la lingua: non capiva se rimaneva dietro di lei perché ipnotizzato dal ritmico andamento delle sue gambe o perché temeva qualcosa. Un agguato? Qualche occupante abusivo? Sapeva solo che era lì che doveva andare, in quel capannone dismesso dal tetto in amianto.

 

I calcinacci scricchiolavano sotto i suoi piedi. Rischiò più volte di cadere, reggendosi al muro polveroso e chiedendosi dove diavolo quella ragazza avesse trovato così tanta destrezza da evitare accuratamente ogni superficie dissestata. Procedeva davanti a lui di buon passo, voltandosi di tanto in tanto con un sorriso per assicurarsi che la seguisse.

 

Giunti in quella che sembrava la sala centrale, Nicole si voltò. “Eccoci qui” disse, aprendo le braccia e guardandosi intorno. “Siamo arrivati”.

“Questa è… La base, Nicole…?” chiese Mark con un sussurro. La stanza era spoglia; c’era qualche schedario abbandonato per terra, mattonelle rotte, alcune anime di travi in ferro che penzolavano dal soffitto.

“No, non è la base. Siamo arrivati dove volevo portarti, tesoro” rispose lei, divertita. “E non chiamarmi Nicole”.




 

“Così questa è la loro base, eh”.
Dutch abbassò gli occhiali da sole. C’era ancora un po’ di buio fuori, e non riusciva a mettere bene a fuoco i particolari di quell’enorme villone un po’ pacchiano che, fino a qualche ora prima, aveva ospitato l’intera Trading Company. “Difficile non notarla, in effetti”.

Revy si sporse dal finestrino, le labbra strette in un broncio. “Non vedo nessuna auto, qui. Dove sono gli altri?”

“Domande dopo” sentenziò cupo Boris, aprendo la portiera. Si diresse verso il bagagliaio e tirò fuori tre sacconi. “Devono esserci soldi e armi qui” mugugnò, dosando bene le parole “prendete quelli, documenti prendo io”.

La pistolera afferrò controvoglia un sacco vuoto, caricandoselo in spalla. Erano troppe le cose che non le tornavano, e di sicuro aveva perso la voglia di rimanere esclusa dai piani altrui. Era convinta, però, che una volta entrati avrebbero trovato le risposte a quello che cercavano; ci sarebbe stato sicuramente qualche povero stronzo pronto a renderla partecipe di quella cazzo di missione che avevano affidato alla loro compagnia, no?
Con questa certezza in testa, stringendo i denti nella vana ricerca di autocontrollo, precedette i due. Quando si rese conto che la porta d’ingresso era ancora chiusa a chiave, sparò un colpo alla serratura ed entrò.




 

Mark fece una risatina nervosa. “Madame, me l’hai detto tu di chiamarti così… Beh, se non vuoi…”

“No, non voglio” lo interruppe lei, secca.

“Perché dovresti, scusa…?” Una voce familiare alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Dietro di lui c’era Eda, appoggiata al muro, con le braccia conserte. “Si chiama Christine”.

Il biondo sbattè le palpebre. Si voltò verso quella che pensava fosse la figlia del capo, che per tutta risposta esibì un sorriso a trentadue denti. Riportò lo sguardo verso la suora, e si accorse che, dal corridoio, stava arrivando anche Rock, trascinando i passi, come a voler ritardare quel momento il più possibile. Aveva gli occhi bassi, ma non riusciva a capire se fosse un gesto dovuto alla vergogna o alla concentrazione. Una voce lo riportò alla realtà.

“Ti starai chiedendo, probabilmente” cominciò la suora, accendendosi una sigaretta “perché ci troviamo qui con te, in quella che pensi sia la base del capo”.

Mark si dondolò sui talloni, stringendosi nelle spalle. “Ad essere sincero, che ci fosse qualcosa di strano era palese. Tipo, che nessuno ci stava seguendo…”

Nicole - o meglio, Christine - scoppiò a ridere. “Oh, è bastato alzare un po’ la gonna e mi ha seguita come un cagnolino!” “Sorella” la rimproverò Eda “ricordati che sei una pecorella del Signore, attenta a dire certe cose”. Storse le labbra in un’espressione di rimprovero. “Comunque sia, Rock, vieni qui! Non voglio che ti perdi lo spettacolo!” scoppiò in una risata sguaiata, battendo il pugno sul muro dietro di lei. “Vieni fuori, non fare lo struzzo!”

Il giapponese mosse due passi verso l’interno della stanza, alzando gli occhi verso il rivale solo quando furono uno di fronte all’altro. Lesse lo smarrimento nei suoi occhi, e precedette ogni sua domanda. “Non so nemmeno io cosa stia succedendo” sentenziò, serio.

“Già, questo te lo posso assicurare” continuò la bionda, sbuffando una nuvoletta di fumo. “Così come non ne sa niente il povero Benny, che ha preferito rimanere in auto. Beh, adesso facciamo contenti tutti con una bella lezione, ok…? Per prima cosa” allungò il palmo della mano verso di lui “dammi la mia Glock”.

Un brivido corse lungo la spina dorsale del punk. Allora sapeva…? “E non provare a puntargliela addosso” continuò Christine, come se gli avesse letto nel pensiero “o ti ritrovi una bella protesi di piombo nel cranio”.

Mark trasse un respiro profondo. Non aveva bisogno di voltarsi per capire che quella stronza non stava bluffando. Alzò la maglia e si sfilò la pistola dai pantaloni; la porse all’americana, tenendola per la canna. “Ecco”.

Non gli sembrò un buona idea rivangare ciò che era successo fra i due qualche ora prima, ma lei lo anticipò. “La mia non è una vendetta per come ti sei comportato con i tuoi vecchi amici. Ho parlato con il nerd là fuori” mosse il capo in direzione dell’entrata, dove era parcheggiata la loro auto “e non penso si sia sentito particolarmente offeso. E’ la routine, qui, fare i propri comodi. Vero, sorella?” “Certo” rispose beffarda Christine, alzando il mento sottile. “Non ci fa caso nessuno, se volti le spalle”. “Ecco, brava!” Eda digrignò i denti “Alle spalle, esatto! Senti, biondino, se ti stai chiedendo come mai me la sia presa così tanto per una botta in testa” allungò il braccio per afferrare la sua vecchia arma “devi sapere che un velo da suora copre molte più cose di quante te ne aspetti”. Tenendo la sigaretta stretta fra le labbra, puntò la canna verso la sua testa. “Ultimo desiderio…?”

 

Mark si voltò di scatto verso Rock. Incontrò i suoi occhi spaventati, vi si perse dentro per un attimo. No, lui non ne sapeva nulla. La bocca gli si aprì automaticamente, formulando delle parole che non si accorse di pronunciare.

“Revy… Sa…?”
Rock scosse la testa, incredulo. No, Revy non sapeva. No, lei non l’avrebbe tradito! Il cuore di Mark rallentò per un attimo, tranquillizzandolo. L’importante era quello.

In meno di un secondo si rese conto che non avrebbe più avuto modo di salutare la sua vecchia amica. Non sarebbe riuscito a strapparla dalle mani di quello sfigato, non avrebbe fatto in tempo a raccontarle delle gambe di Nicole per leggerle la gelosia negli occhi.
Non ebbe tempo di pensare a tutto, non ebbe tempo di chiedere a quello stronzetto giapponese di salutargliela.
Sperò che ci arrivasse da solo.

Eda non era certo la tipa da perdersi in sentimentalismi, soprattutto quando c’entrava il lavoro. Era per questo che le piaceva la Glock: nessuna sicura. Bastava premere bene il grilletto e la levetta accoppiata, e tanti saluti. Nessun gesto inutile, veloce, pulito.

Affondò l’indice, e Mark cadde a terra.




 

Revy sentì il sangue gelarsi nelle vene quando, dopo una attenta perquisizione, si rese finalmente conto che la villona era deserta.
“Abbiamo svuotato questo posto di merda da cima a fondo. Dov’è Mark?” chiese, secca. Boris continuò ad ignorarla.

“Ho detto” ripetè, lasciando scivolare il sacco a terra ed estraendo entrambe le cutlass dalla fondina “...dov’è Mark”. Scandì bene le parole, avvicinandosi al russo e puntandogli le pistole dal basso verso l’alto, sotto il mento. L’omone si limitò a lanciarle un’occhiata, rivolgendosi subito a Dutch.
“Tieni a freno tua dipendente” tagliò corto, sprezzante. Il capo intervenne subito, tirando a sé Revy per le spalle.

“Non mi toccare!” sbraitò lei a denti stretti, scrollandosi di dosso la presa. “Ehi, tu, ti ho fatto una domanda! La vodka ti ha dato al cervello?!”

Boris alzò la Stechkin verso la ragazza, corrugando la fronte. “Avevo detto niente domande”.

 

Dutch sospirò. ‘Ecco, ci risiamo’ pensò, sconfitto. Fece appello a tutta la sua autorità, afferrò un polso di Revy e lo strinse con forza. “Adesso stai a sentirmi, ragazzina” si accigliò. Lanciò un’occhiata in tralice al russo. “Hai ragione a voler sapere cosa sta succedendo. ‘Niente domande’ non è una risposta contemplata dalla Lagoon Company, dal momento in cui siamo stati assoldati per questa missione”.

Boris provò a sostenere il suo sguardo: una lotta fra titani. Infine, sconfitto più dall’impazienza che da altro, ammise: “Mark è andato via con la suora. Noi siamo qui col bottino”.

Il suo modo di esprimersi ermetico non bastò certamente ad accontentare Revy, che continuava a tenere le Beretta bene in alto. “Io l’ho visto uscire con la stronzetta, e non mi sembrava proprio una suora”.

Il russo rise. “Neanche Eda sembra una suora”.

Dutch lasciò il polso della rossa, imprecando. Si voltò e diede un calcio al sacco che giaceva inerme a terra. Revy, più lenta di comprendonio, non gli staccò lo sguardo di dosso, spronandolo ad andare avantii. “Che vuoi dire?”

Boris sbuffò. Non gli piaceva che quella stronza gli piazzasse delle armi addosso; che avrebbe detto Balalaika, se l’avesse vista? Che avesse davvero ragione lei, che fosse tutta colpa di quel giapponese…?

Le puntellò il fianco con la Stechkin, invitandola a riporre le armi. “Tuo amico è andato via con amica di Eda. Ragazza francese ci ha detto di questo posto, e noi l’abbiamo uccisa”.

 

Ci volle qualche secondo, affinché Revy si rendesse perfettamente conto della situazione. I suoi occhi si spalancarono, la mascella si serrò in una smorfia di rabbia. “Cosa cazzo avete fatto…?!”
I suoi polsi tremarono, e fece qualche passo indietro. Quest’attimo di fragilità bastò a Boris per sferrarle un pugno sulla mascella, facendola cadere a terra.

“Tienila ferma” ordinò a Dutch, che si era precipitato ad anticipare quell’ordine. “Non voglio ucciderla”. Li fissò per qualche secondo, seccato, per poi prendere sulle spalle anche i loro sacchi e dirigersi verso la porta d’ingresso.




 

“Le chiavi le ha lui in tasca” tagliò corto Eda, rivolta a nessuno in particolare. Si diresse verso Christine, lanciandole una divisa da suora. “Cambiati, che se fratello Fernando ti vede così gli parte un embolo”.

Rock era immobilizzato, in piedi di fronte a Mark. Non riusciva ancora a collegare tutti gli avvenimenti nella sua testa. La paura lo frenava dal fare domande, ma si rese conto che sarebbe stato lui, prima o poi, a dover dare delle spiegazioni a Revy. Si fece coraggio, deglutì e fece per parlare.

“Ehi, zuccherino”. Eda fu più veloce di lui. Si chinò sul cadavere, sfilandogli le chiavi della Cinquecento dalla tasca anteriore dei jeans. “Tu e Benny andate pure, così riportate la macchina a Dutch. Sono in una villa a sud-est da qui, hai presente” mosse la mano come a mimare una strada immaginaria “prima della forca giri a destra, segui la strada e tieni il boschetto sulla sinistra. Sono circa quattro chilometri”.

Rock si sorprese di come la sua voce gli uscì dalla gola senza troppa fatica. Gli sembrava di non parlare da anni. “Quindi ci hai detto di venire per… Per prendere la sua auto”. Eda non rispose, aspettava paziente che Christine si spogliasse. “Dai, bella, che facciamo mattina qui”.

“Eda”. Rock alzò il tono della voce. Cercò di mantenerla il più ferma possibile, ma il sangue che incrostava una ciocca di capelli di quel biondino lo distraeva terribilmente. “Perché l’hai ucciso?”

Christine ridacchiò. Si era tolta la camicetta e la stava riponendo con cura davanti a sé. “Secondo te, la Chiesa della Violenza può permettere che un’esponente di un’organizzazione così pericolosa e radicata rimanesse in vita…?” Eda fece una smorfia. “Tu vestiti”.

“Radicata?” Rock ridacchiò fra sé e sé, pensando a come era stato facile, per l’Hotel Moscow, scoprirli e spazzarli via. “Mi sembrava piuttosto innocua”.

Eda si voltò verso di lui: quest’ultima frase era riuscita finalmente a catturare il suo interesse. Lo guardò, stupita.

“Rock, zuccherino, ti facevo più intelligente”. Si strinse nelle spalle. “Qui si stava formando la sede più importante, ma è ovvio che ci sono altre sedi satelliti, nei loro paesi d’origine. Il mio… Beh, nostro” si corresse “compito era di eliminare chi era qui. La pulizia vera e propria è ancora tutta da fare!”
Il giapponese socchiuse gli occhi, pensoso.

“Il tuo compito? E come puoi…”

“Le vie del Signore sono infinite” sbottò Christine. Si era finalmente rivestita, ed ora poteva finalmente essere riconosciuta come un membro della Chiesa della Violenza. “C’è un solo Dio, ma i suoi figli sono tanti”. Eda, soddisfatta dalla risposta, sorrise. “Ora andate a riprendervi i vostri amichetti, Revy avrà bisogno di sostegno, non so se mi spiego”. La battuta aveva un che di amaro, in una situazione come quella. “A pulire il casino ci pensano la biondina qui e Fernando. Ciao”.



***

Angolino Autrice

Beh, che dire.
Non mi sono soffermata più di tanto sulla scena clou perché... Non volevo ucciderlo. Mi ci ero affezionata, sto male anche io ora! Fino alla fine mi sono detta, lo salvo o non lo salvo? Sono stata più volte sul punto di far finire tutto bene, ma non sarebbe stato Black Lagoon, giusto...?
Questo è ufficialmente il penultimo capitolo. E' incredibile come sia facile finire una storia iniziata anni ed anni fa... Mi mancherà, sicuramente.
Ma non temete! Ho già iniziato a scriverne un'altra, e la trama, beh... Sinceramente mi piace più di questa!
Grazie mille a tutti quelli che recensiscono... Fatemi sapere che ne pensate!

Harry


 

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Capitolo 21
*** The End ***


Capitolo 21.

The End



 

Sulla scalinata esterna di granito della villa, una lucertola appena sveglia si stava affrettando ad uscire dal proprio nascondiglio prima che sorgesse il sole. Si fermò incerta appena vide la figura di Revy seduta sulle scale, ma continuò per la sua strada quando constatò che probabilmente l'umana non si sarebbe mossa da lì.
La ragazza aveva appoggiato le braccia alle ginocchia, e si stringeva la testa fra le mani. Non si accorse del rettile, né del sole che stava cominciando a rischiarare il cielo ancora prima di sorgere.

Erano passati circa venti minuti da quando Boris se n’era andato. Aveva sfollato alla grande, aveva distrutto buona parte del soggiorno ed aveva minacciato di morte Dutch. A cosa era servito?
A nulla. Nessuno dei due sapeva che fine avesse fatto Mark, né cosa stesse succedendo con precisione, anche se se lo immaginava. L’unica cosa certa era che Balalaika ed Eda avevano architettato quel piano per tenerla lontana e per renderla innocua, mentre agivano indisturbate.

“Puttane…” mugugnò. Nonostante tutto, gran parte della sua rabbia non era concentrata verso le due donne, ma verso Mark. Non poteva biasimare la sorellona o quella zoccola della suora per aver portato avanti la missione làddove lei si era tirata indietro: Mark aveva sbagliato, la colpa era sua.

Poteva sembrare strano, ma proprio le città senza leggi erano quelle con più regole… Ed erano quelle dove le regole venivano fatte rispettare davvero. Forse perché a nessuno era data una seconda possibilità, e forse perché la prima possibilità non era mai il carcere. Per questo motivo, c’erano delle regole ben precise a Roanapur: infrangerle equivaleva a dire tirarsi dietro così tanti nemici che sperare di farla franca era statisticamente più improbabile che girare un film porno con Balalaika e Chang.
Certo, si disse, non che lei non ci avesse provato. Dargli l’ultima possibilità, cercare di fargli scoprire la base della Trading Company era stato tutto quello che era riuscita a fare. E ci aveva anche creduto, per un momento: era davvero stata geniale Eda a sostituire la francese con una sorella. Aveva davvero pensato stupidamente che Mark avrebbe potuto farcela…
Ma qualcosa, dentro di lei, l’aveva comunque capito, come un tarlo che la tormentava. Come faceva Boris a sapere dove si trovasse la base? Perché si era intestardito a cercare lui i documenti? Perché…
Revy sferrò un pugno sullo spigolo del gradino, sconfitta. Non si fece particolarmente male, ma questo lieve dolore bastò a riscuoterla dai suoi pensieri.

Alzò lo sguardo perso nel vuoto. Boris se ne era andato subito con l’auto, lasciandolì lì a sbollire la rabbia. Dutch era da qualche parte in giardino,a fumare. Aveva capito immediatamente che non sarebbe servito a niente cercare di calmare Revy, e l’aveva abbandonata a schiarirsi da sola le idee. Come biasimarlo?
Inspirò profondamente. Ora, tutto quello che le serviva era sentirsi dire la verità, anche se sapeva benissimo cosa era successo. Voleva che qualcuno le raccontasse com’era andata.
E voleva fiondarsi nel letto, e dormire per dieci anni.

 

Dutch ebbe un brivido per la schiena quando la vide arrivare a grandi passi. Una parte di lui si augurava che avesse fatto pace con la realtà, in qualche modo.
“Dimmi” la anticipò.

Revy non alzò gli occhi da terra.
“Chiama qualcuno che venga a prenderci.”
“Non lo ucciderai, chiunque arrivi?”



 

“Arriviamo”.
Benny riattaccò, voltandosi verso il giapponese. “Dutch ha appena chiamato. Sono in una villa a sud-est da qui, ci vorranno cinque minuti in macchina. Vado a prenderli, vieni anche tu…?”

Rock scosse la testa. Si immaginò la faccia di Revy, quello che avrebbe detto o fatto una volta saputo cosa era successo al suo amico. Per un momento, e forse per la prima volta nella sua vita, desiderò con tutto il cuore di essere in Giappone nel suo piccolo ufficio n.287, polveroso e buio, senza nemmeno la chiavetta per prendere il caffé in sconto alle macchinette. Tutto, si ripetè, tutto sarebbe stato meglio che dire a Revy cosa era successo al suo amico. Si sentì uno stupido patentato ad averlo odiato così tanto fino a quel momento, ad averlo preso a pugni, ad averlo esposto così tanto al rischio spifferando il suo doppiogioco all’Hotel Moscow. Mentre Benny saliva in macchina, si diresse nuovamente all’interno del capannone.
Eda e Fernando erano nella stanza centrale, ad attuare quello che chiamavano “protocollo di pulizia”. Il corpo di Mark era chiuso in uno di quei sacconi neri che si vedevano nei telefilm polizieschi. Indugiò qualche secondo, prima di piegarsi sulle ginocchia.

Si chiese cosa avrebbe voluto fare Revy, se fosse stata lì. Magari avrebbe potuto prendere qualcosa, un oggetto… Allungò la mano verso la zip.
"Fermo lì!”
Eda lo bloccò, allontanandogli il braccio con la mano. “Non si tocca. Questo deve essere passato con cura, prima di essere fatto sparire. Qualsiasi cosa abbia addosso appartiene a noi”.
Rock le lanciò uno sguardo disperato.
“Almeno… Era amico di Revy…”
Eda lo frenò con una smorfia. “Quella puttanella deve imparare a frequentare gente perbene. Tipo te” aggiunse, con un sorriso storto. “Dobbiamo vedere come comunicava con gli altri, se c’è qualcosa che possa ricondurci ad altri agganci. Se vuoi un souvenir, prenditi la cartuccia vuota”. Gliela lanciò, ma venne totalmente ignorata dal giapponese. “Capisco” rispose lui, freddo. “Potete darmi un passaggio a casa, dopo?”




Il sole ormai sorgeva alto a Roanapur.
Si rifletteva spietato sulla superficie liscia delle strade lastricate del porto, sui tetti di metallo dei capannoni, sul distintivo lucidato di Whatsup, che osservava senza interesse né curiosità la moto veloce di Eda sfrecciare chissà dove. Il caldo era tornato, come ogni giorno, a farsi prepotentemente sentire. Quella dannata notte era finalmente finita.

Come ogni mattina, solo un po' più tardi del solito, Rock attraversò con passo strascicato la cucina. Dutch si era fermato da un’amica, quella nottata era stata troppo anche per lui… E poi doveva sdebitarsi per essersi fatto prestare l’auto. Benny era da Balalaika, a criptare il cellulare di Mark e a tracciare le telefonate ed i contatti che aveva avuto negli ultimi giorni. In casa c’erano solo lui e, probabilmente, Revy.
Non l’aveva ancora vista - dopotutto era entrata prima di lui - ma era sicuro che fosse lì, a letto, con le cuffiette nelle orecchie. Come ogni mattina.
Aprì piano la porta della sua camera, facendo attenzione a non fare troppo rumore. Lo stipite urtò una bottiglia di birra vuota abbandonata per terra, e la ragazza aprì gli occhi.
Per un attimo, Revy sperò di vedere di nuovo quella testa bionda sporgersi dalla soglia e salutarla con aria sbruffona. Sperò vigliaccamente che fosse morto qualcun altro, al suo posto… Non appena focalizzò la faccia un po’ persa del giapponese tornò bruscamente alla realtà.
Quanto le stava sul cazzo, quando faceva così. Quando succedeva qualcosa, assumeva sempre quell’aria colpevole, come se volesse farsi ripetere che no, non aveva fatto niente di male, bravo bambino. Come i cani.
“Che vuoi? Un biscotto?” gli chiese, la mente ancora impastata dal sonno. Rock non capì il collegamento, ed entrò egualmente nella camera.
Si chiese velocemente che cosa sarebbe stato meglio dire. ‘Come va’ era molto triste e scontato, ed avrebbe catalizzato addosso risposte sicuramente molto volgari. ‘Mi spiace’, forse, era ancora peggio. Optò per non dire nulla, almeno in quel momento. Si sedette sul letto, come faceva ogni volta che doveva svegliarla, e rimase lì, fermo, senza parlare.

“Levati dal cazzo” mugugnò lei.
Rock si alzò in fretta e si incamminò verso la porta. No, forse non era arrivato ancora il momento giusto per parlarle.

“Aspetta”.
Un mormorio gli arrivò flebile alle orecchie. Si voltò di scatto. Revy era girata di spalle.

“L’hai visto?”
“...Sì”.
Si tormentò le mani. Avrebbe voluto aggiungere mille altre cose.
"Che ti ha detto?”
Rock prese un respiro profondo. Non osava avvicinarsi al letto.
“Mi ha chiesto se tu lo sapevi. Gli ho detto di no, sembrava contento”.
Revy si voltò lentamente, fissandolo dritto negli occhi.
“Torna qui”.
Aspettò che si sedesse accanto a lei, e gli prese un angolo della camicia, tirandolo.
“Gli hai detto una palla. Lo sapevo che l’avrebbero ucciso”.
Rock scosse la testa, guardando le punte delle sue scarpe. “No, che non lo sapevi. Potevi immaginarlo, ma non avresti potuto impedirlo...”
Revy continuò, interrompendolo. “Non volevo ucciderlo io, non ne ho avuto il coraggio. Per questo ho mandato all’aria il tuo piano. Mi spiace, non… Non avevo il coraggio, lo sapevo che…” Si bloccò, la camicia di Rock stretta fra le dita. Teneva lo sguardo fisso al soffitto. “Sei contento che sia andato tutto secondo i piani, vero? Dai, non aver paura di fare il pezzo di merda. Dimmi la verità.”
Il giapponese alzò le sporacciglia. “A dire il vero, sono combattuto. Avevo ideato il mio piano perché avevo paura che lui potesse farti del male, perché pensavo fosse pericoloso, ma sono stato frettoloso… Voglio dire, non avrebbe mai potuto farti nulla, lui. Si vede che ti adorava. Quando è....” si fermò per qualche istante “...Beh, volevo portarti qualcosa, ma….”
Revy fece una smorfia. “Se per ogni morto mi portassi a casa il ricordino, avrei un cazzo di santuario, qui dentro. Ha sbagliato, doveva pagare. Fine del discorso. Volevo solo mettere in chiaro che se non l’ho ucciso è perché era mio amico, non perché volessi salvarlo. Volevo che lo facesse fuori qualcun altro, tutto qui”.
Rock ebbe un brivido lungo la schiena.
“Mi stai dicendo che se Balalaika volesse uccidermi, la lasceresti fare...?”

Revy si alzò di scatto, fulminea, nonostante il sonno e la stanchezza. Rock ebbe appena il tempo di accorgersene, che lei l’aveva già afferrato per la cravatta, e lo stava guardando con quell’aria strana, che quasi sempre porta morte, che a volte porta un attimo di tregua. Si rese conto che non gli interessava granché che reazione avrebbe avuto; gli bastava che ne avesse avuta una, che fosse riuscito a sbloccare quella situazione di stallo che non avrebbe fatto altro che chiudere Revy in se stessa.

La pistolera lo fissò per qualche secondo.
“Sembra che tu ti sia dimenticato di quella volta che Balalaika aveva deciso di farti veramente fuori”.

Ci volle veramente poco, per ricordare a Rock la missione in Giappone. Il freddo, la neve, lo sbalzo termico che l’aveva quasi ucciso. I dolci caldi, Revy che aveva distrutto tutto al baracchino del fucile ad aria compressa, il thé, quella ragazza della Yakuza che si era suicidata.
Ma più di tutto ricordò la promessa che gli aveva fatto Revy, quella specie di giuramento, quel patto che li aveva stretti ancora di più:
Tu sei la pistola, io sono il proiettile”.

“Hai ragione. Non mi lasceresti mai morire”. Rock non riuscì a trattenere un sorriso, mentre le rispondeva. Revy alzò un sopracciglio.
“Non ti ci abituare, stronzetto” sbottò, dandogli uno schiaffetto sulla guancia e lasciandogli la cravatta. Si sdraiò di nuovo sul letto, voltandogli le spalle. “E rimani qui, mentre dormo”.
Rock si levò le scarpe e allentò la cravatta, stendendosi accanto a lei. “Mh” le rispose con un sussurro, abbracciandola.

 

Era passata ormai qualche ora, quando Dutch si decise a svegliarli. Bussò alla porta socchiusa senza entrare in camera. “Ragazzi, sono anche stato gentile e discreto. Ora alzatevi”.
Rock fu, come al solito, il primo a svegliarsi. Si alzò su un gomito e scosse Revy per una spalla. “Ehi. Il capo ci chiama”.

La ragazza non si voltò nemmeno. Gli afferrò il polso, tirandolo a sé e ributtando Rock sul letto. “Stai fermo” mugugnò. “Magari non ci sente”.
Il giapponese sorrise fra sé e sé. “A volte fai proprio la bambina” sospirò, stuzzicandola. Non ottenendo nessuna minaccia come risposta, si permise di sghignazzare.
“Ehi, smettila! Non senti che stiamo dormendo?!” urlò lei al capo che nel frattempo continuava a bussare. Dutch sospirò, ed entrò nella stanza.
“Non sapete quanto mi spiaccia disturbarvi, per una volta che non sei di cattivo umore… No, stai, stai pure” fece cenno di rimanere pure a letto ad un Rock imbarazzato che si stava alzando “volevo solo dirvi che fra… Uhm… tre o quattro ore?” controllò l’orologio, e si accese una sigaretta “c’è un carico da andare a prendere. Tutto qui, cercate di essere in piedi almeno per le sei”. Alzò una mano in segno di saluto, girandosi verso la porta.
“Cioè” lo interruppe Revy, alzandosi sui gomiti “Ci hai rotto il cazzo giusto per dirci questa stronzata, fammi capire…?”
Dutch sghignazzò. “Mi pare il minimo accertarmi del buonumore del mio equipaggio, no…?” e sparì dalla porta prima di ricevere dritta in faccia un anfibio lanciato a tutta velocità.
“Che cretino” sospirò Revy. Fece per accendere l’iPod, constatando con una smorfia che era scarico.
Si voltò di nuovo sul fianco, accucciandosi accanto a Rock.
“Cantami qualcosa”.
Rock le infilò un braccio sotto il collo, accarezzandole i capelli. “E che vuoi sentire? Non ne conosco tante”.
Revy si lasciò spostare ed alzò le spalle. “Qualcosa di triste”.
Lui le appoggiò la guancia sulla testa, pensoso. Che situazione assurda… Loro due avevano il dono di avvicinarsi sempre quando succedeva qualcosa di brutto, o quando stavano particolarmente male. Chiamò alla mente le canzoni che ascoltava da ragazzo, e gli venne solo in mente la colonna sonora di un film di guerra famosissimo di cui non ricordava il nome.

“This is the end, beautiful friend
This is the end, my only friend, the end

Of our elaborate plans, the end
I'll never look into your eyes, again…”


 

***


Angolo Autrice

Buonasera a tutti...
E finalmente dopo anni sono riuscita a finire questa storia! *lacrimuccia*
Mi mancherà sicuramente tantissimo. Basta, devo stamparla e riempirla di lacrime ogni volta che la rileggerò. Mi ha fatto davvero patire un sacco, sono stata sul punto di abbandonarla, ma grazie a voi che leggete e recensite, beh... Alla fine è riuscita ad arrivare alla conclusione!
Sono davvero contenta di aver raggiunto questo obiettivo.
Come avevo già detto, questa storia è il sequel di "Balcone", una one-shot che avevo scritto sempre qui su EFP, e ad essa seguirà un'altra storia che ho già iniziato a scrivere. La prossima settimana la pubblico! Mi raccomando, continuate a seguirmi! *momento spam* ci saranno nuovi personaggi, e sinceramente una trama molto più studiata di questa. Fidatevi.
Per tutti quelli che speravano in un finalone alla RxR... Beh, ragazzi, non è nemmeno la mia storia finale... Non posso certo finire tutto adesso, poi cosa mi rimane per la prossima? ;3
Giusto, piccola parentesi: ho notato che, nonostante odiaste tutti Mark, è spiaciuto un po' a tutti vederlo morire. Anche a me, dopotutto. Ma... Forse anche questo è servito.
Grazie ancora a tutti!

Harry

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