L'alba della Chimera

di Eremita grigio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Equilibrio ***
Capitolo 2: *** Un salto verso il futuro ***
Capitolo 3: *** Dopo le feste, si torna al lavoro ***
Capitolo 4: *** Stranezze e stupidaggini ***
Capitolo 5: *** Titans, addosso! ***
Capitolo 6: *** Introspezione di un Titan e Omeotermia ***
Capitolo 7: *** Occhi nel buio ***
Capitolo 8: *** Déjà vu ***
Capitolo 9: *** Il troppo stroppia...e storpia. ***
Capitolo 10: *** Fine di uno scontro ***
Capitolo 11: *** Decisioni importanti ***
Capitolo 12: *** Protocolli sanitari e super-biologia ***
Capitolo 13: *** Stereotipi, analisi...e un angelo. ***
Capitolo 14: *** Fotografie, incomprensioni e superficialità-parte 1- ***
Capitolo 15: *** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 2- ***
Capitolo 16: *** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 3- ***
Capitolo 17: *** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 4- ***
Capitolo 18: *** Fotografie, incomprensioni e superficialità -ultima parte- ***
Capitolo 19: *** L'inizio dell'Oscurità ***
Capitolo 20: *** Il mosaico prende forma... ***
Capitolo 21: *** Dilemmi interiori di una principessa aliena ***
Capitolo 22: *** Domande senza risposta ***
Capitolo 23: *** Toll Road ***
Capitolo 24: *** Il caos ha inizio -parte 1- ***
Capitolo 25: *** Il caos ha inizio -parte 2- ***
Capitolo 26: *** Il caos ha inizio -parte 3- ***
Capitolo 27: *** Intermezzo: il futuro non è scritto ***
Capitolo 28: *** Sarebbe così semplice... ***
Capitolo 29: *** Il segreto teatrino di un burattinaio senza volto -parte 1- ***
Capitolo 30: *** Il teatrino segreto di un burattinaio senza volto - parte 2- ***



Capitolo 1
*** Equilibrio ***


Equilibrio.
 
Una parola, una semplice parola di appena 10 lettere, usata in così tanti contesti, spesso a sproposito.
Molte persone, nella vita, sono convinte che “trovare il proprio equilibrio” equivalga a raggiungere un particolare assestamento nelle loro vite quotidiane, il quale consenta loro di avere il controllo quasi assoluto sulla propria vita, in modo da goderne le gioie e le soddisfazioni in maniera costante e piena. Una sorta di paradiso in terra, in cui non ci sono superflue preoccupazioni, inutili grattacapi o disturbanti pensieri negativi. Molte persone credono che, una volta trovato il proprio equilibrio,esso sarà saldamente nelle proprie mani, da quel momento fino all’ultimo respiro; come potrebbe esso scivolare dalla loro presa, quando per raggiungerlo sono occorsi tanti sforzi, tanti problemi , tanti sacrifici….tanto dolore?
Molte persone credono che, una volta trovata la loro felicità, essa dovrà durare, e durerà se le cose resteranno identiche; se le azioni, le abitudini e il modo di relazionarsi alle sfide di ogni giorno resteranno invariate.
Essi infatti vogliono credere che, solo perché un oggetto posto in equilibrio, se lasciato indisturbato, rimarrà in tale stato, finanche alla fine dei tempi; ingenui!
La vita non è  un oggetto, un giocattolo,un mero strumento che possa essere manipolato dalle mani dell’uomo, né da quelle di alcuna creatura vivente, per quello che conta. Troppe sono le incognite, le incertezze, le possibilità dietro l’angolo; se è vero,infatti che ogni azione ha sempre una conseguenza, allora è altrettanto vero che le azioni di ogni persona avranno conseguenze su ciò che la circonda, incluse le altre persone, in una ramificazione infinita di cause ed effetti, imprevedibile ed imperscrutabile.
 
Non importa a quale specie tu appartenga; che tu sia umano, animale ,alieno o perfino un demone.
Non importa quali abilità tu possieda,né il modo in cui tu le abbia acquisite: che tu le possedessi dalla nascita, che ti sia prodigato senza posa per ottenerle o che ti siano piovute tra capo e collo da un momento all’altro.
Il fato, il destino, l’universo o chissà quale divinità è sempre in agguato, che tu vi creda o meno, e trova i mezzi più insospettabili per manifestarsi, subdolamente, ai tuoi sensi, sconvolgendo le tue più profonde certezze e i tuoi progetti, siano essi per il presente o per il futuro. La vita è qualcosa di imprevedibile, spesso incomprensibile, e talvolta assolutamente ingiusta. 
Tutto quello che puoi fare è adeguarti rapidamente, o soccombere al cambiamento, osservando ,nel dolore ,coloro che sono riusciti ad andare avanti e, nell’agonia, coloro che sono rimasti indietro. 
Questo era ciò che stava per accadere a cinque teenager, che vivevano sulla costa Ovest degli USA,dentro una torre, trascorrendo il tempo vivendo, giocando, litigando, amandosi e talvolta odiandosi l’un l’altro, uniti da un legame profondo, che andava ben oltre la semplice amicizia .  
Essi portavano sulle spalle un peso ben superiore a quello di qualunque altro loro coetaneo, rischiando continuamente le loro stesse vite, pur di adempiere alle responsabilità che erano state loro assegnate e, nel farlo, avevano iniziato insieme il loro viaggio, arrivando, giorno dopo giorno, a trovare inconsapevolmente un equilibrio, una sorta di strana, eppur confortante, stabilità, e inconsciamente erano arrivati alla conclusione che essa sarebbe durata in eterno, finché fossero rimasti insieme. 
Non importa quali minacce si fossero profilate all’orizzonte, essi erano sicuri che il loro legame avrebbe permesso loro di fronteggiare anche il male più potente e subdolo dell’universo.
Che si trattasse di straordinaria fiducia o di scioccante ingenuità, che fosse dovuta alla loro arroganza giovanile o ad un puro atto di ribellione contro un mondo che li aveva più di una volta profondamente feriti, non era possibile stabilirlo.
Comunque, non aveva importanza, nessuna importanza; il fato era all’opera, giocando con le loro vite e quelle di innumerevoli altri, proprio mentre meno se lo aspettavano.
 
E tutto questo ebbe inizio non con un assordante boato e un accecante esplosione, nel mezzo della loro città,no…In quel  modo, forse, avrebbero avuto almeno la fugace illusione di poter gestire ciò che di li a poco sarebbe accaduto…
Ma non fu così. 
Tutto cominciò a partire da un arido sibilo e una fioca, pulsante luce azzurro pallido, nel bel mezzo di una fredda notte d’inverno, in una solitaria radura innevata, a 2000 metri d’altitudine, sulle Montagne Rocciose, a centinaia di km da quella strana torre a forma di T sulla costa Ovest degli USA.
Lentamente, ma senza possibilità di errore, questo globo luminoso, della grandezza di un pallone da calcio, iniziò ad espandesi, aumentando le sue dimensioni in maniera esponenziale.
Mentre la sfera cresceva sempre più, l’aria gelida era pervasa da quel fastidioso sibilo, che non accennava né a diminuire né ad aumentare di intensità. Nel giro di 10 minuti, la sfera aveva raggiunto le dimensioni di un pallone da mongolfiera, e nel giro di 15 l’intera radura, dalla superficie complessiva di 20 metri quadri, fu del tutto avvolta dalla luce.
Questo durò solo pochi secondi, perché improvvisamente, così come aveva iniziato ad espandersi, la misteriosa costruzione di luce cominciò a rimpicciolire, fino a svanire del tutto, senza lasciare alcun segno del suo passaggio… tranne uno.
 
Lì, in mezzo alla radura, si ergeva una strana figura, silenziosa e imperturbabile, avvolta in un lungo cappotto grigio scuro, dal bavero alto.
Alta oltre due metri,le mani nelle tasche del cappotto, i suoi occhi erano nascosti dietro a spesse lenti, assicurate al volto da una fascia. Indossava una sorta di passamontagna nero,  dal cui bordo inferiore fuoriuscivano lunghi capelli grigi.  
Intorno al collo, nascosto assieme al corpo sotto spessi abiti marrone scuro, vi era una catena d’argento, alla cui estremità era agganciata un ciondolo, pure d’argento, dalla forma di un prisma.
Stranamente, né il freddo né la bassa pressione sembravano porre dei problemi all’enigmatica apparizione. 
Silenziosamente, la misteriosa figura si guardò attorno, prendendo lunghi e profondi respiri, come per  assicurarsi di essere solo…come se tentasse di fiutare la presenza di eventuali spettatori…
Poi, lentamente alzò la testa verso il cielo, osservando le poche stelle visibili, non coperte dal bagliore della luna. Quindi,dopo alcuni silenziosi minuti, con altrettanta lentezza abbassò lo sguardo, verso Ovest, la sua meta ben chiara in testa. 
Prima di incamminarsi, estrasse la mano destra dalla tasca, rivelando un arto con 4 lunghe dita, avvolto in uno spesso guanto nero; quasi automaticamente portò la mano all’altezza del petto, prendendo il pendente tra le dita, applicandovi una leggera pressione, carezzandolo delicatamente con il pollice. E poi, nel silenzio assoluto, si incamminò per la sua strada, l’unico rumore udibile, nel silenzio della notte, la neve che scricchiolava sotto gli stivali neri ad ogni passo.
 
Nella sua mente, un solo pensiero: 'Presto ci incontreremo ancora, Teen Titans… molto presto.'.

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Capitolo 2
*** Un salto verso il futuro ***


Jump City, in California, era una città molto giovane.
Era stata fondata, meno di un secolo prima, a poche decine di km da San Francisco, qualche tempo dopo la fine della 2° Guerra mondiale, da un gruppo di emigrati europei.
Lo scopo dei suoi fondatori, narrava la leggenda, era quello di lasciarsi il passato alle spalle; tutte le sofferenze, le atrocità, le privazioni… tutto il dolore e la devastazione, lasciati alle spalle, oltre l’oceano Atlantico, in una terra che stava ancora scontando le sue colpe, la sua stupidità, la sua ignoranza…
Tutto lasciato indietro, tutto dimenticato…
No,impossibile. 
Dimenticare era impossibile, forse addirittura crudele nei confronti di coloro che non avevano avuto tale possibilità… No, quello che quei novelli coloni avevano fatto non era stato semplicemente fuggire dal dolore, no; loro avevano osato compiere il salto !
Essi avevano lasciato certo una terra bruciata, macchiata dal sangue di molta, troppa gente, nel nome di ideali crudeli e meschini, alimentati dal fuoco del risentimento e dell’ignoranza, ma era pur sempre   la loro terra!
Poteva essere stata l’incarnazione terrena del Purgatorio stesso, al momento della loro partenza, ma era il luogo che li aveva visti nascere, muovere i primi passi, giocare, amare, vivere…era la loro casa, dannazione!
Quando, alla fine di tutto, a quella gente non era rimasto che un pugno di mosche in una mano e cenere nell’altra, essi avevano preso la più difficile decisione di tutta la loro vita: raccolti i pochi oggetti e tutti i cari a loro rimasti, avevano deciso di imbarcarsi, partendo da punti diversi, e si erano incamminati, no anzi, avevano saltato  in quello spaventoso abisso che dai tempi più remoti terrorizza il cuore umano; questo abisso si chiamava ignoto!
Tale fu il pensiero di quelli che, sopravvissuti alla traversata prima dell’Atlantico, poi dell’intero continente, si erano ritrovati dall’altra parte del mondo, incontrandosi, spinti da chissà quale oscuro fato, in quel luogo.
Tale fu il pensiero che li spinse ad ignorare le differenze di tradizioni, credenze e culture, mentre insieme costruivano le loro case, gli edifici pubblici, le strade e gli impianti che, di li a pochi decenni, si sarebbero moltiplicati, accogliendo nel loro caldo e moderno abbraccio non solo quei pellegrini, ma anche i loro di scendenti, e i discendenti di questi ultimi, e di molti altri.
Tale fu il pensiero che decretò la scelta del nome della città.
Dunque, Jump City era invero una città giovane, ancora spinta da quel desiderio di espansione, crescita e progresso. Era più che naturale, a pensarci bene, che i suoi protettori fossero nientemeno che i primi di una nuova generazione di eroi: i Teen Titans.
 
Cinque giovani, ancora nell’età dell’adolescenza, ma che avevano provato al mondo, ai loro predecessori e mentori, ma specialmente a se stessi il proprio valore, affrontando battaglie quasi ogni giorno, contro minacce talvolta esilaranti, talvolta terribili, talvolta semplicemente infernali, collezionando vittorie e sconfitte lungo il tragitto, ma alla fine risultando sempre vittoriosi, facendo affidamento non solo sui propri doni ed abilità, ma soprattutto su un innato senso del gruppo e la speranza di un mondo migliore.
Essi erano l’emblema perfetto di una generazione disposta ad affrontare sacrifici, rischi e sofferenze, pur di riuscire nel loro intento; quello di portare ordine e giustizia in una società caotica e allo sbando sotto molti aspetti.
Robin, ex discepolo del leggendario Batman, il più grande detective noto all’uomo, secondo (forse!) solo al leggendario Sherlock Holmes;
Starfire, detta Stella, potente principessa guerriera da un lontano pianeta;
Cyborg, metà umano, metà macchina, 100% eroe;
Beast Boy, ex membro della Doom Patrol,  straordinario mutaforma, incarnazione del regno animale;
Raven, maga ed empatica, metà umana e metà demone, colei che usa il potere delle tenebre per portare luce nel  mondo;
Questi erano i nomi e le credenziali con cui il pubblico li conosceva fin dai tempi in cui, da soli, questi 5 teenager riuscirono ad impedire la distruzione, per mano di una crudele razza aliena nota nel cosmo con il nome di Impero Gordaniano, di una delle più giovani città d’America.
Quando la nave spaziale, responsabile dell’attacco, precipitò sconfitta sulla terra, andò a conficcarsi in un isolotto nella Jump City Bay; anziché divenire uno sterile monumento, essa venne completamente convertita in una gigantesca torre, dalla bizzarra forma di una colossale T; la nuova casa di cinque eroi destinati ad essere amati dalla gente, nonché odiati dal crimine.
Da quel giorno erano passati quattro anni, e benché oramai solo tre membri erano ancora legalmente considerati teenager, essi erano ancora noti con il nome delle loro origini.  
Poco sapevano, questi eroi, di essere sul procinto di un cambiamento drastico, che li avrebbe portati a rivedere completamente la loro visione non solo del mondo che avevano fino a quel punto strenuamente difeso, ma anche la visione di se stessi come eroi, come amici e, soprattutto, come uomini e donne.

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Capitolo 3
*** Dopo le feste, si torna al lavoro ***


Quella sera, a Jump City, faceva molto freddo.
Le strade erano affollate, colme di una folla brulicante, eterogenea e chiassosa. Anche se le festività si erano concluse da quasi una settimana, alcune luminarie ancora non erano state rimosse dalla piazza centrale, donando agli edifici e ai negozi circostanti un residuo di atmosfera natalizia.  
Ragazzi e ragazze, uomini e donne, genitori e figli, ben avvolti in cappotti,sciarpe e guanti stavano attraversano la piazza centrale,osservando le vetrine, tenendosi per mano, chiacchierando con dei conoscenti,di persona o al cellulare,  o camminando a testa bassa per ripararsi dalle occasionali brezze gelate. 
Ognuno aveva una meta, una destinazione o uno scopo in mente: alcuni avevano in mente di passare una serata piacevole, e mentalmente già pregustavano il rientro nelle proprie confortevoli abitazioni, dove ad attenderli c’erano i propri cari o i loro passatempi preferiti; altri, viceversa, girovagavano semplicemente, in cerca di una qualunque fonte di intrattenimento, nel tentativo di porre un freno alla propria routine domestica; altri, stanchi ed affaticati, a seguito di una interminabile giornata al lavoro, non desideravano nulla di più che infilarsi nei letti, dopo un frugale pasto, e rinfrancare le stanche membra, in attesa dell’indomani, quando il dovere li avrebbe richiamati.
Tanti progetti si intrecciavano, in quella strada sui cui bordi stavano ammucchiati cumuli di neve sporca e automezzi parcheggiati…nessuno di questi si realizzò, quella sera.
 
D’un tratto, appena l’orologio della chiesa aveva finito di battere il nono rintocco, tutta la piazza fu scossa da 2 violente esplosioni, quasi simultanee, seguite dal suono di ruote che sterzavano bruscamente sull’asfalto, e di una grossa portiera, rudemente spalancata; urla di paura e stupore eruppero da ogni lato, alla vista di  otto massicci uomini in passamontagna, vestiti tutti di nero, che saltavano fuori dal fianco di un furgone blindato, ricoperto di spuntoni metallici sulle fiancate,  sul paraurti e sul muso, mentre sul retro era visibile un verricello; ciascuno era armato con un  grosso fucile a pompa.
Due di loro portavano  degli strani apparecchi cilindrici, di colore rosso, poco più grandi di thermos per il caffè, tenendo i fucili legati alla schiena con delle cinghie. Dalle cinture di ciascun uomo pendevano quelle che sembravano borse, come una sorta di grossa tasca con tanto di cerniera.
Nel frattempo, all’interno degli edifici da cui le esplosioni erano scaturite, rispettivamente una banca e una gioielleria, risuonavano le urla degli impiegati, dei clienti e, ovviamente, dei feriti, mentre una spessa cappa di polvere, calcinacci e fumo si levava a coprire la scena agli occhi dei pietrificati spettatori.
I malviventi incappucciati si mossero rapidamente, con decisione, dirigendosi direttamente di fronte agli edifici danneggiati, l’uno parallelo all’altro. Quindi, con perfetto sincronismo, si divisero in due gruppi da 4 e presero direzioni opposte, quelli con i misteriosi cilindri diretti verso la banca. Le guardie giurate non ebbero neanche il tempo di realizzare la situazione, figurarsi reagire, quando si videro  puntare davanti alla faccia le canne dei letali fucili, che silenziosamente li “invitavano” a tenere le mani  in alto.
Nel giro di pochi minuti, tutte le vetrine e le teche della gioielleria erano state svuotate del loro prezioso contenuto, mentre le casse della banca, non più protette dai vetri anti-proiettile (frantumatisi nell’esplosione) andavano incontro alla medesima sorte.
L’ultimo obbiettivo era la cassaforte, da cui , in apparenza, aveva avuto origine la prima detonazione; in essa erano stipati oltre 900 milioni di dollari in lingotti di platino, ammassati in un blocco ordinato di 2  metri d’altezza, 3 di larghezza e 10 di lunghezza, la cui massa arrivava però a superare la tonnellata...
Rapidamente, i due criminali recanti i cilindri si posero ai lati dell’enorme, prezioso cumulo; dopo aver adagiato gli oggetti a terra, essi torsero una delle 2 estremità di 90 gradi in senso orario, poi arretrarono di un passo.
All’inizio non accadde nulla.
Poi, improvvisamente, da entrambi i congegni scattarono fuori con un secco schiocco delle maniglie, mentre la superficie laterale si apriva con uno scatto, tre antenne che si estesero per una lunghezza di 90 cm l’una.
Da esse si originò quello che poteva essere descritto solo come un campo di forza giallo, che si avvolse attorno ai lingotti, per poi sollevarsi a mezz’aria, quasi fosse senza peso, sempre tenendo il suo prezioso carico all’interno.
Senza esitazione, i malviventi afferrarono ognuno la rispettiva maniglia, che ora fluttuava a circa un metro da terra, trascinando la grossa bolla luminosa verso l’esterno.
Nel giro di cinque minuti, era tutto finito. Gli autori del furto rientrarono nel mezzo corazzato, dove un complice attendeva nervosamente al volante,
 A quel punto, non restava loro altro da fare se non ripartire indisturbati, con la refurtiva in mano, la bolla assicurata con il gancio del verricello ad una delle due maniglie.
Internamente fieri di se stessi, gli autori del mirabile colpo si sentivano avvampare d’orgoglio ed eccitazione; tutto perfetto, tutto secondo i piani ! Diamine, forse avevano impiegato ancora meno del previsto!! Ed ora, tutto quello che dovevano fare era arrivare al covo, spartirsi il bottino e…
Un momento, qualcosa non andava… Perché accidenti non erano ancora partiti?!?
“Hey, Jack, che diavolo combini?! Che aspetti a mettere in moto?” urlò uno degli 8 sul retro del furgone.
Quando non arrivò risposta, quello che aveva urlato si sporse nell’abitacolo a guardare dove era l’intoppo.
“Si può sapere che ti passa per la testa, stupido figlio di….!”  .
Ma l’imprecazione gli rimase strozzata in gola, mentre il suo sguardo seguiva quello del complice, che da dietro il suo passamontagna fissava, con gli occhi sbarrati, 5 sgargianti figure, immobili davanti ai fari del furgone, ciascuno in una differente posizione da battaglia.
Poi,  una delle figure fece un passo avanti, allungò il braccio e, con un cenno sicuro e sprezzante, come se lo avesse già usato innumerevoli volte in passato, cacciò un urlo e scattò in avanti, istantaneamente seguito dagli altri:
un alto afroamericano, cui la maggior parte del corpo era coperto di metallo;
un'avvenente ragazza dai lunghi capelli rossi e scintillanti occhi verdi, in un provocante costume viola;
un ragazzo zannuto, con orecchie a punta e la pelle verde smeraldo;
una tenebrosa figura, avvolta da capo a piedi in un lungo mantello blu, sospesa a mezzo metro da terra;
un giovane uomo con una maschera, selvaggi capelli neri e una R sul petto;
 
“ Titans, addosso !!!”

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Capitolo 4
*** Stranezze e stupidaggini ***


Già di per sé, il fatto che, in una normale serata d’inverno, nel bel mezzo della settimana, su una strada tra le più rinomate e frequentate della città, la routine di decine, forse centinaia  di persone si fosse conclusa con delle violente detonazioni, era strano.
Che tali detonazioni fossero parte di uno schema, messo in piedi da una banda di “comuni ladri”  armati meglio una brigata militare,  per portare a compimento la “rapina del secolo” , tenendo presente quanti passanti innocenti avevano rischiato la propria incolumità e la propria vita, era folle.
Che i “comuni ladri”  avessero trasportato, senza uso di una gru o altri mezzi a motore, un enorme e pesantissimo blocco di prezioso platino fuori dal caveau di una banca nel giro di settantacinque secondi, era impossibile.
Che avessero usato dei congegni che sembravano essere fuoriusciti da un libro di fantascienza, era oltre ogni immaginazione.
Ma la stranezza più grande consisteva NON  in ciò che è appena stato descritto, no…la cosa più strana, in realtà, era il sospiro di sollievo che molti degli spettatori tirarono, alla vista di cinque ragazzi, dall’aspetto tanto vigoroso e in salute quanto strambo e insolito.
Cinque ragazzi... appiedati... contro 9 malviventi ( compreso l’autista), grandi, grossi, senza scrupoli, armati e a bordo di un furgone corazzato e ricoperto di grossi spuntoni metallici…
Uno spettacolo davvero insolito, incomprensibile in quasi ogni altro luogo del mondo, ma perfettamente normale (o quasi!) in  alcune città d’America, particolarmente famose:
Gotham City, tetra dimora di Batman, il Cavaliere Oscuro;
 Metropolis, casa di Superman, l’Uomo d’Acciaio;
Central City, protetta dal Velocista Scarlatto, Flash;
Star City, vegliata dall’Arciere di Smeraldo, Freccia Verde…
E, ovviamente, Jump City, dimora dei Teen Titans.
Mentre si scagliava all’ attacco del pesante e minaccioso veicolo, seguito dai suoi compagni di tante lotte e avventure, coloro che con orgoglio definiva “la sua squadra”, Robin non riusciva a scrollarsi di dosso una sensazione di fastidio, a malapena soffocata dall’euforia e dall’adrenalina del momento, assieme ad un pensiero ostile;
“ Razza di idiota, incosciente e borioso; glielo avevo detto che sarebbe successo…”.
L’ idiota in questione era il sindaco di Jump City, che aveva avuto la luminosa e  avveniristica idea di riunire, in un’unica zona della città le più remunerative attività commerciali; lo scopo era quello di aumentarne il lustro e il prestigio, favorendo il turismo e le visite da parte di eventuali ambasciatori stranieri, mostrando in un’unica meta di un eventuale giro turistico “ quanto di meglio Jump City ha da offrire!” .
Se da un lato tale idea poteva effettivamente portare , usando un triste gioco di parole, ad un salto in alto  per il prestigio nazionale di Jump City, dall’altro facilitava enormemente la scelta di un bersaglio per ogni criminale abbastanza coraggioso, disperato o semplicemente pazzo da compiere un furto nel bel mezzo della città, in una strada affollata quasi ad ogni ora.
Con grande disappunto (e frustrazione ancor più grande) da parte di Robin, il sindaco aveva accolto tali obiezioni con un bonario ed irritante sorriso, affermando che il rischio era minimo, gli eventuali danni facilmente riparabili, grazie alle sicuramente ingenti entrate che l’iniziativa avrebbe portato alle casse comunali…le quali entrate valevano sicuramente più di qualunque infinitesimale possibilità di attacco.
“Devi pensare al quadro generale, mio caro Robin!” aveva detto bonariamente il sindaco nel suo ufficio, sul volto l’espressione di un maestro che spiega ad un bambino che 1+1=2 , quando il Ragazzo Meraviglia aveva chiesto un incontro per dissuadere l’uomo dal suo intento.
“ Ed inoltre” aveva aggiunto, silenziando la protesta che Robin era sul punto di iniziare,  per la prima volta una nota di impazienza nella sua melliflua voce “non vedo dove sia il problema, Robin; se ciò che affermi è vero -cosa che non è!- sarà sufficiente che tu e la tua squadra svolgiate il vostro compito, come avete sempre fatto.
Non servirà neanche che vi impegniate a scoprire dove è il problema, saprete subito dove andare!
Ora, se vuoi scusarmi, ho un impegno urgente con la giunta comunale.”
A quel punto, Robin capì che l’incontro era finito, e che gli restavano solo due possibilità:
1) sopprimere la rabbia che lo faceva tremare, voltarsi ed andarsene;
2) scagliarsi su quella brutta copia di un politicante da strapazzo, schiaffeggiarlo e, dopo aver usato OGNI singola mossa di arti marziali , specialmente le più dolorose e crudeli, apprese nella sua carriera di supereroe da svariati maestri, costringere quell'idiota a riconsiderare le sue priorità.
Per quanto accattivante, la 2° linea condotta avrebbe messo se stesso e i Titans nei guai, oltre che gettare discredito sull’ intera comunità supereroistica…soprattutto su Batman…
Scelse dunque di girare i tacchi ed andarsene, mentre alla rabbia si associava l’ansia di come i suoi compagni avrebbero preso tale novità (soprattutto Beast Boy), sapendo che questo significava ore extra di allenamento, pattugliamenti e stress da attesa!
Inutile a dirsi, non solo tutti i Titans avevano passato ore ad inveire sull’ incompetenza e la superficialità del primo Cittadino, ma con estrema riluttanza si erano adeguati al nuovo regime di addestramento imposto dal loro mascherato leader.
I lavori di ristrutturazione presero solo 2 mesi, come se gli addetti ai lavori condividessero i timori di Robin e fossero impazienti quindi di andarsene il prima possibile da quello che, appena terminati i lavori, sarebbe diventato un gigantesco bersaglio per criminali, umani e non.
 Adesso, il presagio del Ragazzo Meraviglia era divenuto una triste e pericolosa realtà.

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Capitolo 5
*** Titans, addosso! ***


Jack Bullon era un uomo dalla mentalità molto semplice.
Avendo a malapena superato le medie, il suo livello culturale era a stento accettabile. Suo padre, Jeffrey Bullon, mediocre ladro e rapinatore , era stato chiaro; “La scuola è solo per quei fessi che vogliono passare la vita a sgobbare, spaccarsi la schiena e prendere ordini da qualcuno più ricco e furbo di loro!” aveva detto qualche giorno dopo l’ultimo giorno di scuola del figlio. “Se vuoi i soldi, non serve studiare, basta che sei svelto abbastanza da prenderteli!” . Detto-fatto , Jeffrey aveva insegnato al figlio a guidare quando aveva solo 14 anni; più che l’amore paterno, a dargli tale idea era stata la necessità di un complice che lo attendesse col motore acceso e, mentre lui “prelevava “ dalla banca, non si sarebbe dato alla fuga al primo accenno di guai piantandolo in asso come un cretino.
Qualunque fossero le ragioni paterne, e benché come padre lasciasse molto a desiderare, Jack gli fu grato, a modo suo; nel mondo dei motori, infatti, il ragazzo aveva trovato il suo vero talento, divenendo tra i migliori piloti-meccanici della malavita.
 L’unica cosa che  Jack quindi sapeva fare bene, davvero bene, era guidare. Per tale motivo era stato scelto dalla banda per sedersi al volante del mezzo corazzato, a cui aveva persino modificato il motore con le sue mani, corazzato le ruote e fornito i migliori accessori in commercio (dopo averli rubati, ovviamente!) ,rendendolo in grado di schizzare per le autostrade a quasi 230 km/h, creando il mezzo perfetto per l’audace colpo che avevano programmato: veloce, potente, compatto ed impenetrabile!
Comunque, mentre sedeva  a bordo del suo gioiellino, guardando un gruppo di quei super-mocciosi di cui aveva speso sentito parlare, e di cui aveva osservato le prodezze al telegiornale, non poté  fare a meno di porsi una semplice domanda: “Ma chi cavolo me lo ha fatto fare!!?” 
Ancora paralizzato dalla sorpresa, non udì le urla di rabbia e stupore di Steven, suo complice e capobanda; “Hey, Jack, che diavolo combini?! Che aspetti a mettere in moto?”, né il trambusto che fece per venire a sporgersi nell’abitacolo e urlargli nell’orecchio destro “Si può sapere che ti passa per la testa, stupido figlio di….!”  Prima di restare a sua volta sbigottito.
Non sentì tutto questo, ma la sberla che Steven gli tirò la senti eccome.
“Parti! Parti! PARTI, DANNAZIONE!!!” urlò Steven che, pur non essendo un pozzo di scienza a sua volta, era comunque molto più sveglio.
Il piede di Jack si incollò all’acceleratore, schiacciandolo a tavoletta, mentre la mano spostava il cambio rapidamente dalla seconda alla terza. Con un assordante stridio e un acre odore di gomma bruciata, l’autoblindo partiva di scatto, raggiungendo i 70 Km/ in appena 6 secondi ( Jack era molto bravo con i motori) !
 
I Titans, comunque, avendo avuto a che fare con astronavi e droidi alieni fluttuanti, non erano minimamente impressionati. Con movimenti fluidi, 4 di loro si spostarono ai lati, mentre il più grosso e meglio corazzato, Cyborg, rimase saldamente fermo sul posto, aspettando il veicolo letteralmente a braccia aperte… aperte in 2 cannoni sonici! Con un ronzio e un sibilo, aprì l fuoco, lasciando dei segni nella carrozzeria blindata, ma non fermando il veicolo.
Non che fosse sua intenzione, no; lo scopo dell’attacco era semplicemente privare la parte anteriore del  veicolo della sua spinosa protezione, in modo da permettergli di bloccarlo senza uccidere gli occupanti; se avesse voluto fare sul serio, avrebbe portato la forza dell’attacco al massimo, falciando in due l’automezzo come fosse fatto di carta velina anziché di acciaio temperato.
Il suo piano ebbe successo, cosicché quando il furgone lo centrò in pieno, Cyborg aveva già riconvertito le sue armi in mani di titanio, ponendosi come ostacolo alla sua corsa.
Ciò che tuttavia non aveva previsto era la potenza del veicolo, che continuava ad aumentare ben oltre i limiti di un motore normale.
Quindi, invece di fermarlo, Cyborg riuscì unicamente a rallentare il mezzo, che lentamente lo sospingeva indietro, i suoi piedi metallici emananti scintille per l’attrito con l’asfalto, l’aria satura dell’odore di pneumatici surriscaldati.
“Ragazzi, un aiutino sarebbe gradito qui!”, urlò il cibernetico eroe. Benché positivamente impressionato dalla bravura del meccanico, Cyborg non intendeva darla vinta a chiunque fosse a bordo. 
Ma i suoi compagni  erano già passati al contrattacco. Il primo ad entrare in azione fu Beast Boy; quando il furgone era partito all’attacco, aveva assunto la forma di una civetta delle nevi, prendendo quota rapidamente, in cerca di un punto scoperto nella carrozzeria; tuttavia, vedendo il suo migliore amico faticare per impedire ai criminali la fuga, si portò alle spalle del mezzo, dove la grossa bolla di energia fluttuava a circa 5 metri dal paraurti posteriore, ancora saldamente agganciata al verricello. 
Una volta atterrato, si posizionò tra la bolla e il furgone; invece di sfilare il gancio, Beast Boy preferì sfruttarlo a suo vantaggio.
In una frazione di secondo assunse le sembianze di un Bison Priscus, un bisonte preistorico (tutte quelle ore passate a guardare Animal Planet e National Geographic finalmente lo ripagavano!); il colossale ruminante verde puntò le zampe fermamente a terra e, sfruttando l’enorme palco di corna, superiore a quello di un odierno bisonte, bloccò la bolla contro la sua fronte. Poi, iniziò a muoversi nella direzione opposta. Presto il cavo era completamente esteso, e alla forza di Cyborg erano sommate la forza e la massa, di oltre una tonnellata, di uno dei più grandi animali mai passato sul continente americano, facendo rallentare il furgone considerevolmente, ma non fermandolo del tutto.
Di scatto, la portiera posteriore si spalancò; due dei criminali, vedendo il nuovo impedimento, si erano fatti prendere dal panico, decidendo di porre rimedio alla cosa, e ora stavano puntando i grossi  fucili a pompa verso la schiena del bisonte verde.
Prima che potessero premere il grilletto, tuttavia, entrambi i fucili iniziarono a brillare e scottare, fino al punto che i guanti che li impugnavano presero fuoco; d’istinto, i malcapitati gettarono le armi, pochi secondi prima che queste si fondessero in una maleodorante fanghiglia nera; mentre i due si gettavano a terra, le mani nella neve per smorzare le fiamme che si stavano propagando alle maniche, con la coda dell’occhio videro una avvenente ragazza dalla pelle arancione che fluttuava a circa 4 metri sopra le loro teste , le mani e gli occhi avvolti da un bagliore verde.
Nel frattempo, con un urlo da karateka, Robin si era scagliato all’interno del mezzo, dove gli altri malviventi stavano impugnando le armi a loro volta. Anche se poteva sembrare una mossa azzardata, il leader dei Titans sapeva esattamente ciò che faceva; attaccando gli avversari in un ambiente ristretto poteva sfruttare la loro superiorità numerica contro di essi.
Impreparati ad una eventualità simile, infatti, 2 dei 6 criminali tentarono di alzare i fucili, ma si ritrovarono la mira ostacolata dagli altri 4, i quali avevano preferito ingaggiare uno scontro fisico con il ragazzo, contando sul numero e sulla propria taglia, di molto superiore.
Grosso sbaglio.
Estraendo da un comparto della cintura un corto bastone di metallo, il Ragazzo Meraviglia sferrò un violento colpo alla tempia del bandito più vicino, facendogli perdere i sensi. Poi, premendo un pulsante, la sua arma si allungò fino a raggiungere un metro e mezzo di lunghezza. La punta si conficcò impietosamente nel fegato di uno degli avversari, che annaspò e cominciò a vomitare dietro al cappuccio. Gli altri due, furiosi, si scagliarono addosso al ragazzo mascherato; il primo ebbe solo una fugace visione dello stivale che collideva con la sua faccia, e un secondo dopo si ritrovò a volare all’indietro,col naso rotto e due denti in gola, andando a schiantarsi contro uno degli uomini armati, che crollò sotto il peso dell’incauto; il secondo, troppo temerario, osò afferrare Robin per la collottola e tirarlo a sé, urlando “Ora vedrai, piccolo bastardo!”, pregustando nella sua mente l’espressione di paura del giovane, prima di essere pestato a sangue (amava vedere quell’espressione, fin da quando era un bulletto a scuola!). 
Con suo sommo stupore e disappunto, tutto ciò che ricevete fu un ghigno a mezza bocca dalla faccia mascherata;”Tu credi, grosso idiota?” fu tutto quello che il sadico rapinatore riuscì a sentire, prima di ricevere un violento colpo di punta del bastone nell’articolazione del ginocchio destro e, mentre la sua vista si riempiva di luci bianche, un urlo acuto riempì le sue orecchie, seguito da un poderoso calcio al plesso solare che lo spedì  a 2 metri di distanza.
Restava solo l’ultimo dei banditi, ancora armato e ora con la visuale sgombra.
“Ci si vede all’inferno, piccolo sbruffone!” mormorò il criminale, alzando il fucile a pompa.
Mentalmente chiedendosi perché accidenti tutti i criminali sprecavano sempre ogni occasione di colpire, solo per proclamare la loro misera battuta d’addio, Robin compì una capriola all’indietro, estraendo uno dei suoi caratteristici boomerang e, dal pavimento, lo scagliò dritto contro l’avversario, deviando la canna del fucile nel momento che apriva il fuoco.
Il proiettile si andò a conficcare nella lamiera destra, deformandola verso l’esterno. Tuttavia l’eco dello sparo, essendo così poco lo spazio, fu come una cannonata nelle orecchie dell’incauto, e ancora di più lo fu il pugno che ricevette in mezzo agli occhi.
“Già stato, già visto,” rispose Robin con una semplice scrollata di spalle.
Intanto, in mezzo alla strada, i primi due criminali erano riusciti a spegnere le fiamme, rotolandosi nella neve fresca sul bordo stradale. I due, ancora doloranti, diedero un’occhiata alle loro mani, ora coperte di ustioni di 2° grado.
Sapendo di non poter impugnare un’arma nelle loro condizioni, incuranti della sorte dei loro complici, optarono per la fuga, ma furono presto bloccati, con loro sommo orrore, da una strana energia strisciante, crepitante e terribilmente fredda. Questo durò pochi secondi, poi i criminali furono scagliati con violenza l’uno contro l’altro, cozzando le teste rudemente e crollando al suolo, svenuti.
Raven abbassò le mani e si voltò in direzione del autoblindato, gli occhi che brillavano di un inquietante bianco sotto il cappuccio “Azarath, Metrion, Zinthos!”urlò la giovane maga, raccogliendo le energie; mentre uno scudo della stessa nera energia si ergeva a proteggere il suo verde compagno di squadra,  contemporaneamente un idrante sul marciapiedi vicino esplodeva. Rapidamente, l’acqua fu avvolta dall’oscurità, vorticando a mezz’aria e poi dirigendosi verso la fiancata sinistra del veicolo.
“Cyborg! Robin!” urlò la maga, senza distogliere lo sguardo dal suo bersaglio. Avendo intuito la strategia dell’amica, Cyborg si gettò di lato pochi istanti prima che la violenta cascata si abbattesse sul mezzo, inclinandolo di lato.
Nello stesso momento Robin saltava fuori dalla portiera posteriore e, ancora a mezz’aria, allungò la mano verso la sua celebre cintura degli attrezzi, estraendo due dischi gialli che scagliò nel getto. Ci furono due esplosioni, poi l’acqua si congelò, lasciando la ruota posteriore sinistra sollevata da terra, e quella destra intrappolata in una spessa coltre di ghiaccio.
Starfire non perse tempo, e rapidamente infilò i suoi pugni alieni sotto il parafango che pendeva a mezz'aria, e cominciò a spingere con la sua straordinaria forza fino a che, con un urlo belluino, seguito dalle esclamazioni di stupore e le imprecazioni dei suoi passeggeri, il furgone si  ribaltò su un fianco con uno schianto fragoroso.
A questo punto, ciò che pochi secondi prima era un pericoloso e intimidatorio mezzo ideale per rapinatori, ora era solo un inutile ammasso di rottami e lamiere.
“Boo-yah!” urlò Cyborg, come al suo solito quando un nemico aveva ricevuto un colpo da KO.
Sentendo che la pressione contro la sua testa era di colpo cessata, Beast Boy si staccò dal carico e ritornò alla sua forma umana.
Robin, mentalmente soddisfatto, fece un gesto a Cyborg di seguirlo, mentre si avviava a verificare le condizioni dei passeggeri. La sua corazza, pensò il leader, gli garantiva  una protezione ottimale contro l’eventuale fuoco nemico.
 
All’intero del veicolo, stordito e sanguinante, unico ancora cosciente, seppure a stento, il capobanda Steven  Tresh si rifiutava di credere a ciò che tutti i suoi sensi gli dicevano: dopo mesi e mesi di pianificazione, preparazione e sogni di gloria, lui e i suoi complici erano stati stesi da un gruppo di ragazzini in tuta colorata che giocavano agli eroi!!! E in una manciata di minuti, anche!!!
Come avrebbe potuto ripresentarsi a Gotham dopo una simile umiliazione, sopratutto a coloro a cui aveva detto “Cosa volete che siano, per uno come me, cinque mocciosi ? Quello che li guida è solo la spalla  di Batman, non Batman stesso!”? Come??
Non c’era futuro per lui, dopo un umiliazione simile!
Per un criminale che si rispetti, la reputazione vale più della sua stessa pelle!
No, non poteva finire così!
 Fu  allora che prese la sua decisione; anche se avrebbe preferito evitarlo, con dita tremanti ma risolute aprì la cerniera della borsa che pendeva dalla sua cintura, come quella dei suoi compari. Ne estrasse un piccolo cilindro grigio, che svitò e rovesciò sulla mano. All’inizio, l’unica cosa ad uscirne fu solo ghiaccio; poi, l’oggetto da lui cercato: una siringa colma di uno strano liquido…un liquido giallastro.
I suoi ultimi dubbi furono messi a tacere quando, all’esterno della lamiera sentì avvicinarsi i passi pesanti del mezzo robot, poi la sua voce;
“Ok, tiriamo fuori queste schiappe, mettiamoli in gattabuia e torniamo a casa, prima che mi si gelino i transistor!”
Un fiotto di rabbia  pervase il malconcio Steven, accecandolo e privandolo del poco buonsenso ancora in suo possesso.
“Ora vedremo chi è la schiappa, rottame da due soldi,,,” mormorò dalla bocca insanguinata Steven Tresh, prima di chiudere gli occhi, trattenere il respiro e ficcarsi l’ago nella carne. Mentre il fluido passava rapidamente dalla siringa al suo corpo, Tresh lanciò una risata, e poi un urlo disumano…
Il Venom, l’arma più potente e famosa di Bane, stava facendo effetto.

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Capitolo 6
*** Introspezione di un Titan e Omeotermia ***


Beast Boy odiava l’inverno!
Non che odiasse la stagione in sé, no… Si divertiva come un bambino a giocare nella neve con i suoi amici; adorava gustare la cioccolata calda con i marsh-mallow, seduto davanti il caminetto di villa Dayton, quando era ancora un membro della Doom Patrol; le vacanze di Natale, e il tepore che l’atmosfera familiare sapeva infondere alla sua anima; la quiete…
Anche se nessuno, neppure i suoi amici più cari, lo riteneva possibile, Beast Boy amava la quiete dell’inverno. Poche persone lo sapevano (e i Titans non erano tra queste), ma la vita di Garfield Mark Logan non era mai stata facile; dolore e miseria lo avevano perseguitato fin dalla sua infanzia
Ma, anziché esternare l’angoscia, Garfield preferiva nasconderla con scherzi e buonumore…e lo faceva davvero bene.   
L’inverno, tuttavia, aveva lo strano potere di calmare il suo spirito tormentato, infondendo un silenzio innaturale alla sua mente colma di pensieri turbolenti, meglio della sua maschera di smodata allegria ed ostinata puerilità.
No, ciò che Garfield odiava davvero era combattere d’inverno. E questo a causa dei suoi poteri.
A differenza di molti mutaforma, lui era incapace di mutare  il proprio colore; non importa quanto disperatamente ci aveva provato, quanto i suoi team-leaders lo esortassero ad allenarsi, quanto duramente lo rimproverassero e ingiustamente lo accusassero di pigrizia; qualunque forma assumesse, la sua pelle, i suoi capelli e i suoi occhi restavano tenacemente verdi.
Inutile a dirsi, questo lo rendeva facilmente riconoscibile in quasi ogni forma assumesse, soprattutto nei paesaggi innevati, azzerando praticamente le sue potenzialità di agente infiltrato…e arrecandogli non pochi problemi, durante la sua vita.
Comunque, a differenza di ogni altro mutaforma sul pianeta ( i cui poteri non fossero legati alla magia), egli era in grado di divenire realmente ciò in cui si trasformava; oltre al suo aspetto, anche la sua massa e la sua struttura anatomica mutavano, adattandosi a quella di qualunque forma di vita animale esistita sulla Terra… e anche oltre.
Oltre a ciò, per quanto piccolo o inadatto allo scopo il suo cervello diventasse, la sua memoria, intelligenza e coscienza restavano intatte.
Diamine, era persino in grado di trasformarsi in forme di vita unicellulari, prive di cervello, senza perdere alcuno dei suoi ricordi!
Come potesse riuscirvi, nemmeno lui era in grado di spiegarlo.
Beast Boy, infatti, non era semplicemente un mutaforma, bensì un mutaforma animale…probabilmente l’unico al mondo.
E, in quanto mutaforma animale, era in grado di copiare fino all’ultimo dettaglio le abilità delle creature che imitava, che si trattasse della muscolatura, dell’apparato scheletrico, di ghiandole velenifere…o della temperatura corporea.
Del vastissimo arsenale di forme animali a sua disposizione, infatti, la stragrande maggioranza erano animali ectotermi, più comunemente noti come a sangue freddo.
La caratteristica comune a tutti gli ectotermi è la loro incapacità di mantenere la propria temperatura  corporea costante, dovendo affidarsi al calore dell’ambiente circostante per mantenere le funzioni vitali attive; ciò ovviamente permette loro di risparmiare molta più energia degli animali omeotermi, ma li espone anche a grossi rischi, come la possibilità di surriscaldamento nei climi aridi… e di ipotermia nei climi freddi.
Così, mentre il suo migliore amico ( un uomo il cui corpo era  stato rimpiazzato per quasi il 70% da protesi hi-tech e una spessa corazza di titanio) e il suo caposquadra ( un esperto e temprato vigilante, conoscitore di quasi ogni arte marziale nota all’uomo) venivano violentemente ed inaspettatamente scaraventati fuori dai resti di un autoblindato distrutto, la prima cosa a venirgli in mente fu che le sue forme più grandi e potenti erano animali ectotermi, così come quelle più piccole e sfuggenti …e che molte di quelle rimaste erano poco adatte a sopportare il freddo.
 
In ogni caso, i suoi pensieri furono interrotti bruscamente, quando dai suddetti resti eruppe prima un urlo tutt'altro che umano, seguito subito dopo da quella che poteva essere definita dai restanti tre Titans, scioccati e confusi, come una massa di muscoli sotto super-steroidi. Senza saperlo, tutti e tre avevano involontariamente azzeccato in pieno la definizione.

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Capitolo 7
*** Occhi nel buio ***


Steven Tresh era sempre stato un criminale da poco; aveva iniziato all’età di 17 anni, come “gorilla” per conto di uno dei più temuti capi della malavita di Gotham City, Oswald Chesterfield Cobblepot III,  noto al grande pubblico con lo pseudonimo di “Pinguino”.
Da principio le cose andavano alla grande: gli incarichi erano semplici, pestaggi ed estorsioni erano un lavoro molto remunerativo, gratificante e piacevole… Poi, dopo essere stato arrestato ( ed impietosamente malmenato!)  per la quinta volta da un certo Cavaliere Oscuro…beh, aveva intuito che la sua strada era altrove, nel campo delle rapine magari.
In fondo, tutto ciò che gli occorreva erano, a suo parere, i muscoli, il fegato e una pistola; tutte cose in suo possesso.
Tuttavia, considerata la concorrenza eccessiva, costituita non solo da innumerevoli altri suoi pari, ma da mostri di ogni sorta, di cui le strade di Gotham abbondavano, la sua carriera era rimasta bloccata a furtarelli di poco conto nei negozietti di quartiere e scippi occasionali.
La somma più alta che fosse mai riuscito a ricavare da un colpo era stata di poco superiore ai 3000 bigliettoni, e li aveva spesi subito per saldare i suoi debiti di gioco. Non pago dell’essere un malvivente di dubbio valore, Steven Tresh era anche un giocatore d’azzardo incallito, i cui debiti  e creditori lo avevamo più volte spinto a costituirsi di crimini suoi e altrui, in modo da ritrovarsi al sicuro dietro le sbarre, almeno per un po’.
E, proprio in una di quelle occasionali “vacanze pagate dallo stato”, aveva ricevuto un’interessantissima offerta.
 
Mentre la sua memoria ritornava brevemente a quel giorno di quasi sei mesi prima, l’imponente energumeno si concesse qualche attimo di pausa, e questo diede il tempo non solo ai Titans, ma anche alla inevitabile folla di civili, rimasti incautamente ad osservare per tutta la durata dello scontro, di dare un’ occhiata accurata alla nuova minaccia.
Alto circa 2,30 metri, un fisico poderoso, ancora avvolto negli abiti neri ( evidentemente elasticizzati) fatta  eccezione per i guanti e gli anfibi, ridotti a brandelli di stoffa e pelle, la testa stranamente piccola dietro il passamontagna, che lasciava intravedere  gli occhi castani ed insanguinati, non prometteva nulla di buono.
Steven Tresh aveva sempre odiato quelli che i media definivano “meta-umani” e che lui reputava semplicemente fenomeni da baraccone, che si trattasse di eroi o criminali….ma doveva ammetterlo, per quanto doloroso fosse stato iniettarsi il Venom e sentire il suo corpo ingigantirsi,  i suoi muscoli contrarsi ed espandersi ripetutamente a brevissimi intervalli, le  sue ossa scricchiolare e irrobustirsi…. ora che era uno di loro, ora che era un mostro, quella sensazione, quel potere che si sentiva scorrere nelle vene…
“Dio, che sballo!!!” fu tutto quello che riuscì a mormorare, mentre Raven, Starfire e Beast Boy lo fissavano con gli occhi sbarrati, stupore ed incredulità sui loro giovani volti.
Benché la sua altezza fosse considerevolmente aumentata, di almeno mezzo metro, era nulla in confronto all’aumento di diametro delle sue spalle, dei suoi pettorali, delle sue braccia e quadricipiti, quasi triplicati in spessore.
E malgrado avesse appena preso a pugni una corazza di titanio, tutto quello che avvertiva  era solo un leggero fastidio alle nocche.
A quanto poteva constatare, il Venom, la famigerata sostanza adoperata da Bane, uno dei più formidabili e letali nemici di Batman, funzionava perfettamente… bene, ora poteva regolare i conti con quei ragazzini presuntuosi, insegnando loro a non scherzare con gli adulti!
“Allora, mocciosi… pronti a fare sul serio? Perché è ora che qualcuno vi sculacci a dovere!” proferì in tono arrogante e canzonatorio il bruto sotto steroidi, poi si scagliò in avanti, caricando come un rinoceronte impazzito, il braccio destro proteso all’indietro, pronto a colpire. 
Ripresisi  dalla sorpresa, i tre Titans reagirono rapidamente; mentre le due ragazze prendevano quota, il mutaforma verde assunse le sembianze di una volpe artica, rapidamente schizzando a destra nel momento in cui il pugno del rapinatore si abbatteva al suolo, lasciando un piccolo cratere nel punto in cui un istante prima si trovava Beast Boy. 
"Wow, amico! Dove li tenevi nascosti gli spinaci, bello?” chiese con un tono tra il serio e il divertito il Titan, dopo essere tornato in forma umana tre metri alle spalle del folle.
“Non male, vero? E pensa, posso fare molto di più!” disse Tresh, un ghigno soddisfatto, rialzandosi e voltandosi ad osservare il ragazzino, sicuro di trovarlo spaventato e sconvolto.”Che ne dici, mostriciattolo? Ancora convinto, come quel rottame del tuo amico, che io sia una schiappa?”
Con sua sorpresa, non solo il poppante non stava tremando, ma lo fissava come se nulla lo avesse raggiunto; né la paura del dolore, né gli insulti al suo aspetto o a quello del suo compagno di squadra.
Difatti, ad accogliere l’arrogante super-bullo fu solo un largo e zannuto sorriso, seguito dalla parlantina semplice e gioviale, tipica del ragazzo.
“Mmhhh…beh, che posso dire? Anche i pivelli hanno diritto a qualche secondo di gloria, no? Onestamente, amico, se sai fare di meglio, non credi dovresti farlo? Non so te, ma fino ad ora  questa lotta è tra le più noiose della mia vita. Dì la verita, stai già spingendo al massimo, vero? Cavolo, al tuo posto mi farei un altro giro in palestra…anche se dovresti andarci piano, però…sai come si dice, troppa cyclette può fare male alle parti basse…”
Dopo tale insopportabile affronto, che minava deliberatamente il suo ego (e la sua virilità), il poco raziocinio rimasto al malvivente sembrò volatilizzarsi, e una furia cieca si impadronì di lui.
 “ IO TI AMMAZZO!!!”
Detto questo, con un urlo selvaggio, il capobanda dei malcapitati rapinatori si gettò nuovamente alla carica.
 
Nel frattempo, dalla sua posizione sopraelevata, Raven puntò le mani verso Cyborg e Robin, che giacevano ancora storditi dal’inatteso sfoggio di forza bruta, sfoderato da un nemico in apparenza comune, che li aveva scagliati a circa 15 metri di distanza, dritto contro il muro del palazzo di fronte. 
Mormorando il suo famoso mantra, la maga oscura avvolse i suoi amici nell’ energia oscura che la caratterizzava, in realtà composta della sua stessa anima, trasportandoli sul tetto dell’edificio più vicino, 10 metri più lontano e 4 metri più in alto. Poi, la pallida ragazza si inginocchiò accanto ai due e, premendo una mano su entrambe le loro fronti, dopo qualche secondo di concentrazione iniziò a cercare eventuali danni o ferite.
Come previsto, nel caso  di Cyborg si trattava solo di un leggero stordimento; la sua armatura aveva assorbito la maggior parte dell’impatto e, pur con qualche ammaccatura, non sembrava aver riportato danni gravi. Robin invece, provvisto delll’unica difesa dei suoi riflessi e della sua superiore condizione atletica, aveva dovuto smorzare il danno dell’impatto con il muro di mattoni con la spalla, roteando il proprio corpo a mezz’aria; pur risparmiandogli una frattura cranica o alla schiena, questo stratagemma gli era costato una frattura alla spalla destra e un violento colpo di frusta al collo.
Spostando la sua attenzione al caposquadra, Raven si mise al'opera per guarire il danno, ogni tanto lanciando occhiate nervose alla battaglia.
 
Contemporaneamente, in strada Tresh stava ancora inseguendo Beast Boy, il quale aveva ora assunto le sembianze di un coyote, continuamente schivando i maldestri tentativi del nemico di calpestarlo; pur avendo infatti guadagnato molto in potenza, data la considerevole massa al criminale era rimasta ben poca agilità nei movimenti; questo fattore, unito alla sua scarsa tecnica di lotta, lo rendeva estremamente goffo e facilmente prevedibile.
“Lurido cagnaccio bastardo! E sta fermo, vigliacco pulcioso!” continuava ad imprecare Tresh, sempre più furioso e frustrato.”Smettila di scappare, e affrontami da uomo, se ne sei capace!!!”.
Beast Boy però, ora nella forma di un lemming, era soddisfatto di se stesso; il suo piano stava funzionando egregiamente.
Infatti, mentre lo stolto dall’ego fragile era completamente concentrato nel tentativo di eliminarlo, alle sue spalle Starfire , con la sua solita gentilezza e garbo, stava allontanando la folla di osservatori. “Prego, da questa parte, gentili cittadini!” continuava a ripetere la guerriera spaziale, col tono e il sorriso gentili e affabili di una guida turistica nel mezzo di un tour al museo. “ Coloro che non desiderano restare feriti dovrebbero gentilmente tenersi a distanza, grazie!” ribadì la ragazza arancione alle persone riluttanti.
Quasi a darle ragione, in quel momento il criminale si scagliò in avanti, mancando clamorosamente una lepre verde, ma sfondando nell’impeto il marciapiede sottostante, provocando un’onda d’urto che fece tremare i vetri circostanti.
Decidendo che il privilegio di assistere dal vivo ad una battaglia tra supereroi e supercriminali NON valeva il rischio di perdere la vita, immediatamente tutti gli astanti fecero dietrofront, togliendosi dalla possibile linea di tiro. Ciò lasciò Starfire libera di correre in aiuto del suo amico verde, oltre che di esigere vendetta per il suo mascherato amore.
 
A questo punto, Beast Boy sapeva di aver raggiunto il suo scopo. Sorridendo, per quanto gli era possibile nella sua attuale forma (un husky), si voltò verso il colosso dalla testa sproporzionata, che ora stava ansante a 6 metri di distanza da lui. 
“Senti, amico, se devo dirla tutta, mi sono un tantino stufato di questo gioco...” disse  tornando alla forma umana.
”Facciamo così, io me ne sto fermo qui, buono buonino, mentre tu mi colpisci…sai cosa, chiuderò anche gli occhi, per facilitarti il compito…sai com’è, alle schiappe un piccolo vantaggio va sempre concesso.”
Detto-fatto, il giovane eroe chiuse gli occhi, allargò le braccia e attese, un sorriso zannuto tenacemente incollato alle labbra
Imbufalito da questa ennesima presa in giro, Tresh si scagliò ancora, i pugni sopra la testa, negli occhi una luce omicida, deciso a schiacciarlo come il moscerino che era. Comunque, quando era a soli 15 cm di distanza dal suo obiettivo, capì di essere stato fregato; alle spalle del ghignante elfo verde, una macchia rossa e arancione si avvicinava a velocità folle; Starfire era passata al contrattacco.
Raggiungendo istantaneamente la velocità di 90 km/h, la principessa di Tamaran si lanciò contro l’avversario, le braccia protese in avanti, i pugni serrati. Trasformandosi in un’oca delle nevi, Beast Boy si tolse dalla traiettoria dell’amica.
Prima di raggiungere il suo bersaglio Starfire puntò gli occhi ai piedi del bruto, emettendo un raggio ottico verde brillante, provocando una piccola esplosione, potente abbastanza da sollevare una coltre di polvere, calcinacci e neve che la nascose alla vista dell’ingenuo energumeno.
Il piano funzionò; mentre Tresh abbassava la guardia per coprirsi la faccia, Starfire oltrepassò la cortina fumogena, spiazzando completamente l’avversario e portando a segno un devastante doppio colpo all’addome dell’energumeno, mandandolo a schiantarsi con la schiena contro il camion ribaltato.
 
Il fatto di costruire in un’unica strada ogni sorta di attività remunerativa, come gioiellerie, boutique e simili comportava specifiche precauzioni; prima fra tutte, un sistema di sorveglianza audio-video HD a circuito chiuso.
Tale sistema, ovviamente, va collegato ai vari monitor di sorveglianza della polizia. In questo modo, ogni eventuale effrazione verrebbe immediatamente filmata, registrata e utilizzata come prova giudiziaria.
Il problema di tali sistemi però, è che possono offrire, a chiunque possieda un computer e le abilità adeguate per usarlo, un eccellente mezzo per osservare cosa accade dinnanzi alle suddette telecamere, in HD, da diverse angolazioni e con tanto di sonoro.
In una stanza buia, in una località segreta, una misteriosa figura, munita di un semplice computer portatile e le abilità per usarlo al meglio, continuava ad’ osservare con estremo interesse lo scontro.
Mentre le immagini di 10 differenti telecamere scorrevano davanti ai suoi strani occhi, dalle inquietanti pupille ed iridi bianche e la sclera grigia, un sorriso increspava sporadicamente le sue labbra. Tutti quei mesi passati ad attendere questo momento,reclutando, rifornendo e addestrando a distanza quella accozzaglia di incapaci, sapendo di mandarli come agnelli  in pasto ad un branco di leoni… questo lo ripagava di tutto.
“Molto bene, Titans… davvero molto bene…siete sulla buona strada.” disse sovrappensiero lo sconosciuto, nella piccola stanza buia, illuminata solo dalla flebile e fredda luce dello schermo, in una voce calda e suadente, il tono ben impostato e tranquillo.
“Cercate di non farvi troppo male, miei giovani amici… la partita è solo all’inizio”.

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Capitolo 8
*** Déjà vu ***


Déjà vu. 
Un termine francese, usato per indicare una particolare e bizzarra sensazione. Rozzamente tradotto significa “già visto”.
E’ una sensazione strana, che chiunque, almeno una volta nella vita, ha sperimentato. Essenzialmente, è l’impressione, più o meno vivida, di aver già visto una particolare immagine, sentito un particolare suono, vissuto una particolare situazione...
Ecco cosa provò Robin, subito dopo aver aperto gli occhi e aver dato un’occhiata alla strada sottostante, sempre sorreggendosi a Raven: un fastidioso ed inquietante senso di déjà vu.
Grossi buchi nell’ asfalto e nei muri;
automobili  ribaltate o dalla carrozzeria deformata;
vetrine sfondate e allarmi che suonavano senza tregua…
e, al centro della scena, un  colossale e sproporzionato criminale si stagliava…
Per un attimo, Robin ebbe la spiacevole sensazione che il tempo fosse tornato indietro; per un istante, era come se gli ultimi anni, trascorsi assieme alla sua nuova squadra…alla sua nuova famiglia… fossero stati cancellati dall’esistenza.
Per uno spaventoso secondo, Robin non era più il leader dei Teen Titans, protettori di Jump City, no… anche se il corpo era ancora quello del 21enne, nella sua mente Robin era tornato un ragazzino di soli 14 anni, che trascorreva le sue notti di adolescente a combattere gli spietati criminali e i famigerati folli di Gotham City, negli sgargianti e aderenti abiti che contrassegnavano il suo difficile ruolo; quello di assistente del leggendario Cavaliere Oscuro, il Crociato Mascherato…Batman.
Davanti ai suoi occhi, così giovani eppure già così segnati dalla malvagità del mondo, una scena tremendamente familiare si stava svolgendo; per il Ragazzo Meraviglia, era come assistere nuovamente ad una delle tante, troppe battaglie tra il suo mentore e il genio criminale, nonché temibile combattente, conosciuto per le strade di quella tetra città come l’uomo che riuscì a spezzare Batman
“Ti dispiacerebbe allentare la presa, Robin?”.
Una voce calma e quasi priva di emozioni lo riscosse dalla sua trance, riportandolo al presente. Leggermente spiazzato, Robin guardò alla sua destra, solo per ritrovarsi di fronte un paio di occhi color ametista che, da dietro un cappuccio, lo fissavano torvi.
“Cosa…?” chiese con un’aria alquanto sciocca il giovane uomo; sembrava addirittura sorpreso di vederla li.
“Capisco tu possa sentirti ancora un po’  stordito, e che i danni ai negozi siano ingenti, ma il timore di dover  ripagare i commercianti e il comune NON autorizza il tuo tentativo di spezzarmi il polso. Quindi, se non ti è di troppo disturbo, MOLLAMI!” disse la giovane maga, il sarcasmo delle sue parole rimpiazzato dalla più pura rabbia.
Decisamente confuso dal discorso della sua amica, Robin guardò in basso, verso la propria mano destra…realizzando che, in preda ad un attacco di ansia, aveva stretto in una morsa dolorosa il braccio sinistro della sua amica, impegnata a sorreggerlo.
Impallidendo, l’ex acrobata lasciò rapidamente andare la ragazza, ritornando in posizione eretta e riacquistando il controllo.
 “Ehm, scusa Raven, mi ero smarrito per un attimo nei miei pensieri, sai com’è…” disse Robin, profondamente imbarazzato di essere stato colto dal panico nel bel mezzo di una battaglia, davanti ad una sua amica ( la sua unica amica empatica, soprattutto!)… e di aver quasi rotto il braccio alla suddetta amica.
“Si, lo so” replicò la maga, il viso che esprimeva una quasi impercettibile traccia di rabbia “ e so anche che, se non stai attento alle mani, la prossima volta potresti non riaverle indietro.” aggiunse  in un sussurro appena udibile, ma che fece correre i brividi lungo la schiena dell’ impavido eroe.
“Ehi, che ti è preso, Testa-di-Gel ? Sembravi sul punto di bagnarti i tuoi calzoni attillati!”.
Fantastico, davvero fantastico…Cyborg doveva essersi ripreso senza che lui lo notasse, in tempo per assistere a quella scena tragicomica, visto che ora stava lanciando al suo team leader un’occhiata che esprimeva divertimento e preoccupazione insieme.
“Nulla, solo una piccola fitta di nausea post-trauma, sai, per via della botta in testa...” cercò di giustificarsi il ragazzo mascherato, massaggiandosi la nuca con la mano sinistra, la destra sollevata in maniera rassicurante, simulando un qualche disagio che lui stesse stoicamente sopportando…e fallendo miseramente, a giudicare dall’espressione dei suoi amici …
“Adesso basta sciocchezze, però! Torniamo alle cose serie!” scattò improvvisamente Robin, ricordandosi dello scontro in atto a pochi metri da loro, nel quale erano coinvolti un mostro sotto steroidi, l’altro suo amico e la sua fidanzata. Caso volle che, in quel preciso momento, nella strada sottostante, la prodigiosa fanciulla delle stelle era arrivata a connettere un’ attacco devastante, spedendo il nemico a schiantarsi fragorosamente contro i resti del veicolo, reso inutilizzabile meno di mezz’ora prima, neanche a farlo apposta, proprio dalla tamaraniana.
Ricomponendosi in fretta, i tre eroi si lanciarono nuovamente nella mischia.
Durante la discesa, saldamente agganciato ad uno dei suoi ramponi, l’aria gelida che gli sferzava la faccia, Robin sentì la sua preoccupazione fare nuovamente capolino; possibile che questo energumeno fosse davvero Bane?
Possibile che il supercriminale fosse giunto fin lì da Gotham, forse cercando di crearsi un nuovo territorio per le sue attività illecite?
Non sarebbe stato un caso unico, considerato che anche Killer Moth aveva tentato la stessa via, anni prima…
Il pensiero che Jump City, sua nuova casa, potesse divenire uguale a quella vecchia (lugubre, corrotta e tanto sporca da non far più filtrare la luce del sole) fece gelare il sangue al giovane detective.
Appena toccò l’asfalto, comunque, Robin si rese conto che le sue paure erano decisamente infondate; non solo chi gli stava di fronte aveva una carnagione troppo pallida per essere Bane ma, a giudicare dal rapido rapporto che Beast Boy e la sua amata Kory (come lui aveva preso a chiamarla, nei loro rari quanto piacevoli momenti di quiete ed intimità) gli fecero sulla battaglia sostenuta nei suoi momenti di incoscienza, era chiaro come il sole che non esisteva alcuna possibilità che sotto quel passamontagna si celasse l’oggetto dei suoi timori precedenti; per quanto rispettasse i suoi due compagni di squadra, era assolutamente impossibile che essi fossero in grado di mettere alle strette un avversario del calibro di Bane…non così rapidamente, non così facilmente, non con tattiche tanto ovvie e banali come il vecchio “Provoca E Scappa”!
Certo, quei mezzucci potevano funzionare con mostri senza cervello come Cynderblock, forse anche con tipi boriosi come il robot Atlas, che puntavano tutta la loro “strategia offensiva” sulla pura forza fisica, ma con uno come il criminale mascherato?!
No, quello che ricordava Robin era un combattente scaltro ed esperto, uno dei pochi al mondo in grado di tenere testa, e persino sconfiggere Batman in un corpo a corpo! Senza contare il suo straordinario intelletto, che lo rendeva un nemico ancora più pericoloso, praticamente letale.
No, doveva certamente trattarsi di un dilettante entrato in possesso del Venom…poiché almeno sulla natura della sostanza, responsabile di tale mutamento, il Ragazzo Meraviglia non nutriva dubbio alcuno. Come potesse un tipo del genere essersi procurato tale sostanza, questo era un mistero che il detective intendeva svelare ad ogni costo, ma prima…
“Ok amico, hai dieci secondi per arrenderti di tua spontanea volontà, dopodiché dovremo passare alle maniere forti.” disse il ragazzo mascherato, la voce e lo sguardo duri, carichi di autorità e decisione ”Fa un favore a te stesso e metti fine a questa follia, se non vuoi andare al tappeto nel  modo più doloroso e umiliante possibile!”.
Piuttosto che rispondere a parole, Tresh si sollevò, stordito e barcollante, la schiena e l’addome che pulsavano orrendamente dal dolore.
No, non poteva cedere ora!
Non per mano di una specie di animale e una ragazzina in minigonna…
NO, lui era un uomo, un VERO uomo, non poteva e non voleva andare giù così!
Ignorando la sensazione di nausea che gli attanagliava lo stomaco, urlando come una bestia inferocita si scagliò all’attacco…solo per essere rispedito indietro, con più violenza ancora, da una specie di tentacolo nero, sbucato da chissà dove, che si abbatté sul suo petto come un’enorme e gelida frusta.
Il colpo lo fece volare stavolta oltre il pavimento dell’autoblindo, dentro il vano-passeggeri da lui occupato qualche minuto prima, assieme ai suoi complici. Il fatto di vederli ancora tutti lì dentro, ancora svenuti, incapaci di soccorrerlo con le proprie dosi di siero aumentò ulteriormente la sua frustrazione... e gli diede quella che, a suo parere, era la migliore idea della propria vita. In altre parole, una follia totale!
 
Vedendo che il criminale tardava ad uscire, Robin sperò che la battaglia fosse finita. Tuttavia, memore del’esperienza che gli era costata una dolorosa frattura poco prima, decise di andare cauto stavolta.
“Raven, controlla se quell’idiota è fuori dai giochi, stavolta.”
Sentendo l’ordine del suo caposquadra, Raven iniziò a concentrarsi per verificare se la mente del criminale era incosciente. In ogni caso, prima di poter anche solo iniziare, i Titans sentirono, e poi videro, Tresh che faticosamente si trascinava fuori, tenendo le spalle curve, le mani sull’addome.
“Allora, hai capito che è finita?” chiese ancora una volta Robin, mascherando lo stupore di vedere il malvivente ancora cosciente, dopo un colpo subito da Raven in persona.
“Perché altrimenti, amico, possiamo suonartele un altro poco, se ancora non ti basta.” aggiunse Cyborg “Per me non c’è problema, devo ancora restituirti il favore di prima…nessuno, e intendo NESSUNO graffia la corazza di Cyborg e la passa liscia!”
Per tutta risposta, Tresh alzò lo sguardo, fissò con odio e disprezzo puro i teenagers in costume davanti a lui, ghignò e….sollevò le mani, rivelando in ciascuna di esse 3 siringhe, colme di un liquido giallastro,pronte all’uso .
Solo Robin sembrò capire quello che stava per accadere, ma prima che potesse urlare a pieni polmoni “FERMATI, RAZZA D’ IDIOTA!” Tresh lanciò un ultimo grido, conficcandosi altre sei dosi di Venom nella carne.
 
“Molto audace, Tresh, molto audace davvero… e molto stupido, anche.” mormorò la misteriosa figura nel suo nascondiglio, gli occhi bianchi fissi sullo schermo, ben sapendo cosa stava per succedere.
“E’ stato un piacere servirmi di te e dei tuoi compari… almeno avete adempiuto al vostro scopo.” disse con una nota di divertimento nella voce, prima di aggiungere in un sussurro “ Addio.”.

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Capitolo 9
*** Il troppo stroppia...e storpia. ***


Dolore, puro ed insopportabile dolore. 
La sensazione che il proprio corpo si sciolga, trasformandosi in una informe poltiglia, pulsante di agonia e sofferenza, mentre le tue ossa si spezzano, i tuoi muscoli si stirano e  contraggono allo stesso tempo, le tue articolazioni si piegano innaturalmente...per non parlare dell'atroce sensazione del tuo sistema nervoso che cambia forma, in parte o completamente!  
Questo è ciò a cui un mutaforma va incontro, ogni volta che il suo corpo viene costretto ad alterare i propri confini, costringendo le sue stesse cellule a spostarsi in una nuova posizione, separandosi dalle proprie vicine... prima di costringerle a fondersi nuovamente insieme, in una forma nuova e più adatta alle condizioni che hanno reso il mutamento necessario. Questo è ciò con cui ogni mutaforma deve convivere...o almeno, questo era ciò con cui doveva convivere Beast Boy.
Fin dalla sua primissima trasformazione, avvenuta all'innocente età di 5 anni, in una situazione potenzialmente tragica, Gar Logan si era posto una sola domanda, prima di qualunque altra importante; 'Come mai non sono svenuto?' 
Proprio così... il suo primo pensiero, mentre si slanciava con coraggio verso quello che ,per qualunque suo coetaneo, sarebbe stata morte certa non fu 'Come ho fatto a diventare una mangusta?';
il suo primo pensiero, mentre fronteggiava un mamba nero, uno dei serpenti più letali d' Africa, se non del mondo, non fu 'Come faccio a sapere come combatte una mangusta?';  
il suo primo pensiero, mentre si accingeva a sostenere un duello mortale per salvare la vita di Mary Logan, sua madre, non fu 'Cosa stara pensando di me la mamma? Che suo figlio ora è un mostro? Mi vorrà ancora bene?';  
il suo primo pensiero, mentre affondava i piccoli ma aguzzi denti nella gola del velenoso rettile non fu 'Perché non provo rimpianto? A me gli animali piacciono tantissimo, eppure ne sto uccidendo uno proprio adesso! Perché?!'...  
No, la prima domanda ad avventurarsi nella sua giovane e sconvolta mente, in quei confusi istanti, fu soltanto una: come poteva un semplice bambino come lui aver sopportato così tanto dolore, tutto in una volta e senza alcun preavviso, evitando poi di svenire sul colpo?
L'unica consolazione a cui il ragazzo verde riusciva a pensare, ogni volta che si apprestava ad eseguire una delle sue dolorosissime trasformazioni, era che, per quanta sofferenza lo attendeva, essa sarebbe durata men o d'un battito di ciglia; non importava infatti quanto grande, quanto straordinariamente enorme fosse la differenza di stazza tra un aspetto e l'altro; Gar Logan era in grado di passare dalla forma di un protozoo a quella di una balenottera azzurra in una manciata di secondi, contravvenendo ogn legge della biologia e della fisica note al'umanità.  
Questa sua caratteristica, oltre a renderlo decisamente imprevedibile e pericoloso negli scontri corpo a corpo, gli aveva permesso di nascondere a chiunque, perfino ai suoi  genitori, geniali e pluripremiati biologi, le smorfie di dolore che sicuramente lo avrebbero tradito, rivelando il dolore accecante che accompagnava ciascuna sua metamorfosi. E di questo era ben lieto, perché, se c'era una cosa che Garfield aveva sempre odiato era essere compatito; non odiato, disprezzato, e neppure insultato: lui odiava essere guardato con occhi colmi di pena, perché ciò significava che gli altri lo consideravano debole, incapace di badare a se stesso, e questo lo feriva ancor di più dei molti sguardi di paura, incredulità e, talvolta, di disgusto che la gente glia aveva sempre riservato da quando la sua pelle aveva assunto quel bizzarro ed inusuale colore.  
Si, le sue trasformazioni erano dolorose, ma a lui piacevano comunque, poiché gli donavano qualcosa di ben più prezioso delle semplici capacità fisiche da usare in combattimenti con esseri strani almeno quanto lui... il suo potere gli conferiva ciò che ogni essere, consciamente o non, desidera al di sopra di tutto: libertà assoluta.
La possibilità di essere qualunque animale mai esistito sul globo terrestre, di librarsi in volo nel cielo infinito, di immergersi nei più oscuri abissi, di vedere, sentire, toccare, percepire il mondo sotto così tanti punti di vista, così diversi l'uno dall'altro... era un privilegio, una benedizione, un dono meraviglioso ed unico.
Se una frazione di secondo di intensa sofferenza era il prezzo da pagare, allora era davvero esiguo.  
Tuttavia, Garfield sapeva perfettamente che, semmai avesse raccontato del dolore che la sua abilità, praticamente unica, arrecava al suo corpo...del pesante fardello che lui doveva portare per sentirsi libero come nessun' altro... se lo avesse detto a qualcuno che lo amava...ai suoi genitori, ai suoi compagni di squadra, ai suoi amici, alla sua famiglia... allora molto probabilmente essi glielo avrebbero impedito.  
Quindi, se c'era un particolare aspetto della sua abilità metamorfica che apprezzava completamente, era la sua rapidità d'esecuzione.
Ed ora, anni dopo da quella prima, traumatica trasformazione, mentre testimoniava ad un mutamento tanto lento quanto atroce, 
Garfield Logan ebbe l'impressione di non aver mai apprezzato abbastanza tale aspetto dei suoi bizzarri poteri.
Pur avendo assistito a tantissime scene assurde e terribili nella sua giovane vita, Beast Boy non riuscì ad evitare la nausea che gli attanagliava lo stomaco, osservando il corpo di un uomo che, nel mezzo dell'innevata Treasure  Street, veniva brutalmente rimodellato tra violente convulsioni ed agghiaccianti scricchiolii, la voce colma di agonizzante sofferenza, gli occhi che imploravano che la fine arrivasse presto, .  
Mai come in quell'istante, il ragazzo zannuto sentiva il bisogno quasi insostenibile di gettarsi a terra e ringraziare il Cielo che a lui fosse toccata un'abilità tanto rapida; non riusciva infatti ad immaginare come sarebbe stato per i suoi amici, se ad ogni trasformazione anche lui avesse dovuto offrire un simile spettacolo.  
Volgendo altrove lo sguardo, pur di non patire un solo istante oltre quella macabra scena, vide stampati i suoi stessi sentimenti sul volto di quasi tutti i suoi compagni di squadra, ciascuno a modo suo e con intensità differenti: 
Cyborg, il cui corpo aveva subito mutilazioni, amputazioni e traumi insostenibili, al punto da rendere necessaria l'installazione di numerosi e sofisticati impianti tecnologici, fissava la scena con il suo occhio umano sbarrato, la bocca leggermente aperta, in una muta espressione di shock;
Starfire, straordinaria guerriera dello spazio, che aveva visto razze aliene inquietanti e testimoniato a chissà quante battaglie nella sua pur breve vita, sembrava sul punto di svenire dal disgusto;
Raven, addestrata a celare ogni emozione fin dalla nascita, pur mantenendo un espressione stoica ed impassibile sul volto, non riuscì a celare il brivido di orrore che i suoi occhi tradivano ;
Robin, invece... non mostrava null'altro che preoccupazione e una strana ombra di rassegnazione sul suo viso mascherato, quasi sapesse cosa stesse accadendo, e quella scena per lui non fosse affatto una sorpresa, né una novità.
Prima che il ragazzo verde potesse chiedere una spiegazione al suo team-leader le urla del criminale cessarono di colpo.
Voltandosi nuovamente, il giovane eroe vide il risultato del lento e raccapricciante processo... e poco mancò che la nausea  avesse la meglio su di lui, stavolta.  
Dinnanzi al gruppo di vigilanti in costume non c'era più un delinquente troppo cresciuto, vestito di nero e con un passamontagna; a circa 15 metri di distanza dagli eroi, ancora una volta sconvolti, si ergeva una rivoltante creatura, il cui aspetto aveva conservato una forma a malapena definibile come 'umanoide'.
Mentre tutti i presenti fissavano quella nuova, grottesca minaccia, Cyborg osservò quell'essere con particolare attenzione, prendendo le misure con il suo occhio elettronico. mentre 
i suoi scanner erano all'opera per rivelare i segni vitali dell'avversario.
Alto ora 4,20 metri, la pelle era divenuta di una strana tonalità marrone scuro, piena di lividi e coperta dai resti degli abiti elasticizzati che,non riuscendo più a sostenere l'eccessiva tensione né la tremenda torsione cui erano stati sottoposti, erano stati ridotti a dei semplici brandelli penzolanti, 
Di Steven Tresh era rimasto ben poco:
il torace aveva subito una crescita drastica, arrivando ad una circonferenza di circa 8 metri;
il braccio destro, che aveva raggiunto il diametro di 3 metri e una lunghezza di 2 e mezzo, aveva il raccapricciante aspetto di un mioncherino, poiché la mano al suo apice era solo leggermente cresciuta;
il braccio sinistro sembrava quasi essersi sgonfiato, raggiungendo però la lunghezza di 3 metri e un quarto, le dita lunghe e nodose che toccavano terra;
le spalle, ora larghe 9 metri e mezzo, erano curve ed asimmetriche, a causa della differenza di spessore e lunghezza delle braccia, nonché delle due enormi gobbe spuntate sul lato destro della schiena del folle;
le gambe erano relativamente corte e tozze,di circa 1,30 metri, solide e nerborute, ma ancora simmetriche;
e poi, ovviamente, c'era la faccia...  
Ora, benché a causa del passamontagna, durante la precedente fase della battaglia nessuno dei Titans fosse stato in grado di scorgere il volto del nemico, tutti loro erano sicuri di una cosa: quello non poteva essere il viso che il rapinatore aveva quando era giunto sulla scena del crimine.  
La testa era cresciuta, ma solo leggermente, e in maniera asimmetrica; la metà sinistra era più grande, la fronte deformata da una sorta di protuberanza;
la mascella si era allungata, in maniera asimmetrica, mettendo in mostra i denti, storti ed ingialliti, mentre dalla bocca colavano saliva e sangue;
l'occhio destro era parzialmente coperto da un'altra protuberanza, più piccola dell' altra, mentre il sinistro era velato ed iniettato di sangue; corti capelli neri e una traccia di barba incolta erano ancora visibili, ma sembravano quasi tracciati col pennarello adesso, tanto erano fuori posto su quella testa deforme.
Tutto il corpo, così orrendamente deformato, era ricoperto da pulsanti vene gonfie, facendolo assomigliare a quello di un enorme insetto finito in una ragnatela e miracolosamente sfuggitovi.  
Respirando affannosamente, Tresh ( o quello che restava di lui) alzò lo sguardo, osservando i cinque mocciosi che lo avevano spinto a tanto...
Poi, con un urlo disumano e l'odio scolpito nei suoi nuovi, rivoltanti caratteri facciali, si scagliò nuovamente all'assalto, la terra che tremava sotto i suoi pesanti passi.  
Robin non ebbe alcuna esitazione, nessun ripensamento o incertezza; estraendo una delle sue armi estensibili, il Ragazzo Meraviglia si mise in posizione, preparandosi a concludere questa battaglia.  
Attorno a lui, tutti i suoi amici fecero altrettanto:
alle sue spalle,  Starfire e Raven , caricandosi l'una di luce e l'altra di oscurità, si librarono in volo simultaneamente;
alla sua destra , Cyborg preparò i suoi cannoni sonici per questa nuova fatica;
alla sua sinistra, Beast Boy assunse le sembianze di una tigre siberiana.
Tutti loro erano pronti, come sempre, a lanciarsi incontro al pericolo, determinati a concludere quella battaglia, portando ancora una volta la giustizia a trionfare.
Tuttavia, vi era ancora una cosa che andava fatta, un ultimo gesto da compiere, perché il rituale fosse completo e la tensione del momento rilasciata. Con un sorriso ed un espressione che ispirava fiducia tanto nelle proprie capacità quanto in quelle del suo team, Robin portò a compimento tale azione: 
"Titans, ADDOSSO!!!"

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Capitolo 10
*** Fine di uno scontro ***


Molte persone si basano sulle percezioni sensoriale, quando tentano di trovare una precisa interpretazione della realtà che li circonda.
Udito, tatto, gusto e olfatto ….e soprattutto, la vista. Molte persone passano la loro vita ad osservare il mondo circostante tramite i loro sensi e, tramite le informazioni così percepite, essi arrivano ad accumulare esperienze, ricordi… e opinioni.
Testimoniando, personalmente o tramite l’ausilio dei mass media. alle molte battaglie cui i loro giovani protettori avevano preso parte nel corso degli anni, molti degli abitanti di Jump City erano giunti ad una conclusione comune: ogni volta che scendevano in campo, rispondendo alle chiamate d’emergenza, i Teen Titans si divertivano.
Doveva essere senza dubbio così! Come si spiegavano altrimenti le battute, gli scherzi, gli atteggiamenti rilassati e i sorrisi al termine ( e talvolta durante) di quegli scontri così pericolosi? Di certo, il possesso di abilità e poteri talmente sovrumani e incredibili metteva i Titans, così come tutti gli altri supereroi, in condizione di poter correre rischi impensabili per gli esseri umani comuni, permettendo loro di guardare la morte in faccia senza paura, godendosi in tutta sicurezza le emozioni del momento…altrimenti, pensavano gli inermi ed ingenui civili, come si spiega il loro stile di vita?
Questa era una convinzione comune…e, nella stragrande maggioranza dei casi, completamente sbagliata.
Certo, molti eroi si lasciavano andare in pubblico a gesti, atteggiamenti, esclamazioni e sorrisi luminosi, durante e dopo i suddetti scontri; anche nei momenti di crisi peggiori, era sempre possibile scorgere un leggero sorriso increspare le labbra dei mascherati vigilanti, mentre con determinazione, coraggio, speranza, arroganza, disperazione o chissà cos’altro si lanciavano alla carica, forse per l’ultima volta.  
Per questa e simili ragioni, dunque, la gente era arrivata a credere che molti eroi, soprattutto i più giovani, provassero divertimento, orgoglio e finanche piacere in ciò che facevano, vivendo ogni istante come fosse l’ultimo.  
Pochi si fermavano a domandarsi se tale assioma corrispondesse effettivamente alla realtà dei fatti; pochi si soffermavano su tali pensieri, chiedendosi se effettivamente fosse davvero questa la spiegazione corretta; pochi si interrogavano sul reale movente che poteva aver spinto una persona normale (se non nel corpo, forse nello spirito) a intraprendere tale strada…alla ragione che aveva scatenato nell’eroe il desiderio, o forse solo la necessità, di essere tale: un salvatore di vite, un esempio per la società un simbolo di speranza, l’incarnazione della promessa di un domani migliore.
Di rado i civili, nella loro semplicità, arrivavano a pensare che forse, dietro quella facciata di eterno ottimismo, potesse in realtà celarsi un animo umano, turbato da chissà quali profondi traumi e tragedie personali; l’animo di chi ogni giorno si lanciava nella lotta sapendo che, al minimo sbaglio, la propria vita e quelle di innumerevoli altri poteva andare incontro ad una fine crudele ed ingiusta, lasciando nel dolore incurabile della perdita amici, parenti o amanti.
D’altronde, a che scopo porsi tali domande?  
Gli eroi arrivavano, i cattivi venivano sconfitti, l’umanità avrebbe vissuto un altro giorno…a che serviva preoccuparsi del perché? Quando si fossero presentate nuove minacce, i vigilanti mascheranti sarebbero arrivati a sventarle, togliendo d’impaccio le persone ogni volta.
Così andava il mondo; cosa c’era di complicato?
Perciò, mentre un gruppo di 5 ragazzi in costume, in una fredda serata d’inverno, si slanciava all’attacco di un criminale, trasformatosi prima in un ammasso di muscoli e poi in un grottesco abominio, la maggior parte dei civili rimasti e degli ufficiali di polizia presenti non ebbe il minimo senso di disagio o di preoccupazione nei confronti degli intrepidi; dopotutto, si trattava una loro scelta…
Comunque, in quel preciso istante ai Titans non era concesso il lusso di interrogarsi sulla superficialità o l’ignoranza umane, poiché avevano tra le mani qualcosa di più immediato e più grosso…letteralmente.
La prima a connettere un colpo fu Starfire, mediante i suoi raggi ottici; l’avvenente rossa, dopo essersi sollevata in volo, scattò subito all’attacco, puntando dritta all’addome del mostro, sperando di porre fine alla lotta….inutilmente. Senza neppure rallentare la sua carica, il ripugnante neo-golia portò indietro il braccio destro, quello sovrasviluppato, e con una velocità insospettabile sferrò un montante alla ragazza.  
Starfire, colta alla sprovvista, incassò il colpo in pieno, venendo scagliata verso l’alto e ricadendo pesantemente sul tettuccio di un’auto a 5 metri di distanza, deformandolo completamente, i finestrini e il parabrezza in frantumi.  
“ Starfire!” gridò Robin di fronte a tale scena, la voce colma di preoccupazione.
“Và da lei, amico! Ci occupiamo noi del fenomeno da baraccone!” urlò Cyborg al suo team leader, il quale annuì e corse ad accertarsi delle condizioni della sua fidanzata.  
” Raven! BB! Ok ragazzi, facciamo vedere a Mr. Grosso-Brutto-e-Scemo cosa succede a chi attacca uno di noi!”
I suoi amici prontamente risposero all’appello, desiderosi di vendicare la loro compagna di squadra.
Fedele alle sue parole, Cyborg non perse tempo, sfoderando i suoi cannoni sonici e portandone la potenza al 75%, puntandoli entrambi allo stomaco del nemico.
L’impatto ebbe effetto, anche se solo a malapena, e Tresh arretrò, leggermente barcollante, portandosi la mano sinistra all’altezza del punto colpito.
Nel frattempo, Beast Boy si era librato in volo, passando dalla forma di una tigre siberiana a quella di  fratercula, spostandosi dal lato frontale a quello sinistro del nemico, lanciandosi quindi verso il fianco scoperto a 60 km/h, per poi cambiare nuovamente forma pochi secondi prima dello scontro, scegliendo quella di un bue muschiato; anche se l’impatto risuonò come un colpo di fucile, Tresh non si spostò se non di un paio di passi a destra, prima di allontanare il peloso mammifero da 400 kg con la sola forza di un manrovesio, sferrato con l’ossuta mano sinistra.  
Mentre il mutaforma si andava a schiantare con un tonfo in un cumulo di neve dall’altra parte della strada, ai piedi di Tresh cominciò a formarsi una strana pozza nera.
“Azarath Metrion Zinthos!” una voce femminile urlò all’improvviso e, prima di comprendere la situazione, Tresh si ritrovò strettamente avvolto da non meno di dieci tentacoli, in apparenza composti di pura oscurità, mentre a 6 metri di distanza Raven teneva le mani puntate contro di lui, i luminosi occhi bianchi sotto il cappuccio, la fronte corrugata per la concentrazione, nel tentativo di trattenere il folle.
Nel frattempo, Robin aveva raggiunto Starfire e si era inginocchiato accanto a lei; non c’erano ferite esterne degne di nota, così il ragazzo mascherato si chinò su di lei per ascoltarne il respiro (pur non sapendo cosa esattamente la fanciulla aliena respirasse); sentendola inspirare ed espirare regolarmente, Robin tirò un sospiro di sollievo, mentalmente rimproverandosi per aver creduto che un colpo simile potesse aver seriamente arrecato danno alla tamaraniana, probabilmente la più forte, dal punto di vista fisico, nel loro gruppo; certo, l’attacco poteva averla stordita, ma di certo non sconfitta.  
Dopo averle delicatamente tastato la schiena e gli arti, assicurandosi che non vi fossero fratture o traumi di sorta, Robin la sollevò con cura tra le braccia, estraendola dai rottami, e poi la adagiò in uno spiazo sgombro dalla neve, sotto il telone dell’ingresso di un Grand Hotel lì accanto.  
Dopo averla appoggiata con la schiena contro un muro, si volse nuovamente ad osservare lo scontro in atto, valutando con cura la situazione, cercando un’apertura nelle difese del mostro gobbo in cui insinuarsi e colpire.
Ripresosi rapidamente dalla sorpresa, Tresh aveva cominciato a dimenarsi selvaggiamente per liberarsi da quella gelida stretta. Dall’espressione della giovane maga, era chiaro che non sarebbe riuscita a trattenerlo ancora a lungo.
Cyborg se ne accorse e, dandosi una poderosa spinta con le sue gambe artificiali, si portò in un attimo davanti all’energumeno, nell’esatto istante in cui l’ultimo tentacolo veniva lacerato dalla sua pura forza bruta.  
Evitando il manrovescio destro dell’avversario, sfruttando i suoi riflessi computerizzati, l’eroe afroamericano cominciò a tempestarlo con una rapida sequenza di diretti di titanio, in puro stile pugilato, tutti ai fianchi e all’addome.  
Malgrado la loro forza smisurata, Tresh sembrava accorgersene appena e, dopo aver bloccato con la grossa mano sinistra un gancio destro di Cyborg, con un violento calcio destro in pieno torace lo mandò a schiantarsi contro il muro di un autosalone; la violenza del colpo fu tale che il coraggioso eroe si ritrovò a volare diversi metri oltre il muro, fino a centrare una pedana rotante su cui era esibita una sgargiante  Porsche, distruggendo sia il podio che il veicolo soprastante.
“Ouch…” mormorò Cyborg, lentamente rialzandosi.  
Intanto, in strada Tresh aveva deciso di esigere vendetta nei confronti della ragazza incappucciata, memore della sferzata ricevuta, prima della sua trasformazione, proprio ad opera della pallida eroina.  
Ruggendo come un leone, il colosso deforme tentò di agguantare Raven, che aveva deciso di adottare la tattica del Mordi-e-Fuggi: spostandosi rapidamente da un punto all’altro, ora volando, ora con il suo caratteristico teletrasporto, la giovane maga continuava ad eludere i rozzi ma potenti colpi del nemico, che in ogni caso lasciavano la distruzione ovunque arrivassero a connettere, che fosse una cassetta postale, un idrante, un lampione o semplicemente l’asfalto; contemporaneamente, Raven portava a segno molti colpi sulla pelle piena di lividi del nemico, usando gli stessi detriti da lui prodotti.  
Anche se lasciavano graffi ed escoriazioni, Tresh non sembrava notarli affatto, né percepire alcun dolore….ciononostante, i lividi non smettevano di formarsi.
Iniziando a sentire i primi sintomi da affaticamento, a causa di tutta l’energia che stava consumando, Raven decise di mettere in pratica misure drastiche; avvolgendosi nella sua stessa anima, in un attimo sprofondò sotto terra, mentre il mostro abbatteva il grosso braccio destro al suolo, esattamente dove la ragazza si era trovata due secondi prima, creando una voragine che affacciava sulle fogne sottostanti.  
Ponendo dieci metri distanza tra se e l’essere deforme, Raven riapparve  alle sue spalle e, dopo aver pronunciato il suo mantra, sollevò sette automobili da un vicino parcheggio.
Tresh ebbe appena il tempo di voltarsi, avendo sentito la voce della nemica dietro di lui, quando un paraurti arrivò a centrare la sua spalla destra, seguito da una auto grigio-metallica.
L’impatto lo spedì a terra, creando una serie di crepe nell’asfalto circostante; grugnendo per la botta, il bruto aprì gli occhi, scoprendo che altre sei auto stavano fluttuando sopra di lui, avvolte in una spettrale luce nera, che improvvisamente sparì, lasciando crollare al suolo i veicoli, proprio sul malcapitato deforme.
Ma Raven non aveva ancora finito: concentrandosi ancora una volta, avvolse nuovamente i rottami nella sua anima; quindi strinse i pugni, portando i resti a collassare su di lui, in una enorme palla di metallo, plastica e stoffa dei sedili.  
Credendo di aver esaurito il suo compito, la maga abbassò le mani, voltandosi per arrecare soccorso ai suoi compagni nel caso fossero feriti. Non aveva finito di girare i tacchi quando uno strano scricchiolio la raggiunse, costringendola nuovamente a voltarsi  verso la costruzione di rottami; quest’ultima  iniziò a deformarsi, come sospinta dall’interno, esplodendo poi senza preavviso, accompagnata da un grido di rabbia, proiettando pezzi di sei auto diverse in ogni direzione.  
Raven reagì istintivamente: pur non avendo la stessa preparazione atletica di Robin, la sua forma aerobica era quasi perfetta, ( una condizione necessaria, considerato il tipo di lavoro da lei intrapreso); non avendo abbastanza energie residue per creare uno scudo, fu costretta a schivarli fisicamente…quasi tutti. 
Non poté infatti evitare un pezzo di cruscotto, che la centrò sulla spalla destra, mandandola al tappeto, il dolore che si irradiava dalla zona colpita. Non erano passati cinque secondi che Tresh le era addosso, avvinghiandola nelle lunghe dita della mano sinistra.
“Ora sssei mmorrtaaa, ssstrega…” biascicò il criminale dalla bocca storta, iniziando a stritolare l’esile torace, tenendo la sua vittima sollevata a sette metri da terra.  
Raven serrò i denti e chiuse gli occhi, il dolore che aumentava, mentre il respiro le veniva smorzato.
Aspettando il trapasso da un istante all’altro ebbe tempo per un pensiero 'Grandioso, morire abbracciata da un idiota…ecco perché non li ho mai sopportati, gli abbracci: non si può mai sapere quale sarà l'ultimo che ricorderai...'.
Comunque, con sua sorpresa, la maga ebbe improvvisamente sentore di un violento scossone, accompagnato da un altro urlo del mostro, stavolta più di dolore che di rabbia, mentre per qualche ignoto motivo la potente stretta veniva allentata del tutto; Raven ebbe la fugace sensazione di precipitare,con l’aria che di nuovo scorreva nei polmoni, poi un paio di braccia, forti ma gentili, la afferrarono al volo.  
Aprendo gli occhi, vide il volto ansioso di Starfire, ripresasi dal colpo subito in precedenza.
”Tutto bene, amica mia? Sei illesa?” chiese la principessa spaziale, il suo tono colmo d’ansia per il benessere della maga.
“Tutto ok, Stella, me la caverò.” mormorò Raven, guardando poi in basso, domandandosi perché il criminale l’aveva lasciata andare.
Ebbe presto risposta quando portò lo sguardo verso la strada e vide Tresh agitare l’ossuto braccio sinistro, al cui avambraccio era avvinghiato con le zanne quello che, a prima vista, poteva essere definito come un enorme cinghiale verde; si trattava di Beast Boy, tornato in azione, stavolta nelle sembianze di un deodonte (Daeodon shoshonensis),  un mammifero estinto grosso quanto un odierno bisonte, ma con una testa zannuta di un metro e mezzo. Nei suoi occhi, a chiunque si fosse preso la briga di osservarli, era visibile chiaramente una furia selvaggia.  
Serrando i poderosi muscoli della mandibola, il predatore preistorico stava effettivamente arrecando danno al braccio del malcapitato, come poteva dimostrare il fiotto copioso di sangue che fluiva dalla verde bocca fino al suolo, ma non abbastanza: quelle erano fauci capaci di frantumare le ossa di animali enormi senza sforzo, eppure in quel momento non sembravano in grado di andare oltre i muscoli di quel braccio, per quanto relativamente piccoli.  
Mentre Beast Boy tentava di trovare una risposta a tale enigma, senza mai mollare la presa, Tresh continuava a dimenarsi, la furia e la sofferenza facilmente visibili nei suoi occhi; purtroppo, essendo il braccio destro troppo muscoloso, non era capace di piegarsi abbastanza per afferrare il grosso mammifero.
Quindi, vedendo che non c’era verso di costringere quella devastante tenaglia a cedere, decise di cambiare tattica; voltandosi di scatto, quello che fino a 35 minuti era un umano comune sollevò un carnivoro di circa una tonnellata di peso e, senza fermarsi, lo schiantò contro il muro più vicino, iniziando a schiacciarlo contro di esso, nel tentativo di soffocarlo.Il deodonte iniziò ad allentare la sua morsa, ma non sembrava pronto ad arrendersi.
Robin decise di passare all’attacco; usando un idrante come trampolino, spiccò un salto spettacolare al punto da umiliare  qualunque atleta olimpionico, atterrando sul tettuccio di un camioncino vicino; senza fermarsi, l’acrobata compì un ulteriore balzo, stavolta di lato, atterrando col piede su un muro e, con un ulteriore spinta, si scagliò in avanti verso la gobba superiore del mostro, su cui atterrò con grazia, simultaneamente portando una mano in uno dei comparti della sua celebre cintura multiuso, estraendone una piccola bomboletta spray.
Tresh non sentì la collisione, concentrato come era in quella inusuale prova di forza, ma non poté evitare di avvertire il bruciante dolore che si irradiò dai suoi occhi quando il Ragazzo Meraviglia vi svuotò il contenuto della bomboletta: pepe spray!
Urlando con più foga che mai, Tresh si dimenò come un pazzo, nel tentativo di afferrare il ragazzo, mentre il deodonte aveva mollato la presa e si era allontanato rapidamente, ora sotto le sembianze di un topo muschiato verde.
Inutile a dirsi, le spalle dell’abominevole umanoide erano troppo vaste. la sua testa troppo piccola, il suo obiettivo troppo sfuggente; non ebbe comunque il tempo per sentire crescere la frustrazione, perché la terra cominciò a tremare sotto i suoi piedi e un assordante barrito riempì l’aria.  
Robin fece  giusto in tempo ad estrarre un rampone dalla cintura, agganciarlo ad un palazzo accanto e allontanarsi dalla testa del mostro che una colossale massa di carne, ossa, muscoli e zanne d’avorio centrò in pieno il criminale; stavolta Beast Boy aveva deciso di andare sul pesante, letteralmente, nella forma di un Mammuthus Sungari.
Il colossale pachiderma, che con le sue 17 tonnellate di peso era il secondo più grande mammifero terrestre conosciuto, colpì il malcapitato con la forza di una locomotiva, spedendolo in aria, ad un altezza di 8 metri e ad una distanza di 13 metri… dritto tra le braccia di Cyborg, che lo aspettava con i cannoni pronti, stavolta al 90%!
“ Buonanotte, schiappa!!!” urlò il robotico colosso, centrando il responsabile  della distruzione di  uno dei suoi autosaloni preferiti in pieno addome, spedendolo verso le proprie compagne di squadra, ancora fluttuanti a mezz'aria.
Queste colsero letteralmente la palla al balzo, usando un’onda combinata delle rispettive energie, spedendo il loro obiettivo al suolo.
Colpì l'asfalto con una violenza inaudita, originando un’onda d’urto che fece sobbalzare tutte le auto e le persone in un raggio di 60 metri, scavando un cratere di un metro di profondità e 6 metri di diametro.  
L’energumeno, scioccato e ansante, tentò disperatamente di rialzarsi, spinto più dall’orgoglio che dalle proprie forze, ma prima ancora di riuscire a sollevare la schiena di 45 gradi sentì un oggetto atterrare sul suo vasto petto; ebbe un attimo di confusione e, prima di poter capire cosa stesse succedendo, una violenta scarica elettrica, generata da uno dei dischi ad alto voltaggio di Robin, lo attraversò dalla testa ai piedi.  
Fumante, dolorante, accecato, ridotto ad un ammasso di lividi pulsante, con il braccio sinistro quasi spezzato, Steven Tresh si accasciò al suolo per l’ennesima volta quella sera…stavolta definitivamente.

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Capitolo 11
*** Decisioni importanti ***


 NdA
Salve a tutti voi, colleghi scrittori e amici lettori. Chi vi scrive è l’Eremita grigio.
Perdonate se per molto tempo non ho postato ma, come molti di voi sapranno, non sempre le cose vanno come si era pianificato; NULLA può essere dato per scontato, a questo mondo.
Innanzitutto, auguri posticipati per il Natale appena trascorso; spero siate riusciti a godervi le feste in famiglia..ammetto che mi mancano il calore e la gioia che un tempo associavo a queste festività, ma vi sono momenti in cui mi sembra quasi di percepire quella stessa emozione, anche se i miei occhi non sono più quelli di un bambino. Tante cose sono cambiate, dai tempi della mia infanzia, ma io cerco di andare avanti senza dimenticare ciò che un tempo aveva grande importanza.
Perdonate se questo capitolo non è come gli altri, ma non ho avuto molto tempo per elaborarlo; tuttavia, esso fungerà da base per molti altri a seeguire. 
Non mi resta altro da dire se non Auguri per il Nuovo Anno, e “su il sipario!”.
 
“Questa storia non mi piace…” furono le parole che accolsero il rapporto dettagliato che Robin fece all’ispettore Ralph Gordon, dopo che la tremenda battaglia, avvenuta in seguito allo spettacolare tentativo di rapina in Treasure Street (tale era il nome con cui l’elegante e lussuosa via era stata ribattezzata, a seguito della ristrutturazione voluta dal sindaco), era giunta al termine.
Dopo che il criminale potenziato era stato definitivamente sconfitto, le autorità non avevano perso tempo ad intervenire; mentre una squadra di paramedici, appositamente addestrati per queste situazioni, aveva caricato il corpo grottesco di quello che, in seguito, venne identificato come il capobanda dei malviventi, su un autoblindo specificamente designato per trasportare metaumani di taglia e forza fuori dal comune, le autorità avevano preso in custodia i suoi complici.
Era occorso un po’ di tempo, ma alla fine gli agenti erano riusciti ad estrarre tutti i sei criminali dai miseri resti del loro veicolo; ciascuno aveva riportato ferite superficiali, contusioni e persino alcune fratture, prima e dopo il ribaltamento del mezzo, ma nessuno sembrava in pericolo di vita. Quelli che davvero interessavano Robin, comunque, erano i due ladri che giacevano all’esterno del blindato, dopo che le loro teste erano state, senza troppe cerimonie, scagliate l’una contro l’altra da Raven ; le loro mani avevano riportate estese ustioni di secondo grado, dopo che i loro guanti avevano preso fuoco, e  sulle fronti andavano formandosi dei voluminosi bernoccoli, ma neppure quei due erano troppo malridotti: essi erano gli unici di tutta la banda le cui riserve di Venom erano ancora intatte.
Era il contenuto di quelle siringhe, custodite all’interno delle borse che  i due malcapitati tenevano appese alle cinture, che Robin desiderava analizzare, ma purtroppo si trattava di prove della scena del crimine, e come tali furono poste sotto sequestro dagli agenti di polizia. Inutili erano state le proteste del ragazzo mascherato, il quale aveva chiaramente detto che, trattandosi di sostanze chimiche mutagene, andavano al più presto analizzate, al fine di poter prevedere effetti collaterali indesiderati.
“Io sono l’unico ad avere una vaga idea di cosa si tratti! E’ necessario che mi consegniate ALMENO una delle due borse, in modo che possa effettuare un’analisi e un confronto!” aveva detto il leader dei Titans, la frustrazione chiaramente percepibile dietro la voce tranquilla.
L’unica risposta che Robin aveva ricevuto è che doveva rivolgersi alle alte sfere, perché agli agenti semplici non era conferita una tale autorità da decidere di consegnare le prove di una scena del delitto senza un mandato scritto.
Trattenendo a stento la rabbia e l’agitazione che lo stavano divorando, il leader dei Titans dovette lottare con se stesso per non cedere alla tentazione, incredibilmente forte, di agguantare una delle 2 borse e correre nel laboratorio della torre, ma alla fine prevalse la ragione. Dopo aver preso un lungo, profondo respiro calmante, Robin decise di seguire il consiglio datogli e agire seguendo le vie legali
Così, mentre i restanti Titans, dopo aver fatto ritorno alla loro celebre e caratteristica torre, si erano diretti verso l’infermeria per verificare le rispettive condizioni di salute, il Ragazzo Meraviglia si era diretto senza indugio nel proprio ufficio, mentalmente decidendo la via di comportamento più adatta alla situazione. Dopo circa un’ora di frenetico lavoro al computer, un preciso ed accurato rapporto sulla battaglia era stato redatto, oltre ad una esauriente domanda scritta per avere accesso all’archivio della polizia e una lista, essenziale ma completa, sugli effetti del Venom sugli esseri umani da consegnare ai medici che avrebbero preso in cura Tresh, sottolineando con particolare cura gli effetti collaterali riscontrati nei casi di overdose osservati sino ad’allora.
Liquidate rapidamente le proteste di Cyborg e di Starfire, che insistevano sul fatto che anche lui avrebbe dovuto sottoporsi ad un controllo medico per accertare le  sue condizioni di salute, affermando che le cure somministrategli da Raven erano state più che sufficienti, Robin era salito in sella alla sua moto , con tutta la documentazione ben chiusa in una valigetta 24-ore. Dopo circa 25 minuti, la R-cycle era parcheggiata accanto alle auto della polizia, nel parcheggio degli agenti, e il suo proprietario stava sedendo nell’ufficio dell’ispettore Gordon.
Ora, mentre in circostanze normali Robin avrebbe dovuto attendere ore per potersi rivolgere ad un ufficiale di grado elevato, il suo status di supereroe e protettore ufficiale della città gli risparmiò questa ennesima seccatura.
Dopo soli 10 minuti, il giovane eroe era stato accolto dall’ ispettore, e aveva potuto persino saltare la tediosa procedura di introduzione e attesa che il suo rapporto fosse letto; essendo nativo di Gotham, nonché cugino di secondo grado del commissario James Gordon, Ralph Gordon nutriva il massimo rispetto per i membri del Bat-Clan, ed era perfettamente consapevole che, pur non essendo il Cavaliere Oscuro e il suo ex-assistente molto convenzionali dal punto di vista giuridico-legale, erano decisamente più efficienti e competenti di molte unità di polizia in cui avesse avuto la sfortuna di imbattersi nel corso della sua carriera.
Essendo stato trasferito solo da pochi mesi alla sede di Jump City, Ralph non aveva ancora avuto il tempo di indagare sulla criminalità locale con particolare cura, ma di una cosa era certo: pur abbondando di meta-umani e folli di vario genere, in confronto alle strade di Gotham City, Jump City era un luogo di pace e quiete…
Le persone, gli edifici, la luce del sole…perfino l’aria stessa che si respirava era priva di quel senso di oppressione che trasudava dai quartieri della città della sua infanzia, da molti giornalisti definita come "la città più spaventosa d'America" .
Ora, tuttavia, l’idea che una banda di criminali comuni (come era stato presto appurato tramite schedari e foto segnaletiche), tutti originari di Gotham, armati di costosi e micidiali fucili a pompa, un automezzo pesantemente modificato e blindato, due generatori di campo anti-gravitazionale e in possesso di una notevole quantità di droga super-anabolizzante… era troppo assurdo e sinistramente familiare, per essere un caso.
“Robin, sarò franco con te; questa storia non mi piace…non mi piace affatto.  Stando ai vari rapporti che ho ricevuto da te e dalla polizia di Gotham, qui siamo alle prese con una banda di ladruncoli che, senza avere avuto alcuna connessione evidente in passato, hanno formato una banda, sono entrati in possesso di attrezzature hi-tech, di armi costose e di una sostanza che li avrebbe resi in grado di affrontare un intera divisione blindata della polizia… e, come se non bastasse, dalle registrazioni effettuate dalle telecamere circostanti, erano dannatamente ben preparati anche al livello tattico: sono entrati e usciti in meno di 5 minuti, dopo aver calcolato esattamente i tempi delle  esplosioni! Le quali esplosioni erano frutto di ordigni piazzati chissà quando, chissà come, proprio sotto il naso dell’intero corpo di sorveglianza!” disse l’ispettore, chiaramente turbato dalla sequenza improvvisa di eventi che aveva sconvolto la quiete pubblica tutto d’un tratto.
Robin ascoltò in silenzio, in piedi in mezzo all’ufficio, un’espressione fredda e distaccata sul volto, lo sguardo fisso sull’ unica finestra nella stanza, la sua mente impegnata nella ricerca di una soluzione logica alla situazione.
Lentamente, il ragazzo si voltò verso l’uomo più anziano, seduto dietro la scrivania. Ralph Gordon non aveva il classico aspetto dello sbirro da telefilm:era un uomo di mezz’età, che aveva passato la cinquantina; era alto circa 1,75 m per 95 kg di peso , di corporatura tarchiata, ma dalle braccia forti, segno di un passato vigore giovanile; aveva capelli neri, corti, segnati da striature grigie, e dalla stempiatura era ovvio che nel suo futuro c’era ad’attenderlo la calvizie; portava grossi occhiali squadrati, dietro le cui lenti erano visibili degli occhi castani molto vispi, ma che al momento erano colmi d’ansia.
Internamente, Robin sentiva un crescente pena per l’ispettore Gordon che, proprio come il cugino della polizia di Gotham, aveva dato prova di essere una persona seria ed onesta, un uomo di sani principi morali… in parole povere, un vero poliziotto, che poneva il benessere e la sicurezza delle persone al di sopra di tutto.
Era ovvio che stesse passando una gran brutta serata, e l’ultima cosa che Robin avrebbe voluto era procurargli altri grattacapi…purtroppo, il dovere veniva sempre prima anche per il giovane vigilante, che suo malgrado si vide costretto a forzare la sua richiesta.
“ Ispettore, capisco perfettamente la sua situazione, mi creda..è una gran brutta gatta da pelare, e le assicuro che io e la mia squadra daremo il massimo per venirne a capo...ma ora c’è un’altra faccenda di cui discutere.”
Alzando la fronte stempiata dalla scrivania, l’ ispettore Gordon fissò lo sguardo sul viso mascherato del ragazzo e, pur non vedendone gli occhi, ebbe la vivida impressione che lo stesse fissando con un’intensità tipica di una persona molto più matura dei suoi anni…forse anche troppo matura.
Abbassando di nuovo lo sguardo, si immerse nuovamente nel mare di carte e scartoffie che ricopriva la sua scrivania, estraendone la domanda accuratamente compilata dall’eroe e, dopo una rapida occhiata, tornò a fissare il giovane uomo, che nel frattempo non aveva mosso un muscolo, limitandosi a fissarlo con intensità.
“Il Venom…qui dic che vorresti analizzare una delle due fiale confiscate.” disse Ralph, la voce ora calma impostata con tono semplice ma professionale. Robin semplicemente annuì, senza distogliere lo sguardo. 
“Sai perfettamente che ci sono delle procedure da seguire, carte da firmare, autorizzazioni da richiedere…occorrerebbero ore, e non è neppure sicuro che al termine avresti ciò che hai richiesto.”
 Ancora, Robin si limitò ad annuire, mettendo in quel semplice gesto tutta la fermezza e la decisione di cui era capace.
 “E’ necessario, ispettore; quello a cui ho assistito stasera… non ho dubbi che si tratti del Venom, ma gli effetti che ha avuto su quel tizio erano fuori scala. Per quanto ne abbia assunto negli anni, Bane non si è mai ridotto in quello stato. Certo, non è mai stato così pazzo da iniettarsene una quantità tale in corpo tutta in una volta, ma la forza e l’aggressività sviluppate erano eccessive, anche per una sola dose!  Il fatto che Raven e Starfire non siano riuscite a procurargli neanche un graffio, a malapena stordendolo, pur avendolo colpito in pieno…il modo in cui ha fatto volare Cyborg… se si fosse trattato di un combattente più esperto ed assennato, sono certo che avrebbe costituito una minaccia mortale!
Siamo di fronte ad un fenomeno preoccupante, e devo poter studiare la sostanza, perché temo possa trattarsi di una variante della formula originale, e a giudicare da chi ne era in possesso…potrei sbagliarmi, spero di sbagliarmi, ma temo che dietro tutto ciò possa celarsi un narcotraffico meta-umano o qualcosa del genere... 
Devo eseguire un confronto con i dati in mio possesso, e l’unico modo per riuscirci è analizzare la fonte del problema. 
Non le chiedo neanche la siringa originale, perché capisco che potrebbe avere sopra prove, impronte o indizi rilevanti; chiedo solo di poter esaminare la sostanza in essa contenuta, in modo da fare luce su questa faccenda.”
Appena Robin ebbe finito di parlare, Gordon prese la sua decisione; pur sapendo che questo poteva costargli più di una nota di demerito sul suo fascicolo personale, oltre a una serie di grattacapi senza fine, la logica del ragazzo era inattaccabile.
Voltandosi leggermente, l’ufficiale di polizia aprì un cassetto della sua scrivania. Ne estrasse una busta di plastica trasparente con sopra un adesivo recante la scritta “PROVE”: all’interno erano conservate due cilindri metallici, contenenti le famose siringhe colme della pericolosa sostanza; dopo essersi infilato un paio di guanti, Gordon infilò una mano nella busta e, dopo averne estratto una dei 2 contenitori, lo porse all’eroe.
Senza dire una parola, Robin lo prese e, in segno di rispetto per il gesto dell’uomo, con estrema cautela lo infilò in un comparto della sua cintura. Prima di lasciare la stanza, il Ragazzo Meraviglia volle porgere la mano a Gordon, che gliela strinse solennemente.
“Mi raccomando, ragazzo; Jump City è un bel posto…facciamo in modo che resti tale, ok?”disse con un tono risoluto l’ufficiale.
“Non c’è bisogno di dirmelo due volte, ispettore. Buonasera…e grazie.”
Detto questo, il leader dei Teen Titans si voltò e lasciò la stanza, deciso a compiere il proprio dovere.
 
“Davvero deludente…” mormorò la figura nel buio.
Il computer giaceva su un tavolino, le immagini della battaglia di poche ore prima che continuavano a ripetersi sullo schermo. Passeggiando lentamente, a grandi passi nell’oscurità, il misterioso individuo sembrava profondamente assorto nei suoi pensieri; i suoi strani occhi bianchi lo guidavano senza problemi nella coltre di tenebre che lo circondava, mentre dalla sua bocca parole apparentemente sconnesse continuavano ad uscire.
“Speravo in qualcosa di meglio, ad essere onesto…
Certo, il potenziale non manca… ma temo che occorrerà tirarlo fuori, poco a poco, con pazienza e molto, molto lavoro…”.
Poi, volgendosi un ultima volta verso il portatile, lo sconosciuto si avvicinò, diede un’ultima occhiata ad una particolare sequenza e, sorridendo, chiuse lo schermo, mettendolo in stand-by.
“Almeno ho avuto, per l'ennesima volta, la prova certa che alcune cose restano sempre uguali… Molto bene, miei giovani amici, godetevi la vittoria, finché potete…le vostre vite stanno per cambiare, e non so se voi  percepirete il cambiamento come una cosa positiva…
Ma di certo, sarà estremamente interessante !”.

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Capitolo 12
*** Protocolli sanitari e super-biologia ***


 L’infermeria dei Titans era probabilmente il luogo più frequentato della Torre, dopo la sala comune.
Ciò era perfettamente logico, considerato che i suoi ospiti abituali erano un gruppo di eroi che, senza preavviso, a qualunque ora di qualunque giorno dell’anno, dovevano essere pronti ad interrompere qualunque attività stessero svolgendo e fiondarsi in quella che poteva essere la loro ultima battaglia, nel tentativo di proteggere degli innocenti da ignote minacce.
E, a discapito dell’opinione generale che un supereroe sia indistruttibile, non sempre uscivano illesi dai suddetti scontri.
Si trattava di una stanza molto vasta, di circa 70 metri quadri, ricavata dalla fusione di tre stanze sullo stesso piano. Appena vi si accedeva, proprio sul muro frontale alla porta, vi era una enorme finestra, di 4 m di larghezza e 3 m di altezza, costituita di vetro anti-proiettile spesso 30 cm, che affacciava sulla baia e sull’oceano, offrendo una vista ampia e meravigliosa; immediatamente a destra della porta, nell’angolo tra i due muri, erano posti 2 enormi armadietti di metallo, ciascuno alto 3 m e largo 2 m , i cui numerosi scaffali erano ricolmi di ogni sorta di farmaco, anestetico e attrezzatura chirurgica;  a sinistra dell’entrata, disposti con le teste vicino al muro, vi erano 7 letti da ospedale, attrezzati di tutto punto con meccanismo per regolarne l’inclinazione, pratici comodini, lampade, maschere per l’ossigeno, ecc...
Davanti ai letti, a circa 5 m di distanza, vi era una grossa struttura cilindrica, adornata con varie luci azzurre e bottoni.
All’interno di tale fantascientifica strumentazione, Starfire attendeva pazientemente che le analisi fossero ultimate, mentre una serie di piccoli sensori, montati su esili braccia meccaniche semoventi, continuavano a scansionarla dalla testa ai piedi. A destra dell’entrata, una enorme console, incassata nel muro, larga 5 m e alta 2,50  m, riportava una serie di dati e risultati di test medici, inclusi quelli che l’apparecchio stava rivelando in quel preciso istante.
Davanti ad essa, alto ed imponente come sempre, Cyborg era diligentemente all’opera.
Mentre i suoi sensori lavoravano meticolosamente per determinare l’eventuale presenza di danni nel suo corpo semi-artificiale, sia a livello biologico che a livello tecnologico, il giovane afroamericano continuava a monitorare le condizioni dei suoi compagni di squadra su quella che, a suo parere, era l’apice della tecnologia diagnostica: lo Stone-Scanner.
Nel corso degli anni Victor Stone, meglio noto al mondo come Cyborg, era stato eletto dai suoi compagni e amici,inconsciamente ma unanimemente, dottore e responsabile medico dell’intero team; oltre ad essere infatti dotato di specifiche abilità, come una vasta memoria cibernetica, mano ferma e prontezza di spirito nelle situazioni di emergenza, era anche quello con la maggiore esperienza ospedaliera… suo malgrado.
Essendo  Victor una di quelle persone che amano impegnarsi, dando il massimo e oltre in ciò che fanno, egli aveva continuato a migliorare l’apparecchiatura medica a loro disposizione, dotandola dei più avanzati macchinari medici che la tecnologia potesse permettere, ideando innumerevoli protocolli medici per ciascuno dei Titans; era stata una precauzione necessaria, considerata la notevole eterogeneità genetica, anatomica e biochimica del gruppo; oltre a Robin, nessuno dei giovani eroi poteva essere definito realmente umano.
Starfire era nativa di un altro pianeta, dislocato in un altro sistema solare, benché dotata di un aspetto che la rendeva oltremodo attraente per gli standard terrestri, tanto da poter umiliare facilmente molte top-model, semmai avesse scelto di intraprendere tale carriera: alta 1,85 m, dal fisico snello e atletico, le cui misure erano arrivate a corrispondere, ironicamente, alle celebri “misure universali” adottate dalla cultura terrestre per indicare l’ideale di perfezione del fascino femminile, di 90-60-90 (una volta portata a termine la crescita, all’età di 19 anni terrestri, ed essere pienamente sbocciata), Koriand’r di Tamaran possedeva tutti i requisiti fisici tipici di molti della sua specie: una lunga e setosa criniera di capelli rosso fuoco, che ora arrivava quasi a toccare terra; pelle color arancio, che oltre a permetterle di assorbire l’energia UV delle stelle, donava al suo corpo statuario l’illusione di una perenne abbronzatura; sopracciglia corte, che decoravano due splendidi occhi verde smeraldo, brillanti ed estremamente energici (nel vero senso della parola!), da cui traspariva sempre una vitalità fuori dal comune…non c’era da meravigliarsi se quasi ogni uomo e ragazzo della città (se non del pianeta!) moriva di invidia nei confronti di Robin, per essere riuscito a conquistare il cuore di una simile bellezza.
Malgrado la struttura anatomica della fanciulla spaziale, vista dall’esterno, fosse un incredibile esempio di evoluzione convergente tra le due razze, tanta era la somiglianza di Starfire con una donna della Terra, sotto la superficie era quasi completamente differente da ogni essere umano.
Pertanto, era stato necessario che a Cyborg venisse fornito un accurato resoconto della biologia tamaraniana, prima della realizzazione di un’adeguata apparecchiatura per fornire un appropriato trattamento medico alla principessa spaziale .
Fortunatamente, come aveva lei stessa affermato diversi anni prima, la gente di Tamaran era una popolazione di guerrieri, straordinariamente resistenti alle avversità ambientali, e pertanto esistevano ben poche cose che potessero ferire gravemente i membri di tale razza… cosa che venne ancora una volta confermata dalla scansione a cui Starfire aveva appena terminato di sottoporsi.
Dopo aver ricevuto l’ok da Cyborg, l’avvenente rossa si allontanò dalla pedana centrale dello scanner, la cui porta scorrevole si aprì con un fruscio, permettendole di uscire per fare posto ad un altro dei suoi compagni di squadra.
“Amico Garfield, credo che sia il tuo turno di sottoporti agli esami dell’amico Victor.” affermò cordialmente la ragazza al giovane eroe dalla pelle verde.
Beast Boy era già sul punto di entrare nel macchinario, quando sembrò ripensarci e, voltandosi di scatto, si rivolse alla giovane maga incappucciata, seduta ai piedi di un letto dell’infermeria.
“Mmhh, non saprei Stella…cioè, Raven si è trovata nelle grinfie di quel coso più a lungo di me…Che ne dici, Rae? Ti cedo il mio posto volentieri!” disse il mutaforma, che aveva notato, anche se di sfuggita, le impercettibili smorfie di dolore sul volto stoico della ragazza dai capelli viola.
“Apprezzo l’interessamento, Garfield, ma non c’è bisogno di preoccuparsi. Sono perfettamente in grado di attendere il mio turno, dato che non provo alcun fastidio…tranne uno.” disse Raven nella sua voce caratteristicamente priva di emozioni.
“E quale sarebbe?” chiese in tono disinvolto Beast Boy, mascherando egregiamente la preoccupazione.
“Che mi vedo costretta a ripeterti per la 453° volta che il mio nome è Raven, NON Rae!” affermò la giovane eroina, con una non tanto impercettibile nota di irritazione nella voce, ora non così piatta.
“Ooow, andiamo Rae, sai anche tu che adooori quando ti chiamo così!” rispose Beast Boy, la faccia ora attraversata dal suo famoso sorriso zannuto, le orecchie a punta che si drizzavano, evocando decisamente l’immagine di un cane che chiede al padrone di lanciargli il frisbee.
“Victor, visto che hai già pronte le tue macchine, potresti gentilmente eseguire un controllo sui suoi dotti uditivi? Giusto per accertarci che qualche cellula cerebrale  non vi sia rimasta incastrata, mentre cercava una via d’uscita per sfuggire alla morte per solitudine dentro quella zucca vuota .” disse Raven all’amico cibernetico, il tono di voce nuovamente piatto, eppure tagliente, come un foglio di carta.
“Davvero gentile Rae, amabile come sempre… occhio a non esagerare con lo zucchero che mi lanci, o potrei correre il rischio di diventare diabetico…” replicò con altrettanto sarcasmo il metamorfico eroe, le mani dietro la testa, un sopracciglio alzato e la bocca piegata in un sorriso storto.
“Senza offesa Raven, ma per quanto possa suonarti strano, assurdo e totalmente folle, credo che per una volta il verdolino abbia effettivamente ragione.” rispose Cyborg, senza osare alzare lo sguardo dai suoi monitor, temendo di incrociare quello della ragazza e, soprattutto, di mostrare il ghigno a 32 denti che si era fatto strada sul suo viso, alla vista di quei due che, come al solito, battibeccavano come una coppietta di coniugi settantenni.
“ Non prendertela a male, ma quello squilibrato ha cercato di strizzarti come una spugna bagnata, e anche se probabilmente sei quella con più poteri qui dentro, non mi risulta che tra essi vi sia la superforza come Stella, perciò…direi che la precedenza va a te. Salta a bordo, signorinella!”
Sbuffando sonoramente, l’ azarathiana si alzò dal letto, dopo aver rimosso il suo peculiare mantello con cappuccio, e si diresse verso lo scanner, ignorando il balletto 'Alla-Faccia-Tua' che Beast Boy aveva iniziato sentendo il suo migliore amico proferire le parole “Ha ragione lui!”, così di rado pronunciate in favore del ragazzo dalle orecchie d’elfo.
Una volta che la porta scorrevole si fu nuovamente richiusa, il test poté nuovamente avere inizio.
Stavolta fu il corpo, di Raven, avvolto in una lunga veste nera, ad essere sottoposto alla accurata scansione.
Nel corso degli anni, anche la maga dalla pelle pallida era andata incontro a dei cambiamenti; ora alta 1,72 m, Raven non era dotata di un fisico provocante come la sua amica Stella, ma possedeva comunque un fascino misterioso, etereo ed esotico, dovuto ai suoi tratti facciali vagamente orientali (accentuati dalla gemma di chakra rossa, posta fin dalla sua nascita in mezzo alla fronte alta) ereditati dalla madre umana Arella, alla sua corporatura, snella e dalla forma di clessidra e, soprattutto, dai suoi accattivanti occhi color ametista, unici nel loro genere, che sembravano risplendere anche quando il viso era nascosto dall’ombra del cappuccio.
Mentre Starfire, capace di sopportare il gelo degli abissi siderali e sprovvista del senso del pudore terrestre, aveva mantenuto la propria uniforme quasi immutata dopo 4 anni (aggiungendo solo alcune placche metalliche rettangolari sui bracciali, gli stivali e il top), Raven aveva deciso che gli sguardi di disapprovazione (e talvolta di lussuria) che molti cittadini lanciavano alla vista delle sue gambe nude, lasciate esposte dalla vecchia calzamaglia, erano qualcosa a cui voleva porre termine.
Detto fatto, la calzamaglia aveva lasciato il posto ad un lungo vestito scuro, che celava completamente alla vista le sue avvenenti proporzioni, mentre le vecchie scarpe blu erano state sostituite da due stivali da donna grigio scuro, dai tacchi bassi, alti fino al ginocchio. Le sole cose rimaste uguali erano il suo mantello, i suoi guanti e la cintura ingioiellata, a cui comunque aveva applicato una fibbia, la cui forma ricordava la sagoma di un uccello in volo.
Benché solo parzialmente umana, stando a quello che Cyborg aveva potuto rivelare nei test, eseguiti nel corso degli anni su quella che lui definiva “la sua sorellina”, il corpo di Raven non sembrava provvisto di stranezze o deformità riconducibili alla sua parziale natura demoniaca, che si trattasse di organi supplementari o corna;  in realtà, la salute di Raven era, per dirla in parole povere, perfetta… troppo perfetta.
Era quasi come se il DNA demoniaco, se così era possibile definirlo, si fosse negli anni impegnato a proteggere la sua “portatrice” da qualunque malattia, fosse anche un raffreddore, come testimoniava la mancanza dei più comuni anticorpi nel sangue della maga; da parte sua, l’azarathiana non ricordava di aver mai passato un solo giorno dei suoi 18 anni e 3 mesi a letto ammalata, e sospettava che ci fosse lo zampino del suo mostruoso e infernale genitore, Trigon il Terribile, distruttore di miliardi di mondi e civiltà; probabilmente, al demone occorreva che la sua ”Gemma” fosse perfettamente al sicuro, in modo che il portale in essa custodito si aprisse come da lui stabilito, consentendogli di espandere la sua crudeltà in un nuovo universo e, pertanto, non poteva permettere che un imprevisto insignificante come un virus, un batterio o chissà quale altro parassita stroncasse la vita della sua progenie prematuramente…non fino a che non fosse stato LUI a volerlo, almeno.
“Ok Raven, puoi venire fuori. B, è il tuo turno! Muovi quelle tue chiappe verdi!” annunciò Cyborg dopo una decina di minuti.
La giovane donna lasciò lo Stone-Scanner, cedendo il posto al suo compagno di squadra verde, che per la 5° volta quella sera era intento a lavarsi i denti ,nel tentativo di eliminare completamente l’orrido sapore metallico dalla sua bocca, lasciatogli dal sangue del nemico sconfitto quella sera.
“Spero tu sia soddisfatto, Garfield.” disse Raven, fissandolo mentre si sciacquava la bocca con cura, le braccia  conserte.
“Abbastanza Rae, abbastanza.” rispose Beast Boy, sorridendo con calore alla sua amica, dirigendosi verso la macchina, ridacchiando alla vista di lei che faceva roteare gli occhi, come sempre quando era seccata.
Quando la porta si chiuse, comunque, Garfield avrebbe potuto giurare di aver visto un microscopico sorriso increspare gli angoli di quella piccola, sarcastica, avvenente bocca  pallida.
Tra tutti i Titans fino a quel momento analizzati, Beast Boy era probabilmente quello che aveva subito i maggiori cambiamenti fisici; dove un tempo vi era un ragazzino basso e ossuto, ora si ergeva un giovanotto di 18 anni e mezzo, alto 1,78 m, dal fisico atletico e asciutto, frutto di anni di allenamento e un quasi insperato sfogo di crescita, avvenuto nel corso dell’ultima estate ( rendendo ufficialmente Raven il membro più basso del proprio team). Il viso, un tempo tondo e infantile, aveva assunto una forma più affilata e matura, e anche se il taglio di capelli era rimasto praticamente lo stesso, due folte e simmetriche basette correvano lungo i bordi del viso, e un pizzetto verde era in bella vista sul mento, un tempo liscio come la pelle di un neonato.
La divisa mostrava ancora il motivo porpora della Doom Patrol, sua originaria squadra, ma era ora bianca anziché nera, mentre le maniche corte mettevano in vista gli avambracci, adesso ricoperti di una folta pelliccia verde. I guanti, le scarpe e la cintura erano gli stessi, se non per il fatto che nella fibbia faceva capolino il disegno di una zampa nera con 5 artigli, posto anche su ciascuna spalla.
La sua era probabilmente la biologia più assurda ed imprevedibile del gruppo, un vero miracolo scientifico; capace di cambiare, di stravolgere totalmente la propria struttura, seguendo qualunque linea evolutiva nota alla zoologia, e questo lo rendeva uno dei pazienti più difficili e allo stesso tempo più semplici; essendo in grado di imitare perfettamente, salvo il colore della pelle, fino all’ultimo dettaglio dell’animale in cui mutava, era stato ideato appositamente per lui un protocollo speciale: in caso di ferite gravi, persino di amputazioni, Beast Boy avrebbe semplicemente dovuto sottoporsi ad un' iniezione di nutrienti estremamente concentrata e, dopo aver assunto le sembianze di una stella marina, si sarebbe immerso in un acquario di medie dimensioni, ricolmo di acqua marina, accuratamente depurata da eventuali agenti inquinanti, ed attendere lì dentro fino a che le straordinarie capacità rigeneranti del Phylum Echinodermata non avessero adempiuto il loro dovere; nel caso di infezioni, anche gravi, sarebbe bastato scoprire in quale organismo tale agente infettivo non fosse in grado di sopravvivere e, in un attimo, assumerne le sembianze.
Nel caso poi che non gli fosse possibile compiere tale mutamento, sarebbe intervenuta Raven che, come aveva già fatto in passato, avrebbe eseguito un apposito incantesimo, trasfomandolo nella specie richiesta.
In tal modo, impiegando un quantitativo di risorse ed energie decisamente esiguo, la salute del mutaforma sarebbe stata garantita. Incredibilmente, era stato proprio Beast Boy a proporre, ed in seguito elaborare, assieme a Cyborg e Raven, i dettagli di tale fantascientifica procedura sanitaria.
Una volta passati i dieci minuti, a Beast Boy fu concesso di lasciare lo scanner, mentre il suo migliore amico rileggeva per l’ultima volta i risultati.
Come previsto, data la sua straordinaria costituzione fisica, derivante dalla sua fisiologia aliena, Starfire non aveva riportato danni significativi dal violento colpo incassato poche ore prima da parte di quella specie di bullo sotto steroidi; qualche livido sull’addome, ma niente di preoccupante, considerata anche l’elevata soglia del dolore della bella rossa.
Una notte di riposo, una buona mangiata (almeno per gli standard della ragazza…) e qualche ora dentro il lettino UV specificamente progettato per lei avrebbe rimesso la principessa aliena in perfetta forma.
Beast Boy, essendo stato, al momento dei colpi ricevuti, protetto ora da una folta pelliccia, ora da una muscolatura poderosa, se l’era cavata con solo qualche graffio e un grosso livido sulla schiena, che Raven avrebbe potuto guarire in pochi minuti… ammesso che lui non la facesse innervosire, ovvio.
Cyborg aveva registrato, tramite i propri sensori interni, alcuni danni al suo sistema idraulico, qualche ammaccatura di troppo alla piastra toracica, che andava rimpiazzata, e qualche cavo strappato…dal punto di vista biologico, gli era sbucato un bernoccolo sul lato umano della fronte, ma anche questo era qualcosa di facilmente sistemabile.
Ciò che era davvero preoccupante erano le analisi di Raven, che mostravano chiaramente che due costole del lato destro e altre tre sul lato sinistro erano incrinate.
“Mi spiace Raven, ma sembra che Quasimodo ti abbia fatto più male del previsto” disse Victor Stone in tono professionale, internamente preoccupato per il benessere della sua sorellina e decisamente furioso con il responsabile. “Temo che ti tocchi una sezione extra di meditazione, stanotte…sono spiacente.”.
Sospirando, per quanto le era possibile nelle sue condizioni, Raven si portò una mano alla testa, scostando i capelli viola che ora le arrivavano alle spalle, e si diresse nuovamente verso il letto.
“D’accordo, non vi preoccupate, non mi ci vorranno più di quattro ore per rimettermi in sesto. Mi auguro che l’allarme non suoni proprio mentre sono fuori gioco…” disse Raven, mettendosi nella posizione del loto sul comodo letto.
Prima di iniziare il suo caratteristico mantra, la voce di Garfield la interruppe ”Non temere Rae, siamo perfettamente in grado di gestire la situazione in tua assenza. Tu pensa a rilassarti e riprenderti, noi daremo un occhiata alla vecchia Jump City anche per te.”
“Si, amica mia, eseguiremo noi il compito di sorvegliare la nostra casa e la nostra città. A te spetta il riposo del guerriero,” aggiunse la voce di Stella.
Raven semplicemente annuì. Nell’ambulatorio risuonarono i passi dei tre eroi che si avviavano all’uscita.
“Garfield?” chiamò Raven, rivolgendosi al suo amico verde, senza aprire gli occhi.
“Si, Rae?” chiese Beast Boy, fermandosi sull’uscio, mentre i suoi amici uscivano.
“Grazie.”
“Non c’è di che, Rae!” disse Beast Boy, un sorriso enorme stampato sulla faccia. Di nuovo si volse per andarsene, e di nuovo venne interrotto.
“Garfield?”.
“Si, Rae?”
" Per la 454° volta, io mi chiamo Raven!” Prima che il compagno potesse rispondere, la maga oscura era entrata in trance, un sorriso praticamente invisibile sulle labbra.

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Capitolo 13
*** Stereotipi, analisi...e un angelo. ***


Capitolo 12
 
Non vi è nulla di più ingannevole, inaffidabile e pericoloso degli stereotipi.
Essi mostrano solo particolari aspetti della realtà, alterandoli, dando un illusione di conoscenza e, pertanto, un falso senso di sicurezza ad alcune persone, e condannando alla persecuzione sociale altre.
Uno stereotipo molto comune, diffuso sia dalla televisione che dalla letteratura, è che il lavoro di laboratorio sia qualcosa di estremamente affascinante, divertente ed  emozionante, quando effettuato da una persona competente.
La tradizione dipinge lo scienziato come un individuo infaticabile, avvolto in un camice bianco, dal sorriso un tantino folle, animato da una sorta di ossessiva venerazione della ricerca della “verità scientifica”; una persona sicura dei propri mezzi e perduta nel suo piccolo mondo di alambicchi e formule chimiche, ma timida e ridicolmente goffa in quello oltre la porta del laboratorio…
Tante volte, nel film di fantascienza o nel telefilm poliziesco, vengono mostrate le scene dove il protagonista affida allo scienziato di turno (spesso una semplice spalla comica, la cui vita e personalità sono quasi sempre irrilevanti ai fini della trama) un compito speciale, che si tratti della realizzazione di una potente arma per distruggere gli alieni cattivi o dell’analisi di una prova della scena del crimine; dopo qualche minuto del film, in cui la visuale si sposta quasi completamente dallo scienziato e dal suo lavoro, preferendo concentrarsi sull’ avvenente protagonista o sul diabolico cattivo, come dal nulla il ricercatore ricompare, portando nelle sue mani i preziosi risultati, che solo l’eroe della storia potrà utilizzare al meglio, affinché il bene trionfi.
Dopo, mentre il supereroe si lancia all’attacco, il poliziotto corre ad arrestare il cattivo o l’ufficiale muove le truppe contro i brutti mostri assassini, il luminare se ne torna umilmente nel suo laboratorio, felice e soddisfatto, di solito dopo aver ricevuto, come unico ringraziamento del suo duro e inosservato lavoro,una vigorosa pacca sulla spalla, un bacio senza impegni dalla bella della storia o una pungente ed arguta frase del tipo “Bel lavoro, cervellone!”.
Poi la trama prosegue, puntando tutti i riflettori sul protagonista, che dopo tante tribolazioni e difficoltà porterà alla schiacciante vittoria della giustizia, per lo smacco dei cattivi e la gioia del pubblico che, almeno nel reame dell’immaginazione, sa per certo che le cose andranno come sperato. Per finire, applausi e titoli di coda. Semplice ed efficace, vero?
Se le regole dei film e dei libri, dove gli unici limiti sono imposti dalla fantasia dell’entità onnisciente ed onnipotente nota come “L’ Ideatore”, “Il Regista” o “Lo Scrittore” fossero applicabili nella realtà quotidiana, allora si, sarebbe tutto molto semplice, efficace e, probabilmente, molto meglio.
Ma la vita reale, purtroppo (o forse, per fortuna) è tutt’altra cosa.
Dietro quei camici, infatti, si celano sempre esseri umani, che non sono nati con le conoscenze che permettono loro di intuire i segreti della vita, della materia, della realtà materiale; nessun uomo o donna nasce con l’abilità innate di ricostruire la storia del pianeta, immaginandone ed insieme intuendone gli avvenimenti più importanti e catastrofici, avvenuti miliardi di anni prima che la razza umana acquisisse coscienza di se e del proprio posto nel mondo… di agevolarne o distruggerne il presente, tramite l’invenzione di macchine, congegni e sostanze capaci di donare una vita lunga e in salute, o di arrecare una  morte crudele ed ingiusta… o di determinarne e, soprattutto, di plasmare il futuro dello stesso pianeta che ha  visto la vita sbocciare sulla propria superficie, assumendo così tante forme.
Ignorano, le persone comuni, abituate a credere agli stereotipi e a non interrogarsi , se non raramente, sul mondo che le circonda, che per arrivare a possedere tale incredibile potere…quello di influenzare l’andamento del mondo e della società stessa… occorrono anni, decenni di duro impegno, devozione costante, grandi sacrifici…e  pazienza infinita.
Di  questo aveva avuto prova molti anni prima Richard John Grayson quando, all’età di soli 10 anni, la sua infanzia era stata stroncata dall’improvvisa e crudele morte dei suoi genitori, Jonathan e Mary Grayson (avvenuta per mano dell’abbietto e meschino boss mafioso Anthony Zucco, per una lurida questione di tangenti) e alla successiva adozione del ragazzino circense da parte del celebre miliardario e filantropo Bruce Wayne.
Non era passato molto tempo, prima che il ricco uomo d’affari si rivelasse per ciò che era in realtà, ossia l’alter ego del Cavaliere Oscuro di Gotham, il leggendario Batman.
Vedendo in lui il potenziale, sia fisico che mentale, e la determinazione negli occhi del ragazzo…la stessa sete di giustizia che li accumunava, a seguito dell’imperdonabile torto subito…fu praticamente naturale, per il celebre detective mascherato, trasformare quel giovane ferito nel suo pupillo ed assistente. Fu così che nacque Robin, il Ragazzo Meraviglia.
Ore ed ore di addestramento, sia nell’arte della lotta che in ogni materia scientifica, forgiarono il corpo e la mente dell’ex-acrobata, trasformandolo in uno straordinario giustiziere, che pur non essendo mai riuscito a guadagnarsi una fama pari a quella del suo mentore e padre adottivo (al cui solo pronunciare il nome, un brivido di terrore ed inquietudine assaliva quasi ogni criminale del mondo!), si rivelò un vero prodigio, riuscendo in pochi anni ad acquisire una serie di abilità che lo ponevano tra le menti più brillanti della propria generazione.
Ora, all’ età di 21 anni e 4 mesi, Richard sedeva, circondato da tutto il necessario per l’analisi chimica, nel vasto ed attrezzatissimo laboratorio scientifico di Torre Titans, rifornito, al pari dell’infermeria e  di ogni altra stanza della celebre struttura, di una strumentazione all’avanguardia, devota quasi interamente alla lotta al crimine.  
Al pari dei suoi compagni di squadra, anche l’eroe mascherato era andato incontro a dei cambiamenti, nel corso degli anni; alto 1,90 m, il fisico ora muscoloso e straordinariamente atletico, i capelli neri e lunghi che gli ricadevano ai lati della faccia, Robin cominciava ad assomigliare sempre più alla futura versione di sé che Starfire aveva conosciuto anni prima, nel suo breve viaggio nel futuro ad opera del criminale Warp.
Il suo costume esibiva ancora la R gialla sulla maglia in kevlar rosso (le cui maniche adesso coprivano le braccia interamente), ma i pantaloni e i guanti verdi erano stati rimpiazzati da altri di colore nero (anche se non lo avrebbe mai ammesso, era stanco di essere paragonato ad un semaforo!), mentre il mantello, pur conservando i medesimi colori, esibiva un bordo frangiato, che ricordava le ali di un vero uccello
 Erano passate quattro ore da quando, dopo la visita alla stazione di polizia di Jump City e, grazie all’intraprendenza dell’ispettore Ralph Gordon, il giovane detective era riuscito a mettere le mani sulla sostanza che aveva trasformato, sotto gli occhi increduli e disgustati del team di supereroi, un criminale qualunque in un abominevole ammasso di pura forza bruta.
Appena varcata la soglia del palazzo, la sua fidanzata lo aveva calorosamente accolto e, dopo un abbraccio poderoso ( ma, per sua fortuna, di gran lunga meno doloroso di quelli che la tamaraniana era solita infliggergli, ai tempi del primo anno di vita del team), Robin si era diretto col suo prezioso carico nella stanza, a malapena fermandosi a chiedere informazioni sullo stato di salute dei suoi amici.
Ignorati nuovamente  (seppur a malincuore…) i consigli dei suoi amici e della sua amata Kori di dirigersi in infermeria per il controllo post-scontro obbligatorio, il Ragazzo Meraviglia si era rinchiuso dentro la stanza, sul volto una strana espressione.
Messo da parte il mantello di titanio polimerizzato ed estratto dal comparto della cintura il cilindro metallico, con estrema cautela ne svitò un’estremità.
Dopo aver gettato via il ghiaccio fuoriuscito, l’eroe mascherato aveva posto in un sacchetto di plastica sigillato il contenitore, sul quale si ripromise di effettuare ogni sorta di analisi possibile, nella speranza di rinvenire la pur minima traccia o indizio, e si mise all’opera sulla siringa da 180 ml. Travasando ogni singola goccia del composto giallastro in tre fiale da 60 ml, ne sigillò due e le ripose nel frigorifero del laboratorio, ricreando le condizioni di conservazione originarie.
Dopo aver posto anche la siringa originale in un sacchetto di plastica sigillato, a Robin non restava altro da fare se non eseguire, sull’esiguo quantitativo di Venom a sua disposizione, i molti procedimenti insegnatigli anni prima dal suo celebre mentore.
Le analisi presero ben più di quanto il giovane vigilante avesse previsto o sperato; la sostanza era incredibilmente complessa, e più di una volta fu necessario ripetere alcuni test, portando all’utilizzo di ben 136 ml della droga. Una volta determinata con estrema precisione la composizione chimica della sostanza, e averne a grandi linee intuito il metodo di preparazione, iniziava la parte peggiore: il confronto col Bat-Computer, in modo da determinare la compatibilità con i dati della formula utilizzata da Bane.
Ciò non richiedeva uno sforzo psico-fisico da parte di Robin, in quanto il confronto sarebbe stato eseguito dalle macchine stesse., in maniera molto più celere ed accurata di qualunque occhio umano…
No, ciò che davvero preoccupava Richard Grayson era di dover nuovamente riaprire quella porta…di essere costretto nuovamente a fare ricorso ai mezzi e alla conoscenza del Cavaliere Oscuro, poiché ciò significava ripercorrere ancora  il cammino che aveva portato alla spaccatura, tanti anni fa, del Dinamico Duo... solo, stavolta in senso opposto.
Mentre Robin tornava ancora con il pensiero a quel periodo lontano, agli event fatidici che avevano spinto lui, un giovane poco meno che 17enne, a prendere le distanze dallo stesso uomo che  un tempo aveva rappresentato non solo un modello di vita, ma soprattutto una via di mezzo tra un padre e un fratello maggiore, un’ombra attraversò il suo viso.
Non era certo di volere tornare su quegli argomenti, ma sapeva di avere bisogno di quelle informazioni, e l’unico modo per ottenerle era accedere a quella che, molto probabilmente, era la più colossale ed avanzata banca-dati sui principali criminali e supereroi del mondo, meta-umani e non.
Pertanto, pur con molti dubbi, Richard si portò al computer , stabilì il contatto attraverso un network segretissimo e non rintracciabile neppure dalla CIA o l’FBI e, dopo aver digitato una lunghissima serie di complicatissime password, ebbe accesso a quella miniera di informazioni, pur conoscendo perfettamente il prezzo che avrebbe dovuto pagare in seguito. Una volta trovato ciò che cercava, Robin richiuse rapidamente il contatto, avviando il confronto tra le due sostanze, le cui strutture molecolari apparivano in una rappresentazione 3D sullo schermo, l’una di fianco all’altra.
 Mentre le analisi procedevano spedite, i pensieri inquieti di Robin furono improvvisamente interrotti da una leggera mano femminile, dalle dita sottili e arancioni, appoggiate sulle sue stanche spalle, e da una voce, gentile e premurosa. “Dick?”
Anche senza voltarsi, Robin sapeva già a chi quella voce apparteneva. Vero, c’era solo una persona in tutta la torre a conoscere il suo vero nome e il suo vero volto , ma fu quel tocco a rivelargli l’identità della persona alle sue spalle, prima ancora che un suono lasciasse la sua bocca. Appoggiandosi allo schienale, portò la mano destra alla spalla, prendendo nella grossa mano, avvolta in un guanto, quella minuta della sua fidanzata.
“Ehi, Kori…”
“Dick, la mezzanotte è passata da molto…da 3 ore e 17 minuti terrestri, per la precisione.” disse la principessa di Tamaran, nelle sue parole si distingueva chiaramente la preoccupazione per il benessere del suo amato. “Non è salutare, per nessuna razza, rinunciare alle ore di sonno richieste dal proprio organismo.” continuò la fanciulla, avvolta in una vestaglia da camera azzurro cielo, regalatale a Natale proprio dal suo fidanzato, stavolta con tono più severo, la fronte aggrottata.
“Kori, lo so bene, ma questo lavoro è importante…” disse con un sospiro pesante e il tono di voce assonnato.
Portando l’altra mano all’altezza della maschera, spostò l’oggetto a cui era affidata la salvaguardia della sua identità segreta, in modo da stropicciarsi gli occhi azzurri liberamente, sopprimendo uno sbadiglio.
“Ho promesso all’ispettore Gordon di dare il massimo in questo caso…non vogliamo rischiare che incidenti come quello di stasera si ripetano, ne andrebbe la sicurezza di Jump City. Voglio dire, stasera abbiamo evitato il peggio, non ci sono state vittime, ma è stata soprattutto fortuna…se i miei sospetti sono fondati, potremmo ritrovarci ad affrontare mostri come quello ogni settimana, o addirittura ogni giorno!” disse con crescente agitazione Robin, di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.
Koriand’r, intuendo dove la discussione andava a finire, voltò con decisione Robin sulla sedia e, piegandosi fino ad incrociare lo sguardo con lui, lo interruppe appoggiando due dita sulle labbra del detective.
“Dick, ascoltami con attenzione; tu NON sei l’unico a combattere, la fuori…tu non sei da solo!”
Robin voleva scostare le piccole dita di Starfire per rispondere, ma lo sguardo sul viso di lei gli fece capire che il suo unico ruolo, in questa conversazione, era ascoltare in silenzio.
“Ti ho detto migliaia di volte che nessuno, neanche il più valoroso dei guerrieri, dovrebbe farsi carico di un fardello tanto pesante, se ha amici disposti ad aiutarlo…che ciò distruggerebbe il suo corpo, la sua mente e il suo spirito e, di conseguenza, porterebbe alla sofferenza di chi lo stima…e di chi lo ama.” concluse la ragazza con un sorriso gentile, spostando le dita dalle labbra e appoggiando la mano sulla guancia del suo fidanzato, carezzandola dolcemente con il pollice.
“Sai che non mi piace venire meno alla parola data, Kori…” replicò stancamente l’ex acrobata, reclinando comunque la testa nel palmo di lei, sprofondando nel suo calore e insospettabile delicatezza; buffo pensare che una mano come quella, capace di annodare travi d’acciaio come fossero lacci di scarpe, potesse risultare al tatto così delicata e soffice.
“Tu non infrangerai nessuno dei tuoi giuramenti, mio amato; così come ho promesso di starti accanto e di non rivelare, mai a nessuno, la tua identità e il tuo nome, prometto sul mio onore di soldato dell’Impero di Tamaran di assisterti nel tuo compito…e ciò sarà più semplice, se nel corso della battaglia i tuoi movimenti non saranno appesantiti dalla spossatezza, o le tue azioni non saranno guidate dal nervosismo, dovuti entrambi alla mancanza di sonno.”, disse con un tono gentile ed insieme definitivo l’avvenente fanciulla, portando il viso sempre più vicino a quello di Robin, fino a che le loro labbra non arrivarono a toccarsi.
Di colpo, appena quelle labbra morbide come seta toccarono le sue, tutta la tensione e il nervosismo che avevano attanagliato il giovane vigilante sembrarono dissolversi come neve al sole… un sole di nome Koriand'r, che fin dal giorno del loro primo incontro sembrava rischiarare la sua vita, nei momenti più duri e tristi, traendolo dall’oscurità che più volte lo aveva avvolto…rammentandogli che, dopotutto, quella di Robin non era altro che una maschera, sotto il quale si celava un uomo, Richard John Grayson, che malgrado il suo tragico passato, aveva ora tutto ciò che si possa desiderare: amici fidati, una casa, una famiglia, uno scopo…e l’amore di una donna meravigliosa, sotto ogni punto di vista.
“Grazie, Kori. Sei un angelo.” disse il fortunato ragazzo, sporgendosi in avanti e baciando l'amore della sua vita. Pochi istanti dopo, senza mai interrompere il bacio, Richard si alzò dalla sedia, premendo distrattamente un tasto per spegnere il solo schermo del computer e, dimenticata la stanchezza completamente, sollevò il suddetto angelo tra le proprie braccia, incamminandosi con lei fuori dal laboratorio,le cui luci si spensero automaticamente.

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Capitolo 14
*** Fotografie, incomprensioni e superficialità-parte 1- ***


NdA
 
Salute a tutti, colleghi scrittori ed amici lettori.
Chi vi scrive, e vi pone le sue umili scuse, è l’Eremita grigio.
Permettevi di dirvi che non ho assolutamente intenzione di abbandonare questa storia, ed anzi ne ho già immaginato il finale…ovviamente, vi è ancora molto da dire e fare, prima di arrivare a quel punto.
Pertanto, se il mio lungo periodo di assenza vi ha preoccupato, tranquillizzatevi. Solo, non aspettatevi che possa ancora sfornare un capitolo al giorno, come quando ho iniziato.
A chi mi ha seguito fino ad ora, e anche a chi è nuovo con la lettura di questa storia, permettetemi di riproporre la mia precedente offerta (a cui spero qualcuno aderirà, stavolta…):
Se avete un qualche supercriminale, proveniente da qualunque continuità DC, che vorreste vedere apparire in queste pagine virtuali fatemelo sapere tramite reviews e/o e-mail, e io farò del mio meglio per inserirlo nella trama; anche se NON avrà il ruolo dell’ antagonista principale, potrà almeno apparire in uno o più degli scontri “quotidiani” a cui i Titans andranno incontro.
Se qualche fan di Cyborg sta leggendo, sappiate che 1) questo capitolo e il prossimo sono dedicati soprattutto a lui, e 2) io non mi intendo di tecnologia, per cui non arrabbiatevi se la terminologia tecnologica da me usata dovesse rivelarsi zeppa di errori… Come dire, si fa quel che si può…

P.S.
Se le immagini proposte sono troppo brutali per questo rating, avvertitemi per favore, e le modificherò di conseguenza.
Altri 2 piccoli avvisi, prima di passare alla storia:
1)      Apprezzo discutere e chiacchierare con il gentil sesso, e non si può dire che io sia un maschilista…solo, vorrei far sapere, una volta per tutte, che l’Eremita grigio è di sesso maschile. Dico questo non perché cerchi più lettori maschi, ma solo perché, in quasi ogni e-mail ricevuta (e anche in alcune review…) i miei colleghi si rivolgevano a me come ad una donna.
2)      Come chiunque abbia dato una pur breve occhiata alla mia pagina saprà, vi è una nuova storia in atto, stavolta dedicata al simpatico robot spazzino della Pixar, l’indimenticabile WALL-E. Sarei ben lieto di sentire le vostre opinioni al riguardo. Accetto di buon grado le critiche,  purché educate e costruttive, e spero che anche questa storia saprà soddisfarvi.
 
Grazie di cuore a tutti coloro che mi stanno seguendo e recensendo, esortandomi a continuare e migliorare.
Ma ora, basta con le chiacchiere….su il sipario!
 
Il sole andava già levandosi all’orizzonte, sulla costa Ovest degli USA.
All’interno della spaziosa sala comune della enorme costruzione, situata nel bel mezzo della baia di Jump City, una solitaria e massiccia figura sedeva al tavolo della cucina, illuminato dai tiepidi raggi, che si riflettevano sulla sua armatura.
Quella mattina, Victor Stone si era alzato molto presto.
Nonostante la serata precedente fosse stata estenuante, sotto molti punti di vista, il vigilante hi-tech aveva puntato la sveglia sulle 6:30, poiché doveva ancora  portare a termine ciò che aveva iniziato ore prima.
“Ok, lo stomaco è colmo, B non è nei paragi per farmi la sua solita predica sulla carne, né per propinarmi quella schifezza di tofu, i pezzi devono essere pronti, ormai… direi che posso andare tranquillamente.”
Alzandosi dal suo solito sgabello, munito di sostegno rinforzato, per riporre i piatti utilizzati.
Dopo una abbondante e solitaria colazione, Cyborg si incamminò verso le scale che, una volta superati i vari sistemi di sicurezza, lo avrebbero condotto ai livelli più profondi del singolare palazzo.
Finito che ebbe di riporre i piatti, sporchi di pancetta e uova strapazzate nel lavandino ( ben sapendo che, poche ore dopo, ad attenderlo vi sarebbe stato il suo migliore amico, con in serbo una filippica sulla strage da lui perpetuata, nei confronti di poveri animali indifesi), l’uomo si diresse verso la porta scorrevole, un' espressione di riluttanza sul viso.
Ancora prima di giungere ad un metro di distanza, però, essa si aprì da sola, rivelando una figura di donna in vestaglia da camera grigio perla. Raven trasalì leggermente, non aspettandosi di incontrare qualcuno già sveglio a quel’ora del mattino; di solito, era lei la prima a lasciare il letto, a causa della sua severa disciplina mentale, impostale dopo molti anni di vita ascetica, nel monastero di Azarath.
.“Hey, buongiorno, sorellina! Come vanno le costole? Tutto ok?” la accolse Cyborg, lieto di vederla in piedi,nella voce una leggera preoccupazione.
“Salute a te, Victor. Ti ringrazio per l’interessamento, ma non c’è motivo di stare in ansia. Le mie ferite sono perfettamente guarite.” rispose nel suo solito tono quieto la maga, subito ripresasi dalla sorpresa “Noto che hai fatto presto, stamattina… Come mai? Stanco della tradizionale diatriba “Tofu-contro-Carne” tra te e Garfield?”
“AH !  Credi che il fagiolino sia in grado di farmi cedere così facilmente?” replicò con un ghigno il più vecchio dei Titans “ Nossignora, dovranno passare altri centomila anni e ALMENO un altro milione di invasioni aliene da parte di formaggi spaziali, prima che il piccoletto riesca a farmi vergognare del mio amore per la carne ben cotta! E’ solo che le periferiche assemblatici erano settate per le 5:45 di stamattina, e visto che le ho lasciate operative per tutto il ciclo notturno, direi che a quest’ora dovrebbero avere ampiamente portato a termine la loro direttiva.”
Dopo alcuni secondi di silenzio imbarazzante, Raven rispose, con voce apatica ” Facciamo finta che io non sia il tipo nerd/ sci-fi/ tecno-fissata… Ti ripeto la domanda, sperando in una più comprensibile risposta: come mai in piedi così presto?”
“Oh, beh, in parole povere, le mie parti di ricambio sono pronte…” disse Cyborg, stavolta con un tono molto  meno allegro, distogliendo lo sguardo. Inconsciamente, la mano destra si portò sulla nuca, grattandosi un’inesistente prurito, in segno di disagio.
“Oh…” fu tutto quello che la maga riuscì a mormorare, intanto che per la prima volta, in quella conversazione, i suoi occhi si posavano sul vasto torace del suo autoproclamato fratello maggiore. In bella vista, i segni della rissa di neanche dodici ore prima erano perfettamente visibili.
“Capisco…”
Altri secondi di silenzioso imbarazzo trascorsero, prima che l’ex atleta decidesse di porvi fine.
“Beh, suppongo sia ora che io vada… Buon appetito, Raven, goditi la tua tisana!” esclamò Cybotg, la voce nuovamente gioviale.
Raven non rispose, ma si limitò ad annuire leggermente, spostandosi per far passare l’amico, un’espressione leggermente contrita negli occhi d’ametista.
“D’accordo, allora…Buon lavoro.”
“ Grazie. Ci vediamo dopo, sorellina. Sai dove trovarmi.”. Detto questo, Victor si incamminò per la sua destinazione, con un necessario ma triste compito che lo attendeva, lasciando l’affascinante maga nella sala comune, sola con i suoi pensieri.

Come si è più volte detto, Torre Titan era una struttura unica, e questo non era riferito solo alla sua forma.
Oltre alle innumerevoli stanze, di cui molte erano rimaste sfitte, pur essendo passati quattro anni dalla realizzazione dell’avveniristica struttura, la Torre era dotata di moltissime attrezzature uniche, in gran parte frutto dell’ingegno di un teenager. Ciò valeva per tutto il palazzo, sopra e sotto terra.  
Da un’ampia caverna sotterranea, infatti, gli addetti ai lavori ( forniti dall’amministrazione comunale, in estasi all’idea di avere una squadra di supereroi al servizio della loro città) avevano ricavato un enorme locale, di trecentocinquanta metri cubi, le cui pareti furono rivestite da una armatura d’acciaio, spessa mezzo metro.
In seguito, era toccato a Cyborg e Robin, i due membri più esperti e ferrati in ambito tecnologico, il compito di “arredare” quei locali e, malgrado al cibernetico teenager non andasse troppo a genio l’idea di prendere ordini da quello che , all’epoca, vedeva come un nanerottolo borioso, vestito con un costume da semaforo troppo stretto (come Robin riuscisse a compiere tutte quelle capriole e spaccate volanti, indossando quei pantaloni aderenti, per Cyborg era rimasto un mistero!), saputello e dalla testa troppo impomatata… unendo le rispettive abilità e conoscenze, i due eroi erano riusciti a mettere insieme un progetto notevole.
Fu così che, in quei recessi oscuri, il 18enne Victor Stone, che stava ancora cercando di venire a patti con quello che gli era successo solo pochi mesi prima…con il ricordo dell’incidente che aveva distrutto il suo corpo, posto fine ai rapporti con suo padre e portato via sua madre (e strappato ogni speranza di un futuro normale, con ogni probabilità)… lavorò duramente, quasi senza sosta, installando, tanto per cominciare, un generatore-accumulatore energetico di emergenza, destinato a sostentare, nei momenti di crisi o black-out, le numerose apparecchiature per quella che, di lì a poche settimane, sarebbe divenuta una base per l’ultima generazione di supereroi.
Si trattava di un enorme congegno, alto sette metri e mezzo, la cui metà inferiore era costituita da una struttura cilindrica, alta quattro metri e larga otto, mentre la metà superiore aveva la forma di un cubo, dai lati di tre metri e mezzo, dalla cui cima partivano ben quindici cavi neri, allacciati al soffitto; sulle fiancate erano esposti svariati schermi, su cui costantemente venivano raffigurati i parametri di funzionamento e il livello di energia accumulato.  
In seguito, fu la volta dell’installazione di una serie di periferiche assemblatrici, necessarie per la realizzazione dei più svariati congegni, come ad esempio armi, componenti di veicoli, computer…e soprattutto, protesi cibernetiche per il giovane che, poche settimane dopo, avrebbe annunciato al mondo la sua nuova identità: Cyborg, membro dei Teen Titans.
“Beh, non ha senso rimandare oltre… E’ l’ora del meccanico Fai-Da-Te.” disse con un sospiro l’imponente afroamericano, entrando nella stanza buia, le cui luci si accesero automaticamente, non appena i sensori all’infrarosso, posti sopra l’ingresso, rivelarono la presenza di un corpo in movimento.
Immediatamente, le lampade inondarono di una fredda luce il locale sotterraneo, rendendo visibili i complessi ed ingombranti macchinari dalle futuristiche sembianze, che quietamente aspettavano i comandi del loro creatore, in modo da poter adempiere alla propria funzione.
Ma questi ultimi non furono le uniche ad essere rivelate dall’illuminazione.
Posta sul muro adiacente all’enorme computer, installato nel muro per potersi meglio integrare con i numerosi sistemi della Torre, vi era una piccola cornice di legno, tenuta appesa alla parete di titanio mediante una semplice vite.
Pur risultando di per sé strano, trovare un oggetto così artigianale nella medesima stanza dove, in bella mostra, erano esposti i ritrovati più recenti della migliore tecnologia, era al contenuto della cornice che spettava il titolo di maggiore stranezza della stanza. In essa infatti vi era una foto, una semplice foto istantanea, scattata diversi anni prima, come testimoniavano i bordi logori e sciupati, che ritraeva 5 persone, di cui 4 in costume, disposte sullo sfondo di un muro di pietra.
C’è chi potrebbe pensare, conoscendo Cyborg, che quella fosse l’immagine del proprio team, che ai suoi occhi costituiva oramai una vera e propria famiglia…ma non era così.
A parte il fatto che quel genere di foto erano ordinatamente esposte su appositi scaffali nella sua camera da letto, diversi piani più in alto, assieme ad altre istantanee di sé ( scattate quando il corpo di Victor Stone era completamente composto di tessuti organici), quel laboratorio non era il tipo di luogo dove avrebbe conservato immagini per lui tanto preziose.
Decisamente, in quel freddo sotterraneo Victor non si sentiva molto felice, né disposto a passare più tempo del necessario. Sarebbe stato superfluo, di conseguenza, addobbarne i muri.
No, ad essere raffigurati non erano i membri dei Titans, bensì quelli della più inconsueta e bizzarra supersquadra che il mondo intero avesse probabilmente mai visto: la Doom Patrol.
In primo piano, diritto e fiero, vi era il team leader Mento (*), il Maestro della Psiche, con indosso il suo caratteristico elmetto, provvisto di due antenne e una maschera, che celava la sua identità, ma non poteva nascondere l’espressione inflessibile e militaresca del volto.
A braccetto con lui, di una bellezza mozzafiato e i lunghi capelli castani, Elasti Girl mostrava il suo splendido sorriso, guardando in camera con i suoi stupendi occhi color nocciola.
A destra, con le mani nelle tasche della divisa, le spalle curve, in una posa che lo faceva sembrare solo di passaggio, avvolto interamente dalle bende come una mummia, vi era Negative Man.
Alle spalle del gruppo, un gigante color rame, anch’egli a braccia conserte, ma che esibiva il segno della vittoria sulla enorme mano destra. Pur non potendo sorridere, Robot Man tentava comunque di esprimere il suo spirito di gruppo.
Sulle spalle del colosso, ridente e dall’aria spensierata, stava seduto un ragazzino, piccolo e magro, con indosso una maschera viola e grigia, che tuttavia non poteva occultare le sue orecchie a punta, il suo sorriso zannuto…e la sua pelle verde.
Tutti, eccetto Robot Man, indossavano uniformi della medesima colorazione: nero e porpora.
Dopo aver effettuato l’accesso alla console principale, che per ragioni di sicurezza era priva di collegamenti con gran parte dei restanti terminali dell’edificio, Cyborg digitò la sequenza per l’avvio del suo protocollo sanitario.  
Pur essendo infatti lo Stone-Scanner un vero prodigio della tecnologia sanitaria, esso non era in grado di adempiere alla propria funzione, quando si trattava di accertare le condizioni del suo creatore.
Ironia della sorte, il Titan con meno carne e sangue era anche l’unico per cui non era possibile utilizzare le procedure mediche standard, accuratamente ideate e realizzate per soddisfare i bisogni e le caratteristiche di ogni membro dell’insolito ed eterogeneo gruppo.
Per quanto vi avesse provato, durante la realizzazione del prodigioso apparecchio, non era stato in grado di far sì che gli impulsi elettromagnetici, provenienti dai numerosi impianti del suo corpo modificato, non alterassero i risultati delle analisi. Dunque, era stato necessario approntare un sistema di diagnostica interattivo, completamente autonomo, designato unicamente da e per Cyborg.
Giunto dinanzi alla console apposita, costituita da un semplice , lucido pannello metallico, situato  ad un metro di distanza da un macchinario enorme, l’eroe biomeccanico vi pose entrambe le mani sopra; le falangi artificiali si aprirono, rivelando dei sensori luminosi. Subito, le numerose apparecchiature circostanti parvero prendere vita, mentre numerosi luci azzurre e bianche si accendevano in tutto il laboratorio
Una volta avviata l’operazione e aver calibrato con cura i macchinari, il giovane uomo si portò al centro della stanza, là dove si era innalzato una sorta di podio metallico.
Esattamente di fronte a lui, la cornice in legno, nonché il suo contenuto, erano perfettamente visibili.
Anche se i suoi occhi, quello umano e quello cibernetico, indugiarono per alcuni secondi sul ragazzino mascherato, la sua attenzione si spostò forzatamente sull’imponente figura di metallo raffigurata, sulle cui spalle stava appoggiato un giovanissimo Beast Boy.
 
Dalle labbra dell’eroe, quasi sussurrate, poche semplici parole fuoriuscirono; “C’è sempre qualcuno che sta peggio…”
“Password: Stone Elinore - Cyber-005. Protocollo Workshop, avvia procedura di riparazione e revisione tra dieci secondi.” profferì l’eroe metallico in tono professionale ed arido, rivolgendosi alle macchine circostanti, ora pienamente attive.
Mentre il cibernetico 22enne si posizionava al di sopra della pedana, inserendo i piedi metallici dentro due supporti specificamente forgiati, quasi come uno stampo nell'acciaio delle sue impronte, nel pavimento e  nei muri attorno a lui si aprirono fino ad un totale di diciotto buchi, celati da sportelli a scorrimento. Da ciascun foro emerse un cavo metallico, alle cui estremità erano posti svariati utensili come saldatrici, cacciaviti e tenaglie prensili.
Queste si prolungarono in maniera ordinata e sincronizzata verso Cyborg, fermandosi solo a pochi metri di distanza dal loro creatore, come in attesa dell’autorizzazione a procedere.
Simultaneamente, da un punto subito soprastante la pedana si abbassò, attraverso una apertura molto più ampia delle precedenti, sorretto da un grosso braccio robotico a 4 articolazioni, uno strano apparecchio, dalla forma simile a quella di una colonna vertebrale metallica. Quest’ultimo si posizionò esattamente alle spalle di Cyborg e, con una serie di scatti, aderì perfettamente alla sua schiena, circondando poi la cintola con tre fasce di metallo, mentre un sensore installato su una esile prolunga, emersa dall’arto meccanico, andò ad inserirsi in un foro d’accesso degli impianti sulla nuca dell’eroe.
L’occhio sinistro, quello artificiale, passò dal suo tradizionale colore rosso ad un verde luminoso, mentre i numerosi circuiti del corpo artificiale emettevano una luce più intensa.
Appena ogni cosa fu piazzata al posto giusto, con una nuova serie di scatti e un sibilo, tutte le quattro protesi meccaniche, costituenti gli arti dell’uomo, vennero sganciate dal resto del corpo, mentre il busto veniva sollevato e poi spostato verso i metallici tentacoli, in paziente attesa.
“Attivazione interfaccia di diagnostica.”
Dopo alcuni secondi, tre lucide cupolette nere, del diametro di quindici cm l’una, fecero capolino dalle pareti ai lati e di fronte Victor Stone. Ancora qualche istante d’attesa, poi, a circa un metro e mezzo di distanza dall’originale, apparve un ologramma in 3D di Cyborg, composto di luce celeste, fedele fino all’ultimo dettaglio.
“Apertura completa apparato di sostegno, sistemi d’arma e apparato sensoriale. Escludi sistemi di sostentamento”
Istantaneamente, l’immagine sembrò smantellarsi; l’intera armatura,  gli avambracci, le gambe e alcuni componenti della metà computerizzata del viso furono rimossi, piazzandosi con ordine su due lati, senza escludere neanche la più piccola vite virtuale.
Tutto quello che rimase era la rappresentazione 3D di una colonna vertebrale e una cassa toracica, costituiti per un sesto di innesti artificiali, alle cui ossa erano collegate una testa e una specie di grosso contenitore, di forma ellissoide…anche se a lui non piaceva pensarci, Victor sapeva perfettamente che quello era l’unico componente che, in nessuna circostanza, doveva essere danneggiato; in esso erano custodite le sole parti che rendevano Cyborg… un cyborg, un organismo cibernetico, e non un androide.   
“Evidenzia malfunzionamenti. 100%  accuratezza. ”
A quel semplice comando, varie aree degli ologrammi divennero rosso scuro, evidenziando i punti in cui lo scontro della sera prima aveva arrecato danni; come già rilevato dai sensori potatili del giovane, le componenti più danneggiate erano quelle immediatamente sotto la sezione frontale della sua armatura che, deformandosi verso l’interno, sotto la poderosa pressione dei calci e dei pugni del mostro, avevano finito per intaccare alcuni sistemi periferici.
Danni di una certa estensione erano presenti anche nelle articolazioni delle mani, nonché nell’avambraccio destro, dovuti al breve ma violento scontro ravvicinato della sera prima. Fortunatamente, nessuno dei circuiti installati nella testa, o in prossimità del sistema nervoso, sembrava aver patito danno.
Per finire, a causa del considerevole uso dei suoi sistemi d’arma, e alla gara di forza sostenuta con il veicolo blindato, la cella energetica principale aveva impiegato non poca energia; era dunque consigliabile una ricarica.
Danni tutto sommato di modesta entità, ma che avrebbero richiesto un accurato lavoro di riparazione, considerato che i meccanismi coinvolti erano di dimensioni  molto ridotte; ciò rendeva necessario smantellare i circuiti e gli ingranaggi ad essi collegati, rimpiazzare le parti danneggiate con componenti fresche di fabbricazione e, infine, assemblare nuovamente il tutto nell’ordine corretto.
Un lavoro  lungo e tedioso, che avrebbe però costretto l’eroe a confrontarsi nuovamente, e senza possibilità di distrazione, con la triste realtà della sua condizione: con l’eccezione di alcuni dei suoi organi vitali(di cui alcuni non erano neanche integri), tutto il suo fisico non era altro che un intricato groviglio di transistor, circuiti, ingranaggi e bulloni… che gran parte del suo corpo era composto non da ossa, carne e sangue, ma da metallo, plastica e silicio.
Sospirando, Cyborg  si preparò a quella che sarebbe sicuramente stata un’ora spiacevole. Non che questo lo avrebbe fatto soffrire fisicamente, questo no: i danni non avevano raggiunto un’estensione tale da rendere necessario coinvolgere le sue componenti biologiche nel processo di riparazione, ma sarebbe stato comunque obbligatorio rimuovere la sezione anteriore della sua corazza, parte dei suoi sistemi e…assistere all’operazione, letteralmente dal vivo.
Mentre le numerose braccia meccaniche, ora estensioni della sua volontà, grazie al collegamento effettuato all’inizio dell’operazione, si applicavano nel rimuovere il primo pezzo dell’armatura, in modo da svolgere il proprio compito, Victor distolse lo sguardo per un breve istante, osservando ancora una volta l’ immagine della Doom Patrol, appesa a meno di dieci metri davanti a lui e, pur concentrandosi un'ultima volta sulla colossale figura di Robot Man, il ricordo tornò ancora a quel giorno, quando il suo migliore amico (anch’egli raffigurato nella foto) gliene aveva fatto dono… il giorno in cui, a seguito di una di quelle medesime sessioni di “Fai-Da-Te”, lui e Raven avevano quasi distrutto la loro amicizia.
 
Ed un paio di fotografie avevano impedito tale tragedia.  
 
(*) Ebbene si, il team leader della Doom Patrol, nella versione originale, si chiama Steve Dayton, in arte Mento, in riferimento ai suoi poteri psichici. Sto pensando di modificare tale nome, in quanto beh, nella nostra lingua non ha un suono molto minaccioso… ma vorrei prima il vostro consenso al riguardo e, se possibile, qualche suggerimento. Ok, alla prossima! 

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Capitolo 15
*** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 2- ***


NdA
Salve a tutti, colleghi scrittori ed amici lettoi. Come da consuetudine, l'Eremita grigio vi porge i propri saluti.
Devo dire di essere alquanto...deluso.
Fino ad ora, nessuno ha voluto prendere parte al mio piccolo 'concorso' per la scelta di qualche futuro supercattivo da inserire nella trama. Benché non mi aspettassi una partecipazione in massa, speravo almeno, con questo mio esperimento, di venirvi incontro e conoscere meglio tutti voi. 
Beh, immagino che il nostro rimarrà un rapporto puramente platonico... ma mi sta bene, fintanto che potrò contare sul vostro appoggio; l'appoggio che mi date, ogni volta che effettuate una visita a questa mia prima storia, silenziosamente incitandomi a proseguire e non demordere. 
Spero che continuerete a seguirmi, e che la mia trama (unica cosa ad appartenermi realmente, fino ad ora; il resto è proprietà esclusiva della DC Comics) vi soddisfi.
Perdonata la mia prolungata assenza, ma molti impegni mi stanno tenendo lontano dalla tastiera. Spero non ve la siate presa a male.
Un piccolo avvertimento: questa è solo una piccola parte del capitolo che stavo preparando, ma era davvero TROPPO lungo da postare in una sola volta; pertanto, sono stato costretto a frammentarlo in 3 o 4 sotto-capitoli. Ma sappiate che l'avventura, il mistero e la suspence sono in arrivo, molto prima di quanto pensiate.
Ora ho davvero detto tutto, e pertanto...SU IL SIPARIO!
 
 
Essendo la città di Jump City posta sul versante occidentale del continente, non sarebbe mai stato possibile per i suoi cittadini  assistere allo spettacolo, di struggente bellezza, che da eoni la natura offre agli abitanti della Terra, del  levarsi dell’alba sull’oceano… 
Uno spettacolo suggestivo, a cui solo i più grandi poeti potrebbero rendere giustizia, con i loro versi…e forse anch’essi non vi riuscirebbero appieno.
Eppure, ben poche erano le persone che si soffermavano a godere di tale vista incantevole, o perché troppo risucchiate nello scorrere frenetico delle loro vite, o semplicemente perché, abituati alla tecnologia e ai suoi vantaggi, erano certi che una sterile immagine, fotografica o televisiva, potesse offrire loro un valido rimpiazzo.
Illusi. 
Poiché la bellezza di un’alba, così come quella di ogni cosa generata dalla natura, sta nel suo costante ed imperterrito mutamento.
Per quanto belle ed accurate nei dettagli, delle semplici rappresentazioni non saranno mai abbastanza fedeli all’originale…non saranno mai abbastanza vive, quale che sia il mezzo utilizzato:
il Sole, che lentamente si innalza verso il cielo, mentre la sua luce passa gradatamente dal rosso, all’arancio al dorato,  rifrangendosi sulla superficie azzurra del mare;
gli innumerevoli colori del cielo, dalla bellezza praticamente indescrivibile, che lentamente si susseguivano l’uno all’altro, passando dal blu tenebroso della notte all’azzurro chiaro del mattino;  
il silenzio trascendentale, rotto progressivamente dalle voci della vita che riprende, dopo il riposo notturno;
la brezza mattutina, leggera e tonificante, che attende di essere saturata degli odori di un nuovo giorno…
Non vi è modo alcuno, in nessun caso, che una semplice ed immutabile fotografia, possa catturare appieno la bellezza di un simile spettacolo, quali che siano le intenzioni di colui che l’ha realizzata.
Si tratta infatti di una scena meravigliosa, che non può essere semplicemente visto… deve essere testimoniato, ascoltato, percepito… vissuto.
Davvero molto triste che, a causa di impedimenti insormontabili come la geografia e il bisogno di dormire, nessuno degli abitanti di Jump City avesse la possibilità di godere di tale meravigliosa esperienza.
Nessuno…eccetto gli abitanti di una strana torre, situata su un piccolo isolotto, posto nella baia della città.
Un edificio inconsueto, sia nella forma che nella funzione. Ed ancor più inconsueti erano i suoi abitanti.
Cinque giovani, dotati di abilità e poteri al di là dell’umana comprensione, le cui vite erano state devote, fin dall’adolescenza (e, per alcuni di loro, fin dall’infanzia) al difficile compito di proteggere gli innocenti.
Proprio in quel momento, mentre i dorati, deboli raggi del sole invernale facevano capolino nella sala comune, progressivamente illuminando la vasta e confortevole stanza, passando attraverso la facciata orientale del palazzo, composta in gran parte da vetri anti-proiettile, una solitaria figura femminile poteva godere del raro privilegio di ammirare, in religioso silenzio, la magnificenza della natura. 
Avvolta in una vestaglia perlacea, i capelli viola e la carnagione pallida, Raven sedeva sul divano semicircolare con le gambe rannicchiate, una tazza di the fumante in mano.
Sorseggiando sporadicamente, la maga dei Titans sedeva in muta contemplazione dell’alba. 
Era questo uno dei rituali preferiti dell’eroina: dopo essersi alzata molto presto, Raven si dirigeva, nel silenzio assoluto della Torre, nella sala comune; dopo aver preparato un corroborante e profumato the ed averne riempito la propria tazza, la giovane prendeva posto sul divano, esattamente nel mezzo, dopodiché… nulla, assolutamente nulla. Restava semplicemente seduta lì, in silenzio, godendosi la quiete, sia fisica che empatica, che solo in quei momenti le era concessa. 
E, sempre nel silenzio assoluto, la azrathiana concedeva alla propria mente, internamente frammentata in numerose  entità, incarnazioni psichiche delle sue emozioni sigillate, di rasserenarsi, lasciando che i problemi e le difficoltà, passate e future, scivolassero via, in uno dei molti recessi della sua bizzarra ed inusuale psiche.
In quei momenti, appoggiata sui comodi cuscini, non vi era Raven, progenie mezzo sangue dell’entità demoniaca più crudele, potente e sanguinaria di un intero universo;
non vi era la Gemma, strumento di distruzione e portatrice di sciagura, venerata dai seguaci della Chiesa del Sangue e destinata, fin dal momento del proprio concepimento, ad evocare il maligno genitore in una nuova realtà, per appagarne l’inesauribile  sete di conquista;
non vi era l’allieva disciplinata della dea Azar e dei monaci di Azarath, addestrata fin dalla più tenera età per reprimere ogni singola emozione, causa scatenante dei suoi oscuri poteri; 
non vi era Raven la maga, membro dei Teen Titans, supereroina e protettrice di un’intera città…
In quei momenti, in quel luogo, in quella semplicità, vi era solo Raven, figlia di Arella, una ragazza di 18 anni che sedeva tranquilla, contemplando la bellezza del Sole che si innalzava alto nel cielo, gustando contemporaneamente una ottima tazza fumante di delizioso the aromatizzato.
Eppure, quella mattina i suoi pensieri non erano affatto sereni, malgrado la bellissima alba invernale che davanti ai suoi occhi si svolgeva.
Pur fissando l’orizzonte, infatti, la mente di Raven era proiettata verso il passato, rammentando eventi infausti; una sera di quasi due anni prima, in quel medesimo luogo, in una afosa serata di Settembre, due vecchi amici si erano improvvisamente ritrovati nel bel mezzo della peggiore lite di tutta la loro vita.
Parole grosse volarono, quella sera; insulti, recriminazioni, minacce perfino. E non semplici, vuoti avvertimenti, come accade spesso nel corso delle comuni scenate di rabbia, tipiche di due adolescenti che, una volta lasciatisi andare alla rabbia, nella foga del momento, arrivino a promettere invano di ferirsi l’un l’altra .
No, quella sera fu molto diverso…

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Capitolo 16
*** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 3- ***


 Erano state  due settimane estremamente dure, per i Teen Titans.
Come ogni anno, l’estate era giunta anche nella loro città. 
Benché Jump City fosse situata lungo la costa (cosa che, a tutti gli effetti, la  rendeva un località balneare,) ben poche persone sceglievano di restare e godersi le ferie estive in quel luogo. 
La stragrande maggioranza dei suoi abitanti, spinta dal desiderio, perfettamente comprensibile, di porre un freno alla routine quotidiana, rilassarsi e staccare la spina, aveva deciso di fare i bagagli, saltare in macchina e, dopo aver chiuso il gas e staccato la corrente, dirigersi verso mete lontane ( compatibilmente alle  possibilità economiche individuali, ovvio…), abbandonando case, uffici e palazzi a se stessi.
Questo, inutile a dirsi, lasciava campo libero ad ogni criminale della città, che fosse o meno provvisto di poteri, attrezzature o abilità sovrumane. Una enorme, prospera città, lasciata alla  mercé di svaligiatori e ladruncoli.
Quel periodo fu un periodo di stress e superlavoro, sia per le forze dell’ordine convenzionali, sia per gli abitanti di Torre Titan. Una vera e propria ondata criminale aveva travolto la città: rapine a mano armata, furti d’auto,scippi e, soprattutto, attacchi da parte di metaumani si susseguivano l’uno al’altro, giorno dopo giorno, in pratica ad ogni ora.
Era praticamente inevitabile  che, nel continuo susseguirsi di battaglie, ai Titans capitasse di non riuscire di schivare uno o più dei numerosi attacchi, destinati a loro, ad un altro membro del gruppo o ad uno dei civili presenti (a cui prontamente ciascuno di essi avrebbe fatto da scudo). 
Ciò significava, ovviamente, numerose e continue tappe in infermeria, continue medicazioni, noiosi e talvolta invasivi test… e, nel caso di Cyborg, diverse ore in quel sotterraneo, passate a riparare i danni ricevuti, sia all' hardware che  al software, nel corso di colluttazioni, sparatorie, esplosioni o inseguimenti.
Senza contare le continue ramanzine da parte di Robin, che era entrato in quella che i suoi compagni (con l’eccezione di Stella) definivano “Modalità-Boss”, come sempre accadeva quando la lotta al crimine prendeva il primo posto tra le sue priorità (o quando Slade risultava in qualche modo coinvolto…); per farla breve, in quei momenti il Ragazzo Meraviglia metteva in mostra ciascuno dei lati peggior del suo carattere, che più di una volta, in passato, gli erano quasi costati la fiducia, il rispetto e la stima degli altri Titans: freddo, distante, ed intransigente nel corso delle battaglie, irascibile, paranoico ed incontentabile nella vita quotidiana.
Se a tutto ciò  si aggiunge il fatto che, per qualche insano e masochistico motivo, i criminali preferivano concentrare le loro attività illecite  nelle ore notturne, in particolare tra le 3:00 e le 5:00 del mattino, era semplice immaginare lo stato d’animo dei giovani eroi, in quel periodo: stress allo stato puro, ai limiti dell’esaurimento nervoso.
Ma c’era qualcos'altro, che aggravava la già precaria situazione psicologica della giovane squadra; l’incapacità di ciascuno dei suoi membri, malgrado tutto il tempo trascorso insieme, ad aprirsi e confidarsi tra loro… almeno, quando si trattava  dei propri malesseri interiori.
Che questo fosse dovuto alla testardaggine tipica dei giovani, alla convinzione diffusa che tali sentimenti vadano unicamente repressi, o al puro e sciocco desiderio di mantenere intatta l’immagine che ciascuno aveva di sé stesso costruito, nel corso del tempo, i fatti erano questi: nessuno dei Titans aveva la benché minima intenzione di permettere agli altri di vedere cosa giaceva sotto la superficie delle rispettive facciate, continuando ad esibire i medesimi atteggiamenti, agendo nel rispetto delle ormai consolidate routine, come se nulla stesse accadendo,in realtà.
Peggio ancora, nessuno sembrava rendersi  conto dei problemi e della tensione che gli altri stavano accumulando, impegnato come era, ciascuno di loro, a  conciliare il suo turbamento interiore. 
 Era solo questione di tempo, prima che una simile polveriera, sempre posta ai bordi del fuoco delle emozioni e dell'irruenza giovanili, venisse incendiata. 
E quando avvenne, le conseguenze furono devastanti e, per molti versi, irreversibili.
Quella sera, tutti i Titans, escluso Beast Boy, erano riuniti nella sala comune, ciascuno a suo modo impegnato:
Robin, seduto al tavolo della cucina, stava compilando compilando alcuni rapporti sugli ultimi arresti effettuati dal suo team sul PC, in modo da consegnarli, la mattina dopo, alla stazione di polizia;
poco distante dal suo fidanzato, Starfire era intenta a gustare un 'delizioso' spuntino a base di calamari fritti,  gelatina alla fragola e mostarda (...!) ;
Raven stava seduta ad una estremità del divano, leggendo un romanzo, con una tazza di the freddo a portata di mano sul tavolino davanti a sé;
Cyborg, posto al centro del divano, stava furiosamente pigiando sui pulsanti del joystick, sfogando, all'insaputa degli altri, la sua frustrazione ed angoscia. 
Quella stessa mattina, infatti, il gigantesco androide Atlas aveva deciso di darsi ad una delle sue solite scorribande distruttive, e benché la battaglia fosse terminata con il trionfo dei Titans e l'arresto del rissoso robot, quest'ultimo era riuscito a provocare seri danni alla corazza del suo nemico per eccellenza, Cyborg.
C'era voluta un'ora intera, prima di riuscire a liberare il cibernetico eroe dai resti di un palazzo di tre piani che gli era crollato in testa, dopo esservi stato scagliato attraverso dall'enorme macchina, ed altre cinque ore e mezza di diagnostica e riparazioni, affinché Victor Stone potesse nuovamente uscire dal laboratorio.   
Cinque ore e mezza...
Purtroppo, essendo la sua mente umana incessantemente tormentata dai ricordi, Cyborg continuava a perdere partita dopo partita, in un crescendo di nervosismo  e frustrazione che, pur passando inosservati  agli altri due eroi,  non poterono non essere notati (o meglio, percepiti) dall'empate seduta a pochi metri da lì.
" Ehm...tutto bene, Cyborg?" chiese Raven, distogliendo l'attenzione dalla sua lettura.
"Sto benissimo, Raven, a meraviglia..." borbottò di rimando lui, senza neanche girarsi.
A Raven non occorsero i suoi sensi magici, per capire che era una menzogna bella e buona.
"Ne sei certo? Perché non si direbbe proprio che tu stia 'ok'..." insistette la maga.
"Sto a meraviglia, Raven, davvero. Ora, se vuoi scusarmi, sono occupato." rispose Cyborg, chiaramente seccato.
"Ehi, va bene, non c'è bisogno di innervosirsi. Stavo solo cercando di aiutare..." disse lei, inarcando un sopracciglio.
"Beh, nessuno te lo ha chiesto!" disse l'uomo di titanio, la voce che cominciava ad alzarsi.
Anche se lei non era certo una persona che amasse conversare, e ancor meno costringere gli altri a farlo, la maga oscura non apprezzò il tono sgarbato in cui l'amico le rispose.
Concentrandosi leggermente, Raven inviò un piccolo tentacolo di energia nera ad avvolgersi attorno al cavo della console, per poi staccarlo dalla presa di corrente, interrompendo bruscamente la partita. 
Raven si aspettava di sentire il ragazzo lamentarsi, mugolare, portarsi inorridito una mano alla faccia... di certo non si aspettava la reazione che seguì.
"SI PUO' SAPERE PERCHE' DIAVOLO LO HAI FATTTO?" urlò con quanto fiato aveva in corpo Cyborg, scattando in piedi e voltandosi furioso verso l'azrathiana.
Raven si ritrasse, sorpresa dall'improvvisa e feroce ira che, irradiata dal suo compagno di squadra , la travolse come le onde di un mare in tempesta.
Il fracasso non poté non richiamare l'attenzione degli altri due Titans presenti, che rivolsero loro occhiate confuse e perplesse.
"Amico Cyborg...?"  chiese esitante Starfire, pulendosi la bocca con un tovagliolo.
"Tutto bene, ragazzi?" domandò Robin, dimenticando momentaneamente il suo difficile lavoro.
"No, non va tutto bene, Robin! Per niente! Sembra che la signorina Raven, la cara Miss State-Alla-Larga-Da-Me, non possa fare a meno di tenere le sue dannatissime emozioni demoniache a bada, come sempre!" rispose Victor, fissando con furia la maga. 
"Innanzitutto, non occorre urlare, visto che la 'Signorina' è qui a due passi da te." intervenne la ragazza dalla pelle pallida, ora con un cipiglio duro.
"Secondo, se c'è qualcuno che non sembra essere in grado di tenere le sue emozioni a bada quello sei tu! 
Sono quasi due ore che la tua negatività mi sta disturbando, e sai che effetto può avere su di me e, di conseguenza, sull'ambiente circostante." aggiunse Raven, con una nota di finalità nella voce
"Tsk, dovevo immaginarlo" disse con un'espressione di disprezzo Cyborg " Sei sempre la stessa; l'unico motivo che può spingerti a tentare un qualsiasi approccio agli altri non viene dal desiderio di aiutarli, no...tu cerchi solo di fare in modo che nessuno disturbi il tuo piccolo mondo! Beh, indovina una cosa Raven: su questo pianeta non esisti solo tu! Ci sono anche gli altri, che ti piaccia o meno, e ognuno ha il diritto di sentirsi come vuole! Non ho certo bisogno del TUO permesso, prima di innervosirmi!" sbraitò l'enorme giovane, accalorandosi sempre più.  
“Ok, ora ne ho avuto davvero abbastanza: si può sapere quale diamine è il tuo problema? Ti è forse andato in corto-circuito un fusibile, in quella tua testaccia metallica?” scattò Raven, il tono della voce ora nettamente più acido.
“Ooohhh, ma che acume, che abilità… Complimenti Raven, fare una battuta su fusibili e guasti elettrici riferita proprio a me, che sono per metà una macchina…  e io che credevo che fosse BB, il comico della squadra!” rispose Cyborg, con un sarcasmo tale da fare invidia alla maga stessa.
“Ma guarda, sei riuscito a scorgere il riferimento? Complimenti, Cyborg, significa che un po di vero cervello ti è rimasto, in fin dei conti…" replicò lei, con un sorriso di scherno sulle labbra.
In un altro momento, quasi certamente, Victor Stone avrebbe trovato quelle parole esilaranti; più di una volta, in passato,ma non quella sera. Decisamente, non era quello il momento più adeguato, ma Raven non lo sapeva, purtroppo...
"Si Raven, mi è rimasto un po di 'vero cervello', come lo chiami tu... quello e meno del 30% del mio corpo originario!!!
Cosa credi, che sia nato così? O che abbia scelto di diventarlo? Beh, ti sbagli di grosso! 
Io avevo una vita meravigliosa, ero un atleta, avevo una ragazza, degli amici, buoni voti a scuola, una famiglia...e  poi, durante una visita ai miei genitori, in un laboratorio degli S.T.A.R. Labs, BUM!!! Tutto mi viene portato via, in un attimo!   
Uno stramaledetto incidente, un esperimento andato storto, una dannatissima esplosione, e mi ritrovo sanguinante, mutilato e moribondo a terra... 
E quando mi sveglio, non sento più nulla: né gambe, né braccia...a malapena sento la faccia! E indovina  un po perché!"
E con questo, fece un passo indietro, mettendo bene in mostra, di fronte a lei e agli altri, il suo corpo artificiale.
"Viene fuori che mia madre era morta, e che il mio caro paparino aveva deciso, di sua iniziativa, di salvarmi la vita, anche a costo di rendermi un mostro meccanico!
Una mezza macchina, che anziché una visita dal dottore, una volta al mese, è costretto a fare un salto in un'officina  ed effettuare una cavolo di revisione!
E sai la parte migliore, Raven? Non potrò mai, e dico MAI sperare di avere una famiglia mia, perché non c'è una sola ragazza, in questo stramaledetto mondo, che sarebbe disposta ad addormentarsi accanto ad un pezzo di metallo, rigido ed insensibile!
Ed anche ammesso che vi fosse, e per puro miracolo la conoscessi, non potrei neppure carezzarle il volto o stringerle le mani, perché QUESTE" ed alzò ambedue le mani, ponendole ad un palmo dal viso di Raven" non solo non danno, ma neppure possono sentire alcun calore umano!" 
Arrivato a questo punto, Cyborg stava ansimando pesantemente, mentre i suoi amici lo fissavano, sbigottiti e sconvolti, nel silenzio più assoluto. Robin era impallidito, ascoltando quella dolorosa confessione, mentre il viso di Stella era rigato da silenti lacrime.
Raven era rimasta muta, presa alla sprovvista, ed ora fissava il pavimento, senza emettere un suono.
"Tu puoi crederti onnisciente, ma quando si tratta di capire gli altri, Raven, sei una causa persa." aggiunse Cyborg, e fece per andarsene. 
Non aveva fatto tre passi che un' ombra a forma di uccello emerse dal pavimento, per poi disperdersi e rivelare una furiosa empate al suo interno.
"IO non capisco gli altri? Come osi parlarmi così? come se TU avessi le risposte? Come se ti fossi mai preso la briga  di chiederti se la mia vita è stata facile." ringhiò la ragazza con una gemma incastonata nella fronte; nella stanza, diversi oggetti presero a fluttuare, avvolti da una aura nera come pece. 
"Una causa persa, hai detto? E' così che chiunque mi ha sempre vista: una causa persa, una mostruosità, un abominio che non meritava di esistere... perché sapevano, e non hanno mai evitato di rammentarmelo, giorno dopo giorno, CHI era mio padre!" 
Ho passato tutta la mia vita, fin dalla mia nascita, sapendo che non avrei mai potuto compiere vent'anni.
Per l'intera durata della mia infanzia, se così vogliamo definirla, sono stata addestrata, senza mai un istante di tregua, a sopprimere le mie emozioni!
Sai che non ho MAI potuto abbracciare mia madre? La donna che mi ha partorita, malgrado le avessero detto COSA sarebbe divenuta sua figlia? 
Non mi era neanche permesso di cercare la compagnia di altri bambini, perché avrei potuto costituire un pericolo per loro e qualunque cosa, persona o forma di vita che mi circondava... non mi era concesso neppure di piangere in silenzio, in un angolo della mia stanza, come tutte le ragazze normali, perché avrei potuto far saltare in aria tutto il monastero!
E tu hai la presunzione di venire a dirmi che non capisco il dolore altrui? Che mi curo degli altri SOLO se mi torna utile? HA!" 
Hai un bel coraggio, a farmi una ramanzina sull'altruismo! 
Io ho passato TUTTA la mia vita a preoccuparmi degli altri, della loro salute e sicurezza, imponendomi un isolamento emotivo assoluto e negando a me stessa quello che ogni essere vivente riceve di diritto alla nascita: la possibilità di essere felice, di essere libera...di essere amata!"
Ora era il turno di Raven di avere il respiro corto, e quello di Cyborg di osservarla in silenzio.
"Almeno TU sai cosa significhi essere amato... io no, non l'ho mai saputo. L'unica persona che abbia mai detto di amarmi si è rivelata essere una creatura maligna che voleva sfruttarmi... come chiunque altro abbia mai fatto!"
Il divano ebbe un violento sobbalzo, i cuscini che si laceravano, mentre tutti i vari oggetti volanti nella stanza crollarono fragorosamente al suolo, alcuni infranti, altri completamente liquefatti.
Ma Cyborg non desistette; non che non fosse impietosito, ma non era disposto a lasciare che lei avesse l'ultima parola, come sempre, e riuscisse a farlo sentire colpevole.
"Almeno tu sei nata così! Non hai idea di cosa si prova ad avere qualcosa di prezioso, che tu dai per scontato, come la tua umanità, e vedertelo strappare dalle mani senza poter fare nulla per impedirlo!"
A quelle parole, Raven alzò nuovamente la testa, e fissò con odio puro quello che, dal suo punto di vista, aveva cessato di essere suo amico, ora e per sempre.
"Mi illudevo che tu potessi capire, ma non è così. a quanto pare.... tua madre si vergognerebbe profondamente di te!"
"Non osare- non provare a tirare in mezzo mia madre, Raven! Provaci di nuovo e ti giuro che finisce molto male, per te!" urlò Cyborg, stringendo i grossi pugni di titanio e facendo un passo avanti, minaccioso.
Raven non retrocedette, ma le sue mani furono avvolte da un oscuro bagliore, pronto per essere usato.
"D'accordo, ora piantatela, tutti e due!" disse la voce di Robin, spezzando la tensione che si stava accumulando.
"Non ho idea di cosa vi succeda, ma se non riuscite a discutere come due persone civili, allora farete meglio ad andare ognuno in un'altra stanza, mi sono spiegato?" insistette con severità l'ex apprendista di Batman, che pur se profondamente addolorato dalle parole dei suoi amici, non poteva permettere che la situazione degenerasse oltre.
Raven e Cyborg si scrutarono furibondi, per un interminabile istante. Poi. la più giovane prese un profondo respiro calmante e, guardando fuori la finestra, parlò con il suo caratteristico tono neutro.
"Non vale la pena restare qui, a discutere. Sarebbe solo fiato sprecato, e non ho la minima intenzione di rendermi ridicola assieme a te. Quando ti sarà tornato un po di sale in zucca e vorrai chiedere scusa, sarò in camera mia." disse con un tono che doveva suonare come definitivo.
Fece per voltarsi ed incamminarsi verso l'uscita ma, prima ancora che potesse anche solo girare le spalle, una mano di titanio la agguantò per il bavero del mantello, tirandola con forza.
Prima di capire cosa fosse accaduto, Raven si ritrovò a fissare un paio di occhi, uno umano e uno cibernetico, puntati tenacemente nei suoi. Mentre quello artificiale non era in grado di mostrare  alcuna reale emozione, l'occhio biologico  di Cyborg esprimeva da solo così tanto odio da compensare perfettamente tale handicap.
Pur riuscendo a celare la propria sorpresa agli altri, internamente Raven non poté fare a meno di sentirsi  sconvolta: questa era la prima volta in assoluto che uno dei suoi amici levava deliberatamente una mano contro di lei, ed era Cyborg, tra tutti!
 Nonostante non si potesse affermare che tra loro vi fosse il medesimo legame affettivo che intercorreva tra l'afroamericano corazzato e il mutaforma smeraldino, era pur vero che vi era sempre stata un'intesa particolare... un legame speciale, simile a quello tra un fratello maggiore, immaturo e ad un tempo saggio, e la  sorella ultimogenita, scontrosa e riservata, ma all'occorrenza comprensiva.
Malgrado l'alterco che stavano avendo, l'azrathiana non si sarebbe mai e poi mai aspettata che le cose potessero prendere una piega simile.
Ma niente di tutto questo traspirò
"Fammi capire bene...IO dovrei chiedere scusa A TE?!
 Fino a prova contraria, sei TU ad esserti intrufolata nelle mie  emozioni; 
sei TU quella che ha osato tirare in mezzo la memoria di MIA madre, senza avere la minima idea di che persona fosse, o quanto significasse davvero lei per me...; 
sei TU quella che ha fatto del sarcasmo sul fatto che mi ritrovo ad avere meno carne e sangue di CHIUNQUE ALTRO, in questa torre! 
COME DIAVOLO OSI PRETENDERE LE MIE SCUSE?!?" 
“Levami quelle mani fasulle di dosso… subito!” sibilò la maga mezzo sangue, mentre gli occhi le si stringevano pericolosamente.
“Oppure cosa?” chiese Cyborg, la voce che continuava a salire, mentre la sua stretta diveniva più forte, il suo sguardo più iracondo. 
“Mi scaglierai  addosso una fattura, come quelle che quella specie di Salamandra Sputafuoco del tuo ex-fidanzato ti ha insegnato? 
Mi ricoprirai di insulti, sperando di farmi piangere, in modo da poter dimenticare quanto tu sia in realtà patetica, come fai con BB? 
Ah, ma sicuro, che sciocco: mi spedirai all’inferno, in modo da tenere compagnia a quel mostro di tuo padre!
 Beh, ho una notizia per te, Raven; sono stufo marcio del tuo atteggiamento, della tua arroganza, e se credi che ti farò passare liscia anche  questa, allora ti sbagli di grosso!!!”
“Ho detto LASCIAMI!!!” urlò la ragazza, abbandonando ogni pretesa di indifferenza.
 Gli occhi cominciarono a brillarle di uno spettrale bagliore bianco, mentre contemporaneamente un’onda d’urto, composta di energia oscura, appariva dal nulla, costringendo il colosso di metallo a lasciare la presa, spedendolo a quasi dieci metri di distanza.
Malgrado la sorpresa, Cyborg seppe riprendersi rapidamente, atterrando in piedi.
 Davanti a lui, la maga continuava a fissarlo,fluttuando ad un metro dal pavimento, le mani avvolte dalla sua tipica energia nera, i capelli viola che turbinavano attorno alla faccia, stravolta dall’ira, come mossi da un vento inesistente.
In circostanze normali, per  Victor quello sarebbe stato un incentivo più che sufficiente per retrocedere e darsi alla fuga: l’ira di Raven , come l’intera squadra  aveva avuto modo di constatare anni prima, in una gelida e profana cripta, celata nei meandri più oscuri della città, era qualcosa con cui non si poteva scherzare: Slade, a quei tempi reso magicamente  invincibile ed indistruttibile, era stato sballottato come una bambola di stracci dalla furibonda mezzodemone, e solo la sua temporanea condizione di non-morto al servizio di Trigon lo aveva salvato da una fine orribile.
Adesso, tuttavia, le cose erano ben lontane dall’essere normali; per Victor, essere trattato a quel modo… come  una semplice macchina… proprio dopo essere stato costretto a ricostruire per l'ennesima volta il suo corpo, composto oramai solo da protesi e, di conseguenza, rivivere i più traumatici ricordi della sua vita...era qualcosa di intollerabile, inconciliabile… assolutamente imperdonabile.      
Senza pronunciare una parola, puntò entrambe le mani verso quella che, fino a pochi secondi prima, era stata una delle sue più care amiche, convertendole nei suoi distintivi cannoni sonici. 
Nel medesimo istante, il tavolino davanti al divano si sollevò a mezz'aria, avvolto da una luce nera; la superficie di vetro andò in pezzi, che presero a fluttuare a loro volta, con i bordi taglienti puntati verso Cyborg.
Prima che uno dei due potesse sferrare il primo colpo, però, una seconda figura avvolta in un mantello si frappose tra  loro.  
“Ora basta, voi due! Questa storia è andata avanti fin troppo! Cyborg, abbassa le armi! Raven, metti giù il tavolo e datti una calmata! Adesso!!!” urlò Robin, allargando le braccia, tentando di porre un freno alla follia che sembrava essersi impadronita dei suoi amici.
Per l’effetto che le sue parole ebbero, comunque, il ragazzo mascherato  avrebbe anche potuto tacere del tutto; i due continuavano a fissarsi con sommo disprezzo, senza recedere né indietreggiare di un passo, puntandosi minacciosamente l’un l’altra; incisa in ogni tratto dei loro volti, una furia cieca, spaventosa e terribile. 
A questo punto, anche Starfire si era resa conto che la situazione era decisamente sfuggita ad ogni controllo. 
Temendo per l'incolumità dei suoi amici, in particolare per quella del suo amato, con coraggio e decisione  si pose anch'essa lungo la linea del fuoco incrociato, volgendo la schiena al suo fidanzato.
"Levati dai piedi, Robin! Quella piccola strega è andata troppo oltre, e io non intendo sopportare un solo minuto di più! E' ora che impari a pensare, prima di aprire quella sua bocca di vipera e sputarci addosso il suo veleno!" urlò il mezzo-robot, sfoderando anche i suoi lanciamissili, posti nelle spalle.
"Cyborg, ti avverto: non andare oltre, fermati ora che sei in tempo. Capisco che tu sia furioso, ma non è questo il modo di risolvere le cose." tentò il Ragazzo Meraviglia, senza spostarsi di un solo centimetro. 
Vedendo che le sue parole non sortivano alcun effetto, l'ex acrobata portò la mano sinistra alla cintura multiuso, estraendone tre dischi esplosivi.
"Non obbligarmi a fermarti con la forza, perché puoi credermi, quando ti dico che non esiterò a farlo, se continui con questa pazzia... Te lo ripeto, abbassa le armi immediatamente!"
Mentre Robin tentava di convincere Cyborg a rinfoderare il suo arsenale, Stella tentava di riportare la ragione nella mente di Raven, che sembrava prossima alla follia.
"Amica Raven, per favore ..." tentò la principessa, ma fu subito interrotta dalla voce, magicamente distorta, della mezzo-demone.
"Scostati, Stella! E' giunto il momento che questo ammasso di rottami ambulante impari cosa succede a giocare con il fuoco...il fuoco degli inferi!" disse in un cupo ringhio ultraterreno la ragazza col mantello, che sembrava essere tornata la stessa entità oscura che ridusse il Dr. Light ad un codardo piagnucoloso. Numerosi tentacoli neri fuoriuscivano dal suo manto e la luce nei suoi occhi divenne rosso sangue.
Anche se preoccupata, Koriand'r restava pur sempre un'eroina ed una guerriera di Tamaran. Per quanto terribile nella sua ira, neanche la figlia di Trigon poteva sperare di intimorirla. 
Seppur con sommo dispiacere, la fanciulla delle stelle alzò la mano destra, avvolta di luce verde, verso l'amica e,  con un tono notevolmente più deciso, riprese a parlare.
"Per favore, amica Raven; rimetti quegli oggetti al loro posto di appartenenza e interrompi la tua azione bellicosa.
Non desidero arrecarti danno nella maniera più assoluta, e lo sai bene. Ma non posso permettere, ne a te ne all'amico Cyborg, di procedere nel vostro sconsiderato atteggiamento; per favore, fermati."
"Bada, se non ti togli dalla mia strada, non avrò nessun riguardo, neanche per te...ti avverto per l'ultima volta, Stella: scostati, ORA!!!"
L'unica risposta della tamaraniana fu di intensificare l'energia nella sua mano.
"Anche tu sei contro di me, dunque? Così sia, allora, soffrirai il medesimo fato di quello sciocco!"
"BASTA, ORA, ENTRAMBI! Che diavolo state facendo? Se non vi fermate all'istante, questa è la volta buona che vi sbatto in una cella d'isolamento!" urlò Robin, la voce carica di rabbia, ma che celava adesso una chiara nota di panico e preoccupazione.
In quanto leader, era suo dovere salvaguardare il benessere della squadra e dei suoi membri, ma era ovvio che, se non avesse fatto qualcosa (e in quel momento, avrebbe dato tutto pur di sapere COSA fare!), non vi sarebbe più stata alcuna squadra.
"Che cosa vi è preso, si può sapere? Voi siete amici, compagni... noi dovremmo essere come una famiglia! Ma in questo momento, tutto quello che vedo sono- "
"... due enormi, patetici idioti, che si comportano peggio di due mocciosi piagnucolanti e viziati di appena quattro anni."
Inaspettata, quasi come  il fragore di un tuono nel bel mezzo di una giornata soleggiata, una voce era arrivata ad interrompere quell’alterco furibondo, ormai sul punto di degenerare in uno scontro all'ultimo sangue tra supereroi.
Voltandosi contemporaneamente verso la direzione del suono, tutti e quattro i giovani rimasero assolutamente sgomenti, alla vista che loro si presentava.
Lì all’entrata, la schiena appoggiata alla parete, le braccia conserte, lo sguardo rivolto al pavimento, stava nient’altri che Beast Boy. Eppure, allo stesso tempo, era come se vi fosse un perfetto estraneo.
Anche se la pelle verde, le orecchie puntute e le zanne sporgenti erano indubbiamente sue, la postura, la voce e lo sguardo erano totalmente diversi. 
Le spalle e la schiena erano dritte e rigide, anziché curve e rilassate come al solito, donando al giovane  un aspetto assai più intimidatorio.
Nel volto non vi era nessuna traccia di ilarità o allegria, emozioni praticamente distintive dell'eroe mutaforma;  piuttosto, sui suoi lineamenti vi era come una sorta di ombra (proiettata forse dalle luci, forse dalla suggestione collettiva),  che metteva in risalto gli occhi smeraldini, ora freddi come ghiaccio, in maniera sinistra.
E poi, ovviamente, vi era la voce...
Non erano state tanto le parole in sé a congelare i presenti, che fossero le parti in causa, il pacificatore o la spettatrice, quanto il tono della voce.
Una voce che, normalmente carica di allegria e spensieratezza, ora era colma di disprezzo, amarezza e… delusione, forse?
La voce di un ragazzo, normalmente acuta e stridula, sembrava d’un tratto essere invecchiata, divenendo bassa,  matura e terribilmente fredda.
La voce di Beast Boy.
Alzando gli occhi, con espressione cupa, il mutaforma fissò i suoi amici… 
In particolare, la sua attenzione si concentrò sui responsabili del frastuono che aveva  scosso la quiete della torre. 
E in quel momento, Cyborg e Raven seppero, senza bisogno di parole, che non avrebbero mai dimenticato l’espressione sul volto del ragazzo verde.  

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Capitolo 17
*** Fotografie, incomprensioni e superficialità -parte 4- ***


NdA 
Rieccomi a voi, miei cari amici.
Come promesso, sto continuando questa mia prima Fanfiction. Due mesi... sono già trascorsi due interi mesi da quando questa storia ha avuto inizio.... così come questa mia avventura, assieme a voi, nel mondo degli scrittori online. 
Wow... incredibile, non c'è che dire. 
Ringrazio di cuore tutti coloro che, pur se in numero esiguo, hanno continuato ad onorarmi con le loro visite alle mie prime opere. Se non fosse stato per voi, amici lettori e recensori, sarebbe stato tutto MOLTO più difficile.
Grazie infinite dall'Eremita grigio. 
Ora, tornando alle vicende dei Titans, sappiate che questo è il penultimo dei sotto-capitoli dedicati alle reminiscenze di Cyborg e Raven, e che dinnanzi a noi si presentano ancora il mistero e l'avventura!  
Un nemico ignoto, silenzioso, scaltro ed assai temibile, trama senza sosta, nascosto nelle tenebre... 
Il suo obbiettivo è stravolgere le 'pacifiche' esistenze dei nostri eroi, assieme al loro intero mondo, e per farlo intende... NO! Non vi sarà così facile scoprirlo! AH AH AH! (-risata malvagia-)
Sappiate solo che, per voi, questa storia ha moltissimi colpi di scena in serbo, peronaggi  da conoscere (di proprietà della DC e non) ed infiniti misteri e segreti da svelare. 
Per ora, comunque, spero saprete apprezzare i personaggi, decisamente OOC, intenti a rivelare alcuni frammenti dei rispettivi passati; nel farlo, essi dovranno confrontarsi con sé stessi per come sono in realtà, e non per come il mondo li vede. 
Perdonate la lunghezza eccessiva di questa mia introduzione, ma sono ancora emozionato per questo 'mesiversario', e ci tengo a condividere tutto questo con voi; se un giorno dovessi divenire un autentico scrittore, sarà anche grazie all'esperienza acquisita scrivendo questa storia e, di conseguenza, a tutti voi.
Un ultimo avvertimento: come preannunciato, questo capitolo contiene alcuni Spoiler, riferiti alla quinta stagione inedita ( sia qui che negli USA) di questo show, e in minor misura, al film del 2006 (Trouble in Tokyo). Siete avvertiti, dunque.
Ora è finalmente giunto il momento di dare un taglio alle chiacchiere, e di alzare il sipario! 
P.S.
Purtroppo, mi vedo costretto a rimandare, di un capitolo ancora, la fine di questa mia mini-avventura introspettiva. Rileggendo questo capitolo, mi sono reso conto che poteva essere meglio sviluppato... ed è ciò che spero di aver fatto. 
Non odiatemi, per favore, ma sentitevi liberi di dirmi cosa ne pensate. Il prossimo sarà un flashback, ma molto intenso ed OOC, garantito!
 
Dopo aver terminato la sua bevanda, Raven rimase seduta sul divano, godendosi per qualche minuto ancora l'incantevole spettacolo del levarsi del sole. Quando anche quella mattina il suo rituale fu concluso, la ragazza allargò le braccia, stiracchiando le membra ancora intorpidite, per poi alzarsi del tutto. 
Dopo aver ben sciacquato la tazza  nel lavandino, ripose la stoviglia nella mensola sopra i fornelli, accanto alla sua riserva personale di the, assieme alla sua teiera personale. 
Terminata l'operazione, la maga dagli occhi d'ametista si diresse fuori dalla porta, verso la sua stanza. Vero, avrebbe potuto facilmente teleportare sé stessa alla propria destinazione in un attimo, ma sarebbe stato un inutile spreco di energie, oltre che un chiaro segno di pigrizia. Mentre percorreva i corridoi, ancora desolati per via dell'orario, Raven si ritrovò a passare davanti alla massiccia porta di titanio, spessa mezzo metro, che conduceva ai sotterranei della torre. Per motivi di sicurezza, quell'entrata era forse la meglio sorvegliata dell'intero edificio, in quanto dietro di essa era custodito la riserva energetica di Torre Titan... il suo stesso cuore.
Ma a Raven tutto questo non passò neppure per la testa. Tutto ciò a cui poté pensare la giovane empate era che, dietro a quella pesante e virtualmente impenetrabile lastra di metallo, a decine di metri di profondità, il suo amico Cyborg era impegnato nella gravosa e complessa (almeno, complessa dal punto di vista di una persona comune, priva di conoscenze tecnologiche spropositate), ma sopratutto, psicologicamente dolorosa procedura di riparazione del proprio corpo bionico.
Inconsciamente, la sua mano si portò sulla porta, toccandone la fredda superficie con la punta delle esili dita. 
Per un istante, fu solennemente tentata di oltrepassarla, in modo da poter scendere le scale dietro ad essa e, in questo modo, raggiungere il suo 'fratellone', recandogli così, se non vero conforto, almeno una qualche via di fuga da quel triste isolamento.
Anche se a stento, l'azrathiana represse tale impulso; una delle condizioni imposte agli altri Titans da Cyborg in persona, quando quel particolare impianto venne assemblato, era di non entrarvi MAI, se non in condizioni di estremo bisogno, mentre l'eroe meccanico era impegnato in quel particolare processo. 
Anche se non lo aveva mai ammesso a nessuno, prima di quella infelice serata di due anni prima, la cosa peggiore per Victor sarebbe stata non l'operazione in sé, ma farsi vedere dai suoi amici durante il suo svolgimento. 
Allontanando quei pensieri infelici, Raven riprese la sua strada verso quel santuario che era la per lei la sua camera da letto. Dopo pochi minuti, si ritrovò a passare di fronte la stanza di Robin. 
Involontariamente,  con i suoi sensi empatici riuscì a percepire che il suo team leader stava riposando felicemente, godendosi le poche ore di sonno ancora rimastegli... e che non era solo.
Arrossendo lievemente, la maga accelerò il passo, portandosi rapidamente a tre corridoi di distanza. 
Ormai giunta a due terzi del tragitto, l'eroina decise di rallentare, tornando ad un'andatura più comoda. Internamente, Raven sapeva di non aver fatto nulla per cui sentirsi in imbarazzo; non era stata sua intenzione 'ficcanasare' nella vita privata dei suoi amici, e di certo non ne avrebbe fatto parola con nessuno. 
Non che vi fosse qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi, ovvio...
Fin dalla loro avventura in Giappone, avvenuta circa tre anni prima, la principessa e il vigilante erano finalmente arrivati ad ammettere, una volta per tutte, che il sentimento che li legava andava ben oltre la semplice amicizia.
Benché fossero due persone molto differenti, con atteggiamenti, idee e modi di relazionarsi alla vita decisamente contrastanti, tra loro vi era sempre stato, fin dal loro primissimo incontro, una sorta di legame speciale... in qualche modo, era come se le loro vite fossero destinate ad intrecciarsi, portando l'uno nell'esistenza dell'altra qualcosa di speciale, ed al contempo assolutamente indefinibile.
Per una frazione di secondo, il cuore dell'avvenente eroina fu percorso da una dolorosa fitta; anche se sapeva di non potere dare la colpa a nessuno dei due, le manifestazioni e, sopratutto, i sentimenti di affetto che i suoi amici mostravano erano per lei fonte di invidia e rabbia insieme.
Rabbia per il destino di tetra solitudine che sembrava esserle stato riservato.
Invidia, perché l'unico modo che le era concesso di sperimentare quei sentimenti, meravigliosi e complicati, era indirettamente, attraverso i propri poteri di empate.
Pur essendo consapevole di essere in parte demone, e quindi destinata, con tutta probabilità, all'inferno, Raven non poteva che descrivere la sua situazione come ingiusta. 
A nessuno è concesso scegliere i propri genitori, e di certo lei non avrebbe mai scelto di avere un padre simile... ma nonostante i suoi sforzi e i suoi desideri, Raven sentiva che l'ombra di Trigon continuava ad opprimerla, segnandone il fato... anche dopo che lei lo aveva personalmente scaraventato negli abssi infernali a cui apparteneva.
Immersa nei suoi pensieri, lottando internamente contro le lacrime che minacciavano di bagnarle il viso, la azrathiana si accorse d'un tratto di aver imboccato la strada sbagliata, e che i suoi passi l'avevano condotta, per un'incredibile coincidenza, davanti alla stanza di un altro dei suoi compagni di squadra.
Anche senza leggere il nome su di essa, Raven sapeva perfettamente che quella era l'entrata della camera da letto di Beast Boy.
Per la seconda volta, nel corso di quella mattina, le dita di una pallida mano si ritrovarono a toccare il metallo di una porta scorrevole, stavolta tracciando le lettere in rilievo sopra incise. 
"Buffo... sembra quasi che, per quanto mi sforzi, stamattina non mi sia permesso di pensare ad altro..." mormorò la ragazza, ritraendo la mano con estrema lentezza.
Sospirando, si volse ancora, dirigendosi stavolta verso la meta giusta.
 
Arrivata nella sua stanza, il suo rifugio, Raven scelse di concedere alle proprie membra, ancora intorpidite dalla stanchezza, provocata dall'elevato consumo di energia psichica della sera prima, di rinfrancarsi con una rilassante doccia calda.
Non molto era mutato, nel corso degli anni, per quanto riguardava l'arredamento: 
a destra dell'entrata, una enorme parete finestra concedeva una vista stupenda sulla baia e la città;
il letto, formato Queen Size, era ancora lo stesso, posto dinanzi all'entrata, sovrastato dalle maschere di Tragedia e Commedia;  
bizzarri ed inquietanti oggetti, posti sulle numerose mensole delle pareti nero-dipinte, ma erano adesso affiancati da varie cornici, recanti istantanee e fotografie della squadra e di sé stessa, circondata dai suoi amici;
appoggiati alle pareti, vi erano eleganti mobili in legno, di colore bianco avorio, tra cui un divano, tre comodini, una libreria e una scrivania, fornita di numerosi piccoli cassetti e uno specchio;
poco distante dal letto, tre poltroncine di velluto blu scuro  erano poste in circolo, l'una accanto all'altra;
varie candele erano situate sui mobili, in candelabri di ottone a tre bracci, incrostati di cera, situati i punti strategici.
In definitiva, cambiamenti molto semplici, ma che dimostravano un'inclinazione ai rapporti umani, da parte della proprietaria della camera, notevolmente superiore a quella degli anni precedenti. 
Certo, l'ingresso senza autorizzazione era ancora severamente vietato (e ancor più severamente punito !), ma ora non era più un raro privilegio, da conquistare con le unghie e i denti.
Se qualcuno aveva bisogno, o aveva desiderio di parlare con l'empate, non doveva fare altro che bussare e lei, compatibilmente con il suo stato d'animo, avrebbe invitato ad entrare gli ospiti ad accomodarsi sulle comode poltrone, appositamente acquistate. 
Mentre con la mano destra si accingeva a sciogliere il nodo che teneva chiusa la vestaglia grigio perla, con un gesto della sinistra avvolse le tende in una luce nera, per poi obbligarle a richiudersi; contemporaneamente, la camera venne rischiarata dalla tenue e soffusa luce di numerose candele. 
Dopo avere ripiegato con cura l'indumento, lo ripose sopra il comodino. Di seguito, aperti i giusti cassetti, la giovane ne estrasse un ricambio completo di biancheria, uno dei suoi lunghi vestiti neri ed una cintura ingioiellata.
Riposti i capi di vestiario sul letto, già riordinato in precedenza, la ragazza si diresse verso il bagno personale della sua stanza
Appena entrata, dopo aver richiuso la porta scorrevole alle sue spalle, la maga iniziò a svestirsi del tutto. Prima di rimuovere la sua biancheria, infilò la mano destra nella doccia e aprì il rubinetto. 
Rabbrividendo a contatto dell'acqua fredda che le bagnava il braccio, Raven attese che la temperatura raggiungesse un livello sopportabile. 
Nell'attesa, si voltò, posando casualmente lo sguardo sullo specchio, posto al di sopra del lavandino. 
A restituirle l'occhiata, l'immagine di sé stessa, con indosso solo la sua semplice biancheria intima bianca.
Ora, bisogna dire che Raven non era un'ingenua; benché di rado si curasse della sua immagine, la giovane incantatrice era perfettamente conscia che, per gli standard terrestri, il suo aspetto fisico era perlomeno... apprezzabile.
Non era certo paragonabile alla principessa dai capelli rossi, per quanto riguardava la prosperità delle curve, né era possibile per lei alcun confronto, in termini di 'sex-appeal', per usare i termini di quella società maschilista che popolava la Terra ( ancora difficile da comprendere appieno per lei, nativa di una dimensione parallela, oltretutto cresciuta in un monastero) con la sua compagna di squadra.
Comunque, stando alle varie riviste da lei lette ( o meglio , che Stella le aveva fatto leggere...), e a diversi stereotipi, da lei dedotti dalle poche ore trascorse davanti alla tv, Raven sapeva di non rientrare nella categoria delle donne 'racchie'.
Eppure, in un passato per nulla remoto, tutto ciò che l'azrathiana riusciva a vedere ogni volta che osservava il proprio riflesso ( sopratutto a causa degli insegnamenti ricevuti, nel corso della sua infanzia), era sempre e solo un demone, un essere concepito per fare del male al prossimo; come poteva qualcuno, in qualsiasi contesto, definirla 'carina'... o persino 'bella'?
All'improvviso, mossa ancora una volta da quella strana volontà, di cui gli esili arti della discepola di Azar sembravano essere dotati nelle ultime ore, la pallida mano sinistra andò a sfiorare un punto sulla guancia sinistra, appena sotto lo zigomo.
 
 " Raven. non so proprio come altro fare a dirtelo, e sono quasi certo che non mi presterai ascolto, ma....ai miei occhi, tu NON sei bella; sei assolutamente bellissima!"
 
Al ricordo di quelle parole, pronunciate sempre in quella lontana sera di Settembre, con sincerità e schiettezza indubbie, un rossore genuino si diffuse su entrambe le gote della maga che, per via del loro pallore naturale, assunsero una delicata sfumatura rosea.
Suo malgrado, le labbra le si incresparono in un piccolo sorriso, mentre la tristezza cominciava a retrocedere, sospinta nei meandri della sua prodigiosa mente.
Vedendo che sulle pareti e sullo specchio andava formandosi della condensa, la giovane donna capì che la temperatura dell'acqua era ora quella giusta, per cui terminò di svestirsi ed entrò nella doccia. 
Mentre l’acqua tiepida le scorreva sulla pelle, la mente di Raven continuava a ritornare a quella sera, in cui la sua arroganza l’aveva spinta sul’orlo di uno scontro fisico con uno dei suoi più cari amici... e a ferire la sua unica amica.
Ancora oggi, dopo quasi due anni dall’accaduto, la giovane donna trovava… difficile venire a patti con quello che era successo.
Beast Boy aveva risolto tutto… 
Beast Boy, il seccante, chiassoso, immaturo ragazzino verde, ossessionato da piatti a base tofu, stupidi  videogames dedicati a scimmie ninja, vecchie e a malapena guardabili science-fictions, era d’un tratto divenuto un adulto, responsabile e serio, e aveva posto fine ad una discussione che avrebbe potuto segnare la fine dei Titans come il mondo li conosceva!
Dire che, per gli altri membri del gruppo, era stato uno shock, sarebbe una colossale minimizzazione… 
La realtà è che per gli abitanti di Torre Titan, abituati a combattere contro criminali spietati, mostri spaventosi, alieni conquistatori, macchine assassine e demoni sanguinari, quella fu la cosa più sbalorditiva a cui avessero mai assistito!
Verità deve essere detta, gli adolescenti mascherati, oramai famosi in tutto il pianeta, avevano passato anni a combattere le forze del male, in tutte le sue forme; pertanto, ben poche cose erano ancora capaci di sorprenderli.
Si potrebbe quasi affermare che, in un certo senso, la guerra al crimine per loro avesse assunto la forma di una routine consolidata. 
Non importava quanto strani, malvagi o potenti i nemici che si ritrovavano a fronteggiare fossero… ormai, i loro giovani occhi avevano visto tante di quelle cose che, in tutta onestà, lo stupore generato alla vista di un nuovo supercriminale era solo passeggero, quali che fossero il suo potere o le sue sembianze.
In pratica, essi erano, loro malgrado, abituati a scendere in campo, sapendo che vi era una sola costante, in ciascuno scontro: non esisteva alcuna certezza, niente poteva essere dato per scontato. 
Soprattutto il loro benessere, o il loro rientro a casa, al termine di una missione.
 
Ma questo valeva fuori dalle mura domestiche, fuori dalla realtà quotidiana, costituita dai momenti di quiete tra una sfida e l’altra. 
Il concetto di imprevedibilità, ddi norma applicato alle loro carriere supereroiche, NON avrebbe dovuto essere valido anche per i loro rapporti interpersonali.
Così, quando il membro più spensierato, infantile e chiassoso, nonché burlone rinomato dei Titans si era fatto avanti, con espressione torva e vibrante autorità nella voce … una voce completamente diversa, praticamente irriconoscibile… impersonando il ruolo dell'adulto responsabile, del genitore saggio che rimprovera i figli attaccabrighe, l’unica reazione possibile, da parte dei giovani eroi, non poté essere che una: sgomento, puro ed assoluto!
 
Appena il sapone fu completamente sciacquato via, Raven richiuse l'acqua. Allungando il braccio sinistro, la maga afferrò l'accappatoio, di colore blu scuro, e se lo avvolse attorno.
Dopo essersi infilata le ciabatte, la ragazza fece ritorno alla sua stanza, frizionandosi i capelli viola.
Dopo aver preso posto alla scrivania, davanti al grande specchio, Raven fece scivolare all'indietro il cappuccio, rivelando la chioma scompigliata. Fece per afferrare la spazzola, in modo da riordinare le disastrate ciocche, quando il suo sguardo cadde su una foto, racchiusa in una cornice finemente decorata, posta in un angolo della scrivania.
In essa vi erano ritratte due persone.
 A destra della scena vi era un uomo di mezz'età, dal volto saggio ed attempato, i capelli e la folta barba rossicci, ma striati di grigio.
Indossava un completo azzurro e una cravatta rossa, e stava appoggiato su quella che, in parole povere, poteva essere descritta come la più futuristica sedia a rotelle che il mondo avesse mai visto, un plaid appoggiato sulle gambe. 
Di fronte a lui, in un elegante poltroncina antica, sedeva quella che si intuiva essere una figura maschile, con indosso una divisa nera e porpora, con un braccio alzato, in segno di saluto forse; il suo viso, le sue mani e, evidentemente, il suo intero corpo erano avvolti da bende, celandone del tutto i tratti e dandogli le sembianze di una mummia egiziana.
Accanto allo strano individuo vi era un tavolinetto, anch'esso chiaramente antico, su cui era visibile una tazza nera con manico; sforzando la vista, sulla tazza era possibile leggere, a grosse lettere bianche,  'Larry's Cup'.
Sullo sfondo era visibile un caminetto acceso, composto, anziché di comuni mattoni, di grosse pietre cubiche. Ai lati di questo, erano poste due grandi librerie, le cui mensole erano colme di grossi libri, stupendamente rilegati in filigrana dorata. 
Anche se Raven ignorava l'identità dell'invalido, così come il luogo in cui la foto era stata scattata, la sua mente accantonò tali quesiti, focalizzando la propria attenzione interamente sulla figura bendata.
Come da quasi due anni faceva, l'azrathiana ripensò al proprio doloroso passato, alle numerose pene ed angosce che la affliggevano.
Quindi diede un'altra occhiata all'istantanea, alla figura senza volto in essa ritratta e, con tono neutro, disse:
" C'è sempre qualcuno a cui la vita ha riservato un fato peggiore..."
Quindi riprese ad occuparsi dei suoi capelli, soffermandosi solo ogni tanto a ricordare gli avvenimenti che l'avevano portata ad entrare in possesso di quella fotografia.

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Capitolo 18
*** Fotografie, incomprensioni e superficialità -ultima parte- ***


 Nella sala comune regnava oramai da oltre cinque minuti il silenzio assoluto. Lo stesso dicasi per l'espressione incredula di quattro dei membri dei Titans. 
"Non ci sono definizioni migliori  per descrivere quello che ho visto e sentito fino ad ora: siete assolutamente patetici, tutti e due." mormorò il ragazzo, 
Sempre per lo stupore dei suoi compagni, Beast Boy continuò a camminare oltre, senza degnarli di uno sguardo, fino a portarsi dinanzi ai resti del divano. Sotto le occhiate confuse di tutti, il mutaforma si chinò leggermente, liberando dai detriti i cuscini, rimediando, per quanto gli era possibile, ai danni arrecati al pezzo di arredo dalla furibonda Raven pochi minuti prima. 
Quando ebbe reso il divano perlomeno presentabile, si volse ancora. Ignorando completamente, almeno in apparenza, Robin e Starfire, il ragazzo con le zanne concentrò tutta la sua attenzione su Cyborg e Raven: 
il primo, ancora a bocca aperta, aveva rinfoderato le sue numerose armi senza accorgersene; 
l'altra, colta alla sprovvista, aveva riassunto le proprie sembianze umane.
 Entrambi fissavano Beast Boy con gli occhi sgranati, come se dalle sue spalle fosse spuntata una seconda testa.
"Sedetevi, tutti e due. Adesso!" disse all'improvviso Beast Boy, una insolita nota autorevole nella voce. 
A quelle parole, entrambi i destinatari parvero riscuotersi dallo stupore; sui loro volti, un espressione indignata sostituì quella di shock.
"Di che diavolo stai parlando, B ? Perché mai, dopo tutto questo, dovrei volermi sedere accanto a-" iniziò Cyborg,  pronto a tornare sul piede di guerra, ma fu interrotto da uno sguardo raggelante, lanciatogli da quello che, in apparenza, avrebbe dovuto essere il suo migliore amico, e invece gli appariva come un perfetto estraneo.
"Non ve lo sto chiedendo, Victor, ve lo sto dicendo. Portate entrambi i vostri deretani su questo divano, subito!" aggiunse Beast Boy, sempre nello stesso tono duro.
A questo punto, il colosso bionico rimase sbigottito; pur avendo rivelato ai suoi amici il proprio nome di battesimo, al termine del primo anno di convivenza nella Torre, nessuno di loro lo aveva mai chiamato 'Victor', fino ad allora.
"E se ci rifiutassimo?" chiese Raven, in un tono quasi di sfida, fissando con intensità il suo trasfigurato compagno.
Per nulla preoccupato, Garfield si girò a guardarla, dritto negli occhi. 
Poi, dopo alcuni istanti di silenzio, parlò, senza la minima traccia del solito nervosismo con cui era solito rivolgersi a lei.
"Dimmi una cosa, Raven; tu sai qual è il mio potere, vero?"
Lei non poté evitare di alzare un sopracciglio, perplessa; di tutte le risposte possibili, quella era l'ultima che si aspettasse.
"Cosa c'entra questo con-"
"Ti ripeto la domanda, Raven: io, Garfield, di quale abilità metaumana sono dotato?" chiese nuovamente Beast Boy, con calma assoluta, interrompendola bruscamente.
Confusa, eppure incuriosita, l'empate decise di rispondere al quesito postole. 
" Puoi imitare qualunque animale di cui tu abbia conoscenza..."
"Esattamente, qualunque animale; e questo comprende animali velenosi." disse con inquietante semplicità il metamorfico eroe. 
"Ho a mia disposizione l'intera riserva di veleni, tossine, enzimi digestivi ed apparati per inocularli del regno animale terrestre. E sono in grado di trasformarmi in creature eccezionalmente piccole, invisibili ad occhio nudo.
Avete esattamente dieci secondi per venire qui, prendere posto su questo rottame sfondato, tapparvi la bocca e ascoltare, con estrema attenzione, ogni singola parola che intendo dirvi.
Scaduti quei dieci secondi, mi trasformerò in una pulce, un acaro o qualcosa di ancor più piccolo, mi avvicinerò a voi di soppiatto, cambierò ancora forma  e, prima che possiate rendervene conto o reagire, vi inoculerò una tale quantità di veleno neuroparalizzante da lasciarvi rigidi come due sassi per ore. 
Dopo, vi posizionerò sul divano e, che lo vogliate o no, vi obbligherò ad ascoltare, per filo e per segno, tutto quello che ho da dirvi...tutto quello che DOVETE sentirvi dire.
Cominciamo il conteggio: uno...due...tre..."    
Tutti gli altri rimasero a guardarlo, nuovamente stravolti e, stavolta, inorriditi. 
Nei due anni di vita dei Titans, MAI, neanche una sola volta, Beast Boy aveva preso apertamente in considerazione l'idea di servirsi di quella che, per molti versi, era l'arma più pericolosa in suo possesso... e adesso stava minacciando di usarla contro i suoi amici!
"...quattro...cinque...sei..."
D'un tratto, agli occhi dei quattro super-adolescenti, il membro più gioviale del team appariva in una luce nuova... decisamente inquietante.
"...sette...otto...nove...e dieci...Allora, quale è la vostra risposta?" disse il mutaforma, il suo viso privo di qualunque segno di eventuali dubbi o ripensamenti.
Senza ulteriori obiezioni, Raven e Cyborg andarono a sedersi, davanti agli increduli sguardi di Starfire e Robin. 
In particolare, il Ragazzo Meraviglia rivolse una rapida occhiata al teenager smeraldino, ad un tempo ansiosa e circospetta.
Se Beast Boy ne ebbe o meno sentore, non ne diede alcuna traccia.
"Mi viene in mente solo una parola per definire come mi sento: deluso!
Ecco come mi sono sentito, ad assistere al vostro piccolo show: profondamente, completamente ed inconfondibilmente deluso... e disgustato."
Al sentire queste parole, gli sguardi di Cyborg e Raven tornarono ad incupirsi; scivolando di lato, si allontanarono di almeno un un paio di metri l'uno dall'altra, rimanendo tuttavia seduti. 
A vedere questa ennesima dimostrazione di ostilità tra i suoi interlocutori, Garfield non poté sopprimere il sospiro di frustrazione che lasciò le sue labbra. Portandosi la mano sinistra davanti agli occhi, sembrò lottare internamente per astenersi dal portare al termine la minaccia poco prima effettuata.
Dopo qualche secondo, l'eroe smeraldino abbassò nuovamente la mano, rivelando ancora una volta quello sguardo torvo, così fuori posto sul suo viso.
"Ora, se avete finito di comportarvi come due mocciosi, voglio dirvi esattamente perché ho questa sensazione, per nulla piacevole, di disgusto e delusione che grazie a voi mi attraversa le vene:  
dopo tutto questo tempo passato insieme...
dopo aver rischiato la vita, fianco a fianco, gli uni per gli altri, più volte di quanto anche quel computer che Victor ha in testa possa contare...
dopo esserci impegnati nel costruire, giorno dopo giorno, un legame che andasse oltre di quello tra un normale gruppo di colleghi... 
dopo essere sopravvissuti alla fine del mondo INSIEME, e aver creato una squadra che dovrebbe essere di esempio per quelli della nostra generazione... una squadra che, malgrado tutti i dubbi e le critiche mosse dal pubblico, dalle autorità  e perfino dagli eroi più vecchi, esiste ancora...
dopo aver vissuto e costruito tutto questo, voi due eravate pronti a gettarlo giù dalla finestra..."
Beast Boy concluse la sua breve spiegazione, passeggiando avanti e indietro, con passo progressivamente più lesto, come una belva in gabbia. 
"E PER COSA!!!" urlò d'improvviso il ragazzo, voltandosi di scatto, il volto ora sfigurato da una rabbia disumana .
 Tutti sobbalzarono, rivolgendogli sguardi colmi di preoccupazione, come se temessero di vederlo saltare loro addosso.  
I due accusati si ritrassero contro lo schienale del divano distrutto, terrorizzati internamente all'udire quella voce, spaventosamente simile al ruggito di un leone.
"Per cosa?" chiese di nuovo il teenager, stavolta a denti stretti, in una sorta di ringhio animalesco.
"Per una misera questione di principio? Perché nella vostra semplicità ed ignoranza, ciascuno di voi è convinto di dover dimostrare all'altro che la propria vita è la peggiore? Per un motivo tanto insulso volevate gettare nel water tutto quello che sembrava starvi tanto a cuore?! Se è così, allora è chiaro che, per tutto questo tempo, vi ho MOLTO sopravvalutati!". 
Vedendo i suoi compagni che si ritraevano da lui, fiutando la paura che si sprigionava dai loro pori, Garfield capì di essersi spinto troppo oltre; dopo aver fatto un passo indietro, portò una mano al petto e chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
 Quando li riaprì, i Titans videro che parte dell'oscurità in essi sembrava essersi dissolta; ciò ridusse in parte la loro inquietudine ... in parte... 
“Voi credete di avere dei problemi? Pensate di essere dei perseguitati? Che le cose a VOI siano andate male? Beh, indovinate un po: avete ragione!” riprese il ragazzo verde, mentre il volume della sua voce ricominciava ad alzarsi e la sua compostezza a svanire.
L’ultima frase venne pronunciata  con tale enfasi, convinzione e ira che le sue due ‘ vittime’, prese alla sprovvista, sobbalzarono sensibilmente, sempre più sconvolte dall’improvvisa scenata del loro compagno di squadra e decisamente confuse dal procedere della discussione.
Ma erano quegli occhi, ciò che instillava in loro una strana inquietudine; in quelle pupille verde smeraldo, solitamente così cordiali, in cui a volte avrebbero potuto giurare di aver scorto una scintilla risplendere, calda ed accogliente, ora non vedevano altro che rabbia e dolore. 
Era quasi come osservare gli alberi dall’interno di una fitta e selvaggia foresta, nel cuore della notte più tenebrosa. 
In quel momento, non erano gli occhi di un infantile burlone o di un pagliaccio, quelli che quattro membri dei Teen Titans stavano fissando; in quel preciso istante, dinanzi alla potente squadra, vi era un animale ferito, stanco e adirato…e di conseguenza, pericoloso fino all’inverosimile. 
“E’ vero, la vita con voi non è stata giusta…non lo è stata per niente, stando a quanto avete detto poco fa.” riprese il giovane eroe dalla pelle di giada, la voce poco più che un sussurro, ma comunque perfettamente udibile, nel silenzio impietoso della sala comune, rotto solo dal gocciolio intermittente di bottiglie precedentemente esplose. 
“Victor, tu conducevi un’esistenza bellissima, prima dell’incidente. Eri popolare, geniale, avevi un bell’aspetto e tutti ti ammiravano… finché una  disgrazia non ti ha portato via tutto ciò che avevi, tutto quello che conoscevi ed amavi, condannandoti ad un futuro che non avevi scelto, e che non volevi assolutamente” disse . 
Che tu ci creda o no- che tutti voi crediate o meno ad una sola parola di ciò che  vi sto dicendo!- io so esattamente come ti senti! 
So cosa significa avere qualcosa di importante, qualcosa di prezioso ed insostituibile… e so cosa significa vederselo portare via da un giorno all’altro. 
So che per te deve essere stato un trauma, adattarti a tutto questo così, senza preavviso... e che deve esserlo ancora di più riviverlo, ogni qualvolta tu sia costretto a riparare quelle macchine che ti tengono in vita.. o anche solo guardarti nello specchio ogni mattina, per quello che conta.”
A questo punto, Cyborg non poté  fare a meno di distogliere lo sguardo dal suo amico, di colpo così saggio e maturo, e fissare in silenzio il pavimento con entrambi i suoi occhi, umano e non, lottando internamente per impedire alle lacrime di scorrere dal suo occhio biologico sulla sua guancia destra, davanti a tutti i suoi amici, che da sempre lo vedevano come una persona forte. Almeno, fino a quel momento. 
In quel preciso attimo, nonostante la sua corazza,Victor si sentiva debole e vulnerabile come non mai.
Ignorando il turbamento del suo migliore amico,Garfield continuò imperterrito, le sue parole sempre pronunciate a bassa voce, ma cariche ugualmente di determinazione e tristezza. 
“Raven, tu sei stata cresciuta sotto una campana di vetro. Niente amici, pochissimo affetto e nessun contatto con il mondo esterno, mai… è logico che tu non abbia idea di come interagire con gli altri.
Ti è sempre stato detto che, semmai avessi cercato di stabilire un legame con chiunque, umano o non, avresti solo arrecato dolore e sofferenza… che era il tuo destino,restare sola, e niente e nessuno avrebbe mai potuto cambiare questa realtà.
Anche se hai vissuto con noi per tanto tempo, è chiaro come la luce del sole che la tua permanenza qui deve esserti sembrata poco più che una parentesi, nella tua vita .
Non voglio-  mi rifiuto di credere che i tuoi insulti, il tuo sarcasmo, le tue crudeli  parole siano tese a ferire il tuo prossimo… che tu agisca e parli in questo modo solo per ferirci, per farci sentire inferiori, di modo che tu possa sentirti superiore. 
No, io sono assolutamente certo che, con il tuo atteggiamento, tu cerchi di proteggere gli altri dai tuoi poteri… da te stessa.”.
Stavolta era il turno di Raven di celare la propria angoscia. Le parole di Beast Boy, per quanto difficile fosse da ammettere, perfino a sé stessa, erano assolutamente veritiere, dalla prima all’ultima. 
Pur non voltando la testa come Cyborg, l’incantatrice scelse di sprofondare nel proprio manto,gli occhi color ametista che splendevano di lacrime non versate, sotto il cappuccio.
“Si, le vostre vite sono state durissime. Come quelle di tutti i presenti, suppongo. Se così non fosse, del resto, perché diavolo faremmo questo -per così dire- ‘lavoro’ ?”
A queste parole, tutti i presenti volsero la testa altrove,anche Robin e Starfire, che fino a quel momento avevano continuato ad assistere, in rispettoso silenzio, all’intera vicenda. 
Per un attimo, ognuno di loro si ritrovò a pensare ai rispettivi traumi ,la cui esistenza ed esatta natura  erano ancora sconosciute ad ogni altro membro del team.
Dopo pochi, gravosi secondi, il mutaforma si riscosse dalla sua trance, costringendosi a continuare, per il bene della sua squadra e famiglia.  
“Eppure, voglio che comprendiate una cosa, e la comprendiate bene, perché non intendo mai, e dico MAI più tornare su questo argomento... così come non intendo mai più assistere ad una scena come quella di stasera: 
per quanto brutto sia stato tirare avanti, per voi… c’è sicuramente qualcuno a cui è andata peggio, molto peggio. 
Alcuni si sono arresi, ma ce ne sono  altri che hanno trovato la forza di superare il dolore, lo sconforto e la disperazione e le hanno anzi usate come mezzi per divenire persone migliori… più forti … e continuano a farlo, giorno dopo giorno, senza mai cedere. ”
“Come puoi dire questo?” sibilò Raven, alzando gli occhi, incurante che le sue lacrime fossero in bella vista per tutti gli astanti. Mandando mentalmente la sua reputazione di Regina dei Ghiacci all’inferno, assieme a suo padre, la azrathiana scattò in piedi, fissando torva il giovane eroe verde. 
“Ti aspetti davvero che una tua affermazione, basata su una mera supposizione, sia sufficiente per darmi sollievo? Come fai a sapere che qualcuno è in grado di capire  il mio stato d’animo? Stai soltanto tirando ad indovinare, sperando di risolvere questa situazione pacificamente, con belle parole e luoghi comuni… per quanto ne so io, non sono altro che un mostro, condannato ad essere tale fin dalla nascita…e fino alla mia morte. 
Un mostro che, come tu stesso hai precisato, non ha mai avuto altro scopo se non quello di adempiere ad una profezia di morte e sventura... un abominio, che doveva essere tenuto lontano dalle persone comuni, in modo da non rischiare che  del  sangue innocente venisse versato...
A me è stato negato il diritto, proprio a qualunque donna, di poter anche solo sognare di crearmi, un giorno, una mia famiglia...  innamorarmi, avere un marito, concepire e mettere al mondo dei figli, vederli crescere… perché potrei ucciderli con il minimo sbalzo d’umore!  
Trigon -colui che mi ha generata, il mio stesso padre!- mi ha strappato la possibilità di amare e di essere amata ancora prima della mia nascita!
Come può esserci, in nome di Azar, qualcuno in grado di paragonarsi a me?!? Come?!?” urlò in preda ad una rabbia isterica la maga dai capelli viola, il viso rigato dalle lacrime, gli occhi rossi di pianto e ricolmi di sofferenza.
Lasciandosi ricadere pesantemente sul divano, Raven cominciò a singhiozzare senza ritegno, la testa tra le mani.
Attorno a lei, ombre nere cominciarono ad avviluppare a caso gli oggetti, deformando, spezzando e fondendo impietosamente tutto ciò capitasse loro a tiro.
In un attimo, Starfire fu al suo fianco, avvolgendo l’amica, emotivamente sconvolta, nel più gentile abbraccio che le sue potenti braccia aliene avessero mai dato ad un essere umano. Raven non tentò nemmeno di respingerla come suo solito, e anzi affondò il viso nella spalla della principessa, cercando in quel contatto una sorta di ancora di salvezza per la sua salute mentale.
“Ssshh… va tutto bene, amica mia… non temere, i tuoi amici sono qui per te…” sussurrò dolcemente la guerriera delle stelle, carezzando con delicatezza la schiena e i capelli della maga.
Cyborg non disse niente, ma appoggiò gentilmente la grossa mano meccanica sulla spalla della ragazza, dimentico completamente dell’alterco, avvenuto meno di mezz’ora prima.
Robin rimase seduto in disparte, lanciando occhiate a ciascuno dei membri della sua squadra, insicuro di come affrontare la situazione. Anche se Batman lo aveva addestrato in ogni forma possibile di disciplina  necessaria alla lotta al crimine, i casi di crollo psicologico non erano qualcosa su cui il Cavaliere Oscuro si era premurato di istruirlo.
Lentamente, le demoniache energie si dispersero, mentre i singhiozzi di Raven si attutivano sempre più, fino a cessare del tutto.
Beast Boy, per tutta la durata del pianto disperato, non aveva né detto né fatto nulla, limitandosi ad osservare in silenzio le reazioni dei suoi amici. Per alcuni minuti, il ragazzo parve immerso profondamente nei suoi pensieri. Poi, con calma, si voltò, dirigendosi verso il suo team leader, negli occhi una determinazione profonda.
“Robin, avrei bisogno di due favori da parte tua.” disse con calma Garfield.
“Di che si tratta?” chiese il Ragazzo Meraviglia, in tono neutro.
“Primo, dovrei usare il tuo computer. Potresti collegarlo allo schermo principale?” 
Robin alzò un sopracciglio, leggermente perplesso, ma annuì.
“Secondo, potresti preparare un panino con prosciutto a Cyborg e una tisana alle erbe per Raven? Prima di rispondermi male, sappi che è una cosa necessaria, affinché capiscano ciò che intendo dire loro .”
Ora l’ex pupillo di Batman era decisamente confuso, e seriamente preoccupato per la sanità mentale del suo amico, ma ciononostante annuì una seconda volta.
Avuta approvazione del suo caposquadra, Beast Boy si voltò, dirigendosi verso la porta della stanza.
“Dove stai andando?”  chiese Robin, senza distogliere lo sguardo dagli amici sul divano.
“A prendere un paio di cose… tornerò subito, non temere. Solo, tienili qui fino al mio ritorno, oppure tutto questo sarà stato niente più che un colossale spreco di fiato e tempo… senza contare che l’avrei fatta piangere per niente, e sarebbe la cosa peggiore di tutte .”. Detto questo, Garfield si voltò e, senza aggiungere altro, si diresse a passo rapido verso la porta, lasciando al suo leader una spinosa situazione da gestire e niente altro che delle istruzioni assai bizzarre per farlo.
 
Non fu facile, per Robin, portare a termine l'incarico affidatogli. 
O meglio, fu semplice impostare il suo portatile, miracolosamente sopravvissuto ai molteplici sfoghi emotivi della giovane azhratiana, affinché Beast Boy potesse usarlo per i suoi indefiniti scopi. 
Non fu neanche troppo difficile preparare, tra i resti di una cucina quasi interamente devastata, un bricco con l'acqua calda per preparare a Raven una delle sue bevande preferite, e a Cyborg uno dei suoi abitudinali spuntini, una volta che l'ex-acrobata riuscì a rinvenire gli ingredienti necessari, nelle credenze ribaltate e nel frigorifero deformato.
Ciò che realmente richiese tempo e fatica furono gli sguardi interrogativi ed attoniti (senza dubbio, per quella inusuale ed inopportuna offerta), oltre ai rifiuti, educati malgrado la situazione emotiva ancora regnante. 
Nessuno dei due Titans sembrava effettivamente in vena di riempirsi lo stomaco, seppur con i loro 'piatti favoriti'... e a ragion veduta. 
Al terzo rifiuto Robin, leggermente spazientito venne seriamente tentato di ordinare ad entrambi i suoi compagni di squadra di accettare ciò che il loro team leader stava loro offrendo. Tuttavia, il suo buon senso gli suggerì che quella sarebbe stata una mossa molto poco saggia, considerate le circostanze, per cui optò per la verità, semplice e chiara.
"Me lo ha chiesto Beast Boy ... ha detto che era necessario perché capiste qualcosa.... Che cosa, esattamente, non lo so proprio."
A quelle parole, Cyborg e Raven ebbero un attimo di sbandamento: Beast Boy aveva chiesto a Robin di preparare un panino, un panino con la carne, per Cyborg?!? La situazione doveva essere davvero seria... 
Esitanti, con le mani tremanti da parte di lei e il sopracciglio aggrottato da parte di lui, i due esausti Titans finalmente si concessero quella fugace distrazione culinaria.
Mentre le lor bocche erano impegnate, i loro occhi dardeggiavano ripetutamente, incrociandosi per pochi fugaci secondi; in essi, vi era un miscuglio caotico di emozioni diverse, che si agitavano come i flutti di un oceano in tempseta: rabbia, sfiducia, tristezza, odio, apprensione, e molte altre... inclusa anche la colpa, per fortuna. 
D'un tratto, alle orecchie dei giovani giunse il familiare sibilo delle porte scorrevoli che si aprivano. Voltandosi, videro che Beast Boy aveva fatto ritorno, portando sottobraccio uno strano cubo di metallo bianco.
Senza una parola, il ragazzo verde tornò a posizionarsi dinanzi al divano, tenendo tra le mani il suo misterioso carico.
Incuriositi malgrado tutto, i quattro ragazzi osservarono l'oggetto; si trattava di una sorta di contenitore cubico, poco più piccolo di una scatola per le scarpe, con gli angoli smussati, dipinti di nero; al centro, a caratteri neri, vi era un logo: una D e una P incrociate, racchiuse in un cerchio. 
Il simbolo della Doom Patrol.
Poco sotto lo stemma della leggendaria squadra vi era una piccola protuberanza a forma di cupola, dal diametro di dieci cm. L'ex Patroller fissò per alcuni istanti il simbolo del suo team originario, mormorando qualcosa tra se e se. Poi, rivolse le sue attenzioni al suo attuale gruppo.
" Poco fa, Raven, hai detto che le mie parole erano solo frutto di supposizioni e modi di dire, giusto? Che non avevo la minima idea di cosa io stessi parlando, e che quindi non c'era motivo per te di darmi ascolto... è così, giusto?" domandò all'empate Garfield, senza alcuna aggressività nella voce. 
Raven lo fissò, leggermente in imbarazzo; sembrava aver perso la forza di tenere su la sua facciata di imperscrutabile fanciulla del mistero.
" Beast Boy, io non volevo..." ma fu rapidamente interrotta.
"No, non preoccuparti, Raven, non mi sono offeso. Nel modo più assoluto.
La tua è un'obbiezione valida, in fondo: 'perché dare retta a uno che non sa di cosa parla?'. Lo capisco perfettamente. Ma dimmi la verità, per favore: credi davvero a ciò che hai detto poco fa?" 
Nella sua voce non vi era alcuna traccia della freddezza di prima, ma neppure di ira o frustrazione; pur restando serio, il mutaforma aveva nel suo tono una strana dolcezza, che invitava l'amica ad abbandonare ogni timore ed esprimersi liberamente.
Esitante, Raven tornò a guardarlo per qualche secondo, per poi limitarsi ad annuire, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sul pavimento.
"Molto bene, apprezzo la sincerità. E tu, Victor? Anche tu condividi l'opinione di Raven?"
"B, senti, io..."
"Garfield."
"Come?" domandò Cyborg, confuso.
"Chiamami Garfield. Quello è il mio vero nome, puoi usarlo. Come io sto usando il tuo e quello di Raven.
 Non siamo bambini, e non ha senso chiamarci l'un l'altro con i nomi che usiamo davanti alle telecamere o in battaglia.
Almeno, non in una situazione come questa.
 Ai miei occhi, voi siete la mia famiglia, così come lo sono i membri della Doom Patrol. A parte te, Robin, nessuno di noi è davvero in grado di tenere una identità segreta. Per cui, chiamatemi pure Garfield, tutti voi... e perché no, Gar, se preferite." 
Mentre parlava, sulle labbra un piccolo sorriso andava formandosi; pur rivaleggiando con i sorrisi di Raven, in quanto a dimensioni infinitesimali, quel semplice gesto fu forse la cosa più rassicurante che il giovane potesse compiere: assieme al suo discorso, era la prova che, malgrado la situazione (totalmente fuori dagli schemi consueti in cui i cinque avevano vissuto  per due anni sotto quel tetto), in fondo al cuore Beast Boy restava sempre lo stesso: una persona gentile e premurosa, disposta a tutto, pur di portare gioia e speranza alle persone amate.
Suo malgrado commosso, Victor si limitò a ricambiare il sorriso dell' amico, per poi dire semplicemente " Beh, B- cioé, Gar, per quanto ora non possa dire di andare d'amore e d'accordo con... lei... neanche io posso dire che le tue parole mi siano un gran che di conforto, in questo momento."
Garfield ascoltò in silenzio, senza far trasparire alcun segno di offesa o impazienza, limitandosi a tenere gli occhi fissi sul misterioso contenitore, la fronte lievemente corrugata.
"E se non fosse così?" chiese il ragazzo zannuto, senza alzare lo sguardo.
"Come?" replicò Victor, interdetto.
"E se potessi provarvi, qui e subito, prove alla mano, che quanto ho detto poco fa è la pura e semplice verità?" 
Senza attendere risposta, Garfield si diresse verso il tavolo della cucina, dove lo attendeva il PC di Robin, come richiesto. Dopo aver riposto sul piano di metallo l'oggetto, il ragazzo alzò le braccia, rimuovendo i suoi guanti, mettendo in mostra le sue verdi mani, munite di piccoli artigli smussati.
Poi, il mutaforma appoggiò tutte le dita sui lati del cubo di metallo. Sul principio, non accadde nulla. Poi, senza preavviso, i bordi neri e il logo iniziarono a brillare di luce blu. 
Prima che i Titans potessero riprendersi dalla sorpresa, si udì uno scatto metallico, seguito dall'apertura della cupoletta . Dal piccolo contenitore emerse, fluttuando, una sfera metallica, delle dimensioni di una pallina da golf, di colore rosso. 
Quest'ultima si limitò a svolazzare attorno a Beast Boy per qualche secondo, prima di proiettare a sua volta un ampio fascio di luce blu, dirigendolo interamente verso il teenager; questi, per parte sua, rimase perfettamente immobile per tutto il tempo, come se per lui fosse un cosa naturale. Terminate le su analisi, la sfera ritornò nel vano, che si richiuse.
"Identificazione confermata- Logan G. M.- Patroller 006J/1. Accesso consentito" disse una voce di donna, proveniente dal congegno, che smise di brillare.
Stavolta ad udirsi fu un sibilo, seguito dal sollevarsi del lato recante il logo, che scivolò all'indietro lungo una facciata adiacente.
Beast Boy infilò le mani in quella strana scatola, per poi estrarne... una piccola scatolina rettangolare, di plastica nera, e un libro dalla consunta copertina rossa, recante la scritta " Il mio primo Album".
Inutile a dirsi, i Titans erano sia perplessi che delusi; dopo una tale procedura, che implicava l'utilizzo di tecnologia chiaramente avanzatissima, si erano attesi molto, molto di più!
Se Garfield si accorse o meno della loro reazione, non lo diede a vedere. Dopo aver riposto, con cura assoluta, quasi si trattasse di una preziosa reliquia, il libro logoro su uno sgabello lì accanto, aprì la scatolina.
Trovandosi alle sue spalle ed essendo un detective ( e quindi, curioso per natura),Robin non poté fare a meno di sbirciare il contenuto dell'oggetto: cinque pen-drive verdi, di forma e colore identici, ma contrassegnati ciascuno da un numero, da 0 a 4.
Garfield afferrò senza indugio la numero 3, richiuse la scatolina e la ripose nel cubo.
Una volta collegata la pen-drive al PC, Beast Boy digitò alcuni istanti sulla tastiera. Mentre le sue dita correvano sui pulsanti, il ragazzo si rivolse ai suoi amici, in tono cortese ma distintamente nervoso.
" Ciò che sto facendo potrebbe mettermi nei guai con la Doom Patrol, e con buona ragione anche! Ma è necessario, affinché capiate che non siete così malmessi come credete, ragazzi. Ed ooora... su il sipario!"   
Sull'enorme schermo principale della sala comune, miracolosamente sopravvissuto alla furia di Raven, apparve l'immagine di un uomo. Si trattava di un individuo alto, dai corti capelli castani e gli occhi neri. Osservando il suo fisico, poderoso ed atletico, era chiaro che doveva trattarsi di uno sportivo. Indossava una attrezzatura  da paracadutista blu, e teneva sottobraccio un casco bianco con ai lati disegnate delle ossa rotte. Impressa sul viso, un'espressione spavalda e sicura, tipica di chi si  reputa imbattibile... di chi ritiene che nessuna sfida sia mai troppo grande.
Le immagini mostravano numerosi ritagli di giornale, tutti dedicati alle grandi imprese di Clifford Steele: 
la scalata dell'Himalaya in solitaria;
 bunjee-jumping dalla cima dell' Empire State Building; 
motocross attraverso il Grand Canyon... e  molte altre ancora. 
Ciascuna era più folle, rischiosa, sconsiderata e straordinaria della precedente.
"Clifford Steele era uno spericolato: fin dall'età di 20 anni, la sua passione sono stati gli sport estremi: freestile motocross, paracuditismo, free-climbing, bungee jumping, rafting... Citatene uno, uno a caso, e state pur certi che, almeno una decina di volte, lui vi ha preso parte." spiegò l'ex-Patroller, la voce stranamente malinconica, come  se quello, per lui, fosse un argomento doloroso. " Comprese le corse automobilistiche..."
Pigiando un bottone, Beast Boy passò all' immagine successiva.
Stavolta, sul monitor apparve l'immagine del ritaglio di un giornale sportivo vecchio di circa 16 anni, stando alla data riportata; si trattava dell'annuncio di una famosa corsa automobilistica, la Indianapolis 500 Miglia, con tanto dell'elenco dei partecipanti.
Evidenziato con un pennarello giallo, vi era il nome di Clifford Steele
"Nel corso di quella gara, la Indianapolis, Steele era largamente in vantaggio, sopratutto grazie al suo stile di guida folle. Avrebbe sicuramente vinto se..." e qui esitò, alzando gli occhi e fissando per un attimo ancora i suoi amici, come se nutrisse dubbi sul continuare; poi, vedendo nuovamente la stanza distrutta, parve rammentare il perché di tutto. La determinazione riapparve, più forte che mai, e il ragazzo zannuto riprese a parlare. 
"..se non fosse stato per una grossa chiazza d'olio, dovuta ad un precedente incidente, su cui andò ad imbattersi con la sua auto, mentre affrontava l'ennesima curva, a quasi 280 km/h."
Tutti rimasero muti, inorriditi all' udire quel tragico racconto e insicuri su dove andasse a parare tutto quel discorso.
" L'incidente fu, per dirla in parole povere, spaventoso; Steele si schiantò, assieme alla sua auto, contro un muro del percorso e, dopo averlo attraversato, su quello sottostante le tribune. Prima che potessero intervenire i soccorsi, il carburatore prese fuoco e poi... 
Beh, quando lo tirarono fuori dai resti della macchina... diciamo solo che non  tirarono fuori molto di lui."
Momenti di inorridito silenzio seguirono quella affermazione. Pur senza chiederlo, Beast Boy sapeva per certo cosa gli altri stavano tentando di fare: impedire alla propria immaginazione di dare forma a quelle terribili immagini.
In circostanze comuni, Garfield si sarebbe più che volentieri fermato lì, per tanti, tantissimi motivi... ma non stavolta.
No, in quell'occasione, Garfield Logan sapeva perfettamente che, da quel discorso, poteva dipendere non solo il destino della sua squadra, ma della sua famiglia come la conosceva. Per cui, senza ulteriori esitazioni, decise di proseguire.
Stavolta, sullo schermo vi era l'immagine di un uomo biondo, dalla fronte alta e gli occhi castani, seduto all'interno di quello che, chiaramente, era l'abitacolo di un aereo. Mentre con la mano sinistra stringeva la cloche, con la destra rivolgeva alla macchina un gesto di saluto. Aveva lo sguardo arguto e penetrante, simile a quello di un rapace, ed un sorriso mite. Era praticamente l'opposto dell'uomo precedente.
"Lawrence Michael Trainor era un pilota collaudatore, uno maledettamente bravo. Nel corso della sua carriera ha guidato almeno un centinaio di prototipi di jet diversi, in qualunque condizione meteorologica e a qualsiasi altitudine: aerei di linea, caccia militari, elicotteri... e chi più ne ha, più ne metta.
Ogni missione che gli veniva affidata, Trainor la portava a termine senza errori... nelle sue mani, il danno peggiore che un prototipo abbia mai riportato fu un piccolo graffio alla vernice... dopo aver attraversato un temporale.
La sua abilità venne presto notata dalla United States Air Force, che lo assunse per affidargli il collaudo del loro ultimo veicolo: il K2-F, destinato ai voli nello spazio.
Pochi mesi di addestramento, e Trainor era pronto alla missione. Tutto andò perfettamente... per i primi venti minuti di viaggio. Poi, senza alcun preavviso, di fronte all'aereo apparve una grossa nube, di colore nero... composta di un' energia sconosciuta. 
Malgrado il suo talento e la sua esperienza, Trainor non si era mai trovato in una situazione simile. Tentò con ogni mezzo di evitare la collisione ma, stando alle sue parole, quella cosa sembrava venirgli addosso intenzionalmente... come se fosse viva!
Nessuno, neanche tra i migliori cervelli della NASA, ha mai saputo determinare con esattezza di che tipo di energia si trattasse, e neppure nessuno è mai stato in grado di quantificarla. Fatto sta che attraversò le pareti del K2-F, progettate per resistere alle radiazioni solari libere, come se neanche ci fossero. Trainor ne venne investito in pieno, e perse conoscenza. Tutta la strumentazione andò in avaria e, se non fosse stato per la forza d'attrazione della Terra, sia pilota che veicolo starebbero ancora vagando nello spazio, anziché  precipitare nell'Oceano Atlantico."
A quel punto gli ascoltatori di Beast Boy, che più di una volta si erano trovati sull'orlo della morte a causa di incidenti  e battaglie ad alta quota, non poterono fare a meno di provare un forte sentimento di pena per quell'uomo, oltre ad un leggero brivido lungo la schiena, rivivendo mentalmente alcuni di quei momenti. 
"Trainor riprese conoscenza giusto in tempo per attivare il sistema di espulsione del passeggero, che per fortuna non funzionava tramite motori elettrici e computer, e potè mettersi in salvo... ma per lui, quella fu la fine della sua vecchia vita... e l'inizio di un incubo.
Nessuno capì come, ma quell'energia nera si era stabilita interamente dentro il corpo di Trainor, e non vi fu verso di farla sloggiare. Era talmente forte che la sua pelle, filtrandola, divenne invisibile, rivelando... beh, in parole povere, ogni cosa sotto di essa!"
A quel punto,Beast Boy non fu capace di reprimere un brivido, come se il solo pensiero di quella scena fosse troppo raccapricciante per lui da sopportare. Una rapida occhiata alle facce dei suoi amici gli confermò che, a differenti livelli, tutti loro condividevano i suoi sentimenti, al riguardo. 
 "Sappiate, comunque, che non vi ho raccontato queste storie per spaventarvi o farvi venire gli incubi stanotte, ma perché-"
"Senti, Gar, abbiamo afferrato il punto, ok?" lo interruppe Victor, portandosi stancamente la mano alla faccia. "Noi stiamo qui a lamentarci di come le cose ci sono andate male, quando dovremmo essere grati che almeno siamo vivi e in salute... per così dire... mentre la vita di queste persone è stata stroncata così tragicamente, però-"
"Non sono morti." lo interruppe Garfield, la voce priva di emozioni.
"- non è così sempl-... No, aspetta un attimo: come sarebbe a dire, 'non sono morti.' ?!" esclamò sbigottito Cyborg, alzando di scatto la testa, non appena il senso delle parole del suo migliore amico gli giunse al cervello. 
Fissò ancora una volta quel volto color erba, la bocca che si apriva e chiudeva, senza che un suono coerente ne uscisse. Poi, ripreso il controllo delle sue capacità oratorie, disse " Tu... tu mi stai prendendo in giro, vero B? Questa è solo una delle tue battute più tetre, vero? Perchè non è possibile- non esiste possibilità che quello che hai appena detto corrisponda al vero, B!!!"
Quasi a cercare conferma delle sue parole, Victor si volse verso gli altri Titans, inclusa Raven, come se si aspettasse di vederli tirare fuori un enorme striscione con su scritto 'Sei Su Candid Camera, Cyborg!'.
Inutile a dirsi, tutto quello che trovò sui loro visi fu un'identica sorpresa, mista ad incredulità ed orrore assoluti.; neppure Raven e Robin, maestri nell'arte di celare le proprie emozioni, poterono nascondere ciò che stavano provando, dopo quest'ultima traumatica rivelazione.
"No, è la pura e semplice verità: né Clifford Steele, né Lawrence Trainor sono morti in quegli incidenti." confermò Gar in tono stanco, tenendo gli occhi chiusi e la fronte bassa.
"Ma-ma-ma... come diavolo è possibile?!! Uno deve essersi ritrovato, come minimo, con ustioni di terzo grado su tutto il corpo, organi distrutti ed ogni osso spezzato... l'altro si è fatto una scorta di radiazioni tale da fare invidia ad un reattore nucleare...come diavolo possono essere sopravvissuti?!?" 
"Non solo sono ancora vivi, ma sono due tra i miei amici di più vecchia data. Difatti, li conoscete anche voi."
A quella affermazione, tutti e quattro rimasero assolutamente interdetti, le facce in preda ad una confusione assoluta.
"Cosa?!" mormorarono all'unisono, in maniera quasi comica, i giovani eroi.
"Li conoscete, li avete incontrati... abbiamo persino combattuto al loro fianco, in passato.".
A sentire quest'ultima affermazione, tutti gli altri Titans rimasero, per trentacinque interminabili secondi, nel più assoluto silenzio, cercando di dare un senso a quello che avevano udito. 
Poi, una sorta di gridolino, inorridito e soffocato, li destò dall'incantesimo.
Quattro teste si volsero in direzione del rumore, e subito ne individuarono la fonte; davanti ad essi, Starfire era scattata in piedi, tenendo le mani davanti alla bocca, gli occhi di  giada spalancati, colmi di comprensione ed angoscia, fissi sul contenitore bianco e nero portato dal suo amico poco prima.
"Vedo che hai capito, Stella..." mormorò il trasformista, tenendo gli occhi bassi.
"N-No... non può essere... loro... loro sono..." sussurrò la fanciulla spaziale,  mentre dai suoi occhi cominciavano a scendere lacrime silenziose.
Seriamente preoccupato, Robin corse dalla sua ragazza, afferrandola per le spalle e facendola voltare gentilmente verso di lui.
"Stella, che succede? Cosa c'è che non va?"
"Oh, Robin... è terribile! Quelle due povere persone, l-loro sono..." ma non riuscì a finire, poiché la commozione ebbe la meglio su di lei; prima che lui potesse evitarlo, la principessa abbrancò il suo fidanzato in un abbraccio spezzaossa, per poi cominciare a singhiozzare senza freno sulla sua spalla destra.
"S-S-Stella, non respiro!" esalò il Ragazzo Meraviglia, mentre l'aria veniva strizzata fuori dai suoi polmoni.
"Oh, scusami Robin..." disse la principessa, rilasciando all'istante il suo amato. "Mi dispiace tanto..." asserrì, mentre nuove lacrime le rigavano il bellissimo viso.
"N-No, Stella, è tutto ok!" la rassicurò il Ragazzo Mascherato, massaggiandosi il torace. Vedendo che le sue parole non sortivano l'effetto sperato, Robin decise di arrivare dritto al punto.
"Stella, qual è il problema? Perché stai piangendo? Dimmelo, ti prego... cosa c'è di così terribile?" chiese il giovane detective, con quanta più gentilezza gli fosse possibile; gli spezzava il cuore (e le costole) vederla soffrire, ma arrivati a quel punto, la sua curiosità aveva raggiunto l'apice.
"Ha semplicemente capito, Robin, che Clifford Steele e Lawrence Trainor" intervenne finalmente Beast Boy, decidendo di porre fine al mistero ed all'incomprensione generale " non sono altri se non i miei vecchi compagni della Doom Patrol, Cliff e Larry... ma voi li ricordate, con tutta probabilità, per i loro 'nomi d'arte': Robot Man e Negative Man."
Ancora una volta, un pesante silenzio, rotto solo dai singhiozzi della ragazza dai capelli rossi, aleggiò nella devastata sala comune di Torre Titan. 
Solo, stavolta non si trattava di un silenzio attonito o incredulo, generato dallo svolgersi di una scena inconsueta; no, stavolta, a prendere forma di fronte ai verdi occhi di Gar Logan, era un autentico, genuino, inconfondibile silenzio inorridito, generato da una improvvisa quanto indesiderata consapevolezza: la consapevolezza che, al mondo, non sembra mai esserci fine al dolore e alla tragedia.
Prima che qualcuno dei suoi amici potesse tempestarlo con le innumerevoli domande che, stando ai loro occhi, stavano chiaramente affollandosi nelle loro menti, Gar si fece forza, per l'ennesima volta quel giorno, e decise di concludere la sua storia.
"Non so dirti come Cliff sia potuto sopravvivere a quello schianto, Vic, ma su una cosa avevi ragione: quando lo estrassero da quei rottami, fu chiaro fin da subito che la sua carriera di spericolato, così come la sua vita di tutti i giorni, era giunta al capolinea.
Come tu stesso hai osservato quando lo riparasti, l'unica parte biologica di Robot Man è il suo cervello; infatti, di tutto il corpo di Cliff, l'unica parte che miracolosamente uscì indenne da quell'incidente fu proprio il cervello. 
I dottori dissero che, vista l'entità e l'estensione dei danni riportati, tutto quello che restava da vivere a Cliff (e non era molto tempo, ovviamente) era una vita di agonia, intrappolato in un corpo paralizzato, e che non c'era nulla che potessero fare per lui.
Non posso rivelarvi di chi si trattava, ma una persona la pensava diversamente. Fu lui a proporre un'alternativa a Cliff, una seconda scelta... quella persona (che per la cronaca era un genio assoluto!) si occupò non solo dell'operazione di 'estrazione', ma anche della costruzione del corpo meccanico di Robot Man, nonché dell'inserimento del cervello in quel corpo."
"Per quanto riguarda Larry, lui avrebbe dovuto passare tutta la sua vita dietro ad una schermatura di piombo, considerato il livello di radioattività proveniente dal suo corpo... Stando a quello che i medici affermavano, ad una persona normale sarebbero bastati pochi minuti di esposizione diretta a quelle radiazioni, per ritrovarsi con qualche forma di tumore maligno... L'unica soluzione possibile, per i dottori dell'epoca, era 'contenere la fonte di quelle radiazioni'... ossia, rinchiudere Larry da qualche parte, in una cella con i muri trasparenti sotto terra, e poi buttare la chiave.
Probabilmente, oggi Larry sarebbe ancora in quella base militare, a condurre (come direbbe lui) 'l'eccitante, spumeggiante ed impagabile vita del pesce nell'acquario', se una certa persona non avesse avuto qualcosa da dire.
Quella stessa persona, circa otto mesi prima, aveva eseguito, con inaspettato successo, una fantascientifica operazione di trapianto del cervello, e decise di prestare il suo aiuto, estremamente prezioso, anche alla 'Radiografia Ambulante', come i 'simpatici' giornalisti dell'epoca definirono Trainor.
Detto-fatto, quella persona inventò un particolare tessuto, elastico e resistente, in grado di contenere quelle misteriose radiazioni, permettendo così a Larry di lasciare la sua bolla... a patto che, salvo particolari eccezioni, Larry non andasse mai in giro senza.". 
Finita quest'ultima spiegazione, Beast Boy disattivò lo schermo, disinserì la pen-drive dal computer di Robin, la ripose nella scatola e, senza una parola, si avvicinò ai Cyborg e Raven, tenendo gli occhi bassi.
"Dimmi Vic, ti è piaciuto quel panino, vero?" chiese con calma il mutaforma al cibernetico eroe, senza alcuna traccia di sarcasmo nella voce.
Cyborg alzò lo sguardo, intuendo dove il suo amico voleva andare a parare, e rispose soltanto "Si.".
"Bene, perché questo indica quanto realmente tu sia fortunato; tu puoi ancora ascoltare con il tuo orecchio, vedere con il tuo occhio,respirare con i tuoi polmoni, sentire il vento o il sole sulla pelle della tua faccia, assaporare  il cibo con la tua bocca... vivere il mondo attraverso i tuoi veri sensi. Invece, tutto quello che resta di Cliff è rinchiuso dentro un guscio di metallo, e potrà sentire il mondo solo e sempre attraverso dei sensi artificiali, che lo voglia o meno... 
Prova a pensarci, come ti saresti sentito se, un paio d'anni fa, in quella discarica, quella specie di Frankenstein meccanico, Fixit, ti avesse reso per davvero una macchina completa?"
Senza attendere una risposta, Beast Boy si voltò verso Raven, allungò le mani e prese la tazza dalle mani pallide della maga, assicurandosi di toccare, con le sue grosse dita prive di guanti, quelle molto più sottili ed affusolate di lei. 
"Raven, dimmi, la tua tisana era buona?"
La ragazza non potè evitare di distogliere lo sguardo, sentendosi d'un tratto incredibilmente sciocca ed infantile, al pensiero di cosa era traspirato pochi minuti prima... della lite che aveva rischiato di portarle via non solo la sua casa, ma anche e sopratutto l'amicizia e la stima delle uniche persone che, ai suoi occhi, rappresentavano oramai il suo intero mondo.
Ciononostante, si costrinse a rispondere, in un flebile ma chiaro sussurro.
 "Si, era molto buona." 
Senza altre domande, il ragazzo si voltò, portando la stoviglia con sé, per poi riporla ne lavandino, accanto ai cocci di alcuni piatti distrutti.  
"Raven, i tuoi poteri sono un bel problema, lo ammetto: non ti è permesso esprimere molte delle tue emozioni, e devi meditare di continuo per mantenerne il controllo... ma almeno, tu possiedi un qualche tipo di controllo! 
Larry invece no! 
Il suo corpo emette, in ogni singolo istante della giornata, una radiazione pericolosa e mortale, che lo obbliga a nascondersi dietro a delle bende...  
Stando a quello che hai detto,tu non dovresti essere in grado di avere una relazione sentimentale... eppure, chissà, potresti anche trovare un modo per riuscirci, andando avanti negli anni... 
Ma per Larry è diverso: se mai provasse a toccare una donna, o qualunque altra forma di vita, questa sarebbe condannata a morire di una morte orribile. Tu almeno hai la libertà di goderti una buona tazza di the e riporre poi la tua tazza nel lavandino, o anche di dimenticarla da qualche parte in giro, senza preoccuparti di avvelenare chiunque venga a contatto con quella tazza."
Dopo aver afferrato l'album dallo sgabello, Beast Boy tornò dai suoi interlocutori. Aprendo il libro, ne sfogliò le pagine, una ad una, con lo sguardo assorto. Una volta trovato ciò che cercava, sfilò con estrema delicatezza due fotografie diverse, e le porse ai due, tenendole in punta d'artigli. 
"Voglio che prendiate queste foto, che le conserviate. Le ho scattate anni fa, nei miei primi giorni da Patroller. Ci tengo molto, è vero, ma tengo di più a voi. Non è facile separarmene, per me, ma ve le regalo con piacere, se mi prometterete una cosa."
"Quale?" chiesero timidamente Raven e Cyborg.
"Che, se mai un giorno pensieri come quelli di poco fa torneranno ad assillarvi, ripenserete a stasera, a quello che è successo qui dentro, a quello che vi siete detti, e a quello che vi ho rivelato... e poi, che guarderete subito queste foto, e direte a voi stessi che, non solo esiste chi sta molto peggio di voi, ma che queste persone devono convivere con questi problemi ogni-singolo-giorno della loro vita... e lo fanno di continuo, trovando in quel dolore la forza di essere persone migliori ed eroi straordinari.".
E i due, profondamente commossi, accettarono l'offerta.

Dopo quella sera, ormai lontana nel tempo, ma per sempre impressa nell'animo di ogniuno dei giovani eroi, molte cose cambiarono, a Torre Titan, anche se nessuno dei suoi occupanti volle parlarne apertamente:
Cyborg, o meglio, Victor, vedendo che la sua sorte non era amara quanto credeva, iniziò a trascorrere più tempo fuori dalla Torre e dal garage, godendosi il più possible le giornate, pur senza eccedere come in passato.
Certo, il suo restava un destino ingrato, e i ricordi del giorno del suo 'cambiamento' non potevano cessare di tormentarlo, almeno non durante le sue sedute di riparazione... ma ora capiva che, pur essendo poche, le sue parti biologiche esistevano ancora e, per questo, valeva la pena passare attraverso quel rituale macabro, teso a tenerlo in vita.
Poiché adesso aveva capito che, per quanto difficile e piena di difficoltà, la sua era davvero una bella vita.
Per quanto riguardava Robin e Starfire, la loro relazione sembrò risbocciare. L'aver scoperto, da una fonte assolutamente inaspettata, la storia delle 'origini segrete' di due eroi veterani, tanto tragiche e sconvolgenti, parve aver inculcato in loro il timore del domani. Come più volte detto, il loro futuro era incerto, ben più di molti loro coetanei; benché lo sperassero con tutto il cuore, nessuno di loro poteva essere certo che quei momenti di felicità e amore sarebbero durati. A giudicare da ciò che era avvenuto a Steele  e Trainor, due persone normali, ogni istante poteva essere l'ultimo, e il destino beffardo poteva sempre riservare loro amare sorprese... Quindi, di comune e tacito accordo, i due scelsero di rendere ogni istante insieme quanto più speciale ed indimenticabile possibile.
Tuttavia fu Raven a subire i maggiori cambiamenti; benché non lo esternasse a parole era chiaro che la sua visione del mondo e del futuro aveva subito un drastico cambiamento. Anche se era triste ammetterlo, la conoscenza che, a quel mondo, vi fosse qualcuno che poteva vantare un dolore paragonabile, e forse perfino superiore al suo, l'aveva profondamente scossa. Pur conservando il suo proverbiale sarcasmo, le sue parole ora avevano  una nota decisamente meno velenosa, lasciando intendere che erano solo tali; semplici parole, e non armi, tese a ferire e mortificare il prossimo... almeno, non i suoi amici.
Ma il cambiamento principale, nell'atteggiamento della mezzosangue, fu il fatto che, perlomeno all'interno della Torre, ella rinunciò a nascondere il suo avvenente volto dietro all'ombra del cappuccio. Nessuno seppe mai esattamente il motivo; correva voce, tra Cyborg, Robin e Starfire  che, a seguito di quella fatale sera, Beast Boy e Raven si fossero incontrati, qualche ora più tardi, sul tetto dell'edificio, e che sotto il cielo estivo avessero avuto un'ulteriore conversazione a cuore aperto.
Quale che fosse il motivo, una cosa era chiara: non poter esprimere appieno i suoi sentimenti, per la giovane donna dalla fronte ingioiellata, era ancora una tortura... ma l'idea di non poter mai più neanche toccare il mondo circostante, ovviamente, era mille volte peggio. 
Pertanto, sembrava essersi concessa almeno tale libertà, che a Larry Trainor era stata negata, ossia mostrare il proprio volto al mondo.
Beast Boy non parve cambiare affatto: sempre iperattivo, sempre infantile, sempre il solito burlone. Era quasi come se, una volta portata a termine l'ardua missione di riappacificare i rapporti tra i suoi amici, ora volesse accantonare nuovamente quella parte di se stesso, di cui nessuno dei Titans aveva mai saputo nulla. Pur non riuscendovi appieno, gli altri capirono che qualcosa di doloroso impediva al ragazzo verde di esprimere quel lato costantemente, e decisero di rispettare la sua scelta, nell'attesa che fosse Gar in persona a scegliere il momento appropriato per aprirsi appieno. 
A questo pensavano, Raven e Cyborg, in una fredda mattina d'inverno, mentre i ricordi  di quella serata fatale scorrevano nelle loro menti, e i loro occhi si posavano su quelle foto, regalo di un amico che, con un gesto tanto semplice, aveva aiutato entrambi a guardare dentro se stessi, per scoprire che, nella loro superficialità, avevano dato molte, troppe cose per scontate... Non avevano capito che la vita scorre come un fiume, seguendo sentieri tortuosi e continue svolte, non sempre facili o gradevoli. Eppure per quanto essa appaia crudele, la vera crudeltà sta nel crogiolarsi nel dolore e nella disperazione, per poi usarli come giustificazioni davanti al mondo per ogni sbaglio compiuto, arrivando a reputarsi esseri completi ed onniscienti e, pertanto, aldilà di ogni giudizio.
Quella sera, Raven e Cyborg avevano compiuto questo madornale errore. 
E due foto, scattate da un ragazzino di soli 11 anni, avevano fatto aprire loro gli occhi.

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Capitolo 19
*** L'inizio dell'Oscurità ***


NdA
Una sola parola: perdono.
Perdonate la mia prolungata assenza, il mio procrastinare e le mie promesse non mantenute, se potete.
Sappiate solo che l'Eremita Grigio non ha rinunciato a questa storia, ne alle altre che ha in serbo. Ma la vita non va come vogliamo noi, purtroppo... segue percorsi suoi, arbitrari, e a noi non resta altro da fare che adeguarci.
Questo capitolo non mi ha effettivamente preso molto... non quanto ha fatto il resto della storia, che sta iniziando adesso. Questa è solo un'introduzione a ciò che sta per succedere, ve lo garantisco. Vi prego di dirmi cosa ne pensate, e se giudicate che io stia sbagliando in qualcosa, qualunque cosa, fatemelo sapere, per favore.
Ed ora, dopo tanto tempo,su il sipario!


L’oscurità.
Molte persone tendono a temerla istintivamente, soprattutto nell’età dell’innocenza, quando i compagni più fedeli ed inseparabili sono l’ingenuità e l’inconsapevolezza.
Poiché in essa  tutto può nascondersi.
Tanti bambini temono, quando la notte arriva e le luci vengono spente, che la calda protezione che la luce aveva fino a quel momento fornito loro si sia dissolta.
I più innocui scricchiolii divengono, nelle menti inquiete dei più impressionabili, i segnali di sinistri e furtivi movimenti, compiuti da creature misteriose, occultatesi negli angoli più remoti ed oscuri delle stanze, attendendo il momento propizio per abbandonare i loro nascondigli.
Con il passare degli anni, la semplicità e l’innocenza infantili cedono il posto  allo scetticismo ed alla sicurezza degli adulti, derivanti dalle esperienze personali... o meglio, dalla mancanza di esperienze.
Sebbene col trascorrere degli anni la conoscenza aumenti, in un modo o nell’altro, ciò non corrisponde necessariamente al vero per la saggezza.
Molte sono infatti quelle persone che, nel corso delle loro vite, non vengono mai in contatto con realtà complicate, oltre la loro capacità di comprensione ed accettazione. Di rado i loro ideali e le loro convinzioni si ritrovano ad essere messe alla prova, in situazioni inattese ed indesiderate, capaci di scuotere fino alle  fondamenta le loro menti e le loro immaginazioni, spesso limitate e chiuse. Essi arrivano dunque a cullarsi in un senso di sicurezza effimera, paragonabile a quello di un luccio nella sua laguna, che nulla sa ne immagina della vastità sconfinata dell’oceano, e pertanto arriva a reputarsi il più temibile e possente dei predatori acquatici.
Ciò li spinge a convincersi che, non avendo mai avuto alcuna prova dell’esistenza degli oggetti delle loro antiche paure, esse non siano mai state altro che frutto di pura e semplice immaginazione.
Molto spesso ciò corrisponde al vero… ma non sempre.
Nelle oscure viscere della Terra, così come nei profondi e silenti abissi cosmici, molte storie si sono susseguite, nel corso degli eoni. 
Esseri straordinari, la cui sola esistenza risulterebbe inspiegabile anche alla mente più evoluta della Terra, sono esistiti nell’Universo: esseri potenti oltre ogni immaginazione.  
Talvolta si è trattato di entità dalla natura benigna e caritatevole, tesa a portare prosperità e gioia sugli altri mondi ed alle molteplici forme di vita, incontrate lungo la propria esistenza, senza nulla chiedere come ricompensa.
Talvolta invece,  mostruosità senza nome, o il cui nome è andato perduto nel susseguirsi delle generazioni, troppo spaventate per osare pronunciarlo ancora una volta, avevano seminato morte e distruzione, senza alcuna logica ragione tranne quella di appagare i loro desideri, che si trattasse di rabbia, desiderio di conquista o, semplicemente, puro e semplice capriccio.
Ma ciò che più dovrebbe dare motivo di riflessione non sono le gesta di tali creature, di cui molte hanno cessato di esistere,  oppure hanno fatto perdere traccia di sé ; ciò che più di tutto dovrebbe impensierire le genti tutte, su qualunque mondo, è che simili entità hanno avuto un’origine.
Prima che le loro storie e i loro nomi ed appellativi divenissero leggenda infatti, essi rientravano nel numero sconfinato delle creature ignote, il cui nome e volto non suscitavano la minima emozione.
Come una leggenda deve prima o poi conoscere la sua fine, essa ha avuto un inizio, sempre.
Molte razze si sono susseguite, nel lento ed inarrestabile scorrere del tempo, e molti miti da esse sono stati tramandati e dimenticati. 
Tra queste, vi è la razza umana, nativa del piccolo e, in apparenza, trascurabile pianeta verde-azzurro, situato al terzo posto in un sistema solare, nel braccio di una galassia a forma di spirale.
L’umanità, essendo una razza molto giovane, a malapena cosciente di sé stessa e della vastità di ciò che la circonda, di rado si ferma a riflettere su ciò che le accade intorno.
Lo stesso dicasi di ciò che è già avvenuto… e di quello che avverrà.
Mentre il Sole si levava su una città, e contemporaneamente tramontava su un’altra, oltre sette miliardi di individui, tutti differenti, eppure tutti appartenenti alla medesima razza, erano accomunati da una sola caratteristica, un unico ed incontrovertibile dato di fatto: nessuno di essi era consapevole o sospettoso che, prima che ventiquattro ore fossero trascorse, una terribile catena di eventi sarebbe stata messa in moto.
Tale sequenza era parte di uno schema contorto e geniale al medesimo tempo, frutto di una mente machiavellica ed imprevedibile, ben consapevole delle possibili, nefaste conseguenze che le proprie azioni avrebbero comportato: cambiamenti impensabili, caos, distruzione… e tanta, tantissima sofferenza.
Legami sarebbero stati creati dopo questo giorno, altri sarebbero stati infranti;
amicizie ed alleanze sarebbero state messe alla prova, e non tutte sarebbero  sopravvissute;
vecchi nemici si sarebbero incontrati ancora, e ad essi sarebbe stata posta la difficile scelta se incrociare le armi o accantonare le divergenze, nel tentativo di sopravvivere o di proteggere ciò che di più caro ognuno di loro possedeva.
E la causa scatenante di tutto era una sola persona… sempre ammesso che tale appellativo potesse essergli attribuito. Uno strano essere, dagli occhi freddi ed inquietanti, scaturito dalle tenebre dell'odio e della sofferenza, la cui intera vita era votata al conseguimento di un obiettivo… uno solo. 
Lo scopo per il quale le sue strane pupille avevano visto la luce. 
Lo scopo che lo aveva spinto ad andare avanti, giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante, senza mai fermarsi.
Lo scopo che lo aveva spinto a commettere azioni indicibili, sfidando la sorte avversa, affidandosi a forze tra le più arcane e pericolose, senza mai esitare.
Erano occorsi anni, innumerevoli e titanici sforzi, rischi incalcolabili e una volontà adamantina per intraprendere quel sentiero, e ancor di più per seguitare su di esso, senza mai voltarsi indietro.
In questa impresa, egli aveva messo tutto se stesso, anima, corpo  e mente, giungendo al punto di non ritorno. A partire da quel momento, nessun ripensamento era possibile, ogni dubbio poteva risultare fatale, ciascun errore  determinare la sconfitta, totale ed ineluttabile. Pertanto, pensava quell’essere, il cui nome era avvolto dal mistero, non ve ne sarebbe stato alcuno:
nessun ripensamento;
nessun dubbio;
nessun errore.
Nulla e nessuno lo avrebbe ostacolato.
Nulla e nessuno.

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Capitolo 20
*** Il mosaico prende forma... ***


"Buongiorno, un caloroso saluto a tutti i nostri telespettatori. Benvenuti all'edizione delle 10:00 del Manhatthan Daily News. Qui è il vostro Dustin Kneeler. Cominciamo questa puntata con una notizia dell'ultimo minuto: Hanno finalmente avuto inizio oggi, alle ore 9:00, ora locale, le tanto attese trattative tra le Nazioni Unite e il regno, un tempo ritenuto leggendario, di Atlantide. Come molti di voi già sapranno, tale evento era da molto tempo in programma... da ben cinque mesi, in effetti. Stando alle dichiarazioni deglle ultime settimane, rilasciate da Amanda Waller, portavoce ufficiale del Presidente degli USA, lo scopo sarà quello di discutere alcune importanti questioni, sia politico-economiche, sia ambientali.
Voci non confermate accennano addirittura alla possibilità dell'adesione, da parte del Regno Sommerso, alle stesse Nazioni Unite. 
A questa riunione, unica nella storia, ha preso parte quello che può essere definita, senza dubbio alcuno, come il più vasto numero di ambasciatori dei vari paesi membri dell'ONU, provenienti da ogni parte del mondo. Ci è inoltre giunta la notizia, confermata da i nostri inviati sul posto, che della delegazione atlantidiana farebbe parte niente meno che il monarca di Atlantide in persona, Re Orin, meglio noto ai nostri telespettatori con il nome di Aquaman, fino a poco tempo fa membro della Justice League. Come infatti ricorderete, in una recente conferenza stampa  (trasmessa anche su questa stessa rete e più volte discussa nei nostri studi), in vista di questa importantissima conferenza, il sovrano di Atlantide ha annunciato pubblicamente il suo abbandono, fino a tempo indeterminato, dalla celebre squadra di eroi internazionale.
Stando alle sue stesse parole, la sua decisione sarebbe stata presa al solo ed unico scopo di poter dedicare interamente le proprie energie ed attenzioni alla sua importante missione diplomatica. Purtroppo, trattandosi di un evento più unico che raro, alla conferenza è stato imposta la più assoluta riservatezza; di conseguenza, ai nostri inviati, così come a quelli di ogni altra emittente, è stato fatto veto assoluto di assistere al primo dei molti dibattiti previsti, in corso proprio in questo momento.
Sappiate comunque che la nostra emittente vi terrà costantemente informata sugli eventuali sviluppi del caso. 
Passiamo ora alle altre notizie: sembra che nel corso della nottata, alla sede S.T.A.R. Labs di Gotham City, tra le 2:30 e le 3:00 ora locale, sia stato perpetrato un furto, ad opera di ignoti ladri. Apparentemente, alcuni individui, eludendo in qualche modo le rigidissime misure di sicurezza dei celebri e prestigiosi laboratori, avrebbero sottratto alcune apparecchiature tecnologiche sperimentali, la cui funzione non è stata ancora rivelata al pubblico, onde evitare spionaggio industriale. Il professor Emil Hamilton, direttore della struttura, ha voluto tuttavia chiarire che nessuna delle attrezzature sottratte può in alcun modo risultare una minaccia per la pubblica sicurezza. 
Fallimentare, invece, si è dimostrato il tentativo di rapina a mano armata, avvenuto nella città di Jump City, in California, per mano di una banda di nove individui, pesantemente armati e ben attrezzati, a quanto pare, con fucili di grosso calibro, un mezzo blindato, apparecchiature hi-tech e, sopratutto, misteriose sostanze chimiche. I malviventi con abilità e precisione sorprendenti, erano riusciti a piazzare. all'interno dei loro due obiettivi (rispettivamente, il caveau di una banca e una gioielleria antistante) degli ordigni al plastico, esplosi con perfetto sincronismo alle 21:00 ora locale.
I criminali hanno poi rapidamente provveduto alla manbassa di tutti i preziosi contenuti nella gioielleria, del denaro della banca e, in particolare, del prezioso contenuto della cassaforte: oltre una tonnellata di lingotti in platino, depositati tre giorni prima, dal valore complessivo di quasi un miliardo di dollari. Sfruttando alcune tecnologie avanzate, i furfanti si apprestavano alla fuga indisturbati... finché il tempestivo ed efficace intervento della nota squadra di eroi di Jump City, i Teen Titans, non ha posto un brusco freno al crimine. Tutti i malviventi sono stati arrestati, e si trovano in questo momento in attesa di giudizio nel penitenziario di Jump City. In esclusiva, comunque, la nostra emittente è in grado di mostrarvi immagini della cruenta battaglia tra i rapinatori e i giovani eroi della Costa Ovest. Via con il filmato...."
 
Mentre le immagini di quella insolita e spettacolare sfida, avvenuta poche ore prima a migliaia di chilometri, andavano susseguendosi sull'enorme schermo al plasma, posto nel muro di un elegante e sontuoso ufficio dalle pareti in mogano e il mobilio chiaramente costosissimo, situato al ventitreesimo piano di un palazzo di New York, due occhi azzurri, freddi e penetranti come ghiaccio stavano in attenta e silenziosa attesa. Seduto su una comoda poltrona in pelle nera, coi gomiti appoggiati su una lucida e vasta scrivania di legno dal ripiano in marmo, anch'essa nera, vi era un individuo elegantemente vestito con un abito nero; la sola nota di colore nel suo vestiario,una cravatta rossa.
Pur sembrando (ed effettivamente esserlo), un semplice uomo d'affari, costui era, per certi versi, una sorta di entità astratta; come potevano dimostrare la sola stanza in cui si trovava, i numerosi anelli d'oro alle sue dita o la sua sola espressione, dura ed autoritaria, in tanti, tantissimi modi, quest'uomo incarnava il concetto stesso di potere, nelle sue più molteplici forme e sfaccettature.
L'uomo seduto in quella sedia, in quell'ufficio, davanti a quella TV era alto, caucasico, di corporatura media, con lisci capelli neri pettinati all'indietro e baffi e pizzetto accuratamente tagliati; seguiva con estrema attenzione, senza farsi sfuggire il minimo dettaglio,  quelle scene che, a suo parere, avevano per lui un solo, triste, inaccettabile significato: lui, Ishmael Gregor, uno degli uomini più ricchi, potenti e temuti d'America,era stato truffato ...
Non vi era, a suo parere, alcuna altra spiegazione. Mentre il filmato proseguiva, pur conservando esteriormente una calma glaciale, un'ira ribollente lo stava consumando fin nel profondo del suo essere. Perché quella rapina, di cui lui era non solo l'organizzatore e il fornitore economico, ma anche la vittima, avrebbe dovuto avere tutt'altra conclusione: il successo, totale ed inconfutabile.
Ciò che i giornalisti non avevano modo di sapere, infatti, era che il prezioso carico di platino era di sua proprietà.
E lo erano anche gli esplosivi, che avevano fatto tremare le strade, nonché gli ignari e sfortunati passanti e clienti, di Treasure Street, in Jump City.
E, senza volerla gettare troppo sul filosofico, erano di sua proprietà anche i membri della scorta armata che, al momento della consegna, avvenuta tre giorni prima, avevano piazzato in punti strategici le cariche, piccole ma devastanti, di C4, potenziate da alcune piccole fiale di nitroglicerina, approfittando del breve ma decisivo lasso di tempo in cui gli allarmi venivano disinseriti, al fine di consentire al nuovo carico di unirsi al resto dei preziosi nel caveau. E in un certo senso, lo erano anche quei cosiddetti "criminali"...
A quell'ultimo pensiero, Gregor non poté evitare di storcere la bocca, in una smorfia che era al contempo di scherno e di rabbia; 'criminali', quelli?!
Un branco di perfetti idioti, presi dalle più fetide bettole di Gotham e dintorni; un amalgama informe di perfetti imbecilli, a cui era bastato vedersi sventolare sotto il naso qualche centinaio di dollari, qualche bella parola e delle vuote promesse di ricchezza e riscatto sociale, per averli a completa disposizione; un triste teatrino di inutili marionette cenciose, il cui solo scopo era quello di esibirsi su un palco di discutibile prestigio, prima che gli esili fili delle loro futili e banali speranze venissero recisi, una volta che su di loro fosse calato il sipario della realtà.
E la realtà era che, una volta che fossero giunti al punto di incontro, prestabilito tramite terzi, le loro patetiche esistenze di ladruncoli da due soldi sarebbero finite. La polizia li avrebbe per un po cercati, certo, ma poi si sarebbero rassegnati, come spesso accadeva,  e avrebbero seguitato ad occuparsi di qualche altro caso; l'assicurazione avrebbe risarcito il proprietario della sfortunata perdita dei suoi lingotti, con una somma pari al doppio del loro effettivo valore....senza tuttavia sapere che questi ultimi sarebbero tornati, per vie illegali, al loro proprietario; ma sopratutto, Gregor avrebbe dato dimostrazione a tutta la malavita (prima quella statunitense, poi a tutte le altre) delle illimitate potenzialità della prodigiosa sostanza chimica, di cui lui sarebbe stato il solo ed unico produttore: il Nettare di Satana. 
Malgrado la sostanza avesse effetti simili a quelli del celebre Venom, utilizzato da uno dei più acerrimi nemici del Cavaliere Oscuro di Gotham City,
il Nettare era qualcosa di davvero eccezionale: la forza sviluppata, anche a dosaggio minimo, era almeno il triplo di quella che Bane in persona avesse mai raggiunto con il suo ormai superato composto; la resistenza al dolore era immensa, permettendo ai soggetti di sopportare enormi livelli di stress fisico, senza però smettere di seguitare nella lotta. Vi era solo un piccolo effetto collaterale: la ferocia e l'impulsività, nei soggetti su cui era stato testato il misterioso anabolizzante, sembrava aumentare esponenzialmente, mentre la facoltà di raziocinio pareva decrescere di pari passo...
Ma questi erano dettagli insignificanti. Ciò che davvero aveva importanza, agli occhi del cinico ed insensibile uomo d'affari, era che, stando alla sua personale esperienza, non esisteva criminale che non avrebbe voluto avere  a propria disposizione un piccolo gruppo di scagnozzi super-potenziati.
Si, il Nettare era davvero fenomenale, e malgrado i costi notevoli che la sua produzione avrebbero comportato, i guadagni derivati dal suo spaccio sarebbero stati ancor più notevoli, specie se a gestire l'operazione su vasta scala (forse addirittura su scala mondiale!) sarebbe stata la mente calcolatrice  del più temuto trai boss mafiosi della Costa Est degli USA... ma solo se la dimostrazione fosse andata a buon fine!!!
Poiché di questo si era trattato: una semplice dimostrazione pubblicitaria, un test, accuratamente allestito, per dimostrare sulla TV nazionale ai potenziali acquirenti che, sotto l'effetto del Nettare, anche un gruppo di insignificanti rubagalline avrebbe potuto sconfiggere un'intera squadra di supereroi. 
Che fossero ragazzini o adulti, coloro che indossavano una maschera e un costume sgargiante, per Gregor non aveva la minima importanza; essi servivano allo scopo, attraendo l'attenzione dei media.
Per quel che lo riguardava, se fosse stato necessario, avrebbe mandato quel branco di disperati a combattere perfino contro una classe delle elementari, se questo significava ottenere ciò che voleva; purtroppo, questo non sarebbe certo bastato ad impressionare i numerosi malviventi, che si trattasse di teppistelli di strada, capimafia di alto livello o perfino di facoltosi uomini dalle irreprensibili facciate pubbliche in cerca di qualcuno che si sporcasse le mani per loro conto.
Decidendo che questi pensieri non lo stavano portando da nessuna parte, se non verso un inutile e deleterio esaurimento nervoso, Ishmael Gregor scelse di prendere l'iniziativa, andando direttamente alla fonte del problema. Abbandonando la sua posizione contemplativa, il russo raccolse da un cassetto il telecomando del televisore.
Premendo un pulsante, le immagini del notiziario svanirono, ma lo schermo non si spense, mostrando solo una vasta distesa di blu. Poi, allungando l'altro braccio, attivò un secondo pulsante, situato sul bordo della scrivania, attivando così l'interfono del suo ufficio.
"Miss Sparks?" disse Gregor, con la sua voce fredda e profonda, priva di gni traccia del suo accento natìo, rivolgendosi alla sua segretaria nella stanza accanto.
"Si, signor Gregor?"  rispose una voce femminile, con tono professionale.
"Ci sono appuntamenti previsti, per la prossima mezz'ora?"
Qualche secondo di attesa, poi la voce di Aubrey Sparks tornò a farsi sentire. "No signore, ma verso le 11:15 è prevista una videoconferenza con Dakota City. Il suo socio locale voleva discutere con lei alcune questioni, circa quella  trattativa in corso per il carico di -"
"Molto bene, dopo provvederò alla cosa. A meno che non lo dica io, e io soltanto, per i prossimi trenta minuti nessuno deve osare seccarmi. Mi sono spiegato, miss Sparks?"  la interruppe bruscamente il mafioso, in un tono che, come al solito, non ammetteva obiezioni di alcun genere.
"Perfettamente, signore. Buona giornata." concluse Aubrey Sparks, chiudendo la comunicazione.
"Perfetto, e adesso..." mormorò tra sé e sé l'uomo vestito in nero, scoprendosi la manica, rivelando un Rolex in oro massiccio, le cui lancette indicavano le 10:29, "...vediamo di chiarire questa faccenda. A suo favore, posso almeno dire che quello stramboide mascherato è un tipo puntuale. Sarà meglio che mi fornisca una spiegazione molto, molto convincente di questo suo fiasco, o passerà il resto dei pochissimi giorni che gli concederò di vivere ad implorarmi di ucciderlo in fretta".
Poi, premendo un altro pulsante, avviò la modalità videoconferenza dell'apparecchio.
Allo scoccare esatto delle 10:30, la schermata blu venne rimpiazzata dall'apparizione di una figura umana (o perlomeno, umanoide), di altezza indecifrabile, illuminato evidentemente da un faretto, posto da qualche parte sopra di lui, unica fonte di luce in una stanza avvolta interamente dal buio più fitto.. Seduto su una comune sedia d'acciaio provvista di poggiagomiti, con la gamba sinistra accavallata sull'altra, le punte delle dita unite davanti al volto mascherato, stava colui che, da dieci mesi a quella parte, era divenuto il principale socio d'affari del potente e spietato russo:
colui che si era presentato a Gregor, senza alcun preavviso, promettendogli ricchezze e potere ben oltre i suoi più sfrenati sogni; colui che, dal nulla più assoluto, era sbucato fuori, offrendo al mafioso su un piatto d'argento, la chiave per il più fruttuoso narcotraffico di tutti i tempi;
colui che, come Gregor stesso aveva dovuto constatare, era inaspettatamente colmo di risorse e conoscenze di ogni tipo; Kelden l'Alchemico.  
Indossava una lunga giacca color verde acqua, dai bordi neri, su cui risaltavano delle misteriose ed indecifrabili scritte rosse, chiusa sul davanti fino all'altezza della cintola e col bavero alto, abbottonato fin sotto il mento; i pantaloni, di foggia orientale, erano color blu scuro, larghi e comodi, ampi intorno alle ginocchia, infilati in stivali grigio perla, lunghi fino a metà del polpaccio. Alle mani indossava spessi guanti, anch'essi  grigi. Pur apparendo bizzarro ed insolito, nel complesso non era il suo vestiario ciò che più risaltava all'occhio; ciò che davvero attraeva l'attenzione dell'interlocutore era la maschera con cui l'individuo celava il proprio volto.
L'oggetto era singolare, e diverso da qualunque altra maschera Gregor avesse mai visto, che ad indossarla fosse un eroe o un criminale. Dai riflessi metallici, essa ricopriva interamente la testa del suo portatore, senza alcuna apertura visibile; il colore predominante era chiaramente il blu, un blu scuro quanto e forse più del cielo notturno, ma a risaltare su di esso e richiamare appieno l'attenzione vi era, di un colore rosso sangue, il disegno di un pentagono regolare, che ricopriva del tutto l'area facciale.
O meglio i pentagoni erano cinque, ma dalle dimensioni crescenti, posti gli uni dentro gli altri. Attorno al pentagono, distanti pochi centimetri da ciascun vertice, vi erano cinque piccoli spuntoni metallici, a forma di rombo, della medesima tonalità sanguigna del disegno centrale. A lungo Gregor si era interrogato sul significato di quella strana maschera, ma senza trovarne risposta, arrivando infine a convincersi che fosse solo uno dei tanti, ridicoli sfoggi creativi di quella carnevalata umana che i cosiddetti supereroi e supercattivi amavano tanto perpetuare.
"I miei saluti, mister Gregor. Lieto di rivederla. Sono certo che lei ha molte domande da pormi, come di consueto." parlò lo strano personaggio, con una voce calda e ben impostata, dal tono pacato e al contempo educato.
"Al diavolo le formalità, vieni al sodo: vuoi spiegarmi cosa è successo, maledizione?!!" sbraitò subito il russo, ovviamente non dell'umore adatto per giri di parole.
Senza scomporsi, l'Alchemico rispose con calma "A cosa si riferisce, esattamente?".
A  Gregor occorse qualche secondo, prima di capire che quella era una domanda seria "Mi prendi forse in giro?! Secondo te a cosa potrei mai riferirmi?!".
"Il fatto che le abbia posto tale domanda, mister Gregor, significa che non sono a conoscenza della risposta. Tra i miei talenti, mio malgrado, non rientra l'onniscenza." rispose con ostinata ed irritante naturalezza l'uomo mascherato.
"Allora ti aggiorno io: ilo tuo brillante piano di usare il gruppo di mocciosi in calzamaglia per promuovere il Nettare è fallito, miseramente fallito!!!  Quelle nullità che hai ingaggiato, addestrato e pagato con i miei soldi, non solo hanno fallito il colpo, ma sono stati sconfitti ed umiliati da un branco di ragazzini!!! E hai la faccia tosta di venirmi a dire che non sai di cosa sto parlando?!!" urlò Gregor, scattando in piedi e sbattendo con vigore il pugno contro la scrivania. 
Per l'effetto che la sua sfuriata ebbe sul suo interlocutore, tuttavia, Gregor avrebbe potuto benissimo mettersi a cantare, poiché l'Alchemico rimase perfettamente immobile, la sua posa rilassata e noncurante. Qualche attimo ancora di silenzio, poi Gregor tornò alla carica, ancora più inviperito da quella palese mancanza di rispetto.
"Vuoi deciderti a parlare, stramaledettissimo ciarlatano?" gridò l'uomo vestito di nero, il viso che si infiammava di rabbia e frustrazione ogni secondo di più.
"Mister Gregor, devo confessarle una cosa; in questo momento, lei mi delude molto..." disse Kelden finalmente prendendo la parola.
Per lo shock e la sorpresa, Gregor parve dimenticare la sua ira, almeno per un attimo.
"Ripeti un secondo, forse non ho capito bene... IO avrei deluso TE?! IO, che ho sborsato un patrimonio in questa tua assurda operazione, mettendoti a disposizione le MIE risorse, i MIEI laboratori, i MIEI scienziati e, sopratutto, il MIO tempo e la MIA reputazione, solo per trovarmi con un pugno di mosche in mano... avrei deluso TE...?!" sbraitò con sarcasmo ed incredulità il russo, la furia omicida che iniziava ad impadronirsi di lui. 
"Ebbene si, mister Gregor, devo proprio dirglielo; ora come ora, lei non fa onore alla sua reputazione. Lei sta trattando la cosa in maniera troppo semplicistica, guardando all'operazione come fosse già conclusa...e invece, mio buon amico, siamo solo all'inizio." pronunciò 
Quelle parole ebbero un effetto calmante, immediato e portentoso. 
L'inizio? L'inizio di cosa? Inarcando un sopracciglio, Gregor si trovò suo malgrado in preda alla curiosità, Tornando lentamente a sedersi, il mafioso sentì gli ultimi residui della sua collera, nota in tutte le strade più malfamate, così come negli uffici più sontuosi, retrocedere nel profondo della sua mente, lasciando il posto alla sua glaciale espressione di lavoro.
"Va avanti." concesse Gregor, appoggiando i gomiti alla poltrona ed il mento sulle mani intrecciate, segno che lo strano individuo mascherato aveva la sua totale attenzione. Forse si  era sbagliato, forse poteva concedere al misterioso personaggio un po di tempo in più da vivere, dopotutto...
"Grazie, mister Gregor, ora la riconosco. Molto bene, eccole dunque come stanno le cose: come lei stesso ha giustamente affermato, la missione di Steven Tresh (che,se ben ricorda, è il nome di colui al quale avevamo affidato il comando del gruppo) era quella di mostrare al grande pubblico le potenzialità della formula che io stesso, quasi un anno fa, le rivelai...a cui lei scelse il 'nome commerciale', tra l'altro."
Annuendo, Gregor  riconfermò la sua attenzione e, nel contempo, invitava l'altro a procedere. 
 "Certo, Tresh e i suoi uomini sono stati sconfitti, e in un tempo perfino inferiore a quello che mi sarei aspettato... I Titans si sono rivelati avversari degni di lode, e l'uso del Nettare è stata l'unica cosa a rendere degno di nota lo scontro.... esattamente come avevo previsto. Ebbene si, mister Gregor, sapevo perfettamente che, anche prendendomi anni per addestrare ciascun membro di quella banda, pur dotandoli di armi ben più sofisticate, le possibilità che un simile drappello avesse la meglio su una squadra come i Titans erano prossime allo zero...Ma è proprio qui che viene il bello!" e qui, per la prima volta nel corso della videoconferenza, l'Alchemico diede segno di una leggera eccitazione, pur se di brevissima durata.
 "Mi segua un attimo nel ragionamento; quanto può effettivamente valere un nemico che, al primo confronto con un avversario, seppur dotato di un'arma segreta come il Nettare di Satana, venga sconfitto e annientato? E per opera di simili nullità, per usare la sua definizione? La risposta è semplicissima: davvero molto poco.
Ma (ed è un 'Ma' assai importante) se quelle medesime nullità, usando quelle particolari armi, davanti ad pubblico vasto come gli USA, dimostrasse di poter tenere testa ad un nemico così palesemente superiore? Le cose sarebbero diverse, in effetti. Sapendo che dei perfetti Nessuno possono arrivare a tanto, usando così poco, non rappresenta un invisibile guanto di sfida per gente di gran lunga più talentuosa, sparsa la fuori?
Un guanto che, se lei conosce la natura competitiva del genere umano E meta-umano quanto la conosco io, sa che in molti saranno ansiosi di raccogliere... E nel farlo, ciascuno di essi sarà decisamente riconoscente a colui che offre la possibilità, più unica che rara, di mostrare al mondo intero le sue autentiche potenzialità."
"Dunque tu mi stai dicendo" mormorò Gregor, lo sguardo assorto, fisso sul parquet del suo ufficio " che non solo tu sapevi, ma addirittura volevi che fallissero..."
Annuendo, Kelden continuò il suo discorso. "Esattamente, e per un ulteriore motivo:  poco dopo il nostro primo colloquio, se la memoria non mi inganna (cosa assai rara), le feci notare che le persone che lavoravano per lei, pur non risultando su alcun libro-paga ufficiale, mancavano del talento che poteva renderle possibile salire ancora più in alto nella caotica, impietosa scala gerarchica di New York.
Il che ci riporta alla rapina e alla cattura della banda di Tresh, e..." con una pausa forse volutamente ad effetto, infilò la mano destra in una tasca del lungo soprabito, estraendone un oggetto oblungo e piatto, con vari pulsanti "...con l'ausilio di questo semplice telecomando io, Kelden l'Alchemico, mi appresto a reperirle una manodopera di qualità nettamente superiore, glielo garantisco."
"Di cosa si tratta?" chiese il mafioso, sempre con freddezza e distacco, seppur incuriosito fino al midollo, oramai.
"Nulla che debba preoccuparla, solo un utile congegno, a sua volta collegato ad un altro congegno, che mi permetterà di scrivere una pagina importante nella storia di questo paese....Solo, se posso darle un utile consiglio... eviti di lasciare la porta di casa aperta, nei prossimi giorni."
E dal suo tono, chiaramente ironico, era facile immaginare che, pigiando il pulsante in questione, la sua bocca doveva essere increspata in un ghigno.
"Grazie del consiglio, lo terrò a mente. Mantieni le tue promesse, 'Alchemico' e avrai tutto ciò che abbiamo pattuito. La parola di Ishmael Gregor è legge e contratto allo stesso tempo, lo sai perfettamente. Ma ricorda bene: prova a fregarmi in qualunque modo, e con una parola, un'unica parola da parte mia, la tua vita avrà termine tra atroci sofferenze, te lo garantisco." concluse Gregor, mortalmente serio, ora convinto e, suo malgrado, affascinato dal modo di pensare del suo sfuggente ed enigmatico socio. Detto questo ,premendo a sua volta un pulsante sul suo telecomando, interruppe la videoconferenza. 
"Che tipo strano... e anche sinistro, poco ma sicuro. Ma devo dargliene atto, sa il fatto suo. Conviene che lo tenga d'occhio però, chissà cosa potrebbe essere in grado di combinare.". E con questi pensieri, Ishmael Gregor tornò ad occuparsi delle sue altre attività, lecite e non.
Terminato il collegamento, Kelden puntò il telecomando verso l'alto e, pigiando un secondo pulsante, spense la luce che lo sovrastava.
Poi deposto l'oggetto, si alzò in piedi e, con calma, portò la mano destra all'altezza del viso, sfiorando leggermente il pentagono centrale su essa disegnato. Senza alcun suono, lo strano copricapo si aprì sul retro, permettendo al suo possessore di rimuoverlo. Due occhi, sinistri e freddi ancor più di quelli di Ishmael Gregor, si soffermarono a fissare il disegno, poi la maschera nella sua interezza.... due occhi dalle pupille e le iridi bianche, circondate da una strana sclera grigia. 
Quella maschera, contrariamente a quanto chiunque avrebbe potuto pensare guardandolo con gli occhi dell'ignoranza, non era frutto del caso, dell'eccentricità e del capriccio, e neppure lo era il suo abbigliamento.
I disegni, i colori, tutto aveva un preciso scopo e significato, riassumibile in due punti principali:
il primo, più ovvio, era quello di occultare la propria vera identità e natura al mondo...almeno, finché non fosse giunto il momento propizio;
il secondo, ricordare quali erano i suoi obiettivi, i suoi sogni, le sue origini, le sue motivazioni... e il suo vero nome.
" E' davvero ironico che io, proprio io, tra tutti gli esseri su questo pianeta, sia costretto a servirmi degli umani, dei loro metodi e della loro scienza per portare a termine i miei scopi... ma in fondo, come diceva quella famosa frase italiana, 'Il fine giustifica i mezzi'... goditi pure il successo, la gloria, il potere e i tuoi preziosi soldi Gregor; ti condurrò per mano, ti guiderò, ti aiuterò a realizzare i tuoi futili e meschini sogni, ti innalzerò al di sopra dei mortali e finanche del mondo stesso... e poi, quando i miei obiettivi saranno stati infine raggiunti, ed il tuo ruolo nel mio piano sarà conumato, ti farò sprofondare fin nei più profondi abissi dell'inferno a cui appartenete tu e tutti quelli della tua lurida specie."e, con queste tetre parole, l'essere si volse, lasciando la stanza adibita da lui a quelle seccanti conferenze con un individuo che, pur appartenendo fin dalla nascita alla specie Homo Sapiens era, per molti versi, molto meno umano di lui.
 
 
 A molti, moltissimi chilometri dal luogo dove l'interruttore era stato premuto, un fenomeno del tutto inatteso accadde, nei pressi di Jump City, all'interno di un magazzino, o meglio un bunker, sorvegliato da uomini in divisa, ciascuno munito di un arma da fuoco. Si trattava di una grossa costruzione, di almeno trecento metri cubi, in cemento armato, con le pareti e il tetto corazzati, sorvegliato da numerose telecamere, privo di finestre e munito di un unico accesso. Su tale porta, spessa oltre mezzo metro e in puro titanio, svettava la seguente scritta : 'Attenzione, Magazzino della Polizia, Accesso Autorizzato ai soli Addetti Ai Lavori'
Accanto ad essa era situata una piccola tastiera, piena di tasti con ogni lettera dell'alfabeto greco e numeri, assieme a sensori per lo scanner della retina e delle impronte digitali.
Oltre l'ingresso, numerose scaffalature si stagliavano, ciascuna alta quattro metri e lunga venti. Su di essi, invisibili in mezzo alla moltitudine di strani e pericolosi oggetti,  giacevano le armi e le attrezzature di una rapina, poche  ore prima sventata, in attesa di essere usate come prove giudiziarie.
Due oggetti cilindrici, di colore rosso, etichettati e posti su uno dei tanti scaffali, accanto a dei fucili a pompa, si attivarono. Ma non furono le lunghe antenne, capaci di generare un campo di forza antigravitazionale, quelle che si protrassero dai meccanismi; invece, furono le maniglie ad estendersi, come invitando un inesistente proprietario ad afferrarle. Poi, con uno schiocco secco,  un'estremità di entrambe le maniglie saltò, cadendo con un tonfo sordo sul pavimento.
All'inizio non si udì nulla, se non un lieve ticchettio.
Pochi secondi dopo, la causa del ticchettio fu rivelata, quando con passo svelto sgusciò fuori dal suo contenitore: due piccoli androidi, identici in tutto e per tutto a dei centopiedi, zampettarono fuori dalle maniglie. Lunghi una ventina di centimetri, il corpo suddiviso in nove sezioni per un totale di sedici zampe, la loro perfezione strutturale, così come la loro anatomia, era fedele fino all'ultimo particolare.
Non fosse stato per i riflessi metallici sulle corazze, prodotti dai neon della stanza, le due macchine avrebbero potuto essere facilmente confuse con dei veri artropodi.
Dopo essersi arrampicati su un nuro del vasto e silenzioso locale, i due centopiedi sporsero le teste, roteandole per alcuni istanti, fino ad individuare l'oggetto della loro missione: il terminale del magazzino della polizia, l'unico in tutta la città ad avere un collegamento internet diretto con tutti i penitenziari della California.
Tale postazione, utilizzato solo da pochissimi addetti appositamente istruiti, aveva la funzione di coordinare i vari trasferimenti di detenuti da un penitenziario all'altro. In caso di superdeliquenti, provvisti di avanzate apparecchiature o poteri sovrumani, era inoltre necessario comunicare con i vari centri di detenzione, in modo da stabilire quale avesse le caratteristiche più appropriate per assolvere il compito di tenere quegli individui  (pericolosi, sconsiderati e, non poche volte, completamente pazzi) lontani dalla società, in attesa e anche dopo il processo. Tale computer meritava fino all'ultimale numerose precauzioni prese, poiché attraverso esso e poche decine di altri in tutta America, ogni singola prigione era collegata, permettendo l'accesso ai database
Raggiunto rapidamente il bersaglio, uno degli artropodi meccanici si arrampicò sulla consolle, mentre l'altro si collegava, tramite le mandibole artificiali, all'interruttore della presa di alimentazione (disattivata dagli operatori, al termine del proprio turno, come ulteriore precauzione), riattivandolo, prima di raggiungere il suo gemello sulla tastiera. Dopo alcuni minuti di attesa, lo schermo finalmente prese vita. In quel preciso istante, la corazza del dorso di uno dei chilopodi si spalancò, rivelando dodici sottili cavi che, come serpi voraci, si gettarono sul computer, inserendosi in tutte le prese USB. Dopo pochi secondi, sullo schermo si aprirono, in rapidissima sequenza, non meno di centoquaranta finestre, ciascuna recante il medesimo messaggio: 'Firewall Disabilitato, Accesso Consentito.'
Con perfetto sincronismo, l'altro centopiedi estese , fino ad eguagliare la lunghezza della tastiera, dodici delle sue zampette, iniziando a digitare ferocemente, con una rapidità e una precisione superiore a quella di qualunque operatore umano. Molte altre finestre si aprirono e si richiusero, a una velocità insostenibile ad un occhio organico.
Altre due apparvero, entrambe recanti l'immagine di un caricamento: la prima mostrava che qualcosa stava venendo scaricata dal computer; la seconda, che qualcosa stava entrando in esso.
 Quando entrambe ebbero finito, i due droidi si scollegarono, tornando alle forme originali, mentre il computer eseguiva il comando di spegnersi automaticamente. Disinserito nuovamente l'interruttore centrale, gli artropodi ripercorsero alla rovescia il tragitto compiuto, raccolsero con le mandibole uncinate le estremità sganciatesi e, senza lasciare traccia, si arrampicarono nuovamente sullo scaffale da cui erano usciti, rientrarono nelle maniglie, riavvitandone i 'tappi'.
E poi, fu di nuovo il silenzio.  
Dieci minuti più tardi, alle ore 8:00, ora locale di Jump City, Christopher Mishap, operatore autorizzato del terminale entrò nel magazzino per iniziare una nuova giornata lavorativa.
Quando avviò il computer, gli occorsero esattamente tre minuti per capire che qualcosa non andava, e cinquanta secondi esatti per capire di cosa si trattava.
Dopo altri quattro minuti di disperati tentativi, fu costretto ad accettare il fatto che lui, uno dei maggiori esperti di informatica al servizio della polizia, non era assolutamente in grado di impedire al misterioso virus telematico, penetrato chissà come, chissà quando nel computer meglio sorvegliato della contea, provvisto del miglior software difensivo ideato negli ultimi anni, e attivatosi appena il computer si era riacceso, di portare a termine la sua sciagurata programmazione: la disattivazione, progressiva e totale, di tutte le misure di sicurezza delle numerose carceri cui il computer era collegato... ossia, tutti i maggiori penitenziari d'America: Black Gate, Alcatraz, Iron Heights...Arkham Asylum...
Mentre il suo paese si apprestava ad andare letteralmente in pezzi davanti ai suoi sconvolti ed impotenti occhi, Christopher ebbe la lucidità per mormorare una sola, flebile frase:
"Odio i Lunedi mattina..."

NdA 
Salute a tutti voi, l'eremita grigio è tornato!
Come promesso ad uno dei miei recensori, il capitolo è finalmente pubblicato, e spero sia tutto ciò che avevo promesso.
In esso assistiamo all'apparizione di quello che, in un modo o nell'altro, sarà uno dei cattivi di punta della storia, Ishmael Gregor (di proprietà della DC Comics, sul quale vi consiglio di fare qualche ricerca...credo che rimarrete sorpresi).
E infine, fa la sua comparsa il VERO cattivo, che dalle tenebre emerge,dando il via al suo piano e, contemporaneamente, rivelando il nome con cui l'Universo DC lo conoscerà presto: Kelden l'Alchemico (brevetto in corso)! 
Che ci crediate o no, i primi dieci capitoli erano in previsione di questo specifico momento.... sopratutto quello in cui vi chiedevo di mandarmi il nome di un elenco di cattivi per la storia!
E mentre implicitamente rinnovo quel 'concorso', mi sposto dietro le quinte e, con mano tremante per l'emozione e la fatica di scrivere, mi appresto ad alzare il sipario!!!

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Capitolo 21
*** Dilemmi interiori di una principessa aliena ***


Nella celebre Torre Titans, ormai è chiaro, vi erano molte stanze particolari, ciascuna delle quali ricopriva un compito ben specifico, come la straordinariamente avanzata infermeria (dove la salute dei giovani eroi veniva quotidianamente accertata) o l'avveniristico laboratorio sotterraneo (sede del generatore energetico dell'edificio, nonché delle periferiche assemblatrici e strumenti di diagnostica, indispensabili a Victor Stone).
Tra le molte altre, per parlare delle quali occorrerebbero giorni interi, ve ne era una posta all'ultimo piano, appositamente creata per un membro della squadra, a suo uso personale ed esclusivo: il Solarium.
Si trattava di un locale di modeste dimensioni, di appena venticinque metri quadri per quattro metri di altezza, le cui pareti e soffitto erano ricoperti d enormi lampade.  Accanto all'ingresso, vi era una piccola consolle, a sua volta costituita da una tastiera numerica, una manopola circolare e due pulsanti, uno d'avvio e uno d'arresto. Oltre all'entrata,  situata tra un muro e una porta scorrevole automatizzata trasparente, dai vetri spessi circa mezzo metro, vi era una stanzetta ancor più piccola, munita unicamente di un attaccapanni, un tappetino e una panca. Malgrado l'evidente omonimia, quella particolare camera non poteva certo essere paragonata ad un comune lettino abbronzante.
La funzione di questo Solarium, infatti, era in effetti quella di emettere a richiesta  radiazione luminosa, la cui lunghezza d'onda fosse tuttavia compresa tra i 50 e i 400 nanometri... in altre parole, ogni livello possibile di radiazione ultravioletta.
Al centro della stanza, avvolta in una spettrale luce azzurro-violacea,  fluttuante a  mezzo metro da terra e con indosso un costume a fascia nero, vi era la Seconda Figlia di Tamaran, erede al trono di un lontano e quasi sconosciuto pianeta nel sistema di Vega: Koriand'r, meglio nota al mondo come Starfire.
 A prima vista, un ignaro spettatore avrebbe certamente immaginato, osservando la posizione rilassata e lo sguardo assorto della fanciulla dai capelli rossi, che essa stesse semplicemente gustandosi una seduta abbronzante (illusione ancor di più fomentata dalla carnagione arancio-dorata della donna). In realtà era esattamente l'opposto.
Pur non essendo infatti visibile all'occhio umano, in quel momento quella pelle liscia, dall'aspetto assai fragile e delicato, era impegnata nell'adempimento di un compito che, per moltissime forme di vita terrestri, sarebbe equivalso ad una morte certa e dolorosa: assorbire, incanalare e concentrare quanta più radiazione UV possibile.
Tale operazione era senza dubbio rischiosa, poiché trasformava un intero locale della Torre in una fonte di radioattività, deleteria per la maggior parte di chiunque vi avesse avuto accesso; tuttavia, ciò era necessario, considerata la peculiare biologia della avvenente rossa, sua unica occupante.
Si dava il caso, infatti, che non soltanto Beast Boy avesse dei seri problemi a combattere durante la stagione invernale; pur non avendo impedimenti legati alla temperatura, nel corso degli anni e delle battaglie sostenute la tamaraniana aveva dovuto suo malgrado constatare che, durante l'inverno di quel piccolo mondo (in cui luce del Sole terrestre andava incontro ad un declino notevole, sia in termini di numero di ore che di disponibilità, a causa delle condizioni climatiche spesso avverse) i suoi straordinari poteri andavano indebolendosi molto più rapidamente del normale, fin quasi ad esaurirsi .
Nonostante le emozioni fossero una componente essenziale per il corretto funzionamento dei suoi poteri, la vera sorgente di energia di Koriand'r risiedeva nella luce, antica quanto il cosmo stesso, con cui le stelle rischiaravano gli sconfinati ed oscuri abissi siderali; una volta esaurita appieno tale straordinaria energia, i poteri di Starfire andavano incontro ad un identico fato.
In breve, sia la sua forza che le altre abilità , pur restando molto al disopra di quelle di un comune essere umano, durante l'inverno  erano notevolmente inferiori a quelle raggiunte dalla principessa spaziale quando esposta ai caldi raggi del Sole estivo. Inoltre, in quei giorni l'uso della sua arma migliore, i devastanti 'Starbolts' , nel corso di ogni scontro portava a consumare più energia UV di quanta le fosse possibile recuperare in un tempo utile. L'unica maniera sufficientemente efficace e rapida, per la fanciulla delle stelle, di assorbire nuova radiazione UV sarebbe stato quello di lasciare temporaneamente l'atmosfera, esporsi ai raggi solari diretti, poi fare ritorno sul campo di battaglia.
Inutile a dirsi, tale soluzione avrebbe creato, per troppe ragioni, più problemi che benefici.
Di conseguenza, per ovviare almeno parzialmente  a tale inconveniente, che poteva risultare rischioso e persino fatale per la guerriera quanto per i suoi compagni di squadra, la prodigiosa mente di Cyborg aveva dovuto ancora una volta dedicarsi alla progettazione di nuove tecnologie adatte allo scopo.
Erano occorse quasi quattro settimane, ma alla fine il Solarium era stato ultimato e testato. A rendere più semplici le cose era il fatto che il corpo della bella eroina fosse in grado di assorbire interamente tutta la radiazione UV dentro di sé, senza disperderne neppure un quanto, per poi utilizzarla in battaglia o nella vita di tutti i giorni; ciò aveva reso superfluo la progettazione di una camera di decontaminazione.
Era divenuta pertanto abitudine della ragazza dalla pelle arancione, ogni mattina prima e dopo gli allenamenti, trascorrere almeno mezzora nel Solarium, in modo da ricaricare le sue preziose riserve energetiche, regolando le lampade in base al bisogno.  In ogni caso, mentre la coraggiosa principessa si dedicava a tale compito, faticoso e al tempo stesso inebriante, era possibile scorgere sul suo splendido viso una chiara espressione di tristezza. Non era tuttavia la solita, innocente espressione corrucciata, ben nota agli altri abitanti di Torre Titans, ad adornare il volto della giovane di sangue regale.
No, affatto.
Questa era, per chiunque fosse stato in grado di intuirlo, una autentica manifestazione di malinconia, tipica di una persona adulta e matura, profondamente assorta in uno di quei pensieri che la coscienza preferirebbe ricacciare nei più profondi ed oscuri recessi della psiche, aldilà di ogni possibile consapevolezza, sperando che tale azione sia sufficiente a bandire dall'esistenza non solo quel pensiero, ma la ragione stessa della sua esistenza... purtroppo invano.
Benché molte persone, dopo aver avuto occasione di dialogare con essa, reputassero Starfire una donna frivola, infantile, ingenua e, talvolta, petulante e sciocca, la verità era che nessuno di tali appellativi poteva essere davvero adoperato per descriverla. Molti, vedendo l'innocente e radioso candore con cui la fanciulla metteva in mostra le proprie emozioni, aprendosi costantemente a nuove esperienze ed amicizie, stentavano a credere che essa potesse in realtà essere originaria di un pianeta dove una millenaria guerra continuava a mietere, ad alterni periodi, numerose vittime. Essendo cresciuta in un mondo in perenne conflitto, era opinione diffusa che la principessa di Tamaran dovesse necessariamente essere una persona fredda, diffidente, incapace di vedere nel futuro ogni barlume che non fosse quello di un fuoco che devastava la sua patria; una ambasciatrice di morte, che trascinasse dietro di sé un'ombra di disperazione e miseria... sarebbe stata la cosa più logica ... ma allora, si chiedevano gli attoniti interlocutori, come era possibile che quella donna -quella ragazzina- avesse la capacita di diffondere un'aura di gioia ed allegria, trovando nella più semplice e banale delle azioni o delle creature una nuova, insospettabile bellezza?
 Che si trattasse di librarsi nell'azzurro del cielo, di passeggiare per le strade con i comuni e fragili terrestri, o finanche di riunirsi allo stesso tavolo e dividere il pasto con i propri amici, Koriand'r sembrava portare con se una gioia eterna ed inesauribile, che negli anni era stata in grado di scaldare il cuore dell'enigmatico ed inflessibile Ragazzo Meraviglia, e perfino di scalfire, in rarissime occasioni, la gelida e inespressiva maschera di apatia di Raven, Per moltissima gente, questo era un mistero insolubile, un'anomalia della natura stessa, al quale non esisteva una spiegazione plausibile... almeno, non per la logica della Terra.
Ciò che infatti essi mancavano di comprendere, appariva con una chiarezza sconcertante agli occhi di giada della fanciulla che, come risaputo, era stata suo malgrado costretta, nel corso della sua breve vita, ad assistere a molti, troppi degli orrori che l'interminabile conflitto con i Gordaniani, i Citadel e molte altre razze aveva portato alla sua gente.
Ad ogni soldato dell'Impero, la cui vita era votata alla protezione di Tamaran, venivano trasmessi alcuni fondamentali principi ed ideali, che li avrebbero accompagnati fino all'ultimo loro respiro: la virtù, il coraggio, l'onore, il sacrificio... e il valore immenso della vita, dell'amore e dell'amicizia.
" Se è vero che i nostri occhi non potranno quasi certamente vedere la dolce morte che solo una serena vecchiaia può donare, è dunque giusto che ad essi sia concesso di posarsi su quante più meraviglie possibile; poiché solo la vista di colui o colei che non sa se potrà camminare nel mondo dei vivi anche il giorno seguente è capace di scorgere in pieno l'autentica bellezza di ogni cosa...
Solo chi rammenta in ogni istante che la Morte è li ad attenderlo, riesce a vivere ogni secondo come il più prezioso dei tesori!".

Queste le parole che, molto tempo addietro, due giovani principesse tamaraniane, Komand'r e Koriand'r, ascoltarono dalla voce del loro saggio ed amato padre, Myand'r, in una rara notte di pace, sul balcone più alto del palazzo reale. E anche se la vita aveva riservato molte sgradite sorprese ad entrambe, arrivando persino a mettere le due sorelle l'una contro l'altra, Koriand'r non aveva mai dimenticato quelle parole, pronunciate con tutto l'amore e la forza che solo un padre e un re può adoperare, nel tentativo di donare alle sue discendenti un importante insegnamento, che fosse loro di sostegno e guida nei momenti più difficili della vita... e nel profondo, la ragazza dalla lunga chioma rossa sperava che neppure Komand'r, ovunque ella si trovasse in quel momento, avesse dimenticato.
Poiché proprio seguendo quel prezioso consiglio la ragazza era riuscita, giorno dopo giorno, ad accumulare un numero di esperienze bellissime e preziose, almeno per lei, e di ognuna aveva fatto tesoro: le sue lezioni di cucina e le ore di bricolage con Victor, le battute e gli scherzi di Garfield, i 'rituali delle Conversazioni tra Donne' e dei 'Viaggi al centro commerciale' assieme a Raven...e i suoi istanti con Richard, forse i più rari e sfuggenti, ma forse proprio per questo i più importanti.
Da quasi un anno i due amanti erano, per usare la bizzarra definizione terrestre, 'passati al gradino successivo della loro relazione', arrivando ad esprimere, a seguito di un fortunato appuntamento (miracolosamente NON interrotto da alcun tipo di attacco o sciagura) i loro sentimenti di amore e passione nella loro massima forma. Per entrambi fu la prima volta, e per entrambi fu esattamente come avevano sempre sognato che fosse: indimenticabile e stupenda allo stesso tempo. Dopo quella notte non trascorsero più di tre mesi che, senza neppure rendersene conto, i due avevano cominciato a condividere la medesima stanza.
Per Koriand'r, comunque, la sensazione più bella era sempre stata quella di stendersi tra le braccia dell'uomo cui aveva giurato il suo amore per l'eternità, come solo gli abitanti di Tamaran sapevano fare, e lasciare che il sonno lentamente avesse la meglio su di lei, anche senza bisogno di entrare in intimità, per poi risvegliarsi l'indomani mattina con lui che la teneva stretta a sé.
Eppure, benché non potesse evitare di ammirare Richard per la sua devozione e il suo senso di responsabilità, doti indispensabili ad un vero leader, malgrado Starfire sapesse con certezza che i suoi sentimenti erano corrisposti, non vi era stata una sola occasione che il suo cuore non avesse minacciato di infrangersi, ogni volta che, al mattino, lo smodato senso del dovere di lui lo spingeva a lasciarla - ad abbandonarla - sola, nel loro letto, costringendola ad aprire gli occhi in una stanza in cui lui non vi era... esattamente come quella stessa mattina, dove ad accogliere il suo risveglio furono poche righe di scuse e spiegazioni, tracciate su un foglio di carta, appoggiato  sul comodino accanto a lei.
.Di ciascuno di quei momenti, essa aveva un ricordo preciso ed indelebile; nel bene e nel male, che fossero di gioia o di dolore, la sua prodigiosa mente non ne avrebbe mai cancellato alcuno... perché l'affascinante eroina sapeva che, in un modo o nell'altro, quei giorni sarebbero finiti, e  null'altro sarebbe rimasto se non i ricordi.
Sempre con questi pensieri, Starfire decise che ormai il periodo trascorso nel Solarium poteva definirsi sufficiente.
Dopo aver disattivato le lampade, tramite l'apposita tastiera, l'aliena si concesse ancora qualche istante di attesa, in modo da assorbire le radiazioni residue nella stanza. Terminata l'operazione, aprì la porta isolante, che scivolò con un sibilo lungo la parete trasparente, spostandosi quindi nello spogliatoio adiacente. Recuperata e poi indossata la sua uniforme, la donna uscì dalla camera, creata a suo personale ed esclusivo uso, dirigendosi verso la sala da pranzo.
Ad accoglierla, come da consuetudine, furono le grida di Beast Boy e Cyborg, intenti in un'avvincente sfida alla consolle del televisore, dove un androide blu e nero stava combattendo, fino all'ultimo respiro, contro un pangolino umanoide giallo. Sul tavolo, i resti di una colazione, a base di tofu e latte di soia, stava in bella vista, in attesa di essere rimossi.
"Aha!!! Questo è il mio momento! Stavolta vai giù, Chiappe di Titanio!" urlò il mutaforma verde, mentre il suo personaggio sferrava una devastante combo a trentadue colpi sull'avversario digitale.
" E' tutto da vedersi, Alito di Tofu! Dovranno passare millenni, prima che il sottoscritto permetta alle tue ossute braccia di sconfiggermi in uno scontro!" gridò di rimando il mezzo robot, furiosamente pestando i tasti del suo joystick.
Seduta sulla poltrona a pochi metri di distanza, Raven li ignorava beatamente, assorta nella lettura di uno dei suoi inseparabili libri.
Alla vista di quella scena, ai suoi occhi così colma di calore e amicizia, pur se nessuno dei suoi interpreti sembrava rendersene conto, il cuore di Koriand'r fu attraversato ancora una volta da un misto di felicità e dolore:
felicità, perché lei era li, con la sua famiglia, pronta a vivere una nuova giornata, ricca di chissà quali e quante esperienze di vita, belle o brutte che potessero essere, e tanti nuovi ricordi da accumulare;
dolore, perché la guerriera sapeva esattamente come e quando sarebbero inevitabilmente dovuti finire.
 Volgendo la testa, i suoi occhi verdi si soffermarono sull'orologio a muro, le cui lancette indicavano le ore 8:13. Il tempo era oramai prossimo; da quel momento in avanti, quando fossero trascorsi duecentoventisette giorni, nove ore e diciotto minuti terrestri lei, Koriand'r, Seconda Figlia di Tamaran, sarebbe stata costretta a lasciare la Terra, per fare ritorno al suo pianeta natio.  E stavolta, la ragazza sapeva che sarebbe stato per sempre.

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Capitolo 22
*** Domande senza risposta ***


NdA
Un saluto a tutti voi, colleghi scrittori ed amici lettori, dall'Eremita Grigio.
Voglio solo dirvi una cosa, prima di alzare, come da consuetudine, il sipario: questo capitolo era destinato ad essere MOLTO più lungo. Purtroppo, tra impegni quotidiani ed imprevisti, non ho ancora completato la parte in cui la rivolta vera e propria ha inizio e dilaga. Sappiate solo che è in preparazione. Volevo comunque donarvi questo capitolo, interamente incentrato su Robin, tramite il quale spero di fare ammenda del mio ritardo, ed assicurarvi che questa storia non sarà MAI abbandonata dal suo scrittore... anche se i suoi lettori non sembrano più apprezzarla molto, purtroppo.
Come sempre, vi invito a recensire, ad avvertirmi e rmproverarmi (educatamente) se ho commesso errori di sorta e, ovviamente, a godervi la lettura.
Ed ora, senza altro indugio, SU IL SIPARIO!!!


 Ore 6:47, Jump City, California
 
Quella mattina, nella sua stanza a Torre Titan, Dick Grayson aveva avuto il piacere (anzi, il privilegio) di destarsi accanto ad una delle donne più belle di due mondi, Koriand'r di Tamaran, a seguito di una notte di amore e passione, che aveva consentito alla persona sotto la maschera di Robin di dimenticare, seppure per il limitato arco temporale di una sola notte, i problemi e le responsabilità che la vita del supereroe comportava in ogni istante. 
Al suo risveglio, il suo sguardo era stato catturato alla vista di una splendida fanciulla dalla pelle dorata e i capelli rosso fuoco, che con espressione serena e felice continuava a dormire, la testa appoggiata al petto di lui, mentre dalla finestra i raggi del sole le accarezzavano il volto. Per qualche minuto, Dick si era ritrovato rapito da quella visione, limitandosi a cingere l'amore della sua vita con un braccio, contemporaneamente scostando una ciocca di capelli da quel bellissimo viso con la mano libera, in muta contemplazione dell'unica donna che, fino a quel momento, fosse riuscita a ricordargli che persino a lui era concesso sognare una vita di semplice felicità, dove non gli sarebbero occorsi una maschera, un costume e delle armi per sentirsi veramente vivo, nonostante quello che Bruce gli aveva sempre detto... 
A quell'ultimo pensiero, l'espressione sul volto di Grayson si incupì di colpo. Pur non smettendo di carezzare con gentilezza i lisci e morbidi capelli della principessa spaziale, il suo sguardo ora era rivolto verso il soffitto, ma senza vederlo, essendo la sua mente assorta in pensieri tutt'altro che allegri.
Aver fatto uso dell'imponente database contenuto nel Bat-Computer era stata una mossa necessaria, poiché né la polizia di Gotham, né il penitenziario di Black Gate, erano in possesso di informazioni tanto dettagliate sul pericoloso criminale mascherato, noto al mondo con il solo nome d'arte di Bane; i suoi metodi, le sue abilità, il suo intelletto... e ovviamente, il Venom.
Una sostanza pericolosa e micidiale al tempo stesso, in grado di trasformare il già pericolosissimo genio del crimine in un avversario letale, perfino per un combattente temprato e temibile come il Cavaliere Oscuro.
Benché l'essere contro cui i Titans si erano scontrati poche ore prima fosse scaturito da un dilettante (come Robin aveva facilmente dedotto, quando si era trovato a combattere contro di lui e la sua banda all'interno del veicolo blindato), gli effetti della misteriosa sostanza in possesso dei rapinatori erano chiaramente riconducibili a quelli del famigerato anabolizzante, reso celebre da Bane (e a cui Bane doveva parte della sua reputazione). E che individui del genere, ovviamente non molto dotati dal punto di vista intellettivo e tattico, fossero in possesso di un tale ritrovato della chimica era tutt'altro che un buon segno per Robin. 
Stando infatti alla sua ormai decennale esperienza nella lotta al crimine, simili strumenti erano quasi sempre utilizzati  da professionisti del mestiere, provvisti di risorse e mezzi considerevoli, o in contatto con potenti mecenati, a cui occorressero persone senza scrupoli che svolgessero il lavoro sporco... come potevano dei tipi come quelli, combattenti tanto scarsi da intralciarsi a vicenda o sprecare tempo in chiacchiere nel corso di uno scontro corpo a corpo, essere entrati in possesso di quel prodotto chimico? E il resto delle attrezzature adoperate? Un furgone blindato, fucili a pompa, abiti elasticizzati per adattarsi ad un cambio improvviso di massa corporea, un generatore di campi antigravitazionale... questo era un arsenale notevole e assai costoso, che solo individui del calibro di Slade avrebbero fornito ai loro scagnozzi.
Slade... Il solo ricordo di quel nome instillava ancora adesso un senso di rabbia e paura in Dick Grayson, nonostante le proprie abilità fossero aumentate notevolmente, rispetto alla prima volta che si era trovato ad incrociare le armi con il misterioso genio criminale. 
Per un attimo, Robin sentì il sangue gelarsi nelle vene, al pensiero che dietro il tentativo di rapina potesse celarsi il più temibile rivale della sua adolescenza.
Comunque, pochi istanti dopo che quell'idea aveva fatto capolino nella mente del detective, essa venne subito analizzata e scartata, in un misto di seccatura e sollievo. Robin infatti dubitava, anzi escludeva categoricamente che il criminale dalla maschera metallica fosse in qualche modo immischiato con quella vicenda; oltre al fatto di essere apparentemente uscito dalle vite dei Titans anni prima, fin dal giorno della loro fatidica battaglia contro il mostruoso Trigon, il Ragazzo Meraviglia non riusciva proprio ad immaginare un abile, scaltro stratega come Slade ricorrere all'aiuto di pedine tanto poco affidabili, qualunque potesse essere l'obiettivo. 
Fin dai loro primi scontri, egli era ricorso a sofisticati androidi da combattimento e potenti metaumani decisamente pericolosi per mettere in difficoltà il team di eroi: Cynderblock, Plasmus, Mammoth, Gyzmo, Jynx... Terra...
A quel punto, Robin capì che i suoi personali sentimenti di odio e frustrazione nei confronti di Slade, nonché di rimpianto verso i giorni ormai lontani della sua turbolenta adolescenza, lo stavano progressivamente allontanando dal filo del ragionamento originario: la rapina a mano armata, il Venom ed il possibile coinvolgimento di Bane in quella storia.
Prendere alla leggera una simile eventualità sarebbe stata una leggerezza imperdonabile. 
No, Robin sapeva che, se davvero un narcotraffico metaumano era in procinto di iniziare ( uno a cui avrebbero potuto avere accesso anche i criminali di più bassa lega), la cosa migliore da fare era raccogliere quante più informazioni possibili, da ogni fonte possibile. E malgrado il fatto che i rapporti con Batman fossero ancora decisamente tesi, nonostante fossero trascorsi ben quattro anni da quel giorno, il giorno della frattura tra il Cavaliere Oscuro e il suo primo assistente - dopotutto, come poteva un qualunque rapporto essere riparato, quando un tale torto era stato fatto?- il giovane investigatore non era tipo da consentire ai suoi personali sentimenti di interferire con le sue scelte. Non più, almeno....
Ricacciando nuovamente dei ricordi scomodi nella beata regione della mente definita 'oblio', Grayson realizzò finalmente che il senso di pace e serenità che lo aveva accolto al risveglio era oramai fuori portata, praticamente irraggiungibile.... almeno, fino alla successiva mattina. 
Con un rassegnato sospiro il giovane detective si decise ad abbandonare il comodo giaciglio, riposizionando cautamente la sua amata Kori sui cuscini, per poi premurosamente portare le lenzuola e le coperte all'altezza del suo mento. La fanciulla dai capelli scarlatti non diede alcun segno di essersi accorta dello spostamento, se non uno; il suo sorriso, radioso e sereno al tempo stesso, parve perdere parte della sua tipica luminosità. 
Alzandosi malvolentieri, il team-leader dei Titans si costrinse a raggiunse il bagno della sua stanza e, dopo una rapida e rinvigorente doccia fredda, tesa a riscuotere interamente il suo fisico dal torpore, si diresse verso l'armadio, dove raccolse uno dei suoi tanti costumi e lo indossò, nel silenzio totale del mattino. 
Prima di infilare la maschera, comunque, i suoi occhi blu incontrarono quelli del sé stesso nello specchio dell'anta; per un istante interminabile, Richard John Grayson non poté fare a meno di fissare con sguardo assorto l'oggetto nelle sue mani, ponendosi internamente la solita, inevitabile domanda che, da quando aveva avuto inizio la storia d'amore e la convivenza con Koriand'r, tutte le mattine tornava a perseguitarlo, senza mai trovare una risposta concreta: 'perché?'.
Perché, non appena veniva posta dinanzi ai suoi occhi, quella maschera sembrava alterare tutta la sua visione della vita, inducendolo a vedere, quale unico futuro possibile, quello del vigilante?
Perché, una volta indossato, quell'oggetto doveva obbligarlo a mettere da parte i suoi sentimenti, desideri e sogni , portandolo a mettere in disparte la persona da cui questi ultimi avevano avuto origine?
Perché proprio a lui - a loro-, tra tutti i miliardi di persone al mondo, erano state affidate simili responsabilità? 
Ma sopratutto, perché lui continuava a farsene carico, sapendo fin troppo bene, già alla sua giovanissima età, che la guerra al crimine non avrebbe MAI potuto giungere davvero al termine?
Diamine, non aveva neppure compiuto venticinque anni, eppure vi erano stati momenti, nella sua vita, in cui il peso della lotta al male gli era crollato addosso, facendolo sentire il più triste e disilluso dei vecchi. 
Questo continuava a chiedersi, Richard Grayson, ogni mattina da mesi, ogni qualvolta i suoi occhi, privati della protezione che quella maschera donava alla sua identità e alle sue incertezze, si imbattevano in uno specchio. Ed ogni volta nessuna risposta soddisfacente o logica era mai sopraggiunta. Tutto quello a cui l'ex-acrobata riusciva a pensare, cercando una giustificazione al fatto che, ancora una volta, stava lasciando una ragazza dolce e straordinaria come la sua Koriand'r, anziché continuare a giacere accanto ad ella ed accogliere il suo risveglio con una qualsiasi frase affettuosa, era ciò che il suo tenebroso mentore gli aveva trasmesso, il suo più profondo credo, la sua ragione di vita:
'... Fintanto che al mondo vi saranno innocenti che soffrono e muoiono a causa della malvagità, dell'avidità e dell'egoismo che dilagano senza freno, costretti impotenti a subire e attendendo che qualcuno giunga, nelle ore più buie, in loro soccorso, allora la missione non potrà definirsi realmente conclusa; e fino a quel giorno, è compito di chi ha la forza, i mezzi e la volontà di assumersi tale fardello di fare tutto ciò che è in proprio potere per aiutare gli indifesi e far trionfare la vera giustizia. Anche se questo dovesse significare sostenere sacrifici terribili e dolorosi...'.
Erano ormai passati oltre dieci anni da quando, in una gelida ed oscura caverna sotterranea, posta al disotto di una vasta e lussuosa dimora, il giovanissimo Richard, orfano da poco dei sui genitori, aveva ascoltato per la prima volta quelle parole, pronunciate da un uomo la cui anima era stata, come anche quella del piccolo Dick, precocemente dilaniata da una tragica e crudele perdita, portandolo a divenire una creatura della notte, un giustiziere senza tempo, capace di recare il terrore nei maligni e la speranza nei giusti... ma che per sé stesso non riusciva a vedere altro cammino possibile se non quello del Cavaliere Oscuro.
Quelle parole, nel bene e nel male, risuonavano ancora nelle orecchie del ragazzo, quasi come se Bruce Wayne fosse stato nuovamente li a pronunciarle in quel momento. E oggi come all'epoca, misero a tacere i dubbi, i timori e gli interrogativi di Dick.
Tutto questo passò, per un fugace istante, nella formidabile mente di quel giovane eroe, prima che la maschera fosse messa al suo posto. Poi, nell'attimo in cui il tessuto aderiva alla pelle, Richard Grayson cedette il passo a Robin, eroe impavido e leader indiscusso dei Teen Titans, protettori di Jump City.
Voltandosi, i suoi occhi indugiarono per un attimo sulla figura avvolta dalle coperte, ancora immersa nel mondo dei sogni. Sentendo una fitta dolorosa alla coscienza, immaginando l'espressione triste e rassegnata che sicuramente il volto di Starfire avrebbe avuto al risveglio, Robin decise di lasciarle almeno un piccolissimo segno del suo affetto per lei, teso a mostrarle che, pur se la mente poneva al primo posto il dovere, il suo cuore elevava lei al disopra di tutto il resto. 
Raccolti dalla scrivania carta e penna, il Ragazzo Meraviglia tracciò alcune fugaci parole di spiegazione, per poi porlo sul comodino accanto a lei. Non era molto, e non era certo quello che entrambi avrebbero desiderato, ma era quanto bastava in quel momento.
'Kori, sono dovuto scappare di corsa. Purtroppo, ieri sera ho preso appuntamento per le 7:20 di stamattina con i dottori del Central Hospital, in modo da avere quante più informazioni possibili sugli effetti che quella strana sostanza ha avuto su quel balordo di ieri sera. Credimi,mi dispiace dal più profondo, e stai sicura che, se dipendesse da me, l'unica cosa che vorrei fare sarebbe stringerti a me, per poi far colazione e passare la giornata insieme. Ma purtroppo, come ti ho già spiegato, la situazione è potenzialmente critica. Sarò di ritorno quanto prima, te lo assicuro, e vedrò di farmi perdonare. 
Con amore, R.'.
Bloccato il foglio con una spazzola, il giovane sporse il viso sopra il letto, chinandosi cautamente, per poi appoggiare le labbra sulla guancia sinistra di lei in un gentile bacio. 
"Sogni d'oro, Kori.", sussurrò l'eroe con un sorriso forzato, scostandole una ciocca di capelli dal bel volto. 
E senza aggiungere altro, si voltò verso la porta, che con un sibilo si aprì dinanzi a lui, richiudendosi dopo alle sue spalle con un identico suono. 
Raggiunto il laboratorio, Robin si diresse al computer, che oramai doveva aver terminato le analisi, avviate poche ore prima. Accendendo lo schermo, l'eroe aggrottò le sopracciglia, vedendo che ben due messaggi erano presenti nella casella di posta elettronica, specificamente creata per consentire alle autorità e all'ospedale di contattare i Titans, per ogni evenienza.
La prima, come Robin aveva tristemente previsto, era stata inviata da Batman in persona; l'altra, inattesa, proveniva dall'ospedale di Jump City, e recava la scritta 'URGENTE!'.
Temendo il peggio, il team-leader la aprì per prima, rinviando il confronto con il suo mentore ad un'altra occasione.
Mentre le parole del rapporto, stilato dai medici del 'Reparto metacriminali', gli scorrevano davanti, Robin sentì il sangue gelarsi nelle vene. 
Passando rapidamente alla schermata delle analisi, ancora aperta, l'eroe capì che le cose non stavano come aveva immaginato... definire 'critica' la situazione, stando alle informazioni combinate delle sue analisi e della diagnosi dei dottori, era un autentico eufemismo.
"Mio Dio..." mormorò il Ragazzo Meraviglia, sentendo l'inquietudine crescere in lui ' Quale  pazzo può aver immaginato, e addirittura creato, una cosa simile?...". 
Senza soffermarsi a cercare risposta, Robin si alzò di scatto, uscì come una saetta dalla stanza, diretto verso il garage. Nella sua mente, la prossima meta era ben chiara: Toll Road Penitentiary, a circa metà strada tra Jump City e San Francisco, luogo in cui attualmente era detenuto il criminale che, meno di dodici ore prima, era noto come Steven Tresh o almeno, questo era quello che le sue impronte digitali asserivano... e, stando a ciò che le analisi svolte in Torre Titans sulla sostanza con cui il folle aveva riempito il proprio organismo, il luogo della sua imminente sepoltura.      

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Capitolo 23
*** Toll Road ***


NdA 
Ai tempi del liceo, la mia materia preferita era di gran lunga l'Italiano. In particolar modo, il compito in classe era il mio momento preferito, poiché mi consentiva di dare il meglio di me senza neppure studiare. 'Come ?', mi chiederete voi. Semplice, perché ero un 'esperto' nella scrittura del saggio breva. In quei compiti, io riuscivo ad esprimere me stesso al meglio, trovando l'ispirazione e sviluppando un mio stile di scrittura; i voti migliori della mia vita li ho avuti grazie a quei temi... o almeno, quelli più soddiscacenti. Tuttavia avevo un grosso problema: scrivevo TROPPO!!!
Tante volte mi sono ridotto a dover chiedere vari minuti in più per riuscire a trascrivere, in bella copia, l'interezza del mio compito... e data la mia grafia minuta, la professoressa, varie volte, aveva qualche problema nel comprendere ciò che vi era sul foglio protocollo.
Sigh, quanto mi mancano, quei tempi... 
Perché ve ne parlo e vi annoio?
Semplice, perché è esattamente ciò che mi sta accadendo ancora oggi con questa storia! Data la lunghezza enorme di questo capitolo, mi sono ritrovato costretto a spezzettarlo ancora una volta. A breve pubblicherò il seguito, ma per ora dovrete accontentarvi, temo, della presentazione del penitenziario di Toll Road (di mia creazione) in cui, ormai lo avrete capito, Robin si troverà a combattere per la vita! Vi dico solo una cosa: il successivo capitolo è già a buon punto, e presto potrete leggerlo. Se avete lamentele da farmi, consigli da darmi, dubbi da chiarire, come sempre vi esorto a contattarmi e farmelo sapere. Per il momento, le mie stanche e nostalgiche mani stanno tirando su il sipario, sperando di compiacervi con il frutto della loro ultima fatica.
A presto. 


Toll Road Penitentiary, Contea di San Francisco, ore 8:27

 
La prigione di Toll Road poteva essere definita con un solo aggettivo: impressionante.
Fondata circa sedici anni anni prima, era nata come un comune centro di detenzione di massima sicurezza, destinato ad ospitare i peggiori elementi della società, provenienti da tutto lo stato della California. Situata a quindici chilometri a Nord-Nord-Est di San Francisco, l'intera struttura era suddivisa in sette distinti blocchi rettangolari di sei piani l'uno, un vastissimo cortile,  due laboratori di tre piani, un magazzino per i veicoli e sei piattaforme per l'atterraggio di velivoli (queste ultime circondate con una solida recinzione, sorvegliata giorno e notte),  occupando un 'area complessiva di oltre due chilometri quadri, delimitati da imponenti mura, alte sei metri e mezzo e spesse quattro, disposte a formare un gigantesco rettangolo. Ben quattordici torrette, ciascuna di dieci metri d'altezza, erano disposte lungo le suddette mura, due per ogni blocco, costantemente sorvegliando l'area interna e la zona immediatamente circostante.
Anche se il penitenziario era nato con la funzione di trattenere al suo interno delinquenti comuni, il crescente numero di esseri dotati di capacità sovrumane aveva richiesto, negli anni, non solo la creazione di nuove ed apposite prigioni, ma anche e sopratutto la ristrutturazione di quelle vecchie o almeno, di quelle dotate di caratteristiche adeguate a svolgere tale difficile compito.
Toll Road rientrava decisamente tra queste ultime; ampia, solida, lontana quanto bastava da grossi centri urbani, in modo da non esporre ad un immediato rischio i civili, nel malaugurato ed improbabile caso di un'evasione. 
Dei sette edifici originari, capaci di ospitare ciascuno fino a duecentocinquanta detenuti, tre erano stati sottoposti ad un rinnovamento totale, rendendoli in grado di contenere ciascuno una diversa tipologia di supercriminali. Una volta completati i lavori, questi ultimi erano stati a loro volta ribattezzati con il nome di Sezione MH-O ( 'Meta-Humans Outlaws'), classificati quindi in base al tipo di abilità detenuto dai loro 'ospiti'.
Qualche tempo dopo, curioso a dirsi, il direttore Grant Safeman, memore dei suoi studi di gioventù e appassionato di letteratura antica, decise di dare a ciascuno di tali edifici un secondo nome latino, teso a rendere meno sterile, dal punto di vista culturale, l'ambiente di lavoro e, al contempo, fornire una precisa definizione per ciascuno di quei particolari luoghi di detenzione:
il blocco MH-O/01, 'Bellica Tormenta', adibito alla reclusione di banditi le cui abilità derivassero, in parte o interamente, dall'uso di apparecchiature hi-tech; qui erano rinchiusi e costantemente sorvegliati abili ingegneri, scienziati brillanti, semplici ladri a cui la sorte aveva messo a disposizione armi futuristiche e, talvolta, sofisticati androidi da combattimento, dotati di una intelligenza artificiale più o meno definita:
il blocco MH-O/02, 'Mutatio', sede di fuorilegge il cui codice genetico era in grado di fornire capacità superiori a quelle di qualunque essere umano comune; esseri strani, dalle sembianze umanoidi o dall'aspetto perfettamente umano, ma in possesso di poteri che la natura, la scienza o chissà cos'altro aveva fornito loro, rendendoli oggetto della paura delle persone ordinarie;
il blocco MH-O/03, 'Artis Magicae', in cui venivano trattenuti individui dotati di poteri occulti e creature magiche ; vari eroi esperti nelle arti mistiche, tra i quali la stessa Raven, avevano preso parte alla realizzazione di questa e di numerose altre strutture simili, poiché ben pochi scienziati e tecnici avrebbero potuto approntare misure adeguate per rendere inoffensivi esseri del genere, in grado di padroneggiare le misteriose ed incomprensibili energie mistiche.   
Tuttavia, la vera peculiarietà relativa a Toll Road era un'altra. Una caratteristica del luogo che, oltre a renderlo unico nello stato, era valsa all'intero penitenziario il suo attuale nome: Toll Road era l'unica prigione della California a non possedere un cancello d'ingresso
I prigionieri, così come il personale, potevano infatti accedere o uscire dai confini del penitenziario solo attraverso l'uso di appositi trasporti aerei. 
Ciò lo rendeva una fortezza virtualmente inespugnabile, in cui le possibilità di fuga erano assai scarse. Tale fattore, unito ai due avanzati centri di ricerca (disposti in un'area appena al disotto del muro Nord), rendeva Toll Road l'unico carcere della Costa Ovest addetto allo smistamento dei supercriminali su tutto il territorio degli USA. 
Benché infatti fosse dotata di eccellenti misure di sicurezza, il fiore all'occhiello della  prigione risiedeva nei suoi reparti scientifici, realizzati grazie alla preziosissima collaborazione degli S.T.A.R Labs e della Wayne Tech. 
In tali avveniristici locali venivano svolte, giorno e notte, importanti ricerche, attraverso cui era possibile non solo comprendere la natura dei pericolosi poteri dei carcerati, ma anche e sopratutto ideare ingegnose soluzioni per neutralizzare tali capacità; ciò poteva risultare estremamente utile non solo al fine di contenere i metacriminali, ma sopratutto per fornire alle comuni forze dell'ordine armi e mezzi con cui fronteggiare di propria iniziativa simili minacce, senza dover così attendere e sperare, ogni volta, nel provvidenziale intervento del primo supereroe di passaggio.   
Come se tutto ciò non fosse abbastanza, anche il sistema di trasferimento dei detenuti era basato su quanto di meglio l'industria scientifica potesse offrire.
In un'epoca in cui la tecnologia dei trasporti consentiva di eseguire spostamenti su tratte lunghissime in tempi sempre più brevi, il penitenziario era stato dotato di una piattaforma per l'atterraggio di futuristici  jet a decollo verticale, ultimo ritrovato dell'industria bellica statunitense, destinati a prendere in consegna i detenuti più pericolosi, colpevoli di azioni criminose in più di uno stato, in modo che potessero essere trasportati non soltanto sul luogo del processo, ma addirittura in ogni altro punto del pianeta designato per la loro definitiva condanna... qualunque essa fosse. 
Di conseguenza molti dei criminali più efferati, che fossero stati arrestati in California o in uno stato limitrofo, venivano costantemente inviati in questa impressionante ed avverinistica struttura e, dopo essere stati adeguatamente studiati ed aver deciso quale fosse la pena più adatta e quale fosse il luogo in cui era più giusto ( e sicuro) rinchiuderli, essi venivano rapidamente caricati sul primo mezzo disponibile e spediti alla prossima destinazione.
In definitiva, Toll Road era una tappa obbligatoria per loro, un autentico 'Casello Stradale', in cui essi si trovavano a passare, lungo la strada della loro punizione.
E in questo luogo, in una fredda mattina di Gennaio, a poche ore l'uno dall'altro, due velivoli avevano fatto il loro ingresso. 
Il primo era stato uno dei tradizionali jet che, a seguito di una chiamata d'emergenza da parte delle vicine autorità di Jump City, aveva prelevato un rapinatore, vittima di 'una contaminazione da parte di agenti chimici non identificati, stando a quel che il confuso rapporto medico dei dottori locali affermava; benché sorpresi (ed alquanto disgustati) dall'aspetto del nuovo detenuto, nonché dalla sua smodata furia (che nel corso del viaggio di ritorno aveva destabilizzato per ben tre volte l'aereotrasporto blindato), le guardie avevano saputo far fronte alla situazione, mediante un uso massiccio di gas soporifero.
Il secondo, un velivolo monoposto a reazione, di colore arancio e grigio, dal cui interno era fuoriuscito nientemeno che uno dei più celebri giovani eroi d'America: Robin, il Ragazzo Meraviglia, leader dei Teen Titans. Pur se con un preavviso di soli dieci minuti, l'ex-spalla di Batman era riuscito ad ottenere un colloquio con il direttore della struttura, grazie ad un permesso speciale, rilasciato un anno prima grazie alla preziosa collaborazione del suo team nella cattura di molti dei metacriminali dello stato, nonché alla collaborazione di Raven nel miglioramento delle difese mistiche del blocco 'Artis Magicae'.
Pochi minuti dopo il suo arrivo, il Titan era stato accolto dal direttore Grant Safeman in persona, presentandogli una richiesta insolita: fare visita all'ultimo prigioniero proveniente da Jump City.  Pur se con notevole impaccio, Safeman aveva acconsentito.
E nell'atteggiamento dell'uomo, nel linguaggio del suo corpo, Robin ebbe conferma dei suoi  peggiori timori.

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Capitolo 24
*** Il caos ha inizio -parte 1- ***


La cella era assai particolare: pur essendo le pareti rinforzate, essa era priva di una vera e propria porta. 
Disposti lungo gli angoli dei muri, quattro congegni, simili a fari per l'illuminazione, erano puntati verso il centro della stanza. 
Lo scopo di quei dispositivi, specificamente progettati e realizzati dalla sezione locale degli S.T.A.R. Labs, era quello di generare un campo di forza semi-trasparente del tutto simile ad una lastra di vetro opaco, il quale ricopriva fino all'ultimo centimetro delle pareti, del pavimento e del soffitto. 
A tale portentosa invenzione era dovuto il curioso soprannome con cui quella particolare aerea, posta all'ultimo piano della sezione  MH-O/02, era nota: la 'Palestra', ossia un luogo in cui l'energia più impiegata era la pura forza fisica. 
Essa aveva il duplice scopo di contenere esseri dalla forza sovrumana e, al contempo, avere una stima esatta dell'estensione di tale forza. Tali apparecchiature erano a loro volta collegate, infatti, a dei sensori di pressione, in grado di rilevare con elevata cura il rapporto forza/peso che ogni singolo colpo era in grado di esercitare su qualunque punto della barriera, definendo in tal modo la Classe di Superforza in cui ogni occupante rientrava. 
Ad esempio, grazie a tali attrezzature ed appositi calcoli, eseguiti da un team di esperti, i Titans avevano potuto determinare, stavolta con assoluta sicurezza, che il monolitico Cinderblock, in condizioni standard, era in grado di sollevare ben trecentottantatanove tonnelate e mezza.  
Ora, tuttavia, un altro essere giaceva in quella straordinaria stanza cubica dai lati di dieci metri e, benché le sue dimensioni e la sua stazza non fossero imponenti come quelle del gigante di roccia, il suo corpo sfigurato lo rendevfa perfino più inquietante a vedersi... o meglio, così sarebbe stato, se questi non si fosse trovato in quel momento in un stato oltremodo pietoso.  
'Questa storia mi piace ogni secondo di meno...'.
Questo il pensiero che nella mente di Robin continuava a ripetersi incessantemente, ogni qualvolta una nuova teoria, relativa al caso attualmente in esame, prendeva forma e veniva rimpiazzata da una simile o del tutto diversa, mentre con espressione indescifrabile l'eroe mascherato stava silenziosamente in piedi in un ampio corridoio del braccio M-H, osservando uno strano, triste spettacolo.
Dinnanzi a lui, seduto scompostamente in un angolo della camera di sicurezza, con indosso ancora i miseri resti degli indumenti neri con il quale era stato arrestato ed un' espressione vacua ed assente sul volto deforme, vi erano i miseri resti del criminale conosciuto dalla polizia di Gotham come Steven Tresh. 
Il suo corpo mostruoso esibiva ancora i segni della violenta lotta, intrapresa poche ore prima con gli eroi di Jump City su Treasure Street; il torace e i fianchi, colmi di lividi ed escoriazioni, erano stati avvolti da metri e metri di garze mediche, mentre la fasciatura sull'avambraccio sinistro aveva un colorito rosso-brunastro, tipico del sangue rappreso. Gran parte delle medicazioni tuttavia pendevano scompostamente, perlopiù lacere o allentate, dando la netta impressione di essere state eseguite frettolosamente, come se il tempo a disposizione per realizzarle fosse stato inferiore al necessario... o come se il paziente si fosse dimenato con più foga di quanta le striscie di stoffa fossero in grado di sopportare. 
Un filo di bava colava dall'angolo della sua bocca deforme, mentre gli occhi, arrossati ed iniettati di sangue, continuavano a fissare il muro della cella, senza dare l'impressione di vederlo davvero, e neppure che vi fosse un qualche tipo di coscienza rimasta a guidarli. 
"Da quanto tempo si trova in questo stato?" chiese infine Robin, rivolgendosi all'uomo accanto a lui, fino a quel momento rimasto in rispettoso ed impacciato silenzio.
Riscosso dai suoi pensieri, il direttore Safeman si fermò un attimo a riflettere prima di fornire la risposta. Costui era un uomo di circa sessant'anni, di bassa statura e leggermente in sovrappeso, dai capelli brizzolati e una corta barba grigia; portava occhiali dalla spessa montatura squadrata, la cravatta ed un abito marrone chiaro, fornendo un'apparenza insieme curata e professionale.   
"Con precisione non saprei proprio dirle... Di certo non è in queste condizioni che è arrivato, poco ma sicuro. Stando al racconto delle guardie, non ha smesso di urlare ed agitarsi fino ad un paio di ore fa. Persino gli altri detenuti hanno iniziato a lamentarsi del fracasso. Poi, gradatamente e senza apparente motivo, le sue grida si sono affievolite, per poi placarsi del tutto. Gli agenti, stanchi ed assonati dopo un simile turno di notte, sostengono di aver pensato che il prigioniero avesse finalmente esaurito le forze, e non si sono dunque preoccupati di accertarsi se ciò corrispondesse al vero. 
Un'ora dopo circa, ossia quando è avvenuto il cambio della guardia, i secondini hanno eseguito il solito giro di controllo e lo hanno trovato... beh, così, come lo vede lei in questo istante. Ossia, né vivo, né morto".
"Cosa ne pensa lo staf medico?" continuò Robin, senza mai staccare gli occhi dal detenuto.
"Ecco, su questo non sono in grado di fornirle una risposta attendibile. Non appena le guardie hanno dato l'allarme, i soccorsi si sono precipitati. Tuttavia, per non correre rischi, nell'eventualità si tratasse di una tradizionale finzione per aver la porta spalancata, essi non hanno potuto avvicinarsi a lui. Non reputando saggio somministrargli altro gas soporifero , per evitare un avvelenamento dopo la massiccia quantità che poche ore prima era stata usata per sottometterlo, si sono limitati a raccogliere i dati che i sensori della cella hanno registrato sull'apposito pannello." e qui Safeman si interruppe, in modo da indicare uno schermo piatto, aimilwe a qello di un televisore, posto accanto all'ingresso del corridoio. 
"Non posso dire che, tra le mie competenze, rientri la comprensione del linguaggio medico, ma dal tono usato e dall'espressione sui loro volti, beh... Per fargliela breve, l'unica cosa che ho potuto capire, ascoltando di sfuggita i loro discorsi, è che ci sono buone probabilitò che la sua ...condizione, sia permanente." concluse l'uomo più vecchio, abbassando lo sguardo, un'espressione solenne e contrita sul viso. 
In quel momento, Robin capì di stare provando da una profonda ammirazione nei confronti del suo interlocutore; nonostante fosse un uomo di legge, a cui era stato affidato l'arduo compito di tenere sotto chiave elementi criminali, era evidente che Safeman non era tipo da godere della sofferenza e della malasorte altrui, perfino se questi era un pericoloso delinquente che, meno di un giorno prima, aveva messo a repentaglio la vita di dozzine di persone con il solo plausibile movente dell'avidità. 
Poche volte, durante le sue visite nel carcere di Black Gate o nel manicomio criminale di Arkham, ai tempi della sua vita al fianco del Cavaliere Oscuro, il giovane detective aveva riscontrato una simile nobiltà d'animo nei secondini o nei direttori.
Era quasi come se il costante contatto con gli individui più sadici, maligni e folli individui della città di Gotham avesse lentamente portato gli animi e i cuori dei dipendenti di quelle prigioni ad una sorta di corruzione interiore, rendendoli più simili di quanto loro potessero immaginare o ammettere a quei mostri che tanto disprezzavano; la sola differenza, secondo Robin, era da quale parte delle sbarre essi si trovavano.
"C'è qualcuno dello staff medico con cui io possa parlare? Ho alcune domande da rivolgere loro, circa i sintomi che il detenuto ha mostrato finora, e spero possano aiutarmi a fare luce su alcuni punti di un'indagine in corso.". disse Robin, finalmente voltandosi a guardare negli occhi Safeman.
"Certamente, non vi è alcun problema; i medici in questione avevano iniziato il loro turno solo ieri, e non lasceranno la struttura fino a domani mattina. Se vuole seguirmi, l'infermeria è al pianterreno, per cui sarà meglio prendere l'ascensore. Sa com'è, alla mia età salire le scale tende a rassomigliare ogni giorno di più ad una scalata in montagna..." disse il direttore incamminandosi, tentando al medesimo tempo di alleggerire l'atmosfera mortifera che quel colloquio aveva generato. 
Mentre percorrevano uno dei corridoi, diretti verso l'ascensore, lo sguardo di Robin si posava sulle celle che costeggiavano il percorso. A differenza di quella in cui Tresh era stato alloggiato, queste avevano delle porte, e dall'aspetto anche decisamente solido. Su alcune di esse, l'eroe notò alcune iscrizioni, incise in piastre di allumino e fissate con delle viti sulle superfici d'acciaio. Mettendo a fuoco meglio, si accorse che si trattava di nomi e numeri di matricola, tesi ad indicare quali delle celle in questione erano occupate, e da chi. 
 
010546/Beta - Edward Dawson - Lion Mane
005424/Beta - Mark Desmond - Blockbuster
030048/Alpha - Anthony Woodward - Girder
 
Istintivamente, Robin, si ritrovò a tentar di richiamare alla memoria quanti più dati possibili sui tre supercriminali, appresi anni prima da alcuni files che Batman gli aveva mostrato, relativi ad alcuni dei meno celebri delinquenti metaumani. 
All'epoca, lo scopo del Cavaliere Oscuro era stato quello di insegnare al suo giovanissimo ed inesperto assistente che la minaccia che un avversario può rappresentare non viene determinata dalla notorietà di quest'ultimo; molte delle battaglie più impegnative e rischiose in cui il paladino di Gotham si era ritrovato coinvolto erano state proprio quelle contro nemici sul conto dei quali non possedeva alcuna informazione. 
Anni dopo, il Ragazzo Meraviglia aveva infatti appreso sulla sua stessa pelle quanto quella lezione fosse importante e veritiera, a seguito del primo confronto con Slade (a quel tempo un perfetto sconosciuto). 
Focalizzando la sua attenzione, l'ex-acrobata si accorse che buona parte dei files da lui studiati erano rimasti impressi nella sua mente, anche grazie all'eccellente e metodica disciplina con cui le numerose conoscenze, relative alle materie in cui un buon investigatore deve essere erudito, erano state accumulate.
Ascoltando solo in parte le parole che Safeman stava rivolgendogli, riferite ai recenti aggiornamenti effettuati alle misure di sicurezza, Robin continuava a ricordare uno dopo l'altro, nome dopo nome, volto dopo volto, i meno celebri dei metacriminali a lui noti.
 Malgrado molti di essi, anche a distanza di oltre un decennio, non fossero riusciti nell'intento di procurarsi la nomea di minacce di primo livello, il paladino rosso-vestito sapeva perfettamente che, per un individuo comune, essi rappresentavano una sfida quasi insormontabile. 
Benché non riuscisse a ricordare interamente tutte le informazioni acquisite nella sua lontana infanzia, Robin seguiva con costanza la cronaca-, in tal modo, sapeva che quei tre si erano trovati, numerose volte in passato, impegnati in scontri con eroi di notevole calibro; in particolar modo, il gigante dalla pelle di metallo conosciuto come Girder si era numerose volte scontrato con il Velocista Scarlatto in persona, Flash, dando prova di essere tutt'altro che un nemico di poco conto. Ciononostante, la cronaca non aveva mai dedicato all'energumeno più di due colonne sulla terza pagina dei quotidiani. 
Una volta che le porte scorrevoli dell'ascensore si furono chiuse, dopo che la destinazione era stata selezionata, il direttore decise di cambiare discorso. 
"Posso chiederle una cosa, giovanotto?"
Senza battere ciglio, l'eroe annuì.
"Prego, dica pure."
"Molto bene, dunque; potrebbe spiegarmi come mai lei, Robin, uno dei celebri Titans, ha deciso di presentarsi qui, nel nostro penitenziario, alle 8:00 del mattino, di persona, solo per accertarsi delle condizioni di un detenuto? Insomma, posso capire che lei e la sua squadra foste in ansia per la sua salute - ansia perfettamente comprensibile, a giudicare dalle ferite del soggetto in questione-  ma lei ricorderà di certo, a seguito della sua ultima visita assieme alla signorina Raven, che la nostra infermeria non ha nulla da invidiare al migliore ospedale della California. I nostri dottori del reparto traumatologia sono perfettamente in grado di occuparsi di simili ferite... Dunque, se permette, le rinnovo la domanda: cosa è venuto a fare qui?" concluse Safeman, la fronte aggrottata.
Suo malgrado, l'ammirazione che l'ex acrobata provava per Safeman aumentò; nonostante quella fosse una domanda che rischiava di arrecare problemi a lui, all'ispettore Ralph Gordon e all'intera squadra, il ragazzo doveva constatare che la mente del vecchio era assai acuta. 
Non volendo rischiare un'inchiesta (inevitabile se si fosse scoperto che un ufficiale della polizia di Jump City aveva consegnato nelle sue mani, senza apposita autorizzazione, una prova del crimine) Robin scelse di raccontare una mezza verità, in modo da rendere la collborazione con il carcere di Toll Road più semplice e, contemporaneamente, dare soddisfazione a quell'uomo insolitamente degno di rispetto.
"Mi dica, direttore: ha mai sentito parlare di un criminale di Gotham City noto come Bane?" chiese il detective, appoggiandoosi con la schiena al muro dell'ascensore e incrociando le braccia, fissanfo il pavimento.
"Vuole scherzare? Certo che si! Varie volte, nel corso di convegni, mi è capitato di parlare con i miei colleghi di Gotham; quasi tutti concordavano su quanto fosse inquietante quell'individuo: geniale, dotato di facoltà intellettive fuori dal comune, ma al medesimo tempo provvisto di una ferocia e una brutalità scioccanti. Mi è stato detto che, ogni qualvolta un altro detenuto di Black Gate abbia osato attaccare rissa con lui, nel novantanove percento dei casi si è ritrovato a passare mesi in infermeria. Alcuni dei più sfortunati si trovano tutt'oggi li, in coma profondo...ma questo cosa c'entra?" disse il corpulento uomo.
Robin inspirò profondamente, poi decise di dire a Safeman ciò che era più sicuro dirgli.
"Durante la lotta, sostenuta tra il prigioniero e il mio team, questi ha fatto uso di una sostanza chimica sconosciuta, di natura anabolizzante. Gli effetti non sono dissimili da quelli del Venom, di cui sono sicuro avrà sentito parlare almeno una volta. Non sto a spiegarle i dettagli dello scontro, ma quel tipo - Steven Tresh, se non ricordo male ciò che vi era scritto sul rapporto della polizia - aveva un aspetto perfettamente umano, prima di iniettarsi quel composto nelle vene.
Dopo una sola dose, la sua forza è aumentata in maniera esponenziale, ma non abbastanza da costituire una seria minaccia per noi.
Messo alle strette, tuttavia, ha compiuto il proverbiale passo più lungo della gamba, iniettandosi una quantità sei volte superiore alla precedente. Come prevedibile, la sua potenza è aumentata ulteriormente, ma il suo fisico non era chiaramente in grado di sostenerla, come lei stesso ha potuto vedere." e qui le porte dell'ascensore si aprirono. 
Mentre Robin e il direttore uscivano, dirigendosi verso la propria meta, sei guardie armate presero il loro posto, senza dubbio per andare a prendere servizio. 
Prima di riprendere, il detective lanciò un'occhiata all'anziano accanto a lui, notando che, pur conservando un'espressione composta, un lieve pallore si era impadronito del suo volto, indubbiamente dovuto all' idea di un individuo normale mentre assume simili sembianze.
Il giovane eroe non poteva dargli torto, avendo assistito alla scena in prima persona e avendo lottato con sé stesso per evitare di farsi cogliere dalla nausea.
"Anche se con notevole difficoltà stavolta, siamo riusciti ad avere la meglio. Tuttavia, come avrà dedotto dalle sue ferite, si è trattato di uno scontro violento, dovuto al fatto che il criminale non sembrava volersi rassegnare alla sconfitta. Alcune gocce di sangue sono rimaste su di me e i miei compagni; appena mi è stato possibile, ho raccolto ed analizzato tali campioni di sangue, trovandovi tracce abbondanti della sostanza.
Non è stato semplice, ma ho potuto a grandi linee dedurre che, pur se simile al Venom, questa droga è decisamente più pericolosa, e non mi riferisco solo alle abilità che conferisce: è roba pericolosa, molto pericolosa, e il fatto che una persona sola ne abbia fatto un tale abuso. in un lasso di tempo così breve, non poteva avere che una conclusione...ma di questo, se non le spiace, vorrei discuterne in presenza dei dottori." .
"Si, certo...capisco benissimo." disse Safeman, asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
Dopo qualche minuto, i due giunsero infine davanti all'ingresso del locale cercato e, dopo che il direttore ebbe garantito per Robin con le due guardie li poste, entrarono. 
"Bene Robin, quanto era in mio potere dirle lo ha sentito. Sfortunatamente, non sono in grado di farle anche un rapporto sulle condizioni di salute del soggetto. A questo dovrà provvedere il primario del nostro reparto medico. Oh, bene, eccolo li. Quando si dice Lupus in Fabula', eh?" disse il direttore, indicando un uomo dai capelli rossi, di media statura, sulla cinquantina d'anni, avvolto in un camice bianco, intento a parlare con un suo collega, continuamente consultando una cartella medica.
"Dottor Wilbert? Buongiorno. Le presento Robin, uno dei Teen Titans. Egli è qui per discutere con lei delle condizioni di salute dell'ultimo arrivo, quello alloggiato, per il momento, nella camera di misurazione. Robin, le presento il dottor Willbert, primario del reparto medico del blocco 'Mutatio'."
Senza una parola, Robin e il dottore si strinsero la mano. 
Dalla sua postura e dalla totale mancanza di entusiasmo della stretta, Robin poté dedurre che il dottor Willbert non era un tipo a cui i supereroi ispirassero molta fiducia o simpatia.
Pur se internamente seccato ( temendo che un'eventuale ostilità a priori da parte del medico potesse pregiudicarne la collaborazione), il Ragazzo Meraviglia comprendeva pienamente; avendo a che fare continuamente con criminali che si nascondevano dietro ad un costume, era evidente che il medico dovesse aver sviluppato una sorta di diffidenza istintiva nei confronti degli individui mascherati, a prescindere da quale parte della legge essi operassero.
"Questo, invece, è uno dei creatori della  tecnologia di contenimento, nonché di trasporto, che contraddistingue la nostra prigione; forse già lo conosce, considerata la sua celebrità ,a mi permetta comunque di presentarle il dottor Irons, in visita nella nostra struttura per alcuni controlli di routine per conto degli S.T.A.R. Labs." aggiunse il direttore, indicando l'uomo con cui, prima di essere interrotti, Willbert stava parlando. 
Essendo sempre molto attento alla cronaca, Robin aveva sentito spesso parlare : John Herry Irons era una delle più brillanti menti del pianeta, plurilaureato nei più svariati campi della fisica.
Stando al parere di numerose ed autorevoli riviste scientifiche, Irons rientrava nella lista dei dieci uomini più brillanti del secolo.
Costui era un afroamericano di due metri di altezza, dal fisico possente ed atletico. 
Aveva occhi intelligenti e vivaci, color castano, il cranio rasato e un corto pizzetto. 
Robin non poté fare a meno di paragonarlo a Cyborg per statura e massa muscolare. Tuttavia, mentre il cibernetico eroe doveva le sue attuali dimensioni alle numerose protesi, il dottor Irons era chiaramente un appassionato culturista, arrivando a sovrastare il giovane ed allenato vigilante di almeno trenta chili di muscoli.
Oltre al camice, provvisto di tesserino identificativo, l'uomo portava dei classici blue jeans, una camicia bianca e scarpe da ginnastica.     
"Qua la mano, ragazzo!" disse con un tono decisamente più energico lo scienziato. 
Appena Robin afferrò la mano che gli veniva tesa, immediatamente ebbe l'impressione  (malgrado la propria superba condizione atletica) che questa gli venisse stretta in una morsa, mentre simultaneamente il suo avambraccio veniva scosso con tale energia che il detective ebbe il fugace timore che l'arto potesse staccarsi.
Quando la stretta cessò, Robin nascose con discrezione la mano dietro l'orlo del mantello, più volte contraendola, nel tentativo di recuperare la sensibilità perduta.
"Piacere, ho sentito molto parlare di lei, dottor Irons. Il fatto che lei in persona si sia incaricato della tecnologia di questo posto è una autentica garanzia".
A quest'ultimo commento, Irons diede una vigorosa pacca sulle spalle all'eroe, facendolo oscillare pericolosamente in avanti. 
Pur riuscendo a mascherare la smorfia di dolore che il gesto gli aveva inferto, il vigilante prese mentalmente nota di chiedere a Raven se la sua magia curatrice aveva effetto anche sui lividi... cosa che, quella sera, di certo avrebbe avuto.
""Aah, troppo buono, ragazzo." rispose con modestia l'afroamericano, portandosi le mani in tasca e sorridendo."Cerco solo di aiutare come posso... come del resto fate tu e la tua squadra. Mi piacerebbe incontrarli, un giorno o l'altro, i famosi Titans; fa sempre piacere conoscere dei giovani pieni di talento ed entusiasmo. Chissà, visto che mi trovo a passare da queste parti, potrei anche decidere di fare una capatina a Jump City, in modo da visitare la celebre Torre Titan.",
"Ne saremmo onorati. Sarebbe un vero privilegio se un genio del suo livello volesse visitare la nostra casa e darci un parere sincero. In particolare Cyborg, scommetto che sarebbe felice di conoscerla e mostrarle le sue invenzioni." continuò Robin, 
A quel punto, avvenne qualcosa di strano, qualcosa che solo Robin parve notare, grazie alla capacità d'osservazione tipica di un vero investigatore; all'udire il nome di Cyborg, il volto di Irons parve incupirsi per una frazione di secondo, e il suo sorriso  deformarsi in una smorfia di rabbia, fugace ma sincera.
"Non vedo l'ora Robin, non vedo l'ora..." disse Irons, il sorriso di nuovo intatto, ma nella voce una sfumatura inquietante era percettibile, seppure a stento.
Confuso, l'ex assistente di Batman aprì bocca per chiedere spiegazioni, quando il direttore Safeman tornò a parlare.
"Chiedo scusa dottor Irons, ma credo che Robin dovesse chiedere delle informazioni al dottor Willbert, relativo al suo ultimo paziente. Dottor Willbert, cosa può dirci al riguardo?" 
"La ringrazio, direttore." disse Willbert, chiaramente infastidito da quel colloquio e desideroso di tornare quanto prima al suo lavoro. "Bene giovanotto, mi permetta di precisare una cosa, prima di spiegarle come stanno i fatti: il soggetto è arrivato qui in pessime condizioni, e non parlo semplicemente delle sue vistose ferite. 
Benché gravi, esse non lo erano abbastanza da mettere a rischio la vita del paziente; ciò che ha destato maggiore preoccupazione, tra me e i miei colleghi, è lo stato di sovreccitazione nervosa estrema, esibito dal detenuto per un periodo di tempo che, come può confermarle qualunque specialista, non gioverebbe affatto alla salute di una persona normale. E' stato necessario trasportarlo nella camera di contenimento con uno dei mezzi blindati, poiché non ci è stato possibile anestetizzarlo in maniera efficace; in qualche modo, i comuni sedativi non sembrano avere un effetto duraturo su di lui.
Per quello che siamo riusciti a comprendere, tramite sopratutto i sensori di diagnostica della cella di misurazione, il paziente è stato sottoposto ad una repentina e traumatica alterazione della massa ossea e muscolare.
In particolare, il suo tessuto muscolare sembra aver subito un incremento esponenziale della densità delle fibre muscolari. Ciò ha reso i muscoli non solo più spessi e potenti, ma considerevolmente più resistenti. Nel poco tempo in cui il soggetto è rimasto sedato, comunque, abbiamo potuto svolgere delle analisi, prelevando dei tessuti dal braccio sinistro, dove è stata apportata una perforazione con una qualche sorta di arma da punta o da taglio, non sono sicuro..."
"Fauci." intervenne Robin.
"Come?" chiese il dottore, mentre gli altri due si voltavano a fissare il giovane con il mantello.
"Le ferite al braccio sinistro sono state inferte da Beast Boy, mediante l'uso di fauci di un carnivoro primitivo, di cui purtroppo non ricordo il nome esatto . Ciò ha consentito di salvare la vita ad un altro membro della mia squadra." lo informò il vigilante.
Pur se con un certo disgusto negli occhi, Willbert preferì astenersi da commenti, riprendendo da dove era stato interrotto. "Uhm, si, bene...dunque, la ferita all'arto... stavo dicendo, pur non essendo la più grave, ci ha permesso di prelevare alcuni frammenti di tessuto epiteliale ed alcuni campioni di sangue. La cosa davvero strana che abbiamo potuto riscontrare, prima che il prigioniero iniziasse a risvegliarsi, è il fatto che, in quei particolari campioni, non sembra esserci più traccia di cellule nervose."
"Niente cellule nervose?! E come diavolo è possibile?!" chiese Irons, intervenendo per la prima volta nella discussione.
"Beh, in effetti non è che le cellule non ci siano: per essere precisi, non vi è più nessuna cellula nervosa viva in quel punto, né nella zona immediatamente circostante. E' quasi come se qualcosa le avesse distrutte, uccidendole ad una velocità tale da lasciarne intatta la struttura.
Non so spiegare come sia successo, ma escludo categoricamente che sia stato il -ehm- morso, che il compagno di squadra del qui presente signor Robin gli ha inferto. In effetti, è mio opinione che, al momento in cui il danno veniva inferto, le cellule nervose della pelle fossero già morte,   in gran parte o del tutto, e che solo quelle del muscolo o nella zona prossima alle ossa fossero ancora intatte... o perlomeno, ancora in buono stato."
Robin annuì, mentalmente ripercorrendo le varie fasi della battaglia: i pugni di Cyborg, i dardi di Starfire, l'energia di Raven... nulla di tutto ciò sembrava impensierisse il mostro. Eppure, come era chiaramente intuibile, la mutazione non aveva reso invulnerabile la sua pelle, e i lividi e i graffi sembravano provarlo. Ma solo le zanne del gigantesco deodonte avevano dato luogo ad una reazione di dolore autentico... perché, a differenza degli altri attacchi, essi erano andati oltre l'epidermide, lacerando letteralmente i muscoli e colpendo i pochi nervi ancora in grado di sentire dolore! 
"Cosa può aver provocato un simile danno, dottore?" domando Irons, ridestando Robin dal suo ragionamento.
Per tutta risposta, Willbert alzò le spalle, per poi riprendere a parlare.
"Su questo non posso fare ipotesi, dottor Irons. Stiamo ancora analizzando il sangue in nostro possesso, ma temo che ci vorrà del tempo per scoprire la causa scatenante, e devo dire che, malgrado tutti i sette anni di lavoro in questo penitenziario, nulla di quello che ho mai visto ha prodotto simili-"
"Era quello che temevo di sentirle dire, dottore, ma temo di dover essere io a fornirle il dato mancante. E sono certo che non le piacerà ciò che sto per rivelarle." disse Robin, interrompendo il dottor Willbert bruscamente. 
Benché il volto del medico esternasse chiaramente il disturbo che l'essere interrotto, per la seconda volta, nel bel mezzo del suo discorso da quello che, ai suoi occhi, era poco più che un ragazzo, la curiosità tipica di ogni scienziato era stata chiaramente risvegliata in lui. 
Con un cenno del capo, che intendeva esprimere sia seccatura che assenso, James Willbert lasciò la parola all'eroe mascherato.
"Come ho già detto al direttore Safeman, ho avuto modo di eseguire alcuni test su dei campioni della sostanza; cercavo di scoprire se, come sospettavo, potesse trattarsi di una versione potenziata di un altro composto chimico, una potente e pericolosa droga. Gli effetti erano simili, ma in scala decisamente ridotta; l'utilizzatore non era mai stato in grado di raggiungere, se non in condizioni particolari e sotto sforzo estremo, un livello di forza tale da sollevare una massa superiore alle dieci tonnellate. Questa formula, invece, ha consentito a quel criminale di provocare danni che, con un livello di forza pari alla Classe 10, so per certo essere impossibile. 
Coi pochi campioni in nostro possesso, estratti dal sangue che io e alcuni membri del mio team ci siamo ritrovati addosso, ho potuto eseguire alcuni test, confrontando il composto con la droga in questione. 
I risultati che ho ottenuto non lasciano spazio a molti dubbi; questa formula è pesantemente ispirata all'altra, sia in termini di componenti che di preparazione, ma vi è una fondamentale differenza: sono stati utilizzati, ad un certo punto della lavorazione e in quantità tutt'altro che esigua, isotopi radioattivi di natura ignota.
E' questo, con tutta probabilità, il fattore che ha scatenato una mutazione tanto repentina, ed è questo ciò che ha reso inefficace l'uso dei sonniferi: il suo corpo è ricolmo di una concentrazione tale di liquido radioattivo da riuscire addirittura ad alterare o neutralizzare gli effetti degli agenti chimici nel suo organismo e, allo stesso tempo, sta degenerando il suo sistema nervoso.
Probabilmente il tasso di degenerazione avrebbe dovuto essere più lento, ma solo se si fosse limitato ad una iniezione. Invece, come un perfetto idiota, se ne è iniettato sette dosi, di cui sei simultaneamente... 
Per questo non sembrava sentire alcun dolore: i nervi della pelle, evidentemente, sono stati i primi ad essere coinvolti, ed è per questo che, dopo aver passato ore a dimenarsi e urlare, adesso siede sopra di noi in uno stato catatonico.... 
Scommetto che, se eseguirete un elettroencefalogramma, il risultato che otterrete darà conferma ai miei sospetti: il suo cervello è stato danneggiato, pesantemente danneggiato, forse in maniera irreversibile e sono certo che, andando avanti di questo passo, in poche ore sarà morto."
Un pesante silenzio seguì le parole del Ragazzo Meraviglia, mentre i tre uomini nella stanza lo fissavano, un'identica espressione di orrore, disgusto e stupore sui loro visi. 
Fatto qualche passo indietro, il dottor Willbert si lasciò crollare su una sedia, poggiando poi la testa sulla mano destra e mormorando " Mio Dio, è una cosa... voglio dire, è...io, io non so come si possa... Mio Dio..." 
Prima che altre domande potessero essere fatte, prima che altre spiegazioni potessero essere chieste, prima che un qualunque commento venisse pronunciato, si udì in lontananza un rumore fragoroso, seguito da un'esplosione che scosse l'intero edificio.
Robin ed Irons riuscirono a mantenersi in piedi, mentre Safeman, Willbert ed ogni altro dottore nel laboratorio (fino a questo punto rimasti alle proprie postazioni lavorative, ignari della conversazione scioccante avvenuta a pochi metri da loro) crollarono a terra, travolti dall'onda d'urto che mandò in frantumi ogni finestra e rovesciò tutti i tavoli e le sedie all'interno dell'infermeria.
Dopo pochi istanti una delle guardie, fino a quel momento appostate fuori alla porta, entrò di corsa, un'espressione sconvolta ed inorridita sul viso. Nelle mani stringeva una radio per le comunicazioni interne.
"Direttore! E' successa una cosa terribile!" urlò l'uomo in uniforme, il viso stravolto dal panico e l'incredulità.
"Cosa succede, Philip? Che cosa è stato??" urlò Safeman, mentre Irons lo aiutava rialzarsi.
"L-Le celle, signore, le celle si sono aperte!"
"Cosa?! Come sarebbe a dire, di quali celle parli?" chiese impallidendo Safeman.
"Tutte quante, signore, tutte le serrature...il dispositivo di blocco di tutte le porte è saltato! E anche gli inibitori, sembra... Tutti i dispositivi di sicurezza sono fuori uso, signore! "
"Tutti i dispositivi dell'edificio?" chiese Robin, afferrando con forza l'uomo per le spalle "Rispondimi, tutti i dispositivi di sicurezza di questo edificio sono stati disattivati?", cercando di comprendere la gravità della situazione, frattanto che la gente intorno a lui tentava ancora di riprendersi dalla terribile
"N-No..." disse con un filo di voce l'uomo, inorridito da quanto lui stesso stava per dire." Tutte le porte dell'intero penitenziario! Toll Road è nel mezzo di una rivolta totale!!!"

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Capitolo 25
*** Il caos ha inizio -parte 2- ***


NdA 
Se potete, vi chiedo di perdonare la mia prolungata assenza.
Questo capitolo lo dedico a voi tutti, ma sopratutto a RainingStars, il cui supporto continuo e la cui gentilezza mi spingono ad andare avanti senza arrendermi.
Se avete dubbi, domande, suggerimenti o lamentele da pormi sappiate che, come sempre, sono aperto alla critica costruttiva.
Spero di sopravvivere al 21 Dicembre (o forse era il 22?), in modo da poter continuare a scrivere con e per voi.
Ed ora, finalmente, Su il Sipario!!!
P.S.
Se pensate che ci stiamo avvicinando al climax della storia, sappiate che siete completamente fuori  strada!
Anche se l'azione è alle porte, la trama è solo all'inizio; le vere battaglie, quelle che decideranno le sorti del pianeta, sono ancora lontane. Per cui, se avete pensato che questa sfida fosse quella decisiva, posso garantirvi che mi avete profondamente sottovalutato. 
Aspettate e vedrete ;)...
 
30 dischi esplosivi di medio potenziale, ognuno in grado di perforare un muro di cemento;
15 dischi al freon, in grado di rinchiudere istantaneamente una comune automobile in un blocco di ghiaccio a venti gradi sottozero;
16 birdarangs in acciaio temperato, combinando due dei quali risulta possibile creare una spada estensibile;
9 rampini prensili, di cui 5 dotati di cavo in fibra di carbonio di quindici metri e 4  lunghi il doppio ;
2 rampini magnetici, muniti di quindici metri di cavo;
5 paia di manette;
25 sfere fumogene ;
4 bastoni in fibra di carbonio,  estensibili fino ad una lunghezza massima di dieci metri in tre secondi;
2 bombolette di pepe spray;
una torcia elettrica;
1 taser,  capace di produrre, ad intervalli di tempo di un minuto l'uno dall'altro, stordenti scariche elettriche, abbastanza forti da stordire un elefante o ridurre un uomo di media taglia alla totale sottomissione;
svariati strumenti per l'investigazione sul campo;
un kit medico per il primo soccorso;
un videocomunicatore, provvisto, tra le varie funzioni, di GPS e Wi-Fi.
Tale elenco fu ciò che attraversò, come prima cosa, la mente di Robin, non appena le sue orecchie furono attraversate dall'ultima frase che una persona, in visita ad un carcere di massima sicurezza, privo di vie d'uscita convenzionali e adibito alla reclusione di centinaia di criminali comuni  e chissà quanti super-criminali , vorrebbe sentir pronunciare: "...le celle si sono aperte!"
Istintivamente, mentre una sconvolta guardia recava la notizia al personale scientifico, nonché al direttore della struttura in persona, diffondendo suo malgrado paura e sbigottimento in quasi tutti i presenti, il leader dei Titans passò in rapida ed accurata rassegna l'esatto contenuto della sua cintura multiuso, simbolo distintivo di tutti i membri del Bat Clan. 
Tale accessorio, malgrado il nome, era ben più di un semplice capo di abbigliamento: si trattava di un autentico capolavoro della tecnica, capace di contenere al suo interno un vero e proprio arsenale pieghevole, ideato, costruito ed innumerevoli volte perfezionato dall'inesauribile genio di Bruce Wayne, nel corso della sua interminabile lotta al crimine. 
Difatti, ciò che, in moltissime occasioni, aveva salvato la vita al Cavaliere Oscuro e ai suoi partner e pupilli erano stati gli sbalorditivi strumenti che, nei momenti più critici, venivano estratti da uno più comparti delle suddette cinture, sorprendendo l'eventuale nemico o ponendo rimedio ad una situazione potenzialmente pericolosa o persino mortale.
Una delle regole fisse del Bat Clan, pertanto, era che al termine di ogni missione, se l'utilizzatore non aveva riportato ferite o lesioni gravi, lui o lei eseguisse un'accurata revisione della propria cintura, premurandosi di riempire nuovamente ogni singolo comparto, in modo da non ritrovarsi 'a secco', nel corso della successiva battaglia. 
Tale regola, in più di un'occasione, si era rivelata di incalcolabile importanza.
E nonostante la spaccatura, per molti versi insanabile, che si era venuta creare tra il tenebroso mentore e il suo primo discepolo, Robin inconsciamente era grato a Batman per avergli trasmesso tale principio, oltre alla disciplina mentale per portarlo sempre a compimento; pur essendo un compito per molti versi tedioso e perfino frustrante, il giovane detective non aveva mai mancato, salvo casi rari e particolari, di eseguire la manutenzione quotidiana di ogni singolo componente delle sue cinture, così come di ogni strumento destinato a riempirne i comparti.
Tuttavia, all'udire lo sconvolto individuo pronunciare la frase successiva , ossia "-Toll Road è  è nel mezzo di una rivolta totale!", il leader dei Titans, paladino di Jump City, straordinario combattente e formidabile detective, pur conservando una postura composta e controllata, non poté impedire a due pensieri, infidi e traditori, di passare per la sua mente:
il primo, che dal momento del suo risveglio continuava ad assillarlo,  fu 'avrei fatto meglio a  restarmene nel mio- nel nostro letto';
il secondo, più professionale, ma comunque inutile per l'attuale situazione, fu ' devo procurarmi una cintura più capiente'.
Ma simili idee poterono tenere impegnata la mente dell'eroe mascherato solo per pochi, fugaci attimi, poiché a prendere il posto di queste ultime sopraggiunse la consapevolezza che, da quell'istante in poi, le vite di tutte le persone innocenti in quella struttura erano in mortale pericolo. E in quanto eroe, era suo preciso dovere proteggerne quante più possibile. Ciò comportava, da parte sua, un comportamento che risultasse, al medesimo tempo, ponderato, coraggioso e distaccato; l'esperienza aveva infatti insegnato a Robin che, se l'eroe non è in grado di ispirare fiducia e sicurezza in coloro che deve proteggere, questi finiscono inevitabilmente con il lasciarsi sopraffare dalle emozioni quali lo sconforto, l'agitazione e, sopra ogni altra, la paura.
Ma una rapida occhiata agli uomini e le donne intorno a lui fu più che sufficiente per fargli capire che, come era facile prevedere, il terrore si stava già diffondendo come il più implacabile dei virus in quel laboratorio. 
Sguardi attoniti vagarono da un viso all'altro, quasi come se ognuno sperasse di trovare, nell'espressione della persona accanto, un qualsivoglia cenno che negasse la realtà, che desse una speranza.... che rivelasse loro che tutto quel che stava avvenendo non era altro che uno spaventoso incubo, da cui si sarebbero presto risvegliati. 
Poi, la realtà dei fatti si presentò in tutta la sua crudeltà, quando dall'esterno cominciarono ad arrivare, attraverso le finestre infrante, i suoni inconfondibili di uno scontro armato. Senza più riuscire a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, uno degli assistenti di laboratorio (che a giudicare dal viso lentigginoso, non poteva avere più di venticinque anni) mormorò debolmente "Oh mio Dio... moriremo tutti...".
E per quanto flebile, nel silenzio attonito e surreale del laboratorio, quella semplice esclamazione risuonò come il tuono che precede il temporale. 
E l'effetto non poté che essere istantaneo.
Grida di panico squarciarono l'aria, lacrime cominciarono a cadere dagli occhi, mentre  ventisette persone in camice cominciavano già a lasciarsi andare a gesti scomposti e illogici, come tirarsi i capelli, cadere in ginocchio e pregare o, più semplicemente, andare in iperventilazione.
A quel punto, Robin non poté fare a meno di imprecare a mezza bocca, ben sapendo, per esperienza personale, che affrontare un'orda di delinquenti inferociti sarebbe stato molto più facile che gestire una folla in preda al terrore. Tuttavia, un dettaglio saltò subito alla sua attenzione; tra la marea  di camici bianchi, ve ne era uno chiaramente assente: quello del dottor Irons.
Ignorando temporaneamente il caos che progressivamente andava dilagando nella stanza, Robin si guardò attorno, scrutando con cura e rapidità il locale. Gli occorsero meno di dieci secondi per riuscire a scorgere, nel vasto ambiente, l'imponente figura di Irons che, recuperata una sedia, sedeva davanti ad un computer, freneticamente premendo i tasti della tastiera e dando le spalle ai suoi colleghi, in apparenza noncurante della situazione. 
"Dottor Irons, che sta facendo?" disse l'ex spalla di Batman, avvicinandosi all'uomo. 
Questi, per parte sua, non diede quasi segno di essersi accorto del ragazzo mascherato, tanto che continuò a pigiare per diversi secondi, prima di decidersi a fornire una spiegazione.
"Quello che i qui presenti dovrebbero fare in questo momento: sto tentando di capire cosa diavolo è successo al sistema di sicurezza dell'intera baracca..."
Sorpreso dallo spirito d'iniziativa dell'uomo e al contempo speranzoso, Robin si ritrovò a fissare il computer, appoggiandosi alla scrivania sottostante. 
"Pensa di poter riavviare, almeno in parte, i protocolli di sicurezza?"
"Dovrei, questo è sicuro... Ho passato due settimane a rivedere e correggere, da cima a fondo, il programma della struttura, per cui dubito che esista qualcuno che lo conosce meglio di me. Certo, sarebbe tutto dannatamente più facile se i cosiddetti scienziati alle mie spalle la smettessero di starnazzare come un branco di oche isteriche! " disse l'uomo, voltandosi di scatto e urlando, con voce tonante, l'ultima frase. Ciò non sembrò sortire alcun'effetto, poiché la maggior parte delle persone in causa, troppo prese dal panico, continuavano a lasciarsi andare alle emozioni, completamente ignorando le parole del loro celbre collega. 
"Che io sia dannato, sembra che l'intero software sia stato compromesso! A malapena sono riuscito ad accedere, ed ora mi trovo bloccato del tutto! Blocchi di sicurezza, erogazione dell'energia, diffusori di gas soporifero, collari inibitori, comunicazioni in entrata ed in uscita... niente di niente! Nulla che possa essere di qualche utilità!"  sbraitò l'afroamericano, osservando sullo schermo, solcato da una profonda crepa, i miseri resti di quello che, meno di dieci minuti prima, era stato un software avanzatissimo, a cui lui stesso aveva fornito assistenza nella realizzazione e che ora pareva essere l'opera di un programmatore alle prime armi.
"Dannazione! E' inutile, qualunque sia la causa, ha sbranato l'intero sistema come un branco di lupi sbranerebbe un montone... Non c'è nulla da fare, mi spiace, ragazzo." 
Robin rimase in silenzio, ponderando attentamente la prossima mossa, sapendo che, prima di gettarsi nella mischia, doveva approfittare di ogni possibile vantaggio; l'equipaggiamento in suo possesso, per quanto formidabile in uno scontro singolo o contro nemici leggermente in maggioranza numerica, sarebbe stato ben poca cosa, al cospetto di una moltitudine di detenuti che, per numero e pericolosità, non aveva nulla da invidiare ad un esercito.  
E la prima, utile azione, era quella di conoscere il campo di battaglia, in modo da pianificare con cura la strategia d'attacco. Poi, ancor più necessario, sarebbe stato scoprire con esattezza il numero dei suoi prossimi avversari... ma ciò che davvero impensieriva l'eroe  era la presenza dei supercriminali. Non era infatti possibile per Robin, che più di una volta aveva potuto assistere all'enorme potere distruttivo di cui un metaumano poteva disporre, non provare una certa ansietà, al pensiero di quali nemici avrebbe avuto dinanzi. 
"Dottore, forse c'è un'altra strada: è in grado di fornirmi un elenco completo dei nomi e delle abilità dei prigionieri dei blocchi MH-O?" domandò il leader dei Titans al possente scienziato.
"Ci avevo pensato anch'io, Robin; no, mi dispiace, tutto il software è bloccato, completamente e totalmente inutilizzabile. Non sono in grado di mostrarti nulla su questa o su qualunque altra postazione del laboratorio... forse neppure dalla postazione della sala-controllo."
Vedendo spegnersi un altro barlume di speranza, pur senza perdere l'autocontrollo, Robin non poté fare a meno di esalare un  mugolio di frustrazione ed impazienza. Mentre il suo cervello stava cercando una nuova linea d'azione, Irons si alzò di scatto dalla sedia, portandosi una mano alla testa, imprecando a mezza bocca.
"Cavoli, me ne ero dimenticato completamente! Tsk, altro che genio; oggi vinco il Nobel come Re-degli-Ottusi..." mormorò l'uomo, per poi rivolgersi al detective.
"Robin, mi è appena venuta in mente una cosa: sul mio PC ho ancora la e-mail che mi hanno mandato dal carcere l'altro giorno. In essa vi è contenuto l'elenco completo delle celle attualmente occupate dei tre blocchi MH-O, inclusi i nominativi dei prigionieri e gli schemi dei sistemi di sicurezza specifici per ciascuno di loro. Non ho ancora collegato il mio portatile alla rete interna, dunque le informazioni al suo interno devono essere intatte."
Mascherando l'entusiasmo, Robin non perse tempo, e chiese subito quanto gli premeva sapere.  
" Ne è sicuro dottore? E' in grado di mostrarmelo? Le informazioni al suo interno possono  essermi di utilità incalcolabile."
"Nessun problema figliolo; è nella stanza qui accanto, quella che uso come mio studio personale e appartamento, quando devo eseguire lavori di manutenzione lunghi e mi tocca restare qui qualche giorno più del solito." disse Irons, indicando una porta metallica  all'altro capo della sala, su cui era stata affissa una targa, con su inciso ' Dr J.H. Irons, Riservato'. 
"Vado a prenderlo subito, aspettami qui... e mi raccomando, tieni d'occhio questi tizi; non vorrei facessero qualcosa di stupido, in mia assenza." E, detto questo, il geniale afroamericano si volse, raggiungendo, con velocità insospettabile per un uomo della sua taglia, la porta in questione. Digitando sull'apposita tastiera il codice d'accesso a trenta cifre, la porta scivolò verso destra con un sibilo, scomparendo nella parete adiacente, per poi richiudersi con un rumore identico, non appena Irons l'ebbe superata.
Nel frattempo, Robin  scelse di prendere in mano la situazione, estraendo il suo comunicatore dalla cintura. Fortunatamente, proprio come il computer di Irons, il congegno frutto della tecnologia dei Titans non era connesso alla rete della prigione, per cui non aveva risentito dell'infezione telematica che aveva reso inutilizzabile il software di Toll Road.
Attivando senza esitazione il pulsante rosso, adibito a segnalare che il Titan, proprietario dell'oggetto, si trovava in una situazione d'emergenza.
Immediatamente il viso di Cyborg apparve sullo schermo del comunicatore. 
"Ehy, Rob, come va? Stella ci  ha detto che stavi andando all'ospedale per vedere come il bruttone di ieri sera se la stava cavando... che è successo? Da queste parti non c'è arrivata alcuna segnalazione. Qual è il problema, quindi?" chiese il cibernetico eroe, nello sguardo un leggero miscuglio di curiosità e preoccupazione. Ma alla vista dell'espressione del suo compagno di squadra, Cyborg capì subito che il problema era molto più serio di quanto non avesse immaginato.
"Cyborg, ascoltami attentamente, non c'è molto a disposizione. Tanto per cominciare, c'è stato un cambio di programma, per cui non mi trovo all'ospedale; sono in uno dei laboratori di Toll Road.".
"Toll Road?! E cosa diamine ci fai in quel posto? Amico, che sta succedendo?"
"E secondo" continuò Robin, ignorando l'interruzione " abbiamo una situazione potenzialmente critica in corso: non si sa come, ma tutti i sistemi di sicurezza sono andati offline; l'intera struttura è nel mezzo del caos, c'è una rivolta totale in atto."
Momenti di terribile, scioccato silenzio seguirono quelle parole. Poi, Cyborg fece udire la sua voce.
"Saremo li il prima possibile, amico; cercate di tenere duro, ok?".
Anche se l'emozione dominante nel tono dell'amico era, come sempre in caso di pericolo, la determinazione, Robin non poté evitare di percepire l'ansia dietro la voce dura e profonda di Victor Stone.
"Faremo il possibile. Mi raccomando, cercate di evitare di atterrare all'interno del perimetro col T-Jet, o verrete presi subito d'assalto. Qui Robin; passo e chiudo."
Riponendo il comunicatore nel suo comparto, Robin si rivolse senza indugio al direttore.
Questi era impegnato nel disperato tentativo di mettersi in contatto con le altre guardie che, pochi minuti prima, erano risalite ai piani superiori, in modo da iniziare il loro turno di sorveglianza. Dalla sua espressione nervosa, era chiaro che i suoi tentativi non stavano dando i frutti sperati. Robin lo afferrò per il braccio sinistro, quello con la trasmittente, attirando così l'attenzione dell'uomo.
"Safeman, mi ascolti; capisco che lei sia preoccupato per i suoi uomini, ma ora mi occorre il suo aiuto; devo sapere con esattezza quanti sono i detenuti attualmente presenti a Toll Road, umani e non." disse con quanta calma possibile il giovane.
Safeman lo osservò per qualche secondo negli occhi, confuso e nervoso allo stesso tempo, chiaramente soppesando le opzioni. Intuendo che collaborare con il ragazzo con il mantello era la scelta migliore, pur se con un notevole rammarico, l'anziano direttore abbassò la radio, temporaneamente abbandonando al loro ignoto fato i suoi sottoposti. 
"Dunque vediamo..." mormorò Safeman, richiamando alla mente le conoscenze che la sua carica gli conferiva.
In circostanze convenzionali, si sarebbe trattato di informazioni riservate, non divulgabili a civili  ( con o senza maschera e mantello); tuttavia, come più volte ribadito, le circostanze erano tutto fuorché convenzionali.
"Se la memoria non mi inganna, contando gli arrivi dell'ultima settimana, il numero di detenuti comuni ammonta a centodiciassette uomini e novantotto donne, per un totale di duecentoquindici  prigionieri. La maggior parte sono semplici ladri e rapinatori, ma alcuni di essi sono degli assassini in attesa di processo; circa una ventina sono stati condannati all'ergastolo, mentre un paio erano in attesa della condanna a morte. Altro non so dirle, temo...".
Mentalmente imprecando la sua malasorte, Robin ringraziò l'uomo, permettendogli di tornare ai suoi doveri.
Duecentoquindici detenuti comuni... oltre il doppio di quanti avesse previsto. Le cose si stavano mettendo sempre peggio, di secondo in secondo.
"Aspettate, mi è appena venuta un'idea!" urlò d'un tratto Willbert, sovrastando il confuso ed indecifrabile fragore dei suoi colleghi. Tutti si volsero, posando lo sguardo sull'uomo dai capelli rossi. 
 "Ci sono gli aeromezzi! Quelli usati per il trasferimento dei criminali! Le piattaforme non sono poi così lontane, se ci  sbrighiamo, possiamo prenderne uno ed andarcene da qui!" disse tra le urla il capo del reparto medico. Alle grida ebbe seguito un breve silenzio, a sua volta seguito da un nervoso brusio, che andava progressivamente aumentando d'intensità.
"Potrebbe funzionare..."
"Non siamo poi così lontani dalla piattaforma, in effetti..."
"Se ci sbrighiamo, possiamo anche riuscirci..."
"NO!!!  Aspettate un momento!" intervenne a quel punto Safeman, udendo la proposta e, con suo  orrore, vedendo che stava venendo presa in seria considerazione. "Signori, capisco che siate spaventati, ma quest'idea è-"
"L'unica nostra speranza di salvezza!" lo interruppe bruscamente una voce dalla folla, seguita poi da molte altre. 
" Se restiamo qui, i prigionieri del blocco ci verranno a cercare e ci faranno fuori senza esitazione!"
" Quelli non sono neppure umani, ma dei veri e propri mostri!"
"Non intendo finire in pasto a Lion Mane o spiaccicato da Girder!"
"Alle piattaforme, allora, o siamo tutti morti!" urlò infine Willmore, indicando l'uscita d'emergenza. 
Fu come se uno starter avesse dato il via, con la sua pistola a salve, ad una corsa olimpionica.
Non importava più che si trattasse di persone di scienza, che avevano scelto di porre, nella propria vita, la ragione innanzitutto, il pensiero logico come metro di giudizio; in quel momento, in quella stanza distrutta, circondati dai frammenti di schermi, vetreria da laboratorio e finestre, vi era solo un manipolo di uomini, donne e giovani che, guidati dal primordiale istinto di sopravvivenza, insito in tutte le specie viventi, si slanciavano verso l'uscita, urlando, strattonandosi e spintonandosi, senza alcun ritegno o considerazione per coloro accanto.
"Tornate indietro, pazzi incoscienti!!!  Non sapete cosa state facendo!!!" gridò Safeman, in preda alla disperazione, inutilmente cercando di richiamare all'ordine gli scienziati.
Robin vide cosa stava accadendo e, pur comprendendo lo stato d'animo di quelle persone, semplici civili, non poteva consentire loro di gettarsi come sardine in bocca ad un branco di squali; con prontezza sovrumana,  l'eroe rosso-vestito portò la mano sinistra ad un comparto della cintura, estraendo un birdarang.
L'arma si aprì di scatto, rivelando le sue affilatissime lame. In una frazione di secondo, Robin scagliò con mira perfetta lo strumento. puntando ai cavi che assicuravano la scritta luminosa 'EXIT' al muro sopra la porta, tranciandoli di netto. Non più sorretta da alcunché, la scritta si schiantò con fragore sul pavimento a pochi metri dalla moltitudine impazzita, provocando l'immediato arresto di coloro che si trovavano in testa. Ciò diede origine ad una disastrosa (ed alquanto comica) collisione, che si risolse con l'intero gruppo di diciassette persone disteso al suolo, in un imprecante groviglio laocoontico. Voltandosi con espressione stravolta, i meno contusi videro il birdarang tornare, con un sibilo, nelle abili mani del suo proprietario, che lo afferrò con noncuranza e precisione, senza spostarsi di un centimetro. 
Riposto l'oggetto nella cintura, senza distogliere lo sguardo severo dagli scienziati, il detective capì di aver raggiunto lo scopo di attrarre l'attenzione del gruppo.
Il primo a riprendersi, manco a farlo apposta, sembrò essere proprio Willmore.
"Insomma, giovanotto!!!  Si può sapere cosa diavolo le passa per la mente ?! Ha forse deciso di ammazzarci lei, prima che lo facciano i detenuti?!" urlò con quanto fiato aveva in corpo il ricercatore, rialzandosi a fatica, un'espressione stravolta e furiosa insieme, gli occhi sconvolti dietro le lenti storte e i capelli in disordine.
Dalle occhiate che i suoi colleghi gli lanciarono, provenienti dal pavimento o no, Robin poté dedurre che essi condividevano appieno l'idea di Willmore che l'eroe mascherato avesse perso il senno. 
Prima ancora che una delle mute, legittime proteste, stampate sui volti di ciascuna di quelle persone in preda alla rabbia e al terrore, potesse dare origine ad una nuova e caotica scenata di panico irragionevole,
Robin prese la parola, infondendo nella sua voce tutta l'autorità e la fermezza che il suo titolo di leader lo avevano obbligato a sviluppare, nel corso degli anni.
"Spiacente per avervi spaventato signori, ma era l'unica maniera in mio possesso per riportarvi alla ragione. Tuttavia, visto e considerato il fatto che stavate per compiere una colossale sciocchezza, non ritengo di dover fornire alcuna scusa."
Willmore aprì nuovamente la bocca, probabilmente per esprimere il suo sdegno alla misera ed impertinente spiegazione fornita da quello che, ai suoi occhi, era solo un ragazzino con indosso un costume, ma l'occhiata, gelida e penetrante, che il suddetto ragazzino gli lanciò ebbe l'effetto di fargli morire la voce in gola. Lo stesso avvenne  per le altre sedici persone col camice bianco, impietrite dall'improvviso ed inquietante mutamento dell'eroe di Jump City che, seppur poco loquace, fino a pochi minuti prima aveva tenuto un comportamento assai garbato. 
 A vederli, tutti loro davano distintamente l'idea di essersi mutati in topi campagnoli  che, posti di fronte ad un cobra, rimangono come impietriti dal terrore, aspettando immobili di venire divorati.
Quello era il vero volto che il giustiziere assumeva, ogni giorno, quando aveva a che fare con gli individui peggiori della società: cupo, duro, inquietante e premonitore di sventure. Ironicamente, per quanto la loro situazione fosse a dir poco disperata e un vero e proprio esercito di criminali di ogni sorta li stesse aspettando oltre le mura di quella stanza, i ricercatori non poterono evitare di provare inconsciamente pena per quei malviventi che avrebbero avuto la sventura di trovarsi di fronte quel inquietante ragazzo mascherato.
Trasalendo al suono della sua voce, ora distintamente più bassa e tetra, non vi era sillaba, pronunciata dalle labbra di Robin, che gli scienziati osassero lasciarsi sfuggire.
" Se vi  avessi lasciati andare alla piattaforma, potete stare certi che nessuno di voi, a quest'ora, sarebbe ancora illeso, o persino vivo.
Là fuori ci sono centinaia di furfanti, pronti a tutto pur di evadere,  e sono tutti perfettamente consapevoli che l'unico modo per farlo è quello di prendere possesso di uno dei velivoli che li ha condotti qui dentro; credevate forse che si sarebbero lasciati sfuggire l'occasione di prendere qualche ostaggio, magari indifeso e disarmato?  So che è difficile, ma dovete cercare di afferrare la gravità delle circostanze: in questo momento, a  Toll Road, regna il caos totale e le guardie, che di sicuro sono in netta minoranza numerica, non avranno il tempo né la possibilità di badare a voi. 
Anzi, considerata la situazione, è assai probabile che abbiano deciso di far ricorso ai proiettili veri, anziché a quelli rivestiti di gomma; se uscirete nel cortile, correrete il rischio di essere coinvolti nel fuoco incrociato, azzerando le vostre possibilità, già scarse, di giungere vivi ai trasporti... che presumo nessuno di voi sappia nemmeno guidare, giusto?".
A quell'ultima domanda, che suonava molto più come un'affermazione, un profondo disagio prese temporaneamente il sopravvento sulla paura, e tutti i diciassette individui non poterono fare a meno di abbassare lo sguardo, in preda all'imbarazzo e all'umiliazione.
"Ma allora" osò pronunciare, con voce fioca e tremante, una dottoressa di mezz'età, dai capelli neri e leggermente in sovrappeso " cosa possiamo fare? Non possiamo uscire, non possiamo restare qui, non abbiamo modo di chiamare soccorsi... cosa facciamo? Stiamo qui, aspettando che vengano ad ucciderci tutti? "
Robin fissò il gruppo per qualche interminabile secondo, senza in realtà vedere nessuno dei volti apprensivi che, nella sua espressione, cercavano un qualche segno che li portasse a sperare per le loro vite, che ognuno di loro avrebbe vissuto per tornare alle proprie case, riabbracciare i loro cari o, semplicemente, vedere l'indomani. 
Poi, dopo una ponderata riflessione, si volse verso l'unica persona che potesse davvero essergli utile, in quel frangente.
"Mi dica, direttore Safeman: le Sale Sotterranee sono state ultimate?"
Safeman, sentendosi chiamato in causa, smise di parlare alla ricetrasmittente, lasciando in sospeso  i suoi sottoposti all'altro capo. "Le sale sotterranee? Intende quelle progettate per rinchiudervi i detenuti, nel caso di un'invasione aliena? Beh si, i locali sono stati completamente allestiti, però..." disse con 
"Però cosa?" insistette Robin, sentendo tornare la frustrazione a crescere in lui.
"Ecco, il fatto è che solo i locali della struttura sono pronti; i meccanismi di sicurezza e di emergenza, così come le riserve alimentari, non sono ancora stati approntati. In effetti, quello era uno dei compiti che il dottor Irons era venuto a svolgere qui, in queste ultime settimane."
"Ma le porte blindate sono state sistemate, non è così? E anche i dispositivi di chiusura interni, vero?" 
"Beh, si certo..." confermò Safeman.
"Ed è possibile raggiungere le sale tramite le scale?"
"Si...si, certo! Vi sono delle scale d'emergenza, non troppo lontane da qui, nel corridoio! Possiamo raggiungerle facilmente, se la fortuna ci assiste. E lo stesso vale per gli altri blocchi." annuì il direttore, intuendo dove andava a parare il discorso.
"Molto bene, allora è deciso: direttore, lei e le guardie  prendete con voi lo staff scientifico di questo blocco. Usi la radio per trasmettere l'ordine anche ai restanti due blocchi, e dica agli staff e alle guardie di ciascun edificio, se qualcuno di loro è ancora vivo, di dirigersi di corsa alle sale sotterranee. Dopodiché, ordini loro di chiudersi dentro e di non aprire finché la rivolta non sarà stata sedata, o fino all'arrivo dei soccorsi. Li avverta di aprire solo se sentiranno una specifica parola d'ordine; lascio a lei la scelta di tale parola. "
Annuendo, il direttore si volse verso le due guardie, fino ad allora rimaste a sorvegliare l'ingresso, in modo da dare inizio alle operazioni.
Nel giro di dieci minuti l'intero gruppo, scortato dalle due guardie, si era avventurato per raggiungere l'unico luogo in cui, attualmente, potevano sperare di trovare rifugio.
In questo lasso di tempo, Robin non poté fare a meno di notare che del dottor Irons non vi era ancora alcuna traccia. E nel frattempo, i rumori dello scontro, in quel momento in atto , stavano divenendo sempre più feroci. Più e più volte, Robin fu tentato di lanciarsi nella mischia, in modo da poter arrecare il suo supporto alle altre guardie, sicuramente in difficoltà.
"Che diavolo sta combinando, Irons?"mormorò il vigilante, sentendo la sua pazienza raggiungere il limite. Aveva appena deciso di gettarsi verso l'ignoto, pur conoscendo i rischi, quando un sibilo metallico annunciò l'apertura della porta meccanica dell'ufficio di Irons, rivelando l'erculea figura dello scienziato afroamericano che, apparentemente a mani vuote, faceva ritorno.
Vedendo l'insegna dell'uscita d'emergenza in frantumi sul pavimento guardò Robin, inarcando un sopracciglio.
"Umhh, sembra che mi sia perso qualche cosa, vero?"
"Nulla più che un piccolo scambio di opinioni tra me e i suoi illustri colleghi, dottor Irons." tagliò corto l'ex spalla di Batman, con voce fredda come ghiaccio," Tutti loro, in questo momento, sono diretti verso la Sala Sotterranea, in modo da trovare riparo.Ora, se non le spiace, potrebbe dirmi dove è il suo computer? Mi occorrerebbero quelle informazioni. dottore..." 
Normalmente, una persona comune, all'udire un membro del Bat-Clan parlargli in quel modo veniva colto da svariate emozioni: sconcerto, timore, nervosismo, perfino terrore... ma non fu così per Irons, e la cosa non mancò di sorprendere Robin. 
Sorridendo, come se fosse abituato a sentire qualcuno che gli parlava con un tono tanto sinistro, Irons allungò la mano destra, rivelando uno strano, piccolo oggetto metallico, di forma circolare e poco più grande di una moneta da un dollaro.
"A cosa ti serve un PC, quando posso darti l'intero dossier da scaricare direttamente sul tuo comunicatore? Questo, giovanotto, è uno dei miei ultimi progetti, P.O.I.N.T. : Processore Olografico ad Interfaccia Neurointerattiva Tattile. Un trasmettitore che, appoggiato all'apparecchio ricevente, riesce a trasferire le proprie informazioni direttamente nella memoria del computer interessato, tramite onde radio. Non importa quale tipo di entrata possieda il terminale, P.O.I.N.T. può immettere informazioni anche all'interno di un vecchio computer a floppy disc... ammesso che qualcuno li usi ancora, ovvio. E inoltre, pigiando l'apposito tasto" disse Irons, girando il congegno tra le dita e premendo un piccolo bottone nero " può mostrare le suddette informazioni in 3D, fungendo da proiettore." Appena finite quelle parole, lo spazio circondante i due fu cosparso da immagini fluttuanti di cartelle, composte da luce bianca; era come essere immersi nella schermata di un computer. 
Ma la cosa notevole era che le cartelle erano trasparenti, consentendo di vedere senza problemi l'ambiente circostante.
"Funziona a comando vocale,, ma puoi anche digitare gli ordini tramite i mezzi della tua postazione: mouse, pulsanti... quello che preferisci." E, con un'altra pressione, le figure si dissolsero all'istante.
"Spero ti sia utile.". Detto questo, il geniale inventore porse la sua straordinaria creazione al Ragazzo Meraviglia, il quale la prese, con notevole stupore; di rado, nella sua carriera, aveva avuto occasione di maneggiare tecnologia tanto avanzata. 
"Davvero impressionante." mormorò il detective.
"Mi ci è voluto un po di tempo, ma ho potuto scaricare i files necessari, oltre alla topografia dell'intero edificio
"E' per questo che ci ha impiegato così tanto, dottore?" chiese Robin, agganciando il congegno al suo comunicatore.
"In parte... ma la maggior parte del mio tempo l'ho impiegata in qualcosa che reputo potrà essere di aiuto più... diretto, per la situazione del nostro attuale problema." affermò Irons con voce intrigante e la bocca piegata in un mezzo sorriso.
Stavolta era il turno dell'ex acrobata di sollevare un sopracciglio.
"Cosa intende dire con que-" fece per chiedere Robin, ma la voce del direttore lo interruppe. 
"Le guardie mi hanno fatto sapere che, in questo preciso istante, stanno scortando lo staff scientifico giù per le scale di sicurezza. Da li non dovrebbero avere altri problemi.".
"Molto bene, allora non vi resta che andare e mettervi al sicuro voi stessi." disse Robin, avviandosi verso l'uscita antincendio.   
"E lei cosa intende fare, Robin?" chiese Safeman, dall'ingresso della stanza ormai semivuota.
Senza neppure voltarsi, il leader dei Titans si limitò a fornire, con semplicità e disinvoltura, quella che, a suo parere, era l'unica risposta possibile:
"Il mio dovere.".
E, senza altro da aggiungere, Robin lasciò la stanza, pronto ad entrare in azione. 
"Davvero un giovane straordinario;" disse Safeman, profondamente colpito dal coraggio e dalla risolutezza con cui quel ragazzo, che aveva ancora tutta la vita davanti a sé si era gettato con un totale sprezzo del pericolo in quella che, agli occhi dell'anziano direttore, era una battaglia da cui aveva ben poche possibilità di uscire vivo... e tutto per salvaguardare le vite di perfetti sconosciuti.
"Non ne ha proprio idea, amico mio." gli rispose Irons, mettendosi le mani in tasca. Voltandosi, il celebre ingegnere si avviò nuovamente verso il suo laboratorio, stavolta con passo tranquillo, di chi sta facendo una semplice passeggiata nel parco.
"Dottor Irons, che sta facendo?! Dobbiamo andare, occorre che raggiungiamo la sala, prima che sia troppo tardi!" disse Safeman, stupefatto dal comportamento dell'uomo.
"No, direttore, qui si sbaglia; lei deve raggiungere la sala. Io ho n compito da portare a termine, nella stanza qui accanto.. che poi è il vero motivo che mi ha tenuto impegnato assai più della raccolta  dei dati.".
"Ma di cosa sta parlando? Cosa c'è, nel suo ufficio, di tanto importante?".
"Qualcosa che mi consentirà di accertarmi che il nostro impavido eroe con la mantellina abbia una possibilità di successo in più di quelle attuali... che, a mio modesto parere, sono decisamente poche.".
"Ma lei non può-" tentò di protestare il più vecchio tra i due uomini, ma un gesto della mano di Irons, eseguito con estrema noncuranza, lo interruppe.
Digitando nuovamente il complicato codice, l'imponente individuo aprì per la seconda volta la porta. 
"Non tema per la mia salute, direttore; sappia solo che, ad essere uno dei migliori inventori del secolo, ci sono notevoli vantaggi." disse Irons, prima di scomparire nuovamente dietro la porta blindata del suo laboratorio.
La stanza, ricavata da una delle vecchie celle, ospitava un semplice letto singolo, una macchina per il caffè e una scrivania di metallo, sui muri, rinforzati da lastre di acciaio spesse venti centimetri, erano posti dei computer che, per complessità e design, erano chiaramente decadi avanti a quelli del laboratorio  adiacente. Ed in un angolo, collegato a quello che si intuivano essere un generatore ed un terminale autonomi, vi era ciò a cui Il genio si stava alludendo poco prima.
"Aah, Bruce" sospirò Irons " hai cresciuto proprio un ragazzo notevole... e testardo. Cosa gli costava, aspettare l'arrivo dei rinforzi? Se non fosse impossibile, direi che  è cocciuto quanto te. Devo dire che gli hai insegnato abbastanza bene il tuo 'Sguardo delle Tenebre': guardarlo in faccia, quando è di cattivo umore, mette i brividi quasi quanto guardare te...quasi...".
Davanti a lui vi era quello che, a prima vista, sembrava un grosso cilindro di metallo, largo un metro e mezzo, alto più di due, suddiviso in dieci sezioni identiche . Una voce artificiale risuonò nel locale, emessa da un altoparlante adagiato sulla scrivania.
"Sequenza di inizializzazione completata - sistemi d'arma attivati e pienamente operativi- unità pronta all'uso, funzionalità al 100%-"
Con una serie di scatti, le sezioni del cilindro si separarono orizzontalmente . una dopo l'altra, a partire dall'alto verso il basso, fino a rivelare il contenuto dell'apparecchio:
un' imponente armatura, frutto della più avanzata tecnologia, color grigio metallico, dalle cui spalle pendeva un lungo mantello, rosso come il leggendario simbolo metallico posto sull'ampio torace.
Ai piedi della portentosa corazza, un grosso martello metallico, dall'asta lunga quasi un metro e mezzo.
"Tempo che l'affascinante dottor Irons si faccia da parte; ora è arrivato il momento che Steel entri in azione." disse Irons, accingendosi ad indossare l'armatura per mezzo della quale egli era riuscito a conquistare un posto nella più potente e rispettata squadra  di eroi dell'intero pianeta: la Justice League.  
 
Mentre percorreva il lungo corridoio, dirigendosi verso le scale d'emergenza, il vigilante mascherato aprì nuovamente il suo comunicatore e, attivando la straordinaria invenzione di Irons, Robin si circondò delle immagini tridimensionali. 
Accedendo ai files passatigli da Irons, scorse con lo sguardo la lista dei super-criminali con cui, nell'immediato futuro, avrebbe dovuto incrociare le armi. 
 
Mutatio
Anthony Woodward -  Girder
Edward Dawson  - Lion Mane
???? -  Elephant Man
Mark Desmond - Blockbuster
Louise Lincoln - Killer Frost
Danton Black - Multiplex
 
Bellica Tormenta
Lawrence Peter Bolatinsky - Bolt
??? - Atlas
Eric Needham - Black Spider
Paul Dekker - Crazy Quilt
Floyd Lawton - Deadshot
 
Artis Magicae
Mark Richards - Tattoed Man
???? - Blue Moon
Rampotatek - Hat
Stanley Printwhistle - Ibac
 
Man mano che  i suoi occhi percorrevano i nominativi, rivelando  al leader dei Titans la reale gravità della sua situazione, un nuovo pensiero traditore non poté evitare di insinuarsi, per l'ennesima volta quella mattina, nella sua mente:
'Stavolta siamo in guai veramente seri...'.

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Capitolo 26
*** Il caos ha inizio -parte 3- ***


NdA
Eccomi di ritorno, con quello che, probabilmente, è il capitolo più lungo di tutta la mia carriera.
Non ho molto da dire, oltre al fatto che chiedo scusa a tutti quelli che lo aspettavano per il finesettimana appena trascorso.
Gli spazi in grassetto sono flashbacks, le parti in corsivo sono i pensieri e i nomi in latino si riferiscono alle specie animali.
Approfitto di questo spazio per porgere li auguri alla mia amica dagli Occhi Gialli, che da poco ha compiuto gli anni.
Ringrazio chiunque di voi vorrà lasciarmi una recensione, sia essa positiva o critica (purché costruttiva, ovvio), e sappiate che questo capitolo, per una volta, rispetta appieno le note della storia: OOC dei personaggi, Spoiler della quinta stagione della serie... e tutto il resto.
Cosa intendo dire? Leggetelo e scopritelo, miei cari lettori! Su il sipario!!! 

Spazio aereo della California, ore 9:24
 
Ci sono istanti, nella vita di un individuo, in cui la realtà sembra superare le sue più tetre fantasie ed aspettative, obbligandolo a confrontarsi con scenari che la mente, nei momenti di pace, rifiuterebbe categoricamente di prendere in considerazione.
Quando ciò avviene, colui o colei la cui vita ha preso una svolta inattesa e niente affatto gradita  avrà una reazione istintiva, per nulla legata alle capacità intellettive dell'individuo, del suo coraggio o della sua abilità nell'affrontare le difficoltà: il rifiuto.
Forse non sarà la prima, e neppure la più razionale... ma di sicuro sarà quella più semplice.
Identificare l'interferenza, l'elemento estraneo, l'ostacolo alla realizzazione di un determinato obiettivo o al prosieguo della propria condizione esistenziale perfetta, per poi procedere, quasi come un'antica divinità castigatrice, a negare a quest'ultimo il basilare diritto di appartenere alla realtà fisica...   
Chiudere gli occhi, escludendo il mondo in cui i problemi precludono la felicità e la quiete, aprendo poi le palpebre e scoprire che gli stessi ostacoli si sono dissolti, allo stesso modo in cui un incubo svanisce al termine del sonno.
E in quel momento, mentre sedeva all'interno di un mini-jet, diretto a d elevatissima velocità verso Jump City, il giovane Gar Logan, noto al mondo come Beast Boy, non poteva fare a meno di desiderare che tutto quello che era avvenuto negli ultimi trenta minuti non fosse altro che l'ennesimo incubo della sua vita... il che la diceva lunga su quanto grave fosse la situazione, considerato che l'eroe dalla pelle smeraldina  poteva vantare di averne vissuti fin troppi di incubi, nella sua giovane  esistenza, nel sonno e da sveglio.
Poiché infatti, se si fosse trattato di un comune sogno, presto o tardi il suono di una sveglia, il richiamo di un amico o il semplice desiderio di nutrirsi dell'organismo avrebbe finito con obbligare il giovane eroe a destarsi, ponendo fine in tal modo a tutta quella situazione.
Purtroppo ciò non accadde.
E il giovane Logan fu suo malgrado costretto ad accettare che il destino, per l'ennesima volta, gli aveva riservato un'amara sorpresa.
 
Meno di un'ora prima, la giornata aveva avuto inizio sotto il migliore degli auspici. 
Dopo un meritato sonno ristoratore, a seguito di quella che era iniziata come una tradizionale rapina in banca ed era inaspettatamente culminata in uno scontro con un grottesco abominio, Beast Boy aveva aperto gli occhi ad un nuovo giorno. 
Giunto in cucina, aveva passato dieci piacevoli minuti a preparare una sostanziosa colazione a base di cialde di tofu, ricoperte di burro vegetale fuso, sciroppo di fragole e mandorle tritate, il tutto accompagnato da un'abbondante tazza di latte di soia.
Pur sentendo la mancanza del suo migliore amico, il mutaforma assaporò con particolare gusto i suoi piatti preferiti senza dover difendere le sue scelte alimentari.
Dopo la colazione, Beast Boy aveva deciso di dedicarsi alla sua attività quotidiana preferita: i videogames.
Quel giorno la scelta era ricaduta sulla più recente aggiunta alla sua raccolta, regalatogli a Natale da Robot Man: 'Total Chaos  Rumble IV, Nature vs Techno',  un picchiaduro puro e semplice, ma con una grafica 3D sorprendente e una vastissima quantità di personaggi bizzarri; inutile a dirsi, in un batter d'occhio esso era divenuto la scelta preferita di Beast Boy e Cyborg, portandoli a sfidarsi ogni volta che il televisore fosse privo di spettatori e il dovere non li richiamasse fuori dalla sala comune.
Lentamente, la sala aveva cominciato a riempirsi di vita, come sempre. 
Cyborg, riemerso dal suo laboratorio con una corazza nuova di zecca, si era inserito nel gioco, avviando una emozionante sfida videoludica con il suo migliore amico, come ormai da routine.
Raven aveva seguito poco dopo, recando con sé uno dei suoi tradizionali libri.  Portandosi al suo posto preferito, la maga aveva iniziato la lettura, interagendo quel tanto che bastava per ricambiare il saluto del ragazzo verde. 
Ancora qualche minuto e fu la volta di Starfire di entrare. Dopo qualche entusiastico saluto ai suoi amici, la bellissima aliena si era diretta alla cucina, preparando uno dei suoi monumentali, gustosi  'manicaretti', mischiando insieme burro, panna montata, cacao e acciughe sottolio, emettendo versi di delizia ad ogni morso.... e provocando una improvvisa sensazione  di nausea e raccapriccio in tutti i presenti. 
Poi, improvvisamente e senza alcun preavviso, l'imprevisto era arrivato, spazzando via l'aura di quiete domestica e catapultando quei quattro ragazzi nella dura realtà delle loro vite
Erano da poco passate le nove, quando il trasmettitore nel braccio sinistro di Cyborg risuonò; il mutaforma approfittò della distrazione dell'amico per assestare all'avatar digitale avversario il colpo di grazia, mandandolo ko.
Per qualche secondo, Gar Logan si esibì nel suo tradizionale Ballo della Vittoria, guadagnandosi occhiate di disapprovazione da Raven, di allegria da Starfire e di rabbia da parte di Cyborg, incapace di accettare l'infamia della sconfitta. 
Presto però, le parole del l'ex spalla di Batman erano risuonate nella stanza, Il messaggio in sé era stato breve e conciso, ma il suo contenuto ebbe l'effetto di una bomba, devastando lo stato d'animo dell'intera Torre e stravolgendo i piani per la giornata dei suoi occupanti. 
Una volta interrotta la comunicazione, Victor Stone era balzato in piedi, si era guardato intorno e, forzatamente ignorando lo stupore negli occhi di Beast Boy e Raven e la paura in quelli Starfire, aveva assunto il comando con fare determinato e sbrigativo.
"Sentito, Titans? Robin e nei guai, e con lui tutti quelli che si trovano nel carcere di Toll Road; avanti allora, Titans; andiamo!!!"
Dopo queste parole il viaggio dalla sala comune all'hangar fu quasi istantaneo, grazie al teletrasporto di Raven. 
Pochi minuti dopo il T-jet, il formidabile aereomezzo componibile dei Teen Titans, sfrecciava nei cieli, ad una velocità di oltre quattrocento chilometri orari. 
Il velivolo era in grado di superare la velocità del suono, nonostante l'assenza della componente frontale ( utilizzata da Robin per giungere al penitenziario di Toll Road), ma fu comunque necessario tenere il piede sul freno, per evitare che un eventuale boom supersonico arrecasse danni alle numerose città sottostanti. 
Ciononostante, il viaggio sarebbe stato breve... o meglio, avrebbe dovuto esserlo.
Arrivati a due terzi del tragitto, un secondo imprevisto si era manifestato a loro, sotto forma di una chiamata d'emergenza da parte di Jefferson Berkeley, capo della polizia di Jump City.
"Titans, si può sapere che accidenti state combinando? Perché, in nome di Dio, non siete ancora arrivati? La situazione è gravissima, quaggiù!".
Le parole dell'ufficiale risuonarono attraverso gli altoparlanti delle quattro cabine come la detonazione di una bomba. 
Come se la situazione non fosse in sé abbastanza critica, ora una nuova complicazione aveva scelto di manifestarsi.
"Qui è Cyborg che parla. Emergenza? Di quale emergenza sta parlando, commissario? Non ci è arrivata nessuna segnalazione. In questo momento siamo diretti a Toll Road, per reprimere la rivolta li in atto; Robin si trova già sul posto e ha disperato bisogno di rinforzi." aveva risposto il cibernetico eroe.
Momenti di confuso silenzio seguirono queste parole, poi la voce dell'ufficiale tornò a farsi sentire.
"Aspettate un secondo, un secondo soltanto... mi state forse dicendo che ANCHE i sistemi di sicurezza di Toll Road sono saltati?!" chiese Berkeley, al colmo dello stupore.
"Cosa intende con 'anche' ? Vuol dire che c'è stato un incidente anche in uno dei penitenziari di Jump City?" domandò Cyborg, incapace di celare il suo enorme stupore.
"No, non in uno dei penitenziari... in TUTTI i penitenziari! Tutti i sistemi di sicurezza sono saltati, esattamente allo stesso tempo! Non si sa come sia successo, ma ogni porta, inclusa quella d'ingresso, si è spalancata autonomamente. 
La cosa peggiore è che questo è avvenuto appena iniziata l'ora d'aria, per cui tutti i detenuti erano fuori dalle celle.
Altro non so dirvi, quel poco che ho saputo mi è stato rivelato da...da una delle guardie sopravvissute..."
Un nuovo silenzio, stavolta di orrore, avvolse gli occupanti del T-jet. Anche se non aveva modo di saperlo e, in fondo, stava solo svolgendo il suo dovere,  con quell'ultima frase Jefferson Berkeley aveva compiuto una dei torti più terribili ed imperdonabili che un uomo adulto possa compiere nei confronti di un gruppo di ragazzi; egli aveva strappato loro una parte della loro innocenza, lasciando una ferita insanabile.
Per anni, infatti, i Teen Titans erano stati i guardiani infaticabili di Jump City; sotto la loro protezione, nessuno degli abitanti aveva mai perso la vita a causa di un criminale. Anche durante i terrificanti giorni dell'ascesa al potere di Slade, essi erano sempre riusciti ad impedire che le vite di innocenti venissero stroncate.
Ma alla fine, dopo quattro anni dalla nascita del gruppo, in una fredda mattina d'inverno, essi avevano ricevuto la tragica conferma che, mentre lasciavano la città incustodita nel tentativo di adempiere al loro dovere, essi   avevano fallito.
E, a causa di tale fallimento, quella sera delle persone non avrebbero fatto ritorno alle proprie case, né sarebbero state mai più abbracciate dai loro cari.
Solo perché i Titans avevano fallito.
"Pronto, siete ancora in ascolto? Titans, mi ricevete?" 
"Qual è la situazione sulle strade, commissario?" chiese Cyborg, a malapena celando il suo stato d'animo; la sua voce sembrava invecchiata di decenni.
"Dire pessima è un eufemismo; i prigionieri, dopo essersi impossessati delle armi delle guardie, si sono riversati ovunque. Prima che venissimo allertati, decine di negozi che vendevano articoli per la caccia, per la pesca o  per il bricolage erano stati saccheggiati; a quest'ora, è probabile che non vi sia un solo fuggitivo che non abbia tra le mani un coltello, una chiave inglese, un martello, una pistola, una motosega e Dio solo sa cos'altro!. 
In città  regna il caos assoluto, io e i miei uomini non siamo abbastanza numerosi per gestire la situazione, né equipaggiati a sufficienza... e la Guardia Nazionale non sarà qui prima di un'ora... Dovete tornare immediatamente! Passo e chiudo." concluse Berkeley, ponendo fine alla trasmissione.
"E ora che facciamo, Victor?" domandò Raven, vincendo il peso che opprimeva il suo cuore.
"Cambio di programma, Titans: avvio la procedura di distacco, così io potrò avviarmi verso Toll Road, mentre voi tre farete ritorno in città a dar manforte alla polizia." rispose Victor Stone, prendendo una decisione 
"Cosa?! Ma ti ha dato di volta il cervello, Vic?! Non puoi sperare di riuscire ad averla vinta contro un intero penitenziario da solo!" urlò Beast Boy, chiaramente sconvolto dalle notizie, ma ancor di più nel sentire il suo amico che annunciava di volersi lanciare in una missione suicida.
"Gar, ascoltami bene! E anche voi, ragazze, ascoltatemi tutti! Io sono il più adatto a gestire la situazione a Toll Road. 
Il fatto che laggiù non ci siano cancelli da cui i detenuti potessero uscire mi consentirà di averli tutti in uno spazio relativamente ristretto, dove le mie armi risulteranno più efficaci.
Inoltre, se Robin aveva ragione ed è stato davvero un virus a far saltare i protocolli di sicurezza, io posso connettermi con l'interfaccia del computer centrale  e riavviare l'intera baracca. 
Senza contare che voi potete volare e io no; in città questo vi sarà decisamente d'aiuto."
Gli altri tre non erano affatto convinti, ma sapevano che la decisione del cibernetico eroe era dettata dalla logica, più che dal cuore; avere un cervello parzialmente computerizzato gli consentiva di analizzare scenari simili ad una velocità molto superiore a quella di un cervello organico.
"Procedura di distacco avviata. Distacco tra tre...due...uno..." il T-jet, dopo aver rallentato il suo volo fino a restare sospeso a mezz'aria, si separò in quattro navette, ognuna con un Titans al comando. Quella di Cyborg proseguì il suo viaggio verso Toll Road, mentre le altre tre virarono, puntando nuovamente verso Jump City.
"Stella, so che per te deve essere una tortura, non poter correre in aiuto di Robin. ma sappi che farò di tutto per riportarti il tuo fidanzato vivo e vegeto, te lo giuro." disse con voce gentile l'uomo dalla pelle metallica, cercando di consolare la principessa. 
"Lo so, mi fido di te, amico Cyborg; ti prego, cercate di tornare entrambi a casa sani e salvi" rispose Starfire, la cui voce era talmente colma di dolore da infrangere il cuore dell'individuo più insensibile sulla faccia della Terra.
"Puoi starne certa, principessa. Entro stasera, farò in modo che tu riabbia il tuo ragazzo tra le braccia.".
Poi, Cyborg si  rivolse al suo migliore amico,  "Gar, ti senti pronto per quel che ti aspetta, una volta che sarete arrivati a destinazione?" 
Beast Boy tacque, sapendo esattamente cosa gli stesse venendo chiesto, ma non avendo idee su come fosse meglio rispondere.
"B, te la senti?" tornò a ripetere Cyborg, stavolta più gentilmente.
"Io...io farò ciò che posso, Vic. Io e le ragazze daremo il massimo, te lo garantisco." disse nervosamente il metamorfico eroe.
"So che lo farete. Mi spiace scaricarti questa patata bollente tra le mani, ma non vedo alternative. Ricordati solo questo: tu vali più di quanto credi, devi solo aver fiducia in te stesso, per una volta. Qui Cyborg, passo e chiudo." concluse Victor Stone, interrompendo il contatto.
 
Nel tempo che il velivolo impiegò a sparire oltre l'orizzonte,  portando con sé Cyborg, il mutaforma sentì piovergli addosso, con la forza di un macigno (che, dopo milioni di anni di quieta immobilità sulla vetta di un'altissima montagna,  decide inaspettatamente di franare a valle e travolgere ogni cosa sul suo cammino), il peso della terrificante responsabilità che, in cuor suo, Logan aveva sperato di non dover mai più sostenere: quella del comando.
'Perché non imparo, una volta e per tutte, a tenere chiusa la mia dannatissima bocca? A cosa diamine mi servono le zanne, se non posso mordermi la lingua quando mi serve? Come ad esempio, che so, quando ho fatto quella domanda idiota, nel corso di quella maledetta riunione!'
Circa nove mesi prima, la sala riunione dei Titans aveva visto svolgersi l'ennesimo meeting bimestrale, teso ad aggiornare la situazione del team: i progressi effettuati, gli errori da correggere, i turni di ronda, i rapporti con le forze dell'ordine e con i mass media, gli eventi pubblici a cui l'amministrazione comunale aveva chiesto di aderire e i progetti per l'immediato futuro.
Per concludere, Robin passò ad illustrare, come di consueto, il nuovo calendario degli allenamenti, individuali e di gruppo . 
Come c'era da aspettarsi dal Ragazzo Meraviglia, la professionalità, l'intelligenza e l'accortezza per cui era noto lo avevano portato a creare un programma perfetto, teso a rendere ancora più efficienti i Titans nella lotta al crimine, tramite la combinazione di sano esercizio fisico e l'uso delle diverse abilità speciali di ognuno degli altri quattro. 
Almeno, dal punto di vista teorico. Nella pratica, Beast Boy non aveva potuto fare a meno di  gemere in maniera teatrale, sentendo che oltre tre ore e mezza di duro addestramento quotidiano lo attendevano, gran parte delle quali di esercizio fisico. 
"E' per il tuo stesso bene, Gar" aveva pazientemente spiegato Robin in quell'occasione, pur non potendo evitare di corrugare lievemente la fronte quando, in puro stile melodrammatico, il ragazzo zannuto si era lasciato crollare sul tavolo, il volto nascosto tra le braccia.
"Non si può mai sapere che tipo di insidia può riservare il futuro per ciascuno di noi, e non vi è la certezza matematica che, nel caso uno di noi venga aggredito o si trovi in difficoltà.lui o lei possa contare sull'intervento tempestivo della squadra. So che sembra una strada tutta in salita e, a dirla tutta, almeno all'inizio lo è. Ma credimi, appena vi avrai fatto l'abitudine, questo nuovo regime di addestramento ti apparirà come una semplice routine quotidiana.".
"Yuppi-dooh, ma quanto sono fortunato..." disse il mutaforma, chiaramente per nulla consolato.
"Dico sul serio, Gar." proseguì Robin, stavolta con un tono e un cipiglio leggermente più severi "I tuoi poteri ti obbligano ad adottare uno stile di combattimento basato esclusivamente sul corpo a corpo: migliorare le tue capacità in questo senso,  in forma animale E umana, non potrà che avere un effetto positivo sulle tue prestazioni in battaglia.".
Beast Boy alzò una mano, forse per obiettare, ma poi rimase immobile, l'arto a mezz'aria e la bocca aperta, evidentemente riflettendo sul ragionamento del suo leader. Non riuscendo a trovare una falla nell'impeccabile logica del detective, il ragazzo zannuto abbassò la mano, sbuffando sonoramente.
"Okay, posso starci... E poi, in fondo, non è detto che la cosa mi dispiaccia così tanto." disse Beast Boy, mentre il sorriso tornava a fare capolino sulla sua bocca, " Aspetta solo che le mie fans vedano il nuovo Super-Beast Boy: la mia casella di posta  elettronica scoppierà di lettere d'amore! Chissà, magari ci sarà persino qualche proposta di matrimonio! Eeeh, quanti cuori mi toccherà infrangere... è la maledizione di chi è nato così bello, che volete farci." concluse l'ex patroller, un'espressione talmente compiaciuta da dare l'idea che le la romantica corrispondenza fosse li, in bella vista dinanzi a lui.
"Prima di poter spezzare il cuore ad una ammiratrice, Garfield, dovresti riuscire almeno ad averne una... sai come funziona, vero? I fan-club immaginari non possono certo inviarti delle lettere, cartacee o digitali che siano, data la loro natura astratta." intervenne Raven, nel suo tipico tono piatto.
Le orecchie da elfo di Beast Boy si abbassarono, come quelle di un cane bastonato, mentre il suo sorriso si rovesciò. Cyborg e Robin si piegarono su sé stessi, portandosi una mano alla bocca, sopprimendo a stento una risata. 
Starfire si limitò a sorridere, osservando felice lo spettacolo dei suoi compagni di squadra che, seppur nel bizzarro e spesso incomprensibile modo dei terrestri, interagivano e si divertivano, proprio come un gruppo di amici dovrebbe fare. 
E in fondo, malgrado i continui litigi, tutti loro condividevano tale idea; data la vita difficile vita che essi avevano intrapreso, ogni momento che consentisse loro di lasciarsi andare alla spensieratezza e giovialità, tipiche dei loro anni, era un dono inestimabile.
"Ti costa così tanto lasciarmi sognare almeno una volta, Rae?" chiese Beast Boy, voltandosi verso la maga e inarcando un sopracciglio in uno sguardo eloquente.
"Quanto a te costa imparare a pronunciare il mio nome per intero, apparentemente." concluse l'azrathiana, sollevando il cappuccio in modo da celare il suo volto, per poi alzarsi dal posto.
"Robin, se abbiamo concluso, io avrei bisogno di meditare un po; stando al tuo programma, il mio allenamento prevede un uso intensivo dei miei poteri, sopratutto quelli di levitazione.  Devo cominciare a raccogliere fin da ora le energie necessarie per uno sforzo prolungato, per cui due ore di intensa meditazione sono assolutamente necessarie." disse Raven, rivolta al leader mascherato.
"In realtà, Raven, ci sarebbe un'altra decisione che ho raggiunto e, data la sua importanza, voglio comunicarla a tutti voi."  
L'azrathiana corrugò la fronte, dando segno che essere trattenuta  ulteriormente le causava una leggera irritazione, ma non protestò, tornando a prendere posto al tavolo circolare.
Robin si raddrizzò nel suo posto, schiarendosi la voce e assumendo un'aria decisamente professionale. 
"Come tutti ben sapete, io non sono dotato di superpoteri. Pur sottoponendomi al più severo degli addestramenti, fisici e mentali che siano, o dotando la mia uniforme delle migliori protezioni che la scienza possa fornire, sarò sempre soggetto alle stesse debolezze di qualunque essere umano."
Detto questo, il Ragazzo Meraviglia si alzò in piedi e, con studiata lentezza, iniziò a camminare intorno al tavolo, tenendo le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo rivolto in basso. Gli altri lo seguirono con gli occhi, tentando di comprendere quale fosse il senso di tale discorso: mai era infatti avvenuto prima che Robin affrontasse, dinanzi alla sua squadra, lo spinoso argomento della fragilità che il suo status di unico essere umano sprovvisto di qualsivoglia tipo di superpotere comportava; pur essendo Cyborg un homo sapiens a pieno titolo, le sue  numerose protesi hi-tech gli conferivano abilità sovrumane. 
L'eroe afroamericano avrebbe potuto essere centrato dal colpo di un carro armato ed uscirne praticamente incolume; lo stesso discorso però non si applicava a Robin, le cui doti fisiche, pur rivaleggiando con quelle dei migliori atleti olimpionici, non gli garantivano una eguale protezione.    
Ovviamente, date le incredibili abilità sfoggiate dal detective, sia sul campo di battaglia che in quello investigativo, unite al naturale carisma che invogliava le persone a rispettarlo e seguirlo, tale 'lacuna' era  più che a sufficienza colmata. 
I Titans attesero, con curiosità e trepidazione crescenti, che il detective mascherato giungesse alla conclusione.
"In passato è avvenuto (più volte di quante desiderassi, purtroppo) che la mia presenza venisse a mancare; contro Mad Mod, contro Johnny Rancid... contro Slade...". 
Per un fugace istante il viso del giovane detective fu solcato da un'ombra di rabbia, mentre a denti  stretti pronunciava l'odiato nome del temuto criminale. "Per più di una ragione, io potrei trovarmi nella condizione di non poter svolgere le mie mansioni di team leader; secondo la mia esperienza, ciò porta spesso al sorgere di numerosi problemi, in particolar modo legati a divergenze su chi dovrebbe assumere il ruolo di nuovo caposquadra. 
Questo a sua volta conduce a distrazioni, incomprensioni, inutili litigi sul campo e, nei casi più gravi, al verificarsi di un nuovo infortunio... o di una fatalità. 
Quindi, ho deciso di nominare ufficialmente un secondo in comando." arrivato a questo punto, il Ragazzo Meraviglia si fermò alle spalle di uno dei suoi amici.
"Congratulazioni, Cyborg" disse Robin con un sorriso, poggiando la mano destra sulla vasta spalla corazzata di Victor Stone " A partire da ora, sei a tutti gli effetti il Secondo in Comando.".
 Le reazioni che seguirono furono esattamente quelle che ci si sarebbe aspettate:
Starfire e Beast Boy, entusiasti, scoppiarono in un fragoroso applauso;
Raven, in maniera composta ed educata, rivolse i suoi complimenti il colosso meccanico;
Cyborg, colto alla sprovvista, si passò una mano sulla fronte, rivolgendo un sorriso luminoso a tutti loro.
"Wow, grazie mille, Rob! Non me lo aspettavo, ma saprò meritarmi questo onore, puoi scommetterci la tua moto nuova!" 
"Non occorre scommettere, so già che farai un lavoro eccellente, come al solito." rispose l'ex acrobata, ricambiando il sorriso dell'amico, prima di dirigersi nuovamente al suo posto.
Prima che Robin potesse accomodarsi, la mano di Beast Boy scattò in alto, seguita subito dopo dalla voce del mutaforma verde.
"Avrei una domanda!"
Inarcando un sopracciglio,  il detective annuì.
"Prego, Gar, chiedi pure. Cosa vuoi sapere?"
Mettendo le zanne in mostra nel suo famoso ghigno, il trasformista parlò.
"Oookaay... vediamo un po se ho ben afferrato il concetto:  da oggi in poi il qui presente Chiappe di Titanio è, a tutti gli effetti, il tuo braccio destro; se (facendo i dovuti scongiuri, ovvio!) tu, il leggendario Ragazzo Meraviglia, Idolo delle Folle, ti rompi un altro arto, vieni avvelenato e/o drogato da uno dei nostri nemici vecchi o nuovi, ti viene la varicella e/o Cinderblock - o Stella - ti abbracciano troppo forte"  disse Beast Boy, con un'espressione assorta palesemente ironica "sei costretto un'altra volta a restartene in infermeria, Vic qui è ufficialmente autorizzato a prendere le redini del gruppo e guidarci alla vittoria."
Malgrado l'importanza dell'annuncio, le reazioni che seguirono l'allusione alla natura del rapporto tra il celebre eroe e la fortissima principessa aliena non poterono che risultare tragicomiche:
Cyborg scoppiò in una fragorosa risata, quasi ribaltandosi dalla sua sedia rinforzata, seguito a ruota dal suo amico verde; 
il viso di Starfire divenne talmente rosso da rivaleggiare per tonalità con la sua lussureggiante capigliatura; 
Robin, in un misto di esasperazione ed imbarazzo, si lasciò crollare sul proprio posto, la testa appoggiata allo schienale e una mano a coprire la faccia, mentre dalle sue labbra usciva un sommesso mugolio che ad un ascoltatore attento poteva suonare quasi come 'Ma perché proprio a me?'. 
Quanto a Raven, lei fu l'unica che parve conservare un atteggiamento maturo e composto, come del resto chiunque la conoscesse si sarebbe aspettato da lei; tuttavia, mentre Gar Logan si rotolava senza troppi complimenti sul pavimento, tenendosi lo stomaco e sgambettando come un matto, i suoi occhi ebbero la fugace impressione che le pallide labbra di Raven, nascoste assieme al resto del suo bel volto sotto l'ombra del cappuccio, in quel momento fossero piegate in una piccola smorfia divertita. Riprendendo fiato, Beast Boy cercò di ricomporsi, sia per non mortificare ulteriormente i due fidanzati, sia per complimentarsi con il suo amico .
 "Umhh, beh, che posso dire, al riguardo? Vai così, Vic! Oggi sei l'Impiegato del Mese, perciò la promozione è tutta tua!"disse Beast Boy allegramente, volgendosi verso il cibernetico eroe con entrambi i pollici in su; quest'ultimo, con l'occhio biologico gonfio di lacrime per le risate, si alzò in piedi e, portando le mani ai fianchi, il piede destro sulla sedia e l'ampio torace in avanti, si esibì nella sua 'Posa del Trionfo', un ghigno a trentadue denti stampato in faccia.
"Dio, è stato un momento fantastico... Vic aveva avuto la promozione che meritava e la mia battuta era riuscita a far sbellicare lui, arruffare le penne a Robin e..." voltandosi a guardare i monitor, il mutaforma fissò quello in cui era mostrata l'immagine di Raven, intenta a meditare nel suo abitacolo, preparandosi all'imminente scontro  "ero riuscito ad ottenere un sorriso, per quanto fugace, da lei... è stato un momento perfetto.".
Per qualche secondo, un sorriso solcò le labbra di Gar Logan, accompagnato da un sospiro di felicità sincera. Poi, il ricordo di quel che seguì ebbe l'effetto di un cancellino su una lavagna: come le scritte in gesso divenute superflue ad un insegnante, ogni pensiero o emozione positivi furono cancellati dall'esistenza, spediti nell'oblio. 
'Ma, ovviamente, visto che le cose mi andavano bene, la mia stradannatissima propensione a rovinare ogni singolo momento positivo della mia vita mi ha spinto a rincarare la dose!!! A dar fiato alla bocca e fare quella stupidissima domanda!!! E tutto perché non ho saputo accontentarmi della mia fortuna, godendomi i risultati che avevo raggiunto..."
"Ma torniamo alla domanda: dimmi Robin, hai pensato anche a chi sostituirà  Piede Lieve, nel caso tu sia  ammalato/ irreperibile/ mentalmente e fisicamente esaurito E le batterie gli si esauriscano di nuovo? A Raven, magari?   Si, ce la vedo proprio! Sai com'è"  chiese Beast Boy, asciugandosi le lacrime " Lei sarebbe l'ideale per  quel posto; intelligente, con la battuta pronta (e tagliente più di qualsiasi boomerang...), lo Sguardo della Morte, il lungo mantello svolazzante ... e il nome da uccello passeriforme. Saresti perfetta, Rae!" 
"Quel giorno ho avuto conferma di quello che tutti, amici e nemici, hanno sempre sostenuto; Garfield Mark Logan, sei davvero un imbecille patentato!"  
E in quel momento accadde, improvvisa ed imprevedibile, la cosa più assurda, folle ed insensata che Gar Logan, un tempo membro dell'eccentrica e bizzarra Doom Patrol, avrebbe mai potuto immaginare in tutta la sua esistenza: ignorando l'ennesimo tentativo di sottolineare la sua qualifica di burlone del gruppo, oltre al lieve rossore che le guance di Raven avevano assunto (se per rabbia o lusinga, non era possibile saperlo), Robin si volse in direzione dell'amico dalla pelle verde e, con viso serio e imperturbabile, disse le parole che, nei giorni successivi, avrebbero perseguitato Beast Boy, nel sonno e da sveglio: 
"Sono lieto che  tu abbia fatto questa domanda, Gar... poiché, che tu ci creda o no, mi sono posto questo dilemma a lungo. E , dopo lunga e attenta riflessione, ho deciso a chi spetta tale ruolo: a te, Gar." 
"......"
Qualche secondo passò, prima che Beast Boy riuscisse a riacquisire un controllo sufficiente sulle proprie capacità motorie e, in seguito, obbligare la sua faccia ad assumere un'espressione che non fosse  di puro stupore, nonché forzare la sua bocca a richiudersi.
E in quel lasso di tempo, il suo sconvolto cervello fu capace di notare cosa tutti i presenti NON stavano facendo, all'udire il loro intrepido leader condividere con loro quell'ultima informazione: ridendo, arrabbiandosi, volgere sguardi indignati e/o increduli all'eroe mascherato, domandare se quello era uno scherzo, verificare lo stato di salute mentale di Robin ...  
Queste e mille altre reazioni avrebbero dovuto avere, tutti loro, all'udire Robin che poneva ufficialmente il mutaforma dai poteri animali in una posizione di comando. 
Ma nessuna di queste si verificò. 
Nessuna delle due avvenenti, potentissime eroine si lamentò del fatto che i loro incredibili poteri ed abilità venivano messi, nel caso di una situazione d'emergenza  estrema (o almeno, grave abbastanza da giustificare l'assenza dell'ex-pupillo di Batman e del cibernetico colosso dal campo di battaglia), sotto la guida di colui che, negli anni, si era guadagnato la nomea di 'Immaturità Incarnata';
neppure un risolino soffocato lasciò la bocca di Cyborg, né la sua faccia tradì il minimo sentimento di stupore o di indignazione, sapendo che le vite di civili innocenti, oltre a quelle delle sue amiche e 'sorelle', venivano affidate alle iniziative del suo puerile amico; 
Robin, senza minimamente scomporsi, continuava fissarlo con una silenziosa determinazione, senza dare alcuna impressione di ripensamento.
Tutti loro si limitarono a fissarlo, con espressione meditabonda, in un irreale silenzio.
Per qualche istante, l'eroe dalle orecchie a punta ebbe l'orribile impressione di essere stato inavvertitamente catapultato nell'angosciante futuro che, a  seguito dello scontro con il cronoladro Warp, Starfire aveva visitato alcuni anni prima; stando alla fanciulla spaziale, in esso il destino di Gar Logan era quello di concludere i suoi giorni come fenomeno da baraccone in uno sgangherato circo, oggetto della crudeltà e degli sguardi cinici del pubblico,  dall'interno di una squallida gabbia. 
Per sua fortuna, proprio la voce di Starfire lo trasse da quella triste fantasia... per poi trascinarlo in una realtà decisamente più assurda.
"Si, devo dire che la tua scelta è davvero saggia, mio amato.".
"C-Cosa?" mormorò Beast Boy, guardando l'avvenente rossa come se fosse impazzita.
"Grazie, Stella. Sono contento che tu approvi." 
"M-m-ma... Robin, andiamo..." balbettò supplichevole il ragazzo zannuto.
"Umh, ammetto che l'idea è inquietante... ma ha un senso, dopotutto." aggiunse Cyborg, strofinandosi il mento.
"Lo ammetto, all'inizio avevo dei dubbi, ma dopo un'attenta riflessione e analisi ponderata dei dati in mio possesso, ho capito che era la scelta più logica" continuò Robin, ignorando il suo amico verde.
"Ehm... ragazzi, con il rischio di sembrare banale, devo porvi la classica domanda da film di fantascienza di serie B: ma di cosa diavolo state parlando?!?" chiese Beast Boy, praticamente urlando l'ultima parte della frase.
Gli altri furono leggermente presi alla sprovvista da quella reazione, insolita per il mutaforma, ma presto Robin decise di fornire una spiegazione.
"Non è ovvio, Gar? Ti sto ufficialmente ponendo al terzo posto della scala gerarchica dei Teen Titans; con la presente riunione, sei da questo momento autorizzato a prendere il controllo della squadra o di altri gruppi di Titans onorari, nel caso io e Cyborg non fossimo in condizioni di farlo." 
"Si, amico mio." aggiunse la principessa dalla pelle arancione " In passato hai saputo dar prova di una notevole attitudine al comando; grazie a te, quattro Titans onorari, totalmente estranei l'uno all'altro, si sono uniti per conseguire uno scopo comune, arrivando perfino ad infiltrarsi nella base nemica."
"Già, quello è stato davvero un bel colpo!" si intromise Victor Stone, convinto di fare un complimento al ragazzo, senza tuttavia notare l'occhiata che questi gli lanciò; quella di chi si vede tradito ed abbandonato nel momento del bisogno. "Insomma, tendere un'imboscata E riuscire a catturare Cinderblockd  fu già un'impresa notevole, considerato che eravate una squadra da meno di un giorno; però l'idea di usare i poteri di Jericho per prendere il controllo dell vecchio Testa di Mattone, in modo da scoprire la base della Confraternita del Male ed entrare indisturbati è stata davvero ottima! Mi brucia ammetterlo, ma quando Mas me lo ha raccontato ho  provato un briciolo di invidia per te, Capelli di Muschio!".
Se con quelle parole i Titans avevano sperato di sollevare l'umore dell'ex-patroller, era palesemente chiaro il loro fallimento. Appoggiando i gomiti al tavolo e la fronte sulle mani, l'eroe dalla pelle smeraldina emise un lungo sospiro. 
Dopo aver calato le braccia, con gli occhi bassi e la voce stanca iniziò a parlare.
"Ragazzi, io non lo so... se volete la mia opinione, questa è una pazzia bella e  buona." disse Beast Boy, guardandosi mestamente le mani sul tavolo .
"Voglio dire, andiamo!  Ho guidato un team solo una volta: un'UNICA, singola, disastrosa volta! Gli altri mi hanno dato retta solo perché io ero l'ultimo membro fondatore disponibile, e anche se abbiamo lavorato bene insieme, avete visto come è andata a finire: ci siamo ritrovati nel covo della Confraternita del Male, circondati dall'esercito del Cervello e dai suoi tirapiedi! Se non foste arrivati voialtri"  e qui gli occhi smeraldini si posarono su Cyborg, Raven e Starfire "portando un bel po di rinforzi, a quest'ora tutti noi saremmo ancora nel sottosuolo di Parigi, esposti nella 'collezione' del Cervello come dei surgelati al supermarket... per non parlare poi di tutti gli errori, le gaffes, le stupidaggini che ho commesso e continuo tutt'ora a commettere, quando siamo in battaglia! Quante volte avete dovuto correre  a salvarmi, perché avevo combinato un guaio, incassato un brutto colpo da parte del cattivo di turno, e voi siete dovuti intervenire per coprirmi?  e voi vorreste dare a me l'autorità per dire agli altri come comportarsi di fronte al pericolo?!
Suvvia, non diciamo sciocchezze!"
Un silenzio attonito aveva seguito quelle parole. 
Mai, prima di allora, i giovani eroi avevano sentito il ragazzo dalle orecchie a punta parlare in maniera tanto dispregiativa di sé stesso. Normalmente, egli avrebbe fatto del sarcasmo sulla sua presunta stupidità, oppure avrebbe fatto delle battute sulla situazione o, come spesso accadeva, si sarebbe vantato delle sue prodezze.
Gar Logan era una persona gentile e di buon cuore, un amico fidato, sempre disposto ad aiutare chiunque, nel momento del bisogno; tuttavia, se vi era una caratteristica difficile da mandare giù in lui era la sua smania di attenzioni. 
Bastava infatti il più piccolo, innocente dei complimenti per gonfiare il suo ego a livelli stratosferici; per fare un esempio, quando una fan, incontrata per strada poche settimane prima, gli aveva detto che trovava le sue orecchie puntute adorabili, il ragazzo era andato avanti a vantarsi dell'accaduto fino all'ora di cena... di due giorni dopo...
Gar Logan amava decisamente ricevere lodi, come era facilmente intuibile dal modo in cui faceva un prezioso tesoro di ogni singolo elogio ottenuto. 
In questa occasione, tuttavia, era chiaro che il pensiero di avere la fiducia e il sostegno di tutta la sua squadra per qualcosa di estremamente importante lo stava distruggendo.
Tutti e tre si scambiarono sguardi perplessi; ciascuno sembrava assorto nel tentativo di trovare le parole giuste per rispondere al mutaforma animale e, nel medesimo tempo, ognuno di loro pareva pregare in silenzio uno degli altri a dire qualcosa. Gesti di imbarazzo, scrollate di spalle, muti cenni volarono tra Robin, Cyborg e Starfire per qualche attimo.
"Gar, ascolta;" tentò Robin, decidendo che, in quanto leader, spettava a lui porre fine a quel puerile teatrino," noi vogliamo che tu abbia tale carica perché pensiamo che tu-"
"Tu te la meriti." disse una voce femminile, in tono piatto e privo di emozioni, ma anche definitivo.
Quattro teste si voltarono di scatto, otto occhi si fissarono tutti sulla persona a cui quella voce apparteneva: Raven.
Pur se in preda allo shock, Beast Boy riuscì a biascicare qualche parola "No... non anche tu, Rae..."
La ragazza non si volse a guardarlo, tenendo gli occhi fissi davanti a sé; le mani si portarono al cappuccio, lasciandolo ricadere all'indietro e rivelando il pallido viso dalla fronte ingioiellata.
"Garfield, ora ascoltami con attenzione, senza interrompermi, perché non intendo ripetere mai più ciò che sto per  dirti. 
Si, è vero: in passato, tu hai commesso degli sbagli, nel corso di una missione o al difuori e si, questi sbagli sarebbero potuti costare la vita a qualcuno di noi, o ad un innocente di passaggio-"
"Sai Raven, non credo che questo sia il modo migliore di consolar- AHIA!" guaì Cyborg, quando un tentacolo di energia oscura gli assestò una dolorosa sberla alla nuca.
"Mi sembrava di aver appena detto che non volevo essere interrotta." mormorò a denti stretti la maga, ancora una volta non voltandosi neppure verso il suo amico meccanico; quest'ultimo si stava massaggiando la parte organica contusa, un sorriso di scuse e una scrollata di spalle come unica risposta.
"Come stavo dicendo, è assolutamente vero ciò che hai affermato poco fa; tu tendi a commettere molti errori."
Le orecchie i Beast Boy si abbassarono come quelle di un cane bastonato, ma Raven, pur dando minimi segni di dispiacere, non si fece distrarre e continuò imperterrita. "Ma ciò non dovrebbe spingerti a sminuire a tal punto i tuoi meriti. Oltre al fatto che, tra noi, tu sei l'unico ad avere un'esperienza in questo campo paragonabile a quella di Robin, vi sono in te varie doti che ti renderebbero un buon leader. Potrei passarle in rassegna tutte, ma preferisco citare le due più importanti.
In primo luogo, non sei una persona che si arrende facilmente; Azar mi assista, sono anni che continui a cercare di renderci tutti vegetariani... oltre a tempestarmi di battutacce, senza minimamente rassegnarti al fatto che tu e la comicità siete assolutamente incompatibili..." 
Su questa affermazione, nonostante l'atmosfera di disagio, Beast Boy non poté fare a meno di alzare un sopracciglio, mettendo in mostra le zanne nel suo caratteristico ghigno. 
"Continua a ripetertelo Rae, forse riuscirai a convincere almeno te stessa, ma la realtà dei fatti è una sola e la conosciamo entrambi: tu, più di tutti, mi trovi spassosissss.... ok, ok, sto zitto." disse il mutaforma, prima che gli occhi di Raven iniziassero a brillare minacciosi, convincendolo a tacere.
"Meglio così. Ora, tornando alle cose serie, quando dico che non sei tipo da arrenderti intendo anche dire che, malgrado ti sia ritrovato varie volte a combattere contro avversari palesemente più forti di te... e di tutti noi messi insieme, devo dire..." aggiunse la ragazza, temendo che la sua affermazione potesse essere vista come un insulto alle capacità combattive del vigilante verde.
Un mezzo sorriso di ringraziamento fu l'unico segnale che le intenzioni amichevoli della maga erano state comprese. Interiormente sollevata, Raven proseguì il suo discorso " ...tu non ti sia mai arreso, né abbia mai implorato pietà. E, anche se con risultati alterni, hai sempre cercato di trovare la soluzione migliore, quella che avrebbe comportato il minor danno possibile per chiunque di noi, perfino a discapito della tua stessa salute. E questo, a mio parere è una qualità che un vero capo dovrebbe sempre possedere: la determinazione, una dote che lo spinge a non prendere in considerazione, nemmeno per un istante, l'eventualità di lasciare indietro o deludere le aspettative di coloro che in lui hanno riposto la propria fiducia e finanche le loro vite. 
Ma sappi questo: il campo di battaglia non è l'unico luogo dove le abilità di un leader vengono messe alla prova. 
Un anno fa, in quella serata d'estate, io e Victor eravamo sul punto di saltare l'uno alla gola dell'altra." e qui Raven fece una pausa, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro.
Di fronte a lei, Victor Stone si agitò a disagio sulla sedia, appoggiando la fronte sulle mani di titanio, un'espressione contrita sul volto.  
"Quella fatidica sera, per quanto mi vergogni ad ammetterlo, il nostro raziocinio era andato, offuscato da sentimenti a lungo repressi: rabbia, tristezza, solitudine, senso di impotenza nei confronti della sorte avversa... finché non sei arrivato tu. 
Tu hai saputo scegliere le parole e gli esempi più opportuni, aiutandoci non solo a superare quel momento difficile, ma molti altri nei giorni successivi.
Ci hai mostrato dove e perché sbagliavamo, aiutandoci ad iniziare un processo di autocritica e miglioramento; questo, a mio parere, è una qualità che un vero capo dovrebbe sempre avere. 
Ed è forse la più importante di tutte, quella che più di tutte ti rende idoneo per tale posizione.".
L'espressione di Gar Logan, dopo aver udito le parole di Raven, era indecifrabile a dir poco: da un lato, la sorpresa e l'incredulità erano evidenti, come indicava la bocca che, incapace di articolare una qualunque risposta, si apriva e chiudeva a brevi intervalli; d'altro canto, la postura scomposta e il rifiuto categorico di alzare gli occhi dal tavolo erano un ovvio tentativo di nascondere le lacrime che minacciavano di sgorgare ( se di commozione o di dolore, i Titans non lo sapevano davvero).
"Io... io non so cosa dire..." balbettò con voce impercettibile il mutaforma.
"Dì soltanto che tenterai, come fai sempre. Non ti chiediamo altro, Garfield." rispose gentilmente Raven.
Guardando quegli occhi, simili a gemme preziose, Gar Logan sentì sciogliersi qualcosa nel suo cuore. Le parole che uscirono dalla sua bocca subito dopo parvero pronunciate da un altro, ma non vi fu verso di fermarle.
"Va bene, Rae... se questo è quel che pensi, se voi tutti siete sicuri di questa decisione... io accetto."  
"Questo è parlare, B!" tuonò allegramente Victor Stone, alzando i pollici verso l'amico. "E comunque sia, non preoccuparti; né io né Robin qui siamo tipi da farci  mettere facilmente fuori uso dal primo perdente di passaggio! Per cui non temere, dovrà passare parecchio tempo prima che qualcuno venga da te a chiederti ordini, puoi scommetterci quella tua pellaccia da ramarro!"
"Lo spero tanto, Vic... lo spero tanto..." concluse Beast Boy, rima di alzarsi e lasciare la sala in silenzio, sotto gli occhi preoccupati dei sui compagni.
'Forse avrei dovuto parlarne a qualcuno di loro... a Vic, magari, è pur sempre il mio migliore amico...oppure a Robin, così non avrebbe mai preso in considerazione, neppure per un nanosecondo, l'idea di nominarmi Leader in Terza...
Oh, al diavolo con i 'forse! DOVEVO dirglielo in quel momento... era la cosa più sensata da fare...dovevo raccontare loro tutta la verità, fin dal principio... a cominciare da quando vivevo in Africa. 
Ma come facevo a raccontare loro.. a lei... che porre me in una qualunque posizione di comando equivale a mettere una squadra nelle mani di un incapace? 
Come accidenti facevo a dire ai miei amici che ogni singola persona che abbia mai commesso l'errore di affidarmi la sua incolumità, o addirittura la sua vita, ha pagato un prezzo altissimo? 
Come facevo a dire loro che non si dovrebbe affidare il destino di una persona nelle mani di un...un... un mostro?'. 
Quest'ultimo pensiero, più di ogni altro, diede a Garfield Logan la sensazione che il cuore gli venisse strappato dal petto, per venire in seguito rimpiazzato con un blocco di ghiaccio. Quei ricordi lo perseguitavano ancora, a distanza di anni, e non vi era verso di allontanare le sensazioni che essi gli suscitavano. 
Volti di amici, di nemici, di persone amate e odiate... tutti sembravano apparirgli davanti, guardandolo con un misto di disprezzo e delusione. 
Gli occhi iniziarono a bruciargli, rivedendo, seppur solo attraverso la sua immaginazione, i visi  per lui più cari e temuti: i suoi genitori, Terra, Re Tawaba... Jillian...
"Amici miei, la nostra meta è in vista. Dobbiamo prepararci all'atterraggio e raccogliere le energie per lo scontro imminente." intervenne la voce di Starfire, riportando alla realtà il mutaforma e risvegliando Raven dalla sua trance.
"Uhm... ok ,ragazze, ecco che ci siamo, infine; è giunto il momento di mostrare quanto sappiamo essere tosti da soli... Un urrà per la squadra BB!" disse l'ex patroller, in quello che doveva essere un tono di incoraggiamento , tornando intanto ad indossare la sua maschera di burlone irriducibile, sua difesa dal mondo e dai ricordi.
Jump City era ormai visibile ad occhio nudo. 
I palazzi, benché la prospettiva li facesse apparire ancora grandi ed innocui come modellini in scala, avevano assunto un'aura inquietante e sinistra. 
Per i tre Titans, rimasti privi sia dell'abile ed esperta guida di Robin che della saggia e ottimistica figura di Cyborg, la situazione era a dir poco paradossale; non era trascorsa che una manciata di minuti da quando, ricevuta la chiamata d'emergenza di Robin, essi avevano dovuto fiondarsi a bordo dei rispettivi jet, diretti verso una dura e pericolosa battaglia, ed istintivamente ognuno di loro aveva sperato di poter fare ritorno nel luogo che, da quattro anni, essi avevano eletto a propria dimora. 
Adesso,  l'intera città appariva loro in una luce sinistra, come se per un maligno incanto essa fosse divenuta un'unica, immensa trappola mortale, pronta a scattare e mietere la vita di ogni persona onesta che si fosse trovata a passare per quelle strade.
Entro pochi minuti i tre veicoli entravano nello spazio aereo di Jump City, sorvolando i ben noti palazzi, in cerca di un punto dove atterrare. La scelta ricade sul tetto del Grand Hotel Eagles, il più esclusivo albergo di Jump City, situato in Treasure Street.  
Lo spettacolo che si presentò loro, sorvolando le strade, fu agghiacciante: auto distrutte giacevano abbandonate sulle vie sottostanti, alcune recanti chiari segni di tamponamenti, altre volutamente vandalizzate o ribaltate, altre ancora semplicemente abbandonate al proprio destino dai proprietari; cocci di vetri disseminati ovunque, provenienti dalle vetrine dei negozi, dalle finestre più basse e da lampioni e luminarie distrutte; idranti divelti originavano corsi d'acqua sull'asfalto, nei quali detriti, calcinacci e neve sciolta venivano trascinati; roghi di ogni tipo divampavano sui marciapiedi, divorando nelle loro fiamme libri, manichini, abiti e molto altro.  
L'atterraggio sull'ampio terrazzo, situato sul tetto dell'albergo, avvenne senza problemi.
Una volta abbandonati i rispettivi abitacoli, i tre si diressero verso il lato che dava sulla strada, affacciandosi dal parapetto d pietra.  
In lontananza si udivano grida, deformate dall'eco attraverso le vie: grida di uomini, donne e bambini spaventati, le cui vite erano messe inaspettatamente in pericolo, il cui unico desiderio era di sicuro quello di tornare a casa, al sicuro, tra le braccia delle persone amate... di tornare alla normalità.
A tali strazianti voci seguirono ben presto le sirene della polizia, nonché i raggelanti ed inconfondibili boati di armi da fuoco, 
Mentre quella terribile rovina aveva luogo nelle strade sottostanti, Garfield Logan sentì l'ansia che, dopo essersi drasticamente accumulata negli ultimi minuti, finalmente iniziava ad avere la meglio su di lui. Salvare tutte quelle persone? Assicurasi che nessun innocente venisse ferito, mentre un'orda di criminali vagava senza controllo, smaniosa di sfogare la propria smania di rivincita sulla società che li aveva rinchiusi? E, nel frattempo, coordinare le azioni di due donne che, con un pensiero, erano perfettamente in grado di cancellarlo  dall'esistenza? 
'Maledizione! Robin, ma come diamine ci riesci?! Come fai ad essere sempre così tranquillo, così controllato e sicuro, sapendo che talmente tanto dipende da te?', pensò Beast Boy, il respiro affannoso e le mani avvinghiate alla ringhiera di cemento.
"Beast Boy?" 
La voce di Raven non lo raggiungeva neanche. 
Il respiro si faceva sempre più corto, il cuore batteva all'impazzata, mentre gli occhi si dilatavano.
I suoni del caotico conflitto, così come le voci preoccupate delle sue amiche , cominciarono a perdersi in lontananza, divenendo un brusio di sottofondo. Le urla della gente terrorizzata, il rumore di vetrate infrante e perfino  il terribile fragore delle armi da fuoco sembrarono affievolirsi sempre più, lasciando posto a voci e immagini irreali, spettri di un passato mai abbastanza remoto, avvinghiati  in maniera irreversibile ai ricordi di un bambino di cinque anni:
il rombo assordante di un fiume in piena, le cui acque impietose travolgevano ogni cosa al loro passaggio;
"Amico Beast Boy?"
urla di persone in preda al panico, che disperatamente invocavano aiuto;
"Beast Boy, riesci a sentirmi?"
due  voci, affettuose ma spaventate, che sussurravano il suo nome, "Garfield...Garfield...",  e poi... 
"...Garfield?".
...E poi una voce, gentile e preoccupata al medesimo tempo, si fece largo tra il tumulto di sensazioni;  in qualche modo, essa riuscì a penetrare la barriera, costituita da sussurri e visioni di tragedie, richiamando alla realtà la mente del mutaforma, ormai sull'orlo di un crollo psicologico. 
La prima cosa che Gar Logan vide, quando i suoi occhi tornarono a mettere a fuoco il presente, furono due iridi color ametista che, da un imperturbabile volto , candido come la neve, lo fissavano ansiosi.
"Garfield, ti senti bene?" chiese ancora una volta Raven, afferrandogli il braccio sinistro, incapace di celare appieno la sua preoccupazione.
"Cosa c'è che non va? Che ti è successo?"
"R-Rae? N-No, io.... cioè, si, va tutto benissimo, certo..." farfugliò Beast Boy, volgendo lo sguardo altrove, per poi tentare di dare le spalle alla maga.Lei comunque non allentò la presa, costringendolo a tenere lo sguardo fisso nel suo.
"Non provarci neppure, Garfield; non credere, neanche per una frazione di secondo, di potermi mentire, chiaro? Poco fa eri in uno stato semi-catatonico. Ho dovuto scuoterti per dieci secondi buoni, prima di riuscire ad ottenere una risposta da te. 
Per cui non osare dirmi 'Va tutto benissimo, Rae', perché è chiaro come il sole che non è così! Dimmi cosa c'è che non va, o che Azar mi sia testimone, ti scaravento in una dimensione parallela, piena zeppa di uomini-tofu carnivori alti sei metri, sono stata chiara?"
Beast Boy tacque per qualche secondo, soppesando mentalmente le sue alternative: verità o menzogne? 
C'erano molte cose che avrebbe voluto dire o fare, in quel preciso momento, ma mentire alle sue amiche, la cui sola colpa era quella di preoccuparsi per il suo benessere, non era una di queste. 
"Il fatto è che io... io ho paura, Rae." ammise il giovane uomo, abbassando la testa per la vergogna e posizionando la mano destra su quella di Raven.
"Paura? Paura di cosa?" chiese la ragazza dai capelli viola, onestamente sorpresa. " Nel corso degli anni, hai affrontato mostri giganti, alieni invasori, robot assassini... hai perfino combattuto contro le legioni infernali di Trigon! Vuoi forse farmi credere che un branco di comuni malviventi è sufficiente a spaventarti?".
Due occhi smeraldini saettarono in avanti, fissandone due di ametista con un'intensità indescrivibile, ma nessuno dei due adolescenti si mosse.
"Sai perfettamente che non si tratta di questo... Non è il rischio di rimanere ferito che mi spaventa, ma il rischio che qualcuno venga ferito per causa mia!
Siete davvero disposte a farlo, ragazze? Siete davvero disposte ad affidare a me una responsabilità simile? Proprio a me?! 
Voglio dire, andiamo! Quante volte ho sbagliato? Quante volte sono finito al tappeto per aver fatto l'idiota nel momento sbagliato, o perché ho sbagliato a giudicare la situazione, o... insomma, quante volte vi ho deluse? E lo stesso potrei chiedere a Cyborg e Robin! 
Stavolta poi, i miei sbagli potrebbero costare la vita non solo a voi, ma a migliaia di persone! Davvero siete disposte a correre un rischio simile?"chiese il giovane mutaforma, guardandola mestamente, senza togliere la mano da quella di lei.
"Ci fidiamo di te, Garfield" disse Raven con semplicità. "Se così non fosse, puoi stare certo che ci saremmo opposte con le unghie e con i denti... Credimi, ti avremmo reso la vita un inferno. Come ti ho detto una volta, so che, se darai il tuo massimo, non ci deluderai.".
Gar Logan continuò a fissarla in silenzio, dando come unico segno di aver capito una gentile stretta alla mano destra di lei, quella ancora appoggiata all suo braccio verde.
"L'amica Raven ha ragione. Robin era convinto che tu potessi guidarci, perciò ti ha affidato tale fardello. E se anche qualcosa dovesse andare storto, sappi che noi saremo qui, pronte a sostenerti ed aiutarti!" concluse Starfire, appoggiando a sua volta una mano arancione sulla spalla del compagno.
Quest'ultimo si limitò ad osservarle con attenzione,in meditabondo silenzio. 
Infine, Gar Logan prese la sua decisione. 
"Ok allora, se ne siete sicure, facciamolo." disse Beast Boy; il suo tono suonava ancora colmo di dubbi ed incertezze, ma le giovani donne poterono avvertire in esso una nuova determinazione.
 L'eroe mutaforma trasse due profondi respiri, quasi a voler inspirare con l'aria un senso di sicurezza. Un attimo dopo i suoi occhi di giada si spalancarono, le sue spalle si raddrizzarono, donandogli una postura e un'aria completamente diverse. 
Per qualche secondo, Gar Logan alzò lo sguardo al cielo con aria assorta.  
"Starfire, tu sei quella più veloce e con la vista migliore. Ho bisogno che tu salga di quota e  compia una perlustrazione aerea; devi cercare di scoprire quali zone della città sono sotto assedio, se vi sono gruppi o bande numerose. Cerca di capire quanti sono, se sono armati e se sembrano diretti in una zona in particolare. Ma sopratutto, cerca di individuare se ci sono dei civili in pericolo per le vie o sui tetti. 
Tieniti in contatto radio con Raven e con la polizia, riferisci loro quello che vedi, chiaro?"  
La principessa, inizialmente stupita dal repentino cambio di atteggiamento del suo amico, nonché dal tono autorevole delle sue parole, si limitò ad annuire.
"Raven, il tuo è il compito più importante: seguendo le indicazioni di Starfire, devi raccogliere quanti più civili e feriti possibile, poi trasportarli al sicuro.  D'accordo?"
Pur mascherandolo bene, Raven doveva ammettere di essere colpita, suo malgrado; anche se lo scopo del suo discorso era quello di infondere nuove energie e fiducia in sé al ragazzo zannuto, non si era aspettata di raggiungere l'obiettivo così rapidamente.
"E tu cosa farai, amico mio?" chiese Starfire, battendo Raven sul tempo.
Beast Boy non rispose subito alla domanda della guerriera dai capelli rossi; invece, si portò nuovamente sul bordo del tetto e, appoggiando le mani al parapetto, guardò intensamente verso la città sottostante, sconvolta da lontani conflitti a fuoco.
"Io vedrò di attirare l'attenzione di quei balordi, in modo da consentire a Raven di portare la gente in salvo." disse Beast Boy, senza voltarsi a guardarle.
Secondi di scioccato ed incredulo silenzio seguirono, rotti solo dai rumori del caos urbano.
"Vediamo se indovino: il titolo di caposquadra ha già offuscato la tua capacità di giudizio?" disse Raven, riprendendosi dalla sorpresa, la voce intrisa di sarcasmo e di gelida ira "L'euforia del comando ti ha dato una malsana ed erronea convinzione di essere invincibile? Credi davvero che ti lasceremo andare così, da solo, incontro al suicidio?! Voglio dire, lo so che sei in grado di tenere testa ad un gruppo di teppisti, ma qui la situazione è diversa; si tratta di centinaia, forse di migliaia di criminali, tutti armati e pericolosi."
 A questo punto, Raven stava seriamente iniziando ad innervosirsi, come dimostravano le scintille di energia nera che partivano dal suo corpo, scavando piccoli solchi nel pavimento. Starfire retrocedette di qualche passo, portandosi a distanza di sicurezza dall'amica,  
"Per non contare il fatto che sono spinti non solo dalla rabbia, ma anche dalla disperazione! Posso sentirlo, anche da quassù: le loro emozioni, che si agitano come un mare in tempesta, e posso garantirti che nessuno di loro sembra intenzionato ad arrendersi e tornare in carc-"   
"Raven" la interruppe bruscamente il neoleader "Qualche secondo fa hai detto che mi avreste seguito in questo scontro, giusto?" . 
Le scariche cessarono di colpo, mentre l a tensione veniva rimpiazzata dalla confusione.
"Io... si, certo che l'ho detto, ma-" rispose la maga, colta alla sprovvista dalla serietà del suo amico.
"Erano solo chiacchiere, o parlavi sul serio?" insisté Beast Boy, di nuovo troncando la frase della maga con una domanda.
"Ovviamente parlavo sul serio, ma non intendevo dire che-" tentò l'azrathiana, la frustrazione ora chiaramente distinguibile nella sua voce.
"Allora, per favore, fidati di me." la interruppe per la terza volta Gar Logan, in tono gentile ma perentorio. "Il nostro compito, la nostra priorità, è di proteggere questa gente da quella teppaglia; tu sei l'unica con il potere di trasportare una folla numerosa senza bisogno di un mezzo esterno; io e Starfire avremmo bisogno di un qualche tipo di rimorchio, uno decisamente grosso. Anche se esistesse un simile mezzo, non possiamo comunque generare barriere; tu sei l'unica in grado di assicurare protezione a tutti loro, così come sei l'unica in grado di prestare un aiuto, immediato ed efficace, a chi fosse rimasto ferito gravemente. 
Dobbiamo sgombrare il campo di battaglia, in modo da non doverci preoccupare che degli innocenti siano colti nel fuoco incrociato. Starfire ti guiderà dall'alto, in modo da assicurarti di non incappare in un'imboscata e, se qualcosa andasse storto, interverrà immediatamente dall'alto, molto più in fretta di quanto potrei fare io... vantaggi dei raggi laser, sai com'è."
 Raven si morse le labbra, come sempre quando era nervosa o frustrata; per quanto si sforzasse di trovare una valida obiezione, la ragazza dai capelli viola doveva ammettere che il piano di Beast Boy era dettato da una logica perfetta, praticamente inattaccabile.
"Se ci riuscite, cercate di radunarli tutti in una zona sopraelevata e facilmente difendibile, magari un ospedale... la clinica San Patrick sarebbe l'ideale; sai quella in collina, ad Est appena fuori città. Certo, se ti vengono in mente posti più sicuri dirigetevi la. 
In ogni caso, contattate la centrale di Polizia, dite loro di mandare, se ci riescono, un plotone di agenti per difendere le persone... e che siano bene armati e corazzati, mi raccomando! Non possiamo garantire, quando il campo sarà sgombro, se saremo in grado di intervenire in soccorso dei civili: messi in salvo loro, la nostra prerogativa è riunirci e contrattaccare in forze. Tutto chiaro, ragazze?" concluse l'ex patroller, voltandosi a guardare le due compagne.
Queste, per parte loro, rimasero ad osservarlo mute, immobili, gli occhi spalancati e le bocche socchiuse. 
Lo stupore e l'incredulità erano distintamente impressi nei loro bei volti, donando ad entrambe un'apparenza buffa e, in un certo senso, quasi graziosa.
Gar Logan lasciò trascorrere circa venti secondi, aspettando di udire un qualunque tipo di commento o affermazione dalle due; venti interminabili, imbarazzantissimi secondi, in cui l'intensità dei rumori della battaglia non accennò a diminuire.
"Ehm, ragazze? Va tutto bene? Ora siete voi che cominciate a darmi i brividi, sapete?" 
Ancora una volta, nessuna risposta dalle due giovani donne.
"Wow, non credevo di essere tanto in gamba..." mormorò il metamorfico eroe.
"Amico Beast Boy" disse Starfire, riprendendosi per prima " sono davvero colpita! Non immaginavo possedessi simili abilità strategiche; sono certa che, se l'amico Cyborg o l'amato Robin fossero qui, eseguirebbero il rituale terrestre di congratulazioni del 'Colpo sulla Schiena' !" 
"Si chiama 'Pacca sulla Spalla', Starfire" sussurrò Raven, uscendo a sua volta dalla trance " ma sono d'accordo con te. Un piano notevole, non c'è che dire." concluse  l'azrathiana, tornando al suo tipico tono privo di emozioni, coprendosi il viso con il suo celebre cappuccio.
"Ah, ragazze? Prima di andare, un'ultima cosa: non raccontate alla polizia che ci sono io al comando. Dubito che prenderebbero sul serio un piano uscito dalla mia testa... se te lo chiedono, racconta che il boss sei tu, Rae. D'accordo?"
Starfire aprì la bocca, forse per protestare, ma la voce della sua migliore amica la interruppe.
"D'accordo." disse Raven con semplicità. 
Starfire si girò a guardarla, sorpresa dal fatto che la maga rinunciasse a protestare, ma quando i loro occhi si incrociarono, l'azrathiana si limitò ad annuire in silenzio. 
Sospirando tristemente, Koriand'r capì che, anche in questo caso, la soluzione scelta dal loro attuale caposquadra era la più giusta. 
Benché fossero ancora molte le cose, relative alla cultura terrestre, che per la Seconda Figlia di Tamaran erano motivo di perplessità, ella aveva potuto constatare una caratteristica comportamentale assai diffusa tra gli abitanti di quel mondo: ognuno dei suoi abitanti credeva a ciò che lo faceva sentire più a suo agio, e far cambiare opinione a qualcuno riguardo alle proprie idee e convinzioni era un'impresa assai più ardua di quella di combattere il crimine.
Ergo, se i cittadini di Jump City erano convinti della stupidità dell suo amico Beast Boy, essi non si sarebbero dissuasi facilmente, né avrebbero prestato attenzione alle sue parole, sopratutto in un momento di crisi. 
Sorridendo a mezza bocca, il ragazzo zannuto si girò ancora, guardando in strada. 
"D'accordo, signorine. Ognuno di noi ha un compito, cerchiamo di portarlo a termine. 
Titans, andiamo!".
 
Mentre questa scena si svolgeva sul tetto del Grand Hotel Eagles, la situazione parve degenerare di colpo.
Un manipolo di criminali stava in quel momento uscendo da uno dei negozi, le cui vetrate non erano più in grado di proteggerne le preziosi merci; ognuno di loro indossava le uniformi arancioni del carcere e impugnava un qualche tipo di arma contundente, da taglio o da fuoco. Quelli di loro con in pugno dei fucili, in preda all'euforia del momento, si misero ad urlare e sparare verso il cielo.
Una pattuglia della polizia, evidentemente allertata dell'accaduto, apparve all'angolo della strada con le sirene a tutto volume, a duecento metri dal luogo del reato.
Vedendo arrivare gli ufficiali, uno dei delinquenti lanciò un urlo, avvertendo i suoi degni compari. Questi ultimi non persero tempo; dopo aver preso la mira, un diluvio di proiettili scaturì da diciotto differenti bocche da fuoco. Uno degli spari centrò la ruota anteriore sinistra della volante, portando l'autista a perdere il controllo e sbandare.
L'uomo al volante fu abile o fortunato abbastanza da non da impedire al veicolo di ribaltarsi, ma l'auto si schiantò comunque contro un lampione. Tre agenti ebbero appena il tempo di trascinarsi fuori dalle portiere di destra, prima che la fiancata sinistra venisse tempestata da una raffica di proiettili.    
I poliziotti, ora nascosti dietro i devastati resti della loro auto, estrassero le pistole  e iniziarono a rispondere al fuoco come potevano, obbligando gli assalitori, distanti ancora cento metri, a ripararsi dietro una sorta di barricata, composta da quattro auto, schiantatesi in precedenza contro il muro di una gioielleria; tuttavia, era chiaro che la superiorità dei nemici, sia in termini di numeri che della qualità dell'arsenale, avrebbe presto portato alla disfatta di quegli agenti.
Il tempo delle parole era ormai finito.
La principessa di Tamaran reagì per prima, come sempre guidata dall'istinto guerriero del suo popolo. Caricando i suoi pugni con energia ultravioletta, Starfire si librò dal suolo, preparandosi a colpire. Prima che la potente aliena potesse lanciarsi all'attacco, tuttavia, Beast Boy protese il braccio davanti a lei, fermandola.
"Mi occupo io di loro, Starfire! Non preoccuparti, tu segui il piano; la vita di migliaia di innocenti dipende da te! Vai, forza!"
La guerriera si bloccò, indecisa sul da farsi per qualche istante. Poi, distogliendo lo sguardo dalla strada, riassorbì le sfere di energia.
"Molto bene, amico mio; se questa è la tua volontà, io la rispetterò. Auguro buona fortuna ad entrambi; pregherò che la dea X'hal vegli su di voi e vi assista in battaglia."
E proferite queste ultime parole, Starfire partì a velocità straordinaria verso i cieli azzurri, seguita con gli occhi dai suoi amici.
Presto la donna svanì dalla loro visuale. 
"Dimmi la verità, Garfield; le hai chiesto di non intervenire in modo che non sprecasse energie preziose contro quei balordi, non è così? 
Volevi che restasse in quota, oltre che per guidarmi, sopratutto per darle modo di accumulare luce solare il più a lungo possibile... temevi che potesse esaurire le forze nel bel mezzo di uno scontro, se avesse iniziato a combattere fin da subito. Mi sbaglio, forse?" domandò senza emozione apparente la discepola di Azar, guardando sempre verso il punto in cui la sua migliore amica era scomparsa.
"Ho detto che il nostro compito è quello di proteggere tutti, in questa città... questo include anche coloro che amiamo. Non potrei mai più guardare in faccia Robin, se accadesse qualcosa a Stella per un mio errore di giudizio. 
E non potrei più guardarmi allo specchio, se per uno sbaglio del genere dovesse accadere qualcosa a te, Rae." rispose il giovane Logan, in un tono molto simile a quello della maga, abbassando lo sguardo per posarlo sul bellissimo viso di quest'ultima.
Con uno scatto atletico, Beast Boy si portò sopra la balaustra. La distanza dal suolo era notevole, quasi novanta metri.
Era infine giunta l'ora di salutarsi.
"Rae?" chiamò Beast Boy, in piedi sulla ringhiera di cemento, osservando nuovamente il punto in cui la guerriera dai capelli scarlatti era scomparsa.
"Si, Garfield?" disse la ragazza dai capelli viola, girandosi a guardarlo.
"Esiste davvero una realtà con uomini-tofu carnivori alti sei metri?" chiese l'eroe dalla pelle di giada con voce seria, il cui tono tradiva una discreta curiosità e allegria.
Raven abbassò gli occhi, nascondendo il lieve rossore sulle sue guance color alabastro, assieme ad uno dei suoi rarissimi e minuscoli sorrisi, all'ombra del cappuccio.
"Molto probabilmente, si... ma se non l'avessi trovata, una volta ho sentito palare di una dimensione dove le zanzare sono la forma di vita dominante... " disse la pallida eroina in tono apatico, ma in cui il mutaforma poteva giurare di aver colto una nota di ilarità.
"Wow, non deve essere un bel posto dove passare le vacanze..."
"No, non credo proprio." disse Raven con semplicità.
"Mi sono sempre chiesto come deve essere viaggiare tra le dimensioni... quando questa storia sarà finita, sarebbe bello se andassimo a fare una capatina nelle due o tre realtà parallele più vicine... non trovi anche tu, Rae?" 
La giovane mezzodemone non poté evitare di provare una fitta al petto, quando l'eventualità della morte di uno dei suoi amici la colpì per la prima volta in quel giorno. Ciononostante, come i monaci di Azarath le avevano insegnato fin dalla prima infanzia, ella tenne le sue emozioni celate. 
"Se ne usciamo vivi, potrei anche decidere di dare un'occhiata ai miei vecchi libri, al fine di trovare una meta decente per un finesettimana."
"Beh, allora mi conviene uscirne  tutto intero, giusto?" rispose con il suo tipico entusiasmo il metamorfico eroe, preparandosi a saltare.
"Garfield..." mormorò la pallida eroina, non sapendo come esprimere quel che provava in quel momento.
"Si, Rae?" disse
"Cerca di non fare niente di stupido o avventato...  Cerca di tornare vivo, o puoi stare certo che verrò a prenderti all'aldilà, ti ritrascinerò indietro per i capelli e poi ti ucciderò personalmente, tra le più atroci sofferenze.  Sai che non scherzo." 
Ancora una volta, nonostante stesse per lanciarsi in mezzo ad una sparatoria, armato solo dei suoi poteri animali e del suo coraggio, Beast Boy sorrise. 
"Non preoccuparti, non ho intenzione di perdermi una gita con te per nulla al mondo.
Tieni gli occhi aperti e salva quante più vite puoi. Grazie a te e a Stella, ora sono certo che andrà tutto benissimo. Aspetterò il vostro ritorno." e, senza aggiungere altro né volgersi a guardarla un'ultima volta, Gar Logan si lanciò nel vuoto.
"Fa attenzione, mi raccomando..." sussurrò Raven, osservandolo precipitare, pur sapendo che le sue parole non potevano più raggiungerlo.
 
Il vento fischiava nelle sue orecchie e sferzava come un coltello freddo sulla sua faccia, scompigliandogli i capelli.
Un pensiero attraversò la sua mente, l'immagine di un uccello, seguita infine dal dolore.
Le ossa gemevano e scricchiolavano, i muscoli parvero fondersi come cera calda, la pelle parve infiammarsi... 
Come sempre, tutto durò una frazione di secondo, trascorsa la quale la sagoma di Beast Boy scomparve, lasciando il posto a quella di un gheppio americano (Falco sparverius).
'Okay Gar, è arrivato il momento. Di solito puoi essere il buffone del gruppo, ma oggi non ti  è concesso questo lusso; oggi sei tu il veterano del gruppo, e devi agire come tale. '.
La prima cosa da farsi, decise Beast Boy lanciandosi in una spettacolare picchiata, era attirare su di sé l'attenzione dei criminali, consentendo a Raven di trarre in salvo gli agenti, aiutandoli poi a riorganizzarsi, per poi iniziare l'evacuazione dei civili.
Con tutta la forza che i suoi polmoni da rapace gli consentivano, Beast Boy lanciò un grido stridente. 
Questo riecheggiò sul campo di battaglia, inducendo entrambi gli schieramenti a sollevare lo sguardo e a lanciare  all'unisono il medesimo urlo. 
Tuttavia, mentre il grido dei tutori dell'ordine era carico di giubilo e rinnovata speranza, quello dei fuorilegge era colmo di rabbia, diniego e odio.
"I Titans!!!"
Virando in maniera perfetta, il gheppio modificò la sua traiettoria, in modo da planare parallelamente alla strada. La sua ombra correva veloce sull'asfalto disastrato, sorvolando detriti e auto in fiamme, dirigendosi implacabile verso i responsabili di quella devastazione.
"Abbattete quell'uccellaccio!" urlò uno dei brutti ceffi, brandendo la pistola verso quella rapidissima massa di piume verdi.
La prima fucilata lo mancò di pochissimo, tanto che Beast Boy poté percepire il sibilo del proiettile che lo sfiorava, andando ad infrangere il tergicristallo di un auto alle sue spalle.
"Si sono riorganizzati in fretta, troppo in fretta; come mi aspettavo, non sono abbastanza spaventati, non mi temono quanto temerebbero gli altri Titans..." pensò il gheppio, avvicinandosi ancora di più al suolo, prima di assumere le sembianze di un coyote e affidare alle sue zampe il compito di portarlo sul bersaglio. 
Pur perdendo velocità, il canide si rivelò un bersaglio ancor più difficile del rapace, grazie ad un'agile andatura a zig-zag. Decine di colpi andarono sprecati, la maggior parte dei quali in maniera clamorosa; spruzzi di neve volavano ovunque, sollevati da proiettili vaganti, peggiorando la visibilità e riducendo ulteriormente la loro efficienza nel mirare. Fortunatamente per Beast Boy, nessuno di loro sembrava essere un tiratore scelto, né un patito di caccia.
"Fatelo fuori, maledizione!!! Se non abbattiamo quel mostriciattolo verde, come facciamo a battere gli altri? E' solo una maledettissima mascotte, accoppatelo!!!" sbraitò il medesimo tipo di prima, gli occhi sporgenti e la saliva che spruzzava dalla bocca.
' Una mascotte, eh?  E' così che mi vedono, dunque? Ma pensa un po... Oh beh, come si dice: quel che semini raccogli...'
Un altro colpo di pistola, stavolta di rimbalzo, fece volare un ciuffo di peli dalla coda del coyote; ormai la distanza era di soli venti metri, e il fuoco di sbarramento stava divenendo sempre più fitto. Una frazione di secondo e il coyote lasciò il posto ad un'arvicola delle nevi (Chionomys nivalis).
Le pesanti imprecazioni dei banditi non tardarono a farsi udire, vedendo che ora il bersaglio era grande quanto una scarpa da bambini.
Nel frattempo, così come il suo corpo, anche la mente di Beat Boy correva, come sempre in quelle circostanze, passando al vaglio le possibili forme da assumere, elencando le caratteristiche che la forma ideale doveva possedere: forte, veloce, resistente al freddo ed alla fatica,  imponente ed intimidatoria, in modo da attirare l'attenzione dei malviventi e, al tempo stesso, gettare lo sconcerto nei loro cuori.
Escludendo i dinosauri, il mutaforma si concentrò sui mammiferi membri della megafauna .
A meno di cinque metri dal suo bersaglio, quando era oramai svanito dal campo visivo degli inetti tiratori, Gar Logan aveva fatto la sua scelta.
"Mi giudicano un buffone, una nullità, forse uno scherzo della natura...  E, probabilmente, lo pensano anche tutti gli altri tipi che abbiamo messo dentro, super e non..." 
"Dove diavolo è finito?!"
"Cavolo, non lo vedo più! Che facciamo ora, capo?" 
"Okay, tappatevi quelle stramalette fogne e ascoltate!" urlò un individuo dalla corporatura grassa, la bocca sdentata, con una barba incolta e lunghi, sudici capelli neri. Sovrastando le voci degl altri. questi si voltò verso alcuni di quelli che, chiaramente, sembravano riconoscergli una posizione di comando. 
"Jack, Sam e Frank; voi tre uscite a stanarlo, mentre noi vi copriamo."
"Noi?!? Ma capo, perché dobbiamo andarci proprio noi, a stanare quella specie di sorcio?" rispose quello chiamato Sam, decisamente contrariato.
"Perché ve lo ordino io, ecco perché. Ora muovete le chiappe, o ve le riempio di piombo!".
Imprecando, i malviventi si alzarono e, con le  armi spianate, si mossero per lasciare la protezione della muraglia, nel tentativo di scorgere e poi abbattere l'agile roditore... del tutto ignari che l'arvicola in questione si trovava esattamente sotto di essi.
'D'accordo, pensino pure quel che gli pare, non mi interessa. Ciò che conta davvero è che quest'oggi...' 
Un' improvvisa folata di vento parve travolgerli, nel momento in cui la barricata iniziò a deformarsi, sotto l'improvvisa pressione di un'enorme massa, sbucata come dal nulla, in una frazione di secondo, in barba ad ogni legge della fisica.
'... tutti loro capiranno che sottovalutarmi è un grosso errore!'.
Il cumulo di detriti, arredo urbano e veicoli ribaltati sembrò esplodere, scagliando in aria una mezza dozzina dei suoi occupanti e spingendo i restanti a gettarsi al suolo, in preda al panico. 
I delinquenti, confusi e stupefatti, tentarono di rimettersi in piedi, ma una vibrazione li privò nuovamente dell'equilibrio, facendoli ancora una volta crollare a terra. 
Alzando lo sguardo, essi videro ciò che dapprima scambiarono per un enorme macigno ricoperto di muschio. Poi, mettendo a fuoco, essi videro con esattezza di cosa si trattava e, in un batter d'occhio, il coraggio e l'arroganza fino ad allora mostrati parvero abbandonarli di colpo.
Dinanzi a loro, su quattro solide e lunghe zampe, si ergeva un animale gigantesco, appartenente ad un'era ormai lontana; un colosso alto oltre due metri alla spalla e lungo sei, ricoperto di una folta pelliccia, simile ad un odierno rinoceronte, ma dal peso di  quasi cinque tonnellate. 
Sulla sua fronte si protraeva, simile ad una lancia medioevale, un enorme corno cheratinoso, lungo quasi due metri.
Per la prima volta nella storia, il suolo della California veniva scosso dai poderosi passi di un elasmoterio, il rinoceronte delle steppe (Elasmoterium sibiricum).
Uno dei delinquenti, lo stesso che fino a qualche minuto prima aveva strillato ordini ed insulti come un ossesso, parve riprendersi quanto bastava per impugnare una pistola e puntarla verso quel gigante; prima di poter stringere il grilletto, una pesantissima zampa pestò il terreno, provocando una nuova vibrazione; le gambe dell'uomo, già indebolite dal terrore, lo tradirono ancora, portandolo a cadere in avanti.
"S-stramaledetto mostro verde, a-a-adesso io ti-".
Ma la minaccia non poté essere proferita, perché quando il criminale alzò lo sguardo si ritrovò a guardare, a pochi centimetri di distanza, un enorme muso verde. L'elasmoterio emise un minaccioso sbuffo dalle ampie narici, agitando i capelli del malcapitato con una folata di fiato condensato.   
La pistola cadde al suolo con un rumore secco, seguita dal suo proprietario che, emesso un flebile gridolino, si accasciò a terra privo di sensi.
Gli altri diciassette si alzarono di scatto, girarono i tacchi e, senza nemmeno darsi la pena di raccogliere le armi o il loro capo, si diedero alla fuga precipitosa, in preda al panico.
L'enorme mammifero, rimasto senza avversari, alzò il muso verso l'alto, fiutando l'aria e agitando le orecchie in ogni direzione. Presto il finissimo udito della titanica creatura smeraldina colse il rumore di un altro scontro, poco distante. 
L'elasmoterio si voltò verso la fonte del disturbo, partendo al galoppo. 
Svoltato un angolo, Beast Boy individuò, grazie ai suoi sensi, l'inconfondibile odore della polvere da sparo. Le sue orecchie captarono le grida selvagge, nonché le risate sguaiate, di nuovi avversari. Qualche decina di metri oltre lungo la strada, il rumore di passi e le urla di uomini, donne e bambini terrorizzati risuonavano impietose.
L'elasmoterio allora lasciò il posto ad un'altra creatura, persino più grande, munita di due lunghissime  zanne ricurve, una folte pelliccia e una lunga proboscide. Presto l'antico e potente barrito di un mammut lanoso (Mammuthus primigenius) risuonò in tutta la via, spingendone gli occupanti a voltarsi.
Colti alla sprovvista, le canaglie smisero di inseguire i civili. Questi, grati dell'inaspettata apparizione, ripresero la loro fuga precipitosa, 
"E' uno di quei dannati ragazzini in costume! Quel mostriciattolo che cambia forma!" gridò uno dei criminali.
"Diamogli addosso! Noi siamo in tanti, mentre quell'affare è da solo, non può affrontarci tutti!" disse un altro, puntando verso il mammut una mazza da baseball.
Con un urlo belluino, l'intera marmaglia si scagliò all'attacco del pachiderma smeraldino, brandendo bastoni, attrezzi da riparazioni e da giardinaggio e ogni sorta di oggetto contundente, di certo rubati nel corso della rivolta.,
'Forse non sono un eroe temuto o rispettato come Superman e gli altri pezzi grossi della League, né lo sarò mai....  dopotutto, è quello che mi merito, vista la reputazione che ho voluto costruirmi...' pensava Beast Boy, procedendo a passo sempre più rapido verso la nuova battaglia, mentalmente preparandosi al peggio, l'asfalto scosso dall'avanzare delle sei tonnellate del mastodonte.
'... ma questa è la nostra città, queste persone contano sui Titans per la loro sicurezza e, almeno per il momento, i Titans contano su di me come loro team-leader. 
Non li deluderò. Non ho intenzione di deludere nessuno di loro, fosse l'ultima cosa che faccio!'  

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Capitolo 27
*** Intermezzo: il futuro non è scritto ***


NdA 
Eccomi di ritorno, amici lettori e colleghi scrittori.
Pur se con notevole ritardo, voglio porgervi i miei auguri per le feste appena concluse.
Spero siano state per voi colme di felicità.
Il capitolo che state per leggere, di certo, non è quello che vi aspettate.
Tuttavia, mentre lo scrivevo, mi sono sempre più convinto fosse quello di cui la storia necessitava; se il tempo e la fortuna mi saranno alleati, un giorno tutti i nodi verranno al pettine.
Voglio solo avvertirvi di alcune cose:
1) in esso sono contenuti spoiler, relativi alla serie, di fatti che accadono nella quarta stagione; per capire meglio, dovreste vederla ( benché non sia indispensabile):
2) parte di ciò che leggerete è frutto della mia immaginazione, mentre il resto, come al solito, appartiene alla DC Comics;
3) se, leggendo questo capitolo, crederete di aver già intuito come la storia evolverà, sappiate che sarà un'illusione, destinata ad infrangersi.
Altro non ho da dire; dedico questo capitolo ad una mia amica dagli occhi gialli ( che mi conosce con il mio nome di battesimo) la quale, venuta a conoscenza della mia storia, mi ha vivamente spronato a continuarla fino alla fine.
Ed io non ho intenzione di deludere né lei, né voi.
Su il sipario!!! 



Narrano gli antichi testi sacri di Azarath che, in ere antichissime, in un mondo il cui nome andò perduto nella notte dei tempi, due fiere e potenti  civiltà  si contrapposero in un feroce conflitto, le cui motivazioni furono dimenticate molto prima che tale atroce scempio arrivasse a concludersi. 
Dopo aver scritto la propria storia nel sangue, i pochi superstiti si guardarono attorno, comprendendo che a chiunque la dea della vittoria avesse sorriso, il vincitore non avrebbe avuto modo di gioirne: dalle rovine delle loro città, un tempo maestose, non si sarebbero mai più levate voci, suoni e canti di gioia; dalla terra, soffocata dalle ceneri e dal sangue degli innocenti, mai più sarebbero fiorite le messi; i cieli, in origine limpidi e splendenti, sarebbero per sempre rimasti celati da nuvole oscure, celando la vista dei fuochi celesti l'orrore della verità ricadde sugli occhi dei figli che, sull'orlo dell'estinzione, compresero quanto grande fosse stata la pazzia dei padri. 
Narrano poi gli scritti che, sopraffatti dal rimorso, coloro che sopravvissero allo scempio del proprio pianeta si inginocchiarono,schiacciati dal peso del rimorso e della vergogna, e rivolsero le loro preghiere e le loro lacrime d'amarezza a qualunque entità fosse ancora disposta a concedere loro ascolto. 
Ed ecco, in quell'istante, avvolta in una veste di luce purpurea, i lunghi capelli bianchi ed emanando un'aura di serenità dalla sua leggiadra figura, la dea Azar apparve loro.
Ella non aveva il potere di donare nuova vita a quel mondo devastato, ma poteva concedere, nella sua infinita clemenza, l'opportunità per cominciare una nuova esistenza, facendo ammenda delle loro colpe. 
La leggenda dice che, giunta sulla cima di un altissimo strapiombo, ella si chinò a raccogliere una manciata di sterile polvere, per poi disperderla con un soffio gentile. I granelli presero a vorticare nell'aria, dapprima con lentezza, poi acquistando sempre più velocità, fino a divenire un pulsante, turbinante massa scura.
A quel punto, in un lampo di luce, insostenibile alla vista dei mortali, dal nulla una gigantesca porta, composta di luce e splendente più del sole stesso, apparve ; quando il varco si aprì, attraverso questo i superstiti di quel mondo poterono vedere una nuova terra, meravigliosa quanto e forse più di quella delle storie dei loro antenati; un paradiso, la cui sola vista infondeva speranza.
La dea concesse loro di attraversare la porta, ponendo tuttavia una fondamentale condizione: ognuno di loro, superando la soglia, doveva essere disposto a rinunciare, una volta e per sempre, alla parte più oscura della proprio anima; ciò era necessario, affinché la nuova terra non conoscesse, per mano dei suoi prossimi abitanti, il medesimo fato che costoro avevano riservato al luogo che stavano abbandonando.
Inaspettatamente, alcuni rifiutarono di abbandonare le armi e la via della guerra. Non furono in molti, ma coloro che presero tale decisione furono inamovibili; costoro, avendo vissuto come guerrieri per l'intera durata delle proprie vite, avevano ormai accettato di avere il fuoco del conflitto nel cuore, e non avrebbero mai rinunciato ad esso, neppure in cambio della salvezza. Temevano infatti di infangare  la memoria di quelli che, prima di loro,  avevano combattuto ed erano morti con un gesto che, alla presenza della dea, essi definirono un'ignobile e disonorevole fuga, un atto di viltà.
E detto questo, essi si volsero, allontanandosi in silenzio verso i tenebrosi deserti, un tempo ricchi di vita, voltandosi solo per lanciare sguardi di disprezzo a chi invece, grato ed incredulo per il meraviglioso dono, aveva accettato senza indugio.
Una volta oltrepassata la porta, un peso sembrò sollevarsi di loro cuori, come se un'opprimente cappa fosse stata strappata dai loro animi; dopo una vita di tenebre e malvagità, era finalmente giunto il momento che i loro occhi si aprissero alla bontà
E mai più, nelle loro vite, essi conobbero sentimenti oscuri quali l'odio, il rancore, l'invidia o una qualunque emozione maligna.
E così fu anche per i loro figli, e i figli dei loro figli.
Con il passare delle generazioni, un meraviglioso tempio fu eretto attorno al mistico varco e, attorno a quest'ultimo, una meravigliosa città, a cui i suoi abitanti diedero il nome di 'Azarath', che nella loro lingua stava a significare 'Il sentiero di Azar'.
Per secoli gli azarathiani vissero in pace ed armonia, seguendo gli insegnamenti della salvatrice dei loro avi, ricercando la pace e la saggezza. 
In rare occasioni, la Grande Porta tornò ad aprirsi, ed ogni volta un piccolo gruppo di individui ne fuoriuscì; anche senza bisogno di domandarlo, essi vennero accolti dal popolo di Azarath, consapevole che a tali persone, così come ai loro progenitori, era stato concessa l'occasione di fare ammenda delle proprie colpe dalla dea Azar.
E così avvenne, per oltre mille anni. 
Finché il fato, crudele e beffardo, decise di scagliare i suoi strali sulla gente di Azarath, portando ancora una volta tra loro il male; e nel farlo, scelse la più impensabile ed innocente delle forme. 
Una notte, una giovane donna varcò quella porta, avvolta in una cappa bianca e scortata da un gruppo di monaci. 
Quella donna, che nel suo mondo d'origine era stata chiamata col nome di Angela Roth, aveva lunghi capelli, neri come la notte, una carnagione chiara e meravigliosi occhi azzurri, colmi tuttavia di una angoscia infinita . Ma ciò che più di tutto risaltava nella sua persona, pur attraverso il manto che la ricopriva, era la prominente forma del suo ventre, segno della sua avanzata gravidanza.
Ella, originaria di un mondo caotico e aduso alla violenza,  dai suoi abitanti chiamato col semplice appellativo di 'Terra', era stata condotta lì poiché in estremo bisogno di aiuto e, come molti altri prima di lei, in cerca di redenzione. 
Il suo nome, all'epoca, era Angela Roth. In seguito, ella sarebbe stata nota come Arella.
E, come ogni altro prima di lei, la sua richiesta venne esaudita.
La creatura che quella donna portava in grembo nacque, dopo lungo ed atroce travaglio della madre, il giorno successivo, all'ora del tramonto, in un giorno in cui il cielo, offuscato da minacciose nubi, non arrivò mai a vedere il sole. 
Benché quel momento fosse ciò che, da nove mesi, Angela aveva temuto più della morte, quando tra le sue braccia venne posto un piccolo involto,  una gioia senza eguali la colmò, poiché in esso vi era la sua discendenza. 
Si trattava di una bimba, dalla pelle candida, quasi come neve. Angela studiò con attenzione i lineamenti, riuscendo a scorgervi moltissime somiglianze con sé stessa: la forma della bocca e delle orecchie, la fossetta del mento... Quasi percependo le attenzioni che stava ricevendo, la piccola aprì, per la prima volta, gli occhi al mondo: due bellissimi occhi, di un viola intenso e penetrante.
"La mia bambina... la mia bellissima bambina..." sussurrò Angela, carezzandone il volto, ammirando quel piccolo, miracoloso spettacolo.
"Giovane Angela, è giunto il momento." disse una voce d'uomo.
Angela si voltò verso l'origine di quel suono, scorgendo tre monaci, vestiti di grigio.
Versando lacrime, sentendo che il cuore le veniva strappato dal petto, Angela annuì debolmente. Sapeva che ciò era necessario, le era stato detto che tale momento sarebbe giunto... ma ciò non rese tale sacrificio più facile da accettare.
"Ti prego, perdonami, figlia mia... perdonami... Non dimenticare che la tua mamma ti ama con tutto il cuore... ti scongiuro, non dimenticarlo mai...".
La giovane donna ebbe solo il tempo di baciare, per la prima ed ultima volta, la fronte della sua primogenita, tra le lacrime e i singhiozzi, prima di assistere, impotente e rassegnata, al suo necessario allontanamento. 
Non fu semplice, per i monaci, compiere un simile gesto; strappare dalle braccia di una madre, pochi istanti dopo averla partorita, la sua prima figlia era per essi una colpa imperdonabile. 
E le loro coscienze, già dilaniate dalle urla disperate della madre, furono messe a ben più dura prova dai vagiti della bimba. 
La neonata, incapace di comprendere cosa stesse accadendo intorno a lei, poté soltanto piangere, istintivamente desiderando con tutte le sue forze una sola cosa: rivedere ancora il viso di quella persona, essere posta nuovamente tra le sue braccia, udire la sua voce gentile, in grado di donarle un senso di sicurezza e calore a cui la bimba stessa non sapeva ancora dare un nome.
Dopo innumerevoli corridoi, costellati di statue dei fondatori della città e di arazzi su cui era raffigurata la storia di Azarath fin dalle sue origini, quelle persone giunsero dinnanzi ad una enorme porta d'argento, dai battenti d'avorio.  
Una volta entrati, essi si ritrovarono in una enorme stanza circolare, dai pavimenti e le pareti  di marmo bianco. Al centro della sala vi era una colonnina, sulla cui cima era appoggiata una lastra di pietra e, su di essa, una piccola culla.
Nella stanza, disposti in due file ai piedi di una breve scalinata di sei gradini, avvolti da mantelli bianchi dai bordi neri, oltre cento sacerdoti di alto rango attendevano l'arrivo della neonata. In cima alla scalinata, maestosa sul suo trono, vi era la dea Azar.
 Data la sua natura divina, la sua regale figura era rimasta immutata nei secoli: alta, fiera e maestosa nel portamento, era vestita con un abito color del cielo notturno. Il suo viso, di una bellezza irreale, era incorniciato dai lunghi capelli color platino, sormontati da una tiara di cristallo. I suoi occhi emanavano una luce dorata, identica a quella che componevano l'antica Porta.
La stanza era sormontata da una vasta cupola, e nella sua sommità, incastonato in una base d'argento e oro, vi era un enorme cristallo scarlatto, di forma ottagonale, posto esattamente al disopra della colonnina. 
Quella pietra era l'autentica peculiarità della stanza, nonché il più prezioso tra tutti i tesori dell'intera città di Azarath: il Cuore di Azar.
Tale gemma, creata dalla dea in persona, aveva, fra le sue molte caratteristiche, il potere di rivelare la vera natura delle cose; nemmeno il più piccolo barlume demoniaco poteva essere celato, una volta posto sotto l'influenza di quel mistico oggetto.
Colui che teneva in braccio la piccola neonata si portò al centro della stanza, ponendola nella culla con estrema attenzione. Senza osare volgere lo sguardo verso la divinità, l'uomo retrocedette, tenendo il capo chino, per poi ritirarsi, assieme ai suoi confratelli. 
L'eco delle porte che si richiudevano non si era ancora spento quando Azar si sollevò dal suo seggio, alzò gli occhi, levando poi le mani verso il tetto della stanza.
Il Cuore di Azar parve prendere vita, iniziando ad emettere, ad intervalli progressivamente più brevi, una luce sempre più forte. 
Poi, un fascio di tale luce, di colore argenteo, si irradiò verso il basso, immergendo in un cono perfetto la culla.
I sacerdoti si avvicinarono lentamente, aprendo un varco per lasciar passare la dea. Quest'ultima si portò vicino alla culla, dentro il cono luminoso, mentre i suoi sacerdoti si disponevano in un largo circolo attorno al centro della sala.
Per pochi, interminabili secondi, non accadde nulla; la luce avvolgeva il piccolo corpo, riflettendosi su quella pelle simile ad alabastro. 
Poi, ciò che Azar aveva tanto temuto accadde:  le braccia, le gambe, il torso e la schiena della bambina si ricoprirono di strani simboli, rossi come sangue e brillanti come fuoco, scritti in una lingua arcana, incomprensibile a quasi tutti gli spettatori di quel sinistro spettacolo; e poi, la prova che ciascun abitante di Azarath temeva si manifestò alla vista di quell'assemblea. 
Costretto dalla luce rivelatrice di Azar, sulla fronte della neonata apparve infine il simbolo che più di tutti suscitò orrore e paura nei presenti, spingendo i sacerdoti a retrocedere istintivamente, poiché sotto quel simbolo innumerevoli civiltà erano cadute, travolte da una crudele entità, detentrice di un potere tanto vasto quanto maligno.
Nella stanza si diffuse un mormorio inorridito, amplificato dall'eco naturale.
"Dunque le storie corrispondono al vero..."
"Ciò è mostruoso, anche per un essere come lui!"
"Povera bambina..."
"Il marchio... è proprio il marchio di Scath!!!"
 Poi, per quanto pacata e sommessa, la melodiosa voce di una donna risuonò nella stanza, ponendo fine ai  discorsi dei sacerdoti sul nascere: la voce di Azar.
"Non vi è dunque in te traccia alcuna di pietà?" disse la dea, unica a non essersi ritratta dalla neonata, alla vista degli orribili segni. Allungando una mano, ella sfiorò con la punta delle dita la pelle dell'infante, apparentemente incurante della presenza di quelle scritte che, come ferite fresche, parevano sfigurare quella bianca pelle, così morbida e liscia.
La bimba parve apprezzare quel tocco; prima che la dea potesse evitarlo, una manina si protese ad afferrare la sua mano, stringendo le minute e deboli dita attorno all'indice della donna.
Azar parve stupita dal gesto; di rado, nella sua millenaria esistenza, un mortale aveva avuto l'ardire di toccarla contro la sua volontà. 
Presto lo stupore lasciò il passo ad un sorriso gentile, che  comunque non si estese agli occhi luminosi, intrisi di tristezza.   
"Non provi nessun tipo di esitazione o rimorso? Quante volte ti sei già macchiato di un simile, abominevole delitto? Quante vite hai distrutto, ancor prima di concepirle, al fine di  trascinarti, come il più abbietto dei ladri, in un nuovo universo... per poi portare insieme a te  la distruzione e la sofferenza ? E tutto in nome del tuo insaziabile, oscuro desiderio di potere... Quante volte, Trigon?  " .
Nessuna risposta giunse, poiché nessuna risposta era davvero necessaria. La realtà dei fatti parlava da sola. 
"Ma ciò di te che più di ripugna è che, per riuscire nel tuo malefico proposito, hai voluto che ti fossero sacrificate non solo le vite dei tuoi seguaci... ma quelle dei tuoi stessi figli, carne della tua carne e sangue del tuo sangue. Che il tuo reame possa essere la tua prigione, e la tua abominevole anima possa marcirvi come la più fetida delle carcasse, fino alla fine dei tempi...che tu sia maledetto Trigon!" 
L'urlo della dea Azar non poté che destare sconcerto e profonda inquietudine nei monaci, che silenziosamente osservavano la loro dea dare voce, per la prima volta alla presenza dei suoi seguaci, alla rabbia e all'odio. Nonostante tali sentimenti fossero rivolti  ad un mostro come Trigon il Terribile, flagello di intere dimensioni, si trattava di uno spettacolo troppo anomalo per non destare meraviglia.
Dopo qualche istante, Azar sembrò tornare padrona di sé stessa, pur non riuscendo ad allontanare, dal suo bellissimo viso, l'amarezza infinita che in quel momento la stava dilaniando. 
Tornando a posare lo sguardo  sulla minuta forma, la dea si concesse qualche secondo per osservarla con maggiore attenzione: dalle sue piccole, deboli manine, che si agitavano nell'aria in direzione della luce, ai suoi occhi, il cui colore ricordava quello di pietre preziose. 
D'un tratto la bimba, esausta per la dura prova appena sostenuta, ossia quella di venire al mondo, emise uno sbadiglio, per poi chiudere i deboli occhi e addormentarsi.
Azar non poteva fare a meno di pensare a quanto esteriormente perfetta  apparisse quella bimba, perfino agli occhi di una divinità. Senza dubbio, quando gli anni della maturità fossero giunti,  ella sarebbe divenuta un fiore di rara bellezza. 
Ma più di tutto, andando oltre la realtà della carne, Azar riuscì a vedere, in quel corpo tanto fragile e delicato, un potere immenso.
Il suo potenziale era vasto, davvero vasto: ella aveva il dono di arrecare luce e tenebra nel mondo.  
Ma le sue scelte, a causa dell'eredità che il padre le aveva trasmesso, l'avrebbero condotta in ogni caso verso la distruzione, esaudendo così le decisioni dell'oscuro tiranno demoniaco, se nulla fosse stato fatto per impedirlo... se a quella bimba non fosse stata offerta una guida opportuna, in modo che ella potesse intraprendere la via del bene, nonostante le sue origini tenebrose.
"Mia piccola, innocente fanciulla, so che non puoi ancora comprendere le mie parole, ma so che esse saranno per sempre conservate nei tuoi ricordi, per cui ascoltami con attenzione. 
A te io non attribuisco alcuna colpa, poiché invero sento che, malgrado l'oscurità che nel tuo essere è stata introdotta, dalla tua anima emana una purezza infinita. 
Non è stata una tua scelta, e ciononostante dovrai convivere con un fardello immenso sulle tue spalle. 
La malignità di tuo padre è forte, molto forte, e col tempo non potrà che crescere e rafforzarsi sempre più in te, ponendo radici nella tua mente, nel tuo corpo e nella tua anima, soffocandoli come un rovo soffoca un fiore."
Azar levò le braccia in alto, verso la pietra che, eoni addietro, ella stessa aveva creato
come strumento per l'eterna ed interminabile lotta al male e all'ingiustizia, scopo a cui la dea aveva consacrato la sua immortalità... ma sopratutto, come ammenda per un tragico errore che la sua eccessiva sicurezza, dovuta alla gioventù e al suo stato soprannaturale, l'avevano portata a compiere millenni addietro. 
E per tale sbaglio, purtroppo, miliardi di innocenti avevano e avrebbero pagato il prezzo, come ora stava avvenendo a quella neonata.  
I sacerdoti, vedendo questo, si riscossero dal loro stato di sorpresa e, disponendosi in circolo lungo i muri della stanza, iniziarono ad intonare un sommesso canto.
Un globo di luce, non più grande di un frutto, si separò dal Cuore di Azar, discendendo lentamente verso il basso. I canti aumentarono d'intensità; Azar protese le mani in avanti e, manipolando la sfera, pur senza mai toccarla, la pose sopra la testa della bambina, per poi appoggiarla, con estrema delicatezza, nel mezzo della sua fronte.  
"Su di te mi vedo costretta a porre dei sigilli, in modo da limitare il tuo potere che, col trascorrere degli anni, diverrà tanto vasto quanto pericoloso... 
Per il tuo bene e quello di coloro che faranno parte, volenti o nolenti, della tua vita, io, Azar, dovrò insegnarti a meditare, a sopprimere i tuoi desideri e i tuoi sogni, a vivere un'esistenza priva di emozioni, all'ombra del dubbio e dell'incertezza, senza mai conoscere il vero amore, neppure quello della tua stessa madre, le cui lacrime stanno ora scorrendo copiose... e questa, te lo giuro, sarà una colpa che porterò sulla mia coscienza come una ferita, una che l'eternità stessa non potrà mai guarire."
La luce svanì, ritraendosi poco a poco, mentre i simboli incandescenti si affievolivano, fino a svanire del tutto alla vista.Sulla bianca fronte, in piena vista, vi era ora una gemma, del medesimo colore rosso di quella posta a molti metri d'altezza. 
La bambina continuò a dormire, ignara di ciò che era appena avvenuto e di cosa il futuro aveva in serbo per lei. 
"Sappi solo questo, mia sventurata bimba: il tuo destino, anche se indubbiamente costellato di insidie, sacrifici e dolore, non è realmente scritto. 
Sento che un giorno, nel contorto e indecifrabile intreccio dell'esistenza, tu avrai una parte da recitare. 
Neanche io sono in grado di prevedere quale sarà, ma di una cosa sono certa: è un destino più vasto, glorioso ed infinitamente più importante di quello che tuo padre ha in serbo per te. 
Perciò vivi, mia dolce creatura; io sento che un giorno lontano, per un fugace attimo, tu sarai l'ago della bilancia della sorte, colei a cui l'avvenire della vita intera sarà affidato. 
E in quell'istante, le tue scelte ci sveleranno infine chi tu realmente sia, e non chi l'immondo essere, che solo per averti generata potrà arrogarsi il diritto di chiamarti 'figlia', voleva che tu fossi."
Ancora una volta, Azar le si avvicinò,carezzandola con una dolcezza propria ad una madre, mentre i sacerdoti si ritraevano, lentamente, cessando i loro canti.
"Dormi ora, nostra piccola, preziosa speranza per l'avvenire; dormi serena, figlia di Azarath; dormi, mia dolce Raven."
 
Molto tempo dopo lo svolgersi di tale scena, in cui sulla Terra trascorsero quattordici anni, la bambina, divenuta fanciulla, aveva lasciato la sua patria, a seguito di anni passati ad apprendere le vie della meditazione e dell'ascetismo, nel disperato tentativo di trovare un qualunque mezzo per impedire il realizzarsi della terribile profezia della sua nascita, compiendo nel frattempo quante più opere di bene le fosse possibile, al fine di redimere la sua anima del fardello, mai desiderato né accettato, del suo sangue di demone.
Venne poi il tempo della battaglia con Trigon, e la profezia si compì: le maligne trame di Trigon condussero l'eroica Raven ad adempiere il suo fato, divenendo il Portale.
La Terra venne distrutta, trasformandosi in una landa infuocata, costellata di rovine, e i suoi abitanti videro la propria carne trasformarsi in pietra. 
E su questa devastazione lui, Trigon il Terribile, si erse supremo,pronto a diffondere la sua crudeltà in un nuovo universo... finché un gruppo di giovani eroi, sfidando le decisioni del fato stesso, osarono levarsi contro un avversario potente come mai avrebbero potuto immaginare.
Contro ogni previsione dell'onnipotente demonio, essi riuscirono laddove la stessa Azar aveva fallito, unendo le forze e mai cedendo allo sconforto ed alla paura.
Avvolto da una soprannaturale luce bianca, scaturita improvvisamente da Raven, Trigon fu risospinto nel suo tetro regno. La Terra fu liberata e risanata, senza che alcuno dei suoi abitanti ne conservasse memoria alcuna, salvo quei cinque eroici, straordinari ragazzi.
E mentre le loro battaglie per la giustizia continuarono, essi erano convinti che la più grande delle sfide fosse ormai alle loro spalle, sopratutto Raven, l'ultima azarathiana. 
Ma sfortunatamente, come fin troppo presto avrebbe avuto modo di constatare, essi si sbagliavano. Poiché una minaccia, ancora più antica e temibile di Trigon stesso, si profilava all'orizzonte. Ma stavolta, nessuna profezia li allertò del pericolo imminente e, anche se così fosse stato, nessuno di loro avrebbe mai potuto prepararsi per quello che avvenne loro.
E forse ciò fu un bene, dopotutto, poiché la verità terribile era che, all'origine del caos che seguì, come avrebbero potuto scoprire nel più imprevedibile e crudele dei modi, vi era sempre stata Raven.

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Capitolo 28
*** Sarebbe così semplice... ***


NdA
Questo capitolo ha richiesto molto più tempo del previsto... dunque, le note saranno brevissime.
Nomi, riferimenti a luoghi e fatti sono frutto del caso e della mia immaginazione... il resto appartiene alla DC e, in parte, alla mia modesta della paleontologia (leggere per capire ;) )
Tuttavia, da qui in poi le cose si faranno più cupe, tanto che forse dovrò porre il rating nel rosso ancora una volta.
Se reputate che l'arancione non sia più adeguato, se credete che io stia in qualche modo esagerando, se questa storia vi piace e non volete vederla cancellata vi prego di avvertirmi di un mio errore in tal senso, tramite recensione o messaggio.
Altro non ho da dire; mettetevi comodi e su il sipario!!!
P.S.
Se tra di voi vi è un appassionato di paleontologia, sappia che mi scuso per ogni errore o inesattezza da me compiuti,esortandolo a farmeli conoscere, così da correggerli.
 
L'essere umano è una creatura fragile.
Poche sono le realtà in grado di suscitare, in qualunque individuo, tanta angoscia e rabbia come la semplice constatazione della caducità della vita e, di conseguenza, del misero ed illusorio controllo che ogni persona ha sulla sua durata.
Non ha infatti alcuna importanza quanto l'uomo adori porre sé stesso al di sopra di un dorato piedistallo, vantando la sua superiorità su ogni altra specie mai apparsa sulla Terra; nonostante il tempo e la natura lo abbiano portato a sviluppare una massa cerebrale proporzionalmente maggiore di quella di ogni altro organismo noto sul pianeta, arrivando così a scoprire modi e mezzi per allungare notevolmente la durata media della sua vita, egli rimane vincolato alle severe leggi della Natura. 
Tali regole, tanto spietate quanto necessarie, regnano sovrane su ogni creatura vivente: 
dalla più piccola e primitiva delle cellule al più possente ed evoluto dei giganti; 
dalla più gracile ed indifesa delle prede al più straordinario e forte dei predatori;
dal più umile ed anonimo dei miserabili al più ricco e potente dei governanti;
dal più gentile e pio dei santi al più crudele e sadico degli assassini... tutti, prima o poi, dovranno chiudere  gli occhi per l'ultima volta.
Benché tutte le vite degli uomini siano concepite con il medesimo meccanismo naturale, innumerevoli sono i modi e i mezzi con cui ciascuna di esse può avere termine; che si tratti di malattia, di morte accidentale o di un assassinio, ogni vita umana è destinata a spegnersi.
I numerosi, illogici vincoli che la società impone ai propri membri (quali ad esempio la ricchezza, la forza, la fortuna, la scaltrezza e via dicendo...) sono tutti destinati, con il trascorrere irreversibile dei secondi, a sgretolarsi in polvere, l'uno dopo l'altro, di fronte all'inarrestabile potere del caso e tempo che passa.  
Per quanto sia triste ammetterlo, la Morte non conosce alcun reale impedimento; anche se una persona tenterà sempre, istintivamente, di porre nuove ed elaborate barriere tra sé e il momento della sua dipartita, essa dovrà giungere; neppure la giovinezza costituisce un ostacolo significativo per la morte.
E, proprio in virtù delle esperienze che li avevano trasformati da comuni ragazzi in paladini della giustizia, i Titans erano perfettamente consapevoli di questa dolorosa, ineluttabile realtà.
Per tale motivo, le battaglie sostenute contro comuni delinquenti, provvisti di tutte le debolezze che lo stato di semplici umani comportava, erano forse le più difficili in assoluto. 
Poiché se esiste infatti una vera, fondamentale differenza tra un eroe e un criminale, essa è una ed una soltanto: la moralità.
Chi infatti decide di intraprendere davvero tale insidioso sentiero, spinto solo dal bisogno di aiutare gli innocenti,  sa che il suo scopo non è quello di colpire, ferire, sconfiggere il nemico in una serie di futili scontri, dove il più debole si ritrova a giacere, umiliato ed impotente, sul campo di battaglia, meditando propositi di vendetta contro la persona responsabile della sua disfatta.
No, ciò che deve portare un individuo, disposto a porre, senza nulla chiedere in cambio, sulle proprie spalle il pesante fardello della responsabilità che la lotta al male ed alle ingiustizie costituisce, è il desiderio di salvare delle vite... perfino quelle dei malvagi.
Sottile è infatti il confine che separa un nobile giustiziere da uno spietato vigilante, più esile di un filo di seta e, sfortunatamente, incredibilmente difficile da scorgere. 
Basterebbe un secondo, un attimo di distrazione, un istante in cui le emozioni prendano il sopravvento sul raziocinio e perfino il più puro e retto degli uomini si ritroverebbe a contemplare il sangue sulle sue mani, senza alcuna possibilità di lavarlo via... senza alcuna speranza di redenzione.
E tale confine diviene ancor più sottile, se colui che sceglie di rispettarlo è dotato di abilità sovrumane.
Ogni singola missione dei Titans sarebbe potuta sfociare in una tragedia, portando alla perdita di una o più vite, e non necessariamente quelle degli innocenti. 
Nessuno dei cittadini di Jump City sembrava accorgersene, né alcun giornalista pareva darvi abbastanza peso, a giudicare dalla superficialità con cui, spesso e volentieri, essi discutevano degli scontri tra gli eroici giovani e il malvivente di turno; nessuno aveva mai dato l'idea di comprendere quanto facile sarebbe stato per ciascuno di loro oltrepassare quell'invisibile limite... e nessuno sembrava intuire quanto ciascuno di loro dovesse impegnarsi per tenere a freno non soltanto la propria forza, ma sopratutto il proprio cuore, evitando di farsi trascinare dall'impeto e dalla foga del momento.
Con quale facilità Cyborg, con i suoi pugni di titanio, i suoi potenti muscoli meccanici e le sue sofisticate armi, avrebbe potuto frantumare le ossa o gli organi di un rapinatore...
Quanto sarebbe stato semplice, per Starfire, lasciare che il furore guerriero della sua gente la guidasse, vivendo ogni singolo scontro come un autentico conflitto, incenerendo con i suoi incandescenti raggi di energia solare chiunque fosse stato tanto folle da levare la mano contro la Seconda Figlia di Tamaran...
Perfino Robin, l'unico a poter affermare (senza obiezioni da parte della retorica, della scienza o della psicologia) di essere un umano a tutti gli effetti, avrebbe potuto impedire ad un avversario di vedere un nuovo giorno; un colpo di karate sferrato con troppa violenza e nel punto sbagliato, una spinta troppo vigorosa oltre un parapetto, un'arma usata nel modo sbagliato...
Beast Boy e Raven... nessuno, forse neanche i loro compagni di squadra, poteva capire fino in fondo quanto le loro anime fossero consumate, nel corso di ciascuna sfida, dal desiderio di porre fine all'esistenza della minaccia, facendo scempio dei loro corpi e delle loro anime... così come gli istinti, di origine animale e  demoniaca, spesso suggerivano loro di fare...
Ed in quel momento, lungo Lincoln Avenue, una delle numerose traverse di Treasure Street, Garfield Mark Logan, dall'interno del gigantesco corpo di un mastodonte, stava tenacemente lottando contro gli istinti primordiali che, assieme alle abilità fisiche dell'animale scelto, accompagnavano ogni sua trasformazione, invadendo prepotentemente la sua psiche. 
Mentre il mutaforma verde si dirigeva, con il suo corpo da oltre sei tonnellate alla carica di decine, forse centinaia di avversari armati, i suoi istinti stavano violentemente facendosi sentire, suggerendogli tre diverse linee d'azione:
la prima, molto semplice e di gran lunga preferibile, consisteva nel voltarsi e cercare una via d'uscita, allontanandosi dalla minaccia incombente, evitando di sprecare preziose energie in uno scontro inutile;
la seconda, più drastica, era quella di raggiungere la fonte di disturbo e, tramite una dimostrazione di forza, intimorirla e costringerla ad allontanarsi;
infine, se nessuna delle due precedenti opzioni si fosse rivelata vincente... se la fuga non fosse stata possibile, se il nemico avesse continuato la sua offensiva, costringendo il mammut con le spalle al muro... allora il pericolo  andava eliminato, in maniera rapida, permanente e senza la minima esitazione.
Inutile a dirsi, la mente dell'eroe non volle prendere in seria considerazione né la prima opzione ( che avrebbe concesso ai criminali la possibilità di tornare all'assalto dei civili innocenti, lungo le strade di Jump City), né tanto meno la terza ( che lo avrebbe automaticamente reso, agli occhi del mondo  e dei suoi amici, un assassino). 
La seconda idea gli piaceva, certo, ma era oramai lampante, come il precedente scontro gli aveva fatto capire, che gli ex detenuti non vedevano in lui una seria minaccia alla loro illegittima libertà... 
Essi non sarebbero fuggiti dinanzi a lui, qualunque fosse il suo aspetto, non finché avessero avuto dalla propria parte il non trascurabile vantaggio dei numeri. 
Quando la distanza tra il peloso colosso e i suoi assalitori raggiunse i dieci metri, Beast Boy capì che lo scontro era inevitabile... come era inevitabile che qualcuno di quegli incoscienti finisse schiacciato sotto le sue enormi e solide zampe.
Fortunatamente, le armi che il mammut peloso possedeva non si limitavano alla pura forza bruta: quale che fosse il loro originario scopo nella preistoria, le due enormi zanne ricurve potevano risultare decisamente utili in quel frangente.
Quando ormai all'impatto mancavano meno di cinque metri, e già alcuni dei delinquenti più vicini cominciavano ad uscire dal margine inferiore del suo campo visivo, il pachiderma rallentò bruscamente il passo, abbassando la testa e voltandola verso sinistra, portando le zanne a mezzo metro dal suolo. 
Di scatto, grazie ai poderosi muscoli del collo, l'animale verde volse il capo alla sua destra, agitando i lunghissimi denti di avorio. 
Quattro uomini robusti, vestiti delle tradizionali divise arancioni dei penitenziari, si ritrovarono improvvisamente in aria, travolti da due enormi zanne che, grazie ad una muscolatura di gran lunga superiore a quella di qualunque essere umano, li scaraventarono a quasi quattro metri di distanza, disperdendo i bruti con la stessa semplicità con cui un bimbo disperde coriandoli.  
Prima che uno solo di essi arrivasse a toccare il suolo, Beast Boy ripeté la medesima torsione nel verso opposto, stavolta travolgendo sette galeotti; questi finirono con lo schiantarsi dolorosamente contro le fila dei loro degni compari, provocando altri crolli. 
Non volendo incorrere nel medesimo destino, istintivamente alcuni dei delinquenti più vicini cessarono di colpo la propria corsa, venendo però impietosamente travolti da chi li stava seguendo, ritrovandosi comunque al suolo.
Intanto, il gigante smeraldino continuava ad avanzare, umiliando i suoi avversari con una facilità a dir poco snervante, dsperdendoli con la sola forza dei muscoli cervicali.
Tuttavia, presto si accorse che molti dei suoi colpi iniziavano ad andare a vuoto, e questo gli fece capire che la parte difficile dello scontro stava per partire: i malfattori stavano cominciavano a rendersi conto della minaccia che il mutaforma poteva rappresentare, organizzando perciò una vera controffensiva. 
Urla cominciarono a farsi udire, nel tentativo collettivo di coordinare gli sforzi e soggiogare l'eroe. 
"Avanti, circondatelo!"
 "Quell'affare non è come quegli altri super-mocciosi! Possiamo prenderlo in trappola!"
"Si è vero! Lui non spara raggi laser! Basta tenerlo a distanza ed è fatta!"
"Se lo prendiamo, possiamo farlo secco senza problemi!"
Abbandonata dunque l'idea dell'attacco frontale, la calca si disperse a ventaglio, rapidamente circondando il pachiderma. 
Mentalmente imprecando, Beast Boy comprese di essere stato accerchiato; fermando del tutto la sua avanzata, si guardò intorno, tentando di intuire la piena gravità della situazione: i manigoldi, disposti a formare una spessa cerchia, puntavano a tenerlo bloccato, in modo da scovare un punto debole su cui accanirsi. 
E  presto, essi pensarono di averlo trovato: per quanto forte e pericoloso sul davanti, il mammut lanoso era totalmente privo di difese sui fianchi ed alle spalle. 
Comprendendo quale trappola andava prepandosi attorno a lui, Gar Logan tentò di guadagnare tempo, limitandosi a dimenare la sua enorme mole al centro della pericolosa folla, agitando minaccioso le zanne ed emettendo feroci barriti.
'Ok Gar... le cose volgono al peggio, ma sei scampato da trappole ben più elaborate di questa...'. 
Una dozzina di incauti, troppo sicuri di sé, tentarono di scagliarsi in avanti, brandendo asce, grimaldelli, coltelli e martelli da fabbro, mirando ai fianchi e alle zampe del mammut. 
Quest'ultimo, pur senza vederli, udì distintamente i loro passi e le loro urla rabbiose. 
'Tsk, se questi tizi campassero di caccia, di sicuro morirebbero di fame in una settimana al massimo... il peggior attacco a sorpresa di sempre!'
Con uno sforzo impressionante, la monumentale creatura si sollevò sulle zampe posteriori, mettendo in mostra il ventre; poi, dopo esere rimasto in precario equilbrio per qualche secondo, si lasciò ricadere pesantemente sugli arti anteriori, generando un onda d'urto che, propagandosi sul terreno, portò gli assalitori ad inciampare, crollando distesi a terra o sulle proprie ginocchia. 
Non volendo concedere a nessuno di loro il tempo di recuperare la posizione eretta, Beast Boy allungò la muscolosa proboscide verso il più vicino, un caucasico con corti capelli castani e un fisico corpulento; questi, avvertendo qualcosa che si avvolgeva attorno alla sua caviglia come un serpente, ebbe solo un secondo per essere confuso, prima che una forza sovrumana lo strappasse dal terreno, facendogli scivolare dalle mani il lungo coltello da caccia. 
"Aiuto! Fate qualcosa! Tiratemi giù!" urlò il malcapitato a testa in giù, rivolto a quelli che lo avevano accompagnato in quell'infelice attacco. 
Costoro, alzando lo sguardo, videro il loro amico penzolare come un salame, agitando furiosamente le braccia. Per qualche secondo, il mammut si limitò a tenerlo così, sospeso a mezz'aria, senza apparente sforzo; poi, senza preavviso, ritrasse la proboscide come fosse un braccio, portando con sé il delinquente, quasi come se volesse...
"Oh mio Dio, no..." mormorarono alcuni di loro, intuendo le intenzioni dell'animale, pensando perciò di retrocedere, al fine di ritrovarsi nella sicurezza che la folla alle loro spalle aveva loro garantito, fino a qualche secondo prima. 
'Oooh si, invece...' rispose mentalmente Gar Logan, mentre la sua grossa bocca da erbivoro, celata alla vista dal pelo, si increspava in un ghigno.
Prima che un solo passo venisse effettuato, la proboscide scattò, tramutando l'energumeno in una sorta di randello vivente. Sotto gli occhi degli increduli accerchiatori, tutti gli undici vennero colpiti dal mammut che, con la sua mazza improvvisata, fece piazza pulita del malcapitato gruppo, facendoli volare come palline da golf in ogni direzione. Quando anche l'ultimo venne centrato, Beast Boy avvicinò all'orecchio destro l'uomo che, pur contro la propria volontà, gli era stato d'aiuto.
Tutto quello che le orecchie del pachiderma captarono, oltre al respiro affannoso ed al battito cardiaco del povero disgraziato, fu una sorta di flebile gemito di dolore. 
'Scusa bello, ma sai come si dice: in amore e in guerra tutto è concesso...'. 
Decidendo di porre fine alle pene del poveretto, Beast Boy lo depose delicatamente al suolo, evitando di provocargli ulteriori ammaccature.
'Hah! Che vi serva di lezione: la prossima volta che provate ad abbattere  un mammut attaccandolo alle spalle, fatelo in silenzio!'
Tentando di sfruttare il momentaneo stupore, Beast Boy scattò in avanti, deciso a fuggire da quella svantaggiosa situazione.
Ciò si rivelò inutile poiché, dando prova di riflessi ben più pronti di quanto l'eroe avesse previsto,  per ogni passo da lui compiuto,  la brulicante massa si affrettava a spostarsi di conseguenza, qualunque fosse la direzione scelta, lasciandolo sempre al centro di un cerchio di circa venti metri di diametro. 
Non osando più avvicinarsi, alcuni dei delinquenti iniziarono a raccogliere e scagliare oggetti di ogni tipo contro il pachiderma, sperando di arrecargli danno o di distrarlo, in modo da aprirsi un varco nelle sue difese, per poi sottometterlo con la forza dei numeri e delle armi.
Fortunatamente la folta pelliccia del preistorico mammifero, spessa un metro e capace di sopportare  facilmente il freddo artico, fungeva da soffice armatura contro i rudimentali proiettili; che si trattasse di pietre, calcinacci o perfino pezzi di metallo, nessuno arrivava a provocare ferite.... almeno, non ancora. 
Infastidito, l'animale color smeraldo lanciò un fragoroso barrito, teso a spaventare i malviventi e, al contempo, dare sfogo alla crescente frustrazione che quella condizione di stallo causava. 
'Ok, le cose non vanno come avevo sperato. Certo, la gente si è salvata, ma se vado avanti così non potrò aiutare nessun altro... 
Bene Gar, fin qui è stato interessante  una partita discretamente giocata, ma è chiaro che l'approccio diretto non è quello più adatto.Direi che è giunto il momento di passare al piano B!'.
Non osando cambiare forma per volare via ( temendo di offrire in tal modo un bersaglio troppo gracile ai lanci degli assalitori), Beast Boy decise di tentare la fortuna e forzare il blocco, puntando con decisione verso Treasure Street, da cui era partita la sua carica.
Vedendo il mammut lanoso scagliarsi verso di loro, i criminali tentarono ancora una volta di seguirne gli spostamenti, tenendo la bestia rinchiusa all'interno dell'accerchiamento. Tuttavia, come presto poterono notare, tenere per un lungo periodo il passo con un animale dalla falcata molto superiore a quella umana era un'impresa superiore alle loro capacità.
"Non fatelo scappare!" urlarono  alcuni dei manigoldi, "Tenete sotto controllo quella bestiaccia!" ma era inutile; presto il proboscidato colosso raggiunse lo sbarramento e, mentre quelli alle sue spalle continuavano ad inseguirlo, coloro che si trovavano dinanzi a lui ebbero la sgradevole esperienza di vivere in prima persona un ribaltamento dei ruoli, trasformandosi da cacciatori a prede. 
Ancora una volta, le ricurve appendici d'avorio arrivarono a fendere la folla, sgombrando il percorso da ogni ostacolo. Presi dal panico, i meno coraggiosi dei manigoldi si dispersero, rompendo la formazione e badando solo a non essere frantumati sotto quelle enormi gambe.
Ma non tutti scelsero di farsi semplicemente da parte, dandola vinta all'eroe; sfruttando la vicinanza, i più temerari decisero di allungare una mano, affondando le dita nella folta peluria del mammifero e, con un notevole sforzo, issarsi sul suo dorso. 
Delle ventitré persone ad avere tentato tale impresa, solo nove riuscirono nell'intento, poiché malgrado i lunghissimi peli offrissero un appiglio ideale, l'incedere oscillante della belva non rendeva certo facile la scalata. 
Anche se il peso non rallentò neanche la sua corsa, Gar Logan intuì cosa stava succedendo dalla fastidiosa sensazione di capelli strattonati che sembrava essersi impadronita del suo corpo.
Senza mai voltarsi indietro, il mammut allungò la proboscide verso la più vicina fonte di dolore; sfruttando l'eccellente olfatto, egli riuscì ad individuare uno degli indesiderati passeggeri, precariamente abbrancato alla sua zampa anteriore destra. Andando a tentoni, Beast Boy individuò e avvolse il torso dell'uomo con la sua appendice nasale e, vincendo la disperata resistenza di costui, riuscì a staccarlo dal suo pelo, lanciandolo poi alle sue spalle, mentre questi lo malediva a gran voce.
'Eeeew, disgustoso! Quando ti rimetteranno al fresco, approfittane per farti una bella doccia!' pensò Beast Boy, leggermente stordito dal tanfo di sudore rancido e dopobarba scadente che appestava i suoi sensibilissimi recettori olfattivi.
Nonostante la gravità della situazione, Gar Logan non poté fare a meno di trovare esilarante la scena che stava vivendo, mentre la sua mente rievocava l'immagine di una ciurma di bucanieri che, tenendo sciabole e coltelli tra i denti, si lanciava all'arrembaggio della nave nemica.
'Se ne esco vivo, devo assolutamente lavorarci su... qualcosa sui pirati che vanno dal dentista... questa è la volta buona che a Vic saltano i fusibili dalle risate!'.
A richiamare alla realtà il mutaforma furono i vari oggetti contundenti che, d'un tratto, iniziarono a percuotere la sua vasta schiena. Nonostante la pelliccia continuasse ad attutire i colpi, la sensazione di peli tagliati diede conferma ai suoi timori: alcuni tra i fastidiosi 'ospiti' erano in possesso di armi affilate e, fendente dopo fendente, stavano rapidamente avvicinandosi alla carne sottostante. 
Benché molto più spessa di quella di un essere umano, la pelle di mammut non era invulnerabile agli oggetti taglienti; un colpo nel punto giusto, alla giusta profondità,  e Gar Logan correva il serio rischio di morire per emorragia.    
Giunto ormai su Treasure street, la bestia svoltò a sinistra, reimmettendosi nella via principale. 
A giudicare dalle urla dietro di lui, i suoi inseguitori erano stati distanziati di almeno una ventina di metri; la distanza poteva facilmente essere aumentata, certo, ma non era quello che il metamorfico eroe aveva pianificato. 
'Forza Gar, un piccolo sforzo e la battaglia diverrà una passeggiata Andiamo, devi resistere solo un altro po... ancora qualche decina di metri e sei arrivato a destinazione...'
"Ora hai chiuso per sempre, eroe dei miei stivali!" ringhiò d'un tratto uno dei manigoldi sul suo dorso, trascinandosi a fatica sul collo del mammut. 
Portando una mano ad una fondina, legata alla cintura, ne estrasse un lungo coltello da  caccia dalla lama dentellata; stringendo le gambe, egli si assicurò di avere una presa sufficientemente salda, prima di sollevare con entrambe le mani la sua arma, rivolgendo in basso la punta a guisa di pugnale, preparandosi  a conficcarlo nella nuca del pachiderma.
"Muori, mostro!" gridò con sadico piacere il criminale, piegandosi in avanti di scatto, imprimendo tutto il proprio peso sul coltello. Quando tuttavia sferrò il colpo, la lama non incontrò altro che aria. 
Con orrore suo e dei suoi compari, egli si accorse che il gigante preistorico sembrava essersi volatilizzato, lasciando tutti loro sospesi a tre metri da terra e alla mercé della gravità. 
Con una serie di tonfi sordi e sinistri scricchiolii, accompagnata da un'impressionante sfilza di imprecazioni e colorite bestemmie, tutti gli improvvisati cowboys si abbatterono sull'asfalto; a causa della velocità accumulata, essi si ritrovarono a ruzzolare per quasi dieci metri sulla disastrata via; quando l'attrito ebbe infine la meglio, ponendo fine alla loro corsa, essi si ritrovarono a formare un'aggrovigliata e dolorante piramide umana. 
Uno di loro, un giovanotto smilzo di vent'anni circa, a malapena cosciente, tentò di sollevare i corpi che lo schiacciavano ed alzarsi, ma scoprì che le poche forze che gli restavano non erano in grado di assolvere tale compito.
Voltandosi verso la strada, egli vide, nel punto in cui poco prima si ergeva un mammut, un cinghiale verde (Sus scrofa) che lo fissava, grugnendo. 
L'uomo ebbe la sgradevole sensazione che, con quei versi, l'irsuta bestia stesse ridendo di lui.
Di li a poco, tuttavia, la strada fu scossa dal rumore di un centianio di suole, ed il suino parve svanire nel nulla.
Ancora qualche istante, e l'agguerrita moltitudine arrivò sul luogo del disastroso crollo.
"Cosa è successo? Dove diamine è finito quell'abominio verde?!" gridò un energumeno in canotta,  tra i primi a giungere sul posto, incurante delle condizioni dei suoi complici.
L'unica  risposta che egli ottenne fu un gemito di dolore; spazientito, il malvivente afferrò per la collottola il giovane semisvenuto, unico testimone disponibile e, issatolo senza troppi riguardi, iniziò a schiaffeggiarlo violentemente, nel tentativo di estorcergli la verità.
"Ti decidi a parlare, piccolo mentecatto? Dove è finito quel buffone che cambia forma?" urlò il manesco bruto, alternando sberle e manrovesci, lasciando grossi segni su ambedue le guance del poveretto. Dopo qualche secondo, comprendendo la futilità del gesto, egli rinunciò e, imprecando pesantemente, lasciò crollare al suolo la sua vittima. 
"Umh, non dovreste strappazzare così i vostri amici, sapete? Questo è il genere di comportamenti che, a lungo termine, tende a rovinare una relazione." disse una voce gioviale, proveniente dal nulla.
"Chi diavolo-?!" urlarono alcuni, accorgendosi che l'origine del suono era alle loro spalle. 
Voltandosi di scatto, essi videro chi aveva parlato e, riconoscendolo, fecero istintivamente qualche passo indietro, verso la calca.
Seduto su una panchina pubblica, le gambe accavallate e le mani intrecciate dietro alla nuca, vi era Beast Boy in forma umana; la sua espressione era placida e serena, tipica di chi si sta godendo una tranquilla sosta, al termine di una piacevole passeggiata.
Quasi a voler confermare tale immagine, il ragazzo guardò verso l'alto, fischiettando un motivetto e contemplando il cielo azzurro.
"Aaahh... che giornata meravigliosa, non trovate? L'ideale per una gita o un picnic. Ehi, che ne dite di partire tutti insieme per una piccola uscita fuori città? Conosco un paio di penitenziari qui vicino in cui, ne sono più che certo, verreste accolti a braccia aperte!". 
Una serie di scatti,tipici di un caricatore di pistola, attirò l'attenzione dell'ex patroller; abbassando lo sguardo, egli vide non meno di nove bocche da fuoco, impugnate da un gruppo di evasi che, dopo essersi fatti strada tra la folla, ora lo teneva sotto tiro da una distanza di cinque metri. 
"Alza quel tuo sedere verde da li e metti le mani in alto, idiota!" intimò quello che, del gruppo di pistoleri, sembrava essere il più vecchio ed autorevole.
Si trattava  di un uomo di media statura, di etnia ispanica, sulla cinquantina d'anni; aveva lunghi baffi alla texana brizzolati, portava l'orecchino al naso e corti capelli grigio ferro. 
Le braccia erano robuste, messe in evidenza dalle maniche corte della sua divisa;sull'avambraccio sinistro, in bella mostra, vi era l'elaborato tatuaggio di un serpente, il cui corpo si avvolgeva attorno al polso sinistro e si allungava fino al gomito, dove la testa veniva raffigurata, minacciosa, con le fauci spalancate.
"Oh, suvvia, non è il caso di prenderla così a male! Dite la verità, non volete tornarci per colpa della mensa, vero? Ho sempre detto a Robin che andava aggiunto un'alternativa vegetariana al menù, ma c'è mai qualcuno che mi dia retta? No, certo che no!" replicò Beast Boy, alzandosi con la massima naturalezza, noncurante delle minacce di morte.
Una persona ordinaria, accerchiata da feroci e sanguinari farabutti, vedendosi puntare contro delle armi da fuoco può avere infinite reazioni, in gran parte scaturenti dal panico che il probabile finale di tale situazione comporta.
Ma a questo punto era perfettamente chiaro che Garfield Mark Logan, un tempo membro della bizzarra Doom Patrol, non poteva essere inserito nella definizione di 'ordinario'; tantissime volte, nella sua giovane esistenza, egli si era ritrovato  dal lato sbagliato di  strumenti di morte di gran lunga più distruttivi di semplici revolver... 
Certo, egli era ben lontano dall'essere invincibile o invulnerabile come Superman, né i suoi poteri erano paragonabili a quelli dell'Uomo d'Acciaio... 
Eppure, egli non riusciva a sentire la sensazione di terrore che, in maniera più che giustificata, in quel momento avrebbe dovuto assalire il suo animo, portando le sue ginocchia a tremare incontrollabili e il suo cuore a tuonargli nel petto.
'Evidentemente, una volta che sei stato il bersaglio di bazooka, bombe a mano, cannoni laser e tridenti magici, una Calibro 38 abbia poche possibilità di sorprenderti....Dio, sto diventando vecchio! Questo, oppure passo davvero troppo tempo sui videogames... Arghi, adesso inizio anche a parlare come un vecchio! Uff...'
Quasi a provare l'inefficacia della minaccia, le parole che seguirono, pronunciate con assoluta serenità, lasciarono ai farabutti l'amaro in bocca.
"Oh, ma guarda; avete delle pistole anche voi! Questa si che è una sorpresa! Pensate un po che coincidenza straordinaria, prima mi sono imbattuto in alcuni tizi dal grilleto facile. 
Gente simpatica, certo, ma un po troppo chiassosa, per i miei gusti... si vede che deve esserci una convention in città.
E ditemi, come mai non le avete usate subito? Presumo siate tutti dei tiratori scadenti, ma credo di avervi offerto un bersaglio abbastanza grosso... o forse siete dei collezionisti e temevate che, usandole,il valore sul mercato delle vostre armi potesse subire un crollo? " chiese con bonaria curiosità Logan, senza mai smettere di sorridere.
Che fosse per disappunto, incredulità o mera frustrazione, le facce di tutti coloro che udirono il metamorfico eroe parlare furono trasfigurate da una evidente furia omicida; tali irriverenti parole, prive della reverenza e sottomissione che ogni malfattore armato si aspetta di trovare nella sua vittima, costituivano per tutti loro un insulto a dir poco imperdonabile. 
Anche senza l'empatia di Raven, Beast Boy poteva percepire l'odio nei suoi confronti toccare nuove vette; era come se il rifiuto del ragazzo zannuto di temerli fosse un netto rifiuto a rispettarli... e questo, per individui della loro risma, era la più grave delle offese. 
"Se proprio ci tieni  a saperlo, questi affari non vanno bene per bucare la pelle di un elefante... e comunque sia, stavamo conservando le pallottole per i tuoi amici e per gli sbirri, non ci è sembrato il  caso di sprecare del piombo per uno scherzo della natura come te." rispose l'uomo dal braccio tatuato, tenendo la pistola puntata verso il ragazzo dalle orecchie d'elfo.
"Oooh, capisco... Dunque, se ho ben afferrato la situazione, devo interpretare il fatto che le abbiate estratte come un gesto di stima; non c'è che dire, sono davvero lusingato." disse Beast Boy, sorridendo come uno scolaro delle elementari che si vede premiato con un Dieci E Lode.
"Ehi! Mostra più rispetto, quando ti rivolgi a Don Miguel March, buffone! Hai la minima idea di chi sia la persona con cui stai parlando?!" scattò un altro evaso, anch'egli di origini ispaniche, sollevando il braccio sinistro, rivelando un identico tatuaggio a forma di serpente.
"Lui è il boss degli Hell's Vipers! La banda più potente di tutta San Diego! E gli Hell's Vipers non si lasciano prendere in giro da nessuno, tanto meno da un piccolo, insignificante st-"
"Chiudi il becco, Humberto." mormorò il più anziano, zittendo il suo sottoposto, senza staccare gli occhi dall'eroe; nello sguardo del delinquente, una chiara nota di sadismo era visibile, indicando quanto egli fremesse dal desiderio di premere il grilletto... desiderio tenuto a freno solo dalla  smania di far soffrire l'irriverente impiastro, tenendolo sulle spine.
"Vedila come ti pare; la realtà è che ci siamo stancati di perder tempo con uno come te. Quindi, adesso la facciamo finita. Prega, se ti hanno insegnato a farlo, perché ora ti spediamo all'Altro Mondo!"  
Senza agitarsi neppure stavolta, il Leader in Terza dei Titans si limitò ad alzare l'indice della mano destra, come a chiedere il permesso di usare la toilette.
"Okay, ma prima, potrei fare una richiesta? Se non vi spiace, non voglio assistere al momento in cui il mio povero corpo viene trapassato dai proiettili; visto che non ho con me una benda nera, vi dispiace se, prima che voi apriate il fuoco, io mi volto dall'altra parte?".
Dalla crudele masnada si sollevò una risata fragorosa. 
"Tsk, non riesci nemmeno a morire da uomo, vero?" disse con un ghigno March, la voce colma di scherno e disprezzo. 
"E sia, ad un condannato si concede sempre l'ultimo desiderio: che ne dite, gente? Vogliamo concedere al ragazzino di voltarsi e non guardarci mentre lo impiombiamo per bene?"
Un incomprensibile mormorio di assenso, misto ad un tetro umorismo, accompagnò la proposta dell'improvvisato drappello di esecuzione
"Ok allora; voltati lentamente, senza fare scherzi... Una sola mossa falsa e ti ficchiamo in ciascun occhio una decina di proiettili!"
"Troppo generosi, davvero! Non riesco proprio a capire perché foste in galera, tutti voi; gentiluomini come voi dovrebbero essere sempre a disposizione della società. "
"Basta con le chiacchiere, idiota! Girati e facciamola finita!" tuonò uno di essi, stanco di quel duello verbale ed ansioso di veder scorrere il sangue di uno dei protettori di Jump City.
"Ok, allora sia!" disse il ragazzo zannuto. 
Poi, inaspettatamente, per lo stupore di una folla di oltre cento malviventi, pronti a trucidarlo senza il minimo rimorso, il metamorfico eroe si abbassò sul ginocchio destro con aria teatrale, portò la mano sinistra a coprirsi gli occhi e la destra sul cuore; quindi, memore delle lezioni di recitazione di Rita Farr, sua matrigna ed ex compagna di squadra, con voce melodrammatica e commossa iniziò un triste soliloquio.  
"Dunque, infine è giunta l'ora che l'impavido Beast Boy rende l'anima; questa notte il cielo verserà una lacrima, sapendo che una sì bella persona si è spenta tragicamente, nel fiore degli anni! 
Oh, avverso e tiranno destino, perché mai fosti tanto crudele con il povero Beast Boy? 
Oh, me tapino! Oh, me meschino! Oh, me infeli-"     
"Chiudi quella stradannatissima bocca, maledetto imbecille verde, e voltati, così possiamo ammazzarti e liberare il mondo dalla tua demenza!!!" strepitò Don Miguel, perdendo infine la pazienza ed interrompendo bruscamente l'orazione del mancato attore. 
A giudicare dal brusio della folla, gran parte dei presenti parve concordare con il capo del plotone, disprezzando apertamente le doti interpretative dell'eroe dalle orecchie a punta... sebbene, grazie al suo sensibile udito, Gar Logan avrebbe quasi potuto giurare di aver sentito un paio di persone soffiarsi il naso, forse di commozione.
 "Ebbene, come desiderano lor signori.Sono pronto." rispose con semplicità Beast Boy, scattando in piedi, piegandosi un paio di volte in avanti in un educato inchino, identico a quello eseguito dagli attori, dopo che il sipario è calato sull'ultimo atto di un'opera.
Nove braccia, armate di pistole, si protesero ancora una volta, prendendo la mira, aspettando che la schiena del mutaforma fosse in piena vista, prima di deturparla con una raffica di munizioni.
"E ancora, grazie mille..." disse il giovane eroe voltandosi del tutto, mormorando poi a mezza bocca "... imbecilli." 
La parola non ebbe il tempo di essere captata dalle orecchie di tutti i presenti; un'improvvisa folata d'aria, segno di una nuova trasformazione, si abbatté sulle persone più vicine... ed una enorme coda corazzata si abbatté sul drappello d'esecuzione. 
Una sorta di grossa, rugosa cupola verde, alta un metro e mezzo, si stagliava nel medesimo posto dove, una frazione di secondo prima, il ragazzo verde stava per essere giustiziato.
Se qualcuno di loro avesse mai letto un libro di paleontologia, senza dubbio avrebbe saputo che l'essere che, con la sua vasta stazza e la potente coda stava fendendo la marmaglia era un gliptodonte nordamericano (Glyptotherium Texanum). 
Alcuni, superato lo stato di confusione in cui il mutaforma, per l'ennesima volta in meno di un'ora, era riuscito a indurli, tentarono di arrestare la marcia ( o meglio, la retromarcia) di questo nuovo fossile vivente; inutile a dirsi, i colpi risultarono privi di qualunque efficacia, essendo sferrati contro quell'armatura, costituita stavolta non da una voluminosa pelliccia, ma da una vera e propria corazza di placche ossee e cheratina.
Comprendendo la futilità dello sforzo, un gruppo di otto individui si piazzò sul fianco destro della bestia e, facendo appello a tutte le loro forze, iniziarono a spingere. 
'Umh, forse li avevo giudicati male; hanno capito che, data la somiglianza con gli armadilli, anche un gliptodonte dovrebbe essere sprovvisto di difese nella zona addominale.' 
L'impresa si rivelò ben più difficile del previsto, considerato l'enorme peso della creatura, le cui zampe opponevano un'ulteriore, fiera resistenza. 
"Dateci una mano! Bisogna spingere più forte!". 
A seguito del richiamo, altri sette vennero in soccorso, posizionandosi alle loro spalle e spingendo, in modo da sommare le forze e ribaltare l'animale. 
'Ve lo concedo, siete più furbi di quanto avessi pensato...'
Di colpo, la resistenza opposta dal mammifero parve scomparire, portando i malfattori ad emettere un grido di trionfo... presto sostituito da un'esclamazione dii dolore, quando tutti loro si ritrovarono a cadere rovinosamente al suolo, essendo venuto a mancare l'ostacolo.
'... ma non abbastanza furbi, temo!'
Prima ancora che uno solo degli uomini si schiantasse contro l'asfalto, una lepre europea (Lepus Europaeus) scattò in avanti, evitando di essere sepolta dal peso di quindici persone; l'agile mammifero si insinuò tra lo schieramento delle gambe nemiche, scivolando con destrezza incredibile. Molti furono i tentativi di calpestare la lepre, ma andarono tutti a vuoto, arrivando perfino a causare dolorosi, comici incidenti: dieci galeotti si ritrovarono a saltellare sul posto o a rotolare per terra, stringendo tra le mani un piede o un ginocchio, centrati da calci o da oggetti contundenti, diretti al coniglio selvatico.
Dopo quella che parve un'eternità, la lepre riemerse dalla fitta foresta di gambe. 
Sfruttando la velocità e la  resistenza che la sua attuale forma gli conferiva, Beast Boy corse lungo un marciapiede, decidendo che il momento di recarsi al suo vero obiettivo era giunto. 
Un enorme galeotto, armato di un semplice tubo di ferro, tentò di sbarrare il passo al lagomorfo verde. 
Quando la creatura verde distava meno di un metro, egli sollevò l'oggetto sopra la testa con tutte e due le mani, con la chiara intenzione di abbattere in un sol colpo l'animaletto; se si fosse trattato di una comune lepre,  la posa che egli assunse (ossia completamente sprovvista di qualunque difesa) sarebbe stata giustificata... ma, purtroppo per l'energumeno, egli non aveva di fronte della comune selvaggina, ma uno straordinario mutaforma animale. 
Sfruttando la velocità già accumulata, la lepre compì un salto verso l'alto, grazie alle potenti zampe, puntando all'addome del muscoloso individuo: questi ebbe meno di una frazione di secondo per capire l'assurdo errore commesso, prima che una nuova zaffata di vento lo colpisse, subito seguita dalle solidissime corna di uno stambecco ( Capra Ibex), che si scontrarono con estrema violenza col suo stomaco.
L'uomo fu proiettato all'indietro, l'aria che abbandonava i suoi polmoni; prima ancora di atterrare su due sfortunati ed esili compagni alle sue spalle, ebbe la fugace visione di uno scoiattolo volante verde che, usando come trampolino la sua faccia, spiccava un balzo in avanti.
Per un attimo, il piccolo roditore rimase sospeso a mezz'aria, in un'elegante planata; poi, in una frazione di secondo, il roditore si ricoprì di piume, le sue zampe posteriori divennero squamose e il suo grazioso muso fece spazio ad un becco ricurvo. Con un acuto stridio, un gheppio si librò al di sopra della folla.
"Prendetelo! Lo voglio morto!" tuonò la voce del capobanda degli Hell's Vipers, orribilmente distorta dalla furia.
Di nuovo, tutti si lanciarono all'inseguimento del rapace.
'Bene, il più è fatto; ora non rimane che chiudere la questione, e so esattamente dove farlo. Con un po di aiuto dalla fortuna, nessuno di loro si rivelerà scaltro  abbastanza da capire in che guaio si stanno cacciando.'
Ben presto, l'acuta vista del predatore volante individuò la sua meta: l'insegna luminosa del 'Californian MegaShop', il più grande e recente centro commerciale di Jump City.
Come era prevedibile, le porte di vetro erano state sfondate da ignoti vandali. 
La vasta sala, di circa mille metri quadri, era in condizioini ancor più pietose: tutte le insegne e le vetrine dei numerosi negozi erano state infrante, ricoprendo di schegge brillanti il pavimento; merce di ogni genere giaceva ovunque; le porte erano state divelte dai loro cardini; tracce di cibo erano sparse ovunque... era impossibile quantificare i danni, e quella era solo la sala d'ingresso.
Se non fosse stato per una serie di scritte e disegni osceni, tracciati in maniera rozza sulle pareti, si avrebbe avuto l'illusione perfetta di trovarsi sul luogo del passaggio di un tifone.
Beast Boy,ignorando il caos circostante, puntò con decisione verso il muro antistante l'entrata, situato a venticinque metri dalla porta distrutta.
Riassumendo le sue sembianze umane, il mutaforma si appoggiò con le spalle alla parete e, indossando la sua migliore faccia di bronzo, aspettò.
'Ci siamo, si decide tutto qui e ora...Adesso vedremo se mi merito davvero il diritto di guidare una squadra.'.
Non passarono più di tre minuti che i passi di molte dozzine di scarpe risuonarono nell'ingresso. 
Presto, i criminali scorsero il mutaforma e, senza perdere tempo, lo circondarono.
"Allora, si può sapere cosa vi ha trattenuto tanto?" disse Beast Boy, in tono di rimprovero. " Seriamente, ragazzi; non vi hanno mai insegnato che è maleducazione fare aspettare gli altri?!".
"Hai fatto l'ultima battuta della tua vita, buffone verde; ora ti impiombo come si deve!" disse l'uomo chiamato Humberto, puntando la sua pistola verso l'eroe, preparandosi a sparare.
"NO! Lasciate perdere le pistole!" comandò d'un tratto March con veemenza, bloccando il suo sottoposto.Tutti si volsero a guardarlo, scioccati e confusi, chiaramente domandandosi se l'uomo fosse impazzito.
"M-ma Don Miguel... Lui- lui è qui, a portata di tiro... una pallottola in fronte e sarà bello che mort-"" biascicò Humberto con espressione ottusa, tentando di far ragionare il suo leader... prima che un destro, sferrato a tradimento da quest'ultimo, gli fracassasse il setto nasale.
" Niente 'ma', imbecille! Stavolta è personale... Quell'affare ha avuto il fegato di prendermi in giro, poi mi ha colpito; nessuno ha mai colpito Miguel March e l'ha poi fatta franca con una semplice pallottola! Nessuno, è chiaro?!".
Rivolgendo lo sguardo verso il giustiziere smeraldino, March sentì la propria ira crescere a dismisura, non riscontrando in quel viso dalla colorazione anomala alcuna paura, neanche ora che l'odio lo faceva schiumare...Nessuno aveva mai avuto l'ardire di oltraggiarlo tanto.
"Voglio avere il piacere di scuoiare vivo quel mostriciattolo, e poi voglio usarne la pelle per farci un tappeto ed addobbarci il salotto di casa mia... il primo che prova a sparare, privandomi della mia vendetta, farà la stessa fine!"
Messe in chiaro le cose, tornò a rivolgersi a quella che, nella sua mente, era divenuta la sua preda personale. 
"Di nuovo con le spalle al muro, non è così? Ora hai dato la conferma definitiva: non solo sei un mostro orrendo, ma anche una bestia stupida! Ti sei andato a cacciare in trappola per la terza volta in meno di un'ora; ora sei qui, tutto solo, chiuso con cento di noi e nessuno dei tuoi amici a salvarti... Hai chiuso, moccioso!" ringhiò il boss di San Diego, pregustando la rivincita su chi aveva osato umiliarlo in pubblico.
"Temo che, in questo caso, voi tutti stiate commettendo un errore madornale, miei cari signori..." disse con semplicità Beast Boy, incrociando le braccia e staccando le spalle dal muro. 
Dinanzi a lui, una nuova trappola mortale andava preparandosi, una da cui, stavolta, non gli sarebbe stato possibile evadere. 
Ormai i ranghi erano serrati; tutti i criminali superstiti, disposti a formare un ampio arco, lo avevano completamente accerchiato; ognuno di loro teneva le armi bene in vista, e tutti erano chiaramente intenzionati a porre fine alla sfida una volta per tutte.
Abbandonata la posa rilassata, ma non l'atteggiamento bonario, il metamorfico eroe mosse qualche passo in avanti; pur tenendo a freno le loro emozioni, il trasformista poté intuire il nervosismo dei delinquenti da alcuni piccoli segnali come, ad esempio, lo sbiancare delle nocche di molti di loro, mentre le mani si stringevano convulsamente  attorno alle impugnature dei numerosi oggetti contundenti.
"...non sono IO ad essere rinchiuso qui dentro con VOI..." 
Di scatto, come un solo uomo, i novantacinque evasi  (ultimi superstiti dei centoquarantasette ad aver preso parte a quello scontro) lanciarono un urlo belluino, per poi scagliarsi  in avanti per quella che essi sapevano essere la carica conclusiva i quella battaglia.
"...siete VOI ad essere rinchiusi qui dentro con ME!" concluse Beast Boy, celando a malapena l'incredibile eccitazione che l'uso di tale frase (letta anni prima da uno dei suoi fumetti preferiti) gli arrecava, prima di trasformarsi in quella che, a tutti gli effetti, costituiva la sua arma segreta.   
Anche stavolta, una raffica di vento travolse gli aggressori più vicini. 
Pochi riuscirono a distinguere con chiarezza la grossa creatura verde che, da un istante all'altro, parve emergere al centro di quel semicerchio; 
alcuni riconobbero la creatura dalla bizzarra forma della sua testa, pur non conoscendone il nome;
tutti capirono che, in qualche modo, il giovane eroe dalla pelle di giada li aveva, ancora una volta, messi nel sacco;
nessuno comprese come ciò fosse avvenuto.
C'è chi viene sconfitto dall'acume superiore dei propri nemici, chi vede la vittoria venirgli sottratta dalle superiori forze del nemico, chi causa la disfatta della sua stessa fazione a causa dell'eccessiva fretta nel voler porre fine ad un confronto... ed infine, vi è chi, malconsigliato dall'ignoranza e dalla troppa sicurezza, compie una serie di errori gravissimi, precludendosi ogni possibilità di trionfo.
Quest'ultimo fu il caso di quelle novantacinque persone. 
Poiché se infatti i farabutti si fossero fermati a riflettere, o avessero posseduto le giuste nozioni scolastiche, avrebbero probabilmente inutito che, fin dall'istante in cui lo scontro si era spostato dentro il centro commerciale, un decisivo fattore era venuto a cambiare, uno di importanza assai maggiore di quello della superiorità numerica: il campo di battaglia.
Pur non avendo, in termini di devastazione dei locali, nulla da invidiare alle strade esterne, il centro commerciale era un ambiente chiuso, al coperto, creato per invogliare enormi  folle, spinte dalla smania consumistica delle civiltà occidentali, ad entrare e rimanere, creando le condizioni ideali per un lungo soggiorno ... e, di conseguenza, fornito di un eccellente impianto di riscaldamento.  
In pratica, quello era l'unico ambiente in cui un Parasaurolophus avrebbe mai potuto sopravvivere al freddo invernale. 
D'un tratto, un suono basso, grave e profondo si propagò all'interno del centro commerciale; le canaglie, colte alla sprovvista, si ritrovarono a sbandare o accasciarsi al suolo, mentre invisibili onde infrasoniche, potenti abbastanza da stordire un T-Rex, si abbattevano su ognuno di loro, travolgendo implacabili non solo i timpani, ma l'interezza dei corpi dei malcapitati.
Qualcuno tentò di reagire, ma il secondo urlo infrasonico abbatté ogni resistenza. 
Disorientati, confusi, in preda a forti nausee e capogiri, gli sventurati non si accorsero che il dinosauro dalla strana cresta era di colpo scomparso, lasciando posto ad un agile puma. 
Con le sue scattanti zampe il felino si scagliò in avanti, eliminando quasi per intero la distanza tra sé e i suoi nemici in un secondo. 
Quasi.
Giunto a circa un metro e mezzo dai delinquenti, ancora incapaci di reagire, il leone di montagna estrasse i suoi artigli retrattili e, affondandoli nel pavimento scivoloso, compì una  difficile sterzata a centottanta gradi. Mentre tale acrobazia veniva compiuta, il corpo del predatore parve come sciogliersi per un tempo pari ad un battito di ciglia; una nuova raffica di vento, e stavolta fu la muscolosa, lunghissima coda di un Tenontosaurus a travolgere gli inermi delinquenti, abbattendoli   al primo passaggio come tessere del domino; quando la creatura riuscì ad arrestare la rotazione, vide con soddisfazione che i ranghi avversari erano stati decisamente sfoltiti. 
Ora solo una trentina di persone si ergeva, sorretti da gambe tutt'altro che salde.
'Molto bene, il più è fatto! Ora vediamo di concludere in bellezza!'.
Ancora una trasformazione ed il rettile svanì, sostituito da un alce comune (Alces alces alces).
Caricando a testa bassa, il possente cervide si lanciò all'attacco, travolgendo, uno dopo l'altro, una decina di bersagli con i suoi ampi palchi palmati. 
Due malviventi, tentando di vincere lo stordimento, si lanciarono verso il mammifero verde, brandendo ciascuno un'ascia; l'animale, scorgendo il pericolo, si voltò rapidamente, portando a segno un doppio calcio con i suoi ampi zoccoli.  
Entrambi si accasciarono a terra, gemendo: il più basso dei due aveva ricevuto un duro colpo allo stomaco... il secondo, più alto e meno fortunato, era stato colpito in mezzo alle gambe.
Gli altri, in un tentativo dettato dalla disperazione, si gettarono tutti insieme sul grosso erbivoro; tuttavia, prima di poter giungere nelle immediate vicinanze, questi divenne un enorme  quadrumane verde, simile ad un gorilla, ma alto tre metri .
Fu una fortuna, per gli ex carcerati, essere ancora in preda a forti fitte di nausea; essi erano talmente presi dal tentativo di non riversare il contenuto dei propri stomaci su pavimento da non accorgersi dell'ombra minacciosa che si stagliava su di loro. 
Una vaga sensazione di aver ricevuto una badilata, questo fu tutto ciò che essi riuscirono a percepire, prima che le possenti braccia di un gigantopiteco (Gigantopitecus Blacki) li centrassero, inviando le loro coscienze nel mondo dei sogni.
Per alcuni secondi, il preistorico gorilla si guardò intorno, esaminando il campo di battaglia; quando i suoi sensi confermarono che non era rimasto alcun avversario a sfidarlo, la monumentale scimmia si drizzò sulle zampe posteriori e, battendosi con gli enormi pugni il vasto torace, lanciò un urlo di trionfo.
Dopo un respiro profondo, Beast Boy tornò al suo aspetto umanoide, concedendosi di  crollare su una panca poco distante, in modo da chiarire le idee e riprendere le forze; pur essendosi da tempo abituato al dolore che esse causavano, eseguire tutte quelle trasformazioni, in un lasso di tempo così breve, lo lasciava sempre alquanto stordito.
Mentre le sue membra riacquistavano lentamente vigore, il ragazzo si guardò attorno, incapace di credere alla scena.
Aveva funzionato. Aveva funzionato davvero!
Per quanto folle potesse essere sembrato, quando gli era passato per il cervello la prima volta, il suo piano aveva funzionato!
Una volta intuito che, in un campo dove il clima limitava drasticamente il suo potere, le sue speranze di sottomettere quella indemoniata marmaglia in un tempo utile erano assai scarse, Gar Logan aveva optato per attrarli tutti in un luogo chiuso, dove finalmente gli sarebbe stato possibile mettere in atto delle più elaborate strategie. 
Il maggiore punto debole di tale piano risiedeva nel fatto che, considerata la sua reputazione di Eroe di Serie Z, i malfattori potessero perdere interesse e cessare di inseguirlo. 
L'unica soluzione a tale problema, per quanto assurda, era quella di rallentare la propria corsa, attendendoli, provocandoli di continuo con un atteggiamento talmente presuntuoso che persino i suoi amici avrebbero trovato impossibile da sopportare.
'Se mai un giorno Rita dovesse venire a saperlo, mi tirerebbe il collo...' pensò l'ex patroller, immaginando la reazione di Elasti-Girl alla notizia che suo figlio adottivo aveva messo a rischio la sua vita in maniera così sconsiderata. 
E, in cuor suo, il ragazzo non avrebbe potuto darle torto; di occasioni per ucciderlo, ai delinquenti, egli ne aveva fornite fin troppe.
Ma, grazie anche ad una fortuna insolitamente generosa con lui, la sua tattica aveva funzionato, portandolo a trionfare senza un graffio. 
Rimettendo ordine nelle proprie idee, Gar Logan portò la mano alla cintura, estraendone il suo comunicatore. 
Vincendo la tentazione di contattare subito le sue due compagne di squadra, in modo da assicurarsi delle loro condizioni, il trasformista pigiò il tasto per le chiamate d'emergenza, sperando che un qualunque membro delle forze dell'ordine fosse rimasto in ascolto. La cosa era assai improbabile, considerata la situazione nelle strade, ma valeva la pena tentare; pur mettendo fuori gioco ogni singolo ricercato, se non si provvedeva in qualche modo a rinchiuderli o contenerli, la battaglia non sarebbe mai giunta al termine.
"Qui è Beast Boy, dei Teen Titans. Qualcuno mi riceve?"
Dopo una decina di secondi, in cui il neoleader iniziò meditare sulla prossima mossa da compiere, una voce risuonò dall'apparecchio.
"Qui è l'ispettore Ralph Gordon che parla. Come possiamo esserti d'aiuto, Beast Boy?"
Ringraziando il cielo per quell'insperato colpo di fortuna, Gar Logan riprese a parlare.
"Salve a lei, ispettore. Volevo informarvi che mi sono imbattuto in alcuni dei vostri evasi. Dato che a nessuno di loro piaceva l'idea di fare dietro-front, abbiamo avuto una... piccola discussione. Comunque, ora le acque si sono calmate; potete venire a raccoglierli, se vi va. La maggior parte si trova nel Californian MegaShop, ma dovrebbero essercene molti anche tra Lincoln Avenue e Treasure Street.".
"Di quanti criminali stiamo parlando, grosso modo?" chiese l'ufficiale 
"Beh, non mi sono fermato a contarli, però... direi più di cento." 
Ralph Gordon parve esitare, e il trasformista ebbe la spiacevole impressione che l'ispettore stesse soppesando se credere o no che Beast Boy, noto anche come 'la mascotte dei Titans', potesse aver davvero avuto la meglio contro un simile esercito. 
"La situazione è complicata, giovanotto" rispose infine Gordon, decidendo alla fine che il suo giovane interlocutore stava dicendo la verità "La maggior parte delle strade è in preda al tumulto; abbiamo centinaia di segnalazioni al minuto e, come già dovresti sapere, il resto del tuo team si sta occupando dell'evacuazione dei civili.  
Inoltre, data l'inagibilità delle carceri, siamo stati costretti  a rinchiudere tutti quelli che abbiamo fermato nei magazzini del porto... a meno che non sia assolutamente necessario, non credo di poter mobilitare i mezzi per trasportare una moltitudine del genere." concluse il poliziotto.   
Imprecando a mezza boca, Beast Boy ssi guardò attorno, cecando di trovare una soluzione al problema. Casualmente, i suoi occhi si posarono su un uomo che, a giudicare dal tatuaggio sul braccio sinistro, apparteneva anch'egli alla banda degli Hell's Vipers.
"Non so se può farle cambiare idea, ma... tra questi simpatici gentlemen c'è anche un tipo che  amava urlare il proprio nome; un certo Don Miguel March, di San Diego, se non sbaglio... Questo può essere un buon motivo per inviare qualche agente a fare un po di raccolta?" chiese Logan, sperando di avere avuto l'intuizione giusta
"Hai detto Miguel March?!!" urlò di rimando l'ufficiale, costringendo il Titan ad allontanare da sé il trasmettitore dalle sue sensibili orecchie "Il capo degli Hell's Vipers di San Diego?!"
"Ehm, si proprio lui... Perché, è davvero un pezzo grosso, come amava ripetere?!" domandò incuriosito il teenager smeraldino.
"Se è un pezzo grosso?! Dannazione figliolo, perché non mi hai detto subito che era li?!
Quell'individuo è uno dei dieci criminali più pericolosi della California! Lui e la sua banda sono a capo del narcotraffico dell'intero stato, e lui è personalmente indagato pe almeno una ventina di delitti! March e i suoi luogotenenti erano stati rinchiusi qui in segreto, in attesa del processo, per evitare che i loro compari li liberassero... Vedrò di inviare sul posto una decina di trasporti, a qualunque costo; quel miserabile non deve svignarsela, per nessun motivo! Ottimo lavoro, figliolo, da qui ce ne occuperemo noi. Passo e chiudo."
Soddisfatto del risultato, Beast Boy decise che il tempo del riposo era finito. Stando alle parole di Gordon, le ragazze si stavano ancora occupando dell'evacuazione, il che significava che stavano bene entrambe. 
Rialzandosi, si avviò verso l'uscita, sapendo che, dopo na simile batosta, nessuno dei criminali avrebbe potuto rialzarsi tanto presto.
Prima di varcare nuovamente la soglia del centro commerciale e tornare sulle strade, dove ulteriori sfide lo attendevano, forse perfino più impegnative e pericolose, le orecchie da elfo di Gar Logan parvero captare il suono di una voce umana; temendo un nuovo attacco, l'eroe si volse, osservando ancora una volta il suo operato. 
Decine e decine di avversari, sconfitti ed umiliati, giacevano a terra, svenuti ed indifesi; tuttavia, tra di essi ve ne era uno che, spinto forse dal desiderio di evitare la cattura, o forse dal semplice desiderio di vendicare il proprio ego ferito, tentava faticosamente di trascinarsi verso un'uscita di emergenza.
Bastò un'occhiata al ragazzo zannuto per identificare l'uomo: si trattava di Miguel March.
Il manigoldo strisciava scompostamente, usando la sola forza del braccio sinistro, mentre il destro, forse rotto, giaceva inerte lungo il corpo. 
Anche la sua gamba destra  pareva in pessime condizioni, obbligando quell'uomo, che pochi minuti prima si era vantato della propria invincibilità, a strisciare pietosamente sul pavimento del centro commerciale, in mezzo ai suoi compagni caduti, come il più infimo dei vermi.
La sua avanzata, tuttavia, ebbe presto fine, quando un paio di gambe, avvolte in un costume bianco, si pararono tra lui e la sua meta.
Inconsciamente, Beast Boy non poté evitare di sentirsi in colpa, sapendo che quelle ferite dovevano essere state inferte dalla sua coda di tenontosauro. 
"Ookaaay... Ascolta, amico: per quanto ammiri la forza di volontà e tutto, ti conviene darti pace. 
Sei stato centrato da una scarica di infrasuoni a breve distanza: il tuo cervello è ancora sottosopra, e forse anche qualcun'altro dei tuoi organi interni; sforzarti in questo modo non farà altro che peggiorare la situazione. 
Credimi, la cosa migliore che puoi fare ora, assieme agli altri, è stare giù ed aspettare che arrivino i poliziotti; loro provvederanno a farvi avere le cure mediche che vi occorrono.".
"Togliti... togliti di mezzo, mostro..." ansimò l'ispanico ai suoi piedi, riprendendo a muoversi, tentando di agirare l'ostacolo. Aggrottando la fronte, Beast Boy rimase fermo sul posto.
"Senti, sto solo cercando di essere gentile, amico. Rassegnati, so che è dura, il 'peso della sconfitta' e tutto il resto... hai fatto del tuo meglio, ma è finita: hai perso, per cui ora te ne torni in galera."
Dato che le sue parole parvero non sortire alcun effetto,  Logan si portò una mano alla fronte, sospirando di frustrazione. Tramutandosi nuovamente in un gigantopiteco, afferrò per una caviglia l'uomo, per poi trascinarlo indietro, verso gli uomini svenuti. 
Ribaltato con prudenza il suo prigioniero sulla schiena, la scimmia raccolse da terra una prolunga, parte di una decorazione luminosa distrutta, con cui legò ciascuna gamba dello sboccato a quelle di un altro criminale, di taglia considerevolmente superiore; quindi, tornando alla forma umana, il giovane si assicurò di porre fuori dalla portata del vecchio ribaldo ogni oggetto tagliente.
Per tutta la durata dell'operazione, una lunga serie di imprecazioni in spagnolo riempì il silenzio della sala; sembrava quasi che gli unici muscoli del corpo di Mike March a non  risentire della fatica fossero quelli della lingua.
"Stramaledetto... insignificante... miserabile mostro!" ansimò il criminale, riprendendo fiato, tentando di ignorare il dolore e , al contempo, dare sfogo all'odio che in quel momento lo dilaniava.
 " Tu... tu non puoi...tu non puoi fare questo a me!"  Poi, raccogliendo fiato, spinto dalle sole energie che la sua arroganza gli conferiva, egli continuò a riversare la sua malevola diatriba su colui che, dopo averlo sconfitto, ora lo condannava a tornare in carcere. 
"Hai una vaga idea di chi hai davanti? Io sono Miguel March, capo degli Hell's Vipers, la banda più potente dell'intera San Diego! Hai una vaga idea di quanta gente ho ammazzato?! Sai che fine hanno fatto, tutti quelli che si sono messi contro di me?!
Io...io sono un uomo, un vero essere umano, mentre tu... tu e il resto dei tuoi amici... siete solo dei fenomeni da baraccone, degli scherzi della natura! E tu... tu non sei altro che un animale! Non puoi avere la meglio su di me!" sbraitò il malfattore, gli occhi iniettati di sangue, spruzzando saliva dalla bocca, incapace di accettare la realtà dei fatti: lui, il più temuto tra i capibanda di San Diego, ora si ritrovava a terra, pesto ed indifeso... umiliato da un abominio senza forma, una ridicola, malriuscita imitazione di un moccioso, un patetico supereroe di infima categoria... se la notizia si fosse diffusa nella sua città, March poteva dire addio alla sua reputazione, faticosamente costruita in tanti anni di malefatte.  
"Te la farò pagare!" gridò a fatica l'ispanico, tentando di rimettersi in posizione eretta, ma senza successo. 
"Quando uscirò di prigione - e puoi stare certo che lo farò!- verremo a cercarti! 
Io e la mia banda verremo a bussare alla porta di quella vostra ridicola torre, pesteremo a sangue te, il moccioso mascherato e il robot e, prima di ammazzarvi e dare fuoco a quella baracca, prenderemo quelle altre due ragazzine, obbligandovi a guardare mentr-" .
La frase non giunse mai al termine. 
Prima che la minaccia potesse essere proferita, una mano agguantò fulminea la gola del temuto boss e, con una forza insospettabile per un ragazzo tutto sommato esile, impedì al balordo di andare oltre con le sue rivoltanti parole.
In un istante, la furia omicida che aveva deformato i lineamenti facciali del capo degli Hell's Vipers venne rimpiazzata dalla sorpresa. 
Istintivamente, March afferrò, con la mano ancora funzionante, il polso del mutaforma, nel tentativo di allentare la stretta; con suo ulteriore stupore, non gli fu possibile spostarlo di un centimetro. 
Tenendo gli occhi chiusi e le dita solidamente avvinghiate attorno al collo, Beast Boy iniziò a stringere la trachea del manigoldo senza pietà, con la forza di una tenaglia. 
"Ora, vecchio miserabile, io parlerò e tu starai a sentire." 
Se March non si fosse trovato a vivere di persona quella terribile esperienza, non avrebbe mai creduto possibile che quella voce, fredda e penetrante come una lama di ghiaccio, potesse essere uscita dalla gola di un ragazzino che, poco prima, lo aveva profondamente irritato con il suo tono infantile e ciarliero.  
Prima che la sua mente potesse interrogarsi su tale, imprevedibile mutamento,le palpebre di Beast Boy si schiusero, e ciò che March vide in quelle pupille gli raggelò l'anima.
Per la prima volta nella sua vita da adulto, Miguel March, spietato criminale ed assassino incallito, ebbe paura per la sua vita.
Gocce di sudore freddo cominciarono ad imperlare la fronte del malfattore, mentre un terrore sconosciuto, mai provato in alcuna sparatoria o duello all'arma bianca, si impadroniva di lui, paralizzandogli le membra.
"Ascoltami bene, perché ho poco tempo e, francamente, non intendo sprecarlo con uno come te; non mi importa un accidenti di chi tu sia, di come ti chiami, da quale buco d'inferno tu sia strisciato fuori... 
Vedi di farti entrare questo, in quel sudicio ammasso che tu chiami cervello: io, un tizio verde, un supereroe di quarta categoria, un mostro -come tu e i tuoi amici mi avete chiamato dozzine di volte, oggi- ti ho battuto. 
Ho ridotto te, un boss di San Diego, e un centinaio di altri delinquenti tuoi pari, alla completa sottomissione; vi ho presi in giro, vi ho sopraffatti, ho fatto in modo che nessuno di voi potesse mettere le mani addosso a qualche civile innocente... eppure, lo sai qual è stata la parte più difficile, per me?".
Senza dare occasione alla sua vittima di fornire una risposta, Gar Logan avvicinò il viso a quello dell'uomo più anziano, ormai paonazzo per la carenza di ossigeno. 
Gli occhi del giovane incontrarono quelli del vecchio, e quest'ultimo non poté vedere nulla in essi, se non quella furia selvaggia, quel primordiale desiderio di sangue; era uno spettacolo terrificante, qualcosa a cui March non avrebbe mai creduto di poter testimomiare in tutta la sua turbolenta esistenza. 
"La parte più difficile, per me, è stata non uccidervi tutti. Fino .A. L'ultimo." sibilò la voce del mutaforma nell'orecchio dell'uomo. 
E in quelle parole, March non sentì alcuna ironia, presunzione o sarcasmo; non erano vuote ciance, pronunciate come un modo di dire, una battuta o una spacconata, ma una verità, semplice e chiara.
"Credi che romperti il braccio, scombinarti la testa e ridurti ad un lombrico strisciante sia stato faticoso, per me? Non me ne ero neppure accorto; avrei potuto fare peggio, molto peggio: potevo frantumare la tua colonna vertebrale, paralizzandoti a vita; potevo spruzzarti del veleno in faccia, privandoti della vista per sempre;  potevo ucciderti, senza alcuna difficoltà, in migliaia di modi diversi, facendo al mondo un regalo. Eppure, eccoci qui.
Tu mi hai definito un 'mostro'... sbagli di grosso. Quelli come te sono i veri mostri: per appagare il vostro patetico bisogno di sentirvi potenti siete disposti a rovinare le vite di innocenti, trovando piacere e gratificazione nel dolore e nelle lacrime di chi non può difendersi... ".
Per un attimo, l'espressione di Logan parve vacillare; un'ombra di quella che poteva sembrare ansia apparve sul suo volto, come se il ragazzo avesse intuito dove la rabbia rischiava di condurlo.
L'ex patroller inspirò profondamente, tentando di placare le violente sensazioni che in lui infuriavano, con la medesima forza di un mare in tempesta... 
Di solito, quando la rabbia offuscava i suoi pensieri, tale espediente si rivelava molto efficace. Ma non stavolta.
Stavolta, le cose erano molto diverse. 
"Mi date la nausea..." disse Beast Boy, scoprendo le zanne non in un sorriso, ma in un inquietante ringhio animalesco, 
"Mi hai anche chiamato 'animale', giusto? Sappi che, detto da uno del tuo calibro, lo prendo come un complimento; un animale combatte solo se gli è necessario per sopravvivere... un animale uccide solo se è costretto a farlo.  E voi, invece, per cosa combattete? Per cosa uccidete? Per soldi? Per il potere? Per quello che voi chiamate 'rispetto'?!"
Se è davvero così. allora non meritate nessuna pietà, perché non ne avreste concessa alcuna alle vostre vittime." la voce del giovane era ormai irriconoscibile, richiamando sempre più alla mente il ruggito di una bestia selvaggia.
"Voi -tutti voi!- non meritate di essere liberi... non meritate di vivere!". 
Con un gesto disperato, sentendo che la sua vita era ora in serio pericolo, Miguel March lasciò andare l'inutile presa al braccio verde, chiudendo poi la mano e cercando di sferrare un pugno al volto dell'eroe; quando le nocche distavano solo pochi centimetri dallo zigomo del giovane, il colpo si bloccò a mezz'aria; guardando in basso, anche con la vista annebbiata, il delinquente colse l'immagine del suo braccio, recante il temuto simbolo della sua banda, intrappolato dalla presa di un braccio verde, di gran lunga meno muscoloso... eppure, di gran lunga più forte.
"Puoi deridermi, insultarmi, definirmi patetico ed inutile... fa come ti pare, le tue chiacchiere non hanno la minima importanza, per me. 
Ma ricordati questo, e ricordalo bene: azzardati anche solo ad avvicinarti ai miei amici, alle persone che amo, direttamente o tramite uno dei tuoi tirapiedi e, te lo garantisco, io verrò a cercarti; non importa in quale discarica andrai a seppellirti, io seguirò il tuo fetore e, quando ti avrò tra le mani, l'ultima cosa che imparerai, in questa vita,  è quale sia la reale differenza tra chi ha a disposizione tutto il potere del regno animale ed un piccolo, insignificante uomo con un serpente tatuato sul braccio!" 
Non appena tali parole lasciarono le labbra del mutaforma, la forza della presa sul collo si dissolse... mentre la pressione, applicata sul polso con il simbolo degli Hell's Vipers, aumentò esponenzialmente.
Prima che Miguel March potesse tentare di sottrarre l'arto dalla stretta, implorare il ragazzo o anche solo urlare di dolore, un forte schiocco risuonò; con orrore, l'ispanico comprese che le ossa dell'avambraccio erano state spezzate, con una facilità pari a quella con cui un ramoscello secco viene accorciato, prima di essere gettato tra le fiamme. 
Un grido straziante riecheggiò nell'ingresso del Californian MegaShop, seguita dai singhiozzi di un uomo che, colto alla sprovvista, ora si ritrovava a sentire appieno tutta la tremenda agonia che i nervi del braccio stavano trasmettendo al suo cervello.  
"Ritieniti fortunato, Grande Capo... potrò non essere un umano, ma se c'è un vero mostro qui dentro, quello non sono io...".
Detto questo, il giovane Logan si alzò, abbandonando il capobanda alla sua sofferenza. Senza altro aggiungere, senza voltarsi, incapace di provare pietà per le urla strazianti dell'uomo o rimorso per ciò che aveva appena fatto, il mutaforma uscì dall'edificio. 
Non appena il vento freddo delle strade colpì la sua faccia, Beast Boy iniziò a trarre profondi respiri. Pur avvertendo l'odore dello smog in essa, la sensazione dell'aria fresca parve diffondersi dal suo petto, placando il suo animo.
Dentro e fuori... dentro e fuori...
Stavolta vi era andato vicino, molto vicino... troppo vicino. Sapeva perfettamente che, sebbene fossero state le minacce di quel ripugnante rifiuto umano ai suoi amici a ridestare il suo lato più feroce, solo il pensiero di cosa tutti loro avrebbero pensato gli aveva impedito di superare la linea che separava la giustizia dalla vendetta.
Dentro e  fuori... dentro e fuori...
Sarebbe bastato così poco per far si che quella carogna- che nessuno di loro potesse rialzarsi ancora... che nessun altro innocente dovesse temere per la propria vita o per quella dei suoi amati, a causa di quegli spregevoli individui.
Dentro e fuori... dentro e fuori... 
A quest'ultimo pensiero, Garfield sentì il sangue tornare a ribollirgli nelle vene, mentre il suo giudizio e la sua risolutezza parvero vacillare, rimpiazzati da un odio feroce: costoro avevano appena riottenuto la libertà, sebbene illegalmente; non vi erano più mura, ne sbarre a trattenerli, nessuna guardia che li sorvegliasse, nulla di nulla... potevano essere liberi, fuggire lontani, tornare a casa loro, dalle proprie famiglie, dai loro cari, perfino iniziare una esistenza completamente nuova... infinite possibilità si erano aperte dinanzi a loro, assieme ai cancelli della prigione.
Invece tutto quello che era passato per le loro menti perverse era stato il desiderio di armarsi e minacciare le vite di perfetti sconosciuti.
Dentro e fuori... dentro e fuori...
Le braccia iniziarono a tremargli, i pugni si serrarono con tale forza che, se non vi fossero stati spessi guanti ad avvolgere le mani, i verdi artigli sarebbero penetrati nella carne.  
Sarebbe stato così facile, tramutarsi ora in un qualunque predatore, provvisto delle armi adeguate e, approfittando della loro vulnerabilissima condizione, punirli per le loro malefatte passate e. al contempo, privarli della possibilità di compierne altre in futuro.
Avevano una vaga idea, tutti loro, di quanto autocontrollo il giovane giustiziere avesse dato prova, tenendo a freno la forza di ciascuna delle sue forme animali e sopprimendone gli istinti selvaggi?
E di quante volte, nel corso della cruenta battaglia appena conclusasi, il ragazzo zannuto avrebbe potuto assestare un colpo mortale? 
Uno dopo l'altro, tutti loro avrebbero potuto trovarsi schiacciati dalle zampe di un mammifero grande quanto e più di un mammut lanoso, essere trafitti dal corno di un rinoceronte, calpestati dagli zoccoli di un bisonte, dilaniati dagli artigli e dalle zanne di un carnivoro... e la candida neve si sarebbe tinta di rosso.
E, una volta attirati tutti nel palazzo, sarebbe stato di una facilità impressionante, scatenare su di loro la punizione del regno animale, del passato e del presente, senza alcuna restrizione... e il pavimento dell'edificio sarebbe divenuto il letto di un fiume di sangue.
Dentro e fuori... dentro e fuori...
Sarebbe stato davvero facilissimo, per il metamorfico eroe, ed avrebbe indubbiamente reso il suo compito più rapido e meno rischioso... ma a quale prezzo?
A  questa domanda, gli occhi del ragazzo parvero riacquistare la loro luce, mentre la calma tornava a purificare i suoi pensieri.
A cosa serviva schierarsi dalla parte dei deboli e degli indifesi contro i soprusi e i prepotenti, se poi egli stesso avese finito col cedere alla tentazione, assecondando i suoi istinti e scegliendo la via più facile?
Qual era lo scopo, per qualunque supereroe, di indossare quei costumi, nascondersi dietro a quelle maschere e quei nomi in codice, nel tentativo di far valere e diffondere i loro ideali di bontà e giustizia, se loro stessi avessero finito con il trasformarsi in ciò che sopra ogni altra cosa odiavano?
No, i Titans, così come ogni altro paladino in costume, non erano disposti a correre tale rischio; essi non avrebbero mai preso la vita di un nemico, consentendo al sangue di questo di sporcare le loro mani e alla sua corrotta essenza di avvelenare i loro cuori. 
Poiché se non era in loro potere evitare che l'umanità si estinguesse, morte dopo morte, uccisione dopo uccisione, vendetta dopo vendetta, travolta dalla sua stessa scellerataggine... che senso aveva avuto, per tutti loro, lottare e soffrire? E quale senso avrebbe avuto continuare a farlo?
Mentre tali domande affollavano la sua mente, il corpo di Gar Logan divenne quello di un gheppio, per la terza volta quel giorno.
Sapeva, ora con certezza, che March non sarebbe sfuggito, date le sue condizioni... e sapeva anche che, pur non potendo mai più dimenticare l'accaduto, egli non avrebbe osato rivelare, mai a nessuno, che la 'mascotte' dei Titans, dopo averlo sconfitto, lo aveva ulteriormente umiliato, facendogli conoscere la paura della morte.
E, senza più voltarsi indietro, egli lasciò quel luogo, sperando che nessuno dei suoi amici venisse a conoscenza di quella orribile, vergognosa verità.
 
Mentre il rapace si librava tra i palazzi di cemento, una strana, altissima figura incappucciata, nascosta tra le ombre di un vicolo, ne seguiva il volo con lo sguardo.
Avvolto da un cappotto grigio scuro, con il volto celato da un passamontagna nero e gli occhi dietro due spesse lenti scure, il misterioso individuo continuava ad osservare il gheppio verde allontanarsi, ma senza fare alcun gesto che indicasse l'intenzione di seguirlo.
Poiché, in verità, non ve ne era bisogno alcuno.
Costui, rimanendo nascosto alla vista e a tutti gli acuti sensi del giovane eroe, in modi che il mutaforma non poteva immaginare né tanto meno comprendere, aveva assistito all'intera battaglia del Titan dalla pelle di giada, dal suo tumultuoso inizio in Treasure Street fino al tetro epilogo nel centro commerciale.
E in questo modo, egli aveva avuto conferma di quanto, in cuor suo, già sapeva.
"Per quanto tu possa volare in alto, per quanto tu possa sfuggire alla realtà dei fatti... un giorno,  in un modo o nell'altro, essa ti raggiungerà." mormorò la misteriosa apparizione, la sua voce un freddo, malinconico sussurro.
Senza aggiungere altro, egli portò la mano al petto, afferrando il pendente argenteo con le sue quattro lunghe dita.
"Alla fine, sarà inevitabile...".
Voltandosi, il misterioso essere riprese la sua strada, addentrandosi sempre più nelle ombre, mentre l'eco dei suoi passi si faceva sempre più distante.
E di nuovo, nel vicolo regnò il silenzio.

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Capitolo 29
*** Il segreto teatrino di un burattinaio senza volto -parte 1- ***


NdA 
Ok, lo ammetto, l'ultima volta che ho cercato di postare questo capitolo vi erano dei vuoti clamorosi... me ne vergogno ancora, a distanza di giorni, e presumo che molti di voi si siano chiesti se per caso vi stessi prendendo in giro.
Posso solo dirvi che mi dispiace e, ovviamente, che cercherò di evitare simili sviste in futuro. 
Spero apprezziate ciò che ho scritto e sappiate che, qualunque cosa accada, sono deciso a completare la storia... Solo, come spesso accade a molti autori ( di gran lunga più abili ed esperti di me, oserei aggiungere) la vita tende a mettermi i bastoni tra le ruote e tra le mani, impedendomi di scrivere come e quanto vorrei fare davvero.
Attendo, come sempre, critiche e commenti costruttivi e, mentre alzo il sipario, auguro a tutti voi Buona Pasqua!!! 


Molte sono le cose che, consapevolmente o meno, una persona adulta tende ad invidiare
ad un bambino.
Il primo pensiero, come è ovvio, va al tempo trascorso; chi mai potrebbe, abbandonando ogni pretesa di superiorità intellettuale, affermare con assoluta sincerità di non avere mai, nemmeno una volta, desiderato che le sottili, inarrestabili lancette del proprio orologio biologico si fermassero e, caritatevolmente, iniziassero a marciare nel verso opposto, in modo da ritornare all'epoca dell'ormai perduta fanciullezza?
Per alcune persone si tratta di pura vanità; tanto gli uomini quanto le donne, sono tanti quelli che, rimirando sé stessi in uno specchio, tendono ad invaghirsi narcisisticamente dell'immagine proiettata sulla superficie riflettente, arrivando a considerare la propria bellezza come il più prezioso dei tesori; pertanto, essi non potranno fare a meno di notare, con occhi ricolmi di ansia ed amarezza, gli inevitabili effetti che l'invecchiamento lascerà su i loro adorati volti, anelando di tornare al tempo in cui gli anni davanti a sé erano molto più numerosi di quelli vissuti.
La maggior parte, semplicemente, invidia il fatto che sulle spalle di un bambino non sia ancora stato posto nessuno di quei pesanti fardelli che la vita, in un modo o nell'altro, tende ad accumulare, uno dopo l'altro: le responsabilità.
Quando si è giovani, i pensieri e le preoccupazioni degli adulti appaiono prive di importanza: dallo scegliere il giusto tipo di studi universitari al conseguire una laurea, dal cercare un lavoro in grado di fornire un adeguato sostentamento economico ad ottenerlo, dal trovare la forza di lasciare la casa dei propri genitori a traslocare in una nuova residenza... 
Tanti, troppi sono i passi da compiere, prima che una persona, lasciandosi progressivamente alle spalle l'adolescenza, possa giungere a definirsi a pieno titolo un 'adulto indipendente'... e molti altri, ben più difficili, dovranno essere compiuti, prima che lui o lei riesca ad accettare tale necessaria transizione.  
Talvolta, ciò che invece riempie di angoscia i cuori dell'uomo è la crescente consapevolezza che, con il susseguirsi dei giorni, arriverà il momento in cui, uno dopo l'altro, coloro che hanno trovato un  posto nel suo cuore se ne andranno tutti; è infatti inevitabile che un giorno, quasi sempre senza alcun segnale premonitore, una persona cara si spenga, lasciando un vuoto che nulla e nessun'altro potrà mai realmente colmare. Che si tratti di un amicizia, di un amante o di un parente, nel preciso istante in cui tale figura abbandonerà i suoi affetti, lui o lei lascerà un abisso incolmabile, destinato forse ad affievolirsi, ma mai a colmarsi.
Ma l'addio più temuto, quello più doloroso e sconvolgente, è di certo quello di un amato genitore: agli occhi di un bambino, il padre appare come l'uomo più forte al mondo, mentre la madre è la personificazione della bellezza e dell'affetto; essi sono sempre stati coloro che, fin dal primo respiro, hanno vegliato sulla salute e la sicurezza della propria progenie, vedendo in questa non soltanto una prova tangibile del loro passaggio sulla Terra, ma anche e sopratutto il frutto di quel reciproco sentimento che, in passato, li condusse ad intrecciare i loro destini. 
L'idea stessa che i loro occhi debbano chiudersi un'ultima volta, per poi non riaprirsi mai più è, dal punto di vista di qualunque figlio, una realtà inconcepibile, inaccettabile... e, ciononostante, inevitabile.

Tuttavia, pochi sono quelli che capiscono quale sia la cosa più preziosa ad andare persa, quando cala il sipario sulla fanciullezza, primo atto della caotica recita dell'esistenza: l'inestimabile virtù dell'autentica innocenza.
Non esiste infatti una persona che, avendo vissuto abbastanza a lungo da conoscere, in maniera diretta o meno, il lato infido e maligno dell'animo umano, riesca poi a vedere il mondo sotto la medesima luce in cui lo vedeva nei suoi primi anni di vita.
Agli occhi di un bambino, la cui infanzia non sia stata sconvolta da un evento traumatico, la vita si manifesta nella sua forma più pura e genuina; il mondo intero appare come un luogo immenso, ricco di luoghi da esplorare, persone da conoscere, misteri da svelare, esperienze da vivere...  
Non esistono ancora le rigide barriere che la società impone al comportamento ed al pensiero, non vi è alcun limite alle possibilità, non vi sono ipocrisia o meschinità, poiché concetti come menzogna, crudeltà o egoismo sono soltanto vuote parole, incapaci di tracciare il sentiero di un individuo.
L'avidità, il desiderio di potere, l'ingordigia, l'arroganza... nulla più che complicate, vuote, altisonanti ed insensate accozzaglie di lettere, prive di qualunque autentico valore. 
Ciò che davvero conta, agli occhi di un bimbo, non è il passato, né tanto meno il futuro, ma il presente, con le sue Infinite possibilità.
Ogni direzione può essere percorsa, nessun sogno è troppo assurdo , nessun limite esiste, non vi sono dubbi, incertezze o responsabilità...
Posto nelle piccole mani di un bambino, la cui mente non sia stata plagiata da sterili ideali consumistici, il più banale giocattolo può stimolare la fantasia, portandolo ad immaginare realtà meravigliose, dove tutto è possibile. 
 
Ma l'innocenza, come ogni cosa, possiede due facce: se infatti è vero che tale virtù offre la possibilità di osservare il lato luminoso del mondo, carpendone la più pura ed autentica bellezza, essa scaturisce indubbiamente dalla mancanza di esperienze dolorose che, per quanto triste sia a dirsi, tendono a formare il carattere ed indurire l'animo. 
A meno che non un individuo sia incapace di farlo, o che tali esperienze siano venute a costargli la sua stessa vita, è solo attraverso tali insegnamenti, appresi col succedersi degli sbagli, che egli potrà davvero crescere, giungendo a definire la sua vita completa.
Quando l'esperienza viene a mancare, potrebbe forse essere possibile preservare intatta l'infantile purezza ma, allo stesso tempo, si corre il grave rischio di conservare la medesima ingenuità. 
Per fare un esempio, osservato con gli occhi dell'infanzia, un teatrino dei burattini diviene un mondo a sé stante, ricco di colori e suoni, di cui le piccole comparse sono gli abitanti che, per la gioia di un pubblico sempre diverso, hanno deciso di condividere le proprie strambe vicende ed innocenti drammi, allietando lo spirito di molti sconosciuti fino a quando, dopo i saluti e gli inchini, il sipario cali su di loro. 
Poi, il giorno dopo, i simpatici burattini torneranno a danzare ancora, e di nuovo il giorno dopo, e così il successivo, tutto per la felicità di nuovi spettatori... in eterno, sempre sorridenti e spensierati, 
Ma il fatto che tale sia il modo in cui un bimbo vede una marionetta, non implica che ciò corrisponda alla realtà dei fatti...
Anche se i fanciulli, seduti nelle platee, osservano ed applaudono i graziosi pupazzetti come se si trattasse di creature viventi, ciò non significa che ai fantocci sia stato concesso, nemmeno in quei pochi attimi, il diritto di vivere;
 anche se le giovani pupille non vedono i lunghissimi, sottili fili che si avvolgono attorno i polsi e le caviglie dei fantocci, ciò non toglie il fatto che essi vi sono, imprigionando le marionette e forzandone i gesti, negando loro il dono della libertà e del libero arbitrio;
 anche se nessuno degli spettatori può scorgere il marionettista, celato tra le ombre dietro il palco di cartapesta, ciò non significa che egli non sia lì, intento a tirare i fili, dando voce ai suoi attori, manovrando le sue inanimate comparse, unico a poter decidere se le loro storie debbano divertire ed intrattenere, procedendo sui binari della commedia, o gettare nello sconcerto e nell'angoscia il pubblico, assumendo i toni della tragedia.
Quali che siano i desideri degli spettatori, infatti, a nessuno di loro è possibile influire direttamente sull'evolversi delle vicende rappresentate, e neanche agli attori, direttamente coinvolti... tale facoltà spetta solo al burattinaio. 
A lui soltanto è consentito dare uno scopo, una direzione, un senso all'esistenza dei burattini, donando loro la funzione di intrattenitori, strappandoli alla sorte di meri giocattoli umanoidi... 
Ma egli può anche stabilire, in base agli applausi di incoraggiamento o ai fischi di sdegno, se conservare una precisa linea narrativa sia o meno cosa saggia... e in quel momento, quando le emozioni del pubblico raggiungono il culmine dell'intensità, egli diviene simile ad un dio, poiché tra le sue abili dita, intente a sostenere e muovere con destrezza i vari fili, egli avrà persino il potere di controllare le emozioni degli astanti, rendendoli inconsapevolmente parte della messinscena... trasformandoli in sue nuove, inconsapevoli marionette, grazie all'innocenza e all'ingenuità che, alterando la percezione della realtà soggettiva, divengono gli appigli perfetti a cui i fili si avvolgeranno, sottomettendoli.
Tutto ciò, ovviamente, solo se nel caso in cui il marionettista sia eccezionalmente abile...
 
E fu così che, in una fredda sera del mese di Gennaio, nel continente americano, in quelli che gli abitanti del pianeta conoscevano come Stati Uniti d'America, miriadi di invisibili fili vennero diramati da un astuto, spietato burattinaio senza volto.
Costui, sfruttando i desideri e le speranze degli innocenti, così come le ambizioni e la mancanza di scrupoli dei colpevoli, trasformò il mondo intero nel suo palcoscenico, dando inizio ad una terribile messinscena, densa di inganni, illusioni e tradimenti...  una da cui nessuno di loro poteva più sottrarsi.
Celebri ed ignoti, ricchi e poveri, pavidi e coraggiosi, eroi e criminali... anche se nessuno se ne era ancora avveduto, a partire da quella sera ciascuno si ritrovava intrappolato, senza possibilità di fuga, nel ruolo che lui aveva loro assegnato.
A onor del vero, gli eventi avevano avuto inizio molto tempo prima della sera in cui, credendo di compiere il proprio dovere e far trionfare la giustizia, i giovani e coraggiosi Teen Titans avevano posto fine ad un tentativo di rapina, iniziato nella loro città, una domenica sera, alle ore 21:00 e terminato alle ore 21:36. 
Eppure, in quei trentasei insignificanti minuti, i Titans non riuscirono ad intuire che, come era avenuto ai delinquenti da loro sconfitti, ora le stringhe di quell'oscura volontà si erano avvinghiate loro, rendendoli non solo una parte indispensabile di quel folle teatrino, bensì  i suoi protagonisti.
Per quanto assurdo possa suonare, quella pericolosa farsa non fu null'altro che la cosidetta 'Prova Generale'.
Fu solo quando, dalle attrezzature confiscate ai ladri ed affidate alla polizia, emersero due piccoli, sofisticatissimi droidi, ideati e costruiti da quella tenebrosa entità, l'autentica recita poté finalmente avere inizio.
Fu allora che i sottili lacci cominciarono ad estendersi appieno,insinuandosi ovunque, giungendo a toccare ed incatenare tutti gli uomini e le donne che, senza saperlo né accettarlo, erano stati scelti per ricoprire tutti gli altri ruoli: comparsa, antagonista, sostenitore... e perfino il ruolo di spettatore.  
In un luogo ignoto, situato al di fuori del tempo e dello spazio, inaccessibile a quasi ogni essere vivente della Terra (e forse, dell'Universo intero), la strana e misteriosa figura di Kelden l'Alchemico vagava, rimuginando in silenzio i suoi propositi e i suoi obiettivi. 
Egli procedeva, con incedere dritto e sicuro, in quel luogo dall'apparenza tanto tetra, mentre
Il rumore dei suoi passi riecheggiava attorno a lui, mentre i suoi stivali si alternavano nel calpestare il pavimento, costituito di lucida pietra nera, di quello che appariva come un interminabile corridoio.
Per quanto si sforzasse la vista, non era possibile scorgere né dove quella strana sala aveva origine, né dove essa terminava... e neppure se effettivamente un inizio o una fine esistessero.
Lungo le pareti dello sconfinato andito, largo circa due metri, vi erano quelle che, a prima vista,apparivano come delle comuni porte di legno, dai pomeli in pietra bianca; ciascuna era posta ad una distanza di un metro l'una dall'altra. 
Le porte, così come il corridoio, sembravano non avere mai termine, susseguendosi l'una all'altra fino ed oltre la linea dell'orizzonte. Tutte apparivano perfettamente identiche, tranne per un particolare: su ciascuna era posta, incastonata nel centro, una argentea placca pentagonale; ognuna recava, incisa lungo i lati, un'iscrizione, tracciata in stranissimi, indecifrabili ideogrammi, rossi come sangue.
Anche i muri erano composti di pietra, ma di un colore azzurro vivo, molto simile a quello delle acque marine più limpide; numerose screziature grigio perla attraversavano l'azzurro delle pareti, creando intricate e misteriose figure; osservandole da vicino, a lungo e con attenzione , era possibile notare quelle perlacce linee muoversi, separandosi e riunendosi,  intrecciandosi e sciogliendosi a vicenda, incessamentemente creando nuove, variegate trame.
Sul soffitto, del medesimo nero del pavimento, erano incastonati innumerevoli globi di cristallo, da cui irradiava una fredda luce bianca; in qualche modo, rimirando quegli strani oggetti, focalizzando l'attenzione sulla pulsante, silenziosa luce che dal loro interno aveva origine, si poteva percepire che l'energia a scorrere in esse non poteva essere semplicemente fuoco o elettricità.  
D'un tratto, l'individuo fermò i suoi passi. Voltandosi verso destra, lo sguardo dell'Alchemico ricadde su una delle porte. Senza una parola, l'essere dalla maschera bicromatica si portò dinanzi a quella prescelta e, dopo aver portato la mano destra sul pomello bianco, toccò con la sinistra il pentagono metallico; per alcuni secondi, le incisioni presero a brillare di una luce scarlatta, dando l'illusione perfetta di una fiamma ardente. Poi, dopo che le dita ebbero lasciato la placca argentea, l'altra mano girò il pomello di novanta gradi in senso orario. Con uno scatto, la porta si aprì, consentendo al suo padrone di varcare la soglia.
La stanza in cui Kelden entrò era completamente differente da quella che un estraneo, osservando l'ingresso dall'esterno, avrebbe potuto aspettarsi: si trattava di un locale molto ampio, di forma circolare, dalle pareti di metallo; non vi era traccia alcuna di porte o finestre, o di un qualunque altro ingresso, oltre a quello appena usato dalllo stesso Kelden; nel pavimento e nel soffitto, vi erano incastonate delle strisce luminose, composte in qualche materiale trasparente, irradianti una fredda luce bianca.
Queste ultime formavano, partendo dal centro della sala, il disegno di un enome decagono regolare,  i cui vertici erano stati sostituiti con dei cerchi; ognuno aveva un diametro di un metro e mezzo ed era unito, tramite una linea retta, ad un altro cerchio, formando un secondo decagono, grande il doppio del primo. 
Strane iscrizioni, simili a quelle incise sulla porta, percorrevano interamente i lati delle figure geometriche.
Al centro esatto di tale formazione vi era una piccola piattaforma, grande quanto i cerchi circostanti, ma leggermente sopraelevata rispetto al resto del locale:  forma e colore di tale ripiano erano l'esatta copia del disegno sulla metallica maschera dell'Alchemico.
Molte erano le stranezze in quel luogo che, agli occhi di un osservatore attento, sarebbero subito apparse chiare:
tanto per cominciare,pur essendo la sala larga ben più di quattro metri, non vi era traccia alcuna degli innumerevoli ingressi incontrati nel corridoio;
le pareti della stanza non erano composte da lastre di metallo, saldate o avvitate insieme, creando invece un'omogenea superficie, priva di qualunque tipo di prese d'aria, quasi come se l'intera struttura fosse stata scavata in un unico, gigantesco blocco di metallo;
ma ciò che probabilmente sarebbeapparso più inspiegabile era il fatto che la porta che l'Alchemico si richiuse alle spalle, contrariamente a quella usata per accedere a quel luogo, non era affatto una semplice porta di legno con un pomello, bensì una spessa lastra di acciaio.
L'unico elemento in comune che i due surreali ambienti potevano vantare era la presenza, al centro di ambedue le porte, di una identica placca argentea pentagonale. 
Senza soffermarsi neanche un secondo a rimirare quell'insolito, suggestivo spettacolo, Kelden l'Alchemico attraversò la stanza, portandosi al centro della piattaforma scarlatta.
"Ed ora, che tutto abbia finalmente inizio." disse la creatura dagli occhi bianchi, rompendo il proprio silenzio.

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Capitolo 30
*** Il teatrino segreto di un burattinaio senza volto - parte 2- ***


"Ed ora, che tutto abbia finalmente inizio."
 
Il ripiano pentagonale iniziò a billare, e così l'area immediatamente soprastante; improvvisa come un fulmine a ciel sereno, una colonna di luce si levò dal pavimento, mentre simultaneamente un identico fascio luminoso discese dal soffitto. 
Quando le due emanazioni si scontrarono, l'alta, maestosa figura di Kelden l'Alchemico venne avvolta da una spettrale aura sanguigna.
Subito dopo ad accendersi furono cinque dei cerchi bianchi, posti agli angoli del decagono centrale, dando origine ad altrettante colonne, bianche come neve; ben presto, al centro di questi appariscenti costrutti iniziarono a prendere forma cinque corpi. 
Nel giro di pochi secondi, cinque sagome umanoidi si ergevano al centro dei cerchi.
Nascosto dietro la maschera metallica, lo sguardo di Kelden studiò con cura e rapidità  ognuna delle suddette apparizioni, valutandole in silenzio.
Partendo dalla sinistra, la prima immagine era quella di una giovane, attraente donna, dalla pelle chiara, corti capelli rossi e penetranti occhi azzurri; alta circa un metro e settanta, indossava un'aderente tuta viola, che metteva in risalto le sue seducenti curve, con guanti e stivali grigio ferro; alla cintola portava una cintura, anch'essa grigia, a cui erano agganciati una fondina e svariati comparti. Situati sul costume spiccavano numerosi  dischi metallici di differenti dimensioni. 
Procedendo verso destra, la seconda figura, dall'aspetto assai più intimidatorio, era quella di un uomo dal fisico atletico, di circa un metro e ottanta; il suo corpo era interamente celato da una strana corazza nera, dai cui avambracci e caviglie spuntavano delle protuberanze triangolari, simili a pinne; sulla schiena era agganciato una sorta di zaino, agganciato al casco da due tubi neri, in maniera analoga alle bombole di un sommozzatore.
A completare l'insolito, minaccioso abbigliamento vi era un elmo, adagiato su una sorta di alto collare metallico; tale copricapo era di forma rotonda ed appiatita, simile ad un disco, e privo di aperture, fatta eccezione per due enormi, oblunghe lenti rosse.
Subito dopo vi era un uomo di media statura, di circa quarant'anni, dai capelli e gli occhi castani; indossava un camice da laboratorio bianco, sotto i quale era possibile scorgere una strana uniforme arancione e verde.
Nel quarto cerchio si era materializzata la figura di una seconda donna, poco più alta della prima, eppure persino più attraente; era vestita con una sorta di corto kimono verde, stretto in vita con una cinta dorata, pantaloncini neri, stivali e guanti lunghi, completi di schinieri e bracciali metallici. 
Sulla schiena, oltre ai lunghi e lisci capelli corvini, vi era una corta katana nel suo fodero di cuoio, mentre dalla cinta facevano capolino due lunghi ed appuntiti sai giapponesi. 
Il viso era celato da una bizzarra maschera bianca e rossa, con ampie lenti gialle, il cui disegno ricordava un felino ghignante.
Dalla poca pelle visibile, si poteva affermare con abbastanza sicurezza che l'insolita kunoichi doveva avere origini asiatiche.
La quinta ed ultima figura, di gran lunga la più stravagante, era quella di un uomo alto, ma incredibibilemnte magro; indossava un bizzarro costume a scacchi neri e bianchi, accompagnato da una maschera bianca, sormontata a sua volta da una fitta criniera di lunghi e selvaggi capelli rosso fiamma; nel complesso, il suo eccentrico vestiario gli conferiva un aspetto ad un tempo buffo e sinistro.
Kelden li fissò per alcuni istanti, in dignitoso silenzio. Poi, portando le mani dietro la schiena in una posa rilassata e rassicurante, iniziò il discorso che aveva accuratamente preparato per ciascuno di loro. 
"I miei ossequi, signori e signore." disse l'Alchemico, accogliendo il gruppo con la sua voce calda e suadente. 
"In perfetto orario, come del resto c'era da aspettarsi da professionisti del vostro calbro. Sono lieto di constatare che ognuno di voi sembra essere in perfetta salute, poiché da ciò credo di poter dedurre che le vostre rispettive missioni, almeno fino a questo punto, stanno procedendo senza interferenze. 
Ma bando ai formalismi, adesso; sono ansioso di udire i vostri rapporti. Vuole essere tanto gentile da iniziare lei, miss Souci?"disse Kelden, voltando leggemente il capo verso la donna dal costume viola. 
Quest'ultima corrugò leggermente la fronte, ma rispose, cionondimeno.
"Preferirei , mentre sono in servizio, che lei si rivolgesse a me con il nome 'Plastique', più che altro per motivi professionali. Comunque, Il bersaglio è in vista." disse l'affascinante rossa; dal suo  accento era possibile intuire le sue origini franco-canadesi. 
"Stiamo procedendo verso il punto stabilito; finora nessun problema, le guardie non hanno rivelato la nostra posizione. A giudicare dalle urla e dagli spari, la rivolta è ben lontana dall'essere sotto controllo."
"Ovviamente, miss Plastique." annuì l'Alchemico, assecondando la richiesta della famosa dinamitarda, per poi continuare il suo discorso. 
"Data la particolare situazione, l'attenzione delle guardie di Toll Road è interamente concentrata nel recuperare il controllo della situazione all'interno delle mura della prigione; essendo la struttutra concepita in modo tale da consentire un'unica via d'entrata e, di conseguenza, un'unica via di uscita possibili, essi logicamente confideranno nel fatto che, pur non potendo più contare sull'apporto dei loro avanzati sitemi di sicurezza e contenimento, il modo migliore per assicurarsi la vittoria sia quello di impedire ai rivoltosi l'accesso agli aerotrasporti... lasciando quindi completamente sguarnite le postazioni di sorveglianza e abbandonando il controllo del perimetro esterno.
In parole povere, essi baseranno le loro strategie sul fatto che Toll Road è una prigione senza porte... e questa imprudenza avrà un costo altissimo.
A loro discolpa, bisogna ammettere che, in circostanze normali, una simile tattica si rivelerebbe certamente vincente, considerata la solidità delle mura, finora rimaste inviolate..." concluse il misterioso essere senza volto.
".. 'Finora', è questa la parola chiave." aggiunse  con un sorriso scaltro la donna.
Annuendo una sola volta, Kelden riprese a parlare.
"E' mia opinione, miss Plastique, che la sua rinomata abilità, unita alle nuove dotazioni da me fornitele, le consentiranno di stravolgere i pronostici dello scontro in favore dei rivoltosi, permettendole di raggiungere il successo senza particolari problemi. 
Le raccomando tuttavia particolare prudenza, quando passerà alla seconda fase della sua missione; le persone a cui le ho chiesto di restituire la libertà non sono note per il loro senso di gratitudine." 
Plastique parve soppesare quelle parole, forse cercando di intuire se, con quell'ultima affermazione, il misterioso individuo mascherato, suo attuale datore di lavoro, stesse mettendo alla prova le sue capacità, la sua professionalità o il suo coraggio.
"Ho avuto a che fare, nella mia carriera, con imprevisti e mostri di ogni genere; ho combattuto contro i membri della Justice League, della Justice Society e, mio malgrado, mi sono ritrovata a combattere agli ordini di quell'arpia obesa di Amanda Waller nella sua task force, la Suicide Squad; mi ritengo sufficientemente abile da poter gestire tanto una conversazione con quella specie di hooligan magico, quanto di prendere in custodia quell'insignificante pidocchio... e del resto, dubito che lei mi avrebbe assunta, se non fosse dello stesso parere. 
Mi sbaglio, forse?" domandò la Regina degli Esplosivi.
"No, non si sbaglia affatto, miss Plastique. Molto bene allora; la lascio al suo incarico. Sono certo che non resterò deluso dal suo operato." disse con semplicità l'Alchemico, concludendo la conversazione. 
"Qui Plastique, passo e chiudo" disse l'immagine della criminale canadese, prima di dissolversi assieme alla prima colonna di luce bianca
"Veniamo a noi, Mister Scudder; come procede la procedura di trasferimento?" domandò Kelden, voltandosi verso l'uomo con il camice da laboratorio.
"Abbastanza bene, devo dire." rispose l'interpellato, infilandosi le mani in tasca.
" I generatori di campo hanno già raggiunto la massima capacità, e sono perfettamente calibrati; i portali trans-dimensionali sono pronti per essere aperti e, ovviamente, attraversati. 
Solo, come le avevo detto, la finestra temporale non è una delle migliori: anche con  quel tizio ad occuparsi del rifornimento energetico, dubito fortemente che potremo mantenere spalancate così tante aperture per un periodo esteso... 
In tutta onestà, dubito che i macchinari potranno restare attivi per più di due ore di fila... due ore e mezza al massimo, secondo le nostre più ottimistiche previsioni. 
Mi dispiace, ma questo è il massimo che le posso offrire, signore." concluse l'uomo dal costume verde-arancio con tono di rammarico.
"Non c'è bisogno che lei si scusi, mister Scudder." rispose la figura nella colonna rossa "In tutta franchezza, questo periodo di tempo è più che soddisfacente per conseguire i nostri obiettivi. Concordo con lei quando afferma che un simile arco temporale sarebbe da considerarsi troppo esiguo... se il numero dei nostri 'ospiti' fosse pari a al numero totale degli evasi che, in questo momento, stanno imperversando per  le strade d'America. 
Tuttavia, come lei ben sa, mi sono personalmente incaricato di (per usare un'espressione adatta) 'consegnare gli inviti'. 
Le garantisco che, nella mia scelta, sono stato molto selettivo, ma anche molto preciso, indicando con esattezza a ciascuno degli interessati cosa fare per garantirsi una sicura via di fuga, e quanto tempo avrebbe avuto per farlo. 
Non tema, mister Scudder; sono certo che tale elite saprà cogliere l'occasione, come sono certo che lo faranno con celerità e prontezza.  
Del resto, se i portali restassero aperti troppo a lungo, potremmo incorrere nella fastidiosa eventualità di una visita indesiderata, non trova?"
Su quella domanda, Samuel Scudder si fermò a riflettere per qualche attimo. 
Grattandosi il mento, l'uomo rispose " Beh, si, ora che mi ci fa pensare, sarebbe alquanto problematico se Superman, il Marziano o uno dei tipi della League ci piombasse qui tra capo e collo..." mormorò questi con un certo imbarazzo. 
"Lieto di saperla d'accordo con me. Torni pure al lavoro, mister Scudder, e tenetevi pronti, lei ed il suo collega. Grazie al considerevole talento del nostro collaboratore, Black Manta, presto vedrà arrivare il primo dei suoi ospiti. Per il vostro bene, evitate di rivolgergli la parola, a meno che non sia lui a farlo per primo. Sbaglio forse, signor Manta?" 
Questa volta la domanda era rivolta all'inquietante figura vestita di nero, situata nella seconda colonna luminosa ad essere apparsa.
"Devo dire, Alchemico, che quando mi hai ingaggiato per recuperare quel ripugnante abominio atlantidiano dalle prigioni in cui i suoi simili lo avevano rinchiuso, non mi aspettavo che saresti arrivato a tanto, pur di garantirmi una copertura; ammetto che sei riuscito a sorprendermi...  " disse l'uomo, noto in tutto il mondo come il più acerrimo e mortale nemico di Aquaman, con la sua voce meccanicamente distorta.
"Ma quello che più mi lascia perplesso, per non dire allibito, è l'idea che chiunque possa arrivare a scatenare un simile Inferno in Terra solo per mettere le mani su un tipo come quello; seriamente, ne valeva la pena? 
Hai davvero messo a ferro e fuoco metà del Nord America SOLO per darmi il tempo di liberare ed inviarti quel borioso, insopportabile, insignificante pesce-gatto bipede di Trident?!?"
L'Alchemico lasciò passare qualche secondo, valutando in silenzio quale, tra le numerose risposte da lui accuratamente preparate, avrebbe soddisfatto maggiormente sia la curiosità dell'Assassino dei Sette Mari che degli altri criminali.
"Mio caro Manta, è davvero inverosimile che tutto quel che sta avvenendo sia stato SOLO per ottenere la collaborazione di Trident... ovviamente, i miei piani vanno ben oltre.
Deve sapere che I miei progetti tendono ad avere più obiettivi, a breve ed a lungo termine; il segreto del successo, a mio parere, sta nel riuscire a centrare quanti più bersagli ad ogni colpo.  
Dato questo mio particolare modus operandi, sono giunto alla logica conclusione che il metodo migliore per elevare la percentuale di successo, oltre alla più accurata pianificazione, sta nella scelta delle persone a cui affidare ogni singolo incarico.
Sapevo che, quando le difese da abbattere sono quelle di Atlantide, non esiste alcuno con un'esperienza ed una destrezza paragonabile a quelle del leggendario Black Manta; la sua vittoria, mio buon amico, è la conferma che il mio metodo d'azione, se non infallibile, è per lo meno efficace."
A quelle ultime parole, Black Manta incrociò le braccia sul vasto petto, inclinò leggermente il capo in avanti e disse "Posso capire perfettamente che tu stia cercando di ottenere qualcosa da tutta questa storia... e capisco anche che Trident ti serve ad ottenerlo, o non mi avresti raccomandato di consegnartelo vivo e, sopratutto, illeso. 
Ho avuto a che  fare anch'io, per citare la tua amica canadese, con ogni sorta di individui nella mia vita... 
Non sei di certo il primo a cui piaccia fare 'piani-nei-piani'. Come te ne ho incontrati tanti...fin  troppi. In questo senso, mi ricordi molto quel verme di Lex Luthor, che tante volte si è rivolto a me perché, come tutti quelli della sua risma, non ha il fegato di sporcarsi le mani di persona... anche se devo dire che, a differenza sua, tu non stai tanto a blaterare su quanto vasto sia il tuo intelletto, e questo è un punto a tuo favore.  
Bada solo che i tuoi piani non ti conducano,un giorno, a farmi un qualche sorta di scherzo, come già quel pelato bastardo ha tentato in passato; per evitare la mia vendetta ha avuto la bella idea di farsi proteggere dalla League, altrimenti puoi stare certo che avrei già appeso la sua testa calva al mio muro. 
Dubito però che tu possa osare bussare alla loro porta, per cui non provare ad imbrogliarmi; ti assicuro che non ne usciresti vivo.".
Dal tono in cui la minacciosa figura pronunciò quelle ultime parole, tutti poterono chiaramente intuire che il nemico di Aquaman non stava solo dando fiato alla bocca. 
Eppure, per quanto terribili i propositi e le minacce del criminale nerovestito fossero, l'assoluta calma e noncuranza con cui l'Alchemico rispose ebbero un effetto di gran lunga più inquietante su quella strana assemblea. 
"Nella realizzazione dei miei progetti non amò sprecare né compromettere preziose risorse o utili alleanze. Scegliere voi tutti come miei collaboratori si è fin qui rivelato un saggio investimento, per cui non avrebbe senso, da parte mia, pregiudicare una futura cooperazione. 
Non tema, mister Manta, non ho intenzione di compromettere, con insulsi trucchi o mezzucci puerili, una tanto promettente società con un professionista del suo calibro."  
A giudicare dal leggero rilassamento della sua posa, Black Manta parve soddisfatto dalla risposta. 
"Tuttavia..." 
Le braccia del nemico di Aquaman si bloccarono a mezz'aria, intente com'erano ad abbandonare la posizione incrociata sul petto, non appena la voce di Kelden tornò a farsi sentire, richiamando l'attenzione del Flagello di Atlantide.
"... le consiglierei di evitare, in futuro, di proferire minacce immotivate nei miei riguardi; le mante sono invero creature imponenti e maestose, ma persino loro possono divenire prede, quando incontrano un avversario superiore."
L'atmosfera parve congelarsi. Anche se il tono della risposta di Kelden era identico a quello finora utilizzato, in esso vi era una sorta di oscuro monito, un preciso avvertimento diretto non solo all'Assassino dei Sette Mari, ma a chiunque dei presenti che, in quel momento, potesse pensare di trovarsi al cospetto di un individuo debole o codardo.
Con quella frase, l'Alchemico stava redarguendo non solo Black Manta, ma anche tutti loro, trasmettendo un preciso avvertimento. 
"In quanto a lei, mister Ragdoll..." riprese Kelden come nulla fosse avvenuto, voltandosi verso l'ultima delle cinque figure materializzatasi. "Cos'altro posso aggiungere? I miei complimenti per aver portato a termine la sua missione agli S.T.A.R Labs."
Quest'ultimo, sentendosi ignorato, si era da tempo sdraiato al suolo, appoggiando la testa sulle mani incrociate e ciondolando pigramente il piede destro a mezz'aria. Di tanto in tanto, il bizzarro individuo dava sfoggio delle sue rinomate capacità di contorsionista, avvitando la sua caviglia di 180°, ora in senso orario, ora nel verso opposto.
"Tsk, era ora che qualcuno si ricordasse di me!" rispose la bizzarra figura con totale casualità, assestando un duro colpo alla tensione accumulata nella sala.
" Sai amico, il fatto che io sia vestito così non significa che sia un pupazzo nel senso vero del termine. Voglio dire, andiamo!" sbraitò con fare melodrammatico l'esile contorsionista, agitando le braccia in maniera comica "Cosa deve fare un povero ladro per avere un tantino di considerazione? Non tutti possiamo essere belle pollastre in tuta aderente, scienziati pazzi fissati con gli specchi o l'incrocio tra un sommozzatore e Darth Fener!"
Le altre tre figure, all'udire quelle parole, si voltarono verso destra; anche se le espressioni di due di loro erano celate sotto le rispettive maschere, dal modo in cui le loro posture si irrigidirono era facilmente intuibile che ciascuno dei tre condivideva il medesimo intento omicida.
"Prega di non capitarmi mai a tiro, ridicolo giullare dinoccolato, o non vi sarà un oceano, sulla faccia della Terra, i cui squali non avranno banchettato con i brandelli della tua carne." mormorò con voce gelida l'Assassino dei Sette Mari.
A quella poco socievole affermazione, Ragdoll drizzò le gambe verso l'alto e, senza staccare le spalle dal pavimento su cui stava chiaramente appoggiato, piantò i piedi a terra. 
Sempre restando con le scapole al suolo, il contorsionista drizzò le ginocchia, ritrovandosi ad avere la schiena e le gambe perfettamente parallele. Con una risatina, il ladro snodato incrociò le braccia e, con la sola forza dell'addome, portò in posizione eretta il busto.
"Tsk, non c'è nulla da fare; voi gente non potete fare a meno di prendere tutto così dannatamente sul serio." disse con voce falsamente offesa.
Che dire, sapersi godere la vita è un arte; c'è chi ci riesce e chi, purtroppo, non ne è proprio capace. Non ho ragione, bella micetta? Ehi, a che ora stacchi dal lavoro? Che ne dici, ti va di andare a prendere insieme un bicchierino? Conosco un posticino niente male dalle parti di Chicago, dove fanno un Bloody Mary favoloso!  Se non gli hanno ancora dato fuoco, potremmo farci una capatina!"
Cheshire non rispose né all'invito né a quello che, dal punto di vista di Ragdoll, doveva essere un complimento alla sua bellezza; invece, con fare estremamente eloquente, la celebre assassina si limitò a contrarre la mano destra, mettendo in risalto i suoi affilati, mortali artigli avvelenati.
A quel palese rifiuto, le magre braccia di Ragdoll parvero letteralmente crollare, ciondolando dalle spalle come il pendolo di un orologio antico.
"Sigh, non c'è davvero nulla da fare, ho proprio scelto il lavoro sbagliato; mi imbatto dalla mattina alla sera nelle pollastre più sexy del mondo, capaci di farti girare la testa ..." e, per ulteriore enfasi, il bizzarro individuo roteò il collo di 180°, guadagnando una smorfia di disgusto da parte di Scudder."... per poi scoprire, a tue spese, che nel 99% dei casi sono tutte delle psicotiche pluriomicide. La cosa peggiore è che questo, anziché scoraggiarmi, mi intriga ancor di più...  Mah! Ad ogni modo..." riprese Ragdoll, riportando con uno schiocco la testa in una posizione naturale e volgendola verso il suo datore di lavoro "... tutto è andato a gonfie vele: ho preso quel che mi hai chiesto: l'intero contenuto di tutti gli hard-disk degli S.T.A.R. Labs di Gotham è qui, tutto per te. 
Quindi, che devo farne di questa? Mandi qualcuno a ritirarla o te la spedisco tramite un piccione viaggiatore?" disse il ladro, estraendo una pen-drive dalla tasca del suo gilet a scacchi. 
"Un mio associato passerà presto a ritirare il suo prezioso carico. Ovviamente, metà del compenso le è già stata versata, mentre l'altra metà le verrà elargita non appena le informazioni giungeranno in mio possesso. Ancora una volta, i miei complimenti. 
Per finire, miss Cheshire, mi auguro che lei sia pronta a passare all'azione.
Mi rendo conto che l'incarico potrebbe comportarle qualche disagio, considerati i suoi precedenti con i Titans... ciononostante, sono certo che una professionista del suo calibro non avrà problemi a portare a termine gli obiettivi."
"Il mio unico problema" disse la kunoichi dalla maschera felina " è rappresentato dall'eventualità di potermi ritrovare a parlare con idioti come quello smilzo più del necessario. Farò la mia parte, su questo non c'è da avere dubbi."
Kelden si limitò ad annuire, in un cenno che indicava la sua approvazione.
"Come mi aspettavo, lei è davvero una professionista degna di tale nome. 
Non occorre che le ricordi che l'attrezzatura da me fornita le renderà le cose più semplici, ma non escluda l'eventualità di qualche imprevisto... dopotutto, benché ancora giovani, i Titans hanno saputo dar prova del loro valore. Non dubito, comunque, che lei saprà rivelarsi all'altezza della sfida.
Molto bene, signori; questo  incontro ha ampiamente soddisfatto le mie aspettative. Attendo con ansia la nostra prossima collaborazione, poiché ho avuto prova della vostra affidabilità. Arrivederci a presto."
Dette queste parole, una dopo l'altra le restanti colonne di luce si dissolsero, una dopo l'altra, in miriadi di schegge di luce bianca.
Per qualche secondo, l'area intorno all'Alchemico, sempre avvolto dal costrutto di luce scarlatta, parve circondata da uno sciame di scintillanti lucciole. Poi, le numerose scintille ssi affievolirono, fino ad estinguersi del tutto..
"Ed ora, la più ardua delle conversazioni mi attende..." mormorò l'essere dalla maschera bicromatica, con voce indubbiamente seccata. 
"Preferirei invero evitare tale discussione, ma è qualcosa di necessario; quell'individuo è uno dei pochissimi ad avere un intelletto abbastanza sviluppato da poter rappresentare una minaccia ai miei piani... 
Non che vi sia qualche possibilità che egli possa impedirmi di raggiungere il mio scopo, certo, e nemmeno potrà mai intuire il mio vero obiettivo finale... nessuno potrebbe...  
Eppure, solo uno sciocco festeggia la vittoria prima di aver visto tutti i suoi nemici annientati.
Con questa chiacchierata, forse eviterò di aggiungere un nuovo avversario alle già vaste fila di antagonisti da me previste." 
Per la seconda volta, due cerchi di fronte all'Alchemico iniziarono a risplendere, dando origine ad una nuova colonna di luce bianca, dove qualche secondo prima si ergeva la figura di Samuel Scudder. 
Ad apparire dinanzi all'Alchemico fu un'immagine molto diversa da tutte quelle poc'anzi dissolte; dinanzi a Kelden vi era un uomo gracile, di bassa statura, completamente calvo, dalla fronte alta ed ampia, seduto su una lussuosa poltrona in pelle bianca; indossava corti pantaloncini viola e una camicia hawaiana, mocassini di cuoio ed occhiali, le cui spesse lenti celavano del tutto il colore degli occhi.
"Lieto di vederla, egregio dottor Sivana." disse con semplicità l'Alchemico, alla vista della nuova apparizione.
L'unico cenno che l'ossuta immagine di Taddheus Sivana, geniale scienziato ed acerrimo nemico di Capitan Marvel, diede di aver inteso le parole d'accoglienza che Kelden gli aveva rivolto fu un breve cenno del capo.
"Presumo che lei abbia già saputo, grazie ai telegiornali, dell'utilizzo da me trovato per la partita di Isotopo H-N che mi ha venduto tempo fa." inquisì con garbo la figura dalla maschera di metallo.
"Si, potresti dire che il motivo per cui ho accettato questo 'incontro' è parlare di quella roba." si decise infine a rispondere il vecchio, con la sua voce sgraziata. "Quello, e poi quell'altra faccenda di cui mi hai scritto."
 "Ha dunque valutato il caso che le ho esposto?"  continuò l'Alchemico,con voce neutra.
E"' noto che, tra le sue numerose competenze, vi è anche una notevole conoscenza nel campo medico. Sono certo che lei riuscirebbe a trovare una soluzione, laddove molti altri hanno fallito"Per tutta risposta, Sivana si limitò a fissare il suo drink, agitando pigramente il contenuto del bicchiere nella mano.
L'Alchemico era ben consapevole che, con quel aria di strafottenza, lo scienziato stava cercando di mettere alla prova la pazienza del suo interlocutore e farlo in qualche modo scattare.
Era una mossa ovvia, ma anche scaltra, tipica dell'uomo d'affari che, in passato, Taddheus Sivana era stato. 
Quando fu chiaro, dopo un lungo silenzio, che Kelden non era tipo da compromettere una importante transazione per una questione di principio, Sivana si degnò di rispondere.
"Si, ho dato un'occhiata alla cartella medica che mi hai inviato; devo ammettere che è peggio di quel che mi aspettassi. La cosa migliore che ho trovato, nell'intero fascicolo, era la foto della paziente prima della malattia... di gran lunga la migliore, non c'è che dire.
Non so quanto ci abbia lavorato, ma quel Fries deve aver provato ogni strada possibile, per salvare la sua cara mogliettina... un vero peccato che, nel tentativo di allungarle la vita, abbia finito col provocarle lesioni perfino peggiori del cancro che l'ha colpita. 
Ho sempre saputo che la criogenica è una lama a doppio taglio. Mah, comunque sia, credo di poter buttare giù un paio di idee... Puoi dire al tuo amico ibernato, il caro Mister Freeze, di smettere di giocare al medico e che la sua bella mogliettina ora riceverà le cure di un vero dottore."detto questo, l'esile ometto mandò giù la sua bevanda d'un fiato.
"Sono certo che Victor Fries le sarà enormemente riconoscente. La ringrazio molto, anche a nome dei coniugi. Fries
E per quanto riguarda il suo compenso-" iniziò Kelden, solo per venire bruscamente interrotto dallo scienziato, con un tono a metà tra l'arrogante e l'annoiato.
"Tsk, lascia perdere i salamelecchi. E tienti pure i tuoi soldi, non ne ho certo bisogno. Forse non avrò più le mie industrie, ma puoi stare certo che il denaro, per me, non rappresenta affatto un problema."
Questa risposta era, probabilmente, la più insidiosa. L'Alchemico era ben consapevole che 
l'uomo dinanzi a lui non rappresentava certo un modello di altruismo e carità.
Qualunque cosa Sivana volesse da lui, Kelden doveva essere pronto ad offrirgliela.
"E allora, egregio dottor Sivana, posso chiederle il motivo per cui mi sta offrendo la sua collaborazione? Non si offenda, ma lei non è noto per la sua generosità; sono sicuro che un qualche tipo di tornaconto è già nei suoi pensieri."
"Hai ragione, non lo faccio per guadagnare, tanto meno lo faccio per poter assistere alla toccante, patetica scena in  cui l'Uomo delle Nevi e la sua Bella Addormentata potranno correre insieme nei verdi prati, sotto il Sole d'estate... No, lo faccio perché, come tutti i vecchi, ho bisogno di un passatempo."
 "Potrebbe spiegarsi meglio?" chiese con una impercettibile sfumatura di curiosità l'Alchemico.
"E' presto detto: io, Taddheus Sivana, sono infine entrato nella cosiddetta 'crisi di mezz'età'. "
Per una frazione di secondo, la creatura dagli occhi bianchi sentì la tentazione di emettere un verso di sarcasmo; pur non essendo a conoscenza della reale età di Sivana, l'Alchemico poteva facilmente constatare che troppo tempo era trascorso perché il nemico di Capitan Marvel potesse definirsi 'un uomo di mezz'età'. 
Gli occorse non poca fatica, ma Kelden riuscì ad impedire che qualsiasi denigratorio suono sfuggisse alle sue labbra.
"Ho visto e fatto di tutto, nel corso degli anni: ho ideato piani per conquistare il mondo e, talvolta, per distruggerlo; ho creato robot assassini e macchine mortali di ogni sorta; ho affrontato idioti in calzamaglia colorata, magici scherzi della natura e semidei alieni con un debole per i mantelli...  ho messo su famiglia... di tutto, credimi.
Ero arrivato a credere che questo mondo non avesse ormai più alcuno svago da offrirmi... e poi, di punto in bianco, entri in scena tu. 
Tu, con la tua stramba maschera e i tuoi modi cerimoniosi, hai dimostrato a questo vecchio che, dopotutto, la vita può ancora essere fonte di svago.
Non ho idea di quali siano i tuoi veri obiettivi e, in confidenza, poco mi importa. 
Ma di una cosa sono stato sicuro, fin dal primo istante in cui tu ed il tuo muso di latta mi siete sbucati davanti: la tua apparizione porterà cambiamenti in questo mondo, ormai fossilizzato nella sua squallida routine. 
E questa mattina, guardando il telegiornale, ne ho avuto conferma.
Ammetto di essere rimasto alquanto sorpreso; non mi sarei mai aspettato che da quello che consideravo il più esilarante dei miei fallimenti fosse possibile ricavare un profitto.
Anche se lo scopo originale era quello di creare degli scagnozzi potenziati, in modo da svolgere gli incarichi di bassa manovalanza, persino io ho dovuto alzare le mani ed accantonare l'idea, quando ho capito che, già alla terza esposizione, i soggetti andavano incontro ad una degenerazione neurale troppo rapida.
Non aveva senso sprecare il mio tempo in quel progetto; ho inventato quell'elemento per avere qualcuno che svolgesse i lavori pesanti al posto mio, non per occuparmi di istruire un branco di cerebrolesi. Ho perfino pensato di donare le mie prime cavie ad un istituto di paleoantropologia; non si ha spesso l'occasione di studiare dal vivo le interazioni tra individui il cui quoziente è pari a quello degli uomini di Neandertal.... da cui il nome dell'isotopo, ovviamente.".
Un ghigno attraversò il volto dell'uomo, mentre la sua cinica, geniale mente riviveva le sue nefandezze.
"Sono sorpreso di non averci pensato io stesso; aggiungere l'H-N in tracce ad una sostanza anabolizzante e immetterla sul mercato nero... e dopo usare degli ingenui per pubblicizzare il tutto! Davvero non male, te lo riconosco. 
Perché non c'è altra spiegazione al fatto che una banda di miseri rapinatori di banche possa aver ottenuto un simile ritrovato. 
Ammettilo, li hai usati per mostrare al mondo cosa sei in grado di offrire... ed il fatto che uno di quei fessi sia stato tanto pazzo da iniettarsene una dose simile in circolo, tutta in una volta, è stata la ciliegina sulla torta: quasi come le  avvertenze sui pacchetti di sigarette, quel ammasso deforme ti ha liberato da ogni responsabilità sugli effetti collaterali.
E poi, mentre mi sto chiedendo cosa fare per riempire la giornata, ecco che mi arriva la notizia che la cara vecchia America sta venendo distrutta dall'interno, divorata dalla più vasta evasione di tutti i tempi! Davvero fantastico!
Sei davvero in gamba, non serve girarci intorno. Non so come tu abbia fatto, ma sono  sicuro che, anche dietro a tutta questa storia, vi sia il tuo zampino. 
Continua pure così, chiunque tu sia; dona a questo mondo una ventata di aria fresca, stravolgendo le sue ormai decrepite gerarchie e le sue dinamiche antiquate.
Ma sopratutto, dona a questo vecchio un interessante svago, in modo che le sue giornate possano tornare ad essere piacevoli."
Suo malgrado, Kelden doveva ammettere di essere stupito.  
"La sua mente è invero acuta, dottore, non c'è che dire. E' arrivato alle conclusioni giuste in maniera del tutto autonoma. Pochi vi sarebbero riusciti in un così breve lasso di tempo. Lei è davvero degno della sua fama.
Molto bene, dunque; se questi sono i suoi desideri e condizioni da soddisfare, al fine di ottenere il suo geniale contributo alla mia operazione, sono lieto di accettare: le garantisco uno spettacolo di tutto rispetto, uno di cui non resterà deluso.
Arrivederci a presto, egregio dottore."
Pochi istanti dopo, la sagoma di Taddheus Sivana svanì nel nulla, assieme al suo sorriso sprezzante.
"Ed ora, l'ultima e più importante delle conversazioni mi attende...".
Per la prima volta quel giorno, Kelden sentì l'eccitazione prendere possesso del suo animo; la persona con cui si apprestava a parlare era l'unica da cui non avrebbe mai potuto accettare una notizia sfavorevole.
Dall'esito della sua missione dipendeva il futuro del suo intero piano: un suo fallimento avrebbe potuto significare, se non la sconfitta dell'Alchemico, un sicuro ed indefinibile allontanamento dall'obiettivo finale.
Ma questo non poteva avvenire. 
Se infatti alla banda  di Steven Tresh egli aveva offerto armi ed un addestramento di base, in maniera da non sfigurare eccessivamente nella loro disfatta, alla persona la cui immagine andava ora formandosi dinanzi a lui l'Alchemico aveva dedicato la sua piena attenzione, al fine di ridestarne il pieno potenziale, da tempo sopito, e creare così uno strumento infallibile.  
Stavolta, ad apparire nella colonna di luce bianca fu l'erculea figura di un uomo mascherato. Alto quanto Black Manta, costui era dotato di un fisico di gran lunga più possente; anch'egli  vestito di nero, indossava una cintura di cuoio, fornita di numerosi comparti e una fondina per un pugnale. 
Sui pantaloni, di tipo militare, vi erano sei ampie tasche. Ai piedi indossava degli anfibi, anch'essi neri ed adatti ad un soldato.
Sull'aderente maglia vi erano tracciate tre ampie linee rosse orizzontali. La manica destra dell'abito era assente, lasciando in piena vista un braccio muscoloso, dalla pelle caucasica. Ambedue le mani erano avvolte da lunghi guanti neri, ma le nocche della mano destra erano state rinforzate da borchie di metallo. 
Anche la maschera era nera, ma all'altezza degli occhi erano disegnate due strisce verticali rosse, simili a zanne insanguinate. Gli occhi erano celati da due lenti bianche.
Dinanzi a Kelden vi era colui che era noto per essere la più letale delle armi mai forgiate dai servizi segreti russi; ciò aveva trovato conferma nel fatto che, un tempo, egli aveva combattuto alla pari con il Cavaliere Oscuro in persona, dando prova del suo valore: Anatoli Knyazev, meglio conosciuto come KGBeast.
"A che punto sei, con la missione che ti ho assegnato?" domandò in un russo perfetto l'Alchemico alla nuova apparizione,accogliendola con un tono assai meno cordiale e decisamente più diretto di quanto avesse fatto con le precedenti.
"I preparativi sono ultimati, la zona è stata adeguatamente predisposta; sono pronto a darle prova della mia vera abilità." rispose nella sua lingua natia l'assassino sovietico.
"Vedi di non sottovalutare il tuo bersaglio. Anche se la sua reputazione lascia a desiderare, egli rappresenta comunque un avversario temibile."aggiunse con freddezza l'individuo dalla maschera metallica.
"E' finito il tempo in cui KGBeast poteva permettere a simili sciocchezze di ostacolarlo. Sottovalutare il nemico è il primo passo per garantirsi la sconfitta, e quella parola non farà mai più parte della mia esistenza, glielo assicuro. 
Ed infine, non importa quanto forte la preda, essa finirà nella mia rete molto presto." rispose con determinazione il possente russo.
"Mi raccomando, non dimenticare lo scopo dell'imboscata: lo voglio vivo. Vivo e quanto più illeso possibile. 
Qualunque cosa accada, qualsiasi imprevisto dovesse presentarsi, per quanto tenacemente egli possa opporsi, voglio che sopravviva alla cattura. 
Deludi le mie aspettative e puoi dire addio al nostro accordo." disse Kelden, lasciando intendere che nessuna eventuale scusa sarebbe stata tollerata.
"Non ci saranno fallimenti, signore, e nemmeno testimoni o ritardi nella consegna. 
Le sue informazioni sul bersaglio erano così dettagliate che mi è stato possibile allestire la più perfetta delle trappole. Colui che catturerò stanotte sarà il primo di tanti altri."
disse lo spietato pluriomicida, senza alcuna esitazione.
"Il primo, si... hai davvero scelto il termine giusto. Poiché SE  avrai successo, molti altri incarichi seguiranno.
Porta a termine le tue missioni, ai miei termini e, come ti ho promesso, farò in modo che tutto il mondo della malavita torni ancora una volta a tremare, all'udire il nome di KGBeast." 
Con queste ultime parole, il contatto si interruppe, e l'Alchemico si ritrovò nuovamente da solo nella stanza. 
Stavolta fu il turno della colonna di luce scarlatta di spegnersi, mentre il bagliore delle numerosi iscrizioni, incise nel pavimento e sul soffitto tornò alla sua originaria intensità.
Per alcuni minuti, l'Alchemico rimase immobile sul suo piedistallo, avvolto dal più profondo dei silenzi, ponderando con cura i risultati e le informazioni acquisite in quell'incontro... a cui, egli ne era certo, molti altri avrebbero seguito.
"Danzate, mie marionette..." mormorò con distacco Kelden, mentre la maschera celava il suo tetro sorriso. 
" Danzate, in questa meravigliosa e spettacolare recita che è divenuta la vostra esistenza, fintanto che le mie dita sorreggeranno i vostri fili;
danzate nel palco che con tanta cura ho allestito per voi, prima che il sipario cali sull'ultimo atto;
danzate, in modo da intrattenere e, sopratutto, distrarre un così vasto e negligente pubblico;
danzate, prima che la notte scenda, portando con sé il gelo... poiché quando il sole sarà infine tramontato, diverrete legno per le fiamme del cambiamento che vi divoreranno, assieme al palcoscenico ed alla platea. 
E da quelle ceneri, infine, un mondo nuovo potrà sorgere!
Fino ad allora, miei preziosi ed ingenui burattini, continuate a sgambettare e dimenarvi... continuate a danzare, finché potete... finché IO ve lo concederò...".
Quando le terribili parole furono pronunciate, l'inquietante creatura discese dal suo podio.
Poi, l'unico rumore che rimase furono quello dei passi del misterioso individuo che si avviava verso l'uscita. Di nuovo, le lettere che adornavano la placca metallica si accesero di una luce sanguigna, sbloccando nuovamente quella strana porta.
Mentre la soglia veniva attraversata, la misteriosa creatura si soffermò un attimo ad ammirare il luogo da cui tutti i suoi immensi sforzi si sarebbero concretizzati.
"Che i Totem mi siano testimoni, quando dico che questo è solo il principio di tutto... la fine dell'umanità inizia ora, e sarà grazie agli umani stessi che questo meraviglioso sogno diverrà realtà." .
 
 
NdA (La storia continua QUI SOTTO!!!)
Non temete, il capitolo non è ancora finito. 
Voglio solo che sappiate che questa avrebbe dovuto essere la sua conclusione MA, avendovi fatto aspettare così a lungo, ho deciso che meritavate molto più di quanto finora avete visto.
La parte più difficile è stata non tanto l'interazione tra i personaggi, quanto la descrizione fisica d ciascuno di loro. Certe cose è più facile disegnarle, che scriverle...
Non so dire quanto la mia rappresentazione dei singoli caratteri sia precisa, non avendo mai potuto leggere le loro storie direttamente, ma ho cercato di fare del mio meglio, basandomi su quel che sapevo.
Con quello che segue, noterete che sono riuscito a mantener fede almeno ad uno dei miei propositi: TUTTO quanto scritto finora è parte di uno schema ben preciso.
Il design del dr Sivana si basa su quello precedente alla saga Flashpoint, mentre per KGBeast... troverete qualche differenza, certo, ma tutto verrà spiegato alla sua prossima apparizione, ve lo garantisco.
Quello  che segue avrebbe dovuto essere un altro capitolo, uno importante, ma presumo che possa essere inserito in questo, poiché le azioni in esso descritte sono immediatamente successive, dal punto di visto temporale. 
Se ho fatto bene le cose, quando la lettura sarà terminata, le vostre domande saranno molto più numerose delle risposte.
Perdonatemi ancora per il ritardo, ma le cose per me si sono fatte alquanto complicate.
Se non vi spiace, date anche un'occhiata alle note di fine capitolo ed avvertitemi, li dove notate errori. Grazie.
 
Uscendo dalla straordinaria sala, specificamente allestita per quelle videoconferenze, Kelden si richiuse alle spalle la porta, nuovamente costituita di legno; appena la serratura scattò, le incisioni sul pentagono smisero di brillare.
Senza neanche voltarsi, Kelden riprese a camminare lungo il corridoio, accompagnato dal rumore dei suoi passi sul pavimento di pietra.
Mentre proseguiva verso la sua prossima meta, l'Alchemico non poté fare a meno di sorprendersi del fatto che tale vista, per lui, era ormai divenuta una consuetudine, nonostante l'immensa fatica che la realizzazione di quella straordinaria sala aveva richiesto. 
Quanti sforzi, quante lotte, quanto tempo e, sopratutto, quanti sacrifici erano occorsi all'essere dalla maschera di metallo per giungere a quel punto? 
Kelden poteva dare ovviamente una precisa risposta, poiché nessun dettaglio del suo oscuro e turbolento passato era mai andato dimenticato... tuttavia, racchiudere in un semplice numero finito tutti i passi del suo sentiero avrebbe potuto solo sminuire la grandezza del suo operato, così come l'importanza della sua missione.
Ma anche se le sue motivazioni risiedevano nei giorni trascorsi, ciò che adesso contava era il presente; il momento tanto atteso dal tenebroso manipolatore era giunto: gli ingranaggi finalmente avevano iniziato a girare.
E nessuno se ne sarebbe reso conto, se non quando fosse stato già troppo tardi... e questo perché, al di là delle differenze ed incomprensioni, la comune debolezza dell'Homo Sapiens restava la presunzione.
L'intera razza umana, abituata a farneticare della propria sovranità su ogni organismo vivente, assoluta ed incontestabile, era talmente accecata dall'effimero ed ingannevole senso di sicurezza da non comprendere la realtà dei fatti.
Ed infine, dopo millenni passati ad imporre il proprio volere alla natura intera, l'arroganza degli uomini, rafforzata da un inesauribile bisogno di autocompiacimento, aveva dato origine alla diffusa convinzione che le uniche, vere minacce al dominio dell' Homo Sapiens sul pianeta fossero quelle provenienti dalle stelle... che nulla originario della Terra, madre profanata e sottomessa dai suoi stessi figli, fosse in grado di contravvenire a questa realtà... che non vi fosse forza al mondo capace di opporsi al potere umano.
Mentre queste riflessioni attraversavano la prodigiosa mente dell'Alchemico, le sue labbra, nascoste sotto lo strano elmetto, si incresparono in una smorfia di commiserazione; nella società umana, il concetto metafisico di potere aveva da tempo trovato la sua incarnazione materiale nel denaro ... quale insulsa e penosa ideologia.
Ammaliata dall'importanza acquisita della più assurda ed insulsa tra le proprie invenzioni, l'umanità era ormai giunta ad accantonare ogni desiderio di autentico progresso, investendo risorse ed energie solo nel sentiero che conduceva, inevitabilmente, alla distruzione: guerre, uccisioni, tradimenti, inganni, complotti, manipolazioni... e tutto per cosa? 
Giungere a possedere il maggior numero possibile di foglietti di carta filigranata e tondini di metallo punzonati? 
Ammonticchiare sterili cumuli di inanimata materia, il cui scopo autentico era, senza mezzi termini, di essere spesi? 
Un sistema che poteva, ai suoi esordi, avere avuto successo e facilitato molto gli scambi e il commercio... ma che ora, dopo millenni ed innumerevoli conflitti, incentrati sulla necessità di ammassare ricchezze e il derivante potere, appariva inutile, sorpassato, deleterio ed assolutamente illogico.
E, malgrado il dolore provocato da tale fallimentare sistema, fiumi di sangue erano stati e continuavano a venir versati, portando il pianeta stesso a soffrirne le conseguenze.
"Davvero patetico..." sussurrò l'essere mascherato, senza riuscire a trattenere lo sprezzante commento.
Il potere, quello autentico, era molto più che il controllo di materiali e risorse. 
Esso trascendeva di gran lunga la limitata capacità degli uomini di comprensione, ed era infinitamente aldilà delle loro possibilità di controllarlo.
Tuttavia, per quanto nelle vene di Kelden il sangue ribollisse al solo pensiero di quel ripugnante ed incomprensibile fallimento della Natura che, ai suoi inquietanti occhi, era la razza umana, egli si ritrovava suo malgrado costretto ad ammettere che molti erano stati i loro successi... ma molti di più erano stati i loro fallimenti ed errori, di gran lunga più  vistosi e distruttivi, e tutti, dal primo all'ultimo, avevano avuto come movente la mera cupidigia.  
L'uomo era incapace di comprendere la vera natura del potere, quanta conoscenza era necessaria per poter sperare di riuscire in tale impresa e, sopra ogni altra cosa, difettava della giusta determinazione per arrivare ad ottenerlo, per non dire dello spirito di sacrificio necessario...
Kelden lo sapeva bene, lo aveva saputo fin dal primo istante; sapeva che, prima di arrivare a toccare l'ambizioso traguardo da lui prefissato, sarebbe occorsa una volontà adamantina, sorretta da una motivazione incorruttibilie.
E quella motivazione, fin dal principio della sua esistenza, era sempre stata una : l'odio.
Solo grazie all'immenso odio che lo animava, i suoi sinistri occhi bianchi avevano potuto vedere la luce;
dal suo odio, egli aveva potuto trarre ispirazione, dando origine ad un macchinoso ed elaborato progetto, la cui complessità ne rendeva impossibile il fallimento;
solo per mezzo dell'odio, che scorreva nel suo corpo come linfa vitale, egli era riuscito a trionfare su ogni ostacolo, arrivando a mettere in pratica il suo piano; 
ma sopratutto, era solo grazie ad un odio immenso che la sua esistenza aveva potuto trovare uno scopo.
Ed ora, l'odio gli aveva permesso di indossare i panni di Kelden l'Alchemico, colui che, da poche ore a quella parte, stringeva nelle proprie mani il destino del mondo intero. 
Meditando su tali inquietanti pensieri, egli giunse infine di fronte alla porta da lui cercata. 
Pur essendo tale ingresso identico al precedente, esso presentava una sostanziale differenza: le strane lettere, incise sulla piastra metallica di quella porta, erano illuminate da una pulsante luce smeraldina.
"Come immaginavo, sei già qui che mi aspetti..." mormorò l'Alchemico; nella sua voce, seppur flebile, era chiaramente presente una nota di gioia. 
Stavolta, prima di posare le dita sulla superficie d'argento, il terribile manipolatore si concesse qualche minuto di tempo, in modo da recuperare il pieno controllo delle sue facoltà. Poiché oltre quella soglia, Kelden sapeva che ad attenderlo vi era una persona speciale, la cui vita era l'unica ad avere una reale importanza per lui... una a cui egli non poteva presentarsi in quello stato emotivo.
Rimase così, totalmente immobile, con la fronte leggermente reclinata verso il basso, la mano destra stretta attorno al pomello e la sinistra a pochi centimetri da quella che, chiaramente, era la chiave per accedere al luogo che quell'ingresso celava.
Neanche un respiro poteva essere udito; per quasi cinque minuti, Kelden l'Alchemico parve essersi tramutato in una statua. 
Poi, come se quell'innaturale fenomeno non fosse mai avvenuto, le dita del guanto tornarono a muoversi, toccando la superficie metallica. 
Di nuovo, le iscrizioni parvero incendiarsi; girando la maniglia, l'inquietante figura fece scattare la nuova serratura, varcando infine la soglia.
Ancora una volta, uno scenario completamente diverso lo accolse.
Dinanzi al viso mascherato si stendeva una meravigliosa, lussureggiante foresta,immersa nella tiepida luce di una splendida giornata primaverile.
Portando una mano dinanzi al simbolo scarlatto, Kelden provocò l'apertura della maschera. Dopo aver rimosso l'oggetto, rivelando al mondo circostante le sue bizzarre pupille, Kelden si chinò e lo depose a terra, vicino alla porta. 
Quest'ultima era divenuta un modesto uscio, composto di vecchie assi di legno, ed era attaccata ad un solitario muro di pietre quadrate; tanto la parete quanto la porta portavano gli innegabili segni del logorio del tempo, il più visibile dei quali era la presenza di fitti tralci di rampicanti che, crescendo, avevano quasi interamente ricoperto la pietra. 
Egli trasse un profondo respiro, inebriandosi della fresca aria che colmava i suoi polmoni, prima di incamminarsi di buo passo verso la sua meta. 
"Vedo che stavolta hai voluto essere più audace nella scelta..." mormorò con una punta di divertimento l'alta figura, notando quello che chiunque, perfino un individuo sprovvisto di qualsiasi conoscenza nel campo della botanica, avrebbe immediatamente notato, proseguendo in quel paradiso vegetale: quell'ecosistema era, sotto ogni punto di vista, impossibile.
Una dopo l'altra, innumerevoli specie si susseguirono, ciascuna originaria di luoghi e climi diversissimi, spesso incompatibili tra loro: accanto ad un ruscello, un maestoso abete bianco sovrastava un intricata buganvilla dai fiori rossi; in un vasto stagno, una grande mangrovia sembrava vegliare sopra decine di ninfee; protetta  dall'ombra di tre querce, una rafflesia sfoggiava il suo enorme fiore...
Odori di ogni genere si spandevano,colori sgargianti si alternavano, in una caotica bellezza che avrebbe potuto rappresentare, per un qualunque botanico, il più grande sogno ed il peggiore incubo.
Proseguendo lungo un sentiero, l'Alchemico si ritrovò di fronte ad un bivio. Insicuro su quale via seguire, egli decise che la cosa migliore da fare era attendere... e presto, la sua attesa fu premiata. Come se le stranezze non fossero già state abbastanza numerose, avvenne qualcosa che sfidava ogni legge della natura terrestre: da un cespuglio di edera, un ramo parve prendere improvvisamente vita, allungandosi a dismisura in un tempo brevissimo.
Muovendosi controvento, la sottile fronda si flesse verso destra.
"Dunque hai notato la mia presenza... ovviamente. Molte grazie, presto sarò da te." disse l'essere dalle sclere grigie, carezzando con gentilezza, per alcuni attimi, le piccole foglie.
Concluso il suo compito, l'edera tornò delle sue normali dimensioni, lasciando che l'Alchemico proseguisse il suo viaggio.
E fu così che, pr il resto del suo tragitto, Kelden lasciò che fossero le piante ad indicargli la via.  Al suo passaggio, le fronde delle numerose specie vegetali continuavano ad indicargli la strada da seguire. 
Rami, gambi, tralci, radici... ogni qual volta il sinistro manipolatore sembrava indeciso sul percorso a seguire, una delle piante circostanti interveniva in suo soccorso, piegandosi in maniera spontanea ed innaturale, indicandogli la giusta direzione.
Seguendo tali insolite indicazioni, Kelden risalì una bassa collina, alla cui base era situato un intero boschetto di faggi, circondato da cespugli di rose azzurre e gardenie. 
Giunto al centro della radura, trovò ad accoglierlo la vista di un grande salice piangente, le cui lunghe fronde, mosse dalla lieve brezza, celavano  la persona che, tramite la sua straordinaria abilità, lo aveva condotto fino a quel punto.
Scostando con un braccio i lunghi e penzolanti rami, l'Alchemico creò un varco.
Ed infine, davanti a lui apparve colei che egli stava crcando. 
Seduta a pochi passi dall'Alchemico sul manto erboso,  la schiena appoggiata al tronco dell'albero, vi era una donna. 
Costei era una affascinante creatura, non molto alta, dal fisico snello e perfettamente proporzionato. 
I suoi lunghi capelli, rossi come le foglie autunnali, erano pettinati all'indietro, ricadendo sulle spalle e lungo la schiena con eleganza.  
I suoi occhi erano di uno splendido verde, intenso e penetrante,simile a due pietre preziose.
Il suo corpo era avvolto da un lungo vestito verde scuro, privo di spalline, dalle maniche lunghe. Non di tessuto tale indumento era composto, bensì da migliaia e migliaia di foglie; i bordi delle maniche, così come l'orlo superiore, erano costellati da lunghi petali di orchidea arancione.
Dal bordo inferiore del vestito spuntavano i piedi della donna; come da consueto, ella amava camminare scalza in quel luogo, su quei prati rigogliosi, assaporando la sensazione unica che le donava il contatto tra la sua pelle e la terra... poiché in questo modo, ella riusciva ad unire non solo il suo corpo, ma la sua stessa anima a quella del pianeta.  
Tanto quel vestito quanto quell'intero ecosistema, impossibile in qualsiasi ambiente naturale, erano infatti frutto della straordinaria abilità nota come clorocinesi.
Tale abilità, insieme miracolosa e temibile, concedeva all'avvenente rossa di comunicare con la vita vegetale, fino ad averne il pieno controllo. 
Nonostante il suo grande fascino, ciò che più colpiva in lei era il colore sua pelle: un tenue verde, identico a quello delle prime foglie che, durante i primi giorni di primavera, riempiono i rami degli alberi; era come se il corpo stesso volesse esternare, tramite la pigmentazione dell'epidermide, la profondità del legame tra la giovane e la flora stessa.
"Bentornato, amore mio." disse l'incantevole ninfa, volgendosi asalutare il suo ospite.
"Mia adorata Pamela, la tua vista è di immenso conforto per questi miei stanchi occhi... come sempre, del resto" disse l'Alchemico in tono affettuoso. 
A quelle parole, le bellissime labbra di Pamela Isley si incresparono in un piccolo, radioso sorriso. 
 
Una volta messosi comodo accanto alla sua compagna, Kelden infilò la mano destra in una tasca del proprio abito, estraendone quindi uno strano oggetto: si trattava di una sorta di sfera metallica, grande circa quanto una pallina da tennis; la sua superficie, di color bronzo, era composta da centinaia di minuscoli triangoli equilateri.
"E' proprio necessario che tu la attivi adesso?" domandò Pamela con leggera delusione, riconoscendo l'oggetto " So che è importante, ma non potremmo restarcene ancora un po in tranquillità, noi due da soli, dimenticando il mondo e i suoi guai?"
"Mia cara, nulla mi renderebbe più felice, e  tu lo sai bene..." rispose con chiaro rammarico Kelden, ammirando il panorama intorno a sé "Questa particolare disposizione, tra l'altro, è un autentico capolavoro. Devo dire che stavolta ti sei davvero superata. Eppure, per quanto ciò sia penoso, è necessario che io rimanga aggiornato sull'evolversi della situazione. Mi dispiace." 
Terminate le sue scuse, Kelden allungò la mano destra davanti a sé, schioccando quindi le dita della sinistra.
Appena il suono si spense, la sfera si sollevò in aria, e le numerose facce triangolari iniziarono a brillare della stessa luce bianca che, poco prima, aveva permesso all'Alchemico di comunicare con alcuni dei più pericolosi malviventi del mondo, ciascuno in un punto diverso del pianeta.
Dal centro di ciascun triangolo partì un raggio di luce, estendendosi per una distanza di vari metri; quando le strisce luminose raggiunsero la giusta lunghezza, sulle estremità presero forma dei rettangoli. 
Nel giro di pochi attimi, i due furono circondati da centinaia di costrutti brillanti, di cui molti mostravano al proprio interno volti di uomini e donne, impeccabilmente truccati e pettinati, intenti a parlare.
Le voci di quegli individui seguirono presto, e le loro parole andarono presto a turbare il silenzio del bosco.
"- ci è giunta ora conferma che Superman, in questo momento, è impegnato in uno scontro nei cieli di Metropolis con-"
"-  vi daremo altre informazioni, non appena sapremo come esattamente-"
"- le forze dell'ordine, prese alla sprovvista, arrancano per contenere la gigantesca ondata di criminalità, scaturita da quella che, a memoria d'uomo, è sicuramente la più terrificante evasione di massa a cui si sia mai-"
"- ripeto: la zona Est di Los Angels è avvolta dalle fiamme, appiccato da alcune gang che-"
"-l'ipotesi di un attacco terroristico, benché la più accreditata, ancora non trova conferma, poiché nessuno ha ancora rivendicato-"
"- per chi si fosse messo in ascolto solo ora, ripetiamo:  la sede delle Nazioni Unite è sotto assedio. Migliaia di criminali, evasi e non, hanno invaso le vie di New York, per poi dirigersi verso la sede dell'ONU. Il sindaco ha commentato che, con tutta probabilità, l'obiettivo dei fuorilegge è quello di prendere in ostaggio i rappresentati dei vari paesi... Le forze dell'ordine arrancano, nel tentativo di respingere l'imponente numero degli assalitori, e temiamo per le vite di...
Ma, un momento! Ci giunge ora notizia che Re Orin, noto come Aquaman, sia sceso in campo, assieme alla sua scorta e ad un membro della sua delegazione, per sedare la rivolta!
Non sappiamo ancora se-" 
"- non possiamo fare a meno di chiederci, in queste ore buie: dov'è la Justice League? Perché non vengono in nostro soccorso?-"
Queste e moltissime altre furono i suoni e le immagini che raggiunsero l'udito e la vista del tenebroso individuo; giornalisti di tutta l'America tentavano, senza riuscirci, di restare professionalmente distaccati dinanzi alle terribili scene che, loro malgrado, erano tenuti a commentare per il pubblico a casa... sperando che vi fosse ancora un pubblico da tenere informato.
Contemporaneamente, centinaia di quegli insoliti schermi proiettavano immagini ben più cruente: uomini, donne e bambini terrorizzati, intenti a fuggire per la loro vita; persone in divisa che, con a forza della disperazione, tentavano di arginare la furia di individui violenti e spietati; figure avvolte da costumi sgargianti che si davano battaglia... 
Vedendo tali orribili scene, udendo quelle voci e quelle grida disperate, Kelden sentì le sue labbra piegarsi in un tetro sorriso di gioia, dovuto alla consapevolezza di essere l'artefice di tutto ciò.
Accanto a lui, la bella ninfa osservava a sua volta lo svilupparsi della situazione in America in silenzio; l'espressione sui suoi lineamenti era del tutto illeggibile.
"Ti vedo stranamente assente, mia cara." disse l'essere dalle iridi bianche senza voltarsi " Dimmi, qualcosa ti turba forse? Forse questo spettacolo è troppo cruento pe te? Se preferisci, posso andare altrove...  non è necessario che tu assista a tutto ciò, se non lo desideri."
Tanto la reazione quanto le parole dell'ex scienziata non furono quelle che egli aveva immaginato.
"Non ti si può nascondere nulla, vero?" rispose con un sorriso scaltro la donna, voltandosi solo a metà verso il suo interlocutore.  
"Beh, in fin dei conti,  non dovrei sorprendermene più... ripensando a tutto il tempo passato insieme, a quello che mi hai insegnato,  a ciò che sei riuscito ad organizzare, l'unica domanda che mi sorge spontanea può essere solo: 'è davvero possibile nascondere qualcosa al grande Alchemico Kelden?'
Visto che ci tieni tanto a saperlo, stavo pensando che, benché surreale, tutta questa situazione è anche incredibilmente buffa." lo interruppe Pamela, portando le ginocchia all'altezza del petto ed abbassando lo sguardo.
A quelle parole, Kelden non poté fare a meno di alzare un sopracciglio, mentre la sua mente si trovava, per una volta, in preda alla confusione.
"Di tutte le risposte possibili che tu potessi fornirmi, questa è forse l'unica che non mi sarei mai potuto attendere... E dimmi, mia cara Pamela, cos'è in questa situazione a suscitare in te tale sentimento di ilarità?" domandò l'Alchemico, lasciando trapelare una sincera curiosità dal suo tono.
Intuendo di aver risvegliato l'interesse di Kelden, Pamela Isley sentì il proprio sorriso allargarsi, seppur lievemente. Dopo averlo lasciato per alcuni secondi in attesa, la geniale botanica decise di dare risposta al nuovo quesito.
"Devi sapere che, fino a non molto tempo fa, l'idea di prendere parte ad un progetto tanto complesso e distruttivo avrebbe effettivamente potuto portarmi ad avere dei ripensamenti...
Voglio dire, è vero che, in tutto il lungo periodo in cui ho sprecato la mia vita a combattere contro Batman e il suo seguito di marmocchi saltellanti, in quella dannata e decadente città, mi sono spesso ritrovata a minacciare la vita di migliaia di persone... eppure, in molteplici occasioni, in cui il trionfo assoluto era a portata della mia mano, ho esitato.
Non so dare una vera e propria spiegazione di questo fenomeno; più di una volta sono stata tentata di confessare questo mio segreto ad Harley, in parte per la sua esperienza come psicologa, in parte perché lei è stata la mia prima, vera amica da quando il mio corpo ha subito la trasformazione... poi, ricordando con chi Harley condivideva il suo letto, ho preferito tenermi tutto dentro, per timore che 'il caro Mister J' venisse a conoscenza di quella che, all'epoca, reputavo io stessa una debolezza."
Per un attimo, il bellissimo viso della dottoressa Isley fu attraversato da una bizzarra e cupa smorfia, un misto di ira  e repulsione profondi, originati dal ricordo di una persona a lei sgradita. 
Kelden sapeva bene che  vi erano solo due individui il cui ricordo potesse suscitare una reazione del genere in Pamela: il Cavaliere Oscuro di Gotham City, Batman, e la sua nemesi per eccellenza, il Principe Pagliaccio del Crimine, il Joker. 
Mentre il primo aveva meritato l'astio della donna sventando, uno dopo l'altro, tutti i suoi ingegnosi ed elaborati piani per porre all'apice della catena alimentare le piante, il folle clown era l'incarnazione di tutto quello che la ex biologa vedeva di sbagliato nel genere maschile: crudele,sanguinario, arrogante e, a giudicare dal 'rapporto' tra lui e la sua assistente, la ex psichiatra di Arkham Harlen Quinn (meglio nota come Harley Queen), misogino e maschilista.
"Il tempo passava ed i fallimenti si susseguivano, uno dopo l'altro; periodi di temporanea depressione, ad un certo punto, furono un'inevitabile conseguenza.
Dopo quello che forse fu il centesimo fiasco, mi ritrovai a chiedermi se, inconsciamente, io non desiderassi essere sconfitta.
In fondo, ero perfettamente consapevole che una mia ipotetica vittoria avrebbe portato alla morte non solo di decine di migliaia di uomini ( di cui, tutt'oggi, sono certa che il mondo potrebbe fare benissimo a meno!), ma anche di altrettante donne, molte di loro madri di famiglia e, infine, di centinaia di migliaia di bambini... 
Per quanto suoni assurdo, credo che l'unica cosa che la mia mutazione non mi sia mai riuscita a sottrarmi, l'ultimo mio vero legame col regno animale, sia l'istinto materno... il che è davvero ironico, considerato che la quantità elevata di tossine nel mio sangue mi ha sempre negato la gioia della maternità."
E qui Pamela sentì come un nodo stringerle la gola. D'istinto, la sua testa si volse verso una fila di betulle. L'Alchemico non la interruppe, poiché egli era perfettamente conscio di cosa la giovane stesse realmente osservando. 
Ciò che era situato dietro agli alberi  era infatti la fonte della più grande sofferenza della donna, l'unico dolore che il tempo non poteva guarire... 
Probabilmente, era ciò che l'ex botanica aveva posto dietro a quei candidi tronchi la principale ragione che l'aveva spinta ad accettare l'aiuto dell'essere dagli occhi bianchi.
Un sentimento quasi dimenticato, ossia l'insicurezza, si insinuò in lui; rare erano le occasioni in cui la sa prodigiosa mente non fosse in grado di fornirgli un'adeguata soluzione ad una difficoltà, ma questa era una circostanza davvero particolare.
Comunque, la stessa Pamela lo trasse d'impaccio, quando tornò a guardarlo e, asciugandosi una lacrima, riprese il suo discorso.
"Ma ora, che cosa provo? Ora che il tuo piano ha avuto inizio, ora che mi viene messa dinanzi agli occhi la prospettiva di porre fine alle vite di miliardi di esseri umani, cosa provo è... nulla. 
Ecco cosa c'è di buffo e paradossale; io non provo assolutamente nulla. 
Rimorso, indecisione, senso di colpa... di tutte le sensazioni che pochi anni fa avrebbero attraversato il mio cuore, conducendomi prima alla sconfitta e poi in una cella ad Arkham, non vi è più alcuna traccia.
Mi trovo in procinto di gettarmi in uno spaventoso, oscuro abisso, da cui non sarà possibile riemergere, ma solo precipitare sempre più... 
Non vi saranno redenzione o perdono ad attenderci, e neanche un'occasione di voltarci e fare marcia indietro... e non mi importa.
Tutto quello che so, tutto ciò di cui sono sicura è che, se tu sarai al mio fianco,io sarò pronta a compiere quel salto decisivo, e lo farò senza rimpianti né ripensamenti di alcun genere..."
Detto questo, Pamela Isley si interruppe. Per qualche secondo, la giovane dagli occhi di giada rimase in silenzio, volgendo dei fugaci sguardi nervosi verso il suo braccio sinistro. Poi, vincendo l'esitazione, l'ex botanica alzò il suddetto arto; d'improvviso, le foglie lussureggianti che formavano la manica sul polso presero a tingersi di rosso vivo, poi arancio e infine di giallo, avvizzendo e quindi staccandosi, una dopo l'altra, come quelle di una quercia in autunno. Ben presto, l'esile avambraccio fu del tutto privo di protezione, rivelando l'orrenda verità che su di esso era impressa: a partire dal polso fino al gomito erano visibili, con un minimo di attenzione, gli sbiaditi quanto inequivocabili segni di scottature di vario genere; 
poco al di sotto del gomito, varie macchie nell'epidermide rimanevano a testimonianza di innumerevoli aghi che, uno dopo l'altro, avevano bucato quella pelle, ora per un prelievo, ora per un'iniezione; 
infine, all'altezza del polso vi era forse il più orribile di tutti quei segni, l'unico che il tempo non aveva ancora potuto cancellare: il codice di identificazione.
Quest'ultimo era costituito da due lettere cubitali, l'una accanto all'altra, a formare la scritta 'PM'; sotto le due lettere vi era un'altra scritta più minuta, composta da un breve codice a barre, subito seguito dalla scritta in caratteri minuscoli 'Subject 01'.
Un brivido, originato dal miscuglio di rabbia e terrore, scosse l'interezza del corpo della donna; le sue esili dita si strinsero a pugno.  
"Quelle persone... quei mostri senz'anima... è tutta colpa loro." mormorò Pamela, fissando le lettere ed i numeri, impressi sulla pelle verde, un tempo liscia come seta, come il marchio nella carne di una bestia da macello. 
Mentre la ex botanica distoglieva gli occhi da quella macabra vista, l'avambraccio si ricoprì di miriadi di punti verdi; dopo pochi secondi, da ognuna di quelle gemme fogliari emerse una nuova foglia, in modo da rimpiazzare quelle poc'anzi cadute.
"Sono stati loro... loro mi hanno arrecato più danno di quanto mai avrebbero potuto fare insieme Batman, il Joker e tutti gli altri eroi e maniaci di Gotham... 
Hanno profanato non solo il mio corpo e la mia mente, ma anche il mio spirito. 
Cercando di comprendere appieno la natura di quello che, ai loro occhi, era un perfetto incrocio tra una pianta ed un animale, hanno finito col privarmi di ogni sorta di empatia nei confronti di chi, un tempo, avrei potuto definire un mio simile.... 
Per farla breve, sono pienamente convinta che gli umani meritino tutto quello che sta per accadere loro... ma non sono più degni della mia compassione."  
"E dunque, mia  cara" domandò Kelden, tentando di comprendere le ragioni alla base della tristezza e dell'ansia che egli percepiva ancora in lei " cos'è che ti turba davvero? 
Temi forse che io abbia commesso degli errori? Reputi forse che il mio progetto possa andare incontro al medesimo immeritato fallimento che i tuoi piani incontrarono, quando vivevi in quella maleodorante città? 
Mia dolce Pamela, comprendo bene che le passate esperienze possano recarti inquietudine, ma non dovrebbero condizionare a tal punto il tuo stato d'animo; come ti ho spesso accennato, pur avendo un unico obiettivo finale, le strade per giungervi sono molteplici, e le precauzioni da me prese mi consentiranno, semmai la sorte avversa dovesse sbarrarmi il passo, di ricorrere immediatamente ad un altro appropriato stratagemma. 
Non importa quanti ostacoli incontreremo, poiché abbiamo già escogitato infiniti sistemi per aggirarli." concluse con tono rassicurante l'essere dalle sclere grigie.
"Lo so, lo so, il tuo piano è praticamente perfetto..." replicò la donna senza voltarsi, ma stringendosi inconsciamente nelle spalle 
"In tanti anni di 'onorata carriera', ammetto di non aver mai immaginato nulla del genre, né di aver mai udito di qualcuno in grado di ordire un simile capolavoro. 
Nulla può andare storto, nulla dovrebbe andare storto, eppure..."
"Eppure cosa, mio cara?" inquisì con garbo l'essere dalle pupille bianche, invitando gentilmente la donna dai capelli rossi a terminare la frase.
"Eppure non riesco a liberarmi dalla paura!" scattò improvvisa la ex botanica, perdendo per la prima volta la sua compostezza. 
"Ciò che stai facendo- ciò a cui hai dato inizio oggi è... è qualcosa di completamente diverso da quello che chiunque abbia mai fatto! Ed è di gran lunga più pericoloso!
Tu stai prendendo ciò che migliaia di altri, prima di te, hanno costruito, mettendoci impegno, fatica e perfino sangue e vuoi distruggerlo; tu vuoi spazzare via anni, millenni di civiltà, per dare compimento alla tua utopia personale. 
E benché io sia pienamente d'accordo con te sulla necessità di tale cambiamento, sul disperato bisogno che questo mondo ha di una simile, rivoluzionaria svolta, io sono divorata dalla paura:
ho paura per me stessa, ovvio, perché temo, se ti accadesse qualcosa, di risvegliarmi nelle grinfie di quella spregevole gente;
ho paura di quelle che potrebbero essere le conseguenze per il pianeta, se il tuo progetto dovesse fallire;
ho paura di quello che potrebbe avvenire, se io non sarò in grado di svolgere la mia parte fino in fondo, malgrado i tuoi insegnamenti...
Ma quello che mi preoccupa più di tutto, quello che la notte mi dilania da dentro e mi toglie il sonno, è il fatto che, per riuscire nella tua folle quanto meravigliosa impresa , tu abbia non solo scelto di metterti contro ogni supereroe del mondo, ma di affiancarti con persone da cui io stessa, perfino quando mi facevo chiamare Poison Ivy, non esitavo a tenermi alla larga; mostri spietati, senza il più piccolo barlume di coscienza... 
Già il fatto di aver preso contatti con quel vecchio, viscido megalomane di Sivana è qualcosa di incredibilmente rischioso... ma arrivare a formare un'alleanza tanto stretta con Ishmael Gregor?! 
Quella è stata una azione folle da parte tua, una autentica pazzia con cui, mi dispiace dirlo, non potrò MAI essere d'accordo; solo le voci che rammento su di lui sono sufficienti, a distanza di anni, a farmi accapponare la pelle... ma se solo un decimo di quello che TU mi hai rivelato sul conto di quell'individuo sono vere, allora è anche vero il fatto che la tua stessa vita correrà rischi inimmaginabili, semmai Gregor dovesse scoprire, o soltanto sospettare, cosa hai architettato per lui!
Capisci, adesso?! Capisci che cosa provo, ogni volta che ti allontani da me, in modo da dedicarti alla tua vita di inganni, manipolazioni e patti col diavolo?! 
Io non voglio- IO NON POSSO PERDERE ANCHE TE, DANNAZIONE!!!" urlò la donna alzandosi di scatto; il suo splendido viso era ora completamente stravolto dalla disperazione.
L'aria intorno a loro parve immobilizzarsi; non un sussurro di vento poteva essere udito, né un fruscio delle foglie sui rami e persino il quieto ed incessante scorrere del ruscello parve tacere.
Tutto quello che, in quei cruciali attimi, poteva essere udito erano l'affannoso respiro della sconvolta donna dalla pelle color germoglio. 
Malgrado la situazione, Kelden non poté fare a meno di sorridere, notando come finanche in quella situazione la Signora della Natura apparisse bellissima. 
Senza aggiungere una parola, l'Alchemico si alzò in piedi e, dopo aver scostato una ciocca di capelli dal viso della giovane, si chinò a baciarne la fronte.
"Mia adorata Pamela, le tue sono obbiezioni più che legittime, e ciascuna di esse conduce ad una serie di domande altrettanto valide: 
è mai possibile, in un mondo ricolmo di eroi, che nessuno di essi giunga ad intuire, osservando il cambiamento che presto avrà luogo nelle fila dei loro avversari, che il loro vero nemico è sempre stato uno soltanto?  
è realistica l'idea, in una civiltà che ha portato alla nascita di innumerevoli cospiratori, che neanche uno dei tanti astuti 'Signori del Male' riesca a notare che un complotto di così vaste proporzioni è stato messo in atto? 
Molti non capiranno; tale moltitudine sarà composta da individui insignificanti ed insofferenti, che della mediocrità hanno fatto il proprio stile di vita, della sopravvivenza e del quieto vivere la loro massima ambizione.
Qualcuno, leggermente più accorto, percepirà una qualche sorta di mutamento, per poi tentare di farlo notare anche ad altri; di costoro non dovremo preoccuparci, poiché quelli in possesso di un acume abbastanza sviluppato da intuire un pericolo a lungo termine verranno, come la mitologica Cassandra, sistematicamente emarginati e messi al silenzio da altri che, per il conseguimento di fini personali, non desiderano che l'ordine delle cose venga in alcun modo turbato.
Vi saranno persino alcuni che, nell'inevitabile caos che segue la distruzione di un sistema, tenteranno di cogliere l'occasione propizia di ricrearsi una nuova nicchia, ossia una posizione più vantaggiosa... senza avere idea che quel nuovo ordine naturale non sarà nulla più di una breve fase di transizione, destinata presto ad essere nuovamente turbata, quasi come l'occhio di un ciclone.
Tuttavia, non ho dubbio alcuno sul fatto che, in un prossimo futuro, vi sarà qualcuno che riuscirà ad intuire la presenza di una volontà esterna, un filo logico, uno schema preciso, accuratamente predisposto fin dal principio. 
Che si tratti di un eroe o di un criminale, di un genio o di uno sciocco, prima o poi qualcuno giungerà a comprendere che nulla è avvenuto per caso... 
Non saranno in molti, certo, ma sarà inevitabile: alla fine, qualcuno inizierà a domandarsi se le sue azioni sono state frutto del libero arbitrio... se lui o lei, fino a quel momento, avrà agito di propria iniziativa, spinto da desideri ed ambizioni personali, oppure avrà semplicemente seguito un percorso appositamente tracciato.
E a quel punto, mia adorata, cosa credi che avverrà?"
Pamela non rispose, limitandosi a portarsi nuovamente accanto al tronco ed appoggiarvi la schiena, senza guardarlo. 
Malgrado la posizione rilassata e distratta, Kelden sapeva benissimo che in quel momento l'avvenente rossa gli stava concedendo la sua completa attenzione.
"La risposta, nella sua complessità, è straordinariamente semplice e banale: farà ciò che è nella natura umana, ossia tentare di dare prova del proprio libero arbitrio, scegliendo di cambiare strada... senza minimamente sospettare che, mediante pazienti ed infiniti sforzi, noi siamo riusciti a predisporre l'andamento degli eventi in modo tale che, per quanti sentieri quelle misere creature possano percorrere, la destinazione finale risulterà sempre la stessa per ciascuno di loro.
E' quasi ironico, se ti soffermi a rifletterci: malgrado tutti i toccanti quanto ipocriti discorsi sostenuti dai numerosi capi di stato, nel corso di questa e delle passate epoche, sulla sacralità della vita e dei diritti umani quali l'eguaglianza, la libertà di pensiero e di parola, solo in questo istante essi sono davvero tutti identici...
Potresti quasi paragonarli ai pezzi degli scacchi: quale che sia l'importanza attribuita a ciascun pezzo o la sua capacità di movimento, ciascun pezzo non può far altro che vagare entro i confini della scacchiera, senza alcuna speranza di oltrepassarne i bordi, muovendosi da una casella all'altra, sottomesso agli ordini dello scacchista... questa, invero, è una meravigliosa ironia!"
Mentre Kelden continuava la sua accurata spiegazione, con una passione ed un trasporto degni di un attore shakespeariano. la sua unica spettatrice tornò a sedersi sotto il salice. Appoggiando l'esile schiena al tronco, l'ex botanica rimase in silenzio, limitandosi ad ascoltare ciò che egli le stava dicendo. La donna sospirò , volgendo altrove lo sguardo, rifiutandosi di guardare la persona a lei più cara che tentava di giustificare le sue scelte con le parole. 
Lei sapeva perfettamente che, al mondo, vi erano pochissimi in grado di tenere testa  all'Alchemico in un confronto verbale. 
"Come tu ben sai, mia cara Pamela, la razza degli uomini è una triste specie: vive secondo il principio che ogni cosa, nell'Universo, sia stata creata per essere posta a suo personale ed esclusivo vantaggio; l'Homo Sapiens ha vissuto per millenni con questa convinzione e, benché tale teoria  venne smentita dalla sua stessa scienza secoli orsono, egli inconsciamente continua a cullarsi nella confortevole idea che la propria esistenza sia il più prezioso dei tesori, il definitivo traguardo di tutti i processi evolutivi di questo mondo. 
In cuor suo, egli ama immaginare che, al termine della giornata, il Sole stia tramontando solo per consentirgli di riposare, e che le stelle e la Luna appaiano a rischiarare l'oscuro cielo notturno solo per allietare la sua vista e rassicurare il suo spirito...
Nessuno di loro sa, nessuno di loro immagina come le cose stiano davvero... perché una simile verità è sempre un boccone troppo amaro da inghiottire. 
E la verità è che, mia adorata, l'umanità è finalmente prossima al conseguimento dell'irrazionale obiettivo che, sin dagli albori della civilizzazione, sembra essersi inconsciamente prefissa: l'autoestinzione.
Le pochissime, sfortunate persone, a cui la sorte ha voluto affidare le redini del potere politico ed economico in questo preciso momento storico non hanno ritenuto necessario rivelare alle masse quanto sia effettivamente tragica la situazione, preferendo diffondere delle ridicole chiacchiere su un'improbabile ammissione di Atlantide nelle Nazioni Unite... 
Del resto, perché mai i governanti dovrebbero contravvenire alla consuetudine della storia? 
Perché mai essi dovrebbero tentare di raggiungere una soluzione ideale, adatta alle necessità dei molti, rivelando ai governati la cruda ma necessaria verità, quando è possibile  divulgare una pietosa menzogna, preservando così gli interessi di quei pochi potenti? 
D'altronde, mia cara Pamela, è davvero possibile biasimarli? 
Puoi immaginare quali drastici cambiamenti dovrebbe subire lo stile di vita di ogni singolo individuo dei paesi industrializzati, se la notizia che tale stile di vita, agiato quanto spregiudicato, ha avuto e sta tutt'ora avendo gravi ripercussioni su gran parte della vita marina, a livello planetario?
Si, sono sicuro che riesci ad immaginarlo benissimo,  Pamela, come sono certo che il tuo prodigioso intelletto può facilmente intuire quali ripercussioni un simile mutamento avrebbe non solo sulla quotidianità di ogni unità familiare, ma sull'intera struttura del sistema economico mondiale.
E sono più che sicuro che tu puoi perfettamente comprendere che, fintanto che il benessere di una singola specie verrà posto al di sopra di quello del pianeta, nulla potrà mai cambiare... almeno, nessun cambiamento realmente positivo vedrà mai la luce.
Non vi è dubbio che, quando la situazione si sarà stabilizzata e la vita di tutti i giorni avrà ritrovato un equilibrio, per quanto precario, delle indagini verranno effettuate, in modo da comprendere come questa drammatica situazione abbia avuto inizio. 
Pur ammettendo che esista una minima probabilità che i droni, responsabili dell'infezione informatica su scala nazionale, vengano individuati ed analizzati, vi sarà qualcuna in grado di intuire la piena estensione del danno causato? 
Proviamo ad immaginare, per un improbabile e surreale istante, che questo accada: lui o lei avrà, a questo punto delle sue investigazioni, scoperto che i droidi avevano un duplice scopo: innanzitutto, i nostri utili, piccoli invertebrati meccanici dovevano penetrare nella rete informatica di un sorvegliatissimo computer, appartenente alla polizia di Jump City.  
Una volta aperto il collegamento con ciascuna delle numerose postazioni telematiche, situate nei vari penitenziari degli Stati Uniti, la loro funzione è stata effettivamente quella di riprodurre e poi prelevare ogni singolo dato mai raccolto non soltanto sulle abilità  dei distruttivi superdelinquenti, ma anche e sopratutto tutte le informazioni sulle più famigerate associazioni criminali del paese.
In seguito, il nostro detective, talentuoso quanto fortunato, potrebbe perfino scoprire che i centopiedi dovevano assolvere ad un gravoso compito: dare inizio alla più catastrofica evasione di massa a cui il mondo abbia mai testimoniato. 
Ciò difficilmente potrà avvenire, considerato che il secondo virus aveva la funzione di distruggere completamente ciascuno dei sistemi telematici in cui si sia trovato a passare... in questo modo, cancellando ogni traccia tanto del proprio passaggio quanto di quello del primo virus... ossia, il virus che non solo ci ha donato una così cospicua quantità di preziosi dati, ma ci ha inoltre conferito un accesso, tanto discreto quanto illimitato, a tutti i sistemi di videosorveglianza, pubblica e privata, degli Stati Uniti... regalandoci questa suggestiva e variegata visione, mia cara. 
Di sicuro, quando il paese sarà travolto da un'ondata criminale senza precedenti, sia le forze dell'ordine che i signori della malavita avranno molti enigmi che li assilleranno; sarà infatti inevitabile, quando l'equilibrio della malavita, per sua stessa natura precario, verrà sovvertito da ladruncoli e delinquenti di infimo livello che, avendo d'un tratto facile accesso ad armi ed attrezzature all'avanguardia, tenteranno di ritagliarsi una propria nicchia di autorità... a discapito, per l'appunto, dell'equilibrio in precedenza  consolidato. 
A quel punto, in un modo o nell'altro, essi giungeranno ad Ishmael Gregor, nostro illustre mecenate, vale a dire uno dei più ricchi ed influenti uomini d'affari della Costa Est degli USA... nonché tra i più sanguinari capi della malavita organizzata, temuto a livello mondiale, perfino tra i suoi pari.
Ma quanti riusciranno ad intuire perché una persona, folle o savia che sia, debba stringere un accordo con un individuo spregevole qual è Gregor? 
In fondo, come tu giustamente hai affermato poc'anzi, egli incarna alla perfezione l'appellativo di 'mostro'... anzi, volendo essere onesti fino in fondo, se qualcuno conoscesse il vero Ishmael Gregor saprebbe che tale definizione equivale ad un autentico eufemismo. 
Tuttavia, il fatto che egli sia ben lontano da essere affidabile non implica che non possa risultare utile ai nostri scopi.
Nessuno può saperlo, ma quell'arrogante miserabile è l'unico, a questo mondo, che può fornirci la chiave per un potere immenso... o meglio, Gregor è l'unico essere tanto avido, malvagio e pazzo da consegnarmi tale prezioso oggetto in cambio della misera promessa di un guadagno economico.
Puoi crederci, mia adorata? Barattare la via d'accesso per l'autentico potere eterno con dell'insignificante denaro dei mortali! 
Ah! Ishmael Gregor, se solo tu potessi capire quanto vasta è la tua stupidità!  
Ma, al di sopra di ogni altro quesito, potrà qualcuno intuire perché, tra tutte le infinite combinazioni possibili di ora, giorno, mese ed anno, gli eventi hanno iniziato a susseguirsi nella data esatta in cui le Nazioni Unite e il Regno di Atlantide avevano fissato la data per la loro prima riunione?
E, pur ammettendo che a questo mondo esista un intelletto in grado di individuare tutti i tasselli, unendoli nel modo corretto e dando vita al mosaico nella sua interezza, superando la fitta rete di inganni, false piste ed insidie che questa complicata e d ardua indagine riserverà... 'lui', 'lei', o persino 'loro', troveranno ad attenderli al varco la domanda fondamentale, il supremo interrogativo, l'enigma primigenio... 'perché?':
Perché dare origine ad un'evasione su così vasta scala, esponendo milioni di persone ad un pericolo mortale?
Perché allearmi con Ishmael Gregor? Perché offrire il mio aiuto e la mia conoscenza ad un turpe e volgare malavitoso, temuto e disprezzato anche tra i suoi pari, a causa della sua natura sadica, doppiogiochista e crudele?
Perché arrivare a tanto, solo per rovinare -o perlomeno, posticipare-  il tanto pubblicizzato incontro tra Atlantide e l'ONU, costringendo ambedue le parti a rinviare, fino ad un futuro imprecisato, una serie di trattative la cui importanza va ben oltre la credenza, diffusa quanto erronea, che il Regno Sommerso desideri entrare a far parte delle Nazioni Unite?
Perché, potendo scegliere fra innumerevoli squadre di supereroi che vegliano su questo pianeta, ben più celebri e potenti, scegliere i Teen Titans per dare inizio a tutto?
Ma, sopra ogni altra possibile domanda, perché tutto questo? 
Molti se lo chiederanno, non vi è dubbio alcuno al riguardo... ma entrambi sappiamo perfettamente che nessuno potrà mai trovare la risposta.
Nell'ingenuità ed arroganza che li contraddistingue, gli esseri umani non immaginano, né sono interessati a farlo, che la felicità ed il benessere a cui la loro specie disperatamente si aggrappa sono in realtà originati dalla sofferenza di individui come noi, a cui ogni speranza per il futuro è stata strappata, lasciando solo una voragine senza fondo di disperazione ed angoscia.
Non hanno dimostrato alcuna pietà nei nostri confronti, poiché noi non apparteniamo alla loro stirpe; ci hanno visti come bizzarrie della natura, interessanti soggetti di ricerca, definendoci 'mostri' e trattandoci alla stregua di cavie infette... 
E, come se ciò non fosse abbastanza grave di per sé, lo hanno fatto senza alcuna esitazione, senza traccia di rimorso o pietà nei loro gesti, apponendo la motivazione che non vi è crudeltà nel ferire esseri come noi, se ciò viene fatto nel nome del progresso."
D'un tratto, l'Alchemico interruppe la sua appassionata diatriba, poiché alle sue orecchie giunse il suono, lieve ma inconfondibile, di singhiozzi soffocati.
Pur sforzandosi di conservare un atteggiamento distaccato ed impassibile, la donna dalla pelle verde aveva raggiunto la sua soglia di sopportazione, mentre le parole di Kelden, sferzanti quanto feroci, facevano breccia nel suo animo tormentato; mentre il suo bellissimo volto si abbassava, pervaso da un dolore immenso, silenziose lacrime iniziavano a rigarne le guance, ricadendo una dopo l'altra sulle minute mani, strette convulsamente in grembo.
A quella pietosa vista, l'Alchemico capì di essersi spinto troppo oltre. 
Tornando sui suoi passi, egli si portò nuovamente all'ombra del salice e, dopo essersi inginocchiato, afferrò con gentilezza entrambe quelle mani, tanto più esili delle sue, per poi alzarle e, con infinita delicatezza, baciarne i dorsi. 
A quel gentile contatto, le palpebre di Pamela Lilian Isley si aprirono, consentendo alle sue pupille smeraldine, velate da lacrime ancora non versate, di sollevarsi ed incrociarne altre, bianche come avorio. 
Due perfette labbra femminili si dischiusero, ma nessun suono venne emesso, come se il violento miscuglio di emozioni avesse assunto una forma fisica nella gola della donna, rendendole impossibile qualunque possibile risposta.
Senza voltarsi né smettere di fissare quei bellissimi occhi verdi, ora lucidi e ricolmi di lacrime, l'Alchemico alzò la mano destra, facendo schioccare le dita; a quel semplice suono, le terribili immagini di violenza e guerra, proiettate intorno a loro dal sofisticato congegno fluttuante, svanirono completamente, lasciando posto al rigoglioso paesaggio baciato dalla calda luce del Sole. 
Contemporaneamente, le parole di sgomento e preoccupazione, con cui centinaia di attoniti telecronisti tentavano di fornire a milioni di telespettatori un'idea approssimativa della  criticità della situazione in cui gli Stati Uniti erano piombati si spensero, assieme ai terribili e cruenti suoni delle battaglie ed alle urla dei civili terrorizzati.  
Tutto quel che rimase furono due figure, inginocchiate l'una dinanzi all'altra all'ombra di un salice, intente ad osservarsi con un'intensità che nessuna parola avrebbe mai potuto descrivere, mentre una leggera brezza scuoteva le lunghe fronde attorno a loro; iridi bianche come avorio fissavano iridi verdi come foglie estive, senza mai allontanarsi l'una dall'altra, in un discorso silenzioso, eppure ricolmo di significati profondi.
Interminabili secondi trascorsero, senza che un singolo sussurro potesse essere percepito, neppure dalla rigogliosa foresta circostante: non un alito di vento soffiò, non un verso di animale si levò, né altro disturbo osò interrompere quel muto dialogo.
"Perdonami, mia adorata." mormorò d'un tratto l'Alchemico, rompendo infine il suo silenzio.
La donna vestita di foglie e petali non sussultò, né parve minimamente sorpresa da quell'interruzione, continuando a contemplare assorta il volto della persona a cui, in ogni modo concepibile, essa doveva la vita.
Pamela non potè fare a meno di sentirsi rapita da quello sguardo... da quegli occhi, tanto strani e, ciononostante, tanto meravigliosi...
Uno ad uno, il ricordo dei momenti trascorsi insieme a quella persona riaffiorarono nella mente di Pamela:
l'istante in cui egli, emergendo dalle ombre della prigionia, le aveva inaspettatamente offerto la mano e, con questa, il suo aiuto incondizionato;
il momento indimenticabile in cui, come un impavido eroe della mitologia greca, egli l'aveva presa e sottratta all'inferno che la sua esistenza era divenuta;
l'attimo in cui Kelden, dopo continue ed insistenti richieste della stessa Pamela, aveva infine acconsentito a svelare la sua vea identità... 
Suo malgrado, la donna si scoprì ancora una volta a ricordare la sensazione di gelido orrore provata oltre un anno addietro, quando per la prima volta l'uomo che ora le stava tenendo le mani ed asciugando le lacrime aveva scelto di concederle la sua piena fiducia, arrivando a rimuovere, per la prima volta in assoluto alla presenza di lei, la sua maschera... solo per rivelare che, sotto quello stranissimo oggetto dalla forma e dal disegno incomprensibili, non si celava affatto il viso di un uomo.
Pamela ricordava come la parte razionale del suo cervello le avesse suggerito, alla vista di quelle inquietanti iridi, di voltarsi e scappare, senza perdere un istante... di come coraggio e sicurezza sembrassero averla abbandonata, non appena la sua ragione ebbe registrato appieno i tratti facciali che sotto quella protezione di metallo, per molte settimane, le erano stati celati... 
Quell'essere, i cui modi e parole avevano originato in lei, fin dal primissimo incontro, l'illusione di interloquire con un essere umano incredibilmente erudito e raffinato, era in realtà una creatura di cui Poison Ivy, la celebre e temuta ecoterrorista di Gotham, acerrima ed implacabile nemica del Bat-Clan e Signora della Natura, non aveva mai visto eguali... e di cui, senza dubbio, l'umanità non aveva memoria alcuna.
Mai come in quell'attimo, Pamela Isley aveva compreso cosa fosse il vero terrore: neppure alla minacciosa presenza del Cavaliere Oscuro ella si era sentita tanto debole ed indifesa.
Quando il traumatico effetto paralizzante della paura ebbe termine, la potentissima metaumana era stata pronta a lanciarsi fuori dalla stanza, urlando a pieni polmoni, come una bambina dinanzi ad uno spauracchio.... ma ciò non era avvenuto.
Qualcosa nel suo animo le disse di non cedere al timore, di resistere ed ascoltare; che si trattasse di curiosità,di emozioni, o forse solo la gratitudine che la vincolava a quell'essere, Pamela non lo sapeva e, in tutta onestà, nemmeno le importava.
Pur essendo infatti una brillante scienziata, abituata quindi a scegliere sempre la linea d'azione più logica, Pamela Lilian Isley era sempre stata una donna fedele ai propri principi, disposta a lottare per ciò in cui credeva, come potevano dimostrare la sua 'carriera' di ecoterrorista e le sue innumerevoli crociate per far risorgere la vita vegetale nella tenebrosa Gotham; quale che fosse la sua vera natura, quell'essere l'aveva salvata da una fine a dir poco mostruosa, sottraendola alla raccapricciante sorte che le era stata riservata. 
Ed in fondo, dopo una rapida ma attenta riflessione, Pamela si accorse che il fatto che il suo salvatore non appartenesse alla specie Homo Sapiens, mai come allora, deponeva in suo favore... perché era proprio dal genere umano che egli aveva dovuto trarla in salvo.
'Crudeltà?! Credi che ciò che stiamo facendo qui sia crudele?! Quali sciocchezze mi tocca sentire! Dato che un tempo eri una ricercatrice, dovresti sapere bene che, nel nome del progresso, la sperimentazione su esemplari di una specie inferiore è non solo giustificabile, ma necessaria... anche se ciò dovesse comportare il sacrificio del suddetto esemplare. 
Tu piuttosto, dovresti sentirti orgogliosa: il dolore che hai provato e che stai provando ora non sarà stato patito invano, ma per un fine superiore: il futuro dell'umanità...  '
Il ricordo di quelle parole, pronunciate con tanta sicurezza, convinzione ed arroganza, si fecero prepotentemente strada nella sua mente, provocandole violente sensazioni di angoscia, disgusto ed odio, identiche a quando uno dei suoi aguzzini le aveva pronunciate, forse per consolarla, forse per lavarsi la coscienza, forse per convincerla a rassegnarsi al suo destino... 
 
Giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, Pamela era stata costretta ad assistere al raccapricciante spettacolo del decadimento del suo stesso corpo; sola, intrappolata, senza alcuna possibilità di ribellione, destinata a soccombere progressivamente alle torture che le venivano inflitte, consumandosi ed appassendo come un fiore a cui prima sia stato reciso il gambo, poi siano state sottratte la fresca acqua e la calda luce del Sole. 
E poi, quando ogni speranza si era da tempo spenta nel cuore della sventurata Pamela Isley, lasciando spazio solo all'impotenza, alla rassegnazione ed al desiderio di morire, Lui era arrivato, strappandola alle tenebre.
Probabilmente era stato questo, più di ogni altra cosa, che l'aveva spinta a fidarsi di lui, contravvenendo a tutto ciò che la sua razionalità le suggeriva di fare, scegliendo invece di sedersi ed ascoltare, fino in fondo, ciò che il suo salvatore aveva da dirle.
E quando il lunghissimo, sconvolgente racconto dell'Alchemico fu concluso, Pamela Isley seppe di aver compiuto la scelta migliore della sua intera vita. 
Ore trascorsero, in cui 'Kelden' le narrò l'inquietante storia della sua vita: 
creata dall''imprevedibile quanto provvidenziale intervento di una terribile oscurità, antica più dell'umanità stessa;
rafforzatasi col gelido odio di chi ha subito il più vile ed imperdonabile dei tradimenti;
accresciuta dall'angoscia della solitudine, a seguito di una crudele ed incolmabile perdita;
liberata dalla furiosa violenza di una sangunaria battaglia fratricida...
Queste erano le origini della creatura dalle pupille bianche.
Pamela aveva prestato all'intero racconto la sua più totale attenzione, in un silenzio segnato inizialemnte dal rispetto e dalla curiosità, poi dal dubbio e, verso la fine, dall'angoscia.  
Quando il narratore ebbe terminato di svelare i suoi più profondi segreti, neppure il terrore che quel viso le aveva suscitato potè impedire alla dottoressa Isley di accostarsi a lui e, con il viso ancora umido di lacrime, cingere quello sventurato essere in un abbraccio che, senza dubbio, aveva la funzione di offrire conforto più a Pamela stessa che a Kelden. 
Dopo quella fatidica conversazione  molti giorni si erano susseguiti, giorni in cui egli le rilevò progressivamente non solo il suo complicato piano  nei minimi dettagli, descrivendole esattamente il ruolo che ella avrebbe avuto nella sua realizzazione, ma svelando alla donna segreti antichi ed inimmaginabili sulla vera natura dei suoi poteri sulla vita vegetale, del suo legame con gli organismi fotosintetici e, sopratutto, della vita sul pianeta Terra.
Mesi trascorsero, accompagnati dai progressi, lenti ma innegabili, che la preparazione a  tale ambizioso, machiavellico progetto richiedeva, prima di essere portato a termine con successo.
Ma  fu sufficiente un solo istante, un solo fatidico istante, perché Pamela Isley capisse che il proprio cuore oramai non le apparteneva più: quello in cui la strana maschera di metallo bicromatica venne rimossa, rivelando due stranissimi, inquietanti, meravigliosi occhi dalle iridi bianche e la sclera grigia.
Tutto ciò che da quel fatale attimo aveva avuto importanza era che, con quella significativa azione, l'Alchemico aveva voluto comunicarle un importante messaggio: permettendole di conoscere il suo reale aspetto, egli le affidava un segreto ben più prezioso di un' identità; in lei, egli desiderava riporre tutta la sua fiducia, i suoi sogni e le sue speranze per l'avvenire... un avvenire radioso, che Kelden decideva di condividere con lei, e lei sola. 
E Pamela aveva fatto la sua scelta: gettandosi alle spalle, senza alcuna esitazione o rimpianto, la sua precedente esistenza come criminale, la Signora della Natura desiderava consacrare ciò che rimaneva della sua vita alla realizzazione di quell'utopica visione.
Nel suo cuore, un tempo votato all'inganno ed alla sleltà, non albergava alcuna intenzione di tradire o deludere chi in lei aveva riposto simili, straordinarie aspettative.
 
"Perdonarti?" chiese con un filo di voce la bellissima donna dalla pelle verde, mentre la sua attenzione tornava al presente e le sue labbra si increspavano in un debole sorriso.
Liberando con gentilezza la mano destra, Pamela Isley si asciugò, con gesto tremante, le lacrime dalle guance. 
Un osservatore estraneo avrebbe potuto facilmente essere tratto in inganno dalle movenze della ex ecoterrorista, così come dai tremiti e dai singhiozzi che occasionalmente scuotevano la sua esile figura, arrivando ad attribuirle un carattere debole e fragile. 
Tuttavia, questo si sarebbe rivelato un colossale errore di valutazione; in quelle stupende pupille verdi vi era infatti acceso un fuoco, un bagliore, una determinazione del tutto nuova, assente qualche secondo prima.
A quel mutamento improvviso, Kelden non poté che trarre interiormente un sospiro di sollievo.
Anche se quella donna era ben lungi dall'essere una creatura debole e fragile, il tipo di dolore che le era stato inflitto andava oltre la semplice sofferenza fisica; pur non riuscendo a rovinarne la straordinaria bellezza in maniera permanente, la malvagità umana aveva lasciato una cicatrice ben più terribile di quelle che, giorno dopo giorno, stavano abbandonando la pelle color germoglio... 
Ciò che Pamela Isley aveva sperimentato, in un modo al di là della comprensione di qualunque donna, era la definizione stessa di agonia; come un predatore strappa alla sua vittima brandelli di carne per nutrirsene, così degli individui insensibili  e meschini erano giunti a strapparle una parte della sua anima, lasciando non una semplice cicatrice, ma un vero e proprio squarcio nella psiche della ex dottoressa, talmente profondo da deturpare, in maniera forse irreparabile, la sua esistenza. 
Eppure, per quanto la sofferenza l'avesse in molti modi spezzata dentro, Pamela non si era mai veramente piegata, non si era mai completamente arresa; vi erano degli istanti, giorno dopo giorno sempre più frequenti, in cu l'indole ribelle ed indomabile della donna  tornava ad affacciarsi, rivelando che, sotto le ceneri della disperazione, il fuoco ardente della passione e della vendetta ancora splendeva... che nonostante tutto quel che la sventurata donna aveva vissuto, lei era e rimaneva Poison Ivy, la potente Signora della Natura. 
"E per cosa dovrei perdonarti?" disse Pamela, stavolta con con tono fermo e deciso. 
"Per aver detto apertamente come stanno le cose? Per avermi ricordato quale sia la vera faccia della società umana? 
Non occorrono le tue parole per rammentarmelo, credimi: anche prima di incontrarti, io ero perfettamente consapevole dell'egoismo e dell'arroganza con cui l'uomo ama trattare ogni creatura che, ai suo occhi, appaia inferiore... della sua ipocrisia infinita, quando afferma di voler scoprire se, su questo o altri mondi, vi sono esseri a lui pari o perfino superiori, affermando di voler da questi apprendere per migliorarsi, ponendo le basi per un futuro migliore... covando nel frattempo il desiderio di sottomettere, o perfino annientare tali esseri, nel caso questi ultimi dovessero mettere in evidenza la sua pochezza.
La caratteristica distintiva dell'Homo Sapiens non è infatti la capacità di raziocinio, bensì la suo innato desiderio di porsi al di sopra di qualunque altra forma di vita... se tale assioma dovesse mai essere smentito, anche il diritto dell'umanità di dispensare leggi e comandare il creato verrebbe messo in discussione, e questa è la loro più grande paura."
Asciugandosi ancora, per l'ultima volta, le larime dagli occhi, Pamela tornò ad allungare la mano, ponendola sulla guancia del suo salvatore, in un movimento che esprimeva gentilezza ed affetto, ma nessuna delle incertezze e delle paure di poco prima.
"No, amore mio" sussurrò con infinita dolcezza la dottoressa Isley "non sei  tu quello che deve offrire le sue scuse; sono gli esseri umani che devono rispondere dei loro crimini, lo sappiamo entrambi questo." e detto ciò, ella appoggiò il capo sul petto del suo amato, immergendosi nella sensazione di sicurezza che tale azione le procurava.
Egli lasciò trascorrere qualche minuto, consentendo alla donna di dare sfogo al suo dolore, limitandosi a tenerle la mano sinistra e, di tanto in tanto, carezzarle i lunghi capelli. 
"Il nostro passato ci perseguita ancora, e continuerà a farlo...  finchè noi continueremo a permetterglielo." disse Kelden, con tono rassicurante, carezzandole col pollice il polso sinistro, laddove la pelle era stata marchiata.
"Non posso cancellare ciò che è successo, mia adorata Pamela,  ma una cosa io posso prometterti: il giorno in cui la verità verra finalmente alla luce è sempre più vicino!"
Di scatto, egli lasciò andare la mano della donna, per poi cingerle i fianchi col braccio destro e, tornando ad alzarsi, sollevarla senza apparente sforzo, stringendola a sé con forza e delicatezza.  
Un'altro schiocco di dita risuonò, ordinando al prisma fluttuante di riprendere le sue funzioni. Dopo pochi secondi ciascuna delle numerose facce tornò ad emettere un raggio di luce, alla cui sommità nuovamente apparvero degli schermi rettangolari, dove immagini di violenza, del tutto simili a quelle poco prima dissoltesi, fecero presto la loro apparizione.  
"Ormai gli ingranaggi hanno cominciato a muoversi; è troppo tardi per fermare il corso degli eventi e, anche se questa fosse un'opzione per me, non vorrei mai farlo... poiché sappiamo entrambi perfettamente che tutti gli uomini meritano il castigo che insieme infliggeremo loro.
In quel cruciale, glorioso istante, quando la razza umana sarà stata piegata.... quando il più antico e puro dei poteri si manifesterà ai loro occhi nella sua vera essenza... quando ogni uomo, donna e bambino avrà appreso che cosa sia la totale miseria, il vero terrore, la sofferenza più pura... allora, e solo allora, tutti loro pagheranno... 
Tu ed io, mia amata Pamela, otterremo la nostra tanto agognata vendetta su tutti coloro che ci hanno ferito...
L'umanità intera pagherà per ciò che ci è stato fatto!!!" 
Senza allentare la stretta attorno alla cintola della bellissima donna, Kelden l'Alchemico tornò a fissare i numerosi ologrammi, occasionalmente soffermando le sue sinistre pupille su tutti coloro che, senza averne il minimo sentore, erano non solo parte integrante del suo contorto schema, ma destinati ad assisterlo nel conseguimento del suo obiettivo finale, volenti o nolenti.
"Così io ti ho giurato, mia amata, e così sarà." concluse l'Alchemico, ponendo nel suo tono una nota di finalità decisiva, dietro cui era possibile avvertire l'immensa forza di una volontà adamantina.
Appena queste terribili parole furono pronunciate, Pamela ebbe ulteriore conferma, nel suo cuore e nella sua mente, che la sua scelta di restare al fianco di Kelden era stata giusta; quelle che l'Alchemico proferì non furono semplici chiacchiere, sciocche spacconate o vuote minacce, lanciate al vento da uno dei tanti insignificanti criminali da lei conosciuti, mentre  tentavano di convincere sé stessi e chi gli li circondava della validità dei loro mezzi e convinzioni.
No, ciò che risuonò in quella lussureggiante, anomala foresta era una promessa, un giuramento, un'autentica profezia, destinata a trovare presto compimento. 
Mentre le spaventose immagini e gli strazianti rumori della distruzione si susseguivano ancora una volta, proiettate a mezz'aria da uno strano ed avveniristico congegno fluttuante, la meravigliosa donna dalla pelle color germoglio tornò a sollevare il capo,  consentendo ai suoi occhi di incrociare, ancora una volta, le bianche iridi dell'Alchemico. 
In quel contatto, entrambi sentirono che le rispettive anime, gravate da fardelli pesanti oltre ogni immaginazione, potevano trovare sollievo.  
Senza più dire nulla, essi lasciarono che le azioni esprimessero i loro sentimenti; mentre Kelden abbassava il proprio viso all'altezza di quello della donna, Pamela si alzò sulle punte dei piedi, allungando nel contempo le braccia attorno al collo di lui. 
Senza alcun indugio le loro labbra si toccarono, unendosi in un bacio che mise in contatto non soltanto i loro corpi, ma le loro stesse anime. 
E mentre quelle tormentate creature, che nella vendetta avevano trovato una ragione di esistenza, esprimevano in tal modo il loro reciproco affetto, intorno a loro le scene dell'ennesima lotta, generata tanto dalle macchinazioni di Kelden quanto dalla scelleratezza umana, venivano ininterrottamente proiettate.
In quei meravigliosi attimi, in cui il loro amore si manifestava alla presenza del dolore e della paura di centinaia di milioni di esseri umani, essi sentirono di essere davvero felici.
 
 
NdA 2
So che è una richiesta insolita, ma... mi occorre il vostro aiuto per proseguire nella storia.
Precisando che SO come voglio che l a trama proceda, vorrei chiedervi di dirmi, tramite recensioni e/o messaggi, di indicarmi quale capitolo vorreste vedere pubblicato per primo tra i seguenti:
1) quello che narrerà le avventure di Robin  e Cyborg a Toll Road;
2)quello in cui vedremo Starfire e Raven alle prese con l'evacuazione di Jump City e, ovviamente, i pericoli che ciò comporterà;
3) quello dove si scopriranno quali erano le missioni affidate da Kelden ai due assassini mascherati, ossia KGBeast e Cheshire.
Questo mi faciliterebbe non poco le cose, accelerandone la pubblicazione di molto.
A voi la scelta. 
Arrivederci a presto ( spero...)!

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